Please, don't go away

di LoveStoriesInMyHead
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perché proprio lui? ***
Capitolo 2: *** Un'improvvisa gentilezza ***
Capitolo 3: *** Il suo profumo ***
Capitolo 4: *** Per la prima volta ***
Capitolo 5: *** Pioggia dagli occhi ***
Capitolo 6: *** Bacio rubato ***
Capitolo 7: *** Un piano perfetto ***
Capitolo 8: *** Tu non sai mentire ***
Capitolo 9: *** Rachele ***
Capitolo 10: *** Bugie ***
Capitolo 11: *** Per sempre ***
Capitolo 12: *** Una sorpresa mai arrivata ***
Capitolo 13: *** In ospedale ***
Capitolo 14: *** Andrea ***
Capitolo 15: *** Risveglio ***
Capitolo 16: *** Dichiarazione ***
Capitolo 17: *** Un incantevole pomeriggio ***
Capitolo 18: *** Delusa ***
Capitolo 19: *** Cambiamento ***
Capitolo 20: *** Te lo prometto! ***
Capitolo 21: *** Incontro ***
Capitolo 22: *** Delirio ***
Capitolo 23: *** Messaggio ***
Capitolo 24: *** Salva! ***
Capitolo 25: *** Ti aspetterò ***
Capitolo 26: *** A casa sua ***
Capitolo 27: *** Amara sorpresa ***
Capitolo 28: *** Insieme ***
Capitolo 29: *** Stanza 128 ***
Capitolo 30: *** Calore ***
Capitolo 31: *** Bufera ***
Capitolo 32: *** La Baita ***
Capitolo 33: *** Lo stai solo usando! ***
Capitolo 34: *** Happy Ending ***



Capitolo 1
*** Perché proprio lui? ***


Elena's POV :

Nel corso della mia vita io e l'amore non siamo andati molto d'accordo. Anzi ci odiavamo proprio. Mi sono sempre innamorata di ragazzi che si avvicinavano a me solo per conoscere la mia migliore amica. E in fondo, non li biasimavo, lei era molto più bella di me. Io e lei ci eravamo conosciute tre anni fa. Lei è sempre stata una ragazza solare, socievole, divertente, anche un po' pazza per certi versi, ma forse, è questo che mi è sempre piaciuto di lei. Io ero l'esatto opposto: timida, paurosa, introversa e anche un po' nerd. Vivevamo in due mondi diversi. Io ero la calma e piatta acqua, mentre lei era il fuoco, imprevedibile e affascinante. Ammiravo le persone che riuscivano a essere se stesse davanti agli altri, e lei era una di quelle. Io, invece, non ci riuscivo proprio. Avevo paura che agli altri non potesse piacere la vera me, così cominciai a chiudermi in me stessa e a cadere nell'oblio dello sconforto e della disperazione. Ma poi un angelo con le guance color porpora mi tirò su da quell'oscurità e mi aprì le porte verso la luce. Quell'angelo che mi salvò tre anni fa fu Alice, la mia migliore amica. La gratitudine che provo per lei è immensa. Non la ringrazierò mai abbastanza. Lentamente cominciai ad abituarmi a quella luce accecante e ad aprirmi verso gli altri. Divenni piena di amici e persone che mi accettarono per come ero realmente. Ero al settimo cielo. Ma la gioia immensa non durò molto. Le nuvole cariche di pioggia cominciarono a coprire quel grande sole che si era acceso in me. Il suo nome era Stefano. Era il tipico ragazzo spavaldo e poco affidabile, ma estremamente bello. Era molto alto, quasi non riuscivo a guardarlo negli occhi. Un peccato perché i suoi occhi erano incredibili. Di un grigio-verde molto intenso. Il solo guardarli smuoveva in me emozioni totalmente sconosciute e diverse da quelle che avevo provato fino a quell'istante. Entrando nella cerchia di amicizie di Alice, ho conosciuto molti ragazzi, suoi amici, ma non mi innamorai subito di lui. Conobbi Alessio, un ragazzo gentile, divertente ed estremamente affascinante. Era inevitabile. Poco tempo dopo capii che quello che provavo per lui non era semplice imbarazzo, ma puro amore. Ero stata catturata dalla sua maledetta trappola attira-ragazze. Cazzo! Perché mi ero innamorata pur sapendo che non ci sarebbe mai stato un lieto fine? Alessio aveva occhi solo per Alice. Era evidente, persino un cieco se ne sarebbe accorto che era stracotto di lei. Ma io da completa stupida mi innamorai di lui. Sapevo già quanta sofferenza mi aspettava. Sarebbe stato molto duro vedere un'altra ragazza tra le sue braccia. Non passava giorno che non pensassi ai suoi occhi nocciola e al suo sorriso. Al solo pensiero nasceva sul mio visto un sorriso smagliante e carico di imbarazzo. Ormai, ad Alice era chiaro cosa mi passasse per la testa. Mi conosceva troppo bene. Non le potevo nascondere nulla, non che fossi un'ottima bugiarda. In questo facevo proprio schifo. "Ely?" Mi chiamò lei " Ely mi stai ascoltando?" Mi ero persa di nuovo nei miei pensieri. Succedeva spesso in quel periodo. Era ormai passato un mese da quando mi ero innamorata di Alessio e già Alice cominciava a sospettare qualcosa. "Elena ha da un pezzo che ti vedo strana. Sei assente, sempre immersa nei tuoi pensieri. C'è qualcosa che non va? " chiese lei con un tono gentile e rassicurante con gli occhi carichi di preoccupazione. Odiavo quando mi guardava in quel modo. Per lei ero un libro aperto. Non potevo nasconderle niente. Da un lato era un bene, ma in momenti come quelli non so se era davvero una cosa positiva. Così cercai di evitare il più possibile il suo sguardo. Ma ogni volta che mi voltavo dalla parte opposta per non incontrarlo, Alice si avvicinava sempre di più a me. Così cercai di formulare una risposta, poco dopo cominciai a dirle "Beh...sai, mi piace un ragazzo..." stavo facendo un grandissimo sforzo per riuscire a pronunciare quelle poche parole, ma quando cominciai a prendermi di coraggio fui interrotta bruscamente. "Davvero? Stavo per confessarti la stessa cosa!" cominciò a dire lei visibilmente eccitata e agitata allo stesso tempo. Si avvicinò a me, scostò una mia ciocca di capelli ricci e mi sussurrò all'orecchio "Penso di essermi innamorata di Alessio" disse lei mettendosi a ridere per l'imbarazzo. Non poteva succedere a me. Il buio cominciò a farsi strada nei miei occhi. Il mio sguardo divenne completamente assente. Cosa avrei dovuto risponderle? Indovina. Anche io sono innamorata di lui! No, non potevo farlo. Se glielo avessi detto mi avrebbe sommerso di domande. Ma non era questo il problema principale: Alessio aveva una cotta per Alice dall'alba dei tempi, e io, ovviamente, no avevo molte possibilità. Chi avrebbe scelto una ragazza un po' troppo formosa, dai capelli ricci perennemente scompigliati e disordinati, ad una rara bellezza dagli occhi color del ghiaccio e lunghi capelli biondi? Nessuno. Questa era la risposta. E la conoscevo molto bene così decisi di annuire e di sorriderle per nascondere il mio sconforto. Lei sembrò non notarlo così ancora eccitata mi disse "E tu? Chi è il fortunato?" Non sapevo cosa rispondere così indicai con l'indice sinistro un ragazzo che sedeva in uno dei tavoli in legno del parco, dove eravamo andate in quel pomeriggio d'estate, dicendo "Lui!" Alice si affrettò a focalizzare chi fosse, e così feci anch'io. Presa dal panico, andai alla cieca, indicando una persona a caso tra quelle presenti. Tra tutte le persone che avrei potuto indicare, proprio quell'essere? Che fortuna! Lui, l'amico odioso, altezzoso e freddo di Alessio. Odiavo quel ragazzo. Non mi era mai andato a genio. Se ne stava sempre solo con quell'aria da aristocratico, tranne quando veniva coinvolto da Alessio e dagli altri amici. Poteva sembrare simpatico, ma l'apparenza inganna. Che casino. Questa bugia non avrebbe retto a lungo. Chi mai si sarebbe innamorata di un ragazzo del genere? Agli occhi di Alice solo io potevo farlo. Così, esasperata al massimo, sospirai rumorosamente, ma Alice non se ne accorse, era troppo occupata a fantasticare sulla sua storiella amorosa. Di colpo tornò alla realtà "Non pensavo ti piacesse Stefano. Mi hai sempre detto che lo odiavi fino all'osso, e ora sei cotta di lui. Avevo letto in un libro, qualche tempo fa, che avvolte l'odio può tramutarsi in amore, ma non ci credevo molto. Adesso potrei crederci" disse lei con un sorriso malizioso. Non le risposi, mi limitai ad annuire e a sorridere. Ma sentivo che presto quella luce che si era fatta strada a fatica nel mio cuore, sarebbe stata ingoiata dall'oscurità.

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Capitolo 2
*** Un'improvvisa gentilezza ***


Erano passati tre giorni da quando avevo “confessato” di essere innamorata di Stefano. Certo era un gran bel ragazzo, ma il carattere non lo tolleravo proprio. Durante le nostre uscite, lo vedevo sempre con una ragazza diversa, non ha mai cercato di istaurare un rapporto solido, diceva di non averne bisogno. Una sera, io Alice, Alessio e Stefano, andammo al cinema a guardare un film. “Allora che film vediamo?” chiese gentilmente Alessio mentre si voltava verso me e Alice. “Beh, un film vale l’altro” disse tra l’imbarazzo  Alice “A me, invece, piacerebbe vedere…” stavo per pronunciare il nome della commedia romantica uscita in quel periodo, quando Stefano mi interruppe “ Bene, visto che per voi non fa differenza, vediamo Fast & Furious 6” detto questo si girò verso la cassiera e fece i biglietti. Che rabbia! Non mi stava neanche a sentire, che cavernicolo! Alice e Alessio sembravano non curarsene, erano troppo occupati a scambiarsi occhiatine dolci e sorrisetti, e probabilmente avrebbero continuato così per tutto il film. Dava solo a me fastidio il suo comportamento? Per  non rovinare la serata, ingoiai il rospo e, una volta arrivata in sala, mi misi a sedere. Mi sedetti accanto a Stefano, era inevitabile, la coppietta si era già accomodata nelle altre due poltroncine di velluto rosso. Con lui dovetti condividere i pop corn e la bibita. Quelle due ore furono terribili. Ogni volta che la mia mano cercava la busta di pop corn, lui l’allontanava da me. La cosa era irritante. Il film a mio parere non era un granché, ero abituata a guardare film d’azione a casa. Avendo due fratelli, più grandi di me, amanti di questo genere di film, ho imparato ad amarli a modo mio. Ma questo non mi interessava proprio. Così, poco alla volta, cominciai a sentire un forte senso di stanchezza, e così mi addormentai. “Ehi tu, svegliati!”  mi sentii chiamare “Svegliati, altrimenti ti lascio qui!” Che voce rude e fastidiosa. Così non potendo resistere un secondo di più a quelle continue chiamate, aprii gli occhi. Era Stefano, in piedi di fronte a me, con le mani appoggiate ai braccioli della poltroncina e il busto piegato verso di me. Il suo sguardo arrabbiato continuava a fissarmi “Cosa vuoi?” risposi io sgarbata “Spostati non vedo il film” dissi io per farlo allontanare da me. non accorgendomi che il film era già ai titoli di coda.  Era troppo vicino al mio viso, continuava a fissarmi “Odio le persone che si addormentano al cinema” disse lui fulminandomi con lo sguardo. “Se tu non avessi scelto un film davvero noioso come quello, io non mi sarei addormentata” risposi io a tono. “A me sembra che solo a te non sia piaciuto il film. Alice e Alessio lo hanno guardato volentieri” A proposito dove erano finiti quei due? Pensavo che Alice sapesse quanto odio celavo nei confronti di Stefano. Oh no! Alice era convinta che fossi innamorata di lui. “La tua amica e Ale sono andati a fare una passeggiata per i negozi del centro commerciale” mi interruppe lui dai miei pensieri “ Che cosa? Dimmi dove sono di preciso!” dissi io con tono arrabbiato, ma allo stesso tempo preoccupato. Cazzo, non volevo stare un secondo di più con quell’individuo. “Mi dispiace, ma Alice mi ha detto che non dovevo assolutamente dirti dov’era” Aly è sempre stata una ragazza che ci tiene ad aiutare il prossimo, ma adesso aveva superato il limite. Ormai nella sala, tutte le persone presenti erano già andate via. Eravamo solo io e lui. Ad un tratto cominciò a squillare il mio cellulare. Schiacciai il pulsantino verde e risposi “Pronto?” “Ehi Ely, vi state divertendo?” chiese lei eccitata “Per niente!” dissi io in modo secco “Dai, ti sto aiutando…comunque io sono ad una gelateria, vi aspettiamo lì. Stefano sa tutto” “Che cosa?” dissi io incredula “Non ringraziarmi!” detto questo attaccò la chiamata. “Alice? Rispondimi” Non potevo credere alle mie orecchie. Rimasi per qualche secondo con il cellulare all’orecchio nella speranza che tutto questo fosse uno scherzo, ma purtroppo non fu così. Finalmente Stefano si spostò e io potei alzarmi da quella poltrona tanto comoda. Mi diressi verso l’uscita. “Alice mi ha detto che sapevi dove fossero di preciso” cominciai a dire con tono seccato “Allora? Dove sono?” Lui non rispose. Se ne stava in silenzio. Perché non voleva rispondermi? “Vuoi rispondermi o no?” mi stavo irritando. Feci per aprir di nuovo bocca quando mi afferrò il polso destro e mi cominciò a tirare verso l’uscita del cinema. “Che cosa stai facendo?” gli chiesi io un po’ confusa “Vuoi chiudere quella bocca una santa volta?” mi disse lui zittendomi. Lo seguii in silenzio fino a quando non arrivammo in un piccolo ristorante italiano poco distante dal cinema.  “Dove mi stai portando?” chiesi io ancora più confusa di prima. “Al cinema non hai mangiato e bevuto niente. Ho pensato avessi fame” Così è scorretto! Chi se lo aspettava da Stefano. Un’improvvisa gentilezza mi aveva un po’ scombussolato. Ma mi piaceva vedere uno Stefano più attento e premuroso. Non era poi così tanto male. Così ci accomodammo e ordinai un piatto di spaghetti al pomodoro. Lui non ordinò niente. Era imbarazzante, troppo imbarazzante. Continuava a fissarmi mentre mangiavo. Quei dieci minuti che impiegai per consumare  il mio pasto furono interminabili “Perché mi guardi in quel modo?” chiesi io stufa dei suoi continui sguardi “Niente” disse lui ridendo. Non l’avevo mai visto sorridere in quel modo. Stavo cominciando a pensare che non fosse poi così tanto odioso. Continuava a ridere, così, contagiata dalla sua risata, cominciai a farlo anch’io. Dopo un attimo di respiro gli chiesi “Perché hai cominciato a ridere?” A quella domanda, smise di ridere, si avvicinò al mio viso e mi disse “ Hai un po’ di sugo sulla guancia” Che figura! Di tutte le cose che avrei potuto ordinare nel menù, proprio la pasta al pomodoro? Che bambina! Avrà pensato. Mentre continuavo a rimproverarmi per la brutta figura, vidi Stefano che, con un fazzolettino cercava di togliere via la macchia di sugo. In quel momento rimasi rapita dai suoi occhi. Il suo sguardo era diverso. Mi osservava con occhi gentili e premurosi. Nessuno mi aveva mai guardato in quel modo. Sentivo le mie guance imporporarsi sempre di più. Non volevo che se ne accorgesse, così abbassai lo sguardo e mi misi a osservare il mio vestito a fiori. Se avrei continuato a guardare i suoi occhi grigio-verdi, non so cosa sarebbe successo. Così, dopo aver terminato la cena, ci dirigemmo verso la famosa gelateria. Vidi Alice, in lontananza che si agitava per farsi vedere, e Alessio con in mano un grosso orso di peluche. “Ely, Stefano, dobbiamo dirvi una cosa importante…” cominciò Alessio “Ci siamo messi insieme!” si intromise Alice euforica. “Che bello” disse io cacciando un leggero sorriso. “Che notizia! Finalmente ce l’hai fatta amico” si congratulò Stefano. “E quello?” chiesi io indicando il grosso peluche. “Me lo ha regalato il mio amore” disse Alice rivolgendosi ad Alessio. Il resto della serata passò in fretta e finalmente era ora di tornare a casa. Ero davvero stanca e la prima cosa che feci fu sfilarmi il vestito a fiori per indossare il mio pigiama fresco e comodo. Mi distesi sul letto, con le mani dietro la testa, chiusi gli occhi e subito mi venne in mente Stefano. Perché avrei dovuto pensare a lui in quel momento? Avevo appena assistito al fidanzamento della mia migliore amica con il ragazzo di cui ero innamorata, e stranamente non ero per niente triste o delusa. Cosa mi stava succedendo?

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Capitolo 3
*** Il suo profumo ***


I giorni seguenti passarono in fretta. Mancava ormai l’ultimo mese di scuola e piano piano cominciai a prepararmi per gli esami di fine anno. Era un caldo e afoso lunedì e quella mattina non avevo molta voglia di andare a scuola. Non stavo molto bene. Il caldo mi abbatteva sempre.  Ma decisi comunque di andare.  Le prime tre ore passarono velocemente, ma alla quarta ora mi aspettava la materia che proprio odiavo: Educazione Fisica. Odiavo quella materia, non sapevo di preciso il motivo. Forse perché non ero brava negli sport, o semplicemente, perché mi faceva sentire a disagio con il mio corpo. Suonò la campanella e mi preparai al supplizio. “Forza ragazzi!  Oggi ci sono le gare. Fate del vostro meglio” disse la prof mentre si infilava il cronometro e il fischietto al collo. Arrivammo in palestra e poco dopo cominciarono le gare maschili. Corsa, salto in lungo e staffetta erano le discipline che si sarebbero svolte. I ragazzi terminarono tutte le gare, ed era arrivato il turno di noi ragazze. Io, tra le discipline disponibili, scelsi la staffetta. Ero la quarta e da me dipendeva la vittoria della mia squadra. Ma appena presi il testimone, mi sentii mancare e inciampai. Tutti cominciarono a ridere e ad indicarmi. Non sentivo cosa dicessero. Prima di perdere i sensi però, riuscii a vedere una mano che si tendeva verso di me e mi sollevava da terra. Mi faceva male la caviglia, ma ad un tratto non sentii più dolore. La mia mente era offuscata dal dolce profumo di un ragazzo. Chi era? Chi mi aveva salvata da quell’imbarazzo insopportabile? Non riuscii a capire chi  fosse. Vedevo solo la sua spalla, alla quale ero appoggiata, e il suo collo forte e robusto. Il suo profumo era un misto di limone, acqua di colonia e qualcos’altro che non riuscii a definire. Mi sentivo protetta e al sicuro. Era la sensazione più bella che avessi mai provato nella mia vita. Poco dopo mi risvegliai in infermeria con la caviglia destra dolorante. La signora Anna, l'infermiera, era intenta a fasciarmela senza farmi male. Era una dolce vecchietta che lavorava nella mia scuola. Era rispettata e amata da tutti. “Oh piccola…ti sei svegliata” disse lei con un grosso sorriso a coronarle il viso. “Si, gra-grazie” dissi io ancora stordita. “Il ragazzo che ti ha portata qui era davvero preoccupato. Forse dovresti avvertirlo che stai bene adesso” disse lei. Quale ragazzo? Pensavo fosse un sogno, ma a quanto pare era tutto reale, così chiesi “Sa il nome di questo ragazzo?” Lei si fermò di colpo di medicare la mia caviglia e diresse verso di me i suoi occhi azzurri “Oh, si! Il suo nome era…” si interruppe di colpo portandosi una mano alla bocca “No niente, mi sono confusa” disse poi per minimizzare. Ero certa che mi stesse nascondendo qualcosa, ma sorvolai. Avevo un forte mal di testa e non avevo voglia di pensare ad altro. Così rimasi distesa e aspettai che la signora Anna finisse. Quando terminò si diresse verso di me e mi diede una caramella facendomi l’occhiolino. La ringraziai e poi continuai a dormire. La campanella della sesta ora era già suonata da un pezzo e così decisi di tornare dalle mie amiche per andare a mensa. Lì rividi Alice che mi aspettava nel nostro solito tavolo. Mi sedetti di fronte a lei e cominciammo le nostre solite conversazioni “Come va adesso Ely? Stai bene?” chiese lei con tono preoccupato “Si grazie. Scusami se ti ho fatto preoccupare” dissi io tranquillizzandola. “Non fa niente. Meno male che c’era Stefano nei paraggi. Era così figo mentre ti prendeva in braccio” Che cosa?  Come è potuto succedere? Stefano!? Questo spiega tutto.  Mi sarei aspettata di tutto, ma mai avrei sospettato di lui. In fondo non era poi un cattivo ragazzo. Mentre la mia mente cominciava a vagare senza meta, ripensai a quella mano, alla sensazione di sicurezza e protezione, alle mie mani che stringevano la sua schiena e il suo respiro. Di colpo sentii il mio corpo bruciare dall’imbarazzo “Ely? Mi stai ascoltando? Eri distratta un’altra volta” disse lei seccata. “No scusami, stavo pensando…davvero è stato Stefano ad aiutarmi?” chiesi io curiosa “Certo! Dovevi vedere la sua faccia quando hai perso i sensi. Era preoccupatissimo. Ha persino litigato con la prof! Voleva essere lui a portarti i infermeria” disse lei estremamente sorpresa. “Non ne sapevo niente” dissi io visibilmente imbarazzata “ma non  è della nostra classe, come faceva ad essere lì?” continuai io “Lui ha detto che si trovava lì per caso, ma io non ci credo mica” disse lei con un tono malizioso “Cosa intendi?” chiesi sempre più curiosa. Se prima non ci capivo un granché, in quel momento ero ancora più confusa. “E’ ovvio che prova qualcosa per te Ely!” Cosa? Non poteva essere. Stefano innamorato di me? Assurdo. Lo era già dire che Stefano fosse innamorato. Alice era una ragazza con i piedi per terra, ma alcune volte tendeva a sognare un po’ troppo “Che dici Aly. È ridicolo” dissi io. Non credevo molto alle mie parole. Speravo davvero che quello che dicesse Alice fosse vero, ma qualcosa mi spingeva a credere il contrario. Il resto della giornata, fortunatamente, passò in fretta e mi ritrovai di nuovo a fissare il soffitto bianco della mia camera. Pensai alla caduta, a Stefano e alla conversazione fatta con Alice. Non riuscivo a togliermi dalla testa il suo viso, il suo profumo e quella sensazione tanto appagante e pura. Ormai era ovvio: mi ero innamorata di lui. E tra quei pensieri mi addormentai.

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Capitolo 4
*** Per la prima volta ***


In una fresca mattina d’inizio estate un suono assordante mi svegliò bruscamente. Non volevo alzarmi dal letto, stavo facendo un bellissimo sogno e non volevo abbandonare quella meravigliosa fantasia per tornare alla dura realtà che mi aspettava. Spensi la sveglia e con malavoglia mi liberai delle fresche e profumate lenzuola. Andai in bagno, sciacquai il viso e mi lavai i denti. Mi girai verso l’orologio sul mobiletto bianco del bagno, appena dietro di me. Segnava le 7:40. Cazzo! Era tardi. Dovevo sbrigarmi, altrimenti mio padre avrebbe cominciato ad urlare, stanco di aspettare giù in auto. Infilai una felpa ed i miei jeans preferiti, presi il mio zaino, salutai mia madre e mi catapultai sulle scale, dove con grande foga mi precipitai a percorrerle per raggiungere l’auto. Aprii lo sportello, mi accomodai e guardai l’orologio digitale sul cruscotto. Le 7:50.  Ce l’avevo fatta anche quella volta. Il tragitto per la scuola fu piuttosto breve e in un batter d’occhio rividi i visi sorridenti delle mie amiche, Alice, Francesca e Giulia, che mi aspettavano davanti l’ingresso dell’edificio. Dopo un veloce saluto, mi diressi verso la mia classe. Entrai e subito si propagò per tutta la scuola il suono della campanella. Tirai un respiro di sollievo, non ci tenevo ad arrivare in ritardo un'altra volta. Mi sedetti al mio posto e, poco dopo arrivò la prof di italiano. Il suo modo di vestire era molto strano. Portava sempre vestiti a fiori molto larghi, lunghi fino alle caviglie e sandali in cuoio marrone, decorati con treccine dell’ennesimo materiale. Anche il suo modo di parlare era fuori dal comune. Sembrava vivesse in una realtà diversa. E per questo motivo l’ammiravo. Ma non tutti, in classe, la pensavano allo stesso modo. Infatti era soggetta a continue prese in giro, e questo mi dava un po’ fastidio. La prima ora passò liscia, tra risa, rimproveri e regole di grammatica. Le altre due ore proseguirono in fretta e finalmente era ora di merenda. Quella mattina non avevo fatto colazione, quindi stavo letteralmente morendo di fame. Suonò la campanella e subito mi alzai e uscii in corridoio per incontrare le mie amiche ed andare ai distributori automatici. “Oggi ho voglia di qualcosa di dolce” dissi sorridendo. Io adoravo le cose dolci e zuccherate, mi mettevano sempre di buon umore. “Sei sempre la solita” disse in modo sarcastico Giulia. La guardai storta, ma poi scoppiò una risata tra noi due che contagiò le altre, rimaste in silenzio. Arrivai alla macchinetta. Stavo per inserire la moneta per prendere l’ultima barretta di cioccolato, quando un ragazzo si mette in mezzo e prende la MIA cioccolata. “Ehi! Cosa fai? Quella era mia!” dissi io con tono arrabbiato  colpendolo alla spalla. “Scusami piccola” disse lui con un sorriso maligno. “Non chiamarmi piccola!” dissi io ancora più irritata. “Dai Daniel, smettila di fare il cretino” si intromise un ragazzo. La sua voce era familiare, così mi girai ad osservarlo. Era Stefano. Subito divenni rossa dall’imbarazzo e cominciai ad evitare il suo sguardo, sperando che non si accorgesse delle mie guance visibilmente color porpora. “Dai, chiedile scusa” disse lui con tono autorevole. “Ma…” protestò l’altro, ma subito fu intimidito dallo sguardo severo di Stefano. Non avevo mai visto quello sguardo. In fondo, ero innamorata, ma non sapevo quasi niente di lui. In quel momento avrei voluto conoscerlo di più, vedere tutte le sue espressioni e sapere  tutti  suoi segreti. “D’accordo amico. Scusami piccola” lo guardai male. “Ok, ok. Scusami Elena” sbuffò lui alzando gli occhi al cielo. Non dissi niente. Ero ancora seccata, ma un sorriso di Stefano spazzò via tutta la mia rabbia.  “Scusalo ancora Ely. Ci vediamo a mensa” disse lui salutandomi con un gesto della mano.  “Oh, non fa niente” risposi io portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Ely” mi chiamò lui a distanza. “Si?” dissi io ancora in imbarazzo. “Ti donano quegli orecchini” detto questo si girò senza aspettare una mia risposta e sparì tra i corridoi della scuola. Mi sentii mancare a quella frase, e non era per il caldo! Era la prima volta che mi chiamava Ely e mi faceva un complimento. Prima d’ora mi aveva sempre chiamata Tu, o Elena. Non lo  aveva mai fatto in quel modo tanto amichevole. Mi sedetti a terra. Non riuscivo a capire se quello che era appena successo fosse solo frutto della mia immaginazione o era successo realmente. Così mi diedi un pizzicotto sul braccio. “Ahi” Il dolore che percosse tutto il mio braccio mi diede la conferma: era tutto vero. Tornai in classe. La campanella che segnava la fine della ricreazione era già suonata da un pezzo. E dopo aver ricevuto una lunga, lunghissima, ramanzina per il ritardo dal professore di matematica, tornai al mio posto, poggiai la testa sul banco e ripensai a tutto quello che era successo qualche minuto fa. Al solo pensiero arrossii e cominciò a battermi forte il cuore. Quasi volesse uscire dal mio petto. Allora era questo l’amore di cui tanto si parla. In passato mi ero presa qualche cotta, ma questa non era una semplice infatuazione, questo era Amore. Era una bella sensazione e mi faceva stare bene. Passai le due ore seguenti a fantasticare, completamente disinteressata dalla spiegazione del prof. Finalmente suonò la campanella e mi diressi in sala mensa, ansiosa di rivederlo. In lontananza vidi le mie amiche che mi aspettavano al nostro tavolo e così mi sedetti. Cominciammo a parlare, ma poco dopo iniziarono a farmi domande “Che cosa vi siete detti tu e Stefano?” chiese curiosa Alice. È sempre stata una chiacchierona. La nostra amicizia era molto strana. Tra quattro ragazze, estremamente diverse tra loro, poteva nascere un’amicizia? Beh, si. Noi ne eravamo la prova vivente. Avevamo caratteri contrastanti. Il dolce e affettuoso carattere di Giulia e quello freddo e acido di Francesca. Il carattere espansivo, divertente e spumeggiante di Alice e il mio, pacato e tenero. Forse erano proprio queste differenze a tenerci unite. La nostra amicizia era una simbiosi. Nessuna poteva vivere da sola senza le altre, e viceversa. Amavo le mie amiche e adoravo passare il tempo con loro.  “Niente. Abbiamo solo parlato di cose semplici” dissi io “Tu stai mentendo. Tutta la scuola ha sentito il complimento che ti ha fatto” disse Giulia scoppiando a ridere. “Ok, avete ragione” ammisi io. “Che aspetti a confessargli il tuo amore” disse Francesca mentre scrutava il cibo nel suo piatto visibilmente disgustata. “Secondo voi dovrei dirglielo?” chiesi io insicura. “Certo!” risposero in coro Giulia e Alice. “Avete ragione” dissi mentre mi alzavo dalla sedia più determinata che mai. “Grazie ragazze” dissi io con un grosso sorriso. Mi diressi a passo sicuro verso l’ingresso, dove Stefano era fermo a parlare con un compagno di classe. Ero a tre metri di distanza da lui, decisa a confessargli i miei sentimenti. Stavo per chiamarlo, quando una ragazza lo abbracciò da dietro, cingendogli la vita con le sue sottili braccia. “Sono tornata!” disse lei mentre lo stringeva forte a sé. Chi era quella? Non l’avevo mai vista a scuola. “Non ci posso credere! Sei tornata” esclamò Stefano mentre si voltava per abbracciarla a sua volta. Le gambe mi tremavano violentemente. Mi mancava il respiro. Quella era di sicuro la sua ragazza. Non c’erano altre spiegazioni a quelle manifestazioni di affetto. Sentivo che le lacrime erano prossime, così corsi via e mi diressi verso il bagno delle ragazze. Chiusi la porta, mi sedetti sulla tavoletta e diedi libero sfogo alla mia frustrazione. Le lacrime cominciarono a bagnare il mio viso e sentivo il cuore spezzarsi in miliardi di pezzi. Mi ero innamorata per la prima volta, avevo sperimentato la felicità e il sentirsi bene, e per la prima volta avevo sperimentato il dolore e la tristezza.

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Capitolo 5
*** Pioggia dagli occhi ***


La vita mi aveva riservato una gran bella batosta.  Questo non lo nego. Mi sentivo come una farfalla appena uscita dal bozzo. Avevo a stento cominciato a volare, a sentire la fresca brezza sbattere sul mio viso, a sentirmi libera e felice, ma qualcuno ha deciso che non potevo esserlo in questo mondo. Certo, sapevo di non essere l’unica ragazza sulla faccia della Terra a cui era stato spezzato il cuore, ma mi sentivo comunque da schifo. Non volevo vedere nessuno, non mangiavo, non bevevo, non mi muovevo. Ero in completo stato di coma. Mia madre continuava a parlarmi, ma io non le rispondevo mai. La vita mi faceva schifo. Puro ribrezzo. Che senso aveva vivere ed essere felici quando si sapeva che prima o poi il dolore, la tristezza e la rabbia arrivavano sempre? A mio parere non ne aveva uno. Il mio letto era diventato il mio rifugio, mi avvolgeva tra le sue fresche lenzuola e  ascoltava tutti i miei lamenti e le mie insicurezze. Avevo il viso contro la federa del mio cuscino quando il cellulare sul comodino di fianco al letto cominciò a vibrare. Lo ignorai, voltandomi dalla parte opposta. Continuò a vibrare per altri dieci minuti, poi cedetti e accesi il display. Rimasi sbalordita alla vista dello schermo del mio cellulare: 25 chiamate perse, 101 messaggi non letti. Alcuni erano più recenti, altri risalivano a un paio di giorni fa. Dallo shock non andai a scuola per un bel po’ e naturalmente i miei amici cominciarono a turbarsi. Da un lato mi faceva piacere che qualcuno si preoccupasse per me, ma non avevo ancora voglia di vedere nessuno, tanto meno di parlare al telefono o mandare messaggini. Volevo  evadere da quella vita, così presi le cuffie dentro il cassetto del comodino e cominciai a scorrere i brani caricati all'interno del mio iPod  per cercare quello più adatto al mio stato d’animo. Scelsi Someone like you di Adele. Quella canzone era una pugnalata al cuore, ma infondo rispecchiava quello che provavo io. Le lacrime cominciarono a bagnare il mio cuscino. Va bene. Ero triste e avevo bisogno di sfogarmi. Non troverò mai un altro ragazzo con i suoi stessi occhi, con il suo stesso sorriso, con la sua stessa risata contagiosa che divertiva tutti. Lui era il mio mondo, il mio tutto, ma questo mondo è crollato a pezzi e io con lui. Mi alzai dal letto e mi affacciai alla finestra. Pioveva. Che strano, non pioveva quasi mai in quel periodo. Anche il tempo rispecchiava le mie emozioni. Rimasi a fissare la pioggia cadere  dalle nuvole nere e bagnare  ogni cosa.  La canzone terminò e  spensi l’iPod. Non volevo ricordare altro. Sarebbe stato troppo doloroso. Volevo solo dormire e andare via, scappare, sperando che presto o tardi tutto quel dolore sparisse. Trascorsero altri due giorni e la mia situazione non migliorava. Non uscivo dalla mia camera, tranne per andare in bagno, poi niente. Mia madre cominciò a preoccuparsi. Non sapeva come trattarmi. Continuavo a respingerla, facendola preoccupare sempre di più. Mi diceva sempre “Non voglio che tu cada in depressione!” La sentivo piangere ogni tanto. Mi faceva stare male vederla in quello stato, ma io stavo molto peggio. Un pomeriggio qualcuno bussò alla mia porta. “Avanti” dissi io. La porta si aprì e vidi la testa di Alice spuntare timidamente da dietro la porta. Quando entrò ero distesa sul letto con gli occhi rivolti verso il display del mio cellulare. Mi sedetti sul letto e posai il telefono. “Come mai sei qui?” chiesi io fredda, senza neanche guardarla negli occhi. “Sono venuta ad accettarmi  come stavi. Sono la tua migliore amica, in fondo. Ero preoccupatissima” disse lei visibilmente angosciata. “Sto bene. Sono viva come vedi. Ora puoi andare” dissi io. Ero una persona molto orgogliosa. Non volevo assolutamente farle vedere quanto fossi debole in quel momento. Dovevo resistere. Sentivo un forte nodo alla gola. Lei continuava a guardarmi con quegli occhi da cucciolo bastonato. Non resistetti e piansi. Piansi come non avevo mai fatto. Lei si sedette al mio fianco e cominciò a sussurrarmi parole di conforto, che io non ascoltai. Le mie urla di dolore erano troppo forti per riuscire a sentirle. Mi accarezzava la schiena e i capelli. Gli abbracci di Alice erano fantastici, facevano sentire subito meglio. Ti trasmettevano protezione e sicurezza. Mi porse un fazzolettino e mi soffiai il naso gocciolante. Stava in silenzio. Sapeva che avrei parlato solo quando mi sarei calmata. Dopo qualche istante iniziai. Le raccontai tutto, della ragazza, del sorriso di Stefano, della mia delusione. Mentre io mi sfogavo rimaneva in silenzio, mi ascoltava e qualche volta annuiva. Nei suoi occhi potevo vedere le lacrime farsi strada. Ma subito le cacciava indietro, sapeva che doveva sostenermi e aiutarmi. Doveva essere forte per me. Era questo che amavo della mia migliore amica. Sapeva sempre come aiutarmi. “Grazie” le sussurrai quando l’abbracciai. “Sei unica”. “La smetti di dire queste cose?  Questo è mio il lavoro” disse lei con un sorriso sincero. “Adesso sto meglio” dissi io sollevata. “Bene. Allora fai una doccia, metti qualcosa di carino e  usciamo” disse lei euforica mentre mi tirava su dal letto. “Che cosa?” chiesi io. Non ebbi il tempo di protestare che Alice mi aveva già chiusa in bagno. “Veloce! Voglio uscire” urlò da fuori la porta. Mi rassegnai all'idea così mi  lavai, infilai un vestitino a righe e uscii dal bagno. “Come sei carina” esclamò lei alla mia vista. “Smettila, non è vero” dissi io. Beh, in realtà mi faceva piacere ricevere qualche complimento ogni tanto. Mi guardai allo specchio e misi i miei orecchini preferiti, due cuori rossi con un brillantino al centro. Presi il cellulare e uscimmo di casa. Decidemmo di andare al parco, un camioncino di gelato era posteggiato all'entrata. Era passato un sacco di tempo dall'ultima volta che avevo mangiato un gelato. Così ne comprai uno. Scelsi il mio gusto preferito: limone. Lo adoravo. Alice, invece, scelse la fragola. Così passeggiammo per tutto il pomeriggio assaporando il nostro gelato, ridendo e parlando di qualsiasi cosa. Tutto sembrava essere tornato come ai vecchi tempi. Aveva smesso di piovere da un pezzo e, forse anche nel mio cuore stava tornando il sole.  

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Capitolo 6
*** Bacio rubato ***


Tornai a scuola. Non potevo continuare ad essere depressa per un ragazzo. Ero giovane, avevo ancora tutta la vita davanti per trovare il ragazzo giusto per me. Arrivai a scuola. Mi era mancata un po’. Le mie migliori amiche erano sempre lì, all'ingresso ad aspettarmi. Le abbracciai forte prima di entrare in classe. Oltrepassai la porta ed entrai. Mi sedetti al mio posto e aprii il libro di algebra. Persino le noiosissime spiegazioni del professore di matematica mi erano mancate. Sembrava essere tornato tutto come prima. I continui rimproveri per i ritardi, le risatine che facevano da sottofondo e le battute del mio compagno di banco Nicolas. Era un tipo spavaldo, menefreghista e burlone. Non studiava mai, ma riusciva sempre a prendere la sufficienza nei compiti in classe. Lo consideravano un mito, una leggenda. Nessuno in tutta la scuola era così divertente. Era popolare e tutti volevano essere suoi amici. Persino io. Diventammo amici all'inizio della terza media. Mi piaceva la sua compagnia. Riusciva a farmi sorridere anche quando da sorridere c’era ben poco. Era un bel ragazzo. Alto, moro e con un paio di occhi verdi incredibili. Tutte le ragazze stravedevano per lui. Beh, non tutte: io avevo occhi solo per Stefano. “Ok, basta pensare a lui” mi dissi tra me e me. A quel pensiero il mio sorriso si spense molto velocemente, Nicolas se ne accorse, così mi chiese “Stai bene?” era raro sentirlo parlare seriamente. Era preoccupato. Sorrideva, ma i suoi occhi comunicavano tutt'altro. La cosa mi colpì. Non l’avevo mai visto così serio. “Si sto bene” risposi io. Il resto delle lezioni proseguirono senza intoppi e finalmente era ora di pranzo. Andai in sala mensa. Stefano era lì. Appoggiato allo stipite della porta. Quanto era figo! Scrollai la testa per mandare via quel pensiero. Non potevo continuare ad andargli dietro. Dovevo togliermelo dalla testa. Feci un grosso respiro prima di entrare. Camminai, evitando il suo sguardo. Avvertivo che mi stava osservando. Sentivo i suoi occhi su di me. Non mi girai per accertarmene, così, rimanendo nel dubbio, mi sedetti vicino a Francesca. “Allora?” mi chiese lei. “Allora cosa?” feci io. “Gliel'hai detto o no?” fece lei seccata. “No. Come facevo? Ha una ragazza. Io sarei solo d’intralcio” dissi io con occhi bassi, intenti a scrutare il pavimento che in quel momento sembrava tanto interessante. “Ma…” iniziò lei. “Ma cosa?” chiesi io. “No, niente”. Un’altra volta. Perché volevano     nascondermi le cose. Tutti dovevano sapere tranne io. Cos'era? Una cospirazione contro di me? Che rabbia. Non ribattei, ero appena tornata a scuola, non  volevo trovare un altro motivo per rimanere a casa. Avevo appena cominciato a mangiare quando qualcuno posò la sua mano sulla mia spalla. Ad un primo momento pensai fosse Stefano, ma tutte le mie speranze furono distrutte dalla voce di Alice: “Ragazze scusate il ritardo.” Cominciarono a parlare, ma io ero completamente assente, immersa nei miei pensieri. Poi, una mano si poggiò sulla mia spalla “Giulia smettila di toccarmi. Su, siediti” dissi io. “Ma io non sono Giulia”. La forchetta mi cadde dalla mano, finendo sul piatto generando un forte rumore che si propagò per tutta la mensa. Sgranai gli occhi a quell'affermazione. Quella voce, la riconoscerei fra tante. Era la sua. Mi bloccai incapace di intendere e volere. Ero come pietrificata. “Ely, Ely” mi chiamò Alice. Di colpo mi risvegliai e ricominciai a respirare. Presi un grosso respiro profondo prima di voltarmi “Cosa vuoi?” chiesi io. “Posso parlarti un attimo?” Perché voleva parlarmi? Cosa aveva da dirmi di tanto importante da interrompere il mio pasto? “Ok” dissi io mentre mi alzavo. “Vieni.” Lo seguii, il cuore mi batteva forte, l’aria sembrava non bastarmi. Vedevo la sua schiena, le sue spalle larghe e forti. Era un nuotatore. Non l’avevo mai visto allenarsi o gareggiare, mi sarebbe piaciuto però. Magari mi avrebbe pure insegnato a nuotare, ma sapevo che queste fantasie non si sarebbero mai realizzate. Facemmo il giro dell’edificio. Poi ci fermammo davanti l’ultimo bidone della spazzatura. Non ci andava mai nessuno lì, era troppo lontano rispetto agli altri . Mi appoggiai al muro e dissi “Di cosa volevi parlarmi?” “Perché ti sei assentata per così tanto tempo da scuola?” chiese lui. Oh Dio! I suoi occhi erano carichi di preoccupazione e la sua voce era così seria ed angosciata. Non potevo dirgli la verità, ma sentivo che se lo avessi guardato negli occhi un secondo di più avrei confessato tutto. Tenevo lo sguardo basso, non sapevo cosa fare, così gli dissi la prima bugia che mi venne in mente: “Stavo male” so che non avrebbe retto a lungo, ma tentai ugualmente. “Elena mi stai mentendo. Sei una ragazza seria e so per certo che non ti assenteresti da scuola, specialmente adesso in vista degli esami, neanche se ci fosse in corso un’invasione aliena” disse lui cacciando un piccolo sorriso, ma dietro di esso era celata una grande tristezza. Perché era così? Un attimo fa l’odiavo a morte e adesso lo amavo alla follia. Colpa della sua gentilezza! Mi stava uccidendo. “Beh, questo non lo nego, ma comunque non sono affari tuoi” dissi io. Stanca di conversare, mi girai e feci per andarmene, ma Stefano mi afferrò il polso. Mi faceva male. Dove era finita la sua gentilezza. Lo guardai negli occhi. Ero spaventata. Quello non era il suo solito sguardo. C’era qualcosa di diverso, ma non sapevo cosa. Mi bloccò spalle al muro. Mi teneva i polsi e non riuscivo a muovermi. Mi stavo spaventando sul serio. “Lasciami! Che fai?” chiesi io sconvolta. “Io ti od…” le parole mi morirono sulle labbra quando si avvicinò e mi baciò. Mi divincolai, non voleva lasciarmi. Era impazzito, quello non era Stefano. Le nostre bocche si divisero.  Mi guardò negli occhi in modo così intenso che mi lasciò senza respiro. Il mio primo bacio mi era stato appena rubato. L’avevo immaginato in modo diverso, più romantico e adesso mi era stato strappato via. “Quando tu baci qualcuno così facilmente…ci sono ragazze che vengono ferite, non pensare che tutti siano felici. Io non sono per nulla contenta di un bacio senza sentimenti! Ti odio!” gli urlai contro tutta la mia rabbia e la mia frustrazione. Le lacrime cominciarono a bagnare il mio viso. Mi guardava stranito, perplesso, come se non avesse capito che quel gesto mi aveva profondamente ferita. Corsi via, più veloce che potevo. Non avrei sopportato la sua vista un attimo di più.

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Capitolo 7
*** Un piano perfetto ***


Stefano's POV: Quella mattina mi svegliai di buon’umore. Avevo una gran voglia di andare a scuola, non per le lezioni o gli amici, ma per rivedere lei. Mi colpì dal primo giorno che la vidi. Era così bella. I suoi capelli mori, sempre scompigliati erano una gioia per i miei occhi. Volevo toccarli, annusarli, sentirli tra le mie dita. E poi i suoi occhi, di un nocciola intenso. Il suo dolce e timido sorriso, le sue labbra carnose, la sua pelle chiara come la porcellana. Mi piaceva tutto di lei, la sua camminata, il modo in cui si portava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, i gesti che faceva quando parlava, la sua voce. Non mi ero mai avvicinato a lei, non mi ritenevo all'altezza. La guardavo sempre da lontano. La seguivo quando usciva con la sua amica bionda, certo carina anche lei, ma Elena era molto più bella. Adoravo vederla ridere, la sua risata era come musica che mi stordiva. Mi chiedevo sempre se un giorno sarei stato io a farla ridere. Alessio, il mio migliore amico, sembrava conoscerla molto bene, così cominciai a chiedergli informazioni. Il suo colore preferito era il blu, adorava le cose dolci ed era molto timida. La cosa che mi attirava di più era la sua semplicità e la sua purezza. Provai molte volte ad avvicinarmi a lei, ma per l’imbarazzo cominciavo a parlarle con freddezza, così lei cominciò ad odiarmi. Stavo male, io l’amavo, non volevo farmi odiare. Volevo solo conoscerla di più, ma ogni volta che ci provavo peggioravo la situazione. Ero depresso, così chiesi aiuto ad Alessio. Organizzammo una serata al cinema. Pianificammo tutto: i posti “accidentalmente” vicini, la separazione delle coppie, tutto. Quella sera ero molto nervoso, mi sudavano le mani al solo pensiero. Cosa avrei dovuto fare? Cosa avrei dovuto dirle? Le domande cominciarono a inondare la mia mente. Ero preso dal panico. Feci un respiro profondo ed entrai nel cinema. Le ragazze non erano ancora arrivate e io ne approfittai per chiedere qualche consiglio ad Alessio. “Sii te stesso, comportati bene e vedrai che la conquisterai” mi disse. Mi sentivo meglio, ma la paura tornò quando la vidi entrare. Cazzo era uno splendore! Quel vestitino a fiori le stava benissimo, risaltava le sue forme. Era lungo appena sotto il ginocchio e poi le sue gambe, bianche e lunghe. Non era molto truccata, aveva solo un po’ di rossetto rosa sulle sue bellissime labbra e un filo di mascara. Mi accorsi che la stavo fissando troppo e che già stavo cominciando ad arrossire così mi misi ad osservare il tabellone degli orari. Alessio chiese alle ragazze che film volessero guardare, ma io le interruppi e scelsi il primo film d’azione che vidi. Tutto andava secondo i  piani. Alessio e Alice andarono avanti, lasciando me e Elena indietro. Finalmente anche noi arrivammo alla sala e ci accomodammo sui due posti rimanenti. La prima parte filò liscia. Iniziò il film, la osservavo facendo attenzione che non se ne accorgesse. Il suo profilo era qualcosa di spettacolare. Il cuore cominciò a battermi forte quando la sua gamba urtò la mia, ma lei non fece molto a caso a quel contatto. La cosa mi demoralizzò. Divenni teso e ogni volta che la sua mano si avvicinava alla busta di pop corn l’allontanavo da lei nella speranza che mi rivolgesse la parola. Ma niente, cominciai a cercare lo sguardo di Alessio, che non trovai mai perché era troppo occupato a fare gli occhi dolci alla sua amica. Non sapevo cosa fare, e il peggio doveva ancora venire. Poco dopo mi accorsi che Elena si era addormentata. Cavolo si stava annoiando, questo non andava bene. Non avevo mai visto una ragazza dormire. Sembrava un angelo. Rimasi ad osservarla per il resto del film. Tutto sembrò fermarsi intorno a noi. La proiezione terminò, così Alessio ed Alice si diressero verso l’uscita lasciandomi intenzionalmente da solo con lei. Dormiva ancora, non la volli svegliare subito. Attesi che tutti gli spettatori se ne fossero andati per avvicinarmi a lei e posare le mie labbra sulle sue. Le nostre bocche sembravano incastrarsi alla perfezione, come pezzi dello stesso puzzle. Quel momento sembrò infinito. Staccai le mie labbra dalle sue di malavoglia. Avrei voluto rimanere così per sempre. “Ehi tu svegliati” la chiamai. “Svegliati, altrimenti ti lascio qui!” perché le parlavo in quel modo? Non lo sapevo, forse era solo un modo per nascondere il mio imbarazzo. Si svegliò. “Cosa vuoi?” mi disse “Spostati non vedo il film” era la prima volta che mi rivolgeva la parola. Cominciammo a parlare. Le rispondevo in modo sgarbato e lei faceva altrettanto. Era così carina anche da arrabbiata. Non aveva né mangiato né bevuto, quindi decisi di portarla da qualche parte. L’afferrai per il polso e la tirai trascinandola fuori il cinema. Volevo portarla da qualche parte. Cominciò a farmi domande. La zittii, riuscivo a mala pena a parlare. Quel contatto fisico mi stava facendo uscire pazzo. Finalmente arrivammo ad un ristorante italiano, ci sedemmo e le dissi di prendere qualcosa. Scelse la pasta al pomodoro. Continuavo ad ammirarla mentre mangiava. Ero come rapito da tutto quello che faceva. “Perché mi guardi in quel modo?” mi chiese. Con quell'improvvisa domanda mi spiazzò. Cosa avrei dovuto risponderle? Non ne avevo idea così dissi “Niente” mi scappò una piccola risata nel vedere il suo viso pieno di imbarazzo, con le guance color porpora. Era così carina. Cominciò a ridere anche lei. Non potevo crederci, stava ridendo a causa mia, grazie a me. Ero al settimo cielo. Poi mi chiese “Perché hai cominciato a ridere?” Ovviamente non potevo rivelarle la verità, così mentii “Hai un po’ di sugo sulla guancia”. Era in imbarazzo, stava per prendere qualcosa dentro la borse, forse uno specchietto. Non potevo permettere che si guardasse allo specchio, avrebbe capito che mentivo. Allora afferrai un tovagliolino e le tolsi la macchia, che naturalmente non c’era mai stata. Sembrava essersi rilassata, e adesso parlavamo normalmente. Mi ero calmato anch'io finalmente. Finita la cena, pagai il conto e ci dirigemmo verso il luogo dove io e Alessio avevamo stabilito di incontrarci. Quella sera persi contro il mio migliore amico. Lui a fine serata aveva già una ragazza, mentre io ero ancora con un mucchio di speranze tra le mani. La serata terminò poco dopo. Tornai a casa, mi spogliai rimanendo solo in boxer e maglietta e mi distesi sul letto. La farò innamorare di me dissi e con questo pensiero mi lasciai cullare nel mondo dei sogni e delle fantasie.

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Capitolo 8
*** Tu non sai mentire ***


I giorni passarono e finalmente sentivo d’avere qualche possibilità con Elena. Andai a scuola impaziente di rivederla. Arrivava sempre cinque minuti prima il suono della campanella, così ogni mattina mi affacciavo dalla finestra della mia classe, che dava sul cortile e l’ingresso dell’edificio, per osservarla. La fissavo, mi piaceva farlo, era bellissima in ogni cosa che faceva. Ormai, tutta la scuola era al corrente della mia cotta, tranne l’interessata, ovviamente. Era un bene, perché volevo essere io a dichiararmi, un giorno. Non avevo il coraggio, volevo aspettare ancora. Varcò la soglia e la persi di vista. Andai verso la porta e sporsi la testa fuori di essa. Le nostre classi erano molto vicine e ogni giorno potevo vederla senza essere scoperto. Ero intento a fantasticare, quando qualcuno mi diede una pacca sulla spalla. “Quando ti deciderai a fare la tua mossa?” chiese Alessio. “Quando mi sentirò pronto” risposi deciso. “Amico è una bella ragazza, se non ti sbrighi a conquistarla qualcuno lo farà al posto tuo.” Questo era vero. Non potevo permetterlo. “Hai ragione” ammisi io. “Le dirai ciò che provi oggi stesso” disse Alessio sicuro. “Cosa? Sei impazzito? Non sono pronto” dissi leggermente spaventato. “Smettila di fare la femminuccia e comportati da uomo!” mi rimproverò. “ Ok, ok le confesserò i miei sentimenti” dissi leggermente insicuro. Ero una persona coraggiosa, ma quando si trattava d’amore mi trasformavo in un codardo. Feci un respiro profondo “Lo farò oggi” affermai più deciso. “Bravo questo è lo spirito giusto!” mi incoraggiò Ale. Suonò la campanella e mi sedetti al mio posto. Non prestai molta attenzione alle lezioni, ero troppo impegnato ad immaginare il momento e pianificare ogni singolo attimo. Doveva essere tutto perfetto. “Rossi!” urlò il prof. “Rossi!” continuò. Cosa voleva il prof? Ero occupato. “Cosa c’è?” chiesi alzando gli occhi al cielo. “E’ sempre distratto, non ascolta mai e risponde in modo ineducato. Vada fuori e ci resti fino alla fine della mia ora” sbraitò facendomi segno di andare fuori. Sbuffai e uscii dall’aula. Non avevo fatto niente di male, perché avrebbe dovuto buttarmi fuori? Ero zitto a farmi i fatti miei in fondo, così mi appoggiai al muro con le braccia incrociate al petto. Presi il cellulare e controllai l’orario. L’orologio sul display segnava le 11:05. In quell’ora Elena avrebbe dovuto avere Educazione fisica. Conoscevo il suo orario a memoria, mentre il mio non riuscivo a ricordarlo. Mi piaceva sapere cosa stava facendo ogni singolo secondo. La immaginavo circondata da amici mentre rideva e scherzava. Forse ero pazzo. Si, pazzo di lei. Volevo vederla, così mi diressi verso la palestra. Appena arrivai, la notai subito. Era seduta su una di quelle panchine di legno ai lati della palestra. Era pallida, più del solito. Ero preoccupato. Rimasi fermo a scrutarla da fuori la palestra da una delle finestre. La nostra scuola non possedeva un campo all’aperto, così ogni sport doveva svolgersi all’interno di questo edificio. Le gare maschili erano ormai finite, ed era arrivato il turno delle ragazze. Iniziarono con la staffetta. Lei era l’ultima. La osservavo mentre si preparava ad afferrare il testimone, quando ad un tratto la vidi accasciarsi al suolo. Mi agitai ed entrai di corsa. Il mio respiro si fece pesante e la calma stava piano piano scomparendo per lasciare spazio alla paura. La professoressa si era già affrettata a scrutare la situazione. Non si muoveva. Ero davvero terrorizzato. “Chiamate l’infermiera” urlò la professoressa rivolgendosi ad una ragazza dietro di lei. “L’infermeria è dall’altra parte della scuola. Ci metterà un’eternità ad arrivare qui. Ce la porto io” dissi con voce ferma e sicura. Dovevo comportarmi da uomo ed essere calmo per poterla aiutare. “No, aspetteremo la signora Anna” ribatté lei. Non potevo vederla distesa lì immobile. Mi feci guidare dall’istinto e la sollevai da terra. Le mie mani sorreggevano la sua schiena e le sue gambe. Mi batteva forte il cuore a sentirla così vicina, ma non era il momento per quelle cose. “Ehi, cosa fai!” mi urlò contro l’insegnante. “La porto in infermeria” dissi ed uscii dalla palestra. Corsi e finalmente raggiunsi il luogo stabilito. La distesi sul letto e chiamai l’infermiera. Spiegai l’accaduto alla signora Anna, che mi rassicurò subito “Non preoccuparti ragazzo. La tua ragazza ha solo avuto un mancamento a causa del caldo. Starà bene molto presto.” “Oh no, lei non è la mia ragazza. Mi piacerebbe, ma… no niente” dissi io arrossendo “non le dica niente per favore” aggiunsi poi. “Non preoccuparti giovanotto” disse facendomi l’occhiolino. La ringraziai e sparii tra i corridoi della scuola. Non potevo credere di averla tenuta tra le mie braccia, di aver sentito il suo respiro sulla mia pelle. Girai l’angolo e mi ritrovai Alice intenta a fissarmi. “Cosa c’è?” chiesi imbarazzato. “Perché oggi eri in palestra?” mi chiese. “Ero lì per caso” minimizzai. “Non ci credo. Non sei bravo a mentire tu. È ovvio che eri lì per Elena” disse lei sorridendomi maliziosamente. Non ribattei, avrei solo peggiorato la mia situazione. Continuò a fissarmi, come volesse leggere la mia mente scrutando i miei occhi. Poi si allontanò e sparì a sua volta tra i corridoi. Sospirai rumorosamente. Era davvero così evidente? Tirai fuori il cellulare dalla tasca dei miei jeans. Cazzo! Le 12:30. Dovevo tornare in classe!

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Capitolo 9
*** Rachele ***


Erano passati un paio di giorni da quell'incidente ed ero sempre più convinto di essere innamorato di lei. Da quella  volta sentivo che finalmente mi stavo avvicinando ad Elena. Le parlavo più spesso, non ero più terrorizzato e alla fine mi sentivo pronto per confessarmi a lei. La scuola stava per terminare e non volevo assolutamente lasciare in sospeso questa situazione. Passai maggior parte della mattinata a pensare alle parole giuste da dirle. Suonò la campanella e mi diressi insieme a Daniel ai distributori automatici. Avevo conosciuto Daniel all'inizio della terza media. È sempre stato un ragazzo aperto, estroverso e divertente. Mi trovai subito bene con lui e stringemmo presto amicizia.  Percorremmo il corridoio e arrivammo al luogo desiderato. Lei era lì, in fila ad aspettare il suo turno. Era circondata dalle sue amiche.  Rideva, sembrava essere felice e ne ero contento.  "Stefano?" Mi chiamò "Stefano?" Si irritò. "Cosa vuoi? ” chiesi io. "Non mi stavi ascoltando" sbuffò lui. "Ti eri imbambolato di nuovo.  Vuoi smetterla di fissarla? Sei inquietante" continuò.  "Non è vero" protestai. "Guarda come faccio arrabbiare la tua principessa" disse lui sollevando leggermente un lato della bocca. "Tu cosa?" Chiesi confuso.  Non ricevetti una risposta.  Era un tipo impulsivo, in certi momenti lo odiavo per questo suo agire fregandosi delle conseguenze.  Si diresse verso Elena e inserì una moneta nel distributore passandole davanti scatenando la sua reazione. Rimasi a guardare divertito la scena, poi decisi di andare in soccorso alla mia principessa. “Dai Daniel, smettila di fare il cretino” Elena arrossì alla mia vista, mi faceva molto piacere, a stento riuscii a trattenere un sorriso. “Dai, chiedile scusa” dissi con tono autorevole. “Ma…” replicò Daniel. Lo guardai male. “D’accordo amico. Scusami piccola” disse lui sbuffando. Lo guardò storto. “Ok, ok. Scusa Elena” disse alzando gli occhi al cielo. La vidi ancora arrabbiata così, sorridendo, le dissi “Scusalo ancora Ely. Ci vediamo a mensa”. Feci per voltarmi, ma la vidi portarsi una ciocca dietro l’orecchio e dire “Oh, non fa niente”. Adoravo quando lo faceva, mi faceva impazzire. Notai i suoi orecchini verdi, si intonavano benissimo ai suoi occhi. Mi voltai e cominciai a camminare. Sentivo i suoi occhi su di me. Stava aspettando un ultimo sguardo? Dovevo dirle qualcosa? Non sapevo cosa fare, così mi lasciai trasportare dai miei sentimenti. Mi girai verso di lei e urlai “Ely”. Lei mi rispose subito “Si?”. “Ti donano quegli orecchini”. Mi voltai subito dopo, ma riuscii a vederla arrossire. A quella vista ebbi un sussulto al cuore. Era così carina quando diventava rossa. Forse ero stato troppo sdolcinato, ma non mi importava. Sapevo di averla colpita. Raggiunsi Daniel che mi aveva preceduto. “Ehi amico, hai fatto colpo” disse dandomi delle pacche sulle spalle. “Eh già, tra poco sarà mia” dissi orgoglioso. Passai le due ore seguenti ad immaginarla al mio fianco, a passeggiare mano nella mano, a scambiarci messaggini fino a tarda sera. Sarebbe stato tutto perfetto. Finalmente arrivò l’ora di pranzo. Mi diressi in sala mensa. Rimasi davanti la porta ad aspettarla. Volevo dichiararmi al più presto, non resistevo più. La vidi arrivare con le sue amiche. Per l’imbarazzo mi nascosi dietro un amico con cui stavo scambiando qualche parola. Cosa stavo facendo? Ero diventato tutto d’un tratto timido? Feci un respiro profondo. Non è il momento di fare il codardo pensai tra me e me. La osservavo, stava parlando con le sue amiche di qualcosa di veramente importante, lo capivo dalla sua espressione, ma non riuscivo a sentire bene. Ero troppo lontano. Ad un tratto la vidi alzarsi e dirigersi verso di me. Oh cazzo! Stava venendo qui. Non ero ancora pronto. Avevo bisogno di altri cinque minuti. Era sempre più vicina. I nostri sguardi continuavano ad incontrarsi. Ero agitato. Ad un tratto qualcuno da dietro mi abbracciò. “Sono tornata!” esclamò una ragazza. Mi voltai e vidi Rachele. “Non ci posso credere sei tornata!” dissi. Ero sorpreso. Era cresciuta moltissimo dall'ultima volta che l’avevo vista. Era molto più alta, più bella e i suoi capelli erano più lunghi. Era diventata proprio una bella ragazza. L’abbracciai e la tartassai di domande. Mi era mancata davvero tanto. Mi ricordai di colpo di Elena, mi voltai, ma era sparita. Dove era andata? Mi congedai da Rachele e corsi fuori a cercarla. Mi guardai intorno, ma niente. Non c’era. Ero preoccupato. Avevo il terrore che le fosse successo qualcosa. 

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Capitolo 10
*** Bugie ***


Dopo quella volta non ho più visto Elena.  Era assente a scuola, cosa molto strana per una ragazza come lei, non rispondeva ai miei continui messaggi, telefonavo a casa sua, ma puntualmente la chiamata veniva rifiutata.  "Oh, mi dispiace Stefano. Al momento Elena non è in casa" mi rispondeva sua madre. Sapevo che era una scusa per non parlare.  Avevo un brutto sentimento. Sentivo che dovunque fosse, lei stava soffrendo.  Non riuscivo a spiegarmi questa sensazione, la sentivo e basta. Un pomeriggio andai persino sotto casa sua. Pioveva, ma decisi comunque di andare. Sapevo qual era la sua finestra, era l'unica con un balconcino pieno di fiori. Era facile da scovare persino al buio. Così appena arrivai alla sua abitazione mi diressi verso la sua finestra. Non era molto alta, quindi riuscivo a vedere la sua camera attraverso i vetri delle imposte.  Ebbi un sussulto al cuore quando la vidi piangere con in mano il suo iPod. Nei suoi occhi riuscivo a leggere la tristezza e il dolore che la divoravano. Era una scena straziante.  Mi nascosi, non volevo farmi vedere.  In qualche modo sentivo che era tutta colpa mia. Vederla piangere in quel modo era una pugnalata al cuore. Poi, mentre ero occupato a colpevolizzarmi, la vidi asciugarsi le guance con il palmo della mano e voltarsi verso l'interno della sua camera. Non resistetti più e corsi alla porta anteriore.  Avevo bisogno di capire cosa le stava succedendo. Bussai violentemente più volte. Nessuno sembrava volermi aprire.  Bussai ancora più forte e finalmente sua madre, visibilmente abbattuta, mi aprì la porta. "Stefano" disse sorpresa "Cosa ci fai qui?" continuò poi. "Sono qui per vedere Elena" dissi deciso. "Mi dispiace, ma Elena non è in casa."  Sapevo che era una bugia, ma feci finta di niente. "Oh, allora può dirle che sono passato quando torna?" Chiesi.  "Certo" mi rispose cacciando un piccolo sorriso, che di allegro e felice aveva ben poco. Ero sicuro che non le avrebbe detto niente, ma decisi ugualmente di tentare.  Le giornate passarono abbastanza lentamente senza di lei.  Percepivo che stavo per cadere in depressione.  Mi mancava il suo sorriso, la sua risata, i suoi occhi. Mi mancava tutto di lei. "Stef ti vedo distratto oggi" si preoccupò Alessio. "Sto bene.  Ho solo un sacco di pensieri per la testa " dissi con la testa tra le mani. "È per Elena vero?" Chiese. "Già.  Non riesco a togliermela dalla testa. Continuo a rivedere nella mia testa il suo viso bagnato dalle lacrime, la sua smorfia di dolore..."mi fermai. Un nodo alla gola mi impediva di parlare. "Amico, ho parlato con Alice. Sembra che Elena si sia ripresa" mi rassicurò. Alzai la testa di scatto e rivolsi il mio sguardo nel suo. "Davvero? " chiesi sorpreso.  "Sembra di si. Mi ha anche detto che presto tornerà a scuola." In qualche modo mi sentivo sollevato,  leggero, come se quel grosso fardello che mi opprimeva il petto fosse scomparso. Rimaneva, però, da scoprire il motivo per il quale Elena stava male. Passarono un paio di giorni e finalmente la rividi attraversare l'ingresso dopo tanto tempo.  La vedevo diversa, più bella che mai. Alla sua vista mi mancò l'aria.  Non mi ero ancora abituato alla sua bellezza. Sorrideva, scherzava, tutto sembrava essere tornato come prima. Però, volevo comunque avere delle risposte, che in questi giorni mi hanno tormentato senza sosta. Decisi di agire all'ora di pranzo. Aspettai, come al solito, il suo arrivo in sala mensa.  Finalmente venne.  I miei occhi andavano a cercare continuamente i suoi. Mi passò davanti, quasi ignorandomi. La cosa mi demoralizzò, ma non cambiai idea sul da farsi. Stava parlando con le sue amiche, quando decisi di andare da lei. Le poggiai una mano sulla sua spalla. "Giulia smettila di toccarmi. Su, siediti" disse lei. "Ma io non sono Giulia" le risposi.  Ebbe un sussulto. Dalla sorpresa le cadde la forchetta. Rimase in silenzio, Alice la chiamò, poi rispose "Cosa vuoi?." Mi presi di coraggio e le chiesi "Posso parlarti un attimo?" Fece una piccola pausa poi accettò e le dissi "Vieni".  Mi girai e cominciai a camminare verso l'uscita.  Sentivo il suo respiro sulla mia schiena.  I suoi passi sincronizzati ai miei. Ero teso, ma deciso a chiederle spiegazioni.  Facemmo il giro dell'edificio. Volevo parlarle in un posto tranquillo. Mi fermai davanti l'ultimo bidone della spazzatura. Nessuno arrivava fino a lì solo per buttare i rifiuti.  Era perfetto.  Appoggiò le spalle al muro e mi disse "Di cosa volevi parlarmi?." "Perché ti sei assentata così tanto tempo da scuola?" Le chiesi preoccupato. I miei occhi continuavano a cercare i suoi. Evitava intenzionalmente il mio sguardo. Continuava a fissare il terreno. Mi cominciai ad irritare. "Stavo male" rispose. Era infastidita, sbuffava continuamente. Perché avrebbe dovuto dirmi una bugia? “Elena mi stai mentendo. Sei una ragazza seria e so per certo che non ti assenteresti da scuola, specialmente adesso in vista degli esami, neanche se ci fosse in corso un’invasione aliena” le dissi sorridendole.  "Beh, questo non lo nego, ma comunque non sono affari tuoi" disse voltandosi. Non potevo lasciarla scappare. Doveva dirmi la verità!  Le presi un polso e la tirai verso di me. Il mio sguardo era serio. Continuavamo a fissarci. Era spaventata, ma non potevo fermarmi. La immobilizzai. Le mie mani cingevano i suoi fragili polsi. Era bloccata al muro. Non poteva muoversi. "Lasciami! Che fai?" Urlò spaventata. Ero arrabbiato, continuava a fare domande e ad urlare. "Io ti od..."iniziò lei. Non ne potevo più di sentirla blaterare, così la baciai. Silenzio, finalmente.  Continuava a divincolarsi, ma la mia presa non cedeva. Staccai le mie labbra dalle sue. "Quando tu baci qualcuno così facilmente … ci sono ragazze che vengono ferite, non pensare che tutti siano felici. Io non sono per nulla contenta di un bacio senza sentimenti! Ti odio! " mi urlò contro. Non pensavo reagisse in questo modo. Cominciò a piangere e dopo avermi rivolto un ultimo sguardo carico di astio si voltò e scappò via. Cosa avevo fatto? L'avevo ferita. Ero un mostro. Mi odierà per sempre. Mi sedetti per terra, con la testa tra le mani.  Poi qualcuno mi chiamò "Stefano?" Alzai la testa e vidi il viso di Rachele che mi guardava con occhi preoccupati. “Cos’è successo?” mi chiese poi. A quella domanda una morsa mi strinse il cuore. “Ho fatto un casino.”

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Capitolo 11
*** Per sempre ***


Elena's POV: Non potevo crederci!  Cosa stava succedendo? Non ci capivo più niente. Prima l'odiavo, poi l’amavo e adesso non lo sapevo più cosa provavo per lui.  Non lo vedevo da quella volta che parlammo dietro la mensa. Mi aveva baciata!  Le sue labbra erano così morbide ed invitanti, ma quel bacio non aveva nessun significato. Era ovvio, lui aveva Rachele. Il bacio mi piacque, forse se non ci fosse stata quella ragazza non l'avrei respinto, ma le cose non vanno sempre come vorresti.  Il destino, la sorte, sono solo delle cazzate. Nella vita o si è fortunati o meno. Beh, io ero estremamente sfortunata.  Ricevevo schiaffi in faccia continuamente.  Ormai non facevano più male. Continuai ad andare a scuola.  Lo ignoravo.  Ero arrabbiata, ma non con lui. Stefano, in fondo, era pur sempre un ragazzo, agiva d'istinto.  Ero arrabbiata con me stessa per aver creduto che un giorno avrei avuto il mio lieto fine con lui, ma nella vita reale non esiste. O perlopiù esiste, ma è molto difficile da trovare. Le giornate passavano lentamente.  Era molto noiosa come vita. Quando andrò al liceo rivoluzionerò la mia vita mi ripetevo sempre. Dovevo sopportare quest'ultimo mese d'inferno.  Sarebbe finita presto. Stefano continuava a cercare di parlarmi.  Forse per chiedermi perdono, ma non ero in collera con lui. Io continuavo ad amarlo comunque, purtroppo.  Quella ragazza frequentava un'altra scuola, ma quando poteva veniva a trovare Stefano. Un giorno li vidi scherzare e ridere insieme. Quello mi fece male, ma continuai ad ignorarli. Perché è così che doveva essere. Una sera, però, tutto cambiò. Ero seduta sul mio balconcino.  Faceva molto caldo, così uscii fuori a prendere un po' d'aria fresca.  Adoravo la brezza di prima estate. Alex, il mio border collie, continuava a strusciarsi tra le mie gambe. Era passato molto tempo dall'ultima volta che avevo passato del tempo con lui. Lo amavo davvero tanto.  Era l'unica cosa che mi rendeva felice in quel mondo di merda.  Non mi avrebbe mai tradita. Lo accarezzavo affettuosamente mentre lui mi rivolgeva il suo sguardo pieno d'amore e felicità.  Un mese prima era stato investito da un'auto. Rimase ferito in modo grave alla zampa posteriore destra.  Avevo il terrore che non potesse più camminare. Ma, dopo un paio di settimane, sembrava essersi ripreso magnificamente.  Smisi di accarezzarlo quando mi sentii chiamare. "Elena." Mi girai di scatto verso l’interno della mia camera, ma nessuno aveva bussato. “Affacciati!” mi sentii urlare di nuovo. Mi voltai verso la luna e cominciai a cercare. Rimasi a bocca aperta, era Stefano che mi chiamava. Mi scappò una piccola risata. “Che ci fai qui?” gli chiesi. “Devo dirti una cosa” mi rispose lui. “D’accordo, dimmi” replicai. “Potresti scendere. Ho mal di gola, non vorrei urlare.” “Ok.” Scesi le scale. “Elena dove stai andando?” mi chiese mia madre un secondo prima che chiudessi la porta. “Un mio amico è qui fuori. Doveva parlarmi” dissi io. “Ok, non fare tardi” mi congedò. Chiusi la porta alle mie spalle e mi diressi verso il mio balconcino. Era seduto sul muretto dove mia madre appoggiava i suoi vasi. Era così bello. Indossava una maglietta con il logo di una rock band, che io non conoscevo, e un paio di jeans. Non era vestito in modo particolare, ma quegli abiti gli stavano benissimo. Feci un respiro profondo. Mi avvicinai a lui. “Allora” iniziai per farlo parlare. “Bene, è arrivato il momento di dirti tutto. Elena io mi sono innamorato di te. Mi piaci” confessò. Ero davvero sorpresa. Nessuno si era dichiarato a me in quel modo così esplicito.  Avrei accettato, ma sapevo che si stava prendendo gioco di me. “Non prendermi in giro” gli dissi io. “Io non sto mentendo. Mi piaci” ribatté. “Smettila per favore. Non dire così.” Un nodo aveva già raggiunto la mia gola. “Ma è la verità!” urlò afferrandomi per un polso. Mi divincolai. “Perché non te ne torni dalla tua bella fidanzatina!?” gli dissi con gli occhi lucidi. “Aspetta, che cosa?” Allentò la presa. Mi voltai, le lacrime cominciarono a rigare le mie guance. “Oh, ecco perché” disse sorridendo. “ Basta io me ne vado” gli dissi. “No aspetta!” mi tirò a sé. Poggiò le sue grandi mani sulle mie guance e si avvicinò. Mi baciò, ma fu un bacio dolce e tenero, diverso dal primo. Ancora una volta non riuscivo a capire cosa gli passasse per la testa. Le nostre labbra si divisero. “Elena, sei così stupida” mi disse dandomi un piccolo pugno sulla testa. “Ehi, cosa intendi?” Le sue braccia cingevano la mia vita. Mi sentivo al sicuro e protetta. “Ti riferivi a Rachele, vero?” mi chiese lui divertito. “Si, perché?” continuavo a non capire. “Lei è mia cugina. Passavo ogni estate a casa sua, in Svizzera” cominciò a dirmi. Finalmente delle risposte! Era ora! “Quindi non è la tua ragazza?” chiesi ancora un po’ confusa. “No, assolutamente. Io sono già innamorato” disse  guardandomi intensamente negli occhi. “Chi sarebbe la fortunata?” chiesi cacciando un sorriso malizioso. Il cuore mi batteva forte, le gambe mi tremavano, ero nervosa, ma allo stesso tempo felice. “Sei tu! Quante volte devo dirtelo. Mi piaci! Mi piaci! Mi piaci!” disse baciandomi ripetutamente le guance. Sentivo bruciare le parti del mio corpo dove mi toccava. Mi faceva sentire bene. Quanto ero stata stupida in quei giorni. Non riuscivo proprio a capire. “Anch’io ti ho sempre amato.” Gli gettai le braccia al collo e lo baciai. In quel momento mi sentii completa e appagata. Appoggiai la testa sul suo petto. Sentivo il suo cuore battere alla stessa velocità del mio. Non ero la sola ad essere così emozionata. Rimanemmo fermi in quella posizione per una decina di minuti ad osservare le stelle sopra di noi. Mi accarezzava i capelli con delicatezza, mentre io gli disegnavo arabeschi sul petto con il dito indice. Una stella cadente passò davanti ai nostri occhi. Ci scambiammo uno sguardo e ci baciammo ancora, sicuri d’aver espresso lo stesso desiderio. “Desidero rimanere così per sempre”.

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Capitolo 12
*** Una sorpresa mai arrivata ***


Era passata una settimana da quando io e Stefano ci eravamo dichiarati il nostro amore.  
Tutto sembrava essere diventato migliore.  Ogni cosa sembrava aver acquistato colori e profumi sconosciuti. Era davvero fantastico.  La notte non dormivo. Rimanevamo a messaggiare fino a notte fonda, parlando di tutto. Alternando discorsi profondi sul senso della vita e dell'amore-per rimanere in tema- a quelli senza senso. Ad ogni suo messaggio il mio cuore faceva una capriola. Ero davvero molto contenta di aver trovato un ragazzo realmente innamorato di me. A scuola era un continuo scambiarsi di sguardi e sorrisetti pieni di imbarazzo.  Era davvero dolce quando mi parlava. Mi abbracciava la mattina quando arrivavo a scuola, nell'intervallo si trasformava in parrucchiere provetto e si divertiva ad acconciarmi i capelli. Mi rilassavo in quei momenti. Dopo aver finito si stendeva e appoggiava la testa sulle mie cosce. -Sei davvero morbida e profumata- mi disse mentre dal basso mi fissava. Riuscivo a specchiarmi nei suoi occhi castani. -Oh, grazie- gli risposi.  Dopodiché si addormentava. Sembrava così innocente e carino mentre dormiva. Accarezzavo i suoi morbidi capelli. Erano lisci come la seta e spessi. Ne aveva molti e mi piaceva intrecciarmici le dita. Mentre ancora dormiva, lo baciai teneramente.  Un bacio breve e leggero.  Puro. Mi allontanai da lui. Aprì gli occhi e si avvicinò al mio viso, baciandomi a sua volta.  Questa volta fu un bacio lungo e profondo.  Mi facevano uscire di testa i suoi baci. "Ti amo" mi ripeteva sempre. "Anch'io" gli sorridevo. Lo amavo davvero tanto. "Ti va d'uscire stasera? " mi chiese. "Certo. Chiedo ad Ale ed Aly se vengono anche loro?" gli domandai.  "No, intendevo solo noi due" mi disse arrossendo leggermente.  "Oh, certo.  Mi passi a prendere alle 7?" "Si." La conversazione finì lì.  La campanella di fine ricreazione aveva annunciato l'inizio delle lezioni. Che palle! Io non volevo muovermi da quella posizione.  Stavo così bene. Sbuffai e, rassegnata, mi alzai e dopo esserci scambiati un ultimo bacio tornai in classe. Il resto della giornata passò in fretta.  Non ero tesa al pensiero di dover uscire con lui, ma nel pomeriggio l'ansia e il nervosismo crebbero. Cosa mi metto? Come mi trucco? Gli piacerà questo profumo? Miliardi di domande balenarono nella mia mente. Avevo appena finito di lavarmi i capelli, quando sentii squillare il mio cellulare in camera mia.  Afferrai un asciugamano ed uscii dal bagno. Tamponavo l’asciugamano sui miei capelli quando presi il cellulare.  "Pronto?" "S-salve signorina lei conosce Stefano Rossi? " la voce dall'altro lato della cornetta era tremante e spaventata. Mi cominciai a preoccupare.  "Si. Chi è lei?" Chiesi confusa. "Stefano è stato investito da un'auto. Passavo di qui per caso e l'ho visto accasciato sul ciglio della strada con quello che sembra una bicicletta. Ho preso il suo cellulare e ho chiamato l'ultimo contatto" mi rispose un ragazzo. Oh mio Dio! Cosa era successo?  Ero ancora confusa, ma quelle parole bastarono per farmi cominciare a piangere.  "È vivo?  Sta bene?" Chiesi tra i singhiozzi.  "Respira, ma non si muove. Ho già chiamato un'ambulanza. Arriverà presto" mi rispose.  "Ok. In che zona è successo di preciso? " continuai a fargli domande. Ero tesa, preoccupata, scossa e spaventata. Dovevo andare da lui subito. "Siamo in via Vittorio Emanuele, proprio davanti al parco" mi disse. Non appena sentii l'indirizzo, mi infilai le scarpe e uscii di casa con solo un paio di pantaloncini, una canottiera e i capelli ancora zuppi. Non presi neanche il cellulare.  Cominciai a correre più veloce che potevo. Non era molto distante da casa mia, probabilmente stava venendo da me. Mentre correvo le domande ed i sensi di colpa cominciarono a corrodermi. Finalmente arrivai.  L'ambulanza era già lì. Lo avevano già messo su una di quelle barelle. "Scusatemi, permesso" dissi con il cuore in gola, mentre mi facevo largo tra la piccola folla di gente che si era radunata intorno al veicolo. Raggiunsi i paramedici. "Sono la sua ragazza fatemi salire" dissi cercando di rimanere più calma possibile.  " Mi dispiace, solo famigliari" mi risposero. Stavo per controbattere quando qualcuno mi fermò. "Non preoccuparti andrò io. Verrai a trovarlo in ospedale quando starà meglio" mi disse sua madre con voce fredda e occhi spenti. Era visibilmente scossa anche lei. Ascoltai il consiglio e rimasi immobile in disparte ad osservare la situazione cercando di capire quanto fosse grave l'incidente.  "Ha una gamba spezzata... l'omero è ...in due...trauma cranico...costole" non riuscivo a sentire. Erano solo un mucchio di frasi sconnesse e senza senso.  Le lacrime si fecero strada, cominciai a piangere silenziosamente.  Ero spaventata. Si sarebbe ripreso?  Avrei rivisto il suo sorriso un giorno?  Le domande mi assalirono. Le gambe mi tremavano, facevo fatica a rimanere in piedi.  Sentivo freddo. Avevo le mani congelate. Le lacrime offuscavano la mia vista. Qualcuno mi prese la mano e mi condusse ad un'auto nera parcheggiata poco lontano da lì.  Salii in auto, la quale mi riportò a casa. Aprii il portone, salii le scale e mi sedetti sul mio letto. Presi il cellulare e controllai  l'orario.  Segnava le 19:13. Il tempo sembrava essersi fermato. Quella manciata di minuti mi sembrarono un’eternità.  Poi notai una piccola icona sulla parte alta dello schermo. Un messaggio. Schiacciai l’icona.

Da Stefano <3: Ciao splendore! Sono quasi arrivato sotto casa tua. Ti ho preparato una sorpresa. Spero  ti piaccia.  Non vedo l'ora di vederti.  Ti amo!                                             Inviato alle 18:55
 

Lessi il messaggio centinaia e centinaia di volte, continuando a piangere, aspettando che il sonno piombasse su di me, cullandomi tra le sue braccia.

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Capitolo 13
*** In ospedale ***


Passarono un paio di giorni dell'incidente.  Ogni singolo giorno andavo all'ospedale a chiedere informazioni, ma puntualmente né rispondevano alle mie domande né me lo facevano vedere. Ogni giorno era sempre peggio di quello precedente.  Le giornate sembravano eterne ed estremamente noiose. In ogni momento della giornata pensavo a quella sera, al suo viso ricoperto di sangue, al suono delle sirene dell'ambulanza che echeggiava nella mia mente.  Sentivo un pesante fardello sullo stomaco ed sul cuore. Era colpa mia. Era tutta colpa mia. Se io non avessi accettato d'uscire quella sera o se avessi scelto un altro orario tutto quello non sarebbe successo.  Dovevo esserci io al suo posto.  Lui non si meritava tanta sofferenza.  Era ridotto male, era entrato in coma e probabilmente non si sarebbe risvegliato più. Io dovevo morire, non lui. Ogni singolo istante speravo che si risvegliasse da quel suo sonno. Lo desideravo davvero con tutto il cuore. La notte ero tormentata dagli incubi. Fantasmi, demoni e mostri facevano visita alla mia mente, facendola sentire ancora più in colpa e preoccupata di quanto non lo fosse già.  Tutto sembrava così spento e vuoto senza di lui. Mi mancavano i suoi abbracci, le sue carezze, i suoi baci, ma soprattutto mi mancava la sua felicità e voglia di vivere. In quel periodo avrei voluto aiutarlo in qualche modo, ma ero impotente ed era questa la cosa più frustrante. Una mattina di metà maggio decisi di andare a tutti i costi in ospedale. Mi volle accompagnare mia madre. Volevo vederlo subito. Arrivai alla reception e mi feci dire piano e stanza di Stefano.  Percorsi il corridoio precedendo mia madre. Stanza 374. Esitai per un secondo, ma poi bussai. Entrai poco dopo sentendo la voce della madre di Stefano che mi invitava ad entrare. "Salve Fabiola" "Salve Tiziana" si salutarono reciprocamente. "Ciao Elena" mi salutò poi Tiziana.  "Ciao...come sta?" Chiesi allarmata. "È in coma, ma i medici dicono che probabilmente si risveglierà presto." Annuii e rimasi immobile davanti al suo letto a fissarlo. Osservavo le macchine a cui era collegato. Mi faceva effetto vederlo in  quello stato, ma era pur sempre Stefano, il mio ragazzo. "Vuoi rimanere un po' da sola con lui?" Mi chiese sua madre rompendo quel silenzio.  Non parlai, mi limitai ad annuire. Tiziana fece cenno a mia madre di uscire. Quando si chiusero alle spalle la porta un singhiozzo uscì dalla mia bocca. Mi sedetti sulla sedia di plastica di fianco al letto.  Gli presi la mano e la strinsi forte. Era ancora calda come l'ultima volta che ci eravamo presi per mano. I miei occhi cominciarono ad inumidirsi. Con il dorso della mano asciugai una lacrima che mi aveva rigato il viso. "Ciao amore" dissi dolcemente tra i singhiozzi "ti sei fatto aspettare" sorrisi leggermente cercando di essere forte e di non piangere.  Ma era difficile.  Ero troppo debole, non ero abbastanza forte.  "Mi manchi tanto.  Quanto darei per rivedere il tuo bellissimo sorriso" continuai "quando ti risveglierai mi dirai qual era la sorpresa. Anche io ne ho una per te.” Per quell'occasione gli avevo comprato un bracciale in acciaio con incisi i nostri nomi. “ Magari potremmo andare in quella gelateria dove ti piace tanto il gusto al mango.  Sai… mi manca rimproverarti per ogni sciocchezza che combinavi solo per farmi sorridere.  Mi manca tutto di te. Ti prego… svegliati presto.  La mia vita senza di te è solo un ammasso di giorni grigi e spenti. Tu sei la mia luce, i colori che tingono il mio mondo.  Ho bisogno di te. Ti amo davvero tanto. Non abbandonarmi… ti prego..." avrei voluto dirgli molte altre cose, ma i singhiozzi e gli strepiti di dolore me lo impedivano.  Portai la sua mano sulla mia guancia.  Avevo bisogno di sentire il suo calore sulla mia pelle.  Stavo ancora piangendo quando sua madre rientrò. Camminò verso di me e rimase immobile a fissarmi.  Poi mi abbracciò accarezzando la mia schiena. "Fa così male" le dissi tra i singhiozzi.  "Lo so, lo so" cercava di confortarmi. "Credo sia ora di andare Elena" disse mia madre mentre prendeva la mia giacca sulla sedia. "Si" le dissi asciugandomi le lacrime con la manica della mia maglietta. Salutai Tiziana e uscii dalla stanza dando un ultimo sguardo a Stefano disteso e immobile. Il viaggio in auto fu piuttosto breve. Rimanemmo in silenzio. Non che ci fosse molto da dire. La musica, diffusa attraverso gli auricolari,  faceva da sottofondo ai miei pensieri. Guardavo il cielo terso dal finestrino dell’auto. Nel cielo vedevo riflessi tutti i momenti più belli e sereni passati con Stefano, risentivo le sue parole: Ti amo! Ehi splendore…mi piaci, ripensai al nostro primo bacio, alla sua dichiarazione, alla stella cadente, ai pomeriggi passati a parlare e passeggiare per il parco… tutto stava riaffiorando dalla mia mente. La tristezza non tardò ad arrivare. Spensi l’iPod. Per oggi basta tristezza mi dissi. Quella sera mi affacciai sul mio balconcino. Rimasi a fissare il cielo e le sue stelle per ore, poi una stella cadente squarciò per un attimo il buio della notte. Espressi un desiderio, diverso questa volta. Chiusi gli occhi e mi portai entrambe le mani al cuore. “Vorrei rivedere Stefano sorridere insieme a me.”

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Capitolo 14
*** Andrea ***


Ero stanca di piangere per trasmettere il mio stato d’animo. Avevo bisogno di una qualche valvola di sfogo. L’unica cosa che mi dava pace e serenità era la musica. Decisi di sfogare tutta la mia tristezza attraverso la melodia della chitarra che custodiva mio fratello. Aveva imparato a suonarla quando andava alle medie. Erano passati quattro anni da allora, e quella chitarra era rimasta in soffitta a prendere polvere. La riportò a casa mio fratello Andrea. Era davvero un ottimo insegnante. Era molto severo, ogni volta che sbagliavo a posizionare le dita sulla tastiera dello strumento mi bacchettava con un vecchio righello di legno, ma mi piaceva passare del tempo con il mio fratellone. Avevamo un buon rapporto, potevamo considerarci amici, forse. Le mie amiche mi invidiavano. Dicevano che avevo un fratello davvero figo. Non avevo mai guardato Andrea da quel punto di vista. Aveva i capelli biondi e lisci, gli occhi castani  ed era molto alto. Non era robusto, ma non era neanche magro, in generale aveva una corporatura media. Mi divertivo sempre con lui. Sapeva sempre come tirarmi su di morale. Mi confidavo spesso con lui. Sapeva darmi consigli, aiutarmi con gli studi, mi dava le sue preferenze sul mio abbigliamento quando uscivo con le mie amiche. Forse potevo definirlo il mio migliore amico. Quando eravamo bambini condividevamo la camera e, molto spesso, quando la notte non riuscivo a dormire, correvo sotto le sue coperte ad abbracciarlo. Dormivamo molto spesso insieme, a tal punto che diventò un’abitudine. Quando non riuscivo a dormire era il primo a cui pensavo. Ad ogni problema correvo da lui. Era il principe che mi salvava dalle brutte situazioni. Non passava giorno che non lo pensassi almeno una volta. In quel periodo era stato all'estero per studiare la lingua inglese. Era stato due mesi a Londra. Inutile dire quanto mi sia mancato. Io non ero innamorata di lui, gli volevo solo molto bene. Era tornato da poco e già aveva notato il mio cambiamento d’umore. “Ely cos'hai?” mi chiese preoccupato mentre si sedeva su di un lato del letto. Mi girai verso di lui. “Niente, ho solo troppi pensieri per la testa” risposi rimanendo vaga. “Ely ti conosco da quattordici anni e riconosco quando menti” disse lui guardandomi in modo serio. “Mamma mi ha raccontato tutto” continuò poi. Non poteva starsi un po’ zitta ogni tanto? Glielo avevo anche chiesto di non dirgli  niente. Non mi ascoltava mai. “D’accordo, mi hai scoperta” mi arresi. “Non devi mentirmi sorellina” disse facendomi il solletico alla vita. Lo soffrivo molto, era il mio punto debole. “Lo farai in futuro?” chiese con finto tono arrabbiato “No” risposi a fatica. Non riuscivo a smettere di ridere. “No cosa?” continuò lui. “No, non ti mentirò più” continuavo a ridere senza sosta. “Adesso smettila mi fa male la pancia” lo implorai. “Ok, ok” disse liberandomi da quella tortura. “Grazie” dissi dopo aver preso un attimo di respiro. Quegli attimi di felicità apparente svanirono all'istante. Il mio viso si scurì di nuovo e gli occhi tornarono ad essere cupi e spenti. “Ho un’idea” disse alzandosi in piedi. Lo guardai sbigottita. Cosa gli era preso così all'improvviso?   “Aspetta qui” mi disse mentre si chiudeva la porta alle spalle. Rimasi ad aspettarlo in camera. Sentivo dei rumori provenire dalla soffitta sopra la mia testa. Guardavo stupita il soffitto cercando di capire cosa stesse facendo lassù. “Eccola!” lo sentii esclamare. Che gli è preso? pensai. Un leggero sorriso apparve sul mio viso. Poco dopo lo vidi rientrare con la custodia della chitarra in mano. “Cosa vuoi fare con quella?” gli chiesi incuriosita. “Mi è venuta voglia di suonarla” rispose alzando le spalle. Si sedette sul letto ed estrasse la chitarra. Era scordata, così cominciò ad accordarla. Era passato molto tempo dall'ultima volta che avevo visto Andrea con la chitarra in mano. “Cosa vuoi che ti canti?” mi chiese mentre alzava gli occhi dallo strumento per guardarmi. “Cantami quella canzone che ci piaceva tanto ascoltare da piccoli” gli dissi con un piccolo sorriso sulle labbra. Cominciò a suonare l’introduzione, poi, finalmente iniziò a cantare:

“E un bel giorno ti accorgi che esisti, che sei parte del mondo anche tu…” Chiusi gli occhi e mi concentrai su quella melodia e sulla sua voce. Era davvero bravo. Adoravo quando cantava per me.

 “…Poi un raggio di sole ti abbraccia, i tuoi occhi si tingon di blu…”

Da piccoli guardavamo sempre quel film, conoscevamo ogni canzone a memoria. Era il nostro film preferito. Quella canzone mi faceva pensare a tutti i momenti passati insieme a lui. Ero molto gelosa di quei ricordi, volevo solo tenerli per me.

“…È una giostra che va questa vita che…gira insieme a noi e non si ferma mai… e ogni vita lo sa che rinascerà.  In un fiore che ancora vivrà.”

La canzone terminò ed Andrea ripose la chitarra nella sua custodia. La mia espressione tornò serena e pacata. Ascoltarla dopo tanto tempo fu bello. Mi avvicinai a lui e lo abbracciai. Lui ricambiò subito. Mi cinse la vita e mi baciò la fronte. “Ti voglio bene” gli sussurrai all'orecchio. “Ti prego, insegnami a suonarla.” Arrossì leggermente. Questo era il mio modo di vendicarmi. Rimanemmo abbracciati per un paio di minuti, poi nostra madre ruppe il silenzio che ci circondava. “Ragazzi è pronta la cena” urlò. “Arriviamo” rispondemmo in coro. La cosa ci fece ridere, non succedeva da molto tempo.  Ci ricomponemmo e andammo dai nostri genitori in cucina. Ci sedemmo ai nostri soliti posti. Era strano rivedere la sedia di Andrea occupata, dopo molto tempo che era rimasta vuota, e la cosa non mi dispiaceva. Il resto della serata passò tranquillamente. Il pensiero di Stefano non mi abbandonava, ma grazie alle persone che mi circondavano, il dolore sembrava essere diminuito. I nostri genitori, dopo la cena, andarono a dormire al piano di sopra, mentre io ed Andrea rimanemmo a guardare vecchi film in salotto. Ci sedemmo per terra, con la schiena appoggiata al divano e una ciotola di patatine al nostro fianco. Mi rannicchiai accanto a lui, poggiando la testa sulla sua spalla. Teneva sulle sue gambe la ciotola e ogni tanto mi facevo imboccare qualche patatina solo per distrarlo dal film. “Non ti sono mancato per niente vedo” disse sarcasticamente. “No, invece, mi è mancato tanto non avere il mio schiavetto personale in giro per casa” risposi a tono. Scoppiammo a ridere e continuammo a goderci lo spettacolo.  Quando terminò il film, rimettemmo in ordine il salotto e ci dirigemmo verso le scale cercando di fare meno rumore possibile. Percorremmo il corridoio e prima di dividerci ci augurammo la buona notte. Il nostro rapporto era alquanto strano. Di solito i fratelli si odiano a vicenda, passano la maggior parte della giornata a punzecchiarsi e darsi fastidio, cercano di stare più lontano possibile dall'altro. Beh, noi eravamo l’eccezione. Ero contenta di avere un fratello speciale come lui. 

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Capitolo 15
*** Risveglio ***


Andare a scuola e vedere Nicolas non era proprio nei miei piani, ma dovevo continuare ad andarci.  Gli esami erano imminenti e non potevo permettermi assenze. Ero molto sotto pressione. Avevo le tesine da preparare e la presentazione in lingua inglese da memorizzare.  Ero davvero molto impegnata, ma nonostante questo trovavo sempre il tempo di andare in ospedale a trovare Stefano. Decisi comunque di andare a scuola.  Volevo scusarmi adeguatamente con Nicolas.  Sapevo che sarebbe stato molto difficile sopportare il suo sguardo, ma non potevo assolutamente tirarmi indietro.  Aspettai l'intervallo per rivolgergli la parola. "Nicolas potrei parlarti un attimo?" Chiesi con un filo di voce.  "Ok" mi rispose freddo. Quell'atteggiamento mi ferì leggermente.  Ma, in fondo, era comprensibile.  Essere rifiutato in  quel modo non dev'essere stato bello. Non volevo fargli del male, non era mia intenzione, ma, avvolte, la vita è crudele. Forse, se non avessi incontrato Stefano mi sarei innamorata di lui. "Allora...cosa volevi chiedermi? " mi disse senza neanche rivolgermi uno sguardo.  "Volevo scusarmi" cominciai a dire, quasi bisbigliando. Fissavo il vuoto, non riuscivo a guardarlo negli occhi. "Non voglio le tue scuse" mi disse mentre se ne andava via. Lo afferrai per un braccio. "Aspetta!" Quasi gli urlai. "Lasciami stare. Mi hai già ferito una volta e con questo atteggiamento non fai altro che aggravare la situazione" mi disse adirato mentre sfuggiva alla mia presa.  "No, ascoltami" tentai ancora. "Non parlarmi più" mi disse con  tono freddo. Le sue parole mi ferirono.  Una lacrima scivolò sulla mia guancia.  L'asciugai con il dorso della mano, mi sentivo terribilmente triste e in colpa. Non avevo il diritto di piangere. Gli avevo spezzato il cuore, lui era l'unico che stava soffrendo in quel momento. Il resto della mattinata passò e tornai a casa a piedi.  Quel tragitto mi fu molto d'aiuto. Pensai molto. Camminare mi aiutava a riflettere.  Bussai alla porta, avevo dimenticato le chiavi a casa, come al solito.  Mi aprì Andrea che indossava un grembiule a fiori allacciato al collo e alla vita, i capelli tirati indietro con un mio cerchietto ed un mestolo sporco di sugo in mano.  "Ciao mamma" dissi sarcastica. Mi rivolse un ghigno malefico come a dire Te la farò pagare!  Mi scappò una piccola risata. Attraversai la soglia e andai in camera mia. Gettai lo zaino svogliatamente dietro la porta e mi tolsi i vestiti per indossare un fresco vestitino blu con delle margherite sulla gonna. Adoravo quel vestitino, era il mio preferito.  Mi raccolsi i capelli in una coda morbida e scesi di sotto.  Mio fratello stava cucinando. Non è che sapesse farlo bene, ma ogni tanto si divertiva ad imbrattare la cucina, con la conseguenza che avrei dovuto preparare qualcosa io. Mi avvicinai al piano di cottura e scrutai la pentola. L'odore era nauseabondo. Mi ricordava il fetore delle sue scarpe da ginnastica quando andava a giocare a calcio.  "Cosa dovrebbe essere?" Chiesi fissando quell'intruglio. "Pasta al pomodoro" rispose soddisfatto.  "Come mai è il sugo marrone?" Chiesi ancora più sconvolta. "L'ho cotto troppo, ma è buono. Assaggia" disse mentre mi avvicinava il mestolo alla bocca. "Fermo!" Lo schivai. "Butta quella cosa e apparecchia la tavola. Oggi cucino io" gli dissi rassegnata.  Mi infilai il grembiule e lavai le mani. Preparai gli spaghetti aglio, olio e peperoncino e del pollo grigliato per secondo. In cucina me la cavavo abbastanza bene. Finito di cucinare lo chiamai. “Andrea è pronto.” “Arrivo” mi rispose. Ci sedemmo e cominciammo a mangiare. “Come è andata la giornata?” mi chiese. La mia forchetta si fermò a mezz’aria. “Bene” gli risposi. “Non è vero, ti vedo strana in questo periodo” mi disse preoccupato. “Non è niente. Piuttosto, mi accompagneresti in ospedale?” gli chiesi cambiando discorso. “Vuoi vederlo?” mi chiese. I nostri sguardi si incontrarono. “Capisco. Quando vuoi” mi disse. Uno dei lati positivi nell’essere fratelli era che bastava uno sguardo per capirsi. Annuii e completai di mangiare.

***

 Erano le cinque del pomeriggio ed io ero già pronta ad andare. Presi lo zaino e la chitarra. Grazie ad Andrea ero riuscita ad imparare qualche accordo ed ero già in grado di suonare qualche canzone. Volevo suonargli qualcosa, sapevo che riusciva a sentirmi. La musica, nel bene o nel male, fa subito sentire meglio. Per quel motivo portai la chitarra con me. Dopo circa venti minuti arrivammo in ospedale e mi diressi verso la sua camera. Bussai alla sua porta, ma nessuno rispose, così entrai. La stanza era vuota, a parte Stefano, non c’era nessuno lì. Poi notai la borsa e la giacca di sua madre. Forse era uscita a prendere un caffè o a fumare una sigaretta. Mi sedetti al suo fianco e sfoderai la chitarra. “Sai, in queste settimane ho imparato a suonare la chitarra, non suono ancora molto bene, ma ci tenevo a farti sentire questa canzone” un nodo alla gola mi impediva di parlare, ma mi sforzai di continuare. Iniziai a suonare.

When you try your best but you don't succeed…when you get what you…want but not what you need. When you feel so tired but you can't sleep …Stuck in reverse…” Adoravo quella canzone, riusciva a darmi speranza. Cantarla dinanzi a lui non era facile. Una lacrima rotolò sulla mia guancia. “Lights will guide you home and ignite your bones …And I will try to fix you.” Io volevo essere quella luce che lo avrebbe salvato. Ci speravo davvero. Quella canzone si trasformò in un preghiera disperata. Volevo che si svegliasse. La canzone terminò e posai la chitarra. “Ti è piaciuta?” gli chiesi, anche se sapevo che non avrei mai ricevuto una risposta. “Ti amo talmente tanto. Ti prego non abbandonarmi” gli dissi trai i singhiozzi. Iniziai a piangere disperatamente. Appoggiai la testa sul suo letto e le mani tra i capelli. Temevo che non riuscisse a risvegliarsi più. Poi, una mano mi accarezzò dolcemente. Alzai la testa e rividi gli occhi di Stefano pieni d’amore. Fui sorpresa, felice e confusa allo stesso tempo. Mi rivolse un leggero sorriso. Lo abbracciai fortissimo baciandolo sulla fronte, sulle guance e sulle labbra. Poi mi allontanai per osservarlo meglio. Non volevo crederci! “Stefano! Mi sei mancato tantissimo. Ti amo, ti amo, ti amo…” cominciai a dirgli. “Ti amo anch’io Elena” mi disse baciandomi sulle labbra. Un colpo di vento aprì la finestra facendo volare fogli e oggetti leggeri. Un petalo di rosa volò fino a poggiarsi sulla mia mano stretta da quella di Stefano. Non so come quel petalo sia arrivato fino a lì. Forse magia, questo non lo sapevo. Ogni tanto mi piaceva credere in quelle cose. Presi quel petalo e lo misi in mezzo ad un libro di poesie dentro lo zaino. “Che fai?” mi chiese. “Volevo un ricordo di questa speciale giornata” gli risposi sorridendogli. Posai il libro dentro lo zaino e mi sedetti accanto a lui. “Canteresti di nuovo per me in futuro?” mi chiese. “Tu mi hai sentita?” chiesi sorpresa. “Certo” mi rispose. “Non dirmi che eri sveglio e non mi hai detto niente!” gli dissi alzando la voce. “Scusami” mi disse abbassando lo sguardo “Volevo vedere come avresti reagito."  “Io stavo letteralmente morendo per te e tu eri sveglio a goderti lo spettacolo?” gli chiesi fingendomi arrabbiata. “Si” rispose divertito. “Questa te la farò pagare” gli dissi guardandolo con aria di sfida. “Vedremo” ribatté. Scoppiammo a ridere. Mi mancava ridere senza pensieri. “Quando è successo?” gli chiesi curiosa. “Questa mattina. Non ricordo molto…” mi rispose vagamente. “Non fa niente…l’importante è che tu stia bene adesso” gli sorrisi. Mi baciò teneramente. In quel momento entrò sua madre. Evitai il suo sguardo, le mie guance si imporporarono all’istante. “Ciao Elena” mi salutò. “Salve signora Rossi” ricambiai. “Oh ti prego, chiamami Tiziana” mi disse rivolgendomi un leggero sorriso. Annuii e sorrisi anch’io. Non riuscivo a smettere di sorridere, ero troppo contenta. Rivederlo sorridere fu una gioia immensa. Il tempo volò e già era arrivata l’ora di tornare a casa. Mio fratello era rimasto al bar a lavorare su un compito. Lo raggiunsi e tornammo a casa. Gli raccontai tutto, ogni singolo particolare, a parte i baci e le frasi che ci eravamo detti, mio fratello era un tipo molto geloso e non ci tenevo a farlo irritare, anche se sapevo che non si sarebbe mai arrabbiato per una cosa del genere. Quella giorno, finalmente, tornai a sorridere.

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Capitolo 16
*** Dichiarazione ***


Quella mattina una voce assordante si fece strada nelle mie orecchie. “Ely svegliati altrimenti farai tardi a scuola.” Sbuffai e mi tolsi le lenzuola di dosso. “Ely? Sei sveglia?” continuava a chiamarmi Andrea.  “Si, sono già in piedi” risposi urlando a mia volta. Entrai in bagno e mi lavai viso e denti, mi vestii e scesi a fare colazione. “Ely sbrigati!” continuava ad urlarmi contro. Arrivai in cucina, Andrea stava facendo il caffè quando entrai e mi sedetti per fare colazione. “Ti odio” gli bisbigliai. “Oh, buon giorno anche a te” mi disse “Sempre di buon’umore” continuò sarcastico. Mi scappò una risata. Era di spalle, stava aspettando che il caffè fosse pronto. Aveva i capelli tutti arruffati, la canottiera sgualcita e dei pantaloncini infilati alla riversa. Era buffo. Alla mia risata si voltò e cominciò a guardarmi confuso. Piegò la testa da un lato e mi chiese “Cosa c’è da ridacchiare?” Mi misi a ridere ancora più forte, stavo per cadere dalla sedia. Andrea si fiondò verso di me e la stabilizzò. “Sei stupida per caso? Potevi farti male” mi rimproverò. Non riuscivo a smettere di ridere. “Ti sei visto allo specchio questa mattina?” Mio fratello era un tipo un po’ vanitoso, si guardava spesso allo specchio. Mi sorprese il fatto che quella mattina non lo avesse ancora fatto. Si precipitò in corridoio, dove era appeso un piccolo specchio sopra un mobile in legno. “Oh mio Dio!” lo sentii esclamare “Sembro un barbone” proseguì. Lo raggiunsi, volevo vedere la sua espressione. Era epica, da Premio Oscar. Continuavo a ridere e lui cominciò a guardarmi in malo modo. “Ok, la smetto” gli dissi. “Così va meglio!” esclamò mentre mi prendeva per le gambe e, sollevandomi, mi appoggiava sulla sua spalla destra. “Ehi, che fai? Mettimi giù” gli urlai con finto tono arrabbiato. “Non ci penso proprio” mi rispose divertito. Attraversammo il corridoio e spalancò la porta del bagno. “Andrea cosa vuoi fare?” gli gridai colpendolo, con tutta la forza che avevo, alla schiena. “Hai bisogno di rinfrescarti le idee” disse mentre mi metteva giù sul piatto della doccia ed azionava il manubrio bagnandomi dalla testa ai piedi con dell’acqua congelata. “Fermo! Che ti passa per la testa?” gli chiesi mentre mi divincolavo per uscire dalla doccia. “Basta smettila, sto gelando!” lo implorai. Spense l’acqua e mi gettò un asciugamano in faccia. “Sbrigati o farai tardi a scuola” mi disse divertito. “Smettila vichingo!” gli urlai. Si mise a ridere e lasciò la stanza. Mi asciugai in fretta e tornai in cucina, non avevo ancora fatto colazione. Quando arrivai Andrea si era già vestito di tutto punto e sistemato i capelli. Indossava una camicia bianca a maniche corte e un paio di jeans a vita bassa che lasciavano intravedere i suoi boxer- quanto lo odiavo, non ci tenevo a vedere il suo intimo con le stampe più strane del mondo-. Era in piedi in salotto a guardare la TV. Scrutai l’orologio e notai che erano le 7:50. I nostri genitori erano usciti presto quella mattina, quindi sarei dovuta andare a scuola a piedi. Non ce l’avrei mai fatta! “Per colpa tua oggi arriverò in ritardo” gli borbottai con la bocca occupata da una merendina. “Non preoccuparti. Oggi ti accompagno con la mia moto” disse mentre  spegneva la TV. Afferrai lo zaino e aprii la porta d’ingresso. Prese le chiavi e mi seguì. Con un click del telecomando il garage si aprì ed entrammo. Andrea salì sulla moto ed infilò il suo casco. “Su, sali” mi disse. Misi il casco e salii anch'io. Mi aggrappai a lui e partimmo. Il garage si chiuse appena dopo la nostra partenza. Adoravo le moto, soprattutto quella di mio fratello, era fantastica. Mi piaceva sentire il vento sul viso, era una sensazione che mi faceva sentire libera. Arrivammo davanti l’ingresso della scuola. Scesi e mi tolsi il casco. “Ciao” gli dissi  “Oggi aspettami. Ti verrò a prendere io.” “Ciao!” mi urlò prima di sfrecciare via. Tutte le ragazze mi fissavano. Alcune visibilmente invidiose, altre sorprese, altre non riuscivo a definire il modo in cui mi fissavano. Non feci molto caso a quegli sguardi e mi diressi verso l’entrata. Lì trovai le mie amiche sorridenti come sempre. Ci salutammo e ognuna andò nella propria classe. Entrai e mi sedetti nel mio posto, accanto a Nicolas. Lui era già lì, con la testa nascosta dal cappuccio della sua felpa. “Buon giorno” gli urlai, stava sicuramente dormendo. “Buon giorno” mi rispose un po’ assonnato. “Non hai dormito questa notte?” gli chiesi. “Non molto” mi rispose sbadigliando. “Potresti evitare di sbadigliare davanti a me?” gli dissi leggermente infastidita. “D’accordo, scusami” mi disse con un filo di sarcasmo nelle sue parole. “Tu come stai?” mi chiese. Il suo guardo si fece serio. “Sto bene” risposi con un filo di voce. Cacciò un leggero sorriso, poi si voltò e prese i suoi libri da dentro lo zaino. Le lezioni proseguirono senza intoppi, poi però, quando terminarono, qualcuno mi disse che dovevo raggiungere una persona dietro la scuola, davanti a quel famoso bidone della spazzatura. Ero molto curiosa di sapere chi fosse la persona misteriosa, così mi incamminai per incontrarla. Arrivata al luogo dell’appuntamento mi ritrovai davanti Rachele visibilmente furiosa. “Cosa c’è?” le chiesi. “Stefano è in ospedale e tu mi chiedi cosa c’è?” mi urlò furibonda. Dove voleva arrivare? “E’ tutta colpa tua se lui è ridotto in quella maniera! Dovresti esserci tu al suo posto. Tu non meriti il suo amore. Non te ne frega niente di lui. Non sei per niente distrutta o preoccupata. Mi da sui nervi il tuo comportamento!” mi sbraitò contro. I suoi occhi erano iniettati di sangue. Riuscivo a vedere la vena del suo collo pulsare. “Ti…sbagli” balbettai. “Non è affatto vero quello che stai dicendo” continuai a fatica. Sentivo che aveva ragione. Cosa stavo facendo? Era davvero tutta colpa mia. Cominciai a singhiozzare. “Ti ho vista stamattina con quel ragazzo in moto. Sei solo una stronza egoista non meriti di vivere!” continuò. Caddi per terra, mi sentii di colpo debole. “Ti prego smettila!” la scongiurai tra le lacrime, ma lei continuava ad accusarmi e ad urlarmi contro. “Smettila, non lo vedi come soffre?” una voce si fece strada nelle mie orecchie. Alzai il capo e vidi Nicolas rimproverare Rachele. “Nicolas” bisbigliai. “Lei è una brava ragazza, non ti permettere mai più di dirle cose del genere!” Ero sollevata, la tortura era finita. Mi prese per mano e mi rialzò da terra. Cominciò a correre e io dietro di lui. Rachele rimase a fissarci sbigottita. Corremmo fino a raggiungere l’ingresso anteriore della scuola. “Scusami se mi sono intromesso, ma non potevo vederti in quello stato” mi disse con il fiatone lasciando la mia mano. “Non preoccuparti, sei stato molto gentile.” Gli afferrai le mani. “Grazie!” gli dissi sorridendogli nel modo migliore che riuscissi a fare. Nicolas arrossì leggermente. Lasciò le mie mani e,  posò le sue sulle mie guance. “Elena, sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho vista. Mi sei sempre piaciuta. Ti prego dimenticati di Stefano, hai versato troppe lacrime per lui. Con me sarà tutto diverso, non ti farò mai soffrire” mi confessò. Rimasi impietrita a quella dichiarazione. Continuava a fissarmi con gli occhi pieni di speranza e determinazione. “Nicolas, io…” cominciai a dire. “Elena, sbrigati a salire. Ho un impegno urgente da sbrigare” mi urlò Andrea, interrompendomi. “Nicolas devo andare” gli dissi sfilando il mio viso dalle sue mani. Non lo guardai neanche in faccia. Ero sicura d’averlo ferito, non volevo vedere il suo sguardo. Corsi da mio fratello e salii sulla moto. Lo guardai per un attimo che bastò per leggergli la delusione e il dolore negli occhi. “Mi dispiace” riuscii a dirgli. Poi mio fratello partì, mentre la sua figura si faceva  sempre più piccola e lontana. 

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Capitolo 17
*** Un incantevole pomeriggio ***


Stefano, dopo un paio di settimane di riabilitazione, tornò finalmente a scuola. Era bello rivederlo sorridere e divertirsi con gli amici. Ti accorgi dell'importanza di quello che hai solo quando non ce l'hai più...frase verissima a mio parere. Mancava una settimana all'inizio degli esami. Ero un po' preoccupata perché ero rimasta indietro rispetto ai miei compagni. In quel periodo fui piena di pensieri, con tutto quello che era successo non mi ero molto concentrata nello studio.  Ero brava a scuola, quindi senza troppi problemi me la sarei cavata. Dovevo cavarmela. I miei genitori erano molto orgogliosi di me. Non volevo deluderli in nessun modo. Sono cresciuta sotto gli insegnamenti severi e rigidi di mio padre. Gli volevo molto bene e sapevo che contava molto su di me. Più che deludere la mia famiglia, non volevo deludere lui. Mio padre era di poche parole. Quando riuscivo in qualcosa non si congratulava con me. Ogni tanto, però, mi diceva quella frase che riusciva a darmi la voglia di continuare e di non arrendermi.  Sono orgoglioso di te.

In quel periodo studiavo molto più di quanto avessi fatto in tutto l'anno scolastico. Non mi ero mai  impegnata così tanto.  Un pomeriggio, mentre studiavo, il mio cellulare cominciò a squillare. "Pronto?" Risposi.  "Ciao Ely, sei libera adesso?" Mi chiese Stefano. "Veramente..." cominciai. "Ely?" Mi interruppe.  "Si?" "Scendi, sono sotto casa tua. Ho voglia di vederti" mi disse.  A quelle parole mi sciolsi. "O-ok"  balbettai. Chiusi la telefonata e mi precipitai in bagno a darmi una rinfrescata. Indossai una maglietta a maniche corte e una gonna di jeans. Presi il suo regalo, che tenevo dentro il secondo cassetto della scrivania. Volevo darglielo subito. Infilai le mie ballerine preferite, un filo di trucco ed uscii di casa. Vederlo fuori dalla scuola faceva un effetto diverso, più da stordimento e confusione. Arrossì alla sua vista e fu lo stesso per lui, credo. Notai un cestino che stringeva nella mano destra. "Cosa vuoi fare con quello?" Chiesi curiosa. "Seguimi e lo scoprirai" mi disse. La sua risposta mi incuriosì maggiormente. Gli presi la mano libera e la strinsi. Sentivo il calore attraverso la sua mano. In quell'istante mi sentivo un tutt'uno con lui. Era una bella sensazione vedere e sentire le sue dita intrecciate alle mie. Andammo al parco e ci sedemmo sotto un albero.  Si stava bene, faceva abbastanza caldo, ma l'ombra ammortizzava quell'afa. Mi appoggiai al tronco dell'albergo e mi misi ad osservarlo. Tirò fuori dal cestino una tovaglia e la distese sull'erba.  Poi uscì della frutta e della cioccolata.  Sapeva che adoravo le cose dolci, lo amavo anche per questo, sapeva sempre stupirmi. "Su, siediti vicino a me" mi disse picchiando la mano sul terreno. Mi accomodai accanto a lui. Il tronco ci faceva da schienale e quella leggera brezza, che ogni tanto si faceva sentire, rendeva tutto migliore. Mi appoggiai alla spalla di Stefano. "Ti amo" mi disse. "Smettila di dirmelo sempre, altrimenti non ci crederò più" gli dissi mentre disegnavo arabeschi sul suo addome.  "Scusami. Ma ti amo così tanto che voglio dirtelo sempre" mi disse facendo il broncio. "Smettila scemo!" Gli dissi sorridendo "Ti amo anch'io" continuai con un tono di voce più basso. Passammo un pomeriggio davvero incantevole.  Per un paio d'ore avevo dimenticato tutte le pressioni e le preoccupazioni accumulate in quelle ultime settimane. Stare con lui era la cosa più bella che mi fosse capitata. Poi i miei occhi andarono a fermarsi su di un tavolo di legno. Quella vista mi bastò per portarmi indietro nel tempo e farmi rivivere quel pomeriggio di primavera dove dissi ad Alice della mia cotta per Stefano.  Quante cose erano successe da allora. Ne avevo passate tante, ma nonostante questo, ripensare a quei momenti fece nascere sul mio viso un piccolo sorriso. Presi la mia borsa ed estrassi la busta che conteneva il suo regalo. Lo presi e glielo porsi. "Cos'è?" Chiese sorpreso. "Un regalo...non sei l'unico capace di sorprendere l'altro" gli dissi soddisfatta. Lo aprì frettolosamente. Un'espressione di felicità apparve sul suo viso. Mise il bracciale e mi abbracciò. "Stefano? Va tutto bene? " gli chiesi. "St-sto bene" balbettò. Feci per staccarmi da lui, ma mi strinse ancora più saldamente a sé. "Non guardarmi" disse mentre nascondeva il suo viso. Era sicuramente in imbarazzo e la cosa mi fece molto piacere. Ricambiai l'abbraccio e gli baciai i capelli. Sapevano di menta e limone. Era piacevole. Quel pomeriggio fu uno dei più belli della mia vita. Quelle ore volarono e sfortunatamente era giunto il momento di andare a casa. Ci incamminammo verso la strada del ritorno senza parlare, comunicando solo con intensi sguardi. Era arrivata l’ora di separarsi. Si fermò a pochi metri da casa mia. Si avvicinò al mio viso, mise la sua mano sulla mia guancia destra e mi avvicinò a sé. Mi baciò teneramente. Quando mi baciava tutto sembrava scomparire, il tempo si fermava, c’eravamo solo io e lui, nient’altro. “Elena!” qualcuno ci interruppe.  Smettemmo di baciarsi e mi voltai verso casa mia. Vidi Andrea affacciato alla finestra che mi scrutava con un ghigno malizioso. Mi sentii sprofondare, in quel momento avrei voluto morire dall'imbarazzo. Salutai Stefano con un cenno della mano ed entrai in casa. Non appena entrai mi ritrovai Andrea impaziente. “Chi era quello?” mi chiese. “Il mio ragazzo” risposi. “E’ lui il famoso Stefano?” continuò a chiedermi. “Si” risposi. “E’ carino” mi rispose con un sorriso beffardo. “Vuoi smetterla? Mi sembri Alice” sbuffai. “Scusa se mi interesso della vita sentimentale di mia sorella” disse. Mi scappò una piccola risata. Che fratello strano che avevo. La serata trascorse abbastanza velocemente. Quella sera mi addormentai con un sorriso, sicura d’amare Stefano più di prima.

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Capitolo 18
*** Delusa ***


 

Gli esami erano molto vicini. A meno di una settimana sarebbero cominciati. I pomeriggi li passavo a studiare e ad ascoltare musica, mi aiutava a concentrarmi.  Lunedì: scritto di italiano.  Quella mattina ero molto tesa, volevo scrivere un tema che potesse stupire la mia professoressa. Seguirono quello di matematica, inglese e spagnolo.  Li passai tutti con il massimo dei voti. Rimanevano gli orali. Avevo preparato le tesine curandole in ogni singolo particolare. Quel giorno ero davvero nervosa, ma Stefano mi calmò subito. "Sei una ragazza intelligente, supererai sicuramente gli esami. So che puoi farcela" mi diceva con tono gentile e rassicurante.  Quelle parole riuscivano a calmare la tempesta dentro di me. Solo mio fratello era in grado di farlo, o almeno fino a quel momento. Anche gli orali passarono e finalmente potevo chiudere un altro capitolo della mia vita. Ero stata promossa con la lode, ero davvero felicissima, tanto lavoro e sforzo ripagati.  Potevo finalmente rilassarmi. Diventavo sempre più brava a suonare la chitarra, beh tutto merito di Andrea.
L'estate era la mia stagione preferita.  Tutto sembrava più bello e vivace in quella stagione. La mattina andavo a trovare mia nonna.  Mi piaceva passare del tempo con lei. Passavamo intere mattinate a parlare della sua vita. Era una donna molto interessante. Mi raccontava della guerra, di come fosse ribelle e libera quando era giovane e di come avesse incontrato mio nonno. Ogni volta che parlava di quest'ultimo le brillavano gli occhi. Adorava parlare di lui. Era un giovane arruolato nell'esercito, io ero una semplice cameriera di un bar vicino agli alloggi dei soldati. Ogni mattina li vedevo entrare e chiedere il caffè. Fu amore a prima vista. La cosa era reciproca. Lui però sarebbe dovuto partire per l'America e probabilmente non ci saremmo mai più rivisti, ma una mattina lui mi fece la proposta. Ero sorpresa, ma accettai  immediatamente. Aveva deciso di rimanere per me. Poco dopo ci sposammo e decidemmo di aprire un negozio d'abbigliamento nel paese dove abitavamo. In seguito nacque tuo padre, seguito da tuo zio e  tua zia. Sono trascorsi più di quarant'anni e continuiamo ad amarci. L'amore è questo: non importa quante difficoltà incontrerai lungo la tua strada, se amerai, tutti quegli ostacoli saranno abbattuti dalla forza del tuo amore. Non smettere mai di farlo. La prima volta che mi fece questo discorso scoppia in lacrime, non ero triste, ero soltanto commossa dalle profonde parole di mia nonna.

***

Una sera, io e Stefano, decidemmo di uscire. Era passato molto tempo dall'ultima volta che eravamo stati insieme come coppia. Così mi preparai di tutto punto. Indossai un vestitino celeste a maniche corte, un paio di sandali con le zeppe e una borsetta rosa. Arricciai i capelli e mi truccai. Quella sera ero molto carina, quasi non mi riconoscevo. Quando fui pronta, mi diressi verso il luogo dell'appuntamento. Lo aspettavo verso le 19:30. Ero in anticipo così mi sedetti sul bordo della piccola fontana, che stava al centro della piazza, ad aspettarlo.  Il tempo passava, ma non vedevo nessuno Stefano camminare verso di me. Cominciai a preoccuparmi. Come mai era in ritardo? Le 20:45. Presi il cellulare dalla borsa e digitai sullo schermo il suo numero. Il numero da lei chiamato è al momento irraggiungibile… Strano, molto strano. Vedevo le coppiette passarmi davanti. Erano felici, volevo esserlo anch'io.
Rimasi seduta ad aspettarlo fino alle 22:35, poi mi alzai e mi diressi verso casa. Ero delusa. Forse  quella storia era importante solo per me, magari l'avevo presa troppo seriamente. Il tragitto mi parve infinito.  Miliardi di domande mi passarono per la testa. Rientrai a casa senza dire parole. Mia madre continuava a chiedermi come fosse andata la serata ed io le rispondevano sempre allo stesso modo.  "Mamma non mi va di parlarne" gli dissi sbuffando. "È successo qualcosa? " mi chiese. "Non si è presentato" risposi schietta. "Come?" mi chiese sbalordita.  "Hai capito benissimo" ribattei. "Non preoccuparti, avrà avuto un imprevisto" mi rispose cercando di calmarmi. "Non lo so" continuai. Dopo quella piccola discussione salii in camera e mi liberai dei vestiti per indossare il mio comodo pigiama. Mi distesi sul letto e presi il cellulare. Volevo riprovare a chiamarlo, ma niente. Stavo per effettuare l'ennesima chiamata quando una vibrazione mi annunciò l'arrivo di un messaggio.

Da Alicemi dispiace tanto :'(

A Alice: cosa intendi?

Da Alice: non lo hai saputo?

A Alice: no...parla!

Da Alice: Stefano è andato a vivere in Svizzera...

 

Un rumore assordante si fece strada nelle mie orecchie. Era il suono che produsse il mio cuore quando si ruppe in mille pezzi…

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ANGOLO AUTRICE: salve a tutti coloro che hanno letto la mia storia fino a qui. Vi ringrazio davvero tanto! Mi scuso per eventuali errori, sono alle prime armi...Non so se continuerò a pubblicare la storia. Non ricevo molte recensioni, questo mi lascia intendere che la storia non è di vostro gradimento,  se continuerà così eliminerò la storia e mi ritirerò da brava sconfitta XD 

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Capitolo 19
*** Cambiamento ***


Fu difficile accettare la partenza di Stefano. Ero arrabbiata con lui. Avrei capito se almeno me ne avesse parlato. Passai l’intero mese di giugno a deprimermi. Ormai ero abituata alle continue delusioni, non sentivo più niente. Ero diventata fredda, distaccata dal mondo. Un pomeriggio, mentre navigavo su internet, capitai in un sito dedicato ai manga. Ne avevo sentito parlare, ma fino a quel momento non conoscevo quel mondo.
Fui attratta subito dalle storie disegnate in quei volumi. Mi appassionai e piano piano cominciai a leggere molti manga. In estate avrò letto 2000 manga! Ben presto conobbi anche il mondo degli anime. Spesso li guardavo sottotitolati, perché in Italia non erano molto conosciuti. Col tempo imparai anche la lingua giapponese. Strano, ma vero. Ormai parlavo solo quella lingua. Mio fratello continuava a guardarmi stranito ogni volta che lo facevo, mi divertivo un sacco a vederlo così confuso. Potevo dirgli qualunque cosa, lui non avrebbe capito. Finalmente trovai qualcosa che mi distraesse.

A settembre sarei andata a scuola a Catania. Scelsi il classico. Sapevo che era molto impegnativo e stancante, ma non cambiai idea. Visitai la scuola e mi aveva colpito sin dal primo istante. Per frequentarla avrei dovuto fare molti sacrifici. La mattina mi sarei dovuta svegliare alle 6:00, per via dell’autobus. Una volta arrivata in città, avrei dovuto raggiungere la scuola a piedi. Le lezioni duravano fino le 16:50. Ciò significava che sarei arrivata a casa alle 18:30. Non mi scoraggiai e sostenni la mia scelta fino alla fine. Non mi ricredetti mai.
I miei parenti erano contrari alla mia scelta, pensavano che non ce l’avessi fatta. Beh, io volevo dimostrare che si sbagliavano.

C’erano dei licei nel paese dove abitavo, ma non consideravo neanche l’idea di frequentarli. Avevo bisogno di cambiare aria, conoscere nuova gente. Nessuno mi conosceva, potevo essere chi volevo. Questo pensiero mi intrigava e così mi iscrissi.

***

Il primo giorno di scuola persi l’autobus. Cominciamo bene pensai tra me e me. Fortunatamente non ero sola, con me c’erano Giacomo e Giovanna, quest’ultima era una mia compagna delle medie. Era una ragazza bassa, robusta e molto simpatica.
Quella mattina ci facemmo accompagnare da mio zio. Il viaggio mi sembrò eterno. Ero tesa e preoccupata. Avevo il terrore di non riuscire a fare amicizia con nessuno, che mi avrebbero presa in giro per il mio aspetto e cosa del genere.

Io e Giovanna ci dirigemmo verso l’aula magna, dove i professori incontrarono i genitori di tutti gli alunni del primo anno. Ero un po’ spaesata, ma almeno non ero sola. Fecero l’appello e  mi assegnarono ad una classe: la 1° B. Così mi diressi verso la mia nuova classe. Osservavo i miei compagni. Sembravano persone simpatiche e  divertenti. La classe era piuttosto piccola, ma era accogliente. Presi posto e piano piano cominciammo a conoscere i nostri professori. Tutti sembravano conoscersi e mi sentii fuori luogo, ma ad un tratto sentii una mia compagna di classe parlare di un anime che aveva visto poco tempo fa. Mi intromisi nella discussione e cominciammo a parlare.
Conversando scoprii molte cose su di lei. Si chiamava Alessandra Emma, viveva ad Acireale ed era un’appassionata di manga, anime e libri. Mi trovavo molto in sintonia con lei. Ero contenta di aver trovato una persona che avesse le mie stesse passioni. Poco dopo cominciai ad avvicinarmi alle altre ragazze. Genni, Martina, Miriam, Cecilia e Stephany. Con il passar del tempo diventammo molto affiatate. Le giornate  passavano in allegria. Sentivo che potevo ricominciare e volevo farlo nei migliori dei modi!

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Capitolo 20
*** Te lo prometto! ***


Era trascorsa una settimana dall'inizio della scuola e la mia amicizia con le mie compagne di classe si intensificava sempre di più. “Ely? A te piace qualcuno?” mi riportò alla realtà Martina. Scrollai la testa. “No, non mi piace nessuno. Io ho chiuso con l’amore” risposi fredda. “Cosa intendi?” mi chiese Genni. “Lunga storia” risposi.

Ero una ragazza molto riservata, non mi andava l’idea di raccontare tutti i miei segreti. “Dai, dicci tutto!” mi supplicò Alessandra Emma. Ormai era passato, avevo rimosso completamente Stefano dal mio cuore, così decisi di parlare.

“Lo conobbi in terza media. All'inizio lo consideravo un ragazzo antipatico e scortese, ma col tempo mi innamorai di lui. Dopo molti ostacoli riuscimmo a metterci insieme, ma una sera ebbe un incidente e rimase parecchio tempo in ospedale. Fortunatamente si risvegliò e tutto sembrava andare bene, ma lui di colpo scompare…” cominciai. “Cosa intendi?” domandò Stephany. “Intendo che è partito senza dirmi neanche addio” risposi seccata “ecco perché non ne voglio più sentire parlare.” A quella mia affermazione rimasero in silenzio. Non avevano parole. Mi guardavano con occhi tristi e compassionevoli.

“Smettetela di guardarmi con compassione” mi irritai. “Noi non ti guardiamo in quel modo, siamo solo sconvolte” mi dissero. “Tutto ciò che avevo fatto con lui era la prima volta, pensavo che saremmo stati sempre insieme, ma non avrei mai immaginato che sarebbe arrivato il giorno in cui mi avrebbe abbandonata” mi confidai. “Che brutta storia” sospirò Genni. “Genni!” la rimproverò Martina dandole una gomitata. “No è tutto ok, io adesso sto bene” dissi rivolgendole un sorriso. Era difficile farlo, ma mi sforzai comunque. Riprendemmo finalmente la precedente discussione. Genni si era messa con un ragazzo da poco tempo ed era veramente felice. Dopo le mie parole si sentì a disagio a parlare di quanto fosse contenta per la sua vita amorosa, ma tentai di non curarmene più del dovuto.  

Mi congedai da loro e mi diressi verso la mensa per prendere la mia colazione. Mi misi in fila e aspettai il mio turno. “Sono innamorato di lei, ma non le interesso” sentii dire da un ragazzo poco più avanti di me. Mi avvicinai per sentire meglio. Mi faceva piacere sapere che ci fosse qualcun’altro che soffrisse per amore.

“E’ una ragazza davvero bella, ma non si metterà mai con uno come me.” Mi avvicinai ancora di più. Finalmente riuscii a vedere il suo viso, era un mio compagno di classe, Mirko credo si chiamasse. Decisi di aiutarlo, volevo rendere felice qualcuno. Forse avrebbe colmato il vuoto che si era creato dentro di me. Aspettai che smettesse di parlare e mi avvicinai a lui.

“Ciao, involontariamente ho ascoltato  la tua conversazione. Sono una ragazza, quindi se vuoi posso darti dei consigli per conquistarla” mi dichiarai disponibile. “Davvero?” mi disse incredulo. “Certo!” gli risposi sorridendogli. “Allora…io sono innamorato di questa ragazza. Mi piace davvero tanto, ma il problema è che lei è interessata ad un altro” mi spiegò triste. Dalla sua espressione potevo benissimo percepire tutta la sua sofferenza. “Non preoccuparti. Ti darò consigli e vedrai che cadrà ai tuoi piedi” lo rassicurai. “Grazie Elena” mi disse rivolgendomi un dolce sorriso. “Oh ti prego, chiamami Ely. Non mi piace il mio nome” gli dissi. “Ok Elena.” Scoppiammo a ridere. Tornai seria. “Non scherzo, se mi chiami ancora in quel modo ti spacco la faccia” gli dissi. Mi guardò impaurito. “Sto scherzando stupido” dissi scoppiando a ridere. Parlammo per tutto il tempo. Era davvero innamorato, lo vedevo dai suoi occhi castani che brillavano ogni volta che pensava a lei.  Lo vedevo arrossire, era così tenero. Era un ragazzo timido e di poche parole. Doveva fidarsi di me per confessarmi tutto quello che provava per Lei, ne ero contenta. “Quella ragazza è già in trappola, la farai innamorare di te. Te lo prometto!” gli dissi afferrandogli il mignolo come quando si faceva tra bambini. “Grazie davvero. Sei la migliore!” esclamò. “Si, lo so” dissi spavalda. “Da oggi in poi sarò il tuo angelo custode!” esclamai alzandomi in piedi e puntandogli il dito indice in pieno viso. Iniziammo a ridere, forse sarebbe nata un’amicizia tra noi due.

Tornammo in classe e ci sedemmo ognuno nei propri posti. “Dove sei stata?”  mi chiese Alessandra. “In giro” risposi vaga. “Ti ho vista con Mirko, quindi non mentire” mi disse. “Ok, ok. Abbiamo solo parlato” ammisi. “Solo parlato? Che noia!” mi disse ridendo. Risi anch'io. Era bello ricominciare a farlo.

 

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Eccoci qui al ventesimo capitolo. Che traguardo! Sono contenta di essere arrivata fin qui. Vorrei ringraziarvi per il sostegno. Vi voglio bene! Spero che il capitolo vi sia piaciuto. 

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Capitolo 21
*** Incontro ***


Da quel giorno io e Mirko ci sentivamo spesso, molto spesso. Ad ogni ora del giorno e della notte mi chiamava per chiedermi consiglio. “Ely” mi disse preoccupato. “Dimmi” risposi. “Le ho inviato un messaggio, ma non mi risponde.” Era teso, lo sentivo dalla sua voce. “Non preoccuparti, dalle tempo. Vedrai che ti risponderà” lo rassicurai. “Quanto tempo?” mi chiese. “Il tempo che ci vuole. Devi solo aspettare” risposi. “Ok.” “Tienimi aggiornata!” chiusi la chiamata e tornai nel mio letto a leggere. Dopo circa tre minuti il cellulare cominciò a vibrare. Lo presi e guardai il display.

5 messaggi da Mirko.

Mirko: Ely mi ha risposto.

Mirko: che faccio?

Mirko: ha detto “ciao”

Mirko: che le dico?

Mirko: rispondimi, mi serve il tuo aiuto!

Io: rispondile, falle delle domande sulla sua vita, così puoi scoprire più cose su di lei…

Mirko: Ok, grazie :)

Io: non c’è di che!

Tornai al mio libro. Mi sentivo appagata nel sapere che stavo aiutando qualcuno. Non riuscivo a spiegarlo, mi riempiva, forse mi piaceva il fatto che qualcuno, in un certo senso, avesse bisogno di me. Guardai l’orologio. Segnava le 22:45. Meglio andare a letto, si era fatto tardi. Quella sera mi addormentai pensando a quel ragazzo, in un modo o nell'altro lo avrei reso felice.

***

Il giorno dopo arrivai a scuola in ritardo, colpa dell’autobus. Ritardava troppo e dovevo correre per evitare di arrivare alle 8:15 ogni mattina. Con il fiatone salutai la professoressa di biologia, che già aveva cominciato a spiegare.

“Buon giorno professoressa. Scusi il ritardo” “Buon giorno, siediti e prendi il quaderno” mi salutò. Mi diressi verso il mio armadietto in fondo alla classe. “Buon giorno” mi sussurrò Mirko “Oggi non c’è Giovanna?” mi chiese. “Ciao. Si, sta arrivando” risposi sorridendogli. “Grazie per i consigli di ieri sera” “Non preoccuparti” gli risposi. “Voi due! Smettetela di flirtare!” ci interruppe la prof. “Professoressa!” protestai mettendomi a sedere. “Noi non stiamo flirtando” mi sostenne Mirko. Mi sedetti e mi voltai verso di lui. I nostri sguardi si incontrarono e scoppiò una risata spontanea tra noi due. Dopo una noiosissima lezione sulla creazione del mondo, suonò la campanella e potei tirare un respiro di sollievo. Dopo circa dieci minuti entrò il professore di matematica.  Un tipo molto strano e ambiguo. In quel periodo stavamo studiando le espressioni algebriche.

Dovevo fare un calcolo molto grande, così mi feci prestare la calcolatrice dalla mia compagna di  banco Miriam. “Ragazzi, io sono come un padre per voi. Ho il dovere di mantenervi sulla buona via. La Calcolatrice vi porta nella cattiva strada, è una brutta cosa e non voglio che la usiate” disse. “Si, ma la calcolatrice ci fa amare la matematica” ribatté Miriam. La classe scoppiò in una risata rumorosa. “Bella battuta signorina Mendola, così bella che mi è venuta voglia di mettere un 2 a qualcuno” disse mentre apriva il registro. “Allora…” continuò mentre scorreva con il dito l’elenco degli alunni della classe. “Mettiamo un bel due ad Ardillo e Vecchi” disse con un sorrisetto maligno. “Professore! Perché?” dissero i due alzandosi in piedi. “Perché mi va” rispose tranquillo. Era davvero un tipo strano, ma almeno era un bravo professore di matematica, forse.

***

Finalmente le lezioni terminarono ed io mi sedetti su di una panchina ad aspettare che Giovanna uscisse da scuola. Ero intenta a inviare un messaggio ad Alice quando vidi un’ombra avvicinarsi a me. “Ciao, tu devi essere nuova. Io sono Mattia” disse sorridendomi. Avevo il sole negli occhi, riuscivo a vedere solo la sua sagoma. “Piacere, io sono Elena” gli dissi stringendogli la mano. “Di dove sei?” mi chiese. “Di un paesino in provincia di Catania” risposi. “Anche io vengo da fuori” mi disse. Cosa voleva? Perché mi faceva tutte quelle domande?

“Comunque volevo darti il benvenuto da parte di tutta la scuola” mi disse sorridendomi. “Grazie” risposi sorridendogli a mia volta. In quel momento arrivò Giovanna. “Ciao Ely” mi salutò. “Ciao” ricambiai. “Io sono Mattia, mi sono già presentato alla tua amica” disse rivolgendosi a lei. “Oh, ciao.” Finalmente una nuvola coprì il sole abbagliante e potei vederlo bene in viso. Aveva i capelli ricci e neri, gli occhi di un castano molto chiaro e una corporatura media. Non era bellissimo, ma neanche orribile, era semplicemente un tipo. “Tu che autobus prendi?” mi chiese dopo un attimo di silenzio. “Io prendo l’Atc” risposi. “Prendo anch'io quello, se vuoi possiamo fare la strada insieme” mi disse. Non sapevo ancora bene la strada per arrivare alla stazione, ero in una città sconosciuta, così accettai. “Bene, andiamo?” “Si” dissi alzandomi. Parlammo per tutto il tempo del tragitto. Mi raccontò della sua esperienza in quella scuola e mi chiese delle mie prime impressioni. Arrivammo alla stazione. “Sono contento che la nostra scuola ti piaccia” mi disse dopo aver assistito ad un lungo monologo sulle mie prime giornate da liceale. Mi sentivo ascoltata e compresa.

Non mi era mai capitato. Poco dopo arrivò il suo autobus e ci salutammo. Salì sul veicolo e mi fece un cenno con la mano. Agitai la mia per ricambiare. Il suo autobus partì ed io mi sedetti ad aspettare il mio, insieme a Giovanna. “Elena fa colpo!” esclamò. “Cosa dici? Smettila!” arrossii. “Si vede che gli interessi. Per tutto il tempo del tragitto io vi guardavo da dietro e vedevo tutti i gesti e le espressioni che faceva. Fidati: gli piaci” mi disse maliziosamente. Lo ammetto, mi piaceva sentire che qualcuno si fosse interessato a me, ma in quel momento l’ultima cosa che volevo era una relazione. “Tu sogni troppo” la riportai alla realtà. “Vedremo chi avrà ragione.”

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ANGOLO SCRITTRICE: Eccoci al ventunesimo capitolo, siamo vicini alla fine, o forse no... sta a voi scoprirlo ;)

Come già detto in precedenza, mi piacerebbe ricevere dei vostri commenti per capire se la storia è di vostro gradimento e cosa più importante migliorarmi sempre di più. Grazie per aver letto fino a qui <3

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Capitolo 22
*** Delirio ***




Io e Mirko eravamo diventati molto affiatati. Ormai, mi ero abituata alla sua presenza nella mia vita, quasi aspettavo impazientemente un suo messaggio.
Mi piaceva aiutarlo e vederlo sorridere. Non ero innamorata di lui, forse volevo solo essere importante per qualcuno. Era un ragazzo timido, ma quando si scioglieva e cominciava a parlare senza imbarazzo, diventava un ragazzo divertente e simpatico. Aveva una scarsa autostima, forse conseguenza di un brutto passato. In qualche modo mi ricordava me. Sapevo come ci si sentiva e non era per niente una bella sensazione. Volevo solo aiutarlo, vederlo sorridere, e ce l'avrei messa tutta per farcela.
Una sera, però, successe qualcosa di terribile. Stavo facendo i miei compiti quando il telefono cominciò a squillare. L'afferrai ed accettai la chiamata.
"Pronto?"
"Ciao..." mi sentii dire. Riconobbi la voce, era Mirko, ma c'era qualcosa di diverso. Mi allarmai.
"Mirko che succede? "
 "Ho intenzione di dirglielo" mi spiegò.
 "Ok. Come mai così all'improvviso?" chiesi.
 " Sono stufo di aspettare. Io l'amo e poi ho paura che Dario me la possa rubare." La sua voce era tremante e insicura.
 "Nella vita bisogna rischiare, non devi avere rimpianti" lo incoraggiai. "Ok.”
 "Di cosa hai paura?"
"Lei è innamorata di un altro, ho paura di uscirne distrutto da questa storia" mi rispose con la voce strozzata.
Era molto triste, desideravo tirarlo su di morale.
"Anche se dovesse andare male non preoccuparti, là fuori ci sarà sicuramente una ragazza pronta ad amarti. Ne sono sicura" gli dissi.
In quell'istante una lacrima attraversò la mia guancia, ma non potevo farmi scoprire. Dovevo essere forte per lui, come una volta fece Alice per me.
"Grazie Ely" mi rispose. La sua voce divenne più tranquilla e di questo ne fui molto felice.
 Pochi giorni dopo Mirko fu rifiutato. Ci stavo malissimo, mi sentivo in colpa. Per tutto quel tempo non avevo fatto altro che illuderlo e riempirlo di promesse che, purtroppo, non riuscii a mantenere. Quando ci pensavo un nodo mi stringeva la gola. Vedevo i suoi occhi, spenti e con un immenso vuoto, mi faceva paura quest'ultimo, era lo stesso che un tempo invadeva i miei. Quando lo vedevo in quelle condizioni mi veniva voglia di stringerlo forte a me, ma non ci riuscivo mai.
***
Passavano i giorni e lentamente il sorriso tornò anche sul viso di Mirko e sul mio. Ero felice che la sua sofferenza fosse svanita, anche se un po' di delusione era rimasta.
"Andiamo a mangiare?" Mi chiese Martina strappandomi dai miei pensieri.
"Si" risposi. Mi alzai e mi diressi insieme alle mie compagne verso la mensa. Entrai e cominciai a fare la fila. Davanti a me c'era un ragazzo. All'improvviso indietreggiò e mi pestò i piedi.
"Ahi" esclamai. "Oddio, scusami. Non era mia intenzione farti male" si scusò mentre si voltava. Quel ragazzo aveva qualcosa di familiare, lo scrutai bene, poi lo riconobbi: era Mattia, quel ragazzo che si era venuto a presentare pochi giorni fa.
"Non fa nie...oh, sei tu" dissi.
"Ti ricordi di me?" Mi chiese.
"Si."
"È un piacere rivederti" mi disse. In quel momento arrivò Giovanna. Mi volati per guardarla, ma quando mi rigirai Mattia era scomparso. 
"Ciao Ely, con chi stavi parlando?" Mi chiese euforica. Feci una breve pausa.
"Con nessuno."
L'ora di pranzo passò senza problemi ed era ora di tornare in classe per le lezioni pomeridiane.
Camminavo con Alessandra Emma quando qualcuno mi afferrò per il polso e mi trascinò a sé. Mi tirò dentro una stanza poco illuminata.
Sentii sbattere una porta. Con la mano destra mi teneva chiusa la bocca, con l'altra mi stringeva la vita. Mi divincolai, ma era molto forte e sfuggire alla sua presa non era per niente facile. Buio, non riuscivo a vedere niente. Cercavo di urlare, ma la sua mano smorzava ogni mia chiamata di aiuto.
 Smisi di agitarmi, esausta e sfinita.
"Elena?" Mi sentivo chiamare "Elena dove sei finita?" Alessandra Emma continuava a cercarmi. Ben presto, non ricevendo una risposta, se ne andò.  Silenzio.
Finalmente tolse la sua mano dalla mia bocca e mi girò verso di sé. Infine potei vedere il viso del ragazzo che mi aveva trattata in quel modo. Era difficile vedere chiaramente la sua faccia, ma l'illuminazione di quella stanza bastò a farmi intuire di chi fosse. Rimasi sconvolta. Mattia.

Che cazzo voleva da me? Chi gli dava il diritto di trattarmi in quella maniera?  Stavo per aprire la bocca per ricoprirlo di insulti ma, purtroppo, non riuscii a dire niente. Le mie labbra erano intente a baciarlo. A bacialo? Non di nuovo! Ancora una volta ero stata baciata senza il mio volere. Avrei voluto scappare via, prenderlo a schiaffi, ricoprirlo di insulti, ma non ci riuscii. Quel bacio mi aveva trascinata nell'oscurità più assoluta. Non riuscivo a muovermi, le forze sembravano avermi abbandonata. Tutto sembrava essersi fermato a contemplare quella scena. Il suo bacio mi lasciò stordita e senza respiro. Caddi nel delirio e venni compita dall'amore. Di nuovo. 
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Questo capitolo è dedicato ad un mio amico :) grazie per tutti i sorrisi che mi hai regalato in questi 3 mesi <3
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie per il continuo supporto.

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Capitolo 23
*** Messaggio ***


 

Mi aveva baciata e poi era uscito da quella stanza senza dirmi niente, senza guardarmi. Mi aveva presa, baciata e lasciata lì, sul pavimento freddo.

Per un paio di minuti rimasi immobile, seduta in terra. Milioni di domande mi balenarono in testa. Perché? Cosa voleva da me? Ma soprattutto, che cazzo  avevo combinato per meritarmi tutti quei problemi? Dovevo essere proprio io? Non poteva andarsi a cercare una di quelle facili che non aspettavano altro? No, evidentemente non poteva. Doveva, anzi voleva incasinare la mia vita. Avrei dovuto uscire da lì e andare a chiedere spiegazioni per quel suo gesto, ma non lo feci.

Non riuscivo a spiegare il motivo, forse imbarazzo, paura. Uscii da quella buia stanza e mi diressi verso la mia classe. Guardai l'orologio. Le 14:35. Ero molto in ritardo. Aumentai il passo. Bussai e dopo aver ricevuto un 'avanti' aprii la porta.

"Elena!" Mi urlò qualcuno. Mi voltai di scatto. Ancora lui. Arrossii per l'imbarazzo, sentivo le mie guance imporporarsi sempre di più. Mi fissò per una decina di secondi, poi scoppiò a ridere e scomparve dietro un muro. Che cazzo gli passava per la testa a quello lì?  Dovevo assolutamente stargli lontano.

"Ely? Con chi parli?" Mi chiese Genni. Mi voltai e coprii con la sciarpa il mio viso.

"Con nessuno."

"Dove sei stata?" Mi chiese preoccupata. 

"Ero in bagno. C'era la fila e ho fatto tardi" mentii, ovviamente. Ormai  le mie compagne di classe le consideravo mie amiche, ma ancora non ero pronta ad aprirmi completamente. Mi sedetti al mio posto e le lezioni ricominciarono.

***

Il viaggio in autobus fu molto lungo, abbastanza da farmi ripensare continuamente a quel bacio. Lui era più grande di me, forse le persone mature agivano così. Io, ancora, mi consideravo una ragazzina, al contrario delle mie coetanee che pensavano già d'essere giovani donne. Continuavo a vedere i suoi occhi che mi scrutavano, a sentire le sue mani che mi avvolgevano e le sue labbra sulle mie. Avrei dovuto essere arrabbiata, ma non ci riuscivo. Perché?

Presi l'iPod e gli auricolari dallo zaino. L'unico modo per distrarmi era quello della musica. Fuori era ormai buio, fissavo il cielo irto di stelle. Le strade erano poco illuminate, quindi era possibile ammirare gli astri senza problemi. Guardarli mi calmava, quando ero di cattivo umore o stressata, il cielo, insieme alla musica, erano le uniche cose che riuscivano a calmarmi. In esso vedevo riflessi tutti i momenti più importanti della mia vita.

L'incontro con Alice, le mie amiche, il ritorno di Andrea, io che suonavo la chitarra, il bacio sotto le stelle con Stefano, il mio successo agli esami. In quel momento arrivò sul mio viso una piccola lacrima. Ripensare a lui era doloroso. Mi ero imposta di dimenticarlo, ma lo sanno tutti, il primo amore non si scorda mai, per mia sfortuna.

Presi un fazzolettino dalla tasca e asciugai quella lacrima giurandomi che sarebbe stata l'ultima che avrei versato per lui.

L'autobus arrivò a destinazione, raccolsi le mie cose e scesi da esso.

"Bentornata" mi salutò mio padre non appena entrai in macchina.

"Ciao papà" ricambiai.

"Com'è andata?" Chiese.

"Bene" dissi tra un lungo sbadiglio. La conversazione finì lì. Dopo pochi minuti arrivammo a casa. Presi le chiavi e le infilai nella serratura. Dopo un paio di giri il portone si aprì ed entrai. Salii le scale, dove incontrai Paolo, un amico di mio fratello.

"Ciao Elena" mi disse.

"Ciao" risposi. Probabilmente era venuto a trovare Andrea. Era davvero un bel ragazzo, occhi nocciola, capelli ricci e biondi e un sorriso da mozzare il fiato. Ci avevo fatto un pensierino, ma purtroppo era già fidanzato. Pazienza. Continuai a salire fino a raggiungere la porta di casa. Entrai e tolsi le scarpe.

"Sono a casa" dissi a mia madre, intenta a cucinare. 

"Bentornata" mi rispose con un sorriso. Aprii la porta della mia camera, gettai lo zaino svogliatamente dietro la porta e mi distesi sul letto. Sospirai e chiusi gli occhi. Ero molto stanca, tanto che mi addormentai quasi subito. Ad un tratto qualcosa di puzzolente ed orrendo mi strisciò sul naso. Aprii di scatto gli occhi e mi ritrovai sul viso un vecchio calzino di mio fratello.

"Che schifo! Levamelo subito" urlai ad Andrea che guardava divertito la scena.

"Non è divertente!" Lo rimproverai. "Ok, ok" disse levando dalla mia vista quella cosa. 

"Sei un cretino" gli dissi seccata.

"Anche tu sei una cretina" mi disse mentre cominciava a farmi il solletico.

"No, smettila. Ti prego" dissi tra le risate. Continuò a torturarmi fino alla chiamata di nostra madre. "Smettetela di fare rumore e venite a tavola" ci urlò.

"Arriviamo" rispondemmo in coro. Dopo cena mi diressi verso la mia stanza, avevo voglia di suonare la chitarra. Mi piaceva farlo, mi aiutava a liberare la mente da tutti quei pensieri che mi turbavano. Mi sedetti a gambe incrociate sul letto e cominciai. Il mio cellulare vibrò, segno che avevo ricevuto un messaggio. Presi il cellulare ed lo aprii.

Da +39*******879

Io ti guardo sempre.

Cosa voleva dire quella frase? Ma cosa più importante, chi mi aveva inviato quel messaggio?

 

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Salve a tutti! Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Lo so, non è un granchè, ma presto la storia prenderà una piega davvero interessante ;)

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Capitolo 24
*** Salva! ***


Quel messaggio mi aveva turbata, l'idea che qualcuno mi seguiva, mi impauriva un po'. Ero spaventata ad andare in giro da sola, specialmente in città. Fortunatamente non lo ero, avevo Giovanna che mi teneva compagnia.

La mattina, quando mi dirigevo a piedi verso la scuola, mi guardavo sempre intorno. Non notavo niente di strano e per un po' mi rilassai. A scuola nessuno sembrava essere ambiguo. Pensai che quella persona avesse sbagliato numero. Quell'angoscia era svanita.Chiesi alle mie amiche se avessero notato qualcosa, ma niente.

Mattia ed io ci incontravamo spesso, ci scambiavamo qualche sguardo, ma niente di più. La cosa mi irritava. Dopo tutto quello che aveva fatto non si degnò nemmeno di dirmi un semplice 'mi dispiace'. Passava dall'euforia alla freddezza. La bipolarità di quel tizio era davvero mostruosa. Mi ignorava spudoratamente, poi all'improvviso mi rivolgeva uno dei suoi sorrisetti maliziosi.

Dovevo assolutamente tenere le distanze da lui. A scuola la sua reputazione non era ottima, era visto come un ragazzo freddo ed antipatico, ma tra le ragazze era molto popolare. Di certo era un bel ragazzo, ma non faceva per me. Non mi sarei mai innamorata di una persona come lui.

Le lezioni terminarono e, insieme a Giovanna, mi diressi verso la stazione.

"Ely, oggi è venuto mio padre a prendermi" mi disse.

"Ok, non preoccuparti" la rassicurai.

"Allora vado. Ciao!"

"Ciao."

Ci dividemmo e mi incamminai. Accesi il cellulare e chiamai mia madre.

"Pronto?"

"Ciao mamma, sono appena uscita da scuola. Quando sarò arrivata in paese ti chiamerò." "D'accordo."

Chiusi la chiamata e posai il cellulare in tasca. Il sole stava tramontando e le luci cominciavano ad illuminare le strade della città. Mi sentivo strana. Avevo la sensazione d'essere osservata. Mi ricordai di quel messaggio ed iniziai ad agitarmi. Non vedevo nessuno alle mie spalle, ma quella sensazione non voleva andarsene.

Il sole era ormai calato e la paura prese il sopravvento quando mi accorsi che un uomo di mezz'età mi stava seguendo. Sentivo il cuore scoppiarmi in petto. Aumentai il passo, ma lo aumentò anche lui. Sentivo i suoi passi farsi più vicini. Cominciai a correre, corse anche lui. Iniziai ad urlare.

"Aiuto!"

Nessuno voleva aiutarmi. La gente si voltava, mi fissava per qualche secondo e poi tornava a fare quello che stava facendo poco prima.

"Aiuto" continuai disperata. Non volevano cacciarsi nei guai, osservavano la scena senza dire niente, senza fare niente.

"Mamma perché non aiuti quella ragazza? È spaventata non lo vedi?" sentii dire da un bambino. "Quello è suo padre. Stanno giocando" rispose la madre.

Che cosa? Era ovvio che non stavamo giocando! Quello era un cazzo di stalker!

"Aiutatemi vi prego!" Ero disperata. Provai a seminarlo prendendo una piccola via poco illuminata, ma mi ritrovai un grosso muro di fronte ai miei occhi pieni di paura. Faticavo a respirare, sudavo freddo. Era buio, riuscivo a vedere solo la sua sagoma avvicinarsi sempre di più a me. Afferrai il cellulare e chiamai il primo contatto che mi capitò sotto gli occhi.

"Andrea aiut..." La chiamata si interruppe. Guardai il cellulare. Batteria scarica. Oh andiamo! Non poteva essere!

L'uomo continuava ad avvicinarsi. Mi preparai al peggio. Indietreggiai fino a toccare con le spalle il muro. Ormai eravamo a pochi centimetri di distanza. Alzò una mano e l'avvicinò al mio viso. Un ghigno malefico e spaventoso era dipinto sul suo volto. Chiusi gli occhi. Le lacrime avevano già bagnato completamente il mio viso.

"Cosa pensi di fare?" Aprii gli occhi. La scena che visti mi lasciò sconvolta. La mano di Mattia bloccava il braccio dell'uomo.

"Io..." cominciò insicuro quest'ultimo.

"Va' via prima che chiami la polizia!" gli disse. L'uomo scappò ed io potei tirare un sospiro di sollievo.

"Stai bene?" mi chiese.

"Si" risposi.

"Cosa pensavi di fare? Avrebbe potuto violentarti o ucciderti! Sei pazza per caso?" mi urlò contro. Era arrabbiato? No, era solo molto preoccupato. La sua bocca mi rimproverava, ma i suoi occhi comunicavano tutt'altro.

"Grazie" gli dissi con ancora il cuore in gola. Ero salva!

"Su, dammi la mano. Ti accompagno alla stazione" mi disse. Afferrai la sua mano e ci incamminammo. Il mio cuore riprese a battere violentemente a quel contatto. La sua mano calda mi rassicurava. La mia mano era minuscola in confronto alla sua. Stavo arrossendo, così nascosi le mie guance con la mia sciarpa.

"Hai freddo?" mi chiese all'improvviso.

"N-no" risposi ancora scossa. Mi strinse ancora di più la mano, come a volermi trasmettere sicurezza, farmi sentire protetta, ed un po' ci stava riuscendo. Arrivammo alla stazione e ci sedemmo su di una delle panchine. Mi tenne la mano fino all'arrivo del mio autobus.

Di malavoglia mi distaccai da lui e obliterai il biglietto. Percorsi lo stretto corridoio e mi accomodai su uno dei sedili. Mi affacciai al finestrino. Era ancora lì a guardarmi con un piccolo sorriso stampato in volto. Sorrisi anch'io e lo salutai con la mano. Ricambiò il gesto e mi disse qualcosa, ma non riuscii a sentire bene. Il rumore del motore copriva la sua voce.

L'autobus partì ed io, finalmente, mi abbandonai a me stessa e cominciai a vagare nel mondo della fantasia. L'ho giudicato male pensai.

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Ciao! Cosa ne dite? Molto carino da parte di Mattia. Chi se lo aspettava da lui! Povera Elena, che brutta esperienza. Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima e Buon Natale a tutti!

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Capitolo 25
*** Ti aspetterò ***


La mattina successiva un fascio di luce mi svegliò dolcemente. Mi alzai e mi diressi in bagno per lavarmi il viso. Infilai una camicetta a quadri blu, che infilai dentro i jeans, e una giacca abbinata. Sciolsi i capelli e fermai il ciuffo con una forcina. Misi un filo di mascara e mi diressi verso la porta. Afferrai il mio zaino e la chiusi alle mie spalle. Scesi le scale e, insieme a mio padre, raggiunsi la fermata dell'autobus.

Passarono pochi minuti e l'autobus arrivò. Il viaggio fu abbastanza veloce e in un batter d'occhio arrivai in città. Quello che vidi alla fermata mi lasciò a bocca aperta. Dal finestrino del veicolo vedevo un Mattia seduto sul muretto intento a guardare il display del suo cellulare.

Aveva le cuffie alle orecchie e il cappuccio della felpa sulla testa. Era ormai autunno e il freddo cominciava a farsi sentire. Sicuramente stava aspettando qualche suo amico di fuori. Scesi e mi incamminai verso la scuola.

"Ehi!" qualcuno urlò. Mi girai. Vidi Mattia che correva verso di me con lo zaino in una mano e le cuffie nell'altra.

"Aspetta" continuò. Mi fermai e attesi che mi raggiungesse.

"Perché sei andata via senza salutarmi?" mi chiese con il fiatone.

"Perché avrei dovuto?" ribattei.

"Un minimo di riconoscenza me la merito non credi?" mi disse con un sorrisetto beffardo.

"Si, hai ragione. Buon giorno mio salvatore" dissi con tono canzonatore mentre mi inchinavo leggermente a lui.

"Così va meglio" disse. Mi voltai e cominciai a camminare.

"Stai attento, altrimenti la persona che stavi aspettando non ti vedrà e andrà via."

"Io non sto più aspettando nessuno" mi disse iniziando a seguirmi.

"Allora sarà qui. Su va' da lei."

"Ma io sono già con lei." Mi voltai di scatto con lo sguardo confuso verso di lui. Piegai la testa da un lato e gli chiesi "Dove vuoi arrivare?"

"Devo proprio spiegarti tutto!" disse sbuffando. Si avvicinò a me con sguardo serio. Era ormai vicinissimo, il mio naso quasi sfiorava il suo petto.

"Dopo quello che ti è successo ieri voglio accompagnarti. È mio dovere proteggerti" mi disse mentre mi accarezzava una guancia.

"Non sei mica il mio ragazzo" dissi sfuggendo al suo ipnotico sguardo. Era così seducente e persuasivo, se non fossi stata attenta si sarebbe trasformato lui nello stalker.

"Io credevo di si" mi disse con finto dispiacere.

"Beh, mi dispiace" dissi mentre riprendevo a camminare.

"E adesso come faccio? Mi ero già vantato con tutta la scuola che eri la mia nuova fiamma" disse con tono altezzoso. Fortunatamente ero voltata, non riusciva a vedere il mio viso rosso dall'imbarazzo.

"Dopo questa non diventerai mai il mio ragazzo" dissi sorridendo.

"Hai detto dopo questo quindi vuol dire che una speranza c'è in fondo!" Mi disse.

"Forse" bisbigliai.

"Cosa?"

"Ciao devo andare."

Eravamo appena arrivati a scuola e lo abbandonai in mezzo al corridoio con lo sguardo confuso. Non appena girai l'angolo mi appoggiai al muro e sospirai mordendomi il labbro inferiore. Quando ero emozionata o in imbarazzo lo facevo sempre. Dopo essermi calmata, entrai in classe e presi i libri.

"Ciao ragazze!" salutai le mie compagne di classe.

"Ciao!" risposero in coro. Mi sedetti al mio posto e tirai fuori dallo zaino l'astuccio.

"Bonjour" disse la professoressa di francese e le lezioni cominciarono.

***

La campanella dell'ottava ora suonò ed io mi diressi verso l'uscita. Giovanna era malata, quindi sarei stata sola. Speravo di vedere Mattia ad aspettarmi, e un grosso sorriso mi si stampò in volto quando lo vidi fuori il cancello della scuola.

Alla sua vista il cuore cominciò a battermi forte. Pioveva ed io aprii l'ombrello per ripararmi dalla pioggia. Lui era senza ombrello. Mi diressi verso di lui e glielo avvicinai.

"Perché sei qui?" gli chiesi.

"Te l'ho già spiegato stamattina. Mi sembravi più intelligente la prima volta che ti ho parlato" mi rispose mentre mi guardava.

"No, intendo qui sotto la pioggia. Potevi ripararti sotto un balcone ad aspettarmi" ribattei.

"Non mi avresti visto" rispose.

"Va bene. Andiamo?"

"Certo" disse mentre si alzava. Camminava distante da me. Pioveva più forte e lui continuava a stare sotto la pioggia.

"Vieni qui" gli dissi con un leggero sorriso. Si avvicinò e si riparò sotto l'ombrello. Mi tolse di mano quest'ultimo. Le nostre mani si sfiorarono. Ci guardammo e sorridemmo contemporaneamente.

Lo vidi arrossire leggermente. Era bello tenere il coltello dalla parte del manico ogni tanto. Smise di piovere e finalmente potemmo chiudere l'ombrello.

Camminammo lungo un viale alberato. Mi teneva per mano. C'eravamo appena conosciuti, ma era come se ci frequentassimo da anni. Eravamo in sintonia, ridevamo, scherzavamo e parlavamo di qualunque cosa ci venisse in mente.

In quel momento capii perché tutte le ragazze stravedessero per lui. Tenerlo per mano e ridere insieme mi sembrava la cosa più naturale di questo mondo.

Arrivammo e, come al solito, ci sedemmo ad aspettare. Accanto a noi c'erano seduti degli artisti di strada. Un ragazzo cominciò a suonare la chitarra. Attaccò con Give me love di Ed Sheeran. Adoravo quella canzone. Il testo riusciva sempre a commuovermi. Senza rendermene conto cominciai a cantare quella canzone. Ero come in trans, non sentivo e non vedevo niente di tutto quello che mi stava intorno. Quando cantavo mi succedeva sempre. Solo quando la canzone terminò mi accorsi che una folla si era radunata intorno a me. Applaudiva e gridava "Brava!"

Mi voltai verso Mattia con lo sguardo confuso.

"Sei davvero brava" si congratulò. Quando mi resi conto di quello che avevo appena fatto mi portai le mani alla bocca e cominciai ad arrossire. Un uomo si fece strada tra la folla. Era in giacca e cravatta. Sembrava un uomo importante e famoso.

"Salve, sono un produttore discografico. Passavo per caso e ti ho sentita cantare. Hai talento. Questo è il mio biglietto da visita, chiamami se ti interessa diventare una stella" mi disse porgendomi un fogliettino.

"Oh, grazie per l'offerta, ma non sono interessata" gli dissi.

"Non preoccuparti. Chiamami se cambi idea."

Detto questo scomparve tra folla. Guardai Mattia e scoppiai a ridere.

"Perché non hai accettato?" mi chiese sorpreso.

"Perché quel mondo non fa per me" risposi.

"Tu sei pazza" mi disse.

"E lo sei anche tu perché stai con me" ridacchiai. In quell'istante arrivò il mio autobus.

"Ti aspetterò anche domani" mi urlò un momento prima che io salissi sul mezzo.

"Ok" risposi sorridendogli.

"Fai buon viaggio!"

"Grazie."

L'autobus partì ed un'altra stramba giornata terminò.

 

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Ehilà! Come va? Spero bene. Grazie mille per il grande sostegno che mi state dando. Sono davvero felice che la mia storia vi piaccia.

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Capitolo 26
*** A casa sua ***


Mattia, quella mattina, non si presentò al nostro solito appuntamento. La panchina dove sedeva sempre ad aspettarmi era stranamente vuota. Rimasi dispiaciuta a quella vista. Eravamo stati così tanto tempo insieme che il pensiero di non vederlo più mi scioccava.
Feci la strada insieme a Giovanna ed arrivai a scuola. Al suono della campanella entrai e mi diressi in classe. Mi ero appena seduta quando un ragazzo entrò nella mia classe.
"Chi è Elena?" Chiese guardando tutte le ragazze presenti.
"Sono io" dissi alzando la mano.
"Ho un messaggio per te da parte di Mattia " disse mentre mi porgeva il suo telefono.
"Ciao Ely, scusami se oggi non mi sono presentato alla fermata, purtroppo mi sono ammalato e non sono venuto a scuola. Non ho il tuo numero così ho dovuto mandare Luca per farti leggere questo messaggio. Quando guarirò ricordati di darmi il tuo numero di cellulare."
Questo spiega tutto! Tutti quei brutti pensieri furono spazzati via da quel messaggio.
"Posso salvare il suo numero nel mio cellulare? " chiesi a quel ragazzo.
"Certo."
Salvai il numero e restituii il cellulare al suo proprietario. 
A MattiaCiao Mattia, sono Elena. Non preoccuparti per questa mattina. Sei stato gentile ad avermi avvertita. Adesso riposati e guarisci presto, ho bisogno della mia guardia del corpo ;)
Inviai il messaggio e posai il cellulare nella tasca. Pochi secondi dopo cominciò a vibrare. 
Da Mattia: Grazie per aver capito. Stai attenta quando sei per strada, non farmi preoccupare.
A Mattia: Sta' tranquillo :)
***
Terminarono le lezioni ed io e Giovanna ci dirigemmo alla fermata.
"Gio' io oggi prendo un altro autobus. Devo andare a trovare una persona" le dissi.
"Chi sarebbe questa persona?" Chiese curiosa.
"Un mio amico" risposi vaga.
"Oh, ho capito" affermò fissandomi maliziosamente. Sbarrai gli occhi a quella affermazione.
"Cosa hai capito?" Chiesi.
"Vai da Mattia e non dirmi di no!"
"Si, hai ragione" bisbigliai. Si mise a ridere.
"Avevo ragione sin dall'inizio" confermò.
"Adesso smettila" dissi imbarazzata.
In quell'istante arrivò l'autobus e mi congedai da Giovanna e salii su di esso.
Durante il viaggio continuavo a ripensare alla mia vita prima del liceo. Ero cambiata molto. La me del passato non sarebbe salita su un autobus per andare a trovare un ragazzo appena conosciuto. L'autobus arrivò a destinazione, ma solo dopo essere scesa  mi accorsi di un piccolo problema: non avevo la più pallida idea di dove abitasse Mattia.
Cominciai a guardarmi intorno. All'improvviso mi ricordai di aver salvato il suo numero nella rubrica. Cercai tra i contatti fino a trovare il suo e lo chiami.
"Ciao, ehm, dove abiti di preciso?" gli chiesi non appena accettò la chiamata.
"Perché vuoi saperlo?" Mi chiese incuriosito.
"Rispondi alla mia domanda" ribattei. Volevo fargli una sorpresa, ma non ero molto brava. Finalmente si decise a darmi l'indirizzo.
Riattaccai ed accesi il navigatore satellitare sul cellulare. Inserii l'indirizzo e cominciai a seguire le indicazioni che mi suggeriva. Dopo circa cinque minuti raggiunsi casa sua. Esitai un attimo, ma alla fine suonai il campanello.
"Chi è?" Mi rispose una voce.
"Elena."
Alla mia risposta il portone si aprì automaticamente. Lo spinsi ed entrai. Cominciai ad osservare tutti gli oggetti sulle mensole. Foto, attestati e premi erano gli oggetti più in vista. Dalle foto potevo dedurre che era un giocatore di basket. Era molto attraente in una foto dove aveva in mano un trofeo con indosso la divisa della sua squadra. Beh, lui era sempre attraente in effetti. Continuai a camminare fino a raggiungere la porta d'ingresso. Era già aperta così la scostai fino a permettermi di entrare.
"Permesso" dissi chiudendo la porta.
"Entra" mi rispose.
Cominciai a cercare la camera di Mattia e, poco dopo la trovai. Era disteso sul letto semicoperto e con un fazzoletto sulla fronte.
"Ehi" gli dissi quasi bisbigliando.
"Ehi" rispose con la voce un po' aspra.
"Come stai?"
Alla mia domanda sfilò qualcosa da sotto l'ascella. Presi il termometro, 40° C.
"È molto alta, hai preso qualcosa?" Gli chiesi preoccupata.
Si schiarì la gola e mi indicò un flacone sopra il comodino. Mi avvicinai a lui e mi sedetti sul bordo del letto.
"Stai lontana, non voglio contagiarti" mi disse cercando di spostarmi.
"Io non mi muovo di qui finché non starai meglio" risposi sorridendo.
Annuì rassegnato e si distese nuovamente sul letto. Presi il fazzoletto ed andai nel suo bagno. Cavolo aveva un bagno privato, a casa mia a malapena ce n'era uno!
Sciacquai quel pezzo di stoffa e glielo rimisi sulla fronte.
"Hai mangiato?" Gli chiesi.
"No."
"Devi mangiare qualcosa, cucinerò io per te" dissi alzandomi.
Mi diressi in cucina ed aprii il frigorifero alla ricerca di qualche cibo salutare da fargli mangiare. Volevo prepararli del brodo con della pastina, così presi una pentola dallo sportello accanto la cappa e lo riempii d'acqua.
"I tuoi genitori non ci sono?" Chiesi mentre tagliato le verdure.
"I miei sono morti tre anni fa" mi rispose.
A quell'affermazione mi scivolò il coltello e mi tagliai il dito indice.
"Ahi!" Esclamai gettando la lama sul tagliere e portandomi il dito alla bocca.
"Devi stare più attenta" mi sussurrò all'orecchio mentre mi cingeva la vita con le sue forti braccia. Ebbi un sussulto. Sentivo il suo respiro affannoso sul mio collo appena scoperto dallo scollo della maglietta. Sentivo il suo corpo rovente premere contro il mio. Il cuore cominciò a battermi violentemente.
"C-cosa stai facendo? Torna a letto" balbettai.
"Sei una frana" disse mentre mi girava verso di se e mi baciava dolcemente la ferita. Ritrassi di scatto la mano e la misi sul petto.
"Va' a letto" riprovai più decisa.
Mi fissò per un attimo, come a volermi persuadere solo con lo sguardo, ma non ci riuscì. Uno dei miei difetti era la testardaggine, ma in questi casi era un pregio molto utile.
Dopo una decina di minuti fu tutto pronto. Riposi il piatto, dei tovaglioli, dell'acqua e un cucchiaio su di un vassoio e mi diressi verso la sua camera.
Mattia dormiva, sembrava così buono ed indifeso mentre lo faceva. Era un peccato svegliarlo, ma il brodo faceva effetto se bevuto caldo.
"Ehi, svegliati, è pronto" gli sussurrai mentre con una mano gli accarezzavo una guancia.
Stropicciò gli occhi e si sedette sul letto.
"Grazie" mi disse con la voce un po' rauca.
Sorrisi leggermente e gli porsi il vassoio. Quando ebbe finito di mangiare gli chiesi:
"Eri serio quando mi hai detto che i tuoi genitori sono morti?"
"Si, lo ero."
"Mi dispiace...E tu? Vivi da solo qui?" gli chiesi.
"No, ho un fratello più grande di me, ma è sempre a lavoro e a casa non c'è quasi mai" mi disse. Feci per fargli altre domande, ma fui interrotta dal suono del citofono.
"Potresti andare tu, sarà sicuramente mio fratello" mi disse.
Andai verso il citofono e risposi.
"Si?"
"Sono Lorenzo, e tu chi sei?"
"Sono un'amica di Mattia, tu devi essere suo fratello."
"Si, sono io."
Gli aprii il portone e tornai da Mattia.
"Avevi ragione, era tuo fratello."
Annuì e tornò a rilassarsi sul suo letto. Guardai l'orologio.
"Oh merda! Sono le 20:18! I miei saranno sicuramente in pensiero per me" esclamai all'improvviso.
"Cazzo non urlare. Ho un mal di testa che mi sta uccidendo!"
"Oh, scusa non volevo" dissi serrandomi la bocca con le mani.
"Forse è meglio che io vada" gli comunicai mentre raccattavo le mie cose.
"Hai ragione" mi disse schietto.
Quella frase mi lasciò perplessa. Ero venuta per aiutarlo, fargli compagnia e l'unica cosa che riusciva a dirmi era hai ragione!? Ma che risposta del cavolo era? Decisi di sorvolare e di andarmene al più presto. Per lui avevo fatto già abbastanza. Presi la mia borsa e in quell'istante chiamò mia madre.
"Elena vuoi dirmi che fine hai fatto?" mi urlò.
"Sono a casa di un'amica, stavo giusto per andare alla fermata e prendere l'ultimo autobus" mi giustificai.
"Per adesso va', quando arriverai a casa faremo i conti!"
Riagganciai il telefono, che riposi nella borsa.
"Io, allora, vado. Ci vediamo a scuola" gli dissi salutandolo con la mano.
"Elena, grazie per oggi" mi disse sorridendomi.
Quella sera, vidi sul suo volto un sorriso diverso. Non il solito, malizioso e impertinente, per la prima volta vidi in lui un sorriso gentile e sincero.
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Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito questa storia. All'inizio avevo pensato di arrendermi, ma grazie a voi ho deciso di continuare. Grazie mille per il vostro sostegno!
 Un ringraziamento speciale, però, va a FRAMAR, che è stato il mio primo recensore e ancora oggi continua a supportarmi commentando ogni capitolo. Sono contenta di averlo conosciuto come scrittore e come persona. Bacioni e al prossimo capitolo!

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Capitolo 27
*** Amara sorpresa ***


 

Dopo un paio di giorni Mattia tornò a scuola. Non ero più sola. Camminare di nuovo insieme dopo tanto tempo era come un sogno. Forse stavo cominciando ad innamorarmi di nuovo, questa volta della persona giusta.

"Ciao ragazze!" Salutai euforica le mie amiche.

"Ehi!" ricambiarono.

"Come mai sei così euforica questa mattina?" Mi chiese Genni.

"La mia vita non può andare meglio" le dissi con un sorriso.

"Sono contenta per te."

"Per caso c'entra Mattia con tutta questa felicità?" Chiese Martina.

Annuii leggermente. Di conseguenza tutte mi abbracciarono congratulandosi. Ero davvero felice, dopo tutto me lo meritano almeno un po'.

“Seduti ragazzi” quasi urlò la professoressa Marchesa. Era una professoressa davvero strana. Nelle sue lezioni si poteva fare di tutto, tanto lei non se ne sarebbe accorta. Federico, uno dei miei compagni di classe, giocava tranquillamente con il suo cellulare mentre l’insegnante spiegava l’economia della Cina. La Marchesa, strepitando  frasi incomprensibili al mio compagno di classe, Giuseppe, generava la risata liberatoria di tutta la classe.

Ad un tratto qualcuno bussò alla porta.

“Avanti” si interruppe la professoressa. La vicepreside varcò la soglia della classe e cominciò a parlare. Non facevo molto caso alle sue parole, ero troppo occupata a fissare il ragazzo che si nascondeva dietro la porta.

“…avrete un nuovo compagno di classe. Mi raccomando trattatelo come si deve. Scusi per l’interruzione professoressa. Buon lavoro!”

Un attimo. Chi potrebbe essere? Ero eccitata all’idea di avere un nuovo compagno in classe. Mi rimisi composta sulla mia sedia e cominciai a sorridere in attesa della sua entrata.

“Su, entra. Non fare il timido.” Lo incitò la prof.

Il ragazzo sorpassò la porta e alzò il capo per fissare i suoi nuovi compagni di classe. Non sapevo spiegarlo, aveva qualcosa di famigliare, mi sembrava già di conoscerlo. Era molto alto, spalle larghe e forti.

“Presentati alla classe” continuò la professoressa.

“Con calma” disse con tono svogliato. Si tolse il cappello che gli copriva maggior parte del volto e cominciò a parlare.

“Ciao a tutti. Io sono Stefano Rossi. Mi piace il nuoto e lo pratico da sei anni…”  

“Professoressa posso sedermi adesso?” chiese alla fine.

“Certo.”

Oh-mio-dio! Cosa cazzo ci faceva qui Stefano? Per tutto il tempo della sua presentazione non faceva altro che fissarmi. Che mi abbia riconosciuta? Quando mi resi conto di quello che stava accadendo cominciò a battermi forte il cuore.

Mi agitai, non avevo assolutamente considerato l’idea di rincontrarlo nella mia vita dopo tutto quello che mi aveva fatto. Con che faccia tosta si veniva a ripresentare davanti ai miei occhi dopo il modo in cui mi aveva trattata?  

Sicuramente non sarei ricaduta tra le sue braccia come se niente fosse. Io non ero ancora riuscita a perdonarlo. E di certo non l’avrei fatto neanche morta.

“Siediti accanto ad Elena.”

“Eh no!” esclami causando lo stupore dell’intera classe.

“E perché no?” ribatté la professoressa.

Stefano mi tirò per un braccio e mi sussurrò all'orecchio “Non causarmi problemi.”

Un brivido percosse il mio corpo irrigidendolo e rendendolo incapace di muoversi. Si sedette accanto a me e le lezioni proseguirono. Per tutto il tempo non feci altro che fissarlo. Era cambiato, non era più lui. Dove era finito lo Stefano gentile e premuroso? Davanti a me c’era solo una sua copia riuscita male. Era rude ed emanava quell'aria di superiorità che mi irritava molto. Ma la cosa che più mi dava fastidio era la sua indifferenza. Sapeva quante lacrime avevo versato per lui, ma semplicemente faceva finta di niente. Come se la colpa della nostra separazione fosse esclusivamente mia.

Era cambiato anche nell'aspetto. Si era fatto crescere i capelli, adesso un folto ciuffo quasi copriva il suo occhio destro. La sua voce era estremamente cambiata, era diventata più profonda e rauca, da uomo. Anche i suoi atteggiamenti erano diversi, era più spavaldo e svogliato dall'ultima volta che lo avevo visto. Quello non poteva essere Stefano!

***

Finalmente suonò la campanella e, come una mandria inferocita, gli studenti si diressero verso i cancelli.

“Ciao Mattia” dissi mentre lo baciavo sulla guancia.

“Ciao” rispose sorridendomi.

Stavamo parlando del più e del meno quando Stefano ci passò davanti incenerendomi con lo sguardo. Feci finta di niente.

“Chi era quello?” mi chiese Mattia curioso.

“Nessuno” risposi fredda.

Stefano si voltò verso di me, probabilmente mi aveva sentita.

“Non è proprio nessuno” replicai fissandolo a mia volta.

“Bah, beato chi vi capisce a voi donne” disse alzando gli occhi al cielo.

Risi leggermente e ci incamminammo verso la stazione. Ormai io e Mattia eravamo visti già come una coppia, anche se lui non si era ancora deciso a farmi la fatidica proposta.

Non aspettavo altro, ma ogni volta che sembrava vicino a chiedermelo succedeva sempre qualcosa. Era questione di giorni, non potevo fare altro che aspettare.

“Elena…” cominciò a dire.

Ecco, era il momento, stava per chiedermelo.

“Ha da tempo che ci penso…”

I battiti cardiaci aumentavano sempre di più ad ogni sua parola.

“Tra noi c’è intesa e credo che anche tu te ne sia accorta…”

Oh andiamo, arriva al sodo! Urlavo nella mia mente.

“Oh al diavolo!” si avvicinò a me e fece per baciarmi, ma fui strattonata via da lui.

“Non toccarla!” urlò Stefano mentre mi allontanava da lui.

“Che cazzo fai?” si irritò Mattia.

Stefano non rispose, rimaneva immobile a fissarlo.

“Stefano lasciami stare” dissi mentre cercavo di liberarmi dalla sua presa.

Mi lasciò andare, ma prima di rompere definitivamente quel brusco contatto mi sussurrò all'orecchio 

“Sarai sempre e solo mia, ricordalo.”

Si voltò e salì sull'autobus, che nel frattempo era arrivato in stazione.

“Sta salendo sul tuo stesso autobus, non mi fido di quello lì” mi disse Mattia mentre lo guardava male.

“Non preoccuparti, so come gestirlo” cercai di rassicurarlo.

“Adesso vuoi dirmi chi è quel tizio?”

“Te lo dirò domani, altrimenti perderò l’autobus se mi trattengo ancora.”

“Si, hai ragione. Fai buon viaggio” disse mentre mi abbracciava.

In quelle fredde sere di metà novembre i suoi caldi abbracci bastavano a infondermi calore sufficiente da farmi sentire protetta e al sicuro. Lo baciai sulle guance e salii sull'autobus.

Mi sedetti il più lontano possibile da dove si era accomodato Stefano. Presi le cuffie e il mio iPod. Accesi la musica e sospirai, sicura che la mia vita da quel momento in poi non sarebbe mai più stata  tranquilla.

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Tada! Ed ecco come per magia riappare Stefano! Finalmente si è fatto vedere! Ci è mancato un po'? A me tanto *-* chissà cosa succederà! Molti colpi di scena ci saranno nei prossimi capitoli. Chissà se andranno d'accordo Stefano e Mattia ( secondo me non tanto ihihih) Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Al solito vi chiedo di commentare  se ne avete voglia. Ringrazio tutti coloro che hanno letto la mia storia fino a questo punto. Termino questo lungo e noioso monologo con una domanda: Cosa pensate potrebbe succedere nei prossimi capitoli? Liberate la fantasia e lasciate un commentino, potrebbe coincidere con la storia ;)

Arrivederci al prossimo capitolo :*

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Capitolo 28
*** Insieme ***


Mi sentivo un po' a disagio a rivedere Stefano ogni giorno, ma io avevo Mattia che mi sosteneva, non avevo bisogno di altro.

"Buon giorno" mi salutò quella mattina.

"Buon giorno." Ci scambiammo un veloce abbraccio e cominciammo a camminare.

"Come va?" mi chiese serio.

"Sto bene" gli sorrisi "con te al mio fianco non ho paura di niente."

Mi sorrise di rimando e mi prese la mano. La strinsi forte. Con pochi gesti riusciva sempre a tranquillizzarmi, era una delle sue tante qualità.

"Ti va di uscire stasera? È sabato, quindi non dovremo andare a scuola e potremo rimanere in giro fino a tardi" mi disse con occhi pieni di speranza.

"Certo" dissi entusiasta. Sfoderò uno dei suoi bellissimi sorrisi. Cavolo mi sentivo sciogliere ogni volta che me ne faceva uno!

"Dove ci incontriamo?"

"Vengo io da te. Così mi farai vedere dove vivi."

"Vedremo" dissi mentre attraversavo l'ingresso della scuola.

"Ti manderò un messaggio più tardi" quasi mi urlò prima che entrassi in classe.

"D'accordo."

Entrai e presi i libri dal mio armadietto in fondo alla classe.

"Come va con Mattia?" chiese curiosa Miriam.

"Bene, questa sera usciremo insieme" dissi euforica. Stefano era seduto vicino la finestra intento a parlare con Giuseppe, quei due avevano fatto subito amicizia. Non mi importava più di tanto il fatto che potesse sentirmi, ormai non faceva più parte della mia vita.

"Oh non ci posso credere!" disse quasi urlando.

"Zitta! Vuoi che lo sappia tutta la scuola?" le dissi tappandole la bocca.

"Tutta la scuola lo sa già che sbavate l'un l'altra" ridacchiò. Arrossii "Ok, hai ragione" ridacchiai anch'io.

***

Erano le 10:45 e la colazione era già disposta sul bancone pronta per essere gustata dagli studenti. Mi diressi verso la mensa con Cecilia. Era la solita ragazza vivace e divertente, mi ricordava Alice in certi momenti.

"Daiiii, esci con me stasera" sentii urlare dall'altra parte della sala. Mi voltai per osservare la situazione. Vedevo Stefano circondato da ragazze. Una in particolare continuava a sfregarsi contro di lui pregandolo di uscire con lei quella sera. Che cosa deprimente pensai.

"Mi dispiace" le rispose Stefano. Vederlo circondato da ragazze mi faceva uno strano effetto, ma non ci feci molto caso. La cosa più importante era l'uscita con Mattia in quel momento.

Al termine delle lezioni, io e Mattia, ci dirigemmo verso la stazione. Mi avrebbe accompagnata fino a lì e poi mi avrebbe raggiunta più tardi per andare a cena fuori. Ero eccitata al solo pensiero di stare da sola con lui, certo eravamo rimasti soli in molte occasioni, ma mai come una coppia vera e propria. Durante il viaggio non feci altro che pensare al vestito da indossare e come acconciare i capelli.

Arrivai a casa e mi fiondai in bagno. Mi spogliai ed entrai nella doccia. L'acqua calda scendeva lungo la mia schiena disfacendo i miei boccoli per tutta la loro lunghezza. Fare una doccia calda mi rilassava sempre, insieme all'acqua, scorreva via dal mio corpo ogni preoccupazione.

Aprii le porte scorrevoli della doccia liberando il vapore che si era accumulato nella cabina. Presi un asciugamano e cominciai a tamponarmi i capelli. Mi asciugai, andai in camera mia per vestirmi e presi il cellulare per controllare se avevo ricevuto messaggi durante la mia lunga permanenza in bagno.

Da Mattia <3: Sarò da te verso le 8. L'indirizzo è quello che mi hai dato stamattina vero?

A Mattia <3: Si è proprio quello. Non vedo l'ora di vederti : )

Da Mattia <3: Anch'io

Non potevo essere più felice. Finalmente avevo trovato la persona giusta, sentivo che con lui non avrei sofferto più. Gettai il cellulare sul letto e cominciai a svaligiare il mio armadio alla ricerca di un vestitino che potesse piacergli. Non riuscivo a trovarne uno che andasse bene.

"Mamma puoi venire un attimo?" chiamai aiuto.

"Arrivo" mi rispose dalla cucina.

"Cosa succede?"

"Non riesco a trovare un vestito per stasera" le dissi agitata.

"C'è qualche evento importante?"

Arrossii talmente tanto che la mia faccia sembrava un peperone.

"Ho capito. Si tratta di un ragazzo vero?" Annuii leggermente. "Aspetta qui" mi disse prima di scomparire dietro la porta.

Pochi minuti dopo tornò con in mano una grossa scatola. La poggiò sul letto e mi disse soddisfatta "Questo è il vestito che indossai al primo appuntamento con tuo padre. Voglio che l'abbia tu."

Tolse la carta velina che copriva l'abito e me lo mostrò. Era un vestito con delle stampe geometriche bianche e nere sul corpetto e una cintura in pelle a dividerlo dalla gonna interamente nera. "Dimmi...sei innamorata di questo ragazzo?" chiese mia madre mentre mi fissava.

"Si, mamma. Ogni volta che lo vedo mi batte forte il cuore" le risposi arrossendo. Mi abbracciò.

"La mia bambina sta crescendo" mi disse commossa.

Una lacrima scese lungo la mia guancia, ero contenta del bel rapporto che avevo con mia madre. "Dai adesso vestiti, hai un principe da incontrare stasera."

"Si."

Misi quel bellissimo vestito e indossai delle ballerine nere. Definii meglio i miei ricci con la piastra e mi truccai leggermente, passando un po' di rossetto sulle labbra e un filo di mascara sulle ciglia. Presi una pochette e una giacca nel caso avessi sentito freddo. Erano ormai le 19:55, mancava poco. Ero agitatissima, e l'agitazione crebbe quando suonò il campanello.

Aprì la porta mio padre. Io ero appena dietro di lui ancora sulle scale. Rimasi a bocca aperta, emanava un'aura brillante che continuava ad attrarmi con la sua potente forza di gravità. Indossava un maglione blu scuro e un paio di jeans color ghiaccio. Era davvero affascinante.

"Buona sera signore" salutò educatamente mio padre.

"Salve giovanotto" ricambiò il saluto.

"Sei qui per mia figlia?"

"Certo signore" gli rispose con un sorriso.

"Accomodati, voglio farmi una chiacchierata con te se non ti dispiace" disse mentre lo faceva entrare.

"Allora...come hai detto di chiamarti?" gli chiese mio padre con aria severa.

"Mattia Ferrari, signore."

Osservavo la scena da dietro una colonna, vedevo Mattia un po' agitato, ma fino a quel momento stava andando bene.

"Quanti anni hai?"

"Ho sedici anni."

"Perché sei interessato a mia figlia?" chiese duro. "Sono interessato a sua figlia perché è una persona fantastica, ha sofferto in passato ed io voglio aiutarla a dimenticare. Sa, penso di essermi innamorato" disse mentre si sfregava le mani dal nervosismo.

Ebbi un sussulto al cuore a quell'affermazione. Mio padre sorrise leggermente.

"D'accordo figliolo, per adesso hai la mia fiducia..." "Falla soffrire e ti uccido" si intromise mio fratello che era rimasto ad osservare la scena in disparte. "Non c'è nessun pericolo" rispose sicuro sostenendo lo sguardo di Andrea.

"Bene. Elena vieni fuori" mi chiamò poi.

Uscii dal mio nascondiglio e camminai verso Mattia e gli sorrisi come a dirgli bravo, hai superato la prova. Sorrise di rimando e andammo verso la porta. "Riportamela a casa verso le 11" disse mio padre prima di chiudere la porta.

"Certo" gli rispose Mattia. Superato il portico di casa, mi prese la mano e mi condusse verso il luogo dove dovevamo andare a cenare. Mi portò in una piccola pizzeria. Vivevo in quel paese da quattordici anni, ma non avevo mai visto quel luogo. Era un ristornante rustico, un camino acceso in fondo alla sala riscaldava l'ambiente, era un bel posto, mi faceva sentire a casa. Ci accomodammo su un tavolo e cominciammo a sfogliare il menù.

***

Il resto della serata passò tra sorrisi e sguardi intensi. Camminavamo per un lungo viale quando Mattia si fermò di colpo.

"Cosa c'è?" chiesi curiosa.

"Elena è arrivato il momento di dirti quello che provo per te."

Alle sue parole il mio cuore fece una capriola, ero emozionatissima, finalmente il momento tanto atteso stava arrivando.

"Elena..." si bloccò. Faceva tanto lo spavaldo, ma quando si trattava di esprimere i propri sentimenti diventava il ragazzo più timido del mondo.

Ero stufa d'aspettare che si decidesse a parlare così l'afferrai per la nuca e lo tirai a me, baciandolo dolcemente sulle labbra. Fu un bacio breve, ma intenso.

"Elena!" disse sorpreso dopo che le nostre bocche si divisero. Sorrisi per l'imbarazzo.

"Scusa, ma morivo dalla voglia di farlo" gli confessai con il broncio. Si voltò di scatto.

"Cazzo sei troppo carina! Non guardarmi in quella maniera, non riuscirei a controllarmi."

Sorrisi e mi avvicinai a lui.

"Baciami stupido."

Mi baciò e mi strinse a sé. Potevo sentire il suo battito cardiaco fondersi con il mio. Era una sensazione bellissima.

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Capitolo 29
*** Stanza 128 ***


 

“Buon giorno ragazzi!” urlò la professoressa irrompendo in classe.

“Prof non cominci ad urlare di prima mattina, la prego” disse Mirko tappandosi le orecchie con i palmi delle mani.

“Oh, scusate, scusate” disse lanciando il registro sulla cattedra. “E’ che sono troppo contenta” si giustificò scatenando la curiosità della classe, che disse all'unisono “Come mai?”

“Il preside ha accettato la mia proposta, che consiste nell'andare in montagna a sciare!”

Che bello! Adoravo la montagna.

“Per quanti giorni?” chiese Giulia.

“Per ben  una settimana!” esclamò la professoressa soddisfatta.

Tutti ci alzammo in piedi  ad esultare: una settimana senza le noiosissime spiegazioni del professore delle materie classiche. Ah, che liberazione.

“Buon giorno piccola” mi salutò Mattia entrando a mensa.

Non mi piaceva essere chiamata piccola, ma quando lo faceva lui era diverso, mi piaceva.

“Buon giorno” ricambiai con un grosso sorriso in volto.

Mi baciò la guancia destra e posò il suo vassoio accanto al mio sul tavolo.  Arrossii leggermente a quella manifestazione d’affetto, mi vergognavo ancora un po’ a farlo in pubblico. Tornai a fissare il piatto ancora pieno di pasta al pomodoro, picchiettando la forchetta sul lato di esso.

“Qualcosa non va?” chiese preoccupato. Quella domanda mi spiazzò. Ero ancora scossa da l'improvvisa ricomparsa di Stefano. Non volevo parlargliene, non volevo che si allarmasse senza un reale motivo.

“No, va tutto bene” risposi con un filo di voce.

“Sicura?” mi chiese piegando la testa da un lato mentre mi guardava intensamente. I suoi occhi erano come lame che trafiggevano la mia anima, erano così intensi e profondi, mi sarei sciolta se non avessi distolto lo sguardo.

“S-si, sono sicura” dissi cercando di sorridere. “Ok, ma ricorda: qualunque problema t’affligga voglio che ne parli con me. Sono il tuo ragazzo e vorrei essere più partecipe della tua vita” disse con tono triste.

Non ero riuscita a convincerlo del tutto, non ero molto brava a mentire.

“Va tutto bene, dico la verità” dissi abbracciandolo.

“Cosa sono questi atti osceni in un luogo pubblico?” disse seccato Giuseppe.

“Oh, chiudi il becco sfigato!” ribattei a tono. Sbuffò e se ne andò. Scoppiammo a ridere, non era la prima volta che succedeva.

***

Il giorno della partenza arrivò e con esso anche l’entusiasmo.

“Ely cosa hai messo dentro la valigia?” mi chiese Cecilia.

“Tutto l’armadio” risposi ironica.

“Salve ragazze!” urlò Alessandra sbucando da dietro il pullman parcheggiato davanti la scuola. “Ciao bella!” la salutammo in coro.

“Elena!” Mi voltai. “Mattia cosa c’è?”

“Volevo salutarti prima della tua partenza” disse con un sorriso.

“Oh, come sei dolce” dissi stringendogli le mani.

“Mi mancherai. Come farò una settimana senza di te?” chiese con il broncio.

“Sopravvivrai” gli sussurrai all'orecchio destro.  Mi accarezzò la guancia sinistra e mi baciò teneramente.

“Oh” dissero in coro le mie amiche rimaste ad osservare la scena.

“Siete dolcissimi, mi fate venire le carie!” disse Miriam.

“Oh, ma lo sai che ti voglio bene” le dissi stampandole un bacio sulla guancia.

“Ragazzi è ora di partire!” urlò la professoressa di Educazione fisica con in mano la lista degli alunni.

“Arriviamo!” urlammo in risposta.

Feci per dirigermi verso il pullman, quando Mattia mi afferrò il polso e mi tirò a sé.

“Dammi un ultimo bacio” mi disse mentre mi cingeva la vita con le sue forti braccia.

“Mi dispiace donnaiolo dei miei stivali! Se ti comporterai bene durante la mia assenza te lo darò. Ho le mie spie a scuola quindi non potrai mentire” gli dissi liberandomi dalla sua presa e facendogli l’occhiolino. Sbuffò e mi salutò con la mano, mentre io camminavo all'indietro verso la prof. Solo dopo mi accorsi dello sguardo di Stefano diretto verso di me. Che mi abbia fissata per tutto quel tempo?

Salii sul veicolo e mi accomodai accanto ad Alessandra. Stefano era tre posti dietro, continuavo a sentire il suo sguardo su di me e la cosa mi preoccupava.

***

Il viaggio non durò molto e in un batter d’occhio eravamo già arrivati in hotel. Prendemmo ognuno la propria  valigia e ci dirigemmo verso la reception.

La professoressa mi affidò le chiavi ed insieme a Miriam e Cecilia, mi diressi verso l’ascensore. “Dobbiamo salire al primo piano” mi disse Miriam.

Premetti il bottone con un grosso -1- e l’ascensore partì con la sua ascesa. Dopo un drin emesso all'aprirsi delle porte scorrevoli uscimmo per avviarci verso la nostra camera.  Era la camera 126, così cominciammo a cercarla. 123….124……125… Eccola finalmente! Infilai la chiave nella serratura ed aprii la porta.

Dentro vi erano tre letti singoli. Una grande finestra illuminava la stanza. Le pareti erano tinteggiate di un giallo canarino con dei quadretti appesi qua e là. Gettai la borsa sul letto più vicino alla porta e camminai verso la finestra, la aprii e guardai fuori. Avevamo un piccolo balconcino e una vista stupenda sull'Etna. Guardai a destra e a sinistra e notai che tutti i balconi erano collegati tra loro, solo un piccolo muretto li separava.

“Elena chiudi quella finestra! Fa freddo!” mi urlò Cecilia tremante.

“Scusa” dissi chiudendo le imposte e sistemando la tenda.

“Che ore saranno?” chiese Miriam gettandosi sul letto.

Guardai il mio orologio.

“Sono le 17:35” risposi.

Rimanemmo in camera a disfare la valigia ed a decidere cosa indossare per la cena. Qualcuno bussò alla porta e mi affrettai ad aprire.

“La cena sarà alle venti. Puntuali mi raccomando” mi disse la professoressa non appena aprii la porta.

“Ok prof” risposi.

Chiusi la porta e tornai dalle mie amiche.

“Cosa mi metto?” chiesi sedendomi sul letto.

“Qualcosa di carino” mi rispose Cecilia.

“Non so quale vestito scegliere” dissi frugando tra la montagna di vestiti sul mio letto.

“Indossa questo” disse Miriam tirando fuori un vestito blu elettrico.

“Ok” decisi mentre prendevo la biancheria intima. “Vado a farmi una doccia” dissi prima di entrare in bagno.

“Ok, fa’ in fretta.”

Dopo una calda e rilassante doccia indossai il vestito e i collant. Uscii dal bagno e mi diressi verso le ragazze.

“Che ve ne pare?” dissi girando su me stessa.

“Che bello” risposero in coro.

“Bene. Allora comincio a truccarmi” dissi mentre prendevo il mio beauty case. Dopo un’ora fummo tutte pronte per la cena e ci dirigemmo verso la sala. I nostri compagni erano già tutti lì, mancavamo solo noi. Ci sedemmo al nostro tavolo e cominciammo a chiacchierare.

Si aggiunsero Martina, Alessandra e Genni e, poco dopo, cominciarono a servire il primo. La serata fu abbastanza tranquilla e divertente, a parte qualche brivido che ogni tanto percorreva la mia schiena a causa di Stefano.

***

Dopo cena, i professori avevano organizzato una piccola festa chiamando un deejay.  Io e le ragazze ballammo fino a non sentirci più i piedi, era davvero divertente. Verso le 22:50 tornammo in camera.

“Che stanchezza” sospirai buttandomi sul letto.

“Già, però è stato divertente!” ribatté soddisfatta Cecilia facendo lo stesso.

“Domani andremo a sciare…” disse mezza addormentata Miriam. 

 

Aprii la valigia alla ricerca del pigiama, che non trovai.

“Non può essere” borbottai.

Rovistavo all'interno della valigia, ma del pigiama nessuna traccia. Dove era finito? Ero sicurissima di averlo portato con me.

“Ragazze avete visto il mio pigiama?” chiesi preoccupata.

“No.”

“Vai da Martina, sicuramente avrà un pigiama da prestarti” mi suggerì Cecilia.

Ero rimasta solo in intimo, così indossai la felpa di mio fratello ed uscii dalla camera. Era abbastanza lunga da coprirmi fino a metà coscia. Me l’ero portata per sentirmi più vicina a lui, ero molto legata a mio fratello. Stavo camminando in corridoio quando una domanda mi sorse in mente. Che camera erano le altre? Per tutto il tempo avevamo parlato di qualsiasi argomento, ma su quale camera alloggiassero non avevamo speso neanche una parola.

“Che seccatura!” bisbigliai sbuffando, non volevo farmi sentire dai prof, che vegliavano i corridoi come cani da guardia. Per fortuna Carolina, sbucò fuori dalla sua camera.

Corsi verso di lei e le chiesi “Sai in quale camera stanno Martina e le altre?”

“Certo, è la stanza 128” mi rispose con un ghigno. Un brivido percosse la mia schiena. Quel sorriso era terrificante.

La ringraziai e cominciai a cercare quella stanza. Dopo tre minuti la trovai e bussai. Passarono un paio di secondi prima che la porta si aprisse.

Al posto del viso di Martina mi ritrovai davanti quello di Stefano mezzo addormentato.

“E tu cosa ci fai nella camera di Martina!” quasi urlai.

“Zitta vuoi farti scoprire?!” mi disse tappandomi la bocca con la mano. Lo guardai male.

“Ehi chi c’è ancora in piedi!” urlò uno dei prof in fondo al corridoio.

La sua voce si faceva sempre più vicina. Stefano mi tirò dentro la camera e chiuse la porta. Mi stringeva a sé. Avevo dimenticato come erano i suoi abbracci. Per un momento mi sentii bene. Aspetta un attimo! Io ero innamorata di Mattia! Cosa ci facevo mezza nuda in camera di Stefano? Accostò il suo orecchio alla porta.

“Presto vieni a letto!” mi disse tirandomi.

“Asp- cosa?” chiesi sorpresa.

“Il prof sta arrivando” mi disse mentre mi gettava sul letto.

Si sdraiò sopra di me e coprì i nostri corpi con la coperta. Merda, merda, merda! Di male in peggio! Che imbarazzo, sentivo il suo corpo premere sul mio, il suo respiro sul mio collo e il suo sguardo sul mio seno.

“Da quando sei così pervertito?” bisbigliai.

“Da quando una ragazza mi viene a trovare in camera mezza nuda” rispose con tono malizioso.

“Oh quanto ti odio” gli risposi.

“Anch'io, non sai quanto.”

“Zitta!” disse abbassandosi ancora verso di me. Il professore aprì la porta e osservò la situazione. Il cuore mi batteva a mille. Mi ero cacciata in un bel casino!

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Capitolo 30
*** Calore ***


 

"Shh, sta' zitta o ci scoprirà" sussurrò Stefano per non farsi sentire. Il suo corpo continuava a schiacciare il mio contro il duro materasso del letto. Mi sentivo come in una pressa. Cominciai a sudare, ero troppo nervosa.

"Bah qui è tutto tranquillo, me lo sarò immaginato" disse il professore uscendo dalla stanza.

Tirai un sospiro di sollievo nel sentire la porta chiudersi.

"Wow, c'è mancato poco" sospirò togliendosi da quella posizione per sdraiarsi di fianco a me.

"È tutta colpa tua" gli dissi seccata.

"Mia?! Adesso sarei io quello che irrompe nelle camere altrui nel cuore della notte?" Sbraitò mettendosi seduto sul letto.

"Shh vuoi svegliare anche Simone?" Lo rimproverai guardando il letto di fianco al suo.

"Sbrigati ad uscire."

"È quello che sto per fare" dissi alzandomi dal letto mentre camminavo verso la porta. La aprii e tirai fuori la testa. Cazzo! Il professore era ancora lì e non aveva alcuna intenzione di spostarsi visto che si era accomodato in uno dei divanetti in corridoio a sorseggiare una cioccolata calda. Ma cosa sono? Vampiri? Possibile che non dormano mai?! Pensai irritata. E adesso come esco di qui?

Chiusi la porta cercando di fare il meno rumore possibile. Tornai indietro.

"Stefano" lo chiamai, ma non mi sentiva, si era già addormentato.

"Stefano! Svegliati" insistei scuotendolo un po'. Niente. Che stupido! Mi guardai in torno alla ricerca di qualcosa che potesse sveglialo.

Un vaso era poggiato sul comodino. Lo afferrai, tolsi i fiori, che poggiai per terra e versai un po' d'acqua sul viso di Stefano.

"A-aiuto, annego!" Disse mentre si dimenava come un cane che non vuole farsi il bagno. Mi misi a ridere, era buffissimo.

"Che ti prende? Vuoi forse uccidermi?!"

"Quante storie per un goccio d'acqua."

"Tu!" Disse a denti stretti.

"Piuttosto aiutami. Il professore è qui fuori e non posso tornare in camera" gli spiegai.

"Non è un mio problema" disse alzandosi e andando in bagno per asciugarsi il viso.

"Oh si che lo è!" Dissi seccata "Posso sempre dire che mi hai portata qui con la forza. A chi crederà? A te? O ad una dolce e innocente fanciulla?" Dissi incrociando le braccia e mettendo il broncio.

"È un ricatto?"

"Esattamente" risposi portandomi le mani ai fianchi.

"D'accordo" disse andando verso la finestra.

"I balconi sono tutti collegati, la tua stanza è vicina, puoi raggiungerla in fretta da qui" spiegò indicando quale strada fare.

"Ok."

Uscii e cominciai a scalare quei muretti, ma erano troppo alti per me.

"Stefano vieni a darmi una mano."

"Perché dovrei? " disse alzando le spalle.

"Dai ti prego, adesso aiutami, fa freddo!" Lo implorai. Sbuffò, ma un lieve sorriso comparve sul suo volto.

Mi venne incontro e si pose di fronte a me. I nostri nasi si sfiorarono. I suoi occhi cercavano i miei. Eravamo sul punto di baciarci quando mi afferrò i fianchi e mi sollevò mettendomi seduta sul muretto.

"Che ti aspettavi?"

"Oh, chiudi il becco" risposi seccata.

"Non prenderti gioco di me." Un vento gelido colpì il mio viso e un brivido attraversò tutto il mio corpo. 
Con lo stesso metodo attraversammo i restanti muretti. Quando arrivai alla finestra della mia stanza cominciai a picchiettare sul vetro. Nessuno veniva ad aprirmi, probabilmente quelle due dormivano già da un pezzo. Stefano era dietro di me. Cominciò a tamburellare anche lui sul vetro, ma niente. "Chiamale" suggerì dopo vari tentativi.

"Il mio telefono è in camera, ma sarà scarico. Dovevo metterlo in carica..." spiegai.

"Fallo con il mio."

"Non conosco il loro numero a memoria."

Appoggiò la schiena al muro e si lasciò andare fino a quando il suo bacino non incontrò il pavimento freddo. Feci lo stesso.

"E adesso?"

"Dovrai stare in camera mia fino a quando il professore non se ne sarà andato." Lo guardai confusa, poi risposi "Ok."

***

Tornammo in camera e richiudemmo la finestra.

"Vieni?" Chiese picchiettando la mano sul letto.

"Vengo solo perché non ho scelta" sbuffai.

"Si, Elena, si."

Sospirai. Mi sdraiai accanto a lui e mi coprii con metà della sua coperta. Mi girai dall'altro lato, dandogli le spalle.

Stavo tremando. Ero ancora con solo la felpa addosso e uscire fuori non fu un'ottima idea.

"Tu stai tremando" bisbigliò. Non risposi, non volevo farmi vedere vulnerabile.

Un braccio mi cinse la vita e una gamba si avvinghiò tra le mie.

"Cosa fai?!" Chiesi sorpresa.

"Sei congelata. Hai bisogno di calore adesso e l'unico che può dartelo sono io, quindi non lamentarti" spiegò.

Il mio cuore faceva una capriola ad ogni suo respiro sul mio collo.

"Dammi la mano" aggiunse. Gliela porsi, erano congelate, aveva ragione, ogni tanto. La situazione era piuttosto imbarazzante. Continuavo a sentire il suo calore entrarmi dentro, fino alle ossa. Il mio corpo bruciava, ero agitata.

"Va tutto bene? Ti vedo inquieta" Chiese.

"Si" dissi stringendogli la mano.

Mi strinse ancora più saldamente a sé. Mi sentivo bene tra le sue braccia, mi faceva sentire protetta e, cullata dal suono del suo respiro, mi addormentai.

L'alba era passata già da un po' e il sole cominciava a schiarire il cielo cacciando via l'oscurità della notte.

Aprii gli occhi e la prima cosa che vidi fu il bianco candido del soffitto della camera. Ah, è stato tutto un sogno pensai. Ero convinta della mia ipotesi almeno fino a quando non vidi il braccio di Stefano che ancora stringeva la mia vita. Mi girai verso di lui, fortunatamente stava ancora dormendo.

Mi rittrassi dalla sua presa e mi alzai in piedi.

"Mhh..." mugugnò, girandosi dal lato opposto. Mi maledissi mentalmente.  Sono entrata in questo casino da sola e ne uscirò da sola! Mi infilai un paio di pantaloncini da basket, che tirai fuori dalla sua valigia, ed andai alla porta. Afferrai la maniglia e la girai lentamente per non fare rumore.

Aprii la porta, lasciando uno spiraglio largo abbastanza da permettermi di uscire. Mi richiusi la porta alle spalle e sospirai. In corridoio non c'era anima viva, a parte io ovviamente. Ne approfittai e mi incamminai verso la mia camera. Le mie nocche stavano per incontrare il duro e liscio legno quando una voce mi fece sobbalzare.

"Signorina Fontana!  Cosa ci fa in giro a quest'ora?" Chiese quel vecchio rimbambito.

"Prof, è che...." presi tempo mentre lui mi guardava con aria interrogativa "Ho perso l'orecchino e volevo trovarlo." Che cavolo sto facendo?! Non si berrà mai una stupidaggine del genere.

"Torni in camera sua. Ne riparleremo più tardi della sua negligenza" mi congedò guardandomi con aria severa come a dirmi So io che punizione darti! Ah, quanto l’odiavo!

Bussai, e dopo pochi secondi la porta si aprì.

"Ely dove sei stata fino ad adesso?! Sei sparita!" Esclamò Cecilia non appena aprì la porta.

"Shh" dissi portandomi l'indice alla bocca facendole segno di stare in silenzio. Annuì e mi lasciò entrare.

"Cosa è successo?" Spezzò il silenzio Miriam, in piedi di fronte a me.

"Non sapevo in quale camera alloggiassero le altre, così ho chiesto a Carolina, ma a quanto pare il numero di stanza era sbagliato. Sono andata a finire in camera di Stefano e non potendo uscire sono rimasta da lui..." mi fermai.

Mi fissavano con occhi sgranati e le mascelle che quasi toccavano il pavimento. Arrossii al pensiero di tutte le cose che probabilmente passavano per la testa a quelle due.

"Perché mi guardate in quel modo? Non ho mica fatto quello..." risposi voltandomi verso la finestra alle mie spalle. "...abbiamo solo dormito insieme" bisbigliai.

"C-cosa?!" Dissero sbalordite.

"Oh non fatemelo ripetere! È già stato imbarazzante accettare quello che è successo nella mia testa..."

"Elena, non ti credevo così intraprendente" esclamò Cecilia guardandomi maliziosamente. 
"Smettila" dissi ridendo. 
***
Bianco. Questo era tutto quello che vedevo dalla cima della piccola montagnola da scendere con gli sci.
Respiravo profondamente e ad ogni mio respiro dell'aria gelida entrava nei miei polmoni. Mi piaceva il freddo, per me era una cosa magnifica. Adoravo la neve. Amavo vederla scendere dal cielo come un piccolo dono che cerca una guancia sulla quale posarsi per poi scomparire per sempre. 
"Elena che fai? Non scendi?" Chiese Stephany distogliendomi dalle mie fantasie.

"S-si" dissi mettendomi in posizione per la partenza, ma esitai.

"Allora?"

"Ho paura" risposi guardando di sotto.

"Ma smettila! Ce la puoi fare" disse mentre se ne andava via con i suoi sci. E io che faccio? Chi mi insegna ad andare su questi maledetti cosi? 

"Non dirmi che non ci sai andare" Chiese divertito Stefano alle mie spalle. "Vuoi che ti insegni?" "Non parlarmi" dissi arrossendo. Ti prego va' via. Se continui ad essere così carino con me  potrei innamorai di nuovo di te.

"Dopo tutto quello che abbiamo fatto la scorsa notte mi parli ancora con questa freddezza?" Disse sussurrandomi all'orecchio con voce suadente e provocante. Un brivido attraversò la mia schiena. "C-cosa stai blaterando?! Noi non abbiamo fatto un bel niente" provai a contrastarlo, ma era difficile con quei suoi occhi nocciola su di me.

"Ah si? Ne sei sicura?" Continuò con la sua tortura. Ti piace così tanto tormentami? Però è così sexy...
Calma Elena!  Tu hai un ragazzo che ti ama, ricordatelo! Adesso parlavo anche da sola.  Perfetto, ero diventata pazza.

"Cosa intendi?"

"Oh non te lo ricordi? Peccato, è stata una notte fantastica" disse con un sorrisetto malizioso. Eh?! Quando è successo?! Ed io dov'ero?! Non poteva essere, eppure della scorsa notte non ricordavo un granché, che mi abbia drogata e poi...Ah basta! Non immagino altro. Non poteva essere assolutamente la verità, ma stranamente non mi dispiaceva. Perché?

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Capitolo 31
*** Bufera ***


Ancora sconvolta dalle sue parole, mi decisi a scendere quella montagnola di neve bianca. Non volevo ascoltare neanche una parola da quello schifoso pervertito.

Barcollavo un po', ma riuscivo a stare in piedi, che per me era già un traguardo. Arrivai di sotto, dove le mie compagne di classe mi stavano aspettando.

"Ce l'hai fatta finalmente" disse sarcastica Martina. La guardai storta, ma poi scoppiai in una risata liberatoria. 
"Ragazze dobbiamo tornare in albergo per pranzare" ci interruppe la professoressa.

Ci ricomponemmo e salimmo sull'autobus che ci avrebbe condotti in albergo.

***

“Cecilia hai visto la mia felpa? L’avevo lasciata sopra il letto e adesso non c’è più” dissi mentre mi guardavo intorno, cercando anche sotto il letto.

“No, non l’ho vista” urla in risposta dal bagno mentre si asciugava i capelli.

In questo periodo spariscono spesso le mie cose pensai mentre sbuffavo perdendo la pazienza. Non era una semplice felpa, era quella di Andrea e non volevo perderla. In quel momento qualcuno bussò alla porta.

“Salve prof!” dissi aprendo la porta.

“Fra cinque minuti giù, e non ritardate come l’altra volta” disse burbero.

"Un po’ di gentilezza magari non guasterebbe" mormorai chiudendogli la porta in faccia.

“Dopo pranzo vorrei parlarle” mi urlò da dietro la porta.

Alzai gli occhi al cielo. Che rompi palle! Non vuole proprio farmi divertire in questa gita!

Prendemmo l’ascensore e  in un batter d’occhio eravamo già in sala ad aspettare la prima portata.

Non so cosa mi succedeva, mi sentivo strana. Da quella sera non riuscivo a pensare razionalmente, quella forte sensazione di calore che provavo tra le sue braccia, la sua continua presenza, i suoi occhi, i suoi dolci e attraenti occhi. Cosa mi passava per la testa?

Elena, tu ami Mattia, non Stefano. Ricorda: lui ti ha ferita! Ha preso il tuo cuore e l’ha ridotto in cenere, ma adesso da quella cenere sta nascendo una nuova vita, una nuova te.

Sentivo una voce dentro la mia testa. Mi ripetevo questa frase milioni e milioni di volte, ma non ero mai completamente decisa. E se io non volessi una nuova vita? Se non volessi una nuova me? E se in fondo quella vita mi piaceva? Forse avevo qualche rimorso, se non mi fossi gettata tra le braccia di Mattia, sicuramente adesso starei con Stefano.

In qualche modo mi sembrava pentito, ma poi si comportava di nuovo male e i dubbi mi assaltavano ancora di più. Ero davvero confusa. Amo ancora o no Stefano? Ormai, l’unica domanda che mi affliggeva più di tutte era quella. Ero ancora innamorata di lui? E lui mi amava ancora?

La mia mente era inondata dalle domande, dai dubbi, dalle incertezze. Ero instabile, sia mentalmente che fisicamente. Un altro errore e mi sarei spezzata, annientata, persa per sempre.

Lo sguardo di Carolina interruppe i miei pensieri. Mi si gelò il sangue a sentire i suoi occhi su di me. Era una ragazza normale, ma mi faceva uno strano effetto, mi spaventava. Si sedette accanto a Stefano. Si avvicinò a lui e lo baciò sulla guancia.

“Ciao bello!” gli disse poi.

“Ciao bellezza” ricambiò sorridendo.

Ecco che succedeva di nuovo! Una notte prima faceva il cavaliere stringendomi la mano e dicendomi di stare tranquilla e adesso faceva il cascamorto con quella lì.

Mi irritai a quella scena, e mi arrabbiai ancora di più quando notai che lei cominciava a strusciarsi contro il corpo di Stefano, e il bello era che lui la lasciava fare! Che stronzo!

Avrei voluto andare al suo tavolo e buttargli la sua coca-cola in faccia, per poi andarmene soddisfatta della mia piccola vendetta, ma qualcosa mi teneva incollata alla sedia. Speravo vivamente che la respingesse, che la mandasse via, ma non lo faceva mai. Sul punto di piangere mi alzai di scatto da tavola e mi diressi verso l’ascensore. Avevo così tanta voglia di piangere. “Signorina dove va?” quasi urlò l’insegnate quando mi vide correre via singhiozzando.

Non badai a lui, dovevo arrivare in camera il più in fretta possibile. Arrivai davanti la porta e cercai di infilare la chiave nella serratura. Mi tremava la mano e dopo un paio di tentativi riuscii ad aprirla. Una mano si posò sulla mia ancora sul pomello. Alzai lo sguardo e vidi Mirko con lo sguardo triste intento a cercare i miei occhi.

“Lasciami” dissi d’istinto.

“Non lo farò fino a quando non mi racconterai tutto” ribatté deciso.

Mi arresi e lo feci entrare. Mi sedetti sul letto e lo stesso fece lui.

Mi guardò per un secondo dritto negli occhi, poi parlò “Senti, io non so cosa ti sia successo, ma sappi che io ci sarò sempre, qualunque problema non esitare a chiamarmi.”

A quelle dolci parole il mio cuore perse un battito. Le lacrime cominciarono a lasciare i miei occhi per percorrere le mie guance, rosse per l’imbarazzo.

Lo abbracciai e cominciai a piangere sulla sua spalla, era davvero bravo. Durante tutto il mio sfogo rimaneva in silenzio e teneva gli occhi chiusi, come a cercare di percepire la frustrazione che provavo.

Mi calmai e sciolsi l’abbraccio che ci legava da ormai mezz'ora.

“Grazie” sospirai asciugandomi le lacrime con un fazzolettino.

“No dirlo neanche” rispose con un dolce sorriso.

“Ti voglio bene” riuscii a dirgli.

 Sorrise e mi salutò uscendo dalla camera. Passarono un paio di minuti che già Miriam e Cecilia erano ritornate più rumorose che mai. Un po’ di tranquillità no vero?

“Il prof vuole vederti” sputò fuori Cecilia.

“Tsk, cosa vorrà ancora da me?” dissi esasperata. Le ragazze alzarono le spalle e io andai alla porta.

Arrivai alla reception, dove il professore mi aspettava al bancone del bar, picchiettando nervosamente un cucchiaino sulla tazzina sporca di caffè.

“Mi ha chiamata?”

“So cos'è successo ieri sera e non provare a mentirmi perché ho le prove” disse pungente mentre mi mostrava delle foto.

In esse vedevo io e Stefano immortalati nel momento in cui mi tirava dentro la sua camera. Erano un po’ sfuocate, ma riuscivo a riconoscermi in quelle immagini.

“Passerai dei guai seri” mi disse con un ghigno malefico. Rimasi impietrita.

Chi aveva scattato quelle foto? E soprattutto, chi le aveva date al professore?

Ero lì, immobile, in attesa della sua prossima mossa.

“Il suo comportamento è stato pessimo. Vorrei rimandarla a casa all'istante, ma non posso. Quindi le darò una punizione.”

“M-ma io non ho fatto niente. Cioè si, è vero che sono stata in camera sua, ma non era mia intenzione” tentai.

“Questo non toglie il fatto che è rimasta a dormire da lui” ribatté con voce severa.

“No! È tutto un malinteso, mi lasci spiegare la prego” continuavo a supplicarlo.

Era impassibile, non voleva ascoltare neanche una parola di quello che dicevo. Si voltò dandomi le spalle.

“Per il resto della gita rimarrà in albergo, non dovrà per nessun motivo uscire dall'edificio. Se si dovesse avventurare le giuro che la sospendo!”

Cosa? Perché? Io non avevo fatto niente di male! Strinsi i pugni che cadevano lungo le mie cosce. Mi feci prendere dalla rabbia. Non potevo crederci, era assurda quella situazione.

Ritornai in camera furiosa. Dovevo trovare il colpevole! Bussai scaricando tutta la mia rabbia a quella povera porta.

“Ely cos'è successo?” chiese sconvolta Miriam aprendo la porta. Non le rispondevo, ero troppo occupata a mandare a quel paese quell'insegnate del cavolo.

“Lasciami in pace” mugugnai.

“Scusa, scusa, adesso usciamo” disse alzando le mani e uscendo dalla stanza con Cecilia che la seguiva.

Mi gettai sul letto con il viso sulla federa del cuscino. Volevo scomparire, andare via.  Mi alzai di scatto e cominciai a camminare per la stanza riflettendo sul da farsi.

Quando uscii a prendere il pigiama l’unica persona che incontrai fu Carolina…i suoi sguardi strani…il suo sorriso falso…

Tutto lasciava intendere che fosse lei l’artefice di tutto, ma la cosa che più non capivo era il perché delle sue azioni. Cosa le avevo fatto di tanto orribile da giustificare il suo gesto? Mi odiava così tanto?

Sentivo il forte bisogno di parlarle, dovevo chiarire al più presto quella situazione.

Mi infilai un giubbotto e una sciarpa di lana al collo, presi il mio cellulare e corsi via. Non mi importava delle parole del professore. Che mi sospenda pure! Non cambierò idea: devo parlarle.

Uscii dall'albergo e mi diressi verso la baita, dove di solito stavamo prima di andare a sciare. Ad un tratto dei fiocchi di neve cominciarono a scendere dal cielo. Alzai la testa e l’osservai, era grigio e pieno di nuvoloni. Era spaventoso.

Il vento sbatteva violento contro la mia povera faccia. La temperatura stava calando, lo sentivo a pelle. Il mio corpo piano piano diventava sempre più freddo e insensibile all'estremità. Camminare con quindici centimetri di neve non era facile, ma mi sforzai lo stesso. Dovevo raggiungere quella dannata baita.

Abbottonai il giubbotto fino al collo, sistemandomi la sciarpa in modo tale che mi coprisse anche il naso e le orecchie. Misi il berretto di lana, che mi ero portata, e continuai la mia ‘passeggiata’. Camminavo, camminavo, ma della baita nessuna traccia. Mi sono persa, maledizione pensai.

Tirai fuori il cellulare per guardare l’orario. Erano passate due ore da quando avevo lasciato l’albergo. Fissai di nuovo il cielo. Era più scuro e spaventoso di prima e quella piacevole nevicata si era trasformata in una bufera vera e propria. Non c’era campo, non potevo chiamare nessuno.

Mi accasciai al suolo, ormai sfinita.

“C-che qualcuno mi salvi, vi prego” riuscii a dire prima di chiudere le palpebre cadendo nell'oscurità più assoluta.

Stefano's pov

“Wow fuori si congela!” esclamai entrando in albergo e togliendomi il cappello facendo cadere un po’ di neve nell'ingresso.

“Già amico” rispose Giuseppe facendo lo stesso.

“Chissà quando smetterà di nevicare. Mi stavo divertendo così tanto…” dissi guardando fuori dalla finestra. Uno strato di neve si era già depositato sul davanzale.

Guardai il cielo, non riuscivo a trovare la luna. Era buio e non si riusciva a vedere niente.

“Che fai amico?” chiese poi.

“Niente” dissi mentre mi dirigevo verso il bar.

“Una cioccolata calda, per favore” dissi al barista, che subito cominciò a prepararmela.

Ero immerso nei miei pensieri quando il professor Orlando corse verso di noi con un’espressione preoccupata in volto e un respiro irregolare.

“Ragazzi…” fece una pausa per prendere fiato “avete visto Elena, Elena Fontana?”

Mi allarmai.

“No.”

“Cos'è successo?” chiesi incuriosito dalla sua espressione delusa alla mia risposta.

“Le avevo detto di rimanere in albergo, ma quando sono andato in camera sua non c’era. Ho chiesto alle sue amiche, ma non sanno dove sia.”

Spalancai gli occhi, visibilmente sorpreso.

“Ho paura che si uscita…” disse portandosi una mano tra i capelli.

Quelle parole furono come un comando. In preda all'istinto afferrai il giubbotto, che avevo lasciato sull'appendiabiti, e corsi fuori.

“Che fai? Vuoi forse perderti anche tu?” mi chiese Giuseppe, uscendo a sua volta.

“Vado a cercarla” risposi semplicemente voltandomi verso la porta.

“Sei impazzito?” continuò guardandomi con aria interrogativa.

“No, sono solo innamorato” risposi arrossendo. Mi voltai e cominciai a correre. Dovevo trovarla al più presto.

 La temperatura stava calando in modo spaventoso e il vento aumentava la sua forza, costringendomi a socchiudere gli occhi. La chiamavo con tutta la voce che avevo in corpo, ma niente. Io non sentivo lei e lei non sentiva me. Ero disperato.

Sono stato uno stupido! Avrei dovuto parlarle e chiarire questa situazione. Non avrei dovuto lasciarla andare. Io l’amo ancora e la rivoglio al mio fianco.

Le lacrime cominciarono a bagnarmi le guance, congelate anch'esse. La disperazione mi trascinò con sé portandomi a piangere e ad urlare a squarciagola.

“Elena! Dove sei? Ti prego rispondi!”

Avevo ormai perso le speranze quando vidi il lontananza una piccola montagnola con forme umane. Corsi verso di essa, inciampai diverse volte a causa della neve che ormai mi arrivava a metà polpaccio, ma non mi importava, quella era Elena e dovevo raggiungerla.

Finalmente arrivai da lei. Scostai la neve che si era depositata sul suo fragile corpo. Aveva gli occhi chiusi e non si muoveva.

“Elena ti prego svegliati!” le urlai prendendola tra le braccia.

“Elena…” la mia voce si spezzò e un lamento di dolore uscì dalla mia bocca. L’abbracciai e le misi il mio berretto e la sciarpa. Mi accorsi che respirava, lentamente, ma respirava. Era viva! Un sorriso mi illuminò il volto. Tremava e aveva le mani e la faccia congelate. La presi in spalla e cominciai a camminare. I miei occhi cercavano continuamente qualche luce in lontananza o semplicemente qualcosa che mi riportasse all'albergo.

“S-Stefano” la sentivo bisbigliare.

“Si Elena?” Sentire la sua voce in quel momento fu la cosa più bella.

“Ho freddo.”

 “Resisti, ti riporterò in albergo.” 

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Capitolo 32
*** La Baita ***


Elena's

Erano trascorsi una manciata di minuti da quando Stefano mi aveva trovata.

Mi tenevo stretta a lui, le mie mani stringevano avidamente il suo giubbotto. Ad ogni mio respiro una nuvola bianca usciva fuori dalla mia bocca. Non riuscivo a vedere niente, solo neve, neve dappertutto.

“Guarda Elena!” esclamò Stefano indicando un punto indefinito all'orizzonte. Alzai il capo e vidi una piccola costruzione in legno.

“La baita!” esclamai con voce piena di gioia. Un sorriso nacque sui nostri volti. Cominciò a correre e finalmente la raggiungemmo.

Mi mise giù e, ancora barcollante, mi diressi verso la porta.

“Stefano non si apre” dissi mentre  la spintonavo  cercando di entrare. Venne verso di me e si mise a pensare.

“Allontanati” disse facendo un paio di passi indietro. Obbedii e rimasi a guardare.

Fece un respiro profondo, poi diede un bel calcio alla maniglia, che si ruppe, permettendoci così di entrare. Lo abbracciai d’istinto, ma dopo essermi accorta di quell'improvvisa manifestazione d’affetto mi allontanai.

“Su entriamo” disse tra l’imbarazzo anche lui.

“S-si” dissi toccandomi una ciocca di capelli che mi cadeva sulla spalla destra.

Entrammo e ci richiudemmo la porta alle spalle bloccandola con una sedia accanto all'ingresso.

Tremavo ancora, la neve che si era infiltrata sotto i miei vestiti si era sciolta, lasciandomeli umidi.

“Dobbiamo accendere il camino” disse dirigendosi verso di esso. Prese della legna, che era messa dentro un piccolo cesto, e la posizionò dentro di esso. Poi mise una mano dentro la tasca, dalla quale tirò fuori un accendino. Capii cosa stava per fare e decisi di dargli una mano cercando un pezzo di carta per poter accendere il camino.

Presi un foglio di un giornale poggiato sul tavolo e glielo porsi.

“Vieni qui” mi disse scrollando le mani per togliersi la cenere. Mi avvicinai e osservai la legna che cominciava a divampare all'interno del camino.

Il calore iniziava ad invadermi, non avevo mai desiderato il caldo così tanto.

“Spogliati” disse interrompendo i miei pensieri.

“Eh?!” esclamai sorpresa.

“I tuoi vestiti  sono bagnati. Dovresti toglierli” spiegò.

“Ah” dissi imbarazzata.

“Io non guarderò, quindi puoi spogliarti qui” disse voltandosi.

“Ok.”

Tolsi il giubbotto, ero in imbarazzo, ma cercai di non darlo a vedere.

“Ho fatto” risposi rimanendo solo in reggiseno e mutandine.

“Lì c’è una coperta. Copriti con quella” spiegò.

Mi voltai e vidi una coperta di lana appoggiata su una sedia. La presi e mi coprii dalle spalle fino a metà polpaccio. Mi avvicinai a lui e gli toccai una spalla. “Grazie.” Notai che anche il suo giubbotto era bagnato.

“Ma, anche tu…”

“Non fa niente” mi interruppe.

“Vuoi forse prenderti un raffreddore? Vuoi morire?” ribattei irritata.

“Non esagerare” sbuffò.

“Dai” insistei.

“D’accordo, ma voltati.”

“Oh, non ci tengo mica a vederti nudo” sbuffai divertita voltandomi.

Sentivo il rumore dei suoi jeans che scivolavano lungo le sue gambe. Il cuore cominciò a battermi all'impazzata. Solo in quel momento mi resi conto della situazione in cui mi trovavo. Una ragazza e un ragazzo, entrambi mezzi  nudi, da soli in una baita. Oh mio Dio! Che imbarazzo! Pensai portandomi entrambe le mani sulle mie guance rosse.

“Puoi girarti” disse.

Mi voltai, ma tenni ugualmente gli occhi chiusi.

“Cosa c’è che non va?”

“N-niente, s-sto bene.”

Non vedevo niente, ma sentivo i suoi passi farsi sempre più vicini a me. Trattenni il fiato, era ormai a pochi centimetri da me. Di colpo sentii sulla mia fronte una leggera pressione. Aprii gli occhi e vidi il suo mento davanti il mio sguardo. Le sue labbra…..le sue labbra sono sulla mia fronte! Pensai sconvolta.

“C-cosa fai?” dissi allontanandomi.

“Hai il viso rosso, pensavo avessi la febbre. Stavo semplicemente controllando la temperatura” disse con un sorrisetto.

Stupido è per l’imbarazzo! In quel momento ringraziai Madre Natura per aver reso i ragazzi così stupidi.

Fissavo il suolo, l’aria si faceva sempre più soffocante, il mio respiro sempre più affannato.

“Non dovresti coprirti?” chiesi notando il fatto che era solo con i boxer addosso.

“Con cosa? Non ci sono altre coperte. Metterò i miei vestiti vicino il fuoco, così si asciugheranno in fretta” disse mentre metteva la sua roba su una sedia vicino il camino.

Annuii e mi sedetti sul divanetto mentre lui rimase in piedi al centro della stanza. Mi accorsi che tremava e dissi:

“Su, vieni. Una volta mi hai aiutato tu e non sono il tipo che non salda i propri debiti” mugugnai.

“Cosa?”

“Oh, devo proprio spiegarti tutto!” Dissi aprendo la coperta e facendogli gesto di avvicinarsi.

Un’espressione di sorpresa mista ad imbarazzo spuntò sul suo volto. Ero imbarazzata anch'io. Era la prima volta che un ragazzo mi vedeva in quel modo.

Era ancora un po’ titubante.

“Cosa c’è? Non hai mai visto una ragazza mezza nuda? Non ti credevo così sfigato” dissi scherzando.

“Oh chiudi il becco!” sbuffò avvicinandosi.

Ci sdraiammo, ma nessuna posizione sembrava comoda per entrambi. Dopo vari tentativi trovammo quella ideale.

 

Stefano era appoggiato al bracciolo del divano con le gambe aperte. Io vi ero seduta in mezzo con le mie gambe al petto. Le sue braccia tenevano i lembi della coperta, che passava da dietro la sua schiena, fermi in una maniera tale da coprire la maggior parte dei nostri corpi. Man mano che il mio corpo si riscaldava mi accorgevo che esso bramava il tocco di Stefano. Desideravo che mi sfiorasse le guance, i fianchi, che mi toccasse come solo le sue mani sapevano fare. Volevo sentire i suoi occhi su di me, il suo respiro sul mio collo. Io desideravo Stefano. 

***

“H-hai freddo?” balbettò.

“N-no.” Eravamo entrambi nervosi, dovevamo rimanere in quella posizione almeno fino a quando i vestiti non si fossero asciugati.

Sentivo una leggera pressione al livello del bacino. Muovevo i miei fianchi, forse era solo la mia immaginazione, ma quella sensazione si intensificava sempre di più.

“L-la legna” farfugliai. “La legna si è consumata, è meglio metterne dell’altra” dissi alzandomi.

Presi dei piccoli legni, ma una scheggia mi entrò nell'indice.

“Ahi!” urlai lasciando la presa sul pezzo di legno, che cadde sul pavimento.

“Cosa è successo?” disse mentre saltava giù dal divano.

“Niente” dissi cacciando indietro la mano. Non credette alle mie parole, infatti si avvicinò a me, mi prese il polso e osservò la mia piccola ferita.

I suoi occhi cercavano i miei. “Sei la solita imbranata” mi prese in giro.

“Smettila” dissi irritata colpendolo al ginocchio con un calcio.

“Scherzavo” si giustificò.

“Siamo stati insieme per un po’, non avevi capito che con me non si scherza?!” ribattei con un sorrisetto beffardo.

“Molto divertente” disse saltellando su un solo piede.

“Posso farti una domanda?” chiesi interrompendo la mia risata e tornando seria.

“Vediamo che domanda illuminante ha da pormi la signorina Elena” disse con tono canzonatore.

“Perché là sotto è così gonfio” dissi guardando la protuberanza che si intravedeva dai suoi boxer.

Si bloccò di colpo, riappoggiò il piede a terra. Si guardò e arrossì. Tutto questo in meno di cinque secondi.

“Da quando guardi là sotto ai ragazzi?” cercò di cambiare discorso.

Era così indifeso e nervoso in quel momento. Volevo divertirmi, così mi presi un po’ gioco di Stefano.

Mi diressi verso di lui, camminai agitando i fianchi  in modo sensuale.

Le sue gote erano diventate di un rosso acceso.

“Guarda cosa abbiamo qui: un bambino eccitato” gli sussurrai all'orecchio. Mi strattonò, allontanandomi da lui.

“Oh, un gioco da tavolo. Ti va di fare una partita?” disse ridendo. In quella risata si poteva notare una nota di nervosismo e agitazione. Comprensibile, chiunque avrebbe reagito in quella maniera.

“Ok” mi limitai a rispondere. Per oggi sono stata fin troppo cattiva pensai tornando seduta, questa volta su una sedia di fronte al tavolino. Lui si sedette sul divano e, insieme, scostammo i centrini che erano poggiati su di esso ed aprimmo il tabellone per cominciare a giocare.

“Wow il Monopoli! Adoro questo gioco!” esclamai non appena mi resi conto di quale gioco si trattasse.

“Anche a me piace molto” disse accennando un leggero sorriso.

“Cominciamo!” dissi lanciando i dati.

“E che vinca il più furbo” continuò Stefano.

Ci scambiammo sguardi di sfida e la partita cominciò.

Per la prima mezz'ora tutto sembrava andare bene, ma Stefano doveva per forza rovinare tutto.

“Devi darmi i soldi!” urlò sbattendomi in faccia una carta degli imprevisti.

“Cosa dici? Quella carta l’hai tirata fuori dal nulla. Io non devo darti un bel niente!” ribattei incrociando le braccia.

“Mi devi dare quei soldi” sbraitò alzandosi e afferrando il mio gruzzolo di banconote.

“Ehi! Che fai?”

“Mi prendo i soldi che mi spettano” rispose semplicemente.

Mi alzai, feci il giro del tavolino e mi gettai su di lui.

“Ridammi i mie soldi.”

“No.”

Mi allungavo sempre di più per raggiungere il suo braccio, che teneva costantemente sollevato, in modo tale da non farmici arrivare. “Dammi quei maledet-” persi l’equilibrio e caddi di peso su di lui. Nella caduta mi ero aggrappata ai suoi bicipiti, scolpiti perfettamente.

I suoi occhi, la sua bocca, tutto sembrava pregarmi di baciare quelle sue morbide labbra.

Il suo sguardo era così intenso e travolgente. Le forze mi stavano abbandonando, non riuscivo a muovermi.

“Scusa” sussurrai. Mi guardò serio per un momento, poi si avvicinò a me. Pochi centimetri separavano le nostre bocche. Un bacio, un bacio sbagliato, non giusto, colmò quel vuoto.

“Noi non dovremmo…” cercai di dire, ma subito lui mi interruppe baciandomi per la seconda volta.

“Ti amo Elena” mi sussurrò tra un bacio e l’altro.

“Stefano io…sto con Mattia.”

“Lascialo allora” disse staccandosi e fissandomi negli occhi.

“E' sbagliato! Stefano non posso farlo e tu lo sai bene” dissi dispiaciuta.

“Ma il bacio ti è piaciuto” insistette.

“Si, mi  è piaciuto e ne sono consapevole, ma questa relazione segreta non va bene” cercai di convincerlo. Il bello era che dovevo convincere anche me stessa.

“Tu ami me!” alzò la voce.

Rimasi in silenzio. Osservavo la sua schiena allontanarsi verso la parte opposta della stanza.

“Dormirò qui. Non ti darò più fastidio da oggi in poi” disse sedendosi su una sedia e poggiando i piedi su di un’altra.

 

Una lacrima rigò il mio viso. Cosa stavo facendo? Io lo amo, perché non gliel'ho detto? Cosa mi tiene ancora legata a lui da non farmelo dimenticare?

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Capitolo 33
*** Lo stai solo usando! ***


 

3 giorni dopo

La gita era terminata e ormai eravamo tornati alla solita e noiosa vita. Da una parte ero felice di tornare a quella vita, non sono mai stata una ragazza che cerca l’avventura o il pericolo. Però dall’altra non volevo tornare a scuola.

Con che faccia mi sarei presentata da Mattia dopo tutto quello che avevo fatto con Stefano quella sera?

Nei giorni che seguirono non parlammo, non ci guardammo, o almeno lui non lo faceva. Era distaccato e freddo. Aveva ragione, non avevo fatto altro che illuderlo per poi spezzargli il cuore. Sono una persona orribile!

“Elena? Va tutto bene?” chiese Mattia sventolandomi la sua mano davanti al viso.

Sobbalzai. “S-si, tutto bene” dissi fissando un punto nel vuoto.

“L’importante è che tu sia di nuovo con me” mi abbracciò.

Fino a poco tempo fa un suo abbraccio mi faceva provare emozioni e sensazioni stupende, ma adesso non sentivo niente. Ero del tutto insensibile al suo tocco, quasi mi portava fastidio. Cosa mi stava succedendo?

Io amo Mattia… non riuscivo a capire. Tutta quella sicurezza nel pronunciare quella frase era sparita. Ero davvero innamorata di lui?

Mi teneva ancora tra le sue braccia quando ci passò davanti Stefano. Mi guardò per un secondo, poi continuò la sua marcia verso la classe.

Un brivido percosse la mia schiena.

“Mattia io…” cercai di dire.

“Shh, sarai stanca. Ne riparleremo più tardi” disse voltando l’angolo e sparendo. Sospirai profondamente. Avrei dovuto chiarire quella situazione. Dovevo dire la verità a Mattia. Sarebbe stata dura, ma qualcuno doveva pur farlo e quel qualcuno ero io!

Mi appoggiai al muro con le braccia incrociate in attesa del suono della campanella.

“Ciao” disse freddamente Carolina mettendosi di fronte a me.

“Ciao” ricambiai. Di colpo mi ricordai di quello che avevo da chiederle.

“Vorrei parlarti” disse precedendomi.

“Ok”  la seguii.

“Allora? Di cosa volevi parlarmi?” chiesi fermandoci davanti il bagno delle ragazze.

“Sono stata io a scattare quelle foto” disse appoggiandosi al muro.

Lo sapevo! Pensai nella mia mente.

“Perché l’hai fatto?” chiesi sconvolta.

“Non c’è un motivo in particolare. Non mi sei mai piaciuta e vederti felice mi irrita. Hai una vita troppo perfetta e volevo rovinartela. Era solo un mio capriccio” disse alzando le spalle mentre tirava fuori dalla bocca un chewing-gum.

“Era solo per questo?” Annuì. “Con che diritto ti sei permessa di intrometterti nella mia vita?” chiesi irritata dal suo comportamento.

“Te l’ho detto, l’ho fatto solo perché mi annoiavo” rispose con un sorrisetto.

“Hai intenzione di continuare?” chiesi ormai stufa.

“Certo! Non ho ancora finito di divertirmi!” disse ridacchiando in un  modo talmente fastidioso che mi venne voglia di picchiarla, ma mi trattenni, ero pur sempre una ragazza.

“E cosa vorresti fare?”

“Prima di tutto raccontare tutto al tuo fidanzatino che ami tanto” disse sottolineando quel ‘che ami tanto’ con una vocina stridula e sgradevole.

“Non oserai!” alzai la voce.

“Certo che lo farò. Ricorda che nel torto ci sei tu, mica io. Sto solo aprendo gli occhi a quel povero ragazzo.”

Caddi in terra a quelle parole tanto pungenti. Aveva ragione, aveva dannatamente ragione!

“Lo stai solo usando!” concluse voltandosi e sparendo tra i corridoi della scuola.

Delle goccioline cominciarono ad invadere il mio viso, lasciando poi il posto ad un vero e proprio fiume in piena.

La campanella era  suonata da un bel po’, ma dovevo risolvere questa situazione il più in fretta possibile.

Presi il cellulare e inviai un messaggio:

A Mattia: Devo parlarti! È urgente.

Riposi il cellulare in tasca, ma riprese a vibrare un secondo dopo.

Da Mattia: Okay arrivo.

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Capitolo 34
*** Happy Ending ***


 

Guardai l’orologio, erano passati tre minuti da quando avevo inviato quel messaggio a Mattia. Come avrebbe reagito? Si sarebbe arrabbiato?

Troppi dubbi, troppe domande, troppi casini da risolvere per una sola ragazza. Perché non potevo avere una vita semplice, piatta, monotona? A me piaceva quel genere di vita. Volevo solo vivere nella completa tranquillità, nella serenità più assoluta.

Un ragazzo normale, delle care amiche... Stringevo forte il mio cellulare tra le mani per allevare almeno un po’ la tensione, che aumentò non appena vidi Mattia dirigersi verso di me con un’espressione preoccupata in viso.

“E’ successo qualcosa?” chiese sedendosi accanto a me sulla panchina.

“Mattia, io devo parlarti di una cosa davvero importante, quindi ti chiedo di ascoltarmi in silenzio” chiarii subito.

Annuì e io cominciai il mio lungo discorso.

“Tu sei stato davvero un perfetto ragazzo, carino, gentile, romantico…”

Mentre io parlavo il suo viso si rabbuiò, aveva già capito dove le mie parole volevano andare a finire.

“Ma, sento che tra noi non può funzionare” ad ogni mia parola i suoi occhi si spegnevano, diventavano sempre più neri come la pece.

“C’entra quel ragazzo vero?” mi interruppe.

Era ovvio, sapeva tutto da tempo.

Annuii, non riuscivo a guardarlo negli occhi. Continuavo a fissare il suolo, come se in esso ci fosse la soluzione a quell’enorme problema.

“Da quando ti sei accorta di amarlo?” chiese irritato.

“Da sempre, non ho mai smesso, credo…” risposi vaga.

“Quindi mi hai solo preso in giro?” alzò la voce.

“N-no, non è come pensi!” alzai la voce anch’io.

“Sta’ zitta!” urlò avvicinandosi a me. Alzò il braccio con la mano aperta. Sta per colpirmi pensai strizzando gli occhi e preparandomi al colpo.

“Cosa pensi di fare?” urlò una terza voce. “Non ti azzardare a picchiarla!” disse Stefano mentre colpiva la guancia destra di Mattia, che cadde a terra dal duro colpo.

“Bastardo!” disse quest’ultimo rialzandosi da terra.

Cominciarono a picchiarsi.

“Sei solo un figlio di puttana!” urlava Mattia.

“Sta’ zitto stronzo” ribatteva l’altro.

Non riuscivo a vederli distruggersi a vicenda, dovevo fermarli.

“Basta ragazzi!” urlai mettendomi in mezzo.

Nella confusione ricevetti un pugno sullo stomaco. L’aria mi mancò per qualche secondo e caddi a terra.

“Guarda cosa hai fatto!”

“Cosa hai fatto tu!”

Continuavano ad urlarsi contro.

“Smettetela di fare i bambini!” li rimproverai rialzandomi da terra.

Finalmente si calmarono e potei osservarli meglio.

Mattia aveva il labbro spaccato e un grosso livido sulla guancia destra, mentre Stefano aveva solo un graffio sulla guancia sinistra e qualche livido qua e là. Era ovvio, Mattia non era un granché a combattere.

Dopo un attimo di respiro mi trascinai in infermeria Mattia. Scelsi lui perché era quello ridotto peggio. Stefano lo capì e rimase seduto ad aspettarmi.

“Cosa ti è passato per la testa?” chiesi mentre tamponavo con un pezzo di cotone, imbevuto di disinfettante, le sue labbra.

“Non sopporto il fatto che un ragazzino mi abbia rubato la ragazza più sexy della scuola” scherzò lui sorridendo.  Gli portò dolore quel suo ultimo gesto a causa di tutti i lividi che aveva in viso.

“Non è divertente” dissi a bassa voce.

“Si hai ragione”  tornò serio. “Elena mi dispiace. Ti ho forzata con questa storia” disse con un filo di voce.

“No Mattia, sono stata io a non averti spiegato da subito” cercai di dire.

 “Sai, ti ho amata davvero” mi disse fissandomi dritto negli occhi.

“Mattia io…” le parole mi morirono in bocca.

Un ultimo bacio, il sigillo a quella tormentata storia d’amore, un ultimo bacio per seppellire per sempre quel periodo della mia vita.

“Sii felice” mi disse mentre si allontanava.

“Si” risposi mentre osservavo la sua schiena allontanarsi per sempre da me. “Grazie” dissi con un piccolo sorriso.

 Mattia's pov

E me ne andai, non potevo continuare a stare in quella stanza con lei. L’amavo troppo e non avrei resistito ad un altro suo sguardo.

“Grazie” le sentii dire prima che fossi troppo lontano.

Continuai a camminare senza voltarmi, se lo avessi fatto avrebbe certamente visto i mie occhi lucidi.

Cazzo perché? Cosa ho sbagliato? Continuavo a chiedermi. Ero ormai in corridoio quando il professore mi trovò.

“Mattia che fine hai fatto? Cosa ti è successo alla faccia?” chiese indicando i lividi.

“Niente professore” risposi abbassando il capo.

“Non dirmi che hai ricominciato a fare a botte?” chiese quasi urlando.

Non risposi, ero mentalmente instabile, non riuscivo nemmeno a formulare una risposta che potesse convincerlo.

“Per adesso entra in classe, ne riparleremo più tardi” disse aprendo la porta.

“Amico chi ti ha conciato così?” chiese Leonardo toccandomi il labbro.

 “Lascia perdere”  allontanai il suo dito dalla mia faccia.

“Sei arrugginito!” affermò ridendo.

“Vuoi che ti picchi come ai vecchi tempi?” gli chiesi irritato, mostrandogli la mia mano chiusa in un pugno.

“N-no” balbettò tornando serio.

Finalmente si ammutolì e potei seguire le lezioni tranquillamente, anche se per la testa avevo ben altro…

***

Le lezioni terminarono ed io mi diressi verso l’uscita.

“Mattia” una voce mi chiamò. Mi voltai e vidi il preside con  un’espressione corrugata in faccia.

“Mi dica preside” risposi in modo formale.

“Venga nel mio ufficio” disse freddamente mentre si voltava.

Lo seguii ed entrai. Una sedia era già occupata. Chissà chi c'era.

Mi avvicinai e mi sedetti accanto al ragazzo. Mi voltai per scorgere il suo viso e mi ritrovai davanti la faccia di Stefano, visibilmente irritato.

Ci scambiammo sguardi interrogativi. 
Il preside batté la mano sulla scrivania facendo saltare una matita e rovesciando il portapenne. A quel colpo ci girammo di scatto indirizzando la nostra attenzione a quell'uomo. 
"Mi è giunta voce che a scuola c'è stata una rissa" cominciò appoggiando i gomiti alla scrivania e intrecciando  le dita delle mani. "Ne sapete qualcosa?" Continuò duro.
Ci scambiammo un veloce sguardo e i nostri occhi tornarono a fissare quelli color ghiaccio del preside. 
Rimanemmo in silenzio, era ovvio che sapeva che eravamo stati noi ad azzuffarci. 
"Bene" ruppe il silenzio. "Visto che non avete intenzione di parlare, la punizione andrà ad entrambi" disse con un'espressione adirata in viso.
Non proferimmo parola.

"Entrambi aiuterete le cuoche a pulire la cucina e la mensa al termine delle lezioni per una settimana" disse con tono duro.
"M-ma preside!" Ribatté Stefano, parlando per la prima volta dall’inizio del colloquio. 
"Niente ma. Inizierete dopo le vacanze natalizie. Potete andare."
Ottimo!  Di bene in meglio!  Sbuffai nella mia mente. Ci alzammo ed uscimmo dall'ufficio. 
"Grande!" Sospirò Stefano. 

“Sta’ zitto! È tutta colpa tua” ribattei irritato.

“Volete allungare la punizione ad un mese?” chiese il preside uscendo dalla porta. Movemmo le teste in senso negativo. Ci bastava decisamente una settimana.

Mi voltai e cominciai a camminare, superando Stefano e il preside.

Elena mi starà sicuramente aspettando pensai per un attimo. Sul mio viso nacque un sorriso malinconico. Che stupido! Non dovrò più accompagnarla pensai un attimo dopo essermi fermato di colpo in mezzo al corridoio, ormai vuoto. Non potrò più tenerla per mano, proteggerla, baciarla e amarla. Ormai non faccio più parte della sua vita, la persona più importante per lei non sono più io.

***

Elena' pov

Ero appena uscita da scuola, ma di Stefano nessuna traccia. Forse era ancora dentro l’edificio,  quindi decisi di sedermi su una panchina ad aspettarlo. Pensavo alla faccia che avrebbe fatto alla notizia. ‘Stef ho lasciato Mattia, finalmente potremo amarci come ai vecchi tempi.’ Già fantasticavo. Un sorriso spuntò sul mio viso a quell’immagine.

Alla fine, vidi Stefano uscire dai cancelli e correre verso di me. Mi alzai in piedi, in attesa che mi stringesse a sé. Le sue braccia circondavano saldamente i miei fianchi. Cominciò a girare su se stesso, facendomi volare.

“Basta! Mi vengono le vertigini!” dissi stringendo il suo giubbotto con tutta la forza che avevo. Con lui era impossibile non ridere.

Mi mise giù e si allontanò un attimo da me, cominciando a guardarmi in modo serio.

“Gli hai parlato?” disse di colpo. Non era ovvio? Ma che posso farci, i maschi… sono maschi. Devo avere pazienza. Smisi di ridere e lo guardai dritto negli occhi.

Un’espressione spaventata e delusa al contempo vidi sul suo volto. La tensione aumentava sempre di più nei suoi occhi. Volevo fargli uno scherzetto. Che faccia! Pensai. Scoppiai a ridere.

“Elena!” disse leggermente arrabbiato.

“Che c’è?” chiesi avvicinandomi a lui.

“Sei sempre la solita bambina dispet- ” cominciò a blaterare.

Ero stufa di sentirlo farfugliare quanto fossi infantile, così lo baciai, interrompendo il suo noiosissimo discorso.

“Non sei cambiata per niente” mi disse tra un bacio e l’altro. “Ti amo” continuò con voce profonda.

“Ti amo anch’io.”

“Perdonami per esser stato via questa estate” mi disse dolcemente.

“Non importa, non voglio sapere quello che è successo. L'importante è che adesso tu sia qui con me"gli dissi continuando a baciarlo. "Non lasciarmi mai più.” 

 

Magari essermi innamorata di lui è stato un errore, ma se così fosse, preferirei sbagliare tutta la vita piuttosto che stargli lontana anche solo un secondo.



 

*RINGRAZIAMENTI*
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto, recensito e seguito questa storia. 
Non immaginate quanto io sia felice di essere arrivata fino alla fine. 
Quando ho cominciato a scrivere per passatempo, non avrei mai immaginato che una delle mie storie
potesse piacere così tanto. 
Uno dei miei sogni è quello di riuscire a scrivere una storia decente. E grazie a voi sento di esserci riuscita, almeno un po'.
Grazie per tutto il supporto che mi avete dato lungo tutta questa avventura vissuta insieme.
Ogni vostro commento mi ha riempito il cuore di gioia.
Grazie per la vostra presenza. Senza di voi io non sarei qui.
Grazie infinite!
 

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