Numeri primi

di dreamersoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** One ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Numeri Primi - Prologo



Abbassai lo sguardo sulle mie Converse nere  rovinate non prestando attenzione al semi-monologo che stava tenendo il mio amico posizionato al mio fianco: era da circa un quarto d'ora - da quando era passato a prendermi per andare assieme a scuola - che parlava di una ragazza conosciuta nel weekend passato nella baita in montagna dei suoi nonni. Era lunedì, uno stressante e fastidioso lunedì; mi sistemai alla meglio il berretto di lana in testa tirando su con il naso: anche l'inverno era arrivato. 
«Ti giuro amico, ho dovuto fingere di fare volontariato come credito scolastico per far colpo su di lei; ma devo dire che ne è valsa la pena!» 
Sclaciai un sassolino che riposava sull'asfalto nero pece per poi spostare lo sguardo in quello euforico di Lou: era davvero contento. Gli rivolsi un accenno di sorriso rimanendo in silenzio. 
Parlare di sicuro mi piaceva meno di ascoltare: adoravo ascoltare le calde voci dei grandi cantanti o il dolce suono del pianoforte a muro situato nell'angolo più remoto della mia camera da letto, ogni tanto lo suonavo giusto per non dimenticare e quando la voglia di parlare era pari a zero. 

Varcammo lentamente la soglia dell'edificio scolastico: Louis continuava a parlare ed io ad ascoltare. «Non vedo l'ora che finisca il liceo» mormorò il mio amico e, non potei fare a meno di annuire con vigore: aveva ragione; ma, per sfortuna eravamo ancora al terzo anno.
Il corridoio pullulava di gente, l'aria era ricca di mormorii e risolini appartenenti agli alunni; gente che camminava velocemente dando forti spallate ai passanti senza chiedere scusa, gente intenta a ripetere i compiti assegnati per casa e, gente che, invece se ne fregava e basta.
Il mio amico, invece aveva iniziato a parlare del professore di francese che a detta sua "metteva voti alti solo alle ragazze" non pensando che forse avrebbe dovuto iniziare a studiare per l'interrogazione che avrebbe tenuto a breve. «Che hai alla prima ora?» gli domandai a bassa voce,
«Biologia, tu?»
«Letteratura greca, sai che palle!»

Feci scorrere lo sguardo per il corridoio fin quando non individuai chi stavo cercando con lo sguardo da tutta la mattina. Beverly Carter era poggiata leggera con una spalla al suo armadietto e rivolgeva un sorriso solare alla ragazza con cui stava intrattenendo una conversazione. Era... perfetta; sì, perfetta era l'aggettivo giusto per descriverla: i capelli biondo ramato cadevano morbini sulle spalle ed i suoi occhi illuminavano la stanza. Perfetta.
«La smetti? » mi ammonì Louis, « O le vai a parlare, o la pianti: lei non guarda quelli come te! » concluse.
Non rimasi per niente offeso dalle sue parole, sapevo che aveva ragione.        «Un giorno le parlerò» mormorai.

Non sono mai stato popolare al liceo: ero il giusto compromesso tra lo sfigato della situazione e il figlio di papá, anche se mi avvicinavo di più allo sfigato. 
L'Holmes Chapel High School ricordava un pò l'Egitto nell'era dei faraoni: il corpo studentesco era suddiviso in gruppi, o classi, dipende da come volevate chiamarli, e mai - dico mai - un chiunque di una classe inferiore poteva "migliorare"e quindi diventare un qualcuno. Bella schifezza, no?


C'erano i "popolari", o figli di papá come li chiamavo io; erano i padroni della scuola, gente che vestiva di capi firmati che molto probabilmente costavano quanto l'auto che mio padre possedeva allora, ti squadravano dall'alto in basso facendoti vergognare di esistere, ma non nel mio caso, non ho mai dato retta a ciò che diceva la gente ho sempre pensato allo studio e al mio futuro, 'fanculo le voci.

I popolari non avevano mai un capello fuori posto, avevano sempre il massimo dei voti e la loro vita era sempre perfetta: villa con piscina, armadi immensi, cani con pedigree e tutto il resto, in poche parole tutto perfettamente e fottutamente perfetto.

La seconda categoria erano gli sfigati; in tutte le scuole ce n'erano, certo non erano quel genere di sfigati tipo quelli di Glee che per ogni cosa si prendevano una granita in faccia, ma gli si avvicinavano, anche di poco. 

Venivano derisi e penalizzati e, poveri loro, alle volte anche pestati, e non potevano farci niente se quella era la loro natura; anche se, molti di loro come me, aspettavano solo la fine di quel lungo lasso di tempo, aspettavano come me la fine del liceo, perchè si sa, che alla fin fine dopo il liceo si inizia una nuova vita, e non importa se in passato eri uno sfigato o uno strafigo, tanto d'ora in poi ti valuteranno per ciò che sei veramente e non per una stupida classificazione liceale.

Gli sfigati camminavano per i corridoi e sembrava quasi che non ci fossero, camminavano velocemente ed a testa bassa, non si facevano notare, silenziosi come dei ladri nella notte.
Mi facevano pena, sì proprio così, sará perchè un pò mi immedesimavo in loro; ero convinto -e lo sono tutt'ora- che non è qualche "mi piace" in più su FaceBook o il follower in più su Twitter che rende una persona famosa agli occhi degli altri, ci vuole ben di più per essere una brava persona, il che vale più di una borsa firmata o di una macchina costosa.

Quando ero bambino mia madre mi diceva sempre che le persone capiscono il valore delle altre persone solo quando le hanno perse, che per essere, non bisogna apparire; ho sempre pensato, fin da quando ero piccolo che mia madre fosse una donna intelligente perchè leggeva tanti libri; crescendo sono riuscito a modificare questo pensiero: mia madre è una persona colta non per il numero di libri che ha letto, no, ma perchè da sola è riuscita a capire che il centro della cultura umana è il saper vivere, il saper essere; ed è per questo che è la persona che più stimo. 

Spesso quando a scuola accadeva qualcosa di brutto evitavo di parlarne a casa, evitavo di mettere altre situazioni complicate in mezzo; anche se, se ne rendevano sempre conto, anzi, mia mamma se ne rendeva sempre conto e per consolarmi mi ripeteva, che non ero io ad essere sbagliato, ma che erano gli altri a non aver ancora compreso il mio carattere. Queste parole mi erano sempre state antipatiche e, fondamentalmente erano insesate, poi ho capito che le diceva per fortificare la mia scarsa autostima, ed in un certo senso provavo compassione per quel gesto i cui fini erano inutili.

Tornando al discorso di prima: gli sfigati erano - quasi - sempre al centro delle attenzioni delle persone popolari, si divertivano a prenderli in giro, e le vittime per paura non dicevano niente; sempre la solita storia. 
Era alquanto noioso vedere sempre la stessa scenetta all'infinito nei corridoi dell'Halmes Chapel High School: il tipo tutto muscoli che pestava il tipo tutto occhiali o anche, la tipa tutta silicone che derideva quella tutta brufoli; e noi, non potevamo fare niente, non potevamo nè intervenire nè chiedere aiuto a... chessò il preside, anche perchè egli ci avrebbe solo risposto con uno sfacciato "Non posso intromettermi negli affari degli alunni" o ci avrebbe solo scansati.
Ma d'altronde cosa ci si poteva aspettare da una scadente scuola pubblica i cui professori erano ormai stufi di ciò che li circondava?
Poco mancava che si gettassero da un ponte.


La terza - e ultima - categoria erano i ragazzi ombra: ombra perchè loro c'erano e non c'erano, erano conosciuti ma allo stesso tempo invisibili, come una dolce melodia. Fondamentalmente sono tante le cose invisibili, anche se noi non ci facciamo caso: le emozioni sono invisibili, tutte quelle piccole goccie di anima che ci compongono, amore, odio, gioia, emozioni ed emozioni che possiamo catalogare come cose evidenti quanto difficili da interpretare. 
La musica è invisibile, è anche quell'elemento perennemente presente nelle nostre giornate: anche quel motivetto che si canta sotto la doccia è invisibile... sì. 
Le parole sussurrate, sono invisibili: quelle sussurate prima di un bacio, con le labbra posate leggere sull'orecchio, quelle che hanno il sapore di amore e di libertá, le parole che spesso vengono rinnegate, ma che restano impresse come inchiostro su carta.

Alcune cose, anzi, quelle più belle, affascinanti, sono invisibili e non sono degne di essere minimizzate con termini banali, con termini che si è frequenti utilizzare.
I ragazzi ombra erano invisibili, ovviamente è un modo per dire che, non venivano considerati, il che non era triste, per niente, era solo una condizione, era come essere popolari solo che era un pò più intima la loro come popolaritá.
Non venivano pestati nè niente, erano solo... intimi, timidi, racchiusi nel loro io e, sinceramente a loro, quell'intimitá piaceva, ne andavano fieri, li faceva sentire a loro agio senza indossare maschere, quelle maschere di tutti i giorni, maschere di sorrisi, lacrime e tutto il resto.

La campanella suonò ed io mi sistemai in bilico sulla spalla lo zaino di jeans ormai vecchio e con qualche buco qua e lá, per poi iniziare a camminare verso la classe del professor Benson. 
I brusii ed i mormorii si erano arrestati nello stesso momento in cui gli studenti furono avvertiti dell'inizio delle lezioni. 
I corridoi erano quasi vuoti ed io, ero quasi arrivato a destinazione; un ragazzo spuntò dal nulla dandomi una spallata alquanto dolorosa facendo cadere lo zaino poggiato sulla mia spalla.
«Ehi! Sii più attento! » Lo rimproverai raccogliendo la borsa da terra.
«Non ti avevo visto! Eri invisibile!» Urlò riprendendo la sua corsa senza rivolgermi il suo sguardo.


Ecco, io Harry Styles ero invisibile: un ragazzo ombra.






Buonasera!
Dopo quasi sette mesi di pausa ho deciso di iniziare a scrivere una nuova storia, dato che, ormai Like color on my draw è sospesa: motivazione? Assenza di ispirazione. *^*
Ora, passiamo al piccoletto qua sopra: mi è venuta l'idea quasi due mesi fa e, quindi ho deciso di mettermi all'opera. Credo che siate riuscite a capire che la storia sarà dal punto di vista del nostro amato Harry, ma, dovete sapere che non si tratta dell'attuale Harreh, ma niente di meno dell'inesperto sedicenne dei tempi di x-factor!
Penso di riuscire ad aggiornare ogni sabato (o almeno spero ahah)
Spero che questo prologhetto vi sia piaciuto, se è così: mi lasciate una recenzione?😘
Baci,
Robs :)
 
P.s.
Ringrazio di cuore You are a little late e smartjes per avermi sopportato in questo periodo. VI VOGLIO BENE!!!
 

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Capitolo 2
*** One ***


 


Si dice che Omero fosse cieco, o che semplicemente non esistesse. Che a scrivere l'Iliade e l'Odissea fossero stati un gruppo di aedi o anche, che Omero avesse scritto solo il proemio e che da lì, da quelle poche parole numerose menti avessero elaborato tutto il resto.
Ci pensavo e ripensavo mentre il professor Benson citava a memoria alcuni versi dell'Iliade, con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi lucidi. Lo stomaco mi si strinse al pensiero di quante volte, egli in passato avesse letto le medesime parole al fine di impararle a memoria. 
L'uomo dai capelli brozzolati e gli occhi chiari scese dalla cattedra, dove si era comodamente appoggiato per poi prendere a camminare lentamente tra i banchi, guardandoci negli occhi, ad uno ad uno.

«Bene, ora c'è qualcuno che mi sà dire a quale musa si riferisce il poeta?» domandò allora il professore facendo scorrere lo sguardo per l'aula: la ragazza seduta vicino a me alzò la mano, ma il professore non le concesse la parola. «Davvero? Nessuno? Andiamo, ragazzi! Lo abbiamo studiato due anni fa! » 
La ragazza agitò la mano per farsi notare, l'uomo esitò un pò, ma poi la fece parlare con un cenno di capo. «Omero interpella la musa Calliope che, è colei che protegge la poesia epica.» 

«È giusto,» aggiunse Benson sfregandsi il collo con una mano, «ma, Lior, avrei preferito che fosse stato qualcun altro a rispondere. » concluse sorridendole cordialmente; la ragazza si limitò ad abbassare lo sguardo e ad incrociare le braccia al petto coperto da un maglione color panna per poi prendere a scrivere qualcosa sul suo quaderno malconcio alzando ogni tanto lo sguardo verso di me e riabbassandolo di conseguenza.

Ms Benson continuò a porre domande alla classe e, Lior evitò di alzare la mano quando conosceva la risposta, limitandosi a scriverla su un angolo del foglio sul quale erano scritti, molto probabilmente degli appunti riguardanti la lezione precedente. 
Tutto ciò che, invece, feci io, fu pensare quanto fossi negato in quella materia ed al fatto che sarebbe stato meglio iniziarla a studiare dall'inizio dell'anno scolastico e non alla fine del primo trimestre.
Costrinsi la testa tra le braccia incrociate sul banco chiudendo gli occhi per un po': è strano come la stanchezza prenda il sopravvento sulle persone, no? Quando ero bambino, giustificavo la mia perenne voglia di dormire con la scuola - motivo in più per non frequentarla - e non al fatto che, andassi a dormire tardi per vedere puntate su puntate di scadenti cartoni animati giapponesi. 

Ovviamente la mia stanchezza durante la lezione era dovuta soprattutto ai troppi pensieri, alle ansie e tutto il resto. Ero arrivato a pensare che la mia unica valvola di sfogo fosse suonare il piano. La sera, quando tornavo a casa dal panificio in cui lavoravo, entravo nella mia camera da letto, lanciavo il mio zaino nell'angolo più remoto dell'ambiente come ad allontanarlo dalla mia mente per non affollarla e mi sedevo allo sgabello di vecchia pelle marrone.
Le mie dita scorrevano leggere sui tasti neri e bianchi, ogni tanto giravo il foglio pentagrammato che descriveva la storia dei quella dolce melodia per poi riportare la mano sulla tastiera.

Lior tirò il quaderno che avevo sotto la testa gentilmente alzando le labbra in un sorriso alquanto scomodo: non cambiava mai, almeno con i modi di fare, perchè non mi ero mai soffermato a conoscerla per davvero. L' anno stesso mi ero reso conto della sua esistenza nell' Holmes Chapel High School e da allora ci avevo scambiato qualche parola qua e lá durante le lezioni del signor Benson.  Era gentile sì, ma ai miei occhi sembrava solo una di quelle tipe che pensano solo allo studio; era brillante, o almeno in letteratura dato che era l'unica lezione che condividevamo.

«Quindi, per Giovedì prossimo farete qualche approfondimento sull'Iliade » disse chiudendo il volume che aveva in mano per poi aggiungere: «Ah, potete anche lavorare a coppie » 
Raccolsi le mie cose da sopra alla superfice lignea per poi alzarmi. Stavo per dirigermi verso la porta quando un qualcosa si ancorò al mio avanbraccio; volsi lo sguardo alla mano dalle unghie smaltate lunghe ben saldata su di mé. «Ma che... ? » 
«Ti prego, fá la ricerca con me » 

Lior mi guardava con occhi supplichevoli senza mollare la presa. 
«Ah? Non ci penso proprio! » 
«Ti sto chiedendo un favore! Che ti costa?! » tentò di convincermi ancora. Ma che diavolo vuole? Pensai continuando a guardarla. 
Non mi ero mai preoccupato di fare qualche ricerca scolastica nè tantomeno quelle riguardanti la letteratura greca e quindi, non avevo intenzione di inziare a farle. 

«Hey lá Lior! » La ragazza che era di fronte a me si portò una mano a coprire gli occhi strizzando questi ultimi, era stufa e la sua tensione era palpabile. «Aaron ciao,» gli rispose quasi con voce schifata per poi aggiungere «ti serve qualcosa? » dal suo sguardo si poteva intendere che era combattuta dal girare le spalle e andarsene oppure restare ed ascoltarlo parlare. Io, ovviamente facevo rimbalzare il mio sguardo da persona a persona a dir poco esterrefatto. 
«No. Cioè, sì » si grattò nervosamente «vuoi studi... fare la ricerca con me, domani? » concluse sorridendole, Lior aveva una faccia schifata che mi costrinse a reprimere una risata. «Io... veramente non so... non mi sembra il caso. » 
«Perch-» lo interruppi prima che potesse continuare, «Perchè, domani dobbiamo studiare insieme. » La ragazza inarcò un sopracciglio che prese le sembianze di una freccia. «Noi, domani. Non è vero, Lì? » 
Annuì vigorosamente prima per convincere sè stessa, poi per convincere quello scimmione che si allontanò a sguardo basso, quasi deluso.

«Oh Dio, grazie. » mormorò la mia compagna accompagnando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Non fa niente, tanto la ricerca te la fai da sola » risposi strafottente varcando la soglia dell'aula. L'avevo solo aiutata, non mi interessava davvero di quello stupido compito. 
«Cosa? Perchè? » domandò confusa,
«Ti ho solo coperta, non ho intenzione di perdere tempo in uno stupido assegno: ho altro da fare. » aprii il mio armadietto depositando i libri e prendendo i volumi della lezione successiva. 
«Allora facciamo così! » ancora? Mi ripetei mentalmente. «Ci incontriamo al Tyburn oggi pomeriggio alle sei così ti dò il compito già svolto e tu devi solo studiarlo » 
La guardai. «Che c'è? Non sai dov'è il Tyburn? È a pochi metr- » la interruppi, «Lo so, lo so dov'è » mi affrettai ad aggiungere.
«Bè allora smettila di guardarmi! » Prima che potessi ribattere, però riprese a parlare: «Devo andare, ci vediamo dopo! » Mi diede una pacca sulla spalla per poi prendere a camminare velocemente nel corridoio facendosi spazio tra la gente. 
«Chi ti assicura che verrò? » le domandai in lontananza. Lior si girò e fece spallucce con un innocente sorrisetto alquanto fastidioso.
"Questa ragazza è strana forte" mi dissi tra me e me chiudendo l'armadietto.

Presi a camminare anche io verso la classe di biologia; per mia fortuna condividevo quell' ora con Louis. Era il mio migliore amico. Ci conoscevamo da quasi dodici anni. Ricordo perfettamente come lo conobbi, come dimenticare un bambino dai capelli a scodella? Risi alla sola memoria della prima volta che notai quel piccoletto. Ovviamente con la crescita tutti cambiano, lui no, era sempre spensierato e incosciente ed era proprio questo che mi legava a lui, anche se eravamo divergenti: io silenzioso ed introverso, lui rumoroso ed estroverso ma, lo ripeto è per questo che c'eravamo sempre l'uno per l'altro. 
Varcai la soglia del laboratorio di biologia per poi posare i libri sul banco; alzai lo sguardo per incontrare quello del mio amico che, era appena entrato in classe preceduto dalla professoressa. La lezione ebbe inizio nel peggiore dei modi, era da un po' di tempo che Mrs Randall insisteva con le interrogazioni di gruppo, dunque, quella mattina decise di interrogare una buona parte di classe - escluso me, Lou e qualche altra anima - alla lavagna; quindi noi, perdevamo quell' oretta a parlare o a fare altro, nel mio caso ad ascoltare il mio compagno. «Oggi vieni da me? »
«Mh... ho un impegno » risposi distaccato senza dare spiegazioni.
«Cosa devi fare? » domandò ancora insolente.
«Primo: devo lavorare come ogni martedì » puntualizzai, «Secondo: devo incontrare una mia compagna al Tyburn » conclusi. 
«Oh-oh caffettino con la ragazzetta eh? E chi è la fortunata? » ci scherzò un po'sù prendendomi in giro: era fatto così.
«Ma che fortunata? » rimasi alquanto esterrefatto dall' utilizzo delle parole usate da Louis per poi continuare, «Non so se la conosci, Lior Hyde frequenta letteratura » per me era quasi ovvio conoscerla.
«Ma sì, la conosco! Abita due tre case dopo la mia; carina, niente di chè se ti piace il tipo »
«Ma che tipo? » mi ritrovai a ripetere ancora «Mi deve solo dare dei fogli da studiare... qualcosa sull' Iliade o quant' altro! » precisai. Meglio non fraintendere, Louis tendeva sempre a fantasticare ed io a stroncare sul nascere questi "film".
«Okay okay, ho capito! Solo Beverly per Harry, lo avevo dimenticato » 

Beverly, ci pensavo costantemente. Era una specie di chiodo fisso per me, non ci potevo fare niente. Dall'inizio della scuola era diventata parte di me; ovviamente lei non mi conosceva, ma ero pronto a fare qualsiasi cosa pur di starle vicino, solo che non ne avevo il coraggio, prima di tutto avevo paura di soffrire secondo, non ero il tipico mangia-donne. Non che non avessi mai avuto una ragazza, anche io avevo avuto quelle storielle estive dalla durata ridotta solo che non ero pratico con quest'ultime; quindi come un fottuto tredicenne, speravo che prima o poi Beverly s'accorgesse di me.

«Quindi oggi pomeriggio... » fulminai Louis con lo sguardo intimandogli di stare zitto, non doveva continuare quella frase «...vai al panificio, fico » concluse appreso ciò che avevo tentato di fargli capire.
«È il mio lavoro, lo faccio da quasi un anno e per te, solo ora è fico » sentenziai trattenendo un sorriso: Lou era sempre capace di farmi sorridere con poco. 
«Non è vero! » esclama guardandomi «Ti ho sempre sostenuto e, sono sicuro che un giorno aprirai un forno tutto tuo. » conclude.
«Beh, questo è un pensiero molto carino da parte tua. » Continuai scherzando.

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«Allora ci vediamo domani » dissi rivolgendomi a Barbara, accompagnando il mio saluto con un cenno di mano. Avevo appena finito di lavorare e, dopo un breve conflitto interiore mi ero deciso ad andare al Tyburn per incontrare Lior. Sinceramente mi stufavo e, poco era un eufemismo; ma, era stata tanto gentile a svolgere la ricerca da sola e mi sembrava scortese non andarci. Speravo di trovarla ancora lì dato che avevo fatto leggermente tardi; guardai ancora una volta l'orologio: 6:45. Cercai di convincermi che non era poi tanto tardi. Mi avrá aspettato? Continuai a domandarmelo incessantemente mentre allungavo il passo verso la caffetteria.

Spinsi leggermente la porta verde del bar: il Tayburn era un locale molto accogliente che  ricordava molto le importanti caffetterie del centro di Londra; per molti ragazzi era un ritrovo, io, ci andavo molto raramente anzi, mai.
Feci scorrere lo sguardo per la sala individuando quasi subito Lior seduta al tavolo vicino alla grande vetrata che affacciava sulla strada. In lontananza potevo scorgere la sua mano sinistra scrivere su di un piccolo quaderno mentre la destra avvolgeva la tazza contenente - forse - del té portandola ogni tanto alle labbra. 
Mi avvicinai a passo spedito al tavolino per poi poggiare lo zaino sulla sedia in più e sedermi. Lior alzò lo sguardo su di me, chiuse il diario con la penna stesa tra le pagine e prese un sorso dalla tazza verde acqua.

«Mi hai aspettato. » mormorai sconsolato.
«Puzzi di pizza. » mi prese in giro lei.
«È pane. » E sorrisi, non so il perchè ma quel suo 'puzzi di pizza' mi piacque di più di un qualsiasi altro saluto.



Buonasera!
eccomi... In ritardo ma ci sono ahaha
Allora QUESTO è il primo capitolo in assoluto dove si ha una vera e propria 'introduzione' dei personaggi. È stato un parto gemellare questo capitolo perché ho avuto mille cose da fare tra scuola, interrogazioni e Storia di una ladra di libri le cui pagine, sono sicura di moltiplicano la notte e, non ho proprio avuto tempo per scrivere.
Io, non sono riuscita a capire se la storia vi è piaciuta dato che, di recensione ne ho avuta una sola. Non so se vale la pena continuare a scrivere perché nessuno recensisce e a me va proprio di sentire i vostri pareri o ciò che vi sfugge, quindi VI PREGO recensite.
detto questo, credo che posso andare. 
love
Robs:)

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