LA BISBETICA DOMATA

di Clio93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 1 - Parte II ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 2- Parte II ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 3 - II parte ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 4 - Parte II ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 6 - Parte II ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 9 - Parte II ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 11 ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 12 ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 13 ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 14 ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 15 ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 16 ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 17 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Salve a tutti. Dato che nelle ultime settimane ho avuto modo di vedere Thor, Thor 2 e chi più ne ha più ne metta, ho deciso di cimentarmi in questa fanfiction su Tom Hiddleston, la cui interpretazione mi ha affascinata talmente che la mia fantasia ha preso il sopravvento e... eccomi qui! Spero che leggiate e che la storia vi piaccia. Ricordo che con la presente fanfiction, scritta senza scopo di lucro, non intendo essere offensiva nè danneggiare l'immagine dell'attore.
E con questo vi auguro buona lettura. Incrociamo le dita!

Prologo
Sono quattro anni che vivi a Londra e ancora non hai capito come attraversare la strada?
 
Fa freddo. Fa tanto freddo sia nel corpo che nell’anima. E questa è l’unica cosa che mi permetto di pensare lì, davanti alla porta del retro di un lussuosissimo hotel di Londra, dove sono stati appena buttati nel cesso tre anni del mio lavoro e della mia vita.
Tremo e le lacrime scendono silenziose lungo il volto e non so se sono per rabbia o per tristezza.
Confesso che vorrei urlare, ma la gola mi brucia da morire: ho fatto già il mio siparietto, prima che mi prendessero di peso e mi buttassero fuori da quella sala, da quella festa a cui non ero stata invitata.
Forse, se avessi un uomo non te la prenderesti tanto. Insomma! Non era che il terzo dei tuoi lavori, non è neanche l’ambizione della tua vita…!
Taci, brutta cornacchia: ci pensa già mia madre a ricordarmi che sono zitella. Penso, battibeccando con il “grillo parlante” che abita la mia testa.
Non è per il lavoro in sé che sono incazzata (non riesco a trovare un sinonimo educato in questo momento), quanto per la poca considerazione che viene data alla fatica e all’impegno altrui, e poi per cosa? Denaro!? Quel porco capitalista ne ha di soldi da buttare! Invece di comprarsi una Ferrari poteva anche concedersi il privilegio di continuare a giocare a fare il proprietario di una piccola, quanto autorevole, testata di giornale.
Cazzo, l’anno scorso mi fa sgobbare come un mulo per nuovi progetti, nuove interviste, mi promette un aumento e poi!? Vende, chiude, fine, addio, ciao. Se ripenso alla conversazione (ehm, direi, più precisamente, scazzata! Wow, Berenice, che linguaggio degno della tua educazione!) avuta poco fa mi viene da vomitare. Lo so benissimo che, se fossi appena uno poco più schizzata di quanto già non sono, agguanterei un coltello bello lungo e tagliente dalle cucine, tornerei nella sala e sevizierei il Porco Capitalista (damnatio memoriae. Mi rifiuto di chiamarlo per nome!) davanti a tutta quella marmaglia infiocchettata e scintillante. Non sono così pazza, no, non lo sono…
Non ci pensare nemmeno! Ringrazia di non esserti beccata una denuncia per diffamazione.
Sta zitta o mi lobotomizzo e sevizio te, cornacchia!
Quel maledetto stava pure partecipando ad una cena di beneficenza! Beneficenza un corno, se poi mandi a spasso venti persone solo perché il guadagno che trai è troppo poco per rimpinguare il capitale del tuo grasso, ingordo ventre capitalista.
E’ stata una giornata di merda. Ho letto e corretto una serie interminabile di compiti abominevoli per l’università; poi ho ricevuto la “bellissima” notizia della quasi imminente chiusura del giornale; ho corso per la città, cercando di contattare il Porco Capitalista; mi sono fatta un buco enorme sul mio maglione preferito; ho lasciato la cena a metà con un grandissimo pezzo di gnocco di ragazzo inglese (alias ho rimandato la fine della mia astinenza sessuale a data da stabilirsi) una volta scoperto dove si nascondeva la serpe; ho preso definitivamente conoscenza delle mie pessime qualità diplomatiche e ho constatato sul campo quanto sia migliorato l’uso del mio turpiloquio inglese; dulcis in fundo mi sono fatta prendere di peso dalla sicurezza, che mi ha “amorevolmente” scortato fuori dall’hotel. Sì, posso tranquillamente dire che oggi è stata una giornata di merda.
Potrebbe andare peggio di così?
Sì, potrebbe piovere…
Lampo, tuono e scroscio d’acqua.
Vaffanculo, cornacchia!
Sospiro rassegnata e inizio a circumnavigare l’immenso perimetro dell’hotel. Mi sono acconciata anche i capelli, per cosa poi?
Ho smesso di piangere, al posto delle lacrime un grosso peso sullo stomaco e un macigno che mi impedisce di respirare. Mi sento vuota, completamente vuota.
Sono zuppa, il vestitino aderisce freddo contro il corpo, i capelli mi si appiccicano sul volto fastidiosamente e i tacchi mi fanno male da morire. Quei tacchi sono stati il primo paio comprato con il primo stipendio… Non devo frignare! Dio, non posso mica buttare queste scarpe perché il loro ricordo mi sarà troppo doloroso: sono costate 200 sterline, dovranno durarmi per l’eternità.
Arrivo sulla strada e tutto quello che riesco a vedere sono le luci delle macchine e degli appartamenti illuminati, il resto mi appare come un’unica, indistinta macchia in movimento; è tutto lontano, tutto a distanza perché adesso ci sono solo io, io e il mio orgoglio ferito. In due ore sono tornata l’adolescente incazzata e depressa di qualche anno fa e questo non va bene, non va assolutamente bene. Se solo avessi un uomo…
Ce l’avevi, imbecille. Ma te lo sei lasciato scappare. Scopa di più e pensa di meno!
Grazie tante.
Così, immersa nelle mie elucubrazioni mentali, dimentica del fatto di non essere più a Roma ma a Londra, guardo dalla parte sbagliata della strada: ovviamente non c’è nessuno, la via è libera.
Troppo tardi mi accorgo di essermi sbagliata.
Troppo tardi mi accorgo dei fari che mi accecano.
E sono troppo sconvolta per tornare di scatto indietro.
Quando la macchina mi colpisce (piano, cosa credete? Ha frenato abbastanza presto per non mandarmi in coma!) e l’urto mi fa crollare a terra come una bambola di pezza, penso che, in fondo, perdere il lavoro è meglio che perdere la vita.
CRACK
Qualcosa è rotto. Il fianco sul quale sono caduta mi fa male e la caviglia destra è storta. Mi sollevo a fatica e osservo, con gli occhi sbarrati, il disastro. Il tacco è rotto. La mia prima busta paga è bruciata come carta nel fuoco. 200 sterline buttate. E questo, non so perché, mi spezza più di tutto il resto.
Così, quando il mio investitore si catapulta fuori dalla macchina e si inginocchia di fianco a me, sbraitando arrabbiato e spaventato, neanche me ne accorgo: mi sfilo la scarpa, la guardo un attimo e scoppio a singhiozzare disperata ed isterica come solo io riesco ad essere.
Due mani mi afferrano le spalle e mi scuotono violentemente e una voce calma e virile riesce a far breccia nella nebulosa dei miei pensieri.
“Calmati! Non è nulla di grave. Calmati!” E’ una voce bellissima, incazzata, agitata, ma bellissima che credo di aver già sentito da qualche parte… sì, l’ho già sentita.
Smetto di piangere di colpo, tiro su con il naso e oso sollevare gli occhi sul viso del mio interlocutore, che so essere a pochi centimetri dal mio.
Quando incontro un paio di grandi e limpidi occhi azzurri, un volto dai lineamenti delicati, fanciulleschi e la fronte ampia su cui, elegantemente scomposti, ricadono boccoli bagnati e rivoli di pioggia, trattengo un singulto.
No, non può essere lui.
Non può essere…
Tom Hiddleston.
E non posso fare a meno di scoppiare nuovamente in lacrime.
Questa è stata, ed è, una giornata veramente di merda.
 
 
 

 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


Capitolo 1
La scimmia urlatrice è lieta di presentare:
“Una serie di sfortunati, anzi sfortunatissimi eventi”,
con la partecipazione straordinaria di un povero attore,
quasi diventato killer!
 
Questa è la segreteria telefonica di Berenice Minardi:
se dopo il segnale acustico dovete chiedere dei soldi,
insultarmi, ricordarmi che sono una pazza maniaca del
controllo allora fareste meglio a non sprecare fiato perché
non risponderò. Se invece siete o mia madre, o mio padre,
se volete offrirmi un lavoro o una borsa di collaborazione
allora non ci sono problemi.
Bene, ora potete lasciare il vostro messaggio. BIP.
- “Ma a te cosa fa male!? Bernie che razza di segreteria telefonica è?
Comunque è la quarta chiamata! Rispondi è importante. Darcy.
Ah, comunque, fatti vedere da un bravo psichiatra, ti serve”
 
Dio mio! E questi dovrebbero essere degli elaborati di studenti magistrali!? A parte gli orrori di ortografia (che sia io a correggerli, povera immigrata italiana, è tremendamente comico), ma i contenuti sono quelli di un ragazzino di quattordici anni che si improvvisa universitario. E’ inaccettabile, e dire che durante il tutoraggio mi sono spolmonata per rendere chiaro quello che pretendevo da loro e mi sono pure offerta di aiutarli durante la stesura. Avevo chiesto, più di una volta, se avessero capito e mi sono fidata, mi sono fidata degli sguardi vacui e dei cenni automatici della testa. Beh, se la metto così allora l’ingenuità è stata mia. No, questi maledetti inglesi devono assolutamente ridimensionare il loro ego colonialista e farsi una lavata di coscienza.
Malgrado sia quasi Natale il tempo è clemente, così ecco che mi ritrovo, imbacuccata dalla testa ai piedi, seduta in un angolino al sole di uno dei prati dell’UCL[1]: se avessi continuato la correzione di quegli aborti al caldo del mio piccolo studio, sono sicura mi sarebbe venuta una sincope.
Tiro fuori la matita rossa, afferro malamente un compito ed inizio a tracciare pesanti solchi sul foglio; la mano mi trema e non posso fare a meno di lasciare commentini acidi ad ogni riga, ridendo soddisfatta ed invasata come una delle Baccanti di Dioniso.
Almeno con Dioniso ti potevi fare una bevuta e una, anzi molte belle scopate! Sei in crisi di astinenza bella mia.
Sta zitta, cornacchia. Questa sera mi vedo con George e vedrai tu…
Se non vedo, non credo.
Con la mia coscienza è una battaglia persa, lo so, ma non posso farci nulla: se una è matta, è matta e poi mi piace litigare con me stessa. Sono figlia unica e da piccola (oddio, anche adesso pensandoci) mi capitava di parlare da sola: in fondo sono una buona compagna di me stessa. No, ridimensioniamoci, sono una che pensa troppo, polemica, intransigente, borbottona, tendenzialmente malinconica e un po’ misantropa; ho, ovviamente, i miei pregi, nessuno al mondo può arrogarsi il diritto di considerarsi un disastro totale. Nessuno, tranne me.
Lo so, lo so, ho un ego smisurato anche se lo nascondo perché odio profondamente scoprirmi, fare vedere chi sono…
Non ce la faccio, mi dispiace, non ce la faccio: questi scritti fanno schifo.
E’ venerdì, c’è bel tempo, questa sera ho un appuntamento dopo mesi di clausura e mi rifiuto di farmi rimporre la giornata da un branco di analfabeti che si credono i Popper o i Russel del 2000.
Sbuffo e accartoccio, letteralmente, i compiti dentro la sacca; mi alzo, mi pulisco il didietro dalle foglie e dai ciuffi d’erba e mi dirigo verso la metropolitana più vicina.
Non fraintendetemi, la carriera accademica è la mia passione: ho lottato con le unghie e con i denti per arrivare dove sono ora; ho studiato matta e disperata per riuscire a fare il dottorato in Storia della Filosofia antica all’UCL e ce l’ho fatta. Contro tutti i pronostici negativi, adesso, faccio un lavoro che mi appassiona, vivo a Londra, la città dei miei sogni, e il tutto studiando una materia che, mi duole ammetterlo, non ha molti sbocchi nel mondo del lavoro.
Ho provato a studiare Economia: ricordo ancora me, matricola, piena di entusiasmo alla prima lezione all’università. Mi piacque , insomma l’economia mi interessava ma… ricordo benissimo che la mattina dopo mi sono svegliata piangente, dicendo: “Lo so che questa sarebbe la scelta giusta, ma non posso… tutta la vita così. Se non facessi Filosofia me ne pentirei per tutta la vita”.
E come dice sempre mia madre: “Meglio un topo di biblioteca felice che una ragioniera frustrata”. Brava mamma!
L’università, però, non è il mio unico luogo di lavoro: infatti, per foraggiare la mia permanenza a Londra, avevo fatto anche stage di editoria e di giornalismo e così, attualmente, mi ritrovo a fare altri due lavori l’uno per una casa editrice indipendente e l’altro per una piccola ma onesta rivista mensile di arte, cultura e spettacolo.
Il giornale “Umanitas” (modestamente il titolo l’ho scelto io) è stato il mio primo impiego. Il colloquio lo feci quasi per gioco, data la mia non-esperienza giornalistica, eppure, sorprendentemente mi presero nella squadra. E’ vero: eravamo sull’orlo della bancarotta, sottopagati, la sede era un vero disastro, con infiltrazioni piovane e la quasi totale assenza di riscaldamento, ma ci siamo risollevati. Abbiamo perorato la causa, ci siamo improvvisati manager e siamo riusciti a far comprare il giornale da un magnate del petrolio, tal Jeremy Montgomery-Brown che, malgrado l’aria da pappone e spacciatore, si è rivelato un ottimo mecenate e amministratore. Mi piace il mio lavoro da capo-redattore/giornalista e poi la compagnia è stupenda: ci sono quella pazza, eccentrica di Darcy, poi Eliot, il nostro bravissimo e meticoloso grafico, quindi Rory, Megan, la nostra artistica fotografa e chi più ne ha più ne metta (diciamo che i nomi degli altri quindici si perdono nella memoria). Siamo noi, i fantastici cinque, la squadra operativa, la miglior gioventù.
Penso e per tutto il tragitto non posso far altro che sorridere felice: Londra mi fa bene. Altro che psicanalisi, la Gran Bretagna vale più di Freud e Jung messi assieme!
Arrivata a destinazione, faccio le scale a due a due per giungere al quinto piano del palazzo in centro dov’è la sede di “Umanitas”. Saluto Nelly, la segretaria, che credo abbia un altro dei suoi attacchi allergici tanto piange e mi dirigo con passo baldanzoso lungo il corridoio.
“Buongiorno a tutti, raggi di sole!” Esordisco ridente una volta entrata in redazione.
Lo sguardo che i miei colleghi mi rivolgono non è quello che mi aspetto.
Occhi rossi, sconvolti, oso dire disperati.
Ammutolisco,guardandomi attorno; le cose sono due: o Nelly ha contagiato tutti con una congiuntivite batterica fulminante, oppure è successo qualcosa. Qualcosa di molto grave.
“Bernie! Dove cazzo eri finita? E’ tutta la mattina che ti chiamo” Dal tono duro e dalla posizione aggressiva di Darcy sono più propensa per la seconda opzione.
Meccanicamente, prendo il cellulare dalla tasca e controllo: 20 chiamate e dieci messaggi.
“Che è successo?” Chiedo titubante. Ecco, signore e signori, come crollano i castelli di carta!
“Vieni” Darcy mi prende il braccio e mi trascina verso la sala riunioni, dove Eliot, Rory e Megan sono già seduti, chi camminando avanti e indietro, chi tenendosi la testa tra le mani e chi, come Rory, sbraita al telefono.
“…Non è possibile! Non c’è una legge, un sindacato che possa impedirglielo? Dei del cielo…tre mesi! Va bene, va bene. Buona giornata pure a te” Chiude il telefono di scatto e lo sbatte violentemente sul tavolo.
“Vaffanculo al liberalismo!” Impreca Rory, gettandosi su una sedia con gli occhi chiusi.
“Mi dite che succede?” Chiedo spazientita.
Quattro paia di occhi mi fissano allucinati: è inutile che mi guardino così, non posso sapere perché non ero presente.
“Finalmente! La desaparecida  è ricomparsa” Dice brusco Eliot.
“Ero all’università…”
“Sì, ma Darcy ti ha provato a chiamare un milione di volte” Mi rimprovera Megan.
“E che caz…”
“Basta !” Si intromette Darcy sedando la lite: “Fare così non ci porterà a nulla. Siedi Bernie” Ordina, con fare autoritario e sbrigativo. Non l’ho mai vista così: di solito è allegra, solare, sorridente, mentre ora è una maschera di preoccupazione e frustrazione.
“Raccontate” Li sprono, seduta sulla sedia in posizione rigida. Sto sudando freddo e ho il terrore che da un momento all’altro tutto il mio mondo crollerà; devo cercare di non tremare.
“Allora” Inizia Darcy: “Questa mattina mi chiama la segretaria della segretaria della segretaria di Montogomery. Mi chiede se quella mattina tu, Bernie, verrai al lavoro e io le rispondo di no, al che lei fa: “Perfetto” e dice qualcosa a qualcuno vicino a lei. Quindi mi comunica che verrà l’avvocato del padrone e David Brody, il legale del giornale. La cosa mi è puzzata fin da subito, quando ci sono avvocati in giro, ne so qualcosa dato che faccio parte della categoria, c’è sempre qualche problema. E infatti…” Darcy trema e si morde il labbro, un lampo di rabbia sfavilla negli occhi chiari una volta dolci e gentili.
“Arrivano alle 10 e 30 in giacca e cravatta quasi si trattasse della CIA. Ti dico solo che non si sono neanche premurati di parlare in un linguaggio comprensibile: sciorinavano decreti e leggi come se stessero parlando dei risultati del campionato di calcio. Vergognoso!” Non riesco a capire se a parlare è Darcy l’avvocato indignato contro la sua professione, o Darcy futura attivista politica. Fatto sta che ancora non si è giunti al punto della questione e io sto seriamente iniziando a sentirmi male: mi alzo, mi verso un bicchiere d’acqua e mi appoggio all’angolino di fronte alla finestra che dà sulla piccola strada laterale, sul retro del palazzo.
“Comunque, in parole povere, abbiamo un preavviso di tre mesi” Conclude, incrociando le braccia sotto al seno, il volto esausto.
“Preavviso per cosa?” Oh, ti prego non ditemi che ci affibbiano un’altra filiale e che saremo costretti a sgobbare come muli pure durante le vacanze di Natale: ho già il volo prenotato per Roma e non vedo i miei da troppo tempo per potermi defilare. Mi rilasso: in fin dei conti è solo lavoro in più; oddio, è vero che in queste circostanze ci sono molti licenziamenti ma, insomma, si può sempre trovare una soluzione.
Immaginavo che il signor Montgomery volesse ampliarsi, aveva sempre dato l’impressione di voler qualcosa di più grande: poi, negli ultimi mesi, ci aveva costretti in uno stato di semi-schiavitù perché dovevamo stilare il progetto per l’anno venturo, vari bozzetti, ricerche per nuovi sponsor…
Aspettate! Perché i miei colleghi si guardano così? Sembra quasi non riescano a trovare le parole, o meglio, sembra come se non sapessero a chi debba andare l’oneroso compito di mettermi al corrente di tutto. La cosa mi puzza, mi puzza molto e inizio nuovamente a sudare, con le mani che tremano così tanto  che non riescono a tenere fermo il bicchiere. Per dissimulare, mi porto l’acqua alle labbra e ingoio…
“Per il licenziamento Bernie. Vende e tra tre mesi chiudiamo”
SPRFFF
Eliot e Darcy,che mi erano davanti, fanno un salto all’indietro per evitare che l’acqua che ho appena sputato li bagni.
Chiudiamo.
Si vende.
Licenziamento.
Mi devo trovare un appartamento meno costoso.
Non ti puoi comprare quel bellissimo completino intimo blu notte…
Zitta! Ti pare il momento?
Li guardo stralunata e per un secondo ho l’impulso di issarmi sul cornicione e di gettarmi (non è vero, penso solo all’idea di rotolarmi per terra urlando e strappandomi i capelli. La prima opzione faceva solo molta scena); mi riprendo subito e, come di consueto, non riesco a trattenermi.
“CHE COSA?” Urlo con tutto il fiato che ho in gola, e so perfettamente che tutti, nell’arco di almeno un chilometro, mi hanno sentita. Stringo la presa sul bicchiere, accartocciandolo e schizzando di acqua tutto il pavimento.
“E’ così Bernie. Non ci hanno dato la possibilità di ribattere o altro.” Spiega Morgan che si è alzata e si è avvicinata a me, stringendomi dolcemente per le spalle.
Sono incazzata come una vipera, non solo e non tanto per quel maledetto sfruttatore pervertito di Montgomery, quanto perché non ero presente nel momento in cui ci buttavano in mezzo ad una strada. Quei vigliacchi hanno accuratamente premeditato di evitarmi, perché sanno perfettamente che su queste cose non transigo. Gli inalienabili diritti del lavoratore sono santi, soprattutto per me.
“NON POSSONO! E’ ILLEGALE! CI DOVEVA CONCEDERE ALMENO SEI MESI!” Sbraito e mi dimeno, allontano violentemente Megan da me e stringo i pugni: mi dico di darmi una calmata perché altrimenti la vena che mi pulsa violentemente sull’occhio scoppierà.
Faccio un respiro profondo, chiudo gli occhi e razionalizzo: ci deve essere una soluzione, una scappatoia legale; quanto meno posso riuscire a posticipare la chiusura di altri tre mesi, così, chi non ha già altri lavori, può iniziare a cercare con più tranquillità. Pensa Berenice, pensa…
“Bernie, purtroppo può…” Esordisce Rory che dalla telefonata non aveva più fiatato.
“No che non può” Sibilo.
“Sì, perché lo stronzo ci ha lasciato queste” Mi porge due lettere, una con la data di ieri, nella quale si ribadisce la vendita dell’attività e la chiusura, «dato il preannuncio ricevuto in data…»; prendo l’altra lettera e inorridisco: è di tre mesi fa, tre mesi fa…
“Io non ho ricevuto nessuna lettera” Dico a fior di labbra: la cosa sa tanto di fregatura.
“Infatti, nessuno l’ha ricevuta. Quando lo abbiamo fatto notare, Brody era visibilmente imbarazzato e ha balbettato che lui l’aveva, ne era a conoscenza e che numerose copie erano in archivio…” Spiega Darcy.
“Non è vero: l’archivio e tutta la documentazione li ricontrolliamo tutti i mesi più di una volta” E capisco. Capisco tutto: quei maiali hanno fatto in modo che, puff, come per magia, le lettere apparissero in archivio, facendo così ricadere la colpa su di noi. Ed io che pensavo di essermi lasciata tutto questo schifo politico-burocratico in Italia.
“Chissà quanto hanno dato a Brody per fare questa bastardata. Adesso finalmente potrà comprare a quella baldracca della moglie la casa al mare che tanto desiderava” Fa Eliot disgustato.
Devo fare qualcosa, non posso rimanere con le mani in mano. Ho passato gran parte della mia giovinezza ad ingoiare bile e a borbottare nell’ombra, adesso basta. Forse l’ho capito troppo tardi che con l’onestà e l’impegno si ottiene poco, se non si aggiunge un po’ di spavalderia e coraggio di alzare la testa, ma ora non posso più esimermi, devo dire la mia.
“Dobbiamo fare qualcosa” Dico e mi siedo al grande tavolo bianco, dove abbiamo passato tante notti insonni a scrivere, progettare e lavorare; apro la borsa e tiro fuori l’agenda: lo stanerò, fosse l’ultima cosa che faccio.
“E cosa? Rory ha parlato anche con il padre che lavora al Ministero dell’Interno. Non si può fare nulla, ci ha fregato e intentare una causa legale è un suicidio: Montgomery è uno dei più grandi petrolieri dello stato” Ma perché Eliot deve essere sempre così maledettamente razionale? Dio santo! Se Robespierre non fosse stato un po’ tocco (e lo era), con il cacchio che si faceva la Rivoluzione.
“Eliot” Parlo, cercando di mantenere il controllo, onde evitare di prenderlo a schiaffi: “Non pretendo di evitare la chiusura di Umanitas, né tanto meno ho intenzione di intentare causa: voglio solo fargli credere che lo faremo e che abbiamo la possibilità di farlo. Tanta gente campa con questo lavoro, tre mesi sono troppo pochi” Prendo il telefono portatile che sta su un comodino lì a fianco e inizio a digitare il numero dell’ufficio di Montgomery alla City.
“Voi chiamate alla sede di New York, quella di Città del Messico e quella dell’Arabia Saudita: se conosco il tipo, avrà appena acquisito il dono dell’ubiquità” Mormoro agli altri, tenendo il cordless tra la clavicola e l’orecchio, mentre sono in attesa di parlare con la segretaria della segretaria, e spargendo numeri a destra e a manca.
“Evviva! I magnifici cinque in missione per salvare l’umanità” Saltella Darcy, tutta contenta ed eccitata.
Pronto, Montgomery Oil corporation SPA. In cosa posso esserle utile?” Ed è la voce stridula di quella gallina della segretaria che mi dà il coraggio.
“Ehm, sì, pronto. Buongiorno sono Berenice Minardi, capo-redattore di Umanitas, vorrei parlare con il signor Montgomery, è una questione piuttosto urgente.”
Aspetti in linea. Controllo…”
A noi due «tal Jeremy Montgomery-Brown»…
E infatti, come avevo previsto, il signor Montgomery era magicamente tanto a New York quanto a Città del Messico: un classico. Avevo vivamente sperato che avesse più fantasia ma, ahimè, per quanto ricco possa essere, rimane pur sempre un imbecille patentato.
“Abbiamo chiamato ovunque: uffici, club, casa a Londra, casa in Scozia, casa in America e casa alle Maldive. E’ ovunque e non è da nessuna parte…” Megan si abbandona scompostamente sulla sedia: è sfinita, lo siamo tutti, ma io non ho intenzione di demordere.
“Si passa al piano  B” Mi alzo in piedi con fare solenne e li guardo, ad uno ad uno.
“E quale sarebbe?”
“Sfacciataggine, Darcy, sfacciataggine. Pensavo tu fossi brava in questo”.
 
Avete presente quando nei film i protagonisti si aggirano come pazzi in giro per la città alla ricerca di qualcosa? Solitamente i fotogrammi sono più veloci, grazie al miracolo di qualche principio fisico di cui non ho la minima conoscenza. Ecco, la situazione di Darcy e me è stata la stessa. Se poi vi piace immaginare la scena come se steste al cinema, fate pure, ma in questo caso vi occorre una colonna sonora ad effetto e una coppa gigante di pop corn: quella non deve mancare mai.
 
Prima sequenza: Danza Russa dallo Schiaccianoci.
Darcy e io che corriamo fuori dal giornale, andiamo alla metro, prendiamo la metro, sbagliamo linea, usciamo dal treno, cambiamo linea, scendiamo e corriamo verso la Montgomery Oil e vattela a pesca il resto. Entriamo, andiamo all’accettazione e ci dicono che è appena uscito. Ce ne andiamo e riprendiamo la metro, direzione: club ad almeno dieci km di distanza e tre cambi metro.
 
Seconda sequenza: Can can o come diamine si scrive!
Tre cambi metro, sigaretta per me, bagno per Darcy. Prendiamo la strada a destra o a sinistra? Sinistra, si va sempre a sinistra. Quattro km e dieci vesciche dopo chiediamo informazioni: abbiamo sbagliato. Dovevamo girare a destra e, dato il tipo, non ci sarebbero dovuti essere dubbi. Altri quattro km e altre dieci vesciche, giriamo a destra e il club è a pochi metri. Qui cambiamo tattica: Darcy improvvisa un malore all’ingresso e io faccio il giro del locale, scorgo un albero e mi ci arrampico; peccato che soffro di vertigini e ho l’equilibrio di un elefante in calore. Scavalco, do una culata stratosferica e non contenta mi graffio contro la siepe irta di spine; mi guardo intorno e vado verso il ristorante: quel trippone suino sicuramente sta bevendo. E infatti eccolo! Mi catapulto dentro ma purtroppo il bar è riservato agli uomini e mi chiedono gentilmente, almeno all’inizio, di uscire. Mi impunto e inizio a sbraitare: errore. Il suino si accorge di me e con un’agilità che credevo non avesse neanche da giovane, sparisce (solo dopo Darcy mi dice che lo ha visto correre alla macchina e partire a tutto gas).
 
Terza sequenza: Morte del Cigno dal Lago dei cigni.
Cinque cambi di metro. Centro di Londra. Corriamo come pazze squilibrate, ad un tratto mi blocco perché mi sono accorta dell’immenso cratere sul maglione all’altezza della tetta sinistra. Tiro giù tutti i santi beati del Paradiso (non è vero, non sono così sboccata, ma come al solito fa scena) e inizio di nuovo a camminare, sbattendo i piedi e borbottando. Arriviamo al palazzo più lussuoso di tutti i palazzi lussuosi del circondario: è il suo. Suoniamo una volta, due volte, tre volte, quattro, cinque e tutte le tabelline, addizioni e connessi vari del mondo. Niente! Nada de nada! Il suino l’ha fatta franca.
 
“Hai fatto tutto quello che potevi” Mi dice Darcy, stravaccata sul mio divano che si ingozza di cioccolatini.
Io sono seduta al bancone della cucina con un bicchiere di aspirina davanti, mentre mi massaggio le tempie. Ho un mal di testa da cani e sono stanca morta.
“No, con il cazzo che mollo!” Dico, sbattendo una mano sul bancone in maniera molto dolorosa.
“Oggi vedi George, vero?” Mi chiede Darcy, ingoiando l’ultimo cioccolatino.
“Oddio, quanto non mi va!” Sbuffo e inizio a picchiettare la fronte sul tavolo, scandendo il ritmo e facendomi un bel bernoccolo.
“Oh, tesoro! Esci, bella di casa. Fatti una sana notte di sesso perché ne hai proprio bisogno” Ride e quando Darcy ride non puoi fare a meno di ridere con lei. Sì, devo proprio uscire e cercare di ricostruirmi una vita sentimentale: ho lasciato il mio eterno fidanzato da un anno e mezzo e mi sono talmente buttata nel lavoro che le occasioni di spassarmela sono state veramente scarse, veramente troppo scarse.
Mi alzo, mi avvicino alla mia migliore amica inglese e le do un bacio sulla fronte: “Come farei senza di te!?” Le soffio in volto, facendole il solletico.
“Non lo so, cocca, ma vatti a fare una doccia perché puzzi” Mi prende in giro e io le rispondo con una linguaccia. La adoro. Se la mia timidezza si è ridotta ai minimi storici è solo grazie a lei.
Ci dirigiamo entrambe verso la mia camera da letto, alla ricerca del vestiario per la serata: devo essere provocante ma non volgare; devo mostrare ma non scoprirmi; elegante ma sobria.
Sobria lo sono sempre, volgare solo con le parole: non dovrebbe essere difficile trovare qualcosa… eccolo, l’abbinamento perfetto! Vestitino nero corto, di pizzo, un poco scollato sulla schiena, stile impero che mette in mostra la mie forme, sfortunatamente molto generose (essendo una persona che odia stare al centro dell’attenzione, avere una terza abbondante mi crea non pochi problemi, anche perché, data la mia naturale goffaggine, spesso sono protagonista di scene molto, ma molto imbarazzanti). Il tutto è correlato a calze nere, sottili, parigine di lana che mi arrivano sopra il ginocchio e scarpe, anch’esse parigine: ci sono affezionata a questo paio, sono state acquistate con la mia prima busta paga. Intendiamoci, odio le scarpe alte e i vestitini super-femminili, sono un tipo più alla mano, che ama la comodità, però, ogni tanto, mi ricordo di essere donna dopotutto e mi lascio trasportare dal romanticismo. Questi tacchi sono scomodissimi, ma non sono fatti per rimanere troppo a lungo ai miei piedi.
Darcy si congeda con un bacio, l’augurio di una buona serata e la promessa che mi avrebbe chiamata l’indomani, e che forse sarebbe anche passata per un saluto.
Attendo di sentire la porta chiudersi, quindi mi spoglio ed entro nella doccia: l’acqua calda è qualcosa di divino. Il tepore mi entra nelle ossa e la mia anima tira un sospiro di sollievo; adoro la doccia calda, passerei le ore ad ascoltare il suono dell’acqua e ad assaporare il gusto e il profumo dei vari saponi che applico su corpo e capelli.
Il bagno è il mio momento sacro, nessuno può entrarvi, solo i miei pensieri, purtroppo anche quelli molesti, e i miei “sogni vigili”: posso essere chiunque, fare qualunque cosa; certe volte mi vengono idee talmente geniali che mi stupisco di me stessa, anche se, poi, sfortunatamente, non posso portarmi un taccuino con me e quindi dimentico tutto. E’ bello galleggiare così e non posso far altro che canticchiare la canzone di Giorgio Gaber, Shampoo. Ah, come, come vorrei vivere sotto la doccia, con la schiuma che sembra panna. Sarebbe tutto molto più facile e certamente molto, molto più piacevole.
Devo ammetterlo, George ha buon gusto: il piccolo e intimo ristorante a nord di Londra sembra appartenere ad un’altra epoca, quasi fossimo tornati indietro di duecento anni.
Lo guardo mentre legge, concentrato, il menù, con le sue mani affusolate che si toccano il mento e non posso fare a meno di pensare a quanto mi piacerebbe che quelle mani mi toccassero in luoghi ormai non più molto frequentati.
L’idea di poter fare qualche bella capriola tra le lenzuola è quasi opprimente, quasi più opprimente della rabbia al pensiero della brutta fine che il mio adorato giornale farà.
Detta così potrei passare per una suora, tutta casa e Chiesa, che non vede l’ora di commettere qualche bel peccato…
Non è che sembra, lo sei!
Cornacchia acida e impicciona!
“Che c’è? Ho i capelli fuori posto?” Mi dice George allarmato, ed è così che mi rendo conto che lo sto fissando insistentemente, probabilmente con una faccia da assatanata sul volto.
Oh, tranquillo per i tuoi peli rossi, tra qualche ora saranno più che scompigliati…
Oddio, pure tu no!
Ecco che rispunta Lolita, la parte disinibita di me che si palesa, come la Cornacchia, sempre nei momenti meno opportuni.
Oh, no. Sono perfetti, davvero… stavo pensando al giornale, brutta giornata. Non puoi capire che è succ…”
“Non dirlo a me! Oggi in ufficio è stato un disastro e…” George inizia a starnazzare sulla sua giornata così orribile che ha addirittura ricevuto una promozione: io perdo il lavoro e quello si lamenta per l’aumento di stipendio! Odio quelli che fanno così, quelli che se tu hai un problema tentano in tutti i modi di sminuirlo, non consolandoti, non sia mai, ma perché hanno anche loro dei problemi e, apparentemente, sono sempre peggiori dei tuoi.
George è bello, molto e lo sa, ma avevo già notato quanto narcisista e petulante potesse essere: ho sempre cercato di non badarci, contando sul fatto che per fare del puro e semplice sesso non si deve usare la bocca (o meglio, non si deve usare per parlare, al più per ansimare).
Non fare la schizzinosa, adattati e zitta.
Seguirò il tuo consiglio… solo per questa volta!
Mi riscuoto dai miei pensieri e mi accorgo che sta ancora ciarlando: che palle! Mi immergo nuovamente nella contemplazione, lasciando che le sue parole assumano il suono dello sciabordio delle onde: sono molto brava con questa tattica, è vero che certe volte mi pongono le domande e rispondo pan per focaccia, ma la figura è nulla a confronto con l’atroce sensazione di dover prestare attenzione a cose che ti fanno schifo, che non capisci o di cui non te ne importa una sega.
Sobbalzo, sentendo il cellulare vibrare. George non se ne accorge, il suo monologo continua ed ho così l’opportunità di prendere il cellulare e di vedere un messaggio di Darcy.
“Qualche problema?” Cazzo G., perché non potevi continuare a parlare?
“Nulla, scusami” Mi guarda un po’ contrariato, si è accorto che non lo stavo cagando di striscio e che non mi sdilinquivo di fronte al suo “avvincente”, quanto soporifero racconto.
Ordiniamo e intanto ci portano del buon vino rosso.
Guardo la bottiglia come fosse veleno, sperando di dissimulare la mia faccia disgustata.
George si versa un bicchiere e poi, con galanteria, versa un po’ di vino anche a me, mentre una zaffata di alcol mi investe: trattengo un conato.
Dovete sapere che è da almeno sei anni che non riesco più a sentir parlare di vino rosso, né tanto meno riesco a sentirne l’odore: prima sbronza seria e prima vomitata della mia vita.
Ma dove minchia ero quando abbiamo ordinato da bere?
Se ascoltassi, invece di farti viaggi mentali, forse ora non saresti costretta a farmi sorbire quel calice amaro.
Tu, eh!? Perché io che mi dovrò tenere la nausea e far finta pure che vada tutto bene, no?
Il cellulare vibra altre due volte e poi una terza e una quarta, mentre lo sguardo di George si fa sempre più affilato.
“Scusami, sai la mia collega è preoccupata per la rivista e…”
“Sì, sì. Me lo hai già detto” Dice con aria di sufficienza, prendendo il cellulare e iniziando a… giocare a Candy Crush! Cosa? Ma vaffanculo maledetto egocentrico: è vero che avrei dovuto chiudere il telefono ma santo Socrate! Da qui a ignorarmi deliberatamente ci passa sotto non un fiume, ma un oceano di acqua.
Stizzita, afferro bruscamente il cellulare (e lo faccio premurandomi che si accorga del mio fastidio) e inoltro la chiamata a Darcy.
“Che vuoi?” Sibilo come una vipera.
“Bernie, scusa, scusami tanto ma è importante”
Certo più importante anche della tua vita sessuale?
Taci, mostro! Questo qui è talmente manico di scopa che non gli si alzerà neanche con un’overdose di Viagra.
Che c’è?” Le chiedo brusca.
“Ian, te lo ricordi Ian si? Quello che mi sono portata a letto un mese fa, alla festa dell’…”
“Arriva al punto!”
“Beh, Ian è un informatico, un mago con i computer e, dato che lo stavo ammorbando con la storia di Montgomery, prende il computer e inizia a digitare. All’inizio ci rimango male, insomma, ti pare che mi ignori…”
“Darcy!” Strillo, facendo girare tutti.
“Ok, ok… scusami, era per completezza! Comunque, cerca che ti ricerca, dieci tazze di caffè e una litigata dopo se ne esce con un : “Eureka”, quindi mi mostra quello che ha trovato… so dov’è Bernie, so dove si trova Montgomery”
A quelle parole scatto in piedi e, nella mia goffaggine, faccio rovesciare il vino addosso alla camicia immacolata di George.
“E checcazzo, sei una cafona, stai attenta! Sai quanto costa…”
“Sì, sì… costa più della mia istruzione” Gli rispondo acida, facendo un cenno con la mano per fargli chiudere il becco.
“Ci vado, dammi l’indirizzo e tutto”
“Sarà un casino entrare Bernie, è una serata di beneficenza e per entrare devi avere un biglietto” Mi spiega Darcy.
“Ian non è un mago dell’informatica?”
“Sì, perché?... sei geniale, sei fottutamente diabolicamente geniale” Mi dice, trapanandomi un orecchio.
“Mandami l’indirizzo per messaggio, tanto in ghingheri ci sono già”.
Chiudo la chiamata, afferro il cappotto e la borsetta e faccio per andarmene, quando una mano mi afferra il braccio e stringe: abbasso lo sguardo, stralunata, verso la scheletrica mano di George e poi lo rialzo incontrando il volto furente del ragazzo.
“Dov’è che vai? Mi devi ripagare la camicia, stronzetta” La mia mano parte involontariamente (non è vero) e lo schiaffo è di quelli epici, di quelli che non si possono dimenticare. George si allontana di botto, paonazzo, con una mano sulla guancia, osservandomi con la bocca spalancata.
“Stronzo e cafone ci sei tu. E sei pure un narcisista, noioso pallone gonfiato che si crede chissà chi e poi viene nei pantaloni per un bacio un po’ più infuocato di quelli a stampo che ci si dà alle elementari” Bello sputtanare la gente così! Mi sembra di volare, sì, di librarmi in aria leggera. Sono talmente euforica che non ho la minima intenzione di sprecare altri minuti preziosi… ho una missione e devo portarla a termine.
Giro sui tacchi e corro verso l’uscita; apro la porta e sto per andarmene quando, memore di non aver finito di vomitare tutto il tappo di bile che mi tengo da un mesetto a questa parte, mi volto e dico: “Comunque, la Cappella Sistina non è scolorita. E’ il tuo cervello che ha perso colore a forza di farti fare seghe nei bagni pubblici”. Porco! Quella scenetta in metropolitana me la doveva pagare.
Rido diabolica ed esco all’aria fredda della Londra notturna. Rido e sento di avere il mondo nelle mie mani.
 
L’Hotel Baglioni si trova proprio di fronte Hyde Park. E’ tutto illuminato e all’ingresso c’è un via vai di persone. Meglio così, sarà più facile eludere la sorveglianza.
Faccio un respiro profondo e mi faccio coraggio: attraverso la strada e mi avvio, facendo finta di nulla, dentro la hole dell’albergo.
E’ magnifico, non sono mai entrata in un hotel a 5 stelle.
Vado alla reception, chiedo della festa, inventandomi una scusa per il mio immenso ritardo, e, con mia sorpresa, la signorina non mi fa domande e mi dice precisamente la direzione che devo prendere.
Perfetto, primo step superato.
Lungo il corridoio si possono udire le note soffuse di un’orchestra jazz e il vociare degli invitati.
E’ vero che sono vestita elegante, ma lo sono solo per i miei standard: dalla tenda rossa fuoriescono donne ingioiellate e con abiti talmente eleganti che probabilmente non basterebbe un anno di uno dei miei stipendi per acquistarne uno.
Cazzo!
“Posso esserle utile?” Un funzionario dell’albergo, con fare affabile e gentile, si para davanti all’entrata della sala dove si sta tenendo la cena. Vai, Bernie! E’ ora che tu metta a frutto la secolare capacità italiana di imbastire: ars imbastendi!
“Sì, sono un’invitata. Purtroppo sono in ritardo, arrivo dall’aeroporto e ho dimenticato l’invito. Potrebbe controllare sulla lista elettronica?” Ian, spero vivamente tu sia un bravo hacker, perché non solo farei una figura di merda, ma oltretutto mi giocherei l’ultima e unica carta che mi rimane per parlare con Montgomery.
“Attenda un momento” Mi dice l’uomo sorridendo, per poi sparire oltre la pesante tenda di velluto rosso.
Mi sto massacrando le mani, sto sudando freddo e sento che i miei capelli si stanno arricciando. Vado verso uno dei grandi specchi del corridoio e mi do una controllata: infatti, come sospettavo! I capelli, da lisci e perfetti che erano, si stanno facendo mossi; il trucco è un po’ colato ai lati e il rossetto è sparito.
Damn! Tiro fuori di fretta e furia la matita, il mascara e il rossetto scuro che applico, immediatamente, sulle labbra; passo a contornare gli occhi di nero e poi restano solo le ciglia.
Purtroppo, faccio a tempo a farmi solo un occhio, perché, non appena avvicino il pennello all’altra ciglia ecco che ritorna il tizio di prima: “Può passare, signorina! Oh, scusi, mi scusi tanto” Era arrivato tutto baldanzoso, contento di non essere costretto a sbattermi fuori, ma nel farlo, mi aveva fatto prendere un infarto: sussulto e mi ficco il pennello nell’occhio che inizia a lacrimare e vattela a pesca il trucco.
“N-non si p-preoccupi… n-niente” Balbetto gentile mentre soffoco un gemito di dolore, quando quello mi dà le spalle, imbarazzato, e mi apre la tenda per farmi passare. Vorrei insultarlo pesantemente ma questo comprometterebbe la mia copertura.
“Le auguro una buona serata e scusi ancora” Mi dice il giovane uomo, indugiando sull’abbondante decoltè: che palle! Aveva iniziato tanto bene.
Mi guardo attorno: è un carnaio; ci sono almeno un centinaio di persone tra politici, alti funzionari e persino attori (mi è sembrato di scorgere “Harry Potter”, wiiii), ma non ho tempo per stare a fare la scolaretta; devo trovare Montgomery.
Mi aggiro per la sala stringendomi addosso il cappotto a mo’ di difesa: “Signorina, mi vuole dare il cappotto?”
No, dannazione, no! Poi con cosa mi nascondo?
V-va b-bene, g-grazie” Me lo sfilo e lo do alla giovane cameriera.
“Il bar è lì” Mi dice facendomi l’occhiolino: deve aver colto il mio nervosismo.
Mugugno una sorta di ringraziamento e sfreccio verso il bancone del bar: mi devo fare coraggio e una buona tequila non ha mai ucciso nessuno. Mi sento terribilmente inadeguata, più cammino più noto gli sguardi e voluttuosi e schifati della gente; è tutto troppo per me, troppo chic, troppo ricco, troppo importante per una povera topolina di biblioteca. Infatti, quando raggiungo il bancone, mi accascio letteralmente sulla sedia e con un tono da funerale chiedo: “Una tequila sale e limone, anzi facciamo due tequile senza il sale e senza il limone”
“Perfetto, 20 sterline” Cosa? Ma è un furto, un furto bello e buono: Cristo, a Campo dei Fiori me la sarei cavata con quattro euro! Con venti sterline mi compro almeno due magliette e un paio di mutande alle bancarelle.
Il barman sta aspettando con le braccia incrociate e uno sguardo di sospetto stampato sul volto. Deglutisco sonoramente e porto la mano alla borsa; tiro fuori il portafogli e lo guardo: non sono una tirchia, ma è un latrocinio bello e buono.
Tiro fuori le banconote e gliele porgo senza guardarle, quasi singhiozzando.
Ora c’è solo da aspettare, quindi mi volto verso la sala e aguzzo lo sguardo, cercando di cogliere un movimento, un ventre enorme o una zucca pelata.
“A lei” Mi volto ed ecco il mio siero della felicità: davanti a me ci sono due bicchierini di cristallo, colmi di un liquido trasparente. Ne afferro uno e lo porto alla bocca, ingurgitando il contenuto come fossi un assetato nel deserto: l’alcol fa immediatamente il suo effetto; una sensazione di calore si propaga dal petto al resto del corpo, sino al cervello che immediatamente diviene come piuma e si annebbia un poco. La tequila è una delle poche prove dell’esistenza di Dio, altro che quelle di  Tommaso[2].
Sto per prendere l’altro shottino, continuando a guardarmi incontro, quando una voce calda, virile e molto, molto inglese si insinua, piacevole, nell’orecchio: “Posso unirmi a lei?” Il proprietario è vicino, lo sento dal brivido di piacere che la sua voce provoca sul mio collo: se mi girassi, probabilmente le nostre labbra si incontrerebbero. E sto per farlo, sto per voltarmi perché l’uomo ha un odore buonissimo, sensuale, dolce e forte nello stesso tempo.
Ecco, ora mi volto e… Cazzo, è lui, è Montgomery! Lo vedo con la coda nell’occhio, ma tanto mi basta, so dove è diretto. Mi alzo di colpo, prendo il bicchierino e bevo tutto di un sorso, senza degnarmi dell’uomo dalla voce affascinante; mi giro e sfreccio verso l’altro capo della sala dove è il tavolo del mio datore di lavoro.
“Aspetta un momento” La Voce prova ad afferrarmi, ma io mi divincolo, urlandole: “Scusa, affari di stato!” e sparisco tra la folla.
Secondo me era gnocco e tu, al solito, te lo sei lasciato sfuggire.
Per Zeus! Se tutto va come deve andare, dopo potrai avere il dolce.
Ora sono dietro le spalle di Montgomery: sta fumando un sigaro, il cui odore giunge acre alle mie narici, e conversa allegro con alcune signore che sembrano pendere dalle sue labbra. Lo osservo come farebbe un cacciatore con la sua preda, fredda, calma e decisa ad appendere la sua testa sopra il piccolo caminetto che troneggia nel mio salone.
Diplomatica, devo, assolutamente, essere diplomatica: ne va del futuro di venti persone.
“Ehm, ehm” Simulo un colpo di tosse, affinché si possa accorgere di me. Vedo il panzone irrigidirsi, mentre, con una calma che non è di questo mondo, si gira per fronteggiarmi.
Quando mi vede spalanca gli occhietti sanguigni, la sua espressione si fa agitata ed inizia a sudare: che schifo, penso, ma cerco di non far trapelare dal mio volto il disgusto.
“Buonasera signor Montgomery, come sta?” Chiedo cortese, sorridendogli gelida. Il tono sarcastico del mio tono non deve essere sfuggito né a lui né alle sue uditrici, che tacciono immediatamente e sviano lo sguardo, chi sulle mani, chi sul resto della sala.
“Oh, signorina Mynard! Che piacere! Non sapevo fosse invitata…” Sorvoliamo sul fatto che abbia sbagliato il mio cognome (sono tre anni che lo fa e sono giunta alla conclusione che lo faccia con cognizione di causa, solo per indispettirmi), ma so per certo che sia a conoscenza del fatto che, se mi trovo lì, c’è unicamente un motivo, un motivo che lo riguarda direttamente. Rispondo alla frecciatina con un sorriso tirato e mi avvicino un poco.
“Infatti, sono venuta qui per parlarle. Quando ho saputo che era qui sono rimasta sorpresa: c’è chi mi ha detto che era a New York ed altri addirittura asserivano che si trovasse in Asia…” Uno a zero palla in centro, cocco!
Il grassone mi guarda inferocito, ma è questione di un attimo: è in quel momento che mi rendo conto di averlo sottovalutato. L’espressione si fa furba e calcolatrice, mi osserva come fossi, improvvisamente, diventata io la preda e non il contrario.
“Suppongo che mi debba parlare della rivista, non è vero?” Dritto al punto: accidenti e io che pensavo avrebbe cercato di arrampicarsi sugli specchi.
“La rivista? Caro, ma non avevi intenzione di chiuderla?” Una signora bionda, completamente rifatta da capo a piedi, con delle labbra talmente gonfie da sembrare contuse, gli prende la mano e lo guarda civettuola. Conato di vomito. Non andrei a letto con un tipo del genere neanche per tutti i soldi del mondo.
“Certo, cara, certo. Infatti non capisco cosa altro ci sia da aggiungere. Avete ricevuto le lettere, tutto è stato fatto legalmente e tutti avrete una cospicua liquidazione. Sono stato molto generoso, in fondo, ci tengo al giornale e a voi tutti; odio quegli imprenditori che non pensano minimamente ai loro sottoposti: lede l’immagine della categoria. Sono affari e negli affari tutti sono alla pari” Alla pari un accidenti che ti piglia, stronzo! Montgomery non ha fatto altro che ricordarmi che sono una povera dipendente stipendiata che deve tacere e magari anche ringraziarlo; perché il discorsetto sulla sua presunta santità imprenditoriale? Ne vogliamo parlare?
“Oh, lei è molto generoso, davvero.” Dico ironica, alzando un sopracciglio scettico. So benissimo che quello che sto praticando non è diplomazia, ma non posso farne a meno, odio quando la gente non si rende conto con chi ha a che fare, quando pensa che sono solo una ragazzina facilmente abbindolabile: “Ma c’è un problema: le lettere in questione sono, ehm, come dire? Magicamente comparse solo questa mattina. Non si ricorda? L’archivio l’abbiamo controllato solo due settimane fa e, al tempo, le lettere non erano presenti… è davvero strano, non trova? Visto e considerato che sono datate tre mesi fa…” Prendo una lettera dalla borsetta (non so neanche perché me la sono portata dietro, diciamo forse sesto senso) e gliela porgo, mentre il vecchio porco strabuzza gli occhi e diviene paonazzo. Lo devo aver messo in imbarazzo e sono talmente soddisfatta di questo da non rendermi conto che, forse, questa mia è una tattica sbagliata.
Montgomery la guarda per un momento che mi sembra infinito, quindi la piega in due , con estrema gentilezza me la mette tra le mani e mi sorride sornione: qua si mette male e sento la mia pazienza che vacilla pericolosamente.
“E’ la mia parola contro la sua” Dice con fare inequivocabilmente allusivo: E’ la mia parola contro la sua, io sono miliardario e lei arriva forse a 55 000 sterline l’anno; io sono un politico navigato e lei è appena entrata nel mondo.
“Non solo la mia, ci sono anche gli altri” Rispondo con tono rabbioso, riducendo gli occhi a fessure.
“Non cambia molto, non è il numero di persone, signorina. Sono affari e basta, non è un fatto personale. E’ tutto, non ho altro da aggiungere, le conviene andare prima che qualcuno si renda conto che questo non è il suo posto.” Mi fa un lieve inchino con il capo, quindi si gira, lasciandomi così, di stucco, incapace di replicare, senza la consolazione di sapere di essermi battuta con onore e aver perso con dignità. Rimango interdetta per un poco, ma non posso rimanere lì, purtroppo devo andare, sentendo fin nelle viscere il veleno che si propaga, il veleno della frustrazione e l’umiliazione.
Sto per andarmene quando, credendo che non ci fossi già più, quel vecchio barilotto di grasso parla, e dice cose che avrebbe dovuto evitare di dire: “Poveraccia, quella ragazza è così piccolina e sprovveduta. E’ italiana, sapete come sono gli Italiani: furbetti, ma non troppo intelligenti… mi fa pena” Pena,pena,pena,pena… Mi fa pena!
Ok, adesso Berenice calmati, respira e vattene.
Che c’è cornacchia, hai paura? Pena, preferisco l’odio alla pietà.
Lo so.
Io vado, non ce la faccio a resistere, vedo rosso.
Ehm… fa come vuoi.
Non me lo faccio ripetere due volte. Mi volto, dirigendomi come una furia verso il tavolo, mi avvicino e con tutta la rabbia e la forza che ho un corpo batto tutte e due le mani sul tavolino, facendo infrangere parecchi bicchieri e strillare parecchie delle gallinelle siliconate.
“PENA!LE FACCIO PENA EH!” Urlo, urlo con tutto il fiato che ho in corpo: non resisto all’ira, sento il fiato accelerare e quasi non ci vedo tanto la rabbia.
“E’ pazza, lei è pazza” Mi dice Montgomery, alzandosi in piedi e sovrastandomi. Gonfio il petto e, dove l’altezza non può giungere, ecco che l’ira fa il resto.
“NO, NON SONO IO LA PAZZA! LEI E’ UN MALEDETTO CRIMINALE. QUELLE LETTERE NON LE ABBIAMO MAI RICEVUTE, CI HA TOLTO TRE MESI, TRE MESI! E’ ILLEGALE!”
Dio, Bernie. Se avessi saputo che avevi una voce così tonante ti avrei fatto fare qualche lezione di canto.
Taci, mi devo sfogare o mi saltano le coronarie.
Stai attenta che non ti saltino anche i denti.
Ero talmente concentrata che non mi ero minimamente resa conto che, attorno a noi, era calato il silenzio: ma se io non me ne ero accorta, Montgomery sì, perché si guardava attorno, umiliato. Io non avevo certo finito di umiliarlo, se dovevo soccombere, lo avrei fatto avendo l’ultima, trionfale, grandiosa parola.
“Non può provarlo, lei non ha niente” Sussurra agitato, iniziando a gocciolare ancora più di prima.
“Ci dia quei sei mesi, ce li dia tutti” Sibilo, respirando affannosamente. Montgomery sembra rifletterci su, si contorce le mani, si guarda attorno e… si volta di scatto verso di me, fulminandomi con lo sguardo e io indietreggio.
“No, non le do proprio nulla. Questo è quanto… ho altri progetti, progetti più importanti. Siamo in guerra signorina e i giornali non aiutano certo, non pensa anche lei? Ringrazi che non la sbatta fuori senza aspettare i tre mesi o, peggio, che la denunci per diffamazione” La sua voce è melliflua, suadente e viscida, ma non ha sortito gli effetti sperati. Montgomery si risiede, dandomi le spalle: mossa sbagliata, perché il suo discorsetto non ha fatto altro che inviperirmi ancora di più.
“LEI E’ UN MAFIOSO!” Strillo isterica: “UN BASTARDO” Evviva.
“UN PORCO CAPITALISTA. SI’, LEI E’ UN PORCO CAPITALISTA CHE MANDA A PUTTANE LA VITA DEGLI ALTRI PER COSA? PER FARE BOMBE? VISTO CHE LI HA I SOLDI CHE LE ESCONO DA QUEL GRASSO CULO CAPITALISTA CHE SI RITROVA, POTEVA ANCHE CONTINUARE A GIOCARE CON IL GIORNALE: NON AVREBBE UCCISO NESSUNO E AVREBBE GARANTITO LA SOPRAVVIVENZA DI GENTE CHE CON QUEL LAVORO CI CAMPA. MA COSA LE IMPORTA A LEI, PORCO CAPITALISTA!” Mi sento bene, so che ho esagerato e che mi sono spinta troppo oltre, ma mi è piaciuto. Volontà di potenza da salotto, ma una volontà di potenza con le palle, per Bacco.
Il Porco Capitalista si alza di scatto, si mette di fronte a me e avanza inesorabile: so benissimo che vorrebbe mettermi le mani al collo, ma non può scomporsi. Malgrado sia una tappa, esile e con la pressione bassa (bassissima direi), non mi tiro indietro né mi faccio intimorire. Guardo Montgomery che fa un cenno con la testa a qualcuno dietro le mie spalle e poi torna a guardarmi con espressione omicida.
“Non la denuncerò perché lei è una selvaggia squilibrata che non sa cosa significhi stare al mondo. Non la denuncerò perché mi fa pena, sì pena, povero uccellino. Per il giornale non si preoccupi, quelle persone non possono pagare per lei…tre mesi, ha tre mesi per fare in modo che le vendite rimangano stabili, perché se noto anche un calo di 1 sterlina, la spezzerò e rimpiangerà amaramente di essere nata” Se la prima parte del discorso era stata detta in modo tale che tutti sentissero, l’ultima era stata rivolta a me, e a me soltanto.
Sento delle mani che mi afferrano le braccia, contorcendole fastidiosamente dietro la schiena, mi volto e vedo due energumeni della sicurezza che incombono su di me.
“Portatela via, la signorina Mynard ha avuto una giornataccia”
I due stringono la presa, mentre io mi divincolo furiosa: “MINARDI, MINARDI E’ IL MIO COGNOME. LEI NON PUO’, NON PUO’…LASCIATEMI, LASCIATEMI” Uno dei due mi ha issata sulle spalle. Vedo Montgomery allontanarsi o meglio, mi sto allontanando da lui, sto lasciando la sala mentre ancora scalcio e mi divincolo: non provo nulla. Sono un povero cerbiatto che tenta di lottare contro un puma, una lotta inutile, una lotta fatta per puro spirito di auto-conservazione; quando lo scimmione mi getta malamente a terra e mi lascia così, senza una parola, ad una delle uscite laterali dell’hotel, continuo a non sentire nulla. Ed è solo quando so di essere sola che le lacrime iniziano a scendere copiose. Non posso fermarle: con l’orgoglio ferito e con la sconfitta che mi brucia sulla pelle, non faccio altro che piangere. E un freddo crudele mi avvolge, portandosi via anche la mia ultima speranza.
 
[1] University College of London
[2]  San Tommaso d’Aquino e le sue “cinque vie”
ANGOLO DELL'AUTRICE Buonasera a tutti. Questa è la prima parte del primo capitolo (in tutto sarebbero 21 pagine ma ho evitato di ammorbarvi); la seconda parte la pubblicherò la prossima settimana. Tom è presente, ma non viene nè caratterizzato nè appare esplicitamente: dovrete aspettare una settimana. Se poi non volete aspettare, ditemelo e io pubblicherò. Per qualsiasi mio eventuale errore (sono una frana a battere a macchina, sono una a cui piace piuma e calamaio) non esitate a comunicarlo; per qualsiasi incomprensione, suggerimento o delucidazione sono qui per voi. Vorrei chiedervi anche di dirmi, quando caratterizzerò Tom, se vi piace o meno, se lo volete diverso...cercherò di accontentarvi. Godetevi la lettura e a presto (non vedevo l'ora di pubblicare)! :) Un bacio Clio PS Ringrazio tutte coloro che hanno postato: vi ringrazio di cuore, veramente, senza di voi credo non avrei continuato! E grazie a chi ha letto!

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 1 - Parte II ***


La serata, che si prospettava essere una delle più noiose della mia vita, ha avuto una svolta inaspettata: quella ragazzina ha una voce niente male, non c’è che dire.
Sto aspettando che mi portino la macchina, ho freddo e sono stanco, molto stanco. Sorrido, anzi rido, com’è che l’ha chiamato!?: «Porco Capitalista». Non pensavo che quella ragazza, che avevo cercato di abbordare e che sembrava così fragile ed impaurita, potesse avere così tanta grinta. E’ pazza, non c’è che dire, bella, ma pazza. Dovevo essere proprio ridotto male a volerla conoscere: quella è una che se gli fai uno sgarro, sta sicuro che non ci sarebbero continenti, deserti o atolli corallini dove nascondersi, ti troverebbe ovunque e giocherebbe a fare Jack lo Squartatore. Vendicativa e incazzosa. Un mix molto pericoloso, non potrei resistere con una donna così, non potrei.
E allora perché ti stai eccitando? Per una volta che non ti piace una di quelle gatte morte tutte fusa e sguardi languidi…
Sta zitto! Quelle non sono gattine, ma ragazze tranquille e dolci. Quella era un mostro…
E tu che ne sai?
Infatti non lo so e non potrò mai saperlo.
“Ecco, signore. Buonanotte” Un impiegato dell’albergo mi ha portato la macchina, è sceso e mi ha porto le chiavi. Lo ringrazio e faccio per salire sulla macchina, quando mi accorgo che non accenna a muovere un passo.
“Sì?” Chiedo gentilmente, sorridendo. Il ragazzo diventa paonazzo, fruga nella tasca della divisa e mi porge un pezzo di carta e una penna: “Ehm, le dispiace farmi un autografo? Adoro la sua interpretazione di Loki” Rido piano e prendo carta e penna, lasciando una firma leggera, veloce: Tom Hiddleston.
“Ecco a te” Gli dico, montando in macchina senza aspettare che mi risponda.
Quando metto in moto inizia a piovere: perfetto, l’ombrello non ce l’ho. Non fa nulla, un po’ di pioggia non ha mai fatto male a nessuno e il fatto che mi sia infastidito per un nonnulla mi fa girare le palle: se sei un attore ti abituano male, molto male. Sono prima di tutto Tom, poi un attore e questo è quanto.
Abbandono la stradina laterale, imboccando quella principale: tutto è deserto, non c’è nessuno per la strada e non posso fare a meno di pensare alla ragazza, chissà dov’è, chissà cosa starà facendo. Sento una fitta allo stomaco, che sia rimpianto? Forse, forse lo è; è rimpianto perché non potrò più rivedere i suoi occhi: li ho notati di sfuggita, per poco, ma è stato un tempo sufficiente per coglierne l’immensa profondità. Non ho mai visto uno sguardo così intenso, mai. Di che colore erano? Chiari? Scuri? Forse chiari, azzurri credo, ma non solo, erano molto di più, erano anche altro.
Perso nelle mie elucubrazioni, mi accorgo troppo tardi di un’ombra che attraversa la strada, un’ombra così esile da sembrare uno scoiattolino bagnato.
Che fa? Perché ha attraversato?
Non ha minimamente guardato!
Non torni indietro? Mi hai visto…
Fuck!
I fari della macchina illuminano la figura per un secondo, non la vedo, non posso perdere tempo: inchiodo di colpo, ma mi rendo conto di averlo fatto troppo tardi. Sento un urto contro il cofano della macchina.
Oddio, già vedo i giornali: Tom Hiddelston investe un passante: forse si è calato troppo nel ruolo di Loki.
Rimango impietrito, con il cuore in gola e il respiro mozzo. Non si alza, non si alza e non capisco perché: in fondo, sono riuscito a frenare in tempo.
Non posso aspettare, devo scendere dalla macchina: se è morto, dovrò andare dall’analista per il resto della mia vita; se è vivo, la mia furia sarà totale.
Mi scapicollo fuori dall’abitacolo, sbatto la portiera e scatto verso l’ombra: non mi lascio nemmeno il tempo per accertarmi di chi sia, so solo che è una donna, zuppa ed infreddolita.
“Cristo! Ma a cosa pensavi? Dove avevi la testa?” Mi sono inginocchiato e cerco di capire che danni le ho provocato, a parte uno shock tremendo.
Non mi guarda, sembra quasi non si accorga di me, ma è viva ed io posso avere il diritto di essere incazzato come una biscia.
“Allora, mi rispondi!? Sei pazza o cosa? Se ti volevi suicidare potevi evitare di farlo sotto la mia macchina” Ha i capelli bagnati che le nascondono il viso e trema come una foglia: un moto di dolcezza mi investe, vorrei abbracciarla e stringerla. Faccio per avvicinarmi, ma mi blocco immediatamente, la reazione della donna non è quella che mi aspettavo: mi ignora completamente, si allunga verso i piedi e sfila la scarpa, il cui tacco è irrimediabilmente spezzato; la osserva per un minuto interminabile e poi, come se quella scarpa fosse stato tutto il suo mondo, scoppia a piangere, singhiozzando isterica.
Dico io, stava per morire e singhiozza per un paio di scarpe? Gliele ricompro io, basta che la smetta di frignare.
Imbecille, non vedi che è sconvolta?
Secondo me è solo scema…
Idiota, fa qualcosa!
Che si fa in questi casi? Che si fa per frenare un crollo nervoso? Niente abbraccio, invece le afferro le spalle e la scuoto violentemente: “Calmati!Non è nulla di grave. Calmati!” Le dico duro, non riuscendo ad evitare che il fastidio trapeli dalle mie labbra. Mi sono avvicinato al suo orecchio e l’odore della sua pelle mi investe: è aspro, fresco come fosse l’odore dei limoni maturi. E’ gelata, completamente gelata, eppure la sua pelle, al mio tocco, è calda ed invitante; ha smesso di piangere, forse si è accorta di me. Tira su con il naso e, lentamente, inizia a voltare la testa verso di me; il cuore mi martella nel petto, mi agito come un adolescente nell’attesa del primo bacio, voglio vedere i suoi occhi…
Il respiro si blocca, la visione è sublime: è lei, è la “scimmia urlatrice”! Incontro i suoi occhi e ne ritrovo la profondità; il volto è bagnato, i capelli aderiscono al volto in maniera deliziosamente sensuale. Ha gli occhi chiari, molto chiari che risaltano grazie allo scintillio della pelle bagnata…
Vorrei scostarle i capelli, accarezzarle il volto e stringerla, perché niente è rimasto della pazza isterica squilibrata dell’hotel, al suo posto c’è una bambina, una bambina piangente ed indifesa, devo…
Scoppia di nuovo in lacrime.
Mi ha guardato negli occhi ed è scoppiata in lacrime.
Che stronza! Va bene che magari sembro ridicolo, tutto bagnato e trafelato, ma non penso di essere così tremendo da spaventarla.
Stronza. Pazza. Isterica. Squilibrata.
Non puoi pensare semplicemente al fatto che, forse, e dico forse, piange perché ha quasi rischiato la pelle e non perché non apprezzi il tuo bel visino!?
Smettila di essere sempre così dannatamente lucido…
E tu abbassa le penne! Idiota!
Mi alzo in piedi, stiracchiandomi, poi ritorno con lo sguardo sulla ragazza: si sta asciugando gli occhi: “Scusami” Mormora. Ha un accento strano, non è inglese, malgrado tenti di non calcare troppo l’inflessione della sua lingua di origine. Sembra un cucciolo spaurito, remissiva come non pensavo potesse essere: “Non preoccuparti, ti aiuto ad alzarti e poi ti porto a casa” Mi offro, un po’ curioso, un po’ controvoglia. Le tendo una mano che lei afferra prontamente e, dando una spinta sulle ginocchia, si alza, mugugnando qualcosa e piegando le labbra in una smorfia di dolore. Fa una torsione con il corpo per poter osservare i danni: non sembra ci sia nulla; quindi si abbassa un poco, tenendo il fianco con una mano e si toglie la scarpa sana.
E’ in difficoltà, lo vedo da come tenta di non portare il peso sulla caviglia storta; cerca di fare un passo ma barcolla e sbuffa sonoramente,infastidita: non è una a cui piace chiedere aiuto, questo è certo. Solleva il volto e mi rivolge uno sguardo misto di vergogna e rabbia, ma c’è qualcosa d’altro, mi sta chiedendo aiuto e posso vedere la dolcezza di questo gesto lì, sepolto negli occhi luminosi.
Più che con le parole, comunica con il volto; c’è una delicata leziosità in lei, come se non avesse voglia di farsi capire, come se per lei le parole non fossero abbastanza… così utilizza lo sguardo: è un libro aperto, il viso non può nascondere nulla, eppure so per certo che quella è solo una difesa che se buttasse giù rivelerebbe un continente vergine, molto più ricco di sfaccettature e contraddizioni di quanto non voglia dare a vedere.
Lo capisco in un attimo, solo guardandola in viso.
Mi avvicino a lei, senza dire nulla, le afferro il fianco e la sento irrigidirsi: “Ti aiuto” sussurro calmo. Lei si muove, ma si muove nella direzione opposta alla mia e ci scontriamo: nulla di romantico, davvero, l’urto la fa imprecare e io sono costretto a reggerla di peso perché le è ceduta la gamba. Per essere bassina, non è una piuma.
“Dove vai?” Le dico, cercando di evitare di urlare per il fatto che mi sia caduta sul ginocchio teso. Ecco che sento il fastidio salirmi nuovamente. E’ impossibile!
“Scusa tanto!” Dice alterata, guardandomi quasi schifata: “Sai, sono un po’ confusa e mi sono dimenticata che voi inglesi siete così strani che ancora avete la guida storta: Dio, ora capisco perché hanno spedito qui Amleto” Rimango di sasso: ha citato Shakespeare, magari in modo non proprio profondo, anzi, parecchio superficiale, ma la cosa mi stupisce. Non lo avrei mai detto.
“Potevi sceglierti un altro paese allora! Ti pare?” Le rispondo a tono, lanciandole un’occhiata stizzita degna della sua. Sbuffa e mi fa un cenno con la mano verso l’altra portiera: “Va bene, va bene. Possiamo andare ora!? Le uscite patriottiche mi annoiano”
Stronza acida! Guarda te questa! Non solo si fa investire, rischiando di farmi finire in galera, ma è anche un’ingrata bella e buona: non cedo alla tentazione di buttarla per terra e lasciarla lì solo perché sono un gentiluomo.
Non rispondo e l’accompagno verso il sedile del passeggero, ma, quando la lascio andare su di esso, il mio tocco non è leggero, anzi, si potrebbe quasi dire che l’abbia letteralmente gettata: fa una smorfia di dolore e borbotta qualcosa in una lingua a me sconosciuta, digrignando i denti. Così impara questa scimmia urlatrice!
Faccio il giro della macchina, sentendo lo sguardo di lei seguirmi astioso, mi fa sorridere. Mi siedo al volante e la guardo: la sua espressione è un misto di emozioni, come se la ragazza ne avesse così tante da non riuscire a farle trapelare tutte, sebbene si sforzi con tutta se stessa. E’ ridicola, ma ridicola nel senso buono. Le scoppio a ridere in faccia, non posso farne a meno; e lei mi sorprende, ancora una volta: se inizialmente rimane allibita ed indignata per la mia uscita, dopo, magari controvoglia, non può fare a meno di rimanere contagiata dalla mia risata. Ed è bellissima quando ride perché le si illuminano quei fari che ha al posto degli occhi, perdendo quella aria arcigna che le deturpa il volto, e diviene nuovamente bambina, una bambina birichina e maliziosa.
Sempre ridendo, metto in moto e partiamo. Silenzio. La scimmietta si è accasciata contro il sedile, tiene gli occhi chiusi e si stringe le braccia per riscaldarsi; trema visibilmente, i denti le battono e io mi sento impotente, non posso fare altro che aumentare il riscaldamento, perché anche i miei vestiti sono bagnati.
“Mi spiace, ti darei il mio cappotto ma…”
“CAZZO!” Urla, facendomi spaventare tanto che inchiodo. E adesso? Ma perché è così sguaiata, dannazione.
“Cristo, la smetti di fare così? Dio Santo, perché devi urlare dico io, perché devi essere così teatrale!” Sono furioso, non vedo l’ora di scaricarla e andarmene. Chissene degli occhi, della pelle, del seno, del sedere e…
Vedo che l’hai guardata bene…
No, non l’ho guardata bene, l’ho sentita bene: mi ha forato un timpano.
Odia essere criticata, me ne accorgo da come dilata le narici. Inizia a grattarsi e ad affondare le unghie nella pelle: oddio, è pazza, è completamente sbroccata.
“Smetti di fare così” Le afferro la mano, cercando di farla smettere, ma quella si divincola, come durante la festa, e si strappa dalla presa, con fare scattoso e irato. Ho paura che mi picchi, so che non è molto dignitoso per un uomo come me, ma ho seriamente paura.
“Stai tranquillo, non ti picchio. Anzi, mi stavo scarnificando proprio per evitare che il tuo bel faccino non resti deturpato, come farai con le fans poi?” Mi sorride malefica, con un’espressione di vittoria che la fa apparire crudele; mi ha riconosciuto e non riesco a capire se mi faccia piacere o meno. Amo fare l’attore, sono felice per come le cose stiano andando, ma dall’altra parte, malgrado l’euforia e l’orgoglio, odio essere subito etichettato, come se il mio nome bastasse per quantificarmi.
Sospira e mi guarda, colpevole ma restia ad ammetterlo: “Scusami, mi dispiace. Mi piacerebbe dirti che non sono un’acida sarcastica bisbetica nevrotica, ma, purtroppo, lo sono. E’ stata una giornata pesante e quando mi va in loop il cervello non riesco a frenarmi.” Mi sorride dolce ed io ricambio, un po’ tirato ed esausto, ma ricambio. Accendo la macchina e riparto.
Da una parte non vedo l’ora di togliermi di torno questa ragazza così faticosa ed estenuante, che capisco e non capisco tanto sembra bipolare; dall’altra mi stuzzica, mi intriga e vorrei davvero riuscire a comprenderla, riuscire a cogliere la vera lei.
Il silenzio tra noi è pesante, evita il mio sguardo ed è come bloccata, facendo di conseguenza bloccare me: è timida da morire ora che si è calmata.
“Dunque, cos’è che ti ha mandato fuori di testa prima?” Chiedo sinceramente curioso.
“Il cappotto”
“Cosa?”
“Ho dimenticato il cappotto al Baglioni, ma non potrò più rimettere piede lì dentro, così, oltre alle scarpe, dovrò dire addio anche a quello” Si morde il labbro e gli occhi le si riempiono di lacrime. Scarpe, cappotto: o l’ho sopravvalutata, oppure non c’ho capito nulla, davvero. Superficiale o finta tale? Mistero.
“Mi riferivo alla scenata di prima” Dico mentre mi dirigo verso la zona sud di Londra.
“Hai sbagliato strada. Casa mia è dall’altra parte”
“Se mi dici dove, magari evitiamo di perdere tempo” Sbotto infastidito, stringendo le mani sul volante e svoltando di botto, facendo un’inversione che mi potrebbe far perdere la patente per sempre.
“Stronzo, stronzo, stronzo. Maledetta me quando sono entrata in quel hotel, maledetta me!”[1] Non capisco quello che dice, ha borbottato nella sua lingua, suppongo e sospetto che non abbia detto cose molto carine.
Questo mi fa montare su tutte le furie. Accelero pericolosamente: la voglio spaventare, non la sopporto più. Inchiodo al semaforo e vedo il suo corpo spinto in avanti, poi bruscamente rimandato indietro dalla cintura che le stringe il seno. La carnagione si è fatta cerea, malaticcia, il respiro veloce: deve avere la nausea.
“Ti prego, non farlo mai più” Mi dice, con il petto pieno che si fa ansante. E’ una visione.
Dillo che ti piace!
Mai.
“Allora tu smettila di rispondermi così. Non sono il tuo giocattolino” Le rispondo serio e risentito.
“S-scusa” Le lacrime scendono sulle guance candide e lei torna bambina: “E’ stata una giornata infernale: ho perso il lavoro, ho rischiato una denuncia e e… che vergogna!” Si porta le mani a coprire il volto, mentre il suo corpo è scosso dai singhiozzi. Io riparto e la lascio sfogare, si sta aprendo e non voglio far nulla che la blocchi.
“Tre anni, tre anni della mia vita. C’ho provato, tutta oggi in giro a cercare di rintracciare il Porco Capitalista… contavano tutti su di me e invece? Sono riuscita solo a dare spettacolo e dire che sono una che, di solito, ha pudore di se stessa. Poi le scarpe: io li odio i tacchi, andrei in giro perennemente scalza se potessi ma… erano la prima spesa con la mia prima busta paga” Comincia a singhiozzare di nuovo. No, non c’ho capito nulla di lei. Anche io feci la gavetta a suo tempo, ma non ricordo, o forse non ho mai dovuto sopportare, come ci si sente quando tutta la tua fatica si riduce a nulla. Si vede che ama ciò che fa, che ha faticato tanto per arrivare dove è arrivata.
Le poggio una mano sulla guancia, accarezzandola dolcemente, e lei, con piacevole sorpresa, chiude gli occhi e sfrega il volto contro le mie dita.
Ok, mi piace.
Bravo, essere sempre onesti con se stessi.
“Tranquilla. Non posso dirti che si aggiusterà tutto, ma ce la farai: hai un bel caratterino” Le dico sorridendo mentre lei mi guarda, regalandomi una risata dolce.
“Mi chiamo Berenice comunque”
“Berenice” Ripeto ma credo di aver sbagliato pronuncia, perché lei ride furbetta, nascondendo per un attimo il volto.
Fa un cenno di diniego: “No, Berenice, la c è dura” Lo dico di nuovo, ma l’effetto non è quello sperato. Ride: “Con un po’ di pratica…” E arrossisce. A quelle parole il cuore fa un balzo e sento le farfalle nello stomaco. Magari, magari con un po’ di pratica…
“Io sono Tom, ma credo tu già lo sappia” Dico con un sorriso tirato sul volto.
“Sì, lo so. Ma è bello sentirselo dire” Lo sguardo è incoraggiante, come se avesse colto il mio fastidio. E’ sveglia, perspicace e questo mi piace, mi piace da morire.
“Da dove vieni?” Le chiedo curioso. Ho poco tempo, tra poco saremo di fronte casa sua.
“Da Roma. Sono italiana” Mi dice: “Sono venuta qui per il dottorato. Fortunatamente sono stata presa all’UCL, quindi ho la possibilità di vivere qui. E’ sempre stato un mio sogno…”
Tace, come si fosse esposta troppo, e non mi guarda, pensando forse che, a me, Tom Hiddleston, non interessi ciò che ha da dire e non sa quanto si sbaglia.
Timida, insicura e pazza.
In cosa mi sto per cacciare?
Non parliamo più per il resto del breve tragitto: il palazzo in cui abita è ottocentesco, forse primi novecento. La zona è normale, propria della middle class , non deve passarsela proprio male anche perché, da quello che ho potuto udire (difficile non farlo, ha una vocetta squillante) deve avere più di un lavoro. E’ così giovane, o forse lo sembra solo. Ha molto poco della donna, eccettuati il seno prosperoso e gli occhi.
Mi fermo di fronte il portone e la guardo, sembra triste: che anche lei non voglia lasciarmi andare?
“Ti accompagno” Mi offro.
“Oh, no. Non voglio disturbare, l’ho fatto anche troppo” Mi guarda, speranzosa. Cosa vuoi che faccia Berenice? Dimmelo e lo farò. Ma non parla, si limita ad indugiare con lo sguardo sulle mie mani, sul collo e sulla bocca. Che vuoi da me?
“Sicura?”
Sei scemo? Fa qualcosa.
Non posso…
“Sì, ti ringrazio Tom” Il mio nome sulle sue labbra è meraviglioso. Le sorrido a malincuore e lei apre la portiera, scende, tenendo le scarpe al petto e zoppica verso il portone. Ad un tratto si blocca e, a fatica, viene verso il mio finestrino che abbasso prontamente: “Hai perduto qualcos’altro?” Scherzo e lei mi sorride, un poco infastidita.
“Ah, ah. No. Volevo dirti ancora grazie.” Mi fa il verso e poi mi scocca un bacio caldo e veloce, troppo veloce, sulla guancia. Sorride e si dirige claudicante verso il portone.
E l’Oscar per l’idiozia va a… Tom Hiddelston signore e signori.
Che dovevo fare? Non lo so, è strana…
E’ bella e ti piace, che vuoi di più.
Scostante, bipolare, aggressiva…
Dolce, timida, sensuale, maliziosa…
Basta.
Non so cosa fare, non so cosa pensare… voglio conoscerla e al tempo stesso non voglio: i colpi di fulmine mi impauriscono. Sono fuochi fatui. Ma è l’effetto che lei ha su di me che non riesco a decifrare: cosa vorrai da me Berenice?
Non vorrei più vederla ma al tempo stesso il pensiero di dirle addio mi fa star male.
La vedo ora, di fronte ad un secchio dell’immondizia, che guarda le scarpe affranta: il portone è aperto, deve essere tornata indietro ancora.
Le guarda, allunga una mano e fa per gettarle, ma poi ci ripensa e le porta al petto; lo fa per due volte, poi, stizzita, le getta malamente nel contenitore. Indugia ancora un poco e poi, solenne, gira sui tacchi e scompare dietro il portone.
Non la vedo più e un colpo doloroso allo stomaco mi impedisce di respirare.
Metto in moto e parto.
Ho deciso.
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] La protagonista parla in italiano. In questi casi cambierò lo stile di scrittura.
ANGOLO DELL'AUTRICE Ecco la seconda parte del capitolo: il punto di vista è quello di Tom. Finalmente! Non vedevo l'ora di pubblicarlo, curiosa di quello che pensate. Per qualsiasi chiarimento, consiglio, critica ci sono sempre con piacere. Ringrazio di cuore chi ha lasciato un commento e chi continua a seguirmi. Grazie ancora e buona lettura.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 2 ***


Capitolo 2
Sorprese, cadute di stile, paranoie mentali e tazzine di caffè
Sono disteso sul letto da un’ora ormai, ma so che, appena metterò un piede fuori dalle coperte, il gelo si impossesserà di me e allora dovrò realmente svegliarmi.
L’ho sognata questa notte: non ricordo molto del mio viaggio onirico, ma so che c’era lei, Berenice, e mi sfuggiva.
Sento l’ansia ruggire nel petto e questo non è certo un bel modo per iniziare la giornata. Sbuffo, nascondendomi nuovamente sotto il piumone. Non so cosa fare: ieri notte, tornando a casa, mi ero deciso che quel incontro sarebbe stato anche l’ultimo. Non ho una vita stabile, da un giorno a un altro mi ritrovo catapultato dall’altra parte del mondo senza neanche essermene reso conto, ho bisogno di un’ancora, un appiglio che mi trattenga nella vita reale, una persona da cui tornare a casa che riesca a darmi pace. E Berenice è tutto fuorché questo: scostante, criptica, irrazionale… una fatica immensa, insomma.
Beh, posso dirti con certezza, dato che il tuo inconscio e  io siamo amici di infanzia, che il tuo sogno non era proprio casto e puro.
Occhio non vede cuore non duole: io non ho visto…
Ma vorresti.
Infatti, da una parte vorrei rivederla. Ogni volta che oso portare alla mente il ricordo degli occhi di lei, una fitta al basso ventre mi preme: una scarica di piacere intensa, accattivante ma anche dolorosa.
Sbaglio o ti sta venendo duro?
Che palle!
Mi sollevo di scatto, getto le coperte per terra e mi dirigo veloce verso il bagno: una doccia fredda è quello che ci vuole.
Il getto gelato mi dà nuovamente lucidità; è rigenerante sentire l’acqua fredda che scioglie il languore notturno, donandoti nuovamente alla veglia. Penso, penso a cosa devo fare, a cosa voglio fare: ancorarsi alla razionalità, seguire la paura e non buttarsi? Oppure lasciare che l’istinto animale ti guidi e quel che sarà sarà?
Io propendo per l’istinto animale!
Nessuno ti ha chiesto niente…
Forse dovrei sentire una delle mie sorelle, forse dovrei chiedere consiglio a qualcuno, ma l’incontro di ieri sera mi appare come un tesoro, un dolce tremendo segreto da celare e proteggere. Di ragazze ne sto frequentando a bizzeffe, le occasioni per divertirmi non mi mancano e in lizza ci sono signorine ben più impressionanti e fascinose della piccola scimmietta, però nessuna di loro ha uno sguardo così intenso e profondo.
Ecco che ci risiamo, perché la fisiologia non mi viene in aiuto? Perché il mio corpo reagisce in maniera opposta a quanto il mio intelletto mi dice di fare?
Esco dalla doccia e mi dirigo verso lo specchio: complimenti Tom, belle occhiaie questa mattina! Mi lavo i denti, spazzolandoli vigorosamente; asciugo i capelli e canticchio una melodia di cui non ricordo neanche il nome.
Le piace la tequila, ne ha presi due bicchieri...
Il pensiero mi sfugge, non so come né perché dato che sto concentrando tutti i miei sforzi nel tentativo di non pensarla.
Oh, sapete cosa!? Fanculo! La devo rivedere.
Però, allora non sei così idiota…
Sbruffone.
Mi vesto di fretta e furia ed esco di casa senza neanche premurarmi di chiudere a chiave.
La macchina è poco distante per fortuna, ho così tanta fretta che non riuscirei a sopportare anche il più piccolo spreco di tempo: così infilo velocemente gli occhiali da sole, entro nell’abitacolo e metto in moto, dirigendomi verso il centro della città.
Se devo andare da lei, non posso certo tornare a mani vuote.
 
Sono in fila alla reception dell’Hotel Baglioni e so di essere osservato, ma non me ne curo: ho altro per la testa.
Non mi sono tolto gli occhiali, ho la fronte corrugata e un’espressione ansiosa stampata sul viso e questo, come direbbe il mio caro menager, lede la mia pubblica immagine, ma anche questo non mi interessa.
-“Buongiorno, desidera?” E’ il mio turno. La signorina al bancone mi sorride cordiale, attendendo paziente che mi decida a parlare; mi tolgo gli occhiali e sorrido a mia volta, sperando di essere convincente: -“Buongiorno, sono venuto a prendere una cosa che è stata lasciata qui ieri sera”Piego il busto, appoggiandomi con i gomiti al banco con una mano piegata e l’altra a sorreggere il mento.
-“Cosa di preciso?” Mi fa quella avvicinandosi, civettuola, verso il mio viso. Sorrido soddisfatto, la mia tattica sta funzionando.
-“Si ricorda di una certa signorina che, ieri sera, alla festa, ha, come dire, leggermente urlato, per usare un eufemismo? Beh, non ha potuto riprendere il suo cappotto e…vorrei restituirglielo” La delusione è palese sugli occhi della ragazza. Si tira indietro, tornando ad assumere un’aria professionale e distaccata: ecco, addio al piano.
-“Mi spiace, ma non sono autorizzata a rilasciare effetti personali a nessuno, fuorché al proprietario” Il tono è acido e mi dà fastidio, ma cerco di frenarmi e continuo a sorridere: --“Non si può fare un’eccezione almeno in questo caso? Fa freddo fuori, la ragazza ne avrà bisogno” Torno a fare il simpaticone, ma, dall’espressione indispettita di quella, direi che ho sbagliato su tutta la linea.
-“No, non è possibile. Sicuramente la signorina avrà altri indumenti caldi da indossare. Se non le dispiace…” E’ un congedo definitivo, lo capisco da come sposta il corpo di lato, facendo un cenno al cliente dietro di me, senza degnarmi di uno sguardo.
Inspiro profondamente per evitare di fare come la scimmietta urlatrice, mi sposto di lato e lascio passare due signori di mezza età.
Non mi do per vinto, mi guardo intorno deciso a trovare il guardaroba: faccio lo gnorri e mi dirigo a passo sicuro lungo il grande corridoio; guardo a destra e a sinistra ma non ho la più pallida idea di dove cercare.
-“Psss” Mi volto di scatto e vedo, dietro alle mie spalle, una giovane donna dai capelli neri e lisci che mi fa cenno di accostarmi a lei. Titubante e confuso, mi sposto automaticamente nella sua direzione.
-“Stava parlano della ragazza minuta che ieri sera ha fatto quella scenata?” Mi chiede sorridente. Forse ho svoltato…
-“Proprio lei”
“Bene, se aspetta un attimo qui glielo porto io il cappotto” Ora è seria e io rimango sorpreso; si guarda intorno, quindi, con passo spedito si dirige verso la fine del corridoio, scosta la grande tenda di velluto e sparisce dentro la sala.
E’ stata gentile a venirmi in aiuto, ma spero non sia solo perché mi chiamo Tom Hiddleston e che per questo voglia in cambio qualcosa.
Tu sei malato, altro che, dai della pazza a Lei ma tu sei un paranoico frustrato…
Sempre gentile tu, eh!?
Quando ci vuole ci vuole.
-“Ecco a lei” La giovane cameriera è tornata ed ora mi sta porgendo un cappotto nero talmente piccolo che potrebbe appartenere ad una bambina.
-“Non so come ringraziarla” Le dico sorridente, preparandomi a dover scribacchiare una firma in un posto improbabile, magari con un rossetto…
-“Si figuri. Quella ragazzina ha fegato. «Porco Capitalista»! E’ stata memorabile. Se la rivede le dica che ha tutta la mia stima e che non si deve preoccupare troppo per il lavoro, ha un futuro come sindacalista. Mi piacerebbe dire la mia anche a me, ma, ahimè, non è possibile…però, se mai mi dovessi licenziare, prenderò in prestito una o due frasi da rifilare a questi grandissimi pezzi di merda” Conclude, ammiccando ai vari dipendenti che si affannano dietro i clienti. La ringrazio ancora, quindi mi avvio baldanzoso verso l’uscita.
So di star sorridendo come un ebete, ma sono soddisfatto di come la prima parte del piano si è conclusa.
Te l’ho mai detto che sei paranoico, vero?
Sì, più di una volta.
Oh, ok, solo per tenere il punto.
Accendo la macchina e riparto, questa volta verso la parte nord della città.
 
Ho fortunatamente trovato parcheggio di fronte alla casa di Berenice.
Il cuore galoppa veloce ed ho il respiro corto; volto lo sguardo verso il cappotto che sta lì, inerme, come flebile simulacro di lei.
Oh, Gesù! Sembri un vecchio… “simulacro”, eddai!
Quanto sei ignorante.
Scendere o non scendere? Questo è il problema.
Scendi, scendi…così la smetti di ammorbarmi.
Apro la portiera, poi ci ripenso e la richiudo. Palle, Hiddleston, palle. Apro nuovamente la portiera, metto un piede fuori e rimango lì, fermo, aspettando un’illuminazione.
Un’ illuminazione!? Un fulmine ti serve, altro che…
Basta fare il ragazzino Tom! Il “Genio della lampada” ha ragione (sta gongolando il farabutto, forse dovrei ricominciare ad andare in analisi).
Scendo, chiudo la macchina e mi avvio con passo deciso verso il portone; sto per fare un altro passo, ma mi blocco.
-“Il cappotto” Dico, dandomi una manata sulla fronte. Dietro-front. Apro nuovamente la macchina, afferro l’indumento e lo porto vicino al viso: c’è il suo odore fresco, pungente che si insinua nelle mie narici, inebriandomi.
Cosa mi succede? Perché quella bisbetica è riuscita a mandarmi così fuori di testa? Sto diventando un pippato mentale di dimensioni colossali, e questo solo nelle ultime 24 ore o poco più.
Mi riscuoto e mi avvio stizzito verso la sua casa.
Le darò il cappotto e me ne andrò, punto, fine e ciao, così avrò soddisfatto la mia irrazionale pulsione a rivederla e nel contempo eviterò di diventare uno schizzato nevrotico: con una così è inevitabile.
No, ti prego! La versione “follia d’amore” mi diverte di più…
A te forse.
Certo, a me. Tu sei la mia marionetta Tom. Poi chi sfotto?
Devo andare di nuovo in analisi, questo è un fatto.
Ora sono di fronte al portone, ma, ahimè, non so a che piano abiti; controllo il citofono ma non ci sono cognomi italiani. Perfetto, tanto rumore per nulla. E adesso cosa faccio? Suono ad ogni appartamento dello stabile o me ne vado e tanti saluti? Ho il suo cappotto, potrò sempre consolarmi con qualche annusata qui e là, mi basterebbe…credo. Tom, ma che dici? Ti pare che ti metti a fare il feticista? Ha ragione (ops, ho ragione).
Mi appropinquo a citofonare all’interno 1 quando, provvidenzialmente, il portone si apre: ne escono una madre con il viso inferocito e un ragazzo sui quattordici anni con il muso lungo, borbottando frasi sconnesse di sottofondo.
-“Sempre la stessa solfa! Sono le undici di mattina, non puoi ammorbare il mondo con quel rumore assordante” Fa la donna mentre cerca qualcosa nella borsa. Il ragazzino si blocca sull’ingresso, incrocia le braccia al petto e digrigna i denti: -“Non è rumore, è musica house. Non è colpa mia se sei del pleistocene superiore! E, comunque, non prendertela con me se quella stronza dell’ultimo piano attacca con quella noiosissima musica classica…”
-“Charles! Non usare quel linguaggio. Scuse, tutte scuse…” Lo rimprovera la madre e, dall’occhiataccia che il ragazzo le rifila, qualcosa non deve essergli piaciuto nella frase di lei.
-“Charlie” Puntualizza per poi ricominciare: -“Quella lo fa apposta. Lo sa che il sabato dormo, quindi mi sveglia mettendo una di quelle lagne interminabili. Lo alza a tutto volume e poi usa pure l’aspirapolvere! Strega maledetta”
-“Oh, senti. A me non interessa e comunque meglio la musica classica che quell’obbrobrio che ascolti tu” Risponde la madre chiudendo definitivamente il discorso.
Se ne stanno per andare, quindi mi faccio avanti e chiedo cortese: -“Scusate, non era mia intenzione ascoltare ma… la donna di cui stavate parlando è per caso una ragazza italiana?”
-“Sì, è proprio quella… un momento” Fa il ragazzino, resosi conto di qualcosa di importante: -“Ma tu non sei Loki?”
-“Sì, sono io”Rispondo asciutto.
-“Wow” Fa quello, con gli occhi illuminati: -“me lo faresti un autografo?”
-“Charles! Lascia in pace il signore”
-“Non c’è problema, davvero” Sorrido e appongo una firma sul quaderno che Charlie mi porge, o meglio, quasi mi getta addosso.
Li saluto ancora (Charlie continua a tenere gli occhi incollati su di me, e quasi sbatte contro un palo della luce), quindi mi giro e sfrutto il portone lasciato aperto per entrare indisturbato: se avessi dovuto citofonare, probabilmente sarei rimasto fermo per ore, ponderando ogni variabile e decidendo la via di fuga più vicina o peggio avrei benissimo potuto suonare e poi fuggire via. Come mi sono ridotto…
Come un idiota, ops, lo sei già.
Se io sono idiota lo sei anche tu…
Touchè!
Sapevo che era lei la ragazza di cui stavano parlando: comportamento tipico che però mi fa ridere. E’ proprio pazza!
Entro nell’ascensore, lo chiudo e quindi mi volto verso i pulsanti: perché i numeri arrivano solo fino al settimo? I piani non erano otto? Che mi sia rincretinito così tanto? No, non sono imbecille fino a questo punto. Premo il numero sette e l’apparecchio sale.
Sono emozionato e nervoso, ma non devo farglielo vedere: se ho inquadrato il tipo, farle vedere che quasi pendo dalle sue labbra significherebbe condannarmi a uno stato perpetuo di semi-schiavitù; oddio, è vero che non ho la minima intenzione di rivederla, ma comunque meglio prevenire che curare, questo è certo.
Mi fermo, scendo e osservo la scala: è a chiocciola e sembra impervia, quasi che l’ultimo piano sia stato ricavato da una terrazza, poi convertita in appartamento.
Immagino i borbottii e le imprecazioni di Berenice quando, ieri sera, è stata costretta a trascinarsi sulla gamba sana: secondo me è anche inciampata. Rido sonoramente mentre salgo le scale e, non appena arrivo al piccolo pianerottolo, mi rendo conto che il ragazzino, dopo tutto, aveva ragione: si sente un forte rumore di aspirapolvere a cui fa da sottofondo quella che mi sembra essere la Cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner. E’ assordante, ma come ho fatto a non accorgermene prima?
Mister razionalità sta perdendo la corona, eh!?
E tu stai per perdere il posto…
No, non ci vado dal dottor Smith, quello vuole uccidermi.
Siamo in due…
Suono il campanello e non accade nulla; lo suono una seconda volta con lo stesso effetto; arrivo addirittura ad una terza, nulla. Mi infastidisco e cambio tattica: premo con forza sul campanello senza lasciare la presa. Se non sente questo deve essere sorda…
E’ sorda.
Inizio anche a battere il pugno sulla porta: che situazione ridicola.
Improvvisamente qualcosa cambia: la musica viene interrotta bruscamente, l’aspirapolvere smette di funzionare e viene malamente sbattuta a terra; sento un tonfo sordo e un’imprecazione, deve essere caduta e non posso impedire che un ghigno mi si disegni in volto.
-“Arrivo arrivo. Rompipalle di un ragazzino che non sei altro! Non spegnerò la musica e non smetterò di fare le pulizie, così impari ad assordarmi all’una di notte con quella merda che ti ascolti!” Urla da dietro la porta mentre la sento avvicinarsi. Rido, rido tanto: è così buffa che sono praticamente piegato in due per il troppo ridere.
-“Ti faccio tanto ridere? Vediamo se riderai anche quando dirò a tua madre che, quando non c’è, ti fai le canne con quegli altri deficienti dei tuoi amici. Si sente una zaffa che neanche…Oddio!” Ha aperto la porta e mi guarda.
Ha la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite: porta gli occhiali che le donerebbero se soltanto non coprissero la parte più bella di lei; i capelli sono legati scompostamente in una coda di cavallo che fa fuoriuscire ciocche umide per il sudore; indossa un paio di leggins neri che le fasciano sensualmente le cosce tornite e una felpona grigia con uno stemma rosso di una qualche imprecisata squadra di calcio. E’ in condizioni pietose ma è la sua faccia che mi impedisce di frenarmi: arriccio le labbra, cercando di non sbottarle a ridere davanti ma non ci riesco.
-“S-scusa, ihihih, sei troppo buffa e….” BUM
Mi ha sbattuto la porta in faccia!
L’ha fatto quella pazza bisbetica!
Mi ha sbattuto la porta in faccia!
 
 
Cha fai? Gli chiudi la porta in faccia!?
Ti rendi conto di chi è?
Sì, un fico.
Appunto, guarda in che condizioni mi trovo.
Te l’avevo detto di farti la doccia…
Ho sbattuto la porta a Tom Hiddleston. Che gran figura di merda! E poi che palle: non ho voglia di parlare e di essere gentile. Che palle!
Come ho già accennato, sono un po’ misantropa e soprattutto soffro di periodi di eremitaggio cronico in cui mantengo gli scampi inter-personali al minimo indispensabile. Ecco, dopo ieri, sono in quel periodo e, per di più, ho anche il ciclo. Che palle! Cosa vorrà? E se mi volesse denunciare?
Per cosa scusa? Perché sei una pazza isterica nevrotica e bipolare?
Gli ho sbattuto la porta in faccia!
Che porta e porta! Io ti denuncerei per coglionaggine aggravata, altro che! Apri quella maledetta porta.
No

None!
Sine!
Sospiro e, lentamente, molto lentamente riapro. Il respiro mi si blocca in gola: è appoggiato con eleganza contro lo stipite della porta, le gambe sono incrociate e il lungo collo (maledetto lui, questa notte non mi ha dato tregua) è sensualmente piegato da una parte, facendo in modo che la testa rimanga bassa.
E’ uno spettacolo. Uno spettacolo molto eccitante devo dire, data la vampata di calore giù, al di sotto del basso ventre; deglutisco sonoramente e Hiddleston alza un sopracciglio, senza neanche alzare la testa e mi guarda, sollevando gli occhi blu.
-“Sei faticosa” Mi dice semplicemente, lasciandosi sfuggire un sorriso sghembo che mi manda in defibrillazione.
Datti una calmata, Bernie! Ti ricordo che ti ha quasi messa sotto e che è venuto ad importunarti nel tuo eremitaggio.
-“E tu sei molesto” Ribatto stizzita, incrociando le braccia sotto il seno.
-“Ah, io sarei molesto. E tu? Stavi facendo un casino…”
-“Ti sto per richiudere la porta in faccia”
-“Provaci”
Ci guardiamo in cagnesco per un secondo ma non riesco a mantenere il punto, non con lui: le labbra sottili sono increspate come se stesse ringhiando, ma neanche lui, apparentemente, riesce a rimanere arrabbiato per molto.
Scoppiamo a ridere in stereo ed è così bello quando ride: delle deliziose rughette gli si disegnano vicino agli occhi, la bocca ben disegnata si allarga, mostrando candidi denti e gli occhi azzurri, espressivi, si illuminano.
Smettiamo di sorridere e ci guardiamo negli occhi, i suoi occhi…COSA!? Lo sto guardando!? Abbasso immediatamente lo sguardo, sentendo le guance diventarmi improvvisamente rosse; inizio a torturarmi le mani, mentre un silenzio imbarazzante cala tra di noi. So che dovrei dire qualcosa, vorrei dire qualcosa ma non ci riesco, ho un groppo alla gola di cui non riesco a liberarmi; dico io! Ho quasi ventisei anni e mi comporto ancora come nell’adolescenza, quando non riuscivo a guardare la gente in volto perché mi sentivo brutta e fuori posto, cosa che purtroppo mi capita ogni volta che un ragazzo mi piace davvero. E Tom mi piace, mi piace molto.
Cristo, ci mancava pure un patetico colpo di fulmine non richiesto! Mai ‘na gioia proprio.
-“Che fai, mi fai entrare oppure no?” La sua voce è calda, piacevole; sembra più divertito che arrabbiato, malgrado riesca perfettamente a cogliere una vena di fastidio.
-“S- sì, scusa” Mi sposto dall’entrata,senza degnarlo di uno sguardo, e lo lascio passare. Sento il suo odore, così virile, quando mi cammina davanti ed un brivido di piacere mi percorre la schiena: deve averlo applicato nell’incavo tra il collo e le clavicole e, forse, ha lasciato cadere qualche goccia anche  lungo il Pomo d’Adamo. Brividi. Tanti brividi.
Adoro il suo collo, non mi ha abbandonato per tutta la notte che, sfortunatamente, ho trascorso insonne, piangendo.
-“Piccola ma carina” Sobbalzo al suono della sua voce, accorgendomi di essere rimasta ferma impalata alla porta, ancora spalancata. La chiudo di scatto, inviperita per il mio comportamento idiota, e mormoro una sorta di ringraziamento, un misto tra italiano ed inglese: perfetto, adesso non riesco neanche più a parlare!
E’ di schiena, ha i boccoli rossicci (tiziano per essere precisi) un poco lunghi e la posa rilassata di chi ha il pieno controllo della situazione. Volta la testa per osservare il caminetto bianco (il mio vanto) e non posso non apprezzare il suo profilo, così scultoreo, femminile quasi ma al contempo virile; le labbra sottili sono tese, lo sguardo concentrato…
Oddio! Se abbassa il viso sono fottuta!
A parte la quantità di fazzoletti smocciolosi di cui è disseminato il tavolinetto, quello che mi fa accapponare la pelle è il posacenere pieno di sigarette e la cenere disseminata qui e lì (non è colpa mia, il salone dovevo finirlo di pulire).
Devo fare qualcosa, assolutamente, ma cosa? Pensa Bernie, pensa e…
-“NO!” Per un qualche miracoloso scatto felino mi ritrovo aggrappata alle sue spalle, le gambe a circondargli i fianchi snelli, tentando disperatamente di spostare la sua attenzione al lato opposto della stanza: ma porca miseria! Mi porto sfiga da sola, però pure lui: perché deve fare la radiografia della casa?
Tossisce un poco, l’urto deve avergli spezzato il fiato (mi dovrei mettere a dieta, lo so, ma i dolci sono così buoni…) però, dopo un primo momento di smarrimento, mette le mani sulle cosce e mi issa meglio sulle spalle, mentre io mi aggrappo stretta al collo.
Che modi!
Zitta, cornacchia!
-“Che c’è!? Vuoi giocare al cavalluccio, bambina?” Ride e mi prende in giro. Sbuffo tentando di scendere ma Tom, malgrado sia secco come un chiodo, mi blocca contro di lui con forza.
-“Fammi scendere” Ordino perentoria, iniziando a provare una certa ansia: malgrado non mi trovi sulla Cupola di San Pietro, non riesco a non provare un senso di vertigine, sicuramente non causato dalle sue mani che premono su di me, né dal fatto che il mio viso si trovi pericolosamente vicino al suo…ok, forse un pochino, ma sicuramente influisce di più il fatto di non toccare con i piedi per terra (sono alta un metro e cinquantanove, però, l’impiegato della circoscrizione ebbe tanta pietà di me da aggiungere un centimetro sulla mia carta di identità) e Tom è decisamente alto, troppo alto.
-“Oh, no signorina! Hai voluto la bicicletta e adesso pedali” Nitrisce come fosse un cavallo e inizia a muoversi per la camera, io, dal canto mio, non so se ridere o piangere.
-“Mettimi giù, giù” Strillo, iniziando a dimenarmi, ma lui non sembra cedere, anzi, stringe ancora di più la presa, spostando leggermente le mani verso l’alto: porco! Ti pare che mi palpi il sedere?
-“Smettila, Hiddleston! Dai che peso, ti prego”
-“Oh, lo so benissimo che pesi, con quel culone che ti ritrovi” Si volta un poco e sorride malizioso.
Ok, piccolo Lord dei miei stivali, vuoi la guerra? E guerra sia: nessuno può osare insultare i miei glutei, nessuno (tranne mia madre, a lei lo lascio fare). Gli tiro una leggera ginocchiata contro il fianco, proprio come si fa con i cavalli, quindi spingo il corpo contro la sua schiena, facendolo vacillare, tanto che è costretto ad appoggiare le mani al muro per non cadere.
-“Ci hai preso gusto” Mi dice, riducendo gli occhi a due fessure.
-“L’hai voluto tu, soffro di vertigini, fammi scendere” Dico un poco scocciata. Tom mi guarda ancora un poco, poi sogghigna quasi crudele, si rimette in posizione eretta e continua a percorre il perimetro della stanza, non senza aver abbandonato per un attimo la presa, con il rischio di farmi cadere. Questo è troppo.
Tolgo le braccia dal collo, attorciglio per bene le gambe attorno alla sua vita ed inizio a fargli il solletico: è magrissimo, sotto la sottile maglia posso sentire le costole, ed ho quasi l’impulso di alzarla quella maglietta, per poter toccare la sua pelle direttamente.
-“No, il solletico no!” Ah, ah il nostro inglesuccio ha un punto debole.
-“Questo avresti fatto meglio a non dirmelo” Dico sorniona, aumentando il movimento delle dita sui fianchi, facendolo dimenare come una tarantola sull’orlo di una crisi isterica. Ride sguaiato, finalmente non resta composto e questo mi piace, mi piace da impazzire… si, certo, mi piace fino al punto in cui, esausto non mi fa atterrare con uno schianto sul divano che cigola dolorosamente, spostandosi di almeno cinque centimetri: l’urto mi ha tolto il respiro e mi ci vuole un attimo per rendermi conto che Tom si è accasciato di fianco a me, ansimante ma ancora con un’ombra di risata sul volto.
Lo vedo chiudere gli occhi ed espirare profondamente, sprofondando di più nel divano, dove ora giace scomposto, con le gambe divaricate.
-“Oddio, sei meglio di una palestra, sai? Per questa settimana posso evitare di fare i pesi per le braccia” Che fai Hiddleston, mi sfotti?
Sto per ripartire alla carica, allungando famelica la mano piegata a mo’ di artiglio, ma lui mi precede, afferrando di scatto il polso e stringendolo.
-“Tregua” Dice, voltando la testa verso di me, mostrandomi i muscoli e le ossa del collo in maniera molto invitante.
-“Allora falla finita di parlare delle mie cicce. Sono sensibile su quel punto” Borbotto divertita, fingendo di avere il broncio: lui ride, togliendo la mano dal polso per afferrare la mia in una stretta.
-“Non ti posso promettere nulla”Gli faccio la linguaccia e ritiro la mano che penso non laverò mai più per il resto della mia vita.
Patetica!
Era per dire…
Non è vero, ne saresti capace.
Mi sta guardando, sembra quasi stia in contemplazione, come se stesse osservando una specie rara e io non posso far altro che farmi venire le guance rosse, perché in fondo so di essere buffa come un cartone animato: sono strana ma Tom mi sta facendo sentire come un fenomeno da baraccone.
Distolgo lo sguardo da lui e mi piego verso il tavolino per prendermi una sigaretta: afferro il pacchetto, ne tiro fuori una, cerco l’accendino che trovo incastrato tra le pieghe del divano e la accendo.
-“Che c’è!?” Sbotto, perché lui continua a fissarmi e il silenzio, dopo tanto ridere, è assordante. Tom sorride dolcemente, allunga una mano verso il mio viso e non faccio a tempo a ritrarmi che lui, con l’indice, spinge indietro i miei occhiali che devono essermi scivolati sulla punta del naso durante la colluttazione.
-“Nulla, ma così sembri meno segretaria e più intellettuale” Spiega con semplicità e non c’è scherno nelle sue parole. Indugio un poco sulle sue labbra, sul suo corpo mollemente abbandonato proteso verso di me ed è solo allora che mi accorgo di una macchia nera che giace sul tappeto di fronte a noi. Non posso crederci, l’ha fatto veramente?
-“Hai qualcosa per me?” Chiedo, un poco maliziosa.
Tom si riscuote, si piega verso il pavimento afferrando quello che deve essere il cappotto nero che non avevo potuto riprendere ieri sera dall’albergo.
-“Ho pensato che questo avrebbe potuto ripagare il mio tentato omicidio” Me lo porge ed io lo afferro prontamente, con gli occhi spalancati per l’emozione.
-“Grazie! Non dovevi” Ed io che ho pensato fosse un rompipalle disturbatore della mia quiete: è stato così gentile, così premuroso… Oddio, adesso che faccio? Che vuole da me?
Magari vuole scoparti, non sarebbe una cattiva idea, malsana, ma non cattiva.
Ma io non voglio scopare lui.
Se, se, come no!?
Non voglio innamorarmi…
E chi ha parlato d’amore?
Non fa nulla, questa storia mi sa tanto di casino cosmico.
Gli sorrido forzatamente, mentre le mie solite pippe mentali iniziano ad affollare, fastidiosamente, la mia mente.
Porto la sigaretta alle labbra ed aspiro profondamente, sprofondando nel divano e portando le gambe al petto, come a proteggermi. Lui deve essersi accorto del mio cambio d’umore perché corruga la fronte e si siede compostamente sul divano in posizione rigida: -“Ehm, te l’ho già detto che la tua casa è carina?” Mi dice imbarazzato.
-“Sì, l’hai già detto”
-“Ah”
Dio fa qualcosa?
E cosa scusa? Perché non starnazzi qualche geniale idea invece di rimproverarmi?
Bella io sono una tua appendice, se non lo sai tu, non lo so nemmeno io.
Perfetto! Quello stupido “Grillo parlante” sa solo starnazzare e io mi ritrovo con un pugno di mosche in mano.
-“Oh, scusami!” Faccio, dandomi una manata sulla testa: -“Non ti ho offerto nulla… vuoi qualcosa? Un tè, un caffè, un martini…no, aspetta,il martini non lo ho ma dovrei avere della vodka, vuoi la vodka?” Sono partita tanto bene, perché devo sempre finire per fare la figura della logorroica strana? Però, un po’ di vodka me la farei…
-“Per un tè è troppo presto, ma del caffè lo prenderei volentieri” Mi sorride gentile, togliendosi la giacca di pelle e adagiandola compostamente sul bracciolo del divano.
Io mi alzo prontamente, dirigendomi verso la cucina, onde evitare di morire a 25 anni per arresto cardiaco e mi accingo a preparare il caffè.
-“Come lo vuoi? All’italiana o all’americana?”
-“Vada per l’italiana” Mi dice, alzandosi e dirigendosi verso la libreria a lato del caminetto, per leggere i titoli.
Questo mi dà modo di estraniarmi per un po’: la preparazione del caffè è santa. Prendo due tazzine dalla mensola e i piattini abbinati, quindi mi arrampico sulla sedia per prendere il sacchetto di caffè e qualcosa attrae la mia attenzione. Che ci fa la vodka qui? Non sarebbe dovuta essere nell’armadietto dei liquori? Volto un poco la testa per controllare cosa fa Tom che, a quanto pare, sta cercando di decifrare i nomi delle opere che sono tutte rigorosamente in italiano; questo mi dà del tempo, così, cauta, afferro la bottiglia di vodka, la apro e me la porto alla bocca: prima un piccolo sorso, poi, ingorda, ne prendo un altro e un altro ancora fino a che non mi decido ad abbandonare i freni inibitori, trangugiandone un sorso più lungo. Ecco, ora sono brilla, così almeno avrò un po’ più di coraggio. Chiudo la bottiglia e faccio per riporla quando mi rendo conto di essere troppo sobria: un sorsetto in più non ha fatto male a nessuno. La afferro nuovamente e sto per svitare nuovamente il tappo quando, senza che me ne accorgessi, sento la voce di Tom vicina, troppo vicina.
-“Se me lo avessi detto ti avrei aiutata” Sobbalzo per la paura e, dopo un attimo, mi viene il singhiozzo. Mi rimangio tutto, è maledettamente molesto.
-“Dimmelo che vuoi uccidermi” Sbotto, portandomi una mano sul petto, mentre sono scossa dal singhiozzo.
-“Passami il caffè, va!” Mi dice, allungando la mano. Faccio come chiede, senza fiatare, intontita dall’alcol e con il fiato mozzo. Quando le nostre mani si sfiorano mi rendo immediatamente conto che la genialata della vodka è stata un errore: con le difese psichiche così basse a stento riesco a trattenermi dal saltargli addosso.
Scendo con un balzo, vado verso la lavastoviglie e prendo la macchinetta: -“Accomodati, fa come fossi a casa tua” Dico, non degnandolo di uno sguardo, facendo mostra del nostro proverbiale culto dell’ospite; traffico con il caffè mentre sento il rumore di una sedia spostata proprio dietro di me.
-“Ti piace la filosofia, eh?” Mi chiede cortese.
-“Sono laureata in filosofia” Gli dico, girandomi verso di lui non appena accendo il fornello. Mi appoggio al piano della cucina con le braccia incrociate e i piedi accavallati.
-“Davvero?” Chiede curioso, mentre gli occhi gli si illuminano splendidamente.
-“Perché questo tono sorpreso? Non miro all’apatheia, quindi posso fare tutte le scazzate che voglio” Gli dico sarcastica. Ha accavallato le gambe, oddio, ha accavallato le gambe.
Smettila di fare la ragazzina ninfomane.
Parli bene tu, mica sei ubriaca.
Neanche tu lo sei…
Purtroppo.
-“Beh, pensavo avessi studiato lettere, facendo la giornalista…”
-“Non faccio solo quello: sono dottoranda all’UCL e poi lavoro anche per una casa editrice. Sono una scopritrice di talenti, sa!” Dico dandogli una spintarella. Tom si guarda la spalla, poi punta il viso verso di me, sogghignando.
-“Tre lavori, eh!? Ci teniamo impegnati…” La frase è palesemente una frecciatina: mi sta dando della frustrata stacanovista.
-“Cosa intendi dire?” Scatto sulla difensiva con fare aggressivo.
Lui alza le mani, assumendo un’aria finta innocente, ridendo sotto i baffi: -“Siamo permalosette”
-“No, beh, sì, cioè no, sì, bo…” Ma che faccio? Ho fatto il liceo classico, per Diana! Che razza di frase è!?
-“Ah, ah. Ti ho beccata” Mi fa, ricambiando la spinta di prima. Lo fulmino con lo sguardo, avvicinandomi a lui e mettendo le mani sui fianchi: -“Ti ricordo che soffri il solletico e io adoro fare il solletico” Beccato, 1 a 1 caro. Tom deglutisce, perdendo l’aria da saputello. Un attimo dopo abbassa lo sguardo, all’altezza del seno, mettendosi a fissarlo: maniaco!
-“Ehi” Gli mollo uno schiaffo, sonoro, secco.
-“Che ho fatto?” Mi chiede spaesato, la bocca spalancata e la mano sulla guancia contusa.
Sei deficiente?
No, mi guardava le tette.
Tette? Con quella felpa già è tanto che ti consideri una donna.
-“Te la sei meritata, ti pare che mi fissi?”
-“Volevo solo cercare di capire che stemma fosse quello sulla tua felpa” Non sembra arrabbiato, ansi, ghigna come un folletto dispettoso e io, al solito, ho fatto l’ennesima figuraccia: non le so più fare queste cose, ho perso la capacità di stare con un uomo, di sforzarmi per essere impeccabile; mi sono stufata di costruirmi un personaggio, ho solo voglia di essere me stessa, ed è per questo motivo che non mi va di impelagarmi in una storia. Forse sto correndo, ma ho un ottimo sesto senso e so benissimo che tra di noi c’è una forte attrazione (questa lucidità non mi apparterrà ancora per molto), magari sbaglio ed è per questo che non voglio illudermi, sperare, partire per la tangente. Sono stanca di fare la “brava bambina” che del resto non sono mai stata ma la cui maschera ho indossato per tanto tempo.
-“E’ il simbolo della Roma, la squadra di calcio per cui tifo” Spiego, arrossendo e abbassando lo sguardo. Un fischio e sono salva. Mi volto, spengo il caffè e lo verso nelle tazzine: l’aroma corposo della bevanda mi inebria, lasciando sulla pelle un dolceamaro gusto che sa di nostalgia. Sospiro, appoggiandomi al banco.
-“Che c’è?” Mi chiede premuroso, appoggiando un mano sulla mia spalla.
Mi volto e so di avere le lacrime agli occhi: dannati ormoni!
-“Nulla, solo un po’ di nostalgia di casa” Gli spiego, porgendo la tazzina che lui afferra prontamente, portandosela alla bocca e prendendone un sorso.
-“E’ buonissimo” Mi dice con uno sguardo che cerca di rincuorarmi. E’ dolce, gentile e io lo sto trattando di merda. Sono stanca e ho paura di scoppiare in lacrime. Che cos’ho che non va!?
-“Scusa per lo schiaffo” Gli dico, dopo aver preso un sorso di caffè.
-“Figurati, sono abituato a prenderne molti” Risponde, sfottendomi e facendomi ridere.
Mi sporgo, in un moto di spontaneità improvvisa, e poggio delicatamente le labbra sulla guancia che ho colpito: non si è rasato e la barbetta mi solletica le labbra, inebriate dal calore della sua pelle, mentre il suo odore si impossessa prepotentemente di me. Lentamente mi faccio indietro e osservo il suo sguardo, colmo di emozione e, anche se fa tanta paura, è bello poter sentire nuovamente questa sensazione, questo desiderio di voler qualcuno da proteggere, da rendere felice. Il fatto è che non sarebbe male che qualcuno si innamorasse di me, il problema sorge nel momento in cui anche io sento perdermi, smarrirmi per una persona: non sono fatta per amare, non ne sono capace, ma sono fatta per essere amata. Non fraintendetemi: una parte di egoismo c’è, non lo nego, ma il mio è soprattutto terrore, terrore di abbandonarmi completamente all’altro, di perdere il controllo, pur sapendo di non averlo in ogni caso. Non sono equilibrata, soprattutto nelle relazioni, e c’è una bella differenza tra la frustrazione del fallimento e il dolore sordo, crudele dell’abbandono. E non so se, in questo momento, riuscirei a tirarmi su, nuovamente, ricominciando da capo.
Rimaniamo in silenzio mentre ci guardiamo, tentando di scavare ognuno nell’anima dell’altro. Poggia la tazzina, si alza e mi fronteggia; afferra delicatamente una ciocca dei miei capelli, sistemandomela dietro a un orecchio per poi piegarsi lievemente sopra la mia fronte, su cui poggia le labbra. Non è un bacio, è qualcosa di più, qualcosa di più profondo: sento il fiato caldo sui capelli e vorrei tanto abbracciarlo, vorrei tanto liberarmi della mia freddezza, della paralisi che mi blocca ma non ce la faccio. Stupidi, stupidissimi ormoni!
-“Hai impegni per oggi?” Sussurra con voce roca, dopo essersi un poco allontanato da me, mentre mi lascio sfuggire un gemito doloroso.
---------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE Buona sera a tutti! Pubblico la prima parte del secondo capitolo che spero vi piacerà :) come al solito per qualsiasi cosa ci sono: commenti, richieste, spiegazioni, insomma, quello che volete. Saluto affettuosamente chi ha commentato la storia perchè è molto importante per me la vostra opinione e anche perchè, essendo un essere umano, mi lusingano, facendomi sorridere sempre e mi danno uno stimolo per continuare e per migliorare sempre. Ringrazio anche chi legge silenziosamente (cosa che spesso faccio anche io). Beh, buona lettura e anche un futuro buon anno! :) Un bacio Clio PS Per quanto riguarda gli elementi editoriali vorrei precisare che sono a conoscenza del fatto che per i dialoghi sarebbe corretto (sacrosanto!) l'uso dei caporali, per non parlare di altre piccole accortezze che spero mi perdonerete (sto provando a perdonare me stessa ma, ahimè è difficile ihih scherzo!). Purtroppo con il mio computer l'uso dei caporali è un'impresa ardua... ho detto tutto. Buona lettura :)

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 2- Parte II ***


Capitolo 2
Parte II

 

-“S-sì, devo andare a comprare i regali” Che palle! Gli stramaledetti regali di Natale! Aboliamo le feste per favore…
Tom deve aver decifrato la mia espressione scocciata, perché mi guarda cercando di trattenere una risata.
-“Sono tanto buffa?” Chiedo un po’ scocciata.
-“Abbastanza” Dice lui, spostandosi prontamente di lato per evitare un altro schiaffo.
-“Sei violenta” Fa lui, divertito, appoggiandosi al muretto che separa la cucina dal salotto.
-“Sei tu che hai la faccia da schiaffi!” Spiego placidamente: ha l’aria furbetta e maliziosa, è uno che non sa stare fermo, si vede, uno che, malgrado le paranoie, sa quello che vuole e se lo prende.
-“Allora io vado” Mi dice, dirigendosi verso il divano dove ha lasciato la giacca. Emetto un altro gemito: non può andarsene… perché sento questa fastidiosa sensazione? Perché non può rimanere ancora?
Invitalo!
No.
Invitalo, per carità. Ascoltami una buona volta!
-“Pr-chè, n-n v-vieni me?” La sputo letteralmente fuori questa sottospecie di frase, se così si può chiamarla, e mi stupisco di come sia riuscita a prendere il diploma di licenza media.
-“Cosa?” Chiede Tom, bloccandosi mentre si stava per infilare la giacca, guardandomi con aria interrogativa.
Che fai? Sembra tu abbia una paresi facciale grave!
Sono timida!
No, tu sei solo deficiente.
-“Beh, pensavo, sì, insomma…vuoi accompagnarmi?”Trattengo il respiro e incrocio le dita: tipregotipregotipregotipregotipreg…
-“Con molto piacere”E mi permetto di respirare di nuovo. Allora non sembro così senza speranza.
-“Perfetto” Strillo eccitata, con un po’ troppa enfasi: non va bene, mai scoprirsi, mai.
-“Cioè volevo dire…mi aspetteresti mentre faccio una doccia?”
-“Vai, vai” Dice abbandonandosi sul divano con le mani dietro la testa e l’aria rilassata: -“Ti serve”
-“Mica puzzo così tanto” Dico stizzita.
-“Un pochino”
Vaffanculo Tom Hiddleston.
 
L’ho già detto vero che la doccia calda è l’ottava meraviglia del mondo?
Sorrido come una bambina al pensiero di quello che verrà dopo; rido per il fatto che Tom, non un Tom qualsiasi, ma Tom Hiddleston, Loki è nel mio salotto: se Edo e Betta lo sapessero strillerebbero eccitati come due cornacchie (sono loro i nerd della situazione, mi hanno portato a forza a vedere i film della Marvel, e per fortuna).
Tutte le paranoie sono magicamente passate, sono rilassata e piena di buoni propositi: niente urla, niente pazzie, niente scenate. Chissà, magari diventeremo buoni amici…
Amici!? Sono allibita…
Concordo con la collega ninfomane.
Perfetto, quando Lolita e la Cornacchia iniziano a darsi man forte per il mio minuscolo ego è la fine.
Non so cosa pensare, ma non mi interessa minimamente; ho semplicemente voglia di cogliere l’attimo e, per una volta nella mia vita, smettere di controllare e lasciare che le cose vadano per il loro corso. So perfettamente che questi sono solo effimeri buoni propositi che spariranno non appena avrò messo piede fuori dalla doccia, ma fa nulla. Voglio annullarmi anche per pochi minuti, mi basta.
A malincuore chiudo l’acqua, esco borbottando per il freddo e cerco a tentoni l’accappatoio turchese dato che i miei occhiali sono sicuramente appannati e inservibili: odio essere una talpa ambulante, giuro che se andassi in giro senza occhiali potrei tranquillamente non riconoscere mia madre anche se questa stesse solo a 10 metri di distanza. Finalmente riesco a distinguere, nella cecità generale, una macchia turchese, l’afferro e indosso l’accappatoio; prendo un asciugamano, arrotolandomelo tra i capelli e poi spruzzo il deodorante abbondantemente: se Tom ha il coraggio di dirmi che non profumo lo ucciderò, giuro.
Bene, adesso mi devo vestire e… Cacchio! Non ho portato i vestiti che, con le lenti a contatto, sono rimasti di sopra. Ma certo! Facciamo pure la sfilatina mezza nuda e poi siamo a cavallo. Espiro profondamente, dopo aver passato un’eternità davanti alla porta del bagno.
Perché devo essere sempre così dannatamente sfigata?
 
 
Il Paradiso perduto di Milton rimane sempre un capolavoro, non importa quante volte tu lo possa leggere, sembrerà sempre come la prima volta.
Leggo le prime pagine, segnate da notazioni in italiano accanto alle parole che Berenice non ha compreso, talvolta trovo addirittura frasi intere tradotte: la lettura in versi le deve apparire ostica. Chissà se ha mai letto Shakespeare in lingua originale, sicuramente le piacerebbe.
La casa è tappezzata di libri, dischi di musica classica e di foto che la ritraggono, un po’ più giovane, insieme ai genitori e agli amici che ha lasciato in Italia; mi è dispiaciuto vederla crollare al ricordo della sua patria natale, le si sono riempiti gli occhi di lacrime e lo sguardo è diventato quello di una bambina. Non deve essere facile abbandonare tutto e ricostruirsi una vita in un altro luogo, in una lingua estranea, eppure non c’era rimpianto né nelle sue parole, né nelle sue espressioni anche perché, più volte, mi ha detto che quello di venire a Londra è sempre stato il suo sogno.
E’ forte.
E’ simpatica.
E’ intelligente.
E’ pazza, soprattutto pazza.
Quando mi è saltata sulla schiena (per non farmi vedere lo sfacelo che era sul suo tavolo, peccato che l’avessi già notato molto prima), stranamente, non ho fatto altro che pensare alle sue gambe attorno ai miei fianchi, alla morbidezza del suo corpo e al suo odore forte e intenso. E’ esagerata, devo ammetterlo, tra solletico e schiaffo non so ancora cosa pensare di lei, ma l’entusiasmo con cui ha accolto il mio assenso ad accompagnarla mi ha fatto battere il cuore a mille.
E quel bacio caldo? Sento ancora il tocco delle sue labbra sulla guancia che ha colpito, ho ancora nella mente il suo sguardo caldo, timido e malizioso insieme, a cui non ho potuto resistere.
Passa da uno stato a un altro nel giro di pochi minuti; prima sembra la ragazza più dolce del mondo, poi diviene un’aggressiva sadica da cui vorresti solo fuggire… non la capisco e, forse, non la capirò mai quindi, a questo punto, devo solo rendermi conto se ho le forze di impelagarmi in un rapporto travagliato, oppure se è meglio ritirarmi cavallerescamente, dicendole addio con un lieve inchino.
E’ intrigante, non c’è che dire, sembra candida, pura, eppure qualcosa nel fondo dei suoi occhi mostra una consapevolezza, un’antichità che non ho mai visto in nessuna donna.
Non so cosa voglia da lei e non riesco a capire cosa voglia lei da me: ho molte cose in ballo, altre persone con cui mi frequento che sono, probabilmente, quello di cui ho bisogno; più stabili, più posate, meno sguaiate di quanto la mia scimmietta non sarà mai.
La mia scimmietta…sto decisamente correndo troppo, “mia” è una parola enorme, importante, che implica molte cose e tutte troppo ufficiali a questo stadio, anche perché non so se le piaccio o se mi odia: le sue espressioni sono troppo mutevoli e criptiche da leggere e, malgrado sia un attore, malgrado sappia indossare maschere, Berenice lo fa con una naturalità, una spontaneità che mi appaiono disarmanti.
Ma che diamine sta facendo in quel bagno? E’ talmente bassa che è annegata?
Incapace di stare fermo, mi dirigo verso la porta chiusa nel piccolo corridoio; appoggio l’orecchio e sento che l’acqua è chiusa: che fa? Si nasconde?
-“Sei annegata?” Dico, bussando alla porta.
Sento un piccolo urlo e un tonfo sordo.
-“Merda!” Impreca nella sua lingua: deve essere scivolata.
-“Cha fai, svieni al suono della mia voce?” La punzecchio, sogghignando.
-“No, imbecille! Sono cieca e so per certo che vuoi uccidermi” Risponde infastidita al di là della porta.
-“Ma che uccidere! Se non riesci a mantenere l’equilibrio per più di dieci secondi non è colpa mia” Le rispondo con sarcasmo.
Scelta sbagliata.
Vendicativa, spalanca la porta e perdo l’equilibrio, riuscendo fortunatamente a non cadere.
-“Che fai? Svieni alla mia vista? Non hai imparato a reggerti sulle tue gambe da fenicottero? Povero piccolo” Mi fa il verso e poi mi afferra il naso, scuotendolo dolcemente: se queste sono le sue vendette vorrà dire che la farò arrabbiare più spesso in futuro, se mai un futuro ci sarà.
Ha solo l’accappatoio addosso, mentre i capelli lunghi, bagnati e sciolti, ricadono lungo le spalle. Abbasso il volto a osservarle le gambe snelle, quindi risalgo con lo sguardo verso i fianchi, il sottile punto vita stretto dalla cintura annodata dell’accappatoio e infine, non ho potuto farne a meno, la spaccatura dell’indumento che mostrava, appena accennate, le rotondità del seno.
Mi rivolgo, lentamente, ai suoi occhi che mi guardano ciechi, ma che, anche così, riescono a perforare la carne.
-“Non ci vedo” Mi dice semplicemente, abbassando lo sguardo imbarazzata.
-“Mi stai tentando, signorina?” Non riesco a fermarmi, non capisco più nulla.
Berenice alza gli occhi, puntandomi addosso uno sguardo strano, pericoloso e accenna a un sorriso sornione: -“Lei, signore, prova gusto nell’essere tentato”.
Per fortuna che non ha gli occhiali! Altrimenti come la spiego la reazione a quelle parole? Come spiego che mi si è fermato il respiro?
-“Sono incorruttibile” Affermo, stando al gioco.
-“Non se ti faccio il solletico” Mi risponde a tono e mi piace: la conversazione si è spostata dal campo minato, facendosi più amichevole e rilassata.
Sposto il mio corpo dalla porta, lasciandola passare; Berenice non mi guarda e fila via, verso la scaletta a chiocciola, accanto al piccolo angolo cottura, e non posso fare a meno di osservare, attento, il movimento sinuoso del suo corpo mentre sparisce nuovamente alla mia vista.
Mi piace essere provocato da te, Berenice e, anche se mi torturassi, non farebbe alcuna differenza perché, anche in quel caso, vorrei trascorrere una notte con te, una sola notte, per essere torturato.
 
 
Chiudo la porta alle mie spalle e mi accascio contro di essa, sedendomi sul pavimento con la testa incassata tra le ginocchia, le mani nei capelli.
Non riesco a respirare.
Che casino!
Perché doveva capitare a me!?
E che ti doveva capitare, scusa? La sfiga nera ti perseguita e vai in paranoia per un uomo?
Cara collega, e che uomo!
Non voglio iniziare a provare queste sensazioni, non sono in grado di dare niente a nessuno… ho solo bisogno di prendere, di consumare, di strappare, rubare agli altri per avere, prendere il mio piacere, svuotando…
Ma non con Tom, perché so perfettamente che con lui non sarebbe così: sono una che cerca il controllo, che ama pianificare (anche se puntualmente tutti i miei piani si fottono ancor prima di riuscire ad attuarli), che tiene tutto a distanza perché ha troppa paura di perdere, di essere abbandonata. Quando mi piace qualcuno, quando provo un’attrazione forte  mi perdo, non capisco più nulla, dono tutta me stessa, senza aspettarmi nulla in cambio e molte volte questo mi porta a farmi schiacciare, a sotterrare l’orgoglio che è sempre un compagno fedele.
E’ già successo, più di una volta, ma l’ultima è stata esiziale: pensavo fosse l’amore della mia vita, lo pensavo sul serio, e ora, anche se ogni volta che torno ci vediamo ed è come se fosse il primo incontro, non è rimasto più nulla di quello che era un tempo… colpa mia, mia che non riesco a dire di no, colpa mia che non riesco a fare a meno di lui come fosse ossigeno.
E’ così, o meglio, era così. Era così prima di ieri notte, prima che Tom entrasse nella mia vita a scombussolare tutto.
Amo e odio la quotidianità: la amo perché mi dà continuità, mi dà l’illusione dell’ «Uniformità della natura»; la odio perché sono alla perenne ricerca di qualcosa, sono nella perenne fuga da tutto, soprattutto da me stessa.
Mia madre dice sempre che le cose succedono quando meno te le aspetti: io non  aspettavo, io non  volevo.
Buttati!
Pare facile, se cado non sei tu a sentire il colpo.
No, ma sento tutti i tuoi progetti di suicidio, sfiancanti!
Cornacchia!
Mi alzo a fatica, finendo di prepararmi: lenti a contatto, capelli riccissimi (maledette mestruazioni) legati in una crocchia disordinata, jeans chiari un poco sfasati alla fine, camicetta bianca, maglioncino largo blu, coverse di velluto rosse.
Faccio un respiro profondo, mi faccio coraggio e scendo le scale.
Tom è girato di spalle, osservando la foto centrale appoggiata al caminetto: quattordici anni, primo viaggio a Londra con Edo, Betta, Ale e Luca, i miei migliori amici, quegli amici che mi mancano da morire. La prende tra le mani, avvicinandola al viso, mentre io mi avvicino piano, fermandomi dietro le spalle e allungando il collo per vedere meglio.
-“Quanti anni avevi?” Chiede semplicemente, sentendo il tocco del mio mento sul suo braccio.
-“Quattordici anni. Ero piccolina” Dico sorridendo.
-“Beh, non che tu sia cambiata molto…” Si volta verso di me, puntando i suoi due zaffiri dritti nei miei occhi, regalandomi uno di quei sorrisi sghembi un poco imbarazzati, un poco maliziosi, levandomi l’aria dai polmoni. Vorrei potermi specchiare nel suo sguardo in continuazione, vorrei toccare quei riccioli chiari e stringerli… vorrei un sacco di cose, ma sono bloccata.
Un momento!
-“Cosa?” Sbotto, rendendomi conto della velata battutina dietro le sue parole.
-“Sembri una ragazzina! Guardati: sei un soldo di cacio e hai il visetto piccolo piccolo. Sicura non mi arresteranno per molestie a minori? Quanti anni hai, tredici?”
-“Almeno io non ho le rughe!”
-“Io non ho le rughe!”
“Sì, ce l’hai! Si possono vedere benissimo anche con tutto il trucco che ti spiaccicano addosso nei film” Ahah! Ho perso il conto dei goal che abbiamo fatto, ma sono certa di essere in vantaggio.
Tom si gira verso di me, dopo aver poggiato la foto, e mi guarda vittorioso, sovrastandomi: -“Quindi hai visto i miei film” Non è una domanda, è un’affermazione che suona tanto di soddisfazione.
Sono diventata rossa, lo so, perché si mette a ridere di gusto, tendendo le labbra sottili e ben disegnate.
-“Costretta” Borbotto con il capo chino, colpevole.
-“Sese” Dice lui dandomi una spintarella.
-“Comunque ho quasi ventisei anni!” Ribatto, non sapendo più che pesci pigliare: dov’è finito il mio proverbiale sarcasmo? Perché Tom riesce sempre ad avere l’ultima parola?
Ti odio profondamente Hiddleston!
Ride, allargando le braccia, quasi mi stesse invitando in un abbraccio: -“Ah, ma allora siamo grandi, eh!?” Irritante, sfacciato, irritante…
Gli faccio una linguaccia, guardandolo furente mentre lui piega la testa con fare fanciullesco, a fingere la sua innocenza: oddio, lo sguardo da cucciolo birichino no, non me lo deve fare. Sospiro, arrendendomi. Con lui è una battaglia persa, lo so.
-“Già, pensa che so anche guidare” Rispondo a tono, mettendomi le mani sui fianchi.
-“Davvero? Wow, allora mi devi far vedere” Dice, facendo finta di rimanere sorpreso.
-“Cosa? Voi inglesi siete pazzi! La guida a sinistra non fa per me”
-“Paura Berenice?” Oddio, ha detto il mio nome, l’ha detto male, però la pronuncia inglese ha un non so che di sensuale e provocante, poi da lui…
-“Ti piacerebbe”[1]
-“Ti insegnerò io, Tigre. Pochi giorni e diventerai una perfetta miss inglese” Sorride, speranzoso, ed è così dolce con quello sguardo divertito, eccitato come un bambino.
Ok, sono proprio fuori!
-“Dai, usciamo. Già so che dovrò sgomitare e mordere qualcuno anche solo per entrare in un negozio…” Dico, pragmatica, ma entusiasta all’idea di averlo con me per un giorno.
-“Hai ragione, dammi un momento per andare in bagno” Prende delicatamente la mia mano, la porta alle labbra, sfiorando appena la pelle.
Il baciamano! Questa è una tortura. Quanto ti odio Hiddleston, perché mi fai questo?
Faccio un cenno di assenso, indicando con la mano la porta del bagno…
Sento che ho perso un pezzo, non so se sia una buona idea che entri, il problema è che mi sfugge il perché del mio titubare. Pensa Bernie, pensa.
Ho messo gli asciugamani a posto.
Ho aperto la finestra e ho asciugato il lago fatto sul pavimento e sul lavabo.
Ho tirato lo sciacquone e…
Oh, porca puttana!
L’assorbente è in bella vista (ho già insultato il ciclo, vero!?).
Porca puttana!
Corro verso il corridoio, lo vedo afferrare la maniglia e aprire la porta: no, no, no.
-“Tom, no! Aspetta”
Lui si gira e sono quasi riuscita a raggiungerlo che inciampo nei miei stessi piedi, crollandogli addosso con tutta la mia poca forza, ma con tutti i chili in più che sono anni mi riprometto di perdere ma che rimangono, ostinati, sulla pancetta e sulle cosce.
L’urto è talmente forte che gli faccio battere la testa sullo stipite della porta, mentre io mi accascio pesantemente e dolorosamente sull’addome.
Cerco di riprendere fiato e sarebbe una sensazione bellissima sentire il mio corpo che aderisce al suo, se solo Tom non avesse gli occhi chiusi e non accennasse a svegliarsi.
Oddio, ho ucciso Loki (beh, era ora. Thor deve essere proprio una pippa, se c’è riuscita una tappa imbranata come me).
Panico.
Lolita, fuori uno. Depennalo dalla lista: questo non l’ha solo spaventato, l’ha proprio stecchito.
Peccato, mi erano venute in mente certe ideuzze.
Volete smetterla voi due?
Mi allungo sul suo corpo e gli tocco il collo, le labbra, il viso (c’ho preso gusto, che ci volete fare), ma non si sveglia. Cristo! Sapevo che avrei dovuto rifare il test di medicina, almeno adesso saprei cosa fare.
-“Tom?” Sussurro piano al suo orecchio. Nulla. Mi sollevo un poco, mettendomi a cavalcioni su di lui, sperando che non si accorga del mio dolce peso: beh, se è morto non ci dovrebbero essere problemi.
-“Ti prego, alzati…l’ho ucciso, l’ho ucciso” Blatero agitata, mortificata e chi più ne ha più ne metta. Ecco, andrò in galera e butteranno la chiave: forse potrei scrivere anche io Le mie prigioni[2] , diventerebbe un best seller e guadagnerei molto più che con un anno di stipendio di almeno due e dei miei lavori. Magra consolazione, ma pur sempre una consolazione.
Lo guardo e, a un tratto, l’ombra di un sorriso si palesa sulle sue labbra: è un attimo, poi sparisce, e Tom torna a fingere di essere morto.
Che bastardo di un inglese secco e allampanato!
Vuoi giocare Tom, posso essere tremenda se lo voglio…
-“Forse, forse con la respirazione bocca a bocca.” Che attrice che sono, che attrice; mi piego un poco, avvicinando il mio viso al suo e lo sento sospirare piano. Uhm, che io gli piaccia? Mi lusinghi caro Hiddleston, ma non sono molto facile da comprare, la vendetta è la vendetta. Gli tappo il naso (sussulta) con forza, afferro la mascella e gliela spalanco (è un bel gioco questo,perché lui deve continuare a far finta di essere in coma e non può resistere, mentre io, dal canto mio, lo ho in mio potere); avvicino le labbra alle sue, sfiorandole (brividi, piacere, fuochi d’artificio! Bernie, tieni il punto!), dandogli l’illusione che effettivamente praticherò  la respirazione, ma, la mano non impegnata, si abbassa al suo fianco, iniziando a fargli il solletico.
E’ un attimo.
Si divincola, ridendo come un matto, mi afferra la mano e, non so come, mi ritrovo improvvisamente con la schiena a terra, con lui sopra di me che mi guarda divertito e voglioso allo stesso tempo.
-“Ma allora sei vivo!” Dico, cingendogli il collo con le braccia e cercando di non pensare alle farfalle che svolazzano allegramente nel mio stomaco; lo stringo con forza, mi avvicino all’orecchio e gli faccio una pernacchia dispettosa che lo costringe a sollevarsi un poco e a lasciare libera la mia mano.
-“No, adesso sono sordo” Mi dice, un poco, ma solo un poco infastidito, massaggiandosi l’orecchio.
-“Sei sicuro che fai l’attore? Sai, non eri molto convincente” Lo sfotto, facendolo reagire con uno sguardo di fuoco.
-“E tu? Hai la grazia di un elefante, è un modo questo per far riprendere i sensi alla gente?”
-“Ti è piaciuto però, non è vero Hiddleston!?” Che ho detto? Dimmi che non ho iniziato a flirtare, vi prego…
Era ora!
Grazie tante.
Il suo sguardo è strano, dolce ma aggressivo al contempo, sornione, dispettoso ma che mi fa sentire desiderata, ardentemente desiderata. Tom stringe la presa sul mio fianco, spingendomi verso il basso, sempre più vicina al suo corpo che sento invitante contro il mio, mentre, con l’altra mano disegna il profilo delle mie labbra: ha delle mani bellissime, lunghe, affusolate, eleganti dal tocco leggero e forte che vorrei potessero toccarmi, disegnarmi come fossi una tela bianca e lui un pittore.
Ci guardiamo un istante, un lungo interminabile istante, in cui mi perdo nell’infinito dei suoi occhi, seri e pensosi, che non smettono di cercare di strapparmi l’anima, di cercare di comprendermi; sciolgo il contatto, incapace di resistere oltre. Lo sento accostarsi al mio orecchio, solleticandomi: -“Forse, forse mi è piaciuto. Però, ti conviene perdere un po’ della tua ciccia da foca spiaggiata, altrimenti mi ucciderai sul serio” Cretino! Lo spingo indietro con violenza, guardandolo storto; mi do una spinta sulle ginocchia e sono subito in piedi, seguita poco tempo dopo da Tom: idiota! Sapevo che non mi dovevo fidare, sapevo che voleva solo giocare con me, sono solo una delle tante, o forse gli faccio solo pena e io odio la pietà.
Scusa, ma non eri tu quella che voleva solo divertirsi!?
Sai, si può mentire anche a se stessi. Lo odio.
Ti piace.
No.
Ti piace.
Neanche fosse il penultimo uomo sulla terra e l’altro fosse Quasimodo.
Ti piace.
-“Sbruffone” Sbotto, oltrepassandolo e recandomi verso la porta di casa per uscire.
-“Permalosa”
-“Cretino!”
-“Pazza” Si sta divertendo, si diverte alle mie reazione (per fortuna che mi ero ripromessa di non fare più figure di merda, ma che lo dico a fare!?). Mi concedo di guardarlo in cagnesco ancora un attimo, ma poi, impotente, mi abbandono alla sua risata, così fresca, sincera e melodiosa.
E’ bello quando ride; è bello quando mi prende in giro; è bello quando mi tocca con le sue mani d’artista che plasmano la realtà, plasmano me ogni volta. -“Andiamo balenottera, altrimenti potrei non rispondere più delle mie azioni” Respira Bernie, respira…
-“Insomma, mi toccherebbe strapazzarti un po’ anche a me, altrimenti non siamo pari”.
E’ humor inglese, oppure sono io che mi faccio i viaggi mentali?
-“Ok” Rispondo asciutta, con il capo chino e un senso acuto di delusione: -“Sicuro che ce la fai?” Sarcasmo per sarcasmo…
-“Che intendi dire?” Chiede piegando, confuso, un sopracciglio e mi accorgo che ho preso gusto nel farlo rimanere spiazzato.
-“Beh, a una certa età, sai, camminare. Insomma, la cosa potrebbe essere stancante”
-“Prima le signore” Fa, come fosse offeso anche se si vede che adora quando lo punzecchio.
-“Va bene, va bene. Lo dico per te, Hiddleston. Se ti vuoi appoggiare al mio braccio non preoccuparti, ti sorreggerò”
-“Su, su bambina” Dice con nonchalance praticamente sbattendomi fuori dal mio appartamento.
-“Davvero, vuoi un bastone?”
-“Berenice!”
-“Bernie”
-“Come?”
-“Chiamami Bernie, gli amici mi chiamano così” Sorride felice ma non sa quanto desidererei che fossimo qualcosa di più.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE: Buongiorno a tutti! Eccomi qui con la parte finale del II capitolo che spero vi piacerà come i precedenti. Ricordo che per qualsiasi problema, delucidazione sono a vostra disposizione. Mi piacerebbe che commentaste perché per me è una cosa essenziale, nel senso che posso modificare o inserire le cose che preferite, cercando di essere più vicina al vostro gusto. Per quanto riguarda i problemi di aspetto della ff vi prego di perdonarmi: sono sempre stata un poco impedita in queste cose.
Vorrei ringraziare tutti coloro che leggono la mia storia e tutti quelli che la recensiscono. Un bacio e un saluto speciale a VampERY e elokid78 che mi seguono sempre e non mancano mai di lasciarmi un piccolo commentino e infine anche a Morgan_ l’ultima arrivata. Un bacio.
Clio
 
 
[1] Omaggio a “Harry Potter e la Camera dei segreti”
[2] Opera di Silvio Pellico

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 3 ***


Avviso: Ciao a tutti! Volevo avvertire che, causa esami, non so quanto potrò essere regolare nello scrivere e nel pubblicare. Ho due capitoli già pronti i quali copriranno in tutto quattro settimane, per cui non ci dovrebbero essere particolari problemi. Per correttezza ho comunque deciso di far presente la “delicatissima” situazione. Detto questo, buona lettura J
 
 
Capitolo 3
Naked[1]
 
 
 
“I wake up in the morning                     
Put on my face
The one that's gonna get me
Through another day
Doesn't really matter
How I feel inside
'Cause life is like a game sometimes”
 

-“Dove credi di andare?” Berenice e io siamo appena usciti in strada. Mi stavo per dirigere verso la macchina ma Bernie mi afferra per un braccio, bloccandomi.
-“A prendere la macchina…” Dico confuso.
Bernie scuote il capo con fare teatrale, poi, sorridendo punta i suoi occhi nei miei  facendomi ardentemente desiderare di provare nuovamente un contatto più intimo, come quello avuto poco prima.
-“Se vieni con me ci sono delle regole” Allunga la mano: -“Prendere o lasciare” Continua.
Guardo la piccola mano tendersi verso di me, il suo sguardo serio ma illuminato da un accenno di sorriso sulle labbra.
-“Posso prima sentire quali sono?” Chiedo, assumendo un aria innocente, fanciullesca. Lei mi guarda, con la piccola bocca un poco dischiusa. E’ una bambolina.
-“Va bene, ma non credere di avermi fatto cedere con quella faccia da impunito” Dice, aggrottando la fronte: no, è? Non ti sei minimamente sciolta eh!?…
Arrossisce subito, abbassando lo sguardo, consapevole del fatto che si sia scoperta troppo.
-“Dimmi tutto” Le dico incoraggiante, con voce suadente. Ci sto prendendo gusto, mi piace vederla vulnerabile, adoro provocarla perché, per quanto voglia fare la dura e la scontrosa, neanche troppo in fondo è di una dolcezza disarmante.
Sono molto più sicuro di quanto non fossi questa mattina, non solo per le sorprendenti reazioni di lei che mi hanno fatto capire molte cose, soprattutto di quello che prova, ma perché mi diverte, perché con pochi gesti ha allontanato tutti i dubbi, mi ha fatto capire di voler rischiare con lei, anche se sono consapevole che sarà una fatica immensa.
-“Punto primo: si va in metro. Non ho intenzione di perdere altro tempo nel traffico e, a dirla tutta, guidi veramente di merda…”
-“Ehi, non è…” Mi blocca con un cenno della mano; sbuffo, alzando gli occhi al cielo e incrociando le mani al petto.
-“Punto secondo: se qualcuno ti riconosce non devi mettermi in mezzo, abbracciarmi, fare l’idiota perché so benissimo che ti piace farmi arrossire; quindi farò finta di non conoscerti e inizieremo a parlarci solo dopo scesi dalla metro”
Sbottai a ridere, questa era proprio buona: quanto può essere timida? Tutte le ragazze darebbero un occhio per poter essere al centro dell’attenzione, mentre lei cerca sempre, anche se non ci riesce molto bene, di rimanere nell’ombra.
-“Punto terzo” Continua, fulminandomi con lo sguardo per farmi tacere.
-“Sissignora!”
-“Se mi disubbidirai non avrai tregua, la mia punizione sarà esemplare”
Uhmmm, la cosa si fa interessante.
-“Dipende da che tipo di punizione” Le dico malizioso. Mi stuzzica molto l’idea di essere punito da lei, soprattutto se la punizione implica un letto e lei sopra di me.
Ci hai preso gusto, eh? Ti sei sciolto come neve al sole e sei tornato il solito cazzone di sempre.
Puoi dirlo forte…
Non sa come rispondere, sta cercando di trovare una battutina abbastanza acida, ma, anche in quel caso, non farebbe alcuna differenza: sono arrivato al punto che Bernie mi piace anche quando fa la vipera bastarda.
-“Idiota!” Povera piccola, non sai che dirmi, eh!? Alza un sopracciglio e allarga le narici a simulare disgusto, ma i suoi occhi dicono tutto il contrario perché, forse e dico forse, anche lei deve aver pensato a una situazione molto, molto intima.
Mi fa una linguaccia e mi volta le spalle, procedendo con fare spedito nella direzione della metro; mi concedo il tempo di osservare la sua camminata veloce, ma terribilmente sexy, inconsapevolmente sexy. Non si sente bella, né attraente, anzi, sembra non voglia apparire tale, ma l’istinto è comunque più forte di ogni maschera: non si pavoneggia, vuole passare inosservata, eppure solo incontrando i suoi grandi occhi blu non c’è modo di evitare di rimanere incantati.
Mi scuoto dai miei pensieri, corro da lei ancora ridendo e le avvolgo un braccio attorno alle spalle.
-“Sei arrabbiata?” Chiedo, stringendola più a me, sentendola irrigidirsi al mio contatto.
-“No” Dichiara asciutta, incapace di guardarmi negli occhi, ma indugiando sulla mia mano che la tocca.
-“Va bene tappina!”
-“Tappina?” Mi fa il verso, sollevando il capo a incontrare il mio viso con un’aria decisamente infastidita.
-“Sembriamo un padre con sua figlia. Potrei dirti che se ci riconoscessero sarei io a doverti allontanare , potrei passare per un molestatore” Gioco e lei fa per allontanarsi da me ma sono più veloce perché la premo contro di me, scoccandole un bacio sulla fronte, vicino l’attaccatura dei capelli.
-“Non pensare di comprarmi così” Mi dice non riuscendo a trattenere un sorriso.
Non voglio comprarti Berenice, l’ho fatto perché volevo… Non lo dico, non voglio correre, ma non posso fare a meno di guardarla abbracciata a me, ora rilassata, sperando in qualcosa di più.
 
 
“But then you came around me
The walls just disappeared
Nothing to surround me
And keep me from my fears
I'm unprotected
See how I've opened up
Oh, you've made me trust”
 

La metro è affollata, del resto è sabato, manca poco a Natale e tutta Londra sembra intenzionata a concludere gli acquisti oggi.
Sono seduto lateralmente, Berenice ha preferito rimanere in piedi, pur avendo cercato in tutti i modi di farla accomodare; una battaglia persa, la ragazza è testarda come un mulo.
Non mi guarda, anzi, cerca di guardarmi senza farsi accorgere ed è pensierosa, con la fronte aggrottata, l’aria persa che la fa sembrare un animale in trappola. Vorrei tanto sapere cosa le passi per la testa, cercare di capire cosa prova ma, ahimè, ancora non ho ricevuto il dono della telepatia quindi sono costretto a decifrarla solo attraverso le sue reazioni, il suo volto e le poche parole che proferisce; prima trovavo frustrante l’idea che, probabilmente, avrei dovuto cercare di tirare fuori a forza i suoi pensieri perché sono una persona abbastanza schietta e sono attratto da chi lo è altrettanto, ora, però, il suo silenzio, il suo sguardo sfuggente non fanno altro che intrigarmi, mi spingono a ricercare, con spirito agonistico, la vera Berenice.
Le accarezzo la mano con cui si sta reggendo: è fredda, congelata.
-“Sembri uno Jötunn” Aumento la presa, spostandola di peso, con la sola forza delle braccia, portandola a me: Berenice sembra troppo allibita per far alcunché, perde l’equilibrio, ritrovandosi sulle mie ginocchia.
-“Sei impazzito? Mi vuoi uccidere?” Si dimena, cercando di sciogliere il nodo delle mie braccia attorno alla sua vita.
-“Stavi tremando, avevi freddo… non potevo permettere che tremassi come una foglia” Dico cavallerescamente, spostando il viso in modo tale da trovarmi vicino alla sua guancia, dove posso godere a pieno del rossore sulla pelle candida e del suo profumo invitante che aspiro, cercando di non dare troppo nell’occhio.
-“Soffro di pressione bassa, è inevitabile che sia fredda e poi smettila di annusarmi! Mi sono fatta la doccia” Mi guarda in cagnesco, cercando ancora di liberarsi da me.
-“Infatti, volevo controllare se il lavoro fosse stato fatto accuratamente” Rispondo, salvandomi in calcio d’angolo, allungando il collo e avvicinando il viso al suo orecchio, aspirando profondamente. E’ morbida, sento la piccola pancetta sotto il maglioncino e i fianchi contro il mio addome; ed è calda, sorprendente calda malgrado le mani: è invitante, il corpo mi attrae come una calamita, desidererei potermi addormentare tra le sue braccia, poter godere delle sue forme femminili e perdermi in esse, totalmente.
Non so se ci sarà mai qualcosa oltre la forte attrazione fisica, come ho già detto ci sono candidate migliori per un ruolo ufficiale, ma adesso come adesso non me ne curo, l’unico pensiero che mi attanaglia la mente è l’idea di poterla avere, anche solo per poco.
-“Odio stare in braccio! Lo odiavo anche da bambina…”
-“Ma tu sei una bambina” Le soffio sull’orecchio, ridendo sonoramente sentendo un brivido avvolgerle la schiena. I riccioli raccolti mi solleticano il volto e vorrei tanto scioglierli per poterli toccare, stringerli sentendone la consistenza; lo sto per fare, allungo una mano al fermaglio che li costringe, applico un leggera pressione ma sono troppo lento perché Bernie li afferra prima che possano scivolare via e non ho la possibilità di combattere dato che un’ombra si pone di fronte a noi.
Non riesco a vedere, sento solo Berenice che si irrigidisce voltando il viso come a nasconderlo…
-“Tu sei Tom Hiddleston, non è vero?” La voce è quella di una giovane ragazza, accompagnata dalle risatine eccitate di quelle che, presumibilmente, devono essere le sue amiche. Mi sporgo da dietro la spalla di Bernie e noto che la mia deduzione è giusta: adolescenti, tutte categoricamente bionde, tra i quattordici e i quindici anni.
-“Sì, da quello che mi ricordo, dovrebbe essere il mio nome” Sorrido, scherzando, mentre sento lo sguardo disgustato di Berenice su di me che riesce a sollevarsi un poco, facendo per allontanarsi ma, troppo allettato all’idea di farla arrossire, la afferro e la riporto, con forza, contro di me, facendola accomodare meglio sulle ginocchia.
Le ragazzine ridacchiano, non so se per la mia battuta o per la faccia paonazza di Bernie, che brontola in italiano quelli che, molto probabilmente, sono degli insulti.
-“Ce lo faresti un autografo?”Dice la capogruppo, spostando lo sguardo da me alla ragazza sulle mie ginocchia che cerca in tutti i modi di rannicchiarsi e nascondersi. E’ divertente forzarla, metterla in situazioni che palesemente la infastidiscono perché voglio cogliere ogni emozione,ogni reazione che ha da offrirmi.
-“Con piacere” Rispondo sorridente, allungando una mano per afferrare i taccuini che mi vengono offerti.
-“Fammi scendere” Borbotta sottovoce la scimmietta, con un tono che va dall’imbarazzato all’infuriato.
-“Ormai il danno è fatto” Dico, sorridendo sotto i baffi e scoccandole un tenero bacio sulla guancia.
Allungo l’autografo alla seconda ragazza che guarda Bernie scettica, rivolgendomi uno sguardo incredulo. Il suo pensiero è così eloquente che anche Berenice se ne accorge, tanto che le lancia un’occhiata talmente crudele e inviperita che la ragazzina è costretta ad abbassare lo sguardo e a nascondersi dietro le altre. Si sa difendere benissimo da sola, e dire che non ha avuto bisogno di utilizzare la sua vocetta acuta.
Quando finisco di curare la mia immagine pubblica è già ora di scendere; per tutto il tempo Berenice si è limitata a sguardi carichi di odio e borbottii sommessi, ma nulla di più: mi stupisco perché, da quel poco che l’ho conosciuta, mi sembra una ragazza che non lascia correre, anzi, scommetto che si ricorda qualsiasi sgarro fattole a distanza di più di dieci anni.
Siamo l’uno di fianco all’altra, in mezzo ad altra gente, lei con lo sguardo lontano e io, incapace di smettere di guardarla, mi sento come se il resto del mondo non ci fosse più: c’è solo quella enigmatica ragazza di cui ho paura ma di cui vorrei riuscire a capire ogni cosa; quella ragazza che mi provoca delle fitte dolorose e piacevoli ogni volta che punta i suoi occhi nei miei.
La metro si ferma, le porte si aprono. Lasciamo uscire le persone prima di noi poi ci guardiamo per capire chi dei due sarebbe passato per primo; io, da bravo cavaliere, le faccio un cenno per indicare di precedermi ed è allora che mi sorprende.
-“Signor Hiddleston, spero si renda conto che io ho solo quindici anni[2]” Lo dice ad alta voce, in modo tale che tutti possano udire e capire. Rimango impalato per un attimo, immaginando già i titoli di giornale, e la guardo con gli occhi sbarrati: me l’aveva fatta!
Ahah, la vendetta più spassosa a cui abbia assistito!
Allora hai davvero un senso dell’umorismo di merda.
-“Che fa signore? Ha cambiato idea?” Volta lo sguardo, ridendo maliziosa e soddisfatta.
Mi catapulto fuori prima di rimanere nella metro e mi affianco a lei, dandole una spallata e guardandola torvo: -“Sei impazzita?”
-“Vendetta dolce vendetta. Calmati, non vorrai che il tuo bel visino si sciupi” Mi sorride sorniona quindi affretta il passo verso l’uscita.
E’ pazza ma non posso farne a meno, devo averla.
 
 
“Because I've never felt like this before
I'm naked
Around you
Does it show?
You see right through me
And I can't hide
I'm naked
Around you
And it feels so right”
 

Bella battuta!
Grazie… oddio, mi viene da piangere. Tu che mi fai un complimento?
Non ti ci abituare.
Piccadilly Circus, finalmente l’aria aperta. Adoro Londra, non c’è storia. Mi è mancata la città, le persone che si affaccendano, i turisti con le macchine fotografiche… turisti, pensare che fino a poco tempo fa lo ero anche io.
Londra è casa, mi sento a casa più di quanto non mi sia mai sentita a Roma, la mia città natale, il luogo dove c’è la mia famiglia, i miei più cari amici…
Londra è viva, fiera di sé, intrigante, “giovane”. Roma ha il fascino antico della nostalgia, dei vicoli illuminati che formano un labirinto, della storia passata che ci ha concesso una città di una bellezza commovente. Ma Roma è una città da visitare, non da vivere, che ha perso la luce della “Dolce vita”, che pretende di essere ciò che non è più, ancorata ai resti dell’antico su cui cerca di costruire, rimanendo immobile, statica.
-“A che pensi?” Uno dei miei soliti voli pindarici. Non mi sono neanche accorta di essere rimasta in silenzio per tanto tempo.
-“A Londra. Non pensavo mi mancasse tanto” Dico, guardando Tom che mi osserva curioso.
-“Ti ricordo che ci abiti” Mi dice, scherzando, anche se so benissimo che ha compreso quanto profonda sia stata la mia risposta.
-“Spiritoso”Gli afferro il naso e applico una leggera pressione, facendolo ridere. Adoro quando ride, non smetterei mai di sentirne il tintinnio allegro; adoro persino il fatto che abbia reso un’arte il mettermi in imbarazzo perché mi stimola, mi rende vigile, mi tiene con i piedi per terra pur stuzzicandomi. Ho notato che, in sua presenza, malgrado l’iper -attività della mia mente, trovo più facile non estraniarmi, non perdermi nei meandri dei miei pensieri e questo è buono, non solo perché riesco a godere di ciò che ho intorno, ma anche perché Tom non mi annoia, anche i nostri silenzi, imbarazzantissimi, non sono mai dovuti a mancanza di interesse, ma semplicemente al mio “autismo”, alla mia incapacità di interagire con il prossimo.
-“Hai già qualche idea?” Chiede, porgendomi il braccio con fare cavalleresco. Non mi  faccio ripetere due volte l’invito, che attorciglio il braccio attorno al suo, stringendomi contro il corpo: mi è più facile toccarlo, sentire il calore del suo corpo rispetto al parlargli o al guardarlo negli occhi, il che è paradossale.
-“Certo che sì!” Ti pare che vado in giro senza essermi pianificata anche i turni per andare al cesso!? Frugo nella borsa che, immancabilmente, contiene più cose di quella  di Mary Poppins, e, miracolosamente, riesco a trovare la mia lista con nomi, regali e indirizzi, sventolandogliela sotto il naso.
Tom la afferra e le dà un’occhiata: -“Oltre che psicotica sei anche ossessiva compulsiva”. Stronzo! E stronza io che non riesco mai a ribattere.
Gli assesto un colpo dolorosissimo alle costole, facendolo gemere di dolore, quindi colgo l’occasione per divincolarmi, ma, dannazione! E’ velocissimo. Mi riacciuffa con estrema facilità e mi stringe in un abbraccio soffocante: mi ritrovo con la faccia schiacciata contro il suo petto, un braccio a stringermi il capo mentre con l’altra mano mi scioglie i capelli, sfregandomi la testa con la nocca come si farebbe tra amici.
Certo! Già i capelli sono uno schifo, mettitici pure tu e abbiamo fatto tombola!
Mi lascia andare, tenendo nella mano sollevata il ferma capelli, e sorridendo con sguardo trionfante.
-“Perché voi uomini avete il feticismo per i capelli? Mi raperò!” Strillo esasperata, cercando di tenere come posso la crocchia.
-“Tu mi hai colpita e io mi prendo la rivincita. Avanti fammi vedere!” Dice allegro, giocando con me in modo dolcemente fastidioso; avvicina la mano libera verso la mia, applica una leggera pressione, sciogliendo la presa.
E’ inutile combattere. Mi abbasso scuotendo la chioma ribelle, quindi mi sollevo, cercando di dare volume ai capelli ancora un poco umidi.
-“Ecco, ora mi hai visto” Lo guardo negli occhi, questa volta non ho alcuna intenzione di cedere; vorrei rimanere arrabbiata, infastidita ma notando lo sguardo di adorazione negli occhi grandi e blu, vedendo le deliziose fossette sulle guance nel momento in cui sorride, non posso fare a meno di rimanere lusingata.
Fai tanto la Regina dei ghiacci e poi inizi a fare le fusa…
Non ricordarmi che sto per rimanere fregata un’altra volta.
Era ora.
-“Ridammi il fermaglio” Allungo la mano, guardandolo insistentemente.
-“Oh no, la tua versione da Simba è troppo bella! Facciamo così, te lo ridarò a fine giornata e tu mi permetterai di toccarteli di tanto in tanto” Dice afferrando un boccolo, attorcigliandolo intorno al suo indice.
-“Che razza di accordo è? Io che ne ricevo in cambio?” Odio che mi si tocchino i capelli e odio ancora di più il fatto che so non riuscirò a dirgli di no.
-“L’onore di essere toccata da me” Questa è buona! Ecco il lato da divo montato! Stavo solo aspettando l’arrivo di questo momento, il momento in cui tutte le mie fantasie vanno a puttane e arriva la realtà, la crudele realtà a rimettermi con i piedi per terra.
Non potevo pretendere che fosse il principe azzurro, lo sapevo, però ci ho sperato fino all’ultimo.
-“Montato!”
-“Violenta!”
-“Narcisista!”
-“Permalosa!”
Sarebbe stato sempre così? Insomma, ogni volta che qualcosa non ci sarebbe andata bene avremmo tirato fuori ogni nostro difetto, in un elenco infinito e inutile?
-“Pensi davvero che solo perché sono famoso, allora pretendo che gli altri mi considerino sopra tutti? Non giudicarmi, tu non mi conosci” Dice arrabbiato, deluso, questa volta seriamente ferito nel profondo. Come non pensarci? Come non pensare che forse ci soffre per tutta questa notorietà? Certo gli fa piacere, è un essere umano, ma questo non implica che gli piaccia essere etichettato.
Perché devi partire in quarta? Aspetta di accalappiarli prima di fargli vedere quanto tu possa essere irrimediabilmente un caso perso.
Per una volta la Cornacchia ha ragione. Vedete? Non ci riesco proprio, quando le persone mi piacciono veramente, quando so che, prima o poi, donerò loro tuta me stessa, sono presa da mille dubbi e paure e non riesco a razionalizzare, ad analizzare: penso a me, penso al fatto di non essere abbastanza, di aver preso un abbaglio colossale, cercando tutti i contro che mi impedirebbero di soffrire ma anche di vivere.
Ho paura.
Sono attratta da Tom e,per quanto io cerchi una storia leggera, so bene che tanto, alla fine, andrà come dovrà andare senza che io ci possa far nulla.
E quando mi sfuggono le cose dalle mani sono terrorizzata, mi blocco e addio!
Ha il capo chino, ma riesco a vedere la sua fronte corrucciata; si morde le labbra come per soffocare le parole che vorrebbe sputarmi contro, ferendomi come l’ho ferito io; ha le mani nelle tasche, ma vedo che le ha chiuse in un pugno.
Ho rovinato tutto come al solito?
-“Tom” Sussurro avvicinandomi a lui. Fa come se non mi avesse sentito, come se non esistessi. Mi faccio coraggio, gli afferro il viso con entrambe le mani sollevandomi in punta di piedi perché i nostri sguardi si incontrino; appoggio la fronte sulla sua, con gli occhi chiusi, lasciando che il suo profumo mi inebri e il calore della sua pelle bruci la mia.
-“Sono tremenda, mi dispiace” Apro gli occhi e lui volta leggermente il viso. Mi abbasso, continuando a osservare il suo profilo: la mascella squadrata conferisce al volto delicato un’andatura virile, il naso perfetto proietta giochi di luci e ombre, mentre gli occhi celesti si perdono lontano. Sembra una statua marmorea, ma è rigido e si mordicchia sensualmente le labbra sottili, così ben disegnate che spero si aprano in un sorriso: è uno spettacolo terrificante e al contempo mozzafiato, adesso più che mai sento come se di fronte a me non ci fosse Tom ma Loki, il dio degli Inganni che calcola, pensa, pondera se potrà sopportare l’idea di essere ingannato a sua volta da me, una piccola ragazza complicata che non sa cosa vuole da se stessa e dagli altri.
Trattengo il fiato.
Cerco di scorgere dentro di me i battibecchi delle mie controparti psichiche, ma tacciono, come se anche loro avessero bloccato il respiro, aspettando.
Tom abbassa lo sguardo verso di me senza cambiare la posizione del volto, teso, corrucciato, con il naso a formare un lieve ghigno; sospira, rassegnato, scuotendo il capo e, con gli occhi chiusi, si avvicina a me poggiando entrambe le mani sulle mie spalle con presa forte e salda: -“Lo sei, sei tremenda. Mi dispiace per come ho reagito, di solito riesco a dissimulare bene i miei stati d’animo. Con te non ci riesco, mi destabilizzi, mi spiazzi e ho il terrore che tu non mi capisca, che non capisca chi sono. Io voglio che tu veda il vero Tom, non l’apparenza di me”
-“Non ti scusare, colpa mia e del mio tatto da elefante in calore!” Dico sorridendo, cercando di portare la conversazione su un piano più leggero, meno personale.
Tom mi guarda e ride sonoramente, lavando via ogni traccia di quello che è stato prima. E’ tornato Tom, il solare gentile premuroso ragazzo che ho conosciuto e che mi è mancato tanto, anche se solo per pochi minuti di assenza.
Paga bella!
Si si, ti pago quello che vuoi Lolita! Questa pazza sclerotica mi ha fatto perdere dieci anni di vita.
Ehi, si torna adesso? Aspettavo un tuo insulto! E poi che vuol dire pagare?
Abbiamo scommesso, ovviamente Brunilde è la solita pessimista…
Brunilde?
Sì, la “Cornacchia”. Non sapevi si chiamasse così!?
No che non lo sapeva, questa schizzata maniaca preferisce insultarmi.
-“Si va?” Mi chiede Tom, ridestandomi dai miei colloqui con me stessa.
Sospiro sconsolata, che i giochi abbiano inizio e che la fortuna sia sempre in mio favore: preferirei dover partecipare agli Hunger Games piuttosto che affrontare un’orda di compratori compulsivi!
 
 
Se dovessi fare un bilancio dello shopping potrei anche sbilanciarmi verso un risultato positivo: in meno di tre ore avevo fatto tutti i regali (dilapidando inesorabilmente il mio conto in banca) e non sono schizzata neanche più di tanto…
A no?
No, ti ricordo che l’anno scorso ho buttato per terra un ragazzino e ho quasi picchiato una commessa.
E io ti ricordo che: hai fatto lo sgambetto a una perché stava per prendere la sciarpa colorata che volevi regalare a tua zia; hai dato una gomitata nell’occhio a un signore che, poveretto, ha osato per sbaglio darti una spinta; sei inciampata su un povero ragazzino perché ancora non hai imparato a guardare dove metti i piedi; infine, sei riuscita a urlare come un’aquila perché nel negozio di vinili nessuno ti dava retta.
Hai finito?
No, mi sono dimenticata di quando hai spinto Tom  facendolo sfracellare contro un muro perché alcuni bambini si erano fermati a chiedere un autografo.
Ok, è stato un disastro.
Tom e io siamo seduti al tavolino di un grazioso ristorante vicino a Covent Garden e lui, appena arrivati, ha chiesto del ghiaccio e due pastiglie di aspirina.
Prima o poi lo ucciderò, ne sono consapevole.
-“Stai bene?” Chiedo preoccupata, scostando il ghiaccio dal suo viso per osservare un livido violaceo che pian piano si stava palesando sulla guancia.
-“Sì, sono ancora vivo” Sorride incoraggiante.
-“Forse ti avrei dovuto avvertire che ho tendenze omicide quando vado in giro per fare spese”
“Oh, lo sapevo già, sono stato io a voler fare il temerario” Ride ma una punta di dolore gli deturpa il volto in una smorfia e io mi sento terribilmente in colpa.
Mi butto letteralmente sul tavolo, nascondendo il volto tra le braccia: sono sfinita, non so più cosa devo fare, davvero. Forse farei meglio a ritirarmi dal consorzio umano perché non riesco proprio a stare tra la gente, mi sento perennemente un pesce fuor d’acqua che arranca alla ricerca di un poco d’ossigeno.
Sento le lacrime agli occhi e un fastidioso groppo alla gola mi impedisce di respirare correttamente (stramaledettissime mestruazioni!).
A un tratto mi sento accarezzare i capelli, un tocco leggero, affettuoso, delicato; una sedia si muove, avverto un calore nuovo mentre qualcuno mi cinge le spalle. Sciolgo le mie braccia, ma non oso sollevarmi, mi limito a girare il viso, saldamente appoggiato al tavolo, per guardare un Tom con un sorriso appena accennato sul volto, gli occhi oceanici che mi guardano con tenerezza. Non è pietà, no, non lo è e questo, per la prima volta, mi porta a provare gratitudine, un sentimento nuovo, intenso che nessun uomo mai mi aveva suscitato: ma non è la gratitudine di chi ha fame di attenzione, di chi si sente talmente piccola e insignificante da accettare tutto, da subire tutto; no, è la gratitudine verso una persona che sa come prenderti, che ti accetta, che cerca di comprenderti per quello che sei. Ed è meraviglioso perdersi nel suo viso, nella naturale bellezza di una persona gentile e premurosa e,per un attimo, penso che mi andrebbe bene, penso che in fondo varrebbe la pena entrare, finalmente, nel mondo che ora non appare più così crudele e questo solo perché c’è lui, Tom, che si sta insinuando lentamente dentro di me. So che questo stato di grazia non durerà a lungo, però, non mi interessa, mi basta poter godere di un attimo di sereno ottimismo, mi basta cogliere l’attimo anche per poco.
-“A che pensi?” Mi chiede dolcemente, incrociando le braccia sul tavolo e posando il volto su di esse, in modo tale che i nostri visi siano vicini, in modo tale che l’uno si possa specchiare negli occhi dell’altra.
-“Che ho paura” Rispondo, incredula della mia temerarietà. Tom spalanca un poco gli occhi, quindi si avvicina a me, scoccandomi un bacio sul naso.
-“Cosa vuoi, Berenice?” Non sembra traumatizzato, non c’è l’ombra di una volontà di fuga né nel suo sguardo, né nel tono della voce; è sereno, come se anche lui provasse lo stesso, come se anche lui non riuscisse a capire.
-“Non lo so. Non l’ho mai saputo” Rispondo franca: -“Sono alla perenne ricerca di qualcosa, ma non riesco a capire cosa, né so dove cercare”.
-“Io vorrei…” Tom non riesce a finire la frase, perché un cameriere si è avvicinato a noi, interrompendo il primo vero contatto intimo che abbiamo mai avuto.
Ed è un peccato, perché sarei stata tanto curiosa di sapere cosa desiderava perché, per un momento, avrei voluto donargli qualsiasi cosa. Anche me stessa.
 
 
“I'm trying to remember
Why I was afraid
To be myself and let the
Covers fall away
I guess I never had someone like you
To help me, to help me fit
In my spirit”
 

E’ stata una giornata faticosa.
Neanche quando recito, a fine giornata, sono così stanco.
Siamo appena usciti dalla metro, Berenice mi è affianco, taciturna, trascinando le gambe per la stanchezza.
La guardo e penso che, malgrado prima o poi mi farà secco (timpani a parte, mi ha spiaccicato contro un muro e ora ho un livido enorme all’altezza dello zigomo), malgrado sia ancora confusa, con lei ci voglio provare.
Non voglio metterle fretta, non ho intenzione di gettarmi in una storia in cui non ci sia anche solo una parvenza di parità, ma qualunque cosa, se mai ci sarà qualcosa, vorrà da me l’accetterò: amici, amanti, tutto, anche per poco tempo, voglio viverla.
Il piccolo Lord che si innamora di una ribelle!
Innamorare, che parola grossa.
Uhm, chissà! Prima o poi…
Bernie mi intriga, mi stuzzica, mi eccita ma, parlare d’amore, mi sembra qualcosa di così lontano, se non addirittura assurdo.
E’ una sfida per me, un esperimento quasi per cercare  di vedere fino a che punto riuscirò a spingerla, a forzarla, ad attirarla a me.
Sono talmente stanco che penso che la prima cosa che farò tornato a casa sarà quella di gettarmi nel letto, interamente vestito, per dormire da qui fino a mezzogiorno di domani.
Eppure, quando ci fermiamo sotto casa sua, con il sole ormai sparito oltre l’orizzonte, non ho voglia di andar via, sento di non essere ancora pronto a lasciarla andare; Berenice non mi guarda, si limita a torturarsi le mani e a mordersi le labbra con quei deliziosi dentini davanti, un poco sporgenti che rendono le sue esse più sibilanti del normale.
Sto per parlare ma lei è più veloce: -“So che sarai stravolto, che ho tentato di ucciderti un milione di volte e che ti ho costretto ad accompagnarmi a quasi tutti i musei che questa città ha da offrire ma…insomma…ti va di rimanere a cena qui? Non ho molto a casa, però potremmo ordinare una pizza e vederci un film, giocare a carte, ubriacarci…no, ubriacarci meglio di no ma…”
-“Accetto volentieri” La zittisco, posandole un dito sulla piccola bocca di rosa e sorridendole dolcemente, un sorriso che, a quanto pare, sembra calmarla. Le deve essere servita tutta la sua forza di volontà per chiedermi quello che mi ha chiesto: era così nervosa che ha parlato a una velocità spaventosa, povera scimmietta.
Mi sorride sollevata quindi fruga nella borsa, così piena che sembra più grande di lei, e dopo un tempo infinito tira fuori le chiavi che solleva con fare vittorioso.
E’ simpatica e sa prendersi in giro.
Saliamo in ascensore, le porte si chiudono e il vecchio apparecchio prende la via della salita, lentamente, quasi a fatica.
-“Grazie di avermi portata al British Museum a vedere il Partenone” Dice con gli occhi che le luccicano per la commozione (si è messa a piangere quando l’ha visto).
-“Non c’è di che”
-“E grazie per avermi portato alla National Gallery e per avermi portato a fare un giro sul Tamigi e per…”
-“Ok, ok! Ora mi stai mettendo in imbarazzo…” Scherzo, tappandole la bocca: da quanto tempo era che Bernie non usciva veramente? Aveva detto che Londra le era mancata, durante la passeggiata non aveva fatto altro che guardarsi intorno sospirando con occhi sognanti. Ancora non ci crede di essere arrivata fin dove è arrivata; ha il terrore di poter perdere tutto da un momento all’altro…un po’ come me: non solo il lavoro che amo, ma anche me stesso.
Sarei un ipocrita, mentirei a me stesso se dicessi che la notorietà, la ricchezza e l’affetto che ricevo dal pubblico non mi piacciano, non mi facciano sentire come un privilegiato, eppure, neanche troppo infondo vorrei che le persone mi vedessero per come sono realmente, soprattutto quelle a cui tengo. Adoro essere riconosciuto, mi gratifica, ma cerco sempre di essere umile, di sorridere, di accontentare tutti perché io, nella vita di tutti i giorni, sono così ed è così che voglio essere ricordato.
E quando Bernie mi ha giudicato, definendomi un montato (cosa che di solito fa per stuzzicarmi, ma che in quel caso sembrava più che altro una constatazione), non sono riuscito a trattenermi, è stato più forte di me: per la prima volta ho pensato che non ne valesse la pena, che in realtà lei non fosse altro che una ragazzina strana, anche crudele, che giudica senza prima conoscere; ho sentito una delusione cocente, che mi premeva il petto. Ho tenuto gli occhi chiusi perché non potevo guardarla, non potevo credere di aver sbagliato sul suo conto, non ci volevo credere. Ma poi eccola a stupirmi nuovamente, alzandosi sulle punte dei piedi e toccandomi, accarezzandomi per consolarmi, per chiedermi scusa: un gesto che ha significato più di mille parole.
-“Perché? Mr Loki si imbarazza?” Chiede lei, uscendo dall’ascensore, guardandomi di sottecchi e ridendo maliziosa.
-“Uhm” Dico pensieroso, alzando gli occhi al cielo e portando, teatrale, una mano sotto al mento: -“No, in effetti no”.
Bernie mi guarda, con le braccia incrociate sotto al seno, con fare divertito e scettico allo stesso tempo.
Secondo me è meglio non provocarla.
Mi diverte…
Si divertirà più lei.
-“Vedremo” Ride sorniona, per poi correre sulle scale, scappando da me.
Infatti, alla piccolina piacciono le sfide. Vediamo se riesce a seminare un “gambe lunghe” come me.
Mi scapicollo anche io per le scale, sentendo la sua risata ancora un poco lontana, ma non c’è scampo: prima che possa aprire la porta, all’ultimo scalino, la afferro da dietro, stringendola dolcemente.
-“Ti ho presa” Le sussurro in un orecchio.
Non si dimena, anzi, butta giù i sacchetti, stringendo con le mani le mie braccia che le stringono la vita. Assaporo l’odore dei suoi capelli, mi beo del corpo che aderisce al mio e non posso non desiderare di voltarla, stringerla a me e baciare quella piccola bocca che sembra un bocciolo, per perdermi in lei.
Ti stai eccitando!?
Sono un uomo!
Sì, ma almeno fa in modo che non se ne accorga.
Cazzo!
La lascio andare, prima che si accorga della metamorfosi del mio corpo; si gira e mi dà un bacio lieve sulla guancia, vicinissima alla bocca: se Berenice non osa con le parole, lo fa decisamente con il corpo. Sembra che per lei sia più facile toccarmi che parlarmi e, devo ammetterlo, malgrado mi piaccia un rapporto in cui si dialoga molto, i suoi silenzi sono molto più invitanti perché il suo sguardo, i suoi movimenti dicono molto di più, esprimono genuinamente quello che lei prova o pensa; le parole la banalizzerebbero.
Entriamo in casa.
Bernie si accinge ad accendere le luci del salotto, del piccolo angolo cottura e del corridoio che conduce al bagno: sembra sia terrorizzata dall’idea di rimanere al buio. Si sposta al divano, fruga tra i cuscini quando, finalmente, trova il telecomando della televisione che accende prontamente.
La casa si riempie di suoni e parole che spezzano il silenzio che fino ad allora aveva imperato incontrastato.
Si è incantata di fronte allo schermo; la vedo mordersi il labbro inferiore, con occhi vuoti: mi appare fragile, impaurita e triste, estremamente triste.
Berenice si riscuote e punta gli occhi grandi e blu nei miei, sorridendomi malinconica: -“Mi spiace, riflesso incondizionato” Mi spiega, ammiccando all’apparecchio acceso: -“Vivere soli, certe volte, non è molto divertente soprattutto se vieni da una casa di pazzi scalmanati, con due cani che ti fanno le feste ogni volta che torni al nido. Non sopporto il silenzio”. Lo spegne sospirando.
Deve sentirsi veramente sola, non tanto per la mancanza della famiglia, quanto per la presenza di qualcuno che le sia veramente vicina. Ha cercato di colmare questa mancanza con il lavoro? Oppure si è ritrovata così per scelte sbagliate?
E’ meno forte di quanto voglia apparire, cerca di camuffare la sua debolezza con l’atteggiamento autoritario e freddo che spesso posso riconoscerle sul viso: come si può vivere così? Di maschere ne porto tante, so cosa vuol dire abbracciare una parte, farla tua, manipolarla ma io lo faccio per lavoro, lei ne ha fatto un’arte di vivere. Io esco dal set e torno me stesso, lei è come vivesse perennemente seguendo un copione che le va stretto, che ha fatto suo per paura, non per volontà.
Berenice rimane così, persa nei suoi pensieri e nella sua malinconia ancora per un poco, poi si volta verso di me e mi sorride gioiosa, come se non fosse accaduto nulla.
-“Sono le otto, direi che sarebbe meglio mettere qualcosa sotto i denti. Vedo cos’ho nel frigo, tu accomodati” Mi passa vicino e mi afferra la mano, distesa lungo il mio fianco, e la stringe un poco, ricambiata subito da me.
Levo il cappotto, appoggiandolo sul muretto che separa l’angolo cottura dal salone e la seguo, sedendomi a uno sgabello della piccola isola che funge da tavolo, guardandola aprire il frigo.
L’aria fredda mi avvolge, mentre rimango incantato a osservarla: si inginocchia, rovistando alla ricerca di qualcosa che possa assomigliare a del cibo; si alza mettendo una mano sul fianco, quindi chiude di scatto il frigo, con fare scocciato e si sposta alla dispensa, osservandola ancora più irritata di prima.
-“Qualcosa non va?” Chiedo premuroso, sentendo brontolare rumorosamente lo stomaco.
-“Sì, qualcosa non va. Maledetta me che mi dimentico sempre di fare la spesa” Si volta verso di me, mortificata. Povera piccola, è così dolce quando è imbarazzata. Allungo una mano, afferrando il suo polso, tirandola di fronte a me e cingendole i fianchi.
-“Pizza?” Chiedo sorridente.
-“Uhm” Fa pensierosa, sollevando gli occhi: -“Ok, è perfetto. Almeno non avvelenerò nessuno” Scherza, prendendosi in giro.
-“Ma come!? Sei italiana, dovresti essere una cuoca provetta”
“Nuova generazione, caro! Neanche mia madre cucina molto. Io mi diverto a sperimentare ma, molto spesso, combino delle vere e proprie schifezze. Papà è lo chef!” Mi spiega, allungandosi contro di me per prendere il cordless alle mie spalle: sentire il suo corpo morbido e caldo contro il mio mi fa venire i brividi; i suoi capelli mi solleticano il viso mentre il suo seno è pericolosamente provocante.
Saltale addosso e fanculo alla cena!
Cosa?
Hai capito bene! Saltale addosso e via…
Porco!
La faccio sedere sopra le mie gambe e appoggio il mento nell’incavo tra il collo e la clavicola; Bernie sposta i ricci in modo tale che non mi diano fastidio, iniziando a ordinare due pizze e due birre con fare da maestrina che mi fa eccitare ancora di più.
-“Venti minuti” Mi dice, sfiorandomi con le labbra lo zigomo.
Vorrei baciarla, vorrei farlo davvero ma qualcosa mi blocca: se è lei che fa la prima mossa non c’è problema, sembra a suo agio ed è tranquilla, ma, non so perché, ogni volta che sono io a prendere l’iniziativa si blocca, irrigidendosi. Non voglio fare nulla che la possa far fuggire perché si vede lontano un miglio che è confusa, non sa cosa fare e cerca di combattere contro chissà quali fisime.
So aspettare, non c’è fretta.
Ha il viso così pulito, delicato e innocente che sembra una bambina, una piccola ingenuotta caduta nelle mani di un lupo di mare; solo talvolta un’espressione furba e maliziosa le compare sul viso, quella espressione così dannatamente sexy a cui è difficile resistere. Sono attratto da lei, ma, talvolta, mi sento come se stessi assumendo il ruolo di angelo custode, un ruolo paterno quasi, che non voglio e che mi intimorisce…
Automaticamente mi scosto un poco da lei, facendomi indietro, mentre il viso di Bernie si rabbuia: mi guarda con fare interrogativo, lo sguardo che quasi mi prega di tornare da lei.
Se te la fossi sbattuta quando te l’avevo detto, adesso non ti guarderebbe così…
Oh, siamo inglesi, niente sesso!
Chi? Te? Ah, ti sei fatto fregare da due occhioni a calamita!
-“Ti va di andare sul divano? Così siamo più comodi” Bernie si alza, facendomi cenno di dirigermi verso il salottino, sorridendomi, un poco tirata.
L’ho ferita: l’azzurro delle sue iridi si è fatto grigio, il labbro le trema e la voce è un poco incrinata. Dannazione Berenice, è colpa tua! Perché devi essere così complicata!? Dio, io ti piaccio, tu mi piaci perché non la smetti di farti le paranoie? Perché mi doveva capitare una bisbetica!?
Capitare… se non la vuoi basta dirlo.
L’avevo detto infatti!
Non eri convinto. Smettila di fare l’adolescente!
Mi alzo e, senza degnarla di uno sguardo (la sento sospirare), vado al divano, sedendomi su un lato mentre l’altro viene immediatamente occupato da Bernie che si toglie le scarpe e si rannicchia con le ginocchia al petto, fissando il vuoto davanti a lei. Dal canto mio, inizio a guardarmi le mani senza proferire parola, ascoltando il suono del suo respiro agitato e del mio cuore che martella dolorosamente nel petto.
-“Ho fatto qualcosa di male?” Malgrado abbia sussurrato quelle parole, la sua voce giunge alle mie orecchie come grida disperate e mi spavento, saltando sul posto. Mi volto con una mano sul petto e gli occhi sbarrati, mentre lei se la ride con una mano a coprire la bocca e gli occhi socchiusi che mi guardano quasi di sfuggita: sembra una gattina ora, una gattina che vorrebbe tanto giocare e che mi attrae, come una calamita. Dov’è ora la bimba spaurita?
-“Che fai? Adesso vuoi uccidermi tu?” Mi distendo un poco sul divano, avvicinandomi a lei per afferrarle le caviglie; le mie mani stringono e la attiro a me, trascinandola per i piedi mentre lei si dimena, divertita, cercando (senza troppa convinzione) di liberarsi dalla mia presa.
-“Questo è un assalto, altro che” Sghignazza divertita e maliziosa. Le ringhio di rimando, sorridendo anche io, e ritrovandomela sotto di me, mentre la sovrasto tenendo ferme le sue mani sopra la testa. Ed è bella, così bella che vorrei perdermi in quei grandi occhi che sembrano zaffiri e che mi guardano, desiderosi che il tempo si fermi, come se non ci fosse più un domani.
 
ANGOLO dell’AUTRICE: Eccomi con un nuovo capitolo. Non ho molto da aggiungere a quanto detto prima e a quanto scrivo di solito. Vorrei ringraziare tutti i numerosissimi lettori della storia, nonché tutte le persone che hanno messo la mia ff tra “Preferite”, “Ricordate” e “Seguite” (me ne sono accorta tardi ma, come si dice, meglio tardi che mai): vorrei fare l’elenco ma siete parecchio numerose, vi basti sapere che vi sono immensamente grata e che mi avete fatto tanto felice e contenta. Un bacione e un saluto particolare a VampERY e elokid78  che non si stancano mai di commentare.
Vi auguro una buona lettura.
Clio
 
 
 
[1] Dalla canzone di Avril Lavigne da cui sono tratte anche le parole che separano i paragrafi.
[2] Dal film “A piedi nudi nel parco” con Robert Redford e Jane Fonda (1967).

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 3 - II parte ***


Capitolo 3 - II parte
Naked


“I never felt like this before
I'm naked
Around you
Does it show?
You see right through me
And I can't hide
I'm naked
Around you
And it feels so right”
 

E’ meraviglioso.
Ogni cosa è meravigliosa.
Guardo Tom che mi ha imprigionata sotto il suo corpo: il suo sorriso mi abbaglia. Adoro quando le sottili labbra si spalancano, donando alle guance magre delle dolci fossette che lo fanno sembrare un bambino; gli occhi sono ridenti ma, nello stesso tempo, mi appaiono umidi, languidi e mi guardano con desiderio, come se cercassero di penetrare la carne e di scendere giù, sempre più giù. I riccioli bronzei sono bagnati e aderiscono contro la fronte e il collo teso, umido e dannatamente lungo che, al solo guardarlo, mi dona brividi di un piacere bruciante, struggente.
Avverto il leggero peso del suo corpo contro il mio, causando una lieve pressione contro il basso addome che mi dona piacere, mentre il suo odore forte entra prepotentemente nelle narici e il calore della pelle brucia la mia, logorandomi come fosse fuoco.
Non mi ci vorrebbe nulla a stringere le mie gambe contro i fianchi asciutti; non mi costerebbe fatica inarcare la schiena per aderire meglio a lui; nulla mi potrebbe impedire di protendere il volto verso il suo e assaggiare, dopo tanto agognare, le sue labbra disegnate da mano d’artista e assaggiare il sapore della sua bocca, sentire la mia lingua vorace che cerca la sua.
Mi guarda.
Mi guarda intensamente.
Disperato, desideroso, confuso.
E lo sono anche io, anche io sono divorata esattamente come lui.
Le sue mani da pianista stringono dolcemente i miei polsi: mi volto per osservarle, per poterne cogliere ogni dettaglio e sfumatura, desiderando ardentemente che quelle dita lunghe e affusolate mi accarezzino, lambendo ogni parte di me.
So che non lo farà, lo sento nel profondo dell’anima, eppure so che è meglio così. Questo momento è così deliziosamente tremendo, come una tortura che dà piacere, che mi basta, ci basta anche così.
-Non hai fatto nulla di male- Sussurra, con voce roca, virile, suadente e inconsapevolmente provocante.
-Allora perché ti sei scostato?- Chiedo, desiderosa di sapere perché mi avesse strappato l’ossigeno, perché fosse fuggito dalla mia presa, spezzandomi quasi.
-Ho avuto paura- Risponde, avvicinandosi un poco al mio viso.
-Di cosa?-
-Di te perché non riesco a capirti; di me perché sento che sto per perdermi- Soffia nel mio orecchio, facendomi inarcare, non volendo, contro di lui: sto per mandare al diavolo tutti i propositi di attendere il momento giusto, di rimanere casta e pura fino a che non saremo pronti.
-E’ lo stesso per me…vorrei solo che ci conoscessimo- Gli confido. Non so nulla, non capisco nulla ma desidero ardentemente poterlo avere al mio fianco anche per un tempo breve, fugace ed evanescente. Non mi interessa come, né quando…
Voglio poter avere Tom, in un modo o nell’altro.
Solleva un poco il capo, osservandomi, penetrandomi con lo sguardo e improvvisamente mi sento nuda, priva di difese. E scopro, felicemente sorpresa, che va bene così. Con lui è facile abbandonare la mia maschera da dura, con lui è bello potersi abbandonare.
Sono nuda.
Completamente nuda.
Ma va bene così…
-Vuoi conoscermi? Lo vuoi davvero?- Mormora, diminuendo la distanza che separa le nostre bocche.
Annuisco vigorosamente, maliziosa, sentendomi finalmente donna, ancora una volta donna, dopo tanto tempo a giocare a fare la bambina.
Non proferisce parola ma continua a guardarmi, pieno di gioia, con il corpo teso, avvicinandosi sempre di più, sempre di più, sempre… di… più e…
DRIN, DRIN!
CAZZO!
MA PERCHE’ DEVONO SEMPRE ROMPERE LE PALLE NEI MOMENTI SBAGLIATI!?
Ha ragione Betta: ci vorrebbe proprio una bella pestilenza! Ci libererebbe di gran parte della popolazione inopportuna, rompi coglioni e molesta.
E quello ride! Sarà la mia faccia paonazza e il mio sguardo omicida…
Tom ride!
Beato lui!
Ahahahahahah
Che fai? Sghignazzi anche tu adesso?
Ti credo: dovresti vedere la tua faccia…
Sbuffo sonoramente mentre mi sollevo (contro voglia naturalmente) e mi dirigo, sbattendo i piedi, verso il citofono, non senza prima aver fatto la linguaccia a Tom.
-Sì?- Sibilo, cercando di controllarmi, in tanto Hiddleston continua a ridere, piegato in due. Bah, questi attori non li capirò mai.
-Pizza!- Dice il “molestatore” tutto contento. Sicuramente sorride e non sapete quanto vorrei togliergli a colpi di accetta quel sorriso dalla faccia.
-Ottavo piano- Comunico asciutta, sbattendogli il ricevitore in faccia.
-Ricordati che sta facendo solo il suo lavoro- Mi dice Tom gioviale, sorridendo ancora come un bambino dispettoso, ormai stravaccato sul divano con le gambe spalancate, il busto piegato e le mani dietro la testa.
-E tu ricordati che sono vendicativa. Attento a che non metta nella tua pizza qualcosa di velenoso- Ribatto stizzita, mentre il “Piccolo Lord” continua a ridersela sotto i baffi.
Apro mettendomi davanti all’ingresso, appoggiandomi allo stipite della porta con braccia e gambe incrociate e con uno sguardo più affilato della lama di un coltello.
E’ un adolescente quello che sale le scale a due a due. E’ un adolescente arzillo ed esagitanto, neanche si fosse fatto di anfetamina, quello che si fa avanti, temerario e sorridente, verso di me.
- Buona sera bella signorina!-  
Ti ha chiamata bella signorina…
Perché sempre questo tono sorpreso?[1]
Perché c’hai la faccia da Serial Killer!
Mi porge (ovviamente sempre con quel fastidiosissimo sorriso stampato in faccia) le pizze e una busta contenente due bottiglie di birra.
Praticamente gliele strappo di mano: -Quant’è?- Chiedo facendo in modo che il fastidio trapeli dalla mia voce.
-20 sterline, bella signorina!-  Se lo ridice un’altra volta giuro che lo castro.
Faccio per prendere il portafogli che Tom si palesa dietro le mie spalle: -Faccio io- Dice pacato, mentre tira fuori la banconota dal SUO di portafogli.
-E no caro! Sei mio ospite- Dico, spingendolo indietro con il mio corpo.
-Insisto- Continua lui, sorridendo beffardo.
-No-  Ribatto io, lanciando quasi i cartoni e la busta al ragazzino della pizza che, a quanto pare, si è imbambolato con la bocca aperta, tanto che rischia di non afferrare al volo pizze e birra.
-Già abbiamo diviso il pranzo, questo voglio pagarlo interamente-  
-Non sono indigente, caro il mio “Piccolo Lord”, ora levati!- Lo spingo con ancora più foga; strappo nuovamente la spesa dalle mani di quella ameba di ragazzino e gli metto in mano la MIA banconota; mi giro con le mani sui fianchi e guardo con aria vittoriosa Tom che sbuffa, un po’ esasperato, un po’ divertito.
-M-ma t-t-tu s-sei… Loki!-  Ah, era per questo che il fattorino sembrava essere stato colto da un colpo apoplettico!
Prima che Tom abbia il tempo per rispondere, intervengo: ci manca solo un altro autografo e un’altra foto, la mia pazienza non è eterna.
-No, non lo è. E’ un sosia- Dico e gli sbatto letteralmente la porta in faccia.
Sospiro, esausta, accasciandomi contro la porta e sono solo le risatine sommesse di Tom che mi distolgono dall’idea di accoltellare qualcuno.
-Che ti ridi?- Sbotto acida.
-Sei veramente uno spasso- Risponde, scoccandomi un bacio sulla fronte che ha il potere di tranquillizzarmi all’istante.
-Già, anche se devo confessare che ho escogitato mille modi per ucciderlo…-
-Oh, lo so bene. Ecco perché sei uno spasso- Dice, prendendo dalle mie mani la nostra cena e dirigendosi verso il divano.
E’ proprio un “Piccolo Lord”, dolce, carino e tanto premuroso ma, sopra ogni cosa, è tanto alla mano da decidere di cenare sul divano (cosa che adoro fare). In primo luogo mi ha evitato di apparecchiare e di fare una lavastoviglie e, in secondo luogo, ha reso molto più facile per entrambi la possibilità di toccarci.
-Vuoi vedere un film?- Chiedo, mentre cerco nei cassetti i tovaglioli e i bicchieri.
-Con molto piacere- .
 
-Nightmare before Christmas è un capolavoro- Mi dice, posando il suo bicchiere e alzandosi per aiutarmi a sparecchiare.
-Già, mia cugina e io ne andiamo pazze. Vederlo in inglese mi fa un po’ strano a dirla tutta- Gli dico, mentre ci laviamo le mani nel lavello della cucina.
-Immaginavo. Quando torni in Italia?- Mi chiede curioso.
-Il 24 mattina. In realtà sarei dovuta partire il 23 ma la cara mammina mi ha detto che non vuole gironzoli per casa mentre pulisce! Valla a capire- Dico sconsolata: mia madre e io non ci vediamo da mesi e tutte le madri darebbero un braccio perché i figli tornino a casa prima e per più tempo, ma non la mia. Prima mi dice che telefono poco, che le manco e non vede l’ora di rivedermi, poi, una volta a casa, non passano neanche tre giorni che mi chiede quando leverò le tende… Intendiamoci, non è che non mi voglia bene, anzi, sono la sua ragione di vita ma, mentre papà piange ogni volta che mi accompagna all’aeroporto, mia mamma riesce ad andare d’accordo con me solo a distanza: siamo come cane e gatto.
-Uhmmm, forse capisco da chi hai preso- Dice Tom, sorridendomi affettuoso.
-Esattamente- Faccio io, scoccandogli un piccolo bacio sulla guancia che lui sembra accettare volentieri.
-Vogliamo vedere un altro film? A meno che tu non sia stanca ovviamente- Chiede speranzoso, guardandomi come un piccolo cucciolo sperduto. In realtà sono stanca morta e vorrei sprofondare in letargo, rimanendoci almeno fino a lunedì ma, diciamola tutta, si tratta di Tom Hiddleston che ti chiede di poter stare ancora con te… con che coraggio dirgli di no?
-Ne sarei felice- Sorrido incoraggiante.
-Evvai- Batte le mani, con fare fanciullesco: -Che film vuoi vedere?-
-Questa volta è il tuo turno, scegli tu mentre vado a mettermi il pigiama- Gli dico, correndo verso le scale e sparendo dalla sua vista prima che possa dire alcunché e, soprattutto, prima che possa vedere le mie guance diventare rubizze.
 
Se non ho un pigiama è colpa tua!
Mia!?
Sì tua, sono tutti a lavare.
Ma non è che forse la colpa è tua che aspetti secoli prima di fare le lavatrici?
Dettagli.
Come ti pare… Lolita dalla regia mi dice che ci sarebbe un’ultima spes…
Cioè?
Dice quello blu petrolio.
Come!? Culottes e canottiera di seta?
Precisamente.
Sono fottuta. Sono irrimediabilmente  fottuta.
Quello è il completino da “prima volta a letto” e deve essere indossato rigorosamente al buio, onde evitare che le mie cosciotte un poco pingui si manifestino in tutta la loro morbidezza. Dannazione, così sembra che voglia provocarlo…
Ma tu vuoi e DEVI provocarlo.
Lolita!
Non c’è altra soluzione, devo indossarlo, cercando di renderlo il meno sexy possibile (ahimè, impresa alquanto ardua). Apro il cassetto e lo tiro fuori; mi spoglio e lo indosso; afferro dei calzettoni di lana grigi e uno spolverino sbrindellato dello stesso colore; mi strucco e mi lavo i denti nel piccolo bagnetto della mia camera; faccio un respiro profondo e mi avventuro, sperando ardentemente di non assomigliare a una balenottera spiaggiata.
-Va bene se vediamo Shining? Oppure hai paura e….wow-
Lo sapevo!
Tom si è girato e ora mi fissa con gli occhi spalancati, con la mano contenente il dvd a mezz’aria: allora sono davvero una balenottera!
-Mi spiace, è l’unico pigiama che mi è rimasto- Dico sconsolata, coprendomi con lo spolverino le cosce.
-Oh, n-non ti p-preoccupare…s-ta b-nissimo- Mugugna, deglutendo sonoramente.
Che? Che ha detto? Benissimo!? Io?
Wow lo dico io, altro che lui.
Avverto un piacevolissimo languore salire dalla pancia al viso e mi ritrovo a sorridere compiaciuta, avvicinandomi, osando in modo provocatorio.
Se è così, sei caduto nella rete mio “Piccolo Lord”.
-Shining andrà benissimo Tom, siediti sul divano prima che tu svenga. Ehi!- Mi dà una spintarella.
-Ne saresti felice, eh!?-
-Non ci contare troppo- Dico facendogli una smorfia e osservandolo ridacchiare mentre si appropinqua verso il divano.
Tu saresti felice, povero Tom!
Inizio a smanettare con quell’aggeggio infernale che chiamano dvd e, dopo quella che mi è sembrata un’eternità, riesco ad avviare il film. Mi giro, pregustando già la mio posto preferito per vedere la tv, quando non posso fare altro che trattenere un ringhio di frustrazione: Tom si è tolto le scarpe e ora se ne sta sdraiato proprio lì dove avrei voluto stendermi io.
-No, ciccio! Quello è il mio posto- Gli dico, piazzandomi di fronte allo schermo, così da impedire la visuale.
Si sporge, facendo finta di essere infastidito, e con una mano fa cenno di levarmi: -So che adori quando ti guardo ma, adesso come adesso, il film è moooolto più interessante-
-Ehi!- Gli lancio addosso uno dei cuscini poggiati sulla poltrona vicino al camino ma, data la mia pressione sotto i piedi, lo afferra con facilità, prendendosi beffe di me.
-Su, su permalosetta! Non te la prendere, c’è spazio per uno scricciolino come te- Dice, spostandosi un poco per lasciarmi un po’ di posto di fronte a lui.
-Io non mi sdraio così- Rispondo al suo invito, indicando con il volto il divano.
-Allora siediti per terra, perché io non mi sposterò- Si accomoda meglio sul divano, rilassandosi oltremodo, puntando su di me le meravigliose iridi verde-azzurro, aspettando di vedermi cedere.
Sbuffo sonoramente, alzando gli occhi al cielo e, battuta e vinta, mi dirigo con passo pesante al divano, dove un Tom raggiante mi attende con le braccia spalancate e un sorriso festoso.
-Salta su!-
-Devo spegnere le luci- Dico con l’intenzione di farlo penare ancora un poco, anche se, dall’espressione sul suo viso, sembra più divertito che altro.
Spengo gli interruttori, mentre la voce di Jack Nicholson mi entra prepotentemente nelle orecchie, facendomi rabbrividire: adoro il film ma certo non passerò alla storia per essere il “Riccardo Cuor di Leone” del XXI sec., quindi, direi letteralmente, mi fiondo tra le sue braccia, un poco impaurita, tanto che non ho il tempo né la testa per registrare il fatto di essere tra le braccia di Tom Hiddleston, che mi stringe, strofinando il suo profilo contro la mia criniera riccia.
-Sei una fifona- Mi sussurra scherzoso nell’orecchio, stringendomi con più forza.
Io mi accoccolo meglio contro il suo petto, strofinando i piedini l’uno contro l’altro e iniziando a fare le fusa (non per lui, devo essere sincera, ma quando mi sdraio su una superficie morbida, dopo una giornata pesante, non posso fare a meno di sentire le ossa e la testa che cantano i “Cori dell’Alleluia”).
-Tanto ci sei tu, no? Così se dovesse venire un mostro o l’uomo nero, ti immoleresti per me, dandomi il tempo di scappare- Dico, veramente seria, mentre Tom scoppia in una fragorosa risata che giunge alla mia materia grigia come una melodia d’angeli.
-Sei proprio una bambina- Fa lui, dandomi un bacio sulla nuca.
-A maggior ragione devi proteggermi- Mi giro in modo tale da poter osservare il suo viso che sta a pochi centimetri dal mio, mentre il suo corpo si adatta al mio movimento.
-Il televisore è dall’altra parte- Constata lui, con tono che tradisce un certo compiacimento.
-Lo so, ma tra poco ci sarà la scena con tanto tanto sangue e a me fa un poco schifo- Confesso, accoccolandomi contro il suo petto, lasciando che le sue braccia mi avvolgano completamente, quasi a formare una culla, una protezione in cui mi immergo felice.
- E’ quasi finita- Tom protende il collo oltre la mia testa a controllare l’andamento del film e mi parla teneramente, come un papà con la figlia. Devo dire sarebbe un ottimo padre, decisamente ottimo: è così dolce, premuroso… chissà con una bambina dai riccioli dorati e gli occhi grandi come i miei…
Cosa!?
Berenice, datti un contegno! Non c’è stato neanche un bacio e tu pensi già a mettere su famiglia!?
Scuoto impercettibilmente la testa, quindi guardo il collo lungo, teso, su cui riesco ad osservare i tendini e le ossa che creano ombre e contrasti su quella meraviglia. Mi sembra di essere una drogata che tenta una prova di resistenza, mentre di fronte a lei c’è una dose, molto invitante, che però non può assaggiare. Quanto vorrei poter baciare quella pelle chiara e liscia, quanto vorrei assaggiarla con il lingua, quanto vorrei poterla arrossare con dei piccoli morsi.
Non devo pensare: data la situazione penosa che si è venuta a creare nel mio intimo, direi che è meglio smettere di torturarmi e iniziare a godere del fatto di essere innocentemente abbracciata a lui.
- Puoi voltarti- Dice languidamente.
Faccio come vuole, onde evitare di avventarmi contro il suo collo, dicendo addio ai miei piani di conquista. Tom mi stringe ancora, attorcigliano le braccia sulle costole; io poggio una mano sopra la sua mentre con l’altra mi sorreggo la testa e, per la prima volta da quando è iniziato il film, mi decido a seguire seriamente la trama.
Sono rilassata: sento i muscoli assopirsi e un nuovo tipo di calore avvolgermi. Era da molto tempo che non avvertivo la serenità rischiararmi come una tenera alba, fresca, pungente ma tanto, tanto piacevole e suggestiva.
-Stai comodo?- Chiedo con voce impastata, sentendo i miei occhi pesanti, conscia che, di lì a poco, sarei sprofondata nel sonno.
-Comodissimo- Risponde con voce calda e virile contro i miei capelli.
E’ bello stare così, sdraiata, sentendo il tepore del suo corpo avvolgermi, avvertire così forte e vicina la sua presenza, una presenza non più costrittiva, prepotente, ma una presenza dolce, invitante in cui voglio assolutamente perdermi, annegarmi.
Non passa molto tempo perché accada: chiudo gli occhi e sospiro beata, lasciando tutto il mondo fuori ma portando con me, nei sogni, quell’uomo che conosco pochissimo, ma con cui è così facile essere me stessa.
 
“I'm naked
Oh oh yeah
Does it show?
Yeah, I'm naked
Oh oh, yeah yeah”

 
Mi sveglio con il suo profumo nelle narici. Non so che ore siano, non riesco a vedere nulla in questo buio quasi totale.
Il televisore è spento, ci sono solo i raggi lunari a illuminare la stanza, a illuminare lei, Berenice, che dorme beata tra le mie braccia.
E’ calda sulla mia pelle; è inerme contro il mio petto; è dolce perché ancora mi stringe a sé.
Non si è mossa, è rimasta nella stessa posizione in cui si è addormentata, probabilmente poco prima di me.
Non voglio alzarmi, non voglio sciogliere l’abbraccio perché so che sarebbe una sensazione penosa, dolorosa quasi, eppure so benissimo che è tempo di andare, che domani è un altro giorno, un altro giorno in cui, sicuramente, i dubbi avvolgeranno lei e me ancora una volta; non voglio essere presente di mattina, quando il sole sarà alto nel cielo, quando tutta la tenerezza e i sogni notturni scompariranno dal suo volto e dal mio.
Mi beo ancora un poco delle sue forme sinuose, della morbidezza del suo corpo in cui vorrei tuffarmi, come in un abisso che desidero scoprire, che desidero penetrare con tutto me stesso.
Si volta, supina, scostando le braccia, una delle quali cerca la mia mano, che afferra prontamente, mentre l’altra va sopra la sua testa a toccare lievemente la mia guancia: è uno spettacolo sublime. I riccioli ricadono scomposti sul volto, la bocca è un poco socchiusa, gli indumenti scivolano via, lasciandole la pelle della spalla scoperta.
Mi piacerebbe accarezzarla, toccarla e baciare ogni singolo centimetro scoperto di lei, ma mi trattengo: non ho cuore di svegliarla, voglio poter tornare a casa con questa immagine. Sembra una statua antica, di marmo bianco, finemente lavorata, plasmata dal nulla che è lì solo per me, quasi stesse attendendo di essere vivificata dal mio soffio, da un mio semplice gesto.
Con uno sforzo incredibile mi sollevo, dosando ogni singolo movimento per non disturbarla; mi alzo, finalmente, e la sento mormorare, mentre si sistema meglio sul divano, occupandolo interamente e girandosi con le gambe al petto, il capo nascosto nelle pieghe di stoffa.
Sorrido e mi infilo le scarpe alla svelta e afferro il cappotto.
Sono sveglio ed è tempo di andare.
Probabilmente sto per compiere una cosa di cui mi pentirò, ma va bene così: con lei voglio rischiare. Prendo uno dei miei biglietti dal portafoglio, prendo una delle tante penne sparse per la casa e scrivo un messaggio che spero le renderà il risveglio più piacevole. Mi avvicino a lei, poggio il cartoncino sul tavolino e mi abbasso sul corpo della ragazza addormentata.
Indugio su di lei ancora un poco, quindi le scosso un lieve bacio sullo zigomo.
Devo proprio andare.
La lascio ma, giunto a casa, togliendomi i vestiti non posso fare altro che affondare il viso in essi: il suo profumo è ancora lì, prepotente, che aleggia nell’aria, intrappolandomi.
E già attendo con ansia il giorno in cui ci rincontreremo, ancora una volta.
 
I'm so naked around you
And I can't hide
You're gonna see right through, baby

 
E’ l’alba quando mi sveglio, angosciata.
Non ricordo il sogno che ho fatto: so solo che inizialmente mi era sembrato essere il più bello che avessi mai fatto, ma poi sono giunte le tenebre e una sensazione soffocante di abbandono mi aveva avvolta.
Mi sollevo a sedere, strofinandomi gli occhi.
Tom se n’è andato e, a giudicare dalla temperatura del divano, deve essere stato almeno due ore fa. Mi rattristo e calde lacrime iniziano a scivolarmi lungo le guance arrossate e assonnate.
Avrei voluto rimanesse tutta la notte.
Giro la testa verso il tavolo, troppo scossa e stanca per comprendere a pieno la situazione, sento gli occhi pesanti e la testa annebbiata ma, qualcosa, attira la mia attenzione: c’è un bigliettino di carta, un bigliettino che prima non era presente.
Allungo la mano e, dopo averlo afferrato, rigiro il cartoncino più e più volte senza leggerlo.
Mi fermo e lo osservo: su di esso vi è il numero di cellulare, il numero di casa e la mail di Tom. Probabilmente è uno dei biglietti che lascia quando fa un provino o quando è a lavoro ma c’è qualcosa di più.
Lo volto e rimango piacevolmente sorpresa dalla grafia fluida ed elegante di Tom, leggo e un sorriso si dipinge sul mio volto.
Ora posso decisamente tornare a dormire.
Mi accoccolo meglio sul divano, tenendo saldamente tra le mie mani il bigliettino e così mi sembra che ci sia ancora lui accanto a me.
Voglio sognarlo, vediamo di accontentarmi almeno in questo!
E penso a lui mentre mi addormento e al dolce messaggio che mi ha regalato il più bello dei risvegli.
 
“E’ molto bello dormire con te: è come avere una gattina pronta a riscaldarti. Ti lascio tutti i miei recapiti, puoi chiamarmi e scrivermi quando ti pare, non aspetto altro che questo… Anche io voglio conoscerti, mi piacerebbe molto. Dolce notte Bernie, a presto”.
 
 
 
 Angolo dell'autrice: Mea culpa! Chiedo scusa per l'enorme ritardo, vi dico che sono appena tornata da un esame... Sarò brevissima perchè sono cotta e stracotta. Rinnovo i più sentiti ringraziamenti per chi legge, per chi ha messo la ff tra le seguite preferite ricordate e un bacione a coloro che commentano sempre, loro sanno (senza favoritismi ovviamente:). Grazie veramente di tutto, spero che anche questo capitolo non deluderà le aspettative. A presto
Clio
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Ron! E ho detto tutto J

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 4 ***


Capitolo 4
 
And we kissed
As
Though nothing could fall
 
 
Sono sveglia.
Sono le cinque di mattina e sono sveglia come un grillo.
Ci mancava solo la tesi di dottorato in questo casino cosmico che è la mia vita.
Cristo!
Se uno perde il lavoro si suppone che avrà più tempo, meno cose da fare, meno rogne di cui preoccuparsi… e invece no, figurarsi, quando mai; però, a un’attenta analisi della settimana, non posso assolutamente dire che sia stata tutta da buttare: i miei professori all’università mi hanno detto che, con molta probabilità, accetteranno la mia richiesta di continuare la ricerca filosofica presso di loro (per scrupolo preparerò dei curricula per altri atenei, non si sa mai) e il direttore della casa editrice (bravissimo datore di lavoro, non come quell’ altro, bleah!) è stato disponibile ad aumentare le mie ore di lavoro e a darmi mansioni di responsabilità nelle quali mi troverò nuovamente a lavorare in un team.
Non è male il lavoro collettivo ma, in questo caso, mi troverò a dover avere rapporti con gente di maggiore esperienza, con un capo sopra di me a dettare le regole del gioco e questo, come avete potuto constatare, è qualcosa per cui non ho una naturale inclinazione, però, come si dice, A caval Donato non si guarda in bocca o Chi si accontenta gode (ovviamente senza aggiungere il “così così”, altrimenti siamo da capo a dodici).
L’evento peggiore, ovviamente, è stato…
Il fatto che Tom non si sia fatto più sentire?
No, non quello.
No, Lolita, il fatto peggiore è che lei non ha ancora imparato a leggere.
In che senso Brunilde?
Nel senso che lui le ha scritto di “scrivergli o chiamarlo quando le pareva, che non aspetta(va) altro”…
Ah!
Dicevo… (cretine!)
L’evento peggiore è accaduto il lunedì mattina quando, entrata in redazione, ho visto la speranza scivolare via dai volti dei miei colleghi: a uno a uno, mentre spiegavo la situazione, le persone con cui avevo condiviso tre anni di vita perdevano la luce negli occhi, come se morissero.
Chi è che diceva che la speranza è l’ultima a morire?, beh, posso assicurare che quando muore, perché muore, lo fa con stile ma soprattutto con crudeltà (avevano ragione i Greci, del resto il vaso di Pandora conteneva tutti i mali… secondo una mia interpretazione la speranza è il peggiore).
Ci siamo messi subito a lavoro, senza pianti o recriminazioni, e io ho ricevuto un’altra lezione, la più importante: la dignità. La dignità di alzare la testa e andare avanti sempre e comunque;la dignità dei condannati che sanno di essere innocenti;la dignità di chi anche se se ne deve andare lo fa con eleganza e nobiltà.
L’ho imparata…
Chi, te? Bugiarda, perché non dici tutta la verità!?
Devo proprio, Brunilde?
Non ci provare bella, non funziona comunque…
Cornacchia maledetta!
Ok, ok… per essere proprio onesti sono rimasta a guardare perché, come dubitarne, la sbroccata della settimana me la sono fatta pure io: che avreste fatto voi se qualcuno vi avesse filmato nel mentre di una delle più colossali crisi isteriche mai avute e poi, non contento, avesse messo il video su YouTube!?
Ebbene sì, signore e signori, sono diventata famosa (altro che Tom Hiddleston)!
Come lo so dato che certi giorni non ho neanche il tempo per pisciare, figurarsi per connettermi a Internet? Oh, beh, se uno dei tuoi migliori amici (Rory) entra in una stanza dove tutti sono depressi e ride, ride, ride con le lacrime agli occhi e poi mette come suoneria telefonica “UN PORCO CAPITALISTA. SI’, LEI E’ UN PORCO CAPITALISTA CHE MANDA A PUTTANE LA VITA DEGLI ALTRI…”ecc. ecc. come fai a non accorgertene?
E mica l’ha voluta togliere! Pure gli altri tre disgraziati hanno trovato geniale l’idea! Ma come si fa?
Ho capito, ho capito… ovviamente non ve ne frega una sega della mia settimana e siete rimasti ad ascoltare solo per educazione o, molto più probabilmente, perché aspettavate il momento in cui, di mia sponte, vi avrei parlato di Tom “Piccolo Lord” Hiddleston.
Come avete potuto sentire, leggere, vedere e tutti gli altri sensi, non l’ho contattato né lui ha contattato me: potrei sparare una cazzata ossia il fatto che, impegnata con la tesi, non ho avuto tempo. Potrei, ma non lo farò (altrimenti chi se le sente quelle?).
No, il fatto è che la mia sicurezza se ne andata a puttane esattamente alle 10 di mattina di domenica scorsa: non so cosa voglio, non so cosa vuole, con lui mi sento vulnerabile e facilmente vittima di attacchi di follia e nevrosi e prima o poi o io uccido lui o lui uccide me.
Poi andiamo, insomma, mi sta anche un po’ sulle palle: tutto perfettino, sa sempre cosa dire e poi è permaloso, sì lo è!
Dillo che non sopporti il fatto che, per la prima volta in vita tua, hai trovato qualcuno che ti tiene testa.
Chi? Quello?
Oh, sì. Ha sempre l’ultima parola… non lo hai notato!? Miss sarcasmo ha perso la corona!
Cornacchia, prima o poi ti farò al forno.
Mi sento nuda con lui, i miei muri crollano come un castello di carta e non ho di che difendermi… con lui tutto accade senza che possa controllare alcunché.
La solita storia, ma è la storia della mia vita.
 
 
Ti è proprio andato in loop il cervello.
E’ colpa tua, mi hai spinto tu da quella scimmia pazza e isterica che, tra l’altro, non si è fatta neanche sentire.
Magari aspettava la tua mossa…
Cosa nel messaggio che le ho mandato non era chiaro? Io l’ho già fatta la mia mossa…
Non ricevo risposta. Silenzio assenso: evidentemente anche il mio “Genio della lampada” mi dà ragione.
Avverto nel petto un nodo inestricabile di sentimenti contraddittori: irritazione, delusione, tristezza ma anche tanta, tanta nostalgia verso Berenice che temo ma che mi attrae allo stesso tempo.
Perché non si è fatta sentire? Possibile che sia talmente schizzata da aver cambiato idea? Anche io ho dei dubbi, ma non per questo li fuggo: sono una persona curiosa, una persona che ama prendere di petto le cose, affrontarle e risolverle. Preferisco bruciarmi, piuttosto che avere rimpianti perché, se c’è una cosa che non sopporto, sono proprio i rimpianti, la desolante sensazione di non aver colto l’attimo, di essermi lasciato scivolare via un frammento di vita che non tornerà più. Amo la vita e amo viverla.
Malgrado le fisime mentali, malgrado l’indecisione sarei pronto ad accettare il rischio di una conoscenza, anche solo amicale (oddio, non è proprio l’obiettivo della mia vita ma passo dopo passo magari…), accettando le conseguenze della decisione.
Berenice ha paura di vivere, ecco cosa! Rinchiusa nel mondo che si è costruita ha il terrore sordo e tremendo di uscire e spiccare il volo. E’ un peccato perché una donna con quella profondità, con quella forza ha il diritto, ma soprattutto il dovere di spiegare le ali e volare in alto.
Sono incazzato e la odio. Sì, la odio con tutto me stesso!
Odiare che…
STA ZITTO, ROMPI PALLE, NON E’ ARIA.
O-ok…
Devo correre, devo uscire da lì e sfogarmi, ma, sopra ogni cosa, devo bere, devo decisamente bere.
Mi alzo dal letto e mi dirigo verso il piccolo divanetto dove, gettati scompostamente, giacciono i miei jeans; controllo le tasche ed eccolo il mio cellulare: lo tiro fuori e mando un messaggio a Luke.
 
Ho bisogno di andare a bere. Se hai qualche impegno disdici. Porta chi vuoi, puoi decidere dove andare ma non accetterò un no come risposta! E se provi a darmi buca non ci saranno luoghi in cui non ti troverò!
 
 
Sono le cinque di pomeriggio e il sole è ormai tramontato.
Dalla finestra penetra la luce dei lampioni che illumina sinistramente la mia postazione alla redazione di Umanitas, unendosi con la flebile luce della lampada.
Mi stiracchio sulla sedia, annoiata e depressa, osservando il solitario lasciato a metà sullo schermo del computer: forse avrei dovuto chiamare Tom o scrivergli un messaggio oppure inviargli un piccione viaggiatore (ma poi no come minchia facevano i piccioni a sapere dove andare? Mistero).
Rettifico: non solo mi sta sulle palle ma sto iniziando a odiarlo. Come diamine ha fatto a entrare così prepotentemente nei miei pensieri? Perché sono riuscita a sentirmi viva, veramente viva dopo almeno un anno, solo nei pochi momenti che ho passato con lui?
Possibile sia così debole che mi ci vuole una cottarella per riuscire a ritrovare il lato positivo della vita?
Forse perché sei un essere umano?
O forse perché è da mesi che non mi dai soddisfazioni? Ti prego, ho bisogno di qualcosa, almeno dei preliminari…
Dio, quanto sei fissata! Zitte tutt’e due!
- Darcy – Chiamo con tono sconsolato.
Dall’altra parte della barriera, Darcy solleva il collo e mi sorride entusiasta (ma dico io! Come fa a essere sempre così, così… FELICE. Odio le persone felici).
- Vuoi andare a bere vero? -
- Sì –
- Tutti e cinque insieme come facciamo di solito? –
- Esatto –
La vedo allungarsi verso il mio telefono e digitare qualche tasto; poco più in là sento il rumore di tre telefoni che squillano contemporaneamente. Darcy clicca sul tasto per il vivavoce ed ecco che anche Eliot, Megan e Rory si uniscono alla conversazione.
- Signori! L’eremita ha finito l’eremitaggio – Dice ridendo e lanciandomi un’occhiata divertita, cercando di rabbonirmi (ok, sono troppo permalosa).
- Meno male! Speriamo non piova – Esclama Rory.
- Piovere? – Chiede Megan, senza capire.
- Oh, Meggy cara! Come può non piovere se è Bernie che fa una proposta!? – Spiega Eliot, fingendo un tono distaccato e professionale, pur sapendo che sta sghignazzando come una iena ubriaca.
- Va bene, va bene. Avete finito!? Ci vediamo alle nove al solito pub e beviamo – Li interrompo, irritata.
- Agli ordini “pulcino capo” – Mi sollevo e vedo Rory che, sorridendo, mi fa il saluto militare. E’ proprio scemo eppure sentire nuovamente quel soprannome, che lui stesso mi aveva affibbiato nei primi mesi di conoscenza, mi dà un senso di calore: loro sono la mia pazza, squilibrata famiglia acquisita, che ci volete fare?
 
Ho invitato Rory a cena da me: mi dispiaceva costringerlo a tornare a casa sua, dall’altra parte della città, per poi dover tornare alla zona nord, dove c’è il nostro pub preferito (fortunatamente è vicino alla mia tana).
Siamo stravaccati sul divano, ognuno dei due occupandone un angolo, mangiando cinese con le bacchette, cosa che mi risulta assai ostica ma che viene estremamente naturale per il mio amico.
Guardiamo il pre-partita di un anticipo del campionato inglese di calcio, commentando le idiozie che i giornalisti sparano senza pietà (pensavo che l’uso inappropriato di vocaboli ricercati fosse prerogativa dei programmi italiani, ma mi sono dovuta ricredere),ridendo come due adolescenti. Il fatto che mi piaccia il calcio lo ha sempre affascinato e divertito, soprattutto perché la mia squadra di adozione è l’Arsenal la quale, guarda caso, è anche la sua preferita (Il film Febbre a 90 con il meraviglioso Colin Firth mi ha aiutato nella scelta, dato che l’Arsenal ha la cattiva abitudine di perdere punti preziosi quando non deve, esattamente come la Roma, quando ancora si poteva definire “squadra competitiva”, dato che adesso neanche si sforza di apparire tale). Ho trascorso innumerevoli sabati a seguire le partite in sua compagnia e non c’è stato mai un momento di imbarazzo, mai, neanche all’inizio: il legare ci è venuto naturale, l’uno completa l’altra senza secondi fini, trovandoci perfettamente a nostro agio e capendoci, molto spesso, senza bisogno di parole. La nostra amicizia è nata da un vivace scambio di battute, acide le mie e sarcastiche le sue, e, da allora in poi, ha continuato su questa via: ci prendiamo in giro, anche pesantemente a volte, ma a noi va bene così.
Lo sto osservando mentre mangia famelico e non posso fare a meno di pensare che sia uno splendido ragazzo: i capelli rossicci appaiono, sempre, elegantemente scomposti e volutamente ribelli; gli occhi sono di un verde bosco, tendente al nocciola e sempre ridenti, che ti guardano furbi e sfrontati sul viso lineare e maschile dalla fronte alta. Ma è il sorriso che affascina perché se vuoi capire cosa Rory pensi occorre osservare i movimenti delle labbra, come la bocca sfrontata si pieghi in un sorriso malizioso che lo accompagna spesso oppure come si pieghi in un’espressione melliflua, sorniona di cui si deve aver paura: questa, però, non è mai rivolta a noi, non è mai rivolta a me.
Darcy asserisce,convinta, che io gli piaccia e,con Megan, sta progettando (un progetto che dura anni!) il modo di farci mettere assieme dato che, come dicono, “sareste perfetti: siete due stronzi!”.
Siamo molto simili, abbiamo un feeling eccellente e ci piace il calcio ma non credo ci sarà mai qualcosa di altro: Rory ama le persone gioiose, adora conquistare per appagare il suo ego maschile e ha una vera e propria allergia per i legami stabili. Ma, sopra ogni cosa, non sta mai fermo con le mani: gesticola, da bravo affabulatore, tocca, fa scherzi e talvolta ti picchia anche. Insomma, è troppo “attivo” per i miei gusti e poi non ho intenzione di perdere un’amicizia per del sesso occasionale.
Come se tu ne facessi, di sesso…
Non con lui, l’ho già spiegato.
Il problema è che non lo fai con nessuno.
- Che palle! – Sbotto di colpo, lasciando che i miei pensieri diventino parole.
- Concordo, questa partita sta risultando soporifera ancor prima di iniziare – E’ vero che abbiamo un rapporto complice, ma Rory non è ancora riuscito del tutto a cogliere la mia pazzia, o la vera me. Ci capiamo sul momento, ma lui non riesce ad andare oltre l’attimo.
Meno male, almeno posso risparmiarmi l’imbarazzante racconto dei due “corvi” appollaiati sui miei lobi cerebrali, gracchiando commenti acidi e lascivi.
Mi guarda e ride: lo fa sempre.
- Prima o poi mi dovrai spiegare perché ti faccio tanto ridere, davvero, sono curiosa – Gli dico, fingendomi offesa.
- Non so se te lo dirò mai! E’ così divertente prenderti per il culo – Dice, mentre schiva prontamente il cuscino che gli ho appena tirato; me lo rilancia, colpendomi in pieno volto, facendomi imprecare divertita, iniziando una guerra di cuscinate da eguagliare, in quanto a infantilismo, i bambini di quattro anni.
La casa risuona delle nostre risate, delle grida della battaglia e dei nostri schiamazzi molesti e sembra come tornare indietro nel tempo, in un tempo mitico senza problemi e paranoie. E solo Rory riesce a farlo. Solo con Rory riesco a non pensare. Con lui è come tornare a quando ero adolescente, in Italia, con i miei amici di sempre che mi mancano da morire: ripenso a tutti i guai, alle litigate tremende tra Betta e me, ai battibecchi con Luca, alle confidenze con Edo, ai pettegolezzi con Ale. Dove siamo finiti tutti? Dove sono finita io?
Caccio via le nubi che affollano la mente, perché ora, lì, giocando con Rory non c’è spazio né tempo per la nostalgica malinconia: no, ci siamo lui e io, insieme ai sorrisi e alla voglia di non esserci, di non pensare.
Ma quando il pensiero di Tom mi balena nella mente, quando immagino che con me non ci sia il mio amico ma lui, il cuore si stringe e non posso non pensare a quanto sia stata scema a non averlo chiamato.
 
 
Il locale è gremito di gente, come se tutta Londra avesse deciso di andare a passare il venerdì sera in quel locale.
Sbuffo infastidita, togliendomi il cappottino blu e sistemandomi gli shorts, abbassandoli un poco (come se bastasse a coprirmi le cosciotte).
Osservo la sala in cerca degli altri tre che dovrebbero essere già arrivati, dato che Rory e io siamo puntualmente in ritardo, tanto per non smentirci mai.
- Non li vedo, chiamali – Dico, rivolgendo lo sguardo al mio amico che sta trafficando con il cellulare. A un tratto Rory inizia ad agitare l’apparecchio con uno sguardo frustrato e inviperito.
- Che c’è?-
- E’ bloccato, chiamami!- Risponde, in preda a un attacco di panico: ma perché certa gente se non ha il cellulare muore? Insomma, ma prima come facevano?
Sospiro rumorosamente, lanciandogli uno sguardo scocciato – Sei sempre il solito-
Compongo il numero e lo chiamo; non sento nulla, è come se fosse non ci fosse campo; ecco, inizia a squillare e…
UN MOMENTO!
Ma la sua suoneria non è…
“UN PORCO CAPITALISTA. SI’, LEI E’ UN PORCO CAPITALISTA CHE MANDA A PUTTANE LA VITA DEGLI ALTRI…” Quando mi rendo conto di quello che ho fatto è troppo tardi, perché tutti hanno già sentito: rimango inebetita, con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati, tenendo ancora il telefono in mano. Nel pub è calato il silenzio e sento gli occhi di tutti puntati su Rory e me… So di essere rossa in viso, anche se, in realtà, non dovrei essere imbarazzata perché nessuno può sapere che quella che sta urlando sono io, che quella è la mia voce.
Mi volto verso il mio amico che si sta placidamente sbellicando dalle risate: mi guarda e ride, mi guarda e ride. Chiudo la chiamata e gli assesto un dolorosissimo pugno nello stomaco, iniziando a sbraitare come un’ossessa…
- MA QUANTO PUOI ESSERE COGLIONE! TI DIVERTI TANTO EH!? IO STAVO CERCANDO DI SALVARTI IL CULO E TU MI SFOTTI!? SEI PROPRIO IL CAPOLINEA DI UNA GENERAZIONE.-
- Ihihih…oddio lo hai rifatto, ti prego, lo hai rifatto- Sghignazza Rory, guaendo ogni tanto per i colpi che gli ho inferto.
Esatto, l’ho rifatto, ho urlato di nuovo! E stanno ridendo tutti. Ma dico no, perché diamine devo fare sempre io queste figure barbine!? Insomma, non esiste una legge internazionale che ti impedisce di superare un tot di queste scene? Non so, anche un decretuccio piccolo piccolo che venga in mio soccorso? Se questo è il Karma nella mia vita passata devo essere stata terribile, una pazza o una terrorista.
Ma tu sei pazza e pure terrorista! Qualcuno lassù mi ha fregato alla grande: sul contratto non era previsto che finissi nella testa di una sclerotica misantropa e isterica. No, non c’era. Dovrei iniziare a scioperare.
Fallo, non vedo l’ora. Sai, è un diritto inalienabile…
Te piacerebbe!
L’unica nota positiva di tutto questo è che siamo riusciti a trovare gli altri, o meglio, loro hanno trovato noi.
Darcy si dimena come un’ossessa da un tavolo all’altro capo della sala, mentre Megan ed Eliot si dimenano come pesci fuor d’acqua, ridendo fino alle lacrime. Perfetto! Mi tocca fare pure la sfilata tra i tavoli, tanto che, quando mi siedo, mi sembra quasi di aver attraversato un palazzo in fiamme.
- Rory, sei un grande- Fa Eliot afferrando la mano di quell’altro deficiente.
- Lo so, lo so…- Rory si siede e mi dà uno scappellotto affettuoso dietro la nuca a cui rispondo con un’occhiata assassina.
- Bene, ora che ci siamo tutti, ordiniamo da bere- Dice Darcy, fischiando come un pastore per attirare l’attenzione di un cameriere che, titubante (appena si è accorto che c’ero io al tavolo è sbiancato), si avvicina per prendere l’ordinazione che è alquanto copiosa: cinque bicchierini di Rum, cinque di Vodka, cinque di Gin e cinque di Tequila (quelli non devono mancare mai, mai e poi mai).
- Allora, hai portato le carte Bernie?- Mi chiede Eliot, dopo essersi sfregato le mani con fare ingordo e impaziente.
Frugo nella borsa e prontamente tiro fuori le carte napoletane, poggiandole solennemente al centro del tavolo: una volta, quando Edo è venuto a Londra, lui e io abbiamo fatto una partita a tresette e così questi inglesi da strapazzo si sono talmente fomentati che mi hanno chiesto di insegnargli a giocare; da allora sono stati istituiti dei tornei i quali finiscono, tutti, immancabilmente, con noi, ubriachi fradici, che barcolliamo fuori dal locale cantando e gridando. Ma come si fa!?
- Bene, allora facciamo Rory e Bernie, Darcy e io e poi a turno entra Megan- Continua Eliot, mischiando le carte con fare professionale.
- Io passo- Dice Megan, sorridendo colpevole.
- Buuu- Fa Rory, abbassando il pollice.
- Perché? Su su fai uno strappo alla regola- La prega Darcy, prendendole le mani.
- Ho litigato con Angy, quindi non potrò restare molto: appena stacca dal lavoro la raggiungo e cerchiamo di chiarire- Spiega Meg con sguardo sconsolato e stanco: quelle due litigano davvero troppo e sempre per dei no nulla. Oddio, è vero che Megan è una delle persone più disordinate e svagate della terra (addirittura peggio di me!), mentre Angy è l’esatto opposto però, dopo due anni che stanno insieme, avrebbero dovuto imparare a trovare un compromesso, un punto di incontro.
Certo! Come fai tu, no?
Che c’entro io scusa…
“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Ma guarda! Una cornacchia evangelica!
-Ok, ok. Megan avrà una penalità! Adesso giochiamo!- Taglia corto Eliot, venendo in soccorso dell’amica: sono molto uniti, sarà che si conoscono praticamente da sempre ma lui ha un modo di fare molto protettivo, persino dolce (ed Eliot non lo è) con lei. Che ne sia innamorato!? Ma che dico? Mannaggia a Darcy e alla sua “AgenziaMatrimonialeCheFinisceSempreConIlFareLitigareLaGente”!
 
Arriva l’alcol.
Primo giro di shottini per tutti.
Si inizia a giocare: che vinca il migliore.
No, che vinca il più fortunato perché Darcy accusa immediatamente: Napoli a denara e, dal sorriso furbo di Eliot, posso osare immaginare che, grazie a lui, è anche continuata. Perfetto! Vaffanculo alla denara.
Ma certo Rory! Bravo, esci proprio con l’unico seme di cui non ho una carta e in cui loro sono praticamente invincibili.
- Dimmi, sei deficiente?- Sbotto acida: odio perdere, con tutta me stessa.
- Ho una tattica- Mi dice serio in volto e concentrato.
Si la tattica di metterti a pecora di tua sponte!
Cornacchia, mi sorprendi…
Sta zitta e cerca di perdere onorevolmente.
Certo, cerco di perdere con onore ma se poi il punteggio è nove a due per loro vaffanculo all’onorabilità e inizio a sbraitare!
-Ti prego Rory, illuminami sul perché sei uscito a denara…-
-Bo! Era tutto così brillante!-
Gli assesto un calcio sullo stinco e lui si fa uscire uno stridulo suono di dolore.
 
Secondo giro di bevuta e si gioca di nuovo.
-Facciamo che chi perde paga un altro giro di alcol- Eliot e le sue penitenze!
Iniziamo e busso! Un tre due di merda ma meglio di nulla, ce la possiamo giocare se quel coglione di Rory fa come cerco di indurlo a fare.
Certo con due bicchierini di tequila per me e due di rum per lui non è molto facile, ma tentar non nuoce. Io sono ancora in me.
Il tre è uscito, ma l’asso no: -Voglio l’asso!- Dico, battendo il pugno sul tavolo.
Qualcuno dovrebbe “volare” in quel seme e spero vivamente che sia il mio fedele compagno.
Eccolo che tira…un dieci! Un dieci!
- Rory, dimmi che era l’unica-
- No, ho pensato di giocarmi l’altra dopo!-
Ok, è proprio tardo!
- No, scusate! Non posso giocare con uno così. “Mando a monte”-
- Non puoi. Su, mica si deve giocare sempre per vincere- Dice brilla e sorridente Darcy che sorride placidamente.
- Questo lo dici tu!- Ribatto, attendendo la prossima mossa.
Ultimo giro.
Ce la possiamo ancora fare.
Tipregotipregotiprego…
Vincono loro, ancora.
-Rory, sei già brillo?- Chiedo incupita.
-No, tu?- Mi guarda e ride con le guance arrossate. Non c’è nulla da ridere: ti pare che perdo a un gioco italiano che io ho insegnato loro e a cui non ho mai perso in modo tanto schifoso e sfacciato!?
Intanto intorno a noi si è venuto a creare un circolo di curiosi, tra cui riesco anche a udire qualche vocabolo di italiano (sono stati per lo più insulti, anche se mi pare di aver udito uno che mi ha chiesto il numero…ho fatto finta di essere inglese, ovviamente).
 
E’ Darcy a dare le carte.
Questa partita è persa in partenza, perché lei ha una fortuna sfacciata e ogni volta che è il suo turno di svolgere questo pallosissimo compito ecco che, anche se sta per perdere, anche se tutto sembra perduto, improvvisamente, per divina concessione o più semplicemente per enorme botta di culo, vince. Vince e poi fa un fastidiosissimo sorrisino innocente, come se si discolpasse ed è così, o almeno, una persona normale e oggettiva lo interpreterebbe così ma non una che, come me, è competitiva e terribilmente incazzosa quando perde.
Guardo Rory, brillo più che mai al terzo bicchierino, che strascica le parole, guardandomi furbo, malizioso. Ti prego Rory, già stiamo perdendo, non provare a pronunciare quella fr…
-Dai Bernie! Questa la vinciamo!- L’ha detto. Adesso non solo è fatalmente certo, lo è anche matematicamente (fato e scienza, connubio inoppugnabile).
- Ahah Bernie, mi sa che il conto sarà salato- Mi sfotte Eliot, controllando le carte cercando di rimanere serio nella sua espressione che, immancabilmente, assume una piega alquanto ridicola.
Se l’alcol mi venisse in soccorso sarebbe cosa buona e giusta ma, ahimè, non funziona: invece di ridere come un’idiota, mi sento prudere la pelle tanto da farmi venire l’impulso di scarnificarmi per la rabbia.
Questo perché l’ultima volta che avete giocato avevi un uomo, o meglio uno scopamico!
Non eri in astinenza. Se sei in astinenza non giocare.
E togliermi uno dei piaceri della vita? No, grazie.
Mi accingo a fare le mia mossa, osservando le carte attenta: non sono così male, forse possiamo sfangarla…
 
Eh, no! Due partite e due bicchierini dopo, Rory e io avevamo perso in maniera plateale mentre Eliot e Darcy iniziavano a fare un balletto di vittoria, ridicolo e irritante.
- Bernie! La tua faccia è buffissima.- Mi dice Megan, scoccandomi un bacio sulla guancia. La guardo, sorridendo leggermente, mentre quella si alza.
- Dove vai?- Chiedo, disperata: ahia, sbronza triste!
- Cenerentola deve tornare a casa… Ma non preoccuparti, ci siamo noi topini con te- Sghignazza Darcy, cingendomi le spalle.
-Questo non mi consola…mi tocca pagare…- Biascico, guardando Rory che a stento si regge in piedi. Non siamo più abituati a bere, questo è un dato di fatto.
E siamo talmente stanchi e depressi (l’ho attaccata io la depressione!) che, una volta salutata Megan, ordiniamo un amaro che sorseggiamo accasciati contro le sedie, con facce da funerale.
- Sono stupida, stupida, stupida!-
-Bernie, non lo so l’italiano- Dice Eliot scocciato.
- Appunto parlo in italiano, così nessuno capisce…voglio mamma!-
-Può essere che ha detto voglio mamma!?-
-Sì, lo credo anche io- Fa Darcy, scolandosi le ultime gocce di liquore e alzandosi, mani ai fianchi e sguardo di rimprovero.
- Beh! Morti di sonno, c’è la musica e io vado a ballare. Sì, a ballare e…- Se ne va, continuando a blaterare qualcosa che non comprendo, spostandosi verso la zona con le luci psichedeliche e perdendosi tra la folla.
-Dobbiamo seguirla, vero!?- Chiedo affranta, sapendo già la risposta: ballare, non sono abbastanza ubriaca per ballare… non è vero, lo sono!
Ci alziamo tutti e tre, dirigendoci nella stessa direzione di Darcy, buttandoci nella mischia.
Il ritmo della musica è veloce, incalzante e psichedelica: sono completamente immersa nei fumi del liquore, avverto l’energico torpore del nulla, dell’oblio e, senza accorgermene, inizio a muovere il corpo che sembra vivere di vita propria. Da qualche parte, nella nebbia che avvolge la mente, sento la presenza della mia coscienza, è lontana, troppo lontana pur essendoci pesante e viva, ma il corpo si muove e decido di essere corpo e non più anima. Io non ci sono, c’è, invece, un’ altra parte di me, c’è il mio istinto che guida ed è guidato dai movimenti.
Ho gli occhi chiusi ma sento il tocco di qualcuno che mi afferra.
Mi volto verso lo sconosciuto: è Rory che sorride e si dimena, seguendo i miei passi.
Fa lo scemo, balla e ride in maniera sguaiata e lo imito, perché penso sia divertente, liberatorio. Siamo speculari, non distogliamo lo sguardo, guidandoci e lasciandoci guidare l’uno dall’altro.
Mi sento in trance, fuori e dentro il corpo nello stesso istante, ed è bello anestetizzarsi, lasciarsi annichilire dall’alcol. Ogni cosa gira vorticosamente, compresa me stessa perché sono nel vortice, sono il vortice che racchiude tutto.
Ecco che vengono anche Eliot e Darcy.
Vado verso la mia amica e ballo con lei, questa volta in modo più sensuale e provocante, facendoci beffe della morale, di ogni cosa: non c’è nulla di malizioso, ridiamo e giochiamo.
Sento caldo e mi tolgo la felpa.
Mi sciolgo i capelli sudati e mi muovo, perché ogni cosa è moto.
Il ritmo è sempre più veloce, lo seguo quasi cercando di raggiungerlo, inebriata e posseduta da un qualcosa più forte di me.
Ci siamo solo noi quattro, non mi curo delle mani che cercano di afferrarmi né dei corpi che vorrebbero congiungersi con il mio: lasciatemi sola! Voglio essere sola in questo nulla!
La speranza è vana; Eliot mi afferra per una spalla e mi circonda, avvicinando il suo viso al mio orecchio.
- Penitenza per te- Urla, ma il suono è lieve, ovattato.
- Devo offrirvi da bere, lo so-
Eliot scuote la testa e indica con il viso un punto lontano. Rory e Darcy si avvicinano, seguendo lo sguardo del nostro amico.
-Oddio! Non può essere- Squittisce Darcy, portandosi le mani alla bocca e ridendo eccitata.
- Vuol dire che tocca solo a me pagare?- Chiede Rory, voltandosi verso di me e ridendo.
Ma non li sento. Non sento nulla. So qual è la mia penitenza.
La luce intermittente ne illumina il viso per un istante, poi lo getta nel buio in un processo sempre uguale.
Balla.
Ride.
Si muove bene tra la folla che lo ha circondato, adorandolo.
Ed è dannatamente bello in questo inferno di corpi, lui che è diventato il mio contrappasso.
- Vai e chiedigli di ballare- Ordina categorico Eliot.
Se sapesse…
Se solo sapesse non oserebbe chiedermelo.
Devo andare, non posso assolutamente esimermi dal farlo: è la mia punizione e nessuno può sfuggire al proprio destino.
Vorrei poter dire che è il mio corpo a guidarmi verso di lui, ma mentirei e in questo momento non posso, non riesco a mentire, neanche a me stessa. Lo voglio, lo pretendo: desidero le sue mani sui fianchi, desidero avvertire il calore del suo corpo contro il mio, desidero che le nostre pelli sudate si incontrino per fonderci.
Mi muovo tra la folla che si spiega ai miei piedi come le acque del Mar Rosso e sono vicinissima, lo posso vedere e so che, da un momento all’altro lui farà lo stesso… perché sono una calamita per lui come lui lo è per me.
Non lo fa, o forse non mi sono accorta dello sguardo veloce, attento e segreto con cui segue ogni mio passo, ogni mio avanzare verso di lui.
Forse non avrei dovuto bere perché non riesco a pensare, non riesco a fare altro se non ad assecondare i miei istinti animali, la mia voluttà di averlo e di lasciarmi avere.
Gli sono quasi di fronte. E’ circondato da una schiera di ragazze che vorrebbero danzare con lui; una, più sfrontata delle altre, si fa largo tra il branco e, prepotente, invade il suo, mio, spazio toccandolo, sovrastandolo. Lui sorride, lasciandosi andare e un moto di rabbia e gelosia feroce mi invade, soffocandomi, schiacciandomi il petto come un macigno: non posso sopportarlo.
Mi avvicino ancora, spostando e spingendo bruscamente il resto del mondo, lacerando e facendo franare il muro umano che mi separa da lui il quale, probabilmente chiamato da qualcuno, si distrae volgendo lo sguardo, staccandosi da quella puttanella usurpatrice che ha invaso il mio territorio.
Le afferro la spalla, strattonandola bruscamente e spingendola indietro:
- Che cazzo vuoi!?- Mi urla, con sguardo bestiale, liberandosi bruscamente dalla presa.
- Mi spiace- Dico ridendo crudele, afferrandola di nuovo e spingendola lontana- Ho perso una scommessa!- Occupo il suo posto nell’istante stesso in cui Tom si gira.
Ride felice e compiaciuto.
Non mi tocca, si limita a guardarmi intensamente, uno sguardo che vale più di mille abbracci.
Mi avvicino ancora un poco e lui fa lo stesso, cingendomi i fianchi e avvicinando le labbra al mio orecchio: - Mi chiedevo quando ti saresti accorta di me- Un brivido mi percorre la schiena.
 
 
Una settimana.
Una settimana è passata da quando ho potuto stringerla tra le mie braccia e ora è qui, davanti a me, brilla e con gli occhi lucidi che aderisce perfettamente al mio corpo, causandomi scariche di profondo piacere.
Non ci curiamo della musica, veloce e ritmata, i nostri movimenti sono lenti e misurati; ci tocchiamo, assaggiamo i nostri corpi con le mani come a conoscerci, come a sondare il terreno su cui ci riposeremo, su cui ci fermeremo tirando un sospiro di sollievo.
Ha i capelli ricci scompigliati, gonfi e mi sembra come avere tra le braccia una menade danzante, una creatura selvaggia pronta a divorarmi; la camicia a scacchi è aperta, una manica è scivolata, lasciandole scoperta la spalla: ha delle spalle bellissime, proporzionate e invitanti che vorrei baciare. Non posso farne a meno, la avvicino ancora di più, abbasso il capo e sfioro dolcemente con le labbra la pelle nuda della clavicola, mentre la tengo ferma con una mano salda sulla schiena che Bernie inarca prontamente, emettendo un lieve gemito.
E’ bellissima e decisamente molto invitante.
Dal mio canto, dimentico tutta l’acredine e la frustrazione di questa settimana, tutto l’astio provato mentre la vedevo entrare nel locale (con un altro su cui dovrò indagare assolutamente), riuscendo finalmente a ridere, a sorridere di lei e della sua alquanto rumorosa entrata.
Rido e lei si scosta un poco, osservandomi con fare interrogativo.
- Sediamoci- Le dico, afferrandole la mano e scortandola fino al mio tavolo, ora vuoto. Da quella postazione la musica arriva un poco più lieve, quasi di sottofondo e questo ci permette di parlare, di guardarci senza interruzioni, senza distrazioni.
Berenice quasi si accascia, il trucco sugli occhi le è un po’ colato ma non importa perché le chiazze purpuree sulle guance le donano l’aria sensuale e languida di chi ha appena fatto l’amore. E’ così donna ora, forte e dolce allo stesso tempo, presente ma anche persa, irrimediabilmente persa e vulnerabile. Fa per tirarsi su la camicia ma, prontamente, le blocco la mano afferrando il polso; mi guarda e poi guarda la mia mano, ma non accenna a fuggire dalla presa, anzi, sembra che le piaccia perché sorride maliziosa, senza volgere lo sguardo su di me e io oso: la tiro in modo tale che possa sedersi vicino a me e lei obbedisce remissiva, sino a trovarsi con le mani sul mio petto mentre con un braccio le cingo i fianchi.
- Ho perso una partita a carte- Biascica, sorridendomi allegra.
- Davvero?- Chiedo avvicinando il viso al suo collo, assaggiandone il profumo.
- Sì, tu sei la mia penitenza- Confessa, arrossendo, sentendola fare le fusa mentre il mio naso accarezza la pelle sudata.
- Sono una penitenza per te?- Le soffio facendola sospirare. Muove il braccio dietro la mia nuca, quindi passa la piccola mano tra i miei ricci, afferrandoli e tirandoli leggermente. Dio, mi vuole morto!
- No, sei una tortura- Lo sussurra talmente piano che faccio fatica a sentirla ma mi basta, mi basta questo.
Siamo entrambi brilli e, per la prima volta in una circostanza del genere, penso sia un bene, sì, assolutamente un bene perché è più facile per entrambi non farci prendere dalle ansie e dalle paranoie; è più facile tentare, osare e toccarci e adoro il modo in cui lo fa, titubante ma salda, timida ma sicura.
Con la mano ancora ancorata ai miei capelli, mi avvicina in modo tale che le nostre fronti si tocchino e io mi lascio guidare, obbedendo ai suoi movimenti, godendo del calore che emana, come se fossi avvolto dalle fiamme. Tiene gli occhi chiusi, ispira profondamente e sposta una mano sul collo mentre con le dita dell’altra inizia a tracciare disegni invisibili sulla pelle della mia guancia…
Fa caldo, non trovi!?
Caldissimo…
Fattela!
Cristo, ma perché devi sempre rovinare tutto?
Non sono io! Sono solo un portavoce…
- Sono ubriaca- Constata placidamente, schiudendo gli occhi, continuando a guardarmi come una gattina maliziosa: e io sono eccitato Bernie! Maledetta…
- Sono ubriaca e tu te ne stai approfittando…- Non quanto vorrei, cara Berenice, non quanto vorrei…
- In vino veritas- La incoraggio, sporgendomi verso le sue labbra, sfiorandole appena con le mie e andrei sino in fondo se lei non si scostasse un poco, poggiando l’indice sulla mia bocca, ridendo compiaciuta.
- Sai che mi ricorderò ogni cosa, vero? Loki di Asgard che si invaghisce di una Midgardiana pazza… ahah… non lo trovi buffo? Io lo trovo buffo!- Ride e mi prende in giro, stuzzicandomi con lievi baci umidi sulla fronte, sul naso, sulle guance, vicino alle labbra, pericolosamente vicino alle labbra. Si allontana di nuovo e io mi lascio sfuggire un sospiro frustrato e infastidito, chiudo gli occhi, tentando di raccogliere tutto quello che rimane del mio autocontrollo per impedirmi di afferrarla violentemente, rapirla e sbatterla tutta la notte in bagno, in macchina, su un letto, dove capita.
Berenice deve aver capito perché ride dispettosa e si accosta di nuovo, questa volta verso il collo che inizia a stuzzicare…
Oddio! Dov’è finita la bambina frigida!? Dov’è finita la donna violenta e crudele che ha tentato di uccidermi più di una volta!?
La sua è una piacevole, tremenda tortura di cui si compiace, sadica, perché sa benissimo lo sforzo immane che sto compiendo, lo sa e ne gode, ne gode terribilmente: ogni volta che tento di girare il viso per poter bearmi anche io di lei, mi afferra il mento e lo volta, mantenendolo fermo con presa salda.
Inizia dalla base del collo: bacia la pelle con la bocca un poco aperta risalendo verso il profilo della mascella, quindi scende nuovamente, questa volta usando la lingua mentre una scarica di elettricità mi pervade il corpo; non è contenta perché ora inizia a usare i dentini, concedendomi dei lievi morsi che mi annebbiano la vista.
Non ce la faccio più, ma non oso muovermi: stiamo ancora giocando.
Poi arriva all’orecchio e allora cedo.
Mi scosto bruscamente, preda di una brama di lei che non pensavo avrei mai potuto provare, sorprendendola tanto che rimane interdetta con la piccola bocca dischiusa e le mani che prima mi contenevano a mezz’aria; le afferro i ricci scompigliati e stringo, facendole inarcare il collo…
Ride, adoro quella risata colpevole ed eccitata.
- Non sei leale- La mia voce è bassa, roca; ho la gola in fiamme.
- Mai detto di volerlo essere- Dice, sciogliendosi dalla mia presa e guardandomi con aria di sfida. Vuoi giocare, bambina? Giochiamo…
- Non eri tu quella sotto penitenza?- Chiedo, avvicinandomi nuovamente, con il viso a pochi centimetri dal suo.
- Chissà, forse ho mentito. Pensavo fossi tu quello bravo a recitare…- Siamo talmente vicini che basterebbe un leggero movimento per incontrarci e so, dallo sguardo serio e profondo di lei, che lo desidera ardentemente quanto me, che presto accadrà, accadrà quello che entrambi vogliamo e di cui abbiamo un disperato terrore.
Voglio quelle labbra, la voglio e…
- Ecco dove eri finito! Ti abbiamo cercato in lungo e in largo… Oddio! Scusa- Rettifico, sarebbe accaduto se solo Luke, ora qui davanti a me, non avesse fatto la sua trionfale, quanto inopportuna, entrata…
Giuro che prima o poi lo licenzierò!
 
 ANGOLO DELL'AUTRICE: In ritardissimo come al solito ma da oggi in poi sarò più regolare anche perchè ho già parecchi capitoli pronti! :) Finiti gli esami, sono stanca morta e tanto felice quindi farò un piccolo regalino per voi che è anche un bel regalino per me. Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, recensiranno o leggeranno e basta. Infine, grazie a coloro che hanno aggiunto la ff tra le preferite, ricordate o seguite. Per qualsiasi cosa ci sono. Buona lettura e alla prossima.
Bacio
Clio

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 4 - Parte II ***


Capitolo 4 
Parte II

And we kissed
As
Though nothing could fall

 


E adesso chi cazzo è questo!?
Insomma! Non c’è proprio più religione…
Ti diamo il permesso di azzannarlo!
Sono ubriaca, non psicopatica.
Attacca! Attacca!
E non sono un cane…
Tom si scosta da me e guarda inferocito il ragazzo biondo che si è parato di fronte a noi.
- Sei licenziato- Ringhia. E’ serio ma evidentemente questa serietà sfugge all’intruso che sbotta a ridere, sedendosi vicino a Tom.
- Eddai! Perdonami…-
- No, ribadisco: sei licenziato-
- Piacere, io sono Luke. Il pubblicist, amico, baby sitter di questo ragazzo- Mi porge la mano, sorridendomi gioviale e anche io mi sciolgo, ridendo e afferrandogli la mano.
- Berenice, ma è meglio se mi chiami Bernie, sarà più facile. Dunque, baby sitter?- Chiedo, guardando Tom che scuote il capo, portandosi una mano a sorreggere la fronte; poi si volta un poco verso di me e mi sorride rassegnato.
- Certo! Ha sempre avuto la testa tra le nuvole, ma da quando è entrato nello star system certe volte non ricorda neanche di portarsela dietro, la testa- Dà una pacca sulla spalla dell’amico come per essergli di conforto ma se lo sguardo di Tom avesse potuto uccidere, di Luke, in quel momento, non sarebbe rimasto nient’altro che polvere.
Sono così buffi, sembrano una coppia sposata.
Scoppio a ridere, incapace di trattenermi e troppo ubriaca per riflettere sull’aria da ochetta scema che ho assunto.
- Scusate, ihih, è-è che s-sembrate, ihih, una coppia sposata! Che carini! Da quanto tempo è?- Chiedo, direttamente a Tom che si solleva, regalandomi un sorriso sornione e uno sguardo affilato.
- Un po’ di tempo. Sono stato appena colto in flagranza di reato- Gli scocco un bacio sulla guancia e lascio che lui mi stringa a sé, entrando nel suo abbraccio e appoggiandomi al suo fianco.
Beh, dopotutto essere brilli ha i suoi vantaggi, non vi pare?
- Aspetta!- La voce di Luke giunge alta e improvvisa tanto da spaventarmi e farmi saltare sul posto, mentre Tom mi stringe un po’ più forte, guardandomi divertito.
- Tu sei la “Scimmia urlatrice”! La ragazza di prima-
Scimmia urlatrice!? Sento Hiddleston irrigidirsi, deglutendo sonoramente; sollevo lo sguardo e noto i suoi occhi sbarrati e il rossore sulle guance…
- Come, prego?- Chiedo un poco stizzita, mentre sento una rabbia prepotente che combatte per uscire.
- Sì, “Scimmia urlatrice”. E’ così che ti ha chiamata Tom, no Tom? Ora che ci penso… tu devi essere la ragazza dell’hotel! Sì, certo. Questo qui mi ha fatto una testa così e…-
- Grazie, Luke- Tom lo mette a tacere con una mano sulla bocca.
Si volta verso di me con sguardo colpevole e implorante, mentre dal canto mio non posso smetterla di guardarlo in cagnesco.
Però! E’ un soprannome azzeccato. Non trovi, Lolita?
Sì, decisamente…
Perché non c’ho pensato prima! E’ geniale…
- Allora, Hiddleston. Definisci “scimmie” tutte le ragazze che incontri, oppure è una mia speciale prerogativa?- Mi sono spostata, incrociando le braccia al petto, attendendo una risposta. Tom mi guarda, valutando la strategia da adottare.
Per un attimo entra in panico, confuso, passandosi le dita sul volto e portandosi una mano sotto al mento, con fare pensieroso (certo! Fa pure le pose da calendario sexy, no!? Così rimanere giustamente, ripeto, giustamente, arrabbiati diventa un’impresa titanica! Bernie! Smettila di fare la gattina in calore ogni volta che si muove! Che razza di donnetta sei diventata?).
E’ un attimo: si volta verso di me e ride furbetto.
- Sarai lieta di sapere che è un onore solo tuo. Ammettilo, Bernie: sei un po’ una    scimmietta-  Mi afferra per la collottola, proprio come si farebbe con un felino, e mi getta contro il suo corpo, facendomi abbassare in modo tale che possa tranquillamente sfregare con le nocche la cute della mia testa. Dio mio! Da quand’è che sono diventata un peluche?
- E lasciami! Razza di inglese pelle e ossa!- Cerco di divincolarmi facendogli il solletico, ottenendo così l’effetto sperato.
- Va bene! Mi arrendo!- Ridacchia, alzando le mani in segno di resa. Lo guardo compiaciuta, sorridendo a mia volta.
- Ehi! Devo sputtanare Tom più spesso! E’ talmente divertente- Luke è simpatico. Sembra proprio un amico fidato, una di quelle persone buone e genuine che nella vita si incontrano sì e no due volte, due volte a essere generosi.
- Eccoci arrivati! E’ stato un inferno portare la roba fino a qui e… oh, ma abbiamo un ospite!- Erano giunti altri due ragazzi, entrambi alti, snelli e inequivocabilmente inglesi dalla testa ai piedi: certo me ne potevo andare in Spagna, no!? Almeno avrei evitato di fare sempre la Pollicina della situazione.
- Ragazzi, lei è Bernie- Mi presenta Tom, con fare educato, facendo in modo che la sua mano sulla mia spalla fosse ben visibile e avvicinandomi ancora un poco contro il suo corpo. Mi sento protetta e lusingata nello stesso momento, protetta perché evidentemente si è reso conto di quanto timida possa essere, lusingata perché il suo è, palesemente, un gesto raffinato ed elegante di possesso. Wow, chi l’avrebbe mai detto…
-Bernie?-
- Sì, Phil. E’ la “Scimmia urlatrice”- Spiega Luke al ragazzo che aveva parlato prima. Phil ha i capelli scuri, un poco lunghi, gli occhi azzurri e una postura da cui si evince chiaramente la sicurezza che ha di sè.
L’altro, invece, tiene in mano due delle quattro birre, ma rimane in disparte, con un’espressione scettica sul volto: anche lui è un bel ragazzo, più delicato e meno appariscente di Phil e privo del fascino naturale di cui invece Tom fa ampio sfoggio.
- Oh, ma certo! Piacere Bernie, sono Philip, o Phil o come ti pare…- E’ simpatico, solare e, malgrado l’apparenza, non se la tira affatto.
- Lui invece è Rob- Continua Phil, ammiccando al ragazzo alle sue spalle che si limita a fare un cenno con il capo.
Antipatico! Certo una parolina in più non gli rovinerebbe mica la vita!
- E’ timido, vedi che quando si scioglie è un simpaticone- Mi sussurra all’orecchio Tom, il quale deve aver notato lo sguardo che ho rivolto al suo amico.
- Allora, dato che non sei una fan, come hai conosciuto l’ “Attore dell’anno”?- Mi chiede Phil, porgendomi una birra che sono fermamente decisa a dividere con Tom (regola generale del bere: mai passare da una gradazione più alta a una più bassa, altrimenti l’indomani ti ritroverai inspiegabilmente addormentata con la testa ficcata nel cesso, dopo aver passato una notte a vomitarti anche l’anima).
E mo’ che gli dico? “Sai, l’ho conosciuto perché mi ha ficcato sotto la macchina dopo che ho dato spettacolo, definendo il mio datore di lavoro «Porco capitalista»”…
Malauguratamente l’alcol è ancora molto presente nel mio sangue e, anzi, sta iniziando a dar mostra dei suoi effetti più molesti…
- Beh, è successo esattamente una settimana fa. Mi sono imbucata alla serata di beneficenza che si teneva all’ Hotel Baglioni perché dovevo dirne quattro a quel maiale del mio capo che ha deciso di chiudere il giornale in cui lavoro… dirne quattro… in realtà volevo cercare di convincerlo a darci un po’ di tempo in più, dato che illegalmente ci aveva sottratto tre mesi, ma lasciamo stare. Insomma, dopo aver urlato qualche insulto, Tom non ridere! Mi hanno gettata di peso fuori dall’hotel ed ero talmente sconvolta che quando ho attraversato la strada non mi sono resa conto di una macchina che stava passando… il succo della storia è che Tom mi ha ficcato sotto…- Prendo il boccale di birra e ne bevo un sorso generoso: la birra fresca è come il nettare degli dei!
- Ehi, questa non me l’avevi detta!- Dice Luke, guardando offeso Tom che, dal canto suo, fa spallucce e praticamente mi strappa dalle mani il bicchiere, con uno sguardo di rimprovero stampato sul volto.
- Era un dettaglio irrilevante…-
- Irrilevante!?- Faccio io indignata, prendendo nuovamente la birra e bevendo avida- Irrilevante un corno! Mi hai investita, potevo morire sai!?-
- Infatti Tom! Perché non ci dici mai le cose divertenti?- Lo prende in giro Phil, dandomi man forte e facendomi un amichevole occhiolino.
- Quindi fai la giornalista?- Evviva! Finalmente Rob apre bocca (sarà grazie alla birra, chi lo sa?).
- Ancora per tre mesi… in realtà quest’anno finisco il dottorato di ricerca presso l’ UCL e sono riuscita ad avere una promozione presso la casa editrice per cui lavoro. Però sì, mi piace scrivere…-
- Fai tre lavori?- Chiede Luke esterrefatto e lanciando un’occhiata di rimprovero a Tom come a dire “Ehi, questa bimba fa tre lavori e tu non riesci neanche a fare una telefonata senza il mio aiuto”.
- Sì, cioè, no. All’università ho la borsa di studio e sono appena stata licenziata… oddio! Sto per diventare indigente…- Ridono tutti e io con loro. Però, non pensavo che stare al centro dell’attenzione fosse così divertente… wow, dovrei farlo più spesso.
- E voi? Come vi siete conosciuti?- Chiedo, indicando Phil e Rob.
- Ci siamo conosciuti a Eton- Mi spiega placidamente Tom che mi guarda per la prima volta con sguardo sereno, compiaciuto direi.
- Tu andavi a Eton?-
- Sì-
- Ah, ma allora sei davvero un piccolo Lord!- Squittisco io, guardandolo ammirata.
- Sì, Tom è sempre stato un gentleman. No, Rob?- Dice Phil, dando una lieve gomitata all’amico che, per non smentirsi, fa un’alzata di spalle  e un cenno di assenso.
- Già, proprio un Lord o una checca isterica con le manie di protagonismo- Commenta Luke, portandosi alle labbra la birra.
- Che gli hai fatto?- Chiedo a Tom, con fare di rimprovero dopo aver osservato il volto stanco del Publicist-baby sitter.
- Cosa non mi ha fatto! Ti dico solo che prima di un viaggio mi chiama almeno quindici volte al giorno solo per chiedermi di ricordargli l’orario del volo! Poi, visto che non si sta fermo un attimo, sguscia via come una tarantola impazzita e mi tocca cercarlo in lungo e in largo… il cellulare poi! Ce lo ha per bellezza…- Luke ride, lo sta prendendo in giro, non è veramente arrabbiato, stanco, ma non arrabbiato perché guarda Tom con affetto, sorridendogli dolcemente.
- Ah, vedi!? Allora ho fatto bene a non chiamarti!- Lo punzecchio, divertita dell’aria stizzita e permalosa del suo volto.
- Oh, la smettete tutti quanti!?- Sbotta infastidito, la fronte corrugata e la bocca piegata in una smorfia.
E’ tenerissimo!
- Susu, piccolo Lord. Non te la prendere…- Gli bacio la guancia e lo abbraccio dolcemente, sentendo il corpo rigido sciogliersi – Non è poi così male essere un fenomeno da baraccone! Te lo dico per esperienza personale, sia chiaro- Continuo mentre lui mi sorride, dandomi un buffetto affettuoso sul naso.
Hiddleston ti sta proprio antipatico eh!?
Forse ho esagerato un pochino…
Un pochino?
Va bene, va bene… Ho esagerato e basta, contenta?
Io sarò più contenta quando te lo sarai portata a letto, comunque grazie per avermi chiesto un parere…
Mi piace, mi piace molto: non solo è bello da morire ma è anche simpatico. Sinceramente, ora come ora, non riesco a capire da dove siano uscite tutte le mie paranoie. Insomma, mi fa ridere, è gentile, educato, sembra tenerci a me… cosa voglio di più?
Certamente, ha i suoi difettucci, ma nessuno è perfetto.
Era da tanto che non mi sentivo così, che non mi sentivo protetta tra le braccia di un uomo. Quando c’è lui in giro la mia rabbia repressa raggiunge i minimi storici e soprattutto mi sento a casa: i suoi abbracci, il suo corpo stanno diventando dei rifugi sicuri nonché delle fonti di tentazione a cui sta diventando difficile resistere.
Cosa mi costa buttarmi? Nulla, decisamente nulla.
Mi sono resa conto di essere pronta, forse sarà l’alcol ma, paradossalmente, con le paure e le fisime mentali incatenate in un angolo oscuro e nascosto di me stessa, sono più lucida e riesco perfettamente a capire che forse Tom è la persona giusta per me. E’ stabile ma al tempo stesso ama osare e soprattutto mi incuriosisce, mi stimola a cercare di capirlo, mi spinge a volermi prendere cura di lui, a voler cercare tutti i mezzi possibili per farlo stare bene. Tom rappresenta un connubio perfetto: da una parte la passione prepotente, viscerale e selvaggia; dall’altra parte la leggera brezza della serenità, il dolce tramonto della stabilità di un rapporto equilibrato.
E’ un po’ come trovarsi tra il cielo e la terra.
E questo è ciò di cui ho bisogno.
 
 
- Luke, aspettami qui. Accompagno a casa Bernie, non credo sia in grado di reggersi in piedi-
- Non è vero! Io c-…- Le tappo la bocca, avvicinandomi con le labbra al suo orecchio.
- Reggi il gioco Cenerentola- Le sussurro, mentre lei mi guarda, sorridendo con gli occhi.
La serata è finita: Phil e Rob se ne sono andati ormai da un’ora; Bernie ha salutato i suoi amici (tra cui anche il tizio, Rory, con cui aveva fatto il suo ingresso nel locale, che, quando Berenice si è avvicinata per dargli la buonanotte, fortunatamente, era talmente impegnato a mangiare le labbra di una ragazza da non accorgersi quasi dell’amica che, a un tratto, ha addirittura iniziato a prenderlo a calci sugli stinchi).
Eravamo rimasti solo Luke, Bernie e io a parlare del più e del meno, sorseggiando l’ennesima birra. Quei due hanno trovato un’intesa eccezionale, soprattutto quando si tratta di prendermi in giro o di elencare ogni mio più minuto difetto. Sono quasi stucchevoli insieme, fastidiosi sicuramente.
- Va bene, ti aspetto qui. Ciao Bernie, è stato un vero piacere. Speriamo di vederci presto, sempre che ti ricorderai qualcosa di questa notte- La saluta Luke, con un cenno della mano e un bacio sulla guancia.
- Oh, non preoccuparti. Ho una memoria di ferro- Ride e fa qualche passo in avanti, barcollando platealmente, per poi girarsi ad aspettarmi e lanciandomi uno sguardo alla “ti reggo il gioco, va bene così?”.
Rido, saluto ancora una volta il mio amico, quindi in poche falcate raggiungo la ragazza che mi attende con le braccia poggiate sul grembo.
- Sei una pessima attrice- Le dico, mettendole un braccio attorno alle spalle, stringendola contro di me. E’ una risata cristallina quella che mi investe, dandomi una sensazione di piacevole tranquillità.
Non pensavo potesse essere così allegra, gioiosa e spiritosa, ma lo è e questo si aggiunge alla lista dei suoi pregi che durante la serata non hanno fatto altro che aumentare.
- Sarò anche una pessima attrice, ma sono davvero ubriaca- Confessa con ancora quello splendido sorriso disegnato sulle labbra.
La avvicino a me, dandole un casto bacio sulla fronte; lei si volta, fronteggiandomi, e allaccia le braccia attorno al mio collo, procedendo all’indietro, fidandosi dei miei passi.
- Un gambero! Non sapevo che le scimmie potessero camminare all’indietro- Scherzo, fermandomi e appoggiandole le mani sui fianchi.
- Perché hai voluto accompagnarmi a casa?- Rimango allibito, una domanda così diretta non me la sarei mai aspettata. Dissimulo, sorridendole allegro.
- Pensavo di averlo già detto: non sei in grado di camminare-
- Vuoi approfittarti di me, non è vero?- Si è alzata in punta di piedi, sussurrandomi quelle parole vicinissimo all’orecchio.
- O forse sei tu che vuoi che mi approfitti di te?- Chiedo, ammiccando alla posizione che abbiamo assunto, al fatto che ci siamo fermati, rimanendo abbracciati.
Berenice si guarda intorno, confusa, quindi solleva il volto verso di me, osservandomi con aria interrogativa.
- Beh, non potevamo mica camminare ancora! Che senso avrebbe se casa mia è proprio di fianco a noi?- Dice, indicando con il viso un portone che, effettivamente, è quello del suo palazzo.
Sono confuso, eppure sono uno che l’alcol lo regge bene: mi aveva detto che il suo appartamento era vicino, ma non pensavo così vicino che bastava svoltare un angolo e fare qualche altro metro.
Macchè alcol! Questo è amore…
Ancora! Ma da quand’è che sei diventato romantico?
Da quando lo sei diventato tu, idiota!
- Wow, ma allora il pub è davvero dietro l’angolo- Faccio io, ancora accigliato. Ride, mi prende per mano, conducendomi verso gli scalini del suo portone, dove si siede, trascinandomi con sé. Tira fuori una sigaretta, la porta alle labbra e l’accende, aspirando profondamente: è seduta scomposta, le gambe leggermente divaricate e mi guarda con occhi di fuoco, un poco opachi, persi.
Anche così è uno spettacolo meraviglioso, con quello sguardo così provocante, inconsapevolmente sensuale e quelle labbra a bocciolo che mi attraggono terribilmente senza che lei se ne renda conto. Berenice è un’innocente peccatrice, una donna che gioca a fare la bambina.
Spegne la sigaretta, di cui non ne ha fumato neanche la metà e si sdraia completamente sui gradini, con le mani a proteggere la nuca, puntando lo sguardo in alto, verso le stelle.
- Sdraiati con me- Mormora, puntando i gradi occhi nei miei. Obbedisco in silenzio, ma non mi curo delle stelle, con una mano a sorreggermi il volto, mi sdraio su un fianco per poterla guardare, toccandole il volto, le labbra, l’incavo del collo, sentendola irrigidirsi e sospirare profondamente.
Si gira verso di me, assumendo la mia stessa posizione, iniziando a imitare i miei stessi gesti: avverto il tocco leggero delle sue dita sulla pelle del volto, del collo su cui indugia, accarezzandone le ossa e il pomo d’ Adamo, procurandomi scariche di piacere che mi riempiono il petto e lo stomaco. Solleva le dita, posizionandole delicatamente sulle labbra che inumidisco con la lingua la quale, un po’ innocente, un po’ colpevole, sfiora il suo indice; mi guarda e poi fa una cosa che mi fa perdere completamente il senno. Senza distogliere il contatto visivo, si porta l’indice alla bocca e lo inserisce tra le labbra, bagnandolo, quindi torna a concentrarsi su di me, sulla mia bocca di cui ne traccia lentamente il profilo. Ora il suo dito è perfettamente al centro, sorrido lievemente, quindi dischiudo le labbra e lascio che i miei denti assaggino dolcemente la sua pelle.
Bernie si lascia sfuggire un gemito ed esausta, si accascia sopra il mio petto, dopo essersi avvicinata a me. La lascio fare, anzi, la isso sopra il mio corpo contro cui si rannicchia, mentre io le accarezzo la schiena, puntando gli occhi sul cielo stellato. I nostri respiri sono affannati, i nostri corpi sono abbandonati l’uno sopra l’altro come se avessimo appena fatto l’amore e l’unica cosa che ci serve è di mantenere il più possibile il contatto, di non lasciar sfuggire il momento in cui fummo una cosa sola, uniti.
- Vorrei baciarti- Ha la voce roca, calda. Sento il cuore che batte freneticamente. Mi sollevo un poco per poterla vedere meglio, mentre lei alza il viso così da incontrare i miei occhi.
- Un bacio per togliere il mio peccato?-
- Se ti baciassi commetteremmo un peccato entrambi- Dice seria, con lo sguardo che si fa un poco cupo.
- Potrei sopportare l’Inferno per un tuo bacio- E’ praticamente sopra di me e mi sovrasta. Il suo viso è distante, ancora distante ma con il minimo sforzo potrei esaurire la distanza che ci separa e rubarle, finalmente, il suo peccato, il mio peccato. Non oso, c’è qualcosa che la turba e non potrei sopportare l’idea che il nostro primo bacio sia viziato dalla malinconia o dal rimorso. Non voglio che se ne penta…
- Sono ubriaca-
- No, non lo sei più. Ti stai solo nascondendo dietro questa parola-
Colpita nel profondo, spalanca gli occhi e poi sospira profondamente, poggiando la testa sullo sterno, lasciandosi cullare dal mio respiro.
Mi godo per alcuni minuti il suo dolce peso sopra di me e, con estrema riluttanza, mi sollevo delicatamente: ora è seduta tra le mie gambe che la avvolgono, con le caviglie incrociate l’una sull’altra; i nostri occhi non smettono di specchiarsi.
Protende il volto verso il mio, visto che sono io ora a ergermi su di lei e non il contrario, quindi allunga il collo, regalandomi un umido bacio vicinissimo alle labbra; si scosta un poco, pur rimanendo vicinissima a me, tanto che avverto il suo respiro caldo sulla pelle. Sento una forza magnetica che mi attira verso di lei ed è impossibile, doloroso e sciocco continuare a resisterle: ho il cuore che galoppa veloce, non lo sento quasi più, mentre una dolce ansia preme all’interno del mio stomaco.
Non mi guarda e tiene le labbra un poco spalancate ad invitarmi, a chiedere di unirmi a lei.
Lo faccio.
Afferro le sue labbra con le mie.
Le bacio il labbro superiore e la sento gemere contro la mia bocca, lasciando che il suo soffio entri dentro di me. Chiude anche lei la bocca, imprigionando con i dentini il mio labbro inferiore.
Rimaniamo sospesi.
 
 
Un attimo infinito.
Quel primo contatto mi sembra durare un’eternità mentre avverto il mio corpo rilassarsi, lasciando che tutta l’euforia e l’adrenalina si propaghino attraverso le mie vene.
Ha le labbra morbide, soffici e buone.
E la sua lingua? Che sapore ha la sua lingua?
Divento audace, ancora più audace, lasciando che il corpo si impadronisca della mente e mi spingo con forza contro di lui, voltando la testa affinché le nostre bocche combacino perfettamente.
Non riesco a capire.
Sento solo una piacevolissima sensazione di vuoto nello stomaco.
Dischiudo le labbra lasciando che la mia lingua si scontri con la sua bocca ancora chiusa; mi avventuro dentro di essa e Tom mi dà il permesso di procedere oltre, perché anche lui apre un poco le sue labbra cosicché le nostre lingue possano assaggiarsi, conoscersi, amarsi.
Dapprima esse procedono lentamente, con estrema gentilezza ma non riesco a essere gentile, non riesco a essere dolce: penetro ancora di più nella sua bocca e prendo il suo volto tra le mie mani che, frenetiche, gli afferrano la mascella, cercano il collo attorno al quale si chiudono lievemente, quindi risalgono per potersi perdere nella chiara selva dei suoi riccioli.
Tom emette un lamento di piacere, mi afferra i fianchi e mi tira sopra di lui, stringendomi con le mani che afferrano la carne. Scosto un poco il viso, interrompendo il contatto per poterlo osservare: geme di dolore per la mia lontananza, tanto che si spinge un poco verso di me per prendermi nuovamente, ma rinuncia, accasciandosi contro il gradino, tenendo gli occhi chiusi e facendo una smorfia di sofferenza che lo rende vulnerabile, sensuale e tremendamente attraente.
Quell’espressione mi fa perdere il controllo.
Mi tuffo nuovamente sulle sue labbra che questa volta trovo aperte, pronte e vogliose ad accogliermi di nuovo.
La nostra è una danza frenetica, le lingue sembrano due fiamme che si cercano, si rincorrono e si riprendono in un processo sempre uguale ma nello stesso tempo sempre nuovo. E’ troppo anche per lui.
Si solleva con forza, sorprendendomi, apre gli occhi, guardandomi selvaggiamente mentre arriccia le labbra quasi volesse ringhiare e mi spaventa. Mi spaventa e questo mi piace, mi fa godere, mi eccita.
Afferra i capelli, tirandoli in maniera dolcemente dolorosa, facendomi sdraiare affinché questa volta sia lui sopra di me; divarico le gambe, lasciando che lui penetri tra esse, facilitandogli la caduta verso la mia bocca che ha fame di lui.
Sento le sue mani che mi cercano, che mi toccano. Gli prendo un polso, portando una sua mano sul mio seno: geme e si fa audace, iniziando a toccarmi più intensamente.
Stiamo andando troppo oltre, lo sappiamo entrambi.
Tom si blocca e io con lui.
Interrompiamo il lungo bacio rovente e ci guardiamo con occhi socchiusi.
Appoggia la fronte sulla mia, ansimando e avverto l’alito caldo sulla pelle, il suo odore che mi pervade le narici, inebriandomi.
- Dimmi che posso rivederti domani- Ha la voce roca, bassa. Com’è bella la sua voce…
- Non devi chiedermelo…- Sussurro dolce.
- Non te lo sto chiedendo. Ti ho detto di dirmi che potrò rivederti domani- E’ un ordine perentorio, non c’è dolcezza nella sua voce e questo mi eccita ancora di più.
- Domani mi potrai rivedere-
Soddisfatto si alza e io mi lascio sfuggire un gemito.
Mi porge la mano che io afferro prontamente e mi issa in piedi, attirandomi verso di sé e facendomi aderire al suo corpo. E’ un abbraccio dolce il suo, affettuoso, controllato che mi permette di seguire i movimenti del suo torace.
- Mi regalerai ancora le tue labbra?- Questa volta me lo chiede gentilmente e io sorrido felice contro il suo petto.
- Ogni volta che vorrai- Gli cingo la schiena in un abbraccio.
A malincuore ci separiamo e rimaniamo fermi a guardarci come fosse la prima volta.
- Vai a dormire ora. Ma sappi che esigo che tu mi chiami appena ti svegli: non ti ho dato il mio numero per bellezza, checche ne dica quello sciagurato di Luke- E’ arrabbiato, lo posso sentire dal tono duro della sua voce e mi faccio piccola piccola, stringendomi nelle spalle: ha ragione, avrei dovuto chiamarlo. Dopo questa notte non me lo farò ripetere due volte… Insomma, è vero che l’immagine di Tom versione Loki IncazzatoSadicoFolleEccitato mi ha procurato un enorme piacere, ma è anche vero che ci tengo moltissimo alla vita! Una chiamata non è mica la fine del mondo!
- Sissignore!- Lo sfotto, portandomi una mano sulla fronte a simulare il saluto militare. Tom ride e si avvicina a me, prendendo una mano tra le sue.
- Ci sentiamo domani così ti dico a che ora passerò a prenderti… credo di avere qualcosa che potrà piacerti- Si porta alla bocca la mia mano su cui lascia un lieve bacio.
Mi avvicino e lo bacio sulle labbra: mi piace! Mi piace da morire baciarlo.
- Buonanotte Tom-
Ride – Buonanotte scimmietta- .
 
 ANGOLO DELL'AUTRICE: Dico solo una cosa: finalmente! Non vedevo l'ora di pubblicare questa seconda parte perchè anche io non ce la facevo più a sopportare la perenne tensione tra di loro. In realtà la scena, nelle mie iniziali intenzioni, sarebbe dovuta essere posticipata a capitoli successivi ma, come succede spesso, la storia ha preso vita e ha fatto di testa propria. Ringrazio tutte quelle che recensiscono con regolarità, chi recensirà e chi ha aggiunto la storia tra preferite seguite ricordate ecc ecc. Spero questo capitolo vi piaccia e non deluda le aspettative. Ci leggiamo la settimana prossima.
Un bacio
Clio
 

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 5 ***


Capitolo 5
Saturday Night
Live
 
Chiamalo, ora!
M-ma s-se l-lo d-disturbo?
Sei autorizzata a disturbare.
Ma…
CHIAMALO!
 
Oh, Gesù! Non ho mai sentito la Cornacchia così fuori di testa! E dire che di cazzate ne ho fatte…
Sono seduta sul divano: mi sono alzata, ho mangiato, ho pulito e passato l’aspirapolvere (ho rilitigato con il ragazzino rompi palle del piano di sotto) e ho persino annaffiato le piante (io che annaffio le piante è un evento…ecco perché erano così “mosce”).
Ho ritardato il più possibile l’inevitabile,insomma.
“Sappi che esigo che mi chiami appena ti svegli” Tom aveva detto proprio così e io sono sveglia già da tre ore! Devo trovare il coraggio per prendere il telefono, pigiare i tasti e chiamare. Su, Berenice! Hai affrontato un esame di maturità, la laurea, la ceretta e il primo ciclo, direi che una telefonatina- inaina non sia un’impresa colossale, di sicuro non ci saranno catastrofiche ripercussioni a livello globale…
Oddio, ma mi sento!?
Ho il biglietto tra le mani che tremano e sudano come non mai; faccio un respiro profondo; mi allungo sul tavolinetto dove ho gettato il cordless (questa è la decima volta che provo, chiama attacca chiama attacca).
Compongo il chilometrico numero del suo cellulare e attendo, facendo profondi respiri per cercare di calmare i battiti del mio cuore: ho paura che morirò di infarto prima dei cinquant’anni.
Squilla… per Merlino, squilla!
Che conquista! Non ero mai arrivata a farlo squillare.
- Pronto?
La sua voce.
Silenzio.
La sua voce è così bella…
- Pronto?
Cristo Bernie! Parla…
- Bernie, sei tu?
Un momento…
- Ehi, ma come hai fatto?
- Non lo sai? Io sono Loki, il Dio degli Inganni. So tutto. Eheheh- Ride e la sua risata è bella anche al telefono. Mi piego, un gomito sul ginocchio e una mano a sorreggermi il mento, ridendo felice ed emozionata.
- Ahah… molto spiritoso-
- Mi hai disubbidito. Ti avevo ordinato di chiamarmi appena svegliata-
- E tu che ne sai che non mi sono svegliata ora?-
- Perché il sabato mattina fai le pulizie e sono abbastanza sicuro tu sia una ossessiva compulsiva che si programma la giornata non al minuto, ma al secondo-
- Così non vale! Tu sai tutto e io non so niente…-
-Basta chiedere! Che vuoi sapere?-
- Che fai? Dove sei? Con chi sei? E perché?- Rido, prendendolo in giro. Sembra tutto così facile ora, malgrado ci sia ancora qualche dispettosa nuvoletta grigia, parlargli, sapere che c’è non appare più così terrificante.
- Siamo curiosi, eh!? Sono a casa. Sono solo soletto e ho appena finito di organizzare la nostra uscita, perché noi questa sera usciremo. Te lo ricordi, vero?- Ecco, ora il tono si è fatto lievemente minaccioso. Deglutisco sonoramente, memore dello sguardo deciso di ieri sera: ribadisco che tengo cara la vita.
- Come dimenticare… la tua sembrava tanto una minaccia-
-Lo era infatti. E non puoi esimerti: ti ricordo che mi hai detto esplicitamente che potevo baciarti ogni volta che lo desideravo- Un tuffo al cuore.
- Vorresti baciarmi, signor Hiddleston?-
Un momento di pausa. Lo sento sospirare e una vampata di calore mi colora le guance, avvertendo il mio corpo reagire al ricordo delle nostre labbra che si toccavano, alle sue mani su di me, ai nostri corpi che erano diventati una cosa sola.
- Sì, vorrei baciarti. Tu? Tu vorresti baciarmi?- Sembra un bambino: mi ha posto la domanda con un tono fanciullesco che mi mette allegria, facendomi sorridere ancora di più.
- Uhmmm, non saprei. Vedremo se farai il bravo bambino…- Lo stuzzico, facendolo ridere al di là della cornetta. E’ così bello sorprenderlo, sfidarlo, sono cose a cui credo non sarò mai pronta a rinunciare.
- Birichina! Ti passo a prendere alle 17-
- Alle 17? Tom so che sembro una bambina ma ho davvero 25 anni. Insomma, a mezzanotte non scapperò lasciandoti una scarpetta, anche perché è meglio che tu stia lontano dalle mie calzature: l’ultima volta ne ho dovuto buttare un paio- Ah, finalmente! La Berenice sarcastica e ironica è tornata! Prego, voglio degli applausi in sottofondo e dei fischi, fischi belli alti…
- Ma allora siamo spiritose, eh!? Che c’è? Non hai voglia di vedermi?-
- Certo che…-
- Allora, zitta e ci vediamo alle 17 sotto casa tua. Ho un piano-
- Va bene, va bene. Ci vediamo più tardi, Hiddleston!-
-Ciao, Bernie-
Chiudo la telefonata. Mi guardo intorno, furtiva. Lancio il telefono chissà dove e…
Inizio a saltare sul divano, strillando eccitata come un’aquila allo stesso modo di quelle ragazzine idiote dei programmi americani che sembrano non trovare altro modo per esprimere i loro sentimenti se non starnazzando come oche.
Chissene! Chissene di tutto!
Faccio un ultimo salto e poi mi accascio sul divano, ridendo felice, con una mano a comprimere lo stomaco dolorante per le troppe risate. Insomma, chi lo avrebbe mai detto? Dopo un anno e mezzo di vuoto, di solitudine (volontaria, ovviamente) ecco l’occasione: è un ragazzo così gentile, premuroso, educato, oddio! E’ anche un mezzo omicida, sadico, che fa battutine acide e mi provoca ogni volta che ne ha l’occasione e a cui piace enormemente mettermi in imbarazzo… ora che ci penso è anche un po’ saputello, tutto perfettino…
Come si dice, a ‘na certa accanna!
Vabbè ma è vero.
Sì, tutto quello che vuoi ma tu fa finta che abbia solo pregi: Lolita sta diventando molesta, quindi vedi di concludere e di togliermi questa lagna!
Rido e ripenso al bacio di ieri sera.
All’inizio non è che mi ci sia raccapezzata molto, non riuscivo a capire se mi piacesse o meno, saranno stati tutti quegli ormoni in circolo, l’emozione di averlo, finalmente, tra le mie braccia eppure, a poco a poco, la mia bocca si è abituata alla sua e mi sono lasciata andare.
E’ stato divino. Un’esperienza mistica…
E poi diciamola tutta: si tratta di Tom Hiddleston! Dico io, Tom Hiddleston. Un conto è ammirarlo comoda comoda dal grande schermo, un conto è baciarlo! Non ci posso ancora credere, più che altro sto attendendo l’avvento delle mie solite fisime mentali che so per certo arriveranno tutte insieme come una secchiata d’acqua gelata nel cuore dell’inverno. Aspetto perché so che ci sono, so che sono lì a covare in un angolino buio della mia coscienza. Attendo ma, sinceramente, non mi interessa di nulla: penso solo al fatto che, per la prima volta dopo tempo immemorabile, sorrido veramente e mi sento felice.
 
 
Sono le 17, è in ritardo!
No, scusa, prego?
E’ in ritardo.
Bella, se tu sei pronta dalle quattro non è colpa sua. Quante volte ti sei cambiata?
3
La verità.
Ok, sette volte…
Tu sei pazza!
Beh, che volete? Ai primi appuntamenti è categoricamente necessario apparire impeccabili: il fortunato avrà tutto il tempo del mondo per vederti con il pigiamone di pile e i capelli alla “porco zio che vento”.
Cammino avanti e indietro di fronte all’ingresso, non si sente un suono all’infuori del ticchettio dei miei stivaletti. Non ricordo di essere mai stata così agitata, mai, neanche durante le prime storielle adolescenziali. Forse mi sto per cacciare in un altro guaio… forse è meglio non uscire, in fondo non mi sento neanche troppo bene e…
DRIIIN!
FANCULO A QUESTO CAMPANELLO!
Faccio un salto per lo spavento e mi viene il singhiozzo. Perfetto, ci mancava pure questa! Afferro la borsa, do un’ultima occhiata alla casa, controllo di avere tutte le chiavi e mi scapicollo giù per le scale. Non ho cuore per aspettare l’ascensore, sono troppo agitata e l’idea di trascorrere due minuti in quella scatola metallica mi dà un forte senso di claustrofobia. Meglio le scale: si scarica l’adrenalina e si buttano via etti preziosi dal culotto.
Arrivata al pianerottolo non ho più aria nei polmoni, boccheggio letteralmente e il singhiozzo non mi dà tregua. Devo decisamente smettere di fumare (e il fatto che da quando vivo in Inghilterra abbia ridotto il consumo di sigarette a cinque al giorno non è una buona scusa per continuare a massacrare i miei polmoni…ok, me lo dico da sola di non dire cazzate: mi piace e continuerò a farlo).
Apro il portone velocemente e altrettanto velocemente lo richiudo senza degnarmi di controllare se Tom sia effettivamente arrivato o meno (non posso saperlo, mi sono fiondata per le scale senza premurarmi di rispondere al citofono). Cerco di fare un respiro profondo quindi mi volto.
Oddio, portatemi un defibrillatore, qualcosa!
Tom è lì, in carne e ossa, con il capo abbassato a controllare il cellulare che tiene tra le dita affusolate della mano destra mentre con l’altra prima si pettina i capelli con fare nervoso, poi la abbassa sul volto, posando l’indice sulle labbra: possibile che quest’uomo sia dannatamente sexy anche quando guarda pensieroso quel marchingegno demoniaco!?
Mi scappa un singulto, causato dal singhiozzo che non accenna ad andar via, e Tom solleva gli occhi, osservandomi curioso, rimanendo in quella posizione anche quando le sue labbra si spalancano in un sorriso furbo, sghembo, quasi mellifluo… intendiamoci uno di quegli enigmatici sorrisi alla Loki che mandano in visibilio milioni di donne, tra cui anche la sottoscritta.
Un altro singulto e io mi decido a smetterla di tentare di mascherare i fastidiosissimi movimenti spontanei del mio diaframma. L’orgoglio, in sua presenza, l’ho irrimediabilmente mandato a quel paese, per cui è decisamente meglio smetterla di fare la sostenuta e mostrarmi in tutta la mia follia (una faticaccia in meno considerato che devo anche cercare di controllare il tasso di adrenalina nel mio sangue, onde evitare un’overdose).
- Ciao – Esordisce semplicemente, riponendo il telefono nella tasca interna della giacca di pelle.
- Ciao anche a te, Piccolo Lord- Rispondo sorridente mentre un altro spasmo mi travolge. Beh, che diamine aspetta a venire da me!? Potrei morire di singhiozzite da un momento all’altro e quello si limita a guardarmi senza vedermi realmente, perso in chissà quale pensiero. Non va bene, non va bene per nulla, soprattutto perché sono una persona molto empatica, della serie “il mondo è incazzato e anche se fossi la persona più felice del mondo, dammi dieci secondi e divento la più incazzata di tutti”!
Mi irrigidisco e mi avvicino a Hiddleston, parandomi di fronte a lui con le mani sui fianchi e un’espressione che so non promettere nulla di buono.
- Allora? – Dico bruscamente, sentendo la sua ansia penetrarmi prepotentemente nel petto.
- Sì, scusami. Andiamo?- Si riscuote un poco, facendo cenno con la mano di precederlo verso la sua macchina, parcheggiata di fronte al marciapiede.
Non mi ero immaginata sarebbe andata così: certo, non mi aspettavo una scena da film romantico, ma porca puttana! Almeno un bacio sulla guancia, un sorrisino dolce, una stretta di mano tiè!
Salgo in macchina sbattendo rumorosamente la portiera e guardando fisso di fronte a me, torturandomi le mani per il nervosismo.
Tom sale in macchina, mette in moto e parte, immettendosi nel traffico, tutto in religioso silenzio.
Chiedi che ha ma ricorda: moderati!
Moderati! Mi ha fatto uscire di casa quando ancora sto cercando di smaltire la sbornia e neanche mi guarda! Prima fa le fusa poi… Bo! Mi riprometto di smettere di cercare di capire il sesso maschile.
- Si può sapere che hai? No, perché altrimenti scendo dalla macchina, anche in corsa e sai che ne sarei capace-
Alla faccia della moderazione proprio…
- Siamo nervosette, eh!?- Replica, guardandomi in tralice e aumentando la pressione sul volante.
- Io nervosa? Ero la persona più serena del mondo fino a dieci minuti fa, poi arrivi tu e hai l’aria di uno a cui è stato estratto un dente senza anestesia. Dimmi cosa dovrei pensare- Ma splendido: una sola pomiciata e già litighiamo. L’avevo detto io che sarebbe stato un’ecatombe.
Tom sospira, si passa una mano sul volto quindi sposta lo sguardo su di me, regalandomi un sorriso dolce per scusarsi.
- Mi dispiace, non era mia intenzione innervosirti. A breve ricominceranno eventi mondani, premiere e quant’altro e la cosa mi mette un poco sottopressione-
- Oh, immagino! Cene, champagne… una fatica immensa- Lo schernisco, ridendo sorniona.
- Beh, immagino che per voi comuni mortali tutto questo possa apparire una banalità- Risponde al mio scherzo, assumendo un tono altisonante, pomposo che mi fa scoppiare in una fragorosa risata che ha il potere di calmare entrambi.
- Dove hai intenzione di portare questa comune mortale?- Chiedo, incuriosita dal fatto che abbia imboccato l’uscita per l’autostrada.
- E’ una sorpresa. Comunque il delizioso paesino ove ci stiamo recando dista solo un’oretta di macchina- Continua con lo stesso fare teatrale di prima, mentre due fossette si formano agli angoli della bocca sorridente. Adoro l’aria fanciullesca che assume quando è allegro, sembra irradiare luce da quegli occhi di zaffiro; sono il suo ottimismo e il suo candore a diradare le nubi che oscurano la mia mente ed è come respirare aria fresca dopo aver rischiato di annegare.
Non sono una persona positiva, anzi, il mio motto è: “Aspettati il peggio, in qualunque modo la cosa andrà cadrai sempre con i piedi per terra”. Ed è una filosofia di vita lungimirante e concreta che più di una volta mi ha salvato la vita ma che spesso mi ha evitato di viverla, la vita. A 25 anni suonati ritengo sia mia dovere come essere umano concedermi la possibilità di aspettarmi qualcosa di buono e di conseguenza cercare di concretizzare il desiderio. Il pessimismo è poetico ma decisamente poco pratico in un mondo che non ama sofismi e vuole risultati.
La teoria è un conto, l’azione un altro, eppure, guardando Tom penso di poterci riuscire, penso davvero di poter imparare a sorridere alla vita, di poter essere felice perché so che c’è qualcuno che mi desidera e mi vuole esattamente quanto lo voglio io. E anche se farà male, anche se dovesse andare tutto storto ritengo che ne valga la pena, perché l’idea di farlo sorridere, il pensiero che quel sorriso sia per me e solo per me mi dà il coraggio di osare e di sperare.
Per un suo sorriso farei qualsiasi cosa, anche andare contro me stessa.
 
 
- Ti conviene scendere mentre parcheggio- Siamo arrivati, finalmente. L’idea di averla accanto e non poterla sfiorare mi ha snervato per tutto il tragitto.
Mi devo far perdonare per il mio comportamento scostante di poco fa: non era mia intenzione innervosirla, farle ricadere addosso i miei stati d’animo. Per quanto ami il mio lavoro, il fatto di vedermi programmati mesi e mesi di vita mi dà un senso di angoscia profonda. Sono una persona che ama le sorprese, che si diverte a veder crollare piani e programmi, mi piace svegliarmi la mattina con il pensiero che tutto può accadere, che posso creare ogni volta qualcosa di nuovo e il fatto che, inevitabilmente, sia costretto a sottostare a una serie di obblighi imposti da qualcun’ altro mi appare come una costrizione insopportabile. Con questo non intendo dire che non mi impegni nel mio lavoro e nei rapporti con le persone, anzi, su questi punti non transigo; è solo il pensiero di conoscere già il mio futuro che mi uccide, anche perché una volta davanti ai riflettori, una volta entrato in studio per un’intervista mi diverto come un matto.
Esco dall’abitacolo, chiudo la portiera e mi volto.
Bernie è lì, sul marciapiede opposto che si stringe nelle spalle per il freddo mentre aspira nervosamente la sigaretta che si è accesa. E’ così piccola, una bambolina con quella gonnellina a fiori che svolazza al vento e gli stivaletti bassi con il tacco che mettono in risalto le gambe magre.
Non mi guarda, si limita a osservare ciò che la circonda con fare scientifico, come se cercasse di raccapezzarsi in una serie di dati e calcoli contrastanti, perché so benissimo che è agitata e impaurita, malgrado non riesca a celare un certo compiacimento, una timida felicità che le brilla negli occhi.
Sorrido, scuotendo il capo: chi l’avrebbe mai detto che mi sarei fatto fregare da una scimmietta urlatrice?
Io
Sei fuori luogo come sempre.
Era solo per ricordarti che ho sempre ragione.
Sfacciato
Affretto il passo e la raggiungo, spalancando le braccia per enfatizzare la mia presenza.
- Benvenuta a Petersfield, signorina…- Oddio, non ricordo il cognome.
- Minardi grand’uomo- Suggerisce lei, con fare scettico e un poco offeso.
- Chiedo umilmente perdono per aver dimenticato il suo nome- Continuo, inchinandomi e sollevando il capo per vederne la reazione.
Inizialmente si limita ad alzare un sopracciglio, osservandomi con scherno ma poi getta la maschera e sorride maliziosa, nascondendo il volto dietro la spalla,arrossendo.
E’ davvero deliziosa la mia scimmietta.
- La perdono, signore. Ora si alzi e mi scorti in questa valle sconosciuta- Getta la sigaretta e mi fa un cenno con il capo affinché la preceda. Mi sollevo con una risata cristallina quindi, affiancandola, le porgo il braccio che lei accetta contenta.
Camminiamo per un po’ sotto il cielo plumbeo che volge all’imbrunire, godendo l’uno della vicinanza dell’altra, fino a giungere a  un edificio dalle fattezze antiche il cui ingresso è illuminato da luci calde e accoglienti. Sono contento di constatare che le persone in attesa dell’apertura sono poche, quindi mi volto verso Bernie che osserva incuriosita il luogo in cui l’ho condotta. Ha un’espressione buffa sul volto, in un misto tra agitazione e curiosità che la fanno sembrare una bambina, sebbene la chioma riccia e ribelle la renda più donna che mai.
- Ehm, cos’è?- Chiede confusa, cercando di leggere i cartelloni affissi sulle pareti del piccolo cinema.
Rido, mentre una certa ansia mi blocca il respiro in gola: so molto poco di lei per cui spero che la mia sorpresa le risulti gradita, ma non ne sono sicuro e ho paura di aver fatto una mossa sbagliata.
Ci avviciniamo e, sciogliendomi dalla sua stretta, la invito con un cenno del capo a fare un passo avanti; la sento deglutire rumorosamente quindi si piega per poter leggere meglio e io trattengo il fiato, incrociando le dita dietro la schiena. Tutto quello che voglio è renderla felice, farle una sorpresa che la possa far sorridere.
Bernie si solleva di scatto in una posa rigida, poi si volta con gli occhi sbarrati di chi non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere.
- Come hai fatto?- Dal tono di voce non riesco a capirne la reazione eppure posso scorgere stupore nelle sue parole.
- Quando sono venuto a casa tua ho visto una foto che ritraeva una scena del film di Visconti, Ludwig, quella del bacio tra Sissi e il re di Baviera, ho dedotto che ti piacesse e così mi sono ricordato che lo avrebbero proiettato qui in lingua originale. Mi sembrava carino portartici, avevi nostalgia di casa e…- Ma non finisco di spiegare perché Berenice mi mette a tacere baciandomi di slancio con passione e gratitudine. Sento il corpo rilassarsi sotto il tocco delle sue labbra e l’odore invitante del suo profumo; si scosta un attimo, guardandomi sorridente e con gli occhi lucidi, per poi tornare sul mio viso, baciandone la fronte, gli zigomi, il naso, le guance e infine di nuovo la bocca mentre sorrido sfacciato e orgoglioso. La avvolgo tra le braccia e la stringo contro il mio petto, sentendomi finalmente pago e completo, pieno di piacevoli emozioni che non avvertivo da tempo. Era da tanto che non ero felice perché a mia volta avevo reso felice un’ altra persona, una donna con cui desidero tentare di costruire qualcosa.
Mi rendo conto solo ora, con Bernie che mi stringe e mi bacia, di quanto fossi solo prima di incontrarla: di fronte a me ho visto sfilare così tante persone, mi sono sentito ammirato e desiderato da così tanta gente da non essermi accorto di quanto tutto quel luccichio fosse effimero ed evanescente. Ho superbamente pensato che il successo, l’interesse nei miei confronti mi bastasse e forse era così, forse era tutto ciò che desideravo, era tutto ciò di cui avevo bisogno ma adesso, insieme alla mia scimmietta, mi accorgo di quanto arrogante e sciocco sia stato pensare che ci fosse qualcuno di più adatto a lei, che avessi la possibilità di scegliere come da un catalogo.
Non ho scelto Berenice e sono ancora convinto che con lei sarà un’impresa ardua e perigliosa, che non sia il tipo di ragazza che lucidamente deciderei di avere al mio fianco, ma è anche vero che il pensiero di non averla, l’idea che fino a una settimana fa non facesse parte della mia vita mi è ancora più inconcepibile di quella di costruire con lei un rapporto più profondo.
Queste cose non si controllano e dato che credo anche un po’ nel destino, penso che se siamo qui, ora, a baciarci e a stringerci è perché in qualche modo doveva andare così. E mi piace, mi piace da morire.
- Sei riuscito a commuovermi- Dice, asciugandosi gli occhioni blu che, tra le lacrime, sono diventati ancora più grandi.
- E’ un complimento?- Chiedo ironicamente. Mi guarda e mi sorride, annuendo come una bambina nel giorno di Natale.
- Insomma, come hai fatto a ricordarti della foto? E’ così piccolina e insignificante…- Continua lei, parlando più a se stessa a me.
- Mi piace curare i dettagli. Ho pensato ti facesse piacere, quell’immagine era molto significativa, almeno lo è stata per me. Cercavo di capire i tuoi gusti, le cose che ti piacevano… penso sia una cosa normale, no?- Ma dallo sguardo ammirato e stupefatto che leggo sul suo volto posso dedurre che per lei non sia una cosa normale, o meglio, che coloro che le sono stati vicini in passato non l’hanno ritenuta tale. Allora capisco, capisco come una ragazza così passionale, così combattiva si sia potuta imporre una maschera tanto costrittiva e soffocante; capisco il perché si sia dovuta formare una corazza così spessa per nascondere il suo lato romantico e dolce e vorrei davvero fare due chiacchiere con quegli imbecilli che non si sono resi conto del diamante grezzo che avevano tra le mani. Infondo è solo una tenera ragazza che desidera essere apprezzata e amata per quello che è, che vorrebbe donare tutta se stessa senza bisogno di dover fingere, senza la necessità di piegare se stessa alle esigenze degli altri.
- Non so cosa accadrà Berenice, non posso prometterti nulla per il futuro, ma sii certa che per tutto il tempo in cui l’uno sarà parte della vita dell’altro farò in modo di renderti felice, di darti tutto quello di cui hai bisogno e di apprezzarti con tutti i tuoi innumerevoli difetti-
- Ah, grazie mille!- Replica, dandomi una spintarella affettuosa.
Rimango serio, guardandola fisso negli occhi  e poggiando entrambe le mani sulle spalle.
- Sono serio. Non sei una ragazza facile, ma c’è molto di più dentro a quegli occhi e intendo vedere dove mi porterai- Mi bacia di nuovo, prendendomi il viso tra le mani. E’ un tocco leggero e pacato, pieno di affetto quello con cui mi dice che anche lei vuole vedere dove la porterò, che per tutto il tempo in cui ci sarà mi donerà tutta se stessa, incondizionatamente. Ed è per me la risposta più dolce del mondo, essenziale e profonda che giunge direttamente al cuore.
 
 
Ho le lacrime agli occhi, letteralmente.
Ascoltare il suono delle parole nella mia lingua d’origine ha un non so che di sublime, soprattutto perché è da molto tempo che non parlo e ascolto italiano per più di un’ora.
E’ tutta un’altra cosa: non ho difficoltà con l’inglese, ma non è la mia lingua e non lo sarà mai e spesso mi risulta difficile cogliere le sfumature, i significati nascosti delle parole.
La uso ma non la posseggo e più tempo passo lontano da casa, più me ne rendo conto; avverto come un’assuefazione dolorosa alla lingua, una stanchezza mentale, un’impossibilità di continuare a tenere in tensione il mio cervello e sento un viscerale bisogno di Italia, della sua lingua, della sua musica.
Tornare a casa è come spogliarsi di una seconda natura che amo, ma che purtroppo non è parte di me sebbene, a lungo andare, il parlare inglese stia diventando un automatismo, una mutazione che si incaglia nel mio DNA.
Probabilmente, però, l’immensa gioia che avverto nel petto non è dovuta al semplice fatto di essere qui, a vedere uno dei miei film preferiti di uno dei miei registi preferiti, no, la realtà è un’altra: è il gesto di Tom, è il pensiero che lui ha avuto verso di me che mi fa commuovere.
Lo osservo nell’oscurità mentre si sforza di mantenere la concentrazione, portandosi ogni tanto una mano sugli occhi stanchi.
E’ imperturbabile, non si è mai lamentato durante questa ora appena trascorsa e lo ammiro davvero, perché io, invece, avrei piantato una lagna continua, sbuffando ogni cinque minuti, a essere buoni.
Talvolta Tom, avvertendo il mio sguardo su di lui, si volta, sorridendomi teneramente, facendomi qualche carezza o scoccandomi qualche lieve bacio.
Sono ancora spiazzata, ancora non riesco a credere che l’uomo che mi siede accanto, che conosco poco e che ho anche creduto di odiare, possa essere riuscito a stupirmi, a farmi sentire apprezzata e protetta come raramente mi è accaduto.
L’ho giudicato male, malissimo: come ho potuto pensare potesse essere un superbo uomo di mondo che crede basti la sua sola presenza per ammaliare? E’ sicuro di sé e sa chi è ma questo non gli ha impedito di pensarmi, di preoccuparsi per me, di volermi rendere felice.
Ha compreso i miei bisogni, quanto sia fragile e quanto abbia bisogno di essere protetta e sì, questo mi spaventa, ma non c’è ricerca di possesso o volontà di prevaricazione in questa sua consapevolezza, anzi, c’è semplicemente accettazione. Nessuno mi aveva mai accettata, forse sono riusciti a comprendermi ma nulla più di questo.
Non dico che nessuno mi abbia fatto sentire amata, ma in Tom c’è una diversa profondità, una diversa empatia che pensavo non gli appartenesse.
Quando mi stuzzica, quando è gentile e carino con me, quando mi corteggia non lo fa semplicemente per “accalappiarmi”, lo fa perché lo vuole fare, perché lui è così: non sta recitando una parte provvisoria, in lui attore e personaggio si intrecciano. Non vuole solo farmi piacere, vuole che io sia felice, vuole rendermi felice.
Come poter reggere il confronto con una persona tanto genuina? Come posso io essere la persona che desidera? Berenice che non parla di se stessa perché scoprirsi significa cadere in potere di un altro; Berenice che rimane silente a osservare e ascoltare per vedere le debolezze altrui come se stesse pianificando una strategia di guerra; Berenice che non sa se riuscirà ad amare perché ha paura.
Eppure, malgrado tutto, mi trovo ora, qui, a desiderare di vivere con lui qualcosa, con la voglia di ricominciare e di costruire insieme a lui, per lui: non si è mai pronti per questo, non si decide a tavolino “Bene, ora sono pronta per avere una storia”. Queste sono favole, scuse che uno dice a se stesso e agli altri. Ho paura, certo, ma questa passa in secondo piano, nettamente subordinata al desiderio di amare ed essere amata di nuovo e se ciò è dovuto a questo affascinante, “magnanimo” attore, beh, non mi priverò di questa opportunità.
Ehi! Se fai così mi rubi il lavoro…
Ho avuto una brava maestra.
Lecca culo!
Fottiti!
Sospiro e mi concentro sul film…
No, non ci riesco! Non con il suo odore che mi entra prepotentemente nelle narici e soprattutto con il suo corpo così vicino al mio.
Il lungo collo è teso, piegato verso l’esterno poiché Tom ha appoggiato lo zigomo destro alle nocche chiuse della mano, appoggiandosi con il gomito al bracciolo opposto a quello che condividiamo.
Studio minuziosamente i fasci di muscoli ben visibili al di sotto della pelle chiara, saggiandone la consistenza con gli occhi e mi accorgo di essermi avvicinata a lui solo quando il mio braccio sfiora il suo.
Avverto il corpo di Tom irrigidirsi; sospira spostando per un attimo impercettibile lo sguardo a controllare i miei movimenti, continuando a rimanere fermo. Non capisco cosa significhi, ma non ho né l’intenzione né la volontà di fermarmi, così giro il busto, porgendo il fianco allo schermo, e protendo il collo e con le labbra incontro la sua pelle. Mi abbasso un poco, baciando con la bocca dischiusa la sua clavicola, e inspiro profondamente perché è come se tutto il suo odore si concentrasse in quel punto; i brividi percorrono la mia schiena e divento ingorda, avida mentre Tom mi afferra la mano, stringendola. Sorrido contro di lui e continuo la mia dolce tortura; con la mano libera gli afferro il collo in modo tale da spingerlo più vicino a me, quindi risalgo lentamente sino a giungere alla mascella spigolosa su cui indugio, mordendogliela lievemente.
E lui sembra creta tra le mie mani, così remissivo, così perso, così condiscendente ai miei attacchi d’amore. Mi piace come Tom si abbandona a me e adoro il modo in cui, giunta all’orecchio, quasi ringhia scostandosi con un brivido, guardandomi con le pupille pericolosamente dilatate e ciò mi suggerisce che la statuaria immobilità della sua posizione fosse dovuta al suo forte autocontrollo, al suo sforzo di non operare la medesima battaglia contro di me sin dall’inizio del film.
- Baciami- La mia voce suona implorante e lo è.
Tom esaudisce il mio desiderio, afferrando le mie labbra con le sue, strappandomi il respiro e facendomi gemere. Si sposta verso di me, sovrastandomi e schiacciandomi contro il sedile di velluto mentre avvolge i miei fianchi con le mani; audace, insinuo le mani tra i suoi capelli, provandone la soffice consistenza mentre i nostri baci si fanno sempre più intensi e profondi.
Un fremito mi percuote il corpo e un calore inusuale, eppure conosciuto, si propaga dal cuore allo stomaco, concentrandosi nel basso ventre e capisco di essere irrimediabilmente incondizionatamente eccitata; muovo lungo il suo profilo le mani che prepotenti afferrano i suoi fianchi, fermandosi alla cintura. Questo non è nulla a confronto di ciò che vorrei, così afferro la camicia candida e la tiro su affinché possa essere libera di toccare la pelle al di sotto di essa: curiose, le dita si avventurano su di lui, prima sulla pancia, poi si spostano ai lati e risalgono, disegnando il profilo delle costole.
E’ glabro e non so perché, ma questo mi fa impazzire ancora di più: non sono mai stata con un uomo così delicato nei lineamenti, ho sempre avuto ragazzi molto virili. Ma, forse, sono stata attratta da Tom proprio per questo.
Mi scosto dalle labbra e gli bacio il mento, quindi proseguo nella mia discesa lungo il collo; giungo al pomo d’Adamo e Tom mi spinge contro di se, mantenendo la presa salda con un braccio attorno alla mia schiena e afferrando con l’altra mano la coscia sinistra poco sotto il sedere. Gli sono praticamente sopra e ringrazio vivamente che le tenebre ci avvolgano e soprattutto il fatto che la sala sia quasi vuota. Del film ce ne siamo completamente dimenticati, ma non me ne dispiaccio: la parte più bella è passata, ora resta solo il baratro della disperazione e della follia, ma io ho desiderio di follia di ben altra natura.
Continuo il mio gioco e frenetica gli sbottono la camicia da cui ora si intravede perfettamente lo sterno, mentre i pettorali rimangono maliziosamente nascosti alla mia vista; lo bacio nell’incavo del collo, scendendo sempre di più sino a giungere con le labbra il centro del petto che si alza e si abbassa affannosamente. Indugio in questa posizione, respirando contro la sua pelle e avvertendo distintamente al di sotto di essa il battito veloce del cuore. Tom sospira, mi massaggia dolcemente i capelli, tirandomeli un poco, e infine mi dà un lieve bacio sulla fronte, vicino l’attaccatura.
Mi accascio contro il suo petto, poggiando l’orecchio dove so di trovarne il motore pulsante, lasciandomi cullare da quel ritmo e dalla nostra passione un poco sopita ma non appagata. Di peso, Hiddleston (oh, non potete capire quanto dannatamente suoni sexy il suo cognome dopo tutto questo!) mi trascina su di se e io mi ritrovo seduta sulla sue ginocchia, con la testa poggiata contro la clavicola, beandomi della mani che si stringono attorno al mio stomaco.
Ah!
Lolita dice che ha gradito.
Allora siamo in due.
Ehm, tre…
Cornacchia!
Sorrido e decido di godermi quello che rimane del film…
Cribbio! Perché ci sono i titoli di coda? Oddio, possibile che abbiamo amoreggiato per un’ora buona senza accorgercene!?
Le luci si accendono e io zompo come un grillo, raddrizzando la schiena e osservandomi attorno con fare spaesato.
So di versare in uno stato pietoso: ho la pelle delicata che mi si arrossa subito (infatti, ogni volta che “pecco” di lussuria mio padre mi becca sempre, non potete capire che figura di merda); sento i capelli “sparati” per aria e le labbra gonfie e pulsanti.
Un momento, dov’è finito il mio maglione!? Non ricordavo di essermelo tolto e poi sento veramente troppo freddo…
Tom dà un colpo di tosse e si appresta a ricoprirmi la spalla, la schiena e parte dello stomaco abbassando i lembi della maglietta che avevano raggiunto altezze imbarazzanti.
Lo guardo con occhi spalancati e la bocca un poco aperta, sorpresa di quanta foga ci abbia travolti; mi scuoto, voltandomi verso di lui che si sta abbottonando la camicia con aria un poco frastornata e le guance arrossate: è delizioso.
Solleva lo sguardo su di me e il suo volto si illumina in un sorriso un po’ colpevole, un po’ complice che ricambio con un bacio a fior di labbra.
- Ti è piaciuto il film?- Chiede malizioso, alzandosi e aggiustandosi la camicia nei pantaloni.
- Assolutamente, una delle più belle promesse del cinema internazionale- Rispondo, facendogli l’occhiolino.
Infilo maglione e cappotto e faccio qualche passo in direzione dell’uscita, aspettando che Tom si rivesta, osservandone i movimenti eleganti, l’accuratezza con cui si ricompone attraverso gesti pacati e misurati, senza smettere di aspettare il momento in cui la sveglia suonerà di nuovo ma con la dolce consapevolezza che questo sogno non è altro che la mia vita.
 
 
- Illuminami: come è possibile che una bambolina come te sia riuscita a spazzolarsi due e dico due fette di torta di mele ricoperte da così tanta crema da fare invidia alla Loacker?-
Domando, realmente colpito dalla capacità dello stomaco di Bernie che ora tenta di mantenere l’equilibrio su un piccolo muretto che separa la strada da un’aiuola.
- Oh, non farmi sentire più in colpa di quanto già non sia- Ribatte, saltando e atterrando con grazia di fronte a me, guardandomi colpevole e divertita allo stesso tempo.
- Quella torta di mele era squisita, se l’avessi assaggiata mi capiresti- Continua, fermandosi e annodando le sue braccia dietro la mia schiena, stringendomi in un abbraccio affettuoso.
Le sollevo il volto, così da potermi specchiare nei suoi meravigliosi occhi che ora sono diventati color della notte, e le do un leggero bacio, tanto per ricordare il sapore dolce delle sue labbra.
Sento il suo respiro contro il viso e provo di nuovo quel languore così piacevole che mi aveva afferrato durante quelle ore, nel buio della sala cinematografica. Le passo una mano tra i ricci, avvolgendo le dita tra i boccoli, accarezzandoli piano e tirandoli un poco; Berenice sospira e inarca la schiena facendo combaciare il suo ventre con il mio e mi rendo conto di quanto sia diventato difficile per entrambi resistere l’uno all’altra.
- Fa freddo- Mormora contro le mie labbra – Perché non andiamo in macchina?- Suggerisce.
Altro che gattina, questa è una tigre!
Magari vuole andare a casa…
Se, contaci!
Infatti, giunti alla macchina, tutti i pensieri casti che ancora riuscivo a formulare se ne vanno letteralmente a puttane e il cervello mi va in tilt: la scimmietta si dirige sicura verso lo sportello posteriore, con fare ingenuamente provocatorio.
Deglutisco e apro la macchina, aspettando un poco prima di raggiungerla. Dio, sembro un adolescente! Non so che fare: magari vuole solo delle coccole ma so che, appena mi siederò vicino a lei, non riuscirò a trattenermi.
Non trattenerti allora!
Ma è troppo presto…
Cacchio! Non siete mica due verginelli. Fa l’uomo ed entra!
Obbedisco alla mia coscienza e faccio come dice.
Mi siedo e Bernie si sdraia con la testa sulle mie ginocchia, con lo sguardo fermo rivolto verso il mio; mi rilasso un poco e prendo ad accarezzarle la fronte mentre lei si stringe nel suo maglione ed è solo allora che mi accorgo che sta tremando visibilmente.
- Hai così tanto freddo?- Chiedo premuroso, sfilandomi la giacca e adagiandola su di lei a mo’ di coperta.
Ok, mi sto trasformando in un maniaco pieno di manie di persecuzione!
Ma come faccio a raccapezzarmi con una che pochi giorni fa era la “regina dei ghiacci” e ora è diventata una delle donne più passionali che abbia mai conosciuto?
- Malgrado odi il caldo, purtroppo, non posso andare contro la mia natura: Roma è decisamente più calda dell’Inghilterra- Balbetta battendo i denti, mentre si rannicchia in posizione fetale, nascondendo il volto contro la mia pancia, operando una leggera pressione.
Una scarica più forte delle altre mi afferra lo stomaco ma riesco ancora a mantenere il controllo e mi limito ad accarezzarle i capelli, mettendomi più comodo sul sedile.
- Vuoi che ti porti a casa?-
- No! No, figurati. Mi piacerebbe rimanere ancora un po’ con te, se non ti dispiace- Bernie si volta a pancia in su, emergendo dalla coperta improvvisata e guardandomi birichina e sorridente.
- Non mi dispiace- Dico, ricambiando il sorriso.
- Allora, signor Hiddleston, com’è essere l’attore emergente più apprezzato degli ultimi anni?- Domanda, sinceramente incuriosita, prendendomi una mano e iniziando a giocarci, accarezzandola piano.
- Dunque è per questo che sei qui… dovevo immaginarlo- Scherzo io, mordendomi il labbro inferiore nell’esatto momento in cui la scimmietta porta la mano alle labbra, iniziando a baciarla con delicatezza.
- No, non sono così affamata di notorietà. Considerala un’intervista, ti va?- Mormora provocante, dischiudendo un poco le labbra per assaggiare la pelle del mio polso. Si è sollevata, procedendo alla sua dolce tortura guardandomi dritto negli occhi e sorridendo maliziosa.
- E pubblicherai la storia?- Le infilo le dita tra i capelli, stringendoli e massaggiandoli, mentre Bernie si dedica alle mie dita che inumidisce un poco con la punta della lingua. Mi avvicino al suo viso, scostando le nostre mani intrecciate, saturo della nostra lontananza; lei non è dello stesso parere, perché si allontana dispettosa, facendo un cenno di diniego con il capo.
- Signor Hiddleston, sono una giornalista rispettata. Limitiamoci a un rapporto professionale e poi, qui, le domande le faccio io- Dice autoritaria ma con voce suadente.
- E’ lei che mi provoca, signorina. Da dove proviene tutta questa spavalderia?-
Bernie si blocca, gli occhi sbarrati che sembrano quasi spaventati.
Non credevo di toccare un tasto dolente, non che non sia curioso della sua lampante trasformazione, ma certo non era mia intenzione entrare in un campo minato. Il sorgere di un contatto fisico tra di noi mi ha fatto dimenticare di quanto riservata possa essere: volevo scioglierla, forzarla per renderla più disinibita, ma non ho avuto la testa per riflettere sulla stentata capacità di conversazione della mia scimmietta. Magari questo è un modo per scoprire chi è.
- Non capisco- Esordisce, prendendo tempo, volgendo lo sguardo altrove.
Ci sono due possibilità ora: fare finta di nulla e continuare a giocare, oppure prendere una pausa dal lato ludico della situazione e cercare di capire dov’è che stiamo andando. Dato che mi sono incaponito con lei e che sono quasi certo che anche lei non consideri questa “cosa” semplicemente come un piacevole passatempo, ma è troppo timida e insicura per farsi avanti, decido di optare per la seconda opzione.
- Bernie, tu non parli molto. Ogni tuo stato d’animo ti limiti a esprimerlo attraverso le tue inconsce espressioni facciali; il più delle volte sei di una freddezza disarmante, poi improvvisamente ti sciogli e mostri una passione quasi disperata… vorrei cercare di capirti. Vorrei cercare di capire dove stiamo andando- Sospiro mentalmente di sollievo. L’ho detto e mi sono tolto un enorme peso dalle spalle.
- Tom- Si guarda attorno, evitando di incontrare i miei occhi e sembra quasi stia annaspando come se le mancasse l’aria; si sente in trappola e non sa, non riesce a parlare.
Sospira, rilassando le spalle – Riesco a essere me stessa solo così. Mi è difficile espormi, far vedere chi sono e solo attraverso il mio corpo, baciandoti, toccandoti mi libero di tutte le mie paure. Non voglio sembrare una ragazza “facile”- Confessa, tremando per l’immensa fatica.
La bacio di slancio, affondando le mie labbra nelle sue, sorprendendola.
- Cosa significa?- Domanda confusa, sorridendo lievemente.
- Hai ragione, ti ho interrotto, ma eri troppo bella per non essere baciata- Spiego, prendendomi un altro po’ del suo sapore dalle labbra.
- Insomma, io…- Si interrompe, con l’aria di un animale in gabbia.
- Tu?-
- M-mi piaci. Ecco, p-penso che…oddio, s-sarei pronta a provarci, insomma, conoscerci e… non mi far continuare- Dice implorante, guardandomi negli occhi quasi disperata.
Sorrido compiaciuto, ma non mi accontento – No, no. Continua. Non sapevo la tua voce fosse così bella-
- Sei proprio stronzo- Sbotta, scattando all’indietro per allontanarsi da me ma sono più veloce e le afferro il polso, stringendolo forte.
- Voglio sentirtelo dire-
Ora capisco perché ti hanno scelto per interpretare Loki.
Ah, dopo quasi tre anni? Grazie.
Non immedesimarti troppo.
- Ho paura! Va bene? Perché vuoi che te lo dica? A che scopo? Ne puoi avere quante te ne pare di donne… vai da loro se preferisci. Costringermi non mi aiuterà certo a parlare, quindi vai da loro-
- Quante ne voglio? Ti senti? Hai talmente tanta paura che preferiresti sparissi, non è così? Sarebbe più facile avvalorare chissà quale tua strampalata tesi che non fa altro che rinchiuderti ancora di più in quella stramaledetta gabbia in cui ti sei rintanata. Ti sei mai vista veramente? Hai una profondità, una dolcezza così rara, ma preferisci fare la bisbetica acida per paura. Più eviti le cose che ti spaventano, più è facile cadere nella trappola. Perciò sì, ti costringerò a sputare tutto il veleno che hai in corpo e se scapperai allora vorrà dire che mi sarò sbagliato sul tuo conto- Ho alzato la voce, me ne rendo conto; sento il volto in fiamme e la gola che mi duole un poco, ma l’accenno di lei ad “altre” mi ha fatto uscire fuori dalla Grazia di Dio. Non sarò io a fornirle il pretesto per continuare a rimanere chiusa nella sua lastra di ghiaccio.
- Perché?- Bercia inferocita, il volto trasfigurato in una maschera crudele.
- Perché io voglio te. Voglio conoscere te e non “le altre” e con questo non ti sto chiedendo nulla di serio, né ti sto mettendo un anello al dito. Di cosa hai paura? Le relazioni iniziano, finiscono o continuano e te lo ripeto: non posso prometterti nulla, l’unica cosa che posso dirti è che per tutto il tempo in cui le nostre strade si incroceranno o scontreranno ti tratterò con il massimo rispetto e cercherò di non farti soffrire. Cosa vuoi di più? Pensavo fosse lo stesso per te…-
- Cosa insinui?- Domanda con tono aspro – Pensi forse che se mi trovo in questa macchina è perché voglia brillare della tua luce riflessa? Come sospettavo: sei un arrogante damerino con le manie di protagonismo. Sono io quella che si ritroverà con il culo per terra non tu-
Non ci posso credere, anche se sono consapevole del fatto che più della metà della roba che ha sparato non la pensa, questo non vuol dire che non mi abbia ferito o peggio, fatto incazzare di brutto – Fa un respiro e datti una calmata. In primo luogo non mi è mai passato per l’anticamera del cervello che tu sia qui con me perché mi chiamo Tom Hiddleston…-
- Beh, tecnicamente sì- Ride un poco, cercando di allentare la tensione, ma sono troppo inviperito per badarci e soprattutto queste tattiche retoriche non mi hanno mai abbindolato.
- Non sto scherzando. Non capisci? Il fatto che ti piaccia perché sono io e non perché sono un personaggio è una delle cose che più apprezzo di te perché raramente mi accade. In secondo luogo, ti sei mai fermata a pensare che forse anche io ho paura? Bernie, non sei così fragile come vuoi dare a vedere, hai una lingua affilata con cui sai difenderti perfettamente: quando sei con le spalle al muro diventi cattiva. So che ti fai prendere dall’istinto e inizi a sparare a zero senza rifletterci perché di senti braccata, ma non sono il tuo giocattolino, a tutto c’è un limite e tu lo stai pericolosamente oltrepassando-
Scoppia in lacrime e mi sento un mostro: sono stato io a forzarla.
Sono venuto meno alla mia promessa, non farla soffrire.
Ha le mani a coprirsi il viso, il corpo scosso dai singhiozzi; la prendo per le spalle e la avvicino a me, senza incontrare resistenza, avvolgendola tra le mie braccia, contro il mio petto sul quale Berenice immerge il viso.
- S-scusa- Balbetta con la voce incrinata dal pianto. Credo di aver esagerato, in fondo è da così poco che la conosco, non posso pretendere da lei l’impossibile: mi sono fatto prendere dalle mie ansie, dalla mia voglia di sentirmi dire di essere ricambiato quando la mia scimmietta me lo aveva già fatto capire, non con le parole, ma con la dolcezza dei suoi gesti. Non mi era mai successo. Le mie reazioni con lei sono influenzate dalla totalità del suo carattere: Bernie è o bianco o nero. Ho preteso che diventasse grigia in un attimo e questa, per me, è una grave mancanza.
- No, perdonami tu. Non avrei dovuto…-
Si scioglie dall’abbraccio, si passa una mano sugli occhi per togliere i residui di trucco e tira su con il naso, continuando a piangere silenziosamente, senza guardarmi, ma giocando con il bavero della mia camicia con fare nervoso.
- T-ti ho d-detto cose orribili, che non penso. E’ che odio perdere il controllo e con te sto bene, ma ho paura di me stessa…non voglio farti soffrire ma…ti ho fatto stare male, vedi?- Ricomincia a singhiozzare forte ma questa volta si aggrappa alla mia camicia, nascondendo il volto nel mio collo.
- Bernie- Sussurro piano, iniziando a cullarla come una bambina- Sapevo già che eri pazza, questa reazione è proprio da te, solo… ti prego, non essere così cattiva, diventi brutta- Scherzo e la sento ridere contro la mia pelle, calmandosi un poco.
- Divento brutta?-
- Sì, tu non sei così. Vuoi fare tanto la dura ma alla fine sei una coccolona e mi piaci- La rassicuro, scostandole i capelli dal viso e scoccandole un bacio sulla guancia soffice.
- Mi perdoni?- Mormora imbarazzata. E’ tornata la mia piccola scimmietta, la scimmietta che adoro.
- Certo che ti perdono. Mi spiace, non dovevo costringerti così, ma ci tengo a te Bernie e non credere che anche io non possa soffrire perché non sei l’unica a provare certe cose. Voglio te, Bernie. Sei uno splendore. Perdona la mia debolezza, desideravo solo sentirmi dire…-
- Anche io voglio te. Sarà un’impresa ardua ma… era da tempo che non provavo certe cose: voglio prendermi cura di te e…- Si blocca, con la voce che prende una piega un poco imbarazzata- E, ecco, mi piace da morire baciarti-
Non me lo faccio ripetere due volte.
Piego il viso e le afferro le labbra, proprio come durante il nostro primo bacio.
Dischiudo la bocca, insinuando prepotentemente la lingua tra i suoi denti alla ricerca della sua, cogliendola impreparata.
Bernie si avventa, famelica, e si sposta in modo tale da approfondire il bacio ma per i miei gusti è ancora troppo lontana: la voglio sentire contro il mio corpo, vicino alla mia pelle. Le afferro i fianchi e la isso a cavalcioni sulle mie ginocchia, avvertendo chiaramente il mio sesso farsi duro mentre Bernie inizia a strusciarsi contro di esso quasi con violenza.
Perché non litigate più spesso?
Come prego?
Hai capito…
Le infilo una mano sotto la maglietta, accarezzando la pelle della schiena e sto per farla sdraiare quando Bernie si blocca, il viso arrossato e un’espressione dubbiosa sul volto.
- Tom – Mi chiama
- Sì, ti perdono…- Mi avvento nuovamente sulla sua bocca, interrompendola e continuando la mia lenta discesa su di lei.
- No, Tom. Aspetta, io…- Continua lei, imprigionando il mio viso tra le mani. Siamo in una posizione ridicola: io sono piegato in avanti nel tentativo di mettermi sopra di lei, mentre Bernie fa leva sugli addominali rimanendo con il busto un poco sollevato in avanti. Devo proprio farla continuare? Non ho intenzione di fare sesso sui sedili posteriori della macchina, fa tanto adolescenti arrapati, ma almeno un po’ di erotiche effusioni vorrei concedermele, anche se la tentazione di prenderla qui e adesso è decisamente molto forte.
- Che c’è?- Chiedo un poco spazientito e frustrato.
- Ecco… non è che tu pensi che stia, o come vuoi definire quello che facciamo, con te perché sei un attore famoso, vero? Perché non l’ho mai vista in questo modo, non voglio usarti, lo sai no? Certo, l’idea di poterti sfruttare per conoscere Jennifer Lawrence mi alletta molto, però…-
- Jennifer Lawrence?- Chiedo, stupito. Tra tutti, proprio lei?
- Sì, ecco, è la mia attrice preferita- Confessa con gli occhi che le brillano.
- Non la conosco bene, l’avrò vista si è no due volte- Spiego, tentando di penetrare la difesa delle sue mani, ancora salde sul mio viso. Sbuffo, alzando gli occhi al cielo, sorridendo un poco divertito dalla situazione: nel giro di pochi minuti Bernie si è trasformata in una fan sfegatata, peccato che l’oggetto della sua adulazione non sia io.
- Sai che per un autografo di Jennifer Lawrence potrei fare qualsiasi cosa? Potrei diventare come una di quelle ragazzine che hai sempre tra i piedi-
- Se ti prometto che cercherò di esaudire questo tuo bizzarro amore saffico per Jen, chiuderesti il becco ed esaudiresti il mio di desiderio?-
Ride e si lascia sovrastare da me, sciogliendo la presa d’acciaio sulle mie guance.
Berenice mi sfila a fatica la giacca per poi spostare le mani sui bottoni della camicia, iniziando a sbottonarla, mentre un’altra scarica di adrenalina mi sconquassa stomaco e petto.
La lascio fare, desiderando sentire le sue mani sulla mia pelle, ma non ho alcuna intenzione di lasciare tutto il divertimento a lei: per quanto le piaccia condurre le danze, l’uomo sono sempre io.
Mi sollevo, sciogliendo le nostre labbra e le tolgo il cappotto e il maglione bordeaux con una velocità e una foga che stupiscono anche me, lasciandola con una maglia nera dal profondo scollo a v che le mette in risalto il decoltè generoso che osservo goloso, desiderando perdermici dentro.
Sto per sdraiarmi nuovamente su di lei, quando Bernie mi blocca con una mano sul petto ormai nudo, spingendomi verso l’opposto finestrino (per fortuna la macchina è grande! E meno male che non volevo comprarla), invertendo le parti, per cui ora mi trovo completamente in balia di lei e della sua bocca che mi assaggia affamata.
Si mette a cavalcioni su di me, sorreggendosi con il piede della gamba destra poggiato sul tappetino; mi osserva con sguardo attento, iniziando ad accarezzarmi il petto, quindi i fianchi e lo stomaco per poi salire verso il collo e la mascella.
Sono inerme tra le sue mani, ma adoro il suo lato da dominatrice, almeno in questo contesto.
Abbassandosi fa aderire il suo corpo contro il mio, facendo una leggera pressione sul mio basso ventre che mi manda su di giri; Bernie se ne accorge e ride maliziosa, iniziando con le labbra una lenta discesa, partendo dall’incavo del collo fino a giungere ai pettorali che assaggia vogliosa, strappandomi un gridolino compiaciuto che sembra eccitarla ancora di più; con la lingua traccia la linea degli addominali, stringendo la pelle sui fianchi con le mani; avverto brividi di piacere pervadermi il corpo e provo un leggero fastidio perché i jeans iniziano a stringere.
Berenice si blocca poco sotto l’ombelico, interrompendo il contatto; sembra indecisa, non sa cosa fare e molto probabilmente ha le guance in fiamme per l’imbarazzo e questo mi dà la possibilità di prendere il controllo della situazione: mi metto a sedere costringendola a fare altrettanto. Afferro il bavero della maglietta e la spingo in ginocchio tra le mie gambe divaricate, approfittando dei suoi occhi chiusi per sbottonare i jeans (che liberazione!).
Ci guardiamo negli occhi per un istante, specchiandoci l’uno nel desiderio dell’altra, quindi mi avvicino piano al suo collo, tirando la manica della maglia a scoprirle la spalla sulla cui pelle bianca spicca una bretella di pizzo nero che mi incuriosisce: ho una vera e propria passione per la lingerie di pizzo, mi manda letteralmente in visibilio (non concordo proprio con chi non si cura di questi dettagli: anche se i ricami non sono destinati a rimanere a lungo addosso ciò non implica che l’occhio non voglia la sua parte).
Tiro ancora di più, lasciando che la deliziosa stoffa che le copre il seno si riveli, e senza neanche pensaci sfioro il dolce rigonfiamento con la bocca, risalendo poi verso la spalla che libero dalla bretella cosicché possa assaggiare anche quella parte di lei. Bernie sospira e avvolge le dita tra i miei capelli, giocandoci un po’, trascinandomi con sé mentre si adagia con la schiena sulla stoffa dei sedili, senza smettere di guardarmi dritto negli occhi.
 
 
Sento il suo corpo premere sopra il mio cercando di non farmi male.
E’ dolce anche quando si avventa famelico contro la mia bocca, anche quando sento vacillare il suo autocontrollo.
Non so davvero cosa mi sia preso prima: non che quel tipo di scenate non sia da me, ma pensavo che, almeno per quella sera, i dubbi fossero passati. Le domande di Tom però mi sono sembrate come dei cappi attorno al collo che stringevano sempre più forte; infondo ho pensato solo alla mia sicurezza, alle mie paure senza pensare che anche lui ha bisogno di rassicurazioni, che anche lui potrebbe soffrirci. Ma non sono una persona che si fida, anzi, ho bisogno di parecchio tempo prima di riuscire ad essere completamente me stessa, prima di lasciar entrare qualcuno nella mia vita.
“Dagli amici mi guardi Dio che dai nemici mi guardo io”, non è così il tuo motto?
Perché infierire?
Perché sei stata la solita pazza bisbetica esagerata.
La cornacchia ha ragione e mi vergogno da morire, anche se, ora come ora, il mio senso di colpa è passato nettamente in secondo piano.
Tom adagia il capo sopra il mio seno, sospirando esausto; infilo le dita tra i suoi capelli chiari con cui mi diverto a giocare e poi, mossa da un impeto di tenerezza che pensavo irrimediabilmente dimenticato, gli scocco un bacio sulla nuca, lasciando che i ricci mi solletichino il viso.
- Penso dovremmo andare- Mormora con voce bassa e roca, sollevandosi un poco per incontrare i miei occhi.
- E’ molto tardi?- Chiedo con tono che non riesce a celare un certo dispiacere: non sono ancora pronta per andare a casa, per lasciarlo, ma credo che non lo sarò mai.
Vorrei tanto poter fare l’amore con lui (è più carino dire così, il mio istinto e il mio corpo userebbero ben altri termini!), ma non voglio affrettare i tempi. Non sono una che aspetta, mi è capitato più di una volta di bruciare le tappe un po’ per mia smania, un po’ perché quello è un modo con cui riesco a sciogliermi, a far sentire quanto la persona in questione sia importante per me, eppure, con Tom, mi sono convinta che sia più giusto andare con calma.
Oh, tutta la sdolcinatissima solfa del tipo “E’ una cosa mai provata, deve essere l’uomo della mia vita” non attacca: ritengo semplicemente che la situazione sia complicata e parecchio instabile e poi, che dire, i preliminari e i connessi vari sono cose che mi intrigano perché, come ho spiegato, non ho mai avuto l’occasione di viverli a pieno.
E giocare con Tom mi diverte molto, anche se per adesso ci siamo limitati a pomiciare come ragazzini del liceo.
- Un po’, ma non è per quello…- Per la prima volta noto un lieve rossore sulle guance. Non mi guarda negli occhi e continua a torturarsi il labbro superiore.
- Sei per caso imbarazzato, Hiddleston?- Lo stuzzico, accennando un sorrisetto beffardo.
- Forse. I miei non sono stati proprio pensieri casti e puri- Poggia nuovamente le labbra sulle mie, indugiando in un bacio profondo e intenso dal messaggio inequivocabile.
- Sì, decisamente è meglio rientrare- Concordo con lui, mentre cerco di far tornare il mio respiro regolare.
Ci solleviamo entrambi, con l’aria un po’ spaesata, iniziando a rivestirci.
Che gran peccato!
Lolita, dai tempo al tempo…
Quanto, sono mesi che non ti fai una scopata!
Dio, dov’è la Cornacchia quando ho bisogno di lei?
- Posso?-
Tom, che si sta abbottonando la camicia, si blocca, guardandomi con aria interrogativa; rido sonoramente e gli scosto delicatamente le mani, prendendo ad armeggiare con i bottoni per rivestirlo. Non l’ho mai fatto, di solito mi dedico all’attività opposta ma tutto questo ha qualcosa di indefinibilmente erotico che scioglie ogni mia resistenza e anche lui deve trovarlo particolarmente eccitante, visto come non è riuscito a reprimere un piccolo gemito quando le mie dita hanno toccato la sua pelle.
- Voglio fare l’amore con te- Lo dice così, di getto e avverto le guance andarmi in fiamme mentre un dolce calore mi invade il ventre e il petto.
Continuo imperterrita a rivestirlo, come se fosse un bambino innocente tra le mie mani.
- Uhm, vedremo…-
- Vedremo?- Tom mi afferra il mento cosicché i miei occhi possano incontrare il suo sguardo serio e determinato.
- Vedremo, signor Hiddleston- Sussurro contro le sue labbra, prima di perdermi irrimediabilmente in un altro di quei baci che sanno di buono ma non sono nulla a confronto di quanto entrambi vorremmo l’uno dall’altra.
 
 
 ANGOLO DELL'AUTRICE: Buonasera a tutti. Ecco il nuovo, abbastanza lungo capitolo che spero sarà all'altezza degli altri. Prima uscitina romantica e proverbiali battibecchi tra i due che oramai sono immancabili: sono fatti così, che ci vogliamo fare!?
Questo è anche un omaggio a uno dei miei registi preferiti, Luchino Visconti :) Ludwig è un capolavoro su cui mi dilungherei pagine e pagine ma, ahimè, ammorberei e basta. Ora, c'è un'altra cosa: so perfettamente che Tom Hiddleston ha fatto altri film,che tra l'altro ho anche visto, oltre a Thor, ma se penso al suo personaggio in The Deep Blue Sea mi viene l'ansia, rievoca nella mia mente ricordi spiacevoli.
Ad ogni modo, ringrazio chi segue, legge silenziosamente, commenta e chi farà tutte queste cose in futuro.
Un bacio
Clio
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** CAPITOLO 6 ***


Capitolo 6
Valigie di cartone e artigli di Velociraptor
 
Sono seduta sul pavimento, gambe incrociate e occhi chiusi; le Cello Suites di Bach riempiono l’aria di una melodia malinconica e sublime.
Respiro ed espiro profondamente, lasciando che le onde delle note penetrino dentro di me e che soavi parole mi pervadano la mente per far sì che riesca a comporre almeno una frase di senso compiuto per quella stramaledetta tesi!
Ma che fai? Sei scema?
No, training autogeno: come conquistare la sanità mentale prima di Capodanno.
Se questo è un modo per calmarti lo stai facendo da schifo, sorella!
Vaffanculo, “sorella”.
Apro gli occhi, sbuffando sonoramente, poggiando la testa sul tavolinetto del salotto cercando di frenare le lacrime di frustrazione che presto si riverseranno copiose sulle mie guance. Odio avere il blocco dello scrittore, anche perché di solito capita sempre quando devi cercare di comporre i nuovi Promessi sposi nel giro di pochi mesi.
La superficie di vetro inizia a vibrare e io mi limito ad allungare una mano per afferrare il cellulare, rimanendo con la faccia rigorosamente spiaccicata.
 
- Scimmietta, mi manchi. T
Tom, benedettissimo uomo, tu sì che sai come rendermi di buon umore!
Mi sollevo con un sorriso luminoso stampato sul volto mentre le mie dita corrono veloci sulla tastiera, ansiose di rispondere.
- Eh, lo so. Non si riesce a vivere senza di me J
 
Ok, probabilmente avrei dovuto dirgli semplicemente: “Sì, anche tu mi manchi molto, perché non vieni qui e facciamo l’amore in ogni stanza e in ogni luogo?”. Ma non è da me, non è assolutamente da me e malgrado nelle nostre conversazioni (ci sentiamo tutte le sere anche se sono passati solo tre giorni dal nostro ultimo incontro) abbia più volte ribadito che odia il cinismo, sembra piacergli questo modo scorbutico e provocatorio con cui mi approccio a lui.
Se lo sapesse Darcy che ho risposto così mi fucilerebbe… Già, lei lo sa, cioè, in realtà lo sa tutto il gruppetto “Magnifici cinque” dato che domenica sono piombati in casa mia, procedendo ad un alquanto molesto interrogatorio, con tanto di mezzi di tortura (solletico sotto i piedi, il tremendo solletico sotto i piedi).
Fucilarti? Oh, no mia cara. La cornacchia qui mi dice che ti scioglierebbe nell’acido, lentamente…
Che schifo! Ma perché non me lo dice di persona?
Perché lei è stata gentile, io ti scuoierei viva!
 
Altra vibrazione, altro messaggio. Lo apro e sorrido, Tom riesce a farmi sorridere sempre, anche a distanza.
- Esattamente. Vedo che ci capiamo, pertanto desidererei venire a riscuotere quello che mi hai promesso… poiché mi hai detto che potevo baciarti ogni volta che ne avessi avuto voglia direi che verrò a farti una brevissima visita prima di cena. Va bene, mia piccola scrittrice di tesi?
 
Avete presente gli occhi a cuoricino dei cartoni animati? Ecco, se fossi un cartone animato (per quanto la mia goffaggine si avvicini a quella di Pippo) i miei avrebbero quella stessa forma. E’ di una dolcezza disarmante e deve essere anche un santo dato che ancora non ha gettato le armi perché, diciamocela tutta, dopo la scenata in macchina, personalmente, mi sarei mandata a quel paese da sola.
 
- Magari fossi una scrittrice di tesi, per ora mi limito a fare l’ascoltatrice di Bach. Va benissimo per questa sera, non vedo l’ora. Tre giorni sono troppi… un bacio.
 
Tiro un sospiro di sollievo, fantasticando su Tom e me, seduti sul divano, le sue mani su di me, le labbra unite, il mio reggiseno per terra… ehm, ok, facciamo un po’ di censura che è meglio, altrimenti finisce male ed ecco che passa un’altra mattinata senza che abbia combinato alcun che.
Purtroppo, in questi giorni, non ci siamo potuti vedere, un po’ perché a quanto pare Tom ha iniziato nuovamente un non meglio precisato giro di colloqui con contratti annessi e un po’ perché a me è toccato supervisionare l’uscita del numero di dicembre di Umanitas (Ahhh, mancano due numeri, sigh sigh), seguire le lezioni all’università; per non parlare del fatto che sono almeno tre giorni che dormo sì e no tre ore a notte a causa di manoscritti d’autore che si sono rivelati più pesanti della Fondazione della metafisica dei costumi di Kant.
Sono giunta alla conclusione che avere tre lavori sia diventato lesivo della mia vita sociale…
Alla buon ora, sarà almeno un anno che vado ripetendolo.
Meglio tardi che mai, no?
No, meglio prima che dopo.
Dicevo, mi sento veramente stanca, sia fisicamente che mentalmente e non so quanto riuscirò a reggere questi spasmodici ritmi, soprattutto ora che c’è una persona nella mia vita che desidero conoscere e a cui desidero dedicare tempo ed energie, perché questa volta, senza tenere conto delle mie innate seghe psichiche, non ho alcuna intenzione di sacrificare i miei affetti per il lavoro. Sono tre anni, quasi quattro, che mi sveno per la carriera e ritengo che, essendo ormai giunta alla veneranda età di 25 (26 ahimè!) anni di età, sia mio sacrosanto dovere pensare a ciò che verrà dopo e, perché no, anche a mettere su radici. Non dico che debba essere per forza con Tom, anche se l’idea non sarebbe malvagia, ma il solo fatto di averlo conosciuto, il sentire nuovamente certe emozioni mi ha fatto capire di essermi affaccendata tutta la vita e di aver lasciato poco tempo per me stessa (Seneca docet).
Insomma, è giunto il tempo di decidere cosa voglio fare da “grande”: continuare la carriera accademica, darmi all’editoria oppure tentare la perigliosa strada del giornalismo? Ho iniziato a spedire curricula a destra e a manca, soprattutto in ambito universitario, figurarsi che sono riuscita a spedirne alcuni addirittura negli Stati Uniti, eppure ce n’è uno in particolare che è rimasto in una cartella nascosta nel mio PC. Se dico BBC mi capite? Non so se ho le carte in regola e ho paura di una delusione. Vedremo, c’è ancora tempo per questo. Ma non per la mia tesi!
Mi rimbocco le maniche e prendo a fissare lo schermo del computer. Pensa, Bernie, pensa…
Ce l’ho! Ho la frase e…
L’uccello di fuoco di Stravinskij si intreccia con le note di Bach e io dico definitivamente addio al progetto di scrivere almeno altre due pagine su Platone e la sua idea del Bene.
Guardo il display del mio cellulare e il nome che vi leggo sopra mi strappa un urletto eccitato e felice…
  • Oh. Mio. Dio. Paisà!
  • Ninni, bella di casa! Non ti far sentire mai, mi raccomando. Betta ti vorrebbe uccidere e sai che lei sa come usare un bisturi.
Edo, il mitico Edo. La sua voce mi riempie di gioia, sono secoli che non ci vediamo e mail, rare conversazioni su skype stanno diventando insufficienti, la mancanza di lui sta raggiungendo livelli inammissibili.
  • Chiedo umilmente perdono e mi prostro ai tuoi piedi. Allora, che mi dici? Comunque ho visto le tue ultime creazioni, quella poltrona la voglio pure io, mio magico designer.
  • Eh, eh! Quando avrai tremila euro da spendere per una poltrona fammelo sapere, nel frattempo, quando tornerai a Roma ti accompagnerò all’Ikea.
  • Affare fatto, Paisà. A casa tutto bene?
  • Sì, sì. Bernie, sono un po’ di fretta, ti volevo dire che la mia valigia di cartone ed io ci accamperemo a Londra nella tua casetta da domani a sabato mattina all’alba. E’ un problema?... Ninni?
Zompo in piedi e inizio a urlare contenta, saltellando attorno al divano come una tremenda imitazione di una danza nativo americana.
  • Deduco sia un sì…
  • Certo che sì! Non vedo l’ora, ci sono un sacco di cose che ti devo raccontare e  sarà come ai vecchi tempi… non sai quanto tu mi abbia fatto felice. Poi ci sono i ragazzi, Rory e Darcy saranno entusiasti.
  • Anche io sono felice di rivederti. Comunque, domani arriverò la mattina, poi dovrò andare ad una riunione e poi ti va un pranzo tu ed io, io e tu?
  • No, problem. Ti do l’indirizzo di un pub vicino alla redazione. Ci vediamo lì per l’una.
  • Perfetto, a domani Ninni bella!
Mi accascio sul pavimento, ridendo da sola e sprizzando gioia da tutti i pori. Edo viene domani e rimane per ben tre giorni, più tardi vedrò Tom, come non posso non ritenermi la persona più fortunata al mondo? Edoardo è il mio miglior amico sin da quando avevamo sì e no un anno, è il fratello che non ho mai avuto; mi conosce come le sue tasche e viceversa ma soprattutto è una delle pochissime persone con cui mi permetto di essere me stessa e a lui sta bene così, anche perché in quanto a pazzia ce la battiamo degnamente.
Sì, posso dire tranquillamente che, sebbene sia indietro con il lavoro e abbia arretrati di sonno da fare invidia ad un medico del pronto soccorso, questa giornata potrebbe candidarsi come una delle migliori della mia vita.
 
 
Quando Bernie spalanca la porta per farmi entrare, non ho neanche il tempo di salutarla che lei mi afferra per il bavero della giacca e mi tira contro di sé, premendo forte le labbra sulle mie.
Piacevolmente colpito da questa calorosa accoglienza, rispondo al bacio con trasporto mentre sento le mani di lei che si affannano a togliermi soprabito e sciarpa.
Sorrido contento tra un bacio e l’altro, prendendole il viso tra le mani senza fermarmi un attimo, lasciando che il suo profumo mi pervada e il calore del suo corpo bruci la mia pelle.
Abbiamo inavvertitamente indietreggiato, così, quando Bernie incontra il divano perde l’equilibrio, cadendo su di esso trascinandomi con lei, continuando a ridere e ad accarezzarmi, con quei suoi occhi così grandi che non avevo mai visto tanto brillanti.
- Mi sei mancata anche tu-
- Dici che per oggi il mio debito l’ho saldato?- Scherza, sempre con il sorriso sulle labbra.
- Uhm, non penso proprio- Le accarezzo la fronte, l’altra mano incastonata nella sua e poggiata sul suo petto, all’altezza del cuore e non posso fare a meno di pensare a quanto sia bella adesso, così languida, così vogliosa e così mia.
- Com’è andata la giornata?- Chiede, accomodandosi meglio sul divano, rimanendo però sotto il mio corpo.
- Abbastanza bene. Ho programmato alcune interviste e servizi fotografici e poi ci sarebbe la possibilità di una rappresentazione teatrale-
- Wow, teatro, adoro il teatro… sarai contento, tu adori recitare dal vivo, no?-
- Sì, non pensavo sarei stato tanto entusiasta di tornare sul palco. Credo mi sia mancato-
- Beh, immagino sia un’esperienza più intensa, più sentita rispetto al cinema. C’è una magia tra l’attore e il suo pubblico e deve essere bello poterne godere i frutti così, direttamente…-
La guardo ammirato, strabiliato oserei dire. Ha colto esattamente l’essenza della recitazione teatrale, o meglio, quello che io ritengo ne sia l’essenza. Bernie, quando non fa la scimmietta pazza, ha una capacità di immedesimazione, una sensibilità sopraffina con cui riesce a cogliere anche le più minute sfumature. Sono tre giorni che ci sentiamo regolarmente per telefono, stiamo ore a parlare di noi, dei nostri sogni, delle nostre giornate e più discorriamo più mi rendo conto di quanto attenta sia nei miei confronti, di quanto sia premurosa e interessata a quello che faccio.
Le do un bacio leggero, delicato che lei ricambia con un sorriso fanciullesco e dolce.
- Se dovessimo ancora conoscerci ti piacerebbe venire a vedermi?-
Evita il mio sguardo, un poco imbarazzata mentre le guance le si fanno rubizze.
- Che c’è?- Chiedo perplesso.
- Oh, ehm, come dire… confesso sarebbe il primo spettacolo teatrale in lingua inglese della mia vita...-
- Cosa?-
- Lo so, lo so. Ci ha già pensato mia madre a darmi della deficiente. Che dovresti rappresentare?-
- Shakespeare-
- Appunto- Dice sconsolata, chiudendo gli occhi.
- Non ti piace?-
- Certo che mi piace, non è questo ma…-
-Ma…?- La sprono io, curioso di sentire cosa ha da dirmi e anche leggermente divertito da queste sue buffissime reazioni.
- Non sono molto brava a cogliere le parole in rima, contento? Ho serie difficoltà di comprendonio quando si tratta di versi, soprattutto con Shakespeare… non so perché, infondo il suo inglese non è così ostico, leggo cose ben più complicate. Sarà un blocco mentale, chi lo sa!?- Si affanna a giustificarsi, gonfiando buffamente le guance che prendo a baciare teneramente.
- Tom, ihih, così mi fai il solletico!- Ridacchia, cercando di allontanarsi da me e spingendomi via con le mani sul petto.
- Ah, no! Sei in punizione per non esserti mai goduta un’opera shakespeariana in lingua originale- La bacio ancora e ancora, strofinando la barbetta contro il collo e il mento, arrossandole la pelle diafana e delicata, godendomi i suoi  trilli allegri. Ad un tratto avvolge la gamba attorno alla mia vita e, non so con quale forza, o forse cogliendomi semplicemente di sorpresa, mi capovolge, ritrovandosi sopra di me, le sue mani strette attorno ai miei polsi che tira sopra la mia testa.
- E questo?- Domando allibito, guardandola con occhi spalancati e un’ombra di risata.
Sorride trionfante – Vaghe reminescenze di quando ero un’atleta e facevo Judo, sono stupefatta di me stessa.
- Facevi Judo? Tu? Una bambolina così!?-
Bernie arriccia il naso, probabilmente un poco offesa del tono scettico e ilare della mia voce.
- Certo, mai fatto sport femminili. Non mi ci sono mai vista in tutù- Si è allungata contro il mio petto, strusciando seducente il suo corpo contro il mio, provocandomi brividi di piacere; i suoi occhi sono umidi e profondi e il cuore manca di un battito mentre annego in quei laghi immensi. Afferra la mia bocca con le labbra già dischiuse, iniziando una danza frenetica, fatta di lievi morsetti e carezze delicate che mi costringono ad inarcare la schiena e lei, quasi leggendomi nel pensiero, libera i miei polsi lasciandosi toccare.
Faccio leva sugli addominali e mi metto seduto; avverto le sue gambe imprigionarmi i fianchi e le sue mani che cercando le mie fino a che non si incontrano, intrecciandosi come nodi di seta e poi sciogliersi e quindi ritrovarsi, quasi si stessero rincorrendo.
Mi sembra quasi di volare, come se in quel momento ci fossi e non ci fossi , i battiti del mio cuore accelerano e lo stomaco si scioglie piacevolmente…
Se continua così potrei quasi innamorarmi.
Oddio, l’hai detto.
Oddio, l’ho detto.
Non sai quant’è bello avere sempre ragione.
Innamorami…
Sì, decisamente sono sulla buona strada per perdermi inesorabilmente.
Adesso non resta che aspettare di essere assalito dalle  domande che sorgono spontanee quando ci si affeziona ad una persona: funzionerà? Mi farà soffrire? Sarà la donna della mia vita?
Attendo, cerco quei quesiti, quelle paure frugando nei meandri della mia mente, ancora avvinto a lei e alla sua bocca famelica che mi cerca e mi prende. Aspetto ma non arriva nulla, c’è solo quel piacevole calore nel petto e quella voglia disperata nel basso ventre che mi fa desiderare di essere dentro di lei, di rimanere lì per tutta la notte.
- Tom- Sospira affranta, separandosi dalle mie labbra a fatica e appoggiando la fronte contro la mia.
- Ti prego…- Sussurro, imprigionando ancora una volta la sua bocca, approfondendo il bacio con più foga di prima perché non sono ancora sazio di lei, perché ho bisogno di averla con me.
 
Mi sto per innamorare…
La consapevolezza di quelle parole mi investe come pioggia gelata in una sera di inverno.
Con quanta facilità sia riuscito ad entrare nella mia vita ancora non me lo spiego e forse non ne sarò mai capace, ma non importa, non importa nulla ora che Tom mi prega di tornare da lui, di unire nuovamente le nostre bocche, rispondendo al mio medesimo desiderio.
L’emozione mi spezza il respiro, il mio cuore galoppa imbizzarrito e avverto il sapore delle mie lacrime che scivolano silenziose lungo la pelle, così commossa che quasi dimentico le mie paure perché Tom ha fatto scivolare via la mia solitudine.
Il buio nel quale mi ero ostinatamente chiusa si schiarisce, una tenue alba appare all’orizzonte e timidi raggi luminosi entrano nella mia vita.
Quei raggi hanno lo stesso colore intenso degli occhi dell’uomo che mi bacia e mi stringe a sè.
Sciolgo il contatto e lo abbraccio forte, spingendolo ancora una volta disteso sul divano, con le guance umide di pianto.
Il Piccolo Lord mi guarda un poco confuso, aggrottando la fronte, iniziando ad accarezzarmi il volto con la punta delle dita.
- Piangi – Constata lui con voce roca e vellutata.
Annuisco, prorompendo in una risatina nervosa e scuotendo la testa sconvolta, cercando di recuperare me stessa.
- Sono felice- Mormoro più a me stessa che a lui, chinando il capo per poter lambire il suo volto con teneri baci.
- Sei bellissima- Dice carezzandomi il profilo, guardandomi quasi adorante e facendo sciogliere irrimediabilmente il mio cuore; le mani scivolano sotto la mia maglietta e avverto le dita di Tom disegnare linee ondulate sulla mia pelle, salendo verso il collo e scendendo lungo il bacino, provocandomi brividi di piacere.
- Anche tu, ma immagino te lo dicano in molti e io non sono i “molti”- Spiego, fingendo arroganza e lasciandogli un bacio a fior di labbra per rimarcare il mio possesso, sentendo la sua bocca schiudersi in un sorriso divertito.
- No, decisamente non sei i “molti”- Ripete pensieroso ma con lo sguardo sereno, compiaciuto quasi.
- Sarà meglio che vada, domani mattina ho dei giri da fare- Si solleva, accompagnando i miei movimenti con il corpo e le mani: è lampante che nessuno dei due vorrebbe sciogliere il contatto, ma è tempo di andare. Sbuffo, sollevando gli occhi al cielo e Tom mi stringe a se, ridacchiando contro il mio collo e facendomi il solletico.
- Posso invitarti a casa mia giovedì?-
Siiii! Casa sua: dai che forse ce la facciamo.
Lolita è felice.
Lo sento forte e chiaro.
- Se vuoi invitarmi, sarò lieta di venire…- Rispondo contenta, allacciandogli le braccia attorno al collo.
Si alza, issandomi tra le braccia e avviandosi verso la porta, con me incollata al suo petto come una vera e propria scimmietta. Una cosa che mi piace di Tom è il suo essere allegro e vivace, sempre con il sorriso sulle labbra e gentile: decisamente un po’ di positività nella mia vita ci voleva, era ora.
Mi lascia scivolare per terra, aspettando accanto alla porta mentre gli raccatto gli indumenti, indecentemente sparsi sul pavimento.
- Ah, c’era una cosa che ti volevo dire- Esordisco, aiutandolo a mettere la giacca.
- Ti piace proprio vestirmi, eh?- Dice malizioso, guardandomi furbetto e lanciandomi il solito sorriso sghembo di uno che la sa più lunga del diavolo.
- Pensala come fosse un lontano parente del principio di spostamento freudiano- Ribatto mentre avverto le guance avvamparmi e continuando la mia opera di vestizione evitando accuratamente di incontrare il suo sguardo.
- E’ un modo molto pudico e subliminale per dire che vuoi fare l’amore con me?-
BUM!
Mi cedono le gambe e do una poderosa culata sul pavimento.
Ecco, adesso posso anche morire…
Su! Che stiamo aspettando? Fucilatemi, impalatemi, seppellitemi o riavvolgete il nastro, tutto ma non questo.
Sei svenuta?
No, non lo so.
Ragazza, capisco che sono secoli che non vedi un uomo come mamma l’ha fatto… ma addirittura cadergli ai piedi per un po’ di intimità lede l’immagine della donna forte ed emancipata.
Non sfottere!
E’ quello che so far meglio.
Sento un’eco lontana delle risa di Tom, ma è come se fossi in una bolla di sapone, tutto attorno a me è ovattato, le orecchie mi fischiano fastidiosamente e sento le guance in fiamme. In vita mia mai fatta una figura di merda così colossale, parola mia.
- Scimmietta, ti ho sconvolta?- Le sue braccia mi avvolgono la vita, tirandomi su di peso e poi stringendomi contro il suo petto, lasciandomi la possibilità di nascondere il volto.
- Ho avuto un calo di pressione- Mento spudoratamente, tanto che sento il Piccolo Lord sghignazzare sonoramente.
- Guardami- Dice gentilmente, posando un dito affusolato sotto il mento, sollevandolo in modo tale che i nostri occhi possano incontrarsi.
- Non devi vergognarti di quello che provi o di quello che vuoi con me, mai- Fa una pausa, lo sguardo serio e attento che sembra brillare come fuoco- Perché tu, Bernie, mi fai esattamente lo stesso effetto e anche se non svengo, questo non significa che non ti voglia. Se non ti senti pronta, aspetteremo ma, in ogni caso, devi sentirti libera di essere te stessa-
Lo bacio di slancio, appassionatamente, troppo presa dalla foga per riuscire a esprimermi a parole.
Quanto vorrei non se ne andasse e rimanesse con me, tutta la notte.
 
 
Signore! Non sono mai stata così agitata neanche il giorno della mia laurea (non è vero, ma fa scena dirlo).
Sono arrivata in anticipo all’appuntamento con Edo, quindi sono ben dieci minuti buoni che faccio avanti e indietro davanti al luogo pattuito e sento il nervosismo scuotermi il petto e lo stomaco. Sono così in trepidazione che non mi riesco a controllare, le mani sono sudaticce e screpolate tanto le sto torturando ma mi è mancato così tanto che sento di star per esplodere.
Il mio sogno è sempre stato quello di volar via, di lasciare Roma e viaggiare, allontanarmi dal passato per costruire da me il mio futuro e non ho mai pensato avrei provato nostalgia o malinconia per ciò che mi sarei lasciata alle spalle: quelli erano sogni, la realtà è cosa ben diversa. Per quanto non mi penta delle mie scelte, di questa in particolare, ho dovuto rivalutare i miei sentimenti, rendendomi conto di quanto sia stato e sia tuttora difficile mantenere i contatti, rimanere gli stessi. I cambiamenti non programmati non mi piacciono ed è stata un’impresa ricostruire ogni cosa daccapo, malgrado la solidità delle mie amicizie italiane.
Ad un tratto delle mani coprono i miei occhi, accecandomi: riconoscerei quelle mani e quell’odore anche tra mille altri.
- Toc, toc… chi è?-
- Il lupo mangia frutta, che frutta vuoi?- Edo mi libera dalle sue mani, consentendomi di voltarmi e saltargli al collo, stringendolo con tutta me stessa. Mi afferra per i fianchi e mi fa girare, mentre le nostre risate aleggiano nell’aria quasi sovrastando lo strepitio della vivace Londra.
- Ehi, Ninni! Sei cresciuta-
Gli do una spinta- E tu non sei cambiato affatto-
E’ vero, Edoardo è il solito, occhi scuri e vivaci e risata da giullare un po’ sbruffone che non lo ha mai abbandonato da quando aveva sei anni.
Rimaniamo abbracciati, stretti l’una all’altro per un tempo interminabile, fino a che il rumore del suo stomaco non interrompe il dolce silenzio che si era creato tra di noi: ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere complici e felici.
- Prima le signore- Con galanteria, Edo mi apre la porta del locale, facendomi un cenno con la mano per farmi entrare. Gli faccio una piccola reverenza ed entro, senza staccare gli occhi dal mio amico per paura che possa scomparire da un momento all’altro. Che sia un sogno? Ma è così bello rendersi conto che la realtà è tale da avere le stesse fattezze della fantasia, così mi beo ancora un poco di questo stato quasi onirico. Allora, dopottutto, è proprio vero che «siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni».
 
 
- Edo! Sembra che tu non abbia mangiato da secoli! Sono dieci minuti che trangugi tutto senza parlare- Sbotto, imbarazzata. Non mi ricordavo si avventasse in questo modo sul cibo.
- Oh, hai ragione Ninni. Scusa- Dice, pulendosi la bocca e rilassandosi.
Gli afferro un mano e mi avvicino per scoccargli un bacio sulla punta del naso…
So che potremmo sembrare benissimo una coppia di fidanzatini che si incontrano per la pausa pranzo ma, assicuro tutti, non è assolutamente così: una volta per provare ci siamo scambiati un lungo bacio alla francese… Dico solo che ancora oggi lo ricordiamo come il peggiore bacio mai dato in vita nostra. Betta, Luca e Alessandro hanno tentato di perorare la nostra causa più e più volte nel corso degli anni, ma siamo come fratelli, ci conosciamo da più di vent’anni e certo non potremmo mai vederci come più di “semplici” amici. I nostri atteggiamenti potrebbero sembrare un poco equivocabili perché mostriamo il nostro reciproco affetto con baci, abbracci e anche qualche palpatina qui e lì ma le nostre menti sono caste e pure, anche se, molto spesso, questo nostro modo di fare è stato causa di numerose litigate con i nostri rispettivi compagni. Così, in pubblico, tentiamo di imporci dei limiti ma, ora come ora, non vedo perché non possiamo esprimere nel nostro modo unico quanto ci siamo mancati e quanto teniamo l’uno all’altra.
- Ancora non posso credere che tu sia qui- Mormoro accorata, trattenendo le lacrime.
Mio Dio! Ma che t’è successo? Sei diventata una frignona.
Brunilde, cara, si chiama amore.
- Già, e io non posso credere che abiteremo nuovamente nella stessa città per ben un anno-
- Cosa?- Il mio cuore manca di un battito, non può essere vero…
- Esattamente, l’azienda per cui lavoro a Milano ha la sede principale a Londra e mi hanno promosso assegnandomi un progetto da svolgere qui e chissà, magari sarà un trasferimento perman… Bernie, così mi stozzi!-
Sono saltata in piedi, gettandomi letteralmente contro il mio amico che ora mi ritrovo a stritolare con tutta la mia forza. Sono troppo gioiosa per trattenermi, al diavolo tutto e tutti. Edo ed io di nuovo insieme è il Paradiso in terra: non sarò più sola, ci sarà sempre lui a ricordarmi di casa.
- Oh, perdonami, non so cosa mi stia succedendo ma sono al settimo cielo e… Edo, cos’è quella faccia?- Forse mi sono fatta prendere troppo dall’euforia, perché mi accorgo solo ora del velo di tristezza che offusca gli occhi del mio migliore amico e mi do dell’egoista sciocca e sognatrice per non essermi resa conto che gatta ci covava.
- Si tratta di Ginevra, non è così?-
Edo solleva lo sguardo, affranto. Sì, si tratta sicuramente di Gin, la sua ragazza da quasi otto anni, nonché una delle mie più care amiche, sebbene da quando si è messa con Edo non è stato più lo stesso.
- Non va Ninni. Non va per nulla…- Mi confida, stringendo la mia mano.
- Come mai? Non vuole che tu vada a Londra? In fondo sarebbe solo per un anno e in caso fosse un trasferimento permanente si potrebbe raggiungere un compromesso, o no?- No, decisamente la questione è molto più complicata e problematica di così.
- E’ anche per quello, ma il fatto è che non sono molto sicuro di desiderare una relazione a distanza o che lei si trasferisca. Non provo più le stesse cose… ho già rinunciato per lei a delle opportunità e, quando me l’ha chiesto nuovamente, il mio cuore si è opposto. Credo sia giunto il tempo che le nostre strade si dividano…- Una lacrima gli riga le guance e si nasconde il viso con la mano libera, scuotendo la testa. Non l’avevo mai visto così disperato, neanche quando le nostre madri ci beccarono a fare sega perché non avevamo studiato fisica il pomeriggio prima, preferendo spararci la versione integrale del Signore degli Anelli (vi assicuro che le nostre madri sulla scuola sono peggio di Stalin e Pol Pot messi assieme).
- Glielo hai detto? Edo se pensi sia finita devi chiudere immediatamente e andare avanti…-
- Berenice, non riesco a capire. Otto anni con una persona e tre anni di convivenza non si possono buttare nel cesso così- Ribatte duro, infastidito tanto da sottrarsi alla mia presa.
- Hai ragione, scusami. Non mi piace vederti così ma conosco Gin e sospetto sia stata particolarmente pesante negli ultimi tempi. Da quanto tempo è? Perché non me ne hai parlato?-
Dodo mi guarda a lungo, contraendo nervosamente la mascella, probabilmente cercando di evitare di urlarmi addosso.
- Bernie, ti rendi conto sì che è un po’ difficile parlare di queste cose su Skype o per messaggio? Per non parlare del fatto che ti fai sentire ogni morte di papa… Comunque, lasciamo perdere, recriminarci a vicenda per le nostre mancanze non risolve le cose e non ci fa bene. Se può rincuorarti non lo sa nessuno, sei la prima a cui ne ho parlato e la prima a cui ho pensato per confidarmi- Mi spiega, lasciandomi una lieve carezza sulla guancia, guardandomi dolcemente.
- Capisco… riunione natalizia con gli altri?- Propongo, sorridendo incoraggiante e tendendo la mano.
- Affare fatto!- La stringe forte e poi se la porta alle labbra, iniziando a farmi il solletico con la corta barbetta che gli dona molto e facendomi ridacchiare.
- Basta parlare di me Ninni, se non ricordo male c’era una cosa che mi dovevi dire…- Mi guarda malizioso, facendo una faccia buffissima.
Inspiro profondamente e mi faccio coraggio. E’ Edo diamine! Il tuo migliore amico, quello a cui racconti tutto ancor prima che sia successo qualcosa, non farti venire il blocco: devi semplicemente dirgli che sei tornata sulla piazza, ti stai per innamorare di un ragazzo meraviglioso che ti vuole esattamente quanto te e che è così dolce che ti riempie il cuore semplicemente sorridendoti. Già, se poi il ragazzo in questione è anche l’attore del momento, uno di quelli per cui Edo stravede (mai come Johnny Depp, per lui cambierebbe anche orientamento sessuale e come dargli torto), la questione si fa un tantino più complicata.
- Allora? Ninni, ti si sono bloccati i neuroni? Oddio, non mi dire che ha venti anni più di te e sei incinta ma lui non lascia la moglie e poi si scopre che farai la stessa fine di Scarlett Johansson in Match Point e…- Gli tappo la bocca con la mano: quando prende la tangente è insopportabile, potrebbe attaccare un pippone chilometrico neanche fosse la Ginestra di Leopardi.
- Niente di tutto questo. Come te lo dico?-
- Se vuoi puoi mimarlo oppure facciamo come a Tabù e io provo a indovinare!- Suggerisce, cercando di essere incoraggiante, anche se la sua frase sa tanto di presa in giro. Gli assesto un “leggero” pugno sulla spalla e mi decido: leviamoci il dente e tiriamo tutto fuori.
- Allora, hai presente Loki?-
Edo mi guarda confuso- Ehm, Ninni, Loki è un personaggio dei fumetti…-
- Lo so, cretino! Va bene, questa tattica non funziona. Il ragazzo in questione è quello che fa Loki, Tom Hiddleston-
Finalmente, l’ho detto ad alta voce e di mia sponte. Posso depennare la lista delle persone a cui lo devo comunicare e togliermi un sassolino, uno dei tanti, dalla scarpa.
Edo ha gli occhi sgranati e la bocca un poco aperta, oddio, non è che ha un attacco epilettico?
Ma che attacco epilettico! Non è che vengono così…
E allora perché quella faccia?
Perché sta trovando il modo per non sbottarti a ridere in faccia o, molto più probabilmente, sta cercando una battutina da spararti.
- Bernie, dici che me la fa conoscere Scarlett Johansson?-
Altro pugno e Edoardo finalmente si libera di quella risata sguaiata che aveva bloccata nel petto e si lascia andare, investendomi con il suo scherno. Non ci crede… oddio, se Betta mi avesse detto una cosa del genere neanche io ci avrei creduto, ma è anche vero che mi sono sempre divertita a sparare cazzate solo per sorprenderli e poi svelare il mistero sotto gli occhi allibiti e infuriati dei miei amici. Quando si dice “gridare al lupo al lupo”!
- Non ci credi?- Domando affranta.
- Neanche un po’! Ti ricordi quando hai detto che ti avrebbero amputato la gamba perché la frattura ti si era ricalcificata male? Ecco, dopo quello scherzetto ho smesso di crederti, ti sei giocata il Jolly-
- Ma questa volta è vero! Guardami negli occhi, guardami! Vedrai tu se non è vero-
Ci guardiamo attentamente, senza levare lo sguardo l’uno dall’altra ma, in primo luogo, sono sempre stata una pippa a questo gioco e, in secondo luogo, come si fa a rimanere seri con quella faccia da beccafico che si ritrova Edo?
- Ah, ah! Ti ho beccata!- Afferma trionfante, puntandomi un dito accusatore.
- Ihihih, è vero, ihihih, sei tu che mi fai ridere!- Mi difendo, cercando di assumere un’espressione seria senza riuscirci granchè.
- Se, se. Aspetta che ci credo, intanto andiamo a pagare perché devo tornare in ufficio- Si alza, sorridendo allegro e porgendomi la mano, cercando di rabbonire il mio sguardo imbronciato e frustrato, mentre per tutto il tragitto tra il tavolino e il bancone borbotto scontrosa un “Ma è vero, diamine se lo è”.
Usciti all’aria aperta, lui sghignazzando, io mormorando improperi a destra e a manca, ci mettiamo l’uno di fronte all’altra, pronti per salutarci.
- Su, su Ninni. Basta- Edo si avvicina e mi abbraccia, sommergendomi mentre rimango imperterrita a braccia conserte, rigida contro il suo petto. Eppure, malgrado la delusione, sentire l’odore del mio amico, un profumo inconfondibile, come quello di casa, mi fa sciogliere.
- Poi ne riparliamo, ad ogni modo, quando rincaserai, maritino?- Scherzo, scostandomi a malincuore da lui.
- Verso le sei, ti trovo?-
- Sì, devo solo passare al giornale, sistemare delle cose e poi sarò a casa. Cinese tu ed io?-
- Mi sembra un’ottima idea- Si china sul mio volto, salutandomi con un lieve bacio a stampo sulle labbra e poi risale, indugiando sulla mia fronte, stringendomi ancora un poco.
- Mi sei mancata Berenice-
- Anche tu, a più tardi allora- Ci voltiamo, prendendo strade differenti.
Mi fermo e mi volto, sperando che nulla sia cambiato.
Infatti, anche Edo si è girato verso di me, iniziando a fare smorfie con la bocca per farmi ridere.
E’ proprio uno scemotto.
Lo saluto ancora e poi mi giro nuovamente per poter continuare per la mia strada quando il mio cuore inizia a galoppare veloce, facendomi fermare nuovamente.
Nel voltarmi mi è sembrato quasi di scorgere Tom dall’altra parte della strada. Avverto una leggera scarica di adrenalina pervadermi il corpo e con lo sguardo tento di ritrovarlo tra la folla, ma sembra come sparito.
Mo’ c’hai pure le visioni? Hai perso proprio la testa.
Decisamente, non solo i sogni, ora anche le allucinazioni. Wow, devo essere proprio sulla buona strada per innamorarmi.
E pure per scop…
Lolita!
Devo essermelo decisamente immaginato. E’ un peccato però, mi avrebbe fatto davvero piacere vederlo e abbracciarlo: mi è sempre più difficile stargli lontano. E poi vorrei presentargli Edo, un po’ perché quel cretino così avrà la prova lampante che non gli stavo mentendo, e un po’ perché Tom è ormai una parte della mia vita che sta diventando pian piano sempre più importante e, come tale, è giusto che conosca il mio passato e le persone che mi hanno resa ciò che sono.
Avere sia Edo che Tom con me sarebbe la perfezione.
Così, con questi dolci pensieri, trotterello allegra verso la redazione, pronta ad affrontare qualsiasi cosa.
 
 
- Allora Tom, ci vai o non ci vai alla festa della Tate Modern?-
- Che?- Chiedo confuso: non ho sentito una parola di quello che mi ha detto Luke. Quando si hanno nella mente grandi e bellissimi occhi color del cielo è difficile prestare attenzione.
- La festa del sindacato britannico degli attori, ricordi? Hai ricevuto l’invito qualche settimana fa e, dato che è questo sabato, sarebbe doveroso rispondere- Mi spiega paziente Luke, sebbene riesca a notare una certa esasperazione nella sua voce.
Sabato, festa, tanti attori, arte, Bernie… oh, no! Bernie parte martedì prossimo per Natale e non so quando avrò l’opportunità di vederla ancora.
- Ehm, passo?- Domando titubante, tentando almeno di averla vinta.
- Non puoi esimerti dall’andarci! Si tratta del sindacato!- Bercia allibito Luke.
- Mi spieghi perché me lo hai chiesto se già sapevi che non avrei potuto evitare di andarci?- Chiedo stizzito, accasciandomi contro il divano candido del mio salotto.
- Oh, Tom. Siamo in un regime di semi- dittatura, semi, e questo implica che devo essere a conoscenza del tuo parere-
Sbuffo infastidito e dispiaciuto. Non ho intenzione di sprecare una serata in ossequi e cerimonie, voglio passare tutto il tempo possibile con Berenice: e pensare che mi ero già programmato l’intero week-end.
- Cosa ti turba?- Mi chiede Luke mentre si affaccenda con il suo Blackberry a inviare mail e messaggi.
Luke è anche mio amico, oltre che pubblicist, a lui posso dire qualsiasi cosa, anche perché, in un modo o nell’altro, lo verrebbe a sapere comunque.
- Pensavo di trascorrere il sabato con Bernie, dato che poi tornerà in Italia…-
Luke, senza sollevare lo sguardo, evidentemente troppo indaffarato, alza un sopracciglio con fare confuso- Qual è il problema? Porta anche lei-
Oddio, non ci avevo pensato! Sarebbe davvero un’idea geniale se non fosse che molto probabilmente Berenice rifiuterà: timida com’è, non ce la vedo proprio ad affrontare una serata ufficiale in mezzo a tutti quegli attori, alla stampa, ai fotografi, ci conosciamo da troppo poco per poterla costringere a quella che, molto probabilmente, lei vedrebbe come una tortura.
- Non so se sia una buona idea, Luke- Confesso, sprofondando sconfortato nel divano.
- Ragazza da botta e via?- Dio, ma come fa a parlare con quel tono così professionale anche quando si tratta di faccende personali? Quando Luke è al lavoro la parte dell’amico sprofonda nel buio e rimane solo il pubblicist diligente. Non mi guarda neppure!
- Luke, potresti smetterla solo per un secondo di fare quello che fai?- Chiedo spazientito, strappandogli il cellulare dalle mani.
Sbuffa e si volta verso di me, accomodandosi meglio sulla poltrona, accavallando le gambe quasi fosse uno strizza cervelli.
- Sono tutto orecchi-
Mi passo una mano sul volto, pensieroso- Non vorrei sottoporre Berenice a una serata stressante, ecco tutto. E’ così riservata che non ho cuore di buttarla sotto i riflettori così…-
- Beh, credo che prima o poi dovrà abituarsi ad avere a che fare con queste faccende- Luke mi osserva intensamente, consapevole delle implicazioni di ciò che ha appena detto. Mi deve conoscere davvero bene per aver compreso quanto intenso e profondo sia diventato l’ attaccamento nei confronti della mia scimmietta.
- A me piacerebbe facesse parte della mia vita, sì- Parafraso la sua domanda taciuta, avvertendo una nuova leggerezza, come se un enorme peso fosse sparito dal mio petto. Credo sia giunto il momento di far sapere anche agli altri ciò che provo, voglio che tutti sappiano di Bernie e di quanto mi sia entrata dentro, nel sangue, nelle ossa. Forse è arrivata l’ora di farlo sapere anche a lei che mi sto iniziando seriamente ad innamorare e vincere la paura di un suo rifiuto, sebbene razionalmente sia abbastanza sicuro che anche lei abbia iniziato a provare le medesime cose.
- Perfetto, allora. Farò in modo che la stampa non arrivi a lei e che si sappia il meno possibile della faccenda…-
- Perché sembra tu stia parlando come se stessi cercando di insabbiare uno scandalo?- Sbotto, un poco arrabbiato.
- Tom, si tratta di lavoro. Ho accettato di badare a te sia professionalmente sia per tutto ciò che concerne la tua vita privata. Prima dirimiamo la faccenda, prima parleremo da amici- Mi spiega sorridente, sul volto l’espressione della ragione fatta persona. Quando si parla di Bernie non riesco proprio ad essere lucido, sono completamente in balia dei miei sentimenti e del mio cuore.
- Cosa proponi?-
- Direi che sia più conveniente arriviate separati. Farò accompagnare prima Bernie e poi la raggiungerai più tardi, come gli altri attori. Alla Tate c’è una mostra, per cui la scimmietta non si annoierà nell’aspettarti. Va bene così? Per il ritorno suppongo te la sbrigherai tu…- Mi fa un occhiolino, compiaciuto del piano architettato.
- Va benissimo allora- Concordo, stringendogli la mano- Grazie-
- Figurati, Tom. Per una cosa così semplice e comunque sono felice per te, davvero- Dice, dandomi una pacca affettuosa sulla spalla- Bernie è una ragazza splendida, un po’ matta, ma si vede che non ha occhi che per te-
- Dici davvero? Pensi stia facendo una cazzata colossale?- Domando accorato, ansioso di sapere la risposta.
Luke ride di cuore, portandosi una mano allo stomaco- Oh, Tom. Dal modo in cui vi guardate è palese quanta elettricità scorra tra di voi, persino Rob se ne è accorto… goditela e sii felice-
- Pace a te, fratello!- Rido anche io, sollevato e felice.
- Bene, allora vado a recuperare un altro invito e avverto Liz che hai bisogno anche di un capo femminile, darei un occhio per vedere Bernie alle prese con Liz-
Liz è la mia personal stylist ed è una donna energica e severa, che incute timore con il solo sguardo ma sopra ogni cosa è testarda come un mulo e se ha deciso che il completo sarà di velluto a pois sta sicuro che, anche se pensi sia ridicolo, ti ritroverai vestito da capo a piedi di velluto a pois.
Sì, decisamente anche io non vorrei mai perdermi lo scontro tra quelle due “valchirie”, giusto per rimanere in tema.
- Tranquillo per Liz, vado io, ho voglia di fare una passeggiata. Soprattutto muoio dalla voglia di vedere la reazione che avrà per questo poco preavviso, ci sarà da divertirsi- Sghignazzo, accompagnando alla porta Luke prima di andarmi a preparare per uscire a mia volta.
- Ah, ah. Mi raccomando di non tralasciare nulla quando me lo racconterai-
 
Sorprendentemente, sono uscito vivo dall’ufficio di Liz e, per come era iniziata la cosa, non ne ero tanto sicuro. Ho ancora i timpani doloranti per le sue urla e la nuca mi pulsa dolorosamente nel punto in cui mi ha lanciato quel tacco a spillo che più a spillo non si poteva.
Queste donne mi uccideranno prima o poi, ormai ne ho le prove. Speriamo che almeno con mia sorella Emma, più tardi, andrà tutto bene, davvero non potrei sopportare altre urla.
Il cielo è sorprendentemente terso malgrado il vento pungente che sferza la città e sono deciso ha sgranchirmi un poco le gambe, passeggiando tra le vie trafficate del centro-città. Non ho più impegni “ufficiali” almeno fino a giovedì, quando sarò costretto ad affrontare l’incontro tra titani Liz versus Berenice: “Devo vedere la ragazza! Già mi toccherà affannarmi per trovarle un vestito adatto, poi se devo andare alla cieca… ti prego, dimmi che non è una balenottera azzurra!”. Queste le testuali parole della mia personal stylist che quando vedrà che Bernie non è la classica ragazza inglese le prenderà un infarto, reclamando vendetta a gran voce.
Sospiro esausto, procedendo a testa china, stringendomi nel mio cappotto per non finire assiderato e…
Ad un tratto sento la sua risata.
Trillante, allegra, quasi eccitata, la potrei riconoscere tra mille: è Bernie.
Sollevo di scatto il volto, guardando a destra e a sinistra convulsamente, alla ricerca della ragazza da cui è nato quel suono melodioso. Vederla mi farebbe bene, darebbe una svolta a questa giornata abbastanza inconcludente e spaventosamente dolorosa e poi, non posso negarlo, mi manca da morire. Vorrei davvero riuscire a vederla di più, godermela e vivermela fino in fondo.
La vedo e mi si gela il sangue.
Sono letteralmente bloccato, incapace di pensare o fare alcun che: Bernie che abbraccia affettuosamente un uomo, un altro uomo, sorridendo e guardandolo adorante.
E questo è nulla in confronto a ciò che viene dopo.
Il ragazzo si china sul suo volto, dandole un lieve bacio a fior di labbra per poi risalire alla sua fronte, avvicinandola a lui con una mano sulla schiena. E a Berenice non sembra dar fastidio, anzi sembra appagata e felice.
No, non può essere lei, non è possibile, devo essere evidentemente troppo sconvolto per essere lucido, ma allora perché mi sento come se mi fosse crollato tutto il mondo addosso? Cos’è questa dolorosa sensazione di vuoto che mi divora il petto e lo stomaco?
Avverto una lacrima di rabbia e delusione scivolarmi lungo la guancia e questo mi manda in bastia, tanto che sono costretto ad ispirare ed espirare profondamente per evitare di andare da loro, spaccare la faccia a lui e uccidere lei.
La gelosia mi ruggisce prepotentemente nel petto, però non posso credere che sia lei anche se, purtroppo, ho una vista da falco e le prove sono tutte contro di me.
Ma guarda tu quei deficienti! Si sono addirittura fermati e si guardano come due colombi in amore! Che fa quello? Le fa le linguacce per farla ridere?
Sta calmo, non saltare subito alle conclusioni.
Quali conclusioni? L’ha baciata, sono stati appiccicati come cozze fino ad un minuto fa!
Vai da lei e parlale.
Sì, vado a parlarle e…
Cacchio mi ha visto!
Mi inginocchio repentinamente dietro una macchina, il cuore che mi martella nel petto come se fossi stato scoperto a rubare le caramelle in un negozio e, in effetti, adesso come adesso, ho tutta l’aria di un moccioso di dieci anni che tenta di sgraffignare leccornie in una pasticceria.
Mi sporgo un poco in modo tale da mantenere la mia copertura ma, al tempo stesso, poter sbirciare i suoi movimenti.
Berenice si sta guardando attorno, confusa, come se fosse stata spettatrice di una visione; la vedo scuotere la testa, quindi con il sorriso stampato sulle labbra, ricomincia a muoversi, quasi saltellando.
Ho detto parlale, non gioca a nascondino.
No, così sarei sembrato uno stalker e per di più credo non sarei riuscito a trattenermi.
Idiota!
Già, sono proprio un idiota!
Come ho potuto pensare fossi l’unico? Cosa mi è passato per la mente quando mi son lasciato andare, iniziando ad innamorarmi di lei?
Ormai sono adulto, e, come una rondine non fa primavera, così avrei dovuto tenere in conto il fatto che un bacio non implica nulla. Eppure mi sono lasciato cullare dal pensiero che qualcosa stesse nascendo, che anche lei provasse i miei stessi sentimenti…
Mi sono lasciato incantare da due occhioni a calamita e questo è stato il risultato: ho abbassato le difese e sono stato travolto.
Dovrei reagire, dovrei alzare la testa e prendere la cosa di petto; una nuova sfida, un rivale da sconfiggere e su cui trionfare; ho sempre amato la competizione e certo battermi per la donna a cui tengo è un incentivo in più per risollevarmi…
Invece, avverto solo oscurità afferrarmi l’anima, lasciandomi senza forze.
Gelosia, rabbia, dolore: questo sento e questo non riesco a combattere.
 
 
- Scusami se ti ho chiamato Luke, ma non l’ho mai visto così-
La voce di mia sorella mi giunge come un’eco lontana, mentre dei passi si avvicinano sempre di più.
Rhapsody in blue aleggia nell’aria allegra, tanto che quasi mi sembra di essere nuovamente tra le strade vivaci di New York, circondato dai suoi fumi e dai suoi odori forti. Ma non basta, tutto questo non basta a risollevare il mio animo.
Sono stravaccato sul divano con un panno umido e caldo a coprirmi il viso, tentando disperatamente di farmi passare un tremendo mal d itesta che non mi ha abbandonato per un attimo.
Non volevo far preoccupare Emma, anzi, ho cercato in tutti i modi di far buon viso a cattivo gioco per poter trascorrere in una pace apparente del tempo con lei, dato che, per impegni di entrambi, è diventato arduo incontrarsi. Non ce l’ho fatta: sono durato dieci minuti e poi sono crollato, affranto.
Un tipo eccessivo non lo sono stato mai, questa tremenda malinconia è un sentimento nuovo per me, ma non riesco a far altro che maledire quella “scimmia urlatrice” che mi ha contagiato con la sua tragicità.
L’immagine di quell’uomo che si avvicinava alla sua bocca, che lambiva le sue labbra è stampata a fuoco nella mia testa, ripetendosi e rinnovandosi ciclicamente senza tregua.
Sono nauseato e incazzato come raramente mi è capitato di essere, rinnovando sensazioni ed emozioni che non provavo da tempo immemore e che pensavo di essermi lasciato definitivamente alle spalle.
Lo sapevo che non avrei dovuto più rivederla, mannaggia a me, alla mia curiosità e alla mia passione per le situazioni difficili e complicate, ma, sopra ogni cosa, accidenti a quei maledetti occhi grandi e azzurri che mi hanno fregato alla grande.
Smettila di fare l’adolescente, alzati e va da lei.
Ah,ah! Già mi hai incasinato una volta. No, grazie, non ci tengo minimamente.
Non fare il coglione!
Mi porto le mani sul viso, mordendo il panno bagnato per soffocare un grido di frustrazione: Benedict! Ah! Dovevo fare io la parte di Sherlock, adesso come adesso mi ci rivedo proprio.
- Tom, che c’è? Liz ti ha sodomizzato con un tacco dodici?- Luke e mia sorella scoppiano a ridere, mentre mi limito a sbuffare infastidito, rigirandomi a pancia in giù, lasciando che il panno scivoli via dal mio volto umido e bagnaticcio.
- No, non è per lei, anche se il tacco dodici me lo ha lanciato dietro la nuca-
- Allora qual è il problema?- Emma si siede sul bracciolo del divano, prendendo ad accarezzarmi affettuosamente i capelli, quasi fosse diventata una vice-mamma. Insomma, ma il fratello maggiore non ero io?
- E’ per una ragazza?- Oddio, adesso sembra davvero nostra madre! Non avevo mai fatto caso avessero lo stesso tono dolce e comprensivo.
- Sì- Piagnucolo come un bimbo, anche se dentro di me qualcosa ruggisce nel tentativo di recuperare un poco della mia dignità.
- Che ha fatto Bernie questa volta?- Interloquisce Luke con voce sconsolata.
- Bernie?- Chiede mia sorella.
- La “scimmia urlatrice”-
-Ah-
- Luke! Glielo hai detto!?- Sbotto esterrefatto.
- Ehm…-
-Lo sanno tutti a casa, Tom. Anche mamma e direi che se non la chiami al più presto le prenderà una crisi d’ansia-
- Era un fatto privato, volevo fare una sorpresa…-
- Oh, Tom! Erano passati secoli dall’ultima volta che ti ho visto così euforico per qualcosa che non fosse lavoro e poi avevo promesso a tua madre di tenerti d’occhio e di riferirle ogni cosa…-
- E che sei? La mia balia? Ho trenta e passa…-
- Ok- Si intromette Emma, simulando con le mani un time out- Time out e racconta-
Sospiro pesantemente, sollevandomi a sedere e passandomi le mani sul volto, iniziando il mio racconto (non prima di aver lanciato uno sguardo di fuoco a Luke. Ricordatemi che lo devo licenziare!). Più parlo e più una terribile ansia mi scuote le viscere; non tralascio nulla, anzi, sono generoso di particolari, descrivendo minuziosamente ogni mio stato d’animo, ogni immagine, intervallando il discorso con invettive e improperi sparsi qua e là.
Quando concludo sono esausto ma sorprendentemente sollevato: mi sono sfogato e parte dell’ira è scivolata via.
Guardo prima Luke e poi mia sorella che si scambiano una lunga occhiata, quasi stessero affrontando una silenziosa discussione mentale, indecisi su quale verdetto sia più corretto.
- Davvero ti sei accucciato dietro una macchina?-
- Di tutte le cose che mi potevi chiedere, proprio questa?- Rispondo allibito. Emma dà una gomitata alle costole di Luke, guardandolo in cagnesco per poi volgere gli occhi su di me, cambiando l’espressione infastidita in una dolce e carezzevole.
- Tom, dovresti parlarle. Ci tieni molto a lei e sarebbe un peccato rovinare tutto per un disguido…-
- Disguido? Era un bacio…-
- Gesù, Thomas! Era un bacio a stampo, non una pomiciata con fuochi d’artificio annessi. Magari è il fratello…-
- No, è figlia unica-
- Un amico molto stretto-
- Certo, così stretto da dividerci il letto…-
- Basta!- Emma incazzata, però, è più simile a papà nei suoi momenti peggiori. Mi faccio piccolo piccolo contro i cuscini del divano, sentendo Luke sghignazzare divertito.
- Tom, tua sorella ha ragione. E’ inutile continuare a fare illazioni, sai bene che l’unica soluzione è affrontare la verità. Hai anche la scusa dell’invito, che vuoi di più?- Dice il mio amico, afferrandomi il braccio con fare fraterno.
Mi alzo in piedi, portando una mano al petto con fare teatrale (ci stava tutto!), guardando un punto lontano all’orizzonte- Avete ragione, ci vado!-
I due applaudono contenti, mentre mia sorella mi regala un umido bacio sulla guancia – Bravo, fratellone. Io, intanto, preparo la cena. Luke sei dei nostri?-
- Con molto piacere. Tom, non uccidere nessuno-
Ho la netta impressione mi stiano cacciando di casa, Emma si affretta a vestirmi mentre Luke tira fuori dall’armadietto delle medicine un plico di analgesico: non pensavo di essere stato così molesto.
Vengo spinto fuori di casa e, prima che possa dire alcunché, sento sbattere pesantemente la porta e un “finalmente, non se ne poteva più” di sottofondo, che quasi mi fa passare la rabbia per Bernie, tanto ci rimango male.
Direi che hanno ragione…
Ma  è casa mia!
Ora ho capito perché quella se la fa con un altro, sei insopportabile.
Come? Ma allora lo pensi anche tu!
Ops
Perfetto, ora anche il “Genio della lampada” ci si mette e la cosa non è molto confortante. Sarà quel che sarà ed ora a noi due Berenice OcchiACalamita Minardi.
 
 
Ditemi, perché se la giornata inizia bene, deve necessariamente finire di merda?
No, dico, esiste una qualche clausola che ti impedisce di goderti almeno un giorno l’anno senza preoccupazioni!?
Osservo il lago che si è creato nel mio piccolo cucinino con sguardo affranto, mentre mi tampono la gola dolorante (le mie urla devono essere giunte sino a Roma, ne sono sicura).
Già, la sapete la novità? Mi è saltata la maledetta tubatura del maledetto lavello, così, improvvisamente, senza neanche avvertire dell’imminente “Diluvio Universale” che ha costretto prima me e poi anche Edo a rappresentare il minchione di bimbo olandese con il dito nella diga.
Insomma, entro a casa, butto tutti i miei effetti sul divano, mi accascio per terra sul tappeto e mi guardo attorno, notando come le mie povere piante siano nuovamente mosce e secche, sicchè reputo sia giunto il tempo di dare loro una spruzzatina (lo sapevo che non dovevo comprare piante, mannaggia a mamma!). Controvoglia mi dirigo verso il lavello, afferro un annaffiatoio o come cacchio si chiama, apro l’acqua e BAM, scoppia tutto! Erano le piante a dover essere annaffiate e invece no: ho ricevuto un secondo battesimo non gradito, una sorta di punizione divina per il mio decennale assenteismo in chiesa.
Beh, magari ti alzi un po’, ihih
Che fai, la spiritosa?
E’ stata una scena epica!
Dicevo, quando è entrato Edo in casa (per fortuna gli ho dato una copia delle chiavi), mi ha trovata zuppa, in cucina, cercando di arginare il Nilo in piena, così, dopo essersi fatto una grassa risata, è stato costretto ad unirsi alla festa, con il risultato che anche lui, alla fine, ha assunto le sembianze di un pulcino bagnato.
Per fortuna che almeno lui ci capisce qualcosa di idraulica, altrimenti non solo la cucina, ma l’intera casa sarebbe stata sommersa e allora sì sarebbe stata una catastrofe.
Sospiro rassegnata e vado verso lo sgabuzzino per prendere altri stracci, tremando per il freddo.
Dopo la doccia non sono neanche andata in camera mia per mettermi qualcosa addosso, troppo agitata che potesse saltare in aria qualcos’altro, così, adesso, sono in reggiseno e mutande della nonna, con i capelli avvolti in un asciugamano a mo’ di turbante, aspettando pazientemente che Edo si degni di portare fuori dal bagno i suoi sacri lombi per darmi il cambio.
Ci mancava solo questa, mi toccherà chiamare il padrone di casa, l’idraulico e dovrò anche sincerarmi che questo scherzetto non abbia provocato danni ad altri appartamenti e io odio le riunioni condominiali, con quegli inglesi eccitati ed inviperiti che inveiscono a suon di humor che solo loro capiscono.
- Il bagno ha retto- Esordisce Edo, allacciandosi un grande asciugamano attorno alla vita e iniziando a frizionarsi i capelli.
Lo guardo distrattamente, braccia conserte sotto il seno e una voglia enorme di uccidere qualcuno.
- Bene, ricordati di non usare il lavello della cucina per nessun motivo al mondo. Non reggerei a un’altra esplosione- Comunico affranta, lasciano che Edo mi passi un braccio ancora caldo di doccia attorno alle spalle.
- Ammettilo, è stato divertente-
Mi volto verso di lui, pronta a urlare come un’ossessa ma la sua espressione giocosa mi fa scoppiare a ridere e tutto torna come prima, meglio di prima. Edo ha il potere di trovare il lato positivo anche nelle situazioni più terrificanti, nonché un particolare talento nel trasformare la mia ira in una fragorosa ridarella.
Gli do un bacio sulla guancia e lui mi stringe a sé, iniziando a strofinare le braccia sulla schiena per riscaldarmi – Vatti ad asciugare i capelli, monto di guardia io-
Sorrido a mo’ di ringraziamento, avviandomi su per le scale, non senza prima aver dato un ultimo disperato sguardo al Lago di Bracciano che è diventata la mia cucina, quindi inizio a fare lentamente le scale mentre il telefono di Edo prende a squillare convulsamente e, dalla faccia affranta che fa, posso benissimo dedurre chi sia il mittente.
- TI HO DETTO DI NON CHIMARMI! E NON PIANGERE!-
Dio li fa e poi li accoppia.
Cosa intendi?
Strilla quanto e più di te!
Infatti, come sospettato, è Gin e le urla di Edo raggiungono altezze che solo cani e delfini riescono ad udire. Scuoto la testa e mi siedo al mio personale angolo beauty, iniziando ad applicare tutta una serie di intrugli strani sui miei capelli nella speranza che assumano l’effetto “ricci, naturali e domati”, ovviamente prevedendo scarsi risultati.
Il mio amico continua a sbraitare, facendomi sobbalzare tanto che il pettine mi si spezza tra i capelli, cosa che mi costringe a tirare giù gli ultimi santi superstiti, ancora rimasti in Paradiso dopo il geiser in cucina.
Si dovrebbero lasciare, è giunta l’ora anche per loro e devo ammettere di essere contenta: lo so, sono una stronza, ma quella coppia non l’ho mai vista bene. Lui uno spirito libero, lei una che non ha mai capito cosa volesse dalla vita; lui creativo e pieno di interessi, lei un po’ cretina e svagata come non mai. Con Gin il rapporto si è incrinato poco tempo dopo il suo fidanzamento con Edo, un po’ per gelosie varie, un po’ perchè con il tempo abbiamo sviluppato bisogni ed esigenze differenti. Ci sentiamo ovviamente, ma non è più lo stesso, non è stato più lo stesso e, anche se un po’ questo distacco mi rattrista, non credo, con tutta onestà, mi mancherà non averla più in giro…
Ok, va bene, lo ammetto! Edo l’ho sempre considerato un po’ di mia proprietà, sono una maledetta possessiva, e il fatto che lei, una mia cara amica, abbia invaso il mio spazio mi è sempre stato sulle palle. Le precedenti ragazze del mio amico le ho trovate sempre molto simpatiche e con alcune ho stretto delle belle amicizie, ma Gin in veste di sua fidanzata non l’ho mai potuta soffrire.
Il suono del phon sovrasta la voce di Edo e io posso tirare un sospiro di sollievo: i suoi strilli sembrano quelli di un maiale sgozzato.
Pace, finalmente, e penso a Tom…
Non vedo l’ora che sia domani, già mi sono fatta diecimila filmini mentali di come potrà andare la serata a casa sua e non posso fare a meno di sorridere felice, pregustandomi le sue labbra sulle mie, le sue mani che toccano la mia pelle e…
Dio, quanto vorrei fare l’amore con lui, tutto il mio corpo lo desidera, cellula dopo cellula e la calda sensazione tra le mie gambe non è altro che una conferma di quanto grande sia il mio desiderio.
Forse mi sto innamorando, del resto, come chiamare il fatto che Tom sia il grande protagonista dei miei pensieri, dei miei sogni e delle mie fantasie? Ho solo un nome, enorme, impegnativo e spaventoso ma che non ricordavo fosse così bello e appagante.
Le farfalle nello stomaco ogni volta che lo vedo o sento la sua voce, il cuore che mi martella nel petto quando mi tocca o lo bacio… sono tutte dolcissime sensazioni che credevo perdute ma che invece sono qui, presenti e vive più che mai.
Nel caos causato dal rumore del phon e dalla voce di Edo, mi sembra di sentire il suono del campanello. Non ne sono sicura ma credo sia alquanto improbabile che un idraulico stile Mary Poppins sia piovuto dal cielo con un ombrello nero. Bah, sarà un’allucinazione, ne sto avendo tante ultimamente…
E no, questa volta lo sento chiaramente, qualcuno si è attaccato al citofono con insistenza.
Spengo l’apparecchio rumoroso e mi scapicollo verso la balaustra delle scale – Edo, apri-
Non ricevo risposta, del resto sta ancora al telefono ma sono abbastanza sicura mi abbia sentito, così, mi dirigo verso il letto e accendo nuovamente l’aggeggio infernale: ‘sti capelli ci mettono una vita ad asciugarsi e se permettete stanno venendo ancora più gonfi e sparati del solito.
Quando finisco chiamerò Tom, sicuramente si divertirà un mondo ad ascoltare le mie peripezie e, malgrado sia una permalosa cronica, mi sto abituando al suo sottile umorismo, anzi, sono certa finirò per innamorarmi anche del suo lato sarcastico e dispettoso.
Che fa Dodo, avrà aperto?
Spengo tutto e metto in ordine; da basso non si sente volare una mosca, avverto soltanto qualche borbottio sommesso (il mio caro migliore amico starà facendo finta di ascoltare); dell’ospite misterioso non si sa nulla.
Mi sporgo nuovamente, prendendo a gridare – Edo! Minchia ma hai aperto? Accanna ‘sta cazzo di telefonata, mi hai rotto. EDO!-
Adesso mi sente, altro che: se Gin lo sta indisponendo, non c’è bisogno che mi indisponga anche io, per Bacco!
Scendo le scale come una furia, sbattendo i piedi, imprecando come una scaricatrice di porto per il freddo (perché mi devono far sempre saltare i nervi, facendomi dimenticare anche di mettermi almeno un pigiama!?).
Sto per fare gli ultimi scalini quando mi accordo di una figura alta che staziona vicino alla porta, il volto girato ad osservare il mio amico che continua a inveire al telefono con solo un asciugamano a coprirgli le terga: la cosa sarebbe stata anche divertente se quella figura non fosse stata Thomas William Hiddleston con il volto piegato in una smorfia di rabbia e dolore e con i pugni talmente stretti che le nocche sono sbiancate.
Tom si volta di scatto verso di me e i suoi occhi si spalancano, mentre dalle labbra esce un urlo strozzato…
Che cos… Oh, cazzo!
Sono piegata sulle scale, appoggiata alla ringhiera con la bocca dischiusa, le guance arrossate per il phon e quella che deve sembrare un’espressione colpevole in volto. Ma il peggio del peggio, la bomba a idrogeno della situazione è il fatto che io sia in biancheria intima, reggiseno, mutandoni e stop, con un uomo mezzo nudo che gironzola allegramente per casa.
La situazione è equivocabile, pericolosamente equivocabile.
Diamine, perché Edo non s’è vestito?
- Tom, ti prego, posso spiegare-
Ma brava! Come gettare benzina sul fuoco, complimenti.
 
 
 
 ANGOLO DELL'AUTRICE: Buongiorno a tutti! Eccomi con la prima parte del capitolo 6 che si è rivelato lunghissimo e stancante da scrivere. Per la cronaca, tra le opere citate, la Ginestra di Leopardi è una delle mie preferite mentre odio con tutta me stessa Alessandro Manzoni: mi sono sentita in dovere di difendere il caro Leopardi :)
Comunque, come avete potuto leggere, altri fulmini e tempeste all'orizzonte: quei due non riescono proprio a stare senza litigare... :)
Ringrazio tutti coloro che leggono, recensiscono, seguono la mia storia e lo faranno in futuro. Siete davvero preziosi, tutti, perchè se questa storia prosegue è anche per merito dei suoi lettori.
Spero che anche questo capitolo vi piacerà :) 
Ci si vede al prossimo aggiornamento,
un bacio
Clio
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** CAPITOLO 6 - Parte II ***


Capitolo 6
parte II
Valigie di cartone e artigli di Velociraptor

 


 Adesso mi posso incazzare?
Vai, hai la mia benedizione!
Non ci sono più scuse, l’ho colta in flagranza quella “un sacco di epiteti poco cordiali” scimmia fedifraga e bisbetica.
- Tom…- La sento avvicinarsi titubante.
Non la guardo, rimango lì, fermo e immobile a scrutare il pavimento, mordendomi l’interno delle guance fino a farle sanguinare, onde evitare di finire in galera per omicidio plurimo.
- Tom - Mi chiama ancora, osando addirittura provare a toccarmi. Mi allontano di scatto, lanciandole uno sguardo di fuoco, pronto a esplodere da un momento all’altro.
- Lasciami spiegare…- Implora, guardandomi affranta, stringendosi tra le braccia per coprirsi e riscaldarsi.
Hiddleston, no, non farti intenerire e non pensare neanche per un secondo di toglierti la giacca e posargliela sulle spalle, no, dannazione, tieni il punto! Sei già cornuto prima ancora di iniziare.
- Cosa vuoi spiegare, non c’è nulla da dire…- Il tono della mia voce è ammantata di dolore, la rabbia se ne è andata. Bernie, come hai potuto farmi questo?
- Sì, invece! Io non è…-
- Dio, che rompi coglioni! Ma come ho fatto a starci per otto anni!? Una gallina, ecco cosa, una gallina-
Il tizio è rientrato in salone, vestito di tutto punto, parlando come se nulla fosse (malgrado non abbia capito un accidenti… se l’è fatto venire addirittura dall’Italia!). Che faccia da cazzo! Lo uccido, giuro che lo ammazzo con le mie mani.
Lo guardo mentre getta il telefono sul divano per poi dirigersi verso l’angolo cottura, osservando il pavimento grondante d’acqua senza degnare di uno sguardo né me, né la sua… bo, la sua. Con la coda dell’occhio, vedo Berenice pietrificata, deglutendo sonoramente, cercando in tutti i modi di attirare l’attenzione dell’altro con discrezione, mentre di tanto in tanto mi lancia degli sguardi mortificati a cui rispondo con una smorfia disgustata.
- Edo- Chiama, la sua voce incrinata dal pianto.
- Oh, non c’è bisogno di piangere Ninni, si sta asciugando-
- No, Edo. Devo, io… DANNAZIONE EDOARDO, VOLTATI!- Non l’avevo mai sentita parlare in italiano, o almeno, non ero mai riuscito a cogliere le parole di una frase intera: ha un suono melodioso la sua voce, malinconica e nostalgica. Vorrei poterne riuscire ad apprezzare la bellezza, ma il mio sangue è diventato acido e il doloroso vuoto torna a impossessarsi di me, più forte e pungente di prima.
Il ragazzo si gira verso di noi, un’espressione interrogativa sul volto, come se davvero non si fosse reso conto di ciò che stava accadendo. Quando si accorge di me, sgrana gli occhi e sbatte un pugno sull’isola della cucina, per poi sorreggersi teatralmente ad essa, portandosi una mano al cuore. Dio, quanto desidero squartarlo!
- Gesù, Giuseppe e Maria! Ma allora è vero, non stavi dicendo una cazzata delle tue…Ah, Bernie, Bernie, quando lo saprà Betta!-
- Non è il momento Edo… guarda in che condizioni sono!-
- Beh, sei in mutande e allora? Sai quante volte ti ho vista in mutande? Anzi, l’ultima volta avevi anche il perizoma, o almeno un capo migliore di questo. Ti prego non dirmi che gli piacciono i mutandoni anti-stupro -
- Vaffanculo! Perché cazzo gli hai aperto la porta in asciugamano? Dico io, sai cosa sembra?-
- No, cosa sembra?-
- Imbecille! Sembriamo appena usciti da una scopata, ecco cosa! Deficiente-
- Bleah! Berenice… non potrei mai scoparti, sei come una sorella-
- Sì, ma Tom non lo sa e…-
- Scusate!- Interloquisco io, arcistufo di non capire una sega del loro fastidiosissimo battibecco. Insomma, ti pare che litigano ora? Fatemi fare almeno la mia uscita trionfale e poi scannatevi come volete!
- Hai ragione, scusa- Pigola Berenice, abbassando uno sguardo colmo di vergogna.
- Tom, ti presento Edoardo, il mio migliore amico. Edo, questo è Tom, il mio…- Si blocca, non sapendo come continuare. Ma certo, migliore amico, che scusa del cazzo!
- Tom, è un piacere conoscerti. Permetti che mi prenda il merito se questa incasinatissima ragazza ha visto i tuoi film. Il tuo Loki è qualcosa di perfetto- Edo, a quanto pare si chiama così, mi afferra la mano, incurante del mio pugno stretto, e la stringe risolutamente, sorridendo euforico.
- Sì, grazie- Rispondo laconico, osservandolo con sprezzante. Che faccia tosta, davvero! Questi italiani non li capirò mai- Beh, mi spiace di avervi interrotto. Me ne vado- Non ho alcuna intenzione di rimanere in quella casa un minuto di più. Voglio fuggire, lasciarmi tutto alle spalle e iniziare punto e a capo a ricucire le mie ferite: come ho fatto a innamorarmi? Come?
- No, Tom. Aspetta- Berenice mi afferra un braccio, tirandomi verso di lei per poi fiondarsi contro il mio petto, afferrandomi i fianchi per stringermi a sé, mentre io rimango imperterrito, freddo e impassibile come marmo.
- Non andare via. Fammi spiegare, davvero non è nulla. E’ tutto un equivoco, ti prego - Sta singhiozzando, sento gli spasmi del suo corpo contro il mio e da una parte le vorrei credere, vorrei abbracciarla e cullarla, sussurrandole che non è nulla e che tutto andrà bene, ma dall’altra sono come bloccato, ancora restio a crederle, troppo ferito e deluso per ragionare con lucidità.
- Ehm, è vero. Posso assicurare che Bernie è l’ultima donna con cui potrei fare alcun chè! In primo luogo perché è come fosse mia sorella, in secondo luogo perché bacia veramente di merda- Edo sembra aspettare una risata che non arriverà mai, dato che io stringo la mascella e la scimmietta (mi raccomando, tieni il punto eh!) si rannicchia ancora di più contro di me, iniziando a piangere più copiosamente.
- Ok, avete ragione. Fuori luogo. Il punto è che purtroppo io e lei abbiamo un modo un po’ troppo espansivo per relazionarci l’uno all’altra e spesso non ci rendiamo conto di come possiamo apparire agli occhi degli altri… mi ha parlato di te, ma non le ho dato retta. Sarebbe un peccato lasciarla andare per la nostra esuberante amicizia, insomma… è sulla buona strada per innamorarsi e non mi perdonerei mai se perdesse una persona che la fa sorridere-
Allunga una mano verso Berenice, dandole una carezza affettuosa sulla schiena, guardandola dolcemente, uno sguardo che ho visto molte volte sul mio volto, di solito quando guardo mia sorella Emma. Quel gesto è significato più di mille parole e una lacrima galeotta mi scivola lungo il viso, mentre allargo le braccia per stringere a me una scimmietta tremante che continua a piangere felice e sollevata contro il mio petto.
Il ragazzo batte le mani sorridendo radioso – Tutto è bene quel che finisce bene. Vado a prendere la cena, Tom tu resti?-
- No, rimango un altro po’ e poi vado: ho mia sorella a cena. Grazie comunque- Rispondo gentile.
- Peccato! Va beh! Sarà per la prossima volta, magari non mi farò trovare nudo. A dopo Bernie, Tom- Mi fa un cenno con la mano, afferra le chiavi facendole tintinnare e con un inchino si chiude la porta alle spalle, lasciandoci soli, me e lei.
La scosto da me, tenendola per le spalle, cercando di incontrare i suoi occhi che tiene ostinatamente puntati da un’altra parte; le afferro il mento, sollevandole il viso, tnendo il mio sguardo in quello umido di pianto di lei; mi avvicino e le sfioro le labbra con le mie, sospirando contro la sua pelle.
- Perché non ti vai a mettere qualcosa addosso? Stai congelando- Vorrei avere un tono più dolce, ma non riesco a reprimere la stanchezza e lo spavento di poco fa.
Berenice annuisce e agilmente si libera dalla mia presa, sgusciando via, su per le scale…
Dobbiamo decisamente parlare.
 
 
Maglioncione rosso bordeaux e pantaloni della tuta grigi, non proprio il mio out fit migliore ma amen! Ci sono cose più importanti da affrontare.
Tiro su con il naso e mi asciugo gli occhi con la mano, scendendo da basso con movimenti lenti.
Sono ancora sconvolta, il terrore ancora è lì che serpeggia tra le mie ossa, scuotendomi: ho creduto di perderlo e il pensiero che potrebbe accadere davvero mi angoscia enormemente.
Non voglio dire addio a Tom, non ora che è parte della mia vita, non ora che mi sto innamorando di lui. Capisco perfettamente la sua reazione, anzi, si è comportato anche troppo da signore perché di certo io non mi sarei limitata a sguardi carichi di ira e di disgusto. Non riesco a dimenticare i suoi occhi, l’espressione del volto affranta e delusa, le immagini mi colgono come stilettate e avverto una forte nausea propagarsi dentro di me, tanto che riesco a stento a mantenere l’equilibrio.
Così impari! Sono anni che ti dico che con Edo non va bene comportarsi così, o almeno, non quando hai una persona vicina.
Hai ragione.
Tom è sul divano, stravaccato e rilassato come al suo solito; ha la testa abbandonata sui cuscini e tiene gli occhi chiusi, inspirando ed espirando profondamente: non deve essere stata facile per lui.
Cauta, mi siedo al lato opposto, portandomi le gambe al petto, rannicchiandomi contro il sofà, guardandolo in ansia, ma incapace di proferire parola.
- Vieni qui- Mormora, aprendo le braccia, continuando a tenere gli occhi saldamente serrati.
Gattono verso di lui, quindi mi raggomitolo al suo fianco, godendo del calore del suo abbraccio che mi avvolge affettuosamente. Il suo corpo è ancora rigido e questo mi rattrista, così tento con tutte le mie forze di franare le lacrime che sento pizzicarmi in gola: sarà lo stesso? Oppure adesso è cambiato tutto?
- Mi dispiace- Dico semplicemente, cercando di farmi forza. E’ vero che la cosa è stata particolarmente spiacevole, però, in realtà, non ho fatto nulla di male, o almeno, le mie intenzioni erano buone e io sono una strenua sostenitrice della morale intenzionale.
Non filosofeggiare e cospargiti il capo di cenere!
- Mi sono fatto prendere dall’ira. Sarei dovuto venire a parlare con te già da prima, quando ti ho vista oggi pomeriggio-
Ah, ma allora non ho le visioni! Era veramente Tom quello che ho visto dopo pranzo (un punto per la mia sanità mentale, lol!).
- Eri tu, allora! Perché non ti sei avvicinato, mi avrebbe fatto piacere presentarti Edo…- Lo sguardo che mi rivolge fa morire le parole sulle labbra: gli occhi si assottigliano malevoli e la mascella si contrae.
- Vi siete baciati, Bernie. Perdonami se sono rimasto un tantino sconvolto- Dice con sarcasmo.
- Oh, quello…insomma non era proprio un bacio… va bene, va bene era un bacio ma non significa nulla. Insomma, è come baciare un fratello, ci conosciamo da quando eravamo praticamente neonati… so che è difficile da capire, ma questo è sempre stato il nostro modo di manifestare affetto…-
- Immagino quanto saranno stati contenti i vostri rispettivi partner, allora- Colpita e affondata, cazzo!
- Ehm, di solito evitiamo di farlo davanti ai nostri “consorti”. Lo so, non depone a nostro favore ma è un’abitudine e sai quanto sono dure a morire le abitudini- Spiego concitata, cercando di farlo ragionare, ovviamente con scarsi risultati a giudicare dai pugni stretti e dal viso sempre più adirato.
- Non è una cosa normale. Cosa penseresti se facessi altrettanto con un’amica? Sono sicuro sarebbe scoppiata la Terza guerra mondiale…- Sorride, distendendosi un poco, parlando come si parla a una bambina che non riesce a capire.
- In effetti, sei proprio un “Piccolo Lord”. Non ci ho badato molto, ero così felice di rivedere Edo, di poter parlare con lui che mi sono fatta prendere dall’euforia. Volevo presentartelo, volevo che sapesse di te… sarebbe stato un passo importante. Ma mi credi vero? – Chiedo implorante, guardandolo dritto negli occhi.
Tom si china sul mio viso, regalandomi un bacio intenso, pieno di desiderio e di voglia di ricominciare.
- Certo che ti credo. Ho visto come ti guarda, lo stesso identico modo di come io guardo le mie sorelle… però sono geloso-
Il cuore manca di un battito e mi ritrovo a sorridere gioiosa, avventandomi contro di lui e iniziando a tempestare di baci il suo volto, provocandogli una melodiosa risata.
- Ah, scimmietta birichina- Mi dice, issandomi sulle ginocchia e stringendomi a lui, mentre io affondo il viso contro il suo collo.
- Tom, sei importante per me, non voglio perderti-
- Anche tu lo sei, però, allora, perché non mi hai detto sarebbe venuto il tuo amico?-
Lo guardo, un poco stralunata e poi ricordo…
Mi do una manata sulla fronte e inizio a borbottare improperi contro la mia mente dimentichina e sbadata:
- Signore! Martedì, quando sei venuto… volevo dirtelo martedì, ma poi hai iniziato a provocarmi, lanciandomi sfrecciatine maliziose e mi è andato in pappa il cervello… bene! Vuol dire che la colpa è stata tua- Rido, dandogli una spintarella.
- Ah, adesso è colpa mia! Scimmietta impunita- Mi afferra per i fianchi, iniziando a farmi il solletico, costringendomi a dimenarmi come una tartaruga cappottata, cercando di liberarmi dalla sua presa d’acciaio.
- Chiedo pietà, perdono!- Strillo eccitata tra una risata e l’altra, tentando di respirare regolarmente, onde evitare di morire soffocata.
- Ti ci vorrà ben altro che implorarmi signorina- Tom mi sovrasta imprigionando i miei polsi sopra la mia testa, adagiando il suo corpo sul mio e guardandomi intensamente.
-Uhm…- Miagolo, iniziando a muovermi sensuale sotto di lui, causandogli visibili brividi lungo la schiena.
- Non ci provare, sono ancora arrabbiato con te- Si solleva, con lo sguardo serio che però non riesce a frenare un’ombra di risata sulle labbra sottili. Mi metto a sedere a gambe incrociate di fronte a lui, iniziando a giocare con i piedini con la testa bassa e l’espressione imbronciata di un cane bastonato: eccola che arriva la ramanzina.
- Lo so-
- Bernie, ho trascorso ore di inferno. Ho creduto che stessi solo giocando con me, che fossi un semplice passatempo… so di non poter pretendere nulla da te, in fondo ci frequentiamo da poco ma…non riesco a sopportare l’idea che qualcun altro ti baci e ti tocchi come faccio io. E’ irrazionale, lo so, eppure…-
 Lo interrompo, baciandolo profondamente, con un dolce calore ad inondarmi il petto e allegre farfalle a svolazzare nel mio stomaco impazzito.
Provo le sue stesse identiche sensazioni, Tom è mio, mio e di nessun altro. Ho sperato e sognato che mi dicesse parole del genere, che mi aprisse il suo cuore per donarmelo. Certo, non c’è nulla di ufficiale ancora e non sono in grado di scoprirmi a tal punto da rivelargli quanto mi stia irrimediabilmente perdendo e innamorando di lui, ma non credo riuscirò a trattenermi a lungo. Alla fin fine chissene importa, andrà come dovrà andare. Voglio vivermi questo dispettoso, affascinante attore inglese da strapazzo fino alla fine, libera di poter amare finalmente e a mia volta libera di lasciarmi amare.
Thomas William Hiddleston, mi hai stregato corpo e anima, sarò tua finchè lo vorrai!
- Posso dedurre che anche per te sia lo stesso?- Ride, guardandomi furbetto.
Annuisco decisa- Assolutamente -
- Bene, sei pregata quindi di non amoreggiare con nessun altro all’infuori di me-
- Ok-
- E per le prossime volte, avvertimi se qualche tuo esotico amico si presenta a casa tua, intesi?-
- Ok-
- Brava la mia scimmietta- Mi scompiglia affettuosamente i capelli, regalandomi un bacio caldo sulla fronte, abbracciandomi contro il suo cuore.
- Quindi, ehm, domani vengo da te, giusto?- Domando imbarazzata, sentendo le guance andarmi in fiamme, causando l’ilarità di quel sadico di attorino.
- Sì, ovvio, anche perché c’è una persona che devi incontrare…- Lascia la frase strategicamente in sospeso, mentre sollevo di scatto la testa, guardandolo con aria interrogativa: ti prego, dimmi che non vuole farmi conoscere la madre, non sono ancora pronta per quello.
- Cosa…?- Lo vedo armeggiare con la tasca interna della giacca, quindi mi porge un biglietto candido accuratamente sigillato. Afferro la busta con mani tremanti, prendendo a rigirarmela tra le mani, leggendo di sfuggita l’indirizzo della Tate Modern stampato sul retro; la apro e ne leggo il contenuto, spalancando gli occhi sempre più basita ed emozionata riga dopo riga.
Mi ha invitata a una serata ufficiale!
Oh, Gesù!
Il sindacato degli attori, tanti attori, tanti giornalisti, tanti fotografi…oh, Gesù!
- Avevo programmato di trascorrere l’intero week end con te, visto che martedì partirai per l’Italia. Purtroppo non posso rifiutare l’invito, così ho pensato…beh, Luke me lo ha suggerito, che forse potresti accompagnarmi- Sto per dirgli di no, assolutamente categoricamente no, ma poi alzo lo sguardo, incontrando la sua espressione da cucciolo implorante, con gli occhioni blu che pregano per un sì e, sconfitta, sono costretta a capitolare, sbuffando sonoramente, avvertendo già un’ansia immensa soffocarmi.
- Smettila di guardarmi così…io non so…- Beh, tentiamo fino all’ultimo.
- Ricordati che ti devi far perdonare-
Fanculo – Non ho nulla da mettermi, ouch!- Tom mi stritola tra le braccia, ridendo con la sua proverbiale risatina che manda in visibilio milioni di fan, contento come un pupo la mattina di Natale.
- Oh, per quello non c’è problema! Domani incontrerai Liz, la mia personal stylist, e farà tutto lei…-
- Scusa un attimo, come facevi a sapere avrei detto sì? Infondo vengo solo perché mi sento mortalmente in colpa-
- Sciocchezze! Non riesci a dirmi di no quando sbatto un poco le ciglia. Lo so che hai un debole per i miei splendidi occhi- Scherza, ridendo beffardo e divertito, stringendomi dolorosamente le guance morbide, prendendoci gusto.
- Scemo che non sei altro… in effetti non ci avevo pensato, tra pochi giorni partirò…- Accidenti, è già arrivato Natale? Perché le cose belle trascorrono così in fretta? Non voglio lasciarlo ora che l’ho appena trovato, anche se per poco tempo. E’ vero, la mia famiglia e i miei amici mi mancano ma gli anni passati era diverso, perché qui, a Londra, non avevo nessuno da cui tornare, con cui vivere ed essere felice.
Lo guardo immalinconita, mettendo il broncio mentre Tom mi guarda dolcemente, prendendomi una mano e portandola alla bocca, carezzandola lievemente con le labbra.
- Non ci pensare, scimmietta. Abbiamo ancora tempo. Sinceramente, se ti senti a disagio a venire non fa nulla, a me farebbe piacere ma so che potrà essere una situazione complicata per te e non voglio farti star male. Ti rapirò nei giorni successivi-
E’ dolcissimo, si preoccupa seriamente per me e, sebbene sia una persona estremamente timida e imbranata, non ho cuore di negargli questo, ci tiene davvero molto che lo accompagni e io non voglio sprecare del tempo prezioso da trascorrere in sua compagnia.
Ce la puoi fare, hai affrontato cose peggiori…
Non credo!
Fidati, ricordati la tua prima ceretta...
- No, Tom, vengo. Posso agitarmi, vero?-
Ride – Certo che puoi, ma non preoccuparti di nulla… Luke e io faremo in modo che nessuno ti infastidisca e cercheremo di tenere a bada la stampa- Stampa, giornali, la mia faccia sui giornali, oh Gesù!
- Immagino che per il futuro ci inventeremo qualcosa, no?- Lo guardo conciliante, costringendomi ad un sorriso tirato.
- Sì, chi vivrà vedrà-
- Ti prego però, non lasciarmi troppo sola. So che sarai indaffarato ma…-
Mi interrompe con un dolce bacio – Non devi neanche chiederlo, scimmietta-
 
 
Non pensavo mi sarei sentita così in soggezione di fronte alla candida palazzina dal gusto antico, nel cuore di Kensington. A onor del vero, me lo sarei dovuta immaginare: malgrado Tom sia molto umile e alla mano, è comunque un attore famoso, dunque anche ricco.
Ti dico solo una cosa: sposatelo!
La collega ninfomane ha tutto il mio sostegno.
Ma quanto siete venali.
E’ ormai il tramonto e la tenue luce rosata si specchia elegantemente lungo le pareti bianche delle case, tanto che a guardarle sembra quasi di essere immersi in un quadro ottocentesco, con i suoi giochi di luci e ombre.
Deglutisco a disagio, guardandomi intorno e facendo un bel respiro per cercare di trovare il coraggio, salire le scale e suonare alla deliziosa porta nera di cui mia madre si sarebbe certamente innamorata.
Basta fare la ragazzina! Bernie, tira fuori le palle e muovi il culo!
Ricontrollo per sicurezza che l’indirizzo sia giusto, quindi inspiro profondamente e faccio gli scalini a due a due; mi fermo davanti alla porta e con il cuore che mi martella in gola faccio una leggera pressione sul tasto del campanello. La risposta non si fa attendere: il portoncino si apre e, senza avere tempo di realizzare, qualcuno mi afferra il braccio e mi tira dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
La forza usata, però, è stata troppa per il mio povero fisico, così rovino a terra, sbattendo lo stomaco contro le scale che portano ai piani superiori.
- Oddio, scusami Bernie!- La voce di Luke giunge a stento alle mie orecchie fischianti, mentre avverto delle mani che mi tirano in piedi, cercando in ogni modo di rimettermi in sesto: sono decisamente troppo sconvolta per parlare.
- Sono già tutti su, Tom ha quasi finito, poi tocca a te. Ah, ti avverto: Liz non è di buon umore, al solito-
Mi spintona su per le scale senza darmi il tempo di dire alcunché, incitandomi ad accelerare il passo con il rischio di perdere nuovamente l’equilibrio.
Cristo santo! Sono finita a una messa satanica o cosa!? ‘Sti inglesi sono tutti matti, tutti matti… perché non me ne sono andata in Germania come ha fatto gran parte dei miei colleghi dell’università?
Arriviamo su un ampio pianerottolo finemente decorato e ammobiliato da dove si odono suoni concitati di passi e frasi spezzate, sento l’ansia salirmi minuto dopo minuto, maledicendomi mentalmente per aver accettato di fare da cavia per questo esperimento alla “accompagnatrice vestita da bambolina gettata nella fossa dei leoni vediamo se regge”.
- Luke!- Sento un bisbiglio provenire da sinistra. Mi volto in quella direzione e vedo la testa bionda di una giovane donna che spunta da una delle innumerevoli porte, il viso trafelato e la paura negli occhi.
Ok, inglesi da strapazzo! Datevi tutti una calmata, fatevi un drink!
Il ragazzo mi dà una leggera spintarella per farmi procedere, continuando fastidiosamente a tenere la mano sulla mia schiena con fare nervoso. Mi scrollo come in preda a un prurito terribile e lo guardo in cagnesco.
- Oh! Si può sapere cos’è questo casino? Che c’è la Regina in salone? -
- Peggio-
- Tom è talmente famoso che è venuto addirittura il papa?- Dallo sguardo di Luke e dagli sbuffi della ragazza evidentemente devo aver sottovalutato la situazione.
- Non c’è tempo! Tom ha finito… sai che Liz odia aspettare-
Liz, la personal stylist: lo annoto mentalmente, onde evitare di fare figure barbine che a quanto pare metterebbero a repentaglio addirittura la mia incolumità.
- Sono finita in “Il Diavolo veste Prada” e non me ne sono accorta?- Insomma, signori, come dicono le giovani generazioni: shalla!
- Va bene Cynthia, che i giochi abbiano inizio- Sentenzia Luke a denti stretti, invitandomi con un cenno del capo a seguire la ragazza verso la porta centrale del pianerottolo.
La casa è quella tipica inglese, disposta su tre piani, anche se con i soffitti stranamente alti; è arredata semplicemente ma con gusto, dove il moderno è stato reso con il riutilizzo di materiali e mobili antichi (questo è tutto quello che riesco a dire in fatto di case, si ringrazia la mamma per avermi fatto una testa tanta con le sue noiosissime riviste).
Cynthia dà un lieve colpo di nocca al vetro della porta e, senza attendere risposta, la apre, indicandomi di precederla…
- Vedrai che ce la farai- Sussurra Luke al mio orecchio.
- Non sto per affrontare un’operazione a cuore aperto. E’ una donna, non uno squalo-
Sento Cynthia ridacchiare – Beata innocenza!-
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo infastidita, entrando di gran carriera in quello che deve essere il salone principale, tenendo la testa alta e le spalle dritte: non mi farò intimorire da una fashion victim con le arie da gran donna. Ci può essere solo una regina nel pollaio e certo non mi lascerò sfuggire la corona senza lottare.
Tom è appoggiato ad una delle ampie finestre con uno sguardo divertito stampato sul volto, guardandomi con aria sorniona ma regalandomi un dolce sorriso che so essere rivolto solo a me; seduta sul divano, invece, c’è una donna sulla sessantina, magra e distinta, con uno sguardo severo e gli occhi più vispi e attenti che abbia mai visto. Mi piace. Non so perché, di solito sono una che odia tutto e tutti al primo sguardo, ma Liz, perché quella è Liz, mi ha fatto l’effetto opposto: è una donna con le palle, che ama il suo lavoro e che mira alla perfezione, e io non posso che stimare e rispettare una persona così. E’ vero, se ne potrebbe rimanere intimiditi, ma ho già avuto a che fare con donne del genere, soprattutto in ambito accademico, per cui ho imparato ad affrontarle e a non farmi mettere i piedi in testa. Il mondo universitario è un covo di vipere, soprattutto se ambisci a una cattedra.
- Bernie- Tom si è avvicinato a me, prendendo la mano per sfiorarla con le labbra, mossa che, anche se affettata e un po’ troppo ossequiosa, mi fa salire i brividi sulla schiena. Lo guardo un po’ birichina e lui ricambia, facendomi l’occhiolino.
- Cara, ti presento Liz. Liz, questa è la signorina Minardi- Mi avvicino alla donna, allungando la mano che quella afferra prontamente. Ci scrutiamo a lungo, l’una osservando e studiando l’altra, senza abbassare mai gli occhi, tanto che mi sembra quasi di star facendo una gara di resistenza.
Avverto una leggera sorpresa attraversare gli occhi di Liz, ma è un attimo, perché subito dopo si alza, prendendomi a girare intorno come un avvoltoio. Se cerchi di intimorirmi tesoro non hai proprio capito con chi hai a che fare: più mi sfidano e più l’adrenalina mi scorre nelle vene.
- Uhmm, interessante- La sua voce è vellutata, bassa e composta. Non capisco perché gli sguardi degli altri siano così tesi e perché sembra abbiano trattenuto il respiro: Liz non può essere peggiore di mia madre in fatto di critiche.
- Ci sono almeno tre chili di troppo- Asserisce sicura, mentre sento le mani di Tom posarsi sulle mie spalle.
- Quattro per la precisione. Non riesco a rinunciare ai muffin la mattina- Puntualizzo tranquilla: sono quattro chili, se mi avesse vista a quattordici anni con i miei venti chili di ciccia in più sarebbe schiattata sul colpo.
- E almeno dodici centimetri in meno- Continua, un poco stizzita dalla mia risposta: evidentemente non è abituata che qualcuno le risponda a tono.
- Provvederò a fare reclamo alla ditta genetica che mi ha fornito i monomeri della mia doppia catena polinucleotidica –
CRACK
Cynthia ha rotto la matita che aveva nelle mani e ora fa vagare uno sguardo alquanto inorridito da me alla sua datrice di lavoro; Luke è bianco come un lenzuolo ed è costretto a sedersi su una poltrona; Tom sghignazza piano, cercando di trattenersi e Liz sembra sul punto di urlare.
Beh! Biologia mi piaceva… cosa mai avrò detto? Forse non hanno capito…
- Volgarmente detto DNA-
- Ho capito benissimo di cosa stavi parlando, signorina- Sibila Liz, tentando di darsi un contegno.
Dio, quanto mi sto divertendo!
Pure io!
Oddio, la Cornacchia si sta divertendo…
Nessuno può insultarti, solo tua madre ed io. Fagliela pagare a quella stronza.
Con piacere!
Sorrido compiaciuta, attendendo paziente la vendetta della mia rivale, mentre Tom mi stringe la mano, avvicinandosi di più a me, lasciando che il suo profumo mi avvolga. Se fa così, sfanculo tutti e mi avvento su di lui, non può certo provocarmi in una situazione del genere.
- Troppo seno e fianchi pronunciati. Tom caro, abbiamo cambiato gusti- Azz! Questo era un colpo basso. Touchè signora mia, touchè. Rimango impietrita, avvertendo la rabbia soffocarmi, vedendo Liz prorompere in un sorrisino soddisfatto.
Cribbio, non riesco a trovare nulla da ribattere. Questa è guerra signori e signore, fuoco alle polveri dunque.
- Buono a sapersi, almeno avrò qualcosa di morbido da accarezzare- Tom, velatissima allusione sessuale, ma sei il mio salvatore. Certo, sono diventata rossa come un pomodoro di Sicilia, ma apprezzo che mi sia venuto in soccorso e sia stato tanto carino da farmi un complimento. A te, acida stronza megera frustrata sessualmente.
- Lieta che tu sia soddisfatto della tua scelta, ma come faccio io? Cosa le metto addosso?-
- Se vuole possiamo optare per un burqa, io gradirei- Ribatto, ormai di nuovo in grado di cavarmela da sola.
Con stupore di tutti, Liz scoppia in una fragorosa risata; Cynthia, cogliendo al volo questo stato di grazia, si unisce al suo capo con una risatina stridula che viene però subito messa a tacere da uno sguardo severo della donna.
- Bando alle ciance. Cynthia, porta metro e book, cercheremo di correre ai ripari e tu, ragazzina, spogliati-
- Come prego?- Chiedo allibita, guardando agitata Tom che, in tutta risposta, fa un’alzatina di spalle, sorpreso tanto quanto me.
- Hai capito benissimo. Spogliati, ora-
- Perché? Non potete prendere le misure con i vestiti addosso?-
- Se ti ho chiesto di farlo, ci sarà un motivo. Non discutere- Si avvicina, strattonandomi per allontanarmi da Tom.
Questo è troppo, sta violando almeno una cinquantina di leggi, nonché qualche comandamento biblico. Sfuggo violentemente alla sua presa, portando le mani al petto e guardandola torva, tentando di frenare i miei istinti omicidi.
Se non la uccidi tu lo faccio io.
E come?
Le farò una Macumba, stanne certa!
- In primis, non ha detto la parolina magica- Bercio, puntandole un dito accusatore contro.
- E in secondo luogo, non ho la minima intenzione di denudarmi così, davanti a chicchessia-
- Molto bene. Tom, Luke. Sparite!- Ordina tirannica Liz, facendo uno svogliato cenno della mano e accasciandosi elegantemente sul divano, massaggiandosi gli occhi come a simulare un mal di testa.
Tom annuisce in direzione di Luke, poi si accosta nuovamente a me, dandomi un caldo bacio sulla guancia, sorridendo allegramente – Vai così tigre! Ancora un piccolo sforzo e poi saremo soli-
“Mille bollicine blu” nello stomaco e tremolio di piacere!
- Non vedo l’ora- Mormoro di rimando, sfiorando le sue labbra con le mie.
Lo seguo con lo sguardo mentre esce, sospirando affranta, quindi mi rivolgo nuovamente alla mia aguzzina.
- Allora?-
- La parolina magica…-
-MUOVITI-
Sghignazzo divertita, sentendo il cuore tornare nella sua sede originaria, accingendomi a togliere la giacca e le scarpe in una sola mossa, con scarsi risultati, ovviamente, tanto che quasi ruzzolo a terra.
- Però, una cosa la devo dire…- Esordisce Liz che so continuare a punture lo sguardo su di me, osservandomi attentamente.
- Lo so, ho le ginocchia valghe-
- Sì, anche quelle, ma no, non era ciò che intendevo…- Lascia la frase in sospeso, quasi si volesse sentire pregata, come se ogni sua parola dovesse essere accompagnata da un sospiro. Che donna! Heichman versione femminile, ma mi piace.
- Cosa, signora?- Brava, Cynthia! Se stava ad aspettare me, saremmo potute rimanere qui anche tutta la notte. Non posso vedere l’espressione sul volto della donna, anche se sono quasi sicura non sia dei più dolci, ma certamente non deve essere contenta del mio atteggiamento e questo mi fa sorridere “diabolica” ancora di più.
- Ha gusto nel vestire. Quella giacca rossa così sgargiante non è un capo che tutti sanno portare… i miei complimenti- Wow, dalla faccia ammirata dell’assistente devo dedurre mi dovrei sentire una delle persone più fortunate nel mondo, come se le parole di Liz fossero il verbo…Bah, valla a capire certa gente! Eppure devo ammettere che un po’ mi fa piacere: devo ricordarmi di dirlo a mia madre.
- Ecco, ora sono in mutande! Potete studiarmi!- Scherzo, aprendo le mani e girandomi come se fossi una modella che presenta un vestito d’alta moda. Cynthia, alle spalle di Liz, ride silenziosamente, mostrandomi il pollice mentre “The Boss” mi squadra scettica, storcendo un poco il naso, neanche fossi un alieno verde e squamoso.
- Pizzo bianco che sarebbe molto carino se non portassi delle culottes verginali e un reggiseno che serve solamente a sfidare la forza di gravità, ovviamente non riuscendoci-
Un attimo: è una mia impressione o mi ha appena detto che ho le tette mosce? Tesoro bello, non tutte sono così fortunate da portare una seconda, purtroppo queste pesano e sì, dato che per quanto riguarda il sistema Terra non è necessario ricorrere alle teorie einsteiniane ma tranquillamente possiamo ricorrere alla meccanica classica, tendono proporzionalmente verso il basso.
- Prendi nota, Cynthia: body nero con stecche, quello della Perla andrà benissimo, quindi optiamo per un vestito corto ma che copra quell’accumulo di grasso nella zona superiore delle coscie, hai mai pensato alla bicicletta?-
- Non ne ho il tempo-
- Beh, cara, trovalo perché è un vero peccato. Insomma, con delle gambe così belle… mi spiace, ma non sono una patita della donna anni cinquanta-
Certo che no, quindi se fosse venuta Marylin Monroe o Sofia Loren ci avresti sputato sopra (ovviamente non mi sto paragonando a loro, sto solo difendendo le mie cicce).
- Immagino sia più una fan di Twiggy o Kate Moss- Borbotto acida, cercando di coprirmi il più possibile.
- Oh, sì, la cara Kate. Era sempre un piacere lavorare con lei, ma, ahimè, i tempi di Vogue e Mary Clair sono passati- Confermo, sono finita nella versione tarocca de “Il Diavolo veste Prada”.
- Oh, Cynthia! Chiama Davide, ci serve il migliore per domare quel nido di vespe che ha al posto dei capelli. Lisci e legati- Liz si alza, iniziando a infilarsi i guanti, evidentemente la “demolizione” è conclusa.
- M-ma T-tom l-li v-voleva s-sciolti e…-
- Baggianate! Da quando Tom ha voce in capitolo!?- La zittisce “The Boss”, assottigliando lo sguardo tanto che mi sembra un grosso velociraptor incazzato.
Cynthia si fa piccola piccola, abbassando lo sguardo e continuando a scribacchiare nervosa sul taccuino, raggiungendo una tonalità cremisi che non pensavo fosse possibile per l’epidermide umana.
Liz si dirige a passo di marcia verso la porta, senza degnarmi di uno sguardo, aprendola con fare scocciato, sparendo al di là di essa.
L’assistente ed io ci guardiamo, tirando entrambe un sospiro di sollievo, ridacchiando complici, illudendoci di essere salve…
- Ah, dimenticavo!- Liz sporge con il busto, guardandoci accigliata: siamo saltate tutte e due, strillando un poco e abbracciandoci, con il cuore impazzito nel petto.
- Tutto medium, ti comunicherò domani le misure- Conclude, scomparendo nuovamente, dopo averci lanciato un’ultima occhiata disgustata di superiorità.
- Quali misure? Il metro non l’ha neanche usato- Mormoro.
- Ha un occhio da falco lei… non le serve il metro-
- Allora perché tutto questo?-
- Vendetta, forse? Sei la prima persona che le tiene testa. Ti dico solo che è riuscita a far piangere persino Nicole Kidman… mi stupisco sempre di come continuino a chiamarla: è un mostro, bravissima, ma pur sempre un mostro. Secondo me queste celebrità sono un tantino masochiste- Fa una scrollata di spalle, quindi mi saluta con un bacio sulla guancia e si scapicolla fuori dalla stanza, spaventata che la sua datrice se ne vada senza di lei.
Rimango impalata, sollevata che l’incontro sia finito. Scuoto la testa e mi riprendo, iniziando a vestirmi di tutta fretta: di figure di merda ne ho per una vita intera.
 
 
Ho salutato tutti.
Finalmente sono libero.
Mi accascio contro la porta all’ingresso, sospirando profondamente e chiudendo ermeticamente gli occhi, sorridendo divertito per le battutine velenose che i due “titani” si sono scambiati.
Non ho mai visto Liz in difficoltà, soprattutto quando si tratta di usare la sua proverbiale lingua biforcuta: sembra ci goda a trattare così la gente. Ma sono piacevolmente sorpreso dalla capacità di reazione di Bernie: alla prima battuta di Liz riguardo i suoi chili di troppo ho temuto sarebbe esplosa immediatamente, invece…
“Volgarmente detto DNA”: io dico semplicemente geniale!
Mi riscuoto, facendo le scale a due a due per raggiungere la mia vittoriosa scimmietta.
- Ah, eccoti! Pensavo fossi scappato… ehi!- La isso tra le mie braccia, travolgendola, mentre lei annoda le gambe attorno alla vita, affondando le labbra sulle mie, baciandomi appassionatamente.
- Tutta questa smania per cos’era?- Chiede, annodando gli avambracci dietro il mio collo.
- Per essere stata straordinaria, linguetta velenosa- La bacio teneramente, sentendo la sua risata allegra.
La faccio scendere e la prendo per mano, conducendola all’esterno del salotto – Ti posso mostrare la casa?- Chiedo felice, di una felicità infantile.
- Oh, sì. Fammi vergognare della mia umile baracca-
Le mostro ogni corridoio, ogni stanza, la grande cucina al piano inferiore in stile country (io non dovrei saperlo che si dice così, ringrazio madre e sorelle per avermi edotto) che Bernie ha apprezzato molto, tanto che ho dovuto faticare non poco per strapparla dall’isola centrale.
Raggiungiamo la veranda, anch’essa accuratamente arredata dalle mie “donne di casa” e osservo gli occhi emozionati di Bernie.
- Ti piace?-
- E’ meravigliosa. La vista sul giardino ha un non so che di decadente: passerei ore qui a leggere-
- Infatti, soprattutto quando fuori piove, prendere il tè caldo qui è come essere in paradiso- Apro la porta a vetri e con un cenno le indico di precedermi in giardino.
- Quello laggiù è un ciliegio, non è vero?- Domanda Bernie, voltandosi verso di me e indicando l’albero al limitare del piccolo “parco”.
- Sì, in primavera fa dei fiori meravigliosi. E’ a causa sua se ho comprato la casa- Sorrido, cingendole le spalle.
- Probabilmente avrei fatto lo stesso- Mormora incantata, spostando lo sguardo da una parte all’altra.
- E’ un peccato che tu debba vederlo così spoglio, ma in maggio diventa un tripudio di colori, anche se l’anno scorso le rose si sono ammalate-
- C’è anche la lavanda?-
Annuisco – E un’ortensia che ha un colore simile a quello dei tuoi occhi al tramonto-
Le guance di Berenice si tingono di porpora e lei nasconde il volto, abbassando lo sguardo, sorridendo per il complimento – Non viziarmi, signor Hiddleston-
- Dopo oggi non riesco a farne a meno- Bernie si mette di fronte a me, alzandosi in punta di piedi per sfiorarmi le labbra con le sue.
- E quella terrazza lassù? Non mi ero accorta ci fosse la vite americana…-
- Come fai a conoscere così bene le piante?-
- Potrei fare la stessa domanda a te- Ribatte, sorridendo maliziosa.
- Il giardinaggio mi rilassa-
- A me neanche un po’, non ho molta pazienza: se so quello che so lo devo solo a mia madre. Ti dico solo che lei pretendeva di tenere spalancate le finestre anche in inverno inoltrato altrimenti le piante sarebbero soffocate. Bah, valla a capire!-
- Beh, però ti ha insegnato bene-
-Non mi ha insegnato. Lei blaterava, blaterava e io facevo finta di ascoltare, conoscenza per osmosi, esattamente come con le ripetizioni di matematica di papà- Mi spiega, ridendo per un qualche episodio della sua infanzia. Casa le manca molto, si vede.
- Vuoi andare a vedere quella terrazza?- Chiedo, agitandomi un poco, rendendomi conto di ciò che implica, ma cercando di dissimulare la carica di adrenalina che invade il mio corpo.
Berenice annuisce sorridente, ignara di tutto, probabilmente emozionata dalla vista che si potrebbe avere da lassù.
Con il cuore in gola le faccio strada, facendo il percorso contrario dell’andata, salendo piano dopo piano sino all’ultimo, ove ci sono le stanze da letto. Le indico con la testa l’ultima porta del corridoio, evidentemente il mio stato d’animo deve essere trapelato perché Bernie corruga la fronte e scuote il capo, non riuscendo a comprendere il mio cambiamento d’umore.
Rimango un attimo di fronte all’uscio chiuso, faccio un respiro profondo, cercando di darmi una calmata: non implica nulla e certamente lei non traviserà le mie intenzioni, voglio semplicemente mostrarle la parte più bella della casa.
Beh, pure se travisasse?
Andiamo, non sarebbe elegante.
Si fotta l’eleganza! Ricordo che non siete due verginelli, anzi!
Apro ed entro, premurandomi di lasciare la porta aperta, come se facesse alcuna differenza dato che siamo completamente soli. Mi volto verso di lei che è rimasta all’esterno: sembra titubante e si guarda attorno nervosamente. E’ evidente che ha capito ogni cosa e, da come le guance si sono colorate, posso dedurre che è imbarazzata, eppure è così deliziosamente lei che non posso far altro che rilassarmi e tirare un sospiro di sollievo.
- Avanti, tigre- La incoraggio, prendendola per un polso e tirandola dentro, avvolgendola con le braccia e grattandole la testa con la nocca della mano.
- E levati con quelle mani piene di dita!- Borbotta, allontanandomi indispettita, con i capelli arruffati a coprirle gli occhi.
- Bene, questa è la mia tana- Dico, facendo una mezza giravolta che la fa ridere di gusto – Dietro quella porta c’è il bagno con la doccia, quello con la vasca è a parte e poi…poi bo, quello è il letto ma penso tu lo sapessi già e…- Mette una mano sulle labbra, sorridendo sorniona e assottigliando maliziosamente gli occhi.
- Respira- Scherza, dandomi una pacca comprensiva sulla spalla. Anche lei deve essersi rilassata, perché si allontana da me osservando la stanza con minuzia, dirigendosi addirittura verso il bagno senza che sia io a spronarla.
Pericolo scampato, l’ho fatta più tragica di quanto poi è stata.
Sorrido tra me e me, aprendo la porta che dà sulla terrazza, andando verso il parapetto per poter godere della vista di una Londra all’imbrunire.
- Ma è meraviglioso! Dici che dovrei iniziare ad ampliare il vocabolario? Questa casa mi ha colpita talmente che non ricordo neanche più come si parla- Bernie avanza con passo sicuro e con un sorriso a trentadue denti ad illuminarle il volto, guardandosi attorno con aria sognante.
- Vieni qui- Le faccio un cenno con il capo di farsi più vicina a cui obbedisce docile, saltellando e scontrandosi affettuosamente contro di me, scoccandomi un dolce bacio sulla guancia, lasciando che il mio braccio le cinga il fianco mentre lei poggia il capo sulla mia spalla.
- Ti piace la vista?-
- Assolutamente, posso rimanere per sempre?- Un attimo di estasi e poi orrore si palesa nei suoi occhi spalancati, guardandomi con ansia come se avesse detto un’amenità colossale.
- C-cioè n-non i-intendevo, isomma, n-non volevo…-
Le do un bacio, sghignazzando divertito: è bellissima quando si sente in imbarazzo, ora capisco perché mi diverto tanto a punzecchiarla.
- Va tutto bene, tranquilla, ricordati solo che io dormo nella parte vicina alla finestra e odio i capelli nel lavandino-
Sorride serena, volgendo di nuovo lo sguardo al panorama, incassando il collo nelle spalle e rabbrividendo un poco; mi faccio più vicino, sfregando con le mani le sue braccia – Hai freddo?-
- Un pochino, ho lasciato giù la giacca-
- Vuoi che rientriamo?-
- Oh, no. Posso rubarti un maglione?- Chiede quasi speranzosa.
- Armadio, ultimo cassetto a destra-
Berenice annuisce, mi fa una carezza amorevole e si gira per rientrare. Speriamo non mi metta in subbuglio tutto, purtroppo sono un maniaco dell’ordine e la scimmietta, invece, sembra aver deciso di perorare la causa del caos, dando man forte al principio dell’entropia dell’universo.
Rido tra me, immaginando un’ipotetica litigata tra lei e me su chi deve dormire dove o una discussione su chi si è finito il gelato e ha osato non avvertire del misfatto. Non so perché faccio questi pensieri, molto probabilmente perché sono normali quando si inizia una storia e si riflette su ciò che sarà; mi piace l’idea di tornare a casa e di trovare la scimmietta ad aspettarmi, anche se la versione “casalinga” di lei non è proprio consona al personaggio, insomma, una che fa tre lavori non credo sia il tipo da aspettare chicchessia ai fornelli. Forse questa grande casa mi immalinconisce un poco, abitandoci da solo non è proprio il massimo, soprattutto la sera, e sono sicuro Berenice porterebbe allegria e tanto movimento, nonché una cospicua dose di rumori e urla moleste.
E’ presto, anzi prestissimo per pensarci e…
-AHHH- Per l’appunto, cosa stavo dicendo? Non credo ci siano topi in casa, chissà cosa ha visto. Oddio, e se fosse caduta?
- Bernie? Tutto bene?- Mi volto, dirigendomi verso la porta-finestra.
La scimmietta si fionda verso di essa prima ancora che io possa aprirla e si sporge, aprendo le braccia e muovendo le mani per mostrarmi quello che ha scoperto.
Scoppio a ridere senza controllo, portandomi le mani allo stomaco ormai in preda alle convulsioni.
E’ troppo forte questa scimmietta!
 
 
- Cioè, fammi capire, tu sei un fan di Jurassic Park e non me lo dici?- Sono allibita, una cosa tanto importante, nascondermela così…
Non si fa!
Dovete sapere che sono fissata con Jurassic Park, dinosauri e connessi vari: pensate che dopo aver visto il film, per buoni dieci anni della mia vita, ho sognato di fare la paleontologa e sì, anche di ritrovarmi un t-rex dimensione naturale davanti. Ricordo ancora come da piccolina trascorressi i sabati sera a guardarmi Super Quark attendendo con ansia che parlassero di quei maxi lucertoloni o di ritrovamenti di uomini primitivi, ovviamente mi addormentavo sempre prima del pezzo fico della serata, risvegliandomi, con sorpresa e rammarico, solo alla fine della puntata.
Mi avvicino, sventolandogli la maglietta con il logo del cult movie sotto il naso, assumendo l’aria da maestrina bacchettona, rimproverandolo – Non si fa “gambe lunghe”, non si fa-
Tom sghignazza come un folle, sbellicandosi talmente che è costretto a sedersi per terra proprio ai miei piedi.
- E hai anche i dvd! Ti rendi conto? I miei sono stati tutti mangiati da quella sciagurata del mio cane e tu non mi metti a parte del tuo segreto?-
- Ihih, sei una matta, altro che, ihihih. Mai vista una mia intervista?- Chiede tra una risata e l’altra.
- Ehm, mi annoiava starti a sentire blaterare di cazzate! Toglievo l’audio, mettevo una canzone e ti guardavo, contento?-
Potevi evitare di svelargli la parte della pazza maniaca, no?
Ma chissene! Insomma, stiamo parlando di Jurassic Park, mica pizza e fichi!
No, stiamo parlando della tua vita sessuale!
- Ah, quindi non sai…- Lascia in sospeso la frase e assottiglia lo sguardo, sorridendo beffardo e malevolo (forse dovrei intimorirmi, ma come faccio quando Tom fa la faccia da Loki, seduto per terra con una gamba piegata, un braccio penzoloni sul ginocchio e l’altro a sorreggersi con tutti quei meravigliosi muscoli in tensione e quelle mani da pianista? E’ un attentato alle mie coronarie, questo non può fare le pose da copertina e poi pretendere che io sia lucida, non può!).
- Cosa? Tom, che fai?- Si è sollevato, acquattandosi stranamente, guardandomi con occhi affilati, quasi serpenteschi.
Poi lo fa e sarebbe da riderci se non fosse per il fatto che lui si è immedesimato completamente nella parte: il verso del velociraptor mi rimbomba nelle orecchie mentre Tom si muove facendo ondeggiare testa e collo, tanto che mi sembra quasi di avere sul serio un “maxi tacchino” davanti.
Deglutisco un poco, un istinto atavico di mettermi a correre che come un magnete mi costringe ad indietreggiare: lo so che è uno scherzo, esattamente come a sei anni sapevo che il film fosse solo finzione e che, anche se poggiavo i piedi per terra, certamente non sarebbero spuntate bestie preistoriche in soggiorno. Irrazionalità signori e signore, elogiamola!
- Tom, su, da bravo, fai il dinosaurino educato e vai a cuccia-
Dal verso che fa non sembra intenzionato a smettere, anzi, quello è proprio il suono che i velociraptor facevano prima di balzare addosso alla vittima. Scatto verso l’uscita, dando le spalle al mio “assalitore”, sentendolo sbuffare alle mie spalle; ho un po’ di vantaggio perché Tom è costretto a correre come se davvero fosse un rettile o almeno così penso perché, qualora si muovesse come un Homo sapiens sapiens quale è (credo), sarei fregata: quello lì ha le gambe lunghissime.
Presa dal panico, sfreccio giù per le scale, prendendo una direzione a caso e mi imbuco in una stanza, lo studio deduco, chiudendomi la porta alle spalle, cercando un pertugio dove nascondermi nel caso mi trovasse. Mi avvicino in punta di piedi alla porta, appoggiando l’orecchio al muro per ascoltare i movimenti provenienti dall’esterno, avvertendo distintamente un altro verso animalesco poco lontano da dove mi sono rintanata.
Che tipo che è! Se non fosse che l’adrenalina mi fa sudare freddo e che tremo come una foglia, quasi stessi effettivamente fuggendo, sarei piegata in due dalle risate.
Qualcuno, oltre la porta, sta annusando profondamente: se avesse l’olfatto di un raptor sarei fottuta. Per fortuna non sanno aprire le porta…
Un momento!
Ecco, sono fregata!
Vedo la maniglia girarsi lentamente e poi tornare su, quindi riabbassarsi: il ragazzo si è immedesimato proprio, eh!?
Non ho intenzione di essere pappata da uno pseudo-rettile, devo trovare un rifugio. Volto convulsamente la testa da una parte all’altra della stanza e, fortunatamente, trovo un armadio abbastanza capiente, sperando che dentro non ci sia nulla di importante. Mi muovo lentamente verso di esso e, altrettanto lentamente, apro l’anta, mentre TomVersioneRaptor cerca di spalancare la porta con il muso; mi infilo dentro, chiudendo l’anta giusto in tempo perché sento la porta spalancarsi con un tonfo e passi pesanti perlustrare il locale.
Quasi trattengo il fiato, accucciandomi il più possibile contro la parete, rallegrandomi mentalmente per il fatto che il battito del cuore, pur accelerato, non è udibile a orecchio umano. Tom, sbrigati, perché soffro di claustrofobia e l’aria sta iniziando a mancare!
Un ultimo ululante verso, quindi il “raptor improvvisato” decide che la stanza è pulita e può passare a quella successiva, però io, memore di quanto quelle lucertole possano essere intelligenti, attendo un attimo, riprendendo fiato e cercando di rendere il respiro regolare. Mi decido ad uscire, raggiungendo il corridoio apparentemente deserto, osservandomi intorno con aria circospetta; devo decidere che direzione prendere e, sto per scendere ancora di un piano, quando un ringhio stridulo mi fa saltare sul posto, spronandomi a correre sempre più veloce; risalgo al secondo piano, troppo agitata per rendermi conto di aver fatto una cretinata, perché lì non ho vie di fuga, le stanze sono poche e quindi pochi sono i nascondigli.
Silenzio.
Guardo in lungo e in largo, ma di Tom nessuna traccia, così torno nella sua stanza, magari è stufo di giocare e si è sdraiato un attimo…
Dillo che sei tu che ti vuoi sdraiare.
Lo ammetto, sono morta, non ho più l’età.
Smettila di fumare!
Eppure di Tom non c’è nemmeno l’ombra, tanto che metto la testa fuori dalla porta, controllando il corridoio, anch’esso deserto e silenzioso; torno verso il letto, cercando di riprendere fiato, pronta a scattare al minimo rumore e…
Perché i peletti del collo hanno iniziato ad alzarsi? Cos’è quel brivido dietro la schiena?
Mi volto di scatto e me lo ritrovo davanti, ancora in modalità “rettile allo sbando” e, senza darmi tempo né di urlare né di difendermi, mi balza addosso con un verso acuto, atterrandomi sul letto.
- Morta!- Dice trafelato ed eccitato, sorridendo come un bambino dispettoso. Ha la pelle del viso arrossata e gli occhi lucidi per l’eccitazione mentre dolci fossette si disegnano ai bordi degli occhi.
- Però ti ho seminato all’inizio! Mi hai preso per stanchezza- Gli cingo il collo con le braccia e strofino la punta del naso con la sua, facendogli il solletico.
- Cosa dici? Avevo tutto sotto controllo…- Si vanta lui con una finta aria di sufficienza che mi fa ridacchiare.
- Come no, neanche ti sei accorto che ero nell’armadio! Sei un velociraptor allocco-
- Quale armadio? Ehi, a chi hai dato dell’allocco?- Con agilità si sdraia più comodamente sul letto, avvicinando la testa al cuscino, trascinandomi con sé: per essere un chiodo ambulante, Tom è davvero forte.
Mi fa accomodare quindi si tira su, iniziando ad armeggiare con i lacci delle mie converse nere con lo sguardo concentrato e un sorriso gioioso sulle labbra sottili.
- Che fai?- Tento di sollevarmi, ma Tom è più veloce e con una mano mi preme dolcemente contro il materasso.
- Ti tolgo le scarpe- Risponde ammiccando alla scarpa che tiene tra le mani, come fosse una cosa ovvia.
Incrocia le dita Lolita!
Sono così eccitata! Che mutande ti sei messa?
No, ragazze mie, basta! Così mi viene l’ansia da prestazione.
Già, lui sembra tanto a suo agio ma certo io non lo sono e come potrei? Siamo passati da assalti violenti a baci ardenti (passatemi la rima) da pochissimo e ora mi ritrovo elegantemente “riversa” sul suo morbido talamo mentre mi toglie le “nobili calzature” con un’espressione tra il sognante e il malizioso stampata sul volto, insomma, come fa una a non morire di crepa cuore? Posso distintamente sentire il cuore cozzare contro la cassa toracica e ostinatamente punto lo sguardo contro il soffitto, esattamente come quando sto dalla ginecologa con le gambe aperte, aspettando la “leggera pressione” come amano chiamarla gli esperti (alla faccia del “leggero”), muscoli in tensione e una voglia tremenda di scappare a gambe levate.
Fantasticare su me e lui mentre si fa l’amore è un conto, ormai è diventato un pensiero piacevolmente ricorrente, ma non sono psicologicamente pronta e questo mi fa irrigidire ancora di più, proprio perché è una sensazione mai provata. Dai, andiamo, non ero così nervosa neanche la prima volta, non capisco cosa mi prenda, è vero che manco dal “giro” da parecchio tempo ma non sono una verginella alle prime armi, anzi, di me si può dir tutto ma non che sia una pudica santarellina.
Sbircio nella sua direzione, rimanendo immobile, osservando Tom mentre si sfila le scarpe a sua volta, poggiandole accuratamente ai piedi del letto; sospira lievemente, passandosi una mano sul volto e poi sui capelli, arruffandoli e poi orinandoli di nuovo con fare nervoso, mentre un lieve rossore gli dipinge l’incarnato candido delle guance.
Non posso fare a meno di ammirare, spiare quasi, il suo corpo, l’arco disegnato dalla sua schiena un poco piegata, i muscoli che si intravedono dalla camicia azzurrina che si sposa perfettamente con i suoi occhi, i riccioli chiari che mi ricordano molto la descrizione di Eros nell’opera di Apuleio.
Rimango talmente incantata che quando Tom solleva lo sguardo per incontrare il mio i miei occhi rimangono incatenati ai suoi, incapace di volgere lo sguardo altrove.
 
 
“C’è tutto il mondo in quello sguardo”.
Il pensiero mi sfugge, come se avesse vita propria, inconsapevolmente nato grazie a quegli occhi grigi che ho scoperto ad osservarmi e che colpevoli vorrebbero fuggire ma sono costretti ad indugiare ancora sull’oggetto dei loro desideri.
L’espressione di leziosa colpevolezza rende Berenice una creatura eterea, come una di quelle rappresentazioni classicheggianti dei pittori francesi dell’Accademia. Ha le guance arrossate e i muscoli tesi e rimane immobile, trattenendo il respiro.
Leggo terrore puro nel suo sguardo, ma anche passione e calore, una miscela contraddittoria di emozioni che si rincorro tra loro, senza che l’una o l’altra riesca a prevalere.
Dolcemente mi dirigo verso di lei, poggiando lievemente il mio busto contro il suo, puntellandomi sui gomiti per non farle male; rimango in obliquo con i piedi penzoloni che oltrepassano il bordo del letto, con il mio fianco che preme contro le sue gambe piegate, ermeticamente chiuse e rigide come non mai.
Sento il suo petto sollevarsi e abbassarsi rapidamente, quasi le mancasse l’aria dai polmoni ma, malgrado il nervosismo, non accenna a distogliere lo sguardo dal mio. Chino il viso sul suo e, con le labbra dischiuse, le rubo un bacio al quale Bernie risponde immediatamente, aprendo la bocca a sua volta ed emettendo un gemito delicato, avvertendola rilassarsi immediatamente, tanto che con le braccia mi cinge la schiena, trascinandomi ancora di più sopra di lei.
Allarga le gambe, dandomi il permesso di farmi penetrare tra esse, e il mio corpo reagisce di conseguenza, immediatamente stimolato dai movimenti del suo bacino che si muove aritmicamente contro il mio; le prendo il viso tra le mani, approfondendo il bacio che diventa sempre più frenetico, mentre il desiderio di poterla toccare, di poter raggiungere luoghi inesplorati, quasi mi toglie il respiro.
Mi fermo, sollevando il viso, con una Bernie contrariata da questa brusca lontananza che chiude gli occhi, respirando affannosamente.
- Dolcezza…- Sussurro – Se continuiamo così non credo sarò capace di resisterti…-
La scimmietta spalanca gli occhi, guardandomi seria e nuovamente impaurita ed  è un attimo perché immediatamente dopo volge lo sguardo altrove, mordendosi il labbro inferiore con quei suoi deliziosi dentini.
- Già – Dice laconica, sviando ostinatamente gli occhi da me.
- Lo so che hai paura, non c’è nulla di male- Continuo io, incoraggiante, riuscendo finalmente a portare la sua attenzione sul mio viso.
- Oh, Tom. Non so cosa mi sia preso, insomma, non è che non mi vada, anzi…-
- Lo so bene- Sghignazzo io, ricevendo una linguaccia indispettiva in risposta.
- Però, non voglio fare le cose di fretta. Voglio godermi il prima, il durante e il dopo senza ansie e scadenze di orari- Confessa, sorridendo imbarazzata e raggiungendo una più intensa sfumatura di rosso.
- Beh, non c’è nessuno che ci corre dietro, o sbaglio?- Chiedo leggermente confuso ma soprattutto curioso di scoprire da dove venga tutta questa vergogna.
- Domani dovrò andare a lavorare-
- Beh, anche io domani ho da fare. Non voglio cercare di convincerti, trattare queste cose le sminuisce ma…-
- Tom – Mi interrompe, guardandomi seria e concentrata, zittendomi con la sola forza dei suoi splendidi occhi color del cielo.
- Tom, se dovessimo fare l’amore io non ti permetterò di uscire da questo letto e non avrò io stessa la forza di farlo almeno per un giorno intero-
Ecco, per la prima volta in vita mia ho quasi rischiato di venirmi nei pantaloni senza neanche essere sfiorato: questa scimmietta è davvero una tigre.
Sì! Questa donna mi piace, mi piace da morire. Te l’ho già detto, vero?
Anche a me!
Preparati amico mio, ci saranno i fuochi d’artificio!
Deglutisco sonoramente, avvertendo le guance andarmi in fiamme mentre Bernie si gode birichina la mia reazione, ridendo maliziosamente e iniziando a baciarmi il volto sensualmente, con lentezza.
- Se fai così sarò io quello che ti costringerà tra queste lenzuola- La ammonisco, poco convinto, sempre più eccitato all’idea di trascorrere ore e ore e ore con Berenice tra le mie braccia.
- Non vedo l’ora- Mormora contro il mio orecchio, facendomi venire i brividi lungo la schiena.
Sospiro e rotolo di fianco a lei, portandomi le mani dietro la nuca, sorridendo estasiato contro il soffitto, cercando di calmare gli spasmi del mio stomaco. La scimmietta ride, invertendo le posizioni e ponendosi con le braccia contro il mio petto, guardandomi furbetta e iniziando a giocherellare con i miei capelli.
- Mi posso far perdonare preparando la cena?- Chiede, sfiorando le mie labbra con il suo nasino.
- Solo se dopo ci guardiamo Jurassic Park-
- Affare fatto!-
 
ANGOLO DELL’AUTRICE: Ecco a voi la seconda parte del capitolo, lunghissima come la precedente, altrettanto difficile da scrivere, ma con un’atmosfera decisamente più leggera e scherzosa.
Per quanto riguarda la parte del Velociraptor ammetto di aver riso come una bambina nello scriverlo: Jurassic Park è il mio film preferito, ho letto anche il libro che consiglio caldamente di leggere perché è intenso, emozionante e pieno di particolari che mi hanno fatto pentire amaramente di non aver seguito il mio sogno infantile di diventare una paleontologa! In questa parte della storia c’è molto di me e delle mie reazioni effettive. Sono stata felicissima nello scoprire che anche a Tom il film piacque molto, peccato che lui aveva dodici anni quando lo vide per la prima volta, al cinema, e io probabilmente ancora galleggiavo beata nella pancia di mamma oppure avevo da poco iniziato ad allietare la casa con i miei sgrilletti acuti! Whatever, scusate per questa spassionata dichiarazione nostalgica.
Spero che il capitolo piaccia e ringrazio tutti quelli che recensiscono, leggono e aggiungo questa storia che mi sta succhiando via l’anima ma che mi sta dando tanto.
Un bacio e alla prossima,
Clio
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** CAPITOLO 7 ***


Capitolo 7
So are you gonna stay
the night?

- Guarda, il cielo si sta schiarendo- Indico con il dito l’orizzonte e mi sollevo a sedere, finendo l’ultimo goccio di birra.
- Già e tra un’ora me ne dovrò andare- Conclude Edo, aprendo un’altra bottiglia.
Siamo sul tetto dell’edificio, sopra il mio piccolo terrazzino, trascorrendo le ultime ore insieme prima della partenza; siamo stati a cena con Rory e Darcy, abbiamo passeggiato un poco per Londra quindi siamo tornati a casa dove io ho scritto un po’ e Edo ha preparato la valigia; ad un tratto ci siamo guardati e, senza dire nulla, abbiamo preso la cassa di birra e ci siamo rintanati nel posto più isolato e suggestivo della casa, ammirando le stelle e ascoltando i suoni della città notturna.
- La prossima settimana ci vediamo di nuovo-
- Mi preoccupa tornare a casa, devo mettere a posto un po’ di cose- Confessa il mio migliore amico, sospirando tristemente. Mi avvicino, rannicchiandomi contro di lui e poggiando la testa sulla sua spalla.
- Sbronza collettiva con gli altri tre sventurati? Magari se andiamo a trovare Betta all’ospedale ci lascerà fare le gare con le sedie a rotelle…-
Edo ride di gusto, spruzzando un po’ di birra qui e lì. Ci vedremo tra pochi giorni, ma il pensiero che debba affrontare Gin mi mette angoscia, certo, non quanta me ne mette il pensiero che tra poche ore dovrò rivedere il “generale delle SS due la vendetta” Liz e che mi toccherà trascorrere una serata tra celebrità e pezzi grossi del cinema, però mi spiace che debba affrontare tutto questo senza una spalla su cui appoggiarsi.
- Quindi, tu e Tom Hiddleston, eh?-
- Io e Tom Hiddleston… fa tanto commediola romantica stile “Betta dopo essersi lasciata”, ti pare?- Chiedo, riflettendo bene su questa cosa della commedia: non ci avevo pensato in effetti.
- Secondo me fa tanto botta di culo colossale- Mi passa la bottiglia e ne prendo un sorso, continuando ad osservare il cielo rischiararsi.
- Mah! Litighiamo come cani e gatti. Ci conosciamo da due settimane ed è già successo il putiferio-
- E tu ti sei già innamorata-
Ora sono io che spruzzo birra in ogni dove.
Rivolgo a Edo un sorriso terrorizzato che lo fa sbellicare dalle risate, mentre mi inizio a mordere nervosamente il labbro inferiore: insomma, se Edo se n’è accorto, forse se n’è accorto anche lui… Oddio, dopo la scenata di gelosia non ne sono proprio sicura. Non è questo il punto.
Sono partita per la tangente e ci conosciamo solo da due settimane, non due mesi, ma settimane, un record praticamente.
- No- Dico laconica. Non ci credo neanche io a quello che ho detto, figuriamoci Edo.
- Ninni, mi prendi in giro? Sei la versione schizzata di “Ariel che fa la feticista con la statua di Eric”-
- Io non ho una coda verde… dici che la Sirenetta puzzava di pesce-
- Non mi far rispondere-
Scoppiamo a ridere entrambi e sono così felice che sia ancora così facile essere noi stessi, divertirci, parlare, esattamente come quando eravamo piccoli o al liceo. Sembra ieri, eppure è oggi…
Che frase è? Sei fuori con tre bottiglie di birra?
Era poetica.
Se, poetica un corno!
- Comunque, lo hai in pugno bella mia- Si alza, pulendosi i pantaloni e stiracchiandosi- Ricordati che sarò io il tuo testimone di nozze-
- Ma che testimone! Edo, secondo me esageri-
- Siete carini insieme: “Il gigante e la bambina”. Che fai, vieni con me?-
- Rimango ancora un po’ qui-
- Ok, allora intanto chiamo un taxi-
Si volta e, dopo essersi inginocchiato, apre la botola, tuffandocisi dentro, sparendo alla mia vista.
Mi sdraio, portando le mani dietro la testa, osservando le stelle non ancora inghiottite dai raggi solari che splendono tenui sulla volta celeste. Le parole “testimone” e “nozze” non fanno parte del mio vocabolario, mi viene l’orticaria solo a pensarci, già è tanto che non sia scappata a gambe levate alla parola “conosciamoci”, figurarsi…
Beh, sarò pure innamorata o qualcosa del genere, ma certo questo non significa che stia pensando ad accasarmi, anzi, opterei più che altro per un vivere giorno per giorno, cercando di arrivare a sera senza esserci scannati e poi, tra una ventina d’anni ad esser buoni, potremmo pensare anche a una convivenza.
Dio, perché Edo deve sempre imparanoiarmi?
Sto bene con Tom, mi piace, mi diverte e sono irreversibilmente stra-cotta di lui, non è sufficiente?
 
 
Ricordati: se Liz nota anche solo un graffio, una minuscola infinitesima macchiolina su questo vestito ti conviene iniziare a pensare alla prostituzione come soluzione. Stiamo parlando di più di 8000 sterline!
Le parole di Cheryl mi rimbombano nella testa come uno stramaledetto mantra.
Non ho avuto neanche il coraggio di sedermi sul divano, per cui è da almeno quaranta minuti che sono in piedi, le braccia incrociate al petto, camminando su e giù per il soggiorno.
- Scusa! Ma allora che lo metto a fare? Insomma, se è una vergogna che lo porti una “sottospecie di ballerina di Botero”, perché farmelo indossare?-
- Perché si tratta di Tom Hiddleston e io non permetto che Tom Hiddleston si accompagni a una sciattona!-
- Come vuole lei, Liz! Dove sono le calze?-
- Quali calze?-
- Quelle che mi devo mettere addosso, ovviamente. E’ ancora inverno malgrado l’effetto serra-
- Tu. Non. Oserai. Indossare. Calze. Su. Un. Capolavoro. Di. Oscar.-
- Wilde?-
- DELLA RENTA!-
Già, abitino corto corto, niente cappotto e, soprattutto, niente calze, alias, una broncopolmonite assicurata.
Però devo ammettere che sono proprio una “bambolina”: la carnagione chiara brilla in questo tripudio floreale di rossi, arancioni e blu. Oddio, detta così sembro “Arlecchino in estiva”, ma se poteste vedermi concordereste con me sul fatto che il vestito sia un amore e che io possa essere scambiata per una diva holliwoodiana in erba.
Vado verso lo specchio, ammirando l’ovale del mio viso finemente truccato e i capelli resi lisci, pettinati in una morbida acconciatura volutamente disordinata.
Uhmmm, potrei quasi abituarmi a una vita così anche se, in tutta onestà, perdere cinque ore per trucco e parrucco, immobile e zitta nelle mani d’altri non è nel mio stile.
Che palle!
Sto tremando come una foglia, il cuore mi è arrivato al cervello e il cervello…beh! Quello si è fottuto all’asilo credo!
Devo fumare, per la prima volta penso che anche un medico approverebbe la mia scelta: o fumare o farsi uccidere dallo stress. Scusate se preferisco annerire i polmoni!
Zampetto in punta di piedi (le vertiginosissime scarpe rosse con il tacco le ho lasciate accanto alla porta, se devo soffrire lo farò il più tardi possibile) verso l’isola del cucinotto, afferro il pacchetto in malo modo, tiro fuori una sigaretta stropicciata, me la ficco in bocca e la accendo con le mani sudaticce e in preda ad uno speudo attacco epilettico. Tanto con il culo che ho sicuramente tra meno di cinque minuti suonano e mi tocca buttare tutto…
Meno male! Almeno una volta nella vita la fortuna mi sorride.
Aspiro profondamente, osando addirittura appoggiarmi al bancone, mentre sento la fronte rimanere ostinatamente corrugata in un’espressione tra l’accigliato, lo sconvolto e l’omicida…
Va bene, razionalizziamo, una bella lista dei pro e i contro è quello che ci vuole per dissipare le nubi, dunque:
 PRO
  • Vedrò Tom
  • Ho un vestito che mi fa sembrare una figa
  • Vedrò Tom
  • C’è la remotissima possibilità che ci sia anche Jennifer Lawrence (uhmmm… secondo me Tom m’ha fregato! Ha cercato di far leva sulla mia passione per Jen! Maledetto “bevitore di tè” da strapazzo)
  • Vedrò Tom
 
Ok, non mi viene nient’altro in mente: non è il massimo ma me lo farò bastare (ripetere tre volte “vedrò Tom” è necessario ma non sufficiente, scusate, deformazione professionale).
CONTRO
  • Passerò le vacanze di Natale al Reparto Malattie Infettive
  • Mi toccherà sorbettarmi una mostra di arte contemporanea (ossia, c’è il rischio di trovare un preservativo appeso a un cappio che spacceranno come simbolo della condizione costrittiva della relazione ufficiale di contro all’animalità poligama dell’essere umano o, più semplicemente, al fatto che il preservativo strizza e fa male)
  • Almeno un centinaio di sconosciuti
  • Almeno un centinaio di sconosciuti conosciuti a livello planetario
  • Fotografi
  • Giornalisti

Perfetto, la faccenda dei pro e dei contro è stata una cazzata colossale perché adesso sono agitata come prima e più di prima: maledizione a te Thomas “Occhi da cucciolo” William Hiddleston!
E mannaggia a me e ai miei sensi di colpa e dire che pensavo di essere una strenua oppositrice della “cattiva coscienza” (chiedo venia, altra deformazione professionale, scusatemi, è la strizza).
Non riesco a pensare lucidamente, so solo che mi sto accendendo la seconda sigaretta di fila, cosa che non succedeva da eoni, mandando a puttane il proposito di fumare solo cinque cicche al giorno: bene, Tom! Mi pagherai il cardiologo e lo pneumatologo e chi più ne ha più ne metta.
Ci stai mandando in iperventilazione qui!
Sono in iperventilazione.
Pensa che forse, finalmente, riuscirai a dargliela! Hai pure il completino sexy.
Però, forse Lolita non ha tutti i torti!
E mi balenano nella mente scene di Tom e me avvinghiati come sanguisughe, ululando oscenamente in un cesso della Tate Modern, mentre è dentro di me e spinge forte…
Scuoto la testa violentemente, senza minimamente curarmi della delicata acconciatura che orna i capelli, tentando di calmare i bollenti spiriti: non è il momento per aggiungere altre fonti di eccitamento! Sono già sovraccarica di mio…
Guardo l’orologio appeso alla parete e noto un leggero ritardo, probabilmente c’è traffico; controllo per la centesima volta di avere tutto nella mini borsetta che costa decisamente più dell’affitto mensile del mio appartamento e penso che, appena giunta a destinazione, ordinerò una bottiglia di vodka intera da scolarmi nel bagno sovra citato, ovviamente aspettando Tom che, come accordato, dovrebbe arrivare circa una mezz’ora dopo di me.
Tanto si verrà a sapere comunque, il cosa poi è ancora tutto da stabilire, ma sono assolutamente persuasa che presto o tardi troverò la mia faccia spiaccicata sul web o su qualche rivista patinata. L’unico enorme problema è che sono di una timidezza imbarazzante, perché, avanti, non sono mica Kate Middleton e lui certo non è un principe della corona: insomma, tanto rumore per nulla.
Un’altra cosa che però mi dà profondamente al cazzo (scusate il francesismo) è l’idea che la mia vita privata venga spiattellata ai quattro venti, che sconosciuti sappiano cose quando io, per natura, già è tanto che riveli il mio nome e cognome: sono riservata, mi piace stare per i fatti miei. Certe volte mi trovo a guardare Tom e a chiedermi come faccia lui a sopportare tutta quella pressione, tutto quello smanioso interesse nei suoi confronti… certo, sono cose che accarezzano l’ego, ma anche alla vanità c’è un limite. Personalmente, sono sicura avrei dato di matto già dopo il primo film di successo, ritrovandomi ricoverata in un ospedale psichiatrico o a disintossicarmi (ora che ci penso mi andrebbe un po’ di fumo, sono secoli che non mi faccio una canna…devo dirlo ad Ale).
Oh, ma che bello! Chissà chi è che si sta ascoltando l’Uccello di Fuoco di Stravinskij, quanto mi andrebbe un bel concerto alla Royal Albert Hall in questo momento, sentire il tepore della sala, l’odore di legno lavorato…
Un momento, l’Uccello di fuoco!? Cacchio, ma è il mio telefono!
  • Pronto?
  • Bernie, sono Luke. Scendi
Ecco, è la fine, sono spacciata, non c’è scampo più per me. La vodka! Dove ho messo la vodka? Mi scapicollo verso l’armadietto dei liquori e afferro il primo che capita, sperando ardentemente sia ciò che cerco… peccato, è limoncello, bleah, io odio il limoncello.
Calma Berenice, espira e inspira, no è il contrario, inspira e…o al diavolo!
Prendo al volo le scarpe e corro giù per le scale a piedi nudi, mentre il marmo freddo mi gela le piante facendomi rabbrividire; arrivo nell’androne e mi infilo le scarpe, tremando al pensiero di come saranno ridotti i miei poveri piedini a fine serata; apro il portone e mi blocco, allibita ed eccitata allo stesso tempo. Non ci posso credere…
- Luke! E’ un party o un matrimonio? E’ la Rolls Royce più bella che abbia mai visto-
Gli barcollo, letteralmente, incontro, scoccandogli un bacio sulla guancia e lasciando che cavallerescamente mi apra la portiera per farmi entrare.
- Sono le macchine in dotazione per la serata: sindacato inglese, macchina rigorosamente inglese-
Mi spiega sorridente, entrando anche lui nella macchina e facendo cenno all’autista di proseguire alla volta della Tate Modern.
- Beh, non fa una piega, anche se non sono proprio sicura che la Rolls sia ancora inglese, anzi, se non erro dal 1998 l’azienda è controllata dal gruppo BMW quindi, tecnicamente, è tedesca e…-
- Ti stai pisciando sotto dalla paura, non è vero?- Luke, Oxford school proprio. Ma come avrà fatto?
Ti sei messa a blaterare di pacchetti azionari.
No, non è vero. Stavo solo rimembrando un qualche discorso paterno e dopo avrei anche disquisito in merito a tutte le contraddizioni del corrente capitalismo finanziario…
Sì, ti stai pisciando sotto. Piscialletto!
- Si vede tanto?-
Luke scoppia a ridere, prendendomi la mano e stringendola forte, cercando di rincuorarmi – Sei uno spasso Bernie! Comunque cerca di rilassarti: quelli che incontrerai sono tutti nella stessa barca di Tom! Non baderanno a te in alcun modo-
- Oh, ma lo so. Sono solo un po’ sociopatica, ecco tutto- Mormoro imbarazzata, dandomi mentalmente della narcisista paranoica per essermi data così tanta importanza: sono solo un’accompagnatrice dopo tutto, una ragazza qualunque che pomicia con un attore, nulla di più… ok, se continuo così non ci arrivo alla Tate, mi butto da un ponte prima di arrivarci.
- Andrai benissimo e poi sei talmente carina che sarebbe un peccato non ti godessi la serata- Luke mi dà una carezza affettuosa sulla guancia che ricambio con un sorriso colmo di gratitudine.
- E se lo facessi sfigurare? E se combinassi qualche pasticcio e lo facessi vergognare? Metti che perdo la brocca come all’Hotel Baglioni! Non vado bene per Tom, non sono adatta e…-
- Ehi, frena i cavalli- Luke mi afferra le spalle, scuotendomi un poco; sono talmente imparanoiata che mi sembra di avere una medusa al posto del cervello – Bernie, probabilmente è un vizio femminile quello di sminuirsi, ma non puoi non esserti accorta di quanto sia bella questa sera; in secondo luogo, sono sicuro che non ci saranno datori di lavoro mafiosi o amici idioti che ti faranno imbestialire; terzo, non pensare neanche per un momento di non essere abbastanza per Tom: non ha occhi che per te, ci sei tu al centro dei suoi pensieri. Sono una fonte abbastanza attendibile…-
- Lo dici sul serio o lo fai solo perché sto per andare in defibrillazione?- Chiedo, mettendo il broncio come una bambina.
- Tesoro, sono inglese: essenziale ed incisivo. Non ti direi mai cose che non penso- Risponde, guardandomi serio dritto negli occhi. Sospiro profondamente, sentendo le spalle e i muscoli rilassarsi, mentre mi accascio sul sedile, chiudendo gli occhi per un attimo, assaporando il gusto delle parole di Luke.
Tom non ha occhi che per te, ci sei tu al centro dei suoi pensieri”
- Grazie-
- Per così poco Bernie. Ad ogni modo, se ti può consolare, alle dieci arriverà Tom e sono quasi certo che al massimo a l’una ti rapirà e la serata si potrà dire conclusa-
- Alle dieci!?- Sbotto allarmata, sentendo la serenità appena raggiunta scivolare via dalle ossa – Sono le nove e siamo arrivati! Mi lasciate un’ora lì da sola? Avevi detto mezz’ora, mezz’ora Luke-  Devo stare calma, respirare e stare calma, un’ora non è nulla, è solo un infinitesimo puntino nell’infinita (o quasi) retta del tempo, ce la posso fare… cazzata! In un’ora può crollare un governo, figurarsi una povera ricercatrice universitaria.
- C’è traffico e in sessanta minuti non credo succederà nulla…-
- Luke – Lo afferro per le spalle e lo fisso con sguardo grave – Sai com’è andata la battaglia di Waterloo?-
- Che c’entra Waterloo ora?-
- Zitto- Gli ordino acida – Napoleone, inizialmente, stava vincendo, insomma, vi stava facendo il vero culo poi ha avuto un malore, è andato al tappeto per cinque minuti, dico io, cinque minuti, e in quella cazzo di manciata di tempo ha mandato a puttane un impero… io ho sessanta secondi e sono quasi certa di essere più alta di lui-
- Siamo arrivati- La voce dell’autista conclude in bellezza il mio accorato monologo che, ovviamente, non ha sortito gli effetti sperati.
Luke e io ci guardiamo intensamente: lui sull’orlo di scoppiare a ridermi in faccia, io, invece, prossima a una crisi isterica.
- Ultimi consigli?-
- Stay alive- E prima che possa anche solo rendermi conto della sua profondissima citazione letteraria, Luke apre la portiera e mi lancia, letteralmente, fuori dall’abitacolo della macchina, facendomi quasi sfracellare per terra: quell’uomo deve smetterla di bistrattarmi in questo modo, altrimenti presto o tardi mi ritroverò ricoverata al reparto ortopedico.
Mi rassetto un poco, seguendo con sguardo addolorato la macchina sfrecciare via, quindi mi volto con il cuore in gola verso la grande costruzione che ospiterà l’evento di questa sera.
La galleria è illuminata da luci colorate e psichedeliche che brillano tanto da oscurare le stelle; di fronte a me si stende un lungo tappeto rosso, dove si affaccendano una cinquantina di persone tra personale e body guards, mentre ai suoi lati noto, con orrore, sono appollaiati, quasi fossero corvi, alcuni fotografi che lucidano obiettivi o provano le luci dei flash.
Prima che svenga per lo shock, mi affretto ad attraversare il breve corridoio che mi separa dall’entrata, premurandomi di tenere il capo chino e lo sguardo basso, sebbene sappia, razionalmente parlando, di non avere nulla da temere perché nessuno mi ha notata, né si è accorto del mio passaggio.
Faccio le scale con il rumore dei miei battiti cardiaci che mi rimbomba nelle orecchie e, una volta giunta a destinazione, mi permetto di tirare un sospiro di sollievo: primo step superato, tempo rimanente cinquantacinque minuti.
L’inserviente all’entrata mi chiede gentilmente di mostrargli l’invito e dal canto mio vorrei esaudire immediatamente il suo desiderio ma, ahimè, la borsetta microscopica non aiuta, soprattutto perché l’invito si è incastrato tra chiavi, accendino, pacchetto di sigarette e telefono che per poco non finisce sfracellato per terra.
Quando, finalmente, riesco a porgli il cartoncino di carta, mi sembra quasi di aver corso la maratona di New York tanto mi sento stremata, ma la vista, una volta entrata, mi ripaga di ogni fatica: l’immensa galleria è finemente addobbata, ogni cosa sembra riprendere le tonalità di grigio dell’edificio stesso, mentre candidi fiori sono posti in ampolle di cristallo dal vago gusto antico che creano un piacevole contrasto con lo stile moderno della cornice. Ogni elemento sembra brillare di luce propria, dando al locale un’aria evanescente e rarefatta.
Il mio sguardo si perde nell’osservare ogni dettaglio, nell’immergersi in quell’apparente infinità così minuziosamente ricreata, sapientemente accompagnata dal suono melodioso di archi e fiati proveniente da una piccola orchestra posta al limitare superiore della sala che, in quel momento, sta intonando un riadattamento dell’Ave Maria di Schubert, particolarmente suggestivo e appropriato per quel luogo velato da un’aria di sublime sacralità…
Potevi semplicemente dire: “’sti Inglesi ci sanno fare”.
E ridurre così la meraviglia di tutto questo?
Il dono della sintesi, quello di cui tu, mia cara, sei incresciosamente sprovvista.
Bene, manca una “fracca” di tempo e devo trovare una soluzione a questa incresciosa situazione e beh, dato che mi trovo in una galleria d’arte, potrei anche arrischiarmi a dare un’occhiata in giro.
In realtà già parto prevenuta, infatti, come ho detto poco fa l’arte odierna non mi attrae minimamente, ignoranza mia e forse anche un poco di provincialismo, ma sono una nostalgica dell’arte figurativa, quella delle forme armoniose e ben calibrate, delle sculture marmoree di fattura classicheggiante. In maniera più prosaica, trovo ridicolo dover pagare per andare a vedere un cubo di legno foderato che assomiglia a un puff difettoso che anziché accompagnare morbidamente il tuo deretano te lo fa piatto, fregiandosi del titolo di “opera” solo perché l’autore ha accostato all’oggetto un trafiletto in cui spiega le sue elucubrazioni mentali per cui non è più ciò che puoi toccare ad essere arte, ma la didascalia che lo accompagna. Certo, alcune di queste nuove “diavolerie” mi affascinano come per esempio Untitle 1991 di Felix Gonzales Torres, i due orologi fermi a simboleggiare la perdita del compagno, dell’amore della propria vita, ma tra questa e la Nike di Samotracia opto decisamente per la seconda.
Mi avvicino ad alcune istallazioni dall’aria tetra che assomigliano a rami nodosi di alberi secchi e sfibrati, sopra i quali sono appesi oggetti miniaturizzati quasi a simulare il set di un film dell’orrore. Storco il naso e proseguo mentre le opere sfilano davanti a me come gli scheletri del cortometraggio di Walt Disney del 1929.
L’autore deve avere proprio il gusto dell’orrido altrimenti non saprei spiegarmi la bambola di pezza impiccata che mi fissa con l’unico occhio buono che le è rimasto: che ribrezzo! Mi è venuto un brivido. Eppure, non è ciò che mi attira di più, perché, alla fine di questa sequenza, intravedo qualcosa di lungo e trasparente penzolare scompostamente da quella che mi sembra essere una cintura di castità vecchio stile, quella con il ferro e gli spuntoni…
Che mi venga un colpo!
E’ davvero un preservativo, oddio, allora c’avevo azzeccato! Purtroppo, malgrado sulla carta di identità c’è scritto che ho passato la maggiore età da qualche anno, non posso fare a meno di scoppiare a ridere sguaiata, piegandomi in due e attirando gli sguardi dei primi invitati giunti. Perché la gente deve prendersi così sul serio? Perché dovrei apprezzare qualcosa semplicemente per la sua firma? Se una cosa fa schifo, fa schifo anche se fosse stato Michelangelo in persona a farlo… è proprio vero, ahimè, che lo spirito critico è morto: la smania di apparire intellettuali ha preso il sopravvento e con esso anche il piacere di una cultura genuina. Meglio sapere poche cose ma saperle bene, piuttosto che assaggiare tutto e non gustarsi nulla.
- Lo sapevo che eri tu! Ci avrei scommesso la macchina fotografica-
Mi raddrizzo immediatamente e mi volto, sorridendo raggiante: un volto conosciuto, finalmente.
- Megan! Non sai che bello vederti- La abbraccio di slancio, strizzando lei e la macchinetta che porta al collo in una stretta soffocante – Che ci fai qui?- Chiedo, dopo averla lasciata andare.
Meg si massaggia il petto con aria dolorante – Lavoro, ovviamente, tu piuttosto, non pensavo che Umanitas si occupasse di questo-
- Infatti, sono venuta con Tom, o meglio, su invito di Tom- Specifico, facendo un cenno al vuoto intorno a me.
- Wow, ma allora è una cosa seria- Ridacchia Megan facendomi l’occhiolino a cui rispondo con un sorriso conciliante mentre nella mia mente ballerina si prefigura un piano a dir poco diabolico.
- Che c’è?- Mi chiede la mia amica con aria allarmata, accorgendosi del mio sorriso beffardo e affilato.
- Per chi lavori?-
- Ehm, per gli organizzatori, sono venuti in studio, qualcuno di loro deve aver visto la mostra di Copenaghen e così mi hanno contattata…-
- Perciò non hai un contratto con nessuna rivista o altro e volendo potresti usare le foto a tuo piacimento-
- Beh, proprio a mio piacimento no…-
- Meg, devo capire se rischiamo una denuncia per violazione del copy-wright, o che so io, qualora decidessimo di scrivere un articolo per la rivista-
- Scusa, quando è stato deciso?- Domanda, scettica e leggermente intimorita dal mio sguardo invasato.
- Adesso, Meggy, adesso. Ci sono pochissime idee per il numero di Gennaio e questa è un’occasione allettante-
- Uhmmm- Fa lei pensierosa, portandosi una mano sotto il mento – Non sarebbe male, ma credo dovremmo limitarci all’esposizione e, se saprai usare bene le tue arti persuasive, anche ad un certo Dio degli Inganni…-
- No, solo Tom no! Puntiamo più in alto-
- Cosa? Ventimila sterline di multa?- Ironizza Meg con tono candido e innocente. Quanto può essere dolce e...
- Se ci sono in mezzo io, cosa che odio ma amen, potrebbe andare? Tu fotografi me e i malcapitati che mi stanno attorno: niente interviste, pochi nomi-
- Quindi l’articolo è su di te che vai alla serata indetta dal sindacato degli attori alla Tate Modern?-
- Esattamente!-
- Beh, calcolando che l’attrezzatura fotografica è mia, ritengo più che lecito far ciò che voglio. Affare fatto- Mi tende la mano, io la guardo e poi le stringo nuovamente le braccia al collo.
- Grazie- Soffio tra i suoi capelli.
- Sì, sì- Dice con fare sbrigativo e finto scocciato, tirandomi indietro – Dobbiamo sbrigarci. Ti devo fare qualche foto vicino alle opere esposte e lo devo fare prima che arrivino gli ospiti perché, dopo di allora, non avrò molte occasioni-
- Sei tu il capo oggi- Sorrido, sentendo l’euforia entrarmi nel petto e avvolgermi come fosse elettricità. La Dea bendata ha deciso di sorridermi alla fine: da serata disastro a articolo stra-fico che manterrà le vendite stabili.
Mi metto vicino alla statua della “bambola senz’occhio” , in posa.
- Bernie, più naturale- Meg scatta e comincia lo show.
 
 
Ho perso di vista Megan già da un po’: siamo riuscite solo a fare una decina di scatti poi è arrivato qualcuno di importante e lei si è dovuta defilare.
Sono seduta al bar, aspettando di essere servita ma, soprattutto, aspettando che Tom si decida ad arrivare. L’entusiasmo di poco fa sta scemando e dense nubi di ansia e preoccupazione si stagliano all’orizzonte, più vado avanti e più mi sento un pesce fuor d’acqua.
Dovrei essere eccitata all’inverosimile per la prospettiva di conoscere star del cinema internazionale, invece, più ci penso, più mi si serra lo stomaco e il respiro si fa irregolare.
- Cosa prende?- Chiede il barman gentile.
Sorrido – Un Negroni-
- Anche per me!- Ordina qualcuno al mio fianco.
Bene, vedo che il gusto italiano ha ancora qualcosa da dire all’estero.
Devo decisamente fumare, non so dove, ma devo farlo: mancano dieci minuti all’arrivo stabilito e devo trovare un modo per ammazzare il tempo. Traffico con la borsetta, riversando il contenuto sul bancone quindi, trionfante, acciuffo il pacchetto spiegazzato di sigarette, estraendone una e iniziando a giocarci, premurandomi di riordinare il disordine che ho combinato, neanche fosse la scrivania del mio studio.
- Lucky Strike rosse… non sono un po’ forti per una bambina come te?-
E questo chi minchia è? Mio padre?
Sto per voltarmi e iniziarlo a insultare pesantemente ma ciò che vedo mi fa morire le parole sul nascere.
- Cazzo- Impreco, suscitando l’ilarità di niente popò di meno che Michael Fassbender, anzi “MioDioQuantoSeiFico” Fassbender che mi guarda con un sorrisino arrogante che fa impazzire i miei poveri piccoli ormoni.
- Mai ricevuto un complimento tanto eloquente- Dice lui, con quella sua aria un po’ strafottente da “uomo che non deve chiedere mai”, facendomi raggiungere una nuova tonalità cremisi.
- Forse mi hai semplicemente spaventata- Dico, tirando fuori le unghie da gattina in calore quale sono in questo momento. Ha i capelli corti e la barba rossiccia volutamente incolta che lo rende ancora più virile ed attraente, con quel collo lungo e sexy su cui si sono spesso concentrate le mie fantasie notturne (poi è arrivato Tom e il suo collo ha monopolizzato i miei sogni).
- Forse- Ripete, non staccando gli occhi da me, studiandomi con un’intensità che mi mette a disagio. Tom è molto più delicato, gentile anche quando mi osserva insistentemente, credendo che non me ne accorga. Non penso che Fassbender sia una cattiva persona o che ci stia provando spudoratamente, credo semplicemente sia molto curioso, un po’ come il Piccolo Lord, con la sottile quanto pregnante differenza che l’ego di Tom non sovrasta il mio, lo accompagna con dolcezza. Ecco, Hiddleston ha tatto, Fassbender se ne fotte, insomma, è lo stronzetto che piace tanto a noi donne anche se, a dirla tutta, mi rendo conto di aver decisamente rivalutato i miei canoni.
L’arrivo dei drink mi concede la possibilità di distogliere lo sguardo e di avere un po’ più di fiato. Mi avvento letteralmente sul bicchiere, lasciando che un generoso sorso mi bagni la gola e mi inebri, concedendomi un momento di beata incoscienza.
- Dunque- Esordisce nuovamente il “meraviglioso bastardo”- Alice, come sei finita nella tana del Bianconiglio?- Mi sorride malizioso, come se avesse compreso tutto il mio disagio.
- Sembro così estranea all’ambiente? Ho l’aria di un pesce fuor d’acqua?- Lo interrogo, rilassandomi e portando una mano sotto il mento, sorridendogli a mia volta.
- Un graziosissimo pesce- Ridacchia lui, contagiandomi con la sua allegria.
- Sono una giornalista-
- Ah, certo. Una giornalista dall’aria dolce ed ingenua che non mi ha ancora tartassato di domande e che quando mi ha visto non ha saputo trattenere un’esclamazione di sorpresa- Però, oltre che ad essere un bravo attore, è anche un bravo (e gnocco) conoscitore dell’animo umano!
- In realtà sono veramente una giornalista, anche se questa sera vesto i panni di una semplicissima invitata- Spiego candidamente, sorseggiando il mio Negroni, senza distogliere lo sguardo da lui: questo gioco mi sta divertendo.
- E il tuo nome?- Chiede, facendosi più vicino.
Ragazza mia, sfancula la monogamia e dacci dentro con il tuo progetto del bagno!
Lolita, e Tom? Ricordiamoci che sono quasi-innamorata di lui.
Togli il quasi…
Chissene frega! Così impara a farti aspettare… vai a fregare il preservativo e fattelo!
- Allora?- Mi incalza lui, dopo un mio lungo e inconscio silenzio. Scuoto il capo e sorrido imbarazzata – Berenice. Bernie è più facile-
- Piacere, Michael- Afferra la mia mano e la stringe forte, mentre tutti i miei propositi di castità iniziano lentamente a venir meno.
- E, dunque, Bernie: da dov’è che vieni?- Mi domanda curioso senza sciogliere la presa.
- Sono italiana- Dico, deglutendo sonoramente e sottraendomi con garbo alla sua mano, mentre lui sogghigna beffardo.
- Italia, bellissima. Ho fatto un giro in moto con mio padre per l’Italia-
- In moto? Wow, con dei miei amici ci siamo girati la Corsica, non mi è mai venuto in mente di percorrere lo Stivale-
- Perché non raccontarci vicendevolmente le nostre peripezie fumandoci una sigaretta?-
Bel dilemma. E adesso?
Mi guardo attorno, alla ricerca di un altro paio di occhi azzurri, ma di Tom neanche l’ombra…
Che fare? In fondo a fumare ci dovevo andare…
Rivolgo lo sguardo a Michael che mi sorride candido, come se avesse capito la mia paura e stesse cercando di tranquillizzarmi e, devo dire, ci riesce pienamente: scivolo giù dallo sgabello, afferro la pochette e gli faccio un cenno – Con piacere-
 
 
La cerco con lo sguardo, ma non riesco a trovare Berenice e una leggera ansia mi afferra lo stomaco.
L’ho lasciata sola per un tempo infinito, forse sarebbe stato meglio farla venire con me e via, tanto sono fermamente convinto prima o poi si verrà a sapere di noi due. Non è una cosa che mi dispiacerebbe a dire il vero, in ogni caso non permetterei mai che le accadesse qualcosa o la infastidissero: la proteggerei, sempre.
-Luke, sei sicuro che sia entrata?- Chiedo al mio amico, intento a parlare con Emma Watson, appena arrivata anche lei, che, tra le altre cose, è un’altra sua cliente.
- Ma sì, a meno che non volesse far scoppiare una guerra…ha farneticato qualcosa su Waterloo-
- Chi, Tom?- Domanda Emma, sinceramente incuriosita dalla nostra conversazione: è una furbetta quella lì, non le sfugge mai nulla.
- Ehm…-
Ad un tratto la vedo sbucare in mezzo alla folla.
E’ bellissima.
I capelli lisci, tirati indietro, esaltano la fronte spaziosa e i lineamenti delicati del volto; il trucco leggero fa brillare i suoi occhi che sembrano dei zaffiri mentre l’incarnato eburneo sembra quello di un dipinto rinascimentale. Mi viene da ridere per il suo incedere traballante, con quei tacchi che le slanciano le gambe snelle ma che le causano qualche problema di deambulazione, facendola sembrare una bambina.
Mi scuso con gli altri e mi allontano, sorridendo felice, con il cuore gonfio, avvicinandomi verso Berenice che ancora non si è accorta di me, intenta a guardarsi attorno con aria spaesata. Non posso ancora credere che faccia parte della mia vita, sono emozionato di avere una donna così al mio fianco.
Quando mi vede, si immobilizza, le guance le diventano di porpora e un sorriso radioso le illumina il viso mentre il mio cuore manca di un battito. Rimaniamo così, a fissarci ancora un poco distanti, entrambi increduli di essersi finalmente trovati; è Berenice quella che colma la distanza, ponendosi di fronte a me, osservandomi attenta, prendendo ad accarezzarmi la fronte e a toccarmi i capelli per saggiarne la consistenza.
- Li hai tagliati- Sussurra, avvolgendo il viso in una carezza, avvicinandosi sempre di più – E non ti sei fatto la barba- Continua, abbassando la mano verso le guance ispide.
- Non ti piace?- Chiedo, tirando le labbra in un sorrido beffardo.
La sua risata è trillante – Al contrario- Dimentica della sua stessa timidezza tende la bocca verso la mia, lasciando su di essa un tenero bacio, avvolgendomi con il suo profumo che sa di fresco, esattamente come la prima volta che ci siamo incontrati.
- Che hai fatto di bello in mia assenza?-
- Ho incontrato una mia collega e…- Sposta lo sguardo verso i suoi piedi, guardandosi attorno un poco imbarazzata e, come dire, colpevole?
- E?- Chiedo, accarezzandole il profilo con il mio naso.
- E ho fumato una sigaretta con Michael Fassbender-
Scoppio a ridere e lei mi guarda stralunata, quasi non si aspettasse una reazione del genere – Ti piace? Vuoi che combini un appuntamento?-
Bernie mi dà una leggera spintarella, sorridendo lievemente, assottigliando lo sguardo – Non mi tentare, Hiddleston. In primo luogo mi hai fatto aspettare un’eternità e in secondo luogo mi hai burlata-
- Perché?-
- Perché non c’è traccia di Jennifer Lawrence- Spiega, guardandosi attorno e facendo un cenno con la mano per mostrare l’assenza della sua attrice preferita.
- Beh, lei è americana! Mi perdonerai se prometto di farti avere un suo autografo appena ne avrò l’opportunità?-
La scimmietta mi bacia, avvolgendo le braccia attorno al mio collo – Affare fatto, signor Hiddleston- Sono felice per queste sue profusioni di affetto in pubblico, così inaspettate e inusuali che quasi mi colgono impreparato; mi sarei aspettato una Berenice rigida e impettita, la testa china a guardarsi le mani, rimanendo sempre un po’ defilata e invece…
Le afferro una mano – Dovrò fare un po’ di pubblic relation-
- E io devo scrivere un articolo per ciò puoi iniziare a parlare a raffica quanto ti pare con chi ti pare. Solo…- Si ferma, lasciandomi la mano.
- Solo?-
- Non correre, con queste scarpe già è tanto riesca a camminare-
Rido e la scorto nella direzione in cui avevo lasciato Luke, immaginando la faccia di Bernie nel vedere Emma Watson: chissà, magari ha una passione anche per lei…
 
 
Bernie con Emma ci avrà parlato sì e no dieci minuti.
Quando gliel’ho presentata è rimasta stupita, gli occhi sbarrati e una mano tremolante mentre si scambiavano le usuali presentazioni, poi avevano conversato del più e del meno, Emma molto più interessata di Bernie a ciò che veniva detto. Il non plus ultra della noia la mia scimmietta l’ha raggiunto quando alla conversazione si era unita anche Carey Mulligan (con cui Bernie però è stata più cordiale): l’argomento era la prossima stagione della moda a cui la mia ospite ha contribuito con un mal celato sbadiglio.
Ho iniziato a preoccuparmi, pronto a soccorrerla ma, ancora una volta, mi ha sorpreso.
La scena è stata da ridere: Benedict ci ha raggiunti con aria trionfante. Ci ha spiegato che la sua squadra di calcio stava vincendo (neanche sapevo fosse un appassionato), al che Berenice si è intromessa chiedendo chi fossero i due contendenti…
- Perderanno. Sono sicura di una rimonta di due reti-
- Come puoi dirlo?- Ha esclamato Ben con la sua solita compostezza molto British.
- Scommettiamo?-
Beh, adesso Bernie chiacchiera animatamente con Ben e Martin circa alcuni pronostici del campionato, abbandonando completamente le signore alle loro conversazioni modaiole.
La osservo gesticolare da lontano, cercando al contempo di tenere il filo della mia di conversazione con alcuni colleghi di teatro, interessati al mio prossimo progetto shakespeariano.
Si vede benissimo che sa di cosa sta parlando e sembra anche a suo agio, avendo superato la prima fase “fan sfegatata di Sherlock”, entrando in quella “sono italiana e so di calcio molto più di voi”.
Riesco a liberarmi e, dopo aver salutato qualche conoscente, mi avvicino nuovamente al gruppetto, a cui ora si è aggiunto anche Fassbender, sghignazzando divertito.
- Cioè, mi stai dicendo che in Italia le sigarette si possono comprare a sei anni?- Chiede Martin allibito.
- Io l’ho fatto, ma erano altri tempi. Se è per questo noi possiamo bere a sedici anni, anche se personalmente ho iniziato molto prima-
- Davvero?-
- Certo! Quando uno gioca a pocker e non ha neanche un soldo per le gomme da masticare, si dà fondo ai liquori paterni, ovviamente- Spiega placidamente Bernie, sorseggiando lo champagne che ha appena preso da un cameriere di passaggio.
- Pocker? Calcio, moto e ora anche le carte. Hiddleston, in che guaio ti sei cacciato!- Scherza Michael, sorridendo beffardo nella mia direzione.
- Non fare il bastardo Fassbender!- Lo rimbecca Berenice, facendogli un amichevole occhiolino.
- Tarantino la pensava diversamente- Scoppiamo tutti a ridere.
E’ così bella, così naturale… sono davvero colpito, anzi, direi di averla sottovalutata un po’ troppo o, forse, è lei che non riesce a vedersi per come è realmente. In molti mi hanno fatto i complimenti e sono quasi sicuro Ben mi chiederà di combinare un’ uscita, sicuramente per giocare a carte, a cui dovrò categoricamente far partecipare anche lei, soprattutto se questa sera lui perderà la scommessa: Ben ama questo genere di cose e non si riesce a dare per vinto tanto facilmente.
- Tom- Una voce femminile alle mie spalle mi fa distogliere lo sguardo dalla ragazza.
- Hayley- Sorrido felice alla mia amica, allargando le braccia per poterla stringere.
- Attento!- Mi fa lei, ridendo contenta, mostrandomi il piattino con una generosa fetta di torta al cioccolato bianco.
- Come stai?- Chiedo, cingendola per la vita.
- Non c’è male, caro il mio rubacuori- Dice, ammiccando in direzione di Bernie che sta facendo un’imitazione alquanto spassosa di Benedict, il quale sembra lieto di stare al gioco.
- E’ lei che si è buttata sotto la mia macchina- Ridacchio.
- Mi sembra carina, allegra direi. Sicuramente ti rende felice, guardati, sei uno splendore-
- Dai, te la presento- Trattengo Hayley per un braccio, voltandomi verso la mia scimmietta, cercando di attirare la sua attenzione, riuscendoci solo dopo essere stato costretto a fare un fischio da pastore.
Bernie si volta, guardandomi con aria interrogativa, a cui rispondo con un cenno della mano affinché mi raggiunga.
- Benie, questa è Hayley Atwell, una mia cara amica…-
- Dove hai preso quella torta!?- Esordisce Bernie, spalancando gli occhi a quella montagna di cioccolata bianca.
Hayley ride – Laggiù, ho faticato un sacco per riuscire ad acciuffarne un pezzo-
- Non sapevo ci fosse del cibo… adoro i dolci-
- A chi lo dici. E’ stato difficile scegliere: c’era anche un’invitante torta di mele con gelato alla crema che…-
- Ho un’idea!- La interrompe Bernie, mettendosi davanti a lei con l’aria di una che sta complottando un golpe militare – Io vado a prendere quella di mele e ce le dividiamo. Che te ne pare?-
- Penso sia un’ottima soluzione- Asserisce l’altra, annuendo vigorosamente.
Bernie batte le mani, mi dà un bacio sulla guancia e inizia ad appropinquarsi verso il tavolo dei dolci; a metà strada si ferma, tira fuori il cellulare e guarda attentamente lo schermo; volta un poco il busto, ghignando perfidamente…
- Ehi, Ben!- Chiama a gran voce mentre il mio amico solleva il regale collo per poter vedere il suo interlocutore: ha ragione Berenice, Ben si atteggia ad aristocratico.
- Dimmi tutto, cara…-
- Battuti due a uno. Ti conviene iniziare a imparare quello scioglilingua che ti ho insegnato- Detto ciò, Bernie gira sui tacchi e si perde tra la folla, sotto lo sguardo stralunato di Ben e le risate di Martin e Michael che dà pacche amichevoli sulla spalla del perdente.
- Rettifico, Tom: Bernie è decisamente una forza della natura!- Fa Hayley, portandosi un generoso boccone di dolce alle labbra.
 
 
- Trentatre tr-e-nt-ini entr… Oh, è impossibile! Tom, dille qualcosa! A me non dà retta- Piagnucola Ben con l’aria da cane bastonato.
- Eheheh, sei così divertente che non vedo l’ora di ascoltare la tua prossima intervista- Sghignazzo sadico. La penitenza stabilita da Bernie consiste nel cantilenare uno scioglilingua italiano in mondovisione: la scimmietta era così eccitata all’idea.
Mi volto verso Berenice, seduta a un tavolinetto assieme a Hayley ed Emma (a quanto pare hanno raggiunto un’intesa quando Emma si è dimostrata l’unica disposta a ridere alla sua battuta su Waterloo, del resto è Emma quella che studia Storia), parlando di un argomento non meglio precisato ma, a quanto posso vedere, particolarmente esilarante.
Non riesco ancora a credere che la ragazza sorridente ed espansiva che è riuscita a mantenere un contegno signorile anche quando le ho presentato Anthony Hopkins (anche se mi ha praticamente sbriciolato le dita della mano) sia la bisbetica, acida e schizzata che ho investito ormai quasi due settimane fa. Ero talmente agitato per questa serata che mi sono prefigurato scenari apocalittici e anche una nottata al reparto psichiatrico, lasciandomi ottenebrare nel giudizio dalle paranoie della mia scimmietta: era stata lei a farne un dramma; lei mi aveva scongiurato di rimanerle accanto… e invece! Invece sembra ci abbia preso gusto o, quanto meno, abbia rivalutato completamente la faccenda. In fondo, noi attori siamo persone normali che fanno un lavoro straordinario, né più né meno di tanti altri… è la tremenda Fama, ahimè, a distorcere la realtà!
Ora che ci penso, a ben guardare, è Bernie ad aver lasciato “solo” me e non il contrario: praticamente saremo stati in privato insieme sì e no dieci minuti. Confidavo nell’idea che mi sarebbe stata appiccicata come una cozza, mentre io avrei vestito i panni del nobile cavaliere…
- Mi accompagneresti a fumare una sigaretta?- La voce della scimmietta mi giunge squillante da dietro le spalle, facendomi sobbalzare, mentre la sua risata risuona cristallina al di sopra di tutto.
- Ci conosciamo? Mi deve essere sfuggito il suo ultimo lavoro, recita in teatro?- Scherzo, assumendo un’aria seria e compita che la fa sorridere ancora di più.
- Non fare il gelosone- Mi prende sottobraccio, scortando me, verso una delle uscite laterali sulla sinistra – Sai bene che sono qui per te-
Sono qui per te…
Il cuore accelera i battiti e un’ansia diversa, più delicata, dolce si propaga dal petto al resto del corpo; guardo Berenice e non vedo più una ragazzina introversa e scontrosa, ma una donna forte, sicura di sé, in pace con il resto del mondo: è questa l’immagine della felicità? Adoro la sua malinconia, ma, decisamente, il riso la rende più bella.
Bernie apre la porta di servizio, lasciandola spalancata per farmi passare, chinandosi in una dispettosa riverenza, sorridendo sorniona.
- Non dovrebbe essere il contrario?- Chiedo, aspettando che mi raggiunga, rallentata dal suo tentativo di recuperare il pacchetto e compiere l’usuale rito di accensione.
- Uhm, sì. Ma che ne è dell’emancipazione femminile?- Scherza, appoggiandosi ad una parente poco illuminata e in disparte rispetto agli altri accaniti fumatori.
Ha una gamba piegata contro il muro che le scopre la pelle della coscia, molto vicina all’inguine, incurante di tutto e tutti, e una voglia pazzesca di accarezzarla mi fa tremare le mani; tiene il viso puntato davanti a sé, dischiudendo le labbra per fare uscire il fumo in maniera inconsapevolmente provocante. Lentamente, scosta lo sguardo verso di me, uno sguardo languido e malizioso, involontariamente malizioso, ma non meno invitante.
Non so se sono io che la vedo in maniera diversa, io che non mi aspettavo potesse essere così frizzante e fresca, oppure è lei che ha completato la sua metamorfosi, trasfigurandosi in una meravigliosa farfalla: l’unica cosa che so è che vorrei questa notte non finisse mai. Vorrei fosse mia, finalmente solo mia.
Mi avvicino piano, osservandone ogni movimento, carezzandone con gli occhi i lineamenti delicati, studiando i colori della pelle eburnea spruzzata di rosa sulle guance morbide; mi metto di fronte a lei, senza distogliere il contatto visivo e, finalmente, riesco a vedere specchiato nello sguardo il mio stesso desiderio, il mio stesso bisogno di averla vicina.
Potrei farmi audace, ora che è così, ora che sembra non avere più paura.
Getta la sigaretta e mi sorride lievemente, invitandomi ad avvicinarmi e io obbedisco, servizievole, abbassandomi un poco, affinché i nostri visi possano incontrarsi.
Intreccia le mani dietro il mio collo e mi bacia, accogliendo le mie labbra sulle sue.
E’ un bacio teso, carico di elettricità, eppure casto perché nessuno dei due è andato oltre questo sfiorarsi.
Rimaniamo a lungo così, con le sue braccia dietro la mia nuca e le mie mani poco sotto i fianchi, a toccare la pelle liscia delle sue cosce tornite e piacevolmente morbide.
- Rimani con me questa notte-
 
 
- Rimani con me questa notte -
Trattengo il fiato, il cuore impazzisce e non posso fare a meno di spalancare gli occhi, mentre avverto chiaramente un liquido caldo bagnarmi l’intimo.
Inumidisco involontariamente le labbra, distogliendo lo sguardo da lui, gioendo di quella tenera sensazione di paura che precede sempre un’emozione forte, bella, perché è bello il momento che sto vivendo.
Ho sempre pensato alla bellezza come qualcosa di banale, riduttivo, sentendomi perennemente attratta verso il baratro del sublime, del particolare, del diverso. Godevo di ciò che mi affascinava e incuriosiva, dimentica di quanto la semplicità potesse essere appagante, intrigante.
Mai come ora riesco a sentirla, a vederla la bellezza di questo istante, comprendo, finalmente, cosa voglia dire, quanta luce irradi da questa epifania.
Torno a guardarlo, i suoi occhi mi pregano, le labbra sottili, serie e tese, sono stuzzicate dai suoi piccoli morsi e, senza neanche rendermene conto, il mio corpo ha già risposto per me, perché adesso tutto mi appare così terribilmente perfetto da non riuscire a scorgere quel terrore di abbandono, quell’ansia di perdita che mi aveva afferrata quando l’ho conosciuto. Neanche i miei due “corvi” parlano.
Tutto tace nei rumori notturni della città, ci siamo solo lui ed io.
- Sì- Sussurro contro il suo orecchio e Tom mi abbraccia piano, delicatamente, spingendomi contro il suo petto, affondando il viso nell’incavo del mio collo.
Si scosta da me, sorridendo con gli occhi e con la bocca, quindi mi afferra la mano, conducendomi nuovamente all’interno. Ora che ho dato la mia risposta, ogni cosa intorno a me appare surreale, evanescente, ancora più sorprendente del fatto di essermi trovata ad una serata con persone che mai avevo pensato di incontrare neanche nei miei sogni più floridi.
Così, quando Tom mi sussurra all’orecchio di aspettarlo accanto all’ingresso, di non preoccuparmi di nulla perché ci penserà lui a salutare tutti, neanche me ne rendo conto, non del tutto almeno: prima era accanto a me, ora non c’è più, inghiottito dal resto degli invitati.
Nel momento in cui mi prende nuovamente per mano, trasalgo, ho perso la concezione del tempo e dello spazio e ho paura che il cuore mi scoppi di felicità e lacrime.
Usciamo e l’aria fredda ha il potere di riportarmi alla coscienza; rido assieme a lui, mentre mi tira a sé, avvolgendo con le braccia la mia vita e baciandomi, sollevandomi un poco da terra.
Corriamo via, allegri, lasciandoci alle spalle la Tate Gallery, alla ricerca di un taxi che ci porti a casa sua, senza smettere di ridere e di baciarci ad ogni metro, proprio come due ragazzi al loro primo amore.
Sto congelando ma, al tempo stesso, sento avvolgermi dalle fiamme, arsa dalla luce dei suoi occhi, assetata della freschezza delle sue labbra.
Vediamo un taxi e Tom quasi si getta in mezzo alla strada per fermarlo…
- Bella mossa!- Gli schiocco un bacio sulla guancia e lo precedo dentro la vettura, inebriandomi del tepore dell’abitacolo, stringendomi nelle spalle, cercando di frenare il cozzare rumoroso dei miei denti.
Tom è entrato e mi guarda divertito, ridendo come un bambino e mi avvolge tra le sue braccia, sfregando le mie con le mani, comunicando al conducente la direzione da prendere.
Per quanto sia graziosa in questo vestitino non ho alcuna intenzione di morire assiderata, almeno non prima che sia strascorsa questa notte, altrimenti Liz non avrà pace per il resto dei suoi giorni, il mio fantasma la perseguiterà in eterno.
Mi accoccolo contro di lui, che mi fa dono di mille attenzioni, guardando sfilare le luci della città dal finestrino, inebriandomi del suo profumo aspro e virile, con il cuore che martella forte contro la mia cassa toracica.
- Ti sei divertita?- Chiede, continuando ad accarezzarmi dolcemente.
- Assolutamente. Ma dì al tuo amico Ben che non transigo: o quello o uno spogliarello, a lui la scelta-
- Eheheh, suona un po’ dittatoriale, non trovi?-
Faccio finta di pensarci un po’ su – Sì, direi di sì – Concludo, facendo per sciogliermi i capelli, dato che le mollette mi stanno trapassando il cuoio capelluto, ma non faccio a tempo perché Tom mi afferra la mano, portandosela alle labbra, guardandomi birichino.
- Se permetti vorrei scioglierteli io…dopo-
Il tono della voce è basso, vibrante e io avvampo spudoratamente, avventandomi contro le sue labbra per dissimulare ed evitare una spiegazione che includerebbe immagini poco caste che preferisco rendere reali piuttosto che raccontarle a voce.
Tom risponde al bacio, accarezzandomi il profilo della mascella con una mano mentre con l’altra sostiene il mio bacino, premendomi contro di lui. Affondo le mani tra i suoi capelli, ormai corti, lasciando che mi solletichino le mani, prendendo a stuzzicargli le labbra con piccoli morsi, lambendone il profilo con la lingua. Sento una sua mano che, monella, si inoltra sotto l’abitino, stringendo la morbida pelle del mio interno coscia, pericolosamente vicino al “punto di non ritorno”, facendomi sussultare ed emettere un miagolio non proprio lieve che suscita un sonoro colpo di tosse da parte del tassista.
Quasi fossimo due bambini colti a compiere una qualche marachella, ci separiamo, rintanandoci l’uno da un lato, l’altra dall’altro, in punizione, guardandoci però maliziosi e visibilmente accaldati.
Lolita! Smetti immediatamente di intasare la rete neuronale con codeste immagini lascive: mi stai facendo vergognare.
Brunilde, ha ragione la bisbetica: sei una bacchettona bigotta e rompi palle!
Ah, io sono una rompipalle!? E tu allora? Ninfomane maniaca…
Bambine zitte!
Quando emergo dai miei battibecchi interiori, siamo arrivati davanti alla palazzina candida di Tom, tanto che mi sta venendo il dubbio che forse, e dico forse, potrei soffrire di un leggero disturbo da personalità multipla: insomma, ho perso totalmente la concezione dello spazio e del tempo, black-out totale…
Scusate?
Sì?
Potreste evitare di scassarmi le palle per le prossime, ehm, diciamo… 24 ore?
In che senso scusa?
Lolita, non voglio strilli o commentini da assatanata durante un mio ipotetico orgasmo. Bisbiglia all’orecchio della Cornacchia.
Sarà fatto!
Ehi, che c’entro io?
E questa è fatta, però che freddo polare!
Scesa dalla macchina una folata di vento gelido mi fa venire la pelle d’oca, causandomi la “tremarella” ai denti tanto che non ho neanche la forza di contrattare con Tom un’eventuale mio contributo al pagamento del taxi (lo so, lo so che è una cosa normale, ma lavoro e sono una donna autonoma e autosufficiente).
La vettura riparte e io mi concedo di ammirare la figura del piccolo Lord, alta e distinta, mentre si avvicina su quelle gambe chilometriche con andamento sicuro e posato, aristocratico aggiungerei.
Sta trafficando con le tasche, probabilmente alla ricerca delle chiavi, e il suo profilo è elegantemente illuminato dai raggi lunari che creano chiaroscuri invitanti lungo la mascella e il naso. Adoro il suo naso, non so da dove mi venga tutta questa passione, ma è tanto morbido e tenero, un perfetto compagno di giochi per le mie manine dispettose.
Ok, lo ammetto, sono talmente eccitata che penso potrei venire al solo pensiero di una sua qualsiasi pellicina.
Ho il petto in fiamme e nel mio stomaco le ormai famose farfalle hanno deciso di dedicarsi all’ Heavy Metal tanto è in subbuglio.
Tom mi passa a fianco, facendomi cenno di seguirlo, lo sguardo sfuggevole e un sorrisino appena accennato , mentre si tortura le labbra con quei dentini provocanti: è agitato e imbarazzato.
E anche maledettamente dolce.
A letto (perché diciamolo, quello stiamo per fare e non una partita a scacchi), mi piace dominare. Immagino di essere un direttore d’orchestra che si dimena da parte a parte, inondando, abbattendo, accompagnando delicatamente una danza di suoni e melodie. Pertanto, percepire la sua vulnerabilità, sentire sulla mia pelle la sua debolezza mi eccita da morire…
Sono agitata anche io, altrimenti non inizierei a sparare cazzate di dubbio gusto, ho il respiro corto e poco ossigeno nel cervello, nonché una voglia matta di toccarlo, baciarlo e averlo dentro di me.
 
L’interno della casa è caldo, sorprendentemente caldo, tanto che sospiro di gusto, sentendo parte della tensione scivolarmi via dalle spalle.
Tom chiude la porta e accende le luci dell’ingresso che illuminano la grande scalinata.
- Vado un momento su a ordinare il bagno e a prenderti della biancheria pulita. Fai come se fossi a casa tua… vuoi dell’acqua? Hai fame? Il frig…-
- Respira, Hiddleston- Gli poggio l’indice sulle labbra, disegnandone il contorno, guardandolo nel modo più dolce che riesco a trovare.
Lui si apre in una risata sghemba, schiudendo la bocca, umettando il mio polpastrello con la lingua mentre brividi di piacere iniziano a percorrermi la schiena.
- Torno subito- Mi dà un bacio frettoloso e poi si gira, facendo le scale a due a due.
Lo seguo con gli occhi fintanto che non sparisce alla mia vista, quindi, dato che ha detto di fare come fossi a casa mia, lo prendo in parola e getto malamente le scarpe di fianco alla porta, dirigendomi in punta di piedi sino alla cucina, completamente immersa nel buio.
Sento il ticchettio della pioggia contro le finestre e sorrido per il suono melodioso delle gocce, improvvise e misteriose, che sembrano aver deciso di allietare questa notte con il loro canto.
Non ci sono tuoni e fulmini, vi sono solo rivoli leggeri d’acqua che danno all’atmosfera un certo gusto decadente, così mi trovo a pensare a quanto deve essere bello ora il giardino, avvolto dalla notte e dai timidi raggi della luna che gioca a nascondino dietro alle nuvole.
Vado sicura alla veranda e, proprio come avevo immaginato, lo spettacolo è meraviglioso: nel caminetto vi sono i residui della brace scoppiettante, ancora allegra e vivace, il cui odore si unisce a quello dolce del potpourri; il grande divano bianco risalta, invitante, sul resto del mobilio e i vetri sono coperti da ragnatele di perle.
Fuori piove e sembra una poesia.
Io sono serena e chiudo gli occhi, assaporando ogni suono, ogni profumo, ogni sensazione che il corpo può donarmi.
So che è alle mie spalle, è la mia pelle ad avvertirmi, sensibile com’è deve essersene accorta ancor prima del mio cervello, perché, adesso, sono soprattutto carne e cuore. Tremo, un tremore lento si insinua nelle ossa, scuotendomi il ventre; Tom si avvicina piano, lasciando risuonare delicatamente il ticchettio delle sue scarpe, poi si ferma dietro la mia schiena, rimanendo lì, fermo, avvicinando solo un poco il viso alla mia nuca.
Un bacio lento, delicato, sul collo e dunque, inesorabili, le dita si dirigono sicure a sciogliere i lacci del vestito che adesso, ora più che mai, mi soffoca come una prigione.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE: Non mi uccidete. Questa volta il capitolo finisce e finisce in maniera parecchio stronza, mi si passi il termine. Potrebbe passare per un capitolo palesemente di transizione ma non lo è perché ho voluto far interagire i nostri protagonisti con il mondo reale, soprattutto desideravo far vedere come se la cavava la nostra “scimmietta” in un contesto ALTRO rispetto al suo.
C’è un’apparizione che è un po’ una sorpresa: sicuramente l’interessata capirà a cosa mi riferisco.
Ringrazio tutti quelli che leggono silenziosamente, chi recensisce con regolarità (grazie, grazie davvero siete sempre così carine e preziose, se continuo a scrivere con regolarità è merito vostro anche), chi ha aggiunto tra seguite preferite lette J
Spero che il capitolo piaccia e non deluda le aspettative. Al prossimo aggiornamento.
Clio

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Capitolo 14
*** CAPITOLO 8 ***


AVVISO & ANGOLO DELL’AUTRICE: Il rating di questo capitolo è rosso (sebbene ancora non abbia compreso appieno la sottile differenza tra arancione e porpora, ma va bene così) e, probabilmente, la storia stessa cambierà rating per degli sviluppi futuri che ho in mente e perché sono sicura mi dimenticherò di mettere l’avviso nei capitoli successivi. Spero che il capitolo piaccia perché è stato un parto e ringrazio tutti quelli che hanno recensito, recensiranno e che seguono e seguiranno la storia. Non c’è molto da dire, credo di aver lasciato ben poco all’immaginazione. Mi scuso se in alcuni punti posso essere risultata melensa e/o eccessivamente sentimentale e artefatta.
Buona lettura e alla prossima.
Clio

 
Capitolo 8
Meravigliosa Creatura
 
 
 
Due amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte,
hanno l’eternità della natura.
 
 
 
 
E’ in punta di piedi.
Tiene la testa un poco sollevata, così riesco a vedere il pallore della sua pelle brillare alla poca luce che entra dalle grandi vetrate.
Ho immaginato così tante volte questo momento eppure ora, sorprendentemente, mi sento completamente impreparato. Non un pensiero compiuto riempie la mia testa, c’è solo il mio cuore impazzito e la voglia terribile di lei che, dolorosamente, preme l’addome.
Mi avvicino piano per non spaventarla; sento il calore del suo corpo e mi piego per darle un bacio sulla nuca, vicino all’attaccatura dei capelli raccolti; sospira, quindi, con le dita mi prendo cura del suo abito, afferrando sicuro la zip  e tirandola giù.
Le poggio una mano sul fianco, mentre con l’altra continuo a scoprirla, denudandole le belle spalle e le scapole lisce, intravedendo un lembo di seta nera che risalta contro il pallore della pelle.
Il vestito scivola via, mostrando il bustino che le fascia i fianchi torniti e il pizzo dello slip che le decora il fondoschiena morbido e invitante che sfioro avidamente, chinandomi nello stesso momento per assaggiare con le labbra la linea della colonna vertebrale, strappandole un gemito di piacere.
Berenice piega la testa all’indietro, poggiandola sulla spalla, mentre porta la mano sulla mia nuca, spingendomi contro le sue labbra, schiudendosi come un fiore, consentendo alla sua tenera lingua di cercare la mia. Le mie mani vagano per il suo corpo, avide di lei, stringendole il ventre e il petto ancora coperti, deliziandomi dei delicati ansimi che mi regala ad ogni tocco.
Con foga le sciolgo i capelli, strappandole un grido di dolore e di piacere, e insinuo le dita tra quei fili di seta, massaggiandoli e tirandoli, sentendola muoversi contro di me.
Ad un tratto, Bernie si gira, con i capelli che formano sottili ragnatele sul viso arrossato, e gli occhi le scintillano mentre si tuffa nuovamente sulla mia bocca, spingendomi indietro fino a quando non cozzo con le gambe contro il divano; mi siedo, trascinandola con me, senza interrompere il contatto; la sento armeggiare con i bottoni della camicia che, ad uno ad uno, cadono sotto i colpi delle sue agili dita che cercano e stringono ogni lembo di pelle scoperta.
Il suo corpo è caldo contro il mio, morbido e setoso, così piacevole da toccare e accarezzare, e il suo respiro lascia scie di profumo ovunque si posa. Tenendola per la schiena la faccio sdraiare sulla superficie nivea del divano, seguendola nella sua discesa e puntellandomi su un gomito per non schiacciarla. Il petto si muove ritmicamente contro il mio, il corpetto ha perso la sua sede originaria e ora le scopre un poco i seni di cui intravedo il colore più intenso dei capezzoli. Lascio scivolare la mano su quelle dolci colline mentre Berenice mi accarezza i capelli e mi bacia la fronte e gli zigomi, abbassando contemporaneamente la mano sui nastri neri che le stringono la vita, cercando di liberarsi degli ultimi indumenti che la coprono alla mia vista.
Delicatamente, le scosto le mani, allontanando i lembi di stoffa, lasciando che i seni, finalmente liberi, ondeggino deliziosamente, mentre il ventre morbido e caldo preme contro il mio.
Tante volte l’ho immaginata, tante volte ho provato a figurarmi come sarebbe stato poter affogare in lei, stringerla e farla mia, ma niente di ciò che la mia mente ha creato è pari a questo momento, adesso che l’ho realmente tra le mie braccia così languida e così tremendamente lei da mozzarmi il fiato.
E’ così donna adesso, con i gemiti che le riempiono la gola mentre le bacio il seno e le mordo i capezzoli; gli occhi sono un abisso quando dirige la mia mano al di sotto dei suoi slip; è così passionale e libera mentre le mie dita frugano delicate dentro il suo fiore, facendole inarcare la schiena e piegare il collo che bacio e mordo con frenesia.
La sento armeggiare con i bottoni dei miei pantaloni, ha le mani che le tremano e la bocca aperta canta gemiti di puro piacere.
Quando mi allontano da lei per spogliarmi, il mio cuore manca di un battito: Berenice è uno spettacolo meraviglioso.
Tiene gli occhi chiusi e si morde le labbra, le guance arrossate e il respiro veloce la fanno somigliare a una menade, a una selvaggia ninfa che concede il suo candido corpo al dio che l’ha vinta e che ora chiede di averla tutta la notte.
Mi libero dei vestiti e faccio scivolare anche l’ultima barriera, quel pizzo che le avvolge i fianchi e la nasconde al mio sguardo, alle mie mani; spingo i fianchi contro le sue gambe aperte, sentendola sussultare quando i nostri sessi si incontrano, e Bernie spalanca gli occhi, bloccandomi il respiro…
Chino il viso e le do un bacio a fior di labbra, sentendo la punta premere alla sua apertura: potrei entrare d’impeto e toglierle il fiato, ma non è questo che voglio.
Voglio godermi ogni istante, voglio sentire il membro scivolare lentamente dentro di lei, avvertire le sue pareti umide avvolgermi calde ed accoglienti, desidero sentirla aggrapparsi a me e stringermi quando sarò entrato e saremo finalmente una cosa sola.
Sto per entrare ancora ma le mani di Berenice si poggiano salde sul torace, spingendomi un poco lontano…
- Tom, hai il preservativo?-
Cazzo!
Con tutta quella adrenalina in corpo mi sono totalmente dimenticato del preservativo, abbandonato sulla mensola del bagno: e dire che mi ero fatto le scale a due a due proprio per evitare tutto questo. Mi viene quasi da piangere…
Ti farei piangere io! Che c’hai, quindici anni?
Non è il momento, se parli mi si ammoscia…
Già, come il tuo cervello.
- L’ho lasciato su- Brontolo sconsolato, avvertendo distintamente il mio corpo reagire a questo stupidissimo inconveniente.
Era tutto perfetto, ogni cosa aveva trovato il giusto posto nel mondo e io dovevo per forza farmi prendere da attacchi di smania adolescenziale, rovinando ogni cosa.
Mi sto mordendo il labbro a sangue, mentre i pugni sono talmente stretti da aver perso la sensibilità; faccio per scostarmi quando la scimmietta mi blocca il braccio, tirandomi ancora verso di lei.
- Non importa- Sussurra, portandosi una mano alla bocca, umidificandola – Se ti fidi di me, io mi fido di te- avvolge il membro, massaggiandolo delicatamente, sollevandosi un poco per poter giocare con le mie labbra.
- Sei sicura? – Soffio contro il suo viso, sentendolo indurirsi come prima più di prima.
- Tutt’al più avremo un bel bambino, Hiddleston-
Oddio, il mio cognome su quella bocca rossa e gonfia è un piacere per le mie orecchie e non solo.
Le afferro i fianchi e la tiro a me, premendo contro le cosce tenere e calde, udendola ansimare con foga, una foga acuita da questo gioco pericoloso e proibito che abbiamo deciso di intraprendere, colpevoli ed eccitati.
Riprendo da dove avevo interrotto, insinuandomi lentamente dentro di lei, stringendo il suo corpo tremante e voglioso, pronto ad accogliermi e a proteggermi ancora e ancora. E’ meravigliosamente calda e bagnata, scivolare dentro di lei mi manda in estasi, e nel petto un languore nuovo e tuttavia conosciuto si propaga, avvolgendomi deliziosamente.
Berenice avvolge le gambe attorno ai miei fianchi, si aggrappa, quasi disperata, contro le mie spalle e inizia a muoversi, aiutandomi nella lenta discesa…
E finalmente sono dentro di lei.

Tom mi riempie completamente.
Averlo finalmente dentro di me è qualcosa di forte e delicato al tempo stesso.
Rimaniamo un attimo fermi, godendoci questo momento in cui, dopo tanto penare, siamo diventati una cosa sola; ci guardiamo, specchiandoci l’uno nel desiderio dell’altra, per la prima volta consapevoli di ciò che l’altro pensa perché sono i medesimi pensieri e i medesimi sentimenti quelli che avvolgono entrambi.
Ed è così bello essere qui, ora, con lui e provare tutte queste sensazioni, non per uno qualsiasi, ma per lui, per Tom, a cui posso donare un cuore integro e pieno, venato di cicatrici che però, adesso, non sanguinano più: sono bastati i suoi occhi a ricucire le mie ferite.
Inizia a muoversi, toccando corde da tempo assopite, strappandomi un gemito acuto che non riesco e non voglio trattenere, perché non c’è più alcuna ragione, probabilmente non c’è mai stata. Mi aggrappo ancora di più a lui, mentre i suoi affondi aumentano di intensità e vigore, e cerco le sue labbra che succhio e bacio avidamente, prendendo per me il suo respiro con cui riempio la mia bocca, godendo immensamente per quella sua pelle umida che struscia contro la mia.
Sono talmente bagnata che sguscia via, lasciandoci interdetti entrambi, ma sono più veloce di Tom, così mi sollevo, avvinghiando di nuovo le mie cosce contro i suoi fianchi snelli, spingendolo con foga dentro di me, puntellandomi sui gomiti e aiutando con le gambe i suoi movimenti.
Mi vergogno da morire per questa mia sfrontatezza, eppure non me ne curo, continuando a guardarlo dritto negli occhi, ansimando senza pudore e mordendomi le labbra; Tom si china, catturando un mio capezzolo e succhiandolo con avidità, consentendo alla mia mano di accarezzargli la nuca e il resto del viso…
- Mordi- Ordino, decisamente perentoria, tanto che Tom solleva lo sguardo un poco interdetto. E’ un attimo, perché subito sogghigna e si avventa sul mio seno, obbedendomi docile ed eccitato.
Non sono tenera quando faccio l’amore, anzi, soprattutto quando provo sentimenti profondi per la persona a cui sto donando me stessa non riesco ad essere timida e remissiva, non che lo sia mai, ma perdo ogni inibizione e l’unico mio desiderio è quello di fondermi completamente, di sentire il mio compagno perdersi in me, assaggiare e possedere la mia pelle.
Tom avvolge le mani sulla mia schiena e mi issa su di lui, facendomi sedere, continuando a muoversi con sempre più foga, avendo intuito, forse, quanto in questo frangente non sia la tenerezza ciò di cui ho bisogno, eppure, forse, neanche lui ha poi così tanta voglia di essere delicato.
Quando prende a sbattere contro la mia parete, non resisto e urlo, questa volta sul serio, suscitando la sua risata roca e provocante. Avvampo letteralmente e mi porto una mano alla bocca.
- No- Ringhia vorace – Voglio sentirti urlare-
Ghigno famelica e mi avvento contro la sua bocca, giocando con le sue labbra, mordendole e succhiandole come un frutto maturo. Presa da una mania divina, faccio scorrere le dita sulla schiena e, dopo un altro colpo ben assestato, affondo le unghie nella sua carne, solcandola dolorosamente, strappandogli un gridolino.
- Sei una tigre tu, eh!?- Sghignazza ansimando.
- Hai riso di me- Soffio contro la sua bocca, iniziando a strusciarmi contro di lui, bloccandogli i movimenti con le mani sul bacino. Tom si ribella con uno scatto, ma sono testarda, lo dovrebbe sapere…
Pratico una resistenza più forte, facendogli passare un braccio dietro al collo, guardandolo con aria di sfida: stiamo lottando, quasi ringhiamo, digrignando i denti come fossimo davvero due tigri.
La battaglia la vinco io e sogghigno compiaciuta, aumentando l’intensità e la pressione del mio corpo e, per tutta risposta, Tom dà uno schiaffo alle mie cosce, quindi risale, palpando avidamente il mio fondoschiena con un sorrisino di scherno e gli occhi blu affilati come rasoi.
Per i miei gusti siamo troppo distanti.
Mi alzo di scatto, barcollando e lo guardo, tirandomi indietro i capelli che si sono appiccicati sul collo e sulla schiena. Lui solleva lo sguardo su di me, ansimando.
Facendomi strada tra le sue gambe, mi inginocchio, continuando a sostenere lo sguardo, sorridendo maliziosa, prendendo a giocare con la punta turgida.
Mi affascina avere il controllo e certo, in questo modo, ho il pieno potere su di lui, ma adoro l’idea di donargli piacere, perché quando si fa l’amore nulla è sporco o volgare. Il sesso, insieme al cibo, sono ciò che rendono la vita tanto bella quanto preziosa, ed è un peccato sprecarla per sciocchi bigottismi.
Voglio bene a Tom, mi sto innamorando di lui, e sentire il suo piacere caldo e il suo tremito mi fanno felice, perché so di star donando qualcosa di me, so di mostrargli quanto ci tengo a lui.
Le sue mani si poggiando sul mio viso e mi tirano, sollevandomi verso di lui, lasciandomi un lieve bacio sulle labbra.
- N-non ti piace?- Chiedo titubante: forse ho esagerato…
Ma che esag…
Ahhh! Che avevo detto!?
- Anche troppo- Sorride lui, approfondendo il contatto tra le nostre bocche.
- Ti va se…- Mi blocco.
- Se…?- Incalza, accarezzandomi delicatamente la schiena, lasciandomi brividi infuocati sulla pelle.
- Se mi prendi da dietro?- Tom sgrana gli occhi, boccheggiando per lo stupore…
- Non credi…ecco… ti farò male- Balbetta titubante, continuando però a coccolarmi teneramente.
Che male potrebbe farmi? Abbiamo quasi sfondato un divano e sono talmente bagnata che penso non avrò problemi di attrito, almeno credo, prima non ne ho avuti e…
Un momento: che ha capito!?
Sento le guance andarmi in fiamme e copro la bocca con le mani.
- Oh, Bernie, no, tesoro…-
- In realtà non intendevo quello- Spiego, ridendo nervosa e imbarazzata.
- Cosa?... ah, certo, che sciocco. Eheheh- Dice, dandosi una manata sulla fronte e sghignazzando divertito, contagiandomi con la sua allegria.
Adoro queste pause tra un affondo e un altro, mi piacciono le carezze preparatorie e le parole dolci, mi divertono persino queste tenere cadute di stile, rendono tutto più intimo e personale.
Si alza dal divano, aiutandomi a sdraiarmi sulla pancia, seguendomi a sua volta, premendo il petto contro la mia schiena; dà baci delicati sul collo e sulle scapole, provocandomi brividi di piacere, mentre riprendo a muovermi contro il suo corpo, strusciandomi avidamente.
- Potresti mordicchiarmi?- Mormoro, già su di giri, sentendolo sorridere contro il collo.
- Ti mangerei, altro che… sei così morbida e profumata-
I denti affondano delicati nella mia carne, causandomi nuove ondate di piacere incontrollato che mi fanno gemere senza ritegno, quasi con dolore, soprattutto quando Tom insinua due dita dentro di me, muovendole ritmicamente, aumentando a poco a poco l’intensità.
Un liquido caldo mi bagna le cosce, il suo sudore si unisce al mio, la mia pelle aderisce alla sua e nuovamente, quella sensazione di unione e intimità mi riempie il cuore, commuovendomi fino alle lacrime: è davvero una sensazione meravigliosa.
- Ti prego- Ansimo contro la stoffa del divano – Ti prego, Tom, vieni tu-
Senza neanche darmi il tempo di metabolizzare, entra nuovamente dentro di me, strappandomi l’aria dai polmoni: è stato doloroso, ma anche diabolicamente piacevole.
- Dì il mio nome- Ordina con voce roca e profonda.
- Tom- Un affondo.
- Ancora-
E lo ripeto e lui affonda, lo ripeto e lui entra ancora di più, lo urlo e lui non mi dà più tregua, scuotendomi come fossi una bambola tra le sue braccia e lo sono, sono creta inerme tra le sue mani d’artista.
Sollevo il bacino, muovendolo contro di lui, contrastandolo, facendo resistenza, eccitandolo ancora di più…
- Thomas- Non l’ho mai chiamato con il nome intero, ma ora che l’ho tra le labbra, mi beo di quel suono e delle vibrazioni che mi riempiono la bocca.
- Oh, Berenice. Dì il mio nome, amo il modo in cui lo dici- Geme e io non resisto più, lo sento veramente tanto. Aumento i movimenti, ascoltando Tom, Thomas, respirare profondamente, con disperazione, passione e dolore: è una sensazione totale.
- Sto per venire-
- Sì, Tom, vieni, vieni per me- Mi volto per guardarlo ed è bellissimo, così uomo e così mio che non resisto, torcendomi ulteriormente e afferrandogli le labbra con le mia bocca.
Lo bacio con avidità e desiderio infinito, gustandomi quelle sottili labbra così ben disegnate e spingo, spingo e…
Si leva prima del tempo, lasciandomi sconvolta, sebbene non abbia abbandonato le mie labbra, che si beano ancora colme di lui; sento il suo corpo scosso da spasmi e una tenerezza eterna mi stringe il cuore, così mi sollevo, dirigendomi verso di lui che si è accasciato dall’altra parte del divano, spossato e appagato, finalmente sereno.
Gli bacio il volto e il collo, lo stringo forte, abbracciandolo teneramente…
E’ così dolce.
- Torno subito- Gli sussurro, mentre lui annuisce, tenendo gli occhi chiusi, annaspando per un po’ d’aria.
Zampetto in cucina, stanca ed infreddolita, cercando a tentoni, nel buio, qualcosa con cui possa pulirsi e dell’acqua…
Dato che è buio mi dirigo per prima cosa verso il frigo che apro un poco titubante, prendendo la bottiglia di vetro quasi come scottasse, con il gelo dell’apparecchio che mi entra sin nelle punte dei capelli. Poi, tremante, afferro lo scottex e torno, letteralmente correndo, verso la veranda, saltellando sulle punte come se stessi camminando sui carboni ardenti.
Tom è ancora accasciato sul divano, ma adesso ha gli occhi aperti e segue ogni mio movimento, sorridendomi allegro e felice. Poggio tutto sul tavolo e poi strappo un abbondante pezzo di carta, dirigendomi con cura verso il suo corpo abbandonato.
- Faccio io…- Si offre Tom, muovendo la mano come per prendere il tovagliolo.
Scuoto la testa e gli sorrido – No, caro… fatti coccolare un po’-
Gli scosto la mano umida, prendendola tra le mie, e l’asciugo con affetto, togliendo diligentemente ogni traccia di lui; completata la mano, passo alla parte più delicata, un poco impaurita di fargli male e il mio viso è tanto eloquente che lo sento sghignazzare allegro mentre si sporge verso il tavolino per prendere un altro pezzo di carta.
- Grazie- Mi dice, scoccandomi un tenero bacio sulla fronte.
Mi siedo gambe incrociate ai piedi del divano, seguendo ogni suo movimento, ammirandone il corpo atletico e snello che mi provoca un’altra scarica di elettricità, eccitandomi come se il mio corpo si fosse dimenticato di averlo avuto dentro di sé fino a poco tempo prima.
Tom mugugna un poco, storcendo il naso sofferente…
- Ti fa male?- Domando, sporgendomi per dare un bacio al suo tenero giunco.
Ridacchia – Se lo coccoli così no – Mi dà una leggera carezza, guardandomi con dolcezza, gli occhi che brillano nel buio.
- Vieni qui – Allarga le braccia, invitandomi a raggiungerlo.
Sorrido e mi accoccolo di fianco a lui, stringendo il petto tra le mie braccia, affondando il viso nel suo collo, mentre Tom si dedica alla mia schiena, su cui traccia disegni circolari. Il suo profumo invitante mi entra nelle narici, inebriandomi, così mi avvicino a lui, assaporando il sapore della pelle. Mi accarezza il viso, scoccandomi un bacio sulla fronte, aspirando l’odore dei miei capelli sciolti che mi avvolgono come una coperta; se li fa scorrere tra le dita, giocandoci amorevolmente, piegandoli e pettinandoli quasi fossero quelli di una bambola.
- Ti ho lasciato il segno- Mormora, più a se stesso che a me, toccando un punto del collo, corrugando la fronte in modo inconsapevolmente sexy.
Mi sollevo, girandolo affinché si metta di fianco, sentendo il suo volto solleticarmi la pancetta morbida, sporgendomi per osservare i miei di segni sulla schiena bianca e finemente modellata.
- Altro che Hulk!- Strillo acuta, portandomi una mano alla bocca, mortificata.
Si volta, cercando di vederci chiaro anche lui, ma i solchi delle mie unghie sono inarrivabili, così, sbuffando, si sdraia nuovamente, afferrandomi per i fianchi, portandomi sopra di lui.
- Sei un tigrotto dispettoso, lo sai?- Dice, strusciando il naso contro il mio.
- Lo so, mi faccio prendere dalla foga- Cerco di giustificarmi, nascondendo il volto sul suo petto.
- Mi piace quando ti fai prendere dalla foga… sei così donna!- Mormora contro i miei capelli, facendomi il solletico. Gli sorrido contenta, godendo del suo calore e della sua vicinanza, emozionata dai nostri corpi nudi che si toccano e si abbracciano.
- Che ne dici di un bagno caldo?- Chiede con un’espressione giocosa, sorridendo allegro. Mi piace da morire quando è felice, il suo sorriso è davvero mozzafiato.
Sollevo gli occhi, simulando un’aria pensosa – Uhmmm, non saprei…-
- Ci sarà tanta schiuma e…-
Non lo lascio finire: salto giù dal divano, afferro le mutandine e sfreccio verso le scale dell’ingresso.
La sua risata mi accompagna per tutto il tragitto…
 
 
Berenice fuoriesce dall’acqua spruzzando tutto intorno, con il viso bagnato coperto di schiuma bianca, la bocca spalancata e il petto che si alza e si abbassa velocemente.
- Un minuto e mezzo. Mi spiace, se smetti di fumare forse riuscirai a raggiungere il mio record di tre minuti- Le dico, togliendole il sapone dagli occhi.
- Ehi, quando ero in Italia e fumavo dieci e passa sigarette al giorno non riuscivo neanche ad arrivarci al minuto. Mi ritengo comunque molto soddisfatta- Ride, incrociando le braccia al petto.
E’ uno spettacolo incantevole: i capelli scuri si dipanano elegantemente sulla pelle nivea, creando un delizioso contrasto; i seni sobbalzano teneramente, giocando a nascondino, inabissandosi e poi tornando su; la bocca è rosea e sorridente, non penso abbia mai sorriso così tanto.
Fare l’amore con lei è stato sublime, entrare dentro di lei, farla mia, sentire il mio nome tra le sue labbra, il mio nome che nei suoi sussurri sembrava una melodia, mi ha donato tra le più forti emozioni mai provate (entrando decisamente nella TOP TEN).
Sapevo che Berenice parlava con il corpo, ma mai avrei pensato che il suo corpo addirittura cantasse: era selvaggia, era libera, era finalmente lei. Così attenta, così premurosa, così dolce e divertente, ma anche così tremendamente vogliosa e aggressiva che ancora posso sentirle sulla mia pelle quelle scie di fuoco che si è lasciata alle spalle amandomi.
Libera, ecco, non c’è aggettivo migliore per definirla.
Felice, la parola che mi viene spontanea guardando il sorriso disegnato sulle sue labbra.
Mia, è il mio cuore a gridarlo.
- Che c’è?- Chiede, inclinando la testa con aria fanciullesca.
- Ripensavo al divano…- Rispondo malizioso, facendole l’occhiolino. Bernie arrossisce, nascondendo il viso oltre la spalla, mordicchiandosi il labbro inferiore.
La afferro per i polpacci e la tiro verso di me, facendola accomodare tra le mie gambe, quindi poggio la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi e assaporando il suo odore.
- Non vergognarti, eri magnifica- Sussurro, sentendola rabbrividire.
- Così mi metti in imbarazzo- Sghignazza nervosa, scoccandomi un languido bacio sulla bocca.
Si volta, poggiando la schiena sul mio petto, portando le mie braccia attorno alla sua vita e sospirando contenta, strusciando la guancia contro la mia pelle – Mi piace da morire sentirti così vicino-
Il cuore inizia a battere più velocemente, sono così emozionato che stento a credere stia succedendo davvero. Non c’è più traccia dei dubbi e delle ansie che avevano avvolto il nostro incontro come nubi minacciose, più ci penso e più non riesco a capacitarmi di come avessi anche solo ponderato l’idea di lasciarla andare, di salutarla per sempre e di non rivederla mai più.
Cosa c’è di tanto spaventoso in questa ragazza? Non è lineare, tende molto ad enfatizzare i suoi stati d’animo e spesso ha la testa tra le nuvole, e allora? La profondità fa sempre paura, è un luogo buio e misterioso, ma ha il fascino della novità, la garanzia che ci sia sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Berenice è una perenne fonte di sorpresa, una continua sfida che sono deciso a vincere, lasciandole però sempre un certo margine di vantaggio perché mi eccita da morire l’idea che, probabilmente, non riuscirò mai a capirla totalmente, che ci sarà sempre qualcosa che mi sfuggirà, un cono d’ombra solo suo a cui cercherò di tendere, senza però mai desiderare di estinguere la distanza.
Non so, ma l’idea di rincorrerla per tutta la vita non mi fa così paura, non adesso almeno, non ora che è qui con me, così calda e così mia.
Le do un bacio sulla nuca umida, stringendola ancora di più – In fondo non è così tremendo stare con qualcuno…-
Probabilmente, dal tono che ha usato, non era sua intenzione dirlo ad alta voce: però l’ha fatto e quelle parole mi rimbombano nella testa.
Sento il battito aumentare enormemente – Perché, stiamo insieme?- La stuzzico, sussurrandole nell’orecchio, sentendola irrigidirsi.
Si volta, guardandomi con occhi sbarrati, arrossendo visibilmente – N-no, c-cioè, era per dire…- Si gira nuovamente, prendendo a strofinarsi le braccia con la schiuma. Ghignando divertito e felice come non mai, la afferro per le braccia facendola voltare nel mio abbraccio, stringendola contro il mio petto – Tu vuoi stare con me?-
Berenice si è esposta e questa volta non mi faccio remore, voglio forzarla, voglio sentirle dire quello che prova e che pensa, desidero che lei mi dica ciò che vuole: mi sono esposto fin troppo, ora tocca a lei e questa volta non ha la possibilità fisica di potermi sfuggire, imprigionata com’è tra le mie braccia.
Solleva gli occhi, osservandomi per un tempo che mi pare infinito, quindi sospira, nascondendosi contro il mio petto – Sì – Lo dice con forza, senza tremori o segni di paura e mi piace, questa sua forza mi piace da impazzire.
Lascio che la sua voce mi si imprima nella pelle, gusto il suono e il significato di quelle parole che mi infiammano il cuore, commuovendomi quasi fino alle lacrime. Ci sono solo i nostri respiri e l’eco di quella affermazione che rende l’atmosfera quasi surreale, tanto che mi sembra come se mi mancasse il respiro, come se stessi osservando la scena dall’alto.
- E tu, Tom, tu?- Chiede, questa volta timidamente, aggrappandosi alle mie spalle e poggiando la fronte contro la mia, tendendo gli occhioni spalancati a cercare i miei.
- Non aspettavo altro che sentirtelo dire- Confesso, finalmente libero di esprimermi, sentendo finalmente un grosso peso scivolare via, lasciando solo una dolce quanto piacevole leggerezza.
- Sei sicuro? Sai, non devi dirlo solo per farmi contenta, so bene di non essere la donna ideale, né tanto meno una delle tue colleghe, insomma io…-
Le poggio l’indice sulle labbra, sorridendo divertito da quella sua insicurezza che la rende così bambina e indifesa – Bernie, penso che tu sappia ormai che non sono il tipo di persona che dice le cose solo per far contento il prossimo e sì, sei complicata e particolarmente lunatica, ma hai una profondità e una sensibilità così rare che non mi perdonerei mai di lasciarti andare e poi…-
Le stringo i fianchi morbidi e la pancetta, affondando le dita nelle sue rotondità – Questi quattro chiletti in più mi fanno impazzire…adoro poterti stringere- La bacio, estinguendo la distanza, avvertendola sospirare. La sento muoversi contro di me, stringendo il mio viso tra le sue mani, mentre il desiderio di lei comincia a risvegliarsi prepotente, quasi dolorosamente, come se non la avessi mai avuta. E’ così calda e invitante, così passionale e languida che a stento riesco a contenere l’emozione e la consapevolezza che davvero sia mia e di nessun altro, che adesso sia realmente parte della mia vita mi investe in pieno, lasciandomi vuoto e al contempo pieno di ogni cosa bella che la vita ha da offrire.
- Voglio farti venire – Mormoro tra un bacio e l’altro, gemendo quando le sue mani iniziano a giocare con la mia virilità.
- Che ne sai che non sono venuta?- Sussurra sensualmente contro la pelle del mio collo, assaggiandola e mordendola fino a farmi venire i brividi.
- Lo so e basta- Dico autoritario, cogliendo una scintilla di puro piacere in quello sguardo così limpido quanto malizioso.
Senza neanche darle il tempo di pensare, la spingo nell’acqua, facendola sdraiare un poco, ripetendo il lento movimento di prima, scivolando dolcemente dentro di lei, accompagnato dal suono dolce della schiuma. Bernie non riesce a trattenere un singulto e, superato il primo momento di sorpresa, alza entrambe le gambe, allacciandole dietro la mia schiena così da facilitare il mio ritmo pacato e accorto; riesco a sentirla tutta, così calda e così accogliente, osservando il suo seno muoversi aggraziato nell’acqua e i suoi occhi pieni di così tante cose da lasciarmi quasi scombussolato. Mi complimento mentalmente con me stesso per la scelta di questa vasca, abbastanza ampia da star comodi entrambi, con l’acqua tiepida che scivola sulle nostre pelli accaldate.
Ad un tratto la scimmietta fa un movimento un po’ più forte con il bacino che mi fa quasi perdere il controllo, tanto che sono costretto ad uscire da lei con una smorfia dolorosa stampata sul viso: è vero che questa cosa del “chissene del preservativo” è particolarmente eccitante, ma comporta anche un certo fastidio, visto e considerato che sono costretto a mantenere perennemente la concentrazione e, come in questo caso, a tenere in considerazione la possibilità di sciogliere questo meraviglioso contatto.
Berenice mi sorride comprensiva, poi mi spinge al bordo opposto della vasca, sollevandosi un poco per poi sedersi a cavalcioni su di me, facendomi entrare dentro di lei senza il minimo sforzo; mi mordo le labbra, un’altra “dolorosa” fitta mi ha completamente sottratto il respiro, mentre lei mi bacia dolcemente le labbra e le guance, pettinandomi i capelli all’indietro.
- Dobbiamo ovviare a questa situazione- Mormoro con voce impastata, sentendola ridere contro i miei occhi chiusi.
- Ricomincerò a prendere la pillola…- Afferma decisa, iniziando a muoversi lentamente sopra di me, con il suo respiro che mi riscalda il collo.
Si è aggrappata alle mie spalle e si struscia completamente contro di me, sospirando intensamente; le afferro le cosce, cercando di fare resistenza, mentre scariche di puro piacere mi pervadono il bacino sino a raggiungere il petto. Senza fermarsi, Bernie mi sposta le mani sui fianchi che io stringo e massaggio, beandomi della tenerezza del suo corpo, tra i più femminili che abbia mai avuto il piacere di toccare.
Il suo ritmo è intenso ed appagante, eppure è sorprendentemente silenziosa; si prende cura del mio viso, dei miei capelli e del mio collo con una premura tale che una lacrima dispettosa mi sfugge, congiungendosi con le altre gocce d’acqua che ci immergono e ci coprono, quasi fosse una coperta di schiuma. La sento terribilmente, non solo il suo corpo, che mi accoglie delicato, ma anche il suo cuore e il suo affetto, come fossimo diventati una cosa sola. Non mi è capitato spesso di congiungermi in maniera così totale con una persona: anche quando si fa l’amore non sempre si riesce a raggiungere questa comunione, un’empatia così primordiale che quasi non riesci più a distinguere l’altro da te.
Che Berenice fosse una persona interessante lo avevo compreso fin da subito, ma che fosse addirittura speciale, beh, sono le emozioni che sto provando in questo momento a dirmelo. E so, nel profondo di me stesso, che anche per lei è la stessa cosa, altrimenti non si sarebbe presa così tanta cura di me prima, non avrebbe superato la sua “afasia emozionale” poi e certo non avrebbe iniziato a ridere tra le lacrime adesso che mi stringe e mi accoglie dentro di sé.
Mi muovo anche io, assecondando il ritmo sempre più incalzante, sentendola vibrare violentemente…
- Fammelo sentire, Bernie- Ordino, afferrandola per i capelli e facendole inarcare il collo – Fammelo sentire-
Si morde il labbro, strizzando deliziosamente gli occhi, inarcando la schiena per la tensione e poi, come per incanto, la sento sciogliersi tra le mie mani: si avvicina al mio viso e preme contro le mie labbra aperte, gemendo forte contro di esse, succhiando la mia bocca e mordendola un poco, mentre spasmi piacevoli le squassano il bacino.
La stringo tra le braccia e lei continua a muoversi, dimenticando la dolcezza di poco prima e avventandosi famelica contro la mia bocca che trova pronta per accoglierla.
Esce ed entra ritmicamente, sbattendo selvaggiamente i nostri sessi l’uno contro l’altro, mandandomi completamente in estasi; affondo ancora di più le dita nei suoi fianchi, sentendola ansimare e gemere per il dolore che sembra non dispiacerle.
Poi prende a baciarmi con sempre più foga, con quelle labbra a bocciolo umide di me e la sua lingua morbida che cerca disperata la mia…
E io capitolo, non resisto più.
La tiro su di peso e vengo, per fortuna, appena in tempo.
Fa quasi male venire così: appagato certo, ma solo, solo con il mio piacere che tengo tra le mani.
Berenice deve averlo capito perché si avvicina e stringe la mia mano con le sue, dirigendosi sicura contro le mie labbra mentre gli ultimi spasmi mi liberano completamente.
- Sì, tesoro, dobbiamo decisamente rimediare a questa situazione. Non mi piace non sentirti quando vieni- Mi dice, uscendo dalla vasca ma continuando ad accarezzarmi la fronte.
Sorrido, strusciando il viso contro la sua mano, assaporando il suo odore con gli occhi chiusi – Sei tanto cara-
Sghignazza divertita e io apro gli occhi, guardandola confuso – Che c’è?- Domando, un poco stizzito.
- Nulla, ma sei proprio un ragazzo di altri tempi tu- Sorride birichina, assumendo un’espressione da cartone animato che mi fa ridere a mia volta.
- Ti dispiace?-
- Assolutamente no, imparo sempre nuove espressioni con te, mi sembra di essere tornata a scuola- Mi bacia la fronte e io la guardo, così bella e così mia, tremante per il freddo.
Mi sciacquo velocemente e poi la raggiungo fuori della vasca, chinandomi per svuotarla, sentendo gli occhi di lei puntati sulla mia schiena.
Quando mi volto ha gli occhi sbarrati e un viso buffo pieno di imbarazzo.
- Ti metto in soggezione?- La provoco, mettendo le mani sui fianchi, vedendola distogliere lo sguardo, ostinatamente puntato verso il pasquette scuro del pavimento.
- Un po’- Pigola, abbracciandosi da sola.
Mi avvicino e la stringo forte contro il mio petto, avvertendola rilassarsi e sospirare sonoramente, appagata.
- Abbiamo appena fatto l’amore e…-
- Che c’entra? Tom forse non ti rendi conto: già fare l’amore con te è stata un’esperienza mistica ma tu, bagnato e nudo, dopo aver fatto l’amore, beh, è da infarto-
Ah, senti questo suono?
Quale suono?
Il suono del tue ego smisurato che intona l’ “Inno alla gioia”
Idiota!
- Così mi fai arrossire- Scherzo, schivando per un soffio la sua mano aperta, pronta a battezzarmi la guancia.
- Spocchiosetto di un attoruccio inglese! Prima di farmi morire di polmonite diamoci una sistemata che è meglio-
Rido divertito, dandole un bacio sul suo broncio delizioso – Eheheh, aspettami qui, tigre-
 
 
Guarda un po’ tu questa: mica è felice per essere finalmente uscita dal suo periodo di clausura! No, gongola perché ha indosso una magliettona grigia con il logo di Jurassic Park. Questa generazione è proprio fuori!
Lolita, tesoro, ti capisco ma, ammettiamolo, la maglietta è fica!
Cornacchietta bella!
Sta zitta, ti pare che ti fai uscire il lato da fangirl invasata? “E’ da infarto”! Che razza di donna emancipata e autonoma sei!?
Oh, fanculo il femminismo!
Sono sdraiata nel lettone di Tom, gongolando come un’adolescente nella sua magliettona grigia con un maxi t-rex stampato sopra e rido, rido felice!
Sono talmente appagata e svuotata che a stento riesco a sentire il mio corpo: so per certo che domani mattina schiena e gambe mi faranno un male del cacchio, sempre che riesca a riacquistare la sensibilità.
Il Piccolo Lord ha deciso che, anche se sono le quattro del mattino, fosse saggio mettersi a pulire il bagno. Che uomo! Io avrei bellamente rimandato tutto a data da destinarsi ma, a quanto pare, i miei capelli sparsi in ogni dove gli hanno fatto saltare le sinapsi (credo mi avesse già accennato il suo viscerale odio per peli perduti, se venisse a casa dei miei a Roma gli prenderebbe un infarto, ma con due cani che ci si può fare?). Inizialmente mi ero prodigata il più possibile, iniziando a pulire con cura ma quando, con orrore (pensavo gli sarebbe venuta una crisi isterica), si è accorto che invece di diminuire i capelli aumentavano mi ha, “gentilmente” e si fa per dire, spedito in camera da letto.
Così ecco che mi ritrovo in punizione, con la magliettona più fica che avessi mai potuto immaginare (che dolce, si è ricordato la mia viscerale passione per i dinosauri), sdraiata su questo letto comodissimo, aspettando che Cenerentola finisca di fare orge con topini e scope.
Sono così entusiasta e su di giri che penso non chiuderò occhio per tutta la notte, senza contare che è da un anno e mezzo che non dormo con un uomo. Dormire insieme è una cosa intima, la trovo persino più intima che finire a letto con qualcuno: stare abbracciati durante la notte, farsi le coccole sotto le coperte e svegliarsi la mattina con il calore dell’altro sono cose che mi emozionano da morire. E certo non lo farei con il primo che capita…
Beh, a quanto pare, Tom non è più “il primo che capita”, non che lo sia mai stato, però adesso e semi-quasi-bo ufficiale.
Togli semi-quasi e bo, grazie!
Che vuol dire “stare insieme”? Dobbiamo parlarne…
Smettila di fare la psicologa barra filosofa del cazzo. State insieme, siete una coppia e stop, fine delle seghe mentali. Sei sfiancante!
(Momento di superba perplessità e sguardo altezzoso nei confronti della Cornacchia)…
Dicevo, lo stare insieme, e adesso? Ho il cuore a mille e sono felicissima che lui faccia parte della mia vita come io della sua, però e c’è un però, un però grosso tanto quanto la notorietà del personaggio. Come dovrò comportarmi? Come si comporterà lui?
Ribadisco: so che lui non è l’erede al trono di nessun fantomatico regno intergalattico (per rimanere in tema) e so anche che le fidanzate degli attori si perdono nella memoria. Eppure, so per certo che sarà dura. Siamo usciti poche volte e fino ad oggi non ci sono stati problemi, né ho sofferto particolari fastidi ma che ne sarà in futuro? Prima non ero nessuno, da poche ore sono la sua - Dio, “ragazza” mi sa tanto di ridicolo, vabbè – compagna, passerò molto più tempo con lui ed avrò un ruolo effettivo nella sua esistenza e questo, per quanto sia bello e dolce, perché lo è e pure tanto, mi spaventa da morire.
Finchè sono gli affari suoi ad essere conosciuti in tutto il globo è un conto, ma dato che ora sono un affar suo e lui un affar mio, sillogisticamente parlando (si fa per dire), non riesco a sopportare che tutti sappiano con chi sto, come vivo e dove vivo.
Sto esagerando, lo so, e sto anche correndo troppo, però non posso fare a meno di pensarci…
Sbuffo, afferro un cuscino e me lo spiaccico sulla faccia, soffocando un urlo di frustrazione che ha la capacità di ristabilire in me un po’ di equilibrio: non devo pensare, pensare è sopravvalutato, pensare fa male.
- No, ti prego. Non sono ammessi tentativi di suicidio nel mio letto e poi perché ti sei messa dal lato della finestra?- La voce di Tom è allegra e pimpante.
Scosto il cuscino giusto quel tanto che mi permette di guardarlo: ha una maglietta bianca sbrindellata e dei pantaloni della tuta altrettanto sbrindellati, le braccia sui fianchi come una brava massaia, e un sorriso mozzafiato a illuminargli il viso…
No, Berenice, no: sono ore che fate l’amore, né lui né tu potete più sopportare di sottoporre i vostri corpi ad uno stress fisico tale.
Parla per te, io posso!
Si perché tu, Lolita, sei una maniaca sessuale!
Gli tiro il cuscino che, sorprendentemente, lo colpisce in pieno volto – L’ospite è sacro e l’ospite ha deciso che le piace il lato che dà sulla finestra! Così impari a fare le pulizie di Pasqua di notte, anzi mattina, e a dicembre-
Tom, con un sorrisino sghembo e lo sguardo malizioso, osserva prima il cuscino e poi me, avvicinandosi con passo felino al letto; prontamente, afferro l’altro cuscino e mi posiziono in ginocchio, aspettandolo paziente, sogghignando a mia volta.
- Vuoi la guerra?-
- Guerra sia-
Scatto in piedi e gli assesto una cucinata sulla testa, cercando di mantenere il mio precario equilibrio da bradipo. Tom, dopo un attimo di smarrimento, cerca di colpirmi le gambe, costringendomi a saltellare sul materasso come un canguro imbizzarrito, mentre faccio volare a destra e a manca il mio guanciale, usando la tattica, molto romanesca, del “ando cojo cojo”.
- Ahah, Loki perde colpi- Lo sfotto, ridacchiando malefica.
- Vuoi Loki?- Voce affilata e sguardo malevolo (altro spasmo di piacere intenso, ecchecacchio c’ho proprio preso gusto) e sono nella merda.
Si issa sul letto, sovrastandomi in tutta la sua altezza e ho il tempo di pigolare un “oh-oh”, e sono costretta a soccombere alla sua presa di acciaio che mi atterra sul letto con un tonfo sordo.
Ci guardiamo un attimo, serissimi e attenti, scoppiando in una fragorosa risata subito dopo, riempiendo la stanza di allegria e tanta voglia di vivere.
Abbiamo entrambi il fiatone e Tom ha il viso stremato, solchi profondi gli contornano gli occhi e la carnagione un po’ più pallida del solito…
Bernie, l’hai distrutto!
Non vi sembra esagerato?
Forse non ti rendi conto che, quando sei in vena, diventi più tu maniaca sessuale di quanto Lolita non sarà mai, senza contare che gli è toccato di pulire i tuoi peli per tutto il cesso.
Il tuo ragionamento non fa una piega.
Mi sposto, in modo tale da poterlo avere tra le braccia, iniziando a cullarlo come si farebbe con un bimbo, baciandogli con dolcezza il naso e la fronte. Lo vedo chiudere gli occhi e sospirare beato, accoccolandosi meglio contro il mio petto, lasciandosi pettinare i capelli dalle mie mani che non riescono a smettere di bearsi della loro consistenza.
E’ un momento di dolcezza solo nostro, un attimo di intimità come mai ne abbiamo avuti e mi piace questa sensazione di familiarità che pian piano inizia a crescere, aumentando ogni volta che ci vediamo, ogni volta che il nostro rapporto evolve.
Mi sto innamorando, o forse lo sono già, ma non importa, non mi interessa dare un nome a ciò che c’è tra noi: dare nomi sminuisce enormemente il sentimento e l’emozione e non sono così smaniosa di classificare e quantificare, malgrado la mia sete di controllo. Con lui non c’è nulla di banale e non voglio che questo calore e questa emozione si assopiscano, desidero che il fuoco divampi, libero e potente.
- Tom- Sussurro piano, continuando a cullarlo.
- Uhmmm- Biascica, credo si sia addormentato povero caro.
Gli chiedo di mettersi sotto le coperte e lui annuisce vigorosamente, trascinandosi con gli occhi chiusi sino alla testiera del letto, muovendosi a tentoni ma riuscendo ugualmente a giungere a destinazione. Sorrido guardandolo, ora profondamente perso nei suoi sogni e non posso far altro che desiderare di sdraiarmi accanto a lui: credo che passerò tutto il tempo ad osservarlo dormire, è di una dolcezza disarmante.
Mi sporgo un poco oltre il bordo del letto e spengo la luce (sia lodato chi ha inventato gli “interruttori intelligenti”) e mi stendo accanto a lui, mettendomi di fianco e ammirando il profilo ben disegnato di Tom. Le labbra sottili sono distese in un sorriso accennato e la fronte ampia è serena, conferendo all’insieme un’immagine di pace e contentezza.
Improvvisamente, mio malgrado, gli occhi mi si fanno pesanti e un’infinita stanchezza mi penetra nelle ossa e nei muscoli, finalmente rilassati. Non voglio dormire ma non credo riuscirò a resistere ancora a lungo, così, pronta per andare nelle braccia di Morfeo, inizio a toccarmi avidamente l’orecchio fresco, una cosa che mi ha sempre rilassato sin da quando ero bambina, arrischiandomi addirittura ad infilarmi il pollice in bocca (anche questo un maledetto vizio che mi trascino sin dall’infanzia, ecco perché ho i denti davanti un poco sporgenti), tanto Tom dorme e solitamente mi sveglio sempre con le labbra libere.
Aspiro un altro poco del suo odore e mi lascio cullare dal suono del suo respiro…
E finalmente cado addormentata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** CAPITOLO 9 ***


ANGOLO DELL’AUTRICE: Buongiorno a tutti. Ecco un nuovo capitolo: vedetelo come un enorme uovo di Pasqua J Chiedo anticipatamente scusa per l’obbrobrio che mi è uscito ma, ahimè, scrivere sotto costrizione non aiuta la fantasia: è una fase di passaggio che ho dovuto scrivere onde evitare delle incongruenze. Qui troverete la prima parte. Stringete un po’ i denti e presto rientreremo nel vivo della storia.
Ringrazio ancora tutti, augurandovi buone vacanze e un meritatissimo riposo. Abbuffatevi e bevete tanto.
Un bacio
Clio
 
 
Capitolo 9
Home sweet home che diventa un po’ meno sweet se tu non ci sei: come barcamenarsi tra parenti impiccioni e foto sul giornale – Manuale d’uso!
 
BUM!
AHIA!
CAZZO!
Addio al premuroso intento di non svegliare il mio ospite: mi è caduta la valigia sui piedi scalzi e non posso fare a meno di piagnucolare e imprecare a voce piuttosto alta.
Così impari a non farti le valigie in anticipo!
Senti, quand’è che ti leverai la scopa dal culo e inizierai ad essere un po’ più gentile con me?
Quando un Laziale deciderà di seguire un derby in Curva Sud, cioè: MAI
Fottiti!
No, no Bernie, fottiti tu, è stato così divertente questi giorni!
Lolita!
Sbircio dietro le mie spalle, sperando che, malgrado lo squillo di tromba, Tom non si sia svegliato: lo sento brontolare e poi rivoltarsi tra le coperte che cadono di lato, finendo a pancia in giù con il suo deliziosissimo culetto in bella vista…
Ok, Bernie, datti una calmata! Sono due giorni che praticamente non uscite dal letto (con l’unica spiacevolissima eccezione di lunedì mattina, quando mi sono dovuta sorbire l’ispezione del “Porco Capitalista” durante la quale ho cercato di assopire i miei istinti omicidi) e non puoi sottoporre i vostri corpi ad un ulteriore stress fisico.
No, non posso….
Fanculo Tom! Te e il tuo sederino mi volete morta!
Beh, non si è mai sentito che uno è morto per le troppe scopate, a meno che non calcoli quei vecchi pervertiti che si imbottiscono di viagra: non rientri nella categoria.
Cornacchia, non farmi essere volgare!
Io voglio sentirlo!
E te pare, Lolì’, quando mai…
Su!
Non me LA “ sento” più, contenta!?
Devo decisamente andare in analisi, quelle due mi faranno uscire pazza.
Scuoto la testa e cerco di concentrarmi sulla preparazione del bagaglio, cosa alquanto ardua visto e considerato che mi tocca andare a tendoni nel buio, per non parlare dello splendido “panorama” che si trova sul mio letto.
Sono stati due giorni meravigliosi: mi sono sentita viva, appagata e finalmente in pace con il mondo. Trovarmi tra le braccia di Tom è stato come essere a casa dopo un annoso viaggio tra i mari; stanca e spossata, alla fine ho trovato il luogo in cui riposarmi. Quarantotto ore di sorrisi ininterrotti, di abbracci, baci e dolcezze incredibili di cui avevo completamente dimenticato l’esistenza e sentirlo dentro di me è stata un’emozione indescrivibile, come se avessi ritrovato una persona cara dopo tanto tempo di lontananza, la mancanza e il vuoto dell’assenza si sono estinti immediatamente e il mio cuore ha tirato un sospiro di sollievo.
Già e adesso mi tocca partire… e pensare che solitamente sono i miei genitori a salire per le vacanze, visto che mia madre adora Londra e ogni scusa è buona per tornare nella città dei suoi sogni (dove, tra l’altro, sono stata anche concepita, purtroppo c’è pure un video divertente a confermarlo, dove mio padre fa il cretino e mia madre miagola facendo finta di essere offesa…ok, censura, altrimenti sarò costretta a rinchiudermi volontariamente in manicomio!), invece, questo Natale, a causa di un redivivo senso di famiglia unita, hanno deciso di fare i classici cenoni italiani con diecimila parenti, dove inizi a mangiare alla Vigilia e finisci a pranzo di Santo Stefano.
Una lacrima dispettosa mi scivola lungo il viso, accompagnata da altre stronzette umide che mi costringono a un pianto silenzioso mentre ficco una quantità spropositata di mutande nella borsa.
Che palle! Non mi va! Insomma, una riesce a mettersi con un uomo dopo che si era già rassegnata all’idea di una zitellaggine perpetua e che succede? Ti tocca fare come ogni emigrante che si rispetti e tornare all’ovile da mammà: questo si chiama Karma negativo o sfiga, per rimanere nel nostro back-ground culturale.
La prima cosa che farò arrivata a Roma sarà anticipare il volo di ritorno, sperando in un miracolo, dato che Londra è una delle più ambite mete turistiche per Capodanno.
Ogni giorno con Tom è un giorno regalato perché, è inutile negarlo, lui non è un uomo “normale”, con un lavoro “normale”: è attore, è famoso e soprattutto è impegnato. Non voglio sprecare del tempo prezioso, voglio godermelo appieno finchè non sarò costretta a dividerlo con il resto del mondo e successivamente vedrò di contenere la mia indole possessiva e gelosa. Stiamo insieme, pertanto, se voglio l’uomo devo volere anche l’attore e tutto il resto, comprese fans arrapate e richieste di autografi e foto in continuazione: pacchetto completo o nulla. In altri tempi avrei detto “nulla” (giovane e deficiente, scusatemi), però, ripensando a tutto l’affetto, a tutta la passione e alle risate, sono pronta a fare dei sacrifici, a mettere da parte il mio smisurato ego passivo-aggressivo e accettare il compromesso, sostenendolo e proteggendolo con tutte le mie forze.
Devo entrare nell’ottica che non ci sono più “solo Berenice” e “solo Tom”, ma “Berenice e Tom”, due persone che si vogliono bene e che hanno deciso di costruire qualcosa di duraturo, sperando che non finisca come nella Guerra dei Roses, impresa ardua e perigliosa se mi metto a riflettere su questa mia serpeggiante paura di non essere abbastanza…
Non me lo merito Tom, probabilmente non me lo meriterò neanche tra 100 anni e, forse, se fossi un pelino meno egoista, avrei declinato la meravigliosa offerta e sarei sparita nell’ombra perché, è il caso di ribadirlo, sono una frana nelle storie d’amore e l’unica cosa che non voglio assolutamente è farlo soffrire. Tom è una persona matura, solida, sicura di sé, che sa quello che vuole e probabilmente sarebbe anche pronto a mettere su famiglia, mentre io, beh, io sono un caso di “uomo mancato” in quanto a maturità emotiva: già è tanto se so badare a me stessa, ancora non so che fare nella vita, tendo ad essere tragica ed eccessiva e sicura di me non lo sono stata neanche a un anno, figurarsi ora.
Il solo pensare di perderlo mi fa star male, entro in ansia e sento mancarmi il respiro, come un attacco di panico prima di un esame: angoscia è il termine esatto. Tom mi è entrato nella pelle, ha lasciato un segno indelebile, quello che mi chiedo è se sarò in grado di interpretarlo correttamente, rispettando il suo significato profondo. Mi piacerebbe dire che “gettare la spugna” non è nel mio stile, ma, ahimè, non posso mentire a me stessa: per il lavoro e lo studio circumnavigherei il Capo di Buona Speranza a nuoto, ma i sentimenti, il più delle volte, preferisco viverli attraverso le pagine di un buon libro. Eppure, devo tenere a mente la promessa fattami quando ho lasciato il mio ex e sforzarmi con tutta me stessa di far andare bene le cose.
Devo maturare e crescere e Tom è l’uomo per cui vale la pena farlo, questo, tra tutti i dubbi, è l’unica cosa di cui sono sicura, sebbene ancora non riesca a spiegarmi il perché. Devo sbrogliare la nebulosa dei miei pensieri, però, prima, devo mangiare qualcosa perché, come diceva Feuerbach, il popolo deve mangiare prima di pensare (parafrasato, ovviamente!).
Bene, la valigia è fatta, i documenti sono sull’isola in cucina, Tom è nudo e si è svegliato, devo ricordarmi di chiudere acqua luce e gas altrimenti la bolletta sarà parecchio salata, Tom è di fronte a me, nudo, e si è chinato a mordicchiarmi il collo, devo prendere i regali e finire di uccidere le piante, Tom, nudo, mi sta sbottonando la sua camicia che ho usato per coprirmi in mancanza di altri indumenti reperibili, devo dare il cibo al pesce rosso e…
Un momento!
Io non ho un pesce rosso e perché Tom è sveglio, nudo e parecchio attivo? Come ci sono finita sdraiata sul pavimento!?
- Tom…ciao…- Lo saluto, cercando di ricordarmi come si fa a respirare mentre le sue mani iniziano a giocare dispettose con la mia intimità.
- Ciao- Soffia lui, continuando a baciarmi il collo, risalendo fino all’orecchio e mandando in tilt il mio unico neurone ancora funzionante.
- Ehm, c-che f-…oh sì!- E’ riuscito a beccare il leggendario punto G, aumentando il numero di dita birichine, mentre un’ondata di piacere mi pervade il cervello: ho proprio sentito le mie ghiandoline spararmi in corpo una non meglio precisata sostanza chimica, è proprio vero che siamo animali.
- Ti faccio godere, cara - Risponde con malizia, con lo stesso tono di chi esplicita un’ovvietà visibile a tutti.
Mi bacia, penetrando con la lingua a forza nella mia bocca, cogliendomi impreparata per la prima volta dall’inizio della mia onorata “carriera” sessuale: di solito sono io a condurre le danze e quando non lo faccio è solo perché lo decido io.
- Tom-  Lo chiamo ansimante, mentre lui mi scosta un lembo della camicia, scoprendomi il seno che inizia a succhiare e mordere con avidità, senza smettere la sua dolce tortura con le mani.
- Uhmmm?-
Se fa così non so se resisterò, però devo fare io la parte della persona responsabile in sostituzione di quella vera, visto che ha deciso di disertare e… oh, santo Epicuro! Cos’è quella cosa che ha fatto?
- Dolcezza, ho u-un t-t-treno da prendere…- E’ un miracolo, veramente un miracolo, se sono riuscita a spiccicare una frase di senso compiuto.
- Aereo-
- Che? Oh, fallo ancora…- Cazzo, Bernie! Tieni il punto.
- Aereo non treno- Disse quello tutto tranquillo con le labbra pericolosamente vicine ad una zona molto delicata: che impunito!
- Quello che è, il punto è che siamo in ritardo e… oh,oh, oh!-
Di solito – lo so che sono strana ma pazienza – l’utilizzo della lingua in quel punto non mi fa né caldo né freddo, talvolta è più una sofferenza che altro, però Tom ci sa fare, urca se ci sa fare: altro che estasi plotiniana!
Lo sento sghignazzare sadico e divertito, dandomi la possibilità di riacquisire parte delle mie facoltà cerebrali che mi permettono di trovare il coraggio di allontanarlo, un poco stizzita, dal mio fiorellino.
- Che c’è? Non ti piace? Non mi sembrava ti dispiacesse…- Mi interroga, con un’espressione di santità stampata su quel viso da divinità greca (o norrena, visto che adesso come adesso assomiglia più a Loki che ad Apollo).
- Non è questo il punto è… oh, chissene frega!- Appurato che la mia fosse semplicemente isteria pre-partenza, Tom non ci ha pensato neanche per un secondo e ha continuato a dedicarsi con amorevole lena al mio piacere.
- Uhmmm, hai un sapore delizioso, sei tutta bagnata…-
Vedi come si fa? Acida zitella che non sei altro!
Se perdo il treno…
AEREO!
Si solleva, mettendosi in ginocchio tra le mie gambe, afferrandomi i polpacci e spingendoli contro il mio petto. E’ un attimo e Tom entra, strappandomi un urlo eccitato e l’aria dai polmoni.
Però, mi piace questo suo lato tirannico, lo trovo molto piacevole e sexy.
Evidentemente gli deve essere piaciuta la mia intraprendenza, perché sembra si sia reso conto che non sono una bambola di porcellana e ci ha preso gusto, considerando i ben poco dolci affondi che mi sta regalando in questo preciso istante.
- Tom-
Cazzo, stai zitta e lascialo fare!
Vai a farti fottere, Cornacchia!
Lascia in pace Brunilde e pensa a farti fottere tu piuttosto.
ZITTE!
- Siamo in ritardo, io… d-dovrem-mo…n-nutrirci, i-idr-a-ta-rci…Ah!- Mi ha sollevato una gamba che ha appoggiato sopra la sua spalla mentre continua a guardarmi come se fossi una succulenta bistecca al sangue, stringendo tra i suoi denti il labbro inferiore.
- Ho spostato il tuo orologio. Siamo in anticipo- Sbatte violentemente contro la parete interna, strappandomi un vero e proprio grido: sospetto si stia infastidendo.
- C-cosa?-
Si china, rallentando il ritmo, continuando a guardarmi con il viso vicinissimo al mio – Sono le quattro ora, soddisfatta?-
- Sì-
- Bene, allora sta zitta e godi, avrai tutto il tempo per mangiare, bere, stare a casa e riposarti quando sarai a Roma-
. Tu, maledetto! Che fine hai fatto fare a Tom?
. Il piccolo Lord è andato, sciocca mortale. Adesso taci, d’ora in avanti urlerai per me.
. La tua battuta non era: “in ginocchio”?
. Ho detto: urla!
 
 
Occhiali da sole (per coprire le occhiaie); finestrino aperto (malgrado si geli); Dancing in the dark a palla (malgrado siano le cinque del mattino) e sorrisino compiaciuto e soddisfatto stampato sul volto.
Decisamente un piacevolissimo modo di cominciare la giornata.
Sto accompagnando Berenice in aeroporto, la strada è deserta e sono piuttosto sicuro riusciremo persino a fare colazione: almeno potremo salutarci come si deve.
Sono davvero fiero di me: idea geniale quella di farla alzare prima dopo aver spostato l’orologio in avanti. L’espressione stupefatta sul suo viso è stata impagabile, per non parlare del suo corpo caldo sotto al mio e la sua voce vogliosa che supplicava di averne ancora: quello è stato semplicemente epico. L’ho colta di sorpresa, lasciandomi finalmente alle spalle ogni remora, seppur minima, dettata dalla mia indole di gentiluomo di essere sempre gentile quando si fa l’amore, anche quando si lascia andare ogni freno e delicatezza.
Bene, con Berenice non sono stato né gentile né delicato, dittatoriale se mi si passa il termine e a lei non ha dato fastidio, anzi: dopo qualche tentativo di riprendere le redini del gioco, si è arresa a me, docile e servizievole come mai l’avevo vista. E mi sento lusingato perché, dopo, mi ha confessato che lo ha fatto solo con me, solo e soltanto per me.
- Smettila di sorridere a quel modo!- Strilla Bernie, cercando di mantenere un’aria inviperita, soffocando al contempo un risolino.
- Sorridere come?- Chiedo, con il tono più “fintamente” angelico che riesco a trovare e a cui la scimmietta risponde con una gomitata ben assestata alle costole.
- Come se avessi vinto e tu non hai vinto Piccolo Lord dei miei stivali!-
- Brucia, eh!?- Mi scosto appena in tempo, evitando una dolorosissima cinquina: se non stessi guidando, mi starei divertendo un mondo.
- E’ stato solo un momento: erano le tre e mi hai ingannata,altrimenti…-
- Dillo che ti è piaciuto, dì che ti è piaciuto essere sbattuta… ouch! Sto guidando!- Questa volta lo schiaffo non me lo ha levato nessuno, in effetti, me lo sono meritato, però non posso fare a meno di gongolare: adoro metterla con le spalle al muro, costringendola a regredire allo stato animale per poter ribattere a ciò che dico, concedendomi, virtualmente, la vittoria.
- Non essere volgare, Hiddleston- Sorride sorniona, incrociando le braccia al petto – Anche a te non è dispiaciuto farti fottere, uhmmm?-
- Sì, lo ammetto-
Scoppiamo entrambi a ridere, guardandoci complici e allegri.
Dopo un primo momento di smarrimento, mi sono reso conto di poter essere totalmente me stesso con lei perché questo era l’unico modo di ripagare tutta la sua sincerità. C’è qualcosa di così genuino e sano nel suo modo di fare l’amore, di chiedere e dare piacere che, inizialmente, mi ha stupito: non avrei mai pensato di trovarmi davanti la vera Berenice. In questi giorni ho imparato a conoscere il suo lato sfrontato, forte e aggressivo e queste sue caleidoscopiche trasformazioni me l’hanno resa ancora più intrigante e preziosa perché lei, la mia scimmietta, è luce e ombra, paura e forza, delicatezza e aggressività, è tutto questo insieme, fuso in questa piccola ragazza che mi ha donato sé stessa e che ora mi sorride, tenera e maliziosa.
E’ perfetto: trovarla è stato come ritrovarla. Quando sono entrato in lei mi sono sentito finalmente a casa, come se avessi ritrovato la mia Penelope, pur non avendola mai conosciuta; averla mi ha fatto capire quanto mi fosse mancata, senza che mai io l’abbia realmente avuta. E’ stato ed è tutto nuovo, eppure familiare, come se Bernie fosse un’eco di una vita passata, finalmente tornata da me dopo tanto rincorrersi e cercarsi.
 
- Illuminami – Esordisco mentre sollevo la sua immensa valigia verde con le ranocchie arancioni, gettandola di peso sul nastro, ricevendo un’occhiata alquanto alterata dalla hostess – Che ci hai messo in questa valigia? Ti prego dimmi che non c’è un cadavere-
Berenice, intanto, cerca disperatamente il passaporto all’interno della sua borsa, altrettanto immensa, tenendo in bocca il foglio della prenotazione e la carta di identità.
- Regali, tanti regali…ecco a lei, mi scusi… malgrado la mia famiglia sia quasi estinta, siamo comunque una caterva… grazie e arrivederci… ho speso una fortuna, sul serio-
Ci allontaniamo verso uno dei tanti bar per fare colazione, con la scimmietta che caracolla dietro di me, trascinando il bagaglio a mano e cercando, contemporaneamente, di ficcare i documenti nei loro appositi contenitori.
Ordiniamo da mangiare e da bere e ci sediamo a un tavolino, un po’ defilato rispetto agli altri che dà su un’ampia vetrata da cui entra un pallido sole: il cielo è coperto e rispecchia perfettamente il mio umore. Non sono pronto a lasciarla andare, so che starà via per poco e che è giusto che torni dalla sua famiglia e stia con i suoi amici (tra cui Edo di cui, lo so, non ci posso fare nulla, sono un tantino geloso), però, adesso che sono riuscito ad averla, non riesco a farmi andare giù l’idea che non potrò spupazzarla a dovere e viceversa.
- Tom?-
Scuoto la testa, accorgendomi solo ora di essermi incantato; allungo una mano a cercare la sua, trovando le sue dita pronte a intrecciarsi con le mie; chino gli occhi, osservando le nostre mani che giocano e si stringono, sospirando forte e avvertendo lo sguardo penetrante di lei cercare il mio: guardarla significherebbe rischiare il pianto e non voglio farla star male o farle pesare il fatto che parta. In fondo, chi sono io per metterle il muso? Tra pochi mesi anche io dovrò partire e sarò costretto a star via da casa per parecchio tempo, così i nostri ruoli si invertiranno: come non desidero che mi si tarpino le ali, così non sarò il primo a impedirle di spiccare il volo.
- Mi mancherai anche tu- Dice Bernie, aumentando la stretta, abbassandosi per scoccare un bacio sul dorso della mia mano e per cercare di cogliere i miei occhi.
Non riesco a parlare, ho un groppo doloroso che mi preme sulla gola e sento le lacrime premere per uscire: che mi è preso?
La sento alzarsi dalla sedia e dirigersi verso di me; senza forzarmi, fa pressione con il corpo e si siede sulle mie ginocchia, nascondendo il mio viso in un abbraccio, mentre mi bacia il capo e accarezza i miei capelli in un gesto di una dolcezza che rompe ogni argine.
- Sai, quando partii per Londra ho pianto tanto: sono rimasta abbracciata a mia madre per una sera intera guardando vecchie foto e filmini… era finita un’epoca e allora pensai non sarebbe stato più lo stesso. Però, dopo un po’, ho capito che tante epoche erano passate e non me ne ero resa conto, insomma, erano scivolate via. La vita cambia anche quando sembra non cambiare. Dopo quella sera non mi sono mai più sentita veramente a casa in nessun luogo, né Roma, né Londra e, stranamente, mi andava bene così, mi va bene così perché ho capito, anche se è qualunquista e sentimentale, che sono le persone che fanno casa- Ha la voce incrinata e avverto distintamente le lacrime scivolare dalla sua pelle alla mia, mentre la sua stretta si fa a poco a poco più forte.
- Tu sei diventato la mia casa e, per quanto la vita e il lavoro ci porteranno lontano, avremo sempre l’un l’altro da cui tornare-
Solleviamo entrambi il capo e ci guardiamo dritti negli occhi, specchiandoci l’uno nel pianto dell’altro, consapevoli della verità di quelle parole: una delle più belle dichiarazioni della mia vita.
Dov’è stata per tutto questo tempo? Dove si era nascosta? Non pensavo che uno sguardo potesse essere così profondo eppure, nel grigio di quelle perle, vedo un mistero così delicato e prezioso che non posso far altro che estinguere la distanza che ci separa e posare le labbra sulle sue perché, e me lo ha insegnato Berenice, a volte le parole non servono, non sono abbastanza.
E mentre ridiamo e piangiamo, stringendoci e cullandoci, capisco di aver trovato, finalmente, anche io la mia casa.
 
 
- 27! Le gambe delle donne-
- Mattia! Quello è il 77, il 27 sono le carrozzelle. Sono anni che tieni il banco a tombola e ancora non ti ricordi? E poi mischia, non è possibile che su tre cartelle sia riuscita a tirare giù solo quattro numeri- Borbotto inacidita verso il mio adolescente cugino che da quando ha imparato a contare ha anche sviluppato una spiccata tendenza a barare a tombola.
Stronzetto!
Beh, come tutte le Vigilie, dopo esserci scofanati antipasto, primo, secondo, contorni, adesso siamo al dolce, giocando a tombola mentre mio padre, mio zio ed io sorseggiamo un buon cognac.
- 90! La paura-
- Terno!- Strilla mia cugina Carlotta, battendo le mani felice: eccheccazzo tutte le fortune a loro. Io,invece, sto per finire sull’astrico.
- Bene, adesso Matt devi dire tutti i numeri che non sono usciti!- Esordisce mio padre, un poco brillo, ricominciando a fare il giullare.
- Pietro!- Lo sgrida mamma, lanciandogli uno sguardo inviperito da “donna con scopa nel culo annessa” che ogni tanto rifila a mio padre e a me per sgridarci.
- Adina, è per controllare: lo sai che tuo nipote bara-
- Non è vero!-
- Sì che è vero, nano, taci!- Borbotta Carlie contro il fratello, accendendosi una sigaretta e aspirando profondamente, sotto lo sguardo adirato di mia zia che, se potesse, si accenderebbe direttamente lei.
Ok, in fondo in fondo, non è male essere tornati in famiglia: siamo un’accozzaglia mal assortita di matti sclerotici che si vedono ogni morte di papa, però non siamo malaccio. E’ vero che appena arrivata mi hanno messa a pulire bagno e camere da letto prima e a pelare patate poi, senza contare le varie passeggiatine con Mirtilla e Balzac (i miei fratelli pelosi che tirano come dannati), ma mi e’ mancato tutto questo. C’è giusto un leggero retrogusto amaro, altrimenti tutto sarebbe perfetto: Tom non c’è e dopo due giorni di semi-simbiosi la sua assenza la avverto come un macigno piantato nello stomaco (e no, non sono i gamberoni che avrei fatto meglio a non mangiare).
Ci siamo sentiti poco e solo ed esclusivamente per messaggio, entrambi indaffarati e alle prese con riunioni parentali o cene tra amici. Ah, questi protestanti! Invece di protestare avrebbero potuto gioire della godereccia leziosità di noi fedeli della Chiesa apostolica e romana: a dire il vero, non so di che religione sia Tom, non gliel’ho mai chiesto.
E quando glielo avresti voluto chiedere? Tra: “Qual è il tuo romanzo preferito” e “Zitto e pomiciamo”?
Oddio, non fare l’acida pure a Natale. Ma non andate in vacanza?
Lolita sì, come puoi immaginare; a me tocca essere reperibile ventiquattro ore su ventiquattro.
Ma chi te lo fa fare?
Te e i tuoi neuroni scoppiati, deficiente!
 
Dopo il brindisi di mezzanotte, gli auguri, la rete intasata e l’ennesimo giro di grappa, ci troviamo mio padre, i miei cugini ed io a giocare a briscola, sbocconcellando pandori e torroni.
Mio zio dorme in poltrona con Balzac che gli fa da borsa dell’acqua calda mentre Tilla è salita su una sedia e osserva avida tutte quelle leccornie sparse sul tavolo.
- Berenice! Falla scendere- Strilla mia madre dalla cucina, mal celando un certo divertimento. Mamma e zia hanno deciso di assumersi, almeno una volta nella vita, il ruolo di donne di casa e quindi mettono a posto i piatti e confabulano, molto probabilmente circa il perché Carlie ed io non abbiamo ancora portato a casa un uomo, consolandosi vicendevolmente.
- Tilla, ricordati che sei un incrocio tra un cane lupo e un maremmano e non un bassotto: sei facilmente sgamabile- Dico rivolta alla mia compagna di giochi che, per tutta risposta, sorride e mi dà un’umida slinguazzata sul viso.
- Paps, carica-
E proprio nel mentre butto il “pennuto”, riuscendo a guadagnare un sacco di punti, il telefono squilla e succede il putiferio: mio zio si alza di scatto, cappottando il povero Balzac praticamente dall’altra parte della stanza; Tilla si getta dalla sedia con fare suicida, schizzando come una furia verso l’apparecchio, travolgendomi con il suo dolce peso; mamma fa cadere la pila di bicchieri sporchi che insozzano di spumante il pavimento (e per fortuna che sono di plastica, altrimenti chi se la sentiva).
- E mo chi è? Pietro, hai già sentito tua sorella?-
- Sì, sì… TILLA, ZITTA!-
- Dio, ma vi potete imparanoiare per una chiamata? Rispondete, no?- Sbotto io, massaggiandomi le tempie a causa di un improvviso mal di testa.
Quand’è che te ne vai?
Presto, Cornacchia, molto presto.
- Pronto?-
Mi giro verso mia madre, constatando di quanto il suo odio per le chiacchierate telefoniche non sia diminuito, anzi, e di quanto, con l’andare del tempo, io diventi sempre più simile a lei.
Ad un tratto il suo volto si trasforma, da un’iniziale fastidio/volontà omicida, condita con un pizzico di sano terrore, ad un’espressione di stupore a cui segue, quasi istantaneamente, un’ombra di profondo compiacimento mentre cerca i miei occhi e mi sorride.
- Oh, don’t worry, she’s here. Ahaha, you’re so kind. Would you please wait a moment? Berenice, è per te-
Per me? E chi minchia può essere che chiama all’una di notte? Rory&co li ho già sentiti…
- Chi è?-
- Un uomo!-
Ma va? E chi doveva essere, la renna di Babbo Natale? E perché c’ha la faccia da assatanata, continuando a sorridere come un’ebete?
- No, she’s just finished to play with her father, but Bernie’s quite drunk, you know and…-
- Oh, invece di continuare a flirtare, mi dici chi cazzo è?-
Vedo le narici di mia madre allargarsi, come fosse un drago, e gli occhi ridursi a fessure, se non fosse al telefono mi avrebbe già cazziata a dovere per la rispostaccia, ma è troppo educata per urlare in presenza d’altri.
- Dice di chiamarsi Tom e… Bernie! Dove corri?-
 
 
. Tom!
. Ciao, cara. Come stai? Tua madre ha la voce come te!
Ha la voce allegra, sembra anche lui un poco brillo e in sotto fondo si sente un vocio lontano e ovattato.
. Bene, sto bene. Buon Natale!
. Buon Natale anche a te, scimmietta! Allora a che giocavi con tuo padre?
. A carte, siamo addirittura riusciti a vincere: un evento. Dove sei? Ti diverti?
. Sono a una festa con amici di vecchia data, ci sono anche le mie sorelle… Devi assolutamente conoscere le mie sorelle, forse all’inizio ti incuteranno un po’ di timore, ma sono sicuro che alla fine saranno entusiaste!
Oh, ma certo! Non vedo l’ora di conoscere la Santa Inquisizione: io sto sempre sulle palle alle sorelle dei miei ragazzi, non so perché, credo sia dovuto all’atavico astio verso la “nuova gallina del pollaio”. Mi mordo il labbro inferiore, trattenendo un gemito di dolore a causa di una fitta dolorosissima allo stomaco che non riesco a capire se sia dovuto al troppo cibo e alcol, oppure alla lieta novella di un ipotetico, speriamo lontanissimo, incontro con la famiglia del mio nuovo “consorte”.
. Sarei felicissima
Sì, preferiresti farti impalare, ma non importa
Devo dirgli così?
No, sei matta!?
. Sul serio?
No,no,no era una cazzata solo per poter continuare a portarti a letto! Per del bellissimo sesso con te direi pure l’Ave Maria in sanscrito e…
. Sì, certo. Mi farebbe piacere
. Magnifico! Appena tornerai organizziamo una cena
Magnifico un corno: io emigro in Perù o nella Terra del Fuoco. Meglio i pinguini e i vulcani, tutto ma non cene in famiglia, imbarazzanti da morire, che sicuramente non porteranno ad altro che a un’ulcera gastroduodenale da fare invidia alle peggiori ulcere gastroduodenali della storia.
. Bernie?
. Sì, scusa. Stavo pensando a quanti soldi mi sono rimasti per emigrare in Papuasia
. Perché?
Chiede curioso e so per certo che ha un sorrisino malizioso stampato sulle labbra sottili, di solito, quando usa quel tono trillante, ha sempre una scintilla furba a illuminargli gli occhi… ah! Quanto vorrei non doverlo solo immaginare!
. Oh, ecco… e se non gli stessi simpatica?
Magari se eviti il tono petulante da scolaretta…
Ma è sexy!
No, è fastidiosissimo e poi perché continui ad avere queste manie di persecuzione?
Forse perché ho due corvi che gracchiano continuamente nella mia testa e che mi blastano per ogni cosa?
Io non sono acida, è che mi hanno disegnata così!
Momento di sconfortante imbarazzo quando ti rendi conto di avere una coscienza con il senso dell’umorismo di un babbuino con le emorroidi…
Pensa a me e a quando ho capito che avrei dovuto abitare la testa di un’acida bisbetica con personalità border-line: sai quanto mi ci è voluto per evitare che diventassi una serial killer?
E’ solo la risata allegra e divertita di Tom a riportarmi con i piedi per terra e ad evitare un attacco di panico per la verità appena svelata dalla Cornacchia, dico io, perché doveva sganciare una bomba del genere ora?
. Oh, Bernie! Se fossi qui ti avrei già stritolata a dovere! Come si fa a volere male ad un microbo come te?
. Beh, di solito non si simpatizza molto per i microbi
. Già, ma tu sei un microbo carino, di quelli tutti baffuti e con le ciglia lunghe
. Tom, quanto hai bevuto?
. Un po’… comunque non ti preoccupare, non farmi soffrire e vedrai che le mie sorelle non ti metteranno una testa di cavallo nel letto
Confortante, davvero confortante: grazie Tom, adesso sì che mi sento più tranquilla!
. Mi manchi scimmietta. Sarà una tortura questa sera non dormire con te
. Anche tu mi manchi Tom, non sai quanto vorrei essere lì con te… oh, ecco, mi hai fatto piangere
Dico, asciugandomi una lacrima galeotta che mi è scivolata lungo il viso: stare lontani, dopo essere stati così vicini è una tortura.
. E’ già trascorso un giorno, passerà in fretta e poi potremo stare di nuovo assieme
So che se fossi davanti a lui e vedessi il suo sorriso gioioso e gentile sarei davvero scoppiata a piangere, singhiozzando copiosamente; la sua dolcezza mi commuove sempre, riempiendomi il cuore di tenerezza e di nostalgia, proprio come quando si torna a casa dopo un lungo viaggio.
. Non vedo l’ora. Ci sentiamo domani?
. Assolutamente sì. Ti do un bacio dolce, di quelli che piacciono a te, mia cara. Buon Natale
. Buon Natale, dolcezza. A domani
 
Chiudo la telefonata e mi appoggio allo schienale della sedia della mia scrivania, tenendo gli occhi chiusi e lasciando che il suono della sua voce echeggi nella mia mente, trattenendola a me per non lasciarla andar via. Il 26 chiamo l’agenzia e mi faccio cambiare il biglietto, a costo di vendere un rene al miglior offerente: non voglio perdere tempo. Sento una sensazione fastidiosa, quasi angosciante, come se qualcuno mi stesse rincorrendo e, proprio come accade nei sogni, io rimango ferma e immobile, incapace di proseguire e di difendermi. Voglio vivermi la nostra storia totalmente e incondizionatamente, come se non ci fosse un domani… ho il terrore che le malevole nubi che popolano i miei pensieri abbiano il sopravvento, schiacciando ogni mio sentimento: la paura è qualcosa di terrificante, non c’è emozione più terribile.
- Ehm- Un colpo di tosse.
Persa nelle mie elucubrazioni, non mi ero resa conto di avere compagnia, una minacciosa compagnia a dire il vero: mamma, zia e Carlotta sono davanti a me, mani sui fianchi e un’espressione di sadismo compiaciuto a deturpare i loro volti.
Deglutisco sonoramente, appiattendomi ancora di più contro lo schienale della sedia, arpionando i bordi della scrivania come pronta a scaraventarglielo contro.
- Allora, chi è Tom?- Chiede mia madre, avanzando di un passo.
Preparati a un bell’interrogatorio, queste tre non ti lasceranno mai in pace: ricordati di parlare solo quando te lo dico io.
Già, più che interrogatorio mi sembra un tentativo di estorsione, visto come mi hanno circondata e come mi stanno inchiodando al muro con gli occhi: altro che polizieschi americani, le tre “Grazie” sembrano tanto ufficiali SS della Gestapo.
Bene, mi farò torturare piuttosto, perché da me non riusciranno a cavare un ragno dal buco, è sicuro…
 
- Tom, trentuno anni, vive a Londra, non è un serial killer e ci siamo messi assieme circa due giorni fa-
Però, alla faccia del “da me non riusciranno a cavare un ragno dal buco”!
Hai visto la faccia di mia madre?
Sei una donna adulta e hai un lavoro, tira fuori le palle!
Quella lì è capace di tirarmi fuori ben altro che attributi usualmente attribuiti all’altro sesso!
Tse! Piscialletto!
Le tre “Grazie” si guardano intensamente, con sguardo circospetto, tentando di capire quali saranno le linee guida dell’interrogatorio e se possono credere a ciò che ho appena detto loro.
Mia madre fa un passo avanti, incrociando le braccia al petto e guardandomi compiaciuta…
- Beh, tutto qui?- Chiede, visibilmente curiosa.
- C-che a-altro v-v-vuoi sapere?-
- Com’è?- Esordisce mia cugina, ancora più curiosa di mia madre.
- Ha due nasi, un occhio…no, volevo dire, due occhi, un naso, una bocca e…-
- Cretina!- Interloquisce la mia cara zietta, dandomi un affettuoso, credo, scappellotto dietro la nuca – Su, siamo curiose. Hai una foto?-
- No-
- Prendila da facebook…-
- Non ce l’ho tra gli amici-
- Che fa? Ci basta la foto profilo-
- N-non p-posso, solo lui mi può aggiungere…-
- Ecco, lo sapevo! Sarà un altro di quegli sgorbi che le piacciono tanto- Sospira Ada (mamma non si addice al personaggio inquietante che sta interpretando), alzando gli occhi al cielo.
- Non è uno sgorbio!- Bercio io, levando in piedi e stringendo i pugni.
Ok, Ada non ha tutti i torti a preoccuparsi: spesso ho avuto il gusto dell’orrido in fatto di uomini, ma certo Tom non può entrare nella categoria de “i mostriciattoli – che- piacciono – tanto- a – Berenice”. Mi sono offesa, non mi piace che si parli di lui in questi termini, l’ho presa decisamente sul personale e, oltretutto, mia madre è una che spesso, purtroppo, spara giudizi solo per il gusto di darmi fastidio: è dispettosa, si diverte a stuzzicarmi…
Chissà da chi hai preso, eh!?
Taci, uccellaccio!
- Eddai, non farti pregare…-
- Davvero, su face non ce l’ho… vi prego…-
Le tre Arpie mi guardano truci, brandendo uno sguardo di crudele sadismo che mi procura uno spasmo intestinale non indifferente: sono riuscite a farmi venire la nausea.
- Che lavoro fa?- Mi incalza mamma con un tono un poco più dolce.
Ecco, adesso che gli dico? Insomma, dire loro che fa l’attore è quanto di più controproducente possa esistere: in primo luogo, perché potrebbero prenderlo per un altro di quegli artistoidi che mi piacevano tanto e che mi hanno fatto versare non poche lacrime; in secondo luogo, se aggiungo che è un attore famoso non avrò più scampo e mi toccherà andare a googlarlo, cosa, questa, alquanto deprimente…
- La verità!- Cazzo, ma mamma c’ha il radar, se ne accorge dal viso che sparo fregnacce, accidenti!
- Oh, e va bene… aspettate, ve lo faccio vedere- Borbotto, accendendo il computer con uno sguardo imbronciato e spazientito, maledicendo Tom che ha avuto la brillante idea di chiamare a casa e me che ho avuto la geniale trovata di dargli tutti i miei recapiti telefonici.
- E’ un principe?- Trilla Carlotta, saltellando tutta eccitata: beh, non c’è andata lontana, anche se, talvolta, anzi spesso, sembra più una tarantola dispettosa che altro.
Digito il nome e non ho neanche il tempo di scegliere una delle tante foto che gli rendono giustizia che quelle tre elefantesse mi spostano di peso e si radunano attorno allo schermo, gli occhi fissi sulla pagina.
Beh, dopo questa io posso andare anche a scolarmi l’intera bottiglia di tequila comprata per lo scorso capodanno e lasciarle a crogiolarsi nei pettegolezzi…
- E’ un attore quindi…- Constata mamma, avvicinandosi ancora di più all’immagine.
- C’è scritto-
- Beh, amore, de gustibus... E’ proprio da te- Perfetto, non le piace… COSA!?
- Ada, non è vero. E’ un bell’uomo, molto inglese- Mi dà man forte zia, facendomi l’occhiolino.
- Ve beh, deve piacere a lei mica a me. Ha una voce meravigliosa però e sembra simpatico… comunque mi piace di più quell’attore che ha recitato nel film con la tua attrice preferita…-
- Chi? Bradley Cooper?-
- Sì, sì, proprio lui. Magari te lo presenta!-
- MAMMA!- Strillo indignata: quella donna è proprio una svampita, vive totalmente in un’altra galassia, solo lei riesce a uscirsene con frasi del genere.
- Scherzavo, perbacco, quanto sei permalosa!-
- Bernie- Mi chiama mia cugina, la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite – Tu mi stai dicendo che il tuo Tom è Tom Hiddleston, alias Loki, alias Enrico V, alias un gran fico?-
- Sì, è lui. Ma da quando sei una fan?-
- Guarda che potrei farti anche io la stessa domanda, visto che io leggo i fumetti e tu no- Mi fa notare, giustamente, Carlotta assottigliando lo sguardo – Sono un po’ gelosa-
Le do un bacio sulla nuca e le scompiglio i capelli con fare affettuoso: meno male che c’è lei.
Bene, adesso posso tornare di là e farmi una meritatissima scolata di liquori, soprattutto di tequila, perché l’essere sopravvissuta a queste tre è un’enorme conquista, altro che lo sbarco sulla luna.
Mi sto avviando, fischiettando, verso la porta della mia camera, lasciando le mie donne preferite a confabulare quando, ahimè, perché le sfighe vanno sempre in coppia, un commento di mamma mi fa gelare il sangue nelle ossa.
- Gesù, Bernie! Ma qui ti sta praticamente mangiando la faccia…però, bel vestito! Oscar, non è vero?-
E no, non stava parlando di Oscar Wilde!
 

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Capitolo 16
*** CAPITOLO 9 - Parte II ***


Capitolo 9
Parte II
Home sweet home che diventa un po' meno sweet se tu non ci sei: 
come barcamenarsi tra parenti impiccioni e foto sul giornale
Manuale d'uso!


 

- Vuoi un cookie?- Mia nipote alza una manina paffuta verso il biscotto che tengo tra le mani, gonfiando le guanciotte per lo sforzo di acciuffarlo.
- Te ne sei già mangiati tre, un altro e diventerai una piccola mongolfiera- Alice apre la boccuccia, tendendo il collo verso l’alto, come per cercare di raggiungere la mia mano.
E’ così tenera, come si fa a dirle di no? Con tutti quei boccoli biondi e gli occhi così simili ai miei… non riesco a resisterle. Mi devo arrendere, è troppo buffa.
- Va bene, va bene. Ma non dirlo alla mamma o prima uccide me, poi ti mette al forno con le patate scambiandoti per un pollo grassoccio- Glielo porgo e lei, tutta eccitata, squittisce, battendo le manine, per poi portarsi il suo trofeo tra i denti, vorace e famelica, impiastricciandosi tutto il vestitino appena regalatole dalla nonna.
- Aly, sei una frana per queste cose, e io che mi ero tanto raccomandato… adesso saranno in due a cazziarci- Già me le vedo mia madre e mia sorella Sarah: braccia sui fianchi la prima, dito accusatore la seconda, a ricordarmi di quanto certe volte sia proprio un bambino, peggio delle mie nipoti, l’una di tre anni, l’altra di appena uno, elencandomi l’intero manuale del buon genitore, rimproverandomi con velate frecciatine, mia madre specialmente, quanto sia in ritardo sulla tabella di marcia.
Quelle due non vedono l’ora di accasarmi.
Quando sono entrato a casa oggi, per il pranzo di Natale, la prima domanda è stata: “allora, la ragazza? Come si chiama… Bernie?”. Non “Buon Natale, amore”, “Ciao fratellino, da quanto tempo!”, “Lo vuoi un cookie?”. No, mamma e Sarah sono andate dritte al punto, senza troppi giri di parole: sembravano due agenti della CIA, altro che.
Emma si è limitata a lanciarmi un’occhiata eloquente, continuando a reggermi il gioco, da brava sorella piccola quale è: sono molto legato ad Emma, malgrado la differenza di età, siamo molto simili e ci capiamo al volo, semplicemente con uno sguardo. Sarah mi ha fatto da seconda madre nel periodo più brutto. Per tutti, “la cosa” (divorzio è un termine tabù) è stata la fine dell’infanzia, o meglio, dell’idillio infantile, ma per Sarah, già grandicella all’epoca, è stato molto più difficile: supportare mamma e badare a noi, non tutti l’avrebbero fatto e per questo l’ammiro molto.
Comunque, tornando a noi, “argomento Bernie”: che fare?
Pensando a quanto la mia scimmietta ami la sua privacy sono rimasto piuttosto sul vago, evitando accuratamente domande dirette e suscitando il disappunto e la delusione delle mie “capo famiglia”, decisamente curiose di ricevere qualche particolare in più.
Tutto a tempo debito, già Berenice mi ha detto chiaro e tondo di avere il terrore di incontrare le mie sorelle, se ci mettessi in mezzo anche mia madre sospetto scapperebbe a gambe levate oppure le verrebbe una sincope…
Che esagerata! Mia madre non è così terribile, anzi, è sempre tanto dolce con tutti e con le mie precedenti ragazze è sempre stata cordiale e per nulla invadente, del resto, con due figlie femmine e la sua personale esperienza, sa bene come comportarsi. E’ vero, magari alla prima occhiata, può sembrare severa e puntigliosa (in realtà lo è, ma solo con noi) e può incutere qualche timore, però poi si scioglie subito e regala dei bellissimi sorrisi.
Mi erano mancati i sorrisi di mia madre, quando mi ha aperto la porta e le si è illuminato il viso mi sono venute le lacrime agli occhi: malgrado abitiamo nella stessa città sono rare le occasioni per vedersi, così impegnato come sono. Avere tutta, o quasi, la famiglia riunita è meraviglioso, mi ricorda  quando ero bambino.
Certo, se ci fosse Bernie avrei raggiunto la perfezione, però sono una persona che ama godersi ciò che ha, cercando di vedere il lato positivo di ogni situazione. Berenice mi manca, molto, sentirla al telefono ieri è stato un pallido sostituto della sua voce, ma, dall’altra parte, sono contento sia tornata in Italia e stia trascorrendo un bel periodo con la sua famiglia e i suoi amici. Tornerà, lo ha detto lei, in qualsiasi circostanza ci ritroveremo…
- Ah, bambina mia, l’amore!- Sospiro rivolto alla bimba, prendendola tra le braccia e guardandola negli occhi – Quella scimmietta mi ha intasato il cervello! Vedrai tu quando ti innamorerai- Alice non capisce, sospetto non abbia colto neanche una parola di tutto il mio discorso, e ora mi guarda come si guarda un folle. I bambini, malgrado ciò che si dice, sono molto perspicaci e forse più concreti di noi adulti: loro hanno un futuro da costruire, tutto è meraviglia, noi adulti sogniamo per completare un qualcosa che è già in fieri. Ci immergiamo nei sogni per evadere, i bimbi non ne hanno necessità perché è come se ci vivessero in un sogno.
- Allora sei innamorato!-
Regola numero uno: quando vai dai tuoi e, soprattutto, hai una mamma che non vuole altro che sapere qualcosa in più sulla donna che frequenti, evita di parlare ad alta voce.
Regola numero due: quando sei a casa dei tuoi e tua sorella grande è uscita con marito e l’altra figlia, mentre la piccola schiaccia un sonnellino ristoratore e c’è silenzio, evita di parlare ad alta voce con la tua nipotina di un anno.
Regola numero tre: evitare come la peste di urlare in una casa deserta che sei innamorato! Ci potrebbero essere mamme in agguato.
Volto, inorridito, il viso verso mia madre che ora mi guarda con un sorrisetto compiaciuto e gli occhi ridotti a fessure, della serie “adesso non c’è nessuno che può aiutarti, sei solo e, in particolare, sei MIO”.
Deglutisco, abbassando il capo con aria colpevole, passandomi una mano sulla nuca con fare imbarazzato: Dio! Sembro regredito ai 15 anni quando la tua famiglia apprende della perdita della tua innocenza stappando bottiglie di champagne!
Infatti, datti un contegno, tanto lo sai che tua madre non la puoi fregare: quante volte te lo devo ripetere?
Non sento, non ti sento…
Coglione, sei un uomo, esterna i tuoi sentimenti e…
Lalalalalala, non c’è nessuno, nessuno sta parlando, lalalalala
Ecco, ce lo siamo giocato, è impazzito del tutto!
Mamma si avvicina, sedendosi sulla poltrona ai piedi della quale ci siamo Alice ed io; mi dà una carezza affettuosa sulla guancia e prende a giocare teneramente con i miei capelli, come quando ero bambino; sospiro rassegnato ma, in fondo, felice di questo momento di intimità da condividere solo con lei (mia nipote non fa testo, neanche sa parlare!).
- Allora, raccontami un po’- Mi sprona lei con dolcezza, piegando le labbra in un sorriso delicato.
Le sorrido di rimando, lasciando che Alice barcolli, malferma sulle gambe, verso i suoi giocattoli disseminati sul pavimento – Che vuoi sapere?-
Mamma solleva gli occhi, portandosi una mano sotto il mento, riflettendo  – Beh, considerando che Luke mi ha già rivelato qualcosina possiamo benissimo saltare la parte in cui mi descrivi fatti e circostanze e traiamo le conclusioni -  Scherza, facendomi ricordare che, come prima cosa dopo le feste, dovrò scrivere un annuncio per la selezione di un nuovo pubblicist: eccheccacchio Luke, perché non ti sai tenere un cecio in bocca?
- Un aiutino da casa?-
Sospira – Ti innamori dopo un anno e passa e non hai nulla da dirmi? Da quando sei diventato così riservato?-
Colpo al cuore.
In effetti mia madre non ha tutti i torti. Sono una persona espansiva che ama raccontare e parlare, soprattutto se si tratta di cose belle: Berenice è una cosa bella, da dove viene dunque tutta questa ritrosia? Quella introversa è Bernie, non io…
Improvvisamente mi rendo conto di avere una gran voglia di esternare ogni cosa, come se un tappo che mi ostruiva si fosse sciolto: non è un crimine essere felici e se un po’ della tua felicità può raggiungere e far sorridere il prossimo allora ben vengano le parole. Voglio proteggere Bernie e difenderla, rispettandola e accogliendola in tutte le sue sfaccettature, ma, proprio per questo, non posso assecondare le sue paure, anzi, devo cercare di liberarla. E’ una persona così bella e profonda che ha il diritto e il dovere di farsi conoscere e apprezzare: mi ero ripromesso che l’avrei aiutata a spiccare il volo e devo restare fedele a me stesso.
- Hai ragione. E’ che lei è piuttosto riservata, insomma, è una gran fatica tirarle fuori le cose di bocca…- Spiego, cercando nel suo sguardo un qualche segno di “perdono”.
- Capisco- Dice con fare indulgente – Deve essere una ragazza speciale, allora, per toccarti così…-
- Oh, lo è. Magari è un po’ bisbetica e “tragica”, se capisci cosa intendo, ma, mamma, ha degli occhi! Uno sguardo così profondo non l’avevo mai visto…-
- Immagino abbia stuzzicato il tuo istinto agonistico, se capisci cosa intendo…- Prosegue, facendomi l’occhiolino.
- In un certo senso è così. Non pensavo mi sarei mai innamorato di una persona del genere: solitamente mi piacciono ragazze allegre e solari, spontanee. Berenice è come se fosse imprigionata, si è eretta una muraglia immensa attorno per difendersi, per paura di essere ferita però, così facendo, non ha fatto altro che soffocare se stessa. Crede di essere qualcosa che non è. Ha una personalità così ricca di sfumature che ogni giorno è una sorpresa: mi piace molto l’idea di scoprirla, forzarla e conoscerla, cercando di arrivare alla vera lei, perché, quando la trovo, quando si lascia guardare è uno spettacolo meraviglioso-
Chiudo gli occhi e poggio la testa sulle sue ginocchia, sentendo il cuore espandersi sempre di più: è dolcissimo accorgersi di quanto una persona ci sia entrata dentro, nella pelle, lasciandosi dietro un segno indelebile. La conosco da poco, ma non posso fare a meno di pensare che tutta questa felicità e serenità sia dovuta a lei, alla mia scimmietta.
- Da quand’è?- La voce di mamma giunge come lontana, un poco incrinata. Mi sollevo, guardandola, scorgendone gli occhi un po’ lucidi: mamma è una tenerona, si commuove per tutto, proprio come me.
La abbraccio – Perché piangi?-
- Beh, è da tanto che non ti vedo così. Insomma, sono orgogliosa di te e del tuo lavoro, ma… guardati, sei un uomo nuovo!-
- Così mi commuovo pure io, accidenti!- Ridiamo forte, con Alice che si unisce a noi, battendo le manine contenta e zampettando verso di noi, pronta per essere presa in braccio.
- Vedi? Anche lei è curiosa di sapere…-
- Che?-
- Da quand’è che la ami?-
Udite! Udite! La voce della verità!
Oh, su! Mamma tende sempre a esagerare…
Però ci azzecca sempre
- Oddio, amore… sono innamorato ma…-
- Beh, se non ora, sei comunque sulla buona strada per esserlo- Mi dà un bacio sulla fronte, poi si alza, sollevando la bambina che si stropiccia gli occhi con fare stanco. Evidentemente è l’ora del pisolino.
- Andiamo Alice, vedrai tu quando sarai innamorata, ti “rincretinirai” come tuo zio-
Ridacchio, guardandole sparire ai piani superiori: che tipa che è mia madre!
Il telefono vibra, lo prendo dalla tasca e guardo lo schermo, mentre un sorriso enorme mi si disegna sul volto, sentendo una forte scarica di adrenalina afferrarmi il corpo: quando si parla del diavolo…
. Tesoro!
. Tesoro un cazzo, Tom! Hai visto i giornali ultimamente?
Sembra agitata: oddio! E se fosse scoppiata una guerra in Italia e non le dessero più il permesso di partire!?
No, dico, ma ci sei o ci fai?Una guerra! Non siamo mica nel 14-18!
Che ne sai?
Non ho più parole, ma solo parolacce.
. Ehm, no, in realtà. E’ successo qualcosa di grave?
Una pausa…
. Scusami. Sono un’esagerata maniaca, perdonami. Non volevo spaventarti è che…
. Cosa, dolcezza?
Visto e considerato che, il più delle volte, l’essere razionale tra i due sono io, devo cercare di mantenere la calma: Bernie parte in quarta e spara a destra e a manca senza pensare. Non posso non provare un certo fastidio in questi suoi modi bruschi. E pensare che, fino a cinque minuti fa, ne stavo tessendo le lodi! Fa nulla, sono zen, sono tranquillo e rilassato e quando mi avrà svelato l’arcano mi farò quattro risate, ne sono certo: la scimmietta riesce a mettermi allegria anche in questi frangenti.
. Ecco… su internet girerebbero certe foto
Attimo di smarrimento prima del doloroso apparir del vero: di che diamine sta parlando? Foto nudo non ne ho fatte, se non si considerano quelle di scena, e da un po’ di tempo a questa parte l’unica che ho baciato è stata lei, quindi…
Cazzo!
. Di noi due?
.
. In atteggiamenti intimi?
. Abbastanza
. Siamo nudi?
. No! Certo che no…
Sospiro di sollievo e il mio volto si apre in un sorriso . Ah, va beh! Allora tutto a posto!
. Stai scherzando? Praticamente mi stai divorando le labbra e hai una mano sotto l’orlo del vestito. Tom, io quelle mani te le taglio!
. Eheheh, poi come faresti? Ti piacciono troppo le mie mani per potertene privare, soprattutto quando facciamo l’amore, ti piace succhiarmi i polpastrelli e…
. Hiddleston!
. Che c’è? Ti sto mettendo in imbarazzo? Ah, mia cara signorina, io adoro farti arrossire, mi eccita tremendamente…
. Ti sto per chiudere il telefono in faccia
Borbotta, mal celando un certo compiacimento e un’ombra di risata; lo so che le piace essere stuzzicata in questo modo, la sua ritrosia e pudicizia sono una maschera, un gioco birichino che serve solamente ad accendere entrambi. Anche ora, so che sta flirtando. Dio, quanto vorrei averla qui, quanti baci le darei!
. Sei un tigrotto birichino, lo sai vero? Lo fai apposta, mi stuzzichi e non sei qui, così sono costretto a tenermi la voglia, ti fai desiderare: come faccio? Magari potrei trovarmi qualche distrazione nel mentre…
. Fallo e ti taglio ben altro, ricordati che sono italiana e vendicativa
Ridiamo entrambi, lasciando che la nostra allegria ci contagi e ci unisca malgrado la distanza. Questo è proprio ciò che adoro dello stare con lei, non si riesce a non ridere o a rimanere arrabbiati per più di cinque minuti: allegria, sorrisi, scherzi, questo è ciò che è importante in una coppia.
. Tooom!
Piagnucola la scimmietta con tono infantile
. Bernieeee!
. Che fai? Mi prendi in giro? Non so come ci si comporta in queste circostanze, insomma, che si fa? Mi devo nascondere?
. Luke suggerirebbe un travestimento…magari ti potresti fare bionda. Uhmmm, no, bionda no, non vado matto per le bionde… Ho trovato! Potresti tingerti di rosso, come Scarlett, però non come in The Avengers, come in Iron Man 2. Sì, perfetto, dirò a Luke di chiamare Liz e…
. SEI PAZZO! IO QUELLA SOTTOSPECIE DI HIMMLER VERSIONE DONNA MENO LA VEDO E MEGLIO E’. POI TI PARE CHE PARLI DELLA TINTA DELLA JOHANSSON?
. Beh, le stava bene, mi piaceva. Il rosso è sexy
. Bravo, allora trovatene una rossa, oppure vai direttamente dalla testè citata Scarlett: guarda che le ho viste le foto, ti piaceva abbracciarla, eh!?
E’ dolcissima quando fa la gelosa, mi fa impazzire sentire questa sua brama di possesso nei miei riguardi, se potessi averla qui non so cosa le farei. Già me la vedo, con le guance rubizze, gli occhi lucidi e il petto affannoso che si alza e si abbassa deliziosamente, mentre gesticola accorata e agitata; davvero uno spettacolo meraviglioso e, soprattutto, eccitante (per non essere volgari).
. Sì, mi piaceva abbracciarla, era così morbida
. Tuutuutuu
. Bernie?
. Questa è la segreteria telefonica di Berenice Minardi, qualora a chiamare sia Tom “mani- piene- di -dita - ossute- e- inopportune” Hiddleston la preghiamo di andare a quel paese e di rimanerci, perché la proprietaria del telefono non ha intenzione di starla a sentire, preferirebbe assistere alla castrazione di un gatto. Per tutti gli altri, soprattutto uomini ora che la cliente è libera, parlino dopo il segnale acustico. BIP
. Bernie!
. Allora, non hai sentito la mia segreteria telefonica? Pussa via, dispettosa tarantola inglese
. Sei uno spasso, dolcezza. Vorrei tanto stringerti: lo sai che adoro solo le tue ciccie
. Tse, ruffiano
. Dai, fammi un sorriso
. Ma tu non lo puoi vedere. Oh, amore quanto mi manchi
Amore… l’ha detto in italiano, ma il succo è quello e,forse lei non lo sa, ma un poco di italiano lo capisco. Non ci posso credere, ho il cuore a mille.
. Cosa hai detto?
. Oh, ehm, che mi manchi!
. Prima
. Che non puoi vedere se sorrido
. Al centro
. Quanto sei dispettoso! Ho detto amore, contento? Mi è scappato
. Me lo sussurrerai ancora quando ci rivedremo?
Silenzio e sospiro, credo si stia rendendo conto dell’enorme passo che sta compiendo e adesso, prego con tutto me stesso che lo faccia questo passo, perché sono pronto ad accompagnarla ovunque questo ci porterà.
. Sì, lo farò, ma in italiano, perché in inglese mi risulta difficile
. Puoi dirmelo anche in aramaico se ti fa piacere
Sento la sua risata dolce al di là della cornetta e mi si riempie il cuore, emozionandomi al pensiero delle sue labbra tumide vicino al mio orecchio che mi sussurrando quella melodiosa parola mentre facciamo l’amore.
. Quando torni?
. Domani chiamo in agenzia e vedo se riesco ad anticipare il volo, ma non so, non credo ci riuscirò
. Va bene. Tesoro, per le foto non devi preoccuparti, non succede nulla, ad ogni modo, se ti fa star più tranquilla, qualora me lo chiedessero farò il vago, d’accordo? Poi, quando torna Luke gliene parlerò
. Perché? Luke dov’è?
. Con la famiglia, non ho capito bene dove, l’ultima volta che l’ho sentito era ubriaco
. Ahahah, Luke ubriaco deve essere uno spasso
. Lo è
. Grazie, Tom. Sei riuscito a rasserenarmi! Come farei senza di te!?
. Bella domanda, la stessa che ti potrei porgere io
Ha sorriso, so che lo ha fatto, la vedo lì, magari seduta sul suo lettino di ragazza, piegare le labbra all’insù, abbassare lo sguardo e arrossire: quanto mi manca…
. Ci sentiamo domani, amore?
. Sì, tutti i giorni, amore
 
 
- Luca! Mi stai stressando. Datti una calmata!
- Una calmata? Stavamo per fare un frontale! Bernie, la freccia… oddio, lo stavi per mettere sotto, stavi per mettere sotto quel povero motorino!
- Colpa sua, si poteva togliere dalle palle prima, eccheccacchio! Sta città è impossibile, un inferno guidare.
Già, proprio un incubo. Ma di chi è stata l’idea di andare a Trastevere di 26 sera? No, perché tutti e dico tutti hanno deciso di venire qui e di farsi una bella passeggiata: che trovata originale abbiamo avuto!
Tutta colpa di Betta e della sua dannata tradizione di voler andare alle bancarelle di Piazza Navona, insomma, sono praticamente 26 anni che ci andiamo; anno dopo anno, ripropongono sempre le stesse cose, ormai dovrebbe saperle a memoria. Poi mi costringono a prendere la macchina, a me, che sono anni che non guido per più di due mesi all’anno e non necessariamente di seguito, senza contare poi che ho Luca di fianco, un angosciato paranoico peggio di me e quell’altra sciagurata che ha deciso di improvvisarsi dj: la mia macchinina blu è diventata una discoteca ambulante!
- Betta, abbassa ‘sta porcheria!
- Dai che ti piace pure a te, il 31 voglio andare a ballare, assolutamente.
- Beh, si potrebbe fare!
- Luca, tu odi ballare, ce la farai una volta nella vita a dirle di no? Betty, sai che a Capodanno si paga un fottio?
Esatto, sessanta euro, se non di più, per ballare è un crimine, soprattutto perché Elisabetta sceglie sempre i locali fighettini: che parolina che è!
Comunque, ora, a mezzanotte, stiamo tentando di percorrere il Lungo Tevere che, attualmente, sembra più una bolgia infernale che altro, per andare a raggiungere quegli altri due scempiati di Edo e Ale che ci aspettano a Villa Borghese. Sono partiti dopo di noi e sono già arrivati (Edo mi sta tartassando di squilli), ma i furbetti stavano in motorino, mica come noi poveri mortali.
Ditemi che non state andando a fare quello che penso voi stiate andando a fare…
Un’orgia?
Oh- mio- Dio! Lolita, sei tornata?
Allora?
Eh va bene! Ci stiamo andando a infrattare per farci una canna, contente?
Io no!
Io sono allibita invece, tra pochi giorni compi ventisei anni, ventisei e ti comporti come se ne avessi dieci di meno.
Non mi ricordare che sto invecchiando!
Già, solo noi con un freddo polare possiamo andare di notte a Villa Borghese per farci una canna: patetico? No, di più.
La canna ha uno strano effetto su di me perché prima inizio a ridere come un’ebete, sparando teorie strampalate, sebbene geniali, che, puntualmente, vengono confutate e bistrattate, poi, quando l’effetto diminuisce, ecco che pian piano la mia coscienza serpeggia sino alla superficie, costringendomi a rivedere le mie priorità con esistenzialistici discorsi edificanti sulla vacuità di simili metodi di divertimento. Insomma, complicata quando sono sana (mai, ma fa nulla), arzigogolata all’ennesima potenza sotto l’effetto di stupefacenti.
- Quando torni a Londra?- Chiede Betta, seduta sul sedile posteriore, lasciandomi un bacio alla fragola sulla guancia: odio viscerale portami via.
- In teoria il 4 ma sto cercando di tornare prima… oggi ho sbroccato a una delle assistenti di volo, insomma mi puoi chiedere 400 euro per lo scambio di un biglietto?-
- Beh, Bernie, sì, è normale. Per quando lo volevi? –
- Il 31-
- Nooo!-
- Allora, che pretendi?-
- Dai, Lu, andiamo, è un furto bello e buono, uno schiaffo alla miseria. Poi, san Socrate, l’Alitalia sta con le pezze al culo e spara ‘sti prezzi-
- Sì, ehm, si chiama legge di mercato Ninni, non puoi farci niente-
- Che palle ‘sto mercato! Dovremmo smetterla di farci imbottire da questa ideologia liberal- capitalista piccolo borghese! Insomma, appurato che l’economia finanziaria non funziona, perché qualcuno non si fa uscire una nuova teoria simil – keynesiana? Staremmo tutti molto meglio-
Luca e Betta scoppiano a ridere, facendomi imbronciare: che ramarri senza coda che sono! Per vendetta, sterzo bruscamente, avvicinandomi pericolosamente ad un’altra macchina e scaraventando la mia amichetta al lato opposto (così imparano, lo sanno che sono vendicativa).
- La prossima volta guido io, ok?- Ansima Betta, tenendosi una mano sul cuore.
- Non esagerare! Io non ho mai fatto un incidente in vita mia, tu, invece, a quanto sei arrivata, cinque?-
- Otto –
- Otto? Mio Dio, sei un pericolo pubblico-
- Lo so, lo so. Ma andavo di fretta, mi avevano chiamato per un’urgenza in ospedale-
Luca ed io ci guardiamo intensamente, mentre lui fa un cenno di diniego e mima con le labbra un “non è vero, è pazza”, infatti, come sospettavo, a Betta piace edulcorare la realtà, è fatta così.
Lo dico sempre, se non ci conoscessimo dalle elementari e non fossimo cresciute insieme probabilmente mi sarebbe stata sapientemente sulle palle, tutta perfettina e anche un po’ arrogante e prepotente, ma, come si dice, la storia non si fa con i se e con i ma, perciò eccoci qui, insieme, vedendoci come sorelle separate alla nascita.
- Comunque, Bi, perché te ne vuoi andare così presto?-
Luca, tu un pacco di uhm tuoi mai ve’? Maledizione, Betta è una pettegola di dimensioni esagerate, dillo a lei e altro che internet, la notizia giungerebbe anche su pianeti sconosciuti.
- Sì, infatti, Bi! Non te ne andare, dai- Mi prega la mia amica, sbattendo le ciglia e facendo le fusa come una perfetta ruffiana quale è.
- Così, ho del lavoro da sbrigare…- Rispondo vaga, roteando gli occhi in quella che vorrebbe essere un’espressione di noncuranza ma che invece mi rende ancora più colpevole ai loro occhi: devo chiedere a Tom di farmi un corso accelerato di recitazione, sparare fregnacce non è il mio forte, mi si legge in faccia quando mento. Questo, da una parte, è una cosa positiva, un deterrente che scongiura sul nascere ogni mia volontà di menzogna (per non parlare dei dannati sensi di colpa, soffro enormemente per i sensi di colpa e questo mi frega anche perché, non so come, tutti conoscono questa mia debolezza, soprattutto Betta… vedete cosa succede ad aprirsi con gli altri?); dall’altra però questa mia incapacità mi causa non poche figure barbine, nonché gastriti nervose che sono la gioia di ogni gastroenterologo che si rispetti.
- Luca?-
- Sì, Betta?-
- Facciamo finta di crederci?-
- Sì, ma solo perché è Natale e tra un po’ è il suo compleanno-
- Secondo me c’entra un uomo!-
Appunto, cosa vi avevo appena detto? Sparare cazzate non sarà mai il mio mestiere, esattamente come la matematica.
 
 
Puzzi di canna che accori!
Cornacchia, British school, eh?
Già, a Brunilde è caduta la corona, ihihih
Che fai? Adesso sei dalla sua parte? Traditrice!
Sdraiati su un prato umido, vicino a Piazza di Siena, a formare un cerchio perfetto con le nostre teste che si toccano, il mitico gruppo, ormai sulla piazza da almeno 20 anni, è di nuovo riunito, proprio come ai vecchi tempi.
Fa freddo e l’umidità penetra nelle ossa come lame affilate, ma non me ne curo molto, un po’ perché il “fumo” sta facendo il suo corso e un po’ perché ritrovarmi qui, nella mia città, con le persone a cui tengo di più al mondo mi dà tanta serenità e, per la prima volta, questa serenità non è ammantata di malinconica nostalgia. Sento solo pace e silenzio nella mia mente (senza contare i “due corvi” ma tanto ormai lo so che soffro di sindrome da personalità multipla, ci ho fatto l’abitudine) come mai avevo provato in vita mia e il motivo di ciò mi fa sorridere: Tom.
Se finalmente mi sento bene è solo per lui, solo perché so che non sono più sola…
Gli anni scorsi pensare di dover tornare in Inghilterra mi metteva un’angoscia enorme: non fraintendetemi, adoro vivere a Londra e sono soddisfatta della nuova vita che mi sono costruita. Prima di Tom,però, ero solita vivere di ricordi e di fantasie: ho sempre avuto la tendenza ad evadere in un mondo tutto mio,solo mio, e separarmi da ciò che mi era familiare, all’epoca, mi gettava nello sconforto.
Adesso no, adesso sono pronta a custodire i ricordi, le cose più preziose che ognuno di noi ha, elaborandoli per edificare nuove fondamenta, per evolvere. Certo, la mia famiglia, i miei amici (fratelli, essendo figlia unica, loro sono a tutti gli effetti parte di me) mi mancano e mi mancheranno sempre, ma ora sento crescere delle radici, tenere e fragili come ogni cosa nuova, che hanno bisogno di amore, cura e che, e adesso non fa più male ammetterlo, mi stanno conducendo in un’altra direzione che diverge rispetto a quella degli altri.
E’ giusto che ognuno abbia la propria vita, è la normalità, ma ciò non significa che le nostre strade non possano incontrarsi e ritrovarsi, non sarà più come prima, in effetti è da un po’ di tempo che non lo è più, però siamo l’uno parte della vita degli altri, siamo nella pelle e nel sangue, per quanto lontani andremo, ci ritroveremo sempre, lo so.
Sono sempre stata una persona molto selettiva in fatto di amicizie, la fiducia è la cosa più preziosa che posso donare, e non è facile far breccia nel mio cuore; forse è per questo che le mie amicizie si possono contare sulla punta delle dita, quando ero piccola ci stavo male, sarà stata la voglia del “branco”, chi lo sa, poi, con l’andar del tempo ho capito che mi andava bene così, che era giusto: trovo che l’essere attorniati da “estranei”, con più conoscenti che amici, sia una cosa pietosa stricto sensu. Provo compassione per la gente che si circonda di presenze effimere e superficiali, tutta esteriorità e nessuna sostanza: che senso ha? Almeno io, se ho bisogno di conforto, ho l’imbarazzo della scelta perché so che tutti  i miei amici mi supporterebbero, ma quanti possono dire lo stesso?
Tom è diventato una certezza, forse la più importante, ma è presto dirlo.
So che dovrei buttarmi di più con lui, per lui, ma già i passi che ho fatto sono per me un’enormità e non voglio assolutamente affrettare i tempi: se voglio liberarmi della corazza devo farlo per bene e devo essere sicura.
Che sia innamorata è fuor di dubbio! Ma l’innamoramento passa in fretta o comunque è solo una fase… l’amore è un’altra cosa, più solida sebbene meno tangibile dell’innamoramento, insieme di ormoni pazzi e ghiandoline iperattive, l’amore, invece, lascia un segno, nel corpo e, se mai esiste, nell’anima. Ho paura e al contempo sono entusiasta e curiosa di scoprire le prime impronte lasciate da lui, dai suoi sorrisi, dai suoi baci e dal suo essere semplicemente Tom.
Amore… non credo ci sia termine più appropriato per rivolgermi a lui: l’ho sentito e l’ho detto. E credo di aver fatto bene, era così felice, potevo immaginarlo sorridere al di là della cornetta e io adoro sapere di essere riuscita a dargli allegria e affetto, non c’è cosa che mi appaghi di più (in termini di sentimento, se mi dessero una cattedra a Oxford sarei appagata lo stesso, magari in modo diverso… ok, scusate, il mio lato femminista ha prevalso).
- A cosa state pensando?- Esordisce Alessandro, con la voce impastata di chi si è appena svegliato.
- Ai cento giorni- Risponde Edo.
- Perché proprio ai cento giorni?-
- Bo, mi è venuta in mente la scena di Betta ubriaca che abbracciava i pini, si rotolava per terra e ululava alla luna-
Ridiamo tutti assieme; già, i cento giorni, probabilmente ci siamo giocati fegato, stomaco e polmoni tutti in una volta… non ricordo granchè a dire il vero, so solo che mi sono divertita da morire.
- Vi prego, lì sono stata epica-
- No, sei stata una rompi palle. Ti ho dovuta seguire per tutto il parco perché avevamo paura ti potessi rompere il collo… ad un certo punto hai abbracciato pure me e mi hai baciata… ti rendi conto? Eri assatanata, mi hai addirittura rincorsa-
- E’ vero! Di quello ho pure il video-
- Cosa?- Berciamo in coro Betta ed io, guardandoci intimorite.
- Oddio, Ale, me lo devi assolutamente mandare. Ricattabili, assolutamente ricattabili- Trilla Luca con fare diabolico.
Rimaniamo un attimo in silenzio, guardando il cielo sorprendentemente terso, da cui si intravede anche qualche stella, cosa più unica che rara in una città come Roma.
Ad un tratto Edo alza un dito e lo punta contro il cielo, tracciando una traiettoria invisibile – Avete visto? Una stella cadente!- Esclama tutto contento.
- Secondo me ce l’hai in testa le stelle cadenti, Edo- Sghignazza Ale che riceve, in risposta, una dolorosa gomitata sulle costole.
- Esprimete tutti un desiderio-
- Ehm Betta, non funziona così-
- Dio, Bernie, quanto sei seriosa: forza, su su, esprimete un desiderio-

- Ad alta voce e non mi guardare così, Berenice-
- Laurearmi entro l’anno- Ale
- Vincere il premio Nobel-
- Dio, Lu, quanto sei Nerd…-
- Zitta, Ninni!-
- Io non ho desideri: ho lasciato Gin, mi trasferisco a Londra… ho tutto- Edo
- Assistere a un trapianto di cuore-
- Vedete? Non ho commentato, sono stata brava e non ho detto quello che penso, adesso voglio un biscottino-
- Dai, Bernie, dì il tuo desiderio-
Ci penso un attimo, in effetti, come Edo, non ho richieste particolari, per la prima volta le cose mi vanno bene, sarei arrogante se chiedessi altro… però, insomma, se…
- Beh, se riuscissi a partire prima per Londra, almeno per il primo, mi sentirei appagata-
Mi giro verso Edo che mi fa l’occhiolino e una tenera carezza sulla guancia.
- Uhmmm, guarda, non so se la polvere di stella c’entri qualcosa, ma si dà il caso che io ho un biglietto proprio per quel giorno… sai, un uccellino mi ha detto che sarebbe stata cosa gradita- Fa Ale con un tono che tradisce quanto lui, di tutta la storia, sappia molto più di quanto sia dato sapere.
- Sul serio? Grazie- Trillo contenta.
Potrò fare una sorpresa a Tom, già immagino il suo sorriso: cinque giorni e potrò riabbracciarlo.
- Non ringraziare me, ringrazia il tuo innamorato tradito, sì sì, proprio lui-
Ancora una volta mi volto e incontro gli occhi di Dodo, neri come la notte, brillare di felicità: ha davvero fatto una cosa del genere? Per me?
Lo abbraccio di slancio, stringendolo forte e affondando il viso nel collo, aspirandone il profumo
- Non so come ripagarti- Mormoro al suo orecchio.
- Trovami una ragazza inglese e potrei considerare il tuo debito saldato-
- Ma come facevi a saperlo?-
- Tua mamma mi ha chiamato, visto che sono in contatto con le agenzie di viaggio, e quindi ho pensato di farti un regalo di compleanno anticipato-
- Sei tanto caro, Edo-
- Lo so, non potevi trovare un migliore amico migliore di me-
Ci abbracciamo ancora, stringendoci forte l’uno all’altra, lui ridendo forte e io in preda ad un attacco di lacrimazione acuta da commozione: solo Edo avrebbe potuto fare una cosa del genere, beh anche Tom a dire il vero, ma lui è una cosa diversa.
Se Edo non ci fosse il mondo sarebbe un posto peggiore, di amici così non se ne trovano.
- Bene, adesso che la sorpresa è svelata… ci puoi dire come cacchio hai fatto a metterti con Tom Hiddleston?- Interloquisce Betta che, evidentemente, non riusciva più a tenersi questo enorme segreto dentro.
- Come fate a saperlo?-
- E’ la prima cosa che ci ha detto Edo quando è arrivato- Chiosa Luca, asciutto
- Senza contare le foto che girano sul web! Quelle le ha postate sul gruppo Luca a dire il vero… avevi delle mutandine proprio carine, sai?-
Cosa dicevo prima? “Se Edo non ci fosse il mondo sarebbe un posto peggiore”, beh, rettifico: il mondo sicuramente diventerà un posto migliore non appena lo avrò fatto secco. E sarà una morte lenta e dolorosa, così impara quel barbagianni chiacchierone a sputtanarmi in giro…
UN MOMENTO!
- Hai detto “mutandine”?-
Ah, già che ci sono, amputerò anche le mani di Tom, non si sa mai: c’è il rischio che oltre alle mutande mi si vedano addirittura le tonsille!
E adesso? Già li vedo i titoli dei giornali “Tom Hiddleston e la misteriosa ragazza dalle biancheria di pizzo”…
Come si suol dire in lingua romana : “Mai ‘na gioia oh!”

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Capitolo 17
*** CAPITOLO 10 ***


Capitolo 10
Di malinconie e di primi dell’anno
 
Sono le otto di mattina del 1 gennaio del 2013 e sono ufficialmente sveglia da esattamente 24 ore, tra cinque giorni compio 26 anni e non ho più l’età per fare certe cose…
Se mi dovessi descrivere in una parola mi direi devastata perché quella appena trascorsa è stata una nottata devastante: cenone e mezzanotte con i miei, esco, brindo con gli altri e si va a ballare fino alle tre, usciamo e andiamo a continuare a bere in centro, partita di calcetto al Granicolo con tacchi annessi, alle cinque ci scapicolliamo a casa mia, prendiamo le valige e sfrecciamo all’aeroporto (un miracolo che non ci abbia fermato la polizia), alle sei e mezza faccio il check in, saluto tutti e inizio la lenta agonia dell’attesa.
Siamo appena decollati e cerco in ogni modo di non addormentarmi perché so che, qualora mi addormentassi, sarebbe la fine, devo cercare di resistere fino alle 8 e poi posso sfanculare il mondo e abbandonarmi sul mio comodo lettone a due piazze (se poi c’è Tom con me è anche meglio, ma mi posso accontentare).
Al Piccolo Lord non ho detto nulla, voglio fargli una sorpresa: non vedo l’ora di vedere che faccia farà.
Non ho avuto neanche il tempo di cambiarmi, ho solo sostituito i tacchi con degli stivaletti bassi, per il resto indosso ancora gli stessi indumenti che ho utilizzato per tutta la notte e, ora che ci penso, indosso lo stesso vestitino di pizzo nero che ho messo quando ho conosciuto Tom. Ah, le coincidenze della vita!
Mi piacerebbe perdermi in profonde elucubrazioni sul caso e sul destino ma ho troppo sonno e devo concentrarmi per non chiudere gli occhi, attendendo fiduciosa il passaggio del carrello delle bevande da cui, penso, prenderò più caffeina di quanto sia umanamente possibile…
Come se poi il caffè facesse qualcosa, personalmente, quando ho sonno ho sonno, neanche le cannonate riescono a tenermi sveglia. Sto facendo uno sforzo immane ed è doloroso non poter assecondare il proprio corpo, avverto quella fastidiosissima stretta allo stomaco e la nausea che caratterizzano situazioni di questo tipo, così, tra una pecorella e l’altra che, non so come, saltella oltre un grazioso steccato all’inglese davanti a i miei occhi, mi trovo a compatire Betta e la sua reperibilità in ospedale e i turni di notte.
Ma come fa? Lei è sempre stata quella iper-attiva e gasata anche alle 7 di mattina, però sospetto si faccia di anfetamine, altrimenti non riesco proprio a spiegarmi come riesca a farcela.
Però, riflettendo, chi me lo fa fare? Insomma, chiuderò un po’ gli occhi, solo per riposarli un po’, non mi addormento, certo che non lo farò… magari se queste dannatissime pecore smettessero di zampettare, belando allegre la loro canzoncina, così lenta e delicata, forse potrei anche riuscirci…
 
 
Andare a casa di mio padre mi mette sempre in agitazione, proprio come quando ero adolescente.
Ho un groppo alla bocca dello stomaco che non si decide ad andar via.
Siamo in macchina, le mie sorelle ed io.
Guida Sarah, in fondo, le è sempre piaciuto guidare, sebbene, in quel preciso istante la vedo muovere il volante in maniera rigida, forzata, come se il suo corpo a stento eseguisse i comandi.
Emma è nel sedile posteriore, limandosi le unghie: lo fa sempre quando è nervosa per qualcosa. Il suono stridulo mi penetra nel cervello come un martello pneumatico, ma va bene così, perché, se riesco a concentrarmi su di esso, non penso al resto e a ciò che ci attende.
Insomma, non stiamo andando al patibolo, ma papà è stato sempre il più severo, il più intransigente ed è comunque passato il tempo in cui mi guardava, un poco deluso, cercando di capire cosa avessi nella testa, perché avessi deciso di intraprendere quella strada quando avrei potuto avere il mondo ai miei piedi.
Pochi anni fa ero quasi sul punto di gettare l’orgoglio a terra e dirgli, chiaro e tondo, che forse sì, aveva avuto ragione: i riconoscimenti tardavano ad arrivare e, a vent’otto anni, la strada sembrava essere tutta in salita…
Non l’ho fatto, non l’ho mai fatto, mi bastava guardare i suoi occhi, leggerne il disappunto e il mio spirito agonistico tornava alla ribalta: glielo avrei fatto vedere, gli avrei dimostrato che si sbagliava.
Quando ero giovane il mio unico intento era quello di renderlo orgoglioso, aveva faticato tanto per arrivare dove era arrivato e il minimo che potessi fare era mostrargli che tutti i suoi sforzi, che tutto quello che aveva fatto per noi non era stato compiuto invano. Infondo, Loki ed io non siamo poi così diversi, almeno di base. Non è stato difficile immedesimarmi.
Fatto sta che a un certo punto, non so bene quando di preciso, mi sono sentito soffocare: troppe aspettative pesavano sulla mia testa, troppi progetti che non ero stato io a scegliere. Altri mi imponevano una vita che non era la mia, vestivo una pelle che non mi apparteneva…
Forse è stato in quel momento che sono diventato uomo, il momento in cui ho alzato il capo, ho guardato mio padre e ho detto chiaro e tondo: no!
Alcuni dicono che dire di no sia un segno di maturità, per me è stato uno sforzo immane, un atto di coraggio? No, non credo. Ho fatto solo ciò che dovevo fare, ho compiuto il mio dovere nei confronti di me stesso.
Ancora me le ricordo le urla, le sue parole corrose dalla rabbia e, si sa, le parole dette per rabbia, il più delle volte, non si pensano, ma cazzo se fanno male.
Poi, a dirla tutta, è proprio vero che non si pensano?
L’unica cosa che so è che vanno dritte al punto, toccano i nerbi giusti, scoperti e pericolosamente vulnerabili: mio padre li ha toccati tutti. Li ha colpiti e feriti ad uno ad uno.
Ho compreso, ho analizzato, ne abbiamo parlato e ho anche perdonato, ma, ahimè, non ho dimenticato: perdonare è più facile che dimenticare. La dimenticanza è virtù degli dei, non dei mortali.
Spine, ecco cosa sono, spine ancora incastonate nella carne.
Mi basta guardarlo in faccia, sentire la sua voce e quelle tornano a premere, acuminate e fredde come ghiaccio: un po’ di quelle spine se ne sono andate, altre sono ancora lì e sono quelle più difficili da estrarre.
 
 
Tuutuuutuuuu…
“Segreteria telefonica…”
Fanculo!
Chiudo il cellulare di scatto e lo getto in malo modo nella borsa, sedendomi sui gradini della grande casa bianca di Tom.
Lui, ovviamente, non c’è.
Ho suonato, ho chiamato a casa, al cellulare, ma nulla. Sembra essersi volatilizzato.
Ecco perché ho sempre odiato le sorprese: ci vuole una certa dose di coordinazione, nonché una cospicua botta di culo. Cose, queste, di cui sono sfortunatamente sprovvista.
Ho un mal di testa boia e un sottile quanto crudele disappunto mi scivola nel sangue come veleno, ed è un vero peccato, la giornata è così bella, c’è stranamente il sole. Sarebbe bello se il mio umore si adattasse al tempo, sarebbe decisamente tutto più semplice: sole uguale felicità. Semplice e, forse, anche un po’ superficiale ma chi l’ha detto che la superficialità non sia bella?
Mi piacerebbe imparare a farmi scivolare le cose addosso, invece di andare sempre a sbatterci contro, quasi fossi una macchina demolitrice… peccato che, il più delle volte, sono io a sgretolarmi. Sono anni che mi riprometto di cambiare, mi sforzo, ma questa mia idiosincrasia nei confronti del resto del mondo non aiuta.
C’è una certa profondità anche nella superficie, nelle piccole cose così bistrattate e sottovalutate ma, del resto, mi sono sempre piaciuti i “massimi sistemi”, il quotidiano l’ho sempre snobbato come cosa da poco, perché, paradossalmente, è molto più semplice avere a che fare con la grandezza piuttosto che con il suo contrario: ciò che è minuto necessita di uno sguardo acuto, vigile, ma soprattutto di pazienza, una pazienza delicata e rispettosa. Paziente non lo sono, per questo non ho mai imparato a vivere.
Eccomi, a quasi ventisei anni, che ancora non so cosa voglia dire vivere: mi sono sempre fatta enormi problemi per ogni cosa, ingigantendo ed enfatizzando. La mia vita è un’iperbole, sicuramente perché di problemi, quelli veri, non ne ho mai avuti. Non ho mai sofferto realmente…
Però, per maturare, dobbiamo per forza incontrare il dolore? Ecchediamine! E’ vero che la necessità fa virtù, però potrei anche sforzarmi di crescere senza bisogno di rischiare la vita o perdere qualcuno, no?
No, ancora non hai toccato il fondo. Ci devi ancora sbattere le corna tu… sei fatta così. Vedi? Sei riuscita a imparanoiarti perché non ti risponde. Sei eccessiva e viziata e…
Sì, sì, grazie del riassunto!
Beh, ho fame! Usare il cervello mette appetito.
Però andare a mangiare da sola mi mette tristezza…
Rory è in Galles.
Darcy è fuori con Ian.
Megan è a fare vela in Francia.
Eliot mi sta un po’ sulle palle…
Ma certo! Perché non ci ho pensato prima? Geniale, assolutamente geniale!
Tiro fuori il telefonino, sperando vivamente di non averlo distrutto, vado all’elenco chiamate e cerco; clicco sul tasto e attendo fiduciosa: in fondo sono le undici, sicuramente è sveglio…
. Pronto, Luke? Oddio, ti ho svegliato? Sì, sono Bernie… senti, avevo una proposta da farti.
 
 
E’ un miracolo che sia riuscito ad arrivare tutto intero al suo palazzo.
La sbornia di ieri è stata devastante, sul serio, penso di non aver mai bevuto così tanto nella mia onorata carriera di “bevitore anonimo”.
Avrei preferito godermi il postsbornia nel buio, al calduccio sotto le coperte, però, in definitiva, non me la sono sentita di dirle di no. E poi c’è il sole e quando ricapiterà più il sole a Londra?
Eccola lì, seduta sulle scale a fumarsi una sigaretta, anche lei con gli occhiali da sole ben calcati sul viso e la carnagione cerea a darle un’aria quasi malata: evidentemente è stata una nottata movimentata anche per lei.
Mi vede e mi fa un sorriso felice che le illumina il viso: non faccio fatica a capire perché Tom si sia innamorato di lei. A dispetto di tutto quello che si dice in giro, mi sembra una persona abbastanza allegra. Poi è anche simpatica, un po’ svagata e nervosa, ma simpatica.
C’è il sole, Luke, rammenta quello.
- Ciao- Mi saluta allegra, dandomi un bacio sulla guancia.
- Buongiorno- Rispondo solare, abbracciandola con affetto.
- Ehm, scusami, non volevo svegliarti… non sapevo chi chiamare-
Ma certo, quando qualcuno non sa chi chiamare, chiamano sempre me: Luke, il risolvi problemi e il tappa buchi. Cattivo pensiero, non è da me, saranno i postumi, chi lo sa?
- Oddio, scusa, così pare veramente brutto…-
Deve aver letto la mia espressione, beh, non sono un attore, non so dissimulare bene – E’ la verità, no?- Dico, cercando di non dare a vedere il mio disappunto, con scarsi risultati a giudicare dalla smorfia contrita che fa, però, evita di prendere in mano il discorso e, per questo, la ringrazio.
- Dunque, qualche idea?- Chiedo, prendendo a camminare non si sa bene dove.
- In realtà, sono ancora un po’ scombussolata, non saprei, qualcosa di tranquillo magari- Suggerisce Bernie, affiancandomi.
All’improvviso, non si sa bene da dove, visto e considerato che le mie cellule grigie sono probabilmente state erose dall’alcol, mi balena un’idea… in fondo, c’è il sole…
- Se andassimo al mare?- Propongo.
Sul volto di Berenice si disegna un’espressione interrogativa e sorpresa: beh, cara, è un’isola, di spiagge ce ne sono quante ne vuoi! Sospetto che lei lo sappia ma, posso capirla, venendo dall’Italia credo faccia fatica a considerare “mare” quello che ci circonda, “distesa ghiacciata di H2O salata” penso sia più corretto.
- Però, non è male come idea… è da una vita che non mangio fish&chips. Brighton?-
- Ci sei mai stata?-
- Sì, ricordo che mi era piaciuta, non mi spiacerebbe tornarci-
- Bene- Concludo battendo le mani – E Brighton sia-
Sorride, entusiasta – Perfetto, a patto che guidi io. Mi sento in colpa e voglio rimediare. Ti puoi fare una dormitina, io l’ho già fatta in aereo-
Mi blocco, titubante, non sono molto propenso ad affidarle la mia auto: non ho ancora finito di pagarla. Bernie ride, cogliendo i miei “profondi” dubbi, e mi strappa, letteralmente, le chiavi dalle dita anche se non so bene come ci siano finite lì, forse un gesto involontario.
- Tranquillo, ho la patente e so guidare. Mi chiamano Niki Lauda-
Rido di gusto, lasciandola fare, sebbene non sia molto propenso a crederle: non le darei in mano una bicicletta, anzi, no, un triciclo, figuriamoci una macchina.
- Bernie?-
- Sì- Chiede curiosa
- Il posto del guidatore è dall’altra parte- Celio io sempre più in ansia.
- Oh, che sbadata!- Dice, dandosi una manata sulla fronte.
Ah, Niki Lauda, salvaci tu!
 
 
Bernie si lecca le dita, da brava buongustaia quale è, togliendo dai polpastrelli il sale delle patatine che le irrita le labbra.
Siamo seduti sulla spiaggia, su un telo ripescato dai meandri della macchina, retaggio di una qualche precedente scampagnata; tira vento e l’odore della salsedine sulla pelle è forte e pungente; fa anche freschetto a dirla tutta, ma chissene frega: continuerò a dirlo fino alla nausea, c’è il sole e Berenice è simpatica.
Prendo un sorso d’acqua fresca, bagnandomi la gola e il palato secco: necessitiamo entrambi di reidratarci, così abbiamo evitato di prendere la birra, sebbene con il fish&chips sia “la morte sua”, così ha detto Bernie, in italiano. Non l’ho capito, ma il senso è abbastanza palese, lo si può comprendere dal tono e dall’enfasi che c’ha messo.
- Era una vita che non lo mangiavo. Peccato non l’avvolgano più nel giornale, sospetto non fosse molto igienico, però toglie un po’ di fascino, non trovi?-
Sorrido – Sì, direi di sì-
Porto alla bocca il pesce, assaporandone la consistenza croccante e rumorosa, lasciando che mi si sciolga in bocca. Chiudo gli occhi, perché le cose buone si devono sentire, non vedere, la vista toglie piacere ed è sempre più bello immaginare, dà più gusto e sostanza.
- Luke – Mi chiama con una voce che non riesco a decifrare.
- Uhmmm-
Toglie gli occhiali da sole, puntandomi quegli occhioni blu come il mare vicino a noi, inchiodandomi: per essere una che si definisce timida, sa bene quali armi usare, su questo non c’è dubbio.
- Ti ho disturbato? Mi spiace, non dovevi sentirti in obbligo-
Già, in obbligo no, ma così mi fai venire i sensi di colpa, con quello sguardo innocente e limpido che nasconde una consapevolezza di sé non indifferente. Non so perché sono così tirato, insomma, sono in ferie e lei non è una diva del cinema che deve essere coccolata e riverita; se ha chiamato me, malgrado come ultima spes, ci sarà stato pure un motivo; non sono a lavoro e questa potrebbe essere un’opportunità per fare una nuova conoscenza. Sarà deformazione professionale, ma devo assolutamente smetterla di vederla come la “compagna” di un mio cliente, ma come una ragazza che sta insieme a un mio amico e che mi ha chiesto di uscire e di passare del tempo con lei.
Sospiro: con occhi del genere a fissarti la battaglia è persa in partenza – No, non mi hai disturbato… cioè, mi hai svegliato alle 11 della mattina dopo Capodanno… ok, sì, mi hai disturbato! Mi sento un po’ fuori dal mondo, devo riacquisire la sensibilità del corpo-
Bernie ride, un po’ colpevole e un po’ birichina – Perfetto! Ora che lo so posso sentirmi ufficialmente in colpa. Potrei sdebitarmi con le ultime chips, vuoi le mie chips?- Tende il cartone, sventolandomelo sotto il naso con fare dispettoso, così, decido di stare al gioco.
Le afferro il polso e la strattono, facendole perdere l’equilibrio, cogliendola così di sorpresa, e acciuffo l’agognato tesoro – Affare fatto –
Ha la maglietta imbrattata di sabbia che spazza via con un gesto secco della mano, guardandomi in tralice e borbottando cose incomprensibili.
- Ehi, l’hai detto tu che dovevi sdebitarti. Sei al mio comando…- Affermo soddisfatto, portandomi una patatina alla bocca.
- Beh, dillo che ti piace vedermi spiaccicata per terra. Che c’è, non ti fidavi?-
Ci osserviamo come due pugili sul ring, seri e concentrati… Non duriamo molto perché mezzo secondo dopo ci mettiamo a ridere come due idioti, dimenandoci come tartarughe cappottate e ritrovandoci inspiegabilmente sdraiati, con le teste che quasi si sfiorano.
Lasciamo che respiro e battiti tornino regolari, infiliamo gli occhiali scuri e ci mettiamo a guardare il cielo che ora appare come una distesa azzurra, costellata dal bianco soffice di nuvole paffute.
- Quella laggiù sembra una maschera comica- Dice lei, puntando il dito verso est.
Assottiglio lo sguardo, poi faccio un cenno di diniego – No, sembra più una forma di formaggio-
- Che dici? Oltre all’alcol, ieri, ti sei fatto pure di acidi?-
- A dire il vero non lo so, sai?-
La brezza marina ci avvolge, in lontananza si sente il richiamo di un gabbiano, mentre il suono dolce delle onde assomiglia terribilmente a una ninna nanna, così ritmato e dolce, delicato pur essendo il mare mosso.
- Sei stata da Tom prima di chiamarmi?- Lo chiedo, anche se conosco già la risposta.
- Sì, ho provato a chiamare ma nulla. Avrà da fare, non si è fatto sentire, aspetterò: non vedo l’ora di andare a dormire- E’ un poco stizzita, lo so, ormai, dopo anni a cercare di capire gusti e voglie della gente, sono diventato un asso in questi affari psicologici.
- Oggi andava dal padre-
- Ah –
- Non te lo ha detto?-
Dall’ostinato mutismo in cui si è chiusa devo dedurre che no, non glielo ha detto, e credo che questo la ferisca: in fondo si conoscono da così poco, non può pretendere che lui le dica ogni cosa. Ci sono angoli bui, segreti nelle nostre vite, è lì che si annidano le crepe più profonde, i nostri punti deboli e ci vuole tempo prima che qualcuno possa accedervi.
- Immagino sia una faccenda personale…- Dice amara, mettendosi di scatto a sedere e passandosi una mano sul viso.
- E’ complicato- Devo spezzare una lancia in favore di Tom, se lo merita – Sai che i suoi hanno divorziato, no?-
Fa un cenno affermativo con il capo – Mi piacerebbe sentirmelo dire da lui e non dover essere costretta a leggerlo da Wikipedia-
- Bernie…-
- Oh, lo so, lo so. Non è certo la prima cosa che si racconta, insomma, ad un appuntamento esordire con i propri problemi familiari non è il massimo… siamo solo all’inizio. Razionalmente lo comprendo, ma non voglio che Tom pensi sia troppo debole per sostenerlo… che ci sto a fare altrimenti? Non so, ho paura possa pensare che con lui ci sto solo per il personaggio che veste e non per Tom, quello vero, non l’attore. Lo accetterei anche se dietro tutta quella sua allegria ci fossero solo lacrime e malinconia…-
- Vedrai, piano piano, Roma non si è fatta in un giorno, dovresti saperlo-
Ridiamo, ma è un attimo, poi torniamo seri entrambi.
- Luke, non voglio essere solo la sua valvola di sfogo. La normalità in una vita straordinaria, la regola in un mare di eccezioni… Neanche un cazzo di messaggio, mica pretendevo un papiro recapitato da un piccione viaggiatore, solo un messaggio…-
- Tom non è così. E comunque, che male ci sarebbe? Se pure fossi un barlume di normalità che male ci sarebbe? Non sai quanto quel mondo possa essere un fardello, talvolta anche una maledizione… Tom ha accettato il prezzo e fa buon viso a cattivo gioco, se ha trovato in te un rifugio non vedo perché tu debba reputarla una cosa cattiva-
- In se stessa non lo è, ma ha delle contro-indicazioni… malgrado l’importanza che posso avere, rimango sempre un outsider, un qualcosa che sta fuori… è la distanza che si crea il problema-
La guardo ma non capisco a fondo.
Sospira, estenuata, proprio come se stesse parlando a un bambino testardo e duro di comprendonio.
- Nella buona e nella cattiva sorte, o tutto o niente-
- No, Bernie. Tu vuoi tutto e subito, è differente. Devi avere pazienza: se vuoi il pacchetto completo devi aspettare, tendere le orecchie, accettare ciò che ti dà giorno per giorno. Per adesso, evidentemente, vuole darti solo il meglio, la parte bella della faccenda… accettala, è un consiglio da amico, perché quando verranno i giorni bui, quando tornerà da un set stanco morto, quando vi fermeranno per strada  e non vi lasceranno andare, quando leggerai in giro cose poco gradevoli su di te, quando litigherà con i suoi, quando sarete troppo lontani, così lontani che la mancanza sarà insostenibile… beh, allora sta certa che rimpiangerai questi primi momenti di calma apparente-
Si sdraia di nuovo, appoggiando la testa sul mio stomaco, inforcando di nuovo gli occhiali e prendendo a osservare le nuvole rincorrersi.
Forse ho sbagliato lavoro, dovevo decisamente prendermi la laurea in psicologia e l’abilitazione alla terapia, sono un bravo ascoltatore, sarei sicuramente riuscito bene e, soprattutto, preferisco di gran lunga i depressi che star isteriche e stressate.
- Tu ce la faresti a vivere come fanno loro?-
- No, assolutamente no- Non ci penso due volte a rispondere: un conto è prendermi cura di loro, un altro è stare dentro quel mondo fino al collo. E’ asfissiante.
Ridacchia – Wow, a Tom l’hai mai detto?-
- Glielo ripeto continuamente. La nostra amicizia è nata sul lavoro… però Tom ama ciò che fa e, come ho detto, malgrado tutto, ha accettato volentieri di compiere dei sacrifici e adesso gode dei frutti che ha seminato. Ci vuole coraggio a fare una scelta del genere e a continuare anche quando sembra andare tutto di merda, per questo io lo ammiro molto. Dovresti farlo anche tu-
- Cristo, Luke! Ma come fai? Cazzo, hai mai pensato di fare lo strizzacervelli?- Bercia lei, un po’ infastidita, un po’ divertita.
- Ci stavo pensando giusto giusto ora. Se mi iscriverò di nuovo all’università è solo per merito tuo-
- Non sfottere! Anche perché ho un ego smisurato, ti conviene non stuzzicarlo troppo-
Le scompiglio i capelli, quasi fosse una bambina e, in fondo, lo è, così piccina e così terribilmente ingenua, vergine quasi, buttata per amore in un mondo di lupi.
E’ vero, io non riuscirei a vivere la vita che fanno gli attori, ma, sinceramente, neanche quella dei compagni che rimangono a casa e che aspettano e che li accompagnano deve essere facile. Anzi, più guardo Bernie e più mi fa tanta tenerezza…
Spero solo sia abbastanza forte, per Tom.
 
 
Mi sono fatto lasciare all’inizio della strada: preferivo camminare e schiarirmi le idee.
Forse è per questo che ho smesso di vedere mio padre, perché mi immalinconisce, facendo sì che i piccoli diavoletti blu della tristezza abbiano strada libera per affollarmi la mente.
Sospiro piano, tenendo il capo chino e stringendomi nelle spalle, guardando a terra per non dover essere costretto a incrociare lo sguardo di nessuno perché oggi, ora, non avrei la forza di estrarre dal repertorio uno dei miei tanti sorrisi, quasi fossi un prestigiatore che tira fuori un coniglio dal cappello.
Essere un attore non si concilia affatto con l’essere uomo e questa è una delle dieci verità che impari in fretta quando lavori nel cinema, delle altre nove non so che dire, credo sia semplicemente background culturale e nulla più.
E’ facile essere orgogliosi adesso, adesso che va tutto bene, ma prima? Prima, quando le parti non arrivavano, quando ero ancora l’ultima ruota del carro? Allora dovevi essere orgoglioso, orgoglioso quando, malgrado tutto, ingoiavo fango e continuavo ad andare avanti, a testa alta, incassando colpi, talvolta anche indietreggiando ma sempre rimanendo saldo sulle gambe.
Mamma c’è stata, tu, dov’eri?
Forse glielo dovrei dire, tirarmi fuori il dente e smetterla di tenermi tutto dentro: non lo farò. E’ inutile rivangare, a che serve? Papà ha avuto le sue buone ragioni, io le mie e alla fine è stata la vita a decidere da che parte doveva pendere l’ago della bilancia e questo dovrebbe bastarmi, dovrebbe essere sufficiente.
Svolto l’angolo e inizio a tirare fuori le chiavi.
Doccia, tè e letto, in questo ordine, o in ordine sparso, comunque è solo di questo che ho voglia.
Certo, avrei anche voglia di Bernie, ma dalla vita non si può avere tutto.
Berenice, così ingenua, così sorprendentemente pura, immersa nel casino della sua mente tanto che stenta a ritrovare la strada: come Arianna sto lasciando il filo, spero solo lo segua e non faccia, alla fine, come Teseo.
Si sente inadeguata lei, Bernie crede di non essere abbastanza, se solo sapesse cosa porto io dietro la maschera…
Io la amo con tutti i suoi difetti, lei saprà fare lo stesso con i miei? Saprà amare anche la mia malinconia?
La amo, ma anche questo, per il momento, non lo dirò. Come lei chiede fiducia, anche io la pretendo in cambio: voglio essere sicuro che riesca a reggere sulle spalle un peso del genere, il mio peso. Quello di Tom, non dell’attore.
- Ehi, straniero! Vuoi un cookie?-
Quella voce…è familiare, la riconoscerei tra mille…
Ma non doveva tornare tra tre giorni?
Rimango fermo, immobile, tentando di capire se sto cominciando anche ad avere le visioni, oppure questo è una specie di miracolo e lei è lì, davanti a me.
Bernie è seduta sulle scale, gambe incrociate e un sorriso allegro che risalta per contrasto sul viso pallido per il sonno dove occhiaie violacee tratteggiano il contorno degli occhi.
In effetti, mi andrebbe anche un cookie e lei me lo sta offrendo così amorevolmente che non posso rifiutare.
Mi siedo accanto a lei, prendendo il biscotto e portandomelo alla bocca, continuando a guardarla come si guarderebbe un’apparizione.
- Per la cronaca: puzzo. Sono appena tornata dal mare, beh, non appena, da un’ora ma ho preferito aspettarti qui e…-
La zittisco con un bacio e il sapore del cioccolato si mescola con quello della salsedine, un connubio strano ma sorprendentemente piacevole; rimango appeso alle sue labbra, aspirando il suo odore che non pensavo mi fosse mancato così tanto e così intensamente; Berenice prende ad accarezzarmi i capelli, giocando poi con la barba corta, avvicinando il suo corpo al mio.
- Sì, puzzi- Mormoro, poggiando la fronte sulla sua e specchiandomi nei suoi occhi limpidi e ridenti.
Lei, per tutta risposta, mi dà una lieve testata, mimando uno sguardo che dovrebbe essere omicida ma che in realtà è semplicemente delizioso – Bene, allora offrimi la tua doccia-
Rido e mi alzo, porgendole la mano e tirandola a me, affondando nuovamente la mia bocca nella sua, felice di averla nuovamente con me, contento come un bambino per quella sua sorpresa inaspettata che ha fatto volare via un po’ di nubi dall’orizzonte.
 
 
- Tom! E’ gelida- Strillo, spingendomi lontano dal getto d’acqua e arpionandomi al suo petto.
Odio fare la doccia con un uomo, la loro maledetta temperatura corporea permette loro di fare docce gelide da fare invidia a i pinguini del Polo Nord: io, però, non sono un pinguino e ho freddo, quindi o gira la manopola dell’acqua calda o se la fa da solo, la doccia.
- E’ tiepida, non esagerare- Ribatte lui divertito, spingendomi verso la piccola cascata, cercando di spostarsi dal pannello di cristallo per potersi godere il lieve tepore dell’acqua.
- No, a queste condizioni no!- Gli do le spalle e giro la manopola verso il rosso, sentendo finalmente del vero calore lambirmi la pelle. Se lui vuole diventare un ghiacciolo faccia pure, preferisco ustionarmi piuttosto che morire di ipotermia.
- Sei proprio una testa dura tu, eh?- Ridacchia, rassegnato, giungendo, titubante, sotto la cipolla.
Lo vedo inclinare il capo all’indietro, bagnandosi i capelli corti e il viso; gli occhi sono chiusi e i rivoli d’acqua sembrano lacrime, perle chiare che scivolano sul collo e sul petto disegnato.
Non posso fare a meno di rimanere lì a rimirarlo, così candido, così delicato da sembrare fragile, così inerme che ci vorrebbe un piccolo tocco per spezzarlo. La sua non è una bellezza convenzionale, ma è affascinante, ha la grazia di chi è sicuro di sé e non ha paura di mostrarlo, ha la presenza di chi ha imparato a farsi vedere e ascoltare: è la bellezza dei combattenti la sua. Ma mai lo avevo visto così, triste e stanco non lo avevo mai visto. Sconsolato sarebbe il termine più esatto, come quando la vita ti pone di fronte all’inevitabile ma tu continui a lottare perché la rassegnazione non è un qualcosa che puoi prendere in considerazione. Evidentemente, dietro a quella bella maschera che ha la forma di sorriso, ci sono ancora delle ferite a stento rimarginate, c’è anche il lato oscuro della luna, quello che Tom non può far vedere, quella che è costretto a tenere nascosto perché al mondo non interessano i suoi problemi, ma il ruolo che porta: non si tratta neanche di apparenza, va oltre questa ormai consolidata dicotomia. E’ che alla gente piace la realtà edulcorata, non quella vera e se sei un personaggio in vista, famoso, perché la fama è una vox media e su questo abbiamo ancora molto da dire noi uomini della modernità, la cosa è acuita alla millesima potenza.
Lo ripeterò fino allo sfinimento: io, una vita così, non la potrei vivere. Sono incontinente, se mi girano non riesco a trattenermi, se desidero stare per i fatti miei non devi venirmi a rompere le palle. Io, che di maschere ne so qualcosa, non potrei vestire un sorriso quando dentro esplodo, questo è l’unico inganno al quale non sottopongo me stessa.
- Che c’è?- Chiede dolcemente, sorridendomi malinconico.
Una tenerezza immensa mi afferra il cuore e, senza sapere come né perché, trascinata da tutto il vortice di emozioni che Tom si è portato con sé, scoppio a piangere, un pianto silenzioso che però, malgrado sia completamente bagnata, non passa inosservato.
Tom inarca un sopracciglio, quindi si china un poco, sollevandomi il mento con la punta delle dita – Amore…- Sussurra contro le mie labbra.
Nascondo il viso contro il suo petto e continuo nel mio sfogo, stringendolo affinchè possa sentire quanto mi dispiaccia, quanto gli sia vicina e che, qualsiasi cosa sia successa, ci sono.
Certo che se gli scoppi a piangere perché è LUI a stare male allora abbiamo proprio svoltato!
Oh, ma che vuoi? Sono empatica!
Ma che empatica! C’hai l’encefalogramma piatto tu, altro che: brava, adesso non ti dirà più nulla perché avrà paura delle tue reazioni da psicopatica depressa.
E tu dovresti essere la mia coscienza? Stai facendo un lavoro di merda!
- Mi dispiace- Mi raddrizzo immediatamente, asciugandomi gli occhi (si fa per dire visto che siamo sotto la doccia) e gli rivolgo un sorriso incoraggiante – Non volevo, è che ti ho visto triste e allora, non so, mi sono sentita impotente, mi sono messa a pensare e… ecco, questo- Spiego, cercando di non sembrare una frignona.
Lo sei!
Dio! Ma non c’è un cacchio di interruttore? Non lo so, vai a corrente? A petrolio? Con le vitamine?
Finchè morte non ci separi…
E dov’ero io quando ci siamo sposate?
- Non è nulla- Mormora laconico, prendendo a mordermi il labbro inferiore con foga, quasi ci volesse annegare in quella bocca. E mentre fa questo, io, invece, mi mordo la lingua perché so che c’è qualcosa dietro quegli occhi velati di malinconia, ma devo cercare di portare pazienza.
Ci vuole tempo, in tutte le cose, occorre aver cura e aspettare, giorno dopo giorno, guardando un bocciolo appena nato crescere sino a sbocciare: la gatta frettolosa fa i figli ciechi. Non so se il proverbio è proprio questo, ma il succo è abbastanza palese, del resto, ce ne sarebbero altri altrettanto eloquenti, però non è il mio cervello quello che si deve convincere ma la mia carne, il mio sangue che brucia nelle vene e, anche in questo caso, ci sarebbe da discutere, perchè trovo questo astio nei confronti delle dicotomie piuttosto artefatto e presuntuoso. Inutile, con me è una battaglia persa, il cervello non riesco a staccarlo mai ed è forse per questo che i baci di Tom, oggi, hanno un sapore dolce-amaro.
Berenice e Cervello non sono elementi che si trovano bene in una stessa frase.
Aho! T’ha punto una vipera? Ti sei fatta di acido solforico?
Mi rode, va bene?
Grattati, Cornacchia spennata, grattati!
Tom non ha bisogno di parole adesso, credo desideri il silenzio delle mie mani che lo toccano o l’eco dei miei occhi che risponde ai suoi baci feroci; per una volta le parti si sono invertite e io mi trovo a pensare a quanto debba essere frustrante avere a che fare con me. Come impattare contro il nulla. Il corpo è oblio e se oblio vuole, adesso, da me avrà quello, solo quello e i miei baci, le mie carezze e il mio sangue che ha una voce tutta sua, più sottile, sibillina, ma che comunque riesce ad arrivare dove le parole difficilmente penetrano.
Le parti sono invertite.
Io avrei una gran voglia di parlare.
Lui, invece, vorrebbe soltanto perdersi dentro di me, sentire con la pelle e non con il cervello.
Mi trascina in basso, sul pavimento di porcellana fine, fredda e rovente allo stesso tempo.
Ed è dentro di me prima di essere completamente pronta e nella forza con cui si muove c’è tutto un mondo: la felicità di avermi ritrovata, la gratitudine della sorpresa, il desiderio di dimenticare e di sprofondare, un dolore sordo e antico che può essere sciolto, anche solo per un attimo, unicamente corpo contro corpo, pelle contro pelle. Anche se non c’è nulla di dolce nel ritmo della nostra danza, Tom non lascia le mie labbra neanche per un momento, prendendo il mio soffio e fondendolo con il suo, aggrappandosi alla bocca come un Ulisse che tocca la sua “petrosa” Itaca. Se vuole che sia la silenziosa terra sotto i piedi, sia. Sarò tutto quello che vorrà.
La tensione si scioglie e riprendo il controllo di me stessa, lasciando che questa passione fluisca da lui a me. Faccio leva sugli addominali, costringendolo a sollevarsi, e ci ritroviamo seduti, avvinghiati l’una all’altro, vicini, incredibilmente vicini; le sue dita premono contro la schiena mentre le mie si dedicano al suo viso che accarezzo frenetica, lambendone con le labbra ogni frammento di pelle, continuando a muovermi velocemente ma con delicatezza. C’è una tenera sensualità nel modo in cui tocca la mia pelle, come se fosse morbida creta, affondando, spingendo e modellando.
Lo stringo forte contro il mio petto nel culmine del mio piacere, sentendo spasmi profondi squassarmi il ventre e quasi mi accascio contro il suo petto, ma Tom non me lo permette, perché le posizioni si invertono immediatamente, togliendomi il respiro.
Non c’è la minima dolcezza nei suoi affondi, sento solo rabbia e una punta di dolore nel modo in cui penetra e sono quasi sul punto di piangere di nuovo ma mi trattengo perché ora devo essere forte, essere la roccia su cui si aggrappa quando sotto di lui vi è solo abisso. Fa male, ma è un dolore dolce, eccitante e mi basta pensare a quanto lui riesca a rendermi docile per avvampare e assecondare la sua voglia famelica.
Aumenta il ritmo e so che è quasi al limite…
- D-devo…- Balbetta senza fiato, quasi stesse cercando la forza per sottrarsi alla mia presa.
- Non devi, non c’è bisogno- Rispondo piano, ansimando.
Tom alza lo sguardo e i suoi occhi di ghiaccio mi inchiodano, come una lama in pieno petto, e una scintilla guizza sul suo volto. L’ultimo barlume di lucidità gli dona un’espressione seria, pensosa, poi si morde il labbro inferiore in maniera inconsapevolmente sensuale, come fosse un cacciatore pronto ad azzannare la preda.
Come faccia a cogliere tutti questi particolari in questo frangente ha del miracoloso!
Ecco che la mia parte cerebrale ha il sopravvento, signore e signori!
Come se non le avessi insegnato nulla! Che allieva deludente.
No, il bello di lei è che usa il cervello quando non deve: ah, valli a capire questi essere umani!
Perché tu che sei? Vieni dall’Iperuranio con furore?
Rettifico: quando svendevano cervelli lei deve averne preso uno difettoso.
Che palle!
Un affondo più forte degli altri mi riporta alla realtà e la prima cosa che vedo sono i suoi occhi, colmi di desiderio. E quando viene dentro di me non diciamo nulla: Tom si avventa sulla mia bocca e io provo l’infinito piacere di sentirlo caldo e mio, solo mio.
Si sdraia sopra di me, cercando di non pensarmi e poi, dolcemente, mi stampa un bacio sulla fronte mentre l’acqua calda continua a scorrere sui nostri corpi stanchi.
- Amore…- E’ l’unica parola, ma mi basta.
 
 
 
-Mi dici che hai?-
- Dunque, prendi la pillola?Ahia!-
Lo scappellotto sulla fronte me lo merito e mi merito anche lo sguardo di rimprovero di Berenice che deve aver portato un’enorme pazienza per non pormi questa domanda, la domanda che più ho temuto.
Chiudo gli occhi, assaporando ancora per un attimo la consistenza morbida del suo ventre sotto la mia testa e il profumo invitante della sua pelle, così calda e così setosa. Sospiro, rassegnato: non è che non voglia dirglielo, ma mi sono appena ripreso e non ho tutta questa smania di rovinare un così bel momento con pensieri cupi.
Però glielo devo, non solo perché le ho gettato addosso tutta la malinconia che avevo in corpo senza degnarla di una spiegazione, ma anche perché è lei che me lo chiede, e me lo ha chiesto, con tanta insistenza, prima con gli occhi poi con la voce. Negarle questo sarebbe chiuderla fuori dalla mia vita.
- Sono stato da mio padre-
Silenzio e Bernie prende ad accarezzarmi la fronte, invitandomi a proseguire.
- Questo-
Beh, se lei ti invita ad andare avanti magari tu fallo. Lapidario e conciso, come sempre…
Non lo so…
Oh, non iniziare con le tue seghe mentali. Se scapperà vorrà dire che non ne valeva la pena, se la fai scappare tu, ti uccido!
- Sei stato male?- Chiede premurosa, aiutandomi a tirare fuori tutto.
- No, in realtà. E’ solo che… mi immalinconisce, riporta alla luce ricordi tristi-
- Per esempio?-
Sollevo lo sguardo a incontrare il suo, puntato sulle sue dita che tracciano cerchi invisibili sulla pelle del viso, poi, improvvisamente, come se sapesse, solleva gli occhi color del cielo, così limpidi e candidi che riuscirebbero a far fare qualsiasi cosa a chiunque avesse la possibilità di incontrarli.
I rubinetti si aprono e la voce esce da sola, un lungo flusso di coscienza che diviene suono e parola e  le racconto tutto, dei miei genitori, di quando la mia famiglia si è spezzata, degli anni passati in collegio perché papà ci teneva tanto e io vivevo per il suo sorriso orgoglioso, la passione per il teatro, l’università e in seguito la decisione di entrare in Accademia. Non tralascio nulla, neanche le frasi che mi hanno fatto più male, le incomprensioni con mio padre che non riusciva a capirmi e che si aspettava altro. Lascio scorrere da me a lei tutta la stanchezza, le delusioni e le conquiste degli ultimi anni: vedo sfilare davanti a me, come in una serie di fotogrammi, tutta la mia vita. Piano, un poco alla volta, sento scivolare via altre spine, non tutte, ma certo molte di quelle conficcate in profondità, pungenti e dolorose, sentendomi improvvisamente più leggero e sereno. Vedo riflesso nei suoi occhi e nell’espressione cupa del suo viso tutte le mie nostalgie e la mia malinconia, cose che mi ero tenuto nascosto e che mi ostinavo, e mi ostino tutt’ora, a tenere dentro, un po’ perché è la maschera che sono obbligato a portare, il prezzo di tutto il lavoro e gli sforzi compiuti, un po’ perché credo che essere felici, diventarlo, sia un’arte. Alle volte il peso del mio passato è insopportabile e sono costretto a cedere, ad arretrare, e solo allora mi permetto di annegare nei ricordi, solo per un attimo, solo per non sentire più nulla se non l’onda dei pensieri avvolgermi, ma è un momento, poi mi costringo a reagire, desidero reagire e torno in superficie, godendo di ciò che ho, gustandomi il sapore dolce e frizzante della vittoria e dei miei sogni realizzati.
Amo la vita e l’accetto così com’è, con le sue luci e le sue ombre perché vivere di ciò che è stato è come morire: ho ancora tanto da dare, ho ancora tanto da dire.
- Mi dispiace- Mormora Bernie contro le mie labbra, mentre una lacrima le bagna la guancia arrossata – Non so cosa avrei fatto al tuo posto, probabilmente avrei rinunciato…-
Mi sollevo, puntellandomi sui gomiti, osservandola un poco sorpreso- Chi? Tu? Quella che è andata da uno degli uomini più influenti del paese chiamandolo “Porco capitalista”!?-
Sorride triste – E’ diverso, Tom. Quella era un’ingiustizia, era il mio lavoro per cui avevo tanto faticato… ma un genitore… tu hai avuto il coraggio di parlare a tuo padre, di sopportare i suoi silenzi e i suoi sguardi, io non ci sarei riuscita-
- Era la mia vita. Dovevo fare i miei sbagli e trovare la mia strada- Spiego tranquillo, tornando a stendermi sulla sua pancetta morbida e vellutata.
- I miei sono sempre stati del parere che qualsiasi cosa mi rendesse felice fosse ben accetta, ma riesco anche a capire tuo padre: anche se ha sbagliato, soprattutto nel modo in cui ti ha fatto sapere quanto si preoccupasse per te e per il tuo futuro-
- Sei stata una persona molto fortunata-
- Già, è per questo che tu sai stare al mondo e io no…-
- Non dire così, sai che non è vero…-
Sospira- Sarà quel che sarà-
La sento muoversi, scostandosi da me per potersi sdraiare sul mio petto, sorridendo allegra, sebbene riesca a  distinguere chiaramente una punta di malinconia a incupirgli lo sguardo; mi dà un bacio sulla punta del naso, procedendo poi a dedicarsi al resto del viso con gesti infantili e giocosi, facendomi ridere di gusto.
La tensione è passata.
- Stai un po’ meglio ora?- Chiede, spostando le coperte sfatte affinché ci possano riparare dal freddo.
- Decisamente, grazie- Rispondo, mettendomi sdraiato di fronte a lei e avvolgendola tra le mie braccia.
- Allora, quando cominci a lavorare?-
- Che palle, Tom!- Mi dà una spintarella affettuosa, condita con una buffissima linguaccia.
- Brutto argomento?-
- Più o meno. L’università riapre per la sessione d’esame quindi ho ancora un po’ di tempo, meno male visto che devo cercare di scrivere una tesi; dall’editore devo andare domani per darmi altri manoscritti da correggere, sperando non siano noie mortali, come quello di un tipo con la passione morbosa per l’espressione  prima facie, buttato a caso qua e là in media tre volte per pagina; mentre, dulcis in fundo, al giornale dovrò tornare il tre e sorbettarmi la penultima riunione, con l’immancabile presenza di quel fascista borioso e obeso… Ok, diciamo che è un brutto argomento. E tu? Il lavoro?-
- Ho ancora un mesetto di nullafacenza, da febbraio si ricomincia, più che altro eventi e prime cinematografiche, però dalla fine dell’anno si torna in scena-
- Oh, giusto, Shakespeare. E’ sicuro?-
- Quasi, tesoro-
Si volta a pancia in su, portandosi una mano sotto il mento con fare pensieroso – Uhmmm, te lo ricordi vero cosa devi fare se incontrassi Jennifer Lawrence?-
- Organizzare un appuntamento al buio?...eheheh il solletico no, no… ehehehe… va bene, va bene. Un autografo! Un autografo!-
Mi ritrovo ancora una volta con la testa poggiata sul suo grembo – Bravo il mio Piccolo Lord!- Bernie mi scocca un bacio sulla fronte per poi scendere ancora, soffermandosi sulle mie labbra con un tocco lento, morbido e delicato che mi fa impazzire.
Inverto le posizioni, portandola sotto di me e lasciandola senza fiato, ridente e accaldata – Allora, cos’è questa storia della pillola?-
- Ti è piaciuto come regalo di Natale?- Chiede maliziosa, dedicandosi al mio collo e al profilo del mio viso.
- Uhmmm, dobbiamo collaudarlo- Mormoro con voce roca mentre la voglia prepotente di lei torna a viva forza a incendiarmi i lombi.
- Direi di sì, Hiddleston- E’ di nuovo sopra di me e mi bacia con foga.
Ecco perché amo la vita, perché il dolore, in fondo, come diceva il carissimo Epicuro o dura poco o se dura può essere sopportato ma, soprattutto, solo il dolore e la malinconia e la tristizia del crepuscolo riescono a darti la somma della felicità e la capacità di sentirla quella felicità, quella vera, come un bicchiere d’acqua fresca in un giorno d’estate.
 
 
 
N.d.A.
Mi scuso per l’immenso ritardo, mi spiace, è e sarà un periodo faticoso.
Capitolo un po’ più malinconico degli altri, anzi, senza un po’ ma rispecchia in pieno il mio umore nello scrivere.
Volevo avvertire anche che non pubblicherò più una volta a settimana ma minimo ogni due, massimo una volta al mese perché stanno per arrivare gli esami e l’estate e personalmente ho bisogno di staccare un po’. Non preoccupatevi, la storia continua e non ho la minima intenzione di lasciarla in conclusa (confidiamo tutti in Santa Ispirazione… accendete un cero se vi capita).
Ad ogni modo ringrazio tutti i lettori e i commentatori della storia, grazie, grazie davvero J
Vi auguro una buona lettura,
Un bacio
Clio

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Capitolo 18
*** CAPITOLO 11 ***



CAPITOLO 11
Lontananza:
l'essere, il trovarsi lontano, cioè a lunga o relativamente lunga distanza, di un luogo da un altro luogo o da un punto di riferimento
 
Intermezzo: Perdersi e…
 
 
New York – Agosto 2013
 
Sono le sei di mattina e già fa caldo.
Non penso riuscirò mai ad abituarmi all’afa di New York, ma non posso negare che abbia un certo fascino.
New York, la città che non dorme mai, un caotico crogiolo di corpi, troppo grassa per essere bella, troppo grande per non esserlo.
Il Ponte di Brooklyn è ancora illuminato, ma lo sarà ancora per poco; l’alba ha già illuminato la città che si risveglia e lo spettacolo è impagabile. Malgrado i tacchi che mi stanno uccidendo e la camminata su uno dei ponti più lunghi del mondo, non riesco a lamentarmi come facevo di solito, anzi, ritengo questa passeggiata altamente salutare, catartica quasi, tanto che inizio addirittura a fischiettare, allegra.
L’America è un altro pianeta rispetto alla cara vecchia Europa.
New York è, sicuramente, milioni di anni luce da Londra: altro continente, altra vita.
Ora che ci penso, sono passati esattamente cinque mesi dalla mia partenza alla volta della “terra promessa” e sono cinque lunghi, anzi lunghissimi mesi da che ho visto e sentito Tom…
 
- Cos’è questa?-
Tom mi guarda come si guarderebbe un omicida. Afferra la lettera abbandonata sul bancone della mia cucina e me la mette, con forza, sotto il naso, la mano pallida e tremante.
- Non ho ancora risposto…-
- Da quanto lo sai?- Incalza lui, gelido come ghiaccio, furioso come una bestia.
- Dal due gennaio-
Tom si morde le labbra e volta il viso, deglutendo sonoramente. Si passa una mano sul viso, chinandolo, probabilmente per non farmi vedere le lacrime che gli stanno riempiendo gli occhi e che, pericolosamente, premono per riversarsi sulle guance asciutte.
- Tom, t’ho detto che non ho ancora risposto- Ripeto, prendendogli la mano che ormai ha abbandonato quella dannata lettera che avrei dovuto nascondere, forse bruciare.
Lui la stringe, continuando a massaggiarsi gli occhi per cancellare i segni del pianto che ormai sono ben visibili e, dispettosi e indiscreti, mi trasmettono tutto il suo dolore come una serie continua di coltellate al petto e allo stomaco.
- Tom…- Lo chiamo, avvicinandomi ancora di più. Ma lui si scosta, bruscamente. Mi guarda, ancora, come se gli avessi appena strappato il cuore con le mie stesse mani, e si allontana: vuole fuggire. Ha bisogno di fuggire.
Rimango impietrita un attimo, un dolore sordo che mi preme la gola; poi, reagisco e corro verso di lui che ha appena aperto la porta; lo blocco ma lui non mi guarda.
- Non ho ancora risposto- Ripeto, ancora e ancora, per rassicurarlo, per fargli capire che a lui ci tengo, che non voglio rinunciarci perché mi è entrato dentro. Ripeto a lui per tranquillizzarlo e lo ripeto a me stessa per assolvermi.
Ad un tratto alza il viso e punta il suo sguardo devastato dentro il mio, scrutandomi, penetrandomi, scavandomi dentro con forza e violenza.
E capisce, capisce tutto addirittura prima che la mia mente riesca a formulare un pensiero compiuto.
- Non hai ancora risposto, ma hai già deciso-
Se ne va.
Scoppio in lacrime.
 
Che fai? Piangi? Hai la carriera che vuoi, di che ti lamenti?
Già Bernie, di che ti lamenti? Io non mi lamento, oggi ci hai pure dato dentro
Non me lo ricordare!
Oh, beh, perché non ve l’ho detto, no? Anche se, certo, ci sareste potuti comunque arrivare: io, alle sei di mattina a passeggiare su un ponte… Io che il massimo di attività fisica è scendere otto piani senza ascensore, potrei affrontare questa immensa imbarcata solo per fuggire da qualcosa, o da qualcuno.
Dato che da me stessa non si può e da quelle due malcreate neanche, attualmente, sto fuggendo dal lussuosissimo appartamento di Peter van der Leew, rampollo di una famiglia di industriali di origine olandese, co-stagista della sottoscritta in una delle riviste più prestigiose della città e, probabilmente, del mondo: il NewYorker.
Eh, già, signori e signore, la piccola Berenice ha fatto un enorme salto di qualità perché, in quella stramaledetta lettera “magarisifossepersaperstradaobruciataperautocombustione” c’era un’allettantissima offerta per uno stage ben pagato di cinque mesi nella sopraccitata rivista settimanale, con tanto di possibilità di assunzione o ottima lettera di referenza in caso andasse malemalissimo. Insomma, una di quelle opportunità che, come si suol dire, capitano una volta nella vita e sempre non a te, aggiungerei. E allora, Tom ci aveva davvero visto lungo: non avevo risposto all’epoca, ma avevo già deciso, la mia parte del XXI sec aveva avuto ragione su quella romantica d’altri tempi.
Sono soddisfatta di me stessa, orgogliosa come mai lo sono stata e davvero piena di speranze per il futuro, tutte cose, queste, che non avevo mai provato e a cui, a tutt’oggi, non rinuncerei per nulla al mondo.
Ma c’è un ma…
Già, un MA bello grosso direi!
Se sei tanto felice e contenta, perché c’è sempre quello stramaledetto nome nei tuoi pensieri?
Oddio, quanto rompete! Odio avere una coscienza.
Già, lo ammetto, alzo le mani e mi arrendo, perché è vero che sembra tutto una meravigliosa e inverosimile favola, ma, per quanto NON ci abbia provato, io, Tom, non sono riuscita a dimenticarmelo. Non dico, certo, tolto dalla testa, quello che abbiamo condiviso è stata una delle cose più belle mi siano mai capitate, dico sul serio, ma ogni volta che succede qualcosa di bello, ogni volta che vedo un film o, che ne so, mangio un hamburger con i cosiddetti contro-didimi penso a lui, vorrei condividere tutto ciò che vivo, vedo, sento e tocco con lui e solo con lui. E non posso, maledizione, non posso! Non ha voluto e, se da una parte non posso biasimarlo, dall’altra sono fermamente convinta abbia dato una pessima prova di sé…
Sono maledettamente e inesorabilmente incompleta, mi guardo allo specchio e la superficie mi riflette un’immagine mutilata e sanguinante…
Non mi pento di ciò che ho fatto, ho compiuto una scelta e, dopo, ho cercato di non guardarmi indietro, ogni azione mette in moto un’infinita catena che è impossibile da controllare. Ho agito e ogni azione è irreversibile e imprevedibile nei suoi esiti…
C’è però un modo, incredibile nella sua banale semplicità, per ovviare a tutto questo, perché mi sarebbe bastata una parola e un gesto per lottare, anche a distanza, per sperare in un futuro, anche dall’altra parte dell’oceano perché io, per lui, l’avrei fatto, con tutte le mie remore, sarei stata pronta a provarci. Mi bastava una promessa, una promessa che mi avrebbe legata a lui, una promessa che ero pronta a fare ma di cui lui ha avuto paura. Io, dal canto mio, avrei chiesto perdono: perdono per non averglielo detto prima; perdono per non aver compreso, sin da subito, quanto il suo sentimento fosse forte; perdono per la sofferenza causata e per la distanza che ci sarebbe stata; perdono per non aver ascoltato le parole della sua sicurezza…
 
«Il rimedio contro l’irreversibilità e l’imprevedibilità per il processo avviato dall’azione è una della potenzialità dell’azione stessa. La redenzione possibile all’aporia dell’irreversibilità è nella facoltà di perdonare. Rimedio all’imprevedibilità, alla caotica incertezza del futuro, è la facoltà di fare e mantenere delle promesse»
 
E’ vero, con la filosofia non si mangia, ma a volte dà risposte a domande di cui non pensavamo di avere bisogno; a volte, solo a volte, la filosofia ci salva la vita. A Natale, avrei fatto meglio a regalargli un buon libro di uno dei miei tanti amanti che mi hanno accompagnata durante la formazione, invece che un plico di pillole anticoncezionali.
Soprattutto, avrei dovuto dire a Tom che l’amavo.
 
 
-Ci devi andare-
Siamo seduti in una graziosa sala da tè vicino Hamsted, anche se non riesco neanche a capire dove sia riuscito a trovare la forza per chiamarla, la stessa forza che ora mi permette di guardarla in viso e starle vicino, tenendole la mano.
Sono stato un codardo: sparito per una settimana, una settimana di cui non ricordo molto, devo essere sincero. Ora, però, sono qui e guardo Bernie come se fosse un’apparizione, il fantasma di un lontano passato, portatore di una dolce, bella e struggente malinconia.
Piange in silenzio mentre stringe la mia mano e tiene il capo chino.
Ha il viso pallido e le occhiaie di chi non ha dormito, l’aspetto quasi emaciato di chi ha perso peso troppo in fretta, come fosse stata costretta a un digiuno forzato. Non fa menzione di tutto questo, quando i suoi occhi lucidi si posano nei miei non c’è traccia di recriminazione o di volontà di vendetta: rassegnazione, dolore, colpevolezza. Sì, si sente colpevole e nella mia fuga legge semplicemente una punizione meritata, un lavacro catartico di sofferenza e abbandono.
Mi piacerebbe poter dire che fa bene, che merita quello che le ho fatto passare, ma non ci riesco, anzi, mi sento male, tremendamente male per come l’ho ridotta e vorrei tanto poter cancellare da lei tutto il dolore, abbracciarla e baciarla, ma non ho le forze, spero solo lo capisca dai miei occhi che ha imparato a conoscere così bene.
- Volevo dirtelo, so che adesso è tardi ma…-
- L’hai dimenticato, al tuo solito- La rimprovero dolcemente, facendole una carezza sul viso.
- No, ho avuto paura-
Sorprendentemente sincera, meravigliosamente umana e donna e forte e bella. E’ cambiata, un mutamento quasi radicale, veloce, repentino, totale, un po’ come lei, assolutamente da lei. Sorrido e il mio cuore si gonfia perché almeno qualcosa le lascerò: voglio pensare che se la bisbetica è stata domata sia un po’ per merito mio.
- Ti chiedo scusa, perdonami, se puoi-
- Perdonami tu- Rispondo e lei mi bacia piena di trasporto e di passione.
Bacio d’addio.
- Ci devi andare-
- Ci voglio andare, Tom-
Sì, lo so bene che ci vuoi andare, lo vedo da come, malgrado tutto, ti brillano gli occhi.
Il pulcino spicca il volo e diviene una stupenda aquila; è il suo futuro e al suo posto anche io avrei fatto lo stesso. Malgrado sei anni di differenza non siano molto, Berenice vuole trovare la sua strada, vuole e deve crescere e quella del New Yorker è un’occasione d’oro, se la merita.
Questi sono pensieri razionali, peccato che in me, di razionale, ci sia rimasto ben poco; dovrei essere felice per lei e invece sono disperato per me stesso. La cosa mi ha colto di sorpresa, ero così preparato a una MIA imminente partenza da non pensare minimamente a lei, a cosa volesse fare, anzi, da bravo maschilista, già me la immaginavo buona buona ad aspettarmi a casa mentre io avrei fatto film e viaggiato per il mondo, addirittura, mi ero anche immaginato lei rinunciasse a tutto per seguirmi, questo non lo ammetterò mai, ma non posso negare a me stesso di averci pensato.
-… non sarà per molto, cinque mesi e non è neanche detto che… Ma mi stai ascoltando?-
Scuoto il capo, cercando di tornare con i piedi per terra. Perso nei meandri dei miei pensieri non avevo colto il punto cruciale della situazione: cosa fare dopo?
E io, Tom, un po’ Loki, il grande ingannatore delle folle, non voglio ingannare me stesso, così, prima ancora che la mia mente formuli il pensiero è la mia bocca che parla:
- Non ho intenzione di continuare-
Tom, un po’ Loki, il grande ingannatore delle folle, è anche un po’ codardo. E pieno di fottute paure.
 
 Londra – Agosto 2013
- Non ho intenzione di continuare-
- Ma come? Dai, Tom, ancora qualche colore…-
Non so proprio da dove mi sia uscita quella frase, cioè, in realtà lo so molto bene, ma non pensavo il mio cervello fosse talmente fuso da non riuscire più a controllare il movimento dei miei muscoli.
Emma mi guarda con lo sguardo di uno che la sa più lunga del diavolo. Poggia con delicatezza i campioni di stoffa colorata, si allunga sul tavolo del ristorante e mi prende una mano, stringendola con fare materno e comprensivo.
- Allora?-
- Cinque mesi. Oggi- Non tento neanche di dissimulare. A che servirebbe? Mia sorella sa già tutto, sa più cose lei di me che io di me stesso.
- Come va con quella…come si chiama?-
- Estelle-
- Sì, giusto, Estelle?- Cambia discorso, Emma, probabilmente per evitare di rinfacciarmi per l’ennesima volta la mia pessima scelta circa il mio rapporto con Bernie.
Si sono viste circa tre volte loro due e ricordo si erano piaciute subito. Sguardi complici, sorrisi ammiccanti, parole sussurrate in gran segreto e un sincero e viscerale affetto: sarebbe stato tutto perfetto se Berenice non se ne fosse andata e io non le avessi detto chiaro e tondo che non avevo voglia di una relazione a distanza.
Cazzata, enorme, fottutissima e madornale cazzata, di quelle per cui ci si pente tutta la vita.
Ma, malgrado ciò che può apparire, anche io ho le mie crepe e le mie debolezze, le mie paure, infantili sospetto, che non mi lasciando andare, che sono parte di me. Mi sono sentito abbandonato, ho sentito di nuovo quel tremendo senso di solitudine e mancanza, quell’angoscia dell’addio, il dolore sordo dell’assenza che tanto spesso avevano caratterizzato i miei giorni di bambino e sono crollato, non ce l’ho fatta, non ho avuto la forza mentale e fisica di voler affrontare nuovamente quell’ecatombe.
Berenice ha pagato gli sbagli di altri, ha pagato il mio sbaglio e la mia debolezza.
E’ partita a Marzo e quel mese e mezzo prima dell’addio abbiamo vissuto come se fossimo sposati. Una settimana da me, una settimana da lei, mai lontani per più di un giorno e mezzo; abbiamo fatto l’amore come se non ci fosse stato un domani perché un domani non c’era; mi ha donato tutta se stessa lei, lei che voleva continuare a distanza, Berenice che fino all’ultimo ha sperato e ha pregato perché mi facessi forza, lei che per me avrebbe fatto questo ed altro si è accontentata di un Tom disperatamente innamorato che la vedeva come morta pur essendo lei presente.
Non si è mai lamentata, anzi, ero io quello pronto a scattare per un no nulla, che a giorni alterni le rinfacciava quella partenza, le rinfacciava il duo diritto a un futuro. E Bernie sopportava, lei soldato, lei guerriera, lei sopravvissuta, lei donna. Quanto amore ha dovuto contenere quel piccolo corpo per vivere così perché lo so che mi amava, sebbene non me l’abbia mai detto, era lì quell’amore, nelle sue carezze, nei suoi baci, nel suo mangiarmi con la bocca e gli occhi, nelle sue lacrime quando credeva non la vedessi, nelle sue preghiere silenziose e nel suo chinare il capo, senza spezzarsi, contro il mio mutismo, la violenza delle parole e il mio diniego di quell’unica promessa che l’avrebbe fatta mia, forse, addirittura per sempre.
Belle, bellissime parole, peccato che riesca a scorgere un certo grado di odio paternalistico, o sbaglio?
Taci, ancora parli?
Odio quel maledetto Genio della Lampada, dice sempre il vero nel momento sbagliato, accidenti!
Amo Berenice e non riesco a dimenticarla e per questo la odio, la odio perché se n’è andata e non mi ha detto nulla, la odio perché lei ha fatto la parte della matura e io quella del marmocchio viziato. Lei con quell’aria da martire inconsapevole, la stoica bisbetica diventata savia che ha tirato fuori tutti i miei demoni e le mie debolezze. Come ha avuto ragione lei, ho ragione io. L’avrei voluta ammazzare con le mie mani, sì, e lo vorrei tutt’ora.
Se ce l’avessi davanti le riverserei addosso tutti questi mesi di sofferenza, la dilanierei, la farei piangere, poi ci farei l’amore, tutto il giorno, tutta la notte e poi daccapo, in un ciclo di eterno ritorno di morte e di rinascita.
 - Non ti piace, vero?- Chiedo, scontroso e aggressivo, ritraendo la mano.
Emma mi guarda confusa – Chi?-
- Estelle-
- Ma che dici…?-
- Lo so che non ti piace, non ti ricordavi neanche il nome. Berenice invece te la ricordi perfettamente: ci hai legato subito. Tutti ci hanno legato subito…dimenticatela, non tornerà-
Mia sorella ride, mi guarda come si guarderebbe un povero idiota duro di comprendonio, ma non c’è malizia, c’è solo tanto affetto e dolore di sorella per questo fratello che non ha ancora capito un cazzo della vita. Maledizione! Sono diventato esattamente come lei. Ti odio Bernie, ovunque tu sia!
- Stai cercando di convincere me, oppure te stesso?-
- Che domanda del…-
- Tom- Mi afferra di nuovo la mano e sospira – Non ti ripeterò che hai fatto una cretinata e la stai facendo tutt’ora. Devi sbatterci la testa, è l’unico modo perché tu capisca… un giorno, forse, troverai la ragazza che fa per te- Sottinteso :“l’hai già trovata e te la sei lasciata scappare” – Ma non credo sia Estelle, lo sai anche tu e, prima o poi, sperando non sia così oca come sembra, e non fare quella faccia, lo capirà pure lei: vuoi davvero farla star male?-
Eh, no! La tattica dei sensi di colpa no! E’ un colpo basso, anzi bassissimo. La devo dimenticare quella maledetta bisbetica scimmia, costi quel che costi. E ce la farò, eccome se ce la farò. Sono o non sono Tom Hiddleston?
No, sei solo un idiota!
Nessuno ha chiesto il tuo parere…
- Che ne dici del bianco? E’ un colore neutro- Già, bianco…
Carta bianca, tabula rasa e ricostruire. Questo l’intento, non necessariamente secondo un ordine prestabilito e soprattutto senza clausole di entrata in vigore… è un po’ come le diete, si inizia sempre di lunedì. Oggi è venerdì, ho ancora tre giorni di abbrutimento matto e disperatissimo.
 
Bernie è sul divano, una gamba stesa e l’altra sollevata, sul ginocchio tiene il braccio piegato mentre tra le dita affusolate salgono sbuffi di fumo grigio che formano strani ghirigori. E’ silenziosa e guarda oltre le grandi finestre della veranda, avvolta in un lenzuolo rosso scuro che crea un conturbante gioco di colori con la pelle eburnea del corpo.
Abbiamo appena fatto l’amore e lei è bellissima con le labbra gonfie e arrossate, le guance rubizze e gli occhi scintillanti che, limpidi, sembrano racchiudere il più bello dei segreti.
Prendo il telefono, le scatto una foto, poi un’altra e un’altra ancora.
Ormai ho la galleria intasata di lei e, sebbene so che farà male, voglio tenere con me almeno la sua immagine per poterla ammirare e ricordare quando era così intimamente e profondamente mia.
- Che fai?- Mi chiede, sorridendomi maliziosa.
- Ti rubo un pezzo d’anima-
Sbuffa e ride divertita, avvolgendosi meglio nel lenzuolo purpureo e spegnendo la sigaretta, continuando a guardare lontano.
- Non vado a morire in battaglia, Tom- Mormora seria, sottintendendo una richiesta che mi ha fatto tante volte durante questi giorni. Continuare, sperare, vivere insieme anche da lontano. Non ce la faccio, sono debole, ma non riesco ad averla così, a metà. Con lei è stato subito un sentimento totale e così non riesco ad accontentarmi delle briciole: o tutto o niente, bianco o nero, esattamente come lei.
- Per me è come se lo facessi- Voleva essere una battuta, ma l’ironia è sfumata come il fumo della sua sigaretta.
Bernie mi fulmina con lo sguardo, però tace, mordendosi il labbro e questo, non so perché, mi manda in bestia ancora di più, molto di più che se mi avesse urlato o aggredito.
Siamo due monoliti tra cui c’è solo dialettica e non dialogo. E’ una guerra sottile in cui mi sento come se andassi a sbattere con un immenso muro di ragionevolezza e maturità; lei sta in alto, si erge nella gloria dei saggi vincitori che sanno di essere nel giusto mentre io sono in basso, pieno di invidia perché non riesco a raggiungerla, pestando i piedi. Urlo, dentro di me urlo e mi dimeno, ma è come se nessuno mi ascoltasse. Lei, Bernie, non mi ascolta perché chi ha ragione è davvero troppo in alto per potersi preoccupare di chi ha torto ma si ostina a non ammetterlo.
- Esiste Skype, esistono i cellulari ed esistono gli aerei. Mi spieghi perché ti sei incaponito così?-
- E tu mi vuoi spiegare perché per te è così importante?-
“Perché ti amo”: lo dicono i suoi occhi, lo dice il suo corpo, lo dicono le sue mani, lo dice lei, Berenice.
Lo sta per dire, lo vedo da come le sue labbra stanno iniziando a muoversi, ma non lo voglio sentire, non voglio, sarebbe una verità troppo grande per me, troppo grande per la mia paura di essere abbandonato. Così, prima che lei abbia il tempo, estinguo la distanza e soffoco quell’amore con la mia bocca sulla sua. Le divoro le labbra, le accarezzo il corpo con la punta delle dita, la stringo a me e mi beo del suo profumo, tacitando quelle parole che Bernie, ora, sta esprimendo con la carne, abbracciandomi e unendosi a me.
Ti amo pure io, scimmietta, spero davvero tu lo capisca. Ti amo, tanto, tantissimo anche io.
 
 
Estelle dorme, i capelli biondi si espandono come la corolla di un fiore sul cuscino. E’ molto graziosa con quei lineamenti delicati e gli occhi dal taglio orientale; è anche molto dolce e gentile, premurosa, forse anche troppo, ma forse, semplicemente, non sono abituato ai suoi modi pacati.
Sono semi-seduto nel suo letto, ormai ho deposto le armi contro l’insonnia, neanche provo più a rimanere con gli occhi chiusi, aspettando di addormentarmi: tutta colpa delle parole di Emma, su questo non c’è dubbio. E’ vero che Estelle non vuole una storia seria, non ancora almeno, comprende perfettamente che non ci sono i presupposti, né le condizioni, però non ha mai chiesto e indagato, io, invece, non ho mai risposto sebbene sia sicuro si aspettasse, e si aspetti tutt’ora, che sia io a parlare.
Stiamo bene quando ci vediamo, non molto spesso, certo, ma stiamo bene, per me sono momenti di pace e serenità, mi lascio cullare dalla sua gentilezza, lei dalla mia allegria.
Parliamo di tutto, tranne di quelle storie che fanno male a entrambi, perché siamo il balsamo della dimenticanza l’uno dell’altra; veniamo entrambi da storie che ci hanno spezzati, tutt’e due non ci sentiamo pronti per qualcosa di più ma, mentre lei non si preclude un ipotetico prossimo impegno, io, invece, non credo ci riuscirò mai. Non tanto perché, anche così, mi sembra di tradire Bernie, ma soprattutto una storia nata per incollare macerie non ha davvero basi solide per evolversi: dopo che hai provato il fuoco, l’acqua è solo un blando palliativo. Per poter ricominciare seriamente devo decidere di gettarmi a capofitto, probabilmente non saranno immediatamente fuochi d’artificio come con Bernie, ma certamente quando avverrà sarò pronto a darmi totalmente e incondizionatamente. Con Estelle non ci sono i presupposti, io lo so, lei no ed Emma ha ragione.
Però, perché chiudere? Sarò egoista ma finchè il problema non si presenterà non vedo perché me ne debba creare uno. Per ora va bene così, stiamo bene insieme per quel poco tempo che le concedo.
- Uhmmm…sei sveglio?- Biascica Estelle, rigirandosi nel letto.
Mi chino su di lei e la bacio – Ti guardavo-
Ride sulle mie labbra e mi avvolge il collo con le braccia, spingendomi contro il suo corpo desideroso di un contatto più intimo. Mi bacia e si lascia sovrastare docile, assecondando i miei movimenti. L’abbraccio e la stringo a me, cullandola, cercando di annegare nell’oro dei suoi capelli.
No, non ci sono i presupposti. Malgrado la lontananza, malgrado sia tutto finito, non riesco a smettere di considerarmi suo, di considerarmi di Berenice. Lei, il mio punto di riferimento che si è perso in una notte newyorkese.
 
 
Non verrà all’aeroporto con me.
Entrambi abbiamo preferito così, è decisamente meglio. A che pro farci più male di quanto già non ci siamo fatti? Per dirci addio?
Ci siamo detti addio un milione di volte durante questo mese e mezzo di simbiosi.
Ci siamo detti addio nella maniera più bella e sublime: vivendoci, amandoci, unendoci. Siamo stati l’uno per l’altra nella maniera più totale e completa, sì, ci siamo completati a vicenda, incastonandoci perfettamente l’uno nel corpo dell’altra. Tom è e sarà il mio orizzonte di riferimento perché per me, la storia non finisce, non finirà: so che non ci siamo dati tutto, che abbiamo entrambi ancora qualcosa da dare all’altro e che questo è solo un momento, una fase. Tutto finisce, anche il nostro periodo di lontananza finirà, ne sono sicura.
Illusione? Forse. Maledetta speranza? Probabile. Ma c’è qualcosa, un intinuito, una sensazione istintiva che mi dice che il film non è finito, che ci sarà un seguito e, magari, anche un lieto fine.
Adoro le fini liete, sebbene non sia avvezza ad ammetterlo. C’è molta tragicità nella felicità, è come un diamante grezzo che deve essere accudito e curato affinchè risplenda sopra tutti gli altri. E i lieti fine dopo tanto dolore sono quelli più belli, perché il dolore è la misura della nostra esistenza.
La vita,però,  non è solo dolore, si deve continuare ad amare la vita a dispetto di tutte le sofferenze perché solo così si può godere e ammirare la rara bellezza della gioia. Ci avete mai fatto caso? Noi uomini non nasciamo per periodi felici, ma per attimi. Ecco, io continuerò a vivere per quell’attimo, perché il mio amore per Tom merita il suo lieto fine e il suo istante di felicità.
Ho deciso di crederci, basta essere negativi, questa opportunità mi ha fatto vedere le cose con chiarezza: inutile scavarsi la fossa da soli, lo faranno altri, continuamente. Pensare positivo e continuare perché la vita è già tanto difficile e bastarda per conto proprio, aggiungerci del tuo non serve a nulla se non a peggiorare le cose.
La valigia è davanti la porta, l’ho preparata con largo anticipo; io sono seduta sul bordo del letto, piangendo e continuando ad accarezzargli la fronte, il naso, le labbra, piano, in punta di dita.
Lo sveglierò, ma voglio ancora un minuto di incoscienza, voglio ancora potermi riempire gli occhi di lui, cercando di non pensare al fatto che ha rinunciato a me, che non ha voluto lottare, quando invece ero pronta nel difficile compito di crearmi un futuro e di averlo comunque al mio fianco. Anche Tom ha le sue debolezze e non posso biasimarlo, sebbene questo suo abbandono mi faccia male: mi ha colpita a morte, mi ha lacerata più di quanto non gli abbia mostrato o detto. So che Tom lo sa, sotto sotto, in quei laghi che ho imparato a conoscere come i miei, leggo la sconfitta di chi non è riuscito a superarsi e la consapevolezza ostinata e cieca di chi sa ma non agisce. Ognuno fa i suoi sbagli, io ne ho fatti tanti, ora è il suo turno, questo è l’unico modo perché accetti e si renda conto: l’ho imparato sulla mia pelle.
-Ti amo- Sussurro, senza svegliarlo. Non posso dirglielo, sarebbe un colpo troppo basso. Però, in questo modo, so che, almeno una volta, anche se le mie parole lo raggiungeranno solo nei sogni, gli ho detto che l’amavo.
Gli bacio le labbra prima lievemente, poi, come un’assetata, mi avvento sulla sua bocca prendendo quanto più possibile del suo sapore e della sua passione.
Lui ricambia il bacio, mette le mani nei miei capelli e mi tira ancora di più contro di lui, gemendo e strappandomi il respiro. Sono baci che sanno di sale perché, evidentemente, entrambi stiamo piangendo: un pianto silenzioso.
Per lui un addio, per me un arrivederci.
Spalanca gli occhi e mi guarda, mi accarezza il viso e sorride dolce tra le lacrime, stringendomi con tocco possessivo perché nessuno vuole separarsi dall’altro.
Spero ancora mi faccia una promessa, che mi dica che ci proveremo, che troveremo un modo e questo non è un addio. Perchè deve esserlo? Non è giusto! Ci sono mille modi, lui potrebbe venire quando vuole! Perché? Perché, Tom, se i tuoi occhi parlano le tue labbra non me lo dicono?
Un ultimo bacio e finisce tutto.
Adesso lo so, è davvero finita ed è tempo che me ne vada.
Lo guardo ancora e scappo, letteralmente.
Spero ancora in un arrivederci: gli addii li ho sempre odiati.
 

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Capitolo 19
*** CAPITOLO 12 ***


Capitolo 12
LA svolta
 
Intermezzo: Perdersi o forse…
 
 
New York – Agosto 2013
 
Caffè con ghiaccio, canottiera e mutande della nonna, fascia per capelli e argilla rigenerante, insomma: tenuta da casa.
Insomma, contro ogni tentazione!
Beh, non c’è nessuno Lo e poi non ho voglia di vestirmi!
Non si sa mai, metti che viene qualcuno?
Sembri mia madre
Cara, siamo la tua coscienza, la voce dell’autorità in te, Es e Super io in un unico pacchetto.
Ricordatemi di denunciare Group On!
E’ sabato mattina e ho qualche ora per rilassarmi prima del party di questa sera.
Odio le feste ma a questi americani piacciono tanto, non perdono mai occasione per festeggiare qualcosa: l’ultima trovata è la fine del periodo di praticantato. Si saluta chi se ne andrà e si dà il benvenuto a chi entrerà a far parte della famiglia, sebbene il verdetto ci sarà comunicato solo lunedì.
Ho un atteggiamento ambivalente nei confronti di ciò che accadrà perché da una parte essere assunta significherebbe, finalmente, dopo anni di precarietà, mettere radici ma soprattutto entrare finalmente nel mondo; dall’altra parte, però, l’assunzione significherebbe dire addio all’Europa, la mia cara, vecchia, bisbetica, dilaniata e romantica Europa che continuo a vedere come casa.
Come al solito ho spedito mille e uno curricula  in giro per il mondo, sia negli Stati Uniti che nel Vecchio Continente, sperando di rimanere nell’ambito anglosassone, visto e considerato che non mi va per nulla di imparare un’altra lingua, non ho davvero più l’età.
Per ora, comunque, nessuna risposta, ma, qualora non mi prendessero, ho un volo prenotato per l’Italia dove comunque sarei dovuta tornare, altrimenti mia madre sarebbe stata capace di diseredarmi e vendere tutti i miei beni all’asta. Avevo pensato anche di fare una scappatina a Londra in realtà, ho lasciato un sacco di persone meravigliose lì e mi mancano, terribilmente. Vedremo, non c’è fretta, da quando ho deciso di prendere la vita con filosofia programmo di meno e vivo decisamente di più.
Con il portatile sulle ginocchia mi preparo al mio quotidiano sopralluogo dell’etere e della mia casella di posta elettronica, unica mia vera fonte di corrispondenza, se non si contano le video chiamate dei miei a ore improponibili della notte e del giorno.
 
«Cara Berenice, io ti odio. Da morire! Smettila di pubblicare su face le foto della tua vita newyorkese perché altrimenti avrai la mia vita sulla coscienza: non è divertente barcamenarsi tra tribunale e studio mentre tu vai a feste e balli e conferenze. Comunque, come stai? Novità? Ci verrai mai a trovare? Eliot ti aspetta per la solita partita a tre sette. Non è più lo stesso senza di te. Un bacio. Darcy»
 
«Bernie! Sei andata poi a vedere la partita di football? Ti è piaciuta? Ti rendi conto che sarà il primo anno che vedrò il campionato senza di te!? Tra un po’ inizieranno di nuovo le partite… va beh! Non mi ci far pensare, altrimenti mi intristisco. Come va il lavoro? Ho letto il tuo articolo sulla fine degli Stati Nazionali e la tua chimerica proposta di rinnovamento della democrazia: folle e geniale! Davvero complimenti. Ricordati che se vuoi che ti fissi un colloquio basta chiederlo, so bene cosa pensi del giornalismo televisivo ma credo che saresti portata: pensa, sei famosa! Molti ancora ricordano la tua epica scena con il Porco Capitalista. Ti basterebbe scoccare le dita e ti assumerebbero. Per il resto io sto bene e non mi lamento. Una domanda: dato che Darcy si è lasciata, dici ci potrei provare? Lo so è folle… Va beh, let me know. Un bacione Bernie. Rory»
 
«Bernie! Mi hanno assunto! Rimango a Londra J Sono estasiato, sul serio. Peccato tu abbia pensato bene di cambiare sponda. Quando puoi collegati su skype che chiacchieriamo. Fammi sapere se rimani lì perché, in caso contrario, so che tornerai e avrai bisogno di un posto letto. Un bacio. Edo»
 
«Signorina Minardi, esigo che lei si faccia sentire di più! Una mail al mese è un po’ poco, non trovi? Comunque l’America ti fa bella, stai una favola, sul serio… questi americani ti hanno definitivamente fatto passare dal lato oscuro oppure c’è una possibilità che tu torni? Comunque sono contento tu sia serena, ti ho sentito meglio dall’ultima mail. Io sto abbastanza bene, pieno di lavoro come al solito e tra poco inizieranno i soliti pazzi giri per il mondo, sai le Premiere…scusa, non dovrei parlartene. Ad ogni modo, rispondi subito. Un abbraccio. Luke»
 
«Ti mando in allegato la foto dei colori per il soggiorno. Ho seguito il tuo suggerimento, lo stile industriale mi piace da impazzire ma, ahimè, non ci capisco nulla di tinte e suppellettili e ho bisogno del tuo nuovo gusto modaiolo per ovviare alla situazione. Quando vai in Italia? Dimmelo che in caso faccio un salto perché non ho impegni imminenti al momento, tranne quello di andare a convivere. Sono eccitatissima, sai? Sì che lo sai, ti ammorbo su whatsApp un giorno sì e l’altro pure. Quando ti fanno sapere per il lavoro? Io, comunque, ci spero ancora. Lo so, lo so che rompo e faccio la sorella iper-apprensiva, ma quello è un idiota e qualcuno deve pur aiutarlo. Non ti ha dimenticata. E con questo passo e chiudo. Ti voglio bene. Emma»
 
 
Londra – Agosto 2013
 
Avevo bisogno di correre.
Andare al parco alle 18 non è una delle migliori idee che si possano avere, ma comunque o scaricavo la tensione così oppure mi davo al paracadutismo. La seconda opzione era impossibile, così eccomi, in una fresca serata di inizio agosto, in un delizioso parco del centro a dare sfogo a tutte le mie ansie.
A ottobre inizierà tutto nuovamente, un nuovo ciclo, una nuova stagione di vita; si volta pagina, si lascia il vecchio per il nuovo, o almeno ci si prova.
Piccola salita, scatto in avanti, sentendo i tendini e i muscoli flettersi, nuove spine sparire e un po’ di ansia diminuire.
Non faccio altro che allenarmi in realtà, soprattutto con il Coriolano alle porte, devo tenermi in forma. Tornare a teatro dopo tanto tempo mi emoziona, è un po’ come tornare alle origini e poi avere il pubblico così vicino, sapere di avere i loro occhi puntati su di me, sentire gli applausi e recitare, soprattutto recitare, veramente, dal vivo, con persone tra persone. E’ tutto un gioco di ombre e di sguardi, il corpo si modula alla voce, ogni piccolo dettaglio deve essere curato alla perfezione, niente può essere lasciato al caso perché non vi è una seconda possibilità, non c’è montaggio, ci sei tu e il tuo personaggio che vi date battaglia, uniti e pur divisi, due esseri in una persona. Il cinema mi ha dato tanto, ma il teatro è il mio tutto, è una continua meraviglia per gli occhi e per l’anima.
Ricomincia tutto, ricomincia la vita finalmente da attore e non da spettatore, niente più tempi morti, finalmente mi lascio alle spalle l’otium per tornare nel foro, nell’arena, per poter superare ancora una volta me stesso, per vestire nuove pelli e nuovi ideali: altri avranno il mio volto e la mia voce, altri prenderanno respiro grazie a me. E’ bello potersi trasformare continuamente, viaggiare e conoscere e lavorare, poter dire, finalmente, ho creato, sto creando, do vita a qualcosa che rimarrà. Sarò stancante, sarà faticoso, ma l’amore che ho per ciò che faccio mi ripaga di tutto, ogni limite superato è una vittoria per e con me stesso.
Sorrido e percorro l’ultimo tratto, facendo di corsa le scale di casa.
Posso fare la doccia con il sorriso sulle labbra.
 
New York
 
La festa è stata organizzata in redazione.
Tutto è stato tirato a lucido, scintilla così tanto che sembra brilli di luce propria. I camerieri nell’impeccabile uniforme nera girano tra gli invitati, offrendo tartine immangiabili e vini pregiati, muovendosi quasi a passo di danza con la maestria di un prestigiatore.
Mi bagno le labbra con lo champagne, continuando comunque a preferire il sapore frizzante dello spumante italiano: per quanto mi consideri un’apolide, ci sono delle cose che non cambieranno mai.
Sollevo gli occhi e incontro il mio riflesso nel vetro della finestra, rimanendo piacevolmente stupita di me stessa…
L’America ti fa bella
E’ vero, gli Stati Uniti mi hanno cambiata, in meglio aggiungerei; in questo ambiente di squali e mercenari vale sul serio la legge del “ti adatti o muori”, il più forte si prende tutto e agli altri non resta che leccarsi le ferite, sperando che smettano di sanguinare. Ho perso l’aria da bambina, malgrado il viso infantile, c’è un luccichio diverso nei miei occhi, lo riesco a scorgere chiaramente e, se da una parte sono contenta che la vecchia Berenice se ne sia andata, dall’altra parte mi manca quel suo essere un poco ingenua, mi manca la sua malizia birichina lì dove ora c’è solo quella della furba volpe che ha imparato a beffarsi dei corvi che le volteggiano attorno.
Non so se è per il meraviglioso vestito nero, così simile a quello di Ingrid Bergaman in Notorious, ma sono dimagrita, tanto aggiungerei e, se è possibile, sono addirittura più pallida del solito: del resto se una lavora sedici ore al giorno non ha molto tempo per pensare alla salute.
- Sei bellissima- Avverto delle mani sui fianchi e il fiato caldo di Peter che mi solletica il collo scoperto.
Sorrido al nostro riflesso e mi volto – Anche tu non sei da buttare-
- Sempre gentile- Scherza e mi dà un lieve bacio sulla guancia, porgendomi il braccio e scortandomi tra la folla.
Peter è oggettivamente bello, così alto e così biondo, con i lineamenti un poco virili e la barba rada che gli dà un tocco di trascuratezza che affascina. E’ anche molto solare e dolce, si piace e perciò sa di piacere, senza però ostentare questa sua sicurezza: è presente, è puntuale, è l’uomo che saresti felice di presentare ai tuoi.
Già, però non è…
Non osare pronunciare quel nome!
Chi ha detto nulla! Non l’ho neanche pensato
Già, ma io sì
Non è Tom, non è lui, non sarà mai come lui perché il dio degli Inganni mi ha giocato l’inganno più grande, quello dell’amore che giunge all’improvviso, non richiesto, non cercato, maledettamente molesto eppure tremendamente piacevole. E’ scivolato sotto la pelle senza chiedere il permesso, ha sfondato il mio muro, lasciandomi nuda, così, con prepotenza e ardore, con dolcezza e forza.
- Quello non è un giornalista della CNN?- Chiedo, ammiccando con non curanza.
Peter annuisce, ridendo divertito – Non è una festa privata, ci stanno vendendo al miglior offerente-
-Ah! Voi americani! Riuscireste a fare affari anche al funerale di vostra madre-
- Già, dimentico sempre di avere tra le mani la più europeista degli europeisti… però, l’America ti fa bella-
Sì, l’America mi fa bella…
Quanto ancora riuscirò a sopportare di sentirmelo dire senza scoppiare? Quanto ancora riuscirò a reggere questo senso di incompletezza che mi si è radicato nello sguardo come un velo? Quanto ancora manca prima che le forze mi abbandonino e sarò costretta ad annegare nel mare della malinconia?
Resisterò, sono una che combatte, arrendermi non è più un’opzione.
- Cara, vado a salutare. Sono arrivato e tu mi hai rapito completamente, torno presto- Mi dà una lieve carezza carica di aspettative e si dilegua in mezzo alla folla, lasciandomi sorprendentemente sollevata.
Dovrei andare anche io a curare la mia immagine pubblica, sebbene non ami molto dover essere costretta a sorridere continuamente e continuamente far finta di interessarmi di cose che per me non hanno alcuna rilevanza. Sono diventata brava a piantarmi il sorriso sulle labbra anche quando dentro vorrei urlare, sono diventata brava a dissimulare e a celarmi, mostrando di me solo quanto basta per far sentire al sicuro gli altri dando loro l’illusione di conoscermi. Sono diventata eccezionale in questo gioco di maschere e, devo ammetterlo, questo mi diverte, un divertimento crudele, ma appagante, sebbene alle volte un “grande disgusto” mi affligga, facendomi indietreggiare.
Ghigno tra me e me, poso il bicchiere vuoto e lo sostituisco con uno pieno, pronta nuovamente ad entrare nell’arena. Mi avventuro in mezzo alla folla, salutando amici e colleghi, chiacchierando del più e del meno, dalle quotazioni in borsa alla crisi del Medio Oriente, le solite cose, le solite parole vuote.
- Oh, Bernie!-
Qualcuno mi afferra per il braccio: è James Shepard, uno dei redattori.
- Ciao caro, tutto bene?-
- Splendidamente, vieni, vieni che ti presento- Dice, sorridendo e invitandomi ad unirmi a un piccolo gruppo di persone che evidentemente stava intrattenendo prima della mia venuta.
- Signori, signor Lewis, questa è la signorina Berenice Minardi: ha appena finito lo stage. Prima lavorava nella vostra vecchia Inghilterra, non è vero Bernie?-
- Piacere- Stringo le mani, elargisco sorrisi affabili e sguardi dolci.
Il signor Lewis, evidentemente il pezzo grosso del circolo, è un elegante inglese tra i cinquanta e i sessanta anni, impeccabilmente vestito nel suo smoking e con il fascino del londinese doc. Mima un baciamano e mi guarda con intensità, come se cercasse di ricordare dove mi ha già visto o se il mio nome abbia qualcosa di familiare.
- Posso chiederle dove ha lavorato?- Chiede, sinceramente curioso.
- Ero redattore alla rivista Umanitas-
Ed ecco svelato il mistero. L’uomo assottiglia lo sguardo e l’ombra di un sorriso si disegna sulle labbra sottili in maniera quasi impercettibile, con un movimento cauto, quasi remissivo.
Continuo a parlare, parlo e lui non smette di guardarmi, mentre un brivido mi percorre lungo la schiena e il cuore, inspiegabilmente, comincia a battere frenetico, emozionato, agitato e pieno di una segreta speranza.
 
Londra
 
- Chris! Lo sai che diavolo di ore sono qui?-
Chris ha il meraviglioso dono di essere inopportuno in ogni cosa che fa: ti chiama nei momenti sbagliati, apre le porte quando non sei in condizioni accettabili dall’umana decenza, fa domande imbarazzanti in luoghi imbarazzanti. Eppure, continuo a considerarlo come il fratello che non ho mai avuto.
- Sì, lo so. Ma Elsa è uscita e ha portato con sé India. Abbiamo un po’ di tempo tutto per noi- Spiega, con quel sorriso gioviale e un po’ tonto che lo contraddistingue. Si accomoda meglio sulla sedia davanti alla web, braccia dietro la testa e lo sguardo di chi ha passato troppe nottate a cambiare i pannolini. Però è felice, lo si vede benissimo, ed è una felicità contagiosa che fa sorridere anche me.
- Sai, se dici così mi fai sentire un po’ in colpa, come un amante clandestino- Scherzo, facendolo ridere sguaiatamente.
- Un po’ lo sei, vecchio mio, lo sai che ho un debole per te- Ribatte.
- Allora, sei pronto?- Chiedo, stropicciandomi gli occhi e cercando di dare un contegno ai miei capelli disordinati.
- Sì, dai, abbastanza. In realtà sono già stanco, ma non importa. Finalmente Elsa ed io saremo un po’ soli e questo è ciò che conta- Mi fa l’occhiolino con quella faccia da impunito che ne sa una più del diavolo e giungo alla conclusione di invidiarlo un pochino, forse un po’ tanto.
Beh, evita di mandargli un aneroide spara-fuoco o di cercare di conquistare la terra, sai fa troppo mainstream
Cos’è? Voleva essere una battuta?
Mamma mia! Che c’è? Ti è andato di traverso lo yogurt scaduto? Fattela una risata!
- Come va con…come si chiama?-
Chino il capo e mi passo la mano sul volto, ormai rassegnato: quella che si è venuta a creare attorno a me è una vera e propria congiura. Ostracismo più precisamente.
- Estelle-
- Giusto, Estelle… no, un momento, non si chiamava Ber…-
- NON PRONUNCIARE QUEL NOME!- Dico, anzi strillo, con una voce di un’ottava più alta del normale e un po’ troppo isterica di quella che avevo in mente.
- Ehi, Tom! Bella voce, mai pensato di entrare nelle “voci bianche”- Scherza, cercando di dissimulare e per questo lo ringrazio. Non si riesce ad essere arrabbiati con Chris per più di dieci secondi, è troppo grosso e troppo giuggiolone per non lasciarsi intenerire ma, sopra ogni cosa, è una persona buona e genuina, fedele, un buon compagno e un buon amico che se ha due ti dà uno e mezzo senza chiedere il conto.
- Scusami- Mormoro con la coda tra le gambe.
- Ancora un tasto dolente?-
- Dolentissimo-
Sospiro e vedo il mio compagno corrugare la fronte, come se stesse cercando di fare mente locale o stesse tentando di trovare un argomento di conversazione alternativo a cui però, data l’espressione, rinuncia immediatamente.
- Quanto è passato?-
- Cinque mesi-
- E stai ancora così? Devi essere proprio innamorato!-
Ah, la voce della ragione: in una frase ti ha gentilmente ricordato che hai fatto una cazzata!
Già, perché non riprendi un po’ da lui?
Cocco, io ho parafrasato nell’unico linguaggio che conosci: dovresti essere fucilato!
Confortante, davvero molto confortante
Chris è tanto buono e caro, ma, dopo trenta anni di vita, ancora non ha imparato la sottile arte del “tacere strategicamente”, insomma, talvolta non collega molto bene il cervello alla bocca, anzi, forse sono fin troppo ben collegati così quello che pensa dice e addio a qualsiasi tipo di filtro: diretto, puntuale e sincero, qualità altamente apprezzabili, dico davvero, ma non quando si ha la coscienza sporca e un groppo di rimorsi sullo stomaco.
- Perdonami, Tom. Non avrei dovuto! Elsa me lo dice sempre che sono molesto-
- Ha ragione…-
- Ehi!- Esclama, fingendosi offeso per poi prorompere in una piacevolissima risata che scioglie qualsiasi nuvola stesse oscurando il sole di questa conversazione.
- Comunque sembri meno gracile: quella maglietta sbrindellata mette in risalto i tuoi nuovi pettorali, Chiodo-
- Ancora con quel nome?-
- Dai, Tom. Tu sei e rimarrai sempre Chiodo. Pure India ti chiama così-
- Bene! Sono così contento adesso, vado a festeggiare. Ci vediamo Chris…-
- Dai, amico! Vieni qui e non fare il permaloso. Piuttosto, raccontami un po’ del teatro e anche di… come si chiama?-
No, va beh! Ditelo allora che lo fate apposta. E’ un malocchio questo!
 
New York
 
- Peter non riesce a toglierti gli occhi di dosso…povera Sybil: ballano insieme e lui non se la fila-
Clara mi si siede vicino, porgendomi l’ennesimo Martini della serata.
Adoro Clara, con lei è stato un po’ come avere un colpo di fulmine, ci siamo trovate subito. E’ un po’ più grande di me, è sposata, ha un bellissimo maschietto che ha preso da lei il suo sorriso dolcissimo e lavora al New Yorker praticamente da una vita. E’ stata lei a seguirmi e a starmi vicina nei primi tempi, mi ha insegnato tutto quello che so e per questo non potrò mai ringraziarla abbastanza. Clara è una vera mamma, così gentile e così dolce, e con uno spiccato istinto da Crocerossina che, parecchie volte, ma ha davvero salvato; grazie a lei, soprattutto a lei, non ho sofferto la solitudine perché è riuscita a farmi sentire immediatamente a casa, protetta e a mio agio fin dal primissimo istante.
- Già, è un caro ragazzo-
- Sareste perfetti insieme- Butta lì questa frase come se non avesse appena sganciato una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Non mi guarda, si limita a giocare con quello che è rimasto del suo cocktail, ma so perfettamente che ha capito benissimo di aver colpito e anche parecchio in profondità.
- Forse-
- Forse!?- Esclama indignata, smettendo la sua maldestra tattica e guardandomi dritta negli occhi – Non “forse”, tu devi, assolutamente- Ribatte lei, convinta e autoritaria. Sotto la sua apparenza angelica c’è una tigre, una leonessa pronta ad attaccare quando meno te lo aspetti. E’ forte Clara.
- Già, forse… è tutto troppo aleatorio per poter costruire qualcosa di duraturo- Spiego brevemente, bevendo un sorso del mio drink.
Clara fa un sorriso affilato e malizioso, poi continua – Tu e le tue parolone… la vita è più semplice: a parer mio il tuo corpo è qui, la tua lingua dice che tu sei qui ma in realtà la tua mente è da tutt’altra parte. E’ rimasta nella vecchia Madre-patria a fare i vermi, ecco la verità-
Le faccio un sorriso di resa, facendo trapelare tutta la mia malinconia. Ahimè, ha ragione da vendere, ha maledettamente centrato il quid della questione e né io, né la mia lingua possiamo farci alcunché, Clara è troppo donna di mondo per farsi abbindolare così.
- Come faccio? C’è una cura per questo “mal d’amore”?- Piagnucolo, dicendo addio a tutti i buoni propositi di sorseggiare le bevande e non scolarle come se avessi un imbuto.
Clara ci pensa un po’ su, portandosi una mano sotto il mento con fare teatrale – Credo tu debba convincere te stessa che è finita e smettere di aspettare. E’ tutta questione di autoconvincimento. Se io stessi ancora ad aspettare quello stronzo che si è fatto mia sorella alle mie spalle per anni, sospetto fortemente il mio piccolo Andrew non sarebbe qui, oggi-
Intanto la musica è cambiata: finalmente hanno dato modo all’orchestra di dare un senso alla loro presenza. E’ un walzer quello che suonano, lento, raffinato e pacatamente sensuale. Mi piace, molto anche, e cerco di riportare alla memoria il titolo e l’autore del brano, con scarso successo. E’ una melodia conturbante, ti lega a sé, chiamandoti, avvolgendoti nelle sue spire e trascinandoti verso di lei: un ballo non mi dispiacerebbe.
Cerco Peter tra la folla, alzandomi in piedi, mentre Clara viene trascinata via dal marito, non senza avermi lanciato un’eloquente occhiata d’intesa. Non lo trovo, così, decido di non aspettare che il destino mi cerchi e vado a cercarlo io, pronta a immergermi nel crogiolo umano che si è riversato sulla pista da ballo.
- Mi concederebbe questo ballo, signorina Minardi?- L’accento è inconfondibilmente inglese, con quel garbo melodico che contraddistingue quell’accento così familiare.
Mi volto e, senza sorpresa, mi trovo davanti il signor Lewis che mi porge la mano. Sorrido e mi lascio andare, acconsentendo, incapace di dire di no, incapace di rispondere al richiamo della nostalgia di casa.
Fluttuiamo letteralmente, l’uomo sembra avvezzo a questo tipo di ballo, infatti è parecchio bravo, parecchio più bravo di me aggiungerei, l’emblematica negazione del ritmo e della danza.
- Si lasci guidare- Mi sussurra all’orecchio.
Non c’è un doppio fine, la sua gentilezza è quasi paterna, tanto che non provo il minimo disagio nell’abbandonarmi alle sue braccia sicure ed esperte, riuscendo, finalmente, a ballare un Walzer, uno dei miei sogni proibiti.
- Sa, sono riuscito finalmente a ricordare dov’è che l’avevo già vista-
Bernie! Tu ti ricordi di lui?
No, non ricordo nulla!
Perfetto, un pezzo grosso della televisione si ricorda di te e tu stai per fare una colossale figura di merda
Grazie tante!
Dovere!
- Mi spiace- Mormoro mortificata, abbassando il capo.
Lo sento ridere divertito – Non mi aspettavo che lei sapesse di me, assolutamente, era davvero troppo impegnata, in entrambe le occasioni aggiungerei-
Ok, questo mi sa tanto di maniaco
Che dici, è tanto gentile!
Sì, lo dicevano anche di quel tizio che ha ammazzato la famiglia a coltellate. Un consiglio: datti!
- Non capisco- Dico, assumendo una posizione alquanto rigida senza volerlo.
- Rammenta per caso la serata di beneficenza all’Hotel Baglioni?-
CAZZO!
Come poterlo dimenticare? E non solo perché è lì che ho conosciuto Tom, ma anche perché l’epocale scazzata contro il porco borioso è stato uno dei video più visti in Gran Bretagna per tutto il mese di Dicembre.
San Socrate, aiutami tu!
Avvampo visibilmente e sento tutto l’alcol salirmi fastidiosamente allo stomaco, tanto da farmi venire le vertigini. Sollevo il capo e lo guardo con occhi sbarrati, non so più se per vergogna o per paura.
Ma Lewis ride, ancora una volta, sorprendendomi e mettendomi subito a mio agio – Oh, signorina, non abbia timore. Ha dato alla serata una svolta non indifferente. Non mi sono mai divertito così tanto: “Porco Capitalista”! Geniale, assolutamente. Non posso dire che Montgomery non se lo sia meritato, è da quando ho scritto il mio primo articolo, secoli fa ormai, che provo a incastrarlo per i suoi illeciti. Beh, lei mi ha ripagato di ogni delusione, sul serio, una voce squillante e una bellissima presenza, se posso permettermi-
Dove vuole arrivare?
Non lo so…
Bernie, tieniti forte, credo valga la pena scoprirlo
- E’ stata una gran bella soddisfazione anche per me, signore- Dico, sorridendo con lo sguardo, lasciandomi guidare in una giravolta.
- Non lo metto in dubbio. Senta, deve perdonarmi: purtroppo noi uomini abbiamo difficoltà di fare due cose contemporaneamente, sebbene sarebbe stato molto più d’effetto parlarle godendoci un così bel Walzer, le vorrei chiedere di accompagnare un povero signore di mezza età al bar. Ho davvero bisogno di uno Scotch, le dispiace?-
E’ simpatico, davvero simpatico, e ci sa fare, con le donne e sospetto anche negli affari: mi ha letteralmente conquistata, non saprei davvero negargli alcunché (non siate maliziosi!).
Mi porge il braccio e ci dirigiamo verso il bar, barcamenandoci tra la fiumana di gente che si dimena sulla pista e si accalca verso le uscite. Raggiungiamo la nostra meta e Lewis ordina due Scotch, mentre io prego di non fare facce strane una volta assaggiato il liquore per me sconosciuto: quando una cosa mi fa schifo tendo a essere molto schietta e plateale. Non posso rischiare di offenderlo, non so perché ma sento che sta per succedere qualcosa, siamo a un punto cruciale, alla svolta epocale che stavo aspettando inconsapevolmente, il mio corpo già sapeva ma, evidentemente, la mia psiche ha deciso a suo tempo di farmi poltrire nella bambagia ancora per un poco, riversandosi tutta insieme ora, in questo preciso istante in cui la calma sarebbe una ben migliore consigliera dell’adrenalina.
Mi fa cenno con la mano di precederlo verso il grande balcone adibito a sala fumatori: perfetto! Lewis fuma e io ho smesso, vuoi vedere che dopo mesi di astinenza ricomincio a fumare?
Spero non sia questa la svolta del secolo
Mica ho detto questo, oddio, dici che è questo? Sai che delusione?
Sai quanti piagnistei Lolita e io dovremmo sopportare, come se non ci avessi ammorbato abbastanza con Tom, Tom e ancora Tom!
Che ti avevo detto? Quel nome è come quello di Voldemort: impronunciabile
Vai a farti fottere, rompipalle!
- Ecco a lei, vuole una sigaretta?-
Mi porge il bicchiere e un contenitore in argento. Tentenno un poco, ma mando al diavolo tutto, soprattutto la salute, e afferro una sigaretta: ci vuole, Dio se ci vuole.
- Di cosa mi vuole parlare?- Chiedo, diretta fino all’osso.
Lewis mi guarda compiaciuto, sorridendomi con fare complice, facendomi salire un brivido lungo la schiena – Vedo che è una persona molto acuta. Mi piace, non credo abbia fatto mistero di questo. Soprattutto è schietta e vivace, proprio quello che stavo cercando- Prende un sorso e una boccata dalla sua Marlboro, quindi torna a guardarmi – Si tratta di affari o meglio: un affare per me, un’occasione per lei-
- Continui-
- Non voglio fare uno sgarro al New Yorker, tra noi scorre un buon rapporto di annosa e amichevole collaborazione ma, come si dice, “in amore e in guerra tutto è concesso”. Il mio lavoro è per me l’amore ma anche guerra: sono pronto a tutto. Le comunico che è pronta per lei una lettera di assunzione per questo giornale-
Oh, cazzo!
Minchia, non me lo può dire così. Anzi, non me lo potrebbe dire punto
Benedettissimo From, questa non è UNA svolta questa è LA svolta!
- Non so cosa dire- Mormoro, eccitata e spaventata come non mai, sentendo il cuore incrinarsi un poco.
- Non dica niente, non prima di aver ascoltato ciò che le voglio proporre- Risponde serio, bevendo il suo Scotch e invitandomi, con un cenno del capo, a fare altrettanto.
Deglutisco e ridacchio isterica, portando alle labbra il bicchiere e prendendo un ampio sorso, tenendolo nella bocca per tastare il gusto assolutamente poco piacevole e…
- Le propongo di venire a lavorare per me, a Londra-
Ingoio il calice amaro tutto insieme, quasi strozzandomi, mentre gola e stomaco iniziano a protestare rumorosamente e dolorosamente, facendomi venire le lacrime agli occhi. Se supererò questa notte, farò un monumento al “miglior muscolo cardiaco dell’anno”.
- E-cco, o-o-ora non s-so seriamente c-cosa d-dire- Balbetto come una qualsiasi sciocca scolaretta del liceo mentre nella mia testa i fuochi di artificio esplodono e la botta alcolica mi scivola forsennatamente attraverso le vene. Sto per svenire, lo sento, tanto che sono costretta a sedermi.
Tornare a casa, a Londra, in Inghilterra, a casa, con un lavoro, tra i miei amici, vicino a…
- Le dispiace?- Chiede educato, con calma, sedendosi accanto a me.
- No, affatto. Sono solo parecchio stupita: troppe notizie tutte assieme-
Lewis mi sorride conciliante, dolce e paterno, comprensivo quasi – Lo capisco, ma vede, non posso lasciarmela scappare nuovamente. L’ho cercata da quando è iniziato il progetto di cui vorrei facesse parte: trovarla qui, a New York è stato un colpo di fortuna non indifferente-
- Lei ha cercato me?- Chiedo stupita, boccheggiando.
- Ha un’opinione molto bassa di lei dalla faccia che fa. Il mondo del giornalismo, cartaceo e non, è molto più piccolo di quanto si pensi, creda a me che ci navigo da più di un quarto di secolo. Quella sera al Baglioni mi ha fatto un effetto a dir poco straordinario, lei, signorina Minardi, ha lasciato il segno. Ho letto anche i suoi articoli, sia di Londra che di qui e, devo dirlo, scrive in maniera divina, forse un po’ troppo personale, appropriato più per uno scrittore che per un giornalista, ma si vede che c’era e c’è passione in ciò che fa: l’hanno notato qui e l’ho notato io. Amo le persone che ci mettono tutte se stesse in quello che fanno, i suoi articoli trasudano vita ed entusiasmo e questo è proprio ciò che cerco-
Parla in maniera accorata, solleticando il mio ego con maestria, senza però indulgere in frasi melense o scontate: è un bravissimo politico, un eccellente incantatore.
- Mi scusi, posso chiederle di che cosa si tratta?-
- Non si scusi, lei DEVE chiedere. Ecco, come sa, mi occupo di programmi televisivi, soprattutto per la BBC o comunque per le reti pubbliche; come lei vengo anche io dal giornalismo vecchio stile e, per quanto nostalgico sia, sono una persona molto realista a cui piace stare al passo con i tempi. Attualmente, da un decennio circa direi, mi sono dato alla produzione, lasciando ad altri il compito di informare. Con alcuni miei colleghi vorremmo produrre uno show televisivo che si occupi un po’ di tutto: dalla politica allo spettacolo, dall’arte alla cucina. Un talk show di informazione, ecco, che coinvolga non solo adulti, ma anche giovani, giovani che come lei hanno ancora a cuore la cultura. Ho già un giornalista, ma, temo, non sia sufficiente. Voglio un bel viso, lo so, è brutto, la capisco, insomma, voglio un bel viso che sia anche intelligente e attento, professionale ma soprattutto frizzante… in poche parole, voglio lei-
Voglio lei…
Televisione
Talk show
Londra
Inghilterra
Casa…
FINALMENTE!
- Lei mi lusinga…-
- Non voglio lusingarla. So perfettamente che con lei non attacca. Dico ciò che penso e quello che penso è che lei sia una pietra preziosa, i cui meriti devono essere lodati e riconosciuti. Non le sto regalando nulla, quello che dico è semplicemente ciò che lei ha fatto, sono la conseguenza del suo lavoro e del suo impegno, nulla di più e nulla di meno-
- Beh, io… non saprei. Non credo di essere in grado di rispondere ora, qui, adesso. Il giornalismo televisivo non è mai stata una scelta che ho contemplato, in tutta sincerità, nutro forti dubbi…-
Lewis mi sorride e mi fa una carezza affettuosa sul viso- Oh, non deve rispondermi subito, Berenice, assolutamente. Ha un po’ di tempo per pensarci-
- Quanto?-
- Domenica-
- Domenica! Ma…-
- Anche Lunedì all’alba. Questo è il mio biglietto da visita e qui c’è l’indirizzo dell’hotel in cui alloggio. Venga e chiami a qualsiasi ora, ci conto-
Si alza in piedi, appagato e felice come un bambino, salutandomi con un cenno della mano e augurandomi un buon proseguimento di serata, lasciandomi lì seduta, sconvolta e scossa, in preda a mille dubbi e a mille domande a cui nessuno saprà dare risposta.
Forse, c’è n’è solo una che valga veramente la pena chiedere.
- Scusi?-
Si volta, poco prima di sparire oltre le tende – Sì-
Mi avvicino, volendo evitare di urlare come una pescivendola con il mio ipotetico capo, forse, quasi, oddio non lo so…
- Lei ha detto prima che ENTRAMBE le volte in cui mi ha vista ero molto occupata. Ecco, mi chiedevo… dov’è che mi ha vista la seconda volta?-
L’uomo mi guarda intensamente, serio e con uno sguardo talmente penetrante da farmi indietreggiare di un passo. Sorride, sornione, ancora una volta consapevole delle meravigliose carte che ha in mano – Tate Modern, Natale del 2012. Mi sembrava un peccato interrompere un così appassionato bacio: è un sacrilegio dividere due amanti innamorati, non credo che il signor Hiddleston me l’avrebbe mai perdonata-
Un nuovo cenno, un nuovo saluto e la consapevolezza di essere ancora, irrimediabilmente e
fottutamente fregata.

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Capitolo 20
*** CAPITOLO 13 ***


Capitolo 13
L’America ti fa bella
 
Intermezzo: Perdersi ma, forse, ancora per poco…
O per sempre
 
Londra- Agosto 2013
 
- Com’è andato il servizio fotografico?- Estelle mi apre la porta del suo appartamento, sorridendo allegra.
- Al solito, sai che mi diverto- Le dico, facendole l’occhiolino.
In effetti, ci siamo conosciuti su un set fotografico, in cui lei era la fotografa, io colui che doveva essere fotografato. Lavorare con lei è stato stimolante, le sue foto colgono ogni più minuta sfumatura; con la macchina, Estelle vezzeggia il soggetto, ci gioca, lo decostruisce e lo ricrea in continuazione. Ha cuore e mani d’artista, ma un cervello ben piantato sul terreno dove cammina.
- Uhm, devo preoccuparmi?- Chiede, avvicinandosi e lasciando un languido bacio sulle mie labbra.
- No, certo che no… sei tu la mia fotografa preferita-
Bugiardo!
Non è vero, ho detto la verità
Secondo me non solo si dovrebbe preoccupare ma anche incazzare, visto che pensi sempre…
Che palle! Sei tu che ci pensi, non io
- Te? Com’è andato il lavoro?- Mi siedo sul divano, aspettando che lei mi raggiunga per goderci un bel film prima di cena.
Sento i pop corn scoppiettare nel microonde, mentre Estelle rovista nella sua ordinatissima cucina alla ricerca di un contenitore abbastanza capiente. Abbiamo deciso di trascorrere una serata tranquilla, ne abbiamo bisogno entrambi, perché entrambi a breve saremo impegnatissimi, quindi ci prodighiamo a trovare nelle nostre agende tempi e momenti di estrema intimità, solo per noi due.
La sua compagnia è piacevole, la mia lo è per lei, come ho detto siamo un balsamo l’uno per l’altra.
- Bene, anche io a ottobre dovrò partire. Non vedo l’ora- Dice, sedendosi vicino a me e porgendomi la scodella con il cibo fumante che emana un delizioso profumino.
- Starai via molto?- Domando più per educazione che, ahimè, per vera e propria curiosità.
- Un mese-
La guardo e lei guarda me, probabilmente per scorgere un qualche tipo di reazione.
Sto in silenzio.
-Lo so, è tanto-
Sono ancora in silenzio e mastico un pop corn.
- Però quando torno, potremmo, che so, trascorrere più tempo insieme, che ne dici?-
Enorme richiesta velata da un tono leggero e innocente.
Eccola che arriva la svolta tanto temuta, quella svolta a cui non sono pronto tanto che non ho parole per rispondere o comunque parole che lei si vorrebbe sentir dire dopo due mesi e passa di conoscenza (biblica, ovviamente).
Sospiro, prendendo il cuore tra le mani, pronto alla più tremenda delle rivelazioni.
- Estelle, io… ecco…-
- Ho capito- Mi interrompe, alzandosi e avvicinandosi alla finestra.
Che palle! Perché non ci si può semplicemente rilassare e divertire senza che i sentimenti facciano fastidiosamente capolino? Provo affetto e tenerezza per lei, forse, sforzandomi, riuscirei anche a provare qualcosa di più, però, come dissi un tempo, credo anche un po’ nel destino e se la storia è iniziata per emendare ferite e asciugare lacrime e, fino ad oggi, in me, niente altro se non una bella amicizia è nata, evidentemente c’era e c’è un motivo: non credo sia destino.
Berenice non tornerà, di questo sono ormai sicuro e rassegnato, ma, lo ripeterò fino alla morte, dopo che si è provata una Jaguar non ci si accontenta di una Volvo per quanto comoda e confortevole possa essere.
Hai detto una cosa schifosamente sessista e maschilista, lo sai?
Deformazione di genere, mi spiace
Sbuffo silenziosamente, alzando gli occhi al cielo e decido di raggiungerla. Mi avvicino e mi posiziono alle sue spalle, senza toccarla, rispettando lo spazio che si è voluta prendere – Non credo di poterti dare quello che vuoi-
- Tu non sai quello che voglio- Ribatte dura, la voce un poco incrinata. Si volta, gli occhi castani, un poco lucidi, dardeggiano, arrabbiati e delusi: non posso darle torto – No, tu non sai quello che voglio perché non vuoi saperlo. Hai così tanta paura di affezionarti a un altro essere umano?-
Non c’ha capito un cazzo…
Le dico così?
Come te del resto!
- Io sono affezionato a te-
- Dio, Tom!- Ok, ha ragione. Ho fatto la parte del bambino petulante, ma, seriamente, le voglio bene ma nulla più, ho paura abbia ragione Emma, che sia un po’ sciocchina?
- Estelle, ti voglio bene, sei una cara ragazza ma, sinceramente, non sono in grado di darti ciò che vuoi perché non credo sia quello che voglio io-
- Io vorrei semplicemente approfondire la nostra conoscenza. Non sono innamorata di te, ma stiamo bene assieme, parliamo, scherziamo e credo sia giusto dare a noi due una possibilità, un forse. Non chiedo un impegno, né eterno amore, né voglio una relazione che si possa definire tale, desidero semplicemente non dovermi sentire una maniaca se invece che una volta alla settimana ci vediamo due o tre volte. Insomma, vorrei smettere di rincorrerti-
Mi circonda il collo con le braccia, avvicinandosi, e poggia la sua fronte sulla mia, continuando a guardarmi insistentemente negli occhi. Si potrebbe provare, non ho nulla da perdere, lei neanche, non sto apponendo nessuna firma, sarebbe semplicemente un modo per iniziare a costruire di nuovo, edificare sulle macerie insomma. Quello di Estelle è un ragionamento giusto e semplice, logico nella sua limpidezza e, in fondo, sarebbe una cosa sana e saggia da fare.
- Allora, in questo caso, sì, potremmo anche passare più tempo insieme- La bacio e sorrido sulle sue labbra, sentendola stringermi un poco di più.
- Pensala come il consolidamento di un’amicizia, Hiddleston!-
Hiddleston
E’ così che mi chiamava sempre lei quando voleva compiacermi o blandirmi.
Hiddleston
Me lo sussurrava sempre lei quando facevamo l’amore, diceva di trovarlo molto sexy.
Hiddleston
E’ la prova, sì, è la prova di essere, ancora, irrimediabilmente e fottutamente fregato.
 
New York
 
Clara si alza dal tavolino, facendomi cenno con la mano.
Le sorrido attraverso gli occhiali da sole ed estinguo la distanza che ci separa, baciandola sulle guance e dando un buffetto affettuoso sulla testolina pelata del piccolo Andrew che ricambia con gorgoglii divertiti, battendo le manine.
- Scusami, Clara. Non volevo disturbati-
La mia amica mi fa un cenno di non curanza con la mano, accomodandosi nuovamente sulla sedia – Figurati, deary. Mi hai risparmiato un noiosissimo brunch con la mia cara, carissima cognata che, se potessi, avrei già ammazzato da almeno cinque anni-
Ridiamo all’unisono, facendo divertire quello che amo considerare un nipotino acquisito. Un giovane cameriere chiede le ordinazioni, sorridendo affabile e affabulatore come tutti i ragazzi maschi che si rispettino di fronte al gentil sesso.
Due insalate miste, due limonate e un po’ di pastina per il bimbo, nulla più e nulla meno. Da quando sono giunta in America il mio stomaco è come se si fosse serrato, forse disgustato dal troppo, prendendo come massima di vita il detto che “il troppo stroppia”. Oltretutto, sono davvero troppo nervosa ed emozionata e isterica per potermi cibare di qualcosa di più solido che un po’ di lattuga.
Non ho chiuso occhio per tutta la notte…
Ti credo, povero Peter
Va beh, mica solo per quello
Non importa, io ho apprezzato
Siamo diventate delle predatrici, eh?
- Allora, dimmi tutto- Dice, iniziando a sorseggiare la bevanda appena arrivata.
- Ecco, è un po’ complicato-
- Sei incinta e Peter ti ha chiesto di sposarlo?-
-No!-
- Non sei incinta di Peter? E di chi? Non dirmi di quell’idiota che si occupa di baseball!-
- No, non sono gravida!-
- Tesoro, che brutta parola! Allora cosa? Hai rapinato una banca? Sei malata? Devi espatriare? Hai…-
Le tappo la bocca con la mano perché, dovete sapere, quando Clara attacca con le sue teorie complottistiche o fai così, o solamente un meteorite può salvarti da un emicrania assicurata.
- Mi hanno offerto un lavoro-
- Sì, lo so. Ti hanno assunta- Ride felice, battendo le mani euforica.
- Sì, è così e… un momento, come lo sai?-
- Io so sempre tutto. E’ meraviglioso, sul serio, dobbiamo festeggiare. Cameriere!- Che Clara fosse pazza lo sapevo già, ma che fosse COSI’ pazza, beh, questa è una vera e propria sorpresa.
Sono un mostro, mi sento un mostro.
E’ così felice che io rimanga, così contenta, come se le avessi fatto il regalo più bello di tutti, peccato che la mia è una promessa che forze non sarò in grado e non vorrò mantenere perché non ho ancora deciso, sebbene non abbia ancora molto tempo per farlo. Volevo parlarle appositamente, vorrei da lei un consiglio ma, forse, ho sottovalutato il suo affetto per me, così come ho sopravvalutato la mia capacità di essere fredda e razionale. Ho due direzione, due possibilità, tutte hanno dei pro e dei contro che devo tenere in considerazione e che, purtroppo, si equivalgono e, tra i contro, ovviamente c’è perdere lei, allontanarmi e sentirne la mancanza perché, sul serio, se ho imparato a camminare in questa città è solo per merito suo.
- Clara…-
- Zia Bernie rimane e, chissà, tra due anni potresti avere un cuginetto, se maschio, una fidanzatina se femmina, non è meraviglioso, Andrew- Gongola lei con sguardo sognante, facendo delle tenerissime carezzine sul capo del figlioletto.
Dio, ti prego, uccidimi! Fa qualcosa, prendimi a te oppure mandami dalla concorrenza ma, ti scongiuro, risparmiami questa tortura…
Niente! Grazie tante pure a te!
Scusa ma non eri atea?
Agnostica, è diverso
Paracula, questo è, sul serio, diverso
- Clara, mi hanno offerto di andare a lavorare a Londra-
- Oh, eccoti qua. Vorremmo una bella bottiglia di… CHE COSA!?- Clara ha lanciato un urlo così forte che ho sinceramente paura la vena del collo possa scoppiarle da un momento all’altro.
Deglutisco, spaventata e colpevole, facendo un delicato cenno al cameriere, estremamente felice di potersi defilare dalla scena del crimine, neanche fosse lui ad essere imputato.
Vedo la mia amica sedersi, visibilmente scossa, boccheggiando e guardandomi come se le avessi appena detto, seriamente, di essere una serial killer scappata dal braccio della morte. Tossicchia, dandosi un contegno, e si liscia le pieghe del vestitino, inspirando ed espirando con regolarità, affinchè l’aria torni a circolare normalmente. Clara è esagerata in tutto, sia nell’entusiasmo che nella delusione, forse, e avrei dovuto pensarci, sarebbe stato meglio se ci fossimo incontrate in un luogo più appartato.
- Dunque, veniamo a noi, voglio sapere tutto, nei più piccoli dettagli e non tralasciare nulla…-
Il suo sguardo omicida non mi avrebbe comunque lasciato altra scelta.
Inizio a raccontare…
 
- Quindi, vedi, non so che cosa fare… sono molto combattuta a riguardo-
- Cazzate- Dice, scolandosi l’ultimo goccio di birra e a quel paese la dieta. Sono ore che parlo, solo due in realtà, ore in cui le ho raccontato ogni cosa, ogni mia idea e ogni mio dubbio anche se, a quanto pare, non crede molto alle mie parole.
- Perché dici questo?-
- Perché, come ti ho detto ieri sera, tu stai da un’altra parte, sei rimasta lì, in Inghilterra. In questi mesi ho visto il tuo sguardo perennemente perso nel vuoto, ci sei annegata nei ricordi. L’offerta che ti hanno fatto è la scialuppa che ti riposta a casa, pertanto, il mio doloroso verdetto è: torna a casa e non guardarti indietro-
Mi afferra una mano e la stringe mentre ci guardiamo entrambe con le lacrime agli occhi, commosse e addolorate perché entrambe siamo consapevoli di aver trovato l’una nell’altra una persona speciale come raramente se ne trovano.
- Non sono sicura, seriamente. Amo il lavoro che ho svolto qui e sono molto tentata di volere continuare la mia carriera su questa direzione, insomma, non mi ci vedo molto nel giornalismo televisivo, l’ho sempre trovato molto superficiale e poi… non voglio perderti, sei stata la mia famiglia qui, mi mancheresti e sarei molto felice di poterti avere ancora nella mia vita. L’America mi fa bella- Rido tra le lacrime.
- Sì, l’America ti fa bella, ma Londra ti fa felice-
Cornacchia, scrivitela, hai le piume!
Sai c’è una cosa che si chiama memoria, molto utile, sospetto sia nell’uomo dai tempi che furono
Gesù, ha ragione la Bisbetica, sei acida come uno yogurt scaduto
Chino il capo, con le parole di lei che mi echeggiano nella mente, dure come la verità, pesanti come la consapevolezza della ragione. Londra mi farebbe molto felice, sarebbe tornare a casa e sentirmi nuovamente completa, nuovamente integra, nuovamente la Berenice che ha lottato con le unghie e con i denti per poterci andare ad abitare. Londra è il sogno infantile, il sogno della vita che si realizza, ma un sogno che fa paura, di quelli così belli e così meravigliosi da sembrare quasi irreale: la felicità è proporzionale alla paura di perderla, quella felicità.
C’è dell’altro però, qualcosa che ho paura di rivelare anche a me stessa, una verità così pura da far male agli occhi: tornare a Londra significherebbe avvicinarmi a lui. Un’altra speranza, un’altra dolorosa illusione, è pericoloso vivere di questo perché, in definitiva, è un po’ come morire, non vivere più. Arrivata in America avevo deciso che, da quel momento in avanti, sarei andata io incontro al destino e non il contrario, al solito, non sono riuscita a riconoscere la mia innata volontà di controllo, finendo, per l’ennesima volta, tramortita dalla vita, quella bastarda infame che mi ha tramortita e investita senza darmi il tempo di metabolizzare. Il mio più grande terrore è quello di non riuscire a reagire a Tom, al suo ricordo, alla sua immagine, a ciò che tra noi c’è stato o ci poteva essere, in questo caso la lontananza fa soffrire ma mi aiuta, mi ha aiutato e mi aiuterebbe a superarlo, ad andare avanti e a far rimarginare le ferite. Se torno, non so se riuscirò a fare altrettanto. Ho paura di rimanere ancorata al passato, al testardo sogno che forse, prima o poi, tornerà cosicché potremo finalmente viverci, restando ancora una volta fregata, ancora una volta immobile, inerme e passiva. Non voglio questo, voglio vivere, sono viva e non mi fermo, la vita non si ferma e non sa di speranze la vita.
- Torna alla tua Europa, Bernie. Torna a casa. Non mi perderai mai veramente, anche perché, tesoro bello, io a Londra non sono mai stata… aspettami che mi pianto in casa tua per almeno un mese, da sola ovvio, quindi vedi di trovarmi un bell’amante inglese, ho un disperato bisogno di sesso, io- Sentenzia, facendomi l’occhiolino.
 
Londra
 
Tra un servizio fotografico e un programma televisivo, ho deciso di riprendere la lettura della tragedia greca…
Anche questa non è stata una scelta molto azzeccata giacchè le meravigliose eroine greche continuano a palesarsi, fameliche, nei miei sogni, lasciandomi un senso di angoscia non indifferente.
Sono stato mangiato, preso ad accettate, tradito, avvelenato e indotto al suicidio, tutto questo da una serie di donne differenti, alcune facilmente riconoscibili, altre un poco di meno. Quella che più di tutte mi ha sconvolto è stata Emma in versione di Elettra, quella traditrice prima mi ha blandito con ogni genere di moina, poi, non contenta, mi ha aizzato contro quella che sarebbe dovuta essere nostra madre ma che invece è risultata essere Sarah, la maggiore, e non certo per nobili propositi ma perché quest’ultima aveva osato rubare la catenina di nostra nonna…
Sono giunto alla conclusione di essere circondato da donne pazze e facilmente irascibili, con una spiccata volontà di rendermi la loro vittima sacrificale preferita. In realtà, ad un’attenta analisi, sono vissuto e cresciuto in un ambiente a netta maggioranza femminile e, se quando ero un ragazzino questo mi ha in qualche modo giovato, attualmente la cosa mi sta procurando più problemi che altro.
Ho imparato il rispetto, l’educazione, conosco il peso della loro forza e la durezza della loro testardaggine; addirittura, posso affermare con un limitato margine di errore di conoscere molto bene i viaggi mentali delle loro menti assai contorte, eppure, perché c’è un eppure bello grosso, credo di star passando una fase di saturazione, una sorta di indigestione per le donne che non credevo possibile. Sto parlando in generale, nello specifico, ovviamente, parlo delle mie donne, delle donne di casa che hanno deciso di coalizzarsi contro di me e il mio proposito di ricerca della serenità.
Emma, quella piccola traditrice e aizzatrice, ha abbandonato la maschera della “sorellina comprensiva e dolce” e ha iniziato a perorare con veemenza la causa de “Tom è un idiota, rendiamogli palese l’opinione bassissima che abbiamo di lui e della sua (im)maturità sentimentale”, coinvolgendo sia mia madre che quell’altra sciagurata di Sarah che è riuscita ad intasare la mia posta elettronica con messaggi minatori (l’ho messa tra gli spam). Tutto per cosa?
Perché ho detto a Estelle che ci avremmo provato…
Emma, quando gliel’ho raccontato, è rimasta sconvolta, tacciandomi di essere un bigiardo maschilista, mentre Sarah ha riversato su di me tutto il suo disgusto di donna in carriera e con le palle, dandomi dell’alunno poco diligente che non ha imparato nulla dai suoi insegnamenti in fatto di rapporti con il “gentil sesso” che di gentile, dopo una trentennale esperienza, ha ben poco. Mamma è stata la più carina di tutte, ribadendo ancora una volta la sua decisione di non conoscere le mie compagne o conoscenze fintanto che non metterò loro un anello al dito, sottolineando però con un alquanto arzigogolato giro di parole di esserci rimasto molto male per la mia storia con Bernie.
Dico io, quella se ne sta dall’altra parte dell’oceano, lontana, invisibile, impalpabile e ogni volta che si intavola un discorso spunta fuori come un fungo. Uno tenta di dimenticare e non solo non ci riesce perché è ancora pateticamente fuori di testa per conto proprio, no, ci si mettono anche tutti gli altri a ricordarti, quasi fosse necessario proteggere e serbare la memoria. Devo voltare pagina perché tanto lei non tornerà.
Chissà, sicuramente anche lei si sarà rifatta una vita, quanto meno ci avrà sicuramente provato: avrà fatto altre conoscenze, sarà uscita con altri uomini, magari starà fissa con qualcuno…
Ciccio, questa è una pessima tattica
No, invece, è perfetta
Allora perché ti stai innervosendo? Pensa, magari è entrata in un convento di clausura
Assolutamente irrealistico
Cinque mesi, Gesù, cinque mesi e ancora così. E’ vero che l’uomo è un essere sostanzialmente irrazionale, ma così si rasenta la paranoia e che cavolo!
Non devo pensarla, non devo essere geloso, non posso più esserlo.
E’ la prova, sì, è la prova: sono irrimediabilmente e fottutamente fregato.
 
New York
 
- Tu odi il giornalismo televisivo- E’ Peter a parlare, dando voce ad un pensiero sfuggito dalle sue labbra.
Non so se stia cercando di convincere me o se stesso, probabilmente sta valutando razionalmente quanta probabilità ci sia che io accetti di tornare a Lontra o di rimanere qui, con lui, per lui aggiungerei.
Purtroppo, lo sfrenato ottimismo americano è un po’ un’arma a doppio taglio: da una parte è un enorme incentivo per non rinunciare a combattere e per poter continuare a sopravvivere, dall’altra, invece, non ti fa valutare le cose con chiarezza, facendoti illudere che la vita e il mondo stiano ancora girando attorno all’uomo e non il contrario.
- Non è che lo odio, non mi convince particolarmente-
In realtà lo odio, non ho mai fatto mistero di questo; forse non è neanche odio, ma sono una ragazza all’antica che ancora spera si torni alle carrozze e alla corrispondenza aerea per tramite del piccione viaggiatore, nonché una strenua oppositrice della tirannide mediatica dei mezzi di comunicazione di massa telematici, però, in definitiva, sarebbe bello poter smettere di essere un outsider e iniziare a combattere e a cambiare dall’interno.
Ho imparato a farmi piacere le novità e, soprattutto, ho imparato a giocare, a divertirmi del gioco di maschere e illusioni insite nella comunicazione. Nel lavoro sono sempre stata intraprendente e mi piace sperimentare, per cui sono aperta a tutto…
- Sì, ma stiamo parlando del New Yorker, chissà, magari tra qualche anno potrebbe essere la CNN. Cosa ti può offrire Londra?-
- La BBC?-
Peter alza gli occhi al cielo e sbuffa, infastidito dal pensiero che non abbia colto il sotteso messaggio delle sue parole. Oh, io ho capito benissimo dov’è che vuole andare a parare, conosco molto bene i miei polli perché, per quanto il genere maschile pensi di essere il padrone del mondo, gli uomini hanno processi mentali piuttosto elementari e semplici, molto fastidiosi anche. Se vuole parlare di opportunità sentimentali lo facesse ma chiaro e tondo perché mi sono rotta di interpretare e di cercare di indovinare, anche perché, parliamone, se devo rimanere per lui vorrei che me lo dicesse: la tattica di far fare e dire ciò che si vuole al partner dandogli l’illusione sia stata una sua originalissima e geniale trovata è prerogativa femminile, punto.
- Peter- Esordisco, sollevandomi a sedere sul letto e poggiandogli il capo sulla schiena (sì, è vero, sono colpevole, speravo di riuscire a blandirlo con il sesso) – Io non so che fare, sinceramente, devo trovare incentivi-
- Non ti basto io come incentivo? A me non pensi?-
Che vi dicevo? Sesso e paura di perdere sono un mix efficacissimo e, tra le altre cose, sono anche riuscita a fargli sputare il rospo: non ha tutti i torti mio padre, lui lo dice sempre che se rinascesse vorrebbe essere donna e non gli do tutti i torti.
- E com’è che ci dovrei pensare?-
Si volta, trafiggendomi con lo sguardo, evidentemente ho fatto il passo più lungo della gamba – Sono tre mesi che andiamo a letto insieme e usciamo, sei tu quella che non ha mai voluto neanche intavolare il discorso di un’ipotetica relazione, sebbene non ti abbia mai nascosto di volerla-
Colpita e affondata. Ha ragione da vendere il ragazzo.
- Hai ragione-
- Lo so bene, grazie- Ride, prendendomi tra le braccia – La tua decisione non ha solo a che fare con il lavoro, lo so, è una scelta impegnativa, una scelta di vita. Se rimanessi sarebbero parecchi passi importanti-
- Sì, sarebbero molto importanti-
Peter mi prende il viso tra le mani in modo tale da impedirmi di abbassare lo sguardo, mia vecchia tattica di evitare che il prossimo possa leggermi nell’anima.
- Non so cosa tu abbia lasciato lì, o chi – Pausa tattica, silenzio tattico – Ma tornare indietro non ti porterà le cose che hai perso. Quello è il passato, perché non dai una possibilità al futuro?-
Gli uomini vivono per compartimenti stagni, questa una delle fondamentali verità dell’esistenza, le donne, invece, raccolgono il passato e lo portano con loro nel presente e in ciò che verrà. I ricordi sono per noi il nostro più prezioso tesoro perché, senza di essi, non sapremmo cosa fare di tutto il resto, per noi ciò che è stato non è stato ma è ancora e ancora, ritorna sempre, perennemente, nelle nostre scelte e nelle nostre parole. Anche per gli uomini è così, ma loro non vogliono averne coscienza, obliano il passato e guardano avanti, senza riuscire a capire da dove derivi tutta quella malinconia e nostalgia, o meglio, lo sanno ma non vogliono ascoltare; noi donne, invece, assumiamo le nostre lezioni di vita in modo radicale e totale, abbiamo la fredda lucidità della consapevolezza come la più grande gioia e la più tremenda maledizione. Noi ci teniamo tutto dentro, la nostra mente è un pozzo infinito di segreti, proteggiamo le nostre fantasie dagli occhi indiscreti del mondo perché spesso siamo state le vittime predestinate della storia: non possiamo esporci troppo, ci adattiamo all’immagine che altri hanno di noi e neanche il più riuscito e felice dei rapporti è un elemento valido per confutare questa tesi. Siamo le rocce che hanno forma di piuma.
E io non me ne faccio nulla del futuro senza il mio passato.
Brunilde, che poetessa!
Dio, Lolita, dammi quel fazzoletto!
Che tenere, vi ho commosso? State piangendo?
Sì, tesoro, per le cazzate che dici: Cristoforo Colombo o parti o te ne vai, fine, non è difficile. Smettila di pensare e vai di pancia, è la scelta migliore, ricordati che voi esseri umani siete animali e nulla più. A voi non salva la razionalità ma l’istinto!
Tse, saputella!
- Futuro-
- Futuro- Ripete, sorridendomi ed estinguendo la distanza, Peter. Mi bacia, con passione e trasporto, sperando ancora nella vittoria perché l’ottimismo è una bestia dura da sconfiggere.
Io mi lascio andare e annego i miei pensieri nel corpo, fondendomi con la sensazione che il suo tocco e le sue carezze lasciando sulla mia pelle, attendendo con ansia di essere nuovamente colmata dall’illusione di essere tornata integra e completa. Ma è una sensazione effimera, lo so, perché l’altra metà è rimasta nel passato e io, senza passato, non so che farci del futuro.
 
 
L’hotel in cui Lewis alloggia è proprio di fronte Central Park.
Di fronte all’entrata, dall’altra parte della strada, ci sono una serie di panchine e su una di queste sono seduta io, da almeno due ore. Sono le otto e ho fame, ma cerco di tacitare i brontolii del mio stomaco perché in questo preciso istante si sta giocando a dadi con la mia vita.
Già, sento proprio che questa sarà la scelta definitiva, l’ultima e quindi la più importante; non che non si faccia sempre in tempo a cambiare, ma comunque per tutti arriva il fatidico momento dopo il quale si hanno solo variazioni di tema e non una nuova melodia.
Le chiacchiere con Clara e Peter se possibile mi hanno ulteriormente incasinato il cervello e a nulla è servito tirare la monetina… che gioco stupido! Ti pare che alle soglie dei trenta una possa affidare una decisione del genere a un pezzo di metallo?
Testa o pancia, ragione o sentimento: che rottura di palle questo gioco delle dicotomie.
Il fatto è che se sapessi realmente ciò che voglio sarebbe tutto più facile, invece, malgrado per tutti questi mesi abbia sempre sperato, in cuor mio, che qualcuno mi venisse a raccattare, ok, non su un cavallo bianco ma almeno su una vespetta, per riportare indietro, alla fine, quando si è presentata l’immortalità mi sono trova ad essere confusa e imparanoiata come mai.
Purtroppo, ed è durissimo ammetterlo, il vero salto nel buio non è il rimanere a New York, ha ragione Peter: l’America è il futuro, un mondo nuovo in cui ricominciare da zero su ottime e solide basi. Lavoro assicurato, possibilità di promozioni, una relazione all’orizzonte, persino un’ipotetica famiglia da costruire, tutte cose queste che Londra non mi può dare, o meglio, non mi assicura, anzi.
Certo, sarei più vicina alla mia famiglia, ho molti amici, un lavoro che mi aspetta…
Il lavoro, già, e che lavoro! Giornalista in televisione, con una visibilità pubblica che mette i brividi, così timida come sono mi aspetterebbe un discreto lavoro su me stessa per poter affrontare tutto. Lo ammetto, malgrado le ritrosie e i pregiudizi, quella della televisione è una strada che mi affascina proprio perché nuova, inconsueta e così poco da me, sarebbe una sfida, un nuovo limite da superare, un nuovo traguardo. So già di essere brava nello scrivere, il parlare è tutta un’altra cosa, si tratta di un potere immenso, di un incanto seducente che mi piacerebbe imparare a controllare e gestire.
Posso darti un consiglio?
Prometti che non urlerai?
Non urlerò
E che non mi insulterai?
Non lo farò
Ok allora…
Lolita e io pensiamo che alla fin fine non sarai mai sicura della tua scelta. Rimarrà sempre l’incognita del se e del ma, alla fine, in un caso o in un altro dovrai comunque rinunciare a qualcosa. Segui l’istinto, la ragione, in fondo, è solo animalità sublimata, fai quello che ti fa sentire meglio, veramente, quello che al cui solo pensiero ti fa ridere e via. Sappiamo che quella strada c’è. Ecco, questo…
No, va beh, dopo questa alzo le mani e depongo le armi, quando mai quelle due hanno avuto parole gentili per me? Da che ho acquisito autocoscienza mi hanno continuamente bastata ( in realtà solo la Cornacchia, Lolita è subentrata con la pubertà). Adesso posso morire in pace!
Tornando a noi…
Che pizza! Non lo so, non lo so e non lo so. Odio dover scegliere, è davvero molto difficile!
Cos’è che mi fa veramente sorridere?
Lo so che cosa mi fa felice, hanno ragione loro, l’ho davvero sempre saputo ed ora che ho imparato ad amare me stessa so che cosa mi serve… la scelta più saggia, ponderata, voluta e desiderata.
Mi alzo dalla panchina e mi dirigo nella direzione opposta a quella che ci si aspetterebbe perché la saggezza, come tutto, è sempre questione di punti di vista, una santa, se così si può definire, legge del prospettivismo.
Cammino con il cuore leggero e il sorriso sulle labbra con un unico pensiero in testa.
Adesso posso finalmente tornare a casa.
 
Londra – venerdì successivo, sempre ad Agosto e sempre nel 2013
 
Prenotato il volo di Tom, preso l’appuntamento per Emma e preparata un’aspirina per me.
Che lavoro stressante che mi sono trovato, Gesù, perché non mi sono dato al giardinaggio? Infondo sono abbastanza bravo con le piante, a casa mia sono ancora tutte vive, alcune durano anche da diversi anni.
Le piante sono una compagnia veramente piacevole, non parlano, non si lamentano ma ti fanno compagnia con la bellezza del loro silenzio. Sì, che mi stressino e tormentino! Vedranno loro poi quando manderò tutto a quel paese e mi ritirerò in Cumbria o in Cornovaglia! Anzi, no, me ne vado nel sud della Francia a coltivare campi di lavanda, enormi appezzamenti di lavanda in cui perdermi solo per potermi finalmente ritrovare.
Vado alla scrivania e mi getto si peso sulla sedia, accendendo il pc e aspettando pazientemente che il modem faccia il suo lavoro, ovviamente con la sua solita lentezza.
Afferro il bicchiere e ingoio in un sorso tutto l’amaro contenuto, mentre insulto mentalmente la posta elettronica che non si decide ad aprirsi.
Controllo velocemente le mail ma non c’è nulla di nuovo dal fronte occidentale, né da quello orientale, letteralmente parlando. Meno male, nessuna novità quindi nessuna rogna e così mi ritrovo a meditare seriamente sul fatto che o mi prendo una vacanza o mi faccio rinchiudere in una casa di cura immersa nel verde, perché no, nel sud della Fracia nel bel mezzo di un vigneto o di un campo di lavanda.
Facebook, la rovina dell’era contemporanea, ma, ahimè, tanto utile.
Scorro le notizie, mettendo un qualche mi piace qui e lì o commentando, giusto perché la gente sappia la mia opinione anche se di quello che la gente pensa me ne infischio altamente: se dovessi anche preoccuparmi delle opinioni del prossimo uscirei pazzo!
Ad un tratto, però, la mia curiosità si risveglia e la mia attenzione viene catturata da una notifica semplice semplice, quasi senza pretese, eppure, ad un occhio più attento, piena di significato.
Sotto la scritta ci sono parecchi like e commenti, ma nessuno da parte della diretta interessata, come se non volesse esporsi e sospendere il giudizio a data da destinarsi, non troppo in là, certo, ha posticipato la verità solo di otto ore, neanche troppo.
Scoppio a ridere, felice come non pensavo sarei potuto essere per quello che sta accadendo. Sono così entusiasta che ho la viscerale necessità di dirlo a qualcuno e, certo, non a una persona qualsiasi. La macchina si è rimessa in moto, il mondo gira e il piano può avere inizio.
Afferro il cellulare e compongo un messaggio, metto il mittente e lo spedisco.
La risposta è praticamente immediata, intanto, però, mi è venuta voglia di musica, youtube è a portata di mano. Digito il titolo e metto invio.
La giornata ha avuto una svolta inaspettata mentre la melodia riempie la casa, accompagnata dal mio fischiettare.
London calling non mi è mai parsa scelta più azzeccata.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** CAPITOLO 14 ***


Capitolo 14
London calling: chi non muore si rivede.
Petizione per la tutela del qualunquismo spicciolo
 
Parte seconda: Ritrovarsi, un arduo lavoro
 
 
Messaggio da: Luke «London calling»
Messaggio da: Emma«Ahhhhh!!! Sono su face, l’ho visto or ora J Sta tornando, Bernie torna, ti rendi conto?»
Messaggio da: Luke «Il piano è ancora valido?»
Messaggio da: Emma «Operativa tra tre due uno…adesso, scatta l’operazione “scimmia urlatrice”. Dobbiamo preparare il terreno, sondare il campo, cercare di far ragionare l’idiota»
Messaggio da: Luke «Sì, ma con calma. S’è messo in testa che vuole tentare di provare qualcosa per Estelle: dice che il modo migliore per dimenticare è quello di decidere di farlo. Si è incaponito e non lo smuove neanche il martello di Thor: oggi mi ha fatto paura. Era schizzato come mai l’avevo visto, sembrava si fosse fatto un’endovena di adrenalina, blaterava di voltare pagina, cambiare, che era fregato e non voleva più esserlo… cazzate, insomma, ma almeno prima, quando si crogiolava, era più malleabile. L’auto-illusione è dura da abbattere»
Messaggio da: Emma «Porca pupazza, è proprio sbroccato di brutto. Va beh, è idiota, ma non così tanto, in fondo è intelligente, dobbiamo solo fare in modo che il vecchio Tom si svegli e sfanculi la sua brutta copia bisbetica (colpa di Bernie, gliela farò pagare, dopo). Comunque, meglio iniziare da lei, credo sia quella che ci sta di più con il cervello. Dobbiamo prima fare in modo che siano pronti psicologicamente, poi cercare di farli incontrare, infine farli sposare entro due anni: ho proprio voglia di un viaggio gratis in Italia, mi manca. Passo e chiudo, mio capitano. Ci riaggiorniamo!»

 
 
Londra (finalmente) – Fine Agosto 2013
 
Se potessi fischietterei saltellando o saltellerei fischiettando, fa lo stesso, però sono su un tacco dieci e ho paura di spezzarmi una caviglia o rompermi la testa, più probabilmente entrambe le cose assieme.
Sto per andare al mio primo incontro di lavoro, un incontro informale, come mi ha assicurato il signor Lewis, dove incontrerò il produttore esecutivo, il direttore creativo e il mio partner. Sono davvero elettrizzata: ho tempo per godermi Londra, un lavoro e mi sento finalmente bene, anzi, benissimo.
Le due voci della coscienza sono state provvidenziali e penso che, quando avrò abbastanza soldi, su quella famosa panchina di New York edificherò loro un monumento alla memoria. Non penso di essere mai stata più soddisfatta di una scelta compiuta.
Il tempo va come un treno, davvero, New York- Roma e Roma-Londra nel giro di due settimane, una serie infinita di convulsi e spericolati cambiamenti che ancora non riesco bene a metabolizzare: il fatto di essere tornata, di essere a casa e di poter dire, con immensa e divina felicità, che il mio sogno di bambina si è finalmente realizzato. Le mie spalle si sono sgravate di un peso enorme e, sorprendentemente, l’essere qui, l’essermi congiunta nuovamente con i miei antichi passi e con le decisioni di un tempo mi ha dato la carica, la forza e il progetto per ricominciare e cominciare qualcosa di nuovo.
Sto costruendo il mio futuro e mai c’è stata una così bella opera d’arte come quella che sta divenendo la mia vita.
Forse è per via del sole, forse perché sto ad abitare da Edo, ma, seriamente, mi sento come rinata, finalmente paga, completa e soprattutto piena di gioia. E’ vero, devo fare un sacco di cose, vedere un sacco di gente e cercarmi un appartamento tutto per me visto che è da quattro anni, quasi cinque, che vivo da sola e, per quanto adori Edoardo, ho bisogno della mia intimità e dei miei spazi senza preoccuparmi di trovarmi donne che girano nude per casa, squadrandomi o urlandomi conto perché mi credono l’amante del loro amichetto. Già, neanche una settimana che sono da lui e già ho dovuto partecipare a questi spiacevolissimi episodi con ben due donne differenti: è proprio vero che “morto un papa se ne fa un altro”.
Il programma è prodotto e gestito da Channel 4 ed è proprio alla sede centrale che sto andando, nel cuore di Londra, vicino Westminster, una delle zone più belle che la città ha da offrire.
Sigaretta in una mano e cartina dall’altra mi avventuro nelle vie laterali, cercando di calmare la mia frustrazione, maledicendo me stessa che, dopo soli cinque mesi, già mi sono disabituata a muovermi nella città. Insomma, non è che non mi ricordi proprio nulla ma molte cose che erano per me automatiche, ora non lo sono più, quindi devo nuovamente abituarmi e acquisire senso dell’orientamento anche perché, in cinque mesi, sono spuntati sensi unici che prima non esistevano.
Ho anche deciso di comprarmi un mezzo di locomozione, ho messo i soldi da parte appositamente, se non una macchina almeno un motorino, magari una bella vespa, uno dei miei sogni proibiti, così da potermi agilmente barcamenare nel traffico londinese, con stile e comodità.
Horseferry Road è l’indirizzo, il numero è il 124, non sono molto lontana, la via mi sembra carina e…
-Oh, porca puttana!-
Magari se eviti di urlare!
E’ in italiano
Tutti conoscono le parolacce italiane
Hai visto la sede? Sembra un film di fantascienza
Disse quella che ha vissuto gli ultimi cinque mesi a New York, la madrepatria dei grattacieli
Infatti, Bernie, datti un contegno, non fare la provincialotta, sei di Roma oltretutto, a confronto del Colosseo questo modernissimo, lucidissimo, brillantissimo e altamente all’avanguardia complesso sembra una baracca.
Inspiro profondamente, disegnando sul volto la miglior faccia da stronza “prova a fregarmi e sei morto”, e mi appropinquo verso l’entrata, premurandomi di nascondere la cartina di Londra che ha conosciuto tempi decisamente migliori.
La grande entrata rispecchia in piano lo stile esterno, luminosa e lussuosa, con toni chiari e cristallini; ci sono circa cinque receptionist, così, nella scelta mi baso su chi ha l’espressione più dolce possibile: il prescelto è un ragazzo dal viso bonario e gentile che mi ispira subito fiducia.
- Buongiorno- Mi saluta, sorridendomi educato
- Buongiorno, sono la signorina Minardi. Ho un appuntamento con il signor Lewis-
- Un attimo solo- Tira su la cornetta e compone il numero così velocemente che quasi non gli si vedono le dita; con professionale celerità comunica il mio arrivo e annuisce, ringraziando.
- Ecco a lei un bedge, quinto piano, ala sinistra, non esiti a chiedere-
Prendo il tesserino e me lo infilo al collo, quasi tentata di fare le scale per quanto sono agitata ma poi, memore della sudata fatta il primo giorno nella redazione del New Yorker, ci ripenso e opto per l’ascensore, appena arrivato e già pieno.
Mi sembra di essere in uno di quei film in cui, alla fine di mille peripezie, la protagonista ottiene il successo andando a lavorare nel posto più cazzuto e strafico del circondario, magari accalappiando anche lo gnocco di turno, con la differenza che, ora, la diretta interessata sono io, il film non è finito, semmai appena cominciato, e non c’è nessun bel fidanzato ad attendermi a casa, semmai un coinquilino assatanato che va girando in mutande.
Mi perdo un paio di volte, ovviamente, mai che la cosa vada liscia, poi, finalmente, dopo aver superato la mia ritrosia nel chiedere indicazioni, giungo finalmente davanti ad un’altra reception dove una signora di mezza età e con i capelli biondi quasi quanto quelli della famiglia Malfoy sta seduta, facendo le parole crociate.
- Scusi, mi sono persa…-
- Vuole una cartina?- Stronza!
- No, era solo per…-
- E’ la signorina My- Min… Mynard?- Ma certo! Davvero chi non muore si rivedere! Minardi, santo cielo, non è difficile.
- Minardi-
- Sì, allora si può accomodare lì. Il direttore è in riunione, purtroppo ritarderà-
Vaffanculo e a mai più rivederci proprio!
Faccio un sorriso tirato, sedendomi su una delle poltroncine verde menta disseminate per la sala, tirando fuori L’Idiota di Dostoevskij e continuando a leggere della pazzia nella casa di Natasha Filippovna.
Faccio giusto in tempo ad aprirlo che un’ombra mi oscura, inondandomi con One di Calvin Kline, ricordandomi fastidiosamente quanto i miei ormoni abbiano un debole per la fragranza tanto che, in passato, mi hanno tradita più di una volta.
- Sì?- Chiedo, chiudendo il libro e alzando con studiata lentezza lo sguardo, conscia di dover sopire i bollenti spiriti da maniaca.
Ma che sopire! Dacci dentro con la libido! Questo è un fotomodello!
Non è vero…non è così bello, avvenente certo, con il fisico atletico, sicuro, un profumo invidiabile e… ma perché sono sempre biondi? ‘Sti inglesi sono tutti biondi
Signore, è castano chiaro, belloccio ma palesemente omosessuale
- Scusami se ti ho disturbato- Dice anche se è evidente che anche lui si sia reso conto dell’ossimoro sotteso alle sue parole – Dostoevskij, eh?- Continua, ammiccando al libro, cercando di avviare una conversazione, premendo contro il muro del mio sguardo vacuo e un poco stizzito.
- Già, mi sono imposta di leggere quei libri la cui lettura non ho goduto a suo tempo- Ecco, dovete sapere che, tra le tante pazzie, c’è anche quella che, quando non conosco qualcuno, per timidezza e anche un po’ per superbia, inizio a parlare con una proprietà di linguaggio da far invidia a una conferenza universitaria, con il rischio anche di impappinarmi visto e considerato che con l’inglese non c’è la stessa naturalezza che ho nel parlare italiano.
Sulle sue labbra piene si disegna un sorriso sghembo alquanto divertito e malizioso mentre mi osserva cercando di capire se sono una rompicoglioni o semplicemente un caso perso in partenza di insicurezza cronica.
Non so perché, non so neanche come sia possibile che tra due persone possa nascere una chimica quasi istantanea, ma, con mia enorme e piacevole sorpresa, senza averlo premeditato, scoppiamo entrambi a ridere, addirittura sino alle lacrime.
- Comunque, sono Jack Morrison e se tu sei chi penso che tu sia, allora, sono anche il tuo partner e collega- Mi porge la mano e gliela stringo con veemenza – Berenice Minardi, Bernie -
- Bernie- Ripete, gustando il suono del mio nome tra le labbra.
Jack è oggettivamente un bel ragazzo, di quelli cui l’aggettivo “bello” calza come un guanto, quasi sia stato creato appositamente per la categoria, però non sembra tirarsela, anzi, come se si fosse reso conto di come appare solo molto tardi nella sua vita e non avesse ancora ben capito che cosa farsene di tutta quella appariscenza. Ha gli occhi buoni, nocciola, e, malgrado la malizia e la scintilla di intelligenza che vedo brillargli sul volto, ha lo sguardo dolce e gentile, uno sguardo che è riuscito subito a mettermi a mio agio.
Ah, tra l’altro, come già detto, è palesemente omosessuale.
Non che ostenti alcunché, ha una delicatezza virile che gli permette di sviare qualsiasi sospetto, però c’è una cura, un’attenzione per il dettaglio, anche il più minuto, che gli eterosessuali non riusciranno mai ad avere. C’è una leggiadria femminile nel modo in cui si è seduto vicino a me, accavallando le gambe, una grazia nel modo in cui la camicia bianca e la giacca grigia gli cadono sulle spalle larghe che solo una donna saprebbe portare addosso con altrettanta naturalezza. Però ha il profumo più buono del mondo, quindi, malgrado i miei recettori abbiano immediatamente scartato Jack come “non c’è trippa per gatti”, il mio olfatto mi inganna, tentandomi. Userei quell’odore come deodorante per ambienti se potessi.
Vorrei potergli porgere qualche altra domanda, ma l’arrivo di Mr Lewis e di altri due uomini mi impedisce anche solo di formulare una frase. Vedo Jack scattare in piedi, agitato (un po’ da checca isterica, tenero lui!), mentre inizia a martoriarsi le mani e a guardarmi come se stessimo andando al patibolo: e io che lo facevo sicuro di sé!
- Scusate il ritardo, ragazzi- Esordisce Lewis porgendo la mano a Jack e poi rivolgendosi a me e dedicandomi un baciamano, guardandomi alquanto compiaciuto, felice di essere riuscito ad ottenere ancora una volta ciò che voleva.
- Non si preoccupi- Diciamo in coro il mio compare ed io, lasciandoci sfuggire una risatina così simile e così perfettamente sincronizzata da mettermi i brividi.
- Perfetto, se volete accomodarvi. Abbiamo un sacco di cose da fare e poco tempo, non è prudente indugiare oltre- Conclude il direttore, neanche stessimo per attraversare i cancelli di Mordor, di notte e senza spade.
Quanto ci scommettete che sono appena entrata a far parte di un’altra gabbia di matti?
 
- Quello che abbiamo in mente è di portare in scena non un semplice talk show, ce ne sono tanti, spesso di pessima qualità, no, quello che vorremmo è cercare di portare tra la gente, soprattutto giovani, della buona informazione, senza però annoiare con troppa serietà o troppa leggerezza. Una sana via di mezzo- Esordisce, praticamente senza dare il tempo di sederci, il signor Banks, il direttore creativo, un ometto basso e un poco in carne dall’aria simpatica ma un po’ troppo schizzata per i miei gusti.
- E’ per questo che il cast, se così possiamo chiamarlo, è composto da gente molto giovane ma con un’ottima preparazione alle spalle. Vogliamo creare e offrire qualcosa di nuovo, il futuro, e voi, ragazzi miei, siete il futuro-
Santo cielo! Sembra lo spot di una pubblicità. Credo lo pensi anche Jack, vista l’occhiata eloquente che mi ha lanciato.
- Jack viene dalla radio, il suo programma era uno dei più seguiti, mentre Berenice viene dal giornalismo vecchio stile: questo è il perfetto connubio che cerchiamo. Avrete numerosi ospiti tra scrittori, artisti, pittori, attori, musicisti, professori e anche opinionisti: utile dulci miscere, questo è l’obiettivo…-
- Ehm- Pigolo, alzando addirittura la mano: patetica – Questo è tutto molto interessante ma, vedete, da quello che ho capito Jack ha dimestichezza con l’intervistare, avere un pubblico, parlare ma, ecco, io sono un’accademica, vivo con carta e penna in mano, non so proprio cosa voglia dire stregare l’audience- Meglio essere chiari sin da subito, mettere la mani avanti per poter crollare con stile: perché è tutto molto affascinante ma può darsi che abbiano preso un abbaglio con me. Forse non sono la persona giusta, non posso dire di saper stare davanti a una telecamera, parlando come una ventiseienne e non come una che ha appena iniziato a spiccicare le sue prime parole. Quando ho accettato il lavoro mi sono fatta prendere dall’entusiasmo e dalla voglia di tornare, ero emozionata per questa nuova avventura, quindi non mi sono fatta i conti in tasca, valutando razionalmente se fossi stata davvero portata per questo lavoro. I dubbi mi hanno assalita tutti insieme, senza darmi tregua e respiro, questi vogliono rivoluzionare il mondo mentre io devo tentare di rivoluzionare me stessa, propositi questi del tutto differenti, quasi antitetici.
- Cara Bernie, metti in dubbio il mio giudizio?- Lewis mi ha messo le mani sulle spalle e mi parla come si parlasse a una figlia indisciplinata, con un retrogusto amaro di paternalismo dietro la dolcezza del tono. So cosa vuole fare, cercare di farmi capire che lui crede in me e sa cose che io non saprò mai neanche tra un milione di anni, però non deve essere convinto lui, ma io. E’ vero, il contratto è firmato e non ci si può far più nulla, però mi sono riproposta di essere sincera con gli altri e soprattutto con me stessa.
- Espongo solo i miei dubbi- Celio concisa, evitando accuratamente lo sguardo insistente e anche un poco scettico del nostro produttore esecutivo, il signor Richard Abbott che con i suoi penetranti occhi blu non ha fatto altro che squadrarmi da quando sono entrata. Assomiglia terribilmente a John Thorton di North and South, non bello, ma molto affascinante se non fosse per il gelo di intransigenza di cui è ammantato il viso.
- Fai bene, cara, fai bene. Ma c’è Jack che ti darà una mano e il signor Abbott è uno dei migliori nel suo campo, ti sapranno guidare. Per il resto voglio la ragazza frizzante e sfrontata del Baglioni, la curiosa e vivace donna che ho incontrato a New York-
Lewis ci sa fare, ha solleticato non poco il mio ego
Peccato sia così grande, un pensierino…
Lolita, taci!
 
 
- Quindi, ricapitolando, lo show andrà in onda la domenica, ma avremo anche uno spot il venerdì, una sorta di sneek pick, dico bene?- Jack sta prendendo appunti, non ci posso credere. Che tipo che è…
- Esattamente, l’episodio sarà in diretta. Capiterà di fare servizi, anche all’estero, che manderemo in onda il venerdì, oppure durante alcune puntate speciali, se così si possono definire. Vi faremo la massima pubblicità: dovremo girare una serie di spot che manderemo in onda per tutto settembre. La prima ci sarà per la fine del mese, massimo la prima domenica di ottobre… C’è stato assicurato che se gli indici dovessero essere buoni, probabilmente, avrete più di un giorno per lo show- E chissà perché, Abbot guarda dritto nella mia direzione come a dire “uomo avvisato, mezzo salvato: evita di fare casini e cerca di non avvalorare la mia tesi sul tuo essere uno sciocco bel visino e nulla più”.
Stronzo! Ho una laurea, un dottorato e uno stage al New Yorker, mica “pizza e fichi”.
- Ecco, Richard mi ha fatto ricordare una cosa…- Interloquisce Banks con fare pensieroso- Credo sia opportuno fare un cambio di look… per entrambi-
Già, dimentico sempre che siamo nel mondo della televisione e che la maggior parte se ne infischia dei tuoi diplomi, però sa tutto riguardo il tuo guardaroba e il tuo taglio di capelli. Beh, Bernie, abituatici: non sei più alla redazione in un giornale e non hanno ancora inventato una macchina del tempo che ti riporti all’inizio del secolo scorso, se non più indietro.
- Perché? Cos’è che non va in noi due?- Mi precede Jack, indicandoci vicendevolmente con uno sguardo di puro odio, visto che, evidentemente, a lui va benissimo come siamo e non è tanto incline a cambiare: forse pensa che dia fastidio il fatto di essere inequivocabilmente gay? Bah, chissà, qualunque sia la ragione quoto con lui. Non mi tingerò i capelli!
- Jack, non sarà un cambio radicale, ma devi piacere non solo agli uomini- Cristo, signor Lewis! Senza peli sulla lingua, eh? – E comunque non hai nulla che non vada, giusto una schiarita ai capelli, nulla più ma Bernie, beh, Bernie è un altro paio di maniche…-
Ve l’ho già detto che odio stare al centro dell’attenzione? Sì, l’ho già detto ma nessuno lo capisce e quattro paia di occhi puntati contro non aiutano certo a superare l’imbarazzo. Che ho che non va?
- Che…-
- I capelli-
- I capelli- Ripeto, allibita.
- Troppo ricci-
- E troppo lunghi-
No, no, no! Nossignore, c’ho messo una vita a farmeli allungare, col cacchio che me lo faccio tagliare, col cacchio! Dovranno passare sul mio cadavere.
 
 
Due giorni dopo, ormai, sempre a Londra
 
- Sarete affiancati da una personal stylist, oltretutto-
Chissene importa! Sono rimasta al “ti devi tagliare i capelli”, ho il broncio e non ho la minima voglia di togliermelo dalla faccia.
- E’ conosciuta a livello internazionale, molte star si fanno vestire da lei-
Per quanto mi riguarda può anche essere la reincarnazione di Versace, ma io i capelli non me li taglio e questo è un dato di fatto.
- La incontrerete domani, sono sicuro che farà un ottimo lavoro. Dicono che la Kidman sia entusiasta…-
CHI?
Rimango del parere che dovranno passare sul mio cadavere: i capelli non li taglio.
 
Quando la vedo arrivare, quasi stento a riconoscerla.
E’ visibilmente dimagrita, l’ovale scarno del viso ha preso il posto delle rotondità infantili, ma c’è un qualcosa di estremamente femminile e sensuale nella nuova sicurezza che la riveste. Se non fosse per il broncio incazzoso e un po’ malinconico disegnato sulle labbra avrei benissimo potuto giurare che, no, lei non è Berenice, la scimmia urlatrice, la pazza bisbetica innamorata di uno dei miei migliori amici.
- Bernie, Dio, guardati! Sei stupenda!-
Mi alzo, spalancando le braccia e lasciando che lei ci si fiondi come un’assetata in un ruscello. Affonda il viso sul mio petto e mi stringe, come se dovesse fare scorta del mio calore e della mia presenza, senza paure o remore. Emana una sicurezza e una serenità che non le avevo mai sentito addosso, ma è così bello riaverla qui, così diversa eppure ancora così lei che mi si stringe il cuore dalla nostalgia: sono contento sia tornata.
- Luke- Piagnucola, ancora allacciata a me – Non sai…-
- Infatti, non so. Sediamoci e racconta. Ti ho ordinato un caffè, nero, va bene?-
Annuisce, sedendosi vicino a me e prendendomi una mano – Ehi, scimmietta, che c’è?-
- Che c’è!?- Esclama stupita, togliendosi gli occhiali da sole e spalancando gli occhi, shockata – Guarda! Guarda i miei capelli, i miei bellissimi, riccissimi capelli!-
 
- Su, su, bambina! Non si piange. Zia Sue è la migliore, sarai bellissima con questo nuovo taglio.
Sto singhiozzando, non pensavo fosse umanamente possibile, ma sto frignando come una di cinque anni mentre la cara zia Sue, possa tu morire dolorosamente, mi sta praticamente tosando come una pecora.
Taglia, taglia, taglia, ma che se taglia vorrei sapere io. Cadono, vedo ciocche intere cadere ai miei piedi e faccio il madornale errore di abbassare lo sguardo per ammirare l’ecatombe.
E’ uno sfacelo, un campo di battaglia.
E inizio a urlare!
 
Allungo una mano e le tocco la pelle del collo, totalmente scoperta fino alla radice sotto la nuca.
Un caschetto cortissimo che le mette in risalto il volto e gli occhi che sembrano molto più grandi e azzurri. Se non fosse Bernie e non stessi cercando di farla rimettere con l’idiota, penso che, molto probabilmente, cadrei ai suoi piedi, innamorato.
- Stai benissimo, Bernie, sul serio. Corto è sexy-
Mi fulmina con lo sguardo, tentata di prendere il cucchiaino del caffè per ficcarmelo ripetutamente nell’occhio; rido della sua buffissima espressione e le passo una mano tra i cortissimi capelli, arruffandoglieli.
- Morto è divertente- Ribatte, senza riuscire a frenare una smorfia di divertimento. Sì, è proprio lei, per quanto sia cresciuta, è sempre la simpatica scimmietta di un tempo.
- Mi sei mancato-
- Non è vero-
- Certo che è vero, altrimenti non lo direi… come stai?- Chiede, poggiando il capo sulla mia spalla e stringendomi un braccio, evidentemente bisognosa di calore.
- Stanco e stressato. Sull’orlo della crisi di nervi, direi, ma non mi posso lamentare. Tra poco si ricomincia a pieno ritmo, ma non mi lamento. Più quei divi da strapazzo sono impegnati, meno tempo hanno per lagnarsi e rompermi l’anima-
Bernie ridacchia, ma un’ombra scura le corre sul viso, facendole piegare le labbra all’ingiù, malinconica. Il pensiero di Tom deve essersi incagliato nei suoi pensieri e questo mi dà l’opportunità di intavolare il discorso, cogliendola in un momento di debolezza. Emma ha detto che il piano è operativo, pertanto, sono pronto ad aprire le danze.
- Glielo hai detto che tornavi?- Non c’è bisogno di specificare il soggetto, dal singhiozzo quasi spaventato di Bernie so perfettamente che ha capito di chi si sta parlando. Mi guarda, terrorizzata a morte, colpita dolorosamente in pieno: lei non ha peli sulla lingua e con lei posso fare altrettanto anche io.
- Luke…-
- No, vero?- La interrompo, lanciandole un’occhiata di rimprovero che le fa abbassare il capo con aria contrita.
- Luke, è finita. Per quanto sia ancora fottutamente fregata per Tom, non credo sia una buona idea rivangare il passato: devo cercare di andare avanti. Ho già chiuso una porta, con il lavoro, adesso è tempo di chiuderne e aprirne un’altra in amore…-
- Cazzate!- Bercio, inviperito. Dovrò scrivere ad Emma, altro che più malleabile, sembra quasi come se quei due si siano messi d’accordo sulla linea di condotta da seguire: due idioti innamorati e impauriti, ecco cosa!
- Non è vero, sono seria. Ho visto i giornali, parlano di storie, frequentazioni. E’ evidente che di me, tutto sommato, non gli interessasse granchè: del resto è stato lui a voler chiudere. Mi sono rotta di dover subire e di mettermi supina con gli uomini. Ha voluto tagliare i contatti, perfetto, non sono tenuta a metterlo al corrente della mia vita…-
E’ arrabbiata, lo posso capire; ha paura, comprensibile; è orgogliosa, troppo e stupidamente, ma altrimenti non sarebbe Bernie.
- Bernie-
- Ti prego, Luke…-
- Ascoltami- Dico, mettendole un dito sulle labbra – Tom è ed è stato un idiota. Capisco che tu sia arrabbiata perché reputi non abbia lottato per te, ma, ripeto, Tom è deficiente e per quanto voglia fare l’uomo di mondo ha una paura bestiale di essere abbandonato, di nuovo. Ha messo le mani avanti, ha sbagliato, non lo metto in dubbio però…-
- Però un corno! Hai ragione, non ha fatto un cazzo per me. Io lo avrei aspettato, ci sarei stata comunque, sarei rimasta con lui anche se a chilometri di distanza l’uno dall’altra, ero pronta ad assumermi questo peso perché lo amavo! E lui? No, lui no. Maschilista e sessista, ecco cosa! Comprendo i suoi traumi infantili, ma non devono essere una scusa: non è giusto che paghi per gli errori di altri. Se poi ha pensato anche solo che lo potessi abbandonare e che non ce la facessi, beh, data la sua alta considerazione di me allora che si fotta! Sì, che si fotta accidenti a lui! Le paure si superano, per amore io l’ho fatto… perché lui no? Perché?-
Ha le lacrime agli occhi, sapevo che ci era rimasta male ma pensavo che almeno un poco l’acredine si fosse sopita… invece no, accidenti, invece no! Tom, che cosa hai combinato?
- E l’hai detto a lui?-
- Cosa?-
- Che lo amavi?-
Silenzio e qui crolla il castello di carte. E’ vero che Tom è idiota ma pure lei non ci scherza.
- No, non mi pareva il caso. In realtà ho provato, ma… non so, non credo voleva che glielo dicessi. Speravo capisse…-
- Dai, Bernie, siamo uomini! Noi non capiamo, vogliamo che le cose ce le diciate chiare e tonde…-
- Sì, lo so. Vogliamo continuare sulla strada “sei stata una cogliona” oppure cambiamo discorso?-
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo. Odio le persone testarde, le odio: Luke pensa alla lavanda, pensa a enormi distese di lavanda. Lavanda è la chiave!
- Va bene, ma non finisce qui…-
- Lo so bene, domani devo incontrare Emma… cosa pensi mi dirà?-
Ridiamo all’unisono, decidendo, tacitamente, che per il momento possiamo passare ad argomenti più lieti, alle novità e al futuro fatto di belle cose e nuove prospettive. Sono molto curioso di sapere del suo nuovo lavoro…
- Dimmi un po’… Channel 4, eh!? Quando diventerai la nuova David Lettermann di Gran Bretagna ricordati di me: mi farebbe piacere essere il tuo agente-
- Non sfottere- Ridacchia, dandomi una spintarella affettuosa e fintamente risentita.
- Sono serio. Sai quanto ci divertiremmo?-
- Sì, sarebbe assai spassosa la cosa. Per ora, però, spero di sopravvivere: sono terrorizzata-
- Sarai fantastica e tutti vorranno i tuoi capelli… e anche il tuo nuovo look! Bernie, sembri uscita da una passerella di Milano-
Con mia immensa sorpresa, la scimmietta spalanca gli occhi e si nasconde il viso tra le mani, scuotendo vigorosamente la testa, cantilenando ripetutamente “no, no, no” neanche fosse artistica, iniziando addirittura a tremare.
- Bernie, che succede?- Chiedo accorato e spaventato.
Lo sguardo disperato che mi lancia mi mette sul chi vive, spaventandomi. Cos’è successo di così grave?
- Perché?-
- Cosa perché? Berenice, esigo che tu mi parli-
- Perché me l’hai ricordato?-
- Cosa?-
 
Sono ancora sconvolta. L’unica cosa che voglio è tornare a casa, chiamare mamma e papà e piangere tutte le mie lacrime avvolta in una copertona, rimpinzandomi di cioccolata (extra-fondente, sono magra e voglio rimanerci).
Invece no, assolutamente no.
Jack e io stiamo pazientemente aspettando la nostra futura stylist, entrambi molto scossi e risentiti. Anche lui ha pianto, odia i colpi di sole e i suoi capelli schiariti, insomma, ci siamo consolati a vicenda: come si dice “mal comune, mezzo gaudio”.
- Giuro, giuro su Tina Turner che me la pagano! Non c’era sul contratto, non c’era! Neanche dovessimo partecipare agli Hunger Games eccheccacchio!-
Mi volto, piacevolmente colpita – Non dirmi che anche tu…-
- Ho letto tutti i libri, scritto fanfiction e adoro Gale e poi…-
- Jennifer Lawrence è la mia attrice preferita-
Lo diciamo in coro e, dopo neanche mezzo minuto, ci troviamo abbracciati, ridendo e piangendo insieme, quasi avessimo ritrovato il gemello smarrito alla nascita. Che bello!
- Tesoro caro, se non mi piacessero gli uomini, giuro, giuro su Tina Turner che ti sposerei all’istante-
- Anche io se non avessimo gli stessi gusti sessuali!-
Ridiamo ed è così piacevolmente meraviglioso avere questa alchimia tra di noi…
Davvero, non vedo l’ora di poterci lavorare, so che ci divertiremo da morire!
Quando sentiamo un rumore di passi, entrambi saltiamo sul posto. Un chiacchiericcio assordante e concitato si spande per il corridoio, seguito da una serie di suoni che mi ricordano pericolosamente le parate militari naziste viste e riviste su History Channel.
Jack e io ci guardiamo, scossi e intimoriti, non ancora completamente ripresi dagli ultimi eventi. Ci aspettiamo il peggio.
Un nutrito gruppo di persone svolta l’angolo, sembra una mandria di bufali imbizzarriti; hanno tutti un taccuino in mano e il volto terrorizzato, quasi ci trovassimo al tempo dell’Unione Sovietica durante la Grande Epurazione di Stalin.
- Cynthia!-
Pelle d’oca…
- Cynthia, voglio quei campioni all’istante-
No, ti prego, no: gli incubi durante la veglia no.
- Oh, eccoli. Dio, sarà una fatica immensa… sembrano dei campagnoli e… TU!-
 
Luke sbotta a ridere, facendo voltare tutti.
Ha le lacrime agli occhi, ma se continua così le lacrime gliele faccio venire io, di dolore però.
- Cazzo ti ridi, eh? Cazzo ridi dico io! Di tutte le personal stylist del mondo proprio “Pol Pot in gonnella” mi doveva capitare- Sbotto affranta, prendendomi la testa tra le mani.
Liz, la SS rediviva Liz, Liz la più grande stronza del mondo!
- Ahah, non ci posso credere, ahahah… davvero “chi non muore si rivedere”-
- Luke, se continui così morirai e sta sicuro che non rivedrai più nessuno, è una promessa. Lo sapevo che dovevo rimanere a New York, lo sapevo. Che ho fatto di male? Dimmelo, cosa?-
- Te l’ho già detto che sei uno spasso?-
Sguardo alla “non sei simpatico” e istinto omicida che grida prepotentemente al massacro – Sono contenta di averti fatto divertire-
Ci alziamo entrambi, il tempo è finito e ci dobbiamo salutare.
Mi ha fatto veramente piacere vederlo e non vedo l’ora di poter passare ancora del tempo con lui, malgrado sia consapevole del fatto che tirerà fuori, ogni volta, l’argomento Tom. Non oso immaginare come sarà rivedere Emma, sperando vivamente non mi incastri portando il fratello con sé. Tra capelli e Liz non sono molto propensa alla diplomazia.
- Fatti sentire Bernie. Magari potremmo uscire anche con Emma-
- Una splendida idea-
Ci abbracciamo e baciamo, contenti di esserci ritrovati.
Le direzioni che prendiamo sono opposte: lui ha un appuntamento, io devo andare a registrare il primo dei tre spot che vogliono mandare in onda. Pensavo di essere una giornalista, non un’attrice.
Basta! Basta pensare agli attori, basta Tom! Bernie, te lo devi togliere dalla testa, tabula rasa e sospendi il giudizio: futuro, futuro, futuro!
- Ah, Bernie- Grida Luke, come se si fosse dimenticato qualcosa.
Mi blocco e mi giro, invitandolo con un cenno del capo a parlare, senza avvicinarmi.
- Tom non ti ha dimenticata. E’ ancora totalmente e fottutamente innamorato di te, deve solo ricordarselo-
Già e io sono incondizionatamente e ancora tremendamente fragata e fottuta. Thomas William Hiddleston: ti odio!
 

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Capitolo 22
*** CAPITOLO 15 ***


Capitolo 15
Ritorno con stile
 
-Ma lui non è un segretario di partito?- Chiedo, entusiasta, indicando uno dei nomi della lista degli invitati della prima puntata. Lo sguardo, tra il disgustato e l’insofferente, che mi rivolge Richard Abbott mi fa sentire una scolaretta stupida e insignificante: non riesco proprio a capire che cosa abbia fatto di tanto grave per meritarmi un trattamento del genere.
Forse lo imbruttisci?
Io non imbruttisco nessuno! Lui mi dirai!
No, tesoro, lui ti tratta esattamente allo stesso modo in cui lo guardi
Secondo me sei fuori strada
- Lo è, e quell’altra è un’inviata speciale della BBC. Cosa pensavi, di condurre un varietà da quattro soldi?- Spiega, gelido, evitando accuratamente di guardarmi in viso, neanche fossi lontanamente degna di ricevere quel tipo di attenzioni.
Mi alzo di scatto dalla sedia, sbattendo di malagrazia i fogli che tenevo sulle ginocchia, inviperita – Senti tu, mi spieghi perché caz…-
- Dolcetti!-
Non so se l’intervento di Jack possa essere definito provvidenziale oppure se ho più voglia di urlargli contro o prenderlo a sberle per avermi interrotto, fatto sta che, a quanto pare, la sua voce ha effetti benefici su tutti noi, tanto che lo stesso Abbott (prontamente alzatosi per fronteggiarmi) non riesce a trattenere un sorriso.
- Niente di meglio di un po’ di serotonina per migliorare gli animi- Continua Jack, estraendo una busta di plastica dalla sua sacca, elargendo biscotti allo zenzero e alla cannella a destra e a manca, compresa me, a cui, letteralmente, ne ficca due in bocca, sussurrandomi con discrezione un – Vacci piano, coccodè. Ricordati che se lui decide che sei fuori sei fuori. Non puoi lasciarmi solo!-
Prima o poi quell’Abbott lo uccido, altro che, non mi interessa se è il mio capo, non me ne sbatte una sega che ha un culo che parla da solo né tanto meno che è una delle persone più dannatamente arrapanti mai conosciute, no, non mi interessa, se continua così gli farò rimpiangere di essere nato.
Ci sarebbe una soluzione a tutto questo…
Cornacchia, ti prego, falla star zitta!
Sì, dai Lolita, lascia perdere non è proprio cosa…
Oh, ma insomma! Questi problemi si risolvono solo con una bella scopata!
L’ha detto…
L’ha detto!
Che razza di Super-io sei se non riesci neanche a far tacere la tua controparte!?
E’ escluso! No, una storia sul luogo di lavoro è proprio l’ultima cosa che ci vuole, già sono uscita da una disastrosa relazione che ancora non mi dà pace, figurarsi mettermi nei casini con uno che si presuppone essere il mio capo e che, tra l’altro, mi odia e evita come la peste. Che razza di idee quelle due mi fanno venire in mente! Stanno proprio svalvolando di brutto, come del resto la sottoscritta che non riesce neanche più a dormire, causa urla animalesche da atti sessuali di stampo adolescenziale che si palesano con puntualità disarmante nel mio appartamento, colpevole un migliore amico che ha appena riacquisito la libertà e che ha deciso di superare il record di partner nell’arco di due mesi!
Era già preventivato il fatto che fosse più opportuno andarsene, ma negli ultimi tempi è diventata una certezza, tanto che sono già alla ricerca di un nuovo posticino, magari non sbattuto all’altro capo della città, pur non avendo, quasi sicuramente, altra scelta: cinque mesi e i prezzi si sono alzati in maniera esponenziale. Un incubo: mi sa tanto che mi toccherà andare a convivere con qualcun altro…
Un vero stramaledetto incubo!
Certo, ho avuto delle proposte, ma sinceramente l’idea di Emma di andare ad abitare nella sua stanza degli ospiti non mi pare proprio una delle trovate del secolo, ecco… come glielo si spiega al fratellino che la sua ex-ragazza abita con sua sorella e il compagno quando si supponeva fosse rimasta a New York? Oddio, sarebbe un modo simpatico per far sapere a Tom che sono a Londra, ma non voglio divenire colpevole dell’omicidio dell’idolo delle adolescenti (e non): altro che pogrom poi!
Insomma, sono nella vera merda!
- Bernie-
- Gesù mio, Jack! Perché diavolo bisbigli?- Esclamo a bassa voce (un po’ un controsenso ma vabbè, quel che è fatto è fatto), portandomi una mano al cuore e guardando in tralice il mio collega, avvicinatosi furtivamente.
- Perché ti devo parlare ma se Richard ci sente ti cazzia-
- Scusa, sei tu che disturbi, dovrebbe cazziare te, no?-
Jack mi guarda come si guardasse una principiante alle prime armi, pieno di paternalistico affetto e pietà (detta così sembra brutto, ma fa un sacco ridere) – Tesoro, quello ti si vuole portare a letto, se non peggio ma, con lui, sembra tu ti sia messa una cintura di castità con gli spuntoni, quindi, per evitare di scoprirsi, ti tratta di merda ma non perderebbe occasione per poterti guardare anche se, nei tuoi confronti, ha un sentimento ambivalente… certo, un po’ infantile, ma è uomo, che ci vuoi fare e…-
- Ne dici di stronzate!-
- Cara, sai che sembri proprio uno scaricatore di porto?-
- Jack!-
- Va bene, va bene… arrivo al punto- Continua lui, accomodandosi con eleganza sulla sedia e sospirando rassegnato.
-Allora, Bernie, so che stai cercando casa perché la vita sessuale del tuo amico sta facendo rimpiangere la tua, che non hai-
Dio, ma che è un tuo collega, Cornà?
Io non c’entro! M’ha tolto le parole di bocca
- Grazie!-
- Dovere. Ad ogni modo, dato che, ahimè, mi sono appena lasciato e lo stronzetto mi sta placidamente buttando fuori casa, ho pensato che potremmo unire le forze e andare a vivere assieme… Bernie! Così mi uccidi!-
Gli sono letteralmente saltata al collo e adesso lo sto stritolando come fossi un boa costrictor, incurante dei rimproveri e degli sguardi stralunati dei colleghi presenti nella stanza. Io amo quest’uomo, se solo non fosse maledettamente omosessuale, me lo sposerei seduta stante; insomma, è vero che delle volte sembra la Cornacchia versione umana, ma è anche vero che sembra leggermi nel pensiero, abbiamo gli stessi gusti e ci stanno pure sulle palle le stesse cose. E’ la mia anima gemella, più o meno.
- Deduco sia una sì- Dice Jack con fare bonario, mentre si massaggia il collo dolorante.
- Ma certo che lo è!-
- Ehm, ehm!-
Lasciammo entrambi la presa come se ci fossimo scottati. Abbott incute timore con le braccia incrociate al petto, il mento alzato con fare superbo e gli occhi glaciali: quell’uomo comincia seriamente a mettermi i brividi.
- Se voi scolaretti avete finito, c’è un’intervista da preparare-
- Ma manca…-
- Un giorno, signorina Minardi, oppure devo dedurre che ha dimenticato i quindici minuti a voi dedicati a scopo promozionale nella fascia di prima serata!?-
Cristo!
Gesù!
Cristo!
Un giorno? Ecco, sono nella merda. Deduce bene caro signor stronzo, deduce benissimo, ma non le darò mai la soddisfazione di ammettere di essere nel torto.
Con fare molto, ma molto professionale mi aggiusto le pieghe del vestitino, inforco meglio gli occhiali e mi risiedo al mio posto. Affondo il viso tra i fogli, cominciando a scribacchiare qualche brillante discorso per l’intervista che sicuramente non riuscirò mai a ricordarmi.
Deprimente, assolutamente deprimente.
 
Qualche tempo dopo, ormai sempre a Londra ma in un’altra casa
 
- Emma? Sono io!- Urlo appena entrato a casa di mia sorella, onde evitare mi prenda a ombrellate come la scorsa settimana, quando la signorina si era dimenticata di avermi dato lei stessa le chiavi della sua nuova dimora.
- Tom! Sono in cucina! Credo che ci converrà ordinare una pizza! Il pollo è andato-
In effetti, ora che me lo fa notare, la casa è immersa in un fastidioso fumo grigiastro, mentre l’odore forte di bruciato entra prepotentemente nelle narici, facendomi pentire di aver accettato così alla leggera l’invito di mia sorella per cena. Che mi è saltato per la mente? Emma non sa cucinare!
- Joseph non c’è?-
-No- Risponde Emma passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore – Turno di notte all’ospedale-
Faccio un cenno di assenso mentre mi spoglio della sciarpa e del cappotto, gettandomi di mala grazia sul divano immacolato, sprofondandoci e chiudendo gli occhi, sentendo la pressione sulle tempie diventare sempre più forte.
Sei ufficialmente stressato!
Ci credo: nel giro di un mese mi toccherà fare il giro del mondo. Tu non saresti stressato?
Ti serve una donna!
Io ce l’ho la donna!
Avanti Tom, siamo ancora alla fase “mento anche a me stesso” ?
Evidentemente sì, siamo in quella fase, però da qui a dire che sono solo come un cane ce ne passa. Estelle non è la donna della mia vita e chiacchiera come una zitella di mezza età in cerca di compagnia, però, alla fine, non mi lamento. Se solo la smettesse di parlare così tanto! Mi sono lasciato incantare dalle sue meravigliose foto, pensavo che una persona che riuscisse a dar vita a cose così vere e frizzanti dovesse essere, in qualche modo, simile alla sua arte…
Non potevo sbagliarmi di più! E’ proprio vero che l’abito non fa il monaco, ma, tant’è, che è partita per un mese, così, almeno, potrò rilassarmi, anche se mi toccherà iniziare a lavorare di nuovo come un mulo. I mesi di inattività non mi fanno bene, insomma, mi rendono apatico e abulico, mi tolgono ogni energia, stranamente potrei aggiungere, ma è così… stare lontano dalla recitazione e dall’attività mi rende malinconico e scontroso. Il fare è assolutamente sottovalutato; il sapere di star creando, di star dando vita a qualcosa mi appaga e mi rasserena. Ho bisogno di uno scopo, oltretutto, per un iper-attivo come me è di vitale importanza muoversi e agire, altrimenti l’inattività si ripercuote tutta sul movimento delle mie celluline grigie…
La pazzia è un pericolo palpabile!
Afferro il telecomando e accendo la tv, cominciando a fare zapping tra i vari canali, cercando di arrivare il più in fretta possibile al telegiornale (se magari mi ricordassi il numero sarebbe già un passo avanti). Appare tutto come un andirivieni di colori differenti, non rimango fermo sulla stessa stazione per più di sei secondi, quasi fosse un gioco che ha il potere di calmarmi all’istante. Un gioco un po’ alienante ad essere sinceri, ma svuota la mente e ha l’effetto sperato, perché il mal di testa comincia a scemare e sento i muscoli delle spalle sciogliersi: chi ha inventato la televisione doveva essere un genio della psicologia.
Mi blocco su Channel 4, malgrado le notizie siano quasi finite, posso comunque aggiornarmi sui fatti più minuti e meno impegnativi, dato che, alle volte, è bello poter non essere cosciente dei mali che ci circondano. Per quanto la campagna dell’UN mi abbia illuminato, per quanto vorrei, sinceramente, poter fare qualcosa con tutto me stesso, avendone la possibilità, adesso ho solo voglia di ascoltare battute e facezie…
Per esempio,stanno per intervistare i conduttori di un nuovo programma di costume, come i “late show” che vanno tanto di moda oltreoceano. Non dovrebbe essere male, magari, se avrò tempo, qualche volta lo guarderò: chissà, un giorno o l’altro inviteranno anche me!
Operation Colossus l’hanno chiamato, mi sembra un’ottima trovata…
Ah, eccoli i giornalisti, non riesco a distinguerli bene, ma sembrano molto giovani, il ragazzo, almeno, non deve avere più di trent’anni…
Jack Morrison, certo, lo sentivo alla radio! Era bravo, sì, sono assolutamente curioso di vederlo in azione…
La ragazza sembra una bambina, così minuta e piccolina, mi fa un po’ tenerezza il modo in cui, ostinatamente, tiene il viso di profilo, coprendosi con un ciuffo ribelle…
Il collega la sta prendendo in giro e le guance le si sono imporporate, però ancora non riesco bene a distinguerla, è troppo incassata, quasi volesse scomparire nella poltrona. Però è orgogliosa, lo vedo dal modo in cui reagisce alla provocazione, perché alza subito le spalle, mostrando il petto generoso e un sorriso furbo si intravede dai capelli corti che le nascondono il profilo; fa un respiro, quindi si volta anche lei verso la telecamera e…
Non può essere!
-Ahhh-
Emma mi si getta addosso strillando prima ancora che a urlare sia io
 
 
Studio di Operation Colossus, stesso istante
 
- Molto spiritoso, Jack!-
Cinguetto, tirando fuori le palle che fino ad allora avevano giocato a nascondino. Mi raddrizzo sulla poltrona, voltandomi verso la telecamera, sentendomi, con mia immensa sorpresa, finalmente a mio agio.
- Ma vedi, caro, mi è stato insegnato che non si interrompe la gente mentre parla… e tu parli moltissimo-
In sottofondo avverto un coro di risate, mi giunge come di lontano, un suono ovattato proveniente da un sogno, ma un sogno è esattamente come mi sento in questo momento, dimentica di tutto e di tutti, ci sono solo io e la telecamera. E mi sento bene, mi sento bella, mi sento al centro del mondo.
- Che coppia deliziosa che siete! Ne vedremo delle belle tra le interviste e i vostri battibecchi. Ma ditemi: entrambi avete una carriera molto differente alle spalle, tu, Jack, vieni dalla radio e tu, Bernie, ti posso chiamare così, no? Vieni dal giornalismo cartaceo… come si conciliano queste vostre esperienze con il progetto che state contribuendo a creare?-
Il fatto che la mia intervistatrice non mi stia davanti e che la sua voce mi si pianti nell’orecchio da un auricolare non è una sensazione particolarmente piacevole, mi sembra quasi di parlare da sola, ma, tant’è, mi ci devo abituare e, per come ora mi sento, non credo mi ci vorrà molto. L’adrenalina prende a scorrermi nelle vene,la voglia di fare ed esserci si impadronisce di me: non vedo l’ora di essere dall’altra parte, di porre domande, di chiedere e di indagare.
Così, prima che Jack possa anche tentare di rispondere, intervengo io, uscendo finalmente dall’ombra
Operation Colossus è l’insieme delle nostre esperienze. Nasce per far sì che i protagonisti parlino e  raccontino le loro storie e il programma è come formato di due metà diverse che perfettamente si incontrano e combaciano: da una parte il divertimento, il gioco goliardico e lo scherzo, dall’altra l’informazione e la cultura. Ognuna di queste sfaccettature costituisce ciò che vogliamo proporre al pubblico, trattando di temi seri ma anche dando la possibilità di ridere e di godere di ciò che è bello. Vogliamo che le notizie e l’attualità arrivino a tutti e che tutti, attraverso le interviste, possano partecipare e sentire di partecipare a questa attualità. Insomma, Jack ci mette la bella faccia e io il cervello!-
La risata che segue è una risata autentica, di gusto e di cuore. E’ contagiosa, così mi unisco anche io a questa ondata di divertimento generale che ha il potere di mettere un freno alla pressione e di farci respirare tutti.
- La ragazza è un tipino tosto. Jack, hai due minuti per poter dire la tua!-
Jack mi guarda facendomi l’occhiolino, poi si volta di nuovo verso la telecamera, sfoggiando il suo sorriso più affascinante (so già che milioni di donne sono innamorate di lui) e inizia a parlare, con quella sua voce profonda e con quel suo accento così seducentemente british che un brivido mi percorre la schiena.
- Ritengo che Operation Colossus possa davvero riuscire nell’intento che si prefigge. Non è un compito facile, questo è certo, ma credo che sia un modo originale per poter, sul serio, rendere la gente consapevole, soprattutto i giovani, perché il futuro è loro e hanno il diritto e il dovere di sapere e comprendere. Non potrei essere più d’accordo: il programma è un caleidoscopico crogiolo, contiene moltitudini e questo è uno dei suoi punti di forza…oltre me, ovviamente, che sono quello divertente della coppia: Berenice disquisisce, io mi occupo dei fatti. Due metà perfette di una storia comune che, spero, potrete apprezzare…-
- Sarà sicuramente così. Grazie, ragazzi, per il vostro tempo. Operation Colossus vi aspetta tutte le domeniche dalle 18 e 30 alle 19 e i venerdì per un quarto d’ora di sneek pick  dalla prima settimana di ottobre!-
 
 
Casa di Emma, qualche tempo dopo
 
Il cellulare mi vibra nella tasca, lo prendo e me lo porto all’orecchio, stringendo nell’altra il mio personalissimo e alquanto ridicolo ostaggio.
 - Pronto?-
- Tom! Tom! Per Dio, non fare nulla di avventato!-
Luke sembra molto agitato, forse sta correndo qui, non lo so e né mi interessa saperlo. Un ghigno solitario mi compare sul viso e, per la prima volta, seriamente, mi calo completamente nella parte del mio “antagonista preferito”, continuando a guardare la vittima designata.
- Luke! Quanto tempo… ecco la serpe che ho covato in seno! Tu sapevi, vero? Non osare negare, Emma mi ha già detto tutto-
- Dov’è tua sorella? Voglio parlare con lei!- Chiede accorato, addirittura spaventato.
Ma fanno sul serio? Pensano mi sia andato così di volta il cervello? In realtà, non so che cosa sia accaduto in questi mesi, la notizia del ritorno della “bisbetica pazza” è stata una doccia fredda: mi sono svegliato come da un coma profondo. Stranamente, per quanto incazzato possa essere, sono tornato a respirare, sono nuovamente in mezzo al mondo, ho smesso di fare da spettatore della mia vita. I colori, i suoni, le voci, le parole mi arrivano chiari e vivaci, veri e reali come non accadeva da molto, il tempo ha cominciato a scorrere con regolarità, senza vuoti, senza alienazioni. Ho smesso di perdermi nelle mie elucubrazioni e nella mia immensa interiorità e sono tornato al reale, con tutto ciò che comporta: mi ero dimenticato quanto fossero intense le emozioni, ero troppo occupato ad anestetizzarmi.
Ad ogni modo, dato che sono di nuovo qui e che sento perfettamente la rabbia assalirmi e togliermi il respiro, ho deciso che, se mi credono ancora impazzito, giocherò a fare il pazzo…
Mi piace questo gioco!
Davvero? Vuoi che ti faccia fare la stessa fine di Ted?
Non lo faresti mai…
Non tentarmi, allora
- Mia sorella, al momento, non può parlarti. Vedi, ha deciso di passare il resto dei suoi giorni dentro lo sgabuzzino delle scope, al buio…-
Sento Emma piagnucolare da dentro il suo nascondiglio e cerco di trattenere una risata perché la situazione è alquanto surreale, per non dire comica, sebbene ciò che senta nei confronti di lei e di tutto il genere umano in questo istante sia assolutamente vero. Se fossi un pazzo omicida avrei veramente la necessità di accoppare qualcuno, e nella maniera più crudele possibile.
- Luke, adesso non posso parlare, ma non preoccuparti… mi occuperò anche di te, presto- Aggancio il telefono, gettando l’I-Phone sul divano con fare stizzito e mi avvicino alla porta dietro cui è nascosta mia sorella, assumendo la voce più suadente e melliflua che riesco a fare.
- Devi solo dirmi dove abita e io lascerò andare te e Ted-
Avverto distintamente il cozzare delle scope tra loro, Emma deve essersi sollevata di scatto, pronta ad attaccare se necessario. Sono scene già vissute, sprazzi di vita infantile e di litigi tra due bambini biondi che lottavano per l’ultimo biscotto: adesso non è più così. Per quanto ami mia sorella e sia molto felice che lei cerchi di aiutarmi, questa volta lei e Luke non si sono regolati, insomma, sono la mia famiglia, dovrebbero quantomeno fare finta di essere dalla mia parte, invece che proteggere quella “tantecosepococarine” che torna e non avverte.
Beh, perché avrebbe dovuto farlo? L’hai mollata tu, ricordi?
Certo, ma adesso è qui, pensavo di non essere uno dei tanti…
Hai voluto tu essere gettato nel dimenticatoio, bello mio. E poi, scusa, perché la vorresti vedere? Non la volevi dimenticare?
E’ tornata!
Troppo comodo adesso!
Smettila di essere così maledettamente e inopportunamente maturo, mi sfianchi…
Se sei un idiota qualcuno deve tirarti le orecchie…
Tse, presuntuoso!
- Cosa ne hai fatto di Ted?- La voce ovattata della mia sorellina giunge stridula e incrinata, evidentemente l’ho colpita nel punto giusto.
- E’ ancora integro…per ora…- Spiego, stringendo più forte la piccola zampa di pezza dell’orsacchiotto con il quale Emma, a quasi trent’anni, ancora dorme. E’ stato un regalo della nonna e lei non se ne separa mai, mai.
- Tu non oserai…-
- Oserò, invece. Dimmi dov’è, la mia pazienza ha un limite e voi lo avete già pericolosamente oltrepassato-
- Tom, ti prego. Non posso. Bernie ha detto chiaramente che non…-
-Uno-
- Mandale una mail, Tom…-
- Due-
- Non fargli del male, è fragile, è così piccolo. Guardalo Tom, con quel faccino…-
- Tre-
Lo strappo echeggia nell’aria nitido e ben definito, come uno sparo ed è allora che Emma spalanca la porta, inferocita, come una lupa che deve difendere il suo cucciolo. Mi si getta addosso prima ancora che riesca a prevedere le sue mosse, allungandosi per cercare di acciuffare il suo peluche preferito.
- Lascialo!- Strilla, iniziando a graffiare la mia pelle come capita.
- Dimmelo o gli tronco la zampa di netto- La minaccio, tirando ancora di più, lasciando in bella vista i fili e le cuciture che, pian piano, si stanno sfilacciando in maniera inesorabile.
Emma mi guarda disperata, poi guarda l’orsacchiotto, poi di nuovo me, indecisa sul da farsi: se le serve un ulteriore incentivo non ha che da chiedere.
Con una pressione più forte, asporto totalmente il piccolo braccio di pezza, mentre lei osserva inorridita la scena.
- Te lo dirò! Te lo dirò!-
 
 
Bernie, qualche ora più tardi
 
 
- EDO!!!- Lo chiamo, urlando felice ed ubriaca, entrando barcollante nella sua casetta a due piani, in mano una bottiglia di spumante mezza vuota.
L’intervista è stata un successone, l’indice di ascolti è schizzato alle stelle e, presto, avremo anche una pagina tweeter/facebook tutta per noi. Jack ed io siamo stati eccezionali, non potevamo non festeggiare, insomma, anche Richard Abbot, detto “il ghiacciolo” si è complimentato, si è anche offerto di riportarmi lui a casa…
Lolita bella, credo che Jack abbia ragione! Tesoro, il periodo di magra è quasi finito
Evvai! Brunilde, altro spumante…
Se quella beve un altro po’ vomita!
Tse, disfattista!
Il mio lavoro va alla grande, ho bevuto come non ci fosse un domani, presto andrò a vivere con Jack e, dulcis in fundo, mi sono concessa una gran bella pomiciata con uno che, malgrado sia uno stronzo acido di prima categoria, è anche un gran pezzo d’uomo (beh, il bacetto della buonanotte non si nega a nessuno, e a Richard questi tipi di saluti riescono molto bene).
Getto le scarpe sul pavimento dell’ingresso, aggrappandomi al corrimano della scala per non finire con il culo per terra. Mi rendo conto, tra i fumi dell’alcol, che la casa è illuminata a giorno, senza un apparente motivo: è tardi, Edoardo dovrebbe dormire, a meno che…
- EDOARDO! CAZZO, SPERA CHE NON TI TROVI CON UNA DELLE TUE TROIETTE! DOBBIAMO FESTEGGIARE, ADESSO!-
Vedo Edoardo scapicollarsi fuori dalla porta del soggiorno, osservandomi perplesso, con uno sguardo assolutamente e totalmente preoccupato, per non dire inorridito. Ma che vuole? Per una volta che la smetto di fare la musona composta deve pure fare storie? Che devo dire io dei suoi molesti quanto assolutamente inopportuni concertini notturni?
Voglio festeggiare ancora e bere ancora, tequila questa volta, lo spumante mi sta stomacando più del dovuto…
- Bernie, che hai fatto?- Domanda, allarmato, in inglese. Perché in inglese? Non mi va adesso di stare a pensare, mi rompe pensare continuamente.
- Sono ubriaca, non si vede? E, poi, perché diamine parli la lingua del nemico? Sii patriottico- Sghignazzo, biascicando le parole, mentre arranco per le scale, rischiando di cadere più di una volta.
Quando arrivo, finalmente, in cima, con il mio stomaco che urla pietà e la testa che chiama vendetta a gran voce, mi getto, malamente, su Edo, in quella che sembra un’aggressione piuttosto che un abbraccio.
- Oh, Edo! Hai visto? Mi hai vista? Sono stata brava, vero? Diventerò la donna più scopabile del Regno Unito e vaffanculo a Tom “senza palle” Hiddleston!-
Non so perché, ma alle mie parole, vedo Edoardo sbiancare completamente, assumendo un colorito peggiore del mio in questo istante, che è tutto dire, mentre lancia occhiate spaventate verso il piccolo salotto, tornando poi a guardarmi ancora più apprensivo di prima.
- Bernie, questa, è meglio che la dai a me- Mi toglie dalle mani la bottiglia, sempre più vuota, sorreggendomi con il braccio stretto in vita. Non mi reggo quasi più in piedi.
- Va bene, te la puoi finire tu, però adesso mi va la tequila, perché dovrebbe essere il giorno più bello, invece quello stronzo continua a palesarsi nella mia testa… sai quanto soffro!? Io soffro, cazzo! HIDDLESTON, MUORI, CHE LE SETTE MALEDIZIONI DI GIOVE TI COLGANO, MI HAI SENTITO, HIDDLESTON?-
- Ehm, Bernie, è meglio se…-
- Vado a prendere la tequila! Spero di crepare, così quel maledetto inglesuccio e il suo bel culetto mi avranno sulla coscienza a vita!-
Mi poggio allo stipite della porta, decisa ad andare in coma etilico, perché, uffa, ero tanto euforica e felice, mentre adesso mi viene da piangere e da vomitare, perché lui non c’è, non mi ha voluta e non mi vorrà più. Io ci provo ad essere forte, anche il mio stomaco ci prova, ma Tom, dannato sia dove si trova, mi manca da impazzire e ho voglia di lui, della sua voce, di tutto…
Cerco di trattenere un conato, le lacrime, ormai, scendono da sole, non ho la forza per fare nulla. Non devo più bere, non così almeno. E’ da tempi immemori che non mi riduco in questo stato pietoso… ma io lo amo, lo amo e lui no, perché non sono abbastanza.
Ti odio, Hiddleston!
Entro nella stanza come una furia, dirigendomi, senza guardarmi attorno, al mobiletto dei liquori, rovistandoci dentro con molta poca grazia: devo trovare la tequila!
Quando intravedo il liquido trasparente, un ghigno malefico mi si disegna sulle labbra, devo essere totalmente impazzita, anche perché sento delle voci che confabulano alle mie spalle, ma ci sono solo io, ed Edo, certo.
Mi alzo di scatto, troppo direi, e con un’esclamazione di trionfo sollevo la bottiglia. Adesso mancano solo il sale e il limone, e Tom, naturalmente, ma lui m’ha lasciata e non tornerà più.
Mi volto e, per poco, non lascio cadere il contenuto della mia mano. Rimango congelata sul posto, guardando, basita, trattenendo il respiro, la figura di un uomo alto e slanciato elegantemente poggiato sulla parete opposta che mi sta osservando, sorridendo compiaciuto, con una crudeltà che non gli avevo mai visto addosso.
- Buonasera, Berenice-
Gli occhi glaciali di Tom, quel Tom, quello che ho appena mandato a quel paese (purtroppo, malgrado abbia usato l’italiano, il “vaffanculo” è alquanto internazionale), si puntano nei miei, perforandomi la carne…
Respira, Bernie!
Oddio, Brunilde, è andata in apnea, sta diventando cianotica!
Se fai così, mi agiti, zitta! Berenice, ascoltami, apri la bocca, apri la bocca e… che schifo!
In effetti, dato che stavo per morire per auto-soffocamento, ho ascoltato il sensatissimo consiglio della Cornacchia, ho aperto la bocca, sì, per respirare.
Peccato che, a tutt’ora, stia semplicemente vomitando l’anima.
Ti odio, Tom Hiddleston!
 
 

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Capitolo 23
*** CAPITOLO 16 ***


Capitolo 16
 
Botta e Risposta
 
IL PRINCIPIO DELLA FINE: E pensare
Che volevo dimenticarti
 
 
 
Bernie
 
- Che ci fai qui?-
Credo di averglielo domandato parecchie volte nel corso di questa nottata, tra un conato di vomito e un insulto, ma Tom ancora non mi ha risposto.
Mi ha accompagnata in bagno, mi ha sorretto la fronte, mi ha addirittura pulito il viso e i capelli, ma non ha proferito parola, limitandosi a qualche commento acido a cui non ho prestato attenzione, troppo sconvolta e con gli intestini troppo malandati per poter comprendere cosa mi stesse accadendo. Ero consapevole solo degli spasmi e della sua presenza, forte e stabile, con me, mentre raccoglieva i miei cocci.
Sono distesa sul divano, avvolta sotto innumerevoli strati di coperte di lana, con indosso solo biancheria e una pezza bagnata sopra la fronte. Mi giro di fianco per poter guardare meglio Tom, seduto sulla poltrona, che si massaggia gli occhi e la fronte, stanco e, sospetto, ancora più incazzato di quanto non fosse quando si è presentato a casa di Edo.
Sono le quattro di mattina, l’ora che, un tempo, sembrava essere stata creata appositamente per noi, e io aspetto ancora che lui mi parli e mi dica quello che era venuto a dirmi, spero addirittura in una serie alquanto colorita di insulti, piuttosto che questo mutismo ostinato.
Spero non pensi che mi sia ubriacata per lui, perché, sinceramente, ho una dignità da difendere, volevo semplicemente festeggiare e il fatto che la sua immagine e la sua mancanza si siano palesati così forti e vivi dentro di me non sono che effetti collaterali dell’alcol e del fatto che, purtroppo, non sono così emotivamente forte da poter reggere alterazioni della coscienza tanto pesanti.
- Allora?- Lo incalzo, con tono stanco.
- Me ne vado- Si alza di scatto dalla poltrona, come se fosse stato punto da qualcosa. Una fitta di dolore acuto mi preme nel petto: addirittura l’essere nella stessa stanza lo infastidisce… e pensare che, prima, per me, ahimè, ancora adesso, non potevamo farne a meno.
Questo suo scatto mi fa salire tutta la rabbia e la delusione e la sofferenza provate in questi lunghi mesi, perché mi ha fatto del male e non ha nessun diritto di comportarsi in questo modo… da quand’è che è diventato così stronzo? Codardo sì, ma stronzo no! Posso anche accettare, più o meno, la sua decisione, capirla in qualche modo, giustificare il fatto che, neanche una volta, mi abbia cercata o abbia sentito il bisogno di farsi risentire, ma adesso è qui, piombato in casa “mia” senza ragione, e, Cristo! Deve parlarmi, a questo punto me lo deve.
- Tu non te ne vai proprio da nessuna parte!- Esclamo, cercando di non pensare alla tremenda fitta alla testa e alla nausea, ancora terribilmente presente, sollevandomi un poco e stringendomi nelle coperte – Tu, cazzo, rimani qui e apri quella maledetta bocca!-

Che vorresti tanto baciare…
No, senti, Cornacchia, non è proprio il momento.
Pensa e non esagerare…
Io faccio quello che voglio visto che mi ha fatto passare le pene dell’Inferno, te lo sei dimenticata?
Poi te ne penti…
Cazzo, smettila di parlare come mia madre!
- Non c’è nulla da dirti…- E’ in piedi, Tom, ma non accenna a muoversi: penso stia aspettando il momento giusto per togliersi il tappo che, in cinque mesi, si è ingrossato enormemente.
Come ci siamo arrivati a questo punto? Quando l’amore che avevamo è iniziato a divenire così tremendo, oscuro e odioso? Perché siamo arrivati a farci questo?
Tom mi guarda, arrabbiato certo, ma noto anche altro, una cosa che, più di tutte, non avrei mai voluto vedere e lui lo sa, lo sa bene, quanto odi che mi si guardi così, con pena, compassione; lo sa e sembra fregarsene altamente, sicuramente non lo fa apposta, ma il fatto che, in qualche modo, l’essere rientrata ubriaca, inveendo contro di lui, lo sollevi e lo rassicuri, mi manda in bestia, tanto che sento il corpo iniziare a tremare per l’ira che, forte, preme per esplodere.
- NON OSARE GUARDARMI COSI’! CHE C’E’? ORA CHE MI HAI VISTA IN QUESTO STATO TI SENTI MEGLIO? BERNIE CHE ANCORA TI STA DIETRO? SEI UNO STRONZO!-
E’ attonito, lo si vede da come ha spalancato gli occhi e dischiuso la bocca, ma è un attimo, poi si infila la sua maschera di fredda superiorità che lo rende tremendamente simile al dio delle malefatte; non indietreggio, sebbene sia sdraiata, continuo a sostenere lo sguardo e a non farmi abbattere: gliele faccio abbassare io le penne a questo!
Non mi interessa se sta solo cercando di tirare su una barriera, non me ne frega nulla se sta male anche lui e sta tentando di proteggersi, mi sono stufata di scusarlo e di coccolarlo, che si assuma le sue responsabilità, basta fare la persona matura. Non sono matura, sono la bisbetica scimmia pazza di sempre e Tom, il piccolo Lord dei miei stivali, se la vedrà con me e con tutto ciò che mi ha fatto patire.
- Ah, io sarei lo stronzo! E tu, allora, che torni e neanche ti degni di farmelo sapere? Sei strisciata qui, come una ladra, e adesso io sarei lo stronzo! SEI TU CHE TE NE SEI ANDATA!- Anche Tom, evidentemente, si è stancato della sua maschera. Ha scoperto le carte e vuole giocare. O fare la guerra, chissà.
Beh, se è la battaglia che vuole, la battaglia avrà… voglio bere il suo sangue e, se devo morire, voglio farlo con un ultimo, stra-maledetto, bacio!
 
 
Tom
 
- … SEI TU CHE TE NE SEI ANDATA!-
E addio a tutti i buoni propositi di non essere petulante!
Mi ha dato dello stronzo!
E lo sei
Un sorrisetto compiaciuto, e parecchio fastidioso, si disegna sulla sua piccola bocca, mentre il corpo si rilassa, tanto che, addirittura, si mette con un braccio a sorreggere la testa, quasi a godersi lo spettacolo, come una novella Paolina Borghese.
- Dunque è questo? Sei venuto per farmi nuovamente sentire in colpa? Te lo potevi risparmiare, Hiddleston. Non mi sono mai sentita in colpa per la scelta compiuta, pensa, da cretina innamorata, ero dispiaciuta di averti fatto soffrire, mi rodevo il fegato sapendo che, probabilmente, saresti stato tra le braccia di altre…Io non me ne sono andata, sei tu, idiota, che mi hai lasciata andare…-
Stringo i pugni fino a farli sbiancare, troppo inviperito per potere, in qualche modo, ribattere. E’ diventata così dannatamente ragionevole da non riuscire, minimamente, a raggiungerla, ancora una volta si eretta al di sopra delle mie maledette paure. E io non so come rispondere. Non so neanche perché voglia farlo, sinceramente, Berenice è lì, debole, indifesa, assolutamente invitante: estinguere la distanza e baciarla. Da una parte, vorrei smetterla con questa battaglia, gettare le armi in terra e stipulare con lei la pace più dolce, ma il mio orgoglio, tutta la sofferenza provata e la lontananza non me lo permettono, mi portano a battermi ancora e ancora.
Non sono mai stato vendicativo, ma, fin dal principio, ero conscio che i rischi della sua vicinanza avrebbero portato. Berenice è totale, totale è il mio sentimento nei suoi confronti. Non c’è scampo: siamo come due eroi tragici imprigionati nell’ineluttabilità della vita e nella necessità delle nostre azioni. Sappiamo entrambi cosa, invece, vorremmo realmente fare: dissolverci l’uno nell’altra e amarci. Ma non siamo più esseri umani, siamo i personaggi che la nostra piccola storia ci ha cucito addosso e, così, nessuno dei due tirerà fuori bandiera bianca.
Oggi sarà un lago di sangue…
Voi esseri umani siete una razza che deve estinguersi. Come ancora non vi siate reciprocamente distrutti appare un mistero
Tu sei una mia appendice, ricordi? Sei altrettanto umano!
Che le coscienze anneghino, per la causa superiore!
Tse, montato
- Se eri tanto innamorata potevi chiamarmi- Ribatto, senza convinzione.
Bernie dilata le narici, credo prossima a scoppiare – E tu, invece? Se hai sofferto così tanto perché non hai alzato quel cazzo di telefono? –
- Tu non sai niente-
- Neanche tu-
Eccoci, ancora una volta, due monoliti di pietra e titanio, due fortezze inespugnabili che non scenderanno a compromessi. Come siamo arrivati a questo punto? Perché quella che un tempo era una meravigliosa passione si è trasformata in un voluttuoso desiderio di sangue? L’amore, quel tenero e dolcissimo amore, quando è stato sepolto dalla paura tremenda?
- Bene, allora non abbiamo più nient’altro da dirci…-
Mi volto, senza battere ciglio, ancora una volta i miei sensi e le mie emozioni sono state anestetizzate. Così è, ci siamo sconfitti a vicenda, non c’è più nulla da fare.
Proprio quando sto per imboccare la porta, mi sento tirare bruscamente, mi stupisco della forza e della rabbia con cui Bernie, pur debilitata, sia riuscita a farmi girare e a fronteggiarmi. E’ avvolta nella lana della coperta, pallida come un lenzuolo e stanca morta, ma, negli occhi, ritrovo quella profondità e quell’energia che mi hanno fatto innamorare di lei in maniera così incondizionata e, anche se solo per un attimo, mi trovo a vacillare.
Si aggrappa ai baveri della camicia, stringendoli convulsamente con mani tremanti, ha il respiro mozzato di chi non ci vede più, travolto com’è dalle proprie emozioni.
- Sì, sì che ce l’abbiamo, ne abbiamo di cose da dirci…Almeno, io ho qualcosa da dirti: ho cinque mesi di sofferenza, angoscia e abbandono da raccontarti. Tu, tu che mi avevi promesso che, per tutto il tempo in cui ci saresti stato, non mi avresti fatta soffrire. BASTARDO! SEI UN MALEDETTO BASTARDO!-
 
 
Bernie
 
- Che fine ha fatto la promessa, eh!? RISPONDI!-
Avete deciso di raggiungere gli ultrasuoni?
No, sapete, la Cornacchia ed io non siamo cani!
Mettetevi i tappi e fottetevi!
Ribadisco, fottiti tu, è più divertente!
In realtà, quando la mia mano si sposta dalla camicia al suo collo, non sono pienamente consapevole di me. Mi accanisco sulla sua pelle, la stringo, la scuoto, voglio ferirlo e, nel contempo, semplicemente stringerlo, lasciare che le mie dita si riabituino al contatto e godano nel suo calore. In questo istante, sono attratta dal suo corpo in maniera alquanto ambivalente perché, da una parte, vorrei aggredirlo, fargli male, dall’altra, invece, vorrei fondermi con lui, sprofondarci.
Sono debole, troppo, per quanto l’adrenalina mi conceda un’illusione di forza, gli zuccheri nel sangue sono pericolosamente bassi e Tom, molto più in salute di me, nonché più veloce, mi afferra i polsi, stringendoli quasi con dolcezza, premendoli contro il mio petto, senza però allontanarsi.
- IO AVREI VOLUTO MANTENERLA QUELLA PROMESSA! NON MI SONO FIDATO, VA BENE!? NON MI FIDAVO DI TE E DEL TUO CARATTERE DEL CAZZO. MI HANNO ABBANDONATO IN TROPPI NELLA VITA PER RISCHIARE-
Il suo grido è prepotente, violento, sento le vibrazioni del suo corpo arrivare al mio e neanche più mi chiedo se Edoardo sia riuscito ad addormentarsi o meno, poverino: e io che mi incazzavo sempre per le sue scopate rumorose!
- Ah, non ti fidavi, eh!? Perché, Tom? Dimmi perché! E SMETTILA DI URLARE!-
- SEI TU CHE HAI INIZIATO!-
- FACCIO QUELLO CHE VOGLIO, CHIARO?-
Siamo entrambi esausti, abbiamo il fiatone e non riusciamo più a parlare. In realtà, non c’è molto da dire, sappiamo bene tutti e due le ragioni al di là delle scelte dell’uno e dell’altra, tuttavia, la verità è che desideriamo ardentemente una scusa per non doverci lasciare di nuovo, una scusa per rimanere, questa volta. Sono troppo arrabbiata, delusa e ferita e odio il muro che ha creato, odio il modo in cui è diventato, soprattutto perché mi sembra di star di fronte a uno specchio che  riflette l’immagine della me che ero e che gli ho lasciato in eredità. Non capisco proprio come abbia fatto a sopportarmi, come abbiano fatto tutti a sopportarmi in questi anni, con la mia aggressività e intransigenza. Entrare nel mio castello era un procedimento delicato ed estremamente difficile e ora che mi trovo dall’altra parte, sotto le mura, non so come comportarmi, non so come riuscire ad aggirarlo, al limite distruggerlo.
Mi trovo di fronte una barriera di paura e angoscia, una foresta intricata di rimpianti, incubi e rimorsi e ho paura di perdermi inesorabilmente, non vedo il sentiero, non ho una luce che mi guidi e alle volte l’amore non basta: per uscire dal groviglio di rovi non basta che io ami Tom, dovrebbe essere lui a volermi lasciare delle tracce, come un filo di Arianna che da lui si dipana verso di me.
Mi è rimasto incagliato dentro, ma sono troppo stanca anche solo per poterlo chiamare e stare ad aspettare che, di lontano, mi giunga la sua voce: non so se ho la voglia e l’energia per potermi battere. L’avevo, l’ho avuta per tanto tempo, ma, guardando avanti, al futuro, non riesco a comprendere se ne vale veramente la pena, prima ci riuscivo, quando ancora non era di fronte a me ci riuscivo, ma ora…
Ho sognato tante volte il nostro incontro, ho immaginato mille scenari diversi e mi ero preparata, meticolosamente, ad affrontarli tutti; poi, l’immaginario della mia mente ha impattato contro la dura pietra della realtà e, ora, non so se riuscirò o se vorrò tentare di amalgamare le mie immagini con ciò che ho realmente davanti.
No, no, no!
Cosa no?
Ci hai ammorbato per quasi un anno co’  ‘sto Tom: Tom dillà, Tom di qua, Tom di su e Tom di giù! E adesso non lo sai? Ci hai rotto, capito?
Bernie, la Cornacchia vuole tentare un Golpe militare…
Ma non è contro lo Statuto delle Coscienze Povere e Abbrutite? Non avete fatto un giuramento?
Fanculo il giuramento! A tutto c’è un limite
- Non fare promesse se poi sai che non le manterrai… se avevi così tanta paura di me lo avresti potuto dire con tranquillità senza fare tutta quella sceneggiata dell’uomo logorato dal passato…-
- E tu? Tu hai avuto sempre una fottuta paura di me, sempre, e non hai neanche fatto lo sforzo di capirmi. Sei scomparsa, lo sai, vero? Ti sei messa pure a fare l’amichetta con mia sorella… ho dovuto minacciare Emma per riuscire a sapere dov’è che ti nascondevi. Avevo il diritto di sapere!-
Ora comprendo l’espressione materna “ci vedo rosso dalla rabbia”: ho la pressione a duemila e le ultime parole di lui mi hanno fatta incavolare ancora di più. Il diritto, lo so io dove telo ficco il diritto…
- Tu non hai il diritto di un cazzo, bello mio. Le tue pretese mi fanno schifo, lo sai? Schifo! E non faccio l’amichetta proprio con nessuno… Emma mi è cara e siamo diventate amiche, ho addirittura superato l’ostacolo che fosse tua sorella, perché ne vale la pena. Vedi?-
- Ma brava, vuoi un applauso? Vuoi che mi inchini alla tua saggezza? Sei solo una piccola testarda presuntuosa che non mi vuole lasciare stare!- Sibila lui, velenoso come un serpente a sonagli.
Mi libero dalla presa con uno strattone, avventandomi, però, nuovamente su di lui, con forza e violenza, tanto da farlo indietreggiare, allibito: non ho mai compreso la gente che viene alle mani, almeno fino a questo momento, ora, sento pienamente che, certe volte, le parole non sono minimamente sufficienti ad esternare i sentimenti, anzi, le trovo piuttosto riduttive.
Lo immobilizzato in un angolo, più con il mio fare veemente che con la prestanza fisica che non ho, gonfiando il petto ed ergendomi al massimo della mia statura…
Mettiti i tappi, Lolita
Cristo, non li trovo, cacchio! Ah, eccoli, erano sotto le mutandine di pizzo…
Ma guarda te con chi mi tocca lavorare…
- LASCIARTI STARE!? CHI E’ PIOMBATO IN CASA MIA NEL CUORE DELLA NOTTE? CHI? SEI TU CHE LA DEVI SMETTERE DI APPESTARE L’ARIA CHE RESPIRO!-
- NON SAI QUANTO MI PIACEREBBE, STRONZA!-
- STUPIDO IMBECILLE CHE NON SEI ALTRO!-
- PERCHE’ NON TE NE SEI RIMASTA A NEW YORK, EH?-
- TI SAREBBE PIACIUTO, COSI’ TI SARESTI COSTRUITO TUTTE LE TUE STUPIDE E GRETTE GIUSTIFICAZIONI-
I nostri visi sono vicinissimi, entrambi non ci siamo minimamente resi conto dei movimenti involontari dei nostri corpi; per quanto a parole stiamo tentando in tutti i modi di ferirci e allontanarci, evidentemente, al solito, la nostra carne ci spinge ancora una volta l’uno verso l’altra. Sento il suo profumo intenso, maschile, imprimersi sulla mia pelle infreddolita, mentre il suo fiato caldo mi avvolge come una fiamma, soffiandomi contro i capelli; le mie mani sono sul suo petto, ancora una volta strette alla sua camicia, il busto proteso in avanti tanto che il mio petto sfiora e tocca il suo addome magro; Tom, dal canto suo, anziché respingermi, cercando di sfuggire alla mia presa, ha le mani sui miei fianchi, stringendo i lembi della coperta che mi avvolge.
Per quanto sia prepotente la volontà di lacerarlo, a parole e a gesti, non posso non cogliere il piacevole languore al petto, dove il cuore batte frenetico, e i brividi eccitati che mi scuotono lì dove si è aggrappato a me. Tom mi guarda, inferocito, le labbra sottili tormentate dai denti candidi, gli occhi dilatati da un piacere crudele, ossessivo, quasi morboso.
- Ti odio- Ringhia sulla mia bocca, avvicinandosi ancora di più, tanto che, parlando, le sue labbra hanno sfiorato le mie.
- Ti odio- Ribatto, mentre scariche elettriche di pura passione obnubilano i miei sensi.
E, non si sa bene come, prima che la nostra dichiarazione giunga alle nostre orecchie, sono le nostre bocche ad incontrarsi, affamate l’una dell’altra, iniziando una danza fatta di lingue e morsi.
Cioè, aspetta, tutta ‘sta storia e poi si baciano?
Scusa, Brunilde, ma se due si odiano, poi si baciano? Non capisco, Lolita è confusa…
Ribadisco: la razza umana deve estinguersi. La prossima volta accetto il lavoro alla Protezione animali e vado a fare da coscienza a un cane!
Meglio i maiali: sapevi che hanno orgasmi di mezz’ora? Brunilde, che fai? No, aspetta, non puoi andartene, sei ancora in orario di lavoro… Cornacchietta, no, non f-fare così, non puoi licenziarti, non esiste nel contratto… Non mi lasciare, ti prego!
 
 
Tom
 
Non so chi abbia estinto la distanza, fatto sta che, ora, non posso fare a meno di stringerla e di baciarla. Il suo sapore mi disseta, il suo profumo sfama la mia mancanza di lei e non riesco a non toccare ogni centimetro di pelle disponibile. Stringo i capelli di Bernie tra le dita, li tiro, facendola ringhiare di dolore e piacere, nutrendomi di tutti i suoi movimenti e dei suoni che emette. Che mi fosse mancata ne ero consapevole, ma non pensavo che, una volta “riavuta”, ne avrei voluto ancora e ancora e ancora senza mai più fermarmi.
Sono infuriato, la mordo.
Sono innamorato, la accarezzo.
Bernie mi bacia, mi graffia, si attacca alla mia pelle con le unghie, gioca con la mia gola, le piccole dita si insinuano tra i capelli, ne godono e li assaporano, cerca ogni modo di toccarmi, baciarmi, stringermi. Vuole sprofondare dentro di me e io, dal canto mio, voglio annegarci nel suo corpo, soffocarmi tra i suoi capelli, perché quasi sei mesi senza di lei sono stati come una vita senza il sole; non c’è più il mio passato, s’è sfumato il mio futuro, sono il mio corpo e il mio presente, il resto è assente perché la sua presenza contro di me, in me è più forte del resto.
Mi sento trascinare in basso, la lascio fare, lascio che il mio corpo si distenda sopra il suo, mi premuro che rimanga al caldo, ma le coperte e il tappeto sotto di lei sono una protezione sufficiente. Quasi non mi accorgo delle sue dita che giocano con i bottoni della mia camicia, sono troppo attratto dalla mia pelle che inizia a prendere di nuovo confidenza con la sua: è bollente, malgrado la pelle d’oca che l’attraversa, è ancora mia malgrado non lo sia più.
Fa scivolare la camicia sulle mie spalle, accompagnandola con la punta delle dita che solcano la mia pelle come una barca sul mare; scosto i lembi delle coperte che l’avvolgono cosicché il suo addome aderisca al mio, perfettamente. E’ dimagrita, tanto : la morbida carne a cui mi aggrappavo è stata risucchiata, adesso le mie mani avvertono i solchi della cassa toracica, è spigolosa eppure fragile. Solo l’addome mantiene un ricordo di quella tenerezza, con la lieve pancetta che sporge, modellandosi contro la pressione del mio corpo.
Non è più la mia Bernie, eppure è ancora lei, lo è nel modo in cui mi cerca con la bocca e con le mani, lo è nei sospiri lenti e melodiosi con cui accoglie i miei movimenti, lo è nella veemenza della sua passione. E’ cambiata e, tuttavia, questo non influisce minimamente in quello che sento, anzi, se è possibile, riesce ad alimentare quella curiosità che ho sempre avuto nei suoi confronti. Abbiamo entrambi paura, una fredda corazza ha già iniziato ad avvolgere entrambi, un po’ consapevoli e un po’ no, strappandoci dallo sguardo dell’una e dell’altro. Vedo Bernie di lontano, come in un sogno, lo sguardo chino e rassegnato, in mano il filo che aveva tessuto per me e che ora regge con mani tremanti, forse in procinto di ritirarlo e scomparire, questa volta veramente.
Si sta ritraendo, il suo corpo e la sua voglia si aggrappano a me, ma so che si sta ritraendo come le onde del mare: se dovesse mai tornare a riva non lo farebbe, certo, per raggiungere me, ma per spingermi ancora più lontano. Ci siamo fatti troppo male, chi prima chi dopo, e ora non sono più sicuro riusciremo mai a superare tutto questo, perché l’amore non basta. Non è mai bastato, né mai basterà. L’amore è un qualcosa che va accudito, protetto, alimentato, deve essere posto nel mondo, in un relazione di io che diventano un’unica entità, non totale, perché la totalità non è di noi uomini, ma una continua e mai appagata potenzialità che vive e vivendo muta e si trasforma. Se l’amore non è inserito in-situazione non è altro che un astratto, arido, così evanescente da apparire in tutta la sua inconsistenza.
La mia mano corre lungo le sue cosce, esse si aprono come la corolla di un fiore, accogliendomi, mentre le mie dita accarezzano le pieghe di carne, intensificando il suo respiro. Bernie, però, non si lascia andare. Spalanca gli occhi. L’incanto si interrompe e ci troviamo di nuovo qui, con le nostre parole, dette e non dette, i nostri sbagli e le nostre incomprensioni.
Ci guardiamo ansimanti, immobili, pietrificati nelle movenze in cui la passione ci aveva ghermiti. E’ lei che mi afferra la mano e la tira indietro, lasciando poi cadere le sue braccia lungo i fianchi, inerme, abbandonata, eppure rigida, distante; gira la testa di lato, togliendomi i suoi occhi ora velati di lacrime, quelle lacrime che, finalmente, le corrono sulle guance pallide come perle; continuo a sovrastarla, sconvolto e intontito, come fossi stato strappato con violenza al sonno, a un sogno che sapeva di realtà.
- Non avremmo dovuto- Mormora con voce strozzata – Non avremmo dovuto-
- Non avremmo dovuto un sacco di cose, Bernie, ma questo non ha mai fermato nessuno, almeno non ha mai fermato noi –
Volta il capo di scatto, guardandomi con gli occhi spalancati – Tu non sei più mio, non è così?-
- Tu non lo sei mai stata, sei sempre stata solo di te stessa: sei sempre stata libera. L’ho sempre saputo, ma non volevo crederci. Mi sono illuso che non fosse così, poi ho visto la lettera e la realtà mi è crollata addosso con tutto il suo peso e la sua concretezza. Non sei mai stata mia-
Le lacrime sul suo volto si intensificano e, presto, queste divengono singhiozzi, il suo corpo scosso da tremiti, il petto si alza e abbassa in maniera convulsa.
- N-non h-hai r-ri-risposto…- Riesce a mormorare, aggrappandosi, sorprendentemente, alla mie spalle, forse perché anche lei vuole illudersi che non sia cambiato nulla, che siamo ancora gli stessi, che amiamo ancora le stesse persone.
Ma l’amore non è un involucro vuoto che si espande da un essere a un altro, l’amore è un atto, una relazione composta da individui che si innamorano l’uno dell’altra. Abbiamo amato due esseri che, ora, non sono più, adesso abbiamo paura di accorgerci che l’amore che avevamo sia ormai stato svuotato, prosciugato. Non vogliamo lasciarlo andare via, perché, insieme a noi due, abbiamo amato anche noi stessi in ciò che facevamo: lasciarci andare significherebbe lasciare andare una parte di noi, uccidere, definitivamente una parte di noi, una dolce e tremenda eutanasia per poter andare avanti.
- Vattene-
- Perché?-
- Ho detto vattene-
Mi spinge via con rabbia e violenza, continuando a piangere come una bambina, il viso deturpato dal dolore e dall’angoscia.
Mi alzo, in silenzio, lasciandola lì, distesa sul tappeto, mentre mi guarda furiosa come non l’avevo mai vista. Mi rivesto in silenzio e in silenzio esco dalla stanza. Non abbiamo davvero niente altro da dirci, per ora…
 
 
Nei giorni a seguire l’unica cosa che sento è l’eco dei suoi singhiozzi, incagliatisi nella mia pelle, come i suoi baci.

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Capitolo 24
*** CAPITOLO 17 ***


Premessa: Questo capitolo è stato un parto. Scritto parecchi mesi fa, è frutto di un lavoro di rimaneggiamento che non ha eguali nella storia di questa fanfiction… ho optato per tagliare le parti che non mi convincevano che pensavo di sostituire con altre, tuttavia, rileggendolo ho ritenuto fosse completo così come ve lo propongo. Prendetelo per quello che è, un intermezzo funzionale al fine dello sviluppo della trama che si avvia alla conclusione, un modo per sciogliere l’impasse. Sfrutto questo punto per fare apologia di me stessa perché , probabilmente, risulta un espediente letterario alquanto surreale ma va beh! Questa storia è già surreale di suo.
Ad ogni modo avrei un’ideuzza che vi vorrei sottoporre: dato che non ho altri capitoli pronti e che questa storia non è nulla senza il supporto che le avete concesso, mi chiedevo… vorreste aiutarmi? La fine è già bella pronta nella mia mente però, se vi va, vi invito a scrivere quali episodi o situazioni vi piacerebbe vedere nella storia. Ribadisco: nulla che abbia a che fare con il finale. Proverò a mettere tutto quello che mi suggerirete. Non c’è bisogno che commentiate, potete anche scrivermi privatamente, non voglio forzare nessuno perché ritengo che il commento e il commentare siano un po’ come lo scrivere: serve ispirazione. Quindi siate libere di fare ciò che meglio credete.
Un bacione e scusate il ritardo ma sono oberata di libri da studiare. Buona lettura!
 
Capitolo 17
Operazione “lieto fine”: un inizio
 
 
 
 
- Oddio, Luke, partiamo tra due giorni! Sì, sì, è tutto pronto…-
L’ansia pre-partenza è una malattia comune ma Luke, seriamente, riesce a battere tutti, visto e considerato che inizia a rompere le scatole già da un mese prima, iniziando a fare liste su liste di cose da comprare, intimandomi almeno tre volte al giorno di preparare la valigia, stilando resoconti accurati delle previsioni meteo.
E’ un perfezionista e nel lavoro, esattamente come me, ci mette il massimo però, in queste circostanze, smette di essere “amico” e indossa il personaggio assai professionale e bacchettone di pubblicist e così, pur vedendolo spessissimo, mi rendo conto di quanto mi manchi, soprattutto adesso che avrei davvero bisogno di confidarmi. Non abbiamo parlato, mi ha detto chiaramente che non voleva sapere nulla, per ora, perché dobbiamo pensare al dovere e non vuole stressarsi e/o incazzarsi con me ulteriormente.
- La valigia è pronta da una settimana e…-
DRIIIN!!!
Sobbalzo, spaventato dal suono improvviso del campanello. Luke deve aver avuto il sentore di qualcosa così, preoccupato, si affretta a chiedere se va tutto bene, sentendolo pericolosamente vicino al collasso nervoso.
Mi riprendo, assicurandogli che non c’è nulla che non va e che hanno semplicemente citofonato sebbene non stia aspettando nessuno in particolare.
- No, Luke, saranno o Emma o mia madre. Cerca di calmarti e non farti saltare le coronarie e…-
- Ciao-
A questo punto cerca di non farti saltare le coronarie tu
Dimmi che non ho iniziato ad avere le visioni
No, no, ti assicuro che è lei… a quanto pare le colleghe sono riuscite a farla ragionare!
Colleghe?
Il segreto professionale mi vincola al riserbo
Idiota!
Quando sono andato ad aprire la porta tutto mi aspettavo meno che trovarmi di fronte lei.
Mi guarda fisso negli occhi, nessuna ombra di imbarazzo nell’espressione, se ne sta lì, tutta impettita e imbacuccata con una determinazione sul volto che non pensavo di averle mai visto addosso. In realtà, non credevo l’avrei mai più rivista e, invece, ancora una volta, ecco che torna a sorprendermi mentre nel petto il mio cuore ruggisce felice ed emozionato come non era da tempo.
Rimango imbambolato, con la mano artigliata alla maniglia della porta per paura che il mondo possa crollarmi addosso da un momento all’altro tanto che è lei a infrangere il momento di stasi facendo un passo avanti, costringendomi ad abbandonare l’appiglio sicuro, chiudendosi la porta alle spalle. Si toglie cappello, sciarpa e cappotto senza smettere di puntare lo sguardo dritto nei miei occhi, parlandomi, penetrandomi, spogliandomi lentamente di ogni cosa, anche di me stesso.
E mentre la voce di Luke si fa più insistente attraverso il telefono, non c’è tempo di dire o fare nulla perché Berenice è sulle mie labbra, vorace, libera, esuberante, mozzandomi il respiro, congelatosi nella gola, mentre il suo profumo di latte e cereali, di casa, scalza qualsiasi altro odore o suono, insinuandosi dentro di me.
S’è fermato tutto, solo lei si muove, unica fonte di energia rimasta nel luogo.
Afferra i miei capelli e avvicina il mio viso al suo, il bacio a farsi sempre più profondo, costringendomi a piegarmi e ad indietreggiare, intrappolandomi per paura che le sfugga, terrorizzata che qualcosa possa interrompere l’idillio.
Luke inizia ad urlare, seriamente allarmato e, in tutta risposta, avverto le labbra di Bernie schiudersi in un sorriso divertito e compiaciuto. Si scosta da me, costringendomi a mugolare quasi di dolore, cosa che so per certo la stia eccitando ancora di più, e, con estrema delicatezza, mi sottrae il telefono dalla mano, accostandoselo all’orecchio senza smettere di dedicarsi a me, con le mani, con gli occhi, con il suo corpo premuto contro il mio.
- Adesso Tom non può parlare…-
La sua risata trilla nell’aria – Te lo giuro Luke, te lo riconsegnerò immacolato…-
Mi guarda maliziosa.
- Più o meno-
Chiude il telefono e me lo ripone nella tasca dei jeans con un movimento lento e sinuoso che mi fa avvampare, riavvicinandosi al mio viso e sollevandosi in punta di piedi; sento il suo respiro incontrare il mio, le labbra così vicine da gettarmi pericolosamente vicino alla linea di non ritorno…
- Che significa?- Esalo sulla sua bocca, premendo le mie mani sui suoi fianchi snelli, insinuando le dita a lambirle la pelle, sentendola rabbrividire.
- Niente - Afferma decisa, prendendo, con piacevole sorpresa, a sbottonarsi la camicetta in modo estenuante, strappandomi un sospirp di piacere – Sto solo iniziando a riprendere possesso di ciò che è mio, Hiddleston-
Hiddleston…
Hiddleston sulle sue labbra…
Hiddleston su ogni lembo di lei…
La bacio.
La bacio con veemenza, rabbia, cieco desiderio.
La bacio con violenza.
I nostri visi cozzano dolorosamente, i miei denti affondano nella polpa morbida della sua bocca, lasciandosi dietro di sé un lieve gusto di sangue che mi annulla. Su di lei, sulla sua pelle, mi estinguo come spirito e rinasco come carne, solo corpo e senso e sentimento e emozione e niente altro.
Per i fianchi, la isso contro il mio petto, avvolgendola con le braccia mentre Bernie intreccia le gambe dietro la mia schiena, aggrappandosi a me come bisognosa di tornare a respirare dopo mesi di apnea perenne, torturandomi il viso, ringhiando quasi feroce.
Quanto mi è mancata…
 
 
 
***
 
 
Quando abbiamo fatto l’amore la prima volta è stato vorace: mordere, stringere, succhiare, baciare…
C’era tutto in quell’incontro frenetico di corpi, c’era eros e c’era thanatos, perché volevamo tornare a vivere morendo l’uno nell’altra, uccidendo la distanza, negando il passato.
E’ stato tutto un immenso gioco di ritmi discordanti, di spasmi urlati e strozzati, spinte e affondi micidiali, pronti a penetrare la carne lì dove si fa più debole e attenta.
Non c’è stata finezza, non ci sono stati passaggi raffinati, solo noi due e la nostra voglia, la voglia di riappropriarci l’uno dell’altra, la voglia di tornare a vivere e a respirare di nuovo.
Ho creduto che il cuore mi esplodesse perché non sapeva più su cosa porre lo sguardo, forse sull’emozione di vederlo ancora così voglioso quando credevo mi avesse dimenticata? Forse sulla scia bollente che continuava a sfregare sulla mia pelle quando il suo corpo toccava il mio? Forse la pienezza di sentirlo di nuovo dentro di me, a riempirmi, a colmarmi e a darmi il dono, solo per quell’attimo, di poter divenire un essere umano finalmente pieno, finalmente integro? O, forse, l’amore liberato dalla cenere della lontananza e della rabbia?
Ho ruggito, tutto di me ha ruggito.
Quando abbiamo fatto l’amore la prima volta è stato totalizzante, egoista, solipsistico, solo mio e solo suo: ma, in quella parvenza di solitudine, siamo stai io e lui, insieme.
 
La seconda volta abbiamo fatto l’amore ad occhi chiusi: è stato un lento, delicato e intimo assaggiarci. Tom si è riappropriato del mio corpo ed io del suo.
Abbiamo lasciato che i sensi si impadronissero di noi ma con calma, con una cura estrema ed attenta, saggiando le vallate disegnate e le sinuose colline della pelle. Abbiamo goduto della nostra reciproca presenza, con coscienza ci siamo conosciuti e riconosciuti in quegli atti che erano nostri e solo nostri, riprendendo possesso del respiro che si mischiava e dell’odore unico e inconfondibile nato unicamente perché eravamo e io e lui.
Ho asciugato le sue lacrime, Tom a baciato via le mie; Tom ha leccato le mie risate, io ho bevuto il suo sorriso felice; io ho nutrito il mio ventre del suo sapore, Tom ha inspirato la mia voglia di lui. Ci siamo fusi l’uno nell’altra, ricevendo senza chiedere, indagando i nostri corpi con solerzia e minuzia, come se il tempo si fosse posato su noi due, fermandosi per una volta, senza correre, senza fretta.
Abbiamo profuso amore, attenzione e gentilezza con generosità e con altrettanta generosità ne abbiamo ricevuto, affondo dopo affondo, angolo dopo angolo, senza fermarci, senza stancarci di prendere coscienza di ogni singola piega, di ogni più minuto lembo che possedevamo.
La seconda volta abbiamo fatto l’amore con i sospiri, abbondando e prodigando tutto quello che entrambi avevamo da darci, con le parole diventate carne.
 
Poi venne la coscienza mentre facevamo l’amore con le guance tinte di rosso: e tornarono i pensieri e le parole e i perché.
E’ stato cauto, ogni cosa sembrava fatta con la paura di custodire tra le mani un cristallo pregiato e fragile, pronto a sgretolarsi al nostro tocco. Ci siamo guardati per tutto il tempo e per tutto il tempo abbiamo provato la dolce timidezza delle nostre azioni, consapevoli di ciò che avevamo fatto.
Mi è sembrato quasi di tornare un fiore puro, tinto di bianco, perché ci siamo saggiati come fossimo due giovani vergini senza esperienza, con paura, con trepidazione, con quell’eccitazione nascosta dal pudore. Eppure, anche così, non avrei potuto trovare emozione più bella perché, finalmente, eravamo di nuovo presenti, e lui ed io, in tutto il nostro essere: abbiamo fatto l’amore per riconoscerci. Ci siamo specchiati vicendevolmente mentre ci toccavamo, il mio bacino che si muoveva al ritmo del suo, la sua bocca che seguiva la lenta danza della mia.
E l’ho sentito tutto, ho provato, infine, l’emozione di assaggiare la pienezza di una vita dentro di me, ritrovandolo nelle piccole attenzioni con cui cercava di non pesarmi addosso e riscoprendomi nel vederlo sussultare esattamente quando e come lo volevo io. Eravamo due vergini che facevano l’amore come se fossero stati sposati da tempo, senza che questo sminuisse o infiacchisse la vertigine che si apriva e si colmava nei nostri ventri.
Era giunta la coscienza e, con essa, anche la consapevolezza di essere di nuovo insieme, nel momento e nell’atto in cui meglio avevamo saputo, da sempre, esprimerci.
 
 
 
***
 
 
 
 
- Sei troppo magra- Le dico, tracciando con le dita il contorno del suo bacino ormai sporgente.
Bernie alza gli occhi al cielo, mettendo su un broncio deliziosamente adorabile da bambina – Non è vero, sono solo rientrata nel mio peso forma…-
- Certo, quattro chili fa!-
- Due e mezzo, ouch! Che fai, meni?-
Mi ribalta, invertendo le posizioni, lasciando che il suo corpo nudo aderisca al mio e poggiando il capo contro il mio petto. Le accarezzo la schiena, sentendola miagolare piano, rilassata.
- Bernie?-
- Uhmmm?-
Sospiro profondamente – Cosa significa tutto questo?-
Te, zitto, mai, eh?
Devo sapere!
Riuscirai mai a goderti un post-orgasmo senza doverti fare pippe mentali?
Berenice si alza di scatto, il viso incendiato da una scintilla di pura rabbia perché, evidentemente, al solito, la mia coscienza interiore ci ha visto più lungo di me; la vedo fare un respiro profondo, chiudendo gli occhi per calmarsi poi, piano, li riapre e li punta contro i miei, osservandomi attentamente.
- Voglio il lieto fine-
Aggrotto la fronte – Cosa…?-
- Sì, voglio il lieto fine, dato che non ho fate madrine e non posso stare ad aspettare che la Provvidenza si ricordi che esisto, ho reputato più salutare e fruttuoso iniziare a costruirmelo da me…-
Sorrido per questa frase così da lei e me la riporto al petto, invertendo le posizioni, coprendola con il mio corpo e lasciandole baci umidi su tutto il viso, facendola ridere allegra.
- Siamo diventate romantiche…- Scherzo, divertito.
- No, siamo diventate realiste, il che è diverso- Ribatte seria, il viso un poco incupito.
- Che c’è?- Chiedo preoccupato, stringendomela contro.
- Ho davvero desiderato non vederti più, ho seriamente pensato tutte le cose che ti ho detto perché sono stanca, tanto stanca: non voglio più combattere contro i mulini a vento-
- Pensi che non voglia anche io il lieto fine?-
- Ho paura che i nostri due lieti fine non combacino-
Mi alzo di scatto, come bruciato, mentre una fitta al cuore quasi mi fa gemere di dolore; la guardo allibito, quasi inorridito, tirandomi completamente a sedere e scostandomi da lei; mi prendo il viso tra le mani, sentendo qualcosa sgretolarsi dentro e fuori di me, un vetro rotto che frana ai miei piedi senza che possa in alcun modo intervenire.
Poi, d’un tratto, sento le piccole mani di lei prendere le mie, liberando i miei occhi, in cui prende a specchiarsi con un sorriso dolce ed addolorato, pieno di ogni cosa, di ogni sua emozione – Non ho mai pensato che fosse facile tra me e te, né prima né ora, ma non ho mai amato le cose facili… tu vali la pena e non mi tirerò indietro: non sarà più lo stesso, non lo è già più. Ci saranno giorni in cui ti urlerò addosso e ti chiederò di sparire dalla mia vita, ci saranno momenti in cui tutte le cose belle che provo per te si tramuteranno in odio profondo e ti insulterò come non sei mai stato insultato in vita tua ma non scapperò, non lo farò più. Le cose rotte quando sono belle si aggiustano, non si gettano via, magari non brillano più come prima ma certo mostrano i segni incontrovertibili della cura, dell’attenzione e dell’amore che ci abbiamo messo dentro. Le cose spezzate hanno un fascino tutto loro… voglio provare a scorgere quel fascino, quella meraviglia in noi, Tom-
Berenice si protende verso di me, donandomi un bacio a fior di labbra, inspirando forte il mio odore, traendomi nelle sue braccia, io che sono inebetito, congelato nei significati delle parole che mi ha detto, così belle, così vere quanto crude, cogenti, dure e concrete come pietre. Perché non potrò più avere la Bernie di prima, né il Tom che l’amava, quelli sono passati, trascorsi e non torneranno più, così, ora, lei mi sta chiedendo di provare ad amare lei, me, noi, come siamo ora, con l’incognita del futuro e la possibilità di perderci per sempre ma senza rimpianti perché, in fine, non potremo dire che non ci abbiamo provato.
E io sono disposto a lottare? Sono disposto a sostituire l’immagine che ho conservato gelosamente dentro di me con un’altra persona, senza sapere se sarò in grado di amarla? Ho paura di perderla, di perdere la scimmietta bisbetica che ho investito quasi un anno fa, la pazza che, credendo di non essere vista, si beveva la vodka per il nervosismo, la meravigliosa donna che mi ha rapito il cuore in una notte di dicembre…
E sto per dirle no, sto per ritirarmi come ho sempre progettato da che l’ho conosciuta, quando, sollevando il capo, disperato, incontro gli immensi e profondi laghi che sono i suoi occhi e mi perdo, annego ancora una volta, e penso che sì, lei ne vale la pena, la Berenice di carne che ho davanti è ciò che conta perché è il suo corpo che voglio continuare a stringere, le sue parole quelle che voglio sentire.
Lascio andare la bisbetica e accolgo Bernie, baciandola con foga, con tutta la voglia inesausta che ho di averla accanto.
- Resta da me questa notte- Le offro, mi offro, implorante.
- Hai capito quello che ti ho detto?- Chiede, un poco restia ad abbandonarsi.
- Certo-
- E vale lo stesso anche per te? Senti anche tu queste cose?-
- Ci rincorreremo: una volta inseguirai tu, un’altra io… forse ci fermeremo nello stesso punto e, quando e se accadrà, sapremo di aver avuto il nostro lieto fine. Però, adesso, ho bisogno di dormirti accanto-
Si accoccola contro il mio petto, lasciandosi cullare come una bambina, sentendo il suo corpo fremere di pianto, di agitazione, di passione e so, lo sento, che, per quanto mi riguarda, potrei anche cessare di correre, perché la mia meta è qui, tra le mie braccia.
- Ho paura, Tom- Mormora Bernie, facendosi piccola piccola.
- Non averne, scimmietta…del resto è quello che abbiamo sempre fatto noi due: fuggire e tornare. Ma adesso vieni a letto con me e riposati, ci addormenteremo abbracciati, come abbiamo sempre fatto, poi, domani mattina, scopriremo di non esserci mai veramente allontanati… andiamo ora, questa notte stiamo assieme e va bene così-
 
 
 
***
 
 
 
Apro gli occhi. Lo faccio così, bruscamente, senza che tra il sonno profondo e la veglia si inserisca un intervallo, uno scarto dolce per abituarsi nuovamente alla luce.
Un languore mi avvolge il petto nello scoprire che durante la notte Tom ed io non ci siamo mai veramente allontanati: l’uno di fronte all’altra, le mani intrecciate con fermezza chissà da quanto tempo.
“Non esserci mai realmente allontanati”, ne capisco ora il senso, molto più ampio di quello che si può credere, un significato che esula quasi del tutto dall’immediata fattività dei nostri corpi vicini perché, in realtà, abbiamo vissuto il nostro periodo di lontananza insieme, pensandoci, sognandoci e desiderandoci senza che vi fosse un giorno di pausa.
So che la voragine che avverto nello stomaco non dovrebbe esserci, è una nota sbagliata all’interno di uno spartito già immaginato e studiato; non dovrei sentirmi così vuota visto che sono riuscita a raggiungere, finalmente, la pienezza di riaverlo: razionalmente lo sento mio, inconsciamente lo avverto sfuggirmi. Magari non è lui, non è Tom in se stesso a sfuggirmi, forse è l’immagine che mi sono fatta di lui, forse, semplicemente, sto prendendo coscienza di ciò che ieri sera ho detto in un momento di slancio, perché quello che dicevo lo sentivo, era mio, ero io stessa; e allora non è vuoto o mancanza, è semplicemente l’angoscia del futuro, l’angoscia della scelta e del possibile che non si lascia afferrare perché è tutto un forse, una casualità che dipende da me e non solo da me…
Ho paura ma ho deciso di non farmi più paralizzare dalla paura, perché è meglio correre e cadere piuttosto che non correre affatto: mi sono fatta fregare troppe volte, troppe volte ho rinunciato a me stessa per paura. Adesso basta perché se continuo così non mi rimarrà più nulla e sarò costretta a rimanere fuori del mondo, ad assumere su di me un’esteriorità non più come scelta ma come necessità…
Non esiste un destino, esiste solo una concatenazione continua di atti, le cose non sono invariabili, c’è sempre la possibilità di intervenire.
Ecco perché devo assolutamente alzarmi e andare in bagno, altrimenti me la faccio addosso…
Sai, mi avevi quasi fregata, poi te ne sei uscita così e ti ho riconosciuta
Se devo pisciare…
Non cambierai mai
Per fortuna, altrimenti perderesti il lavoro
Scalcio via le coperte con impeto e zompo in piedi, stranamente sveglia e arzilla, talmente sveglia e arzilla da interrompere il sonno del piccolo Lord che, confuso, scatta a sedere sul materasso, guardandosi in torno cercando di capire quale sia la fonte del problema: con quei capelli tutti sparati e il viso stravolto sembra proprio un cucciolo d’uomo.
- Che succede?- Esclama, guardandomi con gli occhioni assonnati spalancati.
- Nulla- Dico rubandogli un bacio – Devo solo andare in bagno-
- Ah- Come se nulla fosse, Tom si rigetta di peso tra i guanciali, chiudendo gli occhi ed avvoltolandosi nelle coperte, assumendo l’aspetto di un “metapod” forma umana, facendomi ridacchiare per tutto il tempo.
Espleto i miei bisogni e mi sciacquo alla velocità della luce, tornando di tutta fretta dentro le pezze calde e profumate, accoccolandomi contro Tom e nascondendo il viso contro il suo collo; sento le sue braccia accogliermi e stringermi forte, sentendolo sospirare dolcemente e rabbrividire per il contatto ravvicinato con la mia pelle gelata.
- Una cosa che non mi è mancata di te sono proprio questi risvegli bruschi e frettolosi- Mormora con una nota di ironia nella voce impastata. So per certo che tiene ancora gli occhi chiusi.
- Ma se sono nel letto!- Ribatto
Sghignazza – Sei sveglia come un grillo: sai che per iniziare bene la giornata il risveglio è fondamentale?-
- Vuoi le coccole, Hiddleston?- Chiedo, sapendo già la risposta, prendendo ad accarezzargli il viso e a baciargli il naso.
- Sì, voglio tante coccole e tanti baci, così poi sarò più ben disposto a prepararti i pancakes…oddio! Così è troppo, no, Bernie! Mi fai il solletico, eheheheh. Guarda te che non si fa per la colazione a letto!-
 
 
- Che c’è da ridere?-
Tom ed io siamo ancora nel lettone, come vuole lui, due vassoi colmi di dolci e caffè, uno per uno. Affamata come ero ho concesso la mia esclusiva attenzione al cibo che, effettivamente, mi ha preparato e portato; lui, da bravo inglesuccio quale è, dopo aver finito il suo leggero passo, ha inforcato gli occhiali sottili e si è messo a leggere il giornale sul tablet, sorseggiando il suo caffè con aria alquanto aristocratica.
Mi sembra di essere finita in una di quelle sit-com in cui marito e moglie vengono inquadrati in uno di quei momenti così intimi e personali che, anche se la qualità della recitazione risulta pessima, tuttavia sono di una dolcezza così genuina da non poter non essere ritenute “belle”, anche se a modo loro.
Mi sporgo verso di lui, aggiustandogli gli occhiali sul naso e lasciandogli un bacio allo sciroppo d’acero sulla guancia – Sei molto buffo-
Tom sorride teneramente, forse, anzi sicuramente, ha colto la magia di questo momento così nostro, così piacevolmente nostro da renderci molto più rilassati e aperti al mondo. Sappiamo che non sarà sempre così, siamo entrambi consapevoli dell’impresa in cui ci siamo imbarcati tuttavia, per ora, le nubi sono passate e possiamo goderci il momento in tutta tranquillità.
Direi che mi ci potrei abituare a tutto questo, a risvegliarmi con lui, a fare colazione con lui, ad osservarlo quando è Tom “essere-umano” con i suoi capelli scombinati, i suoi occhialetti da professorino e il suo pigiama un po’ da collegiale che però lo rende, ai miei occhi, estremamente sexy. Vorrei quasi mandare a quel paese tutto quello che ho detto la sera prima ma so che non sarebbe una mossa saggia perché ogni cosa è mediazione, ogni attimo è essenziale nella totalità del processo e se voglio che tutto questo divenga realtà permanente occorre lavorare di pazienza.
- Devo partire tra poco, tornerò a fine mese ma non sarò stabile almeno sino a metà novembre- Afferma lui, osservando le mie reazioni con sguardo indagatore.
- Ci siamo giocati proprio il periodo migliore con la mia partenza, vero?-
- L’ho pensato spesso però, alla fine, se tu vuoi giocare io voglio giocare. Mi pare abbiano inventato i telefoni, o sbaglio?- Dice ridendo, citandomi quasi alla lettera.
- Ah, ah, molto spiritoso- Borbotto io, incrociando le braccia al petto, fingendomi offesa.
Senza che neanche riesca a rendermene conto, con un movimento svelto e preciso, Tom sposta entrambi i vassoi, lasciando libero il letto e prendendomi tra le braccia, premendomi sul materasso con il suo corpo.
- E’ un modo velato per dirti che avevi ragione. Non sei stata tu a sciupare il nostro “periodo migliore” ma il sottoscritto. Non ti lascio andare più, Bernie, fosse per me, a questo punto, ti chiederei di mandare a puttane il “periodo di prova” e ricominciare, subito, adesso – Mi guarda, sondando i miei occhi – Ma non lo farò, perché non sarebbe giusto, perché dobbiamo imparare a conoscerci veramente. Non siamo pronti, ci sono delle cose, poi, che devo risolvere…-
Risolvere!? Chi cazzo è la stronza?
Sì, infatti, chi è l’ “usurpatrice”?
Volete stare calme voi due! Ti vorrei ricordare, Bernie, che anche tu ti sei lasciato uno alle spalle e lo hai fatto solo e unicamente perché te ne sei tornata a Londra
Lolì, la mandiamo affanculo insieme?
Con piacere!
- Ah- Sillabo io, sentendo lo stato di grazia sfuggirmi inesorabilmente dalle dita.
- Una frequentazione, Bernie. Non fare quella faccia, non dirmi che tu sei rimasta illibata- Mi rimprovera Tom, indurendo lo sguardo e aumentando la pressione delle sue mani su di me.
- No, infatti. Se stavo ad aspettare te potevo benissimo farmi suora- Sibilo con cattiveria. So perfettamente che ha ragione però non ho mai nascosto di essere gelosa, anzi, da brava impulsiva passionale sono l’emblema e l’apoteosi della gelosia, pertanto non riesco a controllare la rabbia che sta cominciando a serpeggiare nelle mie vene, come un veleno, dritta al cuore.
- Perché devi essere così crudele? Mi pare di averti appena detto quale sia la mia scelta-
- Con il gioco delle scelte sono rimasta fregata più di una volta-
Alza gli occhi al cielo, ora visibilmente alterato – Non ricominciare con il paragonarmi agli altri, per favore, ti imploro se vuoi. Ho detto che mi impegnerò con te, per farlo, però, convieni anche tu che debba mettere a posto delle cose: sei tornata nella mia vita da pochissimo, non pretendere il cielo. E poi, voglio essere sincero al cento per cento. Potevo benissimo non dirti nulla e mettere un punto alla questione senza che tu te ne accorgessi, però ti rispetto e ti…ti ho tanto cara e desidero, con tutto me stesso, che vada bene perché voglio il lieto fine con te, solo con te-
Bacialo!
Che?
Ho detto bacialo…
Ha detto “ti ho cara” e che so’, Jane Austen?
Risguinzaglio la Cornacchia…
Alla fine lo bacio.
 
 
 

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