L'amore ideale.

di ness6_27
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Connubio ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"Possiamo dare il via, credo."
Perché quel credo?
"Sei sicuro?"
"Sì, ho fatto ricontrollare per l'ultima volta. Abbiamo fatto controllare le dipendenze e corrispondono. Il database è stato correttamente trasferito nei server dell'ISP. Ho fatto proprio ora un'ultima procedura di test per vedere se si presentava qualche bug. È tutto ok. Serve solo il tuo via per rendere pubblico il servizio."
Un via, per far decidere al destino se il lavoro portato avanti da quel gruppo di ragazzi sarebbe stata un'opportunità o una perdita di tempo. Ora tutti guardavano l'ideatore e direttore del progetto, che guardava in maniera maledettamente insicura quel monitor, bloccato nella sua postura eretta, il sudore che scendeva dai capelli rossicci lungo le tempie, nonostante la temperatura in quella stanza fosse controllata.
La stanza era un grandissimo open space di forma rotonda, il cui ingresso portava a una zona rialzata che continuava per tutto il contorno interno. Di fronte all'ingresso, e dall'altro lato, delle piccole rampe di scale. Scendendo verso il centro del locale, ecco che il bianco delle pareti e del pavimento iniziava a essere interrotto dal grigio delle scrivanie e dal nero dei computer posati di sopra. O infilati malamente di sotto. Il nero delle tastiere con i relativi mouse, il verde o il rosso dei led di tutti quegli apparecchi elettronici. Un sacco di penne, troppi fogli, sparsi sui tavoli e anche per terra. Un condizionatore e una decina di ventole, per mantere ottimale la temperatura delle macchine. E poi loro: un gruppo di una quindicina di persone che aveva lavorato faticosamente per dei mesi a questo progetto, su un servizio web di trasferimento di file criptati. Il tutto dall'idea di Stefano Rivesto, laureato in ingegneria informatica con dottorato in crittografia, ora osservato da tutti per decretare un via.
Per giorni quelle quindici persone hanno sperimentato la concentrazione necessaria per scrivere righe e righe di un linguaggio ai più sconosciuto, usato solo nella comunicazione tra le macchine e gli uomini, così come la freneticità di finire un lavoro di debug prima che l'ora si facesse talmente tarda da far cascare tutti nel sonno. Per periodi di anche due giorni questi non hanno nemmeno visto la luce del sole, solo il bianco freddo dei neon posti a raggio dal centro della stanza. Il tutto per mettere in piedi un servizio di non poco conto.
Il posto era freddo, ma si sudava, e ciò era normale. Un via poteva cambiare la loro vita, o buttarla all'aria per il gusto di doverli far ricominciare da capo.
Ma se riteneva normale quel sudore, Stefano era anche sicuro che tutto fosse a posto, e perciò diede il via.

**

La sera dopo, caduta guardacaso di sabato, tutti i ragazzi decisero di passare la serata presso un pub, per svagarsi e per ristorare un po' l'animo e il corpo dopo tutto quel lavoro. Non avevano dei piani, semplicemente volevano divertirsi. Durante tutto il giorno erano stati molto silenziosi, mentre monitoravano il traffico verso il loro sito web, parlavano solo per ipotizzare rendimenti futuri, far notare che una voce era stata scritta in modo scorretto, chiedersi se in un trasferimento un pacchetto andava perso. Erano i guardiani di una piccola creatura che poteva ritorcersi contro di loro. Stefano in quelle ore provò comprensione verso Frankenstein, quando creò il mostro. Tante notti insonni, tanti sforzi, tante attese, tanta vita concentrata per la morte. La morte sconfitta, a costo della vita del malcapitato, morto e vivo allo stesso tempo, come se infilato nella scatola di Schrödinger.
Ma per fortuna sua e del team che dirigeva, tutto era andato bene: il servizio si dimostrò efficente e in grado di soddisfare le aspettative. E questo per Stefano era una cosa quasi certa.
Non c'era nulla da temere fin dall'inizio. Nonostante la mia supervisione, posso dire che i ragazzi avrebbero fatto un lavoro stupendo anche da soli. Alla fin fine, non abbiamo sperimentato nulla di nuovo, il servizio è un'idea nuova in sé, ma si basa su nozioni ormai spulciate come si deve e conosciute.
Stefano aveva sempre adorato l'informatica e i linguaggi di programmazione per questo motivo. Eseguono comandi esattamente come il programmatore decide. E se ciò non succede, è comunque colpa del programmatore, che è in grado di rivedere quello che ha scritto e di risolvere. Nulla di complicato per chi conosce la materia.
Mentre pensava a questo alcuni del team avevano riconosciuto alcune loro amiche passeggiare nella strada dall'altro lato della finestra vicina a loro, e le invitarono a entrare. Erano tutte delle ragazze ben distinte, perlopiù ex compagne di università dei giovani, quindi ragazze dotate di una certa conoscenza. Vestivano quasi tutte con dei jeans e delle magliette, non erano decisamente dedite ai completi da sera. Tra loro, una in particolare emerse agli occhi di Stefano. Una ragazza alta e slanciata, dai capelli mori tenuti non molto lunghi, e gli occhi azzurri proprio come il cielo in una giornata di sole. Tra tutte portava l'abbigliamento forse un po' più stravagante, con dei colori forse un po' troppo sgargianti, ma che non dispiacevano. Però l'interesse che Stefano provava questa ragazza, il modo con il quale la fissava e col quale ci chiaccherava, non sembravano puntare a qualcosa di serio. Molti dei ragazzi, fidanzati, vedevano questa unica pecca in lui. La completa assenza di interesse in quello che può essere l'amore.
Fin da piccolo ho sentito dire dei modi di dire del tipo "al cuore non si comanda", "l'amore è cieco", e non sono mai riuscito a darmi pace. Come può esistere una cosa così incontrollabile come l'amore? Chi vorrebbe averne a che fare? L'uomo non di certo. All'uomo non piacciono le cose intangibili, che non si vedono, ma che si sentono ad ispirazione. Siamo una razza che si è evoluta proprio perché ha saputo comandare seppur in maniera primitiva gli elementi, e l'uomo vuole solo questo. Cose che si riescono a comandare con facilità, e senza dubbi. Tutti i film, tutte le opere d'arte, qualunque cosa è fatta per scatenare a comando nell'uomo una reazione, un sentimento, deciso dall'autore. Se l'opera non riesce in questo, l'autore ha fallito, e ammette immediatamente la sua sconfitta.
Che l'amore sia la più grande sconfitta dell'umanità? Quante persone si sono fatte trasportare in un abisso sconosciuto senza nemmeno rendersi conto di quello che stavano facendo, e senza rendersi conto nemmeno di cosa stava succedendo? Troppe. Questo perché troppi dementi ci vedono nell'amore qualcosa di magico e intoccabile, che sta al di sopra della nostra intelligenza.
Quante stronzate dette in così poche righe? L'amore è un difetto, un errore di programmazione, sul quale nessun uomo ha saputo porre giusto rimedio. Piuttosto di sentire tutti quei cialtroni che omaggiano l'amore e ci scrivono poesie di sopra, io sono sempre rimasto dell'idea che gli unici ad avere ragione sono i The Smashing Pumpkins: “Love is suicide”.
È qualcosa che trascende la nostra comprensione, è il suicidio dell'umano intelletto.
L'unica cosa che interessava a lui da quella ragazza era una cosa che, anche se da molti collegata inscindibilmente all'amore, lui vedeva come fine ultimo in una relazione: il sesso.
E anche lei sembrava comunque della stessa idea. Non sull'amore, ma sul fine della serata.
Stesero a chiaccherare abbastanza tranquillamente, del più e del meno, di tutto e di niente, fino a quando i discorsi non finirono sull'occupazione dei due.
"Io in questo momento sto lavorando con i ragazzi a un progetto web sul trasferimento da una postazione a un'altra di messaggi criptati in maniera semplice e veloce. Per fare una cosa del genere mi sono sempre dovuto servire di programmi pensati non proprio per questa mansione. O, oppure, mi posso servire solo del programma di criptaggio e decriptaggio, dovendo poi consegnare io il messaggi al destinatario. Così fondo le due cose."
"Ho capito. Davvero, davvero interessante."
Sorride, sembra sincera. Dal modo col quale è appoggiata sul tavolo, così dolcemente, mi fa pensare che si trova suo agio. Tiene appoggiato il braccio sul tavolo, il polso nascosto dai suo capelli, così come la mano sulla quale adagia la sua testa. Con quel sorriso inclinato sembra essere proprio a posto, con me e con la discussione. Sembra aver capito cosa ho detto. Del resto è pur sempre un'universitaria.
"Tu invece cosa fai?"
"Io in questo momento sto allestendo una mostra."
"...sei un'artista?"
Lei iniziò a far barcollare la testa.
"Mhhh non proprio. Diciamo più una...chessò, una creativa? Del resto, gestisco io la galleria, e le opere sono state fatte sotto supervisione mia e di qualche altra mia compagna di università, ma non sono proprio io l'autrice."
...e quindi che è riuscita a capire del mio discorso? Studierà presso le belle arti, o qualche cosa così. Magari non c'è bisogno di una laurea per parlare di cifratura sul web, l'https è ormai all'ordine del giorno.
"Io sono abbastanza sicura che non sia qualcosa che t'interessi molto."
Stefano restò un attimo interdetto. Poi si ricompose, per non farsi cogliere impreparato a quel colpo.
Ma si nota così tanto?
"Hai ragione. L'arte non mi ha mai appassionato. Non rientra nei miei interessi. L'arte, così come tutte le materie creative sono basate sull'intituività, su degli ideali. Roba troppo trascendentale. Per me, appassionato di cose logiche e precise."
Lei per tutta risposta inclinò la testa in avanti, quasi a voler nascondere il suo volto. Non aveva i capelli così lunghi, però la penombra di quel locale rendeva difficile la visione nitida di qualsiasi cosa. Il locale era un classico pub a stile irlandese. Entrando predomina il legno. Il lunghissimo bancone era infatti tutto in legno scuro, molto alto e sul quale si erge tutta un'impalcatura per tenere oggetti vari e bicchieri appesi. La luce, nel resto del locale, proveniva da delle applique dal gusto antico, pensate apposta per rendere la luce molto soffusa. Molte parti del locale erano in penombra.
E ora? Se l'è presa? Non è che ho combinato una cazzata? Cavolo...
Mentre Stefano era perso nei suoi pensieri, la ragazza riemerse dalla penombra inclinando la testa all'indietro. Si mise a ridere di gusto. Tutta la comitiva si girò verso di lei, basita. Fissarono prima lei, poi si girarono verso Stefano, un po' perplesso per il comportamento della ragazza. Tutto l'imbarazzo s'interruppe bruscamente quando lei, in un unico movimento, raddrizzò la testa e si alzò all'impiedi, afferrando per un braccio Stefano e tirandolo via. Lui d'altro canto, un po' per lo spavento, un po' perché di quella situazione aveva capito ben poco, si lasciò tirare via senza discutere.
"Scusatemi, ma me lo porto a fargli vedere una cosa alla galleria!" urlò lei mentre attraversò il lungo bancone adiacente all'ingresso.
"Andrea, paga tu per noi due!"
I due furono illuminati dal lampione posto sotto l'ingresso, all'esterno del locale, per svanire nel buio di quella notte. Ridotto di due mebri, il gruppo di amici al tavolo si guardò perplesso.
"Bastarda, non so nemmeno se ce li ho tutti questi soldi."
"Ma che è andata a fare Margherita con quello lì?"
"Secondo te?"
"Maliziosa..."
"Nah, se vanno davvero in galleria non sarà nulla di che. Non è il luogo adatto a cose simili. E poi Margherita tiene troppo alla disposizione che ha dato alle opere. Sono tutte pronte per dopodomani, che c'è l'apertura della mostra."
Il dubbio comune di tutti quei ragazzi lasciò il tavolo, per andarsi a soffondere, insieme alla luce del locale, in maniera sempre più fine e sottile, per svanire.

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Capitolo 2
*** Connubio ***


Margherita non lasciò andare la mano di Stefano nemmeno dopo un centinaio di metri. Le luci soffuse del bar avevano lasciato il posto alla luce calda del lampione davanti l'ingresso, e questa lasciò il posto al buio. Correvano lungo le strade scure di Milano, buio intaccato da squarci di luce provenienti da fari e da insegne. Pochissimi erano i lampioni. La luna forse risplendeva, sopra tutte quelle nuvole. Non era dato saperlo ai pochi che gironzolavano per le strade in notturna, probabilmente disturbati dalla corsa chiassosa dei due.
"Sbrigati!"
"Vorrei vedere! Non hai mai smesso di afferarmi il braccio!"
"Voglio essere sicura che non scappi! Devo per forza farti vedere alcune cose."
"Ma perché?"
"Per farti capire che hai terribilmente torto!"
"...cosa?"
"Ma che parlo a fare, corri dai!"
"Non vedo...tante altre possibilità!"
Stefano non era mai stato un tipo sportivo e, per quanto magrolino, stava incominciando a respirare affannosamente. Si sta facendo sentire la sua passione per i sigari.
Ma cosa sto facendo? Perché sto seguendo questa pazza? Io non mi sono mai lasciato trasportare dagli altri. Anche ora...va bene, lei mi ha afferrato il braccio, ma io avrei tutta la possibilità di rispondere. Di andarmene. Di non starla ad ascoltare. A me non interessa tutto questo! Io, a eccezione di tutte le cose successe tra casa e scuola, non ho mai osato fare cose che non m'interessano. Le cose che si fanno controvoglia vengono fatte male, è una legge universale. E invece ora sto correndo come un pazzo furioso, trascinato da questa tipa. Ma non m'interessano tutte queste robe. Ha parlato prima di una galleria. La sua galleria? Cosa vorrebbe farmi vedere lì per farmi cambiare idea. Architettura antica? Disegno tecnico? Potrebbero essere le uniche cose belle, ma utili solo a sé stesse.
Stefano non riusciva a spiegarsi nulla, eppure correva, senza nemmeno pensarci un attimo. Non come se le gambe si muovessero da sole, ma come se qualche folletto impartisse alle gambe il compito di seguire quella lì. Non ha un senso tutto ciò.
Sembrava ancora impossibile trovare una spiegazione a un bug. Per Stefano tutto questo rimaneva ancora un bug, al quale doveva trovare al più presto una soluzione. Intanto erano arrivati alla galleria. Era un grande edificio storico della città. Difficile pensare che era tutto occupato da questa mostra. Riprendendo fiato, Margherita cercò le chiavi, Stefano guardò verso l'alto, scoprendo un cartellone davvero grande.
Davvero questa mostra si prende tutto questo edificio? Assurdo. Ma quella...
Si ritrovò a fissare una figura sul cartellone. A causa dell'oscurità non riuscì a vedere bene il cartellone, ma distinse una figura femminile su di essa, che proporzionalmente doveva essere non molto alta. Capelli mori molto scuri, con uno strano ciuffo portato sul davanti, nel lato sinistro, occhi castani. Era un disegno, abbastanza semplice, ma netto e preciso. Gli ricordava qualcosa...
"Entra, dai!"
Lui continuò a fissare imperterrito quella figura sul cartellone.
"Ma...quella non è forse Lain..."
Venne afferrato di nuovo per il braccio, e non riuscì a opporsi.
"Sì sì, credo sia chi dici tu! In contemporanea alla mia mostra ci sarà un evento basato sulla cultura cyberpunk. Ma ora vieni!"
Questo è un bug, qualcosa che come non deve. Perché non riesco a fermarla, Dio?!
Forse non voleva accettare la verità. Teoricamente doveva rifiutarsi fin dall'inizio per l'insensatezza di tutta quella storia, almeno nella sua mente. Ma un tocco così delicato, da una mano così dolce, candida e perfetta, la mano di una ragazza che, correndo, aveva lasciato dietro di sé un inebriante profumo, misto a fiori e che ricordava gli agrumi, può mandare in tilt anche i sistemi più protetti e ostinati. È solo che forse lui non aveva mai fatto caso a questi fenomeni.
Entrati nell'edificio, questo si mostrava ai due come un ampio corridoio completamente al buio con un soffitto talmente alto da non scorgerlo, oltre ai fasci di luce che entravano da ampie vetrate.
"Dammi un attimo, accendo le luci."
Sentendo lei che apriva un quadro elettrico, Stefano non sapeva cosa aspettarsi. Iniziò ad sospirare pesantemente, sospettando un grandissimo fiasco per quella "iniziativa".
Non che m'interessi tanto...solo, non vorrei farle capire che questa mostra con me non attaccherà.
Non sapeva se aspettarsi una sterile mostra su opere antiche, ricche di perfezione e simmetrie, ma che nulla gli trasmettevano, oppure una galleria con delle opere moderne, che magari potevano colpire lo spettatore più impreparato, ma che sarebbero state tutto frutto di alcuni fugaci pensieri illogici e un po' sensa senso. Almeno questo lui pensava sull'arte moderna.
Incomincando a sollevare la prima leva, quasi per magia Margherita fece ricoprire tutto il soffitto di un arcobaleno. Gli occhi di Stefano si colorarono di tutti quei colori e si addolcirono per lo stupore.
È...una trovata...direi "strana".
"Curioso, vero? È stata una delle ultime trovate. Di solito in tutte le mostre i galleristi si preouccupano di illuminare tutto lasciando meno scoperti possibili i cavi elettrici e tutte queste cose. Io invece ho pensato a questo."
Partendo fin dall'ingresso, tantissime scie di colore emanavano una fortissima luce intinta di vari colori che andavano a mescolarsi e a ripetersi tra di loro, in un gioco di luce che rendeva il soffitto simile alla tavolozza di un pittore ormai sporca dei vari oli che il pittore ha usato.
C'è...c'è qualcosa in quest'opera che...che mi affascina. Che riesce ad affascinare me! Cosa può essere?! È un po' come succede nelle mercerie, quando la commessa per farti scegliere il colore di un tessuto ti mette davanti un campione di tutti i tessuti che ha. È...la stessa identica cosa, resa molto più immensa e variegata. Inoltre, tutta questa luce colora anche i cavi elettrici veri e propri, che, riflettendo, diventano parte dell'opera.
"Esatto, già questa in sé è un'opera." disse Margherita sorridendo al ragazzo stupefatto.
Stefano calò gli occhi e girò rapidamente la testa verso quel viso angelico. Non poté fare a meno di guardarla negli occhi. Era confuso.
I suoi occhi sono sempre stati di un azzurro così limpido, o lo sono diventati ora? Non mi stupirei.
"Ehi?"
Finalmente il giovane rimise i piedi per terra.
"Scusa, è che...mi ha colpito un attimo."
"Talmente tanto che ti eri messo a pensare a voce alta senza nemmeno accorgertene?"
"..."
Lo sguardo della creativa si fece allora ancora più felice e divertito. Cercava di avere corda dall'ostinato programmatore.
"Bene! Se già ora siamo colpiti, chissà dopo."
"È una trovata, nulla di più. Guardandola, il mio cervello non riesce a trovare un senso logico a questa cosa...cioè, come ti è venuta in mente? Ti sei semplicemente messa a mischiare colori?"
Si aspettava questa domanda, dato che l'espressione sul suo volto non cambiò di un millimetro.
Lei afferrò un'altra volta il suo braccio, stavolta a livello del gomito, e lo portò un po' più avanti nella sala. Teneva il braccio stretto a sé, lasciandolo strusciare contro i vestiti, contro il suo fianco, contro il seno, in realtà non molto prominente. Cercando di trattenere l'imbarazzo, a Stefano stava incominciando a mancare l'aria. Ma non gli dispiaceva. La sua testa iniziava a inebriarsi di quel profumo fruttato che proveniva da quella ragazza.
Mentre camminavano, lui notò che alcune luci dal soffitto scendevano, per andare a finire verticalmente in basso, ad altezza uomo. Ed è proprio che i due sono diretti. Stefano ancora non aveva finito finito di stupirsi, e se ne accorse arrivati davanti a quei fili di colori. A bocca aperta, si girò di nuovo per sincerarsi della sua idea.
"Se ti dico che l'opera l'ho chiamata "Scala e spazi di colore" capirai perché, vero?"
Tutto questo susseguirsi di colori...non è casuale! È invece ben studiato. In pratica questi colori vanno a susseguirsi in base a vari modelli...e qui vengono mostrati quali!
Questi fili di colore cadevano accanto a vari pannelli informativi, che spiegavano il perché di quei colori, perché questi colori si susseguivano in un dato modo. Uno seguiva la scala della temperatura di colore.
"Le radiazioni luminose emesse da un corpo nero si presentano come uno spettro caratterizzato da un picco, che è quello che determinerà il colore della radiazione luminosa. Questo picco è determinato, tra le altre cose, anche dalla temperatura del corpo nero al momento dell'emissione.. - spiegò Margherita – Anche se questo tu lo sai."
Non è la mia materia, ma è una nozione scientifica che ti rimane impressa facilmente...una nozione scientifica! Ecco cosa non mi quadrava, ecco cosa mi ha stupito! Lei ha dato una componente artistica a questa nozione!
"Ci sono un po' tutti i modelli che mi sono venuti in mente, oltre la temperatura di colore. Ho riportato la lungezza d'onda delle radiazioni, anche se collegata a questa prima scala, poi ho mostrato i colori principali dei modelli RGB, CMYK, e YUV, più varie mescolanze di questi colori in ogni singolo modello."
"È...una cosa astuta."
"Grazie. Mi accontento di questo per ora."
Lui non si sbilanciò nel giudicarla. Non voleva. Non voleva darlgliela vinta. Al momento era in corso una battaglia interiore tra il suo orgoglio personale e qualcosa, quel qualcosa che voleva fargli urlare tutto quello che aveva da dire su di lei e sulla sua opera. Lei, con uno dei suoi scatti, se lo tirò via.
"Andiamo Stefano, devo farti vedere un paio di cosette."
"C-come sai il mio nome?"
"In quel pub nessuno parlava di qualcun altro oltre che te. Sei il leader di quel gruppo di ragazzi, no?"
"Sì. Il team è partito da me e da un paio di miei amici."
"Ma hai supervisionato tutto tu."
"Sì."
"Capisco."
Ecco forse cosa mi sta mandando fortemente in confusione. Io sono sempre stato un tipo al quale piace comandare, al limite essere alla pari con gli altri. Non ero ben visto a scuola dai prof., anche se nessuno negava mia bravura in crittologia, proprio perché non sopportavo certe angherie. Ora invece, mi sto facendo portare da questa ragazza dovunque ella vuole. E la cosa...ho paura non mi stia dando tanto dispiacere.
Si spostarono in un'altra stanza. Anche questa era al buio, in quanto ogni ala ha un suo quadro elettrico. Margherita girò allora dietro il programmatore, e gli mise una mano davanti gli occhi.
"Non sbirciare...anche se fuori è buio qualche luce entra e potresti vedere qualcosa."
La sua mano, soffice e candida, assomiglia a un guanto di velluto. Come può una persona sottrarsi a una mano così morbida e liscia? Io...mi sono mai sottratto a qualcosa di simile?
"Ook, aspetta qui."
In quei dieci secondi, l'assenza di quel tocco si fece sentire. Stefano, senza quella sensazione in viso, aveva paura di non riuscire a muoversi più, quasi gli avessero sottratto l'uso delle gambe.
All'improvviso si accesero le luci. La vista davanti agli occhi di Stefano fu qualcosa di ancora più astuto e geniale. Per non dire bellissimo.
"Uno dei soggetti più abusati nell'arte è sempre l'uomo, che è anche colui che crea l'arte. L'uomo sia nella sua fisicità che nella sua interiorità. Ma quest'ultima è un aspetto che non si ritrova sempre, al contrario dell'uomo nella sua fisicità, al contrario della figura umana. Galileo aveva mostrato come la figura umana si potesse inscrivere in alcuni poligoni, no? Ma la figura umana, in sé, ha delle figure inscritte?" Incominciò a spiegare la gallerista.
"La risposta è, ovviamente, sì. Sia artisticamente parlando, che scentificamente."
Detta questa frase, una figura invisibile agli occhi di Stefano modificò l'immagine davanti a lui. L'immensa figura umana era prima ricca di cerchi, di rettangoli e di triangoli, per far capire come il corpo umano fosse un insieme armonioso e brillante di figure geometriche concatenate l'una all'altra. Poi, tutte queste immagini si sostituirono a delle animazioni raffiguranti delle doppie eliche.
"Il nostro corpo deriva dalla trascrizione del DNA, un lungo filamento che si attorciglia su sé stesso formando una figura geometrica. Intendi dire questo?"
"Esattamente. Noi abbiamo inscritta in noi una relativamente complessa figura geometrica, la doppia elica del DNA. Da quella figura geometrica e da quello che contiene è scaturito tutto quello che siamo oggi e tutto quello che abbiamo fatto, e anche tutto quello che abbiamo scoperto."
"Tu stai riuscendo a dare una componente artistica a tutta quella che è la base di tanti settori scientifici. È un lavoro immenso."
A sentire quelle parole, Margherita abbassò il capo, scuotendolo insoddisfatta.
C-cosa ho detto? Cosa c'è di sbagliato nelle mie parole?
"Stefano, io non ho fatto nulla. La scienza è l'arte sono due cose concatenate, tutta l'arte si spiega con la scienza, anche se può non sembrarlo, è quasi impossibile non trovare in un'opera una qualche coincidenza dal punto di vista tecnico-scientifico che farebbe sorridere qualche scenziato. Ci sarà un motivo se Giotto disegnava i cerchi perfetti no? Non era solo per ostentare bravura. Era attratto dai cerchi, e da come perfetti essi siano. Così come io sono attratta da come tutto può diventare arte, di qualunque tipo. Guarda questo. È una cosa che so bene ti riguarda."
Stefano si girò e vide un'opera sicuramente astratta: una delle più odiate dal ragazzo. L'opera era un insieme di macchie di colore sovrapposte l'un l'altro, circondate da una sorta di parabola che, partendo da sinistra, andava a espandersi verso destra. Infine, da questa parabola partivano un indefinito numero di semirette. I colori originali utilizzati erano molto probabilmente pochi, ma l'unione di tutti questi ne formavano altri, che partivano come sfumature quasi invisibili per andare via via a diventare più decisi, creando un vasto mondo di psichedelia.
"Q-questo non ho proprio idea di come concepirlo. Sembra simile al primo che mi hai fatto vedere, ma lo trovo molto più insensato."
"Credo ti diverrebbe tutto più chiaro se ti dicessi che quest'opera l'ho chiamata Crivelli."
Un attimo d'incomprensione. L'espressione scettica sul suo volto mutò drasticamente in stupore, in una bocca e due occhi spalancati, facciata della sua mente che, dopo aver ricevuto un imput e compreso come completare il processo, stava calcolando il risultato finale e comprendere completamente l'opera che aveva davanti. Non ci volle molto, quasi niente.
"Questa...è la fusione di due...no no, tre crivelli!"
"Esatto. Il crivello geometrico, quello di Eratostene e quello di Sundaram. Ti dovrebbero riguardare da vicino, i crivelli, no?"
"Già...i crivelli potrebbero...rivelarsi la rovina del mio progetto web. Che buffo!"
"Partono da una cosa molto semplice. I crivelli sono dei procedimenti, espressi anche graficamente, per scovare i numeri primi in un intervallo di numeri. Il problema di questi crivelli è che sono utili solo quando si tratta di numeri molto piccoli. Riuscire a trovare un numero primo tra mille e diecimila è già umanamente impossibile con essi. Uno dei più famosi ed efficaci sistemi di cifratura, l'RSA, quello che usi probabilmente pure tu per il tuo sito web, sfrutta proprio questa impossibilità, basandosi su numeri molto grandi da scomporre in numeri primi a loro volta molto grandi. Però da questi crivelli, nel corso degli anni, le persone sono riuscite a inventare algoritmi sempre più complessi, che però non si sono mai rivelati abbastanza effiaci. Forse...se un giorno il mondo riuscisse ad applicare l'algoritmo di Shor, si dovrebbe rivoluzionare il mondo della crittologia."
"Già, si dovrebbe passare probabilmente alla crittografia ellittica, perché ci vorrebbe poco a distruggere una cifratura RSA."
"Tu stai ora come ora ammirando quella che potrebbe essere la tua fine! Non è una cosa logica, no?"
No, non lo è. Però io non riesco più a fare a meno di seguire te, con i tuoi bellissimi discorsi...a non perdermi nell'azzurro dei tuoi occhi...niente di tutto ciò avrebbe avuto per me senso fino a un'oretta fa...nemmeno quello che sto incominciando a pensare di te, a pensare sul tuo conto...
"Non riesci a spiegarti il perché però, vero? Il punto è che non sono io che do una cosa in più alle materie scientifiche. La scienza e l'arte sono le due facce della stessa medaglia, sono insieme grazie a un connubio antichissimo, avvenuto all'inizio dei tempi. E chi riuscirà a cogliere il senso di tutto quello che questa mostra esporrà, vedrà in realtà consumarsi la storia d'amore tra Arte e Scienza, un amore ideale che dura fin da quel connubio!"
...ecco, ecco la spiegazione! Qualsiasi cosa ha in sé una sua logica insita...forse pure l'amore? Molto probabilmente ha una sua logica fredda e precisa...solo che non c'è permesso scoprirla! Ma ci deve essere, non si scappa. Vorrei solo averne una dimostrazione teorica, anche se per ora mi basta questa, empirica...i-io so solo che in questo momento, al solo guardarla, inizio a sentire i battiti del mio corpo salire, a sudare, a non riuscire a pensare più a nulla, a desiderare la sua pelle e il suo respiro. Io...
"Io credo di essermi innamorato di te."

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Capitolo 3
*** Epilogo ***


Stefano amava quel bar. Era un locale molto tranquillo e dall'arredamento molto sobrio. Entrando si ci ritrovava in una stanza di forma quasi quadrata. Partendo dallo spigolo alla sinistra dell'ingresso, una linea partiva e arrivava fino al vertice opposto in diagonale, dividendo il locale nella parte del bancone e dalla parte dei tavolini. La prima era caratterizzata da degli scalini in pietra che percorrevano quasi tutta la diagonale, che conducevano davanti al barista e ai suoi eventuali aiutanti, passando attraverso dei particolari tavolini rialzati dai colori chiari. Il barista era un trentenne che girava sempre vestito in maniera molto casual: maglietta e jeans. Nessun cliente del locale gli ha mai visto indossare la classica parannanza che i proprietari di questo genere di bar indossano. Ma il suo non voleva essere il classico bar dove la movida borghese si rimpizzasse di aperitivi prima di andare a ubriacarsi. Non ci mise molto a farlo notare. Una volta installato un impianto audio, evitò di passare le canzoni di certi canali TV o radiofonici, e invece creò una playlist tutta basata sul rock e metal, l'indie italiano, e anche un po' di elettronica niente male. Mentre Stefano mescolava la sua cioccolata calda nell'aria vibravano le corde delle chitarre dei Tre Allegri Ragazzi Morti.
C'era anche qualche postazione pc connessa a internet, ma lui preferiva di gran lunga andare nel retro del locale. Lì il proprietario aveva allestito una ventina di postazioni pc in un certo valore, dove le persone potevano sedersi, fumare e mangiare allo stesso tempo, mentre si fiondavano su un qualche gioco. La sera quella sala era sempre piena, riempita da persone che urlavano, urlavano e si agitavano, manco fossero allo stadio. Anche Stefano c'aveva passato alcune serate.
Ma il momento suo preferito era quando ci entrava la mattina. Andava a ordinarsi la colazione per andarsi a sedere nella parte dei tavolini. Se i tavolini dall'altro lato erano usato da tutte quelle persone che consumavano all'impiedi e velocemente, nel punto in cui stava lui si ci poteva accomodare. I tavolini erano più bassi e larghi, e si poteva stare quanto tempo si voleva.
Il ragazzo continuò a mescolare quella cioccolata ancora fumante fissando un punto fuori. Un punto non preciso e che lo riportava solo a rivivere tutti gli eventi di due giorni prima. Ancora non aveva compreso appieno cosa fosse successo. O meglio cosa gli fosse successo: cosa lo avesse portato a dire tutte quelle frasi. Col senno di poi non riuscì a concepire nemmeno che le parole della ragazza lo abbiano portato a fare quella dichiarazione.
"Ohi, Stefano!"
"Ragazzi!"
Era abitudine di buona parte del gruppo di ragazzi riunirsi in quel bar prima di andare a lavorare. Il barista aveva recuperato un vecchio tavolo molto grande solo per loro. E arrivando sempre Stefano per primo, cercava di calcolare i tempi precisi per fumarsi un sigaro, prendere la cioccolata calda e farla raffreddare un pochino alla temperatura che gli aggrada.
Salutati tutti, ne bevve un sorso. Cercò di nascondere una smorfia: s'era scottato.
"Ma dove sei finito ieri? Hai mandato solo un messaggio per avvisarci che non venivi."
"Cavolo, avevamo pensato male, giusto il giorno dopo la realizzazione che tutto era stato un successo non sei voluto venire."
"Ho addirittura pensato ti fossi ridotto come Hideaki Anno dopo Nadia."
"Anche se fossi tornato solo fra quattro anni1 avrei trovato voi con tutto il lavoro portato avanti come si deve. Semplicemente non mi sentivo bene: quella corsa notturna di sabato mi aveva portato un po' di febbre."
Non è una menzogna. Non del tutto, ho beccato davvero la febbre.
Ma ovviamente un po' tutti i ragazzi sapevano che qualcosa non quadrava. Durante la fase di creazione del loro progetto, la salute di Stefano era diventata cagionevole più volte, probabilmente a causa del freddo che deve tutt'ora esserci in quella stanza. Una volta si buscò perfino una polmonite. Ma nulla gli impedì di continuare. E invece ora tutti si facevano silenziosamente la stessa domanda.
E tutti notarono che qualcosa in lui non andava. Le mattinate passate in quel bar, in mezzo alle
discussioni e le risate, erano ben diverse da quella mattina, dove tutti notarono che il loro supervisore era troppo pensieroso, silenzioso e perso chissà dove.
Non so ancora se pure lei provasse qualcosa per me. Mi sto ancora chiedendo ci fosse alcunché di premeditato in tutti gli avvenimenti di quella notte. Dopo che mi dichiarai...lei si avvicinò a me, abbracciandomi quasi non ci fosse un domani. Non si può abbracciare qualcuno con tutta quella forza per finta! Doveva aver provato qualcosa anche lei. Poi alzammo il viso e ci fissammo per alcuni secondi. Mi sembrarono un'eternità, mentre il mio petto bruciava, e le tempie si contraevano, cercando di contenere una forza che mi scuoteva da dentro. Nelle orecchie mi rimbombavano i battiti impazziti del cuore. Mi faceva male lo stomaco. Altro che farfalle, mi sembrava averci un masso dentro.
Poi lei mi rispose: mi disse che, anche volendo innamorarsi di me, avrebbe potuto amarmi solo quella notte.
Dopo quella mostra, lei si sarebbe spostata in Inghilterra. A lavorare in un centro di ricerca. Aveva una laurea in fisica, l'ho scoperto ieri. Ma nonostante la laurea in fisica, è sempre stata vicina anche agli ambienti artistici di Milano. Ho scoperto pure come si chiama: Margherita. Mi ero dichiarato a lei senza nemmeno sapere come si chiamava...ero proprio impazzito.
Comunque, mi stava proponendo insomma di concludere quanto preventivato all'inizio della serata. Ma a me non importava. Non più. Anche se non comprendevo appieno cosa mi fosse successo quella sera, ho cercato di applicare una logica, la logica del "o tutto, o niente". Mai fare cose a metà. Ho passato due giorni di merda, ma ciò mi ha permesso di pensare. Anche se l'amore è un qualcosa che va contro la logica, può benissimo convivere con essa. Anche ora, guardando questi ragazzi, mi ritorna subito in mente il me di tre giorni fa e tutto il lavoro che abbiamo fatto fino a ora. E nel mentre faccio tutto questo, ripenso ai suoi occhi, e provo tristezza. Ma cerco, per quanto posso, di applicare la logica anche in questo caso. E la logica mi dice che posso e devo sforzarmi di tornare a pensare a qualcosa che mi risollevi l'animo e mi calmi: il team e il progetto. Devo spremermi le meningi per portarlo avanti e farlo ingrandire ancora di più...
Mentre i ragazzi parlottavano tra di loro, Stefano si alzò di scatto, guardando con uno sguardo risoluto.
"Bene ragazzi, vado a pagare."
"Per tutti?!"
"Per tutti. Preparatevi!"
E lo farò.
"Si torna al lavoro."
Fine.

 
1Hideaki Anno, prima della creazione di "Neon Genesis Evangelion", diresse "Nadia – Il mistero della pietra azzurra". Concluso il lavoro su questa serie, Anno cadde in depressione per quattro anni.

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