Living with a Nerd

di MollySanden
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** /Due/ ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Prologo
 
La sua vita l'aveva vissuta all'interno di una bolla, dove nessuno poteva farle del male.
A scuola, però, gli studenti l'avevano presa di mira additandola come una nerd, o meglio: una ragazza intelligente che trascorreva le sue giornate a studiare.
Popolarità, feste, ragazzi e alcol...agli occhi di un estraneo potevano rappresentare uno stile di vita adeguato per un ragazzo di quell'età. Tuttavia, lei non era come le altre ragazze, ma solo un prototipo "sbagliato".
Jade e Harry: appartenenti a due mondi completamente diversi, che finiranno per scontrarsi in un modo isolito.
Jade viveva in un piccolo appartamento a Londra, così striminzito da esserci spazio solo per lei, sua madre e i mobili che l'arredavano, concessi dall'edificio stesso. Nonostante il poco denaro, la donna riusciva a mantenere, per lei e per sua figlia, l'affitto dell'appartamento, fino a quando però, sfortunatamente, arrivò una lettera di sfratto.
Harry, invece, viveva con entrambi i genitori. Un giorno, gli venne data la notizia che la migliore amica di sua madre si sarebbe trasferita in casa sua per un po'. Harry la prese bene, soprattutto quando udì le parole " ha una figlia", reagendo come qualsiasi adolescente della sua età con gli ormoni in subbuglio. Tuttavia...
Cosa accadrà quando Harry verrà a sapere che la ragazza con cui condividerà la casa sarà la secchiona della scuola? E Jade, come la prenderà sapendo di convivere con il ragazzo più desiderato e anche il più arrogante che abbia mai scontrato per i corridoi?
Cosa succederà se ambedue saranno costretti a vivere insieme?
 
Capitolo 1
 
                                                                                                   
 
Respirai profondamente quando l'autobus si fermò di fronte a me. Cercai di incoraggiarmi per poter affrontare la giornata.
« Buongiorno, Jade! » mi salutò gentilmente l'autista, quando salii sul veicolo.
« Buongiorno, Clark! » ricambiai il saluto timidamente e mi avviai, rapida, lungo il corridoio del bus per arrivare al mio posto, vicino al finestrino.
Camminavo con alcuni libri in mano quando notai che una ragazza, al mio passaggio, sorrise maliziosa. La ignorai, però lei fu più veloce di me e con uno sgambetto mi fece cadere tutti i libri a terra.
« Attenzione, nerd!» squittì beffarda, voltandosi poi per continuare a parlare con i suoi amici, non prestando più attenzione a me.
Respirai profondamente e mi alzai.
Era all'ordine del giorno: sgambetti, risate, pettegolezzi, "sei un topo da biblioteca"…si divertivano i miei compagni a prendermi in giro, senza preoccuparsi se avessi potuto farmi male. Le risate che avevo udito quando ero caduta non mi toccavano più.
Presi i miei libri da terra, sistemai gli occhiali e continuai a camminare a testa bassa verso il sedile posteriore, dove nessuno si sedeva mai e che in quel momento mi sembrava così solitario e silenzioso, giusto per me.
 
Prima regola degli studenti: non avvicinarsi alla secchiona.
 
Una ragazza del primo anno, non popolare, mi guardò per poi abbassare lo sguardo subito dopo. Stare dalla mia parte rovinava la reputazione a chiunque.
 
Seconda regola degli studenti: lasciare che la secchiona viva nella sua solitudine.
 
Questa regola teneva conto della prima, essendo sola nessuno rischiava di diventare come me.
La mia vita, prima, era diversa. Avevo un paio di amiche con cui potermi confidare e altri per divertirmi. Ero timida, ma loro c'erano e tutto era più semplice quando si era bambini. Ora, quegli stessi "amici" erano adolescenti e l'unica cosa a cui davano conto, era lo status sociale. Le amicizie reali non contavano più. Ed era quello che mi succedeva da anni, mi avevano abbandonata per non perdere quel briciolo di popolarità che a loro importava tanto.
Appoggiai la fronte contro il finestrino e sospirai, il vetro si appannò e con l'indice ci disegnai sopra una faccina sorridente. Felice.
Mia madre era una donna sola, divorziata, papà ci aveva lasciato per un'australiana. Speravo che anche la mamma si rifacesse una vita, perché aveva bisogno di un po' d'affetto e soprattutto perchè se lo meritava. Ogni mattina, quando mi svegliavo, mi diceva sempre di sorridere e non lasciare che gli altri mi facessero soffrire. Il sorriso era l'arma migliore per difendersi, dopotutto anche lei aveva adottato questa "tattica" quando mio padre se ne era andato.
I miei pensieri furono interrotti quando arrivammo davanti la scuola. Presi lo zaino, i miei libri e lasciai l'autobus. Entrai nell'edificio e camminai per i corridoi, nervosa. Il tratto corridoio-armadietto-classe era come se fosse una passerella per gli studenti, dove chiunque poteva osservare, giudicare e nel mio caso, divertendosi a prendermi in giro, facendomi inciampare o attraverso insulti privi di senso.
Camminando, notai alla mia destra Brittany Jones. Chi non conosceva la bionda Jones? Era la ragazza più popolare della scuola, festaiola e avente come hobby quello di insultarmi. Ovviamente, era fidanzata con un ragazzo bellissimo, popolare quanto lei e divertente.
James Blair, desiderato da molte ed io ero una di loro. Era stato più forte di me, era perfetto e soprattutto era l'unico a scuola che non mi insultava, anche se dubitavo fosse a conoscenza della mia esistenza.
Raggiunsi l'aula e mi accomodai al mio banco, ultima fila e accanto alla finestra. Nessuno condivideva il banco con me, semplicemente perché eravamo dispari.
Le ore trascorsero veloci e come ogni giorno ricevetti una buona dose di fischi da parte delle cheerleaders, altri invece preferirono evitarmi. Niente di nuovo.
Ritornai a casa con l'autobus e fortunatamente nessuno mi fece inciampare, rismparmiandomi un viaggio sgradevole.
Arrivata, notai una piccola lettera all'ingresso. Stupita, mi inchinai e presi la lettera, entrando nell'appartamento.
La curiosità mi aveva sempre portato problemi, ma era più forte di me e decisi di dare un'occhiata alla lettera. Sorrisi confusa mentre leggevo parola per parola, scossi addirittura la testa, incredula. Mia madre si era dimenticata di pagare l'affitto.
Certo, pensai ironicamente.
Continuai a leggere e il mio sorriso svanì lentamente.
Non era uno scherzo, mia madre non aveva pagato la rata.
 
 
 
 
 
 
Continuai a leggere e il mio sorriso svanì lentamente.
Non era uno scherzo, mia madre non aveva pagato la rata.





 
Hola!
Salve, hola e ciao.
È la prima volta che mi cimento in questo fandom e spero di non fare un buco nell’acqua.
La storia è molto semplice e ha una trama divertente che scoprirete solo leggendo.
Un bacio!

 
 
 

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Capitolo 2
*** /Due/ ***





 
Capitolo 2
 
Ero sconcertata, rilessi la lettera più volte ma le parole della carta non cambiarono. Pregai che fosse tutto frutto della mia immaginazione, incrociai le dita e sperai che il proprietario si fosse sbagliato.
Come era potuto succedere? Tutto questo mi devastava. L'appartamento in cui vivevamo non era grande e la maggior parte della mobilia ci era stata gentilmente fornita dai proprietari dell'edificio. Io e mia madre non avevamo nulla. Avrei potuto reagire diversamente, sapendo a tutto quello in cui andavamo incontro?
Entrai nell'appartamento per vedere se mia madre fosse tornata da lavoro, dovevo parlare con lei. In cucina non c'era, neanche in salotto, raggiunsi la porta del bagno e bussai, ma nessuna risposta. Andai perfino in camera e velocemente guardai in ogni stanza, ma l'unica traccia di mia madre erano le chiavi lasciate alla porta d'ingresso. Le aveva dimenticate.
Mi trovavo nella mia camera, seduta sulla sedia girevole. Allungai le braccia sulla scrivania e decisi di studiare, mi avrebbe aiutato a distrarmi.
Onestamente non faticavo molto a studiare, ero come un topo da biblioteca: mi piaceva imparare velocemente ogni cosa e superare i compiti e le interrogazioni con facilità. Avrei voluto continuare i miei studi ad una università di prestigio, anche se dubitavo che con i pochi soldi che avevamo potevo permettermelo.
L'appartamento rimase silenzioso fino alle otto di sera, avevo finito di studiare e mi ero concessa una pausa nel pomeriggio mangiando un toast.
Suonò il campanello e mi alzai dalla sedia e attraversai veloce il piccolo corridoio che portava in salone, aprii la porta e feci entrare mia madre.
« Ciao, mamma. » la salutai sorridente. Mi si avvicinò e mi stampò un bacio sulla guancia.
« Ciao, Poopey! » ricambiò il saluto chiamandomi con il soprannome che lei stessa mi aveva dato.
Attraversò la stanza e tolse le scarpe a spillo andandosi a sedere sulla poltrona con i tacchi in mano. Chiusi la porta e andai in cucina per prendere qualcosa da bere, optai per una Coca.
« Uh, sono stanchissima. - sfuggì dalle sue labbra, massaggiandosi il collo. Le passai la lattina. - Grazie Poopey, non so cosa farei senza di te. »
« Prego. - misi le mani nelle tasche. - A proposito, hai ricevuto una lettera. »
« Si? Me la puoi portare? » mi chiese, dando un altro sorso alla lattina. Annuii e andai a prendere la lettera che avevo messo nel cassetto della scrivania.
« Tesoro, grazie. » sorrise e prese la lettera.
Ero in piedi davanti a lei, aprì la lettera e iniziò a leggere. Aspettai una sua reazione: di stupore, oppure un'espressione di disgusto.
Invece, terminò di leggere e poi piegò la lettera improvvisamente e la ripose nella busta, tranquilla diede un altro sorso alla sua bevanda.
Che cosa? Davvero non voleva dirmi nulla sulla rata?
« Mamma! » la chiamai con un tono un po' adirato.
« Si? » chiese innocentemente, continuando a bere la Coca Cola.
« Siamo state sfrattate! » dissi sconvolta. Non riuscendo a credere che mia madre si comportava in quel modo.
Rimase in silenzio per pochi minuti mentre io aspettavo la risposta.
« Si, Jade. -sospirò - Dobbiamo andare via. » sorrise angosciata.
Strinsi i denti e serrai la mascella. La guardai e respirai a fondo. Ero rabbiosa.
Non poteva essere vero, come poteva reagire così? Saremmo state buttate fuori dall'appartamento e lei continuava a bere la sua Coca? Forse non aveva capito.
« Andare via? » chiesi tra i denti, arrabbiata.
« Si. »
Morsi la lingua, avrei perso la pazienza a momenti.
« Non abbiamo i soldi per comprare un'altra casa. »
« Tranquilla Poopey, farò una chiamata e tutto si sistemerà. » disse sorridente.
« Come? - le domandai - Mamma, non riusciamo a pagare l'affitto come faremo a permetterci un'altra casa? » era di fonte a me, calma. Sorrise nel vedermi così preoccupata.
« Poopey, tranquilla. Devo chiamare una persona e vedrai che le cose si risolveranno. Prepara la valigia, domani dobbiamo andarcene.» mi lasciai andare in un sospiro e rassegnata abbassai le spalle. Non avrei potuto fare molto.
Dovevo ammettere che mia madre attraverso la tranquillità era riuscita a gestire la maggior parte delle cose della sua vita, in meglio.
Essere alterati, dopotutto, non serviva a nulla.
Andai nella mia stanza e aprii l'armadio a muro che si trovava ai piedi del letto. I miei vestiti erano simili tra loro: maglioni, camicie che mi andavano un po' grandi, pantaloni, jeans, un paio di scarpe che erano un'imitazione delle Vans, una giacca grigia che mia madre mi aveva comprato per il compleanno con una lettera P, che stava per Poopey, incisa sul lato destro della parte anteriore.
Scelsi i vestiti per il giorno seguente e misi gli altri nella piccola valigia verde che avevo sotto il letto. I libri e i quaderni li misi nello zaino.
Indossai il pigiama e mi addormentai.
Pochi minuti più tardi sentii mia madre entrare nella stanza, buia, e avvicinarsi. Mi diede un bacio sulla fronte e mi augurò la buona notte.
La mattina seguente mia madre mi svegliò presto e a differenza degli altri giorni, avevo trascorso la notte in bianco.
Erano le sette e trenta del mattino, feci la doccia e avvolsi il mio corpo nell'asciugamano.
Indossai un sottile maglione a scollo a V, dei pantaloni grigi e le finte Vans.
« Sei pronta, tesoro? » mi chiese mia madre, entrando improvvisamente nella mia stanza senza chiedere il permesso.
Era così diversa da me. Indossava una gonna aderente e una camicetta bianca. Aveva un corpo invidiabile.
« Si. » dissi, prendendo lo zaino e la valigia.
Sorrise, contagiandomi e chiamò un taxi. Quando uscimmo dall'appartamento e il taxi arrivò, lasciammo le valigie nel cofano per poi prendere posto dietro. Il tassista era gentile.
Diede le indicazioni e io esitai nell'udirle. « Dove andiamo? »
« Andiamo a casa di una mia amica. Ci conosciamo al tempo della scuola e ci siamo sempre tenute in contatto. Quando l'ho chiamata mi ha detto che non c'era nessun problema nello stare un po' da lei. C'è dell'altro però! » mi ordinò una ciocca ribelle dei miei capelli dietro l'orecchio.
« Cosa? » domandai curiosa.
« Ha un figlio. » disse, facendo una smorfia e aspettandosi una reazione da parte mia.
Sollevai le sopracciglia e aspettai che mi dicesse dell'altro.
« E? » chiesi, dato che non capivo.
« Ha un figlio. » ripeté.
« Ho capito, mamma. È così strano per una coppia avere un bambino? » chiesi.
« Non so se capisci, tesoro, ma loro....hanno...un...figlio. » ripeté, questa volta più lentamente.
Il conducente cercò di reprimere una risata e io continuavo a non capire. A quanto pareva, l'unico che aveva compreso cosa mia madre volesse dire era l'autista. Mi chiesi realmente che problema potesse esserci sul fatto che l'amica di mia madre avesse un figlio.
« Quindi? » dissi sorridendo.
Mia madre sospirò rassegnata, evidentemente per lei comprendere cosa volesse dire era qualcosa di ovvio.
« Siete a destinazione! » disse l'autista.
Mamma pagò e scendemmo dal veicolo. Raggiungemmo il portone della grande casa e mia madre suonò il campanello.

 
 

 





Dovevo ammettere che mia madre attraverso la tranquillità
era riuscita a gestire la maggior parte delle cose della sua vita, in meglio.
Essere alterati, dopotutto, non serviva a nulla.
 
 
 
Hola!

Salve, hola e ciao.
Jade e sua madre si sono trasferite e presto sapremo chi sarà questo “misterioso” figlio della coppia.
Anche se non ho ricevuto nessuna recensione, io continuerò a pubblicare la storia, sperando che un giorno qualcuno possa accorgersi della mia storia.

 
 

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