Myungsoo POV

Erano trascorsi diversi giorni, dopo il confronto tra Sungjong e Sungyeol. Ascoltando le parole di quest'ultimo ero certo che qualcosa sarebbe cambiato, che Sungjong si sarebbe tranquillizzato, e sarebbe finalmente tornato da me.

Non successe.

Tutto era cambiato, ma non per me. Aveva ripreso a parlare con i nostri hyung, aveva avuto un definitivo chiarimento con Sunggyu, aveva ricominciato a sorridere. Non a causa mia, non con me, non per me. Per quanto soffrissi al pensiero che avesse ritrovato un certo equilibrio e non avesse più bisogno di me, non riuscivo a dimenticarlo. O forse, non volevo. L'osservavo, continuamente. Lo cercavo con lo sguardo, ossessivamente. Doveva essere sempre entro il mio raggio, non potevo fare altro che guardarlo da lontano.

Non mi bastava, non era questo quello che volevo. Quando poggiavo i miei occhi su di lui, non appena se ne rendeva conto, voltava il capo così da impedirmi di fissarlo in viso. Era frustrante. Era cosciente della mia sofferenza, ne ero sicuro. Eppure, non faceva nulla per farmi tornare il sorriso. Tutto quello che faceva era evitarmi, sempre più. Se capitava che rimanevamo soli, di fretta afferrava il suo lettore mp3 e, inserendo gli auricolari nelle orecchie, si eclissava, con la musica, impedendomi di aprire bocca.

Ma il peggio doveva ancora arrivare.

Al quarto giorno di prove, a fine giornata, i nostri hyung avevano chiaramente cercato un pretesto per lasciarci soli. Quando avevano sentito da Sungjong che avrebbe avuto bisogno di qualche minuto in più per ripassare una coreografia rispetto a loro che erano già riusciti a memorizzarla, tutti convennero che anche io avessi bisogno di ripeterla. E tornarono a casa, lasciando me e Sungjong in sala prove, nel silenzio più totale.

Seduto con la schiena contro il muro, a terra, osservavo Sungjong mentre ballava. Ripeteva continuamente le stesse mosse, come se ve ne fossero alcune che proprio non riusciva a ricordare. Accendeva e metteva in pausa la musica, di continuo. Dalla mia postazione, guardavo il suo corpo muoversi, di spalle. Attraverso il grande specchio, invece, avevo una visione completa. Mentre ballava, gocce di sudore gli percorrevano il viso, scendendo sul collo. Il suo sguardo serio e concentrato, la maglia larga che, con i suoi movimenti, mostrava le clavicole, e i pantaloni neri da tuta che, ogni volta che sollevava le gambe, mettevano in evidenza le sue forme, tutto era troppo per me. La sua figura era un concentrato di sensualità ed innocenza. Era sempre stato così.

E prima che me ne rendessi conto, successe l'irreparabile.

Cominciai a sentire i pantaloni fin troppo stretti, a causa della risposta che il mio membro stava dando, per la presenza di Sungjong, e della mia impossibilità di togliergli gli occhi di dosso. Afferrai velocemente la felpa che avevo poggiato durante la giornata sul tavolo accanto a me, e la stesi sulle mie gambe, cercando una posizione che impedisse a Sungjong di vedere cos'era in grado di provocare in me, anche solo guardandolo.

Attraverso lo specchio Sungjong aveva di sicuro notato che non avevo fatto altro che guardare verso di lui, durante tutte le prove, ma quando avevo cominciato a comportarmi in modo insolito per ovviare al problema che mi si era presentato, si voltò improvvisamente verso di me: "Hyung, prova con me, non stare lì seduto a fissarmi." Sorrisi, a disagio: "No, grazie, preferisco stare qui, seduto." Non soddisfatto della mia risposta, si protese verso di me, afferrandomi un braccio per provare ad alzarmi: "Forza, hyung, non essere pigro." Solitamente amavo la sua insistenza. Amavo tutto di lui. Ma non in quel momento.

Una spinta più forte mi sorprese, facendomi alzare da terra quel poco che bastava per far scivolare dal ventre la felpa che avevo poggiato lì nella speranza che mascherasse il mio membro duro: "Non voglio...alzarmi Jongie." Sungjong, sorpreso, seguì con gli occhi la felpa cadere a terra e, risollevando lo sguardo, capì il motivo del mio rifiuto. Di scatto voltò la testa, sicuramente imbarazzato.

Rimase fermo, qualche istante, fissando il pavimento, poi affermò: "Vado a casa." E si allontanò, recuperando le sue cose. 

Sospirai, mi sentivo così stupido, frustrato, imbarazzato.

Cos'avrei dovuto fare? Quando avevo provato a parlargli, ero stato rifiutato. Quando avevo giocato la carta dell' "aggressività", tentando di spingerlo verso di me, ero stato nuovamente rifiutato. Avevo così cominciato a rimanere in silenzio, in disparte, cercandolo continuamente con lo sguardo, per ricordargli che io ero lì, ad aspettarlo, ma non avevo ottenuto assolutamente nulla. Era davvero finita tra noi? I miei errori erano imperdonabili al punto da non meritare neppure un chiarimento? Se solo avessi potuto dichiarargli i miei sentimenti, forse avrebbe capito che non c'era davvero nulla di cui preoccuparsi. Ma, per quanto desiderassi che tutto tornasse come prima, avevo cominciato a covare dentro di me crescente rassegnazione.

Lo osservavo non con lo sguardo di chi sa che prima o poi otterrà ciò che vuole, ma con quello di chi sa di essere l'unico probabilmente ancora interessato.

E così giungemmo alla notte prima del concerto. Non riuscivo a chiudere occhio, ero agitato, con mille pensieri in testa. Temevo di commettere qualche errore, se avessi perso la concentrazione. E, con la testa poggiata sullo schienale del divano, ero seduto lì, guardando la televisione a basso volume, distrattamente. Era accesa, per tenermi compagnia, per farmi sentire meno solo in quella notte d'estate. Ad un tratto una porta alle mie spalle si aprì. Non mi voltai. Intuii si trattasse della porta della stanza di Sungjong, e cominciai a sentire il fiato corto. Era lui che era ancora sveglio? O forse era Hoya?

La luce artificiale della televisione era l'unica accesa nel soggiorno. Non vedevo nulla intorno, fino a quando una snella figura venne lentamente a sedersi accanto a me, come uscendo da quella morsa creata dal buio nella stanza, e permettendomi così di vedere.

Era Sungjong.

Avrei riconosciuto la sua ombra tra mille. Non appena prese posto, sussurrò, calmo: "Anche tu sei agitato per domani?" Poggiai i miei occhi su di lui, finalmente in grado di ammirarlo in tutta la sua bellezza. Indossava una semplice maglietta a maniche corte e un pantaloncino largo azzurro. Annuii, nonostante fossi consapevole che i pensieri nella mia testa non riguardavano solo l'imminente concerto, ma anche lui. Guardò verso la televisione ed affermò, pacatamente: "Deve essere molto interessante questa televendita...vero hyung?" Sorrisi, felice che avesse continuato a rivolgermi la parola: "Non oso cambiare canale. Non si sa mai cosa potrei trovarmi davanti a quest'ora." Sorrise anche lui, alla mia risposta. Ed affermò: "Potrebbe essere istruttivo." Ridacchiai, pensando al significato delle sue parole, e scossi una volta la testa, sorridendo: "Sai che non mi interessa." Ci fu silenzio.

Continuando a guardare davanti a lui, ad un tratto, domandò, con un filo di voce: "Quella volta...stavi pensando a me hyung?" Capii subito che si riferiva all'incidente in sala prove. Cos'avrei dovuto rispondere? Rimasi in silenzio, spaventato al pensiero di peggiorare la nostra già precaria situazione con una sola parola. Ma mentre riflettevo, improvvisamente, mi ritrovai Sungjong seduto a cavalcioni su di me. Le sue gambe ricadevano ai lati delle mie, il suo petto era a pochi centimetri dal mio, il suo membro era pigiato contro il mio. Mantenendosi con le mani sullo schienale del divano alle mie spalle, si protese verso di me e, inaspettatamente, poggiò le sue labbra sulle mie.