Tirra Lirra

di Yoan Seiyryu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Linee di fumo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





Prologo


1864, Duddingston
     



 
      La luce si nasconde più facilmente del buio.
      Il buio, anche se nascosto, crea ombre distinguibili.
      Charles Burnett l’aveva riconosciuto subito, il buio. Un buio dipinto di colori chiari che non avevano nulla a che fare con l’oscurità della notte o peggio ancora, della morte. Niente e nessuno fino ad allora era sfuggito al suo occhio e non avrebbe perso di vista la chiave che, forse, gli avrebbe restituito indietro il suo più grande desiderio.   
      L’aveva visto entrare al Sheep Heid Inn e l’aveva seguito. La luce fioca delle candele, delle tante candele che illuminavano dall’alto lampadario, rendevano l’ambiente accogliente e familiare, insieme al fuoco scoppiettante del camino che si accingeva a coprire il freddo di una primavera che non si era ancora apprestata ad arrivare.
      Erano pochi i presenti e quei pochi erano riuniti nella sala rettangolare decorata con i classici quadri che ritraevano i paesaggi scozzesi. Charles li osservò annoiato, ne vedeva così tanti al giorno di quei quadretti tutti uguali, senza alcuna unicità, che decise di non attaccar briga con il proprietario. Almeno non per quella sera.
        Il buio si sedette davanti al camino, su una comoda poltrona illuminata dalle fiamme pallide che gli lambivano gli occhi azzurri. Occhi che tentavano di tirarsi indietro dal resto del mondo. Fu invitato a svestirsi del soprabito grigio ma quando lo sfilò non permise ad alcuno di sottrarglielo e lo lasciò adagiare accanto a sé.
      Charles aveva immaginato il buio in maniera diversa, di certo non come un uomo dall’aspetto ordinario e privo di alcuna caratteristica.
     Si diresse verso il bancone per ordinare un bicchiere di whiskey e appena fu fornito si diresse con passi concitati verso il buio e si sedette sulla poltrona accanto senza chiedere il permesso.  Gli occhi azzurri si sollevarono per studiare il nuovo venuto e si lasciarono andare ad uno sguardo di sconforto e ad un accenno di disgusto. Charles vi intravide persino un segno di alterigia  che non lo infastidì: anzi, ne fu compiaciuto.
       ‹‹Permettete?›› domandò Charles cogliendo la mancanza di eloquenza nell’altro.
       ‹‹Permettete che vi faccia compagnia? Gli spifferi sono terribili, oggigiorno un raffreddore può risultare fatale con tutti i bravi medici che ci vogliono far fuori. Ed io non mi sento più giovane da lasciarmi prendere dall’avventatezza›› specificò con un sorriso divertito.
      Il buio sollevò un sopracciglio e lo osservò senza rivelare ancora la propria voce. Era piuttosto ovvio che il gentiluomo si era intromesso nel suo campo visivo poiché desiderava intrattenersi con lui, non per ostentare una falsa vecchiaia che all’alba dei ventotto anni non poteva mascherare.
      ‹‹Gradirei rimanere solo, se non vi offendete.››
      Charles, che fino a quel momento aveva tenuto la schiena in avanti per osservare meglio il suo interlocutore, tornò in posizione retta quando udì la voce del buio. Per poco non aveva sussultato. Era una voce chiara, limpida e che mostrava maggiormente la rigidità del personaggio che gli era seduto accanto. Sorrise con malcelata soddisfazione ed appoggiò la nuca allo schienale della poltrona.
       ‹‹Dunque mi lasciate libertà di scelta.  Non gradite la mia compagnia, o deduco la compagnia di alcuno, ma al tempo stesso non volete offendermi. Se mi sentissi offeso potreste decidere di cambiare postazione ma siete stato il primo ad arrogarvi il calore del fuoco, quindi non vi sposterete. E via dicendo›› si esplicò Charles lasciando che le altre ipotesi giungessero da sé.
       ‹‹Deduco che vi sentiate offeso›› sospirò il buio in una smorfia.
       Charles sorrise ed annuì.    
       ‹‹In cambio della vostra compagnia vi offrirò dell’ottimo whiskey›› sollevò il suo bicchiere da cui non aveva ancora iniziato a bere ‹‹attendetemi qui e vi prego di non approfittare della mia distrazione per fuggire›› si raccomandò.
        Non gli concesse di replicare e si alzò per raggiungere nuovamente il bancone dove gli fu fornito un altro bicchiere di whiskey. Si voltò più volte per controllare che il suo nuovo compagno non avesse cambiato postazione. Charles notò che il  buio si accingeva a guardarsi intorno in modo nostalgico. Una nostalgia non del tipo passato, ma di quello futuro che si provava verso qualcosa di impossibile da ottenere.
        Tornò dopo poco e gli consegnò tra le mani il bicchiere fingendo una certa commozione.
        ‹‹E’ d’obbligo un brindisi.››
         Il buio osservò il colore ambrato del whiskey e  poi spostò lo sguardo sullo sconosciuto.
         ‹‹Non mi capacito del motivo di tanto disturbo››  
         Charles sollevò gli occhi al soffitto e poi li riportò bruscamente su di lui.
        ‹‹La gentilezza non è estranea a questo mondo. La rifiutate?››
        ‹‹La gentilezza immotivata, non la comprendo.››
        ‹‹Non ho bisogno di avere un motivo valido per essere gentile›› sorrise Charles e poi scrollò le spalle ‹‹forse vi è difficile accettare un gesto simile da un estraneo, venendo a conoscenza del mio nome potreste tornare a rilassarvi. Il mio nome è Charles Burnett››.
       Il buio sospirò rigirando il bicchiere nella mano sinistra. La destra, invece, era ben attento a lasciarla nascosta ad occhi indiscreti.
      ‹‹Un nome non rivela l’identità di un individuo. Immagino che desideriate sapere a chi avete mostrato la vostra gentilezza: Henry Morrison.››
       Charles lasciò schioccare la lingua sul palato e trattenne una risata che produsse solo nella sua testa.       
      ‹‹Senza un nome però non c’è riconoscimento›› sospirò all’idea di aver trattato così tante volte quell’argomento che non aveva alcuna voglia di riproporlo.
       Henry, volenteroso di lasciar cadere nel nulla quella conversazione, sollevò il bicchiere gentilmente offerto. Era da giorni che non aveva avuto la possibilità di fermarsi e di godere del calore del fuoco senza essere afflitto dal peso della sua esistenza.
      ‹‹Ai nomi.››
     Charles sorrise, di nuovo. Quella sera aveva sorriso spesso e l’altro se ne era reso conto, non senza domandarsi quale fosse il motivo di tanta serenità.
     ‹‹Ai nuovi amici.››
     Bevvero all’unisono tutto d’un sorso e tornò il silenzio. Charles non vi badò, si limitò a tirare fuori  l’orologio da taschino per controllare l’ora. Non era in ritardo nemmeno di un minuto, aveva calcolato un tempo più dilatato per quella missione percio’ poteva prendersela con comodo. Quando tornò ad osservare il compagno di quella serata si avvide del dorso della mano destra, scoperto dalla manica della camicia, dove una macchia nera si intrufolava confusamente fino ad arrivare agli incavi della dita e dilungarsi dall’altra parte all’interno del polso.
       Henry se ne accorse e prese a rigirare il bicchiere vuoto tra le dita.
      ‹‹Siete silenzioso›› disse per distoglierlo da quell’improvviso interesse.
      ‹‹E voi non siete loquace›› affermò Charles inarcando un sopracciglio ‹‹vi aspettavate un gentiluomo di passaggio annoiato ed in cerca di qualcuno su cui riversare tutto se stesso?›› domandò ironicamente.
      Henry sorrise appena ed annuì.
     ‹‹Ordinario›› sospirò Charles ‹‹siete davvero troppo ordinario.››
     Henry sollevò gli occhi azzurri su di lui per decifrare quelle parole ma non ebbe il tempo di riflettere. Lui che era il buio ne fu improvvisamente circondato. Le tenebre si affollarono di fronte al suo sguardo e condotta la testa tra le mani finì per chiudere le palpebre e perdere i sensi, rovinando fuori dalla poltrona per lo slancio inaspettato.
      Charles fu lieto di vederlo rantolare a terra e si apprestò ad alzarsi prima che qualcuno si accorgesse del malumore che lui stesso gli aveva inferto. Si avvicinò e prese a frugare nelle tasche del soprabito grigio che Henry aveva abbandonato sulla poltrona. Dopo diversi tentativi trovò l’oggetto che stava cercando: un pendente, una clessidra d’argento.
       ‹‹Stento a credere che sia tu l’uomo che tutti dovremmo temere›› sussurrò osservandolo per l’ultima volta.
        Ora che aveva portato a termine la prima parte della missione poteva tornare da dove era venuto. 






NdA: 

* 'Tirra Lirra' è una citazione dai versi di Tennyson: 'Lady of Shalott' 

Non pubblico originali da più o meno una vita, voglio provare a rimettere in gioco questa storia. 
Come si è potuto capire l'ambientazione passa dalla Scozia di metà '800 alla Scozia odierna, tenendo pur sempre conto che non vi è massima accuratezza storica, è più una tipologia di storia fantasy/soprannaturale. 
I personaggi protagonisti sono quattro: due li avete già conosciuti, Charles ed Henry. Nei prossimi capitoli scoprirete anche chi sono e che ruolo avranno. 
Gestisco una pagina autrice su Facebook, nel caso qualcuno fosse interessato agli aggiornamenti e lascio qui il link --> https://www.facebook.com/pages/Hello-Captain-Im-the-Mad-Hatter/694524527306828?fref=ts

Grazie a chi deciderà di seguire la storia! 

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Capitolo 2
*** I. Linee di fumo ***




Linee di fumo

 

 
Edimburgo, 2015

        
       The Hub. 
        Vi passava ogni giorno, alla stessa ora, scendendo da Castlehill per imboccare il Royal Mile, la strada principale della Old Town che collega il Castello di Edimburgo ad Holyroodhouse. Una chiesa costruita in pietra nera nel 1842 e mai consacrata. Era un vero peccato che la chiesa con la guglia più alta di Edimburgo non fosse mai stata utilizzata come tale. Ad oggi non è che uno spazio espositivo con tanto di caffè e teatro all’interno di una meravigliosa costruzione vittoriana a cui i turisti non sanno rinunciare.
         Diede uno sguardo veloce all’orologio, dopo aver salutato con gli occhi la chiesa nera e si rese conto di dover fare in fretta. Quella mattina la nebbia non era scesa e il cielo si mostrava inspiegabilmente azzurro, un raro spettacolo in un autunno che era giunto troppo presto. Sorpassò i turisti intenti ad ammirare i closes[1] e i pends [2] tralasciando, talvolta, di ammirare l’effetto dei grandi palazzi che si racchiudevano su di loro in un’atmosfera scura e quasi soffocante.
       Charles soffocava davvero. Soffocava nell’aria appartenente ad un’altra epoca. In tutto quel tempo sembrava che Edimburgo non fosse cambiata, anzi, aveva l’impressione che fosse rimasta la stessa. Se non fosse stato per la presenza colorata dei turisti e delle automobili, per non parlare di ciò che vi era nella New Town, non avrebbe notato la differenza.
       Se si era abituato al mondo odierno? No, non vi era riuscito.
        Dimenticò di osservare il resto degli edifici che amava e a cui ogni giorno riservava brevi considerazioni, in ritardo com’era rischiava di non fare in tempo e di perdere il suo appuntamento quotidiano. Giunse trafelato al 120 di Princes Street dove alloggiava una di quelle catene moderne chiamate Starbucks Coffe.
       Gettò un’occhiata all’interno e si rese conto che lui e il tempo, come sempre, andavano d’accordo. Sapeva come tenerlo a bada.
        In attesa e brevemente in anticipo si appoggiò con la schiena al muro, tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca e ne sfilò una per inserirla tra le labbra. Frugò nella redingotte e trovò i fiammiferi con cui andò ad accendere la sigaretta. Lasciò  che il primo fumo divagasse sopra di sé per creare una nuvola grigia, la seguì con lo sguardo interessato a capire dove sarebbe andata a finire.
      Non aspirava quasi mai. La sua passione era solo quella di studiare il comportamento del fumo. Aveva letto, non ricordava esattamente dove, che il fumo partendo da una colonna dritta finisce per dividersi a causa della diversa temperatura a cui va incontro. Inizialmente la colonna di fumo sale e acquistando velocità descrive vortici che poi si disperdono nell’aria. Non che la spiegazione gli fosse rimasta chiara, difatti non ne ricordava granché e la poesia che aveva trovato nel vedere veleggiare il fumo  verso la libertà era scomparsa. Preferiva non preoccuparsi dei tanti perché e semplicemente di rimanere ad ammirare.
     Era strano, però, come fosse incuriosito dal caos provocato dal  fumo di una sigaretta e come invece fosse annoiato dal caos ordinario dell’odierna Edimburgo. Una città che si era ampliata e in parte aveva cambiato volto insieme alle persone che vi abitavano.
      Gli uomini del XXI secolo erano perennemente controllati dal tempo, tanto da rimanerne risucchiati. Uno ad uno non facevano che ripetere le medesime cose, vivendo le stesse giornate in preda alla speranza di non tardare al lavoro per poi rincasare alienati da tutto il mondo attorno. Lui stesso era finito in quel vortice. Ogni giorno, ogni mattina, non faceva che correre per buona parte del Royal Mile nella speranza di non essere arrivato troppo tardi.   
       Stanco di rimanere all’esterno del locale si decise ad entrare da Starbucks per ordinare una qualunque cosa lo riscaldasse dal freddo che aveva iniziato a scendere. Tutte le settimane cambiava ordinazione per risparmiarsi l’ordinario da cui tentava di rifuggire e quello era il giorno adatto per prendere un muffin e un frappuccino. La solita ragazza dietro al bancone, una studentessa universitaria dal viso perlaceo e un paio di occhi scuri giocosi, lo salutò dicendogli che lo avrebbe servito lei.
      ‹‹Oggi cosa gradisce Signor Burnett?›› domandò affilando le labbra sottili in un sorriso divertito.
       Charles aveva già deciso e scrollò le spalle.
       ‹‹Un muffin al cioccolato ed un frappuccino, Katie›› sorrise di rimando.
       La ragazza annuì e si apprestò a servirlo più in fretta che poteva per evitare di farlo attendere troppo. Non appena fu pronto gli consegnò la colazione e lo ringraziò per aver scelto Starbucks anche quel giorno. Charles storse le labbra in una smorfia: nulla poteva sostituire davvero il tè nero che era abituato a prendere a Newhailes House.
       Andò a sedersi al tavolo accanto alla finestra e rimase in attesa, l’attesa per cui ogni giorno si svegliava e l’attesa per cui ogni notte andava a dormire. Quella nuova vita, da ormai due anni, era legata al suo passato più recente.
      Il passato entrò, finalmente. Riconobbe il tocco gentile nell’aprire la porta e l’incedere dolce dei tacchi alti che le servivano a slanciare la sua figura esile. Il passato, talvolta, gli riservava visioni incantevoli. Afferrò interamente la sua attenzione con lo svolazzare di un vestito blu elettrico che seguì finché non andò ad arrestarsi al bancone. Il passato fece la sua ordinazione e poi, come ogni volta, sceglieva lo stesso tavolo del giorno precedente e precedente ancora.
      ‹‹Buongiorno›› salutò il passato.
       Charles sorrise e la salutò con uno sguardo.
       La vide tirare fuori dalla borsa un libro ed immergersi immediatamente nella lettura. Era sin troppo difficile immaginarla senza quell’accessorio  che non mancava mai di portarsi dietro.
      ‹‹E’ la seconda volta in un mese che sceglie Verne per la colazione›› disse Charles che si era deciso, dopo tanto, a scontrarsi con l’ordinario. Quel  giorno sarebbe stato il fumo.
       ‹‹Prego?›› la ragazza sollevò gli occhi su di lui, per quanto il tavolo fosse diverso sedevano abbastanza vicino da intrecciare il suo sguardo senza pericolo di dimenticare l’aspetto della persona che incontrava sempre a quell’ora del giorno.
       Eccetto saluti educati e poche battute di circostanza non si erano mai intrattenuti in nessuna conversazione approfondita.
      ‹‹‘Il giro del mondo in ottanta giorni’ ›› specificò Charles indicando il libro ‹‹deve piacerle molto.››
        Il passato sorrise ed annuì, risvegliando un improvviso interesse per la persona che aveva notato una tra le sue passioni più profonde.
      ‹‹Ha indovinato, è un romanzo che ha il potere di farmi viaggiare. E’ come se leggendo queste pagine fossi in grado di percorrere io stessa le strade del mondo e conoscerlo, anche›› giustificò la ripetitività della scelta di quella lettura.
      ‹‹Così, però, si preclude la volontà di viaggiare davvero.››
       Un’eco. Quelle parole erano come un’eco lontano che risuonavano solo nella sua testa. In lei non vi fu nemmeno l’ombra di un tentennamento o di un vago ricordo.
       ‹‹Oh, vorrei essere coraggiosa ma le mie paure sono più grandi dei miei desideri›› disse lei con una sincerità di pensiero da farlo sorridere ‹‹ho sempre voluto vedere il mondo ma mi sono accontentata di conoscerlo attraverso i libri.››
      Charles annuì e bevve un sorso del frappuccino. Il muffin lo avrebbe lasciato a dopo.
       ‹‹Non è un desiderio irrealizzabile, dovrebbe solo chiudere quel libro›› le rispose senza aggiungere alcuna espressione di scherno.
      Il passato si lasciò andare ad una risata leggera. Era così fresca, per Charles, colma di ricordi che gli erano rimasti negli occhi e nelle orecchie, nei pensieri, nei sogni. Amava il suono della sua risata, della sua voce.
      ‹‹Gliel’ho detto: non sono coraggiosa.››
      ‹‹Solo perché non ha ancora provato ad esserlo. Shakespeare ci insegna che: ‘Sappiamo quel che siamo ma non quel che potremmo essere’.››
       La ragazza inclinò appena la testa e sfoderò un sorriso divertito, fu tanto attratta da quello scambio di battute che decise con stupore di lui di chiudere il libro ed appoggiarlo sul tavolo.
      ‹‹E’ un’idea piuttosto dinamica dell’essere.››
      ‹‹Se si considera l’essere un divenire›› aggiunse subito.
      ‹‹Lei è un filosofo?›› gli domandò scherzando.
      ‹‹Solo per quello che riguarda la mia vita, non lo sono per quella degli altri. Anche se mi piace imparare a conoscerli.››
       ‹‹Gli altri?››
       ‹‹Lo confesso, vorrei conoscere lei.››
       La ragazza lasciò schioccare la lingua sul palato e  ricadde sullo schienale della sedia. Incrociò le braccia al petto e prese a studiare Charles da cima a fondo. Le piacevano quegli occhi grigi che le ricordavano le prime nebbie dell’alba e quelle labbra che avevano l’aria di dire esattamente ciò che pensavano. Il taglio di capelli leggermente spostato indietro non era disordinato e la redingote con cui si presentava di tanto in tanto lo rendevano interessante: quasi un uomo d’altri tempi.
      ‹‹La incontro qui ogni giorno eppure fino ad adesso non sono mai venuta a conoscenza del suo nome›› disse lei, quasi a volersi introdurre in quel modo.
       ‹‹Charles Burnett e la prego, non mi dica anche lei che non ho assolutamente la faccia da Charles. Ho particolarmente a cuore il mio nome›› si presentò con un sorriso ironico.
        Lei rise nascondendo per un attimo le labbra e scosse la testa.
        ‹‹No, credo le si addica molto come nome. Piacere di conoscerla Charles, io sono Isabel McGregor›› così facendo allungò la mano verso di lui.
       Charles costrinse se stesso a non sfiorarle il dorso con le labbra, in quei tempi così diversi dai suoi certi gesti erano considerati strani ed eccessivamente originali. Non che gli importasse il giudizio altrui, ma il suo, del suo ne aveva bisogno.
      ‹‹E’ fortunata, anche il suo le si addice molto.››
       Isabel lo ringraziò con lo sguardo, poi terminò la sua colazione e ricondusse il libro nella borsa. Alzandosi non si limitò solo a congedarsi.
      ‹‹Mi sono trattenuta troppo, a volte dimentico l’orario di apertura della libreria›› si confidò.
      ‹‹Lavora in una libreria?›› Charles finse di non averne idea. Non  voleva essere confuso con uno dei sempre più tipici uomini che avevano per la testa il perseguitare le donne di loro interesse.
      ‹‹E’ un buon modo per immergermi nel mondo›› sorrise dolcemente ‹‹immagino che la rivedrò qui domani mattina›› domandò retoricamente.
       Charles annuì.
       ‹‹Come ogni giorno.››
       Come ogni giorno. Non voleva ammetterlo, ma nonostante avesse l’occasione di incontrarla tutte le mattine, gli risultava sin troppo triste temere di correre troppo. Non poteva, non voleva perderla.
       Isabel si dileguò insieme al suo abito blu e il dondolio dei boccoli castani che portò fuori dal locale. Charles prese a rilassarsi e sprofondò sulla sedia. Era cambiato da quando aveva messo piede in un tempo così lontano dal proprio. Dov’era la sfacciataggine? Dov’era la sicurezza di sé? Quel mondo era in grado di immettergli paure, ansie e costanti incomprensioni.
      Salutò Katie che gli fece l’occhiolino, aveva notato persino lei che Charles si rifugiava a quell’ora da Starbucks solo per incontrare il suo passato, anche senza sapere chi fosse davvero per lui. Una volta uscito all’aria aperta sentì squillare il cellulare che aveva in tasca ed accusò un sospiro infastidito. Di quel nuovo mondo ciò che più odiava era quella tecnologia così invadente. Lo afferrò di malavoglia e se lo portò all’orecchio.
      ‹‹Charles Burnett, a disposizione.››
      ‹‹Che razza di risposta sarebbe?›› strillò la voce al telefono ‹‹a disposizione un ca…››
       Charles sollevò gli occhi al cielo ed allontanò il dispositivo tecnologico per un paio di secondi, perché l’altro si sfogasse e poi lo riavvicinò.
       ‹‹Dove sei?››
       ‹‹Tra una decina di minuti arrivo in redazione›› rispose Charles annoiato.
       ‹‹No, non passare di qui. Vai a Grassmarket, al White Hart. Ieri notte c’è stata una rissa nel locale e pare che uno studente non abbia fatto ritorno ai Pollock Halls  [3]. Informati sull’accaduto e trova qualche testimone. Sono già un paio di volte che sento notizie di sparizioni in quella zona della città, vorrei approfondire la questione›› si chiarificò la voce.
       Charles inspirò profondamente, almeno non doveva scendere fino alla New Town.


Grassmarket Square.
      
Se l’era presa comoda. Amava camminare tra le strade di Edimburgo ed ammirare i palazzi che si ergevano prepotentemente sull’intera città, inglobando sia le strade più grandi che quelle più piccole. Non tutti osservano la città in cui abitano, abituati a non farvi caso.
      Un tempo trascorreva spesso il tempo a Grassmarket, soprattutto la sera, quando gli venivano commissionati certi lavori. In uno dei close affacciato sulla piazza si trovava il covo dei due ladri di cadaveri più famosi al mondo: Burke e Hare, ripresi poi in un racconto di Stevenson di cui Isabel, al posto suo, avrebbe sicuramente ricordato il nome.
       Non aveva assistito alla loro esecuzione avvenuta in anni precedenti alla sua vita passata ma era sempre stato incuriosito da quella che poi venne un punto focale della storia della città, o piuttosto un intrattenimento.
       Se il cielo si fosse colorato di grigio l’atmosfera avrebbe incupito ancora di più quella piazza che agli occhi di Charles era sempre stata la più interessante e la più tenebrosa, con l’imponenza presenza del Castello alle sue spalle.
      Si guardò intorno e appena intravide il White Hart Inn vi si diresse a passo spedito, nella speranza di trovare qualche informazione interessante. A quell’ora non avrebbe dovuto trovare nessuno ma al contrario si accorse che all’interno si aggiravano delle ombre confuse dal buio del locale. Aveva pensato di limitarsi a trovare qualche testimone oculare ed attendere l’ora di pranzo per parlare con i camerieri e il proprietario del pub, ma colta l’occasione non poteva tirarsi indietro. Bussò alla porta di ingresso, colorata di verde bottiglia ed attese. Le due ombre intraviste parvero non farvi caso, così decise semplicemente di entrare.
      ‹‹E’ permesso?›› domandò guardandosi intorno.
      Una delle ombre accorse ad accogliere il nuovo venuto. Era una ragazza dai lunghi capelli scuri legati in una coda alta, vestita con un abito bianco dalle rifiniture in verde chiaro. Charles notò subito l’ematoma che si dipingeva con evidenza sul braccio sinistro e un altro al di sotto del mento. Ciò che in realtà lo fece sussultare fu di riconoscere un’altra parte del suo passato. Lei, però, come Isabel, non ricordava.
      ‹‹La prego di scusarci, il pub non è ancora aperto›› disse lei intonando una voce tiepida e tenue.
      ‹‹Oh, in ogni caso non sono qui per il servizio. Sono un giornalista, Charles Burnett, vorrei farle qualche domanda riguardo la scomparsa di ieri sera di un ragazzo che era presente durante la rissa che  si è scatenata in tarda notte›› specificò senza perdere tempo.
      La ragazza si morse le labbra nervosamente.
      ‹‹Una rissa, in tarda notte?›› domandò lei portando a stringere le mani l’una nell’altra.
      ‹‹In cui probabilmente anche lei deve aver partecipato, come vittima suppongo. A meno che  non abbia un compagno violento quei segni che si è procurata sono evidentemente provocati da contusioni che qualcuno le ha inferto›› aggiunse Charles per farle comprendere che non gliel’avrebbe data a bere.
      Lei aggrottò le sopracciglia e sospirò infastidita. Il ragazzo che fino a poco fa era con lei era uscito per sistemare il magazzino e tornare con il rifornimento per la nuova giornata lavorativa. Non poteva contare su di lui, nemmeno per fingersi occupata.
      ‹‹Non so come aiutarla riguardo alla scomparsa, Signor Burnett. Se è un giornalista sa che in quest’ultimo periodo ve ne sono state molte e non vedo perché noi del White Hart dovremmo avere più conoscenze di altri a riguardo.››
      ‹‹Difatti non ho mai supposto nulla di simile›› sorrise Charles.
Ogni fibra del corpo ti tradisce, pensò. Se non tu, allora chi altri? Tutto si spiega. 
      La ragazza scrollò le spalle, innervosita.
       ‹‹C’è stata una rissa stanotte, è vero. Non avevo mai assistito ad una e non è stato affatto piacevole. Come ha intuito sono finita nel mezzo, il mio aspetto conferma l’accaduto. Quanto alla sparizione le assicuro che non ne sappiamo nulla, il proprietario ha cacciato via i fautori della rissa e io mi sono occupata di risistemare il locale. Ciò che è accaduto dopo non posso saperlo.››
      Charles tirò fuori il cellulare, il capo gli aveva inviato una foto del giovane scomparso, uno studente imberbe dai capelli fulvi e gli occhi scuri.
       ‹‹Possibile che ieri sera non abbia notato nessuno di simile?›› le mostrò la foto.
       Lei si avvicinò per osservare le fattezze della persona scomparsa e per un attimo si tradì, mordendosi l’interno della guancia.
      ‹‹Non ricordo di averlo visto.››
      ‹‹Le credo›› mentì Charles ‹‹nel caso avesse il sentore di ricordare diversamente mi farebbe il piacere di chiamarmi?›› estrasse dalla redingotte un biglietto da visita e glielo consegnò ‹‹mi sto interessando alle scomparse di questi ultimi mesi e avrei bisogno di tutto l’aiuto possibile per capire cosa sta accadendo.››
       ‹‹Lo farò›› annuì lei lasciando scivolare tra le mani il biglietto che poco dopo avrebbe stracciato.
        ‹‹Ora tolgo il disturbo. Se posso darle un consiglio: io mi farei dare un aumento dopo aver subito delle violenze in ambito lavorativo›› le sorrise e si congedò per uscire dal pub.
         Una volta tornato all’esterno sollevò lo sguardo in alto, verso il sole che si era precipitato a nascondersi dietro le nuvole grigie. Non sarebbe stato facile affrontare di nuovo il suo passato.



 

 
Note
[1] closes: stretti passaggi che portano ai vicoli interni
[2] pends: ripidissimi vicoli che scendono in verticale dalla collina
[3] Pollock Halls: dormitori dell’università di Edimburgo, situati ai piedi dell’Arthur’s seat. 




NdA: 

Ed ecco qui subito pronto il primo capitolo in cui protagonista è sicuramente Charles. I capitoli si alterneranno tra presente e passato e vedranno partecipi anche altri personaggi, per quanto ami Charles, non può prendersi tutto questo privilegio. 
Sono molto contenta di aver pubblicato questa storia, mi sto divertendo davvero molto a ripercorrere questo intreccio ad Edimburgo, una città che amo molto e in cui i luoghi danno un'atmosfera perfetta per storie come questa. 
Spero davvero che chi si fermerà a leggere apprezzerà, nel caso contrario sono ben accette critiche per migliorare in futuro. 
Ringrazio in special modo la prima lettrice della storia: 221bBakerStreet. La sua recensione mi ha spinta a realizzare con una certa immediatezza  il primo capitolo. 
A presto! 

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