Rosso come il sangue, bianco come il latte

di Koira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto nero ***
Capitolo 2: *** Bianca come la neve ***
Capitolo 3: *** Rosso come il sangue ***
Capitolo 4: *** Piove ***
Capitolo 5: *** Perdere il controllo ***
Capitolo 6: *** Tutto in una notte ***
Capitolo 7: *** Perdonare è divino ***
Capitolo 8: *** Questione d'orgoglio ***
Capitolo 9: *** Meglio esser pazzo ***
Capitolo 10: *** Solo Dio può giudicare ***
Capitolo 11: *** Due gocce d'acqua ***
Capitolo 12: *** Arriva l'intuizione ***
Capitolo 13: *** Meglio non sapere ***
Capitolo 14: *** Una nuova vita ***
Capitolo 15: *** Si sta come d'autunno ... ***
Capitolo 16: *** Barukh atah Adonai Eloheinu ... ***
Capitolo 17: *** Essere felici ***
Capitolo 18: *** Cara Annie ... ***



Capitolo 1
*** Tutto nero ***


Tutto nero



Stavo decisamente perdendo troppo sangue.
Ormai era passata quasi un'ora da quando, in un moto d'ira, il mio ragazzo mi aveva tirato un ceffone in viso, colpendomi giusto sul naso, ma ancora sanguinavo. Probabilmente c'era qualcosa che non andava, e avrei dovuto parlarne con lui.
< Amore >, dissi, esitante.
Stava fumando una sigaretta sul ciglio della porta. Mi rivolse uno sguardo irritato.
< Che vuoi? >.
< Credo che dovremmo andare al pronto soccorso. Continua ad uscirmi sangue dal naso, non mi sembra normale >.
Si avvicinò a me e mi fece una carezza. Non era mai stato un tipo violento, però in quel periodo eravamo entrambi stressati: le spese per l'università, la morte di mia madre e l'imminente sfratto non aiutavano certo a mantenere la calma.
< Hai ragione, tesoro, è preoccupante. Prendo le chiavi e andiamo > esclamò, dirigendosi in cucina.
Entro mezz'ora fummo all'ospedale più vicino, il Princeton-Plainsboro Teaching Hospital. L'infermiera del triage, presa dal sovraffollamento del Pronto soccorso, mi catalogó superficialmente come un 'codice verde', e, quasi incolpandomi di averla disturbata per una 'banale epistassi', riprese a lavorare al computer, sbuffando sonoramente.
< Ma vuole capire che sono ormai quasi due ore che sanguina?! > strilló Andrew.
Non potevo permettermi che perdesse la pazienza: Dio solo sa che cosa avrebbe potuto combinare.
< Dai, amore, c'é chi sta peggio qui > dichiarai, prendendolo per mano.
E in effetti era pieno di gente che stava peggio di me; potevo permettermi di aspettare.
< Ti ho già detto che farò le mie ore di ambulatorio un altro giorno, Lisa >.
A parlare era stato un medico (curiosamente senza camice) alto e un po' burbero, a giudicare dal tono di voce.
Dio, fa' che non mi visiti lui, pensai.
<  House, non puoi fare sempre così, hai dei doveri! E non voltarmi le spalle ... >.
Non fece in tempo a finire la frase che il dottor House (pare si chiamasse così) si era già allontanato, claudicando.
E, incredibilmente, si stava avvicinando a me, ridacchiando.
< Tu non stai bene, ragazzina. No, non stai per niente bene > esordí.
Continuava a sorridere.
< E lei chi sarebbe? > intervenne Andrew.
< D'accordo, state tranquilli entrambi. Sto bene, sto perfettamente ... >.
Non feci in tempo a finire la frase, che tutto divenne nero. 

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Capitolo 2
*** Bianca come la neve ***


Bianca come la neve

 

«Sembra che l’epistassi si sia arrestata, House».

«Non avevo mai visto una rinorragia così abbondante, Cameron. Credo che abbia perso sì e no due litri di sangue dal naso».

Aprii gli occhi e mi guardai intorno: chiaramente ero in una stanza d’ospedale, sdraiata sul letto. Accanto a me, Andrew stava leggendo una rivista, visibilmente provato. Mi sentivo incredibilmente debole …

«Vedo che Biancaneve si è svegliata. O devo chiamarti Cappuccetto Rosso?».

A parlare era stato il dottore del Pronto Soccorso, House.

«Dove mi trovo?» chiesi, pur sapendo esattamente dove fossi.

«Si trova al Princeton-Plainsboro Teaching Hospital, signorina» rispose una dottoressa.

Sembrava troppo giovane per essere laureata.

«Sono la dottoressa Cameron, specialista immunologa» aggiunse, quasi leggendomi nel pensiero.

Addirittura specializzata.

«Piacere, Annie» dissi io, abbozzando un sorriso.

Accanto a lei, fece un passo avanti un secondo dottore, anche lui molto giovane.

Era molto affascinante, dovetti ammettere tra me e me.

«Piacere Annie, io sono il dottor Robert Chase» esordì, lievemente imbarazzato.

«Cosa sono, il caso del giorno?» domandai, sarcastica.

I due medici non sembravano per nulla divertiti.

Andrew, da parte sua, si limitava ad ascoltare, stando educatamente in silenzio.

«Sì, Anne – posso chiamarti Anne, vero?-, sei proprio il caso del giorno. Sei inaspettatamente interessante. E anche molto carina, se posso permettermi» enunciò il dr. House.

Finsi di dover tossire e mi misi una mano davanti al viso: non volevo che Andrew notasse che quel (complimento?) mi aveva fatta arrossire. Era un tipo molto possessivo.

«Non preoccuparti di arrossire, Anne. La tua emoglobina non te lo permette, è molto bassa. A pensarci, oggi potresti anche ubriacarti, ma nessuno noterebbe nulla» aggiunse House, facendo l’occhiolino.

«Si può sapere perché avete fatto ricoverare la mia ragazza? Che diavolo c’è che non va in lei?» intervenne Andrew, infastidito.

La dottoressa Cameron gli rivolse un’occhiata furente.

«Proprio  lei non dovrebbe parlare. Ringrazi che siamo riusciti ad arrestare l’emorragia».

«Cosa vuole insinuare?».

L’atmosfera si stava decisamente riscaldando.

«Io non insinuo nulla, ma mi pare quanto meno sospetto che un’epistassi così copiosa sia stata spontanea. Le piace alzare le mani, vero?».

«Adesso basta, Cameron. Signor  Smith, esca fuori. Dobbiamo visitare Annie e raccogliere l’anamnesi. La sua presenza potrebbe interferire con il nostro lavoro» si intromise il dottor Chase.

Prese Andrew per un braccio e lo accompagnò fuori dalla stanza, rivolgendo alla collega uno sguardo eloquente.

«A qualcuno qui non piacciono i violenti. Indagherò anche su questo» esclamò House, divertito.

La dottoressa Cameron finse di non sentirlo e si rivolse a me.

«Allora, Annie. Devo farti qualche domanda».

«Un attimo» la interruppi. «Voglio sapere cosa mi è successo».

«Intendi dopo che hai perso i sensi?» chiese lei.

Era incredibilmente tranquilla.

«Sì. Ricordo solo che mi usciva sangue dal naso …».

«Hai avuto un’epistassi incredibilmente prolungata. Mi pare di aver calcolato che tu abbia perso circa due litri di sangue, ed è una quantità incredibilmente alta, Annie. Quasi la metà del sangue circolante».

Il suo tono di voce si incrinò lievemente, ma il medico mantenne la calma.

Deglutì e proseguì.  

«Scusa se sono così franca, ma hai rischiato di morire. Adesso stiamo cercando di scoprire la causa».

Rischiato di morire … Il tempo sembrava scorrere lentamente in quella camera, i secondi cadenzati dal movimento della lancetta sull’orologio da polso del dottor Chase.

«Ok, ho capito. E quale pensate sia la causa?» chiesi, titubante.

«Sei il caso del giorno, tesoro. Se lo sapessimo già non saresti così interessante!» proruppe il dottor House.

«Lascialo stare, Annie, è un medico un po’ particolare. Ma ti assicuro che è un genio» disse la dottoressa Cameron. «Adesso posso intervistarti? Mi faccio un po’ i fatti tuoi».

«Sì, certo. Faccia pure» risposi, sorridendo.

«E chiamami Allison. Io ti chiamo Annie, è giusto così».

«Se avete finito di prendere il tè …» sospirò House.

Allison gli rivolse un’occhiata di rimprovero.

«Per prima cosa voglio sapere cosa ha procurato l’epistassi. Voglio che sia tu a dirmelo».

«Ma … voi siete tenuti al segreto professionale, giusto?» chiesi.
Non volevo mettere Andrew nei guai.

«Certo,non sta a me denunciarlo. E’ stato il tuo ragazzo, vero?».

«Sì … ma non l’ha fatto apposta, non era mai capitato prima» mi affrettai a dire.

«A giudicare da quelle ecchimosi non direi» si intromise House.

«Quali ecchimo …» iniziai.

«Io sono House, comunque. Non mi piace essere chiamato Gregory» aggiunse lui, avvicinandosi a me.

Zoppicava vistosamente.

Non appena mi fu vicino, mi sollevò la t-shirt: aveva ragione, ero piena di lividi.

Ma non avevo idea di come me li fossi fatti.

«Lui non c’entra, lo giuro. Non sapevo neanche di averli questi lividi!» strillai.

Non volevo che incolpassero Andrew di qualcosa di cui non aveva la minima responsabilità.

«Come pretendi che ti crediamo, Annie? Il tuo ragazzo non sembra un tipo degno di fiducia, e il fatto che ti abbia quasi rotto il setto nasale certo non va a suo favore» esclamò Allison.

«Non ho idea di come me li sia fatti, dottoressa. Non li avevo mai notati prima …».

Quasi la supplicai di credermi.

«Ti crediamo, ragazzina» affermò House.

La dottoressa Cameron gli rivolse uno sguardo sbalordito.

«House, non fare lo scemo. Come puoi crederle?».

«Non le credo. I pazienti mentono, dovresti saperlo».

Iniziavo a non capirci nulla.

«Credo alla clinica, Cameron. E’ lampante che qualcosa non vada nella sua emostasi. Dovresti ripassare un po’ di Ematologia» disse House.

La dottoressa sembrò prendersela, ma si riprese subito.

«Certo, House. Chi non sospetterebbe un disordine emostatico di fronte ad una ragazzina piena di ecchimosi e con un setto nasale rotto. Salvo il fatto che abbia un fidanzato un tantino aggressivo».

«Hai avuto un’epistassi incredibilmente prolungata. Mi pare di aver calcolato che tu abbia perso circa due litri di sangue, ed è una quantità incredibilmente alta, Annie. Quasi la metà del sangue circolante …» disse House, in una credibilissima imitazione della collega. «Sbaglio o l’hai detto tu prima?».

«Fa sempre piacere assistere alle tue parodie, House. A me sembra comunque un tantino azzardata, come ipotesi».

«Direi di ripetere l’emocromo e indagare sulla coagulazione, se non ti dispiace, Chase» proseguì House, rivolto all’altro collega.

«Certo, House, dico all’infermiera di fare i prelievi. La tua ipotesi è credibile. La conta piastrinica era ridotta nel precedente emogramma, ma naturalmente non possiamo dire che la piastrinopenia non fosse secondaria all’epistassi massiva» dichiarò il dottor Chase.

«Io continuo a pensare che sia un po’ azzardata, come ipotesi. Il suo ragazzo …» cominciò Cameron.

«Il suo ragazzo è quello che chiamo “fattore di confondi mento”, Cameron. Tu falle l’anamnesi, vediamo cosa ne esce. Chase, aspetto nel mio studio PT, aPTT, tempo di stillicidio e, ovviamente, secondo emocromo» concluse sbrigativamente House, sbattendosi la porta alle spalle.

Allison e il dottor Chase si lanciarono un’occhiata.

«Davvero credi che l’ipotesi di House abbia un senso, Chase? O gli dai ragione solo per aggraziartelo?».

«Cameron, sii oggettiva. Tu stessa hai detto di non aver mai visto una rinorragia di quell’entità» disse il dottore. «Vado a parlare con l’infermiera … comunque io sono Robert, Annie» si rivolse a me.

Mi limitai ad annuire e a sorridere. Che strani medici, pensai.

Chase uscì dalla stanza.

«Io non credo che quei lividi si siano formati spontaneamente, Annie. Ti posso fare qualche domanda, adesso?» chiese Cameron.

Annuii nuovamente, in risposta.

«Vorrei conoscere la causa della morte di tua madre».

 

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Capitolo 3
*** Rosso come il sangue ***


Rosso come il sangue

<< Cosa? >>.

Come faceva la dottoressa Cameron a sapere della morte di mia madre?

<< Hai capito bene, Annie. Ce l'ha detto il tuo ragazzo mentre eri svenuta >>.

Mi guardò intensamente.

<< Credi sia un buon motivo per lasciarlo? >> aggiunse.

<< Io ... É solo che mi ha colta un po' alla sprovvista >> dissi, abbassando rapidamente lo sguardo.

<< Scusami se sono così indiscreta, ma non mi piacciono i tipi violenti. Non dovresti farti trattare in questo modo >>.

Mi limitai ad annuire. Lei non conosceva Andrew, come si permetteva di giudicarlo? D'altra parte, era preoccupata per me, e non potevo biasimarla per questo.

<< Allora ... Come è morta tua madre? E dammi del tu >> proseguì la dottoressa.

<< É successo da poco ... Ha avuto un infarto >> risposi, laconica.

Non mi piaceva ripensarci: in realtà erano passati ormai otto mesi, ma non avevo ancora metabolizzato la cosa. Mi aveva lasciata troppo prematuramente,  e senza alcun preavviso. Era un giorno come tanti altri, uno di quei giorni caldi e afosi di Agosto. Preoccupata perché non rispondeva al telefono, mi ero letteralmente precipitata a casa; non rimuoverò mai dalla mia mente la vista del suo corpo esanime,  steso a terra.

<< Soffriva già di qualche tipo di cardiopatia? Aveva mai fatto un ecocardiogramma o un ecg? >> chiese Allison, riportandomi bruscamente alla realtà.

<< No, non che io sappia ... Non aveva mai sofferto di cuore >>.

<< E aveva qualche patologia nota? Diabete mellito o dislipidemia, per esempio? Fumava? >>.

<< Non fumava, figuriamoci. È sempre stata una salutista, fissata con lo yoga e vegana. E non era né diabetica né soffriva di colesterolo alto >> risposi.

 << Solo, una cosa... Le colava spesso il naso, e almeno una volta al mese prendeva la febbre. Non so se ti possa essere utile >> aggiunsi.

<< Potrebbe, in effetti ... Per caso soffriva di otite o sinusite ricorrente? >> domandò Allison, incuriosita.

<< Non so, però soffriva di emicrania, ripensandoci >>.

<< E tuo padre, invece? >>.

Ecco. Nota dolente.

<< Non so nulla di lui. So solo che era un figlio di ... Hai capito >>.

La dottoressa mi rivolse uno sguardo a metà tra il compassionevole e il rattristato.

<< Mi dispiace,  Annie >>.

<< E perché, non è colpa tua. Ci ha abbandonati che avevo solo due anni ... Tanto meglio così.  Sai come si dice ... 'quello che non ti uccide ...'  >>.

<< ... Ti fortifica. Hai ragione. Senti, prima d'ora non hai avuto nessun tipo di disturbo?  >>.

<< No, nulla. A parte un’anemia, ma sto prendendo il ferro per quella >>.

<< Uhm, in effetti il tuo emocromo era indicativo di un'anemia microcitica ipocromica. Posso chiederti chi ti ha fatto la diagnosi di anemia sideropenica? >> si interessò,  leggendo la mia cartella clinica.

<< Il mio medico. Perché me lo chiedi? >>.

<< Non so, non mi convince molto. Per sicurezza ti farò controllare anche sideremia, transferrinemia e ferritinemia. Meglio esserne sicuri >>.

Era pensierosa.

<< Sospetti qualcosa di particolare? >> le chiesi.

<< È solo un'ipotesi. Hai mai sentito parlare di una malattia che si chiama 'granulomatosi di Wegener'? >> domandò in risposta.

 << Granu che? No, ovviamente >> dissi.

Non riuscivo nemmeno a pronunciarla, figuriamoci sapere che fosse quella malattia.

<< Hai preso qualche virus in questi giorni? Che so, influenza, virus intestinali, ...? >>.

Cercai di ricordare.

<< Sì, in effetti la settimana scorsa ho avuto una gastroenterite >>.

<< Ok, cercherò di essere il più chiara possibile. La granulomatosi di Wegener è una vasculite, cioè un'infiammazione dei vasi sanguigni. Nella fattispecie, colpisce i vasi di piccolo e medio calibro. Fin qui, tutto chiaro? >>.

<< Sì, ma questo cosa c'entra con mia madre? >> chiesi, confusa.

<< Pare che nella patogenesi di questa malattia sia importante una predisposizione genetica. Credo che tua madre ce l'avesse. L'infarto rientra fra le complicanze della patologia >>.

Iniziavo a non capirci nulla. Come poteva spiegare il mio sanguinamento una malattia che aveva  mia madre?

Allison riprese a parlare.

<< Questa malattia colpisce anche le coronarie, e questo può aver causato l'infarto di tua madre. Il coinvolgimento dei vasi del naso spiegherebbe la tua epistassi prolungata , e frequentemente comporta anemia >>.

<< E i lividi? >> domandai, esitante.

La dottoressa mi rivolse un'occhiata di rimprovero.

<< Annie, io credo te li abbia fatti il tuo ragazzo >>.

Non avevo voglia di ribatterle, mi sentivo troppo debole.

<< E ... Insomma, esiste una cura per questa malattia? >>.

Non volevo veramente conoscere la risposta, probabilmente. Ero terrorizzata.

<< Ammesso che ancora non sappiamo se ce l'hai ... Comunque, c'è una terapia, e la prognosi è buona, tutto sommato. Ti dovremmo somministrare dei corticosteroidi,  ed eventualmente degli immunosoppressori più potenti >>.

<< D'accordo. Che esami mi dovrete fare? >>.

<< Per prima cosa voglio approfondire la tua anemia, Annie. Poi doseremo dei particolari anticorpi, gli ANCA, e servirà un Rx toracica >>.

Allison parlava, ma iniziavo a sentirla lontanissima.  Mi girava la testa, era come essere su una nave nel pieno di una tempesta. E avevo delle fitte incredibilmente forti all'addome ...

<< Annie, che diavolo sta succedendo ... >>.

Il tono della dottoressa Cameron ora era davvero turbato, aveva perso quella caratteristica imperturbabilità di poco prima.

<< Cosa ...? >> chiesi.

Stava guardando le lenzuola.

Abbassai lo sguardo: erano piene di sangue. Non potevo credere ai miei occhi ...

<< House! Chase! Infermiera, porti due sacche di sangue, presto!>>.

Allison era agitatissima.

Non fece in tempo ad entrare Chase, che già era diventato di nuovo tutto nero.

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Capitolo 4
*** Piove ***


Piove
 
 
 
Aveva iniziato a piovere. 
 
Eravamo ormai ad Aprile, ma il tempo continuava ad essere pessimo e le temperature invernali. Quel giorno il termometro segnava solo dieci gradi. Alzai lo sguardo verso l'orologio da parete che campeggiava sul muro, e notai che si erano già fatte le diciotto. Erano ormai passate due ore da quando avevamo trasfuso Annie, riuscendo miracolosamente ad arrestare la copiosa menorragia che aveva avuto. Povera ragazzina. A giudicare dal suo aspetto fisico, poteva avere sì e no diciotto, massimo diciannove anni, ma ne aveva già viste molte. Troppe. Eppure sembrava felice e ancora fiduciosa nella vita, glielo si leggeva negli occhi, quegli occhi scuri e profondi che ben si sposavano con la carnagione chiara e i capelli neri e lunghi. Non potevo fare a meno di ammirarla per quella sua forza e caparbietà. Io, invece, non ero mai stata un tipo particolarmente forte; la cosa più 'eroica' che ero riuscita a fare, fino ad allora, era stata sposare un malato terminale di cancro a soli ventuno anni. E ancora soffrivo, soffrivo incredibilmente tanto solo ripensando a quante ne avevamo passate insieme; ogni ciclo di chemio distruggeva più me che lui, perché sapevo perfettamente che ogni giorno passato in ospedale era un non-giorno, altre ventiquattro ore sottratte alla sua breve esistenza.
 
<<  Pensierosa, tesoro? >>.
 
Era House.
 
<< No, non particolarmente, in realtà >> mentii.
 
<< Bene, perché noi tutti qui agognavamo un tuo intervento. Sei incredibilmente stimolante... intellettualmente parlando, è chiaro >>.
 
<< Sei davvero un bel tipo, House >> dissi, leggermente infastidita.
 
Non poteva trattarmi come un medico, e non solo come una donna?
 
<< Lo so, non sei la prima che me lo dice, zuccherino >>.
 
Mi fece l'occhiolino.
 
<< Noi grandi qui parlavamo di diagnostica. Come puoi leggere nella mia carissima lavagna, fino ad ora, in attesa dei risultati degli esami, le ipotesi più accreditate sono due >>.
 
Puntò il bastone contro la lavagna e lesse.
 
<< Ipotesi numero uno: Porpora trombocitopenica idiopatica. Ovviamente é la mia ipotesi. Cosa me lo fa pensare? Conta piastrinica ridotta - se non erro, 100.000 al precedente emocromo - e volume piastrinico medio lievemente aumentato. Ovviamente la clinica sta dalla mia parte: epistassi prolungata, numerose ecchimosi e, non ultima, la recente menorragia della piccola Anne >>.
 
<< Ipotesi plausibile, House. Ma non spiega l'anemia della paziente >> ribattei.
 
Quella sua area da 'so tutto io' non mi andava proprio giù.
 
<< Se non erro, ha avuto due episodi emorragici in poche ore >> esclamò House, puntandomi il bastone contro.
 
<< Certo, ma la sua é un'anemia microcitica ipocromica. Se fosse stata secondaria all'emorragia ... >>.
 
<<... sarebbe dovuta essere normocitica e normocromica >> completò Chase.
 
<< Ha ragione, House >>.
 
Il medico non batté ciglio.
 
<< Comunque Cameron ha già richiesto sideremia, transferrinemia e ferritinemia ... Se l'anemia é sideropenica, saranno alterati >> disse.
 
<< Io credo che l'epistassi e la menorragia possano essere dovuti ad una teleangectasia emorragica ereditaria >> propose Chase.
 
<< Non ha teleangectasie >> criticò House.
 
<< Magari non le abbiamo viste noi. Dovremmo controllarla meglio, magari le ha nel palmo della mano o sui piedi >>.
 
<< Non é teleangectasia emorragica ereditaria, Chase. E poi ti sfido a sollevarle il vestito con il suo ragazzo in stanza >> rise House.
 
<< D'accordo ... Tu cosa proponi? >> chiese, rivolto a me.
 
<< Ho già richiesto ANCA e prenotato un Rx toracica >> risposi.
 
<< Qualcuno qui sospetta una Wegener >> si limitò a dire.
 
House che non criticava le mie ipotesi? Probabilmente era ubriaco.
 
<< Ma la Wegener é rarissima >> dichiarò Chase.
 
<< Non più della malattia di Rendu - Osler, ma ... aspetta, sbaglio o é la tua ipotesi? >> punzecchiai io.
 
<< Direi che la cosa migliore sia aspettare i risultati del laboratorio. Nel frattempo ... Io vado da Wilson. Se permettete ... >> disse House, lasciando me e Chase soli nella stanza.
 
Il ragazzo mi rivolse un'occhiata severa.
 
<< Non puoi trattarmi così, Cameron. Non dopo quello che é successo ieri sera ... >>.
 
<< Io non ti sto trattando in nessun modo, Robert. É solo lavoro >> mi limitai a rispondere.
 
Come poteva sbattermi in faccia un semplice bacio? In fondo, il giorno prima era successo solo questo, e non cambiava nulla tra noi due. Non ero pronta ad intraprendere nuove relazioni.
 
<< Se non ti dispiace, vado a fare il mio lavoro >> dissi, dirigendomi verso il corridoio.
 
Dall'altra parte del vetro, lui continuava a guardarmi. Sembrava quasi deluso; o meglio, ferito. Mi diressi rapidamente verso la stanza di Annie, per vedere come stava. Il suo ragazzo mi colse alla sprovvista: era fermo davanti alla porta, quasi come una guardia del corpo preposta alla sorveglianza.
 
<< Devo chiederle il permesso di entrare? >>.
 
Avrà avuto più o meno la mia età, ma non volevo dargli del tu.
 
<< Cosa state facendo ad Annie? >> esordì.
 
<< Potrei farti la stessa domanda >>.
 
Non so perché, ma ero passata a dargli del tu. Forse, mi sembrava più diretto, e sicuramente rendeva meglio il disappunto che provavo.
 
<< Prima di venire qui, stava benissimo >> proseguì.
 
Quel ragazzo mi stava veramente infastidendo.
 
<< Curioso, mi sembrava che fosse venuta qui proprio perché stava male. Non servono a questo gli ospedali? >>.
 
Mi rivolse uno sguardo furente.
 
<< Ma chi ti credi di essere tu per giudicare il nostro rapporto? Ti ho sentita prima, mentre dicevi ad Annie di mollarmi >>.
<< Ti consiglio di calmarti, o chiamo la sicurezza >>.
 
Improvvisamente, mi tirò avanti per il camice, contro di lui.
 
<< Dovresti farti gli affari tuoi, dottoressa. O potresti pentirtene >>.
 
Gli tremavano le mani.
 
<< Non so chi ti credi di essere tu, ma io non sono Annie. Non sono una ragazzina di diciotto anni, Andrew. Sono una donna, e soprattutto, sono il medico della tua fidanzata >>.
 
Mi liberai dalla presa e cercai di ricompormi. Dopo averlo spinto di lato, entrai nella stanza di Annie, che nel frattempo si era svegliata.
 
E aveva sentito tutto.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Perdere il controllo ***


Perdere il controllo

<< Mi dispiace che tu abbia assistito a questa scena >>.

Non sapevo cosa altro dire. Ero incredibilmente imbarazzata. Annie sembrò notarlo, e mi sorrise.

<< Non ti preoccupare, conosco Andrew. E’ fatto così, è iperprotettivo nei miei confronti >>.

Iperprotettivo era un eufemismo. Decisi comunque di cambiare argomento: non volevo che la mia paziente si agitasse, era già troppo debole. Passai rapidamente in rassegna palmo delle mani e superficie plantare dei piedi, nella ricerca di teleangectasie che avvalorassero l’ipotesi di Chase, ma ovviamente non ne trovai. Era chiaro che l’ipotesi della telangectasia emorragica ereditaria fosse fin troppo azzardata. In compenso, Annie, se possibile, sembrava ancora più stremata di poche ore prima, quando era giunta al pronto soccorso per l’epistassi. Notai l’estremo pallore del suo volto e le numerose ecchimosi, che adesso le erano spuntate pure sulle braccia.

<< Annie, quelli non li avevi quando sei arrivata, vero? >> le chiesi, indicando con un dito i lividi.

<< Questi? No, non credo. Devo aver sbattuto contro qualcosa >>.

<< O contro qualcuno >> non potei fare a meno di puntualizzare.

Sembrò stupita e al contempo frustrata dalla mia affermazione, ma non disse nulla.

<< Allora  … >> proseguii, fingendo di non aver notato la sua espressione. << Stiamo aspettando i risultati del tuo secondo emocromo e di alcuni esami che abbiamo richiesto >>.

Sembrò sollevata dal fatto che avessi cambiato discorso.

<< Ok >> si limitò a dire.

<< Credo che Chase ti abbia spiegato cos’è successo prima >>.

<< E’ innamorato di te >>.

<< Cosa? >>.

Quella sua dichiarazione mi spiazzò.

<< Si vede da come ti guarda >> aggiunse.

Che situazione surreale. Non mi sarei mai aspettata di fare certi discorsi con una paziente; io che ero sempre stata attenta all’etica professionale (soprattutto in tema rapporto medico – ammalato).

<< E questo cosa c’entra adesso, Annie? >>.

Cercai di usare un tono che fosse quanto più neutrale e distaccato possibile.

<< Era solo per stemperare la tensione. Dovrò pur fare qualcosa per non pensare a tutto quello che mi sta succedendo >>.

Mi sentii in colpa. Tentai di rimediare.

<< Forse hai ragione >> dissi. << Ma io non lo amo >>.

Annie mi sorrise dolcemente.

<< Non ancora >>.

Il suono del cercapersone smorzò la tensione che si era creata.

<< Leggi, magari è proprio lui che ti cerca >> suggerì la ragazza.

Mi portai una mano alla tasca ed estrassi l’apparecchio.

<< Sono arrivati i risultati dei tuoi esami >> dichiarai. << Vado a prenderli, se non ti dispiace rimanere sola con … mister iperprotezione >>.

<< Ti assicuro che è un ragazzo molto dolce, anche se non sembra. E’ solo preoccupato per me >>.

<< Sarà pure così, ma non mi fido molto di lui. Vuoi che chiami l’infermiera? >>.

Non mi piaceva l’idea di lasciarla sola. Sembrava che ogni minuto passato in compagnia di quel tipo aumentassero esponenzialmente le ecchimosi di Annie.

<< Non preoccuparti, viviamo insieme da un anno e, come vedi, sono ancora viva e … forse non vegeta, ma viva >> rise.

<< Ok >>. Staccai un foglio dal block notes che avevo in tasca e le scrissi il mio numero. << Se hai bisogno, chiama. Non dovrei metterci molto, scendo in laboratorio e torno >>.

Sembrò sorpresa dalla mia preoccupazione, ma prese il foglietto di carta.

<< Non sono abituata ad avere qualcuno che si prende cura di me >> disse semplicemente.

<< Adesso ce l’hai >>.

Le rivolsi un sorriso e mi recai verso l’ascensore. Dentro c’erano House e Wilson.

<< Qual buon vento … >> esordì House. << Stavamo giusto parlando di te. Ci chiedevamo perché odi tanto i tipi violenti. Wilson pensa che forse anche tu hai avuto un ragazzo del genere, ma io non credo sia per questo >>.

Premetti il tasto del mio piano, fingendo di non sentirlo.

<< Io penso che sia perché hai la sindrome della crocerossina … è più forte di te, non ce la fai proprio a non aiutare qualcuno, soprattutto se é un paziente >> proseguì.

<< House, lasciala stare >> si intromise Wilson.

<< Non importa, ormai ho imparato ad ignorarlo. Il suo hobby preferito è tormentare il resto del mondo >>.

Arrivata al mio piano, scesi, senza più dire nulla.

<< Vai a ritirare i risultati della paziente? >> mi fermò House, serio.

<< Sì >> mi limitai a rispondere.

Mi diressi rapidamente verso il laboratorio analisi. Ovviamente gli ANCA non erano ancora stati dosati - ci volevano tre giorni -, ma erano pronti emocromo, PT, aPTT e sideremia. Quest’ultima era nel range, ma comunque senza transferrinemia e ferritinemia non potevamo ancora escludere un’anemia sideropenica. Anche PT e aPTT erano nella norma. Appena ebbi sotto gli occhi i risultati dell’emogramma, per poco non svenni. Annie era messa davvero male: aveva un’aplasia midollare acuta. Tutti i valori erano bassissimi, molto sotto la soglia minima. Aveva sette di emoglobina, mille leucociti e poco più di ventimila piastrine. Non potevo permettermi di perdere tempo.

Corsi nel corridoio e mi precipitai verso le scale, diretta alla stanza della paziente. Ogni minuto perso poteva essere letale, mi ripetei insistentemente. Davanti alla porta della camera trovai House, intento a discutere con Andrew.

<< House, dobbiamo intervenire subito. Annie ha un’aplasia midollare >> esordii.

<< Un … certo, questo spiega molte cose … ma non spiega l’aplasia >> disse, pensieroso.

Non sembrava preoccupato, e questo non poté che infastidirmi: Annie stava rischiando di morire!

<< House, dobbiamo intervenire subito! >>.

Senza rendermene conto, iniziai a strillare.

<< Cameron, calmati >>.

Era arrivato Chase.

<< Dico all’infermiera di somministrare ad Annie steroidi, anabolizzanti e ciclosporina >>.

<< Direi di darle anche fattori di crescita per la neutropenia >> aggiunse.

Aveva ragione. Non so come, ma avevo totalmente perso il controllo. Era la prima volta che mi capitava; ma per fortuna era arrivato Chase.

<< Hai ragione, io … >> iniziai.

<< Non preoccuparti. Succede, se ti affezioni ai pazienti >> mi interruppe.

Entrò nella stanza di Annie e le spiegò la situazione, riuscendo incredibilmente a mantenere la calma. Mi sentii terribilmente stupida: ero riuscita a farmi paralizzare dal panico. Chase aveva ragione: non avrei dovuto affezionarmi tanto ad una paziente.

<>.

L’affermazione di House mi catapultò bruscamente nella realtà.

<< Parla con il suo ragazzo >>.

Possibile che quell’uomo mi detestasse tanto? L’aveva fatto apposta a chiedermi di parlare con Andrew.

<< Vieni con me, andiamo a prenderci un caffè >> dissi, rivolta al ragazzo.

Non l’avevo notato, ma anche lui sembrava letteralmente paralizzato dalla preoccupazione. Probabilmente aveva bisogno di rassicurazioni; dopotutto, era pur sempre della sua fidanzata che stavamo parlando, e, di certo, nessuno di noi aveva fatto nulla per tranquillizzarlo.

E’ solo preoccupato per me ….

Le parole di Annie mi risuonarono in testa. Aveva ragione. Dovevo rassicurarlo, o almeno sforzarmi di farlo per lei.

<< Stai tranquillo, si sistemerà tutto >>.

Stavo mentendo, e sapevo benissimo di farlo. Non doveva stare tranquillo: non avevamo la minima idea di cosa avesse Annie.

<< Grazie >> si limitò a dire.

Ci dirigemmo verso il distributore di bevande. Mi offrì gentilmente il caffè: non era poi così male, dovetti ammettere. Sembrava così indifeso …

<< Andrew, Annie mi ha detto che aveva avuto una gastroenterite qualche giorno fa >> esordii.

<< Sì, è stata male per quasi una settimana>> rispose.

<< E ha preso qualche farmaco? >>.

<< No, il medico le ha detto che era un fatto virale. Semplicemente è stata a letto >>.

Ebbi un’intuizione.

<< E ha avuto solo diarrea e vomito? >> chiesi.

Ci pensò su.

<< Ha avuto anche mal di gola, in realtà, e febbre. Perché? >> domandò in risposta.

<< Solo un’ipotesi>>.

Continuava a fissarmi con aria interrogativa.

<< Potrebbe aver avuto una mononucleosi “atipica”, diciamo >> aggiunsi.

<< Cioè la “malattia del bacio?” Quella? Ma io sapevo che non è grave >>.

<< Sì, quella. In alcuni casi può dare sintomi intestinali e, anche se raramente, può complicarsi con un’aplasia midollare>>.

<< Ma cosa ha? E’ grave? >>.

Era visibilmente scosso, e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

<< Stai tranquillo, Andrew. La faremo riprendere, e dico subito ad House di dosare le IgG anti – VCA e anti – EBNA, per verificare che abbia avuto l’infezione >>.

Allontanai subito l’altra ipotesi che mi era venuta in mente: Annie non poteva avere la leucemia. Il quadro clinico – laboratoristico la suggeriva, ma non potevo crederci.

<< Cameron! >>.

Era Chase.

<< Che c’è? >> risposi.

Era preoccupato.

<< La terapia non funziona. Annie ha bisogno di un trapianto di midollo >>.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Tutto in una notte ***


Tutto in una notte  

Le ore che seguirono furono cariche di ansia e apprensione.

Dovevamo trovare ad Annie un donatore compatibile, e magari anche riuscire a scoprire la causa della sua aplasia midollare.

<< La tua ipotesi sul virus di Epstein - Barr è un tantino azzardata >>.

Era stato House a parlare.

<< Forse hai ragione,  ma non costa nulla dosare le IgG per gli antigeni virali >>.

Non ci credevo neanche io, in realtà, però ci speravo.

<< Potrebbe avere l'amiloidosi >> propose Chase.

<< Potrebbe >> si limitò a dire House.

<< Direi di fare la biopsia del grasso periombelicale e la colorazione al rosso congo, allora >> esclamò Robert, pronto a dirigersi verso la stanza di Annie.

<< Aspetta, dove stai andando?  Non ho esposto la mia ipotesi >> lo fermò House. << Potrebbe avere una leucemia mieloide cronica >>.

Temevo che l'avrebbe detto. Ci avevo pensato anche io, ma continuavo a negarlo a me stessa.

<< Ipotesi valida, House. Dovremmo fare una biopsia osteomidollare >>.

<< E trovare un donatore compatibile, visto che ha bisogno di un trapianto di midollo >> intervenni.

Non potevo credere che nessuno di loro due fosse realmente preoccupato per quella ragazzina; entrambi erano interessati soltanto alla diagnosi, e la trattavano come un caso clinico come tanti altri. House si preparò a ribattere, ma io non ne potevo più: mi precipitai fuori da quella sala, verso il corridoio. 

Una calda lacrima mi solcò il viso. Non ce la facevo più ad avere quotidianamente a che fare con le malattie. Probabilmente sarebbe stato un trauma perdere Annie, e io non sarei riuscita a tollerarlo, non dopo aver attraversato la stessa tragedia con mio marito. Mi tolsi il camice e lo gettai nell'armadietto dello spogliatoio: non ero più lucida, e quella giornata incredibilmente lunga doveva finire. Uscii dall'ospedale e mi diressi verso la mia auto, pronta a tornare a casa, quando vidi Andrew: era in preda alle lacrime.

<< Ehi >>.

Non sapevo che altro dire.

Lui si voltò a guardarmi.

<< Ciao >>.

Che momento bizzarro.

<< Dovresti stare vicino ad Annie >> dissi.

Sembrò sorpreso da quell'affermazione.

<< Pensavo mi detestassi. Fino a poche ore fa mi accusavi di maltrattare la mia ragazza >>.

Aveva ragione. Ero stata troppo precipitosa nel puntargli il dito contro.

E avevo avuto pienamente torto.

Le ecchimosi di Annie erano dovute alla sua piastrinopenia, non ad Andrew.

<< Ti chiedo scusa >>.

<< Non avrei dovuto giudicarti così. Ho sbagliato in pieno >> aggiunsi.

Sorrise.

<< Non preoccuparti. Dopotutto anche io ho fatto i miei errori, e me ne pento. Non avrei mai dovuto tirare quello schiaffo ad Annie >>.

Riprese a piangere. Mi avvicinai a lui e lo presi per mano, aiutandolo a rialzarsi.

<< Andrew, pensala così ... Se non fosse stato per te, non avremmo mai scoperto il problema della tua ragazza >>.

Gli sorrisi di rimando.

<< Grazie >>.

<< Adesso vado a casa, Andrew >> dissi, aprendo la portiera della mia auto.

<< Avete trovato un midollo compatibile? >> chiese.

Era chiaro che non voleva rimanere solo.

Chiusi la portiera della macchina.

<< Lo stiamo cercando >> risposi. << Dai, entriamo dentro. Stavolta te lo offro io un caffè >>.

Ci dirigemmo verso l'ingresso dell'ospedale.

<< Vorrei essere io il donatore >> esclamò.

<< É un po’ difficile, dovremmo fare dei test per verificare la compatibilità >> gli risposi.

<< Posso fare questi test? >>.

Mi stava praticamente supplicando.

<< Certo >>.

Parlammo quasi due ore, tutti e due. Andrew si rivelò una persona veramente dolce, esattamente come l'aveva descritto Annie.

<< Adesso dovresti andare a farle compagnia >> dissi, a un tratto.

<< Hai ragione. É solo che ... ho paura. No, sono letteralmente terrorizzato. Non voglio perderla >>.

Lo capivo benissimo.

<< Lo so, non puoi immaginare quanto ti capisca. Io ... ho affrontato una situazione simile, in passato. Capisco perfettamente che tu sia combattuto tra lo stare vicino a lei e lo starle lontana, per timore di vederla morire tra le tue braccia. Ma ti posso assicurare che lei non morirà >>.

Pronunciare quelle parole diede più forza a me che a lui. Adesso ero decisa a trovare un donatore per Annie e a scoprire la sua malattia.

 << Grazie, e scusami se sono stato ... sì, un pezzo di idiota con te prima >> disse Andrew.  

<< Figurati, non è che io sia stata proprio mrs. simpatia >>.

<< Posso chiederti una cosa? >>.

Mi era venuta un'idea.

<< Hai per caso idea di come potremmo rintracciare il padre di Annie? >>.

Sarebbe stato il donatore ideale di midollo, con tutta probabilità.

<< In realtà, sì ... é venuto al funerale della mamma di Annie qualche mese fa >>.

Non riuscivo a credere alle mie orecchie.

<< E hai idea di dove vive? O hai un suo recapito? >>.

<< Certo, te lo do’ subito >>.

Prese il cellulare e mi dettò il numero di telefono dell'uomo.

<< Spero che vi risponda. Ora vado da Annie, se non ti dispiace >> disse, voltandomi le spalle.

Finalmente avevo la possibilità di aiutare veramente la ragazza.

<< Novità?  >>.

Era Chase.

 << Sì, abbiamo un potenziale midollo per Annie >> dichiarai, sorridendo.

<< Ma come ... ? >> iniziò.

Lo zittii, mettendogli una mano sulle labbra. Mi avvicinai cautamente a lui, chiusi gli occhi e lo baciai.

E tutto sembrò sistemarsi, come per magia.

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Capitolo 7
*** Perdonare è divino ***


Perdonare è divino

 

<< Ti amo >>.

Aprii gli occhi e mi ritrovai accanto Andrew, sdraiato al mio fianco. Così vicini riuscivo a sentire il calore propagato dal suo corpo; troppo calore.

<< Amore, hai la febbre >> dissi.

Si voltò a guardarmi, stupito.

<< Quello che ogni ragazzo vorrebbe sentire dopo una dichiarazione d’amore >> esclamò, sarcastico.

<< E’ la verità. Dovresti andare a casa e riposare un po’. E’ stata una giornata incredibilmente lunga >>.

<< Fammi capire, tu hai bisogno di un trapianto e sarebbe stata una giornata difficile per me? Non voglio abbandonarti, non di nuovo >>.

Aveva gli occhi lucidi.

<< Ma tu non mi hai mai abbandonata >>.

Mi prese le mani.

<< Non voglio andarmene, Annie. Prima mi sono fatto prendere dal panico, sono stato uno stupido. Il fatto è che … non voglio perderti >>.

Scoppiò in lacrime.

<< Dai, non piangere. Anche io ti amo >>.

Aveva bisogno di sentirselo dire.

<< Non dovresti, non dopo quello che ti ho fatto. Mi vergogno di me stesso, non avrei mai dovuto … >>.

<< Basta >>. Lo interruppi. << Tutti sbagliano. Siamo umani, Andrew. E poi, non hai mai sentito dire che errare è umano, perdonare è divino >>.

<< Ah, e quindi tu saresti una dea? >> rise, baciandomi sulla guancia.

<< La mia dea preferita >>. Mi abbracciò.

Prese il cellulare dalla tasca e mi porse una cuffietta.

<< Ascolta >>.

 

This Romeo is bleeding

But you can't see his blood.

It's nothing but some feelings

That this old dog kicked up

 

La nostra canzone. La prima volta che ci eravamo incontrati, in un locale, la radio suonava questo brano.

<< Oggi sono tre anni, amore >>.

Era vero. Me ne ero completamente dimenticata.

<< Avevo prenotato nello stesso locale in cui ci siamo conosciuti. Stamattina, dopo la chiamata del padrone di casa che ha minacciato di sfrattarci, sono andato fuori di testa. Non avrei mai dovuto tirarti quello schiaffo … è solo che … ho perso il controllo >>.

Si alzò dal letto e si diresse verso la poltrona accanto. Estrasse qualcosa dal suo zaino, qualcosa di piccolo, sembrava quasi …

Un anello. Un piccolo anello di fidanzamento.

<< Amore, non avrei mai pensato di chiedertelo così, né tantomeno in una stanza d’ospedale >>.

Si inginocchiò, mettendomi non poco in imbarazzo.

<< Annie Cohen, vuoi sposarmi? >>.

<< Hai letto “I passi dell’amore”? >> gli chiesi.

<< Cosa? >>.

<< E’ che questa situazione fa tanto Landon Carter >> dissi.

Era evidente che non sapesse di cosa stavo parlando.

<< Vuoi sposarmi perché sto morendo? >>.

Quella mia affermazione lo turbò. Era confuso.

<< No, certo che no. Sono mesi che ho comprato l’anello >>.

Che stupida. Gli anelli non crescono certo sugli alberi, né all’interno degli ospedali.

<< Scusami, hai ragione. Ma sei sicuro di volermi sposare? Potrei … hai capito >>.

<< Hai presente quella frase che si dice quando ci si sposa? “Nella salute e nella malattia ..” >>.

<< … finché morte non ci separi. Sì, ce l’ho presente >>.

<< E quindi? >>.

Era tenace, dovetti ammettere. Feci finta di pensarci su (mi piaceva tanto tenerlo sulla corda).

<< Sì >> dissi infine.

Come se ci fosse una decisione più semplice da prendere.

Quella frase lo fece letteralmente urlare dalla gioia.

<< Abbassa la voce, siamo in un ospedale! >> gli sussurrai.

Venne verso di me e mi mise la fedina nell’anulare.

<< Ti amo, signora Smith >> e mi baciò.

Erano tre anni esatti che stavamo insieme, ma ogni volta che mi baciava sentivo come un brivido attraversarmi la schiena.

Era stupendo.

<< Non sono sicura di voler cambiare cognome >> lo punzecchiai.

<< Non importa, amore. Basta che mi sposi >> affermò lui. << E forse la situazione si risolverà molto prima di quello che pensi. Potremmo avere un trapianto, me lo ha garantito la tua dottoressa >>.

<< La mia dottoressa? Mi fa piacere che abbiate risolto le vostre divergenze >>.

<< Per te questo e altro, tesoro mio >>.

<< Ora basta, però. Sai che non sono un’amante delle sdolcinerie >> gli dissi, ridendo.

<< Vuoi qualcosa da mangiare? Da bere? >> mi chiese.

<< Questo è il mio cibo, ormai >> gli risposi, indicando la flebo.

<< Divertente. Vado a prenderti una bottiglietta d’acqua. Prima però chiedo ad Allison, per sicurezza >>.

<< Chiedo ad Allison ? Andrew, devo preoccuparmi? Siamo passati dall’odio all’amore? >>.

Finsi di irritarmi.

<< Una donna non mi basta più, baby >> scherzò.

Mi baciò sulla fronte.

<< Ho come l'impressione che ogni passo che ho fatto da quando cammino, sia un passo verso di te >>.

Uscì dalla stanza.
Non ci potevo credere, glielo avrei rinfacciato in eterno: aveva letto il libro di Sparks.

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Questione d'orgoglio ***


Questione d’orgoglio

 

<< Non saresti dovuto andare da lei con la febbre addosso >>.

Chase rimproverò Andrew, che scottava e aveva gli occhi lucidi.

<< E’ stata colpa mia, Chase. Non mi ero accorta che avesse la febbre e l’ho mandato da Annie, per farle compagnia >>.

Ero stata stupida a non accorgermene.

<< Non ti preoccupare, ci sarei andato lo stesso >> mi rassicurò lui. << Dovevo dirle una cosa importante >>.

<< Direi di iniziare una terapia antibiotica ad ampio spettro, nell’attesa del risultato dell’emocoltura >>.

<< Sono d’accordo. Nell’ultimo emocromo i neutrofili erano poco sopra 500, quindi direi di somministrarle anche dei fattori di crescita granulocitari >> sostenni io.

Andrew era visibilmente dispiaciuto.

<< Non preoccuparti, non è colpa tua. Non lo sapevi >> lo consolai. << Vado a parlare con Annie >>.

Imboccai il corridoio e mi diressi verso la sua stanza.

<< Cameron >>.

Era House.

<< Cosa vuoi? Dove sei stato finora? >> gli chiesi.

Erano un paio d’ore che non si faceva vedere.

<< Dove vuoi che sia stato? Nel mio studio >> rispose, indicando la stanza di Wilson.

<< Avete fatto l’aspirato midollare alla ragazzina? >>.

<< Ancora no. Stiamo per avviare la terapia antibiotica ad ampio spettro, potrebbe avere un’infezione in corso >>.

<< Ho sentito che forse abbiamo un midollo per la ragazzina >>.

<< Potremmo averlo. Abbiamo modo di contattare suo padre >>.

<< Wow, la cosa si fa interessante. E lei lo sa? >>.

<< No, ma non credo che farà problemi. Adesso ha bisogno di un midollo osseo >>.

Finita la frase, mi avviai da Annie.

<< Non lo vorrà >> mi urlò dietro House.

Perché non avrebbe dovuto volerlo? House si sbagliava, ero sicura. Entrai nella stanza della ragazza e la trovai sveglia, visibilmente debilitata.

<< Ciao, Annie. Come stai? Va meglio? >> le domandai.

<< Sì, sto un po’ meglio >> mentì.

<< Ho saputo che Andrew aveva qualcosa di importante da dirti >>.

Un piccolo anello splendeva nel suo anulare sinistro.

<< Hai notato questo? >>.

Sollevò la mano sinistra.

Annuii.

<< Mi ha chiesto di sposarlo >>.

Le brillavano gli occhi.

<< Oh, Annie. Sono contentissima per voi >> dissi, sincera. << Abbiamo un motivo in più per farti stare meglio >>.

Sorrise.

<< Anche i tuoi occhi luccicano. Non voglio farmi gli affari tuoi, ma è successo qualcosa con Chase? >>.

Finsi di non sentirla.

<< Parliamo di te. Ti volevo dire due cose. Anzitutto inizieremo a somministrarti un antibiotico. Ho visto che Andrew ha la febbre >>.

<< D’accordo >>.

<<  E dovremo fare altri prelievi, e un aspirato midollare >>.

<< E cosa sarebbe? >>.

Era spaventata.

<< E’ un esame del midollo osseo. Dovremmo inserire un ago in una spina iliaca postero-superiore e prelevare delle cellule per analizzarle. Ci permetterà di capire meglio quello che hai >>.

<< E’ doloroso? >>.

<< Non proprio. E’ solo un po’ fastidiosa la sensazione che si prova quando iniziamo ad aspirare con l’ago >>.

<< Cercate qualcosa in particolare? >>.

Temevo che me l’avrebbe chiesto. La mia etica professionale mi obbligava a dirle che, tra le altre cose, sospettavamo avesse una leucemia mieloide cronica evoluta in crisi blastica. D’altra parte, non potevo rovinargli questo piccolo momento di felicità solo per una supposizione. Non me lo sarei potuta perdonare, specie se fosse successo qualcosa.

<< Pensiamo che la tua aplasia possa essere dovuta all’infezione che hai avuto qualche settimana fa >> mi limitai a dire.

<< Poi … potremmo avere un midollo per te >> aggiunsi.

<< Me l’ha detto Andrew. C’è un donatore compatibile? >> chiese in risposta.

<< Potrebbe. Annie … devo dirti una cosa >>.

<< Sì, lo so >>.

Doveva averglielo anticipato Andrew.

<< Potrei morire >> dichiarò.

Non lo sapeva.

<< So che il trapianto potrebbe fallire. Ho visto centinaia di puntate di “Malattie misteriose” >>.

Rise. Una risata tutto fuorché allegra.

<< In realtà ti volevo dire un’altra cosa. Riguarda il tuo donatore di midollo >>.

Mi guardò, incuriosita.

<< E’ tuo padre >> rivelai infine.

<< Cosa? >> fu la sua risposta.

Era chiaro che non se l’aspettasse proprio. Fece per alzarsi dal letto, ma fui più veloce: mi avvicinai a lei e la feci sdraiare.

<< Come avete fatto a rintracciarlo? >> domandò.

<< E’ stato il tuo ragazzo >>.

Quella rivelazione la fece indignare ancora di più, se possibile.

<< Andrew? E lui come fa a sapere dove si trova mio padre? >>.

Si era agitata, e, nelle sue condizioni, non poteva permettersi tanto stress.

<< Pare sia venuto al funerale di tua madre >> le dissi.

<< Cosa? E con quale diritto l’ha fatto? Ci ha lasciati che ero solo una bambina, non voglio avere a che fare con lui. E, soprattutto, non voglio favori da lui >>.

Cercai di farla ragionare.

<< Annie, potresti morire. In queste situazioni l’orgoglio va messo da parte >>.

<< Non voglio nulla da lui, Allison. Preferisco morire >>.

Non potevo credere che lo pensasse davvero.

<< D’accordo, come vuoi tu. Ci rivolgeremo ad una banca internazionale di midollo, sperando di avere fortuna >> finsi di cedere. << Adesso vado a parlare con l’infermiera per la tua terapia >>.

Uscii dalla sua stanza e mi trovai di fronte House.

<< Te l’avevo detto >> si limitò a dire.

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Meglio esser pazzo ***


Meglio esser pazzo …

 

<<  Avresti dovuto dirmelo >>.

Dopo la discussione con Allison, Andrew si era precipitato a parlare con me.

<< Hai ragione >>.

La sua voce risuonava distorta dalla mascherina che indossava, per il rischio di trasmettermi virus o batteri o chissà che.

<< E non fare quella faccia da cane bastonato. Non mi muovi a pietà >>.

<< Amore, non te l’ho detto perché sapevo che avresti reagito così. Avrei rovinato il nostro momento >>.

Era visibilmente mortificato.

<< E quel giorno? Il giorno del funerale di mia madre? Perché non mi hai detto nulla neppure allora? >> gli chiesi.

<< Eri già abbastanza triste, non volevo peggiorare le cose >> rispose. << Annie, io ti amo, e non farei mai niente per ferirti >>.

<< Sì, però avresti potuto dirmelo nei mesi successivi. Non è stato giusto tenermelo nascosto. Non ne avevi il diritto >>.

<< Hai ragione, non lo nego >> dichiarò, amareggiato.

<< Quante volte l’hai sentito da quel giorno? Dal funerale di mia madre? >>.

Quella domanda lo spiazzò.

<< Devi averlo risentito, Andrew. Hai il suo numero di telefono >>.

<< Quasi ogni mese >> confessò.

Quasi ogni mese?

<< Mi chiamava lui. Insisteva perché lo facessi parlare con te. E si è offerto di aiutarci con le spese >>.

<< Cosa? Spero che tu non abbia accettato neanche un centesimo da lui! >> strillai, indignata.

<< No, non fino a ieri >>.

Gli destinai uno sguardo di rimprovero.

<< Annie, ne abbiamo bisogno. Siamo con l’acqua al collo, ci stanno sfrattando, se non l’hai capito. E – scusami se è poco - tu potresti morire. Credo che in queste situazioni l’orgoglio vada messo da parte >>.

Non ne potevo più delle sue giustificazioni.

<< Per favore, esci. Voglio rimanere sola >>.

Uscì dalla stanza mestamente, deluso.

Possibile che sia lui sia Allison pensavano fosse una questione d’orgoglio? Non riuscivano a mettersi nei miei panni e a capire che non volevo nulla da quell’uomo, che ci aveva abbandonate quando ero solo una bambina e non si era mai preoccupato di noi due? Che continuasse a stare lontano da me, non avevo bisogno del suo midollo, né tantomeno di lui.

Sentii aprire la porta.

<< Andrew, cosa del “voglio rimanere sola” non ti è chiaro? >>.

<< Non sono quell’imbecille del tuo ragazzo >>.

Quella voce arrogante, fastidiosa … doveva essere il dottor House.

<< Buongiorno anche a lei >> gli dissi di rimando.

Iniziò a scrutarmi dalla testa ai piedi, incuriosito.

<< Sei proprio messa male >> proferì.

<< Sbaglio o è lei il mio dottore? Se la logica non mi inganna … è lei il responsabile >>.

Rise sonoramente. Sembrava che niente potesse turbarlo.    

<< Ti devo dare ragione, ragazzina >>.

Prese una sedia e si sedette.

<< Allora … nella tua anamnesi mi è sfuggita la tua data di nascita >>.

Non capivo cosa gli interessasse in quel momento.

<< 10 Gennaio 1992 >>.

<< Quindi hai ventitre anni. Interessante >>.

Cosa ci fosse di interessante, poteva saperlo solo lui.

Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una pallina da golf e si mise a giocarci con il bastone. Era estremamente irritante.

<< Ho saputo che non vuoi accettare il midollo dal tuo paparino >> esclamò.

<< Non le sfugge nulla >>.

Non avevo intenzione di parlare con lui di cose così intime e personali.

<< Mossa stupida >>.

Mi guardò intensamente.

<< Vuoi il mio parere? >>.

Non mi interessava proprio il suo parere.

<< Non solo dovresti accettarlo, dovresti pretenderlo >>.

Quelle sue parole mi spiazzarono, e non poco.

<< Devi sapere che qualsiasi cosa esca dalla mia affascinante bocca è frutto di un fine ragionamento. Pura logica, senza sentimenti né smancerie varie. Dimmi … se – come vuoi fare – ti rivolgessi alla banca del midollo, non potresti mai sapere chi è stato il donatore >>.

Cercai di seguirlo  nella sua argomentazione.

<< E magari il tuo donatore finirebbe con l’essere comunque lui. O un assassino, un truffatore, un vile e malvagio … >>.

<< Ma non lo saprei mai >> ribattei.

<< Allora sei una di quelle persone che preferiscono non sapere. Perdonami se te lo dico … ma sbagli >>.

<< E scusi se glielo dico io, ma non mi conosce e non credo che possa permettersi il lusso di giudicarmi. Anche lei è umano, e quell’aria da “so tutto io” che si porta dietro non la rende certo più tollerabile di quello che in realtà è. Crede di sapere tutto, lei? Non ha mai sentito che il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno >>.

Mi aveva fatta infuriare.

<< Non sembri proprio il tipo che citerebbe Voltaire >>.

Bene, almeno conosceva la citazione. Peccato non ne avesse capito il senso.

<< Credo solo che sarebbe stupido non accettare il midollo, se fosse compatibile. Ma questa è solo la mia opinione >> si ricompose.

Si alzò dalla sedia e mi controllò la flebo.

<< Bene, vedo che Cameron ha iniziato a somministrarti l’amoxicillina. Direi di aggiungere una cefalosporina >> commentò.

Prese la mia cartella clinica e ci scrisse sopra.

<< Comunque, uno dei due fidanzatini ti avrà detto, immagino, che prima di avviare le procedure per il trapianto dobbiamo farti un aspirato midollare >>.

Annuii.

<< Bene, una cosa giusta l’hanno fatta quei due. Si vede che qualcosa l’hanno imparata da me >>.

Sbottai.

<< Quei due, come li chiama, sono molto più umani di quanto non potrà mai essere lei >>.

Più che deluso, sembrò sorpreso da quella mia affermazione.

<< Devo ammettere che ti ammiro. Nelle tue condizioni, riesci persino a trovare la forza per stilare filippiche per i due mocciosetti >>.

Rise.

<< Non è forte chi cade, ma chi cadendo ha la forza di rialzarsi >> dissi.

<< Ti piacciono le citazioni, eh? Eccone un’altra che calza a pennello, visto che mi riguarda … “Meglio esser pazzo per conto proprio, anziché savio secondo la volontà altrui” >>.

Nietzche. Avevo già sentito quella frase, era la citazione preferita di …

<< Me la ricordi così tanto, Annie. Tua madre >>.

   

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Capitolo 10
*** Solo Dio può giudicare ***


Solo Dio può giudicare

 

Risponde la segreteria telefonica di Gary Cohen. Siete pregati di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico ...

<< Buongiorno, signor Cohen, sono sempre la dottoressa Cameron. Le ho già lasciato una decina di messaggi in segreteria. La prego di recarsi presso il nostro ospedale il prima possibile. Riguarda sua figlia Annie >>.

Interruppi la conversazione. Era dalle sette di quella mattina che io e Chase non avevamo fatto altro che lasciare messaggi a quell'uomo, spiegandogli in sintesi la situazione ed invitandolo a recarsi da noi non appena avesse accesso il cellulare.

<< Non ha ancora risposto? >> chiese Chase.

<< Ovviamente no. Speriamo lo faccia entro stasera >>.

Era già l'una di pomeriggio, e noi due stavamo pranzando alla mensa dell'ospedale.

<< Ciao ragazzi >>.

Era Wilson.

<< Per caso avete visto House? >>.

Sembrava preoccupato.

<< No, non di recente. Non é da lui disinteressarsi così ad un caso tanto complesso >> rispose Chase.

<< Sì, in effetti é un caso molto ... complesso é l'aggettivo giusto >>.

Saccheggiò un panino dal mio piatto.

<< Grazie, Cameron. Sono a digiuno da ieri sera. Vado a cercare House >>.

E si allontanò.

<< Credo che House lo stia facendo rimbecillire >> fu il commento di Chase.

Risi alla sua battuta.

<< Non pensi che dovremmo parlare di ieri sera? >>.

Ecco, proprio quello che temevo. Non ero mai stata brava a mettere ordine alle mie relazioni.

<< Questo non mi sembra né il luogo né il momento adatto >> lo liquidai.

<< Forse hai ragione, ma non mi sembra giusto lasciarmi così, sulle spine. Vorrei sapere almeno se abbiamo o no una relazione >>.

<< E perché ti interessa tanto? Per sentirti legittimato, se la risposta fosse no, ad uscire con la dottoressa Sanders? >>.

Rivolsi lo sguardo verso il tavolo a pochi metri di distanza dal nostro, dove la ginecologa non faceva che indirizzare a Chase delle occhiate molto (troppo) interessate.

<< Tu non vuoi chiarire la nostra situazione, ma io non posso comunque uscire con nessun altra? Non ti capisco, Allison >>.

<< È proprio questo il problema, Robert. Non mi capisci >>.

Mi alzai e mi diressi verso l'ingresso dell'ospedale, a prendere una boccata d'aria. Non sapevo perché avevo trattato così Chase: non se lo meritava proprio. Non mi ero mai ritenuta un tipo particolarmente geloso; non fino ad allora. Chase mi faceva questo effetto.

Ma ero troppo preoccupata per Annie per avere tempo di chiarire la nostra storia.

Mentre mi gustavo il caffè che avevo preso alla mensa, un uomo sulla cinquantina uscì dalla sua auto, dopo aver parcheggiato alla meno peggio.

Sembrava confuso e disorientato. E spaventato.

<< Posso esserle d'aiuto? >> gli chiesi, cordiale.

<< Sì, mi auguro di sì. Sto cercando la dottoressa ... Cameron,  mi pare si chiami così >>.

<< L'ha trovata. Di cosa ha bisogno? >>.

<< Sono il signor Cohen >>.

Incredibile. Era il padre di Annie. Mi aspettavo che mi sarei trovata davanti un poco di buono, trasandato e magari anche alcolizzato; e invece era un signore elegante e ben vestito, molto curato. Aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri.

<< Mi ha lasciato una decina di messaggi in segreteria. Mi scusi se non ho risposto, avevo il cellulare staccato. Ero ad un bar mitzvah >>.

<< Non si preoccupi, anzi auguri >>.

<< Era di mio nipote. Grazie >>.

Era molto agitato.

<< Cosa ha mia figlia? >> domandó, esitante.

<< Come le ho anticipato per telefono, ha urgente bisogno di un trapianto di midollo osseo. Riuscire a trovarne uno compatibile é molto difficile, a meno che ... >>.

<< Non ci si rivolga a un familiare >> concluse lui.

<< Allora, cosa stiamo aspettando? Dovete fare dei test? >>.

Quella sua determinazione mi colse alla sprovvista. Decisamente Annie da lui non aveva ereditato solo il colore dei capelli, ma anche la caparbietà.

<< Dovremo  effettuare un prelievo ed eseguire due test. Uno é la tipizzazione HLA, cioé la determinazione molecolare degli antigeni di superficie dei suoi globuli bianchi, l'altro prevede l'esecuzione di colture miste linfocitarie. In poche parole, valutiamo la reazione dei suoi linfociti se messi a contatto con quelli di Annie. Spero di essere stata comprensibile  >>.

Annuì.

<< Sì. Poi in realtà non sono proprio lontano dalla scienza. Insegno fisica all'università del New Jersey >>.

Wow. Altro che barbone trasandato.

<< Mi fa piacere, almeno parliamo la stessa lingua, più o meno >> gli sorrisi.

<< Se non le dispiace, possiamo entrare in ospedale e avviare le procedure per la verifica della compatibilità >> gli dissi.

<< Annie lo sa? >>.

Bella domanda. Cosa avrei dovuto rispondergli?

<< In realtà, sì >>.

Non potevo mentirgli.

<< E ... insomma, cosa ne pensa? >>.

Era ancora più agitato di quando era arrivato.

<< La convinceremo >> mi limitai a dire.

<< Potreste dirle che avete trovato un midollo compatibile nella banca internazionale >> propose.

Quell'uomo era veramente incredibile. Sembrava ci tenesse davvero ad Annie. Ma perché, allora, aveva abbandonato lei e sua moglie?

<< Non credo si possa fare, signor Cohen. Non é proprio legale, né etico >>.

Rimase deluso.

<< La compatibilità va comunque verificata. Prima di avere i risultati degli esami, non possiamo sbilanciarci >> tentai di consolarlo.

<< Lo so che ho commesso un errore imperdonabile, dottoressa. Non avrei mai dovuto abbandonare la mia famiglia >>.

Forse si aspettava che dicessi qualcosa, che lo consolassi, ma io non sapevo proprio cosa dire.

<< Non sono qui per giudicarla >>dichiarai infine.

<< No, certo che no. Questo spetta solo a Dio. Qui siamo tutti umani e, come tali, fallibili >>.

Quel suo modo di fare mi ricordava molto Annie: determinato, apparentemente sicuro di sé ma in realtà alla continua ricerca dell'approvazione altrui.

<< Io comunque vorrei parlarle. Prima o dopo il trapianto >>.

<< Questo non spetta a me deciderlo >>.

Era Annie che doveva scegliere se incontrarlo o meno, certo non io.

<< Io non volevo abbandonarle! Dio solo sa quante notti ho passato a pregare per loro due, quante volte sono passato davanti a casa loro, negli ultimi vent'anni, vedendo Annie crescere e diventare una donna senza di me >>.

Gli rivolsi uno sguardo compassionevole.

<< Sua madre mi tradiva >> rivelò infine.

 

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Capitolo 11
*** Due gocce d'acqua ***


Due gocce d’acqua

 

<< Come …? >> esordii.

<< Come faccio a conoscere tua madre? O meglio, come facevo a conoscerla >> completò il dottor House.

Sì, volevo sapere proprio quello. Annuii in risposta.

<< Annie, ho visto il tuo emocromo stamattina. Siamo riusciti ad alzarti la conta piastrinica >>.

Non capivo cosa c’entrasse in quel momento. Gli rivolsi un’occhiata interrogativa.

<< E’ una cosa buona. Possiamo farti l’aspirato midollare con il minimo rischio emorragico >> proseguì lui. << Posso fartelo io stesso adesso, se per te non è un problema >>.

Cosa voleva che mi importasse di quello stupido esame? Conosceva mia madre, e questo sì che mi interessava, e non poco. Decisi di stare al suo gioco: sembrava che gli piacesse la sensazione di avere il controllo di tutto (e di tutti).

<< D’accordo, non ho preferenze. Però mi deve spiegare come fa a conoscere mia mamma >>.

<< Va bene >> cedette.

Prese una boccetta e una siringa dal carrello infermieri.

<< Devi metterti prona, a pancia in giù. Adesso ti disinfetto la zona e inizio a somministrarti un anestetico >>.

Seguii le sue direttive. Si avvicinò di più a me: sentivo che mi stava umettando la schiena (pardon, la spina iliaca postero-superiore) con il disinfettante e avvertii come un lieve pizzicore quando mi iniettò l’anestetico. Probabilmente ebbi un sussulto, perché House sembrò quasi preoccuparsi per me.

<< E’ tutto a posto >> lo rassicurai.

<< Certo che è tutto a posto. Qui alle tue spalle hai il più dotato medico di tutto il New Jersey >> esclamò lui in risposta, fingendosi indignato.

<< Dobbiamo aspettare che l’anestetico faccia effetto >> aggiunse, gettando la siringa nel cestino dell’immondizia.

<< Nel frattempo … >>.

<< Nel frattempo mi racconta di lei e mia madre >> conclusi io.

<< Certo, come vuole lei, signorina >> enunciò, sarcastico.

<< Se senti una strana sensazione alla tua spina iliaca, mentre ti intrattengo con le mie proverbiali doti di retorica … sappi che ho iniziato l’esame >>.

<< D’accordo, me l’ha già accennato Allison che è un po’ fastidioso >>  controbattei, impaziente.

<< Che paziente impaziente >> strepitò. << Non tutti sanno che, oltre alla laurea in medicina e alle due specializzazioni, io sono laureato anche in Fisica >>.

<< E questo cosa c’entra? Tanto meglio per lei >> proruppi.

<< Fammi parlare, ragazzina. E’ proprio alla facoltà di Fisica che ho conosciuto … tuo padre e tua madre >>.

Non poteva essere, quel medico si stava sbagliando.

<< Mia madre non era laureata in Fisica >> specificai.

Mi stava davvero infastidendo, con quel suo tono saccente.

<< No, certo che no. Non ha potuto proseguire gli studi >> disse lui.

Si alzò e si diresse verso il carrello, togliendone fuori una specie di siringa. Doveva essere l’aggeggio per l’aspirato midollare.

<< Fu costretta a ritirarsi perché tua nonna stava male, e aveva bisogno di lei >> proseguì, teatrale. << E’ sempre stata così altruista, tua madre … era veramente una specie di angelo >>.

Conoscevo mia madre, non c’era bisogno di descrivermela. Era un tipo che metteva gli interessi degli altri davanti ai suoi, anche a costo di sbagliarsi. Non negava a nessuno un pizzico di fiducia, e l’avevo sempre rimproverata per questo. Dio solo sapeva quanto me ne fossi pentita dopo la sua morte, così inaspettata e improvvisa; ancora mi rimproveravo di non averle mai detto quanto la ammirassi per quella sua dote, quanto aspirassi a diventare come lei. D’altronde, mi ero iscritta a Veterinaria per questo, qualche mese dopo il suo funerale. Lei amava gli animali, e io come lei: curarli sarebbe stato il mio compito.

<< Tu le somigli molto, te l’ho detto. Siete due gocce d’acqua >>.

Non risposi a quella sua affermazione. Non mi ritenevo degna di tale paragone.

<< Anche a te piacciono gli animali? >> mi chiese House, quasi leggendomi nel pensiero. Il suo tono adesso sembrava diverso, quasi … dolce. Mi sentii folle a pensarlo: erano solo due giorni che conoscevo quell’uomo, ma lui e la dolcezza sembravano agli antipodi, un po’ come gli Stati Uniti e la Russia.

<< Sì, li adoro >> dissi infine.

<< Tipico di tua madre. Te l’ho detto, sei la sua fotocopia >>.

Mi sorrise e proseguì nel racconto. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione degli altri.

<< Come ti dicevo, tua madre non si laureò in Fisica. Ma tuo padre sì. Al tempo, eravamo grandi amici >> rivelò.

<< Così conoscevi i miei genitori. Spero che quel “al tempo eravamo amici” significhi che non lo siete più >>.

Ero passata a dargli del tu. Non so perché, ma quella situazione era quasi familiare per me.

<< Cosa ha fatto? Ha abbandonato anche te? >> domandai, curiosa.

<< No, non l’ha fatto. In un certo senso, sono io che ho abbandonato lui >>.

Si mise nuovamente alle mie spalle.

<< Dopo il college, ci perdemmo tutti e tre di vista. Vidi tua madre solo in altre due occasioni: una è stata il funerale di tua nonna. Non so se te l’ha detto, ma aveva un tumore al pancreas che l’ha portata via in soli sei mesi. Alla diagnosi era già metastatico, quindi si è potuto fare veramente poco. E’ stata una delle prime pazienti del mio migliore amico, il dottor Wilson >>.

Si schiarì la voce e proseguì.

<< La seconda volta è stata circa ventiquattro anni fa >>.

Sussultai, non so se più per il dolore dovuto alla siringa che penetrava nella mia pelle o per quella rivelazione sconvolgente. Ventiquattro anni fa … Questo significava che House poteva essere mio padre. Al dolore seguì quella sensazione che Allison aveva giustamente espresso, come una sorta di suzione.

<< Lo so cosa stai pensando, Annie. Ci sto pensando anch’io da quando ho letto il tuo nome sulla cartella clinica, da quando ho saputo da Cameron che tua madre è morta di infarto. Da quando hai detto che tuo padre ti ha abbandonata quando eri solo una bambina. E sono io la causa, Annie. E’ tutta colpa mia. Non sarei mai dovuto andare a letto con tua madre >>.

Estrasse la siringa.

<< Dovresti avercela con me, quindi. Non con lui >>.

Non ci capivo più nulla. House mi aveva fatto troppe rivelazioni turbanti tutte in una volta, ed io non ero per niente preparata a tollerarle. Non tutte insieme.

Sentii House che si agitava alle mie spalle. Avvertivo come una sensazione di calore dietro al fianco, proprio dove aveva fatto l’aspirato. Voltai la testa per guardare: stavo sanguinando copiosamente. Qualcosa era andato storto …

Mentre House indugiava dietro di me, quasi immobilizzato dalla paura, entrò in stanza un altro medico, uno che non avevo mai visto prima.

<< House, cosa diavolo sta succedendo qui …? >>.

Corse dentro la stanza ed estrasse delle sacche dal carrello, dirigendosi rapidamente verso di me.

Non ebbi neanche il tempo di trovarmelo di fronte, che persi i sensi.

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Capitolo 12
*** Arriva l'intuizione ***


Arriva l'intuizione

 

<< House? House? >>.

Era Wilson.  Dopo quanto successo con Annie, mi ero chiuso nella mia stanza, ostinato a non voler parlare con nessuno. Come avevo potuto perdere così il controllo? Non era da me bloccarmi in situazioni d’emergenza, non mi era mai successo: neppure ai primi anni di specializzazione. Avevo ragione a pensare che i sentimenti possono solo portare guai: per poco non moriva la mia paziente. Se non fosse entrato Wilson … Wilson, il mio migliore amico, la persona di cui più mi fidavo al mondo. L’unico che avesse visto veramente la parte di me che più tenevo nascosta, quella che non volevo che nessuno neppure sospettasse lontanamente.

<< House, mi stai facendo preoccupare >>.

Andai ad aprire la porta: era ovvio che non avrebbe ceduto, lo conoscevo troppo bene. In quei due giorni avevamo discusso più e più volte su Annie, riguardo alla mia potenziale paternità e a quanto fossi impreparato ad affrontarla. Sì, è vero, ormai avevo quasi cinquantacinque anni, ma non ero pronto. Ho sempre visto l’amore per i figli come una prerogativa del sesso femminile; d’altra parte, il darwiniano istinto di conservazione della specie non era proprio una cosa che potevo avere io, da sempre convinto misantropo. Le donne, invece, per loro natura, desideravano profondamente la maternità, dai tempi più antichi: come dicevo io, erano vittime dell’increzione estrogenica delle loro ovaie. Eppure, dal primo giorno che avevo visto Annie, specie da quando avevo iniziato a sospettare che fosse mia figlia, non so perché, ma avevo come l’impressione di aver stilato una sorta di legame con lei. Che fossero i nostri geni i responsabili?

<< Si può sapere cosa ti è preso prima? >> esordì Wilson.

<< Non lo so >> risposi, laconico.

<< House, non ti riconosco più >> sentenziò.

Non mi riconoscevo più neppure io.

<< Grazie per essere intervenuto >>.

<< Di nulla >>.

Si sedette accanto a me, a un lato del tavolo.

<< Hai parlato con la ragazza? >>.

<< Sì, prima di rischiare di farla dissanguare le ho parlato. Ma non avrei dovuto >>.

<< E perché no? Ha diritto di sapere >>.

Tipico di Wilson, quell’atteggiamento da capo scout.

<< Sapere cosa? Che suo padre potrebbe essere un tossicomane come me? Che non può fare a meno di prendere Vicodin, spesso più volte al giorno? Non la farà certo stare meglio, soprattutto se mi impedisce di arrivare alla sua diagnosi >>.

<< No, House, non fare così. Devi calmarti e ragionare. Ad Annie servi lucido >>.

Non avevo voglia di ribattere: Wilson la faceva sempre così facile. In realtà, quella situazione era tutto fuorché facile.

<< Hai intenzione di fare il test di paternità? >> chiese.

<< L’ho già fatto. Attendo i risultati >>.

Wilson parve turbato e colpito al tempo stesso.

<< Sono fiero di te >> si limitò a dire.

Mi alzai dalla sedia e presi due tazze di caffè, dandone una al mio collega.

<< Hai esaminato l’aspirato di Annie? >> domandò.

Mi conosceva davvero bene, pensai. Aveva capito che era opportuno cambiare argomento.

<< Sì, poco fa. Non ha la leucemia mieloide cronica >>.

<< E’ una notizia straordinaria, House >>.

<< No, non lo è >>.

Wilson mi guardò, stupito.

<< Se avesse avuto la LMC, forse avremmo potuto curarla con l’Imatinib. Invece non abbiamo la minima idea di quello che abbia >> dichiarai.

Era la verità. Brancolavamo nel buio più totale.

<< E le ipotesi di Cameron e Chase? >> si interessò.

<< Sono ipotesi stupide, senza credibilità. Sono sicuro che non abbia l’amiloidosi né l’infezione da EBV >>.

Sorseggiai il caffè.

<< Arriverai anche stavolta alla diagnosi, House. Lo fai sempre >> mi incoraggiò Wilson.

Sì, ma questa volta era diverso

<< House >>.

Cameron si era precipitata nella stanza, verso di me.

<< Si è fatto vivo il padre di Annie. Si sta sottoponendo alle procedure per la verifica della compatibilità del midollo >>.

Ci mancava solo Gary.

<< Bene … >> dissi.

<< Ha chiesto di parlare con il medico di sua figlia >>.

Cosa voleva da me Cameron? Non avevo mai parlato con nessun parente, in tutta la mia carriera. Non vedevo perché avrei dovuto farlo proprio quel giorno.

<< Cameron, lo sai che io non sono quel tipo di dottore >> la congedai.

<< Sì, lo so, House. Ma lui ha chiesto espressamente di parlare con te >>.

Le sue parole mi spiazzarono.

<< Con il dottor House >> aggiunse, rimarcando il concetto.

Sapeva essere davvero insopportabile quella donna.

<< Dille che sono tornato a casa >>.

Cercavo di divincolarmi da quella brutta situazione.

Wilson mi rivolse un’occhiataccia.

<< D’accordo, coalizzatevi pure contro di me. Andrò a parlarci più tardi >>.

Non avevo intenzione di farlo realmente.

Presi il bastone e uscii dalla stanza, lasciando quei due ricattatori da soli. Mi diressi verso la farmacia dell’ospedale in cerca di Vicodin: aveva iniziato a farmi male la gamba. Perlustrai il magazzino, ma non riuscii a trovarne neanche una confezione: qualcosa mi diceva che la Cuddy aveva notato i miei piccoli furti. Una volta raggiunto l’atrio dell’ospedale, fui letteralmente sommerso dagli insulti dei pazienti del mio ambulatorio, infuriati per le continue assenze.

Una, in particolare, mi seguì lungo il corridoio, lamentando nausea e sbalzi pressori. Poteva avere sì e no sedici anni, una di quelle ragazzine tutte “casa e chiesa” che poi ne combinano di cotte e di crude. Alle sue spalle, la madre, leggermente in sovrappeso, enfatizzava i sintomi della “sua bambina”.

<< Dottore, non ce la fa più a dormire, talmente sta male. La guardi, è solo una ragazzina. Non riusciamo a capire cosa ha >>.

Stavo per risponderle che avevo perfettamente capito quello che aveva, quando ebbi un’intuizione geniale. Suggerii alla madre di chiedere conto al fidanzato della figlia, e mi diressi rapidamente verso la stanza di Annie, trovandomi di fronte Gary.

<< Ciao, Greg >>.

 

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Capitolo 13
*** Meglio non sapere ***


Meglio non sapere

 

<< Ciao, Gary >>.

Squadrai dalla testa ai piedi il mio migliore amico di un tempo: non era per niente cambiato. Certo, aveva in testa qualche capello bianco in più, e aveva messo su qualche chiletto, però rimaneva comunque un tipo molto atletico e curato.

<< Vedo che frequenti ancora la palestra >> mi permisi di osservare.

Lui rivolse a me lo stesso sguardo radiografico che gli avevo destinato io, ma sembrò meno compiaciuto dallo spettacolo che aveva di fronte.

<< E io vedo che tu continui ad indossare l'abbigliamento di un ventenne pur essendo ormai sulla cinquantina. Cos'é, Greg? Crisi di mezza età? >>.

A sentirci lì, in piedi, intenti a lanciarci battutine, uno spettatore di passaggio avrebbe potuto scambiarci per amici di vecchia data, o meglio, per vecchi amici ancora in buoni rapporti.

Nonostante il piccolo ed insignificante dettaglio che io ero andato a letto con sua moglie. E non credo che una cosa del genere possa essere trascurata.

<< Beh, c'é chi può permetterselo nonostante l'età che avanza >> commentai.

Rise.

<< Non sei cambiato per niente, Gregory >>.

<< Devo ammettere che anche tu sei messo abbastanza bene >> dichiarai, sarcastico (ma in realtà non troppo).

Seguirono alcuni secondi di imbarazzante silenzio. Quando lo sentii schiarirsi la voce, mi preparai a ricevere un pugno in faccia o un calcio chissà dove.

<< Non sono arrabbiato con te >> quasi confessò a un tratto.

Quella sua affermazione mi colse impreparato.

<< Cosa? >> non potei fare a meno di dire.

<< Hai capito bene. Ti ho perdonato. Non sono più quel tipo d'uomo. Dio mi ha fatto rinascere, adesso sono una persona completamente nuova >>.

Probabilmente se trent'anni prima mi avessero detto che avrei sentito pronunciare simili parole da Gary, non gli avrei mai creduto. Era sempre stato un tipo estremamente ribelle, anticonformista, e, soprattutto,  ateo. Già, era un ateo convinto, e la cosa ci aveva sempre legati, sin dal primo giorno in cui ci eravamo parlati. Questo e Kate, ovviamente, la madre di Annie. Si vede che era stata proprio lei a cambiarlo, nei pochi mesi successivi al loro matrimonio.

Con me non ci sarebbe mai riuscita.

<< Quindi adesso sei ... cosa? Cristiano, come lo era Kate? >> gli chiesi, incuriosito.

<< No, non è stata lei a farmi convertire. Sono ebreo. E il merito va a mio fratello Jacob >>.

<< E quindi è Dio che ti obbliga a perdonarmi? >>.

Avevo inconsciamente assunto un tono di sfida.

<< In realtà, é la mia anima che me lo chiede. Hai mai sentito la frase “Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu”? >>.

Non commentai.

<< Non pretendo che tu capisca. A quanto pare, uno dei due è proprio rimasto lo stesso dei tempi del college >>.

Non potei fare a meno di ridere.

Quelle sue frasi erano totalmente prive di senso, almeno per uno che, come me, professava quale unica religione la scienza.

<< Comunque non sono venuto qui per te, lo sai bene >>.

<< L'hai fatto per Annie >> completai. << Lo so >>.

<< Pregherò Dio perché il midollo sia compatibile. Indipendentemente da chi sia in realtà suo padre >>.

Mi rivolse un'occhiata eloquente.

<< Sei fortunato, Dio ha esaudito le tue preghiere >> gli dissi.

Si stupì.

<< É ... Insomma ... É mia figlia?  >> domandò, esitante.

<< Non ne ho la minima idea, e non mi interessa saperlo. É tutta per te, io non ho alcun tipo di pretesa su di lei >> mentii.

<< Non capisco, Greg >>.

<< Lo sai che io non sono mai stato quel tipo di persona, Gary. Insomma, persino Freud avrebbe trovato ripugnante e anormale questa mia tendenza al tanathos, per dirla con parole sue >>.

<< Ma si cambia, nella vita. Io sono cambiato. Puoi farlo anche tu >>.

Mi diede una pacca sulle spalle. Sembrava non ci fossimo mai allontanati, in tutti quegli anni.

<< A Kate piacevano molto le citazioni, ricordi? Io sono un fisico, ormai, quindi ti citerò il terzo principio della dinamica. "Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e inversa"  >>.

<< E cosa vorrebbe dire? >> finsi di non capire.

<< Che il nostro é un equilibrio dinamico, Greg. Ci illudiamo di avere il controllo di tutto, ma in realtà é solo un'utopia. Qualsiasi cosa ci accada, anche quella in apparenza più banale ed insignificante, produce in noi una reazione. Quindi ... reagiamo >>.

Lo guardai intensamente, fingendomi meravigliato dalla sua argomentazione.

<< Lo sai che ti sei fatto proprio una voce sexy >> commentai, sdrammatizzando.

Era una delle mie poche doti, la capacità di sdrammatizzare.

<< Grazie,  dottore >> rise lui. << E tu con quel bastone? Chi ti credi di essere, Mosé? >>.

<< É chiaro che questa tua conversione abbia impoverito il tuo vocabolario del sarcasmo. Dovremmo farci un'uscita e parlarne >>.

Continuò a ridere.

<< Comunque ... Mi sembra di aver capito che tu abbia avuto una delle tue famose intuizioni diagnostiche, con Annie >>.

<< Direi proprio di sì >>.

Un entusiastico sorriso gli illuminò il volto.

<< Sei proprio un genio, Gregory. Un genio del male, ma comunque un genio >>.

<< Direi di andare a parlare ad Annie >> suggerii.

<< Vorrai dire con Annie >> mi corresse.

<< Io vado semplicemente a comunicarle la diagnosi. Voi due, poi, potete pure prendere un tè insieme, per quel che mi riguarda >>.

Avevo deciso di non voler conoscere i risultati del test di paternità. Che senso aveva volerlo,  dal momento che non avevo alcuna intenzione di fare da padre a quella ragazzina e da baby sitter al suo fidanzato? Avrei finito di certo per abbandonarla anche io, talmente inaffidabile da non riuscire neppure a badare a me stesso, lasciandola così doppiamente delusa.

Forse Annie aveva proprio ragione: alle volte è meglio non sapere.

 

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Capitolo 14
*** Una nuova vita ***


Una nuova vita

 

<< Buongiorno, principessa >>.

Sollevai le palpebre e mi trovai accanto Andrew.

<< Ho un dejà vu o è già successo? >>.

Tentai di ricordare ... House che mi faceva l'aspirato midollare, qualcosa che andava storto, tutto quel sangue ...

Avevo nuovamente perso i sensi.

<< No, la scorsa volta mi avevi citato Sparks. Adesso siamo passati a Benigni >>.

Lo guardai.

<< A quanto pare qualcuno non si era veramente addormentato davanti alla tv >>.

Rise.

<< Certo che no, amore >>.

Mi baciò sulla fronte.

<< Non nei primi dieci minuti, almeno >>.

Gli lanciai addosso un cuscino.

<< Un capolavoro del genere, premio Oscar … E tu ti addormenti. Non cambierai mai >>.

<< Dai, non prendertela. Ti prometto che lo rivedremo insieme. É nella lista di cose da fare prima ... >>.

<< ... prima di morire? >>.

Che stupida, non avrei dovuto dirlo. Andrew parve turbato, ma si ricompose subito.

<< Stavo per dire prima di sposarsi, ma vedo che tu forse preferisci la morte ad una vita insieme a me >> sdrammatizzò.

<< Scemo >> mi limitai a dire.

<< Comunque, al prossimo risveglio mi devi citare “Un ponte per Terabithia”. Lo sai che è tra i miei romanzi preferiti >>.

<< Ho già comprato il libro e affittato il film >> disse, sarcastico.

Ridevamo di gusto, quando entrò il dottor House. Dopo le sue rivelazioni, mi metteva non poco a disagio la sua presenza.

<< Ecco gli altri due piccioncini >> commentò, disgustato.

Non era solo. Alle sue spalle c'era un uomo che avrà più o meno avuto la sua età, ma molto più elegante e curato.

<< Un altro dottore? >> chiesi, leggermente innervosita.

<< Sì, ad essere onesti é un dottore. Però in Fisica >>.

Cavolo, doveva essere mio padre. O meglio, l'ex marito di mia madre. Quell'idiota aveva avuto il coraggio di presentarsi lì, in ospedale. Gli rivolsi una rapida occhiata, una delle mie occhiate-scanner, come le chiamava Andrew. Certo che non aveva proprio l'aspetto di un fisico, o almeno non rispecchiava il mio modello/stereotipo di fisico, cioè un tipo a metà tra uno psicopatico e Sheldon Cooper di 'The big bang theory'. Era molto alto e atletico, e, dovetti ammettere, aveva i capelli dello stesso colore dei miei. Strana coincidenza, considerando che non ero certa che fosse mio padre.

<< House, le avevo già detto che non voglio vedere quell'uomo >>.

Parve sollevato dal fatto che gli avessi dato del lei, mantenendo le distanze: evidentemente nessuno dei due voleva mettere Andrew e il mio potenziale padre a conoscenza della nostra conversazione di poco prima.

<< Lui sarà solo uno spettatore paziente, Annie. Ne ha diritto, dopo aver fatto i test per verificare la compatibilità del suo midollo >>.

Non avevo voglia di litigare con nessuno in quella stanza, quindi semplicemente mi voltai verso House, dando le spalle a quell'uomo.

<< Annie,  sarai contenta di sapere che non hai la leucemia. Né tanto meno la mononucleosi o l'amiloidosi >>.

Leucemia?  Non sapevo neanche che avrei potuto averla. Evidentemente, Allison non era stata onesta al cento per cento con me.

<< E che cosa ho, quindi? >> chiesi.

Non ne potevo più dei loro continui cambi di diagnosi.

<< Niente. Assolutamente niente >>.

Lo fissai, stupita.

<< Ma lei ... >> iniziò Andrew.

<< O meglio ... Non ha nessuna malattia >> lo interruppe House.

Adesso a fissarlo, inebetiti, eravamo in tre.

<< Non sono mai stato bravo in queste cose, di solito dò notizie negative ... Congratulazioni >>.

Continuavo a non capirci nulla.

<< Beh, Annie ... Sei incinta  >> rivelò infine.

Incinta?

Io ed Andrew ci guardammo, meravigliati e confusi al tempo stesso.

<< É incinta? >>.

Era stato mio padre a parlare, alle mie spalle. Sembrava quasi emozionato.

<< Già, Annie. Sei incinta >> rimarcò House.

<< Ma come ... E tutti i miei sintomi? Avevo capito di avere un'aplasia midollare ... >>.

<< E infatti ce l'hai >>.

<< Ma cosa diavolo vuol dire? >>.

Stavo perdendo la pazienza.

<< E’ dovuta alla tua gravidanza >>.

Prese una sedia e si sedette.

<< E’ raro, ma può succedere. Sono stati descritti diversi casi, ad oggi, di aplasia midollare nelle donne in gravidanza. Non si sa esattamente quale sia la causa. Certo è che il tuo sistema immunitario, per ragioni sconosciute, si attiva contro le tue cellule ematiche, distruggendole prematuramente. Questo giustifica la tua epistassi incredibilmente copiosa – citando Cameron -, le tue numerose ecchimosi ed il sanguinamento dopo l’agoaspirato. E’ tutto dovuto alla piastrinopenia. La distruzione degli eritrociti giustifica la tua attuale anemia, e il deficit di neutrofili le infezioni ricorrenti. La tua gastroenterite di qualche settimana fa, però, non era una gastroenterite, Annie. Lo capisci bene >>.

Certo che lo capivo. Era la gravidanza.

<< Adesso ti doseremo la beta – HCG per vedere esattamente a che mese sei, ma non oltre il secondo, secondo il mio modesto parere >>.

Aveva ragione. Sicuramente ero quasi al secondo mese, non più avanti. Anche se la sua ipotesi continuava a non convincermi al cento per cento, potevo essere certa di quello. Semplicemente perché io ed Andrew eravamo stati insieme, da quando ci eravamo fidanzati, tre anni prima, solo una volta. Quella volta. Mia madre mi aveva trasmesso la sua Fede, ripetendomi sempre, fino alla nausea, che “esiste solo una persona giusta nella vita, che Dio ci ha destinato”. Io ero sicura che quella persona fosse Andrew, quindi perché continuare ad aspettare? Non c’era dubbio che ci saremmo sposati.

E infatti non avevo sbagliato.

<< Ma io ho avuto il ciclo. E’ stato qui, davanti a voi, giusto ieri >> osservai, confusa.

<< Non era il ciclo >>.

Mi venne in mente uno di quei programmi stupidi che mandavano spesso in tv. Beh, anche io potevo dire di non sapere di essere incinta.

<< E cosa dobbiamo fare, quindi? Insomma, Annie ha comunque l’aplasia midollare >> chiese Andrew.

<< Temo che dovrà rimanere qui da noi per i sei/sette mesi successivi. Dobbiamo evitare che sanguini, mantenendo una conta piastrinica sufficientemente alta, e, soprattutto, che prenda infezioni. Potrebbero nuocere al bambino >>.

Andrew mi guardò: sembrava al contempo la persona più felice e più preoccupata del mondo.

<< Supereremo anche questa >> lo rassicurai.   

Ed ero sicura che ce l’avremmo fatta. Non so perché, ma sapevo di aspettare una bambina: da lì a pochi mesi sarebbe nata Kate.

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Capitolo 15
*** Si sta come d'autunno ... ***


Si sta come d'autunno ...

 

Scendo lievemente nella bellezza primitiva dell'inesplorato mondo sottomarino. Fluttuo in un silenzio, che rompo soltanto col suono del mio respiro. Sopra di me c'è solo lo scintillio della luce, il luogo da cui provengo e a cui tornerò risalendo in superficie.

Scendo, ancora, sempre più in fondo. Continuo a immergermi lungo banchi di corallo e alghe fluttuanti verso il blu profondo, dove c'è un banco di argentei pesci.

E muovendomi nell'acqua emetto piccole bolle, che come meduse salgono sinuose. Controllo la mia bombola, non ho il tempo che mi occorre per vedere ogni cosa.

Ma è questo che rende il tutto speciale. 

Era decisamente il mio passaggio preferito di 'Un ponte per Terabithia'. Dopo aver citato ad Andrew il romanzo, era stato velocissimo a portarmelo in ospedale, insieme ad una decina di altri libri. "Dovrai passare molto tempo qui dentro", aveva detto, a mo di giustificazione. Nessuno mi conosceva meglio di lui.

Chiusi il libro e lo posai sul comodino accanto al letto. Andrew era uscito a comprarsi da mangiare, e sarebbe tornato a breve. Sentii aprire la porta della stanza: era Allison.

<< Ciao, Annie >>.

Mi rivolse uno dei suoi più calorosi sorrisi.

<< Ciao >> ricambiai.

<< Sarai contenta di sapere che sono arrivati i risultati della beta - HCG. Ti posso dire con certezza scientifica che sei alla settima settimana di gravidanza >>.

<< Avevo calcolato bene, allora >> commentai, ridendo.

<< Ora posso farti ufficialmente gli auguri. Sono felicissima per te >>.

<< Grazie, Allison >>.

<< House ti avrà detto che per i prossimi sette mesi saremo noi la tua famiglia >>.

<< Non l'ha proprio detto così, però sì, mi ha accennato il fatto che dovrete sopportarmi per molto tempo >>.

<< Guarda il lato positivo ... Non ti servirà più un midollo >>  mi fece notare.

<< Quindi non verificherete la compatibilità? >>.

<< Non abbiamo alcun motivo per farlo. L'aplasia si risolverà spontaneamente al momento del parto >>.

Cavolo. Non avrei mai saputo chi era veramente il mio padre biologico, se quel fisico palestrato o il dottor House.

Non che preferissi l'uno o l'altro: nessuno dei due era degno di fiducia.

<< Hai per caso qualche interesse a saperlo? Se vuoi, possiamo ripetere i controlli >> propose Allison.

<< No, non mi interessa >> mentii.

<< Tuo padre é sempre qua fuori >> rivelò.

<< Che ci rimanga. É libero di fare quello che vuole >>.

<< Annie, non voglio farmi i fatti tuoi, ma Andrew mi ha parlato molto di te in questi giorni. In un'occasione, in particolare, mi ha confessato che la tua dote più bella é la capacità di perdonare gli altri, come hai fatto con lui >> disse eloquentemente.

Aveva ragione. Pensai a quello che avevo detto ad Andrew il giorno prima: errare é umano, perdonare é divino.

Ma io non ero Dio.

<< Ti prego, non ho voglia di parlarne adesso >> liquidai Allison.

<< Come vuoi tu. Ma ricordati che quell'uomo era pronto a donarti il midollo, pur senza conoscerti >>.

Uscì dalla stanza. Possibile che quella donna dovesse sempre farmi sentire in colpa?

Entrò Andrew.

<< Qui dentro c'é un via vai di gente >> commentai.

<< Di solito diventi sarcastica quando ti fanno arrabbiare. Che ti ha detto Allison? Che nascerà un maschietto? >> chiese, poggiando un vassoio sul tavolo.

Si aspettava che ridessi, ma ero ancora irritata per la discussione di poco prima.

<< Che succede, amore? >> chiese, facendosi serio.

<< Allison ... Vuole che perdoni quell'uomo >>.

<< Capisco >>.

Si sedette accanto a me.

<< Dovresti farlo >>.

Lo guardai, contrariata.

<< Con me l'hai fatto >>.

<< Non mi sembra proprio la stessa cosa. Tu mi sei stato vicino, in tutti questi anni >>.

<< E tuo padre ti avrebbe donato il midollo senza pretendere nulla in cambio, devi riconoscerlo. E adesso é qui fuori che aspetta solo di parlare con te >>.

<< Non lo so, Andrew. Non mi sento pronta. Ci ha abbandonate >>.

<< Ma resta comunque l'unico membro della tua famiglia ancora in vita. Se non lo perdonassi, finiresti col pentirtene in futuro >>.

Forse aveva ragione.

<< Gli parlerò >>.

Mi sorrise calorosamente.

<< Ma non adesso >> chiarii.

<< Certo, amore. Quando sarai pronta >>.

Mi baciò.

<< Avevi detto di aver portato il lettore dvd e qualche film, oltre ai libri >>.

E così passammo il resto della serata davanti alla tv.

I giorni successivi quasi volarono in ospedale. Ben presto arrivò l'estate,  e poi l'autunno. House in quei mesi si fece vedere poco o nulla, con la scusa di 'non voler frequentare reparti diversi dal suo'. Allison veniva a trovarmi quasi ogni giorno, evitando sempre scrupolosamente di parlare di Chase o limitandosi a mandarmi saluti da parte sua. Avevo però notato che, per qualche strano motivo, quando entrava in stanza la mia ginecologa si volatilizzava letteralmente, arrancando questa o quella scusa.  Mio padre si era affittato un monolocale a pochi passi dal policlinico, così da potermi stare vicino. Nei parecchi giorni trascorsi insieme, avevo imparato a conoscerlo, e - devo ammetterlo - mi ero davvero affezionata a lui. Era un tipo molto affettuoso, che, come me, credeva fortemente in Dio e aveva sani principi.

<< Sei sicura di voler restare sola stanotte? >>.

Erano già le undici di sera del 9 Novembre, quando me lo chiese.

<< Sì, non ti preoccupare. Ci sarà Andrew con me >> lo rassicurai.

<< D'accordo. Chiama se hai bisogno >> disse, guardandomi il pancione. Era agitato.

<< La potete smettere tutti di guardarmi la pancia? Ok, sono quasi al nono mese. Non c'è bisogno di ricordarmelo ogni cinque secondi >>.

Rise.

<< Quel sarcasmo l'hai proprio ereditato da tua madre. A proposito ... Si può sapere il sesso del bambino? >> domandò, curioso.

<< Ti ho già detto che non ce n'é bisogno. So che é una femmina >> risposi.

<< Come vuoi tu, tesoro. Io vado a casa, domani ho lezione alle 9 >>.

Mi baciò sulla guancia e se ne andò.

Che bel tipo, pensai, mio padre. 

Mi stavo alzando a prendere una bibita, quando avvertii una strana sensazione. Come ... una fitta. All'improvviso mi ritrovai completamente bagnata.

<< Amore, stai per partorire! >> strillò Andrew, precipitandosi nella stanza e facendo cadere a terra il panino che si era andato a prendere al bar.

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Capitolo 16
*** Barukh atah Adonai Eloheinu ... ***


Barukh atah Adonai Eloheinu …

 

<< Sta entrando proprio adesso in sala parto. Le si sono rotte le acque >>.

Wilson era venuto ad avvisarmi.

<< Credi sul serio che mi importi? >>.

<< Sì, sono sicuro che ti interessi. Ti conosco da anni, House >>.

Non l'avrei mai ammesso davanti a lui, ma aveva ragione. In quei mesi, non avevo fatto altro che pensare ad Annie, pentendomi di non aver voluto conoscere il risultato del test di paternità. Quella ragazza mi ricordava incredibilmente sua madre, Kate, una delle poche donne che avessi mai davvero amato in vita mia. E, dopo di lei, non avevo provato gli stessi sentimenti per nessun altra.

<< Chi la farà partorire? >> domandai.

<< La dottoressa Sanders >>.

<< L'ex di Chase. Bene, ho un buon motivo per scendere in sala parto, allora. Sicuramente ci saranno anche lui e Cameron >>.

Il rapporto tra quei due, se possibile, era ancora più complesso di quello tra me e la Cuddy. Nessuno di loro aveva intenzione di dire all'altro cosa provava veramente, ed io mi divertivo tantissimo a vederli esitare.

<< Ci andiamo insieme? >> chiesi a Wilson.

<< Quindi ci andrai? >> domandò in risposta, con aria vittoriosa.

Lo odiavo, quando assumeva quell'espressione.

<< So che la dottoressa che segue Annie é un'ex di Chase, e sono curioso di vedere come andrà a finire tra i due mocciosetti >>.

Sorrise.

<< Mi dispiace, House, ma oggi ho l'agenda piena. Qualcuno dovrà pur lavorare, a questo piano >> disse, uscendo dalla stanza.

Presi il bastone e scesi in sala parto.

<< Cerca qualcuno? >>.

Era l'infermiera del reparto.

<< Annie Cohen. Dovrebbe essere in sala parto >> dichiarai.

<< Sì, può sedersi in sala d'attesa. Sta partorendo proprio adesso >>.

Fantastico. Non potevo entrare. D'altra parte, con che diritto avrei potuto farlo?

Non ero certo suo padre.

Davanti all'ingresso trovai Chase e Cameron, entrambi visibilmente preoccupati.

<< Vi pago per stare seduti, vedo >> esclamai.

Cameron abbozzò un sorriso.

<< Senti da che pulpito. Certo che da te non me lo sarei mai aspettata, House. Mi sorprendi >>.

<< Perché mai? >> mi finsi confuso.

<< Tu che scendi in sala parto é già epico, figuriamoci poi se lo fai per informarti di una tua paziente >>. 

Mi guardò, colpita.

<< Ti abbiamo sentita parlare con l'infermiera >> svelò.

<< Stai tranquillo, andrà tutto bene. Con lei c'è la Sanders >> mi rassicurò Chase.

<< Allora siamo a posto. Se c'é lei, non c'è da preoccuparsi >> commentò Cameron, acida.

Chase si incupì.

<< Almeno mi rivolgi la parola. É un passo avanti >>.

<< Piccioncini, non per farmi i fatti vostri, ma ve lo direte mai che vi amate? >> intervenni.

Non ne potevo più di sentirli lanciarsi frecciatine.

<< House, fatti gli affari tuoi >> sbottò Chase, alzandosi e andandosene.

In quel momento, si aprì la porta scorrevole della sala parto e ne uscì Gary, visibilmente emozionato.

<< Ragazzi, é nata Kate. Tre chili e mezzo per cinquantadue centimetri >> annunciò, rivolto più a me che a Cameron.

Sorrisi involontariamente, sperando che nessuno l'avesse notato.

<< Annie come sta? >> gli chiesi.

Stava per rispondermi, quando sentimmo la dottoressa Sanders urlare  all'ostetrica.

<< Servono delle sacche di sangue, la ragazza sta sanguinando troppo! >>.

Qualcosa non andava.

Non poteva essere.

Dopo il parto, l'aplasia avrebbe dovuto regredire. Gary si voltò a fissarmi, bianco in volto.

<< Greg, come ...? Avevo capito che sarebbe guarita, dopo il parto ... >>.

Non sapevo cosa rispondergli.

Iniziò a pregare.

<< Barukh atah Adonai Eloheinu, melekh ha’olam … >>.

Sì, rivolgiti al tuo Dio, avrei voluto dirgli. Ti aiuterà sicuramente. Annie stava di nuovo male, questi erano i fatti. Ed io non avevo la minima idea di quale fosse la causa.

<< Vuoi smetterla di pregare? Nessuno esaudirà le tue preghiere, Gary. Questa é la dura verità >> non potei trattenermi.

<< House ... >> si intromise Cameron.

<< Lascialo stare. Fa così perché ha paura >> mi difese Gary. << Cosa vuoi  che faccia? Io posso solo affidarmi alla preghiera >> si rivolse a me.

La preghiera ...

<< Tu sei ebreo >> pensai ad alta voce.

Chiamai l'infermiera di turno.

<< Dica alla dottoressa Sanders di somministrare ad Annie la prostaglandina E2 e di farle una trasfusione piastrinica. Ho capito tutto >>.

 

 

 

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Capitolo 17
*** Essere felici ***


Essere felici

 

<< Sto pensando a qualcosa di arancione … >>.

Sollevai le palpebre. Era Andrew, era sempre lui.

<< Proprio un tocco di stile, citarmi “Alla ricerca di Nemo” >> gli dissi.

<< Sarà perché qualcuno me l’ha fatto vedere fino alla nausea, nell’ultimo mese >>. Mi baciò. << Buongiorno e ben svegliata >>.

<< Posso dire a mia discolpa che è stata Kate ad obbligarmi >> scherzai.

<< Così piccola, ma già così potente. Dovrei preoccuparmi >>.

<< Dov’è adesso? >> gli chiesi.

<< In osservazione. Dicono che devono somministrargli del collirio antibiotico e della vitamina K come profilassi, e poi sarà tutta nostra >>.

Era visibilmente commosso.

<< Sono felicissimo >> disse.

E si vedeva.

<< Cosa è successo dopo il parto? >>.

Non ricordavo assolutamente nulla, salvo le urla della ginecologa, preoccupata perché non smettevo di sanguinare.

<< Hai avuto un’altra emorragia, Annie, simile a quelle del primo periodo di gravidanza >>.

<< Come? >> esclamai. << Avevo capito che l’aplasia sarebbe regredita dopo il parto >>.

<< E infatti è regredita. Non ci ho capito molto neanche io, aspettiamo il tuo dottore per spiegarcelo >>.

Sembrava più confuso di me.

<< Eccolo >> aggiunse.

House stava entrando in stanza, seguito da mio padre.

<< Ciao quasi sposi >> esordì.

<< Allora? Cosa è successo? >> andai al dunque.

<< Sei sempre stata poco paziente >> osservò. << Beh, diciamo che le tua epistassi forse non era dovuta all’aplasia midollare, o almeno, non inizialmente >>

Non ci capivo più nulla.

<< Sono quasi sicuro che tu abbia la tromboastenia di Glanzmann >> disse, convinto così di dirimere ogni mio dubbio.

Ma ovviamente non era così.

<< E cosa sarebbe? >> chiesi.

<< E’ una piastrinopatia ereditaria. In breve, le tue piastrine si aggregano poco o nulla, e ciò è dovuto alla carenza di una proteina normalmente presente sulla membrana di queste cellule. PT e PTT erano normali, come anche la conta piastrinica – almeno prima che si instaurasse l’aplasia midollare – perché il difetto non interessa i fattori della coagulazione, indagati da PT e PTT, né comporta un deficit quantitativo delle piastrine >>.

<< Ma cosa comporta questa malattia? E’ grave? >> si intromise Andrew.

<< No, non direi. O meglio, non nel caso di Annie. Esistono quadri di diversa gravità, da forme più blande a forme più aggressive e potenzialmente fatali. Sono sicuro che Annie abbia una forma lieve, come dimostra il fatto che non ha mai avuto manifestazioni emorragiche prima della gravidanza, che è stata una sorta di fattore precipitante. Per la diagnosi, dobbiamo innanzitutto verificare l’inefficacia, al laboratorio, dei comuni agenti aggreganti, per poi dosare i livelli del complesso glicoproteico deficitario. In realtà, per avere il sospetto sarebbe bastato fare un tempo di emorragia, che sarebbe risultato aumentato. Peccato che né Cameron né Chase l’abbia mai fatto >> puntualizzò.

<< E la terapia? >> domandai. << Devo fare qualche terapia? >>.

<< No, non esiste una terapia specifica. In pratica, si può intervenire solo al momento dell’emorragia, con trasfusioni piastriniche o, come nel parto, con la PGE2. Se l’emorragia è lieve, puoi usare l’acido tranexamico. Comunque non preoccuparti di questo, ti scriverò tutto nella cartella di dimissione. Così, se e quando sanguinerai ancora, sarai preparata >>.

Mi sorrise ( strano ma vero). Fece per andarsene, quando mi venne in mente una domanda.

<< Aspetti >> gli dissi. << Ha detto che è una malattia ereditaria >>.

<< Sì, lo è, infatti. E’ molto rara, e incide soprattutto fra gli Ebrei, o meglio, fra gli Israeliani >>.

Israeliani?

<< Tuo padre è israeliano, vero, Gary? >>.

Ecco cosa voleva dirmi. Gary era il mio vero padre, il mio padre biologico. Saperlo, non so perché, mi fece sentire meglio.

<< Ho capito >> esclamai, eloquentemente. << C’è la possibilità che la trasmetta a Kate? >>.

Adesso ero preoccupata per lei.

<< No, entrambi i genitori devono essere portatori del gene mutato. Forse non lo sapevi, ma anche tua madre viene da una famiglia di israeliani >>.

Era vero, l’avevo completamente dimenticato. Mia nonna era israeliana, ma mio nonno era americano. Si erano conosciuti durante la seconda guerra mondiale, mamma me lo raccontava spesso.

<< Ora, se permettete … vado a casa >> dichiarò House, uscendo dalla stanza.

<< Ah, Annie … auguri >> aggiunse, sulla soglia della porta.

Che strano, quel medico. Mi ricordai di aver pensato la stessa cosa già il primo momento in cui l’avevo visto, al pronto soccorso, quasi un anno prima. Cavolo, era passato un anno. Un anno di vita in ospedale. Risi, ricordandomi di come avevo pregato, tra me e me, che quell’uomo non mi visitasse. E invece avevo torto, torto marcio. Grazie a lui, avevo scoperto di avere una malattia rarissima, avevo ritrovato mio padre e, soprattutto, avevo appreso di aspettare Kate.

<< Amore, guarda chi c’è >>.

Andrew era andato a prendere Annie. Me la consegnò in braccio: era così piccola. Temevo di farle del male solo toccandola. Aveva i capelli nerissimi, come me, e gli occhi azzurri di Andrew. O almeno, sembravano azzurri, ma forse era troppo presto per poterlo stabilire con certezza. Le sorrisi, e sembrò quasi restituirmi la stessa espressione. Spostai lo sguardo da lei a mio padre (ora nonno) al mio (quasi) marito. Andrew aveva ragione: sì, probabilmente era proprio così che doveva essere sentirsi felici.

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Capitolo 18
*** Cara Annie ... ***


Cara Annie …

 

Stava piovendo di nuovo.

Era dall'inizio del mese che non faceva altro che piovere, quasi a voler drammatizzare il mio stato d'animo, tutt'altro che gioioso. Quelli che mi lasciavo alle spalle erano stati senza dubbio i mesi più difficili della mia vita, talmente tante rinunce ero stato costretto a fare. Insomma, non è da tutti scoprire di avere una figlia ormai ventenne di cui fino al giorno prima non sospettavi neanche lontanamente l'esistenza. Figuriamoci, poi, sapere che è incinta, e che da lì a pochi mesi diventerai nonno.

Non è da tutti, appunto.

Tenere nascosta al mondo intero la mia paternità,  poi, era stata decisamente la scelta più ardua che avessi mai fatto: persino il mio migliore amico era all'oscuro di tutto. Ma tanto meglio così; Annie aveva bisogno di un padre che fosse all'altezza delle sue aspettative. Annie ... Nessuno saprà mai l'incommensurabile gioia che ho provato quando ho sentito il suo nome, prima ancora di conoscerla. Ne parlavano Cameron e Chase in corridoio, ringraziando il cielo di essere riusciti ad arrestare la sua copiosa epistassi. In pochi sapevano che quello era il nome della mia amatissima nonna materna: Anna Bernheim, si chiamava, Anna Rose Bernheim. Per gli amici, Annie. Israeliana, ma questo poco importa. Ricordavo ancora con affetto e tenerezza i suoi drammatici racconti sulla Prima Guerra Mondiale, così colmi di pathos da fare invidia al miglior scrittore di best seller. E ricordavo bene anche la sera in cui, tra un bicchiere di vino bianco e l'altro, avevo parlato di lei a Kate, triste per la morte della madre, descrivendola letteralmente come "una forza della natura", piena di gioia di vivere nonostante tutte le tragedie che aveva dovuto affrontare. "Esattamente come mia mamma", era stata la sua risposta. Ed era la verità. Samantha, la madre di Kate, era una delle persone migliori che avessi mai conosciuto in vita mia: così energica e caparbia, capace di ridere (e far ridere) persino durante le interminabili sedute di chemio. Se per caso qualcuno le faceva notare questa sua invidiabile dote, ammirandola per il modo in cui affrontava la terapia, lei rispondeva: "Dopo Auschwitz, ogni singola giornata di sole per me é una vittoria". Era per questo, mi dissi, che Kate aveva deciso di dare a sua figlia due nomi: Annie, come mia nonna, e Samantha, come sua madre. Annie Samantha Cohen. L'avevo letto sulla sua cartella clinica.

Guardai nuovamente fuori dalla finestra: aveva smesso di piovere. All'ingresso dell'ospedale, centinaia di palloncini rosa catturavano l'attenzione dei passanti, trascinati da un ragazzo sui trent'anni. Andrew aveva davvero esagerato, pensai. Non gli avrebbero mai consentito di entrare in reparto con tutta quella roba. Mentre lo osservavo, intento a districarsi fra le auto parcheggiate, non potei fare a meno di provare invidia per lui: a breve avrebbe tenuto in braccio, per la prima volta, sua figlia. Mentre io me ne stavo lì, solo, nel mio studio, intento a rimuginare sul passato, senza che Annie neppure sospettasse quale fosse il mio più grande desiderio. Né tanto meno che fossi suo padre. Il suo vero padre. Sapere che era nata una bambina e che lei aveva deciso di darle il nome di sua madre mi aveva però reso fiero; era evidente che Kate avesse fatto un buon lavoro con nostra figlia.

Kate ... Il solo pronunciare mentalmente il suo nome mi faceva rabbrividire. Ripensai alla prima volta che l'avevo vista, insieme a Gary: era semplicemente bellissima. La sua era la classica bellezza di chi non sa di possederla, un misto tra bellezza e timidezza. Parlarle, poi, se possibile, mi aveva fatto letteralmente innamorare di lei, sin dalle presentazioni. Ma il nostro era un amore proibito, che per questo rimase a lungo platonico: ancora custodisco gelosamente le lettere che ci scambiammo, centinaia e centinaia,  prima di trovare il coraggio di confessarci ciò che provavamo l'uno per l'altra. Fino a quella notte. La notte. La notte delle notti: quella in cui ci lasciammo andare, finalmente, concependo Annie.

Mi venne un'idea: ero certo che non avrei mai svelato a mia figlia la verità, ma avrei potuto scriverle una lettera. Presi carta e penna ed iniziai a comporre.

"Cara Annie,

ciao. Forse non sai nemmeno chi io sia né perché ti stia scrivendo questa lettera. Poco male: dalla brutta ed indecifrabile scrittura  avrai capito che sono un medico. Io e te non ci siamo mai realmente conosciuti, ma so comunque di averti salvato la vita, in almeno un'occasione, e questo mi é sufficiente. Beh, se non l'hai capito fin qui ...

Sono tuo padre.

Già, il tuo vero padre,  o padre biologico, se preferisci.

Mi ricordi incredibilmente tua madre, me l'hai ricordata sin dal primo momento che ti ho vista, al pronto soccorso. Caparbia, decisa, ma allo stesso tempo fragile come nessun altra ... E, ti farà piacere saperlo, anche tua nonna era così. Tu porti il suo nome, e questo, più di qualsiasi altra prova del DNA, mi ha fatto capire, anzi, mi ha dato la certezza, di essere tuo padre. Ti auguro tutto il bene di questo mondo, figlia mia. Non potrai mai sapere quanto ti voglio bene, pur senza averti mai potuta conoscere veramente.

E, sono sicuro, non leggerai mai questa lettera, che custodirò gelosamente, insieme alla corrispondenza tra me e tua madre Kate.

Tuo,

J.E.W.".

 

Arrotolai la lettera e la misi nel cassetto, consapevole che da lì non sarebbe mai uscita.

Bussarono alla porta.

<< Wilson, pranziamo? >>.

Era House.

Guardai nuovamente fuori dalla finestra: un timido sole faceva capolino dietro le nuvole.

Presi la giacca e lo raggiunsi: come diceva Samantha, "ogni singola giornata di sole é  una vittoria".

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