Missing Project

di Happy_Pumpkin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Heartbeat. Mihael Keehl, Kyomi Takada ***
Capitolo 2: *** Falling; Elle, Light ***
Capitolo 3: *** Mother; Light, Sachiko ***
Capitolo 4: *** Pride; Mihael Keel, Nate River ***
Capitolo 5: *** Confidence; Misa, L ***
Capitolo 6: *** Shot; Teru, Light ***
Capitolo 7: *** Smoke; Mihael Keel, Mail Jeevas ***



Capitolo 1
*** Heartbeat. Mihael Keehl, Kyomi Takada ***



Ho deciso, purtroppo per chiunque si imbatta nella lettura, di riprendere in mano questa fanfiction che avevo abbandonato mesi fa per causa di forza maggiore. Cambierò direzione: i protagonisti presenti non formeranno necessariamente delle coppie o presunte tali, si tratterà in linea generale di relazioni e avvenimenti.
Qui è ancora presente la vecchia one-shot postata millenni or sono, che ho voluto tenere per una questione di affetto; il mio stile come magari noterete è piuttosto cambiato, quindi se volete siete liberissimi di saltare questa storia e passare a quella successiva.
La raccolta è già conclusa e non rimarrà più incompiuta, infatti una volta a settimana posterò puntualmente - salvo imprevisti che spero non capitino - le parti mancanti.
Buona lettura.




Tipologia:
One-shot

Rating: giallo
Genere: Introspettivo, malinconico
Avvertimenti: //
Personaggi: Mihael Keel; Kyomi Takada




Battito.




Sentiva la velocità scompigliare i capelli, il rumore della moto e del vento che sfioravano in un ritmo confuso le sue orecchie.
La notte.
I lampioni che illuminavano la strada con debolezza, l'asfalto che veniva divorato con velocità impressionante al loro passaggio.
Un cielo metropolitano che si allontanava trascinando con sé anche le insegne e le chiacchiere della gente.

Chiuse gli occhi per un istante mentre aveva il suo petto appoggiato contro quello dello strano ragazzo, uomo forse, dal volto coperto.
Lo teneva stretto come se temesse che fosse lui a scappare piuttosto che il contrario.
E quando quei due corpi, distanti e mossi da ideali diversi, entrarono in contatto entrambi lo avvertirono: un momento di elettricità.

Un brivido e una rigida tensione in quella vicinanza.

Era imbarazzante stargli addosso, sentire il respiro misurato del ragazzo, la gabbia toracica che si dilatava pur sotto strati di vestiti.

Spero che non senta il mio cuore battere.

Le sembrò addirittura che il ritmo accelerato per la tensione, per la paura, rimbombasse nella sua testa.

Lo sentirà. Come può non sentirlo?

Lo strinse più forte quando prese una curva piegandosi pericolosamente, si premette maggiormente contro di lui, avvertendo il calore di quel corpo.
E per un solo istante, nel riflesso dello specchietto, scorse su di sé i suoi occhi.
Profondi, pieni di tanti sentimenti nei quali lei rischiava di affogare se solo osava avventurarcisi.
Quel volto... quella cicatrice... quello sguardo... perché si sentiva curiosa?

No... non era curiosità bensì un bisogno, una necessità. Di comprendere un uomo nel quale, nell'attimo in cui si erano guardati, aveva intravisto la sua stessa altezzosa superiorità, divenuta il suo scudo personale per difendersi dal resto del mondo.

Alla fine nemmeno lei sapeva cosa ci facesse su quella moto, con uno sconosciuto, lei che da studentessa universitaria era diventata il braccio destro di Kira.
Un mondo di promesse, di traguardi, di omicidi a fin di bene.
E cosa le restava poi?
Tanta paura.
Di morire.

*°*°*°*

La moto si era fermata dentro un camion vuoto, con qualche scatolone ammassato in un angolo. Un posto anonimo, avvolto da un silenzio surreale dopo che il rumore del motore era cessato.

La donna fu costretta a scendere rimanendo poi immobile, con la schiena quasi appoggiata alla parete del furgone. E rimase altrettanto immobile quando il rapitore con rapidità si tolse il casco, facendo fluire una massa di capelli biondi che gli arrivavano alle spalle.
La cicatrice. Nei disegni che Kira le aveva mostrato non c'era ma ormai ne era sicura... quella frangetta, quel volto sicuro di sé.
Ormai era ovvio: lui era Mello.

Non disse nulla quando, improvvisamente, questi le puntò contro una pistola, nera come la giacca che aveva addosso:
“Spogliati.”

Un ordine netto e preciso, come lo scatto della sicura. Si irrigidì sentendo il cuore continuare a pulsare più frenetico, in lotta contro la fredda razionalità che da sempre la caratterizzava.
No, va tutto bene. So cosa devo fare.

Si guardarono.
Per dei secondi.
Incontrandosi in una piena consapevolezza: di essere troppo orgogliosi e fieri di loro stessi ma anche di essere legati ad altre persone, sebbene in modo diverso.
Lei lo aveva voluto, lui no.

Ma in ogni caso avevano lasciato alle spalle tutto quello che avevano.

Le sue obiezioni, in quel luogo e con l'arma puntata addosso, sembravano valere ben poco.

“Sbrigati. Guarda che almeno una coperta te la do.”

Avvenne tutto lentamente: coprirsi ... denudarsi ... sfilare quel pezzo di carta che l'avrebbe salvata e tenere, a rischio, un cellulare perché lui la trovasse.
Ogni movimento fu calcolato, ponderato, mentre si sentiva solo un fruscio di vestiti.

Si lanciarono un'occhiata, come per studiarsi, osservando i reciproci movimenti e avvertendo gli imbarazzi, la rabbia, la determinazione di entrambi.
Finché con la mano libera Mello non si abbassò la zip della giacca rivelando una tuta da fattorino.

Un movimento brusco e deciso per cambiarsi, tipico del suo carattere, ben lontano dagli imbarazzati e tesi gesti della donna.

Finché questa non chiese tagliente: “Che cosa vuoi da me? Speri di ottenere qualcosa?”

Lui rimase un istante immobile e, dopo averla fissata con occhi straniti, rispose:
“La morte di Kira.”

Perché?

“Non dovresti ostacolarlo, lui è la giustizia.” asserì decisa, come da anni si ripeteva prendendo ordini da Light, sperando che fosse amata e non usata da lui.
Era doloroso autoconvincersi.

“No – rispose con tono di voce apparentemente calmo il biondo – la giustizia è morta. Tempo fa.”

Emise una leggera risata, sforzandosi di apparire sprezzante:
“Da me non ricaverai nulla. Se io muoio l'opera di Kira andrà avanti.”

Non gli servo più ormai. L'ho detto... ma lui... a me serve?

“Chi ha detto che devi morire, Kyomi Takada?”

Spalancò gli occhi, sentendosi bloccare il respiro. Il suo nome, quasi in un sussurro, pronunciato da lui con profondità.
Perché doveva trovarsi così in bilico? Perché dovevano incrociare i loro occhi, perché doveva essere coperta da quel velo trasparente e restare così nuda, scoperta e vulnerabile, davanti a lui?

Chi era Mello? Un estraneo... un uomo malvagio che l'aveva rapita per uccidere il grande Kira.

Ma cos'ha fatto Kira per me?

No. Non doveva cedere, non doveva supplicarlo di portarla via, lontano da Light Yagami, non doveva rivelargli il nome di Kira.
Perché altrimenti la sua esistenza non avrebbe avuto più senso, nemmeno se a guardarla fosse stato quel ragazzo così diverso eppure talmente vicino a lei da sentire il suo respiro sfiorarla.

Infine se ne andò, cambiato, chiudendo lo sportello alle sue spalle.
Lasciandola sola, non prima di averla guardata un'ultima volta.
Forse, se avessero saputo come andava a finire, si sarebbero detti addio... o magari sarebbero fuggiti.

Estrasse il foglio di carta con mano tremante, cercando di non fare rumore e sperando che Mello non tornasse. O avrebbe capito.
Lo guardò, passò gli occhi su quelle righe vuote che aspettavano solo di essere riempite.

Con il suo nome.

Lei lo sapeva come lui sapeva il suo. Si conoscevano prima di incontrarsi.

Un solo gesto, rapido, veloce, per lei che aveva avuto l'occasione di vederne il volto. E tutto sarebbe finito.
Fine.
Quella parola riecheggiò seducente nella sua testa.

E allora forse Light si sarebbe accorto di lei. Detestava essere dipendente da lui ma ormai era dentro il suo mondo e non poteva uscirne, nonostante ci fosse quel ragazzo che, inconsapevolmente, le stava lasciando aperta la porta.

Guardò lo sportello del camion con ansia, il foglio stretto in mano e il respiro mozzato.
Entra, avanti. Non farmi fare questo... scappiamo.

Si morse un labbro, sentì le lacrime bagnarle il volto col trucco ormai sfatto.
Stava impazzendo? Perché voleva così disperatamente andarsene da quella Terra perfetta che credeva plasmata da una giustizia superiore?

Bugie, solo bugie.

Ma erano belle bugie. E lei ci aveva convissuto troppo a lungo per evitarle.
Infine un ultimo pensiero: Kira conosceva il suo nome. Se fosse fuggita l'avrebbe uccisa.
No, non sarebbe morta scappando.
In fondo magari, ci sperava davvero, Light Yagami l'avrebbe salvata.

Estrasse tremante la penna e, lentamente, scrisse le lettere che componevano il suo nome.
“Mi dispiace, Mihael Keehl.”

*°*°*°*

Quel posto di guida era austero, senza calendari o tanti fronzoli appesi. Mello strinse il volante tirando un gran sospiro e gettando sul posto a lato il cappello.

Perché si sentiva così teso?
Era colpa di quella donna. Di quegli occhi spaventati e orgogliosi, di quella fierezza superba che lo faceva andare su di giri... perché si era rivisto in lei... nella rassegnazione e nell'orgoglio.

Va bene così. L'avrai terrorizzata. Se ora andassi di là e cercassi di comportarmi meglio non servirebbe a nulla.
Ho il mio compito e il mio rischio.
Li ho accettati entrambi, 'fanculo il resto.

Finché non gli sembrò di avvertire il fruscio di una penna, un tocco leggero, quasi una sensazione. E poi un sussurro.. delle scuse rivolte a lui.
Non aveva avvertito mai così tanto affetto e dispiacere nel sentire qualcuno pronunciare il suo vero nome.

Stupido. Questa storia mi sta dando alla testa.

Non c'erano bisbigli, fruscii, sfiorare di carte... solo lui e Kyomi Takada alle sue spalle.
Erano soli, separati da quella sottile lamiera.

E infine ci furono quaranta secondi.
Per raccogliere gli ultimi pensieri, le ultime attrazioni reciproche, per sentire ancora una volta quel cuore frenetico che bussava alla sua schiena mentre lei lo ghermiva in un abbraccio teso.

Se non ti fossi chiamata Kyomi Takada ti avrei portata a fare un altro giro in moto.

Se lui non fosse stato Mihael Keehl non sarebbe morto, appoggiando con leggerezza la testa bionda sul volante, gli occhi spalancati in una attonita sorpresa, e la frangia che svelava la sua cicatrice.



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Capitolo 2
*** Falling; Elle, Light ***



Tipologia: One-shot
Rating: giallo
Genere: Introspettivo, malinconico
Avvertimenti: Shonen-ai
Personaggi: L, Light




Falling



Una pluralità di schermi illuminavano la postazione della scrivania, simili a tante stelle artificiali o a un triste trionfo di flash fotografici. Light era seduto compostamente presso la sedia;
teneva le braccia rigidamente appoggiate in grembo, quasi per nascondere la respirazione lenta del suo torace, e a volte spostava il suo sguardo in direzione di Elle.
Lo guardava e non capiva.
Non capiva perché apparisse migliore quando anche lui, tra le pieghe dei vestiti slargati, doveva per forza di cose nascondere qualcosa. Entrambi, alla stregua di messaggeri incorruttibili, proteggevano la propria identità perché sapevano che in caso contrario la Morte – perfetta e puntuale – avrebbe fatto loro visita: ironico, dopo che Light era convinto di averla messa al proprio servizio.
Lo osservò silenzioso, reclinando appena la testa mentre gli occhi acuti cercavano di squarciare le ombre della notte; Elle stava seduto accovacciato su di una scomoda sedia, come se avesse paura di toccare il pavimento: ricordava un bambino che rifiutava di sentire freddo ai piedi. Le mani secche, prosciugate quanto canali privi d'acqua, appoggiavano l'una compostamente su di un ginocchio, l'altra portata verso la bocca semi aperta, con il pollice che pendeva stancamente da un labbro teso.
Poi, scrutatore, il giovane Yagami spostò la testa in direzione di una grande ciotola di fragole rosse al pari del sangue: risaltavano sul bianco della plastica che le custodiva, simili al carro di un trionfo che riceveva rose delicate al suo passaggio.
In quel momento Ryuzaki tese un braccio verso il recipiente e, senza degnarsi di guardare cosa stesse facendo, afferrò con la punta delle dita un frutto che troneggiava sugli altri. Silenzioso, Light seguì quel movimento lento finché la fragola non finì tra le labbra avide di Elle.
I denti bianchi, rilucenti di fronte allo schermo ipnotizzante, affondarono nella polpa purpurea senza che nemmeno una goccia di succo carminio fosse sprecata; le dita leggere tenevano strette quella primizia dall'odore appena zuccherato mentre veniva masticata golosamente, quasi con il timore che presto o tardi sarebbe sparita.
Light deviò lo sguardo sfiorando per istinto le proprie labbra, ingiustamente secche, come se un intero deserto lo circondasse impedendogli di bere; cercò di deglutire ma con sua stessa sorpresa non aveva più saliva da far scivolare in gola, forse a malapena ci sarebbe stata la propria vita che pure – assetata quanto lui – lo prosciugava a sua volta.
Improvvisamente, tra i veli dell'oscurità, si fece strada la voce di Elle:

“Cosa vuol dire essere Dio, Light-kun?”

Quest'ultimo spalancò appena gli occhi, colto inizialmente alla sprovvista, ma in un attimo fulmineo rimise la sua maschera da teatrante nel volgersi verso il proprio interlocutore.

“Perché questa domanda, Ryuzaki?”

In un primo istante non ci fu risposta. In seguito il detective guardò Light con occhi immobili, penetranti quanto privi di espressione.

“Ho ragionato a lungo. Ora voglio sentire le tue conclusioni.” mormorò senza smettere di fissarlo.

Prese un'altra fragola, questa volta tenendola sospesa per il rigoglioso ciuffo di foglioline verdi, apparentemente indeciso se lasciarla cadere a terra o salvarla.
Light assottigliò le palpebre, mentre le labbra si erano ridotte a una linea perfetta ma invisibile:

“Pensi che io sia in grado di rispondere?”

Un secondo di silenzio.

“Sì.”

Dicendo questo Elle, con un gesto lento della mano, si portò il frutto alla bocca aperta di qualche millimetro. Light lo fissò e in quel preciso istante, nella vicinanza elettrica tra frutto e labbra seducentemente in attesa, socchiuse gli occhi trattenendo il respiro.
I due tornarono quindi a fissarsi, muti.
Le onde sugli schermi alteravano la percezione del buio, regalando agli osservatori indiscreti migliaia di frammenti di vita; in realtà i due ragazzi non facevano altro che scrutare ciò che non potevano toccare, rendendosi conto che lo stesso matematico principio poteva essere applicato al loro artificioso rapporto.
Infine Light notò nel mucchio una fragola più ammaccata delle altre, forse ingiustamente maltrattata dalle sue sorelle; la prese tra le mani e dopo aver avuto la folle idea di schiacciarla si limitò a dire impassibile:

Questo vuol dire essere Dio.”

La lasciò cadere con freddezza studiata, facendola schiantare a terra.
Il frutto, già malandato, si spappolò in una sostanza indefinita e schizzi rossi andarono a macchiare le piastrelle grige. L'odore, intenso quanto quello del sangue dopo un omicidio, si diffuse nella stanza che prima sapeva di lavoro.
Elle ruotò con la sedia, accennando a un sorriso:

“Curioso. Ritenevo fosse più giusto raccogliere chi era caduto anziché gettare ciò che ritieni imperfetto. Non posso però negare di essermi aspettato un simile gesto da parte tua. Light.”

Sussurrò quasi il suo nome.
Si fronteggiarono, consapevoli che qualcun altro presto o tardi avrebbe raccolto quelle polpe seducenti dal pavimento; entrambi invece avrebbero continuato a ingannarsi vicendevolmente, rispondendone al proprio Dio personale.
Improvvisamente Elle si alzò appoggiando a terra prima un piede poi l'altro; scalzo si diresse oltre la postazione, limitandosi a infilare le mani nelle tasche dei jeans mentre i gomiti si allargavano verso l'esterno, nel tentativo di farsi spazio in una folla invisibile.
Light non si mosse; lo seguì con lo sguardo massaggiandosi contemporaneamente la fronte. Avrebbe voluto poterlo pedinare, scoprire dove si stava dirigendo, quasi con l'ossessione e la curiosità morbosa di un adolescente, ma non poteva: ogni istinto, ogni cosa che lo facesse sentire realmente umano doveva essere eliminata. Un nome uguale a tanti da annotare sul proprio quaderno.
Rimase con le orecchie tese, fingendo di fissare un punto indefinito del monitor; quando smise di sentire i passi del collega di lavoro corrugò appena le sopracciglia, valutando l'ampiezza dell'ombra che avrebbe nascosto quel segno di turbamento.
Il giovane Yagami non disse nulla; si limitò dopo diversi secondi ad alzarsi in piedi simulando pazienza. Quasi inconsciamente sistemò la cravatta come era solito fare, appiattendola sul proprio petto, mentre passo dopo passo aggiustò i polsini con la professionalità di chi debba presenziare una qualche importante cerimonia.
Avanzando nella semioscurità per qualche istante non seppe orientarsi ma fece un rapido calcolo mediante i suoi stessi passi, così da ricordarsi esattamente dove fossero collocate le pile di documenti che da un po' di giorni Elle aveva ammucchiato per la stanza. Scorse la finestra che dava sul balcone informale aperta.
Vide Ryuzaki intento a dargli le spalle: continuava a tenere le mani nascoste tra le pieghe dei jeans e la maglia slargata ne nascondeva i polsi asciutti. Il ragazzo si voltò accennando a un sorriso tirato, coi contraddittori occhi immobili che invece non esprimevano alcunché, racchiudendo dietro le occhiaie ciò che realmente volevano comunicare.
Light sospirò appena, infine si scoprì a lanciare un'occhiata al cielo privo di stelle, soffocato dai fumi della città; affiancandosi al detective si massaggiò con compostezza il collo socchiudendo gli occhi come per tornare un istante a vivere, fuori dalle mura di quell'albergo a tratti surreale.

“Credo che tu abbia ragione, Light.” ammise improvvisamente Elle, portandosi l'indice alla bocca mentre guardava i grattacieli fingere di poter toccare il Paradiso.

“A che proposito?” domandò, pur sapendo benissimo a cosa si riferisse.

“Dio decide chi resta e chi no. La pensi così, non è vero?”

“Quello è il potere di Dio: averlo non ti rende automaticamente tale.” obiettò impassibile.

“Giusta osservazione.” convenne Elle.

Perché Kira, per quanto potente sia, non sarà mai Dio. Anche lui è una di quelle succose fragole che, presto o tardi, si ritroverà a sua volta a essere gettata via dal recipiente.

E questo lo sapevano entrambi.
Light non toccò il mancorrente, si limitò a tenere le braccia rigidamente abbandonate lungo i fianchi; i suoi occhi si ritrovarono a fissare quelli di Elle che improvvisamente indagò:

“Se io cadrò potrò contare sul tuo sostegno?”

Inconsciamente Light guardò la strada metri e metri più sotto, brulicante di vita mentre loro – simili a pretenziose divinità – dall'alto osservavano quegli umani apparentemente uguali ma in realtà tanto piccoli e fragili.

“Certo – ammise calcolatore Light, per poi aggiungere con un sorriso falso – tu faresti lo stesso per me.”

“Impossibile.”

Calò il silenzio.
Light assottigliò gli occhi, squadrando Elle. Senza rendersene conto aveva finito per stringere il mancorrente d'acciaio, accompagnato dall'aria notturna che gli scompigliava appena i capelli, al contrario di quanto accadeva con la cravatta che – opportunamente fermata – rimaneva immobile alle carezze fatte di vento.
Elle si voltò verso di lui:

“Tu sei già caduto, Light.”

Chissà perché ma dopo quelle parole il giovane Yagami avrebbe voluto abbracciare Elle. Era lì, di fianco a sé, ripiegato nei suoi stessi vestiti al pari di un panno vittima dell'incuria; respirava, lento, metodico – metodico quanto lo era nel mordicchiarsi un'unghia tagliata corta.
Avrebbe voluto abbracciarlo per sussurrargli a un orecchio che era stanco.
Se non fosse stato Kira, Elle lo avrebbe compreso e allora, magari, gli avrebbe finalmente concesso di riposare.

*°*°*°*

Fu lui a stringerlo tra le braccia per farlo dormire, raccogliendolo al momento della caduta proprio come gli aveva assicurato. Con l'amore di un amante e la premura di una madre.
La loro rivalità correva instancabile accanto all'attrazione reciproca: entrambi avevano continuato a cercarsi, inseparabili, magnetizzati l'uno verso l'altro. Fino a che in quella corsa sfrenata qualcuno dei due non fosse crollato, per colpa di chi esattamente non aveva realmente importanza.
Elle non parlò; lo fissava non con occhi accusatori bensì fastidiosamente consapevoli: sembrava che in realtà lui avesse sempre saputo di dover morire.

“Sei caduto insieme a me, Elle.”

Peccato che, a differenza di quanto accadeva con le fragole, non ci sarebbe stato nessuno a raccoglierli.


Sproloqui di una zucca

Sono consapevole di aver creato un'emerita schifezza, ne sono proprio convinta, quindi chiedo anticipatamente scusa a chiunque si aspettasse qualcosa di diverso. Fino all'ultimo non sapevo se postare o meno questa cosa... ma tant'è, alla fine mi sono decisa, perché era una shot che avevo pensato da parecchio.
Questo è il modo nel quale concepisco il rapporto tra Elle e Light, un'attrazione che non può diventare altro perché inevitabilmente i due sono costretti a respingersi.
Mi auguro che i personaggi non siano troppo OOC, nel qual caso avvisatemi *O*

La prossima one-shot sarà Mother, con protagonisti Light e Sachiko.

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Capitolo 3
*** Mother; Light, Sachiko ***



Tipologia:
One-shot

Rating: verde
Genere: Introspettivo, malinconico
Avvertimenti: //
Personaggi: Light, Sachiko


Mother


La cucina appariva deliziosamente ordinata dopo la cena famigliare, simile a quelle che si vedevano nelle riviste patinate: ogni oggetto era perfettamente allineato secondo rigorose disposizioni millimetriche.
Solo l'odore residuo di cibo, che galleggiava leggero come una foglia sull'acqua, tradiva quell'impeccabile e quasi asettico ordine. Niente che in poche ore non potesse essere scacciato via aprendo le finestre o spruzzando un deodorante per ambienti, comprato con curiosità al supermercato.
Sachiko terminò di ripulire il ripiano del lavandino grazie ad una spugnetta umida, tentando di far tornare a splendere l'acciaio; la strizzò infine con forza così da lasciar colare via l'acqua che –  come i suoi anni – scivolava, scomparendo nelle tubature interrate.
Sorridendo si voltò a guardare suo figlio il quale, nonostante dovesse studiare per gli esami d'ammissione, era lo stesso venuto a darle una mano. Lo scrutò, dolcemente indiscreta, intento a posizionare con puntigliosa precisione i bicchieri all'interno della lavastoviglie; sorrise nel vederlo spostarli quando scoprì che non erano stati disposti secondo i suoi perfezionisti desideri.

“Caro, lascia stare. Lo studio è più importante.”

Eppure le piaceva tanto averlo così vicino, per una volta non barricato in quella sua camera buia. Lo avrebbe guardato come un'innamorata per ore mentre respirava, anche solo mentre con un gesto ponderato della mano sistemava la frangia che a volte gli nascondeva i bei occhi castani. Era il suo bellissimo figlio, l'orgoglio di ogni madre, eppure contemporaneamente anche così distante; una presenza sfuggente che di tanto in tanto – simile alla pioggia improvvisa – faceva la sua comparsa, lasciandola prima che lei potesse tentare di afferrarla.
Light sollevò la testa e obiettò con una gentilezza rarefatta:

“Non preoccuparti. Dovrò pure fare una pausa ogni tanto.”

Lei scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
Così gli si avvicinò afferrando uno strofinaccio e, senza preavviso, lo avvolse attorno alle mani del ragazzo, stringendo le sue – più cicciottelle, nonché accompagnate da qualche callo – attorno ad esse.

“Allora comincia a non sgocciolare per casa – si finse imbronciata quando aggiunse – e poi non devi stare con le mani bagnate, rischieresti di ammalarti.”

“Lo sai che io non mi ammalo mai.” obiettò lui di rimando, storcendo le labbra in una smorfia di superiorità.

Sachiko lo guardò un istante. Provò l'impulso di abbracciare il suo bambino e coccolarlo, quasi potesse realmente tenerlo ancora in braccio.
Si dette della sciocca, pensando che ormai lui era grande abbastanza da proteggersi autonomamente dai mali della vita; nonostante tutto avrebbe voluto che il suo ostinato figlio sapesse che, qualsiasi cosa fosse accaduta, gli sarebbe stata comunque accanto. Come un'apprensiva chioccia; come una casa dal camino sempre acceso, anche se un soffio di vento avesse tentato di spegnerlo.
Sospirando, si sedette presso il tavolo mentre Light finiva di sistemare le ultime stoviglie; attorno a loro gravava il silenzio: il marito era rimasto presso la polizia a lavorare fino a tardi, Sayu si era fermata a dormire da un'amica per chiacchierare forse di adolescenziali cotte e frivoli pettegolezzi.

“Dimmi, hai un po' di tempo per le ragazze?” chiese ridacchiando.

Light sbuffò accennando ad un sorriso: “Mamma... non tirare fuori argomenti imbarazzanti.”


“Scusa, credevo che volessi confidarti.” replicò ingenuamente, fingendosi offesa.

“Magari un giorno avrò un segreto ben maggiore di cui non entrerai mai a conoscenza.”
Accennò enigmatico, richiudendo subito dopo la lavastoviglie in un colpo netto.

“Impossibile – negò lei quasi con brusca dolcezza – tu sei un figlio meraviglioso. Un giorno ti laureerai, troverai la donna giusta per te e ti sposerai. Avrete dei bambini che potrò orgogliosamente chiamare nipoti e io, da brava vecchietta impertinente, mi vanterò sempre di te con le vicine.”

Deviò lo sguardo per nascondere orgogliosamente gli occhi lucidi.
Light rimase muto, mentre l'elettrodomestico silenzioso iniziava a funzionare. A quell'epoca, stupidamente, non trovò parole per ringraziare l'unica persona che avesse realmente creduto in lui.
Nel suo odioso senso di superiorità aveva considerato sua madre una donna come tante, con i classici desideri nei confronti dei figli per compensare ciò che non erano state loro in vita; si era sbagliato, forse l'unico errore che poteva pentirsi di aver commesso.
Sin da quando aveva iniziato a diventare autonomo, con il suo lavoro, con il potere tra le mani di rendere il mondo migliore, Light aveva razionalmente pensato ad ogni aspetto della sua esistenza. Sì, aveva pensato all'Università che avrebbe dovuto frequentare Sayu, a chi avrebbe dovuto sposare, a comprare un appartamento più vicino al centro ora che suo padre era scomparso. Lui era diventato responsabile di tutte loro e con impersonale freddezza se ne sarebbe occupato, distaccato come se avesse dovuto svolgere comuni pratiche d'ufficio.
Poi, lucidamente attaccato ad ogni frangente della vita, aveva anche organizzato per ipotesi e calcoli precisi il funerale della propria madre: perché in base al conteggio degli anni doveva morire per forza prima di lui, era parte anche questo del corso della natura umana.
Avrebbe detto il discorso d'addio, scambiato qualche bella parola con tutti, organizzato un ricevimento sobrio come piaceva a lei e di tanto in tanto sarebbe andato a portarle dei fiori sulla tomba. Tutti sarebbero stati soddisfatti se le cose fossero andate in quel modo.

Mai avrebbe immaginato invece che un giorno si sarebbe ritrovato lui steso a terra nello sporco, con la camicia spiegazzata, gli occhi strabuzzati e i capelli – quei bei capelli che sua madre non smetteva mai di elogiare – completamente disfatti.
Delirava sentendo che secondo dopo secondo la morte si impossessava di lui che, codardo, avrebbe voluto fuggire lontano da lì.
Negli ultimi attimi di vita Light Yagami non pensò a Kira, ad Elle, al mondo che lasciava né tantomeno a qualsiasi persona che in quella stanza avrebbe voluto sputargli addosso l'odio nei suoi confronti. Negli ultimi attimi di vita infatti pensò a sua madre che, sola, in una stanza lontano da quel posto forse pensava a suo figlio con amore incondizionato.
Se fosse stata lì, accanto a lui – pensò lucidamente –  non avrebbe mai potuto odiarlo: sarebbe corsa ad abbracciarlo e ad accarezzargli la testa. Senza piangere né balbettare come una donnetta qualsiasi: lo avrebbe sostenuto fino all'ultimo non perché fosse stato nel giusto ma semplicemente perché quello che stava morendo non era soltanto un assassino. Era suo figlio.
Forse, pensò prima che l'ultimo battito lo tradisse, non sarebbe stato poi così banale sposare Misa, avere dei figli e vivere una vita qualsiasi.
Vivere.
Che parola stupida da pronunciare a un passo dalla morte.


Sproloqui di una zucca

Light, Light, cosa mi combini? Questa è la morte di Light come è presentata nel manga, nell'anime invece fa un fine molto più decorosa: sulle scale, con l'immagine di Elle (<3) che gli appare di fronte. Nel manga, per quanti di voi l'abbiano letto, Light non scappa e viene ucciso da Ryuk nella polvere.
"Maledizione."
Le ultime parole che dice, mentre il viso è contratto con gli occhi aperti.
Questa è una mia breve riflessione sul rapporto tra Light e la famiglia, in particolar modo la madre. Non penso che quest'ultima se realmente si fosse trovata Light morente avrebbe potuto sembrargli indifferente, indipendentemente dalle colpe del figlio.

Credo nessuno abbia trattato della loro relazione - anche perché in effetti è piuttosto abbozzata - ma ritengo che in linea di massima la fiction proposta possa essere uno scorcio di vita famigliare, quando Light non andava ancora all'Università. La fine... perché Light, un istante prima di morire, non può aver dedicato un ultimo pensiero a lei, unico legame con la sua vita passata? E poi... un ultimo, forse sciocco pensiero sulla svolta che avrebbe potuto intraprendere. La svolta che lo avrebbe fatto restare ancora vivo.

Umpa_Lumpa: Nessuna recensione penosa, al contrario *O* Sai com'è, la mia fiducia generalmente ondeggia tra un livello pari a zero e lo zero assoluto, in particolar modo quando una storia non esce nel modo in cui desideravo.  Sono contenta che la shot ti sia piaciuta; lo stesso dicasi per le tue osservazioni sul modo in cui ho reso Light e L, personaggi effettivamente difficili da trattare, però secondo me ricchi di spunti narrativi.  Grazie per il commento così articolato e per aver apprezzato il messaggio contenuto nel testo! ^O^ Alla prossima ^^

Princess21ssj: Carissima, ti ringrazio per la recensione a entrambe le shot X3 Takada e Mello... quando erano nel camion e lei doveva cambiarsi il mio neurone già vorticava ispirato, così automaticamente ho buttato giù quelle righe. Mi fa piacere sapere che non solo la loro relazione è concretamente possibile, ma anche che i personaggi risultano ben caratterizzati.
Ah, la seconda shot. Come ben sai ho a volte le mie fisime e i miei mille interrogativi su quanto effettivamente valga ciò che scrivo; sentivo che avrei voluto dire altro e parallelamente molto meno: puoi ben capire la giuoia nel vedere che le mie pare mentali non erano - superfortunatamente - condivise con quanti hanno commentato.
L e Light insieme sono qualcosa di unico. Sono davvero contenta di sapere che ti ha lasciato un impatto forte il dialogo tra i due, che poi si va a risolvere nella riflessione su cosa rappresenti per entrambi Dio e quello che comporta, la morte in primis.
Spero che anche questa shot possa in qualche modo piacere ^^ - mi rendo conto  che Light, c'è poco da fare, nonostante tutto è un personaggio acchiappante: ispira tanti argomenti diversi da trattare *O*
Un grande abbraccio *spupazza Prinss*

Melanyholland: Mi fai tirare davvero un sospiro di sollievo. Non posso che darti ragione: è difficile usare i personaggi di Deathnote e soprattutto scrivere qualcosa di diverso; il fatto che tu abbia apprezzato la trattazione e lo spunto diverso mi soddisfa. Hai splendidamente analizzato il rapporto tra L e Light che intercorre nella fiction: l'uno che giudica e punisce, l'altro che raccoglie.  Quindi sono io a ringraziarti per questa recensione, nella quale ti sei fermata a condividere i tuoi pensieri.
Felicissima che tu abbia apprezzato i miei "Sproloqui di una zucca" X°D; ormai da un po' di tempo a questa parte è diventata la mia frase introduttiva prediletta ^O^ Alla prossima ^O^

Myrose: Certo che puoi chiamarmi Zucca, a me fa piacere (sono stata anche ribattezzata Zucchetta XD) perché è un nomignolo puccio e io sono pucciosa! - ehm, sì, insomma... diciamo così và XD Sono contentissima del fatto che una mia fiction abbia generato delle riflessioni così profonde: è vero, il concetto di giustizia è opinabile; noi stessi ci chiediamo fino a che punto Dio stesso sia giusto e quanto la giustizia umana possa essere razionale, oppure un mero postulato del divino. Io ringrazio te per aver lasciato questo commento, nel quale hai espresso le tue opinioni, dialogando con me dei tuoi pensieri. Grazie davvero ^O^
Condividiamo lo stesso pensiero anche su ciò che significhi scrivere e quello che si cerca di trasmettere. Un bacione grande *_____*



La prossima shot sarà Pride, con Near e Mello ^^


Grazie a lettori/recensori/preferiti/seguiti *O*


 

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Capitolo 4
*** Pride; Mihael Keel, Nate River ***


Tipologia: One-shot
Rating: giallo
Genere: Introspettivo, malinconico
Avvertimenti: shonen-ai
Personaggi: Mihael Keel; Nate River

Pride




Mello rimase acquattato dietro il muro; respirava piano, come se ogni getto d'aria fosse troppo rumoroso. In effetti era così: lui doveva essere invisibile se voleva vincere.
Trattenne il respiro quando Kyle, un bambino di qualche anno più piccolo rispetto a lui, passò guardingo a pochi metri di distanza dal nascondiglio. Non appena il compagno di giochi fu finalmente abbastanza lontano, il ragazzino dai capelli biondi accennò ad un ghigno silenzioso ma compiaciuto, inspirò profondamente ed infine scattò in avanti mettendosi a correre al pari di un folle lungo il selciato.
I suoi piedi sollevavano la polvere del terreno, facendo schioccare sassolini che, se fossero stati più inconsistenti, probabilmente sarebbero stati fiondati molto più lontano. Rise con i capelli al vento mentre continuava a compiere falcate su falcate, divorando ingordo quello che ora era divenuto un prato in grado di scorrere come una pellicola sotto di lui.
Pochi secondi e avrebbe raggiunto l'albero: toccandolo poteva dichiarare ancora la sua vittoria, semplicemente appoggiando il palmo della mano sulla corteccia ruvida. Ghignò trionfante, sentendo di poter volare da un momento all'altro solo aprendo le braccia: facendolo dalle scapole sarebbero spuntate ali che gli avrebbero permesso di elevarsi sopra gli altri e, forse, farlo fuggire. Sì, un giorno lo avrebbe fatto.
Improvvisamente però nella foga dell'avanzare mise male un piede e, non tenendo stupidamente conto del terreno bagnato dalle recenti piogge, scivolò cadendo in avanti, avendo a malapena la scarsa prontezza di appoggiare le mani al suolo.
Gli fece uno strano effetto in quei secondi di caduta sentire il vuoto sotto di sé mentre, per un impercettibile istante, la maglietta nera si sollevava come una bandiera pirata mossa dal vento: lo stomaco gli si contrasse e contemporaneamente le palpebre si dilatavano lentamente, non facendo nemmeno in tempo a chiudersi prima che il corpo indifeso toccasse terra.
Per pochissimo Mello rimase lì, steso sull'erba, con il volto a contatto attorniato da ciuffi bagnati e i capelli che si mischiavano al verde reso intenso dalla rugiada. Lui era crollato come un idiota.

“No!” esclamò rabbioso.

Si alzò in piedi zoppicante, incurante del ginocchio sbucciato alla stregua le mani.

“Tana per Mello!” esclamò Kyle allegro ed incredulo di aver scovato tanto facilmente l'imbattibile
ragazzo.

Quest'ultimo si morse un labbro, lanciando all'intrepido compagno uno sguardo carico di risentimento. Strinse i pugni con rabbia, infine esclamò puntandogli un dito contro:

“Non significa nulla. Non hai vinto un bel niente!”

Senza aspettare una replica che mal avrebbe sopportato, Mello si voltò e a grandi falcate si allontanò dal campo di giochi con addosso la voglia folle di gettare tutto all'aria. Tenne lo sguardo appena abbassato, lasciando che la frangetta gli coprisse gli occhi lucidi di rabbia anche se per la velocità i capelli non riuscivano nemmeno a ricascargli sulle spalle.
Prima di entrare nell'edificio però scorse in lontananza Near che, silenzioso, lo guardava apatico. A sua volta Mello non si risparmiò uno sguardo torvo, forse minaccioso, forse realmente carico di sofferenza.
Entrò attraverso il portone; dopo aver oltrepassato il grande corridoio centrale, fresco e ombreggiato, si andò a rifugiare presso una delle nicchie, sopra le quali vi erano collocate ampie finestre che illuminavano il fondo. In quel punto, poco di passaggio, poteva essere sicuro che nessuno venisse a disturbarlo con stupide richieste di compagnia o sbeffeggiamenti per aver perso.
Sbatté un pugno sul muro, mentre la luce filtrava pallida attraverso le imposte parzialmente socchiuse, illuminando il pavimento bianco così che lui, seppure nell'ombra, poteva allungare la mano e vederla carica di sole.
Si guardò un istante il ginocchio ferito e istintivamente appoggiò la fronte su di esso, incurvando la schiena come se fosse stata investita da un peso troppo grande; internamente rodeva di rabbia per essere stato stupidamente battuto: già pensava a cos'avrebbero detto gli altri di lui, a come avrebbero trattato l'eterno secondo che ora sarebbe stato anche l'ultimo.
Un bel disastro di classificazione la sua.

“Ti sei fatto male?”

Mello si voltò di scatto e roteò gli occhi quando vide le gambe di Near il quale, in piedi, lo guardava dall'alto in basso – come sempre.

“Ti piacerebbe, vero?” replicò acido.

“Non mi importa.” fu la risposta laconica.

“Allora perché me l'hai chiesto?” sbottò fissandolo mentre il ragazzino, lentamente, si era chinato, sedendosi per terra con una gamba appoggiata contro il petto.

“Cortesia. Non mi sembrava giusto ignorarti.” spiegò freddamente razionale.

Mello sbuffò, sollevando dei ciuffi della frangia che si scombinarono, tornando ad appoggiarsi sulla fronte sudata. Quel tappo calcolava persino i gesti di pura gentilezza, sembrava non conoscere cosa fosse l'istinto: forse per quello non si faceva mai male, a differenza di lui.

“Beh, ora se ti togliessi dai piedi starei anche meglio.” sibilò.

Pentendosene prima ancora che finisse di parlare.
Near per qualche istante lo fissò. Vestito di una slargata maglia bianca, i pantaloni gli coprivano quasi i piedi magri ed una mano, appoggiata sul ginocchio, ciondolava inerte.
Infine privo di espressività annuì:

“Come preferisci.”

Fece per alzarsi in piedi quando Mello un po' bruscamente intervenne, evitando di guardarlo a sua volta, come fingendo che non esistesse:

“E' che con tutto quel bianco finirò per rimanere accecato da te.”

“Forse perché stai nell'ombra.” accennò, rialzandosi lentamente.

Con un dito si tormentò irrequieto una ciocca di capelli, pensando quasi febbricitante al perché il compagno fosse così tanto ostile nei suoi confronti. Aveva capito perfettamente l'equazione matematica delle sue motivazioni ma non voleva ugualmente accettarla: Mello credeva che ogni cosa fosse basata su di una classifica stranamente razionale per il suo pensiero generalmente istintivo. O si è primi o si è nulla.
Prima di allontanarsi però Near aggiunse quasi con voce monotona:

“Devi disinfettare la ferita o potrebbero insorgere...”

“Lo so. Accidenti!” esclamò l'altro.

Per qualche istante tra i due calò il silenzio e il corridoio sembrò farsi nuovamente spoglio. Allora senza aggiungere altro il più giovane dei due si allontanò a passo cadenzato, smettendo di abbagliare Mello.
Quest'ultimo improvvisamente si tolse dal suo rifugio, appena in tempo per vedere il ragazzo andare sempre più lontano mentre lui, ferito, sarebbe rimasto troppo indietro prima di poterlo raggiungere.

*°*°*°*

Se in quel momento avesse avuto una sigaretta tra le labbra Mello con il fumo avrebbe potuto tracciare un cammino: evanescente, in grado di diventare confuso nel giro di pochi secondi. Proprio alla stregua della sua disastrata vita.
Si passò un polpastrello sulla cicatrice che, come il pianto di quel giorno d'infanzia, tentava di venire nascosta mediante una semplice frangia. Curioso che anche in quel caso una caduta inaspettata fosse la diretta responsabile.
Infine sbuffò appena e, tirando fuori una mano dalla tasca del giaccone, entrò nella stanza dove Near sedeva, circondato dalle sue pile di torri improbabili – fragili quanto incredibilmente attraenti.
Nel secondo prima che qualcuno dei due parlasse, Mello lo osservò quasi con nostalgia mentre appoggiava meticoloso un fiammifero su di un altro: un solo soffio incauto e tutto sarebbe crollato. Near era proprio come quelle barricate che ostinatamente continuava a voler erigere: all'apparenza insensibile, forte, ma in realtà sempre ad un passo dal ricadere su se stesso fino a non diventare un mucchio informe. Si proteggeva, si isolava dietro quelle mura fittizie e allo stesso tempo osservava, sperando che nessuno fosse abbastanza intelligente o avventato da capire che sarebbe bastato un colpo di mano per rendere tutto vano. Per ridurlo a meno di zero.

“Io sono disposto a farlo. Non c'è altro modo per fermare Kira.” disse Mello senza traccia di presunzione.

Near lo squadrò diversi istanti, poi tornò a posare un ulteriore fiammifero dicendo:
“Guarda che non sei obbligato.”

Mello rise amaramente, replicando: “Ormai non ho nulla da proteggere eccetto il mio orgoglio. Arrivati a questo punto non mi rimane nient'altro.”

“Capisco.” si limitò a dire.

Non c'era molto da aggiungere, anche se in realtà entrambi avrebbero voluto parlarsi ancora. Era difficile, dopo anni di rivalità, ammettere che erano ossessionati reciprocamente: finivano per cercarsi nuovamente, tentando di ricucire la parte mancante del loro rapporto – simile alla zampa persa di un orsacchiotto malandato.
Near cercava di avvicinarsi a Mello, l'unico che non considerasse il muro di indifferenza che si era costruito sin  dall'infanzia; Mello a sua volta cercava Near per tentare di superarlo, quando in realtà non si rendeva conto che gli bastava semplicemente averlo al fianco.
Erano due poli con la stessa identica carica che, pur tentando di incontrarsi, finivano sempre per respingersi. Sarebbe stato così fino alla fine, pensò amaramente Mihale Keel.
Questi alzò le spalle e con il cappotto spavaldamente aperto si avvicinò alla porta; diede le spalle al compagno, mormorando nel tentativo di rendere le parole meno udibili:

“Grazie.”

“Per cosa?” chiese Near tenendo tra le dita un fiammifero che non appoggiò, concentrandosi unicamente sulla schiena del suo interlocutore.

“Una sciocchezza di tanti anni fa. Niente di importante.” borbottò senza voltarsi, per poi aprire la porta e scomparire oltre di essa.

L'ultima volta nella quale si sarebbero visti.
Incredibile quanto possano apparire belle le persone l'attimo prima di andare via per sempre.(*)

*°*°*°*

Quando un giorno fosse tutto finito Near avrebbe voluto accendere uno di quei fiammiferi e gettarlo in pasto agli altri, ordinatamente impilati. Allora, silenzioso e seduto sul freddo pavimento poco distante, avrebbe visto le sue mura prendere fuoco sollevando una nuvola di fumo: così, con gli occhi macchiati da una nicotina inesistente, poteva contemplare le sue difese ridursi in cenere.
Forse allora Mello non sarebbe più inciampato nel tentativo di scavalcarle per raggiungerlo e lui, più piccolo, a sua volta avrebbe potuto vederlo.





Sproloqui di una zucca


Amo questa shot. Non so perché, però l'ho davvero molto sentita.

Mi piacciono entrambi i personaggi e adoro la loro rivalità, la competitività di Mello e l'apparente apatia di Near.
La frase con (*) è tratta dal film "Velvet Goldimine" una di quelle pellicole che venero con tutta me stessa e anche la parte successiva ha dei riferimenti che solo gli esperti del film possono cogliere XD
La concezione delle barricate e di quello che rappresentano per Near è nata da una proficua chiacchierata via msn <3



Myrose: Felicissima, mia cara, che il capitolo possa averti dato così tanti spunti di riflessione *______* Già, la società giapponese è prettamente maschilista e si culla nella facciata dell'uomo come padre e padrone: le donne vengono purtroppo messe su un piano differente. Mi è spiaciuto che nel manga non fosse fatto minimamente cenno alla complicata relazione tra Light e la sua famiglia, in particolar modo la madre - madre che oltretutto appare più insignificante di un batterio ibernato.
Concordo pienamente su quanto dici: Light è cresciuto nei classici valori famigliari giapponesi, o almeno quelli che i genitori credevano di avergli trasmesso. Io credo che abbia recepito una versione distorta della giustizia, talmente distorta da apparire "giusta" per tutti coloro che avevano bisogno di aggrapparsi a questa percezione falsata.
Vero, avrebbero potuto farsi aiutare nel crescere un figlio con una simile intelligenza, però credo che questo lo si possa dire col senno di poi: penso che si siano cullati nell'illusione che tutto fosse perfetto nella loro vita altrettanto perfetta.
Le tue recensioni mi emozionano e mi fanno sentire davvero orgogliosa di quello che scrivo, dunque grazie a te per lasciarmi commenti così belli e profondi. Anche a me farebbe piacerissimo chiacchierare
con te davanti ad una granita - che adoro =ç=   *______* Un bacione e alla prossima °3°

_Kira94_: Grazie davvero ^O^ Sono felice di aver trasmesso un sentimento come la commozione attraverso una mia storia ^//^

The vampire girl: Grazie anche a te ^^ Pride in inglese vuol dire orgoglio. No, per quanto io ami e veneri lo yaoi, come vedi non si tratta che di una shonen ai: per questa raccolta ho preferito lasciare accenni leggeri, in modo da creare un insieme quanto più omogeneo possibile ^^

KairiDN: Felice di essere riuscita in quest'impresa dal valore non indifferente *______* Grazie per esserti fermata a commentare, spero che anche le altre fiction possano piacerti *O*



Alla prossima shot: Confidence, con Elle e Misa.

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Capitolo 5
*** Confidence; Misa, L ***




Confidence

Una sublime torta troneggiava sul tavolino della camera: ciliegie rosse come seducenti labbra di signora arricciate, riccioli di panna zuccherini, granella di cioccolato che accarezzava la superficie vellutata, simile ai semi sparsi sul terreno dal contadino amorevole. Il pan di Spagna imbevuto di caffè odorava ancora di cucina, di farina, di forno lasciato aperto per far ventilare il calore intriso di dolce nella stanza.
Elle controllava silenzioso alcuni documenti; a lato vi era una tazza colma di thé, parzialmente nascosta da pile di fogli sparsi per il tavolino, mentre di fronte a lui – avvolto dalla poltrona su cui era rannicchiato – la torta troneggiava intoccata, al pari di un'orgogliosa regina pronta alla decapitazione. Improvvisamente entrò Misa nella camera e, sbuffando, senza troppa cura si gettò sul divano, portandosi teatralmente un avambraccio davanti alla fronte.

“Sono distrutta!” esclamò, sospirando in modo un po' calcato.

Elle alzò un solo istante gli occhi dalla documentazione e scrutò silenzioso la ragazza, non dimenticando di notare gli stivali neri gettati malamente ai suoi piedi. Stava lì, aspettando qualcosa, forse una parola, un saluto o un incoraggiamento.

“Mogi ti riempie di lavoro. Sei stanca?” chiese con tono di voce impersonale, l'aria di chi stesse ponendo un banale questionario sullo stile di vita dei giovani.

L'attrice esclamò corrucciando le labbra e facendo mostra di tutto il suo disappunto: “Sì!”

Il detective accennò ad un sorriso che gli assottigliò le labbra già di per sé poco visibili, mentre con gli occhi sgranati e inespressivi non smetteva di fissare la vicina di salotto. Senza traccia di rimprovero osservò. “E' il tuo lavoro: è giusto che tu lo faccia; non vorrai deludere me e gli altri fan, spero.”

Lei al sentire quelle parole riaprì gli occhi, guardando curiosa l'investigatore che a sua volta, privo di perplessità, non si faceva problemi a osservarla. Era una persona strana, quel ragazzo senza nome; dal fisico gracile, curvo, privo di quella prestanza atletica che aveva Light – alto e fiero nelle sue spalle perfettamente dritte, squadrate dalla giacca formale che indossava sempre.
Eppure nei suoi modi di fare, diretti e a volte incomprensibili, sapeva essere carismatico: tutti, forse perché troppo ignoranti, forse perché dipendenti, non potevano fare a meno di seguirlo, qualsiasi cosa fosse intenzionato a compiere.
L'intera squadra di polizia superstite era saltata nel vuoto solo per lui; alcuni, nel corso delle indagini, purtroppo non erano riusciti a salvarsi nell'atterraggio. Misa credeva addirittura che in realtà nessuno di loro fosse mai veramente giunto alla fine di quel baratro oscuro: stavano ancora volando a occhi chiusi, aspettando di toccare terra.

“Non vi deluderò, ovviamente. Misa Misa è sempre piena di energie per i suoi fan!”
Sorrise imitando una posa trionfante, per poi stringersi con più tristezza nelle spalle.

“Lo immaginavo.” replicò Elle non sbattendo ciglio, anche se dalla sua voce emerse una nota soddisfatta.

Misa lo scrutò diverso tempo, restando a sedere con le ginocchia strette e le caviglie che si inclinavano, immergendo le mani nell'oceano vaporoso della sua gonna in tulle. Infine improvvisamente chiese:
“Che cosa sono io per Light?”

Si morse le labbra rosse. Quel rosso intenso, uguale alle ciliegie in cima alla torta che avrebbe voluto ingordamente mangiare.
Il ragazzo non si sorprese. Era matematico: prima o poi Misa si sarebbe posta delle domande a riguardo, nonostante la sua testa ragionasse per strade dirette che spesso non coincidevano con quelle degli altri. Imprevedibilità e ingenuità apparente, due tra le combinazioni peggiori che potessero capitare in un essere umano.

“Ho motivo di credere che tu rappresenti un puro e semplice mezzo.”

Non c'erano misure né concessioni in quelle parole: la devota verità che a Misa fece consapevolmente male. Sapeva di non essere altro che un mero strumento nelle sue mani, anche quando Light fingeva di sfiorarla o recitava un amore che in realtà non provava: lei si riteneva sciocca non perché si ostinava a volerci crederci realmente, ma per non saper fingere bene quanto Light.
Si consumava nei suoi stessi dubbi e, quando volontariamente li ignorava, finiva per provare ancora più dolore: sia svegliandosi al mattino sola in un letto matrimoniale, sia abbracciando sotto la doccia le sue stesse spalle e non quelle dell'amante.

Elle fece una pausa, poi improvvisamente chiese scartando diversi fogli “E Light? Cos'è lui per te?”

In quell'istante la giovane idol si sentì nuda eppure, nella sua privazione di scudi, anche tanto libera. Era allettante essere spogli da finzioni rassicuranti come da catene.

“Tutto.”

Non ci fu esitazione nella sua voce, neanche un minimo di turbamento: fu come se quella risposta fosse stata da tempo programmata nella sua testa. Indelebile, un tatuaggio all'innamorato che non sarebbe mai andato via.
Per un istante i due non si parlarono. Rimasero sospesi nel silenzio surreale della stanza, interrotto solo dal ronzio rassicurante dei monitor, mentre l'odore zuccherino della torta aleggiava accompagnando l'amarezza della conversazione.
Elle tornò ad abbassare gli occhi suoi fogli, togliendoli con la punta dell'indice e spaziando tra le righe scritte nello stesso modo indifferente con il quale usualmente avanzava per le camere mute.
Nonostante questo sapeva che Misa, pur fingendo disinteresse totale, con la sua maniera un po' infantile lo studiava, cercando di capirlo, cercando uno spiraglio che non avrebbe trovato; allora sollevò la testa e incrociò lo sguardo in direzione di quello della ragazza.

“Vorrà dire che allenterò la sorveglianza. Avrai occasione di passare un po' di tempo con Light.”

Lei per qualche istante sbarrò gli occhi incredula, poi assottigliò gli occhi e ribatté guardinga:
“Ehi, non è che lo fai per poterci spiare?”

Si portò le mani sui fianchi, allargando i gomiti alla stregua di una madre in procinto di sgridare il figlio. Il detective si portò un indice al labbro e replicò, roteando pensoso gli occhi:
“Potrei anche farlo ma non ne avrei motivo, io le mie conclusioni le ho già tratte. Guardarvi sarebbe  tempo tolto alle indagini, per quanto sicuramente molto invitante.”

Senza volerlo Misa ridacchiò. Sospirò e dando teatralmente prova di infinita pazienza rispose: “Va bene, mi fido di quello che dici – scoppiò dunque a ridere e si portò entusiasta le mani sulle guance accaldate –  Finalmente potrò passare un po' di tempo con il mio

Mostrando la solita incuria irruente andò ad abbracciare Elle, ringraziandolo con una vocina da bimba esagitata, anche se quell'abbraccio tanto impacciato quanto infantile era sincero e profondo. Il detective rimase immobile, con ancora delle pagine scritte tra le punte delle dita, ma non si distolse da quella presa affettuosa, limitandosi a fissare il muro davanti a sé e ad accennare al solito sorrisetto privo di troppe complicazioni.

“Non fare così o potrei pentirmi ancora di più della mia scelta. Dopotutto sono pur sempre il tuo fan numero uno.” osservò lui.

Nonostante tutto.
Misa non si mosse; respirò un attimo fugace l'odore asettico di quei capelli scuri, spettinati e senza controllo. Strinse le braccia attorno alle scapole magre che si perdevano oltre la maglia larga e scoprì, dandosi della stupida, che anche Elle aveva un cuore.
Non riusciva a sentirlo battere con precisione, ma ora ne era sicura. Che constatazione stupida.

“Grazie.” mormorò.

Un'interminabile cavalcata sull'onda del silenzio. Poi, poco dopo, si infranse contro di essa il cigolio accennato della porta: un rumore come tanti ma che, in quel momento di sospensione, fu più fastidioso dell'esplosione di mille cristalli tintinnanti nell'aria.
Entrò Light; era intento a scartabellare alcuni plichi che teneva tra le mani, mentre sfoggiava inconsapevolmente un nodo della cravatta leggermente allentato: “Ryuzaki, guarda...”

Si bloccò sulla soglia quando vide Misa abbracciare Elle che, con la sua solita aria inespressiva, rimaneva immobile. Il giovane Yagami accennò ad un sorriso tagliente ma anche fugace, poiché scomparve più velocemente di uno scomodo granello di polvere; quando si passò una mano tra i capelli il ragazzo aggiunse, schiarendosi un istante la voce per fingere una premura amichevole:

“Vi vedo impegnati; se vuoi torno dopo.”

“No, rimani!” esclamò gioviale Misa, distogliendosi immediatamente dall'abbraccio in una maniera talmente rapida da sembrare essere stata folgorata.
Non notò, o finse di non notarlo, che il suo fidanzato si era rivolto esclusivamente a Ryuzaki.

“Se proprio devi restare...” borbottò Elle, guardando il soffitto mentre si concedeva l'infantile lusso di gonfiare le guance.

Già, se proprio devi...
Erano sempre in tre: anche nella stanza più affollata, anche se distanti chilometri e chilometri, anche se Light se ne fosse andato; oppure sarebbe toccato ad Elle, presto o tardi.
Misa sarebbe rimasta solo uno strumento innamorato bisognoso di confidenze, in attesa di mangiare la sua ciliegia posta sulla torta intoccabile.



Sproloqui di una zucca

L, Light e Misa. Sarà un triangolo vero, il loro?
Secondo me non c'è amore tra nessuna delle tre parti, eppure sono inesorabilmente legati dalle vicende e dai ruoli che hanno deciso di assumere. L'unica che ami è Misa ma, paradossalmente, è anche quella più esclusa dai giochi: una sorta di esiliata che rimane comunque coinvolta senza mai realmente importare.
Credo che sia molto meno stupida di quanto non appaia in realtà: sciocca, frivola, certamente, ma non è solo questo.
Mi incuriosisce il "legame" tra lei ed Elle, l'ammirazione del detective fanboy e la totale indifferenza: contradditorio forse, eppure suggestivo.

The vampire girl: Grazie mille^^ Spero che anche questa possa piacerti^^

Myrose:  Ti ringrazio profondamente per le tue magnifiche parole e per lo scorcio su quello che eri, su quello che provi. Anch'io comprendo e mi sento molto vicina ai sentimenti che animano sia Mello che Near: nella mia vita ho amalgamato tratti del loro carattere, l'orgoglio, il bisogno di primeggiare per sentirmi migliore, la difficoltà a comprendere, forse per asocialità, forse per incapacità mia personale. Sono quindi davvero felice di aver trasmesso tanto con una mia storia, così come lo sono perché  tu a tua volta in un commento mi comunichi tanto. Grazie^O^
Ps: Hai ricevuto la mia mail?** L'ho mandata tramite il contatta autori di efp, spero che non sia finita nello spam T^T

KairiDN:  Felicissima che il mio stile e le ambientazioni possano piacerti *____* Anche a me piacciono molto Mello e Near come coppia, per quanto nel cuore porti in primis L e Light =ç= Alla prossima one-shot, mi auguro che possa essere di tuo gradimento **

Grazie a chi ha messo la raccolta tra i preferiti, seguiti e ai lettori *____*

Alla prossima con: Shot, che vede Light e Teru protagonisti ^O^


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Capitolo 6
*** Shot; Teru, Light ***



Tipologia:
One-shot

Rating: arancione
Genere: Introspettivo
Avvertimenti: shonen-ai
Personaggi: Teru Mikami; Light Yagami


Shot


Sin da bambino Teru Mikami credeva nella giustizia: era una macchina perfetta, veloce, inarrestabile, che prima o poi investiva tutti coloro che lo meritavano. Non possedeva retromarcia; averla significava rimediare qualora si sbagliasse strada: la giustizia non poteva permettersi di errare.
Poi, crescendo, il ragazzo si era accorto che quella meravigliosa automobile da sola non era in grado di fare nulla: c'era bisogno di un pilota esperto che sapesse avviarla e, parallelamente, possedesse il sangue freddo di investire gli stupidi che intralciavano il percorso. Lui nel suo piccolo ci aveva provato, davvero.
Durante l'infanzia aveva preso le lezioni di guida: fermava i compagni durante le risse, difendeva gli amici deboli, denunciava i bulletti insistenti. Credeva di essere pronto per mettersi al volante e, ingranata la prima, partire per poter finalmente entrare in carreggiata, ma alle medie scoprì che le cose erano ben diverse; non riusciva, da solo, a condurre quel mezzo: possedeva la costanza, la bravura, la tenacia ma la sua personale auto era insufficiente.
Le ingiustizie correvano molto più lontano, più veloci e numerose di lui – guidatore solitario nel deserto. Allora rientrava a casa sconfitto, con le chiavi della macchina nel cuore e un pugno sull'occhio.
“Devi lasciar stare, Teru. E' stupido farsi del male per evitare che se ne faccia ancora.”
Sua madre, irritata dalle continue botte che il figlio riceveva, stringendo tra le mani gli occhiali rotti comprati il giorno prima dall'ottico, lo esortava ad andare a piedi. Non lo capiva, non capiva nemmeno che se lui avesse sofferto molti altri forse sarebbero stati meglio: questa convinzione rendeva Mikami una persona migliore e, contemporaneamente, evitava alla giustizia di sbandare ancora.
Se non c'era lui, chi altri poteva evitarlo?

Più inevitabile della giustizia c'era la morte.
E nessuno, realmente nessuno, poteva permettersi di condurla a suo piacimento: un cavallo selvaggio, un drago immortale, un dio onnisciente. Mikami si chiese, mentre camminava per andare a lavoro, mentre lavorava nel suo ufficio, mentre tentava ancora di provare a guidare, se mai il corso degli eventi potesse un giorno cambiare radicalmente; ad un certo punto però si rese conto di non crederci nemmeno lui.
Finché, improvvisamente, non giunse la risposta al suo quesito: Qualcuno era riuscito a controllare la morte per servire la giustizia. Dunque, secondo logica, questo Qualcuno altri non poteva essere che un dio: chi, se non Dio, poteva controllare l'incontrollabile?
Fu allora che Teru capì di essere parte di quel disegno divino: un tassello indispensabile nell'intricato tessuto della società; un filo importante, perché in grado di spostarsi tra le trame e togliere altri fili che andavano a rovinare la composizione della vita. Era infilato nell'ago di Dio il quale, come un sarto esperto, lo utilizzava a suo piacimento per decidere in che maniera proseguire la decorazione sublime degli eventi.

Quella sera, seduto sulla sua scrivania in perfetto ordine, Teru Mikami scoprì di gioire estasiato all'idea di essere parte di quell'ago, completamente sotto il controllo di Dio. In fondo erano serviti quegli anni di guida e di sbandate, gli ammaccamenti alla carrozzeria e le lacrime di impotenza versate sul cofano urtato: Dio l'aveva aiutato a seguire la sua strada e, finalmente, non ci sarebbe stato nessuno ad ostacolarlo.
Quando aprì gli occhi Lo vide seduto a pochi metri da lui: perfetto, con la cravatta impeccabilmente annodata e il completo sobrio. I capelli in ordine coprivano parzialmente gli occhi che, insondabili, lo fissavano, mentre le labbra sottili erano piegate in un'angolazione che doveva sembrare un sorriso.
Teru aprì appena la bocca e, con lo sguardo stupefatto, si alzò lentamente in piedi cercando di dire qualcosa ma fu come se Lui gli avesse prosciugato ingordamente ogni suono.
“Kami.” riuscì solo a sussurrare.
Era in piedi; invece Light Yagami lo guardava, con il gomito compostamente appoggiato sulla sedia d'ufficio e le dita affusolate che sfioravano il mento. Le gambe erano aperte in maniera accennata e la cravatta sfuggiva appena dall'interno della giacca, forse a causa della schiena che tendeva al bracciolo.
Teru si inginocchiò con lentezza davanti alla sua figura, intenta a seguire ogni suo movimento, infine portò le mani avanti perché voleva osare toccare Lui: sfiorarlo per un solo istante avrebbe soddisfatto quel morboso desiderio di saperlo vivo.
Un momento di esitazione ed infine appoggiò le proprie dita sulle sue ginocchia: lo sentì, il suo corpo, le pieghe dei pantaloni, il calore che emanava. Era riuscito ad averlo di fronte a sé; questo gli permetteva di capire che non c'era alcuna illusione nel loro rapporto fatto di ordini distanti – una lontananza dolorosa ma appagante quanto i lividi dovuti alle percosse.
Lì c'era la luce.
Chinò piano la testa, con il timore irrazionale di perderla, e la appoggiò sulle Sue gambe; inspirò quasi cautamente l'odore di pulito dei vestiti, nonostante i capelli neri coprissero in parte il naso.
E poi Egli posò la mano sopra la sua testa, come per indurlo a non andarsene: un tocco paterno, divino, luminoso – persino erotico – che fece mancare il respiro, mentre gli occhi erano spalancati, le pupille contratte e la salivazione mancante.

“Respirami, Teru. Ogni volta che chiudi gli occhi.”

Quando li riaprì scoprì di essere solo. Era lui e non Light, ad essere seduto sulla scrivania, madido di sudore e con una mano nei pantaloni dalla cintura slacciata.
Morbosamente attratto da un Dio che non solo avrebbe mai potuto respirare ma nemmeno vedere.

*°*°*°*

Light Yagami aveva una pistola puntata contro. Sudava, il volto era contratto in una smorfia d'ira.
Teru Mikami lo guardava, più lo guardava e più capiva di vederlo sempre di meno: la sua figura spariva, inghiottita dal buio che soffocava la luce perfetta che aveva illuso tutti loro. Chiuse un solo istante gli occhi nel suo personale delirio ma non riuscì a sentirlo come aveva creduto: respirava soltanto sangue e l'odore della paura.
Prima ancora di cadere a terra, prima ancora di urlare, comprese che quel giorno tanto agognato non avrebbe visto Dio: aveva davanti a sé semplicemente un uomo disfatto, non perfetto. Al posto della camicia ordinata c'era un tessuto madido di sudore, al posto della cravatta che lui stesso avrebbe voluto snodare lentamente c'era solo un collo, al posto degli occhi divini c'era un degradante velo di terrore.
Stava morendo. Cosa c'era di più umano della morte?

“Tu non sei Dio!”

Gridò. Nel farlo, inspiegabilmente, dilatò la bocca in un sorriso malriuscito: un sorriso di triste e rabbiosa soddisfazione.
Eppure quella voce distorta dal telefono e la lista infinita di nomi erano stati reali: nella sua vita di speranze infrante, di progetti per un mondo migliore, di incubi e desideri, Teru Mikami aveva per poco tempo soltanto guidato veramente la Giustizia.
Veloce, forse troppo. Ma l'eccitazione e il piacere della velocità gli permisero, nel frastuono del colpo di pistola, di sublimare la consapevolezza che stava andandosi a schiantare.
Cadde a terra e fece un ultimo tentativo; peccato: pur tenendo chiusi gli occhi respirò nient'altro che l'odore della polvere da sparo, mischiato – al pari di una pittura pregevole – a quello del suo sangue che forse, presto o tardi, sarebbe stato raggiunto da quello di Dio.

Incredibile, quanto potessero apparire uguali.



Sproloqui di una zucca

Questa è stata una shot molto sentita da parte mia. Sento di capire la follia di Mikami e ho amato lo scorcio, seppur breve, sulla sua infanzia e sulle delusioni che la società gli ha dato.
Teru, oltretutto, secondo me è morbosamente attratto da Kira perché incarna ciò che non è riuscito ad essere, ad ottenere, e perché è in un certo modo una presenza intoccabile.
Alcune precisazioni: la frase pronunciata da Light nel pseudo-sogno di Mikami è la traduzione di Happy You're Gone, dei Placebo, che trovo stupenda e perfetta per la situazione. Il titolo shot può intendersi come colpo, tiro, ma metaforicamente si può parlare di un'ultima occasione, al pari dell'ultimo colpo nel tamburo della pistola, quello decisivo. Teru tenta, un'ultima volta, di percepire il Dio che voleva nella figura di Light.

Mary357: Grazie davvero. Sono contenta che lo scorcio di vita tra Light e Sachiko ti sia piaciuto e abbia commosso *____*

Misa_4ever: Mi fa piacere sapere che anche tu condividi il mio stesso punto di vista per quanto riguarda Misa. Credimi, è una soddisfazione vedere che la shot ti abbia trasmesso così tanto ^O^

Oo_Nady_Crazy_GirloO: Grazie mille per il complimento ** Sì, posterò altre storie a questa raccolta che spero di conlcudere degnamente.

Myrose: Sei in grado di scrivere parole, frasi, pensieri che mi commuovono. Mi rendi davvero felice, perché ho la consapevolezza di aver raggiunto dei traguardi ma anche di dare qualcosa a chi legge. Hai tratteggiato l'amore in un modo tale da farmi riflettere, ma d'altronde tutti i tuoi commenti hanno questo incredibile effetto; è vero, l'amore è egoismo: è possessione, perché quando si ama una persona la si vorrebbe sempre accanto e il più a lungo possibile. Forse a lungo andare la possessione rischia di trasformarsi addirittura in ossessione, eppure anche l'amore più cieco, forse persino morboso, è in grado di dare qualcosa - nel bene o nel male.
Mi dispiace che non ti sia arrivata la mail, te l'avevo spedita mediante il Contatta Autori di efp ma a volte so per esperienza che è inaffidabile ç____ç A breve dovrò cambiare l'indirizzo che ho sul mio profilo personale, comunque la mia casella di posta usata è questa: happy_pumpkin@hotmail.it (perché sono originale XD)
Grazie, come sempre, per le tue splendide recensioni. Un bacione ^*^

Alla prossima con Smoke; protagonisti: Matt e Mello ^O^

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Capitolo 7
*** Smoke; Mihael Keel, Mail Jeevas ***



Tipologia: One-shot
Rating: Giallo
Genere: Introspettivo, malinconico
Avvertimenti: Shonen-ai
Personaggi: Mihael Keel; Mail Jeevas



Smoke


Matt guardava con studiata attenzione il suo videogioco: una scatoletta apparentemente inutile, dalle forme un po' rozze e con la targhetta rovinata a causa dell'usura. Ma non importava.
Se lo era guadagnato grazie a fruttuosi scambi con i compagni d'orfanotrofio e, in aggiunta, dando una mano nei lavoretti quotidiani; sostituiva i suoi amici per qualche turno e si mostrava volenteroso di aiutare una comunità, sebbene tutti sapessero che i suoi scopi erano ben poco filantropici.
Quando vide il pacchetto di sigarette al fianco del videogame, si chiese se valesse davvero la pena imprestare a Jess per un giorno intero il suo gioco preferito; alzò le spalle, aggiustandosi gli occhiali da motociclista, e rifletté: si trattava di fare un tiro, prendere una sana boccata di fumo, insomma. Un'esperienza simile doveva pur essere fenomenale se tutti decantavano così tanto le doti della nicotina, quindi cedere in prestito il proprio intrattenimento videoludico in cambio era un ben misero sacrificio.
Jess, capelli tagliati corti e il naso coperto di lentiggini, aveva qualche anno in più di Matt – forse due – e aggrottava sempre le sopracciglia quando doveva concentrarsi o fare qualcosa della massima importanza. Anche in quel momento non si smentiva: la fronte era corrucciata e le labbra appena arricciate, mentre gli occhi vigili puntavano la merce da scambiare.
Afferrò il pacchetto ed estrasse con fare quasi professionale la sigaretta; la strinse tra medio e indice per poi ribadire, dandosi un contegno adulto di cui era privo:

“Questa è tua. Non farti beccare e se Roger ti scopre... beh, tu non mi conosci, okay?”

Matt assottigliò le labbra per non ridere con quell'accenno amaro, com'era caratteristico del suo portamento all'apparenza un po' rassegnato; allargò le braccia e rispose quasi pacato:

“Tranquillo, non farò nomi.”

Tese la mano in avanti e la ritrasse non appena Jess gli posò, diffidente, la sigaretta sul palmo aperto; l'amico di scambio si affrettò ad intascare il videogioco, fece uno schiocco di lingua e si alzò rapidamente in piedi, scrocchiando le dita.
Matt contemplò qualche istante la sigaretta, infine fissò il ragazzo dalle vistose lentiggini ribadendo:

“Oggi pomeriggio fatti trovare qui con il mio gioco. Niente scherzi.”

Il ragazzo si portò le mani contro il petto e replicò stizzito: “Ehi, mica hai a che fare con un poppante. Vedi tu di non aprir bocca piuttosto.”

Matt sbuffò appena, come se già si fosse annoiato della conversazione, così si alzò in piedi in modo da allontanarsi; poteva fumare la sua prima sigaretta, non si trattava certo di un avvenimento qualsiasi.
Decise, mentre camminava sul prato, che doveva trovare un posto adatto per celebrare l'occasione – un posto di quelli che difficilmente avrebbe scordato da adulto. Avrebbe voluto avere una macchina sportiva, un calice di champagne in mano e le luci della città ad accecarlo, magari l'insegna di qualche locale alla moda; era il sogno di chiunque, effettivamente, un po' scontato e banale ma semplicemente a portata di mano, senza l'implicazione di troppi viaggi nella fantasia.
Alzò le spalle; mosse ancora qualche passo, fino a che non si guardò un istante attorno e realizzò che il sogno facile, in realtà, era un'emerita stronzata. La sua vita era sempre stata tra quelle mura, tanto valeva limitare a quel posto l'esperienza della prima sigaretta. Poi, onestamente, l'unica cosa che contava era non farsi beccare.
Accennò ad una risata, dandosi dello stupido, e si portò presso un albero piuttosto isolato dagli altri, le cui grandi radici emergevano dal terreno coperto da erba verde, ancora umida per le recenti piogge inglesi.
Si sedette a terra, incurante della chiazza che avrebbe trionfato sui suoi pantaloni, e tirò fuori da una tasca della giacca l'accendino che Mello era riuscito a prendere, forse da uno dei ragazzi più grandi con cui giocava; poteva chiedergli di rubare qualche sigaretta per lui, a ben pensarci, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Doveva guadagnarsi quell'occasione e l'aveva fatto, nel modo più decoroso possibile.
Si portò la sigaretta alle labbra e fece per avvicinare la fiamma dell'accendino, quando una voce conosciuta lo interruppe.

“E così ho dovuto dare un pugno a quel tipo per questo?!”

Matt alzò gli occhi e vide davanti a sé Mello, con lo sguardo stupito e allo stesso tempo piuttosto irritato; teneva in mano una tavoletta di cioccolata da scartare e aveva la bocca appena spalancata.

“Già, grazie.” lo prese amabilmente in giro.

Il ragazzino dai capelli biondi roteò gli occhi e sbuffando si sedette al fianco dell'amico, guardando con un certo sospetto la sigaretta tenuta tra le dita.

“Sai come fare?” chiese con evidente sarcasmo.

Matt accennò ad un sorriso di sfida: “Sta a guardare e impara dal maestro.”

Mello reclinò la testa, assottigliando le palpebre, ma non replicò; si limitò a mostrare una smorfia di aperto scetticismo.
L'amico allora, con una certa rilassata sicurezza, portò la fiamma dell'accendino di fronte alla sigaretta e la guardò accendersi; aspirò lentamente il fumo, sentendosi già un vincente. Mello lo scrutava con attenzione, studiando quasi con morbosa attrattiva quei movimenti attentamente calcolati.
Quando Matt avvertì il fumo penetrargli nei polmoni però... le cose andarono diversamente. Insomma, nessuno gli aveva detto che il fumo bruciasse; accidenti, forse addirittura lo stava soffocando, per non parlare del sapore piuttosto rivoltante. Passato qualche secondo, suo malgrado, si portò l'altra mano alla gola e tossì, con le lacrime agli occhi.
Mello per contro mostrò un ghigno compiaciuto, soddisfatto nel constatare che aveva ragione e, soprattutto, nel contemplare l'immagine esilarante dell'amico intento a strozzarsi, con tanto di sigaretta fumante tra le mani e l'accendino dimenticato sul prato.

“Brucia!” bisbigliò Matt senza voce.

“Brucia perché non sei capace di fumare, ovviamente.” replicò saccente Mello, incrociando le braccia.

L'interlocutore gli dette uno spintone e replicò in un sussurro quasi divertito: “Avanti, allora, provaci tu.”

Senza aspettare che il compagno gli porgesse la sigaretta, Mello la prese direttamente dalle sue dita e sfidandolo se la portò alla bocca; tolse la frangia dagli occhi con un gesto rapido della mano, infine aspirò il fumo, continuando a guardare fisso negli occhi Matt che sorrideva in attesa.
Quest'ultimo, come previsto, osservò Mello farsi paonazzo perché gonfiava appena le guance nello stupido sforzo di non tossire; i suoi miseri tentativi però si ridussero alla rabbiosa decisione di afferrare la sigaretta e gettarla a terra, per lasciarsi andare a qualche convulso colpo di tosse, di gran lunga meno dignitoso rispetto a quanto il ragazzo avrebbe voluto.
Matt invece si lasciò andare ad una risata scandita da un tono di deliziosa presa in giro, con l'ovvia conseguenza di ricevere una spinta poco amichevole sulla spalla da parte dell'offeso Mello; borbottò, iniziando a scartare l'alluminio che ricopriva la tavoletta di cioccolata:

“Fa schifo. Perdi il tuo tempo.”

L'amico guardò un po' amareggiato la sigaretta: caduta poco lontano dai loro piedi, al contatto con la terra bagnata era ormai spenta e inutilizzabile. Sospirò, lamentandosi:

“Cavoli – appoggiò la testa al tronco nodoso dell'albero – mi hai fatto perdere un'occasione.”

“Ne verranno altre.” replicò incolore Mello, dando un primo morso al cioccolato.

“Di cosa? Di sigarette o di occasioni?” scherzò.

“Magari entrambe.”

Dopo quella risposta data con assoluta convinzione, nella maniera un po' arrogante ma allo stesso tempo confortante tipica di Mello, Matt si voltò a fissare il compagno, piacevolmente stupito.

“Già – concordò infine – non sarebbe affatto male.”

“Se proprio ti piace così tanto tossire fino alle lacrime...” accennò vago.

Matt ridacchiò: “Io amo piangere, non lo sapevi?”

La frase ebbe una cadenza inaspettatamente molto più triste; ricordava la pioggia che, ostinata, provava a far lacrimare il cielo con il sole: qualcosa di contraddittorio, a cui tutti assistevano senza sapere se fosse necessario rattristarsi o esserne allegri.
Mello non parlò; masticò silenzioso la cioccolata, finché non si pulì con il dorso della mano la bocca e asserì convinto:

“Un giorno ce ne andremo da qui.”

Inspirò l'aria umida, respirando piano.

Matt replicò all'apparenza indifferente: “Cosa ti fa pensare che io voglia andarmene?”

“Lo so e basta. Quanto sei noioso.” sbottò, un po' sulla difensiva.

“Certo – asserì alzandosi in piedi – se Mello è convinto di qualcosa, allora il mondo è per forza un posto migliore.”

“Prendi in giro?” indagò il soggetto preso in causa.

“Chi, io? Figurati!” ironizzò l'altro, sorridendo sornione.

Si passò le mani sui pantaloni macchiati, infine raccolse la sigaretta ormai spenta; la guardò con un po' di rammarico ma diversi istanti dopo si decise: la lanciò lontano da loro, così che scomparve tra l'erba folta. Non l'avrebbero più ritrovata e nemmeno avrebbero più potuto accenderla: la prima sigaretta della sua vita si era spenta prima di poter essere consumata. Però, accidenti, era riuscito a farlo piangere.
Mello gli si affiancò; in quell'istante si sentì il vociare degli altri ragazzini che si affrettavano a rientrare per dirigersi verso la mensa. I due amici si scambiarono uno sguardo d'intesa, poi Matt chiese con finto fare casuale:

“Che dici... facciamo a chi arriva prima?”

Il ragazzo contrasse la bocca in un ghigno: “Ci sto! Preparati a perdere.”

Corsero, l'uno affianco all'altro, sul prato carico di pioggia. Sempre più lontana, la sigaretta giaceva abbandonata, troppo gravida d'acqua affinché qualcuno un giorno fosse in grado di riaccenderla ancora.

*°*°*°*

In piedi sul mancorrente in ferro, Matt guardava silenzioso le barche passare lungo il fiume, inghiottite dalle luci della notte. Gli piaceva estraniarsi dal mondo, concentrarsi su cose che normalmente la gente non avrebbe considerato; stringendosi nella sua maglia a righe e riparandosi dietro lenti di vetro, era sicuro che sarebbe andato tutto bene, in qualsiasi luogo si fosse trovato.
Espirò una boccata di fumo; quando scorse la sua mano, rivestita da un guanto in pelle, accennò ad un sorriso.

“Insonne anche tu, visto che mi hai contattato a quest'ora?” scherzò.

Mello per diversi istanti non rispose. Fino a che guardando l'acqua non rispose:

“Ho bisogno del tuo aiuto.”

“Mello, Mello... in che guaio ti sei cacciato, questa volta?” chiese con tono fraterno.

Per un attimo il viso del ragazzo dai capelli biondi si dipinse di una consapevolezza amara, a tratti persino triste. Ma fu solo un istante, un'illusione data dalle luci ballerine della sera.

“Non è più come alla Wammy's.” appoggiò i gomiti sul parapetto, lasciando che la frangia gli coprisse gli occhi.

Forse non voleva farsi vedere, o forse era lui ad essere troppo stanco per vedere ancora.

“E' per questo che te ne sei andato.”

Matt scorse la pistola; anche se non l'avesse notata, sapeva bene che il compagno d'orfanotrofio si era cacciato in qualcosa di ben più grande di lui. Non si sarebbe tirato indietro per questo, era troppo orgoglioso e ostinato per farlo; però, dietro la corazza di presunzione, Mihael Keel aveva delle incertezze.
Non cercava risposte; voleva semplicemente una via d'uscita, anche se non sarebbe stata quella a salvarlo.

Dopo una pausa, Matt continuò: “In ogni caso, conta su di me.”

Guardò diversi istanti la sigaretta tenuta tra le dita: ancora bruciava, alimentata dal leggero vento serale. Improvvisamente si dette lo slancio con il braccio e la gettò lontano, facendola affondare nelle acque scure dopo una divertita piroetta in volo.
La sigaretta scomparve; nella stessa maniera con cui scompariva il cielo durante una tempesta, o si tingeva di bianco grazie alle pennellate della neve.
Mello sollevò il volto, inarcando un sopracciglio perplesso:

“Perché?” chiese un po' brusco.

L'amico si strinse nelle spalle e allargò le braccia: “L'ho gettata lontana, così non ci sarà più il fumo ad impedirmi di vederti, di capire dove sarai domani, o dopodomani ancora.”

“O di piangere.” aggiunse fissando un punto indefinito del cielo.

“No, ormai la sigaretta l'ho già accesa. Versare qualche lacrima è inevitabile.”





Sproloqui di una zucca


Ebbene, questo è il modo in cui concepisco il legame tra Matt e Mello Quando qualcuno ha bisogno dell'altro, quest'ultimo ci sarà sempre, senza troppe implicazioni di sorta.
Mi piaceva l'idea di narrare della prima sigaretta, accostando l'idea del fumo a quella che è tutto sommato la vita di entrambi. Un sacrificio è inevitabile, se si vuole ottenere qualcosa. Ecco la mia spettacolosa perla di saggezza XD

Princess21ssj: Ma grazie, Prì *O* La dichiarazione d'amore è assolutamente ricambiata ^O^ Che dire, sono davvero contenta che Mikami sia risultato essere così vicino alla caratterizzazione del manga. E' un personaggio troppo poco considerato, quando invece è pieno di spunti davvero interessanti; vedere oltretutto che la metafora usata sia stata recepita e apprezzata, mi rimpie proprio di gioia.
Anch'io ho trovato l'idea del respirare assolutamente erotica, quando ho ascoltato la canzone che mi ha ispirato a riguardo non ho potuto fare a meno di accennarlo nella narrazione. Grazie ancora di  questa recensione e in particolar modo dell'apprezzamento. *sommerge di affetto*

Misa_4Ever: Beh, suvvia, il 100% è sempre meglio del 120% XDXD Mi fa piacere sapere che tutto sommato ti ho fatto vedere Teru sotto una luce diversa, magari ricoprendo sfaccettature che prima si erano considerate poco. Credo che ciascun personaggio di Deathnote sia interessante, a modo suo, e meriti un angolino tutto per sé. Grazie del commento; un bacione e alla prossima ^O^

The_vampire_girl: Vero, in un certo senso è proprio così. Alla fin fine ogni cosa in cui credeva, di per sé, gli si è ritorta contro. Povero Mikami, l'ha tradito persino il suo Dio personale ç__ç

Myrose: Io come sempre ti ringrazio di cuore per fermarti e condividere con me i pensieri che ti sono sorti nel leggere la fiction. Ne sono profondamente onorata e, sì, emozionata. Condivido in pieno le tue righe, righe che come sempre mi fanno rilfettere a mia volta; "Teru bramava la Perfezione. Light vedeva sè stesso come Perfetto! Falena e Luce. Non potevano che attrarsi!" quanto è vero! Credo anch'io che sia esattamente così: Teru cerca in light ciò che non riesce a trovare negli altri o in se stesso e per tante motivazioni diverse. La delusione nel vedere che quell'essere che credeva tanto superiore, altro non era che un banale uomo come tanti altri, è stato il crollo del suo castello di ideali; un colpo al cuore più doloroso di uno sparo.
Grazie davvero per le tue splendide osservazioni e per apprezzare così tanto quello che scrivo. Un bacione, carissima *___*


Alla prossima con Family; protagonisti, Elle e Watari.

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