Rosso come il sangue, bianco come il latte di Koira (/viewuser.php?uid=761656)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto nero ***
Capitolo 2: *** Bianca come la neve ***
Capitolo 3: *** Rosso come il sangue ***
Capitolo 4: *** Piove ***
Capitolo 5: *** Perdere il controllo ***
Capitolo 6: *** Tutto in una notte ***
Capitolo 7: *** Perdonare è divino ***
Capitolo 8: *** Questione d'orgoglio ***
Capitolo 9: *** Meglio esser pazzo ***
Capitolo 10: *** Solo Dio può giudicare ***
Capitolo 11: *** Due gocce d'acqua ***
Capitolo 12: *** Arriva l'intuizione ***
Capitolo 13: *** Meglio non sapere ***
Capitolo 14: *** Una nuova vita ***
Capitolo 15: *** Si sta come d'autunno ... ***
Capitolo 16: *** Barukh atah Adonai Eloheinu ... ***
Capitolo 17: *** Essere felici ***
Capitolo 18: *** Cara Annie ... ***
Capitolo 1 *** Tutto nero ***
Tutto
nero
Stavo decisamente perdendo troppo sangue.
Ormai era passata quasi un'ora da quando, in un moto d'ira, il mio
ragazzo mi aveva tirato un ceffone in viso, colpendomi giusto sul naso,
ma ancora sanguinavo. Probabilmente c'era qualcosa che non andava, e
avrei dovuto parlarne con lui.
< Amore >, dissi, esitante.
Stava fumando una sigaretta sul ciglio della porta. Mi rivolse uno
sguardo irritato.
< Che vuoi? >.
< Credo che dovremmo andare al pronto soccorso. Continua ad
uscirmi sangue dal naso, non mi sembra normale >.
Si avvicinò a me e mi fece una carezza. Non era mai stato un
tipo violento, però in quel periodo eravamo entrambi
stressati: le spese per l'università, la morte di mia madre
e l'imminente sfratto non aiutavano certo a mantenere la calma.
< Hai ragione, tesoro, è preoccupante. Prendo le
chiavi e andiamo > esclamò, dirigendosi in cucina.
Entro mezz'ora fummo all'ospedale più vicino, il
Princeton-Plainsboro Teaching Hospital. L'infermiera del triage, presa
dal sovraffollamento del Pronto soccorso, mi catalogó
superficialmente come un 'codice verde', e, quasi incolpandomi di
averla disturbata per una 'banale epistassi', riprese a lavorare al
computer, sbuffando sonoramente.
< Ma vuole capire che sono ormai quasi due ore che sanguina?!
> strilló Andrew.
Non potevo permettermi che perdesse la pazienza: Dio solo sa che cosa
avrebbe potuto combinare.
< Dai, amore, c'é chi sta peggio qui
> dichiarai, prendendolo per mano.
E in effetti era pieno di gente che stava peggio di me; potevo
permettermi di aspettare.
< Ti ho già detto che farò le mie ore di
ambulatorio un altro giorno, Lisa >.
A parlare era stato un medico (curiosamente senza camice) alto e un po'
burbero, a giudicare dal tono di voce.
Dio, fa' che non mi visiti lui, pensai.
< House, non puoi fare sempre
così, hai dei doveri! E non voltarmi le spalle ... >.
Non fece in tempo a finire la frase che il dottor House (pare si
chiamasse così) si era già allontanato,
claudicando.
E, incredibilmente, si stava avvicinando a me, ridacchiando.
< Tu non stai bene, ragazzina. No, non stai per niente bene
> esordí.
Continuava a sorridere.
< E lei chi sarebbe? > intervenne Andrew.
< D'accordo, state tranquilli entrambi. Sto bene, sto
perfettamente ... >.
Non feci in tempo a finire la frase, che tutto divenne nero.
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Capitolo 2 *** Bianca come la neve ***
Bianca come
la neve
«Sembra
che
l’epistassi si sia arrestata, House».
«Non
avevo
mai visto una rinorragia così abbondante, Cameron. Credo che
abbia perso sì e
no due litri di sangue dal naso».
Aprii
gli
occhi e mi guardai intorno: chiaramente ero in una stanza
d’ospedale, sdraiata
sul letto. Accanto a me, Andrew stava leggendo una rivista,
visibilmente
provato. Mi sentivo incredibilmente debole …
«Vedo
che
Biancaneve si è svegliata. O devo chiamarti Cappuccetto
Rosso?».
A
parlare
era stato il dottore del Pronto Soccorso, House.
«Dove
mi
trovo?» chiesi, pur sapendo esattamente dove fossi.
«Si
trova al
Princeton-Plainsboro Teaching Hospital, signorina» rispose
una dottoressa.
Sembrava
troppo giovane per essere laureata.
«Sono
la
dottoressa Cameron, specialista immunologa» aggiunse, quasi
leggendomi nel
pensiero.
Addirittura
specializzata.
«Piacere,
Annie» dissi io, abbozzando un sorriso.
Accanto
a
lei, fece un passo avanti un secondo dottore, anche lui molto giovane.
Era
molto
affascinante, dovetti ammettere tra me e me.
«Piacere
Annie, io sono il dottor Robert Chase» esordì,
lievemente imbarazzato.
«Cosa
sono,
il caso del giorno?» domandai, sarcastica.
I
due medici
non sembravano per nulla divertiti.
Andrew,
da
parte sua, si limitava ad ascoltare, stando educatamente in silenzio.
«Sì,
Anne –
posso chiamarti Anne, vero?-, sei proprio il caso del giorno. Sei
inaspettatamente interessante. E anche molto carina, se posso
permettermi» enunciò
il dr. House.
Finsi
di dover
tossire e mi misi una mano davanti al viso: non volevo che Andrew
notasse che
quel (complimento?) mi aveva fatta arrossire. Era un tipo molto
possessivo.
«Non
preoccuparti
di arrossire, Anne. La tua emoglobina non te lo permette, è
molto bassa. A
pensarci, oggi potresti anche ubriacarti, ma nessuno noterebbe
nulla» aggiunse
House, facendo l’occhiolino.
«Si
può
sapere perché avete fatto ricoverare la mia ragazza? Che
diavolo c’è che non va
in lei?» intervenne Andrew, infastidito.
La
dottoressa Cameron gli rivolse un’occhiata furente.
«Proprio lei
non
dovrebbe parlare. Ringrazi che siamo riusciti ad arrestare
l’emorragia».
«Cosa
vuole
insinuare?».
L’atmosfera
si stava decisamente riscaldando.
«Io
non insinuo nulla, ma mi pare
quanto meno
sospetto che un’epistassi così copiosa sia stata
spontanea. Le piace alzare le
mani, vero?».
«Adesso
basta, Cameron. Signor Smith,
esca
fuori. Dobbiamo visitare Annie e raccogliere l’anamnesi. La
sua presenza
potrebbe interferire con il nostro lavoro» si intromise il
dottor Chase.
Prese
Andrew
per un braccio e lo accompagnò fuori dalla stanza,
rivolgendo alla collega uno
sguardo eloquente.
«A
qualcuno
qui non piacciono i violenti. Indagherò anche su
questo» esclamò House, divertito.
La
dottoressa Cameron finse di non sentirlo e si rivolse a me.
«Allora,
Annie. Devo farti qualche domanda».
«Un
attimo»
la interruppi. «Voglio sapere cosa mi è
successo».
«Intendi
dopo
che hai perso i sensi?» chiese lei.
Era
incredibilmente tranquilla.
«Sì.
Ricordo
solo che mi usciva sangue dal naso …».
«Hai
avuto
un’epistassi incredibilmente prolungata. Mi pare di aver
calcolato che tu abbia
perso circa due litri di sangue, ed è una
quantità incredibilmente alta, Annie.
Quasi la metà del sangue circolante».
Il
suo tono
di voce si incrinò lievemente, ma il medico mantenne la
calma.
Deglutì
e
proseguì.
«Scusa
se
sono così franca, ma hai rischiato di morire. Adesso stiamo
cercando di scoprire
la causa».
Rischiato di morire … Il tempo
sembrava
scorrere lentamente in quella camera, i secondi cadenzati dal movimento
della
lancetta sull’orologio da polso del dottor Chase.
«Ok,
ho
capito. E quale pensate sia la causa?» chiesi, titubante.
«Sei
il caso
del giorno, tesoro. Se lo sapessimo già non saresti
così interessante!»
proruppe il dottor House.
«Lascialo
stare, Annie, è un medico un po’ particolare.
Ma ti assicuro che è un genio» disse la
dottoressa Cameron. «Adesso posso intervistarti?
Mi faccio un po’ i fatti
tuoi».
«Sì,
certo.
Faccia pure» risposi, sorridendo.
«E
chiamami
Allison. Io ti chiamo Annie, è giusto
così».
«Se
avete
finito di prendere il tè …»
sospirò House.
Allison
gli
rivolse un’occhiata di rimprovero.
«Per
prima
cosa voglio sapere cosa ha procurato l’epistassi. Voglio che
sia tu a dirmelo».
«Ma
… voi
siete tenuti al segreto professionale, giusto?» chiesi.
Non volevo mettere Andrew nei guai.
«Certo,non
sta a me denunciarlo. E’
stato il tuo
ragazzo, vero?».
«Sì
… ma non
l’ha fatto apposta, non era mai capitato prima» mi
affrettai a dire.
«A
giudicare
da quelle ecchimosi non direi» si intromise House.
«Quali
ecchimo …» iniziai.
«Io
sono
House, comunque. Non mi piace essere chiamato Gregory»
aggiunse lui,
avvicinandosi a me.
Zoppicava
vistosamente.
Non
appena
mi fu vicino, mi sollevò la t-shirt: aveva ragione, ero
piena di lividi.
Ma
non avevo
idea di come me li fossi fatti.
«Lui
non c’entra,
lo giuro. Non sapevo neanche di averli questi lividi!»
strillai.
Non
volevo
che incolpassero Andrew di qualcosa di cui non aveva la minima
responsabilità.
«Come
pretendi che ti crediamo, Annie? Il tuo ragazzo non sembra un tipo
degno di
fiducia, e il fatto che ti abbia quasi rotto il setto nasale certo non
va a suo
favore» esclamò Allison.
«Non
ho idea
di come me li sia fatti, dottoressa. Non li avevo mai notati prima
…».
Quasi
la
supplicai di credermi.
«Ti
crediamo, ragazzina» affermò House.
La
dottoressa Cameron gli rivolse uno sguardo sbalordito.
«House,
non
fare lo scemo. Come puoi crederle?».
«Non
le
credo. I pazienti mentono, dovresti saperlo».
Iniziavo
a
non capirci nulla.
«Credo
alla clinica, Cameron. E’
lampante che
qualcosa non vada nella sua emostasi. Dovresti ripassare un
po’ di Ematologia»
disse House.
La
dottoressa sembrò prendersela, ma si riprese subito.
«Certo,
House. Chi non sospetterebbe un disordine emostatico di fronte ad una
ragazzina
piena di ecchimosi e con un setto nasale rotto. Salvo il fatto che
abbia un
fidanzato un tantino aggressivo».
«Hai avuto un’epistassi incredibilmente
prolungata. Mi pare di aver calcolato che tu abbia perso circa due
litri di
sangue, ed è una quantità incredibilmente alta,
Annie. Quasi la metà del sangue
circolante …» disse House, in una
credibilissima imitazione della collega. «Sbaglio
o l’hai detto tu prima?».
«Fa
sempre
piacere assistere alle tue parodie, House. A me sembra comunque un
tantino
azzardata, come ipotesi».
«Direi
di
ripetere l’emocromo e indagare sulla coagulazione, se non ti
dispiace, Chase»
proseguì House, rivolto all’altro collega.
«Certo,
House, dico all’infermiera di fare i prelievi. La tua ipotesi
è credibile. La
conta piastrinica era ridotta nel precedente emogramma, ma naturalmente
non
possiamo dire che la piastrinopenia non fosse secondaria
all’epistassi massiva»
dichiarò il dottor Chase.
«Io
continuo
a pensare che sia un po’ azzardata, come ipotesi. Il suo
ragazzo …» cominciò
Cameron.
«Il
suo
ragazzo è quello che chiamo “fattore di confondi
mento”, Cameron. Tu falle l’anamnesi,
vediamo cosa ne esce. Chase, aspetto nel mio studio PT, aPTT, tempo di
stillicidio e, ovviamente, secondo emocromo» concluse
sbrigativamente House,
sbattendosi la porta alle spalle.
Allison
e il
dottor Chase si lanciarono un’occhiata.
«Davvero
credi che l’ipotesi di House abbia un senso, Chase? O gli dai
ragione solo per
aggraziartelo?».
«Cameron,
sii oggettiva. Tu stessa hai detto di non aver mai visto una rinorragia
di
quell’entità» disse il dottore.
«Vado a parlare con l’infermiera …
comunque io
sono Robert, Annie» si rivolse a me.
Mi
limitai
ad annuire e a sorridere. Che strani medici, pensai.
Chase
uscì dalla
stanza.
«Io
non
credo che quei lividi si siano formati spontaneamente, Annie. Ti posso
fare
qualche domanda, adesso?» chiese Cameron.
Annuii
nuovamente,
in risposta.
«Vorrei
conoscere
la causa della morte di tua madre».
|
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Capitolo 3 *** Rosso come il sangue ***
Rosso come il
sangue
<<
Cosa? >>.
Come
faceva
la dottoressa Cameron a sapere della morte di mia madre?
<<
Hai
capito bene, Annie. Ce l'ha detto il tuo ragazzo mentre eri svenuta
>>.
Mi
guardò
intensamente.
<<
Credi sia un buon motivo per lasciarlo? >> aggiunse.
<<
Io
... É solo che mi ha colta un po' alla sprovvista
>> dissi, abbassando
rapidamente lo sguardo.
<<
Scusami se sono così indiscreta, ma non mi piacciono i tipi
violenti. Non
dovresti farti trattare in questo modo >>.
Mi
limitai
ad annuire. Lei non conosceva Andrew, come si permetteva di giudicarlo?
D'altra
parte, era preoccupata per me, e non potevo biasimarla per questo.
<<
Allora ... Come è morta tua madre? E dammi del tu
>> proseguì la
dottoressa.
<<
É
successo da poco ... Ha avuto un infarto >> risposi,
laconica.
Non
mi
piaceva ripensarci: in realtà erano passati ormai otto mesi,
ma non avevo
ancora metabolizzato la cosa. Mi aveva lasciata troppo prematuramente,
e
senza alcun preavviso. Era un giorno come tanti altri, uno di quei
giorni caldi
e afosi di Agosto. Preoccupata perché non rispondeva al
telefono, mi ero
letteralmente precipitata a casa; non rimuoverò mai dalla
mia mente la vista
del suo corpo esanime, steso a terra.
<<
Soffriva già di qualche tipo di cardiopatia? Aveva mai fatto
un ecocardiogramma
o un ecg? >> chiese Allison, riportandomi bruscamente
alla realtà.
<<
No,
non che io sappia ... Non aveva mai sofferto di cuore >>.
<<
E
aveva qualche patologia nota? Diabete mellito o dislipidemia, per
esempio?
Fumava? >>.
<<
Non
fumava, figuriamoci. È sempre stata una salutista, fissata
con lo yoga e
vegana. E non era né diabetica né soffriva di
colesterolo alto >>
risposi.
<< Solo, una
cosa... Le colava spesso il
naso, e almeno una volta al mese prendeva la febbre. Non so se ti possa
essere
utile >> aggiunsi.
<<
Potrebbe, in effetti ... Per caso soffriva di otite o sinusite
ricorrente?
>> domandò Allison, incuriosita.
<<
Non
so, però soffriva di emicrania, ripensandoci
>>.
<<
E
tuo padre, invece? >>.
Ecco.
Nota
dolente.
<<
Non
so nulla di lui. So solo che era un figlio di ... Hai capito
>>.
La
dottoressa mi rivolse uno sguardo a metà tra il
compassionevole e il
rattristato.
<<
Mi
dispiace, Annie >>.
<<
E
perché, non è colpa tua. Ci ha abbandonati che
avevo solo due anni ... Tanto
meglio così. Sai come si dice ... 'quello
che non ti uccide ...' >>.
<<
... Ti fortifica. Hai ragione.
Senti,
prima d'ora non hai avuto nessun tipo di disturbo?
>>.
<<
No,
nulla. A parte un’anemia, ma sto prendendo il ferro per
quella >>.
<<
Uhm, in effetti il tuo emocromo era indicativo di un'anemia microcitica
ipocromica. Posso chiederti chi ti ha fatto la diagnosi di anemia
sideropenica?
>> si interessò, leggendo la mia
cartella clinica.
<<
Il
mio medico. Perché me lo chiedi? >>.
<<
Non
so, non mi convince molto. Per sicurezza ti farò controllare
anche sideremia,
transferrinemia e ferritinemia. Meglio esserne sicuri >>.
Era
pensierosa.
<<
Sospetti qualcosa di particolare? >> le chiesi.
<<
È
solo un'ipotesi. Hai mai sentito parlare di una malattia che si chiama
'granulomatosi di Wegener'? >> domandò in
risposta.
<< Granu
che? No, ovviamente >> dissi.
Non
riuscivo
nemmeno a pronunciarla, figuriamoci sapere che fosse quella malattia.
<<
Hai
preso qualche virus in questi giorni? Che so, influenza, virus
intestinali,
...? >>.
Cercai
di
ricordare.
<<
Sì,
in effetti la settimana scorsa ho avuto una gastroenterite
>>.
<<
Ok,
cercherò di essere il più chiara possibile. La
granulomatosi di Wegener è una
vasculite, cioè un'infiammazione dei vasi sanguigni. Nella
fattispecie,
colpisce i vasi di piccolo e medio calibro. Fin qui, tutto chiaro?
>>.
<<
Sì,
ma questo cosa c'entra con mia madre? >> chiesi, confusa.
<<
Pare che nella patogenesi di questa malattia sia importante una
predisposizione
genetica. Credo che tua madre ce l'avesse. L'infarto rientra fra le
complicanze
della patologia >>.
Iniziavo
a
non capirci nulla. Come poteva spiegare il mio sanguinamento una
malattia che
aveva mia madre?
Allison
riprese a parlare.
<<
Questa malattia colpisce anche le coronarie, e questo può
aver causato
l'infarto di tua madre. Il coinvolgimento dei vasi del naso
spiegherebbe la tua
epistassi prolungata , e frequentemente comporta anemia
>>.
<<
E i
lividi? >> domandai, esitante.
La
dottoressa mi rivolse un'occhiata di rimprovero.
<<
Annie, io credo te li abbia fatti il tuo ragazzo >>.
Non
avevo
voglia di ribatterle, mi sentivo troppo debole.
<<
E
... Insomma, esiste una cura per questa malattia? >>.
Non
volevo veramente
conoscere la risposta, probabilmente. Ero terrorizzata.
<<
Ammesso che ancora non sappiamo se ce l'hai ... Comunque,
c'è una terapia, e la
prognosi è buona, tutto sommato. Ti dovremmo somministrare
dei corticosteroidi,
ed eventualmente degli immunosoppressori più
potenti >>.
<<
D'accordo. Che esami mi dovrete fare? >>.
<<
Per
prima cosa voglio approfondire la tua anemia, Annie. Poi doseremo dei
particolari anticorpi, gli ANCA, e servirà un Rx toracica
>>.
Allison
parlava, ma iniziavo a sentirla lontanissima. Mi girava la
testa, era
come essere su una nave nel pieno di una tempesta. E avevo delle fitte
incredibilmente forti all'addome ...
<<
Annie, che diavolo sta succedendo ... >>.
Il
tono
della dottoressa Cameron ora era davvero turbato, aveva perso quella
caratteristica imperturbabilità di poco prima.
<<
Cosa ...? >> chiesi.
Stava
guardando le lenzuola.
Abbassai
lo
sguardo: erano piene di sangue. Non potevo credere ai miei occhi ...
<<
House! Chase! Infermiera, porti due sacche di sangue,
presto!>>.
Allison
era
agitatissima.
Non
fece in
tempo ad entrare Chase, che già era diventato di nuovo tutto
nero.
|
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Capitolo 4 *** Piove ***
Piove
Aveva iniziato a piovere.
Eravamo ormai ad Aprile, ma il tempo continuava ad essere
pessimo e le temperature invernali. Quel giorno il termometro segnava
solo dieci gradi. Alzai lo sguardo verso l'orologio da parete che
campeggiava sul muro, e notai che si erano già fatte le
diciotto. Erano ormai passate due ore da quando avevamo trasfuso Annie,
riuscendo miracolosamente ad arrestare la copiosa menorragia che aveva
avuto. Povera ragazzina. A giudicare dal suo aspetto fisico, poteva
avere sì e no diciotto, massimo diciannove anni, ma ne aveva
già viste molte. Troppe. Eppure sembrava felice e ancora
fiduciosa nella vita, glielo si leggeva negli occhi, quegli occhi scuri
e profondi che ben si sposavano con la carnagione chiara e i capelli
neri e lunghi. Non potevo fare a meno di ammirarla per quella sua forza
e caparbietà. Io, invece, non ero mai stata un tipo
particolarmente forte; la cosa più 'eroica' che ero riuscita
a fare, fino ad allora, era stata sposare un malato terminale di cancro
a soli ventuno anni. E ancora soffrivo, soffrivo incredibilmente tanto
solo ripensando a quante ne avevamo passate insieme; ogni ciclo di
chemio distruggeva più me che lui, perché sapevo
perfettamente che ogni giorno passato in ospedale era un non-giorno,
altre ventiquattro ore sottratte alla sua breve esistenza.
<< Pensierosa, tesoro?
>>.
Era House.
<< No, non particolarmente, in
realtà >> mentii.
<< Bene, perché noi tutti qui
agognavamo un tuo intervento. Sei incredibilmente stimolante...
intellettualmente parlando, è chiaro >>.
<< Sei davvero un bel tipo, House
>> dissi, leggermente infastidita.
Non poteva trattarmi come un medico, e non solo come una
donna?
<< Lo so, non sei la prima che me lo dice,
zuccherino >>.
Mi fece l'occhiolino.
<< Noi grandi qui parlavamo
di diagnostica. Come puoi leggere nella mia carissima lavagna, fino ad
ora, in attesa dei risultati degli esami, le ipotesi più
accreditate sono due >>.
Puntò il bastone contro la lavagna e lesse.
<< Ipotesi numero uno: Porpora
trombocitopenica idiopatica. Ovviamente é la mia ipotesi.
Cosa me lo fa pensare? Conta piastrinica ridotta - se non erro, 100.000
al precedente emocromo - e volume piastrinico medio lievemente
aumentato. Ovviamente la clinica sta dalla mia parte: epistassi
prolungata, numerose ecchimosi e, non ultima, la recente menorragia
della piccola Anne >>.
<< Ipotesi plausibile, House. Ma non spiega
l'anemia della paziente >> ribattei.
Quella sua area da 'so tutto io' non mi andava proprio
giù.
<< Se non erro, ha avuto due episodi
emorragici in poche ore >> esclamò House,
puntandomi il bastone contro.
<< Certo, ma la sua é un'anemia
microcitica ipocromica. Se fosse stata secondaria all'emorragia ...
>>.
<<... sarebbe dovuta essere normocitica e
normocromica >> completò Chase.
<< Ha ragione, House >>.
Il medico non batté ciglio.
<< Comunque Cameron ha già
richiesto sideremia, transferrinemia e ferritinemia ... Se l'anemia
é sideropenica, saranno alterati >> disse.
<< Io credo che l'epistassi e la menorragia
possano essere dovuti ad una teleangectasia emorragica ereditaria
>> propose Chase.
<< Non ha teleangectasie >>
criticò House.
<< Magari non le abbiamo viste noi. Dovremmo
controllarla meglio, magari le ha nel palmo della mano o sui piedi
>>.
<< Non é teleangectasia emorragica
ereditaria, Chase. E poi ti sfido a sollevarle il vestito con il suo
ragazzo in stanza >> rise House.
<< D'accordo ... Tu cosa proponi?
>> chiese, rivolto a me.
<< Ho già richiesto ANCA e
prenotato un Rx toracica >> risposi.
<< Qualcuno qui sospetta una Wegener
>> si limitò a dire.
House che non criticava le mie ipotesi? Probabilmente era
ubriaco.
<< Ma la Wegener é rarissima
>> dichiarò Chase.
<< Non più della malattia di Rendu
- Osler, ma ... aspetta, sbaglio o é la tua ipotesi?
>> punzecchiai io.
<< Direi che la cosa migliore sia aspettare i
risultati del laboratorio. Nel frattempo ... Io vado da
Wilson. Se permettete ... >> disse House, lasciando me e
Chase soli nella stanza.
Il ragazzo mi rivolse un'occhiata severa.
<< Non puoi trattarmi così,
Cameron. Non dopo quello che é successo ieri sera ...
>>.
<< Io non ti sto trattando in nessun modo,
Robert. É solo lavoro >> mi
limitai a rispondere.
Come poteva sbattermi in faccia un semplice bacio? In fondo,
il giorno prima era successo solo questo, e non cambiava nulla tra noi
due. Non ero pronta ad intraprendere nuove relazioni.
<< Se non ti dispiace, vado a fare il mio
lavoro >> dissi, dirigendomi verso il corridoio.
Dall'altra parte del vetro, lui continuava a guardarmi.
Sembrava quasi deluso; o meglio, ferito. Mi diressi
rapidamente verso la stanza di Annie, per vedere come stava. Il suo
ragazzo mi colse alla sprovvista: era fermo davanti alla porta, quasi
come una guardia del corpo preposta alla sorveglianza.
<< Devo chiederle il permesso di entrare?
>>.
Avrà avuto più o meno la mia
età, ma non volevo dargli del tu.
<< Cosa state facendo ad Annie?
>> esordì.
<< Potrei farti la stessa domanda
>>.
Non so perché, ma ero passata a dargli del tu.
Forse, mi sembrava più diretto, e sicuramente rendeva meglio
il disappunto che provavo.
<< Prima di venire qui, stava benissimo
>> proseguì.
Quel ragazzo mi stava veramente infastidendo.
<< Curioso, mi sembrava che fosse venuta qui
proprio perché stava male. Non servono a questo gli
ospedali? >>.
Mi rivolse uno sguardo furente.
<< Ma chi ti credi di essere tu per giudicare
il nostro rapporto? Ti ho sentita prima, mentre dicevi ad Annie di
mollarmi >>.
<< Ti consiglio di calmarti, o chiamo la sicurezza
>>.
Improvvisamente, mi tirò avanti per il camice,
contro di lui.
<< Dovresti farti gli affari tuoi, dottoressa.
O potresti pentirtene >>.
Gli tremavano le mani.
<< Non so chi ti credi di essere tu, ma io non
sono Annie. Non sono una ragazzina di diciotto anni, Andrew. Sono una
donna, e soprattutto, sono il medico della tua fidanzata
>>.
Mi liberai dalla presa e cercai di ricompormi. Dopo averlo
spinto di lato, entrai nella stanza di Annie, che nel frattempo si era
svegliata.
E aveva sentito tutto.
|
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Capitolo 5 *** Perdere il controllo ***
Perdere il
controllo
<<
Mi
dispiace che tu abbia assistito a questa scena >>.
Non
sapevo
cosa altro dire. Ero incredibilmente imbarazzata. Annie
sembrò notarlo, e mi
sorrise.
<<
Non
ti preoccupare, conosco Andrew. E’ fatto così,
è iperprotettivo nei
miei confronti >>.
Iperprotettivo
era un eufemismo. Decisi comunque di cambiare argomento: non volevo che
la mia
paziente si agitasse, era già troppo debole. Passai
rapidamente in rassegna
palmo delle mani e superficie plantare dei piedi, nella ricerca di
teleangectasie che avvalorassero l’ipotesi di Chase, ma
ovviamente non ne
trovai. Era chiaro che l’ipotesi della telangectasia
emorragica ereditaria
fosse fin troppo azzardata. In compenso, Annie, se possibile, sembrava
ancora
più stremata di poche ore prima, quando era giunta al pronto
soccorso per
l’epistassi. Notai l’estremo pallore del suo volto
e le numerose ecchimosi, che
adesso le erano spuntate pure sulle braccia.
<<
Annie, quelli non li avevi quando sei arrivata, vero? >>
le chiesi,
indicando con un dito i lividi.
<<
Questi? No, non credo. Devo aver sbattuto contro qualcosa
>>.
<<
O
contro qualcuno >>
non potei
fare a meno di puntualizzare.
Sembrò
stupita e al contempo frustrata dalla mia affermazione, ma non disse
nulla.
<<
Allora …
>> proseguii, fingendo di
non aver notato la sua espressione. << Stiamo aspettando
i risultati del
tuo secondo emocromo e di alcuni esami che abbiamo richiesto
>>.
Sembrò
sollevata dal fatto che avessi cambiato discorso.
<<
Ok
>> si limitò a dire.
<<
Credo che Chase ti abbia spiegato cos’è successo
prima >>.
<<
E’
innamorato di te >>.
<<
Cosa? >>.
Quella
sua
dichiarazione mi spiazzò.
<<
Si
vede da come ti guarda >> aggiunse.
Che
situazione surreale. Non mi sarei mai aspettata di fare certi discorsi
con una
paziente; io che ero sempre stata attenta all’etica
professionale (soprattutto
in tema rapporto medico – ammalato).
<<
E
questo cosa c’entra adesso, Annie? >>.
Cercai
di
usare un tono che fosse quanto più neutrale e distaccato
possibile.
<<
Era
solo per stemperare la tensione. Dovrò pur fare qualcosa per
non pensare a
tutto quello che mi sta succedendo >>.
Mi
sentii in
colpa. Tentai di rimediare.
<<
Forse hai ragione >> dissi. << Ma io non lo
amo >>.
Annie
mi
sorrise dolcemente.
<<
Non
ancora >>.
Il
suono del
cercapersone smorzò la tensione che si era creata.
<<
Leggi, magari è proprio lui che ti cerca >>
suggerì la ragazza.
Mi
portai
una mano alla tasca ed estrassi l’apparecchio.
<<
Sono arrivati i risultati dei tuoi esami >> dichiarai.
<< Vado a
prenderli, se non ti dispiace rimanere sola con … mister iperprotezione >>.
<<
Ti
assicuro che è un ragazzo molto dolce, anche se non sembra.
E’ solo preoccupato
per me >>.
<<
Sarà pure così, ma non mi fido molto di lui. Vuoi
che chiami l’infermiera?
>>.
Non
mi
piaceva l’idea di lasciarla sola. Sembrava che ogni minuto
passato in compagnia
di quel tipo aumentassero esponenzialmente le ecchimosi di Annie.
<<
Non
preoccuparti, viviamo insieme da un anno e, come vedi, sono ancora viva
e …
forse non vegeta, ma viva >> rise.
<<
Ok
>>. Staccai un foglio dal block notes che avevo in tasca
e le scrissi il
mio numero. << Se hai bisogno, chiama. Non dovrei
metterci molto, scendo
in laboratorio e torno >>.
Sembrò
sorpresa dalla mia preoccupazione, ma prese il foglietto di carta.
<<
Non
sono abituata ad avere qualcuno che si prende cura di me
>> disse
semplicemente.
<<
Adesso ce l’hai >>.
Le
rivolsi
un sorriso e mi recai verso l’ascensore. Dentro
c’erano House e Wilson.
<<
Qual buon vento … >> esordì House.
<< Stavamo giusto parlando di
te. Ci chiedevamo perché odi tanto i tipi violenti. Wilson
pensa che forse
anche tu hai avuto un ragazzo del genere, ma io non credo sia per
questo
>>.
Premetti
il
tasto del mio piano, fingendo di non sentirlo.
<<
Io
penso che sia perché hai la sindrome
della crocerossina … è più
forte di te, non ce la fai proprio a non aiutare
qualcuno, soprattutto se é un paziente >>
proseguì.
<<
House, lasciala stare >> si intromise Wilson.
<<
Non
importa, ormai ho imparato ad ignorarlo. Il suo hobby preferito
è tormentare il
resto del mondo >>.
Arrivata
al
mio piano, scesi, senza più dire nulla.
<<
Vai
a ritirare i risultati della paziente? >> mi
fermò House, serio.
<<
Sì
>> mi limitai a rispondere.
Mi
diressi
rapidamente verso il laboratorio analisi. Ovviamente gli ANCA non erano
ancora
stati dosati - ci volevano tre giorni -, ma erano pronti emocromo, PT, aPTT e
sideremia.
Quest’ultima era nel range, ma comunque senza transferrinemia
e ferritinemia
non potevamo ancora escludere un’anemia sideropenica. Anche PT e aPTT erano nella norma. Appena
ebbi sotto gli
occhi i risultati dell’emogramma, per poco non svenni. Annie
era messa davvero
male: aveva un’aplasia midollare acuta. Tutti i valori erano
bassissimi, molto
sotto la soglia minima. Aveva sette di emoglobina, mille leucociti e
poco più
di ventimila piastrine. Non potevo permettermi di perdere tempo.
Corsi
nel
corridoio e mi precipitai verso le scale, diretta alla stanza della
paziente.
Ogni minuto perso poteva essere letale, mi ripetei insistentemente.
Davanti
alla porta della camera trovai House, intento a discutere con Andrew.
<<
House,
dobbiamo intervenire subito. Annie ha un’aplasia midollare
>> esordii.
<<
Un
… certo, questo spiega molte cose … ma non spiega
l’aplasia >> disse,
pensieroso.
Non
sembrava
preoccupato, e questo non poté che infastidirmi: Annie stava
rischiando di morire!
<<
House, dobbiamo intervenire subito! >>.
Senza
rendermene conto, iniziai a strillare.
<<
Cameron, calmati >>.
Era
arrivato
Chase.
<<
Dico all’infermiera di somministrare ad Annie steroidi,
anabolizzanti e
ciclosporina >>.
<<
Direi
di darle anche fattori di crescita per la neutropenia >>
aggiunse.
Aveva
ragione. Non so come, ma avevo totalmente perso il controllo. Era la
prima
volta che mi capitava; ma per fortuna era arrivato Chase.
<<
Hai
ragione, io … >> iniziai.
<<
Non
preoccuparti. Succede, se ti affezioni ai pazienti >> mi
interruppe.
Entrò
nella
stanza di Annie e le spiegò la situazione, riuscendo
incredibilmente a
mantenere la calma. Mi sentii terribilmente stupida: ero riuscita a
farmi paralizzare
dal panico. Chase aveva ragione: non avrei dovuto affezionarmi tanto ad
una
paziente.
<>.
L’affermazione
di House mi catapultò bruscamente nella realtà.
<<
Parla con il suo ragazzo >>.
Possibile
che quell’uomo mi detestasse tanto? L’aveva fatto
apposta a chiedermi di
parlare con Andrew.
<<
Vieni con me, andiamo a prenderci un caffè >>
dissi, rivolta al ragazzo.
Non
l’avevo
notato, ma anche lui sembrava letteralmente paralizzato dalla
preoccupazione. Probabilmente
aveva bisogno di rassicurazioni; dopotutto, era pur sempre della sua
fidanzata
che stavamo parlando, e, di certo, nessuno di noi aveva fatto nulla per
tranquillizzarlo.
E’ solo preoccupato per me ….
Le
parole di
Annie mi risuonarono in testa. Aveva ragione. Dovevo rassicurarlo, o
almeno
sforzarmi di farlo per lei.
<<
Stai tranquillo, si sistemerà tutto >>.
Stavo
mentendo, e sapevo benissimo di farlo. Non doveva stare tranquillo: non
avevamo
la minima idea di cosa avesse Annie.
<<
Grazie >> si limitò a dire.
Ci
dirigemmo
verso il distributore di bevande. Mi offrì gentilmente il
caffè: non era poi così male,
dovetti ammettere. Sembrava così indifeso …
<<
Andrew, Annie mi ha detto che aveva avuto una gastroenterite qualche
giorno fa
>> esordii.
<<
Sì,
è stata male per quasi una settimana>> rispose.
<<
E
ha preso qualche farmaco? >>.
<<
No,
il medico le ha detto che era un fatto virale. Semplicemente
è stata a letto
>>.
Ebbi
un’intuizione.
<<
E
ha avuto solo diarrea e vomito? >> chiesi.
Ci
pensò su.
<<
Ha avuto
anche mal di gola, in realtà, e febbre. Perché?
>> domandò in risposta.
<<
Solo un’ipotesi>>.
Continuava
a
fissarmi con aria interrogativa.
<<
Potrebbe aver avuto una mononucleosi “atipica”,
diciamo >> aggiunsi.
<<
Cioè la “malattia del bacio?” Quella? Ma
io sapevo che non è grave >>.
<<
Sì,
quella. In alcuni casi può dare sintomi intestinali e, anche
se raramente, può
complicarsi con un’aplasia midollare>>.
<<
Ma
cosa ha? E’ grave? >>.
Era
visibilmente scosso, e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
<<
Stai tranquillo, Andrew. La faremo riprendere, e dico subito ad House
di dosare
le IgG anti – VCA e anti – EBNA, per verificare che
abbia avuto l’infezione
>>.
Allontanai
subito l’altra ipotesi che mi era venuta in mente: Annie non
poteva avere la
leucemia. Il quadro clinico – laboratoristico la suggeriva,
ma non potevo
crederci.
<<
Cameron! >>.
Era
Chase.
<<
Che
c’è? >> risposi.
Era
preoccupato.
<<
La
terapia non funziona. Annie ha bisogno di un trapianto di midollo
>>.
|
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Capitolo 6 *** Tutto in una notte ***
Tutto in una
notte
Le
ore che
seguirono furono cariche di ansia e apprensione.
Dovevamo
trovare ad Annie un donatore compatibile, e magari anche riuscire a
scoprire la
causa della sua aplasia midollare.
<<
La
tua ipotesi sul virus di Epstein - Barr è un tantino
azzardata >>.
Era
stato
House a parlare.
<<
Forse hai ragione, ma non costa nulla dosare le IgG per gli
antigeni
virali >>.
Non
ci
credevo neanche io, in realtà, però ci speravo.
<<
Potrebbe avere l'amiloidosi >> propose Chase.
<<
Potrebbe >> si limitò a dire House.
<<
Direi di fare la biopsia del grasso periombelicale e la colorazione al
rosso
congo, allora >> esclamò Robert, pronto a
dirigersi verso la stanza di
Annie.
<<
Aspetta, dove stai andando? Non ho esposto la mia ipotesi
>> lo
fermò House. << Potrebbe avere una leucemia
mieloide cronica >>.
Temevo
che
l'avrebbe detto. Ci avevo pensato anche io, ma continuavo a negarlo a
me stessa.
<<
Ipotesi valida, House. Dovremmo fare una biopsia osteomidollare
>>.
<<
E
trovare un donatore compatibile, visto che ha bisogno di un trapianto
di
midollo >> intervenni.
Non
potevo
credere che nessuno di loro due fosse realmente preoccupato per quella
ragazzina; entrambi erano interessati soltanto alla diagnosi, e la
trattavano come
un caso clinico come tanti altri. House si preparò a
ribattere, ma io non ne
potevo più: mi precipitai fuori da quella sala, verso il
corridoio.
Una
calda
lacrima mi solcò il viso. Non ce la facevo più ad
avere quotidianamente a che
fare con le malattie. Probabilmente sarebbe stato un trauma perdere
Annie, e io
non sarei riuscita a tollerarlo, non dopo aver attraversato la stessa
tragedia
con mio marito. Mi tolsi il camice e lo gettai nell'armadietto dello
spogliatoio: non ero più lucida, e quella giornata
incredibilmente lunga doveva
finire. Uscii dall'ospedale e mi diressi verso la mia auto, pronta a
tornare a
casa, quando vidi Andrew: era in preda alle lacrime.
<<
Ehi
>>.
Non
sapevo
che altro dire.
Lui
si voltò
a guardarmi.
<<
Ciao >>.
Che
momento
bizzarro.
<<
Dovresti stare vicino ad Annie >> dissi.
Sembrò
sorpreso da quell'affermazione.
<<
Pensavo mi detestassi. Fino a poche ore fa mi accusavi di maltrattare
la mia
ragazza >>.
Aveva
ragione. Ero stata troppo precipitosa nel puntargli il dito contro.
E
avevo
avuto pienamente torto.
Le
ecchimosi
di Annie erano dovute alla sua piastrinopenia, non ad Andrew.
<<
Ti
chiedo scusa >>.
<<
Non
avrei dovuto giudicarti così. Ho sbagliato in pieno
>> aggiunsi.
Sorrise.
<<
Non
preoccuparti. Dopotutto anche io ho fatto i miei errori, e me ne pento.
Non
avrei mai dovuto tirare quello schiaffo ad Annie >>.
Riprese
a
piangere. Mi avvicinai a lui e lo presi per mano, aiutandolo a
rialzarsi.
<<
Andrew, pensala così ... Se non fosse stato per te, non
avremmo mai scoperto il
problema della tua ragazza >>.
Gli
sorrisi
di rimando.
<<
Grazie >>.
<<
Adesso vado a casa, Andrew >> dissi, aprendo la portiera
della mia auto.
<<
Avete trovato un midollo compatibile? >> chiese.
Era
chiaro
che non voleva rimanere solo.
Chiusi
la
portiera della macchina.
<<
Lo
stiamo cercando >> risposi. << Dai,
entriamo dentro. Stavolta te lo
offro io un caffè >>.
Ci
dirigemmo
verso l'ingresso dell'ospedale.
<<
Vorrei essere io il donatore >> esclamò.
<<
É
un po’ difficile, dovremmo fare dei test per verificare la
compatibilità
>> gli risposi.
<<
Posso fare questi test? >>.
Mi
stava
praticamente supplicando.
<<
Certo >>.
Parlammo
quasi due ore, tutti e due. Andrew si rivelò una persona
veramente dolce,
esattamente come l'aveva descritto Annie.
<<
Adesso dovresti andare a farle compagnia >> dissi, a un
tratto.
<<
Hai
ragione. É solo che ... ho paura. No, sono letteralmente terrorizzato. Non voglio perderla
>>.
Lo
capivo
benissimo.
<<
Lo
so, non puoi immaginare quanto ti capisca. Io ... ho affrontato una
situazione
simile, in passato. Capisco perfettamente che tu sia combattuto tra lo
stare
vicino a lei e lo starle lontana, per timore di vederla morire tra le
tue
braccia. Ma ti posso assicurare che lei non morirà
>>.
Pronunciare
quelle parole diede più forza a me che a lui. Adesso ero
decisa a trovare un
donatore per Annie e a scoprire la sua malattia.
<< Grazie, e
scusami se sono stato ...
sì, un pezzo di idiota con te prima >> disse
Andrew.
<<
Figurati, non è che io sia stata proprio mrs.
simpatia >>.
<<
Posso chiederti una cosa? >>.
Mi
era
venuta un'idea.
<<
Hai
per caso idea di come potremmo rintracciare il padre di Annie?
>>.
Sarebbe
stato il donatore ideale di midollo, con tutta probabilità.
<<
In
realtà, sì ... é venuto al funerale
della mamma di Annie qualche mese fa
>>.
Non
riuscivo
a credere alle mie orecchie.
<<
E
hai idea di dove vive? O hai un suo recapito? >>.
<<
Certo, te lo do’ subito >>.
Prese
il cellulare
e mi dettò il numero di telefono dell'uomo.
<<
Spero che vi risponda. Ora vado da Annie, se non ti dispiace
>> disse,
voltandomi le spalle.
Finalmente
avevo la possibilità di aiutare veramente la ragazza.
<<
Novità? >>.
Era
Chase.
<<
Sì, abbiamo un potenziale midollo per Annie >> dichiarai,
sorridendo.
<<
Ma
come ... ? >> iniziò.
Lo
zittii,
mettendogli una mano sulle labbra. Mi avvicinai cautamente a lui,
chiusi gli
occhi e lo baciai.
E
tutto
sembrò sistemarsi, come per magia.
|
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Capitolo 7 *** Perdonare è divino ***
Perdonare
è
divino
<<
Ti amo >>.
Aprii
gli occhi e mi ritrovai accanto
Andrew, sdraiato al mio fianco. Così vicini riuscivo a
sentire il calore propagato
dal suo corpo; troppo calore.
<<
Amore, hai la febbre
>> dissi.
Si
voltò a guardarmi, stupito.
<<
Quello che ogni ragazzo
vorrebbe sentire dopo una dichiarazione d’amore
>> esclamò, sarcastico.
<<
E’ la verità. Dovresti
andare a casa e riposare un po’. E’ stata una
giornata incredibilmente lunga
>>.
<<
Fammi capire, tu hai bisogno
di un trapianto e sarebbe stata una giornata difficile per me? Non
voglio
abbandonarti, non di nuovo >>.
Aveva
gli occhi lucidi.
<<
Ma tu non mi hai mai
abbandonata >>.
Mi
prese le mani.
<<
Non voglio andarmene, Annie.
Prima mi sono fatto prendere dal panico, sono stato uno stupido. Il
fatto è che
… non voglio perderti
>>.
Scoppiò
in lacrime.
<<
Dai, non piangere. Anche io
ti amo >>.
Aveva
bisogno di sentirselo dire.
<<
Non dovresti, non dopo
quello che ti ho fatto. Mi vergogno di me stesso, non avrei mai dovuto
…
>>.
<<
Basta >>. Lo
interruppi. << Tutti sbagliano.
Siamo
umani, Andrew. E poi, non hai mai sentito dire che errare
è umano, perdonare è
divino >>.
<<
Ah, e quindi tu saresti una
dea? >> rise, baciandomi sulla guancia.
<<
La mia dea preferita
>>. Mi abbracciò.
Prese
il cellulare dalla tasca e mi
porse una cuffietta.
<<
Ascolta >>.
This
Romeo is bleeding
But you
can't see his blood.
It's
nothing but some feelings
That
this old dog kicked up
La
nostra canzone. La prima volta che
ci eravamo incontrati, in un
locale, la radio suonava questo brano.
<<
Oggi sono tre anni, amore
>>.
Era
vero. Me ne ero completamente
dimenticata.
<<
Avevo prenotato nello stesso
locale in cui ci siamo conosciuti. Stamattina, dopo la chiamata del
padrone di
casa che ha minacciato di sfrattarci, sono andato fuori di testa. Non
avrei mai
dovuto tirarti quello schiaffo … è solo che
… ho perso il controllo >>.
Si
alzò dal letto e si diresse verso
la poltrona accanto. Estrasse qualcosa dal suo zaino, qualcosa di
piccolo,
sembrava quasi …
Un
anello. Un piccolo anello di
fidanzamento.
<<
Amore, non avrei mai pensato
di chiedertelo così, né tantomeno in una stanza
d’ospedale >>.
Si
inginocchiò, mettendomi non poco
in imbarazzo.
<<
Annie Cohen, vuoi sposarmi?
>>.
<<
Hai letto “I passi
dell’amore”? >> gli
chiesi.
<<
Cosa? >>.
<<
E’ che questa situazione fa
tanto Landon Carter >> dissi.
Era
evidente che non sapesse di cosa
stavo parlando.
<<
Vuoi sposarmi perché sto
morendo? >>.
Quella
mia affermazione lo turbò. Era
confuso.
<<
No, certo che no. Sono mesi
che ho comprato l’anello >>.
Che
stupida. Gli anelli non crescono
certo sugli alberi, né all’interno degli ospedali.
<<
Scusami, hai ragione. Ma sei
sicuro di volermi sposare? Potrei … hai capito
>>.
<<
Hai presente quella frase
che si dice quando ci si sposa? “Nella
salute e nella malattia ..” >>.
<<
… finché morte non ci
separi. Sì, ce l’ho presente
>>.
<<
E quindi? >>.
Era
tenace, dovetti ammettere. Feci
finta di pensarci su (mi piaceva tanto tenerlo sulla corda).
<<
Sì >> dissi infine.
Come
se ci fosse una decisione più
semplice da prendere.
Quella
frase lo fece letteralmente
urlare dalla gioia.
<<
Abbassa la voce, siamo in un
ospedale! >> gli sussurrai.
Venne
verso di me e mi mise la fedina
nell’anulare.
<<
Ti amo, signora Smith
>> e mi baciò.
Erano
tre anni esatti che stavamo
insieme, ma ogni volta che mi baciava sentivo come un brivido
attraversarmi la
schiena.
Era
stupendo.
<<
Non sono sicura di voler
cambiare cognome >> lo punzecchiai.
<<
Non importa, amore. Basta
che mi sposi >> affermò lui. <<
E forse la situazione si risolverà
molto prima di quello che pensi. Potremmo avere un trapianto, me lo ha
garantito la tua dottoressa >>.
<<
La mia dottoressa? Mi fa piacere
che abbiate risolto le vostre
divergenze >>.
<<
Per te questo e altro,
tesoro mio >>.
<<
Ora basta, però. Sai che non
sono un’amante delle sdolcinerie >> gli dissi,
ridendo.
<<
Vuoi qualcosa da mangiare?
Da bere? >> mi chiese.
<<
Questo è il mio cibo, ormai
>> gli risposi, indicando la flebo.
<<
Divertente. Vado a prenderti
una bottiglietta d’acqua. Prima però chiedo ad
Allison, per sicurezza >>.
<<
Chiedo ad Allison ? Andrew, devo
preoccuparmi? Siamo passati dall’odio
all’amore? >>.
Finsi
di irritarmi.
<<
Una donna non mi basta più,
baby >> scherzò.
Mi
baciò sulla fronte.
<<
Ho come l'impressione che ogni passo che ho
fatto da quando cammino,
sia un passo verso di te >>.
Uscì
dalla stanza.
Non ci potevo credere, glielo avrei rinfacciato in eterno: aveva letto
il libro
di Sparks.
|
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Capitolo 8 *** Questione d'orgoglio ***
Questione
d’orgoglio
<<
Non saresti dovuto andare da
lei con la febbre addosso >>.
Chase
rimproverò Andrew, che scottava
e aveva gli occhi lucidi.
<<
E’ stata colpa mia, Chase.
Non mi ero accorta che avesse la febbre e l’ho mandato da
Annie, per farle
compagnia >>.
Ero
stata stupida a non accorgermene.
<<
Non ti preoccupare, ci sarei
andato lo stesso >> mi rassicurò lui.
<< Dovevo dirle una cosa
importante >>.
<<
Direi di iniziare una terapia
antibiotica ad ampio spettro, nell’attesa del risultato
dell’emocoltura
>>.
<<
Sono d’accordo. Nell’ultimo
emocromo i neutrofili erano poco sopra 500, quindi direi di
somministrarle
anche dei fattori di crescita granulocitari >> sostenni
io.
Andrew
era visibilmente dispiaciuto.
<<
Non preoccuparti, non è
colpa tua. Non lo sapevi >> lo consolai. <<
Vado a parlare con
Annie >>.
Imboccai
il corridoio e mi diressi
verso la sua stanza.
<<
Cameron >>.
Era
House.
<<
Cosa vuoi? Dove sei stato
finora? >> gli chiesi.
Erano
un paio d’ore che non si faceva
vedere.
<<
Dove vuoi che sia stato? Nel
mio studio >> rispose,
indicando la stanza di Wilson.
<<
Avete fatto l’aspirato
midollare alla ragazzina? >>.
<<
Ancora no. Stiamo per
avviare la terapia antibiotica ad ampio spettro, potrebbe avere
un’infezione in
corso >>.
<<
Ho sentito che forse abbiamo
un midollo per la ragazzina >>.
<<
Potremmo averlo. Abbiamo modo di
contattare suo padre >>.
<<
Wow, la cosa si fa
interessante. E lei lo sa? >>.
<<
No, ma non credo che farà
problemi. Adesso ha bisogno di un midollo osseo >>.
Finita
la frase, mi avviai da Annie.
<<
Non lo vorrà
>> mi urlò dietro House.
Perché
non avrebbe dovuto volerlo?
House si sbagliava, ero sicura. Entrai nella stanza della ragazza e la
trovai
sveglia, visibilmente debilitata.
<<
Ciao, Annie. Come stai? Va
meglio? >> le domandai.
<<
Sì, sto un po’ meglio
>> mentì.
<<
Ho saputo che Andrew aveva
qualcosa di importante da dirti >>.
Un
piccolo anello splendeva nel suo anulare
sinistro.
<<
Hai notato questo? >>.
Sollevò
la mano sinistra.
Annuii.
<<
Mi ha chiesto di sposarlo
>>.
Le
brillavano gli occhi.
<<
Oh, Annie. Sono contentissima
per voi >> dissi, sincera. << Abbiamo un
motivo in più per farti
stare meglio >>.
Sorrise.
<<
Anche i tuoi occhi luccicano.
Non voglio farmi gli affari tuoi, ma è successo qualcosa con
Chase? >>.
Finsi
di non sentirla.
<<
Parliamo di te. Ti volevo
dire due cose. Anzitutto inizieremo a somministrarti un antibiotico. Ho
visto
che Andrew ha la febbre >>.
<<
D’accordo >>.
<<
E dovremo fare altri
prelievi, e un aspirato
midollare >>.
<<
E cosa sarebbe? >>.
Era
spaventata.
<<
E’ un esame del midollo
osseo. Dovremmo inserire un ago in una spina iliaca postero-superiore e
prelevare delle cellule per analizzarle. Ci permetterà di
capire meglio quello
che hai >>.
<<
E’ doloroso? >>.
<<
Non proprio. E’ solo un po’ fastidiosa
la sensazione che si prova quando iniziamo ad aspirare con
l’ago >>.
<<
Cercate qualcosa in
particolare? >>.
Temevo
che me l’avrebbe chiesto. La
mia etica professionale mi obbligava a dirle che, tra le altre cose,
sospettavamo avesse una leucemia mieloide cronica evoluta in crisi
blastica. D’altra
parte, non potevo rovinargli questo piccolo momento di
felicità solo per una supposizione.
Non me lo sarei potuta perdonare, specie se fosse successo qualcosa.
<<
Pensiamo che la tua aplasia
possa essere dovuta all’infezione che hai avuto qualche
settimana fa >>
mi limitai a dire.
<<
Poi … potremmo avere un
midollo per te >> aggiunsi.
<<
Me l’ha detto Andrew. C’è un
donatore compatibile? >> chiese in risposta.
<<
Potrebbe. Annie … devo dirti
una cosa >>.
<<
Sì, lo so >>.
Doveva
averglielo anticipato Andrew.
<<
Potrei morire >>
dichiarò.
Non
lo sapeva.
<<
So che il trapianto potrebbe
fallire. Ho visto centinaia di puntate di “Malattie
misteriose” >>.
Rise.
Una risata tutto fuorché
allegra.
<<
In realtà ti volevo dire un’altra
cosa. Riguarda il tuo donatore di midollo >>.
Mi
guardò, incuriosita.
<<
E’ tuo padre
>> rivelai infine.
<<
Cosa? >> fu la sua
risposta.
Era
chiaro che non se l’aspettasse
proprio. Fece per alzarsi dal letto, ma fui più veloce: mi
avvicinai a lei e la
feci sdraiare.
<<
Come avete fatto a
rintracciarlo? >> domandò.
<<
E’ stato il tuo ragazzo
>>.
Quella
rivelazione la fece indignare
ancora di più, se possibile.
<<
Andrew? E lui come fa a
sapere dove si trova mio padre? >>.
Si
era agitata, e, nelle sue
condizioni, non poteva permettersi tanto stress.
<<
Pare sia venuto al funerale
di tua madre >> le dissi.
<<
Cosa? E con quale diritto l’ha
fatto? Ci ha lasciati che ero solo una bambina, non voglio avere a che
fare con
lui. E, soprattutto, non voglio favori
da lui >>.
Cercai
di farla ragionare.
<<
Annie, potresti morire. In
queste situazioni l’orgoglio va messo da parte
>>.
<<
Non voglio nulla da lui,
Allison. Preferisco morire
>>.
Non
potevo credere che lo pensasse
davvero.
<<
D’accordo, come vuoi tu. Ci
rivolgeremo ad una banca internazionale di midollo, sperando di avere
fortuna
>> finsi di cedere. << Adesso vado a
parlare con l’infermiera per
la tua terapia >>.
Uscii
dalla sua stanza e mi trovai di
fronte House.
<<
Te l’avevo detto >> si
limitò a dire.
|
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Capitolo 9 *** Meglio esser pazzo ***
Meglio
esser
pazzo …
<< Avresti dovuto dirmelo
>>.
Dopo
la discussione con Allison,
Andrew si era precipitato a parlare con me.
<<
Hai ragione >>.
La
sua voce risuonava distorta dalla mascherina
che indossava, per il rischio di trasmettermi virus o batteri o
chissà che.
<<
E non fare quella faccia da
cane bastonato. Non mi muovi a pietà >>.
<<
Amore, non te l’ho detto perché
sapevo che avresti reagito così. Avrei rovinato il nostro momento >>.
Era
visibilmente mortificato.
<<
E quel giorno? Il giorno del
funerale di mia madre? Perché non mi hai detto nulla neppure
allora? >>
gli chiesi.
<<
Eri già abbastanza triste, non
volevo peggiorare le cose >> rispose. <<
Annie, io ti amo, e non
farei mai niente per ferirti >>.
<<
Sì, però avresti potuto
dirmelo nei mesi successivi. Non è stato giusto tenermelo
nascosto. Non ne
avevi il diritto >>.
<<
Hai ragione, non lo nego
>> dichiarò, amareggiato.
<<
Quante volte l’hai sentito
da quel giorno? Dal funerale di mia madre? >>.
Quella
domanda lo spiazzò.
<<
Devi averlo risentito,
Andrew. Hai il suo numero di telefono >>.
<<
Quasi ogni mese >>
confessò.
Quasi
ogni mese?
<<
Mi chiamava lui. Insisteva perché
lo facessi parlare con te. E si è offerto di aiutarci con le
spese >>.
<<
Cosa? Spero che tu non abbia
accettato neanche un centesimo da lui! >> strillai,
indignata.
<<
No, non fino a ieri
>>.
Gli
destinai uno sguardo di
rimprovero.
<<
Annie, ne abbiamo bisogno.
Siamo con l’acqua al collo, ci stanno sfrattando, se non
l’hai capito. E –
scusami se è poco - tu potresti morire.
Credo che in queste situazioni l’orgoglio
vada messo da parte >>.
Non
ne potevo più delle sue
giustificazioni.
<<
Per favore, esci. Voglio rimanere
sola >>.
Uscì
dalla stanza mestamente, deluso.
Possibile
che sia lui sia Allison pensavano
fosse una questione d’orgoglio?
Non
riuscivano a mettersi nei miei panni e a capire che non volevo nulla da
quell’uomo,
che ci aveva abbandonate quando ero solo una bambina e non si era mai
preoccupato di noi due? Che continuasse a stare lontano da me, non
avevo
bisogno del suo midollo, né tantomeno di lui.
Sentii
aprire la porta.
<<
Andrew, cosa del “voglio
rimanere sola” non ti è chiaro? >>.
<<
Non sono quell’imbecille del
tuo ragazzo >>.
Quella
voce arrogante, fastidiosa …
doveva essere il dottor House.
<<
Buongiorno anche a lei
>> gli dissi di rimando.
Iniziò
a scrutarmi dalla testa ai
piedi, incuriosito.
<<
Sei proprio messa male
>> proferì.
<<
Sbaglio o è lei il mio
dottore? Se la logica non mi inganna … è lei il
responsabile >>.
Rise
sonoramente. Sembrava che niente
potesse turbarlo.
<<
Ti devo dare ragione,
ragazzina >>.
Prese
una sedia e si sedette.
<<
Allora … nella tua anamnesi
mi è sfuggita la tua data di nascita >>.
Non
capivo cosa gli interessasse in
quel momento.
<<
10 Gennaio 1992 >>.
<<
Quindi hai ventitre anni.
Interessante >>.
Cosa
ci fosse di interessante, poteva
saperlo solo lui.
Tirò
fuori dalla tasca dei pantaloni
una pallina da golf e si mise a giocarci con il bastone. Era
estremamente
irritante.
<<
Ho saputo che non vuoi
accettare il midollo dal tuo paparino >>
esclamò.
<<
Non le sfugge nulla
>>.
Non
avevo intenzione di parlare con
lui di cose così intime e personali.
<<
Mossa stupida >>.
Mi
guardò intensamente.
<<
Vuoi il mio parere?
>>.
Non
mi interessava proprio il suo
parere.
<<
Non solo dovresti
accettarlo, dovresti pretenderlo >>.
Quelle
sue parole mi spiazzarono, e non
poco.
<<
Devi sapere che qualsiasi
cosa esca dalla mia affascinante bocca è frutto di un fine
ragionamento. Pura
logica, senza sentimenti né smancerie varie. Dimmi
… se – come vuoi fare – ti rivolgessi
alla banca del midollo, non potresti mai sapere chi è stato
il donatore
>>.
Cercai
di seguirlo nella
sua argomentazione.
<<
E magari il tuo donatore finirebbe
con l’essere comunque lui. O un assassino, un truffatore, un
vile e malvagio … >>.
<<
Ma non lo saprei mai
>> ribattei.
<<
Allora sei una di quelle
persone che preferiscono non sapere. Perdonami se te lo dico
… ma sbagli
>>.
<<
E scusi se glielo dico io,
ma non mi conosce e non credo che possa permettersi il lusso di
giudicarmi.
Anche lei è umano, e quell’aria da “so
tutto io” che si porta dietro non la
rende certo più tollerabile di quello che in
realtà è. Crede di sapere tutto,
lei? Non ha mai sentito che il dubbio
è
scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno >>.
Mi
aveva fatta infuriare.
<<
Non sembri proprio il tipo
che citerebbe Voltaire >>.
Bene,
almeno conosceva la citazione.
Peccato non ne avesse capito il senso.
<<
Credo solo che sarebbe
stupido non accettare il midollo, se fosse compatibile. Ma questa
è solo la mia
opinione >> si ricompose.
Si
alzò dalla sedia e mi controllò la
flebo.
<<
Bene, vedo che Cameron ha
iniziato a somministrarti l’amoxicillina. Direi di aggiungere
una cefalosporina
>> commentò.
Prese
la mia cartella clinica e ci
scrisse sopra.
<<
Comunque, uno dei due fidanzatini
ti avrà detto, immagino, che
prima di avviare le procedure per il trapianto dobbiamo farti un
aspirato
midollare >>.
Annuii.
<<
Bene, una cosa giusta l’hanno
fatta quei due. Si vede che qualcosa l’hanno imparata
da me >>.
Sbottai.
<<
Quei due, come li chiama, sono
molto più umani di quanto non potrà
mai essere lei >>.
Più
che deluso, sembrò sorpreso da
quella mia affermazione.
<<
Devo ammettere che ti
ammiro. Nelle tue condizioni, riesci persino a trovare la forza per
stilare
filippiche per i due mocciosetti
>>.
Rise.
<<
Non è forte chi cade, ma chi
cadendo ha la forza di rialzarsi
>> dissi.
<<
Ti piacciono le citazioni,
eh? Eccone un’altra che calza a pennello, visto che mi
riguarda … “Meglio esser
pazzo per conto proprio,
anziché savio secondo la volontà
altrui” >>.
Nietzche. Avevo
già sentito quella frase, era la citazione
preferita di …
<<
Me la ricordi così tanto,
Annie. Tua madre >>.
|
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Capitolo 10 *** Solo Dio può giudicare ***
Solo
Dio può giudicare
Risponde
la segreteria telefonica di
Gary Cohen. Siete pregati di lasciare un messaggio dopo il segnale
acustico ...
<<
Buongiorno, signor Cohen,
sono sempre la dottoressa Cameron. Le ho già lasciato una
decina di messaggi in
segreteria. La prego di recarsi presso il nostro ospedale il prima
possibile.
Riguarda sua figlia Annie >>.
Interruppi
la conversazione. Era
dalle sette di quella mattina che io e Chase non avevamo fatto altro
che
lasciare messaggi a quell'uomo, spiegandogli in sintesi la situazione
ed
invitandolo a recarsi da noi non appena avesse accesso il cellulare.
<<
Non ha ancora risposto?
>> chiese Chase.
<<
Ovviamente no. Speriamo lo
faccia entro stasera >>.
Era
già l'una di pomeriggio, e noi
due stavamo pranzando alla mensa dell'ospedale.
<<
Ciao ragazzi >>.
Era
Wilson.
<<
Per caso avete visto House?
>>.
Sembrava
preoccupato.
<<
No, non di recente. Non é da
lui disinteressarsi così ad un caso tanto complesso
>> rispose Chase.
<<
Sì, in effetti é un caso
molto ... complesso é l'aggettivo giusto >>.
Saccheggiò
un panino dal mio piatto.
<<
Grazie, Cameron. Sono a
digiuno da ieri sera. Vado a cercare House >>.
E
si allontanò.
<<
Credo che House lo stia
facendo rimbecillire >> fu il commento di Chase.
Risi
alla sua battuta.
<<
Non pensi che dovremmo
parlare di ieri sera? >>.
Ecco,
proprio quello che temevo. Non
ero mai stata brava a mettere ordine alle mie relazioni.
<<
Questo non mi sembra né il
luogo né il momento adatto >> lo liquidai.
<<
Forse hai ragione, ma non mi
sembra giusto lasciarmi così, sulle spine. Vorrei sapere
almeno se abbiamo o no
una relazione >>.
<<
E perché ti interessa tanto?
Per sentirti legittimato, se la risposta fosse no, ad uscire con la
dottoressa
Sanders? >>.
Rivolsi
lo sguardo verso il tavolo a
pochi metri di distanza dal nostro, dove la ginecologa non faceva che
indirizzare a Chase delle occhiate molto (troppo) interessate.
<<
Tu non vuoi chiarire la
nostra situazione, ma io non posso comunque uscire con nessun altra?
Non ti
capisco, Allison >>.
<<
È proprio questo il
problema, Robert. Non mi capisci >>.
Mi
alzai e mi diressi verso
l'ingresso dell'ospedale, a prendere una boccata d'aria. Non sapevo
perché
avevo trattato così Chase: non se lo meritava proprio. Non
mi ero mai ritenuta
un tipo particolarmente geloso; non fino ad allora. Chase mi faceva
questo
effetto.
Ma
ero troppo preoccupata per Annie
per avere tempo di chiarire la nostra storia.
Mentre
mi gustavo il caffè che avevo
preso alla mensa, un uomo sulla cinquantina uscì dalla sua
auto, dopo aver
parcheggiato alla meno peggio.
Sembrava
confuso e disorientato. E
spaventato.
<<
Posso esserle d'aiuto?
>> gli chiesi, cordiale.
<<
Sì, mi auguro di sì. Sto
cercando la dottoressa ... Cameron,
mi
pare si chiami così >>.
<<
L'ha trovata. Di cosa ha
bisogno? >>.
<<
Sono il signor Cohen
>>.
Incredibile.
Era il padre di Annie.
Mi aspettavo che mi sarei trovata davanti un poco di buono, trasandato
e magari
anche alcolizzato; e invece era un signore elegante e ben vestito,
molto
curato. Aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri.
<<
Mi ha lasciato una decina di
messaggi in segreteria. Mi scusi se non ho risposto, avevo il cellulare
staccato. Ero ad un bar mitzvah >>.
<<
Non si preoccupi, anzi
auguri >>.
<<
Era di mio nipote. Grazie
>>.
Era
molto agitato.
<<
Cosa ha mia figlia? >>
domandó, esitante.
<<
Come le ho anticipato per
telefono, ha urgente bisogno di un trapianto di midollo osseo. Riuscire
a
trovarne uno compatibile é molto difficile, a meno che ...
>>.
<<
Non ci si rivolga a un
familiare >> concluse lui.
<<
Allora, cosa stiamo
aspettando? Dovete fare dei test? >>.
Quella
sua determinazione mi colse
alla sprovvista. Decisamente Annie da lui non aveva ereditato solo il
colore
dei capelli, ma anche la caparbietà.
<<
Dovremo effettuare
un prelievo ed eseguire due test.
Uno é la tipizzazione HLA, cioé la determinazione
molecolare degli antigeni di
superficie dei suoi globuli bianchi, l'altro prevede l'esecuzione di
colture
miste linfocitarie. In poche parole, valutiamo la reazione dei suoi
linfociti
se messi a contatto con quelli di Annie. Spero di essere stata
comprensibile >>.
Annuì.
<<
Sì. Poi in realtà non sono
proprio lontano dalla scienza. Insegno fisica all'università
del New Jersey
>>.
Wow.
Altro che barbone trasandato.
<<
Mi fa piacere, almeno
parliamo la stessa lingua, più o meno >> gli
sorrisi.
<<
Se non le dispiace, possiamo
entrare in ospedale e avviare le procedure per la verifica della
compatibilità
>> gli dissi.
<<
Annie lo sa? >>.
Bella
domanda. Cosa avrei dovuto
rispondergli?
<<
In realtà, sì >>.
Non
potevo mentirgli.
<<
E ... insomma, cosa ne
pensa? >>.
Era
ancora più agitato di quando era
arrivato.
<<
La convinceremo >> mi
limitai a dire.
<<
Potreste dirle che avete
trovato un midollo compatibile nella banca internazionale
>> propose.
Quell'uomo
era veramente incredibile.
Sembrava ci tenesse davvero ad Annie. Ma perché, allora,
aveva abbandonato lei
e sua moglie?
<<
Non credo si possa fare,
signor Cohen. Non é proprio legale, né etico
>>.
Rimase
deluso.
<<
La compatibilità va comunque
verificata. Prima di avere i risultati degli esami, non possiamo
sbilanciarci
>> tentai di consolarlo.
<<
Lo so che ho commesso un
errore imperdonabile, dottoressa. Non avrei mai dovuto abbandonare la
mia
famiglia >>.
Forse
si aspettava che dicessi
qualcosa, che lo consolassi, ma io non sapevo proprio cosa dire.
<<
Non sono qui per giudicarla
>>dichiarai infine.
<<
No, certo che no. Questo
spetta solo a Dio. Qui siamo tutti umani e, come tali, fallibili
>>.
Quel
suo modo di fare mi ricordava
molto Annie: determinato, apparentemente sicuro di sé ma in
realtà alla
continua ricerca dell'approvazione altrui.
<<
Io comunque vorrei parlarle.
Prima o dopo il trapianto >>.
<<
Questo non spetta a me
deciderlo >>.
Era
Annie che doveva scegliere se
incontrarlo o meno, certo non io.
<<
Io non volevo abbandonarle!
Dio solo sa quante notti ho passato a pregare per loro due, quante
volte sono
passato davanti a casa loro, negli ultimi vent'anni, vedendo Annie
crescere e
diventare una donna senza di me >>.
Gli
rivolsi uno sguardo
compassionevole.
<<
Sua madre mi tradiva
>> rivelò infine.
|
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Capitolo 11 *** Due gocce d'acqua ***
Due gocce
d’acqua
<<
Come …? >> esordii.
<<
Come faccio a conoscere tua
madre? O meglio, come facevo a
conoscerla >> completò il dottor House.
Sì,
volevo sapere proprio quello.
Annuii in risposta.
<<
Annie, ho visto il tuo
emocromo stamattina. Siamo riusciti ad alzarti la conta piastrinica
>>.
Non capivo cosa
c’entrasse in quel
momento. Gli rivolsi un’occhiata interrogativa.
<<
E’ una cosa buona. Possiamo
farti l’aspirato midollare con il minimo rischio emorragico
>> proseguì
lui. << Posso fartelo io stesso adesso, se per te non
è un problema
>>.
Cosa voleva che
mi importasse di
quello stupido esame? Conosceva mia madre, e questo sì che
mi interessava, e
non poco. Decisi di stare al suo gioco: sembrava che gli piacesse la
sensazione
di avere il controllo di tutto (e di tutti).
<<
D’accordo, non ho
preferenze. Però mi deve spiegare come fa a conoscere mia
mamma >>.
<<
Va bene >> cedette.
Prese una
boccetta e una siringa dal
carrello infermieri.
<<
Devi metterti prona, a
pancia in giù. Adesso ti disinfetto la zona e inizio a
somministrarti un
anestetico >>.
Seguii le sue
direttive. Si avvicinò
di più a me: sentivo che mi stava umettando la schiena
(pardon, la spina iliaca postero-superiore)
con il
disinfettante e avvertii come un lieve pizzicore quando mi
iniettò
l’anestetico. Probabilmente ebbi un sussulto,
perché House sembrò quasi
preoccuparsi per me.
<<
E’ tutto a posto >> lo
rassicurai.
<<
Certo che è tutto a posto.
Qui alle tue spalle hai il più dotato medico di tutto il New
Jersey >>
esclamò lui in risposta, fingendosi indignato.
<<
Dobbiamo aspettare che
l’anestetico faccia effetto >> aggiunse,
gettando la siringa nel cestino
dell’immondizia.
<<
Nel frattempo … >>.
<<
Nel frattempo mi racconta di
lei e mia madre >> conclusi io.
<<
Certo, come vuole lei, signorina
>> enunciò, sarcastico.
<<
Se senti una strana
sensazione alla tua spina iliaca, mentre ti intrattengo con le mie
proverbiali
doti di retorica … sappi che ho iniziato l’esame
>>.
<<
D’accordo, me l’ha già
accennato Allison che è un po’ fastidioso
>> controbattei,
impaziente.
<<
Che paziente impaziente
>> strepitò. <<
Non tutti sanno che, oltre alla laurea in medicina e alle due
specializzazioni,
io sono laureato anche in Fisica >>.
<<
E questo cosa c’entra? Tanto
meglio per lei >> proruppi.
<<
Fammi parlare, ragazzina. E’
proprio alla facoltà di Fisica che ho conosciuto
… tuo padre e tua madre
>>.
Non poteva
essere, quel medico si
stava sbagliando.
<<
Mia madre non era laureata
in Fisica >> specificai.
Mi stava davvero
infastidendo, con
quel suo tono saccente.
<<
No, certo che no. Non ha
potuto proseguire gli studi >> disse lui.
Si
alzò e si diresse verso il
carrello, togliendone fuori una specie di siringa. Doveva essere
l’aggeggio per
l’aspirato midollare.
<<
Fu costretta a ritirarsi perché
tua nonna stava male, e aveva bisogno di lei >>
proseguì, teatrale.
<< E’ sempre stata così altruista,
tua madre … era veramente una specie
di angelo >>.
Conoscevo mia
madre, non c’era
bisogno di descrivermela. Era un tipo che metteva gli interessi degli
altri
davanti ai suoi, anche a costo di sbagliarsi. Non negava a nessuno un
pizzico
di fiducia, e l’avevo sempre rimproverata per questo. Dio
solo sapeva quanto me
ne fossi pentita dopo la sua morte, così inaspettata e
improvvisa; ancora mi
rimproveravo di non averle mai detto quanto la ammirassi per quella sua
dote,
quanto aspirassi a diventare come lei. D’altronde, mi ero
iscritta a
Veterinaria per questo, qualche mese dopo il suo funerale. Lei amava
gli
animali, e io come lei: curarli sarebbe stato il mio compito.
<<
Tu le somigli molto, te l’ho
detto. Siete due gocce d’acqua >>.
Non risposi a
quella sua
affermazione. Non mi ritenevo degna di tale paragone.
<<
Anche a te piacciono gli
animali? >> mi chiese House, quasi leggendomi nel
pensiero. Il suo tono
adesso sembrava diverso, quasi … dolce.
Mi sentii folle a pensarlo: erano solo due giorni che conoscevo
quell’uomo, ma
lui e la dolcezza sembravano agli antipodi, un po’ come gli
Stati Uniti e la
Russia.
<<
Sì, li adoro
>> dissi infine.
<<
Tipico di tua madre. Te l’ho
detto, sei la sua fotocopia >>.
Mi sorrise e
proseguì nel racconto.
Gli piaceva essere al centro dell’attenzione degli altri.
<<
Come ti dicevo, tua madre
non si laureò in Fisica. Ma tuo padre sì. Al
tempo, eravamo grandi amici
>> rivelò.
<<
Così conoscevi i miei
genitori. Spero che quel “al tempo
eravamo amici” significhi che non lo siete
più >>.
Ero passata a
dargli del tu. Non so
perché, ma quella situazione era quasi familiare
per me.
<<
Cosa ha fatto? Ha abbandonato anche
te? >> domandai,
curiosa.
<<
No, non l’ha fatto. In un
certo senso, sono io che ho
abbandonato lui >>.
Si mise
nuovamente alle mie spalle.
<<
Dopo il college, ci perdemmo
tutti e tre di vista. Vidi tua madre solo in altre due occasioni: una
è stata
il funerale di tua nonna. Non so se te l’ha detto, ma aveva
un tumore al
pancreas che l’ha portata via in soli sei mesi. Alla diagnosi
era già
metastatico, quindi si è potuto fare veramente poco.
E’ stata una delle prime
pazienti del mio migliore amico, il dottor Wilson >>.
Si
schiarì la voce e proseguì.
<<
La seconda volta è stata
circa ventiquattro anni fa >>.
Sussultai, non
so se più per il
dolore dovuto alla siringa che penetrava nella mia pelle o per quella
rivelazione sconvolgente. Ventiquattro
anni fa … Questo significava che House poteva
essere mio padre. Al dolore
seguì quella sensazione che Allison aveva giustamente
espresso, come una sorta
di suzione.
<<
Lo so cosa stai pensando,
Annie. Ci sto pensando anch’io da quando ho letto il tuo nome
sulla cartella
clinica, da quando ho saputo da Cameron che tua madre è
morta di infarto. Da
quando hai detto che tuo padre ti ha abbandonata quando eri solo una
bambina. E
sono io la causa, Annie.
E’ tutta
colpa mia. Non sarei mai dovuto andare a letto con tua madre
>>.
Estrasse la
siringa.
<<
Dovresti avercela con me,
quindi. Non con lui >>.
Non ci capivo
più nulla. House mi
aveva fatto troppe rivelazioni turbanti tutte in una volta, ed io non
ero per
niente preparata a tollerarle. Non tutte insieme.
Sentii House che
si agitava alle mie
spalle. Avvertivo come una sensazione di calore dietro al fianco,
proprio dove
aveva fatto l’aspirato. Voltai la testa per guardare: stavo
sanguinando
copiosamente. Qualcosa era andato storto …
Mentre House
indugiava dietro di me,
quasi immobilizzato dalla paura, entrò in stanza un altro
medico, uno che non
avevo mai visto prima.
<<
House, cosa diavolo sta
succedendo qui …? >>.
Corse dentro la
stanza ed estrasse
delle sacche dal carrello, dirigendosi rapidamente verso di me.
Non ebbi neanche
il tempo di
trovarmelo di fronte, che persi i sensi.
|
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Capitolo 12 *** Arriva l'intuizione ***
Arriva l'intuizione
<<
House? House? >>.
Era Wilson. Dopo quanto successo con
Annie, mi ero chiuso
nella mia stanza, ostinato a non voler parlare con nessuno. Come avevo
potuto
perdere così il controllo? Non era da me bloccarmi in
situazioni d’emergenza, non
mi era mai successo: neppure ai primi anni di specializzazione. Avevo
ragione a
pensare che i sentimenti possono solo portare guai: per poco non moriva
la mia
paziente. Se non fosse entrato Wilson … Wilson, il mio
migliore amico, la
persona di cui più mi fidavo al mondo. L’unico che
avesse visto veramente la
parte di me che più tenevo nascosta, quella che non volevo
che nessuno neppure
sospettasse lontanamente.
<<
House, mi stai facendo
preoccupare >>.
Andai ad aprire
la porta: era ovvio
che non avrebbe ceduto, lo conoscevo troppo bene. In quei due giorni
avevamo
discusso più e più volte su Annie, riguardo alla
mia potenziale paternità e a
quanto fossi impreparato ad affrontarla. Sì, è
vero, ormai avevo quasi
cinquantacinque anni, ma non ero pronto. Ho sempre visto
l’amore per i figli
come una prerogativa del sesso femminile; d’altra parte, il
darwiniano istinto
di conservazione della specie non era proprio una cosa che potevo avere
io, da
sempre convinto misantropo. Le donne, invece, per loro natura,
desideravano
profondamente la maternità, dai tempi più
antichi: come dicevo io, erano
vittime dell’increzione estrogenica delle loro ovaie. Eppure,
dal primo giorno
che avevo visto Annie, specie da quando avevo iniziato a sospettare che
fosse
mia figlia, non so perché, ma avevo come
l’impressione di aver stilato una
sorta di legame con lei. Che
fossero
i nostri geni i responsabili?
<<
Si può sapere cosa ti è
preso prima? >> esordì Wilson.
<<
Non lo so >> risposi,
laconico.
<<
House, non ti riconosco più
>> sentenziò.
Non mi
riconoscevo più neppure io.
<<
Grazie per essere
intervenuto >>.
<<
Di nulla >>.
Si sedette
accanto a me, a un lato
del tavolo.
<<
Hai parlato con la ragazza?
>>.
<<
Sì, prima di rischiare di
farla dissanguare le ho parlato. Ma non avrei dovuto >>.
<<
E perché no? Ha diritto di
sapere >>.
Tipico di
Wilson, quell’atteggiamento
da capo scout.
<<
Sapere cosa? Che suo padre
potrebbe essere un tossicomane come me? Che non può fare a
meno di prendere
Vicodin, spesso più volte al giorno? Non la farà
certo stare meglio,
soprattutto se mi impedisce di arrivare alla sua diagnosi
>>.
<<
No, House, non fare così.
Devi calmarti e ragionare. Ad Annie servi lucido >>.
Non avevo voglia
di ribattere: Wilson
la faceva sempre così facile. In realtà, quella
situazione era tutto fuorché
facile.
<<
Hai intenzione di fare il
test di paternità? >> chiese.
<<
L’ho già fatto. Attendo i
risultati >>.
Wilson parve
turbato e colpito al
tempo stesso.
<<
Sono fiero di te >> si
limitò a dire.
Mi alzai dalla
sedia e presi due
tazze di caffè, dandone una al mio collega.
<<
Hai esaminato l’aspirato di
Annie? >> domandò.
Mi conosceva
davvero bene, pensai.
Aveva capito che era opportuno cambiare argomento.
<<
Sì, poco fa. Non ha la
leucemia mieloide cronica >>.
<<
E’ una notizia
straordinaria, House >>.
<<
No, non lo è >>.
Wilson mi
guardò, stupito.
<<
Se avesse avuto la LMC,
forse avremmo potuto curarla con l’Imatinib.
Invece non abbiamo la minima idea di quello che abbia >>
dichiarai.
Era la
verità. Brancolavamo nel buio
più totale.
<<
E le ipotesi di Cameron e
Chase? >> si interessò.
<<
Sono ipotesi stupide, senza
credibilità. Sono sicuro che non abbia
l’amiloidosi né l’infezione da EBV
>>.
Sorseggiai il
caffè.
<<
Arriverai anche stavolta
alla diagnosi, House. Lo fai sempre
>> mi incoraggiò Wilson.
Sì,
ma questa volta era diverso
…
<<
House >>.
Cameron si era
precipitata nella
stanza, verso di me.
<<
Si è fatto vivo il padre di
Annie. Si sta sottoponendo alle procedure per la verifica della
compatibilità
del midollo >>.
Ci mancava solo
Gary.
<<
Bene … >> dissi.
<<
Ha chiesto di parlare con il
medico di sua figlia >>.
Cosa voleva da
me Cameron? Non avevo
mai parlato con nessun parente, in tutta la mia carriera. Non vedevo
perché
avrei dovuto farlo proprio quel giorno.
<<
Cameron, lo sai che io non
sono quel tipo di dottore >> la congedai.
<<
Sì, lo so, House. Ma lui ha
chiesto espressamente di parlare con te >>.
Le sue parole mi
spiazzarono.
<<
Con il dottor House
>> aggiunse, rimarcando il concetto.
Sapeva essere
davvero insopportabile
quella donna.
<<
Dille che sono tornato a
casa >>.
Cercavo di
divincolarmi da quella
brutta situazione.
Wilson mi
rivolse un’occhiataccia.
<<
D’accordo, coalizzatevi pure
contro di me. Andrò a parlarci più tardi
>>.
Non avevo
intenzione di farlo
realmente.
Presi il bastone
e uscii dalla
stanza, lasciando quei due ricattatori da soli. Mi diressi verso la
farmacia
dell’ospedale in cerca di Vicodin: aveva iniziato a farmi
male la gamba.
Perlustrai il magazzino, ma non riuscii a trovarne neanche una
confezione:
qualcosa mi diceva che la Cuddy aveva notato i miei piccoli furti. Una
volta
raggiunto l’atrio dell’ospedale, fui letteralmente
sommerso dagli insulti dei
pazienti del mio ambulatorio, infuriati per le continue assenze.
Una, in
particolare, mi seguì lungo
il corridoio, lamentando nausea e sbalzi pressori. Poteva avere
sì e no sedici
anni, una di quelle ragazzine tutte “casa e chiesa”
che poi ne combinano di
cotte e di crude. Alle sue spalle, la madre, leggermente in sovrappeso,
enfatizzava i sintomi della “sua bambina”.
<<
Dottore, non ce la fa più a
dormire, talmente sta male. La guardi, è solo una ragazzina.
Non riusciamo a
capire cosa ha >>.
Stavo per
risponderle che avevo
perfettamente capito quello che aveva, quando ebbi
un’intuizione geniale.
Suggerii alla madre di chiedere conto al fidanzato della figlia, e mi
diressi rapidamente
verso la stanza di Annie, trovandomi di fronte Gary.
<<
Ciao, Greg >>.
|
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Capitolo 13 *** Meglio non sapere ***
Meglio
non sapere
<<
Ciao, Gary >>.
Squadrai
dalla testa ai piedi il mio migliore amico
di un tempo: non era per niente cambiato. Certo, aveva in testa qualche
capello
bianco in più, e aveva messo su qualche chiletto,
però rimaneva comunque un
tipo molto atletico e curato.
<<
Vedo che frequenti ancora la palestra
>> mi permisi di osservare.
Lui
rivolse a me lo stesso sguardo radiografico che
gli avevo destinato io, ma sembrò meno compiaciuto dallo
spettacolo che aveva
di fronte.
<<
E io vedo che tu continui ad indossare
l'abbigliamento di un ventenne pur essendo ormai sulla cinquantina.
Cos'é,
Greg? Crisi
di mezza età? >>.
A
sentirci lì, in piedi, intenti a lanciarci
battutine, uno spettatore di passaggio avrebbe potuto scambiarci per
amici di
vecchia data, o meglio, per vecchi amici ancora in buoni rapporti.
Nonostante
il piccolo ed insignificante dettaglio
che io ero andato a letto con sua moglie. E non credo che una cosa del
genere
possa essere trascurata.
<<
Beh, c'é chi può permetterselo nonostante
l'età che avanza >> commentai.
Rise.
<<
Non sei cambiato per niente, Gregory
>>.
<<
Devo ammettere che anche tu sei messo
abbastanza bene >> dichiarai, sarcastico (ma in
realtà non troppo).
Seguirono
alcuni secondi di imbarazzante silenzio. Quando
lo sentii schiarirsi la voce, mi preparai a ricevere un pugno in faccia
o un
calcio chissà dove.
<<
Non sono arrabbiato con te >> quasi
confessò a un tratto.
Quella
sua affermazione mi colse impreparato.
<<
Cosa? >> non potei fare a meno di
dire.
<<
Hai capito bene. Ti ho perdonato. Non sono
più quel tipo d'uomo. Dio mi ha fatto rinascere, adesso sono
una persona
completamente nuova >>.
Probabilmente
se trent'anni prima mi avessero detto
che avrei sentito pronunciare simili parole da Gary, non gli avrei mai
creduto.
Era sempre stato un tipo estremamente ribelle, anticonformista, e,
soprattutto, ateo.
Già,
era un ateo convinto, e
la cosa ci aveva sempre legati, sin dal primo giorno in cui ci eravamo
parlati.
Questo e Kate, ovviamente, la madre di Annie. Si vede che era stata
proprio lei
a cambiarlo, nei pochi mesi successivi al loro matrimonio.
Con
me non ci sarebbe mai riuscita.
<<
Quindi adesso sei ... cosa? Cristiano,
come lo era Kate? >> gli chiesi, incuriosito.
<<
No, non è stata lei a farmi convertire.
Sono ebreo. E il merito va a mio fratello Jacob >>.
<<
E quindi è Dio che ti obbliga a
perdonarmi? >>.
Avevo
inconsciamente assunto un tono di sfida.
<<
In realtà, é la mia anima che me lo
chiede. Hai mai sentito la frase “Perdonare
è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero
eri tu”? >>.
Non
commentai.
<<
Non pretendo che tu capisca. A quanto
pare, uno dei due è proprio rimasto lo stesso dei tempi del
college >>.
Non
potei fare a meno di ridere.
Quelle
sue frasi erano totalmente prive di senso,
almeno per uno che, come me, professava quale unica religione la
scienza.
<<
Comunque non sono venuto qui per te, lo
sai bene >>.
<<
L'hai fatto per Annie >> completai.
<< Lo so >>.
<<
Pregherò Dio perché il midollo sia
compatibile. Indipendentemente da chi sia in realtà suo
padre >>.
Mi
rivolse un'occhiata eloquente.
<<
Sei fortunato, Dio ha esaudito le tue
preghiere >> gli dissi.
Si
stupì.
<<
É ... Insomma ... É mia
figlia? >>
domandò, esitante.
<<
Non ne ho la minima idea, e non mi
interessa saperlo. É tutta per te, io non ho alcun tipo di
pretesa su di lei >>
mentii.
<<
Non capisco, Greg >>.
<<
Lo sai che io non sono mai stato quel tipo
di persona, Gary. Insomma, persino Freud avrebbe trovato ripugnante e
anormale
questa mia tendenza al tanathos,
per
dirla con parole sue >>.
<<
Ma si cambia, nella vita. Io sono
cambiato. Puoi farlo anche tu >>.
Mi
diede una pacca sulle spalle. Sembrava non ci
fossimo mai allontanati, in tutti quegli anni.
<<
A Kate piacevano molto le citazioni,
ricordi? Io sono un fisico, ormai, quindi ti citerò il terzo
principio della
dinamica. "Ad
ogni azione corrisponde una reazione uguale e inversa" >>.
<<
E cosa vorrebbe dire? >> finsi di non
capire.
<<
Che il nostro é un equilibrio dinamico,
Greg. Ci illudiamo di avere il controllo di tutto, ma in
realtà é solo
un'utopia. Qualsiasi cosa ci accada, anche quella in apparenza
più banale ed
insignificante, produce in noi una reazione. Quindi ... reagiamo
>>.
Lo
guardai intensamente, fingendomi meravigliato
dalla sua argomentazione.
<<
Lo sai che ti sei fatto proprio una voce
sexy >> commentai, sdrammatizzando.
Era
una delle mie poche doti, la capacità di
sdrammatizzare.
<<
Grazie,
dottore >> rise lui. << E tu
con quel bastone? Chi ti credi
di essere, Mosé? >>.
<<
É chiaro che questa tua conversione abbia
impoverito il tuo vocabolario del sarcasmo. Dovremmo farci un'uscita e
parlarne
>>.
Continuò
a ridere.
<<
Comunque ... Mi sembra di aver capito che
tu abbia avuto una delle tue famose intuizioni diagnostiche, con Annie
>>.
<<
Direi proprio di sì >>.
Un
entusiastico sorriso gli illuminò il volto.
<<
Sei proprio un genio, Gregory. Un
genio del male, ma comunque un genio >>.
<<
Direi di andare a parlare ad Annie
>> suggerii.
<<
Vorrai dire con
Annie
>> mi corresse.
<<
Io vado semplicemente a comunicarle la
diagnosi. Voi due, poi, potete pure prendere un tè insieme,
per quel che mi
riguarda >>.
Avevo
deciso di non voler conoscere i risultati del
test di paternità. Che senso aveva volerlo,
dal momento che non avevo alcuna intenzione di fare da
padre a quella
ragazzina e da baby sitter al suo fidanzato? Avrei finito di certo per
abbandonarla anche io, talmente inaffidabile da non riuscire neppure a
badare a
me stesso, lasciandola così doppiamente delusa.
Forse
Annie aveva proprio ragione: alle volte è
meglio non
sapere.
|
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Capitolo 14 *** Una nuova vita ***
Una nuova vita
<<
Buongiorno, principessa >>.
Sollevai
le palpebre e mi trovai accanto
Andrew.
<<
Ho un dejà vu o è già successo?
>>.
Tentai
di ricordare ... House che mi faceva
l'aspirato midollare, qualcosa che andava storto, tutto quel sangue ...
Avevo
nuovamente perso i sensi.
<<
No, la scorsa volta mi avevi citato
Sparks. Adesso siamo passati a Benigni >>.
Lo
guardai.
<<
A quanto pare qualcuno non si era
veramente addormentato davanti alla tv >>.
Rise.
<<
Certo che no, amore >>.
Mi
baciò sulla fronte.
<<
Non nei primi dieci minuti, almeno
>>.
Gli
lanciai addosso un cuscino.
<<
Un capolavoro del genere, premio Oscar
… E tu ti addormenti. Non cambierai mai >>.
<<
Dai, non prendertela. Ti prometto che
lo rivedremo insieme. É nella lista di cose da fare prima
... >>.
<<
... prima di morire?
>>.
Che
stupida, non avrei dovuto dirlo. Andrew
parve turbato, ma si ricompose subito.
<<
Stavo per dire prima di sposarsi, ma
vedo che tu forse preferisci la morte ad una vita insieme a me
>>
sdrammatizzò.
<<
Scemo >> mi limitai a dire.
<<
Comunque, al prossimo risveglio mi
devi citare “Un ponte per Terabithia”. Lo sai che
è tra i miei romanzi
preferiti >>.
<<
Ho già comprato il libro e affittato
il film >> disse, sarcastico.
Ridevamo
di gusto, quando entrò il dottor
House. Dopo le sue rivelazioni, mi metteva non poco a disagio la sua
presenza.
<<
Ecco gli altri due piccioncini
>> commentò, disgustato.
Non
era solo. Alle sue spalle c'era un uomo che
avrà più o meno avuto la sua età, ma
molto più elegante e curato.
<<
Un altro dottore? >> chiesi,
leggermente innervosita.
<<
Sì, ad essere onesti é un dottore.
Però in Fisica >>.
Cavolo,
doveva essere mio padre. O meglio,
l'ex marito di mia madre. Quell'idiota aveva
avuto il coraggio di presentarsi lì, in ospedale. Gli
rivolsi una rapida
occhiata, una delle mie occhiate-scanner, come le chiamava Andrew.
Certo che
non aveva proprio l'aspetto di un fisico, o almeno non rispecchiava il
mio
modello/stereotipo di fisico, cioè un tipo a metà
tra uno psicopatico e Sheldon
Cooper di 'The big bang theory'.
Era
molto alto e atletico, e, dovetti ammettere, aveva i capelli dello
stesso
colore dei miei. Strana coincidenza, considerando che non ero certa che
fosse
mio padre.
<<
House, le avevo già detto che non
voglio vedere quell'uomo >>.
Parve
sollevato dal fatto che gli avessi dato
del lei, mantenendo le distanze: evidentemente nessuno dei due voleva
mettere
Andrew e il mio potenziale padre a conoscenza della nostra
conversazione di
poco prima.
<<
Lui sarà solo uno spettatore paziente,
Annie. Ne ha diritto, dopo aver fatto i test per verificare la
compatibilità
del suo midollo >>.
Non
avevo voglia di litigare con nessuno in
quella stanza, quindi semplicemente mi voltai verso House, dando le
spalle a
quell'uomo.
<<
Annie,
sarai contenta di sapere che non hai la leucemia.
Né tanto meno la
mononucleosi o l'amiloidosi >>.
Leucemia?
Non
sapevo neanche che avrei potuto averla. Evidentemente, Allison non
era stata onesta al cento per cento con me.
<<
E che cosa ho, quindi? >>
chiesi.
Non
ne potevo più dei loro continui cambi di
diagnosi.
<<
Niente.
Assolutamente niente >>.
Lo
fissai, stupita.
<<
Ma lei ... >> iniziò Andrew.
<<
O meglio ... Non ha nessuna malattia
>> lo interruppe House.
Adesso
a fissarlo, inebetiti, eravamo in tre.
<<
Non sono mai stato bravo in queste
cose, di solito dò notizie negative ... Congratulazioni
>>.
Continuavo
a non capirci nulla.
<<
Beh, Annie ... Sei incinta
>>
rivelò infine.
Incinta?
Io
ed Andrew ci guardammo, meravigliati e
confusi al tempo stesso.
<<
É incinta? >>.
Era
stato mio padre a parlare, alle mie spalle.
Sembrava quasi emozionato.
<<
Già, Annie. Sei incinta >>
rimarcò House.
<<
Ma come ... E tutti i miei sintomi?
Avevo capito di avere un'aplasia midollare ... >>.
<<
E infatti ce l'hai >>.
<<
Ma cosa diavolo vuol dire? >>.
Stavo
perdendo la pazienza.
<<
E’ dovuta alla tua gravidanza
>>.
Prese
una sedia e si sedette.
<<
E’ raro, ma può succedere. Sono stati
descritti diversi casi, ad oggi, di aplasia midollare nelle donne in
gravidanza. Non si sa esattamente quale sia la causa. Certo
è che il tuo
sistema immunitario, per ragioni sconosciute, si attiva contro le tue
cellule
ematiche, distruggendole prematuramente. Questo giustifica la tua
epistassi incredibilmente copiosa
– citando Cameron
-, le tue numerose ecchimosi ed il sanguinamento dopo
l’agoaspirato. E’ tutto
dovuto alla piastrinopenia. La distruzione degli eritrociti giustifica
la tua attuale
anemia, e il deficit di neutrofili le infezioni ricorrenti. La tua
gastroenterite di qualche settimana fa, però, non era una
gastroenterite,
Annie. Lo capisci bene >>.
Certo
che lo capivo. Era la gravidanza.
<<
Adesso ti doseremo la beta – HCG per
vedere esattamente a che mese sei, ma non oltre il secondo, secondo il
mio
modesto parere >>.
Aveva
ragione. Sicuramente ero quasi al secondo
mese, non più avanti. Anche se la sua ipotesi continuava a
non convincermi al
cento per cento, potevo essere certa di quello. Semplicemente
perché io ed
Andrew eravamo stati insieme, da quando ci eravamo fidanzati, tre anni
prima,
solo una volta. Quella volta. Mia
madre mi aveva trasmesso la sua Fede, ripetendomi sempre, fino alla
nausea, che
“esiste solo una persona giusta nella vita, che Dio ci ha
destinato”. Io ero
sicura che quella persona fosse Andrew, quindi perché
continuare ad aspettare?
Non c’era dubbio che ci saremmo sposati.
E
infatti non avevo sbagliato.
<<
Ma io ho avuto il ciclo. E’ stato qui,
davanti a voi, giusto ieri >> osservai, confusa.
<<
Non era il ciclo >>.
Mi
venne in mente uno di quei programmi stupidi
che mandavano spesso in tv. Beh, anche io potevo dire di non sapere di
essere
incinta.
<<
E cosa dobbiamo fare, quindi? Insomma,
Annie ha comunque l’aplasia midollare >> chiese
Andrew.
<<
Temo che dovrà rimanere qui da noi per
i sei/sette mesi successivi. Dobbiamo evitare che sanguini, mantenendo
una
conta piastrinica sufficientemente alta, e, soprattutto, che prenda
infezioni.
Potrebbero nuocere al bambino >>.
Andrew
mi guardò: sembrava al contempo la
persona più felice e più preoccupata del mondo.
<<
Supereremo anche questa >> lo rassicurai.
Ed
ero sicura che ce l’avremmo fatta. Non so perché,
ma sapevo di aspettare una bambina:
da
lì a pochi mesi sarebbe nata Kate.
|
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Capitolo 15 *** Si sta come d'autunno ... ***
Si
sta
come d'autunno ...
Scendo
lievemente nella bellezza primitiva dell'inesplorato mondo sottomarino.
Fluttuo
in un silenzio, che rompo soltanto col suono del mio respiro. Sopra di
me c'è
solo lo scintillio della luce, il luogo da cui provengo e a cui
tornerò
risalendo in superficie.
Scendo,
ancora,
sempre più in fondo. Continuo a immergermi lungo banchi di
corallo e alghe
fluttuanti verso il blu profondo, dove c'è un banco di
argentei pesci.
E
muovendomi
nell'acqua emetto piccole bolle, che come meduse salgono sinuose.
Controllo la
mia bombola, non ho il tempo che mi occorre per vedere ogni cosa.
Ma
è questo che
rende il tutto speciale.
Era
decisamente
il mio passaggio preferito di 'Un ponte
per Terabithia'. Dopo aver citato ad Andrew il romanzo, era
stato
velocissimo a portarmelo in ospedale, insieme ad una decina di altri
libri.
"Dovrai passare molto tempo qui dentro", aveva detto, a mo di
giustificazione. Nessuno mi conosceva meglio di lui.
Chiusi
il libro
e lo posai sul comodino accanto al letto. Andrew era uscito a comprarsi
da
mangiare, e sarebbe tornato a breve. Sentii aprire la porta della
stanza: era
Allison.
<<
Ciao,
Annie >>.
Mi
rivolse uno
dei suoi più calorosi sorrisi.
<<
Ciao
>> ricambiai.
<<
Sarai
contenta di sapere che sono arrivati i risultati della beta - HCG. Ti
posso
dire con certezza scientifica che sei alla settima settimana di
gravidanza
>>.
<<
Avevo
calcolato bene, allora >> commentai, ridendo.
<<
Ora
posso farti ufficialmente gli auguri. Sono felicissima per te
>>.
<<
Grazie,
Allison >>.
<<
House
ti avrà detto che per i prossimi sette mesi saremo noi la
tua famiglia
>>.
<<
Non
l'ha proprio detto così, però sì, mi
ha accennato il fatto che dovrete
sopportarmi per molto tempo >>.
<<
Guarda
il lato positivo ... Non ti servirà più un
midollo >> mi
fece notare.
<<
Quindi
non verificherete la compatibilità? >>.
<<
Non
abbiamo alcun motivo per farlo. L'aplasia si risolverà
spontaneamente al
momento del parto >>.
Cavolo.
Non
avrei mai
saputo chi era veramente il mio padre biologico, se quel fisico
palestrato o il
dottor House.
Non
che
preferissi l'uno o l'altro: nessuno dei due era degno di fiducia.
<<
Hai per
caso qualche interesse a saperlo? Se vuoi, possiamo ripetere i
controlli
>> propose Allison.
<<
No, non
mi interessa >> mentii.
<<
Tuo
padre é sempre qua fuori >> rivelò.
<<
Che ci
rimanga. É libero di fare quello che vuole >>.
<<
Annie,
non voglio farmi i fatti tuoi, ma Andrew mi ha parlato molto di te in
questi
giorni. In un'occasione, in particolare, mi ha confessato che la tua
dote più
bella é la capacità di perdonare gli altri, come
hai fatto con lui >>
disse eloquentemente.
Aveva
ragione.
Pensai a quello che avevo detto ad Andrew il giorno prima: errare
é umano,
perdonare é divino.
Ma
io non ero
Dio.
<<
Ti
prego, non ho voglia di parlarne adesso >> liquidai
Allison.
<<
Come
vuoi tu. Ma ricordati che quell'uomo era pronto a donarti il midollo,
pur senza
conoscerti >>.
Uscì
dalla
stanza. Possibile che quella donna dovesse sempre farmi sentire in
colpa?
Entrò
Andrew.
<<
Qui
dentro c'é un via vai di gente >> commentai.
<<
Di
solito diventi sarcastica quando ti fanno arrabbiare. Che ti ha detto
Allison?
Che nascerà un maschietto? >> chiese,
poggiando un vassoio sul tavolo.
Si
aspettava che
ridessi, ma ero ancora irritata per la discussione di poco prima.
<<
Che
succede, amore? >> chiese, facendosi serio.
<<
Allison
... Vuole che perdoni quell'uomo >>.
<<
Capisco
>>.
Si
sedette
accanto a me.
<<
Dovresti farlo >>.
Lo
guardai,
contrariata.
<<
Con me
l'hai fatto >>.
<<
Non mi
sembra proprio la stessa cosa. Tu mi sei stato vicino, in tutti questi
anni
>>.
<<
E tuo
padre ti avrebbe donato il midollo senza pretendere nulla in cambio,
devi
riconoscerlo. E adesso é qui fuori che aspetta solo di
parlare con te >>.
<<
Non lo so,
Andrew. Non mi sento pronta. Ci ha abbandonate >>.
<<
Ma
resta comunque l'unico membro della tua famiglia ancora in vita. Se non
lo
perdonassi, finiresti col pentirtene in futuro >>.
Forse
aveva
ragione.
<<
Gli
parlerò >>.
Mi
sorrise
calorosamente.
<<
Ma non
adesso >> chiarii.
<<
Certo,
amore. Quando sarai pronta >>.
Mi
baciò.
<<
Avevi
detto di aver portato il lettore dvd e qualche film, oltre ai libri
>>.
E
così passammo
il resto della serata davanti alla tv.
I
giorni
successivi quasi volarono in ospedale. Ben presto arrivò
l'estate, e poi
l'autunno. House in quei mesi si fece
vedere poco o nulla, con la scusa di 'non voler frequentare reparti
diversi dal
suo'. Allison veniva a trovarmi quasi ogni giorno,
evitando
sempre scrupolosamente di parlare di Chase o limitandosi a mandarmi
saluti da
parte sua. Avevo però notato che, per qualche strano motivo,
quando entrava in
stanza la mia ginecologa si volatilizzava letteralmente, arrancando
questa o
quella scusa. Mio
padre si era affittato
un monolocale a pochi passi dal policlinico, così da potermi
stare vicino. Nei
parecchi giorni trascorsi insieme, avevo imparato a conoscerlo, e -
devo
ammetterlo - mi ero davvero affezionata a lui. Era un tipo molto
affettuoso,
che, come me, credeva fortemente in Dio e aveva sani principi.
<<
Sei
sicura di voler restare sola stanotte? >>.
Erano
già le
undici di sera del 9 Novembre, quando me lo chiese.
<<
Sì, non
ti preoccupare. Ci sarà Andrew con me >> lo
rassicurai.
<<
D'accordo. Chiama se hai bisogno >> disse, guardandomi il
pancione. Era
agitato.
<<
La
potete smettere tutti di guardarmi la pancia? Ok, sono quasi al nono
mese. Non
c'è bisogno di ricordarmelo ogni cinque secondi
>>.
Rise.
<<
Quel
sarcasmo l'hai proprio ereditato da tua madre. A proposito ... Si
può sapere il
sesso del bambino? >> domandò, curioso.
<<
Ti ho
già detto che non ce n'é bisogno. So che
é una femmina >> risposi.
<<
Come
vuoi tu, tesoro. Io vado a casa, domani ho lezione alle 9
>>.
Mi
baciò sulla
guancia e se ne andò.
Che
bel tipo,
pensai, mio padre.
Mi
stavo alzando
a prendere una bibita, quando avvertii una strana sensazione. Come ...
una
fitta. All'improvviso mi ritrovai completamente bagnata.
<<
Amore, stai per partorire!
>> strillò Andrew,
precipitandosi nella stanza e facendo cadere a terra il panino che si
era
andato a prendere al bar.
|
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Capitolo 16 *** Barukh atah Adonai Eloheinu ... ***
Barukh
atah Adonai Eloheinu …
<<
Sta
entrando proprio adesso in sala parto. Le si sono rotte le acque
>>.
Wilson
era
venuto ad avvisarmi.
<<
Credi sul
serio che mi importi? >>.
<<
Sì,
sono sicuro che ti interessi. Ti
conosco da anni, House >>.
Non
l'avrei mai
ammesso davanti a lui, ma aveva ragione. In quei mesi, non avevo fatto
altro
che pensare ad Annie, pentendomi di non aver voluto conoscere il
risultato del
test di paternità. Quella ragazza mi ricordava
incredibilmente sua madre, Kate,
una delle poche donne che avessi mai davvero amato in vita mia. E, dopo
di lei,
non avevo provato gli stessi sentimenti per nessun altra.
<<
Chi la
farà partorire? >> domandai.
<<
La
dottoressa Sanders >>.
<<
L'ex di
Chase. Bene, ho un buon motivo per scendere in sala parto, allora.
Sicuramente
ci saranno anche lui e Cameron >>.
Il
rapporto tra
quei due, se possibile, era ancora più complesso di quello
tra me e la Cuddy.
Nessuno di loro aveva intenzione di dire all'altro cosa provava
veramente, ed
io mi divertivo tantissimo a vederli esitare.
<<
Ci
andiamo insieme? >> chiesi a Wilson.
<<
Quindi
ci andrai? >> domandò in risposta, con aria
vittoriosa.
Lo
odiavo,
quando assumeva quell'espressione.
<<
So che
la dottoressa che segue Annie é un'ex di Chase, e sono
curioso di vedere come
andrà a finire tra i due mocciosetti
>>.
Sorrise.
<<
Mi
dispiace, House, ma oggi ho l'agenda piena. Qualcuno dovrà
pur lavorare, a
questo piano >> disse, uscendo dalla stanza.
Presi
il bastone
e scesi in sala parto.
<<
Cerca
qualcuno? >>.
Era
l'infermiera
del reparto.
<<
Annie
Cohen. Dovrebbe essere in sala parto >> dichiarai.
<<
Sì, può
sedersi in sala d'attesa. Sta partorendo proprio adesso
>>.
Fantastico.
Non
potevo entrare. D'altra parte, con che diritto avrei potuto farlo?
Non
ero certo suo padre.
Davanti
all'ingresso trovai Chase e Cameron, entrambi visibilmente preoccupati.
<<
Vi pago
per stare seduti, vedo >> esclamai.
Cameron
abbozzò
un sorriso.
<<
Senti
da che pulpito. Certo che da te non me lo sarei mai aspettata, House.
Mi
sorprendi >>.
<<
Perché
mai? >> mi finsi confuso.
<<
Tu che
scendi in sala parto é già epico, figuriamoci poi
se lo fai per informarti di
una tua paziente >>.
Mi
guardò,
colpita.
<<
Ti
abbiamo sentita parlare con l'infermiera >>
svelò.
<<
Stai
tranquillo, andrà tutto bene. Con lei c'è la
Sanders >> mi rassicurò
Chase.
<<
Allora
siamo a posto. Se c'é lei, non c'è da
preoccuparsi >> commentò Cameron,
acida.
Chase
si incupì.
<<
Almeno
mi rivolgi la parola. É un passo avanti >>.
<<
Piccioncini, non per farmi i fatti vostri, ma ve lo direte mai che vi
amate?
>> intervenni.
Non
ne potevo
più di sentirli lanciarsi frecciatine.
<<
House,
fatti gli affari tuoi >> sbottò Chase,
alzandosi e andandosene.
In
quel momento,
si aprì la porta scorrevole della sala parto e ne
uscì Gary, visibilmente
emozionato.
<<
Ragazzi, é nata Kate.
Tre chili e
mezzo per cinquantadue centimetri >> annunciò,
rivolto più a me che a
Cameron.
Sorrisi
involontariamente,
sperando che nessuno l'avesse notato.
<<
Annie
come sta? >> gli chiesi.
Stava
per
rispondermi, quando sentimmo la dottoressa Sanders urlare all'ostetrica.
<<
Servono
delle sacche di sangue, la ragazza sta sanguinando troppo!
>>.
Qualcosa
non
andava.
Non
poteva
essere.
Dopo
il parto,
l'aplasia avrebbe dovuto regredire. Gary si voltò a
fissarmi, bianco in volto.
<<
Greg,
come ...? Avevo capito che sarebbe guarita, dopo il parto ...
>>.
Non
sapevo cosa
rispondergli.
Iniziò
a
pregare.
<<
Barukh atah Adonai Eloheinu, melekh
ha’olam …
>>.
Sì,
rivolgiti al
tuo Dio, avrei voluto dirgli. Ti aiuterà sicuramente. Annie
stava di nuovo male,
questi erano i fatti. Ed io non avevo la minima idea di quale fosse la
causa.
<<
Vuoi
smetterla di pregare? Nessuno esaudirà le tue preghiere,
Gary. Questa é la dura
verità >> non potei trattenermi.
<<
House
... >> si intromise Cameron.
<<
Lascialo stare. Fa così perché ha paura
>> mi difese Gary. << Cosa
vuoi che faccia? Io
posso solo affidarmi
alla preghiera >> si rivolse a me.
La
preghiera ...
<<
Tu sei ebreo >> pensai
ad alta
voce.
Chiamai
l'infermiera di turno.
<<
Dica
alla dottoressa Sanders di somministrare ad Annie la prostaglandina E2
e di
farle una trasfusione piastrinica. Ho capito tutto >>.
|
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Capitolo 17 *** Essere felici ***
Essere
felici
<<
Sto
pensando a qualcosa di arancione …
>>.
Sollevai
le palpebre. Era Andrew, era sempre
lui.
<<
Proprio un tocco di stile, citarmi “Alla
ricerca di Nemo” >> gli
dissi.
<<
Sarà perché qualcuno me l’ha fatto
vedere fino alla nausea, nell’ultimo mese >>.
Mi baciò. <<
Buongiorno e ben svegliata >>.
<<
Posso dire a mia discolpa che è stata
Kate ad obbligarmi >> scherzai.
<<
Così piccola, ma già così potente.
Dovrei preoccuparmi >>.
<<
Dov’è adesso? >> gli chiesi.
<<
In osservazione. Dicono che devono
somministrargli del collirio antibiotico e della vitamina K come
profilassi, e
poi sarà tutta nostra >>.
Era
visibilmente commosso.
<<
Sono felicissimo >> disse.
E
si vedeva.
<<
Cosa è successo dopo il parto?
>>.
Non
ricordavo assolutamente nulla, salvo le
urla della ginecologa, preoccupata perché non smettevo di
sanguinare.
<<
Hai avuto un’altra emorragia, Annie,
simile a quelle del primo periodo di gravidanza >>.
<<
Come? >> esclamai. <<
Avevo capito che l’aplasia sarebbe regredita dopo il parto
>>.
<<
E infatti è regredita. Non ci ho
capito molto neanche io, aspettiamo il tuo dottore per spiegarcelo
>>.
Sembrava
più confuso di me.
<<
Eccolo >> aggiunse.
House
stava entrando in stanza, seguito da mio
padre.
<<
Ciao quasi sposi >>
esordì.
<<
Allora? Cosa è successo? >>
andai al dunque.
<<
Sei sempre stata poco paziente
>> osservò. << Beh,
diciamo che le tua epistassi forse non era dovuta all’aplasia
midollare, o
almeno, non inizialmente >>
Non
ci capivo più nulla.
<<
Sono quasi sicuro che tu abbia la tromboastenia
di Glanzmann >>
disse, convinto così di dirimere ogni mio dubbio.
Ma
ovviamente non era così.
<<
E cosa sarebbe? >> chiesi.
<<
E’ una piastrinopatia ereditaria. In
breve, le tue piastrine si aggregano poco o nulla, e ciò
è dovuto alla carenza
di una proteina normalmente presente sulla membrana di queste cellule.
PT e PTT
erano normali, come anche la conta piastrinica – almeno prima
che si
instaurasse l’aplasia midollare – perché
il difetto non interessa i fattori
della coagulazione, indagati da PT e PTT, né comporta un
deficit quantitativo
delle piastrine >>.
<<
Ma cosa comporta questa malattia? E’
grave? >> si intromise Andrew.
<<
No, non direi. O meglio, non nel caso
di Annie. Esistono quadri di diversa gravità, da forme
più blande a forme più
aggressive e potenzialmente fatali. Sono sicuro che Annie abbia una
forma
lieve, come dimostra il fatto che non ha mai avuto manifestazioni
emorragiche
prima della gravidanza, che è stata una sorta di fattore precipitante. Per la diagnosi, dobbiamo
innanzitutto verificare l’inefficacia,
al laboratorio, dei comuni agenti aggreganti, per poi dosare i livelli
del complesso
glicoproteico deficitario. In realtà, per avere il sospetto
sarebbe bastato
fare un tempo di emorragia, che sarebbe risultato aumentato. Peccato
che né Cameron
né Chase l’abbia mai fatto >>
puntualizzò.
<<
E la terapia? >> domandai.
<< Devo fare qualche terapia? >>.
<<
No, non esiste una terapia specifica.
In pratica, si può intervenire solo al momento
dell’emorragia, con trasfusioni
piastriniche o, come nel parto, con la PGE2. Se l’emorragia
è lieve, puoi usare
l’acido tranexamico. Comunque non preoccuparti di questo, ti
scriverò tutto
nella cartella di dimissione. Così, se e quando sanguinerai
ancora, sarai
preparata >>.
Mi
sorrise ( strano ma vero). Fece per
andarsene, quando mi venne in mente una domanda.
<<
Aspetti >> gli dissi. <<
Ha detto che è una malattia ereditaria >>.
<<
Sì, lo è, infatti. E’ molto rara, e
incide soprattutto fra gli Ebrei, o meglio, fra gli Israeliani
>>.
Israeliani?
<<
Tuo padre è israeliano, vero, Gary?
>>.
Ecco
cosa voleva dirmi. Gary era il mio vero
padre, il mio padre biologico.
Saperlo, non so perché, mi
fece sentire meglio.
<<
Ho capito >> esclamai,
eloquentemente. << C’è la
possibilità che la trasmetta a Kate? >>.
Adesso
ero preoccupata per lei.
<<
No, entrambi i genitori devono essere
portatori del gene mutato. Forse non lo sapevi, ma anche tua madre
viene da una
famiglia di israeliani >>.
Era
vero, l’avevo completamente dimenticato.
Mia nonna era israeliana, ma mio nonno era americano. Si erano
conosciuti
durante la seconda guerra mondiale, mamma me lo raccontava spesso.
<<
Ora, se permettete … vado a casa
>> dichiarò House, uscendo dalla stanza.
<<
Ah, Annie … auguri >>
aggiunse, sulla soglia della porta.
Che
strano, quel medico. Mi ricordai di aver
pensato la stessa cosa già il primo momento in cui
l’avevo visto, al pronto
soccorso, quasi un anno prima. Cavolo, era passato un anno. Un anno di
vita in
ospedale. Risi, ricordandomi di come avevo pregato, tra me e me, che
quell’uomo
non mi visitasse. E invece avevo torto, torto marcio. Grazie a lui,
avevo
scoperto di avere una malattia rarissima, avevo ritrovato mio padre e,
soprattutto, avevo appreso di aspettare Kate.
<<
Amore, guarda chi c’è >>.
Andrew
era andato a prendere Annie. Me la consegnò
in braccio: era così piccola.
Temevo
di farle del male solo toccandola. Aveva i capelli nerissimi, come me,
e gli
occhi azzurri di Andrew. O almeno, sembravano azzurri, ma forse era
troppo
presto per poterlo stabilire con certezza. Le sorrisi, e
sembrò quasi
restituirmi la stessa espressione. Spostai lo sguardo da lei a mio
padre (ora
nonno) al mio (quasi) marito. Andrew aveva ragione: sì,
probabilmente era
proprio così che doveva essere sentirsi felici.
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Capitolo 18 *** Cara Annie ... ***
Cara
Annie …
Stava
piovendo di nuovo.
Era
dall'inizio del mese che non faceva altro che
piovere, quasi a voler drammatizzare il mio stato d'animo, tutt'altro
che gioioso.
Quelli che mi lasciavo alle spalle erano stati senza dubbio i mesi
più
difficili della mia vita, talmente tante rinunce ero stato costretto a
fare.
Insomma, non è da tutti scoprire di avere una figlia ormai
ventenne di cui fino
al giorno prima non sospettavi neanche lontanamente l'esistenza.
Figuriamoci,
poi, sapere che è incinta, e che da lì a pochi
mesi diventerai nonno.
Non
è da tutti, appunto.
Tenere
nascosta al mondo intero la mia
paternità, poi,
era stata decisamente la
scelta più ardua che avessi mai fatto: persino il mio
migliore amico era
all'oscuro di tutto. Ma tanto meglio così; Annie aveva
bisogno di un padre che
fosse all'altezza delle sue aspettative. Annie
... Nessuno saprà mai l'incommensurabile gioia che
ho provato quando ho sentito
il suo nome, prima ancora di conoscerla. Ne parlavano Cameron e Chase
in
corridoio, ringraziando il cielo di essere riusciti ad arrestare la sua
copiosa
epistassi. In pochi sapevano che quello era il nome della mia
amatissima nonna
materna: Anna Bernheim,
si chiamava, Anna
Rose Bernheim. Per gli amici, Annie.
Israeliana, ma questo poco importa. Ricordavo ancora con affetto e
tenerezza i
suoi drammatici racconti sulla Prima Guerra Mondiale, così
colmi di pathos da
fare invidia al miglior scrittore di best seller. E ricordavo bene
anche la
sera in cui, tra un bicchiere di vino bianco e l'altro, avevo parlato
di lei a
Kate, triste per la morte della madre, descrivendola letteralmente come
"una forza della natura",
piena di gioia di vivere nonostante tutte le tragedie che aveva dovuto
affrontare. "Esattamente come mia
mamma", era stata la sua risposta. Ed era la
verità. Samantha, la
madre di Kate, era una
delle persone migliori che avessi mai conosciuto in vita mia:
così energica e
caparbia, capace di ridere (e far ridere) persino durante le
interminabili
sedute di chemio. Se per caso qualcuno le faceva notare questa sua
invidiabile
dote, ammirandola per il modo in cui affrontava la terapia, lei
rispondeva: "Dopo Auschwitz, ogni singola
giornata
di sole per me é una vittoria". Era per questo, mi
dissi, che Kate
aveva deciso di dare a sua figlia due nomi: Annie,
come mia nonna, e Samantha, come
sua
madre. Annie Samantha Cohen.
L'avevo
letto sulla sua cartella clinica.
Guardai
nuovamente fuori dalla finestra: aveva
smesso di piovere. All'ingresso dell'ospedale, centinaia di palloncini
rosa
catturavano l'attenzione dei passanti, trascinati da un ragazzo sui
trent'anni.
Andrew aveva davvero esagerato, pensai. Non gli avrebbero mai
consentito di
entrare in reparto con tutta quella roba. Mentre lo osservavo, intento
a
districarsi fra le auto parcheggiate, non potei fare a meno di provare
invidia
per lui: a breve avrebbe tenuto in braccio, per la prima volta, sua
figlia.
Mentre io me ne stavo lì, solo,
nel
mio studio, intento a rimuginare sul passato, senza che Annie neppure
sospettasse quale fosse il mio più grande desiderio.
Né tanto meno che fossi
suo padre. Il suo vero padre.
Sapere
che era nata una bambina e che lei aveva deciso di darle il nome di sua
madre
mi aveva però reso fiero; era evidente che Kate avesse fatto
un buon lavoro con
nostra figlia.
Kate
... Il solo pronunciare
mentalmente il suo nome mi faceva rabbrividire. Ripensai alla prima
volta che
l'avevo vista, insieme a Gary: era semplicemente bellissima. La sua era
la
classica bellezza di chi non sa di possederla, un misto tra bellezza e
timidezza. Parlarle, poi, se possibile, mi aveva fatto letteralmente
innamorare
di lei, sin dalle presentazioni. Ma il nostro era un amore proibito,
che per
questo rimase a lungo platonico: ancora custodisco gelosamente le
lettere che
ci scambiammo, centinaia e centinaia,
prima di trovare il coraggio di confessarci ciò
che provavamo l'uno per
l'altra. Fino a quella notte. La notte.
La notte delle notti: quella in cui ci lasciammo andare, finalmente,
concependo
Annie.
Mi
venne un'idea: ero certo che non avrei mai
svelato a mia figlia la verità, ma avrei potuto scriverle
una lettera. Presi
carta e penna ed iniziai a comporre.
"Cara
Annie,
ciao.
Forse non sai nemmeno chi io sia né perché ti
stia scrivendo questa lettera. Poco male: dalla brutta ed indecifrabile
scrittura avrai
capito che sono un
medico. Io e te non ci siamo mai realmente conosciuti, ma so comunque
di averti
salvato la vita, in almeno un'occasione, e questo mi é
sufficiente. Beh, se non
l'hai capito fin qui ...
Sono
tuo padre.
Già,
il tuo vero padre, o
padre biologico, se preferisci.
Mi
ricordi incredibilmente tua madre, me l'hai
ricordata sin dal primo momento che ti ho vista, al pronto soccorso.
Caparbia,
decisa, ma allo stesso tempo fragile come nessun altra ... E, ti
farà piacere
saperlo, anche tua nonna era così. Tu porti il suo nome, e
questo, più di
qualsiasi altra prova del DNA, mi ha fatto capire, anzi, mi ha dato la
certezza, di essere tuo padre. Ti auguro tutto il bene di questo mondo,
figlia
mia. Non potrai mai sapere quanto ti voglio bene, pur senza averti mai
potuta
conoscere veramente.
E,
sono sicuro, non leggerai mai questa lettera,
che custodirò gelosamente, insieme alla corrispondenza tra
me e tua madre Kate.
Tuo,
J.E.W.".
Arrotolai
la lettera e la misi nel cassetto,
consapevole che da lì non sarebbe mai uscita.
Bussarono
alla porta.
<<
Wilson,
pranziamo? >>.
Era
House.
Guardai
nuovamente fuori dalla finestra: un timido
sole faceva capolino dietro le nuvole.
Presi
la giacca e lo raggiunsi: come diceva Samantha,
"ogni singola giornata di sole
é una
vittoria".
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