Hold On For One More Day

di cup of tea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Those hard-faced queens of misadventure ***
Capitolo 2: *** People Help The People ***
Capitolo 3: *** This world of little consequence ***
Capitolo 4: *** Give me your hand and I'll hold it ***



Capitolo 1
*** Those hard-faced queens of misadventure ***


LA TAVOLA DI CUP OF TEA
Eccoci.
Il grande momento è arrivato.
E ora che ci siamo, vorrei dirvi talmente tante cose su questa storia, che ci vorrebbero un milione di righe. E chi vorrebbe leggere delle note del genere?
Allora mi concentro solo sulle cose veramente, veramente importanti.

Dunque.
Ho scritto questa storia l’estate scorsa per partecipare al GLEE BIG BANG ITALIA, che, come ormai tutti di certo saprete, è un progetto organizzato da Flan e ALanna e che coinvolge quasi una ventina di fanwriters. Molte e molti di loro hanno già pubblicato, altre e altri arriveranno presto. Sosteniamoli tutti!
“Hold on for one more day”, la fic che vi accingete a leggere, è divisa in quattro parti, ognuna delle quali verrà pubblicata il martedì.
 
Autore: cup of tea
Titolo: Hold on for one more day
Personaggi: Kurt Hummel, Rachel Berry, Sam Evans, Quinn Fabray, Blaine Anderson (e in un capitolo, Santana Lopez)
-Pairing: Kurt/Blaine, Quinn/Puck, Rachel/Sam (e qui la metà di voi probabilmente mi abbandonerà, ma non posso farci niente, a me piacciono… spero possiate dar loro una possibilità)
Genere: introspettivo, tragicomico
Sommario: Liberamente tratto dal film "Non buttiamoci giù" ("A Long Way Down") di Pascal Chaumeil, a sua volta basato sul libro omonimo di Nick Hornby.
La notte di Capodanno, quattro sconosciuti - Rachel Berry, Kurt Hummel, Quinn Fabray e Sam Evans - si ritrovano sul tetto di un palazzo tutti con lo stesso proposito: buttarsi giù. Ognuno ha i suoi buoni motivi per farla finita, ma la sera si conclude con un nulla di fatto. Anzi, i quattro firmano di un patto che li obbliga a non togliersi la vita almeno fino a San Valentino. Nascerà tra loro un legame, più simile a una costrizione, almeno all'inizio, ma poi sempre più simile a una vera amicizia che li aiuterà ad affrontare le avversità. La storia si conclude con l'arrivo di San Valentino, in cui i quattro dovranno superare insieme un'ultima, grande prova. La fanfiction è una mini long divisa in quattro parti + epilogo. Ciascuna parte è strutturata a (mini)capitoli di varia lunghezza, ognuno narrato dal punto di vista di uno dei quattro protagonisti, come avviene sia nel libro, sia nel film. I personaggi hanno età diverse da quelle della serie tv: Rachel, Kurt e Sam hanno tra i venti e i ventitré anni, mentre Quinn è ancora adolescente e va ancora al liceo. La personalità di Kurt si avvicina molto a quella che aveva nelle prime due stagioni, e lo stesso vale per Sam, che non è così tonto come lo dipingono nelle ultime stagioni. 
Warnings: crack (?) pairing (Rachel/Sam); età dei personaggi diverse da quelle del telefilm; ricordo inoltre che lo spunto non è mio, ma di proprietà del grande Nick Hornby


Okay, se ci siete ancora, concludo augurandovi una buona lettura e un buon Big Bang!
Fatemi sapere cosa pensate della mia storia!


Un abbraccio,
cup of tea
 





 
HOLD ON FOR ONE MORE DAY


PARTE PRIMA - Those hard-faced queens of misadventure
 
RACHEL
 
Che ci fa una promettente giovane attrice di Broadway, appena entrata nel pieno della sua fiorente carriera, sul tetto di un palazzo, la notte di Capodanno?
Be’, permettetemi di metterlo subito in chiaro, perché i giornalisti finiscono sempre per alterare la realtà: arriva un momento, nella propria vita, in cui non ce la si fa più.
 
***
 
KURT
 
Mi chiamo Kurt Hummel, ho vent’anni e sono gay.
Sì, gay.
G-A-Y.
Gaygaygay.
Non che sia mai stato un problema. Non per me, non per mio padre. Ma, evidentemente, per tutti gli altri lo è. Per i clienti dell’officina, per esempio, che non hanno neanche il fegato di ammettere che adesso vanno da Shepner a farsi cambiare le gomme e a controllare l’olio, perché Hummel ha un figlio finocchio; oppure per i bulli del mio liceo, che a furia di sbattermi contro gli armadietti dei corridoi, mi hanno costretto a ritirarmi e a studiare a casa. Patetico, vero? Quando mi diplomai da privatista ero l’unico senza un amico con cui festeggiare. Anche qui, a New York, la notte di Capodanno, girovago da solo per le strade di Manhattan, ignorando gruppetti di ragazzini e adulti festaioli che corrono insieme per raggiungere Times Square in tempo per il conto alla rovescia. Preferisco concentrarmi sul buio del cielo, disturbato dalle luci dei lampioni e dei cartelloni pubblicitari che lampeggiano freneticamente. Niente da dire: New York mi ha rubato il cuore… i profili dei grattacieli, i colori delle insegne, Central Park, Broadway…
Broadway, uno dei tanti sogni che non realizzerò mai.
Chissà come risuonerebbe l’eco buttandomi giù urlando dal tetto di quel palazzo… Saranno tutti quei drink che ho bevuto, ma d’un tratto l’idea mi sembra parecchio appetibile, da far girare la testa! Forse, se urlassi “gay”, risulterebbe “Gayyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyy”, e se gridassi “finocchio”, ne uscirebbe un “Fiiiinoooocchiiiioooo”. Potrei anche usare “perdente”, ma “gay” è decisamente più di impatto, e io adoro le uscite di scena d’effetto.
Raggiungo l’edificio che ho puntato ed entro attraverso la porta di vetro girevole – è un hotel a cinque stelle. Cerco l’ascensore. Non allarmiamoci… voglio solo vedere com’è la città vista dall’alto. E guardare giù, farmi venire le vertigini, sentire il cuore che pulsa nelle orecchie e respirare l’aria di chi è vicino a risolvere per sempre tutti i suoi problemi.
Trovata. Fortunatamente è già lì pronta che mi aspetta, quindi entro e schiaccio il pulsante “top”, e poi attendo che le porte automatiche si chiudano. La security lascia davvero a desiderare la notte di Capodanno… tutti a festeggiare e nessuno che si cura di un completo estraneo che entra nell’edificio. Meglio per me.
La musichetta di sottofondo è noiosa, ma arrivo presto in cima. Un “ding” mi dà il benvenuto all’ultimo piano. Qui cerco la scala che porta al tetto e proprio quando spingo la porta antipanico e pregusto l’aria fredda della libertà, mi accorgo di non essere solo.
E nemmeno il solo ad avere avuto istinti suicidi all’alba del nuovo anno, oserei dire.
 
***
RACHEL
 
Eccomi, ci sono. Un passo e i riflettori punteranno verso di me un’ultima volta. Immagino già i titoli dei giornali, domani. “Stella del teatro si butta giù dal Mistral Palace”, “Astro nascente di Broadway, stella cadente a Capodanno”, “Rachel Berry, ci mancherai.”
Credo di essere l’unica persona sulla terra che riesce ad avere manie di grandezza anche quando sta per suicidarsi; il mio analista aveva ragione a mettermi in guardia rispetto alle mie ambizioni.
«Pensa di metterci molto?!»
Santo cielo, chi è che interrompe il mio flusso di coscienza con così poco riguardo alla cortesia?! Ci è mancato poco che cadessi di sotto!
«Ma è matto? Dallo spavento ho rischiato di perdere l’equilibrio!» Mi giro con cautela dando le spalle al vuoto e mi accorgo che la voce, cristallina e acuta, appartiene a un ragazzo sulla ventina.
«Signora, qui si sta formando la fila.» Signora a chi?! Questa volta a parlare è quella che, sotto dei terribili piercing, i capelli rosa e il trucco pesante colato, dovrebbe essere una ragazza carina. Un’adolescente indisponente in piena crisi di identità.
Io non lo sono mai stata. Ho sempre saputo chi volevo essere. Peccato non abbia funzionato.
«Pronto?!» Mi richiama seccata, soffiando fuori una nuvola di fiato caldo.
«Qualcuno vuole una pizza? Io non la finisco.» Un’altra voce? Ma quanti siamo?
Non lo vedo subito, poi un biondo atletico fa capolino da dietro il comignolo. Lascia un cartone di Pizza Hut per terra e constato che assomiglia a un surfista alla ricerca dell’onda buona, quando sale sul cornicione. «Che cosa fai?! Scendi subito di lì! E’ pericoloso!» Lo rimprovero. Mi chiedo perché un ragazzo come lui dovrebbe volersi togliere la vita. Per quello dalla voce acuta e la pseudo-punk potrei anche farmi un’idea, ma per lui non ci riesco proprio.
«Un momento, io ti conosco!» mi si avvicina Vocetta Acuta. «Tu sei Rachel Berry! Eri su tutti i giornali, qualche tempo fa! “Diva di Broadway aggredisce paparazzo”.»
«Ma dai… non dirmi che è per questo vuoi farla finita. Solo per la cattiva reputazione?» Interviene la ragazzina.
«Io non… io non credo siano affari vostri!»
Mi irrito, perché i due ridacchiano, complici.
«E voi, allora? Chi siete? Perché siete qui?» Cerco di spostare l’attenzione su qualcos’altro che non sia io, forse per la prima volta nella mia vita.  
«Sam Evans, piacere.» Si presenta il surfista, interrompendoci. Non ci guarda, ma si siede con le gambe a penzoloni, dandoci ancora le spalle.  
«Kurt Elizabeth Hummel.»
«Ma non mi dire.» Commenta la pseudo-punk. Noi aspettiamo che ci dica chi è, e lei ci guarda come se stessimo facendo la cosa più stupida che quattro aspiranti suicidi possano fare. In effetti non ha tutti i torti, ma aspettiamo che si presenti ugualmente. A questo punto, tanto vale.
«Dai, dobbiamo farlo per forza?!» Sbotta.
«Presentati e basta, cocca.» dice Vocetta Acuta, che ormai posso chiamare con il suo nome, Kurt.
«Quinn.»
«Quinn…?» azzardo.
«Quinn e basta.»
«Perché vuoi buttarti giù?» chiede il surfista, Sam, aggregandosi al nostro stravagante gruppetto. «Problemi con la legge?» tira a indovinare. Pessima scelta.
«Ma certo! Una come me può avere avuto solo problemi con la legge, non è vero?! Possesso di alcol e droghe, perché no?! E tu? Non hai vinto la finale di Mister Universo?! Povero piccolo…»
«Va bene, va bene, calmiamoci.»
«Calmatevi voi, stronzi!»
Quinn ci spintona e corre verso il cornicione, ma la fermiamo appena in tempo, proprio quando sta per saltare. Tira calci e pugni; si dimena nonostante siamo tre contro una, e piange, piange tanto.
E’ così giovane…
Quando si calma, allentiamo la presa. Sam le dice cose gentili e Kurt le offre un fazzoletto. Lei, in silenzio, ritorna da dove è venuta, attraverso la porta che nasconde le scale del palazzo.
Non sappiamo dove andrà, né cosa faremo noi.
L’unica cosa che sappiamo è che è scoccata la mezzanotte e non ci siamo buttati.
Buon anno.
 
***
QUINN
 
Non sono neanche capace di morire, cavolo.
Direi che è un’altra delusione da aggiungere alla lista dei miei genitori.
Incinta a diciassette anni, e per di più proveniente da una famiglia cattolica e in piena campagna elettorale di papà. Che scandalo!
Noah non lo sa.
È partito per l’esercito e l’ho lasciato andare.
Mamma e papà l’hanno scoperto, invece. Non so nemmeno come, il pancione non si vede ancora. Avranno un radar per le ragazze che peccano. Non mi hanno cacciato, ma solo perché un’azione del genere getterebbe un’ombra sulla scalata al potere dei Fabray, e mi basta lo sguardo carico di disprezzo che mi riservano ogni giorno per capire che l’ho fatta grossa. Inoltre, il fatto che mamma abbia ricominciato a bere è tutto fuorché incoraggiante.
New York è proprio bella di notte, però adesso ha cominciato a piovere. In giro si sente profumo di asfalto bagnato e della polvere da sparo dei fuochi d’artificio. Non mi interessa che fine abbiano fatto gli altri – se si siano buttati giù o la ragione per cui volessero farlo. Penso che entrerò in un locale e mi farò ubriacare dalla musica: Capodanno non è ancora finito, e io non ho ancora finito le alternative.
 
***
SAM
 
«Dobbiamo andare a cercarla.» Dichiaro.
«Come? Perché?!» Chiede Rachel Berry.
«Perché l’ho fatta arrabbiare, ed era parecchio scossa.» Rispondo.
«Volevamo suicidarci, siamo tutti scossi.» Commenta l’altro ragazzo, Kurt.
«Ma per lei è stato diverso… noi ci abbiamo pensato, sul cornicione; lei ha corso.»
«Perché non ci vai da solo?» continua Kurt.
«Perché è successo qualcosa, stanotte. Potevamo essere tutti su quel marciapiede, in questo momento, con la faccia sul pavimento e il corpo scomposto in posizioni innaturali. E invece ci siamo trovati qui ed è già il primo di gennaio e siamo ancora vivi. Qualcosa deve pur significare.»
Rachel ci pensa un momento e poi prende una decisione. «Con quale macchina andiamo?»
Esulto, rimane solo Kurt da convincere.
Non è difficile, lo vedo alzare gli occhi al cielo dopo poco e rispondere: «La mia è parcheggiata a qualche isolato da qui.»
«Okay, adesso ci manca solo di capire come la troviamo.» Proseguo.
«È a piedi e ha cominciato a diluviare, non può essere andata lontano.» Suggerisce Kurt.
«Propongo di muoverci insieme per qualche isolato, poi io setaccio i locali e voi ragazzi le strade.» Incredibile, le ragazze hanno sempre un piano!
Kurt però è perplesso. «Come farai a superare le file agli ingressi? Perdiamo troppo tempo!»
«Stai sicuro, Kurt, che nessuno fa aspettare Rachel Berry in coda.»
 
***
QUINN
 
 
«Ehi, sei carina…»
E’ patetico come approccio. Sono appoggiata al bancone del bar e quest’uomo viscido e di mezza età mi sta anche troppo vicino. Va bene volersi suicidare, ma non in questo modo.
«Puzzi di alcol.» Volto lo sguardo dalla parte opposta.
«Pensavo ti piacesse…» ci riprova toccandomi un braccio. A questo punto devo guardarlo per forza.
«Io invece non sapevo ti piacessero le minorenni.»
«Tu non sei minorenne.»
«E tu non sei ubriaco. Giochiamo al gioco dei contrari?» Ritiro il braccio.
«Possiamo giocare a tutto quello che vuoi.» Mi soffia sul collo. Okay, adesso si sta prendendo anche troppa confidenza.
«Lasciami stare.» Lo spingo.
«Quinn! Eccoti, grazie al cielo! Vieni, andiamocene via.» Rachel Berry? Sono sorpresa di vederla, ma anche grata, e mi lascio prendere per mano.
«Dove andate zuccherini?»
Quel deficiente ci blocca la strada.
«Due al prezzo di una, deve essere la mia sera fortunata!»
«Continua a sognare!» urla Rachel pestandogli il piede con i suoi orribili tacchi bassi. Mi trascina via, ma io mi fermo approfittando della distrazione dell’uomo che si contorce dal dolore e gli tiro un pugno sul naso.
Rachel mi guarda.
«Se l’è meritato.»
Ride e corriamo fuori dal locale.
All’esterno, Rachel tira fuori il cellulare e avvia una chiamata.
«Sam! Sì, sì, l’ho trovata! Siamo davanti al Cosmo Vanguard. Vi aspettiamo qui.»
Qualche minuto dopo, un grosso SUV accosta e riconosco Kurt qualcosa Hummel al volante. Rachel apre una portiera e mi fa salire, poi mi segue.
Il silenzio che si crea fin da subito è imbarazzante. Non abbiamo veramente niente in comune, a parte l’istinto suicida.
«Un po’ presto per una rimpatriata, eh?» Faccio notare. Non mi risponde nessuno. Kurt rimette in moto l’auto e non so dove stiamo andando. «Va bene, facciamo un gioco.» Propongo. «Ognuno di noi descrive la ragione per cui vuole togliersi la vita con una sola parola.»
«Non eri tu a non voler scendere in questi particolari?» Osserva Sam, ma non lo ascolto e continuo a provocare. Mi avranno anche salvato la vita in quel locale, ma mi hanno anche impedito di fare ciò che mi ero prefissata. «Per esempio, tu Kurt potresti rispondere: “finocchio”, mentre tu Berry puoi dire: “notorietà”. Sam, tu senza dubbio dirai: “maniglie dell’amore”, che vale come parola unica.»
«Intolleranza.» Risponde Kurt. Non me l’aspettavo. «Non mi volevo suicidare perché sono gay, Quinn.» Ho la decenza di rimanere in silenzio.
«Lutto.» Confida sottovoce la Berry. Sam la guarda dallo specchietto retrovisore. «Impotenza.» Risponde. Dai, a questo punto non riesco a trattenermi. Esplodo in una risata. «Ma è ovvio, con tutti gli steroidi che prendi era inevitabile!» Mi accorgo di ridere solo io.
«Non nel senso che intendi tu.» Puntualizza. Di nuovo, la Berry e il biondo si guardano attraverso lo specchietto.
«E tu?» Mi chiede lei.
Io… non so cosa rispondere. «Cancro.»
Lo so, lo so… ma ero nel panico.
Rachel si porta una mano alla bocca e con l’altra stringe la mia. Annuisco, addolorata. «E’ lo stomaco…» Ma come mi escono?
Accostiamo, e quando guardo fuori dal finestrino mi accorgo di essere nel vialetto di casa mia.
«Un momento! Che ci facciamo qui?!»
Kurt mi passa un volantino della campagna elettorale di papà. «Lo abbiamo trovato per strada mentre ti cercavamo. Sei un po’ diversa in quella foto, ma ti si riconosce ancora.» Sul foglio plastificato, la mia famiglia è ritratta da un fotografo importante e io indosso uno degli abitini bon-ton che mi piacciono tanto. Ho i capelli biondi e il viso curato. La Quinn della foto non esiste più, ma potrebbe esserci ancora, da qualche parte.
«Quinn Fabray, giusto?»
«Già…» Mi sento un po’ tradita.
«Sentite, facciamo un patto.» Se ne esce poi Kurt. «Come ha detto Sam, c’è una ragione se siamo ancora vivi, e propongo di scoprire insieme qual è. Facciamo così: nessuno di noi tenterà più il suicidio fino, diciamo… fino a San Valentino. Dopodiché, se niente è cambiato, ognuno di noi potrà fare quello che vorrà. Ma fino al quattordici di febbraio ci impegniamo a proseguire con la vita di tutti i giorni. Ci state?» Allunga una mano verso di noi, in stile “tutti per uno…”, e mi aspetto che nessuno lo assecondi, ma poi Sam allunga la sua e Rachel fa lo stesso.
«Perché no?» Alzo le spalle e allungo anche la mia. In fondo, San Valentino non è lontano.
 
***
RACHEL
 
La notte è stata così movimentata che alla fine non rientro a casa prima delle cinque del mattino. Sapendo che i giornalisti non dormono mai e non vanno in ferie nemmeno la notte di Capodanno – chi ci andrebbe nella notte che fa più notizia? – decido di entrare dalla porta sul retro, finora la mia unica e solita via di fuga o salvezza.
Questa volta, però, non sono fortunata. Un flash mi acceca all’improvviso e da dietro un cespuglio salta fuori un paparazzo che mi inonda di domande. «Che ha fatto Rachel Berry questo Capodanno?», «Hai intenzione di tirare un pugno anche a me?», «Eri in dolce compagnia, Rachel?». Mi copro il viso da ogni flash che accompagna le impertinenze di quest’uomo. Non l’ha fermato neppure la pioggia.
«Mi lasci in pace, questa è proprietà privata.» Gli faccio notare, tirando fuori le chiavi di casa.
«Ancora uno scatto, ti prego, questa venderà un sacco: “Rachel Berry passa una serata di bagordi ma non sembra essersi divertita. La verità su un Capodanno da diva.”»
Apro la porta e lo avverto: «Se non se ne va, chiamo la polizia.» Entro e mi chiudo la porta alle spalle con un sospiro rabbioso e rassegnato. Non sono più sicura nemmeno a casa mia.
Getto le chiavi sul mobile della tv e mi butto sul divano, nel vuoto del mio appartamento. Non mi sono mai sentita tanto sola. Mi guardo in giro nella penombra del mattino e vedo ancora i resti del mio cenone solitario sul tavolino di fronte a me. I cartocci del cinese cominciano a puzzare, o forse sono i resti della frutta che stanno marcendo nel piatto, a produrre questo odore terribile. La mia attenzione si concentra sul coltello appuntito che ho usato per sbucciarla. Ho accettato il patto con gli altri solo per sentirmi parte di qualcosa, ed è chiaro che l’istinto di togliermi la vita non l’ho ancora perso.
Mi volto dall’altra parte e spero di addormentarmi.
 
Quando riapro gli occhi è circa mezzogiorno, e tutto sommato mi sembra di stare meglio. Decido di voler fare una passeggiata, la pioggia ha smesso di cadere e un sole debole splende su New York.
Mi faccio una doccia veloce e mi vesto per uscire. Fuori dalla porta, però, ancora giornalisti. Alzo gli occhi al cielo e mi richiudo dentro, senza degnarli di una parola. Prendo il cellulare, decisa a chiamare davvero la polizia, ma un numero attira la mia attenzione, salvato sotto il nome di Sam. L’avevo chiamato per Quinn, ieri sera, e ora sento come l’impulso di chiamarlo per me.
Lo faccio. Per qualche ragione il cuore mi martella nelle orecchie mentre aspetto che risponda.
«Pronto? …Rachel?» Sembra confuso.
«S-Sam! S-sì, sono Rachel!» Stupidamente non mi viene in mente altro da dire.
«Avevi bisogno di qualcosa? Sono un po’ occupato al momento, ma poi possiamo parlare, se vuoi.»
Ma certo che è occupato. Che stupida che sono.
«Non preoccuparti… volevo solo…»
«Passo a prenderti tra un’ora. Non muoverti di lì.»
«Non vado da nessuna parte, qui è pieno di giornalisti.»
«Tieni duro, tra poco vengo a salvarti.»
Riaggancia e io rimango imbambolata per un momento.
Tieni duro, tra poco vengo a salvarti. Per la seconda volta in poche ore. Salvata da uno sconosciuto.
 
Sam arriva, come promesso, un’ora più tardi. Vedo la sua auto accostare sul vialetto e mi faccio coraggio per uscire dalla porta. Corro facendomi strada tra il gruppo dei giornalisti più accaniti e faccio solo in tempo a sentire una che chiede: “Chi è quel giovanotto? Dove sta andando Rachel Berry?”, prima di fiondarmi nella macchina di Sam. Parte senza che glielo chieda e seminiamo i paparazzi che ci stanno rincorrendo.
«E’ sempre così?»
«Scusami… oggi sono particolarmente insopportabili.» Ometto il fatto che mi abbiano chiesto di lui, ma già temo le foto che usciranno. Ho sempre cercato di tenere la mia vita privata per me, ed è stato anche piuttosto facile, ma è vero anche che sono finita nel mirino solo di recente.
«Cosa hai fatto per farli arrabbiare tanto?» Scherza.
«Sono una diva, e in quanto diva ho un caratteraccio.» Minimizzo. Non gli dico che quando ho aggredito quel paparazzo, tempo fa, è stato perché avevo appena ricevuto una telefonata in cui mi comunicavano che il mio ragazzo, Finn, era morto. Non gli dico che quel paparazzo voleva sapere della mia vita sentimentale, di cui nessuno è tuttora al corrente. Non gli dico che il dolore è ancora vivo e che il doverlo vivere da sola, per preservare la privacy della sua famiglia, mi sta uccidendo. Abbasso lo sguardo sulle mie unghie, che tutto d’un colpo mi sembrano bisognose di una manicure.
«Be’ direi che è chiaro che tu non possa rimanere a casa tua, finché non se saranno andati.»
«Potrei stare in albergo, ora che mi ci fai pensare.»
«No, ti troverebbero facilmente – qualche telefonata e sarebbero tutti di nuovo alla tua porta.»
«Allora cosa mi suggerisci?»
«Ti porto a casa con me.»
Lo dice come se fossi il cucciolo che ha appena trovato per strada, e la cosa mi fa sentire… voluta.
«Solo, non spaventarti. È un po’ affollata.»
 
***
KURT
 
Perché ho deciso di stilare un patto di sopravvivenza? Perché mia madre avrebbe voluto così. Era forte e fiera, e mi ha insegnato a non arrendermi mai. Ho avuto un momento di debolezza, ma non si ripeterà. Credo – spero - siano passati gli effetti dell’alcol che mi hanno fatto sembrare appetibile l’idea. Togliersi la vita può sembrare una soluzione, ma non è la soluzione. La soluzione è trovarsi uno scopo e ignorare chi non ti tollera. Nemmeno io tollero loro, ma non per questo la faranno finita. Il modo migliore per vendicarsi è sorridere e occupare ancora a lungo il proprio posticino nel mondo.
Non sarà affatto facile, ma ci proverò. Almeno fino a San Valentino.
Prima fase, quindi: trovarsi uno scopo. Comincerò a mandare curricula in giro per trovarmi un lavoretto e nel frattempo farò provini per le scuole di teatro. Seconda fase: ignorare chi mi dirà che non posso farcela, chi mi etichetterà come fallito o chi oserà discriminarmi per il mio orientamento sessuale. Ma credo che la seconda fase sia conseguente alla prima.
Ho voglia di chiamare mio padre, ora. Devo augurargli un buon inizio anno.
 
***
QUINN
 
È la mattina del primo giorno del nuovo anno e, come facilmente prevedibile, in casa non c’è nessuno.
Nessuno che si preoccupi di verificare che la propria figlia adolescente sia tornata sana e salva dopo essere uscita da sola la notte di Capodanno. Nessuno a farmi la ramanzina per essere uscita senza dire dove volessi andare. Nessuno nessuno.
Sono andati comunque a quella trasmissione televisiva, invece di assicurarsi che stessi bene.
È un po’ deprimente.
Vado in bagno e mi guardo allo specchio: non mi sono ancora cambiata e i capelli sono arruffati. Ho il mascara colato e il piercing finto al naso tutto storto. Lo levo con attenzione e faccio lo stesso con quelli al labbro e al sopracciglio. La pelle è un po’ arrossata, ma integra: non avrei mai potuto bucarmi la faccia per davvero, volevo solo vedere che effetto avrebbe fatto. Mi lavo il viso e mi passo le mani bagnate tra i capelli per sistemarli, ma la tinta rosa mi lascia delle macchie sulle dita. La pioggia di ieri deve aver fatto la stessa cosa sul mio collo, perché, osservandomi bene, mi accorgo di essere sporca di tinta dappertutto, sul coppino e sulle spalle. Decido di fare la doccia, quando in tasca ritrovo il volantino della campagna elettorale che mi ha dato Kurt. Quella in foto è la vera Quinn, constato. Bella e fiera. La reginetta del ballo. Non la bambina impaurita che vuole fare la dura che mi sta di fronte.
Mi butto sotto l’acqua e cerco di ripristinare la vecchia e vera immagine di me.
Mi accarezzo il ventre – non posso farne a meno, anche se qualsiasi segno visibile della mia gravidanza è ancora nascosto – e mi chiedo se sarò in grado, al contrario dei miei genitori, di voler bene al mio bambino qualsiasi cosa faccia. Mi chiedo se sarò capace di educarlo e di insegnargli ad amarsi e ad essere responsabile. O se la soluzione dell’adozione sia una opzione da tenere in considerazione. Mi accorgo che ci saranno delle spese da sostenere e che sicuramente non riceverò nessun aiuto. E che dovrò partorire. E che sono sola. Mi viene da piangere.
Vorrei solo che Noah fosse qui.
 
***
RACHEL
 
Sam parcheggia l’automobile nel garage – presumo – di casa sua.
Vista da fuori sembra modesta, ma anche accogliente.
Sono sorpresa che mi abbia invitata a stare da lui. E’ solo per salvarmi dai paparazzi, lo so, ma questa sua attenzione mi fa sentire un leggero tepore nel petto. Un tepore che non dovrei provare, oltretutto: è troppo presto, Finn mi manca terribilmente e sono emotivamente instabile. Ho tentato il suicidio, che diamine! Non è saggio dare fondo a questa cosa. Anzi, è… decisamente sbagliato. Ma lui ora mi ha preso per mano e sta per farmi entrare e... oh, Rachel Berry, che ti sta succedendo?
«Prego, accomodati pure. Non fare caso al disordine.» Mi fa strada.
Chiamarlo “disordine” è riduttivo. La casa è del tutto sottosopra. Ci sono scatoloni dappertutto, come se Sam si fosse appena trasferito, ma noto rotoli di scotch appoggiati qua e là e mi viene da pensare che quegli scatoloni non verranno svuotati. Piuttosto, sigillati.
Sta per traslocare.
«Stacey? Stevie? Ci siete?» lo sento chiamare.
Come un uragano, piombano all’ingresso due bambini biondissimi, di circa una decina d’anni, che, se non fossi quasi certa che Sam abbia più o meno la mia età, penserei siano figli suoi.
«Ciao fratellone!» lo saluta con entusiasmo la bambina, e gli salta al collo. «Urca, Stacey, sono stato via per un’ora al massimo…»
«Piagnucola da quando sei uscito, è proprio una femminuccia!» la prende in giro il fratellino.
«Stevie, non fare il maleducato.» lo rimbecca Sam.
«Scusa.»
Mi basta questa breve scena per capire che tipo di fratello maggiore sia Sam, e sorrido tra me e me.
Lo vedo prendere in braccio la più piccola e poi dice: «Lei è Rachel, rimarrà con noi, almeno per oggi.» I due bambini mi osservano curiosi.
«Coraggio, salutatela!»
«Ciao, Rachel» dicono in coro, con la voce tipica cantilenante dei bimbi.
«Ciao!» Rispondo con un gran sorriso.
«Dai, andate a giocare adesso. Noi arriviamo subito.»
Li guardo correre in un’altra stanza e mi ritrovo a pensare a come si possano voler abbandonare due creature del genere a sé stesse, decidendo di buttarsi giù da un palazzo. Ovviamente non sta a me giudicare, e sicuramente non sono affari miei, ma potrei sentire il bisogno di chiedere a Sam una spiegazione.
Mi fa accomodare in cucina.
«Sei sicuro che non disturbo?» Comincio, accennando agli scatoloni.
«Stai tranquilla, non c’è nessun problema.» mi risponde, e poi mi offre un bicchiere di latte. «Scusa, non c’è molto altro in frigo.» Sorrido e accetto il bicchiere, ma in qualche modo sento che l’atmosfera in questa casa sia meno allegra di quello che sembra.
«Vi trasferite?» Azzardo, tra un sorso e l’altro.
«Ci sfrattano, in realtà.» mi risponde quasi con leggerezza. «O meglio, finora sono arrivate solo minacce. “Se non mi pagate vi sbatto fuori”» imita la voce del loro locatore, presumo. «Ma noi stiamo cercando una sistemazione alternativa prima che Foster decida di buttarci fuori davvero.»
«Oh, Sam, mi dispiace.» Intanto mi chiedo come possano permettersi un’altra casa se non riescono a pagare neanche l’affitto di questa.
«Non preoccuparti, staremo benissimo in un motel.»
«Dove sono i tuoi genitori?» Chiedo, sperando di non apparire invadente. Non è curiosità morbosa, la mia; mi interessa davvero, anche se lo conosco appena.
«In giro a cercare lavoro. Mio padre è stato licenziato da poco e mia madre è sempre stata una casalinga.» Mi spiega. «Ma con questa crisi non riescono a trovare niente. Io nel mio piccolo ho fatto qualcosa, ma i miei insistono perché tenga i soldi che ho guadagnato per me. Dicono che è loro dovere non farci mancare nulla, non mio. E così non so come aiutarli. O meglio, lo sapevo fino a ieri sera, ma ora sono bloccato fino a San Valentino.»
«Volevi buttarti giù per i tuoi genitori? Non capisco…»
«Be’ nel momento in cui fossi morto, avrebbero trovato il mio testamento in cui ho dichiarato di lasciare tutto a loro, e così li avrei aiutati. Era l’unico sistema che ho trovato per essere d’aiuto, per non sentirmi…»
«Impotente.» Finisco la frase al posto suo, ricordandomi di quello che ha detto in macchina ieri sera, durante il “giochino” di Quinn.
«Già.»
«Be’, ma tu sei già di grande aiuto ai tuoi! Ti occupi dei tuoi fratelli mentre non sono in casa, e-»
«Non è abbastanza, Rachel. Come può bastare, se siamo in questa situazione?»
«Be’, sai cosa ti dico? Io… io posso aiutarvi.» Obiettivamente, con tutti i diritti che ci sono sull’utilizzo della mia immagine e della mia voce, i soldi proprio non mi mancano.
«Come?» Mi guarda diffidente.
«Ho da parte qualcosa, potrei darvi una certa somma.»
«Non voglio la tua elemosina, grazie.» Ora sembra seccato.
«Non sarebbe elemosina… può essere un prestito… fino… fino a San Valentino.» Lo incoraggio.
«Non ti ho aiutato per avere qualcosa in cambio.»
«Lo so, e questo ti fa onore. Ma mi sembra stupido non accettare una mano.» E’ poco più di un perfetto sconosciuto, ma mi sta già a cuore.
Rimane in silenzio per un lungo momento e lo lascio riflettere. Infine parla. «Grazie, ma… preferisco di no.»
L’attimo successivo vengo folgorata. «Allora prendi il telefono. Mi è appena venuta un’idea migliore. Chiama Kurt e Quinn.»
 
 
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LA TAVOLA DI CUP OF TEA – parte 2

Naturalmente, ho dimenticato di dirvi delle cosucce… partiamo da titolo: è ovviamente tratto dalla canzone “Hold on” di Wilson Phillips cantata anche in glee nella quinta stagione. Per quanto riguarda i titoli delle quattro parti, sono presi dai versi della canzone “People Help The People” di Cherry Ghost, che io personalmente adoro nella versione di Birdy.
Allora, impressioni generali sulla storia? Dubbi, perplessità? Fatemi sapere tutto quello che vi passa per la testa J
Ah, ringrazio i miei due beta di fiducia, Marino e Martina <3, che con pazienza digeriscono tutto quello che propino loro <3
Vi ricordo che le prossime tre parti verranno pubblicate il martedì; intanto, tenete d’occhi questi fanwriter!
1-Babykit87 - 28-29 gennaio
2- EmmeV 30-31 gennaio
3- SamWhity 1-2 febbraio 
4- Papillon_ 3-4 febbraio
5- Lusio 5-6 febbraio
6- Ari92  7-8 febbraio
7- Chu 9-10 febbraio
8- cup of tea 11-12 febbraio
9- Ginny Potter 13-14 febbraio
10- Michy 15-16 febbraio
11- Locked 17-18 febbraio
12- elisav82 19-20 febbraio
13- _xwatson 21-22 febbraio
14- Wild Imagination 23-24 febbraio 
15- smythwood 25-26 febbraio

16- LaFatinaScalza 27-28

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Capitolo 2
*** People Help The People ***


 
LA TAVOLA DI CUP OF TEA
 
Eccoci alla seconda parte di quattro di questa ff.
Lasciatemi dire che sono strafelice del “successo” che ha avuto la prima, e ringrazio ovviamente ilove_tay_13 per aver recensito e tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate. Un gigante, immenso, infinito GRAZIE.
Fatemi sapere che ne pensate di questo nuovo capitolo!
Cup of tea
 
 
PARTE SECONDA - People help the people
 
 

KURT
 
 
Fisso il monitor del computer.
Il mio curriculum è penoso.
Vent’anni e nessuna esperienza lavorativa, studi interrotti dopo aver preso il diploma, provini falliti.
Come sono sopravvissuto a New York così a lungo? Ah, già. Papà, nonostante tutti i problemi dell’officina, non mi fa mancare mai niente… è proprio un angelo. Accompagnatomi all’aeroporto, aveva detto: «Vedrai, New York è una città piena di possibilità. Se ce l’ha fatta Julia Roberts in quel film, ce la può fare anche Kurt Hummel».
E invece no.
Nessuno ha avuto, né avrà intenzione di assumermi.
Mi strofino la faccia con le mani.
È passato un mese e mezzo da quando sono qui e non ho ancora combinato nulla, a parte la faccenda del suicidio.
Ma da quando sono diventato così pessimista? Una volta dimostravo un amor proprio smisurato, ora invece mi calpesto da solo. Scuoto la testa come se stessi parlando con qualcuno. Devo ritrovare il Kurt Hummel che fa tutto di testa sua e persegue i suoi obiettivi a dispetto di ciò che dicono gli altri.
Perciò, obiettivo a lungo termine: entrare alla Nyada.
Obiettivo a breve termine: trovare un lavoro che mi permetta di mantenere gli studi.
Chissà, magari allo Spotlight Diner hanno bisogno di una mano. Mi è sempre piaciuto come locale: i camerieri sono giovani e vivaci, e improvvisano canzoni di punto in bianco. Potrei avere un’opportunità.
Stampo le poche pagine che ho scritto, mi preparo con il mio più bel completo, sistemo i capelli con tre litri di lacca, mi armo di tutto lo charme che possiedo ed esco. So che sono aperti anche se è il primo dell’anno, e questo mi fa sperare che abbiano un gran bisogno di un paio di braccia in più per affrontare i turisti in vacanza.
 
Prendo il tram e mi siedo di fianco a una dolce vecchina, quando sento vibrare il cellulare nella tasca del cappotto.
Sam?
«Pronto?» Rispondo, incerto.
«Kurt, sono Sam. Io e Rachel abbiamo bisogno di te e Quinn. Appena potete, raggiungeteci all’Hot Coffee, tra la Novantesima e Broadway. Riesci a passare a prenderla?»
«D’accordo… ehm… vado a prendere Quinn e vi raggiungiamo. Prima però devo passare da un’altra parte. Lasciatemi un’ora di margine.»
«D’accordo, ma fai in fretta.»
Mi mette giù prima che possa dire altro. Va bene tutto, ma questa cosa del patto non so più se sia stata una buona idea. Cosa ci sarà mai di così urgente? E soprattutto, che modi sono? Vado a prendere Quinn solo perché abita vicino allo Spotlight, altrimenti ognuno avrebbe fatto per sé, sia chiaro. Sono ancora lontano dal considerarli “amici”; il mio era solo un modo per salvarci tutti, non un’occasione per socializzare. Nella mia fantasia ci saremmo ritrovati solo a San Valentino a decidere il da farsi… le opere di bene le avevo circoscritte a ieri sera.
Sono troppo buono.
 
Scendo alla fermata più vicina alla tavola calda ed entro.
«Prego, vuole accomodarsi?» Mi accoglie una ragazza bionda in divisa rossa e con cartellino con il nome. “Dani”, leggo. Non mi sono neanche accorto che è ora di pranzo.
«No, grazie… sono qui solo perché vorrei lasciare il mio curriculum.»
Dani si gira e chiama quella che immagino sia il suo superiore. «Santana, hai tempo per un candidato?»
Arriva una ragazza dai tratti ispanici e con gli zigomi tondi che invita Dani a tornare ad occuparsi degli altri clienti, mentre lei sta per occuparsi di me. Fa un po’ paura, ma le lingue taglienti sono lacca per i miei capelli.
«Allora, tu sei?»
«Kurt Elizabeth Hummel.» Mi presento.
«Bene, Lady Hummel, seguimi sul retro.»
Cominciamo già con i soprannomi.
La diavolessa in minigonna mi fa strada dietro il bancone e poi attraverso un magazzino, fino a raggiungere il cortiletto interno del locale, il cui accesso è consentito solo ai dipendenti. Ci sediamo su due sedie poste a margine, di quelle che probabilmente vengono usate per la “pausa sigaretta” dei meno salutisti.
Giusto il tempo di consegnarle il curriculum e il mio inaspettato colloquio di lavoro comincia.
«Dunque, Porcellana, che fai nella vita?»
«Attualmente cerco lavoro.» Non mi viene in mente una risposta migliore.
«Naturalmente, o non saresti qui.» Intanto sfoglia il mio misero pacchetto di esperienze. «Hai già lavorato come cameriere?»
«No.»
«Studi?»
«Non al momento.»
«Perché vuoi lavorare allo Spotlight Diner?»
«L’idea è quella di riuscire a guadagnare almeno un minimo per garantirmi indipendenza economica. Lo Spotlight mi sembra un’ottima palestra e un posto vivace e dinamico dove possa imparare un mestiere.» Risposta studiata a memoria e valida per qualsiasi posto di lavoro per cui mi sono candidato.
Rimane in silenzio per qualche minuto, studiandomi a fondo.
«Bene,» dice poi. «Direi che può bastare. Come avrai notato, il lavoro è molto, soprattutto in questo periodo, e, se è vero che abbiamo bisogno di una mano con i clienti, è altrettanto vero che non possiamo perdere tempo per insegnare a qualcuno come si fa. Perciò, ti ringrazio per aver pensato a noi, ma non puoi entrare a far parte della squadra. So che capirai. Ora ti riaccompagno all’uscita, a meno che tu non voglia ordinare qualcosa.»
«Ma io…» Comincio, ma mi sta già spingendo all’interno.
Nel magazzino si sente provenire della musica, che scopro essere Dani che suona la chitarra su un piccolo palco. Non perdo quest’occasione: riconosco la canzone, mi libero di Satana – il nomignolo è voluto – e raggiungo la bionda intonando già le note. Prima non ho avuto neanche modo di mostrare le mie qualità. Ma le farò cambiare idea.
Dopo qualche minuto, qualche cliente si unisce al coro, altri si alzano e si avvicinano a noi. Dani e io ci armonizziamo bene e il suo gran sorriso è contagioso. Noto Santana osservarci da lontano, ma non mi importa cosa stia decidendo: mi sto divertendo come non mi capitava da tanto. Si unisce a noi un altro cameriere e alla fine il locale è pieno di persone che applaude e fischia. Finita la canzone, Dani mi abbraccia forte e mi sussurra: «Dovremmo farlo più spesso!», mentre l’altro ragazzo si complimenta per la mia voce. Già, a quanto pare sono ancora capace di cantare, e lo faccio anche piuttosto bene.
«Lady Hummel!» mi chiama la Vipera. O ho una possibilità concreta, o mi sbatte fuori dal locale per sempre.
«Cominci domani alle sette. Dani, sarai responsabile della sua formazione.»
Aspetto che se ne vada e poi comincio a esultare saltellando con questa bionda ragazza, con cui so già mi troverò benissimo.
 
Ora, mi dirigo da Quinn.

 
***
QUINN
 
«Di cosa hanno bisogno?» Chiedo sconcertata. Sono sull’uscio di casa, con uno di quelli di ieri sera che mi sta dicendo cose assurde.
«Che li raggiungiamo all’Hot Coffee. Non ho idea del perché.» Mi risponde… come si chiama? Ah, Kurt Hummel. Credo.
Sapevo che questo patto si sarebbe dimostrato una catena al collo. Siamo solo al primo di gennaio e già devo fare qualcosa per loro.
«Mi metto le scarpe e arrivo.»
«Gli anfibi o le ballerine?» Chiede appena faccio per rientrare in casa.
«Come scusa?» Lo fulmino.
«Niente, niente. Mi chiedevo solo a cosa dobbiamo il cambio di look.»
Indosso un abitino rosa pallido con collant neri e sono tornata bionda, e soprattutto pettinata.
«Di certo, non devo niente a voi.» Mi giro e vado alla scarpiera, senza invitarlo ad entrare.
«Se vuoi un consiglio, anche gli anfibi ci stanno bene. Ti donerebbe quell’aria rock chic che ieri sera mancava.» Urla, in modo che io senta perfettamente i suoi inutili commenti.
Prendo delle scarpe con il tacco e il cappotto di lana e gli passo davanti attraversando la porta di ingresso.
«Dove hai la macchina?»
«Sono venuto con il tram, e da qui all’Hot Coffee sono solo tre fermate.»
Alzo gli occhi al cielo: non ho voglia di prendere i mezzi pubblici, ma non voglio neanche farmi accompagnare dall’autista di papà. Temo che dovrò adattarmi.
«D’accordo, ma mi paghi tu il biglietto.»
«Cosa?! Non se ne parla!»
«Se ne parla, eccome! Hai appena deliberatamente fatto osservazioni sul mio aspetto fisico e con vago sarcasmo, aggiungerei! Kurt Hummel che etichetta le persone per l’apparenza, da te non me lo sarei mai aspettato!»
«D’accordo, va bene, va bene, va bene. Bontà celeste, quando inizi non la smetti mai?»
«Più o meno.» Sorrido per la vittoria e mi avvio alla fermata. «Comunque, potresti lavorare per una rivista di moda, sembri intendertene.» Gli suggerisco.
«Comunque, questo look ti dona di più. Viso d’angelo, con lo spirito di un ghepardo.» Risponde facendomi il verso, dopo un attimo di riflessione.
«Lo prenderò come un complimento.»
«Lo è.»
Forse, io e Hummel siamo più simili di quello che crediamo. Con l’unica differenza che lui non avrà il pancione fra qualche settimana.
 

 
***
RACHEL
 
Sono all’Hot Coffee che chiacchiero del più e del meno con Sam, quando dalla porta a vetri entrano Quinn e Kurt.
«Interrompiamo qualcosa?» Chiede Quinn con impertinenza. Vedo che è tornata al suo vecchio look, quello del volantino. Così avrà anche un’aria dolce e aristocratica, ma il caratteraccio non lo nasconde neanche così. Divento rossa come un peperone e tento di negare qualsiasi cosa stia insinuando, mentre Sam non ne sembra minimamente toccato. A volte mi chiedo se sia davvero così buono da non vedere la malizia in nessun altro o se, sotto sotto, sia un po’ tonto. In ogni caso, non posso fare a meno di trovarlo adorabile.
«Sedetevi» taglio corto.
 
Quando cerco di introdurre la ragione della convocazione, Kurt e Quinn sono intenti nella consultazione del menu e un pensiero angosciante si fa largo nella mia testa: Quinn ha un tumore allo stomaco! Che pessima scelta averla portata in una caffetteria! Sono una persona orribile! Sicuramente starà facendo la spunta di quello che non può mangiare… e si deprimerà e sarà tutta colpa mia.
«Quinn… hai, come dire… preso tutto quello che dovevi?» Chiedo.
Lei alza la testa dall’elenco e mi guarda confusa.
«Sì, insomma… le tue medicine.»
Sembra un po’ scendere dalle nuvole, ma poi intuisce cosa intendo. «Oh, sì, le medicine. Ma certo. Ora le prendo.»
Adolescenti. Bisogna sempre ricordare loro tutto.
«Anzi, lo farò in bagno… sapete, non mi piace farmi vedere. Kurt, puoi ordinare per me? Con permesso.»
Kurt annuisce e lei va verso la toilette delle signore.
Quando torna, sul tavolo ci sono il tè chai di Kurt e il suo tè verde deteinato.
 
«Dunque,» riprovo ad introdurre l’argomento, «la ragione per cui vi abbiamo fatto venire qui è che so come fare un po’ di soldi.» Un incipit perfetto. Sono entrata in scena e ora i loro occhi sono puntati su di me. Non conosco le ragioni per cui abbiano bisogno di denaro, ma ci avrei messo le mani sul fuoco che così avrei ottenuto la loro attenzione. E il mio piano può farci contenti tutti.
«Se siete d’accordo, vorrei usare la mia fama per attirare dei giornalisti. Racconteremo la nostra storia di aspiranti suicidi, inventeremo anche dei dettagli, se necessario, e la venderemo ai maggiori magazine e programmi televisivi. Parteciperemo a feste ed eventi. Non dovremo nemmeno dire per forza perché ci trovavamo in cima a un palazzo; non deve essere la verità, almeno non necessariamente. Tutti vogliono sapere che ha fatto Rachel Berry la notte di Capodanno: ebbene, lo stanno per scoprire.»
«Come mai questa scelta? Non odiavi i giornalisti?» Chiede Kurt.
Non faccio in tempo a rispondere, perché Sam interviene. Giustamente, deve raccontarlo lui, se se la sente.
«La mia famiglia è in banca rotta e Rachel si è offerta di aiutarmi.»
«E Rachel Berry è così altruista da farlo senza alcun secondo fine?» Si stupisce Kurt.
In effetti, a dirla tutta, non tutto quello che si sente dire in giro su di me è falso. Tra le tante caratteristiche che i giornali mi attribuiscono, c’è la piccola tendenza a non fare niente che non porti un vantaggio anche a me. E in questo caso potrebbe essere fare colpo su Sam. E’ così sbagliato?
«Prendere o lasciare, Kurt.»
«Questa cosa manderà in bestia i miei genitori.» Ci interrompe Quinn. Non ci avevo pensato. Lei, come me, è un personaggio pubblico, e come tale deve tenere alla sua immagine. Sono in ansia. «Ci sto!» Conclude con un gran sorriso. L’abbraccerei!
«Kurt?» Chiede Sam.
«E va bene. Entrare alla Nyada costa.»
Nyada?
«Vuoi entrare alla Nyada? Io ho studiato lì!»
«Lo so, Rachel Barbra Berry. Tengo Broadway.com monitorato da quando ho quindici anni. So tutto su di te. Ti concedono una media di uno spazio a settimana...»
Sono lusingata. Un fan!
«…ma scommetto che se dovessi farcela, otterrei molto più spazio di te.» Conclude con noncuranza. La cosa suona come se, invece di avere un fan, sia stata appena sfidata da un potenziale rivale. Rimango a bocca aperta, sdegnata.
«Come ci organizziamo?»
Mi riprendo. «Stasera, alle otto, da me.»
 

 
***
SAM
 
Il piano di Rachel è perfetto: siamo già a casa sua e abbiamo ordinato una pizza. Il suo appartamento è bellissimo ed enorme, ma è anche sempre circondato da giornalisti. Io non potrei mai vivere così. L’avevo invitata da me per portarla via da quei flash e tra poco ci metteremo tutti insieme davanti all’obbiettivo. La vita è strana.
Abbiamo concordato una linea guida, almeno per cominciare. Stasera approfittiamo di questi paparazzi, poi domani saremo ospiti di un talk show serale, perché Kurt non è disponibile di mattina per via del nuovo lavoro che ha trovato. Rachel dice che questo potrebbe toglierci molta visibilità, perché Good Morning America! è uno degli show più seguiti, ed è un peccato non parteciparvi. Vedremo di trovare una soluzione.
Mi fido del suo fiuto per queste cose. Sembra saper gestire la stampa, nonostante ciò che si dice di lei.
Vorrei sapere cos’è successo il giorno in cui ha aggredito il paparazzo, ma non so se si senta abbastanza in confidenza per dirmelo. Io non ho avuto alcun problema a raccontarle di me, ma abbiamo due caratteri completamente diversi e lei potrebbe non voler fare lo stesso con me. Mi dispiacerebbe se non si fidasse… vorrei veramente conoscerla meglio.
E la cosa curiosa è che non è nemmeno il mio tipo.
Sono stato con bionde, more, cheerleaders, perfino fiere ragazze nere.
Ma non mi è mai capitato di provare interesse per una piccola mina vagante. È un’esplosione di determinazione ed energia… stare in sua compagnia mi fa bene.
Do un morso alla fetta di pizza, mentre la guardo ridere a una battuta di Kurt.
 
Finita questa cena improvvisata, diamo inizio alle danze. La padrona di casa fa accomodare nel salotto i giornalisti che aspettano fuori da quando siamo arrivati.
«Allora, Rachel, dicci chi sono queste tre persone.» la invita poi a cominciare una donna con gli occhiali.
«Be’, signora, questi sono i miei nuovi amici. Lui è Sam, lui Kurt e lei Quinn.» Ci presenta, orgogliosa. E’ seduta in modo strano sul divano: tutta dritta e le gambe incrociate una dietro l’altra, le mani sulle ginocchia. La gonna è corta quanto basta. E’ professionale e… sexy. Mi do un pizzicotto.
«Salve!» salutano in coro Kurt e Quinn, e io mi unisco a loro con un secondo di ritardo.
«Ma lei è la figlia dell’aspirante sindaco Fabray!» la riconosce qualcuno.
«Quinn! Tuo padre sa che sei qui con degli sconosciuti?» Chiede un altro.
«A dir la verità no.» Risponde lei, completamente a suo agio. Non è la prima intervista che fa. Per un po’ tiene gli obiettivi e i microfoni puntati su di lei, e Rachel sembra disturbata che le abbia rubato la scena.
«Come vi siete conosciuti?»
Rachel riprende in mano la situazione. «Proprio la sera di Capodanno… è una storia buffa. Ci siamo ritrovati sulla cima di un palazzo e…»
«Che ci facevate lì?»
«Volevamo buttarci giù.» Li spiazza.
Il silenzio che segue queste poche parole è devastante, ma lo è ancora di più la valanga di domande che arriva dopo.
«Perché volevate buttarvi?»; «Fate parte di una setta?»; «Perché proprio a Capodanno?»; e la più bella di tutte: «Perché siete ancora vivi?»
E’ interessante come, di fronte alla confessione di un – anzi quattro – tentato suicidio, la domanda che preme di più sia quest’ultima. Non per sapere quale sia il motivo che ci ha fatto cambiare idea, perché in tal caso sarei anche felice di spiegarlo, ma per capire con disappunto perché non siamo morti – 4 morti fanno parlare di più di quattro suicidi falliti, e i giornalisti lo sanno. Rachel ci ha avvisato: quando muore qualcuno in circostanze misteriose le vendite sono assicurate. Noi dovremo impegnarci un po’ per ottenere lo stesso successo.
«Abbiamo visto Dio.» Rispondo senza pensarci. Non so nemmeno perché ho scelto questa risposta; non ho una fede così forte. «Sembrava uno di quei volti che stanno sulle scatole dei cereali. Continuava a dire: “Non buttaaaateeeevi”» faccio una delle mie imitazioni migliori. Rachel ride. Kurt aggiunge dettagli. Quinn ci guarda storto, ma è d’accordo con noi.
I giornalisti continuano a tempestarci di domande, alcune di gruppo, altre rivolte a uno di noi in particolare. Per un po’ va tutto bene.
Ma poi: «Quinn, perché volevi suicidarti? Tuo padre lo sa?»
Lei si irrigidisce e Rachel la prende per mano, prima di rispondere al posto suo. Per un attimo temo che violi la privacy di quella ragazza dicendo a tutti del cancro. Ma non lo fa, grazie al cielo.
«Questa informazione rimarrà riservata, se non le dispiace.» Cerca di mediare.
«Ma il pubblico vorrà sapere! E’ la figlia del sindaco!»
La situazione pare sfuggirci di mano, ma Rachel è abituata a cavarsela in situazioni come questa.
«Le ripeto, signore, che Quinn non è tenuta a rispondere, se non vuole. E’ minorenne e se continuerà a insistere perché parli, chiamerò la polizia.»
«Allora diteci di voi! Kurt, chi sei, cosa fai, perché volevi farla finita?»
«Vengo da Lima, Ohio. Sono…»
«Noioooooso. Raccontaci i particolari nascosti della tua storia. Un’infanzia difficile? Magari per via del tuo orientamento sessuale? O forse un genitore defunto, cosa ci dici?» Kurt rimane spiazzato. In effetti non c’è una cosa che questo giornalista non abbia azzeccato. So che sua madre è morta quando era bambino perché la sera di Capodanno, cercando Quinn, gli ho chiesto cosa lo avesse portato a New York; così, per fare conversazione. Mi ha risposto che era stato suo padre a insistere e che sua madre avrebbe voluto vederlo avere successo nella città delle mille possibilità. Per quanto riguarda il suo orientamento sessuale, direi che è abbastanza evidente, così come le difficoltà che può avere incontrato per questo motivo. E’ bloccato, ora. Lui non è abituato alle interviste, e tantomeno io. Comincio a essere stanco.
«Sam, e tu? La ragione è un amore tradito? O una ragazza ti ha respinto? Qualcuno ti ha visto con Rachel Berry: cosa c’è sotto?»
«Se non vi dispiace, dichiarerei chiusa l’intervista.» Annuncio. Non ho più voglia di rispondere. Rachel mi guarda come se fossi venuto meno al nostro piano, ma davvero, non ce la faccio più. Lei deve averlo capito, e mi aiuta ad invitarli all’uscita. I più sono restii, ma alla fine ci riusciamo.
 
Quinn non ha più detto una parola, e ora esplode contro di noi.
«Che ci è saltato in mente?! E’ stato un disastro! Cosa possiamo ricavare da questo?!»
«Quinn, calmati. Questa è solo la prima fase, quella per far conoscere la nostra vicenda. Da domani sarà tutto più facile, perché saremo pagati per comparire nei programmi tv e radio. Vedrai, il peggio è passato.» cerca di rassicurarla Rachel.
«E come credi che potrò parteciparvi, io? Come hai ben ricordato tu, sono minorenne! Non posso comparire in tv senza il consenso dei genitori! E non credo che me lo daranno, quando leggeranno gli articoli, domani!»
«Tranquilla, qualcosa inventeremo.» Dico io.
«Kurt, stai bene?» Chiede Rachel.
Lui fissa il vuoto. «Sono così prevedibile… sono… sono uno stereotipo!»
«Non è così.» Mi avvicino a lui e gli metto una mano sulla spalla. «I giornalisti hanno la tendenza a incasellare le persone, per via della sintesi e del poco spazio a disposizione. Noi sappiamo che non sei solo quello.»
«Devo inventarmi qualcosa, devo.» Non mi ha neanche sentito. Non mi piace la piega che ha preso la sua voce. Forse ha ragione Quinn: non è stata una buona idea. Eppure, mi sembrava un buon piano.
 
***
QUINN
 
 
Come previsto, la mattina parte male.
«QUINN FABRAY!»
Vado in salotto con calma, tanto so cosa mi aspetta.
Trovo mio padre in piedi con il giornale in mano e mia mamma seduta sul divano con un fazzoletto tra le dita. Ha già pianto.
«Che c’è papà?» Chiedo fingendo innocenza.
Lui è furibondo: è tutto rosso in faccia e deve fare più di un respiro profondo prima di parlare.
«Che c’è?! Tu mi stai davvero chiedendo che c’è?!»
Faccio spallucce.
Lui mi sbatte il giornale di fronte, e io indietreggio, improvvisamente spaventata.
«Cos’è questa storia del suicidio?! Non bastava che fossi incinta?! Vuoi proprio rovinarmi la carriera?!»
La mamma scoppia in un pianto rumoroso.
Io sono senza parole, ho le lacrime agli occhi. Mio padre crede che tutto quello che mi sta succedendo sia un modo per fargliela pagare per qualcosa, ma non riesce a capire che niente di tutto questo a che fare con lui, c’entra solo con me. Mi basterebbe un po’ di comprensione da parte loro, chiedo troppo?
«Tu, da questo momento, ti scordi di fare qualsiasi cosa senza il nostro consenso.» Ordina. «Da oggi, ti sveglierai al mattino, studierai a casa, parteciperai alla vita di questa famiglia e, soprattutto, troverai un modo per sistemare… quella cosa.» Indica il mio ventre. «Ma non hai pensato che quei giornalisti avrebbero potuto scoprire qualcosa?! Come pensi che avrebbe inciso sulla mia campagna elettorale?!»
Non ce la faccio a ribattere su niente. Voglio solo andarmene da questa stanza.
Mi volto e corro su per le scale, verso camera mia, distinguendo a mala pena il richiamo di mio padre a tornare in salotto perché con me non ha ancora finito.
Io, in compenso, ho finito con lui, eccome.
Mi chiudo a chiave in camera e mi butto sul letto a piangere contro il cuscino. Non riesco neanche a guardare la mia stanza, così perfetta e tappezzata delle mie divise da cheerleader. Le mensole sono zeppe di coppe e medaglie vinte alle provinciali, regionali e nazionali e l’idea che non potrò più essere il capitano della squadra mi distrugge. Era l’unica cosa che avevo, e ora non potrò neanche tornare a scuola. Accendo il cd di Dionne Warwick e I say a little prayer copre le urla dei miei genitori. Chiamo Rachel.
 
«Pronto?»
«Rachel, puoi venire a prendermi, per favore? Sono a casa mia.» balbetto, e odio che lo stia facendo.
«Quinn, tutto bene? Cos’è successo?»
«Te lo spiego dopo, fai presto!» Mi arrabbio con lei.
Sento bussare alla porta, poco dopo la telefonata. Non ho intenzione di aprire.
«Tesoro?» E’ la voce di mamma. Alzo gli occhi al cielo perché non è stata neanche capace di difendermi e ora viene qui credendo che sia tutto a posto. Non lo è, affatto.
«Tesoro, aprimi. Ti prego.»
Non rispondo nemmeno.
«D’accordo. Dagli almeno un’occhiata, okay?» infila un volantino sotto la porta.
Aspetto che se ne sia andata, prima di raccoglierlo. È di una qualche organizzazione che si occupa di incontri per le adozioni. Lo appallottolo e lo lancio contro il muro.
Finalmente arriva Rachel e io scappo letteralmente di casa.
 
***
RACHEL
 
Da quando è qui, Quinn non ha ancora detto una parola. È una ragazza complicata e vorrei aiutarla, ma è difficile prendersi cura di qualcuno se non ti dice quale sia il problema.
«Non vuoi dirmi qual è il motivo per cui sei scappata di casa?»
È seduta sul divano, composta e con le braccia incrociate sul petto. La coda di cavallo tirata e ordinata mette in risalto i suoi tratti angelici ma perennemente arrabbiati. Alza le spalle e guarda fuori dalla finestra.
«Quinn, per favore.» la incoraggio. Purtroppo in risposta mi regala un’occhiata perforante.
«Vuoi proprio saperlo, Rachel?»
Il suo tono supponente mi disturba e mi spaventa un po’. Cerco di ignorarlo.
«Certo che lo voglio.»
Mi sorride ancora più acidamente.
«È tutta colpa tua.»
Mia?
«Se non fosse stato per la tua brillante idea di coinvolgere dei giornalisti, io sarei ancora a casa mia, potrei andare a scuola insieme ai miei compagni e sarebbe tutto come è sempre stato!»
A questo punto non ce la faccio più.
«Adesso smettila, Quinn! Davvero credi che sarebbe stato diverso? Che tutto sarebbe tornato alla normalità? Saresti tornata a scuola a fare la cheerleader e la reginetta del ballo? Hai tentato il suicidio, cose come questa ti segnano! Invece di cercare qualcuno a cui dare la colpa - me, i tuoi genitori, o chiunque altro – dovresti guardare dentro te stessa e capire quale sia il motivo per cui sei sempre arrabbiata con tutti.»
Mi accorgo di stare esagerando e abbasso un po’ il tiro.
«Ascolta, so che essere un’adolescente è difficile. E posso solo immaginare cosa possa significare avere un tumore. Ma io voglio che tu riesca a vedere in me un’amica, non qualcuno da combattere. Vorrei vederti mettere da parte un po’ di ostilità e renderti conto che io, Kurt e Sam siamo dalla tua parte.»
Quinn scoppia in un pianto silenzioso e non posso fare a meno di sedermi accanto a lei e abbracciarla. Singhiozza per qualche minuto e poi mi guarda con occhi che definirei colpevoli, e non so perché.
«Rachel, io… io non ho…»
Non faccio in tempo a sapere che cosa non abbia perché nel frattempo il suo cellulare squilla.
«Oh no, è mia madre! Le ho detto di lasciarmi in pace ma non vuole saperne!»
«Quinn, devi rispondere. È preoccupata per te.»
«Non ci penso neanche. Lei non… non se lo merita.»
Questa affermazione mi confonde. Non so cosa possa aver fatto sua madre per farla arrabbiare così, ma è giusto farle sapere che sua figlia sta bene. Chissà come sarà preoccupata per lei.
«Lascia che risponda io, per favore.»
 Si alza dal divano e mi passa il suo cellulare che continua a suonare con insistenza. Comincia a fare avanti e indietro per il soggiorno. Io passo il dito su “rispondi”.
«Pronto? Signora Fabray? Sì, no non sono Quinn. Mi chiamo Rachel Berry e volevo avvisarla che Quinn sta bene. Sì, sì, sono una dei quattro sucidi. Quinn è qui con me adesso. Non vuole parlarle, ma sono sicura che la richiamerà non appena se la sentirà. Sì, lo so che le sue condizioni sono di un certo tipo. No, signora Fabray, la prego non faccia così. Credo che per il momento sia giusto lasciarle i suoi spazi. Me ne prendo io la responsabilità. Certo che so che lei non sa neanche chi io sia, ma le prometto che per qualsiasi cosa la chiamerò. Non metterei mai Quinn in pericolo. La prego, si fidi di me. Si fidi di Quinn. È molto più matura di molte ragazze della sua età. D’accordo, la ringrazio. A presto.»
Quinn mi ha fissato per tutto il tempo della conversazione mordendosi le labbra.
«Allora?»
«Allora credo che tua madre mi odi. Ma ha acconsentito a darti un po’ di spazio.»
«Posso… stare qui?»
«Se non ti disturba vivere in una casa perennemente circondata da giornalisti.»
«Penso che potrei abituarmici. A questo punto penso che sarei sotto i riflettori anche senza abitare insieme a Rachel Berry.»
 
***
KURT
 
Lavorare allo Spotlight è divertente, ma fino a un certo punto. È passata qualche settimana da quando ho cominciato e l’entusiasmo ha già cominciato a scemare. Le giornate sono tutte uguali: accogli il cliente, prendi l’ordinazione, servi, vai alla cassa. Una routine alienante. Fortunatamente, tra una cosa e l’altra ci scappa una canzone e solo in quei momenti ritrovo l’orientamento. Dani è fantastica: mi ha insegnato molto e con lei rido e scherzo tutto il giorno; la parte migliore è quando Santana ci rimprovera e ci riempie con i suoi infiniti insulti. Con me ha trovato pane per i suoi denti, perché ormai le tengo testa con la bella lista di appellativi che ho maturato di recente.
Ma non mi sento affatto soddisfatto.
Guadagnare qualche soldino non mi fa schifo, proprio no, ma le mie vere aspirazioni sono ben altre. Mi ritrovo a fare per otto ore al giorno una cosa che non mi piace e che mi succhia un sacco di energie, e quando arrivo a casa devo subito uscire per partecipare a quei dannati talk show che ci trova Rachel. Con il fatto che ormai possiamo definirci famosi, anche lo Spotlight è diventato un covo di giornalisti e blogger. Tutti mi chiedono di me, e per un po’ la mia autostima ne ha giovato, ma ora sta diventando intollerabile. Ho paura di quello che possa aver sentito mio padre, di questa storia. Spero solo che sia troppo impegnato nell’officina per seguire dei programmi televisivi.
Comunque, la parte che mi irrita di più di tutta questa situazione, è che mi manca il tempo per fare le cose che amo. Non sto più seguendo Broadway.com, né riesco più a cucirmi gli abiti da solo. L’altro giorno sono finito da Gap per prendermi un maglione e c’era un commesso che cercava tristemente di nascondere la sua palese omosessualità. Non voglio finire come lui. E come se non bastasse non riesco nemmeno a prepararmi come si deve per il provino alla Nyada, ed è la parte che mi spaventa di più.
Sto buttando via il mio tempo?
Forse dovremmo solo un po’ allentare questa cosa delle interviste. Stare davanti ai flash mi piace, anche se la prima volta nel salotto di Rachel mi sono spaventato, ma quattro volte a settimana sta risultando sfiancante, soprattutto perché si tratta di apparire sempre sorridente e di fare battute divertenti, nonostante la fatica delle lunghe giornate e il fatto che il tema centrale dei nostri discorsi sia quello non proprio esilarante di togliersi la vita.  
Probabilmente ne parlerò con gli altri.
 
***
RACHEL
 
 
«No, ragazzi! Ora che cominciamo a vedere i frutti di quello che stiamo facendo!» Mi indigno. Non posso credere che vogliano mollare proprio adesso che le televisioni hanno cominciato ad offrirci cifre di una certa consistenza per apparire nei loro programmi.
«Rachel, Kurt ha ragione.» Interviene Sam. «Noi non siamo abituati a questi ritmi.»
«Ma dobbiamo tenere duro finché la nostra storia fa ancora notizia! Presto troveranno altro di cui parlare e non ci vorrà più nessuno! Avremo la pace che meritiamo, dobbiamo solo resistere ancora un po’!»
«Io sono d’accordo con Rachel. Adesso, la firma che faccio sembra proprio quella di mio padre.» Commenta Quinn. Il fatto che i suoi genitori non mi abbiano ancora denunciata mi fa pensare che le stiano lasciando lo spazio che ha chiesto. Ad ogni modo, Quinn non sa che tengo aggiornata sua madre su tutto quello che facciamo.
«Rachel, perché ci tieni tanto? Tu sei l’unica di noi a non aver problemi di soldi, eppure sei quella più restia a mollare. Non posso credere che sia solo smania di stare sotto i riflettori.» Mi provoca Kurt.
E io non posso credere che pensi che abbia un secondo fine. Cioè, è vero, ce l’ho, ma lui sta insinuando che nasconda qualcosa di brutto! Io… voglio solo fare bella figura con Sam.
«Il tuo scetticismo mi ferisce, Kurt.» Gioco la carta pessima del vittimismo. Ogni tanto lo faccio quando vengo messa alle strette, e di solito funziona.
«Rachel,» Sam mi prende delicatamente un braccio, per costringermi a lasciar perdere Kurt e a concentrarmi su di lui. Ha le mani calde. «Abbiamo tutti bisogno di una pausa.» Me lo dice lentamente, guardandomi fisso negli occhi. Devo cedere.
«D-D’accordo… m-ma stasera ci aspettano come ospiti a Before You Sleep… non possiamo disdire all’ultimo momento…» È un programma molto seguito e sarebbe davvero negativo per la nostra immagine.
«Prometti che sarà l’ultima volta? E per un po’, poi, basta?» Chiede Kurt.
«Promesso.»
«Allora va bene.»
 
Bernard Cohen, il conduttore e intervistatore, ci presenta e ci invita a sedere sul divanetto in pelle bianca davanti alle telecamere. Il jingle che ha accompagnato la nostra entrata si interrompe e il pubblico smette di applaudire. Come sempre in questi tipi di show, Bernard interagisce con il pubblico dalla sua poltroncina, fa qualche battuta che fa ridere tutti e poi si occupa di noi. Da un po’ di tempo non ci fanno più le solite domande – cos’è successo, eccetera. Ora ci chiedono dei nostri piani futuri, e ci fanno presente che fra una settimana sarà già febbraio e che il nostro patto sta per volgere al termine. Bernard ci chiede se la nostra amicizia sia solo per circostanza o sia autentica.
Ci riflettiamo qualche minuto e il primo a parlare è Sam. «Mi lasci dire una cosa, Bernard.» Si sistema tra i cuscini, dando l’impressione di avere una grande sicurezza. Sono colpita: è diventato disinvolto di fronte alle telecamere in pochissimo tempo. Continua: «Nella mia vita ho incontrato tante persone, ma a poche posso dire di essermi affezionato. Queste che sono sedute qui con me, sono tre persone meravigliose: a Kurt dobbiamo il fatto di essere ancora in vita,» vedo Kurt arrossire, «Rachel ci sta aiutando con i suoi modi strampalati,» lo trovo strano come complimento, ma arrossisco anch’io, «e Quinn ci sta insegnando la lezione più importante di tutte: guardare in faccia le avversità e non mollare neanche quando sembra che non ci sia speranza.» Quinn fissa il pavimento torturandosi le mani tra le pieghe della gonna. Le stringo tra le mie e le sento particolarmente fredde e sudate. Sarà una strana reazione al caldo dello studio.
Il pubblico è rimasto affascinato dal discorso di Sam, così come lo siamo noi. Lo guardo e gli sorrido con ammirazione. Forse è una buona idea mettere fine alla nostra fama con un discorso come quello. Mi sorride anche lui e copre le mie mani e quelle di Quinn con le sue. Poco dopo si aggiunge anche Kurt. Stiamo diventando una squadra – sgangherata, ma una squadra.
Quinn però mi preoccupa. Non ha parlato per tutta l’intervista e ora la sento con il respiro affannato, e il sudore le ha imperlato anche la fronte. «Quinn, ti senti bene?» le sussurro all’orecchio, mentre Kurt risponde a una domanda del pubblico. Scuote impercettibilmente la testa.
Oh mio dio, vado nel panico: Quinn sta male e interrompo Kurt e tutti gli altri.
«QUALCUNO CHIAMI UN DOTTORE!»
Quinn scivola dal divano e si accascia sul pavimento, inerte.
 
Arriviamo trafelati in ospedale e non vogliono dirci niente di Quinn, che invece è stata portata qui in ambulanza.
Sono furiosa! Perché nessuna infermiera si degna di dirci almeno se sta bene?! Dovrei chiamare sua madre, ma prima vorrei saperle dire qualcosa di più di: “sua figlia giace incosciente in un letto d’ospedale”!
Ma soprattutto sono tremendamente angosciata. La malattia di Quinn è peggiorata improvvisamente? Sono stata io a stressarla troppo con i ritmi delle interviste? È solo una bambina, non è giusto che le capiti qualcosa di brutto.  
Finalmente vedo un’infermiera con un viso gentile: è giovane, carina e probabilmente appena arrivata e facile da intimidire in stile Rachel Berry.
«Scusami!» La chiamo avvicinandomi a lei, seguita da Sam e Kurt.
«Sì?» Si gira verso di noi con la cartella clinica di qualcuno in mano. Puzza di disinfettante, come tutto, qui.
«Salve, mi chiamo Rachel Berry e-»
«Rachel Berry, oddio!» La ragazza mi interrompe, presa da un’eccitazione incontenibile. Vedo Kurt alzare gli occhi al cielo, ma lo ignoro: è bello sapere che c’è ancora qualcuno che mi apprezza per le mie doti artistiche e non per i gossip.
«Sì, sono proprio io… ascolta-» ma mi interrompe di nuovo.
«E voi siete Sam e Kurt! Ragazzi, la vostra storia è incredibile!»
Scherzavo. Questa segue solo i pettegolezzi, come tutti gli altri.
«Sì, emozionante. Ascolta,» prova Kurt con il suo sarcasmo, «la nostra amica non è stata bene, stasera. Non è che puoi dirci come sta adesso? Sai, per via del tumore. Siamo preoccupati.»
«Tumore?» Ci guarda confusa. Possibile che sia appena uscita dalla camera di Quinn e che non sia stata nemmeno avvisata del perché ha bisogno di cure? In che mani siamo…
«Sì, tumore allo stomaco.» Taglio corto io. Sto perdendo la pazienza.
«Tumore allo stomaco? No… nessun tumore, ragazzi. Quinn Fabray è all’ottava settimana di gravidanza!»
«Come, prego?» Sgrano gli occhi. No, ci dev’essere un errore… Quinn è malata, non in dolce attesa.
«Incinta, signorina Berry: Quinn Fabray è incinta.»
Non posso credere alle mie orecchie. Non ascolto altro. Me ne vado via.
Con amarezza mi rendo conto di quanto tutto questo abbia dannatamente senso.
Quinn è solo una bugiarda.
 
***
SAM
 
Trovo Rachel seduta sui seggiolini di plastica della fredda sala d’attesa e le offro un bicchiere di caffè d’asporto.
È sconvolta, arrabbiata e soprattutto stanca.
«Tutto bene?» le chiedo, sedendomi accanto a lei. Continua a fissare il vuoto, ma accetta il caffè con il quale si scalda un po’ le mani.
«No… mi sento uno schifo. Ho chiamato a casa sua, e vuoi sapere cosa mi hanno risposto? Sua madre credeva che io fossi al corrente della reale condizione di Quinn, mentre suo padre mi ha detto che se la notizia uscirà dall’ospedale io sarò la prima a cui rovinerà la vita, e poi penserà a voi.»
«È solo un povero idiota.»
Mi guarda con i suoi occhi scuri e profondi. «Perché Quinn ci ha mentito, Sam? Pensavo si fidasse di noi… di me.» Si stringe nella giacca e vorrei sapere come riscaldarla, sia fuori che dentro.
«Non lo so Rachel… l’importante è che stia bene.»
«Cos’hanno detto i dottori?»
«È tutto okay, solo un malessere passeggero. Anche il bambino sta bene. Ma deve riposarsi, perché dicono che può essere dovuto allo stress.»
«È tutta colpa mia.» I suoi occhi si riempiono di lacrime e non posso resistere dal metterle un braccio intorno alle spalle. Tra di noi, Rachel è quella che si è più affezionata a Quinn: l’ha salvata in quel pub, l’ha accolta in casa sua dopo che è scappata di casa… capisco come si senta tradita. La lascio sfogare, sento i suoi singhiozzi e le accarezzo le guance infreddolite.
Quando si calma, mi chiede: «Dov’è Kurt?»
«Si sta occupando di tutte le faccende burocratiche. Si sta assicurando che la notizia rimanga riservata e sta tenendo a bada i giornalisti che sono riusciti a entrare. Fortunatamente, per questo ci sono anche gli uomini della sicurezza.»
«Forse dovremmo andare ad aiutarlo.»
«Vado io, tu va’ da Quinn. Sei l’unica che non è ancora andata a vedere come sta.»
Tituba. Non riesce a perdonare Quinn per averci raccontato un mucchio di bugie.
«Rachel, ha chiesto di te. Forse vuole chiarirsi, dalle una possibilità.»
«Posso provarci, ma non garantisco.»
«So che puoi farcela.» Le do un bacio sulla fronte e vado da Kurt.
 
***
QUINN
 
Odio essere sdraiata in questo letto del cavolo.
Odio essermi sentita male davanti a tutti.
Odio il fatto che mi stia venendo da piangere.
Odio tutta questa situazione, questa pancia, questo bambino.
Odio tutti.
 
Sento bussare alla porta e mi asciugo in fretta le guance, prima di rispondere: «Avanti!»
Fa capolino una chioma di capelli scuri e un naso inconfondibile.
«Rachel, vieni pure.»
«Sembri stare un po’ meglio…» mi dice, accomodandosi sulla sedia accanto al letto.
«Non c’è nulla che un po’ di riposo non possa guarire, giusto?» Cerco di ironizzare, ma non la prende bene e so che ha ragione.
«Già, a parte il cancro.»
Non so cosa rispondere e d’un tratto il lenzuolo bianco che mi copre diventa molto interessante.
«Quinn, quello che ci hai detto è molto grave! Aspettare un bambino non è una malattia!» Mi rimprovera, e ora quella che si arrabbia sono io. «Cosa vuoi saperne tu?»
«Che intendi dire?»
«Che ne vuoi sapere tu, dell’amore e degli sbagli che si possono fare in nome di esso? Non sei mai stata con nessuno, e ora non riesci neanche a farti notare da quello stupido di Sam! Si vede lontano chilometri che muori dalla voglia di dirgli che ti piace, ma non lo fai perché sei una codarda! E fai bene, perché scommetto che lui non ti vorrebbe neanche!»
Faccio sempre così: ferisco le persone perché mi sento ferita io, e me la prendo con quelle che non c’entrano niente, ma almeno soffrono come me, e io posso sentirmi meglio.
Rachel non mi guarda più. Ha abbassato lo sguardo e si è passata un dito su una guancia per asciugarsi una lacrima, credo. Non dice niente e mi sento disarmata: avrei preferito che mi sgridasse, che mi chiedesse come mi fossi permessa di dire cose del genere, che mi tirasse lo schiaffo che mi meriterei. Avevo voglia di un bello scontro per sfogare la mia rabbia. E invece rialza lo sguardo su di me, con un sorriso triste, e quello che mi racconta dopo non riesco a commentarlo nemmeno.
«Sono stata fidanzata per alcuni anni, Quinn. Lui si chiamava Finn.» Percepisco i suoi occhi farsi strada tra i ricordi e lasciare la stanza dove ci troviamo. «Era bello, alto, con occhi sinceri. Attento ai più deboli e un leader naturale. Mi sosteneva sempre e credeva nelle mie capacità, e non mi ha mai chiesto niente, se non di proteggerlo dalle luci della mia ribalta. Non voleva essere trascinato sotto i riflettori, voleva solo amarmi ed essere amato come in una coppia qualunque, e questo mi ha sempre aiutato a mantenere i piedi per terra. Era una persona eccezionale, e io mi sono sempre chiesta cosa avesse trovato in me e quanto fossi fortunata ad averlo al mio fianco. Era la mia persona. Avremmo dovuto sposarci entro la fine di quest’anno, ma poi…» A questo punto so dove deve arrivare e mi allungo verso di lei per stringerle una mano. La sua voce si rompe. «Ora non c’è più. È successo all’inizio di dicembre.»
Non mi serve sapere altro.
I giornali in quel periodo raccontavano che Rachel aveva aggredito un paparazzo. L’hanno dipinta come una ragazzina capricciosa e aggressiva, ma lei stava solo proteggendo la memoria del suo vero amore e stava lottando contro un dolore che doveva vivere da sola. Ora capisco perché volesse buttarsi giù dal tetto dell’hotel, a Capodanno. Capisco perché avesse risposto “lutto” al mio giochino in macchina. E capisco di avere esagerato con quello che le ho rinfacciato adesso, ma purtroppo sono fatta così: non sono capace di essere un’amica per nessuno. E lei, invece, è la persona più straordinaria che conosca.
«Rachel, non volevo…»
«Tranquilla, non è niente di grave.»
Per rassicurarmi, mi stringe un po’ la mano che le sto ancora tenendo, ma non riesco a smettere di sentirmi in colpa.
«Ti aiuterò a conquistare Sam,» dico scioccamente.
Rachel sorride e le scappa anche una debole risatina. Non è molto, ma sono soddisfatta. Mi allungo per abbracciarla e io stessa mi meraviglio della naturalezza con cui lo faccio; in genere non abbraccio nessuno, anzi, tendo a mantenere le distanze, ma devo ammettere che basta poco per sentirsi e far sentire meglio.
Poco dopo qualcun altro bussa alla porta della mia camera e tutti mi sarei aspettata di vedere, tranne che lei: mia madre.
«Vi lascio sole.» Si congeda Rachel.
«Grazie,» le dice mia madre, e ho come l’impressione che non si riferisca solo al fatto di averci dato la privacy di cui abbiamo bisogno.
«Mamma, che ci fai qui?»
«Appena Rachel mi ha avvertito del tuo malore mi sono precipitata in ospedale.» Si siede accanto a me e riconosco il profumo di rose che la contraddistingue. Per un momento lo associo al profumo di famiglia e di casa, ma subito dopo mi accorgo che per me adesso ha molto più significato la fragranza del deodorante per auto nella macchina di Sam, o l’odore della lacca di Kurt e perfino il profumo dei caffè delle mattine con Rachel.
«Quando starai meglio, torna a casa con me, Quinn.» Mi prega. «Ho lasciato tuo padre. L’ho cacciato, in realtà. L’ho beccato con una ragazzina asiatica poco più grande di te e le conseguenze non potevano che essere queste.» Mi rovescia addosso queste parole come se, al contrario di come appaiono a me, non fossero una doccia fredda. È come se per lei una verità del genere fosse sempre stata prevedibile, mentre io sono sotto shock. Papà con un’adolescente? E tutte quelle prediche sull’importanza dell’immagine, della rettitudine, della sacralità della famiglia e tutto il resto? Ora capisco che la sola cosa di cui si preoccupava veramente era l’apparenza. Si può avere una figlia incinta a sedici anni, una moglie che non si ama, un’amante uscita da chissà dove, purché al pubblico la prima appaia come la presidentessa del Club della Castità, la seconda faccia del suo meglio per lasciarsi esporre come un trofeo e la terza rimanga nascosta nell’armadio. Il resto viene da sé. Sono disgustata.
«Quinn, so di avere sbagliato, ma voglio ricominciare, voglio farmi una nuova vita solo con te, lontano da interviste e campagne elettorali. Possiamo ristrutturare la camera degli ospiti e farci una nursery per il bambino, se decidi di tenerlo. Io ti sarò vicina qualsiasi decisione prenderai.»
Questo mi conforta. Non ho ancora deciso se tenerlo o darlo in adozione, ma sapere che mia mamma mi appoggerà in ogni caso è un sollievo. Per una volta mi sento una figlia fortunata e amata, e posso lasciarmi andare. Scoppio a piangere perché sento i pezzi della mia vita ricominciare piano piano a combaciare, e il peso che mi opprimeva lasciarmi liberi cuore e spalle. La rabbia che covavo dentro da troppo tempo mi lascia respirare per la prima volta. A dirla tutta, mi sento come se stessi nascendo di nuovo, tra le braccia protettive di mia madre e i singhiozzi che mi ricordano che sono viva, che una nuova vita sta per cominciare ed è piena di possibilità.
Adesso mi sento pronta anche per dirlo a Noah.

 
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LA TAVOLA DI CUP OF TEA – parte 2
Ho una pagina facebook, che trovate all’indirizzo:
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Capitolo 3
*** This world of little consequence ***


LA TAVOLA DI CUP OF TEA
Ed eccoci arrivati alla terza parte, la mia preferita.
Vi siete ripresi dal Kledding? Perché qui compare Blaine, eh, e il fluff fioccherà come lo zucchero filato!
Buona lettura <3

Cup of tea

 
 
 
PARTE TERZA - This world of little consequence
 

KURT
 
Che bellezza, partire per una vacanza!
Da quanto tempo non lo facevo?
Forse c’era ancora la mamma.
 
Sono nella sala d’aspetto dell’aeroporto con Rachel, Sam e Quinn e siamo pronti per partire per la Florida.
Se vi siete persi qualche pezzo, dopo la disavventura dell’ospedale e della vita sotto i riflettori, abbiamo deciso di scappare dai flash e dai microfoni per regalarci qualche momento di pace. Strano a dirsi, Rachel aveva ragione: i ricavati di quelle settimane infernali sono stati sufficienti a pagare un mese d’affitto per Sam ed essere tranquillo anche per i successivi tre, chiedere una settimana di ferie allo Spotlight per me, e pagare metà delle visite di Quinn – della restante metà si occuperà sua madre. Rachel ha invece deciso di usare la sua parte e qualcosina in più per regalarci un viaggio per farsi perdonare dei ritmi disumani a cui ci ha sottoposti.
Ho notato del tenero tra lei e Sam, anche se sono alquanto bizzarri insieme: lui fa le imitazioni di attori famosi e lei ride come se fossero davvero divertenti; lei fa l’elenco dei premi che ha vinto nella sua carriera e lui l’ascolta interessato. Voglio dire, se non è amore questo…
Non nascondo di essere un po’ invidioso.
Io non ho mai avuto un ragazzo, e ormai ho superato i vent’anni. Non fraintendetemi: qualche flirt l’ho avuto, naturalmente, ma la ragazza con l’apparecchio e le trecce che faceva parte del mio gruppo di taglio e cucito alle medie e il viscido gelataio di mezza età all’incrocio della strada di casa mia è meglio non tenerli in considerazione.
La verità è che la solitudine comincia a pesarmi.
Vorrei conoscere un bel ragazzo, di quelli che ti rapiscono con lo sguardo e ti fanno innamorare con il solo suono della sua voce. Vorrei che fosse uno di quelli che riempiono di regali, non perché ci siano delle occasioni particolari per farli, ma semplicemente perché è bello farseli. Vorrei che fosse bello dentro, ma anche fuori, e che mi facesse sentire ogni giorno speciale e insostituibile.
Ma forse uno così esiste solo nelle favole, mentre nella realtà ci sono solo coppie sgangherate come Rachel e Sam.
Mi ritrovo a guardarli e Quinn intercetta il mio sguardo, comprendendo il mio stato d’animo. Come ha fatto? Sesto senso da donna incinta? Si alza e si siede vicino a me, attaccando con una conversazione che so essere il suo modo per farmi pensare ad altro. Le sono grato.
Poco dopo chiamano il nostro volo e ci alziamo con tanto di bagagli a mano al seguito. La mia stupida malinconia è scomparsa e non vedo l’ora di partire!
 
Atterriamo nell’aeroporto di Fort Myers quando ormai è sceso il buio. Arriviamo all’albergo e ci sistemiamo ognuno nella propria camera – Rachel e Quinn insieme, io e Sam nelle due stanze adiacenti – e poi scendiamo per la cena. Tra una forchettata e l’altra, decidiamo cosa fare domani, e siamo tutti d’accordo con il cominciare con la spiaggia, perché la ragione principale di questa vacanza è recuperare le forze. Ci sarà tempo per lo shopping, le visite turistiche e le escursioni, ma domani sarà solo di totale relax.
 
Ci svegliamo a metà mattina, con calma, e ci ritroviamo a fare colazione al bar della spiaggia. Sappiamo già di vacanza: Rachel indossa un prendisole arcobaleno sopra un bikini fucsia e un cappello di paglia; Quinn si sta cospargendo di crema perché, come me, ha la pelle molto chiara e me ne faccio prestare un po’, perché improvvisamente ho il terrore che quel chilo che ho messo in camera non basti; Sam, infine, indossa già la muta perché, a quanto pare, è davvero un surfista. Rachel gli chiede se più tardi può insegnarle come si fa e lui risponde con entusiasmo. Quinn invece rimarrà a godersi la brezza sotto l’ombrellone, ascoltando la musica con il suo Ipod, e io penso che rimarrò a farle compagnia.
Fino a che non arriva il cameriere con la nostra colazione.
Un angelo dagli occhi color nocciola e dai riccioli scuri domati da un gel al lampone mi abbaglia.
Sono senza parole e credo di avere la bocca aperta, perché Rachel ride e mi dà una gomitata.
«G-grazie.» Balbetto, quando posa il mio cappuccino sul tavolo.
«Figurati.» Risponde facendomi l’occhiolino. «Sono Blaine, comunque.» Si presenta.
«Kurt.» Dico solo, e sento le guance avvampare.
Poi si abbassa verso di me e mi sussurra un «Rilassati», che tutto fa, tranne che rilassarmi.
Scompare dietro il bancone di bambù e io lascio andare il fiato che non mi ero neanche accorto di aver trattenuto.
«Kurt! Ti mangiava con gli occhi!» Commenta Rachel, civettuola.
«Cosa? Ma no… Dici?» Nego, ma spero che abbia ragione.
«Certo!» Conferma Quinn. «Vacci a parlare, dopo. Io posso stare da sola per qualche ora, non dovete farmi da babysitter tutto il tempo. È vacanza per tutti.»
Sono nervoso. Non ho mai flirtato deliberatamente con qualcuno, ma le ragazze mi spingono a divertirmi e a lasciarmi andare, consigliandomi sull’approccio e dandomi spunti per la conversazione. Sembra difficile quanto preparare un sufflè senza che si sgonfi, ma in cucina me la cavo, e magari non sarò tanto male neanche con l’arte della seduzione.
Ma che diavolo dico?
Seduzione? Sexy, io?
Lo è di più un cucciolo di pinguino.
Non credo di potercela fare.
Le ragazze non sentono ragioni e mi lasciano da solo, mentre Sam, annoiato dai nostri pettegolezzi, è già tra le onde da mezzora.
Non ho alternativa che andare a parlare con Blaine.
Blaine.
Il suono del suo nome è avvolgente come una caramella al caffè che si scioglie sulla lingua.
Blaine. Lo ripeto. Blaine.
«Kurt.» Mi chiama lui, e ci manca poco perché trasalisca.
«Ehi, B-Blaine.»
«Stacco fra dieci minuti, ti va di fare una passeggiata sul bagnasciuga?»
È stato decisamente facile. «Certo.» Rispondo, grato di non aver dovuto fare io la prima mossa. Ho un grande sorriso sul viso che non mi sarei nemmeno aspettato.
Mi siedo su uno sgabello con cuscino rosso davanti al bancone, mentre lo aspetto e lo spio di nascosto. Si muove veloce e abile tra i bicchieri da lavare, le ordinazioni da consegnare e gli spiccioli dei resti. Porta al collo una collana di fiori sopra una maglietta bianca, che mi ritrovo vergognosamente a immaginare bagnata. Noto che anche il costume a pantaloncino gli dona come a nessun altro sulla faccia della terra, e, dopo averlo ammirato mentre posa il grembiule sull’attaccapanni e si infila gli occhiali da sole, mi lascio prendere per mano – per mano! – per farmi accompagnare sulla spiaggia.
 
L’acqua è fresca e ci accarezza i piedi a mollo. Siamo seduti su uno scoglio a parlare da un po’ e la cosa strana è che non ci siamo ancora fermati in silenzi imbarazzanti. Abbiamo parlato del più e del meno, del liceo, di come sia stato essere un adolescente gay, di come lo è esserlo ora. È bello confrontarsi con qualcuno che capisce davvero, per una volta. Blaine mi racconta di aver subito atti di bullismo quando frequentava la scuola pubblica e di essersi dovuto trasferire in un istituto privato. Ma è stata la cosa migliore che avesse potuto scegliere, perché dice che alla Dalton – questo è il nome della scuola – ha potuto finire serenamente il suo percorso di studi e diventare addirittura uno dei più popolari. Ci pensate? Bello, carismatico, in divisa e pure gay! Non può essere reale. A parte gli scherzi, mi accorgo di quanto sia anche molto dolce. Mentre parla è misurato, sta attento a ciò che dice, e mi ascolta senza giudicare, anche quando non siamo d’accordo al cento per cento.
Tra le tante altre cose, io gli racconto del nuovo lavoro allo Spotlight Diner e di come mi sia accorto che, invece di gratificarmi, mi senta oppresso e svogliato. Mi ha fatto un’osservazione che mi ha colpito: «Mai fare colloqui di lavoro per posti che non ti interessano. Neanche se quello che desideri non arriva. Se c’è una cosa che ho imparato, vivendo qui da solo, è che non bisogna mai accontentarsi e mai investire energie in ciò che non ci motiva. Sembra banale, ma bisogna piuttosto investirle nei propri sogni, impegnandosi al cento per cento per realizzarli. Non sprecare le tue risorse in lavori per cui tu stesso sei sprecato. Vuoi essere ammesso alla Nyada? Concentrati su questo, o finirai per rimanere bloccato in quel locale senza mai vedere un palco vero.»
Gli chiedo quale sia il suo sogno.
«Non ho grandi aspirazioni di carriera. Sono felice qui, mi piace fare quello che faccio. Ma se c’è una cosa che desidero davvero, nella vita, è incontrare un uomo con cui condividerla fino alla fine. Voglio sposarmi e avere una famiglia, non importa in quale luogo perché se è vero amore lo seguirei in capo al mondo. Sì, direi che mi basterebbe questo.»
Poi, tutto accade velocemente: forse è per come mi sta guardando, o per il fatto che siamo ancora mano nella mano, ma non resisto e lo bacio. Un bacio vero, sulle labbra, di quelli che non avevo mai dato a nessuno. Lo prendo alla sprovvista e per un attimo ho paura di aver esagerato, ma poi risponde restituendomene un altro. Cielo, baciarsi è la cosa più bella del mondo.
 
***
QUINN
 
Caro Noah…
No, troppo formale.
Noah.
Uhm, non è che mi piaccia troppo.
Mio amato Noah…
Rido da sola, perché non potrei mai scrivere una cosa del genere, e immagino Puck ridere altrettanto nel leggerla.
Non credevo che scrivere una lettera fosse tanto difficile. È più di un’ora che penso alle parole giuste, e sono ancora solo all’inizio; ma non ho alternative, perché se aspetto di prendere la linea telefonica della base militare in cui si trova, rischio di partorire prima che mi risponda qualcuno.
Mordo il tappo della penna. Cerco di farmi guidare da ciò che mi dice il cuore.
 
Ti sembrerà strano ricevere una lettera da parte mia. È la prima che ti scrivo, e so che non avrei dovuto farlo, perché eravamo d’accordo che non ci saremmo cercati fino al tuo ritorno. So che avevi deciso così per lasciarmi vivere la mia vita senza doverti aspettare. So che credi di dover dimostrare a tutti quanto vali – a me e ai miei genitori in particolare - e so che questa è anche l’unica ragione per cui sei partito per l’esercito. Ma permettimi di dirti ciò che penso di tutta questa storia. Non avrei mai dovuto lasciarti andare. Perché non era necessario che dimostrassi niente a nessuno, anche se probabilmente sono io la causa delle tue insicurezze. Sono sempre stata molto esigente e snob, ma la verità è che l’unica persona con cui non avresti mai dovuto sentirti inadeguato sono io, perché ti amo, così come sei. Non te l’ho mai detto, ed è il mio sbaglio più grande.
Ma questa non è l’unica ragione per cui ti scrivo. Non c’è un modo giusto o sbagliato per dirti quello che sto per dirti, perciò scelgo di dirtelo nel modo più diretto possibile, sperando che tu capisca quanto sia difficile per me darti una notizia del genere: sono incinta. Nona settimana. È così, saremo genitori. So cosa stai pensando: come può essere? Probabilmente dovevamo fare più attenzione. Non ti sto chiedendo di tornare, voglio solo renderti partecipe dell’evento perché è giusto che tu lo sappia. Non ho ancora deciso se tenerlo o darlo in adozione, ma l’unica cosa certa è che porterò avanti questa gravidanza. Mia mamma mi sta aiutando. Solo lei, perché mio padre non vive più con noi, e in ogni caso mi avrebbe costretto all’aborto. Mia madre l’ha cacciato di casa dopo averlo beccato con un’altra. Io sono stata ospite di un’amica per qualche tempo, dopo aver tentato il suicidio, ma ora sono tornata a casa. Sono successe tante cose da quando sei partito. Spero di poterti spiegare meglio quando tornerai.
Mi manchi.
Quinn
 
Ripongo la penna nell’astuccio.
Sono stanca come se avessi fatto una corsa in bicicletta. Non rileggo nemmeno quello che ho scritto, perché so che mi pentirei di ogni singola parola e finirei per non inviare nulla. Invece, piego il foglio in quattro e lo infilo nella busta su cui ho già scritto l’indirizzo.
Infilo le infradito per non scottarmi i piedi sulla sabbia bollente del mezzogiorno e tolgo il pareo. È ora di una nuotata rinfrescante.
 
***
SAM
 
«Coraggio, ce la puoi fare.» Incoraggio Rachel, sdraiata sulla tavola da surf sulla sabbia.
«Non possiamo entrare in acqua, adesso?» Si lamenta.
«No, fino a che non avrai imparato il movimento alla perfezione. Non voglio che ti faccia male quando arriverà l’onda.»
«D’accordo,» cede.
Si concentra e passa dalla posizione prona a quella in ginocchio, per poi tirarsi su in piedi. Posiziona correttamente un piede davanti all’altro, ma la vedo ancora piuttosto rigida. Allora la fermo e mi metto dietro di lei, invitandola con leggeri tocchi a lasciare andare le spalle e a rilassare le braccia. Ha la pelle calda e profuma di crema solare e salsedine, e in bikini mi fa un certo effetto. Mi stacco subito da lei per evitare certi imbarazzi, ma lei sembra quasi dispiaciuta. O forse è una mia speranza.
«Sei pronta!» Annuncio.
Andiamo con le nostre tavole sul pelo dell’acqua e poi remiamo con le mani per qualche metro. Attendiamo l’onda giusta scherzando e schizzandoci, ma quando arriva ci concentriamo seriamente. Lascio che sia lei a prenderla, consigliandole le mosse giuste, ma la prima volta cade quasi subito.
«Non preoccuparti,» dico quando riemerge dall’acqua, «è normale. Riprova.»
Ripetiamo i movimenti e riprova ad alzarsi con l’onda successiva. Va già meglio di prima.
«Hai visto?! Hai un talento naturale!»
Esulta per non essere caduta e poi mi invita a prendere la prossima.
Non me lo faccio ripetere due volte. Mi alzo sulla tavola e mi lascio scivolare sulla cresta godendomi gli spruzzi freschi e salati e l’aria salmastra che mi investe, fino a che non arrivo quasi a riva. Da lontano la vedo applaudire e mi rimetto a remare fino a lei.
«Che maestro eccellente che ho!» Scherza, ma sono lusingato.
«Ti va qualcosa da bere? È quasi l’ora di pranzo.» Propongo.
«Perché no?» Sorride.
«E ti va di cenare con me, stasera?»
«Ovvio, mangiamo sempre tutti insieme.»
«No, Rachel… intendevo… solo io e te.»
«Oh. Ehm, d’accordo. Mi piacerebbe molto.»
 
***
RACHEL
 
«Come sto?» Indosso un abito nero semplice ma d’effetto, con una scollatura sulla schiena, ampia ma non volgare, e lungo fin sopra il ginocchio. Mi guardo nello specchio della nostra camera d’albergo, e intravedo l’espressione perplessa di Quinn riflessa dietro di me.
«Non male.» Commenta.
«Solo?» Sono delusa, voglio fare bella figura con Sam. D’altronde è il nostro primo appuntamento.
«Manca qualcosa.» Suggerisce Kurt. Cerca nel mio portagioie un accessorio che possa completare il look, e propone una collana luminosa. Il risultato è davvero convincente. Infilo i sandali alti che ho comprato questo pomeriggio in un negozietto carino in paese e mi ravvivo i capelli.
«Magnifica.» Commenta Kurt, sincero. «Ora tocca a me.»
Quinn si lascia cadere sul letto, stufa. «Ragazzi, mi farete venire le carie con tutti questi vostri appuntamenti.»
«Non essere cattiva, Quinn. Piuttosto, che ci dici della lettera a Noah?» Le chiedo. Spero proprio che le cose con quel ragazzo vadano per il meglio. Non l’ho mai visto, non so che tipo sia, ma da come l’ha descritto Quinn, sembra davvero tenere molto a lei.
«Affrancata e spedita. Quel che succederà ora non dipende più da me.»
Kurt intanto esce dal bagno con un completo di sua creazione, eccentrico ma non esagerato, e decisamente trendy.
«Stai benissimo!» Mi complimento con lui. Poi il suo cellulare squilla e ci annuncia che Blaine è arrivato, ed entra in fibrillazione.
«Vai, divertiti!» lo incoraggio. Ci abbraccia ed esce.
Poco dopo bussano alla porta e, quando apro, trovo un mazzo di splendidi fiori fuori ad aspettarmi. Da dietro sbuca Sam, elegante e fascinoso, e mi sfugge un gridolino. «Sono bellissimi!»
«Tu sei bellissima.» Mi risponde.
«E a me sta per venire il vomito.» Commenta acidamente Quinn. Decido di ignorarla.
«Starai bene da sola, per questa sera?» Le chiedo, con un piede già fuori dalla porta.
«Ma certo, tranquilla, ho un milione di cose da fare.» Mi risponde continuando a fissare il soffitto dal letto. Allunga un braccio sul comodino e prende il suo Ipod, poi si infila le cuffiette e non ci saluta neanche.
Mi dispiace lasciarla sola, ma si tratta solo di una sera, e ho davvero voglia di passare un po’ di tempo con Sam. Metto a tacere la coscienza e mi chiudo la porta alle spalle.
«Dove andiamo?» chiedo.
«Lo scoprirai.»
Camminiamo un po’ sul lungo mare fino al ristorante costruito sul molo. È illuminato da fitti fili di lucine e, di fronte all’insegna elegante, mi brillano gli occhi. L’aria è fresca ma non fa freddo, perciò ci facciamo dare un tavolo all’esterno, proprio a picco sul mare. È molto suggestivo, e il rumore delle onde ha un effetto rilassante su di me. Quando ci accomodiamo, Sam fa l’imitazione del cameriere dall’accento inglese che ci ha consegnato i menu. Rido, ma ho paura che possano sentirci perché non voglio fare brutte figure.
Fortunatamente, il quartetto di archi incaricato di creare l’atmosfera attacca con il proprio spettacolo e qualcuno applaude, altri scattano delle foto e nessuno pare curarsi di noi.
Ordiniamo dell’aragosta, che Sam mi confessa di non aver mai mangiato. Gli spiego come tagliarla e come pulirla, ma è davvero molto goffo e si macchia la camicia nonostante il tovagliolo appeso al collo. Non trattengo un risolino perché la scena è stata buffa, ma in qualche angolo della mia memoria mi appare l’immagine di Finn, goffo solo quando cercava di ballare. Il paragone spunta spontaneo e incontrollabile, odioso e inevitabile. Cerco di mettere a tacere una vocina che mi dice che Sam non sarà mai Finn, che non sarò mai felice come quando stavo con lui, e che Sam e io siamo troppo diversi.
Mi prende una mano, ungendomela con la sua dopo che ha toccato l’aragosta. «Tutto bene?» Mi chiede. Forse ha notato il cambio di espressione sul mio viso e mi ricordo quanto mi piace questo suo lato: si accorge sempre di ciò che accade agli altri. È la persona più altruista e dolce che conosca, e merita di sapere la verità.
«Sam… fino a un paio di mesi fa, ero fidanzata.»
«Oh.»
«Cioè… fidanzata-fidanzata. Avremmo dovuto sposarci.» Ritira la mano lentamente e sento la mia improvvisamente più fredda.
«E poi cos’è successo?» chiede, sinceramente interessato.
«Incidente stradale, morto sul colpo.» Rispondo con un filo di voce.
«Mi dispiace tanto, Rachel.»
«Tranquillo, sto imparando a conviverci.»
«È Per questo che…»
«Già.» So che voleva chiedermi se fosse questa la ragione del mio tentato suicidio. «Ti prego, ora non guardarmi in modo diverso.»
«Diverso come?»
«Con compassione. Come si guarda una povera vedova con istinti autolesionisti e suicidi, giovane ma già vecchia dentro.»
«Rachel,» mi riprende la mano, «l’unica cosa che vedo io è una donna forte, piena di speranza e voglia di ricominciare. Che sia con me o con qualcun altro, voglio che tu sia felice.»
Sorrido alle sue parole.
«Sei molto dolce.»
Imita lo slogan di una marca di dolciumi e sdrammatizza la nostra conversazione. Fortunatamente, per merito suo, questa piccola parentesi non ha guastato l’atmosfera della serata. Finiamo la nostra cena in allegria e poi ci regaliamo una passeggiata sul lungomare. L’umidità della sera ora comincia a farsi sentire e Sam mi porge la sua giacca, come nel più vecchio dei cliché. Nell’aiutarmi ad infilarla, mi circonda in un abbraccio caldo e forte, che mi lascia senza fiato per un momento. Siamo fermi, molto vicini, e solo stando così mi accorgo di quanto sia alto e robusto in confronto a me. Mi sento come se avessi finalmente un sostegno, dopo quello che mi sembra un sacco di tempo. Sarà colpa del vino, ma allungo una mano e accarezzo il suo petto attraverso la camicia, caldo del sole che ha preso oggi. Corro su, fino al colletto, e lui non dice una parola, né fa un gesto. Proseguo sul collo, e lo vedo deglutire; percorro con le dita la linea del mento, su fino all’orecchio sinistro. E poi lo faccio: afferro più saldamente il suo collo e mi arrampico fino alla sua bocca, per accarezzarla con la mia. Le sue braccia si stringono intorno alla mia vita e alle mie spalle, e mi bacia a sua volta. Il vento ci scompiglia i capelli, ma siamo troppo impegnati per accorgerci del fastidio. Baciare Sam è… strano. La sua bocca è diversa da quella di Finn, le sue mani sono diverse dalle sue, il suo corpo non lo conosco. Ma è… bello.
Torniamo in albergo senza smettere di baciarci, ridere e sbandare, ma quest’ultimo dettaglio credo sia anche dovuto all’alcol. In un attimo ci ritroviamo senza vestiti nella sua camera e continuo a chiedermi se sia la cosa giusta, se non sia meglio aspettare ancora o se questo possa considerarsi tradire Finn. Ma lui è talmente bello e dolce, e io non mi sento così felice da troppo tempo. Mi lascio andare e io e Sam facciamo l’amore.
 
***
KURT
 
Con Blaine andiamo in un locale gay.
Secondo lui, almeno una volta nella vita devo entrarci, anche solo per realizzare che non mi piace il genere.
E invece… mi piace! Dappertutto ci sono drag queen travestite da Tina Turner e Cher, e la musica è trascinante. Ordiniamo due Shirley Temple al bancone e facciamo commenti sui ragazzi che ballano in pista e quelli che ci lanciano occhiate eloquenti dall’altra parte del locale. Blaine continua a farmi complimenti e mi riempie di lusinghe; addirittura sfila da un vaso un asfodelo giallo e me lo infila nel taschino della giacca, dicendo che un look come il mio merita un fiore che lo completi.
Le luci verdi e rosse lampeggiano a ritmo delle canzoni di Liza Minnelli in versione disco cantate al karaoke e bastano quelle a farmi girare la testa. Ma non mi sento per niente stanco e dopo aver finito i nostri analcolici invito Blaine a ballare. Mi sto accorgendo di quando sia facile e naturale fare le cose con lui: non ho nessuna inibizione, né paura di fare brutte figure, perché sento che, in qualche modo, Blaine è troppo carino e gentile per farmi sentire in imbarazzo. Balliamo per un po’, ridendo e scatenandoci, e appena si libera il palco, saliamo per esibirci nella nostra versione di Just Can’t Get Enough. Non sapevo che Blaine cantasse così bene! È la serata più bella della mia vita.
Alla fine, Blaine mi chiede se voglio andare a casa sua e la serata più bella della mia vita si trasforma nel mio incubo peggiore. Non fraintendetemi, Blaine non c’entra. C’entro solo io con le mie stupide paure e il mio sex appeal inesistente. Perché mi invita a casa sua? Cosa si aspetta? Non voglio perderlo di già, ma non voglio neppure… avete capito. Insomma, ho imparato a baciare solo oggi, mi sembra un po’ presto per tutto il resto.
«Kurt, stai bene?»
«S-sì…»
«Allora, che ne dici?»
Non ce la faccio. «Blaine, io… non so se è una buona idea.»
Sembra confuso. «No?»
«No… cioè… sì, sarebbe una meravigliosa idea per concludere una serata perfetta in modo perfetto…»
«…ma?»
«Ma non credo di essere pronto.»
Blaine diventa paonazzo. «Oh, okay, scusami, che idiota che sono.» Non mi guarda neanche, da quanto si sente in colpa. Non nascondo di essere sollevato dalla sua reazione.
«Non preoccuparti, anzi scusami tu.»
«Non devi scusarti.» Mi prende le mani con le sue. «È bello che tu voglia aspettare.» Mi bacia. «E, se tu vuoi, aspetterò con te.»
Okay, questa mi sembra una dichiarazione. Lo è, vero? Ha sottointeso che vuole stare come me, giusto? Ho il cuore che mi scoppia nel petto.
«Lo vorrei tanto.» Sussurro.
Mi bacia ancora, più profondamente.
«Allora cosa ti va di fare?» Mi chiede.
Be’, dopo un bacio così, direi che la cosa che voglio fare sarebbe una contraddizione con quello che gli ho risposto prima, perciò mi mordo la lingua per non dire cose di cui potrei pentirmi. Ad ogni modo, il fatto che lui sia così corretto con me, così comprensivo e dolce, mi fa pensare che, se vuole davvero stare con me, merita di sapere la verità.
«Blaine, devo dirti una cosa.»
«Ma certo, dimmi.»
«Ho tentato il suicidio a Capodanno.»
Non risponde, ma continua ad accarezzarmi le mani.
«Non sono così disinvolto con la mia sessualità come lo sei tu. Non sono un represso, e so che non c’è nulla da nascondere, né di cui vergognarsi, ma non sono neanche uno che gira a testa alta e confessa a tutti di essere gay. Credo che sia perché voglio proteggere le persone che mi vogliono bene, per via delle offese a mio padre. Ho tentato il suicidio perché ero sfinito.»
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Mia madre. E le tre persone matte e meravigliose con cui sono venuto qui.»
Mi fissa per un momento, poi mi risponde: «Vieni. Ti porto in un posto.»
Non ho idea di dove voglia portarmi, ma lo seguo fuori dal locale senza esitazioni. È bastato un giorno per fidarmi di questo ragazzo e innamorarmi di lui.
L’aria si è fatta umida e camminiamo vicini per le strade, fino a che arriviamo in un piccolo parco intitolato a un certo Gary Spencer.
«Chi era?» Chiedo.
«Un ragazzo che conoscevo.»
«Cosa gli è successo?»
«È stato ucciso a suon di botte solo perché gay.»
Rimango in silenzio, perché non c’è nulla che possa dire di fronte a una morte simile. Sento la rabbia di Blaine scorrergli per tutto il corpo e posso solo immaginare cosa possa voler dire perdere un amico in questo modo.
«Sai cosa faccio, quando sento di essere arrivato al limite? Quando credo che non ci sia più nulla da fare e mi viene voglia di farla finita? Penso a Gary. Penso che devo continuare a vivere per rispetto nei suoi confronti. Lui non avrebbe mai voluto morire, e invece è proprio quello che è successo. Io devo continuare a combattere perché è l’unico modo per rendergli giustizia.»
Ha ragione. Per quanto tutto questo discorso possa sembrare un rimprovero per ciò che avevo intenzione di fare, non riesco ad arrabbiarmi con Blaine. Lui prova ogni giorno ciò che provo io, e questo mi fa sentire meno sbagliato, meno solo, e anche più forte. Da oggi mi ricorderò di questo momento ogni volta che avrò voglia di cedere alla cattiveria della gente. Sfilo l’asfodelo giallo dal mio taschino e lo incastro nella targa dedicata a Gary Spencer, e poi osserviamo in silenzio il risultato, con la testa di Blaine sulla mia spalla.
«D’accordo, al bando la tristezza. Cosa vuoi fare ora?» Mi chiede a un certo punto, recuperata la sua vitalità di sempre.
Ora so benissimo cosa voglio fare: «Se sei d’accordo, vorrei raccontare ciò che ho imparato stasera a tre quasi suicidi di mia conoscenza.»
Blaine sorride. «Andiamo.»
 
 
***
QUINN
 
Guardo l’orologio: 23:23.
“Esprimi un desiderio, Quinn.”
Non sentirmi sola, per una volta.
Ed è buffo, perché non sono affatto sola: come possiamo dimenticarci che nella mia pancia sta crescendo un piccolo essere umano?
Guardo lo schermo del cellulare, ma non c’è ragione di farlo, dal momento che mia madre ha già telefonato e nessun altro sembra aver bisogno di me.
Sì, sto facendo la melodrammatica, è vietato?
Sbuffo, annoiata.
Poi qualcuno bussa e accendo in fretta il televisore, apro un libro qualsiasi e infilo le cuffie nelle orecchie: voglio dare l’impressione di aver avuto molto da fare. Probabilmente sarà Rachel che torna in camera dopo una serata penosa, e finalmente spettegoleremo di qualcosa di interessante. «Avanti,» rispondo, svogliata.
Con mia grande sorpresa, entrano invece Kurt e Blaine.
«Ragazzi,» li saluto. «È un po’ presto per voler fare le cose in tre, non credete?»
«Smettila, Quinn.» Mi zittisce Kurt. Credevo avesse molto più senso dell’umorismo, sono delusa.
«Di cosa avete bisogno, allora?»
«Indossa qualcosa di pesante e prendi una coperta. Dormiamo in spiaggia.»
«Ragazzi, ma è contro la legge! Mi meraviglio di voi!» Li canzono un po’, ma solo per nascondere il mio entusiasmo. Per quanto fare la terza incomoda non sia proprio in cima alla lista delle cose che mi piace fare, sono felice di non passare la notte a piangermi addosso.
«Ti va o no?»
Mi alzo e afferro al volo la felpa dei Cheerios e la coperta del letto. «Sono pronta.» Dico, chiudendo la porta a chiave. Quella della camera di fronte, invece, si apre, rivelando una Rachel dai capelli scompigliati e un Sam su di giri. «Impossibile, qui qualcuno sta organizzando un pigiama party sotto le stelle senza di noi!» Si lamenta scherzando Rachel.
«Saremmo venuti a chiamarvi, ma avevamo paura di disturbare.» Spiega Blaine.
«E noi invece non ci saremmo persi questa cosa per nulla al mondo.» Risponde Sam.
«A cosa dobbiamo una proposta simile?» chiedo, curiosa.
«Sentivo semplicemente il bisogno di condividere con voi un momento di riflessione, una volta tanto, e non ho avuto nessuna idea migliore che farlo con le onde dell’oceano di sottofondo, per quanto smielato sia.» Confessa Kurt, non senza imbarazzo.
«Non è smielato, Kurt. È bellissimo.» Lo rassicura Rachel, accarezzandogli un braccio.
«D’accordo, allora. Questo sarà il primo pigiama party del Club dei Suicidi e del suo membro onorario Blaine!» Annuncia Kurt. Mi astengo dal fare qualsiasi battuta su “membri” vari, e lo seguiamo fuori dall’albergo, esultando.
Ho l’impressione che sarà una notte che non dimenticherò.
 
***
RACHEL
 
Dormire in spiaggia è meno entusiasmante di quanto si possa pensare: l’aria è umida e fredda, il rumore del mare diventa molesto e impedisce di dormire, gli insetti sono più attivi che di giorno e la notte non è così buia come la si immagina. Rimpiango di non essermi portata anche la mascherina per proteggere gli occhi, insieme alla coperta, il maglione, il cuscino, la spazzola, l’antizanzare e i marshmellow.
Ma, in fondo, è divertente.
Blaine russa un po’, ma è quel russare di una persona che dorme pacificamente, che non sveglieresti per nulla al mondo. Ho visto Kurt felice di dormire – se ha dormito davvero – accoccolato a lui. Quinn sembra un angelo, come sempre, anche struccata e arruffata. E Sam… dio, più lo guardo e più mi torna in mente cosa abbiamo fatto ieri sera, e più mi sento dannatamente in colpa. Sono una persona orribile, mi vantavo tanto di quanto amassi Finn e di come fosse l’amore della mia vita, ma ho impiegato non più di un paio di mesi a trovarmi un sostituto.
Odio la notte. Chiunque abbia detto che “porta consiglio”, è un emerito idiota.
 
«Tutto okay?» Mi chiede Quinn. «Non parli da almeno mezzora, e per quanto sia un sollievo non sentire il suono della tua voce di tanto in tanto, ci fai preoccupare.»
Io, Quinn e Kurt siamo al chiosco sulla spiaggia a fare colazione, mentre Blaine e Sam, che hanno scoperto di avere molte cose in comune, sono andati in fumetteria a cercare non so quale numero di non so quale graphic novel sui supereroi.
«Sì, scusate, è solo che… è per via di Sam.» Confesso.
«Che c’è che non va? Sembravate molto affiatati.» Chiede Kurt.
«E lo siamo!» Non ho dubbi su questo. «Ma non riesco ad essere felice fino in fondo, perché Sam non è Finn ed è strano per me stare con un’altra persona, soprattutto così presto.»
Ciò che mi dice Quinn, oltre che sorprendentemente saggio, mi fa riflettere: «Rachel, ne hai passate tante. Per quanto stare con Sam ti possa sembrare strano, per quanto siate due persone completamente diverse, per quanto inaspettato sia questo vostro sentimento, non è troppo presto. Se ti fa stare bene, se sei felice, non è tradire la memoria di Finn. Sono sicura che vorrebbe vederti felice anche lui, piuttosto che saperti vicina al suicidio. Goditi questa felicità con Sam, e non sentirti in colpa.»
«È vero! Iniziare una relazione è come comprare un nuovo cd. Lo vedi dall’altra parte del negozio, non l’avevi mai preso in considerazione e non sei sicura che ti piacerà, ma trascorri un po’ di tempo con lui e imparate ad amarvi, o una cosa del genere.» Interviene Kurt.
L’immagine, per quanto strampalata, mi piace. «Detta così non sembra poi così terribile.»
«Non lo è.» Conferma Kurt.
«E tu quando sei diventato un esperto in amore? Che fossi un romanticone lo sapevamo, ma non ti sembra di esagerare con le metafore?» La solita Quinn…
«L’amore mi rende una persona poetica.» Risponde Kurt, e lei lo guarda storto, prima di tornare a me: «E poi non state mica decidendo di sposarvi e metter su famiglia: puoi anche goderti questa cosa senza ansie, anche solo per vedere come va.»
Ci penso un po’ su. In effetti non sembra esserci nulla di male. Devo solo imparare a mettere a tacere qualsiasi pensiero che mi impedisca di essere serena. Sam sembra davvero un bravo ragazzo, potrebbe funzionare. Lui, almeno, si merita che io mi impegni.
 
Quando i ragazzi tornano dalla loro ricerca, decido di mettere subito in pratica i miei propositi. Salto al collo di Sam, prendendolo alla sprovvista, e lo bacio teneramente.
«Ehi, quanto entusiasmo!» Commenta quando lo lascio libero.
«Sono solo felice di vederti. Hai voglia di fare una passeggiata?»
«Ma certo.»
Salutiamo gli altri e rimaniamo d’accordo di ritrovarci per pranzo.
Io e Sam giriamo un po’ per il paese, entrando nei negozietti più caratteristici e comprando i souvenir più assurdi. Ci facciamo delle foto ricordo all’ombra di un parco e sotto il sole del molo. È un perfetto secondo appuntamento, naturale e spontaneo oltre ogni mia aspettativa, ma a un certo punto, Sam mi chiede: «Rachel, sei sicura che vada tutto bene?»
«Sì che va tutto bene, perché me lo chiedi?»
Ci pensa un momento, ma poi decide di non dirmelo. «Niente, lascia stare. Sono solo un po’ paranoico.»
«Sam, credimi, è tutto okay. Ieri sera è stata una serata fantastica: tutto quello che abbiamo fatto – tutto – è stato perfetto. Tu sei meraviglioso e voglio davvero che questa cosa funzioni. Tu… mi fai sentire bene.»
Mi abbraccia e mi bacia, più tranquillo. Ma all’improvviso si blocca.
«Sam?» Lo richiamo all’ordine.
Lui mi ignora e va verso una panchina su cui le pagine di un giornale scandalistico svolazzano al vento leggero. Lo raccoglie e ne legge la prima pagina.
Gli amori segreti di Rachel Berry.
Voglio morire. Non può essere. Cosa ci fa una mia foto in prima pagina, CON FINN?!
Fisso la pagina come se il contenuto potesse magicamente cambiare, come se, al posto di “Rachel Berry”, comparisse il nome di Lady Gaga, o Katy Perry. L’articolo parla di me, parla di Finn, parla di Sam. Parla di come mi circondi di morte o di come io condizioni le persone e le porti a volersi togliere la vita. Come mi è già capitato di affermare, i giornalisti finiscono sempre per alterare la realtà. È un pezzo piuttosto polemico e offensivo e mi viene da piangere, ma il vero motivo per cui mi è impossibile trattenere le lacrime è che non sono riuscita a mantenere neanche l’unica promessa che avevo fatto a Finn: proteggerlo dai paparazzi e dai giornali. Strappo la pagina senza pensarci due volte e me ne vado via correndo, lontano da tutti.
«Rachel!» Mi chiama Sam, seguendomi. Non mi fermo, non voglio vedere nessuno!
«RACHEL!» È più veloce di me e mi raggiunge, afferrandomi per un braccio.
«Lasciami, Sam!»
«No, devi calmarti! Sapevamo che poteva succedere, abbiamo rilasciato interviste per un mese!»
«Cosa vuoi dire, che sono stata io a creare tutto questo casino?! Non ho mai parlato di Finn! Non ho idea di come sia potuto accadere!»
«Non sto dicendo che è colpa tua! Io…»
«Ah, no? E allora di chi è, Sam? Dimmelo, di chi è?!» E poi ho un’illuminazione. Una tremenda, quanto inconfutabile illuminazione. «Siete stati voi.» Sussurro.
«Come?»
«Siete stati voi! Eravate gli unici a sapere la verità! Eravate gli unici a cui ho raccontato una cosa così intima! Io mi fidavo!» Mi scrollo dalla presa di Sam e ricomincio a correre, sconvolta e furiosa.
«RACHEL!»
 
Come hanno potuto? Mi asciugo le lacrime mentre riempio la valigia con gli abiti alla rinfusa. Non posso crederci, ci dev’essere un errore, come ho potuto essere così cieca? Recupero dal bagno le mie creme e lo spazzolino e butto anche quelli nella tasca del beauty-case. Questa doveva essere una vacanza, per la miseria! Doveva essere rilassante e rigenerativa, e invece si è rivelata tremendamente distruttiva.
Come hanno potuto? Continuo a chiedermelo senza trovare una spiegazione plausibile. Io volevo bene ad ognuno di loro… sono perfino andata a letto con Sam! Voglio sprofondare.
Prendo la valigia e la borsa e, prima di uscire, il mio sguardo cade sul calendario appeso alla parete della stanza.
È il sette febbraio.

 
 
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LA TAVOLA DI CUP OF TEA – parte 2
Se non ne avete ancora abbastanza di matrimoni, banchetti e ricevimenti – e io credo proprio di no :P – qui potete trovare la mia fic per la Klaine Wedding Challenge, indetta da Ginny_Potter e Flan.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3031751&i=1

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Capitolo 4
*** Give me your hand and I'll hold it ***


LA TAVOLA DI CUP OF TEA
Buongiorno, tazzine!
Quarta e ultima parte della nostra storia.
Ringrazio tutti per avermi accompagnato fino a qui, in particolare potteriani che avrebbe tanto voluto farmi fuori, eheh ;)
Vi mando un grandissimo abbraccio,
cup of tea
 
https://www.facebook.com/CupOfTeaEfp?ref=hl
 



PARTE QUARTA - Give me your hand and I'll hold it
 
 
SAM
 
(15.32)
Ragazzi, avete notizie di Rachel?
 
(15.35)
Per la miseria, Sam, non continuare a chiederlo. Non vivo più con lei, non so che fine abbia fatto, e no, non si è più fatta sentire.
 
(15.36)
Ma dobbiamo trovarla e farle capire che non siamo stati noi!
 
(15.40)
E come pensi che possa ancora fidarsi? Eravamo gli unici a saperlo, le conclusioni si tirano da sole. Mettiti l’anima in pace, Sam.
 
(15.42)
NO! Non siamo stati noi, qualcun altro doveva esserne al corrente!
 
(15.45)
Vi prego, ragazzi, sto lavorando, ne parliamo più tardi!
 
“Più tardi” finalmente arriva. Siamo allo Spotlight e Kurt ha appena finito il turno, così si siede con me e Quinn.
«Ragazzi, la faccenda è seria. Oggi è già il dieci e Rachel sembra introvabile. Come fate a non essere preoccupati?! Era sconvolta, se n’è andata senza dirci niente!»
«Sì, Sam, noi siamo molto preoccupati, ma non c’è niente che possiamo fare.» Cerca di convincermi Quinn.
Il suo disfattismo mi disturba. «Perché getti la spugna così presto? Di cosa hai paura, Quinn?»
«Se stai insinuando che sia stata io a spifferare tutto, sei fuori strada. Credevo che fossimo d’accordo che nessuno di noi è il colpevole.»
«Perché dovrei credere che non sia stata tu? Sei stata la prima a venire a conoscenza del passato di Rachel e hai sempre avuto un sacco di problemi con lei!»
«Che stronzo.»
«Ragazzi, ragazzi, ragazzi. Diamoci una calmata!» Ci richiama all’ordine Kurt. Poi, dal nulla sbuca fuori un giornalista da quattro soldi, armato di macchina fotografica e taccuino per gli appunti. «Che scoop! Il Club dei Suicidi è in crisi! Questa è una notizia da prima pagina: la scadenza si avvicina e le tensioni vengono a galla!» L’istinto è quello di tirargli un pugno, ma vengo trascinato via da Quinn e Kurt prima che possa fare qualsiasi cosa.
Continuiamo il nostro discorso a casa mia. I bambini sono ancora a scuola e i miei sono fuori, finalmente con un lavoro di cui occuparsi.
«Pensiamoci,» riprende Kurt, «se non siamo stati noi, e non lo siamo stati, chi altri poteva avere motivo di parlarne?»
Nessuno ha un’idea valida, anche perché, stando a quello che ci ha raccontato Rachel, nessuno a parte lei e la famiglia di Finn sapeva della loro storia.
Ed ecco che la risposta si rivela da sola.
«Sono stati i familiari di Finn.» Lancio la bomba.
«I familiari di Finn?» chiede, giustamente perplessa, Quinn. Sto per spiegare la mia teoria, ma il cellulare di Kurt squilla sul più bello.
«È Blaine. Devo rispondere.»
«No, Kurt, non adesso!»
«Sam, non riusciamo mai a sentirci, ti prego! Sarò qui fra poco!» Prende e se ne va a cinguettare fuori. Dio, qui sembra che solo a me importi che Rachel è scomparsa.
«Lascialo fare, Sam. Non prendertela.» Mi dice Quinn, e io mi lascio cadere sulla sedia, senza parole. Un paio, comunque, poi le trovo: «Io vado a trovare la famiglia di Finn perché voglio delle risposte, voi fate quello che volete.» Prendo le chiavi della macchina ed esco.
«Sam, aspettaci!» Urla Quinn.
«Dove sta andando?» Sento chiedere Kurt, che si è degnato di tornare.
«Vuole andare dagli Hudson.»
«Venite o no?!» Li chiamo.
Saltano in macchina e mi chiedono quale sia la mia teoria.
«Okay, seguite il mio ragionamento,» comincio, mentre guido tra un taxi e l’altro. «Loro sono gli unici, a parte Rachel, che fossero a conoscenza del fatto che stessero insieme. Lui muore, lei decide di suicidarsi. Poi arriviamo noi, le interviste e i soldi. Devono aver pensato che non era giusto che solo lei ci guadagnasse, in tutta questa storia. Probabilmente volevano la loro fetta di denaro.»
«Sam, queste sono accuse pesanti. Come puoi pensare che una madre voglia speculare sulla morte di suo figlio?» Mi chiede Quinn.
«Be’, era strano anche pensare che un padre ripudiasse la figlia perché incinta e poi fosse trovato a spassarsela con una minorenne. Eppure…»
«Sam, adesso devi finirla!» Grida Kurt.
So di avere esagerato perché lo leggo negli occhi tristi di Quinn e in quelli carichi di rimprovero di Kurt, ma la mia teoria non è così poco plausibile. È ora che capiscano che la situazione è grave.
«Siamo arrivati.» Accosto nel vialetto degli Hudson.
«D’accordo, se vogliamo davvero fare questa cosa, Sam, dovrai stare zitto e lasciar parlare noi.»
«Come?» Non possono farmi questo.
«Kurt ha ragione. Sei una bomba a orologeria, in questi giorni.»
«Ma io… d’accordo.» Solo perché non ho voglia di perdere tempo a discutere.
 
La signora Hudson è una donna di mezza età, con capelli stinti e vestiti vecchi. Non so perché ci fossimo messi in mente che ci fosse anche un marito, ma la verità è che non esiste nessun signor Hudson.
Ci siamo presentati come amici di Rachel e la signora Hudson ci ha invitati a entrare, offrendoci una tazza di tè. Effettivamente, considerati i suoi modi gentili e generosi, non sembrerebbe una persona capace di infrangere qualsivoglia promessa fatta a suo figlio, ma prima di scagionarla voglio essere sicuro che lei non c’entri.
Quinn e Kurt le raccontano di come abbiamo conosciuto Rachel e di come ci abbia parlato di Finn. Le fanno le condoglianze, lei piange e ci stringiamo a lei. Molto diplomatici. Qualche lacrima più tardi ci dice di sapere che Finn è su tutti i giornali, ma non approfondisce il discorso e la cosa non fa che nutrire i miei sospetti. Alla fine, Kurt introduce la vera ragione per la quale siamo qui.
«Signora Hudson, ci scusi, ma ci chiedevamo come la notizia possa essere arrivata fino ai media.»
«Vuoi dire che non siete stati voi? Rachel mi ha…»
«Cosa? “Rachel le ha” cosa? Sa dove si trova?» Non resisto ad intervenire.
«Non spetta a me dirvelo. Quando vorrà vedervi vi cercherà.»
«Ma-» Kurt mi zittisce per tornare alla domanda di partenza: «Quindi non le viene proprio in mente qualcuno che potrebbe aver raccontato la storia?»
La signora Hudson ci pensa per qualche minuto e poi scoppia di nuovo in lacrime. «Io… io non lo so proprio.»
«Ne è sicura?» Chiedo, guadagnandomi un calcio sotto il tavolo da parte di Quinn.
«Certo che ne sono sicura. Cosa vorresti dire?» Mi risponde indignata la signora Hudson, ma non me la bevo.
«Signora Hudson, mi dispiace per il suo dolore, ma vorremmo vederci chiaro in questa storia.»
«SAM!» Una voce piena e furiosa irrompe nella stanza e dalla porta del salotto entra Rachel, con capelli spettinati e una tuta comoda. Deve essere stata a casa Hudson per tutto questo tempo.
Le vado incontro. «Rachel! Ti abbiamo cercato dappertutto.»
«Dovreste andarvene, ora.»
«Non senza di te.»
«Sam, non voglio venire con voi. E non è stata Carole a parlare ai giornali, com’è potuto anche solo venirvi in mente?»
«Noi l’avevamo detto che era un’idea assurda.» Fa la spia Quinn.
«Ma, Rachel, non siamo stati neanche noi…» Mi gira la testa.
«Lo so.» Si avvicina e mi prende una mano.
«Allora ci credi?»
«Sì… perché sono stata io.»
 
***
RACHEL
 
«Cosa significa?» Quinn rompe il silenzio che è seguito alla mia confessione.
Mi siedo al tavolo insieme a loro e comincio a spiegare.
«I giorni appena trascorsi sono stati un tormento. Sono tornata di corsa a New York, convinta di lasciarmi alle spalle le persone che consideravo responsabili della mia disgrazia, ma solo arrivata a casa mi sono resa conto che la vera responsabile non mi aveva ancora lasciata, perché non potevo che essere stata io a rovinare tutto. Sam, ti ricordi la nostra cena al molo? C’era tanta gente e molti scattavano fotografie al quartetto d’archi che suonava. Dev’essere stato in quel momento, quando ti ho raccontato di Finn, che qualcuno deve averci riconosciuto. D’altra parte, siamo il Club dei Suicidi, no? Quasi tutti sanno chi siamo. Dev’esserci stato qualcuno che si è ben mimetizzato con la folla e ha ascoltato. Non c’è altra spiegazione. Sono venuta qui, a casa Hudson, perché non riesco più a stare da sola. Casa mia è inavvicinabile per via dei paparazzi e io sono stanca di stare attenta a ciò che dico. Carole, perdonami, ma non ho avuto il coraggio di raccontarti niente, prima d’ora.»
Nascondo il viso tra le mani e sento quella della signora Hudson accarezzarmi i capelli. «Non preoccuparti, cara.»
«Ma ho combinato un disastro…»
«Sistemeremo ogni cosa.» Cerca di rassicurarmi.
«Sì, Rachel, sistemeremo tutto.» Concordano Sam, Kurt e Quinn.
«Vi ringrazio, ragazzi, ma non credo che ci sia più nulla da fare.»
«Comincia con il ritornare a casa, Rachel. L’invito a stare da me è sempre aperto, Stacey e Stevie sentono la tua mancanza, e anch’io.» Mi propone Sam.
«Sei molto dolce, Sam. Ma non me la sento. Spero che capirai.»
Leggo nei suoi occhi confusione e frustrazione, e so che prima o poi dovremo parlare di noi, ma non sono ancora pronta.
«D’accordo, ma… il quattordici ci troviamo all’Hot Coffee per festeggiare il traguardo raggiunto… ci sarai, vero?»
«M-ma certo.»
 
***
QUINN
 
Oggi è il tredici febbraio, ed è una data che ricorderò per sempre.
Lo so, ho detto tredici e non quattordici, come ci si sarebbe aspettati, ma non è un errore.
Oggi, tredici febbraio, è il giorno in cui ho trovato una lettera di Noah nella casella della posta.
La tengo tra le mani da più di un’ora, seduta sul letto, da sola. Quando mi sono chiusa in camera, lo stereo suonava Come See About Me delle The Supremes, poi ricordo che è passata Papa Don’t Preach di Madonna e ora James Brown con It is a Man’s World, che, ironia della sorte, nomina il nome “Noah” in un verso. Ma in tutto questo tempo, la busta è ancora chiusa.
Sento mia madre bussare alla porta.
«Quinn, tutto bene?»
No, ho proprio bisogno della mia mamma adesso.
«Puoi entrare un secondo?» Le chiedo.
Fa capolino nella mia stanza e capisce cosa le sto chiedendo.
«Non l’hai ancora aperta, vero?»
Scuoto la testa.
«Vuoi che stia qui con te, mentre la leggi?»
«No, io… vorrei che la aprissi tu, e me la leggessi.»
«Sei sicura? Questa è una cosa che dovresti fare solo e soltanto tu.»
«Sono sicura.» Affermo, facendole spazio sul letto. Lei si siede accanto a me, prendendo la busta.
Ora lo stereo suona Saving All my Love for You di Whitney Houston.
La mamma apre un bordo dell’involucro di carta e libera finalmente le parole di Noah.
«Mia cara Quinn,» comincia a leggere, e d’un tratto mi rendo conto che voglio essere io a leggere ciò che ha da dirmi, voglio vedere la sua calligrafia, voglio immaginarmelo mentre pensa a cosa scrivermi e voglio conservare tutte le cancellature e sbavature nel mio cuore. Strappo il foglio di mano alla mamma e lei capisce subito. Si alza dal letto per darmi la giusta privacy, e prima di andare commenta: «E’ una bella canzone.»
«Mamma, parla di una che sta ad aspettare che quello che le piace torni da lei dopo essere stato con sua moglie e i suoi bambini… non è una bella situazione.»
«Oh, be’, devo essermi fermata al verso: “Love gives you the right to be free. You said, "Be patient, just wait a little longer". Mi sembrava appropriato.» Mi bacia sulla fronte ed esce dalla stanza canticchiando.
Love gives you the right to be free.
Suona bene.
Comincio a leggere.
 
Mia cara Quinn,
in questo momento provo emozioni contrastanti.
Ti amo – dio, se ti amo! – ma ti odio. Mi capisci?
Probabilmente no.
Miseria, saremo genitori! Ho il cuore che mi scoppia dalla gioia, oppure è la rabbia? Probabilmente è la rabbia. Perché io sono qui, lontano da te, lontano dal nostro bambino, lontano dalla mia vita. E tu, tu non puoi prendere tutte le decisioni da sola! Non sai se lo terrai? Che ne dici se ne discutessimo insieme? E cos’è questa storia del suicidio?! Cosa avresti risolto?! Niente di niente, e avresti fatto morire di dolore anche me. Quinn, non sei sola, anche se ti sembra di esserlo. Hai un pancione da sopportare, e quello puoi farlo solo tu, ma almeno, di quello che può essere dimezzato, vorrei occuparmene anch’io. Hai già pensato a un nome? Che ne dici di Beth? Ovvio, se è una femminuccia. Ma lo sarà, sento che lo sarà! Una bella bambina bionda ed ebrea. E se nascesse con la cresta? Sarebbe davvero buffo, non credi?
Quinn, mi manchi da morire. E ti prego, ti scongiuro, non tagliarmi fuori da questa cosa. Non mi hai chiesto di tornare, ma so che hai bisogno di me. Ne avete bisogno tutte e due. Perciò tornerò, Quinn Fabray. Tornerò. Abbi solo un po’ di pazienza, aspetta ancora un poco e sarò lì con te.
 
Mi interrompo un momento perché mi torna in mente la canzone di Whitney. Be patient, Just wait a little longer. Ha ragione la mamma, è una bella canzone.
 
Ti amo, futura signora Puckerman.
 
Noah.
 
P.S. Era troppo, chiamarti così? Sì, era decisamente troppo. Ma non cambia ciò che provo.
 
Scoppio a ridere tra una lacrima e l’altra, e mi accorgo che “Quinn Fabray in Puckerman” sarebbe proprio un buon titolo da portare.
Ti aspetterò signor Puckerman.
Ti aspetterò perché tu possa chiamarmi con il tuo cognome tutti i giorni.
 
***
KURT
 
La nostra rimpatriata di San Valentino è piuttosto silenziosa, per essere una festa.
Siamo seduti a un tavolo dell’Hot Coffee, luogo scelto in alternativa allo Spotlight Diner perché lì i giornalisti hanno ormai messo le tende. Quinn gioca con il cellulare, Sam guarda l’orologio ogni tre minuti e sbuffa. Rachel non si è ancora vista.
In mezzo a questo clima di negatività e noia, mi ritrovo a rimpiangere di non aver scelto un’altra data per il termine del nostro patto. Insomma, invece di essere in compagnia di questi musi lunghi, in questo momento avrei potuto essere con Blaine, magari a dividerci un Cupidolcetto e a dedicarci canzoni d’amore al karaoke.
La verità è che avevo scelto San Valentino perché, in questo modo, almeno per una volta, non l’avrei passato da solo. Chi avrebbe detto che le cose sarebbero cambiate tanto, in un solo mese e mezzo?
«Forse dovremmo provare a chiamarla.» Suggerisce Sam, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Aggrotto le sopracciglia.
«Rilassati, è in ritardo solo di un quarto d’ora. Come minimo starà aspettando il momento giusto per fare un’entrata da star.» Suppone Quinn.
Aspettiamo ancora un po’.
I nostri caffè si fanno freddi.
«Okay, io vado a cercarla.» Dichiara Sam.
«Andiamo, non agitarti. Vedrai che non le è successo niente di grave.» Provo a tranquillizzarlo, ma la verità è che comincio a preoccuparmi anch’io. 
«Non devo agitarmi? È San Valentino, cazzo. Volete sapere dov’è, con tutta probabilità? Sul tetto del Mistral Palace a cercare di buttarsi giù, se non l’ha già fatto.»
Io e Quinn non abbiamo il coraggio di contraddirlo.
Nel mio cuore sento insinuarsi una paura profonda, la paura di perdere qualcuno a cui, inaspettatamente, si tiene davvero. Rachel ha un caratteraccio, è esuberante e capricciosa, ma ho imparato a volerle bene.
«Prendo la macchina.» Annuncio.
 
Guido fino al Mistral Palace, poi parcheggio ed entriamo nell’hotel. Dappertutto ci sono palloncini a forma di cuore e scatole di cioccolatini e le stanze sono addobbate a tema. Corriamo su per le scale sperando di non essere beccati dagli uomini della sicurezza e aiutando Quinn che fa più fatica di noi e in qualche modo arriviamo fino al tetto, ma ci blocchiamo. La porta è semiaperta. A Capodanno, siamo venuti qui di notte, sperando che la nostra morte passasse inosservata, come se volessimo fare le cose in segreto, indisturbati; ma ora, se Rachel è davvero qui, si ucciderà – se non l’ha già fatto! – in pieno giorno, sotto gli occhi indifferenti di tutti, e la cosa mi fa rabbrividire.
Spingiamo la porta che si apre con un cigolio, e sono sicuro che in questo momento stiamo tutti e tre pensando la stessa cosa: Fa’ che sia ancora viva!
C’è nebbia, silenzio e fa freddo da morire, quassù. Socchiudo gli occhi per vedere meglio, ma Sam grida e finalmente la vedo anch’io.
«RACHEL!» Sam l’ha trovata. È sul cornicione, ci dà le spalle e fissa il vuoto.
«Non fate nessun un altro passo, per favore.» Ci avvisa, continuando a guardare giù. Ci immobilizziamo.
Dopo qualche minuto di silenzio, Sam mette da parte l’angoscia e l’apprensione che lo hanno divorato fino ad ora e le parla lentamente, con calma, per non spaventarla.
«Speravo di non trovarti qui.»
«Lo sapete che, tra la notte di Capodanno e oggi, sono morte tre persone buttandosi giù da questo palazzo?» Risponde lei, con voce altrettanto calma e distaccata. Mi fa paura. Poi continua: «Grace Hillington, tradita dal marito. Hannah Bolton, che aveva perso la sorella qualche mese prima; e David Peterson, semplicemente stanco della vita.» La sua voce è spezzata.
«E tu vuoi aggiungerti a quella lista?» Chiede Quinn.
«Ho tenuto duro fino alla fine del nostro patto, Quinn. Da oggi, qualsiasi cosa io faccia non vi riguarda più.» Per la prima volta da quando siamo qui sopra, Rachel si gira verso di noi e ci guarda. Ha il viso rigato di lacrime e io sto trattenendo il respiro. Guardo Sam, ha il volto contratto e i pugni serrati: di certo, quest’ultimo commento di Rachel non gli ha fatto bene. Sono triste per lui – per loro – per come è andata a finire. Erano una bella coppia, stavano bene insieme, lei mi sembrava felice. Non avrebbe dovuto finire in questo modo.
«D’accordo, ma perché vuoi farlo?» Chiedo allora io.
«Perché non tutto ha un lieto fine. Non tutto si può risolvere. Non tutto si sistema. Kurt, tu avevi bisogno di sentirti accettato, e hai trovato Blaine. Quinn, tu avevi bisogno del sostegno della tua famiglia e l’hai avuto, almeno per quanto riguarda tua madre. E tu, Sam, ora i tuoi genitori lavorano e andrà tutto bene. Io, invece… ho perso.»
«Non mi ero reso conto che fosse una gara.» Commenta Sam, a denti stretti.
«E non lo è! Solo… io non riesco a risolvere i miei problemi. È passato un mese e mezzo da Capodanno, e non è cambiato niente! Sono ancora su tutti i giornali, dipinta come una strega, e ho trascinato nel fango anche voi, come ho fatto anche con Finn!»
«Ma Rachel, come fai a non accorgertene?! TUTTO è cambiato da Capodanno!» Continua Sam.
«Sentite, io sono stanca… stanca di avere paura di quello che dico o faccio e stanca di cercare di cambiare. Perché malgrado ogni sforzo, rimango sempre io.»
«Quindi è molto più facile farla finita, non è così? È l’unico modo per risolvere tutto, giusto? Morire, e non dover più vivere nella paura.»
So cosa sta facendo Sam. Molto di ciò che dice è dettato dalla rabbia, ma anche dall’amore. La provoca, la sta mettendo di fronte alla realtà dei fatti. Sta lottando per lei e insieme a lei. Rachel scoppia a piangere. «Noi la pensavamo come te, Rachel, ma ciò che non riesci a vedere, ciò che è diverso dalla notte di Capodanno, è che nessuno di noi ha più avuto voglia di tornare quassù.»
«Ha ragione! Quassù… quassù è una merda!» Interviene Quinn, spaventata nel vedere la persona a cui più si è legata, quella che credeva la più forte tra noi, volersi togliere la vita per la seconda volta in pochissimo tempo.
A questo punto, voglio dire anch’io la mia. «Io spero, anzi credo, che contiamo ancora qualcosa per te. Altrimenti perché scegliere San Valentino, per suicidarti? Forse credi di voler morire, ma non è così. Sapevi che saremmo venuti a cercarti. Noi siamo una squadra.»
«È così, lo siamo. Siamo la squadra peggiore del mondo, eppure siamo qui tutti insieme, il Club dei Suicidi Che sono Sopravvissuti.» Conferma Quinn.
«Lo so, potrebbe non sembrare molto. Ma può essere un inizio, e a volte è l’unica cosa che serve.»
Finalmente, sembra darci ascolto. Scende dal cornicione e cade sulle ginocchia che le sono cedute. Sam le va incontro e l’aiuta a rialzarsi. Piangono, piangiamo tutti, e ci abbracciamo in un abbraccio infinito.
È finita.
È finita.
Grazie al cielo, è finita.
 
***
 
 
EPILOGO – 320 giorni dopo, Vigilia di Capodanno
 
Cara Quinn, Caro Kurt,
io e Sam vi auguriamo un buonissimo inizio anno nuovo!
Ci pensate? È già passato così tanto tempo, da quando ci siamo conosciuti.
Quinn, sono felice di sapere che Beth sta bene e che Noah è un bravo papà. Non vedo l’ora di stringere tra le braccia di nuovo quel batuffolino biondo!
Kurt, la tv dell’albergo in cui stiamo alloggiando è sintonizzata sul canale 112 e non vediamo l’ora di vederti salire sul palco di Times Square per il concerto di Capodanno della Nyada. È fantastico che tu sia riuscito a entrare. Blaine sarà orgoglioso di te, così come lo siamo noi! Salutacelo tanto, ci mancate!
Per quanto riguarda me e Sam, la vista dalla nostra camera è meravigliosa. Non l’abbiamo lasciata neanche per un minuto da quanto siamo arrivati, ma scommetto che questo voi non lo volete sentire.
Oh, eccoti ti vediamo, Kurt! “Questa canzone è per ogni ragazzo nel pubblico, ogni ragazzo sul palco e ogni ragazzo che ci sta seguendo da casa. Questa canzone parla di noi, parla di voi. Qualsiasi problema abbiate, anche quando vi sembra che vada tutto male, ricordate una cosa: le cose si sistemeranno. Andrà tutto bene. Io ballerò come se fossi da solo, voi ballate come vi piace di più.” Davvero molto toccante.
E sapete cos’altro lo è?
Il fatto che mi abbiate impedito di buttarmi giù, entrambe le volte. Sapete, conosco la storia di un signore che si è buttato giù da un palazzo ma è sopravvissuto, e nel momento in cui si è buttato, si è reso conto che l’unica cosa nella vita che non poteva sistemare era quella che aveva appena fatto. Immaginate quei cinque secondi di caduta nel vuoto: dev’essere stata un’angoscia tremenda. Be’, grazie a voi, i miei cinque secondi li ho avuti in cima a quel tetto e non nel vuoto. Mi avete regalato cinque secondi, poi un anno, e ora una vita intera.
Grazie di tutto.
Mi mancate.
 
Rachel

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