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di The_Grace_of_Undomiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1° ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2° ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3° ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4° ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5° ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6° ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7° ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8° ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9° ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10° ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11° ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12° ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13° ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14° ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15° ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16° ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17° ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18° ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19° ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20° ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21° -Extra- ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1° ***


Quel giorno pioveva veramente molto, un autentico acquazzone, con tanto di tuoni e qualche lampo, ma la cosa migliore era il vento, che scuoteva con forza le chiome degli alberi, quasi come volesse sradicarli. Aveva cominciato verso le cinque del pomeriggio e, alle sette e mezzo di sera, non accennava a smettere, anzi, minacciava di peggiorare.
Sam sbuffò sonoramente, stufo di guardare le goccioline di pioggia che scivolavano lungo il finestrino della vettura su cui stava viaggiando, insieme a sua madre e alle sue due sorelle.
Cercò di mettersi seduto un po’ più composto, visto che stava letteralmente sprofondando nel sedile posteriore, ma abbandonò quasi subito l’idea, era troppo indolenzito (e al momento anche troppo pigro) per muovere  un solo muscolo. Lanciò un’occhiatina a sinistra, verso sua sorella più piccola Holly, che dormiva profondamente, tenendo la testa appoggiata contro il finestrino.
Il ragazzo abbozzò un sorriso.  Gli piaceva troppo guardare la sorellina dormire, le veniva sempre un’espressione dolcissima, con i ciuffetti ribelli dei lunghi capelli castani che le ricadevano sul viso.
Sam sospirò, beata lei che riusciva ad addormentarsi in macchina, lui non ci era mai riuscito, nemmeno quando si sentiva davvero a pezzi.
-Mamma, quanto manca ancora?- domandò, annoiato.
Sua madre, una bella donna dai profondi occhi verdi, che aveva ereditato anche Sam, e dai capelli neri  rispose, con una punta di disapprovazione.
-Me lo hai chiesto meno di dieci minuti fa e ti ho detto che  manca ancora una buona oretta! Non hai proprio perso il vizio di fare queste domane assillanti: le facevi ad otto anni, le fai ora a sedici  e mezzo!-
L’altra sorella, Amber, di quasi diciotto anni, ridacchiò col suo solito modo irritante e disse –Beh, che ti aspettavi, mamma? Il suo cervello non si è più evoluto da allora! Al contrario di quello delle persone normali, come il mio ad esempio-
Sam simulò un finta tosse.
-Il mio cervello è evolutissimo, se proprio lo vuoi sapere, e senza dubbio molto più del tuo, sempre  che tu ne abbia uno! E poi non ho bisogno di prediche sull’intelligenza da una che è stata bocciata a scuola due volte!- rispose il ragazzo, con un’abile frecciatina.
-Non..non è stata colpa mia! Io ho fatto del mio meglio, sono loro che non sono riusciti a cogliere le mie doti!- rispose Amber, indispettita.
-Per due anni di seguito? Ma a chi la vuoi dare a bere, Crudelia?- disse Sam, sottolineando bene il nome. Da un po’ aveva iniziato a chiamare sua sorella così e per due motivi: il primo perché era crudele e odiosa proprio come l’antagonista della Carica dei 101 e il secondo perché aveva il suo stesso colore di capelli, un’agghiacciante misto tra il biondo platino e il nero, tinta di cui Amber andava particolarmente fiera.
-Piantala di chiamarmi in quel modo, Sminchio!- urlò l’altra, voltandosi di scatto verso di lui.
-Non ci penso neanche!- esclamò Sam, decidendosi finalmente a mettersi seduto in modo decente –Ti si addice troppo! Chissà, forse potrei smetterla quando tu la finirai di chiamarmi Sminchio!-
-Ma con chi credi di parlare!? Ti avverto, appena scendiamo da questa maledetta macchina ti faccio passare la voglia di fare il furbo, sai?- lo minacciò lei.
Sam la guardò dall’alto in basso e rispose, con fare teatrale –Ma che paura! Guarda come tremo!-
Amber rise, cattiva.
-Fai, fai il gradasso che vedi che fine fa il tuo prezioso pallone da Basket-
Il ragazzo si gelò sul posto. Tutto, ma non il pallone firmato dal suo indolo della pallacanestro.
-Non provarci neanche!-  esclamò.
-Oh si invece!- 
La madre, che fino a quel momento era stata in silenzio per cercare di contenere la rabbia, perse la pazienza e azzittì i due urlando il classico “Basta”.
Fratello e sorella smisero all’istante, alquanto intimoriti. La loro era una mamma solitamente dal portamento tranquillo e abbastanza pacato, ma guai a farle perdere le staffe, in particolare in quel periodo.
-Che avete da urlare tutti quanti?- domandò Holly, stropicciandosi gli occhi. Tutto quel baccano aveva finito per svegliarla.
-Niente di importante, tranquilla- rispose la madre –Solo i tuoi fratelli che bisticciano come due bambini-
Holly fece le spallucce: niente di nuovo, insomma. E così ritornò a dormire.
Per un quarto d’ora proseguirono il viaggio in silenzio, a parte il solito rumore della pioggia battente e dei tuoni, fino a quando, proprio mentre Sam stava per riuscire ad abbioccarsi un po’, la quiete fu interrotta dalla voce irritante e un po’ nasale di Amber.
-Comunque, mamma, non capisco perché tu non abbia mai voluto  farci vedere la nuova casa!Mi sarebbe piaciuto farmi almeno un’idea del posto in cui andremo ad abitare-
-Beh, vi avevo detto che sarebbe stata una sorpresa, no?- rispose la donna, cercando di sorridere.
-Capirai che sorpresa...- borbottò Amber con una smorfia.
Sam vide, attraverso lo specchietto retrovisore, lo sguardo della madre farsi triste. E chi più di lei poteva esserlo? Non era stato facile per la donna prendere la decisione di trasferirsi, di lasciare il suo lavoro e la sua casa ad Amentia per andare a vivere a Roxvuld  e il ragazzo lo sapeva. Ma sua mamma non era voluta restare ne nella loro casa ne nella loro città un istante di più, non dopo che aveva scoperto il tradimento del marito. Prima erano iniziati i sospetti:  troppo spesso il padre non rientrava a cena a causa delle “presunte” ed improvvise riunioni per il lavoro o ancora quelle strane telefonate che sempre più frequentemente riceveva.
Sam non aveva mai pensato lontanamente ad una cosa del genere, si fidava di suo padre ed era sicuro della verità sue parole, ma la madre invece aveva cominciato pian piano a intuire che sotto doveva esserci qualcosa di strano e così aveva iniziato a seguirlo, attenta a non farsi notare, fino quando aveva infine colto il marito in fallo e con lui la segretaria.
Scoperta la cosa, la donna aveva preso figli, armi e bagagli e si era trasferita da sua madre, la nonna di Sam, e aveva subito chiesto il divorzio.  Per un bel po’ di tempo erano rimasti a casa della nonna, poi sua madre aveva trovato una casa a Roxvuld e lavoro in una delle scuole elementari della città e così avevano iniziato il trasloco, ma ne lui ne le sorelle avevano mai visto la nuova dimora. Però erano già stati a Roxvuld e Sam la trovava una bella città, non sarebbe stato male viverci, tutto sommato.
Nel pensare quelle cose al ragazzo  venne in mente suo padre, chissà dove si trovava in quel momento, probabilmente a divertirsi con Consuel, la bella segretaria dagli occhi freddi come il ghiaccio. L’aveva vista solo in rare occasioni e, in quelle rare, le avrebbe volentieri lanciato in testa un blocco di marmo.
-Dai ...– disse la madre –Ormai non manca più tanto, tra poco la vedrai e sono certa che ti piacerà-
-Bah, non ne sono del tutto convinta! Ad ogni modo, spero che smetta di piovere quando arriveremo, non ho alcuna intenzione scaricare gli ultimi scatoloni e le valigie sotto la pioggia!- mugugnò Amber –Anche perché...-
Sam si perse il proseguo delle blaterazioni di sua sorella, mettendosi gli auricolari del suo vecchio e alquanto scalcinato Mp3.
“Però…” pensò prima di lasciarsi trasportare dalla musica “Le farebbe bene a quella testa vuota un po’ d’acqua, magari le si rinfrescano le idee”.

Arrivarono a Roxvuld verso le otto e mezzo di sera, più  dieci minuti  aggiuntivi per arrivare alla nuova casa, che si trovava in periferia.
La macchina rossa si fermò proprio davanti al cancello bianco della piccola villetta. La facciata di questa doveva essere sull’azzurro, o almeno così ipotizzò Sam, visto che era buio, ed era su due piani. C’era anche il garage e il cortile, ma niente giardino.
-Bella! Mi piace!- esclamò Holly, spiaccicando la faccia sul finestrino.
-Si, non c’è male...- commentò Amber.
-Ti sarà costata un sacco mamma...- commentò Sam.
Lei sorrise e rispose –Un pochino, infatti se devo essere sincera ho chiesto un piccolo aiutino agli zii e i nonni si sono offerti di darmi un contributo. Ci sono ancora un po’ di rate da pagare, ma presto sarà nostra! Comunque, sono davvero felice che vi piaccia!-
Prese un piccolo telecomando dal cruscotto dell’auto e, poco dopo, il cancello sì aprì, così la macchina poté entrare nel cortile.
Nel frattempo stava continuando a piovere fortissimo, con grande dispiacere di Amber e con grande soddisfazione di Sam, perché lui, al contrario della sorella, aveva provveduto a portarsi dietro il K-way, mentre lei aveva solo una semplice felpa di cotone.
Parcheggiarono la macchina davanti alla casa e uscirono in mezzo alle intemperie. La madre aprì il bagagliaio e prese due scatoloni.
-Allora, io porto dentro questi e intanto inizio a dare una sistematina in casa, voi portate gli altri!- esclamò e così si diresse verso la villetta.
Holly prese lo scatolone più piccolo, dove all’interno c’erano i suoi giocattoli preferiti, e corse al seguito della mamma.
Amber e Sam invece iniziarono a scaricare il resto degli scatoloni.
-Che lavoro ingrato!- imprecò la sorella già fradicia, inforcando una scatola enorme, con su scritto, con un pennarello blu mezzo scarico “CD e stereo di Amber”. Aveva un vera e propria passione per la musica.
Sam invece prese il suo personale scatolone, con dentro il pallone da Basket, gli album delle foto e i suoi innumerevoli libri, dai fantasy ai gialli; amava leggere più di ogni altra cosa.
-Non ti lamentare- le rispose imbacuccato nell’impermeabile –Tanto dobbiamo farlo, perciò...- e si incamminò verso casa. Alle sue spalle udì un baccano infernale, provocato dalla caduta di innumerevoli oggetti, e da una bestemmia della sorella. Sam soffocò una risata, probabilmente le si era sfasciato lo scatolone.
Finalmente entrò nella casa e rimase letteralmente a bocca aperta. L’entrata non era tanto grande, ma era molto carina, con il pavimento di marmo. Avanzando, vide che alla sua sinistra c’era la cucina, molto caratteristica, in legno, mentre alla sua destra c’era il soggiorno, molto bello anche quello. Proseguì e vide che c’erano il bagno e lo sgabuzzino, più un’altra stanza, probabilmente lo studio. Raggiunse le scale, in legno pure quelle, e arrivò al piano di sopra. Un lungo corridoio portava alle camere, la prima che si incontrava era quella di sua mamma, al seguito quella di Holly, poi c’era un altro bagno, di fronte alla stanza della sorellina, poi la camera di Amber e infine la sua. Sulla porta bianca, ovviamente di legno, c’era un foglio con su scritto il suo nome.
“Cavolo” pensò Sam “Proprio vicino ad Amber mi dovevano mettere?” 
Cercando di non far volare per terra lo scatolone entrò nella sua nuova camera, che gli piacque molto. C’erano tutti i suoi mobili, il letto, la scrivania, l’armadio, l’inseparabile computer e l’enorme libreria. In fondo c’era una grande finestra. I muri erano dipinti di azzurro, il suo colore preferito.
Appoggiò lo scatolone per terra ed iniziò a riordinare le cose. In realtà avrebbe dovuto farlo dopo, prima doveva scaricare gli altri scatoloni, ma non ne aveva nessuna voglia, perciò la parola d’ordine fu “prendere tempo!”
Sistemò tutto per bene e per ultimo si lasciò da mettere (rigorosamente in cromia) i suoi libri nel giusto ripiano dello scaffale, sopra a quello dove c’erano i volumi di scuola.
Nel vederli, gli venne un brivido. Decisamente non era il massimo cambiare  scuola a Marzo,  già aveva fatto fatica a trovare qualche amico in quella precedente, figurasi in una nuova e iniziata a metà anno per giunta! 
 Proprio riguardo a questo il preside del nuovo istituto all’inizio aveva fatto delle storie, perché gli sembrava, giustamente, assurdo che Sam  iniziasse la scuola a quattro mesi dalla fine, ma sua madre aveva insisto tantissimo e, dopo avergli mostrato i brillanti voti del figlio, aveva ceduto. Uno studente in gamba in più faceva sempre comodo, dopotutto.
Quando ebbe finito di aver messo a posto i libri, prendendosi tutto il tempo necessario, tornò giù ad aiutare Amber a scaricare il resto della roba, infine, quando si furono tutti messi comodi, cenarono a base di pasta al burro scotta e senza sale. Decisamente sua madre non era una cima nel cucinare.
Infine, alle undici di sera, poté dirigersi verso la sua camera e, nel corridoio, notò che appeso alla parete c’era un grosso specchio ovale al quale non aveva fatto caso e vide la propria immagine riflessa.
-Aaah! Faccio spavento stasera!- esclamò.
I suoi capelli castano chiaro, con ciocche ribelli che andavano un po’ ovunque, erano più fuori controllo che mai quella sera e con l’ umidità ostentavano la cofanaggine, a parer suo. Per non parlare delle occhiaie mostruose che aveva sotto gli occhi. Sì, ci voleva un dormita.
-Spavento come al solito, vorrai dire!- commentò Amber, comparendo alle sue spalle.
-Almeno io non ho i capelli di due colori- rispose pronto lui –Che fai? Vai dormire e finalmente ti levi di torno?-
-No, prima devo telefonare a Tyler- rispose lei, stiracchiandosi.
Sam fece una smorfia. Tyler, il formidabile fidanzato di sua sorella. Di aspetto non era tanto malaccio, a parte i capelli untissimi. Più che altro era di testa che, secondo lui, non c’era tanto. Ci aveva parlato solo poche volte, cioè quando Tyler veniva a prendere sua sorella a casa, e in quel brevissimo scambio di battute aveva capito che quel tizio doveva essere un tantino fuori. Da parte sua aveva anche ricevuto un regalo per il compleanno dei quindici anni: una maglietta con scritto in grassetto e giallo fosforescente “So’figo”.  Non l’aveva mai messa.
-Ah beh, allora salutami OlioMen...- disse il ragazzo,  infilandosi in camera.
-Come l’hai chiamato!?- urlò Amber, ma ormai Sam era al sicuro. Si era chiuso dentro.
Dopo quella interminabile giornata poté con suo grande piacere mettersi sotto le coperte. Gli venne un attimo in mente la scuola, ma cacciò via quel pensiero molesto. Poi si ricordò che non aveva neppure chiamato Luke, praticamente il suo migliore amico, ma lo avrebbe fatto domani, ora voleva solo dormire e basta.
Fece per scivolare nel mondo dei sogni quand’ecco che fece la conoscenza della pecca della nuova abitazione. Tutte le case ne hanno almeno una e, in questo caso, erano i muri di carta velina.
Per una buona ora dovette sorbirsi la conversazione di sua sorella con Tyler, condita da “Tesoro mio”, “Cucciolo” e “Orsacchiotto”.
Sam era certo che, se avessero continuato ancora a lungo, avrebbe sicuramente rimesso la pasta scotta.


*Note dell'autrice*

Hey, salve! ^^ Sono The_Grace_of_Undomiel , questa è la mia prima storia ed ecco a voi il primo capitolo.
Fatemi sapere il vostro parere con delle recensioni, con tutti i commenti e le osservazioni che ritenete necessari, così potrò perfezionarmi e migliorare nel corso della storia :)
Tanti salutoni e a presto!!! (:


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Capitolo 2
*** Capitolo 2° ***


Quella mattina il suono trillante della sveglia parve a Sam molto più irritante del solito. Spalancò gli occhi al soffitto, destandosi da un sonno senza sogni, poi si girò su fianco, con lo sguardo rivolto verso l’apparecchio che continuava a suonare insistente.  Dopo qualche secondo di immobilità realizzò che non sarebbe mai riuscito a spegnerla con la forza del pensiero, perciò infine fu costretto a malincuore ad alzarsi dal letto e a metterla a tacere. Guardò l’ora: le 06:50.
Si stiracchiò pigramente, dopodiché si diresse verso la finestra e tirò su la tapparella. Il riverbero grigiastro tipico delle mattine di Marzo inondò la stanza, illuminandola con una luce fredda.
Dopo questa operazione il ragazzo spalancò l’armadio, prese i primi vestiti che gli capitarono a tiro, poi, ancora in stato catatonico, uscì dalla stanza per andare in bagno.  Per fortuna lo trovò libero, evidentemente Amber doveva essersi svegliata prima e aveva già fatto tutto, era incredibilmente lenta nelle preparazioni mattutine, perdeva sempre un sacco di tempo a pettinarsi e a riempirsi gli occhi di trucco. Cose del tutto superflue, secondo Sam.
Si lavò e si vestì e, nel mentre, il pensiero della scuola continuò ad assillarlo. Si sarebbe trovato bene lì? Con quali persone avrebbe dovuto avere a che fare? 
Quando aveva saputo che avrebbe cambiato città e di conseguenza scuola, la cosa lo aveva reso tutto sommato felice. Il dispiacere più grande era stato quello di doversi separare dal suo migliore amico, l’unico che avesse mai avuto, ma per il resto era contento del trasferimento. Nella scuola in cui andava prima non si era mai ambientato del tutto, non si era mai sentito accettato e, la maggior parte dei suoi compagni, non faceva altro che prenderlo di mira per fargli stupidi scherzi oppure semplicemente lo ignorava. Perciò Sam si era sentito sollevato all’idea di cambiare finalmente aria, ma col tempo si era reso conto che la nuova scuola avrebbe anche potuto essere molto peggio, iniziata a metà anno per di più!
Si buttò sul viso dell’acqua gelida, per cercare di rinfrescarsi le idee. Continuare a farsi crucci non sarebbe servito a nulla, solo a turbarlo.
A colpi di spazzola cercò di sistemarsi, con scarsi risultati, la chioma ribelle che si ritrovava e infine si diresse a passo di bradipo verso la cucina.
Vide che Holly, Amber e sua madre stavano già facendo colazione sedute intorno alla tavola.
-Ciao  a tutte!- salutò il ragazzo, con un sorriso.
-Buongiorno Sam, ha dormito bene stanotte?- domandò sua madre.
-Direi di sì, ho solo fatto un po’ fatica ad addormentarmi- rispose lui lanciando un’occhiatina ad Amber che,  con la testa china, smanettava già di primo mattino col cellulare.
Si sedette vicino alla sorella e chiese, affamato –Allora, cosa c’è per colazione?-
-Guarda cosa c’è nel mio piatto e lo scoprirai...- rispose scorbutica Amber senza distogliere un istante gli occhi dal display.
Sam ubbidì e notò che la colazione della ragazza, come quella di sua madre e di Holly, era composta da un gustosissimo tozzo di pane e un bicchiere di acqua naturale.
Continuò per un po’ a spostare lo sguardo dal piatto a sua madre, poi  commentò –Mh, vi siete messe in combutta, vero? Dov’è la telecamera nascosta?-
-Beh ecco...- rispose sua madre, un po’ mortificata–Nessuna telecamera in realtà.  Ciò che vedi è la nostra colazione per questa mattina, oggi pomeriggio avevo in programma di andare a fare la spesa, perciò...-
-Si si mamma, tranquilla. Stavo solo scherzando, mi va bene anche mangiare del pane!- si affrettò a chiarire Sam e detto questo addentò con voracità un pezzo della pagnotta.  Non voleva assolutamente, per nessuna ragione al mondo, che sua madre si intristisse per qualcosa, fosse anche la più stupida. Aveva già sofferto fin troppo e nonostante tutto andava avanti, cercando di non far mancare niente a lui e alle sorelle, a partire dall’acquisto di una casa da sogno, con tutti i sacrifici che essa comportava.
-No, invece a me non va bene!- commentò aspra Amber.
Il giovane la guardò torvo: inutile, quella parlava solo perché aveva la bocca.
 –A parer mio un pezzo di pane non può essere definito una colazione, per non parlare del fatto che i carboidrati ingrassano e ”ciao ciao” alla mia linea!-
-Ma sorellona tu non hai la linea, sei grassa! Vero che è grassa, mamma?- disse Holly, con un’ingenuità che solo i bambini possono avere.
Sam scoppiò in una fragorosa risata .
-La bocca della verità!- esclamò continuando a ridere e rischiando di soffocarsi con una briciola di pane.
-Hai sentito cosa ha detto? Mamma, dille qualcosa!- si imbufalì la ragazza –E tu piantala di ridere, idiota!- esclamò poi, lanciando un’occhiataccia al fratello.
-Amber , è una bambina. Ha solo nove anni- rispose la donna, ma di certo non mancò nel dire due paroline alla figlia più piccola.
Finita “l’appetitosa” colazione la madre ed Holly si alzarono da tavola per andare a scuola. La bambina sarebbe andata nello stesso istituto in cui avrebbe insegnato la mamma, perciò, in quanto la donna doveva farsi trovare a scuola un po’ di tempo prima, anche Holly era costretta a seguire i suoi orari.
Preso il suo zainetto rosa, la piccola corse tra le braccia del fratello.
-Ciao, Sam! Ci vediamo più tardi!- lo salutò con la sua vocina limpida e abbracciandolo.
-Sì, a dopo...-  le rispose lui, sfiorandole i codini.
Soddisfatta, Holly, senza degnare di uno sguardo la sorella maggiore, si affrettò a dare la mano alla madre ed entrambe uscirono di casa.
I due fratelli più grandi finirono la loro colazione in silenzio e con calma, avendo ancora un bonus di  venti minuti prima del suono della campanella.
-Ah, Sminchio, comunque volevo dirti che ho dato un’occhiatina alla strada che bisogna fare per andare a scuola...- esordi Amber.
-Me ne compiaccio, Crudelia...E con ciò?- domandò Sam, indifferente.
-Non capisci proprio niente- sbottò lei –Come ben sai, in quanto andremo nello stesso istituto, saremmo costretti a fare la stessa strada, ma io non ho alcuna intenzione di farla insieme a te. Però, su Google Maps, ho scoperto che ci si può arrivare con due strade, una più lunga e l’altra più breve- spiegò la sorella.
-Continua...- la incitò il ragazzo con aria professionale.
-Perciò, io farò la strada più breve e tu quella più lunga e siamo posto!- sorrise Amber compiaciuta.
Sam sgranò gli occhi –Ohi, ohi! E questo chi l’ha deciso!? Perché devo cuccarmi io la strada scomoda, scusa?-
-Perché sei piccolo e sfigatello-
-Non sono né l’uno né l’altro e comunque, se vogliamo fare le cose eque, dobbiamo fare a turno. Una settimana farò io la strada lunga e un’altra tu e così via- affermò con forza lui.
Amber fu costretta ad accettare i termini del fratello e, per decidere come sarebbe iniziato il giro quella settimana, decisero di tirare a sorte.
 Sam avrebbe fatto la strada più lunga.
Il ragazzo imprecò, decisamente la giornata non era iniziata per il meglio. Si alzò da tavola, cercando di ignorare le esclamazioni di vittoria di Amber, e andò in camera a prendere il suo zaino. Poi, presi sciarpa e giacca uscì di casa con la sorella. Si fece dare due indicazioni, poi, senza salutarla, le diede le spalle e si incamminò.
Una folata di vento gelido lo investì da capo a piedi, facendolo rabbrividire. Si tirò la sciarpa rossa fin sotto gli occhi, e con la mise da bandito,  proseguì.
Approfittò di quell’arco di tempo per guardarsi attorno e curiosare un po’ il quartiere, visto che quando erano arrivati era buio e non era riuscito a vedere niente.
Sulla sinistra si susseguivano un gran numero di villette, alcune con il cortile come la sua, altre con il giardino. Alla sua destra, al di là della strada, la stessa cosa.
Avanzava con passo spedito e con le mani in tasca, osservando le persone intorno a lui. Alcuni, uomini e donne, andavano al lavoro, anziani si facevano la passeggiata mattutina e qualche cinquant’enne pazzoide con top e pantaloncini color fluo (molto adatti alla stagione) faceva jogging. Le strade invece erano affollate di auto e pullman.
Continuò a camminare con le ali ai piedi fino a quando non si fermò bruscamente, esterrefatto. Proprio di fianco a lui si ergeva una mega villona a quattro piani, delimitata da un gigantesco cancello placcato d’oro. Aveva anche un giardino enorme e a Sam parve di intravedere sul retro una piscina.
“Cavolo, questi qui devono proprio essere dei barboni!” pensò con ironia.
Proprio in quel momento, dalla porta principale, uscì una ragazza. Era altissima, con un fisico mozzafiato, i capelli biondi perfettamente legati in una lunga coda alta. Portava un giubbino di pelle bianco, un paio di jeans molto attillati e, sulla spalla, aveva una grande borsa azzurra. Tutta roba firmata.
Giunse in strada, camminando sui suoi rumorosi stivaletti col tacco (coordinati al resto dell’abbigliamento)  e, quando fu in linea d’aria di Sam, gli piantò per un attimo addosso un paio di occhi azzurro ghiaccio, impeccabilmente truccati con una sottile linea di matita nera.
Il  ragazzo giurò di non aver mai ricevuto in vita sua un’occhiata di disprezzo come quella. Rimase lì immobile, imbacuccato nella sciarpa, fino a quando la misteriosa ragazza non si stufò di analizzarlo e, fatta una smorfia, quest’ultima si voltò e si incamminò verso la stessa direzione di Sam, precedendolo.
Lui rimase ancora un attimo  li fermo, poi riprese a camminare. I due seguirono per un po’ di tempo la medesima direzione, fino a quando Sam, non potendo fare a meno di sentirsi a disagio, decise di attraversare e di proseguire sull’altro lato della strada.
La ragazza gli lanciò un’occhiata, approvando la cosa. Era intollerabile che un essere insignificante come lui percorresse il suo stesso tragitto.
Nel frattempo Sam, attento a non farsi notare, di tanto in tanto la guardava. Si chiese quanti anni potesse avere, era difficile darle un’età: d’impatto sembrava una vent’enne, ma poteva anche avere la sua stessa età. Inoltre, chissà qual’era la sua occupazione...Probabilmente era una modella, oppure frequentava qualche prestigioso istituto per aspiranti stiliste o, per l’appunto, per aspiranti modelle.
Poi, si rese conto che la ragazza stava continuando a fare la sua stessa strada. Si raggelò. Non è che per caso frequentava la scuola in cui sarebbe andato lui?  O peggio ancora, non è che sarebbero stati nella medesima classe? Il pensiero di ricevere altre occhiate sprezzanti non lo allietava molto.
Proprio mentre era impegnato a fare lo Sherlock da strapazzo, udì in lontananza una voce, o almeno così gli parve.  Ignorò la cosa e continuò a fare i suoi scrupolosi ragionamenti, non avendo nient’altro di meglio da fare, quando udì di nuovo quella voce, questa volta molto più vicina, che lo riportò alla realtà.
-SPOSTATI!- sentì urlare da dietro.
Lui si voltò di scatto e all’improvviso avvertì qualcosa urtargli con forza una spalla. Perse un po’ l’equilibrio a causa dell’impatto, ma, fatto qualche balzello abbastanza ridicolo, riuscì a rimanere in piedi.
Notò che anche l’individuo che aveva causato lo scontro era riuscito a mantenere l’equilibrio, nonostante si trovasse su uno skateboard.  Indossava  un improbabile giubbotto di pelle nera, un paio di pantaloni strappati del medesimo colore e delle scarpe da ginnastica. Sulla testa portava un cappellino da baseball, con la visiera calata sugli occhi e in spalla aveva uno zaino, ovviamente di colore nero.
-Hey, mi hai quasi travolto lo sai?- esclamò Sam, massaggiandosi la spalla dolorante.
L’altro non rispose e, con un’abile mossa, prese sotto mano lo skateboard.
-La colpa non è mia- disse poi, seccamente.
Sam sussultò, quella era la voce di una ragazza.
 -Ti ho urlato due volte di levarti di mezzo, ma a quanto pare sei sordo e non hai sentito. La prossima volta presta più attenzione, Billy The Kid- e detto questo ripartì a rotta di collo, fino a sparire.
Il ragazzo rimase con un’espressione alquanto esterrefatta, poi si tirò giù la sciarpa con uno strattone. Messa in quel modo lo faceva sembrare davvero un bandito. Guardò l’orologio da polso: cacchio, aveva meno di tre minuti per raggiungere la scuola!
Si mise a correre come un ossesso, non era il caso di arrivare tardi il primo giorno.
 Nel frattempo la ragazza dagli occhi azzurri si era volatilizzata.

Arrivò di fronte alla scuola con ancora un bonus di un minuto. Ormai nel cortile di fronte non c’era praticamente più nessuno, a parte qualche ritardatario come lui, che correva come un pazzo col rischio di farsi scoppiare un polmone.
Fece gli scalini quasi volando, ed entrò nell’istituto. Quest’ultimo era enorme, molto più grande rispetto a quello in cui andava prima. Di fronte a lui si estendeva un lungo corridoio, con ai lati gli armadietti degli studenti. Proprio lì vicino c’era una bacheca, con sopra appuntati volantini e foglietti dagli svariati colori, mentre sulla sinistra si trovavano le scale.
Non vi era anima viva e regnava il silenzio assoluto. Per un attimo Sam credette di veder passare un rotola campo. 
Cercò di ricordarsi dove doveva andare: terzo piano, classe E, in fondo sulla destra.
Percorse a velocità supersonica le scale, facendo quasi a carponi gli ultimi gradini. Sfrecciando davanti al cartello “Vietato correre nei corridoi” raggiunse la sua classe, dalla quale proveniva un caos infernale.
 20 secondi di bonus. 
Cercò di ricomporsi e di respirare più regolarmente ed infine entrò. L’aula era abbastanza grande, con un totale di tre finestre.  Poco distante dalla porta c’era una grossa lavagna nera, i muri verdini erano ricoperti di cartine geografiche e di cartelloni, più qualche disegno non ben definito.
Una moltitudine di studenti era impegnata ad urlare, schiamazzare, parlottare, spettegolare e, qualcuno, addirittura a cantare.
Nessuno si accorse di lui e, intimidito, cercò di farsi largo tra la folla e di trovare un banco vuoto nel quale stabilirsi. Ne trovò uno in fondo a destra, vicino alla finestra. Si sistemò lì e vide che il banco di fianco a lui era ricoperto di quaderni, fogli, penne, matite, diario, spazzolino, dentifricio (?)  e un bicchiere di plastica, tutto buttato alla rinfusa.
Si sedette sulla sedia e dopo aver tirato fuori i libri, studiò l’ambiente circostante. Notò subito che gli studenti parlavano divisi a gruppetti: c’era il gruppo dei secchioni, muniti di occhiali e vestiti con maglioncino e cravattino che confabulavano sui compiti della settimana. Poi c’era il gruppo dei maschi “alfa”, alti, palestrati, vestiti alla moda e dal sorriso splendente che sghignazzavano; il gruppo delle fotomodelle bellissime e popolari che parlavano di gossip e dei fatti altrui.
 Proprio in quel momento Sam ebbe un colpo, in mezzo a quelle si trovava anche la misteriosa ragazza dagli occhi azzurri che aveva incontrato e che in quel momento stava dirigendo la conversazione. 
Il ragazzo si fece piccolo piccolo, mentre il disagio cominciava a divorarlo. Ecco, lo sapeva.
Continuò il suo giro di perlustrazione, notando gli ultimi due gruppi. Il primo comprendeva solo cinque persone, tutti vestiti di nero e dall’aria poco raccomandabile che complottavano , quatti e coi ghigni stampati sul volto, qualche brutto tiro da tirare ai secchioni.  I bulli.
Infine l’ultimo non era proprio un gruppo, si trattava di qualche studente anonimo radunato intorno alla cattedra  che stava incitando un pazzoide a cavalcioni di essa,  il quale gridava qualcosa e usava la propria cintura come lazzo.
In quel preciso istante Sam ebbe il secondo colpo della giornata e la prova lampante che la sfortuna quel giorno era stata particolarmente generosa con lui: nella classe era appena entrata la tizia dello skateboard che, con ancora il capello da baseball calato sugli occhi e le mani in tasca, raggiunse il gruppo dei Bulli. Fortunatamente non si accorse di lui.
-Ohi! Perché arrivi solo adesso?- le domandò uno di loro, quello più alto e quello con la faccia più da delinquente.
Lei scrollò le spalle –Ho avuto qualche contrattempo... e poi sono andata a fare quella cosa, come eravamo d’accordo, no?-
Un ragazzo con la cresta ridacchiò –Brava! Ci sarà da divertirsi...-
-Non ti ha visto nessuno, vero?- indagò quello che aveva parlato per primo.
-Per chi mi hai preso? Certo che non sono stata vista, faccio le cose per bene io. Tutto sembrerà un semplice problema tecnico, ve lo assicuro-
-Stupendo! Ah ragazzi, non so voi, ma io amo queste genere di cose, creare un po’ di scompiglio!- esclamò uno dai capelli legati in un codino, tutto esaltato.
Sam cercò di cogliere altri particolari della conversazione, ma non vi riuscì.
All’improvviso la campanella, con un ritardo di dieci minuti,  suonò e tutti gli studenti si affrettarono a prendere posto. Il tizio a cavalcioni della cattedra scese giù con un energico balzo e si andò a sedere proprio nel banco vicino a Sam. Riordinò  come poté e, dopo aver fatto i suoi affari, esclamò stupito –E tu da dove sbuchi!?-
Sam, stralunato, fece per rispondere quando una donna sulla sessantina d’anni entrò in aula, spalancando la porta, e mettendo a tacere gli ultimi brusii. Zoppicante e con lo sguardo incattivito si sedette alla cattedra.
-Buongiorno- disse con un vocetta stridula, aprendo il registro.
-Buongiorno signora Symons- ne seguì il coretto di risposte.
La donna si grattò nervosamente il naso aquilino e  domandò brusca –Allora, qualcuno sa dirmi a che punto siamo arrivati col programma?-
-Ma...- intervenne un ragazzo con un montatura d’occhiali più grande di lui e con l’erre moscia –Mi scusi pev l’ossevazione pvofessovessa, ma pvima di iniziave a spiegave non dovvebbe fave l’appello?-
-Acuta osservazione,  De Vere - rispose la Symons, mentre il ragazzotto gongolava compiaciuto –Che sia una cosa breve, però ,e non fatemi perdere tempo!-
Così la professoressa cominciò a fare l’appello. Mentre la donna leggeva, finalmente Sam poté dare un nome ai volti: scoprì così che la ragazza dagli occhi azzurri si chiamava Chanel Dale, il ragazzo con gli occhiali Mark De Vere, il tipo con la faccia da delinquente Travis Green, quello con la cresta Kay Hall, il Signor Codino Oliver Irving.
-Daniel Lipton?- domandò la prof.
-Qui presente, professoressa!- esclamò il vicino di banco di Sam, tirando su di scatto la testa e aggiunse con un sorriso –Mi scusi, posso permetterle di dirle che stamattina è più radiosa del solito? Tagliato i capelli forse?-
L’altra lo guardò torvo –Non cominciare a farmi perdere tempo fin dalla prima ora, Lipton! E ci tengo a rammentarti che le tue inutili lusinghe non ti faranno avere la sufficienza-
-Oh, ma come può pensare che io dica queste cose pensando di avere un compenso in cambio! Sono solo una persona che ama dire la verità, tutto qui- rispose Daniel, teatralmente addolorato.
-Ti ho detto di tacere, Lipton! Ed ora… continuiamo l’appello-
La prof proseguì  ininterrottamente con la lettura dei nomi, fino a quando non lesse il nome della ragazza con lo skateboard.
-Kyda Stowe?-
Lei fece appena un cenno con la mano e fu a quel punto che la Symons si imbestialì.
-Stowe! Si può sapere che ci fai con un cappello da baseball in testa? Toglilo immediatamente!- sbraitò.
Infatti la ragazza non si lo era più levato e continuava a tenerlo calato sugli occhi.
-Perché dovrei, mi scusi? Il fatto che lo tenga disturba forse qualcuno?- rispose, neutra.
-Cos’è tutta questa mancanza di rispetto!? Come tu ben sai è vietato tenere qualsiasi tipo di copricapo durante le lezioni, perciò toglilo!- urlò la prof, salendo di un’ottava.
Kyda rimase ferma immobile e con le braccia incrociate, in segno di sfida. Infine, sbuffando sonoramente, si tolse il cappello con uno strattone.
La treccia laterale nera che era nascosta sotto il berretto uscì fuori, appoggiandosi su una spalla. Sulla fronte le ricadevano ciuffi di capelli, tra cui uno tinto di un blu notte.  Gli occhi, sopra e sotto, erano circondati da uno spessissimo strato di matita nera, rendendoli molto sottili e impedendo a Sam di distinguerne il colore.
-Così va meglio?- domandò, sarcastica.
La Symons la ignorò e riprese l’appello. Lesse come un automa gli ultimi nomi, quando la sua espressione divenne tutta concentrata, soffermandosi sul registro.
-Sam Wilde?- disse, tra lo sorpreso e il confuso.
Il ragazzo alzò timidamente la mano e tutti gli sguardi furono immediatamente su di lui.
-Giusto,  me ne ero dimenticata- disse la prof –Tu devi essere quello nuovo, dico bene? Beh, allora vieni qui alla cattedra e presentati agli studenti, ma che sia una cosa breve, oggi ho tantissime cose da spiegare- poi aggiunse –Ah, io sono l’insegnante di Storia e Geografia, il mio nome è Eloise Symons-
Sam mormorò una sorta di saluto e, impacciato, si alzò e si diresse verso la cattedra. Mentre camminava si sentiva addosso gli occhi di tutti, che avevano già iniziato a commentare.
Non appena lo riconobbe, Chanel non perse tempo e si mise subito a bisbigliare alla sua vicina di banco, di nome Jennifer.
Il gruppo dei bulli lo squadrò da capo a piedi, confabulando tra di loro qualcosa, probabilmente di cattivo. Kyda mormorò qualche parola  a Travis.
Il resto della classe lo guardava tra l’indifferente e l’ostile, a parte Daniel, che gli sorrideva entusiasta.
-Beh, ecco, ciao a tutti- riuscì a formulare il ragazzo –Il mio nome è Sam e mi sono appena trasferito da Amentia a Roxvuld. Sono sicuro che mi troverò bene qui insieme a voi e...non vedo l’ora di conoscervi meglio!-
Silenzio tombale.
-Okay è abbastanza, torna pure al tuo posto- gracchiò dopo un po’ l’insegnante.
Sam ubbidì e, con la testa bassa, ritornò nel suo cantuccio.
La lezione incominciò e il giovane, anche se teneva gli occhi fissi sul libro, riusciva a percepire le continue occhiate che gli venivano lanciate.
-Psss, hey!- sussurrò il suo vicino di banco.
Sam si voltò verso di lui.
-Il mio nome è Daniel, ma questo credo che tu già lo sappia! È un piacere fare la tua conoscenza, sono convinto che ci terremo tanta compagnia durante le interminabili ore di lezione, eheh! Hai detto che vieni da Amentia, vero?-
-Si, da lì- rispose Sam, abbozzando un sorriso.
-Mh, lontanuccio. Quando sei arrivato a Roxvuld?-
-Giusto ieri sera. Adesso abito in Via Arrow, hai presente?-
Daniel annuì. –Sì, dove ci sono tutte le villette. Quindi abiti più o meno vicino a Chanel, giusto?-
Sam fece un sospiro, ricordando l’occhiata sprezzante –Proprio così, infatti mentre venivo a scuola l’ho incontrata-
-Incantevole, non è vero?- chiese l’altro, con gli occhi che luccicavano.
-Beh, si,  molto bella...- mormorò il ragazzo.
-Concordo con te, ma non farti strane idee, lei è solo mia- ammiccò Daniel, fingendo di sottolineare sul libro.
-Siete fidanzati!?- esclamò sgranando gli occhi.
Il compagno di banco ridacchiò –No no, il suo ragazzo è uno di 5 A, si chiama Nick, ma  tutti sanno che lei in realtà stravede per me!-
-Ceeerto, capisco- commentò Sam, per nulla convinto. Come minimo quel Nick era uno di quelli super popolari, belli, ricchi e palestrati, ovvio che una come Chanel stesse con lui. Per carità, Daniel non era affatto un brutto tipo, biondo, occhi azzurri e sorriso gentile, ma di sicuro non poteva competere con quello là.
La conversazione finì lì e Sam seguì per un po’ la lezione, quando si accorse che il gruppo dei Bulli non faceva altro che fissarlo.
-Daniel...- sussurrò a voce bassissima –Mi dici chi sono quelli?-
Il biondo guardò un attimo verso il gruppetto, poi si rivolse a Sam –Come avrai notato, quelli sono i nostri bulli. Si fanno chiamare I Dark, originale come nome, non trovi? Sono gente strana, non tanto a posto. Tormentano pesantemente chiunque non gli vada a genio, sono soliti a creare problemi nella scuola e sono stati sospesi più di una volta. Per colpa loro un ragazzo della nostra classe ha cambiato istituto, in quanto era stato preso di mira e non sopportava più i loro tiri mancini. Il capo della banda è Travis, non è tanto intelligente, ma sa usare le mani. Poi ci sono i suoi scagnozzi, come Kay, Oliver, Hazel e Tony. Infine l’unica ragazza del gruppo è Kyda, il braccio destro di Travis. Apatica, fredda, astuta e...bastarda- Daniel concluse il racconto con un tono grave, che per il tipo che pareva essere non gli si addiceva per niente.
Sam deglutì, inquieto. Le informazioni di Lipton lo avevano scosso. A suo tempo era già stato vittima di bullismo, ma quelli della sua scuola sembravano degli angioletti rispetto alla descrizione di questi.
 E pensare che quella mattina si era giusto scontrato con Kyda. Era già condannato?
-Cosa...cosa hanno fatto a quel ragazzo là?- chiese con la voce un po’ roca.
-Non è  una bella storia, ma un giorno forse te la racconterò...- rispose Daniel che aggiunse –Un consiglio da buon vicino di banco: stacci il più lontano possibile- e detto questo si rimise a sottolineare.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3° ***


Non sapeva con precisione il motivo, ma quel tipo aveva qualcosa che non gli piaceva. Sam era arrivato a quella conclusione non appena l’uomo era entrato in classe. Aveva una strana luce negli occhi, fin troppo allegra e il suo sorriso non lo convinceva affatto, sembrava finto, come quei sorrisi delle pubblicità della Mentadet.
Dal momento in cui il professore di Arte era entrato in classe, Sam non faceva altro che studiarlo di sottecchi, semi nascosto dal libro di Storia dell’Arte.
Sì, quello lì aveva un so che di artificioso, ecco. Non era normale che un’insegnante entrasse in classe tutto allegro e sorridente, con un sorriso bianchissimo a trentadue denti stampato in volto, come se il luogo in cui aveva messo piede non fosse una classe piena di studenti interessati a tutto tranne alle ore di lezione, ma in una specie  di Paese lieto e spensierato, da cui proveniva una sorta di luce di saggezza dorata.
Il ragazzo assottigliò lo sguardo, mentre il prof sistemava le sue scartoffie, sempre con quel sorrisetto soddisfatto. Aveva l’aria di un tipo accomodante, gentile e simpatico. Ma Sam sapeva con certezza che la fregatura doveva esserci da qualche parte. Eccome.
-Ohi, Totaly Spies, che fissi con quell’aria tutta concentrata?- scherzò Daniel, richiamandolo alla realtà.
Sam sobbalzò, colto in fragrante. –Osservo quello- rispose, continuando a studiare l’insegnante, che ora impilava fotocopie, mentre il resto della classe faceva un gran caos.
Daniel inarcò un sopracciglio.
-Chi? Il prof Conway?- domandò a voce evidentemente troppo alta, in quanto l’uomo in questione si voltò verso di loro, sorridente.
-Sssh! Non urlare! Comunque sì, lui!- rispose il ragazzo.
-Ah e perché?- continuò l’altro, un po’ sorpreso.
-Non so...Ha qualcosa che non mi convince...Sorride troppo...-commentò Sam, pensieroso.
-E con ciò, non può sorridere? Sarebbe peggio se stesse spruzzando veleno dalle orecchie, no?- rispose Daniel, stiracchiandosi sulla sedia come se si trovasse a casa sua e non a scuola.
Sam guardò un po’ stranito il compagno di banco, non capacitandosi dell’assurdità della battuta che aveva appena fatto, poi si riscosse e riprese la sua osservazione.
-Dico solo che mi sembra un po’ strano...Di solito i professori sono o diabolici come la Symons o anonimi o ordinari. Questo invece pare proprio uno di quei prof da film, capisci cosa intendo-
-Eeeeh...No- 
-Ma sì, qui prof che sono diversi da tutti gli altri, che alla fine sono un’ispirazione per il protagonista, quelli che sono i leader della classe, i miti degli studenti- spiegò Sam come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Daniel schioccò le dita, capendo ciò che il ragazzo intendeva –Ah...Boh, non saprei dirti. A me sembra uno a posto, non mi è mai capitato di vederlo in veste di guida spirituale o robe simili. Credo che sia solo contento per la vita che fa o semplicemente oggi è più felice del solito perché ha vinto al Superenalotto, cacchio ne so?- esclamò ridendo.
Sam non disse nulla e vide che Conway si era messo a compilare il registro, con tutta calma, quando finalmente si decise a riportare l’ordine nell’aula.
Una volta che ci fu silenzio disse allegro –Allora, ragazzi...Come ve la passate?-
-Prof, siamo a scuola! Secondo lei come stiamo?- rispose uno dalla seconda fila, con a seguito delle risatine.
-Giusto, domanda superflua, Pears, te lo concedo- commentò l’insegnante,  facendo l’occhiolino.
Conway scese dalla cattedra e si mise a fare qualche passo avanti e indietro, dicendo –Bene, con vostra somma gioia oggi non spiegherò, ma ho intenzione di farvi disegnare!-
Un mugolio annoiato e un coretto di “Nooo” fece da colonna sonora all’affermazione del prof.
Sam li guardò tutti esterrefatto. Cosa c’era di più bello se non prendere in mano una matita e scarabocchiare qualcosa? Lui amava disegnare, passava addirittura intere giornate a fare bozzetti di ogni tipo e poi, ad ogni modo, l’ora di pratica era senz’altro meglio che ascoltare per un’ora buona il professore blaterare. Si faceva qualcosa di attivo! Ma nessuno sembrava entusiasta del programma,  persino Daniel si era accasciato sul banco, per nulla predisposto all’idea.
Sam sorrise radioso.
Che bello, finalmente si faceva qualcosa  di interessante e in cui, tra l’altro, era anche abbastanza bravo. Le cose non potevano andare meglio, forse quel Conway non era così male dopotutto!
-Mi dispiace ragazzi, ma così ho deciso e non mi farete cambiare idea! Comunque...vedo che laggiù in ultima fila c’è uno entusiasta della cosa!- esclamò l’uomo additando Sam, il quale si gelò sul posto -Sei il nuovo studente, non è così? Forza, presentati alla classe, dicci qualcosa di te!-
Il ragazzo incassò la testa nelle spalle, intimidito, e percepì di nuovo quell’orribile sensazione di disagio, in quanto gli occhi era nuovamente tutti puntati su di lui.
-Ma non è necessario prof- commentò uno dei maschi Alfa seduto proprio davanti a loro, annoiato, poggiando il capo su una mano e parlando con fare disinvolto –Si è già presentato durante l’ora della Symons, ha detto che si chiama Seth White o giù di lì-
Quelle parole  fecero rimanere Sam un po’ male, ma dopotutto non più di tanto: in fondo, era abituato al fatto che storpiassero il suo nome, non era la prima volta che gli capitava. Nella scuola precedente lo avevano chiamato “Red” per due mesi, nonostante sapessero benissimo come si chiamasse realmente.
-Sam Wild. Il suo nome è Sam Wild, idiota-
Il ragazzo si voltò si scatto alla sua sinistra. A parlare era stato Daniel, che al momento stava fissando irritato l’energumeno che avevano davanti.
Questi si girò lentamente verso di loro e piantò un paio di occhi incattiviti in quelli di Daniel.
-Qualche problema, Lipton?- ringhiò, con l’espressione più incarognita che Sam avesse mai visto.
-Io no e tu, Astor?- rispose l’altro, per nulla intimorito.
I due continuarono a fissarsi con aria di sfida, pronti a saltarsi addosso da un momento all’altro.
In tutta la classe regnava il silenzio, a parte qualcuno che bisbigliava facendo scommesse. Persino il professore non diceva niente. Sam si chiese perché quell’imbecille non intervenisse, la situazione aveva l’aria di poter degenerare da un momento all’altro.
Infine, distendendo un po’ i nervi, Astor grugnì –Per questa volta lascio correre, Lipton. Solo per questa volta-
-Sì, anch’io ho deciso di far correre- rispose Daniel, altrettanto velenoso e aggiunse con un sorrisetto –Per tua fortuna...-
Conway si mise a ridere e batté le mani, esclamando –Bravi ragazzi, sono contento che siate riusciti a mantenere il controllo, senza venire alle mani e senza bisogno che intervenissi!-
Sam lo guardò scandalizzato. Quello era pazzo, matto da legare. Sarebbe dovuto intervenire immediatamente e non lasciare la possibilità che le cose degenerassero. Anzi, lui contava di intervenire, ma magari quando il suo amico aveva già il naso spappolato in due. Daniel aveva fatto il duro, ma restava pur sempre un mingherlino e in uno scontro contro quell’Astor sarebbe finito a gambe all’aria in meno di un nanosecondo.
-Beh, caro il mio Sam, temo che dovremo rimandare le presentazioni a dopo, purtroppo è venuto tardi ed ora di disegnare!- detto questo l’insegnante girò i tacchi e ritornò verso la cattedra, mettendosi a rovistare in una cartellina rosso fuoco.
Sam sospirò sollevato, il pensiero di un’altra presentazione lo terrorizzava. Si voltò verso Daniel, il quale aveva ancora un’espressione rabbiosa, mentre stringeva tra le mani la gomma pane, deformandola tutta.
-Ehy, grazie per quello che hai fatto...- gli sussurrò riconoscente.
Daniel parve rilassarsi e sorrise allegro–Non ho fatto assolutamente nulla, in realtà. Quello lì meritava che qualcuno gli dicesse qualcosa!-
-No, in realtà hai fatto molto. Nessuno prima d’ora ha mai preso le mie difese in questo modo...- commentò Sam.
Daniel gli diede una forte pacca sulla spalla, comprensivo,  e disse –Siamo compagni di banco adesso e i compagni di banco si aiutano a vicenda!-
-Giusto, hai ragione...- rispose lui, annuendo e sorridendo lievemente.
Quando il professore ebbe finito di armeggiare nella sua cartellina, richiamò nuovamente l’attenzione su di se, dopodiché spiegò, ovviamente con il suo solito sorriso, ciò che gli studenti avrebbero dovuto fare: semplicemente dovevano disegnare la prima cosa che gli fosse saltata in mente, anche se stupida e fuori luogo.
Molti commentarono sbalorditi questa bizzarra idea dell’insegnante, ma alla fine si misero tutti al lavoro, sotto il suo sguardo compiaciuto.
Sam preparò con minuziosa attenzione tutto l’occorrente, prese il foglio bianco ruvido F4, la matita 2H, l’HB, i colori, la gomma normale, la gomma pane e per finire un barattolino di china che aveva provveduto a portarsi dietro. Al contrario, Daniel era andato a racimolare i materiali a destra e a manca in quanto non aveva niente con se, a parte la gomma pane ormai ridotta ad una frittella.
Ora che aveva tutto pronto, Sam poté riflettere sulla cosa da rappresentare e il primo nome che gli venne in mente fu “Holly”.
Sorrise e si mise subito all’opera. Avrebbe fatto un ritratto della sua sorellina.
Nel frattempo Daniel era tornato al suo posto e si era messo a ragionare tutto assorto.
-Mh, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata quella di me in versione divo del cinema con a fianco Chanel che mi chiede l’autografo strappandosi i capelli...Può andare secondo te?-
Sam ridacchiò.
-In questo caso credo che tu non debba prendere alla lettera le parole del prof...Pensa a qualcos’altro, va!- rispose, senza distogliere un istante l’attenzione dal suo lavoro. Aveva deciso di iniziare col disegnare gli occhi di Holly ed ora stava finendo di creare quello sinistro.
-Non mi vengono altre idee, tu che stai disegnando?- chiese curioso.
L’altro nemmeno lo sentì, preso com’era. Tutti i rumori intorno a lui erano svaniti, in quel momento c’era solo il foglio, nient’altro. Stava giusto per rifinire l’altro occhio, il sinistro  era venuto perfetto, quando il testone di Daniel gli fece ombra e dopo pochi istanti il foglio gli fu soffiato da sotto il naso.
-Ehy!- protestò Sam –Restituiscimelo!-
Daniel lo ignorò bellamente e alzò il disegno verso l’alto, mettendolo in controluce.
-Oh cazzo...- esclamò, sgranando gli occhi –Bello Zio! È sorprendente! Non ho mai visto una cosa del genere!-
Sam si riappropriò del foglio e mormorò impicciato –Non è niente di speciale e in più non è manco finito, è appena all’inizio!-
-Cosa c’entra se è appena all’inizio!? Si vede lontano un miglio quando qualcosa è un capolavoro o meno e quello caro mio è un’opera d’arte! Quegli occhi da soli...Sono così espressivi, sembra che parlino, che esprimano dei sentimenti! Comunicano qualcosa, ti leggono nell’anima!- continuò tutto esaltato.
Sam bofonchiò qualcosa,  imbarazzato ma allo stesso tempo lusingato. Non era abituato a tutti quei complimenti.
Poi si riscosse e disse rivolgendosi a Daniel –E tu invece?-
L’altro corrugò la fronte –Io cosa?-
-Tutte quelle cose dell’esprimere sentimenti, leggere nell’anima...Hai mai pensato di fare il poeta?-
Il ragazzo lo guardò perplesso e si grattò la nuca –Beh, ecco, la poesia mi piace però...io non sarei mai in grado di comporne...Dai, sincero, tu ci vedi uno come me a fare il poeta?- rise –Suvvia, non diciamo cavolate. Ecco. Appunto. Io mi rimetto a disegnare il mio albero, buon lavoro!- e si chinò quatto sul suo foglio.
Anche Sam decise di rimettersi all’opera, ma quell’ accozzaglia di parole che il compagno di banco aveva detto, e soprattutto, il modo in cui l’aveva fatto, lo avevano alquanto confuso. Che nascondesse qualcosa? Beh, in ogni caso, erano cose private di Daniel e non lo riguardavano.
Passò una buona mezz’ora in tutta tranquillità, senza interruzioni, finché la classe non piombò nel casino più totale, dato che il professore si era dovuto assentare per un po’. Qualcuno, oltre che schiamazzare, si era messo a lanciare aereoplanini di carta.
Daniel non aveva perso tempo ed era subito corso nell’altro lato dell’aula per rompere le scatole a Chanel, ricoprendola di lusinghe e belle parole, alle quali la ragazza rispondeva con una smorfia disgustata ed esibendo la sua espressione più schifata.
Al contrario Sam non si era assentato un attimo dal disegno. Aveva finito il viso e stava per iniziare i capelli, la parte per lui più difficile.
Fece per incominciare, quando qualcuno di fronte a lui si schiarì la voce, richiamando l’attenzione su di sé.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso l’interlocutore e fu lì che si pietrificò sul posto.
I Dark al completo si trovavano in piedi, proprio di fronte lui, e tutti gli ghignavano malvagi, a parte Kyda, che manteneva uno sguardo piatto.
Sam deglutì rumorosamente e fece finta di niente.
-Tu, Nuovo, parlo con te- disse Travis.
-Oh, ciao...Che posso fare per voi?- domandò con la voce un po’ tremante.
-“Che posso fare voi?”, Dio, ma sentite questo...- sghignazzò Oliver.
-Senti un po’, perdente. Tu sai chi siamo noi?- interloquì nuovamente Travis, fissandolo.
-S..sì lo so. Siete i Dark, dico bene?- balbettò lui, cercando con lo sguardo Daniel, il quale, al momento, era troppo impegnato a fare lo scemo con Chanel per accorgersi di quello che stava accadendo.
-E bravo il Nuovo che è già informato. Dì un po’, ti ha istruito quell’imbecille di Lipton, vero?- chiese Tony sprezzante.
Sam tacque, cercando in ogni modo di sostenere il loro sguardo.
-Certo che è stato lui, l’unico con cui hai parlato. Quel coglione per una volta ha fatto qualcosa di utile, oggi non lo prenderò a botte- commentò Travis più a se stesso che altro, poi disse –Ad ogni modo, hai qualcosa che non mi garba, Nuovo. Forse è il modo in cui ti poni, il fatto che sei un Nuovo  o semplicemente la tua faccia mi urta...-
Il ragazzo tentò di correre ai ripari –Se ho fatto qualcosa che vi ha offeso o urtato non era assolutamente mia intenzione, davvero! Io non...-
-Taci- lo zittì Kay spazientito e Sam ammutolì.
Travis si avvicinò di più a lui e il giovane indietreggiò d’istinto, spaventato –Ascoltami bene. Come ti ho detto, hai qualcosa che ci indispone, perciò mi duole dirtelo, ma sei sulla lista nera, caro il mio Sfigato-
-Inoltre Kyda ci ha raccontato del fatto che questa mattina le hai procurato un bello scontro e per colpa tua ha perso tempo- rincarò Hazel, facendo un cenno verso la ragazza, la quale continuò a fissare Sam senza cambiare espressione.
-In più le hai anche detto che è stata lei a venirti addosso, quando è evidente che la colpa è solo tua visto che non ti sei spostato- commentò Oliver con una smorfia.
Sam aveva perso la facoltà di parlare. Se ne stava muto, completamente fossilizzato sulla sedia. Tutto ciò non stava accadendo, o era un brutto sogno o qualche scherzo di pessimo gusto. Non poteva essersi fin dal suo primo giorno di scuola attirato l’ira dei più temuti bulli della scuola, non riusciva ancora a crederci.
-Non ci piace la gente che ci intralcia, specie quando le suddette persone sono dei microbi come te. Perciò, da questo momento in avanti, vedi di guardati alle spalle...Rimpiangerai la tua scuola, su questo non ci sono dubbi- ghignò Travis.
E fu allora che Kyda si avvicinò e con una mano colpì la boccetta di china, che in quel momento era aperta. Il barattolo si rovesciò, versando tutto il suo contenuto neastro sul disegno di Sam per poi colare sui suoi jeans, macchiandoli.
-Benvenuto all’inferno...- mormorò la ragazza,  sorridendo con sarcasmo, e i Dark si allontanarono così com’erano venuti, ritornando al proprio posto.
Sam rimase immobile, con lo sguardo fisso sul disegno ormai rovinato. Il foglio era completamente zuppo di china e allo stesso modo i suoi pantaloni.
Rimase immobile, mentre le loro parole gli rimbombavano i testa.  Non aveva la forza di fare niente, nemmeno di raddrizzare la boccetta per evitare che l’inchiostro continuasse a gocciolare.
Semplicemente, restò così com’era.
In quel momento ritornò Daniel, che si sedette sulla sedia, tutto divertito.
-Ohi, ormai sono in procinto di conquistarla, sai? Questa volta quando mi ha detto di sparire dalla sua vista mi è parso di sentire un tono leggermente meno velenoso del solito, non è fantastico?-
Il ragazzo non gli rispose e si voltò a guardarlo. Il sorriso di Daniel sparì ed domandò preoccupato–Cielo, perché hai quella faccia? Che è successo??- ma non ebbe bisogno che di nessuna spiegazione, perché gli bastò vedere  in modo era stato ridotto il foglio.
-Il tuo disegno!- esclamò il ragazzo sgranando gli occhi – È ricoperto di china, tutto è ricoperto di china! Ma che hai combinato!? L’hai rovesciata, avresti dovuto fare attenzione, ti avevo detto di chiuderla che poi...- si interrupe all’istante e il suo sguardo si fece triste –No...sono stati loro, non è così?-
Sam si limitò ad annuire, poi sospirò –Va beh, non ha importanza. In fondo mi stava anche venendo male, perciò meglio- richiuse il barattolo di china e piegò in quattro in foglio zuppo.
Daniel si offrì di aiutarlo e i due cercarono di dare una ripulita usando dei fazzoletti di carta.
Il professore ritornò in aula, dicendo agli alunni che avrebbero dovuto finire la tavola a casa e consegnargliela pronta alla prossima lezione, dopodiché la campanella suonò e tutti gli studenti si precipitarono fuori per l’intervallo. Rimasero in classe solo Sam e Daniel. Il biondo si alzò per andare a buttare la boccetta di inchiostro, mentre Sam cercava inutilmente di smacchiarsi i pantaloni.
-Non riuscirai mai a farla venir via con dei fazzoletti, mi sa- commentò Daniel, mentre si guardava la mano ricoperta di china. Toccando il barattolo si era sporcato tutto.
-Devo almeno provarci, non posso andare in giro con una macchia di questo calibro!- rispose Sam, strofinando con energia.
Daniel si sfiorò il mento, sporcandosi anche quello, e disse –Proviamo con dell’acqua, magari riusciamo a ridurre il danno. Andiamo in bagno, così nel frattempo mi racconti quello che è successo, ti va?-
Sam si voltò a guardare l’amico, che gli sorrideva. Quel ragazzo era davvero incredibile, era stato fortunato ad incontrare un tipo come lui e, in quel momento, aveva proprio bisogno di parlare con qualcuno che fosse disposto ad ascoltarlo. Così accettò.

-No, stai scherzando non è vero!?- esclamò Daniel, appoggiandosi sconcertato contro le mattonelle blu del bagno maschile.
-Nessuno scherzo, è andata esattamente come ti ho raccontato- disse Sam, sfregando come un ossesso sulla macchia, usando un panno imbevuto d’acqua.
Aveva riferito nei minimi dettagli tutto quello che era successo, senza tralasciare un singolo particolare, e il compagno di banco aveva avuto una reazione più che giustificata, scioccandosi.
-Perciò...Adesso sei sulla lista nera dei temuti Dark??- continuò l’altro, accorgendosi in quel momento del ridicolo sbaffo di inchiostro che aveva sul mento, guardandosi nello specchio.
Sam fece per rispondere, quando un ragazzo dai capelli rossi uscì all’improvviso da uno dei bagni e domandò tutto trafelato –Chi è che si è attirato la collera dei Dark!?-
Daniel indicò Sam.
-Condoglianze amico- esclamò Capelli Rossi e detto questo se ne andò di corsa, probabilmente ad informare la sua compagnia di amici del nuovo sfigato preso di mira, rifletté Sam con una smorfia.
Lanciò con rabbia lo strofinaccio contro il bordo del lavandino e prese a testate il muro. Possibile che le cose gli andassero sempre così male? Quello che aveva desiderato prima di incominciare la scuola non era  poi molto, solo di superare indenne gli ultimi tre anni, invisibile a gli occhi di tutti! Invece no, da quel giorno in poi la scuola sarebbe diventato il suo inferno personale, perseguitato, tormentato ed esasperato  da quei folli.
-L’autolesionismo non ti tirerà fuori dai guai, Wild- commentò Daniel, incrociando le braccia.
Sam appoggiò la fronte al muro freddo –Sì, lo so. Ma non so che cosa fare!-
-Mi spiace dovertelo dire, ma non puoi fare assolutamente niente. Nessuno può ribellarsi ai Dark, perciò dovrai sopportare quello che ti faranno e cercare di essere forte. Prima o poi si troveranno un vittima più interessante e ti lasceranno in pace- annuì il ragazzo.
-Ma questo quando? Chi mi assicura che prima o poi si stuferanno di tormentarmi?- chiese esasperato Sam. Guardò Lipton negli occhi, sperando che gli desse una risposta soddisfacente, ma egli sfuggì il suo sguardo. Ecco confermati i suoi dubbi. Era fregato, indissolubilmente fregato.
Infine uscirono dal bagno e iniziarono a farsi qualche giretto nei corridoi, avevano ancora cinque minuti prima che l’intervallo finisse.
Daniel gli raccontò di come andassero le cose lì, tutti pettegolezzi più interessanti, gli indicò gli studenti più popolari dell’intero istituto, narrò le mitiche imprese che qualche alunno aveva compiuto, come la famosa avventura di Jason Rox, colui che, non si sa come, riuscì ad arrampicarsi sulla torretta più alta della scuola, dopo aver urlato “Sono il re del mondo!”. Ne era seguita una sospensione di tre settimane.
-Inoltre, devi sapere che il quoziente intellettivo della maggior parte della gente qui è alquanto basso- affermò il biondo convinto –Ti faccio un esempio...-
Passarono davanti a un gruppo di ragazzotti intenti  a bersi una lattina di Pepsi ed esclamò disinvolto –Hi guys! –
Quelli lo guardarono in cagnesco e borbottarono –Ehy, ma ci ha dato dei gay?- 
Daniel proseguì alzando gli occhi al cielo e a Sam sfuggì una risata. Arrivarono davanti al distributore delle bibite e videro che di fronte vi era ammassata un po’ di gente in coda. Si misero in fila.
Sam notò proprio in quel momento che poco d’istante c’era un ragazza, che se ne stava in disparte. Era abbastanza alta, aveva i capelli castano scuro raccolti in una coda e portava un paio di occhiali molto grandi, con la montatura blu. Indossava un semplice felpa grigia e un paio di pantaloni larghi.
-Chi è quella ragazza?- domandò piano a Daniel, che si era preso una lattina di Estathe.
-Ah, quella? Si chiama Hetty. È una tipa un po’ strana, non parla mai con nessuno, inoltre è una secchiona doc, passa la maggior parte del tempo sui libri- rispose Daniel con una scrollatina di spalle.
Sam annuì –Oh, capisco. Comunque sta guardando da questa parte- lo informò.
Il biondo si voltò verso la giovane e le fece un enorme sorriso, salutandola con una mano.  Lei sussultò, spostando lo sguardo, e sparì immediatamente tra la folla.
-Le sto antipatico, ogni volta che la saluto non mi risponde, vai a capire...- borbottò scolandosi il the in un colpo.
-Forse è solo timida...- ragionò Sam e lui, in quanto a timidezza, ne sapeva più di chiunque altro.
A fine intervallo ritornarono in classe per iniziare l’ora di matematica. L’insegnante era una donna sui trent’anni di nome Ines Ellist, una tipa un tantino isterica che non era in grado di tenere una classe come la loro.
Stava giusto tentando di spiegare il passaggio di un’equazione di secondo grado quando Sam sentì una goccia d’acqua cadergli sul banco, bagnandogli il quaderno, e poi un’altra che gli arrivò sul naso.
Si guardò attorno molto perplesso, non capendo cosa diamine stesse succedendo, quando gli idranti posti nel soffitto dell’aula iniziarono a spruzzare acqua, come se dentro ci fosse un incendio, infradiciando gli alunni e la professoressa.
Tutti iniziarono a urlare come impazziti, specialmente Chanel e la sua combriccola, che si erano messe a strillare come aquile, mettendosi le borse sulla testa per evitare che l’acqua rovinasse la loro piega perfetta.
Sam aveva stampata in volto un’espressione da cartone animato e si voltò esterrefatto verso Daniel, che rideva come un pazzo –Figo, doccia party genteeee!- gridò entusiasta.
A Sam venne poi naturale girarsi verso i Dark, colto da un presentimento, i quali infatti parevano i più entusiasti dell’accaduto. Senza farsi notare, tutti diedero il cinque a Kyda. Lei abbozzò appena un sorriso.
Ecco allora di che cosa parlavano prima dell’inizio delle lezioni, quello doveva essere uno dei loro scherzetti. Evidentemente Kyda aveva, Sam non riuscì a capacitarsi di come avesse fatto, manomesso l’impianto, con risultato una doccia fuori programma per tutti.
La Ellist strillava a tutti di mantenere la calma, quando era lei la prima ed essere uscita fuori dai gangheri.
Fecero irruzione in aula anche la Symons, completamente fradicia, e gli alunni della classe a fianco. Allora il loro brutto tiro aveva coinvolto tutto l’istituto!
Sam si affrettò a mettere via i quaderni e i libri, mentre Daniel si era messo a ballare la danza della pioggia assieme a qualche altro squinternato.
“Decisamente. Questa giornata è da dimenticare” pensò il ragazzo, arrabattando gli ultimi fogli.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4° ***


Quando Sam rientrò a casa la trovò completamente vuota. Sua madre gli aveva detto che lei ed ed Holly sarebbero tornate verso le quattro e mezza del pomeriggio, ma invece di Amber non sapeva assolutamente nulla. Ovviamente non si era neppure sognato di aspettarla fuori da scuola, di sicuro la sorella avrebbe pranzato fuori assieme al sua nuova compagnia di amici.
Con lui era un’insopportabile arpia acida e scorbutica, ma agli occhi degli altri sapeva diventare una vera compagnona, sempre pronta a far casino ed aiutare il prossimo, per cui le era facile trovarsi degli amici. Ma restava sempre e comunque un’ipocrita.
Nonostante fosse passato già un po’ di tempo dallo scherzetto degli idranti, Sam era ancora completamente fradicio, in più il ritorno a casa in compagnia di un vento glaciale Marzolino non era stato proprio un toccasana. Aveva tuttora i brividi di freddo, ci mancava anche la febbre ed era a posto. Decisamente, prima di prepararsi qualcosa da mangiare, era il caso di farsi una bella doccia calda.
Si diresse in bagno e si spogliò, guardando con rammarico l’orribile macchia di china sui jeans, tra l’altro i suoi preferiti. Non sarebbero bastati ottocento lavaggi in lavatrice per farli venire puliti, probabilmente erano da buttare. Li cacciò con malavoglia nella lavatrice, poi entrò nella doccia.
Proprio in quel momento gli venne in mente che solo lui possedeva il secondo mazzo di chiavi, perciò, se fosse arrivata Amber, non sarebbe potuto andarle ad aprire.
“Beh, pazienza, se vuole entrare passerà dalla finestra” pensò con una scrollatina di spalle, rilassandosi sotto l’inebriante getto di acqua calda.
Una volta finito, sì sentì molto meglio e decise di prepararsi qualcosa da mangiare. Uscì dal bagno e arrivò davanti alla rampa di scale, che avrebbe portato al piano di sotto e di conseguenza alla cucina.
Guardò il corrimano e per un attimo gli venne la folle idea di scendere scivolando su di esso come nei film, ma il ricordo di uno dei racconti di Daniel gli fece tornare il buonsenso.
“Se per caso in una giornata di pazzia ti viene voglia di fare il figo e di scendere dallo scorri mano”  gli aveva detto intonando la voce stile spot televisivo “Reprimi all’istante questo desiderio: eviterai così di spiaccicarti contro la porta d’ingresso! Parola del tuo vicino di banco!”.
Nel ripensarci, al ragazzo venne naturale sorridere, rendendosi ancora  più conto di quanto fosse folle quel tipo, e scese le scale in modo normale.
Quando fu in cucina apparecchiò per sé, per un attimo aveva ponderato l’idea di apparecchiare anche per Amber,  scartando poi l’opera di gentilezza in un nanosecondo, e si preparò una pasta: l’unica cosa che sapesse cucinare, in effetti.
Mentre buttava gli spaghetti nell’acqua, la sua mente continuava a passargli in rassegna l’immagine dei volti dei Dark, coi loro i ghigni e le loro espressioni da delinquenti.
Si sentì terribilmente inquieto. Non aveva mai visto prima di allora quei tipi in atto di tormentare qualcuno, per cui si chiese in che modo agissero e che cosa sarebbe toccato a lui. Certo, la bastardata della china non gli aveva fatto molto piacere, ma di sicuro quello era niente rispetto a quando facevano sul serio. E lo scherzetto degli idranti era di per se una bambinata, non avevano dato fuoco all’istituto; non ancora almeno.
Probabilmente avrebbe fatto la fine di quel povero studente di cui gli aveva accennato Daniel, costretto a cambiare scuola a causa dell’esasperazione. Cosa accidenti avevano potuto fargli per istigarlo ad andarsene!?
“Inoltre come faccio questa settimana?” rifletté Sam “Visto che devo fare la strada più lunga è possibile che mi ribecchi Kyda...”.
Kyda. Lei era quella che lo spaventava più di tutti. Forse era il suo così essere apatica, la sua espressione che non comunicava nulla o il suo sorriso esclusivamente sarcastico (oltre al fatto che era stata lei a rovesciargli addosso l’inchiostro). In più il suo aspetto aveva qualcosa in inquietante, tutta vestita di nero e con quegli occhi carichi di trucco, rendendoli quasi pesti.
Sam non era riuscito a distinguere il colore dell’iride e questa cosa lo aveva urtato molto. Era sua abitudine, appena conosceva una persona, soffermarsi sui suoi occhi; aveva letto da qualche parte che attraverso di loro si riusciva a cogliere la personalità di un individuo, almeno parzialmente.
Ad esempio, gli occhi di Daniel erano di un bell’azzurro limpido, sereno, e trasmettevano tranquillità; quelli di sua madre erano verdi come i suoi, forse in alcuni punti più tendenti sul dorato, e davano un senso di calore e protezione, quelli di Holly erano di un castano chiarissimo e soprattutto molto grandi. Per finire gli occhi di Amber erano di un colore insulso, insulso come lei.
Mentre era impegnato a fare queste riflessioni, prese la pentola della pasta ormai cotta e la scolò nel lavandino. Solo in quel momento si rese conto che, distratto com’era, si era dimenticato di prendere lo scolapasta.
Guardò esterrefatto gli spaghetti sparpagliati nel lavello, col vapore che si stava ancora disperdendo.
-BRAVO IMBECILLE!- sbottò, insultandosi . Raccattò la pasta incavolato nero e la buttò nella spazzatura. Adesso era costretto a prepararsela di nuovo, ma si rese conto con sgomento che era finita. Rovistò disperatamente in tutte le dispense e nel frigo, alla ricerca di cibo, ma non c’era assolutamente niente, in quanto sua madre doveva ancora andare a fare la spesa. Persino il pane era esaurito, se lo erano mangiato a colazione.
Imprecò e andò a stravaccarsi malamente sul divano, decidendo di saltare il pranzo. Sarebbe potuto uscire e andare a comprarsi un panino, ma era troppo pigro per farlo.
Accese la tivù e cercò qualche bel programma da guardarsi, ma rimase deluso: c’erano solo noiose soap  che trasmettevano ormai da vent’anni e passa o stupidi programmi di cucina, che gli facevano venir fame.
Spense la televisione, poi si rese conto che si era scordato di fare una cosa importantissima, non aveva più chiamato il suo migliore amico Luke!
Rapido, prese il cellulare e compose il numero del ragazzo.  Attese qualche istante, finché finalmente non gli rispose la voce simpatica dell’amico:
-Oh, finalmente! Ma allora non sei schiattato!-
-Ciao anche a te, Luke! No, non sono morto, come puoi vedere, anzi, sentire. Solo che tra una cosa e l’altra non ho avuto tempo di chiamarti...-
-Ma sì tranquillo- lo tranquillizzò l’altro, ridendo –Allora dimmi un po’, com’è la casa?-
-Bellissima, una super villa! Proprio quelle che piacciono a me, mia madre non poteva sceglierne una migliore!- esclamò, allegro.
-Ottimo, sono contento per te! Comunque, parlando di cose più interessanti, come va la vita da Roxvuldiano?- domandò Luke, curioso.
A quella domanda Sam si irrigidì d’istinto. La giusta risposta sarebbe stata “da schifo”, ma non voleva far preoccupare già l’amico e parlare di cose spiacevoli, non dopo neanche due minuti di telefonata. Perciò rispose, sforzandosi di assumere un tono neutro  -Normale...-
Dall’altro capo del telefono ci fu una breve pausa e Sam sapeva benissimo cosa volesse dire, Luke ne faceva una ogni volta che non era convinto di qualcosa e i silenzi stavano a dire che stava riflettendo.
-Che intendi per  ‘normale’?- domandò infatti.
 -Normale, vuol dire che sta andando in modo normale. Tu che intendi per normale, scusa?- 
-Stai calmo! Dicevo solo che mi sembrava una risposta un po’ strana, tutto qui. Ma se dici che è tutto ok mi fido- commentò Luke, un po’ risentito.
Sam sospirò –Scusami, non volevo fare l’antipatico... Solo che oggi è una giornata no-
Si morse subito un labbro per la frase detta. Con quell’affermazione si era tradito da solo.
-Ah! Ecco, allora avevo ragione! Lo avevo capito subito, perché io sono nella tua testa! Si può sapere che è successo!?- gli domandò infatti a raffica il ragazzo.
-Diciamo che l’inizio della scuola non è stato tra i migliori...- mormorò Sam.
Gli raccontò per filo e per segno tutto quello che era successo, a partire da quando era uscito a quando era rientrato.
-Non riesco ancora a crederci! Fammi capire, quindi ora tu sei nel mirino della peggior categoria di bulli!?- esclamò sbigottito Luke.
-Nemmeno io riesco ancora a crederci...Vado via da una scuola che era un incubo, mi ritrovo in una che è un inferno!- si demoralizzò Sam, spiaccicando la faccia contro un cuscino.
-Dai non dire così, le cose si aggiustano sempre, ricorda!- cercò di tranquillizzarlo Luke.
-Questa volta ho i miei dubbi, come ti ho detto quei Dark sono la calamità fatta persona! Non oso immaginare a che cosa mi faranno...Mi chiuderanno in un cassonetto domani!-
-Ma questo non credo...Ad ogni modo, cerca di non rimanere mai da solo. Per esempio, stai il più possibile con quel Daniel di cui mi hai parlato...Sembra un tipo molto simpatico, no?- disse l’amico, contento.
-Sì e un autentico folle, fa morire dal ridere! Dovresti conoscerlo!- rise Sam.
-Allora appena ci sarà l’occasione me lo presenterai!- il ragazzo fece una pausa, poi disse serio –Comunque ciò che mi stavo chiedendo è: che ci fa una ragazza in mezzo a quella banda di delinquenti?-
-Ci ho riflettuto anche io, evidentemente è una tipa che si trova bene solo con gente come loro. Il simile con il simile...- commentò con una smorfia.
-Mh si capisco...E a proposito di ragazze, com’è lì? Ce ne sono di fighe?-
-Abbastanza, la più eclatante è quella tizia di nome Chanel e lo stesso vale per la sua migliora amica Jennifer. Ce ne sono anche altre, ma non ci ho fatto caso più di tanto...- rispose disinteressato.
-Questo è male! Dovresti iniziare a guardarti un po’ intorno, sai amico?- consigliò Luke.
-Ho cose più importanti a cui pensare, per esempio  escogitare un piano per la mia sopravvivenza- disse Sam, liquidando la questione.
-Ho capito, ho capito...- sospirò l’altro –L’unica cosa che puoi fare è seguire il mio consiglio, poi vedi come vanno le cose-
Il ragazzo annuì, anche se l’amico non poteva vederlo.
-E invece a te le cose come vanno?- domandò.
-Come vuoi che vadano? Come al solito! Solita vita, solita scuola, solite facce di merda. Con l’alternativa che ora non ci sei più...- rispose Luke, un po’ triste.
-Ci vedremo prestissimo, te lo prometto!- lo rassicurò.
-Guarda che ci conto, eh!-
Parlarono ancora per una mezz’oretta ed infine si salutarono e terminarono la chiamata.
Sam sorrise, sentendosi molto più sollevato. Le chiacchierate con Luke avevano sempre un effetto benefico, lo facevano sentire subito meglio e gli facevano tornare il buonumore.
Rifletté un attimo sulle cose che aveva da fare. Fosse stato per lui sarebbe rimasto spaparanzato sul divano o sarebbe andato al computer, ma gli avevano già assegnato una caterva di compiti, in particolare doveva ricominciare il ritratto di Holly.
Andò nella sua stanza e si mise immediatamente al lavoro, senza perdere altro tempo. Non alzò la testa dai libri per almeno due ore; aveva questa dote, quando iniziava a studiare non si distraeva mai e di conseguenza riusciva a terminare tutto relativamente in fretta.
Il trillo del campanello lo riportò alla realtà.
“Cibo!” fu la prima cosa che pensò, credendo che si trattasse di sua madre ed Holly dal ritorno dalla spesa. Corse ad aprire alla porta, ma con delusione constatò che si trattava di Amber.
-Era ora! Ho suonato tre volte, Sminchio!- sbottò seccata.
-Ciao anche a te, Crudelia. Passata una buona giornata?- domandò lui sarcastico.
-Sì abbastanza, ho conosciuto della gente molto In, sono già nel gruppo dei popolari! Infatti ho pranzato con loro- rispose la sorella compiaciuta, buttando lo zaino blu per terra.
Lui fece una smorfia, senza commentare, mentre lei non si prese nemmeno la briga di chiedergli come fosse andata.
Il resto della giornata trascorse rapidamente, durante la quale i due fratelli si tormentarono o ignorarono, finché alle 18:30, Holly e la madre rientrarono a casa. La donna aveva in mano quattro sacchetti della spesa, mentre la bambina ne teneva uno piccolino, che venne subito abbandonato nel centro della cucina, mentre Holly correva davanti alla televisione.
-Finalmente arrivano i viveri!- esclamò Sam, guardando sognante le buste.
-Già, ho comprato tantissime cose, per un bel po’ saremo a cavallo!- sorrise la madre, iniziando a mettere a posto la spesa.
-Che si mangia stasera?- chiese il ragazzo, ispezionando i sacchetti.
-Del polpettone di carne e verdura, una mia specialità!-
-Disgustoso...- borbottò Amber, comparendo sulla porta.
-Sempre cortese vedo, vero Amber?- commentò la mamma, guardandola con disapprovazione.
L’altra la ignorò e cominciò ad apparecchiare per la cena.
Cenarono un bel po’ di tempo dopo e durante il pasto Sam subì un autentico quarto grado.
-Allora, com’è andata oggi?- chiese la donna.
-Ehm, bene direi...- mentì il ragazzo, con un tono neutro.
-Sul serio? Come sono gli insegnanti?- continuò la mamma.
-Mi sembrano tutti abbastanza competenti, a parte il prof di Arte che è fuori come un pogiolo e quella di Mate che è un’ esaurita!- scherzò lui.
-Capisco. E invece con i compagni?- proseguì diretta.
A quella domanda Sam si bloccò. Non poteva dirle la verità, proprio non poteva.
-Sono...persone simpatiche! Mi…ehm… hanno accolto bene! In particolare ho fatto amicizia con un ragazzo di nome Daniel, è il mio vicino di banco- rispose, con un sorriso tirato.
-Ma questa è una bellissima notizia! Sono davvero contenta per te! È bello sapere che non tutti i ragazzi di oggi sono dei bulli, ma che anzi, accolgono volentieri un nuovo studente, non trovi?- esclamò radiosa la mamma.
-Mai stato più d’accordo...- rispose Sam, nascondendo la faccia nel bicchiere. Un bugiardo, ecco cos’era. Ma perlomeno, lo aveva fatto a fin di bene.

Il giorno dopo, rispetto a quello precedente,  arrivò  a scuola di buon’ora, essendosi alzato molto prima il mattino. Vendendo,  incontrò nuovamente Chanel, la quale non lo degnò di un minimo sguardo, invece di Kyda, per fortuna, non ci fu nemmeno l’ombra.
-Allora, hai già subito agguati?- gli domandò Daniel, mentre si dirigevano con il resto della classe nel corridoio per prendere i vestiti e le scarpe da ginnastica.
-No, per il momento no...- sussurrò Sam, guardandosi attorno circospetto, per poi tirare un sospiro di sollievo, constatando che i Dark non erano nei paraggi.
-Mh, allora significa che stanno architettando qualcosa...Ne sono più che sicuro- ragionò Lipton, pensieroso.
-Ti prego, non mettermi ansia pure tu, basto io! Già stamattina, quando sono uscito, credevo di trovarmeli sotto casa o nascosti dietro un albero per farmi chissà quale cattiveria!- esclamò Sam, nervoso.
-Dai, adesso non esageriamo. Da quel che so, i Dark fino ad oggi si sono limitati ad “operare” nell’istituto e non fuori- tentò di tranquillizzarlo, ma con scarsi risultati.
Arrivarono dagli appendini e Daniel afferrò rapido il sacchetto con dentro i vestiti di ricambio e le scarpe. Dovevano muoversi, ormai erano rimasti gli unici a non essere ancora scesi giù in palestra, dove li aspettava il professore di ginnastica.
A Sam in generale non piaceva molto l’attività fisica, ma se c’era uno sport che adorava quello era il basket. Era un giocatore nella media, di certo non eccelleva, ma niente gli dava più soddisfazione che centrare il canestro con il pallone. Quando ancora viveva ad Amentia, qualche volta praticava quello sport  al di fuori della scuola, ma in seguito al trasferimento aveva dovuto abbandonare e, al momento, sua madre non poteva permettersi di iscriverlo ad un corso.
Anche lui prese il sacchetto con i vestiti e fece per prendere quello delle scarpe, quando si accorse che era sparito.
-Non c’è!- esclamò, allarmato.
-Di che stai parlando?- chiese Daniel.
-Il sacchetto con le scarpe! L’avevo appeso qui stamattina, ne sono sicuro!- rispose il ragazzo.
-Ah. Non è che per caso lo hai appeso nell’appendino sbagliato? Sono tutti molto simili, magari hai ceppato corridoio...Ma è comprensibile, sei appena arrivato- sorrise l’altro.
-No, no! Il posto è questo, guarda che mi ricordo bene!- replicò, un po’ risentito -Semplicemente è  scomparso !-
Il compagno di banco ci ragionò un attimo su, poi rispose –Ora che ci penso...Potrebbero anche avertelo preso loro-
Sam sobbalzò –I Dark dici? E perché mai? Si tratta solo di stupide scarpe da ginnastica, tra l’altro nemmeno firmate! Perché avrebbero dovuto rubarmele?- domandò, confuso.
-Solo per il gusto di romperti le scatole. Ma non credo che te le abbiano rubate, piuttosto credo che te le abbiano nascoste...-
-Allora devo ritrovarle, non posso far ginnastica senza, il prof mi uccide- disse Sam, iniziando ad agitarsi. Il professor Burns era rinomato per il suo essere severo ed esigente e non sopportava che gli studenti prendessero sottogamba la sua materia. Inoltre, detestava i ritardatari.
-Facciamo così: tu mettiti a cercarle, io intanto vado giù e ti copro. Dirò al professore che arriverai a breve, ma che hai avuto uno spiacevole contrattempo.  Fidati di me, me la cavo bene in queste cose- ammiccò Daniel.
-Sei la mia salvezza, ti ringrazio! Farò il prima possibile!- rispose Sam e subito dopo l’amico si affrettò a raggiungere gli altri, mentre lui rimase da solo in corridoio. Si guardò attorno spaesato.
Dove accidenti avrebbero potuto nascondere le sue scarpe? Da dove cominciare a cercare? Doveva ragionare, anche se il tempo stringeva.
Per prima cosa iniziò a setacciare nelle zone lì vicino, dietro le porte, dentro a classi vuote,  magari le avevano buttate da qualche parte negli altri corridoi...Niente. 
Nel frattempo il tempo scorreva e Sam si chiese per quanto tempo Daniel sarebbe riuscito ad abbindolare il prof.
“Ragiona come un Dark!” si impose, concentrandosi al massimo. Corse a vedere dentro tutti i bidoni della spazzatura, ma delle sue scarpe non c’era traccia. Iniziò a perdere ogni speranza, quando gli cadde l’occhio sui bagni maschili che erano proprio lì a fianco. Colto da un presentimento, ci entrò subito, poi cominciò a controllare dentro ogni gabinetto finché dentro uno di essi non trovò proprio il suo sacchetto delle scarpe.
-Bingo...- mormorò, mentre lo tirava fuori con disgusto (ringraziando il cielo che quei folli non gli avessero lasciato qualche ricordino sopra).  La sacca era completamente zuppa, perciò il ragazzo fu costretto a lanciarla direttamente nel cestino del bagno.
Anche se era riuscito a ritrovarlo, era comunque punto a capo, perché non aveva le scarpe, ma non aveva più tempo di pensare ad una soluzione, anche perché non ce n’erano, quindi fu costretto a scendere in palestra.
Al suo arrivo, vide che tutti i suoi compagni si erano messi a coppie e facevano passaggi con il pallone da calcio.
Appoggiato contro il muro vi era il prof Burns, un bell’ uomo sulla quarantina completamente pelato, che guardava nervosamente l’orologio, con a fianco Daniel tutto sorridente.
Quando si accorsero di lui, l’amico gli corse incontro con sottobraccio un pallone, mentre l’insegnante lo guardò con disapprovazione e andò a segnarsi qualcosa sul registro.
-Trovate le scarpe?- domandò Daniel.
-Si, dentro a un water- rispose Sam con una smorfia.
-Oh, mi dispiace...Come sospettavo sono stati loro...- mormorò il compagno di banco mogio.
L’altro scrollò le spalle, non c’erano altri commenti da fare.
-Allora, andiamo a giocare?- chiese Daniel.
-Ma...Stiamo insieme a ginnastica??- si stupì Sam.
-Sì, beh, io pensavo di sì...Ma, ecco,  se non vuoi, non mi offendo...- rispose il biondo, preso alla sprovvista.
 Sam non riusciva a crederci. Daniel gli aveva chiesto se giocavano assieme. Nella precedente scuola per lui l’ora di ginnastica era come andare al patibolo, ogni volta non sapeva con chi stare quando bisognava mettersi a coppie, o finiva da solo o faceva il terzo incomodo, che era senz’altro peggio.
-No, no affatto!- si affrettò a correggersi  -Andiamo!- e i due andarono a giocare.
Fecero qualche passaggio, divertendosi molto, finché un pallone da calcio non colpì violentemente la nuca di Sam. Quest’ultimo barcollò un po’, iniziando a vedere tutto annebbiato, e sentendo bruciare su tutto il capo.
-Accidenti Sam! Che mina, va tutto bene??- esclamò Daniel preoccupato, correndo a soccorrerlo e facendolo sedere piano a terra.
-Sì, tranquillo...- sussurrò massaggiandosi la nuca dolorante –Ma chi è stato?-
Proprio in quel momento arrivò con tutta calma Tony, che recuperò il pallone e che disse con un sorriso bastardo stampato in volto –Oh, mi rincresce molto- e detto questo ritornò dal suo gruppo, dove tutti, a parte Kyda, ridevano come dementi.
Il resto della lezione proseguì senza intoppi, anche se a Sam pareva che la testa potesse scoppiargli da un istante all’altro.
Alla fine, tutti gli alunni andarono negli spogliatoi a farsi la doccia, il prof Burns non trasgrediva su ciò, a parte Sam che venne trattenuto.
-Visto che sei arrivato in ritardo Wild, rimarrai qui più a lungo per recuperare i minuti perduti. Tirerai qualche pallone in porta- disse severo l’insegnate –Ti giustificherò io con la Symons-
Il ragazzo emise un sospiro depresso e ubbidì. Dopo un quarto d’ora, poté finalmente andare negli spogliatoi a lavarsi. Non c’era anima viva, era rimasto solo lui.
Si spogliò rapidamente e si fiondò sotto la doccia, cercando di fare il più veloce possibile, sia perché l’acqua era gelida, sia perché stare lì da solo gli metteva un po’ di ansia, sia perché era in ritardo.
Mentre si stava insaponando gli parve di sentire un rumore, ma non gli diede troppo peso: probabilmente era  la sua immaginazione che gli tirava brutti ciocchi.
Uscì, si mise l’accappatoio e fece per iniziare a rivestirsi, ma con orrore si accorse che non c’era traccia dei suoi vestiti da nessuna parte. Com’era possibile? Li aveva lasciati proprio sulla panca lì a fianco.
Li cercò disperatamente, ma non riuscì a trovarli, persino quelli da ginnastica erano spariti, perciò non poteva neppure indossare quelli.
Sentì il panico impossessarsi di lui. Come faceva ora a ritornare in classe senza indumenti? Qualche bastardo doveva averglieli presi senza che lui se ne accorgesse, di sicuro erano stati i Dark.
-Cosa cazzo faccio adesso??- farfugliò, mettendosi le mani fra i capelli.
Si sedette sulla panca e cercò di pensare a qualcosa, ma non gli venne in mente niente. C’erano due possibilità: o tornava in classe in accappatoio, scatenando l’ilarità dei compagni di classe e diventando lo zimbello di tutti, o restare lì per sempre.
All’improvviso la porta dello spogliatoio si aprì si scatto e sulla soglia comparve Mark De Vere.
-Mark!- esclamò Sam, raggiante. Forse quel ragazzo poteva essere la sua salvezza.
-Oh, ciao Wild. Evo venuto a pvendevmi i vestiti da ginnastica, gli avevo dimenticati di là in palestva e sono venuto a contvollave se avevo dimenticato qualcosa anche qui...Ma tu che ci fai lì in accappatoio? La Symons è invipevita, favesti meglio a muovevti!-
-Il problema è proprio questo! Non posso venire in classe, mi hanno rubato tutti i vestiti!- gli spiegò Sam.
Mark sgranò gli occhi –Come vubati?- domandò confuso.
-Proprio così, qualcuno se li è presi, ma forse tu puoi aiutarmi!- esclamò.
-Lo favei volentievi, ma in che modo?-
-Prestami i tuoi vestiti da ginnastica, sempre meglio di niente, per favore!- lo implorò il ragazzo.
L’altro lo guardò un po’ perplesso, poi rispose –Oh, ma cevto! Ma non sono molto adatti per stave in classe, sono una maglietta e dei pantaloncini da calcio...-
-Non ha importanza, sono pur sempre vestiti!- affermò Sam e afferrò la sacca del compagno di classe, dopodiché li indossò rapidamente.
Lui e Mark ritornarono speditamente in classe, dove Sam si prese una sfuriata da parte della Symons, per il fatto che era arrivato in ritardo e per il suo abbigliamento fuori luogo. Ritornò cupo al suo posto e fu proprio allora che notò che i Dark portavano i suoi vestiti.
Travis indossava la sua felpa azzurra col cappuccio, Kay i suoi jeans, Tony la sua maglietta, Oliver le sue Converse rosse e tutti gli ghignavano cattivi. Ma mancava ancora una cosa all’appello, nessuno di loro aveva con se l’orologio da polso verde, quello che gli aveva regalato suo padre e a cui teneva tantissimo, quand’ecco che gli cadde l’occhio su Kyda. La ragazza guardava verso di lui neutra, poi, piano, abbassò il polsino della propria felpa nera, mostrando a Sam l’orologio e sfoderando un sorriso carico di sarcasmo.
Il giovane sospirò rammaricato e si andò a sedere.
-Ehy, Sam! I Dark si sono presi i tuoi vestiti...!- esclamò Daniel in un sussurro, agitato.
-Lo so, ho visto- lo interruppe –Infatti mi sono dovuto far prestare degli indumenti da Mark-  mormorò.
-Cavolo...Cosa hai intenzione di fare ora?-
-Non farò niente. Non posso competere con loro, nessuno può, me lo hai detto tu. Per i vestiti non importa, ma la cosa che mi dispiace di più è di aver perso l’orologio, quello era speciale...- 
-Allora in un qualche modo lo riprenderemo, te lo assicuro- affermò con forza il biondo.
Sam sobbalzò –E come? Non possiamo, ci riempiranno di botte, è meglio lasciar perdere-  ribatté  il ragazzo.
Daniel lo guardò triste, poi disse –D’accordo allora, come desideri...-
Il resto della giornata passò rapidamente e fortunatamente Sam non subì altre cattiverie, ad eccezione di uno sgambetto da parte di Kay.
Infine giunse l’ora di uscire da scuola. Tutti gli studenti si precipitarono fuori dall’istituto, mentre Daniel e Sam vi si diressero con tutta calma, più che altro per evitare di essere schiacciati dalla folla.
Stavano camminando tranquillamente, quando poco lontano videro i Dark al completo appoggiati contro il muro e con le braccia incrociate. Stavano aspettando proprio loro.
Sam si ghiacciò all’istante e percepì Daniel irrigidirsi. Proseguirono, avvicinandosi sempre di più al gruppo che a sua volta gli stava vedendo incontro e Sam era certo che, qualunque cosa avessero intenzione di fare,  non gli sarebbe piaciuta affatto.


*Note dell'autrice*

Buon Salve a tutti! Ecco pubblicato il quarto capitolo, spero vi piaccia! :) Fatemi sapere il vostro parere con delle recensioni!!!
Un beso <3

The_Grace_of_Undomiel




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Capitolo 5
*** Capitolo 5° ***


I Dark si stavano avvicinando sempre di più, ormai solo pochi metri li separavano da Sam e Daniel. Avanzavano uno vicino all’altro, formando una sorta di muraglia, tenendo al di fuori tutto quello che c’era dietro di loro. Camminavano con un sorriso strafottente e sicuro, tranne Kyda che procedeva con lo sguardo basso e il suo solito cappello da baseball calato sugli occhi.
-Daniel, sono vicinissimi...- mormorò a bassissima voce il giovane.
-Lo so, lo so...- rispose a denti stretti l’altro, ma continuando a camminare con la testa alta e con un sorriso tirato stampato in volto.
In giro non c’era anima viva, tutti ormai erano andati a casa per pranzare, perciò, qualunque cosa sarebbe accaduta, nessuno li avrebbe potuti aiutare. Ma in ogni caso, non sarebbero venuti in loro soccorso comunque.
-Che facciamo?- sussurrò, guardandosi nervosamente intorno, alla ricerca di una qualsiasi via di fuga.
-Non facciamo niente, proseguiamo...- replicò semplicemente Daniel.
Il compagno ostentava sicurezza, ma Sam sapeva benissimo che quella era solo una posa. Percepiva benissimo la paura del ragazzo, paura ben fondata, a dirla tutta.
Infine giunsero proprio di fronte ai Dark e Sam,  al cospetto di quegli energumeni così alti e robusti, si sentì piccolo come non mai e, soprattutto, impotente.
Il gruppo li guardò con sguardi pieni di sarcasmo e sorrisi cattivi.
-Bene bene...Il Nuovo e Lipton in un colpo solo!- esordì Travis, ghignando.
-Signori...- disse Daniel, facendo un cenno con il capo –Qual buon vento vi porta qui?-
Kay scoppiò in una risata sguaiata –Ah, Lipton. A quanto vedo non perdi occasione per fare il pagliaccio!-
-Mai quanto te, su questo non c’è dubbio...- ribatté il biondo, pronto.
Sam sussultò impercettibilmente a quelle parole. Li stava...provocando!?
Kay lo guardò esterrefatto  ed esclamò –Brutto bastardo, ma come ti...-
-Fermo, Kay. Aspetta!- tuonò Travis –Lascia parlare me, prima!-
Il ragazzo si fermò poco prima di saltare addosso a Daniel ed emise un grugnito, infastidito.
-Allora, c’è qualcosa che possiamo fare per voi?- domandò il compagno di banco, mentre la voce iniziava un po’ a tremolare. Il balzo di Kay lo aveva spaventato.
-Questo lo giudicheremo noi...- rispose Travis,  ruotando il collo e schioccandoselo. Sam deglutì nervoso.
-Abbiamo notato che in questi ultimi due giorni stai molto in compagnia del Nuovo...- proseguì con una punta d’ironia.
-Si, perché?- chiese Daniel inarcando un sopracciglio –C’è forse qualche problema in proposito?-
Tutti gli sguardi dei Dark erano concentrati sul biondo e parevano essersi completamente dimenticati di Sam, il quale non proferiva una sola parola ed assisteva alla scena, irrequieto.
-Sì, ma di certo non per noi- interloquì Hazel –Ma piuttosto per te, Lipton. Non hai saputo che il tuo amico Wild è sulla nostra lista nera?-
-Certo che lo so e con questo?- ribatté Daniel incrociando le braccia.
I Dark si scambiarono delle rapide occhiate, non capacitandosi della sfrontatezza del ragazzo.
Travis fece un sorriso sbilenco  -Mh, vedo che oggi sei in vena di fare il furbo...Ma ti faremo passare noi la voglia. Devi sapere che chiunque è amico delle nostre vittime lo diventa a sua volta...-
-Molto interessante, lo terrò a mente- rispose Daniel, indietreggiando di qualche passo –Ma non ci avete ancora detto il motivo per cui siete qui-
-Giusta osservazione. Beh, oggi abbiamo solo voglia di divertirci un po’...- spiegò Tony con una scrollatina di spalle.
-Esattamente, per far passare un po’ il tempo...- continuò Oliver ruotando il polso.
Travis inchiodò improvvisamente lo sguardo su Sam, che si gelò sul posto, ed esclamò -A partire dal caro Wild!- 
Si avventò brutalmente contro il ragazzo e Sam, immobile, si diede per spacciato. Ma Daniel fu molto più veloce del Dark e lo fermò dandogli una fortissima spallata. Travis, colto alla provvista, cadde all’indietro a terra e con lui il biondo, che gli finì sopra.
Daniel ebbe appena il tempo di urlare –SCAPPA SAM!- prima che un violento pugno da parte di Travis gli colpisse il viso, scaraventandolo poco più in là.
Sam rimase bloccato al suo posto, sbigottito. Non voleva abbandonare Daniel, non poteva, ma la voce dell’amico lo incitò nuovamente e a quel punto il giovane decise di scappare.
-Maledetto, ma non si allontanerà più di tanto!- urlò Travis –Hazel, Tony, Kyda! Inseguitelo! Io, Kay ed Oliver ci occupiamo di Lipton...-
-È proprio necessario, Travis?- domandò la ragazza, cupa.
-Chiudi quella bocca Kyda e ubbidisci!- sbraitò lui, incollerito. 
Lei non aggiunse altro e fu così che i tre partirono a rotta di collo all’inseguimento di Sam, il quale cercava di allontanarsi il più possibile dalle loro grinfie.  Corse per un bel po’, sentendosi il cuore rimbombare nelle orecchie, e non potendo fare a meno di pensare a Daniel. Lo aveva salvato, aveva impedito che Travis lo colpisse, finendoci di mezzo lui stesso. Che cosa gli stavano facendo in quel momento? Se fosse successo qualcosa di grave al suo amico, non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.
Senza fermasi si voltò un attimo indietro per controllare e constatò con orrore che Tony, Kyda ed Hazel gli stavano alle calcagna, ormai lo avevano quasi raggiunto. 
-TU, FERMATI!-  urlò Hazel col fiatone.
Sam accelerò ancora di più, ma Tony, il più veloce dei tre, gli era praticamente addosso. A quel punto il giovane si vide perduto, era sfinito e non sarebbe riuscito a mantenere l’andatura ancora per molto, aveva bisogno di fare una pausa o gli sarebbe scoppiato un polmone da un momento all’altro. Stava per fermarsi e andare incontro al suo destino, quando adocchiò a lato della strada tre grossi bidoni della spazzatura: la sua salvezza.
Senza perder altro tempo, Sam deviò in direzione dei cassonetti e più veloce che mai ne aprì uno, quello più grosso dell’indifferenziata, e vi si fiondò dentro, atterrando malamente su dei sacchi neri. Ancora col fiatone, si sbrigò a bloccare il coperchio da dentro, tenendolo fermo con le mani, in modo tale che i Dark non potessero aprirlo.
In brevissimo tempo, i tre lo raggiunsero. 
-Allora Wild, a che gioco stiamo giocando?- ringhiò Hazel, ansimando.
Sam non rispose e trattenne il respiro, l’odore acre dei rifiuti era insopportabile e gli faceva venire i conati.
Frattanto, i tre iniziarono a forzare il coperchio per cercare di aprirlo, ma il giovane, richiamando a se tutte le sue forze, cercò in ogni modo di impedirglielo.
-Vedo che non hai alcuna intenzione di mollare...- constatò Tony, dopo un po’ di tentativi andati a vuoto –Ma stai pur certo che ti staneremo!- e iniziò a prendere violentemente a calci il bidone.
Andarono avanti così per un po’, ma Sam continuava a resistere, illudendosi del fatto che prima o poi si sarebbero fermati.
Ad un certo punto il colpi cessarono e vi fu un attimo di silenzio. Sam si chiese cosa stesse succedendo e che cosa li avesse indotti a smettere, quando sentì dei passi e subito dopo la voce sgradevole di Travis –Bene bene, caro il mio Nuovo... A quanto pare non ne vuoi sapere di uscire di lì, ma ci penso io a farti cambiare idea...-
Da dentro il bidone, Sam udì un tonfo, come di qualcosa gettato a terra, seguito da un gemito.
-Abbiamo già sistemato per bene il tuo amico Lipton, ma per noi non è nessun problema continuare...- spiegò Travis –A meno che tu, non decida di uscire...-
Sam sgranò gli occhi, paralizzato, esitando appena pochi attimi, ma che furono già troppi per i Dark.
-Molto bene allora...- disse Travis. Si udirono numerosi colpi, accompagnati poi da altrettanti lamenti.
Sam non riusciva a muovere un solo muscolo talmente era terrorizzato, sussultando ad ogni colpo che quei mostri infliggevano a Daniel.  Non poteva permettere che il suo amico subisse tutto ciò, era inaccettabile. Si sarebbe preso qualsiasi botta, purché il compagno di banco fosse lasciato stare.
-PIANTATELA!- cercò di urlare, ma  la sua voce era troppo incrinata per poter somigliare ad un urlo–ORA ESCO FUORI!-
-F..fermo Sam! Resta nascosto!-  mormorò l’amico, proprio mentre l’altro stava per uscire –Io m..me  la cavo, tranquillo, non...non  mi stanno facendo male, c...ci vuole ben altro!-
-Ah, davvero!? Ora vediamo un po’, così impari a mancarmi di rispetto!- urlò Kay, colpendolo più forte. Daniel mugugnò.
Sam  sobbalzò, sconvolto. Doveva assolutamente interrompere quell’orrore o il  ragazzo sarebbe stato fatto a pezzi.  Stava giusto per uscire allo scoperto, quando qualcuno parlò.
-Sono convinta che possa bastare, Travis- disse la voce Kyda.
I Dark si interruppero di colpo e i lamenti di Daniel cessarono.
-Come sarebbe a dire?- esclamò quello. La voce gli tremava per l’ira.
-Lipton è mezzo moribondo a terra e il Nuovo sta affogando tra le bucce di banana. Non credi di esserti divertito abbastanza per oggi?- proseguì la ragazza.
-Cosa!? Io non mi diverto mai abbastanza quando si tratta di queste cose, lo sai che potrei continuare all’infinito- grugnì Travis, che aggiunse alzando ancora di più la voce –Tu piuttosto! Si può sapere che cazzo ti prende oggi?-
-Di che stai parlando?- chiese Kyda, senza modificare di una virgola il proprio tono.
-Ti stai comportando in maniera strana, ecco di che cosa sto parlando!- tuonò il ragazzo –Quando ti ho detto di inseguire quell’idiota di Wild hai esitato, poi non ti ho vista colpire Lipton nemmeno una volta, te ne stavi lì guardare senza partecipare,  ed ora mi stai dicendo si smetterla! CHE SIGNIFICA??-
-Non significa nulla, semplicemente oggi non ho voglia di alzare le mani, tutto qui- rispose lei.
-Kyda ma che stai dicendo?- si intromise Hazel, incredulo.
-Hai sentito benissimo, non c’è bisogno che te lo ripeta- replicò la ragazza, dura.
Ci fu qualche attimo di silenzio. Sam non si perdeva una sola parola e ascoltava tutto, col cuore che minacciava di esplodergli.
All’improvviso sentì una moltitudine di esclamazioni di vario genere e una bestemmia da parte di Travis. Cosa stava succedendo??  Il giovane cercò di guardare da un piccolo spiraglio, ma non riuscì a vedere assolutamente nulla.
-Quel maledetto! Sta scappando!- udì strepitare Oliver.
-PRENDETELO! RIPORTATEMI LIPTON!- sgolò Travis, colpendo con rabbia il cassonetto in cui si trovava Sam.
Sul volto di quest’ultimo apparve un sorriso, in quanto aveva capito ciò che doveva essere successo: Daniel aveva approfittato del momento di distrazione dei Dark per fuggire!
-Non possiamo è già troppo lontano, sai che quando ci si mette corre velocissimo- ribatté Hazel.
-Esatto e poi siamo troppo stanchi, l’inseguimento del Nuovo ci ha sfiancato. Non riusciremo mai a raggiungerlo- si giustificò Tony.
Travis non disse nulla e sfogò la sua rabbia e la sua frustrazione direttamente su Kyda.
-TU! È tutta colpa tua! Con le tue baggianate ci hai distratto e Lipton ci è sfuggito da sotto il naso!- urlò.
-Ti sbagli, io non c’entro nulla- rispose lei, gelida –Sei tu che mi hai assillato di domande e se vogliamo essere precisi Lipton è sfuggito a te non a me-
Travis fece per controbattere qualcosa, ma lei lo precedette –Ad ogni modo, mi sono rotta. Non ho più voglia di restare qui, è tardi e l’ora di pranzo è passata da un pezzo. Ci vediamo ragazzi- e detto questo se ne andò.
Sam sentì Travis sbraitare qualcosa e un  suo pugno fece sballottare il cassonetto.
-Forse Kyda ha ragione...- provò ad intervenire Tony –Ci è venuto tardi. E poi abbiamo già conciato Lipton per le feste e avremo molte altre occasioni per fare lo stesso con il Nuovo-
-Giusto! Possiamo pestarlo quando ci pare!- rincarò Oliver.
Travis non rispose nulla, poi disse rivolgendosi direttamente a Sam –Hai sentito, Nuovo? Per oggi te la sei sfangata, ma non sarai così fortunato la prossima volta! Appena avremo l’occasione, ti sbricioleremo. Rammenta: nessuno sfugge ai Dark!-
Sam deglutì rumorosamente e rimase in silenzio. Dopo qualche minuto sentì dei passi che si allontanavano, poi il silenzio più totale e capì che i Dark se n’erano andati. Indugiò ancora per un po’, poi si decise ad uscire dal suo nascondiglio;  si guardò attorno circospetto e constatò che in giro non c’era anima viva.
Si lasciò scivolare lungo il cassonetto e crollò a terra, mentre la sua mente gli faceva rivivere tutto quello che era accaduto. La giornata era incominciata male ed era finita nel peggiore dei modi.
 Si riscosse da quel turbinio di pensieri e si rimise in piedi. Doveva tornare subito a casa, era la cosa migliore da fare, così si incamminò verso Via Arrow e nel tragitto prese in mano il suo cellulare rosso. Desiderava subito telefonare a Daniel e chiedergli sue notizie, era preoccupatissimo, ma non ne aveva il coraggio: il compagno di banco era finito ne guai solo per causa sua e probabilmente ora non voleva parlargli, ritenendolo responsabile dell’accaduto. Tuttavia il ragazzo voleva sapere assolutamente le sue condizioni, perciò decise infine di ripiegare mandandogli un messaggio. Scrisse il testo, mentre si malediceva per la propria codardia:
Daniel dove sei? Come ti senti?
Dopo pochi istanti il telefono vibrò, segno che era arrivata la risposta:
Ehy Sam! È la prima volta che mi scrivi un SMS! :) Comunque sono a casa mia e tu?
Il giovane, nel leggere il messaggio, rimase alquanto perplesso.
Io sono quasi arrivato in Via Arrow...Ma tu come stai!?
Questa volta la risposta ci mise molto più tempo per arrivare e Sam iniziò a preoccuparsi, quando il cellulare si illuminò:
Posso solo dire che me la sono cavata, Sam. Non mi hanno fatto granché, era tutta scena, te lo posso assicurare ;) sono solo un po’ ammaccato. Ho un po’ di lividi, un taglio sul labbro ed uno un po’ più brutto sulla fronte...Tu invece?? Cosa ti hanno fatto?
Sam era sempre più perplesso. Dopo tutto quello che Daniel aveva subito si preoccupava ancora per lui?
Io sto bene, non mi hanno fatto nulla, sono rimasto dentro il cassonetto e dopo un po’ se ne sono andati... Comunque Daniel, io non ho parole per ringraziarti di quello che hai fatto
La risposta fu immediata:
Non devi ringraziarmi, non ho fatto assolutamente nulla! Però Sam, non credo che domani verrò a scuola...
Nel leggere, il giovane sospirò e gli rispose:
Si, certo, capisco...Non preoccuparti, ti giustificherò io ai prof...
Infine giunse l’ultimo messaggio da parte del compagno di banco:
Okay, fantastico. Ora è meglio che vada, ci si vede! (:
Sam gli rispose con un saluto, poi ricacciò il cellulare in tasca. Nonostante le parole di Daniel, non si sentiva affatto tranquillo. Temeva che in realtà l’amico stesse peggio di quanto non volesse dimostrare e che l’amicizia nata si fosse ormai fratturata.
In balia di questi brutti pensieri, arrivò infine a casa. Si rese conto che indossava ancora gli indumenti da calcio di Mark e che i Dark possedevano ancora i suoi vestiti. Proprio non sapeva come avrebbe fatto a giustificarsi con sua madre, già aveva subito molto domande per quanto riguardava la macchia di china sui jeans e aveva dovuto inventarsi una scusa. Ma questa volta come avrebbe fatto? Non voleva raccontare la verità a sua madre, di recente aveva sofferto troppo, e non voleva caricarla di altre preoccupazioni.
Scrollò le spalle, si sarebbe inventato qualcosa, adesso la cosa che urgeva fare era una bella doccia per levarsi di dosso quell’insopportabile odore di rifiuti.

Come previsto, il giorno dopo Daniel non venne a scuola. Sam passò la mattinata scolastica da solo, cercando di rendersi invisibile agli occhi di tutti, in particolare a quelli dei Dark. Quando era arrivato in classe, quelli si erano limitati a guardarlo storto e Travis gli aveva indirizzato un’occhiata assassina, ma per il resto non erano venuti a tormentarlo nemmeno un volta.
Il giovane subì passivamente le prime tre ore di lezione, poi nell’intervallo scambiò qualche parola con Mark, dopo l’incidente della doccia avevano iniziato a parlare di più, scoprendo così che era un tipo simpatico. L’altra metà dell’intervallo la passò a girovagare da solo in mezzo ai corridoi, osservando con curiosità ciò che succedeva intorno a lui: gente che rideva, gente che litigava, gente che mangiava o che non faceva niente come lui. Per un attimo vide Hetty guardare, nascosta dietro a dei libri, verso la sua direzione, o nei dintorni alla ricerca di qualcuno, per scomparire rapidamente in mezzo alla folla.
Sam si grattò la nuca, confuso. Quella ragazza era davvero molto strana.
Alla fine della scuola, Sam si accodò ad un gruppo di ragazzi e ragazze per tornare a casa, ma in ogni caso dei Dark non vi fu nemmeno l’ombra. Li aveva visti uscire dal portone tutti in massa e dirigersi verso una direzione comune, senza degnarlo di uno sguardo. Nessuno di loro indossava più i vestiti di Sam, a parte Kyda che teneva in bella vista l’orologio verde.
Non appena Sam se n’era accorto aveva tremato per la rabbia, ma non poteva fare niente se non stare a guardare. Quell’orologio era uno dei suoi oggetti più preziosi, suo padre glielo aveva donato per il compleanno dei quattordici anni e da allora lo aveva portato sempre, anche dopo il tradimento. Nonostante tutto, voleva ancora bene a suo padre.
Sua madre non si era ancora accorta che sia i vestiti che l’orologio erano scomparsi, perciò Sam aveva potuto prendere tempo e rimandare ogni spiegazione.

Il giorno successivo, con grande gioia di Sam, Daniel rientrò a scuola. Il biondo lo salutò sfoderando uno dei suoi sorrisi più luminosi, poi si sedette al suo posto.
-Ciao! Allora, è successo qualcosa di interessante durante la mia assenza?- chiese allegro.
Sam lo osservò bene prima di rispondere, in quanto, dal giorno dell’aggressione da parte dei Dark, non l’aveva più visto. Notò che aveva un evidente taglio sul labbro inferiore ed altri sparsi sul volto; sul sopracciglio sinistro aveva dei punti.
-No, non è successo nulla di particolare...- disse infine Sam, cauto, poi aggiunse –Tu invece? Come stai?-
L’altro scoppiò in una risata limpida –E dai, basta chiedermelo! Ti ho già detto che sto bene! Osserva: ho solo un po’ di tagli qua e là, niente di più! E poi guarda- si sollevò il ciuffo biondo che gli ricadeva sulla fronte, mostrando una cicatrice –Questa credo che mi rimarrà per sempre, sarà il mio segno distintivo!- poi aggiunse -Dopo che abbiamo finito di messaggiare sono subito corso dal dottore che abita vicino a casa mia e gli ho detto che ero volato di faccia per terra e così lui mi ha sistemato- indicò i punti sul sopracciglio.
-Ah, perciò non gli hai detto la verità...- commentò Sam.
Daniel lo guardò per pochi istanti, poi il suo viso sorridente si incupì leggermente –No, non glielo detto. Conosce mia madre e di sicuro le avrebbe raccontato tutto. Sì, se te lo stai chiedendo neanche mia madre è al corrente. Lei non sa nulla dei Dark e di tutto il resto. Le ho raccontato la stessa balla che ho detto al dottore e le ho fatto un po’ di occhi dolci per farmi stare a casa -
Sam annuì appena –Lo stesso vale per me, alla mia non ho ancora raccontato niente e credo che non lo farò mai. Per lei la mia vita scolastica va a meraviglia...- fece un sorriso amaro, poi la sua espressione divenne triste e non aggiunse più nulla.
-Ehy, che ti prende?- chiese subito il biondo, essendosi accorto dell’improvviso cambiamento del giovane.
Sam non rispose subito, poi mormorò –Ecco, stavo solo pensando che...Se non vuoi più essere mio amico d’ora in avanti e prendere le mie distanze ti capisco. In fondo, se finito nei casini solo a causa mia...-
Daniel sgranò gli occhi, perplesso, poi scoppiò di nuovo a ridere. Sam, dal canto suo, si voltò a guardarlo esterrefatto.
-Ma dai!- riuscì a formulare il compagno, tra una risata e l’altra –Non dirai sul serio spero! Credi forse che voglia troncare l’amicizia che ho con te solo per quella cavolata? Ah, mi fai sganasciare!- e continuò a ridere, quasi fino alle lacrime.
Sam, colto alla sprovvista, provò a dire qualcosa, ma Daniel lo interruppe –Non dire niente, non serve. Comunque, ti posso assicurare che rispetto a prima non è cambiato nulla, fidati!-
L’altro lo guardò ancora un attimo, poi annuì, sorridendo. Più il tempo passava e più quel ragazzo continua a sorprenderlo.
-Ad ogni modo- esclamò il biondo cambiando discorso e considerando l’altro chiuso definitivamente –Mentre ero a casa mi è successa una cosa alquanto curiosa!-
Sam lo incitò a continuare, essendo particolarmente interessato. Cosa mai poteva essere successo a quello squinternato? Questa non se la voleva perdere.
-Allora, me ne stavo spaparanzato sul divano, quando all’improvviso squilla il telefono di casa. Io mi sono fiondato a rispondere, ma, cosa strana, quando alzo la cornetta non si sente niente, o per meglio dire, c’erano dei rumori in sottofondo, ma nessuno parlava! Ho detto per un bel po’ di volte pronto, quando alla fine mi hanno sbattuto il telefono in faccia!-
Sam inarcò un sopracciglio –Ah e cosa c’è di così esaltante in tutto ciò?-
Daniel assunse un’espressione altezzosa e rispose sicuro –Semplice, perché sono convinto che sia stata Chanel è fare quella telefonata!-
Per un pelo Sam non volò dalla sedia –Cosa?? Scusa, come fai ed esserne certo? E soprattutto perché avrebbe dovuto?-
-Perché è pazza di me, mi sembra logico! A proposito, ha fatto qualche considerazione quando si è accorta che non ero venuto a scuola?- domandò con gli occhi sognanti.
L’altro ci rifletté su. Sì, si ricordava bene quello che Chanel aveva detto. Parlando con la sua amica Jennifer aveva bofonchiato una sorta di “Oh, meno male che non c’è quello sfigato di Lipton a farmi la corte oggi! Speriamo che gli sia venuta la febbre e che se ne stia a casa una settimana!
-Mh, non ha detto niente...- lo informò, guardando altrove.
Di risposta, Daniel si voltò a guardare Chanel con un’espressione da pesce lesso.

Così, i giorni cominciarono a passare, alcuni più veloci, altri più lenti. Le giornate erano pressoché tutte uguali per Sam:  andava a scuola, subiva depresso le lezioni (tranne quella di Arte, dove tra l’altro aveva preso 10 e lode per il ritratto di Holly), passava la maggior parte del suo tempo con Daniel e da qualche tempo anche con Mark,  sopportava o almeno tentava di sopravvivere ai sempre più frequenti  tiri mancini dei Dark (i quali di recente si limitavano a brutti scherzi o mortificazioni psicologiche, in primis Kyda con l’orologio verde), faceva la strada di ritorno accodandosi ad altri compagni per evitare agguati, telefonava costantemente a Luke per aggiornarlo delle novità, litigava con Amber e mentiva a sua madre.
Fino a quando un giorno, esattamente tre settimane e mezzo da quando Sam aveva iniziato la nuova scuola, successe qualcosa di particolare.
Era una giornata molto piovosa, grigia ed umida, quando, durante un’ora della Symons, entrò in aula un ragazzo tutto trafelato. Aveva i capelli castano scuri leggermente mossi e gli occhi grigi, portava una semplice felpa cobalto e un paio di jeans chiari.
-Ebbene, Fears?- gracchiò la prof  indirizzandogli un’occhiata velenosa –Ti pare questo il modo di entrare? Non usa più bussare?-
-Mi scusi, professoressa- rispose il giovane, un po’ in imbarazzo. Era il rappresentante della classe a fianco e Sam aveva poche informazioni sul suo conto, sapeva solo che si chiamava Robert e che era un tipo estremamente brillante.
-Pazienza, per questa volta passi. Comunque, spero che tu ci abbia interrotto per un motivo più che valido- disse la Symons, grattandosi il naso.
-Sì, sono venuto ad informarvi del fatto che il professor Conway ci vuole urgentemente tutti in aula magna. Ha detto che vuole parlarci di un progetto...- spiegò Robert.
-Giusto, ora rammento...- commentò l’insegnante, ricordandosi all’improvviso di qualcosa –L’inizio del progetto è oggi...-
-Di che pvogetto pavla?- domandò Mark incuriosito.
-Lo saprai a tempo debito!- lo liquidò la prof, poi disse rivolgendosi a Robert –Forza Fears, facci strada! E per favore prendimi a braccetto, la mia gamba non è più quella di una volta-
Il giovane, tra l’imbarazzato e l’impacciato, acconsentì e affiancò la prof e i due si avviarono, precedendo la classe.
-Chissà che cosa ha elaborato la mente del prof Conway questa volta!- esclamò spensierato Daniel, chiudendosi alle spalle la porta verdina dell’aula.
-Non è ho la più pallida idea...- rispose Sam. Come al solito erano rimasti gli ultimi e una moltitudine di studenti delle varie classi stava dirigendosi verso l’aula magna, affollando il corridoio che vi conduceva.
Si accodarono al resto degli alluni, mentre Daniel continuava a blaterare tutto concitato sul misterioso progetto, senza guardare un minimo dove metteva i piedi ,ne chi ci fosse di fronte a lui, fino a quando il biondo non inciampò ignobilmente nei piedi di qualcuno che lo precedeva. Il ragazzo riuscì a mantenere l’equilibrio, al contrario della ragazza in cui era incespicato, la quale volò per terra. Il quadernetto di appunti giallo che teneva sottobraccio scivolò lungo il corridoio e suoi occhiali blu le caddero lì vicino.
Daniel, terribilmente mortificato, si affrettò a raccogliere il block notes e gli occhiali, dopodiché li porse alla giovane, rivolgendole un sorriso sincero e un po’ imbarazzato.
-Scusami, sono proprio un imbranato, non guardo mai dove metto i piedi, ehehe! Tieni, questi sono tuoi...-
La ragazza alzò lo sguardo e così Sam e Daniel scoprirono che si trattava di Hetty.  Lei piantò due occhi color jeans scolorito in quelli del biondo, che continuava a sorriderle impacciato, poi rapida spostò lo sguardo, afferrò i suoi effetti, bofonchiò qualcosa di indefinito e scomparve tra la massa.
Daniel sospirò –Inutile, proprio non mi sopporta, basta solo vedere come mi ha trattato...-
-Beh, in questo caso non aveva tutti i torti. Le sei inciampato addosso!- constatò Sam con una scrollatina di spalle.

Infine giunsero in prossimità dell’aula magna. Cosa mai poteva aver escogitato quel pazzoide del prof? Sam aveva quasi timore di scoprirlo. 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6° ***


L’aula magna dell’istituto era ormai piena di studenti, i quali, nell’attesa che il professor  Conway prendesse parola, facevano un caos allucinante. Alcuni di loro parlottavano con le file dietro, altri con le file davanti, qualcuno con gente che si trovava dalla parte opposta della stanza e altri ancora erano in piedi che girovagavano un po’ ovunque. Uno di questi era Daniel, che non faceva altro che ballonzolare da una parte all’altra in cerca di Chanel, con l’intenzione di parlarle e ricoprirla di complimenti che, a detta del ragazzo, l’avrebbero senza dubbio conquistata.
Al contrario, Sam se ne stava seduto tranquillo al suo posto, nell’ottava fila a sinistra, e si guardava attorno. Constatò che l’aula magna era davvero molto grande, infatti riusciva a contenere più di quindici classi. I muri erano sul verdino, colore tipico della scuola, con un totale di cinque finestre che davano tutte sul giardinetto dell’istituto.
Molte file dopo rispetto a dove si trovava lui, si ergeva un rialzo ricoperto da un tappeto rosso, su cui sopra era stata messa una cattedra di legno, più un piedistallo col microfono. Intorno al banco confabulavano il professore di Arte, il preside e la professoressa di Sociologia, mentre al centro del rialzo stava in piedi la professoressa  Ellist che cercava inutilmente di riportare l’ordine.
-Fate silenzio, per favore!- strillò acutissima, con la voce rotta. Per tutta risposta le arrivò una pallina di carta in testa.
Sam sbuffò sonoramente. Si stava annoiando a morte. Daniel era scomparso chissà dove, mentre Mark, che stava seduto alla sua sinistra, continuava a parlare della verifica di Inglese con un altro ragazzo.
 Non riusciva a capacitarsi del perché li avessero chiamati se poi i professori non erano ancora pronti, avrebbero potuto benissimo farlo dopo, si sarebbero risparmiati del caos inutile. Dulcis in fundo si udì un urlo da cavallerizzo in fondo all’aula.
Proprio in quel momento ritornò Daniel, che si sedette nella sedia vuota vicino a Sam.
-Allora?- chiese quest’ultimo con non molto interesse –Sei riuscito a rintracciare Chanel?-
Il biondo annuì e affermò compiaciuto –Sì, sono riuscito a trovarla! Mi sono seduto vicino a lei e ho iniziato a parlarle...-
-E lei che ha fatto?- domandò l’altro, all’improvviso un po’ più incuriosito.
Daniel scrollò le spalle –Non mi ha considerato e ha cambiato posto. È andata a sedersi vicino a quell’imbecille di Nick- fece una smorfia –Come fa a stare con un tipo così? Spero che lo scarichi in fretta per mettersi col sottoscritto, so che in realtà è quello che desidera. Stravede per me, solo che fa fatica a dimostrarlo!- e iniziò a fissare il soffitto con lo sguardo perso.
Sam osservò il ragazzo con un sopracciglio inarcato, poi scosse la testa rassegnato. Inutile, Daniel proprio non voleva capire che non avrebbe mai avuto nessuna speranza con quella ragazza, bastava solo vedere il modo in cui lo trattava, disprezzandolo ed evitandolo. Ma lui continuava ad illudersi e a sperare e a non fare altro che correrle dietro come se fosse stato  il suo galoppino.
-Bah, se lo dici tu...- commentò, mentre l’altro continuava a sognare ad occhi aperti.
Finalmente, dopo un po’ di tempo, il preside riportò l’ordine, richiamando l’attenzione su di se parlando al microfono. Tutti gli alunni ammutolirono all’istante e nell’aula scese un silenzio tombale.
L’uomo di chiamava Alfred Peabody, era un tipo molto basso, di corporatura grassoccia e il suo sguardo duro e severo aveva poco da spartire con la faccia tonda e paonazza che si ritrovava.
Si schiarì la voce, poi incominciò –Molto bene ragazzi, vi ringrazio per la vostra attenzione.  Come ben sapete, in questo periodo siamo soliti ad organizzare progetti di vario tipo, perciò è per questo motivo che vi abbiamo radunati tutti qui, per illustrarvi quello ideato per quest’anno. A farlo, saranno il professor Conway e la professoressa  Loveace, gli ideatori. Lascio la parola a loro- detto questo il preside si mise da parte, accompagnato da un echeggiare di applausi.
-Ciao a tutti ragazzi! – esclamò il prof di Arte, allegro –Allora, quello che la professoressa Loveace ed io abbiamo intenzione di fare è di illustrarvi al meglio il progetto su cui abbiamo lavorato in questi mesi, perciò vi prego di seguirci attentamente- fece una breve pausa, poi riprese –Come immagino abbiate intuito, l’attività di quest’anno sarà mettere in pratica le vostre competenze artistiche!-
Dagli studenti si levò un brusio, tutti  si erano messi subito a fare considerazioni.
Conway batté rumorosamente le mani e gli alunni tacquero nuovamente.
-Per favore, lasciatemi finire di spiegare! Stavo dicendo...Ah, si! Di mettere in pratica le vostre competenze artistiche. Ora, vi spiegherò bene nel dettaglio: il vostro obbiettivo sarà quello di raffigurare su dei cartelloni le emozioni umane, come la felicità, la rabbia, il dolore ecc... Per fare questo, dovrete lasciar andare la vostra fantasia, o ritrarre cose che avete visto che suscitano in voi quei sentimenti.  Semplice no? Potrete rappresentarli utilizzando le tecniche che più vi piacciano: disegnando a matita, con i carboncini, dipingendo con le tempere, con gli acquarelli,  facendo dei collage, dei mosaici, usando la tecnica dei tratteggi, dei punti...Insomma, tutte quelle che vi ho insegnato più tutte le altre che vi vengono in mente!- concluse raggiante.
Non appena il prof ebbe finito di parlare, gli alunni ricominciarono immediatamente a commentare. C’era chi era entusiasta del progetto, più di tutti Sam, chi era del tutto indifferente, come Chanel e la sua combriccola,  chi era un po’ deluso, ad esempio Daniel, e chi la reputava una cavolata vera e propria, in primis i Dark.
-Mi scusi professor Conway- intervenne ad un certo punto  Robert, alzandosi in piedi –La mia classe ed io non abbiamo capito alcuni passaggi...Non è che potrebbe riportarci un esempio?-
-Certamente Fears!- sorrise l’uomo , si mise a ragionare un attimo poi rispose –Allora, ciò che rappresenterete deve essere molto intuitivo: ad esempio, mettiamo il caso che dobbiate riprodurre il dolore. Qual è la prima cosa che vi viene in mente se pensate a questa emozione? Oppure, vi è capitato qualcosa che vi ha fatto soffrire? Ritraetelo! Vedete qualcosa di triste? Raffiguratelo! In sostanza, siete liberi di fare ciò che volete!-
Robert annuì, soddisfatto della spiegazione, e si risedette. Nel frattempo, gli altri continuavano a parlottare.
-Hey Daniel!- sussurrò Sam, con un sorriso luminoso –Che ti sembra?-
Il biondo si era afflosciato sulla sedia e aveva un’espressione tra l’annoiato e lo scocciato –Uffa, che palle- borbottò infatti –Non potevano affibbiarci nulla di peggiore!-
-Perché dici questo?- domandò stupito Sam.
-Perché a me non piace disegnare! Non ne sono capace e lo sai bene! Non so raffigurare un albero (ho preso sei e mezzo di quello là che avevo fatto) figuriamoci rappresentare le...le emozioni umane!- sbottò, esasperato.
-Ma dai, non essere così melodrammatico! Sarà divertente, vedrai! E poi scusa, a te cosa piace fare?- chiese Sam.
Daniel rimase un attimo spiazzato dalla domanda, poi disse in un sussurro appena percettibile –A me piace scrivere...-
All’improvviso Conway richiamò di nuovo l’attenzione, sbattendo sulla cattedra un dizionario, poi disse –Ehi Ehi! Mi fa piacere che questa cosa abbia suscitato in voi le reazioni più disparate, ma non abbiamo ancora finito. E qui, lascio proseguire la professoressa Loveace-
La donna si fece avanti e si affiancò al professore di Arte.  Avrà avuto all’incirca la stessa età di Conway, quindi era piuttosto giovane.  Aveva i capelli  lunghi molto mossi, rossi, e gli occhi tendenti al verde acqua. Portava una giacchetta blu e una gonna al ginocchio in tinta. Il suo sguardo era pacato e gentile.
I due insegnati si sorrisero appena, poi la donna prese parola.
-Infatti, per ora vi abbiamo illustrato solo la parte “di base” del progetto- affermò, con una voce calma e cristallina –Adesso vi dirò la seconda parte e cioè il modo in cui dovrete organizzarvi. E qui, salta fuori la parte di sociologia, sono o non sono l’insegnate di questa materia? – sorrise, poi riprese –Perciò, per fare questo lavoro, sarete divisi a coppie!-
A quella parola, Sam scattò sull’attenti. A coppie? Ciò voleva dire che avrebbe dovuto collaborare con qualcuno! Riprese ad ascoltare, adesso un po’ più teso.
-Quindi, la cosa si complica un po’ per voi, poiché dovrete riuscire a trovare un punto d’incontro su quello che vorrete rappresentare- proseguì la donna.
-Ma le coppie le potremo scegliere noi, giusto?- chiese una ragazza bruna con i codini.
-Sbagliato- ridacchiò la Loveace e la giovane che aveva parlato sgranò gli occhi -Le coppie verranno sorteggiate!-
Dalle classi si levarono esclamazioni di disapprovazione più totale. Sam, dal canto suo, si era messo le mani sul viso ed era diventato ancora più teso e nervoso. Non riusciva a crederci, non solo dovevano stare divisi a coppie, ma in più queste venivano sorteggiate! Con chi sarebbe capitato? Già lui contava di fare il lavoro con Daniel e con questa novità i suoi programmi si erano infranti. Infatti, le probabilità di finire con l’amico erano bassissime. E se fosse capitato con qualcuno con cui non andava d’accordo? O peggio, se fosse finito con un dei Dark!? Sam iniziò seriamente a preoccuparsi.
Al contrario, il biondo era esaltatissimo  -Nooo, che figata stratosferica!  Ma ti rendi conto!? Se ho un po’ di fortuna potrei addirittura finire con Chanel!-
Sam preferì soprassedere su quell’ultima affermazione del compagno.
-Mi dispiace per voi, ragazzi miei. Ma così abbiamo deciso e non cambieremo idea-  dichiarò Conway.
In quel momento arrivò la Symons, la quale teneva  stretto tra le braccia un grosso barattolo di vetro contenente una moltitudine di foglietti di carta ripiegati. Appoggiò il contenitore sulla cattedra, poi, dopo aver squadrato gli studenti con aria torva, ritornò da dove era venuta.
-Oh, un ultima una cosa!- esclamò Conway, prima di estrarre il primo nome –Mi sono dimenticato di dirvi la terza ed ultima parte! Ogni volta che avrete terminato un cartellone, vi verranno assegnati dei punti. Coloro che, terminato il progetto, avranno il punteggio più alto saranno proclamati vincitori e riceveranno un premio!-
Di questa ultima affermazione, le classe furono già più entusiaste.
-E in che cosa consiste il premio?- domandò con aria superiore Konrad Astor.
-Lo saprete a tempo debito, è una sorpresa- gli rispose la Loveace.
Così, il prof di Arte incominciò a prelevare i bigliettini. I primi nomi erano per Sam del tutto estranei, in quanto appartenevano a persone di altre classi. Il professore andò avanti per un bel un po’ e il giovane sentiva il cuore fare una capriola ogni volta che l’uomo prendeva in mano un foglietto, chiedendosi quando sarebbe arrivato il suo turno.
Nel frattempo, molte coppie erano già state formate: Astor era finito con un ragazzo della C, Mark era capitato con un ragazzetto del B e Travis faceva a coppia con uno della F. Quest’ultimo era scoppiato in lacrime.
-Vediamo un po’ chi c’è qui...Daniel Lipton...-
Il biondo strinse i pugni , chiuse gli occhi ed incominciò a sussurrare in continuazione il nome di “Chanel”.
Sam invece sperava che nominassero lui e notò anche che pure Hetty, che si trovava tre file davanti, si era fatta stranamente attenta.
-Con Robert Fears!- esclamò Conway.
Daniel emise un sospiro affranto, poi si voltò verso Robert e gli rivolse un sorriso allegro.
La procedura proseguì a lungo e molte altre coppie furono formate: Jennifer, l’amica di Chanel, era finita con Kay, che le aveva lanciato un’occhiata carica di malizia, Tony e Hazel erano finiti insieme e i due avevano esultato dandosi un sonoro cinque e Hetty era capitata con Chanel.
-No, che fortuna! Quasi quasi chiedo ad Hetty se vuole fare cambio!- esclamò Daniel, evidentemente troppo forte in quanto  le sue parole giunsero sino alle orecchie della Loveace.
-Mi dispiace deluderti, Lipton, ma è vietato scambiarsi le coppie- gli spiegò.
Lui sbuffò e incassò la testa nelle spalle.
L’estrazione riprese e Sam iniziò a pensare che il suo nome non sarebbe mai stato chiamato, fino a quando:
-Allora...Mh, Sam Wild...- disse Conway, buttando il bigliettino nella spazzatura e segnandosi il nome del ragazzo su un registro in cui erano contrassegnate le varie coppie.
Il giovane inchiodò il suo sguardo sulla mano del professore, che stava estraendo un bigliettino.  Sam non sentiva più nulla intorno a se, se non il proprio cuore che batteva,  e gli pareva che i movimenti dell’uomo si fossero fatti improvvisamente più lenti. Egli stava giusto per aprire il foglietto quando questo gli cadde di mano e, con tutta la calma del mondo, lo recuperò.
Sam aveva i nervi a fior di pelle e temeva che,se quello lì non si fosse dato una mossa a leggere, avrebbe urlato. Era più teso di una corda di Violoncello.
-...con...con...- il prof si divertiva a creare della suspense, mentre il ragazzo stava per collassare a causa della tensione.
-Kyda Stowe!- esclamò infine.

Non poteva essere. Questa fu la prima cosa che pensò Sam non appena udì quel nome. Non. Poteva. Essere.
Come se fosse stato in trance, il ragazzo si voltò in direzione di Kyda, che a sua volta lo aveva appena guardato con la coda dell’occhio, prima che il resto dei Dark iniziassero a confabularle qualcosa tutti concitati.
Sam ebbe la sensazione di cadere nel vuoto. Ciò che fino all’ultimo aveva sperato non succedesse era infine successo.  Era morto, indissolubilmente morto. Una delle persone che aveva tentato in ogni modo di evitare sarebbe diventata quella con cui avrebbe dovuto  passare la maggior parte del suo tempo. La sua mente gli passò rapidamente in rassegna tutte le bastardate che Kyda gli avrebbe potuto fare, ora che era completamente finito, per forza di cose, nelle sue grinfie. Inoltre, per mezzo di lei, i rimanenti Dark sarebbero potuti arrivare molto più velocemente a lui e Travis si sarebbe finalmente vendicato. Aveva ancora un pestaggio in sospeso da riservargli.
Sarebbe rimasto in stato catatonico ancora a lungo se la voce di Daniel non lo avesse richiamato alla realtà.
-Ohi, Sam! Va tutto bene?- chiese allarmato, scuotendolo per un braccio.
-Eeeh? Cosa?- farfugliò il giovane, stralunato.
-Ti ho chiamato due volte! È da una manciata di minuti che te ne stai fermo immobile a guardarti i piedi- poi aggiunse scrutandolo in volto –E ti è venuto anche un pessimo colorito-
Sam si passò una mano sul viso, poi rispose –Stai tranquillo, sto bene. Sono rimasto solo un po’...ehm...sorpreso nello scoprire con chi starò in “squadra”-
Daniel lo guardò obliquo –Alla faccia del sorpreso!- replicò –Sei a dir poco scioccato!-
-Puoi forse biasimarmi?- mormorò, sospirando abbattuto.
Daniel lo guardò triste, poi rispose abbassando lo sguardo –No...-
Alla fine tutti i nomi vennero estratti e le coppie furono formate. Prima che Conway congedasse le classi disse loro che l’emozione da rappresentare per quella settimane sarebbe stata...La noia.
Tutti  lo avevano guardato a dir poco esterrefatti, poi ognuno era ritornato nella propria classe.
Sam subì passivamente il resto della mattinata, senza ascoltare una sola lezione. Era troppo perso nei suoi pensieri  per rimanere attento. Avrebbe dovuto parlare con Kyda e avrebbe dovuto farlo quel giorno stesso anche  perché rimandare non sarebbe servito a nulla, ma era a dir poco terrorizzato all’idea.  Dopotutto, quel progetto era obbligato a farlo con lei e, volente o nolente, doveva organizzarsi con la ragazza per decidere quando vedersi per iniziare a pensare a qualcosa. Vedersi. Sam ebbe un brivido, solo l’idea già lo inquietava. Inoltre, era sicuro che Kyda avrebbe fatto fare tutto il lavoro a lui, in quanto probabilmente non era interessata a un minimo al progetto, apatica e menefreghista qual’era. Ma da un lato meglio, almeno avrebbero  avuto a che fare il minimo indispensabile.
Frattanto, Daniel tentava in ogni modo di tirare su il ragazzo, raccontandogli cose futili e facendo battute su battute, alle quali Sam abbozzava un sorriso di tanto in tanto, anche se il suo umore non accennava a migliorare.
Durante le sue meditazioni, Sam arrivò alla conclusione che avrebbe dovuto parlare con Kyda all’uscita della scuola e, cosa più importante, doveva fare in modo di trovare un momento in cui la giovane fosse stata da sola, senza il resto del gruppo, ma ciò era una cosa molto rara, in quanto andavano sempre in giro in simbiosi.
Infine, la campanella segnò la fine dell’ultima ora. Tutti gli studenti si catapultarono fuori dalla classe, urlando e spintonandosi, mentre Daniel e Sam  fecero tutto tranquillamente.
Usciti fuori dall’istituto, Sam constatò con un sorriso che il tempo era migliorato. Da dietro le nuvole sbucavano dei pallidi raggi di sole.
Daniel trasse un lungo respiro  -Aaah, adoro le giornate così, tu no?- disse, issandosi lo zaino sulle spalle.
Sam annuì di rimando e fece per sistemarsi lo zaino, quando si accorse che non ce lo aveva. Evidentemente se lo era dimenticato in classe.
-No, che strazio! Devo tornare su a prenderlo- sbottò dandosi una manata sulla fronte. Possibile che fosse sempre così distratto?
-Va beh, su, ci metti due secondi- ridacchiò l’amico, poi aggiunse –Vuoi che ti aspetti?-
Il ragazzo declinò l’offerta, dicendogli di andare pure e che si sarebbero rivisti il giorno dopo, dopodiché rientrò a scuola, fece le scale di corsa e arrivò nel corridoio. Notò che lì vicino stava facendo le pulizie la bidella del loro piano e le chiese se per caso avesse chiuso l’aula, come era solente fare. La donna  gli rispose che era ancora aperta, in quanto anche un altro studente si era dimenticato qualcosa. Sam la ringraziò, poi si fiondò nella propria aula per recuperare lo zaino, ma si inchiodò sullo stipite della porta, nello scoprire chi era l’altro suo compagno sbadato.
-Kyda...- sussurrò d’istinto.
La ragazza era infatti poco distante da lui e stava armeggiando sotto un banco. Preso il suo diario, ovviamente di colore nero, alzò lo sguardo su Sam, ma i suoi occhi erano seminascosti dal cappello da baseball.
-Nuovo...- rispose lei, facendo un lieve cenno con il capo, poi ritornò sotto il banco e recuperò anche un astuccio blu con delle piccole stelle nere stampate sopra. Infilò tutto nel suo zaino, se lo mise su una spalla e uscì dall’aula, passando a fianco a Sam senza considerarlo.
Lui rimase per pochi attimi fermo, poi si riscosse e si riappropriò rapidamente dello zaino. Dopodiché, racimolato il coraggio necessario, uscì dalla classe e si mise a correre per raggiungere la giovane. Quella era la sua occasione per parlarle senza che ci fosse il resto dei Dark.
-Aspetta Kyda!- riuscì a chiamarla Sam. La sua voce riecheggiò per tutto il corridoio.
Lei si fermò  di colpo e voltò appena la testa, continuando però a dargli le spalle  -Che cosa vuoi?-  chiese.
Il ragazzo le si avvicinò e disse, a disagio -Ecco, io..io  volevo  parlarti di una cosa...Beh, come avrai sentito anche tu, per fare quel progetto di Arte dovremo lavorare insieme  dato  ci hanno sorteggiati e mi stavo chiedendo quando potremo vederci per...-
-Oggi nella biblioteca della scuola- lo interruppe Kyda.
Sam la guardò come se fosse appena caduto dalle nuvole e disse -Come?-
-Ho detto, oggi in biblioteca- ripeté lei.
-Ah, si si okay, non ci sono problemi, allora ci vediamo oggi! Per che ora facciamo?- domandò il giovane.
Kyda parve ragionarci un attimo su, poi guardò l’orologio verde da polso di Sam, e rispose –Per le 16:00. Prima io non posso, per te va bene?-
-Si certo, va benissimo!- si affrettò  a risponderle Sam –Allora, beh, a più tardi!- cercò di sorriderle.
La ragazza non lo salutò nemmeno e riprese a camminare. Quando uscirono da scuola, Sam si era mantenuto a debita distanza, Kyda prese da dentro il suo spazioso zaino lo skateboard  e ripartì a rotta di collo, sparendo presto dalla vista di lui.
Sam sospirò, sarebbe stato più difficile del previsto. Poi si incamminò verso casa.

Alle 16:00 precise, Sam si fece trovare puntuale in biblioteca.  Era riuscito, non senza difficoltà, ad accaparrarsi un tavolo e a sistemarvisi.  A quanto pareva,  molti degli studenti avevano avuto la stessa idea di Kyda e la maggior parte delle classi si era riunita lì per iniziare a discutere del progetto. Nella sala c’era moltissimo rumore e tutti parlottavano concitati sul da farsi, alcuni si erano già muniti di cartellone e colori.
Sam, nel dopo pranzo, aveva provato a farsi venire qualche idea, ma non gli era venuto in mente niente, o almeno niente di decente. Non era una cosa semplice rappresentare la noia, il giovane non aveva mai riflettuto più di tanto su quell’emozione, la trovava semplicemente...Noiosa. Ma il problema non stava solo nel farsi venire una buona idea, ma trovare anche un punto d’incontro con Kyda! Probabilmente lui e la ragazza avevano concetti di “noia” diversi e sarebbe stato difficile, se non impossibile, trovarne alcuni che li accumunassero.
Il ragazzo appoggiò il mento su una mano e cercò di ragionare nuovamente, ma senza successo. Lì per lì era stato molto entusiasta del progetto proposto da Conway, ma ora saltavano fuori tutti i lati negativi e soprattutto quelli complicati! Perché diamine il professore si era inventato una cosa del genere!? Non potevano organizzare qualcosa di più semplice?
Sam guardò l’ora sul cellulare. Kyda era in ritardo di ben un quarto d’ora;  perché ci stava mettendo così tanto? Iniziò a ponderare l’idea che la giovane gli avesse dato buca, quando ecco che la vide entrare nella biblioteca.
Lei scrutò attentamente la stanza, evidentemente in cerca di Sam. Quest’ultimo le fece un cenno con la mano, rivelandole la sua postazione, e a quel punto la ragazza lo raggiunse e si sedette proprio di fronte a lui.
Kyda buttò in mal modo il proprio zaino sul tavolo, tirò fuori l’astuccio e un block notes grigio, dopodiché si tolse il cappello da baseball e lo posò lì vicino. Infine appoggiò i gomiti al banco e piantonò i suoi occhi circondati di matita nera in quelli di Sam, che si affrettò a spostare lo sguardo.
Rimasero in quella posizione per qualche tempo, fino a quando la ragazza non disse, neutra –Allora,  Nuovo? Ti è venuto in mente qualcosa?-
Lui, che teneva lo sguardo fisso sull’astuccio di lei, le rispose –No,  non mi è venuto in mente niente...- poi aggiunse, cauto  - E a te?-
-Idem- sbuffò Kyda, aprendo con uno strattone il blocco di appunti –Ma sarà meglio farci venire un idea al  più presto, anche perché dobbiamo consegnare il cartellone entro la fine di questa settimana-
-Già, abbiamo poco tempo...- concordò Sam, giocherellando con una matita. Si sentiva tremendamente a disagio. Il lavoro da fare era già di per se complicato e avere come compagna di progetto Kyda non aiutava fatto, ma, anzi, peggiorava la situazione. Sam non sapeva che cosa dire e soprattutto il suo timore più grande era di dire qualcosa di sbagliato. Doveva tenere a mente che quella era un membro dei Dark, i suoi  aguzzini, per cui doveva fare attenzione e misurare ogni singola parola. Iniziò a pensare che non ne sarebbero mai venuti a capo, in quanto lui era bloccato per le sue ovvie ragione e lei non era proprio una persona che si poteva definire “eloquente”.
Vittima e carnefice costretti a collaborare: non avrebbe mai funzionato. Ma in ogni caso quel progetto  erano costretti a portarlo a termine e inoltre ci teneva troppo, perciò almeno in quella occasione avrebbe dovuto farsi forza e obbligarsi  a trovare il coraggio per intervenire. In più, quel silenzio stava cominciando a diventare opprimente.
Frattanto, Kyda si era messa a sfogliare nervosamente il quadernetto, visibilmente irritata.
-Tu che cosa intendi per “noia”?- sparò d’un tratto a bruciapelo il giovane.
-Come?- interloquì lei,  guardando verso di lui e inarcando un sopracciglio.
Sam le ripeté la domanda, ma tenendo lo sguardo ovunque tranne che su di lei. Non riusciva a parlare se lo fissava in quel modo.
-Vuoi sapere che intendo per noia?- disse Kyda sarcastica –Beh, se proprio ci tieni, per noia io intendo il dovermene stare qui a subire domande inutili di questo genere che dovrebbero aiutare a farci venire idee per questo stupido progetto, ecco per me che cos’è la “noia”-
Incredibile, quella ragazza aveva aperto la bocca solo per spruzzare veleno. Lui stava cercando un modo, per quanto disperato, di incominciare un dialogo e Kyda faceva qualsiasi cosa per rendere il tutto ancora più complicato.
- In effetti quella non era una gran domanda, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente. Credo dovremmo sapere entrambi che cosa intendiamo per quell’emozione se vogliamo rappresentarla...- ribatté Sam.
-Molto bene, Nuovo, allora ti rigiro la domanda: per te cos’è la noia?-
Sam tacque e rimase per un po’ a ragionare, tormentandosi le mani. In realtà sapeva bene che cosa rispondere, ma anche in quel caso la sua preoccupazione più grande era che la sua affermazione potesse urtare Kyda. Avere a che fare con lei anche solo da dieci minuti lo stava facendo andare fuori di testa.
Dal canto suo, la giovane si era accorta che Sam ci stava mettendo davvero troppo, per cui disse ad un certo punto, secca –Allora, i motivi per cui non rispondi sono due: o nemmeno tu sai cos’è per te la “noia”, oppure stai indugiando. Nel caso sia la seconda ti invito a dire quello a cui stai pensando e di farla finita. Se questo ti rassicura, oggi, sottolineo oggi,  l’unica cosa che ho intenzione di fare è arrivare da qualche parte con sto’ cavolo di progetto di cui non mi frega assolutamente niente. Avrei altre cose da fare questo pomeriggio, ma sono inchiodata qui, perciò piantala di fare il vegetale e rispondi-
-Va bene, per me la “noia” è il momento in cui devo aspettare che sia pronto da mangiare!-  si affrettò a risponderle Sam, improvvisamente riscosso dal limbo di preoccupazioni in cui era caduto.
-Che sia pronto da mangiare?- lo guardò corrugando la fronte.
-Esatto, perché so che da un momento all’altro potrebbe essere pronto il pranzo, ad esempio,  e non riesco a fare dell’altro perché il mio pensiero principale in quel momento è mangiare. Perciò alla fine passo il mio tempo a ciondolare senza far nulla di attivo e di conseguenza mi annoio- sparò tutto d’un fiato.
Lei non disse nulla per qualche istante, poi commentò -Questo per me non ha senso...- fece un pausa, poi aggiunse –Comunque, forse la tua idea di esprimere i nostri concetti di noia non è poi così stupida, perciò...- gli lanciò un lunga occhiata- ho deciso che starò al gioco: ad esempio, io mi annoio quando devo portare a riparare il mio skateboard-
-E... come mai?- domandò il ragazzo, piano.
-Semplice, perché non posso usarlo se è in riparazione. Io ci passo la maggior parte del mio tempo, per cui quando non ce l’ho a disposizione mi annoio a morte. Non posso andare alla Coast Ramp senza...-rispose Kyda incrociando le braccia.
-Vuoi dire... quella zona di Via Light dove ci sono tutte le rampe?-  si informò Sam.
-Proprio quella e se non ho il mio skateboard non posso farmi le rampe in santa pace. Di certo non posso scalarle a piedi-
-No no, infatti...Ma tu, fai proprio tutte le rampe?- domandò ancora il giovane.  Avrebbe voluto smettere all’istante di chiederle tutte quelle cose, ma qualche ignoto motivo non poteva farne a meno.
 -Certo che le faccio tutte, che ci vado a fare allora, secondo te?- rispose lei.
-Quindi, pure quella rossa?- continuò Sam –Quella che si vede anche da un kilometro di distanza?-
-Ovvio, quella è la migliore. La Rampa Assassina. Ma  un momento Nuovo...-disse lei, indirizzandogli uno sguardo gelido –Qui stiamo divagando. Non dobbiamo parlare dei nostri hobby, ma di cosa ci annoia-
-Si si, giusto!- si affrettò Sam.  Si maledisse per averle fatto tutte quelle domande. Doveva stare attento e tenersi a mente chi aveva di fronte.
Scese nuovamente il silenzio.
Sam, che fino ad allora aveva guardato le proprie mani, si voltò per un attimo  per osservare la giovane. Ella aveva lo sguardo perso nel vuoto e anche in quel momento  i suoi occhi non trasmettevano nessuno tipo di emozione, se non durezza. 
Avrebbero dovuto rappresentare le emozioni umane, ma  lei provava dei sentimenti?  Il ragazzo ne dubitava.
-Però...- disse d’un tratto Kyda, destandosi dai suoi pensieri –Così non può continuare...-
-Che vuoi dire?- esclamò il giovane, ansioso.
-Voglio dire che così stiamo facendo un elenco delle cose che ci annoiano, ma noi abbiamo bisogno di sapere quali sono le cose che annoiano entrambi, quelle che abbiamo in comune...Ammesso che ce ne siano- chiarì, lanciandogli un’occhiata.
Sam ci ragionò un attimo su, poi rispose –Ehm, si hai ragione. Dobbiamo trovare un modo per...Ho un’idea!- esclamò, fin con troppa enfasi. D’impulso, prese il block notes di Kyda e fece per strappare un foglietto, quando si congelò sul posto. Ma era impazzito!? Permettersi  una libertà del genere con un membro dei Dark!?
Indietreggiò immediatamente, intimorito, notando che lei gli aveva indirizzato  un’occhiataccia, ma allo stesso tempo sentendosi patetico.  
In quel momento, la giovane prese il quadernetto degli appunti, strappò lei stessa un foglio e lo fece scivolare lungo il tavolo, fino a Sam.
-Sentiamo- disse, apatica.
Lui prese cauto il pezzo di carta, poi rispose –Ecco, stavo pensando che potremmo scrivere tutte le cose che ci annoiano su dei fogli, poi scambiarceli e vedere quali ci accomunano-
Kyda scrollò le spalle, indifferente –Come ti pare...-
E così fecero, poi dopo pochi minuti, di scambiarono i foglietti. Non appena Sam ebbe fra le mani il biglietto di Kyda, rimase un attimo ad osservare la sua grafia. Era una scrittura che aveva un so’ che di affrettato, alquanto disordinata e molte lettere si confondevano.
-Ehy, Nuovo, ti sei incantato?- lo rimbeccò lei, fredda.
-No, no!- rispose subito il ragazzo, che si affrettò a leggere. Sam scoprì così che molte delle cose che annoiavano Kyda, al contrario lui le trovava piacevoli. Ad esempio, la ragazza sosteneva di trovare noiosa l’alba, mentre per lui rappresentava qualcosa di mistico e nelle rare volte che la vedeva desiderava che essa non terminasse mai; oppure lei si annoiava  a guardare i documentari, mentre Sam li considerava estremamente interessanti. Continuò a leggere e notò con sgomento che lui e Kyda non avevano nessun punto in comune, finché non gli cadde l’occhio sull’ultima frase:
Mi annoio quando mi annoio”.
Era una frase che diceva tutto e niente e forse, la soluzione al loro problema.
Frattanto, la giovane aveva  terminato di leggere la lista di Sam, arrivando alla stessa conclusione del ragazzo.
-Come pensavo...- disse, lasciandosi andare sullo schienale della sedia –A quanto pare non abbiamo niente che ci accomuni, Nuovo-
Sam annuì, ma aggiunse –Però penso di aver trovato la risposta grazie a questa tua frase- gliela indicò sul foglietto.
Kyda inarcò un sopracciglio e domandò sarcastica –Quella? E in che modo?-
-Tu dove vai o cosa fai quando ti annoi?- chiese d’impulso Sam. Ormai aveva trovato il coraggio per iniziare e non si sarebbe fermato, non ora che era vicino alla soluzione.
-Cosa c’entra adesso?-
-Dai, fidati...Rispondimi...- la incitò il ragazzo, sforzandosi di sorridere. Lui quando si annoiava era solito ad affacciarsi alla finestra della sua stanza e di guardare fuori, abbandonandosi nell’oblio dei suoi pensieri. Bastava che Kyda rispondesse la medesima cosa e avrebbero saputo che cosa disegnare.
La ragazza lo scrutò in volto, dubbiosa, poi rispose infine –Vado nel mio posto preferito. Ovvero mi appoggio alla finestra della mia camera-
Bingo. Era fatta. Avevano trovato cosa rappresentare.
Sam le spiegò che era così anche per lui, perciò infine si accordarono sul raffigurare una persona che guardava fuori dalla finestra.
-Bene, siamo riusciti ad arrivare ad una conclusione. Ora devo andare, è tardi- affermò Kyda. Con rapidità infilò le proprie cose nel suo zaino e si rimise il cappello.
-Uh, che ore sono?- le chiese Sam, stralunato.
-Le sei e mezza...- rispose Kyda, guardando nervosamente l’orologio verde.
Il ragazzo sobbalzò. Era già passato così tanto tempo?
-Ora vado, ci vediamo domani qui, stessa ora, stesso tavolo- illustrò lei, asciutta.
-Stesso...stesso tavolo!?- ripeté Sam.
-Sì, stesso tavolo- e dettò questo se ne andò senza salutare.
Sam rimase seduto al banco, immobile. Quel giorno era infine passato ed era sopravvissuto.  Sarebbe stato così anche per il giorno successivo? Lo avrebbe scoperto solo  l’indomani.







*Note dell'autrice*
Salve! Allora, cosa ne pensate di questo capitolo? Fatemi sapere! ^^
Ah, L'immagine che ho messo rappresenta come mi sono immaginata la biblioteca e il tavolo in cui erano i due protagonisti x)

A presto!


The_Grace_of_Undomiel


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7° ***


Il pomeriggio seguente, Sam si presentò in biblioteca in anticipo, ma nonostante questo notò che la sala era già straripante di studenti e che la maggior parte dei tavoli erano occupati.
Senza perdere tempo, si diresse nella zona dove lui e Kyda avevano lavorato il giorno prima, sperando  in cuor suo che il loro tavolo non fosse occupato, in quanto la ragazza, per qualche astruso motivo, gli aveva espressamente chiesto (o ordinato?) di ristabilirsi nello stesso bancone. Purtroppo però, lo trovò occupato da un ragazzotto del primo anno. Sam, cercando di essere il più cortese e accomodante possibile, e cercando di nascondere la propria preoccupazione, gli chiese se gentilmente poteva spostarsi altrove. 
Questi levò appena lo sguardo dalle interminabili espressioni di matematica che doveva svolgere e osservò per un istante Sam, prima di ignorarlo e di ritornare nuovamente al suo lavoro.
A quel punto, il ragazzo decise di usare l’ultima carta per convincere quel tipo e gli disse che era desiderio di Kyda, membro dei Dark, di stabilirsi in quel tavolo. Bastò il nome di “Kyda”  perché l’altro si affrettasse a far su i propri effetti  e ad eclissarsi immediatamente.
“Accidenti, la “bella” fama dei Dark è proprio conosciuta da tutti...” rifletté con sarcasmo Sam, accomodandosi e tirando fuori giusto l’astuccio.
Kyda si presentò con lo stesso ritardo del giorno precedente. Indossava un paio di jeans stretti blu scuro e una giacca di pelle nera consumata. I capelli erano legati nella solita treccia laterale e in testa portava l’immancabile cappello da baseball.
Sam si chiese in quel momento come mai la ragazza lo portasse sempre. A vedersi non era niente di speciale, un semplice copricapo nero con al centro stampato un disegno astratto color Zaffiro.
-Allora Nuovo...- esordì Kyda senza accennare un saluto e stravaccandosi in malo modo sulla sedia –A quanto mi risulta oggi dobbiamo scegliere che tecnica di disegno utilizzare, dico bene?-
Il giovane si riscosse, smettendo immediatamente di osservare il capello di lei, e rispose –Eh? Ah si, dobbiamo decidere quello, poi potremo iniziare a metterci al lavoro sul serio. Hai...hai qualche preferenza sullo stile da usare?-
Kyda fece una smorfia, dicendo –No, per me è uguale. Diciamo che mi basta che sia una tecnica non troppo elaborata, tipo mosaici o collage per intenderci, perché non ne ho voglia...-
-Oh, d’accordo...- rispose Sam, un po’ deluso. Quelle erano le tecniche che gli piacevano più di tutte, ma preferì non discutere ed accettare ciò che gli aveva appena detto la giovane, senza far alcun tipo di commento.
-In ogni modo...Idee?- chiese Kyda, aprendo il block notes grigio e prendendo una penna blu. Sam si accorse solo allora che era mancina, proprio come lui.
-Ci ho riflettuto un pochino ieri sera, ma non mi è venuto in mente nulla di illuminante...- sospirò. In realtà aveva pensato di fare una sorta di mosaico, ma dopo l’affermazione di Kyda aveva subito scartato quell’ipotesi.
Kyda lo guardò attentamente, come se volesse leggergli la verità negli occhi, ma lui fuggì prontamente il suo sguardo penetrante. Lo metteva terribilmente a disagio. Aveva notato che la ragazza aveva quell’abitudine molto fastidiosa di osservare le persone, evidentemente era il suo modo per studiarle.
Lei continuò a scrutarlo ancora qualche secondo, poi volse lo sguardo altrove e disse –Capisco, io invece una mezza idea ce l’avrei...-
Sam sussultò a quelle parole. Stava forse sognando? Possibile che la ragazza avesse usato una parte del proprio tempo per ragionare sul progetto di cui tra l’altro non le importava nulla? Gli sembrava assurdo.
-Dimmi pure!- la incitò, particolarmente incuriosito.
-Ciò a cui stavo pensando era di comprare un cartellone nero e di disegnare la persona alla finestra usando una matita bianca- gli spiegò lei, segnandosi intanto qualcosa sul taccuino.
Sam abbozzò appena un sorriso ironico. Doveva aspettarselo, cartellone nero, stile inquietante, era proprio alla Kyda, eppure quell’idea aveva qualcosa che stranamente lo intrigava.
-Sì...Mi piace!- disse infatti, annuendo –E poi ci sta alla grande con l’emozione che dobbiamo rappresentare! La noia seconde me è, come dire, incolore...Quindi è perfetto!-
-Bene, allora faremo così- dichiarò la giovane e a Sam parve addirittura che il suo tono di voce non fosse apatico come al solito, ma addirittura leggermente compiaciuto.
Kyda fece un ultimo segno sul blocchetto, dopodiché rinfilò tutto nel suo zaino. Mentre faceva ciò, Sam la guardò stralunato. Erano appena le 16:30, voleva già andarsene?
-Dove vai?- chiese piano.
Lei sistemò il suo zaino sulla sedia e ribatté lanciandogli un’occhiata eloquente –“Dove andiamo”, vorrai dire. A comparare i materiali che ci servono, ovvio- 
-Ah- disse il ragazzo -Adesso?-
-No guarda, stanotte. Certo che ci andiamo adesso! Visto che abbiamo ancora un bel po’ di tempo, possiamo approfittarne per andare a comprare l’occorrente e magari riusciamo addirittura a disegnare qualcosa, ma di questo non sono sicura- affermò brusca, poi prese dallo scomparto piccolo dello zaino il suo cellulare, che infilò nella tasca dei jeans, e un borsellino...rosa. Sam non credette ai propri occhi. Già lui se lo aspettava come minimo nero e invece era di un colore che mai avrebbe pensato di vedere addosso a Kyda. E poi in mano a lei, che era completamente vestita di nero, capelli e smalto compresi, spiccava tantissimo. 
-Tsk, guarda che so a che cosa stai pensando...- bofonchiò  la giovane, che nemmeno aveva visto l’espressione perplessa di Sam –Se vuoi saperlo, questo portamonete ce l’ho da quando facevo le elementari...Ecco perché è di questo colore così...- cercò la parola -...femminile-
-Oh, si si, ma non importa...- rispose impacciato, prendendo anche lui il cellulare e il portafoglio –Ma...- aggiunse poi –Se posso chiedere, perché non lo cambi?-
Sam si pentì subito della domanda fatta non appena vide l’espressione truce della ragazza e temette di essersi messo in qualche modo nei guai, ma ella rispose semplicemente, fredda -Perché ho questo e me lo tengo...-
Mentiva. Si capiva lontano un miglio, a partire dalla risposta non molto sensata che gli aveva dato, ma il ragazzo fece finta di niente e lasciò cadere il discorso, rivolgendole un’altra domanda –Un momento, le nostre cose le lasciamo qui?- indicò gli zaini.
-Sì, non avrai mica voglia di portarteli appresso per tutta Roxvuld, spero- rispose lei inarcando un sopracciglio.
-E se ce li rubano!?- 
-Certo che ne dici di cazzate, Nuovo! Cosa vuoi che gliene freghi agli altri dei nostri zaini? E poi...- sorrise sarcastica –Il mio di certo non osano prenderlo, il tuo non lo so e non è un problema che mi riguardi- gli voltò le spalle e si incamminò.
Sam rimase ancora un attimo piantonato lì, indeciso sul da farsi, infine lasciò anche lui le sue cose e seguì la ragazza.

Fuori il sole splendeva limpido, illuminando la strada con la sua luce abbacinante. Faceva abbastanza caldo, ma un venticello fresco rendeva il clima piacevole.
Kyda si stiracchiò, facendosi schioccare le giunture e commentò -Cavolo, oggi sarebbe la giornata perfetta per farsi due giri con lo skateboard-
Per Sam invece, quella sarebbe stata la giornata perfetta per fare il suo tour di perlustrazione  della città. Aveva iniziato a farlo da qualche giorno, ma tuttora non era riuscito a visitare Roxvuld completamente, in quanto era una città piuttosto grande. Era già passato più volte per il centro e per le vie principali, ma in quelle più secondarie e nei vicoletti, i suoi preferiti, non aveva ancora avuto modo di andarci. Di recente aveva poi scoperto un piccolo parco fuori mano, in cui non c’era praticamente mai nessuno. Era un posticino tranquillo, molto rilassante, e ci andava tutte le volte che aveva terminato i suoi giri. Alcune volte era capitato di farli in compagnia di Daniel, ma non aveva mai avuto modo di fargli vedere quel parco, poiché tutte le volte l’amico doveva andare via prima per qualche motivo che non aveva mai rivelato a Sam. Diceva sempre  di avere “degli impegni”.
Si riscosse da quei pensieri e si incamminò verso una via. In fondo ad essa, si trovava una cartolibreria, lì avrebbero comparato ciò che serviva e poi sarebbero potuti tornare al lavoro.
-Si  può sapere dove stai andando?- lo chiamò Kyda.
Lui si voltò e si rese conto che la ragazza era rimasta ferma al suo posto.
-Ma...non dobbiamo andare in cartoleria? Mi pare che ce ne sia una in fondo alla strada- replicò Sam, confuso.
-E tu vorresti andare in quella?- chiese Kyda,  con un tono tra il derisorio e lo scocciato.
-Io pensavo di sì, cos’ha che non va?- domandò Sam a sua volta, cauto.
Lei si passò una mano sul viso, seccata–Non lo sai che è la cartoleria più costosa di tutta Roxvuld?-
-Davvero!?- esclamò il ragazzo sorpreso.
-Proprio così- gli spiegò Kyda raggiungendolo –Quella è una cartoleria da ricconi...- fece una smorfia sprezzante.
-Ah, non lo sapevo, pensavo fosse una come tante...- mormorò Sam.
La ragazza scrollò le spalle –Tsk, per forza. Sei un Nuovo.  In ogni modo, io ne  ho presente una molto valida, economica, in più il titolare conosce me e la mia famiglia, per cui penso  che ci farà anche un po’ di sconto. Però è fuori mano-
-Non importa, per me va benissimo! In che zona è più o meno?- domandò Sam.
-In Corso  Green,  vicino a dove abito io- rispose Kyda.
Sam non aveva la più pallida idea di dove fosse quella Via, ma decise di seguire il consiglio della ragazza, sia perché lui non era ancora molto pratico, sia perché non gli sembrava il caso di contestare.
Così si incamminarono, con Kyda che faceva strada. Per la maggior parte del tragitto non comunicarono e il giovane approfittò di quell’arco di tempo per guardarsi un po’ attorno. Mentre procedevano, aveva notato che la fisionomia della città era cambiata, passando dalle tipiche villette caratteristiche alla parte in cui erano concentrati gli edifici e i palazzi. Non appena  si addentrarono in quella zona, Sam percepì subito qualcosa di diverso. Non vi era la solita atmosfera allegra e frizzante a cui era abituato lui, ma si avvertiva un’ aria triste, squallida. La strada era affollata di macchine e di motorini che strombazzavano; i palazzi, la cui facciata inferiore era ingrigita a causa dello smog, si affacciavano sulla strada. Si susseguivano poi i vari negozi e uffici.
L’unica cosa che dava un po’ di vitalità a quel luogo era il sole, che illuminava i palazzi con una luce limpida. Sam si chiese quanto dovesse essere cupa quella zona durante i mesi invernali o anche solo quando pioveva. 
Quella parte della città era molto periferica, infatti al giovane non era mai capitato di passarci, neanche per caso, ed egli  constatò in quel momento che tutto sommato  non si era perso niente.
Ad un certo punto, mentre camminavano, Kyda indicò un palazzo viola scuro, il quale si intravedeva appena, nascosto com’era dagli altri edifici.
-Lì è dove abito io- disse.
-Sì beh, è un bel palazzo!- considerò. Come gli fosse uscito un commento del genere non seppe spiegarselo neppure lui.
-Comunque, devi fare molta strada tutte le mattine prima di arrivare a scuola...- constatò subito dopo, cercando di cambiare discorso e di aggiustare un po’ il tiro.
-Abbastanza- rispose la giovane con noncuranza  -Ma con lo skateboard ci si mette molto meno, almeno quando fa bel tempo. Quando è brutto, me ne vango a piedi e allora devo alzarmi prima-
Ci fu un attimo di silenzio, poi Kyda disse, con uno strano tono –Tu invece abiti dove ci sono tutte le villette scommetto...-
-Sì...Perché?- chiese Sam.
Lei fece una smorfia  -No, niente- 
Il giovane non domandò altro, ma intuì il motivo per cui Kyda gli avesse chiesto una cosa del genere. Di sicuro si era fatta l’idea che lui fosse una specie di riccone, che viveva in una villa e che comprava in negozi costosi, ad esempio nelle cartolerie, quando nella realtà non era affatto così. Certo, risiedeva in una bella casa, ma ciò aveva comportato sacrifici a tutta la famiglia, specie a sua madre, anche se ella continuava a negarlo.
Quel breve dialogo morì lì, esattamente com’era nato.
Camminarono ancora per un po’ di metri, fino a quando i due ragazzi non si ritrovarono davanti ad un piccolo negozio, la cui insegna gigante color lavanda diceva “DA HUGH, CARTOLIBRERIA”
Kyda si affrettò ad entrare e non appena ella aprì la porta si udì un trillo, probabilmente provocato da un campanello legato alla porta.
Se avessero mai chiesto a Sam di descrivere in un solo vocabolo quel posto, la parola che avrebbe usato sarebbe stata “disordinato”, non c’era miglior modo per definirlo.
 Il negozio era piuttosto piccolo, tuttavia luminoso. Ai lati della porta e negli angoli vi erano ammassate pile di libri e grossi scaffali ne contenevano altri.  In mezzo a tutto quel caos si ergeva sulla destra il bancone e dietro a questo vi era un intero scomparto di articoli di cancelleria.
C’era un forte odore di chiuso e inoltre Sam notò che in alcuni punti si era ammassata della discreta polvere.
Kyda e il giovane si avvicinarono al bancone e dopo un po’ comparve dal retro un uomo. Poteva avere all’incirca sui sessant’anni, aveva i capelli corti e bianchi. I suoi occhi, vispi ma che nascondevano un velo di tristezza, erano color anice e sul naso portava un paio di occhialetti dalla montatura d’oro. 
Non appena vide la ragazza, le rivolse un sorriso gioioso, ed esclamò -Kyda! Che sorpresa, è da un po’ che non ti vedo nel mio negozio! Dimmi, come te la passi?-
-Come al solito, Hugh- rispose lei, abbozzando un lieve sorriso di circostanza –Come al solito-
-Capisco e invece tuo fratello Drew? L’ho visto appena passare davanti alla mia vetrina, ma anche con lui non ho più scambiato alcuna parola. Come sta? E la cara Ines?- proseguì l’altro, senza perdere il suo tono allegro.
-Drew si gode la sua vita di tredicenne, diciamo-
Hugh ridacchiò –Oh beh, mi sembra giusto!-
-E mia madre...- Kyda parve riflettere un attimo su qualcosa, poi rispose apatica -Sta bene-
Il negoziante la guardò per un attimo intensamente, poi i suoi occhi cambiarono obbiettivo e solo allora parve accorgersi della presenza di Sam, il quale era stato per tutto il tempo in silenzio ad assistere alla conversazione.
-Oh scusa ragazzo, mi ero completamente dimenticato di te!- esclamò - Dì un po’ Kyda, chi è il tuo amico?-
Sam dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere sarcasticamente. Essere definito un amico di quella ragazza era davvero dirla grossa.
-No è un mio amico- chiarì infatti lei -È solo un mio compagno di scuola, dobbiamo fare un progetto di arte insieme ed è proprio per questo che siamo venuti da te. Abbiamo bisogno di un cartoncino nero piuttosto grande e di una matita da disegno bianca, sai no, di quelle belle che hai tu-
Hugh passò un attimo lo sguardo da Kyda a Sam, pensieroso, poi annuì e sparì nel retro. Ritornò poco dopo, con in mano l’occorrente richiesto. Arrotolò il cartoncino, lo fissò con un elastico di gomma e lo infilò in un sacchetto color lavanda, assieme alla matita bianca.
-Quanto ti devo?- chiese la giovane, tirando già fuori le banconote dal borsellino.
-Niente, assolutamente niente!- sorrise Hugh.
Lei scosse la testa e fece scivolare i soldi lungo il bancone, ma lui glieli respinse indietro. Kyda sbuffò riprendendoli e l’uomo ridacchiò. Proprio in quel momento,  quest’ultimo vide l’orologio verde che la ragazza portava al polso. Le prese la mano fra le sue ruvide e callose e constatò -Accidenti,  questo sì che è un bell’orologio, uno dei migliori! È nuovo?-
Kyda indirizzò un’occhiatina a Sam, che fece una smorfia senza farsi notare, e rispose –Sì, è nuovo. Ti piace?-
Gli occhi di Hugh brillarono di interesse ed affermò –Molto, è davvero stupendo. E poi sai che sono un appassionato di orologi...- studiò ancora un attimo l’oggetto, poi esclamò –Ma hai la minima idea del suo valore!?-
-No, credevo che fosse uno come tanti...Perché vale qualcosa?- domandò Kyda inarcando un sopracciglio, incuriosita.  Anche Sam si fece estremamente attento, sentendosi alquanto irritato. Stavano comodamente valutando il suo orologio verde e questa cosa lo stava urtando molto.
-Non so se lo rivendi quanto tu ne possa ricavare, ma sappi che è di una marca famosissima, la migliore nel suo campo! È di alta qualità, tienitelo stretto perché se ne vedono pochi in giro! Te l’hanno regalato?-
La ragazza fece appena un sorrisetto –Mh, sì, diciamo che è un regalo...-
Sam tremò di rancore.
-Allora chiunque te lo abbia regalato deve aver speso un capitale! Costa tantissimo- concluse Hugh, lasciando andare la mano di Kyda, la quale lanciò un’ulteriore occhiatina tagliente Sam,  bofonchiando  -Mpf, costosissimo eh?-
Lui non commentò nulla.
Infine, i due ragazzi fecero per uscire dal negozio, ma Hugh richiamò ancora un attimo Kyda.
-Ascoltami, io, ecco...Voglio dire, con domani sono passati due anni e...- sussurrò con voce flebile, mentre la sua espressione si faceva grave.
-Sì, lo so. Ho capito quello che intendi dire, ti ringrazio- lo interruppe giovane, gelida. Dopodiché uscì velocemente, come se l’aria che c’era dentro si fosse fatta improvvisamente soffocante. Sam la seguì, ma non si azzardò a farle alcun tipo di domanda.

Quando ritornarono in biblioteca (gli zaini erano ancora al loro posto) i due ragazzi avevano ancora quaranta minuti di tempo per incominciare a fare qualcosa, o meglio, Sam aveva del tempo per incominciare. Infatti Kyda sosteneva che lei avesse già fatto la sua parte, scegliendo assieme a lui il tema, la tecnica e avendo comprato i materiali. In più, aveva aggiunto che il ragazzo se la cavava molto meglio a disegnare rispetto a lei.
Ed ora erano lì al tavolo, con Sam che disegnava, infastidito non poco per l’atteggiamento della giovane, e con la suddetta giovane che se ne stava seduta a smanettare con il cellulare.
Sam non sapeva spiegarsi il perché fosse così irritato dal comportamento di Kyda, in fondo doveva aspettarselo considerato che persona era, ma la verità stava nel fatto che si era un po’ illuso vedendo quell’insperato coinvolgimento che la ragazza aveva avuto fino a poco prima. Ma adesso sembrava sparito e Kyda non faceva altro che tenere lo sguardo fisso sul cellulare, esattamente come Amber.
Il ragazzo stava giusto disegnando la persona alla finestra  pensando a tutto ciò, quand’ecco che udì la voce della giovane.
-Secondo me dovresti fargli una gamba ciondolante...-
Sam alzò lo sguardo su Kyda, che per un attimo aveva posato il telefono sul tavolo.
-In che senso?- domandò.
-Nel senso che non dovresti farlo con tutte e due le gambe rannicchiate, ma una lasciargliela ciondolare, da più l’idea che sia perso nei suoi pensieri, disinteressato a quello che gli sta succedendo intorno...Ti faccio vedere- prese la propria sedia e la andò a posizionare di fianco a Sam, dopodiché si sedette e prese la matita bianca.
-Ecco, così- disse, quando ebbe finito.
Sam, nel vedere il risultato, rimase molto stupito. Kyda aveva realizzato la gamba della persona perfettamente, quasi meglio di lui, e in più l’osservazione che aveva fatto era di una sottigliezza disarmante.
Annuì, approvando l’idea di Kyda e riprese a disegnare, ma ora con meno spensieratezza e molta meno tranquillità, in quanto la ragazza non accennava a tornare seduta dov’era prima, ma era rimasta lì di fianco a lui, ad osservarlo mentre disegnava. Sam detestava quando qualcuno lo guardava disegnare, ma per quella volta dovette fare un’eccezione e dimenticarsi della presenza di Kyda.
Per il resto del tempo, la giovane rimase lì, a smanettare con il cellulare e talvolta ad abbozzare qualcosa nel cartellone. Fino a quando ad un certo punto disse –Manca un quarto alle sette. Devo andare- prese in spalla lo zaino e si alzò.
-D’accordo. Ci...ci vediamo domani quindi?- chiese Sam, interrompendo il suo lavoro.
-No, non posso, ho un impegno- ribatté lei dura –Ci vediamo dopodomani-
-Dopodomani però non posso io!- esclamò il ragazzo, con un sorriso sospetto.
Kyda lo guardò obliquo, in quanto non poteva sapere che Sam quel giorno si sarebbe incontrato con suo padre, dopo tantissimo tempo, per andare a vedere una partita di Basket fuori città.  Il giovane non stava più nella pelle dall’emozione  ed era da giorni che faceva il conto alla rovescia sul calendario. Ora  finalmente la tanto ambita data si stava avvicinando.
-Allora questo è un problema perché il giorno ancora dopo dobbiamo consegnare ‘sto cavolo di cartellone-
-Se vuoi...Lo posso finire io. Dopotutto non mi manca poi molto e domani ho tutto il tempo di finirlo- si offrì Sam. Tra l’altro, il lavoro l’aveva fatto praticamente tutto lui, quindi tanto valeva completare l’opera.
-Ah beh, perfetto- Kyda prese la matita bianca e sull’angolo destro in basso del cartellone fece una piccola firma –Poi falla anche tu- concluse e si allontanò, come al solito senza salutare.
Sam emise un sospiro di sollievo e fece per chinare il capo di nuovo sul cartellone, ma la voce della ragazza lo richiamò.
-Comunque Nuovo, una cosa te la concedo- disse lei, mentre gli dava le spalle, con una mano sulla maniglia della porta -Per il disegno, hai del talento. Su questo non c’è dubbio- ed uscì senza aspettare risposta.
Sam rimase a guardare la porta ormai chiusa, stupefatto, e, suo malgrado, un lieve sorriso apparve sul suo volto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8° ***


-Quindi mi stai dicendo che Kyda e il vecchietto contrattavano comodamente il tuo orologio verde? Davanti ai tuoi occhi? Ma qui abbiamo proprio toccato il fondo!- Daniel scoppiò in un’allegra e pura risata. Se ne stava appollaiato su una finestra del corridoio, incurante del fatto che questa fosse spalancata.
-Non ho detto che stavano “contrattando”, stavano valutando quanto poteva essere il suo prezzo- borbottò Sam, incrociando le braccia.
-Ma la cosa ti ha dato fastidio ugualmente, mi pare!- gli face notare il biondo, tra una risata e l’altra.
-“Contrattare” e “valutare” sono due cose differenti. Comunque sì, questa storia mi ha innervosito molto perché...Ma la vuoi smettere di ridere?- lo rimbrottò il giovane, essendosi accorto che il compagno di banco non faceva altro che sghignazzare.
-Scusami, non lo faccio apposta. Solo che quando succedono queste cose allucinanti non posso farne a meno- si giustificò Daniel, cercando di placare l’attacco di ridarella, poi aggiunse, ora ritornato più serio –In ogni modo, mi dispiace. Non è una bella situazione quella in cui ti trovi, non poteva capitarti compagno peggiore-
L’altro scosse la testa –No, sarebbe stato peggio finire con Travis, senza dubbio.  Se fossi stato sorteggiato con lui, adesso non sarei qui a raccontarti delle mie spedizioni in cartolibrerie dimenticate dal resto del mondo, ma a farti la descrizione dettagliata della potenza dei suoi  pugni -
Daniel prese un sorso dal suo Estathe al limone e rispose -Non posso darti torto, ma ammetterai che avere a che fare con quella ragazza non è un passeggiata. È pur sempre un membro dei Dark, tra l’altro quella che ti ha fatto la prima angheria in assoluto, ovvero rovesciarti della china addosso-
-Sì, mi ricordo bene. Erano i miei pantaloni preferiti quelli e li ho dovuti buttare- sospirò Sam -Ma come ti ho già detto la cosa che mi da più fastidio è vederle addosso il mio orologio- 
-Ti capisco, mi hai detto che è molto importante per te. Certo che Kyda è proprio senza cuore- constatò Daniel, scendendo dal davanzale con un balzo. Sam ne fu sollevato, in quanto temeva che l’amico potesse precipitare dalla finestra da un momento all’altro visto che non era stato fermo un secondo.
-Può darsi, ma forse non è del tutto vero...- disse, più a se stesso che al compagno.
Il biondo inarcò un sopracciglio, guardandolo senza capire, e costrinse il ragazzo a spiegarsi meglio.
-Probabilmente è una considerazione affrettata, ma mi è parso di scorgere dell’umanità in lei...- gli chiarì Sam.
-Addirittura?- esclamò Daniel sorpreso -Perché che cosa è successo?-
Il giovane gli raccontò brevemente il resto del pomeriggio precedente, soffermandosi in modo particolare sull’ultima frase che gli aveva rivolto lei prima di andarsene.
-Questo sì che ha dell’incredibile!- affermò Daniel a narrazione conclusa, particolarmente colpito –Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere da Kyda-
-Infatti pure io sono rimasto un po’ perplesso, ad ogni modo ciò non toglie che sia una ragazza gelida e apatica. E in generale, oltre questo caso, quando parla lo fa solo per spruzzare veleno- mormorò Sam.
Daniel gli diede una pacca sulla spalla, comprensivo.
-Coraggio, passerà in fretta. Quando questo progetto sarà finito, le starai il più alla larga possibile-
-Infatti è ciò che voglio fare. Anche se prima della fine un pestaggio non me lo toglie nessuno! Di sicuro prima o poi i Dark al completo mi attenderanno da qualche parte per darmi il ben servito. E useranno Kyda per arrivare ancora più facilmente a me- sbuffò il giovane, sconfortato.
-Dai, ora non pensarci! E se capiterà, avrai anche tu la tua personale cicatrice!- Daniel rise di nuovo, passandosi una mano sul segno che aveva in fronte.
Sam osservò per un attimo l’amico, che continuava a sorridere raggiante. Incredibile, non esisteva niente che potesse buttarlo giù, era sempre allegro e solare in qualsiasi circostanza e non perdeva mai il sorriso. Inoltre era un ineguagliabile ottimista, era sempre disposto ad ascoltare i suoi problemi  e trovava sempre le parole giuste per risollevargli il morale. Era davvero un tipo eccezionale.
E così finì anche lui a ridere, contagiato dalla spensieratezza del ragazzo, poi gli chiese –E tu invece? Come ti trovi con Robert?-
-Oh benissimo, direi! È davvero molto simpatico, oltre che intelligente ed ottimo disegnatore - gli rispose ammiccando –Perciò sono a posto, io devo solo colorare, al resto pensa tutto lui!-
In quel momento la campanella suonò la fine dell’intervallo e i due ragazzi ritornarono in classe, continuando a chiacchierare del progetto e facendo considerazioni sui rispettivi compagni di lavoro.
Poterono a parlare a lungo, poiché la Ellist quel giorno era particolarmente in ritardo.
-Comunque...- se ne uscì Daniel dopo un po’, mentre giocherellava con un evidenziatore verde –Sono arrivato a delle conclusioni, dopo vari ragionamenti e studi approfonditi- assunse un’espressione da letterato.
-Riguardanti...?- chiese Sam, incuriosito.
-Hetty- rispose il biondo semplicemente.
Il giovane si fece assai attento. Era davvero impaziente di sapere che cosa avesse macchinato la mente folle di Daniel. In più, era rimasto particolarmente stupito, per una volta, di non avergli sentito pronunciare il nome di Chanel, ma quello di Hetty. Che l’amico non provasse qualche interesse per quella misteriosa ragazza? Lui e il biondo non avevano mai parlato seriamente di quell’argomento, considerato che l’amico non faceva che elogiare ogni singola cosa riguardante Chanel, mentre lui non era interessato a nessuna ragazza. Semplicemente, non ci pensava.
-E cioè!?- lo incitò a continuare, impaziente.
Daniel sorrise entusiasta –E cioè, sono convinto che Hetty abbia un debole per te!-
Nel sentire tutto ciò, Sam spalancò la bocca fino a terra.
-EEEH!?- esclamò strabuzzando gli occhi –Ma che vai vaneggiando, Lipton??-
-Non sto affatto vaneggiando, Wild! Ti sto solo dicendo le cose più ovvie di questo mondo- rispose l’amico annuendo -Fidati, io me ne intendo di queste cose. È da un po’ che me ne sono accorto e non puoi che darmi ragione: ogni volta che passiamo c’è Hetty nei paraggi, poi ho notato che guarda sempre verso di noi...Sono segnali elementari, mio caro Watson. Solo che tu non sei riuscito a coglierli, ma non devi preoccuparti,  per tua fortuna c’è Daniel qui ad aprirti gli occhi!-
Durante tutto quel discorso privo di senso, Sam non aveva fatto altro che guardarlo esterrefatto.  Quello stava delirando, senza dubbio.
-E ti sembrano segnali rilevanti questi? E poi scusa, se le tue impressioni sui comportamenti di Hetty sono vere, non potrebbe essere interessata a te invece che a me?- gli fece notare.
Daniel aggrottò la fronte –Ma lei non mi sopporta, te l’ho detto, e hai visto anche tu il modo in cui si comporta con me...-
-Magari si approccia così con tutti perché è timida, non ci hai pensato? Perciò risulta scortese, perché è impacciata- proseguì Sam.
La conversazione fu interrotta non appena entrò la Ellist tutta trafelata, carica di libri e di cartelline, mentre continuava a scusarsi del ritardo, ma intanto nessuno la considerava, anzi, molti non si erano nemmeno accorti della sua presenza.
Dopo un po’ di tempo, la professoressa riuscì a riportare, con molta fatica, l’ordine in classe e la lezione poté finalmente incominciare.
-Comunque...- sussurrò Daniel –Il discorso non finisce qui!-
Sam lo ignorò e  si mise a copiare la lavagna in tutta tranquillità.

Le rimanenti due ore passarono più rapidamente del solito e in breve Sam e Daniel furono già fuori da scuola. Per la gioia di entrambi anche quella era una bellissima giornata, addirittura più soleggiata della precedente.
-Ti andrebbe di fare un giro oggi pomeriggio?- domandò Sam con un sorriso -Non ce la faccio a stare tutto il giorno in casa, il cartellone credo che lo finirò stasera...-
-Certo che mi va! No aspetta, che giorno è oggi?- si affrettò a chiedere il biondo, pensieroso.
Sam ci ragionò un attimo su, poi rispose che era il 22 di Marzo.
-Mi correggo, non posso, mi sono ricordato che devo fare una cosa- farfugliò l’amico avuta l’informazione, improvvisamente irrequieto.
L’altro gli lanciò un’occhiata interrogativa e bofonchiò, fingendosi disinteressato –Ah, capisco. Ma se posso chiedere...Che devi fare?-
-Che devo fare? Beh, devo fare... devo fare i compiti!- esclamò Daniel con un sorriso tirato, evidentemente colto alla sprovvista.
-I compiti?-  il giovane inarcò un sopracciglio.
-Qualche problema in proposito?- domandò il compagno di banco, divertito, ma allo stesso tempo lievemente scocciato.
-No affatto- rispose Sam perplesso –Ma tu non li fai mai i compiti, tu li copi da me di solito. Come mai questo improvvisa voglia di studio?-
Daniel non rispose subito e iniziò a guardarsi nervosamente attorno, messo alle strette. Infine, intortò Sam con un fiume di parole e spiegazioni prive di senso, talvolta interrompendosi e cambiando all’improvviso discorso.
-Va bene, ho capito!- esclamò ad un certo punto l’altro, esasperato –Vuol dire che usciremo la prossima volta-
I due ragazzi fecero un pezzo di strada insieme continuando a chiacchierare, finché non si separarono per andare in due direzioni opposte.
Mentre era impegnato armeggiare con le chiavi di casa, Sam sospirò. L’idea di starsene tutto il pomeriggio in casa con la bella giornata che c’era non lo allietava molto, magari sarebbe uscito da solo, come solente accadeva. Ma ciò che più occupava i suoi pensieri era lo strano quanto sospetto comportamento di Daniel. Non era per niente convinto che l’amico non potesse uscire per via dei compiti, cosa c’entrava allora che fosse o meno il 22 Marzo? Che il ragazzo fosse solito a fare una full immersion di compiti ogni 22 del mese gli sembrava piuttosto improbabile. Nascondeva qualcosa senza dubbio, ma dopotutto quelli erano affari di Daniel e non dovevano interessarlo.
Finalmente le chiavi si decisero a collaborare e il giovane poté entrare in casa. A differenza degli altri giorni, non la trovò vuota, ma con tutti i componenti della sua famiglia. Amber se ne stava stravaccata sul divano con aria svogliata, con  ancora addosso i vestiti di quella mattina. Probabilmente anche lei era appena tornata da scuola.
Holly giocava nel pavimento del corridoio con le bambole, mentre sua madre era in bagno, la quale uscì poco dopo.
-Ciao Sam! Allora come è andata oggi a scuola?- chiese sorridendo dolcemente.
-SAM!- urlò Holly in quel preciso istante, accortasi solo allora del rientro a casa del fratello. Mollò le bambole per terra e corse ad abbracciarlo.
-Come al solito, mamma- rispose lui, mentre scompigliava i capelli della sorellina -Voi invece?-
-Oggi ci hanno consegnato le verifiche di inglese e io ho preso il voto più alto di tutta la classe- raccontò Holly tutta soddisfatta.
-Bravissima! Ma ormai non mi stupisco nemmeno più, so che sei un piccolo genietto in quella  materia- ammiccò il ragazzo.
La sorella gongolò compiaciuta.
-Infatti più tardi le comprerò un piccolo regalino per ricompensarla, se lo è meritato. Tra poco devo ritornare a scuola- disse la madre, infilandosi un maglione di cotone viola appeso all’attaccapanni del corridoio.
-Ad ogni modo, successo qualcosa di nuovo mentre non c’ero?- chiese Sam, con ancora in braccio Holly.
-Prima ha chiamato quella puttana di Consuel- gli rispose Amber dal salotto.
-Amber!- esclamò scandalizzata la mamma.
-Beh, che ho detto?-
-Lo sai che non voglio che usiate quelle parole. Sono volgari- la riprese la donna.
-Cos’è una puttana?- domandò Holly innocentemente.
-Niente, tesoro- si affrettò la madre, riprendendo la figlia dalle braccia di Sam.
-Io dico quello che voglio quando voglio- ribatté acida la sorella maggiore –E poi quella è l’unica parola che doni vicino a una persona come lei-
-Che cosa voleva?- domandò Sam, freddo.
Amber scese dal divano e raggiunse la famiglia nel corridoio.
-Nulla di importante, solo informarci del fatto che ci siamo dimenticati delle cose nella casa- rispose appoggiandosi allo stipite della porta -Poteva anche chiamarci papà e non quella tro...-
-Avranno avuto i loro motivi- la interruppe la madre, prima che la figlia dicesse altro.
Sam scrollò le spalle infastidito e senza dire una parola tornò in camera, lasciando le altre due a discutere. Sapeva che Amber era quella che aveva preso peggio il tradimento e non sopportava quando la madre tentava di giustificare il marito e la segretaria, o quando cercava di mostrarsi indifferente. Neppure lui lo tollerava, ma preferiva non fare alcun tipo di considerazione e parlarne il meno possibile, per evitare inutile sofferenze alla mamma. Ma Amber era stupida e a queste cose non pensava.
Si barricò in camera e si mise a fare un po’ di compiti. Successivamente scese solo per pranzare, poi tornò di nuovo alla scrivania, dedicandosi al cartellone. Rimase concentrato sul proprio lavoro per un’ora e mezza, poi decise di andarsi a prendere un succo in cucina.
Amber si stava facendo una doccia, mentre Holly era da qualche parte per la casa.
Il giovane scese pigramente le scale e fece per raggiungere la stanza, quando rimase paralizzato sulla porta, alla vista di quello che stava accadendo: Holly era in piedi su una sedia e cercava di prendere qualcosa dalla dispensa. Un piede era appoggiato sul piano cucina, mentre l’altro era sulla seggiola. La bambina si sporse ancora di più, non riuscendo a raggiungere il suo obbiettivo e fu allora che perse l’equilibrio. Sarebbe rovinata a terra, se Sam non avesse avuto i riflessi pronti da afferrarla prima che precipitasse. Caddero tutti e due per terra, con Holly sopra al fratello, stretta forte fra le sue braccia.
In poco tempo furono di nuovo in piedi, poiché Sam l’aveva tirata su per le spalle con rabbia.
-Oh grazie Sam, volevo prendere i biscotti, solo...solo che ho perso l’equilibrio e...- Holly non ebbe neppure il tempo di terminare la frase in quanto uno schiaffo le colpì il viso. La bambina si portò una mano alla guancia colpita, tramante, e levò lo sguardo sul fratello. Gli occhi del ragazzo erano fiammeggianti di collera e sentiva il proprio cuore battere all’impazzata a causa dello spavento.
-TU! Sei una stupida!- tuonò.
Holly lo fissò terrorizzata, sgranando gli occhi che già stavano diventando lucidi, e provò a balbettare qualcosa.
Sam l’afferrò di nuovo per le spalle.
-Stai zitta! Non fare mai più una cosa del genere, cazzo! Credevo che avessi imparato la lezione, potevi spaccarti la testa, per la miseria!- continuò a sbraitare. Non si era mai sentito così, si rendeva conto che stava perdendo completamente il controllo, ma era troppo arrabbiato. E troppo spaventato.
Le labbra di Holly iniziarono a tremare, mentre delle stille salate iniziavano a rigarle il volto.
-Io...io...-  singhiozzò.
Sam la lasciò andare e si passò una mano sul viso, cercando di ritrovare qualcosa che assomigliasse alla calma.
-Sparisci dalla mia vista- riuscì a formulare.
Holly non lo ascoltò e provò ad avvicinarsi, ma lui la respinse malamente.
-Vattene in camera!-  urlò allora.
A quel punto la sorellina scoppiò in lacrime e scappò via. Poco dopo si udì il rumore di una porta che sbatte.
Sam respirò profondamente e si appoggiò al fornello, prendendosi la testa fra le mani. Tirò un pugno contrò uno sportello e uscì dalla cucina. Aveva assolutamente bisogno di andarsi a fare un giro per sbollire la rabbia. In quel momento si imbatté in Amber, ancora con i capelli gocciolanti.
-Cosa è successo!? Cos’erano tutte quelle urla?- esclamò, agitata.
Sam la ignorò e la superò dandole una spallata.
-Io esco- disse solo.
-Ma dove vai!? Sam!- lo chiamò la sorella, ma lui si chiuse la porta di casa alle spalle.
Non appena fu fuori si sentì immediatamente meglio. Il sole illuminava tutto con dei raggi sottili, il cielo era di un azzurro limpido e un piacevole venticello soffiava. Il ragazzo si incamminò verso una direzione a caso, cercando in ogni modo di rilassarsi. Aveva ancora impressa nella mente l’immagine di Holly in piedi su quella maledetta sedia. Perché non aveva chiesto a lui di prenderle ciò di cui aveva bisogno? Glielo avevano ripetuto cento, no, mille volte di non arrampicarsi da sola e lei non aveva capito nulla. A quanto pareva era recidiva, ciò che era successo in passato non le era bastato.
Il giovane continuò a camminare e dopo un po’ riuscì a lasciare andare i pensieri. Uscire era sempre stata la sua tecnica per tranquillizzarsi e anche in quel caso aveva funzionato a meraviglia.
Girò in lungo in largo per un’ora intera, finché, quando sentì di essersi calmato del tutto, decise di rientrare a casa. Di sicuro Holly adesso lo aveva preso in odio, ma avrebbe rimediato il giorno successivo, facendosi perdonare in qualche modo. Non era ancora predisposto a farlo quella sera stessa.
Fece per riprendere la direzione di casa, ma si rese conto che i suoi piedi lo avevano portato in zona a lui del tutto sconosciuta. Si chiese come avrebbe fatto a ritrovare la strada. La via era piena di gente per cui avrebbe potuto chiedere indicazioni, ma non ne era molto disposto.
Si maledì per il suo essere ancora così inesperto di quella città, neanche fosse arrivato da un giorno.
Iniziò  guardarsi intorno, cercando di recuperare l’orientamento, e il suo sguardo venne attirato da qualcosa o meglio, da qualcuno. Dall’altro lato della strada, sotto un portico, camminava con passo spedito Daniel. Indossava una bella giacca blu, un paio di jeans ed una sciarpa azzurra. A tracolla portava un grosso borsone verde scuro.
Sam non credette ai propri occhi. Ma il suo amico non doveva starsene a casa a fare dei presunti compiti? E cosa più importante dove stava andando abbigliato in quel modo? Non lo aveva mai visto vestito così.
Un pensiero improvviso attraversò la mente di Sam senza che lui potesse farci nulla, ovvero seguire Daniel. Cercò di cacciare via quella stupida idea scrollando la testa. Non era mica una spia, lui, e non era morale mettersi a pedinare una persona, anche se la curiosità era davvero molta.
Frattanto, il biondo aveva quasi finito di attraversare il portico.
Sam continuò a pensare, mentre il desiderio di sapere si faceva incalzante. Dopotutto, era un suo diritto venire a conoscenza del motivo per cui Daniel gli aveva dato buca, giusto? Sbagliato. E questo lo sapeva pure lui, ma alla fine agì senza soffermarsi a ragionare ancora a lungo. Attraversò la strada e si mise ad inseguire Daniel. Per raggiungere l’amico fu costretto a camminare speditamente, poi, una volta più vicino, poté rallentare.
Il biondo camminava allegro, anche se di tanto in tanto si voltava indietro come per accertarsi di qualcosa e allora Sam era costretto a nascondersi o a confondersi tra la folla. Si sentiva ridicolo e anche un po’ meschino, ma la curiosità era diventata troppa. Forse se non avesse visto Daniel vestito in quel modo non si sarebbe messo ad inseguirlo, si sarebbe sentito solo molto infastidito per la bugia che gli era stata detta, nient’altro. Ma gli indizi dicevano che ciò che l’amico stava facendo non era un semplice giro, ma che stava andando in un qualche posto ben preciso.
Ad un certo punto, il compagno di banco entrò in un negozio. Questi vendeva penne particolarmente pregiate, oltre a quaderni fatti con carta speciale e altri articoli del genere. Sam vide l’amico parlare con il negoziante e comprare qualcosa, ma non riuscì vedere bene cosa. Dopodiché Daniel uscì e l’inseguimento riprese. Cammiarono a lungo e man mano il biondo si faceva più irrequieto. Sam rischiò di essere scoperto ben due volte. Il ragazzo stava quasi per rinunciare, quando Daniel svoltò l’angolo e per seguirlo si ritrovò davanti a un piccolo edificio bianco. Per arrivare al portone vi era una scala in cemento e ai lati si trovavano due vasi di gigli. Daniel si guardò ancora un attimo intorno circospetto e infine entrò.
Sam rimase per qualche istante fuori, non sapendo bene se entrare o meno. Ormai era arrivato fin lì, tanto valeva completare l’opera. E così entrò anche lui.
Dentro era molto grande e un lungo corridoio di marmo si estendeva, fino a svoltare un angolo. Lungo le pareti, numerosi porte si susseguivano. Di tanto in tanto sorgeva qualche tavolino bianco con sopra vasetti di fiori dai vari colori. Un silenzio pacato riempiva l’aria.
“Ma dove sono finito?” si chiese, ammirando il tutto, catturato.
All’improvviso qualcuno dietro di lui si schiarì la voce. Si trattava di un ragazzo poco più grande di lui. Era molto alto e distinto, aveva i capelli neri corvini perfettamente pettinati e gli occhi verde bottiglia. Indossava un maglioncino color carta zucchero e un paio di pantaloni blu. In mano teneva una lista e una biro.
-Ti sei perso?- domandò, con l’aria da superiore.
-Ecco, diciamo di sì. Potrei sapere dove mi trovo?- chiese a sua volta il giovane.
Il damerino sospirò, come se davanti a lui ci fosse stato un perfetto idiota, e rispose stizzito –Dove si trova chiede lui...Questo è il colmo. Mio caro, questa è la più famosa e professionale scuola per poeti emergenti di tutta Roxvuld! Ecco, dove ti trovi-
Sam sgranò gli occhi –Scuola per poeti emergenti!?- esclamò.
-Sì, scuola per poeti emergenti. La cosa ti sconvolge?- il tipo lo squadrò dall’alto in basso.
Ecco allora cosa era andato a fare Daniel. Frequentava un corso di poesia! Aveva sempre notato in lui un evidente talento e passione per la scrittura. Una volta gli aveva pure consigliato di adoperarsi per intraprendere la carriera di poeta, e dire che Daniel gli era pure scoppiato a ridere in faccia. Sam fece un sorriso ironico. Lo aveva smascherato alla fine e con lui smascherati i suoi misteriosi impegni. Certo che dal tipo folle che era il compagno di banco non se lo sarebbe mai aspettato. Un corso di poesia!
-Ehm, sono ancora qui- canzonò l’altro, richiamando su di se l’attenzione di Sam.
-Oh sì scusa. Comunque più che sconvolto sono sorpreso. Sai, non è da molto che sono in questa città e...-
-I dettagli sulla tua vita privata non mi destano interesse, se vuoi saperlo. Piuttosto, ti vuoi iscrivere?- domandò il tipo togliendo il tappo alla penna con i denti.
-Iscrivere?- ripeté Sam.
-Ma frequenti corsi per pappagalli, tu?- borbottò quello seccato -Sì, iscrivere! Vuoi che segni il tuo nome sulla lista? E per favore non ripetere “lista”-
-Molto divertente. No grazie, non voglio iscrivermi- bofonchiò Sam. Quel tizio stava cominciando a dargli sui nervi.
L’altro fece una smorfia -Mh, lo sospettavo. Ma in ogni caso non avresti avuto possibilità di andare avanti. Hai l’aria da dilettante-
-Dilettante!? No aspetta un momento...-
-Non serve che ti giustifichi, non tutti hanno del talento. Perciò, visto che tu ne sei privo, il rinunciare ad  iscriverti denota in te una discreta intelligenza-
-Perciò ha il diritto di iscriversi solo chi ha del talento? E quelli a cui piace scrivere, ma non sono portati non possono?-continuò piccato Sam. Non sapeva nemmeno lui del perché stesse dando dello spago a quella sottospecie di pinguino. Ma quelli erano argomenti che da sempre lo toccavano e inoltre quel giorno era abbastanza in vena di discutere.
-No, uno può benissimo iscriversi. Ma non avrebbe speranze di farcela. Io penso che una persona debba provare a fare una cosa solo se sa già di essere portato- espose il tipo, altezzoso.
-Beh, c’è chi non la pensa in questo modo!- si infervorò Sam.
-I dilettanti- intonò il damerino con un sorrisetto irritante.
-E beh? Uno non può iscriversi anche solo per divertirsi e fare qualcosa che gli piace?-
L’altro gli lanciò un’occhiata sprezzante –Non in questa corso...-
La discussione venne interrotta da una terza voce, molto bassa e profonda -Allora Eustache, che sta succedendo qui?-
A parlare era stato un uomo alto e da una pancia enorme. Il panciotto che indossava era tirato al limite e i bottoni minacciavano di saltare via da un momento all’altro. Dava l’impressione di essere una persona molto allegra, ma i suoi occhi in quel momento esprimevano durezza, ma allo stesso tempo saggezza. Da dietro di lui fecero capolino le teste di vari studenti, tra cui quella di Daniel il quale, alla vista di Sam, si paralizzò sul posto.
-Abbiamo un piantagrane, ecco che succede- rispose Eustache.
-Piantagrane!?- esclamò Sam –Non è affatto ve...- si interruppe subito, notando che tutti gli sguardi erano puntati su di lui, compreso quello esterrefatto di Daniel. Sam tacque e si fece piccolo piccolo, terribilmente imbarazzato.
Infine, l’uomo riportò l’ordine e Sam venne esortato ad andarsene. Prima di uscire, vide Daniel fargli un segno, che stava a dire di aspettarlo fuori.

-In conclusione, ti chiedo scusa Daniel. Non avrei dovuto impicciarmi-
Il compagno di banco e Sam stavano camminando per il centro e il ragazzo aveva appena finito di raccontare tutto per filo e per segno all’amico.
Quest’ultimo lo osservò con serietà, prima di scoppiare in una delle sue solite risate, che immancabilmente finivano per stupire l’altro.
-Accidenti, avrei voluto vederti in versione agente della C.I.A! In effetti mentre camminavo mi è parso più volte di essere osservato, ma non mi sarei mai aspettato che fossi tu! Ho scoperto un tuo lato nascosto, quello di pedinatore!- esclamò continuando a ridere.
Sam si sentì più sollevato e rispose, sorridendo –Dai, non sono un pedinatore. Però ciò non toglie che mi debba scusare, non avrei dovuto seguirti-
Il biondo scosse la testa –No, sono io che mi devo scusare con te. Non dovevo mentirti, ma dirti la verità. Solo che...mi vergognavo un po’...-
Sam lo guardò senza capire.
-Insomma, mi conosci. Sai che tipo sono. E temevo che mi avresti preso in giro nello scoprire che mi piace la poesia e che vado a fare dei corsi...- mormorò Daniel.
-Perché mai avrei dovuto, scusa? È una cosa bellissima quella che stai facendo, te lo assicuro! Da quanto frequenti quel corso e come funziona?-
-Ormai è da tre mesi che ci vado ed è organizzato così: lì ti insegnano le tecniche poetiche e ti fanno comporre, oltre che analizzare testi famosi. Poi, tra un po’ di tempo ci sarà un concorso in cui si deve scrivere una poesia di proprio pugno. Il vincitore dovrà partecipare poi ad un altro concorso molto più impegnativo e se vincerà anche quello, insomma, verrà notato e messo nel giro- spiegò Daniel.
Sam sorrise raggiante –Troppo forte! Io tifo per te! Sono sicuro che scriverai una bellissima poesia!-
Daniel sorrise a sua volta -Grazie, amico. A parte la mia famiglia, nessuno sa di questa cosa. Tu sei il primo. Se i nostri compagni di classe lo venissero a sapere sarei preso in giro fino alla morte-
Sam gli assicurò che avrebbe mantenuto il silenzio, poi gli chiese che cosa avesse comprato in quel negozio.
-Ma sei proprio un pedinatore provetto tu!- scherzò –Comunque ho preso i miei regali di compleanno: una penna come si deve e un quaderno professionale in cui raccogliere ciò che scrivo-
-Oggi è il tuo compleanno!?- esclamò Sam sgranando gli occhi.
-In realtà no, è fra qualche giorno. I regali sono in anticipo, non sapevo resistere- Daniel si grattò la nuca, imbarazzato.
I due ragazzi fecero ancora un breve giro, poi Sam si rese conto che era venuto davvero molto tardi. Salutò Daniel e volò di corsa a casa. Tutto quello che era successo gli aveva fatto scordare che doveva ancora finire il cartellone. Quel pensiero gli fece venire per un momento in mente Kyda: chissà per quale motivo quel giorno non avevano potuto vedersi. Sam scosse la testa. Per quel giorno si era fatto fin troppo gli affari altrui.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9° ***


goglia


Da settimane ormai aspettava quel giorno ed ora era finalmente arrivato. Tra meno di quaranta minuti suo padre lo sarebbe passato a prendere e insieme sarebbero andati a vedere una partita di basket fuori città. Sam non riusciva a stare fermo da quanto era impaziente, nemmeno fosse stato un bambino in attesa di essere portato al parco giochi. Dopotutto, era quasi più di un mese che non vedeva suo padre e quella era l’occasione per trascorrere una giornata in sua compagnia dopo tanto tempo.
Era tutto a posto, aveva appena finito i compiti per il giorno successivo e aveva terminato il cartellone, perciò poteva permettersi di assentarsi un pomeriggio intero fino a sera. Il disegno era venuto davvero bene, Sam ne era assai orgoglioso. Non sapeva se fosse o no un lavoro da molti punti, tuttavia si sentiva soddisfatto. Chissà cosa ne avrebbe pensato Kyda, lo avrebbe saputo solo l’indomani.
In conclusione, era tutto perfetto, tranne una cosa. Dal giorno precedente, Holly non gli aveva più rivolto la parola. Quando era rientrato a casa, lei, invece di corrergli incontro come faceva al solito, gli era passata davanti e lo aveva osservato con occhi pieni di rancore. Anche a cena non lo aveva per nulla considerato, aveva addirittura chiesto alla madre di cambiarle di posto, pur di stare lontana da lui. Sam sapeva tutto sommato di aver agito bene e anche sua madre gliene aveva dato conferma (era venuta a sapere tutto tramite Amber), ma nonostante questo non poteva fare a meno di sentirsi in colpa e di provare una fastidiosissima fitta allo stomaco ogni volta che Holly gli lanciava quelle occhiate risentite.
Il giovane spense annoiato il televisore, che blaterava senza sosta da quasi due ore. Aveva preso una decisione: prima di uscire si sarebbe riappacificato con la sorellina.
Salì svogliatamente le scale e si fermò proprio davanti alla porta di Holly. Indugiò pochi attimi, poi bussò lievemente alla porta.
-Chi è?- chiese Holly da dentro la cameretta, con la sua voce limpida e squillante.
-Sono Sam...- rispose il fratello, pacato.
Ci fu un attimo di silenzio.
-Vai via!- esclamò lei, arrabbiata.
-Dai Holly, non dire così...Posso entrare?- domandò allora il ragazzo.
Per tutta risposta gli arrivò un “no”, secco e tagliente.
-Per favore, ho bisogno di parlati...- mormorò Sam.
Si udì il rumore di piccoli passi e la voce di Holly molto più forte di prima, segno che si era accostata alla porta –Ma io non voglio parlare con te e nemmeno Samantha vuole!-
Sam sospirò, passandosi una mano sul volto. Samantha era la barbie preferita della sorella, la quale la trattava e le parlava come se si fosse trattato di una persona reale. E il ragazzo sapeva bene che, per esperienza personale, se anche la bambola si rifiutava di “rivolgergli” la parola, allora c’era poco da fare. Tuttavia, insistette ancora, stando al gioco.
-Siete proprio sicure? Non potete un attimo consultarvi?- chiese, sedendosi a gambe incrociate di fronte alla porta di legno bianca. Si sentiva alquanto ridicolo a tenere in piedi quella specie di teatrino, ma Holly, nonostante i suoi nove anni, era ancora molto infantile e adorava quei giochetti.
-Io e Holly ci siamo parlate e lei non vuole  vederti ora, quindi se vuoi dire qualcosa devi dirla a me! E non puoi entrare!- esclamò la sorellina dopo un po’, impersonando la bambola.
-D’accordo, allora mi rivolgo a te: Samantha, puoi dire ad Holly che Sam è dispiaciuto per essersi arrabbiato così tanto?-
-Lei non ti perdona, perché le hai urlato delle brutte cose e le hai anche tirato uno schiaffo!- inveì “la bambola”.
-Ho esagerato, lo ammetto. Non avrei dovuto. Solo che mi sono davvero spaventato, Holly stava per cadere e farsi male. Per quello ho reagito in quel modo...- proseguì Sam.
Vi fu qualche secondo di silenzio.
-La stai convincendo...- sussurrò la voce.
Il giovane sorrise, ormai sicuro di aver quasi fatto pace con la sorella. Per quanto ci provasse, le rare volte che litigavano, lei non riusciva a tenergli il broncio tanto a lungo.
-E non voglio che le accada qualcosa di brutto. Pensa Samantha, se non ci fossi stato io a prenderla prima che cadesse chissà che cosa le sarebbe successo! Io le chiedo scusa e le prometto che non mi comporterò mai più così, ma lei a sua volta deve promettermi che non salirà o arrampicherà mai più da nessuna parte-
-Te lo promette...- mormorò Holly, con la voce che sapeva di pianto -Però, non sa se le basta...-
Il fratello alzò gli occhi al cielo e sogghignò –Nemmeno se le compro le caramelle alla frutta che le piacciono tanto?-
A quel punto la porta della camera si aprì di scatto e la sorellina si tuffò fra le braccia del ragazzo. Lui la strinse a sua volta.
-Ti perdono Sam!- singhiozzò lei –E scusami se vi ho disubbidito, non avrei dovuto!-
-Dai, adesso non piangere. In ogni modo...credo che tu abbia imparato la lezione. Vero?- rispose il giovane, scompigliandole i capelli.
-Sì- annuì lei, tirando su col naso –Ma quindi...Oggi mi compri le caramelle?-  chiese con un sorrisetto.
Sam sbuffò divertito e le mostrò il pollice all’insù, come era solito fare.
Holly ridacchiò tutta soddisfatta e rientrò in camera, però, prima di chiudere la porta soggiunse –Io, Samantha, Nicole e Betty stiamo per prendere il the...Ti vuoi unire a noi?-
-No, no! Grazie, sono a posto!- si affrettò l’altro, con un sorriso tirato. Rammentava l’ultima volta che la sorella lo aveva incastrato a giocare con lei: la domanda che gli aveva posto era esattamente quella, peccato poi che infine non avesse dovuto solo far prendere il the a Nicole, ma aveva anche dovuto indossare, esattamente come Holly, una stupida coroncina di plastica sbirluccicante. Quella volta non aveva potuto sottrarsi visto che era il compleanno della sorella e lei aveva insistito fino a sfinirlo.  Al ricordo, ebbe un brivido. Mai più si sarebbe abbassato a fare una cosa del genere. Passi l’ora del the, passi inscenare matrimoni, ma indossare nuovamente coroncine no. Era pur sempre un ragazzo, diamine!
Holly fece spallucce e si richiuse in camera. Sam invece rimase ancora un attimo lì, con un sorriso divertito sulla labbra.
In quel momento transitò nel corridoio Amber, che disse con il suo solito modo irritante –Che fai seduto davanti alla porta, Sminchio? Tappezzeria?-
Lui balzò in piedi e bofonchiò, scocciato –Fatti gli affari tuoi, Crudelia. Piuttosto renditi utile e dimmi che ore sono, please-
Amber fece una smorfia –Sarei tentata di dirti di andartela a vedere da solo l’ora, ma oggi sono particolarmente contenta e ti risponderò. Sono le quindici e trenta-
Sam sobbalzò, sua padre sarebbe arrivato fra meno di dieci minuti! Poi si rivolse alla sorella –Grazie, molto gentile molto generosa! Comunque, non che la cosa mi interessi più di tanto, ma perché sei così felice? Hai scoperto una pozione che ti renda intelligente?-
-No, idiota, e intanto non avrei bisogno. Sono al settimo cielo perché mi sono appena sentita con Tyler e ha detto che Domenica verrà a pranzo da noi e poi mi porterà a fare un giro in moto!- squittì Amber.
-A pranzo!? Qui!?- esclamò il ragazzo, agghiacciato. L’idea di mangiare in compagnia di Olio Man non lo allietava molto. Ma se proprio doveva venire...Che almeno si lavasse i capelli!
-Esatto, qui, che bello! Non vedo l’ora di rivederlo, il mio tesoro...- gongolò lei.
Sam la guardò nauseato e trattenne a stento un conato di vomito, dopodiché ritornò giù in salotto, lasciando la sorella a sognare a occhi aperti. Si stravaccò sul divano e attese, guardando in continuazione l’orologio appeso sul muro. Ma il tempo cominciò inesorabilmente a passare e il ragazzo si rese conto che il padre era in ritardo di ben venti minuti. Perché ci stava mettendo così tanto? Che avesse trovato traffico? Cominciò a divenire impaziente, tamburellando nervosamente le dita sul tavolinetto di fronte al divano.
Dopo poco, fece capolino sua madre dallo stipite della porta –Non preoccuparti, è solo in ritardo. Conosci tuo padre, arriverà- disse, ma pareva che quelle parole le costassero enorme fatica.
-Si credo anch’io...- sorrise il ragazzo –Posso aspettare...-
Passò ancora qualche minuto, quando all’improvviso il telefono di casa si mise a squillare.
-Rispondo io!- urlò Sam, visto che il cordless era proprio lì di fianco a lui. Prese la cornetta e rispose.
-Pronto? Pronto Sam, sono io!- esclamò la voce di un uomo.
-Papà, ciao!- 
In quel momento, tutti i componenti della famiglia piombarono in salotto. La madre e Amber ne avrebbero anche fatto a meno, ma Holly le aveva trascinate con la forza.
-Come stai? È da un po’ che non ci sentiamo!- proseguì il padre.
-Ehm, io sto bene... Ma tu dove sei!? Sei ritardo di mezz’ora, oggi dobbiamo andare alla partita insieme, ti ricordi?- disse Sam, saltando tutti i convenevoli. Si sentiva alquanto innervosito e, per qualche motivo che nemmeno lui sapeva spiegarsi, anche un po’ inquieto.
L’uomo non rispose subito, poi mormorò mortificato –Ecco ragazzo mio, a questo proposito, per oggi salta tutto, non riesco a venire-
Quelle parole schiacciarono Sam come se si fossero trattate di enormi macigni. Non era vero. Non poteva essere vero. Erano settimane che avevano in programma quella cosa! Di sicuro era uno scherzo, un brutto scherzo.
-Come sarebbe che non riesci a venire?- riuscì a formulare Sam, tra l’incredulo e l’infastidito.
-Mi dispiace veramente tanto, ma mi hanno chiamato all’improvviso e devo correre subito in riunione per...- fece per terminare la frase, ma una voce acuta e stridula in lontananza lo interrupe –Allora Tom! Quanto ci metti!? Il film non aspetta noi, avanti muoviti!-
Ne seguì un lungo e imbarazzante silenzio. Sam fissava un punto nel vuoto e il resto della famiglia fissava lui, in attesa.
-Tsk, vedo quanto sei impegnato- commentò poi il ragazzo carico di amarezza –Vai, che il film inizia- e detto questo gli sbatté il telefono in faccia.
Il ragazzo  si abbandonò sullo schienale del divano, con lo sguardo perso. Nessuno osava dire una sola parola, si sentiva solo il ticchettio dell’orologio. Amber, Holly e la madre si scambiarono numerose occhiate, ma quando la donna provò a dire qualcosa al ragazzo, lui si alzò di scatto in piedi -Io esco- dichiarò apatico, tagliandole ogni parola.
-Sam...- mormorò lei, cercando di posargli una mano sulla spalla.
-Lasciami- ringhiò il giovane, divincolandosi con uno strattone. Afferrò una giacca dall’attaccapanni e uscì sbattendo la porta.
Se le giornate precedenti erano state limpide e luminose, quel giorno del sole non se ne vedeva neppure l’ombra, nascosto com’era da enormi nuvole grigie, che tutte ammassate andavano a creare un sorta di cappa soffocante. Nell’aria c’era odore di pioggia e una lieve nebbiolina si innalzava dai marciapiedi. Non assomigliava neanche lontanamente ad un 23 di Marzo, al massimo al 23 di Ottobre.  Perlomeno si intonava perfettamente all’umore di Sam. Deluso, amareggiato, incollerito, rattristato e...dimenticato. Ecco, come si sentiva. Gli costava (e gli doleva) ammetterlo, ma in quel caso Amber aveva sempre avuto ragione: al padre non importava niente di loro, anzi, forse non gli era mai importato, se ne rendeva conto solo adesso. Solo un’egoista menefreghista poteva comportarsi in quel modo e suo padre ne era stato l’esempio lampante. Non gli avrebbe più rivolto la parola, che solo provasse a cercarlo: gli avrebbe sbattuto il telefono in faccia esattamente come quel giorno.  
Calciò con ira un sassolino, imprecando. Possibile che le cose gli andassero sempre male e che ci fosse sempre un motivo per arrabbiarsi? Prima tutte le angherie dei Dark (che tutt’ora  continuavano), poi Holly ed infine suo padre.
In giro c’era pochissima gente, il che rendeva il tutto ancora più tetro e triste. Sam sapeva che quella volta non gli sarebbe bastata una semplice passeggiata per placare la delusione, aveva bisogno di un posto tranquillo dove andare, per stare solo con i propri pensieri. Si sarebbe diretto a quel parco. Era isolato, fuori mano e in più poco frequentato, il luogo ideale, insomma.
E così, carico di emozioni negative si incamminò. Avanzando speditamente, arrivò in meno di un quarto d’ora. Non era un parco particolarmente grande, ma era ricco di alberi, piante e fiori di ogni tipo e sulla sinistra vi era anche un piccolo laghetto in cui sguazzavano placide delle anatre. Al centro zampillava e spumeggiava una fontana.
In stato catatonico attraversò l’intero giardino, fino ad arrivare nella panchina più isolata di tutte e lì si sedette. Si guardò un attimo attorno, ma riuscì a vedere pressoché poco: in quel posto la nebbiolina si era fatta ancora più fitta. Che schifo di giornata.
Rimase a lungo seduto, perso in un altro mondo, fino a quando, una voce carica di sarcasmo, non lo riportò alla realtà.
-Ricordo che due giorni fa mi dicesti di avere un impegno, ma venire a zonzo in un parco...Non immaginavo  potesse essere definito tale-
Sam si voltò di scatto e si ritrovò, in piedi alla sua sinistra, l’ultima persona che mai avrebbe immaginato di incontrare: Kyda. Quest’ultima teneva le braccia incrociate al petto e lo guardava con un sopracciglio inarcato.
Evidentemente non l’aveva vista arrivare, sia a causa della nebbia, sia per il suo essere immerso nei propri pensieri.
-No infatti- rispose Sam, più duramente di quanto avrebbe voluto, ma era troppo giù e non aveva la forza per preoccuparsi di cosa fosse giusto dire o che intonazione usare. Ciò che voleva era restare solo e non avere altri problemi.
-Bene, vedo che lo riconosci anche tu. Ad ogni modo, Nuovo, che sei venuto a fare in questo parco dimenticato da Dio?- chiese la ragazza.
Sam scrollò le spalle e rispose -Niente...- poi aggiunse, controvoglia –E tu?-
-La stessa identica cosa- annuì Kyda. Si sedette di fianco a Sam e lui, d’istinto, si allontanò un po’.
-Guarda che non mordo- commentò la giovane seccata, accorgendosi della reazione del ragazzo.
Lui non rispose e continuò a guardare altrove.
Kyda lo osservò per un momento, con il suo solito sguardo perforante che tanto irritava e metteva a disagio Sam, poi disse, dopo un lungo silenzio –Di norma io non mi faccio mai gli affari degli altri, vuoi perché non mi interessano minimante, vuoi perché non mi va che le persone si sentano in qualche modo infastidite o obbligate a raccontarmi i loro problemi. In ogni modo Wild, si vede che oggi ce l’hai col mondo-
Sam si voltò a guardarla lentamente, senza capire, e chiese -E da cosa lo deduci?-
-Si percepisce...- proseguì Kyda, con il suo solito tono –Hai una strana espressione, uno strana voce ed uno strano modo di comportarti, per esempio mi parli senza doverci ragionare più di tanto. O ancora, il fatto che tu sia venuto qui in questo luogo lontano da tutto e da tutti, con questa nebbia per di più...-
Il ragazzo non riusciva ancora a seguirla. Che cosa voleva andare a parare con quel discorso? E soprattutto cosa le importava se lui fosse o no depresso?
-Ma forse mi sbaglio...-  soggiunse Kyda –Solo che vederti qui mi fa pensare in quel modo, dato che è dove vengo io ogni volta che ne sento il bisogno-
-Sul serio? Non ti ho mai vista, recentemente-
-Perché non avevo necessità di venirci- replicò lei, diretta.
-E...ora ce l’hai?- sussurrò Sam.
Kyda ci pensò un attimo su e rispose –Non necessariamente. Più che altro, mi piace venire qua quando c’è la nebbia- fece un pausa, poi disse –Comunque ripeto ciò che ho detto prima: definire “impegno” il venire in un parco è davvero una cosa molto astrusa...-
Sam sospirò –Non era quello il mio impegno, appunto...-
Stettero un attimo in silenzio, poi d’un tratto il ragazzo buttò lì una domanda, quasi senza pensarci.
-Ti sei mai sentita dimenticata?-
-Spesso - fu la risposta diretta, sincera e disarmante che gli diede lei.
Sam non si aspettò così tanta schiettezza e si voltò a guardarla, stupito.
-Tutti almeno una volta nella vita si sentono dimenticati...- proseguì Kyda, inespressiva.
-Anche dai propri padri? Anche dopo che non ti vedono da più di un mese e ti promettono di andare via insieme quando poi invece si rimangiano la parola data? – chiese Sam. Si stava confidando con Kyda, se ne rendeva conto. Allucinante, si stava aprendo con la sua aguzzina, ma la cosa ancora più allucinante era che lei lo stesse ascoltando.
-Si è comportato in quel modo tuo padre?- domandò a sua volta la giovane, interrompendo così quello strano giro di parole che si era andato a creare.
Sam confermò semplicemente annuendo.
-Allora è uno stupido-
-Come?- esclamò il ragazzo, sbarrando gli occhi.
-Uno stupido, ecco che cos’è.   Mio padre...- fece una pausa, riflettendo se proseguire o meno, poi continuò -Lavora dall’altra parte nel mondo e non sai cosa darebbe per potermi anche solo vedere qualche minuto. Ma non può. Perciò, non vale la pena soffrire per uno che non sa apprezzare ciò che ha e in questo caso un figlio vicino a se. Ma forse un giorno se ne renderà conto...-
Sam la guardò per un attimo, poi mormorò con un sospiro –Però fa male lo stesso...-
-Questo lo so anche io...- replicò lei, giocherellando con una foglia –Ma è lui che ci perde...-
Scese di nuovo il silenzio, nel quale Sam rifletté sulle parole di Kyda. Forse aveva ragione, non doveva dar così peso a quello che era successo. Era una delusione, ma non aveva senso continuare a rimuginarci sopra e ad amareggiarsi. Non era lui quello che doveva riflettere, ma suo padre.
Osservò di sottecchi Kyda, che ora stava sbriciolando la foglia. Pazzesco, lei, membro dei Dark, fredda, insensibile, apatica, dura e anche un po’ menefreghista lo aveva appena aiutato. Le sue non erano state parole particolarmente articolate o sapienti, eppure lo avevano risollevato, più di tutti i suoi giri per la città messi assieme. Che Kyda in realtà non fosse del tutto la bastarda che voleva a tutti costi dimostrare di essere?
-Quindi...tuo padre è raramente a casa?- si azzardò a chiedere, cauto.
-Praticamente non lo è mai- rispose la giovane dopo un po’, continuando a sminuzzare –Lavora in Australia e le uniche volte che ritorna da noi è durante le vacanze di Natale, ma questo non succede sempre-
-Ah, capisco. Beh, allora non è da tantissimo che hai potuto rivederlo...- considerò Sam, abbozzando un lieve sorriso.
Lei si bloccò, poi rispose neutra –Non è venuto questo Natale-
Il sorriso del ragazzo scomparve così com’era venuto. Inutile, non ne diceva una giusta nemmeno per sbaglio. Forse era meglio che tacesse, così almeno avrebbe evitato di fare commenti fuori luogo. Mormorò una sorta di “non lo sapevo”.
Lei scrollò le spalle e si infilò i pezzetti della foglia nelle due tasche della giacca di pelle.
-Perché li conservi?- domandò Sam incuriosito.
-Non sono affari che ti riguardano- ribatté pronta lei, lanciandogli un’occhiataccia.
-Scusa...- si affrettò Sam, azzittendosi nuovamente.
Passarono ancora un po’ di minuti, duranti i quali Kyda non fece altro che raccogliere foglie ai piedi della panchina, per poi spezzarle e infilarsele in tasca, e Sam a sua volta non fece altro che scrutarla stranito. Chissà a cosa le servissero e soprattutto chissà perché si fosse così infastidita alla sua domanda, era solo una semplice curiosità, mica una domanda mega personale. Quella ragazza era davvero particolare.
Si guardò un po’ intorno, constatando che la nebbiolina si era un po’ diradata, quando gli cadde l’occhio su un gruppo di fogliame che si trovava dietro la panchina, notandone una dal colore rosso acceso, che spiccava in mezzo alle altre. Strano, non era autunno, e trovarne di quel tipo nel periodo in cui erano era piuttosto strano.
La raccolse sporgendosi dallo schienale della panchina e, tenendola per il gambo, la mostrò a Kyda.
-Questa può andare?- chiese, pacato, abbozzando appena un sorriso.
Ella lo guardò per un attimo inarcando un sopracciglio, evidentemente colta alla sprovvista, per poi afferrare la foglia, neanche tanto gentilmente, e studiarla scrupolosamente.
-Mh, no, questa credo che non la sbriciolerò. La tengo così com’è, va...- commentò, più a se stessa che a Sam, poi disse rivolgendosi al ragazzo  -Grazie, Nuovo...-
-Di niente, Kyda...- rispose lui, questa volta non potendo fare a meno di sorridere apertamente.
La ragazza guardò un attimo l’ora sull’orologio verde e si alzò in piedi.
-Molto bene, è l’orario giusto...- annuì compiaciuta.
-Per...fare cosa?- chiese Sam, sperando che la giovane non gli desse un’altra risposta scocciata.
-Per andare a farmi un giro con lo skateboard- disse invece Kyda.
Sola allora Sam si rese conto che esso era appoggiata alla panchina. La ragazza lo prese sotto braccio e si rituffò il cappello da baseball in testa, fino a quel momento tenuto sulle proprie gambe.
-Oh, ancora una cosa- disse Kyda –A che punto sei con il cartellone?-
-L’ho finito- rispose lui, soddisfatto.
-Ottimo. Già che siamo stati costretti a farlo, speriamo almeno di ricevere un bel po’ di punti-
-Non saprei dirti, però mi sembra che sia venuto bene...- affermò il ragazzo.
-Vedrò di fidarmi...- e detto questo, Kyda gli voltò le spalle e se ne andò rapida, come faceva ormai tutte le volte.
Anche Sam si alzò, decidendo di farsi un giro per il parco. Incredibile a dirsi, ma alla fine quella giornata era decisamente migliorata.

Il giorno successivo, grazie al cielo l’ultimo prima del week-end, Sam consegnò al mattino il cartellone (tra l’altro quasi dimenticato a casa) al professor Conway. Quest’ultimo e la professoressa Loveace avrebbero assegnato i punti a ciascun gruppo solo all’ultima ora e al ragazzo, tanto era impaziente, parve che le quattro ore passassero ancora più lentamente del solito. Al contrario, Daniel era estremamente rilassato  e per nulla smanioso di sapere i risultati.
-Cosa rappresenta il tuo cartellone?- chiese incuriosito il compagno di banco, durante l’ora della Symons.
-Una persona che guarda alla finestra. E il tuo?-
-Il disegno del nostro cartellone bianco con sopra sparse le matite colorate!- esclamò compiaciuto il biondo.
-Ma che senso ha!?- ridacchiò Sam.
-Ha senso, ha senso, fidati! Io e Robert ci siamo annoiati quando non sapevamo che cosa disegnare ed ecco fatto- replicò l’amico, ammiccando.
-Ah, ceeerto. Scommetto che l’idea è stata tua!-
-Esatto, come hai fatto a capirlo?- domandò Daniel, sinceramente stupito.
-Mh, beh, ho tirato a indovinare- rispose Sam, quando in realtà sapeva benissimo che una proposta del genere non poteva che averla macchinata quel folle del suo amico.
-Piuttosto, parliamo di cose serie- aggiunse poi, ignorando il fatto che la prof stesse spiegando –Che cosa vorresti per il tuo compleanno?-
-Sam te l’ho già detto stamattina: non voglio assolutamente niente! Anche se...Un pacco gigante con dentro Chanel con addosso un abitino sexy non sarebbe male!- sussurrò Daniel malizioso.
L’altro dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere, poi ribatté –No, dai, parlavo sul serio-
-Anche io! Non per la parte di Chanel ovviamente, ma sul fatto che non voglia niente-
Sam annuì e fece credere all’amico di averlo convinto. Si sarebbe inventato qualcosa, quello era poco ma sicuro.
Infine, giunse la tanto attesa quinta ora e tutte le classi si diressero verso l’aula magna. Nel tragitto,  Sam venne spintonato due volte, la prima da Tony e la seconda da Travis. Quest’ultimo era talmente forte e robusto che, se non ci fosse stato Daniel a reggerlo, Sam sarebbe caduto a terra.
Esattamente come l’altra volta, a parlare furono il prof di Arte e la professoressa di Sociologia, iniziando a dire i punteggi dei vari gruppi. Sam considerò che gli insegnati fossero stati molto abili a valutare tutti quei cartelloni in così poco tempo.
Il tutto fu abbastanza lungo e noioso. Sam ascoltò disattento i punteggi degli altri: ad esempio, Daniel e Robert avevano ottenuto 15 punti, il che sembrava piuttosto buono, e il gruppo di Chanel e Hetty 13 punti.
Dopo un po’ , finalmente venne detto il punteggio del cartellone suo e di Kyda: ben 26 punti!!!
Sam quasi non credette alle proprie orecchie. Era altissimo! Mentre Daniel gli faceva i complementi, il giovane si voltò istintivamente verso Kyda, per vedere quale fosse stata la reazione della ragazza. Anche lei allo stesso modo aveva cercato Sam tra la folla e ora lo guardava, sorridendogli sarcastica e con un espressione un po’ stupita, ma che come al solito aveva un non so che di presa per i fondelli. Poi si girò dall’altra parte e ricominciò a parlare con il resto dei Dark.
In conclusione, i due insegnanti rivelarono agli studenti la nuova emozione da rappresentare, ovvero il divertimento.
Sam a quelle parole sussultò. Ciò voleva dire che lui e Kyda avrebbero dovuto rappresentare qualcosa che divertisse entrambi! Ora sì che il problemi saltavano fuori, come avrebbero fatto quella volta? E cosa più importante, Kyda sapeva divertirsi? Doveva inventarsi qualcosa, era certo che non sarebbe bastato vedersi in biblioteca ed elencare le cose o le attività che li divertivano come avevano fatto con la noia.  Ci ragionò a lungo, finché finalmente non gli venne un’idea. Forse un po’ azzardata, ma pur sempre un’idea. Doveva solo trovare il modo di parlare con Kyda.
Il caso volle che, mentre scendeva le scale insieme ad una marea di studenti per uscire da scuola, se la ritrovò di fianco.
-Allora Nuovo, quindi ci vediamo domani in biblioteca?- disse la giovane, con il suo solito modo.
-Potremmo, anche se...io avrei pensato a qualcosa di diverso...- la buttò lì Sam.
Lei inarcò un sopraciglio -Ovvero?-
-Vediamoci in Via Arrow domani alle 16:30, vicino all’albero con l’aiuola piccola intorno, hai presente?- proseguì il ragazzo.
-Sì so dov’è, ma che cos’hai in mente, per la precisione?- chiese Kyda, guardandolo scettica.
Lui non rispose subito, poi replicò, annuendo -Lo vedrai...-
-Tsk, e va bene, tieniti i tuoi segreti- ribatté la giovane scrollando le spalle -In ogni modo, spero per te che sia una buona idea...- e detto questo, accelerò il passo, superando la folla che si trovava davanti a loro.
Sam sospirò.
“Lo spero anch’io”.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10° ***


Calda. Solo così poteva essere definita quella giornata. Afosa, secca e soffocante. Mentre attendeva Kyda nel posto prestabilito, Sam realizzò che quella città doveva essere contraddistinta da continui sbalzi di clima.  Per forza. Fino al giorno prima vi era la nebbia che si innalzava dai marciapiedi e le persone andavano vestite con jeans lunghi e giacca, invece ora sembrava esplosa l’estate e la maggior parte della gente indossava T-shirt e pantaloncini corti.
Da quando era arrivato in quella città, ne aveva viste di tutti i colori: giornate di pioggia, susseguite da alcune di sole, seguite a loro volta da grandinate e per finire anche la nebbia. Bastava solo che nevicasse e Roxvuld avrebbe senza dubbio battuto ogni record per “incoerenza climatica”.
Il ragazzo cercò di ripararsi dai raggi del sole, andandosi a mettere sotto l’alberello al centro della minuta aiuola, calpestando ignobilmente così quest’ultima. Ma ne ricavò ben poco refrigerio, visto che la pianta era talmente rinsecchita e striminzita che non avrebbe fatto ombra nemmeno ad una formica.
Sam si spostò da lì, esasperato. Forse non era stato un buon piano decidere di vedersi per le quattro, faceva troppo caldo! Inoltre, era ormai da dieci minuti che stava aspettando Kyda sotto quel sole inspiegabilmente cocente e stava iniziando a dare di matto. A pensarci bene, visto che aveva capito da tempo che la giovane tendeva ad arrivare sempre con un quarto d’ora di ritardo, avrebbe potuto anche aspettare in casa e poi uscire dopo, visto che il punto d’incontro non era poi così lontano da dove abitava lui.
Guardò dritto davanti a se, nella speranza di scorgere Kyda in fondo alla strada, ma di lei non vi era traccia. Fece per valutare l’idea di rientrare un attimo a casa, quand’ecco che se la ritrovò alle spalle.
Indossava una semplice maglietta maniche corte nera, un paio di pantaloni larghi e il cappello da baseball calato fin sugli occhi. Sotto braccio teneva lo skateboard.
-Che combini, Nuovo? Te la svigni?- domandò lei, pungente come il suo solito.
-No, non me la sto svignando. Stavo solo ponderando di ritornarmene un attimo in casa al fresco...- sospirò il giovane.
-Ecco, per l’appunto, te la stavi svignando. In ogni modo, bando alle ciance e dimmi il motivo per cui mi sono dovuta trascinare da Corso Green fino a qui- disse Kyda, concreta.
-Sì sì, te lo spiego subito!- esclamò Sam -L’altra volta, come tu ben sai, per rappresentare la noia abbiamo semplicemente elencato le cose che più ci annoiavano e tramite quello siamo infine riusciti a trovare un punto d’incontro. Ma con l’emozione che dobbiamo rappresentare il tutto si è fatto più complicato e ho pensato che fare un altro elenco non ci sarebbe servito a molto e quindi...-
-Vai un po’ al dunque che mi sto liquefacendo- sbottò la giovane, sventolando il cappello per farsi aria.
-Okay, per farla breve, proveremo a vicenda le cose che più ci divertono- concluse l’altro, annuendo compiaciuto.
Avuta l’informazione, la ragazza incrociò le braccia con disappunto –Ma che ideona! E di un po’, dove sta la grande differenza con quello che abbiamo fatto prima? Alla fine facciamo la stessa cosa dell’altra volta, ovvero un elenco, però a voce- constatò scocciata.
-No, non è proprio così...- la corresse -Noi non ci limiteremo a fare un elenco, ma proveremo direttamente, sempre se ti va, ovvio.  Perché non credo che in questo caso basti dirsi le cose che facciamo per trovarle divertenti, perciò dovremo direttamente farle e quella che divertirà entrambi la raffigureremo. Anche se non so ancora come...-
Kyda ci rifletté un attimo su, poi rispose -Ah, ho capito. Rimango dell’opinione che non sia poi così un piano illuminante, ma è sempre meglio di niente-
Sam tirò un impercettibile sospiro di sollievo. Era riuscito a convincerla, il che pareva già un progresso.
-Quindi... ci stai?- domandò, porgendo la mano verso la ragazza.
Ella la guardò ancora un attimo dubbiosa, poi esclamò d’un tratto –Frena, frena! Questa volta hai deciso tu come agire e mi va anche bene, tuttavia ho una condizione-
-Cioè...?- chiese Sam sorpreso quanto irrequieto. Da quella ragazza poteva aspettarsi di tutto, mica aveva dimenticato a quale gruppo apparteneva.
-Cioè, l’altro dovrà accettare incondizionatamente ciò che gli verrà proposto. E non si potrà tirare indietro. Chiaro?- espose la giovane, avvicinando la mano a quella di Sam, tuttavia senza nemmeno sfiorarla.
Lui rifletté qualche istante, infine strinse la mano di Kyda, deciso.
-Affare fatto- annuì. Non poteva tirarsi indietro, perciò non aveva altra scelta che accettare le condizioni impostegli.
Kyda si affrettò ad allontanare la propria mano, come se quel contatto la infastidisse, poi si incamminò, seguita da Sam.
-Molto bene, siamo giunti ad un accordo. Ora, non ci resta che mettere in pratica, anche se al dire il vero sarà un imprese ardua. Non hai l’aria di uno che sa divertirsi, Nuovo- commentò la ragazza.
Sam sorrise amaro -Mpf, ma da che pulpito...- bofonchiò sottovoce.
-Hai detto qualcosa?- chiese lei, squadrandolo.
Il ragazzo negò prontamente.
Camminarono per un po’ in silenzio, allontanandosi dalla fornace che si era rivelata essere Via Arrow, finché non arrivarono in prossimità del centro.
-Molto bene Wild. Dato che l’idea è stata tua, lascio a te l’onore di scegliere la prima attività da affibbiarmi- esordì Kyda, con il livello di entusiasmo pari allo zero.
Ecco, lo sapeva che la giovane gli avrebbe detto una cosa del genere, solo che la situazione era più difficile del previsto. Cosa proporre? Al momento non gli veniva in mente nulla di opportuno. Sam ci ragionò su. Forse per iniziare doveva partire dalle cose semplici, poi di sicuro avrebbe escogitato qualcosa di più decente, o almeno quello era il suo piano.
-Prendiamoci un gelato- suggerì infine.
-Un gelato- ripeté lei, apatica, poi inarcò un sopracciglio –Stai scherzando, vero? Questa sarebbe la tua massima aspirazione di divertimento?-
-Beh ecco, è la prima cosa a cui ho pensato...- mormorò il giovane, un po’ imbarazzato.
Kyda, accortasi della reazione del ragazzo, affermò, scrollando le spalle –Non ti angustiare Nuovo, hai detto di peggio. Avevi già toccato il fondo con la storia che ti annoi mentre aspetti il pranzo. Perciò, vada per il gelato-
Tsk, eccola lì che spruzzava veleno. Quella giovane alternava momenti, assai rari, di accennata comprensione a frasi e considerazioni velenose o sarcastiche.
-Oh beh, perfetto allora!- esclamò Sam –Conosco una gelateria qui nei dintorni che fa un gelato eccellente. Ha una vastissima scelta-
-Come ti pare, sei tu che decidi ora-commentò Kyda, indifferente.
Proseguirono addentrandosi nella zona in cui vi erano tutti i negozi più frequentati o famosi. Ognuno di questi era affollato all’inverosimile, in particolare  quel giorno più del solito, poiché era il periodo dei saldi.
Finalmente i due ragazzi giunsero nella gelateria. Sam ormai andava solo lì, gliela aveva fatta scoprire Daniel. Il gelataio era gentile, c’erano moltissimi gusti a disposizione e il gelato in se era di ottima qualità.
-È da un po’ che non entro in una gelateria...- constatò Kyda, una volta dentro.
-Cioè tu non ti sei più presa un gelato!?- esclamò Sam, non riuscendo a mascherare il suo sconcerto.
-No- replicò la ragazza, poi aggiunse -Mi pare una cosa così infantile...-
L’altro sbarrò gli occhi –Ma il gelato non ha età-
In quel momento l’arrivo del gelataio interruppe la conversazione. Sam lo guardò confuso, non era quello che c’era di solito, questo era un tipetto basso, con un naso enorme e un improbabile ciuffo castano che gli cadeva sull’occhio sinistro. Inoltre, aveva una strana espressione, sembrava che avesse appena bevuto.
-Allora ragazzi! Cosa vi do!?- chiese l’uomo, facendo l’occhiolino.
-Che gusti avete?- s’informò il giovane.
Il gelataio iniziò ad elencare un infinità di gusti, rivolgendosi principalmente al ragazzo, tuttavia lanciando di tanto in tanto qualche occhiatina a Kyda, cosa che non sfuggì all’occhio attento di Sam.
-Che gusto è questo?- s’intromise d’un tratto la ragazza, indicandone uno dal colore nero.
Il ragazzo la guardò basito. Pure il gelato! Da non credere.
-Oh quello? Quello è al sapore di carbone!- replicò il tizio, facendo lo splendido.
Kyda gli indirizzò un’occhiata infastidita, poi rispose -Parlavo sul serio-
-Oh oh, mi hai beccato!- esclamò l’uomo, teatralmente dispiaciuto –Sei proprio una tipa attenta, eh tu?- proseguì sorridendo sbilenco e togliendo il cappello alla ragazza, per poi ricacciarglielo in testa.
Sam vide Kyda stringere i denti e serrare i pugni, evidentemente come modo per carcare di contenersi e di reprimere il nervoso. Capì che doveva averla molto infastidita il fatto che quello le avesse tolto il copricapo.
-Quindi di che gusto si tratta?- continuò la giovane, impassibile.
L’uomo le rispose che si trattava di liquirizia, facendole nuovamente un occhiolino. A quel punto Kyda gli disse che voleva un cono unicamente di quello.
-Ma come lei desidera- ridacchiò il tipo eseguendo l’ordine –Però perché non prendi anche un altro gusto, magari dai colori più accesi, come la fragola-
-Prendo solo quello- ribatté Kyda apatica.
-Ah, ho capito. Vuoi coordinarti con il gelato, eh?- sogghignò, dopodiché porse il cono a Kyda e si appostò alla cassa. La giovane fece per tendergli le banconote, ma lui esclamò  -Ehy ehy, un momento! Non lasci offrire al tuo fidanzatino?-
Sam, che fino a quel momento aveva atteso il suo turno spazientito, si voltò verso il gelataio e lo guardò sbalordito. Ma quante baggianate stava dicendo in meno di cinque minuti?
Anche Kyda guardò basita quel tizio, poi replicò tagliente -Quanto le devo?-
L’uomo osservò i due giovani e sghignazzò, poi  chiese alla ragazza una cifra spropositata, con evidente intenzione di prenderla in giro.
Lei ignorò quella sottospecie di scherzo e buttò in malo modo delle monete sul bancone.
Il gelataio continuò a fare battute pessime anche mentre era intento a servire Sam e non faceva altro che ammiccare. Il ragazzo si chiese se quel tipo non avesse un tic all’occhio.
Alla fine i ragazzi poterono finalmente “fuggire” da quel posto e l’uomo concluse in bellezza salutando Kyda con un “ciao Bella”.
Una volta fuori, la giovane esclamò, fulminando Sam con lo sguardo -Ma in che cazzo di gelateria mi hai portato, Wild!?-
-Guarda che oggi è la prima volta che succede una cosa simile, te lo assicuro!- si difese lui –Quel tipo non lo avevo mai visto prima, deve essere una new entry!-
Continuarono a camminare in silenzio, lasciandosi guidare dalla folla, quando Sam, nel ripensare alla scena, non poté fare a meno di ridacchiare.
-Che hai da ridere?- domandò Kyda guardandolo torva.
-Niente, niente...Stavo solo pensando che potremmo rappresentare il gelataio nel nostro cartellone- scherzò il giovane. Stava davvero scherzando con Kyda? Quello sì che era un evento che sarebbe passato alla storia.
-Contaci- replicò lei con sarcasmo –Il cartellone prevede il rappresentare qualcosa che diverta entrambi e io non mi sono affatto divertita, nel caso tu non te ne fossi accorto. In ogni modo, ora tocca a me scegliere...- constatò.
La giovane rifletté qualche istante, poi lanciò un’occhiatina accompagnata da un sorrisetto sarcastico a Sam, il quale la guardò a sua volta nervoso.
-Penso di aver trovato...- sogghignò la ragazza.

-Kyda, non mi sembra proprio una buona idea, anzi, non mi sembra affatto una buona idea!- esclamò il ragazzo, agitato.
-Abbiamo fatto un patto, quindi zitto. Mi pare che io abbia eseguito quello che tu hai proposto, no?-
-Sì, ma un conto è prendere un gelato, un conto è rischiare la vita!- continuò Sam, nella speranza di farle cambiare idea, ma senza un gran successo.
Si trovavano alla Ramp Coast. Da quando erano entrati, il ragazzo non aveva fatto altro che guardarsi attorno in preda all’ansia, deglutendo alla vista di ogni rampa che gli si presentava davanti. Era un posto incredibilmente grande, pieno di piattaforme dagli svariati colori, i quali, secondo il dettagliato depliant che Sam aveva preso all’entrata, stavano ad indicare i livelli di difficoltà. La più temuta era quella rossa, denominata la Rampa Assassina, che si ergeva al centro di quel luogo. Tremendamente alta, spaventosamente ripida e incredibilmente stretta.
Il piano di Kyda era ormai più che evidente: fargli provare qualche rampa con lo skateboard.
-Ma che rischiare la vita!- sbottò la ragazza -Ti faccio solo vedere qual è il vero divertimento e che cosa vuol dire sentire l’adrenalina alle stelle. Seguimi- gli ordinò, facendo strada.
Il giovane sospirò demoralizzato ed ubbidì. Si sarebbe ammazzato, quello era poco ma sicuro. Lui tra un po’ non sapeva neanche che cos’era uno skateboard, figurarsi scendere da un rampa! Se il piano di Kyda era farlo fuori, in quel modo sarebbe sicuramente riuscita nel suo intento.
Arrivarono vicino ad una specie di piccola struttura, davanti alla quale vi erano in fila una moltitudine di ragazzi e ragazze.
-Ascoltami bene, lì puoi affittare tutto ciò che ti occorre, come lo skateboard, il casco ecc...Come vedi io il mio ce l’ho già, perciò ti aspetterò qui- illustrò la giovane.
-D’accordo- sospirò Sam senza un briciolo di motivazione –Ma tu il casco, le ginocchiere e tutto il resto non li prendi?-
Kyda scrollò le spalle –Io non ne ho bisogno- affermò con sicurezza.
E così il ragazzo si mise in fila. Non si sentiva per niente a suo agio, sia per via di quello che gli sarebbe toccato fare, sia per via delle occhiate derisorie che tutti gli skater nei paraggi continuavano a lanciargli. Probabilmente avevano capito che quella era la prima volta che provava e si divertivano a commentare e a sghignazzargli alle spalle. Persino il tizio che dava in affitto l’occorrente lo aveva guardato con uno strana espressione e con un sorrisetto di compatimento sulle labbra.
Infine, Sam ritornò dalla giovane. Si infilò il casco, le ginocchiere e i paragomiti e studiò attentamente lo skateboard che gli avevano affibbiato, constatando che questo aveva un ruota un po’ sgangherata. Già immaginava come avrebbero detto i manifesti “Ragazzo di sedici anni e mezzo si spiaccica su una rampa”. Che brutta fine.
-Oh ce l’hai fatta- disse Kyda -Forza, andiamo dalla rampa rossa-
Sam non credette alle proprie orecchie e la guardò sconcertato –Non mi dirai che vuoi farmi iniziare con quella, spero!-
-Mpf, no di certo. Quella la farò io. È solo per darti una dimostrazione- replicò la ragazza, incamminandosi.
In breve tempo, lei fu in cima alla rampa, mentre Sam giù a guardare. Non era lui ad essere là sopra, eppure sentiva il cuore battergli all’impazzata. Sapeva che Kyda era una skater provetta, ma nonostante questo era un po’ timoroso.
La giovane attese qualche istante e, preso un respiro, si lanciò. Sfrecciò a tutta velocità, senza mai accennare una perdita di equilibro e facendo anche qualche piccola evoluzione. Infine, arrivò in fondo e, con un abile mossa, riprese lo skateboard sotto braccio e si avvicinò a Sam. Quest’ultimo era rimasto senza parole.
-Vedi, non è poi così difficile. Ora vieni con me-
Lo condusse fino ad un rampa verde, la più piccola di tutte, ma che al ragazzo pareva fin troppo grande.
-Kyda, io ti ripeto che secondo me è una pessima idea!- esclamò il giovane per l’ennesima volta, guardando diffidente dal bordo.
-Piantala di lagnarti e buttati- tagliò corto lei, che gli era dietro.
Sam si voltò verso la ragazza, sbarrando gli occhi –Ma come? Non mi spieghi per bene tutto ciò che devo fare?-
-Io sono per l’esperienza sul campo- e detto chiesto gli diede una spinta.
E così Sam partì a rotta di collo. Per tutto il tempo tenne gli occhi serrati, mentre sentiva l’aria sferzargli il viso a causa della velocità. Si decise poi a guardare e si rese conto che era praticamente arrivato in fondo. Si sentì già più tranquillo, constatando che forse non era ancora giunta la sua ora. Purtroppo però, non essendo per niente pratico, non riuscì a frenare in tempo e incespicò contro uno skater che era poco più in là. 
Questi si voltò imbufalito verso Sam, che era riuscito a non ruzzolare a terra, e lo afferrò per il bavero della maglia.
-Ehy tu, che cazzo credevi di fare, eh? Mi sei venuto addosso- grugnì, con gli occhi fiammeggianti.
-Scusa, non l’ho fatto apposta, non sono riuscito a frenare in tempo- si affrettò il giovane, cercando di sfuggire dalla sua presa, ma l’energumeno lo strattonò più forte.
-Me ne sbatto delle tue giustificazioni, adesso ti faccio vedere io...- ribatté quello, preparando già un pugno da infiggerli, ma qualcuno gli fermò la mano.
-Datti un po’ una calmata- disse la voce di Kyda, perentoria.
A quell’ammonimento, il tipo lasciò andare in malo modo Sam e si voltò guardare la ragazza con espressione minacciosa.
-Come, scusa?- esclamò lui, con i nervi a fior di pelle.
-Ho detto che devi darti una calmata- ribadì la ragazza, impassibile.
Proprio in quel momento, arrivarono gli amici di quel tizio che, vista la tensione creatasi, si affrettarono a chiedere aggiornamenti:
-Ohi Brian, che succede qui?- domandarono con un sorriso idiota.
-Questa qua mi sta facendo la predica...Dice che devo “calmarmi”- spiegò con un ghigno strafottente.
Gli amici scoppiarono in una risata demente e lo incitarono a farle capire chi comandasse.
Sam nel frattempo assisteva alla scena confuso. Non riusciva a comprendere il perché Kyda si fosse intromessa in quel modo, quando lei stessa era parte del gruppo che non faceva altro che perseguitarlo. Quella giovane era la contraddizione fatta persona.
 -Molto bene. Sappi che non me ne frega niente se sei una ragazza, io non risparmio nessuno. Ti sei messa in mezzo, perciò ora te la faccio pagare- Brian fece per tirarle un pugno, ma lei gli fermò nuovamente la mano la mano a mezz’aria. Gli strinse il polso con forza, bloccandolo. Il ragazzo tentò di mascherare l’espressione di dolore, ma senza grandi risultati.
-Nemmeno io risparmio nessuno...- disse Kyda fredda, iniziando a torcergli lentamente il braccio. Brian emise un gridolino soffocato.
La giovane continuò a storcergli l’arto, mentre l’energumeno cominciava ad abbassarsi per cercare di sopportare il dolore. Ora era praticamente in ginocchio.
-Adesso, tu e la tua combriccola vedete di sparire dalla mia vista, altrimenti vado fino in fondo e, anzi, farò anche di peggio...Sai a cosa mi riferisco- continuò Kyda, con un sorrisetto sarcastico.
Brian annuì, quasi con le lacrime agli occhi, e la ragazza lo lasciò andare. In men che non si dica lui e gli amici si dileguarono.
Sam era rimasto letteralmente con la bocca aperta. Quello che era successo aveva dell’incredibile. Kyda lo aveva appena salvato ed era certo che se Travis fosse mai venuto a saper una cosa del genere, se la sarebbe presa a morte con la ragazza.
Sam fece per ringraziarla, ma lei lo troncò sul nascere, cambiando immediatamente argomento -Allora Wild, come è stata la tua prima rampa?-
-Traumatica! Credevo di rimanerci secco!-
-Ma te la sei cavata piuttosto bene, devo dire- ammise Kyda –Non ti sei nemmeno andato a schiantare e sei riuscito a rimanere per tutta la discesa sopra lo skateboard-
-Sarà, ma io non mi sono divertito per nulla, stavo per avere un infarto!- ribatté Sam, ripensando all’esperienza vissuta.
-In sostanza, deduco che tu non voglia rappresentarlo sul cartellone. Peccato, perché è stato davvero esilarante!- rispose e le scappò un sorriso. Un sorriso vero. Non sarcastico, non sprezzante, non di circostanza. Uno autentico, di quelli che nascono dal cuore.
Sam non l’aveva mai vista sorridere in quel modo e ne rimase stupito, quasi colpito. Purtroppo però, quel luminoso sorriso appena accennato scomparve, lasciando posto alla solita impassibilità.
-Ora tocca a te proporre-
-Okay...ti piace il basket?-

Il sole era ormai in procinto di tramontare e il cielo si era tinto di rosa antico  e oro. L’aria si era fatta meno soffocante, mentre un lieve venticello soffiava.
Il campo da Basket era deserto, quelli che avevano appena finito di giocare erano appoggiati alla rete di recinzione e parlottavano allegri, ancora accaldati.
-Una partita veloce, d’accordo? Sono già le sette...- disse Kyda.
-Si si, non preoccuparti...- rispose Sam, pacato. Non sapeva spiegarsi neppure lui il perché, ma in quel momento si sentiva tranquillo come mai prima di allora e in pace con il mondo. Forse era l’atmosfera di calma che regnava intorno a lui, chissà...
-C’è un problema però, non abbiamo la palla con cui giocare- notò la giovane, posando lo skateboard da una parte.
-Se volete ve lo imprestiamo noi!- esclamò uno di quei ragazzi che avevano appena giocato –Non esiste niente di meglio che assistere ad una partita dopo averne appena fatta una- e lanciò il pallone a Sam, mentre un altro si offrì di tenere i punti. 
Il ragazzo li ringraziò ed entrò in campo insieme a Kyda. Avevano tutto, pure degli spettatori e qualcuno che tenesse il punteggio.
E così la partita iniziò. Sam non ebbe neppure il tempo di capire da che parte fosse girato che la giovane gli rubò il pallone. Lui cercò di partire al contrattacco e di riappropriarsi della palla, ma qualcosa lo bloccò: aveva ancora paura di avvicinarsi a Kyda. Lei era una Dark, lei era il braccio destro di Travis. Bastava un passo falso, un qualcosa che la infastidisse e tutto il gruppo si sarebbe accanito ancora di più contro di lui.
Rimase immobile, con mille pensieri che gli vorticavano in testa. Si destò non appena sentì degli applausi da parte del “pubblico”. Kyda aveva fatto canestro. 
-Tsk, non credevo fosse così facile batterti, Nuovo. Non sai proprio fare di meglio?- disse la ragazza, con il suo solito e inconfondibile pungente sarcasmo.
Bastò quella frase perché Sam si dimenticasse all’istante tutte le paranoie. Non era di indole competitiva, ma se vi era una disciplina in cui lo diventava, quella era la pallacanestro.
Partì all’attacco e, con grande sorpresa di  Kyda, entrò in possesso della palla. Quella che pareva dover essere una semplice partita, divenne un vero e proprio duello. Nessuno dei due demordeva e il match si fece sempre più acceso. La ragazza era davvero molto brava a giocare, ma Sam non si lasciò scoraggiare. Voleva fare canestro a tutti i costi e pareggiare. Infine, con immensa soddisfazione, vi riuscì.
-Se speri di battermi, ti sbagli di grosso!- lo avvertì Kyda, con un sorriso competitivo, e la partita riprese.
-Ohi, questi non scherzano mica!- esclamò uno degli spettatori, iniziando a fare tantissimi scatti con il cellulare.
Sam si divertiva come non mai e vide che pure Kyda pareva fare lo stesso. Desiderò che quella partita non finisse mai.
Alla fine, dopo molti tentativi andati a vuoto, il giovane riuscì a fare il secondo ed ultimo canestro, che determinò la fine dello scontro.
Tutti i ragazzi esultarono e scoppiarono ad applaudire, esaltati come non mai. La partita aveva divertito anche loro. Ed ora, sia il ragazzo che Kyda sapevano che cosa avrebbero rappresentato nel cartellone.
Sam sorrise realizzato, mentre tutti andavano a complimentarsi e a dargli pacche sulle spalle. Non era abituato a tutti quei complimenti e nel riceverli si sentì molto in imbarazzo, quasi a disagio.
Sia lui che Kyda erano stravolti e quei ragazzi offrirono loro delle bottigliette d’acqua. Molti continuarono a complimentarsi con Sam e altri con Kyda, ma ella ringraziava con un semplice cenno del capo e si scostava ogni volta che qualcuno provava a darle qualche pacca sulla spalla.
Ad un certo punto, a Sam venne un’idea illuminante e si fece passare tutte le fotografie che quel ragazzo aveva fatto loro.
Quando furono lontani da quel posto Kyda gli chiese spiegazioni del suo gesto.
-Perché ti sei fatto dare quelle foto?-
-Non ne sono sicuro, ma credo di sapere che tecnica utilizzare per il progetto...- le spiegò Sam, ancora un po’ euforico per la vittoria.
-Vuoi incollarle, dico bene?-
Sam annuì e lei gli chiese di mostrarle le foto sul telefono.
-Molto bene, le teste sono rimaste tagliate. Direi che si può fare- approvò, annuendo.
Il ragazzo le disse che le avrebbe stampate lui, visto che aveva la macchina apposta. Fece per aggiungere qualche altro dettaglio sul cartellone, ma Kyda lo interruppe, fredda, dura e tagliente come mai era stata prima.
-Devo andare-
A quelle parole così glaciali, Sam si voltò a guardarla. Ogni minimo accenno di emozione e allegria che quella giornata pareva aver portato in Kyda si era dissolto, volatilizzato.
Il volto di lei era così cupo e così lugubre che il ragazzo quasi se ne spaventò. Gli occhi circondati di matita nera della giovane non trasmettevano di nuovo nulla. Erano spenti, vuoti.
Era di nuovo la Kyda che aveva conosciuto la prima volta.
Sam rimase completamente destabilizzato. Perché all’improvviso era ritornata così?
-Beh, ci si vede- concluse la giovane e ripartì a gran velocità sull'inseparabile skateboard.
Sam rimase sul marciapiede, solo e immobile, finché lei non scomparve dalla sua vista.








 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11° ***


Tyler si passò una mano fra i folti quanto unti capelli neri, scompigliandoli per bene, per poi spezzare un tozzo di pane e mangiarselo con avidità.
Sam guardò con represso disgusto quella sottospecie di essere umano, se poteva essere definito tale, che gli si trovava seduto di fronte a tavola.
Da quando quel tizio aveva messo piede in casa loro, il giovane  aveva tentato in ogni modo di ignorarlo e di sfuggirgli, ma infine la tanto temuta ora di pranzo era arrivata e adesso era lì, dirimpetto ad Olio Men. Quest’ultimo, da quando avevano iniziato a mangiare, non aveva smesso un solo secondo di blaterare, compiacendosi lui stesso delle baggianate che continuava a sparare raffica.
Amber era seduta accanto al fidanzato e non faceva altro che lanciargli occhiatine e ridacchiare come un'ebete; lui di tanto in tanto ricambiava. Davvero rivoltante.
Tutti parlavano allegri e concitati, tutti tranne Sam, che si asteneva tatticamente alla conversazione. Aveva altre cose molto più interessanti a cui pensare che ascoltare stupidi discorsi da pranzo della domenica, come riflettere su cosa comprare a Daniel, per esempio, o ragionare sullo strano comportamento che Kyda aveva avuto il giorno precedente. Sembrava che fosse stata bene e che si fosse addirittura divertita, o almeno tutto faceva pensare così, quando all’improvviso la ragazza aveva di nuovo cambiato temperamento ed era ritornata cupa e distaccata, ancora più di prima, forse.  Perché si comportava così? Sam non riusciva proprio a trovare una spiegazione logica. Inoltre, anche altri avvenimenti lo avevano lasciato molto perplesso, come il fatto che Kyda lo avesse salvato da quel Brian, o ancora lui stesso non riusciva a credere di essersi così divertito a giocare a Basket con la sua nemica, anzi, tutto sommato anche il resto della giornata era stata piacevole.
Le sue riflessioni vennero interrotte dalla voce cordiale della madre:
-Vuoi un po’ di pane, Sam?- chiese porgendogli un piccolo cestino di vimini.
Lui guardò le pagnotte nauseato. Si era offerto di tagliarle Olio Men, chissà che ci era finito dentro.
Declinò l’offerta, cercando di mascherare il proprio raccapriccio.
-Quindi vi trovate bene in questa città, da quel che ho capito- disse Tyler, continuando a mangiare ai quattro palmenti -E dimmi, come sta andando il lavoro, Reneé?-
-Tutto a posto, direi. Quasi tutte le mie colleghe sono delle persone affabili e le classi sono abbastanza tranquille, a parte qualche elemento. Certo, la nota negativa sono i genitori lamentosi, ma non può essere tutto rose e fiori, giusto?- rispose la donna, sorridente.
Lui concordò con lei, ingurgitando altro cibo. Era un mangione di prima categoria, eppure riusciva a mantenere il suo fisico magro e allampanato.
-Tu Holly cofe fe la paffi?- chiese poi Tyler, con la bocca piena di lasagne, rivolgendosi alla bambina.
-Ehm, benissimo, grazie!- replicò lei, con un sorriso tirato. Esattamente come il fratello, trovava repellente il ragazzo della sorella.
-E invece tu Sam?- domandò ancora.
-Normale- replicò il giovane neutro, senza neanche guardarlo in volto.
Tyler rise ironico -Sempre molto loquace a quanto vedo! Su, è da un bel po’ che non ci vediamo, raccontami qualcosa!-
Sam sollevò stancamente lo sguardo su di lui e rispose svogliato -Boh, non ho niente da raccontare. Va tutto come al solito...-
Ma Olio Men non demorse -Dai, non ci credo! Come ti trovi nella nuova scuola?-
Il ragazzo non rispose subito, poi disse scrollando le spalle -Mah, direi abbastanza bene-
-Lascialo un po’ perdere! Non vedi che non è in grado di intrattenere una conversazione?- s’intromise Amber, acida.
-Vi danno molti compiti?- proseguì con il suo Terzo Grado l’altro, ignorando la fidanzata.
-Dipende da volte...- replicò Sam annoiato, sperando che quel misero dialogo finisse al più presto.
-E invece con le ragazze come andiamo, eh?- s’informò Tyler con un sorriso malizioso.
Sam s’irrigidì. Sapeva che era quello a cui Olio Men puntava fin dall’inizio, ormai gli faceva la stessa e identica domanda tutte le rare volte che si vedevano.
Gli rispose che da quel punto di vista non aveva molto successo, ma che tutto sommato gli andava bene così ed era vero. Non era mai stato uno di quelli impallati e non lo toccava poi molto che le ragazze non lo considerassero. Certo, avere qualcuna che fosse interessata a lui non gli sarebbe dispiaciuto, ma non ne faceva un caso di stato come altri coetanei di sua conoscenza (tipo Daniel).
-Capisco e non sei nemmeno mai uscito con una ragazza?- continuò a chiedere l’altro, con un lieve tono di compatimento nella voce.
-No- ribatté Sam, irritato. Ma perché quello lì non la piantava di fargli domande? Che si ingozzasse e stesse zitto!
Tyler fece per commentare (e anche deriderlo un po’), ma Holly si intromise nel discorso.
-Non è vero! Sì che sei uscito con una ragazza, ti ho visto io!- esclamò la sorellina, additando il fratello.
Nella sala scese un silenzio tombale e tutti si voltarono a fissare Sam.
-Ne sei sicura, Holly?- domandò Amber scettica e inarcando un sopracciglio.
-Sicurissima! È già la seconda volta che la vedo! È un tipa tutta strana, sempre vestita di nero e con lo skateboard!- spiegò la bambina.
-Wo oh e tu che mi stavi dicendo una balla!- esclamò Tyler –Dì un po’, chi è questa ragazza tenebrosa?-
-Infatti, tesoro, di chi si tratta? Non me ne avevi mai parlato prima d’ora!- sorrise la madre, estremamente curiosa.
Sam sospirò esasperato. Pure lei ci si metteva!
-È solo una mia compagna di classe, tutto qua. Sta in coppia con me per quel progetto di Arte di cui vi avevo parlato- spiegò.
-Questo sì che è interessante- interloquì Amber –Parlaci un po’ di lei, com’è?-
-Non ne so molto- rispose lui, sempre più scocciato. Non sopportava il loro essere così ficcanaso.
 -Ma andiamo un po’ al sodo... Ti piace?- ghignò Tyler.
A quella domanda Sam si inchiodò. Non ci aveva mai pensato e poi perché avrebbe dovuto? Certo, parlando esteticamente, quella ragazza aveva un bel fisico senza dubbio, snello e nervoso. Di viso pareva abbastanza carina, ma lui  non aveva mai avuto modo di accertarsene considerando il fatto che ella si riempiva sempre gli occhi di trucco. Ma soprattutto, Kyda era  il membro di un gruppo di bulli psicopatici che lo tormentavano dall’inizio della scuola, era il braccio destro di un folle. Era una dei suoi nemici principali, ma che per l’ironia della sorte ci si era ritrovato insieme per fare un progetto. Era un ragazza apatica, impassibile e cupa, che spruzzava veleno alla prima occasione, ma che infine aveva dimostrato di aver un’anima. Lei era quella che gli aveva risollevato il morale un tetro pomeriggio di nebbia. Sì, ma che gli aveva anche rubato l’orologio. Okay, ma con la quale aveva passato uno dei pomeriggi più divertenti della sua vita...
Sam realizzò di dover smettere all’istante di ragionare. Stava cominciando a confondersi.
-...perché nel caso quella ragazza ti interessasse, posso darti degli utilissimi consigli su come conquistarla- aggiunse Tyler, spavaldo.
-No, avete frainteso tutti- ribatté il ragazzo secco. E poi non avrebbe chiesto in ogni caso l’aiuto di quello lì. In fondo, con le sue presunte tecniche di seduzione, era riuscito ad accaparrarsi solo una come sua sorella, il che la diceva lunga.
Il pranzo proseguì tranquillo e una volta finito di mangiare Amber e il fidanzato uscirono di casa per andarsi a fare dei lunghi giri in moto.
Sam era al settimo cielo, finalmente sua sorella si era levata di torno. Si chiese cosa avrebbe potuto fare per passare il tempo; fuori era tutto chiuso visto che era Domenica, perciò non valeva la pena uscire e di andare al parco quel giorno non ne aveva voglia. E stranamente non aveva neppure da fare i compiti.
Salì in camera sua, si buttò sul letto e si mise le cuffie azzurre. Fece per collegarle al telefono, quand’ecco che questo si illumino e vibrò, segno che era arrivato un messaggio.
Si trattava di Daniel:
Ehy ehy! Senti questa: Chanel è appena passata sotto la mia finestra! È un segno???
Sam guardò esterrefatto il messaggio e rispose:
Sì, proprio un segno del destino. Dan, ma che vai blaterando?
La risposta fu immediata.
Mpf, non sto blaterando! In ogni modo, sono rimasto vent’anni attaccato al balcone per vederla passare... È sempre più bella (e sexy). Devo riuscire a conquistarla! Non basta che straveda per me in segreto, voglio qualcosa di più!
Il giovane sospirò e si passò una mano sul volto esasperato.
Non voglio infrangere i tuoi sogni, ma ti ricordo che lei è fidanzata e in più il modo in cui si comporta non fa intendere che sia “pazza” di te!
Con questa risposta, Sam sperò di riuscire a riportare con i piedi per terra il suo amico, ma senza successo.
Dettagli, dettagli. E poi sono convinto che la sua sia solo una posa! Comunque mi inventerò qualcosa, puoi contarci ;) Ora devo andare, ci vediamo domani!
Il ragazzo salutò il compagno di banco, poi crollò sul cuscino. Non sapeva proprio che altro fare per riuscire a convincerlo, Daniel era veramente testardo. E determinato. Sam sperò in cuor suo e l’amico non facesse qualche cavolata, come mettersi contro Nick per Chanel. Era già stato pestato una volta da Travis, non era il caso che venisse malmenato una seconda.
Fece partire la musica e si perse nel suo mondo, ma non per molto, in quanto il cellulare vibrò nuovamente.
Sam si tirò su di scatto e si tolse le cuffie con uno strattone. Inutile, quel giorno non c’era verso di starsene un po’ in pace!
Guardò sul display e vide che il messaggio proveniva da un numero a lui del tutto sconosciuto.
Dobbiamo organizzarci per domani
Arrivò poi un altro messaggio.
Sono Kyda
Sam ne fu estremamente sorpreso, non si sarebbe mai aspettato un messaggio da lei. In più, si chiese come avesse fatto ad ottenere il suo numero di telefono. Lui non glielo aveva mai dato, infatti rispose:
Ciao! Giusto, non ne abbiamo più riparlato. E...posso sapere chi ti ha dato il mio numero? 
Kyda replicò che lo aveva avuto chiedendo un po’ giro, poi inviò subito dopo un altro sms.
Comunque per domani ci vediamo in Via Arrow vicino a  quell’aiuola verso le 15:00?
A Sam più che una domanda parve un ordine, ma rispose che per lui andava benissimo.
Kyda gli mandò un ultimo messaggio.
Ok, allora facciamo così. Ci vediamo domani, salvati il mio numero nella rubrica
Doveva proprio reputarlo un’idiota per dirgli una cosa del genere. Non era uno sprovveduto, salvarsi il numero era la prima cosa che aveva fatto. La salutò, ma da parte della ragazza non arrivò nessun altro messaggio di saluto.
Rindossò le cuffie e si perse nuovamente in un altro mondo.


-Come mai non andiamo nella biblioteca della scuola, oggi?- domandò il giovane, perplesso.
 Lui e Kyda si erano appena allontanati da Via Arrow e si stavano dirigendo, fianco a fianco, verso una direzione casuale.
Rispetto alla scorsa volta, quel giorno il clima era tornato più rigido e freddo. Il cielo era grigio e nuvoloso e un accecante riverbero infastidiva gli occhi.
-Perché non ho voglia di rinchiudermi subito lì dentro. Come organizzarci il cartellone possiamo anche deciderlo mentre camminiamo, poi andremo in biblioteca quando sarà il momento disegnare. E in più questo è il mio tempo preferito, per cui mi piace stare in giro- rispose la ragazza.
-Si si, tanto non mi cambia nulla. Era solo per sapere- sorrise lievemente Sam, poi aggiunse –A questo proposito, cosa raffiguriamo questa volta?-
Kyda lo guardò con la coda dell’occhio -Hai stampato le foto?- chiese diretta.
Sam annuì soddisfatto.
-Sì, ce le ho in una busta dentro lo zaino- le rispose.
-Perfetto. Ciò che faremo sarà quindi incollarle su di un cartellone bianco. Però suppongo che non basti, ci vuole dell’altro...- ragionò Kyda, sfiorandosi il mento con il pollice.
-Sono d’accordo con te. Dovremmo creare una specie di sfondo, solo che non ho la più pallida idea di cosa potremmo disegnarci- sospirò il giovane.
-Idem- replicò la ragazza, incrociando le braccia.
Camminarono per un po’ in silenzio, entrambi intenti a riflettere. Quel giorno Sam non aveva un briciolo di ispirazione e non sapeva  assolutamente che cosa proporre. Consegnare un cartellone con solo qualche foto appiccicata era impensabile, persino Daniel avrebbe fatto qualcosa di meglio.
Al nome dall’amico, Sam sobbalzò e colpì la fronte con una mano.
-Cacchio, me ne stavo per dimenticare!- urlò.
-Di che stai parlando?- domandò Kyda.
-Devo andare a compare un regalo, domani è il compleanno di Daniel!-
La giovane inarcò un sopracciglio -Parli di Lipton?-
-Sì! E adesso come faccio??- farfugliò il ragazzo, passandosi una mano sul volto. L’intero pomeriggio lo avrebbe passato in compagnia di Kyda per realizzare il cartellone, di conseguenza non avrebbe avuto un solo minuto per andare ad acquistare il regalo di compleanno per il compagno di banco.
-Dove sta il problema? Ci andiamo ora- rispose la ragazza con una scrollatina di spalle.
Sam non credette alle proprie orecchie. Aveva davvero intenzione di accompagnarlo? Lui non aveva neanche lontanamente preso in considerazione quell’ipotesi, considerato il trascorso che c’era stato tra i Dark e Daniel. Era vero che Kyda non aveva fatto del male al ragazzo, ma il resto del suo gruppo sì, per cui il fatto che lo accompagnasse a comprare il regalo per l’altra vittima principale di Travis era alquanto...strano.
-Davvero? Sicura che per te non sia un problema? Perché, insomma, pensavo che...- mormorò a disagio.
-No, non c’è nessun problema- lo interruppe lei tagliente, per poi cambiare immediatamente discorso -In ogni modo, cosa contavi di regalargli?-
Il giovane rifletté un istante, poi rispose –Non ne sono certo, però pensavo di comprargli un profumo. Potremmo andare da “Acquamarine”, la profumeria-
Kyda scosse la testa -No, conosco un posto decisamente migliore-
Sam la guardò perplesso e le chiese dove si trovasse, ma lei gli rivolse un sorrisetto enigmatico e si incamminò senza dargli ulteriori spiegazioni.
Lo  portò in un vicolo, ma non in uno stretto e buio, ma di quelli che piacevano tanto a lui: luminoso, abbastanza spazioso e soprattutto caratteristico.
Lungo la strada erano state posizionate lanterne dagli svariati colori che sarebbero poi state accese la sera illuminando il tutto. Vari negozi molto particolari si susseguivano e un bar aveva posizionato fuori dei tavolini e delle sedie in ferro laccate di bianco con sopra centrotavola di viole.
Sam era entusiasta. Non avrebbe mai scoperto quella Via se non fosse stato per Kyda. Quella ragazza doveva passare molto spesso il suo tempo libero in solitudine per conoscere tutte quelle stradine.
Arrivarono infine davanti ad un negozio. Fuori vi erano dei vasi di rose rosse e l’insegna era legno bianco.  Non aveva l’aria di essere un posto molto grande, ma dava un senso di pace e tranquillità inaudito.
Entrarono e così Sam scoprì che si trattava di una profumeria, ma completamente diversa da tutte quelle in cui era stato fino ad allora. Le boccette di profumo erano messe in ordine con cura su degli scaffali di legno e un dolce profumo aleggiava nell’aria. L’atmosfera non era caotica, ma rilassante. Dentro non c’era nessuno, a parte loro e una donna dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurro pallido, probabilmente la commessa.
-Benvenuti da Crystallize- sorrise ella.
Sam ricambiò il sorriso, mentre Kyda tirò dritto, fino ad uno scaffale.
-Guarda, questi sono tutti profumi scontati, divertiti-
Il giovane la ringraziò e lei si allontanò mettendosi a girovagare per il negozio.
Lui iniziò a provare qualche profumo, nella speranza di trovarne uno che incontrasse i gusti di Daniel. Ogni tanto lanciò delle occhiate a Kyda, che osservava scrupolosa il piccolo reparto dei trucchi, non potendo fare a meno di notare che una come lei, vestita completamente di nero, faceva uno strano effetto in un negozio come quello.
Infine riuscì a trovare il profumo adatto, all’essenza di mare, e in quel momento Kyda chiese rivolgendosi alla commessa -Quanto dura la promozione per queste?- prese in mano una matita nera.
La donna rispose che sarebbe durata fino alla prossima settimana e così la giovane rimise a posto la matita, dicendo che sarebbe poi ripassata fra qualche giorno.
Sam non era mai riuscito a capire perché le ragazze  tenessero così tanto a truccarsi, la riteneva una davvero stupida! Si perdeva solo tempo e poi avere tutta quella roba sugli occhi...Che fastidio! In particolare Kyda esagerava sempre tantissimo tra strati di matita nera sopra e sotto e chili di mascara. Quel giorno poi aveva calcato la mano ancora più del solito.
Il ragazzo andò a pagare e fu allora che notò appeso al muro, dietro alla commessa, il poster di un bellissimo tramonto, che gli fece tornare alla mente quello che aveva visto il giorno in cui aveva giocato a basket con Kyda.
Pagò il profumo e uscì dal negozio con la giovane.
-Disegniamo un tramonto come sfondo?- dissero in coro i due ragazzi, non appena furono fuori.
Kyda guardò Sam corrugando la fronte ed egli a sua volta sgranò gli occhi. Avevano avuto la stessa idea nel medesimo istante.
-Beh, direi che la risposta è un sì- ridacchiò, ancora sorpreso.
-Credo anch’io- replicò lei sorridendo sarcastica.
-Visto che poi sopra ci attaccheremo le foto dobbiamo essere certi che lo sfondo non si perda, per cui stavo pensando che potremmo realizzarlo con le tempere, cosa ne dici?- continuò il ragazzo.
-Come ti pare- commentò Kyda indifferente e aggiunse -Allora andiamo...-
-...Da Hugh?- concluse per lei Sam.
La giovane lo guardò appena un istante, pareva stranita, poi si riscosse e si avviò, affrettando il passo.
Sam la raggiunse subito, incredulo quanto lei. Assurdo a dirsi ma...Che stessero iniziando ad essere una squadra?

Non appena il cartolaio vide Kyda, anzi, non appena il cartolaio vide Kyda insieme Sam, sorrise con gioia e li accolse con ancora più allegria e gentilezza della volta precedente.
Procurò loro un cartellone bianco molto resistente, otto tubetti di tempera e vari pennelli. Mise tutto in un grosso sacchetto lilla e nuovamente non volle una sola banconota, nonostante le proteste accese della ragazza.
Sam si rese conto che quel signore, oltre che generoso, era davvero molto simpatico, a parte quando si metteva a studiare e a valutare l’orologio verde.
-Da quanto lo conosci?- domandò il ragazzo, mentre si  dirigevano verso la scuola. Erano solo le cinque e mezza e avevano tempo per fare un buona parte del lavoro.
-Da un bel po’ direi, Hugh è un caro amico di mia madre...- 
-Ah ecco, infatti ho notato che siete molto in confidenza- considerò il giovane, poi sparò a bruciapelo - Ho saputo che hai un fratello...-
Kyda rispose semplicemente annuendo.
-E insomma, com’è? Il classico fratello minore rombi balle?- proseguì Sam, cauto. Voleva riuscire a scoprire qualcosina in più sulla famiglia di lei, ma doveva misurare bene le parole e soprattutto non infastidirla. 
-Abbastanza, come tutti i fratelli direi...Tu invece, sei figlio unico?- chiese Kyda.
Sam non seppe dire se la ragazza fosse davvero interessata o se quello fosse solo un modo per sviare il discorso, tuttavia rispose -No, ho due sorelle. Una di nove anni di nome Holly e una di quasi diciotto anni, Amber-
-Siete in buoni rapporti?-
-Con quella piccola sì, stravedo per lei, a parte quando mi manda fuori dai gangheri- replicò, ripensando a quello che era successo giorni fa -Io ed Amber invece non ci sopportiamo-
Si aspettò qualche considerazione da parte di Kyda, ma lei non disse nulla. Sembrava stesse pensando a tutt’altro.
Infine giunsero nella biblioteca della scuola, ma videro che ogni singolo tavolo era occupato. Alcuni studenti si erano messi addirittura per terra, tanta gente c’era.
-Questo potrebbe essere un problema...- commentò Sam.
Kyda studiò ancora per un po’ l’ambiente circostante, poi sbuffò -Inutile, non c’è un posto libero manco a pagarlo-
-Chissà come mai è così affollato...- mormorò il giovane.
-Che giorno è oggi?-
-Uh? Oggi è Lunedì, perché questa domanda?-
-Allora penso di aver capito- rispose la ragazza –Il Lunedì è il giorno in cui solitamente c’è più calca. Tutti vengono qui a studiare e a fare i compiti. O a realizzare cartelloni- indicò due ragazzi intenti a disegnare.
Sam sospirò sconfortato -E adesso che cosa facciamo? Dove andiamo?-
La giovane rifletté un attimo, poi replicò stringendosi nelle spalle -Andiamo a casa tua-
-A casa mia!?- esclamò, voltandosi di scatto verso di lei. Doveva aver sentito male.
-Sì, in fondo tu abiti abbastanza vicino alla scuola, giusto? Perciò non vedo dove sia il problema-
Sam rimase silenzio. Non gli piaceva molto l’idea di dover portare Kyda a casa sua, lo metteva un po’ a disagio, ma la ragazza aveva ragione: quella era la soluzione più logica.
E così, acconsentì.
Uscirono dalla scuola e si diressero verso la casa di Sam. A quell’ora non vi era nessuno, ma fortunatamente il giovane aveva provveduto a portarsi dietro le chiavi.
Arrivarono di fronte al cancello bianco ed entrarono nel cortile. Kyda non faceva altro che guardarsi intorno, mentre Sam cercava di ripescare le chiavi in fondo allo zaino.
Infine, il ragazzo riuscì ad aprire la porta ed entrò in casa, mentre l’altra rimase sulla soglia.
-Devo togliermi le scarpe?- chiese.
Il giovane la guardò come se davanti a lui ci fosse un alieno e rispose -No, affatto! Noi non le togliamo mai!-
-Ah, okay. A casa mia sono abituata così, per quello...- replicò Kyda e così entrò anche lei. Non appena mise piede in casa di Sam, perse completamente la parola. Si guardava intorno con la bocca schiusa, colpita dalla grandezza di quella villetta. Iniziò a curiosare un po’ in giro e il ragazzo la lasciò fare. Evidentemente non era abituata a stare in spazi così enormi.
Intanto Sam posò lo zaino a terra e appese la giacca all’attaccapanni, mentre Kyda continuava ad esplorare e a guardare le varie foto sulle mensole.
-È una bella casa...- le sfuggì ad un certo punto.
-Ti ringrazio, anche a me piace moltissimo- sorrise Sam, accendendo un po’ di luci –Mia madre non poteva sceglierne una migliore, anche se le costa molti sacrifici...-
Scese un attimo di silenzio imbarazzante, che il ragazzo interruppe chiedendole se le andava di vedere il piano di sopra.
Ella accettò e il ragazzo le mostrò le varie stanze. Quella sì che era una situazione veramente assurda, Sam se ne rendeva conto. Stava facendo fare il giro turistico della casa a Kyda! A Kyda!
-Questa invece è la mia camera- disse, aprendo la porta della stanza.
La giovane entrò e, dopo aver passato lo sguardo da un particolare all’altro, buttò sul letto la giacca di pelle e lo zaino, senza troppo complimenti, e vi ci sedette comodamente sopra.
-Mica male come stanza, eh Wild?- esordì sarcastica.
-Già, non posso lamentarmi- rispose lui, cercando di sorvolare sul fatto che Kyda avesse scaraventato in quel modo le cose sul letto come se fosse stata a casa sua –Tu la dividi con tuo fratello invece?-
-No, ho la mia privata, anche se come grandezza non è paragonabile alla tua-
Ci fu un altro lungo e imbarazzante momento di silenzio. Si udiva solo il ticchettio della sveglia sul comodino.
-Oh beh, forse dovremmo metterci al lavoro, non trovi?- si riscosse Sam, mostrandole il sacchetto lilla.
-Sì giusto. Dove ci stabiliamo?- domandò la giovane, alzandosi dal letto.
-Temo che l’unico posto adatto sia qui per terra- sospirò lui -Il cartellone è gigantesco e non ci sta sopra la scrivania-
Kyda non rispose, tirò fuori dalla busta il cartoncino bianco e lo distese sul pavimento.
-Dobbiamo bloccare gli angoli, passami un attimo la giacca di pelle- 
Sam ubbidì e gliela lanciò, così la ragazza bloccò l’angolo vicino a lei con il giubbotto e un altro con il cappello da baseball.  Il ragazzo fece lo stesso con la felpa e con il proprio telefono, poi prese i pennelli e i tubetti di tempera e li posizionò lì a fianco.
-Ottimo, ora possiamo cominciare- sorrise il giovane.
-No, non possiamo- lo interruppe lei, scuotendo la testa.
Il sorriso di Sam si spense all’istante  e la guardò confuso. Avevano tutto, cosa c’era allora che non andava?
-Guarda, ci siamo dimenticati di comprare il rosa- spiegò lei indicando i tubetti di colore -E senza il rosa non si può dipingere un tramonto!-
-Accidenti, hai ragione!- esclamò il ragazzo, poi aggiunse –Però forse non è tutto perduto. In un cassetto dovrei averne un tubetto, aspetta...- si alzò e andò ad armeggiare nella scrivania, finché non trovò quello che cercava.
-Bingo! Mi sembrava di averlo visto un po’ di tempo fa e infatti eccolo qui!- esultò mostrandolo alla ragazza –Faceva parte del set di tempere che mi aveva regalato mio padre per un compleanno...-
-Problema risolto allora- annuì Kyda, poi aggiunse, cercando di mostrarsi indifferente –E... A proposito di questo...Le cose con tuo padre, si sono raggiustate?-
Il viso di Sam si incupì leggermente e la sua espressione divenne triste –Non proprio, in verità. Dopo quello che è successo non ci siamo più risentiti- si riscosse e cercò di ritornare a sorridere –Ma non m’importa, ci sono abituato. Insomma, ha sempre fatto così. Non mi ha mai mostrato del vero affetto, ha sempre pensato che per rendermi felice bastasse riempirmi di giocattoli, vestiti o orologi costosi...- lanciò uno sguardo a quello verde che Kyda portava al polso e non aggiunse altro.
La giovane non disse nulla e sfiorò piano lo schermo dell’orologio.
A quel punto i due giovani poterono iniziare a dipingere. Decisero di partire creando le varie sfumature del giallo, il che risultò essere un lavoro piuttosto lungo. Kyda si concentrò poi a pitturare il sole, mentre Sam volle iniziare a dedicarsi alle tonalità del rosa.
Prese in mano il tubetto e lo schiacciò, ma non uscì nemmeno una goccia di colore. Riprovò una seconda volta, con più forza, ma di nuovo niente. Doveva essersi seccato. Continuò a stringere, richiamando a se tutte le energie, ma il tubetto non ne voleva sapere.
-Si può sapere che stai combinando, Wild? Batti la fiacca?- fece Kyda lanciandogli un’occhiatina tagliente.
-No...-ribatté, strizzando al massimo il rosa -Sto cercando di far uscire un po’ di tempera da questo maledetto...coso-
La giovane alzò gli occhi al cielo e rispose -Da qua, lascia fare a me...-
Si voltò verso di lui, che continuava a premere, e fece per prendere in mano in tubetto, quando all’improvviso uno zampillo di  colore (quasi metà della tempera)  le arrivò dritto in faccia.  Il colore le gocciolò su tutta la maglietta e sui pantaloni e macchiò anche la giacca di pelle.
Sam, con ancora il tubetto in mano, rimase completamente pietrificato e con la bocca aperta, mentre a Kyda, che teneva le palpebre serrate, iniziarono a tremare le labbra per il nervoso.
Stizzita, si passò una mano sul viso, poi piantò un paio di occhi fiammeggianti di collera in quelli di Sam.
-TU...- ringhiò, iniziando a ricoprirlo di insulti e parolocce. Cercò addirittura di tiragli un pattone, ma lui si scostò in tempo.
-Cacchio, cacchio, ti chiedo scusa! Non l’ho fatto apposta, il colore è schizzato all’improvviso!- farfugliò il ragazzo, cercando in ogni modo di placare l’ira della giovane.
-Non mi interessa!- sibilò lei -Guarda che cazzo hai combinato! Giuro che se ti prendo...-
-Mi dispiace, sul serio! Però, ti prego, adesso cerca di calmarti!- la implorò Sam, rifugiandosi il più lontano possibile da lei, ovvero dentro l’armadio, e tentando di bloccare un attacco di ridarella convulsa, poiché Kyda in quello stato era veramente esilarante. Aveva i vestiti, i capelli e il viso completamente ricoperti di vernice rosa e in più le si era sbavato tutto il trucco, trasformandola in una specie di Pierrot ambulante. Ma non era proprio il caso di scoppiare a riderle in faccia, se non voleva che la ragazza lo riempisse di botte e finire così al pronto soccorso.
Kyda continuò a imprecare, oltre che tirare qualche bestemmia, sottovoce, finché parve calmarsi un po’.
-Avanti idiota, esci da quel belin di armadio. Non ho intenzione di massacrarti. Per ora...- bofonchiò.
A quel punto, cauto, Sam tornò allo scoperto e le si avvicinò un po’, dicendo -Sono davvero mortificato...-
-Stai zitto, non aggiungere altro altrimenti per te è la fine, te lo assicuro- ringhiò Kyda.
Il giovane guardò verso il basso, mogio -C’è qualcosa che posso fare per rimediare?- sussurrò.
-Oltre che lanciarti dal balcone liberandomi così della tua presenza? Sì, potresti darmi dei vestiti puliti e degli asciugamani. Ho bisogno di una doccia per lavarmi via questa robaccia...- rispose, passandosi una mano fra i capelli e scrollando la vernice, intenzionalmente, sul copriletto di Sam.
-Oh si si, ma certo! Vado subito! non ti muovere!-
-E dove vuoi che vada!?- sbottò Kyda, incavolata nera.
Sam la ignorò e volò in camera di sua sorella alla ricerca di abiti puliti. Sapeva che Amber teneva nell’armadio un reparto di vestiti che non usava mai, per cui non si sarebbe mai accorta della loro assenza. Prese una maglietta semplice rosa e un paio di jeans, poi corse a recuperare un accappatoio e ritornò da Kyda.
-Rosa?- disse la ragazza inarcando un sopracciglio alla vista della T-shirt.
-Non sono riuscito a racimolare niente di meglio...-
Ella scrollò le spalle e afferrò con uno strattone l’accappatoio. Infine si fece mostrare il bagno da Sam e vi si chiuse dentro, sbattendo la porta.
A quel punto, il ragazzo poté finalmente scoppiare a ridere ed accasciarsi per terra. Ciò che era appena successo non se lo sarebbe mai dimenticato, sarebbe passato alla storia. In più, quello ripagava alla perfezione la bastardata della china!
Continuò a ridere a crepapelle e appoggiò la schiena contro il muro, cercando di riprendersi, e notò che Kyda aveva dimenticato i vestiti sul letto.
Aspettò a lungo la ragazza, con ancora un sorrisetto divertito sulle labbra, guardando verso un punto indefinito della camera, finché i passi della giovane non attirarono la sua attenzione.
Sam spostò lo sguardo su di lei e fu allora che il proprio sorriso scomparve lentamente.
L’unica cosa che Kyda indossava era l’accappatoio bianco, corto, che le fasciava la vita perfettamente e ; i capelli neri, ancora gocciolanti, le scivolavano lungo le spalle, incorniciando un ovale perfetto, e gli occhi, non più truccati di nero, erano blu cobalto.
Sam si paralizzò sul posto, mentre sentiva il fiato venirgli meno e il cuore palpitare all’impazzata. Non mise un istante di guardare Kyda, che si era seduta sul letto e si asciugava i capelli, non riuscendo ad articolare una sola parola, ne a rialzarsi in piedi. Rimase lì, con la bocca dischiusa, a contemplare la cosa più bella che avesse mai visto.
-Dovresti darmi uno smacchiatore o qualcosa del genere, perché devo provare subito a smacchiare i vestiti prima che non riesca più a recuperarli- disse lei, poi, non udendo nessuna risposta, levò lo sguardo su Sam.
-Che ti prende?- domandò, notando in lui qualcosa di diverso.
-Niente...- balbettò con fatica, voltando la testa da un’altra parte. Cercò di tornare a respirare regolarmente e di riprendere il controllo delle proprie emozioni. Si rese conto di essere anche arrossito. Doveva darsi una calmata e ritornare se stesso il prima possibile, prima che Kyda potesse accorgersi di qualcosa.
-Comunque ho dei prodotti apposta nello sgabuzzino, te li vado a prendere- 
-Perfetto- disse la ragazza e, presi i vestiti, ritornò in bagno.
-Ho usato i trucchi di tua sorella. Non aveva matite nere, per cui mi sono dovuta arrangiare- commentò poi, scrollando le spalle.
-Va bene, non ti preoccupare. Tanto non se ne accorgerà mai- replicò lui, constatando che aveva di nuovo calcato con il trucco, ma esso, non essendo nero, non la appesantiva e metteva in evidenza quegli occhi così belli.
Le procurò degli smacchianti e la aiutò a dare una pulita agli abiti.
-Adesso è venuto tardi- constatò ad un certo punto la giovane –Devo andare, il cartellone lo continuiamo un’altra volta. Hai una giacca da prestarmi?-
Il ragazzo annuì e le andò a prendere un cappotto bianco di sua madre. Kyda lo guardò scettica, ma infine lo indossò senza dire nulla.
-Ci vediamo domani - disse la ragazza sull’uscio e fece per andarsene.
-Kyda...- la chiamò lui, senza nemmeno sapere il perché.
La giovane si voltò, in attesa, ma egli scosse la testa.
-No, niente...-
E così la ragazza se ne andò.
Sam, con ancora il cuore in subbuglio, salì al piano di sopra per dare una sistemata al bagno, quando notò, sopra ad un mobiletto, il suo orologio verde. Lo prese in mano stranito, come se si fosse trattato di un oggetto mai visto prima.
Chissà se Kyda  lo aveva dimenticato o se lo aveva lasciato lì intenzionalmente. Forse non lo avrebbe mai saputo.







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Capitolo 12
*** Capitolo 12° ***


 



Si trattava di una piccola torta, a forma di cuore, fasciata alla perfezione dentro della carta trasparente. Il dolce era alla crema e pandispagna, con sopra una glassa azzurra dall’aria gustosissima che fungeva da decorazione. A completare il tutto, vi era la classica scritta di “Buon Compleanno” in caratteri di zucchero bianco.
Sam e Daniel si scambiarono un’occhiata interrogativa, poi ritornarono a guardare il dolce. Lo avevano trovato, dentro ad un sacchetto blu, sul banco del biondo, non appena erano entrati nella classe, ancora vuota.
Tuttora frastornato, Daniel prese in mano il bigliettino verde chiaro che era fissato al pacchetto e lo lesse ad alta voce:
-“Spero che questa torta sia di tuo gradimento, ti auguro un felice compleanno! Firmato, Emily Dickinson*”-
Ci fu un attimo di silenzio sbigottito.
-Questa proprio non me la sarei mai aspettata- esordì il compagno di banco, grattandosi la nuca, poi scoppiò a ridere –A quanto pare la mia misteriosa pasticcera si è firmata con il nome di una famosa poetessa!-
-Bene, bene...Mi sa che hai fatto breccia nel cuore di qualcuna!- esclamò Sam. Fino ad allora non gli era mai capitato di assistere ad una cosa del genere, nemmeno fosse stato in un film!
L’amico prese tra le mani la torta, esaminandola attentamente, poi commentò -Mh...Chissà se Chanel sa cucinare...-
Sam si coprì il volto con una mano, incredulo. Ormai era ufficiale, Daniel era irrecuperabile. Si preservò dal fare qualunque tipo di considerazione, si sedette e iniziò a tirare fuori i libri della prima ora.
Frattanto il biondo, ancora esaltato e gongolante, rimise la torta nel sacchetto e la infilò sotto il banco.
-Comunque, d’ora e in avanti la mia missione sarà quella di scoprire chi è stato a prepararmi questo splendido dolce- affermò il giovane, con convinzione.
Sam gli diede una pacca sulla spalla -Sono certo che ci riuscirai!- disse, poi si mise a frugare nella cartella.
-Cosa vai cercando?- domandò il compagno di banco inarcando un sopracciglio, incuriosito.
L’altro non gli rispose e, con un sorriso, gli porse un pacchettino.
-Auguri!-
Daniel fissò sbigottito prima il regalo, poi il volto del ragazzo ed esclamò -Ma che cavolo, Sam! Ti avevo detto che non volevo niente!-
-Ed io non ti ho ascoltato- ribatté con un sorriso strafottente il giovane -Forza, aprilo!-
L’amico indugiò un attimo, dopodiché sbuffò divertito ed afferrò il pacchetto. Non appena lo ebbe aperto, si perse in mille ringraziamenti, spruzzandosi addosso e continuando a rigirarsi la boccetta di profumo fra le mani.
-Non so proprio come ringraziarti! È anche alla mia essenza preferita! In ogni modo, non avresti dovuto...-
-Si che avrei dovuto- replicò il ragazzo, convinto -E poi, sono sicuro che tu avresti fatto lo stesso, no?-
Il biondo annuì e gli sorrise allegro, poi il suo sguardo si fece serio ed esclamò -Sam! Ma quello non è il tuo orologio verde?-
-Uh? Sì è proprio quello...-rispose lui, senza alzare lo sguardo sull’interlocutore.
Daniel spalancò gli occhi e gli si appostò ancora più vicino con la sedia, esclamando -Ma come? E me lo dici così!? Come hai fatto a riottenerlo se era tra le grinfie di Kyda?-
Sam sospirò. Sapeva che l’amico non avrebbe perso tempo e che lo avrebbe tempestato di domande, ma in quel momento non aveva nessuna voglia di rispondergli a riguardo. Già la sera precedente non aveva fatto altro che pensare al modo in cui aveva riavuto indietro l’orologio e se fosse stato per puro caso o per volontà di Kyda. In verità però, ciò di cui non voleva parlare non era tanto dell’orologio di se, quanto della Dark. Quello che era successo il pomeriggio del giorno prima lo aveva lasciato alquanto destabilizzato, oltre che confuso.
Tuttavia, non poté sottrarsi alle continue richieste di spiegazioni da parte del biondo, così infine fu costretto a raccontare dal principio la giornata precedente, tralasciando però la parte di Kyda in accappatoio.
 Chissà, forse Daniel avrebbe saputo dargli qualche delucidazione sullo strano comportamento della ragazza e anche su tante altre cose che non riusciva ancora a comprendere.
L’amico ascoltò con vivo interesse tutto il racconto, facendo di tanto in tanto qualche commento o considerazione.
-No ma fammi capire...Ti ha davvero accompagnato a prendermi il profumo?- lo interruppe, incredulo.
Sam annuì e riprese a parlare, senza più essere interrotto. A narrazione conclusa, Daniel si sfiorò il mento pensieroso e mormorò -Mh, certo che è strano...E io che pensavo che la Stowe non avesse un briciolo di umanità! Già dai tuoi precedenti racconti mi ero abbastanza scioccato, ma questo li batte tutti!-
-Già...Ma il punto è che io non ci sto capendo davvero più niente! Ricordi quando ti raccontai della volta in cui io e Kyda giocammo a basket e di come il suo temperamento fosse mutato nel giro di pochi istanti? Ecco, più o meno è sempre così! Per la maggior parte del tempo è cupa e impassibile...- considerò Sam -E quando per un attimo pare “provare emozioni”, subito dopo ritorna com’è di solito, anzi, se possibile ancora più fredda e distaccata-
Daniel salutò alcuni compagni che erano appena entrati in aula, poi tornò a concentrarsi sul giovane -Non saprei dirti, quello probabilmente è il suo carattere e c’è poco da fare (basta solo vedere che gentaglia frequenta), in ogni modo potrebbe anche essere che nasconda qualcosa...- 
-Uh? Che intendi dire?- domandò il ragazzo, corrugando la fronte.
-Non lo so...Solo che, a parer mio, alcuni suoi comportamenti fanno pensare che ci sia qualcosa sotto. Pensaci bene! Ad esempio, il fatto che sminuzzi foglie (questa non me la scorderò mai), non è un po’ assurdo? O è pazza, possibile, o è una strega che fra intrugli, ancora più probabile, o tutto questo  è collegato a qualcosa-
Sam lo guardò meravigliato. Non gli era mai capitato di vedere Daniel in veste di Sherlock Holmes e questa cosa lo aveva colpito molto. I ragionamenti del biondo erano sottili senza ombra di dubbio e da lui non se lo sarebbe mai aspettato. L’unica pecca stava nel fatto che il compagno di banco non sapesse sfruttarli per se stesso, non accorgendosi così di cose evidenti, come il fatto che Chanel non fosse un minimo interessata a lui.
-Collegato a qualcosa, dici? E cosa potrà mai essere...?- disse, più a se stesso che a Daniel.
-Lo chiedi a me? Cosa vuoi che ne sap...Un momento!- saltò su l’amico, guardandolo con una strana espressione -Come mai tutta questa curiosità?-
Sam si mise subito sulla difensiva e replicò -Guarda che era tanto per chiedere, mica altro! Solo per farsi una o due supposizioni-
Daniel gli lanciò un ‘occhiata eloquente.
-Ehy amico, non mi sconfinfera...- 
-La mia era pura e semplice curiosità, Dan. Quindi, per favore, non metterti a pensare a cose strane- affermò Sam con forza. Prima la sua famiglia e quello di scemo di Tyler ed ora anche Daniel si era messo ad insinuare! Non sapeva il perché, ma quelle ipotesi lo infastidivano, oltre che metterlo un po’ in imbarazzo.
-D’accordo, come vuoi! Ti credo!- esclamò l’altro, alzando le mani in segno di resa e considerando la questione chiusa.
La classe iniziò a popolarsi, finché  non giunse il momento di iniziare la lezione. Questa volta però, prima di mettersi a spiegare equazioni e altre cose altrettanto “divertenti”, la Symons parlò loro di una raccolta fondi che la scuola aveva deciso di fare per una qualche opera di volontariato e che tutti quanti erano esortati a dare il loro contributo.
Quando la prof disse loro la somma da dover portare, Sam impallidì. Non era una cifra spropositata, ma non era nemmeno una sciocchezza. Voleva evitare di chiedere a sua madre i soldi, per cui in un primo momento pensò di non parlargliene e di esonerarsi meschinamente dall’iniziativa, ma sapeva che ai primi colloqui lei ne sarebbe venuta a conoscenza tramite i professori, che si sarebbe arrabbiata a morte, che gli avrebbe detto che aveva fatto male a non metterla al corrente, che non erano dei pezzenti e che avrebbe potuto benissimo sostenere la spesa.
Infine decise che gliene avrebbe parlato. Al massimo sarebbe stata sua madre a dirgli di no, anche se ciò era alquanto improbabile.
Seguì le lezioni distrattamente e qualche volta, di tanto in tanto, gli capitò di levare lo sguardo su Kyda. Precedentemente faceva di tutto per ignorarla e far finta che non fosse in classe con lui, ma ora non vi riusciva più tanto facilmente.
Era una situazione pazzesca: praticamente si vedevano quasi tutti i giorni per fare il cartellone e, tutto sommato, parlavano ed interagivano, mentre a scuola erano come due estranei. Ma in fondo, lei per lui era un estranea. Cosa sapeva di Kyda? Niente, a parte qualche informazione. Dopotutto, cosa si aspettava? Già tanto che la ragazza non lo avesse pestato, fatto qualche brutto tiro o gettato “in pasto” ai Dark.
Al contrario, non capitava mai che Kyda guardasse anche solo di sfuggita verso la sua direzione, mai. Lo ignorava e le uniche volte che gli prestava attenzione era solo quando lo facevano gli altri Dark.
Quella ragazza a  scuola era in un modo, praticamente una statua di pietra, mentre in giro, con lui, era quasi...diversa.
Si riscosse. Daniel aveva ragione; in fondo, che gli portava di come fosse o non fosse Kyda?

Finalmente la tanto attesa campanella dell’intervallo si decise a trillare e una marea di studenti si precipitò fuori per accaparrarsi il prima possibile la focaccia che la scuola metteva a disposizione.
Anche Sam fece per andare a prendere da mangiare, ma a metà corridoio si rese conto di essersi dimenticato il portamonete nell’aula di informatica, la classe più piccola e più lontana di tutte.
Imprecò per il suo essere così distratto e, sbuffando, ritornò sui suoi passi. Fece per entrare nella stanza, ma delle voci gli impedirono di andare oltre. Dentro doveva esserci qualcuno.
Sam si nascose dietro a una parete, in modo tale da non essere visto, ma da poter comunque vedere chi ci fosse all’interno.
Si rese presto conto che si trattava di Travis e di Kyda. Ella era appoggiata contro il muro, con le braccia incrociate, mentre lui le stava di fronte.
Il giovane tese bene le orecchie e si mise in ascolto, per sentire quello che i due si stavano dicendo. Se si fosse trattato di qualcun altro, non sarebbe rimasto lì ad origliare, ma Sam sapeva che se c’era di mezzo Travis, sotto doveva esserci qualcosa di losco e lui voleva scoprire cosa. 
-In conclusione, questo è il miglior piano che mi sia mai inventato!- esclamò il leader dei Dark, con un ghigno.
-Su questo non posso darti torto, tuttavia non ne sono pienamente convinta- ribatté lei, impassibile.
Travis assunse un’espressione confusa -Cos’è che non ti convince?-
-Il tutto è organizzato nei minimi dettagli ed è strutturato bene. Solo che, lo sai come la penso su quel fronte-
-Sì, lo so. Ma tanto, che t’importa? Non riguarda te- replicò l’altro, scrollando le spalle.
La giovane tacque un attimo, pensierosa, poi rispose, apatica -Semplicemente, non mi va. Non ne ho voglia-
-Ho l’impressione che qui ci stiamo un po’ rammollendo...- considerò lui, con un sorriso sbilenco.
-Non osare...- ringhiò di rimando la ragazza -Niente può scalfarmi-
-Allora dimostramelo-
Sam frattanto cercava inutilmente di capirci qualcosa. Aveva solo intuito che Kyda era messa alle strette da Travis.
-Non c’è bisogno che te lo dimostri, mi conosci- si ostinò la giovane.
A quella risposta, lo sguardo del ragazzo divenne torvo -Non mi basta. Recentemente mi hai fatto abbastanza incazzare, perciò, per riacquistare a pieno la mia fiducia, devi aiutarci ad attuare questo piano. Chiaro?-
La ragazza scosse la testa, contrariata.
Travis contrasse la mascella e piantò due occhiacci cattivi in quelli di Kyda. Per un attimo parve che fosse sul punto di tirarle uno schiaffo, ma d’un tratto il suo viso si rilassò e la sua bocca si incurvò in un sorriso obliquo.
Appoggiò una mano al muro e avvicinò il volto a un soffio di quello di lei.
-Che stai facendo?- disse Kyda gelida, irrigidendosi.
-Non possiamo fare questo colpo senza di te e tu lo sai meglio di me...- sussurrò quello e, a tradimento, le baciò il collo.
Alla vista di quello che stava accadendo, Sam si pietrificò. Avrebbe voluto interrompere tutto buttandosi lì in mezzo e prendendo a botte quell’energumeno, fino a farlo stramazzare a terra. Strinse i pugni, cercando di placare la rabbia. Quel mostro...come si permetteva!? Il giovane non sapeva assolutamente che cosa fare. Se fosse intervenuto, sarebbe stato di scarso aiuto e avrebbe solo peggiorato la situazione.
-Travis, che cazzo ti prende? Piantala subito- sibilò Kyda, guardandolo con odio, ma questo servì a poco.
-Mh...Perché dovrei?- ghignò l’altro, mettendole una mano sulla vita e baciandole nuovamente il collo.
La ragazza si ribellò e, con un’energica spinta, lo allontanò da lei. Travis barcollò all’indietro, ridendo come un demente.
-Ehy, che ti succede?- domandò, con un sorriso strafottente.
-No, sono io che lo chiedo a te! Cosa credevi di fare?- ringhiò la giovane, tra l’incollerito e l’incredulo.
Travis non rispose. Sogghignò e basta.
-Sei così fredda, Kyda, così imperturbabile, così pungente...Ed è questo che mi piace di te- 
La guardò spavaldo.
-Lo hai detto: fredda e imperturbabile- ribatté  lei, piatta –Io sono solo il tuo braccio destro, una tua collaboratrice. Nient’altro-
Travis si strinse nelle spalle -Lo vedremo...- 
In quel momento, la campanella segnò la fine dell’intervallo.
-Ora sarà meglio ritornare in classe...E, a proposito di quel piano, non è finita qui. Dopo ne riparliamo- e detto questo, i due se ne andarono , non accorgendosi della presenza di Sam, il quale, aveva provveduto a nascondersi bene.
Il giovane sbatté un pugno contro il muro, furente e frustrato. Non appena aveva visto Travis avvicinarsi in quel modo a Kyda, aveva provato un’ orribile e spiacevole sensazione, che nemmeno lui era riuscito a decifrare, oltre che tanta rabbia.
Si era sentito e si sentiva così impotente, esattamente come quella volta che i Dark avevano malmenato Daniel. Inoltre, cosa aveva macchinato quella volta la mente bastarda di Travis? Cosa aveva intenzione di fare e soprattutto che ruolo avrebbe  avuto Kyda? Doveva trovare il modo di scoprirlo, in un modo o nell’altro.

Per quel pomeriggio, Sam e Kyda, tramite messaggio, decisero di vedersi direttamente a casa del giovane verso le quattro. Anche quel giorno, non ci sarebbe stato nessuno a parte loro: sua madre era ancora al lavoro, Amber era in giro con i suoi amici e Holly era ad una merenda organizzata in un parco giochi.
Sam aveva giusto finito di sistemare il cartellone e l’occorrente, quando la ragazza suonò alla porta. Scese le scale rapidamente e le andò ad aprire.
La ragazza quel giorno, al posto della solita giacca di pelle nera, indossava un giubbotto di jeans blu scuro, che si intonava alla stampa dell’immancabile cappello da baseball. Sotto braccio, reggeva lo skateboard.
-Sì, Wild. Oggi una giacca diversa, ma non dovresti esserne poi molto sorpreso, considerato che l’altra me l’hai ricoperta di vernice rosa- esordì.
-Cosa? Guarda che non mi sono soffermato nemmeno attimo sul tuo giubbotto!- mentì Sam prontamente. Ma come cavolo aveva fatto capirlo!? Non aveva neppure visto la sue espressione, esattamente come quella volta del portamonete rosa! Che fosse davvero una strega e che possedesse sul serio poteri magici come aveva ipotizzato Daniel?
-Certo, certo...Comunque, mi fai entrare o devo rimanere qui a lucidare lo zerbino?- disse Kyda, con pungente sarcasmo.
-No...Entra pure!- si affrettò, invitandola ad accomodarsi.
Salirono fino in camera di Sam e si misero subito al lavoro.
-Ti avverto: niente scherzetti con la tempera, oggi non sono in vena- lo avvisò la giovane, prima di mettersi a dipingere.
-Sì, stai tranquilla! Comunque quello di ieri è stato solo un incidente!-
-Basta parlarne, che se ci penso troppo mi viene ancora voglia di pestarti. Forza, vediamo di finire questo benedetto cartellone-
Il ragazzo concordò con lei e così ricominciarono a pitturare, questa volta senza nessun tipo di “contrattempo”.
-Tu hai intenzione di aderire a quella raccolta fondi?- se ne uscì dopo un po’ Sam.
Kyda si strinse nelle spalle -Credo di sì, anche perché aderiscono tutti e  non ho voglia che i professori mi vangano a rompere se non partecipo- fece un pausa, poi chiese -E tu...Invece?-
-Pensò che aderirò. Devo ancora chiedere i soldi a mia madre, anche se non vorrei farlo. Se la scadenza fosse stata tra qualche mese avrei anche potuto procurarmeli da solo i soldi, magari facendo qualche lavoretto part-time. Solo che bisogna consegnarli entro domani e al momento non ho risparmi da poter impiegare...- mormorò, sospirando.
Kyda posò un attimo il pennello e si voltò a guardarlo -Saresti stato disposto a fare questo?-
-Certamente! Mia madre è già in ristrettezze economiche, perciò ogni volta che ne ho la possibilità non esito ad aiutarla! Mi sembra il minimo, con tutto quello che sta facendo per noi...-
La giovane lo guardò per un attimo intensamente, poi riprese a dipingere.
-Penso di averti giudicato male, allora-
-Che vuoi dire?- domandò Sam.
-All’inizio credevo che fossi uno di quei classici ricconi con mega ville, viziati e capricciosi, pieni di belle cose...Ma credo di essermi sbagliata su questo fronte- rispose la ragazza.
Lui abbozzò un sorriso -Sapevo che era questo quello che pensavi di me, ma sono felice che tu ti sia ricreduta. In ogni modo, questa somma per mia madre sarà un po’ una mazzata...Tuttavia ho un piano: mi metterò sotto per restituirglieli, in un modo o nell’altro!-
Kyda non disse nulla, ne levò lo sguardo sul ragazzo.
Disegnarono a lungo e infine riuscirono a terminare lo sfondo. Era venuto benissimo, sembrava un autentico tramonto.
Ora, non restava che incollare le foto e avrebbero finalmente terminato.
Sam si alzò e fece per andare a prendere il blocco di foto su una mensola della libreria, quando il suo cellulare iniziò a vibrare.
Rispose e la voce ansiosa ed agitata della madre lo investì:
-Ciao Sam, ascoltami, devo chiederti un grosso favore!-
-Ehm...Certo, dimmi pure!-
-Ecco, come sai oggi Holly è a quella merenda al parco giochi...L’orario in cui dovrei andare a riprenderla sarebbe proprio questo, ma il problema è che non posso assentarmi da scuola a causa di riunione fuori programma e non sarò a casa fino alle sette. Perciò, non è che potresti andare a prenderla tu?-
-Ah...- fece il ragazzo, levando lo sguardo su Kyda, che lo guardò interrogativa –In verità al momento sarei un tantino incasinato, non può andare Amber?-
-Ho già provato a telefonarle, ma non è raggiungibile...-
Sam fece un smorfia. Tsk, te pareva.
-Va beh ma’, non preoccuparti. Ci vado io- rispose infine, pacato.
-Davvero? Oh grazie, mi hai sbrogliata da un bell’impiccio...Il parco sai qual è, giusto?-
Il giovane rispose affermativo e la donna, dopo averlo ringraziato ancora, chiuse la comunicazione.
Sam sbuffò, passandosi una mano fra i capelli.
-Qualche problema?- chiese Kyda, inarcando un sopracciglio.
-Non necessariamente...Devo andare a prendere mia sorella al parco giochi- rispose lui. Non che lo considerasse un peso, tuttavia quel contrattempo rompeva un po’ le uova nel paniere, poiché contava di finire il cartellone quel giorno.
-Adesso?-
Sam annuì.
La ragazza sospirò alquanto scocciata, poi si alzò in piedi e indossò la giacca di jeans e il cappello.
-D’accordo, ma muoviamoci. Sono solo le cinque e mezza, quindi se facciamo in fretta ci rimane anche del tempo per incollare le foto-
-Ma tu... Vieni con me?- disse Sam, stupito.
-No guarda, con un koala. Con chi vuoi che venga? Non è colpa mia se sei sempre pieno di cose da fare- ribatté lei, burbera.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e sorrise suo malgrado. Prese anche lui una giacca al volo ed uscirono di casa.
Era un giornata soleggiata, quella, tuttavia le temperature non erano delle più alte e di tanto in tanto tirava qualche folata di vento.
Raggiunsero il parco in poco tempo, poiché non si trovava troppo distante da Via Arrow. Era l’area giochi più ricca di tutta Roxvuld, vi erano ben tre scivoli diversi, altane, una piccola zona per arrampicarsi e tante altre attrazioni.
Sam individuò subito la sorellina, che stava giocando a palla con delle amichette. Non appena lei lo vide gli corse incontro, con un sorriso luminoso.
-Fratellone!- esclamò, abbracciandolo –Come mai sei venuto tu? Dov’è la mamma?-
-Ha avuto un contrattempo, perciò eccomi qui. Che dici, andiamo?- sorrise lievemente lui.
L’espressione di Holly divenne mogia -Ma... ma non va ancora via nessuno! Dai, restiamo ancora un po’!- cercò di convincerlo.
Il giovane le rispose che aveva da fare e che dovevano andare via subito, ma la sorellina contrattaccò con una serie di “ti prego” ripetuti a manetta. 
A quel punto Sam non seppe più che pesci pigliare, quando Holly si impuntava su una cosa, era difficile smuoverla. O l’accontentavi, o la sollevavi di forza.
-Ma sì lascia che stia ancora...Basta che la smetta di martellare- bofonchiò Kyda, ruvida come al solito.
La bambina si zittì all’improvviso e alzò lo sguardo sulla Dark, intimorita. Sam poteva ben capirla, chissà che prospettiva aveva la sorella, la ragazza doveva parerle statuaria dal suo punto di vista. Inoltre, era anche piuttosto inquietante.
Il giovane si affrettò a presentarle, sorridente. Holly la salutò sfoderando la sua vocetta limpida, mentre l’altra si limitò a farle un cenno con il capo.
I due ragazzi si andarono a sedere su una panchina e la sorella ritornò dal suo gruppo di amiche. Sarebbero rimasti pochi minuti, non di più.
Sam si accorse solo un quel momento dell’assembramento di mamme che si ergeva di fianco allo scivolo. Tutte basse, grasse e pettegole, che non facevano altro che chiocciare e sparlare a destra e a manca, senza preoccuparsi un attimo di cosa stessero facendo le figlie. Che branco di galline.
I due giovani rimasero per la maggior parte del tempo in silenzio. Kyda immersa nei propri pensieri, mentre Sam ad osservare la sorella.
-Dovresti rilassarti un po’...- lo destò d’un tratto la ragazza.
Lui la guardò senza capire.
-Non fai altro che controllarla- aggiunse.
-Ho i miei buoni motivi- ribatté Sam, rabbuiandosi.
Kyda parve rimanere un attimo sorpresa per quella reazione. Fece per dire qualcos’altro, ma Sam si  alzò in piedi di scatto. Holly, incitata dalle amiche, stava per salire uno scivolo abbastanza alto. Troppo alto per i suoi gusti.
Il ragazzo andò da loro come una scheggia e fermò in tempo la sorella prima che facesse qualche stupidaggine. Non era infuriato come l’altra volta, il proprio tono era molto più tranquillo, tuttavia i suoi occhi erano nuovamente duri e severi.
La bambina si affrettò a scendere senza contestare e corse via insieme alle altre. Sam poté ritornare dalla panchina, sentendo però il cuore ancora in agitazione. Per quello non voleva mai portare Holly al parco giochi: lì era pieno di posti alti da cui cadere e farsi male e lui non voleva avere nessun tipo di responsabilità. Se le fosse capitato qualcosa mentre era in sua custodia, non se lo sarebbe perdonato.
Si lasciò cadere sulla panchina e si massaggiò le tempie. Perlomeno lei aveva capito al volo e lui era riuscito a non avere una reazione esagerata. Erano progressi.
-Tieni molto a tua sorella...Non è così?- se ne uscì all’improvviso Kyda, riscuotendolo.
Sam tirò su la testa e rispose con un lieve sorriso -Beh, questo mi sembra ovvio. È pur sempre mia sorella-
-Non intendevo questo- disse la ragazza, scuotendo il capo -Voglio dire...Mi sembri molto protettivo nei suoi confronti, inoltre con lei hai un rapporto...Speciale, si vede- soggiunse, mostrandosi fredda ed indifferente, anche se Sam notò subito che in lei c’era del vivo interesse.
Aspettò un attimo prima di rispondere. Sapeva di essere protettivo con Holly, lo sapeva bene, ma non era sicuro di voler raccontare il motivo per cui lo fosse così tanto. Non lo aveva mai rivelato a nessuno, oltre a Luke, quindi perché farlo con Kyda? Ciò nonostante, in quel momento la voglia di raccontare una delle cose per cui aveva sofferto era tanta, sentiva il bisogno di confidarsi. In più, non era riuscito ad ignorare quello strano calore che aveva provato non appena Kyda si era dimostrata sinceramente interessata, a dispetto della maschera d’indifferenza che si era ostinata ad indossare.
-Spesso mi rendo conto di essere troppo apprensivo nei suoi confronti, ma non lo faccio apposta. È più forte di me. Ogni volta che la vedo salire o arrampicarsi da qualche parte io...Mi sento spaccare in due. Ho perennemente il terrore, un giorno o l’altro, di ritrovarmela stesa a terra...Come tre anni fa- si interrupe. Ormai aveva iniziato a raccontare, ora non poteva più tornare indietro.
Kyda teneva gli occhi fissi nei suoi, attenta, e in attesa. Lo stava ascoltando, lo stava veramente ascoltando.
-Insomma, non so quanto possa interessarti...- si sforzò di sorridere -Fatto sta che accadde tutto esattamente tre primavere fa.
In casa, a parte me ed Holly, non era rimasto nessuno. Lei era così minuta allora, ancora più di adesso. Non riusciva ad arrivare alla mensola dei biscotti, così ha pensato di...di prendere la scaletta che tenevamo dietro il mobile della nostra vecchia cucina. Io stavo facendo i compiti in camera e non mi sono accorto niente...Quando- fece un pausa, le parole parevano non voler uscire –Quando all’improvviso ho sentito un tonfo allucinante, provenire dal piano di sotto. Sono corso giù come un fulmine, per poco non mi ammazzavo giù dalle scale, e...e l’ho vista! Aveva perso l’equilibrio ed era caduta. Mi sono buttato da lei, ho visto che aveva uno squarcio su una tempia perché aveva battuto la fronte sul piano cucina e aveva un piede bloccato sotto la scaletta; precipitando se l’era portata dietro. Poi...quando l’ho vista immobile, con gli occhi chiusi, che non dava segni di vita...Non hai idea di come sia sentito. Mi sono affrettato a toglierle la scala e a tamponarle la fronte per fermare il sangue,  intanto la chiamavo. Non rispondeva. Era nel panico più totale, quasi non riuscivo a comporre il numero per telefonare ai miei genitori. Hanno subito chiamato un ambulanza e sono corsi a casa, poi siamo andati tutti all’ospedale. Mia madre era disperata, Amber pure. Mio padre non diceva niente, ma non scorderò mai il modo in cui mi ha guardato. Era colpa mia, lo sapevo, me l’avevano affidata ed io non...non me ne ero occupato come si conveniva...-
Sam si interruppe nuovamente, levando lo sguardo sulla sorellina che giocava.
-Non appena siamo arrivati in ospedale, i medici si sono subito occupati di lei. Siamo stati in preda all’angoscia per tutto il tempo, ma il peggio doveva ancora venire. Quando abbiamo visto il medico uscire dalla sala operatoria siamo scattati su come delle molle e quando ci ha detto che Holly era entrata in coma... è stato come infrangersi in mille pezzi. Fortunatamente, se così si può dire, era un coma leggero, di primo grado, e lei si è riavuta un po’ di giorni dopo.
Ci ha messo del tempo per riprendersi del tutto, ma vederla sana e salva era la cosa più importante...- sospirò -Per quello sono così iperprotettivo nei suoi confronti, non voglio che le ricapiti una cosa del genere, ma lei pare non voglia collaborare. Si mette sempre nei guai! Giorni fa stava per ricapitare la stessa identica cosa ed oggi ci stava per ricascare di nuovo! Spesso non si ricorda di quello che le è successo tre anni fa, siamo noi a doverglielo rammentare. Quando si è risvegliata aveva un vuoto totale. L’unica cosa che le ricordi l’incidente è la cicatrice che ha sulla tempia, ma raramente si vede, poiché vuole portare i capelli lunghi proprio per non farla notare-
Scese un attimo di silenzio.
-Mi rendo conto di essere esageratamente ansioso, soltanto che...non posso farci niente...- mormorò infine Sam.
Per tutto il tempo in cui il ragazzo aveva parlato, Kyda era rimasta in silenzio. Lo aveva guardato intensamente e basta, come tutto’ora stava facendo.
-Tu ti senti in colpa per quanto è successo a tua sorella e l’essere così protettivo è come un tuo modo per  rimediare alla mancanza di quel giorno- disse d’un tratto, sollevando lo sguardo verso il cielo limpido.
Sam si voltò a guardarla lentamente.
-Non sono la persona più adatta per far dissipare i sensi di colpa, tuttavia, non credo che vivere nel perenne timore che possa accaderle qualcosa sia il modo migliore per tenerla al sicuro. Evitare che si metta stupidamente in pericolo è giusto, ma non lo è cercare di impedirle di fare le proprie esperienze- gli lanciò un’occhiata eloquente, dalla quale il giovane si sentì trafitto. Si riferiva a quello che era successo poco prima dallo scivolo.
-Lei è viva, ma se non vive la sua vita che senso ha vivere?- tornò a guardare verso l’alto, gli occhi vitrei - Deve farlo fino in fondo. Ha avuto una seconda possibilità ed  stata fortunata, non viverla sarebbe come sprecarla, non trovi?- socchiuse le palpebre.
Sam rimase immobile, come pietrificato. Le sue parole erano state come una doccia di acqua gelida: pungenti, ma allo stesso tempo rigeneranti. Si sentì segnato dentro de una nuova consapevolezza. Kyda aveva ragione, di nuovo. Con poche frasi era riuscito a farlo riflettere su un fronte a cui non aveva mai pensato. Già altri prima di lei avevano provato a tranquillzarlo, in primis sua madre, che non faceva altro che dirgli di non sentirsi responsabile e di non essere così apprensivo, ma senza successo.
Mai si era soffermato sul discorso della vita, come aveva fatto Kyda in quel momento.
La guardò profondamente. Per la seconda volta era riuscita a farlo uscire dal suo groviglio di pensieri e preoccupazioni, ma lui sarebbe mai riuscito a restituirle il favore? Sarebbe mai riuscito a scalfire quella corazza di freddezza e imperturbabilità che quella ragazza si era costruita? Kyda parlava di vita...Allora perché lei sembrava morta dentro?
Per un momento di pura follia desiderò stringerla a se, ma scacciò quel pensiero esattamente com’era venuto: rapidamente.
Lei era una Dark, eppure, perché non riusciva più a considerarla una nemica con la facilità di prima?
L’arrivo di Holly lo riportò sulla terraferma.
-Stanno andando via tutte...- lo informò.
-D’accordo, allora andiamo via anche noi- rispose, anche se oramai il tempo per terminare il cartellone era troppo poco.
Si alzò dalla panchina e la stessa cosa fece Kyda.
-No, non possiamo ancora andare via!- protestò la sorellina.
-Che altro c’è ancora?- domandò il ragazzo, alquanto scocciato.
-Oggi ho scoperto una posticino segreto e voglio fartelo vedere!-
Il ragazzo sospirò irritato, ma alla fine acconsentì. Dopotutto, era già tardi per fare altro. Chiese a Kyda se per lei fosse un problema. La ragazza rispose con una scrollata di spalle.
Durante il tragitto, Holly, curiosa com’era, non fece altro che tempestare la giovane di domande. L’altra le dava sempre rispose stringate e concrete, tuttavia non sembrava troppo infastidita e pareva sopportava la sorella di Sam.
Alla fine arrivarono nel posto segreto di Holly. Si trattava di una zona isolata del parco, caratterizzata dalla presenza di una altalena legata ad un ramo dell’albero.
-Ecco è qui!- esclamò la sorellina soddisfatta, correndo più in la.
Sam fece per raggiungerla, ma vide che Kyda era rimasta piantonata al suo posto, rigida. Teneva i pugni serrati, gli occhi blu erano spalancati, fissi su quella altalena, e le sue labbra tremavano leggermente.
-Va tutto bene?- chiese il ragazzo, preoccupato. Non l’aveva mai vista in quello stato, pareva sconvolta.
Lei si disincantò e la sua espressione ritornò apatica.
-Si- ribatté secca, affrettando il passo e superandolo, raggiungendo così la bambina.
-Dai, siediti sull’altalena che ti spingo!- esclamò Holly.
-Cosa? No scordatelo. Io non ci salgo- ribatté ella, incrociando le braccia.
-E perché?-
-Perché è una cosa infantile-
Holly fece una smorfia risentita –Non è infantile!-
-Si che lo è-
-Io invece ti dico di no! Per favoreee-
-No-
La piccola riempì le guancia di aria -Sei cattiva!- esclamò, con il viso rosso.
-E tu sei viziata- replicò a sua volta Kyda.
Sam decise che quello era il momento di intervenire.
-Ehm, dai, non è il caso di litigare. Holly, ci salgo io sull’altalena, così spingi me, che ne dici?- sorrise.
-Ma io non voglio spingere te! Voglio spingere lei!- ribatté la sorella, indicando la ragazza.
A quel punto Kyda, senza dire una parola, si avvicinò all’altalena e vi si sedette con mala grazia.
-Hai vinto tu, contenta? Ora dammi queste benedette spinte così la finiamo- sbottò.
Holly esultò e sorrise vittoriosa. Corse dietro e fece per darle una spinta, ma non accadde nulla. Riprovò, ma senza successo. Era troppo piccola e non aveva abbastanza forza.
-Non ci riesco- mugugnò -Sam fallo tu!-
-Eh!?- esclamò sgranando gli occhi, poi si ricompose -Non mi sembra il caso-
Holly fece per attaccare un’altra solfa, ma Kyda la precedette -Non preoccuparti Wild, posso capirti. Anche tu se privo di forze sufficienti per spingermi, ma non te ne faccio una colpa. Non si sceglie di essere sminchi, lo si è e basta-  sogghignò con sarcasmo.
Quello era davvero troppo. C’era già Amber che lo chiamava Sminchio e bastava ed avanzava.
Così, si lasciò convincere. Si avvicinò e solo allora vide che Kyda stringeva convulsamente le corde dell’altalena.
Con cautela, le poggiò le mani sulla schiena e cominciò a spingerla. Non seppe per quanto stettero lì, l’unica cosa che sapeva era che l’atmosfera in quel luogo sembrava magica.
All’inizio la ragazza aveva fatto un po’ di resistenza, ma alla fine si era lasciata andare.
Sam la stava spingendo man mano più forte, quando sentì qualcosa che mai avrebbe anche solo lontanamente pensato di poter udire. Una risata. Da parte di Kyda. Le era sfuggita all’improvviso, limpida e serena.
Sul volto del ragazzo comparve un sorriso, mentre Holly rideva come una matta, divertita.
Sam desiderò che quel istante non finisse mai, ma i momenti belli come quelli, non sempre erano destinati a durare.
-Spingila più in alto, Sam! Più in alto!- esclamò la bambina, cristallina.
Bastò quella frase perché l’incantesimo si spezzasse.
Kyda strisciò con forza i piedi a terra, fermando bruscamente l’altalena. Si alzò di scatto.
-Basta coi giochi- la sua voce tremava - Si è fatto tardi, devo andare. Le foto le incollerai senza di me- soggiunse perentoria e fece per andarsene.
-Aspetta!- esclamò Sam, non voleva lasciarla andare in via in quel modo. Non di nuovo. Le afferrò delicatamente il polso, ma bastò una sola occhiata glaciale della ragazza perché ritraesse immediatamente la mano.
-Kyda...-
-Ci si vede- tagliò corto e se ne andò a grandi passi, fino a sparire tra gli alberi.





*Emily Elizabeth Dickinson (Amherst, 10 dicembre 1830 – Amherst, 15 maggio1886) è stata una poetessa statunitense. È considerata tra i maggiori lirici del XIX secolo.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13° ***


-Sai, sono convinto che questa raccolta fondi per beneficenza sia tutta una farsa!-
La voce di Daniel gli giunse alle orecchie soffusa, lontana, quasi remota.  Sam sollevò stancamente il capo dal banco e lanciò un’occhiata all’amico.
-Che intendi dire?-
Il biondo assunse un’espressione sufficiente e rispose -Semplice, che secondo me la nostra grana non servirà per una qualche opera di volontariato, ma per arricchire la scuola, altro che!-
Il ragazzo aggrottò la fronte e l’amico, vedendolo confuso, si affrettò a spiegarsi meglio -Per farla breve, non trovi che per beneficenza ci abbiano chiesto un po’ troppi soldi? E pensa a tutto quel malloppo moltiplicato per il numero degli studenti di questo istituto! Ne viene fuori una vacanza alle Hawaii per tutti i docenti più il preside! Bidelle comprese!-
Sam scrollò le spalle. Non aveva voglia di mettersi a ragionare sulle presunte cospirazioni segrete della sua scuola, la sua mente era occupata da ben altro: ad esempio, doveva consegnare il prima possibile i soldi alla Symons (non si sentiva tranquillo a tenere tutti quelle banconote in classe), farsi restituire il cappotto bianco da Kyda, visto che sua madre si era imbufalita non trovando la preziosa giacca, e continuare a riflettere sui sempre più sospetti comportamenti e reazioni della Dark. La sua espressione così traumatizzata alla vista di quell’altalena non se la sarebbe mai scordata, per non parlare del modo in cui era andata via.
Inoltre, continuava a pensare al dialogo che la ragazza aveva avuto con quel mostro di Travis. Qual’era il suo piano? E soprattutto quando sarebbe stato messo in atto?
-Ehy Sam, ci sei?- lo richiamò il compagno di banco, scuotendolo per un braccio.
-Mh?- fu la risposta “loquace” del giovane.
Daniel lo guardò accigliato -Si può sapere che ti succede oggi?- chiese. 
-In che senso?- domandò a sua volta l’altro, incerto.
-Ti comporti in maniera strana. Sei assente, distratto e taciturno...-
-Sto solo riflettendo su delle cose, Dan. Niente di cui allarmarsi- lo rassicurò Sam, abbozzando un sorriso.
Il biondo lo guardò intensamente e la sua espressione si fece seria. Incrociò le braccia, poi disse –Stai pensando a Kyda, non è così?-
Il sorriso del ragazzo si spense. Come aveva fatto Daniel a capirlo? Possibile che tutti riuscissero a leggergli nella mente? Era davvero così prevedibile?
-In verità...sì- ammise -In che modo ci sei arrivato?- soggiunse.
-Non è stato molto difficile. Recentemente, quando ti vedo così silenzioso, è perché è successo di nuovo qualcosa riguardante la Stowe...- gli indirizzò un’occhiata eloquente.
Sam sospirò e si vide costretto a raccontargli la strana reazione della giovane alla vista di quell’altalena e ciò che ne era seguito.
-Vedi che avevo ragione? Tutto questo è collegato a qualcosa e a qualcosa di serio oserei dire- constatò il biondo a narrazione conclusa. Stette un attimo in silenzio, come se stesse riflettendo, poi, all’improvviso, spostò lo sguardo sul viso del giovane e sorrise pacato -Sam... ma... ti piace Kyda?-
Il ragazzo s’irrigidì all’istante e spalancò gli occhi, in imbarazzo -Eh?? Ma adesso che cosa c’entra?-
 -Tu rispondi-
Quella era la stessa identica cosa che Luke gli aveva detto la sera prima al telefono. No, era un’assurdità, di questo era più che convinto. Lui non s’innamorava, non lo era mai stato in vita sua (a parte in prima elementare) e tantomeno lo era di Kyda. Insomma, dai, non poteva essere...O forse sì? Non ci stava capendo più niente.
Scosse la testa, cercando di cacciarsi via dalla testa quei pensieri e rispose -N...no, affatto!-
-A me pare proprio il contrario...- replicò l’amico, con un sorrisetto -In questi ultimi tempi la Stowe sta occupando un po’ troppo la tua mente, con le sue stranezze e i suoi misteri!-
-Te l’ho già detto ieri: io sono solo curioso, niente di più- replicò Sam, anche se si accorse che il proprio tono non era dei più convincenti.
Daniel l’osservò ancora un istante, poi scrollò le spalle con un sospiro e non aggiunse altro.
Seguirono, o almeno cercarono di seguire in mezzo a tutto quel caos, la lezione della Ellist, finché il biondo sussurrò -Basta, non ce la faccio più a resistere...-
Sam si voltò verso di lui e Daniel ammiccò.
-Ho delle novità interessanti da raccontarti! Volevo aspettare fino all’intervallo, ma è inutile, non ci riesco- sogghignò.
-Avanti, spara!- esclamò il ragazzo, curioso.
-Allora inizierò con quella un po’ meno esaltante: hai presente Hetty? Sai no, quella dell’altra classe? Ecco, si è iscritta giusto ieri al mio corso di poesia! Non appena l’ho vista mi è venuto un colpo, perché temevo che il mio segreto venisse divulgato, dato che mi conosce. Però, mi ha assicurato che non ne farà parola e mi ha chiesto di fare lo stesso con lei (infatti tu non ne sai niente, vero?). Comunque, è un tipa veramente strana, non ha parlato praticamente con nessuno, tranne che con me, ma anche in quel caso è stata molto stringata con le risposte. Inutile, non le vado proprio a genio! In certi momenti, quando volevo fare un po’ di conversazione, pareva quasi che cercasse di sfuggirmi!- fece una smorfia risentita.
Sam ridacchiò -Dai, secondo me è solo una tua impressione...-
-No che non lo è! Se tu fossi stato lì a vedere la scena mi daresti ragione. Comunque, non sopporto che si giudichi un libro dalla copertina e lei sta facendo esattamente così nei miei confronti, per cui, la farò ricredere- affermò con convinzione.
-E cosa ha architettato questa volta Lipton il Genio?- disse il ragazzo ironico.
-Non ho ancora un piano preciso, ma puoi star sicuro che mi inventerò qualcosa-
Sam ne era più che certo. Quando il biondo si prefissava un obbiettivo, niente lo distoglieva dal portarlo a termine. Gli domandò poi quale fosse la seconda notizia.
Un’espressione sorniona e compiaciuta si fece largo sul viso di Daniel, accompagnata da un sorrisetto carico di malizia. Si schiarì la voce e assunse un atteggiamento altezzoso.
-A dispetto del tuo pessimismo e scetticismo, mio caro, ci tengo a farti sapere che Chanel mi ha chiesto di uscire insieme a lei-
Per poco Sam non si strozzò con la sua stessa saliva. Di sicuro aveva capito male.
-Che cosa!?- esclamò sbalordito.
-Proprio così, mi ha mandato un messaggio stamattina presto chiedendomi se mi andava di vedersi oggi pomeriggio- proseguì l’amico gongolante -Non è fantastico? Finalmente Chanel si è decisa a mostrarmi i suoi veri sentimenti!-
Avrebbe sinceramente voluto essere felice per Daniel, tuttavia non vi riusciva. L’ultima cosa che voleva fare era distruggere i sogni di gloria del ragazzo, ma la verità era che qualcosa non gli tornava. Il fatto che Chanel avesse cambiato opinione nei confronti di Dan così presto aveva un che di sospetto. Molto sospetto. In più non bisognava scordarsi che c’era anche Nick, il fidanzato, di mezzo.
All’improvviso si sentì inquieto. Temeva che dietro a quel messaggio così innocente e speranzoso per il biondo, si celasse invece una qualche trappola.
Non disse queste supposizioni al compagno e si mostrò entusiasta per lui. Non voleva rovinargli tutto e poi poteva anche darsi che Chanel fosse davvero intenzionata ad uscire con lui.
Riprese a seguire la lezione. Ormai mancavano solo due ore all’intervallo, poteva farcela.


Spariti. Scomparsi. Volatilizzati.
Sam frugò disperatamente nella tasca dello zaino, ma non riuscì a rinvenire nulla. Si mise a tirare fuori tutti i libri e provò a rivoltare la sacca da dentro a fuori. Di nuovo niente. Cercò in un tutte le tasche della giacca. Un buco nell’acqua.
Si lasciò scivolare sul pavimento della classe, mentre una terribile quanto angosciosa consapevolezza si faceva strada in lui: i soldi che sua madre gli aveva dato per la scuola erano svaniti.
Si sentì invadere dall’ansia, ma non demorse. Riprese le ricerche, rovistando sotto il proprio banco.
“Non può essere” fu l’unico pensiero che riuscì a formulare.
In quel momento udì dei passi dietro di lui e una voce tra l’amichevole e il preoccupato chiedergli –Hai pevso qualcosa, Sam?-
Il ragazzo si voltò di scatto. Si trattava di Mark.
-Dannazione, sì! Non riesco più a trovare i soldi da dare alla Symons!- farfugliò, in preda all’agitazione.
Il compagno di classe si offri di aiutarlo nelle ricerche e Sam gliene fu infinitamente grato. Si era reso conto che Mark c’era sempre ogni volta che perdeva qualcosa, come quella volta che i Dark gli avevano rubato i vestiti.
Continuarono a rovistare e, poco dopo, anche Daniel si unì alle ricerche.
-Quando li hai visti l’ultima volta?- chiese, calandosi nella parte da investigatore.
L’ultima volta era stata poco prima che suonasse la campanella dell’intervallo, poi era uscito fuori e al suo ritorno erano scomparsi. Lo riferì ai due amici.
-Cioè sei uscito in corridoio senza portarteli dietro!?- esclamò esterrefatto Daniel.
-Se è così, qualcuno, in quell’avco di tempo, è potuto benissimo entvave in aula e vubavteli. O magari si tvatta addivituva di un nostvo compagno di classe- aggiunse Mark.
-Cosa succede?- s’intromise una ragazza di nome Jade, dai capelli biondi legati in una coda bassa. 
-I soldi di Sam sono spariti. Si presume che qualcuno li abbia rubati- spiegò Daniel.
-Ma è terribile! Avete idee su chi possa essere stato?- chiese la ragazza.
Fu Mark a risponderle di no, poiché Sam era troppo impegnato ad insultarsi interiormente. Era stato un autentico idiota a lasciare la busta dei soldi incustodita e quella era la punizione per essere stato così sprovveduto. Quella volta era veramente nei casini. Come avrebbe fatto e soprattutto che cosa avrebbe potuto dire a sua madre? Che se li era fatti rubare da sotto il naso?
Iniziò febbrilmente a riflettere su chi potesse essere stato a  derubarlo, con il cuore che batteva all’impazzata e il fiato corto, finché la risposta gli arrivò come una lama di vento gelido.
Erano stati i Dark, ne era più che certo. Solo loro potevano fare una cosa del genere. Improvvisamente gli ritornò alla memoria la conversazione tra Travis e Kyda. Mise insieme tutti i pezzi e capì che il piano diabolico che il leader aveva elaborato era quello di fregargli i soldi e ci era riuscito. Anzi, Kyda ci era riuscita. Alla fine si era fatta convincere, era andata in classe mentre questa era vuota, aveva preso i soldi e li aveva portati al resto del gruppo per dividerseli.
Fu come andare in mille pezzi. Lo aveva tradito. Kyda lo aveva tradito. Si era fidato di lei, l’aveva reputata una persona buona e, sotto sotto, di cuore, ma si era sbagliato.
Digrignò i denti, deluso e frustrato. Poi, d’un tratto, un pensiero gli balenò nella mente. Lui e Kyda avevano condiviso molte cose negli ultimi tempi, avevano passato pomeriggi interi insieme, poteva davvero essersi scordata di tutto? Davvero non le importava niente di lui? Aveva sempre finto? Sam era convinto di no. Doveva esserci una spiegazione, perciò, urgeva all’istante un confronto diretto con la ragazza.
Quando anche il resto degli studenti entrò in aula, il ragazzo cercò gli occhi della giovane, ma lei evitò prontamente il suo sguardo.
All’inizio della quarta ora, Sam raccontò l’accaduto alla Symons ed ella, dopo aver fatto il tipico discorsino alla classe, lo rassicurò, a modo suo, dicendogli che avrebbe informato tutti i docenti e il preside e che alla fine i soldi sarebbero saltati fuori. Sam ne dubitava, ma nonostante tutto si fece vedere speranzoso e fiducioso.
Per il resto della lezione, non fece altro che scoccare occhiate a Kyda, ma ella non si voltò una sola volta verso la sua direzione, quando, ad un certo punto, gli arrivò un messaggio proprio da parte della ragazza:
Vediamoci alle 13:30 dietro la scuola. È importante.
Sam rispose immediatamente.
Ci sarò

Sam si sentiva terribilmente nervoso. Non ne era del tutto sicuro, ma qualcosa gli diceva che l’incontro con Kyda avesse a che fare con la scomparsa dei suoi soldi. Chissà che cosa aveva da dirgli. Forse voleva semplicemente narrargli l’accaduto con il suo solito sorriso sarcastico sulle labbra, oppure il suo intento era quello di discolparsi avendo intuito di essere stata messa nell’elenco dei colpevoli...Oppure niente di tutto ciò.
Quando arrivò nel retro della scuola, la vide subito: se ne stava appoggiata al muro, con le braccia incrociate, il capo chino e la visiera del cappello calata fin sugli occhi.
Il ragazzo ne fu quasi intimorito. In quella posizione, sembrava una vera e propria teppista.
Le andò vicino e la salutò. Lei non rispose.
-Se mi hai mandato quel messaggio, significa che avevi intenzione di parlarmi... Ed ora eccomi qui- disse Sam, asciutto. Saltò tutti i convenevoli, perché voleva che la ragazza andasse al dunque. 
 -Scommetto che credi che sia stata io a rubarti i soldi, non è così?- disse la giovane stoica, senza alzare il capo.
-Si...Esatto- rispose lui senza esitazione.
-E hai ragione. Sono stata io-
Quelle parole furono più taglienti di un pugnale. Il ragazzo strinse i pugni e digrignò i denti.
Sorrise amaro -Me lo dici così?-
-Come avrei dovuto dirtelo? Con gli araldi e le trombe?- replicò sprezzante Kyda, scrollando le spalle.
Sam non ribatté nulla. Dopo tutte le giornate passate insieme, dopo tutto ciò che le aveva raccontato riguardo ai problemi che sua madre aveva con i soldi...Ecco il risultato. Credeva di essere diventato qualcosa di più per Kyda, che solo una semplice vittima. Ma si era sbagliato. Lei era e rimaneva una Dark, menefreghista ed opportunista. Eppure era così convinto che ci fosse del buono in lei...
-Hai altro da dirmi?- chiese il giovane, con una smorfia.
-Se avessi rispettato il piano dall’inizio alla fine teoricamente la discussione sarebbe finita qui- rispose la ragazza, poi soggiunse -Tuttavia...-
Tirò giù la cerniera del giubbotto di pelle e si mise a frugare in una tasca interna. Ne ricavò fuori una busta bianca. La lanciò a Sam, che la prese a volo.
-Ma questa è...- esclamò sbigottito.
-...la busta coi tuoi soldi- concluse per lui la ragazza.
Il giovane alzò scioccato lo sguardo sul viso di Kyda, ma l’unica cosa che vide fu la visiera del cappello.
-Io non capisco...- balbettò, confuso.
-Travis mi aveva ordinato di sottrarti fino all’ultima banconota e di portare tutto a lui. In seguito ci saremmo divisi i soldi, insieme anche agli altri. Ho agito durante l’intervallo e ho mostrato la busta al resto del mio gruppo. Lui si è congratulato- sorrise sarcastica -Poi ha detto che ce li saremmo  spartiti all’uscita della scuola, ma quando è stato il momento, gli ho detto che li avevo persi. Il resto lo sai anche tu-
-Ma...ma perché non me lo hai detto subito appena sono arrivato?- esclamò Sam, senza capirci più nulla -E poi, perché hai fatto tutto questo per...-
-Non l’ho fatto per te- lo interruppe brusca -Sono contraria in generale alle bastardate riguardanti i soldi-
Sam realizzò di essersi preso un granchio. Si era sbagliato nel giudicare Kyda. Lei aveva rischiato tantissimo per, anche se si ostinava a negarlo, lui. Aveva disubbidito alla volontà del leader dei Dark per aiutarlo. Sentì un brivido percorrerlo da capo a piedi.
-Come ha reagito Travis quando gli hai detto di aver smarrito i soldi?- mormorò, inquieto.
Kyda s’irrigidì d’un tratto. Non rispose subito, poi disse -È andato un po’ in escandescenza, ma infine se n’è fatto un ragione...- la voce vacillò lievemente, ma abbastanza perché Sam lo percepisse.
Il ragazzo rimase un attimo lì, incerto su cosa dire, ma Kyda precedette ogni sua parola.
-Bene, il motivo del nostro incontro era solo finalizzato a ridarti i soldi, nient’altro. Perciò, ora ti saluto- fece la ragazza, sintetica. Pareva avesse molto fretta, anzi, sembrava quasi che volesse allontanarsi il prima possibile da lui. Come se nascondesse qualcosa...
Sam le afferrò con forza il polso.
-Aspetta!- esclamò.
-Lasciami subito- ringhiò la giovane, senza nemmeno voltarsi.
-Perché hai voluto aiutarmi?- insistette il ragazzo, allentando però la presa.
-Sei forse sordo? Te l’ho detto poco fa- replicò nervosa.
Lui fece per aggiungere qualcos’altro, ma Kyda si divincolò con uno strattone e si incamminò rapidamente, però questa volta Sam non demorse. C’era qualcosa che non quadrava.
-Kyda fermati, devo parlarti!- la raggiunse e l’afferrò di nuovo, questa volta per un braccio. Lei si voltò di scatto verso di lui e fu allora, che la vide.
Sullo zigomo sinistro aveva un taglio, di discrete dimensioni. Tutto intorno era rossastro e in alcuni punti vi erano anche delle sfumature violacee.
-Il tuo viso...- mormorò come in trance, spalancando gli occhi.
Lei si liberò nuovamente, con rabbia.
-Non è niente- disse gelida.
-Come sarebbe a dire che non è niente!?- esclamò Sam, sentendosi ribollire.
-È stato un incidente- ribatté la ragazza -E comunque, la cosa non ti riguarda- ringhiò.
-Non ti credo, non sono uno stupido- replicò, tremando di collera -È stato Travis, non è vero? Te l’ha fatto lui!-
Kyda digrignò i denti -E anche se fosse? Non immischiarti-
Ma ormai Sam non la sentiva nemmeno più. L’unica cosa che voleva era farla pagare a quel bastardo. Come aveva osato anche solo sfiorarla!?  L’unica cosa che voleva in quel momento era trovarlo e riempirlo di botte. Di sicuro non sarebbe servito a niente e sarebbe finito lui stramazzato al suolo in meno di mezzo secondo, ma non gli importava.
-Io lo ammazzo!- sibilò, fuori di se. Corse via, alla ricerca del Dark, da qualche parte doveva pur essere, ma non andò molto lontano, poiché Kyda lo strattonò per il giubbotto e lo tirò indietro.
-Wild, cosa credi di fare!? Datti una calmata- sentenziò la ragazza, cercando di mantenere un tono imperturbabile, anche se i suoi occhi fiammeggiavano.
-Bisogna dare una lezione a quello!- si ostinò il ragazzo, cercando di svincolarsi. Aveva perso il controllo.
-Adesso piantala- grugnì Kyda, ma lui non la ascoltò -Wild, basta-
Il ragazzo continuò ad ignorarla.
-Dannazione, Sam!- urlò a quel punto la giovane.
Lui si bloccò all’istante e si voltò a guardarla, mentre ella cercava di riprendere il controllo delle proprie emozioni.
-Non riusciresti ad avvicinarti a Travis nemmeno di mezzo millimetro. Ti spaccherebbe la faccia prima. Se ti metti contro di lui è la fine e dovresti saperlo. Inoltre, in questo modo, lui verrebbe a sapere tutto ciò che è successo ed io finirei nei casini per colpa tua- disse tagliente la ragazza. Gli lasciò andare la giacca -Non è la prima volta che succede una cosa del genere; io faccio parte di quel gruppo, quindi so come devo comportarmi e so che cosa devo fare. Perciò, so cavarmela benissimo da sola, come ho sempre fatto, non ho bisogno di una mano. Tantomeno da parte tua...- fece un pausa -In conclusione, stanne fuori. Se il tuo intento è quello di farti spezzare in due, fai pure. Ma non voglio essere coinvolta e non voglio essere io la causa della tua “dipartita” -
Sam rimase come pietrificato, incapace di articolare un singolo suono. Le parole della ragazza gli vorticavano violentemente in testa. Kyda non voleva che si intromettesse nelle sue faccende personali con i Dark, sia perché non lo riguardavano  sia perché lei altrimenti avrebbe rischiato. Ma allo stesso tempo non voleva lui che si mettesse nei guai per aiutarla. Quindi quell’ultima frase stava a dire che Kyda...teneva a lui?
-Io adesso devo andare- la voce dura della ragazza lo riportò alla realtà -Vedi di non fare cazzate- gli diede le spalle -Domani non dire a scuola che hai ritrovato i soldi, altrimenti Travis potrebbe scoprire ogni cosa-
Sam, triste e abbattuto, la guardò andarsene via, come oramai faceva tutte le volte.
Sarebbe mai stato capace di impedirle di allontanarsi così?

Il tempo, quel pomeriggio, era esattamente identico a quello che c’era stato il primo giorno in cui era arrivato a Roxvuld. Il cielo era di un grigio deprimente e la pioggia non faceva che scrosciare, sull’asfalto, sulle macchine, sulle finestre.
Sam ne stava seduto alla scrivania, con la testa appoggiata sul tavolo. Giocherellava con il suo orologio verde, annoiato e pensieroso.
Se c’era una cosa che quel giorno aveva definitivamente imparato, era che Kyda non era la persona che si ostinava a dimostrare di essere. Aveva capito che quella ragazza così forte, così imperturbabile e così coraggiosa era in realtà anche terribilmente sola. Sembrava in costante lotta contro il mondo e si vedeva che soffriva, interiormente, anche se faceva di tutto per non darlo a vedere.
Gli aveva detto che lei non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno e ancor meno del suo, tuttavia, quello che Sam voleva fare, era proprio cercare di fare qualcosa, di capirla. Kyda lo aveva sostenuto così tante volte in quell’ultimo periodo e quel giorno, pur di restituirgli i soldi, aveva pagato il prezzo sulla propria pelle. Ma cosa avrebbe potuto mai fare per lei?
Un tuono lo fece sobbalzare. Levò lo sguardo sulla finestra della sua stanza. Quello sì che un tempaccio, solo un pazzo sarebbe uscito sotto quel diluvio!
Improvvisamente, gli tornò alla mente Daniel. A quel punto, l’appuntamento con Chanel era iniziato da un’oretta. Si chiese come stesse andando, l’amico doveva essere al settimo cielo, non capitava tutti i giorni di ricevere una proposta del genere da parte di quella ragazza, considerato anche il modo in cui aveva trattato Dan fino ad allora. Ebbe un altro brutto presentimento, che cercò di scacciare via celermente. Sì, quello era un vero appuntamento e di sicuro in quel momento lui e Chanel erano in un caldo ed accogliente bar, a parlare del più del meno e, durante la conversazione, il biondo si sarebbe reso conto di quanto quella tizia fosse un’oca senza cervello, o, nell’altra ipotesi, Chanel si sarebbe resa conto di quanto il suo amico fosse una persona fantastica.
Annuì, rassicurato, quando sentì, in lontananza, suonare il campanello della porta.
-Vai tu, Sam!- urlò Amber dal bagno del piano di sopra. Sbuffò, sempre a lui toccavano quelle robe pallose.
Scese le scale con tutta la calma del mondo ed andò ad aprire. Lo investì una folata di vento e pioggia.
Vide che sull’uscio c’era un persona, o per meglio dire, un ragazzo. Era bagnato fradicio, intirizzito e teneva una mano appoggiata alla cassetta delle lettere, arrancando, ma la cosa peggiore era il volto: aveva un occhio tumefatto, il labbro inferiore spaccato  e perdeva sangue, oltre ad avere numerosi lividi.
E Sam si sconvolse ancora di più, quando lo riconobbe.
-Ehy, ciao...Scusa se piombo così senza preavviso solo che, mi chiedevo, non avresti un po’ di ghiaccio da prestarmi?- chiese Daniel.
L’altro non ebbe neppure il tempo di dire o fare qualsiasi cosa, che il compagno di banco gli crollò addosso. Riuscì a sorreggerlo in tempo e si affrettò a portarlo in casa. Lo fece stendere sul divano e veloce come un fulmine corse a prendere un asciugamano e il kit di pronto soccorso. Quando ritornò in sala, vide che l’amico si era già ripreso e che si era messo seduto.
Sam gli porse l’asciugamano con cui asciugarsi e fece per iniziare a medicarlo. Per fortuna ci sapeva fare con quelle cose.
-Ma no davvero, Sam, non è necessario- mormorò debolmente Daniel –Mi serve solo un po’ di ghiaccio e poi levo il disturbo...-
Il ragazzo lo ignorò e riprese a medicarlo. In quel caso il ghiaccio non sarebbe bastato.
-Che succede?- domandò Holly, comparendo sullo stipite della porta.
Lui la liquidò rapidamente, dicendo semplicemente che un suo amico era venuto a trovarlo.
Non fece nessun tipo di domanda a Daniel mentre lo curava, anche se in cuor suo sapeva già quello che poteva esser successo e cioè ciò che aveva sempre temuto. Per tutto il tempo il biondo non disse una parola e quasi non guardò in volto Sam. Infine quest’ultimo gli diede dei vestiti asciutti con cui cambiarsi.
Attese il biondo in sala, finché questi non ritornò, asciutto e con un aspetto un po’ più sano di prima, se così si poteva dire.
Daniel si sedette sulla poltrona, in silenzio, con uno sguardo spento e vuoto. Nel frattempo, Sam lo guardava preoccupato, aspettando che l’amico dicesse qualcosa.
-Ti chiedo scusa per l’intrusione...Non credo che sia stato il massimo...- se ne uscì.
-Non devi dirlo neanche per scherzo. Hai fatto benissimo a venire da me- lo rassicurò Sam.
Ci fu di nuovo un attimo di silenzio, poi l’amico disse, con un sorriso sbilenco -Non è strano? Nel giro di un mese sono stato pestato ben due volte...Questo è proprio un record!-
Sam non rispose nulla, ma continuò a guardarlo con apprensione.
-Tuttavia sono state due esperienze differenti, essere pestato da dei bulli fuori di testa è molto diverso dall’essere malmenato dal fidanzato della ragazza di cui sei innamorato- riprese Daniel, sempre con quello strano sorriso stampato sulla faccia. Iniziò a guardarsi intorno, come se stesse analizzando la casa -Sai, stava andando tutto per il meglio. Chanel mi stava aspettando in centro, davanti alla profumeria. La profumeria, hai presente? Beh, avresti dovuto vederla, non il negozio, intendo lei...Era bellissima, più del solito. Aveva un giubbotto che le stava divinamente e i capelli legati in uno chignon...- sospirò nervosamente -Quando sono arrivato davanti a lei credevo di restarci, specie quando mi ha sorriso. Ci siamo incamminati per il centro ed io ho iniziato a parlare a macchinetta, ero esaltatissimo, ma lei più che altro si limitava ad annuire o a sillabare qualcosa e non mi guardava mai in volto. Forse già in quel momento avrei dovuto cogliere i segni, ma ero troppo perso nel mio mondo per accorgermene.  Non era passato molto tempo, che mi ha mi ha chiesto di andare in  un vicolo un po’ strano, stretto, dicendomi che era una scorciatoia per arrivare in un posto. Ed io, in quanto idiota, ovviamente l’ho seguita. Lo stavamo percorrendo, quando da dietro un cassonetto è sbucato Nick, il suo ragazzo. Non appena l’ho visto ho chiesto subito spiegazioni a Chanel, perché non ci stavo capendo più niente, e lei mi ha semplicemente detto che era ora che imparassi a stare al mio posto e a non corteggiarla più. A quel punto il tizio è partito come una furia e mi ha tirato un pugno. Il resto lo puoi vedere anche tu...-
Daniel fece un pausa, poi riprese -Era davvero potente quel tipo, potrebbe tenere testa a Travis senza problemi. Mentre si vendicava, io non ho cercato nemmeno di reagire. Ero come svuotato, a pezzi, e l’unica cosa che facevo era quella di guardare Chanel, che se ne stava in piedi poco più in là a godersi la scena. Ghignava pure. Alla fine se ne sono andati, lasciandomi lì...-
-Dan...io...- cercò di formulare Sam, grave.
L’altro lo interruppe subito -Ma sai, ormai mi ci sono abituato. Cioè, è sempre andata così da che ho memoria. Questa è la prima volta che subisco un rifiuto direttamente sulla mia pelle, ma devi sapere che io non sono mai stato ricambiato- la sua voce aveva assunto un che folle, sembrava quasi divertito -Sono sempre stato rifiutato. Una volta una ragazza mi ha scritto un biglietto pieno di insulti, in cui mi diceva che io per lei ero meno di una nullità. Un’altra volta sono stato respinto in pubblico e anche lì la ragazza in questione mi ha insultato. Ce ne sono state  altre e tutte sono finite allo stesso modo- scoppiò in una risata-Dio, penserai che sono come una tredicenne frustrata, ma non posso farci niente. Quello di oggi è stato troppo anche per me, è stata la prova che io non valgo niente, sono un’autentica nullità. Non mi vuole, ne mi vorrà mai nessuno. Vorrei solo capire dove ho sbagliato –si prese la testa tra le mani, mentre la voce iniziò a vacillargli –Insomma, ho sempre saputo che non sono niente di eccezionale, ma almeno decente credevo di esserlo...Ma a quanto pare mi sono sempre illuso. Sono un illuso. Illuso. Sai, ci hanno fatto anche una canzone su questo argomento, si chiama Illusion. Ce l’ho anche sul cellulare, se vuoi te la passo. Ehehe. Sì, è proprio la canzone per me, d’ora in avanti si chiamerà “La canzone di Daniel”-
Aveva iniziato a delirare, a dire cose senza senso. Sam era sconcertato, oltre che tremendamente triste e preoccupato, specialmente per quello che il suo amico aveva gli detto dopo il racconto. Una nullità!?  Cosa andava blaterando!?
Frattanto, Daniel era ritornato in silenzio, con la testa fra le mani e il capo chino.
-Adesso ascoltami bene, Dan- esordì il ragazzo, serio -Tu non sei una nullità! Sei il migliore amico che si possa desiderare, sei simpatico, carismatico, non predi mai la speranza. Sei un poeta, un sognatore. Milioni di persone vorrebbero essere come te! Non sei tu che sei sbagliato, ma sono le ragazze di cui ti invaghivi ad esserlo. Erano troppo stupide per te, troppo sciocche e vuote per capire quale fantastica persona avessero davanti.
Daniel levò lo sguardo su di lui -Lo pensi davvero?- sussurrò.
-Io non solo lo penso, ma ne sono sicuro. L’unico tuo difetto è il fatto che ti innamori di donne che non ti meritano- rispose il giovane.
 Il biondo non replicò subito, poi disse sorridendo lievemente -Forse hai ragione tu...Ma perché sono l’unico a non piacere a nessuno allora?-
-Cosa mi tocca sentire!- esclamò Sam -Che dovrei dire io allora? Ricorda che stai parlando con me e non con un playboy. E poi non è vero che non piaci a nessuno, c’è sempre la tua misteriosa pasticcera, rammenti- ammiccò.
-Come minimo è una farsa anche quella-
-Dal biglietto che c’era in allegato al dolce non direi proprio...- ribatté il ragazzo con un sorriso sincero.
Ci fu un altro lungo momento di silenzio, in cui Daniel parve avere un lotta interiore.
-Si, è vero!- scattò in piedi dopo un po’ -Che mi frega di quelle? Sono tutte delle stronze, dalla prima all’ultima!- sorrise radioso -E vuoi sapere un’altra cosa? Chanel è la più stronza di tutte! Ecco l’ho detto!-
Sam sospirò, rasserenato. Il suo amico era ritornato quello di prima.
-Ottimo, è così che si parla!- approvò.
Daniel respirò a pieni polmoni -Ah, mi sento molto meglio! E te lo dice uno con una faccia mezza ricucita- rise -Ora sarà meglio che vada a casa, grazie di tutto!-
In realtà Sam sapeva di non aver fatto niente di speciale, aveva soltanto restituito il favore all’amico, per tutte le volte che lui lo aveva tirato su di morale.
Lo riaccompagnò alla porta e il biondo sembrava più allegro che mai. Era davvero incredibile.
In quel momento, entrambi si accorsero che Holly era nascosta dietro una parete, probabilmente per spiare il nuovo arrivato.
-Ehy bellissima, vieni fuori! Non aver paura!- la chiamò il biondo.
La bambina sobbalzò e, intimidita, si avvicinò a loro. Scambiò qualche parola con Daniel e non fece che ridacchiare ad ogni battuta del ragazzo.
-Cosa racconterai ai tuoi?- chiese Sam.
-Mah...Probabilmente dirò loro che sono stato investito da una bici e che L’allegro Chirurgo (alias, tu) mi ha soccorso- rispose il ragazzo, scrollando le spalle -Ora vado, salutami tua madre quando torna. Ci vediamo, ciao!- poi aggiunse -E ciao anche a te, Holly!-
Lei lo salutò timidamente con la mano.
Sam richiuse la porta di casa e si accorse che la sorellina, in piedi vicino a lui, aveva una strana espressione.
-Va tutto bene?- le chiese.
-Sì...- alzò il viso, completamente rosso, verso di lui -Il tuo amico è così simpatico...Ed è così beeello- strascicò le “e” -Secondo te, potrei piacergli? O sono troppo piccola? Come faccio a farlo innamorare? Eh? Come faccio?- iniziò ad incalzare.
Sam si passò una mano sul viso, esasperato. Pure Holly, no.


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Capitolo 14
*** Capitolo 14° ***





45 punti! Per poco Sam non cadde dalla sedia, quando sentì il punteggio attribuito al loro cartellone. Era stato uno dei più alti! Non era una persona che dava tutto per scontato, tuttavia sapeva che quella volta non avrebbero potuto non ottenere una valutazione alta. Si erano impegnati moltissimo per quel cartellone ed era venuto veramente bene.
Vagò lo sguardo nell’aula magna alla ricerca di Kyda, ma non riuscì ad individuarla in mezzo a tutti quegli studenti.
Una volta detto il punteggio ad ogni classe, il professor Conway rivelò loro la prossima emozione da rappresentare: il dolore.
Sam sentì la sala calare nel silenzio più assoluto. A quanto pareva, nessuno era entusiasta di quello che avrebbero dovuto raffigurare. Effettivamente non si trattava di un argomento molto allegro, ma il ragazzo aveva saputo fin da subito che prima o poi l’insegnante gli avrebbe affibbiato un’emozione negativa. Prima c’era stata la noia, che era neutra, poi il divertimento, che era positiva, e infine il dolore. Dopotutto esisteva anche quello.
Frattanto, come al solito, gli studenti si erano messi a commentare e a confabulare fra di loro.
-Che ne pensate?- sussurrò Sam.
-Non saprei dirti...Diciamo che non scalpito dalla contentezza- rispose Daniel, sospirando.
-Sono d’accovdo con lui. Il dolove è una cosa molto pevsonale e incvedibilmente delicata, non è che sia pvopvio il massimo dovevla vappvesentave- considerò Mark.
-Beh, se è per questo anche le altre emozioni erano personali. Tutte lo sono, in verità- si intromise Jade.
-Sì, ma il dolove lo è ancora di più!- insistette il ragazzotto con voce lamentosa, voltandosi verso di lei.
Jade lo guardò con una strana espressione, poi gli tirò un pugno sul braccio.
-Ahu- frignò lui -Ma pevché mi devi picchiave!?-
-Oh su piantala di frignare che ti ho solo sfiorato! E poi era solo per testare una cosa: hai detto che il dolore è molto personale e forse hai ragione tu, infatti io non ho sentito niente!-
-Ci cvedo, sono io che ho subito un pugno! E comunque non si schevaza su sentimenti come quello!- affermò lui.
Sam li guardò divertito. Erano un vero spasso! Aveva scoperto che quei due si conoscevano dai tempi della scuola materna e che da allora non si erano più separati. Erano completamente diversi e proprio per questo, migliori amici.
Mentre Jade e Mark avevano preso a battibeccare, Sam di rivolse a Daniel.
-Comunque...Come ti senti?- chiese gentilmente.
-Molto meglio, grazie- sorrise il biondo -I miei si sono bevuti la storia della bicicletta e stamattina, quando ho visto Chanel, non ho provato niente. Solo delusione e anche un po’ di disgusto-
Sam annuì, rassicurato. Fortunatamente il suo amico si stava riprendendo bene.
All’uscita della scuola, il ragazzo tentò in ogni modo di parlare con Kyda per organizzarsi col nuovo cartellone, ma senza successo. Infatti la ragazza era stata per tutto il tempo in compagnia del resto dei Dark, senza allontanarsi da loro un solo secondo.
Perciò una volta a casa, nel pomeriggio, Sam pensò di inviarle un messaggio, in cui le  avrebbe chiesto come preferisse fare col progetto.
Man mano che quest’ultimo proseguiva, il giovane si era reso conto che il livello di difficoltà stava aumentando. Rappresentare la noia e il divertimento era stato abbastanza complicato, ma fattibile. Invece raffigurare il dolore aveva l’aria di essere un’impresa davvero ardua, specie se come compagno si aveva Kyda. Entrambi sarebbero dovuti entrare molto nel personale e conoscendo il tipo scontroso e riservato che era quella ragazza, le cose si sarebbero assai complicate.
Inoltre, il problema non stava solo riuscire a far cavare qualcosa da Kyda, ma anche trovare il famoso punto in comune tipico di ogni cartellone!
“Dannato Conway” si ritrovò ad imprecare interiormente Sam.
Passò il tempo, che il ragazzo impiegò a fare i compiti, a non fare niente (la sua attività preferita) e a rispondere alle domandi assillanti di Holly. Da quando aveva visto Daniel due giorni  prima, si era presa una cotta e non faceva che chiedergli cose su di lui, come il suo colore preferito, i suoi hobby, il numero di scarpe, quanto era alto...
Di tanto in tanto il ragazzo controllò il cellulare, per vedere se Kyda gli avesse risposto, cosa che non accadde mai. Infine, alquanto scocciato, decise di chiamarla direttamente. Lo metteva un po’ a disagio, ma sapeva che era l’unica soluzione, anche perché era convintissimo che pure il giorno successivo non sarebbe risuscito ad incontrarla, e poi in ogni caso dovevano muoversi. Non avevano tantissimo tempo per terminare il cartellone e tutte le volte, anche partendo per tempo, arrivavano sul filo del rasoio.
Le telefonò, ma la linea gli diede non raggiungibile.
A quel punto Sam pensò che l’unica soluzione fosse  chiamarla sul telefono fisso. Scosse la testa, scacciando l’idea. No,no, non era affatto un buon piano. Era sicuro che la ragazza non avrebbe gradito e poi... se gli avesse risposto sua madre? Che dire? Che era un amico della figlia? 
Intanto aveva già preso l’elenco telefonico.
Andiamo Wild, smettila di fare l’imbecille e cerca quel cavolo di contatto. Così gli avrebbe detto lei, senza dubbio.
Così alla fine, cercò il cognome di Kyda sull’elenco e compose il numero. Ormai era fatta.
Dopo un po’ di squilli, rispose una voce maschile.
-Pronto, chi sei? Che vuoi?- disse quello, svogliato.
-Ehm, casa Stowe? Cercavo Kyda, sono un suo compagno di classe...Lei è in casa?- chiese Sam tentando di essere il più cordiale possibile. Era rimasto basito oltre che irritato dal modo in cui aveva risposto, presubibilmente, il fratello della ragazza.
Dall’altro capo del telefono si udì masticare con insistenza, seguito da uno ciabattare.
-Kid, c’è un tizio che ti cerca!- chiamò il ragazzino.
-Chi è? Che vuole?-
Sam sorrise ironico. Allora era vero il detto “buon sangue non mente”.
-Boh non so, non l’ha detto. È un tuo compagno di scuola da quel che ho capito...-
Si sentirono altri passi avvicinarsi.
-Pronto?- domandò la ragazza, guardinga.
-Ciao Kyda, sono io, Sam!- rispose lui.
-Ah, sei tu. Si può sapere perché hai chiamato?-
Il ragazzo soprassedé sul tono tipicamente scontroso di lei e disse –Ecco, volevo sapere come potremmo organizzarci per il cartellone. Ho provato a mandarti un messaggio sul cellulare, ma non mi hai risposto-
-È scarico, per quello- replicò Kyda. Ci fu qualche attimo di silenzio, poi la ragazza riprese -Comunque, per quanto riguarda il cartellone,  non lo voglio fare- dichiarò, asciutta.
Sam non credette alle proprie orecchie.
-Che cosa!?- esclamò basito, una volta assimilata l’informazione -Come sarebbe a dire che non lo vuoi fare!?-
La ragazza fece per replicare, ma venne interrotta dalla voce del fratello in lontananza.
-Merda...- sibilò, poi il giovane sentì sbatacchiare qualcosa, probabilmente la ragazza aveva lasciato cadere il telefono, e dei passi affrettati allontanarsi.
A quanto pareva, l’apparecchio doveva essere rimasto girato verso l’alto, perché Sam riuscì a sentire ogni singola cosa:
-Dannazione, ma non potevi darci un’occhiata tu? Non hai visto che ero occupata?- esclamò Kyda, alterata.
-Che ne sapevo io? Credevo che l’avessi già tirato fuori...- ribatté il fratello.
-No che non l’avevo tirato fuori! Stava ancora cuocendo!- si sentì di nuovo sbatacchiare -Cazzo, quanto fumo-
-Non è colpa mia se non sai cucinare- la canzonò il ragazzino.
-Taci, Drew, e aiutami. Dio...-
-Okay, okay- borbottò annoiato -Secondo è bruciato?-
-No, non è bruciato. È carbonizzato! Come faccio ora?-
-Ah non lo so! Problema tuo-
-Problema anche tuo, in realtà. Non appena torna e vede questo disastro, io ho finito di vivere. Lo sai che reazioni ha con me ed io stasera non ne ho voglia. Comunque, fatto sta che dopo sarà incavolata nera e se la prenderà anche con te non appena le dirai qualcosa e, a quanto rammento, non dovevi annunciarle il tuo 4 in inglese?-
Sam rimase un attimo perplesso. Si stavano forse riferendo ad Ines? La loro madre?
-Maledizione!- imprecò Drew -Dimmi cosa devo fare-
-Non ne ho idea. Inventati qualcosa, io devo finire la telefonata- e detto questo, Kyda ritornò in linea.
Sam le chiese se fosse tutto a posto e lei liquidò bruscamente la questione, rispondendogli che andava tutto a meraviglia.
-Comunque...Perché non vuoi continuare il progetto?- domandò nuovamente il ragazzo, irritato.
-Perché non mi va- replicò duramente lei.
-Non è una risposta! Non è un lavoro facoltativo e poi, ti prego, non puoi mollarmi proprio adesso! Dove sta il problema?-
-Il professor Conway questa volta ha esagerato. Il dolore non è una cosa da prendere alla leggera, inoltre, è troppo personale come emozione e non mi va di mettermici a ragionare per poi rappresentarla- ribatté Kyda.
-Beh, ma è personale per tutti...- borbottò Sam, poi si riscosse -Cioè, voglio dire, possiamo anche non entrare troppo nel riservato! Basterà parlarne in generale. Per favore...- la supplicò. Teneva troppo a quella iniziativa, in più avevano anche accumulato moltissimi punti e c’era una qualche possibilità che vincessero. Non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo!
La ragazza sospirò scocciata, ma infine, infastidita, acconsentì. Lui la ringraziò entusiasta, ma Kyda lo interruppe immediatamente -Allora, facciamo domani per le quattro e mezza nella biblioteca della scuola?-
-Ma domani non è Sabato?-
-Si, e allora?-
-Allora credo che la scuola sarà chiusa!- rispose Sam.
Kyda sbuffò -Non fai mai caso tu a quegli stupidi volantini che appendono in bacheca? Ce n’era uno che diceva che in vista del progetto avrebbero tenuto aperta la biblioteca. Evidentemente i professori hanno immaginato che agli studenti avrebbe fatto comodo-
-No, i volantini non li considero- scherzò il ragazzo -Bene, perfetto! Ci vediamo dom...-
-Okay, ciao- e chiuse la comunicazione.
Sam rimase interdetto, con ancora il telefono in mano. Scrollò le spalle, alzando gli occhi al cielo, e mise l’apparecchio a posto. Gli sfuggì una specie di risata. Inutile, Kyda era e rimaneva così, c’era poco da fare. Chissà perché aveva fatto tutte quelle storie all’inizio per il progetto. Il ragazzo era sicuro che ci fosse ben altro dietro, oltre che la semplice questione del “personale” e poi...possibile che la signora Stowe fosse così una strega da sbraitare contro i figli (contro Kyda) solo perché era bruciata la cena? Quella famiglia era veramente avvolta nel mistero.

Il giorno successivo, Sam riuscì ad accaparrarsi un tavolo. Non era lo stesso delle altre volte, era ancora più in fondo, ma per quel pomeriggio Kyda si sarebbe dovuta adattare. Era già stato fortunato a trovare quello, considerato che l’aula era straripante di studenti. Pure di Sabato!
La giovane arrivò con il solito quarto d’ora di ritardo e Sam la salutò con un bel sorriso, mentre lei si limitò a fare un cenno con il capo. Buttò malamente lo zaino per terra e appese la giacca di pelle alla sedia. Sotto portava un semplicissimo maglioncino nero scollato a V. Si lasciò scivolare sulla seggiola e appoggiò il mento su un palmo della mano.
-Allora...vediamo un po’ di farla breve- mormorò -Dobbiamo fare un elenco o qualcosa del genere, giusto?-
Sam la guardò perplesso. Sembrava stanca, molto stanca, quasi a pezzi. Forse quella notte non aveva dormito.
-Sì, pensavo di fare una cosa come quella della prima volta. Per caso hai portato il block notes grigio?-
-Mh, si dovrei avercelo...- si mise a frugare nella cartella e, una volta trovato, lo poggiò sul banco.
E così, cominciarono a discutere su cosa rappresentare. Per lo più si facevano domande e quando quelle di Sam entravano troppo nel personale, la ragazza le eclissava subito, spostando il discorso più in generale o direttamente su di lui. Kyda non dava mai risposte molto esaurienti, sia perché si vedeva che non le andava di parlarne, sia perché a volte pareva non recepire ciò che le veniva chiesto, oppure si distraeva a pensare altro.
Sam se n’era accorto e spesso aveva notato la giovane guardare verso un punto indefinito alle sue spalle, persa nel proprio mondo.
-Che ne dici delle lacrime?- propose ad un certo punto il ragazzo.
-Le lacrime?- ripeté Kyda, inarcando un sopracciglio.
-Perché no? Solitamente si piange quando si soffre, quindi mi sembra perfetto. Certo, si piange anche per commozione, per gioia...ma anche quando si è tristi-
-Tu piangi quando sei triste?-
Sam rimase un attimo spiazzato, poi rispose -Se una cosa mi fa soffrire molto e mi tocca nel profondo...sì. Ma non mi faccio mai vedere da nessuno-
-Capisco...Io non piango mai- commentò la ragazza, scrollando le spalle.
-Sul serio!?- 
Lei annuì semplicemente.
-E che reazioni hai quando, insomma, quando sei triste?- aggiunse, cauto.
Kyda non rispose subito, ma prese a mordersi nervosamente il labbro inferiore.
-Non credo di avere di reazioni particolari, o almeno fisiche, che si notano. Non faccio niente. Anzi, a dirla tutta, in nessuna occasione manifesto qualcosa-
-Su questo devo contraddirti- sorrise il ragazzo.
-Che vuoi dire?- replicò Kyda, tra il confuso e lo scocciato.
-Hai appena avuto una reazione. Prima, quando non sapevi che cosa rispondere, ti sei morsa le labbra. Invece, quando sei impaziente, ti sfiori la treccia. Quando sei confusa, o non capisci l’utilità o il senso di fare qualcosa, inarchi un sopracciglio. Quando sei infastidita, ti cali la visiera del cappello fin sugli occhi e...- si interruppe all’istante, notando che lei lo stava scrutando intensamente e con una strana espressione. Forse avrebbe dovuto tenersele per se quelle considerazioni...
-C..cioè, questo p..per dirti che tutti manifestano le loro em..emozioni in qualche modo- balbettò, in imbarazzo.
-Mh, interessante - disse lei, assorta.
-Comunque, tornando al cartellone, allora non possiamo rappresentare le lacrime visto che tu...-
-No, va bene lo stesso. Basta che ce lo leviamo- replicò lei facendo un cenno con la mano -Potremmo disegnare un occhio che piange, molto grande, con tante sfumature nell’iride...-
Sam si sfiorò il mento, pensieroso -Sì, potremmo, solo che...-
-Lo so, non è particolarmente originale-
Ragionarono in silenzio per un po’, finché il ragazzo non disse, esaltato –Ho trovato! Senti qui: che ne diresti di dare una sfumatura fantasy al nostro disegno? Per esempio, potremmo disegnare l’occhio, ma le sue ciglia saranno come de rami di alberi da cui dietro spunteranno delle rondini in volo, poi le lacrime le faremo come una cascata e nella palpebra disegneremo il cielo!-
Lei lo guardò leggermente stupita. Poi annuì piano –Te lo concedo, questo direi che un colpo di genio-
Sam quasi non riuscì a crederci, Kyda gli aveva appena fatto un complimento, aveva apprezzato in modo evidente una sua idea.
-Allora direi che l’occhio sarà femminile -aggiunse la ragazza, massaggiandosi le tempie.
Il ragazzo le chiese se avesse in mente la tecnica da utilizzare.
Lei ci pensò su un attimo, poi disse -Io userei le matite. Disegneremo  l’occhio con una matita normale, poi lo coloreremo con quelle colorate e per dare più profondità useremo i pastelli-
Sam segnò tutto sul quadernetto grigio, visto che Kyda sembrava un po’ fuori fase per farlo. Le chiese poi se le andasse bene comprare un cartellone bianco.
La ragazza annuì e si stropicciò gli occhi stancamente, ma così facendo le si sbavò  tutto il trucco, impiastricciandole la faccia. Lei non se ne accorse e fu il ragazzo, cercando di trattenere una risata, a farglielo notare.
-Merda...- sbuffò, guardandosi le dite ricoperte di nero -Mi ero dimenticata di averlo-
-E ora come fai? Non credo che passerà inosservato, sei abbastanza effetto panda- considerò Sam divertito.
-Credi che sia una sprovveduta? Dietro ho quelle specie di salviettine struccanti- rispose Kyda scrollando le spalle -Costano e bruciano, ma almeno fanno il loro dovere-
Si mise a frugare nello zaino, finché non trovò quello che stava cercando. Sam scosse la testa alla vista del pacchetto: quanta roba inutile e superflua!
-Che strazio, qui non ci sono specchi- constatò infastidita -Devo andare in bagno- 
-Beh, se vuoi posso sistemarti io!- la buttò giù lì Sam, senza pensarci.
Lei lo squadrò dall’alto in basso scettica e disse -Sei sicuro? Non è che poi fai qualche casino?-
-Non faccio casini!- ribatté risentito –In fondo si tratta solo di toglierti un po’ di trucco con quell’affare, no?-
Kyda rimase ancora un attimo ferma al suo posto, indecisa, oltre che non molto convinta, sul da farsi. Infine si alzò in piedi e  portò la sedia vicino a quella di lui.
-E va bene, ma fai in fretta-
Pure! pensò scocciato.
La ragazza gli porse una salviettina, mentre lui si protese verso di lei. Vedendola da così vicino in quello stato, gli scappò una risata.
Kyda lo fulminò con lo sguardo.
-Scusami, solo che...dovresti vederti!- ridacchiò.
-Vuoi un pugno sulla faccia?- lo minacciò.
-Ricevuto-
Fu allora che Sam si rese conto dell’enorme cavolata che aveva fatto. Offrendosi di aiutarla, ora avrebbe avuto il viso di Kyda molto vicino, troppo vicino, e come se non bastasse magari avrebbe dovuto anche...sfiorarla. Si sentì terribilmente in imbarazzo. Ma perché doveva sempre andarsi a cacciare in quelle situazioni!?
Iniziò a tamponarle delicatamente il volto, più a disagio che mai, con quella cosa, ma vide che non venne via nemmeno un po’ di sbavatura.
-Devi schiacciare di più, se no stiamo qui fino a domani- lo informò la giovane.
Lui annuì e riprovò, questa volta seguendo le indicazioni della ragazza. Nonostante il trucco, grazie alla vicinanza, riuscì a rivedere il colore dei suoi occhi blu cobalto, accorgendosi che qua e là vi era anche qualche pagliuzza turchese. Erano bellissimi, ma terribilmente gelidi. Non esprimevano nulla, solo il vuoto, un abisso di imperturbabilità e...tristezza. Si sentì improvvisamente gelare. Cosa c’era in realtà dietro a quegli occhi blu?
Ci mise un po’, ma alla fine riuscì a risistemarle abbastanza bene il lato destro del viso.
-Dai, di qui direi che è a posto. Ho un futuro da make-up artist!- scherzò.
-Questo lo giudicherò io- lo smontò Kyda.
Ora mancava solo la parte sinistra. Vagò lo sguardo sul suo viso, notando subito il taglio provocatole da quel bastardo di Travis. Si era un po’ rimarginato, ma era ancora molto arrossato.
Cercò di eliminare la sbavatura intorno, ma per sbaglio le passò la salviettina sul ferita. La ragazza fece una smorfia sofferente.
-Scusa...- mormorò Sam.
-Non è niente-
Ricominciò, facendo ancora più attenzione. Pochi istanti dopo, si rese conto che Kyda lo stava guardando. Fino a quel momento aveva tenuto lo sguardo rivolto altrove, e Sam le era stato grato interiormente per questo, mentre ora non più. lo stava osservando. Il battito del ragazzo iniziò ad accelerare sempre di più,  esattamente come quando l’aveva vista in accappatoio quel giorno, ma questa volta non poteva assolutamente permettersi di arrossire. Lei lo avrebbe notato subito, erano troppo vicini.
La situazione peggiorò ancora quando si vide costretto a poggiarle una mano sul viso per riuscire a tamponare meglio. Kyda era subito scattata sulla difensiva, ma alla fine lo aveva lasciato fare. Era evidente che non le piacesse il contatto fisico.
Era un momento davvero imbarazzante, ma allo stesso tempo anche...piacevole. Molto...
-Hai gli occhi verdissimi...- commentò Kyda.
-Sì lo so, gli ho ereditati da mia madre- rispose Sam, sorridendo appena.
-Io invece da mio padre, quelli di mia madre sono castano scuro-
-Capisco...Anche tuo fratello ha gli occhi blu?- s’incuriosì.
-No, sono castani-
-Quindi due componenti in un modo, due in un altro- disse il ragazzo.
-Già- asserì laconica la giovane -Proprio così...-
Finalmente Sam finì e si poté allontanare. Sentiva ancora il cuore martellargli nel petto e sperò vivamente di non essere arrossito. Perché aveva quelle reazioni? Cosa diamine gli stava succedendo?
-Fatto!- annunciò.
La ragazza si passò una mano sulle guancie -Mh, sì, direi che hai fatto un buon lavoro. Grazie-
-Ehm, figurati. Ci ho messo un po’, solo che c’era trucco ovunque! Comunque, ti piace molto truccarti...- la buttò lì.
-Sì, ma solo di nero. Non mi vedo con altri colori addosso- mormorò Kyda. 
-Va tutto bene?- le chiese Sam, aggrottando la fronte.
Lo sguardo di lei si indurì improvvisamente -Certo- replicò brusca, riportando la sedia al suo posto.
-Sei sicura?-
-Sì...- rispose la ragazza, appoggiandosi al tavolo.
Stava mentendo. Si capiva che qualcosa non andava. Era stanca, quasi...debole.
Il giovane fece per aggiungere qualcos’altro, ma lei lo interruppe -Io adesso devo andare-
I due ragazzi riordinarono il tavolo e fecero su le loro cose velocemente.
-Compro io tutto il materiale, tanto per tornare a casa passo davanti al negozio di Hugh-
-Va bene- annuì Sam -Ci vediamo Lunedì?-
-No, non posso- rispose la ragazza gelida -Ho...un..un compleanno- la sua voce vacillò vistosamente, tanto che Sam se ne preoccupò.
-Ah, allora mi sa che ci dovremo vedere Mercoledì, perché Martedì sono impegnato tutto il giorno. Ci siamo dimenticati delle cose nella vecchia casa e dobbiamo trasferirle qui-
Così si accordarono per quel giorno ed uscirono da scuola. Fuori pioveva a dirotto, ma fortunatamente Sam aveva provveduto a portarsi l’ombrello.
-Che razza di tempo che c’è qui- bofonchiò aprendolo –Tu ce l’hai l’ombrello? In caso contrario ti posso anche...EHY!- esclamò, sbigottito. Kyda si era già incamminata a passo spedito, con la visiera del cappello calata, infradiciandosi sotto la pioggia.
-Aspetta! Guarda che ti stai inzuppando!- le urlò.
-Non ha importanza!- rispose di rimando, la voce appena percettibile a causa del rumore battente -Preferisco così-
Il ragazzo non la ascoltò e corse fin da lei, riparandola -Ma è da matti! Ti prenderai un accidenti!-
Lei lo scostò freddamente -No, grazie ugualmente. E poi ormai sono già bagnata- e si allontanò.
-KYDA!- la chiamò di nuovo.
-Ci si vede!- lo salutò con la mano, senza voltarsi e, mentre  continuava a camminare, un fulmine squarciò il cielo. 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15° ***


 
Incredibile quante cose si fossero dimenticati nell’altra casa. Sam prese dal bagagliaio della macchina l’ennesimo scatolone e lo depose a terra. Contenevano soprammobili, fotografie, vestiti, cianfrusaglie...tutti oggetti di cui  il ragazzo si era completamente dimenticato l’esistenza. Quello di scaricare era davvero un lavoraccio, faticoso e noioso, senza contare che molti scatoloni non facevano altro che rompersi e quindi... via a raccogliere tutto! Si erano già rotti due vasetti, chissà se sarebbero riusciti a disintegrare qualcos’altro.
-Ehy amico, come avete fatto a scordarvi tutta questa roba? Non sono mica pezzetti di un puzzle!- esclamò Daniel, il volto coperto da una gigantesca scatola.
Sam ridacchiò. Persino una cosa noiosa come quella diventava divertente se era in compagnia del suo amico. Non appena lo aveva saputo quel mattino, si era subito offerto ad aiutare lui e sua madre.
-Me lo chiedo anch’io- rispose, deponendo un altro scatolone –Mi sembra come di rivivere il momento in cui sono arrivato...- sbuffò. In effetti, era stato esattamente così il suo arrivo a Roxvuld, a parte il fatto che era sera e che pioveva a dirotto, mentre quel giorno era solo nuvoloso. Quante cose gli erano capitate da allora e quante ne erano cambiate! 
-Ti ringraziamo molto, Daniel. Il tuo aiuto ci è davvero prezioso- sorrise Reneé.
-Oh, ma per me è vero un piacere, signora! Mi permette di dirle che ha degli occhi stupendi?- disse il biondo, assumendo un atteggiamento galante.
Sam alzò gli occhi al cielo. Era troppo irritante quando Daniel si comportava così. Lo faceva sempre con le professoresse.
La donna scosse la testa, divertita -Adulatore! Comunque, chiamami pure Reneé e dammi del tu-
-Lo farò- annuì l’altro.
La madre  rientrò un attimo in casa, lasciando i due ragazzi da soli a scaricare.
-Certo che tua mamma è davvero una bella donna!- esclamò Daniel, colpito.
-Cos’è, ci stai facendo un pensierino?- scherzò il giovane.
-Ma che vai vaneggiando!- bofonchiò.
-Dai, ti stavo solo prendendo in giro! Comunque, successo qualcosa di interessante in questi giorni? Non mi hai più raccontato niente-
-Bah, niente di particolare a dire il vero. Sia ieri che l’altro ieri sono andato al corso di poesia, visto che a breve ci sarà la prima parte del fantomatico concorso e ci stanno un po’ preparando- spiegò Daniel -Cioè, ma ti rendi conto? Dovrò comporre una poesia da solo! Di mio pugno, capisci!? Non ce la farò mai-
-Andiamo, non è da te scoraggiarti in questo modo! Sono sicuro che li stupirai tutti- lo rassicurò il ragazzo -Hai già in mente qualcosa?- soggiunse.
-NO ed è questo il guaio! Non so nemmeno di che cosa parlare, figurarsi-
-Ti verrà in mente, vedrai. Uh, a proposito di poesia, hai parlato un po’ con Hetty?- chiese Sam, curioso. Si ricordava ancora le parole che gli aveva detto: non si giudica un libro dalla copertina! La farò ricredere sul mio conto!
Daniel annuì compiaciuto -Sì! Le ho rotto le scatole per due lezioni di seguito!-
-Ah, e vi siete parlati?-
-Più che altro ho parlato io, lei non è che mi considerasse tanto: prima che iniziassimo mi sono avvicinato, era intenta a leggersi uno strano libro con un titolo assurdo, e le ho chiesto come se la stesse passando. Praticamente non ha alzato lo sguardo dalle pagine e mi ha bofonchiato una sorta di “Bene, grazie”. Allora io ho iniziato a raccontarle la storia della mia vita, anche se per tutto il tempo non ha fatto altro che leggere e fare qualche sintetica considerazione. Infine le ho chiesto di che cosa parlasse il libro che stava leggendo, così mi ha raccontato a grandi linee la trama. Tralasciando il fatto che mentre spiegava non mi ha guardato una sola volta, è incredibilmente brava narrare! Ti giuro, mi sono lasciato trasportare come in un altro mondo e il libro mi ha incuriosito talmente tanto che le ho domandato se una volta finito me lo potesse prestare. Mi ha detto di sì e ha pure abbozzato un sorriso-
-Mi sembrano progressi!-
-Già e quello è successo nella prima lezione. Nella seconda (l’ho di nuovo strappata dalla lettura) le ho chiesto quali libri le piacesse leggere e quali fossero i suoi poeti preferiti. Mi ha risposto, senza guardarmi ovviamente, ed io le ho detto i miei gusti come se fossimo stati ad un’intervista, solo che lei non faceva domande. Forse dovrei parlare un po’ meno in effetti. Comunque, è una persona davvero molto intelligente, sono sicuro che sappia comporre benissimo!-
-Insomma, questa cosa del non “farti odiare” sta dando i suoi frutti e ti ha fatto anche conoscere un lato di Hetty che ignoravi- considerò Sam con un sorriso. A giudicare dal modo in cui Daniel gliene aveva parlato, sembrava che ne fosse rimasto molto colpito.
-Esattamente, ma non è ancora abbastanza. Quando avrò la certezza che le stia simpatico, mi riterrò soddisfatto-
-Come vuoi-ridacchiò il ragazzo, impilando gli scatoloni a due a due. Avevano quasi finito.
-E tu invece che mi dici?- fece Daniel, guardandolo eloquente.
-Io cosa?- domandò perplesso.
-Non fare il finto tonto, mi sto riferendo a Kyda. Vi siete più visti?-
-Ah- mormorò Sam, improvvisamente a disagio –Sì, ci siamo incontrati Sabato e abbiamo parlato del cartellone-
-E...?- incalzò Daniel.
-E niente. Abbiamo discusso sul progetto, mi sono improvvisato make-up artist, ho fatto jogging sotto la pioggia e ci siamo accordati per vedersi domani in biblioteca-
-Questa cosa del trucco me la devi raccontare bene, poi. Ma ehi ehi!- si interruppe –Domani la biblioteca della scuola è chiusa!-
Sam sgranò gli occhi. Come chiusa? Quello era l’unico posto disponibile in cui lavorare in santa pace, come avrebbero fatto lui e Kyda? Chiese spiegazioni all’amico.
-Uno studente ha rotto un neon per sbaglio lanciando un diario e ora stanno sistemando tutto. Era scritto in bacheca, ma non li leggi mai i volantini tu?-
-Basta con questa cosa dei volantini! Non fanno altro che dirmelo!- disse esasperato –No, non ci faccio mai caso, oh! Comunque questo è un disastro! Dove accidenti andiamo adesso? Casa mia è off limits per via delle scatole-
Daniel scrollò le spalle -Non saprei, ma faresti meglio ad avvertirla...Chissà, magari ti ritroverai costretto a dipingere nell’antro della Stowe!- e scoppiò a ridere.

Per ironia della sorte, Daniel ci aveva preso in pieno. Sam sbuffò nervosamente, infilandosi la giacca a vento. Tra meno di venti minuti, sarebbe dovuto essere davanti alla porta di casa di Kyda per iniziare il disegno. La biblioteca era stata un luogo in cui lavorare perfetto, informale e soprattutto scolastico e tutto sommato, nonostante i primi imbarazzi iniziali, anche a casa sua era andato quasi tutto per il verso giusto. Invece l’idea di andare nell’abitazione di Kyda gli procurava uno strano senso di agitazione non ben definita. Da un lato era curioso di vedere l’appartamento in cui abitava la ragazza, ma dall’altro avrebbe volentieri  evitato. Con l’andare da lei, aveva come l’impressione di entrare molto nel suo privato: avrebbe visto le cose che Kyda vedeva tutti i giorni e chissà, forse avrebbe conosciuto da vicino i suoi famigliari. Aveva intuito che c’era qualcosa che non quadrava in quella famiglia, come se vi fosse qualcosa di segreto che non voleva essere celato.
Si sarebbe sentito fuori posto, quello era poco ma sicuro; un intruso. Si fece forza. Si trattava solo di un pomeriggio e poi era stata lei a dargli il permesso di venire a casa sua. Ancora ricordava i messaggi che si erano mandati:
Come sarebbe a dire che non possiamo andare in biblioteca?

Stanno ristrutturando una lampada, perciò è chiusa. Il problema è che casa mia è inaccessibile, perciò non so dove potremmo andare questa volta  le aveva risposto lui.

La risposta di Kyda era arrivata molte ore dopo:
Vieni da me allora. Corso Green n^ 22. Il palazzo viola, te l’ho fatto vedere. Ore 17:00

Il ragazzo si riscosse. Doveva darsi una mossa, aveva all’incirca un quarto d’ora per raggiungere casa di Kyda, che tra l’altro abitava maledettamente lontano.
Il tempo era di nuovo grigio e nuvoloso. Possibile che non ci fosse mai il sole in quella città? Ad Amentia le giornate erano quasi sempre soleggiate.
Si avviò a passo di marcia e in breve fu a metà del tragitto. Guardò l’orologio verde; aveva meno di dieci minuti. Si era reso conto che da quando lo aveva riottenuto, lo aveva indossato pochissime volte. Era stato senza di esso per così tanto tempo che l’averlo riavuto indietro gli pareva una cosa strana, ormai non gli sembrava nemmeno più un oggetto suo.
Arrivò in Corso Green con ancora qualche minuto di bonus. Si guardò un po’ intorno, constatando nuovamente quanto quella zona fosse triste e squallida. Forse l’umore sempre così cupo di Kyda era anche determinato da quello.
Passò davanti al negozio di Hugh e diede una sbirciatina dentro, ma lo trovò chiuso. Strano, quello non era giorno di riposo.
Gli venne in mente in quel momento che forse avrebbe dovuto portare qualcosa. Era vero che quella volta Kyda si era autoinvitata senza troppi complimenti, ma lui ci teneva ad essere un persona educata, sua madre gli aveva insegnato così. Ma sì, avrebbe fatto una breve deviazione, sarebbe arrivato un po’ in ritardo per un giusta causa.
Entrò in una pasticceria lungo la strada e comprò una piccola crostata, infine arrivò davanti al palazzo viola e citofonò sul cognome di “Stowe”. Gli aprirono subito senza nemmeno rispondere. Il ragazzo entrò nell’atrio, ma si rese conto di  non sapere a quale piano abitasse Kyda. Fece per mandarle un messaggio, quando udì la voce echeggiante della ragazza provenire dall’alto.
-Sono quassù-
Sam alzò la testa -Ciao! In quale piano?-
-L’ultimo-
-D’accordo, arrivo- si guardò un po’ intorno -Ma...non c’è l’ascensore?-
-No. Desolata- rispose secca -Devi farti le scale a piedi-
-Ah… d’accordo- e si mise a salire, sbuffando.
Trovò Kyda ad aspettarlo appoggiata alla porta di casa. Indossava una semplicissima maglietta maniche lunghe grigia e un paio di pantaloni della tuta larghi neri Ai piedi portava solo un paio di calzini grigi e i capelli erano legati come al solito in una treccia laterale, un po’ spettinata. Gli occhi erano struccanti, però non erano di quel blu limpido, ma spenti, vuoti. Per finire, in mano teneva una sigaretta. Stava fumando.
Il ragazzo la guardò frastornato. Non l’aveva mai vista fumare prima di allora. 
-Sei in ritardo- lo accolse lei.
-Lo so, scusami. Mi sono fermato per prendere questo e ho perso un po’ di tempo- le porse la crostata, con un sorriso.
La ragazza guardò il dolce inarcando un sopracciglio.
-Ah, grazie- rispose, aspirando un po’ di fumo -Ma non dovevi disturbarti...-
-Nessun disturbo, mi faceva piacere- replicò Sam. Era strana, quel giorno, molto strana.
-Entra, così almeno ci mettiamo al lavoro –disse Kyda facendogli un cenno col capo –No, aspetta- si corresse subito.
-Che c’è?-
-Devi toglierti le scarpe-
-Certo...- annuì, ubbidendo, dopodiché poté proseguire. Esattamente come si era immaginato, l’appartamento non era molto grande, tuttavia luminoso. L’entrata era piuttosto piccola, subito sulla destra c’era la cucina. Poco più in là si trovava un piccolo salotto e poi un corridoio con le camere da letto. L’arredamento era piuttosto semplice e anche un po’ spoglio.
-Allora, aspettami pure in cucina- diede le direttive la ragazza, chiudendo la porta di casa –Io vado a prendere il cartellone. Disegneremo lì, il tavolo è molto spazioso così saremo più comodi-
-D’accordo- abbozzò un sorriso il ragazzo, entrando nella stanza. Si sedette al tavolo e notò che sopra di esso c’era una bottiglia di vetro con dentro uno strano liquido ambrato, e un bicchiere mezzo vuoto. Colto da uno strano presentimento, guardò che nei paraggi non ci fosse nessuno ed annusò il contenuto del bicchiere. Era alcolico. Scosse la testa preoccupato e lo rimise a posto.
-Sei il tipo che ha chiamato l’altra volta?-
Il giovane alzò di scatto la testa e vide Drew appoggiato allo stipite della porta. Era piuttosto alto, aveva i capelli neri un po’ spettinati e gli occhi scuri.
-Sì, esatto- rispose -Mi chiamo Sam-
-Diminutivo di Samuel?- chiese il ragazzino, strafottente.
-Diminutivo di niente- ribatté, lanciandogli un’occhiata infastidita –Tu sei il fratello di Kyda?-
-Che arguzia-  commentò Drew, aprendo il frigo con fare svogliato –Piuttosto, che sei venuto a fare qua?-
Sam cercò di contenersi dal rispondergli male -Faccio un progetto insieme a tua sorella-
-Wow- bofonchiò il ragazzino, con aria cupa, prendendosi una bottiglietta d’acqua –Divertitevi...-
-Drew levati di torno, abbiamo da fare- disse sbrigativa Kyda, arrivata un quel momento con l’occorrente.
-Sto andando a calcio, infatti- sibilò quello, velenoso.
-Ecco bravo- 
E così il ragazzino uscì dalla stanza, ma non prima di aver lanciato un’occhiataccia a Sam. Era evidente che avesse una qualche avversione per lui.
La ragazza posò il cartellone e le matite sul tavolo, poi spostò la bottiglia e il bicchiere per terra, mentre il giovane sistemò il foglio, fermando gli angoli.
Kyda si versò dell’alcolico e se lo bevve tutto d’un sorso, in seguito rimise la bottiglia e bicchiere sul pavimento con un gesto secco. Sam l’aveva guardata fare, nervoso.
La ragazza prese posto di fronte a lui –Ecco qua tutto, buon lavoro- e gli lanciò una matita, che lui prese al volo.
-Credevo lo facessimo insieme...- disse  il giovane serio dopo un attimo di silenzio, sollevando lo sguardo su di lei.
-Io non ho mai accennato a ciò- ribatté, torva.
-Per lo scorso cartellone abbiamo lavorato entrambi- proseguì Sam. Si fosse trattato di qualche settimana prima avrebbe lasciato correre e non si sarebbe sognato di questionare, ma ormai non la temeva più come un tempo.
-Hai detto bene, lo scorso cartellone-
-E perché questo no?-
Kyda piantò un paio di occhi gelidi in quelli di Sam –Sei venuto per sindacare?- disse, prendendo la bottiglia e bevendo direttamente da essa.
-Sono venuto per fare il cartellone...-
-Fallo allora-
-...insieme a te- puntualizzò.
-Non ne ho voglia- sbottò la ragazza, tracannando  nuovamente.
-Che stai bevendo?- chiese diretto, serio come mai era stato prima di allora.
Le guardò distrattamente la bottiglia e scrollò le spalle -Non lo so, ma è abbastanza forte-
Esattamente come aveva sospettato.
-Ti fa male quella roba...- disse incrociando le braccia, accigliato.
-Senti non mi rompere, avevo voglia di qualcosa e l’ho trovato nella dispensa, anzi- fece un pausa –Ora che ci penso mia madre lo teneva lì da un bel po’ per le grandi occasioni perché costa una paccata di soldi sto’affare, chi sa chi ce l’ha regalato. Credo si incazzerà un casino, ma chi se ne frega... Comunque ora non c’ho più voglia- e posò di nuovo la bottiglia.
-Meglio...- mormorò il ragazzo, impensierito.
Kyda alzò gli occhi al cielo -Comunque se proprio ci tieni questo cavolo di disegno lo faremo insieme, così almeno la finiamo...-
-Perfetto!- esclamò Sam, con un sorriso tiratissimo.
Si misero a disegnare, ma il ragazzo non riuscì per niente a concentrarsi. Era troppo occupato a guardare Kyda e a studiare attentamente ogni sua singola mossa. Da quando si era messa a bere e a fumare? Non l’aveva mai vista fare cose del genere. Stava male, molto male. Doveva essere successo qualcosa di grave perché si comportasse in quel modo. Aveva un aspetto così stanco, affaticato e probabilmente aveva il corpo pieno d’alcol. Strano che non avesse avuto ancora reazioni preoccupanti, forse sapeva reggerlo bene...
-Avrei bisogno del bagno...- disse dopo un po’ il ragazzo.
Lei si alzò in piedi e gli fece segno di seguirla. Non barcollava neppure un po’.
-La porta in fondo al corridoio- disse la ragazza.
Sam annuì e si avviò. Fece per aprire la porta, ma Kyda si parò davanti fulminea, bloccandolo.
-Non questa, l’altra, quella a destra- ringhiò, gli occhi ridotti a due fessure.
-Sc..scusa, non avevo capito...- balbettò. Non l’aveva mai vista avere reazioni di quel genere, forse era dovuto all’alcol, o forse era dovuto al fatto che oltre quella porta si trovasse qualcosa che lui non poteva vedere.
Ritornarono al lavoro. Sam si occupò di dare la forma all’occhio e di disegnare l’iride, mentre Kyda fece, o almeno tentò di fare, le ciglia-alberi. La ragazza aveva tenuto per tutto il tempo la testa appoggiata ad un palmo e spesso aveva sbattuto le palpebre, come per rimettere a fuoco la vista.
-Direi di fare una pausa...Che dici, mangiamo la crostata?- chiese Sam dopo un po’.
Kyda fece appena un cenno di consenso, poi si alzò, prese la crostata e la spezzò in metà, sparpagliando un’infinità di briciole sul pavimento.
Lei manco se ne accorse -Prendi- disse, porgendo con mala grazia il pezzo a Sam. Quest’ultimo la guardò sbalordito e prese la torta. Forse avrebbe dovuto offrirsi di prepararla lui.
-Vuoi?- domandò la ragazza, scuotendo la bottiglia quasi vuota.
-No...- mormorò.
-Tsk, cazzi tuoi allora. Vuoi dell’acqua? Ti prendo un bicchiere- andò dalla dispensa e ne prese uno, che le scivolò subito, disintegrandosi in mille pezzi.
-Ops- commentò la ragazza, apatica.
-Non importa, non ho sete. Forse è meglio se ti siedi Kyda...- disse Sam pacato, cercando di mascherare la sua preoccupazione.
Inaspettatamente, lei si voltò di scatto -Cos’è, mi stai forse compatendo?- sputò, rabbiosa.
Lui ci rimase di sasso -No, ma che dici? Semplicemente non mi sembrava il caso che tu...-
-So bene quello che ho sentito! Tu mi stavi compatendo, l’ho capito dal tuo tono!- sibilò –Sarà meglio per te se ti rimangi quello che hai detto. Ti faccio forse pena perché mi è caduto un bicchiere? Al signorino non cade mai qualcosa?-
-Io non ti stavo compatendo, Kyda- scosse la testa il giovane, incredulo –Credimi, mi hai frainteso!-
-Non ho affatto frainteso, ho capito benissimo! Credi che non sappia il modo in cui le persone commiserano? L’ho sentito fare troppe volte, perciò non me la dai a bere. Stai anche cercando di pendermi per il culo?-
-Stai delirando, hai bevuto troppo. Te l’ho detto che ti avrebbe fatto male!-
-Che vuoi saperne tu!?- sbraitò –Io faccio quello che mi pare, tu non sai un cazzo di me!- barcollò leggermente e dovette appoggiarsi al lavello. Sam fece per avvicinarsi, ma un’occhiataccia di fuoco da parte di lei lo bloccò.
La discussione venne improvvisamente interrotta dal rumore di un paio di chiavi, seguita dallo sbattere della porta di casa. Poco dopo, una donna entrò nella cucina. Si trattava di Ines, la madre di Kyda.
Era piuttosto alta e molto esile, un semplice soffio di vento avrebbe potuto portarsela via. Il suo viso era magro, scavato e pallido, incorniciato dai capelli neri leggermente mossi, che le arrivavano sulle spalle. Gli occhi erano scuri.
Con uno sguardo vitreo scrutò la stanza e i suoi occhi si andarono a posare sulla figura di Kyda.
-Kyda, vuoi spiegarmi che cosa sta succedendo?- chiese. Dal suo tono si percepiva dell’evidente nervosismo.
La ragazza rispose con una scrollata di spalle.
-Ho sentito la tua voce fin dall’atrio- riprese Ines –Ti sembra forse questo il modo di comportarsi quando si ha un’ospite a casa?- e si voltò verso Sam, con un sorriso stanco -Chi sei tu, caro?-
-B..buongiorno signora, mi chiamo Sam Wild. Sono un compagno di classe di sua figlia. Stavamo lavorando ad un progetto...-
-Capisco- annuì la donna e in quel momento notò il pavimento.  Si rivolse immediatamente a Kyda, gli occhi vitrei improvvisamente pieni di collera.
-Che cosa sono tutte quelle briciole per terra!?- esclamò con la voce strozzata.
-Briciole- rispose la giovane impassibile -Lo hai detto tu stessa-
-Hai capito quello che intendevo. Rispondimi-
Lei la guardò dall’alto in basso -Ho spezzato in metà una crostata per darla a lui. Contenta adesso?-
-Mi stai forse dicendo che gli hai servito così un pezzo di dolce? Senza nemmeno metterla in un piatto!?- irruppe Ines, sconcertata –Inoltre da dove viene quella crostata? L’ha portata il tuo amico, immagino. E scommetto che tu non l’hai nemmeno ringraziato, ingrata!-
Sam intanto assisteva la scena in silenzio, teso e a disagio. Si era ritrovato a fare lo spettatore di un litigio, proprio la situazione che aveva sperato di evitare con tutto il cuore. In più, considerate le condizioni in cui era Kyda, temeva che lo cose avrebbero preso presto una brutta piega.
-Adesso, vedi di risistemare tutto e di porgere scuse al tuo compagno di scuola- la rimproverò aspramente -Hai scongelato la carne come ti avevo chiesto?- soggiunse subito dopo.
-No, non l’ho fatto- replicò Kyda con sfida.
Ines tremò di rabbia –E si può sapere perché?- strillò -Possibile che tu non faccia mai quello che ti dico? Non ti chiedo molto! Sei irrispettosa e scortese! Credo che questo tuo comportamento da ribelle denoti intelligenza? Inoltre, sono andata a parlare giusto ora con i tuoi professori e ho saputo che il tuo rendimento è calato ancora. So bene che non potrai mai avere dei risultati così...- si bloccò all’improvviso –Così alti, ma nemmeno così bassi-
Aveva parlato quasi urlando e sia lei che Kyda parevano essersi completamente dimenticate dell’esistenza di Sam, il quale avrebbe voluto sotterrarsi e scomparire.
-Mi farai andare al manicomio una volta o l’altra- disse la madre, passandosi una mano sul viso cercando di ritrovare la calma. Face due passi e calpestò con i tacchi i cocci del bicchiere.
-Hai anche distrutto un bicchiere. Vuoi proprio trasformare il pavimento in una discarica! Raccoglili, prima che qualcuno si tagli-
Sam vide il labbro di Kyda tremare, prima che ella, senza dire una sola parola, si accucciasse per terra. Si rialzò, con in mano dei pezzi di vetro, e li strinse con forza fino a sbriciolarli. 
Sia Ines che Sam la guardarono sbigottiti.
-Ecco, ora non si vedono più- sorrise sarcastica. Ne prese altri e li sbriciolò nuovamente, mentre la sua mano si riempiva di profondi tagli sanguinanti.
La madre spalancò gli occhi -Ma sei impazzita? Smettila, così ti fai male!- urlò, angosciata.
-E a te che importa!?- sbraitò la ragazza -Non è meglio così? Io penso di sì. L’ho capito...-continuò, stava delirando –Tu...vorresti che i posti fossero scambiati, non è forse vero? Dillo un buona volta!-
Ines sbarrò ancora di più gli occhi, e prese a tremare. Aprì le labbra per dire qualcosa, ma nessun suono uscì dalla sua gola. Era troppo sconvolta per dire o fare niente.
Un orribile silenzio scese nella stanza.
Un sorriso triste e amaro comparve sul viso cupo di Kyda –Lo sapevo, l’ho sempre saputo...- corse via come una scheggia ed uscì sbattendo la porta di casa. Sam non indugiò un istante di più, si lanciò al suo inseguimento.
Ed  Ines rimase in piedi in mezzo alla cucina, completamente sola.

*Note dell'Autrice*

Ciao a tutti! Scusatemi per il ritardo, solo che con l'inizio della scuola ho avuto pochissimo tempo >.<
Comunque, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, famemi sapere! ;D

Un abbraccione,

The_Grace_of_Undomiel


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Capitolo 16
*** Capitolo 16° ***



Si scapicollò giù dalle scale con talmente tanta foga che per poco non ruzzolò giù per la rampa. Quella corsa folle lo stava letteralmente sfinendo, ma il ricordo di Kyda che stringeva i pezzi di vetro, e vedere gocce di sangue sui gradini, gli davano la spinta necessaria per non fermarsi neanche un secondo.
Non appena la ragazza aveva iniziato quella discussione con la madre, Sam sapeva che le cose non avrebbero potuto non avere un risvolto negativo e infatti così era stato.
Tuttavia, non ci stava capendo davvero più niente. Perché Kyda si era ridotta in quello stato? E soprattutto come mai il rapporto tra lei ed Ines era così burrascoso? Che cosa nascondevano?
Lo sbattere di un portone lo riportò alla realtà. Kyda doveva essere uscita in strada.
Accelerò ancora di più e in breve anche lui fu fuori. Con il fiatone e con il cuore che palpitava a mille si guardò febbrilmente intorno nella speranza di individuarla, finché non la vide in lontananza; non si era fermata neanche una volta.
Riprese ad inseguirla, doveva assolutamente raggiungerla e bloccarla. Era in uno stato pietoso, completamente fuori di senno e piena di alcol, per non parlare della ferita alla mano.
Aumentò nuovamente l’andatura, anche col rischio di stramazzare, altrimenti non sarebbe mai riuscito ad affiancarla, Kyda era in netto vantaggio rispetto a lui.
Fortunatamente, a causa del mal tempo, dell’ora abbastanza tarda e delle temperature non proprio elevatissime, il marciapiede era praticamente deserto, ad eccezione di qualche passante che con aria interrogativa lo guardava correre.
Finalmente riuscì ad accorciare il distacco. Kyda doveva aver rallentato un po’, perché infatti, poco dopo, la vide bloccarsi all’improvviso. Il ragazzo non si lasciò sfuggire quell’occasione e ne approfittò per raggiungerla. Quando la vide, quasi non la riconobbe.
Respirava affannosamente, gli occhi erano spalancati e le sue labbra schiuse, mentre la treccia era praticamente sfatta. Stringeva i pugni spasmodicamente e quello destro continuava a perdere sangue, il quale gocciolava poi sul cemento.
-Perché mi hai seguita?- ansimò, senza guardarlo in volto. Aveva tentato di mantenere un tono tagliente e glaciale, ma il tremolio nella sua voce era troppo evidente.
-Ho dovuto farlo, non potevo lasciarti andare via in queste condizioni- rispose Sam.
-Sto benissimo-
-No, tu non stai affatto bene. Sei ubriaca, e sei ferita- ribatté, serio.
Lei scrollò le spalle seccata.
-L’ubriaco sarai tu- sputò la ragazza -E poi non sono affatto ferita, è solo un graffio, tutto qua-
-Davvero?- disse il giovane sarcastico. Anche se era sconvolta e fuori di sé, Kyda rimaneva comunque un osso duro e se voleva farla cedere, doveva stare al suo gioco –A me non sembra proprio. Scommetto che ti fa molto male-
-Bugiardo, non sento niente. Nulla può scalfirmi! Io sono forte, sono incrollabile. Il dolore è nulla per me- farneticò Kyda.
-Eppure stai soffrendo, è evidente- le fece notare con logica Sam. Odiava doversi comportare così, ma provocarla e “darle il colpo di grazia” era l’unico modo perché la ragazza lasciasse finalmente cadere quella spessa barriera che ormai da tempo si era costruita.
 –Taci!- sbraitò -Ti ripeto che questo è solo uno stupido, insignificante taglietto!-
-Se fosse un insignificante taglietto, come lo chiami tu, allora non continuerebbe a gocciolare sangue sul marciapiede-
Kyda lo guardò confusa, come se non comprendesse le sue parole, poi, quasi in trance, portò lo sguardo sulla sua mano ferita e al pavimento. Alla vista delle gocce di sangue per terra, sgranò ancora di più gli occhi e la sua bocca si spalancò in una smorfia terrorizzata.
Indietreggiò con uno scatto e sarebbe crollata a terra per lo shock, se Sam non avesse avuto i riflessi pronti per sorreggerla.
-Portami via, portami via...- lo supplicò tremante, stringendo convulsamente la sua felpa.
-Tranquilla... - le sussurrò serio -Adesso ti riporto a casa-

Trovarono l’appartamento completamente deserto, di Ines non vi era alcuna traccia.
Kyda aveva voluto fare le scale in completa autonomia, anche se spesso aveva arrancato e si era dovuta aggrappare a Sam per non cadere.
La ragazza vagò come uno spettro fino alla cucina e si abbandonò su una sedia. Tutto era rimasto come prima, il cartellone era ancora sul tavolo, ad eccezione del frammenti di vetro sul pavimento, della bottiglia e delle briciole, che erano scomparsi.
-Devo disinfettarti la mano e poi fasciarla- disse Sam raggiungendola -Dove tieni il kit di pronto soccorso?-
-Nel mobile in bagno- la sua voce fu pressappoco un mormorio. Non alzò nemmeno lo sguardo sull’interlocutore, ma rimase a fissarsi l’arto ferito.
Lui non se lo fece ripetere due volte e in breve tempo ritornò da Kyda con l’acqua ossigenata e delle bende.
-Potrebbe bruciare un po’- la avvertì cauto, accucciandosi di fronte a lei e imbevendo un batuffolo di cotone.
Ella non rispose e non accennò nemmeno una minima espressione di sofferenza quando lui le disinfettò i tagli, restò in silenzio, a guardare verso un punto indefinito con occhi vitrei. Al contrario, Sam sentiva di soffrire per lei.
Le fasciò con delicatezza la mano, non potendo fare a meno di pensare che, in quel breve arco di tempo, si era ritrovato a medicare già ben due persone.
-Ecco fatto- sorrise, restituendole indietro la mano -Sono riuscito a fermare l’emorragia, comunque poi sarà meglio che tu ti faccia vedere da un medico-
Kyda non disse di nuovo nulla e un opprimente silenzio scese nella stanza. Per lungo tempo entrambi tacquero, finché Sam non poté fare a meno di esprimersi . Non ce la faceva più a vederla in quello stato, senza poter fare niente per aiutarla e senza riuscire a capire perché stesse soffrendo in quel modo.
-Ascoltami Kyda, io, davvero, non so quale sia la cosa giusta da fare per farti sentire meglio -disse infine, preso coraggio –Ciò che voglio non è compartiti o commiserarti, cerco solo di aiutarti...-
La giovane sollevò stancamente lo sguardo su di lui; pareva che lo stesse ascoltando.
-Puoi fidarti di me!- affermò con forza - Io ti sono amico, perciò...insomma, se c’è qualcosa che posso fare per te, devi solo dirmelo- la guardò intensamente negli occhi, ma l’unica che vide fu il proprio riflesso. Nessuna emozione animava quello sguardo, c’era solo buio.
Sospirò sconfitto, guardandosi le mani. Anche in quel momento, era inutile e impotente, e le sue parole non avevano portato alcun conforto. Quando era stato lui a trovarsi in situazioni cupe, Kyda era sempre riuscita con poche frasi a risollevarlo e farlo riflettere, e  adesso, non poterle restituirle il favore, lo faceva sentire atterrato.
Ma inaspettatamente, la ragazza si alzò. Come un automa, prese Sam per il polso, facendolo alzare da terra. Lui la guardò confuso, ma non proferì parola, nemmeno quando ella lo condusse per il corridoio della casa, fino ad arrivare di fronte a quella misteriosa porta inaccessibile.
Kyda posò lentamente la mano sana sulla maniglia. Rimase in quella posizione per qualche istante, prima di socchiudere le palpebre e di decidersi ad aprire.
A prima vista poteva sembrare una comunissima camera da letto, ma, se ci si soffermava suoi particolari, ci si rendeva che quella in realtà era come una mistica dimensione.
Dal soffitto pendevano fili trasparenti a cui erano collegati milioni di piccoli pezzetti di vetro colorati, che riflettendo i raggi del sole, creavano giochi di luce spettacolari. Su una mensola vi erano tantissimi tipi di barattoli di varie dimensioni, contenenti gli oggetti più strani. In particolare il barattolo centrale era quello più grande di tutti, riempito fino a metà con delle cose che parevano essere coriandoli, ma dalla forma molto irregolare e dai colori strani. Sembravano quasi... foglie sbriciolate. Infine le pareti bianche erano tappezzate di fotografie. Molte ritraevano Kyda da bambina e da ragazzina, in altre c’erano Drew, Ines e il padre, ma in più c’era anche un’altra persona che Sam non aveva mai visto prima: si trattava di un ragazzo, aveva i capelli neri corvini e gli occhi di un blu limpido, esattamente uguali a quelli di Kyda.
Per poco al giovane non venne un colpo. Stessa forma del viso, stessa bocca, stesso naso...quello non poteva altri che essere...
-Mio fratello...- mormorò la ragazza, rimasta sulla soglia.
Si voltò verso di lei -Tu...tu hai un altro fratello!?-
-Sì. Lo avevo...-
Fu come essere trapassato da parte a parte da un lama tagliente. Bastarono quelle tre parole, perché Sam capisse finalmente ogni cosa. O almeno, una buona parte.
Sentì il cuore arrestarsi di colpo, mentre il respiro gli venne meno. Guardò Kyda con occhi spalancati, ma lei teneva il capo voltato altrove e non poté vederlo.
La ragazza avanzò nella camera, sfiorando il grande armadio bianco ad ogni passo.
-Mi assomigliava, vero?- sussurrò, dandogli gli spalle.
Sam non riuscì ad articolare nemmeno una sillaba.
-Dicevano tutti di sì, ma solo per l’aspetto fisico. Per il resto eravamo completamente diversi- riprese Kyda -Eppure, nonostante fossimo così opposti, eravamo inseparabili. Anzi, per la verità ero io a non separami mai da lui. Aveva la capacità di farmi divertire in ogni momento...Era sempre allegro, solare, spensierato, era bravissimo in tutto quello che faceva e per questo era il mio modello. Lo seguivo ovunque- abbozzò un sorriso triste –E lui si è sempre occupato di me...-

Roxvuld, nove anni fa.
Una bambina dai  corti capelli neri correva a perdifiato giù per le scale di palazzo. Era arrabbiata, incredula e soprattutto delusa. Come aveva fatto Lui a dimenticarsene? Quel giorno era il suo compleanno, compiva otto anni, stava diventando grande, e suo fratello non le aveva  comprato nemmeno un piccolo regalo e si era pure dimenticato di farle gli auguri!
Continuò a correre, finché non raggiunse la cantina. Un’altra bambina avrebbe avuto paura di quel luogo buio e umido, ma lei no, a lei piaceva andare lì.
Avanzò un po’ a tentoni, seguendo una fonte di luce in lontananza, finché non arrivò davanti ad una porta aperta. Dentro la stanza c’era un ragazzo, che stava trafficando assorto.
-Non ti perdonerò mai- esordì la bimba, accigliata.
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei e sorrise divertito –Sentiamo, che cosa ho fatto questa volta?-
-Ah, ma allora proprio non ti ricordi!- sbottò lei, aggrottando le sopracciglia -Sono offesa, Jonsi!-
-Ormai il mio Alzheimer è incombente, cara Kyda- disse il fratello, rimettendosi ad armeggiare come se nulla fosse -Perciò è già tanto che io mi ricordi che cosa ho mangiato a pranzo. Anzi, cosa abbiamo mangiato a pranzo?-
-Non prendermi in giro! Tu non soffri di Alzheimer, sei solo svampito!- si infervorò Kyda –Comunque, sai che c’è? Oggi è il mio compleanno!-
-Davvero?- si sorprese Jonsi (il cui vero nome era John), cadendo dalle nuvole –Beh, auguri allora. Ciao ciao!- e la salutò con la mano, invitandola ad andarsene.
Lei rimase piantonata sulla porta, con la bocca spalancata fino a terra, quando il ragazzo scoppiò a ridere di cuore.
-Che hai da ridere!?- strepitò la bambina.
-Ma dai, ci hai creduto sul serio?- sghignazzò –Pensavi davvero che mi fossi dimenticato il giorno del tuo compleanno?-
-Ma allora ti ricordi! Perché non mi hai fatto subito gli auguri?-
-Perché volevo vedere la tua reazione, che come previsto è stata a dir poco esilarante! Dai, vieni qui...- sorrise, facendole un cenno col capo.
Kyda non se lo fece ripetere due volte e lo raggiunse immediatamente. Lo guardò con impazienza, mentre lui cercava qualcosa nella tasca dei jeans.
-Ecco qua!- esclamò Jonsi, mettendo in mano alla sorellina il suo regalo -Buon Compleanno, Kid-
Si trattava di un piccolo borsellino rosa, semplicissimo, ma tastandolo, la bambina si rese conto che dentro c’era qualcosa. Lanciò un’occhiata emozionata al fratello, che la incitò ad aprire il portamonete. Al suo interno, vi trovò una penna glitterata verde, aromatizzata al pino.
-Oh, Jonsi! È bellissima!- esultò Kyda, saltando al collo del fratello.
-Sono felice che ti piaccia, so che l’avevi vista nel negozio di Hugh e così ho pensato di...-
-Grazie, grazie!- lo interruppe -Vado subito a scriverci! Tu si che sai sempre quello che mi piace!-
-Modestamente...- si atteggiò lui.
-Comunque, non so se ti perdono. Anzi, si, lo farò, ma solo se mi porti al parco!-
-Come, adesso?- chiese Jonsi, inarcando un sopracciglio.
-Sì!-
-Da quando sei diventata capricciosa?-
-Non sono capricciosa, regolo solo i conti. Allora ci stai?-
Il fratello sorriso rassegnato -Ma sì, in fondo ho bisogno di un po’ d’aria-

-Ti ho già detto che l’autunno è la mia stagione preferita?-
-Almeno una decina di volte!-
-E ti ho già spiegato il perché?-
-No, dimmelo ora- sorrise Jonsi, sorvolando sul fatto che la sorellina glielo avesse detto solo ieri.
-Beh- iniziò la bambina, guardando verso l’alto –In Autunno piove spesso e il cielo è quasi sempre nuvoloso e a me piace il tempo così-
-Io preferisco il sole- commentò il fratello.
-Io no; ma soprattutto adoro i mucchi di foglie secche, hanno dei colori stupendi!- si chinò a raccogliere una grossa foglia gialla.
-Hai mai pensato di collezionarle?-
Kyda si voltò verso il ragazzo inarcando un sopracciglio –No, non l’ho mai fatto-
-Potresti iniziare allora- sorrise Jonsi.
-Mh, intendi raccoglierle in un album? È una cosa troppo banale! E poi l’ho fa già Chanel-
-Chi è Chanel?- s’incuriosì il fratello.
Kyda assunse un’espressione cupa  -Un’insopportabile bambina, riccona, viziata con la puzza sotto il naso. Raccoglie le foglie in uno stupido album di velluto e poi le fa vedere a 
tutti-
Jonsi si sfiorò il mento pensieroso e disse –Allora ci vuole qualcosa di più originale...- sorrise furbescamente e, presa la foglia dalla mano della sorella, si mise a strapparla in piccoli pezzi.
-Ma che fai!?- esclamò Kyda confusa.
-Guarda qua- le mostrò i frammenti –Potremmo farlo con tutte le foglie che troviamo e poi metterle in quel barattolone gigante che abbiamo nello sgabuzzino-
-A quale scopo?-
-Saranno come dei coriandoli colorati e faranno un figurone nel contenitore! Ogni foglia ha moltissime sfumature diverse, sarà spettacolare! E il nostro scopo sarà quello di riempirlo fino all’orlo-
Kyda rimase per un po’ in silenzio, indecisa.
-D’accordo, mi hai convinta! Mettiamoci subito a cercarne altre!- e corse dentro ai giardinetti.
Passarono la maggior parte del tempo a racimolare foglie finché la bambina, stanca di quel continuo chinarsi, volle andare sull’altalena. Purtroppo però, erano tutte occupate da altri bambini.
-Che disdetta!- esclamò scocciata.
-Non arrabbiarti. Stai certa che oggi ci andrai sull’altalena- disse Jonsi con un sorriso enigmatico. Prese Kyda per mano e si misero a correre.
-Dove mi porti?-
-Nella cantina di casa!-
-E perché??-
-Lo vedrai!-

Kyda scoprì finalmente cosa fosse quel famoso “progetto” a cui suo fratello stava lavorando: si trattava di un’altalena, di quelle che si legavano agli alberi.
Jonsi la prese e se la mise sotto braccio.
-Perfetto, possiamo andare- annuì soddisfatto.
-Ma...è stupenda! Perché non me lo hai mai detto?- domandò.
-Semplice, perché tu non dovevi saperlo. Doveva essere il regalo per la tua promozione e non per il compleanno. Ma c’è stato un cambio di programma. Ora torniamo al parco!-
Una volta giunti,  la bimba si guardò intorno allarmata e disse –Non possiamo legarla ad uno di questi alberi, gli altri bambini ci saliranno!-
-Lo so, infatti ho già pensato a tutto, seguimi-
La portò in una zona isolata e ombrosa del parco. Ma, per Kyda, il posto più bello in cui non fosse mai stata. Non c’era nessuno a parte loro, nessun schiamazzo e nessun ciarlare. Solo calma e quiete.
Il fratello si avvicinò ad un grande albero e fissò le corde dell’altalena al ramo più basso.
-Fatto, dovrebbe reggere- si compiacque -Coraggio, salta su!-
In meno di mezzo secondo, Kyda si sedette e Jonsi prese spingerla. La faceva volare in alto, quasi riusciva a sfiorare le foglie dell’albero. Scoppiò a ridere, si stava divertendo un mondo, e le sue risa coinvolsero anche il fratello.
-Più in alto! Spingimi più in alto!- gridò.
-Molto bene, l’hai voluto tu!-
Passarono la rimanente ora così, finché non fu il momento di tornare a casa.
-Forza, adesso dobbiamo andare via-
-Cosa!? Ma io non voglio!- sbottò la sorella.
-Niente “ma”. Ho detto che si va a casa. Tra un po’ sarà ora di cena e ho fame-
Kyda incrociò le braccia al petto e girò da testa dall’altra parte, dicendo –No. Non scendo, rimango qui-
-Ok, testona che non sei altro. Tu resta pure qua, io vado a magnare- le diede le spalle e si incamminò. La bambina rimase completamente sola.
“Mpf, se ne ho voglia rimarrò qui fino a domani mattina!” si disse determinata, ma bastò uno scricchiolio sinistro e sospetto perché balzasse subito in piedi. Cos’era stato? Lo senti di nuovo. A quel punto, la bambina si mise a correre come una scheggia. Quella non era la serata adatta per fare la ribelle. In poco tempo raggiunse il fratello.
-Ti è venuta strizza?- la provocò con un sorriso irritante.
-No, mi è solo venuta fame...-


Kyda sfiorò con la punta delle dita il grosso barattolo di vetro, ormai quasi pieno.
-Jonsi aveva sempre un sacco di idee alternative, non so da dove le tirasse fuori- mormorò appena, spostando lo sguardo sui vetri colorati che pendevano dal soffitto –Ma la cosa di cui sono certa, è che erano a dir poco magiche. Nessuno sapeva stupirmi come lui, ne rendermi così tanto felice...-

Roxvuld, 7 anni fa

-Posso entrare?- chiese la ragazzina aprendo la porta della stanza con nonchalance.
-Mah, vedi un po’ tu- rispose sarcasticamente il fratello, infastidito. Se ne stava seduto a gambe incrociate sul letto, intento a litigare ferocemente con una scatola di cartone. 
-Che cos’è quella roba?- domandò curiosa Kyda.
-Un… ghngh...pacco appena arrivato- rispose Jonsi -Che ovviamente non riesco ad aprire-
La ragazzina si avvicinò.
 -Dai qua...- sorrise sorniona.
Lui la guardò scettico, poi  con un sospiro le consegnò il pacco. In meno di trenta secondi fu aperto e Kyda glielo restituì compiaciuta.
-E fu così che una ragazzina di dieci anni aiutò il fratello maggiore impedito- sogghignò.
-Però...I miei complimenti- disse il ragazzo con un sorriso sbilenco -Ma sul fatto dell’essere impedito ho da ridire- soggiunse serio. Si mise a frugare nella scatola e tirò fuori un cappello da baseball nero.
-Oh, finalmente!- esultò, alzandolo verso l’alto.
-Cos’ha di così speciale?- chiese lei inclinando la testa - È solo uno stupidissimo cappello!-
-Una mocciosetta come te non può capire- disse Jonsi assumendo un’espressione altezzosa –Questo cappello va di modissima, farò strage di cuori andondoci in giro!- fece per metterselo in testa, ma si rese conto di non riuscire a infilarlo. Era troppo stretto.
-NO, dannazione!- imprecò -Ho sbagliato la taglia!-
Kyda ridacchiò divertita.
-Mi spiace, ma a quanto pare non farai nessuna strage di cuori!-
Il fratello sbuffò e mugugnò qualcosa. Poi fece un sorrisetto e cacciò il cappello in testa alla sorellina.
-Ehy, ti è perfetto. Ho deciso, te lo do in eredità!-
-Ma che dici!?- borbottò lei, sollevandosi la visiera che le arrivava fino al mento –Mi è gigante! Anche stringendolo al massimo-
-Se non lo vuoi lo prendo io!- s’intromise Drew, arrivato in quel momento.
-Scordatelo!- sbottò Kyda con un’occhiataccia –Jonsi l’ha regalato a me!- e gli fece una linguaccia.
-Su, non litigate. Comunque sono sicuro che tra qualche anno ti andrà bene, potresti aspettare e poi portarlo più avanti, eh?- ghignò il fratello.
Kyda si strinse il cappello a petto –Sì, farò esattamente così. Inoltre è perfetto...è nero!-
-Un  momento...da quando ti piace il nero!?-


-Ma non era solo il suo essere imprevedibile a renderlo il fratello migliore del mondo. Lui... era capace di sollevarmi il morale anche nei momenti più bui e oscuri. Ed è anche colui che mi ha insegnato a pesare le parole...-

-Basta, lo odio!- sbraitò la tredicenne, sbattendo con violenza la porta della sua stanza. Venne aperta poco dopo, e la testa del fratello maggiore spuntò da dietro. Già sua madre aveva provato a calmare la giovane, ma senza grandi risultati. Ora toccava a lui provarci.
-Kyda, si può sapere che ti prende?-
-Vattene via- ringhiò la sorella.
-No, non credo proprio- disse lui serio, socchiudendo la porta e avvicinandosi. La costrinse a voltarsi e a guardarlo negli occhi.
-Allora?- insistette, posato -Con chi ce l’hai?-
Lei dapprima oppose resistenza e si rifiutò di rispondere, ma non passò nemmeno qualche secondo, che cedette. Con Jonsi le era impossibile mostrarsi scostante per più di un tot di tempo.
-Con Drew...- sibilò.
-Che ha fatto?-
-Mi ha strappato tutti i compiti di matematica! Ci ho messo una vita per farli! Non lo tollero un comportamento del genere, ha undici anni, non due! Quel bastardo-
-Piano con le parole!- esclamò lui –Capisco che tu sia arrabbiata, ma è pur sempre nostro fratello!-
-Me ne frego se è mio fratello, io lo odio! Lo detesto, non lo sopporto!- continuò rabbiosa –Non fa altro che rovinare tutto quello che faccio e mi fa dispetti dalla mattina alla sera! Maledetto! Io non lo volevo neanche un altro fratello, non l’ho mai voluto, quel...quel...-
-KYDA!- la voce alterata di Jonsi la zittì. La ragazzina sostenne il suo sguardo, ma si morse nervosamente il labbro fino a farlo sanguinare. Non le piaceva avere scontri con suo fratello.
-Come puoi dire una cosa del genere?- ora non sbraitava più, il suo tono era profondo, ma molto amareggiato. Forse per Kyda era anche peggio.
-Spesso sia tu che Drew mi fate diventare matto, ma non mi è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di dire una cosa simile- proseguì serio –Ti rendi conto di quello che hai detto? Vorresti forse che Drew non fosse mai nato?-
Kyda non rispose e serrò le palpebre. A quel punto Jonsi sorrise pacato e la obbligò nuovamente a guardarlo negli occhi.
-Adesso sei ancora una ragazzina e ti risulta difficile capire, ma ti assicuro che avere un fratello o una sorella minore è una cosa bellissima. Ti senti il più grande, il maggiore del situazione, un modello da essere seguito. E poi...non ti senti mai solo-
-Però io non sono sola, ho te- mormorò la sorella.
-Lo so, però pensa a questo: è probabile che io prima o poi me ne vada di casa, di conseguenza non sarò sempre insieme a te come adesso, ma un pochino meno. Però...ci sarà Drew a tenerti compagnia- spiegò con tono caldo –Inoltre, non sai che il tre è il numero perfetto?- ammiccò.
La ragazzina annuì, col capo chino –Hai ragione, come sempre del resto. Non avrei dovuto dire quelle cose-
Lui le poggiò affettuosamente una mano sulla spalla –L’importante è che tu l’abbia capito. Ricorda, tutte le parole hanno un loro peso-


Kyda cessò bruscamente di raccontare. Strinse con forza i pugni, macchiando la fasciatura di sangue, mentre il labbro inferiore prese a tremare.
Sam la guardò grave. Per tutto il tempo aveva ascoltato attento e in assoluto silenzio, accorgendosi che più continuava il racconto, più il respiro di lei si faceva affannato.
Aveva scoperto l’origine del portafoglio rosa, delle foglie sbriciolate e dell’inseparabile cappello da baseball nero; aveva capito che per Kyda il fratello era stato come modello, la persona a cui era più legata al mondo. Ma ora era arrivato il momento di terminare il racconto, il momento per la ragazza più doloroso: il rivivere la morte del fratello.
Kyda si allontanò di colpo di qualche passo, come per volersi allontanare ancora di più da Sam.
-Insomma, come avrai capito, Jonsi non era solo un fratello per me. Era il mio faro, la mia guida, il mio migliore amico- riprese la ragazza -E non sarei riuscita a sopportare che per qualche motivo me lo portassero via...-

Roxvuld, 2 anni fa.
Kyda si lasciò cadere sfinita sul letto della sua camera, non curandosi dei libri si scuola che vi erano ammassati sopra. Quel giorno aveva esagerato, aveva passato quasi tutto il pomeriggio alla Coast Ramp per allenarsi in un nuovi Trick con lo skateboard, rimediandosi dolori in tutte le parti del corpo. Eppure era soddisfatta, perché finalmente, dopo tanti sforzi e tentavi, era riuscita ad eseguire quella famosa evoluzione.
Sorrise sarcastica. Non appena gli fosse capitato a tiro Jonsi, lo avrebbe subito messo al corrente della sua conquista, così la prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di prenderla in giro e dirle che non ci sarebbe mai riuscita.
Non aveva neppure finito di formulare quel pensiero che il suddetto fratello fece capolino dalla porta.
-Ohi Kid...- la salutò.
Lei scattò a sedere e disse rivolgendogli un sorrisetto ironico –To’ guarda! Stavo giusto per venirti a cercare! Devo dirti una cosa importante-
-Ossia?-
-Si tratta di una buona notizia per me ed una cattiva per te. Anzi, due notizie buone per me- proseguì la ragazza con un sorriso sadico –Sono orgogliosa di informarti che sono riuscita ad eseguire quel Trick con lo skateboard, perciò... caccia fuori la grana!- tese una mano.
-Oh, dannazione! Lo sapevo che non avrei dovuto scommettere con te- borbottò, prendendo il portafoglio e buttandole in mano qualche banconota.
Lei le sventolò a mo’ di ventaglio -Ah, lo sfrusciare della vittoria, quale bel suono. Comunque, te l’avevo detto che non avresti dovuto dubitare di me!-
-Va bene, va bene, lo ammetto!- sbottò scocciato -Hai vinto- poi un sorriso sincero increspò il suo viso -Però, sono contento che tu ce l’abbia fatta-
-Uffa, però così non è più divertente- considerò Kyda con il broncio –E io che speravo di vederti imprecare ad oltranza per la tua sconfitta!-
-Mi dispiace per te!-
Stettero qualche minuto in silenzio. Kyda guardava il soffitto, mentre Jonsi aveva spostato lo sguardo sul pavimento. Era nervoso. La ragazza se n’era accorta, nonostante non potesse vederlo in volto, percepiva che c’era qualcosa di diverso in lui quel giorno.
-Senti Kid...Ti va se andiamo a farci un giro?- chiese il fratello poco dopo.
-Mh, d’accordo-
Giusto il tempo per Kyda di alzarsi dal letto, che i due furono in strada. Il cielo si era già imbrunito e una leggera pioggerellina riempiva l’aria, tuttavia i due non si erano portati dietro l’ombrello. Camminavano l’uno di fianco all’altra.
-Vedo  che lo indossi sempre ora che ti va bene...- disse Jonsi, lanciando uno sguardo al cappello da baseball sul capo della sorella.
-Sì, è molto bello. Specialmente ora che ho iniziato a fare la skater, è la morte sua un berretto con la visiera- spiegò con un sorriso.
Continuarono a camminare, senza seguire una direzione precisa. Parlarono e scherzarono, finché il tono del fratello divenne d’un tratto serio.
-Ricordi quando papà è venuto a trovarci a Natale?- domandò.
-Certo che me lo ricordo. Ma cosa c’entra adesso?-
-E ti ricordi anche quando mi ha chiamato un attimo da parte?- proseguì.
Lei ci rifletté un attimo, poi rispose -Sì, rammento anche quello. Non ho mai capito perché volesse parlare in privato solo con te. Che vi siete detti?-
-Appunto per questo ho iniziato il discorso- rispose, piano -Quel giorno papà mi ha fatto una proposta...-
Kyda si fece attenta.
-Mi ha proposto di andare a lavorare con lui, di raggiungerlo –
-Cosa!? Tu gli hai detto di no, giusto?- esclamò lei, voltandosi di scatto.
-Gli  ho risposto che ci avrei pensato e lui ha detto che la decisone spettava solo a me. Ci ho riflettuto molto in questi mesi e sono arrivato alla conclusione che sia un’occasione da non perdere! Insomma, lo sai anche tu, fin da piccolo ho sognato di poter fare un giorno il suo stesso lavoro e ora potrò finalmente realizzare il mio sogno! Certo, sarò molto lontano da casa; però...non è fantastico!? Papà verrà a prendermi domani, è già in viaggio- sorrise realizzato.
Kyda inchiodò bruscamente e Jonsi si voltò a guardarla con blanda sorpresa.
-No, no che non è fantastico!- ringhiò lei, stringendo i pugni –Hai forse la più pallida idea di quanto sia distante?-
-Lo so, ma ne vale la pena! Ne vale il mio futuro- rispose il ragazzo.
-E alla mamma non pensi!?- iniziò a scaldarsi Kyda.
-Lei ne è già al corrente-
-Che significa!?- 
-La mamma lo sa già e ha detto che per lei va bene-
-Quindi mi stai dicendo che l’unica idiota a non saperlo ero io!?- urlò la sorella. Aveva cercato in ogni modo di contenersi, ma infine le emozioni erano straripate tutte insieme, e niente avrebbe potuto placarle.
-Volevo aspettare appunto perché sapevo che sarebbe stata questa la tua reazione- replicò Jonsi incrociando le braccia -Anche se, ad essere sincero, avrei voluto vedere più entusiasmo da parte tua-
-Entusiasmo,  entusiasmo!?- farfugliò fuori di sé –Come potrei esserne entusiasta! Passerai dal vivere sotto il nostro stesso tetto al venire a trovarci sì e no due volte l’anno! Ti rendi conto? E ti sorprendi ancora che sia contrariata?-
-Devo pensare anche al mio futuro, dannazione! Non essere egoista, Kyda!- la rimproverò duramente. Anche lui aveva alzato la voce.
-Ah, sarei io l’egoista, adesso? Sei tu quello che se ne andrà dall’altra parte del mondo fottendosene altamente della sua famiglia!-
-Sei una sciocca a parlare in questo modo; ciò che dici non ha alcun senso! Mi sorprende che tu mi reputi così menefreghista- 
-Allora perché te ne vai, lasciandoci soli? Lasciandomi sola! La verità è che non te ne importa niente di me. Vai,  allora, vattene pure a rincorrere i tuoi sogni, se è quello che vuoi!-
Scappò via, veloce, senza dargli il tempo di ribattere. Il vento e la pioggia le sferzavano il viso, mentre amare lacrime le rigavano il volto.
“Perché, perché, perché!” continuava a chiedersi, triste, rabbiosa e ferita.
Sentiva dietro di lei Jonsi che la rincorreva e che la chiamava. Accelerò ancora, ignorando i suoi richiami. Non poteva permettersi di essere raggiunta. Continuò a correre, non guardando nemmeno dove le gambe la stessero portando. Aveva bisogno di stare e sola e di riflettere. Jonsi non poteva andarsene. Come avrebbe fatto a sopravvivere senza il suo pilastro, senza il suo migliore amico? Non ce l’avrebbe fatta. Sarebbe crollata sotto il peso della malinconia e della solitudine.
Il fratello la chiamava incessantemente, ma lei continuava ad ignorarlo.
-KYDA! KYDA! FERMATI!- ora la sua voce era diversa, era spaventata, quasi...angosciata.
Lei aggrottò confusa le sopracciglia, ma nuovamente non si fermò.
-KYDA!- l’urlo rimbombò nell’aria -IL CAMION!-
“Quale camion?” 
La ragazza si bloccò all’improvviso; l’unica cosa che vide, i fanali, che quasi l’accecarono . L’unica cosa che sentì,  uno strombazzare incessante. Poi una spinta.  Forte, violenta, che la catapultò direttamente dall’altro lato del marciapiede. Nell’impatto sbatté la testa. Cercò di tirarsi su, nonostante quasi non capisse più dove fosse, per cercare vedere cosa fosse successo. Quello che scorse, fu un grosso camion rosso sfuocato, fermo, e due persone che si precipitavano giù dall’abitacolo. Urla terrorizzate le arrivarono ovattate alle orecchie. Poi spostò lo sguardo sulla strada di fronte a sé. Sangue, c’era sangue ovunque.
Percepì le gambe farsi improvvisamente di carta velina e il tutto roteare all’incontrario. Infine, il buio.

Non seppe nemmeno come e chi l’avesse portate all’ospedale. L’unica cosa che sapeva era che si trovava in un letto e che l’aria era pregna di naftalina. Si tirò su lentamente, intontita, e si portò una mano alla testa che le doleva da impazzire. Era bendata.
Si guardò intorno spaesata, finché non scorse una figura a lei famigliare.
-Papà!- esclamò, senza parole. L’uomo si trovava su una poltrona e, al richiamo, si precipitò da lei.
-Kyda...Tesoro, stai bene- mormorò, passandole una mano sulla guancia.
-Sì, credo, io...- farfugliò. Si sentiva terribilmente confusa e disorientata -Ma...tu non dovresti essere qui. E...dove, dove siamo...? Dove mi trovo?-
-Sei all’ospedale- rispose il padre. La sua voce era ridotta a un doloroso sussurro.
-All’ospedale? Perché? Che ore sono?-
-C’è stato un incidente, per poco non venivi investita, hai sbattuto la testa sul marciapiede. Sono le dieci di mattina...-
-Dove sono la mamma e Drew?- riprese Kyda, sorda alla risposta del padre.
-Sono qui fuori-
La ragazza prese a guardarsi febbrilmente intorno, poi il suo sguardo ritornò fisso sull’uomo seduto di fronte a lei.
-Dov’è Jonsi?-
Il padre non riuscì a sostenere i suoi occhi e abbassò il capo. Prese la mano della figlia tra le sue e la strinse forte.
-Kyda...- alzò finalmente lo sguardo sul viso di lei, mentre dai propri occhi, rossi di pianto, scese una lacrima.
La ragazza trattene il fiato.
-Jonsi è morto...-


Un silenzio gelido e dolente scese di colpo nella stanza, come un ghigliottina. Kyda aveva finito di raccontare e questa volta definitivamente. Aggiungere altro sarebbe stato effimero, se non ad aumentare ancora il dolore.
Sam si era come cristallizzato su posto, mentre qualcosa dentro di lui si era frantumato. Non riusciva ad ordinare nessun pensiero, né a formulare qualche parola di conforto. Ma quale conforto avrebbe potuto dare lui? Nessuno. Il fratello le era morto davanti agli occhi, e si era sacrificato per salvarla. Non sarebbe bastate le sue parole per aiutarla, eppure, voleva, anzi, doveva assolutamente fare qualcosa.
Fece per muovere qualche passo verso di lei, ma la ragazza riprese d’un tratto a parlare.
-Non ho pianto, quando ho saputo che Jonsi era morto, ma ho sentito letteralmente un freddo devastante dentro di me- si portò una mano al petto –Un freddo capace di gelarmi il cuore. Non sentivo...più nulla. Da quel momento in poi sono diventata apatica, imperturbabile, niente suscitava in me emozioni. Infatti, non so ormai da quant’è che non verso una lacrima...-
Si strinse nelle braccia, inclinando la testa di lato -Dopo la sua morte, ho cercato ti tenerlo vicino a me in ogni modo, ho anche ricominciato a raccogliere le foglie per riempire quel barattolo mai finito, ma...- la voce le cedette bruscamente, come se qualcuno gliela avesse strappata a forza –Mi sono resa conto che non serve, tenermi vicino le sue cose non me lo riporterà indietro!- si voltò di scatto e gli occhi verdi di Sam incontrarono le iridi blu di lei, velate di lacrime.
-Non potrò mai scordarmi l’espressione di mia madre quando trovai la forza di raccontarle ciò che era successo! Di dirle che suo figlio era morto per causa mia, per il mio egoismo!- urlò, mentre una goccia le rigava una guancia –Lei mi odia, perché sa che sono io la causa di tutto! Ha sempre avuto una preferenza per Jonsi, ma io non ci soffrivo molto, perché vedevo che voleva bene anche a me. Eppure io SO che vorrebbe che i nostri posti fossero stati scambiati, e ha ragione! Io dovevo morire, io dovevo essere travolta dal quel camion!- gridò disperata. Si accasciò a terra, sopraffatta dal dolore e dalle lacrime. Fece per coprirsi il bel viso con le mani, ma qualcuno glielo impedì.
Sam stava di fronte e le stringeva con impeto i polsi, bloccandoli. Lei alzò lo sguardo stravolto dalle lacrime su di lui.
-Questo non dirlo mai, mai- le disse, guardandola con intensità –Tua madre ti vuole un bene dell’anima, di questo sono sicuro, e non sopporterebbe l’idea che potesse accaderti del male . Lei non vorrebbe mai una cosa del genere! Guardami...- le poggiò una mano sul viso –Jonsi si è sacrificato per salvarti, perché ti amava, perché voleva che tu vivessi e sono certo che non avrebbe esitato a farlo una seconda volta se fosse stato necessario. Che senso ha essere vivi se non si vive la propria vita? Questo me lo hai detto tu, ricordi? Ed è ciò che devi fare, perché è quello che anche tu fratello vorrebbe-
Kyda ricambiò il suo sguardo, sembrava aver ascoltato le sue parole. Respirava affannosamente, mentre  stille di luce continuavano a scenderle copiose lungo tutto il viso, bagnandole i ciuffi di capelli che le ricadevano sul volto. Sam non poté resistere oltre, la tirò a sé e la strinse in un fortissimo abbraccio. Voleva farle sentire che le era vicino, farle capire che non era sola, che adesso c’era lui a supportarla. La ragazza non oppose nessun tipo di resistenza; si aggrappò alla felpa di Sam e appoggiò la testa sul suo petto, ricominciando a piangere con forti singhiozzi.
E il giovane la lasciò sfogare, piangere tutte quelle lacrime che per due anni non era riuscita a versare. Kyda continuava a tenere la sua maglia stretta tra le dita e lui di tanto in tanto le sfiorava appena i capelli, sentendo un calore propagarsi in tutto il petto con ogni volta che la toccava. Stettero in quella posizione per molto tempo, fino a quando Kyda, una volta calmatasi, decise di sciogliere l’abbraccio. Sam la lasciò andare a malincuore, ma sollevato di vederla un po’ ripresa.
La ragazza si asciugò con la manica le restanti lacrime, poi trasse un lungo respiro.
-Dio... Sto di merda...- gorgogliò , passandosi una mano sulla fronte –Mi viene da vomitare-
-Ci credo, con tutta la roba che ti sei bevuta!-
Kyda si alzò lentamente e lo stesso fece Sam.
-Ho bisogno di stendermi da qualche parte...- disse, con aria sofferente.
 Il ragazzo si avvicinò -Ok, dimmi dove ti devo portare-
Ella lo guardò stranita, barcollando un po’, e rispose –Vorresti forse portarmi in braccio? Ce la fa..faccio da s..sola, e poi intanto non riusciresti tirarmi su, sei troppo smin...-
Lui la sollevò con estrema facilità, era leggerissima, troncandole la parola sul nascere.
-Non sono uno sminchio! Allora, dove ti porto?- sorrise.
Lei lo guardò frastornata, quasi stupefatta -Sul divano...-
-Agli ordini!- raggiunse il salottino e l’adagiò delicatamente sul sofà.
-Devo già scendere? Peccato, mi sembrava di volare- sussurrò la ragazza, con sguardo perso.
Perfetto, aveva ricominciato a delirare. Le prese una soffice coperta e gliela distese addosso.
-Blah, mi gira tutto-  mugugnò.
-Immagino, ora però cerca di riposare, ne hai bisogno-
-Hai gli occhi verdissimi-
-Sì, lo so. Me lo hai già detto- sorrise lievemente –Adesso lascia andare i pensieri e stai tranquilla-
-Dov’è mia madre?- chiese di botto.
-Lei...è uscita, ma dovrebbe tornare a momenti. Tu adesso stai buona qui, mentre io vado a prendere il cartellone e i colori. Non preoccuparti, lo finirò da solo a casa-
Kyda non rispose, si era assopita. Sam si diresse in cucina e, con sua enorme sorpresa, trovò Ines in persona seduta su una sedia.
-Da quanto è qui!?- gli sfuggì, stupefatto. 
 -Da un po’...- mormorò la donna, levandosi in piedi.
-Kyda la stava cercando. Credo che abbia bisogno di lei- rispose Sam, con un lungo sguardo.
Ines annuì debolmente, capendo ogni cosa. Si allontanò da lui per andare da sua figlia, ma prima si voltò un’ultima volta -Grazie...- disse un soffio. Una semplice parola, quasi faticosa, ma che stava significare molte cose.
Sam capì che era giunto il momento di togliere il disturbo. Raccattò silenzioso le sue cose e altrettanto taciturno uscì da quella casa.
Fuori era già buio, si era fatto tardi. Si avviò per tornare a casa e, mentre camminava, realizzò che qualcosa dentro di lui era cambiato. Ora possedeva una nuova consapevolezza: da quel momento in poi, Kyda non sarebbe stata mai più sola, perché ci sarebbe stato lui al suo fianco; aveva deciso. Ormai quella giovane così forte, coraggiosa e imperturbabile, ma anche  fragile e delicata, era diventata troppo importante.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17° ***




Martedì;  con quello erano tre giorni che Kyda non veniva a scuola e sei che Sam non la vedeva. Ormai mancava poco all’iniziare delle lezioni, perciò era molto improbabile che la ragazza si presentasse.
Sospirò guardando il banco vuoto.
Chissà come stava, da quel Mercoledì pomeriggio non aveva più avuto sue notizie.  Desiderava con tutto se stesso poterle mandare un messaggio e chiederle se stesse bene, o cose del genere, ma non ne aveva il coraggio. Non era nemmeno riuscito ad informarla del punteggio che avevano preso per il disegno , tra l’altro esorbitante, ne a riferirle il tema del quarto ed ultimo cartellone, figurarsi  inviarle un messaggio di quel tipo! Tuttavia era sia ansioso di sapere le sue condizioni, sia di organizzarsi per fare il progetto. Avrebbero dovuto rappresentare l’Amore. L’Amore! Come accidenti avrebbero fatto loro due raffigurare un sentimento del genere? Sicuramente non con cuoricini o zucchero filato rosa, a lui sarebbe venuto il diabete, per non parlare di Kyda. Inoltre, era lui il primo a non sapere cosa gli venisse in mente al pensiero dell’amore e poi era sicuro che, in ogni caso, non avrebbe coinciso con l’idea di amore della ragazza. Sempre che lei ne avesse avuta una, perché per quanto ne sapeva, Kyda poteva essere del tutto indifferente a quell’emozione. Come lui del resto; più o meno.
Si fermò a riflettere. Qual’era la prima cosa che gli veniva in mente pesando all’amore? Nulla. Poi, però, un’immagine lo colpì come un’affilata lama di pugnale: Kyda stretta tra le sue braccia, la sensazione del suo capo sul petto...
Interruppe bruscamente il filo dei propri pensieri, prima che la sua mente andasse oltre. Perché diamine aveva pensato a Kyda!? Decise di ritentare, ma questa volta l’altra immagine che la sua testa gli mostrò fu quella di lui stesso che sfiorava i capelli neri di lei. Gli parve di sentirne di nuovo la consistenza fra le dita e di risentire quel buon profumo...
Scosse forte la testa, esterrefatto. Forse era il caso di lasciar perdere, la sua mente gli stava giocando brutti scherzi.
-Perché scuoti la testa come un cane?-
Sam si voltò verso Daniel, che lo guardava con un sopracciglio inarcato.
-Non stavo affatto scuotendo la testa...- borbottò Sam.
-Oh sì invece. Quello che stavi facendo era un’untile tentativo di cacciar via qualche pensiero molesto, mio nobile amico- replicò il biondo congiungendo le mani.
-Ti ho già detto che quando fai così sei inquietante?-
-Sempre, ma non è questo il punto. Allora, cos’è che ti arrovella la mente?-
Sam scrollò le spalle -Mah, sono solo un po’ preoccupato per il progetto...- rispose con una mezza verità.
-Sai, credo che tu sia l’unico in tutto l’istituto a cui importi qualcosa di quell’affare, comunque....Io non mi farei troppi problemi, tu e Kyda siete secondi in tutta la classifica! Secondi! Non hai sentito quello che ha detto Conway? Se siete arrivati fino a qui vuole dire che non siete dei disastri totali-
-Ma sì, hai ragione!-
-Così si parla! Segui il mio motto, che va sempre bene: fotte sega. Questo è il segreto- annuì Daniel compiaciuto, poi la sua espressione divenne improvvisamente sorniona –Ho delle novità...-
-Lo sospettavo, quando ti viene quella faccia c’è sempre qualcosa sotto! Sputa il rospo!-
-Ebbene, sono riuscito a scrivere una poesia per quel concorso e non solo: è piaciuta e sono passato!- esultò. Era talmente esaltato che Sam si stupì di non vederlo alzare un pugno verso l’alto in stile manga.
-Sul serio!? I miei complimenti!- esclamò dandogli il cinque –Infine hai trovato di cosa parlare-
-Già, ed è tutto merito di Hetty, non so come avrei fatto senza di lei! È leggendo il libro che mi ha imprestato (tra l’altro mostruosamente avvincente), che mi è venuta l’ispirazione! A proposito di Hetty, ha passato anche lei la selezione e siamo entrati ancora più in confidenza, credo di starle simpatico! Per esempio, ho scoperto che abita in periferia, che ha due fratelli minori gemelli e che il suo vero nome è Henrietta, ma tutti la chiamano Hetty! Poi mi ha un po’ parlato di quello che le piace fare e mi ha confidato che il suo sogno è diventare una scrittrice. Sono sicuro che lo diventerà, è troppo brava. Lei guarda oltre, è visionaria, passionale. È un vero talento, quasi la invidio...-
-Quindi oltre che passare il concorso sei anche riuscito a “non farti odiare”- mimò le virgolette.
-Proprio così, perché è inutile, sono troppo simpatico io- disse con aria teatrale -Anche se la maggior parte delle volte non riesce a guardarmi in faccia e non capisco il perché... Boh, le ragazze sono proprio strane!- scoppiò a ridere.
Ridacchiò anche Sam, poi gli chiese cosa prevedesse da quel momento in poi il corso di poesia.
-Niente di particolare, l’esame finale è tra un po’ di mesi, quindi posso stare tranquillo. Accidenti!- esclamò, sbattendosi una mano sulla fronte –Stavo quasi per dimenticarmene! Stasera c’è un buffet, una sorta di festeggiamento per chi ha passato la selezione, lì dalla scuola. Ho la possibilità di invitare qualche persona, vieni?-
Sam ci rifletté un po’ su, poi rispose –Sì, direi che sono libero, ma un momento...- lo scrutò assottigliando lo sguardo –Daniel Lipton che partecipa ad un ricevimento? Hai davvero intenzione di passare lì metà della serata?-
-No, mio Dio, che strapalle!- si scandalizzò il biondo –Il mio piano è tutto un altro- sogghignò malefico.
Ormai conosceva troppo bene quel ragazzo, sapeva che doveva aver architettato qualcosa “alla Lipton”.
-Ossia?-
-Ossia ci faremo un po’ vedere, poi sgusceremo quatti quatti fuori da lì e ce  ne andremo alla festa che hanno organizzato nel locale in centro! Allora, ci stai?-
Sam aggrottò le sopracciglia, non molto convito. Quando viveva ad Amentia era andato a qualche festa insieme a Luke e si era divertito, ma l’idea di andare in quel locale non gli sconfinferava molto. Aveva capito qual’era quello a cui si riferiva Daniel e non vantava di essere un posto raccomandabile. E il giorno dopo c’era la scuola! Sua madre non gli avrebbe mai dato il permesso.
-Non lo so, Dan. E poi domani non è Sabato, abbiamo la scuola-
-Lo so, infatti non torneremo a casa tardi, altrimenti i miei mi appendono al muro per il colletto! Il ricevimento inizia alle sette, mentre la festa inizia alle otto e finisce alle due del mattino, perciò se ci andiamo per le otto e mezza e torniamo a casa per le dieci e mezza, alle undici saremo già nel mondo dei sogni- ammiccò –Dai, sarà da sballarsi, non farti pregare!-
Sam ragionò ancora qualche istante e infine accettò. Un po’ di divertimento e di distrazioni gli avrebbero fatto bene, in quel periodo ne sentiva un gran bisogno. L’unico problema era “l’ostacolo mamma”. C’erano due possibilità: o le mentiva dicendole che sarebbe andato solo al ricevimento, o le diceva la verità. Optò subito per la seconda. Aveva imparato per esperienza che raccontare balle non era la tattica migliore, si finiva solo più nei casini, e poi non se la sentiva di mentirle in quel modo, non con quello che sua madre stava passando, si sarebbe sentito troppo in colpa. L’unica cosa da fare era essere convincenti e sperare che lei gli desse il permesso.
-Fantastico! Nell’intervallo espongo il mio piano a Mark e a Jade-  ghignò Daniel.
-Un momento! Quindi racconterai anche a loro del tuo corso di poesia?- si sorprese il ragazzo.
-Sì, penso che lo farò. Gli anni scorsi non eravamo in confidenza, ma quest’anno ci siamo avvicinati molto di più; mi fido di loro. Quindi glielo dirò-
-Okay, come vuoi- sorrise Sam –Jade non se lo farà ripetere due volte, ma Mark...tu ce lo vedi ad una festa del genere?-
In realtà non ci si vedeva molto nemmeno lui, ma quelli erano dettagli.
-No, per niente. Ma ci penserà a Jade a convincerlo, lo trascinerà per il maglione se necessario!-
Scoppiarono a ridere, ma ammutolirono non appena entrò la Symons. Quel giorno interrogava di geografia, e lì c’era ben poco da ridere.
Mentre Eloise Symons compilava arcigna il registro, Sam si voltò ancora un ultima volta verso il banco deserto di Kyda, quando i suoi occhi si incrociarono con quelli micidiali di Travis. Il Dark teneva le braccia incrociate al petto e la bocca in un ringhio spaventoso, mentre lo scrutava con uno sguardo cattivo e assassino.
Sam si pietrificò seduta stante e si accorse che anche gli altri Dark lo fissavano pressappoco in quel modo.
Si girò di scatto, chinando la testa sul libro. Sia perché era stato preso da tutt’altre cose, sia perché loro avevano un po’ allentato con le angherie, il ragazzo si era quasi dimenticato della presenza dei Dark. Solo qualche sgambetto e qualche spinta gli ricordavano dell’esistenza di Travis e Co; ma adesso quell’occhiata lo aveva a dir poco terrorizzato. Era certo che stesse solo aspettando il momento opportuno per agire, per vendicarsi del fatto che quella volta gli fosse sfuggito. 
Da quel momento in poi, avrebbe dovuto ricominciare a guardarsi alle spalle.

Gli aveva detto di sì, di sì!  Ci era voluta solo mezza giornata per convincerla, meno della metà di quello che Sam si era aspettato. Sua madre gli aveva fatto mille mila raccomandazioni, concludendo con un “se torni a casa con un minuto di ritardo ti uso come sturalavandini, chiaro?”, ma la cosa importante era che alla fine avesse ceduto. Ora che il problema “mamma” era stato risolto, ne sorgeva però un altro: lui non aveva la più pallida idea di come ci si dovesse comportare a feste di quel calibro. Era sicuro che ci fossero delle differenze rispetto a quelle a cui andava quando viveva ad Amentia.
In conclusione, urgeva un telefonata. Prese il cellulare e compose al volo un numero. L’interlocutore non ebbe nemmeno il tempo di dire “pronto” che Sam lo interruppe subito: -Luke, ho bisogno di aiuto-
-Guarda un po’ chi è resuscitato da Roxvuld...- rispose l’amico con sarcasmo.
-Sì lo so, non mi sono fatto sentire per un po’, mi dispiace, mi farò perdonare, però ora ho bisogno del tuo aiuto!-
-E io che contavo di fare il prezioso e portarti rancore a vita, ma a quanto pare dovrò rimandare i miei piani- disse Luke con il sorriso nella voce, con grande sollievo di Sam –Allora, che succede? I bulli sono tornati all’attacco?-
-No, non ancora; il mio problema si può riassumere in una parola: festa- rispose il ragazzo. Aveva saputo che negli ultimi tempi Luke era diventato un frequentatore accanito di discoteche e locali, per cui era sicuro che avesse qualche buon consiglio da dargli.
-Wohoo! Questo si che è interessante! Dov’è la location?-
-In una specie di pub, credo-
-Doppio interessante!- urlò Luke, rischiando quasi di assordare Sam, costretto ad allontanare la cornetta –Quelle nei pub sono le mie preferite in assoluto, hai chiamato la persona giusta! Cosa vuoi sapere a proposito?-
-Informazioni generali, tipo tu cosa fai quando sei lì?-
Luke si schiarì la voce –Molto bene, ti riassumerò il tutto in poche e semplici frasi: innanzitutto fregatene di tutto e di tutti e fai quello che ti pare e piace, tanto là in mezzo ci sarà gente molto più folle di te, quindi no problem. Comprendi?-
-Sì...-
-Eccellente. Altra cosa molto importante, se una ragazza ti si avvicina e ti fa segno di seguirla, tu non fare domande. Seguila e basta-
-Ma non credo che sia...-
-No no, tu non “credi”, tu “segui”, raus? E tutto ciò se non è racchia, ovviamente-
-Sei sempre il solito...- sorrise Sam rassegnato.
-Che ti devo dire?- rise il ragazzo –In conclusione, rilassati, divertiti, lasciati andare, segui e soprattutto cerca di...-
-Grazie Luke, i tuoi consigli sulle ragazze sono sempre, ehm, preziosi! Ora scappo, che ho un sacco di cose da fare e tra un po’ devo uscire-
-D’accordo, ci si risente! Ma mi raccomando, ricordati di...-
-Seguire, ho capito! Ciaooo!- e chiuse la comunicazione. Certo che Luke quando ci si metteva era davvero allucinante. Ma insieme si facevano sempre delle grosse e grasse risate.
Guardò l’ora sull’orologio verde. Dannazione, gli era rimasto pochissimo tempo.

Tanto finiva sempre così. Lui si presentava nel posto prestabilito all’orario prestabilito e tutti arrivavano in ritardo, ovviamente.
Sam ricontrollò per l’ennesima volta l’orologio, seccato. Si erano accordati per incontrarsi alle 18:45 in via Arrow vicino all’aiuola e invece erano già le 19:10 e nessuno si era ancora presentato. In futuro sarebbe arrivato con un’ora di ritardo altro che, così per una volta avrebbero fatto gli altri la figura degli scemi ad aspettare in piedi vicino ad un alberello rinsecchito.
Quel pensiero gli fece ricordare improvvisamente di una cosa: quello era lo stesso punto in cui settimane prima aveva atteso, sotto un sole cocente in grado di arrostire le rondini in volo, Kyda. Bastò solo il suo nome perché il viso della ragazza gli ritornasse in mente; i suoi occhi blu, i capelli neri, le labbra incurvate in quel perenne sorriso sarcastico...
Quel giorno si era divertito tantissimo;  certo,  aveva rischiato di ammazzarsi giù da un rampa, ma l’accesa partita di Basket che ne era seguita ripagava ogni infarto.   
Si rese conto di aver ricominciato a pensare a Kyda, ma negli ultimi giorni non poteva proprio farne a meno.
-Devo dire che quel simpatico alberello ha un  non so che di affascinate, ma addirittura contemplarlo in quel modo mi sembra esagerato-
Sam non ebbe neppure il bisogno di voltarsi per capire a chi appartenesse quella voce.
-Daniel, sai che il tuo anticipo è sconcertante?-
-Non so perché, ma qualcosa mi dice che c’è del sarcasmo nella tua voce- sghignazzò –Ho perso tempo per cercare una cosa, per quello sono arrivato in ritardo. Tanto nemmeno Mark e Jade sono ancora arrivat...- un urletto piagnucoloso lo interruppe. Sam e Daniel si voltarono e davanti a loro si presentò la scena più comica che avessero mai visto.
Jade stava avanzando verso di loro a passo di marcia, trascinando per il maglione un Mark lagnante.
-Ahu ahu, Jade, lasciami andave! Così mi sfovmi il colletto!- frignò il ragazzotto, cercando di divincolarsi.
-Questa è la punizione che ti meriti per aver anche solo provato a darci buca!- lo rimbeccò la ragazza. Indossava una semplicissima felpa di cotone e un paio di pantaloni verde militare  pieni di tasche. Sotto braccio teneva una giacca a vento e i capelli erano legati in una pratica coda bassa.
Mark invece era pressoché il solito, con i suoi immancabili maglioncini.
-Ciao Daniel, ciao Sam- li salutò Jade, decidendosi a mollare il malcapitato, che si risistemò il colletto in tutta fretta.
-Scusate il ritardo, ma questo scemo mi ha fatto perdere tempo con le sue paturnie...- riprese la ragazza, fulminando con lo sguardo Mark.
-Non sono patuvnie, sono pvoblemi sevi! Io non sono il tipo da locale! E poi le lenti a contatto mi danno fastidio, vidammi i miei occhiali!-
-Scordatelo, caro mio! Quei fondi di bottiglia ad una festa sono assolutamente fuori luogo. A dir la verità anche quel maglione lo è, ma ti sei rifiutato di indossare la mia giacca multitasck-
-Pev fovza! Era ovvibile!-
-Okay, time out!- rise Daniel, interrompendo il battibecco –L’importante è che siamo tutti qui, ora andiamo alla scuola di Poesia che prima ci facciamo vedere, prima possiamo rifugiarci alla festa!-
Si incamminarono a passo spedito. Quella sera il tempo era mite e il cielo sgombro da tutte le nuvole.
Arrivarono in breve tempo in prossimità della scuola. Nonostante fossero in ritardo c’erano ancora molti ragazzi che stavano salendo le scale esterne dell’edificio.
Si unirono anche loro insieme agli altri, accompagnati da un suffuso brusio e dai commenti ammirati di Mark riguardo la struttura del palazzo. Una volta dentro si fecero far strada da Daniel, che li condusse in un’ampia sala dal pavimento di marmo bianco e i muri dello stesso colore. Tutto era stato allestito nel migliore dei modi, su due lunghi tavoloni laterali vi era ogni tipo di ben di Dio, c’era persino il ponche!
La sala era piena zeppa di gente di tutte le età.
Sam era rimasto davvero colpito, quello era un ambiente di gran classe! Tutti erano vestiti molto eleganti, al che si sentì un po’ fuori posto con la sua felpa azzurra e i suoi jeans, ma poi gli bastò guardare il look di Jade per tranquillizzarsi.
-Uh, là c’è il mio maestro!- disse Daniel salutando un uomo col panciotto, lo stesso che tempo prima aveva esortato educatamente Sam ad andarsene. Il ragazzo si ricordava bene di quella volta, era stato mostruosamente imbarazzante e tutto era successo per colpa di quel tizio, Eustache. Chissà che fine aveva fatto.
-Io vado a salutarlo, voi girate dove più vi piace. Ci rivediamo qui tra un po’- e detto questo Daniel si fece strada fra gli invitati. Mark era già scomparso chissà dove e Jade si era letteralmente fiondata al tavolo dei dolci. Sam, rimasto solo, decise di andare dal buffet a sgranocchiare qualche stuzzichino. Stava giusto per addentare un succulento paninetto, quando una voce saccente quanto  irritante guastò il soave momento.
-Ma guarda un po’ chi si rivede, L’Apprendista Pappagallo- disse Eustache, in tutta la sua presunzione e altezzosità, vestito di tutto punto.
-Uh, Il Signore Delle Liste...- rispose Sam, con un tono che era tutto tranne che entusiasta.
-Divertente, noto  che il tuo senso dell’umorismo non è migliorato di una stilla in tutto questo tempo-
-Potrei dirti la stessa cosa- borbottò il ragazzo –Ebbene, che ci fai qua?-
Eustache alzò gli occhi al cielo, estremamente seccato –E lo stesso discorso vale per le domande, a quanto pare. Sempre molto intelligenti. Io qui mi occupo dell’organizzazione, credevo fosse chiaro il concetto-
-Grazie, quello lo avevo capito. Intendevo che cosa vuoi da me- replicò Sam, piccato. Allucinante, quell’insopportabile pinguino era in grado tutte le volte di risvegliargli il suo lato peggiore.
-Te lo dico subito, caro Dilettate, controllo se sei nella lista- rispose quello come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Quale lista?- 
-Ecco che ritorna il pappagallo; comunque, questa lista- e detto questo , Eustache si aprì la giacca, ricavando dalla tasca interna un elenco.
-Non ci posso credere!- esclamò Sam, esterrefatto. Aveva pure le giacche fatte apposta!
Frattanto il damerino si era anche procurato una penna e controllava la lista assorto.
-Qual è il tuo cognome?-
-Wild-
Eustache fece scorrere il dito lungo tutto l’elenco, concentrato, e infine disse –Mi ricresce per te, ma qui non è segnato nessun “Wild”-
-Come sarebbe a dire!?-
-Sarebbe a dire che il tuo nome non c’è-
-Impossibile, sono venuto in compagnia di uno degli studenti, per cui sono tra gli invitati!- si infervorò il ragazzo. Fantastico, ci mancavano le grane anche quella sera.
-Le tue sono scuse a dir poco patetiche. Ogni alunno che aveva intenzione di portare un amico o famigliare ha informato la scuola anticipatamente e il loro nome è stato segnato, ergo, pensane un’altra. Assurdo come certa gente non abbia problemi a mentire pur di accaparrarsi qualche stuzzichino. Ma ti comprendo, questo è un buffet di gran classe, non per niente l’ho organizzato io- sorrise spavaldo.
-Io sono qui per accaparrarmi un bel niente! Sono venuto in compagnia di Daniel Lipton!-
A quel nome Eustache aggrottò le sopracciglia, quando, senza nemmeno farlo apposta, il sopracitato Daniel Lipton arrivò tutto allegro.
-Weilà Eustache! Come andiamo!?- esclamò con un sorriso a trentadue denti, buttandogli un braccio intorno alle spalle.
-Splendidamente - rispose quello a denti stretti,  scostandosi e risistemandosi la giacca.
-Allora Sam, che succede qui?- chiese il biondo senza perdere il sorriso, rivolgendosi al ragazzo.
-Tu lo conosci?- disse Eustache blandamente sorpreso.
-Certamente, è venuto insieme a me!-
L’altro parve per un attimo senza parole, con grande soddisfazione di Sam, poi però rispose –Eppure qui non è segnato, quindi vuol dire che ti sei dimenticato di informarmi!-
-Sì è vero, che scemo! Mi è completamente passato, ehehe, pazienza!-
Eustache fece per ribattere qualcosa, ma Daniel lo interruppe –Ah, già che ci sono ne approfitto per dirti che ci sono altre due persone: uno è Mark de Vere, l’altra è Jade O’Connor, aggiungili un po’ nel tuo inseparabile elenco! Vorrei rimanere, ma il prof mi deve parlare, sono solo venuto a prendere un tramezzino, adios!- e scomparve di nuovo.
Eustache rimase per un attimo imbambolato, poi, stizzito, scribacchiò qualcosa nella lista.
-Immagino che sia abbastanza imbarazzante per te...- approfittò per tirare una moschettata Sam.
-Fai poco lo spiritoso, ti è andata solo di lusso- borbottò il ragazzo. Lo squadrò dall’alto in basso con quel suo solito modo altero, poi commentò –Certo che… bah…-
-Cosa?- sbottò Sam, al limite della sopportazione di quell’individuo.
-Niente, niente...Constatavo solo come il tuo abbigliamento sia inerente all’occasione!- disse con un’insopportabile sorrisetto stampato in volto.
-Sempre meglio del tuo look!-
-Sì, ti piacerebbeee!- intonò Eustache.
-Senti, perché non mi lasci finire il mio panino in santa pace e non vai a esasperare qualcun’ altro con le tue liste e le tue lezioni di stile!?-
-È il mio compito controllare che sia tutto perfetto e si da il caso che tu sia l’unico che non sappia come funzionino le cose qui- s’impuntò –Guardati attorno...- gli indicò tutta la sala con una mano, quando si paralizzò completamente alla vista del tavolo dei dolci.
Il rinfresco era ormai divenuto proprietà esclusiva di Jade, che passava da un vassoio all’altro per strafogarsi di pasticcini in un modo che di raffinato non aveva niente, facendo persino cadere di tanto in tanto qualche tortina sul lustrissimo pavimento in marmo.
Sam giurò di aver visto l’occhio destro di Eustache preso da un tic nervoso, prima che questi si avviasse a passo di marcia e con uno sguardo omicida verso il buffet.
Okay, uno scontro diretto tra Jade e Eustache non poteva assolutamente perderselo. Ci sarebbe stato da divertirsi.
Frattanto Eustache era giunto alla spalle di Jade, ancora ignara della sua presenza. Lui si schiarì la voce, ma lei non lo sentì. Riprovò una seconda volta, ma di nuovo nessun risultato. A quel punto, spazientito, le picchiettò una spalla con l’indice -Scusami- disse irritato. 
Jade si voltò lentamente verso di lui -Mh?- biascicò torva, continuando ad ingurgitare.
-Ti pare forse questo il modo di mangiare ad un rinfresco del genere?-
-Oh, mi stavo giusto chiedendo dove fosse il classico damerino con la puzza sotto il naso pronto a dare lezioni di etichetta, ed ecco spunti tu!  Tempismo perfetto- farfugliò con la bocca piena.
Il ragazzo la guardò un attimo agghiacciato, poi disse con superiorità -Vedrò di sorvolare su questo ultimo commento. Piuttosto, non hai risposto alla mia domanda. Nel caso tu non te ne fossi accorta, lì alla tua sinistra c’è un pila di piatti di carta dorati su cui mettere i pasticcini. Non si prendono e mangiano direttamente dal vassoio- 
Jade lanciò un’occhiata ai piattini, poi si voltò di nuovo verso Eustache con aria annoiata –Li ho visti, ma li ho ignorati volontariamente- ammise con soddisfazione -Anche alle feste di compleanno non li ho mai usati-
-Non mi interessa ciò che era solita fare ai compleanni; quello che ti sto dicendo è che qui devi utilizzarli. E stai sporcando tutto il pavimento con la tua irruenza-
-La mia che?-
-Irruenza! Ti stai abboffando e ha fatto cadere per terra delle paste!- rispose lui, cominciando a perdere le staffe.
-E allora?-
-Come sarebbe a dire!?-
 -Che strazio, si può sapere chi sei tu?- brontolò la ragazza.
Eustache si schiarì la voce per l’ennesima volta - Mi presento, sono l’addetto alle iscrizioni di questa scuola, nonché organizzatore del rinfresco e...-
-Grazie dell’informazione, me la segno. A quello ci ero arrivata da sola, basta vedere la tua giacca da pinguino per capire la tua mansione!- lo sfotté –Io volevo sapere il tuo nome, fucking genio!-
-Mi chiamo Eustache-
-Piacere, Eustace, io sono Jade!- gli tese una mano, sporca di glassa.
Lui non la strinse e replicò stizzito –Non è “Eustace”. Si pronuncia “Iusteis”- 
-Ok, Eustace. Resterei ancora a farmi rompere da te (NO), ma devo andare a ripescare un mio amico- prese un pasticcino e glielo schiaffò in mano, poi gli diede una pacca sulla spalla talmente forte che quasi lo scartabellò a terra –Goditi il dolce, Mister Pinguino, ci si vede!- e se ne andò, lasciando uno Eustache basito, e alquanto indignato, in mezzo alla sala.

Sam stava giusto cercando di non scoppiare a ridere quando intravide Daniel fargli un segno. Era arrivato il momento di filarsela. Passò in mezzo agli altri invitati, raggiunse l’amico e insieme si avviarono furtivamente verso l’uscita.
-Dove sono finiti Mark e Jade?- chiese Sam. Lei l’aveva persa di vista, mentre il ragazzotto era scomparso fin da subito.
-Probabilmente sono già fuori- rispose il biondo guardandosi intorno –Sbrighiamoci, va. Non ho voglia che qualcun altro mi attacchi bottone- e così accelerarono, ma una voce femminile interruppe la loro avanzata.
-Daniel!-
I due ragazzi si voltarono e videro Hetty a pochi passi da loro, che li guardava perplessa. Indossava una semplice magliettina fucsia, con due bottoncini sulla scollatura, e un paio di jeans. Aveva i capelli sciolti e la frangia le copriva buona parte della fronte. Non portava gli occhiali.
-Dove... dove stai andando?- soggiunse imbarazzata, e un lieve rossore fece capolino sulle sue guancie.
-Oh Hetty! Perfetto!- esclamò il ragazzo. L’afferrò per il polso e se la trascinò dietro.
Uscirono in strada e trovarono Mark e Jade ad aspettarli.
-Finalmente! Si può sapere dov’eravate finiti!?- borbottò la ragazza impaziente.
-Ci siamo, ora possiamo andare!- disse allegro.
-Daniel, mi puoi dire che sta succedendo!?- esclamò Hetty, confusa.
-Ce ne andiamo ad un festa!-
-Cosa? Adesso?-
-Si, e tu vieni con noi!-
Hetty spalancò gli occhi –Ma io non, non credo che...-
-Niente “ma”! Forza, sbrighiamoci!- e si mise a correre, costringendo la giovane a seguirlo.
Lo stessero fecero gli altri tre, che si misero in moto. Sam si domandò sul fatto perché dovessero mettersi a correre, visto che non ce n’era alcun bisogno, ma non diede voce ai suoi pensieri. Quella sera Dan era troppo euforico.
Capirono di essere arrivati a destinazione quando vennero letteralmente investiti dalla folla e sentirono una forte musica rimbombare per il centro. Si lasciarono trasportare dalla massa ed arrivarono davanti al locale in cui era stata organizzata la festa: il Stargazer.
Dovettero sgomitare un po’, specialmente Jade che non si fece problemi a sfondare quel muro di folla, ma alla fine riuscirono ad entrare. La musica era fortissima ed assordante e luci colorate vorticavano per la sala. Molte persone si erano già lanciate in balli scatenati, altre bevevano, alcune tentavano inutilmente di intrattenere una conversazione ed altre ancora si erano buttate sui divanetti.
-Wow, che figata!- urlò Daniel, elettrizzato. Jade si guardava intorno muovendo la testa a ritmo di musica, con dietro Mark che la stava usando poco dignitosamente come scudo umano. Hetty stava vicino a Daniel, un po’ spaesata.
-E ova che facciamo?- chiese Mark.
-Che domande! Ci buttiamo nella mischia, ovvio!- rispose Daniel, infilandosi un paio di occhiali bianchi con le lenti cosparse di glitter.
-Fammi indovinare, scommetto che erano quelli la cosa per cui sei arrivato in ritardo- disse Sam.
-Precisamente!- rise il biondo –CORAGGIO, LANCIAMOCI!- e detto questo si buttò in pista, tirandosi dietro sia Hetty che Sam.
-Seguimi, Mark, troviamoci qualcosa di buono da mangiare, ho visto dei panini laggiù!- sogghignò Jade e anche loro due scomparvero.
Per la maggior parte del tempo Sam, Daniel e Hetty ballarono, o meglio, Sam faceva giusto qualche mossa, Daniel era fuori controllo e la ragazza si muoveva appena, tantoché alla fine il biondo l’afferrò per le mani e la trascinò nel suo ballo senza senso.
-Allora, vi divertite?- urlò Daniel, ridendo.
Gli altri due annuirono sorridenti, anche se quello di Hetty fu più un sorriso mesto,  poi mormorò rivolta al ragazzo –Daniel io... dopo, quando usciremo di qui, avrei bisogno di parlarti...-
-Eh, cosa? Non ti sento, c’è troppo casino!-
-Non importa, non era niente di che...-
Le cose parevano andare nel migliore dei modi, anche Hetty, in compagnia di Daniel, si era un po’ sciolta, quando d’un tratto un gruppo di ragazze mai viste prima piombò in mezzo al terzetto. Erano tutte altissime, bellissime, e ognuna di loro pareva avere una qualche mira nei confronti di Daniel. E quest’ultimo lo aveva captato subito, infatti le guardava con un sorrisetto strano.
-C’è qualcosa che posso fare per voi, ragazze?- chiese come un ebete.
Quelle si misero a ridacchiare –Oh beh, il fatto è che non siamo di queste parti ed è la prima volta che veniamo in questo locale e non sappiamo bene come muoverci, sapresti aiutarci?- disse una dai capelli lunghi neri, sorridendo sensuale.
Daniel mollò all’istante le mani di Hetty –Certamente, conosco questo posto come le mie tasche- mentì spudoratamente –Sarò felice di farvi strada!- e in men che non si dica sparì in compagnia di quelle, lasciando lì Hetty e Sam.
Il ragazzo guardò basito l’amico allontanarsi, e si sforzò di comprendere il suo comportamento: in effetti, quella per Daniel era una sorta di rivincita, una rivincita nei confronti di Chanel e di tutte quelle ragazze che lo avevano respinto; era giusto che volesse divertirsi, ora che aveva ben sei ragazze tutte intorno. Anche se avrebbe potuto evitare di abbandonarli lì come due scemi, specie Hetty, visto che era stato proprio Dan a portarla con loro.
Si voltò verso la ragazza, ma con sua enorme sorpresa constatò che si era volatilizzata. Dov’era finita? Sam realizzò in quel momento di essere rimasto completamente solo. Decise di mettersi a girovagare per il locale, giusto per non rimanere con le mani in mano, nella speranza di riuscire a ritracciare Jade, Mark e Hetty. Daniel chissà dov’era andato a finire...
Ma che accidenti era andato a fare lì? Non si stava divertendo per niente, la musica era talmente forte che la testa gli pulsava dal dolore, la gente non faceva altro che spintonarlo e tutti i suoi amici erano sparpagliati. D’un tratto pensò a Kyda. Cosa stava facendo in quel momento, dov’era? Gli sembrava passata una vita dall’ultima volta che aveva sentito le sue battute pungenti e i suoi commenti sarcastici, quasi sentiva la mancanza pure di quelli...
Era talmente immerso nei suoi pensieri e così distratto, che senza farci caso andò addosso ad una ragazza.
-Ehy, stai un po’ attento!- sbottò con voce acuta, voltandosi. Era piuttosto alta, lunghi capelli biondi le arrivavano fino alla schiena e alcuni ciuffi le ricadevano sul viso, incorniciando rosse labbra carnose. Indossava un vestitino argentato senza spalline molto corto, che le evidenziava le forme prosperose. Ai piedi portava tacchi alti abbinati al vestito, e in mano reggeva un drink.
-Scu..scusa, ero sovrappensiero...- balbettò il ragazzo.
-Tranquillo, non fa niente, sono cose che capitano!- si affrettò lei, cambiando improvvisamente temperamento, cosa che sbalordì Sam non poco.
-Piuttosto, non ti ho mai visto da queste parti- riprese la ragazza, sorridendo provocante.
-Credo dipenda dal fatto che non frequento spesso questi locali-
La tipa ridacchiò –Si, penso anch’io. Come ti chiami?-
-Sam-
-Oh, che bel nome. Io sono Deborah, ma puoi chiamarmi Debby!-
-Okay...Debby- rispose lui. Decisamente non ci sapeva fare con le ragazze, stava facendo la figura dell’idiota completo. Provò ad aggiungere qualcosa, ma lei si avvicinò pericolosamente, troncandogli la parole.
-Ma lo sai che sei proprio un bel ragazzo?- soffiò, spostandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
-Ehm, grazie. Anche tu non sei male...- riuscì a formulare. Stava iniziando ad avere terribilmente caldo, ma non era una sensazione piacevole, per nulla.
Debby ridacchiò per l’ennesima volta –Lo so, me lo dicono in molti...- sorrise, e un lampo di malizia passò nei suoi occhi -Vieni con me...-
Lo afferrò per la felpa e se lo trascinò lontano da lì. Attraversarono quasi tutto il locale, fino ad arrivare nel parte più laterale e in ombra. Sam le chiese dove lo stesse portando e lei non rispose, ma gli sorrise enigmatica.
Giunsero vicino ad un parete e Debby, a quel punto, ci sbatté contro, tirandosi appresso il ragazzo.
Lui sgranò gli occhi -Deborah, ma cosa stai…?-
La ragazza gli premette un dito sulle labbra –Shhh, ti ho detto che puoi chiamarmi Debby, ricordi?- fece scivolare l’indice lungo il collo, e lo tirò ancora di più verso di lei -E voglio solo conoscerti meglio...-


*Note dell'autrice*

Ciao a tutti! Non ho niente di particolare da dire, solo farvi un saluto! x) L'immagine che ho messo all'inizio del capitolo raffigura Hetty, ma immagino che molti lo abbiano capito ;)
Rigrazio tutti coloro che mi recensiscono, chi ha messo la storia tra le seguite/ preferite e anche i lettori sileziosi <3

Alla prossima!


The_Grace_of_Undomiel




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Capitolo 18
*** Capitolo 18° ***


 
Sam non ebbe neppure il tempo di realizzare che cosa stesse succedendo, che si ritrovò le labbra carnose di Debby sulle proprie. La ragazza nuovamente non perse tempo, approfittò dell’attimo di sbigottimento del giovane per aggrapparsi ancora di più a lui e tirarlo con ancora più prepotenza verso di sé, per poi prendergli una mano e portarsela sul fianco sinistro.  Se prima si era appoggiata contro il muro, adesso ne era diventata parte integrante.
Ma pochi secondi furono sufficienti a Sam per riacquistare la lucidità mentale e la padronanza delle sue azioni. Interruppe bruscamente lo sgradevole bacio di Deborah, allontanandola con freddezza, e facendo lui stesso qualche passo indietro.
-Si può sapere che diamine ti prede?- sfuriò la ragazza con voce stridula, non appena ebbe realizzato la situazione, guardandolo scandalizzata.
-Che mi prende!? Sono io che dovrei chiederlo a te! Cosa credevi di fare?- ribatté a sua volta esterrefatto, oltre che evidentemente scocciato.
-Che razza di domande sono, non era chiaro? Ti stavo baciando- rispose quella con ovvietà.
-E cosa ti ha fatto pensare che mi andasse una cosa del genere!?- proseguì il ragazzo, sbalordito. Ancora non riusciva a credere che fosse successo tutto per davvero, un attimo prima stavano parlando, mentre un attimo dopo se l’era ritrovata letteralmente incollata  addosso. Fortuna che era riuscito a fermarla in tempo, altrimenti chissà cosa avrebbero fatto, o meglio, chissà cosa lei gli avrebbe fatto!
Deborah sgranò gli occhi, probabilmente non aspettandosi una risposta del genere -L’avevo presa come una cosa assolutamente scontata, chi rinuncerebbe ad un’occasione del genere? Solo un idiota potrebbe rifiutarmi. Sono bellissima, ho un fisico da urlo, dovresti sentirti onorato di aver attirato la mi attenzione!- strepitò.
-Mi dispiace deluderti, ma non mi sento affatto onorato, la parola giusta è “adescato”, se vogliamo essere precisi-
-Quindi, per farla breve, mi stai respingendo?-
-Precisamente-
A quelle parole gli occhi di Debby divennero improvvisamente gelidi e intrisi di spietatezza. Si allontanò dal muro e si rimise in posizione eretta, avvicinandosi lentamente a Sam. Quest’ultimo sentì di perdere buona parte della sicurezza acquistata poco prima e gli parve che la ragazza fosse diventata ancora più alta e statuaria, quasi minacciosa. Si fermò a pochi passi da lui e, invece di rompergli qualcosa in testa, come Sam si era aspettato, batté violentemente un tacco sul pavimento con un movimento stizzito del piede.
-Inaudito! TU non puoi rifiutarmi, nessuno può farlo! Nessuno!- strillò come una bambina capricciosa -Hai capito!?-
-In verità, l’unica cosa che ho capito è che tu sei...PAZZA!- e detto questo, le voltò le spalle e se la diede a gambe, rifugiandosi in mezzo alla calca.  In lontananza, coperto dalla confusione e alla musica, sentì uno strepitare di insulti e di bestemmie.
Vagò in mezzo a quell’assembramento di gente scatenata per minuti interi, con l’unico scopo di allontanarsi il più possibile da quella fuori di testa di Deborah. Se mai Luke fosse venuto a conoscenza di ciò che era appena successo, lo avrebbe utilizzato come pallina da baseball e usato un badile a mo’ mazza. Il programma “segui” del suo amico era fallito su tutta la linea, ma non aveva potuto fare altrimenti: non avrebbe resistito un secondo di più con quella tizia. E il suo bacio era stato così sgradevole...orrore, raccapriccio! Urgeva uno sciacquone immediato per dimenticare.
“Che situazione d’inferno” imprecò interiormente, sbuffando innervosito, e chiedendosi per l’ennesima volta che diamine ci fosse andato a fare in quel postaccio. Camminava con la testa incassata nelle spalle e con le mani in tasca, non curandosi degli insulti che, essendo elemento di intralcio, gli rivolgeva la gente. Orbitò ancora per un po’, con l’obbiettivo di ritrovare i suoi amici, quando andò nuovamente a scontrarsi con una ragazza di spalle.
-Ehy, sta’ un po’ attento...- brontolò con voce torva.
“Oh no, un’altra volta no!” si ritrovò ad implorare Sam, trovando la situazione orribilmente analoga a quella precedente. Si rese però conto di aver totalmente errato, non appena vide un viso famigliare, ma che mai si sarebbe aspettato di incontrare, fissarlo tra il perplesso e il corrucciato.
-Kyda!- esclamò incredulo. La ragazza infatti si trovava proprio di fronte a lui; indossava una t-shirt nera, che le lasciava la spalla sinistra scoperta, e un paio di pantaloni grigio scuro. I capelli erano raccolti con un pinza, ma alcuni ciuffi le erano sfuggiti e le ricadevano qua e là sulla fronte e sul viso. Gli occhi erano delineati da un sottile strato di matita nera e le palpebre erano cosparse di ombretto del medesimo colore.
Il cuore di Sam, nel vederla, parve fermarsi di colpo, per poi riprendere a palpitare ad una velocità incontrollata. In quel momento era in balia di una moltitudine di emozioni, passando dall’incredulità allo stupore, dalla felicità alla curiosità, fino ad arrivare all’impazienza. Desiderava chiederle come si sentisse, se stesse bene, che cosa avesse fatto in quegli ultimi giorni, come si fossero risolte le cose con sua madre, che ci facesse a quella festa. Gli sembrava passata una vita da quel giorno in cui l’aveva stretta tra le braccia, in cui lei gli aveva raccontato il suo passato e in cui tutto il suo dolore era infine uscito. Si ricordò in quel momento di come si fossero separati, con lei sfinita e a pezzi sul divano.
Di conseguenza, tutte le emozioni vennero sostituite da una unica: l’imbarazzo.
-Guarda un po’, allora ci sei anche tu. È proprio vero che si può incontrare chiunque a queste feste- disse la ragazza con il suo solito sorriso sarcastico.
-Si beh, a quanto pare- fu l’unico commento che gli uscì –Che fai qua?- soggiunse subito dopo.
-La stessa cosa che fai tu, sto girovagando senza meta- rispose scrollando le spalle. Al contrario, Kyda ostentava tranquillità e pareva non provare alcun tipo di disagio.
-In realtà io una meta ce l’avrei, sto cercando i miei amici, sono venuto qua con loro- spiegò, alzando la voce per sovrastare la musica incalzante.
-Ti riferisci a Lipton? Perché se è così l’ho visto che si dava da fare con una stangona, seduti su un divanetto-
-Ah...- fu il lapidario commento di Sam, che decise di sorvolare la questione –E tu invece? Sei...sei venuta da sola?-
-No, sono con qualche persona- rispose la ragazza, iniziando a guardarsi attorno con circospezione -Ma li ho persi di vista...-
Sam rimase per qualche attimo in silenzio, un po’ teso, non riuscendo a decidersi sul da farsi. Kyda in quel momento era sola e lo stesso valeva per lui...quindi, perché non chiederle se le andava di andare al bar insieme a lui, giusto qualche minuto? Tentar non nuoceva.
Fece per proporglielo, ma la giovane lo interruppe immediatamente, perentoria.
-Sta fermo-
Il ragazzo la guardò perplesso -Cosa?- domandò, ma lei non gli rispose, impegnata a guardare verso un punto indefinito alle sue spalle.
-Che succede?- insistette, girando leggermente la testa.
-Non voltarti- ordinò nuovamente Kyda.
-Ma perché? Che c’è?-
La ragazza continuò a guardare oltre di lui e rispose -A meno di tre metri da te c’è Travis insieme a Kay, mentre ad una distanza di circa cinque ci sono Tony, Hazel e Oliver-
Con lo sguardo il ragazzo cercò di scorgere i Dark, ma non vi riuscì, poi posò nuovamente gli occhi su Kyda -Capisco...- asserì, tentando di rimanere tranquillo -Sono loro le persone con cui sei venuta-
-Esattamente- rispose abbassando il capo, come per non farsi riconoscere –Seguimi- lo afferrò per il polso e lo allontanò da lì, conducendolo in mezzo alla folla. Sam si ritrovò a constatare che quella sera dovevano averlo scambiato per un sacco di patate, visto che non facevano altro che trascinarlo da una parte all’altra della sala. Camminarono ancora per un po’, poi Kyda decise finalmente di fermarsi e di lasciargli andare la manica della felpa.
-Qui dovremmo essere abbastanza lontani...- mormorò la ragazza fra sé e sé.
-Dici che se mi avessero visto ne avrebbero approfittato per darmi il ben servito?- 
-Questo è poco ma sicuro. Ti avrebbero preso e portato sul retro. Lascio a te il seguito...-
Sam sospirò -Beh, forse da un lato sarebbe stato meglio...- non poté fare a meno di dire, dando voce ai proprio pensieri.
Kyda  si voltò lentamente verso di lui.
-Che vuoi dire?- chiese accigliata.
-Ormai da quant’è che cerco di sfuggirgli? Un mese? Comincio a non poterne più, tutto questo fuggire e cercare di nascondermi mi sta esaurendo, tanto so per certo che si tratta solo di rimandare l’inevitabile. Quindi, sarebbe meglio che mi trovasse e si vendicasse, così da farla finita una volta per tutte- rispose, senza sapere nemmeno lui da dove gli giungesse tutto quel coraggio.
La giovane lo osservò per un attimo con scetticismo -Non sai quello che dici- ribatté poco dopo, scuotendo la testa –Tu non hai mai visto Travis arrabbiato, e adesso è a dir poco incazzato. Se ti avesse tra le mani ti spezzerebbe e ti ridurrebbe peggio di una macchina allo scatafascio. Quella volta con Lipton ci è andato leggero, era solo un pretesto per farti uscire allo scoperto e darti una piccola dimostrazione di quello che è in grado di fare. Un consiglio spassionato: prendi Lipton e il resto dei tuoi amici e andatevene subito di qui-
-Ma...- cercò di protestare.
-Se stasera vuoi sopravvivere, io non me lo farei ripetere due volte, Sam-
Il ragazzo tacque. Non aveva la più pallida idea di cosa fare, era stufo di continuare a scappare, ma allo stesso tempo voleva evitare di essere massacrato.
-Allora?- lo riscosse lei.
-Okay, farò come dici tu- si rassegnò.
-Ottimo, però è meglio che ti sbrighi: Travis sta venendo qui-
Sam sobbalzò -Cosa!?- 
-Mi ha vista, ma non credo che ti abbia ancora riconosciuto-
-Merda...- si allarmò -Che faccio ora?-
Doveva trovare una scappatoia e in fretta, altrimenti quella discussione sarebbe stata del tutto vana.
-Ti mimetizzi- rispose lei, prima di dargli una lieve spintarella e buttarlo così in mezzo alla massa di ballerini scatenati. In quel preciso istante arrivò Travis, che si fermò di fronte alla ragazza.
-Eccoti, era ora. Si può sapere dov’eri finita? Io e i ragazzi ti abbiamo cercata ovunque- ringhiò.
-Mi sono allontanata un attimo e vi ho persi di vista, mi spiace-
L’altro scrollò le spalle seccato –Non importa, l’importate è che ci siamo ribeccati. Notato qualcosa di interessate?-
-Se ti riferisci a Wild o qualcuno della sua combriccola, no, desolata-
Travis fece una smorfia –Dovevo immaginarlo, quell’idiota non è il tipo da feste del genere. Pazienza, troverò un’altra occasione per sbriciolarlo, anche se comincio a non poterne più di aspettare- sbottò, ignaro del fatto che Sam si trovasse a nemmeno un  metro di distanza da lui e  che stesse ascoltato l’intera conversazione, ben nascosto.
-Avrai la tua vendetta, devi solo avere un po’ di pazienza- lo “incoraggiò” Kyda, apatica.
-Lo so, ma sto iniziando a rompermi. Se non ce l’ho a tiro tra qualche giorno, va a finire che lo spiaccico contro il muro della classe, anche a costo di venir sospeso- sputò rabbioso.
Sam ebbe un brivido.
Kyda emise un lungo sospiro, poi si avvicinò ancora di più a Travis e gli pose un mano sulla spalla -Adesso rilassati, cerca di goderti la festa...-
Travis lanciò un’occhiata alla mano di lei, poi la guardò con un ghigno mellifluo.
 -Sei un vero schianto stasera, lo sai?-
-Da quando uno come te si è messo a fare i complimenti?-
-Da quando ho deciso io- replicò lui, senza perdere quello strano sorriso.
-Interessante...-
Kyda si avvicinò ancora di più e la sua mano scivolò lentamente lungo la spalla di Travis fino ad arrivare al torace, lasciando di sasso sia Sam che lo stesso Dark.
-Posso sapere come mai sei così stasera? Cosa c’era nel drink che hai preso?- chiese lui, con un tono che era tutto tranne che di rimprovero.
-Nessun drink, solo che, non so, adesso mi andava così...- rispose provocante la ragazza, inclinando di poco la testa.
Travis ghignò malizioso -Beh, era ora direi...-
L’attirò con rapidità verso di sé e le stampò un bacio dietro l’orecchio. Ma la giovane, a differenza dell’ultima volta, lo lasciò fare liberamente, sotto gli occhi sconvolti di Sam.
Nel frattempo Travis, approfittandosi del momento di accondiscendenza della ragazza, aveva preso a baciarle anche la spalla scoperta. Poi si ritirò di scatto e afferrò con veemenza Kyda per un polso.
-Vieni...- e si incamminò, con lei al seguito. E Sam, uscito allo scoperto, li guardò allontanarsi, incredulo e sbigottito. Perché lei lo aveva lasciato fare? Da quel che gli risultava, Kyda non era minimamente interessata a Travis, per usar parole sue erano semplici collaboratori. Tuttavia molte cose non erano chiare, la ragazza si era rivelata tutt’altro che una perfida aguzzina senza cuore, perciò, cos’aveva da spartire con gente come quella? Perché faceva parte di quel gruppo e perché non faceva che stare in loro compagnia? Quello era un mistero che ancora non era riuscito a risolvere. Sentì l’ira investirlo da capo a piedi al ricordo di quell’energumeno baciare quella spalla candida. Maledetto.
Stava ancora guardando i due Dark allontanarsi, quando la ragazza si voltò indietro verso di lui e gli indirizzò una lunga occhiata piena di significato, quasi spronante, accompagnata da uno dei suoi classici sorrisi. E fu allora che Sam capì. Kyda aveva inscenato quel teatrino per allontanare Travis e dargli la possibilità di uscire allo scoperto per poi andarsene.
Il ragazzo rispose allo sguardo. Si impose di stare tranquillo, Kyda era un tipo che si faceva valere, non si sarebbe fatta problemi a respingere la più che intuibile proposta di Travis, avrebbe trovato sicuramente una scusa.
Non poteva più permettersi di perdere tempo, doveva ritrovare gli altri e poi uscire da lì, senza contare che mancava pochissimo al coprifuoco indetto da sua madre.
Per prima cosa urgeva ritrovare Daniel, imboscato su chissà quale divanetto con chissà quale ragazza del gruppetto che era venuto a rapirlo. Non ci mise molto tempo a trovarlo: il biondo era letteralmente accasciato su una poltroncina rossa, con imbraccio una ragazza dalla fluente chioma nera e dallo striminzito abitino giallo limone. Seduta a fianco c’era un’altra tipa che...aspettava il proprio turno! Sam guardò la scena allibito, ma a cosa si era ridotto Daniel!? Si avvicinò di un poco e non appena l’amico si fu un attimo allontanato dalle labbra della mora, Sam gli fece un segno per attirare la sua attenzione, cosa che funzionò.
Daniel gli lanciò un eloquente sguardo, che lo invitava a rimandare a dopo e a non interrompere il momento fortuito. Ma Sam non demorse, era ora che il compagno di banco si decidesse ad alzarsi e a mettere da parte il suo momentaneo ruolo da playboy per diversi motivi: prima di tutto doveva avvertirlo della presenza dei Dark, secondo era quasi scattato il coprifuoco e terzo, ma non meno importante, doveva farlo riflettere sul modo in cui aveva abbandonato Hetty, tra l’altro invitata da lui stesso! A proposito, chissà dov’era andata a finire quella ragazza.
Gli bastò far vagare un attimo lo sguardo sulla sala, per rispondersi da solo: Hetty si trovava a qualche metro di distanza dal divanetto su cui Daniel era comodamente seduto. Aveva il viso stravolto dalle lacrime e assisteva alla scena come in una sorta di trance, gli occhi spenti e vuoti.
Sam la osservò perplesso, poi spostò un paio di volte l’obbiettivo da lei a Daniel, ed ebbe una seconda ma importante illuminazione. Hetty, la timida e talentuosa ragazza, era innamorata dello scapestrato e sognatore Daniel. Come lo avesse capito solo ora, non sapeva spiegarselo nemmeno lui stesso. Adesso molti degli interrogativi che erano sorti a proposito di quella giovane erano stati finalmente risolti: lo strano comportamento di Hetty nei confronti del suo amico non era antipatica, bensì il tipico imbarazzo e impaccio che si hanno quando una persona è innamorata; gli occhi che si era sentito addosso quella volta che Dan era stato assente erano quelli di lei, indecisa se chiedergli o no informazioni riguardo al biondo. Non era da escludere nemmeno l’ipotesi che fosse stata lei a fare quella breve telefonata, né che fosse lei la misteriosa pasticcera di Daniel. Ed ora quest’ultimo le stava frantumando il cuore a metà.
In quel momento il suo sguardo si incrociò con quello di Hetty, la quale sobbalzò, colta in fragrante. Le sfuggì un ultimo e doloroso singhiozzo, poi scappò. Sam ci mise poco tempo a raggiungerla.
-Aspetta!- la chiamò.
La ragazza si bloccò, ma non accennò a voltarsi.
-Io...credo sia ora per me di andare a casa. È evidente che qui sia di troppo, e che questo non sia il mio posto- gli rispose poco dopo, la voce che sapeva di pianto e delusione.
-No, no non è così. Daniel, lui...non lo fa per cattiveria, quello che hai visto, insomma...-
-Non ha più importanza ormai- lo interruppe la ragazza con un sorriso amaro, girandosi –Lo ha visto anche tu, no? Per me non c’è spazio nel suo cuore, è ora che me ne faccia una ragione. Uno si illude fino a un certo punto. E io credo di aver superato il limite-
-Hetty...-
-Devo andare a casa. Ti chiedo solo una cosa, Sam...-
Lui la guardò, in attesa.
-Ora che hai scoperto tutto, per favore, non dirlo a Daniel-
-D’accordo, come farò come desideri- la rassicurò greve. La giovane gli voltò le spalle e scomparve.
Sam sospirò, ritornando sui propri passi. Arrivò nuovamente in prossimità del divanetto, su cui vi era ancora seduto Daniel in compagnia della stangona e dell’altra tizia, che aveva preso a muovere ritmicamente la gamba, impaziente.
Il biondo allontanò momentaneamente la fanciulla, probabilmente per riprendere fiato, e i suoi occhi si scontrarono con l’occhiataccia che Sam gli aveva appena indirizzato. E Sam, soddisfatto che l’amico avesse recepito, si incamminò verso l’uscita, pronto per andare a casa. Aveva scoperto, dagli otto messaggi che Mark gli aveva mandato, che sia lui che Jade erano andati a casa, dopo che li avevano cercati in lungo e in largo e chiamati trecentomila volte, ma nessuno aveva mai risposto.
Finalmente il ragazzo giunse all’uscita. Si stava già pregustando l’aria frizzantina della sera, ma qualcuno lo afferrò per un braccio, bloccandolo.
-Ehi, ma dove vai?- Daniel lo guardava stralunato.
-Guarda un po’ chi si è degnato di alzarsi- commentò con sarcasmo.
L’altro alzò le mani in segno di resa -Lo so, lo so, mi sono fatto un po’ prendere-
-Alla faccia di un po’, sei scomparso per tutta la sera! Comunque sto andando a casa-
-Cosa? A casa? Perché?- farfugliò Daniel, confuso.
-Perché sono le dieci e mezza nel qual caso tu non te ne fossi accorto, perché è scattato il coprifuoco, perché in giro ci sono i Dark ed è all’incirca da mezz’ora che cerco di dirtelo!- ribatté Sam coi nervi a fior di pelle.
Il biondo sgranò gli occhi e rispose -Cavolo, non lo sapevo...-
-Lo so che non lo sapevi, per questo volevo informarti!- Sam si sbatté una mano in faccia.
-Ops, scusami, è che ero troppo impegnato con Gwen e Tanya...Va beh, allora adesso andiamo a casa, siamo ancora in tempo- sorrise Daniel.
-Sei senza speranza- Sam scosse la testa e, quando vide l’altro guardarlo confuso, si affrettò ad aggiungere –Non noti qualcosa di strano?-
-No...- rispose tentennante.
-Lo immaginavo. Si da il caso che non siamo venuti in due in questo posto, ma in cinque, ti suona famigliare? Se per caso adesso te lo stai chiedendo, Jade e Mark sono andati a casa, lo stesso vale per...-
-...Hetty- l’amico pronunciò quel nome in un soffio.
-Esatto, proprio lei. Avevi tutti i diritti per divertiti con qualche ragazza, di certo non te ne faccio una colpa, ma potevi evitare di farlo stasera, non dopo che avevi portato Hetty con noi. L’hai lasciata completamente da sola-
Sam si girò, troncando sul nascere il più che scontato fiume di parole di Daniel, e si incamminò verso casa. Non venne seguito.
Forse era stato troppo duro con Daniel, ma il suo comportamento nei confronti di Hetty era stato deplorevole. L’aveva ferita così profondamente che Sam dubitava che sarebbe bastato un semplice “scusa” per risistemare le cose. Perché non l’aveva solo fatta sentire dimenticata, le aveva (seppur inconsapevolmente) anche ridotto il cuore a brandelli.
In conclusione la serata non era stata delle migliori: prima era stato adescato da una pazzoide, per un pelo non finiva in bocca ai Dark, aveva mezzo-litigato con Dan e per finire si era sentito per l’ennesima volta uno stupido, perché di nuovo era stato costretto a darsela a gambe di fronte a Travis e Kyda, pur di aiutarlo, aveva dovuto far credere al Dark che le sue attenzioni fossero gradite. Chissà come erano andate a finire le cose, la ragazza era riuscita a calmare Travis oppure...lui l’aveva obbligata a fare qualcosa contro la sua volontà?
Al pensiero il ragazzo venne scosso da un brivido, oltre che da un’accesa rabbia. Aveva deciso, al più presto le avrebbe chiesto qualcosa tra la righe, anche se si trattava di una domanda estremamente personale e imbarazzante. Magari alla fine lei aveva ceduto non perché obbligata, ma perché in realtà era quello che voleva...
Scosse la testa con vigore, doveva smetterla di pensare a quelle cose. Kyda non avrebbe mai desiderato un delinquente come Travis, ne era certo. O almeno, sperava.

Il suo odio per i Dark, in particolare per Travis, era diventato ormai viscerale. Ma non li detestava più come un tempo per via dei soprusi e delle prepotenze, ma perché loro rappresentavano l’ostacolo insormontabile che lo teneva separato da Kyda. Non poteva muovere nemmeno un passo verso di lei, che quei maledetti subito lo linciavano con lo sguardo, come se la ragazza fosse stata di loro proprietà. Era perennemente circondata da quegli avvoltoi, per cui era costretto a mantenere le debite distanze, anche per evitare di mettere Kyda nei guai.
Era già arrivato Giovedì e ancora non riuscito a parlare con lei per far chiarimenti su quello che era successo la sera della festa, tuttavia avrebbe potuto farlo quel pomeriggio, visto che si sarebbero visti per fare l’ultimo cartellone. L’ultimo, poi le uniche occasioni per lui di vedere Kyda sarebbero sparite per sempre. All’inizio aveva visto quel progetto come la propria condanna a morte, l’idea di passare del tempo con la famigerata Kyda Stowe lo aveva terrorizzato a morte, ma poi le cose avevano preso una piega del tutto inaspettata e aveva scoperto quanto quella ragazza fosse straordinaria, fredda ma allo stesso tempo buona, indifferente ma anche altruista, forte ma tutto sommato fragile.
Una volta terminato il progetto come sarebbero rimaste le cose tra loro due? Probabilmente non si sarebbero più rivolti la parola e in breve sarebbero ritornati due perfetti estranei, eppure Sam era convinto che ormai fosse impossibile cancellare il passato, avevano condiviso troppe cose e molto sapevano l’uno dell’altra. Per lui Kyda era diventata un’amica e...anche qualcosa di più, anzi, molto di più. Se ne era innamorato. Ci aveva messo del tempo per rendersene conto, ma alla fine, facendo luce suoi sui sentimenti, lo aveva capito, e accettato.
Ma sapeva anche che Kyda non avrebbe mai ricambiato, lo considerava solo come...un amico? Forse adesso poteva essere definito tale, ed era già un grande traguardo considerando il carattere di quella ragazza.
Avrebbe taciuto, non le avrebbe mai rivelato i suoi sentimenti, troppo complicato. Lei di sicuro non era interessata e poi c’erano i Dark di mezzo. Quel pomeriggio si sarebbero salutati definitivamente, ognuno per la sua strada. Faceva male, ma prima ne prendeva atto, meglio era.
Il trillare della campanella dell’ultima ora lo riportò alla realtà. In breve tutti i suoi compagni di classe furono fuori dall’aula, tranne lui e Daniel, che come al solito erano rimasti gli ultimi.
Le cose col suo amico si erano risolte piuttosto velocemente, come se non fosse mai successo nulla. Dan aveva ammesso di aver sbagliato e tutto era ritornato alla normalità, anche se il biondo era diventato pensieroso, spesso taciturno e meno allegro del solito.
Quel giorno avrebbero pranzato insieme e Daniel lo avrebbe anche accompagnato a comprare l’occorrente per il disegno, era certo di riuscire a estorcergli qualcosa in tutto quel tempo.
Uscirono da scuola chiacchierando e arrivarono al bar quasi correndo talmente era la fame.
Per la maggior parte del tempo parlarono di cose futili e generali, fino a quando il biondo non si fece d’un tratto serio.
-Sam, ho bisogno del tuo parere riguardo una cosa...- esordì.
-Certo, dimmi pure- lo incitò il ragazzo, cercando di nascondere il proprio interesse e curiosità.
Daniel sorseggiò la coca-cola, poi rispose –Ecco, il fatto è che io non ci sto capendo più una mazza! Tutto è iniziato ieri pomeriggio, quando sono andato al corso di poesia. Me ne stavo appoggiato contro il muro del corridoio insieme agli altri in attesa che iniziasse il corso, e fin qui tutto normale. Poco dopo è arrivata Hetty soltanto che, invece di mettersi vicino a me come di consuetudine, è andata completamente da un’altra parte, senza rivolgermi mezzo sguardo. Decido allora di raggiungerla e la saluto, ma lei non alza lo sguardo dal libro che stava leggendo e non mi risponde, esattamente come le prime volte! Così le chiedo se sta bene e lei mi risponde che va tutto a meraviglia. A quel punto mi sono messo a parlare per cercare di rompere un po’ il ghiaccio, ma lei mi ha fulminato con lo sguardo e mi ha detto se potevo andare a disturbare qualcun altro e di lasciarla leggere in pace! È stata scostante anche per tutta la lezione, io cercavo di parlarle ma lei non mi considerava! La botta finale è stata all’uscita quando le ho chiesto se le andava di fare un breve giro insieme a me,  mi ha risposto di no, che doveva studiare, e che non dovevo mostrarmi amichevole con un persona come lei, ovvero una sfigata-
Il ragazzo fece una lunga pausa, poi sospirò -Ci sono rimasto di sasso! Punto primo non credo affatto che sia una sfigata, punto secondo non vedo perché non dovrei parlare con lei, punto terzo... perché all’improvviso è diventata così? Temo che sia arrabbiata per il modo un cui l’ho tratta alla festa, gliel’ho anche chiesto, ma ha negato tutto!-
-E’ ovvio che abbia negato, davvero credevi che ammettesse di avercela a morte con te? Nessuno lo avrebbe fatto, sarebbe come mostrarsi feriti e vulnerabili- gli spiegò Sam con logica.
-Mh, sì, questo è vero...Quindi secondo te si comporta così per quello? Ma allora cosa c’entra il fatto che non debba più parlare con lei perché pensa di essere una sfigata? Non capisco- Daniel si grattò la nuca perplesso.
“Forse perché le hai spezzato il cuore e ora cerca in tutti i modi di dimenticarti?”
Sam avrebbe voluto tanto raccontargli le cose per filo e per segno e dargli finalmente una svegliata, ma aveva fatto una promessa ad Hetty.
-Non lo so Dan, so solo che ora prova rancore nei tuoi confronti. E non ha tutti i torti-
Per tutta risposta l’amico sospirò.
Calò tra loro il silenzio, che durò per buona parte del pranzo. Non parlarono nemmeno lungo la strada che portava alla cartoleria di Hugh, essendo entrambi persi nei propri pensieri.
Sam comprò tutto l’occorrente (Kyda gli aveva dato carta bianca), parlò un po’ con Hugh e insieme a Daniel ritornò indietro, verso la biblioteca della scuola dove, tra circa mezz’ora, avrebbe parlato con Kyda per l’ultima volta.
-C’è un modo con cui io possa farmi perdonare?- mormorò il biondo, rompendo così quell’interminabile silenzio.
-Ti riferisci ad Hetty?-
Daniel annuì.
-L’hai delusa, potrebbe non esserci nessun modo, temo... Però adesso però devi spiegarmi una cosa- soggiunse subito dopo –Perché all’improvviso tutto questo interesse nei suoi confronti?-
L’amico aggrottò le sopracciglia -Che vuoi dire?- chiese di rimando, quasi sulla difensiva.
-Tu ed Hetty non siete mai stati grandi amici, vi siete solo avvicinati negli ultimi tempi, o meglio sei stato tu ad avvicinarti per “non farti odiare”, ma nulla di più. Come mai ora ti importa così tanto che lei sia o non sia arrabbiata con te?-
-Che razza di domande sono, è ovvio che non voglia che ce l’abbia con me. Non è mio intento far soffrire inutilmente una persona-
-Allora ammetti che si tratta semplicemente di legittimo interesse a mettere a posto le cose con qualcuno, e non perché questo è un tuo amico-
-Anche, ma sia da il caso che Hetty sia mia amica- puntualizzò Daniel con leggero fastidio.
-Eppure in generale non si direbbe, anche prima non sembrava poi molto...C’è differenza dal considerare un persona tua amica o una semplice compagna di corso- continuò Sam, constatando che il suo piano stava funzionando alla grande. Era giunto il momento che Daniel aprisse gli occhi, ma per farlo era prima necessario che lui stesso capisse prima i propri sentimenti.
-Questo lo so anch’io- rispose l’altro sorridendo nervoso -Ma come ti ho già detto per me lei non è una semplice compagna di corso!- lo disse quasi sibilando. Adesso stava iniziando realmente ad arrabbiarsi.
-Allora non sembra-
A quel punto Daniel digrignò i denti e di scatto gli si avvicinò a meno di qualche centimetro -Che ne sai tu, eh? Niente! Assolutamente niente!-
-Ti sto solo riportando quello che ho visto!- replicò Sam alzando la voce -Quindi è inutile che te la prenda con me! Dici tanto di essere suo amico, ma allora perché l’hai abbandonata lì e te la sei dimenticato come se si fosse trattato di uno straccio vecchio!? Rispondi!-
Gli occhi azzurri dell’amico si spalancarono. Indietreggiò di colpo, come se si fosse scottato. -Non lo so, dannazione, non lo so!- disse con rabbia –Il mio intento all’inizio era completamente un altro! Ciò che volevo fare era di passare la maggior parte della serata con lei, per la miseria-
-Ma allora perché poi sei andato con quelle ragazze?- lo interruppe Sam incredulo. Quella risposta dall’amico non se la sarebbe mai aspettata, ora iniziava ad essere confuso.
-In quel momento la mia testa era in preda al casino più totale!- sospirò con esasperazione - Non sono stato del tutto sincero con te e adesso voglio dirti la verità: negli ultimi tempi... mi capitava spesso di pensare ad Hetty. All’inizio non l’ho presa molto in considerazione questa cosa, poi però mi sono reso conto che mi succedeva spesso. E anche ciò che in un primo momento doveva essere solo un piano per “non farmi odiare”, è diventato un vero interesse per conoscerla meglio e...mi trovavo bene con lei, la scuola di poesia era diventata un qualcosa di più, non solo un luogo per imparare, ma anche per divertirmi, per parlare con lei! Hetty era...è così intelligente, così creativa, piena di talento, che a volte mi sentivo quasi a disagio in sua compagnia, ma quella sensazione non durava tanto, spariva quasi subito.
Poi è arrivata la sera della festa e quando sono venute quelle tizie...ho visto in loro Chanel e tutte quelle che precedentemente mi avevano respinto, e mi sono sentito lusingato, mi sono lasciato trasportare- fece una pausa per riprendere fiato, dato che aveva parlato senza fermarsi una sola volta -Ma non è solo per quello...C’è stato un momento tempo fa in cui ho pensato alla possibilità che...che potesse nascere qualcosa tra me e Hetty, poi però mi sono reso conto che era troppo per me, che meritava qualcuno di più brillante, di più sensibile e più affidabile. Ed io sono l’esatto opposto. Per cui non volevo un’altra delusione, e allora ho ripiegato su quelle ragazze.
Ma ho fatto un casino colossale, perché se all’inizio Hetty non mi sopportava, ora mi detesta-
Daniel trasse un lungo respiro e tacque.
Lo sbigottimento di Sam era talmente tanto che dapprima gli impedì di parlare, poi gli fece cascare la mascella quasi fino a terra.
-Non ci posso credere...- mugugnò  sbattendosi una mano in faccia. Tutta quella situazione era solo un assurdo e disastroso malinteso! Chi l’avrebbe mai detto che in realtà anche Daniel provasse qualcosa nei confronti di Hetty, certo che il suo amico era davvero complicato!
-Nemmeno io riesco ancora a crederci, solo un mese fa non avrei mai pensato di ritrovarmi in questa condizione, preso com’ero da Chanel!-
-No, no non è quello- continuò a mugugnare.
-Allora cosa?- il biondo lo guardava perplesso.
-Il problema è che non solo l’hai messa da parte, ma l’ hai anche fatta soffrire come non so cosa!-
-Ehm, continuo a non capire-
-Aaah, ma non ci arrivi ancora!? Hetty non ti ha mai odiato, sei tu che ti sei fatto i tuoi castelli! Lei è innamorata di te Daniel! Anzi credo che lo sia sempre stata!-
L’altro lo guardò per un attimo scioccato, prima di mettersi a farfugliare frasi scollegate.
-Eh? Ma no..ma cosa..che dici? Perché lei dovrebbe...ma quando? Come lo sai? Io non...-
-Me lo ha detto lei stessa, la sera della festa. Prima di andarsene in lacrime-
-In lacrime? Ma perché avrebbe dovuto...- si interruppe bruscamente, mentre lentamente una consapevolezza si faceva largo in lui. Si mise le mani in testa per poi iniziare a camminare avanti e indietro.
-Mi ha visto con Tanya e Gwen, quindi ora lei pensa che...Dio, oh Dio, che ho fatto? Ora è tutto chiaro-
-Alla buon ora- sbuffò Sam.
 L’amico continuò a girovagare lì intorno in preda a frenetici ragionamenti, finché non si fermò di colpo. Si voltò con un sorriso da folle verso Sam, che lo guardò dubbioso.
-Forse non servirà a nulla, ma devo provarci. Sì, è così- annuì con forza –Scusami Sam, ma adesso devo proprio andare!- si voltò e si mise a correre.
Sam lo chiamò a gran voce, ma l’unica cosa che Daniel gli rispose in lontananza fu -Dimmi in bocca al lupo!- e scomparve all’orizzonte.
Ecco, ora sì che ritornava fuori il vero lato Liptese. Sam sorrise divertito e riprese la strada verso la scuola. Ma non fece nemmeno un paio di passi che andò a sbattere contro qualcosa, talmente massiccio da sembrar marmo. Il ragazzo indietreggiò appena e una voce terribilmente famigliare lo investì da capo a piedi.
-Per caso vai di fretta? Oh, ma sono sicuro che potrai dedicare qualche minuto ad un tuo ‘amico’, non è così?-
Sam alzò lo sguardo, e capì di essere perduto.


*Note dell'Autrice*

Ciao, allora che ne dite di questo capitolo, vi è piaciuto? Ormai lo storia è quasi giunta al termine, mancano 1 o 2 capitoli... Che cosa strana! O.O mi fa un effetto assurdo! Va boh, a presto, un saluto!

The_Grace_of_Undomiel


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Capitolo 19
*** Capitolo 19° ***


Travis lo afferrò con forza  per il bavero della maglietta, sollevandolo di qualche centimetro da terra. Sam ebbe così modo di incontrare da vicino il suo sguardo, intriso di cattiveria e sete di vendetta. Pareva sprizzare fuoco e fiamme. Niente sarebbe riuscito a placare quella furia omicida.
-E’ da un bel po’ di tempo che cerchi di sfuggirmi, ma adesso è arrivata la resa dei conti- disse il Dark con un sorriso sbilenco -Sei in trappola, caro il mio Nuovo-
-Aspetta...non...non essere precipitoso. Non credi che sia il caso parlarne prima, da persone civili? Eh?- tentò Sam, iniziando a far vagare lo sguardo intorno a sé alla disperata ricerca di aiuto, o di un possibile rifugio.
Travis, senza perdere quello strano sorriso, scosse la testa. Poi serrò ancora di più la presa sul colletto della sua vittima e lo strattonò con rabbia.
-Ti ricordo che sono un Dark, insignificante pidocchio, con me non si scende a compromessi. Si paga subito- sibilò, i suoi occhi si ridussero ad una fessura.
-E...un piccolo sconto?-
Travis serrò la mascella e con un grugnito lo scaraventerò per terra, poi gli si avvicinò e lo guardò dell’alto in basso.
-Ora cerca di afferrare bene il concetto, patetico buffone. Oggi ci andrò giù così pesante che quando questa storia sarà finita non si noterà più alcuna differenza tra la tua faccia e del pongo sotto un rullo compressore. Afferrato?-
Per tutta risposta Sam deglutì. Si era fatto male alle mani solo cadendo, non voleva pensare a cosa avrebbe provato tra meno di  qualche secondo.
Come previsto, il pugno arrivò violento. Lo colpì vicino al sopracciglio sinistro con una forza mostruosa. Il ragazzo finì nuovamente scartabellato a terra e per un attimo non vide più nulla;  percepì però qualcosa di caldo e viscoso scivolargli lungo il viso. La vista gli ritornò qualche secondo dopo. Le immagini erano ancora leggermente sfocate, ma era già un progresso.
Fece per rimettersi in piedi, ma un calcio lo fece crollare carponi. Boccheggiò. Eppure era certo che non fosse stato Travis a sferrarlo, ma qualcuno alle proprie spalle.
-Non ci si comporta così, volevi davvero lasciare tutto il divertimento per te?- domandò Kay sprezzante.
-Un comportamento da vero egoista, non c’è che dire...- la voce di Oliver si aggiunse.
-Anche noi è un secolo che aspettiamo questo momento- Hazel si accodò.
Tony concluse -Vogliamo vedetta tanto quanto te-
-Voi non arrivavate, per cui ho pensato di aprire io le danze- rispose Travis con una scrollata di spalle -Ma non preoccupatevi, ce n’è per tutti-
Kay, con le mani in tasca, fece un giretto intorno a Sam, ora rimessosi in piedi. Il Dark continuò a gironzolare con aria supponente, per poi tirargli una gomitata a tradimento nello stomaco. Il giovane si piegò i due e Hazel ne approfittò per colpirlo con rapidità.
Presto anche i rimanenti del gruppo si unirono al pestaggio, non lasciando nemmeno il tempo a Sam di tirare il fiato tra un calcio e l’altro. Cercava di difendersi come poteva, principalmente schivando qualche colpo. Aveva rinunciato in partenza all’idea di fuggire. Non sarebbe servito a nulla, lo avrebbero raggiunto subito e anche se così non fosse stato il giorno dopo si sarebbe ritrovato nella stessa situazione.
-Che palle, questo insetto non da molta soddisfazione...- commentò Hazel con una smorfia.
-Già, è troppo facile malmenarlo, così non è divertente-
Oliver sputò -Con Lipton era stato più esaltante. Quel pezzente, aveva addirittura cercato di contrattaccare!-
-Non ha rilevanza- ghignò Travis, preparando la prossima percossa da infliggere alla sua vittima -L’importante è ridurlo a pezzi-
All’ennesima botta, Sam cominciò a diventare insensibile al dolore. Lo avevano colpito ovunque, forse l’unica parte non lesionata erano il labbro e il mento, visto che si limitavano a colpirlo nel corpo. La cosa che più lo preoccupava era la ferita alla tempia, che per tutto il tempo non aveva smesso di sanguinare. Bruciava da morire, ma doveva tener duro. Prima o poi si sarebbero stufati e lo avrebbero lasciato lì, o almeno, era quello che ardentemente sperava.
Da tempo aveva smesso di ascoltare gli insulti che gli rivolgevano o i loro commenti, finché una frase pronunciata da Tony non attirò la sua attenzione.
-Ma quando arriva Kyda?-
Hazel tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e guardò l’ora -Non ne ho idea. Le ho mandato un messaggio poco fa, ma non mi ha risposto-
-Capo, tu ne sai qualcosa?- s’informò Oliver.
Travis digrignò denti ed emise un sospiro seccato.
-Non lo so, non so di recente cosa le passi per la testa. So solo che mi ha rotto i coglioni. Quella puttana...-
-Che cosa hai detto?-
I Dark riportarono la loro attenzione su di Sam e, con sommo stupore, videro che si era rialzato e che si reggeva perfettamente in piedi.
-Ripetilo, se ne hai il coraggio- sibilò nuovamente, con rabbia e disprezzo. Non appena aveva sentito quella parola,  era sopraggiunta una forza ed una volontà d’animo sconosciuta, animata dall’odio. 
Travis sorrise strafottente. Aveva trovato pane per i suoi denti.
-Certo che lo ripeto, e molto volentieri anche: ho detto puttana. Put- ta- na. O troia, se preferisci. Ma anche sgualdrina è perfetto. A te la scelta, sono adatti tutti e tre-
-Stai zitto, non ti permetto di parlare di lei così!-
-Ah, non me lo permetti? E con quale presunzione, essere?-
Sam ringhiò. Frattanto gli altri Dark erano ammutoliti e guardavano lo scena senza nemmeno sognarsi di intervenire. Molto probabilmente erano confusi e non capivano che razza di piega avessero preso le cose.
Travis si avvicinò a Sam e con un sorriso storto stampato in volto  riprese a parlare –E’ inutile che ti scaldi tanto, non saranno di certo le tue ridicole minacce ad impedirmi di chiamarla come mi pare e piace. Credi che difenderla ti renderà più interessante ai suoi occhi?-
Il ragazzo sussultò, colto in fallo.
-Ti ho capito da tempo, sai? Ho capito cosa ti frulla in testa- sussurrò con cattiveria -Ma sappi che lei è solo mia. Mia e basta, e che, se voglio, posso ribaltare e ricominciare daccapo. Esattamente come ho fatto qualche sera fa...-
Bastò quell’ultima  frase perché tutte le emozioni di Sam esplodessero in colpo solo. Non gli interessava ciò che sarebbe successo dopo. Ora voleva solo distruggerlo.
Scattò in avanti, pronto a colpirlo in piena faccia e  cancellargli così quel ghigno bastardo dal volto, ma non riuscì mai a centrare il suo bersaglio, poiché Kay si intromise all’ultimo, parandosi di fronte a Travis. L’intruso venne colpito al suo posto e cadde a terra con un sonoro tonfo. Ancora stordito per la botta, si passò una mano sul labbro sanguinante con un gesto stizzito, poi alzò lo sguardo sbigottito su Sam.
-Quel bastardo! È più forte di quanto sembri- inveì.
Travis grugnì rabbiosamente, ma invece di attaccare Sam, come quest’ultimo si era aspettato, scaricò tutta la sua ira direttamente su Kay, sferrandogli una pedata.
-Idiota! Si può sapere perché ti sei intromesso? La cosa non ti riguardava!- tuonò.
L’altro si raggomitolò su se stesso mugolando.
-Quante a te...- Travis si voltò verso Sam -Cosa credevi di fare? Volevi colpirmi? Adesso ti sistem...- si interruppe quando vide il pugno del ragazzo arrivargli a un centimetro dal viso.
Sam stava già gioendo intimamente, ma il Dark gli fermò la mano a mezz’aria, stringendogliela in una morsa di ferro.
L’energumeno sospirò teatralmente affranto -Mossa decisamente sbagliata- disse, poi  prese a storcergli lentamente il braccio, con la forza necessaria a farlo soffrire, ma non da fratturaglielo. Sam soffocò un urlo di dolore.
Gli altri assistettero divertiti, finché Oliver non indicò qualcosa poco lontano.
-Ehy guardate, non è Kyda quella?-
A quelle parole Travis interruppe per un attimo la dolorosa tortura, con grande sollievo di Sam, e si voltò verso la direzione mostratagli da Oliver. Quella che stava avanzando verso di loro era proprio Kyda. Camminava con passo spedito, la visiera del cappello da baseball calata sugli occhi e il capo chino. In breve li raggiunse.
-Finalmente!- esultò Hazel -Credevamo che ti fossi persa! Guarda, abbiamo il Nuovo in pugno!-
Ma la ragazza lo ignorò e gli sfrecciò davanti con indifferenza. Sempre senza guardare in volto nessuno arrivò ad un passo da Travis, che non aveva fatto altro che fissarla con ostilità e rancore. Sam invece la guardava come se non fosse stata reale, come se si fosse trattato di una visione, un miraggio.
-Era ora. Si può sapere perché ci hai messo così tanto?- sibilò il Dark una volta che la giovane gli fu di fronte. La risposta arrivò immediata: un pugno lo colpì in pieno viso con un rumore sordo, tra lo sbigottimento dei Dark e di Sam. Travis barcollò all’indietro, lasciando finalmente la sua presa sul ragazzo, che si affrettò ad allontanarsi.
L’altro si portò una mano al naso, che sanguinava copiosamente, e sbraitò incredulo -Ma cosa cazzo fai? Sei impazzita!?-
La ragazza non si scompose minimamente -Mi rincresce, ma credo che siamo arrivati al capolinea-
-Cosa?-
-I giochi sono conclusi, Travis. Considera rotta la nostra alleanza. È finita-
Ci fu un attimo di silenzio esterrefatto, interrotto dalla voce smarrita di Tony.
-Kyda, ma...Che stai dicendo?-
-Sto dicendo che lascio il gruppo. Da adesso in poi non sono più una Dark- e con sicurezza si affiancò a Sam. Il ragazzo le lanciò uno sguardo meravigliato. Stava davvero succedendo tutto quello? Ancora non riusciva a crederci. Un attimo prima lo stavano massacrando, mentre ora si trovava vicino a Kyda, ancora in piedi, a fronteggiare i Dark. E in quel momento, con lei al suo fianco, si sentì sicuro, determinato come non mai. Finalmente Kyda, in modo ufficiale, era dalla sua parte.
A sorpresa Travis scoppiò a ridere, una risata amara e sprezzante.
-Noto con dispiacere quanto tu sia ingrata e irriconoscente nei nostri confronti. Tuttavia ti informo che non sta a te decidere. Non puoi uscire da questo gruppo come se niente fosse, non senza la mia approvazione. E si da il caso che tu non ce l’abbia-
-Ho deciso di non collaborare più con voi, perciò stai certo che sarà così. Con o senza la tua approvazione- rispose la ragazza, un lampo di sfida attraversò le sue iridi blu.
Travis digrignò i denti -Tu, sei solo una maledetta sgualdrina!- tuonò, una rabbia furiosa si era impossessata di lui -Guardati, guarda come sei diventata. Prima ti rispettavo, eri una persona così forte, così insensibile, disprezzavi tutto e tutti. Eri una vera Dark, la mia vice. Adesso cosa sei? Una stupida e debole ragazza, che crede di avere ancora dei valori, che pensa di essere qualcosa di più che una semplice bastarda aguzzina. Ti sei rammollita, e, peggio ancora, sei passata dalla parte di insetti insignificanti, quando dovresti schiacciarli. Ma non te la farò passare liscia, sappilo- fece un cenno con il capo e Hazel, alle spalle di Kyda, le si avventò contro. Ella, colta alla sprovvista, sarebbe stata colpita in pieno, se Sam non avesse avuto la prontezza di intervenire: si parò di fronte alla ragazza, intercettando il colpo del Dark, che finì a terra. Anche Kay non perse tempo e fece per vendicarsi di Sam, ma questa volta fu Kyda a fermarlo.
Travis, al culmine dell’ira, corse verso la ragazza, ma venne scaraventato a terra. Sam gli si era lanciato addosso. Prese a colpirlo a casaccio, procurando ben pochi danni al Dark, ma provando una soddisfazione immensa. Finalmente poteva vendicarsi di tutti i soprusi, di tutte la bastardate, del modo in cui  quel mostro aveva trattato Daniel, di come avesse usato Kyda.
Avrebbe continuato ancora per un po’, ma qualcuno lo tirò su per il colletto della maglia.
-Ora basta, eroe. Raccatta le tue cose e filiamo via da qui!- lo riscosse la ragazza. Sam afferrò il sacchetto della cartolibreria, finito poco lontano per la colluttazione, e se la diedero a gambe.
-Ci raggiungeranno!- le urlò voltandosi indietro e notando che Travis stava già mobilitando gli altri ad inseguirli.
-No se ce acceleri!-
-Non ce la faccio, sono a pezzi!-
Kyda lo afferrò per il polso e aumentò l’andatura -Ancora uno sforzo-
Sam annuì e corse ancora più veloce. Dovevano solo arrivare in Via Arrow e poi sarebbero stati al sicuro.

-Non risponde nessuno...-
-Devono essere usciti tutti. Mia madre è ancora al lavoro, Holly è da un’amichetta e Amber è in giro col fidanzato-
-Hai le chiavi con te?-
-Sì, dovrei avercele in tasca...No, non le trovo-
Uno sbuffo riecheggiò per il vialetto.
-Ah eccole. Le ho trovate-
-Fantastico, ora apri la porta. Dio, la tua tempia...Non fa che sanguinare-
-Lo so, fa un male cane. Accidenti!- si udì un rumore metallico.
-Lascia, le raccolgo io-
Kyda infilò le chiavi nella toppa e con un energico scatto aprì la porta. Per un attimo il buio li avvolse, poi Sam accese la luce nel corridoio. Alla vista della propria casa si sentì ritemprare il cuore, nemmeno vi avesse fatto ritorno dopo un lungo viaggio. Eppure, gli pareva proprio di essere stato via una vita intera.
 La ragazza si tolse la giacca di pelle e il cappello e li appese all’attaccapanni.
-Vuoi una mano?- chiese, notando Sam in difficoltà a fare la stessa cosa con il proprio giubbotto. 
Il ragazzo declinò l’offerta, aveva ancora una dignità da difendere. Fu però costretto ad accettare l’aiuto di Kyda per arrivare fino in cucina. Si sedette con fatica su una sedia.
-Per prima cosa bisogna fermare il sangue alla tempia. Hai dei cerotti e del ghiaccio?- domandò Kyda concreta.
-Sì, i cerotti sono nel bagno di sopra; il ghiaccio è nel freezer-
-Okay, torno subito-
Sam sospirò, passandosi una mano sul braccio. Gli doleva da impazzire. Un sorriso amaro apparve sul suo viso, constatando quanto quella situazione fosse simile a quella di giorni fa, solo che ad essere su una sedia e ferita vi era Kyda, mentre ora lui. Ironia della sorte, pensò.
Un rumore di passi attirò la sua attenzione.
-Ho trovato anche del cotone e dell’alcol. L’acqua ossigenata è finita- lo informò la giovane, con l’occorrente in mano -Tieni, intanto mettiti questo mentre io preparo tutto- gli porse un batuffolo di cotone imbevuto.
Sam la ringraziò e prese a tamponarsi la ferita. Osservò Kyda di sottecchi, mentre questa era intenta a cercare del ghiaccio. Indossava un semplicissimo maglioncino nero scollato a V e un paio di jeans scuri. La treccia le ricadeva come al solito sulla spalla sinistra. Il ragazzo si accorse che non era truccata.
-Kyda...- iniziò.
-Ci sono quasi- rispose la ragazza.
-No, non è quello. Io... vorrei farti una domanda-
Lei tacque un secondo.
-Dì pure- acconsentì infine.
-Prima Travis...Ha detto che sei stata un ingrata nei loro confronti. Perché? Cosa voleva dire?-
Kyda sospirò e avvolse il ghiaccio rinvenuto in un panno.
-Fin da bambina non sono mai stata molto socievole. Me ne stavo spesso sulle mie, mi trovavo bene in solitudine. Non mi interessava essere circondata da amici, anzi, a dire la verità, non mi piaceva avere persone intorno. Mi irritavano. Parlavo con pochissimi miei compagni di scuola, solo con mio fratello mi trovavo bene, con lui ero me stessa, mi capiva al volo. Tutti gli altri erano solo ombre nella mia piccola vita, cartonati. Anche alle medie ero così e la stessa cosa vale per il Liceo, ma devi sapere che io prima non andavo in questa scuola...-
-Ah no?- interloquì Sam sorpreso.
-No...-Kyda prese le forbici per aprire il pacchetto di cerotti –Andavo in una scuola all’estrema periferia di Roxvuld. Cambiai quando...quando...- si interruppe un attimo -Quando Jonsi morì. Non riuscivo a sopportare le occhiate di pietà che compagni e insegnati continuavano a rivolgermi, mi facevano sentire compatita, commiserata. Così mi trasferii nella nostra scuola, dove nessuno sapeva di me e di quello che era successo. O almeno non lo davano a vedere, ma dubito che qualcuno sappia. Comunque sia, ero completamente sola. Non conoscevo nessuno e non mi interessava farlo. Ero diventata ancora più chiusa in me stessa, ostile. Fulminavo con lo sguardo chiunque provasse ad avvicinarmisi. Inoltre credo che anche il mio abbigliamento e il mio trucco tenesse lontana la gente- sorrise sarcastica -Credo sia per questo motivo che Travis e gli altri mi abbiano trovata, come dire, interessante. Rispecchiavo perfettamente i canoni del loro gruppo. Si presentarono come “i Dark, il gruppo più temibile di tutta la scuola”. Travis mi chiese subito se volessi diventare un membro. All’inizio rifiutai, non mi interessava minimante, e cercai di farglielo capire. Ma più mi dimostravo fredda e apatica più loro mi riproponevano l’offerta, dicevano che sarei stata perfetta come elemento femminile della banda. Mi raccontarono i loro modi di agire, quale fosse il loro stile e a quel punto la cosa mi intrigò non poco. Dopotutto non avevo niente da perdere. Così accettai. Ricordo che la mia prima missione fu quella di manomettere l’impianto elettrico dell’istituto; una sorta di rito di passaggio. Fu una cosa piuttosto facile, e divenni una Dark. In breve fui eletta la vice di Travis, al posto di Kay. Credo che non mi abbia mai perdonata per questo-
Si fermò un attimo, persa nei suoi ricordi, e aggiunse -Ecco perché oggi Travis mi ha dato dell’ingrata, perché loro sono stati gli unici ad essersi avvicinati a me, l’unico gruppo che abbia mai avuto. Ma non penso di essere un’ingrata. In fondo io non ho chiesto nulla, loro sono venuti da me...-
Sam annuì pensieroso, ora molte cose avevano assunto un significato -Ma allora perché oggi tu...- esclamò all’improvviso.
-Frena, frena- lo interruppe Kyda e, presa una sedia e sedutasi di fronte al ragazzo, disse-Adesso se permetti ti faccio io una domanda: che cosa è successo esattamente oggi?-
Sam la guardò per un attimo stranito, sorpreso dell’interesse della ragazza, poi iniziò a raccontarle in poche parole ciò che era accaduto. Lei intanto aveva preso a tastargli delicatamente il braccio che Travis aveva storto. Il ragazzo le narrò nello specifico ogni cosa fino a quando non arrivò al momento in cui il Dark aveva preso ad insultarla. Al solo ricordo digrignò i denti e percepì di nuovo il sangue ribollirgli nelle vene.
-Che genere di insulti, precisamente?- chiese invece Kyda serafica.
Sam la guardò sinceramente perplesso -Perché di interessa saperlo?-
La giovane scrollò le spalle con noncuranza e lo invitò a rispondere.
-Beh, ecco...Ha detto che...che- farfugliò Sam seriamente in difficoltà. Non gli sorrideva molto l’idea di doverle riportare le parole specifiche.
-Che sono una sgualdrina?- completò per lui la ragazza.
L’altro annuì e per tutta risposta Kyda fece una breve risata di scherno, lasciandolo di sasso.
-Lo immaginavo- sogghignò –Deve bruciargli ancora il fatto che all’ultimo abbia respinto le sue focose avance...-
-Sul serio!? Eppure Travis ha sostenuto che...-
-Travis ha detto una balla colossale, credimi. Tsk, me lo immagino proprio a vantarsi con gli altri della sua grande e recente conquista!-
Sam sentì sciogliere come d’incanto quel peso che negli ultimi giorni non aveva fatto altro che attanagliarli il cuore.  Kyda non aveva assecondato le pretese di Travis e, grazie a Dio, non le era accaduto nulla di male. La preoccupazione si era dissipata, ma ciò non si poteva dire per il suo sentirsi ancora un debole e un vigliacco; non avrebbe mai dovuto lasciarla andare da sola con quel mostro, sarebbe potuto succederle qualcosa di terribile e questo solo per aiutarlo. Che razza di codardo. Emise un appena udibile ringhio a causa della frustrazione, ma, notando Kyda che aveva preso a guardarlo accigliata, si affrettò ad abbozzare un sorriso.
-Comunque sia...Non mi ha ancora finito di spiegare come sono andate le cose. Che è accaduto dopo?- riprese a parlare la ragazza, tuttavia senza smettere di osservarlo con cipiglio.
-Dopo? Ah sì, dopo hanno ricominciato a malmenarmi e allora a quel punto ho provato ad attaccare Travis-
-Che cosa!?- la giovane aumentò la presa sul suo braccio malandato, con un espressione di puro sconcerto sul viso. Sam mugugnò qualcosa per il dolore, ma lei non accennò a volerlo lasciar andare.
-Ma sei completamente uscito fuori di senno? Ora si spiega perché ti abbia ridotto così. Cercando di colpirlo lo hai fatto solo imbestialire di più. In casi del genere è impossibile ribellarsi contro di lui, si peggiora solo la situazione! Mi spieghi cosa diamine ti sia passato per la testa in quel momento?-
-Non lo so...-  bofonchiò Sam, spostando lo sguardo per evitare le penetranti iridi blu di lei. In realtà sapeva benissimo il motivo, aveva fatto il folle tentativo di attaccare Travis dopo che questi aveva iniziato ad insultarla e a denigrarla. In quel momento non ci aveva più visto.
-Non è una risposta-
-Ma è la verità- ribatté il ragazzo seccamente.
-Non mentire, non sono una stupida- disse a sua volta Kyda duramente –Mi stai forse dicendo che ad un certo punto ti è venuta in mente l’idea di dare una “lezione” a Travis quando solo fino a qualche giorno fa tentavi in ogni modo di sfuggirgli?-
Sam sorvolò sulle taglienti quanto veritiere parole di lei -Si può sapere perché ti importa tanto, all’improvviso?-
-Perché voglio capire come mai tu ti sia fatto ridurre in questo stato, visto che sono io quella che ti sta curando!-
Il giovane sospirò con nervosismo, messo alle strette, ma alla fine fu costretto a cedere -Dannazione...te l’ho detto, nemmeno io so di preciso cosa mi abbia preso! Quel maledetto ha preso ad insultarti ed io non ci ho più visto, non sono riuscito a trattenermi! Volevo fargliela pagare per tutte le menzogne che aveva detto su di te. Ma non è questo il punto, il punto è che non potevo restare lì come uno stupido ad ascoltare, volevo solo ucciderlo. Spaccargli la bocca per impedirgli di aggiungere anche solo una parola. È vero, mi sono quasi fatto ammazzare, ma non mi importa. La verità è che se fosse necessario, lo rifarei-
Aveva buttato fuori tutto di getto, con foga, quasi con rabbia. Kyda era ammutolita e lo guardava stupefatta, le pupille dilatate fisse su di lui e le labbra appena schiuse. Sam voltò bruscamente il capo, resosi conto solo adesso di tutto quello che aveva detto. Non gli serviva vedere, gli bastava immaginare in quale espressione si fosse tramutato il viso di lei, scettica e dubbiosa. Il suo era stato un comportamento avventato ed era sicuro che Kyda glielo avrebbe fatto notare.
-Ma...perché?- Kyda parlò quasi in un sussurro, confusa. Nessun tono di rimprovero accompagnava quelle parole, solo stupore -Perché farti ridurre in questo stato solo per difendermi? Non ha alcun senso...- pareva proprio non riuscire a capacitarsene.
Sam abbozzò un sorriso mesto -Sì che lo ha, o almeno lo ha per me. Ci sono cose che detesto più di altre, ed una di queste è sentir chiamare una persona in un modo che non merita, perché in realtà questa persona è tutto il contrario. E cioè una persona forte, audace, una persona che ha dovuto affrontare mille ostacoli ma che nonostante tutto è riuscita ad andare avanti sempre e a testa alta, una persona che ha aiutato un ragazzo schivo ed emarginato a tirare fuori se stesso, a non temere gli altri; una persona che esteriormente appare fredda e apatica, e forse un po’ menefreghista, ma che in realtà farebbe qualsiasi cosa per aiutare qualcuno in difficoltà. Una persona concreta, schietta e diretta. Una persona che con poche e semplici frasi riesce a farti riflettere. Una persona limpida, una persona buona. Una persona piena di valori...-
Il ragazzo tacque, consapevole di aver detto tutto quello che c’era da dire, tutto quello che voleva dire. Rimase immobile, in attesa che lei parlasse, che dicesse qualcosa. Ma tutto questo non avvenne. Accadde però qualcos’altro, qualcosa che Sam non si sarebbe mai aspettato
Lievi come una farfalla le labbra di Kyda si posarono appena sotto la sua tempia, soffermandosivi  calde e delicate, per un breve istante, esprimendo con quel gesto più di mille parole. A quel tocco il cuore di Sam sobbalzò di colpo nel petto e prese a battere come impazzito. La ragazza fece per allontanarsi, ma lui d’istinto glielo impedì; le posò una mano vicino al viso, avvicinandola nuovamente a sé. Per la seconda volta Sam rivide gli occhi cobalto di lei, ma quel giorno non li trovò spenti e opachi, bensì luminosi, vivi.  Le accarezzò piano una guancia e Kyda lo lasciò fare, schiudendo appena le labbra quando lui gliele sfiorò lievemente con il pollice, senza smettere un istante di guardarlo. Inclinò la testa di lato quando il dito del ragazzo le scivolò fino al collo e infine socchiuse le palpebre. Sam capì di non poter resistere oltre. La trasse a sé in un abbraccio e la baciò, senza pensare, senza preoccuparsi di quello che sarebbe accaduto dopo. Kyda rimase per un breve istante immobile, forse a causa della sorpresa, poi ricambiò.  E quelli che all’inizio furono lievi e timidi baci si trasformarono presto in uno schiudersi e rincorrersi di labbra. Il ragazzo scese a baciarle il collo, facendola sospirare di piacere ad ogni bacio, mentre il ricordo di Travis veniva archiviato e spazzato via, cancellato per sempre.
Se quello era un sogno, Sam sperava che durasse il più a lungo possibile. La baciò sul collo, sulle spalle e infine di nuovo sulle labbra, sentendo il cuore di Kyda che per lungo tempo era stato freddo e atrofico, palpitare veloce contro il suo petto.   Era finalmente sua. Nessuno gliel’avrebbe portata via, niente l’avrebbe più fatta soffrire. L’amava, forse l’aveva sempre amata, e ora anche Kyda, ne aveva la certezza, amava lui.

 


*Note dell'Autrice*
 Salve! Meno male, sono riusciuta a pubblicare! Lo so, è passato ben un mese dall'ultimo aggiornamento, e mi scuso... Ma ciance alle bande! Che ne pensate di questo capitolo? Fatemi sapere :)
Ormai la storia è praticamente giunta al termine, ci sarà ancora un capitolo (quello finale) e poi ancora un possibile EXTRA, dopodiché... basta. O.O
Comunque, a presto!


The_Grace_of_Undomiel




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Capitolo 20
*** Capitolo 20° ***


Tante volte Sam si era seduto sul quel divano, o per guardare la tivù, o per leggere, o anche solo per buttarcisi pigramente. Una volta aveva atteso, anche se invano, l’arrivo di suo padre. Ma mai avrebbe immaginato che un giorno si sarebbe adagiato su quel vecchio divano in compagnia di Kyda. Se ne stavano l’uno accanto all’altra, la testa di lei appoggiata sulla sua spalla, mentre il ragazzo la teneva stretta sé. Da quando si erano accomodati lì, nessuno aveva più proferito parola, ma a Sam andava, comunque, benissimo così. Era sufficiente che Kyda gli fosse accanto, a confermare che quello che era successo prima non fosse stata una semplice illusione. Ed ora, si sentiva felice, libero e appagato. Come se dopo essere stato per lungo tempo digiuno, si sentisse finalmente sazio. Sì, era così che si sentiva. Saziato. Era questo l’effetto che faceva l’amore? Anzi, un amore ricambiato?
Scosse la testa tra il divertito e l’incredulo. Da quando era diventato melenso? Lui detestava la melensaggine.
-Che ti prende?- chiese Kyda guardandolo incerta.
-Cosa? Niente, niente, stavo pensando. E quando formulo pensieri strani scuoto la testa come per scacciarli via- sorrise imbarazzato -Anche se in realtà è abbastanza inutile-
-Molta gente lo fa, nonostante non risolva un granché-
-Già...-
-A cosa pensavi?- domandò la ragazza.
Sam agitò la mano in un gesto di noncuranza –Riflessioni introspettive alquanto senza senso-
-Fammi indovinare, qualcosa di melenso?- rispose Kyda con una punta di sarcasmo.
Sam sgranò gli occhi, incredulo che per l’ennesima volta Kyda fosse riuscita a leggergli nella mente. Si mise a frugare tra i cuscini vicino alla ragazza.
Ella inarcò un sopracciglio -Si può sapere che stai combinando?-
-Cerco la palla di cristallo- rispose Sam con ovvietà.
Kyda non riuscì a reprimere una risata, che al ragazzo allargò il cuore.
-La palla di cristallo? Tsk, io non uso oggetti da fattucchiera per giungere a conclusioni di questo tipo. Non ne ho bisogno-
-Forse, ma io sono convinto che la sfera sia qui da qualche parte. Magari è rotolata via-
Kyda lo fulminò con lo sguardo, ma senza perdere nemmeno un istante quel bel sorriso che per tutto il tempo le aveva increspato le labbra.
Era troppo divertente poter scherzare con lei così. Era la prima volta che lo facevano, e Sam lo trovava esilarante.
-Davvero, a parte gli scherzi, come fai?-
La giovane scrollò le spalle -Non lo so, intuito-
-Mh, intuito...Beh, invece il mio di intuito mi dice che è proprio il momento di andarsi a fare un bel giro!- si alzò dal divano con un energico scatto, si stiracchiò, e poi si voltò verso di lei, in attesa.
La ragazza inarcò le sopracciglia -Un giro, adesso?-
-Precisamente- annuì il ragazzo.
-Non per sconvolgerti i piani, ma ti ricordo che in giro potrebbero esserci ancora Travis e compagnia in attesa di spezzarti le ossa. Sei proprio sicuro di volerti avventurare là fuori?- chiese con scetticismo.
-Ormai non ho più timore di loro- lo disse con una serietà e con una sincerità così disarmante che non  stupì solo Kyda, ma anche lui stesso. Non aveva più paura di ciò che per mesi era stato il suo più grande terrore, ed era riuscito ad ammetterlo apertamente. Trasse un lungo e benefico respiro, sentendosi per la seconda volta nel giro di pochi minuti effettivamente libero.
-Allora, andiamo?- soggiunse, soddisfatto del lieve stupore che la sua frase aveva procurato in Kyda, e che ora si stava mostrando sul suo volto.
-Non ti stai dimenticando ancora qualcosa?- disse la ragazza, poi, vedendo l’altro in preda allo smarrimento più totale esclamò -Il cartellone, Sam! Dobbiamo consegnarlo domani, ricordi?-
Il giovane si sbatté una mano sulla fronte -Accidenti, è vero! Me ne ero totalmente scordato!- con tutto quello che era successo il disegno era finito all’ultimo gradino della scala delle priorità. Se non ricordava male, l’ultima emozione da dover rappresentare era l’amore.
“Tempismo perfetto” pensò divertito, poi all’improvviso una lampadina si accese nel suo cervello. Se prima non aveva idea di cosa disegnare, adesso ne aveva una ben stampata in mente.
Evidentemente doveva star sfoderando un sorriso folle, perché Kyda lo guardava leggermente stranita. Ma la ragazza non ebbe il tempo di chiedere alcunché, poiché Sam le afferrò il polso, la fece alzare dal divano e in fretta e furia la condusse in cucina, dove era rimasto il sacchetto con l’occorrente.
Dispose il cartellone bianco sul tavolo e iniziò a tirare fuori le tempere una ad una.
-Bene, deduco che tu abbia un piano- disse Kyda, rimasta sulla soglia della cucina –Il quale dovrebbe essere...?-
-Tra poco lo capirai- rispose. Fece per aprire il tubetto di colore viola, ma ebbe qualche difficoltà.
Kyda gli si affiancò -Vuoi una mano?- chiese con un piccolo ghigno, probabilmente alludendo alla disavventura di qualche tempo fa. Sam glielo porse sorridendo imbarazzato.
Risolto il problema della tempera, il ragazzo prese altri cinque tubetti e poi li premette contemporaneamente. La vernice schizzò sul cartellone in una larga e buffa chiazza di colore.
Sam osservò compiaciuto la sua opera, mentre Kyda rimase interdetta.
-Okay, penso di essermi persa l’elemento base del tuo piano-
-Ti spiego, l’emozione da rappresentare è l’amore, dico bene?-
Lei annuì.
-Bene, ed è quello che ho fatto: ci ho messo un po’ a capirlo, ma alla fine ho raggiunto la conclusione che per me l’amore sia improvviso, imprevedibile, inaspettato. Quindi, che c’è di meglio se non uno spruzzo di colore per raffigurarlo? Senza alcun tipo di contorno o schema?- le porse un tubetto di tempera rosa -Per me è così. E per te?-
La ragazza dapprima non fece nulla. Rimase ferma al suo posto, con gli occhi rivolti verso il basso, incerti.  Sembrava assorta, come in preda ad una lotta interiore. Il sorriso di Sam scomparve poco a poco. La fissava con intensità, capendo a che cosa Kyda stesse pensando. Lui aveva dato tutto per scontato, ma forse la ragazza non era della sua stessa opinione. Come aveva fatto a non pensarci? Lei era una tipa molto, molto particolare. Non era un carattere facile, il suo, ormai se ne era reso conto da tempo. Forse in quel momento stava davvero prendendo consapevolezza di quello che era accaduto tra loro due e stava avendo dei ripensamenti. Forse in realtà non era quello che voleva.
Le sue riflessioni vennero bruscamente interrotte quando lei rifiutò il tubetto di colore, allontanando la mano di Sam. La vide scostarsi da lui, fare il giro del tavolo, infilare una mano nel sacchetto lilla e...estrarre una tempera nera. Poi la premette e una chiazza nera si tuffò nel cartellone. Alzò lo sguardo su di lui.
-Non mi guardare con quella faccia. Il rosa non può proprio competere con il nero- affermò con convinzione, il tipico sorriso sarcastico a incresparle le labbra.
-Hai proprio ragione!- esclamò Sam sollevato -Che stupido che sono stato a pensarlo, eh?-
La ragazza diede ancora un’occhiata al cartellone, non molto convinta.
-Secondo me a livello estetico fa davvero schifo-
-Lo so, è probabile che otterremo pochissimi punti, però almeno abbiamo rappresentato ciò che realmente sentiamo-
-Cioè una massa informe di colori buttati a caso?-
-Qualcosa di non premeditato!- replicò Sam. Kyda poteva dire quello che voleva, ma lui era e rimaneva soddisfatto del risultato.
Andarono a prendere le giacche, con la ragazza che bofonchiava ancora a proposito del 
disegno, e uscirono.

 Il cielo era nuvoloso, di tanto in tanto qualche raggio di sole si faceva largo  tra la massa grigiastra, tuttavia il clima era piacevole e l’aria calda.
Sam e Kyda passeggiarono a lungo, per il centro, lungo i vicoletti e giunsero persino in quel piccolo parco dove un giorno, che pareva tanto lontano, i due ragazzi si erano incontrati per puro caso. E da quella famosa volta, Sam non aveva più parlato con suo padre. Fu Kyda a chiederglielo e lui le rispose che ormai non provava più rancore nei suoi confronti, ma che non aveva alcuna intenzione di essere lui a fare il primo passo per riappacificarsi. Suo padre non lo aveva più cercato, perché era un vigliacco, e finché non fosse stato lui a volergli parlare, le cose sarebbero rimaste così com’erano.
Sam approfittò di quel momento confidenziale per chiederle, senza sembrare troppo curioso o invadente, se le cose tra lei e sua madre si fossero sistemate.
-In un certo senso, sì. Dopo che te ne sei andato, quel giorno, io sono rimasta a lungo semi-cosciente e mia madre si è occupata di me. Quando mi sono ripresa mi ha preparato un the (era da tanto che non me ne faceva uno) e poi abbiamo incominciato a parlare, con sincerità e schiettezza, sia io che lei. Le ho confidato quello che ho provato per questi due anni; mi ha ascoltata e si è... scusata, per essersi lasciata sopraffare dal dolore e di essere cambiata così in peggio. Abbiamo parlato anche di Jonsi, insieme, e questo credo che sia un enorme passo avanti-
Sam le sfiorò appena la punta delle dita con le sue. La ragazza abbozzò un lieve sorriso.
-Comunque, forse quel giorno almeno su una cosa mia madre non aveva tutti i torti...-
-Cioè?- chiese l’altro curioso.
-Cioè che l’averti servito la torta strappandola a metà non sia stato proprio il massimo-
Per tutta risposta il ragazzo sghignazzò.
-Sì, me lo ricordo bene. Ci sono rimasto abbastanza di sasso devo dire. Però forse può essere considerato un modo alternativo di tagliare torte-
-Idiota...- bofonchiò Kyda tirandogli un pugno sulla spalla, suscitando solo altri ridacchi da parte di Sam, che dopo un po’ di quiete disse -E tuo fratello Drew come sta?-
-Mah, sta bene, oggi pomeriggio è andato a calcio- rispose lei -A quest’ora dovrebbe star facendo ritorno. Anzi, non mi sorprenderebbe affatto se lo vedessimo passare proprio per questo incrocio, di solito fa sempre il giro di qui per arrivare a casa-
Sam gettò una rapida occhiata alla strada di fronte, poi esclamò -Qui si conferma la mia teoria della sfera di cristallo! Se non sbaglio, non è proprio tuo fratello quello laggiù?-
Quel famoso giorno a casa di Kyda aveva avuto il “piacere” di conoscere Drew e la sua faccia svogliata ed indisponente gli era rimasta ben impressa. Dal momento che quel ragazzino, impegnato a fare palleggi con il pallone da calcio, stazionato all’attraversamento distante pochi metri da loro, aveva la stessa aria supponente del fratello di Kyda, chi altri poteva essere se non lui?
Ad un certo punto il ragazzino, continuando a palleggiare tranquillamente, decise di attraversare la strada.
Sam osservò la scena in preda all’incredulità più totale. Ma quello lì c’era o ci faceva? Non sapeva che prima di attraversare bisognasse guardare la strada!?
-Cosa cazzo fa- quella di Kyda, cristallizzata sul posto, fu più un’affermazione che una domanda.
Drew era quasi giunto all’altro capo della strada, e ci sarebbe arrivato senza alcun tipo di ripercussioni visto che era deserta, se nonché una macchina sbucò all’improvviso da una strada laterale, a velocità sostenuta, cogliendolo del tutto impreparato.
Kyda urlò il nome del fratello a squarciagola, Drew si bloccò in mezzo alla strada paralizzato, come un procione abbagliato dai fari, e Sam semplicemente non pensò.
Si buttò anche lui in mezzo alla strada e spintonò Drew il più lontano e con più forza possibile.
L’ultima cosa che sentì fu un altro grido di Kyda, non più rivolto al fratello, ma rivolto a lui. Poi, il buio.
 




La vita sapeva essere davvero imprevedibile, e riservava sorpresa assai strane!
Sam aveva raggiunto quella conclusione già da tempo, ma adesso ne era totalmente ed indissolubilmente convinto. Bastava prendere in esempio il suo caso: convinto di trovarsi in giro insieme a Kyda il Giovedì, si era ritrovato in un letto d’ospedale, tutto dolorate, e con un piede fratturato il Venerdì.
Non si ricordava nulla di quello che era accaduto ed ora ci stava pensando la sua famiglia a rammentarglielo.
-Sono stato investito da una macchina?- ripeté il ragazzo incredulo.
-Proprio così, ti sei lanciato in mezzo alla strada per impedire che un ragazzino venisse investito a sua volta- spiegò Amber. Era stata lei a dare inizio a tutte le spiegazioni, poiché  la madre era troppo felice di vedere suo figlio in salute per poter mettersi a raccontare con dovuta calma gli ultimi avvenimenti. Holly era troppo piccola per farlo e in ogni caso anche lei era nello stesso stato della mamma,  cioè in preda ad un’incontenibile gioia.
Alle parole di Amber, Sam rimise insieme tutti i pezzi e alla fine ricordò del salvataggio di Drew e di tutto il resto.
Dopo la sorella fu la madre a prendere parola. Gli disse di essere stato un vero incosciente, che avrebbe potuto rimetterci la vita, ma allo stesso tempo lo adulò per il suo nobile gesto e aggiunse che la cosa importante era che lui fosse sano e salvo. Tutto questo mentre lo abbracciava e lo stritolava come solo una madre sollevata può fare.
Holly praticamente gli saltò dentro al letto e quasi lo soffocò di abbracci e baci.
-Ero così preoccupata Sam, ho pianto tanto!- singhiozzò la sorellina.
Il ragazzo le sfiorò i capelli con dolcezza –Shh, ora però basta piangere, eh? Adesso sto bene, vedi? Sono solo un po’ ammaccato, per il resto sono uno splendore!- le sorrise scherzoso.
Holly tirò su col naso e abbozzò un sorrisetto.
Sam spostò lo sguardo verso Amber, che teneva le braccia strette al petto e dedicava la sua attenzione alla finestra dell’ospedale.
-E tu Crudelia, non mi dici niente? Dai, ammettilo che eri preoccupata da morire- disse con un sorriso da schiaffi.
-Io preoccupata per te!? Ma non farmi ridere, Sminchio- replicò ella con la sua solita acidità.
-Non darle retta! Avresti dovuto vederla, era fuori di sé!-
-Sta’ zitta, Holly!-
Sam, Holly e la madre scoppiarono in una fragorosa risata, a cui poi si aggiunse anche Amber, e quelle risa spazzarono via definitivamente l’ansia e la preoccupazione della notte precedente. Sam  era consapevole di essere stato avventato e di aver messo in serio pericolo la propria vita, ma quando si era ripreso il suo primo pensiero era stato rivolto a sua madre e alle due sorelle e alla loro più che prevedibile angoscia. Infatti esattamente così si erano sentite e non appena il ragazzo aveva avuto modo di rivederle, per un primissimo istante il clima era stato avvolto da una stranissima tensione, interrotto poi dalla voce di Amber e  del tutto eliminato subito dopo, quando sua madre gli aveva gettato le braccia in intorno al collo e abbracciato.
Nel mentre, Sam le osservò attentamente una ad una: il volto un po’ segnato tuttavia rilassato di sua madre, il bel visino gioviale di Holly, con le fossette che le circondavano le labbra rosee e l’appena visibile cicatrice sulla tempia, e Amber, con la sua risata e la sua voce un po’ nasale, i suoi commenti acidi e i suoi capelli da Crudelia, ma che a discapito di tutto la rendevano unica nel suo genere. Voleva davvero bene alla sua famiglia e non gli importava che mancasse un membro, perché in quel periodo di cambiamenti a sostenerlo era stata sua madre e, a modo loro, le due sorelle. Insieme, formavano una squadra. La più bella squadra che potesse desiderare.
Chiacchierò a lungo con loro e chiese di essere aggiornato sulle ultime novità.
-Holly si è presa una cotta per il ragazzino che hai salvato-
Le guancie della bambina si imporporano e i suoi occhi divennero lucidi per l’imbarazzo.
-Non è vero- protestò -Amber sta dicendo una bugia!- 
Sam scosse la testa divertito. La sua sorellina era sempre stata molto precoce da quel punto di vista, però almeno Drew aveva tredici anni e non diciassette.  
In quel momento l’immagine di Kyda gli attraversò la mente come una saetta e alla memoria gli ritornò il suono del suo urlo disperato. Una smaniosa voglia di vederla crebbe in lui.  Doveva parlarle, farle vedere che tutto era a posto, che stava bene. Se Holly aveva avuto modo di conoscere Drew, voleva dire che si trovavano lì all’ospedale. Fece per chiedere informazioni a sua madre, magari lei sapeva qualcosa, ma una voce, che conosceva bene, proveniente dal corridoio esterno, lo interruppe:
-Glielo chiedo per favore, ci lasci entrare!-
-Ve l’ho già detto prima, ragazzi. Adesso le visite sono consentite solo ai parenti più prossimi. Ritornate in un altro momento-
- La prego...Carol... non potrebbe chiudere un occhio?-
-Non mi è permesso. Quindi, ve lo ripeto, ripassate un’altra volta!- replicò con voce irritata e allo stesso tempo esasperata l’infermiera.
-Ma siamo i suoi amici!-
A quel punto la madre di Sam decise di intervenire. Aprì la porta della camera e uscì per scambiare due parole con quella Carol. Il ragazzo intravide il camice bianco della donna e la testa di Daniel, che continuava ad insistere e a far soffoco. 
Infine, grazie soprattutto a Reneé, i ragazzi ebbero la meglio e poterono entrare. Erano venuti a trovarlo tutti: Daniel, Hetty, Jade e Mark, i cui occhi si spalancarono di ammirazione  quando Amber gli passò davanti per uscire.
Dapprima Sam non disse nulla, troppo occupato a fissare Hetty al fianco di Daniel e troppo sorpreso di vedersi tutti i suoi amici lì. 
-Ragazzi! Che ci fate qua?- esclamò infine, con un sorriso che gli andava da una parte all’altra.
-Ma che domande sono! Siamo venuti a trovare l’aspirante sucida!- Dan scoppiò in una sonora risata -Di’ un po’, ma che ti ha detto la testa?-
-Ci hai fatto pvendeve un enovme spavento, lo sai?- aggiunse Mark.
-Dicono che ti sia letteralmente lanciato in mezzo alla strada! È vero?- rincarò la dose un’elettrizzata Jade. Tutti  iniziarono a parlarsi uno sopra all’altro, concitati, tempestando Sam di domande, ma senza neanche dargli il tempo di rispondere.
-Posso parlare?- rise il ragazzo, alzando la voce e riportando così la calma -A dire la verità, nemmeno io so che cosa mi abbia preso, e mi dispiace di avervi fatto stare in pensiero-
-Ah non ci pensare, l’importante è che tu sia ancora tutto intero!-
-A parte un piede- ridacchiò Sam.
-Dettagli, mio caro, solo dettagli. Comunque, saltiamo alla parte più interessante, senti qua:  sono lieto di comunicarti il tuo nuovo status sociale a scuola! Udite udite! “Sam, l’eroe!”-
Sam guardò l’amico come se si fosse appena messo un pitale sulla testa a mo’ di cappello. 
-Cosa!?- strepitò.
-Hai capito bene! Il tuo salvataggio non è passato inosservato e nel giro di poco tutta la scuola ne è venuta al corrente. Stamattina  hanno parlato solo di te e del tuo gesto!- confermò Hetty.
-Già, un evento di pvopovzioni galattiche! Avvesti dovuto essevci!-
-Bravo Wilde!- Jade gli tirò una pacca così forte che per poco non gli staccò una scapola di netto.
Sam si sentiva totalmente stordito, come se lo avesse colpito in pieno un bolide, sia per la baraonda che stavano creando i suoi amici, sia per quella notizia assurda. Era passato dall’essere un Signor Nessuno, all’essere l’argomento top della giornata.
-E le notizie non sono ancora finite! Quale vuoi che ti dica prima?- Daniel era talmente su di giri che Sam non si sarebbe stupito di vederlo prendere il volo.
-Come faccio a risponderti se non so quali sono le notizie?- rise sconsolato.
A quel punto l’amico partì con la prima notizia: I Dark erano stati espulsi. Nell’udire quelle parole Sam quasi volò giù dal lettino. Travis e la sua combriccola erano stati colti in fragrante nell’attuare uno dei lori piani, il più pericoloso ed eclatante, ad opinione di Daniel, della loro carriera di teppisti.  Avevano infatti progettato  di dar fuoco alla scuola. Pareva che qualcuno avesse informato il preside della situazione e che il personale scolastico avesse fermato appena in tempo quei folli prima che potessero fare danni irreparabili. Non solo erano stati cacciati da scuola, ma adesso erano in guai seri anche con la polizia e tutto il resto. Per molto tempo, con grande gioia di Sam e di tutti i presenti, non si sarebbe più sentito parlare di loro.
La seconda notizia riguardava il progetto del professor Conway: lui e Kyda erano arrivati secondi. Non avevano vinto, ma la seconda posizione, considerando tutti gli studenti dell’istituto, era un gran bel risultato!
-Tutto è bene quel che finisce bene- disse con allegria.
-Ora però è il tuo turno raccontare- fece Jade.
Sam si sentì gelare. Temeva che, dalle sue parole, gli altri  avrebbero potuto fare insinuazioni a proposito di lui e Kyda e al momento l’unico con cui voleva fare parola di quello che era accaduto era con Daniel.
Stava già per temporeggiare, quando l’ultimo individuo che Sam si sarebbe aspettato di vedere fece il suo ingresso nella stanza.
Un’esclamazione di puro sconcerto uscì dalla sua bocca -Che ci fai tu qui!?-
Eustache in persona, in tutta la sua presunzione e altezzosità, vestito firmato da capo a piedi, si limitò a squadrarlo con sufficienza. Aveva tutta l’aria di uno che avrebbe preferito mille volte una badilata in piena faccia piuttosto che trovarsi lì. 
-Ehy Eustache, eccoti finalmente! Dov’eri finito?- Daniel si avvicinò per dargli una delle sue solite amichevoli pacche sulle spalle, ma Eustache si scostò il necessario per non essere sfiorato.
Piegò le labbra in una smorfia -L’incompetenza del personale mi ha creato qualche problema. Ho chiesto ad un’infermiera di indicarmi la camera corretta, ma quell’inetta non è stata in grado di fare il suo lavoro e si è rivelata inutile. Per cui ho dovuto fare da solo e cercare la stanza-
-Un momento! Volete dire che lo avete già incontrato prima?- si stupì Sam.
-Esattamente, ma si è vifiutato di univsi a noi, anche se dovevamo venive tutti da te-
Eustache guardò Mark come se questi avesse appena detto una blasfemia -Il solo pensiero di dover entrare in uno squallido ascensore ospedaliero era già abbastanza opprimente senza doverci aggiungere una carovana come voi con cui condividerlo- spiegò con naturalezza.
A quella risposta Mark si fece piccolo piccolo e non parlò più.
Sam percepì una vena pulsargli sul collo per il nervosismo. Se quello spocchioso individuo era venuto fin lì, non richiesto, per insultare gratuitamente i suoi amici, allora, se teneva alla sua incolumità, avrebbe fatto meglio a sparire in meno di dieci millesimi.
-Che cosa ci fai qui?- ripeté a denti stretti.
A quel punto Eustache si degnò a considerarlo.
-Un saluto anche a te, Mister Pappagallo. Mi par di capire che ormai l’educazione sia finita al camposanto, visto che non mostri nemmeno un briciolo di gratitudine verso il tuo salvatore. Ma...perché la cosa non mi sorprende?- il tipico sorrisetto saccente e canzonatorio gli increspò le lebbra.
Sam si sarebbe volentieri messo a questionare a proposito del termine ‘educazione’, ma quello che uscì fu solo un balbettante:
-S..salvatore?-
-Proprio così. Si da il caso che, mentre ti esibivi in un tuffo ad angelo in mezzo alla strada, io fossi presente; e si da anche il caso che sia stato io a chiamare un’ambulanza che ti soccorresse. In conclusione, mi sembrava doveroso venire ad appurarmi delle condizioni del malcapitato, ossia tu-
Sam era rimasto senza parole. Se davvero le cose stavano così, allora Eustache non era poi un soggetto così negativo, non del tutto almeno. Insomma, seppur gli costasse ammetterlo, in un certo senso era anche grazie a lui se le cose si erano risolte in fretta e senza intoppi, poiché era stato l’unico con abbastanza sangue freddo e prontezza di spirito per chiamare rapidamente i soccorsi.
Per cui, un grazie era doveroso.
-Non serve ringraziarmi, ho solo agito da cittadino corretto, tutto qua. Nessun significato nascosto, nulla di personale-
-Ah io l’ho sempre saputo che anche tu avessi un cuore invece dell’ossidiana, bravo il nostro Eustache- Daniel gli schiaffò a tradimento un braccio intorno alla spalle.
-Allontana quelle mani, mi sgualcisci la giacca-
-Infatti Daniel, metti le tue mani a debita distanza che sennò gli rovini il travestimento da pinguino- disse Jade con un largo sorriso sornione.
Il moro sollevò altezzosamente un sopracciglio –Jade O’Connor, dico bene? Sì, mi ricordo di te e dell’indecoroso scempio che hai fatto al buffet quella sera-
-Oh, che rozza personcina che sono!- tubò beffarda. Poi si avvicinò a Sam e gli diede un’altra portentosa pacca.
-Ci si vede, Eroe, che la forza sia con tigo e tante belle cose. Io vado a mangiare- si avviò alla porta -Andiamo Eustace-
-Prego?-
-Ho detto “andiamo a mangiare”- Jade parve stupita di doverlo ripetere.
-Perché mai!?-
-Ho fame, Eustace- sbottò, come se avesse avuto a che fare con un idiota duro di comprendonio. 
L’altro sorrise isterico -Riformulo. Perché mai io dovrei venire con te? E non sforzarti di trovare un valido motivo, perché intanto non ce n’è nemmeno uno. Quindi,  non ho la benché minima intenzione di venire con te-
Jade assunse un’espressione sardonica , poi schioccò la lingua contro il palato e il suo sorriso sornione si allargò ancora di più.
-D’accordo, come vuoi. Vuol dire che ti limiterai ad offrirmi il pranzo- e dicendo questo si dileguò.
Eustache rimase  per un attimo lì impalato, prima di tastarsi la giacca e scoprire, con sommo orrore, che il suo portafoglio era bello che scomparso. In meno di due secondi era già in strada alle calcagna di Jade.
-Bene, se non vi dispiace ragazzi, adesso vorrei parlare a quattr’occhi con Sam, ci sarebbero alcune cose che dovremmo dirci- ammiccò Daniel.
-D’accordo, messaggio recepito. Volete farvi i vostri “discorsetti”- sorrise Hetty -Allora io e Mark togliamo il disturbo-
Non appena Daniel e Sam rimasero soli, la stanza venne invasa da un frenetico e rumoroso  chiacchiericcio.
-Desolato, Lipton, ma da me non saprai un fico secco, non finché non mi avrai raccontato cosa è successo tra ed Hetty! Sbaglio, o non ti rivolgeva più la parola? Come mai oggi è qui insieme a te?-
-Oh mio caro Wilde, ci sono tante cose che tu non sai-  le sue labbra si incurvarono in un sorriso malizioso -Vediamo, a che punto sei rimasto?-
-Diamine, al principio! L’ultima volta che ti ho visto stavi correndo all’impazzata verso l’infinito e oltre-
-Desolato di averti piantato in asso in quel modo, ma ogni minuto era prezioso e non avevo tempo da perdere. Bene, inizierò con il mio dettagliatissimo racconto: con affanno e determinazione, stavo dirigendomi verso la mia meta; nelle mente conservavo un unico pensiero, mentre l’aria mi sferzava il volto a causa della mia andatura celere...-
Sam scoppiò a ridere -Daniel, ti prego! “Celere”? Va bene che sei un poeta, ma...-
-Non c’entra il fatto che sia un poeta, la verità e che stamattina ho ingoiato un dizionario per sbaglio. Va bene, va bene, ora faccio la persona seria. Allora, dopo aver parlato con te, avevo capito di aver fatto un casino davvero enorme, persino per il sottoscritto, e a quel punto l’unica cosa che potevo fare era cercare di rimediare in qualche modo, così mi sono precipitato a casa di Hetty-
-Che? Stai scherzando!?-
-Affatto, mio sorpreso amico, fortunatamente mi ricordavo l’indirizzo di casa sua. Avevo bisogno di parlarle e dovevo farlo subito. Ho corso circa dieci minuti e sono arrivato nei pressi della sua abitazione sconvolto e bello sudaticcio, un vero bijou. Dopo aver assunto un lieve aspetto umano ho suonato, bussato, calciato la sua porta, ma nessuno veniva ad aprire, così ho fatto il giro sul retro e sono arrivato sotto alla sua finestra-
-Che Romeo, le hai fatto una serenata?-
-No, ho raccolto un sassolino e l’ho lanciato contro. Nessuna risposta. Ho riprovato altre tre volte e alla terza le ho disintegrato il vetro (sì, ho preso un sasso un po’ troppo grosso), ma ancora niente! A quel punto il mio spirito battagliero ha preso il sopravvento e ho cercato di abbarbicarmi sulla finestra e dopo essermi squartato i jeans ce l’ho fatta. Lei era sul letto con un paio di cuffione nelle orecchie e la musica a tutto volume, per quello non aveva sentito, e in casa non c’era nessun’altro. Fatto sta che quando mi ha visto le è venuto un mezzo infarto, ha cacciato un urlo e mi ha scaraventato un libro addosso (quello di storia, hai presente?). Quando si è resa conto che ero io si è precipitata verso di me e ha iniziato a sommergermi di domande come un’allucinata, ma io ho preso in mano la situazione, l’ho bloccata e ho iniziato a parlare, ma non aspettarti chissà quale frase da libro rosa. Ho fatto casino come il mio solito e ho sparato un mare di cazzate, però qualcosa di decente devo averlo detto perché dopo...eheh...dopo...- si esibì  in un ghigno da delinquente incallito.
Sam si fece una mezza idea e lo guardò con tanto d’occhi -Dopo??-
-Dopo mi ha abbracciato, e considerato lo stato in cui ero è stato un vero gesto d’amore da parte sua, e mi ha baciato. A che pensavi, eh? Pervertito!-
-Ma che ne sapevo io! Hai fatto una faccia!- prese un bicchiere dal comodino e bevve un sorso -Comunque sono felicissimo per te!-
-Grazie, amico! Ad ogni modo, dopo ho approfittato del suo bagno e mi sono fatto una doccia...in dolce compagnia-
L’acqua gli andò di traverso e dovette sforzarsi per non spruzzarla a idrante in faccia a Daniel. Per l’ennesima volta lo fissò allucinato.
-Rilassati, Wilde. Stavo scherzando!-
-Idiota- borbottò, poi chiese –State insieme adesso?-
-Non ne abbiamo ancora parlato- sorrise dolcemente, forse ripensando a qualcosa -Ma penso proprio di sì. Ora però basta parlare dei miei affari, adesso tocca a te! Sono sicuro che sia successo qualcosa tra te e Kyda, o mi mangio il cappello che non ho!-
E così, raccontò all’amico tutto per filo e per segno (beh, forse non proprio tutto) e, tra una risata e l’altra, giunse anche per Daniel il momento di andare.
-A presto, Eroe. Ti verrò a rompere spesso, preparati psicologicamente-
-Credo che a prepararsi dovrà essere Carol l’infermiera!-
-Finirà per amarmi, lo so già. Piuttosto, vedi di prepararti tu, qualcosa mi dice che la tua Tenebrosa non tarderà ad arrivare- e se ne andò così, ammiccando, e lasciando Sam nuovamente spiazzato.

Gli amici erano l’altra squadra su cui poteva contare. Per lungo tempo Sam aveva creduto che gli amici e persone di cui fidarsi, con cui condividere gioie e dolori, successi e fallimenti, in realtà non esistessero, o almeno, non esistessero per lui. Poi però, aveva avuto modo di ricredersi, e aveva imparato che nessuno restava da solo per sempre, bastava solo cercare un po’ più lontano.
C’era Daniel, uno dei suoi migliori amici, il folle del banco accanto, carismatico, ribelle, sognatore e poeta e l’unico che gli avesse dimostrato amicizia fin da subito, in quell’oscuro e lontano primo giorno di scuola.
Poi c’era Mark, il ragazzotto dalla erre moscia, che da semplice compagno di classe era diventato un amico prezioso, sempre presente nel momento del bisogno.
C’era Hetty, la ragazza con gli occhiali blu e la pila di libri, timida tuttavia coraggiosa, genuina e leale, piena di talenti nascosti.
C’era Jade, la grintosa e trasgressiva Jade, sempre pronta a dare una spinta in più, o una portentosa pacca sulla spalla, dipendeva.
E c’era Luke, il suo migliore amico di sempre, lontano, eppure vicino.
Per concludere, forse si poteva aggiungere anche qualcun altro alla lista, anche se Sam non era ancora del tutto sicuro: Eustache, altezzoso e saccente fino al midollo, ma anche il suo “salvatore”.
Era davvero fortunato ad avere degli amici così.

L’ultima visita venne infine da parte della famiglia Stowe, Ines al centro e ai lati i due figli Drew e Kyda. La prima a parlare fu la donna, che, nonostante il suo cipiglio freddo e controllato, non mancò di fare i suoi più sinceri ringraziamenti a Sam per aver salvato la vita a suo figlio. Gli avevano portato persino un regalo, un piccolo quadretto raffigurante una scogliera a picco sul mare.
Il ragazzo era oltremodo imbarazzato nel sentire tutti quegli elogi, specie quando Ines finì di parlare:
-...grazie per questo, e per molte altre cose- lo guardò intensamente e Sam intuì immediatamente a che cosa si riferisse. Arrossì lievemente e annuì.
Fu poi il turno di Drew parlare e Sam ebbe modo di capire che per quanto quel ragazzino si dimostrasse schivo e arrogante , in realtà avesse un animo gentile e cordiale e, forse, anche simpatico. Dopo ciò che era accaduto, Drew si sarebbe dimostrato molto più amichevole, questo era certo.
Per tutto il tempo Kyda non aveva fatto altro che tenere lo sguardo su Sam senza proferire una sola parola. Il ragazzo aveva provato a sostenere il suo sguardo, ma poi, per qualche motivo a lui sconosciuto, non era riuscito a reggerlo a lungo.
-Bene, io Drew a questo punto togliamo il disturbo. Devo scambiare qualche parola con Reneé, qui fuori- sorrise Ines, posando una mano sulla spalla del figlio, che fece un breve cenno di consenso.
Sam li guardò uscire stupito. Che sapesse della situazione fra lui e Kyda e che li avesse lasciati di proposito da soli?
-Se qualcuno mi chiedesse di dire, su una scala da uno dieci, quanto tu sia stato idiota ed avventato, probabilmente risponderei cento-
La voce glaciale di Kyda lo riscosse come una secchiata di acqua gelida. Si era seduta sul bordo del suo letto e lo squadrava con aria severa e minacciosa, le iridi blu che emettevano saette e le braccia strette al petto. Sam deglutì impercettibilmente.
-Hai idea di quanto tu mi abbia fatta preoccupare!? Credevo che ci fossi rimasto secco. Ti sei buttato sotto un macchina davanti ai miei occhi-
Il ragazzo non sapeva cosa dire. Si aspettava una sfuriata, ma una cosa così non se la sarebbe mai immaginata, mai aveva sentito parlare Kyda con una voce così fredda. Capiva il suo stato d’animo, però, diamine, gli aveva pur sempre salvato il fratello!
Così provò a dire -Lo so, ma...-
-Zitto, non parlare-
Fece per ribattere, ma si bloccò quando vide gli occhi di lei inumidirsi e le sue braccia stringerlo in un forte abbraccio.
-Tu non hai idea di quanto sia felice di vedere che stai bene. Grazie a Dio...- mormorò, la testa affondata nella spalla di lui.
Sam ricambiò la stretta mentre dentro si sentiva traboccare di gioia. Poterla stringere di nuovo era meraviglioso.
-Io non capisco...Perché hai messo a repentaglio la tua vita? Non eri tenuto a farlo-
Il ragazzo sciolse l’abbraccio e le sollevò dolcemente il mento. Sorrise mestamente.
-Non so darti nemmeno io una risposta precisa, in realtà. So solo che in quel momento mi è sembrata la cosa più giusta da fare, e lo penso tutt’ora. Stavi per perdere un altro fratello, nella stessa identica maniera, e non potevo assolutamente permetterlo-
Kyda sorrise lievemente e una lacrima le rigò la guancia prima che potesse scacciarla.
-Non piangere...- sussurrò, asciugandole la goccia con il pollice.
La ragazza si schiarì la gola e raddrizzò la schiena ritrovando contegno.
-Non sto piangendo, infatti. È questo maledetto disinfettante che mi provoca bruciore agli occhi-
-Capisco perfettamente- sogghignò, prima di baciarla.
Quando si furono separati Sam disse -Allora, Daniel mi ha riferito che siamo arrivati secondi-
-Proprio così, al primo posto sono arrivati due tizi che non conosco, tuttavia sono ugualmente soddisfatta della seconda posizione. Ah, ho dovuto spiegare a tutto l’istituto il significato dei nostri quattro cartelloni-
-Cosa!?- Sam scoppiò a ridere, ma si fermò quando vide lo sguardo assassino di lei –Come è andata?-
-E’ andata, ma per me è stata un vera situazione d’inferno. Conway non aveva mai fatto parola di questa fantastica aggiunta, ha preferito tenerla come sorpresa finale. Un vero strazio- sbottò.
-Avrei voluto esserci per vederlo- ridacchiò.
-Se ci fossi stato avresti parlato tu-
-Touché- alzò le mani in segno di resa -Ho saputo che i Dark sono stati espulsi- aggiunse poco dopo, più serio.
-Sì, l’incendio era troppo anche per loro. Come si suol dire, l’hanno fatta fuori-
Il ragazzo la osservò per qualche istante e solo in quel momento capì.
-Sei stata tu...- sussurrò ancora frastornato -Tu hai fatto la soffiata!-
Kyda piegò le labbra un ghigno enigmatico e scrollò le spalle –Me lo avevano confidato loro stessi, qualche giorno prima. Volevano che li aiutassi ad appiccare il fuoco, quegli idioti, ma avevano fatto i conti senza l’oste. Io infatti mi sono rifiutata, non avrei mai messo in pericolo la vita di migliaia di studenti. Questo è stato uno dei motivi che mi hanno convinta a lasciare il gruppo, mi sono resa conto di quanto fossero fuori di testa. E così, stamattina, ho raccontato tutto al preside-
Sam le posò una mano sulla spalla comprensivo. Aveva fatto la cosa migliore.
Lo sguardo della ragazza si fece improvvisamente serio ed egli seppe già che cosa lei gli avrebbe detto prima che iniziasse a parlare.
-Ascoltami Sam, non lo nascondo e non mi faccio problemi ad ammetterlo: io sono una persona particolare. Ho un carattere strano, sono schietta, forse troppo, sono lunatica, irascibile, impulsiva. Non sono di molte parole, odio le cose melense, sono anti-romanticismo, ho un temperamento piuttosto freddo, vivo di sarcasmo, a volte tendo ad essere un po’ menefreghista e non sopporto che qualcuno mi dica cosa fare. Sono anche piuttosto vendicativa ed incredibilmente testarda. In conclusione, stare a contatto con me potrebbe essere non proprio un’impresa facile. Volevo solo che tu lo sapessi-
Sam tacque e le sorrise sornione -Per fare questo progetto sono stato tantissimo in tua compagnia, e come vedi non sono ancora morto. Riguardo al tuo elenco, mi puoi dire qualcosa che non sappia già?-
Con quel progetto erano diventati una squadra. Durante tutte quelle settimane aveva imparato a conoscerla, ad apprezzarla e, infine, ad amarla. Erano l’uno la squadra dell’altra.  Kyda era la sua squadra, e non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
La ragazza scosse la testa con un sorrisetto, prima di baciarlo di nuovo -Mi verrà in mente...-
-Ah, Holly si è presa una cotta per tuo fratello- le sussurrò sulle labbra.
-Lo avevo notato. Ha detto che trova tua sorella molto carina, nonostante sia una mocciosa. Tra un po’ di anni magari avrà qualche speranza-
-Dovresti dirle ad Holly queste cose, farebbe i salti di gioia!-
-Immagino. Ora però...- si avvicinò nuovamente -Stai zitto...-

*
Maggio era un mese davvero meraviglioso. Caldo e luminoso, ma non afoso, e,  cosa più importante, la scuola era ormai agli sgoccioli. In tutte le strade della città si respirava già aria di vacanza e dappertutto chiocciava il vociare allegro dei giovani che, finalmente liberi dai compiti, potevano girovagare ovunque liberamente, spensierati. Solo in un luogo però regnava perenne silenzio. Un silenzio carico di pensieri e di promesse. Il cimiero di Roxvuld era avvolto da un’atmosfera surreale dove il sole, che faceva capolino tra i rami degli alberi ricoperti di foglioline, creava giochi di luce sulla distesa di erba verde.
-Siamo a Maggio, il tuo mese preferito. Tra poco le scuole chiuderanno, le vacanze estive inizieranno a breve. La mamma mi ha detto che ad Agosto torneremo nel posto in cui andavamo sempre per l’estate, Drew era settimo cielo- Kyda parlò con voce delicata, lo sguardo rivolto verso una lucente lapide bianca. Sam era a fianco a lei, appoggiato alle stampelle, gli occhi rivolti verso la stessa direzione della ragazza, che posò a terra un barattolo di vetro ricolmo di foglie.
-L’ho finito. Ci ho messo un po’ di annetti, ma alla fine ce l’ho fatta. Bello vero?- estrasse qualcosa dalla tasca e lo posò proprio lì a fianco. Sam sorrise. La foglia rossa che le aveva regalato qualche mese prima alla fine era servita a qualcosa. Rimasero lì ancora per qualche tempo e poi se andarono. Kyda a passo più spedito, mentre il ragazzo arrancava più indietro.
-Muoviti Sam, Lipton e gli altri ci stanno aspettando!- lo incitò ad affrettare il passo.
-Arrivo, arrivo! Potresti almeno mostrare un po’ di pietà, non sei tu ad essere quella infortunata- protestò.
-Oh quante storie, coraggio!-
Con fatica, il giovane la affiancò.
-Una volta raggiunti gli altri che facciamo?-
-Ho pensato che potremmo andare alla Coast Ramp, sono sicura che la O’Connor approverebbe-
Ancora non riusciva a chiamare i suoi amici per nome di battesimo, ma ci si trovava bene e le piaceva uscirci insieme, questo per Sam era già un ottimo risultato. Il resto sarebbe venuto col tempo.
-Giammai! Dimentichi in che stato sono? Non voglio restare a bordo campo a guardare come se fossi in punizione. Con questo caldo direi che sarebbe perfetto andarci a mangiare un gelato-
-Forse,  ma di certo non in quella gelateria. Se quel gelataio dovesse anche solo riprovare ad entrare in linea d’aria del mio capello- si sfiorò la visiera –Giuro che gli farò passare la voglia di essere nato. Comunque sia, prima di ogni altra cosa, devo andare a compare un portamonete nuovo-
Sam la guardò pieno di stupore -Hai deciso di cambiarlo? Come mai?-
-Semplice- Kyda gli rivolse un sorriso sereno -La mia intolleranza per il rosa ha raggiunto ormai livelli planetari-

 
 


*Note dell’Autrice*

Ciao a tutti! Capitolo un bel po’ lunghetto, lo riconosco, però mi sembrava un controsenso dividerlo a metà, perciò eccoci qui! x) cosa mi dite? Soddisfatti del finale? Era come ve lo aspettavate? Ho provato una stretta al cuore quando ho finito il capitolo, ma provo anche un senso di “conclusivanza” ineguagliabile. Beh, manca ancora l’Extra, ma la storia principale è conclusa. Vi spoilero che cosa prevede l’Extra: che è successo quel giorno in cui Jade ha sgraffignato il portafoglio a Eustache e lui si è messo alle sue calcagna? L’ha ragazza ha agito così perché le andava o c’è un motivo sotto? Se vi interessa, scoprirete come sono andate le cose nel prossimo e ultimissimo capitolo! (Sembra lo spot di una telenovela O.o?)
Alla prossima allora!


The_Grace_of_Undomiel

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Capitolo 21
*** Capitolo 21° -Extra- ***


Nel giro di poche ore, Eustache si era ritrovato a fare la maggior parte delle cose che odiava di più al mondo. Per cominciare, aveva perso un quarto d’ora del suo tempo prezioso nello squallido ospedale di Roxvuld e circa dieci minuti in una delle spoglie camere del suddetto squallido ospedale, per andare a trovare una persona di cui gli importava circa quanto una cassapanca. Aveva salvato quel Wilde ed era pure andato a trovarlo, come minimo avrebbero dovuto proclamarlo santo.
In seguito aveva poi avuto il dispiacere di imbattersi in Lipton, come se non fosse sufficiente beccarselo una volta alla settimana alla scuola di Poesia, insieme alla sua allegra brigata, tra cui  la persona che trovava in assoluto più rozza, irritante, maleducata, irrispettosa e volgare: Jade O’Connor, che dopo quella volta al rinfresco era finita in quattro e quattr’otto dritta nella sua lista nera. Ed era proprio a causa sua se ora era costretto a fare un’altra delle cose che non sopportava, cioè camminare a passo spedito, per recuperare il portafoglio che quella volgare  ragazza gli aveva rubato. Prima lo aveva insultato, poi lo aveva invitato, anzi, obbligato, a venire a pranzo con lei e per finire lo aveva derubato! Non appena l’avesse raggiunta gliela avrebbe fatta pagare. Sempre se ci fosse riuscito, dal momento che Eustache non aveva alcuna intenzione di mettersi a correre, trovandola una cosa poco elegante.
Se il ragazzo aveva un diavolo per capello e trovava quella giornata la peggiore della sua vita, al contrario Jade era di ottimo umore. Il piano stava andando a gonfie vele, attirare Eustache si era rivelato più facile del previsto. Con sorrisetto si voltò indietro per accertarsi che il Pinguino fosse ancora dietro di lei.
-O’Connor, sei pregata di fermati!- la chiamò per l’ennesima volta Eustache, e puntualmente la ragazza lo ignorò, ridendosela di gusto.
Andarono avanti così per ben quattro isolati, fino a quando Jade non si fermò, con il solito sorriso sardonico stampato in volto e le braccia strette al petto.
Il ragazzo la raggiunse con gli occhi che emettevano saette, ma per quanto fosse imbestialito cercò di mantenere il suo proverbiale contengo.
-Se questo è per te un gioco, non lo trovo affatto divertente!- esordì stizzito -Se adesso abbiamo finito con la corsa campestre, vorrei riavere indietro il mio portafoglio. Subito-
-Corsa campestre? Ma se non hai fatto altro che camminare tutto il tempo! Comunque sia, no, non credo che te lo ridarò- gli rispose beffarda la ragazza.
-Senti, non sono disposto a perdere tempo con te, perciò, dimmi quanto vuoi e chiudiamola qui-
-Che?- Jade lo guardò un attimo perplessa prima di scoppiare a ridere di cuore, risata che l’altro trovò insopportabilmente sguaiata.
-Ma scusa, cosa ti fa pensare che voglia dei soldi?-
-Mah, forse perché mi hai rubato il portafoglio?-
-Hai la mente limitata, caro Eustace- scosse la testa teatralmente dispiaciuta –Hai subito collegato il mio scherzetto ad una questione di soldi!-
-Tanto per cominciare la mia mente non è affatto limitata, anzi, se vuoi saperlo ho un quoziente intellettivo superiore alla media, non so se mi spiego- ci tenne a sottolineare enfatizzando il tono saccente -Secondo, mi stai forse dicendo che questo teatrino era solo uno stupido scherzo?-
-No, affatto!-
-E allora cosa vuoi da me?-
Eustache stava iniziando seriamente a perdere la pazienza. Non che non fosse  abituato ad essere circondato da gente intellettualmente inferiore, e non solo, a lui, ma quella lì era un caso disperato. Forse era affetta da qualche disturbo mentale. Doveva stare all’erta.
-Semplice, voglio che pranzi insieme a me- affermò Jade.
-Ancora? Ti ho già detto e ti ripeto che non ne ho alcuna intenzione! Capisco che tu voglia provare l’ebbrezza di mangiare insieme a me, ma sappi che non concedo a molti questo onore-
Parlò con una tale superbia e con una tale convinzione che Jade dovette trattenersi dal ridergli in faccia. Lo trovava  a dir poco patetico.
-Fidati di me, non te ne pentirai. Voglio proporti un affare- la giovane assunse un aria cospiratoria -E ho bisogno di un posto tranquillo dove farlo-
Sperò in questo modo di convincerlo, ma quando Eustache si dimostrò nuovamente disinteressato, la ragazza si vide costretta a prendere misure drastiche.
-Molto bene, Pinguino Ottuso. Lo vedi quel signore laggiù, seduto vicino al muretto?- fece un cenno con il capo verso un uomo sulla settantina, vestito di stracci e dallo sguardo malinconico, che suonava una fisarmonica -E’ un senzatetto, e sappi che non esiterò un istante a dargli tutti i soldi che hai qua dentro- gli agitò il portafoglio a un centimetro dal naso.
Eustache sollevò un sopracciglio con fare altezzoso -Tu mi stai ricattando? Ti avverto, non ti conviene sfidarmi-
-Vuoi scommettere?-
-Non oseresti-
-O sì che oso. Sta’ a guardare- gli sorrise sorniona, gli voltò la spalle e si diresse tranquillamente verso il vecchietto.
Eustache rimase lì impalato, indissolubilmente convinto che la ragazza non si sarebbe mai azzardata a fare una cosa del genere, nessuno si era mai arrischiato a mettersi contro di lui, ma dovette ricredersi  quando vide metà dei suoi soldi finire nel capello di feltro del senzatetto. Con la rapidità  di un fulmine la raggiunse, le serrò le dita intorno al braccio e la riportò indietro, per poi mollarla subito e strofinarsi la mano con cui l’aveva toccata sulla giacca.
-Guarda che non sono infetta- sbottò Jade squadrandolo con aria omicida.
-Questo lo dici tu. Ora, se non ti dispiace- tese la mano.
-Come, non ti importa che gli abbia dato tutti quei soldi? Ah già dimenticavo, devi essere così ricco che qualche banconota in più o in meno per te non fa alcuna differenza-
-Che arguzia, sono impressionato- disse ironico –Se vuoi puoi dargli tutto quello che c’è dentro, non mi interessa, basta solo che mi ridai il portafoglio- 
Solo dopo aver detto quella frase si rese conto di aver parlato troppo.
Come previsto, le labbra di Jade si incurvarono in un ghigno. Iniziò a rigirarsi l’oggetto tra le mani con nonchalance.
-Bene bene, allora è questo quello che ti sta a cuore. Scommetto che costa più di tutti quei soldi messi insieme.  Credo che il vecchietto sarà molto felice di ricevere tutto il pacchett...-
-NO!- quasi strillò Eustache, poi si schiarì la voce –Voglio dire, non sarà necessario. Verrò con te. Ma non pensare che lo faccia perché mi stai ricattando, ho solamente cambiato idea-
-Se se, come no. Comunque, entriamo-
Eustache guardò alle spalle di Jade e solo in quel momento si rese conto di trovarsi davanti ad un enorme Fast Food, la cui insegna violacea lampeggiava caoticamente.
 Guardò la ragazza orripilato -Lì? Io magiare lì?- gli venne un conato al solo pensiero –Mai- dichiarò lapidario.
-Oh andiamo Signore dal QI superiore, nemmeno tu potresti rifiutare uno degli Hamburger a tre piani di Pappa&Ciccia- si leccò le labbra deliziata ed entrò.
-Sono vegetariano...-

L’odore di carne alla griglia, lo sfrigolio dell’olio bollente, la fila dei cartelli luminosi del menù dietro al bancone; quello secondo Jade era il paradiso. Da tempo era diventata una frequentatrice accanita di Pappa&Ciccia e almeno una volta alla settimana ci faceva una capatina. Tutti lì la conoscevano ed era famosa sia a causa della sua fame insaziabile, sia per l’ essere  una dei pochi  in grado di finire il famigerato Lock Ness, l’hamburger più grosso e calorico di tutto il menù. Jade doveva ringraziare la sua struttura, poiché per quanti panini e patatine mangiasse, non ingrassava di un etto. Certo, non che tutto quel cibo spazzatura fosse proprio un toccasana per la salute, sua madre glielo ripeteva spesso, ma a Jade non importava minimamente: a lei quella roba piaceva e se la mangiava. Punto. La vita era la sua e anche se fosse diventata un divano a penisola piena di brufoli e con la glicemia alta erano cavoli suoi.
Mentre Jade fluttuava in un mondo fatto di salse e carne sfrigolante, Eustache si guardava intorno a dir poco schifato.
Punto numero uno: quel posto era troppo rumoroso, oltre che palesemente sporco.
Punto numero due: nell’aria aleggiava un odore disgustoso.
Punto numero tre: la gente che orbitava lì non gli sconfinferava  affatto. Pensò questo quando un uomo molto in carne con in mano un panino grondante di maionese gli passò accanto con aria truce.
Punto numero quattro: un luogo così non era adatto ad un tipo impeccabile e dall’ottimo gusto sia estetico che culinario come lui.
Punto numero 5: odiava la carne.
Avrebbe continuato così all’infinito se Jade non avesse urlato il suo nome, storpiato appositamente,  facendo voltare circa un terzo delle persone presenti. La ragazza gli indicò un tavolo e lui, con l’espressione più sdegnata del suo repertorio, la raggiunse. In fondo, era lei ad avere il coltello dalla parte del manico, in questo caso il portafoglio.
-Allora, tu intanto siediti, io vado a ordinare. Cosa prendi?-
Eustache esaminò il menù con superiorità, come se fosse stato un critico di fama mondiale di fronte ad un opera d’arte.
-Un’insalata- rispose infine.
-Eh?- il tono sorpreso di Jade salì di un’ottava -Vorrai scherzare, spero!-
-Affatto, sono serissimo. Un’insalata ed una bottiglietta d’acqua naturale, possibilmente di vetro. Non sopporto il retrogusto della plastica. Ah, l’insalata senza aceto, solo una spruzzata di olio. E niente pomodorini-
Ma la ragazza non si mosse di un millimetro, rimase a guardarlo con tanto d’occhi.
Eustache inarcò un sopracciglio -Sei ancora qui?-
Jade aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito. Non valeva la pena dirgli che le sue assurde richieste non sarebbero state esaurite nemmeno tra un trilione di anni. Fece spallucce e andò ad ordinare. Lei si sarebbe presa un bell’hamburger e un bicchiere di cola ghiacciata, altro che insalatine! Uno sennò che ci veniva a fare lì?
-Ciao Nate, ciao Rachel- salutò i ragazzi aldilà del bancone, due gemelli, un maschio e una femmina. Jade li aveva conosciuti durante il loro primissimo giorno di lavoro, circa un anno prima. Avevano entrambi i capelli corti, neri, e gli occhi ambra; la ragazza portava un piercing blu sul naso.
-Ciao Jade!- esclamarono in coro –Dimmi pure!- si scambiarono un’occhiata di sfida, come ogni volta  quando parlavano in contemporanea.
-Dimmi pure- disse a quel punto Rachel, fulminando il fratello con lo sguardo.
La ragazza ordinò ed entrambi i giovani assunsero un’aria allucinata.
-Un insalata, tu?- disse Nate a dir poco scioccato.
-Hai la febbre, per caso?-
-Ma va, sarete voi ad avere la febbre! Come potrei mai prendere un’insalata!? È per un tizio che è insieme a me-
-Chi è?- si incuriosì Rachel, mentre riempiva il bicchiere di cola.
-Si chiama Eustache-
-Che nome da snob- commentò Nate.
-Esattamente come colui che lo porta, e non potevo chiedere di meglio...- sorrise ambigua Jade.
I due si voltarono di scatto in contemporanea.
-No...-
-Vuoi dire che...- iniziò Nate
-...ne hai trovato uno!- completò Rachel.
-Proprio così- annuì soddisfatta la ragazza.
-Quindi è...-
-...saccente...- 
-...irritante...-
-...altezzoso...-
-...arrogante...-
-...e con la puzza sotto il naso?- conclusero in coro.
Jade ghignò –Affermativo-
-Quindi sei a cavallo!- sorrise  la ragazza –A questo punto ti manca poco a completare il fascicolo-
-Direi di sì, questo era in assoluto il passaggio più difficile, ma adesso ho risolto il problema-
-Come lo hai convito?-
-Semplice, gli ho fregato il portafoglio e ho minacciato di darlo in carità-
-Sempre carina ed educata, eh? Dimentichi però che devi fornire anche una prova-
Jade fece un gesto di noncuranza con la mano –A quello penserò dopo...Allora è pronto il cibo? Sto crepando di fame!-
Nate posò entrambe le ordinazioni sui vassoi –Ecco qua, come richiesto. Però non abbiamo la bottiglietta di vetro, desolato-
-Pazienza, se la farà andar bene anche così-
Prese i due vassoi e ritornò da Eustache, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che auto elogiarsi per l’immenso coraggio che aveva dimostrato entrando lì e consolandosi al pensiero della lieta e raffinata cenetta che avrebbe consumato quella sera. Ma intanto aveva anche meditato vendetta. Nessuno lo poteva ricattare in quel modo e farlo passare per un pivello. Lui era Eustache De Bourgh, diamine! Non tollerava simili affronti.
Jade posò con malagrazia i vassoi sul tavolo, poi si sedette anche lei e sfasciò con trepidazione il suo panino, pronta ad ingurgitalo in un sol boccone.
Eustache picchiettò l’insalata più volte con la forchettina di plastica, con aria scettica, e non mancò di esprimere il suo disappunto riguardo la bottiglietta dell’acqua. Jade lo ignorò in entrambi i casi e iniziò a sbranare l’hamburger in tutta tranquillità. Salsa e condimento gocciolarono sulla carta del vassoio.
-Qui mancano lezioni di etichetta a non finire- scosse la testa il ragazzo, demoralizzato.
-Hai detto qualcoscia?- chiese Jade con la bocca piena.
-Niente- ribatté aspro, voltando il capo per non dover assistere a quello scempio.
La ragazza spazzolò l’hamburger e le patatine fritte in meno di cinque minuti, mentre l’altro non toccò cibo, ma bevve soltanto.
-Sono venuto fin qui, sotto ricatto, come hai voluto tu. Ma, se non erro, poco fa avevi accennato ad “affari”. Ebbene?- domandò Eustache inarcando un sopracciglio e piegando le labbra in una smorfia.
Jade armeggiò nello zainetto verde militare che utilizzava come borsa, prese una rivista e la aprì sulla seconda pagina, poi passò il giornale al ragazzo, che lo prese con riluttanza.
Stampato vi era un elenco infinito di attività da svolgere, circa cinquecento, con le prime quattrocento  contrassegnate da una X. Lesse alcune delle prime: “buttarsi da un’altalena mentre questa è in movimento, arrampicarsi su un albero con un paio di tacchi, andare in bici seduti al contrario, uscire in strada con un boa di piume...”, insomma, tutte cose assurdamente stupide, considerò Eustache. Nella pagina a fianco spiccava la foto di una bicicletta nuova di zecca, azzurra, ultimo modello, accessoriata ed equipaggiata al meglio.
-Che cosa estremamente interessante, una rivista piena di cose inutili. Ho sempre desiderato poterne leggere una- chiocciò, prima di rivolgerle uno sguardo tagliente come un rasoio –E questo che cosa mi dovrebbe significare?-
-Leggi l’ultimo punto, Signor per- me-solo-bottigliette-di-vetro- replicò Jade sbuffando.
Lui ubbidì e per poco non gli cascò la mascella tra le pagine quando lesse:
Passa del tempo con un ragazzo/a incredibilmente snob, indisponente, saccente e ricco/a. Conoscilo/a meglio”.
-E’ una sorta di gara. Devo svolgere tutte queste attività il più velocemente possibile. Il primo che finisce, vince la bicicletta- spiegò Jade –Il tizio irritante e saccente saresti tu...-
-Grazie, lo avevo capito-
-Per questo ho voluto che venissi a magiare con me- sorseggiò un po’ di cola, spiegare le faceva venire sete -Cascavi proprio a fagiolo!-
Eustache si sentiva a dir poco oltraggiato. Non solo era stato ricattato e costretto ad entrare lì dentro, ma era anche vittima di uno stupidissimo ed infantile giochetto per minorati mentali. E ora quella O’Connor voleva che da vittima diventasse un complice. Se lo poteva scordare.
-Se volgiamo essere precisi, un affare prevede che anche l’altro ottenga dei giovamenti. Io, se per qualche assurdo motivo accettassi, quali otterrei?-
-Nessuno!-
-Prego?-
-Nessuno, tu mi aiuterai e basta. Perché rammenta, io ho il tuo portafoglio- e sfoggiò un enorme e falsissimo sorriso.
Se Eustache non fosse stato una persona nettamente superiore e dall’invidiabile autocontrollo, probabilmente avrebbe rovesciato il tavolo. Anzi, tutti i tavoli.
Ma l’unica cosa che fece fu quella di schiarirsi la voce. Per la seconda volta era stato fregato. Si maledisse per essersi fatto soffiare così facilmente il portafoglio. Lui era sempre stato un tipo incredibilmente attento, ma quella mattina aveva abbassato stupidamente la guardia, ed ora ecco il risultato. Da quel momento in poi avrebbe stretto i denti e non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione per dire qualcosa di cattivo, ovviamente con stile, o per sfoggiare la sua intelligenza e superiorità; nel frattempo avrebbe pensato ad una vendetta Made in Eustache. La O’Connor si sarebbe pentita amaramente di aver fatto la furba con lui. Con in mente questi buoni propositi, accettò.
Jade sorrise e gli diede una fortissima pacca, alla quale il ragazzo non riuscì a sfuggire, e si riprese la rivista.
-Da dove incominciamo, quindi?- domandò Eustache con entusiasmo pari a zero.
Jade ci rifletté su qualche istante, poi rispose -Direi dalle “10 domande”-
-Tsk, ti prego. Che cosa patetica-
-Però è utile allo scopo, Mister Pinguino. Tu mi fai una domanda ed io la faccio a te, veloce ed efficace-
-E sia, però avremo diritto ad un passo-
Jade scrollò le spalle ed acconsentì. Eustache iniziò per primo.
-Parlami della tua famiglia- chiese con palese disinteresse.
-Allora, la mia famiglia è composta da mio padre, che si chiama Ben, da mia madre Sarah, e dai  miei cinque fratelli, due maschi e  tre femmine: Anne, Trixie, Marion, David e Alex-
-Perciò in totale siete in sei. Che insopportabile baraonda, io non potrei mi vivere  così, rabbrividisco al solo pensiero-
-Oh io no, al contrario! È molto divertente invece, non ci si annoia mai, specialmente a giocare brutti tiri a Trixie- sogghignò, ripensando alle marachelle combinate a sua sorella- Bene, ora ti giro la domanda-
-Sono figlio unico, mia madre si chiama Elisabeth e mio padre Harold. Prossima domanda-
Jade ragionò qualche istante -Perché fai L’uomo delle Liste alla scuola di Poesia?- volle sapere -Da quel che ho capito non hai alcun bisogno di extra, i soldi non ti mancano-
-Innanzitutto non sono “L’Uomo delle Liste- replicò egli indignato –Mi occupo delle iscrizioni, controllo che gli archivi siano ben ordinati, che i pagamenti vengano effettuati correttamente e sono il supervisore e coordinatore ufficiale degli eventi organizzati nella scuola. Come hai detto tu non ho bisogno di soldi, lo faccio esclusivamente per mio diletto. Quel luogo è l’emblema della  perfezione, peccato solo che possa essere frequentata da chiunque, anche dai dilettanti-
-Beh, se in una scuola andassero solo persone già talentuose, allora non si tratterebbe più di una scuola. Le scuole sono fatte per insegnare- ribatté Jade con ovvietà.
Eustache tremò di rabbia, non sapendo per la prima volta come rispondere. Doveva subito riuscire a controbattere, altrimenti  sarebbe sembrata quasi lei, quella intelligente.
-A mio non modesto parere una scuola raffinata come quella dovrebbe fornire solo un potenziamento. Ora...- le sue iridi verdi scintillarono maligne -...descrivimi la tua casa-
Jade non fu per niente stupita di quella domanda, poiché sapeva che Eustache non aspettava altro che trovare l’occasione adatta per vantarsi della sua egregia situazione economica, e metterla così in imbarazzo. Peccato che cascasse male, poiché Jade amava il suo piccolo appartamento di periferia e non sentiva la mancanza del lusso, né invidiava chi poteva permetterselo.
-Vivo in periferia, in un appartamento al quinto piano. In totale ci sono sei stanze: un bagno, un  salottino, la cucina, la camera dei miei genitori, quella dei miei fratelli e la mia, che condivido con le mie sorelle. Ho anche un terrazzo, un poggiolo, per essere precisi-
-Capisco- rispose l’altro piccato, deluso che l’intento di umiliarla non avesse avuto l’effetto sperato.
-Sei fidanzato?- 
-Non sono affari che ti riguardino. Passo- replicò aspramente, incredulo per così tanta insolenza. 
-Vuol dire no- rise beffarda.
-Te lo ripeto, non ti riguarda. E invece, non che la cosa mi desti particolare interesse,  tu lo sei?- chiese, anche se dubitava che qualcuno potesse legarsi ad una persona così, forse solo un rozzo come lei.
-No, non lo sono- rispose tranquillamente –Il tuo colore preferito?-
-Il verde smeraldo-
-Il mio è l’arancione!  Spiegami come dovrebbe essere la tua ragazza ideale-
Un’altra domanda, a detta di Eustache, sfrontata. Stava iniziando davvero a spazientirsi.
-Una ragazza per essere perfetta dovrebbe essere raffinata, elegante, vestita come si deve, con un ottimo gusto estetistico, brillante, colta, in grado di distinguersi dalla masse  e benestante-
-Però, una cosuccia da niente. Abbiamo poche pretese qui-
-Sei pregata di risparmiarti commenti non richiesti. Piuttosto, parlami del lavoro dei tuoi genitori- disse, un altro lampo malizioso gli attraversò gli occhi.
-Mio padre lavora in una azienda tessile, mentre mia madre fa la commessa in un negozio di scarpe-
-In quale negozio?-
-Da Faithfull- 
-E che posto sarebbe?-
-In Corso Santoro, è un negozio abbastanza grande, vende scarpe di sottomarca- disse la ragazza, particolarmente orgogliosa.
-Questo spiega perché non ne abbia mai sentito parlare- sfoggiò un sorrisetto.
-Un vero peccato, ne rimarresti affascinato!-
-Non ne dubito. Domanda- 
-Okay, hai mai fatto sesso?-
Il ragazzo rimase per un attimo in silenzio, con la speranza di aver capito male.
-Come, prego?-
-Oh andiamo, hai sentito benissimo. Hai mai fatto sesso?-
-Mi rifiuto di rispondere-
-Non puoi, hai usato il “passo”, ricordi?- lo canzonò la ragazza.
-Questa è una domanda troppo personale, non possiedi un minimo di discrezione- replicò indignato, guardandola con disprezzo.
-Desolata, ma io sono una villica rozza e non so cosa sia la discrezione. Ora, su, rispondi!-
Eustache  sospirò, seccato, e cercando di ritrovare il suo solito tono altezzoso rispose -Sì, si l’ho fatto-
-Davvero?-
-La cosa ti sconvolge?-
-Sul serio hai trovato una con tutte le qualità che hai elencato prima?-
-Spiacente, ma non è il tuo turno di fare le domande. Basta così- dichiarò lapidario.
-Come, non mi rigiri la domanda?-
-No, non ne voglio sapere assolutamente nulla- cercò di reprimere un brivido -Senza contare che di tempo insieme a te ne abbia passato fin troppo. Perciò, di grazia, il mio portafoglio-
Jade, non potendo permettersi di lasciarlo andare dal momento che mancava ancora la prova, si rifiutò.
-Eccellente, allora. Puoi tenertelo,  significa che me ne comprerò un altro, visto che a me i soldi non mancano. Non passerò un solo minuto in più qui, il mio inconscio me lo impedisce. Con permesso-
Si alzò e si diresse all’uscita. Jade, vedendosi sfuggire la sua gallinella dalle uova d’oro, si mise febbrilmente a pensare per trovare una soluzione, ma non le venne in mente nulla di efficace.
Così, afferrò il suo zainetto e uscì.

Eustache non era andato poi molto lontano. Si trovava proprio di fianco all’entrata del Fast Food, sotto il  balcone di un appartamento, per ripararsi dalla pioggia che aveva iniziato a cadere incessante, scrosciando e rumoreggiando. Un tuono rombò e un fulmine attraversò il cielo. Le persone si erano subito munite di ombrello, mentre quelle che non lo avevano, come Eustache, correvano all’impazzata cercando di ripararsi con qualcosa, ma senza grandi risultati.
L’umore del ragazzo era più grigio delle nuvole che addensavano il cielo. Quella doveva essere proprio la sua giornata sfortunata.
-Sta piovendo- considerò una voce di fianco a lui.
-Che deduzione, sono impressionato-
-Divertente, Eustace. Ora che facciamo?- sbottò Jade.
-Per quanto mi riguarda, cercherò un modo per raggiungere incontaminato casa mia, dal momento che, fortunatamente, non dista molto da qui. Mentre tu...- la guardò dall’alto in basso –Non ne idea, e non mi interessa minimamente. Puoi benissimo ritornare a casa senza problemi, tu non hai dei vestiti pregiati da dover salvaguardare, al contrario di me-
Jade lo sapeva benissimo da sola che la sua felpa e i suoi pantaloni multi task non fossero preziosi, non era quello il problema. Fosse stata un’altra occasione non avrebbe esitato a fare una lunga (il suo appartamento distava molto da lì) passeggiata sotto la pioggia, la trovava una cosa molto divertente e piacevole. L’unico  inconveniente stava nel fatto che da lì a poco ci sarebbe stato il matrimonio di sua zia Charlotte e sua madre le aveva raccomandato centinaia di volte di evitare di ammalarsi, e una camminata sotto la pioggia incessante non sarebbe stato proprio un toccasana. Jade non sopportava i matrimoni, ma a quello di sua zia era costretta a parteciparvi. In piena salute. 
-Grande!- schioccò le dita –Mi è venuta un’idea-
-Rimarrò sicuramente affascinato nel sentirla- 
-Basterà cercare di bagnarsi il meno possibile,  passando sotto i teloni dei negozi o i balconi, fino a quando non avremo raggiunto casa tua-
-Codesto plurale da dove giunge?-
Jade scoppiò in una grossa risata, provocando l’irritazione di Eustache.
 -Come diavolo parli? Sembri uscito dall’800! Comunque, come dici tu, codesto plurale giunge dal fatto che verrò a casa tua- spiegò. L’altro fece immediatamente per ribattere, ma lei lo bloccò sul nascere –Per prendere un ombrello. Andiamo, almeno un ombrello me lo concederai . Dopodiché, arrivederci. Sparirò in un batti baleno-
Eustache ci meditò sopra qualche istante e alla fine acconsentì. Pur di togliersela di torno per sempre avrebbe fatto qualsiasi cosa, nonostante  l’idea di avercela in casa anche solo per mezzo secondo lo agghiacciasse abbastanza.
Jade esultò intimamente. Avrebbe approfittato di quell’arco di tempo per fare una foto alla casa, di sicuro sarebbe bastata come prova.
-Andiamo, allora?-
-Sì, ma ad una condizione: devi prestarmi il tuo zainetto dal colore indefinito, lo userò per riparami-
Jade praticamente glielo lanciò contro.
Agirono come la ragazza aveva proposto. Eustache si sentì altamente ridicolo a camminare in quel modo, con uno stupido zainetto in testa, e sperò di non incontrare qualcuno di importante nel tragitto.
Infine riuscirono ad arrivare nei pressi di casa De Bourgh. Il ragazzo era praticamente rimasto indenne; un po’ meno Jade, alla quale, senza lo zaino con cui ripararsi, si erano bagnati i capelli e la felpa.
Eustache suonò il campanello e ad aprire venne una signora piuttosto bassa e in carne, la cameriera, che non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, poiché i due ragazzi si fiondarono subito dentro. Eustache le porse la sua giacca e le ordinò di portargli immediatamente un ombrello.
Jade, non appena aveva messo piede in quella casa, aveva perso la parola, troppo occupata a studiare l’arredamento. L’atrio, illuminato da un gigantesco lampadario lavorato, era all’incirca grande quanto tre stanze della sua casa messe insieme. Sulla sinistra si trovavano le scale, in marmo bianco, che portavano ai piani superiori. In fondo all’atrio si riusciva già ad intravedere la sala e il caminetto, in cui scoppiettava allegro un fuocherello.  Il pavimento era più limpido e splendente di uno specchio e nell’aria aleggiava una piacevole essenza di orchidea, proveniente da un mazzo di orchidee poste in un vaso di cristallo appoggiato sopra un elegante comò.
Eustache, già con in mano un ombrello, rimase in disparte e le concesse di dare una rapida occhiata, più orgoglioso che mai. Poi, convinto che avesse ficcanasato abbastanza, richiamò l’attenzione su di sé –Mi sono procurato un ombrello, adesso puoi togliere il disturbo -
-Aspetta un attimo, lasciami  guardare ancora un po’!- protestò -Cazzo, che roba!- fece un breve giro su sé stessa per avere la visione completa dell’atrio, poi prese a farsi strada.
-Dove credi di andare?-
-Te l’ho detto, curioso solo un po’-
-Assolutamente no. Fermati! Guarda come mi stai riducendo il pavimento!-
Jade spostò lo sguardo verso il basso,  notando qualche macchia di fango sul pregiatissimo marmo. Si tolse le scarpe, senza troppi convenevoli le abbandonò lì ed, esaltata, riprese la sua esplorazione.
Eustache, tratto un lungo respiro, con sommo orrore  raccolse le scarpe di lei tenendole per le stringhe e le adagiò in un angolo.
Nel mentre Jade, che si trovava nella sala, aveva approfittato per fare qualche foto qua e là con il cellulare.
-Senti, ti dispiace se rimango un po’ qui?- chiese, quando Eustache la raggiunse.
-Non se ne parla -
-Dai, che ti costa? Solo in tempo di asciugarmi un po’, sono fradicia-
-Nel caso non te ne fossi accorta, questa è una casa, non un albergo-
-Sul serio? Dalla grandezza a me sembra il contrario. È davvero lussuosa -
-Trovi? Anch’io sono della stessa opinione- si compiacque  Eustache, gonfiando il petto.
-Oh sì, una vera meraviglia!- si affrettò ad aggiungere. Comprendendo il punto debole dell’altro, decise di sfruttarlo a proprio favore.
-Veramente, non ho mai visto nulla di paragonabile!-disse affascinata, poi fluttuò fino al caminetto ed indicò una fotografica posta sopra alla mensola -Questa deve essere tua madre! È una bellissima donna-
-Molte persone sono d’accordo con te, non per niente ha vinto numerosi concorsi di bellezza- fu lieto di specificare Eustache.
-Beh, vorrei ben vedere, sembra una dea!-
Forse pronunciò quelle parole con troppa enfasi, perché lo sguardo di Eustache divenne immediatamente torvo.
-Credi che le lusinghe ti faranno restare qui?-
-Ops, beccata-alzò le mani in segno di resa –Non ti si può nascondere niente-
-Sono un tipo astuto, io. Senza contare che il tuo improvviso temperamento educato fosse abbastanza sospetto-
-Questo è vero, forse ho un po’ esagerato. Però...- spostò nuovamente lo sguardo sulla fotografia -Quello che ho detto su tua madre lo penso davvero-
Eustache rimase sinceramente sorpreso, e per un breve istante non seppe che cosa rispondere. Si schiarì la voce.
-Ovvio che lo pensi davvero, solo un cieco potrebbe non riconoscere la sua naturale bellezza- 
-Dov’è lei adesso? E tuo padre?- volle sapere la ragazza, ignorando la provocazione.
-In viaggio per lavoro, da due settimane-
-Vuoi dire che sei da solo?-
-Non da solo, ho la cameriera che provvede ad esaudire tutte le mie richieste- tacque un secondo, poi fece un smorfia -So a cosa stai pensando. Credi che soffra per la mancanza dei miei genitori, come in quei ridicoli film che trattano di questi argomenti, ma è bene che tu sappia della mia incommensurabile felicità. Sono abituato alla loro assenza, senza contare che è considerato normale nelle famiglie ricche come la mia non avere particolari rapporti o interazioni con i propri membri famigliari, e non potrei chiedere di meglio. In questo modo sono totalmente indipendente-
-Hai frainteso, Eustace. A dire il vero non ci ho pensato nemmeno per un istante! Non mi interessa giudicare il tuo modo di vivere, mi limito solo a dirti che sei un pinguino, tutto qui. Queste cavolate psicologiche non fanno per me! Tu sei contento della tua situazione ed io della mia, in mezzo al casino e ad un appartamento piccolo. Per cui, puoi anche piantarla di tirarmi frecciatine sui soldi, perché non me ne importa un fico secco- sorrise sorniona.
Lui la guardò con sufficienza -Io non tiro nessuna frecciatina, specifico solo l’enorme differenza che esiste tra le persone come me e le persone come te e... Che stai facendo?-
-Mi asciugo, no?- rispose lei,  strizzandosi la coda  davanti al caminetto. Si sfilò la felpa e la distese per terra di fronte al fuoco, rimanendo con una maglietta arancione.
Ricominciò l’esplorazione della sala, sotto l’occhio vigile di Eustache.
-Ascolti la musica?- chiese Jade, adocchiando una pila di dischi.
-No, possiedo i cd per motivi puramente ornamentali-
Jade premette il pulsante d’avvio dello stereo e fece partire una canzone a caso. Le note di “Sway” di Dean Martin avvolsero la stanza.
Si voltò verso Eustache -Mi concedete questo ballo?-
Egli inarcò un sopracciglio -Tu sai ballare?-
-Ti sembrerà strano, ma mia madre mi ha fatto frequentare danza per ben cinque anni, poi mi sono ribellata. Sono arrugginita, ma qualche passo lo ricordo-
-Per quanto sia un’occasione imperdibile, rifiuto il tuo invito-
Jade fece spallucce, avrebbe ballato da sola, senza contare che così si sarebbe asciugata in men che non si dica.  Nonostante ascoltasse musica di genere ben diverso, quella canzone l’aveva sempre amata, per cui fu semplice per lei lasciarsi  trasportare dalla melodia, farsi avvolgere dal calore che emanava il fuoco del caminetto.
Eustache la osservava ballare con biasimo, ma il suo occhio critico non poté però fare a meno di notare che la ragazza si muovesse bene.  La sua espressione altezzosa vacillò appena, e quando la vide avvicinarsi a lui a ritmo di musica, muovendosi sinuosamente, illuminata dalla luce del fuoco, il cuore gli balzò dolorosamente nel petto, ostruendogli la gola, troncandogli il respiro. Ne rimase sconvolto. Non era abituato a provare simili emozioni, non senza preavviso, e non poteva credere che la causa di tutto fosse stata Jade, quella Jade. D’istinto indietreggiò. All’improvviso si sentiva terribilmente vulnerabile.
-Ti ho già detto che non ho intenzione di ballare- affermò con forza, cercando di riprendere rapidamente il controllo della situazione.
Ma lei lo ignorò e lo prese per i polsi, trascinandolo verso di sé.
-Ti avverto, non sto scherzando- 
-Oh andiamo, anche se sei un incapace a ballare, non significa che questo sia un buon motivo per rimanere in panchina!-
-Come?- come riscosso, Eustache le avvolse un braccio intorno alla vita, cogliendola alla sprovvista, e la trasse a sé -Si da il caso che io sappia ballare benissimo, perciò non ti permetto di fare simili insinuazioni!-
-Allora dimostramelo!-
 Jade gli posò una mano sul petto per allontanarlo un po’ e  così facendo percepì il battito accelerato del suo cuore. Aggrottò le sopracciglia, ma non ebbe il tempo di pensare alcun che, perché Eustache, resosi conto della situazione in cui si trovavano, le strattonò via la mano e la allontanò da sé.
-Non ho bisogno di dimostrartelo. È sufficiente che lo sappia io- rispose, la voce stranamente roca.
-Io continuo a pensare che tu abbia la coda di paglia!- sorrise sardonica. Spense lo stereo e si infilò la felpa asciutta -Comunque sia, si è fatto tardi, meglio che torni a casa-
-Sia ringraziato il cielo - disse, anche se, nella parte più profonda e inconscia di lui, stranamente l’idea di ritornare  nuovamente  in solitudine non lo allettava più come prima.
Jade si riprese le sue scarpe e si fece dare l’ombrello. Eustache le aprì la porta e un’aria frizzantina che odorava di pioggia li investì entrambi.
Lei lo salutò con una portentosa pacca.
-Beh, grazie per l’ombrello e per avermi aiutato col fascicolo-
Gli restituì il portafoglio e Eustache lo riprese con immensa felicità, accarezzandolo come se si fosse trattato di un cucciolo.
-Bene, tolgo disturbo. Come promesso non sentirai più parlare di me, quindi addio e tante belle cose- disse la ragazza, sbrigativa e rude come sempre quando si trattava di salutare.
Senza aspettare risposta gli voltò le spalle e si incamminò sotto la pioggia
Eustache, diritto e statuario, rimase per un attimo sulla soglia, in silenzio, poi la chiamò.
-O’Connor-
Lei si voltò.
-Quell’ombrello è un regalo da parte di mia zia di secondo grado.  È firmato, di conseguenza lo rivorrei indietro. Perciò, per mia immensa sfortuna,  questo non è ancora un addio, dal momento che me lo dovrai riportare, integro possibilmente. Dopo sarei ben felice se tu sparissi per sempre dalla mia vista però...prima l’ombrello-
Un sorriso enigmatico increspò le labbra di Jade, che disse -D’accordo, lo riavrai indietro- si voltò e riprese a camminare -Ma non aspettartelo troppo presto, sono una persona piena di impegni, io, e ho ancora un fascicolo di azioni estreme da completare-
Se ne andò così, sparendo in mezzo alla pioggia, e con lei, sparì anche la possibilità per Eustache di avere l’ultima parola.
Il ragazzo richiuse elegantemente la porta, mentre i suoi occhi verdi scintillarono di una strana luce. La O’Connor forse aveva vinto una battaglia quel giorno, ma non la guerra. Alla prossima occasione avrebbe vinto lui. La sua vendetta Made in Eustache doveva ancora compiersi.
Rapida e improvvisa come una saetta,  l’immagine della mano di Jade sul suo petto gli attraversò  la mente, bloccandolo per un istante. Ma quel ricordo venne sepolto quasi subito da innumerevoli strati di altezzosità e presunzione, ed ora,  nascosto nel profondo, ma non cancellato. 
Si schiarì la voce e chiamò rapidamente la cameriera. Quel pavimento andava assolutamente lucidato.

 
 


*Note dell’Autrice*

E così, siamo giunti  ufficialmente alla parola fine. Sinceramente, credevo che non ci sarei mai arrivata! Sono contenta, davvero contenta,  per aver concluso la mia prima storia ^^ allo stesso tempo, però, mi sento anche invasa dalla malinconia, perché, insomma...è davvero finita! Sarà dura per me separarmi da questi personaggi, mi ci sono affezionata tantissimo. Però, può darsi che in futuro possa anche decidere di fare un seguito, chi lo sa? ;)
Ma ora veniamo ai ringraziamenti  *si schiarisce la voce e tira fuori la  pergamena* 

Ringrazio i lettori silenziosi, per aver dato anche solo uno sguardo alla mia storia; ringrazio tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite/seguite, ringrazio Portuguese D Danis x Ace e Libro_Dipendente per aver recensito ^^
Ma soprattutto il mio ringraziamento più grande va a
Red Wind, che ha seguito e recensito la storia fin dal primo capitolo, sclerando, fangirlando, commentando e aiutandomi a migliorare <3  :’) ! Grazie a tutti di cuore!


P.s Se tutto va secondo i mie piani, tra un po’ di tempo dovrei pubblicare un fantasy, perciò, se per caso vi interessasse, mi piacerebbe se ci deste poi un’occhiatina ;D

Detto questo, mi dileguo, sperando che anche quest’ultimo capitolo sia stato di vostro gradimento!

A presto!

The_Grace_of_Undomiel

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