VERRA' LA MORTE E AVRA' I TUOI OCCHI (Cesare Pavese)

di pierre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** II ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X capitolo finale ***



Capitolo 1
*** II ***


Domenica
 
 
Spencer era entrato dell’anfiteatro dell’ateneo di Architettura con gli  appunti e le foto ben riposti nel marsupio da cui raramente si separava, una specie di borsone che conteneva di tutto, manette e colt comprese.
Era piuttosto bravino anche nel corpo a corpo ma se poteva cercava di evitare i contatti spiacevoli come sangue, sudore e sputi.
Sul palco c’erano due, no tre figure e una stava parlando al microfono.
“Ecco, direi di far partire le immagini… ho detto di far partire le immagini, cazzo! Pronto c’è nessuno in regia?”
Chi tuonava con voce da tenore era un ometto pingue e sudato, una natura isterica, pensò Spencer e come tutti i professori con quella caratteristica, andava assecondato.
Invece una voce più giovane lo aveva apostrofato: “Tim datti una calmata!”
“Scusa, ehi dico a te ragazzino!”
Spencer si era girato per guardare alle sue spalle ma il docente parlava proprio con lui.
“Non stare lì come un autistico, va tu alla consolle e fai partire le mie immagini!”
Lo aveva scambiato per uno studente, una cosa che con suo grande fastidio gli capitava spesso.
Il detective si era diretto nella parte più alta dell’anfiteatro dove, effettivamente, c’era una bella postazione piena di cavi e provvista di due monitor e una piccola camera da ripresa. Dopo una rapida occhiata si accorse che era collegata a un piccolo computerino, uno di quei giocattoli tutto fare.
“Avvialo, che aspetti!” Quel Tim o come diavolo si chiamava era veramente antipatico, poveri studenti!
Reid obbedì e non sapendo quale file scegliere ne aprì uno a caso.
La prima ragazza, nuda, aveva due tette notevoli.
“Che fai!”
“Mi scusi, sono desolato!”
Il professore aveva cominciato a snocciolare una serie infinita di insulti in direzione di Spencer che lo guardava, sconcertato da tanta energia verbale ma la stessa voce di prima lo placò: “Tim sei un porco e lo sa tutto il mondo che ti scopi le studentesse!”
L’uomo che aveva parlato si era letteralmente materializzato al fianco di Reid e con un veloce movimento aveva fatto finalmente partire le immagini giuste.
Lo aveva sfiorato una nuvola, fu questa la prima sensazione di Spencer.
La seconda, affrettandosi a salutarlo fu che l’uomo aveva un modo di fare delizioso.
“Scusalo, non è colpa sua ma della mamma: un’autentica arpia! Non sto scherzando, lo conosco da vent’anni e davanti a una birra diventa un amore!”
Bello e stropicciato.
“Salve, mi chiamo Spencer Reid e sono il relatore che dovrebbe parlare dopo il professor Habbas, docente di Etica se ricordo bene.”
“Tim indovina un po’? Hai appena insultato un professore!”
 L’uomo si era messo a ridere e i suoi occhi avevano brillato allegri e divertiti.
“Ciao professor Reid” la voce bassa aveva una sfumatura ironica “io mi chiamo Alberto, lunga pace e prosperità” gli aveva fatto il saluto vulcaniano e poi gli aveva sussurrato “rilassati amico mio, qui dentro siamo tutti più piccoli di te!”
Con un passo elastico e deciso aveva disceso i gradini dell’anfiteatro andando a raggiungere il suo amico sul palco: a loro si era aggiunta una donna sui cinquant’anni, una bella signora rassicurante che Spencer riconobbe, era stata la sua docente di Virologia e Microbiologia.
“Vieni qua, che fai laggiù” gli propose.
Reid cominciò la sua analisi: Alberto, si presentava come un tipico Peter Pan. Affascinante, sui quarant’anni, assolutamente disinibito, sicuramente un Alpha.
Capello pepe e sale, una faccia simpatica, liscia e abbronzata, denti bianchi e bocca carnosa, gli occhi di che colore erano? Marroni… no, verdi e marroni.
Che gli stava dicendo il cervello?
Forse era il serial killer e lui si stava imbambolando a guardarlo? Non gli era mai successa una cosa del genere!
Li aveva raggiunti e aveva salutato timidamente la dottoressa Wais, che lo aveva guardato con la tipica espressione del dove ti ho già visto.
“Sono stato un suo allievo, sono un po’ cresciuto…avevo sedici anni!”
La donna, Margherita Wais lo aveva abbracciato imbarazzandolo.
“Il piccolo genio! Come stai, ma fatti guardare, sei diventato bellissimo, eri un rospo!”
Che gentile…
“E chi l’ha baciato?” Aveva ribattuto ridendo Alberto che finalmente si era presentato: “allora piccolo genio, io sono il professor Diotallevi e vengo da Roma. Cercherò di convincere questi quattro caproni che l’aggressività umana è strettamente legata all’alimentazione. Tu per esempio, ti nutri correttamente, anche se sei un po’ troppo magro. Probabilmente sei stato allattato ma hai subito uno strappo emotivo durante la prima infanzia”.
Questa poi, un sospettato gli stava facendo il profilo! Lo aveva osservato nuovamente: un italiano, ecco perché era così elegante.
Non che avesse chi sa che addosso, jeans, maglia bianca e pullover blu da universitario ma erano tutti capi di ottima qualità e poi si muoveva in un modo così, così…
“Piccolo genio? Dai, andiamo a mangiare qualcosa, sono curioso di sapere cosa ci fa un bravo ragazzo in mezzo a tutti questi pazzi!”
 
 
Lunedì
 
Non si era mai divertito tanto in vita sua.
Spencer Reid aveva mangiato, bevuto una piccola birra e dialogato piacevolmente con un gruppo di colleghi che con Margherita, Tim e ovviamente Alberto avevano condiviso un tavolo rotondo del Regency.
Il professor Diotallevi era seduto, a dire il vero appiccicato a Spencer e nella foga della conversazione con l’illustre botanico indiano Djinam, che sedeva all’altro fianco di Reid, non si era accorto di stargli praticamente addosso.
Il ragazzo, che di solito odiava avere il proprio spazio vitale invaso, aveva dovuto ammettere con se stesso che non solo il corpo di Alberto non lo infastidiva, ma il suo odore condito con una conversazione arguta e brillante, lo aveva fatto rilassare e ridere spesso.
Lui non rideva mai…
Finalmente si era ritrovato in mezzo a gente che aveva il cervello sulla sua stessa lunghezza d’onda, per la quale era normale parlare di cicli biologici, fossili, clima, botanica e filosofia e lo guardava con altri occhi: era sparito il rospo che faceva impressione alle ragazze e urtava l’amor proprio dei ragazzi.
E Alberto era adorabile.
Ne aveva parlato il giorno dopo con Ghideon, dopo averlo raggiunto in uno degli uffici dell’albergo dove il suo superiore faceva finta di svolgere compiti amministrativi.
“Alberto Diotallevi è un soggetto davvero interessante, sarà il caso di approfondire meglio la sua conoscenza”.
Ghideon lo aveva subito interrotto.
“Già fatto Spencer e ti dico subito che in tutte le date corrispondenti ai rapimenti e ai ritrovamenti dei cadaveri, lui era dall’altra parte del mondo, l’ultima volta a Los Angeles sopra un albero che volevano tagliare, c’è rimasto un mese!”
Perché si sentiva così sollevato e divertito? Era emotivamente coinvolto? Il professor Diotallevi era stato molto simpatico e non lo aveva mollato un secondo.
Ma no!
Semplicemente Alberto era stato gentile con lui come con gli altri e sicuramente aveva una moglie o una fidanzata che lo stava aspettando entusiasta in Italia.
“Reid, Reid…che hai? Ti vedo distratto, a che stai pensando?”
“Al professor Diotallevi…se non è un sospettato, allora potrebbe essere una papabile vittima!”
“Sì e sarà il caso di riunirci per meglio inquadrare la tipologia che eccita il nostro seriale!”
JJ era sbucata da una porta e aveva salutato con un abbraccio affettuoso Spencer.
“Vieni, abbiamo allestito di qua la nostra zona di lavoro!”
Insieme alla ragazza e a Ghideon, il giovane si era diretto in un’altra stanza piena di foto, mappe attaccate alle pareti e un cartellone pieno di appunti: avevano salutato velocemente gli altri del gruppo cominciando a tracciare le caratteristiche fisiche e psicologiche dei morti.
Derek aveva preso la parola:
“Il nostro Killer ha ucciso due donne e tre uomini di un’età che oscilla tra i trenta e i quaranta anni, piuttosto alti e di un peso mai superiore agli ottanta chili… questo fa presupporre che l’assassino è solo, non è molto forte…”
Hotchner lo aveva interrotto:
“Potrebbe essere un uomo mingherlino, oppure anziano o con problemi di salute”.
“Anche una donna…” aveva mormorato Spencer.
“No!” Ghideon era stato risoluto “ Le vittime hanno subito ripetuti stupri prima di essere uccise e pur non avendo trovato tracce di sperma o altri fluidi organici sui loro corpi, le lesioni interne non fanno presupporre oggetti, chi li ha violentati lo ha fatto naturalmente!”
“Si giusto!” S’introdusse JJ “ma i seriali potrebbero essere due: la donna adesca e l’uomo abusa, e il peso relativamente leggero delle vittime è semplicemente legato al fatto che alla coppia non piacciono gli obesi!”
Spencer aveva cominciato a osservare le foto: prima della morte, le vittime erano state persone dotate di una loro autonomia fatta di desideri, conquiste, sentimenti e scelte, dopo, i miseri resti urlavano solo tutto l’orrore patito.
Che cosa stava cercando? Stava valutando se Alberto avrebbe potuto intrigare quel maledetto bastardo.
“Erano tutti docenti… ma di quali Facoltà? E presso quali Atenei si erano laureati e in cosa?”
Derek gli aveva risposto prontamente.
“Abbiamo fatto i controlli incrociati, non c’è nessun legame! Vorrei comunque controllare se per caso avevano partecipato agli stessi congressi o agli stessi corsi di specializzazione”.
Spencer sentì il desiderio di correre da Alberto perché sicuramente era una papabile futura vittima e lui doveva proteggerlo!
“Devo andare, mi aspettano…”
“Stai attento Spencer, se il killer è tra voi, tu potresti correre dei seri pericoli!” lo aveva fermato sulla porta Ghideon.
“Perché mai, io ho 24 anni e peso a malapena 70 kg”
“Perché anche gli assassini si evolvono e tu nella sua scala dei suoi valori saresti un ottimo cambiamento.”
 
Lo aveva ritrovato in uno dei salotti del Regency: era immerso nella lettura di una notevole quantità di appunti e per un po’ lo aveva spiato.
Seduto, sprofondato in un comodo divano parlottava, no canticchiava tra se e ogni tanto un lieve sorriso illuminava il suo volto: a chi stava pensando?
Un irrazionale dolore gli allargò lo stomaco, una sensazione nuova che non aveva mai provato, ma cosa gli stava succedendo? Perché il cuore aveva accelerato il ritmo e perché per un attimo aveva avuto il desiderio di allontanarsi di lì, di fuggire lontano da quell’uomo?
“Spencer! Sei tornato, vieni, siediti accanto a me, aiutami a suddividere questi appunti, sempre se ne hai voglia professore!” Ridacchiò Alberto.
Reid gli si accomodò accanto .
“Ecco guarda” le loro mani si sfiorarono e il giovane ebbe una scossa, era la seconda volta che l’uomo lo toccava e la cosa gli stava piacendo… tanto.
“Ho fatto un segno di color rosso per le proteine e nero per i lipidi saturi, verde per gli insaturi, blu per i carboidrati”.
Facile, pensò tra se Spencer.
“Dunque secondo te l’alimentazione è fondamentale per un equilibrato sviluppo caratteriale? M’interessa molto il tuo punto di vista!”
Si erano subito dati del tu anche se ogni tanto, quando Spencer diventava un po’ troppo cattedratico, Alberto lo prendeva in giro chiamandolo professor Reid, ma lo faceva con un tale divertito garbo che era impossibile sentirsi offesi.
“Lo sapevi che il riso ha nelle sue catene la stessa identica sequenza degli acidi grassi che compongono il tessuto cerebrale? Stessa storia per l’olio d’oliva, quindi un buon sistema per dare maggior impulso alla nostra intelligenza sarebbe di nutrirci di una maggior quantità di cereali e lipidi polinsaturi. Il latte invece rende aggressivi e può preparare la strada alle intolleranze alimentari che ci rendono ancora più incazzatelli”.
Spencer lo aveva interrotto.
“Allora la sana colazione americana con un bel bicchiere di latte?”
Alberto aveva annuito.
“Bè, che siete dei guerrafondai, è risaputo! Sarebbe meglio un buon the! No scherzo, però il bambino dovrebbe assimilare solo il latte materno, tu per quanto tempo sei stato allattato?”
Panico.
“Io, io non lo so!”
“Scusa, non volevo imbarazzarti…”
“No, figurati e solo che mia madre ha cominciato a stare male quando io avevo diciotto mesi e quindi…”
Ad Alberto si era stretto il cuore: “mi dispiace veramente.”
Spencer lo aveva interrotto: “tu pensi che mia madre mi stesse ancora allattando?” Si sentiva turbato.
“Perché non avrebbe dovuto? Ti piace baciare le ragazze? Tranquillo, non sono un maniaco, semplicemente la stimolazione orale, se non è compromessa, di solito comporta un gran piacere sessuale e un buon equilibrio emotivo!”
Spencer trovava la conversazione irreale, un nutrizionista gli stava spiegando cose che lui come profiler sapeva bene… spesso i serial- killer erano stati deviati da madri che da piccoli li avevano puniti affamandoli.
Reid decise che dovevano dare una svolta alla conversazione.
“E tu? Segui personalmente l’alimentazione dei tuoi figli o lasci fare a tua moglie?”
Diotallevi aveva piantato i suoi occhi intensi in quelli del giovane collega: “io non ho figli, non ho una moglie e in questo periodo sono anche desolatamente solo! Ah, dimenticavo, sono omosessuale.”
Alberto si aspettava una reazione di stupore o di ancor più penoso imbarazzo, invece a Spencer se ne uscì di getto: “sei proprio sicuro?”
Un imbecille, aveva ragione Derek, nei rapporti umani lui era un vero disastro.
“In che senso scusa?” Alberto si era messo a ridere a crepapelle ”si direi proprio di si! Perché mi chiedi una conferma? Non sai ancora se accettarmi o scappare?”
L’espressione sconcertata di Reid lo aveva convinto a calmarsi.
 “Si, mi piacciono gli uomini!” E lo aveva guardato di nuovo con una espressione intimorita che aveva intenerito parecchio Spencer.
 
 

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Capitolo 2
*** I ***


Note: il personaggio di Spencer Reid è tra i miei preferiti e anch’io adoro immaginarlo tra le braccia di Derek.
In questa storia però ho ritenuto che funzionasse meglio un altro personaggio, totalmente inventato, dando a Morgan un’altra importantissima veste. Inoltre sono particolarmente affezionata alla prima serie quando Spencer era un cucciolo adorabile e inesperto.
Ricompare perciò la figura di Ghideon che a mio avviso era davvero bella e ben rappresentata.
Preparatevi perché al povero Spencer gliene faccio passare di tutti i colori…
 
 
 
I
 
Assassinava solo alcuni professori universitari, dovevano essere eccezionali insegnanti, dei veri geni, considerati le punte di diamante dalle varie università sparse per gli Stati Uniti.
E adesso avrebbe colpito la New York University, ne era più che certo! Stavano per iniziare una serie di simposi riguardanti gli opportuni protocolli da adottare per salvare il pianeta Terra, una maratona infinita e interdisciplinare tra i vari illustrissimi docenti degli atenei più prestigiosi.
Alcuni di loro erano arrivati dall’Europa.
Aaron Hotchner, aveva convocato urgentemente la sua squadra a Quantico e nella sede di competenza avevano cominciato a tracciare il profilo del Killer seriale.
“E’ un uomo sui trenta, quarant’anni, bianco con un passato di bambino abusato, probabilmente dal padre oppure da un’altra figura rilevante come un maestro o un istruttore”.
JJ, una delicata biondina con un cipiglio da leonessa, aveva cominciato a rivolgersi con fermezza agli altri membri del suo gruppo, dove troneggiava la figura del creolo Derek, uno splendido rappresentante dei Caraibi, uno psicologo eccezionale e un poliziotto affidabile.
Jason Ghideon annuiva altrettanto convinto, lui per loro era una specie di padre ma non bisognava mai dimenticare che era anche ritenuto il profiler più esperto e famoso degli States … era quasi impazzito per colpa di un serial killer che lo aveva veramente mandato in pezzi, ma alla fine era riuscito a scovarlo.
Poi per due anni era stato trasferito a Quantico a fare l’insegnante, e qui aveva conosciuto Spencer.
Spencer… JJ sospirò e proprio lui approfittando dell’attimo di silenzio della sua collega, prese la parola: “Il nostro serial killer probabilmente è un docente Universitario, una mente brillante che riesce facilmente a incantare i suoi studenti, un manipolatore!”
Mentre il ragazzo continuava a parlare, la detective pensò che Spencer sarebbe potuto diventare una mente criminale, e invece era il più geniale elemento del loro gruppo, tre lauree, una in Psicologia, un criminologo dalla memoria edetica, capace di passare senza battere ciglio dalle nozioni storiche a quelle scientifiche.
Spencer aveva ventitré anni appena compiuti… si era diplomato a dodici anni e a diciotto era stato dirottato dal Ministero degli Affari Interni a Quantico, la sede centrale del F.B.I. perché il ragazzino era riuscito a dimostrare nella sua tesi di Criminologia, che i sistemi di sicurezza periferici dell’intera struttura erano aggredibili.
Dopo averlo sondato con una serie infinita di test e interrogatori, i grandi capi avevano deciso che era meglio averlo con loro che contro di loro!
Ghideon quando lo aveva conosciuto era rimasto incantato dalla combinazione d’intelligenza, timidezza, rigore e candore che convivevano nella testa di Reid.
Era riuscito a leggere le carte che riguardavano la sua storia personale e aveva così scoperto che la madre era schizofrenica e che a due anni il ragazzo era stato bollato come autistico perché, non faceva che muoversi e lamentarsi in continuazione.
Per fortuna, uno psichiatra infantile aveva intuito che la smania di Spencer era dovuta a un divorante bisogno d’informazioni.
A tre anni il piccolo sapeva leggere e scrivere e poi si era incamminato lungo un sentiero fatto d’incredibili successi scolastici, gare di matematica tutte vinte, premi in denaro e tanta, tanta solitudine.
Di lui si erano occupati l’Assistenza Sociale e lo psichiatra che aveva scoperto la sua intelligenza, quindi rispetto a tanti altri bambini era stato molto fortunato ma Reid non aveva mai avuto un guantone e una palla, non aveva giocato con un cane né tantomeno aveva avuto amici con cui potersi confrontare, nessun giornaletto o una maglia da condividere con un fratello maggiore: rare le carezze.
Deprivazione sensoriale, questa era stata la diagnosi lapidaria degli psicologi di Quantico, una voragine sentimentale riempita da una tonnellata d’informazioni.
Poi era arrivato Ghideon che aveva preteso Spencer come suo assistente e da quel momento le cose erano cominciate a cambiare, anche se spesso l’umanità dell’uomo mandava in confusione la razionalità del ragazzo.
Andavano insieme alle partite di basket, dove di solito Spencer riusciva attraverso un suo speciale calcolo delle probabilità a intuire che avrebbe vinto.
“Che urlerà a fare tutta questa gente” domandava sconcertato.
Preferiva andare con il suo mentore in giro per musei, dove passava le ore a elaborare linee, punti e spazi per presentarli al suo cervello in una forma razionale, perché era così che funzionava il cervello di Spencer.
 
Si fermò per dare la parola a Derek che iniziò a descrivere il killer dal punto di vista più viscerale.
”Sevizia le vittime per giorni prima di ucciderle: vuole avere il massimo controllo su di loro e le stupra per stabilire un legame più intimo, in realtà crede di amarle consumando con loro un atto che ritiene consenziente”.
Un atto consenziente, Spencer aveva condiviso il suo primo atto consenziente circa sei mesi prima con una gran bella ragazza salvata dalle attenzioni di un maniaco sessuale che la voleva rapire.
Aveva fatto l’amore con lei ed era stato bello.
La ragazza, Susan, si era anche un po’ innamorata mentre per il giovane era stata semplicemente un’esperienza irrazionale da catalogare nel suo archivio privatissimo, quello infilato nelle pieghe più profonde della sua mente.
Derek non la smetteva di prenderlo in giro e lui gli aveva detto secco: “stai zitto” ed era scappato via come un fulmine.
Anche Derek lo attirava molto… e lui si sentiva un po’ confuso.
Ne aveva parlato con Ghideon il quale molto serenamente gli aveva detto: ”Probabilmente sei bisessuale”.
“E questo è un male?” si era informato Spencer.
“Non per quanto mi riguarda, ma eviterei di fare coppia con lui perché durante le azioni pericolose, i sentimenti rendono incerti!”
“Io non sono innamorato di lui, mi piace, tutto qui!”
E Derek era un uomo che sarebbe piaciuto anche ai sassi.
Ghideon aveva consigliato Spencer di non farne parola con nessun altro, lì a Quantico non tutti erano spiriti liberi.
Reid era spesso in coppia con JJ e si trovava magnificamente con lei, gli sembrava di ragionare con un ragazzo e non doveva fare i conti con quella parte del femminile così istintivo e imprevedibile, anzi spesso le faceva delle domande anche imbarazzanti sul misterioso mondo delle donne.
“Perché siete nervose quando avete il ciclo mestruale? Il testosterone non può influenzare così tanto il carattere, ho calcolato il quantitativo in grammi dell’ormone e…”
JJ si faceva le matte risate e tentava di far entrare in quella testa strana che non c’erano soltanto grammi e centilitri dentro un essere umano, ma lui insisteva: “perché mi lasciano dei bigliettini nell’agenda, non farebbero prima a chiedermi se voglio fare l’amore?”
Spencer non aveva mai usato la parola scopare, la riteneva insufficiente a descrivere l’atto sessuale.
“O santo cielo! Ti lasciano i messaggi per vedere la tua reazione, un no detto categoricamente in faccia sarebbe uno sfacelo emotivo!”
“Perché? Sì o no e poi perché io?”
“Perché sei bello, coglione!”  
Di solito questa simpatica frase arrivava da Derek.
Loro erano la sua famiglia: Ghideon gli faceva da padre, JJ da sorella maggiore e Derek poteva rappresentare il cuginetto con cui fare i primi passi nel magico mondo dell’eros… Spencer aveva letto testi interessantissimi su quello che i ragazzi eterosessuali facevano tra loro durante la fase prepuberale.
Lui non aveva avuto questa fase, o no? Un ricordo improvviso lo aveva colto in un momento di guardia abbassata del subconscio e si era ricordato di un ragazzo più grande, ospite insieme con lui nel collegio che lo aveva ospitato fino al compimento dei suoi diciotto anni.
Gli era successo mentre dormiva, aveva sognato di essere tra le braccia di Robert? No, Rupert, e di essere stato benissimo.
Chi sa che fine aveva fatto? Non si era preoccupato più di tanto.
Aaron Hotchner invece era il capo.
E a Spencer piaceva avere quel capo perché ordinava le sue idee, lo capiva e prendeva sempre in considerazione le sue uscite anche quando sembravano astruse.
Come quella volta che da un collage di foto aveva capito, riuscendo a ricomporre, dentro la sua testa, i pezzetti di quella specie di quadro astratto, che l’assassino era una donna e non un uomo.
Tutti gli avevano dato del pazzo invece Aaron lo aveva seguito nel suo ragionamento e un altro killer adesso marciva in galera.
Per Hotchner quel ragazzino rappresentava un mistero della creazione.
Quando lo aveva valutato per il suo gruppo di profiler, su sostenuta insistenza di Ghideon, si era trovato di fronte un elemento assolutamente non conforme al soggetto che lui si era immaginato. Intanto, un genio provvisto di tre lauree, non assomigliava mai a un modello, invece Spencer avrebbe potuto fare il ragazzo copertina di qualche stilista emergente: era magrissimo, alto e con un viso modernissimo ed efebico, niente a che vedere con certi tori da monta.
Aveva i capelli leggermente ondulati, portati con la riga in mezzo e spesso tenuti composti dietro le orecchie: non lunghi, incorniciavano dei lineamenti perfetti e chiarissimi, quasi esangui, un nasino reso ancora più particolare da una piccola gobbetta e una bocca carnosa e colorita.
Gli occhi, sempre tondi di curiosità, erano vivacissimi e affamati d’informazioni.
La cosa più sconcertante era l’assoluta indifferenza del ragazzo per cose che alla sua età erano basilari: le macchine sportive, il basket, la musica rock, le ragazze e la birra, un’indifferenza dovuta alla mancanza di dati utili da analizzare.
Reid non aveva mai voluto saperne nulla, lui nei suoi appena compiuti ventitré anni aveva solo studiato.
E non conosceva New York.
E loro lo stavano per gettare in bocca al lupo.
“Allora Reid, ti senti in grado di affrontare la situazione? Non è uno scherzo, tu dovrai mescolarti in mezzo ad un nutrito gruppo di studiosi e fare da esca, cercare di attrarre l’attenzione del killer su di te e portarlo da noi… non è uno scherzo, davvero!”
Quando mai io ho scherzato, pensò tra se il ragazzo.
“Capitano, per me non è la prima volta, le vorrei ricordare quando sono riuscito a convincere un pazzo a fidarsi di me mentre teneva in ostaggio un intero autobus pieno di passeggeri!”
Era vero, Reid aveva convinto il folle ad arrendersi agli alieni perché tanto lui lo avrebbe riportato su Orione e lo aveva fatto con quella sua aria pulita e svagata.
Era veramente così: un puro, assolutamente privo di malizia.
E adesso si stava dando in pasto a un serial killer.
Spencer percepì l’ansia dell’intero gruppo e cercò di rassicurarli.
“Ascoltatemi bene… si è creata una occasione irripetibile, si tratta di un congresso voluto dall’Università di New York, lavori atti ad analizzare il comportamento umano da un punto di vista biologico, architettonico, psicologico, strutturale, virale, ambientale, economico, ecologico, spirituale e criminologico” riprese fiato “una ricerca a trecentosessanta gradi che, detto tra di noi, mi intriga parecchio! Tutti i docenti si alterneranno nelle esposizioni delle loro ricerche presso l’anfiteatro della facoltà di Architettura che si trova a Manhattan, il luogo più centrale di tutta la Grande Mela e noi siamo stati tutti collocati al Regency Hotel, tra la quinta e la dodicesima, molto vicino alla New York University!”
Sembrava tutto facile per Reid ma Derek lo interruppe:
“Si professore, ma tra di voi probabilmente ci sarà anche il killer che si diverte ad ammazzare docenti universitari, un vero pescecane in un acquario pieno di pesciolini rimbecilliti e distratti!” Era stato aggressivo ma in realtà era molto preoccupato, si sentiva tanto una specie di fratello maggiore e riteneva Spencer in certi momenti, soprattutto quando si estraniava, il più rimbecillito di tutti.
Una voce lo aveva interrotto:
“Noi saremo mescolati al servizio di sorveglianza, non si farà male nessuno!”
Ghideon era quasi certo che il pluriassassino non si sarebbe fatto vedere ma il battito cardiaco accelerato svelava anche la sua paura: Spencer sarebbe stata una preda ambitissima, uno dei più giovani professori al mondo, un criminologo forense servito su un piatto d’argento. Una figura così incredibile che neanche il killer avrebbe potuto sospettare fosse uno sbirro.
“Insomma ormai è tutto pronto, domani entrerò in quell’albergo dalla porta principale…vi prego sorridete e fate almeno finta di credere che andrà tutto per il meglio!” Esclamò Reid e tutti si misero a ridere.
 

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Capitolo 3
*** III ***


Martedì
 
La presenza del pubblico al Congresso era notevole.
Un vero incubo per Ghideon e compagni che certo non potevano sondare in mezzo a quella bolgia la presenza del possibile seriale.
“Controlliamo soprattutto le prime file, di solito questo genere di assassino ama essere molto vicino alla sua futura vittima…JJ sai dirmi dove è Spencer?”
La poliziotta aveva un foglio in mano.
“E’ dietro le quinte del palco, i professori Allen, Fuente e Diotallevi debbono esporre i loro lavori e sono con Reid: non ci dovrebbero essere problemi, pensa lui a controllarli, ma è il caso che Derek lo sostituisca quando dovrà parlare alla platea… Cristo quanta gente! Se il seriale è qui, sarà impossibile individuarlo!”
JJ era veramente frustrata ma la voce calma e fredda di Hotchner la risollevò.
“Abbiamo poliziotti ovunque, tra il pubblico e in mezzo agli studenti e agli assistenti… quel tecnico audio è uno di noi, vedrai che non succederà nulla di brutto”.
Sarebbe già stato un successo, pensò Ghideon guardando Spencer che si dirigeva con passo elegante e un po’ timido verso il centro del palco: toccava a lui.
La sera prima, sul tardi, lo aveva raggiunto nella sua stanza e insieme, sorseggiando una cioccolata calda, avevano parlato: le loro solite quattro chiacchiere.
All’inizio del killer, ma poi dopo un po’ che ci girava in torno, il ragazzo si era confidato intimamente.
“Mi ha detto di essere un gay… Diotallevi… e io ho fatto una figura da scemo!”
“Perché, cosa gli hai detto?”
“Coglionerie, ma dopo tra di noi si è creata una maggiore complicità, Alberto si aspettava che io mi allontanassi e invece gli sono rimasto sempre accanto, fino a dieci minuti fa.”
Ghideon lo aveva guardato di traverso.
“E’ il tuo compito, non lo devi mai perdere di vista, sei tu che lo devi proteggere, dove è il problema?”
“Io non lo voglio semplicemente proteggere, io lo voglio abbracciare, accarezzare, ho voglia di baciarlo! Oddio Ghideon, non mi era mai successa una cosa del genere!”
Aveva lo sguardo smarrito “sono coinvolto emotivamente e quindi sono inaffidabile!”
Reid si era preso una cotta, per la prima volta nella sua brevissima vita, il ragazzo faceva i conti con l’irrazionalità dei sentimenti: i propri.
Sarebbe stato veramente un cambiamento, una svolta per la crescita emotiva di Spencer, uomo o donna poco importavano. Ghideon era da una parte contento che il suo protetto cominciasse a schiudersi, ma accidenti, aveva scelto il momento meno adatto e il soggetto dei suoi desideri poteva essere una possibile preda del seriale!
Qualora Spencer si fosse trovato a doverlo affrontare, con che spirito lo avrebbe fatto?
“Ascoltami, se adesso io andassi da Hotchner e gli dicessi che tu vuoi occuparti di un altro professore, gli creeremmo un tale casino! Lui è un ottimo poliziotto e ci sta dirigendo in maniera esemplare, siamo una squadra formidabile per merito suo ma in un momento come questo, dirgli che ti sei innamorato del professor Diotallevi…”.
Reid aveva subito analizzato dentro di se l’espressione innamorato che, con naturalezza, il suo miglior amico aveva usato: Ghideon era un profiler eccezionale, aveva immediatamente capito la profondità del sentimento che lo stava destabilizzando.
Probabilmente aveva osservato la dilatazione delle sue pupille e la colorazione delle sue guance di solito esangui… e non gli era sfuggita neanche la vena che gli pulsava veloce sul collo e l’impercettibile cambiamento di tono quando pronunciava il nome Alberto.
Maledizione!
Non gli piaceva stare in quella condizione, si sentiva sempre scoperto e in debito di ossigeno e quando Ghideon era andato via, si era osservato a lungo allo specchio del bagno e si era visto per la prima volta.
Un bambino affamato di carezze, un adolescente gelido e presuntuoso che allontanava tutto e tutti da se, un ragazzo risoluto e geniale, un disperato vincente e solo.
Era stato più forte di lui, lo aveva chiamato nella sua stanza.
“Professor Reid!” Alberto sembrava veramente contento di sentirlo, era un uomo di quaranta anni ma aveva lo spirito e la freschezza di un ragazzino.
“Ciao, tutto bene?”
“Vieni da me…”.
La proposta, così veloce e senza mezzi termini lo aveva fulminato.
“Alberto, Alberto… io, io non posso!”
La voce di Diotallevi era sembrata improvvisamente stanca.
“Hai ragione, scusami, non farci caso, sono uno stronzo e ti ho messo in imbarazzo, grazie per la telefonatina della buona notte, ciao!” E aveva attaccato.
Spencer, travolto da una rabbia che non credeva di poter provare, lo aveva richiamato immediatamente.
“Non lo fare mai più! Non valutarmi secondo i tuoi parametri… se ti ho detto che io non posso è perché temo di buttarmi a capofitto in una storia da fine settimana, da rappresentante di commercio, da congressista annoiato… chi ti conosce a te? Io ho ventiquattro anni e non sono mai stato con un uomo, tu invece? Quanti studenti ti sarai fatto? Hai detto di essere solo… cosa sono io per te, un regolatore ormonale? E dopo, come ti dovrò classificare? Come l’uomo che mi ha sverginato, il bel professore che mi ha aperto le porte del sesso gay occasionale da camera di albergo o da bagno pubblico? ” Aveva il fiatone.
“Smettila…” Alberto invece, aveva una voce così calda “scusami, mi sono comportato male, hai ragione ma al contrario di te, io sono un istintivo. Comunque non faccio sesso occasionale e tanto meno con i miei studenti! Non volevo saltarti addosso ma abbracciarti e darti tanti baci, quello si! L’ho capito benissimo che non sei mai stato con un uomo e sono pazzo di te, non faccio che pensarti continuamente, t’ immagino…”.
Spencer si sentiva liquido: braccia, gambe e collo avevano perso la capacità di sostenerlo nella sua solita posizione rigida, si doveva sedere.
“Alberto, quando sarà finita questo congresso” si era fermato un attimo “tu ed io potremmo valutare meglio i nostri sentimenti”.
Era un tentativo di allontanarsi da lui, e invece si era appena dichiarato, maledizione! Gli stava cadendo tra le braccia come un quattordicenne.
Invece Diotallevi gli rispose:
“Hai ragione, se questo può allontanare da te, almeno in parte, il timore che io sia un lupo famelico a caccia di verginelle, sono disposto ad aspettare che questo congresso abbia una fine, e poi ti faccio la corte!”
Un dolcissimo sospiro, la voce incrinata: ”io vorrei avere una storia con te, non potrei mai saziarmi con una botta e via, tu sei stupendo Spencer, di te ci si innamora: buona notte piccolo, a domani!”
 
Reid aveva terminato la sua esposizione e un notevole scroscio di applausi lo aveva soddisfatto, si era diretto verso le quintane e i suoi occhi si erano fusi con quelli di Alberto: adesso toccava a lui.
L’intervento del professor Diotallevi non fu semplicemente brillante, il suo fu un vero spettacolo: arguto, divertente, non perse mai l’occasione per aggredire in maniera a volte velata altre volte diretta le multinazionali responsabili del baratro che sempre più si allargava tra i Paesi così detti industrializzati e il Terzo Mondo:
“La fame è un affare colossale amici miei, produce ricchezze incalcolabili!” Era una agitatore di folle e si stava divertendo come un matto: alla fine del suo intervento fu salutato da un vero boato di applausi.
“Il solito stronzo!” Gli aveva detto in faccia Tim ”sai adesso che cosa gli fotte ai tuoi no-Global da salotto del problema mondiale degli afidi nella patata rossa?” E come un martire si era incamminato al centro del palco ben conscio della noia mortale che avrebbe suscitato.
“Sei stato fantastico!” Aveva esclamato Spencer e Alberto era diventato rosso, quel ragazzino aveva la capacità di emozionarlo.
“No, tu sei fantastico” gli aveva bisbigliato ad un orecchio “ti va un boccone in un ristorantino del Bronx? Va molto di moda adesso!”
“E gli altri?”
“Sopravvivranno!”
Brutta espressione… Alberto fraintese: “va bene, ce li portiamo dietro!”
Dopo l’intervento di Tim, salutato con sollievo da una sala che non ne poteva più di larve, con Margherita Wais, che avrebbe parlato nel primo pomeriggio, si accinsero a cercare un taxi.
Dopo un quarto d’ora riuscirono ad acchiapparne uno ma erano in quattro e il conducente un po’ protestò.
“Non si può stare davanti, o tutti dietro o tutti a piedi!”
Si erano inscatolati sul sedile posteriore con Tim che protestava.
“Margherita, hai messo su un culo!”
“Stronzo, tu sei pronto per diventare un prosciutto” aveva replicato ridendo la Wais mentre Alberto stranamente silenzioso si era attaccato al corpo di Spencer.
Il contatto non voluto ma inevitabile e tanto desiderato produsse il cortocircuito temuto: il ragazzo era seduto di taglio, appoggiato a Diotallevi che aveva fatto scivolare un braccio intorno alla sua vita, tra il maglione e la giacca e lo aveva delicatamente stretto a se.
Margherita e Tim, che sapevano tutto, giacché la sera prima avevano dovuto consolare un amico in lacrime, guardavano fuori dal finestrino continuando a stuzzicarsi.
Una frenata li aveva ulteriormente incollati l’uno all’altro, si erano guardati mentre le mani non riuscivano a stare ferme e si s’intrecciavano: “hai gli occhi stanchi…” aveva sussurrato Alberto e poi lo aveva delicatamente baciato sulle labbra.
Per un secondo New York si era capovolta, poi Spencer incapace di opporsi a tanta emozione si era lascito andare.
 
Lo aveva osservato a lungo.
Seduto in sala, terza fila, posto 47 leggermente spostato sulla sinistra, aveva scrutato uno ad uno i vari scienziati, presuntuosi professoroni che sapevano soltanto riempirsi la bocca di merda.
Lui gliela chiudeva per sempre, ma prima, oh quanto li faceva urlare!
Avrebbe voluto studiare ma era nato con una strana malattia, no, non era una malattia piuttosto una peculiarità del suo cervello: era dislessico, una forma piuttosto grave e quindi non poteva leggere.
E neanche scrivere.
Ma aveva una memoria prodigiosa e gli era servita per rendersi la vita meno complicata, perché la sua esistenza a un certo punto era diventata piuttosto difficile. a scuola lo prendevano in giro e a casa la madre si dannava perché il figlio non riusciva a distinguere lettere e segni, aveva tentato di tutto per fargli entrare in quella zucca malata un paio di nozioni base: niente da fare.
Lo aveva sgridato, blandito, aveva cercato di stuzzicarlo con dolcetti e giocattolini, niente, la cosa era andata avanti per anni ma lui non era riuscito a progredire.
Poi verso gli undici anni era entrato nella sua vita il professor Moore.
La madre lo lasciava a casa del pedagogo tre volte alla settimana per due ore circa.
Il sistema Moore aveva funzionato, dopo sei mesi il ragazzino non sapeva ancora scrivere ma riusciva a memorizzare qualsiasi cosa gli fosse detto o letto, gli bastava sentire un racconto una sola volta e poi sapeva ripetere tutto alla perfezione.
Poi, il professor Moore, un bellissimo giorno di un rigido autunno, era morto cadendo dalle scale di casa sua.
Lo aveva spinto lui… dopo l’ennesimo stupro si era finalmente liberato del grande pedagogo che lo aveva addestrato tra una pratica sessuale e l’altra.
Aveva una memoria prodigiosa e adesso la usava per confondersi tra i vari docenti, discutere con loro e carpire la loro fiducia.
Poi quando la cosa succedeva, quando la punizione era stata applicata, eseguita scrupolosamente, lui spariva, ingoiato dalla sua vita anonima e comune.
Impossibile individuarlo, impossibile.
Il professor Diotallevi lo aveva veramente colpito ma era stato Spencer Reid a fulminarlo, così giovane, innocente… lo aveva ammirato subito, perché rappresentava ciò che avrebbe voluto essere: bello e geniale.
Invece quell’insopportabile Fuente, l’economista, aveva parlato per un’ora battendo fastidiosamente la mano sul leggio, producendo un ticchettio continuo con la fede.
Meritava di morire.
Dove stava andando il suo Spencer? Eccolo lì, con il professor Diotallevi e poi c’erano quegli altri insopportabili esseri, tutti sembravano allegri, stavano prendendo un taxi, chissà dove sarebbero andati… Spencer… si doveva intrufolare tra loro.
 
 
Come succede sempre agli innamorati, Spencer e Alberto si erano guardati molto negli occhi ma avevano mangiato pochissimo.
Quel bacio un po’ rubato aveva destabilizzato definitivamente il giovane detective, non tanto per il difficile ruolo che doveva continuare a recitare ma perché il suo mondo fatto solo di nozioni e di riti semplici e continuamente ripetuti era andato a farsi benedire.
Stava tremando perché il cervello non gli dava pace.
“E adesso? Che succederà, che ne sarà del mio equilibrio?”
Era stato così difficile dare una sequenza logica alla sua testa strana: c’erano sempre tante nozioni da catalogare e lui diligentemente sapeva mettere tutto a posto, ma adesso era letteralmente travolto da un sentimento che non aveva un senso.
Si era innamorato e basta.
Alberto lo stava osservando.
”Piccolo, ma che ti sto facendo?”
Seduti l’uno accanto all’altro, a Diotallevi non era sfuggito lo stato di agitazione di Spencer, Dio quanto era bello!
“Io, io... noi dobbiamo parlare, ci sono delle cose che vanno subito chiarite, io non sono quello che tu credi!”
Ad Alberto il cuore era caduto per terra: “hai una moglie e quattro figli?”
“No! Semplicemente non sono soltanto il professor Reid”
“Sei il figlio di un agente segreto Russo allora” mentre gli parlava Diotallevi aveva preso la mano del ragazzo e l’aveva stretta tra le sue, un movimento discreto e nascosto alla curiosità morbosa di chi avevano accanto.
“No, non sono un agente segreto ma ti devo delle spiegazioni, questa sera se non ti dispiace…”
Per un attimo la fantasia di Alberto si era scatenata: si era visto abbracciato a lui, nudi dentro un letto mentre si bisbigliavano i loro segreti.
“Tutto quello che vuoi piccolo, basta che posso starti vicino!”
Dovevano tornare, Margherita avrebbe parlato alle 16 ed erano già le 14 e 30, i quattro si alzarono mal volentieri dal tavolo del ristorante Italiano dove avevano mangiato.
Erano stati così bene!
Decisero di fare una passeggiata e durante il ritorno Tim si accostò a lui, anzi lo prese sotto braccio.
“E’ uno stronzo ma non me lo far soffrire, ti prego… un’altra botta me lo ridurrebbe in pezzi!”
Spencer lo guardò incuriosito.
“Perché, che gli è successo?”
“L’uomo con cui è stato dieci anni ad un certo punto ha deciso che era arrivato il momento di sposarsi e fare dei figli. Io lo avevo avvertito, era un tira e molla straziante… sono passati tre anni e adesso lo rivedo con quella sua espressione da triglia! Se sei poco convinto, fammi un piacere, levati subito dai coglioni!”
 
Il pomeriggio era passato in un lampo e dopo la conferenza, tutti i docenti si erano nuovamente ritrovati al Regency per partecipare al rinfresco a loro dedicato dove non avevano trovato un attimo di pace e, come tutti, sia Reid sia Diotallevi erano stati spesso raggiunti e interrotti da studenti e assistenti che volevano spiegazioni e confronti.
Alcuni giornalisti li avevano intervistati e uno era stato particolarmente tedioso e pesante con Spencer mentre una bella donna aveva fatto una corte spietata ad Alberto facendogli scivolare tra le mani un bigliettino da visita con nome, cognome e mail.
A un certo punto Diotallevi aveva visto un gran bell’uomo, un caraibico probabilmente, parlare con Reid e una fitta di gelosia gli aveva dilatato lo stomaco, anche perché sembrava che i due si conoscessero! La tensione amorosa lo stava facendo diventare patetico!
I due si erano velocemente allontanati l’uno dall’altro e Derek aveva raggiunto Aaron Hotchner che stava osservando attentamente la folla di gente presente nella grande sala del Regency .
“Spencer mi ha detto di controllare una giovane donna bionda che ha tentato di sedurre il professor Diotallevi e di controllare se è venuta da sola o se era con un uomo.”
Le intuizioni di Spencer erano incredibili: ”JJ?” L’auricolare nascosto nell’orecchio della detective la fece immediatamente allertare “si , sono in ascolto!”
La voce di Hotchner era chiara e fredda:” Bionda, trent’anni, cinquanta chili, tailleur blu… si sta dirigendo verso di te a ore dieci, controlla se è accompagnata!”
JJ l’individuò subito: tranquillamente e con un bicchiere di analcolico in mano, sorridendo a destra e a sinistra la seguì fino a individuare un uomo che si stava dirigendo verso di lei.
Il soggetto la prese sotto braccio e la spintonò verso l’uscita.
“Quando la finirai di fare la troia…” furono le dolci parole che la ragazza riuscì a percepire, poi i due uscirono definitivamente di scena.
JJ si diresse di nuovo verso Derek.
“Non penso siano i possibili seriali, ma non si sa mai, dove è Spencer?” Gli chiese con un sorriso d’intesa, il suo collega fece un leggero cenno con il capo.
“E’ lì che sta prendendo un’aranciata, è con Diotallevi, se quell’uomo non fosse assolutamente insospettabile direi che è piuttosto insistente con Spencer, non lo molla un secondo… e gli lancia certi sguardi!”
JJ osservò Reid che sorrideva gentile a un cameriere che lo stava servendo: non disse nulla, ma anche lei aveva notato una certa tensione tra Spencer e il professor Diotallevi e la sua sensibilità femminile gli aveva fatto formulare il pensiero un po’ imbarazzato che il suo giovane collega stesse rimandando gli stessi sguardi.
Anche Ghideon era presente e mentre osservava il suo giovanissimo amico, fu aggredito da uno strano malessere e da ottimo profiler qual era capì immediatamente che il suo istinto aveva notato qualcosa.
Ma cosa? Una sensazione di dejà vu…
Dunque: Spencer che parla con Diotallevi, poi il giornalista, un cameriere con le bevande, un professore lo urta e si scusa, una ragazza gli lancia un’occhiata dal significato chiarissimo, uno studente gli fa firmare un invito con programma del Congresso, il cameriere ripassa e riprende il bicchiere vuoto, anche il giornalista ritorna e gli fa una battuta, Diotallevi lo raggiunge e cerca di portarselo via… no, no, no… cosa cazzo gli stava sfuggendo?
Ghideon sospirò rumorosamente e continuò a osservare.
 
Finalmente la serata si avviò alla sua conclusione, Spencer scambiò uno sguardo d’intesa con Alberto e gli disse: “andiamo?” ottenendo come risposta un dolcissimo sorriso.
Presero l’ascensore e una prima serie di piani li fecero in silenzio insieme a un’altra decina di clienti: salutarono un paio di colleghi e Reid fece un distratto cenno di saluto a Ghideon che era salito con loro.
Poi restarono soli e mentre l’ascensore proseguiva verso il piano di Spencer, Alberto gli prese la mano e le loro dita s’intrecciarono.
“Ci vieni in Italia con me? Un viaggetto a Roma, quindici giorni, non di più: ti presento ai miei. Poi ritorniamo, ci troviamo una casetta nel Maine e andiamo a vivere insieme e magari ci sposiamo… che ne dici, vado di corsa vero?”
A Spencer venne da ridere e per la prima volta in vita sua si abbandonò a una crisi d’ilarità irrefrenabile, rise di gusto e con le lacrime agli occhi: “Oddio Alberto, sei incredibile!”.
La porta dell’ascensore si aprì e in pochissimi secondi il giovane detective riprese il controllo del suo raziocinio: c’era troppo buio lungo il corridoio ed ebbe la netta sensazione di una presenza.
L’ottimo addestramento lo indusse immediatamente a coprire con il proprio corpo quello del suo protetto e quindi appoggiò la sua schiena al busto di Diotallevi costringendolo a sua volta ad appoggiarsi conto il muro metallico e freddo dell’ascensore.
L’uomo fraintese e inanellò con entrambe le braccia, la vita del ragazzo cominciando a baciarlo tra la nuca e il collo: “piccolo hai un odore che mi fa diventare matto!”
“Sta zitto…” sussurrò Reid tirando fuori la Colt dal marsupio che si portava sempre dietro.
Uscì dall’ascensore e dopo un primo rapido controllo, seguito da un Alberto sconcertato, fece rasente il muro, con la pistola ben puntata davanti al viso leggermente reclinato sul mirino, tutto il corridoio fino alla porta della sua stanza.
“Ho la tessera magnetica dentro la tasca destra” bisbigliò di nuovo “prendila e apri la porta, entra per primo, ok, va bene così”.
Finalmente al sicuro Spencer accostò l’orecchio all’uscio e avvertì chiaramente il rumore felpato dei passi di qualcuno che si allontanava velocemente, si girò e i suoi occhi si piantarono in quelli del suo ospite che lo guardò sconvolto.
“Ma tu chi cazzo sei?” Si sentì domandare. 

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Capitolo 4
*** IV ***


Era ora di chiarire le cose.
“Sono il detective Spencer Reid dell’unità speciale Crimini Seriali, ho realmente tre lauree e nel mio lavoro sono concretamente bravo”.  
Alberto sembrò improvvisamente triste, debole e si sedette sul bordo del letto.
“E che ci fai qui?” S’informò con la voce spezzata.
Spencer si sedette vicino a Diotallevi, disinnescò la colt e la ripose con gesto sicuro ma attento nel marsupio.
“C’è un serial killer cui piace uccide docenti universitari, ne ha già fatti fuori cinque, preferisce gli uomini e…”
Diotallevi lo interruppe con voce offesa: “hai pensato che potessi essere io?”
Il ragazzo lo fermò subito: “no Alberto, tu potresti essere una probabile preda, per questo motivo sei stato continuamente controllato!”
“Da te? In quanti siete dentro quest’albergo?” Gli occhi di Diotallevi erano lucidi di collera.
La voce di Spencer era fredda e anonima.
“La mia unità è composta di diversi specialisti del settore ma abbiamo una ventina di poliziotti mescolati tra pubblico e personale di servizio”.
L’uomo si era alzato di scatto.
“Quindi tutta l’attenzione che hai avuto nei miei confronti era solo ad uso e consumo… ma che stronzo che sono…” Alberto si schiaffeggiò con entrambe le mani le guance illividite dalla rabbia.
“Voglio andare via, fammi uscire da qua!” E si era diretto verso la porta.
Spencer lo bloccò: “Ti prego, non fare così!”
Alberto gridò con voce frustrata: “ma non dovevo essere io il lupo che si doveva approfittare di te? Il porco che ti avrebbe sbattuto su un letto di albergo? Aspetta… come mi hai chiamato? Congressista annoiato… “ si fermò per un secondo con il fiatone “invece tu sei stato una mammola! Mi hai fatto credere che t’interessavo, che ti stavi innamorando, hai anche accettato un mio bacio… ma quanto ti avrò fatto schifo, dimmelo! I tuoi superiori saranno fieri del sacrificio che hai dovuto fare per amor di Patria! Dio quanto ti odio, brutto bastardo!” Gli veniva da piangere.
Spencer si sentì morire, gli andò vicino e sussurrò: “la fai finita? Io di te mi sto innamorando sul serio”.
Ma Alberto era troppo furioso per rendersi conto della dichiarazione di Reid.
“Vaffan’culo, levati, fammi uscire!”
Provò a spostare il ragazzo ma ottenne solo l’effetto di sentirsi afferrare per le braccia e volò letteralmente per terra, poi mentre ancora stordito, cercava di ribellarsi, Spencer con una forza non prevista lo aveva trascinato sopra il letto e lo aveva ammanettato al suo polso: “così non puoi andare da nessuna parte!”
Ci fu un lungo silenzio durante il quale Alberto girò ostinatamente la testa dall’altra parte mentre Reid lo osservava dispiaciuto.
”E’ stato il bacio più bello della mia vita…” gli confessò e aspettò paziente una reazione.
Dopo cinque lunghissimi minuti di mutismo totale Spencer sentì borbottare il suo prigioniero.
“Non ci credo che ti stia innamorando di me…”
Sorridendo felice, Spencer si era allungato su di lui abbracciandolo come poteva. Il tintinnio della manetta che li segregava rimescolò le carte della loro nascente passione.
 “Te lo giuro…” dichiarò il detective cominciandolo a divorare di baci.
Non aveva mai desiderato tanto un essere umano in vita sua: in quel momento gli sembrò che nulla avrebbe potuto convincere Alberto dei suoi sentimenti e quindi era talmente preso a spalancargli la bocca che non si era reso conto di quanto il professor Diotallevi invece se ne stesse persuadendo.
L’uomo aveva il suo amato ragazzo addosso che lo tempestava di baci sulla fronte, sulle guance e sul collo…lo baciava in bocca con passione.
“Ehi! Questo è uno stupro!” Sussurrò dolcemente e Spencer si fermò di colpo “scusami, aspetta, ti tolgo le manette!”
Alberto lo fermò: ”no, mi piace sentirmi tuo prigioniero…”.
L’eccitazione di Reid si avvicinò pericolosamente alla resa.
“Non dirmi così, mi fa un effettaccio… non pensavo che le parole potessero avere tanta presa sul mio sistema limbico, io…”.
“La fai finita? Lascia il cervello sul comodino insieme al telefonino, ti prego, arrenditi all’erotismo”.
Un’altra ondata di puro piacere travolse Spencer: ”e come si fa?” gli chiese con una voce da cucciolo intimorito.
“Tu lascia fare a me…”
Alberto, con la mano libera cominciò ad accarezzare il viso di Spencer.
”Sei bellissimo, se non mi avessi sollevato come un fuscello non ci crederei mai che sei uno sbirro… io poi vi ho sempre detestato! Dimmi sbirro, hai voglia di scopare con me?” E la mano cominciò a scivolare sul collo andando a sbottonare la camicia.
Spencer fu aggredito da quella ruvida richiesta ma per la prima volta l’espressione scopare gli piacque, aveva un significato di resa incondizionata, un suo si sarebbe significato fa di me ciò che vuoi e lui scoprì in quell’istante che la sua era una natura sessuale accondiscendente, passiva.
Improvvisamente divenne lui il prigioniero di Alberto.
“Oh si…” fu l’unica cosa che riuscì a balbettare.
Dita gentili, cominciarono a giocare con la pelle serica di Reid e un formicolio allettante cominciò ad allargarsi sul suo busto, su per il collo e fino alla guancia che divenne rosea; il giovane si chinò nuovamente sul viso bruno di Alberto e si fece invadere dalla sua lingua che s’infilò dolce ma decisa dentro la sua bocca e lì restò a lungo.
“Si, sei stato allattato…” .
Diotallevi sapeva dire certe cose… e con una naturalezza che fece intuire a Spencer la sua notevole esperienza.
“Levami le manette, ti voglio spogliare” e al ragazzo non sembrò vero.
Alberto, liberato il polso, si sollevò dal letto quel tanto che gli consentisse di prendere il suo giovane amore per le spalle e convincerlo con una allegra giravolta a sdraiarsi sul letto nella posizione che prima era stata sua.
 “Via la camicia bambino e adesso occupiamoci dei jeans, scarpe…” volarono una a destra e l’altra a sinistra mentre in Spencer si risvegliava un ricordo ancestrale, si sentì piccolissimo e i suoi occhi si riempirono improvvisamente di lacrime.
“Che hai piccolo… vieni qua, da me, perché piangi?”
La dolcezza di Alberto si rivelò un rimedio efficacissimo e il gelo dentro il cuore di Spencer si sciolse in un pianto a dirotto.
“Scusami… c’è sempre stato tanto buio dentro di me e adesso improvvisamente mi sono ricordato di… di…”
L’uomo lo strinse forte tra le braccia.
“Penserò io a te, ti voglio ubriacare d’amore: sarò il tuo amante, la tua famiglia… i tuoi biscotti!”
Riuscì nuovamente a farlo ridere e dopo poco ripresero a baciarsi con passione: con pochi veloci ed eleganti movimenti Alberto finì di spogliarlo e si liberò dei suoi indumenti. Il contatto della loro pelle calda fu delizioso e Spencer si sentì improvvisamente a casa.
Non ci fu parte del suo corpo che fu dimenticata dalla bocca e dalle mani del suo espertissimo amante, il ragazzo sussultava sul letto e il parossismo del piacere non lo faceva più ragionare.
Quando le labbra dell’uomo osarono dirigersi là dove i baci erano più intimi, il suo corpo fu scosso da un unico lunghissimo brivido, le languide suzioni di Alberto lo fecero esplodere in mille schegge di un tormentoso, inarrestabile godimento.
La voce del suo amante lo risvegliò: “piccolo… amore… vieni, ci facciamo la doccia insieme, come nei film tutti sesso e passione!”
A Spencer girava la testa e si sentiva innamorato e grato di tutta quell’attenzione, era in paradiso.
“Io non ho mai provato…” cercò di dirgli mentre abbracciato a lui si dirigeva in bagno verso un invitante e vaporoso scroscio.
“Anch’io…” lo interruppe entusiasta Alberto ”ed è solo l’inizio, ho bruttissime intenzioni nei tuoi confronti!”
Rise felice mentre l’acqua li invadeva con mille goccioline azzurre e rilucenti, poi gli bisbigliò in un orecchio: ”ti faccio godere tutta la notte, domani non ti reggerai in piedi!”
“Staremo a vedere!” gli rispose Spencer consapevole della sua resistenza fisica.
La doccia risvegliò in loro una notevole fame e decisero di farsi portare la cena in camera.
Ordinare al telefono due insalate di mare e della macedonia di frutta si rivelò piuttosto difficile perché Alberto aveva ripreso a baciarlo da tutte le parti, piedi compresi.
Quando il cameriere bussò, dall’altra parte gli rispose una voce spezzata dalle risate: “smettila… oddio non lo sopporto il solletico… ma la fai finita?”
Poi un uomo seminudo e con gli occhi brillanti aveva aperto la porta della stanza: il cameriere evitando di guardare chi si nascondesse dentro il letto, lasciò il carrello al centro della stanza, salutò e scappò via in pochi secondi.
Spencer saltò fuori dalle lenzuola e si diresse verso la cena. “Fame!” dichiarò.
Alberto l’osservò mentre divorava entusiasta insalata e frutta, era delizioso senza niente addosso, il corpo slanciato e glabro, la pelle setosa e chiarissima.
I muscoli di Spencer erano lunghi e tonici e tutti ben sviluppati, il ragazzo era uno svagato professore e una perfetta macchina da guerra pronta a scattare.
“Ti alleni parecchio?” Domandò curioso mentre, sedendosi accanto a lui, con le dita aveva ripreso a sfiorarlo su un fianco.
“Dove, a Quantico? Sì, dobbiamo seguire continui corsi di perfezionamento… io non ne sono felice, però adesso ho una buona mira e so difendermi benino nel corpo a corpo!”
“Arti marziali?”
“Di tutto un po’ e tu? Stai messo bene per essere un vecchietto!”
Alberto, facendo finta di niente, andò davanti ad un ampio specchio e si mise di profilo.
“Dici? Ho gli addominali un po’ appannati”.
Spencer ridacchiò ammirando il suo amante che in verità aveva una linea formidabile.
“E come pensi di metterci riparo?”
“Tanto sesso…” replicò convinto Alberto e si buttò addosso a Reid.
Ne conseguì una lotta eccitante che nessuno dei due aveva voglia di vincere ma ad un certo punto l’uomo bisbigliò al ragazzo: ”ho tanta voglia di entrarti dentro…”.
Tutto il corpo di Spencer sembrò prendere fuoco, una vampata che parve scioglierlo mentre il desiderio di cedere a quella richiesta si fece naturale e ovvio… capì che era impossibile combattere contro la propria natura, voleva abbandonarsi a lui ed essere suo.
“Lo voglio anch’io” sussurrò.
Aveva letto testi e tesi interessantissime sull’argomento, tecnicamente era a conoscenza di tutto ma un foglio di carta non avrebbe mai potuto spiegargli quanto le mani del suo amante fossero estasianti.
Alberto voleva solo una cosa in quel momento: fare della prima volta di Spencer un’esperienza indimenticabile, dandogli un piacere di cui dopo il suo amore non avrebbe più potuto fare a meno, però…
“Aspetta un secondo…” gli sussurrò “visto che secondo te sono un assatanato di sesso non ho né lubrificanti né preservativi con me: io sono sano come un pesce ma se pensi che non sia il caso…”
Reid lo guardò negli occhi e ci vide tanta passione, la stessa che in quel momento lo stava ubriacando di sensazioni nuove e meravigliose; assurdamente si sentì felice che il suo amante fosse impreparato ad affrontare una avventura sessuale, significava che non era un promiscuo, non era abituato a fare sesso occasionale.
Pensieri assurdi, perché malizia e malattia erano sempre in agguato, ma lui sentì dentro di se che l’uomo che lo stava abbracciando con tanto sentimento era sincero, per la prima volta si fidò solo del suo istinto, oppure il desiderio gli stava ottenebrando il cervello: alla fine entrambe le eventualità portavano comunque allo stesso risultato.
Voleva fare l’amore, voleva essere preso con dolcezza e voleva che fosse Alberto a fare tutto questo.
“Anch’io sono sano come un pesce, come pensa di procedere professore?” Rispose ottenendo un abbraccio ancora più intenso.
“Ci penso io a te dolcissimo, sei il mio tesoro…” Alberto era sdraiato sul ragazzo che con gambe e braccia lo aveva serrato a se e guardandolo intensamente gli prese il viso con entrambe le mani.
”Quanto sei bello! Piccolo, io, io… ti amo da impazzire!”
Una dichiarazione avventata la sua, che mandò Spencer in paradiso, tutto era pazzesco, assurdo, irrazionale… meraviglioso.
Diotallevi allungò una mano verso l’ampollina dell’olio di oliva che si trovava sul carrello: “acidi grassi essenziali, perfetti per la frittura di pesce e per la tua prima volta!”
“Sei un buffone!” Sussurrò ridendo Spencer.
“Si, ma adesso non mi distrarre, mi devo concentrare!”
Alberto lo baciò moltissimo, con la lingua lambì le sue zone più sensibili, poi delicatamente lo umettò con le dita unte ottenendo deliziosi gemiti di piacere. Non avendo nessuna intenzione di fargli male, si mise seduto appoggiandosi alla testiera del letto.
“Piccolo siediti sopra di me…”
Spencer si sistemò sopra di lui e poi confortato dalla notevole resistenza di Alberto, si adeguò lentamente, dolcemente: ebbe la sensazione che tutto il suo essere si stesse dilatando, aprendo.
Appena avvertiva dolore, un pizzico di tormento in quel mare di piacere, si fermava aspettando che il suo corpo vincesse le ultime resistenze. Si stava adattando, si stava conformando alle dimensioni del suo uomo.
Bellissimo, intimo, potente.
Finalmente avvinti l’uno nell’altro, si mossero delicatamente, impercettibilmente, perché bastava un sospiro a scatenare onde continue di piacere e Alberto aveva attenzione solo per lui, per i suoi fianchi tremanti, la sua pelle infuocata e la sua lingua accogliente e umidissima.
“Sei bollente piccolo e hai delle contrazioni deliziose, rilassati, abbandonati addosso a me…”
Il tono della voce di Alberto unita a un’ avvolgente lappata con cui lambì la sua bocca ormai costantemente dischiusa, tutte queste sollecitazioni cominciarono a farlo godere: “vengo…” singhiozzò.
Alberto si avvinghiò ai suoi fianchi e cominciò a tendere il suo sesso dentro di lui con spinte delicate ma profonde che fecero crollare le ultime barriere sia fisiche che mentali del suo amante.
Con un lungo lamento, inarcando la schiena all’indietro mentre lacrime incontrollabili rigavano le sue tempie, Spencer si abbandonò all’orgasmo.
 
Per quanto tempo era rimasto addosso ad Alberto?
Era crollato dopo un ultimo grido, raccolto dalla bocca del suo amante che aveva goduto insieme a lui.
E adesso sonnecchiava, la testa appoggiata nell’incavo del suo collo mentre si rilassava godendosi le carezze che quell’uomo meraviglioso gli stava facendo sulla schiena e sulle cosce, rabbrividendo quando infilava le dita tra i suoi capelli.
Ogni tanto sollevava il viso e lo baciava dolcemente, poi si stringeva nuovamente a lui.
Sentì dilagare dentro di se la pace.
Il sesso del suo amante era scivolato lentamente fuori di lui e i fluidi di entrambi erano andati a bagnare ulteriormente i loro corpi madidi di sudore: si stava mescolando tutto ma non provò alcun fastidio, proprio lui così attento a batteri e virus, perché da Alberto voleva essere invaso completamente, corpo e cuore.
“Tu sei per me il caos assoluto…” sussurrò Spencer ”io non ho idea di cosa devo attendermi, ma di certo so che hai devastato la piatta sicurezza della mia vita.”
“Io voglio diventare il tuo punto di riferimento, il tuo amante e il tuo miglior amico”.
“Io ho un caro amico!” Ridacchiò il ragazzo.
“Dimmi chi è, quanti anni ha, con chi mi dovrò confrontare, guarda che sono pronto a rubarti, tu sei solo mio, capito?” Alberto condì di baci umidi ogni domanda, impedendo a Reid di parlare per un po’.
Spencer riuscì a staccarsi dalla sua bocca farfugliando un: “datti una calmata! E’ il mio diretto superiore, si chiama Ghideon… in questi anni mi ha praticamente fatto da padre… con lui ho parlato di noi due.”
“E allora?” Diotallevi era pronto a dare battaglia.
“Non ha fatto una piega, ma lui conviene con me che è pericoloso che io continui a essere il tuo angelo custode, già ero coinvolto emotivamente e moralmente… adesso poi! Penso sia il caso che tu sia protetto da un mio collega, Derek è perfetto ed è anche molto bello!”
Alberto lo fece scivolare su un fianco e si stacco da lui, si mise in piedi e lo fisso negli occhi.
“Io non ho bisogno di nessuna protezione, io ho solo bisogno di te!”  
“Ragiona per un attimo professore! Anch’io sarei in pericolo con te accanto, non avrei più la serenità giusta per decidere in una manciata di secondi: lo devi fare per me, accetta la protezione di Derek. Per quanto riguarda noi due, finita questa brutta faccenda, sarebbe bellissimo vivere insieme”.
Poi si fermò un secondo guardando Diotallevi con curiosità: “come faremo? Tu non devi ritornare in Italia?”
Alberto ancora in piedi, lo aveva preso per una caviglia e tentava di trascinarlo verso di se.
”Sono tre anni che non vivo più in Italia e ringraziando Dio posso andare dove voglio, tu dove abiti?”
“A Quantico” Spencer era arrossito mentre si sentiva trascinare per terra” ma potremmo trovarci una villetta carina insieme… ahhh” sospirò perché si era ritrovato sulla moquette con Alberto nuovamente sopra di lui.
Il cellulare di Spencer trillò, il ragazzo si ritrovò in piedi accanto al comodino dove lo aveva lasciato… accidenti! Erano le tre del mattino, sicuramente guai.  
“Pronto?”
La voce tranquilla di Ghideon.
“Mi dispiace disturbarti, il Professor Fuente è scomparso!”
 
 

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Capitolo 5
*** V ***


Mercoledì
 
Spencer aveva fatto una doccia velocissima e si era rivestito, Alberto capì che il suo dolce amore aveva lasciato il posto alla macchina Reid, la parte del suo amante con cui avrebbe dovuto fare pace se voleva che la loro storia avesse un futuro.
Il ragazzo, prima di uscire, lo guardò intensamente e poi gli disse seccamente: “non uscire, apri solo a me e non fare di testa tua!”  Senza neanche salutarlo chiuse la porta alle sue spalle.
Alberto chiuse con la sicura e poi si stese bocconi sul letto, abbracciò un cuscino e sospirò rumorosamente: non era così che si sarebbe dovuta concludere la loro notte.
 
Il gruppo si era ritrovato negli uffici dell’Hotel.
“Il Regency è un piccolo albergo rispetto agli standard di questa città” stava dicendo Aaron Hotchner” quindi il professore è uscito con le sue gambe e di sua volontà… Reid, ben arrivato!”
Il tono ironico lo fece arrossire, perché il suo capo si stava comportando così? Aveva forse saputo qualcosa? Guardò Ghideon ma l’uomo sembrava concentrato e non particolarmente in imbarazzo.
“Avete già visionato i filmati della sicurezza?” Chiese Spencer e JJ gli rispose dall’altra stanza: ”ancora niente!”
Ghideon s’intromise: “Scusate, ma perché pensate a un rapimento? Non potrebbe essersi allontanato volontariamente?”
Gli rispose prontamente Aaron.
“Domani, scusate, questa mattina alle dieci dovrebbe esporre il suo intervento: aspetteremo ma nel frattempo io direi di comportarci come se il suo rapimento fosse già un dato di fatto! Non possiamo permetterci perdite di tempo, se non lo ritroviamo entro le prime ventiquattro ore, Fuente è morto!”
Avevano passato ore a guardare fotografie e filmini e Spencer si era perso tra tutte quelle immagini; ogni tanto c’era Alberto che sbucava tra i docenti, sempre sorridente e ricco di fascino.
“Perché non ha scelto il professor Diotallevi?” Domandò a voce alta fermando il lavoro di tutti ”perché Fuente, brutto, monocorde e anche antipatico?”
Ghideon s’intromise discretamente.
“Diotallevi era sempre con te o con i suoi amici, forse ha trovato la cosa difficile!”
“No, ha ragione Spencer” Hotch era pensoso “la sfida lo avrebbe eccitato… e poi in due occasioni il professor Diotallevi è rimasto solo, quando Spence ha parlato e quando ci siamo incontrati per fare il punto della situazione! Quindi…”.
“Quindi ha rapito Fuente per un preciso motivo…” borbottò JJ che comunque li stava ascoltando attentamente “lo avrà disturbato senza volere e il killer lo ha punito!”
“Dove aveva la stanza?” Si domandò Derek.
“Sul mio stesso piano” borbottò Spencer e poi pensò tra se che forse, i passi che aveva percepito lungo il corridoio, erano di Fuente oppure del killer.
“Ascoltatemi tutti!“ esclamò “credo di sapere cosa sia successo!”
Tutti lo guardarono silenziosi.
“Quando sono rientrato nella mia stanza, ho avuto la netta sensazione della presenza di qualcuno che stesse aspettando nell’ombra!”
Doveva dirlo: ”il professor Diotallevi era con me, quindi il killer potrebbe essere interessato ad entrambi… e Fuente si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato”.
Imbarazzo? L’aria improvvisamente era diventata pesante.
“Perché Diotallevi era da te?” Gli chiese Hotch freddamente e Reid ritenne che la verità fosse l’unica scelta intelligente da fare.
”Perché volevamo fare sesso insieme.”
“Spence…” sussurrò dall’altra stanza JJ.
“Lo so, ho contravvenuto alla regola numero uno, non farsi coinvolgere dal soggetto di una indagine, mi dispiace…”
Il ragazzo aveva capito che la sua posizione era irreparabilmente compromessa, probabilmente era fottuto, il suo rigido capo lo avrebbe sospeso e poi… e poi non gli fregava un bel niente.
Il mondo in cui era vissuto fino a quel momento era crollato, sparito, divorato dall’onda d’urto che il sentimento d’amore aveva prodotto in lui: sarebbe andato via con Alberto, lo avrebbe seguito in capo al mondo. Era un genio, qualsiasi Università lo avrebbe accolto a braccia aperte.
Invece Aaron disse: “non mi riguarda, se gli altri non hanno pregiudizi, io vorrei andare avanti con l’indagine…”
“Si, ok, viva l’amore” lo aveva interrotto Derek “ma al professor Diotallevi da adesso in poi ci penserò io.”
Sembrava deluso, il suo amico, l’esperto di donne e sesso sembrava volersi allontanare da lui e dalla sua scelta.
“Eccolo!” La voce squillante di JJ fu una panacea per tutti “ecco Fuente, sta uscendo dall’albergo, ma…ma… è solo!”
Una verità agghiacciante colse tutti di sorpresa.
Ghideon disse: “o aveva un appuntamento fuori oppure…”
“Oppure è lui il serial killer!” Concluse asciutto Hotch.
Cinque volti fissarono l’immagine bloccata del filmato.
 
Spencer, soffrendo molto dell’improvvisa freddezza di Derek, decise di affrontarlo.
Erano le otto del mattino e dalle pattuglie in giro per le strade di New York non era giunta alcuna novità, quindi tutti stavano aspettando annoiati e frustrati che si facessero almeno le dieci per vedere se Fuente si sarebbe fatto rivedere.
“Ti devo parlare…” Reid era vicino al suo collega e si era piegato dolcemente verso di lui che dormicchiava seduto su una comoda poltrona dell’ufficio.
Morgan si era scosso con un lieve sobbalzo, istintivamente aveva già percepito che la persona a lui vicina era un compagno, altrimenti i meccanismi di autodifesa si sarebbero risvegliati ben prima.
Invece era il suo amico Spence, il cucciolo di casa, il bambino da invidiare un po’ e prendere in giro molto, il ragazzo che ogni tanto si sfogava con lui.
Non aveva mai capito, mai intuito… era quello che gli bruciava dentro!
Proprio lui, lo specialista del gruppo il cui ruolo era di entrare nella mente contorta dell’assassino, l’empatico che riusciva attraverso il transfert a introdursi nel loro cervello bacato, lui non aveva capito un accidente di Reid.
“Non mi devi dire nulla Spencer, quelli sono affari tuoi!”
Si stava comportando male con lui, perché? Perché quel gelo? Non andava bene, doveva reagire all’istinto primordiale da primate della Giungla, lui era un essere evoluto, un nero che per primo doveva fare i conti con l’accettazione della differenza.
La voce dispiaciuta di Reid lo sciolse.
“Io dovevo avvertirti che stava succedendo qualcosa tra me e Alberto.”
A Derek si strinse lo stomaco.
“Si, penso di si” rifletté un attimo, doveva andare a fondo e capire perché era turbato, lo doveva fare per salvaguardare la bella armonia del suo gruppo di lavoro.
”Io credo di sentirmi ingannato da te e sono anche un po’ geloso!”
Bang! Lo aveva detto.
“Oh intendiamoci bene, non ti voglio scopare! E’ più una gelosia da fratello maggiore e poi sto facendo a botte con la mia omofobia latente… sono nero, latino, cattolico e macho!”
Alzo gli occhi e le braccia al cielo con una buffa espressione. Spencer scoppiò a ridere ma era davvero ammirato, aveva ancora molto da imparare, Derek era stato veramente coraggioso a infilare subito il dito nella piaga!
Sospirando gli disse: “io non pensavo di essere gay! Alberto è la mia seconda esperienza sessuale e io credo che la mia natura mi porti decisamente in quella direzione, non chiedermi perché, non saprei risponderti!”
Derek lo guardò finalmente negli occhi: ”non c’è nessuna spiegazione Spence, io non devo giustificarmi con nessuno di essere etero e tu dovrai sempre fare altrettanto!”
Giusto anche se troppo semplicistico! Il futuro non sarebbe stato così roseo, di gente bastarda ne avrebbe incontrata parecchia.
“Vieni con me” gli disse “ te lo voglio presentare, visto che d’ora in poi sarai tu il suo angelo custode!”
Il ragazzo chiese con gli occhi il permesso a Hotch che prontamente rispose: “Si, andate, sono le otto e venti, JJ vai anche te, riposatevi una mezzora”
Né lui né Ghideon avrebbero abbandonato la postazione negli uffici dell’Albergo, quindi tanto valeva mandate i ragazzi sotto la doccia; alle dieci avrebbe avuto bisogno del suo gruppo sveglio e motivato.
Anche Ghideon era d’accordo, annuì e poi gli annunciò che erano arrivati i tabulati delle telefonate che Fuente aveva inoltrato e ricevuto.
Mentre ‘gli anziani’ analizzavano i numerosi fogli, i tre si erano diretti al piano di Spencer.
“I filmati dell’ascensore sono stati tutti visionati?” Chiese Derek a JJ.
”Si, e Fuente non si vede mai”
Spencer rifletté ad alta voce: “la mia stanza è al decimo, la sicurezza dell’albergo ha già controllato piano per piano vero?”
“Si…” la risposta monocorde uscì da entrambe le bocche dei suoi colleghi.
Dovevano pensarci loro, ma con altri sistemi.
“Ok!” disse Derek “ partiamo dal tuo alloggio, dobbiamo dare un inizio all’itinerario e tu hai comunque avvertito la presenza di qualcuno, che sia stato Fuente o l’assassino, a questo punto ha poca importanza”.
Reid entrò in camera e mentre anche i suoi compagni accedevano nella stanza fu raggiunto dalla voce calda di Alberto che era uscito veloce dal bagno.
”Amore mio, final…” si era bloccato davanti ai due estranei.
“Loro sono i miei colleghi, due cari amici, te li volevo presentare” Spencer Reid sollevò imbarazzato le sopracciglia.
JJ notò che il professor Diotallevi era semi vestito, con la camicia di fuori dai jeans e i piedi nudi, aveva i capelli ancora bagnati e gli occhialetti leggermente appannati: alpha, maschio, elegante… insomma uno schianto.
Quando Alberto le strinse la mano, con un movimento naturale le aveva leggermente ruotato il polso per accennare un discreto baciamano, un gesto accompagnato da un lieve inchino che, mai in vita sua l’era stato rivolto, se ne sentì lusingata e arrossì, Dio, Derek l’avrebbe fatta nera!
Poi strinse in maniera certamente più vigorosa la mano di Morgan e lo fissò attentamente.
Reid con una voce che mai aveva usato in altre situazioni disse al suo amante: “Alberto, ho dovuto dire di noi al mio gruppo”.
Con lo stesso tono istintivamente amoroso Alberto gli rispose:
“hai fatto bene, ne sono contento!”
Quei due fanno le cose serie! JJ cominciò a essere contenta per Spencer, era ora che qualcuno gli desse tanto affetto.
Derek, pratico, si era stufato di tutto quel cerimoniale.
“Allora? Forza, cominciamo da qui, tu hai percepito la presenza di qualcuno: dov’eri?”
Reid si mise dietro l’entrata mimando lo stesso gesto della sera precedente, accostò l’orecchio alla porta e ricordò: “è sicuramente andato verso destra, la mia destra”
Derek uscì sul corridoio tirando fuori la pistola e puntandola davanti a se poi disse: ”corridoio laterale, tu dietro, JJ serra la fila. Professor Diotallevi chiuda la porta e ci aspetti buono in camera”.
Alberto sconcertato obbedì.
Cominciarono lentamente a percorrere il sito da analizzare dicendosi a voce alta le rispettive sensazioni.
“Corridoio laterale…”
“Si ho visto, è un’area di servizio, qui c’è un magazzino, un bagno, una porta di sicurezza”.
“Scale anti incendio… c’è anche un ascensore di servizio”.
“Nessuna telecamera accidenti!”
“No, ha fatto le scale”
“Derek perché dici così?”
“Perché avrebbe potuto incontrare il personale addetto al piano, le scale invece sono raramente frequentate”
“Giusto! Scendiamo o saliamo?”
“Scendiamo…”
“No, saliamo!”
“Perché Spencer?”
“Perché secondo me non era Fuente il suo obiettivo, lo voleva solo togliere di mezzo e doveva sbarazzarsi del corpo… e questo è l’ultimo piano!”
“Ok, saliamo”
I tre, silenziosamente, cominciarono a salire le scale alternandosi alla testa di ogni rampa successiva, era un 33% di possibile pericolo da distribuire, condividere da bravi fratelli nell’esecuzione di una missione pericolosa.
Il killer poteva essere ancora lì, pronto e in mira nella piazzola dell’area che portava ai solai, un terzo di rischio equamente diviso, una possibile pallottola spaccata in tre.
Entrarono, il piano era come il sottostante ma le stanze che si susseguivano erano verosimilmente atte ai servizi dell’albergo.
JJ si fermo di botto.
“Fermi ragazzi! Non sentite nulla?”
Spencer e Derek concentrarono tutti i loro sensi, uno sgocciolio, un odore…
“Il sistema di condizionamento” sussurrò la ragazza e tutti alzarono lo sguardo.
Il rumore di gocce veniva proprio da lì, ampliato dal rimbombo metallico del largo tubolare che trasportava aria calda e fredda in giro per l’albergo: nudo e brutto nell’area di servizio, nascosto da pregiati controsoffitti nelle zone di accoglienza.
E poi l’odore, dolciastro e ferroso.
“Aaron sono Spencer!” Il ragazzo aveva precipitosamente chiamato il capo “manda subito la Scientifica , abbiamo ritrovato il professor Fuente!”
 
Aspettando i colleghi e cercando di non inquinare il sito, JJ aiutata dalle forti spalle di Derek aveva smontato la griglia di chiusura dell’aria condizionata e aveva sbirciato dentro aiutandosi con la fredda luce del neon.
“Cazzo!” Le era proprio sfuggito “ragazzi, da qui vedo i pezzi… cioè un pezzo! Per l’esattezza, l’anulare con la fede!”
 
“Ma come ?”
La domanda era lampante: avevano visto Fuente uscire dal Regency, come c’era ritornato? Certo non dalla porta principale, o no?
Mentre JJ aspettava che Hotch e Ghideon arrivassero all’undicesimo piano, Derek e Spencer avevano continuato a salire le scale ma arrivati alla porta blindata che conduceva alla terrazza, capirono entrambi che la vittima e il suo carnefice avevano terminato la loro macabra passeggiata là dove erano poi stati ritrovati i poveri resti.
“Non era certo solo!” Sentenziò Derek “ Oppure è Superman, perché infilare lì sopra un corpo senza vita, richiede una forza sovraumana”.
Spencer non era dello stesso avviso:
”Ti ricordi il caso Prince? “
Un’anoressica di 34 chili aveva trascinato in solaio il cadavere della madre.
“Si, ricordo, un pezzo alla volta”
“Bè, un pezzo lo abbiamo trovato anche noi, secondo me il resto lo troviamo poco distante!”
La sua idea trovò conferma perché un’ora dopo il medico della scientifica annunciò che dopo il dito, nel condotto dell’aerazione, avevano ritrovato anche le braccia e la testa.
Il gruppo capitanato da Hotchner cominciò ad aprire una per una tutte le stanze del sottotetto: al sesto tentativo trovarono il luogo dove il killer aveva compiuto lo scempio, il bagno di servizio conteneva nella sua vasca i pezzi mancanti del Professor Fuente. Una vera mattanza.
Il sangue aveva sporcato il soffitto: questo stava significando che l’uomo era stato sezionato da vivo.
Le gocce rosate distribuite sul vetro della doccia raccontavano che l’assassino si era lavato.
“Secondo me era nudo quando ha sezionato la vittima, ha così evitato di trasferire tracce ematiche sugli abiti” aveva borbottato Ghideon.
Spencer sussurrò ad JJ:” chi c’è con Alberto?”
“Una guardia della sicurezza, stai tranquillo.”
Reid invece aveva un brutto presentimento.
“Ascoltatemi, secondo me il nostro seriale non ha mai abbandonato l’albergo, ragazzi, lui è ancora tra noi!”
“Ok” disse freddo Aaron Hotchner “vai da Diotallevi, io con Derek facciamo fare dei rilevamenti con il Luminal, ci saranno sicuramente schizzi di sgocciolamento, voglio vederne il tragitto”.
 
Spencer volò letteralmente.
Quando Alberto gli aprì la porta della stanza, dovettero entrambi fare uno sforzo sovraumano per evitare di abbracciarsi davanti alla guardia.
“Puoi andare, ti ringrazio ma adesso ci penso io al professor Diotallevi” sorrise il ragazzo sentendo dietro di se una breve risata.
Appena il piantone se ne fu andato, si ritrovarono l’uno nella bocca dell’altro.
“Oddio, piccolo” Alberto si staccò per un attimo dalle labbra di Spencer “ ma che sta succedendo? Lo avete ritrovato Fuente?”
Baci.
“Si” sussurrò Reid “ma è meglio che non ti dica come!”
Con un sospiro si staccò dal suo amante.
“Ascoltami Alberto, io voglio che tu insieme a Tim e a Margherita andiate immediatamente via da qui! Vi facciamo scortare in un luogo protetto fino a quando questa storia non si sarà chiarita.”
La reazione non si fece attendere.
“E quando terminerà la storia? Magari fra sei mesi? Oppure mai? No, io mi rifiuto di farmi surgelare, mi dispiace Spencer, non se ne parla proprio!”
Reid non aveva nessuna intenzione di starlo ad ascoltare.
“Si sta evolvendo Alberto, nella sua forma più atroce: all’inizio si accontentava di rapire, violentare e uccidere, ma con Fuente si è ulteriormente divertito, l’ha fatto a pezzi, ed era ancora vivo, ha assaporato il suo sangue e come tutte le belve adesso non ha più freni inibitori, va raggiunto e abbattuto, perché non si sazierà mai.”
Diotallevi si era seduto sulla sponda del letto e si era messo le mani tra i capelli.
“Mio Dio Spencer, ma come fai a sopportare tutto quest’orrore?“
“Non lo so ma ti assicuro che è bellissimo quando li catturiamo: riesco a dormire tranquillo solo quando so che uno di loro non è più in giro a mietere vittime!”
Si erano guardati intensamente negli occhi.
“Ti amo ragazzino, sopporterò tutto questo ma promettimi che l’orrore, per quanto sarà possibile, lo lascerai fuori della porta di casa!”
Reid sorrise dolcissimo.
“E’ la regola numero uno delle coppie, altrimenti uno come Aaron non sarebbe sposato e con un figlio!”
“Spence?”
“Dimmi Alberto?”
“Ti devo confessare una cosa…”
“Cosa?”
“Non posso avere bambini!”
Reid scoppiò a ridere e si abbracciarono di nuovo. 

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Capitolo 6
*** VI ***


Mentre Diotallevi e i suoi cari amici si stavano preparando per essere trasferiti altrove, Spencer decise di ripercorrere tutte le scale di servizio fino alla zona del ritrovamento, undici piani in salita non gli facevano paura e anche se la scientifica sicuramente stava facendo i rilevamenti del caso, lui sentì il bisogno di farsi una sua personale opinione: desiderava ragionare da solo.
Partendo dalla hall, salì con calma, facendo con le sue lunghe gambe i gradini due a due, le mani in tasca e fischiettando un motivetto, gli occhi volavano da un confine all’altro del percorso, muro… ringhiera… muro… porta di servizio, ovviamente una per ogni piano.
Sbucò guardingo sui corridoi principali e si fece un’idea dell’insieme: c’era certamente più movimento per via dei camerieri e delle governanti che andavano e venivano, gli ospiti che entravano e uscivano dalle loro camere, difficile passeggiare con una testa sotto il braccio!
All’ottavo fece una scoperta: il piano era deserto, nessun cliente… solo un silenzio irreale.
L’illuminazione a giorno e la pulizia dell’ambiente, probabilmente non aveva fatto notare la cosa ai poliziotti che frettolosamente avevano sbirciato la zona senza farsi troppe domande… ma il piano era deserto!
Spence tirò fuori la pistola: con passo felpato e camminando di fianco per non regalare troppo del suo corpo a una possibile pallottola, cominciò a percorrere il corridoio.
Arrivato a metà del percorso notò un certo disordine, alcune stanze erano aperte e si notavano letti senza lenzuola, un carrello con secchi e detersivi era addossato su un lato del muro, un’applique era appoggiata per terra sulla moquette, in attesa di una lampadina.
Si, la zona era in disarmo.
Un rumore lo fece trasalire.
 “Ciao!“ disse Reid “ E tu che ci fai qui?”
“Buon giorno professor Reid! Io qui ci vivo!”
La scossa improvvisa di un teaser gli mozzò il fiato: il pavimento venne precipitosamente incontro a Spencer facendogli urtare violentemente la testa.
 
Alberto si stava preparando.
La cosa non gli andava per niente bene, non voleva allontanarsi dal suo amore! Provò a contattarlo al cellulare ma questo risultò muto.
Aveva accanto Derek che stava aspettando un po’ fremente che lui finisse di sistemare gli ultimi fogli dei suoi appunti e l’interpellò freddamente: “chiedo scusa ma io ho bisogno di parlare con Spencer, lo sto chiamando ma sembrerebbe isolato, oppure lo ha spento”.
Impossibile.
Impossibile che Reid facesse una cosa così stupida, attraverso le onde emesse dal suo cellulare, lo avrebbero potuto rintracciare ovunque.
Riprovò con il suo palmare, probabilmente era un problema del telefonino di Diotallevi, aspettò qualche minuto poi schiacciò veloce un solo tasto.
”Ghideon? Spence non risponde… no, due volte! Ok, arriviamo!”
Alberto capì subito e un gelo freddo avviluppò la sua nuca, non ci fu bisogno che Derek gli dicesse qualcosa, insieme e alla velocità della luce uscirono dalla stanza e si precipitarono negli uffici dell’Albergo dove incontrò Tim e Margherita con i loro bagagli e un’espressione sconcertata stampata sul viso.  
Il professore ebbe modo di conoscere anche Hotchner e Ghideon, pessimo modo di entrare nel mondo di Reid, lui si era immaginato di invitarli tutti nella loro casa, offrendo una cena raffinata con cibo italiano e del buon chianti.
Era in preda al panico e tremava, JJ gli si era avvicinata e con un gesto gentile gli aveva detto: “Sieda la prego e beva un sorso d’acqua, probabilmente Spence è in una zona schermata, vedrà che in capo a qualche minuto ci risponderà!”
La voce della profiler non riusciva però a nascondere le incrinature della preoccupazione.
Passarono altri atroci minuti durante i quali Ghideon aveva organizzato e inviato una decina di poliziotti in giro per l’Albergo, Aaron invece aveva avvertito le vetture che pattugliavano l’esterno.
“Dove sei? Ti prego fatti vivo!” Alberto borbottava tra se sempre più disperato mentre Tim bestemmiava e Margherita lo abbracciava dispiaciuta.
Spencer non poteva rispondere.
 
Nausea.
Tanto freddo e nausea.
Reid cercò di aprire gli occhi una prima volta ma non ci riuscì, o meglio, qualcosa di estraneo e asciutto lo impediva.
Era bendato!
No, no… no! Era legato, steso prono su qualcosa di relativamente morbido: un materasso?
Ed era legato.
Aveva i polsi serrati da qualcosa di metallico, le sue manette probabilmente, e le braccia sollevate sopra la testa: provò a tirare, era agganciato. Si allungò per tastare con le dita delle mani cosa avesse dietro di se e si accorse di essere trattenuto da una sbarra e dietro c’era il muro.
Il panico improvvisamente lo ghermì e cominciò a tirare con tutta la forza che aveva, poi cominciò ad urlare: ”aiuto! Ehiiii qualcuno mi sente? Sono qui!”
Irrazionale, ma che poteva fare?
L’istinto all’improvviso gli fece gelare il sudore che colava sul corpo nonostante il freddo: c’era qualcuno!
“Chi c’è, chi sei?”
Una risata agghiacciante lo sconvolse perché capì di essere nei guai, la voce sembrava quella di un bambino.
La voce gli disse: “giochiamo insieme?”
Ragiona Reid, ragiona.
“Si, a cosa giochiamo?”
“Ti piace Capitan Tsubasa?”
E chi cazzo era? Lui non aveva mai giocato… no, da piccolo giocava sempre solo, perdendosi nei suoi pensieri.
“Va bene, che devo fare? Non ricordo le regole”.
Il primo colpo di scudiscio lo colpì sul ventre, una staffilata talmente veloce, assurda, repentina che lì per lì, la mente razionale di Spencer non accettò il fatto, poi il dolore bruciante gli fece comprendere: lo aveva frustato.
“Non ci sono regole” la voce del bambino era incrinata di pianto “tu non sei leale, non sai di che parlo!”
Un’altra sferzata colpì Reid.
Questa volta Spencer urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e la cosa sembrò soddisfare il suo carceriere.
Adesso la voce era quella di un uomo.
“Non lo fare mai più, altrimenti il tuo professore ti punisce e invece di farti godere ti farà tanto male!”
“Va bene, va bene, perdonami, io non lo so chi è Capitan Tsubasa! Dimmelo tu, raccontami ti prego, sono curioso”.
Lacrime cariche di disperazione scendevano rigando le tempie di Reid, era fottuto maledizione! Era in balia del seriale che stavano cercando e sapeva molto bene che cosa lo attendeva: doveva assecondarlo, giocare con lui.
Doveva resistere.
 
Ghideon stava camminando lungo il corridoio che anche Spencer aveva percorso.
Le analisi della Scientifica avevano stabilito che il ragazzo era passato di lì, perché le macchie di sangue trovate sulla moquette corrispondevano al suo D.N.A.
Sangue venoso, non era una ferita importante… l’uomo cercò di non distrarre la mente, se l’angoscia lo avesse vinto, il suo cervello non avrebbe funzionato a dovere.
Benedetto ragazzino!
Gli voleva veramente bene, lo sentiva figlio e l’averlo sempre accanto gli aveva consentito di riempire tutti i vuoti lasciati dal figlio naturale, quello che tanto tempo prima era andato via, partito insieme ad una madre furiosa che aveva messo migliaia di chilometri tra loro.
Perché era successo?
Perché proprio ora che il ragazzo si era aperto a un impulso importante come l’amore?
Aveva parlato a lungo con Alberto e gli era piaciuto molto quell’uomo: era gentile e sincero e soprattutto disperatamente innamorato di Reid, lo aveva capito dagli occhi furiosi e dalla voce angosciata con cui aveva cercato di ricostruire le ultime ore passate con il suo amore.
“La prego professor Diotallevi, cerchi di ricordare anche i particolari più insignificanti”.
E l’uomo mettendosi le mani tra i capelli, seduto, ripiegato su se stesso gli aveva risposto: “non c’è stato neanche un momento insignificante tra noi due! Siamo entrati nella sua stanza, Spencer si è spiegato con me, abbiamo un po’ discusso perché io c’ero rimasto male: siccome volevo andare via, mi ha ammanettato al suo polso…” Diotallevi era scoppiato a piangere, poi guardando Ghideon negli occhi gli aveva sussurrato: “la prego, me lo riporti sano e salvo!”
Quante volte aveva sentito dire quella frase?
Aveva pregato il professore di continuare con la sua ricostruzione, erano solo loro due, una discrezione dovuta a Reid.
“Prosegua cerchi di essere preciso”
“Si mi scusi: abbiamo fatto pace e poi abbiamo fatto l’amore. Dopo, Spencer aveva fame ed io ho richiesto il servizio in camera”.
“A che ora? E riuscirebbe a identificare il cameriere?”
“Intorno all’una di notte e il ragazzo che ci ha portato lo spuntino è entrato e uscito come un razzo, probabilmente gli facevamo impressione”.
“Ha avuto questa sensazione?”
“Si, era imbarazzato e non ha mai sollevato lo sguardo!”
“Saprebbe riconoscerlo?”
“Si ma ti prego, diamoci del tu, so che Spencer è molto affezionato a te, ti ritiene il suo miglior amico, una sorta di padre!”
Un dolore forte allo stomaco… non ti lasciar andare, non puoi, non devi… Ghideon aveva proseguito facendo altre domande che si rivelarono inutili, Alberto non era certo concentrato a captare i rumori e le informazioni dell’esterno!
Però l’inaspettato, la fortuna se così si poteva dire, aveva dato un forte contributo alla speranza.
I due uomini si erano tenuti compagnia mentre il poliziotto faceva scorrere le immagini riguardanti le giornate del Congresso.
“Abbiamo filmato i relatori ma anche il pubblico, perché siamo più che certi che il killer si mescoli tra di voi”.
Erano lì imbambolati a osservare i filmati che si succedevano senza audio, quando la figura di Spencer era comparsa alta e dinoccolata.
Timidamente si era avvicinato al microfono al centro del palco e aveva cominciato a esporre il suo lavoro.
 Alberto aveva detto: ”E’ così intelligente, un vero genio, ti sei mai domandato perché abbia scelto di fare il detective, specializzato in crimini seriali, sempre in mezzo all’orrore?”
“Predisposizione naturale e il suo vissuto, lui non ha mai raccontato come sia stata la sua infanzia, credo che abbia dovuto difendersi parecchio” Ghideon si era fermato un attimo, sospeso nel limbo del dubbio, poi si era deciso a rivelare: “la madre è schizofrenica e lui fin da piccolo si è dovuto occupare di lei: poi a diciotto anni si è deciso a farla ricoverare, un tradimento per sua madre, che non lo ha mai perdonato”
Piccolo mio… aveva pensato tra se Alberto poi all’improvviso aveva esclamato: “ferma l’immagine! Torna indietro, si qui, ecco è lui!”
Il detective aveva aguzzato la vista e la sensazione di angoscioso fastidio che l’aveva colto in precedenza, l’aggredì nuovamente.
Il dejà vu che aveva percepito il giorno prima ancora gli stava sfuggendo.
“Di chi state parlando? “Anche JJ si era avvicinata al desk.
Diotallevi indicò risoluto l’immagine: “l’uomo in terza fila a sinistra: è il cameriere che ci ha portato la cena!”
Ghideon ricordò.
Era uno studente che faceva il cameriere al Regency? No, lo sentiva dentro la pancia che non era così, troppo grande perché fosse ancora uno studente.
Fece scorrere le immagini del rinfresco: eccolo di nuovo vestito con la giacca bianca e i bottoni d’oro ed era sempre intorno ad Alberto e Spencer!
Cercò il file dell’esterno dell’albergo, quello in cui si notavano le ultime immagini di Fuente, fissò l’ultima immagine, quella prima di sparire dall’obbiettivo.
“JJ, dammi una mano, guarda anche tu, vedi qualcosa che possa aiutarci?”
La ragazza si chinò sulla consolle e dilatò l’immagine, poi la spostò a destra e a sinistra andando ad analizzare tutto ciò che era stato catturato nei contorni.
“Eccolo!”
All’angolo estremo del display si poteva notare una metà di figura, era in movimento, s’intuiva un passo veloce e diretto verso il professore: la metà di un pantalone nero e di una giacca bianca con bottoni d’oro!
Niente di chiaro, una traccia impalpabile come l’aria, una speranza attaccata a un filo… l’unica cosa che avevano.
“JJ, chiama il capo del personale!”. 

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Capitolo 7
*** VII ***


Spencer aveva freddo, tremava e non riusciva a ragionare.
I colpi subiti si facevano sentire rilasciando ritmicamente ondate di intenso bruciore.
E poi aveva sete.
“Ti prego, ho sete…”
Aveva girato il capo verso un rumore ovattato, era ancora bendato e questo lo faceva sperare: forse il killer non voleva farsi riconoscere da lui, forse non lo voleva uccidere… ma no! Era una coercizione, il non vedere inibiva la sua capacità di reazione.
“Vuoi bere? Te lo devi meritare”
“Cosa vuoi da me?”
“La tua obbedienza!”
La voce aveva un timbro da grande, sembrava un uomo di cinquanta anni, dove era finito il bambino?
Un corpo si era seduto accanto a lui.
“Hai una bocca bellissima!” Si era sentito dire e poi due dita si erano infilate tra le sue labbra forzandolo a fondo e procurandogli un conato.
“Scusa!” L’uomo si era messo a ridere, sembrava divertirsi a osservare il raccapriccio di Reid ma le sue dita avevano continuato a solleticarlo sulla lingua: Spence, per evitare di vomitare aveva aperto la bocca e l’uomo con i polpastrelli aveva cominciato ad accarezzare i suoi denti.
“Bravo devi stare sempre con la bocca aperta, è una parte del tuo corpo, dove voglio divertirmi parecchio! Se tu fai il bravo e mi fai godere, io dopo ti faccio bere!”
Stavano per cominciare i giochi!
Conosceva il genere, lo aveva analizzato spesso: non sarebbe stato tanto il pompino a far godere lo stupratore quanto il piacere dell’aggressione sessuale su un soggetto accondiscendente, ma nel momento stesso in cui ciò si fosse verificato, il killer, non lo avrebbe più trovato interessante e lo avrebbe ammazzato.
Non poteva cedere se voleva sopravvivere.
Gli morse le dita facendolo urlare.
Il primo schiaffone lo lasciò senza fiato ma sufficientemente inebetito da non fargli sentire troppo i successivi: quando il suo aguzzino finì, Spencer era oramai incosciente.
Perse la cognizione del tempo poi sentì un asciugamano bagnato sulla fronte.
Mani gentili si stavano occupando di lui: “vuoi bere?”
“Si ti prego!” Il giovane detective aveva la voce che tremava e il cuore gli doleva nel petto mentre lacrime zampillavano dai suoi occhi.
Un bicchiere gli fu avvicinato e Reid finalmente si dissetò, poi raccolse le esigue forze interiori che ancora lo sorreggevano e balbettò: ”grazie, come ti chiami?”
“Luke”
“io mi chiamo Spencer, scusami se non conosco Capitan Tsubasa!”
Doveva diventargli amico.
“No scusami tu, ho esagerato, mamma me lo dice sempre che sono troppo impulsivo!”
“Sta zitto! Non devi parlare con lui! Non ti devi fidare mai dei professori, lo sai che si approfittano di te! Ti ricordi?” 
Gli rispose prontamente la voce del bambino: “Si Robert”.
Robert, l’aguzzino si chiamava così, aveva dentro di se almeno due personalità, ma c’era dell’altro, Spencer ne era più che certo, dovevano continuare a parlare.
“I miei insegnanti non mi hanno mai fatto nulla, forse qualche abbraccio e Dio solo lo sa quanto ne avessi bisogno…no, il problema non erano certo loro!”
“E qual’ era il tuo problema?”
Perfetto, era incuriosito.
“Mi dai ancora da bere?”
“Ok, non provare a fare scherzi, se tenti ancora di mordermi ti faccio saltare la testa!” 
Mani dure gli dettero da bere: “ti sei bagnato sul collo”.
La voce era arrochita dall’eccitazione, Reid avvertì che l’uomo gli stava aprendo la camicia zuppa di sudore e una lingua larga e schifosa cominciò a leccarlo sul collo, denti famelici lo presero a mordicchiare sul mento, di nuovo sul collo trasformandosi in una golosa suzione.
Lo marchiò con diversi succhiotti: “adoro i ragazzi come te, hai la pelle chiara e glabra, mi invita a morderti!”
Il morso lo colse impreparato: l’uomo aveva conficcato i denti sulla spalla e si era fermato appena aveva toccato l’osso: mentre Reid urlava di dolore e choc, l’uomo gli disse: “ti ho piantato i miei denti nella carne, profondamente, un segno che ti resterà per sempre! Non hai idea delle cose che ti voglio fare e insegnare: ti trasformerò in un bravo cagnolino obbediente!
Aiuto… Alberto… aiuto.
 
Diotallevi si era svegliato di soprassalto.
Quanto tempo aveva dormito? Guardò l’orologio: dieci minuti, non di più. Il senso di colpa l’aggredì e lui cominciò a piangere silenziosamente, il suo amore stava soffrendo, forse era morto e lui crollava come una stupida checca?
“Il corpo è più intelligente della nostra volontà!” Ghideon gli si era seduto accanto rubando un angolo del divano dove si era steso Alberto, aveva una tazza di caffè fumante tra le mani e con un gesto davvero gentile gliela offrì.
“Grazie, quanto tempo…?”
“Dieci ore, sono passate dieci ore”
Il professore aveva saputo che era fondamentale ritrovare un sequestrato entro le prima ventiquattro ore, altrimenti le possibilità di ritrovare viva la vittima si assottigliavano paurosamente.
Dunque avevano solo altre dodici ore, un po’ di minuti, quanti? Diotallevi per la prima volta in vita sua non era riuscito a fare un disinvolto calcolo valutabile in mille, diecimila, centomila attimi di vita che ancora lo legavano a Spencer, dopo di che…
Gli faceva male il petto e per alleggerire il peso dell’ineluttabile, sospirò rumorosamente.
“Lo troveremo io ne sono più che certo!”
Aaron Hotchner aveva il volto pallido e tirato ma la freddezza della voce faceva intuire che non si sarebbe certo fatto prendere dal panico.
“Ghideon, scusa ma vorrei parlarti un attimo”.
Il suo collega si alzo e insieme si diressero in un angolo dell’ufficio.
“Sappiamo chi è, si chiama Lukas Green, ha trentadue anni e non ha mai potuto finire le scuole… è affetto da una grave forma di dislessia, quindi ci troviamo davanti ad un soggetto fortemente frustrato. Quando era piccolo, intorno ai sei, sette anni è stato curato da uno psichiatra infantile, Robert Moore, che dopo circa sei mesi è stato trovato morto: era caduto dalle scale di casa mentre aveva un paziente in terapia, e indovina un po’ chi era il paziente? Tra l’altro, dopo il decesso, in seguito ad una serie d’indagini di routine, i poliziotti incaricati del caso hanno scoperto in casa del morto video e siti pedo-pornografici. Quel bastardo chi sa quanti altri bambini avrà rovinato ma quando sono andati a interrogare Lukas, i suoi genitori hanno impedito che venissero fatte ulteriori ricerche e, vista l’età del soggetto, il Giudice minorile ha posto anche il suo veto. Dopo sei mesi il bambino è sparito e di lui non si è saputo più nulla!”
E dopo venticinque anni era ritornato trasformato in un altro mostro.
“Ghideon…”
“Dimmi Hotch…”
“Secondo me, Spence non è mai uscito. Lukas Green lavora in questo posto da cinque anni, e la vuoi sapere una cosa? Tutte le vittime erano state clienti del Regency! Il nostro seriale, le ha conosciute qui, dopo di che saputo nome e indirizzo di casa, durante brevi periodi di ferie o di permesso, le ha seguite e le ha ammazzate! Per forza le vittime si fidavano, come cameriere era brillante e molto attento. Con Spencer però non ha organizzato nulla, dove può averlo portato? E’ qui, lo sento, nascosto in qualche angolo segreto dell’Albergo!”
 
Robert aveva annunciato che era stanco e che avrebbe dormito un po’.
“Fai buona guardia…”
“Si Rob, tranquillo!”
Spencer sentiva freddo e la disperazione per qualche minuto aveva preso il sopravvento ma le mani avevano cominciato nuovamente ad accarezzarlo, erano tocchi di bimbo quelli che lo stavano consolando.
“Ti piace? Robert mi dice che sono bravo a farlo godere, se vuoi faccio godere anche te!”
Spence era sfinito ma riuscì a reagire, doveva assolutamente spostare l’attenzione del bambino su un livello emozionale adatto alla sua età.
“No Luke, vorrei tanto giocare con te invece!”
Un sospirone e poi: “non posso disubbidire, altrimenti Robert mi punisce! L’ultima volta mi ha bruciato con la cenere incandescente dalla sigaretta e poi me l’ha messo dietro, ho avuto tanto male, sai e non lo potevo dire a mamma!”
Singhiozzi.
“Ma io non voglio scappare, io voglio solo giocare con te!”
La voce di Reid era diventata lagnosa, stava facendo i capricci.
“Va bene, ma promettimi che non ti leverai la benda dagli occhi!”
“Promesso!”
Mani gentili lo avevano cominciato a slegare e nel giro di pochi minuti finalmente Spencer si era potuto mettere seduto.
Per qualche secondo la testa girò vorticosamente pulsando dolorosamente poi tutto finalmente si fermò.
“Grazie Luke, a cosa giochiamo?”
Si erano divertiti a fare il gioco delle parole, era un buon sistema per capire la psiche del soggetto, Spencer lo sapeva bene e stranamente Luke era entusiasta: macchina, bicicletta, bicicletta, gioia, gioia, luce, luce, mamma, mamma, fiore, fiore, prato, prato, casa, casa, buio, buio, paura, paura, Robert!
“Anch’io ho tanta paura sai!” aveva confessato Spencer ”io ho vissuto in collegio e c’erano dei ragazzi molto cattivi con me!”
Luke sembrò incuriosito: ”anche loro volevano entrarti dentro?” bisbigliò.
E adesso che gli dico? Pensò tra se Reid, un paio di ragazzi con lui ci avevano provato di brutto ma era il caso di dirlo?
“Si, io però non volevo e per evitarli una volta mi sono nascosto in uno sgabuzzino: loro si sono vendicati chiudendomi dentro, mi hanno ritrovato il giorno dopo, mezzo morto di fame e di freddo!”.
“Robert, se mi ribellavo, riusciva a stringere un punto tra la spalla e il collo che mi faceva tanto male, mi lasciava senza fiato!”
Nonostante le bende, Reid aveva fissato negli occhi il suo nuovo amico, lo aveva visto con il cuore, un bimbetto sparuto e disperato, disperato come lui.
“Luke?”
“Si Spence?”
“Tu sei il mio amico del cuore…”
“Davvero Spence? Allora anche tu sei il mio amico del cuore!”
Il cambiamento fu repentino e inaspettato.
“Che bravi! Non vi posso lasciare soli che subito amoreggiate…”
Il killer passava da una personalità all’altra in maniera veloce e credibile.
Reid questa volta non si fece fregare, scattò come una molla in direzione della voce e con tutto l’energia che aveva ancora in corpo riuscì ad assestare una testata su quello che subito dopo capì essere il naso del suo rapitore.
Si levò la benda e osservò l’uomo svenuto per terra “scusami Luke…” mormorò poi guardandosi in torno: il luogo era buio e sporco ma capì di trovarsi esattamente in un vestibolo dove si trovava l’impianto elettrico dell’intero albergo.
Non ci pensò due volte e fece scattare subito l’interruttore generale evitando di spegnere la zona dove di trovava, ci mise un po’ ma alla fine tutto l’albergo era precipitato nel buio più assoluto fatta eccezione la sua zona.
Contò fino a sessanta mentre un pericoloso formicolio allo stomaco gli annunciava che stava per vomitare: era l’effetto del trauma cranico. Poi sollevò nuovamente l’interruttore per ripristinare la luce… era certo che il suo gruppo avrebbe capito che quello era un segnale.
Era sicuramente sotto terra probabilmente perché registrava un tremore subliminale sordo e ovattato che non aveva ampio respiro… si, era sotto terra e la vibrazione che sentiva a intervalli regolari era quella di una Metropolitana oppure…la caldaia! Era ficcato dentro qualche bugigattolo del vano caldaia dell’Albergo!
Avvertì un dolore profondo e ritmico dilagare nella sua testa, stava per svenire, doveva farsi forza altrimenti nessuno lo avrebbe trovato e sarebbe morto lì in quel posto fetido!
Sciocchezze, pensò mentre le gambe non lo reggevano più, i suoi amici stavano arrivando, lo sentiva… s’inginocchiò per terra ripiegandosi su se stesso.
“Aiuto…” gridò.
Robert, Luke o come accidenti si chiamava cominciò a muoversi.
Spencer riuscì a mettersi di nuovo in piedi “aiuto” urlò nuovamente con tutto il fiato che aveva in corpo.
“Spence! Sei tu?” Derek era dietro l’accesso del vano caldaia “aprite questa cazzo di porta!” Gridava.
Robert si era nuovamente messo in piedi, in mano impugnava un’accetta.
Calò un colpo micidiale a Reid che istintivamente fece un salto di lato evitando una morte atroce ma perse l’equilibrio andando a sbattere contro la branda dove era stato legato scivolando per terra.
Il seria killer si sedette sopra di lui bloccandolo, era la fine!
Spencer Reid chiuse gli occhi e l’ultima immagine che produsse il suo cervello fu di Alberto che gli sorrideva. 

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Capitolo 8
*** VIII ***


“Ciao ragazzino… ben tornato tra noi…” la voce di Derek gli arrivava da lontano.
Ok, pensò Reid, io sono morto e questi sono gli ultimi scampoli di sogno che mi stanno regalando i neuroni cerebrali.
Poi si fece largo nel suo cuore il doloroso pensiero che, se vedeva Morgan era perché anche l’amico fraterno era morto.
“Sei morto?” Bisbigliò.
“Io no ma tu sei preoccupante! La botta in testa ti ha rincoglionito!” Esclamò Derek abbracciandolo.
Lo aveva scosso procurandogli fitte di dolore ma la cosa non l’impensierì minimamente, anzi ogni sensazione lo stava riportando sul pianeta terra.
Alberto!
“Alberto…” sussurrò aggrappandosi alla camicia dell’amico.
“Lo chiamo subito” ma non fu necessario.
La porta della stanza d’ospedale dove Spencer evidentemente si trovava si aprì con discrezione e il ragazzo ebbe modo di vedere il suo compagno, stravolto, entrare con un bel mazzo di fiori in mano.
Appena Alberto si accorse che Spencer, il suo Spencer era sveglio, le peonie gli caddero dalle mani.
In un attimo si ritrovarono abbracciati mentre Reid usciva discretamente dalla stanza.
“Non farmi più uno scherzo del genere! Cerca di aspettare una cinquantina d’anni prima di rischiare la vita un’altra volta!” Singhiozzò Alberto.
“Dovresti lasciarmi subito allora… non posso prometterti questo” gli rispose roco Spencer.
“Allora dovrò vivere con la paura di perderti ogni giorno della mia vita?”
“Lo so, non posso pretendere questo da te… lasciamoci, è la soluzione più intelligente” balbettò Reid con il cuore stritolato dalla morsa del dispiacere.
“Non potrei mai vivere senza di te maledetto sbirro!” replicò Alberto stringendolo forte al suo petto.
Redi aveva la bocca spaccata e il viso smagrito, lividi sulle guance e intorno agli occhi, tremava per la febbre ma anche per il trauma subito… ci sarebbe voluto un po’ di tempo per permettere al suo cervello di fare pace con la terribile esperienza che aveva vissuto.
Il suo era stato uno splendido risultato.
Hotchner insieme a Ghideon, nei giorni successivi al suo risveglio, lo avevano informato su ciò che era successo: il serial killer lo stava per ammazzare ma per fortuna Derek lo aveva centrato con una bella pallottola che dalla nuca era fuoriuscita dalla fronte, un centro perfetto.
Reid era disidratato e in preda dello choc e solo l’abbraccio disperato di Alberto, entrato insieme agl’altri, lo aveva calmato ma poi si era allontanato da tutti confinandosi in una sorta di torpore.
Aveva un’ustione da scossa elettrica al lato del collo, un trauma cranico, i segni di due frustate sull’addome e un morso su una spalla, per il quale aveva dovuto sopportare una profilassi antibiotica che lo aveva ulteriormente spossato.
Uscito dall’ospedale, Spencer era ridotto piuttosto male, Alberto fu irremovibile: lo caricò in macchina e lo condusse nel Maine dove, tempo addietro, aveva acquistato un delizioso piccolo cottage.
Intorno a loro solo boschi e un ruscello dove, di notte, andavano ad abbeverarsi i cerbiatti.
L’acqua calda e l’elettricità erano garantite da un paio di pannelli solari discretamente nascosti sul tetto della casa.
L’interno, tutto in legno, era composto di una saletta comprensiva di un cucinino, un ampio camino e un divano largo e comodissimo.
Un’altra piccola stanza era fornita di un lettone di legno, essenziale ma accogliente. Il gabinetto era stato arredato con elementi ritrovati in un vecchio deposito, sbreccati ma decorati a mano con piccoli tralci di edera. La doccia, provvista di una provvidenziale incannucciata era all’esterno, dietro alla casa, e vi si poteva accedere dalla stanza da letto.
“E quando nevica come si fa?” Si era incuriosito Spencer di fronte a tanta spartana semplicità.
“Non ci si lava” gli aveva risposto sereno Alberto.
Niente televisione e tantomeno Internet.
Ovviamente Spencer era dotato di un satellitare ma aveva promesso al suo compagno che si sarebbe connesso con la sede operativa del suo gruppo di colleghi solo una volta al giorno… giusto per rimanere in contatto e avere nuove opportune informazioni.
Perché Reid era tormentato da mille dubbi.
Il serial killer, Lukas Green, era un cameriere del Regency molto apprezzato per la sua solerzia e per la sua memoria.
Il passato di bambino violato ne aveva fatto un mostro e probabilmente la sua prima vittima era stata proprio il professor Robert Moore, l’uomo che per primo aveva abusato di lui.
I genitori erano introvabili, possibile che avesse ucciso anche loro? E perché?
Ciò che assolutamente lo tormentava era la facilità con cui era riuscito a prendere il sopravvento su Lukas.
Certamente le altre vittime non avevano la sua capacità di resistenza, l’allenamento anche psicologico con cui a Quantico preparavano i profiler, l’esperienza già accumulata in pochi anni di servizio, un paio di brutti incontri già vissuti.
Le vittime del killer erano state abusate atrocemente… e lui ci era andato molto vicino, l’intrusione delle dita dell’uomo nella sua bocca erano state il preludio di future torture sessuali.
Stranamente però Robert si era addormentato dando modo a Luke di esporsi con la sua preda.
Già… perché lui? Il seriale aveva chiaramente fatto capire che le sue preferenze erano riservate a soggetti tra i quaranta e cinquant’anni, circa l’età di Robert Moore: lui ne aveva 24…
Questi pensieri erano formulati nei rari momenti in cui Spencer non era oggetto felice delle attenzioni del suo amante.
Alberto quando aveva condotto uno Spencer stremato fisicamente e psicologicamente nel suo cottage era ben risoluto a trasformare quel soggiorno nell’esperienza più gratificante della vita di Reid.
Voleva che memorie appaganti, intense… uniche, seppellissero sotto le coltri del piacere, lo spavento e il dolore che il suo compagno aveva patito.
Lo aveva infilato nel letto e cullato tra le sue braccia, lo aveva lavato e asciugato, massaggiato con oli essenziali dalle proprietà rilassanti. Gli aveva cucinato piatti prelibati utilizzando i prodotti dell’orticello biologico che aveva piantato in una piccola serra e lo aveva imboccato, incurante delle proteste di Reid.
“Sei debole come un uccellino…” gli sussurrava innamorato.
I giorni passavano e le forze cominciavano a ritornare insieme alla serenità.
Era arrivato il momento di passare al secondo round.
Alberto lo aveva stordito con il sesso trovando il suo amante assolutamente d’accordo: annullare i brutti ricordi facendosi concupire assiduamente sembrò a Spencer una brillante idea.
Non aveva mai fatto una cosa del genere, anzi, non avrebbe mai pensato che il proprio corpo avesse bisogno di tutto questo.
Fluttuava drogato di continui stimoli erotici dal letto al divano, dal divano al bosco e da lì al ruscello con le sue acque fresche e corroboranti.
Dormivano, mangiavano e scopavano… anzi spesso Alberto lo amava e lo nutriva contemporaneamente.
A Spencer piaceva leccare le sue dita dolci di miele mentre l’amante, sdraiato sulla sua schiena, si muoveva delicatamente dentro di lui.
Gratificazione orale e sessuale… sconvolgente e primordiale.
Non aveva più la nozione del tempo, la notte e il giorno scandivano solo il riposo e la passione.
Una volta che Alberto lo aveva concupito per la terza volta in poche ore, si era fermato sollevandosi dal suo corpo per fissarlo negli occhi.
“Sto esagerando vero?”
Spencer aveva fatto un veloce calcolo.
“Dunque: la mia maturità sessuale l’ho raggiunta intorno ai sedici anni. Ammettendo un numero imprecisato di seghe, avrei dovuto avere un rapporto sessuale almeno ogni due, tre giorni. Quindi otto rapporti sessuali al mese… un centinaio all’anno che moltiplicati per otto anni… no, non stiamo esagerando” e lo aveva baciato con passione.
Il luogo offriva loro la possibilità di allenarsi in mezzo a una natura incontaminata: correvano tra gli alberi, si arrampicavano su rocce millenarie che spiccavano monolitiche nella boscaglia e terminavano il percorso con una serie, che Alberto definiva esagerata, di pettorali e addominali sulla veranda del cottage.
Era la fine di maggio, il tempo era strepitosamente bello: Alberto aveva invitato la famiglia di Reid a passare una fine settimana da loro.
JJ insieme a un altro estroso elemento, una certa Penelope Garcia, genio informatico, tutti fremiti e cinguettii estasiati, si erano sistemate nella camera da letto, Ghideon e Hotch nel tinello…. e loro insieme a Derek  avevano piantato un paio di tende accanto al ruscello.
Il risultato fu esilarante, il gruppo molto compatto assorbì anche Alberto nella loro dinamica di gruppo e dopo un primo timoroso approccio, il professor Diotallevi si sentì uno di loro.
La sera, furono raggiunti da Tim, cha aveva fatto una spesa esagerata e Margherita con diverse torte, tutte fatte da lei, pericolosamente in bilico tra le mani.
Al di fuori del loro gravoso lavoro, gli amici di Spencer erano tutt’altro: JJ si rivelò dolcissima e Morgan un fratello burlone che non smetteva mai di prendere in giro il cucciolo di casa.
Ghideon aveva passato tutto il pomeriggio a leggere un libro di poesie e qualcuna l’aveva declamata ad alta voce alla pittoresca Penelope che nel frattempo era riuscita a connettere la metà degli Stati Uniti d’America sotto il pergolato del cottage.
Hotchner sempre misurato, aveva parlato a lungo con Alberto, era curioso delle sue specializzazioni in campo alimentare.
“Ho una laurea in Agraria e una in Biotecnologie. Poi mi sono specializzato in scienze alimentari e ho voluto girare l’Amazzonia, il Borneo e l’Oceania per studiare gli usi e costumi alimentari delle culture meno evolute secondo i nostri standard malati.”
Spencer si era intromesso: ”Pensavo di accompagnare Alberto in Tibet” Aaron aveva sollevato sorpreso un sopracciglio mentre il ragazzo proseguiva ”ho parecchie ferie accumulate, tra due mesi sarò nuovamente operativo”.
Reid aveva lo sguardo un po’ colpevole, era la prima volta che si allontanava dalla squadra per tutto quel tempo.
“Per me va bene” aveva invece asserito il suo capo “ma se è il preludio alle tue dimissioni dall’unità investigativa, vorrei saperlo con un certo anticipo.”
Non c’era nessuna inflessione nella sua voce ma lo scintillio negli occhi nerissimi dichiarava una certa apprensione.
“No, non vi abbandonerei mai…” aveva subito dichiarato Spencer.
Alberto aveva asserito con un convinto sì del capo dandogli un’altra informazione: “vorrei approfittare di quei giorni anche per fargli conoscere il luogo da dove provengo, io sono di Vinci, una zona molto bella della Toscana: i miei hanno una tenuta agricola dove producono olio e vino. Sarebbe fantastico ospitarvi tutti sotto un tetto fatto di tegole, un salone con camino, stanze grandi con lettoni accoglienti e cibo sopraffino!”
“Ecco che si presenta il marchese dei miei c…” aveva esordito Tim entrando prepotente nella conversazione “non ve l’ha detto vero? Lui è così signore… vi presento un rappresentante della nobile casata dei Diotallevi…”
Alberto gli aveva abbaiato un: “piantala!”
Penelope aveva esclamato un: “ooohhh” sospirando.
Spence era arrossito imbarazzato perché non aveva il ben che minimo interesse per i natali del suo compagno.
Era preoccupato riguardo la scelta solo emotiva che in quel momento stava facendo Alberto.
Ne avevano parlato a lungo, una sera, dopo aver fatto l’amore.
“Amo te ma anche il mio lavoro” aveva sospirato Reid “pensaci bene prima di cercare casa dalle parti di Quantico… andrò spesso in missione, la nostra sarà una relazione che dovrà barcamenarsi tra le mie missioni e i tuoi viaggi di studio. Non potrò starti sempre dietro anche se lo vorrei tanto…”.
“Lo so e non posso pretendere nulla da te: sei bravo nel tuo incarico Spence, c’è bisogno di persone in gamba come te per catturare i cattivi e difendere i buoni… sei il mio super eroe… e io la ragazza che ti aspetterà sempre a casa, innamorata e fedele!”
“Ma piantala” aveva sghignazzato Reid “sarò costretto a rincorrerti per il Mondo… per fortuna ho Penelope che mi darà una mano! Riuscirò a scovarti anche in mezzo all’oceano Atlantico… occhio a come ti comporterai!” Giocava… glielo stava insegnando il suo professore personale.
Sarebbe stata dura, lo sapevano entrambi ma erano pronti a correre il rischio.
“Che ne sarà di questo paradiso?” Spencer avrebbe voluto vivere lì, in quel cottage piccolo e delizioso, lontano da stress, dolore e paura “saremo lontani più di settecento chilometri quando ci trasferiremo in Virginia”.
“Lo venderò e troveremo un altro nido comunque bello” aveva risposto accomodante il professor Diotallevi “un posticino in mezzo al bosco anche lì”
“Ci sono i coccodrilli!” aveva esclamato Reid.
“Dettagli” aveva sussurrato Alberto.
Tutto era diventato semplice da quando c’era lui.

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Capitolo 9
*** IX ***


La sera si annunciava serena e asciutta, ideale per un barbecue all’aperto.
Il gruppo era costituito da vegetariani convinti per cui la griglia fu invasa per lo più di melanzane, zucchine, patate e tutto ciò che non avesse un cuore.
Tim e Margherita si rosolarono un po’ di carne ma ciò che unì tutti in estasiate esclamazioni di piacere furono le fettuccine fatte in casa con sugo fresco e basilico del professor Diotallevi.
“Conditele con il parmigiano…” chiosava allegro “questo viene dritto, dritto da Parma e ha proprietà miracolose che spaziano dall’apporto di calcio alla…”
“… peristalsi intestinale “aveva proseguito quel buffone di Tim
”eccezionale per chi soffre di stitichezza!”
Le torte di Margherita stavano chiudendo una serata perfetta.
Inevitabilmente i discorsi s’incanalarono verso un unico obbiettivo, quello di fare il punto della situazione.
E fu proprio Reid a esordire.
“E’ stato tutto troppo facile…”
“Che vuoi dire?” Aveva prontamente domandato Morgan.
“Voglio dire… si… il seriale si è espresso nelle sue due principali personalità ma ha volutamente fatto vincere il carattere del bambino: lui mi ha dato da bere e poi, cosa impensabile, lui mi ha sciolto le mani. Questo mi fa presupporre…”
“…che la sua è stata una scelta dettata da sentimenti d’amore, non di odio! Ti voleva come partner non come vittima!” aveva proseguito Ghideon.
“Infatti! Robert tentava di prendere il sopravvento, ma non ci riusciva… insomma…” continuò Spencer “il seriale ha sbagliato preda!”
Tutti gli ospiti si girarono verso Alberto che esordì amareggiato:
“Vorreste forse dire che l’esperienza orribile di Spence è colpa mia? Che quel pazzo voleva me e poi dopo averci visto insieme ha preferito… te?” e aveva fissato dispiaciutissimo Reid.
“Non ti sentire responsabile” Hotchner aveva preso la parola “riteniamo piuttosto che la vostra nascente attrazione lo abbia confuso, gli ha fatto ritenere che un rapporto sessuale non dovesse essere necessariamente orribile e ha pensato che questo non fosse merito dei sentimenti ma dei soggetti del nuovo rapporto amoroso. Tra voi due, si è riconosciuto in Reid.”
“Perché?” Aveva insistito Spencer
“Sei bello, giovane, intelligente…” stava enumerando Penelope.
“Sei un professore… “ l’aveva interrotta Morgan “ciò che lui non sarebbe mai potuto diventare: il suo modello, la figura con la quale presentarsi in maniera corretta…”
“Già, non abbiamo mai analizzato il soggetto partendo dalla sua peculiarità principale: era dislessico”.
Si discusse sull’impatto emotivo del bambino prima e dell’adolescente poi, rispetto all’ambiente che lo circondava.
Il rapporto con la madre.
“Che fine avrà fatto quella donna?” Si domandò JJ “mi piacerebbe sapere quali siano state le motivazioni che le fecero scegliere il professor Robert Moore…”
“Probabilmente era considerato un ottimo terapeuta…” esclamò Penelope.
“Si, certo… ma non il solo sulla piazza…” borbottò Ghideon.
“Posso dire una cosa?” Tim s’inserì inaspettatamente nel discorso.
Tutti rivolsero l’attenzione verso di lui.
“Dunque se ricordo bene il professor Robert Moore era un luminare specializzato nello studio della dislessia nella prima infanzia. Ho letto un suo trattato, l’ho trovato interessante” bevve un sorso di vino, un ottimo barolo stappato per l’occasione “ora fatevi dire che quando noi professori diventiamo importanti, difficilmente possiamo allontanarci dall’Università che ci sponsorizza. Tra lezioni, simposi, nuovi libri e riviste scientifiche dove dobbiamo pubblicare periodicamente i nostri lavori, difficilmente troviamo il tempo per svolgere attività sperimentale. Ora, se il vostro soggetto era addirittura in cura presso lo studio Moore o era una cavia oppure era il figlio di qualcuno che conosceva il professore molto bene… un parente, un amico intimo!”
Spencer annuì: “era il figlio di un collega…”
Il silenzio avvolse tutti in un’atmosfera stregata.
“Faremo le dovute ricerche ma ti dico già che il padre era un rappresentante di commercio e la madre, che per inciso, da nubile si chiamava Creed, Rose Creed, lavorava in un laboratorio d’analisi” specificò Penelope.
“Sembrerebbe un cognome europeo…” sottolineò Alberto.
“Vallo a capire” sospirò Spence.
“Comunque sia, farò una ricerca per vedere se c’era qualche grado di parentela tra il professor brutto porco Moore e questi Green Creed!” tagliò corto Penelope Garcia.
Hotchner annuì pensieroso: “mi domando se la donna avesse una qualche forma di relazione con il terapeuta del figlio, spesso le madri affidano i figli a dei perfetti sconosciuti convinte della loro buonafede.”
Nessuno aveva voglia di proseguire e quindi la conversazione si diresse su altri argomenti che spaziarono in tutte le direzioni; Spencer era felice, lì, tra stelle e grilli aveva tutto ciò che lo rendeva completo.
Verso le undici di sera Tim sbadigliò rumorosamente e guardò Margherita con occhi lacrimosi.
“Porto il pupone a dormire ragazzi!” esclamò la professoressa Wais.
Il trambusto per organizzare la nottata si rivelò esilarante ma alla fine più o meno tutti crollarono in un sonno ristoratore.
Spencer e Alberto si ritrovarono incollati l’uno all’altro dentro la tenda che Diotallevi utilizzava quando andava in Tibet.
“Ti piace casa?” Aveva bisbigliato a Reid sfiorando con la punta della lingua le sue labbra.
“Ti piace la mia famiglia?” Gli aveva risposto il ragazzo ricambiando bacio su bacio.
“Si, mi stupisce la loro preparazione! Vi facevo tutti birra e rutto all’aglio… gradassi, ignoranti e violenti!”
“E chi te lo dice che io non sia un violento” ridacchiò Reid
“No, tu sei un maniaco sessuale…” gli aveva risposto Alberto abbracciandolo ancora più stretto “stammi addosso professore…”
e si erano addormentati sereni.
 
Poco lontano qualcuno valutava la situazione.
Le due donne erano in stanza da letto ben protette da due colleghi del professor Reid.
Anzi, uno ancora leggeva… il più anziano del gruppo… Ghideon, se ricordava bene il nome, era un insonne maledetto lui!
Sarebbe potuto arrivare alla tenda, dove stavano dormendo abbracciati i suoi due professori preferiti e sferzare un unico colpo micidiale trapassandoli entrambi!
Oppure avrebbe ucciso il professor Diotallevi e Reid, che aveva osato sfuggirgli, si sarebbe risvegliato con un cadavere tra le braccia… bellissimo… non si sarebbe più ripreso dallo shock!
Purtroppo c’era quel bellimbusto del caraibico che aveva deciso di dormire fuori dalla propria tenda.
No, doveva avere pazienza, il giorno dopo se ne sarebbero andati tutti e finalmente avrebbe avuto tutto il tempo di divertirsi con entrambi.
 
La domenica mattina Alberto aveva preparato una colazione deliziosa.
Il pane fresco appena sfornato li aveva svegliati e uno per uno si erano trascinati sotto la pergola sedendo al tavolaccio sgangherato che era stato apparecchiato con un bollitore, thè, caffè, latte fresco e frutta di stagione.
Ghideon sorseggiava una tisana bollente a base di melissa mentre Morgan insieme a Penelope e Hotchner spalmavano il pane caldo con il burro fresco e le varie marmellate di Cecina che la madre del professor Diotallevi periodicamente gli spediva dall’Italia.
Reid a malapena sbriciolava due biscotti nel caffè, JJ sorseggiava il suo latte appena macchiato.
Alberto, felice come un adolescente, si destreggiava tra i suoi ospiti.
“Avete sete? Ho della ricotta di capra freschissima… Spence vuoi una fetta di papaya? E voi mie bellissime signore? Siete uno spettacolo di prima mattina!”
“Mi prendi in giro vero?” Aveva borbottato Penelope ancora mezza addormentata.
JJ aveva riso, lei era al contrario sveglissima e pronta a godersi un’altra bella giornata in mezzo alla natura.
La giornata era proseguita lieve tra una partita di pallone durante quale Diotallevi aveva tentato di spiegare a Derek che placcare l’avversario era un fallo da espulsione, poi una serie di secchiate d’acqua di ruscello aveva abbondantemente inzuppato tutti, compresi i capelli di Penelope che poi avevano preso una strana piega. Reid aveva provato a svincolarsi da tutta quella vitalità mattutina chiacchierando con Ghideon, tentativo prontamente punito da Alberto che lo aveva preso di peso e mollato in mezzo al rivo.
La giornata era diventata sera e quindi era giunto il momento di andare via.
Si erano tutti ripromessi di ripetere quell’esperienza gioiosa appena Alberto si fosse stabilito vicino a Quantico.
“Vi faccio le melanzane alla parmigiana!” Aveva gridato il professor Diotallevi salutando il gruppo che si allontanava a piedi verso le macchine parcheggiate in una radura poco lontana.
Dopo aver riordinato, rifatto il lettone e cenato con gli avanzi del pranzo, i due si erano messi davanti al fuoco del camino a raccontarsi gli effetti delle due giornate trascorse.
“Se non lo sapessi, non potrei mai credere che date la caccia ai mostri! Siete tutti, ognuno a modo suo, incredibilmente equilibrati!”
Asserì Alberto.
“Un equilibrio che si frantuma appena succede qualcosa di brutto a uno di noi…” ribatté Spencer.
“Si, hai ragione… non hai idea di quanto fossero sconvolti quando eri prigioniero di quel pazzo… io penso che Derek non ci abbia pensato due secondi a farlo fuori!”
“Si… lo penso anch’io… ma ti posso garantire che avrei fatto lo stesso”.
“Sei il mio lupo tra i lupi del suo branco… e io chi sarò mai per te?”
“La mia aquila reale che vola tra i monti del Tibet…”
I baci diventarono il preludio dell’amore.
Erano stati due giorni belli durante i quali Alberto aveva rispettato la timida natura del suo compagno.
Non si era mai permesso un atteggiamento intimo con lui davanti ai suoi colleghi, solo una schiva carezza sui capelli ma carica di tutto l’amore che Diotallevi gli avrebbe dato.
Reid gliene era grato ma si sentiva in colpa perché aveva mortificato la natura vivace dell’amante.
“Vieni qui…” aveva sussurrato.
Alberto si era sdraiato sopra di lui, erano sul divano davanti al camino che li illuminava discreto.
Spencer aveva ribaltato la posizione con una veloce giravolta e poi aveva cominciato a baciarlo sul collo per scivolare leggero sul petto sbottonando lentamente la sua camicia.
Voleva dedicarsi a lui, regalargli con gioia un nuovo momento pieno dell’intimità che era mancata.
I gemiti del compagno si fecero particolarmente rochi quando Reid slacciò la cinta e poi i bottoni dei jeans.
Baciarlo con passione proprio lì dove l’acme del piacere di un maschio si raccoglieva, fu per Spence una scoperta: lo trovò appagante.
Alberto era in sua balia, inerme e fragile, fiducioso e innamorato.
E la completa capitolazione del compagno per merito suo, lo gratificò intensamente.
Rimase così, con la testa appoggiata al ventre di Alberto che,
dopo l’orgasmo, si era completamente rilassato e, affondate le dita tra i suoi capelli, si era abbandonato a un lieve sonno ristoratore: cinque minuti e poi lo avrebbe fatto impazzire di piacere!
Ma la stanchezza della giornata li fece capitolare e i due innamorati crollarono in un sonno profondo.
Inconsapevoli che la morte li stava osservando…
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** X capitolo finale ***


Alberto si era svegliato alle prime luci dell’alba.
Durante la notte lui e Spencer avevano cambiato posizione e si erano ritrovati come al solito abbracciati stretti.
Reid ancora dormiva e il suo compagno, dopo avergli stampato un piccolo bacio sulla fronte, si era sciolto di malavoglia dalla stretta così rassicurante.
Avrebbe preparato una colazione nutriente, quel benedetto ragazzo mangiava poco la mattina!
Si era alzato e stiracchiato per bene, poi aveva preso la base del divano con il mignolo del piede.
In silenzio aveva dato fondo a tutte le parolacce che conosceva in italiano e in toscano… un paio, particolarmente onomatopeiche le doveva insegnare a Spence.
Poi, appena il dolore gli aveva dato un minimo di tregua si era diretto in bagno e poi fuori sull’ingresso del piccolo cottage che presto avrebbe dovuto abbandonare.
“… e chi se ne frega” pensò, la sua casa era solo il dottor piccolo genio Reid!
L’acqua del ruscello doveva essere fredda, ottima temperatura per immergerci l’arto offeso al fine di evitare lividi o versamenti.
Scalzo, saltellando tra terriccio e sassi aveva raggiunto la riva.
“Su, un po’ di coraggio ed è fatta!” Si spronò a eseguire la rude profilassi e immerse senza troppo pensarci i piedi a mollo.
Per un secondo gli mancò il respiro ma già stava per fare un bel sospirone liberatorio quando una visione sconvolgente gli spezzò il fiato.
Legato a un albero, dall’altra parte del rivo, sanguinante e immobile c’era Tim.
Alberto non ci pensò due volte e saltellando nell’acqua bassa e gelata raggiunse la vicina sponda e si inginocchiò davanti all’amico.
“Che è successo… che ti hanno fatto?” Singhiozzò cercando di sciogliere la corda che lo teneva prigioniero al tronco.
L’amico sembrò riprendersi.
“Alberto…”
“Zitto non fiatare… adesso ti libero…” ma la corda non cedeva di un millimetro.
“… mi dispiace” ed era svenuto.
“No no no… non morire ti prego… Spen…” tentò di urlare ma lo schiocco del teaser fu micidiale, aveva i panni bagnati e la scarica lo annichilì in un attimo.
 
Reid stava sognando.
Camminava accanto a sua madre e si divertiva a completare le poesie che l’unica donna della sua vita gli recitava.
“Mamma ho un compagno…” le aveva detto di punto in bianco.
Lei gli aveva dato un bacio sulla fronte e poi gli aveva risposto con un verso di Costantino Kavafis.
Più avanti - in una società perfetta -
apparirà di certo qualcun altro
che mi somigli e come me sia libero…”
“Assomiglia a te amore mio? Come te è libero?” Gli occhi di Diana non erano mai stati così brillanti.
“Si…”
“E allora svegliati!” Aveva urlato sua madre.
Nel giro di pochi minuti Spencer si era ritrovato in piedi accanto al divano con il cuore che gli batteva furiosamente nel petto.
Lo sentiva… percepiva il pericolo… no… avvertiva incombente la morte.
Scattò come una molla e si diresse con un balzo in camera e quasi ribaltò l’armadio di legno nel quale c’era la sua cartella di cuoio con dentro la pistola.
Uscì con il revolver davanti al viso incontro all’ineluttabile conseguenza della sua leggerezza.
Sarebbe dovuto andare a fondo, analizzare, sviscerare la sensazione di un’indagine parziale che lo aveva fastidiosamente tormentato. L’incompiuto adesso si presentava sulla soglia del suo futuro con l’idea di mandarlo in pezzi.
Il sole era più alto, maledettamente forte nonostante fosse ancora presto.
Strizzò le palpebre e fissò l’origine del male: era davanti a lui in tutto il suo immenso orrore, l’incubo che non voleva rivivere ma che doveva combattere se non voleva che Atropo gli strappasse il cuore.
Alberto, mezzo morto era accasciato in ginocchio: dietro di lui un fucile da caccia lo teneva sotto tiro, la canna appoggiata al centro della sua nuca.
Tutto fu chiaro.
“Esattamente com’è morto mio figlio… un bel colpo e la sua testa si spappolerà in mille pezzi… dovranno chiudere la bara Spencer… non potrai neanche dargli il bacio di addio”.
Era stata sempre lì l’origine della follia di Lukas Green, una presenza che aveva attraversato la strada di Spencer qualche anno prima, il docente che lo aveva conosciuto, spronato nello studio, valutato la sua preparazione.
Preparato in piccola parte a diventare l’uomo che poi Alberto avrebbe completato.
Respirò profondamente cercando di svuotare la mente dalla pericolosa commozione che gli opprimeva il petto.
“Rose Creed… o ti dovrei chiamare Margherita Wais? Dimmi chi sei veramente? Un’analista di laboratorio o la mia professoressa di Microbiologia?”
“Già” aveva riso la donna “il mio piccolo fottutissimo genio! Ti ho sempre detestato, eri tutto quello che avrei desiderato per mio figlio, tu, un ragazzino presuntuoso e fragile ma con un QI stupefacente!”
Spencer aveva cominciato a girarle intorno, un passo dietro l’altro insensibile ai sassi e agli aghi che si conficcavano nei suoi piedi nudi.
“Cosa vuoi?”
“Completare il mio lavoro…”
“Perché?”
Margherita aveva dato uno spintone ad Alberto che era crollato immobile sul terriccio brullo di quel luogo incantato.
Poi gli aveva messo un piede sulla testa: calzava scarponcini da montagna provvisti di rampini, una decisa pressione e il suo compagno sarebbe morto.
La professoressa Wais si era assurdamente rilassata e aveva cominciato a parlare.
“Sono rimasta incinta a sedici anni e i miei, luterani devoti e convinti, mi hanno fatto sposare l’uomo che mi aveva stuprata. Hai idea professor fottutissimo Reid cosa significa vivere con uno schifoso pezzo di merda che mi umiliava tutte le notti? Ovviamente l’ho ucciso… ma quella è un’altra storia. Insomma sono riuscita a diplomarmi e poi ho trovato lavoro in un laboratorio di analisi. E’ lì ho conosciuto Robert Moore.”
Il volto folle di Margherita si era illuminato.
“Mi ha aiutato, ho frequentato il college, mi sono laureata!”
Reid aveva notato che Alberto si stava riprendendo, doveva distrarre l’assassina, permettere al suo compagno di recuperare un minimo di energia che gli concedesse la forza della fuga.
“Cosa gli hai dato in cambio?”
“Tutto il mio AMOREEEEE!” Un urlo animale… quello era fuggito dalla bocca distorta di Margherita.
“Tuo figlio dunque…” la provocò Reid avvicinandosi impercettibilmente a lei.
“NOOOOOO lui era miooooo!!” Aveva reagito la donna spingendo lo scarponcino sulla testa di Alberto.
Un rivolo di sangue cominciò a colare sulla tempia dell’uomo andandosi a raccogliere tra l’occhio e il naso, per colare fresco sul terreno.
“Gli procuravi i ragazzini? Era questo che facevi? Mi ricordo di una volta che mi hai offerto uno stage presso il tuo laboratorio, solo io, in una zona vicinissima a casa tua, una ricerca da fare su un gruppo di batteri… rifiutai perché le condizioni di mia madre non mi concedevano di starle lontano… ero già sulla tua lista? Il rivedermi a distanza di anni ti ha convinto a cambiare gusti in fatto di professori da ammazzare?”
“No… è stato mio figlio… lui… si era innamorato di te!”
Margherita aveva sollevato lo scarponcino dalla testa di Alberto, aveva bisogno di maggior aderenza al terreno, doveva puntare il fucile su Reid perché si stava avvicinando troppo.
“Quando ho scoperto che mio figlio aveva un ritardo mentale” proseguì seguendo il cammino di Spencer “ho ritenuto che solo il professor Moore potesse aiutarmi. Ma poi le cose sono precipitate e lui… anzi loro mi hanno tradito!!!”
Pazza, completamente pazza e assolutamente convinta della sua distorta verità.
“Tuo figlio era piccolo, come avrebbe potuto difendersi da un pedofilo?”
“Non è verooooo!!! Lo ha sedotto e Robert non è riuscito a difendersi… il mio Robert… bastardo maledetto anche lui! Dovevo punirlo, punirlo e punirlo di nuovo… anche lui mi aveva tradita” lacrime di fiele scorrevano sulle guance  esangui.
Mentre la donna era scossa da singhiozzi irrefrenabili, Diotallevi aveva aperto gli occhi.
“Perché tuo figlio ha anche violentato e ucciso due donne?”
“Palestra, ho dato un paio di topolini al mio bambino! Quelle puttane mi stavano antipatiche,  frenavano la mia carriera universitaria. Sono state usate per creare confusione… mi sono divertita tanto…”.
La mano di Alberto aveva raccolto un’abbondante manciata di terriccio, se era quella l’idea, Spencer la trovò pessima: il suo compagno non sarebbe mai riuscito, in quella posizione, a raggiungere gli occhi della donna.
Doveva cambiare tattica: “quando ero in balia di tuo figlio, lui mi ha detto che Robert era stato un amante fantastico… e che mi avrebbe insegnato tutte le pratiche erotiche con cui il professor Moore lo dilettava. Ti ringraziava: se tu non avessi avuto quell’idea fantastica, lui non si sarebbe mai divertito così tanto!”
“Sta zitto… non è vero!”
“Mi raccontava che usava su di lui gli stessi sex toys con cui stimolava te… e mi ha anche detto che tu non riuscivi mai a raggiungere l’orgasmo mentre lui invece…”
Margherita Wais caricò il fucile e premette il grilletto, un secondo ma appena un secondo dopo aver ricevuto un calcione ben assestato da Alberto che, con la sua reazione aveva spostato la traiettoria mortale del colpo… Spencer aveva accusato la botta e poi un fastidioso bruciore.
Caduto a terra, non si era assolutamente accorto di esserci finito.
Aveva il suo compagno addosso che urlava come un dissennato…
“Non è nulla, calmati! Mi ha preso di striscio il muscolo del braccio!”
Il professor Diotallevi tacendo di colpo tentò di ricomporsi ma era davvero sconvolto.
“Co..co..coome stai?” Gli chiese mentre Spencer si sedeva accanto a lui.
“Bene… ti prego respira…”
Si abbracciarono come due ragazzini dopo un gol.
“Ma che belli… fermi così! Adesso finalmente vi ammazzo” gracchiò Margherita stravolta dall’ira puntando nuovamente il fucile.
Dio è un proiettile…
S’intitolava così il romanzo di Boston Teran, un thriller che alcuni anni prima Derek Morgan aveva letto trovandolo fin troppo veritiero.
Lui non si sentiva un dio ma aveva una mira da padreterno!!!
“Dovrai smetterla di salvarmi sempre la vita” aveva borbottato Reid alzandosi da terra e avvicinandosi al freschissimo cadavere della dottoressa Wais: un centro perfetto, entrato nella nuca e uscito pulito e discreto in mezzo alla fronte.
Una fronte aggrottata in un viso dall’espressione stupefatta.
“Quando siete arrivati?” Chiese Alberto traducendo l’ultima domanda stampata sulla faccia esangue della donna.
“Oddio… Tim!” Esclamò poi girandosi verso l’albero dove l’amico ancora era legato.
“Mi sono rotto i c… di stare legato come un salame! Liberatemiiiii…” strillava “ho una radice tra le chiappe che mi sta sgarrando il c…”
Bene.
Il professor Timothy Clarke si stava riprendendo egregiamente mentre un poliziotto tentava di sciogliere il docente infuriato.
Appena liberato, aveva abbracciato con autentico affetto il suo amico del cuore, quello che avrebbe continuato a insultare per il resto della vita e gli domandò:” ti sei accorto di avere una manciata di merdosissima terra ammassata nel tuo pugno? Che ci devi fare? Te la vuoi mangiare?”
Aprendo finalmente il palmo della mano Alberto si scusò: “ sai… ho preso la scossa…” e si abbracciarono di nuovo ridendo.
Nel giro di pochi minuti l’intera Unità di Analisi Comportamentale si era stretta intorno ai tre superstiti.
“Ma come avete fatto a capire che…” aveva domandato nuovamente Alberto.
“Colpa mia” aveva cinguettato Penelope abbassando lo sguardo “vi ho riempito il cottage e gli alberi intorno alla casa di microspie sensibilissime”.
Spencer e Alberto si scambiarono un fuggevole sguardo… erano stati rumorosi la sera prima?
Dettagli.
 
Vinci
Avevano visitato Firenze e si erano ripromessi di tornarci; Spence era stato aggredito dalla sindrome di Stendhal, le troppe informazioni e la bellezza della città lo avevano stordito, una reazione che andava nuovamente analizzata! Alberto aveva riso quando il suo compagno si era appoggiato a lui per non perdere l’equilibrio: erano all’interno di Santa Maria in Fiore, in mezzo alla storia, circondati dal genio di Brunelleschi, Vasari e Zuccari.
“Pochi carboidrati” aveva sentenziato il professor Diotallevi e lo aveva portato a mangiare i panigacci con il pesto: ancora dieci giorni e poi sarebbero tornati a Quantico, li stavano aspettando.
Una nuova vita li avrebbe accolti a braccia aperte, nuove sfide li avrebbero coinvolti, non più lupi solitari all’interno del proprio gruppo ma una coppia di splendide aquile reali.
 
 
Grazie dell’attenzione
Pierre
 

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