it's nice, to see my blood outside the body

di disintegretion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** e alla fine, non è così brutto morire ***
Capitolo 2: *** Beati voi, che da morti capite. ***



Capitolo 1
*** e alla fine, non è così brutto morire ***


Mi chiamo Anna, ma non dirò il mio cognome; questa è la mia storia, la mia lugubre, triste storia. Provate a immaginare cos'io sia, non potete, anzi, al contrario pensate, ma non potete sapere; a dir la verità, ciò che sono, non lo so nemmeno io. Ma una cosa la so; io sono sostanza pura, scura e depressa. Sono trasparente, anzi, lucente, come il ricordo che ho di quella mannaia. Oh, sì, quella mannaia la ricordo bene, dal dorso d'acciaio, dai riflessi striati del sangue, con l'oblio al suo interno. 
Ma ora partirò dal principio. 
Ricordo poche cose, di quella fredda sera, ma almeno le ricordo. Ormai è il solo ricordo, che rimane. Ma non svierò. Cercate di seguirmi, lungo il mio percorso; non potrò aspettarvi, e rileggere non servirà a nulla.
Dicevo, che dicevo? Sì, certo. 
Allora, era una fredda notte, quella notte, nella mia città, ma non la nominerò. La nebbia aleggiava terrificante tra le vie oscure e mi abbracciava i fianchi, bianca com'era. Un gatto nero passò davanti alla mia vista, tranquillo, e si girò fissandomi; i suoi occhi, neri come la morte che mi guardavano senza staccarsi di dosso, poi si girò di scatto, e se ne andò. Nel più cauto dei modi. Gli auricolari mi passavano la musica nelle orecchie e bassa incorniciava quel malinconico quadretto che formavamo. 
Potete immaginare, -potete?- il fatto che fossi sola. -potete.- Indossavo gli stivali con le borchie a forma di teschio, dirigendomi verso casa mia, tardi, qualunque ora fosse della notte. Proprio quegli stivali, i miei preferiti, mi fecero prendere una storta, ma non fu quella cosa che provocò ciò che provocò. Mi rialzai lenta, come un taglialegna alza fiero la sua sega e la punta sul suo obbiettivo; m'incamminai poi a mia destinazione. 
-E poi che? Vi chiederete. Non chiedete, sappiate che non sono abituata alle domande della gente.- 
Tremavo, e guardavo la fina caviglia che si nascondeva nella pelle nera della scarpa. E faceva bene, perché qualcosa dal quale nascondersi, c'era. 
Passò un uomo, indifferente. 
"Signore? Oh, signore. Mi scusi se la disturbo, ma come vede siamo soli in questo posto sconfinato. Non crede sia troppo tardi, per una bimba come me, passeggiare a quest'ora per le vie buie d'una città così spaventosa?" chiesi in preda ad uno smisurato bisogno di conforto, che da dove nascesse non lo sapevo nemmeno io.
"Oh per Giove ragazzina, come mai mi poni questa domanda? Tua mamma non sa che sei in giro?"
"Veramente signore, io sono orfana, ma non si preoccupi, non ho nessuno da perdere, se non me. Allora lei crede sia troppo tardi per me?"
"Quanti anni hai, gioia?" 
"Mi chiamo Anna, ho quindici anni, ma sicuramente io non sono il ritratto della gioia. Ad ogni modo saprebbe dirmi che ore sono?" 
L'uomo, senza volto, senza età, diede un veloce sguardo al suo orologio, disorientato e rammaricato.
"Ecco Anna, mezzanotte e quarantacinque"
"Non mi chiami per nome, la prego, nessuno mi chiama, e sentir pronunciare il mio nome da una persona al di fuori di me è abbastanza scombussolante"
Lo vidi turbato. E come biasimarlo, dopo un incontro con un individuo come me.
"Bene ragazzina, perdonami, ma vado di fretta, e come puoi notare sta iniziando a gocciare. Sarà meglio per te, ad affrettarti ad arrivare alla tua dimora, o finirai per bagnarti"
"Grazie per l'interessamento, arrivederci, signore" dissi col sorriso grande e salutandolo con la mano svelta.
Lui fece un cenno col capo e s'incamminò, non lentamente, verso quella che presumo fosse stata casa sua, sfoderando dal suo borsello un esile ombrello blu notte, dai ricami bianchi. Rimasi così, a salutarlo anche dopo che fosse scomparso dalla mia visuale, sotto le brevi gocce che mi sfioravano il viso, le braccia, le gambe, fino ad insinuarsi negli angoli più remoti del corpo. Quelle gocce ghiacciate.
Sapete, ne passò di tempo prima che un altro essere vivente s'avvicinasse a me; ma successe, per quanto strano esso possa sembrare. 
Eccolo, qui iniziò tutto, qui ebbe origine ogni cosa, e credo di ricordare ciò che successe come fosse l'ultima cosa che avessi fatto, come se lo fosse stato veramente.
Un'ombra mi sfiorò passandomi accanto con velocità. Toccò il mio braccio facendomi rabbrividire, ma non so dire di per certo cosa fosse realmente quell'ombra. 
Sentii dopo un urlo di donna, agghiacciante e il lontananza, proveniente da non so dove. Affrettai il passo, ma l'ombra tornò, sfiorandomi nuovamente. Il battito cardiaco accelerò, accelerò di così tanto che credevo che mi fosse uscito fuori dal petto. 
E l'ombra tornò, di nuovo, per più e più volte, terrificante qual era. 
Dopo il vuoto totale. 
Mi seguite? È tutto chiaro? Non lo rispiegherò, e se non avete capito non sono miei problemi. Scusate la mia indole cinica.
Fatto sta che tempo avvenire avvertii una presenza alle mie spalle che mi afferrò il polso stritolandolo. Urlai di terrore, sgranando gli occhi miei, del colore del sangue amaro, sul nero. La presenza mi tappò la bocca, che morsi per cercare di liberarmi. Mi beccai una strattonata molto forte, che mi fece male alla spalla. Mi dimenai nuovamente, ma tutto fu vano, perché l'uomo, almeno credo che fosse un uomo, mi portò via con sé, strappandomi dalla realtà.
Ne passò di tempo, prima che rinvenni da non so quale svenimento.
Ero bloccata ad un tavolo. 
Conoscete quei tavoli metallici, d'acciaio vivo, duro, che t'intrappola insieme all'anima tua che cerca di scappare via? Quelli da tortura? Quelli.
C'era sempre lui in penombra, con qualcosa di splendente in mano, che rifletteva la luce che non c'era. Si avvicinò l'uomo, ma fu tutto così maledettamente veloce che nemmeno mi accorsi che davanti a me stava affilando quella che sicuramente non avrebbe usato per accarezzarmi i capelli.
"Signore, signore! Ma chi è lei?! Chi è, per l'amor del Cielo, mi risponda!" 
Credo ch'io sia, sotto il mio spirito strano ed eccentrico, sempre molto educata.
"Zitta ragazzina e fammi prendere la mira" disse strizzando un occhio per fissar bene il punto in cui avrebbe colpito con la sua mannaia. 
"Ma signore, cos'ho fatto io! Mi spieghi, la prego, perché di sicuro non capisco lo scopo della sua azione sconclusionata!" 
E il signore prendeva la mira, continuava a prenderla. Dio, come era tutto così veloce!
"Sai ragazzina, stai per morire"
"Oh, ma signore, l'avrei dedotto anche senza il suo aiuto, sa? Credo che mi meriti una spiegazione, come minimo, dato che fra poco nemmeno esisterò più"
"Anna, devi sapere che sei incappata nel pazzo sbagliato. Io sono quello che non viene scoperto mai, e che uccide le donne come fosse un atto quotidiano di poco conto. Questa è l'unica spiegazione che ti serve"
Un unico gesto velocissimo e alzò la mannaia in aria e me la infilzò dritta nel petto. Sentii il sangue defluire in un attimo. Urlai di dolore come una forsennata, ma dopo mi accorsi che morire non era poi così male. Prese di nuovo la mannaia, la puntò, la scagliò. E mi sentii tagliare, come fossi un pezzo di carta. E mi sentii scannare, mi ammazzò, quell'uomo dal volto oscurato. La mannaia, oh quella mannaia, dall'acciaio lucente; era anche un piacere vedere il mio sangue uscire, non provai dolore, ma piacere. Sì, piacere nel morire; e guardavo quel nero sangue uscire, a terra cadere, e s'espandeva sempre più. Sì, mi piacque, e mi dissi "se si potesse morire, se si potesse morire anche solo un'altra volta, sarei felice". Ma morii lì, una sola volta, in quel momento, e intendevo godermelo tutto. L'uomo mi guardò, lo sentii da dietro quella sua maschera d'oro nero, trasparente infine, sorridere. Crebbi che lui pensava che mi stava facendo un male infinito, che mi stava infliggendo una terribile piaga, ma ciò che avrei voluto fare, se non mi fossero mancate terribilmente le forze, era ringraziarlo. Sì, ringraziarlo, perché ammazzandomi mi volse davanti gli occhi l'altra faccia della storia, della mia storia. Della mia vita.
Terribile, solitaria. E infatti morivo sola, dinanzi gli occhi intrisi di sangue del mio omicida che compiaciuto, finì ciò che aveva iniziato, e in un ultimo, netto gesto, mi inflisse una coltellata dritta nel cuore, che interruppe il suo già debole battito per sempre.
E ora forse lo so che cosa sono, e forse lo sapete anche voi, sì. Sono materia senza precedente, polvere; sono la vittima di una vita troppo crudele, per una ragazzina di quindici anni come me.
E voi? Mi avete capito? Sono troppo spedita? Non voglio sembrare ora, uno di quegli squallidi spot che promettono nuova puntata, perché sono morta, anche se non del tutto, e una nuova puntata potrebbe anche non esistere mai. Ma del mio sangue imprimerò la carta, lo giuro. E tornerò a raccontare.

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Capitolo 2
*** Beati voi, che da morti capite. ***


"E allora vedevo il sangue uscire, e credimi se ti dico che d'un piacere mi lasciai pervadere, vedendolo scorrere via. Spegnermi piano. Anzi veloccissima"
"Ma avrai provato un certo dolore nel sentire le arterie vuote di quel rosso sfuggente, o non è forse così?" 
"Il dolore è soggettivo, Adele, se non avrai la pace in te stessa, la guerra nel tuo corpo non finirà mai, e tutto diventerà uno strazio senza fine, e prima che tu te ne possa accorgere la via d'uscita sarà troppo distante dai tuoi arti, per afferrarla ed evadere dalla prigione di sangue"
"Mi sembra di aver capito"
"beati voi, che da morti capite; perché io non ho capito nulla per davvero, né da viva, tantomeno da smunta e compiuta l'ultima muta"
"L'ultima muta"
Pondera.
​"Sei ingenua, Adele. Sei ingenua come un bambino che da via una caramella, inconsapevole del fatto che ne rimpiangerà la presenza nelle sue vuote mani" 
"Sai Anna, qui dove siamo-"
"Sai per caso cosa intendi con il tuo qui? Sai minimamente, cosa rappresenti il vuoto totale in cui ci troviamo ora? Dopo una vita di lacerazione?" 
"Qui dove ci troviamo, se ci troviamo, e se non fosse tutto frutto della nostra immaginazione e se mai un giorno anch'essa tradendoci non ci lasciasse sole nella nostra mente di polvere aeriforme" 
"Continua Adele, la tua mente m'intriga"
"Volevo, se non altro dire, che le analogie qui non ci serviranno, sicché siamo in mondo di desolazione e tenebre, dove l'unica caramella che possediamo è quella al gusto di morte"
"E non noti null'altro nella mia scombinata proporzione letterale, di non totalmente analogo, in base alla tua seguente osservazione?"
"Mi sembra tutto perfettamente affine, sorella"
"Anima scambievole, preferisco, considerando che non abbiamo alcunché in comune, se non la morte e la confusione; e comunque, ti sarai forse accorta che ho usato una similitudine, che non è corretta del tutto, perché esprime l'egoismo del bambino che vuole più e più, anche quando quel più perde la sua linea verticale, e si trasforma in un triste meno"
"Ma ora non è ciò che interessa e impegna le nostre menti"
"E invece ti sbagli; perché d'interesse dovremmo colmarci i cervelli affamati, e di tutto nutrirli, senza lasciare scarti, per poi gettarli e dimenticarli"
"A volte non capisco. Questo tuo linguaggio sicuro e spedito non mi convince alquanto" 
"Siamo fatti per non capire e, Adele, per essere convinti. E se assidua sarà la tua ricerca di comprendere, ti farai anche tu persuadere dal ginnasio mentale che applica i nostri senni, nelle tenebre e nella luce"
"Che da tempo ormai, manca all'appello della mia visione"
"Pensaci" 






capitolo di passaggio

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