Urgencia de ti.

di TeenAngelita_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Urgencia de ti - 1 ***
Capitolo 2: *** Urgencia de ti - 2 ***
Capitolo 3: *** Urgencia de ti - 3 ***
Capitolo 4: *** Urgencia de ti - 4 ***
Capitolo 5: *** Urgencia de ti - 5 ***
Capitolo 6: *** Urgencia de ti - 6 ***



Capitolo 1
*** Urgencia de ti - 1 ***


Spazio Autrice:
Very very very well. Come promesso, eccomi tornata con uno dei miei "esperimenti" (o "scleri di fantasia") su questi due spappolatori di feels (specialmente i miei) che, sinceramente, io sto iniziando ad amare sempre di più. Stavolta purtroppo (e dico purtroppo perchè so che vi sto già annoiando, e vi chiedo immensamente scusa) ho optato per mettere lo spazio autrice all'inizio di questo mio... uhm, come dire, prologo, introduzione o come preferite chiamarlo, per spiegare alcuni particolari di quest'ultimo. E da qualche mese che ho iniziato a seguire Il Segreto sul canale spagnolo online (vedendo quindi le puntante in diretta).
Come sicuramente saprete, in Spagna sono già alla puntata 1004/1005, dunque mooolto più lontani di noi. Esattamente nella puntata 1000, andata in onda in Spagna il 2 Febbraio, c'è stata una meravigliosa scena tra questi due (che non voglio rivelarvi nel caso non l'aveste vista, non voglio assolutamente rovinarvi la sorpresa) da cui parte questo mio racconto (che più precisamente descrive alcuni momenti tra loro due delle puntate 1000/1002/1003). Vi dico questo poichè, come vi dicevo prima, trattandosi di Spoiler, nel caso non ne foste assolutamente a conoscenza o non l'aveste vista, non voglio rovinarvi la sorpresa.
In caso contrario, spero possa incuriosirvi la mia versione/continuazione di queste scene tra loro. Inoltre, sono presenti anche personaggi nuovi (ovviamente) come il giovane Bosco, o la simpatica cameriera Fe.  Eh niente, un ultima spiegazione va al mio tentativo e alla mia insistenza nel voler trascrivere l'esatto scambio di battute tra i due nella puntata spagnola, anche se mi sono resa conto che le frasi suonavano meravigliosamente meglio dette in spagnolo che in italiano (in caso di errori, perdonatemi, studio spagnolo da soli due anni e sto ancora imparando). Bene, dopo avervi già stancato ed obbligato a chiudere letteralmente il computer, vi ringrazio solo per la vostra attenzione ed infinita pazienza e spero che il piccolo inizio di questo mio nuovo racconto possa incuriosirvi e piacervi. 
Come sempre, attendo vostre opinioni o consigli, sono importantissimi per me. 
Buonissima lettura.
TeenAngelita_92



 
Urgencia de ti.
 
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“Cosa ti porta da me? Vieni a vendicarti? Vieni a rimproverarmi che tua nipote sia libera ora, e che io non sia un’assassina?
Cos’è che vuoi da me? Rispondi.”
“Tutto”
“Di cosa stai parlando?”
“La mia esistenza è stata una sofferenza da quando ho commesso l’errore più grande della mia vita: separarmi da te.”


Continuavano. Quelle sue sussurrate e delicate parole continuavano, insistenti e forti, a risuonare nella sua testa. Un eco, pareva un eco ora la sua voce dolce e calda, un eco continuo non abbastanza lontano a cui forse non avrebbe mai più potuto mettere fine.
Erano parole d’amore quelle con cui Raimundo le aveva fatto visita qualche mese prima, parole d’amore che da quel momento non era più riuscita a togliersi dalla testa. Tuttavia, per quanto avesse voluto, non erano state solo quelle sue parole, quella sua voce e quei suoi occhi a non volerla più lasciare in pace, a non voler più abbandonare i suoi pensieri, ma anche quelle sue braccia che con forza e disperato bisogno di lei l’avevano stretta al suo corpo, quelle mani che con il loro cosi delicato tocco le avevano sfiorato più volte il viso, quasi come a volerle imprimere per sempre nella sua pelle e poi… Strinse gli occhi in una smorfia definibile di dolore al solo ricordo: e poi c’erano le sue labbra, quelle sue labbra, ricordò.

“Non sono una buona persona, Raimundo.”
“Lo so.”
“Per quanto io possa amarti, ti farei del male.”
“Lo so.”


Lei ci aveva provato, avevo provato ad avvertirlo di ciò che per anni era stata, ma Raimundo non aveva bisogno di avvertimenti, lui non aveva bisogno di conoscere altro della donna che per tanti, troppi anni aveva desiderato senza tregua.
Ma forse non erano per lui quei suoi avvertimenti, non erano per lui ma per se stessa. Semplicemente vani tentativi di non cadere nella trappola che l’aveva resa cosi fredda e orgogliosa, cosi forte e cattiva contro il destino che sembrava essersi accanito a lei. Vani tentativi di non cadere ancora nella trappola dell’amore che più di una volta l’aveva resa schiava delle lacrime e della solitudine, schiava di troppe emozioni contrastanti che credeva di non dover sentire, che credeva non essere adatte ad una Montenegro. 
Non ci fu bisogno di richiamarli alla mente quei ricordi per poter affermare con certezza quali erano state le sue precise parole. Non ci fu bisogno di chiudere gli occhi, stringerli forte e andare alla ricerca dei più piccoli ma più importanti dettagli di quel loro incontro, perché quest’ultimo era sempre stato li, conservato dentro di lei come la cosa più preziosa che la vita avesse mai potuto darle. Era stato li per interi mesi, salato fuori di tanto in tanto nei suoi momenti di solitudine e di malinconia, accompagnati da lacrime amare.
Suo malgrado ne aveva bisogno, lei aveva bisogno di ricordare il sapore delle sue labbra, la soave forma della sua bocca.

“Allora… Perché?”
“Perché la mia pelle ed il mio sangue, la mia testa ed i miei sogni non fanno altro che desiderarti.”
“Questa è una pazzia.”
“Sia cosi…”


Fu l’ultima cosa che le disse, le ultime parole che la sua bocca tremante riuscì a pronunciare prima che il respiro diventasse tremendamente corto e che le sue labbra chiedessero disperatamente di lei.
E le accontentò, accontento le sue labbra e quel suo disperato bisogno di tornare a sentire che sapore aveva la sua bocca che da troppo tempo ormai non aveva più sfiorato, quasi temendo di averne dimenticato la sensazione.
Se ne impadronì come convinto e sicuro che fosse sua, che fosse sempre stata sua. Le sue mani vagarono desiderose di tornare ad accarezzare la sua bianca e delicata pelle che per sua fortuna, il vestito che indossava lasciava intravedere perfettamente. Sfiorò cauto il suo collo, timoroso di un suo rifiuto, ancora ignaro del fatto che ormai, tra le sue forti braccia e le sue soffici labbra, Francisca non avrebbe più avuto via d’uscita, né ne avrebbe più voluto una.
Un brivido percorse la sua schiena in modo terribilmente lento quando l’illusione di poter ancora sentire le sue labbra premere sulla sua pelle e le sue mani accarezzarla, si impadronì dei suoi pensieri.
Avrebbe dato tutto pur di rivivere quell’istante, avrebbe dato la sua stessa vita se solo prima di morire, lui l’avesse baciata un ultima volta in quel modo, con quello stesso desiderio e quella stessa passione.

“Che ti succede?”
“Questo è un errore, Francisca.”
“Lo è, però è successo. Hai deciso di abbandonarti alla pazzia, approfittiamo di essa.”
“Se fosse per me ti seguirei fino all’inferno per godere del tuo abbraccio, ma…
Maledetta memoria.”


Era bastato un solo attimo, un solo maledetto attimo per far si che i suoi leggeri gemiti si fermassero, per far si che le mani di lui le stringessero il viso per allontanarla, per far si che le sue labbra rosse e gonfie riprendessero a parlare come pochi attimi prima, mentre gli occhi suoi la guardavano come a scusarsi, come a non volerle fare troppo male.
“E’ un errore.” le aveva detto. “Maledetta memoria…” aveva continuato ed in quell’istante le parve di non poter più sentire la terra sotto i suoi piedi, ne il cuore batterle nel petto.
Tutto, per un istante, quell’istante, si era fermato.
Memoria? Cos’era la memoria ora, dopo tutti quegli anni? Quanta forza aveva per impedirgli ancora di essere felici?
Ricordò che altro non aveva saputo fare che sorridere alle sue parole, un triste e disperato sorriso le si disegnò sul volto mentre con mani tremanti gli accarezzò più volte la fronte e la folta barba, guardandolo come chissà quale angelo fosse.
Provò a riavvicinarlo a se come per convincerlo a non andarsene ancora, a non lasciarla ancora ma questo a nulla servì.

“Dimentica che sono stato qui. Dimenticati di me, Francisca.”

La velocità e l’intensità di quelle parole le si piantarono dritte nel petto, ancora, provocandole un dolore paragonabile a quello di cento pugnali.
Dimenticarsi di lui? Dimenticare?
Come? Come dimenticare lui? Come dimenticare le sue mani, le sue braccia sicure, il suo calore, i suoi occhi scuri, la sua voce calma e rassicurante?
Era come chiederle di rinunciare al paradiso dopo esserci stata per troppo tempo.
Paura? Si era chiesta più volte. Era forse stata paura la sua? Quella che l’aveva convinto ad allontanarsi, a porre ancora una volta tra di loro, quella immaginaria barriera cosi forte e indistruttibile che per anni li aveva divisi. Era stato questo?
E aveva provato a darsi la colpa, aveva provato a pensare che forse aveva sbagliato qualcosa, che non avrebbe dovuto lasciarsi andare. Aveva provato a cercare milioni di inutili e ripetitive spiegazioni per poter giustificare quel suo comportamento, ma nessuna sembrava credibile abbastanza da permetterle di rassegnarsi, di mettersi l’anima in pace e forse mai nessuna ce ne sarebbe stata in grado di farlo.

“Dimenticarmi di te?
Neanche se vivessi mille anni.”


Ricordò di aver pensato, poi più niente, buio.
Chiuse gli occhi e si strinse il più forte possibile in un disperato abbraccio, ma questo non servì a sollevarla dalla terribile pena che provò, non potevano le sue stesse braccia salvarla da tutto questo, non erano le sue stesse braccia che voleva intorno a se, ma quelle di Raimundo, quelle che ora le avevano ormai lasciato un vuoto che forse nessun’altro avrebbe più potuto colmare.
“Signora.”
La forte voce di Bosco la fece sobbalzare, interrompendo il veloce e continuo flusso di pensieri che ormai da ore l’accompagnava, insieme alla pioggia che fuori dalla finestra del suo ufficio continuava insistente a battere conto i suoi vetri.
Quel rumore e quelle gocce d’acqua sembravano essere state il suo unico sollievo.
“Come vi sentite oggi?”
“Meravigliosamente, figliolo.” finse, mostrando uno dei sorrisi più grandi che potesse mai riuscire a fare.
“Perdonatemi se insisto ma, ne siete sicura?”
“Certo che si Bosco, cos’è tutta questa improvvisa preoccupazione?”
“Non avete cenato con noi stasera, ed io e mia moglie Amalia ci siamo preoccupati. Inoltre Fe mi ha riferito che avete passato qui, chiusa nel vostro ufficio, quasi tutto il giorno e che ha percepito che voi non steste bene.” le spiegò, realmente preoccupato il giovane. “E poi sapete com’è fatta, ha iniziato a parlare talmente veloce che ho dovuto fermala per riuscire a capire qualcosa.”
“Fe…” rise tra se e se, con aria rassegata. “Non capisco perché abbia dovuto raccontarti di come ho trascorso io la giornata quando in realtà è alla tua sposa ed al tuo bambino che dovresti pensare ora.” Affermò, lievemente irritata “Ancora mi chiedo quando mi deciderò a mandarla via.”
Seguirono secondi di puro silenzio dopo quelle sue ultime parole, secondi dei quali il giovane Bosco si servì per indagare ancora un po’ sul vero stato d’animo della donna che aveva davanti a se.
“Ma non è Fe il vero tormento dei vostri pensieri, signora. Mi sbaglio?” le chiese, ma sapeva già fin troppo bene qual’era la vera risposta alla sua domanda.
“Figliolo, va dalla tua sposa ed il tuo bambino, devi…”
“Signora, mio figlio dorme placidamente ora.” la interruppe “Ed anche la mia sposa e… Mi piacerebbe approfittare dell’unico momento di pace che questa lunga giornata mi ha regalato, per aiutarvi a liberarvi di questi vostri cosi numerosi pensieri.” le confessò sorridendo. Un’espressione sincera e tenera giaceva sul viso del giovane ragazzo, che davvero sembrava essere preoccupato e voglioso di aiutarla a risolvere qualunque cosa la inducesse a chiudersi in quel suo “rifugio”, a guardare fisso i vetri della sua finestra mentre veloci gocce di pioggia picchiettavano con forza su di esse, ad abbassare lo sguardo come se uno dei suoi tanti ricordi, passando, avesse lasciato ceneri e resti di qualcosa ormai morto o troppo doloroso per lei. Le dava quasi l’idea di suo figlio Tristan, quando ancora poteva davvero definirlo “figlio”, quando ancora lui poteva davvero definirla “madre”, quando lo preoccupava tutto ciò che le accadeva e la stringeva a se senza bisogno di parole o richieste.
“Non sono il tipo di persona a cui piace molto parlare, Bosco, soprattutto di se stessa. Non sarei in grado di spiegare cosa davvero ha completamente rapito la mia mente ultimamente, non sarei in grado in quanto io stessa non riesco a capirlo.” gli spiegò, sperando che quelle sue poche ma sincere parole fossero abbastanza per poterlo distogliere dall’idea di voler sapere il tormento dei suoi pensieri, abbastanza per indurlo a rassegnarsi.
“Raimundo Ulloa.” il giovane pronunciò quel nome, il suo nome, senza alcun preavviso, cosi velocemente da lasciarla spiazzata, completamente immobile, inerme, nell’impossibilità di muovere qualunque muscolo del suo corpo.
Restò ferma a fissarlo, ancora indecisa se annuire semplicemente ed arrendersi o mentire ancora, e tentare di continuare nel suo intento di voler dissuaderlo da quella sua idea. L’unica certezza era l’alquanto anormale battito del suo cuore, deciso improvvisamente ad uscirle dal petto ed il brivido che in pochi secondi si era fatto spazio sulla sua pelle.
“Rai… Raimundo?” abbassò lo sguardo e pronunciò il suo nome con fare interrogativo, cercando di apparire perlomeno sorpresa.
“Ho saputo che avete avuto uno spiacevole incontro con lui qualche giorno fa, in piazza, davanti alla sua locanda.” spiegò lui.
“Sai abbastanza dettagli per averlo saputo da fonti esterne. Non credi?” notò lei con una punta di fastidio e curiosità nelle parole.
“E voi non siete abbastanza brava nel mentire. Non credete?” le rispose deciso.
“Non sono abbastanza brava perché non ti sto mentendo, ma ciò che ti sto dicendo è la pura verità. Non so cosa centri ora quel locandiere e quanta importanza possa avere per…”
“Non lo avete dimenticato quando avreste dovuto, non lo avete dimenticato dopo ogni volta che con rancore ed odio avete deciso di farvi del male a vicenda… E non lo avete dimenticato quando vi ha detto di non volerne più sapere di voi.” la interruppe ancora, fermandosi solo dopo essersi accorto di aver attirato la sua completa attenzione.
“Ed allora mi chiedo: come potreste ora?” le chiese, infine.
E l’unica cosa che avrebbe voluto fare era urlare, lasciar cadere lacrime trattenute per troppo tempo ed urlare a quell'aria cosi malinconia e soffocante che ora respirava, che era esattamente questo il tormento dei suoi pensieri: dimenticarlo.
“Come potrei ora…” ripetè a se stessa sussurrando. “Sembra cosi difficile.” rise guardando il giovane ragazzo, stranito di quella sua reazione. “Sembra cosi difficile ma in realtà non lo è.” rise ancora. “Se solo io…”
“Signora…” la fermò quando si rese conto dei suoi occhi ormai velati da uno strato troppo spesso di lacrime, per non lasciarle cadere.
“Se solo io sapessi come, Bosco.” Sorrise stavolta, stringendo duramente le labbra e lasciando che la prima delle forse innumerevoli lacrime, cadesse senza impedirlo. “Se solo io sapessi come…” ripetè ancora.
Ma la realtà era ben diversa: seppure avesse saputo come fare, qualunque modo questo implicasse… Non avrebbe mai dimenticato l’uomo che per anni aveva continuato ad amare con la stessa intensità del primo giorno, l’uomo che purtroppo ancora amava.

 

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Capitolo 2
*** Urgencia de ti - 2 ***


Urgencia de ti.
 
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“Tanto ti disturba la mia presenza? Che al solo vedermi invece di restare e salutare, scappi?”
“Io non scappo da nessuno.”
“Cosi pare.”


Cosi iniziava, o almeno cosi sembrava iniziare, l’ennesimo dei loro litigi.
Ma no, forse non era uno dei tanti. L’incontro, quel loro incontro, quello che Bosco le aveva rammentato quella sera, non poteva essere una di quelle tante occasioni dove altro non usciva dalle loro labbra se non solo odio e rancore, incomprensioni ed errori. Dunque no, non lo era.
E tanto quanto Francisca, ormai costantemente assillata da quei poco lontani ricordi, anche Raimundo non era riuscito a zittire l’eco troppo forte ed insistente delle loro parole, delle cose che con rabbia e amarezza si erano detti,  lasciando che fosse l’orgoglio e la paura a parlare per loro, ferendosi a vicenda come avevano sempre fatto.
Erano passati giorni, settimane, addirittura mesi da quello strano quanto fatidico giorno nel quale aveva improvvisamente deciso di chiudere, serrare la porta che per tanto, forse troppo tempo, aveva lasciato aperta, quella dove tranquilla ma estremamente attenta giaceva la sua razionalità.
Aveva deciso di fare una “pazzia”, come tutti l’avrebbero sicuramente definita. Aveva deciso di andare da lei e saziare quel suo cosi grande bisogno di amore, di calore e di una semplice ma delicata e lenta carezza che solo le sue mani potevano dargli.
Pazzia? Si, forse lo era davvero, ma pazzo lo era lui, pazzo lo stava diventando a forza di pensare, ricordare, a forza di vederla di tanto in tanto, di sentir parlare di lei e di non poterla sfiorare, accarezzare o semplicemente abbracciare.
Pazzo lo rendeva quel maledetto e torturante pensiero di averla cosi vicino, eppure cosi lontano. Pazzo lo rendeva l’impossibilità di stringerla al suo corpo e poter ricominciare da capo, dimenticare tutto, completamente tutto.
E pazzo lo rendeva quella piccola goccia di vino che ormai da ore continuava a far volteggiare nel suo bicchiere vuoto.

“Mi piacerebbe sapere perché un giorno hai deciso presentarti alla Casona, con parole d’amore, di passione, con baci e… Dopo tutto questo, non hai fatto altro che evitarmi.”
“Non ti ho evitato in nessun modo, semplicemente ho continuato con la mia vita di sempre.”
“Menti!”


“Menti!” ricordò.
Francisca pronunciò quell’ultima parola con un tono di voce completamente differente dalle altre. Un tono di voce alto, duro, come quello di qualcuno che ha disperatamente bisogno di sapere la verità, di spiegare le sue ragioni, di urlare al mondo che dopotutto per una volta la colpa non è sua. Spiegare forse che stavolta non era lei chi aveva voluto far del male.
Raimundo poté ricordarlo alla perfezione quando l’eco dei suoi pensieri si concentrò in essa, facendo si che le minuscole lettere di cui si componeva, fossero ripetute più e più volte nella sua testa.

“Sei un codardo.”
“Ero confuso, come sempre mi succede quando sono con te!”
“Questo non ti giustifica per aver giocato con me in questo modo!
Come mettermi il miele sulle labbra e dopo sparire, come hai sempre fatto in tutta la tua vita.”


Mentiva? Era un codardo?
Si, forse era cosi. Si, forse non le aveva zittite, non le aveva zittite quelle sue terribili paure che l’avevano solamente illuso, quelle stesse paure che mesi prima gli avevano regalato pochi, meravigliosi istanti di pura pace tra le sue braccia, tra le sue delicate mani, tra le sue labbra di cui aveva tanto temuto essersi dimenticato il sapore. Quelle stesse paure che cosi come gli avevano fatto credere di avere ancora una speranza, gliel’avevano tolta, troppo velocemente e dolorosamente.
Si, non ci era riuscito, le aveva lasciate vincere nell’esatto momento in cui le sue mani avevano sfiorato il collo di lei. Le aveva lasciate vincere quando, piano, le sue dita si erano protese verso una delle sue spalle, stringendo il delicato tessuto del suo vestito. Le aveva lasciate vincere.
Un gemito. Un solo gemito trattenuto dalle labbra di entrambi fu tutto ciò che riuscì a trattenerlo dal continuare. Un gemito e capì che non si sarebbero mai più fermati. Un gemito e la famosa “porta” della sua razionalità si era riaperta, lasciandola agire completamente indisturbata.
Ciò che ne seguì fu solo un affannato e corto respiro, senza inizio ne fine.

“Questo non è vero. Prima che tu ti sposassi con Salvador, venni disperatamente a cercarti ma tu mi rifiutasti.”
“Ti rifiutai perché prima dovetti vedere come mi umiliavi e mi giuravi di non amarmi.”
“Ti mentii per il tuo bene!”
“O per il tuo!”


E come poteva, ora, non darle ragione? Come poteva contestare il fatto che l’avesse definito un codardo e bugiardo? Come poteva se l’aveva appena rifatto?
Si era aggrappato ancora una volta ad eventi troppo dolorosi e lontani per poter essere chiamati in causa, troppo lontani ormai anche per poterne legare le conseguenze del presente. Si era rifugiato ancora una volta negli errori passati, sfogliati e risfogliati ormai troppe volte.
Stava disperatamente cercando di scappare dalla vera realtà delle cose? Si, forse si.
Sapeva bene che tutto ciò che era successo anni addietro non doveva più assumere tanta importanza, cosi tanta da poterli ancora dividere nel presente, però l’aveva fatto, le aveva ricordato quando, per il suo bene, aveva giurato di non amarla, aveva sposato un’altra donna e… L’aveva lasciata cadere tra le braccia dell’uomo peggiore che avesse mai potuto incontrare.
Istintivamente, afferrò con forse troppa forza il bicchiere che istanti prima stava ancora facendo volteggiare e lo gettò con furia a terra, incurante di dove esso potesse cadere o cos’altro potesse rompere. L’assordante rumore del vetro che si rompeva e la vista di tutti quei minuscoli pezzi di materiale, attirarono completamente la sua attenzione.
Il suo respiro si fece irregolare, mentre la pelle delle nocche della sua mano, chiusa in uno stretto pugno, si fece estremamente bianca. No, non lo sopportava, non riusciva a sopportarlo.
E quei pezzi, li a terra, sparsi per la stanza, cosi inanimati eppure cosi significativi… Non mostravano altro che il suo vero stato d’animo, inutilizzabili resti di un qualcosa che un tempo era stato forte ed intatto, apparentemente impossibile da distruggere.

“Nessuno ti ha chiesto di avvicinarti a me di nuovo, nessuno ti ha chiesto di accendere ancora quest’illusione e tantomeno che… “

Ed il suo respiro continuò, sempre più corto e affannoso, mentre la sua voce fragile e flebile continuò  a risuonare ancora ed ancora nella sua testa.

“Nessuno ti ha chiesto di scappare dopo tutto, senza neanche chiedere scusa.
Continui ad essere un codardo. Resta pure qui con la tua solitudine e le tue paure.”

Un pugno. Un forte e veloce pugno si scagliò contro una delle tante mura che delineavano la stanza, e con esso un disperato grido. Un pugno, si, come per liberarsi da tutto, liberarsi da tutta la rabbia, da quel senso di vuoto, quella sensazione di impotenza, quegli opprimenti ricordi e quella maledetta voce che continuava a ripetergli di essere un codardo, un bugiardo. Da tutto.
E lo fece con cosi tanta violenza, con cosi tanta forza che neanche lui stesso sarebbe stato in grado di riconoscersi. La mano ormai completamente rossa, iniziò a sanguinare. Piccole ferite iniziarono ad espandersi sulla sua pelle e per quanto potessero bruciare, il dolore non avrebbe mai superato quello che stava già provando. Ed era ora che aveva disperatamente bisogno di lei.
Era ora che aveva bisogno di sentirla, di sentire il meraviglioso calore del suo corpo, il calmo e tranquillo tocco delle sue dita sul viso ed i suoi baci, quei suoi disperati baci che sapevano  cosi tanto di sofferenza  e disperazione ma al contempo stesso di amore, desiderio.
Aveva bisogno di lei… Ma lei non c’era, e no… Non ci sarebbe stata.
Inutile dire che per lui, quella sera, fu solo una delle tante passate a fissare la finestra della sua stanza, con lo sguardo perso nella pioggia che neanche per un solo attimo aveva smesso di cadere, ricoprendo l’intero paesaggio. Una di quelle tante passate a stringersi il viso, a sciacquarlo di tanto in tanto, come a voler sciacquare via anche tutto quell’insieme di troppo pensieri.
E lo stesso valse per lei, per Francisca. Potevano essere contante sulle dita di una sola mano le ore che i suoi occhi erano rimasti chiusi, costantemente ed in modo uniforme. Tuttavia non poteva affermare di aver dormito, perché nonostante quegli occhi chiusi, la sua mente era ancora aperta, ancora attiva ed intenzionata a tormentarla per il resto della notte, come se non fosse abbastanza quello che aveva sofferto per interi mesi.
Di conseguenza, come ormai da un po’ di tempo, forse troppo, succedeva, si svegliò molto presto quella mattina. Decise anche quel giorno di non cambiare assolutamente niente della sua apparentemente amata routine, dunque uscì dalla sua camera e scese giù per le scale, intenzionata a dirigersi verso il suo ufficio, luogo dove probabilmente avrebbe ancora passato la maggior parte del tempo.
“Buongiorno signora!” la fece sobbalzare la voce squillante ed arzilla di Fe, la cameriera. 
“Buongiorno.”
“Anche oggi sveglia di prima mattina?” chiese la giovane, lievemente stranita.
“Beh, non riesco a capire il senso della tua domanda, Fe. L’orologio è proprio li, poco lontano da te.” rispose con fare ironico, indicandoglielo “Ed indica che è molto presto, e come puoi tu stessa costatare io sono già sveglia. Dunque si, anche oggi sveglia di prima mattina. Saresti potuta arrivarci, non credi?” concluse.
“Certo, si.” rispose lei, abbassando lievemente lo sguardo. “Perdonatemi signora.” Continuò poi, vedendola non prestarle molta attenzione. “Ah, quasi dimenticavo. Volete che vi porti la colazione?” le chiese, facendo si che si fermasse poco prima di entrare nel suo studio.
“Bosco e sua moglie sono già svegli?”
“No signora, non ancora.”
“Bene…” si fermò, come per riflettere “Prepara la colazione per quando lo saranno, se ne avrò voglia mi unirò a loro.”
“Come desiderate.”
“Buongiorno Signora!” fu la voce di Bosco stavolta a fermarla ancora, mentre scendeva le scale per dirigersi verso di lei.
“Buongiorno a te, Bosco.” gli sorrise, notando sul viso del ragazzo un’espressione stranamente allegra. “Come mai di cosi buon umore questa mattina? E dovuto a qualcosa?” gli chiese.
“No signora, niente di particolare. Sono felice di vedervi sveglia cosi presto, avevo giusto intenzione di chiedervi se vi facesse piacere accompagnarmi a fare una passeggiata.” le propose, gentile.
“Una passeggiata?” chiese lei, lievemente incredula.
“Si, esatto.” confermò lui.
“Beh, mi farebbe tanto piacere accompagnarti figliolo, ma…” iniziò, cercando il più velocemente possibile una scusa plausibile per rifiutare quel suo gentile invito. “Ma ho molto da fare oggi, devo…”
“Per “molto da fare” intendete stare chiusa per un intera giornata nel vostro ufficio con gli occhi fissi nel vuoto?” la interruppe, lasciandola di sasso, completamente spiazzata davanti a quella sua affermazione.
Per quanto avesse voluto e potuto nasconderlo, sapeva che era questo ciò che anche quel giorno avrebbe fatto: chiudersi in quel suo ufficio diventato ormai un “rifugio” per lei, guardare un punto fisso nel più totale vuoto e ricordare di lui, delle sue carezze, del suo profumo e…
“Bosco, mi stai per caso spiando ultimamente? Visto questa tua cosi grande sicurezza nel sapere cosa faccio o non faccio nell’arco della mia giornata, il dubbio mi assale.” gli rispose, leggermente infastidita, bloccando sul nascere i suoi ormai quotidiani ed inarrestabili pensieri su di lui.
“Certo che no signora, perdonate la mia insistenza.” disse dispiaciuto “Semplicemente vorrei avere il piacere di fare una passeggiata con voi, nient’altro.” le sorrise. “Oggi è una splendida giornata, il sole splende, ed è praticamente un miracolo dopo tutta la pioggia di stanotte.”
“Bosco, non..” ricominciò, intenzionata ancora a rifiutare.
“Avanti, volete proibirmi la possibilità di iniziare al meglio questo giorno che già si prospetta lungo e stancante?” tentò di nuovo il ragazzo, sforzandosi di usare le parole più gentili e cortesi che ci fossero per convincerla.
“Quando vuoi sai come essere fastidioso, dico bene?” disse lei, apparentemente arresasi alla sua proposta.
“Direi piuttosto convincente, signora.” rise.
“Fe, portaci il cappotto per favore.” disse, riferendosi alla cameriera “Ancora mi chiedo come faccia la tua sposa a sopportati.” continuò, ed una volta aver indossato il suo cappotto, si diresse verso la porta.
“Ma non ci vuole poi molto a convincere lei, piuttosto siete voi a farmi disperare.” confessò il giovane.
“Signora, e la colazione?” la voce di Fe li fermò prima che potessero sfiorare la soglia della porta, o meglio, fu solo Bosco che riuscì a fermare.
“Servila ad Amalia quando si sarà svegliata.” ordinò lui “E dille che io e Donna Francisca siamo andati in paese per una passeggiata.” concluse ed anche lui uscì, seguendola per raggiungerla.
Non era davvero riuscita a capire il perché dello strano e allegro comportamento del giovane, che tanto aveva insistito affinché lo accompagnasse per una passeggiata, ma decise di accettare ugualmente, dopotutto non ci sarebbe stato assolutamente nulla di strano.
Solo dopo, quando senti le sue labbra pronunciare la piccola ed apparentemente insignificante parola “paese”, capì, o almeno credette di capire: e se l’avesse incontrato? E se i loro guardi si fossero incrociati di nuovo? E se avesse rivisto quel suoi occhi e avesse risentito la sua voce?
Se tra tutti i profumi presenti, gli sguardi puntanti su di lei e le milioni di voci che avrebbero iniziato a parlare, confluendo in un unico fastidioso suono di parole insensate e cattive, avesse sempre, costantemente ed insistentemente cercato solo e solamente lui?


Spazio Autrice:
Eeeeed... Eccomi di ritorno! (tralasciamo il mio improvviso entusiasmo). Stavolta, come potete notare, lo spazio autrice l'ho messo alla fine (eheheheh). Eh niente, io l'unica, importantissima cosa che devo scrivere oggi è: GRAZIE INFINITE. Davvero, grazie infinite per le magnifiche recensioni e (soprattutto) per la vostra pazienza. Avrei tanto voluto pubblicare il secondo capitolo tipo ieri o ancora prima, ma la scuola e le sue *amatissime* interrogazioni (e verifiche) mi hanno tenuta un bel po' impegnata. Sono straaaafelice di sapere che solo il primo capitolo vi sia già piaciuto tanto, e spero lo stesso per i prossimi.
Da Raipaquista quale sono diventata già da qualche mese, come ben sapete, avevo bisogno di immaginarmi qualcosa dopo quel bacio, ma che dico bacio, BESAZO (come la stessa e meravigliosa Bouzas lo ha definito) perchè, sentite, detto sinceramente, io sono crollata a terra agonizzante dopo che Raimundo ha fatto quello che ha fatto. Su dai, non doveva, assolutamente. Bene, dopo il mio piccolo sfogo, vi lascio in pace.
Un "BESAZO" grande.
TeenAngelita_92

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Capitolo 3
*** Urgencia de ti - 3 ***


Urgencia de ti.
 
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“Ancora non comprendo il motivo di tanta insistenza da parte tua nel voler passare per il paese.” continuava ormai da quasi mezz’ora a ripetergli Francisca, allarmatasi nell’esatto momento in cui dalle sue labbra aveva sentito pronunciare la semplice ed apparentemente inoffensiva parola “paese”. Non era passato molto da quando erano usciti dalla Casona chiudendosi la porta alle spalle, ma a Francisca quella sembrava essere un’eternità: camminavano lentamente uno al fianco dell’altro mentre lei si vedeva quasi aggrappata al suo braccio, come per paura di poter cedere da un momento all’altro. Non ne capiva il vero motivo, ma sentiva che improvvisamente il suo corpo, in particolar modo le sue gambe, non sembravano essere stabili, ne volerlo essere.
“In realtà ciò che proprio non comprendo è questa tua improvvisa voglia di voler passeggiare in mia compagnia, Bosco.”
“Volete per un attimo smettere di lamentarvi e godervi questa splendida giornata? Su, guardate questo meraviglioso sole!” la invitò, cercando di essere il più calmo e paziente possibile.
“Tra tutti i posti dove saremmo potuti andare per goderci questo “meraviglioso sole”, come continui a chiamarlo da quando siamo usciti, proprio in paese dobbiamo dirigerci?” gli chiese per l’ennesima volta, con la disperata speranza di riuscire a farlo spazientire ed indurlo a cambiare idea riguardo il “percorso” della loro piacevole passeggiata.
“Signora, semplicemente ho alcune compere importanti da fare, e…” provò a tirar fuori la prima delle innumerevoli scuse che gli passarono per la testa, ma lei lo fermò subito, capendo perfettamente e senza bisogno di aggiungere altre parole, che quella altro non era che una bugia.
“Allora mi spieghi perché continuo a pagare Fe? Se non erro questo è il suo lavoro, a questo punto potrei semplicemente mandarla via e lasciare che sia tu a…”
“Deve per forza avere un motivo questa mia voglia di voler passeggiare insieme a voi? E addirittura passare per il paese?” le chiese, ormai al limite della sopportazione, aggiungendo alle sue ultime parole un che di ironico, come se passare per quel piccolo paesino apparentemente accogliente sembrasse una cosa quasi mostruosa. “Sono ormai mesi che quasi non uscite più da quel vostro cosi tanto amato studio e le uniche e sole persone che vedete e vedono voi siamo io, la mia sposa, Mauricio e Fe, tenendo conto di poche altre.” le confessò, come a farle notare la vera realtà delle cose, il dolore e la sofferenza che sembrava essersi imposta di sentire, costruendo tutto intorno a se delle forti ed alte mura che pareva non voler più oltrepassare, ed a cui avevano accesso solo quelle poche persone che le aveva appena citato.
Ma lei non ne aveva bisogno, lei non aveva bisogno che qualcuno glielo ricordasse. Lei lo sapeva, lo sapeva molto bene.
“Non capisco questo cosa possa avere a che fare con il semplice fatto che non mi aggrada, almeno per ora,  passare per il paese.”
“Signora, volete forse dirmi che non è Raimundo Ulloa ciò che più vi spaventa ora? Il solo pensiero di passare per quella accogliente piazza vi allarma solo e semplicemente perché tanto temete di incontrarlo.” le disse il giovane, tanto sicuro di vedere sul suo viso un’espressione spiazzata, d’impotenza davanti alla vera realtà dei fatti, incapace di fare qualunque altra cosa se non stringere per un solo, interminabile attimo gli occhi e tremare molto più di quanto già non stesse facendo.
“Quanta importanza attribuisci a quel locandiere, figliolo. Il mondo non gira introno a lui, figuriamoci se Francisca Montenegro ora senta la “terribile” paura di incontrarlo.” gli rispose, iniziando a ridere di gusto, cercando quanto meno di dimostrargli che questa volta non l’aveva sorpresa, ne colta impreparata, almeno non quanto lui si aspettava.
“E’ il vostro mondo, Donna Francisca, a continuare a girare intorno a lui, ormai da anni.” le disse semplicemente. Poche e semplici parole bastarono da interruttore a quel cuore, che fino a quel momento era stranamente rimasto calmo ed impassibile davanti all’ansia che aveva iniziato a sentire. Poche e semplici parole, si, ma vere quanto nessun altra cosa nella sua vita.
“Ed entrambi sappiamo bene quanta ansia e speranza di vederlo, si nasconde ora dietro questo vostro orgoglio.”
“Sto iniziando seriamente a pensare che la nascita di tuo figlio ti abbia letteralmente affogato il cuore ed il cervello nello zucchero. Parli di qualcosa di ormai morto e sepolto come se fosse ancora vivo e forte come un tempo.” affermò con una leggera punta di amarezza mischiata a falsa indifferenza, mentre tentava di evitare il suo sguardo e continuare a camminare sola, senza l’appoggio, ora indispensabile, del suo braccio.
“Non vi do torto, la nascita di mio figlio ha completamente cambiato la mia vita e le mie giornate.” le confessò sorridendo “Ma queste mie parole sono solamente frutto di ciò che vedo ormai da tempo nei vostri occhi, ed in quelli di Raimundo nelle poche occasioni nelle quali ho potuto incontrarlo.”
“Beh, seppur non condiviso, questo è un tuo pensiero ed io non posso costringerti a credere che in realtà nulla di tutto questo ha a che fare con il fatto che non ho alcuna intenzione di passare per il paese, ne oggi, ne tra una settimana e ne…”
“Mi chiedo, dunque, se la donna che ora ho davanti è la stessa di ieri, quella donna che piangendo mi ha confessato di non riuscire a dimenticare l’uomo che per anni ha amato, l’uomo che ancora ama. Ditemi, è la stessa donna?” la interruppe ancora, come ormai si era permesso di fare da quando erano usciti per quella semplice passeggiata che ora risultava essere  l’errore più grande che lei avesse potuto fare. La interruppe e si, stavolta l’aveva colta impreparata, impotente di dire qualunque cosa, perché in realtà sapeva che le sue parole erano maledettamente vere: era proprio lei la donna che la sera prima gli aveva confessato di non riuscire a dimenticarlo, di non saperlo fare, mentre lacrime amare rigavano la pelle del suo viso come nell’intento di lasciarne il segno, per sempre.
“Bosco…” dopo alcuni attimi di silenzio, passati immobili a fissarsi l’un l’altro, interrompendo cosi la loro camminata, riuscì insicura a pronunciare il suo nome “Ti pregherei di tornare a casa ora, o se proprio ci tieni a fare questa tanto desiderata passeggiata, di proseguire solo. Non sono dell’umore adatto per camminare, tantomeno per parlare di…” si fermò, alla disperata ricerca di un sinonimo o qualunque altra espressione che potesse sostituire quel nome, il suo nome “Di storie morte e sepolte già da troppo tempo, ormai.” concluse, intenta a girarsi e proseguire la sua passeggiata di ritorno alla Casona. Ma era troppo tardi.
Era troppo tardi ora per scappare, troppo tardi per continuare ad evitare ciò che da tanto, forse troppo tempo sarebbe già dovuto accadere, troppo tardi e basta.
Senza neanche rendersene minimamente conto, entrambi erano già arrivati a destinazione nella piccola ed accogliente piazza del paese, quel luogo cosi tanto temuto da Francisca come chissà quale inferno fosse. E si stupirono, si stupirono di non essersene accorti prima, più lei quanto Bosco, poichè ora purtroppo non poteva più in alcun modo tirarsi indietro: lui era là, fermo, immobile, in piedi davanti alla locanda che numerose notti era stata sfondo dei suoi sogni.
Lui era là e quei suoi occhi scuri l’avevano ormai già vista, puntati fissi su di lei come se la distanza che li separava non esisteva, come se non fosse mai esistita. Si era accorto della sua presenza solo quando da lontano, aveva potuto udire la sua inconfondibile voce.
Maledetta immaginazione.” si era detto, stringendosi forte la testa tra le mani, arrivando addirittura a credere che quel meraviglioso suono, fosse solo frutto della sua immaginazione, del suo disperato bisogno di lei che ora, come ormai da giorni, continuava a tormentarlo senza tregua.
Restò fermo a guardarla ancora, come a volersi imprimere quei semplici attimi di pace nella sua memoria allo scopo di poterli rivivere, grazie a quest’ultima, di tanto in tanto, quando il disperato bisogno e desiderio di lei l’avrebbe sopraffatto.
E lei… Lei che sapeva che l’avrebbe sempre cercato: una somiglianza per la strada, un profumo capace di farla voltare. No, non poteva affermare di averlo dimenticato, ne di volerlo dimenticare.
Si, lei lo avrebbe sempre cercato e tra la gente avrebbe sempre avuto l'ansia e la paura di incontrarlo, come la prima volta che i suoi occhi l’avevano visto e l'ultima che l’avevano perso.
Ma ora era li, era li distante da lui solo pochi metri, metri che quasi la illusero di poter sentire il suo profumo.
“Signora…” la voce di Bosco la distolse dai suoi improvvisi e numerosi pensieri. Il giovane si era accorto di Raimundo ed aveva subito intuito il perché di quel suo sguardo cosi intenso verso di lei, e sorprendentemente ricambiato. Senza dire altro le prese delicatamente il braccio, posandoselo sopra il suo, e si incamminò verso l’uomo ancora immobile e dall’espressione di timore e desiderio al contempo stesso.
“Bo…Bosco, non…” tentò di farfugliare qualcosa quando, svegliandosi dal quello stato definibile quasi di shock, si rese conto delle intenzioni del giovane. “Devo tornare alla Casona, devo…”
“Signora, fidatemi di me…” la fermò, sorridendole e guardandola con aria dolce e gentile, come a volerla rassicurare.
I due continuarono a camminare, in realtà senza minimamente sapere ciò che di lì a poco avrebbero fatto, se si sarebbero fermati ad intrattenere una “conversazione” con Raimundo o se avrebbero continuato come se niente fosse. L’unica cosa certa, almeno per lei, era quel battito ora cosi accelerato ed impaziente del suo cuore, che ormai da tempo non sentiva, e l’appoggio del giovane Bosco, disposto a qualunque cosa pur di mettere a tacere, anche per un solo piccolo attimo, il suo orgoglio e permetterle di avvicinarsi all’uomo che tanto desiderava vedere, se non disperatamente stringere forte a se.
“Tu sai… Tu sai che non te lo perdonerò, vero?” iniziò a dire, tanto arrabbiata quando debitrice a quel ragazzo che le stava dando la possibilità di rivederlo, di poter contemplare il suo volto e quei suoi profondi ed intensi occhi “E… sai anche che quando… quando torneremo alla Casona io ti…” cercò di continuare, mentre il giovane iniziò a sorridere per la sua bizzarra reazione.
“Salve Don Raimundo.” la voce ferma e decisa del ragazzo ed il suono di quel nome, fermarono lei e le sue imminenti ed ironiche “minacce” di morte verso di lui.
E fu solo allora che Francisca si accorse di essergli estremamente vicino, forse anche troppo se non fosse stato per il corpo del giovane Bosco.
“Salve a te, Bosco.” rispose gentile ed ancora stupefatto l’uomo, posando involontariamente lo sguardo su di lei, come stava ormai facendo da quando si era accorto della sua presenza.
“Sa… Salve Francisca.” e contro ogni sua aspettativa, balbettando leggermente per la possibile agitazione, fu anche lei che salutò.
“Salve Ulloa.” rispose lei, con tono falsamente freddo e distaccato. Aveva usato il suo cognome per un semplice saluto e ciò indusse Raimundo a credere che forse, da quel momento, sarebbe stato quello l’unico ed il solo nome con cui l’avrebbe sempre chiamato. Notò il suo sguardo disperso nel resto della piazza, tra la gente che stupita e curiosa aveva iniziato a fissarla.
“Come…” tossì lui, intenzionato a conversare con il giovane almeno il tempo necessario per riempire i polmoni del suo profumo e gli occhi della sua figura. “Come mai da queste parti a quest’ora del mattino?” riuscì infine a chiedere.
“Niente di particolare o importante, oggi sembra essere una splendida giornata e dopo tutta la pioggia di ieri, questa mattina mi sono svegliato presto e con il grande desiderio di uscire per una passeggiata.” rispose Bosco sorridendo. “E… Beh, ho pensato che ancora meglio sarebbe stato con la compagnia di Donna Francisca.” concluse guardandola.
“Già, un’ottima idea.” confessò abbassando lo sguardo “E la tua sposa ed il tuo bambino? Come stanno?
Ho potuto apprendere da Emilia la notizia della sua nascita, e nel paese gira voce che si chiami Beltrán.” Chiese Raimundo, apparentemente davvero interessato allo stato di salute di sua moglie e suo figlio.
“A quanto pare le voci si sono molto diffuse, e molto velocemente.” notò il giovane, stupito.
“Dopotutto questo è un paesino molto piccolo, qui tutto si diffonde velocemente.” affermò l’uomo.
“Avete ragione Raimundo. Beh in ogni caso la mia sposa ed il mio bambino stanno bene, ed ora dormono entrambi placidamente” sorrise “Vi ringrazio per avermelo chiesto.”
“Non ci sono motivi per i quali tu debba ringraziarmi, Bosco.” sorrise anche lui, ma il suo sembrò più un tentativo, uno sforzo di sorridere, e Francisca poté vederlo chiaramente.
“Signora, guardate.” avverti il giovane,  riferendosi alla donna “C’è Mauricio.” continuò indicandoglielo  “Vogliate scusarmi, ma credo che mi allontanerò un istante per discutere con lui di alcune questioni importanti.”  avvisò, e quelle poche parole bastarono: l’imminente allontanamento di Bosco e il solo pensiero di restare sola con lui, bastarono per dare il “via” al tremolio delle sue mani, ora lievemente fredde per i leggero venticello.
“Bosco aspetta, dovrei…” istintivamente, quasi senza poterla controllare, una voce terribilmente tremante uscì dalle sue labbra nella disperata speranza di mandare letteralmente in fumo il “piano” di Bosco, che aveva ormai scoperto.
“Con permesso.” la interruppe, impedendole di dire qualunque altra cosa, e sorridendo di gusto si allontano dai due, dirigendosi verso Mauricio.
Si, erano soli ora. Erano soli, come probabilmente non si erano mai sentiti prima. Soli e liberi e tutto ciò pareva strano, tanto strano: erano state numerose le volte nelle quali si erano trovati l’uno di fronte all’altro, guardandosi intensamente, soli, nel più profondo ed intenso silenzio di ogni stanza, di ogni luogo dei loro incontri, ma loro avevano sempre saputo riempire quel vuoto e quel silenzio con  parole, e grida di rabbia, e parole, e rimorsi, e parole, e rancore, e parole ed odio ed ancora parole.
Perché era questo che facevano, rinfacciarsi costantemente il passato, lasciar vincere l’orgoglio e la rabbia, sprecare attimi, vuoti, silenzi che forse avrebbero potuto colmare semplicemente abbracciandosi e stringendosi forte, tanto forte da non potersi più staccare.
Avrebbero potuto farlo ora, se davvero l’avessero voluto, se davvero ne avessero avuto il coraggio, ma era ancora il silenzio a regnare tra di loro, mentre piccoli sguardi timorosi e troppo nascosti non gli permettevano di vedere chiaramente quanto l’uno avesse bisogno dell’altro.
“Quel ragazzo deve essersi impegnato molto per convincerti ad uscire dalla quella tua tana.”e fu lui, Raimundo, a trovare la forza necessaria per non permettere che quell’occasione che il giovane Bosco, volontariamente o non, gli aveva dato, finisse persa e lontana, gettata tra tutte le altre che avevano fatto l’esatta stessa fine.
“Non capisco il perché di questa tua affermazione. Se non ricordo male, il solo pensiero di non dovermi incontrare per te era un sollievo, sbaglio?” seppe rispondergli, sollevando lo sguardo e posandolo intenzionalmente su di lui, in un’espressione carica di odio e orgoglio.
“Sarebbe stato un sollievo per me saperti fuori da quelle quattro mura che ormai da mesi hai reso il tuo rifugio, la tua barriera difensiva.” le rispose, apparentemente sincero.
“E’ per caso preoccupazione ciò che credo di aver sentito nelle tue parole, Ulloa?” chiese con fare ironico, ridendo al solo pensiero che lui potesse essere davvero preoccupato per la sua persona. “Raimundo Ulloa preoccupato per me.” ripeté con aria falsamente incredula, come a volerlo dire a chiunque le passasse davanti in quell’istante “Devo ricredermi sai, tu sai sempre come farmi ridere.” concluse voltandosi, intenzionata ad andare via di nuovo, ponendo cosi fine a quel loro ennesimo ed inutile incontro che se fosse durato un solo minuto ancora, li avrebbe trascinati nell’ennesimo dei loro ormai monotoni litigi.
“Scappi Francisca?” quasi le gridò, disperato e a corto di parole o di qualunque altra cosa che potesse usare per fermarla.
“Io? Scappare?” si voltò dicendo, dandogli piena dimostrazione del fatto che il suo intento di fermarla era riuscito alla perfezione. “Ti ricordo che il mio nome non è Raimundo Ulloa.” continuò, ancora con quella sua sempre presente e buon amica “ironia” che Raimundo conosceva ormai da anni, a cui aveva imparato ad abituarsi nonostante a volte riuscisse a colpirlo nel più profondo di se stesso.
“E’ questo che vuoi? Hai intenzione di continuare ad insultarmi? Come hai sempre fatto?” le chiese, lasciando che un pizzico di rabbia e amarezza si confondessero insieme trovando sfogo nella sua voce.
“Le mie intenzioni oggi erano ben altre, e non comprendevano te.”
“Posso solo immaginare quali avrebbero potuto essere: chiuderti in quella buia stanza, seduta dietro la tua scrivania a dettare ordini, firmare fogli e riflettere su ogni tua più piccola ed insignificante azione o imminente mossa. Sono felice di sapere che non comprendevano me.”
“E tu cosa ne sai di ciò che faccio o non faccio? Cosa ne sai degli ordini che detto, dei fogli che firmo o…” si fermò, rendendosi conto che la troppa rabbia contenuta l’aveva indotta a gridare, attirando l’attenzione della maggior parte delle persone in piazza. Poteva sentire i suoi occhi bruciare ed uno strano ed improvviso calore salirle piano dalla parte inferiore del corpo.  Ma quello non era un calore normale, no, non lo era.
Non era il calore che provava quando le forti braccia di lui la stringevano forte contro il petto, non era il calore umano che il suo corpo riusciva ad emanare, e non era il calore che riscaldava la sua pelle, ma bensì un calore che innalzò improvvisamente il suo freddo.
“O di ciò che penso, ogni maledetto secondo, minuto, ora.” concluse, regalandogli, per quanto straziante e triste, lo sguardo più intenso e vero che avesse mai potuto avere.
“Parlamene tu allora! Raccontami di ciò che pensi, di ciò che dici, di ciò che guardi con questo stesso sguardo con il quale guardi me. Raccontami delle lacrime che hanno rigato più volte il tuo viso, perché so che lo hanno fatto, perché so che non hai potuto controllarle ed il loro segno è ancora qui, profondo e scavato nel tuo volto.”
Qualcosa. Qualcosa di meravigliosamente forte era scattato in lui, improvvisamente, qualcosa di cosi forte da dargli il coraggio di avvicinarsi a lei regalandole quelle dolci e delicate parole, per niente studiate o organizzate ma del tutto istintive. Si avvicinò pericolosamente a lei, completamente incurante della possibilità di un suo rifiuto. Si avvicinò, quel tanto che bastava per poterle accarezzare il viso e tracciare con le dita il famoso “segno” che per interi mesi erano state le sue lacrime a percorrere.
“Belle parole Raimundo.” riuscì ad articolare, tremante ed indifesa, impotente tra le sue mani “Solo un mucchio di belle parole, seguite subito dopo da altre di pentimento, di addio.” Continuò, sentendo sulla pelle il magnifico tocco delle sue dita che per troppo tempo le era mancato. Inevitabilmente le tornarono alla mente ricordi di quel loro bacio, quel loro clandestino bacio che gli aveva permesso di confessarsi tutto l’amore che dopo anni ancora provavano l’uno per l’altro, con la stessa e costante intensità di allora.
“E’ cosi che fai, no? Mi accarezzi il viso pronunciando parole estremamente convincenti, per poi allontanarti, facendomi invadere dal freddo dell’assenza del tuo corpo e chiedendomi come se davvero fosse una cosa facile e veloce, di dimenticarti. Non mi sorprende sapere che è ciò che farai anche ora.” continuò a dire, tentando con le poche forze che l’uomo le aveva lasciato, di allontanarsi.
“Credimi, io non…” trattenne il fiato, accorgendosi di essersi avvicinato a lei di molti più centimetri rispetto a prima. Trattenne il fiato come se fosse lei, il suo profumo, i suoi occhi, il suo calore a toglierglielo.
“Non c’è stata una sola bugia nelle mie parole, ne quel giorno, ne ora.” le confessò. “E non c’è stato un solo giorno nel quale io non ti abbia pensato, desiderato, nel quale io non abbia disperatamente desiderato di incontrarti. “ continuò a parlare, cosi come continuò il suo corpo ad avvicinarsi “E’ solo… Solo questa mia confusione e questa mia paura che…” si fermò ancora. Le parole sembravano uscirgli con estrema fatica dalle labbra, come confuse, sconnesse. “Ed io… Io ho bisogno di te. Ne ho bisogno. Il codardo locandiere di Puente Viejo ha bisogno di te.” le ripeté più volte, accompagnando a quella sua lenta e disperata supplica, delicate carezze.
“Non…Non credo ad una sola parola di tutto ciò che stai dicendo.” rispose lei, sforzandosi il più possibile di avere una voce ferma e decisa.
“Vorrei poterti credere.” le disse sorridendo “Vorrei tanto poterti credere, ma stai tremando come una foglia tra le mie mani.”
“No!” quasi urlò, allontanandosi bruscamente “No, io non sto tremando e tu stai continuando a mentirmi, come hai sempre fatto.” continuò, e per quanto il calore del suo corpo le mancasse ora, era consapevole del fatto che se fosse rimasta ancora per un solo attimo tra le sue braccia, avrebbe iniziato a piangere e sarebbe caduta inevitabilmente nella sua trappola, di nuovo.
Lo guardò un ultima volta, mentre un sottile strato di lacrime iniziava lento a velare i suoi occhi. Un ultimo sguardo e si voltò, intenzionata ad andarsene.
“Francisca!” urlò lui, mentre sorprendentemente veloce, una sua mano raggiunse il suo braccio, afferrandolo e stringendolo leggermente, il poco che bastava a fermarla e non lasciarla andar via. In quel piccolissimo e veloce attimo, seppe riavvicinarla a se e guardarla intensamente proprio come pochi istanti prima.
“No.” disse solamente lui, negando con la testa. “No.” ripeté, e lei non capì.
Lei non capì a cosa si riferisse quel tanto deciso e forte “No.”. Lei non capì quel suo intenso sguardo, i suoi intensi occhi scuri improvvisamente velatisi di tristezza  e… qualcos’altro, qualcosa di più forte e doloroso. Non capì il suo respiro accelerato e non capi le ferite sulla sua mano, quella che disperata e forte le stava tenendo il braccio.
Ferite? Pensò. Si, le aveva viste e da quel preciso istante non aveva saputo fare altro che tormentarsi a chiedersi come, cosa, chi avesse potuto procurargliele e perché. Continuava a fissarle ormai da diversi secondi, scrutandone la più piccola ed insignificante caratteristica: la pelle sembrava essere rossa e di un colore leggermente più scuro verso le nocche, dove già si estendevano numerosi piccoli tagli.
“Raimundo…” sussurrò con voce tremante quando i suoi occhi ritornarono istintivamente a fissare quelli di lui “Raimundo, come…” cercò di continuare, intenzionata a trovare a tutti i costi una risposta a quelle sue domande,  a chiedergli di quelle troppo evidenti ferite, ma non ne ebbe il tempo.
“Signora.” la chiamò Bosco avvicinandosi “Signora…” ripeté, accorgendosi di non aver ancora attirato l’attenzione della donna “Credo sia meglio tornare alla Casona, sta iniziando a piovere ed il tragitto che ci aspetta è abbastanza lungo.”


Spazio Autrice:
Eccooomiii tornata (dopo non so quanto tempo) con questi due spappolatori di feeeels.
Come ormai faccio ogni volta, voglio scusarmi per il clamoroso ritardo, ma ultimamente sono in pieno trasloco e tutto ciò mi sta rubando molto molto tempo. Ma finalmente (e come mio obbligo e dovere) ho trovato un po' di tempo per continuare questo mio "esperimento", al quale tengo particolarmente e spero, come sempre, che anche questo capitolo, come gli altri, vi piaccia e valga tutta l'attesa. 
Ancora un grande GRAZIE per le bellissime recensioni e la pazienza.
Un bacio grande.
TeenAngelita_92

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Capitolo 4
*** Urgencia de ti - 4 ***


Urgencia de ti.
 
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“Raimundo, come…”
“Signora… Signora, credo sia meglio tornare alla Casona, sta iniziando a piovere ed il tragitto che ci aspetta è abbastanza lungo.”

E fu esattamente cosi che ricordò la forte e decisa voce del giovane Bosco, come un’improvvisa ed inaspettata pioggia.

“Raimundo…”

Ricordò le prime fredde e pesanti gocce, ricordò il loro arrivo ed il loro terribilmente gelido tocco sulla sua pelle. Ricordò i suoi occhi tristi e spenti, la sua espressione assente e l’aria che a malapena riusciva ad uscire dalle sue labbra. Si, poté sentirlo. I loro corpi sembravano  lontani ora, forse troppo, eppure lei poteva sentirlo, poteva sentire il suo respiro irregolare e poteva vedere le sue labbra schiuse come a voler dire ancora qualcosa, un ultima cosa.

“Raimundo… Le tue mani.”

Ricordò la fatica ed il timore con il quale le parole avevano deciso di uscirle dalla bocca, così, all’improvviso, e le numerose domande che iniziarono ad inondare la sua mente: perché? Perché le sue mani erano ferite? Perché lui sembrava ferito? Chi era davvero l’uomo davanti a lei? Chi era davvero quell’uomo che tanto sembrava aver bisogno di aiuto? E forse… Forse una semplice e delicata carezza, forse solo un forte abbraccio dove potersi rifugiare e nascondere, forse solo e soltanto lei sarebbe bastata.

“Signora, dobbiamo sbrigarci.”

Continuò a ripeterle Bosco, del tutto incurante di ciò che aveva appena interrotto e lei… Lei  troppo occupata a guardare l’uomo davanti a se per potergli dare ascolto.
Si, quell’uomo che nel giro di pochi e veloci istanti, stanco e al limite della sopportazione, sembrava aver sollevato la maschera che ormai da troppo tempo copriva il suo volto, nascondendone i profondi e scavati segni di sofferenza e malessere che nessuno, fino a quel momento, si era mai preoccupato di notare.
Ma lei non era “nessuno”, lei era Francisca, la sua Francisca, la persona che forse meglio di chiunque altro lo conosceva.
Aveva notato come, all’inaspettato ed improvviso arrivo di Bosco, la mano di lui aveva, di scatto, lasciato il suo braccio, come se quel semplice e disperato contatto gli avesse bruciato la pelle.
Non voleva che il giovane notasse la sua mano stretta al suo braccio? O forse, con quel gesto, si era accorto di essersi azzardato ad esporre le sue debolezze davanti a lei? O di aver lasciato intravedere le sue ferite o forse… No, solo altre domande. Solo e soltanto domande, un treno pieno zeppo di domande che arrivava a gran velocità fermandosi giusto ai piedi della sua bocca, delle sue labbra incerte. Non aveva risposte, non riusciva a trovarne ora e chi, se non lui, avrebbe potuto dirle ciò che tanto bramava sapere?

“Signora…”

Ed ancora la voce del giovane, ancora quelle insistenti gocce di pioggia fredde, gelide, sempre più numerose, ancora il rumore del cielo, rumore di un cielo scuro, spento, il presagio di uno di quei temporali che difficilmente si placano.
Si avvicinò a lui e decisa più che mai, strinse la sua mano ferita, nascosta timorosamente dietro le pieghe del suo cappotto.
Aveva freddo. Si, doveva avere freddo, era l’unica spiegazione plausibile al tremolio che aveva iniziato a torturare le sue dita.

“Codardo locandiere di Puente Viejo… Io non me ne andrò da qui prima che le tue mani smettano di tremare ed il tuo respiro smetti di essere cosi accelerato.”

Gli sussurrò lentamente, avvicinandosi sempre più.

“Non me ne andrò prima che la tua bocca mi dica cosa ti succede.”

Continuò.
E non le importò minimamente il motivo per il quale solo qualche attimo prima era stata fredda e furiosa con lui, non le importò che la gente potesse vederli, vedere lei e la sua più grande “debolezza”, se cosi poteva essere definita, per lui. Non le importò degli occhi estranei cosi vigili e curiosi, o delle bocche chiacchierone e mal pensati o di quell’eco di voci fastidiose ed ignoranti di sottofondo.
Lui sembrò sospirare per un attimo, come se il semplice tocco con la pelle delle sue dita l’avesse rimesso al mondo, come se fosse stata l’unica e la sola cosa di cui aveva sempre avuto bisogno, e a lei questo bastava.

“Francisca..”

Riuscì a dire con labbra tremanti quando senti la mano di lei sfiorargli il viso delicatamente.
Se solo avesse potuto stringerlo a se, se solo avesse potuto stringerlo forte tra le braccia e sostenerlo, sostenere quel che sembrava rimanere di lui, dell’uomo che un tempo aveva amato, che non aveva mai smesso di amare. Se solo avesse potuto stringergli le mani e calmare la loro paura con il calore delle sue, se solo… Se solo avesse potuto avvicinare il suo viso ed assaporare le sue labbra fredde, tremanti, incerte.
Se solo avesse potuto l’avrebbe fatto, davanti a Bosco, davanti all’intera piazza, sotto quelle gelide gocce di pioggia e sotto quel temporale che tanto terribile si prospettava.

“Signora, andiamo.”
“Padre, forza rientrate! Vi prendere un accidenti!”


Ricordò la grande e forte mano di Bosco afferrarle un braccio e lentamente “trascinarla” verso casa, e ricordò la voce squillante di Emilia che, ferma sull’uscio della locanda, incitava suo padre a rientrare. Inutile dire che quindi, quelle sue carezze oltre non andarono.
Gli sguardi fissi uno sull’altro mentre una terribile e malinconia sensazione di vuoto, meglio definibile come “distanza”, si instaurava tra di loro.
Ecco, un’altra occasione. Avevano perso un’altra delle tante occasioni che gli erano state regalate.
Non era questo ciò che avevano sempre fatto? Perdere occasioni, restare immobili l’uno davanti all’altro quando tutto ciò che dovevano fare potevano chiaramente e semplicemente vederlo scritto davanti ai loro occhi.
No, forse no, non potevano. Loro non potevano vedere altro che il loro odio ed il loro rancore, la rabbia che lentamente e completamente indisturbata era riuscita ad accecarli.
“Questo tempo pazzo io non riesco proprio a capirlo: un attimo prima c’è un sole che spacca le pietre, ed un attimo dopo una continua e costante pioggia che sembra voler spaccare i vetri delle finestre.”
E cosi dicendo, Bosco fece irruzione nel suo studio, del tutto ignaro dello stato silenzioso e tanto pensieroso della donna, seduta dietro la sua scrivania, che forte stringeva tra le mani un mucchietto di fogli.
“Signora?” ripetè lui, intenzionato ad attirare la sua attenzione.
“Bosco…” la donna pronunciò il suo nome con un’aria alquanto sorpresa e stranita, come se non si fosse assolutamente accorta della sua presenza.
“Avete ascoltato ciò che ho detto?” chiese, volendo accertarsi della verità delle prime ipotesi che gli erano venute in mente al vedere quella sua reazione.
“Si… Si, certo.” rispose lei balbettando lievemente.
“Dunque siete d’accordo con me?” le chiese ancora.
“Ma si, certo che si. Sono d’accordo con te.” sorrise lievemente, come per far sembrare quella sua affermazione un po’ più credibile.
“Quindi possiamo invitare domani a pranzo i Mirañar?”
“Cosa?” rispose, infine, girandosi di scatto verso di lui. “Bosco… Aspetta, cosa…”
“State tranquilla.” la rassicurò, ridendo di gusto al vedere l’espressione spiazzata e spaventata sul viso della donna “Non ho detto nulla del genere, e voi non stavate minimamente ascoltando.” le spiegò.
“Questo non è divertente Bosco.” lo rimproverò, leggermente infastidita. “Non stavo ascoltando, è vero, ma ciò non ti da il diritto di farmi scherzi di questo genere.”
“Avete ragione, signora.” abbassò lievemente lo sguardo “Vi porgo le mie più sentite scuse se in qualche modo questo mio stupido comportamento vi ha infastidita.” si scusò sinceramente lui. “Ma tentavo di strapparvi un sorriso, ultimamente tante cose sembrano affliggervi che nella vostra mente non c’è più neanche un piccolo spazio per uno dei vostri meravigliosi sorrisi.” le sorrise teneramente.”E comunque dicevo solo che questo tempo mi sembra tanto pazzo, un attimo prima splende un sole meraviglioso ed un attimo dopo un temporale mai visto.”
“Già.” annuì, silenziosamente. “Ti prego di perdonarmi, Bosco…” gli disse sospirando, sforzandosi di mostrarsi perlomeno serena, sforzandosi di mostrare il sorriso più bello che avesse mai potuto fare.
“Anche stasera io e la mia sposa non vi abbiamo vista a cena. Continuare a non mangiare e ridurvi al punto da svenire non vi aiuterà con i pensieri che continuano ad affliggervi, lo sapete?”
“Stavo solo… Io stavo solo…”
“Pensando a lui.” terminò il giovane, accorgendosi della difficoltà con la quale provava a spiegargli cosa le dava tanto da pensare.
“Bosco, non avere abbastanza appetito non significa volersi ridurre in condizioni da svenire.” disse lei, cambiando totalmente discorso.
 “Signora, sapete bene che con me non occorre che fingiate, tantomeno che mi chiediate scusa.” la rassicurò ancora, sedendosi poco lontano.
“Bosco…”
Lui le prese dolcemente una mano e gliela strinse per poi continuare: “Com’è stato rivederlo? Involontariamente vi ho sentiti discutere e solo spero di non esserne stata io la causa. Ho ingenuamente creduto che forse farvi rincontrare sarebbe stata la cosa migliore per entrambi ma…”
“Shh…” gli sussurrò, accarezzandogli delicatamente il viso “Tu per me sei una benedizione, figliolo. Se non fosse stato per te non avrei mai trovato il coraggio necessario ad avvicinarmi a lui e provare a parlargli.” gli sorrise.
“E allora raccontatemi, rivederlo vi ha ridato la pace e la tranquillità che da tempo avevate perso?” gli chiese con aria tanto curiosa, come un bambino che tanto brama sapere il finale di una meravigliosa favola.
“Vorrei poterti dire di si, vorrei poteri dire che vederlo mi ha rimesso al mondo, e all’inizio cosi è stato, ma qualcosa lo affligge.”
“Signora, spiegatevi meglio: cosa intendete?”
“Io so che quella che sta indossando è solo una maschera per nascondere ciò che davvero sta provando, so bene che sta fingendo e so che sta male. Lo conosco troppo bene per far finta di niente, ma non abbastanza per capire cosa lo riduce a quel suo malessere.” gli spiegò, sincera come non lo era mai stata.
“E grazie a cosa siete riuscita ad arrivare ad una conclusione cosi affrettata? Probabilmente era la sorpresa di vedervi ancora o…”
“Una delle sue mani era ferita.” gli confessò, interrompendolo.
“Signora, ma sapete bene che può essersi procurato quelle ferite in qualunque modo, anche distrattamente.” provò a farla ragionare.
“No Bosco, no tu… Tu non hai visto i suoi occhi spenti, non hai sentito il suo respiro irregolare e le mani tremanti  con le quali mi ha accarezzato il viso.” gli confessò chiudendo gli occhi, illudendosi di poter ancora sentire il suo delicato tocco sulla pelle “Come se… Come se avesse freddo, un costante freddo che insistete sembrava voler torturare il suo corpo.” si fermò, come per riprendere l’aria che quelle parole le stavano rubando. “Bosco, lui sapeva delle mie lacrime, sapeva del dolore che da un tempo a questa parte mi ero imposta di soffrire, lui sapeva tutto, l’aveva sempre saputo ed io…” si fermò ancora “Io non ho creduto alle sue parole. Non una sola parola ho voluto credere, capisci?” continuava a ripetere, mentre il giovane, completamente stupito da quelle dolci e delicate parole, continuava a ripetersi che quel cosi forte amore che tanto male stava facendo ad entrambi, era semplicemente e meravigliosamente incredibile.
“Ha confessato di aver bisogno di me, ha confessato di avermi desiderata, disperatamente mi ha detto di essere schiavo della sua confusione e della sua paura ed io altro non ho fatto che allontanarmi dalle sue braccia e gridargli in pieno viso che a nessuna delle sue parole riuscivo a credere.” pronunciò quelle ultime parole con una tale rabbia verso se stessa che, forse, all’assenza del giovane, sarebbe stata capace di prendersi a schiaffi.
“Signora, guardatemi…” le disse il giovane, stringendole ulteriormente le mani “Non avete la colpa di nulla, continuare a tormentarvi e a colpevolizzarvi non vi porterà da nessuna parte. Siete stata illusa troppe volte, è normale non riuscire a credere a parole cosi belle e dolci pronunciate dalla persona che per una intera vita avete continuato ad amare con la stessa e costante intensità.” cercò di spiegarle, in un disperato tentativo di rassicurarla. “E poi occorre ammetterlo, se Don Raimundo sta davvero cosi male come dite, lui non è di certo l’unico. Che mi dite di voi? A quanto ne so passate ore ed ore a piangere, chiusa in questo cosi buio luogo che a volte vorrei addirittura bruciare.” le confessò con una punta di rabbia, il giovane.
“Io ho te, Bosco.” gli disse “Ho te figliolo, la cosa più bella che potesse capitarmi.” sorrise “Lui…”
“Lui ha sua figlia signora, dunque la differenza qual è?” la interruppe.
“Non ci sono differenze, Bosco. Semplicemente per stare davvero bene, per essere davvero felici come crediamo di meritare, io ho bisogno di lui e lui…”
“Di voi.” terminò Bosco. “Credo di aver capito ora: ne io ne Emilia potremmo mai colmare quel vuoto che dentro vi lacera, se non voi stessi.”
Ed era esattamente quella la vera realtà delle cose: nessuno avrebbe mai potuto colmare quel profondo vuoto che dentro li stava lacerando poco a poco, se non loro stessi.
Chi gli avrebbe più riservato tenere e delicate carezze? Chi gli avrebbe più potuto offrire un posto sicuro tra forti e calde braccia? Chi avrebbe più avuto il calore e la sicurezza di cui entrambi avevano disperatamente bisogno? Chi gli avrebbe più potuto regalare tutto questo se non loro stessi?
“Devo vederlo.”
Cosi dicendo, con voce ferma e decisa più che mai, fu Francisca ad interrompere un alquanto piacevole silenzio che lento si era instaurato nel suo studio.
Era forse stata quella cosi vera affermazione del giovane Bosco a ridarle il coraggio necessario per alzarsi dalla sua sedia e andare da lui? O la disperata voglia, che ormai da giorni la distruggeva, di stringersi al suo corpo e poter sentire il suo profumo, il suo respiro ed il battito del suo cuore?
No, non lo sapeva con precisione, ma di una cosa era certa: doveva vederlo.
“Signora… Signora aspettate, cosa…” aveva provato a fermarla il giovane non appena l’aveva vista alzarsi di scatto, ma si accorse, nel giro di pochi attimi, di aver fallito miseramente nel suo intento.
“Devo vederlo, devo andare da lui e dirgli che tutto ciò che ora desidero è mettere fine a tutto questo, poterlo stringere a me senza aver paura che tutto possa finire, che lui possa andarsene e… “ prese a ripetere con una certa velocità, mentre si affrettava a dirigersi verso la porta, ora tanto lontana, della Casona ed indossare il suo cappotto.
“Signora, signora per favore fermatevi…” tentò ancora lui, impedendole di andare oltre. “Vi prego, ragionate un secondo…”
“Non è forse ciò che ho fatto per un’intera vita, Bosco? Ragionare e ragionare ancora su ciò di cui sono sempre stata certa. Al diavolo la ragione se è a causa di quest’ultima se quello studio è ormai diventato il mio unico rifugio, al diavolo se il gelo delle mie lacrime è diventato l’unica cosa che il mio volto riesce a sentire.” rispose con rabbia, intenzionata come mai a compiere ciò che il suo cuore ormai da anni le dettava di fare.
“Signora, guardatemi un istante…” disse il giovane, afferrandole lievemente i polsi per fermarla. “Vi do ragione, credetemi. Avete tutte le ragioni di questo mondo per dire ciò che state dicendo e voler fare ciò che state per fare, ma ragionate per un secondo…” si fermò, come per assicurasi di aver attirato la sua completa attenzione “Fuori la pioggia continua a battere forte su ogni cosa le capiti sotto tiro, ed è ormai troppo tardi per incaricare Mauricio di preparare l’automobile.” le spiegò “E voi… Voi non siete nelle condizioni adatte per vederlo. Siete cosi agitata e soprattutto cosi debole dopo tutte le volte che vi siete rifiutata di mangiare.”
“No, no Bosco io sto meravigliosamente bene e se, come dici, è ormai troppo tardi per l’automobile, vorrà dire che ci arriverò camminando... Ci arriverò a piedi, si…”
“Signora…”
“Non mi importa Bosco, non mi importa, io…” lo interruppe, per poi fermarsi nella disperata intenzione di riprendere a respirare in un modo che sembrasse più regolare e normale rispetto a quello che istanti prima aveva. “Non mi importa”. ripetè ancora, sospirando. “Ho solo bisogno di vederlo.” gli confessò, infine.
“E lo vedrete, vi prometto che lo vedrete e sarò io stesso ad accompagnarvi domani mattina presto.” le giurò, guardandola con un espressione intenerita e comprensiva sul volto, quasi come se riuscisse inspiegabilmente a capire, a comprendere ogni più piccola emozione che le passava attraverso, lasciandole sensazioni contrastanti, forti, tutte insieme e troppo grandi da poter sostenere.
“Vi prometto che lo vedrete, solo non ora. Permettetemi di stare tranquillo e di sapervi riposare nella vostra stanza, ne avete tanto bisogno.” le chiese con occhi supplicanti e lei, dopo alcuni interminabili secondi di puro silenzio, altro non fece che annuire lievemente, lei altro non seppe fare che accettare la sua proposta ed, apparentemente, arrendersi.
Si, apparentemente, perché in realtà quella sera, qualunque cosa sarebbe accaduta, qualunque cosa avesse promesso a Bosco, lei lo avrebbe visto. 


Spazio Autrice:
E dopo non so quanti anni, SONO TORNATA!
Bene, voi sapete benissimo che vi devo (come sempre) delle scuse (infinite scuse) per il tempo che ultimamente impiego per aggiornare, ma come vi ho raccontato l'ultima volta, ero in pieno trasloco e tutto ciò mi ha rubato molto tempo. Ora che sono riuscita a riordinare un po' tutto (soprattutto le idee riguardo a questo mio sclero di fantasia su questi due spappolatori di feels) posso continuare e magari senza metterci 3 o 4 anni per ogni capitolo (promesso).
Dunque mi piacerebbe dire solo alcune parole riguardo questo capitolo ed i prossimi. Intanto (e correggetemi se sbaglio) ricordate quando nell'ultimo video incontro con Maria e Ramon, quest'ultimo aveva affermato che avremmo visto una Francisca completamente diversa dal solito? Bene, da questo capitolo in poi potrete vedere come me la sono immaginata io questa nuova "Francisca", ed inoltre (sempre per capitoli futuri) noterete che mi sono ispirata ad alcuni episodi della serie (trasmessi in Spagna ultimamente). 
Eh niente, ora scompaio perchè vi ho già rotto le scatole. 
Un BESAZO grande!
TeenAngelita_92

 

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Capitolo 5
*** Urgencia de ti - 5 ***


Urgencia de ti.
 
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“Sarebbe stato un sollievo per me saperti fuori da quelle quattro mura che ormai da mesi hai reso il tuo rifugio, la tua barriera difensiva.”

“E’ per caso preoccupazione ciò che credo di aver sentito nelle tue parole, Ulloa?”
“Raimundo Ulloa preoccupato per me. Devo ricredermi sai, tu sai sempre come farmi ridere.”


“Scappi Francisca?”
“Io? Scappare? Ti ricordo che il mio nome non è Raimundo Ulloa.”
“E’ questo che vuoi? Hai intenzione di continuare ad insultarmi? Come hai sempre fatto?”
“Le mie intenzioni oggi erano ben altre, e non comprendevano te.”
“Posso solo immaginare quali avrebbero potuto essere: chiuderti in quella buia stanza, seduta dietro la tua scrivania a dettare ordini, firmare fogli e riflettere su ogni tua più piccola ed insignificante azione o imminente mossa. Sono felice di sapere che non comprendevano me.”


“Cosa ne sai tu di ciò che faccio o non faccio? Cosa ne sai degli ordini che detto, dei fogli che firmo o…”
“O di ciò che penso, ogni maledetto secondo, minuto, ora.”
“Parlamene tu allora! Raccontami di ciò che pensi, di ciò che dici, di ciò che guardi con questo stesso sguardo con il quale guardi me. Raccontami delle lacrime che hanno rigato più volte il tuo viso, perché so che lo hanno fatto, perché so che non hai potuto controllarle ed il loro segno è ancora qui, profondo e scavato nel tuo volto.”


“Solo un mucchio di belle parole. E’ cosi che fai, no? Mi accarezzi il viso pronunciando parole estremamente convincenti, per poi allontanarti, facendomi invadere dal freddo dell’assenza del tuo corpo e chiedendomi come se davvero fosse una cosa facile e veloce, di dimenticarti. Non mi sorprende sapere che è ciò che farai anche ora.”
“Credimi, io non… Non c’è stata una sola bugia nelle mie parole, ne quel giorno, ne ora. E non c’è stato un solo giorno nel quale io non ti abbia pensato, desiderato, nel quale io non abbia disperatamente desiderato di incontrarti. “


“E’ solo… Solo questa mia confusione e questa mia paura che…”
“Ed io… Io ho bisogno di te. Ne ho bisogno. Il codardo locandiere di Puente Viejo ha bisogno di te.” “Non…Non credo ad una sola parola di tutto ciò che stai dicendo.”
“Vorrei poterti credere.”


“Stai tremando come una foglia tra le mie mani.”

“Francisca!”

Confuse. Quelle parole, quelle sue, quelle loro parole, solo poco tempo prima cosi forti e decise, le arrivavano ora confuse e sconnesse. Immagini cosi chiare e lucide le scorrevano davanti agli occhi leggermente appannati e bagnati, ma stavolta le sue famose e care amiche lacrime non ne avevano la minima colpa: era la pioggia.
Si, la pioggia.
E si, aveva promesso a Bosco di non muoversi per nessun motivo dalla sua camera, gli aveva promesso di riposare e magari di mangiare qualcosa, anche la più piccola che ci potesse essere. Gli aveva promesso di aspettare tranquilla l’indomani per vederlo, per vedere l’uomo che ormai da tempo occupava le sue giornate, i suoi pensieri e tutto ciò che di suo potesse esserci, ma non ci era riuscita.
Più e più volte si era rigirata su quel letto che improvvisamente troppo grande e scomodo le era sembrato, più e più volte, chiudendo gli occhi, si era illusa di poter sentire il suo profumo, le sue mani delicate piegate in dolci carezze, ma puntualmente tutto questo spariva ad ogni forte ed assordante tuono che riusciva ad attraversare la finestra della sua  stanza, ed un inaspettato freddo le gelava il corpo, quasi come se quest’ultimo fosse improvvisamente diventato incapace di riscaldarsi, di emanare anche la più piccola ed indispensabile quantità di calore.
Quella sera, numerose volte si era detta di non poter continuare a tormentarsi come aveva sempre fatto e saputo fare, si era detta di non potersi permettere pazzie come quella che tanto insisteva a voler compiere e si era imposta di tornare la vera, orgogliosa, impassibile e forte “Francisca Montenegro”.
Quel nome… Il solo suono di quel nome, ora, le dava quasi i brividi. A cosa le era servito essere la “Francisca Montenegro” che ora tutti conoscevano? A cosa le era servito tutto quell’odio, quel rancore, quella rabbia che per anni avevano tenuto segreti i suoi veri sentimenti, ciò che in realtà era sempre stata?
A cosa le era servito tutto questo? A cosa le era servito se, cosi facendo, aveva reso capro espiatorio di tutti i suoi mali, la sola ed unica persona della quale aveva sempre avuto bisogno?
E questo aveva continuato a chiederselo mentre le sue gambe l’avevano inspiegabilmente trascinata verso la porta della sua stanza, mentre le sue mani decise avevano afferrato la maniglia e l’avevano spinta verso il basso, mentre in quella sua cosi piena e confusa mente, una guerra in piena regola era appena iniziata ed una Francisca sofferente, arrabbiata ed orgogliosa più che mai, ne combatteva un’altra completamente diversa, un’altra stanca ma ancora forte, una Francisca ancora illusa di poter credere nell’amore.
Inutile cercare di capire chi alla fine avesse potuto vincere, inutile in quanto il suo corpo aveva ormai già deciso per lei e le sue gambe l’avevano ormai guidata fuori da quella casa.

“Ne io ne Emilia potremmo mai colmare quel vuoto che dentro vi lacera, se non voi stessi.”

Chiuse gli occhi quando l’ennesima goccia di quella tanto forte ed insistente pioggia le colpì il volto, seguita a sua volta da tante altre che, invece, si impegnarono a colpire il resto del suo corpo, e fu allora, in quel preciso istante, che le parole di Bosco le risuonarono lentamente nella testa, come un eco intenzionato a non finire.
Vivere di ricordi: era oramai solo e soltanto questo che riusciva a fare, veder passare, scivolare davanti agli occhi suoi, infiniti ricordi, momenti più o meno lontani dei quali sentiva il disperato bisogno di rivivere, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo. No, non erano altro che scene, cosi semplici e piccole scene della sua vita, eppure cosi chiare e lucide da far male, da rubarle il respiro, da premerle sul petto come chissà quale macigno vi ci fosse appoggiato e da quanto tempo. E quelle voci… Dio, quelle voci: si fondevano ogni volta in un solo eco, confuso, sconnesso e maledettamente assordante, ma lei sapeva quale dover ascoltare, lei sapeva quale sola ed unica voce aveva sempre voluto ascoltare e sapeva distinguerla, lei avrebbe saputo distinguerla anche in un mare infinito di voci.

“Raimundo.”

Il suo nome.
Non poté non pronunciarlo quando, arrivata alla piazza, dopo il lungo e faticoso tragitto che le sue gambe avevano percorso, sostenendo il suo corpo alla completa mercé di un brutale vento ed un’insistente pioggia, i suoi occhi riuscirono a vedere sempre più chiaramente l’insegna della sua locanda.
Non si sorprese di vederla aperta e completamente illuminata dalle luci ancora accese a quell’ora della notte, non si sorprese perché sapeva bene di poterlo sicuramente trovare li: tempo addietro Mauricio le aveva raccontato di questa nuova abitudine dell’Ulloa, che pareva restare solo nella sua locanda, seduto ad uno dei suoi tanti tavoli a guardare fuori ed aspettare l’intensa luce dell’alba.
Avrebbe tanto voluto chiedersi il perché, ma in quel momento l’unica cosa che davvero importava era la sua presenza, li, a pochi metri da lei, e ringraziava infinitamente qualunque cosa o persona l’avesse spinto ad essere li, a quell’ora della notte, senza che nessuno potesse ne vedere ne sentire.
Riprese il suo cammino, dopo essersi fermata per alcuni interminabili secondi con la vana intenzione di riprendere a respirare in un modo più tranquillo e normale di quello che ora aveva, e di poter constatare con gli occhi suoi che quello non era uno dei tanti sogni che la notte erano soliti accompagnarla.
Le gambe, solo poco prima cosi forti e veloci, ora sembravano voler cedere, ormai stanche e arrivate a destinazione.
Sapeva di non essere in condizioni ottimali, sapeva di essere completamente zuppa di acqua, salvo poche parti del suo corpo che era riuscita a coprire rifugiandosi sotto qualche tetto di case che, fortunatamente, aveva incontrato lungo il cammino, e sapeva che, forse, quella era stata una pazzia e chiunque avesse potuto vederla, l’indomani l’avrebbe sicuramente resa l’argomento del giorno sulla bocca di tutti, ma non le importava minimamente.
Si avvicinò ancora, compiendo i più faticosi ma ultimi passi che le permisero di appoggiarsi sfinita alla porta della struttura, restando li solo per qualche attimo ancora, il tempo necessario a riprendere completamente tutte le forze che quel lungo e faticoso cammino le aveva rubato, cosa del tutto vana in quanto sapeva di non poterlo fare, di non poterci riuscire mentre il cuore aveva preso a batterle in modo troppo veloce ed anormale ed i suoi occhi, persi nel più assoluto ed intenso vuoto del locale, cercavano disperatamente la figura dell’uomo di cui tanto aveva bisogno.
Decise allora di entrare, di spingersi contro la porta che ora la separava dalla cosa più bella che la vita avesse potuto darle, dissipando cosi, dentro se stessa, ogni più piccolo dubbio o paura.
Entrata, si chiuse lentamente la porta alle spalle e per quanto i suoi occhi potettero controllare e ricontrollare ogni angolo di quella amplia stanza, nessuno sembrò presentarsi al suo campo visivo, e ciò la indusse quasi a credere che tutto fosse stato inutile, e che forse, almeno quella sera, lui non fosse li.
Tutto questo le sembrava però troppo strano: la locanda era aperta, le luci ancora accese, e chi, se non lui, avrebbe potuto essere li?
Nel tentativo di trovare una spiegazione plausibile, si appoggiò ad uno dei tavoli, quello più vicino, in modo da procurare un po’sollievo alle sue gambe troppo stanche.
Pensò e ripensò a cosa fare, a come comportarsi ora che tutto le sembrava aver perso ogni senso. Il cosiddetto “Piano B” non lo aveva, ma in realtà non c’era neanche mai stato un “Piano A”, nulla di ciò che aveva fatto era stato pianificato ne organizzato, e forse era proprio questo ad averla colta di sorpresa: era la prima volta che qualcosa non andava come si aspettava o come aveva immaginato, e lei nemmeno poteva farci niente, perché cosi tanto aveva avuto bisogno di vederlo, che la sua mente non aveva neanche minimamente pensato a possibili imprevisti.
“Francisca.”
Una voce terribilmente flebile e tremante la fece sobbalzare, interrompendo e cancellando completamente ogni più piccolo pensiero che fino ad allora aveva continuato a tormentarla. Nulla rimase, nella sua testa, di spiegazioni da trovare, piani da seguire o quant’altro, solo un piccolo ma terribilmente lento brivido che iniziò a percorrerle l’intero corpo.
Sorrise tra se e se e sospirò pesantemente non appena seppe riconoscere quella voce, la sua voce.
Chiuse, infine, gli occhi, per pochi interminabili secondi, cercando di regolarizzare il suo respiro, e decise di restare di spalle all’uomo.
“Fran… Francisca…”
Ancora la sua voce, ancora più insicura di quanto potesse esserlo stata pochi attimi prima.
“Perché… Perché sei qui?” continuò lui, scrutando ogni più piccolo dettaglio del suo corpo, e accorgendosi  delle sue spalle lievemente scoperte da una manta ormai completamente bagnata per poterla coprire ancora.
Sembrava essere estremamente sorpreso, ma allo stesso tempo, agitato e felice di poterla rivedere li, a cosi pochi metri dal suo corpo. Era riuscito a vederla solo di spalle ma la tipica pettinatura che raccoglieva i suoi capelli e l’inconfondibile profumo di cui ogni stanza si riempiva quando c’era lei, gli erano bastati a riconoscerla e a chiedersi, inevitabilmente, il perché di quella sua visita, a quell’ora della notte e in quelle poco favorevoli condizioni.
“Perché la mia pelle ed il mio sangue…” iniziò a dire lei, voltandosi lentamente per poter abbracciare con gli occhi suoi, gli occhi dell’uomo.
“La mia testa ed i miei sogni…” sorrise abbassando lo sguardo, e strinse cosi tanto le mani al legno del piccolo tavolino a cui era appoggiata, da rendere le sue nocche di un colore bianco pallido.
 “Non fanno altro che desiderarti.” terminò, sollevando di nuovo gli occhi e fissandolo profondamente, aspettando che quelle parole, quelle stesse parole che lui, in una tranquilla e tanto silenziosa sera di quella stessa stagione le aveva dedicato, gli arrivassero forti e decise, esattamente come erano arrivate a lei prima che lui decidesse di accarezzarle le labbra con le sue in un disperato e bisognoso bacio.
E lui restò immobile, inerme, confuso, spaventato da quell’improvviso turbine di emozioni che quella donna, con la sua sola voce e quei suoi soli occhi, era riuscita a scatenare in lui.
Francisca tentò di avvicinarsi, piano, completamente ignara di ciò che il suo corpo aveva invece deciso: le gambe, prima tanto forti, ora erano ancora intorpidite e prive di ogni forza, decise più che mai a non supportare il suo corpo.
Lui se ne accorse, subito, tanto da correrle in contro e afferrarle delicatamente i fianchi per sostenerla ed impedirle di accasciarsi violentemente al suolo.
La strinse al suo corpo come sempre faceva in ogni suo singolo, disperato e maledetto sogno. Si accorse dei suoi abiti umidi, dei suoi capelli bagnati e del suo viso che…  Dio, il suo viso… Cosi delicato e dolce viso, cosi stanco e segnato dai duri colpi del tempo e dalla sofferenza, eppure cosi bello come quando era giovane.
Migliaia e migliaia di ricordi iniziarono a scorrere davanti agli occhi di Raimundo che non aveva smesso di fissarla neanche per un solo attimo e che, involontariamente, aveva sollevato una delle sue mani e l’aveva protesa verso la pelle del suo viso, bagnata ed ancora preda delle ultime e gelide gocce di pioggia che lente continuavano a scendere.
“Sei… Sei completamente bagnata Francisca…” le disse in un insicuro sussurro, mentre le sue dita continuavano a strofinarle una guancia “Stai tremando…” continuò avvicinandosi, poggiando la fronte sulla sua ed esercitandovi una tanto delicata e tenera pressione  “Dio, tremi cosi tanto…” la strinse forte, ancora più forte.
Era vero, e solo ora se ne rendeva conto: stava tremando, tremando terribilmente e neanche sapeva se per il freddo che continuava a torturare la sua pelle o per il piacevole brivido che il calore del corpo, delle forti braccia di Raimundo, le provocavano.
“Dio solo sa perché sto tremando e sono incapace di riconoscerne il motivo.” gli confessò, sorridendo, come ormai da tempo aveva smesso di fare “O forse semplicemente è la sensazione che si prova a tornare tra le tue braccia, locandiere.” continuò.
“Perché piccola mia?” le chiese stringendo le palpebre, contraendo il viso in una espressione di puro dolore, di sofferenza, mentre le sue dita, lente, si diressero verso le sue labbra. “Perché sei venuta qui? Perché ora?” le chiese ancora.
“Per lo stesso motivo che, solo qualche mese fa, spinse te a venire da me, a dirmi ciò che mi hai detto, a baciarmi come mi hai baciata.”
“Non avresti dovuto a quest’ora della notte, sola e con questo temporale.”
Quelle sue parole suonarono come un rimprovero, o almeno, era questo il suo intento: rimproverarla per la “pazzia” che aveva appena commesso e mostrarsi del tutto duro e distaccato con lei, come del tutto indifferente delle sue carezze, del corpo stretto contro il suo e di quanto tutto quello che ora stava accadendo, somigliasse nei più piccoli dettagli al sogno che ogni notte faceva.
“Non mi importa…” iniziò a dire lei, mentre  in modo del tutto inspiegabile l’aria faticava ad uscire dalla sue labbra. “Non mi importa della pioggia, non mi importa del freddo, non mi importa di chi vedermi ha potuto, non mi importa se ho promesso di aspettare, se ho promesso di starti lontano, se ho promesso di dimenticarti, non mi importa...” ripetè disperatamente, rifugiandosi tra le sue braccia, stretta al suo petto che, agitato, continuava a sollevarsi ed abbassarsi.
“Francisca noi non…”
“Solo un attimo fa mi hai chiamato “piccola mia” ed ora che ti accorgi di quanto ti stai lasciando andare, ti tiri di nuovo indietro?”
“E’ un errore tutto questo… Dio, io non…”
“No, no…” lo interruppe, allontanandosi lievemente in modo da coprire delicatamente, ma al contempo stesso con decisione e forza, la sua bocca con le dita. “No Raimundo, nulla di tutto questo è un errore.” gli disse, accarezzando, in modo timoroso e tremante, la sua folta barba che ora tanto le mancava “Errore è il nostro orgoglio, errore è tutto ciò che fino ora ci siamo urlati ogni volta che ne abbiamo avuto l’occasione, errore è il dolore che vicendevolmente ci siamo impegnati a causarci, errore è stato credere di dimenticarti, di poterlo fare velocemente e senza alcuna conseguenza, errore è continuare a starti lontano, a starci lontano quando entrambi sappiamo che l’uno senza l’altro non è niente.” gli ripetè sorridendo, mentre insopportabili lacrime minacciavano di invadere il suo volto “Non sono niente senza di te, non sono niente se stringermi a te non posso se non solo e solamente in questa mia testa che di altro non vive che di ricordi, della tua voce…”
E gli confessò tutto, gli confessò di quanto l’amava, gli confessò di quanto bisogno di lui aveva, gli confessò dei suoi tormenti, dei numerosi sogni dove sempre si stringeva a lui.
Gli confessò di lei, di Francisca, la vera Francisca.
“Raimundo, errore è la paura e la confusione che continuo a vedere nei tuoi occhi.” gli disse, notando come, nel giro di pochi secondi, il suo sguardo si era posato su tutt’altro che lei e di come, piano, aveva cercato di allontanarsi.
“Guardami Raimundo.” quasi gli ordinò, afferrandogli delicatamente il viso tra le mani ed obbligandolo a guardarla negli occhi. “Di cosa hai paura? Eh? Di che cosa, amore mio?”
Si strinse ulteriormente a lui, tornando a premere il viso contro il suo mentre gli occhi di lui si chiudevano, forti e stretti, come per raccogliere tutte le forze necessarie a resisterle, a resistere al desiderio che ormai da troppo tempo provava e che non poteva più controllare.
“Di cosa hai paura, amore mio?” gli chiese ancora, stavolta in un delicato sussurro.
“Di amarti…” le rispose piano, con voce insicura e tremante, quasi come un bambino spaventato e bisognoso di sicurezza “Ho paura di ciò che riesci a farmi provare, Francisca… Maledizione…” le sue ultime parole vennero sostituite da un gemito, un piccolo gemito che uscì involontariamente dalla sua bocca non appena le labbra di lei premettero contro il suo collo, lente, delicate.
“Ti prego…” tentò di opporsi.
Lui, vedendosi completamente incapace di afferrare semplicemente le sue mani e spingerle via, tentò di fermarla con la sola forza della sua voce ma tutto fu vano, completamente vano.
“Ho… paura, Francisca.” le ripetè, ma ciò, per quante volte lui avesse potuto ripeterlo, non sarebbe mai bastato a fermarla, a impedirle di tornare a sentire il magnifico tocco della sua pelle sulla sua, di tornare a sentire i loro respiri, le loro carezze, sensazioni che da cosi tanto tempo aveva ormai smesso di sentire, quasi avendo paura di essersene dimenticata.
“Shh…” gli sussurrò, prima di tracciare, con le sue labbra, un delicato percorso verso la sua guancia. “Questo? Questo ti fa paura?” gli chiese infine, pochi secondi prima di dedicargli lenti e umidi baci.
E probabilmente fu grazie a lei, o a quei suoi tanto disperati baci, o a quelle sue mani che, anch’esse disperate, avevano continuato ad accarezzarlo, quasi come a volerlo tranquillizzare, o forse… Fu grazie solo e semplicemente al troppo grande e contenuto bisogno e desiderio che aveva di lei ormai da tempo, troppo per continuare a nasconderlo: le afferrò delicatamente il viso portandoselo il più vicino possibile alle sue labbra, regalando cosi a queste ultime, la tanto attesa occasione di abbracciare quelle di lei, di confondersi con quelle di lei.
Inutile dire che di altre parole, non ce ne fu più bisogno. 

Spazio Autrice:
Per favore, ditemi che non sono l'unica che ha iniziato a perdere voglia e fantasia dopo aver visto le ultime puntate trasmesse in Spagna. 
No sul serio, perchè io appresso a quei due sto inevitabilmente diventando un caso grave. Ceh no, enne - o, non si può agonizzare tanto per un tira e molla come quello che i simpaticissimi e da me TANTO amati (sottolineo l'ambiguità di quel "tanto") sceneggiatori di Puente Viejo impongo a questi due spappolatori di feels. No proprio, io mi rifiuto.
Un altro po' e Francisca avrà la colpa anche della morte della formica che qualche giorno fa vidi sulla ringhiera del mio balcone. Seriamente, perchè tutto lei? Perchè deve avere la colpa di tutto? Mah, io almeno non lo capirò mai.
Ma passando ad altro, io (a differenza dei sempre TANTO amati sceneggiatori di Puente Viejo) in questa mia piccola fan fiction ho intenzione di regalare a questa coppia dei santi e benedetti momenti di peace and love! Dunque la prima delle tante è accennata in questo capitolo che, tranquilli, continuerà nel prossimo perchè io non lasciò le cose a metà u.u (ogni riferimento è puramente casuale.) 
Ottimo, dopo avervi dato la quotidiana e giuta dose di scocciatura ed avervi annoiato, nulla, vi ringrazio come sempre infinitamente per la pazienza e la costanza e vi mando un BESAZO enorme (che si spera possa rivedersi tra quei due.)
TeenAngelita_92

 

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Capitolo 6
*** Urgencia de ti - 6 ***


Urgencia de ti.
 
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“Ti prego…”
“Ho… paura, Francisca.”
“Questo? Questo ti fa paura?”


E poteva ora, un unico e solo sentimento, combatterne altri mille?
Poteva quel sentimento chiamato “paura”, quella terribile sensazione di vuoto che quasi non lo lasciava respirare, combattere contro quel turbine di emozioni e sentimenti che solo e soltanto lei sapeva fargli provare?
Forse si. Forse no.
Non lo sapeva. Non poteva saperlo.
E disperatamente se lo stava chiedendo mentre, veloci e desiderose, le sue mani continuavano a vagare sul suo corpo, a ripercorrere ogni più piccola piega dei suoi vestiti bagnati.
Stava facendo la cosa giusta? Stava facendo la cosa sbagliata?
E se lo stava chiedendo mentre le fredde e lievemente bagnate mani di lei, invece, avevano iniziato a liberarlo dal leggero tessuto della camicia che indossava, accarezzando la sua pelle a mano a mano che i bottoni gliene permettevano l’accesso.
Lo baciò. La baciò. Si baciarono come mai prima di allora fecero. Un’intensa sensazione di disperazione e desiderio si impadronì di loro e delle loro labbra che non si erano staccante un solo attimo, se non per brevissimi istanti, indispensabili per ridargli l’ossigeno e la ragione che quelle loro carezze, quel loro sfiorarsi e quei loro gemiti disperati gli stavano rubando.
Dio solo poteva sapere quante volte avevano sognato e desiderato con tutta la loro forza quel momento, o di quante volte erano stati sul punto di renderlo realtà senza però riuscirci, fallendo miseramente in quel loro intento.
“Francisca…” tentò pronunciare il suo nome, ma dalla sua bocca tutto ciò che uscì fu solo un gemito.
Sapevano entrambi che difficilmente si sarebbero fermati ora, sapevano troppo bene che avrebbero continuato a dedicarsi quelle forse troppo intense carezze, e quei baci che avevano ormai sorpassato di molto il limite del controllo che per interi anni avevano sempre rispettato. E dopo cosa?
Cosa sarebbe successo? Cosa sarebbe successo quando sarebbero riusciti a soddisfare quel cosi grande bisogno che avevano di sentirsi, come ormai da tempo non avevano più fatto?
Si sarebbero fermati? Avrebbero dato ascolto alla ragione? Alla vera realtà delle cose?
Ed a quel punto, sarebbero riusciti a non desiderarsi più di quanto già non stessero facendo? Sarebbero riusciti a dimenticare tutto?
E no, forse loro non avrebbero potuto dare risposta neanche ad una sola di quelle insistenti domande che ad ogni carezza, nascevano nella loro testa, martellando incessantemente, ma erano ancora li. Loro erano ancora li, desiderosi di sentirsi, desiderosi di scoprire fino a dove sarebbero arrivati, fino a dove poteva arrivare il loro coraggio, fino a dove le loro mani, bisognose di accarezzare ogni angolo della loro pelle, si fossero fermate. I loro corpi non sarebbero mai riusciti ad allontanarsi,  forse non ora, forse non più.
“Francisca, no…” disse di nuovo, in un soffocato sussurro, e le prese delicatamente il viso nella disperata intenzione di separare le labbra di lei dalle sue.
Dovette servirsi delle sue mani tremati per fermare ciò che la sua bocca aveva iniziato e che sembrava non voler finire. Capì che forse non poteva, non potevano, ma ciò che più lo tormentava era la sua disperata ricerca di un “Perché?”
Sentiva il suo respiro caldo sulla pelle,  sentiva le sue mani, che tante notti aveva desiderato, accarezzare ogni più piccola parte del suo corpo scoperta dal tessuto dei vestiti, sentiva la sue labbra chiedere disperatamente di baci e baci, chiedere disperatamente di lui e… Eppure lui ancora credeva di non poterselo permettere, di non poter continuare in quella che ormai avrebbero tutti, soprattutto loro stessi, definito “pazzia”. Allora perché? Perché non poteva? Perché non poteva riaverla tra le braccia e stringerla forte al suo corpo dopo tutti quegli anni di solo odio e rancore? Non meritavano per caso una tregua? Non meritavano di amarsi come sempre avevano voluto fare e mai avevano potuto?
Non lo sapeva, non lo capiva, e forse mai ci sarebbe riuscito.
“Ti prego… Ti… Ti prego.” continuò a sussurrare, poggiando una delle sue mani sulle labbra di lei, ora gonfie e arrossate.
Lei non rispose, lei non fece assolutamente niente, lei solo restò immobile, inerme, incapace di compiere qualunque movimento. Premette forte la sua fronte contro le labbra di Raimundo che ora la stringeva a se, come a volerle chiedere scusa, mentre dalla bocca di entrambi solo si potevano udire respiri affannati e veloci.
Restarono in quella posizione forse per interminabili attimi, il tempo necessario ed indispensabile per poter calmare il battito dei loro cuori e permettere al loro respiro di regolarizzarsi.
Era il più intenso ed immenso silenzio a circondarli mentre fuori ancora regnava il buio della notte, e gli unici rumori che potevano sentire erano prodotti solo e solamente da loro stessi: un respiro più profondo e grande degli altri, un piccolo ed involontario movimento o quant’altro, ma oltre a ciò, il più assoluto silenzio.
“Continui a tremare.”
Fu lui, con voce flebile, ad interrompere l’improvviso zittirsi di ogni più piccola cosa inanimata intorno a loro, presente in quel locale. Pochi attimi prima avrebbe ancora avuto il dubbio riguardo a quel suo tremolio, ma ora, che ancora insisteva a torturare il suo corpo, capiva che era causato dal freddo e dall’umidità dei suoi vestiti.
“Devi… Devi asciugarti.” le disse, e fu più forte di lui stesso: protese una delle sue mani verso la sua guancia e la accarezzò con delicatezza. “Devi riscaldarti, non voglio che tu ti ammala per aver compiuto un’impudenza come questa.” quasi le rimproverò, ponendo fine al meraviglioso contatto di pochi istanti prima.
Le circondò allora il corpo con un braccio affinché si appoggiasse a lui e lei, stretta al suo petto, lo lasciò fare. Si diressero lentamente ad una delle numerose stanze della locanda, ora diventata momentaneamente di Raimundo. La aiutò ad appoggiarsi al letto poco lontano e senza lasciar passare altro tempo, la liberò dalla pesante manta completamente bagnata, causa primaria dei brividi di freddo che ancora aveva.
Si allontanò un istante per munirsi di asciugamani, qualche coperta e qualcosa da poterle far indossare, mentre lei ne approfittò per liberarsi della parte superiore del suo abito.
“Non ho trovato di meglio.” le disse avvicinandosi, mostrandole una delle sue numerose camice tra le mani. “Non sarà la cosa più adatta da farti indossare, ma almeno è asciutta e se sentirai ancora freddo...” continuò, appoggiando sul letto accanto a lei tutto ciò che era riuscito a trovare. “Qui ci sono alcune coperte, e qui accanto delle asciugamani.” terminò di spiegarle per poi restare a fissarla per alcuni attimi con uno sguardo che Francisca non seppe decifrare.
“Io…” deglutì duramente “Ti lascio sola, resterò ad aspettare fuori la porta e se hai bisogno di qualcosa io…” continuò, avviandosi verso l’uscita “Sono qui.” concluse, intenzionato a chiudersi poi la porta alle spalle.
“Raimundo…” con voce calma ed estremamente silenziosa, quasi in un sussurro, chiamò il suo nome facendo sì che si fermasse. “Grazie.” solo disse, prima di vederlo sparire dietro la porta.
Non appena uscito, Raimundo iniziò  a torturarsi chiedendosi il perché di quel suo strano comportamento, il perché improvvisamente si fosse sentito terribilmente in imbarazzo. Era forse stata lei? Era forse stata la sola visione di lei scoperta parzialmente dai suoi abituali abiti? O il fatto di saperla li, a poi metri da lui, chiusa nella sua stanza? Eppure quella non era la prima volta che accadeva, ora ricordava: numerose volte, durante i loro incontri segreti, aveva potuto ammirarla spoglia di ogni cosa, di ogni più piccola parte di tessuto che potesse coprirla. Più e più volte aveva potuto ammirare la sua “bianca” schiena, quella sua pelle cosi delicata e chiara che mai aveva dimenticato, cosi come il suo profumo.
Dio, quanti anni potevano essere passati? Sapeva che era tanto, forse anche troppo il tempo che aveva trascorso lontano da lei eppure ricordava ogni più piccolo particolare del suo corpo, ricordava alla perfezione le sue forme ed il meraviglioso contatto della loro pelle.
Strinse forte gli occhi e si strofinò il viso rendendosi conto degli impuri pensieri e ricordi che, da quando era uscito da quella stanza, avevano iniziato a riempire la sua mente.
Gli sembrò infinito il tempo che passò fuori da quella stanza, seduto sul freddo pavimento del corridoio con le spalle appoggiate contro il muro ed ignaro di come lei potesse stare o di cosa potesse aver bisogno.
E forse una mezz’ora o poco più fu il tempo che precedette la sua decisione di alzarsi, bussare alla porta e controllare che tutto andasse bene.
“Posso…” tossì, ancora quella maledetta agitazione nella sua voce “Posso entrare?” ripetè, stavolta con più sicurezza.
“Si…” rispose lei, vedendolo entrare con estrema cautela.
Chiuse la porta alle sue spalle e non appena si voltò verso di lei, restò ancora una volta a guardarla, come incantato: era ancora seduta sul suo letto, indossava ora la sua camicia, che per quanto grande e poco adatta ad una dama come lei, le stava incredibilmente bene.
Si avvicinò lentamente, inginocchiandosi poi ai suoi piedi.
Notò il suo viso ancora leggermente bagnato cosi come alcune ciocche di capelli che, uscite dalla sua abituale pettinatura, le contornavano il volto. Deciso, afferrò tra le sue mani una delle asciugamani di cui istanti prima lei si era servita, ed iniziò a strofinarla con estrema delicatezza sul suo viso, partendo dalla sua fronte.
Lei, per quanto completamente stranita da quel suo comportamento, lo lasciò fare, chiudendo gli occhi e godendosi a pieno quelle cosi premurose e dolci attenzioni che le stava dedicando.
Raimundo invece, completamente assorto in quella sua beata e dolce espressione, la guardava  intenerito ed irrimediabilmente innamorato. Non appena ebbe finito di asciugarle anche le ultime e più piccole gocce di acqua, sostituì la soffice e delicata stoffa dell’asciugamano con il tocco di una delle sue mani che, lentamente, iniziò a percorrere il contorno della sua guancia. La guardava, la osservava come chissà quale angelo fosse.
Francisca, con le sue labbra, cercò disperatamente il palmo della sua mano e quando riuscì nel suo obiettivo, lo baciò più e più volte.
“Francisca…” chiudette gli occhi e sussurrò il suo nome gemendo.
Non capiva perché tutto questo, non capiva perché solo attimi prima l’aveva allontanata, supplicata di fermarsi ed ora… Ora le era cosi vicino, ora l’accarezzava cosi dolcemente, ora si prendeva cura di lei come mai prima aveva fatto. Perché allora? Perché?
Si alzò di scatto, si inginocchiò proprio come attimi prima lui aveva fatto e lo strinse forte tra le sue braccia.
Sentì le gambe bruciarle e le ginocchia dolerle in un modo che non credeva possibile, ma questo non le importò. L’aria iniziò ad entrare ed uscire con difficoltà dalla sua bocca, il suo petto invece continuava ad alzarsi ed abbassarsi in modo incredibilmente anormale. Strinse ancora più forte le sue braccia intorno a lui.
Lo amava. Dio se lo amava, e tutto quel loro amore quasi le faceva male, faceva male ad entrambi.
“Perché sei venuta qui?” le chiese, stringendosi a lei. “Perché Francisca?” continuò, ma lei non sembrò intenzionata a rispondere. Le prese allora il viso tra le mani e lo allontanò solo pochi centimetri dall’incavo del suo collo, l’incavo nel quale lo aveva completamente affondato.
“Perché?” le sussurrò stavolta, sfiorando le sue labbra con le sue in un bacio che avrebbe tanto voluto darle, ancora ed ancora. “Fuori c’è la pioggia più forte e costante che io abbia mai visto ed ancora non riesco a credere di quanto tu sia potuta essere cosi incosciente da uscire sola, a quest’ora della notte, alla mercé di qualunque pericolo o…”
Francisca lo baciò, una seconda volta, interrompendo quello che sarebbe stato il suo ennesimo rimprovero.
Si baciarono ancora, con la stessa passione, lo stesso disperato desiderio.
“Francisca… Francisca tu non sei…” in un piccolissimo attimo nel quale si separarono per riprendere fiato, Raimundo approfittò per dire qualcosa, qualcosa che però si fermò ai piedi delle sue labbra rosse e semiaperte.
“Non sono più quella ribelle e sempre sorridente ragazza che all’insaputa dei suoi genitori si incontrava con il più piccolo degli Ulloa.” e con un sorriso malinconico sulle labbra, fu lei a terminare ciò a cui la bocca di lui alludeva pochi istanti prima. “E neanche tu sei più lo stesso, Raimundo.” gli confessò.
E lui, come colto spiazzato ed impreparato si alzò, seguito da lei, e si allontanò dirigendosi verso la finestra lievemente aperta.
“Sono passati anni ed anni, Francisca. Col passare del tempo tutti cambiano, tutto cambia.” le rispose.
“No” sussurrò, ridendo tristemente tra se e se “Non è a quel “Raimundo” che mi riferivo.” gli confessò, avvicinandosi ad ogni più piccola parola pronunciata. “Mi riferisco a l’uomo che questa mattina ho visto in piazza.” continuò, fermandosi quando una delle sue mani raggiunse una sua spalla. “Chi era quell’uomo, Raimundo? E perché mi guardava come se avesse paura? Come se stesse terribilmente male?” iniziò a muovere le sue dita in una lenta carezza sul tessuto della sua camicia. “Le sue mani tremavano, il suo intero corpo tremava e potrei azzardarmi a dire che dai suoi occhi, piccole lacrime sarebbero sicuramente cadute, se non fosse per la sua bravura nel nascondere i suoi sentimenti.” continuò a parlare, assolutamente consapevole del fatto che Raimundo avrebbe capito, capito tutto, ma contro ogni sua aspettativa  lui restò in silenzio, con lo sguardo perso nell’intenso buio che copriva l’intero paesaggio fuori da quella finestra.
“Le sue mani.” disse in tono più alto e deciso di prima, afferrando con forza la sua mano ferita. “Erano ferite, ed io giuro di averci pensato e di essermi chiesta perché lo fossero, chi o cosa lo avesse causato.” lo guardò, notando sul suo volto un’espressione che, per la seconda volta, non riuscì a decifrare. “Ma non avevo risposte.” concluse, allentando la sua presa “Non le avevo e neanche ora ne ho.” si allontanò.
“Neanche so quanto tempo ho trascorso a fissare quella bottiglia di vino, li, su quel tavolo.” disse indicando la bottiglia che numerose sere gli aveva tenuto compagnia, insieme a quel bicchiere che più e più volte faceva volteggiare per poi trasformarlo in mille pezzi al suolo. “La guardavo credendo che…”
“Credendo che quell’uomo avesse ripreso a bere, non è cosi?” lui si girò, finalmente, e la anticipò, finendo il suo concetto. “Credendo che io avessi ripreso a bere.” si corresse, e bastò quella semplicissima affermazione per fermarle il cuore e farle spalancare gli occhi, mentre una terribile sensazione di paura iniziò a percorrerle l’intero corpo.
“E’…” tentò di parlare “E’ cosi?” riuscì a dire “Hai ripreso a bere, Raimundo?” ripetè ancora con voce tremante, e per tutta risposta lui seppe solo e semplicemente sorridere tristemente, pensando tra se e se a quale concreta risposta poterle dare.
“Dio, sarebbe stato cosi facile riempire più e più volte quel bicchiere!” disse, quasi parlando a se stesso. “Sarebbe stato facile riempirmi lo stomaco di quel liquido fino a perdere i sensi, fino a dimenticare tutto, completamente tutto e diventare quello che anni fa sono stato.” continuò “Ma sono diventato cosi codardo oramai da non essere più capace neanche di questo.” le spiegò guardandola. “Ed è cosi buffo pensare che io avevo solo bisogno di te eppure cercavo di dimenticarti, come erroneamente feci allora.” si avvicinò al bordo del suo letto, e come rassegnato e stanco, si sedette. “Non l’ho fatto.” negò con la testa “Non l’ho bevuto quel vino ed è stata molto di più la quantità che ho versato a terra di quella che ho ingerito.” le confessò “Sono state molte di più le volte che quel bicchiere l’ho gettato a terra trasformandolo in mille pezzi, che quelle in cui l’ho riempito.” continuò “E sono stante sicuramente maggiori le volte che ho pensato a te, ed inesistenti quelle in cui ti ho dimenticato.” concluse.
E lei, che fino a quel momento era rimasta li, in silenzio, inerme in un angolo della stanza ad ascoltare il suo triste e disperato racconto, si affrettò ad avvicinarsi da dietro stringendolo forte tra le sue braccia e poggiando teneramente la sua fronte contro la sua nuca.
Notò il respiro di lui accelerare ed il petto, coperto dalle sue mani che lo tenevano stretto al suo corpo, riempirsi e svuotarsi in modo anormale.
“Va tutto bene…” gli sussurrò pochi attimi prima di regalargli umidi e lenti baci sul collo “Sono qui ora, accanto a te.” continuò e lo sentì sospirare pesantemente.
Forse non poteva neanche immaginare tutto il dolore che in quei giorni, in quei mesi lui aveva provato, ma sapeva di averlo provato anche lei ed ora più che mai poteva e voleva “salvarlo”.
In realtà, ora loro potevano salvarsi a vicenda.
“Non ho mai voluto farti del male, credimi…” le disse ed inclinandosi lievemente, cercò le sue labbra. “Non ho mai voluto… Io non…”
“Basta…” gli sussurrò lei interrompendolo “Basta locandiere.” continuò.
Prese il suo viso tra le mani permettendogli cosi di girarsi e trovarsi a una distanza quasi inesistente dal suo corpo.  
“Guardami.” gli chiese, sollevando il suo mento “Ora sono qui, e non me ne andrò neanche se tu stesso mi ordinerai di farlo.”gli baciò la fronte “Va tutto bene, non voglio che tu dica altro.” continuò “Supereremo tutto questo, te lo prometto.”
E mentre queste cosi delicate e silenziose parole uscivano dalle sue labbra, lei lo guardava sorridendo, accarezzandolo, perdutamente ed irrimediabilmente innamorata.
Non fu molto il tempo che passò prima che riprendessero a baciarsi, ad unire disperatamente le loro labbra per non dividerle mai più. S’accarezzarono, s’abbracciarono e si strinsero forte l’uno all’altro con la stessa fretta ed ansia di chi crede che si sveglierà da un momento all’altro.
Un sogno, doveva essere un sogno.
Se lo ripetè più e più volte Raimundo, mentre le sue mani lente arrivarono ad accarezzarle le gambe, mentre la sua bocca affamata torturava il suo collo.
Era davvero la realtà?
Ed fu lei a chiederselo, a cercare di trovare una risposta, mentre sentiva le sue dita vagare sul suo corpo.
Quella notte, non si udirono altri suoni o parole all’infuori dei loro gemiti e delle loro innumerevoli e disperate dichiarazioni d’amore. 


Spazio Autrice:
BuooonSaaalvee (?) No, non fateci caso.
Sono tornataaa ed ho aaggioornatoo (dopo un'infinità di tempo aggiungerei) ma tralasciando questo piccolo dettaglio, rieccomi qui con questi due spappolatori di feels. 
Vi dirò, mi sono divertita particolarmente ad immaginarmi un Raimundo ed una Francisca in un contesto del genere, con determinati gesti e parole, e anche se avrei voluto aggiungere taaante altre cose a questo capitolo, mi sento soddisfatta. *faccina felice* Magari potessimo vedere scene del genere nella serie, con due cosi grandi attori come la Bouzas e Ibarra. 
Anyway, spero tanto che vi piaccia e che soddisfi anche voi.
Un besazo grande!
Alla prossima!
TeenAngelita_92

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