Sulla tua pelle

di Whatadaph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - La nuova cugina ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Il furto ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Passare il testimone ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - The Sorting Hat ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Et nova sunt ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Domande, risposte e ancora domande ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - L'inattendu ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Stuck in reverse ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Libatius Borragine ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - The Show Must Go On ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Come sei ora ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Vibrare il silenzio ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Talk ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Beauxbatons e Durmstrang ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Relief ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - Secrets ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Rassegna Stampa ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Panic ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Metamorphosis ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - Keep Breathing ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 - Under Pressure ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - My heart is numb ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 - Good at Escaping ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 - Spiderweb ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 - The Yule Ball (Parte I) ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 - The Yule Ball (Parte II) ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 - Ante up ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 - Sky shoots to kill ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 - In good and bad times ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 - Days of dust ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 - Equation ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 - Oscurata ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 - Patronus ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 - Noose around your neck ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35 - Fante di Picche ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36 - Brotherhood ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37 - Complicazioni ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38 - Un asso nella manica ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39 - Ancora complicazioni ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40 - Deus ex machina ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41 - Ritorno alla normalità ***
Capitolo 43: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


A Tefnut, la mia alter ego.

A Wynne, la mia diletta amica.

A June, la mia Little-Genial-Teen.

A Pix, la mia mentore.

A tutti i miei lettori

E... beh. A Io-So-Chi.

Prologo



Tamara Graysand, figlia del ministro del Tesoro John Graysand, era agli occhi di tutti una giovane ereditiera indecentemente ricca, di bell’aspetto e dalla vita sentimentale chiacchierata e turbolenta.
« Davvero » commentavano le segretarie del ministro. « Quella ragazza proprio non sa cosa sia la dignità ».
Il suo volto finiva spesso sulla prima pagina delle più celebri riviste di pettegolezzi, spesso in compagnia della bella faccia di un qualche attore famoso e – magari – di alcolici e stupefacenti illegali. Una vita depravata, insomma, colma di lussi fino a scoppiare e al tempo stesso impiegata allo sbando più totale.
Poco le importava, inutile dirlo, dell’angoscia che provocava alla madre, o delle preghiere del padre affinché non diffamasse ulteriormente il suo buon nome.
« Sono loro ad avermi viziata disgustosamente da bambina » soleva dire. « Che cosa pretendevano, che sarei diventata come loro? »
La sua amica Jenny Squalor – altrettanto ricca e altrettanto ereditiera – non sapeva bene cosa Tamara intendesse con quelle parole, ma di certo il come loro non sarebbe stato così invitantemente cool quanto il resto.
Quella sera, la giovane Graysand pareva proprio in procinto di trascinare Jenny ad un’altra delle loro scriteriate botte di vita, che di legale avevano ben poco.
« Dove stiamo andando, Tam? » le chiese l’amica, quando cominciò a non riconoscere più il paesaggio, che vedevano scorrere attraverso i finestrini dell’automobile sportiva di Tamara.
La macchina fermò al semaforo.
« Oh, ti piacerà, vedrai... » replicò pigramente l’altra con fare misterioso, scrutandosi le lunghe unghie laccate fintantoché il disco di luce si manteneva rosso.
« Certo » rispose Jenny in tono mesto. « Ne sono sicura ».
La verità era che la figlia degli imprenditori Squalor non impazziva poi così tanto per lo sballo, o le avventure sessuali folli. Solo che Tamara aveva un carattere più volitivo del suo, e in qualche modo finiva sempre per coinvolgerla.
« Siamo arrivate » le disse dopo un po’. « Eccoti accontentata ».
Scesero dall’automobile. Il rumore dei tacchi alti di Tamara riecheggiava sull’asfalto liscio, la sua ombra ancheggiava assieme a lei alla luce dei lampioni. Jenny si affrettò a seguirla fino a quella che sembrava essere una casa privata, l’ultima di una lunga serie di villette a schiera.
Sebbene fosse agosto, era una notte molto umida. Il freddo entrava nelle ossa, sotto agli abiti leggeri delle due ragazze.
Tamara scosse con la mano i lunghi capelli scuri e suonò il campanello. Venne ad aprire loro la porta un uomo che non poteva avere più di trentacinque anni. Indossava abiti neri, non si era fatto la barba, puzzava di superalcolici e stantio. Jenny storse il naso mentre Tamara sorrideva, seducente e sicura di sé come al solito.
« Salve, splendore » la salutò quell’uomo disgustoso. « La figlia del ministro, se non sbaglio ».
« Non sbagli » confermò lei, guardandolo negli occhi. « Possiamo entrare? »
L’individuo si fece da parte. Tamara entrò, facendo cenno a Jenny di seguirla. L’interno era in penombra. C’erano persone che indossavano strani abiti e mugolavano deliri – somigliavano vagamente a preghiere in latino, pensò Jenny, ma avevano qualcosa di distorto.
« Tam » sussurrò Jenny. « Dove mi hai portata? »
Che sia una di quelle strane sette di cui parlavano l’altro giorno alla TV?
Le bastò lanciare un’occhiata a Tamara per avere risposta. Gli occhi dell’amica ardevano di eccitazione – Jenny invece aveva veramente paura.
La stanza divenne sempre più affollata e le due amiche si persero di vista. A Jenny venne offerto da bere e da fumare, e per non far fare brutta figura a Tam lei non rifiutò nulla.
Si risvegliò poche ore dopo, al tocco brusco di Tamara. Del viaggio di ritorno in macchina, strafatta com’era, in seguito avrebbe ricordato ben poco – ma una cosa non l’avrebbe più dimenticata.
Gli occhi sempre vivi di Tamara avevano perso ogni volontà.

A qualche contea di distanza, Lily Luna Potter sedeva sul davanzale della finestra a guardare lo stesso cielo.






Note dell’Autrice
Prima di tutto, questa long-fiction è il sequel della mia precedente long-fiction sulla Nuova Generazione. Vi chiederete se è necessario averla letta per leggere questa, e io vi dirò: in realtà no, poiché assieme al prossimo capitolo posterò anche una sintesi degli eventi della prima parte e i link ai capitoli che reputo degni di nota. Naturalmente, se vorrete leggere anche il prequel io non mi dispiacerà affatto!
Allora, da questo prologo si capisce ben poco... ma in seguito capirete, posso dire solo questo. Per adesso c’è poco da dire, insomma.
Grazie di aver letto!
Joie, Daphne.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - La nuova cugina ***


A Tef e Wynne, perché sono senza ritegno! <3

Capitolo1

La nuova cugina


Alright, sit down and spill your heart,

Let's start from the very start...

OneRepublic

Accademia Auror – modulo di iscrizione


Nome: James Sirius Potter
Data e luogo di nascita: 16 luglio 2005, Londra
Luogo di residenza: 6 Buckingham Road, Godric’s Hollow, Hampshire
Istituto di provenienza: Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
Risultati conferiti negli esami finali:
Antiche Rune – Oltre Ogni Previsione
Aritmanzia – /
Astronomia – /
Babbanologia – /
Cura delle Creature Magiche – Eccezionale
Difesa Contro le Arti Oscure – Eccezionale
Divinazione – /
Erbologia – Oltre Ogni Previsione
Incantesimi – Oltre Ogni Previsione
Pozioni – Eccezionale
Trasfigurazione – Eccezionale
Storia della Magia – /
Ulteriori crediti: membro della squadra di Quidditch


*


« Buongiorno, mamma! »
« Buongiorno, tesoro ».
James sorrise a Ginny, mentre si sedeva al tavolo della colazione. Con tenerezza la osservò armeggiare con i fornelli – amava molto sua madre, e la ammirava altrettanto per la sua forza d’animo e la sua determinazione.
« Ecco qui! » disse Ginny allegramente, depositando sul piatto del figlio qualche toast imburrato, prima di tornare a dedicarsi all’articolo che stava scrivendo per Il corriere del Quidditch – qualcosa a proposito dell’anniversario della morte di Dai "Dinamite" Llewellynd, probabilmente.
James bevve un sorso di caffè e cominciò a sbocconcellare il proprio toast, guardando fuori dalla finestra. Godric’s Hollow era inondata dal sole di quella mattinata estiva, poche automobili Babbane percorrevano placidamente le strade. Il cielo azzurro, visibile dalle ante spalancate, era terso e occupato solamente da qualche nuvola solitaria – come candidi sbuffi di fumo.
Ginny sollevò la testa verso di lui, abbassandosi gli occhiali dalla montatura rettangolare, che negli ultimi anni portava sempre per leggere, scrivere o guardare la televisione.
« Oggi è il gran giorno? » chiese a James, studiando con tranquillità il volto del figlio.
Lui abbassò lo sguardo sul modulo che aveva compilato quella notte, e che adesso era in procinto di spedire. Annuì.
« Sei emozionato? »
Sorrise. « Spero che mi prendano ».
La madre lo guardò con dolcezza. « Ti prenderanno di sicuro, Jamie. All’Accademia non sono degli stupidi... non si faranno sfuggire un talento come il tuo ».
« Potrebbero esserci candidati con voti migliori dei miei, potrebbe andare male il colloquio, oppure... »
« Sciocchezze. Ti prenderanno, e prenderanno anche Grace ».
Grace. James l’aveva presentata ufficialmente alla famiglia il giorno del matrimonio di Victoire e Teddy. Conformemente ad ogni preavviso, tutti l’avevano adorata. Nonna Molly l’aveva invitata a trascorrere un paio di settimane alla Tana, zio George le aveva fatto collaudare qualche scherzo magico di nuova invenzione e Louis le aveva chiesto se per caso avesse una sorella. Grace aveva riso.
Al momento la ragazza si trovava in viaggio con la propria famiglia, in Stati Uniti. Era una nuova moda molto in voga fra i Purosangue, questa dei viaggi on the road alla Babbana – Grace, come ci si poteva immaginare, aveva accolto con entusiasmo la proposta dei genitori. In vacanza con loro era anche andato un suo cugino della parte francese – dal lato della nonna paterna –, un undicenne di nome Bastien, che l’anno successivo avrebbe frequentato Hogwarts assieme al piccolo Freddie e alla sua amichetta Terpsichore – figlia degli Scamandro. Nelle sue lettere, Grace aveva descritto Bastien come un ragazzino adorabile e carino che non le somigliava affatto. James, il quale la amava molto, non aveva potuto fare a meno di chiedersi come diavolo qualcuno che non le somigliava affatto potesse essere adorabile e carino.
Improvvisamente, un gufo irruppe dalla finestra aperta, un giornale fra gli artigli.
« Era ora! » fu il commento di Ginny, mentre infilava cinque zellini nel sacchetto che l’animale aveva appeso alla zampa. « Oggi la Gazzetta è in ritardo... »
Sulla soglia della cucina si udì un sonoro sbadiglio, e una scarmigliata Lily in camicia da notte si lasciò cadere sulla sedia più vicina.
« Buongiorno » la salutò la madre, divertita. « Albus dorme ancora? »
« Ovviamente » borbottò la ragazza, versandosi una tazza di caffè. « Ieri è stato alzato fino a tardi ».
« Non dirmi che stava ancora scrivendo a Georgia Menley! » esclamò James.
Lily alzò gli occhi al cielo. « Dio, spero di no. Non la sopporto, quella ».
« Lily, non parlare così » la sgridò Ginny. « Neanche la conosci! »
« Mi sta antipatica » insisté Lily, cocciuta.
Un rumore di passi sul vialetto di casa annunciò il ritorno di Harry, uscito per delle commissioni – essendo domenica, non era andato al lavoro. Poco dopo, si udì la porta di ingresso aprirsi e richiudersi, e la testa scarmigliata del signor Potter fece capolino in cucina.
« Buongiorno, ragazzi! » li salutò entrando.
« ‘Giorno, papà! »
« È arrivata una lettera » fece lui. « Con la posta Babbana » aggiunse.
Lily sgranò gli occhi scuri. « Con la posta Babbana?! » chiese, perplessa. « Chi mai potrebbe scriverci con la posta Bab- »
« Buongiorno » la interruppe la voce insonnolita di Albus, appena sopraggiunto nella stanza.
« Come va, Al? » gli chiese Ginny, inarcando le sopracciglia.
« Dai, papà! » fece invece Lily. « Voglio sapere di chi è la lettera! »
« Quale lettera? » domandò Al, perplesso.
Harry sospirò. « È arrivata con la posta Babbana » spiegò al figlio. « Da parte di mio cugino Dudley ».
« Hai un cugino?! » esclamò Lily.
« Che cosa?! » esalò Ginny, stupefatta.
Harry annuì. « Già. Lily, Jamie, Al... Dudley è il figlio della sorella di mia madre ed è un Babbano. Da bambino ero il suo punching ball ».
Lily corrugò appena le sopracciglia.
« Mi ha scritto perché... » deglutì. « Ha una figlia, Elizabeth, di undici anni. E lei ha ricevuto la lettera. La lettera di Hogwarts ».
« Ah, che bello! » esclamò James, sinceramente lieto.
Albus e Lily si scambiarono uno sguardo che non sfuggì agli occhi della madre – la quale tuttavia scelse di soprassedere, rivolgendosi invece ad Harry.
« C’è qualcos’altro che devi dirmi? » chiese al marito, stringendo gli occhi.
L’interpellato si torse le mani. « Beh » fece. « In realtà ci sarebbe qualcosa ».
Lily strinse gli occhi, sospettosa. James sembrava tranquillo, Al appariva impassibile.
« E sarebbe? » chiese quest’ultimo placidamente.
Harry sospirò. « Dudley mi ha chiesto se può stare da noi ».
« Ma... »
« Solo per un paio di settimane » aggiunse in fretta. « Per abituarsi alla magia, sai. E comprare le cose di scuola ».
« Perché, non vuole accompagnarla a comprare le cose di scuola? » chiese Jamie, dispiaciuto.
Harry si tolse gli occhiali, li pulì con una salviettina e li indossò di nuovo. « Beh, di certo gli sarebbe piaciuto accompagnarla. Ma, vedi, Dudley ha sempre avuto una certa... diffidenza, nei confronti della magia ».
Si udì un piccolo sbuffo scettico, dalle parti di Lily.
« Non c’è nessun problema » decretò Ginny infine – Harry parve sollevato. « Dormirà in camera con Lily... »
« Cosa?! »
« … a meno che tua figlia non preferisca stare sul divano ».
Vedendo il bronciò che la sorellina aveva messo su, James sospirò. Sarebbero state due settimane molto lunghe.

*


Qualcuno bussò alla porta.
« Posso entrare? »
Rose – seduta a gambe incrociate, la schiena poggiata alla testiera del letto – mise da parte il compendio sul Quidditch che stava sfogliando per ingannare il tempo. « Sì, entra pure ».
L’uscio si aprì con uno scricchiolio, e sulla soglia della stanza comparve Hugo.
A Rose sembrava che quell’estate il fratello minore fosse cresciuto molto in fretta – e tutto insieme. Ormai era alto quanto Ron, e le sue spalle si erano allargate a vista d’occhio. Perfino il suo volto pareva aver assunto un che di maturo, sebbene con i suoi quindici anni ancora non avesse perso del tutto le antiche rotondità infantili dei lineamenti. La linea della mascella si era fatta più pronunciata e il suo lungo naso era sempre più simile a quello del padre – anche se le sopracciglia, la forma delle labbra e la fronte alta e distesa erano tutte di Hermione. Sebbene fosse molto alto e sempre un poco goffo, appariva meno allampanato di prima e prometteva di divenire, in un futuro non troppo lontano, un ragazzone grande e grosso.
« Che facevi? » le disse, sedendosi sul letto, con quella sua nuova voce profonda che inutilmente tentava di camuffare.
Senza una parola, Rose sollevò  il fascicolo per mostrarglielo.
Hugo inarco le sopracciglia, scettico. « Una lettura illuminante » commentò.
La ragazza scrollò le spalle.
« Xenophilius Lovegood mi ha risposto, finalmente » le comunicò il fratello.
« E che ti ha detto? » si informò Rose, con voce un po’ roca.
« Che è appena tornato dal suo favoloso viaggio in Perù, e che sarebbe disposto a incontrarci lunedì ».
« Bene » fu il commento di Rose.
Era una faccenda che andava avanti già dall’anno precedente, questa di Xenophilius Lovegood. Era nata quando Lysander Scamandro – nipote del noto, folle editore – aveva trovato una piccola pietra scura nella foresta proibita di Hogwarts, e convinto che si trattasse dell’uovo di un qualche strano animale aveva iniziato a covarlo. Hugo era riuscito a vedere il presunto uovo, e le incisioni sulla sua superficie l’avevano subito insospettito. Ovviamente era corso a informarsi, da buon ricercatore, e ciò che aveva trovato aveva dato immediata conferma alle sue supposizioni. Un triangolo, con inscritto un cerchio, bisecato da una linea verticale... poteva significare una cosa sola. Specie perché sui lati della pietra erano presenti dei graffi, come se fosse stata incastonata in un gioiello. E Hugo sapeva bene, grazie alla miriade di domande con le quali fin da bambino aveva assillato i genitori, che in effetti la Pietra della Resurrezione era stata montata su di un anello.  L’idea di poter avere fra le mani uno dei Doni della Morte, un artefatto magico così potente... lo elettrizzava.
Non ne avrebbe fatto uso, certo. Non era così stupido. Ma avrebbe potuto studiarlo e capirne il funzionamento – tentare anche di riprodurlo, magari.
Non c’è conoscenza che non meriti di essere appresa¹.
Purtroppo, di materiale sui Doni della Morte nella biblioteca di Hogwarts ve ne era decisamente una scarsa quantità. Hugo non osava chiedere ai genitori, poiché sapeva bene che Hermione si sarebbe insospettita e avrebbe cominciato a fare ricerche di proprio conto per scoprire cosa avessero in mente.
Così, gli era venuto in mente di chiedere a Xenophilius, poiché anni prima – durante una festa di famiglia e con troppo Firewhiskey in corpo – un nostalgico zio Harry si era fatto sfuggire come il folle editore si autoproclamasse Cercatore dei Doni della Morte.
A quel punto, penna e calamaio, una pergamena e il suo gufo di nome Ragno erano bastati per scrivere al vecchio Xeno una lunga lettera. Egli, dopo aver fatto attendere per settimane una risposta, aveva infine scritto che non era prudente parlare di cose simili per posta, e che se lo desiderava avrebbe acconsentito a vederlo per discutere della faccenda. Peccato che avesse poi avuto la brillante idea di partire per il Perù – e li era rimasto fino alla metà di agosto.
Durante l’estate, Hugo non era stato con le mani in mano. Aveva tentato in tutti i modi, seppur con prudenza, di strappare agli adulti qualche informazione – cercando persino di far ubriacare lo zio Harry –, ma senza successo. Di certo la decisione sua e di Rose di tenere i cugini fuori dalla faccenda non aveva giovato ai loro tentativi, ma meno persone erano a conoscenza della cosa, meglio sarebbe stato. Tanto più che Albus, Lily e Lucy erano impegnati in un’altra questione – e anche loro due, se è per questo.
Chi mai era stato ad annullare l’Incanto Proteus che, a Hogwarts, teneva legati un bel numero di galeoni falsi? Per quale motivo?
E soprattutto, come fare a capire quale fosse la vera Proprietà di quelle monete in quanto, proprio a causa dell’annullamento del Proteus, non era loro possibile pensare ad essa?
Solo a pensare alle difficoltà incontrate nel tentativo di racimolare quel poco di informazioni di cui erano a conoscenza, a Hugo si rivoltava lo stomaco. Quando i galeoni stregati avevano smesso di funzionare, lui, Al e Rose si erano concentrati nello scoprire come diamine si facesse ad annullare un Incanto Proteus. Avevano trovato solo un accenno all’annullamento Empirico della Proprietà – ma per tutto ciò che quelle parole dicevano loro, non trovarle sarebbe stato la stessa cosa. Certo, conoscevano la definizione di Proprietà di un oggetto: la causa primaria per la quale esiste, ciò a cui serve. Ma questo non li aiutava minimamente, no.
Per fortuna, senza dir nulla a nessuno la piccola Lily aveva cominciato a far ricerche in proposito per proprio conto, e aveva avuto la brillante idea di domandare qualche informazione al ritratto di Lady Carmilla Sanguina, una nobildonna-vampiro con cui effigie aveva stretto amicizia – e che per giunta aveva avuto contatti con l’autrice del Proteus. Lady Carmilla era stata molto elusiva e aveva risposto solo vagamente ai loro interrogativi, dando però a Lily una pista da seguire.
L’Empirismo.
A quel punto, provvidenziale era stato l’aiuto di Lucy. La ragazza – coetanea di Lily e Hugo –, avendo l’incarico di vice-bibliotecaria di Hogwarts, era a conoscenza della posizione di ogni singolo volume. Assieme a Lily, era entrata di notte nel Reparto Proibito della biblioteca,  utilizzando il Mantello dell’Invisibilità di James, e levato così il velo dal mistero. La Proprietà di un oggetto veniva annullata Empiricamente quando, per tutte le persone che al momento in cui l’incantesimo era stato gettato si trovavano in un determinato luogo, diveniva impossibile pensare all’oggetto in questione in relazione allo scopo per il quale era stato creato.
Tutto ciò non aveva provveduto a chiarire la faccenda, anzi.
Si potrebbe dire che l’abbia resa ancora più confusa.
Per il momento, avevano lasciato perdere, rimandando tutto al momento del ritorno a scuola – cui ormai non mancavano che un paio di settimane.
Hugo si riscosse dai propri pensieri e levò lo sguardo verso la sorella, che era tornata a dedicarsi al suo opuscolo sul Quidditch con aria annoiata.
« Ehi, Rosie » cominciò. « Non credo che – ahia! »
Qualcosa di grande e vivo era comparso dal nulla, proprio addosso a lui.
« Per le mutande di Merlino... scusami, Hugo! » disse la voce di Albus. « Devo aver sbagliato a prendere le misure... »
« Già » brontolò il giovane Weasley, rialzandosi dal tappeto. « Ti sei Materializzato sopra di me! »
« Mi dispiace tanto, Hughie » tagliò corto Lily. « Ma siamo qui per discutere di una faccenda importante ».
Rose, la quale per tutto quel tempo aveva continuato imperturbabilmente a fingere di leggere il proprio opuscolo, abbassò il fascicolo e inarcò le sopracciglia con scetticismo – davvero era l’espressione che Hugo le vedeva dipinta in volto più di frequente.
Gli parve di vedere con la coda dell’occhio Albus alzare gli occhi al cielo, e a quel punto comprese.
Siamo alle prese con un capriccio di Lily. E i capricci di Lily possono anche essere peggio di quelli di Dominique, quando vuole...
« Stamattina » cominciò la minore dei Potter. « Il nostro adorabile papà è tornato a casa con una maledetta lettera di suo cugino... »
« Ha un cugino?! » le chiese Rose, stupita.
Lily strinse le labbra. « Così sembra. Fatto sta che adesso dovrò dividere la mia stanza con un’undicenne cugina di secondo grado ».
Hugo e Rose si scambiarono uno sguardo.
« Lily » fece lui. « Non ti sembra che... »
« Il cugino di papà lo utilizzava come punching ball, quando erano piccoli » intervenne Albus. « E Lily è convinta che questa Elizabeth sia insopportabile quanto lui ».
Rose scoppiò a ridere. « Lily » le disse. « Hai a che fare con te stessa da quindici anni. Davvero credi di non poter tenere testa a una ragazzina? »
« Sei insopportabile quanto Dominique » borbottò Hugo. « E almeno dieci volte più sicura di te... mi chiedo come fai a sopportare la tua stessa presenza ventiquattro ore su ventiquattro ».
Lily parve irritata. « Senti, mezza calzetta » cominciò. « Non credere di – »
Toc toc toc.
Si voltarono tutti e quattro verso la finestra, dove un grosso allocco dal piumaggio fulvo stava bussando con il becco.
« Ragno! » esclamò Hugo, precipitandosi ad aprire le ante.
Diede un’occhiata alla lettera.
« Chi ti scrive? » si informò Albus.
Hugo si scambiò un’occhiata con la sorella.
« Patricia Crickle » mentì. « Quella bionda di Tassorosso ».


*


Fuori dal finestrino dell’automobile, la campagna correva veloce. Il sedile sul quale Elizabeth Dursley si trovava era scomodo, la cintura di sicurezza le graffiava la spalla e, come se non bastasse, avvertiva un pizzicore terribile sotto la pianta del piede destro. E, si sa, grattarsi sotto le piante dei piedi è impossibile, si ha l’impressione di sfregare le unghie su qualcosa che non appartiene al proprio corpo.
Lizzy pensò che se fosse già stata in possesso della bacchetta magica presente in cima all’elenco delle cose da comprare, magari avrebbe potuto trovare una magia per far scomparire quell’irritante sensazione di pizzicore.
Provò un intenso moto di fastidio verso i propri genitori, seduti sui sedili anteriori, poiché ancora non si erano degnati di condurla ad acquistare il necessario per la scuola.
« Dove stiamo andando? » aveva chiesto a Dudley prima di salire in macchina.
« Ottery St Catchpole ».
Questo nome non le aveva detto granché. Elizabeth non voleva andare a casa di questi cugini – dei quali poche settimane prima non sospettava neanche l’esistenza. Certo, non vedeva l’ora di saperne un po’ di più sui maghi, ma lei era impaziente di andare a Hogwarts – l’attesa le stava facendo rodere il fegato. Quelle due settimane sarebbero state eterne.
Doveva ammettere che, con questa faccenda della magia, molte cose risultavano adesso più chiare ai suoi occhi, numerosi eventi assumevano un significato diverso – come quella volta in cui aveva fatto inavvertitamente diventare viola il criceto di Max.
L’automobile di Dudley prese una via secondaria, dove lo sterrato faceva sobbalzare bruscamente il mezzo ad ogni buca. A Lizzy si annodò lo stomaco.
Giunsero finalmente di fronte ad una sbilenca casetta a più piani, che dava l’impressione di essere stata assemblata a più riprese – aggiungendo qualche stanza ogni tanto, a seconda della necessità. Come si reggesse su, era un mistero, ma il tutto era talmente impregnato di magia che Lizzy ebbe un fremito, sebbene l’insieme fosse un po’ troppo caotico per i suoi gusti.
Quando l’automobile si arrestò, Elizabeth restò immobile sul sedile posteriore, lo sguardo fisso sulle proprie ginocchia. Udì sbattere le portiere anteriori, i passi pesanti di suo padre e il rumore del portabagagli che si apriva. Dudley vi estrasse la valigia della ragazzina, mentre la moglie Meghan le apriva lo sportello.
« Allora? » le disse, guardandola con un poco di apprensione. « Non scendi? »
Elizabeth sospirò, prima di poggiare i piedi in terra ed ergersi in tutta la sua scarsa statura. Dalla strana di casa erano emerse alcune persone, messe probabilmente in allerta dal rumore della macchina. Vide una donna anziana e rotondetta, con i capelli grigi folti e puliti e un volto gentile ma deciso. Con lei c’era un uomo, che doveva avere all’incirca l’età di Dudley e aveva un paio di incredibili occhi verdi dietro le lenti degli occhiali – assieme ad un ragazzo che gli somigliava moltissimo, probabilmente il figlio. Erano presenti anche due individui che dovevano essere più o meno coetanei di Lizzy: un ragazzino molto alto, dalla carnagione scura, e una minuscola bambina con i capelli biondi e il volto rotondo.
Meghan si diresse verso di loro con decisione, seguita da un Dudley vagamente titubante. Lizzy si incamminò dietro di loro a piccoli passi, guardandosi attorno con diffidenza.
La donna più anziana la accolse con un caloroso abbraccio – cui la ragazzina rispose rigidamente, sentendosi un poco a disagio.
« Tu devi essere Elizabeth! » le si rivolse con un sorriso accogliente. « Sono davvero felice che tu sia qui, benvenuta! »
Dudley, nel frattempo, era andato incontro all’uomo dagli occhi verdi.
« Harry » lo salutò, con impresso sul volto un sorriso debole ma sincero.
« Come stai, Big-D? » disse l’altro.
Meghan si era avvicinata alla signora – che si chiamava Molly, come Elizabeth avrebbe scoperto in seguito.
« Salve, signora Weasley » si presentò con un sorriso. « Io sono Meghan ».
« Oh, mi chiami pure Molly! »
« Lizzy? Vieni qui! »
La ragazzina fece come il padre le aveva detto – cercando di non far trasparire il proprio malumore.
« Ciao, Elizabeth » disse l’uomo dagli occhi verdi. « Io sono tuo zio Harry, e lui è mio figlio Albus Severus » aggiunse, presentandole il ragazzo che gli somigliava molto.
« Al, papà » lo corresse questi pigramente.
Lei annuì. « Piacere di conoscervi » mormorò.
« Ciao, Elizabeth! »
Anche il ragazzino si era avvicinato. « Io sono Fred! » esclamò allegramente. « E lei è la mia amica Terpsichore, ma chiamala Terrie ».
Lizzy, stordita da tutto quell’entusiasmo, non sapeva bene cosa dire.
« Piacere » buttò lì.
Fred le lanciò un’occhiata costernata,
Due ore dopo, i genitori di Elizabeth si erano rimessi in viaggio per il Surrey, e l’umore della ragazzina non era migliorato affatto. Le erano stati presentati così tanti parenti che ricordava a malapena un paio di nomi, la testa le girava e si sentiva sola.
Diamine.


*


18 agosto

Caro diario,
mi annoio. Qui stanno sempre tutti a parlare di cose che non conosco o a fare cose che non mi interessano. Cose che prima o poi conoscerò molto meglio di loro o saprò fare molto meglio di loro. E mi interesseranno molto, ma molto di più di quanto interessano a loro. E allora loro diranno che non gli interessano perché non saranno bravi quanto me. La volpe e l’uva.
Sono un sacco di parenti, di tutte le età e gli aspetti possibili e immaginabili. Ho cugini alti e bassi, magri e grassi, con capelli di tutti i colori. Dico sul serio! Ci sono capelli rossi, capelli neri, capelli biondi, capelli castani. Uno dei miei cugini li ha addirittura TURCHESI. Insomma, in realtà non li ha turchesi sul serio... non solo, ecco. Li può avere anche rosa, gialli, verdi, di tutti i colori. Fred mi ha spiegato che è un Metamorfumagus. Un Metamorfomagus è un individuo che può mutare il proprio aspetto come gli pare e piace. Quando sono bambini di solito è qualcosa di involontario, o che dipende dall’umore, e di solito si tratta solo del colore dei capelli e roba del genere. Ma poi, man mano che uno impara a parlare e camminare e tutte le cose che si imparano, si inizia a padroneggiare questa capacità. È qualcosa che si ha dalla nascita, però... non è che se non si è un Metamorfomagus lo si può diventare. Credo sia una questione di genetica. Mi piacerebbe sapere come funziona dal punto di vista scientifico.
Ovviamente, nessuno dei miei cugini si è mai posto questa domanda.
Non sopporto Lily. Ha un atteggiamento odioso. Si scambia continuamente sorrisini d’intesa con Albus e mi parla come se avessi quattro anni. E non è finita qui! Mi è capitato per sbaglio... no, l’ho fatto apposta. Ho origliato una conversazione fra lei e James (e non mi importa assolutamente niente che mamma direbbe che non si fa). Lui (che ha la faccia da pesce lesso e non fa che parlare con occhi luccicosi di una certa Grace) la stava sgridando perché ha macchinato per andare alla Tana. Dimenticavo, la casa dove sto adesso si chiama Tana e, devo ammetterlo, il nome è piuttosto azzeccato. Glielo dovrò scrivere alla mamma, che mi ha mollata in una Tana (piena di cugini rumorosi e alcuni pure antipatici, come Lily).
Tornando a Lily, appunto, lei ha macchinato per venire alla casa dei nonni perché non voleva dividere la camera con me! Così la signora Weasley ha deciso di invitare quasi tutti i nipoti per due settimane, e il risultato è una baraonda, anche perché si è aggiunta Terpsichore, l’amica di Fred (che nome assurdo). Terpsichore ha capelli molto lunghi ed è un po’ strana, ma tutto sommato passabile. Io dormo con lei e due mie cugine che si chiamano Molly e Dominique. Molly è pedante, ma almeno sta per i fatti suoi. Dominique mi è abbastanza simpatica, invece. Mi ha fatto provare la sua bacchetta magica, e io sono riuscita a fare tante scintille argentate. Lily, in uno dei suoi rari momenti di simpatia, mi ha detto che fino a poco tempo fa non era così gentile e che è tutto merito del suo ragazzo Adrian se adesso invece lo è. Ma non so quanto credito dare a quello che dice Lily.
Nel frattempo, zio Harry mi ha spiegato tante cose su Hogwarts. Non è male, lui. È l’unico che non mi tratta da piccola. Comunque, mi ha detto che a Hogwarts ci sono quattro Case e che lui è stato in Grifondoro (che è dove vanno quelli coraggiosi e pieni di buone intenzioni, ma anche molto testardi e qualche volta sbruffoni. Non credo faccia per me). Poi c’è Tassorosso, che è per quelli molto leali e buoni, che si impegnano sempre al massimo. Anche questo non fa per me, credo. Io potrei essere adatta o a Corvonero o a Serpeverde. In Corvonero ci sono persone molto intelligenti e a volte pure un po’ superbe, che amano conoscere tante cose. In Serpeverde persone ambiziose e determinate, generalmente astute. Non lo so quale mi rappresenta di più, fra le due. A decidere a che Casa andranno i nuovi studenti lo decide un cappello. Sì, lo so. Sembra assurdo (e lo è). Lo chiamano il Cappello Parlante e ogni anno chiama una canzone, prima di dividere quelli del primo anno fra le quattro Case. Tutto questo avviene in una cerimonia chiamata Smistamento.
Pensare che sia tutto vero fa un po’ impressione. La magia... ecco. Faccio fatica a crederci, certe volte. Però è tutto vero (e purtroppo è vera anche Lily).
Non vedo l’ora di andare a Hogwarts. Dominique ha detto che è un bel risultato fare una magia volontariamente con la bacchetta di qualcun altro, alla mia età e senza aver ancora imparato niente (non l’ho capita bene, questa cosa della bacchetta di qualcun’altro... credo che siano personali, insomma). Comunque, a scuola sarò la prima della classe. Sono sempre stata la prima della classe.
Adesso devo andare. Questo raro momento di privacy è stato interrotto da quel rompiscatole di Fred (parla sempre a voce altissima) che mi chiama per giocare a Quidditch. È uno sport dei maghi, un po’ come il calcio ma con più palle e tre anelli al posto delle porte. E poi ogni giocatore ha un ruolo diverso, se ho capito bene. Non ho la minima intenzione di salire su una scopa volante, però. Neanche avrei intenzione di guardare, ma sarebbe un modo come un altro per stare un po’ all’aria aperta senza Lily intorno (lei gioca, per fortuna).
Ciao,
Elizabeth.


*


I piedi di Lizzy procedevano sul selciato della via fremente di attività, e la ragazzina non riusciva a staccare gli occhi dalle numerosissime botteghe che ne costellavano gli edifici – ognuno aveva una pendenza strana e insolita, la magia si poteva letteralmente respirare. Quasi tutti i negozi esponevano in vetrina la merce: colorata e sfavillante, cupa e misteriosa, curiosa e impressionante.
Neanche mezz’ora prima, lo zio Harry le aveva spiegato che doveva prendere quella strana polvere lucente e lanciarla nelle fiamme.
« Diagon Alley! » aveva scandito lei con voce chiara, serrando i gomiti al corpo come le era stato raccomandato.
La cenere le aveva fatto venire voglia di tossire e il viaggio era stato nauseante e scomodo, tuttavia era riuscita a raggiungere la destinazione concordata senza alcun problema. Lo zio le aveva raccontato di essersi sbagliato, la prima volta che aveva viaggiato con la Polvere Volante, e di essere giunto da tutt’altra parte.
Ma io non sono fessa come lui. E poi è facilissimo, una roba da bambini.
« Elizabeth! »
Si voltò verso Fred – il ragazzino ci prendeva fin troppo gusto a chiamarla con il suo nome intero, se lo rigirava fra le labbra come fosse una barzelletta. Che cosa irritante.
« Che c’è? » lo apostrofò bruscamente.
« La mamma ha detto che possiamo restare con Al e Lily, mentre loro stanno alla Gringott ».
Lizzy corrugò le sopracciglia. « Che cosa è la Gringott? ».
« La banca dei Maghi » le spiegò Albus gentilmente. « Gestita dai folletti ».
Eh?
Ci pensò su un momento – la prospettiva di liberarsi di Lily per un po’ era allettante, e poi era curiosa di scoprire come diavolo fossero fatti i folletti.
« No, voglio vedere la Gringott » disse.
Lo zio Harry le sorrise. « Comprensibile » commentò.
Fu così che il gruppo si divise. Fred e Terpsichore restarono assieme ad Albus e Lily, mentre la piccola Dursley andava alla Gringott con i grandi – davanti alla banca avevano appuntamento con i cugini Lucy, Hugo e Rose, con relativi genitori.
Li trovarono proprio lì. Lucy – che era dolce e carina in maniera irritante – salutò Lizzy con un gran sorriso. Hugo le fece un cenno, Rose si limitò a guardarla.
Rose era un’altra che le piaceva abbastanza. Se non altro, parlava poco.
La Gringott si rivelò essere un edificio alto e un poco sbilenco, interamente costruito in marmo bianco. L’ingresso era costituito da un grande androne dal pavimento a lastroni, orlato di grossi banconi in mogano lucidato, sui quali delle creature piuttosto brutte – che Lizzy catalogò istintivamente come folletti – pesavano mucchietti di monete d’oro scintillanti e catalogavano gemme grosse come i loro piccoli pugni. Il vasto spazio tra i banconi era colmo di gente dai mantelli di ogni tinta – davvero, la ragazzina non si sarebbe mai del tutto abituata a vedere tutte quelle persone vestite in modo tanto ridicolo.
Giurò a se stessa che se mai le fosse capitato di indossare un mantello, sarebbe stato il più possibile simile a un’innocuo poncho da signora.
Meno di un’ora dopo, fu costretta a tradire il proprio giuramento. Scoprì con discreto orrore che l’uniforme di Hogwarts era costituita proprio da un mantello, sebbene al di sotto la divisa regolamentare somigliasse ad una qualunque divisa da scuola inglese Babbana – camicia, cardigan, gonnellina a pieghe e calzettoni.
La signorina Burnett – zia Ginny le spiegò che si trattava della figlia dell’antica proprietaria Madama McClan, deceduta qualche anno prima – le punse un braccio con uno spillo, ma Elizabeth fece finta di niente per non essere presa in giro da Lily.
Anche la cugina stava provando un nuovo mantello, poiché – a detta di nonna Molly – durante l’estate era cresciuta di almeno cinque centimetri. La giovane Potter restò immobile, mentre l’apprendista della signorina Burnett le sistemava l’orlo della veste attorno ai polsi. Sembrava perfettamente a proprio agio, e Lizzy per questo la invidiò. Ancora non le andava giù il fatto che l’altra avesse montato tutta quella messinscena delle due settimane alla Tana solo perché non voleva stare in camera assieme a lei.
Affari suoi. Io non volevo stare in stanza con lei, tanto.
In piedi accanto a lei, Fred le rivolse un enorme sorriso, cui lei rispose con un rapido e nervoso stirarsi di labbra.







¹ Non c’è conoscenza che non meriti di essere appresa, è una trasposizione di una frase di Kushiel’s Legacy (Jaqueline Carey). Se non conoscete questa serie di libri, non perdete tempo e andate a comprarli! Ne vale la pena.


Note dell’Autrice

Bene, visto che per adesso c’è poco di difficile da capire, ho deciso di aspettare che qualcuno me lo chieda prima di postare il riassunto del prequel (anche perché devo ancora finirlo... posso assicurarvi che si sta rivelando un compito molto più arduo di quanto si sia rivelato scrivere una long intera).
Diciamo che qui avete fatto la conoscenza con svariati personaggi. Visto che la distribuzione “per case” dei Potter-Weasley qui è un po’ particolare, vi scrivo qui a che case appartengono (o appartenevano):
Grifondoro: James Sirius, Roxanne, Lucy, Albus Severus, Louis
Serpeverde: Dominique, Lily Luna, Rose
Corvonero: Hugo, Molly, Victoire

Grazie per aver letto e recensito! <3
Joie, Daph

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Il furto ***



Capitolo 2

Il furto


So watch them turn to dust,

But nothing will ever taint us...

Adele

Due mesi prima

Bernard Boot
27 Firth Park Avenue
Sheffield, Yorkshire

Rose Weasley

5 Buckingham Road

Godric’s Hollow, Hampshire

Cara Rose,
come va? Io mi annoio un po’, qui da me. Mi manca Hogwarts, mi mancano i miei amici e mi manchi pure tu. Mi ha fatto piacere che tu mi abbia salutato in modo così carino, alla stazione di King’s Cross. Certo, carino per i tuoi standard. Il che vuol dire: non hai brontolato, non hai sbuffato, non hai alzato gli occhi al cielo, non mi hai tirato un ceffone. Mi hai detto di passare buone vacanze, invece, anche se l’hai detto con una faccia da funerale. Ma sei carina anche con una faccia da funerale. Molto.
Tu come stai?
Bernie

Bernard Boot
27 Firth Park Avenue
Sheffield, Yorkshire

Rose Weasley

5 Buckingham Road

Godric’s Hollow, Hampshire

Cara Rosie,
ho visto che non mi hai risposto. Immagino che tu sia molto impegnata, state preparando un matrimonio o sbaglio? Comunque, ribadisco tutto quello che ti ho detto nella scorsa lettera. Cioé che sei carina, che mi manchi e che mi ha fatto piacere che tu mi abbia salutato in quel modo carino che però è carino per i tuoi standard.
Vabbé. Non sono molto bravo con le parole. Forse il gufo ha sbagliato indirizzo. Vorrei tanto poterti vedere. Anche se probabilmente mi lanceresti uno Schiantesimo.
Però secondo me non è vero che non mi sopporti.
Come va? Rispondi!
Baci,
Bernie

Bernard Boot
27 Firth Park Avenue
Sheffield, Yorkshire

Rose Weasley

5 Buckingham Road

Godric’s Hollow, Hampshire

Cara Rose,
gradirei una tua risposta in tempi ragionevoli.
Baci,
Bernie

Rose Weasley
5 Buckingham Road
Godric’s Hollow, Hampshire

Bernard Boot

27 Firth Park Avenue

Sheffield, Yorkshire

Boot,
credevo che avessi capito (lo speravo). Solitamente, quando si mandano due lettere e non si riceve una risposta a nessuna delle due, vuol dire:
a) che il tuo gufo è un imbecille;
b) che il destinatario non sa leggere né scrivere;
c) che il destinatario NON VOGLIA RICEVERE NESSUNA LETTERA DA TE.
Nel caso in cui tu non lo sappia, è uso comune presupporre la terza opzione. Visto che te non ci arrivi, te lo scrivo chiaro e tondo: smettila di scrivermi. Non mi interessano le cose stupide che mi racconti e le tue riflessioni su di me, e non ho la benché minima intenzione di parlarti dei fatti miei. Spero che il messaggio sia chiaro.
Rose

Bernard Boot
27 Firth Park Avenue
Sheffield, Yorkshire

Rose Weasley

5 Buckingham Road

Godric’s Hollow, Hampshire

Rosie,
come stai oggi? Passato il brutto momento di ieri?
Stamattina sono andato a un’edicola Babbana, e ho scoperto delle cose! Ma lo sai che c’è una crisi globale dell’economia? Insomma, poveri Babbani! A te non dispiace per loro?
Questa mattina, invece, sono andato a cavallo nel parco vicino casa mia (c’è un grosso parco vicino casa mia). Papà è fissato con gli sport Babbani. In questo momento si interessa di equitazione, e ha deciso di insegnare anche a me. Non è male, ma preferisco il Quidditch.
Bacioni,
Bernie

Rose Weasley
5 Buckingham Road
Godric’s Hollow, Hampshire

Bernard Boot

27 Firth Park Avenue

Sheffield, Yorkshire

Boot,
o fai finta di non capire oppure sei stupido per davvero.
(Credo la seconda).
L’equitazione è stupida.
Non rompere.
Rose

Bernard Boot
27 Firth Park Avenue
Sheffield, Yorkshire

Rose Weasley

5 Buckingham Road

Godric’s Hollow, Hampshire

Cara Rosie,
se praticassi l’equitazione non diresti che è stupida, anzi! Credo ti piacerebbe, a dire il vero. Sembra quasi come imparare un incantesimo. In principio bisogna ogni volta concentrarsi al massimo su ogni passaggio, poi mano a mano riesce sempre più facile, come camminare o respirare. Insomma, quanta concentrazione ci serviva al primo anno per trasformare dei fiammiferi in aghi? Quanto studio? Eppure adesso è facile e naturale come bere un bicchier d’acqua, come la cosa più spontanea del mondo. Mio zio Albert, che è un Babbano, dice che è così anche per imparare a guidare le automobili. E per un bambino per imparare a camminare. E per imparare a volare su un manico di scopa, dico io.
Come va?
Bacetti,
Bernie

Rose Weasley
5 Buckingham Road
Godric’s Hollow, Hampshire

Bernard Boot

27 Firth Park Avenue

Sheffield, Yorkshire

Boot, rifiuto umano,
non hai un minimo di dignità. Ad ogni modo, sono contenta. E sai perché? Perché è l’ultima lettera che mi scriverai!
Rose

Bernard Boot
27 Firth Park Avenue
Sheffield, Yorkshire

Rose Weasley

5 Buckingham Road

Godric’s Hollow, Hampshire

Rosie bella,
Visto che non è l’ultima lettera? Dopo che il mio gufo è tornato indietro con la lettera ancora attaccata alla zampa per sei volte di fila, ho deciso di portarlo a far controllare. Beh, devo ammettere che la Fattura Perdi Via era una buona idea. Peccato che non abbia funzionato! Ti scriverò, Rose. Per tutta l’estate.
Bacioni,
Bernie


*


« Niente da fare, Adri. Domi ha molto più gusto di te, in fatto di gelati! »
Dominique sorrise fra sé alle parole di Lucrezia: la sorellina di Adrian aveva un bel caratterino, ed era davvero una ragazzina adorabile.
« Beh » aggiunse. « Credo di avere un gusto migliore di lui più o meno in tutto ».
Adrian parve incupirsi appena – Domi non era del tutto sicura che stesse bluffando – e le lanciò un’occhiataccia. Lucrezia scoppiò a ridere.
« E neanche sa stare agli scherzi! » infierì l’undicenne.
Le labbra del ragazzo si contrassero appena, come se lui stesse resistendo con tutta la propria volontà dallo schiuderle in un sorriso bonario.
« La piantate di sghignazzare? » brontolò, con il solo risultato di suscitare in loro un’ilarità ancora maggiore.
Tornarono a dedicarsi ciascuno al proprio gelato. Dominique ne aveva scelto uno al pistacchio, con granella di noccioline, e lo stava mangiando di gusto... ingerire cibo senza sentirsi in colpa era stato un grande passo avanti degli ultimi mesi.
Anche grazie ad Adrian.
Lo guardò con affetto, mentre Lucrezia era impegnata con il suo gelato, e il ragazzo ricambio il suo sguardo teneramente. Aveva capito – avrebbe sempre capito. Si trovavano a Diagon Alley, per la precisione nello spiazzo ingombro dai tavolini della gelateria Florian Fortebraccio. Erano seduti attorno a uno di essi, e le sedie non occupate da loro erano ingombre di buste, pacchi e pacchetti di ogni forma o dimensione.
Nonostante fosse stato più che entusiasta all’idea di accompagnare l’adorata sorellina a fare compere per l’inizio del suo primo anno a Hogwarts, Adrian era anche piuttosto dispiaciuto del fatto che a farlo non fosse potuta essere sua madre Elena. Dominique lo aveva capito perfettamente, sebbene il ragazzo di ciò non avesse fatto parola. La situazione familiare in casa Goldstein pareva essere migliorata, negli ultimi tempi. Ad essere precisi, sembrava aver preso una piega positiva non appena il padre Anthony aveva – finalmente – realizzato di essere lui la causa più probabile della depressione della moglie, della disobbedienza del figlio e dei silenzi della figlia. Sembrava, appunto, poiché le condizioni psicologiche di Elena si erano rivelate molto più gravi del previsto, e il signor Goldstein si era visto costretto a prendere per la moglie appuntamento da uno psicomago. Quest’ultimo aveva dichiarato immediatamente che la donna necessitava di cure intensive.
Quella pomeriggio, mentre la madre si trovava in terapia, Adrian e Dominique avevano accompagnato assieme Lucrezia a fare gli acquisti per l’anno scolastico che si apprestava a frequentare. Previa insistenza della ragazzina, si erano diretti in primo luogo ad acquistarle una bacchetta. A gestire la storica bottega di bacchette magiche Ollivander era adesso un tale Jeremiah Connery, un nipote del vecchio signor Ollivander, cui quest’ultimo aveva impartito tutte le nozioni accumulate in anni di esperienza sulla fabbricazione di bacchette.
« Legno di tasso, corde di cuore di drago. Lunga dodici pollici e mezzo¹ » aveva detto loro il signor Connery, per poi aggiungere: « Bella bacchetta! » neanche un istante dopo.
Era un tipo allegro, Jeremiah, persino un tantino troppo – o almeno così la pensava Dominique.
« Toh » fece Adrian d’improvviso, mentre gustavano i loro gelati seduti da Fortebraccio. « Guarda un po’ chi c’è! »
Stupita dal tono piatto della sua voce, Dominique seguì la traiettoria del suo sguardo. C’erano due ragazzi, dalla parte opposta della strada, e lo sguardo che Adrian rivolgeva al più basso dei due aveva un che di omicida.
Lei alzò gli occhi al cielo. « Merlino, Adrian, quando la pianterai di essere così geloso... Ehi, Jake, Scorpius! Di qua! » lì chiamò, agitando la mano.
Nel vederli, il ragazzo più alto – che aveva un volto sottile e folti capelli biondi – sorrise allegramente. L’altro, invece, nell’avvicinarsi osservò Dominique con occhi carichi d’affetto – per poi adombrarsi immediatamente nel posare gli occhi su Adrian.
« Goldstein » lo salutò un poco rigidamente, abbozzando un sorriso.
« Greengrass » ricambiò l’altro a denti stretti.
Lucrezia passava lo sguardo dall’uno all’altro ragazzo, seria e vagamente perplessa. Dominique ricordò improvvisamente che i due si erano parlati l’ultima volta durante le ultime vacanze di Natale, e che avevano finito per prendersi a botte. A quei tempi lei stava assieme a Jacob, e Adrian era indicibilmente geloso. Iniziò a preoccuparsi.
Per fortuna, ci pensò Scorpius a rallegrare l’atmosfera, rivolgendosi allegramente a Lucrezia.
« Ciao! » le disse gentilmente. « Sei la sorella di Adrian? »
« Sì, mi chiamo Lucrezia » replicò la ragazzina senza un’ombra di timidezza.
« E devi frequentare il primo anno a Hogwarts » concluse Scorpius.
Lei annuì.
« Hai un’aria intelligente! A quale casa farai prendere punti? »
« Serpeverde o Corvonero » disse Lucrezia. « Ma spero Serpeverde. Farebbe imbestialire papà ».
« Io ho avuto la tentazione di chiedere Tassorosso al Cappello Parlante » intervenne Jacob. « Per far imbestialire mio padre ».
Lucrezia ridacchiò, e persino Adrian dovette trattenersi visibilmente per non sorridere. Dominique, invece, scoppiò in una risata fragorosa.
« In Tassorosso?! » fece, fra le risa. « Tu?! »
« Beh » riprese  Jake. « Per fortuna mia cugina Holly è riuscita a distogliermi da questi propositi ».
« Holly Wynne²? » si informò Adrian prima di riuscire a trattenersi. « Cercatrice, Prefetto, presidentessa del Club dei Duellanti, Caposcuola e capitano della squadra di Grifondoro? »
« Proprio lei » confermò Jacob. « Classe 2001. Che c’è, è il tuo mito? »
« Sì » rispose Lucrezia al posto del fratello. « Holly Wynne è il suo mito, lo diceva sempre quando stava al terzo anno ».
« Lucrezia! » Adrian si imporporò.
Dominique gli scoccò un’occhiata divertita.
« Come sta Lucy? » domandò Scorpius all’improvviso.
Lei fece tanto d’occhi. « Non la senti mai? » chiese, perplessa.
« Sì, certo » disse lui. « Ma intendevo... come sta ai vostri occhi. La vedete sempre, mentre io... »
« Bene, penso... Insomma, silenziosa lo è sempre stata ».
Non era stata una rottura facile, quella di Lucy Weasley e Scorpius Malfoy. Era stata la ragazza a volere ciò, poiché nonostante si amassero molto era dell’idea che dopotutto non fossero fatti per stare assieme. O perlomeno, così l’aveva interpretata Dominique quando era venuta a conoscenza dell’accaduto. Che poi le cause della decisione di Lucy fossero abbastanza fondate, su questo nessun dubbio. Nessuna ragazza sarebbe contenta di avere un fidanzato sotto l’effetto di un filtro d’amore somministratogli da un’altra ragazza.
Dominique sapeva di essere la causa di tutta quella faccenda, pur se alla lontana. D’altronde, se lei non avesse maltrattato Pauline Finigann, la sorella di quest’ultima – Jackie – mai avrebbe avuto motivo di rendere Lucy vittima di ogni genere di scherzi e sabotaggi solo per vendicarsi. Domi si sentiva responsabile – e Scorpius lo sapeva.
Difatti le sorrise, rassicurante. « A Lucy serviva del tempo per riflettere » commentò.
Dominique avvertì la stretta di Adrian attorno alla propria mano, sotto al tavolo. Sorrise a propria volta.


*



Rose non avrebbe mai ammesso – ma Hugo lo sapeva benissimo – che la mattina del venticinque agosto fremeva di eccitazione. Durante la colazione in casa Weasley, prima che Ron e Hermione uscissero per andare al lavoro, con la sua notevole perspicacia la donna non ebbe difficoltà alcuna a rendersene conto.
« Che ti succede, Rosie? » domandò, lanciandole un’occhiata penetrante.
Rose finì con calma di masticare l’ultima cucchiaiata di fiocchi d’avena, prima di ricambiare lo sguardo della madre con aria assolutamente impassibile e rispondere al suo interrogativo.
« Niente » disse con calma.
Hugo fissò la propria tazza, lieto che la madre avesse posto quella domanda alla sorella maggiore anziché a lui. Rose era molto più brava a mentire – ed era questo che Hugo faticava ad ammettere.
Ma Hermione era troppo acuta e conosceva i propri figli troppo bene per lasciarsi ingannare. Tuttavia, lasciò cadere la questione senza ulteriori insistenze, riserbandosi – come immaginò il figlio minore – di ritornarvi in seguito. E questo per loro due non rappresentava un problema: era sufficiente riuscire a parlare con Xenophilius Lovegood. Hermione avrebbe potuto fare tutte le congetture che desiderava, dopo che lui e Rose fossero riusciti a ottenere quel benedetto colloquio con il vecchio Xeno.
Mezz’ora dopo, i genitori erano usciti di casa. Non appena la porta d’ingresso si fu richiusa alle loro spalle, Hugo e Rise si scambiarono un’occhiata. Il ragazzo strinse le dita attorno al braccio della sorella, e quest’ultima roteò su se stessa per Smaterializzarsi. Riapparvero a qualche contea di distanza, fra le colline che circondavano il villaggio di Ottery St Catchpole.
E qui abbiamo la dimostrazione che, alla fine, la testa sui libri paga sempre.
Già, perché era lo studio la scusa che Hugo aveva posto, per tornare nella loro abitazione di Godric’s Hollow anziché restare alla Tana con il resto del consistente parentado. Se così non fosse stato, di certo lui e Rose avrebbero avuto non pochi problemi a far visita a Xenophilius senza destar sospetti.
« Ho bisogno di studiare in santa pace » si era lagnato Hugo con la madre. « E a casa dei nonni non c’è mai un momento di tranquillità ».
Per loro fortuna, Hermione quella volta se l’era bevuta.
Materializzatosi fra le colline del villaggio assieme a Rose, Hugo abbandonò il braccio della sorella, e senza scambiarsi altre parole i due si diressero alla volta di casa Scamandro, dove il vecchio Xeno abitava assieme alla famiglia della figlia. Luna Scamandro, nata Lovegood, sembrava aver fatto tutto  il possibile affinché la propria casa assumesse un aspetto fuori dall’ordinario. L’edificio, infatti, somigliava in tutto e per tutto a una grossa caffettiera, dal cui beccuccio faceva capolino la cima di un comignolo. Rose inarcò le sopracciglia in maniera eloquente, e Hugo dette in una risatina.
« Andiamo! » le disse, e si incamminarono lungo la stradina che conduceva alla piccola, rotonda porta d’ingresso – al centro della quale vi era solo un grosso battente a forma di testa di corvo, esattamente dove avrebbe dovuto trovarsi la maniglia. Trovarono Xenophilius ad attenderli in giardino, con indosso una tunica di un arancio vistoso e occhi vacui sotto ai suoi bianchi capelli simili a zucchero filato.
« Tu devi essere Hugo Weasley » esordì con voce vagamente stridula.
Il ragazzo si fece avanti con la mano tesa. « Esattamente, signor Lovegood. E lei è mia sorella Rose ».
Xenophilius strinse appena la mano di Hugo, ricambiando il suo sorriso con uno sguardo inespressivo.
« Entrate » borbottò poi. « Presto. Prima che mia figlia vi veda ».
« Come mai non vuole che ci vedano? » lo interrogò Rose in tono leggermente brusco.
Il vecchio la guardò come se la trovasse un poco tocca.
« Ma come! » esclamò. « Si tratta di una faccenda segreta » aggiunse a bassa voce. « Segretissima. Se Luna scoprisse che sono in procinto di rivelare a due ragazzini una cosa importante come l’esistenza dei Doni... insomma, le ho proibito di parlarne con Rolf e i ragazzi! Persino Terpsichore non ne sa nulla ».
Rose e Hugo si scambiarono uno sguardo. Dovevano ancora capire come diavolo facesse la piccola Terrie ad essere la beniamina di tutti. La ragazza aprì la bocca per ribattere alle parole di Xenophiulius – probabilmente seccata per essere stata definita una ragazzina – ma Hugo le tirò la manica con discrezione e lei dovette ingoiare il rospo.
Seguirono il signor Lovegood all’interno della caffettiera gigante. Anche lì, scoprirono, la casa era arredata in modo alquanto bizzarro. Davanti ai loro occhi si apriva un atrio di ampiezza esagerata, dal quale si accedeva ai piani superiori tramite due scaloni decorati nel più puro stile rococò. Sotto ai propri piedi, Hugo poteva vedere grosse piastrelle di ceramica larghe come minimo un metro, ognuna delle quali recava dipinta un’immagine diversa.
« La fondazione di Hogwarts » borbottò Xenophilius, indicandone una dove due maghi e due streghe – sulla cui identità era impossibile avere dei dubbi – levavano le bacchette verso l’alto. « E più in là i Ricciocorni Schiattosi nel loro habitat naturale. Il mio genero ha insistito per metterci su qualche Doxy. Ancora non ha capito che non esistono... sono solo una forma più evoluta di Nargilli ».
Hugo ringraziò il cielo di trovarsi in compagnia della sorella piuttosto che di una delle cugine. Si fosse trattato di Lily, sarebbero entrambi scoppiati a ridere prima di riuscire a trattenersi, e con ogni probabilità Xenophilius si sarebbe offeso. Gli dava l’idea di essere un tipo piuttosto permaloso – e poi Lorcan Scamandro doveva aver preso da qualcuno la sua proverbiale antipatia. Il volto di Rose era una maschera di bronzo.
Xenophilius il condusse lungo uno degli scaloni, per poi dirigersi verso una curiosa scala laterale: era a chiocciola, eppure dava l’idea di spostarsi anche in lunghezza. Hugo aveva il forte sospetto di trovarsi nel manico della caffettiera. Entrarono poi nello studio del vecchio.
La stanza conteneva un gran numero di oggetti e artefatti di aspetto e scopi del tutto differenti, che per la maggior parte sembravano non aver nulla in comune fra di loro. Hugo poté vedere pile di libri di ogni tipo, schizzi di strani animali sconosciuti, misteriosi oggetti il cui uso gli era poco chiaro. Riconobbe con stupore quella che pareva essere una macchina tipografica vecchio stampo, solo con alcuni pezzi montati al posto sbagliato.
Xenophilius si sedette dietro ad una scrivania semicircolare, facendo loro segno di accomodarsi su due sgabelli a tre gambe – ciascuna delle quali era pitturata di un diverso colore.
« Dunque » esordì con voce solenne. « Cosa volete sapere? »
« Tutto ciò che è in grado di dirci sui doni della morte » rispose Hugo.
Gli occhi del vecchio scintillarono di entusiasmo. « Bene! » esclamò. « Si potrebbe partire dalla storia dei Tre Fratelli... »
« La conosciamo già, signore » tagliò corto Rose. « Grazie, ma già conosciamo la storia ».
Il suo tono gentile sorprese Hugo, il quale provò un certo sollievo. Evidentemente la sorella doveva aver deciso di tentare di prendere Xenophilius per il verso giusto.
Quest’ultimo annuì. « Ottimo » commentò. « Allora sapete bene cosa racconta... che fu la Morte a persona a consegnare i Doni ai tre fratelli Peverell ».
« O forse erano solo maghi tanto abili da riuscire a fabbricarli da sé » aggiunse Hugo prima di riuscire a trattenersi.
Xenophilius aggrottò le sopracciglia. « Beh » ammise. « Ci sono svariate ipotesi. Ma la più accreditata è quella di Sir Thomas Browne³ ».
« Ehm... chi sarebbe? » si informò Rose.
« Una figura della letteratura inglese Babbana » replicò il vecchio tranquillamente. « E uno dei più celebri Cercatori dei Doni del diciassettesimo secolo. Riteneva che la Bacchetta di Sambuco fosse stata creata da Ignotus... e che il fratello più grande l’abbia sottratta a lui con la forza ».
« E la pietra? » domandò Hugo.
« La Pietra della Resurrezione fu trovata dal secondo fratello nel letto di un torrente in secca » rispose l’altro. « Dove era stata smarrita da una volpe parlante che l’aveva a propria volta rubata alla Morte ».
Rose emise una specie di singulto, trattenendo visibilmente una risata. Hugo si sforzò di pensare alle cose più tristi che gli venissero in mente.
« Ma questa è un’altra storia » proseguì Xenophilius. « Il Mantello invece fu consegnato a Ignotus Peverell dalla Morte stessa ».
« E poi? » fece Hugo.
« E poi è tutto come si racconta ».
« Che altro sa? » chiese Rose.
« Chi possiede tutti e tre i Doni racchiude in sé un potere più grande della Morte. Ne diventa il Padrone... può controllarla a proprio piacimento ».
« E studiando i Doni si potrebbe... ecco. Riprodurli? »
Il vecchio sospirò: « Studiarli... suppongo di sì. Ma riprodurli... credo che con la Bacchetta di Sambuco potrebbe anche essere possibile. Ma gli altri due... si tratta di artefatti prodotti dalla morte stessa. Non sta a noi comprenderne il funzionamento. Ma d’altronde... nessuno sa dove si trovino ».
Hugo e Rose si scambiarono uno sguardo.
Noi sappiamo dove si trovano... il Mantello e la Pietra, perlomeno⁴.
« Perciò, studiarli non è possibile nella pratica, senza prima trovarli » disse l’uomo tristemente. Il suo sguardo, poi, si accese di un improvviso sospetto. « Perché » cominciò. « Voi sape– »
Ma fu interrotto da uno scalpiccio lungo la scaletta a chiocciola, e da qualcuno che lo chiamava.
« Nonno! » gridò la voce di Lysander Scamandro, mentre la sua testa faceva capolino dalla cima delle scale. « Nonno, ab– Rose Weasley?! Salve! E salve anche a te, Hugo Weasley! »
Li salutò allegramente, chiaramente lieto di vederli, anche se sul suo volto era dipinta un’espressione angustiata.
« Dovevi dirmi qualcosa, nipote? » lo interrogò Xenophilius, visibilmente seccato dell’interruzione.
Lysander si morse il labbro nervosamente. « Nonno, l’uovo... l’uovo di Fruffolo Frizzante... è, ecco. Insomma, è – »
« Si è schiuso? » esclamò il vecchio, improvvisamente elettrizzato.
« No, nonno. L’uovo è scomparso ».
Xenophilius sgranò gli occhi. « Lo hai... lo hai cercato bene? » chiese con voce tremante.
Lysander annuì – sembrava sul punto di scoppiare a piangere. « Sì! » disse con voce lacrimevole. « L’ho cercato dappertutto! Credo... credo che sia stato rubato ».
Hugo e Rose si scambiarono uno sguardo. La ragazza era sbiancata.
Oh, per le mutande di Merlino... la Pietra!


*


Bernard Boot
27 Firth Park Avenue
Sheffield, Yorkshire

Rose Weasley

5 Buckingham Road

Godric’s Hollow, Hampshire

Rosie bella,
Come va? Sono incredibilmente contento che sia finita l’estate. Lo sai perché? Sì, lo sai. Lo sai e mi risponderai in modo irritato, perché dici che ti do fastidio. Non mi sopporti. Dici così. Mi dispiace, ma ho deciso di stringere i denti e insistere. Mi piaci. Mi sei simpatica. Oh, lo so cosa stai pensando! Io non sono simpatica, Boot, e tu non sei divertente! Lasciami in pace, dirai, lasciami in pace perché sei appiccicoso e stupido e irritante.
Ma vabbé.
Dicevo, insomma, che davvero non vedo l’ora che passino questi cinque giorni, così arriverà il primo settembre e ti rivedrò. Mi sei mancata. Mi manchi. E anche parecchio. Continuo a pensare a te DI CONTINUO e mi immagino il momento in cui ci vedremo... sarai bellissima, sull’Espresso per Hogwarts, con i tuoi capelli rossi e il tuo viso dolce e i tuoi occhi scuri (un po’ meno dolci).
Sei uno schianto, Rosie bella, sei veramente uno schianto. Mi piaci e mi manchi, e non vedo l’ora di vederti. Sei così bella! So cosa stai pensando. So anche che se fossi qui mi lanceresti un’occhiata disgustata e mi chiederesti che cosa diavolo ci faccio fra i Serpeverde. E sai una cosa? Sto per rivelarti un segreto. Il Cappello Parlante mi ha detto che avevo la bontà e la pazienza dei Tassorosso. Mi voleva smistare lì. Ma io avevo una cotta per Alexia⁵ Ashley, siamo amici di famiglia. E lei, come ben sai, è stata smistata in Serpeverde. Quindi io ho chiesto al Cappello di Smistarmi nella stessa casa. A quel punto, lui ha detto che in effetti non vedeva in me una gran voglia di impegnarmi nello studio, mentre credeva che avrei saputo cavarmela senza riportare danni in situazioni critiche. Svicolare, ecco. E quindi mi ha messo dove volevo io. Poi Alexia ha smesso di piacermi quando ho visto te con i tuoi silenzi e il tuo sguardo serio (sempre imperscrutabile, o al massimo arrabbiato). I tuoi occhi intelligenti.
Il succo è che non vedo l’ora di vederti. So che probabilmente non è lo stesso per te. Non dire a nessuno il mio segreto. Alexia Ashley mi prenderebbe in giro a vita.
Bacioni,
Bernie.

Rose sbuffò, seccata. Non sopportava più di tanto Boot già normalmente, figuriamoci in quel momento. Non solo con Xenophilius non avevano risolto un bel niente, ma avevano anche ricevuto una brutta notizia: la Pietra era stata rubata. Assieme a quel furto, si erano aperti mille interrogativi. Chi aveva sottratto la Pietra? Come poteva sapere che si trovava lì, quando solo lei e Hugo ne erano a conoscenza? I due fratelli non avevano scambiato una parola fra di loro, una volta rifiutato educatamente l’infuso di Radigorde che Luna aveva offerto loro, e dopo essersi Materializzati a casa Hugo si era rifugiato in camera sua, sbattendosi la porta alle spalle. Rose l’aveva lasciato perdere: sapeva bene che, con ogni probabilità, la mente del fratello stava lavorando febbrilmente. Come la sua, d’altronde.
Entrando in cucina, aveva trovato ad attenderla sul tavolo un gufo – entrato dalla finestra aperta – che nel corso dell’estate aveva suo malgrado imparato a riconoscere, tante erano le lettere con cui un fin troppo entusiasta Bernard Boot l’aveva assillata per tutta la durata delle vacanze.
Ho fatto male a trattarlo bene, quando ci siamo salutati.
Si era quindi apprestata a leggere l’ennesima missiva: il suo unico effetto era stato quello di peggiorare se possibile ancor di più l’umore di Rose. Afferrò una penna e un foglio dal comò del corridoio, preparandosi a buttare giù una risposta sferzante.

Rose Weasley
5 Buckingham Road
Godric’s Hollow, Hampshire


Bernard Boot

27 Firth Park Avenue

Sheffield, Yorkshire

Boot,
te la canti e te la suoni da solo. Spero proprio che qualche causa di forza maggiore ti impedisca di raggiungere King’s Cross, quest’anno. E per la cronaca, non te la sai affatto cavare senza danni nelle situazioni critiche, perché ti stai facendo cordialmente detestare da DUE MESI. Se è una tattica, è quella sbagliata. Scrivimi un’altra lettera e il primo settembre ti ritroverai con una fattura Orcovolante nelle mutande. Il che, ti assicuro, non è affatto piacevole.
Rose, non Rosie. Ciao ciao.


*

« Beh? » domandò Lily. « Ti manca? »
Di fronte a lei, Lucy arrossì leggermente. Per tutta l’estate era stata piuttosto refrattaria nel parlare di Scorpius, e dopo diversi tentativi falliti Lily aveva deciso di attendere prima di tornare sull’argomento. Ma ormai, a soli cinque giorni dal rientro a scuola, le sembrava fosse il momento opportuno per strappare qualche confessione alla cugina coetanea.
« Allora? » insisté. « So che vi siete scritti. Per tutta l’estate ».
Lucy, che pareva estremamente concentrata sull’ultimo dei temi assegnati loro da Rüf per le vacanze, annuì appena.
« Sì » ammise infine in un sussurro. « Mi manca ».
« Scorpius sa di mancarti? » chiese ancora Lily, consapevole di star infierendo senza pietà. Ma lo faceva per il bene di Lucy, in fondo.
L’altra annuì di nuovo. Lily alzò gli occhi al cielo, scocciata, e la cugina sorrise a quel suo gesto. Era fatta così, Lucy: il più delle volte bisognava sudare sette camicie per tirarle fuori di bocca qualche parola se si trattava di un argomento per lei spiacevole – specie se l’argomento spiacevole era Scorpius Malfoy, il ragazzo-mollato-a-malincuore. Lily era convinta che, lasciandolo, l’altra avesse fatto una cosa davvero molto stupida, ma per una volta si era trattenuta dal divulgare ai quattro venti il proprio parere – e questo aveva reso James molto orgoglioso di lei.
Che noia.
« Hai deciso cosa fare? » interrogò la cugina.
Quest’ultima smise immediatamente di sorridere: « Sì » mormorò. « Almeno in teoria ».
« E... ? »
« E pensiamo di ricominciare. Con più... questa volta con più, ecco. Calma. Con più cal– »
« LILY! » tuonò improvvisamente la voce di Harry dal piano inferiore.
Entrambe le ragazze sussultarono, e Lily sbiancò.
Oh-ho.
Che i suoi genitori avessero scoperto le macchinazioni da lei messe in atto per non dividere la propria stanza con la piccola Elizabeth? Suo padre non urlava mai. L’ultima volta era stato... Quando era stato?
« Lily! »
Non sembra arrabbiato.
« Lily! Lucy! Correte giù! »
Non era arrabbiato, no. Pareva più che altro...
Euforico. Estremamente euforico.
Si scambiò uno sguardo con Lucy, ed entrambe si precipitarono al piano inferiore. Nella cucina della Tana pareva essere esploso il pandemonio. Nonna Molly singhiozzava, Fred e Terry saltavano e gridavano in un balletto improvvisato, Elizabeth sedeva sola in disparte – come sempre –, nonno Arthur non faceva altro che togliersi gli occhiali e pulirli, per poi rimetterli e ricominciare daccapo. Al centro della stanza si trovava James, e accanto a lui la sua ragazza Grace, con i soliti capelli biondi e il solito sorriso che spaccava le pietre. Harry e Ginny li guardavano con orgoglio, mentre Albus e Louis continuavano a distribuire robuste pacche sulle spalle di entrambi.
Ma cos
« Siete stati ammessi! » gridò Dominique, irrompendo nella cucina all’improvviso e travolgendo Grace – le due erano amiche del cuore. Dietro di lei, fece capolino la testa riccioluta e ordinata di Adrian Goldstein. « Lo sapevo! » continuò a esclamare Dominique, prendendo fra le mani il volto di Grace e stampandole due grossi baci su ciascuna guancia. « Lo sapevo, lo sapevo! »
« Non si direbbe che lo sapessi, da tutto questo entusiasmo! » sorrise l’altra abbracciando l’amica.
« Lily! » le si rivolse Harry. « Sono stati ammessi!
La ragazza improvvisamente realizzò.
Accademia Auror. Grace e James. Ammessi. Ammessi!
« Congratulazioni! » strillò, e corse ad abbracciare il fratello maggiore.





¹ Perdonatemi ma avevo troppa voglia di dirlo: la bacchetta di Lucrezia non è casuale, bensì la mia bacchetta su Pottermore.
² Holly Wynne si chiama così in onore di Wynne Sabia. Correte a leggere Omeomerie e E invece ho paura immediatamente, se non l’avete ancora fatto!
³ Sir Thomas Browne: filosofo e scrittore britannico del XVII secolo.
⁴ Ho immaginato che Harry, Ron e Hermione avessero scelto di non rivelare ai loro pargoli dove si trova la Bacchetta di Sambuco.
⁵ Immagino che qui qualcuno si sia sentito chiamato in causa. Giusto, Little Genial Teen?

Note dell’Autrice
Secondo i miei piani, in questo capitolo c’era molta più roba, ma non sono riuscita a mettercela tutta... credo che ci saranno alcuni capitoli in più rispetto a quelli previsti (come al solito, non riesco a contenermi).
Spero che vi sia piaciuto. Per i lettori di Gossip Witch: avete incontrato di nuovo qualche vecchia conoscenza! Per gli altri: avete conosciuto qualche altro personaggio.
Jacob Greengrass. E’ l’ex-ragazzo di Dominique, un ragazzo molto intelligente e determinato, con una grande capacità di amare. Sta in Serpeverde, è un gran furbo e... beh, lo conoscerete.
Scorpius Malfoy & Retroscena con Lucy. Stavano insieme. Sono una coppia abbastanza fluffosa ma anche malinconica, perché sono maledettamente sfortunati e incappano in un equivoco dopo l’altro.
Anthony Goldstein. Attuale (e futuro) ragazzo di Dominique. Grifondoro al 100%.
Bernie Boot. Rose non lo sopporta perché: a) lei ha un caratteraccio; b) lui ha avuto la pessima idea di dirle la propria opinione su una certa faccenda (e ci ha anche rimediato un ceffone); c) lui è gentile ed entusiasta in maniera irritante.
Okay, credo di aver finito. Nel prossimo capitolo si chiariranno un paio di cosette, ad ogni modo. E conoscerete un altro OC nuovo di zecca! Anzi, due.
Joie!
Daph

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Passare il testimone ***


 

Capitolo 3

Passare il testimone

Nonna Molly aveva decisamente dato il meglio di sé, quella sera. In quattro e quattr’otto aveva messo su una cena di sette portate, invitato tutto il parentado alla tana per festeggiare e spedito Al e Louis ad acquistare gli ingredienti per una torta gigantesca – « No, Jamie caro, tu resta a casa, riposati! Hai avuto una giornata di emozioni! »
Infine, il giardino della Tana sembrava essere stato trasfigurato in un fuoco d’artificio di luci e decorazioni. Fra due alberi era persino steso un festone, sul quale pulsavano lettere scarlatte: Viva James e Grace, nuovo allievi Auror!
Sul bel volto di Louis, in piedi accanto al tavolo pieno di leccornie, brillava un sorriso soddisfatto.
« Vi hanno assegnati al mio gruppo! » esclamò allegramente. « Tutti e due! »
All’Accademia Auror si usava dividere gli allievi in gruppi da cinque, sotto la supervisione di un Auror diplomato e di un tutor, ossia uno studente che già avesse superato il primo livello di addestramente. Louis era stato promosso con successo agli esami di giugno, e il caso aveva voluto che finisse per supervisionare proprio il loro gruppo.
« Perché lavorerai tanto, no? » commentò Dominique ghignando. « Conoscendoti, passerai i tre quarti del tuo tempo a provarci con qualunque allieva di sesso femminile nel raggio di cinquanta metri. Con l’esclusione di Grace, ovviamente ».
« A proposito » fece James, ignorando la cugina. Posato sui capelli scarmigliati aveva un ridicolo copricapo di carta, che era stato obbligato a indossare dalla nonna. « Chi altro c’è nel nostro gruppo? »
« Due di Hogwarts » rispose Louis pigramente, carezzandosi un sopracciglio. « E una ragazza dell’Akademia di Sortilegi di Atene ».
« Una greca?! » disse Dominique, stupita. « Come mai è venuta fin qui? »
Louis scrollò le spalle.
« Chi sono quelli di Hogwarts? » si informò Grace.
« Una certa Ellen Kirke. E Benjamin Aubrey... ricordo che giocava già nella squadra di Quidditch di Serpeverde quando io frequentavo il settimo ».
« Ah, Ben » annuì Domi. « Un tipo strano. Difficile da inquadrare ».
« Di chi state parlando? » intervenne Rose, appena sopraggiunta.
Dominique le scoccò uno sguardo penetrante. « Di Ben Aubrey » le disse tranquillamente, e il cambio di espressione della cugina fu pressoché impercettibile.
« E cosa c’entra Ben Aubrey? » chiese ancora, impassibile.
« In Accademia sarà nel nostro stesso gruppo » le spiegò James placidamente.
Rose annuì. Dominique, che la sapeva lunga, rifletté che con ogni probabilità era a causa della sua personalità interessante che Aubrey non le fosse del tutto indifferente.
« E questa Ellen Kirke? » chiese Louis, aggrottando le sopracciglia folte e dalla linea pulita. « Non l’ho mai sentita nominare ».
« Era nel mio dormitorio » fece Grace.
« E come mai non te l’ho mai sentita nominare? » domandò Dominique, perplessa.
L’altra alzò le spalle. « Ellen è una tipa solitaria. Simpatica, ma estremamente timida... non ci siamo mai parlate più di tanto ».
James non stava ascoltando le parole della propria ragazza – né d’altronde quelle di chiunque altro. Era troppo concentrato sul viso di lei per fare caso a una qualunque altra cosa. La bellezza di Grace... era sempre la stessa, e sempre nuova. Come se ogni giorno vi fosse un nuova luce a illuminarla. Deglutì, mentre la sua mente vagava sul pensiero che da qualche giorno gli ronzava in testa, facendo su e giù per il cervello. Si trattava, in effetti, di un’idea. L’idea di svegliarsi la mattina e vedere Grace prima ancora del sole, di svegliarla con un bacio, di andarle a preparare la colazione. Di vederla sorridere in mezzo all’aroma del caffè caldo e poi uscire assieme a lei per andare al lavoro. Un giorno dopo l’altro, tutta la vita, sempre. Era un pensiero tanto meraviglioso e perfetto da fargli brillare gli occhi.
Era andato a Londra, qualche giorno prima, senza dire nulla a nessuno che non fosse Albus – che l’aveva accompagnato – e Louis – che aveva origliato – su cosa fosse andato a fare: case. Aveva visto delle case, e trovato un piccolo, delizioso appartamento nella Londra Babbana, dalle parti del Ministero della Magia. Dopo aver versato il primo mese di affitto, gli erano state consegnate le chiavi dal proprietario. Chiavi che adesso teneva a portata di mano, nella tasca posteriore dei jeans.
« Grace? » le mormorò all’orecchio. « Credo che dovremo assentarci per una decina di minuti ».
Lei lo guardò, perplessa. « Eh? »
« Un quarto d’ora al massimo » le assicurò James.
Si materializzarono direttamente lì, nell’atrio buio dell’appartamento deserto.
Deserto ancora per poco.
« Jamie » sussurrò Grace, esitante. « Dove siamo? »
Per tutta risposta, James si allontanò da lei per andare a premere sull’interruttore della luce, che si accese inondando l’ambiente di un bagliore biancastro.
« Jamie » ripeté la ragazza. « Di chi è questa casa? »
« Mia » fece lui. « Nostra, se vuoi ».
Lei sbatté un paio di volte le palpebre, prima di parlare ancora: « Tu... stai dicendo, ecco. Insomma, stai... »
« Sì » rispose James. « Sì e ancora sì ».
« Quindi... ecco... »
« Vuoi vivere con me? »
Deglutì. « Mi stai chiedendo se voglio... io, ec-... Certo che voglio! »
Lui sorrise. « Perciò... » mormorò.
« Sì » fece lei, avvicinandosi. « Sì e ancora sì ».
Lo baciò. La baciò anche lui. Si baciarono a lungo.
Nel frattempo alla Tana. Lily si era resa conto perfettamente della loro assenza.
« Al » disse, avvicinandosi al fratello. « Hai idea di dove si siano cacciati Jamie e Grace? »
L’altro sorrise, sornione, mentre ricambiava il suo sguardo con i brillanti occhi verdi. « Oh, certo che ce l’ho. James l’ha portata al suo nuovo appartamento ».
« Eh? »
« Niente di che, Lily. Solo un modo romantico per chiederle di andare a vivere con lui » alzò gli occhi al cielo.
La ragazza trattenne visibilmente un risolino, mentre profferiva in tono indignato: « E come mai non mi ha detto nulla? »
« Non lo sanno neanche mamma e papà » Albus scrollò le spalle. « L’ha detto soltanto a me e Lou- » si bloccò.
Lily lo guardò, stringendo gli occhi. Sul volto del fratello andava dipingendosi un’espressione quasi sconvolta, come se fosse stato appena colto da un’illuminazione divina.
« Al? Che ti prende? »
« Lily! » fece lui, sgranando gli occhi. « Come abbiamo fatto a non pensarci prima?! »
Lei inarcò le sopracciglia, perplessa. « Ma di che cosa – »
« Louis, capisci? Louis! »
« Al... »
« Louis, nostro cugino! »
Lily sbuffò. « Al, so chi è Louis. Ma che cosa c’entra, si può sapere? »
Ma Albus non le prestò attenzione. Sorrideva con aria trionfante, e prese a camminare avanti e indietro – sotto lo sguardo perplesso che, poco più in là, la cugina Roxanne gli rivolgeva.
« Il Proteus! L’annullamento Empirico! » si arrestò, torcendosi le mani e senza smettere di sorridere, esaltato. « Lily, Louis non era a Hogwarts quando il Proteus è stato annullato! Lui può capire quale sia la Proprietà dei galeoni di Gossip Witch! »
Lily boccheggiò per qualche istante, prima di iniziare a saltellare in preda all’entusiasmo.
« Oh, Al! » esclamò, allegra. « Come diavolo abbiamo fatto a non pensarci prima? E cosa aspettiamo a parlarne con lui? »
Il ragazzo cambiò di colpo espressione. « Lily, ma dovremmo spiegargli tutto! Non è il mom- »
Ma era troppo tardi: la sorella già si stava dirigendo a passo di marcia verso il cugino.
« Lily, aspet- »
« Lou! Vieni qui! »
Louis fece finta di sobbalzare al richiamo imperioso della cugina minore, facendo ridere Terpsichore e Fred. Elizabeth, lì vicino, accennò una smorfietta forzata.
Lui rivolse ai tre ragazzini un gran sorriso: « Vogliate perdonarmi, madamigelle e messere! Una signorina mi chiama, laggiù, con ardire assai deciso! »
« Piantala di fare lo scemo, Lou » disse Lily. « Hai un minuto? »
L’altro annuì, allontanandosi dai tre. « Dimmi, Lily. E dimmi, compare » diede una pacca sulla spalla di Al, facendo alzare gli occhi al cielo alla cugina. La quale non attese oltre, prima di prendere la parola.
« Bene. Immagino saprai che cosa è la Proprietà di un oggetto ».
Louis annuì ancora. I capelli biondi gli piovvero sul naso, li allontanò con uno sbuffo.
« Allora... secondo te qual’è la Proprietà dei galeoni di Gossip Witch? »
Il cugino, improvvisamente serio, le lanciò un’occhiata penetrante: « Perché me lo chiedi, Lily? Ha qualcosa a che fare con il fatto che abbiano smesso di funzionare, vero? E come mai non potete capirlo da soli, non ci vuole molto ».
« Per via dell’annullamento Empirico » mormorò Albus, serissimo. « Non possiamo pensare alla Proprietà dei galeoni » aggiunse, vedendo l’espressione scettica di Louis, « perché eravamo a Hogwarts quando è stato annullato il Proteus ».
« E l’annullamento Empirico consiste nell’annullare l’idea stessa della Proprietà di un oggetto » intervenne improvvisamente James, appena Materializzatosi assieme a Grace alle loro spalle. Il suo sorriso andava da un’orecchio all’altro, e la ragazza era raggiante. « Io vado a parlare con papà » aggiunse. « Poi fatemi sapere se scoprite qualcosa ».
« Sono talmente dolci da far venire la nausea » commentò Lily, vedendoli procedere per mano nel giardino della Tana. « Bene » riprese. « Prima di essere interrotti da un’adorabile, splendida e perfetta coppia, stavamo parlando dell’annullamento Empirico ».
Louis annuì.
« E davvero non sai quanto abbiamo faticato per trovare le scarse informazioni di cui siamo a conoscenza » aggiunse Albus.
« Ci sono due modi per annullare un Proteus » fece Lily. « Uno di essi è la morte di chi ha gettato l’incantesimo, ma abbiamo escluso subito questa possibilità. L’altro – »
« Scusate » intervenne Louis, perplesso. « Ma come mai ci tenete così tanto a scoprire questa cosa? »
« C’è qualcosa di strano nella faccenda » gli spiegò Al. « Qualcosa di misterioso. Perché l’annullamento Empirico è una pratica difficile... nessuno studente avrebbe potuto eseguirla. E chi avrebbe avuto motivo di annullare proprio il Proteus di Gossip Witch, fuori da Hogwarts? »
« L’unico altro modo per annullare il Proteus è l’annullamento Empirico » intervenne Lily. « E qui iniziano i problemi... perché tutti quelli che si trovavano a Hogwarts non possono pensare alla Proprietà dei Galeoni... ».
« Per via delll’annullamento Empirico » aggiunse Albus.
« … e qui entri in scena tu » concluse Lily.
Louis sbatté un paio di volte le palpebre « Quindi... » disse lentamente. « Voi volete che io scopra la Proprietà dei galeoni di Gossip Witch e ve la dica. Giusto? »
« Giusto ».
Il cugino sorrise. « Dai » disse. « Posso farlo. Non mi costa nulla... a patto che poi mi riferiate tutto quello che scoprite ».
I due fratelli si scambiarono un sorriso trionfante.
Mentre loro parlavano con Louis, James era andato a parlare con il padre.
« Papà » fece. « Ti devo parlare ».
Harry aggrottò le sopracciglia. L’ultima volta che il figlio maggiore aveva esordito in questo modo nel parlare con lui, era stata quando aveva dieci anni e aveva involontariamente provocato la distruzione del proprio manico di scopa. Perciò, apprestandosi suo malgrado a ricevere una brutta notizia, mise da parte la propria fetta di torta e si sfilò gli occhiali, e li pulì sul davanti della maglietta prima di rimetterli sul naso. Compiva sempre questo gesto, quando era un poco nervoso. Intorno a loro, la festa continuava, e Harry si chiese con perplessità quale potesse essere la cattiva nuova in questione, in un’occasione tanto lieta.
« Dimmi, Jamie » sospirò.
Il figlio pareva un poco nervoso, ma gli brillavano gli occhi ed era davvero su di giri.
Non sembra proprio che sia sul punto di dare cattive notizie al suo adorato padre.
« Io e Grace... ecco » deglutì. « Abbiamo deciso di andare a vivere insieme ».
Harry sgranò gli occhi, dietro le lenti rotonde degli occhiali.


*

Quando Rose comparve improvvisamente davanti a lui con un leggero pop, Hugo non se ne stupì affatto. I grilli frinivano oltre la finestra spalancata, e la stanza in penombra era illuminata dalla luce giallastra della lampada che aveva sede sul comodino del ragazzo. Con ogni probabilità, la ragazza aveva scelto di Smaterializzarsi di pochi metri per non correre il rischio di svegliare i genitori: Hermione aveva sempre avuto il sonno leggero. Lui mise da parte il libro che stava leggendo, rizzandosi a sedere.
« Rosie? »
Sul volto della sorella era dipinta un’espressione cupa. « Hai pensato? » chiese semplicemente.
Hugo annuì. « Sì ».
« Bene » commentò Rose, accomodandosi accanto a lui sul letto - Hugo percepì il suo peso curvare leggermente il materasso. « Dimmi che cosa hai pensato ».
« Chi ha rubato la Pietra » fece lui. « Non l’ha fatto pensando che si trattasse di un uovo di Fruffolo Frizzante ».
« No » convenne Rose. « Ma come faceva a sapere che si trattava della Pietra della Resurrezione? »
« Non saprei » Hugo sospirò. « Il punto è: chi sapeva che Lysander fosse in possesso del presunto uovo? »
« Metà della scuola » sbuffò Rose. « Quell’imbecille andava in giro blaterando del suo fantastico uovo a mezzo mondo ».
Il fratello annuì. « Però non tutti l’hanno visto ».
« Solo noi della famiglia, suppongo » convenne Rose. « Ho strappato qualche parola a Roxanne, oggi, e lei dice che Lysander è disperato... non sa chi possa essere stato, perché lui non l’aveva mostrato a nessuno fuorché ai suoi familiari e a Roxanne e Molly, oltre che a te e Al ».
Hugo tacque un istante. Roxanne e Lysander costituivano una delle coppie più improbabili che avesse mai visto – come d’altronde Lorcan e Molly – ma avere come cugina qualcuno che fosse così vicino a Lysander si stava rivelando utile, in quella faccenda.
« Dunque » disse poi. « Ricapitolando, sappiamo per certo due cose. La prima è che chi ha rubato la Pietra sapeva che si trattava della Pietra. La seconda è che non l’ha mai vista prima... e di certo non poteva dedurlo dagli sproloqui di Lysander ».
« Scusa » fece Rose. « Se non l’ha vista, neanche può averlo capito vedendola ».
« Hai ragione » ammise Hugo. « Quindi deve averlo sentito dire da qualcuno ».
Rose sospirò. « Lo sapevamo solo io e te » gli fece notare. « E nessuno dei due è così stupido da andarlo a dire in giro ».
Il fratello mugugnò in risposta qualcosa che la ragazza non comprese.
« Puoi ripetere? » gli domandò.
Ignorando il suo tono brusco – non si trattava certo di una rarità – Hugo si schiarì la voce. « Dicevo... non volontariamente ».
« Che cosa vuoi dire? »
« Nessuno dei due sarebbe andato consapevolmente a dirlo a qualcuno... perciò il ladro deve averci sentito mentre parlavamo ».
Si guardarono.
« Questa è l’unica spiegazione » convenne Rose, afflitta.


*

La sveglia risuonò nella stanza alle sette e mezzo, ma Ellen Kirke era già sveglia da un pezzo. Si trattava di una caratteristica che da sempre l’aveva contraddistinta: a qualunque orario fosse andata a dormire la sera precedente, non c’era giorno che si destasse più tardi delle sette. Si svegliava con il sole, Ellen, era sempre stato così.
Allungò un braccio esile oltre la sponda del letto, tastando sul comodino per spegnere la sveglia. Una volta che il penetrante trillo si fu arrestato, la ragazza si levò a sedere, guardandosi attorno nella stanza. Il sole rigava le lenzuola di luce attraverso le fessure nelle tapparelle, e negli angoli della camera da letto i mobili scomparivano nella penombra. L’esaltazione per la giornata imminente improvvisamente la sovrastò, facendo accellerare i suoi battiti cardiaci, dopo essersi limitata a sfiorarla appena, come una presenza costante eppure lontana, per la precedente mezz’ora che aveva trascorso fra le lenzuola. Ellen buttò le gambe pallide giù dal letto, incontrando il pavimento fresco sotto le piante dei piedi. Senza accendere la luce, abbandonò la stanza e raggiunse la cucina. Facendo meno rumore possibile per non svegliare la madre e il fratello, iniziò ad armeggiare con la teiera, scaldando l’acqua con un colpo di bacchetta. Bevve il proprio tè con un paio di biscotti, prima di andare a vestirsi.
Mezz’ora dopo, faceva il proprio ingresso a Diagon Alley, dove sorgeva la nuova sede dell’Accademia Auror. Era una giornata estremamente limpida e serena, il sole le scaldava il volto con dolcezza e illuminava tiepidamente le case. L’edificio dell’Accademia era costruito in mattoni di un caldo rosso ruggine, e il cartello che ne indicava lo scopo brillava lucido e pulito, ancora illeso dalle intemperie e dalla polvere. Ellen fece un respiro profondo ed entrò, facendo tintinnare al proprio ingresso i campanellini appesi sopra la porta. Nell’androne dell’Accademia, c’erano diversi gruppi di persone con indosso la sua stessa divisa, e come lei avevano sul petto un cartellino con su scritto il proprio nome e la dicitura Allievo.
« Ellen! Di qua! » esclamò una voce familiare.
Lei si voltò, e fu con immenso stupore che riconobbe la figura slanciata della compagna di dormitorio Grace Zabini, la mano allacciata a quella di James Potter. Con loro c’era un ragazzo che Ellen rammentava fosse appartenuto a Serpeverde, di cui non riusciva a ricordare il nome. C’era anche un altro ragazzo, dai capelli biondi e i tratti eleganti, inverosimilmente bello. In lui, la ragazza riconobbe Louis Weasley, che aveva frequentato Hogwarts fino a un paio d’anni prima. Dedusse che fosse lui l’allievo di secondo livello assegnato al loro gruppo.
« Ellen Kirke, giusto? » disse il ragazzo allegramente, segnando il suo nome sul foglio che teneva fra le mani. « Ne manca solo una, adesso ».
Ellen si guardò intorno: Grace le rivolse un sorriso accogliente, ma la sua mano allacciaya a quella di James mise Ellen vagamente in imbarazzo. L’avevano sempre fatta sentire a disagio, questo genere di cose. Si sentiva di troppo... si sentiva sempre di troppo.
« Sei tu Louis Weasley? » disse una voce femminile da dietro le sue spalle. Una voce sorprendentemente calda e vibrante, con un particolare accento che Ellen non seppe classificare.
Si voltò di scatto: di fronte a lei c’era una ragazza che non aveva mai visto. Era snella e non troppo alta, con un naso greco dritto e preciso, un volto classico e regolare circondato da una folta chioma di riccioluti capelli castani. Tuttavia, furono i suoi occhi a catturare l’attenzione di Ellen: grandi e scuri, brillanti di un baluginio arguto. Aveva tutta l’aria di essere una persona molto sicura di sé.
Nel frattempo, Louis Weasley guardava la nuova arrivata con espressione affascinata. « Hera Christakos, immagino » replicò in tono profondo, guardandola fisso.
Ellen vide James alzare gli occhi al cielo e Grace assestargli una robusta gomitata.
« Proprio io » fece Hera tranquillamente, come se neanche si fosse accorta delle attenzioni del ragazzo.
Probabilmente deve esserci abituata, si ritrovò a pensare Ellen. Insomma, è così... così...
Ma non sapeva di preciso come fosse quella ragazza.
« Bene » fece Louis, rivolgendo un sorriso ammaliante in direzione di Hera. « Siamo al completo. Direi che possiamo andare ».
Ellen ebbe la netta impressione che il ragazzo avesse appena lanciato il guanto della sfida. Si chiese se Hera l’avrebbe raccolto.
Seguirono Louis lungo due rampe di scale e per un corridoio con il lato sinistro dotato di ampie finestre, che inondavano di luce i volantini appesi sul lato destro, intervallato da porte di legno scuro. Oltrepassarono la soglia di una di esse, entrando in una stanzetta luminosa, con tende color melanzana aperte ai lati di una vetrata che dava su una stradina laterale di Diagon Alley. Louis chiuse la porta alle spalle del piccolo gruppo, ed Ellen si guardò intorno nel piccolo ambiente. C’erano delle sedie allineate contro la parete e una serie di scaffali contenenti libri di difesa e detector Oscuri. Vide anche alcune attrezzature a lei sconosciute, che dedusse servissero per esercitarsi in incantesimi e contromaledizioni. Ad attendere gli allievi c’era un Auror piuttosto anziano, che si presentò loro come John Midgen.
Fece loro segno di prendere ciascuno una sedia e di sistemarla al centro della stanza, prima di piazzarsi di fronte a loro – affiancato da Louis – e cominciare il proprio discorso.
« Dunque » esordì. « Il programma biennale di studio del primo livello di addestramento si svolge su due rami fondamentali. Da una parte l’apprendimento teorico dei decreti ministeriali e dello Statuto Auror, dall’altra le nozioni pratiche che consistono in diversi settori. Occultamento e Travestimento, ad esempio, oppure Segretezza e Inseguimento. Al termine di ogni percorso si svolge un piccolo esame scritto e una prova pratica. Cominceremo... »
Ellen sentiva la nuca pizzicare, come se qualcuno la stesse osservando. Si voltò, incontrando un paio di occhi grandi e scuri. Hera Christakos la stava osservando con aria pensierosa, la testa inclinata e poggiata sul palmo della mano. Le rivolse un sorriso strano, quasi provocatorio.
Ellen distolse lo sguardo in fretta, voltandosi dalla parte opposta. Il cuore le batteva furiosamente.

*


Se Lily Potter avesse dovuto stilare una lista delle cose che più detestava, indubbiamente fare i bagagli avrebbe avuto diritto a uno dei primi posti. Lei aveva sempre avuto il vizio di espandersi in lungo e in largo in ogni ambiente in cui si trovava a risiedere, anche se solo per pochi giorni, e la Tana non faceva eccezione. Perciò, ogni trentuno di agosto si trovava di regola costretta a racimolare tutto ciò che aveva sparso in ogni angolo e anfratto dell’abitazione. Ci impiegava delle ore, e una volta giunta a Hogwarts scopriva sempre di aver scordato di mettere qualcosa in valigia. Quest’anno, tuttavia, era decisissima a far sì che sua madre non dovesse inviarle nulla per posta.
Qualcuno bussò alla porta, distraendola dall’ennesima rilettura che stava compiento della lista in cui aveva scritto ogni oggetto stipato nel baule fino a quel momento. Le era sembrata una buona tattica per ricordare di portarsi tutto, segnando man mano ciò che preparava per la partenza per rendersi meglio conto di ciò che mancava. Il problema è che la lista si stava rivelando indecentemente lunga.
« Lily? » disse la voce di Dominique oltre la porta. « Posso entrare? »
« Sì, vieni ».
La cugina si fece strada nella stanza, splendida come sempre. Indossava un impalpabile abitino a fiori e i capelli biondi, il cui taglio era stato ritoccato di fresco, apparivano puliti e lucenti. Dominique attraversò la camera, scavalcando i numerosi oggetti sparsi sul pavimento. Si accomadò sull’unico angolo di materasso che fosse ancora sgombro dai vestiti. La sciarpa di Serpeverde di Lily brillava in bella vista, sopra ad una pila di divise scure: Dominique la carezzò appena con la punta del suo sottile indice, pensosa. Lily si chiese se fosse dispiaciuta all’idea di non indossare più la sua, di sciarpa Serpeverde. Improvvisamente, le balenò davanti agli occhi l’immagine di una Dominique diversa da quella di adesso, di Dominique così come era stata a Hogwarts: altera e bellissima, arrogante e sicura di sé, sempre a testa alta. Era sempre stata il mito di Lily, circondata da decine di ochette adulanti, con Scorpius al fianco – e poi Jake. L’anno precedente, tuttavia, molto era cambiato: Dominique si era rivelata in tutte le sue debolezze, e dimostrata molto più fragile di quanto non potesse sembrare.
Siamo così diverse, in realtà.
« Come va, Lily? » le si rivolse la cugina.
« Male » si lamentò lei. « Devo finire i bagagli, ma dimenticherò sicuramente qualcosa ».
« Vuoi che ti dia una mano? » si offrì Dominique. « Non ho un granché da fare ».
Un anno fa non l’avrebbe mai fatto.
« No, grazie » le sorrise. « Posso fare anche da sola ».
Un anno fa, le avrei risposto acidamente.
Dominique sorrise a propria volta, osservandola infilare un paio di libri nel baule.
Vuole dirmi qualcosa, comprese improvvisamente Lily. Ecco perché sta qua.
« Domi, vuoi farmi la cortesia di dirmi il vero motivo per cui sei qui? » le chiese, imitando il suo tono imperioso.
L’altra piegò appena le labbra, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. « Sai » le disse. « Dovresti provare a parlare con Lizzy, non è affatto male in realtà. Ti somiglia un pochino, sai? »
Lily inarcò le sopracciglia, scettica. « E in cosa mi somiglierebbe? »
« Siete entrambe permalose, brillanti e convinte di avere sempre ragione » le rispose la cugina.
« Sarà » replicò lei. « Ma è comunque una ragazzina ».
Dominique sospirò. « E tu sei grande, Lily? » le domandò.
« Neanche tu » la rimbeccò Lily in fretta.
« Neanche io » convenne Dominique.
Restarono in silenzio per qualche istante, mentre Lily sistemava nel baule le camicie bianche della divisa, perfettamente stirate e impilare con ordine – Ancora per poco, pensò.
« Come sta andando alla Gringott? » chiese Lily alla cugina, poiché il silenzio non le piaceva. E poi si stava annoiando.
« Bene » Dominique sorrise. « Il lavoro è molto interessante, anche se per i primi mesi si tratterà principalmente di studio teorico... più che altro Aritmanzia e Trasfigurazione Avanzata ».
« Solo sei mesi? » fece Lily, stupita. « Pensavo bisognasse fare un percorso di studio più lungo, per diventare Spezzaincantesimi ».
« Secondo i Folletti si impara più sul campo » le spiegò l’altra.
« E Goldstein come l’ha presa? » domandò lei. « Con i suoi geni Corvonero repressi immagino che la cosa lo abbia messo in crisi ».
Dominique rise. « Solo un pochino. Ma credo sia contento anche lui, in realtà. Non l’ha fatta tanto lunga, sorprendentemente ».
« Siete buffi insieme » osservò Lily. « Carini, ma buffi ».
L’altra annuì, pensierosa, mentre lei infilava nel baule l’ultima pila di abiti rimasta – quella con la sciarpa verde-argento posata sopra.
« Ah » sospirò, allungandosi sul letto accanto alla cugina. « Finalmente ho finito! »
« Lily, cosa pensi di fare quest’anno? » le chiese Dominique d’improvviso.
La ragazza si risollevò immediatamente a sedere, scoccando all’altra un’occhiata penetrante. « In che senso? » le chiese.
« Nel senso... come pensi di comportarti ».
Lily ghignò. « Bene ».
Dominique inarcò le sopracciglia. « Seria, Lily ».
Lei alzò gli occhi al cielo: « Come vuoi che mi comporti, Domi? Andrò a letto presto, farò tutti i compiti, rispetterò le regole e penserò molto prima di fare le cose ».
Dominique ignorò la frecciatina. « Lily... » ma tacque.
La giovane Potter capì, e annuì. « Va bene, Domi. Va bene ».
« Non fare stronzate, okay? Cose di cui potresti pentirti o che potrebbero fare del male ad altre persone ».
« Che poi sarebbe la stessa cosa, no? »
Dominique la guardò fissa negli occhi, ma non disse nulla.
Per qualche motivo che non seppe comprendere, Lily si sentì improvvisamente in colpa. « D’accordo, Domi. Ho capito ».
L’altra sorrise e le strinse brevemente la spalla con una mano, prima di alzarsi con grazia dal letto e raggiungere la porta. Sulla soglia, si volse nuovamente verso di lei.
« Salutami Lumacorno, Lily » disse. « E buon anno scolastico ».
Una volta che la cugina fu scomparsa nella tromba delle scale, Lily ebbe come l’impressione che le avesse appena passato il testimone.
Niente stronzate, Lily.

*


Caro diario,
sono emozionatissima, lo ammetto. Cavoli, mancano poche ore. Poche, pochissime ore. Veramente. Po-chis-si-me. Poi potro svegliarmi e fare colazione e lavarmi e vestirmi sapendo che mi sto svegliando e lavando e vestendo per andare a HOGWARTS. Cavoli. Cavoli, cavoli e cavoli. Oggi sono così felice che Fred mi sembra quasi sopportabile... forse perché è talmente teso, lui, che qualche volta tace anche. Ho contato: oggi è riuscito a stare zitto per ben tredici minuti di fila. Sono stati tredici minuti di pace, anche se in realtà non me li sono goduti molto. Nei primi cinque minuti non mi sembrava vero... non riuscivo a crederci, forse, fatto sta che dicevo fra me e me: “Ecco, adesso parlerà. Adesso il rompiscatole parlerà”. Fino a dieci minuti non riuscivo a sperare, e temevo ogni momento che ricominciasse a parlare. Gli ultimi tre minuti me li sono goduti abbastanza, ma sono finiti troppo presto.
Credo che pure Lily sia contenta di tornare a scuola, anche se sono ore che corre dappertutto cercando le cose che ha sparso in tutta la Tana e che è convinta di dimenticare. Inizio a pensare che sia un po’ matta. Comunque, oggi le brillavano gli occhi ed è stata quasi gentile con me. Credo che mi abbia sorriso, più o meno (o forse è stata solo un’allucinazione, o forse stava sorridendo a qualcun altro dietro di me, non so). Però di Lily non mi importa proprio nulla, e sono ASSURDAMENTE contenta. Mai stata così contenta. Non per Lily, ovviamente (ripeto e ripeterò anche dopo, se serve). Sono contenta per Hogwarts. Hogwarts, Hogwarts, Hogwarts. Non vedo l’ora. Non vedo l’ora di saper fare magie, di essere la prima della classe, di far vedere a tutti quanto sarò brava.
Oh, Hogwarts. Manca poco... anche se credo che passeranno lente, queste ore, ogni secondo ticchetterà piano, lentamente, a fatica. Ma passeranno, sì, i secondi passeranno, e a un certo punto mi sveglierà e io potrò finalmente andare a Hogwarts. Dominique mi ha detto che è un castello VERO, con vicino un parco enorme, una foresta e i passaggi segreti. E che le scale si muovono. E i quadri parlano. E ci sono i fantasmi! I fantasmi, ci credi? Sembra assurdo (è assurdo) ma in realtà i fantasmi esistono davvero. E anche gli unicorni. E i draghi.
Adesso dovrei andare a dormire, in teoria. Il sonno dovrebbe far trascorrere tutto un poco più in fretta, ma sicuramente io non dormirò affatto. Per nulla. Ho paura che se mi addormento poi mi sveglio e scopro che è tutto un sogno e i fantasmi non esistono e devo andare in prima media. Non dormirò, però. E se dormirò e mi sveglierò e sarà tutto un sogno... non lo so che farò, davvero. Spero che non sarà così.
Ma questa è la realtà. I sogni non sono mai così dettagliati e vividi, no? E così complessi e coerenti. Sì, perché è tutto molto assurdo, ma in un certo senso anche coerente. E sembra strano, sembra tanto strano... ma ha un senso. Sento che ce l’ha.
Oh, mamma. Sono talmente contenta che vorrei saltellare. Ma sarebbe ridicolo, parecchio. Se penso a domani, se penso a Hogwarts... mi batte forte il cuore. Non ci credo. Adesso ci siamo, no? Manca così poco che sembra tantissimo. Non vedo l’ora di domani! Non vedo l’ora che queste ore passino! Spero di dormire, per farle passare più in fretta. Spero e spero. Ma non ci riuscirò, lo so.
Lizzy

Elizabeth davvero credeva che non avrebbe dormito affatto. Ne era più che convinta. Tuttavia, chiuso il suo diario e infilatolo nel baule, contrariamente a ogni pronostico si addormentò nel giro di pochi istanti.




Note dell’Autrice
Okay, ci ho messo decenni. Ma da adesso in poi, aggiornamento regolare ogni domenica. Avviserò in caso di ritardi o spostamento di giorni.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. E’ molto breve e un po’ di passaggio, anche se avete conosciuto ben due personaggi nuovi e scoperto un paio di cose.
Il significato del titolo credo sia chiaro: Domi ha “passato il testimone” a Lily, come per dirle di non fare i suoi stessi errori. Anche se Lily è molto, molto diversa da lei, sa di essere stata il suo mito e non vuole che la cuginetta soffra.
Vabbé.
Vi adoro, sapete?
Joie,
Daph.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - The Sorting Hat ***


Questo capitolo è dedicato ad Alessia, che mi ha involontariamente dato l’ispirazione.

A Silvia, ad Anna.


cap4

Capitolo 4

The Sorting Hat

Fin dalla più tenera età, Elizabeth Dursley era sempre stata un tipo poco mattiniero. Ogni giorno la sveglia suonava sempre un poco troppo presto, e lei impiegava parecchie decine di minuti e lamentele prima di riuscire a togliere le gambe dal materasso. Fino a pochi mesi prima, la madre Meghan si disperava per riuscire a buttarla giù dal letto, affinché non facesse tardi a scuola. Quel primo settembre, tuttavia, non appena la signora Weasley la ebbe scossa un poco per le spalle per farla destare, spalancò gli occhi come due fanali e balzò immediatamente giù dal letto. Era il gran giorno! La notte era trascorsa... non avrebbe più dovuto dire domani o dopodomani, perché il primo settembre era finalmente giunto, e di lì a poche ore sarebbe potuta partire per Hogwarts.
La donna, divertita, le rivolse un caldo sorriso: « Buongiorno, Lizzy! La colazione è pronta! »
« Grazie! » si ritrovò a esclamare la ragazzina con un gran sorriso, stupendo persino se stessa. Si sentì un poco in imbarazzo nel vedere l’espressione intenerita della signora Weasley, specialmente perché si era accorta perfettamente del lampo di stupore che aveva percorso il suo volto prima che Molly lo camuffasse prontamente. Si affrettò quindi a scendere in cucina, anche se – una volta seduta a tavola – non le riuscì di toccar cibo. Di fronte a lei, Lily le rivolse un sorrisetto stentato – Lizzy quasi si strozzò con la sua stessa saliva dalla sorpresa – e Albus le fece un cenno, i brillanti occhi verdi colmi di sonno. Prima che anche Lucy li raggiungesse al piano di sotto, una specie di furia dalla carnagione color caramello e i capelli scuri si precipitò in cucina. Era Fred... e come Elizabeth dovette constatare con sua enorme delusione, la tensione non lo rendeva di certo meno logorroico: mezz’ora dopo, non aveva cessato un momento di blaterare su qualunque argomento. Lei neanche lo ascoltava.
« … e non vedo l’ora di attraversare il lago in barca! Dicono che sia qualcosa di... di assurdamente assurdo, ecco, e poi c’è la piovra! La piovra gigante, capito, Lizzy? E lo Smistamento. Il Cappello Parlante. Io voglio finire in Grifondoro. Anche se non mi ci vorrà mandare glielo chiedo, anche se – »
« Freddie » lo interruppe Albus con voce assonnata. « Il cappello vorrà metterti in Grifondoro, fidati. Parli troppo ».
Il ragazzino corrugò le sopracciglia, perplesso. « Eh? » fece. « Ma io – »
« In Serpeverde ti metterebbero sotto Silencio entro cinque minuti » cinguettò Lily allegramente. « Mentre in Corvonero ti azzittirebbero di continuo. E terrorizzeresti i Tassorosso ».
Lucy scoppiò a ridere nella sua tazza di latte e cereali.
La signora Weasley guardò i nipoti scuotendo la testa, ma con dipinto sul volto un sorriso denso di amore. Si rivolse poi a Elizabeth: « Tu in che Casa pensi di finire, Lizzy? Te ne avranno parlato i tuoi cugini, no? »
La ragazzina deglutì, sentendo gli sguardi di tutti su di sé. « Beh » disse flebilmente, per poi costringere la propria voce ad assumere un tono più sicuro e proseguire. « Penso di essere adatta a Corvonero, o forse Serpeverde. Non Grifondoro, ecco ».
« No » convenne Fred. « Decisamente non Grifondoro » sentenziò.
« Freddie! » lo richiamò la signora Weasley, assestandogli uno scappellotto.
Tuttavia, Lizzy non fu infastidita dalle parole del coetaneo: chissà, forse l’entusiasmo per la giornata imminente la faceva sentire più bendisposta nei suoi confronti, o forse sapeva che lui aveva ragione e la cosa non le provocava nessun problema. Anzi. Il suo sguardo incrociò quello di Lily, che la stava studiando con aria vagamente pensosa.
Ma cosa vuole?
« Ti ci vedo in Serpeverde » le disse poi seccamente. « E io appartengo a quella casa, quindi vedi di prenderlo come un complimento ».
Eh?
D’accordo, il tono di Lily non aveva certo brillato di simpatia. Ma, rifletté Elizabeth, il rientro a scuola aveva un effetto positivo su di lei, se le aveva perlomeno parlato civilmente.
Non che mi importi qualcosa.
« Lizzy » le stava dicendo Fred. « I dormitori di Serpeverde sono sotto al lago! Me l’ha detto una volta Roxanne! »
« Anche lei era in quella cosa? » chiese la ragazzina, interessata – aveva parlato in passato, poiché sapeva che James, Molly, Roxanne e Dominique avevano concluso in giugno il settimo e ultimo anno a Hogwarts.
« Oh, no » fece Albus, sorridendo. « Lei era in Grifondoro... ma è una cosa che si sa, a Hogwarts ».
« E chi è in Serpeverde oltre a Lily? » domandò poi Elizabeth.
« Al momento, solo Rose » disse Lucy. « Prima anche Dominique ».
« E gli altri? »
« Molly, Victoire e Hugo in Corvonero » fece Albus.
« … e in Grifondoro James, Lucy, Roxanne, Albus e Louis » completò Lily contando sulle dita.
Lizzy aggrottò le sopracciglia. « Nessun Tassorosso? »
Albus scosse la testa, sorridendo alla cugina più piccola: « Non è scritto nei nostri geni, suppongo ».
Nel cortile, si udì il rombo di un’automobile.
« Oh, finalmente... » borbottò la signora Weasley, guardando l’orologio. « Credo sia arrivato lo zio Ron con la macchina, ragazzi. Prendete la vostra roba ».
Se Elizabeth si era chiesta come ci sarebbero mai potuti entrare in otto in un’automobile – nove, se si contava Terpsichore –, specie considerando lo spazio non indifferente occupato dai grossi bauli della scuola, quando lo zio Ron aprì la portiera ogni dubbio le si chiarì. Nel vedere l’interno del veicolo, non poté che sgranare gli occhi dalla meraviglia: la macchina doveva essere stata incantata, poiché adesso era dotata di un portabagagli sorprendentemente ampio, e il sedile posteriore pareva essersi allargato a sufficienza da consentire a tutti loro di stare comodi. Stupefatta, la ragazzina si allontanò dall’automobile di qualche passo, quasi a controllare che all’esterno fosse ancora l’utilitaria che aveva visto poco prima, e non fosse stata trasformata in un pulmino mentre lei era distratta. Rose e Hugo scesero dall’automobile per salutarli. Parevano entrambi di pessimo umore, con le sopracciglia corrucciate, e spiccavano in mezzo ai volti allegri dei cugini. Lizzy vide Albus e Lily scambiarsi uno sguardo perplesso, ma i due non dissero nulla.
Al momento della partenza, la signora Weasley strinse Elizabeth in un abbraccio affettuoso: « Buon anno scolastico, Lizzy » le augurò. « A Hogwarts starai benissimo, vedrai. E, beh... è stato bello averti qui ».
« Anche per me è stato bello, ecco... » la voce le morì in gola.
Ma Molly sorrise, rassicurante. « Lo so » le disse. « E ora va! »
Elizabeth salì a bordo, e seduta accanto al finestrino, salutò l’anziana donna con la mano mentre l’automobile si allontanava. Era certa che avesse capito.
Abbassò quindi la mano, guardando la campagna del Devonshire che filava rapida dall’altra parte del vetro, fra il chiacchiericcio allegro di Lily e Fred. Improvvisamente, la consapevolezza di dove si stessero dirigendo la travolse, costringendola a trattenere bruscamente il fiato. Lucy, seduta accanto a lei, le sorrise ma non disse niente.
Voltata verso il finestrino e attenta che nessuno la vedesse, Lizzy sorrise a propria volta, euforica.

*


Benché mancasse ancora una buona mezz’ora alla partenza, la locomotiva scarlatta dell’Espresso per Hogwarts già fischiava vigorosamente, emettendo densi getti di vapore fra la ressa di gente che si muoveva lungo il binario – e che andava aumentando, a mano a mano che qualcun’altro giungeva dalla King’s Cross Babbana attraverso l’apposito passaggio. I presenti, in gran parte adolescenti, indossavano lunghe vesti e spingevano pesanti carrelli carichi di bagagli. C’erano studenti che ridevano, studenti che caricavano i bauli sul treno, studenti che abbracciavano i genitori, studenti che correvano da una parte all’altra salutandosi a gran voce. L’aria era pervasa da un frastuono assordante: rumori di passi e voci che si sovrapponevano, acute strida di gufi e civette, tonfi di bauli che venivano spostati e i borbottii di dolore dei malcapitati cui cadevano sui piedi.
Rose Weasley si muoveva sicura nella folla, concentrata sui propri foschi pensieri. Ormai una settimana era trascorsa dall’incontro con Xenophilius, e per l’intera durata di quei sei giorni lei e Hugo si erano a malapena rivolti la parola. Il fratello era uscito dalla propria stanza solo per nutrirsi, con la scusa dello studio: ma Rose sapeva bene che, da bravo Corvonero, i compiti per le vacanze li aveva già finiti da un pezzo. Con ogni probabilità, il ragazzo aveva passato il tempo scrivendo forsennate lettere a tutte le biblioteche che conoscesse, e pensando furiosamente. D’altro canto, Rose aveva saputo impiegare quei tre giorni con attività quotidiane, almeno all’apparenza. Aveva terminato di scrivere due temi di Trasfigurazione e uno di Incantesimi, si era esercitata in Pozioni e aveva letto una cinquantina delle riviste di Quidditch del padre – e nessuna di esse le era parsa anche solo minimamente interessante. Nel frattempo aveva anche riflettuto sulla faccenda della Pietra, certo, ma non era giunta ad alcuna conclusione. E, a giudicare dall’umore di Hugo, anche il fratello minore doveva essere nelle stesse condizioni.
« Ehi, Rose! Rose Weasley! »
Riconobbe all’istante la voce che le si era appena rivolta. Sbuffò, accellerando il passo e ignorando il ragazzo che la stava chiamando.
« Rose! Rosie! »
Petulante. Petulante e fastidioso.
L’avrebbe comunque dovuto affrontare, prima o poi, perciò decise infine di fermarsi, alzando gli occhi al cielo mentre si voltava verso Bernard Boot. Il ragazzo l’aveva appena raggiunta, ansante dopo essersi fatto largo a gomitate per la ressa.
« Rosie! » la salutò allegramente, visibilmente trattenendosi per non gettarle le braccia al collo – o qualcosa di altrettanto appiccicoso. « Che bello, sei riuscita a sentirmi! Temevo che con la folla – »
« Boot » lo interruppe Rose bruscamente. « Stavo facendo finta di non sentirti, anche se mi sembra di aver capito che certe sottigliezze non fanno per te ».
Bernie deglutì, ma poi scosse la testa con decisione: « No, Rosie, ascolta... insomma, ci siamo scritti durante le vacanze, e poi – »
« No! » esclamò lei in tono esasperato. « Noi non ci siamo scritti, Boot. Sei tu che mi hai assillata per tutta l’estate! E io non volevo assolutamente che lo facessi ».
Lui sostenne il suo sguardo, tirando fuori un sorrisetto che gli diede un’aria improvvisamente molto Serpeverde: « Io dico che ti faceva piacere, Rose. Se davvero la cosa ti irritava, avresti trovato qualcosa di meglio che una fattura Perdi Via, non credi? »
La ragazza rise: « Certo, Boot. E sono segretamente innamorata di te ».
Fece per andarsene, ma Bernard la fermò: « Rose... »
« Per te sarò Weasley da ora in poi, rifiuto umano ».
« Sei molto dolce » osservò lui. « E delicata ».
« E tu un cretino. Un cretino estremamente petulante, oltretutto. Vattene, adesso, prima che io mantenga la mia parola. Ti ritroveresti un’Orcovolante nelle mutande ».
Il ragazzo emise una specie di risolino: « Come vuoi, Weasley. Ma non mi sfuggi ».
« Sai una cosa?! » gli gridò dietro Rose, mentre lui si voltava dall’altra parte e si dileguava nella folla. « Detto da te suona ridicolo! »
« Contro chi sbraiti, Rosie? » cinguettò la voce di Lily alle sue spalle.
« No » scosse la testa. « Nessuno ».

*


« Buon anno scolastico, Scorpius » fece Draco, guardando il figlio con serietà, ma con occhi carichi d’affetto. « Goditi questo settimo anno, d’accordo? »
Il ragazzo annuì, sorridendo alla pacca sulla spalla assestatagli dal padre. Astoria, dal canto suo, come ogni anno fu molto meno controllata del marito: strinse Scorpius in un abbraccio stritolante, con una forza insospettabile dalla sua esile figura.
« Buon anno scolastico, tesoro » gli disse, tenendolo stretto a sé. « Divertiti, studia, fai il bravo e... »
« Certo, mamma » Scorpius sorrise.
Lei lo guardò teneramente. « Ti voglio bene, amore ».
« Lo so » le diede un bacio sulla guancia. « Lo so ».
Draco posò ancora una volta lo sguardo sul ragazzo. « Sarà... sarà un bell’anno » sentenzio, con una curiosa espressione saputa dipinta sul volto. « Ne sono certo » aggiunse.
Scorpius ricambiò il suo sguardo, corrugando le sopracciglia: « Che cosa vuoi dire, papà? »
La locomotiva fischiò, richiamando chi si stava attardando sulla banchina.
« Vai » gli disse Draco. « Capirai tutto stasera ».
Il ragazzo comprese che non sarebbe riuscito a strappargli di bocca altre parole, perciò diede un ultimo bacio alla madre prima di avviarsi verso il treno. Giunso in prossimità di esso, salì a bordo, e prese ad armeggiare per caricare sul predellino il pesante baule. Mentre sbuffava per riuscire nel suo intento, un inaspettato aiuto gli giunse dal binario. Caricato il baule, si voltò per ringraziare, trovandosi a incrociare lo sguardo con quello di Jacob Greengrass.
L’amico gli sorrise: « Ben trovato, Scorpius » lo salutò.
Il giovane Malfoy, a propria volta, lo aiutò a tirare sul treno il suo bagaglio, e insieme si avviarono lungo lo stretto corridoio su cui si affacciavano le porte degli scompartimenti, trascinandosi dietro i loro bauli.
« Hai visto Lucy? » domandò Jake in tono noncurante, e nelle sue parole Scorpius ne lesse altre: C’era Dominique, con lei?
« No » rispose. « Non l’ho vista ».
Si erano scritti per tutta l’estate, ma la sua ex-ragazza gli mancava in un modo che mozzava il respiro. Non era stato facile abituarsi all’idea di non stare più assieme a lei, proprio per niente.
E ancora non ci ho fatto davvero l’abitudine.
Dopo due mesi ancora non riuscia a farsene una ragione. Le vicende che avevano portato alla loro rottura si erano susseguite in fretta e contro la sua volontà, senza che lui potesse avere il minimo controllo della situazione – e delle proprie azioni. Invece, nelle proprie decisioni di controllo Lucy ne aveva avuto fin troppo.
Gli mancava. Gli mancava il suo sorrise quieto, la sua voce lieve. Quei grandi occhi chiari, puntati nei propri, e quella mano piccola e morbida stretta nella sua. Le sue labbra delicate, i suoi modi discreti.
« Mi è sembrato di capire che ci riproverete » fece ancora Jacob. « O sbaglio? »
« Sì » annuì. « Ma senza correre ».
L’altro inarcò le sopracciglia: « Non mi risulta che in passato abbiate corso molto » ghignò. « Almeno sotto quel punto di vista ».
A Scorpius parve di cogliere uno sprazzo del vecchio Jake, il dongiovanni scriteriato dalla battuta pungente. Il Greengrass Pre-Dominique, come lo chiamava la piccola Lily Potter dandosi arie da gran donna. Quegli atteggiamenti da primadonna che la sorella di Al tavolta – molto spesso – assumeva potevano anche essere molto irritanti, ma Scorpius sapeva bene quanta ilarità suscitassero in Jacob.
Solo per questo non si è offeso a morte, quando l’ha sentita chiamarlo così...
« Scorpius? »
Al ragazzo non servì più di una frazione di secondo per riconoscere quella voce, sebbene l’estate l’avesse resa un poco più matura. Con il cuore che batteva a mille, si voltò verso chi gli si era rivolto. Scoprì che l’estate aveva fatto bene a Lucy Weasley sotto molti aspetti: appariva più adulta anche fisicamente. Pareva essere cresciuta du parecchi centimetri, il suo corpo di quindicenne era in boccio, le sue gambe e i suoi fianchi cominciavano davvero a somigliare a quella donna. Quei due mesi, tuttavia, non avevano rubato al suo viso la rotondità infantile che Scorpius ricordava, ed era sempre molto minuta.
Si è fatta crescere i capelli, pensò. Merlino, è... è bellissima.
Si chiese come avesse fatto a resistere per settimane e settimane senza mai posare lo sguardo su di lei.
« Lucy » le disse. « Io... »
Lei sorrise: « Dopo » mormorò. « Dopo ».
Gli diede un bacio sulla guancia, prima di allontanarsi. Scorpius si accorse che aveva cambiato profumo, ma sotto quell’effluvio di fiori sconosciuti, la vaga fragranza di cannella e di crema idratante emanata dalla sua pelle era rimasto immutata.
Seguì la sua schiena con lo sguardo mentre scompariva oltre la porta dello scompartimento, per poi voltarsi, incrociando lo sguardo vagamente divertito di Jacob.
Gli tornarono in mente le parole che gli aveva detto una volta Dominique scherzosamente, in un pomeriggio dell’anno precedente che pareva risalire a mille anni prima.
« La tieni su un piedistallo, Scorpius » gli aveva detto. « Sembra che tu abbia paura che si rompa in mille pezzi ».

*


« Come stai, Weasley? » gli si rivolse allegramente Anthony Menley.
Appena entrato nello scompartimento, Hugo deglutì prima di lasciarsi cadere sul sedile accanto a quello occupato dal compagno di casa. Tony era il fratello minore della cacciatrice Georgia Menley, capitano dei Corvonero, ed era anche uno dei battitori della squadra. Aveva un anno più di Hugo e grossi bicipiti, e già da qualche mese lui e il suo gruppo di studio parevano aver preso il giovane Weasley in simpatia. Il ragazzo sapeva bene che lo consideravano quasi una mascotte, il piccolo genio della Casa, ma che senz’altro apprezzavano la sua compagnia. Era tipico dei Corvonero: pur di ottenere un interessante scambio intellettuale, avrebbero venduto l’anima.
E i miei scambi intellettuali sono molto più interessanti dei loro, in fondo lo sanno perfettamente.
Tuttavia, dal momento in cui si era seduto accanto a Tony, la mente di Hugo aveva improvvisamente cessato di funzionare. Vuoto, vuoto totale... e avere tutto quel silenzio dentro la testa faceva un poco impressione.
Ma sapevo che sarebbe successo. Penso al momento in cui ci saremmo rivisti da tutta l’estate, e quando ci si carica di aspettativa c’è l’ottantacinque per cento delle probabilità di perdere il controllo sulla situazione.
Quando, l’anno precedente, si era improvvisamente accorto di essersi preso una clamorosa cotta per un ragazzo, aveva reagito con grande razionalità. Presa coscienza della questione, aveva analizzato la situazione in cui si trovava, per poi riflettere sulle diverse possibilità che aveva di fronte – fra le quali era compreso il fare finta di essere etero per il resto della sua vita, e ovviamente il correre da Tony e stampargli un bel bacio con lo schiocco davanti a tutta la Sala Comune. Cosa che, ovviamente, non avrebbe mai avuto il coraggio di fare. Infine, aveva concluso di limitarsi a stare in compagnia di Tony e dei suoi amici – d’altronde, erano sempre loro a cercarlo –, osservando nel frattempo il suo comportamento. Doveva prima di tutto capire se anche a lui piacevano i ragazzi... e, se così fosse stato, se fra i ragazzi che potenzialmente avrebbero potuto piacergli fosse compreso anche lui.
« Nella norma » rispose a Tony mentre si sedeva, in un tono che sperava fosse neutro. « E tu? »
« Bene » disse l’altro. « Relativamente ».
Hugo sorrise automaticamente. « Relativamente a cosa? » domandò.
L’altro lo squadrò per un istante, le sopracciglia lievemente inarcate e l’aria di chi la sa lunga. Negli occhi nocciola ardeva un bagliore divertito: Hugo deglutì ancora, tentando di intimare al suo stomaco di restar fermo dove si trovava, invece di continuare a saltare alla corda.
« Come hai passato l’estate, Hugo? » gli domandò Fiona Beckett in tono gentile, sorridendo amabilmente,
« Discretamente » replicò lui rivolgendo la propria attenzione alla ragazza – una delle studentesse migliori della scuola, anche se il giovane Weasley la riteneva terribilmente scialba. E poi faceva la gattamorta con Tony.
« E le tue ricerche di Aritmanzia Comparata? » chiese ancora Fiona.
Sollevato, Hugo si immerse nella conversazione, piacevolmente consapevole del fatto che le attenzioni dell’uditorio erano tutte concentrate su di lui. Si sentiva addosso lo sguardo di Tony, ma adesso era nel suo ruolo e molto più sicuro di sé.
Con un gorgoglio di autocompiacimento, si chiese cosa avrebbe detto il ragazzo poco più tardi, vedendo la spilla da Prefetto nuova fiammante scintillare sul suo petto.

*


Con un sonoro traballare, il treno si era messo in moto, correndo sulle sue rotaie. Lizzy poteva vedere la banchina della stazione scorrere rapida oltre il finestrino, la figura dello zio Ron farsi sempre più piccola fino a diventare un puntino e poi scomparire.
Una volta che si furon lasciati gli ultimi edifici di Londra alle spalle e che la campagna ebbe preso a filare davanti ai suoi occhi, la ragazzina si decise a percorrere la lunghezza del treno alla ricerca di uno scompartimento vuoto. Aveva perso di vista i cugini quasi subito, ma non le dispiaceva più di tanto. Non aveva la più pallida idea di dove i più grandi fossero andati a cacciarsi. Fred, invece, l’aveva invitata a unirsi a lui e Terpsichore, che avevano incontrato un loro coetaneo, figlio di amici di lunga data dei loro genitori – tale Darren Jude Jordan. DJ, come glielo aveva presentato Fred allegramente. Lizzy, tuttavia, aveva declinato cortesemente l’invito: persino sorridendo. Non aveva voglia di essere coinvolta in variopinte conversazioni: voleva essere sola per pensare, godendosi il momento e l’aspettativa. Non vedeva l’ora di arrivare a Hogwarts, ma il viaggio la incuriosiva. Le era sempre piaciuto vedere il mondo scorrere attraverso i finestrini.
Non le riuscì di trovare uno scompartimento vuoto fino all’ultimo in cui sbirciò, quasi alla coda del treno. Dentro c’era solo una ragazzina che doveva avere all’incirca la sua età, seduta accanto al finestrino e intenta a guardare fuori. Non vedendo alternative, Elizabeth aprì la porta scorrevole ed entrò nello scompartimento.
« È occupato? » chiese semplicemente.
La ragazzina si voltò verso di lei, ricambiando il suo sguardo con occhi chiari e arguti – aveva un’aria vagamente familiare. Scosse la testa. Lizzy andò a sedersi di fronte a lei, lanciandole un’occhiata: stava di nuovo guardando fuori dal finestrino. La imitò.
Fu l’altra a rompere il silenzio: « Io mi chiamo Lucrezia Goldstein » si presentò con voce chiara, tendendole la mano.
Stringendola, Lizzy decise che le piaceva. L’aveva guardata dritta negli occhi, senza sorridere. Era seria, ma i suoi occhi non parevano imperscrutabili come quelli di Rose, la quale sembrava fare di tutto per impedire che da essi trapelasse qualsiasi sentimento. Al contrario, negli occhi di Lucrezia si potevano leggere una miriade di cose. A Lizzy non riuscì di capire che impressione le avesse fatto, ma non le sembrava che l’altra stesse facendo qualcosa per nasconderglielo. Semplicemente, non si era ancora fatta un’opinione, e la scrutava con una vaga curiosità.
« Sono Elizabeth » disse. « Elizabeth Dursley ».
L’altra annuì, e improvvisamente Lizzy capì come mai le era parsa avere un’aria tanto familiare. Poco prima, non si era soffermata più di tanto sul suo nome. Lo fece adesso, ricordando improvvisamente che Goldstein era il cognome del ragazzo di Dominique: Lucrezia doveva essere sua parente, poiché nel suo viso si potevano ritrovare tracce di quello di Adrian. Gli occhi chiari erano gli stessi, la linea delle sopracciglia identica e anche la forma del naso. Emanavano perfino la stessa aura di una decorosa sobrietà che stemperava l’orgoglio. Lucrezia sembrava essere abbastanza alta per la sua età, e il suo corpo di undicenne iniziava già a somigliare a quello di un’adolescente. Con una punta di invidia, Lizzy notò quanto fosse graziosa.
La ragazzina si accorse del suo sguardo e posò nuovamente gli occhi su di lei. Lizzy pensò che dovesse essere una parente molto stretta di Adrian, poiché in quel momento gli somigliava davvero moltissimo, seduta composta, dipinto negli occhi lo stesso sguardo vagamente interrogativo che di tanto in tanto il ragazzo rivolgeva a Dominique. Le diede l’impressione di essere più grande dell’età che aveva non solo nell’aspetto.
Lucrezia fece una specie di mezzo sorriso, tirando verso l’alto un angolo della bocca.
« Sei... » iniziò, poi si schiarì la voce. « Sei emozionata? »
Lizzy le fu grata per aver preso l’iniziativa di dire qualcosa: altrimenti non sarebbe stata in grado di abbattere la naturale timidezza che la costringeva a tenere la bocca serrata.
Tuttavia, non le riuscì di rispondere, perciò si limitò ad annuire.
« Anche io » fece Lucrezia, senza guardarla. « Vieni da una famiglia di Babbani? » le domandò poi, con il chiaro intento di fare conversazione.
Lizzy scosse la testa, per poi annuire vigorosamente. « No. Cioè, sì... ma ho dei parenti maghi. L’ho scoperto da poco. Mi hanno... mi hanno accompagnata loro, ecco ».
È la frase più lunga che dico da...
« E tu? » domandò.
« Famiglia di maghi » mormorò Lucrezia, prima di tornare a fissare la campagna.
Elizabeth si chiese se avesse sbagliato qualcosa.
« Ehm » esitò. « Per caso sei imparentata con Adrian Golstein? »
Stupita, l’altra si voltò verso di lei. « È mio fratello » rispose. « Lo conosci? »
« Sì » Lizzy sorrise. « È il fidanzato di mia cugina. Cioè, non è che sia proprio mia cugina, ma – »
« Ho capito! » Lucrezia si batté una mano sulla fronte. « Dominique mi ha parlato di te ».
« Davvero? »
« Sì » annuì. « Mi ha detto che saremmo andate d’accordo ».
Inspiegabilmente, a Lizzy si scaldò il cuore, poiché le sembrava di aver trovato un’amica – e non le capitava quasi mai, a dire il vero.
« In che Casa pensi di finire? » le domandò Lucrezia.
Qualsiasi riserbo abbandonato, Elizabeth si lanciò di testa nella conversazione.

*


Jacob, Scorpius e Bernie avevano appena acquistato una robusta quantità di dolci dal carrello quando Albus e Lily fecero capolino dalla porta scorrevole del loro scompartimento. Non vedendo Rose, il giovane Greengrass fu sconcertato per un istante solo, ritenendo che con ogni probabilità la ragazza non si fosse accodata ai cugini per evitare Bernard. Il quale, poco prima, aveva decantato a gran voce le sue lodi, dando a intendere di averla tartassata di missive per l’intera estate. Decisamente: Boot non ci sapeva fare con le donne.
« Ehi, bella gente! » salutò Albus allegramente. « Mi siete mancati, sapete? »
Si lasciò sprofondare nel sedile opposto a quello di Jacob, fra Bernie e Scorpius, scompigliando i capelli a quest’ultimo, che si divincolò soffiando come un gatto – diventava straordinariamente irritabile quando qualcuno gli toccava i capelli, a dispetto del suo carattere placido. Ancora in piedi, Lily scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, sebbene stesse sorridendo, prima di sospirare con aria teatrale e accomodarsi graziosamente a mezzo metro di distanza da lui – proprio sul bordo del sedile.
Non è cambiata affatto.
Distolse lo sguardo dai suoi capelli rossi. « Allora, grande Al » si rivolse all’amico. « Com’è andata la tua estate? »
« Benissimo » rispose la sorella per lui. « Ha sedotto i tre quarti delle Babbane di Ottery St Catchpole. La sua è stata davvero una bella estate! »
« Lily, piantala ».
La ragazza ignorò il fratello. « E tu cosa hai fatto quest’estate, Jake? » gli domandò.
Jacob la guardò. Nulla da dire: la più giovane dei Potter aveva toccato un tasto dolente. Come aveva trascorso l’estate? Sotto un certo punto di vista, avrebbe potuto rispondere che era andata molto bene: di certo non si era fatto mancare vizi e gozzoviglie di sorta. Lui e Scorpius avevano trascorso assieme tutta l’estate, dopo essere stati entrambi piantati dalle ragazza che amavano. Solo che mentre l’amico si era rinchiuso in una sua tetra personalissima elaborazione della rottura, lui aveva cercato di sfogarsi... e il motivo era semplice. Lucy sarebbe tornata da Scorpius, prima o poi. Lo amava, e si erano lasciati solo perché la ragazza aveva bisogno di riflettere. Dominique, invece, era innamorata di un altro, e avrebbe continuato ad esserlo per sempre. Non c’era speranza, no. Nessuna. Si trattava solo di aspettare che il dolore andasse via, probabilmente, goccia a goccia fino ad esserne del tutto privo e ricordare solo le cose belle con un poco di nostalgia. Ma quelle dannate gocce non erano sempre facili, e qualche volta... aveva bisogno di cercare di non pensare.
Ma non funziona mai.
« Cose molto divertenti e stuzzicanti che è meglio tu non sappia » replicò aspramente.
Lily inarcò le sopracciglia. « E che non voglio sapere » convenne.
« E che non devi sapere » aggiunse Albus, lanciando un’occhiataccia a Jacob.
La sorella sbuffò: « Al, non dirmi quello che devo fare. Anche perché farei quello che mi pare comunque ».
Jake soffocò una risatina, e guardò Lily. La ragazza sorrideva leggermente, negli occhi scuri – grandi e, adesso, leggermente socchiusi – danzava una scintilla divertita. Aveva un volto sottile, Lily, un naso piccolo e grazioso, tratti fini ma non banali. E c’erano quei capelli, poi, quella massa di capelli rossi e mossi che le piovevano sulle spalle, e il collo da cigno – la pelle chiara visibile fra le ciocche ramate e ricciute. Somigliava ad Albus, in qualche modo, specialmente quando ghignava divertita e nelle sue iridi ardeva quel mobile bagliore.
Non avevo mai notato quanto si somigliassero.
La osservò ancora per qualche istante, mentre rideva, prima di distogliere lo sguardo.

*


« Non vorrei ritrovarmi a fare uso dei miei poteri di Prefetto così presto, Menley » sussurrava Hugo a mezza bocca, mentre sovrintendeva all’uscita degli studenti dal treno. Tony ridacchiò.
« Ma se non vedi l’ora! » ribatté.
« Io vorrei solo sapere come ti è venuto in mente! »
Anthony sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Era talmente carino, con quell’aria vagamente esasperata, che Hugo pensò seriamente di baciarlo, o tenerlo sulle spine ancora per molto, molto tempo. Non fece nessuna delle due cose.
« Te l’ho detto, Hugo, stav- »
« Siamo Corvonero. Dovremmo avere chiaro il rispetto delle regole ».
Forse era quella spilla da Prefetto che brillava sul davanti della sua divisa a dargli quella sicurezza che, parlando con Tony, non aveva mai avuto. Oltretutto, si trovavano in una situazione in cui era Hugo stesso a tenere il coltello dalla parte del manico... non avrebbe punito il ragazzo, certo, ma sapeva che avrebbe potuto farlo, se mai avesse voluto.
E poi mi ha chiamato per nome. Non l’ha mai fatto prima.
« Dai! Stava facendo apprezzamenti su Georgia! »
« Anthony » – trattenne il fiato per un istante, dopo averlo chiamato per nome a propria volta. « Tutti fanno apprezzamenti su tua sorella ».
Tony parve improvvisamente minaccioso. « Tutti chi?! »
Mio cugino Albus.
Si avvide che l’altro stava stringendo i pugni.
Dio, mi sconvolge quanto delle persone normodotate possano diventare dei perfetti imbecilli quando si tratta di gelosia fraterna. Insomma, io che avrei dovuto fare con Rosie? Rinchiuderla in una torre?
« Nessuno, Anthony » – assaporò il suo nome nuovamente. « Ad ogni modo, non puoi andare in giro gettando Orcovolanti al primo che passa... »
« Io non getto Orcovolanti al primo che – »
« Shh » lo azzittì, sentendosi sorprendentemente audace. « Lo so. Però hai violato le regole ».
« Non potresti semplicemente chiudere un occhio? » sorrise dolcemente.
Questo è barare.
Attese un istante, prima di rispondere teatralmente: « Non ti coprirò di nuovo » lo avvertì.
Il sorriso di Tony divenne ancora più largo: « Grazie, Hugo » gli strinse l’avambraccio. « Sei un amico ».
« Adesso devo andare » balbettò Hugo. « Temo che qualche ragazzino del primo anno abbia sbagliato strada… »
Si allontanò da Anthony, scomparendo nella folla di studenti, apparentemente alle calcagna di qualche nuovo iscritto talmente preso dall’emozione da non notare la consistente figura del guardiacaccia Rubeus Hagrid che a gran voce chiamava a raccolta gli allievi del primo anno.
Una volta che ebbe messo abbastanza distanza fra lui e l’altro ragazzo, si fermò e si volse in direzione di Tony. Lo vide allontanarsi assieme a Fiona e al resto della combriccola.
Sei un amico. Sei un amico. Sei un amico.

*


L’attraversamento del lago in barca non era piaciuto a Lizzy, neanche un po’ – sebbene la vista del castello fosse splendida, arroccato in cima alla sua roccia, le finestre illuminate simili a mille occhi. Se riusciva a capacitarsene... non aveva ancora realizzato di essere davvero lì, davvero a Hogwarts. Le sembrava tutto stranamente irreale, e il lago buio oltre il bordo della barchetta a remi di certo non contribuiva a rendere l’atmosfera meno onirica.
A malapena udì le parole dette da un uomo che si presentò come il professor Paciock, tanto era presa a sgranare gli occhi su qualunque cosa potesse posare lo sguardo – come in quei sogni in cui si cerca di guardare ogni cosa con attenzione per non dimenticarsene.
La porta della Sala Grande – così l’aveva chiamata l’insegnante – si aprì con un lungo scricchiolio, ed Elizabeth e Lucrezia entrarono, in mezzo alla fila di nuovi allievi, quasi tutti pallidi in volto e alcuni persino impauriti. L’ambiente che si aprì ai suoi occhi era semplicemente immenso. Se possibile, Lizzy spalancò gli occhi ancor di più a quella vista: si trattava di una stanza dalla forma rettangolare e dalle dimensioni di una cattedrale, il soffitto era molto alto e trapunto di stelle. Esattamente come il cielo di fuori, limpido e scuro. Passarono in mezzo a quattro lunghi tavoli occupati dagli studenti, tutti nelle loro divise nere, e si fermarono ai piedi di essi, dove su di una piattaforma rialzata era posto un tavolo identico agli altri e a loro perpendicolare, dove sedevano quelli che dovevano essere gli insegnanti. Il professor Paciock fece allineare i bambini di fronte al tavolo delle autorità, e davanti ai loro occhi posò con fermezza a terra lo sgabello a tre gambe che aveva portato con sé, e vi depositò sopra delicatamente un vecchio cappello rattoppato.
Perplessa, Lizzy lo scrutò per qualche istante. Stava per chiedere a Lucrezia se ne sapesse qualcosa, quando una piega della stoffa si mosse. La ragazzina trattenne il respiro, mentre il Cappello Parlante intonava improvvisamente un canto vivace.
« Non diffidate del mio misero aspetto,
Perché, sappiate, al mio cospetto
Mille anni di storia son presto passati
E stuoli di maghi con cura smistati.
Se in studio e intelletto voi avete ragione
Se libri e scoperte son la vostra passione
Se tosto apprendete con curiosità mordace
Vi accoglierà Corvonero dalla mente vivace.
E se invece il vostro cuore è rosso ed oro
Del rampante grifone sarete decoro:
Il fier Grifondoro dal grande ardimento
Con audacia e valore farete contento.
Non per forza malvagi, o miei nuovi amici,
Se assieme a Serpeverde sarete felici:
Se avete astuzia, fermezza e ambizione
In mezzo alle Serpi troverete audizione.
Con Tassorosso troverete ristoro
Se avete dalla vostra semplicità e decoro:
Fedele amicizia, sana uguaglianza,
Calma, impegno e molta costanza.
Quindi apprestatevi, non abbiate timore:
Sceglierò per voi solo il luogo migliore.
Calzatemi in testa e presto vedrete
Se ben distribuiti poi non sarete! »
Tutto chiaro, pensò Lizzy. Dobbiamo metterci il Cappello. E poi... poi lui decide in che Casa metterci. Chiarissimo.
Doveva essere un sogno.
« Acklerey, Alan! »
Un ragazzino dai capelli chiari emerse dal gruppo di nuovi arrivati per andare a sedersi sullo sgabello, tutto rosso in faccia. Il professor Paciock gli calcò il Cappello in testa.
Dopo pochi istanti, la piega nella stoffa si mosse ancora: « Tassorosso! » ne uscì.
Alan si tolse il Cappello dalla testa e corse verso il tavolo dei Tassorosso, che lo accolserò con un applauso fragoroso.
« Bangle, Sarah! »
Fu la volta di una bambina magra come Lizzy, e quasi altrettanto bassa.
« Corvonero! »
« Buckley, Marcel! »
« Serpeverde! »
Fu uno dei tavoli estremi ad applaudire, questa volta.
« Cattermole, Julie! »
« Corvonero! »
« Corner, Laurence! »
« Grifondoro! »
Presso ill tavolo dalla parte opposta a quello dei Serpeverde si levò un boato.
No, Grifondoro non fa per
« Dursley, Elizabeth! »
Quando si fu seduta sullo sgabello, accadde una cosa stranissima. Nel suo orecchio, difatti, risuonò una voce – ebbe la netta impressione di essere l’unica a udirla, in tutta la sala.
« Dursley, Dursley... non ho visto nessun Dursley prima d’ora ».
I miei genitori non sono maghi, pensò.
« Hai qualcosa di familiare, però... ma non importa. Qui vedo molto... sei brillante, certo. E testarda. La tua testa potrebbe essere tranquillamente Corvonero, ma... no, non va.
E allora cosa va bene?
« Serpeverde! » gridò il Cappello a tutta la sala.
Lizzy se lo sfilò, e le gambe corsero da sole verso la tavolata della sua nuova Casa. Gli applausi fragorosi le colmarono le orecchie, e capì... capì che non era un sogno, e finalmente era a Hogwarts: si sentiva esattamente nel posto giusto.
Incrociò lo sguardo di Lucrezia, ancora in fila assieme agli altri. Lei le fece l’occhiolino.
E ho anche un’amica.

Continua...

 

 


 


Note dell’Autrice
Beh, il banchetto ce lo teniamo per il prossimo capitolo, e anche il discorso post banchetto.
Dunque. Chiaramente la scena delle presentazioni fra Lucrezia e Lizzy è ripresa da quella fra Harry e Ron in Harry Potter e la Pietra Filosofale. Ma ve ne eravate accorti tutti, immagino.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Grazie a quanti di voi hanno letto, seguito, ricordato, preferito o recensito. Grazie di cuore.
Joie,
Daph.


PS: Vi piace la mia versione della filastrocca del Cappello?

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Et nova sunt ***




Capitolo 5

Et nova sunt

In modo uguale fuggono i tempi ed in ugual modo se ne seguono altri; e sono sempre nuovi.

Ovidio


L’intera faccenda stava diventando irritante: Jacob davvero non sapeva cosa gli fosse preso. Probabilmente la colpa non era sua e Lily Potter neanche lo faceva apposta, ma da mezz’ora a quella parte la ragazza si stava servendo generosamente di tutte le pietanze che più piacevano a lui. Le mangiava con gusto palese, fra una risata e l’altra. Come se non bastasse, non aveva cessato di parlare neanche per un istante, rendendo a chiunque estremamente difficile distogliere l’attenzione dalla sua persona.

« Insomma » andava ciarlando. « Quest’anno ci sono i G.U.F.O., non voglio neanche pensare all’enorme carico di stress che... »

Amarillide Stubbins e Swanilda Simpson, che sedevano di fronte a Lily, si bevevano ogni sua parola. Jake rimpianse la presenza di Albus, che perlomeno al banchetto di inizio anno doveva presenziare al tavolo giusto – quello di Grifondoro, dall’altra parte della sala. Per non essere costretta a sorbirsi quelle ochette delle sue compagne di dormitorio da sola, Lily si era accodata a lui, Scorpius e Bernie – probabilmente, la sua scelta non era ricaduta su Rose solo perché loro tre erano troppo ben educati per affatturare delle ragazze.

Il risultato, tuttavia, giocava a loro sfavore: dovevano sorbirsi Amarillide Stubbins, Swanilda Simpson e Lily Potter. Jacob sospirò pesantemente, colto dalla netta impressione che fosse l’unico a trovarla irritante, quella sera. Il punto era che di solito la piccola Potter gli era simpatica, molto... ma pareva decisissima a comportarsi in maniera insopportabile, quella sera – o meglio, in una maniera che Jake trovava insopportabile

Cercherà di attirare l’attenzione di Amarillide e Swanilda, pensò.

Lily sembrava avere un rapporto strano, con quelle due, simile a quello che Dominique aveva con lo stuolo di fanciulle svenevoli che la seguivano ovunque andasse. Come... come se la irritassero, ma se fosse al contempo lusingata da tutte quelle attenzioni.

La cosa che in quel momento gli dava più fastidio era che sapeva bene quanto Lily fosse piacevole, in realtà. Era brillante e divertente, convinta di aver sempre ragione e sorprendentemente sicura di sé. Una compagnia gradita, dopotutto, nonostante le sue magagne infantili e le battute pungenti che di tanto in tanto espletava. Non che a Jacob disturbassero, le battutine, anzi: lo divertivano più che mai. Specialmente perché Lily, in realtà, prendeva tutto estremamente sul serio.

Ma cosa mi importa, dopotutto?

Forse si era sbagliato. Forse non era quella la cosa che in quel momento gli dava più fastidio di tutte, no. Era il modo in cui Lily mangiava ad avere qualcosa che non andava, probabilmente. Sì, doveva essere quello: sembrava che non si curasse molto di mangiare educatamente, poiché rigirava di continuo la forchetta nel piatto alla ricerca del boccone di spezzatino che più le era congeniale, per poi masticare con cura, esibendo una smorfia soddisfatta.

Si sforzò di capire cosa davvero non andasse in quelle maniere, dato che in fondo non erano poi così poco eleganti da scandalizzarlo – ben poco c’era al mondo in grado di scandalizzare Jake Greegrass, diceva sempre Al. Ma qualcosa che non andava doveva esserci, giacché il suo sguardo tornava di continuo a posarsi su Lily.

Accidenti, ma perché non la pianta di dire cose talmente stupide e inutili?

« Greegrass, la pianti di fissarmi? »

Jacob deglutì, sorpreso. Amarillide e Swanilda sgranarono gli occhi, assetate di pettegolezzi.

« Non ti sto fissando, mostriciattolo » replicò lui, ricordando quanto si fosse adirata da bambina, quando lui e Scorpius le avevano affibbiato quel nomignolo.

Come previsto, Lily parve stizzita e aggrottò le sopracciglia: « Non chiamarmi mostriciattolo » lo rimbeccò. « Che cosa vuoi? »

Jacob la fissò. « Tu cosa ne pensi? » replicò, vagamente divertito.

Lily scoppiò a ridere: « Oh, Jake! Sei tornato te stesso, eh? »

« Che cosa stai – »

« Le tue battute iniziano a tornare decenti » gli spiegò lei. « Credo sia un buon segno ».

« Ha ragione » convenne Scorpius con un gran sorriso, intromettendosi nella conversazione. « L’ho notato anche prima. Stai tornando te stesso ».

« Ed è una cosa positiva? »

Lily inarcò le sopracciglia in un gesto eloquente: « Direi proprio di sì » sentenziò, categorica.

Jacob sorrise, scuotendo la testa, mentre Scorpius tornava a dedicarsi con molto entusiasmo al proprio arrosto in salsa di mele. Nel frattempo, Amarillide e Swanilda avevano preso a chiacchierare allegramente fra di loro. Lily non parve tuttavia dispiaciuta di essere stata messa da parte: semmai sollevata.

« Greengrass » gli si rivolse a voce bassa.

Jacob notò come lo chiamasse per cognome all’inizio di ogni scambio, in una palese imitazione del tono sprezzante di Dominique, per poi dimenticarsene mano a mano che la conversazione andava avanti. Finiva sempre per chiamarlo Jake e ridere alle sue battute.

« Dimmi, mostriciattolo ».

Si divertiva davvero moltissimo a smentire le sue arie altezzose prendendola fraternamente in giro. In tali occasioni, Lily contraeva tutto il volto e metteva su un broncio da bambina capricciosa. L’immagine era così buffa da suscitare in Jacob parecchia ilarità – spesso Dominique lo sgridava dolcemente, dicendogli di prendere meno in giro la sua cuginetta.

Tuttavia, in quell’occasione Lily non parve offendersi. L’unico segnale di un eventuale fastidio che provava fu il modo in cui, scocciata, levò gli occhi al cielo.

« Sono contenta, sai? » disse poi. « Sono contenta che tu sia tornato te stesso ».

Jacob inarcò le sopracciglia, perplesso. « Eh? »

« Ammetto che quell’aria fosca e tormentata ti donava molto, ma negli ultimi tempi era diventata noiosa ».

Lui trattenne una risata: « Che c’è, il Bello e Tenebroso è passato di moda? »

« Oh, no » Lily sorrise. « Quello non passa mai di moda. Mi mancava la tua ironia ».

Jacob aprì la bocca per parlare, ma fu interrotto dal sonoro tintinnio del cucchiaino con il quale la professoressa Sinistra picchiettava il proprio calice. Immediatamente, i piatti e le stoviglie dorati – colmi dei resti del sontuoso banchetto – tornarono immacolati e lustri: tutti gli studenti volsero lo sguardo verso il tavolo delle autorità, dietro al quale la preside si era levata in piedi, in procinto di pronunciare il solito discorso per inaugurare il nuovo anno scolastico.

« Innanzitutto » esordì la Sinistra con il solito tono sbrigativo. « Desidero augurare a tutti voi, vecchi e nuovi allievi, un buon anno scolastico. Inoltre intendo ricordare a ciascuno di voi quanto l’impegno, la determinazione e la costanza nello studio siano fondamentali per poter diventare dei maghi e delle streghe degni delle vostre possibilità. Il signor Gazza chiede di rammentarvi che è vietato l’accesso alla Foresta Proibita, le scorribande notturne fuori dai dormitori ed un’infinità di altre cose di cui potete venire a conoscenza leggendo la lista che il nostro custode ha appeso alla porta del suo studio ».

Jacob si scambiò uno sguardo con Scorpius, per poi sorridere in risposta al ghigno che Albus gli aveva rivolto dal tavolo di Grifondoro: perfino Lily, ridacchiando, gli lanciò un’occhiata di intesa. La preside si schiarì la voce.

« Concluse queste formalità, ho un annuncio importante da fare a tutti voi ».

Accanto a lui, Scorpius levò la testa di scatto, improvvisamente attento, rammentando immediatamente le ultime parole che aveva udito dal padre quella stessa mattina.

Sarà un bell’anno, ne sono certo... Capirai tutto stasera.

« Sono ormai passati molti anni dalla fine della Seconda Guerra Magica, e la situazione nel nostro mondo si è ormai da tempo ristabilita. Ma nonostante la comunità magica del nostro paese abbia ritrovato il proprio equilibrio, i nostri rapporti con le comunità estere hanno faticato a riallacciarsi, e sono tutt’ora deboli. Oltretutto, la crisi economica che avanza nel mondo Babbano minaccia di colpire anche noi. Per porre rimedio alla questione, l’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale del Ministero della Magia ha deciso di rivolgersi ad Hogwarts, con l’intento di organizzare nella nostra scuola un evento noto ad i maghi di tutto il mondo: il Torneo Tremaghi ».

Alle parole della Sinistra seguì qualche istante di silenzio: le menti dei giovani impiegarono alcuni secondi per assimilare la notizia, poi da un punto imprecisato della sala si levò la sonora risata di qualcuno, cui si aggiunsero le risa di molti altri studenti. Jacob, tuttavia, non appena realizzò di non aver capito male, non rise: sapeva che la preside non era tipo da scherzi. Si limitò ad osservarla con espressione perplessa, incredulo. A poco a poco, poiché l’espressione della professoressa Sinistra era rimasta impassibile, le risate si spensero una ad una. Nella Sala scese nuovamente il silenzio, il quale durò solo per pochi momenti: alla mancanza di rumori si sostituì rapidamente un brusio sonoro, sopra al quale si levò potente la voce di Chris McGregory, Grifondoro del settimo anno.

« Non ci posso credere! »

Sui volti perplessi di tutti gli studenti si poteva leggere incredulità, e una sorta di venata eccitazione che pian piano si faceva strada negli animi di tutti non appena prendevano coscienza che era tutto vero: quell’anno sarebbe stato veramente tenuto il Torneo Tremaghi ad Hogwarts, veramente qualcuno avrebbe potuto partecipare, veramente qualcuno avrebbe vinto. Scorpius si chiese come avesse fatto ad essere così stupido: adesso ogni cosa gli appariva talmente ovvia… Avrebbe dovuto capirlo subito.

Accantonò tali pensieri, adoperandosi ad ascoltare le parole della professoressa Sinistra.

« Visti i trascorsi di tale Torneo, credo sia inutile comunicare che verrà ripetuta la prassi della scorsa sfida, secondo la quale avranno la possibilità di candidarsi come campioni solamente studenti maggiorenni. Sconsiglio vivamente a coloro che non hanno ancora compiuto diciassette anni di tentare la candidatura. Poiché ritengo che la normale attività scolastica non debba essere sconvolta dallo svolgersi del Torneo, le lezioni e le attività delle squadre di Quidditch proseguiranno come al solito. Gli studenti ed i presidi dell’Accademia di Beux-Batons e dell’Istituto Durmstrang giungeranno alla fine di ottobre, così come il capo dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale… »

« Lo zio Percy! » bisbigliò Lily, rivolgendosi a Scorpius. Al tavolo di Grifondoro, Lucy Weasley pareva essersi afflosciata sulla panca.

« … e il direttore dell’Ufficio dei Giochi e degli Sport Magici. In sede verrete informati di alcuni eventi tradizionali del Torneo che si svolgeranno durante l’anno. Detto ciò, credo che sia ora di andare tutti nei propri dormitori. Gli studenti del primo anno sono pregati di seguire i prefetti, che li accompagneranno nelle rispettive sale comuni. Gli orari delle lezioni verranno consegnati domattina a ciascuno dal direttore della propria Casa ».

 

 

*

 

« Primo anno, da questa parte ».

Elizabeth e Lucrezia seguirono le indicazioni del prefetto, una ragazza dai folti capelli scuri che li condusse nuovamente nella sala d’ingresso, e poi oltre un passaggio laterale. Scesero molti gradini: alla ragazzina parve che la temperatura fosse calata di diversi gradi. Giunsero infine in quelli che dovevano essere i sotterranei: il buio era umido e fitto, spezzato a tratti dalla vivida luce arancione delle torcie infisse alle pareti. Era un luogo piuttosto lugubre, pensò con un brivido, ma le piaceva. Lanciò uno sguardo a Lucrezia: gli occhi dell’amica – le faceva uno strano effetto, pronunciare questa parola – scintillavano di entusiasmo. Le rivolse un gran sorriso.

Lizzy spiò le reazioni degli altri studenti. C’era un ragazzino che tremava come una foglia, ma per il resto apparivano tutti piuttosto tranquilli. Lei pensò che, probabilmente, di giorno i sotterranei dovevano avere un aspetto meno spaventoso.

Il prefetto si arrestò in mezzo a un corridoio. Elizabeth inarcò le sopracciglia, perplessa, poiché non le sembrava che quel luogo avesse nulla di particolare. La ragazza più grande, tuttavia, non pareva pensarla allo stesso modo, poiché si mise di fronte alla parete spoglia.

« Draco dormiens! » pronunciò con voce forte e chiara.

Lizzy sgranò gli occhi, stupefatta, quando vida il muro spostarsi letteralmente di fronte ai suoi occhi.

« Questa è la parola d’ordine » disse la ragazza. « Farete bene a non dimenticarla. Cambia ogni mese ».

Detto questo, li guidò oltre il passaggio. Elizabeth pensò che non avrebbe dovuto stupirsi così tanto, dopo aver visto l’ingresso di Diagon Alley.

Nella Sala Comune di Serpeverde aleggiava una vaga luminescenza verdastra, quasi spettrale, e la massa oscura e turbinosa che premeva sulle spesse finestre a ogiva fece capire a Lizzy che si trovavano proprio sotto al lago che poche ore prima – le pareva una vita! – aveva attraversato in barca assieme alle altre matricole.

Poteva vedere divanetti di pelle scura, ovunque c’erano effigi di serpenti argentati e gli spessi tappeti erano tutti color verde smeraldo. Nel caminetto, decorato di orpelli spiraliformi, ardevano fiamme verdi.

« Bene » disse il prefetto. « La porta a destra conduce ai dormitori femminili. Quella a sinistra ai dormitori maschili. Le lezioni cominceranno alle nove. Buonanotte ».

A quelle parole stringate, seguì qualche istante di silenzio, poi Lucrezia prese Lizzy per mano e si mosse verso la porta a destra. Dopo che la piccola Goldstein ebbe preso l’iniziativa, le altre bambine le seguirono nella direzione indicata dal prefetto, mentre i bambini si dirigevano verso i dormitori maschili.

Raggiunsero una porta con sopra una targhetta, la quale recitava Studentesse del primo anno. Senza esitare, entrarono. Il loro dormitorio era una stanza rettangolare, e sui lati lunghi erano disposti sei letti a baldacchino, tre per parte. Le cortine erano dello stesso verde smeraldo che brillava in ogni angolo delle zone dedicate ai Serpeverde. I loro bauli erano già stati depositati ai piedi dei letti.

Le altre ragazze si affrettarono a scegliersi un letto. Lizzy e Lucrezia si scambiarono uno sguardo, per poi raggiungere i due letti più lontani dalla porta dello stesso lato. Elizabeth era contenta di avere solo Lucrezia alla propria destra e nessuno alla propria sinistra: l’idea di condividere una stanza con altre persone così a lungo la metteva un po’ in imbarazzo. Lucrezia, dal canto suo, appariva perfettamente a proprio agio. Posò la propria bacchetta magica sul comodino, per poi dirigersi verso la ragazza che avrebbe dormito alla sua destra per i successivi sette anni.

« Piacere » disse con sicurezza, tendendole la mano. « Mi chiamo Lucrezia Goldstein ».

L’altra ragazzina – che aveva capelli mossi e neri come l’inchiostro - la studiò con aria diffidente, ma Lucrezia sostenne il suo sguardo con fermezza, a testa alta, un vago sorriso che le aleggiava sulle labbra. Parve superare l’esame, poiché l’altra le strinse la mano.

« Adelaide Nott » si presentò.

Colta da un qualche strano istinto, e probabilmente incoraggiata dal successo di Lucrezia, anche Lizzy si fece avanti.

« Elizabeth » disse in tono neutro. « Elizabeth Dursley ».

Adelaide strinse anche la sua mano, ma non cessò di guardarla con diffidenza.

« Io sono Bernice Hessler ».

La bambina che si era presentata era già in pigiama, e sopra di esso indossava una graziosa vestaglia allacciata con ordine. Aveva capelli biondi e folti, una lucida matassa color del grano che le pioveva sulle spalle. Elizabeth, Lizzy e Adelaide le strinsero la mano.

Le altre due ragazzine si presentarono come Harriet Davis e Candida Flint. La prima aveva il naso voltato all’insù e i capelli castani, la seconda era bionda e pallida, talmente esile che un soffio di vento pareva in grado di portarla via. Accanto a lei, Lizzy si sentì alta e forte.

Indossarono il pigiama senza parlare, per poi infilarsi ciascuna nel proprio letto. Elizabeth si addormentò all’istante.

 

 

*

 

La Sala Grande era pervasa da un allegro chiacchiericcio e dal tintinnio leggero delle posate e dei calici: i lunghi tavoli straripavano di cibo. Dalle alte finestre si faceva strada la tiepida luce della mattina settembrina, ripresa magicamente nel soffitto fatato, sul quale si poteva osservare il cielo azzurro dove si muovevano, placide, lievi nubi bianche mosse dal vento.

Albus Potter, intento a fare colazione, guardava in su, riflettendo sull’approfittare delle ultime giornate di bel tempo per fare i provini per la squadra di Quidditch, della quale era capitano. Poiché suo fratello James e Adrian Goldstein avevano concluso il settimo anno in giugno, aveva bisogno di un nuovo cacciatore e un nuovo battitore.

E abbiamo bisogno di giocatori seri, no? Potrei essere impegnato con il Tremaghi...

Deglutì, mentre la sua mente accarezzava l’idea. Già si vedeva sollevare la Coppa Tremaghi al cielo, sotto lo sguardo adorante di Georgia Menley... Sarebbe stato esaltante vincere nello stesso anno il Torneo, la Coppa delle Case e la coppa del Quidditch.

D’un tratto, si udì un grido acuto, e dalle alte finestre fecero improvvisamente irruzione nella Sala Grande frotte di gufi, che descrivevano grandi cerchi sui tavoli finché, individuato il proprio padrone, non calavano su di lui per consegnare lettere o pacchetti. Il cuore di Albus ebbe un sussulto quando riconobbe Ignotus, il suo allocco color castagna, planare verso di lui.

Potrebbe essere Louis!

Tuttavia, quando Ignotus tese la zampa, Albus riconobbe sulla busta la calligrafia del padre:

 

 

Godric’s Hollow, 1th settembre

Caro Al,

 

Probabilmente riceverai questa lettera durante la colazione, perciò nel momento in cui la leggerai avrai già ascoltato il discorso di inizio anno e saprai tutto del Torneo Tremaghi. Proprio riguardo al Torneo, vorrei chiederti una cosa. Non prenderla come una sgridata, un’imposizione o che so io, per piacere. Prendila piuttosto come un favore che mi fai. Questo favore che ti chiedo è questo: non candidarti come campione di Hogwarts, Al.

Senza dubbio ti darà rabbia leggere tali parole, ti chiederai perché mai io debba impedirti di affrontare una sfida che di certo qualcosa dentro di te ti ordina di tentare. Voglio che tu capisca che non ti chiedo questo perché il Torneo è pericoloso, sebbene lo sia, e molto.

Se tu fossi qui, di certo mi rimbeccheresti dicendo che quando io ho affrontato il Tremaghi avevo tre anni in meno di quanti ne abbia tu adesso. Non vale come scusa, Al, e di certo l’avevi già capito da solo. In passato, sono riuscito ad affrontare questo torneo solamente grazie al consistente aiuto di zio Ron, di zia Hermione e di tante altre persone. Non è meno importante il fatto che io sia venuto a conoscenza in anticipo della natura della prima prova. Mi è addirittura stato suggerito come superarla. Per quanto riguarda la seconda prova, una soffiata mi ha spinto alla comprensione di ciò in cui consisteva e mi è stato di nuovo dato un suggerimento per affrontarla. La terza prova… tutti sanno come è finita la terza prova, e non ho voglia di ripeterlo ancora, visto che anche tu lo sai perfettamente.

In questo momento starai sbuffando, starai pensando infastidito che tutto questo te l’ho detto milioni di volte, che lo sai perfettamente, che conosci il rischio che corri e via dicendo. Tuttavia, Albus, non si tratta di questo. Vedi, questo Torneo mi mette inquietudine, e per un motivo molto semplice. Io ci sono stato tirato dentro senza volerlo da un pazzo omicida per ordine di un altro pazzo omicida, quindi penso che comprenderai se ti dico che, per quanto mi riguarda, non ci presagisco nulla di buono.

Ti chiedo di non partecipare come lo chiederei a Lily se avesse l’età o a James se ancora fosse a Hogwarts. Te lo chiedo perché, se tu partecipassi, ciò mi provocherebbe un’incredibile angoscia. Mi darebbe dolore saperti costretto ad una sfida per la quale io ho tanto sofferto.

Ti auguro un buon primo giorno di scuola ed un buon anno scolastico, Al. Per favore, fa come ti ho chiesto.

Con affetto,

Papà.

P.S.: La mamma ti saluta e ti manda un bacio.

 

Da limpido e allegro che era, l’umore di Albus parve incrinarsi e si fece decisamente cupo. Sbatté la lettera sul tavolo, irritato. Un violento moto di stizza faceva ribollire il suo sangue Grifondoro: che senso aveva da parte di Harry impedirgli di mettere il proprio nome nel Calice? Per quale logica non sarebbe dovuto diventare un campione? Da una parte poteva comprendere la natura delle motivazioni del padre, dall’altra gli sembravano del tutto insensate.

Non è giusto.

« Brutte notizie, capitano? » domandò una voce familiare.

Albus si voltò, incrociando lo sguardo chiaro e fermo di Quinn Baston, che lo osservava dall’alto con un sorriso vagamente sprezzante sulle labbra. L’unico cambiamento che l’estate aveva sortito su di lei era un poco di abbronzatura, che rendeva dorate le sue gote. I capelli erano castani e ricci, esattamente come Al ricordava, e il naso all’insù era rimasto lo stesso.

« Quinn » le sorrise. « Come stai? »

Senza attendere un suo invito, Quinn si sedette al suo fianco, afferrando una caraffa di succo di zucca.

« Decentemente » replicò lei seccamente. « Ho messo su qualche altro schema di gioco durante l’estate. Senza Goldstein e tuo fratello quest’anno rischiamo che i Corvonero ci prendano a calci in culo ».

Albus trattenne una risata. Se Quinn aveva un lato positivo, era il modo in cui riusciva a metterlo di buon umore, con i suoi modi schietti e spesso scostanti, il linguaggio scurrile e l’implacabile competitività se si trattava di Quidditch. Era formidabile come battitrice, davvero una fuoriclasse, e Al sapeva di doversi fidare delle sue strategie di gioco: funzionavano sempre. Loro due avevano sempre funzionato bene, sul campo di Quidditch. Neanche la considerava una ragazza.

« Certo, Quinn » le rispose. « Li vediamo stasera in Sala Comune? »

« Sì! » gli sorrise. « Io... »

Ma le sue parole morirono prima di arrivare alle orecchie di Albus, poiché al ragazzo non era sfuggita la persona che aveva appena fatto il proprio ingresso in Sala Grande. Georgia Menley aveva labbra carnose dall’aria soffice, capelli scuri e lucidi e un corpo perfettamente sinuoso. Era capitano della squadra di Quidditch di Corvonero, e per tutta l’estate aveva risposto alle sue lettere in modo distaccato ma vagamente malizioso.

Merlino...

« Scusa, Quinn » si alzò. « Devo andare! »

Albus si allontanò di fretta, e non la poté vedere aggrottare le sopracciglia, sola a fissare il suo bicchiere pieno di succo di zucca.

 

 

*

 

« Malfoy? »

« Mmh? »

« Piantala di fissare il tavolo di Grifondoro con quella faccia da ebete. È controproducente ».

Scorpius levò lo sguardo su Rose Weasley, che seduta di fronte a lui era intenta a cospargere di marmellata di fragole un toast imburrato.

« Non stavo fissando il tavolo di Grifondoro » obiettò. « E neanche avevo una faccia da ebete ».

« Sì, come no » Rose cominciò a mangiare il proprio toast, scrollando le spalle.

Attento che non se ne accorgesse, il ragazzo si azzardò a gettare al tavolo di Grifondoro un’altra occhiata furtiva, alla ricerca della testa castana di Lucy. Non riuscendo a vederla, tornò a guardare dritto di fronte a sé, incontrando due occhi scuri e imperscrutabili e un paio di fulve sopracciglia inarcate.

« Senti... » cominciò, ma Rose lo interruppe.

« Malfoy, io lo dico per te » disse. « Sei una persona quasi gradevole, e ti assicuro che continuare a lanciarvi occhiate languide e disperate da cani bastonati non aiuterà né te ne Lucy. Sembra che ti sia morto il gatto, non che sei sul punto di rimetterti con la tua ex-ragazza ».

Era una delle frasi più lunghe che la compagna di casa gli avesse mai rivolto, sebbene tutte quelle metafore con gli animali lo lasciassero un poco perplesso. L’aveva anche definito una persona quasi gradevole.

E, detto da Rose Weasley, corrisponde più o meno a un “Ti voglio bene”.

Lo stava guardando con aria vagamente esasperata. Come sempre, i suoi occhi non rivelavano nulla, ma la sua bocca era piegata in una specie di smorfia.

Scorpius sospirò, sentendosi decisamente abbattuto. « E cosa dovrei fare secondo te? » le chiese, speranzoso di ottenere un consiglio.

Rose lo fissò: « Non chiederlo a me » replicò, neutra. « Ciao ciao, Malfoy. Vado a prendere il mio orario » sollevò la borsa a tracolla dalla panca, e si allontanò con la solita andatura pigra, ancheggiando leggermente.

Il giovane Malfoy tornò a fissare il proprio piatto, sempre più sconfortato. Si era svegliato con l’idea di vedere subito Lucy, parlarle e baciarla di nuovo – e finalmente, ma la ragazza non si era ancora fatta vedere in Sala Grande.

E dire che di solito è un tipo mattiniero.

« ‘Giorno ».

Jacob si lasciò cadere sulla panca accanto a lui. A giudicare dalla sua espressione e dal modo brusco in cui l’aveva salutato, l’amico doveva essere di pessimo umore. Lo seguiva Bernie, che aveva l’aria insonnolita e il segno del cuscino sulla guancia.

« B-Buongiorno, Scorpius » disse con uno sbadiglio, per poi sorridere allegramente nonostante gli si chiudessero le palpebre. Si versò un’enorme tazza di cioccolata calda.

Jake storse il naso, mentre beveva del caffè nero. Bernie azzardò un tentativo di far conversazione, presto scoraggiato dagli ostinati silenzi degli altri due.

« Hai visto Rose? » tentò infine, rivolto a Scorpius.

« Sì » rispose lui. « È andata via poco prima che arrivaste voi ».

« Oh! » gli occhi di Bernard brillarono. « Che lezioni segue? »

Scorpius e Jake si scambiarono uno sguardo.

« Boot » sentenziò quest’ultimo in tono tetro, lanciandogli uno sguardo fosco. « Credo che tu debba seriamente rivedere le tue strategie di conquista ».

« Chi la dura la vince! » replicò Bernie in tono allegro, riemergendo dalla propria tazza con due baffi di cioccolata proprio sopra il labbro superiore.

Jacob alzò gli occhi al cielo, borbottando qualcosa che somigliava moltissimo a un « Ridicolo! »

L’attenzione di Scorpius fu poi catturata dalla figura delle due ragazze che stavano entrando in Sala Grande in quel momento. La più slanciata delle due aveva un’invidiabile chioma rossa e folta, mentre l’altra portava i capelli castani raccolti in una coda e aveva un aspetto più dimesso e discreto.

Lucy.

« Cosa aspetti? » borbottò Jacob. « Vai! »

E Scorpius andò.

 

 

*

 

Lizzy scoprì presto che Hogwarts aveva più di cento scalinate.

« Centoquarantadue! » aveva precisato Bernice in dormitorio, con aria saputa. « Me l’ha detto mio fratello. Lui frequenta il quinto anno ».

Davvero, Elizabeth non sapeva come mai avere un fratello maggiore fosse motivo di vanto. Fu tentata di dirle di essere nipote del salvatore del Mondo Magico – così aveva sentito chiamare lo zio Harry in giro – ma qualcosa lo distolse dal farlo.

Le centoquarantadue scalinate di Hogwarts differivano molto fra di loro in genere e forma: alcune erano pericolanti e anguste; altre comode e maestose; alcune avevano un gradino che scompariva; altre funzionavano a giorni alterni. Come se non bastasse, orientarsi era reso più difficile dal fatto che nessun oggetto pareva desideroso di restare al proprio posto: i personaggi ritratti negli innumerevoli quadri balzavano di continuo da una cornice all’altra, a Lizzy pareva di aver visto in un corridoio del terzo piano il busto di un vecchio mago che – ne era sicura – il giorno prima non c’era.

A complicare la situazione, i fantasmi fluttuavano di continuo da una parte all’altra del castello, movimentando la scena, e non passava giorno senza che Pix il Poltergeist rendesse una delle matricole vittima di un qualche scherzo. Come se non bastasse, il custode Argus Gazza girava di continuo assieme alla sua gatta spelacchiata, minacciando con uno scopettone qualunque studente stesse abbastanza vicino a lui da consentirglielo. Lizzy aveva sentito dire da un allievo del terzo anno che era sempre stato un po’ tocco, e per giunta la vecchiaia non gli faceva di certo bene. Gazza si aggirava arcigno per la scuola, pattugliando i corridoi e sbirciando in ogni angolo con i suoi occhi infossati.

La prima lezione dell’anno fu Pozioni. Lizzy e Lucrezia, come c’era da aspettarsi nonostante i cattivi pronostici, giunsero nel sotterraneo giusto senza difficoltà e in perfetto orario. Una volta giunte lì, scoprirono che avrebbero seguito la lezione assieme al gruppo di Grifondoro. Lucrezia li riconobbe dalla cravatta rosso-oro che indossavano e dallo stemma sul davanti della loro divisa, mentre Lizzy aveva visto Fred, Terpsichore e Darren.

« Ehi, Lizzy! » la salutò il cugino a gran voce. « Come va? Ti piace Hogwarts? Io credo che sia una figata! Ho ragione, no? »

Frastornata da quelle domande, Elizabeth rispose in tono brusco: « Ciao. Bene, tu? ».

Con la coda dell’occhio, vide distintamente quel Darren Jude alzare gli occhi al cielo.

« Tutto bene! » proseguì Fred, imperterrito. « Stare qui è grandioso! Mi piace da morire, e – »

« Okay » lo interruppe Lizzy, scocciata. « Ho capito ».

Fred parve un poco deluso: « Uffa, ma un minimo di entusiasmo mai, tu? »

« A te cambia forse qualcosa se io sono entusiasta o meno? »

Il ragazzino aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse, ferito. Lizzy guardò da un’altra parte.

Fred risolse di parlare ancora: « Ma perché sei sempre così antipatica con me? » le chiese, in tono molto meno gentile.

Vedendo l’amica in difficoltà, Lucrezia si intromise: « Credo che Elizabeth non abbia molta voglia di parlare con te, al momento » disse gelidamente.

« Che cosa vuoi, tu? » la rimbeccò lui, palesemente irritato.

« Sei sordo, per caso? » rincarò Lucrezia.

« Ehi! » si intromise una ragazzina dai lunghi capelli castani, con occhi scuri e scintillanti. « Noi non vi abbiamo fatto niente, siete davvero maleducate! »

« E tu chi sei per dirlo? » si intromise un’altra voce, che non apparteneva né a Lizzy né a Lucrezia.

Erano arrivati gli altri Serpeverde. Bernice aveva immediatamente fatto comunella con Harriet e Candida, mentre Adelaide stava in disparte con aria imbronciata. Gli unici tre maschi del loro anno – Marcel Buckley era l’unico di cui Lizzy ricordasse il nome – le seguivano.

« Winifred Quigley » si presentò la Grifondoro con sicurezza.

« Bene » l’altra sorrise. « Io sono Bernice Hessler. E non ti permettere più di dare delle maleducate a due mie compagne di dormitorio, d’accordo? »

Dal gruppo dei Grifondoro si levò una risatina.

« Cosa vuoi, Bastien? » borbottò Marcel.

Bernice si voltò, scoccando al compagno di casa un’occhiata interrogativa: « Vi conoscete? » domandò.

Quello che doveva essere Bastien emerse dal gruppo. Era un ragazzino slanciato, alto per la loro età, con gli occhi chiari e i lineamenti cesellati. Sorrise a Bernice con apparente sicurezza.

« Siamo cugini » disse.

« E anche noi » fece Fred, guardando Lizzy con quello stesso sguardo ferito che le aveva rivolto prima.

Lei non sapeva bene cosa fare, poiché le dispiaceva per lui, ma non sapeva come fare per rimediare.

« Voi Serpeverde » bofonchiò quella Winifred.

« Noi Serpeverde cosa esattamente? » domandò improvvisamente Candida, con la sua voce delicata, simile al pigolio di un uccellino. Si era fatta avanti a testa alta, ma appariva comunque minuscola.

Lizzy la guardò in volto: sorrideva dolcemente.

« Voi – » cominciò Winifred, ma fu interrotta dalla porta dell’aula che si apriva.

« Salve, studenti del primo anno! » li salutò l’insegnante, un uomo immensamente grasso con un paio di enormi baffi candidi. « Entrate, entrate ».

La lezione di Pozioni fu molto interessante, anche se Bernice e Candida continuavano a lanciarsi occhiatacce con i Grifondoro. Lucrezia li ignorava, e Lizzy si sentiva un po’ in colpa. Il professor Lumacorno – così si chiamava – fece preparare loro un semplice antidoto per curare i foruncoli. Alla fine della lezione, lodò a lungo Elizabeth per la qualità del suo decotto, che a suo dire era ottima.

« Brava » le disse. « Brava! Sei la nipote di Harry Potter, vero? Forse sono le doti di pozionista di Lily Evans a scorrere nelle tue vene! »

Lizzy, che non aveva idea di chi fosse Lily Evans, si sentì mancare un battito. Udendo quelle parole, Bernice sgranò gli occhi, mentre Lucrezia le strinse la mano con calore.

Il resto della giornata scorse con tranquillità, anche perché non dovettero condividere altre lezioni con i Grifondoro. Trascorsero due ore alle serre con i Corvonero, per studiare Erbologia. L’insegnante di Erbologia era il professor Paciock, un uomo dai modi cordiali e l’aspetto bonario, che sapeva esporre ogni argomento con grande chiarezza. Elizabeth trovò la lezione molto, interessante, sebbene i battibecchi di Bernice con Adelaide, proprio dietro a dove lei e Lucrezia erano sedute, deviassero continuamente la sua attenzione.

« Non serve fare tutta questa scena » aveva osservato Adelaide aspramente, vedendo il modo in cui Bernice storceva il naso all’idea di dover toccare la terra.

« Dovresti cambiare taglio di capelli » era stata la replica tagliente di Bernice. « La riga in mezzo non va più di moda da un pezzo ».

A Lizzy era parsa un’osservazione piuttosto sciocca. Lucrezia era sembrata disgustata da tanta leggerezza.

La risposta di Adelaide, tuttavia, era stata una risata sprezzante.

Sempre con i Corvonero avevano seguito la lezione di Trasfigurazione. Lorna Cattermole – insegnante della suddetta materia e zia di una studentessa del primo anno – era parsa essere una strega molto attenta e capace, gentile ma inflessibile.

Al momento di andare a dormire, Adelaide e Bernice si scontrarono di nuovo.

« Comunque » si rivolse a quest’ultima la giovane Nott. « Oggi con quei Grifondoro avete proprio esagerato ».

« Che fai, prendi le loro difese? » ribatté svelta Bernice.

« Li hai attaccati senza motivo » disse Adelaide. « Era una faccenda fra loro, Lucrezia ed Elizabeth. Non so proprio perché ti sei dovuta intromettere ».

« Nott » le si rivolse Bernice, con l’aria di chi sta palesando l’ovvio. « Sono Grifondoro! » disse, come se questo chiarisse tutto.

L’altra inarcò le sopracciglia: « Sei ancora attaccata ai vecchi pregiudizi? » le chiese. « Questo sì che è passato di moda ».

« Quali pregiudizi? » domandò Elizabeth a Lucrezia.

La ragazzina la guardò gravemente: « Sai... l’antica rivalità fra i Serpeverde e i Grifondoro, ad esempio ».

« Ma scusa » osservò lei. « Io ho dei parenti Serpeverde e dei parenti Grifondoro. E quelli Grifondoro sono amici di quelli Serpeverde senza problemi ».

« Infatti sono tutte stupidaggini » convenne Lucrezia. « Come quelle sui figli di Babbani ».

« Io sono figlia di Babbani » fece Lizzy a voce alta, senza riflettere.

Bernice la guardò, inarcando le sopracciglia, mentre Adelaide le rivolse ciò di più simile a un sorriso che le riuscisse. Elizabeth ebbe la netta impressione di essersi appena fatta una nuova nemica e una nuova alleata.

 

 

Note dell’Autrice

Ormai è un ritornello costante: sì, anche in questo capitolo dovevano entrarci molte ma molte più cose, ma se le mettevo tutte esplodeva. Letteralmente.

Posto in anticipo perché la febbre è stata mia alleata. Una febbre ispiratrice, per fortuna.

Bastien, per chi non l’avesse capito, è il fantomatico cuginetto di Grace. Tutti questi nuovi OC mi entusiasmano, e non vedo l’ora di finire STP per iniziare la nuova long in cui parlerò delle loro beghe sentimentali da sedici-diciassettenni.

Con molta calma, certo.

Per chi volesse vedere i prestavolto che ho scelto per tutti i personaggi, non vi resta che cercare su Facebook la mia pagina (Daphne Kerouac) e mettere mi piace. Eventualmente, aggiungermi come amica qui.

Grazie a tutti voi <3

Daph

 












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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Domande, risposte e ancora domande ***




Capitolo 6

Domande, risposte e ancora domande


My scarecrow dreams

When they smashed my heart into smithereens

I’ll be a bright red rose combusting the concrete

Be the cartoon heart.

Coldplay


Era frustrante. La situazione con Lucy stava diventando frustrante, e l’umore di Scorpius andava peggiorando in proporzione. Ormai una settimana era trascorsa dal rientro a Hogwarts, e ancora non era riuscito a scambiare con Lucy parole che non fossero “Ciao, come stai?” e “Molto bene, grazie, tu?”. Ormai era venuto il venerdì pomeriggio, miracolosamente libero dalle lezioni, e avevano deciso di trascorrerlo a poltrire in Sala Comune, rimandando il già oneroso carico di compiti al giorno successivo – Scorpius si sforzò di non pensare a come diamine avrebbe fatto a incastrare lo studio e i provini di Quidditch, che si sarebbero con ogni probabilità protratti per tutta la giornata. Poiché Benjamin Aubrey aveva ormai lasciato Hogwarts, con sua immensa sorpresa era stato lui stesso nominato capitano. Il problema era che la maggior parte della squadra con cui aveva giocato per anni aveva concluso gli studi l’anno precedente, quindi si trovava con una formazione da ricostruire, dato che erano rimasti in tre – lui, Bernie che giocava da Battitore e il portiere Herman Hessler.

Si era ritrovato a invidiare Albus. L’amico capitanava Grifondoro, e a lui i provini erano stati assegnati il sabato successivo. Questo stava a significare una settimana in meno per allenarsi, ma Al aveva abbastanza carisma da essere un capitano formidabile, perciò la cosa non sembrava turbarlo più di tanto. La prospettiva delle selezioni, invece, a Scorpius pareva sconfortante.

Già mi ci vedo, pensava. Entro cinque minuti andrò in esaurimento nervoso.

In quel momento, tuttavia, le sue preoccupazioni erano di diverso carattere.

« Sembra che Lucy mi eviti » si lagnava con gli amici stravaccato sul tappeto della Sala Comune di Serpeverde. « Davvero, non so cosa le prende! »

Jacob alzò gli occhi al cielo, ma Albus rispose con un sorriso sardonico, studiandosi attentamente le unghie della mano destra – Bernie, impegnato a fissare la spilla da Prefetto sul davanti del proprio maglione, borbottò qualcosa in proposito a quanto Potter stesse diventando insopportabilmente vanesio.

« Ma dai, Scorpius » rispose il Narciso, stiracchiandosi sulla poltrona come un gatto pigro. « Non lo capisci? È tutta strategia ».

Jake inarcò le sopracciglia, Bernard parve interessato.

Il giovane Malfoy lo guardò storto. « Spiegati » lo incitò.

Albus sospirò, prima di parlare con il tono di chi sta dicendo qualcosa di assolutamente ovvio. « Donne » disse. « Adottano la psicologia inversa. Ti respingono quando invece vorrebbero averti per sé ».

Le sopracciglia di Jacob minacciavano di scomparire nell’attaccatura dei capelli scuri. Gli occhi di Bernie si accesero di entusiasmo.

« Quindi... » disse il giovane Boot con gli occhi sgranati, quasi non riuscisse a credere alle proprie orecchie. « Quindi... ecco. Le donne ti respingono quando vorrebbero averti per te, Rosie mi respinge... Rose vorrebbe avermi per sé. Giusto? »

Nessuno gli rispose.

« Giusto? » ripeté, un poco scocciato.

Albus emise quello stesso sorriso sardonico di prima. « Non so se considerare mia cugina una donna nella norma, ma in teoria sì ».

« Da quando in qua hai sviluppato questa teoria? » si informò Jacob in tono sospettoso.

Scorpius borbottò qualcosa che somigliava molto a “Georgia Menley”.

« Da quando ho capito che l’ostracismo di Georgia è solo una tattica » rispose Albus allegramente. « Lei mi vuole, capisci? E adesso mi sta testando. Mi mette alla prova per capire fino a quale punto io voglio lei ».

« E temo che sia un punto molto alto » mormorò Jacob, facendo ridacchiare Scorpius e guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Bernard. Il quale, da quando si professava innamorato cotto di Rose Weasley, era diventato il paladino dell’amor perduto, ambito e ritrovato.

« Lo vedo da come mi guarda » aggiunse Albus, un luccichio folle negli occhi. « Scotta, capite? »

« È andato » sospirò Scorpius, indicando l’amico con un cenno del mento. « Definitivamente ».

« No » replicò Jacob di rimando. « È solo il gusto della caccia, dammi retta. Appena l’avrà conquistata tornerà alla normalità ».

« Il problema » fece il giovane Malfoy. « È quando riuscirà a conquistarla. Per adesso sembra piuttosto reticente, e per Al sta diventando... »

« Un’ossessione » intervenne Bernie.

Jacob gli scoccò un’occhiata strana. « Per una volta sono d’accordo con te, Bootie ».

« Non mi chiamare Bootie! » si infervorò l’altro.

Scorpius rise.

« Finalmente avete smesso di parlare di me » fece Albus. « Vi ho debitamente ignorati ».

« Al, sei tu che riesci misteriosamente a infilare qualche parte del corpo di Georgia Menley in ogni discorso » lo rimbeccò Jacob.

Il giovane Potter gli fece la linguaccia.

« Tornando al discorso di prima » disse Scorpius. « Sei sicuro che la tua teoria valga anche per Lucy? »

« Mi dispiace fare la parte del lupo cattivo che distrugge in un soffio il castello di carte » rispose Jacob a bassa voce. « Ma non credo ».

Scorpius parve sprofondare di altri dieci centimetri fra i cuscini del divano.

« Perché dici così? » la sua voce giunse soffocata.

« Perché me l’hai chiesto, forse? » ribatté Jake sarcastico.

« Intendo » Scorpius riemerse. « Come motivi la tua opinione? »

Jacob sospirò. « Amico, sicuramente conosci la tua ex-ragazza meglio di me. E Lucy Weasley non mi è mai sembrata il tipo che mette su simili teatrini ».

Albus a questo punto dovette convenire, lanciando al giovane Malfoy un’occhiata un po’ colpevole.

« Il lupo cattivo ha ragione, Principe Azzurro » disse. « Credo che tu debba darti una mossa, se vuoi riconquistare la tua Cenerentola ».

« Che cosa accidenti è Cenerempola? » domandò Bernie, decisamente perplesso.

« Cosa posso fare? » si lagnò invece Scorpius, ignorando entrambi. « Ho provato a – »

« Senti » lo interruppe Jacob, scocciato. « Smettila di piangerti addosso, okay? Lo fai sempre. Ti sei pianto addosso per mesi quando Grace è partita¹. Insisti. Se vuoi sapere la mia opinione, è solo imbarazzata ».

« Ma la vedo cambiata! » protestò. « E non poco! È come se avesse un’aria più... più... consapevole? Ecco, sì. Sembra più sicura di se ».

« È cresciuta, Scorpius » intervenne Albus. « Quest’estate, è cresciuta. È normale. Hai visto Lily! »

Gli sguardi di tutti e quattro si posarono su Lily, seduta con Amarillide Stubbins e Swanilda Simpson accanto al caminetto. La fiamma verde che vi ardeva gettava riflessi strani sui suoi capelli rossi, donando alla sua pelle chiara un pallore vagamente spettrale. Sembrava un poco annoiata, ma parve fingere una risata in risposta a qualcosa che Amarillide aveva detto. Sollevò poi le braccia per raccogliere in un elastico la folta massa di riccioli, lasciando scoperto il suo collo sottile.

« Lily non è cambiata affatto » brontolò Jacob, distogliendo lo sguardo.

« Oh, fidati » ribatté il giovane Potter. « È cambiata eccome, solo che ancora non lo sa ».

Greengrass mormorò qualcosa di simile a “Assurdo!”, ma Al lo ignorò.

« Scorpius » riprese. « Da quel che mi hai detto, avevate detto che avreste ricominciato a uscire assieme una volta ripresa la scuola ».

« L’avevamo accennato, sì » Scorpius annuì. « Ma non è che ci fossimo proprio messi d’accordo, ecco. Era più sul “Sì, a settembre riproviamoci” ».

« E cosa cambia? » fece Jacob.

« Abbiamo detto di fare le cose con calma. Ma non pensavo volesse dire “Riconquistami da zero” ».

Bernard improvvisamente ridacchiò.

« Cosa c’è di tanto divertente? » fece Scorpius.

« Nulla » replicò lui. « È che ci troviamo tutti nella stessa barca. Io con Rosie, Al con la Menley e tu con Lucy ».

« Io non esisto? » si informò Jacob in tono scherzosamente offeso.

« Tu troverai qualcuno » rispose Bernie francamente. « Non puoi vivere nelle ombre di Dominique per sempre, no? »

Cadde il silenzio. Nessuno di loro aveva osato toccare l’argomento Dominique tanto apertamente, prima di quel momento, memori com’erano dello stato di devasto più totale in cui era sprofondato quando aveva scoperto di lei e Goldstein. Scorpius si era quasi stupito che non avesse cominciato una disintegrazione sistematica dei mobili, come la stessa Dominique aveva fatto due anni prima dopo la partenza di Grace.

Ma perché oggi pensiamo tutti al passato?

Allora, Scorpius aveva dovuto assistere impotente alla furia distruttrice che la sua a quel tempo fidanzata aveva scatenato, una volta resasi conto che la propria migliore amica era partita senza dirle niente e che forse non sarebbe tornata. Il giovane Malfoy era riuscito a salvare solo qualche fotografia di Grace, poiché Dominique aveva bruciato furibonda tutte quelle in cui la ragazza compariva. In tutta quella faccenda, Scorpius si era sentito parecchio in colpa. Specialmente perché neanche due giorni prima aveva tradito Dominique con la causa stessa della sua ira. Ma era roba vecchia.

Passata. Perdonata.

Sembrava quasi un’altra vita. Come se fosse stata un’altra persona a compiere quelle azioni, un’altra persona ad amare Grace e tradire Domi.

Il presente era Lucy, solo Lucy.

Dominique era stata con Jacob, e adesso stava con Adrian Goldstein. Ed era felice. Jacob lo sapeva, e sebbene se ne fosse fatto una ragione – Scorpius lo sapeva – aveva ancora brandelli di rabbia e lacrime attaccati addosso, sebbene dall’esterno potesse parere imperturbabile.

L’unica reazione del giovane Greengrass alle parole di Bernard fu l’impercettibile contrazione della sua mascella, e il tono rigido con cui parlò.

« Non ho voglia di trovare qualcuno » disse. « Ma grazie... dell’interessamento ».

Albus lanciò a Boot un’occhiataccia, Scorpius sospirò. Dovevano lasciare che Jake si cuocesse nel proprio brodo: gli sarebbe passata da sé.

Anche se quando è di cattivo umore condiziona tutti.

« Ricapitolando » intervenne Albus per placare le acque. « Domani tu » – indicò Scorpius – « Andrai dalla tua Cenerentola, e vivrete per sempre felici e contenti » disse, in un’imitazione perfetta del tono sognante usato da Bernard per riferirsi a Rose.

« Ehi! » si indignò quest’ultimo, arrossendo.

La scena strappò un sorriso persino a Jacob.

« E poi dovete ancora spiegarmi chi è Cenerempola » aggiunse Bernie, borbottando.

« Cenerentola, Boot » lo corresse Al. « Una splendida, dolce fanciulla di una fiaba Babbana ».

Jacob inarcò le sopracciglia. Albus rise.

Il giovane Potter pareva estremamente a proprio agio nella Sala Comune di Serpeverde, nonostante la cravatta a bande dorate e scarlatte che portava un po’ allentata, con il primo bottone della camicia aperto. Qualche metro più in là, quella piccola, scontrosa ragazzina del primo anno che avevano scoperto essere sua cugina studiava assieme alla sorella di Adrian Goldstein, ma spesso e volentieri le due parevano perdersi in chiacchiere. Scorpius notò come stessero sempre fra di loro invece che passare il tempo con le compagne di dormitorio, che dovevano essere quelle minuscole bambine ridacchianti dall’altra parte della Sala.

« Malfoy, vuoi smetterla di fissare le ragazzine del primo anno? » disse una voce alle sue spalle. Scorpius seppe di chi si trattava ancora prima di voltarsi, grazie all’aria adorante presa da Bernard.

Si girò, posando lo sguardo su Rose Weasley. La ragazza era in piedi a qualche metro di distanza, le mani sui fianchi e la solita espressione imperscrutabile dipinta sul volto. Scorpius notò come la sua gonna fosse almeno cinque centimetri più lunga rispetto a quella che portava l’anno prima.

Forse si è stufata di ricevere richiami dagli insegnanti perché è troppo brava con gli Incanti di Sartoria.

« Non ti ho detto di fissare me al posto loro » disse.

Scorpius si ritrovò a sorridere, scuotendo la testa.

« Rosie! » trillò Bernard. « Sono felice di vederti ».

« Zitto, Boot, prima che ti affatturi ».

« È inutile che dici così » ribatté il ragazzo, gongolante. « Tanto lo so che mi respingi perché in realtà mi vuoi tutto per te! »

Rose inarcò le sopracciglia. « Non so chi ti abbia messo queste idee malsane in testa, ma posso assicurarti che ti voglio quanto vorrei un Vermicolo nel mio succo di zucca ».

Bernie parve afflosciarsi lì dove era seduto.

« A cosa dobbiamo tutta questa loquacità, Rosie? » Albus le rivolse un sorriso brillante.

« Taci, Al » lo azzittì lei. « Ho come l’impressione che in questa faccenda ci sia il tuo zampino. Sono qui per parlare con te, comunque ».

Scorpius non aveva la minima idea di quale fosse la causa, ma Albus parve improvvisamente serio.

« Vengo subito » disse, alzandosi.

Il giovane Malfoy lì seguì con lo sguardo mentre uscivano dalla Sala Comune. Chissà per qualche motivo, dopo qualche minuto anche Lily si alzò. Passando davanti ai ragazzi, rivolse loro un sorriso angelico, per poi seguire il fratello e la cugina fuori da lì.

Scorpius e Jacob si scambiarono uno sguardo.

« Qualcosa non va » commentò quest’ultimo. « Lily aveva un’aria troppo innocente ».

Scorpius non poté che convenire.

 

 

 

*

 

 

« Cosa devi dirmi, Rosie? » chiese Albus alla cugina, non appena furono usciti dalla Sala Comune di Serpeverde.

Prima che lei potesse rispondere, la parete dietro alle loro spalle si aprì come scorrendo su dei binari nascosti, e ne emerse la figura snella e lanciata di Lily, che rivolse a entrambi un sogghigno.

« Dove pensavate di andare, senza di me? » domandò.

Rose alzò gli occhi al cielo. Albus sorrise.

« Non dovevi dirmi qualcosa, cugina? » le disse.

La ragazza annuì. « Non qui » si limito ad aggiungere, per poi dirigersi a lunghi passi nella direzione che conduceva via dai sotterranei.

Evidentemente, doveva essere sprofondata di nuovo nel suo abituale, ostinato mutismo. I fratelli Potter si scambiarono uno sguardo e la seguirono.

Ben presto, fu chiaro a entrambi che la cugina li stava conducendo al secondo piano, dove avevano sede alcune aule inutilizzate in cui non entrava mai nessuno.

« Rose » fece Albus. « Ma cos- »

Lei lo azzittì con un’occhiataccia.

Quando fa così la detesto.

Apprestatosi alla porta di un’aula, Rose si guardò attorno con fare circospetto, per poi bussare ad uno strano ritmo che Al si affrettò a memorizzare.

Uno forte, due piano, uno forte, tre piano.

« Avanti » rispose una voce familiare.

Rose spinse la porta ed entrò, facendo cenno ai cugini di seguirla. All’interno dell’aula c’era Hugo, seduto alla cattedra con una due pergamene davanti. Una era ricoperta della sua calligrafia nitida e sottile, l’altra completamente pulita. Il ragazzo aveva portato con sé anche la propria penna d’oca e un calamaio.

Non appena anche Albus e Lily furono entrati, Rose volse loro le spalle e prese a gettare incantesimo difensivi sulla porta.

« Colloportus » sussurrava. « Protego Totalum... Muffliato ».

Lily sembrava perplessa.

Finalmente, Hugo sollevò la testa verso i cugini, rivolgendo loro un sorriso vagamente altezzoso. Albus pensò che si sentisse veramente importante, seduto alla cattedra.

« Se vi abbiamo portati qui » disse. « È perché Rose ed io abbiamo scoperto delle cose. E dopo aver a lungo discusso siamo giunti alla conclusione che la cosa migliore da fare era informare anche voi di queste, uhm, cose ».

« Anche noi abbiamo scoperto delle cose! » lo rimbeccò Lily prima di riuscire a trattenersi.

Albus alzò gli occhi al cielo: quei due non potevano fare a meno di beccarsi.

« Che c’è, non sopporti di essermi inferiore? » ribatté infatti Hugo, piccato.

« Basta ».

Fu sufficiente una parola da parte di una scocciatissima Rose per riportare l’ordine.

« Prima noi o prima voi? » chiese Albus.

Hugo fissò Lily. « Prima le ragazzine sciocche e infantili » disse.

Per una volta, la ragazza si decise a ignorarlo.

« Bene » disse. « Abbiamo passato mesi a cercare di capire come poter pensare alla Proprietà dei Galeoni, visto che non possiamo pensarci. Ma non abbiamo pensato alla cosa più ovvia di tutte ».

« E cioè? » fece Rose, scettica.

« Cioè che non dobbiamo pensarci noi » rispose Albus. « Ma qualcuno che non era a Hogwarts al momento in cui il Proteus è stato annullato... »

« … e che conosca bene il funzionamento e lo scopo dei galeoni stregati » concluse Lily.

« Louis, giusto? » borbottò Rose.

Hugo parve folgorato.

Si batté la mano sulla fronte. « Hugo Weasley » ringhiò. « Hugo Weasley, sei un idiota! »

« Non posso che essere d’accordo! » cinguettò Lily, guadagnandosi un’occhiataccia del fratello.

Il cugino coetaneo, tuttavia, la ignorò, troppo preso dal proprio fallimento per poter pensare ad altro.

« Come ho fatto a non pensarci io! » si lamentava. « Non sono degno di stare in Corvonero! »

« Se continui così sarai degno solo della Casa degli Imbecilli » convenne Rose. « Piantala, okay? Neanche io ci avevo pensato, se è per questo ».

« Neanche io » ammise Lily, stupendo tutti. « È stato Al ad avere l’idea ».

Questo parve risollevare l’umore di Hugo.

« Bravo, cugino! » gli strinse la mano con fare pomposo. « È stata veramente un’idea geniale. Louis che cosa ha detto? »

« Che avrebbe fatto una lista di possibili Proprietà e me l’avrebbe spedita » rispose Albus. « Ma non l’ha ancora fatto ».

« Però qui sorge un altro problema » obiettò Rose. « Come facciamo a capire quale Proprietà è quella giusta? »

« Beh – » cominciò Albus, ma lei lo interruppe.

« E soprattutto, cosa faremo una volta scoperta la Proprietà, sempre se ci riusciamo? »

I due Potter si scambiarono uno sguardo sconfortato

« Questa è facile » disse invece Hugo. « Conoscendo la vera Proprietà, conosceremo anche che cosa la persona che l’ha annullata non voleva accadesse. E questo è un passo avanti per capire chi e perché l’ha fatto ».

« Sì » ammise Rose. « Ma resta sempre il problema che non sappiamo come capire quale è la Proprietà giusta » aggiunse, cocciuta.

Lily strinse gli occhi: « Se lavorassimo assieme a Louis, non sarebbe tanto difficile ».

Rose corrugò le sopracciglia. « Cosa intendi dire? »

La ragazza si schiarì la voce. « Beh, se Louis facesse una lista senza mostrarla a noi e poi ci dicesse di pensare a tutte le possibili Proprietà... Più o meno verrebbero fuori le stesse che ha pensato lui, no? Esclusa una ».

Tutti tacquero. Il silenzio durò per alcuni istanti, prima di essere rotto da Hugo.

« Che sarebbe » la voce gli uscì simile ad un rantolo. « Che sarebbe quella giusta, perché noi... »

« … non riusciremo a pensarla! » concluse Rose. « A quel punto, basterà che Louis ce la dica! »

« Esatto » Lily annuì, con un sorrisetto di soddisfazione impresso sul volto.

Albus le scompigliò i capelli.

« Brava, sorellina! » si complimentò.

Persino Rose le concesse un sorriso.

Hugo era entusiasta, ma non abbastanza da non prendersela.

« Che cretino » borbottava fra sé. « Che cretino. Se lo sapessero Tony e gli altri... »

« Tony e gli altri » lo interruppe Rose facendogli il verso. « Non sapranno un bel niente. Non mi fido di voi Corvonero, comprendi? »

« E allora cosa dovrei dire io di voi Serpeverde? » la rimbeccò il fratello.

« Tony? » chiese invece Albus, pensoso. « Parli di Anthony Menley, della squadra di Quidditch? »

Per qualche misteriosa ragione, Hugo arrossì vagamente. Annuì.

« Il fratello di Georgia Menley? »

Hugo annuì ancora, mentre Lily alzava gli occhi al cielo.

« Siete in buoni rapporti, quindi » considerò Al.

« Sì » ammise Hugo, consapevole del fatto che se avesse taciuto per anche solo pochi istanti sarebbe parso sospetto a tutti. « Ma perché me lo chiedi? »

« Pensi che potresti ottenere un appuntamento con Georgia per me? »

Hugo deglutì, in difficoltà, mentre Lily pareva indecisa se gongolare per il suo disagio o alzare gli occhi al cielo ancora.

Fu Rose a intervenire.

« Al » disse. « Non siamo qui per parlare di chi non riesci a portarti a letto ».

Lui sostenne il suo sguardo.

« Hugo » fece, continuando a guardare Rose. « Ne parliamo dopo, okay? »

« D’accordo » rispose lui.

D’accordo. Risposta semplice. Neutra.

Lily sospirò profondamente.

« Voi cosa volevate dirci? » domandò, curiosa. « Prima le ragazzine sciocche e infantili, dopo i degni discepoli del professor Rüf ».

« Credimi, Lily Luna » ribatté Hugo, sollevato di essere tornato sul proprio campo. « Quando avrai ascoltato ciò che abbiamo da dire non oserai più darmi del noioso ».

Lei sorrise, sardonica. « Vedremo » rispose.

« Bene » fece Hugo, per poi rivolgersi alla sorella. « Comincio io o cominci tu? »

L’alzata di sopracciglia di Rose dovette essere abbastanza eloquente, poiché il ragazzo proseguì.

« Dunque » cominciò. « Ricorderete tutti il sassolino che quel menomato mentale di Scamandro andava spacciando per un uovo di qualche strana creatura prodotta dal suo cervello, no? »

« Hugo » lo ammonì Rose.

Lui alzò gli occhi al cielo. « D’accordo » disse. « Senza distruggere i sogni dei non presenti. Senz’altro ricorderete quella pietruzza... »

« Hughie » intervenne Al. « Stiamo per scoprire come mai scrivevi a Xenophilius Lovegood, vero? »

« Sì » riprese il Corvonero. « Perché quella non è una semplice pietra ».

Sospirò, con una pausa a effetto per la quale senz’altro più tardi Lily l’avrebbe preso in giro.

« Ai lati è consumata, come se fosse stata incastonata in un gioiello. E quelli sulla sua superficie non erano graffi, ma incisioni ».

Lily sgranò gli occhi scuri. « Non mi dirai – »

« Che andavano formando » la interruppe Hugo. « Un trangolo, con inscritto un cerchio bisecato da una sottile linea verticale ».

« I Doni della Morte » sparò Albus, e dal suo tono di sarebbe detto che stesse partecipando a un quiz a premi. « La Pietra della Resurrezione ».

La risata di Lily si levò cristallina. « Come no! » esclamò. « Questa sì che è divertente, signor So-Tutto-Io! La Pietra della Resurrezione! »

« Lily » la interruppe il cugino, con voce vagamente angosciata. « Abbassa la voce, ti prego! »

« A che serve? » replicò lei. « Tanto c’è il Muffliato ».

« Lily » mormorò improvvisamente Rose.

La ragazza si voltò verso la cugina. « Sì? »

« Hugo non stava scherzando ».

La minore dei Potter boccheggiò per alcuni istanti.

« Lo sapevo » disse poi. « Solo che non riuscivo a crederci ».

Albus, che fino a quel momento non era intervenuto, parlò: « Fatemi capire » disse. « Lysander Scamandro va in giro per la Foresta Proibita. E cosa trova? La Pietra della Resurrezione. E cosa ci fa? La cova. Andiamo a riprenderla, no? »

Quasi non aveva ripreso fiato.

Tuttavia, Rose scosse tristemente la testa.

« È troppo tardi, Al » disse. « La Pietra è stata rubata ».

« Che cosa?! » sbottò lui, incredulo.

« Esattamente quello che ho detto » mormorò la ragazza.

Albus si alzò in piedi, prendendo a fare su e giù per la stanza con aria frustrata.

« Cazzo » borbottò. « Cazzo! »

Lily e Rose si scambiarono uno sguardo. Avveniva di rado che Al Potter perdesse veramente la calma, benché – per utilizzare le parole della sorella – fosse tragicamente Grifondoro sotto molti altri aspetti.

Tuttavia, come spesso accade, in tali occasioni usciva davvero fuori di testa. La lavagna polverosa barcollò magicamente sulle proprie gambe, facendo un fracasso infernale.

« Maschi Potter » sospirò Lily fra sé. « Magia accidentale, ed è maggiorenne... »

« Piantala, Lils » intervenne Hugo. « Lascialo pensare. Quando è in questo stato delira, e il più delle volte i geni sono pazzi ».

« Rientri perfettamente nella categoria, cugino » osservò lei, guardando il fratello.

Nel frattempo, Rose si era alzata, per poi mettersi nella traiettoria di Al con fare deciso.

« Basta » disse. « Albus Severus Potter, ti ordino di smetterla. O andrò a dire a Georgia Menley che razza di strategie ti sei ridotto a mettere in atto per rimediare un appuntamento con lei ».

Gli occhi di Lily scintillarono, e la minaccia di Rose sortì l’effetto voluto.

Albus si fermò, scoccando però alla cugina un’occhiata furente.

« Cazzo » ripeté. « Cazzo! »

« Abbiamo capito, Al » mormorò Lily, costringendo Hugo a soffocare una risata: non intendeva attirare su di sé l’ira dell’altro.

« Non capite? » disse. « Nessuno avrebbe rubato la Pietra, se non avesse saputo che si trattava della Pietra ».

« Questo l’abbiamo pensato anche noi » disse Rose. « E se riesci a calmarti e sederti ne parliamo » aggiunse bruscamente.

Albus annuì, con gli occhi verdi tinti di serietà. Si lasciò nuovamente cadere sulla propria sedia.

« Forza » disse. « Cosa avete pensato? »

Hugo face una specie di sorriso, prima di cominciare

« Qui » disse, tendendo ai cugini il foglio scritto. « Abbiamo stilato una lista di tutti i luoghi in cui abbiamo parlato della Pietra della Resurrezione prima che venisse rubata, per capire chi avrebbe potuto origliare ».

« Il che è avvenuto sicuramente dopo il quindici agosto » aggiunse Rose. « Perché Lysander ci ha assicurato che quel giorno ha controllato e il presunto uovo era al proprio posto nel cassetto del suo comodino ».

« Poi mi spiegherete come siete venuti a sapere del furto » disse Albus.

Lily, invece,  prese la lista dalle mani del cugino, e la lesse ad alta voce: « Stanza di Hugo, Godric’s Hollow; stanza di Rose, Godric’s Hollow; soggiorno casa Weasley, Godric’s Hollow; soggiorno casa Potter, Godric’s Hollow; rimessa del nonno alla Tana, Ottery St Catchpole; soffitta della Tana, Ottery St Catchpole; giardino della Tana Ottery St Catchpole; biblioteca di Hogwarts, Scozia; stazione di King’s Cross, Londra » inarcò le sopracciglia. « Anche nel soggiorno di casa Potter? »

« Possiamo escludere le nostre camere, la rimessa del nonno, il giardino, la soffitta e anche King’s Cross » disse Rose. « Perché in quelle occasioni abbiamo gettato il Muffliato ».

« Bene » fece Lily. « Restringiamo il campo al soggiorno di casa nostra e di casa vostra e alla biblioteca ».

« Beh, penso sia ovvio » disse Al. « Devono avervi sentito in biblioteca. A casa nostra siete stati attenti a non farvi sentire da voi, a casa vostra lo siete stati per non farvi sentire da zio Ron e zia Hermione ».

« È quello che ho pensato anche io » disse Rose. « E Hugo è d’accordo con me ».

« Quindi vi hanno sentiti in biblioteca » ricapitolò Lily. « Quando ne avete parlato? »

« Il giorno dopo la finale di Quidditch » rispose Hugo. « Quando Malfoy ha bevuto per sbaglio quel filtro d’amore ».

« Chi c’era in biblioteca? » chiese Al.

Il cugino sorrise, facendo segno al foglio bianco. « Dovevamo fare la lista... »

« … e abbiamo capito che non potevamo risolvere questa faccenda da soli » concluse Rose.

Albus sorrise con ritrovato buonumore.

Non c’è nulla da fare, pensò Lily. Ha proprio il gusto per l’inseguimento. Molto da Cercatore, in effetti.

« Bene » stava dicendo Al. « Chi avete visto in biblioteca quel giorno? ».

 

 

 

*

 

 

Esattamente come da lui stesso pronosticato, durante le selezioni per la squadra di Quidditch Scorpius avrebbe voluto sotterrarsi. Ringraziò più e più volte il cielo per essere stato nominato capitano solo all’ultimo anno, perché quella era un’esperienza che davvero poteva consoderarsi fortunato a non dover ripetere mai più.

Il cielo sereno di cui avevano goduto il quella prima settimana di scuola sembrava aver improvvisamente deciso di fare i capricci, poiché sopra all’ovale erboso del campo da Quidditch si stendeva un cielo bigio e cupo, una coltre compatta di nubi grigie che minacciavano pioggia. I pochi raggi del sole che riuscivano ad oltrepassarle giungevano al suolo opachi e distorti, donando al campo tinte smorte che contrastavano spiacevolmente con i colori accesi degli stendardi delle quattro Case perennemente appesi alle colonne che sorgevano a intervalli regolari fra gli spalti.

Tirava un vento umido e sgradevole, che si insinuava strisciante nel collo della divisa. Gli aspiranti membri della squadra attendevano in campo, scopa alla mano. Scorpius vide Lily Potter assieme alle sue amiche Amarillide e Swanilda. Con un moto di rabbia, riconobbe Christine De Bourgh, una studentessa sua coetanea che l’anno precedente aveva aiutato Jackie Finigann a fare di tutto per dividerlo da Lucy.

E ci sono riuscite alla grande, pensò amaramente. Anche se Christine in realtà ce l’aveva con Dominique, e si è alleata con Jackie per convenienza.

Si rese conto di quanto avrebbe voluto poter considerare anche questo, fra i requisiti fondamentali per entrare nella squadra.

Ci vuole cooperazione, no? E rispetto delle altre persone. Anche se in quel caso dovrei buttare fuori Hessler, e un portiere come lui non so proprio dove trovarlo.

Herman Hessler aveva un anno meno di lui, ed era uno dei più insopportabili sbruffoni che Scorpius conoscesse, oltre ad essere un portiere formidabile.

Gettò un’occhiata lungo gli spalti. Vide Rose Weasley assieme al fratello. Parevano immersi in un accesa discussione.

Sono venuti qui perché nessuno li sentirà parlare, con questo vento, si ritrovò a pensare Scorpius, meravigliandosi di essere divenuto tanto perspicace. Probabilmente era a causa della pessima, davvero pessima influenza di Jake, una delle persone più sospettose che conoscesse.

Poco più in là, lo stesso Jacob Greengrass era seduto accanto ad Albus, il quale probabilmente voleva vedere i provini della sorella e capire che avversari si sarebbe ritrovato contro. I due non parlavano. Albus guardava Rose e Hugo, mentre lo sguardo di Jake... lo sguardo di Jake era rivolto verso gli aspiranti giocatori. Aveva un’aria pensierosa, con le sopracciglia corrugate. Scorpius si chiese chi stesse guardando, ripromettendosi di chiederglielo più tardi – anche se si sarebbe scordato di sicuro.

« Scorpius » gli disse Bernie. « Non sarebbe il caso di cominciare? »

« Sì ».

Scorpius annuì. Rivolse un’ultima occhiata agli spalti, e il suo cuore mancò un battito quando riconobbe la figura minuta di Lucy, seduta su una delle gradinate più alte. Aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e il mento poggiato sulle mani. I loro sguardi si incrociarono, la ragazza sorrise. Il ragazzo decise che dopo le avrebbe parlato, prima di suonare il proprio fischietto e darsi una forte spinta con i piedi. Decollò, e subito la brezza gli scompigliò i capelli.

Dopo due ore, qualche protesta e un potenziale esaurimento nervoso – il suo – Scorpius aveva trovato i tre Cacciatori che cercava. Una era Lily Potter, entrata in squadra per la prima volta dopo una prova eccellente: al giovane Malfoy era parso di averla vista scambiarsi un sogghigno con il fratello, ancora seduto al proprio posto sugli spalti.

Suo malgrado, aveva dovuto ammettere in squadra Christine De Bourgh, che si era rivelata piuttosto brava a volare. Oltre a quelli derivanti dai suoi personali trascorsi con la ragazza, il suo unico riserbo era dovuto al fatto che lei e Lily avrebbero probabilmente litigato di continuo.

E io non sono bravo come Albus a calmare le persone.

La terza Cacciatrice era una ragazza di nome Agnes Cardmaker, del quarto anno. Non appena la vide schivare un bolide talmente in fretta che quasi non gli riuscì di vederla muovere, Scorpius capì chi era il giocatore migliore della squadra per quell’anno.

Il Battitore dell’anno precedente fu rimpiazzato da un certo Augustus Goyle, uno studente del terzo anno dall’inverosimile stazza.

Finalmente, poté dichiarare concluse le selezioni. Si accorse che la voce gli si era fatta roca.

Neanche si tolse la divisa da Quidditch prima di raggiungere Lucy, e si accorse di essere talmente di pessimo umore da non essere in grado di rispondere con una frase gentile al suo sorrisetto enigmatico – forse perché quel sorrisetto enigmatico gli parve particolarmente irritante, in quel momento.

Una delle cose che più gli piacevano nella propria ex-ragazza era il suo non ricorrere ai sotterfugi, e quel sorriso sapeva di verità non dette.

« Finalmente riesco a parlarti » disse aspramente, lasciandosi cadere accanto a lei sulle tribune, dove era direttamente atterrato con il proprio manico di scopa.

Lucy guardò in cielo, senza smettere quel sorrisino.

« Sì » disse. « Mi dispiace. Volevo solo vedere, ecco, insomma... »

« Continua » la incitò lui.

Lei si girò verso Scorpius, e i loro occhi si incontrarono. Il ragazzo faticò a trattenere un sospiro di sollievo quando si avvide che, almeno loro, non erano cambiati. Erano sempre colmi di quell’innocenza spiazzante e curiosamente saggia.

« Volevo vedere se riuscivo a stare senza di te » continuò quindi Lucy con voce sorprendentemente ferma, guardandolo dritto negli occhi.

Scorpius notò come non avesse alcun timore ad essere del tutto sincera.

« E cosa hai concluso? » le domandò.

« Che stare senza di te non è affatto piacevole ».

Dal tono in cui lo disse, Scorpius dedusse che vi era un però.

« Ma? » le chiese.

Lei non cessò di guardarlo fisso negli occhi: « Ma non impossibile » disse.

Restarono per qualche istante in silenzio. Scorpius fu il primo a cedere, abbassando lo sguardo.

« Vuoi... ecco, vuoi che io lo renda impossibile di nuovo? Impossibile di nuovo stare senza di me? »

Lucy annuì, mentre Scorpius finalmente capiva cosa volesse dire ricominciare da zero.

Devo conquistarla di nuovo, pensò, mentre una vocina dentro la sua testa gli suggeriva che non sarebbe stato affatto facile.

 

 

 


 

¹ In riferimento alla battuta di Jacob “Ti sei pianto addosso per mesi quando Grace è partita”. Chi ha letto Gossip Witch, non ha bisogno di spiegazioni. Per chi invece non l’avesse letta, ecco qui. In pratica, negli antefatti di Gossip Witch Scorpius stava assieme a Dominique, ma la tradisce con Grace. Immediatamente dopo, Grace parte per la Francia. Quando torna due anni dopo, si mette con James e tutto si chiarisce.

 

Note dell’Autrice

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se di nuovo non ci ho messo un terzo di quanto avrei dovuto.

Volevo dire a tutti che qui potete trovare una fan-art fatta da me che rappresenta i nostri giovincelli Serpeverde. Ditemi che ne pensate!

Grazie a tutti voi <3

Joie,

Daph

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - L'inattendu ***




Capitolo 7

L’inattendu


Seal my heart and brake my pride

I’ve nowhere to stand and now nowhere to hide...

Mumford & Sons




« Bene » stava dicendo Al. « Chi avete visto in biblioteca quel giorno? »

Rose e Hugo si scambiarono una di quelle loro occhiate particolari: pareva fossero consapevoli di qualcosa di cui chiunque altro al mondo non avesse la minima idea. Sguardi parlanti: così li chiamava Lily da bambina, e Albus non poteva far altro che essere del tutto concorde con la dicitura stabilita dalla sorella minore, giacché quando gli occhi di Hugo e quelli di Rose si incrociavano pareva quasi di sentire il passaggio di una qualche informazione, era quasi possibile percepire le parole scorrere nel silenzio. I due fratelli avevano le iridi della stessa, identica tonalità marrone scuro, esattamente come Lily e James – tutti loro avevano ereditato gli occhi di nonna Molly.

Quando gli occhi di Hugo e quelli di Rose si incrociavano, fra di loro scorrevano molte parole e molti pensieri – e si capivano sempre, anche se Hugo era l’egoista che era e Rose restava ermetica ai più.

« Sforzatevi di ricordare, dai! » li incitò Lily, già presa dall’entusiasmo.

« Con noi c’erano Molly, Lucy e Lorcan Scamandro » disse Rose.

« Ma sono nostri cugini! » protestò Lily. « Non credo che – »

« Chiunque è sospettato » sentenziò invece Hugo, interrompendo la cugina. « Specialmente Molly, che frequenta abitualmente casa Scamandro ».

Rose gli scoccò un’occhiata indecifrabile, per poi chinarsi a scrivere i tre nomi sulla linda pergamena che aveva di fronte, ricoprendola con la sua grafia nitida e ordinata.

« Molly Weasley, Lucy Weasley e Lorcan Scamandro » Al contò sulle dita. « Stiamo a tre ».

« Christine De Bourgh » borbottò Rose, accigliata.

Si udì il grattare della penna sulla pergamena mentre la ragazza scriveva il quarto nome.

« Altri? » domandò Lily, inarcando le sopracciglia.

« Anthony Menley » mugugnò Hugo. « Insieme a Georgia Menley. Corvonero ».

Sei.

« Lisbeth Macnair assieme a Viviana Davis, Serpeverde entrambe » fece Rose. « Vicino all’ingresso, le ho viste mentre uscivo ».

« Amarillide Stubbins e Chris McGregory, Serpeverde e Grifondoro » aggiunse Hugo. « Ma erano troppo presi ad amoreggiare per prestare attenzione a una qualunque altra cosa... Mi chiedo se esista una ragazza con cui McGregory non abbia tradito la propria, di ragazza ».

« Solo tu dici ancora amoreggiare, Hugo » lo rimbeccò Lily. « E comunque, con me non l’ha mai tradita ».

Il silenzio di Rose aveva un che di colpevole.

Albus, tuttavia, guardò la sorella malissimo: « E ci mancherebbe altro! » brontolò. « Se solo ci provasse, credo che gli spaccherei la faccia ».

Lily alzò gli occhi al cielo, e aprì la bocca per ribattere, ma Hugo la interruppe.

« Cassandra Goyle, la befana di Serpeverde » disse il ragazzo per cambiare discorso.

Rose scrisse.

« E poi... » il ragazzo aggrottò le sopracciglia, nello sforzo di richiamare alla mente i ricordi di quel giorno. « Thomas Melbourne e Alice Paciock, Tassorosso. Assieme al loro amico ciccione, non ricordo il suo nome.

« Gordon Melkinski? » tentò Lily.

« Sì » Hugo annuì « Proprio lui ».

« C’era anche Frank Paciock » ricordò Rose. « Di Grifondoro ».

« Herman Hessler, Serpeverde » fece il fratello.

Un’ora più tardi, la lista era diventata spaventosamente lunga, e, come constatò Albus con orrore, comprendeva i nomi di almeno un terzo degli studenti di Hogwarts, più un certo numero di ex-alunni.

« Pensateci, è logico » commentò Hugo con l’irritante tono saputo che gli era proprio. « Era il periodo subito precedente ahli esami, è normale che di domenica moltissimi studenti si trovassero in biblioteca a studiare o ripassare ».

« Sono soprattutto Corvonero e Tassorosso » osservò Rose, scorrendo la lista che teneva fra le mani. « Meno Grifondoro o Serpeverde ».

Albus si lasciò andare contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia dietro la testa.

« Beh » disse. « Perlomeno abbiamo ristretto il campo di ricerca ».

« Un momento! » intervenne d’improvviso Lily – era stata sorprendentemente zitta negli ultimi minuti.

« Che succede? » le domandò il fratello.

La ragazza appariva serissima. « Abbiamo dimenticato gli insegnanti! » disse.

Seguì qualche istante di silenzio, poi Hugo annuì. « Sì » disse. « Irma Pince » dettò alla sorella. « Horace Lumacorno. Lorna Cattermole. Neville Paciock ».

Rose scrisse.

« E poi » riprese Lily, « dobbiamo considerare sospettabili tutti i compagni di dormitorio di Lysander... compreso Lorcan ».

Albus rise: « Ma dai, Lily! Ti sembra possibile che – »

« Per una volta » lo interruppe Hugo, « sono costretto a dare ragione a mia cugina. Dobbiamo sospettare di chiunque ».

« Quindi anche tutti i Corvonero » concluse Rose.

Hugo inarcò le sopracciglia: « Come, tutti i Corvonero? »

« Nessuno escluso » la ragazza sostenne il suo sguardo, risoluta. « Tranne quelli del primo anno, ovviamente ».

« Ma - » cominciò a protestare Hugo, subito interrotto da Lily.

« Potrebbero averlo sentito mentre ne parlava in Sala Comune » disse lei. « E non è necessario essere poi così intuitivi per capire che non si trattava di un uovo di Fruffolo ma della Pietra ».

« Ehi! » esclamò il cugino con indignazione, sentendosi evidentemente chiamato in causa. « Intanto io sono stato l’unico a capirlo ».

Lily rispose con un sorriso smagliante: « Beh, solo perché io non l’ho vista dal vivo. E poi » sogghignò, « Sappiamo che non sei stato l’unico a capirlo ».

« E questa non è affatto una bella cosa, Lily » si intromise Rose d’improvviso, parlando piano. « Siamo di fronte a qualcosa di serio, capisci? »

Fra i quattro non passò altra parola, e per qualche minuto si limitarono a scambiarsi sguardi gravi.

 

 

 

*

 

« Che ne pensi? »

Ellen deglutì di fronte al sorriso di Grace, cercando disperatamente una via di fuga. Si maledì mentalmente per essere così distratta: già non le era facile normalmente affrontare un qualunque tipo di relazioni umane, figurarsi se si ritrovava a dover rispondere a una domanda quando non aveva sentito assolutamente nulla di quanto detto in precedenza.

Era appena finita la lezione mattutina del venerdì, e attendevano l’ora di pranzo di fronte all’Accademia.

« Io » disse. « Io, uhm, ecco – Che cosa? »

Il sorriso comprensivo di Grace la fece sentire ancora più a disagio.

« Io e James andremo a vivere insieme » le spiegò. « E per questa sera abbiamo organizzato una piccola festa per inaugurare la nostra nuova casa. Ti stavo chiedendo se ti andava di venire! »

Ellen si detestò ancor di più. Perché le andava, ma non poteva fare a meno di sentirsi in imbarazzo.

« Io, ecco » si schiarì la voce. « Sì, grazie! Certo che mi va! »

Il sorriso di Grace fu un’espressione di gioia tale da lasciarla stordita.

« Che bello! » disse. « Mi fa tanto piacere! »

La abbracciò con entusiasmo, ed Ellen si costrinse a ricambiare la sua stretta senza disagio. Sentiva di provare affetto per Grace – come era possibile non provarne? –, ma non le era facile lasciarsi andare a tali dimostrazioni. Specialmente perché Hera Christakos non le aveva tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo.

Hera.

La situazione, almeno dal punto di vista di Ellen, stava diventando drammatica. Perché provava delle sensazioni strane quando si trovava in presenza di Hera. Sensazioni cui non riusciva a dare una spiegazione... Oppure aveva solo troppa paura a chiamarle con il loro vero nome.

Tentò di prenderla con logica. Non aveva senso, no: non aveva senso che in presenza di Hera il suo cervello andasse completamente in tilt, come non lo aveva il fiato corto quando sentiva lo sguardo dell’altra addosso – accadeva piuttosto spesso – e come non lo aveva l’agitazione che la coglieva ogni qual volta si trovasse a meno di un metro di distanza da lei.

Tuttavia, Ellen aveva dovuto concludere che la faccenda aveva perfettamente senso. Insomma... lei non aveva mai avuto un ragazzo, e non perché fosse brutta. Anzi, non provava riserbo ad ammettere di essere piuttosto graziosa. Era abbastanza alta e slanciata, aveva capelli folti e scuri, un volto regolare e grandi occhi chiari.

Semplicemente, non aveva mai avuto un ragazzo perché non si era mai sentita attratta da nessun ragazzo, se “attrazione” era quella che dicevano di provare le sue amiche. Batticuore, brividi, nervosismo... tutte cose che, ormai, non poteva che collegare al nome di Hera.

Di certo, l’altra non collaborava. Erano passate ormai tre settimane dall’inizio dei corsi – benché a Ellen sembrasse trascorsa una vita – e Hera non aveva fatto altro che gettarle occhiate in tralice, o peggio fissarla con insistenza, sfuggendo con grazia alle attenzioni di Louis, il quale pareva più che deciso a conquistarla.

« Christakos » la chiamava, sfoderando il più affascinante dei sorrisi. « Vuoi che ti porti la borsa? »

O ancora: « Andiamo a prenderci un caffé, più tardi?

« Ti va una Burrobirra? »

« Sei splendida oggi, Christakos ».

Hera declinava tutti gli inviti, un luccichio divertito negli occhi scuri, e accettava i complimenti con un sorriso enigmatico.

Grace e James prendevano la cosa con molta ironia, mentra Ben Aubrey sembrava più che altro seccato: alzava di continuo gli occhi al cielo.

Ellen non sapeva bene cosa pensare.

« Ehi, Jamie! » stava dicendo Grace, apprestandosi al ragazzo – il quale stava assistendo all’ennesima avance di Louis nei confronti di Hera. « Anche Ellen ha detto che verrà! »

James sorrise alla collega con calore. « Che bello! » disse. « Mi fa davvero piacere ».

« Amore » gli si rivolse Grace. « Ho pensato a una cosa... »

Mentre i due si allontanavano di qualche passo, conversando fra di loro, Ellen gettò uno sguardo furtivo a Hera, e quando si accorse che l’altra la stava fissando con un sorrisetto sardonico impresso sul volto distolse immediatamente gli occhi, sperando ardentemente che l’altra non dicesse nulla e che non se ne fosse accorta, di qualunque cosa si trattasse.

« Quindi » Hera tradì le sue speranze. « Vieni anche tu, stasera? »

La sua voce era bassa, pervasa da particolare noti vibranti e con un accento molto particolare. Ellen deglutì.

« Sì » rispose semplicemente, levando di nuovo lo sguardo verso l’altra ragazza.

Scoprì con supore che il sorriso di Hera si era fatto meno sardonico, più aperto e sinceramente gioioso.

Accidenti, quanto è bella.

« Ne sono contenta » la sentì dire. « Così finalmente potremo conoscerci tutti un po’ meglio ».

Così... Eh?

Ellen si sforzò di non pensare a un eventuale recondito significato dietro a quelle parole dall’apparenza innocua.

« Già » disse, imprimendosi a forza in faccia la cosa più simile a un sorriso che le riuscisse. « Già, hai ragione, io... »

« Tu calmati » disse Hera, guardandola dritta negli occhi. « Non ti mangia nessuno, capito? »

« Io – »

« Hai talento, o non ti avrebbero preso all’Accademia. Dovresti scioglierti un po’ ».

Ellen era indecisa. Non sapeva bene se detestare Hera per tutta quella sfacciataggine – Insomma, chi ha chiesto le sua opinione? – oppure se rallegrarsi del suo apprezzamento.

« Oh, non fare quella faccia » proseguì l’altra ragazza. « Ho l’abitudine di dire sempre quello che penso. E tu sembri un bel tipo, è davvero un peccato che ti rinchiuda nel tuo guscio ».

Io... io le piaccio?

Una parte di lei – quella persa negli occhi scuri di Hera – avrebbe voluto sorriderle con riconoscenza. Vinse tuttavia l’altra parte, quella irritata da tutti quei consigli non richiesti.

« Entri in agitazione e ti poni ostacoli da sola ».

Questa ragazza è fin troppo eloquente.

Ellen non riuscì a trattenersi.

« Grazie » le rispose in tono vagamente aspro. « Ma non ho bisogno di una balia, posso cavarmela da me ».

Con sua immensa sorpresa, Hera sorrise. Ellen tento di non soffermarsi sul modo in cui i suoi denti candidi scintillavano fra le labbra schiuse.

« Hai visto? » disse la greca. « Devi solo tirare fuori il carattere ».

Tirare fuori... che cosa?!

« Sai, Ellen Kirke, secondo me sotto sotto sei la più tosta di tutti, qui dentro ».

Ellen levò il mento, e questa volta riuscì a guardarla negli occhi senza entrare in fibrillazione. Si rese conto di essere più alta di lei di almeno quindici centimetri.

« Christakos » le disse. « Non ti facevo un’anima tanto pia ».

Hera scoppiò a ridere di gusto. Ellen notò che aveva davvero una bella risata: di gola, profonda, vagamente sensuale.

« Questo dimostra che ho ragione » commentò, una volta smesso di ridere. « Mi accompagni a ritirare dei libri al Ghirigoro? Louis passerebbe tutto il tempo cercando di portarmi la borsa ».

« Io... Che cosa?! »

Ellen, non ti ha chiesto di uscire con lei. Non ti ha chiesto se sei, ecco... insomma.

« Cioè » si corresse. « Sì, certo! »

Hera sorrise in fretta, prima di rivolgersi agli altri. « Io vado un attimo al Ghirigoro. Ci vediamo per mangiare da Fortebraccio? »

« Sì, certo » Grace sorrise. « A dopo! »

« Vuoi che ti accompagni? » si fece avanti Louis.

« No, grazie » ribatté Hera. « Mi accompagna Ellen! »

La prese sottobraccio, trascinandosela dietro lungo la via.

Ellen rimase rigida, i muscoli del braccio tesi, attenta a non sfiorarla più del necessario. Non voleva che l’altra pensasse che lei stesse cercando un contatto, o chissà cos’altro.

Mezz’ora dopo, si trovavano tutti seduti da Fortebraccio con i loro panini davanti.

« Christakos » fece Louis. « Che libri hai preso? »

Ellen ebbe la tentazione di aprire il proprio cheeseburger sulla bionda, perfetta testa del giovane Weasley. Per un istante si beò dell’immagine del ketchup che colava dai suoi capelli lisci e sulle sue sopracciglia dalla linea pulita, poi si riscosse.

« Weasley » stava replicando svelta Hera. « Arrenditi, ti prego. Nonostante tu abbia un’adorabile faccia da mezzo-Veela, non mi piaci proprio ».

« Cambierai idea » promise Louis. « Cambierai idea ».

« Oh, Weasley » Hera fece uno strano sorriso e scosse la testa. « Non credo proprio ».

L’umore di Ellen subì un netto, misterioso miglioramento.

 

 

 

*

 

 

Lily Luna Potter

Sala Comune di Serpeverde

Hogwarts, Scozia

 

Dominique Weasley

Shell Cottage

Tinworth, Cornwall

 

 

22 settembre 2022

 

Cara Domi,

mi annoio. Ma questo potevi immaginarlo. A Hogwarts non succede NULLA, proprio NULLA di nuovo. Certo, ci sarà il Torneo Tremaghi, ma manca ancora un mese all’arrivo delle scuole straniere (e credimi, un mese è davvero tanto, tanto tempo quando ci si annoia).

Non ci sono novità sentimentali. Nessuno scoop, nessuno scandalo, nessuna fuga d’amore (e di notizie). Sembra che gli studenti di Hogwarts si siano dati una calmata... nessuno tradisce nessuno, non ci sono triangoli amorosi, risse o azzuffamenti di un qualunque genere.

Forse è il fatto che tu e Grace avete finito la scuola. Insomma, è come se fosse finita un’era. Sono consapevole di essere perfettamente in grado di dare inizio a un’era nuova, ma tu mi hai raccomandato di non fare stronzate. Ma sai... in realtà sei molto più impulsiva di me, Domi. Parecchio. Perché sei più ansiosa, ecco e NO, non accartocciare il foglio, sai che è vero.

(Credo che se ti avessi detto una cosa simile un anno fa mi avresti uccisa. E infatti un anno fa una cosa simile non te l’avrei mai detta, anche se già la pensavo. Questione... questione di sapersi adattare alle circostanze).

Mi annoio, ripeto. Non ho ispirazione a fare danni e nessuno combina nulla, e poi sono parecchio impegnata con una certa faccenda della quale non posso parlarti (non ora, almeno). Uh! Sì, lo so. Adesso ti stai rodendo il fegato dalla curiosità! Doppio uh, uh-uh. L’ho fatto apposta, lo sai?

Con mia enorme sorpresa, la cosa più interessante l’ha fatta nostra cugina Lucy-la-noia. Insomma, adesso che è ricominciata la scuola ci aspettavamo tutti rose e fiori e un futureo roseo e zucheroso per lei e Scorpius. Insomma, si sono scritti per tutta l’estate e sembrano DAVVERO amarsi alla follia (anche se secondo me costituirebbero una coppia terribilmente noiosa... lei è troppo seria e lui troppo tonto). Ma si amano, sembrerebbe. E quando stavano insieme litigavano per non morire di noia, secondo me.

Ad ogni modo, Lucy ha sorpreso tutti, perché invece che tornare assieme al suo grande amore e vivere felice e contenta per il resto dei suoi giorni, ha detto a Scorpius di RICOMINCIARE DA CAPO. Nel vero senso della parola, come... come se non si conoscessero davvero e se lui dovesse riconquistarla da zero.

Da una parte mi sembra ridicolo, dall’altra non so se stimarla un pochino. Perché lo sta mettendo alla prova, credo, e oltretutto è proprio ora che Scorpius tiro fuori le palle (e non storcere il naso per la trivialità del mio vocabolario). Ho ragione (non è una domanda ma un’affermazione).

Tuttavia questo fatto mi ha stupita solo sul momento, e non è una cosa poi così interessante in realtà (anche se è più interessante di tutto il resto – il restante nulla).

Rose è sorprendentemente quieta, e non è ancora uscita con nessun ragazzo. Da una parte meglio per lei (era ora che si desse una calmata) dall’altra... che noia.

Anche il mio fratellone sembra aver perso il callo e appeso la sua anima di dongiovanni al chiodo (anche se del dongiovanni continua ad assumere i modi). Ha perso la testa per quella ragazza cui ha scritto per tutta l’estate, quindi vuoto assoluto anche sul suo fronte. Di certo conosci la ragazza in questione... è piuttosto popolare. Capitano della squadra di Quidditch di Corvonero, una delle ragazze più sexy della scuola (come Al non si stanca di ripetere almeno venti volte al giorno). E lei non se lo fila minimamente, tra l’altro. Georgia Menley evade abilmente ogni tentativo di approccio da parte di Al, e proprio non capisco perché in realtà (visto e considerato che poi non fa che provocarlo con occhiatine, oppure passandogli accanto ANCHEGGIANDO, quella gallina).

Stranamente, l’umore di Al non sembra risentire di questi continui rifiuti, anzi. Non l’ho mai visto così entusiasta, iperattivo, rumoroso, allegramente irritante. Sembra un bambino sovreccitato, e somiglia a Freddie in maniera inquietante. L’ho sempre detto che mio fratello in realtà è MATTO DA LEGARE. A sentir lui, fra non molto la Menley cederà. Sta sviluppando delle preoccupanti teorie sulla psicologia femminile. Se Louis lo vedesse, credo che tenterebbe una defenestrazione.

TI PREGO, Domi, dì a Louis di scrivergli. DEVE tornare se stesso. Ho provato a dire di avvertire Lou anche a Jamie, ma il mio fratellone si è rifiutato... Dice che non bisogna combattere l’amore. A volte mi chiedo come facciamo a condividere parte del dna, anche se lo adoro.

Il problema è che anche la dignità di Al ne sta risentendo... con Georgia si comporta in maniera davvero assillante, sull’orlo del ridicolo.

Pensa di iscriversi al Tremaghi, tra l’altro, sebbene papà gli abbia espressamente chiesto di non farlo. Ma è un problema fra loro due. E poi pure io mi iscriverei se avessi l’età, anche contro la sua volontà. Chissà che fra un paio d’anni non ne indicano un altro!

Anche Scorpius vuole iscriversi. Greengrass, invece, non fa che ripetere che non è tanto stupido da rischiare l’osso del collo inutilmente. Che idiota... ma sta tornando se stesso, almeno lui. La fase post-te gli sta passando, o così sembra – così spero. Qui ci si annoia troppo.

Lumacorno si è finalmente deciso a dare un festino, sabato prossimo (che sarà il primo di ottobre). Te l’ho salutato, comunque, e gli si sono inumiditi gli occhi. Non gli ho proposto di aiutarlo a organizzare la festa come facevi tu, comunque. A me alle feste piace andarci e divertirmi, non organizzarle per far vedere a tutti quanto sono capace e mondana. Non ho bisogno di dimostrare nulla a nessuno.

Ho già deciso di mettermi un vestito verde, anche perché alla festa ci vado con Al e il vestito è perfettamente intonato ai suoi occhi. Ho chiesto al mio fratellone di accompagnarmi perché così avrò il pass per gli alcolici, visto che lui è maggiorenne. Oltretutto, Al si sentirà meno in colpa perché secondo lui mi trascura (James gli ha raccomandato di non trascurarmi, che tenerezza. Non mi stupirei se gli avesse fatto stringere il Voto Infrangibile).

E poi, sarò libera di fare quel che voglio, visto che Albus starà appresso alla Menley per tutta la sera. Speriamo che Lumacorno continui la moda dei cocktails Babbani, perché quelli magici fanno tutti schifo (sì, Domi, anche il MagiMartini... piace solo a te perché fa molto chic). E Al non mi permetterebbe mai di bere del Firewhiskey.

Adesso devo andare, Domi.

E dì a Louis di scrivere a mio fratello.

Lily

 

 

*

 

Prima di quella sera, Ellen non era mai stata a una festa, se si escludevano quelle due o tre volte in cui era stata invitata ai festini organizzati dal professor Lumacorno a Hogwarts – con la prepotente collaborazione di Dominique Weasley. Proprio per questo nel prepararsi per raggiungere l’appartamento di Grace e James si scoprì parecchio indecisa su cosa indossare.

« Ellen? »

La voce di sua madre, appena affacciatasi all’entrata della sua stanza, non sarebbe potuta essere più perplessa. La ragazza non aveva alcuna difficoltà a comprenderne la causa: probabilmente, mai prima di quel momento Juliet aveva visto la figlia in piedi di fronte allo specchio, con l’armadio spalancato e un’espressione dubbiosa impressa sul volto.

« Ellen, cosa fai lì? »

Lei deglutì. « Non ho niente da mettermi » buttò lì in un borbottio.

Juliet inarcò le sopracciglia: « Da quando in qua ti fai questo tipo di problemi, tesoro mio? » le domandò.

Ellen scrollò le spalle. « Da quando sono stata invitata a una festa dai compagni dell’Accademia ».

La madre non riuscì a celare la sua sorpresa, tradita dal palese modo in cui aveva sgranato gli occhi per lo stupore.

« Una festa, Ellen? » chiese, come se non fosse sicura di aver sentito bene.

Ellen fu assalita da un moto di irritazione. « Sì, mamma! » sbottò, esasperata. « Una festa! Sembra assurdo, ma sono stata invitata a una festa e ho intenzione di andarci! »

La reazione di Juliet la stupì, poiché le stavano brillando gli occhi.

« Che genere di festa è? » le domandò.

Lei aggrottò le sopracciglia. « James e Grace inaugurano la loro casa nuova. Una cosa tranquilla, hanno detto ».

« Cosa hai intenzione di indossare? »

« Non lo so, ma credo di vestirmi alla Babbana ».

Juliet sorrise: « Ottima scelta! » convenne.

Mezz’ora dopo, la madre era riuscita misteriosamente a ripescare da chissà dove una graziosa casacca azzurro chiaro, che metteva allegramente in risalto gli occhi azzurri di Ellen. La ragazza indossò il capo di abbigliamento con un paio di jeans attillati e delle ballerine rosse che la madre aveva allegramente prodotto trasfigurando un paio di vecchie scarpe da ginnastica.

« Questi incantesimi sono di breve durata » le disse. « Ma per questa sera reggerà ».

Ellen trovò degli orecchini rossi nel proprio portagioie e li infilò alle orecchie.

Si guardò allo specchio nuovamente: vestita così, aveva un aspetto quasi vivace. Gettò un’occhiata ai capelli neri, che le ricadevano come due lisce cortine ai lati del volto, conferendole un aspetto fastidiosamente serio. Colta da chissà quale istinto, li sollevò con le mani, raccogliendoli in cima alla testa e fissandoli con un paio di forcine. I capelli le scoprivano adesso le orecchie, e il rosso degli orecchini infondeva allegria al suo volto latteo. Provò a sorridere, e scoprì che farlo davanti allo specchio le riusciva molto più naturale del previsto.

« Stai benissimo, tesoro » le disse Juliet, ricevendo in cambio un sorriso grato e un po’ sorpreso.

Si guardò allo specchio ancora, scoprendo che sua madre aveva ragione.

« Sono pronta » disse.

« Vai » Juliet le carezzò una guancia. « E divertiti ».

Ellen rivolse alla madre un’ultimo sorriso nervoso, prima di Materializzarsi con matematica precisione all’indirizzo indicatole da Grace quella mattina – era una strega di talento, la giovane Kirke, sebbene dubitasse sempre di se stessa.

Entri in agitazione e ti poni ostacoli da sola.

« Ehi, Ellen! » fu Grace stessa ad aprirle la porta, un sorriso smagliante a illuminarle il volto. « Mi fa piacere che tu sia venuta! »

Lei fece un respiro profondo e ricambiò l’abbraccio dell’altra, sforzandosi di ridurre al minimo il disagio che provava e di celare il restante. Fortunatamente, in questa occasione il sorriso accogliente di Grace Zabini la aiutò piuttosto che esserle d’impaccio – forse perché quella sera aveva un che di dolce in più.

Ellen seguì Grace dentrò, e come sempre non mancò di notare come lo sguardo della ragazza si facesse in qualche modo vellutato quando si posava di di James. In quello che doveva essere il salotto – arredato per adesso solamente a metà – si trovavano una decina di persone, sedute chi sul divano, chi su sedie pieghevoli, chi su soffici cuscini adagiati sul pavimento in parquet. Ellen notò con sollievo che erano tutti abbigliati più o meno come lei, in maniera graziosa ma casual.

Al suo ingresso nella stanza, ricevette sorrisi allegri e sguardi curiosi. Una parte del suo cuore la spinse a ritrarsi a mo’ dei ricci, tirandosi indietro, respingendo tutte quelle occhiate interessate.

Ellen, intimò a se stessa. Ellen, piantala di stare sulla difensiva, non ce n’è motivo.

Ripetersi queste parole in qualche modo la aiutò. Sospirò appena e lasciò che le proprie labbra si schiudessero in un sorriso. Incrociò lo sguardo di Hera, e nonostante il vigoroso sobbalzo del proprio cuore riuscì a riconoscere nel suo sguardo un certo compiacimento.

Sembri un bel tipo, è un peccato che tu ti rinchiuda sempre nel tuo guscio.

Ellen vide Ben Aubrey rivolgerle un cenno di saluto, che ricambiò. Fra le persone sedute sul divano, riconobbe alcune facce familiari – parenti di James, perlopiù, che a Hogwarts Ellen conosceva di vista.

Non le ci volle molto a riconoscere la ragazza che si alzò. Aveva un corpo flessuoso e sottile come un giunco, i suoi capelli biondi erano tagliati corti e la voce che le si rivolse limpida e decisa, libera da qualsiasi esitazione. Il suo volto aveva tratti regolari e un’aria sveglia, gli occhi erano grigi e brillanti.

« Ciao » le si rivolse Dominique Weasley, tendendole la mano con un’apparente grande sicurezza di sé. « Non credo che ci conosciamo già... Io sono Dominique, piacere ».

Ellen si schiarì la voce, stringendole la mano. « Piacere, Ellen » rispose, sorridendo un po’ a stento.

Ricordava i tempi della scuola, così come ricordava le ore e ore di lezione che aveva trascorso assieme a Dominique, sebbene appartenessero a case diverse. Lei ricordava Dominique, ma quest’ultima neanche era al corrente della stessa esistenza di Ellen. La giovane Kirke si rese amaramente conto di essere sempre stata insignificante. Aveva sempre fatto di tutto per stare lontana dai riflettori, di non andare troppo bene a scuola né troppo poco, di impegnarsi negli studi tentando al contempo di non risultare troppo brillanti.

Hai talento, o non ti avrebbero presa all’Accademia. Devi solo... scioglierti un po’.

Ellen notò con una certa costernazione che Hera aveva perfettamente ragione. Per anni aveva soffocato ogni istinto, aveva celato ciò che aveva di buono nel profondo di se stessa... e per cosa? Timore di perdere ciò che aveva, forse? Ma proprio per questa eccessiva ansia – adesso se ne rendeva conto – aveva perso molte occasioni. E molte risate.

Risate come quelle che adesso risuonavano nel piccolo salotto, mentre Adrian Goldstein – suo compagno di casa e fidanzato di Dominique – si alzava e le stringeva la mano. Fra gli invitati riconobbe Molly Weasley, alta e secca come una stampella, che le rivolse un sorriso autoritario e le porse la mano per una ferma stretta, prima di tornare a parlare concitata con Lysander Scamandro. Quest’ultimo la ascoltava distrattamente parlare dei danni che il gemello Lorcan di certo stava combinando da-qualche-parte-in-mezzo-ai-draghi. Ellen era dell’idea che Molly e Lorcan costituissero una coppia a dir poco stupefacente, poiché le era sempre parso strano che due persone diametralmente opposte come quei due potessero stare assieme e addirittura amarsi. Molly era la studentessa con la media più alta che Hogwarts avesse registrato negli ultimi anni, celebre in tutta la scuola per la propria ambizione quasi quanto Dominique per le manie di protagonismo. Lorcan, invece, era un taciturno dai modi bruschi, spesso sull’orlo della maleducazione.

Fra Molly e Lysander c’era Roxanne Weasley, mano nella mano con quest’ultimo. Ellen, che aveva condiviso il dormitorio con lei per ben sette anni, le sorrise con calore e la salutò con sincero piacere.

« Ehi, Ellen! Qui! »

Come ogni volta che la udiva, la voce di Hera scosse qualche corda profonda e ben nascosta in lei. Ellen sospirò profondamente prima di voltarsi, chiedendosi quasi disperatamente se il proprio aspetto fosse gradevole, se anche a Hera piacesse andare a teatro e se in definitiva mai sarebbe potuta piacere all’altra allo stesso modo in cui lei stessa si sentiva attratta dalla giovane greca – per quanto le paresse strano anche solo pensare qualcosa di simile.

Tuttavia, qualche volta si permetteva di pensare a Hera, prima di dormire. Concedeva a tali pensieri solo pochi minuti, timorosa che qualcuno potesse in qualche modo carpirli dalla sua mente. Per lo stesso motivo non osava confidare le sensazioni che l’assillavano a un foglio di carta o un diario. Solo dentro alla sua testa erano davvero al sicuro.

In quel momento, tuttavia, si voltò. Notò il modo in cui Hera teneva la testa alta, il mento sollevato. I suoi occhi castani luccicavano, come sempre, e i riccioli scuri le ombreggiavano le spalle e la nuca¹. Sorrise a Ellen, con quelle sue labbra rosee e perfette.

« Vieni con noi, forza! »

Ellen si fece coraggio, e si decise a raggiungere la ragazza, che sedeva da una parte assieme a Ben Aubrey e Louis.

Devi solo tirare fuori il carattere.

Si sedette accanto agli altri con quanta naturalezza le riuscì.

« Christakos » stava dicendo Louis. « Dai. Lascia che ti accompagni a casa, dopo la festa ».

« Louis, ti prego » Hera sospirò – doveva cominciare a essere veramente esasperata –, « non costringermi a rispondere di no ancora una volta ».

« Ma – »

« Lou! » la voce di Dominique giunse forte e chiara dal divano, vagamente sfumata d’indignazione. « Sei il solito inopportuno. Al posto della povera Hera, ti avrei già lanciato una fattura ».

Louis mugugnò qualcosa in risposta alla sorella, infastidito, ma il cuore di Ellen cantava la più viva approvazione alle parole di Dominique.

Il ragazzo attese che quest’ultima fosse nuovamente catturata dalla conversazione con Grace e Adrian, prima di tornare a rivolgersi a Hera.

« Christakos, è una richiesta innocente! Anzi... mi offro di riportarti a casa e basta, è da gentiluomo ».

Hera inarcò le sopracciglia: « Piantala, Louis. Lo so benissimo che ci proveresti, sai? »

Il giovane riuscì a imprimersi in faccia un’espressione angelica molto poco convincente – Ben, nel frattempo, osservava la scena con aria vagamente divertita.

« Suvvia, Hera! Non pensare male, io voglio – »

« La tua fama di dongiovanni non ti serve a nulla, Louis? Dovresti sapere che comportandoti in modo tanto assillante le donne le allontani, piuttosto che avvicinarle ».

Passò qualche istante di silenzio, prima che Ellen si rendesse pienamente conto che tali parole erano uscite dalla propria bocca. Quando se ne accorse, dischiuse le labbra e boccheggiò appena, per poi serrarle nuovamente e levare il mento come faceva Hera, emettendo un sorriso nervoso. Si sentiva... trepidante.

Lo sguardo di Louis era stupefatto, ma anche divertito – Ellen si disse che avrebbe dovuto capirlo: per lui, il corteggiamento era tutto un gioco.

Hera scoppiò a ridere.

« Louis » disse. « Lasciamelo dire. Non hai speranze con me, e non le avrai mai. Non dipende da te, è solo che sono poco... poco interessata a uscire con un ragazzo, chiunque sia ».

La giovane greca cercò lo sguardo di Ellen – la quale, dal canto suo, non aveva cessato un istante di fissarla. Si scambiarono un’occhiata d’intesa, e alla ex-Grifondoro parve di cogliere svariati sottointesi nelle parole che l’altra aveva rivolto a Louis.

Il cuore le pompava rapido il sangue nelle vene, e non poteva fare a meno di sentirsi in qualche modo euforica.

Sai, Ellen Kirke, secondo me sotto sotto sei la più tosta di tutti, qui dentro.

 

 

 

*

 

La festa era finita, e gli invitati erano tutti tornati a casa. Grace era sdraiata sul divano, le lunghe gambe penzoloni dal bracciolo. Sorrideva quietamente: l’espressione del suo volto era dolce, i suoi occhi pensierosi. I capelli biondi disegnavano strisce chiare sul tessuto rosso scuro del divano.

James si accorse ancora una volta di quanto fosse bella, e di quanto fosse sua.

« Sistemiamo domani questa roba, che ne dici? » le propose, indicando con un cenno della testa il disordine che pervadeva la stanza – neanche troppo eccessivo, a dire il vero.

Grace parve riscuotersi d’improvviso dai propri pensieri, e gli sorrise.

« Buona idea » annuì.

James aggrottò le sopracciglia.

« Qualcosa non va, tesoro? » le chiese.

Grace aprì la bocca e la richiuse.

Il giovane Potter realizzò improvvisamente che durante l’intero corso della giornata era parsa strana, quasi assente. Allegra, certo, ma non particolarmente euforica – non quanto lui si sarebbe aspettato. Pareva persa in chissà quali pensieri, con quella curiosa espressione di quieta dolcezza impressa sul volto.

« Grace... » mormorò.

Si sdraiò accanto a lei sul divano, circondandola con le braccia.

« Che succede, Grace? » disse. « Parlami ».

La ragazza si divincolò appena per voltare il collo e guardarlo dritto in faccia.

« Sono incinta, Jamie » disse con voce forte e chiara.

 

 


 

 

 

¹ Non ho resistito. Dovevo citare quel frammento di Archiloco che dice: Le chiome le ombreggiavano le spalle e la nuca.

 

 

 

Note dell’Autore

Okay, siete autorizzate tutte a detestarmi, perché stavolta ci ho messo una vita ad aggiornare. Ad ogni modo, da adesso in poi cercherò di essere regolare con gli aggiornamenti. Poiché sto postando in contemporanea un’altra long-fic sul fandom di HP (Mehr Licht, Grindeldore. Se vi piace lo slash, mi farebbe piacere se deste un’occhiata!), posterò l’una e l’altra a settimane alternate, a partire dalla prossima.

Quindi... ci rivediamo lunedì con Sulla tua pelle!

E grazie a tutti voi per le vostre meravigliose recensioni. Non mi aspettavo tanto successo, devo ammetterlo!

Joie,

Daph

 

PS: la rivelazione finale. Sì, lo so. =)

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Stuck in reverse ***


 

Questo capitolo è dedicato a Silvia... leggendo scoprirà perché.

 

 

 

Capitolo 8

Stuck in reverse

 

 

When you get what you want but not what you need

When you feel so tired but you can’t sleep

Stuck in reverse.

Coldplay

 

« Ascolta » disse improvvisamente Lucrezia, « Non ti sembra che ultimamente i tuoi cugini si stiano comportando in modo strano? »

Alle sue parole, Lizzy sollevò accigliata lo sguardo dal tema di Pozioni di cui stava scrivendo la conclusione. Aggrottò le sopracciglia.

« A quali cugini ti riferisci? » interrogò l’amica.

Si trovavano in Sala Comune, impegnate a terminare gli ultimi rimasti fra i compiti assegnati per il giorno successivo – mercoledì. Poco più in là, Bernice teneva banco, mentre Harriet pendeva dalle sue labbra e Candida fingeva distrattamente di ascoltarla, scarabocchiando qualcosa su un foglio di carta.

Adelaide, invece, sedeva in disparte, acciambellata su di una poltrona. Teneva un libro aperto sulle ginocchia, ma i suoi occhi sempre immobili sullo stesso punto della pagina davano segno di quanto fosse in realtà persa nei propri pensieri.

Nella Sala Comune regnava un tiepido brusio piuttosto che una confusione vera e propria.

Lucrezia pareva aver deciso di abbandonare i compiti da parecchi minuti, e adesso distese le gambe sotto al tavolo, incrociando le braccia dietro la testa.

« Harvey e Marcel si stanno esercitando in Trasfigurazione su degli scarafaggi » osservò pigramente.

« Non cambiare discorso » borbottò Elizabeth di rimando.

Lucrezia emise una specie si sorriso storto, una luce birichina ad aleggiarle negli occhi.

« Li trovo buffi, » replicò, serafica, « tutto qui. Non stavo cambiando discorso ».

Inarcando le sopracciglia, Lizzy si voltò verso i compagni di casa. Marcel Buckley era in effetti vagamente buffo, mentre tentava di riacciuffare il proprio scarafaggio che fuggiva da una parte all’altra del tavolo. Il ragazzino non faceva che pestare con le mani sul legno per bloccarlo, ma quello gli sfuggiva sempre. L’espressione di Marcel appariva sempre più irritata, mentre parecchi studenti più grandi lo osservavano con aria leggermente schifata.

L’espressione di Harvey Higgs, seduto di fronte al ragazzo e preso a Trasfigurare pigramente il proprio scarafaggio con pochi e mirati colpi di bacchetta, non sarebbe potuta essere più diversa da quell’amico. Scrutava divertito i gesti dell’altro, con sguardo canzonatorio.

Era un tipo strano, Harvey, uno di quelli che paiono star costantemente prendendo in giro il mondo. Lizzy non lo trovava molto simpatico.

Riteneva una compagnia accettabile Stanley Warrington. Era un tipo silenzioso, sempre sulle sue, e questo a Elizabeth non dispiaceva affatto. Quel ragazzino le ispirava simpatia – ed era raro che qualcuno lo facesse.

Tuttavia, in quel momento Stanley c’entrava ben poco.

« Beh? » disse a Lucrezia. « Allora? »

L’amica le rivolse un sorrisetto sardonico.

« Guarda tu stessa » si limitò a dire. « Alla tua sinistra ».

Lizzy si voltò e il suo sguardo si posò su Lily e Rose, sedute in un angolo e prese a confabulare. Elizabeth pensò che non avesse mai visto Rose parlare tanto animatamente – o parlare così tanto. Il suo sguardo ardeva di una luce indefinibile, mentre quello di Lily – notò la ragazzina – pareva vagamente distratto e tornava continuamente a posarsi poco lontano, dalle parti del caminetto acceso. Lizzy ne seguì la traiettoria e si avvide che portava a quello che aveva imparato a riconoscere come il fratello dell’odiosa Bernice, Herman.

Inarcò le sopracciglia.

« Chiacchierano » dichiarò in tono disinteressato. « Non c’è nulla di strano ».

Lucrezia la guardò, scettica. « Se lo dici tu... » fece.

Elizabeth tornò a chinarsi sul proprio tema: si udì il grattare della penna sulla pergamena.

« Ma scusa » tornò a rimarcare l’altra, « da quello che ho visto fin’ora, tua cugina Rose non è una tipa particolarmente loquace ».

« Non è mia cugina » ribatté Lizzy, stentorea.

Lucrezia alzò gli occhi al cielo.

« D’accordo » concesse. « Allora la tua non cugina Rose non mi è parsa una chiacchierona ».

Lizzy la ignorò.

« Sbaglio? »

« Beh, in effetti non parla mai molto » mugugnò lei, costretta a convenire.

Lucrezia sorrise, trionfante: « Beh, girati » le disse.

Sbuffando, Lizzy si voltò: Rose continuava a parlare senza tregua, sempre con quell’aria animata, mentre lo sguardo di Lily non aveva cessato di sfrecciare continuamente in direzione di Hessler.

« Va bene » ammise, poggiando la penna sul tavolo e il mento sui pugni. « Avranno un argomento interessante di cui parlare. E allora? »

« Non è solo questo! » si difese Lucrezia. « Stanno sempre a confabulare, anche con Albus e Hugo! »

Lizzy fu stupita dalla familiarità con la quale l’amica faceva riferimento ai membri del clan Potter-Weasley usandone i nomi propri. Sembrava che le venisse naturale, quasi li conoscesse da sempre – sebbene non avesse mai parlato con loro. Di certo, pareva considerarli molto più vicini di quanto non riuscisse a fare Lizzy. La quale, dal canto suo, non sapeva se ammirare l’amica oppure esserne un pochino invidiosa.

Probabilmente, si trovò a riflettere, vorrebbe far parte della famiglia... al contrario di me.

Non sapeva granché della famiglia di Lucrezia. Su quel fronte, l’altra si era dimostrata piuttosto reticente, e per delicatezza Lizzy aveva preferito non insistere. Tuttavia, non le era stato per nulla difficile intuire che si trattasse di una conversazione per nulla facile.

In quel momento si accorse improvvisamente che Lucrezia avrebbe davvero voluto far parte di quel clan tanto rumoroso e vagamente folle che era la sua famiglia – per quanto la giovane Dursley faticasse a comprendere tale bisogno.

Per questo, forse, Lucrezia pareva tanto interessata a cosa Rose e Lily stessero combinando.

Si rese conto di essere l’unico possibile tramite fra lei e i Potter-Weasley. C’era Dominique, certo, ma Dominique non era lì.

« Beh, uhm » si schiarì la voce, un po’ impacciata. « Cosa credi abbiano in mente? »

Lucrezia sorrise, raggiante, e Lizzy seppe di non essersi sbagliata.

Quando l’amica parlò, gli occhi le brillavano: « Beh » disse, « non ci resta che scoprirlo! »

 

 

 

*

 

Negli ultimi giorni, l’umore di Jacob Greengrass lasciava parecchio a desiderare, e per svariati motivi. In primo luogo, gli sembrava che i suoi amici fossero tutti impazziti – anche se, doveva ammetterlo, nutriva seri dubbi sulla sanità mentale di Bernard già da parecchio tempo. Ecco, Bernie rappresentava il primo dei suoi problemi. Il giovane Boot si era dimostrato più testardo e persistente di quanto Jake si fosse mai aspettato: stava a Rose Weasley come un treno alle rotaie – e veniva bistrattato allo stesso, identico modo. Nonostante ciò, non demordeva dai suoi insani propositi: continuava a insistere con insospettabile tenacia, e se Jacob da una parte lo compiangeva, dall’altra lo ammirava persino un poco.

Forse se con Dominique non avessi mollato, a quest’ora lei starebbe ancora con me piuttosto che con quel bamboccio sentimentale.

La cosa che faceva più male, però, era la consapevolezza che in realtà per il bene di Dominique era giusto che le cose fossero andate esattamente come erano andate. E sapere che Adrian Goldstein fosse tutto fuorché un inutile bellimbusto di certo non aiutava.

Ma erano proprio i pensieri che ogni volta si riprometteva di non fare più. Lo facevano star male e non servivano a un bel niente – Jake ne era consapevole. E il fatto che fosse riuscito addirittura a flirtare con Swanilda Simpson la settimana precedente era un pensiero consolante, il pensiero che forse le cose stessero lentamente tornando alla normalità.

Anche se in realtà anche questo è deprimente.

Anche Albus pareva aver perso la testa, per quella Corvonero loro coetanea. Jacob reputava Georgia Menley una ragazza graziosa e spiccatamente intelligente, ma anche piuttosto scialba. Non vedeva nulla in lei di tutto quel misterioso charme tanto decantato da Al – il quale era diventato quasi insopportabile e pareva determinato a gettare in pasto ai cani ogni briciolo di dignità che gli era rimasto. Davvero non capiva cosa ci trovasse l’amico in quelle labbra estremamente carnose e in quei fianchi rotondi, quando passava i tre quarti del proprio tempo a rimpiangere la figura minuta di Dominique, i suoi occhi grandi e le sue gambe esili, il ghigno furbesco e lo sguardo sfuggente.

Si chiese se mai avrebbe potuto trovare un’altra ragazza che riuscisse a guardarlo come faceva lei. Dominique Weasley riusciva a dargli l’impressione di capire esattamente cosa gli passasse per la testa. Riusciva a mantenersi abbastanza imperscrutabile, ma il fuoco e le esplosioni di quanto aveva dentro spesso trapelavano con furia... Era diversa dalla cugina Rose, i cui occhi non trasmettevano assolutamente niente – e non certo perché la sua testa fosse vuota. Gli occhi di Domi erano pieni di sensazioni sfuggenti e ballerine, che danzavano e piroettavano e si rigiravano, confuse al punto che decifrarle era un’impresa ben ardua. Con il suo sguardo, poteva far sentire gli altri delle assolute nullità o le persone più importanti del mondo con la medesima facilità. Jacob li ricordava infuocati, quegli occhi, e gelidi. Spesso indispettiti, a volte rabbiosi. Sempre con quella scintilla di caparbietà che saettava irrefrenabile.

Questo amava di Dominique, il suo essere irrefrenabile. Si rese conto con orrore che ciò che in lei più amava era proprio lo stesso che più le faceva male.

Ricordò un abito nero e piuttosto attillato, che Dominique indossava all’ennesimo Luma-Party con aria audace e vagamente trepidante.

« Oh, sei tu! » la voce della ragazza gli risuonò improvvisamente nella testa, in tono falsamente deluso.

« Anche il tuo vestito è bello, Dominique. Lascia poco all’immaginazione ».

Rivide i suoi occhi sgranarsi dall’indignazione e le sue guance imporporarsi all’istante. Dominique aveva la pelle chiarissima, talmente diafana che le sue emozioni non potevano che avervi riflesso, per quanto la ragazza si sforzasse di controllarle.

« Sei il solito maiale, Greengrass! »

Dominique si allontanò con aria stizzita, arrestandosi a pochi passi di distanza. Jacob sorrise fra sé, apprestandosi a lei sogghignando.

« Davvero, Weasley » insistette, al solo scopo di irritarla, « tenti di farti notare dal tuo ex-ragazzo? »

La risposta giunse pronta e tagliente.

« Tento di farmi notare da chiunque tranne che da te » sibilò Dominique, « perciò lasciami in pace ».

Jacob strinse gli occhi, apertamente provocatorio. Aveva sempre trovato Dominique un tipo anche un po’ buffo, almeno nel rapportarsi con lui. Lo prendeva troppo sul serio – credeva di sapere tutto, ma proprio non le riusciva di capire che lui assumeva nei suoi confronti un atteggiamento tanto strafottente al solo scopo di vederla arrabbiarsi. Quando Dominique si infervorava, il suo volto e il suo collo candido di ricoprivano di adorabili chiazze rosse quasi impercettibili. La rendevano incredibilmente umana.

Jacob sorrise ancora.

« Balliamo, Weasley? »

« Te lo puoi scordare! »

« Dominique, mia cara! » la voce di Lumacorno tuonò improvvisamente vicino ai due, facendoli sussultare. « Perché mai rifiuti questo ben giovanotto? »

Agli occhi di Jake, era palese quanto Dominique si stesse sforzando per voltarsi sorridente alla volta dell’insegnante, piuttosto che rispondergli per le rime.

Sapeva che la ragazza avrebbe ceduto all’entusiasta imposizione del professore solo se costretta, perciò si preparò a godersi lo spettacolo – e a prenderne parte appena possibile.

La vide emettere un sorrisetto di circostanza: « Dovrei finire la mia bevanda prima, professore... » disse a mo’ di scusa, levando il mojito che stringeva fra le dità – Jacob aveva riconosciuto all’istante il proprio drink babbano preferito grazie alle foglie di menta pressate contro il bordo del bicchiere.

Improvvisamente, gli venne un’idea che reputò geniale all’istante.

« A questo possiamo trovare una soluzione! » intervenne in tono allegro, sfilando lesto il bicchiere dalle mani della ragazza. « Alla tua! » levò il bicchiere, per poi svuotarlo rapidamente un istante dopo.

Dominique parve accorgersi solo allora del suo gesto, giacché Jacob si era mosso troppo in fretta perché lei potesse rendersi immediatamente conto di cosa stesse accadendo. I suoi occhi si assottigliarono pericolosamente, mentre sotto lo sguardo compiaciuto di Lumacorno si avvicinava suo malgrado al giovane Greengrass. Lasciò che lui le facesse scivolare le braccia attorno alla vita, e attese che il professore si fosse allontanato prima di riprendere la parola.

« Potrei ridurti a meno di una virgola sociale per quello che hai fatto » sibilò, rabbiosa.

Jacob percepì il suo fiato solleticargli il collo da qualche parte vicino al proprio orecchio.

Ignorò le sue parole: « Sai perché quel drink Babbano si chiama mojito, Dominique? » mormorò, tentando di ignorare il tuffo precipitoso che pareva aver fatto il proprio cuore.

« Non me ne importa niente, forse? » ribatté lei gelida.

« Mojo in spagnolo significa incantesimo » proseguì lui, mostrandosi imperturbabile. « In realtà è stato un mago a inventarlo... è buono, vero? »

Aveva di proposito soffiato queste parole vicino alla sua tempia. Dominique lo allontanò di scatto.

« No, per niente! » ribatté in un tono stridulo e decisamente poco credibile.

« Hai già dimenticato quello che ha detto Lumacorno? » le ricordò lui con voce annoiata. « Dobbiamo ballare ».

« Lumacorno è andato via! » ribatté lei, stizzita. « E adesso me ne vado anche io! » aggiunse in tono risoluto.

Jacob osservò la sua schiena scomparire nella marasma di gente che si trovava nell’ufficio di Lumacorno, ridendo sotto i baffi.

 

Jacob Greengrass detestava i ricordi. Premevano di continuo sulle pareti del cassetto nel quale venivano rinchiusi, e se si consentiva a uno di essi di sbirciare fuori uscivano tutti uno dietro l’altro, in un inarrestabile fiume che non poteva far altro che travolgere il malcapitato di turno.

 

« Mi dispiace ».

« Non mi importa ».

« Scusami! »

« Smettila di seguirmi! »

« Dominique... » le afferrò il polso. « Dominique, ascolta – »

Lei si voltò di scatto, soffiando come un gatto rabbioso.

« Greengrass » lo aggredì, gelida, « è tutto okay, d’accordo? E lo sai perché è tutto okay? Perché la cosa neanche mi sfiora! Non hai niente da farti perdonare, quindi vedi di andartene ».

« Dominique, ti posso spiega- »

« Non mi interessi! Né tu, né le sciocchezze che hai da dirmi! »

Jacob iniziava a sentirsi piuttosto seccato... di certo seccante era quel vago senso di colpa che non riusciva proprio a fare a meno di provare.

Anche perché lui non aveva fatto proprio niente di male. Insomma, fra lui e Dominique non era mai accaduto nulla – e nulla si erano mai promessi, tra l’altro. Che diamine di problema c’era se aveva avuto voglia di baciare quella ragazza al Luma-Party di Halloween e alla fine se l’era fatta? Insomma, quello fra lui e l’ex-ragazza di Scorpius neanche si poteva considerare un flirt a piena regola.

Tuttavia, una piccola, minuscola parte di lui non poteva fare a meno di sentirsi colpevole, e la cosa era irritante.

Prese fiato: « Ascolta, Weasley, io – »

« Te la sei goduta? » le macchie sul collo di Dominique erano scarlatte. « Te la sei goduta, dimmelo? »

« Io – »

« Continua a godertela, allora! »

La ragazza gli lanciò uno sguardo grondante odio, prima di allontanarsi di corsa.

Jacob osservò la sua figura allontanarsi, pensando a come risolvere quella situazione. Poi, d’improvviso, ricordò che mancavano solo pochi giorni al suo compleanno...

 

« Ho fatto bene a scegliere questo vestito » disse Jacob, avvicinatosi alle spalle di Dominique e avendo cura di sussurrare ben vicino al suo orecchio.

La ragazza si voltò di scatto, quasi l’avesse punta una vespa.

Ho fatto bene davvero, pensò lui. Le sta benissimo.

« Ah, sei stato tu? » replicò lei trattenendo visibilmente un sorrisetto, con un tono sorpreso che non riuscì a ingannarlo.

« Lo sai benissimo » le rispose infatti con un sogghigno, inarcando le sopracciglia.

« Beh » borbottò lei, sorprendentemente impacciata avendo cura di non guardarlo in faccia, « grazie, allora ».

« E la festa? » le domandò lui – convincere Lumacorno a organizzare un Luma-Party era stato un colpo da maestro. « Ti piace? »

Dominique lo guardò con occhi sorprendentemente quieti. Permise al sorriso che prima tratteneva di incurvarle le labbra. Annuì.

Jacob non seppe più resistere. Si avvicinò, posando cautamente le labbra sulle sue.

« E questo? » le sussurrò, allontanandosi appena. « Ti piace? »

Per tutta risposta, Dominique gli piazzò una mano sulla nuca, tirandolo verso di sé per baciarlo ancora.

 

La locomotiva scarlatta fischiava, emettendo torbidi getti di vapore nella fredda aria dicembrina. Fra la folla di studenti che affollavano il binario – in attesa di prendere il treno che li avrebbe condotti a casa per passare le vacanze natalizie – le figure di Dominique Weasley e Jacob Greengrass erano allacciati in una stretta quasi distratta. Non pochi sguardi si fermavano sulla coppia, lieti che almeno loro non si stessero dando alle effusioni grondanti caramello di James Potter e Grace Zabini.

« Bene » stava dicendo Jacob a voce altissima, « ti sei ricordata di mettere in valigia l’adorabile completo intimo che – »

« Ssh! »

Dominique, rossa in volto, si era affrettata a tappargli la bocca con entrambe le mani, guardandosi intorno con improvvisa tensione. Una volta che si fu accertata che nessuno avesse udito, si volse verso Jake – il quale nel frattempo non aveva cessato un istante di ridere sotto i baffi.

« Jake! » lo riprese, stizzita. « Ti ho detto mille volte che – »

« Ssh! » le fece il verso lui, sfilandole le parole di bocca con un bacio.

Dominique si lasciò travolgere dal suo bacio per un istante solo, per poi allontanarsi con grazia dalle sue labbra e guardarlo dritto in faccia. I loro volti erano a mezzo metro di distanza, ma la ragazza non sembrava voler sciogliere la stretta di lui dalla propria vita.

« Greengrass » gli si rivolse severamente, « puoi star certo che non mi mancherai affatto. Non ti azzardare a scrivermi, o – »

« Naturalmente... » mormorò lui a un soffio dalle sue labbra.

Dominique non riuscì a trattenere un sorrisetto – dipinto dal solito, proverbiale contegno.

Ricambiò con trasporto il bacio che lui le pose sulle labbra, prima che il fischio della locomotiva non la richiamasse a bordo.

 

Jacob aveva pensato fin da subito che quella della battaglia di neve fosse una pessima proposta, ma naturalmente non c’era stato verso di far cambiare idea a Grace. A detta del giovane Greengrass, talvolta la testardaggine di quella ragazza diveniva esasperante. Grace aveva bellamente ignorato ogni suo tentativo di farle capire che sarebbe stato meglio evitare di annullare troppo le distanze fra lui e Goldstein.

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Era sorprendente il modo in cui una persona dall’indubbia e considerevole intelligenza come Grace Zabini sapesse essere tanto cieca di fronte a segnali di quel tipo – sbuffi, occhiatacce, sospire, camminata da bradipo.

Jacob ce l’aveva messa tutta, ma l’amica era stata altrettanto tenace nell’ignorarlo crudelmente.

E dire che dovrebbe essere una Grifondoro.

Di certo, fare a palle di neve con un battitore piuttosto talentuoso quale Goldstein era non giocava a favore di Jake – e della sua mira da schifo. Suo malgrado, non era mai stato particolarmente portato per lo sport, sebbene non disdegnasse l’equitazione o una sana oretta di corsa.

La mira di Adrian Goldstein era particolarmente precisa. Con un lancio ben calibrato – E del tutto calcolato, penso Jacob – il Grifondoro lo colpì sopra l’orecchio destro con una palla di neve particolarmente grossa, che si era immediatamente sfracellata contro i suoi capelli scuri. Uno sgradevole rivolo d’acqua gelida gli scivolò giù per il collo, bagnando la sua sciarpa verde-argento.

« Ehi! » sbottò, rabbioso.

Solo ultimamente Jake si era accorto di detestare cordialmente Adrian Goldstein... per la precisione, da quando lo aveva sorpreso a fissare insistentemente Dominique.

Jacob si accorse dalle espressioni di Grace e Scorpius di aver esagerato nell’attaccare Goldstein in quel modo.

« Mi dispiace » si scusò quello, ma dalla sua espressione si sarebbe detto tutt’altro che dispiaciuto. « Era difficile da schivare, lo so... »

Ma Jacob era veramente stufo marcio di tutta quella commedia.

« Non è stato un caso, questo tiro! » ringhiò. « Mi guardi malissimo da tutto il giorno, si può sapere cosa vuoi? »

« A quanto pare » ribatté l’altro, « la tua immaginazione è molto viva... o forse soffri di allucinazioni? »

Jake rise amaramente.

« Ma guardati, Goldstein! Neanche sei capace di insultare qualcuno come si deve! »

« Sono educato, al contrario di te ».

Nella testa di Jacob balenarono gli occhi dell’altro, fissi su Dominique e colmi di una strana rabbia difficile da decifrare. Si rese conto di star perdendo seriamente le staffe, ma qualcosa gli impedì di trattenersi.

« Sei educato quando guardi la mia ragazza come se volessi saltarle addosso? »

Con amara soddisfazione, notò che anche Goldstein stava cominciando a perdere la calma.

« Questo non c’entra niente! » sibilò, trattenendosi a fatica.

Jacob capì di volerlo strozzare, e di volerlo fare subito.

« C’entra eccome, invece! » esclamò. « Tu non hai niente a che fare con Dominique né mai ne avrai! »

« Vedi, è proprio qui che sbagli! »

Il giovane Greengrass sentì un tuffo al cuore.

« Che cosa intendi dire? » la voce gli uscì come soffocata.

« Lascia perdere! » gridò l’altro. « Tanto non potresti arrivarci! »

Jacob ci vide rosso. Si gettò su Goldstein, e allora fu tutto un vortice confuso di pugni e calci e colpire quel bastardo ovunque riuscisse a prenderlo.

La voce di Grace giunse improvvisa...

« Impedimenta! »

 

« Jake. Jake! »

La voce di Scorpius riecheggiò per il dormitorio, ormai diventato da qualche giorno l’eremo solitario di Jacob e di svariate bottiglie di Firewhiskey vuoto. Al giovane Greengrass mai la voce dell’amico era parsa tanto irritante e sciocca – e inappropriata.

Quei giorni parevano essere trascorsi in un sofferente torpore vagamente disciolto, senza distinzione fra giorno e notte, il tichiettio costante dell’orologio a scandire senza fine quel tempo che scorreva in strane e distorte direzioni. Jake si sentiva a pezzi, debole, sfracellato. Avrebbe voluto disintegrarsi, autodistruggersi, lasciarsi morire – avrebbe voluto svegliarsi e scoprire che si era trattato solo di uno stupido incubo.

Emise una sorta di grugnito – in quelle ultime ore aveva parlato così poco che a stento ricordava come si facesse – al solo scopo di rendere Scorpius consapevole del fatto che lui aveva preso nota della sua presenza nella stanza. Prima il giovane Malfoy avrebbe spiattellato tutto ciò che aveva da dirgli, prima se ne sarebbe andato – abbandonandolo ancora a quella sospirata solitudine di sonno e veglia stranamente confusi fra di loro.

Jacob evitava lo specchio, consapevole che ciò che vi avrebbe visto non gli sarebbe piaciuto affatto – o forse l’avrebbe persino soddisfatto.

« Sembri il ritratto della devastazione » aveva mugugnato Bernie il giorno precedente.

Lo sguardo che Jake gli aveva rivolto era stato talmente torvo da convincerlo ad allontanarsi in tutta fretta.

Scorpius gli si piazzò davanti, il viso dipinto di rassegnata preoccupazione.

« Come stai? » lo interrogò cautamente, allentando il nodo della cravatta verde-argento con due dita.

Domanda idiota.

« Una merda » brontolò Jake di rimando. « Come vuoi che stia? »

Scorpius rimase imperturbabile di fronte al suo tono scortese.

« Boh, magari ti sentivi meglio » scrollò le spalle. « Non credi sia ora di uscire di qua? Non ti fa bene stare rinchiuso in dormitorio ».

Infastidito da tanta ragionevole premura, Jacob sbuffò e rispose acidamente: « Certo, mamma ».

Scorpius sorrise, scuotendo la testa. L’espressione rassegnata sul suo volto era talmente patetica e affranta che finì per strappare a Jacob una risatina amara – forse perché si era reso conto di costituire uno spettacolo ben più triste di quello rappresentato dall’amico.

« Mi sento patetico » mormorò prima di riuscire a trattenersi. « Non avrei mai pensato di sentirmi così per... per qualcuna ».

Scorpius parve esitare.

« Senti » deglutì, « non potresti perdonarla? »

Jacob strinse gli occhi, indignato e stupefatto e furibondo.

« No! » replicò bruscamente. « Mi ha tradito! »

« Non ti ha tradito » puntualizzò Scorpius in tono neutro. « Non stavate ancora insieme quando è andata a letto con Goldstein ».

Jake non sapeva bene come spiegare a Scorpius il perché si sentisse come se Dominique l’avesse fatto, perciò si limitò a mugugnare: « Goldstein è un idiota ».

Aveva distolto lo sguardo dall’amico, ma con la coda dell’occhio lo vide alzare gli occhi al cielo.

« Sì, va bene » accondiscese, « è un idiota. Ma non cambiare discorso ».

« Perché dovrei perdonarla? »

« Perché sta male quanto te per tutta questa storia, dammi retta ».

« Se l’è cercata ».

Scorpius pareva davvero esasperato. « Oh, accidenti, Jake! » sbottò. « Perché devi essere così testardo? Lei non ti ha tradito! »

La rabbia che fino a un istante prima aveva sopraffatto il giovane Greengrass parve abbandonarlo tutt’ad un tratto, lasciandosi dietro uno sgradevole senso di vuoto. Jacob si sentì improvvisamente più abbattuto che mai.

« È come se l’avesse fatto » mormorò tristemente.

Scorpius abbassò gli occhi, quieto.

« Io ho tradito davvero Dominique, due anni fa » disse a bassa voce – le sue parole parvero rimbombare nel silenzio. « E lei mi ha perdonato ».

Jacob per la prima volta pensò che davvero nessuno avrebbe mai potuto capire.

« Ma lei non ti amava » tentò ancora. « Io invece, beh... »

« Ami Domi, no? » inaspettatamente, Scorpius sorrise. « E non ti sembra già una ragione sufficiente per perdonarla? »

Vagamente – e misteriosamente – sollevato, Jake emise un debole sorrisino beffardo: « Sicuro di essere nato maschio, Scorpius? »

In quel momento, si accorse di aver già perdonato Dominique.

 

« Chi è? »

Oltre la porta chiusa, la voce di Dominique passò fievole.

« Sono io, Dominique ».

Con l’occhio della mente, Jake la immaginò boccheggiare appena e poi deglutire.

« Entra, Jake ».

Senza altre parole, il ragazzo spinse la porta ed entrò. Dominique era seduta sul letto, la schiena poggiata alla testiera e le gambe allungate davanti a sé. Il suo sguardo era estremamente lucido, ma il volto appariva lacero e stanco. Per qualche motivo, a Jake parve di poterne morire – sentì distintamente il rumore di qualcosa che si spezzava, dentro di sé.

Si lasciò cadere seduto sul bordo del letto di lei, prendendosi la testa fra le mani.

« Come stai? » le si rivolse bruscamente, con voce soffocata.

Trascorsero alcuni istanti di silenzio prima che la ragazza rispondesse.

« Non bene » deglutì. « E tu? »

« Male » rispose francamente Jacob, con voce rasposa. « Ti amo, Domi » aggiunse, stupendosi di quanto fossero sincere quelle parole – anche se lo sapeva, lo sapeva già.

« Lo so » sussurrò lei.

Cadde il silenzio, e fu il giovane Greengrass a romperlo.

« Perché non me ne hai mai parlato? » mormorò.

Lei sorrise amaramente: « Non lo so, sai? » sospirò. « Perché saresti stato incredibilmente geloso. E poi, se ne avessi parlato con qualcuno... »

« Sarebbe diventato vero » completò Jacob in un sussurro.

Entrambi mantenevano basso il tono di voce, come timorosi di distruggere qualcosa che – lo percepivano – già stava sfuggendo loro di mano. Ma non volevano, non avrebbero mai voluto farsi del male a vicenda – non più.

 

« Sì » sussurrò Dominique.

Restarono silenti per alcuni istanti, evitando di guardarsi: Jake fissava dritto di fronte a sé, certo che se avesse distolto lo sguardo da quel punto esatto di parete avrebbe sentito il peso di una montagna crollargli addosso.

« Non tornerai con me, vero? » le chiese – ma più che come una domanda suonò come un’affermazione.

Trovò il coraggio di voltarsi verso di lei: la vide scuotere appena la testa, mentre il mento le tremava e le lacrime cominciavano a scivolare copiose lungo le sue gote. Si sporse verso di lui, quasi chiedendo aiuto.

Jacob fu incapace di trattenersi: la accolse fra le proprie braccia, tenendola stretta a sé e aspirandone il profumo come un condannato a morte avrebbe divorato l’ultimo pasto.

« Scusami! » singhiozzò Dominique, il volto premuto sulla sua spalla. « Mi dispiace così tanto! »

Non si era mai scusata di nulla, prima. Mai.

« Lo so » sussurrò Jake sui suoi capelli. « Lo so ».

 

 

 

« E tu cosa hai fatto quest’estate, Jake? »

« Cose molto divertenti e stuzzicanti che è meglio tu non sappia ».

« E che non voglio sapere ».

« E che non devi sapere » si intromise Albus, gettando un’occhiataccia a Jacob.

« Al, non dirmi quello che devo fare. Anche perché farei quello che mi pare comunque ».

Figura minuta, occhi grandi, gambe esili, ghigno furbesco. Sguardo sorprendentemente fisso e sicuro.

 

 

*

 

« Odio i provini di Quidditch » brontolò Chris McGregory, riassestandosi il bavero della sua divisa da portiere. « Tutte quelle crisi isteriche! E i ragazzini esaltati del primo anno che si presentano con le scope della scuola ».

« Dai la colpa al mio vice! » protestò Albus, indicando Quinn Baston con un cenno del capo. « Io avrei evitato volentieri delle selezioni in piena regola, ma – »

« Era necessario, capitano! » lo interruppe la ragazza con decisione. I suoi occhi brillavano di un fervente entusiasmo – un fervente, terrificante entusiasmo.

« E come mai? » la aggredì McGregory.

Al sapeva bene che Chris e la giovane Baston erano ai ferri corti, poiché lui era convinto che la ragazza gli avesse soffiato il posto di vice.

Che idiota.

Quinn reagì con insospettabile calma, scrutando McGregory con severità: « È necessario » si limitò a proferire. « Per quanto ne sappiamo, lì fuori potrebbe esserci un talento ».

« Facile parlare, per te » bofonchiò Johnatan Hasting. « Sei una fuoriclasse! »

« Hasting, non tentare di adularmi. E poi, potrebbe tranquillamente esserci un battitore molto più bravo di me. Non è vero, capitano? »

Albus parve riscosso da chissà che affascinanti pensieri. « Eh? » disse. « Certo. Cioè, no. Ne dubito, ecco ».

Gli occhi di Quinn si strinsero, sospettosi. « Stai bene? » gli domandò senza tanti preamboli.

« Sì » Al emise il più convinto – e affascinante – dei suoi sorrisi. « Sto benissimo ».

La ragazza indicò con un cenno del mento il corridoio che conduceva al campo. « Andiamo, allora » disse.

Lui annuì. Precedette la squadra lungo il passaggio, fino ad emergere sul campo, dove piccoli gruppi di aspiranti giocatori attendevano frementi.

Qualcosa lo spinse a sollevare lo sguardo sugli spalti... incrociando quello di Georgia, che sedeva in solitudine in una delle prime file. La vide sorridere, prima che una robusta gomitata di Quinn gli ricordasse il motivo per cui si trovava lì.

 

« Niente male, ragazzi » Al si congratulò con i due nuovi membri della squadra. « Ottima prova. Ci vediamo mercoledì sera per il primo allenamento... Per le divise, rivolgetevi al professor Paciock. E non esitate a chiedere aiuto a Gazza, in caso di problemi di manutenzione delle scope ».

Li guardò allontanarsi, compiacendosi di tutto quel carisma. Stava per avviarsi anche lui alla volta del castello, quando una voce lo trattenne.

« Ehi, Potter! Aspetta un attimo! »

Impresse sul proprio volto un sorriso spavaldo, prima di volgere il capo verso Quinn.

« Dimmi, mia cara! » proferì in tono allegro.

« Sei un completo deficiente, Potter ».

Lui sussultò. Levò le sopracciglia.

« Beh, Quinn » disse, « grazie per le dolci parole ».

La ragazza pareva fremere di rabbia – Al si chiese se non fosse necessario iniziare a pensare a una via di fuga.

« Non c’è di che, capitano » sottolineò il termine con tono carico di disprezzo.

Albus sospirò: « Potrei perlomeno sapere la causa di tanta tenerezza? »

Gli occhi di lei si assottigliarono pericolosamente. « Senti » sibilò, « piantala con questa commedia, d’accordo? »

« Va bene » concesse lui in tono indifferente. « La pianto. Allora? »

« Allora sei un cretino! »

« Questo l’avevo ca- »

« Ti rendi conto che oggi alle selezioni ho dovuto fare tutto da sola? »

Albus aggrottò le sopracciglia. « Non mi sembra, io – »

« Tu un corno! » inveì Quinn. « Eri sempre distratto, e il capitano non può essere distratto alle selezioni! »

Ma allora è questo il problema...

« Senti, mi – »

« Bisognerebbe proibire a Georgia Menley di assistere alle partite! » sbottò la ragazza.

Albus percepì un barlume di senso di colpa affacciarsi alla bocca del suo stomaco, ma non intendeva cedere. Lo scacciò come avrebbe fatto con una mosca fastidiosa.

« Che cosa c’entra Georgia adesso? » ribatté con voce un poco alterata.

« C’entra perché non hai fatto altro che fissarla tutto il tempo! Cosa faremo quando dovremo giocare contro i Corvonero, eh? »

« Quinn, non ti pare di star esagerando? »

L’espressione della ragazza era stranamente contratta, dipinta di una furia inaudita – assurda, inspiegabile, sofferente.

« Possibile che tu non capisca, Albus? » sibilò rabbiosamente.

« Che io non capisca cos- »

Lo schiaffo giunse improvviso e doloroso, rimbombando nel parco ormai buio e quasi facendo perdere l’equilibrio ad Albus.

« Quinn » rantolò, « Ma sei impazzita? »

« Vai a quel paese, Potter! » ribatté lei con voce rotta, prima di correre via.

Albus la guardò allontanarsi, le dita premute sulla mascella bruciante.

« È matta » sussurrò fra sé. « Matta da legare ».

 

 

 

 

Note dell’Autrice

In ritardo anche stavolta... non so se mi perdonerete.

Questo capitolo non mi convince al cento per cento a dire il vero, ma come sempre a voi il giudizio!

Vi ringrazio come sempre per l’attenzione che prestate a questa storia, sebbene all’ultimo capitolo sembri essere un poco calata l’audience =)

Ci avviciniamo alle cento recensioni!

Joie, Daph.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Libatius Borragine ***



Capitolo 9

Libatius Borragine


The scars of your love remind me of us

They keep me thinking that we almost had it all

The scars of your love they leave me breathless.

Adele


30 settembre 2022
Hogwarts, Scozia
Attorno alle dieci di mattina.


 


Oltre i granitici archi a sesto acuto delle finestre il cielo era brumoso e bigio, una coltre compatta di nubi che a stento permetteva ad alcuni deboli raggi di sole di passare.

Hugo odiava quel tipo di giornate. Pensava mettessero il cattivo umore, e l’aria rarefatta rendeva difficoltosa la concentrazione. Quella mattina, era appena uscito da una lezione di Storia della Magia particolarmente noiosa. Contrariamente al solito, non era riuscito a seguire il professor Rüf e non aveva preso neanche un appunto. Difficilmente l’avrebbe ammesso, ma tutta quella situazione lo stava mandando fuori di testa, e per un motivo molto semplice: per la prima volta in tutta la sua vita non stava capendo un fico secco di quanto accadeva attorno a lui. Come se non bastasse, i primi freddi di fine settembre gli avevano fatto dono di un principio di influenza, e nonostante il temporaneo abbassamento dell’udito che ciò gli provocava riusciva a sentire distintamente l’umiliante, rumoroso ansito del proprio respiro. Aveva il naso tappato gocciolante e rosso quasi quanto i capelli, e un mal di testa costante da diverse ore.

Se non mi passa entro stasera, decise, vado da Madama Chips a farmi dare una dose di Pozione Pepata.

Ringraziava il cielo che vi fosse un’ora libera prima del pranzo, poiché – per usare le parole di Lily – la cugina aveva da riferirgli un sospetto più fondato che mai, riguardo ovviamente la faccenda del lui-sapeva-cosa. Adesso si stava affrettando per i corridoi, poiché non vedeva l’ora di sentire cosa avesse da dire Lily. Al tempo stesso la cosa lo scocciava non poco, giacché era irritante il sapere che Lily aveva già un sospetto quando lui – il geniale Hugo Wealey – proprio non sapeva che pesci prendere. Certo, con Rose si era messo di buona lena, e insieme erano riusciti a cancellare qualche nome dalla lista dei sospettati. Chris McGregory e Amarillide Stubbins, ad esempio.

« Troppo impegnati a trescare per accorgersi di una qualunque altra cosa » aveva commentato Rose.

Cassandra Goyle.

« Troppo stupida ».

Georgia Menley.

« Stava lavorando a degli schemi di Quidditch » aveva detto Rose come palesando l’ovvio. « Troppo importante per badare a qualcos’altro ».

Diretto all’aula in disuso che aveva assieme ai cugini adibito a luogo segreto per le loro riunioni, Hugo si arrestò. Gli era parso di udire un rumore di passi frettolosi alle proprie spalle, e sospettoso aveva ritenuto opportuno controllare. Si volse dunque di scatto: nessun movimento. Per qualche istante, scrutò il corridoio alle proprie spalle con gli occhi stretti. Poiché non gli riuscì di vedere alcunché, scrollò le spalle e riprese a procedere per la propria strada.

Nonostante lui e Rose fossero riusciti a spuntare Georgia Menley dall’elenco dei sospettati, per quanto riguardava suo fratello minore non era stato loro possibile fare lo stesso – con enorme rammarico di Hugo. La sua colossale cotta per Anthony Menley non accennava a sopirsi, ma nonostante ciò era su di lui e pochi altri che venivano a cadere gran parte dei sospetti.

Corvonero, ambizioso e ficcanaso: Tony era in possesso di tutti i requisiti necessari ai Potter-Weasley per sospettare di qualcuno. Inoltre, era uno dei pochi della sua casa a trascorrere parecchio tempo con Lysander Scamandro, l’anno precedente. Di certo, quest’ultimo non aveva mancato di decantare anche a lui le doti del suo fantomatico uovo di Fruffolo Frizzante.

« Weasley! Ehi, Weasley! »

Quasi Hugo l’avesse chiamato, una voce familiare si levò alle sue spalle.

Sobbalzò. « Oh... Menley » lo salutò in tono fievole ma fermo, « buongiorno. Mi hai fatto prendere un colpo » aggiunse nel voltarsi.

Tony ricambiò il suo sguardo, pochi passi più in là. Il suo aspetto era come sempre impeccabile: i capelli castano chiaro piovevano ordinati sulla fronte, la cravatta bronzo-blu perfettamente annodata faceva capolino dallo scollo a vu del pullover dell’uniforme. Indossava il mantello, ma gli alamari erano aperti. La mascella leggermente squadrata faceva da contorno al suo sorriso allegro e controllato.

Come ogni volta che lo vedeva, Hugo si sforzò di guardare i suoi occhi – solo quelli. Doveva sforzarsi di non fissare l’attenzione su nient’altro del corpo di Tony – non il naso dritto e preciso, non le labbra sottili che l’altro mordicchiava di continuo. Non il modo in cui la stoffa del mantello ricadeva sulle sue braccia, non quella porzione di collo che faceva capolino fra il colletto e le ultime ciocche di capelli.

Hugo si sforzava di guardare solo gli occhi e una piccola zona circostante ad essi – sopracciglia, zigomi, un paio di centimetri di fronte. Ciò era dovuto ad una causa a conti fatti semplice: Anthony era un sospettato. Non si poteva fidare di lui, e il giovane Weasley era consapevole che, se avesse guardato il suo intero volto o – peggio – la sua figura, la vista l’avrebbe ammaliato e perciò deconcentrato, distogliendolo dall’Importante Missione.

Certo, non osservare le movenze e le espressioni di Anthony nella loro complessità avrebbe reso più difficoltoso comprendere se mentiva o meno e in qualche modo il tentare di leggere in lui, ma Hugo sapeva di non poter salvare capra e cavoli. Almeno all’inizio di ogni loro incontro, specie se fortuito come quello. Dopo un po’ – supponeva – avrebbe raggiunto sufficiente controllo da poter osservare per bene l’altro senza distogliere la mente dal proprio obiettivo, e allora avrebbe potuto studiarlo al meglio.

Si sentiva tremendamente in colpa a sospettare di lui, per poi darsi dell’idiota neanche un istante dopo nel ripetersi che i suoi pensieri e le sue speranze su Anthony fossero in realtà solo dei patetici castelli in aria.

« Scusami » Tony sorrise amabilmente.

Non lo guardare, Hugo. Concentrati sugli occhi... non lo guardare.

« Che lezione hai avuto? » si sentì chiedere al compagno di casa.

« Incantesimi » il giovane Menley sorrise ancora. « E diventa sempre più interessante ».

« Piacerebbe anche a me fare i Non Verbali » commentò Hugo quasi distrattamente.

« Weasley » replicò l’altro soavemente, « tu sai fare perfettamente i Non Verbali ».

L’espressione di Hugo restò immutabile. « Sai cosa intendevo » ribatté.

Tony scosse la testa, ridacchiando fra sé: « Hai sempre la risposta pronta ».

« A volte torna utile ».

« Appunto ».

« Cosa dovevi dirmi? ».

Il volto del ragazzo si fece improvvisamente serio. Si avvicinò a Hugo di qualche passo e dopo essersi guardato attorno nervosamente si decise a prendere la parola – Hugo era piuttosto alto per la sua età, cosicché Tony non ebbe bisogno di chinarsi per parlargli all’orecchio.

« Ho trovato un foglietto in Sala Comune » disse, « che ha tutta l’aria di essere caduto dalla borsa di qualcuno ».

« E allora? » il tono di Hugo si mantenne indifferente. « Capita a tutti di perdere dei foglietti ».

Anthony sbuffò, un po’ esasperato: « Ti prego, Hugo, è una cosa seria ».

Il giovane Weasley fu costretto a deglutire: Tony non l’aveva mai chiamato per nome, prima, sempre  e solo per cognome.

« Beh » borbottò, « se è una cosa seria allora parla. Ma in fretta, devo andare in un posto e non ho molto tem- »

« Cinque minuti per me puoi anche ritagliarli, no? »

« E perché mai? » Hugo parlò sdegnosamente, punto nell’orgoglio.

« Perché siamo amici ».

La tentazione di prenderlo a schiaffi gli attanagliò le viscere.

« Sbrigati » mugugnò.

Anthony sospirò. « Per farla breve » riprese, « questo foglietto riporta delle immagini particolari... sembrerebbe simbologia Babbana ».

« E allora? »

« Alllora vorrei chiederti un favore ».

Hugo aveva capito perfettamente. « Sarebbe? » chiese, per eliminare ogni dubbio.

« Potresti aiutarmi a comprendere il significato di quei simboli? »

« Io... » Hugo esitò, mentre uno sgradevole sospetto gli attraversava la mente. « Sì » disse poi, « certo ».

Tony lo gratificò del più bello e riconoscente dei suoi sorrisi. « Grazie » disse, ficcandogli in mano un foglietto prima di allontanarsi in fretta e furia.

Non appena il ragazzo ebbe oltrepassato l’angolo, Hugo abbassò gli occhi sul foglietto in questione. Recava impresse le stampe di quattro immagini iconologiche, che Hugo poteva intuitivamente ritenere le personificazioni di qualche vizio o virtù.

La prima raffigurava una donna abbigliata con semplicità, che teneva il braccio destro sollevato e nella mano quello che poteva essere un paio di forbici, o forse un compasso. Fra le dita della mano sinistra – abbandonata lungo il fianco – stringeva un sacchetto rigonfio di roba, probabilmente denaro. Accigliato, Hugo si chiese cosa per le mutande di Merlino potesse stare a significare. Sbuffando, si dedicò alla figura successiva.

Qui era rappresentato un uomo barbuto, con impresso sulle labbra un sorrisetto sardonico. Pareva vestito di pelo, e il suo corpo era umano fino ai fianchi: al posto delle gambe, due code di serpente si intrecciavano a sorreggerlo. Al suo fianco sostava un felino non meglio identificato, che teneva la testa fra le gambe come se fosse spaventato. In una mano stringeva una rete con imprigionata al suo interno una creatura la cui natura non era chiara, mentre nell’altra una sorta di tridente uncinato.

La terza immagine riportava un angelo dalle vesti che turbinavano al vento, con le ali spiegate e gli occhi bendati. Teneva le braccia sollevate sul capo, e reggeva una gran quantità di corone, tiare e altri copricapo regali, tutti diversi in forma e qualità.

La quarta figura fu quella che a Hugo piacque meno di tutte. Recava un uomo dal giovane corpo, il cui volto tuttavia era quello di un vecchio dall’espressione distorta e furibonda, con una barbetta a punta. Nonostante avesse un fisico giovanile, procedeva curvo e con l’incedere di una belva a caccia. La mano sinistra indicava il suolo, nella destra stringeva qualcosa di simile a un gatto a nove code, ma dei serpenti dalle bocche spalancate e sibilanti sostituivano le nove fruste uncinate.

Rabbrividendo, Hugo si chiese ancora una volta cosa significasse... e dentro la sua testa i sospetti su Anthony salirono vertiginosamente.

Deciso a indagare sulla faccenda più tardi, si strinse nelle spalle e infilò il misterioso foglietto in tasca, prima di dirigersi nuovamente a passo svelto verso l’aula in disuso.

 

 

*

 

« Chi è quello? » sussurrò Lizzy, accigliata.

La gomitata di Lucrezia arrivò robusta e inaspettata. Elizabeth trattenne un singulto, premendosi una mano sul costato, ma soffiò contro l’amica come una gatta infuriata.

« Ma sei pazza? » sibilò, massaggiando il punto dolente. « Mi hai fatto ma- »

« Ssh » la azzittì l’altra. « Non riesco a capire cosa dicono! »

Lizzy alzò gli occhi al cielo, ma a propria volta aguzzò occhi e orecchie.

Silenziosamente pedinavano Hugo da una mezz’ora abbondante, esattamente da quando uscite dalla lezione di Trasfigurazione l’avevano visto allontanarsi in solitudine e con fare lievemente circospetto. Al momento erano appostate dietro un angolo, e pochi minuti prima erano sfuggite alla vista di Hugo per un pelo – quando si era voltato di scatto, il cuore di Lizzy le era balzato in gola per la tensione. L’aveva stupita lo scoprire che non era una sensazione poi così spiacevole, il brivido del rischio... non che l’avrebbe mai ammesso con Lucrezia.

Poco prima si era avvicinato al giovane Weasley un ragazzo di Corvonero, che a giudicare dalle apparenze doveva essere di qualche anno più grande. Del sesto, probabilmente, o forse del settimo. I due avevano scambiato qualche battuta, poi Hugo aveva fatto una domanda e l’altro si era fatto improvvisamente serio. C’era stato un ulteriore scambio di frasi concitate, poi il ragazzo più grande, non prima di essersi accertato che nessuno vedesse – Che ingenui! –, aveva ficcato un foglietto fra le mani di Hugo, per poi allontanarsi in fretta e furia.

Hugo era rimasto parecchi minuti a fissare quel dannato foglietto – mentre le due ragazzine si rodevano il fegato dalla curiosità. Il suo volto si era tinto di una vaga apprensione, per poi prendere un’espressione scocciata. Si era quindi stretto nelle spalle prima di allontanarsi anche lui in tutta fretta.

Lucrezia strinse il gomito di Elizabeth e se la trascinò di nuovo dietro silenziosamente. Non era facilissimo – così scoprì Lizzy – seguire una persona senza essere visti, ma il fatto che fossero entrambe così piccole giocava a loro favore. La stessa Hogwarts pareva essere stata progettata per missioni di spionaggio: i suoi corridoi raramente erano lineari. C’erano di continuo angoli oscuri e nicchie buie dietro a statue o armature. O tendaggi e arazzi, passaggi segreti: insomma, un gran numero di luoghi che era possibile adibire a nascondigli momentanei.

L’unico timore di Lizzy era che Pix o Gazza spuntassero fuori da un momento all’altro, facendo sì che Hugo si avvedesse della loro presenza. Non che le importasse granché di cosa avrebbe potuto dir loro il cugino acquisito, ma essere sorprese avrebbe mandato all’aria ogni loro piano per scoprire cosa stessero combinando Lily e Rose.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma ci stava prendendo gusto in quella storia dello spionaggio. Era divertente, quasi le sembrava di essere proiettata in uno dei libri gialli che qualche volta le era capitato di leggere. Lizzy aveva il sospetto che Lucrezia sapesse perfettamente che per lei non era poi un così grande peso pedinare i cugini, ma nonostante ciò continuava a sbuffare e lamentarsi. Per tutta risposta, l’amica le rivolgeva un sorrisino sardonico e indecifrabile e si rituffava entusiasta nelle proprie supposizioni.

Quando era sicura di non essere vista dall’altra, anche Lizzy si lasciava andare a qualcosa di simile a un sorriso.

 

 

*

 

« Bene, Lily » il tono di Hugo era pomposo come al solito, « qual’è il tuo sospetto più che fondato? »

Albus distese le gambe allungò le gambe sotto al banco al quale era seduto, sbuffando. Quella mattina si era svegliato di pessimo umore, e di certo il disastro più totale che aveva combinato nel test di Aritmanzia dell’ora precedente non aveva collaborato al risollevamento del proprio stato d’animo. Era cosciente di non essersi preparato a sufficienza per la verifica, e il livido che bruciava sulla sua guancia altro non faceva che ricordargliene la causa. La conquista di Georgia Menley lo distraeva troppo da tutto il resto: su questo, Quinn aveva ragione. Pensando alla ragazza, provò un moto di stizza. Come le era saltato in testa di tirargli una sberla? D’accordo, anche lui teneva molto al Quidditch... ma questo era troppo. Davvero troppo. Come se non bastasse, quella mattina non c’era stato compagno di casa che non gli avesse chiesto come si fosse procurato quel brutto segno. Nel sentirselo chiedere da Chris McGregory durante la colazione, Albus aveva cercato con lo sguardo Quinn al tavolo di Grifondoro per lanciarle un’occhiataccia, ma la ragazza era apparentemente concentratissima sui suoi schemi di Quidditch.

« Al, che diavolo hai fatto alla guancia? »

Adorava sua sorella, davvero. Ma non poteva negare che avesse un certo talento per le domande imbarazzanti, e che a volte si rivelasse davvero fastidiosa.

« Niente, Lily » poggiò il volto nel palmo della mano, nascondendo il livido. « Niente ».

La ragazza, seduta a gambe incrociate sulla cattedra, inarcò le sopracciglia. « Sì, niente » lo scimmiottò. « Un tempo eri più bravo a mentire ».

« Senti, Lily » scattò lui, irritato, « la vuoi smettere di – »

« Basta! » la voce di Hugo risuonò tagliente nell’aula in disuso.

A vederli dall’esterno, i quattro cugini costituivano uno spettacolo piuttosto fuori dal comune. Hugo era seduto alla cattedra con il fare di un insegnante. Di fronte a lui erano sparpagliati i fogli che riportavano la lista dei sospettati, piena di segni e cancellature. Lily era accomodata sul piano della cattedra con la solita espressione misteriosamente allegra, e giocherellava con una ciocca inanellata dei suoi morbidi capelli rossi. Rose, dal canto suo, aveva accostato una sedia a quella occupata dal fratello, e sedeva con le caviglie incrociate sotto di essa, passando lo sguardo da Lily ad Albus con espressione indecifrabile.

Il giovane Potter, seduto di fronte alla sorella e ai cugini al primo banco, non poteva fare a meno di sentirsi sotto esame.

« Lily » Hugo si rivolse alla cugina. « Senza perderti in chiacchiere inutili, ti decidi a dirmi chi sospetti e perché? »

Lei sbuffò. « Insomma, Hughie » protestò, « perché devi essere sempre così serioso? Poi ci si chiede perché non hai mai avuto una ragazza! »

Inspiegabilmente, le orecchie di Hugo si imporporarono rapidamente a quelle parole.

Lily sogghignò. « Ah-ha! » esclamò. « Allora ce l’hai, la ragazza! »

« Ti ho detto di non perderti in chiacchiere inutili » la voce di Hugo era priva di inflessioni. « Allora, ti decidi a parlare? »

« E va bene » sospirò la ragazza, con l’aria di chi sta facendo un’immensa concessione. « Sospetto Herman Hessler ».

« Il tuo compagno di dormitorio » osservò Rose in tono neutro, parlando per la prima volta. « Perché? »

« Prima di tutto perché quel giorno era in biblioteca » rispose Lily pronta. « Poi perché è un gran bastardo... »

« Concordo » borbottò Albus.

« … perché è uno dei pochi che ancora dà un minimo di retta a tutte quelle scemenze sui Purosangue... »

« Vero anche questo » commentò Rose. « Anche se non capisco cosa c’entra ».

« C’entra » intervenne Hugo, « o meglio, potrebbe avere qualcosa a che fare con questa storia. Sappiamo già che è qualcosa più grande di noi, no? L’hai detto tu ».

« Sì, l’ho detto » dovette convenire Rose. « Ma non credo si tratti di qualcosa del genere ».

« Se qualcuno cerca di Doni della Morte » ribatté il fratello, « è chiaramente perché vuole dominare il mondo magico. E se qualcuno vuole dominare il mondo magico, c’è una buona percentuale di probabilità che sia per questioni Purosangue ».

« Se lo dici tu... » Rose pareva poco convinta.

« Io non lo dico » replicò lui. « E infatti non credo sia così. Ma anche questo è da prendere in considerazione ».

« E comunque » intervenne Lily a voce alta, quasi volesse rimproverar loro di essersi scordati che lei stava parlando, « questo in realtà è l’ultimo dei motivi per cui sospetto di lui ».

« E quali sarebbero gli altri? » fece Hugo.

« Si aggira sempre con aria circospetta » rispose lei, « e ieri mi ha chiesto cosa stessimo combinando io e Rose ».

A quelle parole, nell’aula in penombra si scatenò il pandemonio.

« Che cosa?! » esclamò Rose, esterrefatta. « Me lo potevi dire prima? »

« Oh, merda! » Albus aveva perso il controllo del proprio linguaggio, come gli accadeva quando andava fuori di testa.

« Potevate stare più attente? » sbottò Hugo. « Insomma, non è il – »

« Calmi! » Lily azzittì tutti quanti. « Volete stare calmi? Così non risolvete un cavolo, e poi fatemi finire di parlare! »

Hugo aprì la bocca per ribattere, ma Rose gli scoccò un’occhiata eloquente. Tacque.

« Bene » Lily sorrise, « state tranquilli. Gli ho detto che non stavamo combinando niente, e lui ha detto che sospettava un altro piano diabolico per la demolizione dello status sociale di qualcuno. Quindi non stava indagando! Il punto è che questo stare così attento al comportamento degli altri mi ha stupita, da parte di uno come lui ».

« E perché mai, se mi è concesso fare una domanda? » la interrogò Hugo acidamente.

« Hugo, non fare la comare ».

« Senti chi parla ».

Rose sbuffò. « Quando la pianterete di accapigliarvi come ragazzini? »

Albus sospirò teatralmente. « Mai, temo » proferì in tono tetro.

Lily ridacchiò. « Poi dovrai spiegarmi il perché di quel livido, fratellone ».

« Lily, piantala ».

« Basta » Rose sospirò stancamente. « Non cambiate discorso, okay? »

« Già » convenne Hugo, « qui stiamo parlando di cose serie ».

Nei propri pensieri, Albus si disse d’accordo.

« Bene » riprese la parola Hugo, « ricapitolando: Lily sospetta di Hessler perché è un gran bastardo, perché crede ancora nelle scemenze dei Purosangue e perché osserva con troppa attenzione i comportamenti degli altri? »

« Non solo » disse lei, « l’anno scorso usciva con una di Corvonero... frequentava spesso la loro Sala Comune ».

Calò il silenzio.

« Beh » disse Hugo, « il pezzo forte dovevi conservarlo per il gran finale? »

« Esattamente » Lily sogghignò. « Peccato che non sia questo ».

« E quale sarebbe? »

« L’ho visto con un volume delle Fiabe di Beda il Bardo, l’altra sera. E quale studente pieno di sé del quinto anno va in giro con un libro di fiabe? »

Hugo strinse gli occhi. « Nessuno » dovette convenire, « specie se Serpeverde ».

Seguì qualche istante in cui nessuno parlò.

« Beh » Rose ruppe il silenzio, « credo proprio che sia il caso di metterlo in cima alla lista dei sospettati ».

« Lily » disse Hugo, « credo che dovresti essere tu a controllarlo... insomma, è un tuo compagno di casa ».

« Per una volta sono d’accordo con te, cugino » cinguettò l’interpellata. « Tu ti sei fatto qualche idea su chi possa essere il colpevole? »

Con grande perplessità di Albus, Hugo parve esitare un istante.

« No » parlò poi. « Non ne ho proprio idea ».

 

 

*

 

Scorpius si affacciò oltre lo scaffale, quel tanto che bastava per ottenere una rapida panoramica della stanza senza essere individuato a propria volta. Nel vedere la scena che gli si parò di fronte, si disse che avrebbe dovuto prevedere l’inutilità di tale accortezza: seduta alla scrivania della bibliotecaria, Lucy era del tutto immersa nella lettura di un grosso tomo dall’aria piuttosto pesante.

Si beò per alcuni istanti della sua immagine. Aveva già avuto abbondantemente modo di notare che Lucy era cresciuta parecchio rispetto all’anno precedente. Aveva guadagnato qualche centimetro d’altezza, ma Scorpius aveva osservato in lei piuttosto un inconsapevole cambio di atteggiamento. La ragazza pareva in qualche modo più consapevole di sé e di quanto la circondava. C’era qualcosa nella sua camminata... nel modo in cui adesso giocherellava con una ciocca di capelli sfuggita alla sua coda alta. Nel suo sorriso, che l’anno precedente ricordava un’improvvisa esplosione di stupefatto colore, e che adesso invece pareva tinto di una nuova, imbarazzata cognizione di quanto potesse in realtà significare. I suoi gesti si erano fatti in qualche modo più misurati, ma in maniera diversa rispetto alla naturale, delicata grazia che Scorpius ricordava, che prima la contraddistingueva.

Una cosa, notò con piacere, non era mutata. L’espressione assorta che aveva il suo volto durante la lettura era la stessa.

Si chiese quanto sarebbe riuscito ad afferrare di Lucy prima che volasse via. Si chiese se la ragazza avrebbe un giorno riacquistato tutta quella freschezza. Realizzò poi che non era cambiata Lucy, probabilmente, ma solo la sua apparenza.

Gli risuonarono in mente le parole pronunciate da Rose Weasley poche settimane prima:

« Malfoy, io lo dico per te. Sei una persona quasi gradevole, e ti assicuro che continuare a lanciarvi occhiate languide e disperate da cani bastonati non aiuterà né te ne Lucy. Sembra che ti sia morto il gatto, non che sei sul punto di rimetterti con la tua ex-ragazza ».

Rose aveva ragione. Bisognava agire, non aspettare – Scorpius ci aveva pensato su, e aveva avuto un’idea. Aveva preferito non parlarne con gli amici. Albus non lo avrebbe neanche ascoltato – non ascoltava nessuno, da quando aveva preso a correre dietro alla Menley. Bernie sarebbe stato fastidiosamente entusiasta. Jacob probabilmente l’avrebbe deriso senza pietà per tutto quel romanticismo.

E poi, devo smetterla di chiedere consiglio agli altri.

Accertatosi che non ci fosse nessuno – non voleva che qualcuno si mettesse in mezzo nel teatrino che aveva progettato – si schiarì la voce e si avviò a passo sicuro in direzione di Lucy.

Come previsto, la ragazza era talmente concentrata nella lettura che non si accorse del suo arrivo. Scorpius notò che si era fatta un secondo buco sul padiglione dell’orecchio destro: un sottile cerchio metallico verde scuro.

« Scusa » le si rivolse.

Lucy sollevò lo sguardo dal libro, con fare vagamente scocciato. Nel riconoscere Scorpius, tuttavia, parve rallegrarsi.

« Sì? » rispose serenamente.

« Ho perso il mio libro di Pozioni » fece Scorpius con naturalezza. « Vorrei prenderne una copia in prestito finché non mi arriva quella nuova dal Ghirigoro ».

Doveva ringraziare il cielo di avere una buona memoria, perché altrimenti non avrebbe saputo ricordare ogni singola parola del loro primo incontro. Il piano stava funzionando, probabilmente, poiché se dapprima il volto di Lucy era tinto di perplessità, adesso la sua espressione era divertita – e, Scorpius l’avrebbe giurato, vagamente commossa.

« Sezione C » rispose lei infatti, nascondendo un sorrisetto, per poi rituffarsi sul suo libro. Era palese che non stava leggendo, e ancora più palese quanto fosse una pessima attrice: fu il turno di Scorpius di nascondere un sorrisetto. Tossicchiò.

« Sì? » Lucy sollevò di nuovo la testa dal volume, fingendo un’aria irritata.

« Dov’è la sezione C? »

Lucy levò platealmente gli occhi al cielo, mentre chiudeva il libro – avendo cura di mantenere il segno –, si alzava dalla sedia e faceva il giro della scrivania, per accompagnare Scorpius al reparto di Pozioni. Non lo degnò di uno sguardo mentre camminava fra gli scaffali, decisa a fare più in fretta possibile. Lui, da parte sua, se la rideva beatamente.

« Come si intitola il libro? »

« Pozioni Avanzate, di Libatius Borragine ».

Lei gli rivolse un sorriso smagliante, prima di trascinarselo dietro fino al reparto giusto e appellare la scala con un colpo di bacchetta.

« Sei al quarto anno? » le chiese lui.

« Veramente no » replicò Lucy. « E te sei davvero – »

« E già sai fare i Non Verbali? » la interruppe lui, continuando la propria recita.

A quel punto, Lucy non poteva far altro che stare al gioco. Annuì.

L’arrivo della scala a pioli fu annunciato da un consistente rullio. Scorpius sapeva quanto Lucy soffrisse di vertigini, ma non si offrì di salire al suo posto. La vide salire fino al venticinquesimo scalino, prendere il libro e tornare giù più in fretta che poteva.

« Grazie » le disse, « ma non avresti potuto Appellarlo? » le chiese. « Ti saresti risparmiata la fatica! »

« I libri della biblioteca sono inappellabili » il tono era quello di un discorso imparato a memoria, ma Lucy lo guardava dritto negli occhi, « Per evitare che vengano presi senza il consenso del bibliotecario da chi non ne conosce l’ubicazione ».

« Ah, già… mi sembra logico, adesso che ci penso ».

 

Lucy si diresse verso la scrivania per segnare il prestito, e lui la seguì. La vide intingere la penna d’oca nella boccetta d’inchiostro, cominciando a trascrivere il titolo del libro e il suo nome.

« Ecco il tuo libro » gli disse. « Hai venti giorni di tempo per la restituzione… »

Scorpius ebbe cura che le proprie mani sfiorassero quelle di Lucy mentre prendeva il libro che lei gli porgeva. Finse di osservarla attentamente.

« Ascolta, Lucy » le disse. « Cosa faresti se avessi sbagliato e se questo ti facesse male? »

La vide sgranare gli occhi per un istante. Aveva di proposito omesso un bel pezzo della loro prima conversazione dal teatrino che aveva progettato, e cambiato qualche parola qua e là per adattare la propria domanda alle nuove circostanze.

« E se avesse fatto male anche a qualcun altro? » la incalzò. « Una persona amata, ad esempio? »

Lucy lo guardò dritto negli occhi. « Hai il tuo libro » tagliò corto. « Io posso tornare al mio ».

Scorpius si allontanò, un sorriso di segreta soddisfazione ad aleggiargli sulle labbra.

 

 

*

 

1 ottobre 2022

Biblioteca di Hogwarts

Undici e trenta di mattina.

 

« Lucy? »

Anche questa volta, Scorpius aveva saputo aspettare il momento giusto per agire. Aveva atteso che Lucy si alzasse per andare a riporre al posto giusto un libro appena restituito: a quel punto l’aveva seguita silenziosamente, per poi rivolgerle la parola all’improvviso.

Lucy volse le spalle allo scaffale fino a guardare Scorpius dritto in faccia.

« Sì? » gli chiese, con lo stesso sorrisino del giorno precedente.

 

« Dovevo restituire questo ».

Scorpius le porse la copia di Pozioni Avanzate che aveva preso in prestito e le sorrise. Lei prese il libro senza una parola, e si allontanò in fretta lungo lo stretto corridoio della biblioteca.

Lui la seguì di corsa, come da copione.

« Ehi, Lucy! Aspetta! » la afferrò per il gomito.

« Che cosa vuoi? »

Nella mente di Scorpius, alla sorridente Lucy del presente si contrappose quella del passato, in quell’occasione nervosa e con gli occhi colmi di senso di colpa.

« Che ti prende? » le chiese.

« È colpa mia » disse lei. « Non avrei mai dovuto dirti quelle cose. Scusa ».

Lucy si divincolò allegramente dalla sua stretta, dirigendosi a passo di marcia verso la sezione C. Scorpius rise silenziosamente, prima di scuotere la testa e seguirla. Si sentiva stranamente trionfante.

« Sono stato io a chiederti un’opinione! » le disse. « Mi hai detto quello che pensavi, tutto qui! »

L’euforia cominciava a trapelare vistosamente dalla voce di Scorpius, il quale si sforzò di sopire l’entusiasmo.

Lucy si voltò verso di lui, sbuffando in maniera molto poco credibile.

« Questo non cambia le cose » disse. « Se io fossi stata zitta quattro persone non avrebbero sofferto ».

« E chi sarebbero queste quat- » le parole morirono in gola a Scorpius quando Lucy – con sua immensa sorpresa – lo afferrò per il davanti del maglione tirandolo verso di sé.

La ragazza parve accorgersi del proprio gesto solo dopo averlo compiuto. Arrossi visibilmente e fece per ritrarsi, ma Scorpius glielo impedì circondandola prontamente con le braccia. Si chinò a baciarla in fretta, e lo stupì la prontezza con cui Lucy rispose al bacio, sempre aggrappata al davanti del suo maglione.

« Sai » le sussurrò sui denti, « sei davvero una pessima attrice ».

« Tu invece sei piuttosto bravo » osservò lei senza smettere di baciarlo. « Sei riuscito a riprodurre fedelmente l’aria fosca e – »

« Lucy, ascolta – »

« … l’aria fosca e depressa che avevi quel giorno, quando ti sentivi in colpa da morire per via di Grace e – »

« Vieni con me ad Hogsmeade, sabato prossimo? »

Lucy gli sbuffò sulle labbra. « Scorpius » protestò, « ti sembra il momento per fare una domanda del genere? »

« Io – »

« Taci ».

Sorpreso e divertito, Scorpius si avvicinò ulteriormente e riprese a baciarla, per poi scostarsi un istante.

« Madama Pince? » domandò.

« Secondo te mi importa qualcosa di Madama Pince? ».

 

 

*

 

 

 

1 ottobre 2022

Gelateria di Florian Fortebraccio, Diagon Alley

Undici e trenta di mattina

 

« Ciao, papà! »

All’arrivo di James, Harry ripiegò la Gazzetta del Profeta.

« Ciao, Jamie. Come va? »

« Bene » la voce del figlio gli parve un po’ strana, ma Harry non vi diede troppo peso. « Tu? »

« Bene anche io » sorrise. « Io e la mamma siamo abituati a vivere da soli ».

James indicò il giornale con un cenno del mento. « C’è qualche notizia interessante? »

« A dire il vero sì, purtroppo ».

Vide le sopracciglia scure di suo figlio avvicinarsi fino a diventare un’unica linea – faceva così quanto era preoccupato, fin da bambino.

« E cioè? »

Harry sospirò stancamente. « Già saprai che l’economia Babbana è in crisi, immagino ».

James annuì. « Sì, avevo sentito qualcosa ».

« Beh, a quanto pare la situazione rischia di riflettersi anche sul mondo magico ».

« E come è possibile? »

Il sorriso di Harry era un po’ stentato. « Beh, sai, chi ha uno o entrambi i genitori non-Maghi deve in parte gli introiti familiari a un mestiere Babbano. E visto che quasi tutti ormai hanno parentele Babbane, sempre più maghi hanno meno soldi da spendere... »

« E perciò l’economia è in ribasso » completò James.

« Esatto » Harry guardò il figlio dritto in volto, e il suo sorriso si fece un po’ meno stentato. « Tu, invece, che mi dici? Come va all’Accademia? »

« Oh, all’Accademia tutto bene ».

« E con Grace ».

James deglutì visibilmente. « Beh, ecco... » tacque.

Harry aggrottò le sopracciglia: « Jamie, sei sicuro che vada tutto bene? »

« In un certo senso » la voce del ragazzo si fece fievole.

« Jamie – »

« Io e Grace aspettiamo un bambino ».

« Che cosa?! »

James guardava da un’altra parte. « Già » disse in tono piatto. « Diventerete nonni ».

Superato lo shock iniziale, Harry sentì qualcosa di tiepido agitarsi dalle parti del proprio stomaco.

« James » la voce gli tremava. « Insomma... è una cosa meravigliosa ».

Gli occhi scuri del figlio si sgranarono, tinti d’incredulità. Parve esitare.

« Lo pensi... » disse. « Lo pensi davvero? »

Harry annuì. « Sì » disse. « Penso sia meraviglioso... ma non sarà facile ».

« Lo so, papà » James annuì. « Lo sappiamo ».

 

 

 


 

 

 

Note dell’Autrice

Tutte le informazioni relative alle immagini Babbane che Anthony consegna a Hugo sono tratte dall’Iconologia di Cesare Ripa. Non ho ancora specificato granché per non anticipare troppo, ma vi assicuro che più in là sarà tutto chiarito. Qui per maggiori informazioni.

Un ulteriore appunto: nel capitolo 6, al momento dei provini di Quidditch, ho scritto che Herman Hessler ha un anno meno di Scorpius e frequenta quindi il sesto. Ecco, non è così: Herman è del quinto. Provvederò a risistemare l’errore =)

Avrete notato che ho iniziato a inserire le date e i luoghi all’inizio di ogni scena. Ho deciso di fare così per una questione di comodità mia e vostra. In questo modo, infatti, non c’è il rischio di confondersi con la linea temporale, visto che – come avrete notato – la narrazione procede piuttosto lenta. Spero che questo non renda meno gradevole la storia!

Per quanto riguarda Scorpius e Lucy... gioite finché potete!

Per il resto, grazie a tutti voi. Questa storia ha raggiunto e superato le 100 recensioni, e io... ecco. Posso solo ripetervi mille volte grazie. Probabilmente arriverà uno spin-off per festeggiare.

Joie,

Daphne

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - The Show Must Go On ***


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Capitolo 10

The Show Must Go On


I'll soon be turning, round the corner now

Outside the dawn is breaking

But inside in the dark I'm aching to be free

The show must go on.

Queen




1 ottobre 2022
Sala Grande, Hogwarts
Colazione.

« Albus! »

« Mmh? »

Hugo gli parve vagamente offeso. « Insomma, è la terza volta che ti chiamo! » brontolò.

« Scusa » borbottò Al in tono inespressivo, mentre il suo sguardo tornava inesorabilmente a fissarsi da un’altra parte.

Il cugino alzò gli occhi al cielo. « Georgia è fuori dalla lista dei sospettati » dichiarò in tono altezzoso. « Non serve che tu la fissi ».

« Non la sto fissando ».

« Non da poco » puntualizzò Hugo.

« Oh, non rompere ».

« Ha ragione Lily » rincarò l’altro, « Un tempo sapevi mentire, e avevi anche la risposta pronta ».

« Ma – »

« Apri gli occhi, ti stai rendendo insopportabile ».

Albus distolse finalmente lo sguardo da Georgia Menley, per posarlo su Hugo, il quale si era accomodato accanto a lui al tavolo di Grifondoro, probabilmente per parlare del Lui-sapeva-cosa. Era l’ora della colazione: i tavoli delle quattro Case erano ingombre di toast, cornflakes e uova fritte.

Improvvisamente, Hugo si alzò e fece per andarsene.

« Aspetta » Al lo tirò per la manica, « non mi dovevi dire – »

« Te lo dirò » ribatté l’altro indispettito, « quando capirai che non gira tutto intorno a te e al tuo amore impossibile ».

« Non è impossibile! » protestò Albus con veemenza. « Solo che – »

« Appunto » Hugo alzò gli occhi al cielo. « Apri gli occhi, ripeto ».

Si divincolò dalla sua stretta, allontanandosi in fretta. Albus quasi spezzò la sua fetta di pane tostato per la foga rabbiosa con la quale prese a distribuirvi sopra il burro. Hugo era una delle persone più individualiste che il giovane Potter conoscesse, il che era tutto dire – amico com’era di un gran numero di Serpeverde. Come diamine poteva con tutto il suo egoismo venire ad accusare lui di essere egocentrico?

Al diavolo Hugo.

Sollevò lo sguardo, dal toast, incrociando quello di Quinn Baston. Lei lo fissava con serietà e un certo astio: era ancora arrabbiata con lui.

E al diavolo anche Quinn.

In quel momento arrivò la posta: stormi di gufi irruppero in Sala Grande planando sui tavoli. Albus si stupì quando un gufo a lui sconosciuto si posò davanti al suo piatto, tendendo la zampa cui era legato un pezzetto di pergamena arrotolato stretto.

“Grazie,” disse distrattamente al volatile, allungando la mano per fargli un buffetto. Quello fece scattare il becco aguzzo vicinissimo al suo dito, facendolo ritrarre di colpo. Scocciato, Albus spiegò il biglietto:


Caro Albus – era scritto in una grafia pulita ma disordinata, quasi distratta,

ho fatto quello che mi avete chiesto – Voi-sapete-cosa, Importante Missione o chissà che. Parlo ovviamente di quel dannato motivo per cui non posso più sapere niente delle tue conquiste.

Vorrei dirti delle mie, anche perché per una volta ho dovuto deporre un Brillantissimo Assedio nei confronti di una certa greca. Spero tu abbia più fortuna, cugino. Però penso di parlartene di persona, okay? Assieme al Voi-sapete-cosa. Scrivimi la data del vostro prossimo finesettimana a Hogsmeade.

Viene anche il caro Jamie, che insiste a dover dire una cosa a te e tua sorella. Bah. Se lui e Grace si sposano, penso che venderò l’anima alle peggiori bettole. Penso, eh!

Come sta Freddie? Mi manca sentirmi il mito di qualcuno. Tu sei troppo cresciuto e James è troppo nell’impostazione tipo-maturo-e-serio per darmi retta. Grace non mi prende sul serio. Nonna Molly mi chiama “il suo angioletto”. Domi mi sbeffeggia come al solito. Molly cugina tende perlopiù a ignorarmi, o al massimo inarca le sopracciglia e mi guarda con la faccia da Prefetto Cattivo. Freddie e Terrie non sono qui. Roxanne è partita con Lysander. Hera Christakos mi rifiuta e si trascina sempre dietro quella Ellen Kirke in libreria – so che non sai di chi parlo ma non me ne importa granché, francamente.

Tu puoi capirmi. Ho bisogno di qualcuno che dia spago alla mia autocommiserazione. Che tenga conto dell’immenso dono della mia esistenza. Ecco.

Scrivimi la data del prossimo finesettimana a Hogsmeade, ripeto.

Louis


Albus ridacchiò fra sé e sé, divertito, prima di ripiegare la pergamena e infilarla nella borsa. Adesso non restava altro che attendere il primo finesettimana a Hogsmeade e finalmente si sarebbe smosso qualcosa... perché trovare una risposta a tutti gli interrogativi che si stavano ponendo era sempre più difficile. Cercare di scoprire chi avesse rubato la Pietra della Resurrezione era importante, certo, ma nonostante il mistero assorbisse molto lui, Lily, Rose e Hugo, Al non aveva certo dimenticato la questione dell’Incanto Proteus.

Anche perché – doveva ammetterlo – iniziava a pensare che le due cose fossero fra loro collegate, anche se non avrebbe saputo dire bene come. Era frustrante sapere quanto poco di fondato vi fosse dietro a tale ipotesi, ma più ci pensava più era convinto che fosse così. Insomma... era piuttosto improbabile che due eventi di una tale entità avvenissero a così breve distanza l’uno dall’altro, a meno che non fossero stati metti in atto dalla stessa persona, o perlomeno con lo stesso obiettivo.

Questa è la chiave.

Doveva essere così: probabilmente la Pietra serviva alla realizzazione dello scopo di chi l’aveva rubata, e l’Incanto Proteus...

Colto da un’improvvisa illuminazione, Albus sgranò gli occhi.

Rose, devo parlare con Rose...


Al tavolo di Serpeverde, Jacob si annoiava – come ultimamente accadeva troppo, davvero troppo di frequente. Bernie era stato convocato dalla preside Sinistra per una riunione del corpo Prefetti, e Scorpius probabilmente dormiva ancora – Jake non ne poteva essere certo, giacché le cortine del suo letto erano serrate e l’amico non russava.

Rose Weasley sedeva a soli pochi posti di distanza da lui, ma non sembrava avere una gran voglia di chiacchierare. Inoltre, il giovane Greengrass non si sentiva a proprio agio in sua presenza... aveva l’impressione di non starle particolarmente simpatico, anche se probabilmente quella era l’impressione che Rose dava a tutti. Jacob era convinto che Scorpius ne avesse il terrore, mentre Bernie – ovviamente – pendeva dalle labbra della ragazza.

« Ciao, Jake ».

La voce che gli si era appena rivolta era fastidiosamente familiare.

« Ciao, Christine » pronunciò in tono neutro, voltandosi nella direzione di chi aveva parlato.

Christine De Bourgh era una ragazza sostanzialmente piuttosto graziosa, con un viso sottile, arti proporzionati, capelli lunghi e lucidi e un visivamente piacevole sorriso malizioso.

Visivamente, appunto.

Jacob aveva tutti i motivi del mondo per detestarla, e uno in più per non fidarsi di lei. In fondo, se Christine non era stata la causa della sua rottura con Dominique, l’aveva di certo provocata, facendo sì che Jake venisse a conoscenza della tresca che la ragazza aveva avuto con Goldstein. Oltretutto, se Jacob non avesse spaccato il naso a Goldstein per poi rifiutarsi di parlare con Domi per giorni e giorni...

No, si disse. Sarebbe comunque andata così, prima o poi.

Christine scosse la testa, scostando i capelli dalla spalla, e scavalcò agilmente la panca per sedersi nel posto vuoto accanto a lui. Gli sorrise quietamente, senza gioia.

« Cosa vuoi? » le chiese Jacob senza tanti preamboli.

« Devo per forza volere qualcosa? » fu la sibillina risposta.

Lui inarcò le sopracciglia, lei ridacchiò.

« Non sbagli. Ho bisogno di un favore ».

« C’è qualche motivo per il quale dovrei fare un favore a te? »

« A dire il vero » Christine sorrise, « un motivo c’è ».

Jacob scosse la testa, vagamente divertito. « E sarebbe? » domandò.

« Qualcosa in cambio ».

La detestava, ne era sempre più convinto. C’era qualcosa di irritante, terribilmente irritante nel modo in cui proferiva una frase smozzicata dietro l’altra, sempre ambigua – mai chiara. Era un tipo imprevedibile, Christine, non si capiva mai dove volesse andare a parare.

Sbuffò. « E cosa mi daresti in cambio? Sentiamo ».

« Un consiglio ».

Jacob rise. « Un consiglio non richiesto » puntualizzò.

Lei sostenne il suo sguardo. « Un consiglio di cui hai bisogno ».

« Io non ho bisogno di niente, specie da te ».

« Sai di mentire, Jake ».

« Non mi piaci ».

« Neanche tu piaci a me ».

Calò il silenzio.

« Noi non ci siamo mai sopportati » disse all’improvviso Christine. « Non solo dall’anno scorso, da sempre ».

« Vero » Jacob dovette convenire.

Aveva sempre provato una malcelata antipatia nei confronti di Christine, ed era piuttosto convinto che tale astio fosse cordialmente ricambiato da parte di lei.

« E lo sai perché? » cantilenò la ragazza.

« Perché? » la assecondò lui tranquillamente.

« Perché ti senti minacciato da me » gli sorrise con una strana dolcezza. « Non riesci a prevedermi, e tu sei uno che le persone le prevede sempre ».

Però... ha ragione, in un certo senso.

« Che cosa vuoi? » le domandò bruscamente.

« Me l’hai già chiesto » gli fece notare Christine.

Lui alzò gli occhi al cielo: « Hai capito cosa intendo dire. Che favore vuoi? »

« Voglio scoprire chi ha cancellato il Proteus di Gossip Witch e perché » rispose lei. « E voglio che tu mi aiuti a scoprirlo ».

« Perché proprio io? »

« Perché hai bisogno di un consiglio ».

Suo malgrado, Jacob doveva ammettere di sentirsi incuriosito. Parecchio incuriosito.

« Dovrei... » calibrò con attenzione il tono di voce, « dovrei pensarci ».

« Non c’è problema » Christine sorrise ancora con quella dolcezza inusuale – che su di lei risultava stonata, quasi stridente. « Tanto so che sceglierai il meglio per te ».

« Se ne sei così convinta... »

« Oh, lo sono! » rise candidamente. « Anche perché il consiglio te lo do subito ».

Jacob si ritrovò a sorridere: « Sentiamo, allora! »

Lei guardò in un’altra direzione. « Segui ciò che non riesci a prevedere » pronunciò con calma, criptica.

Il giovane Greengrass inarcò le sopracciglia: « E questo cosa vorrebbe dire? »

Christine scrollò le spalle. « Mi fido della tua intelligenza » soggiunse, scavalcando di nuovo la panca e allontanandosi così come era venuta.

Sempre più perplesso, il ragazzo tornò a dedicarsi al suo pane tostato, appena in tempo per cogliere un movimento dal lato opposto del tavolo: Lily Potter si stava alzando in fretta, lasciando sul tavolo la sua tazza di fiocchi d’avena ancora a metà. Sul volto aveva impressa un’espressione particolarmente determinata... Si allontanò rapidamente, quasi di corsa. Jacob ne rimase piuttosto perplesso: non era da Lily lasciare un piatto sul tavolo prima di finirlo, mentre era molto da Lily avere qualcosa in mente.

Avere qualcosa di sospetto in mente.

Imprecando silenziosamente, abbandonò di nuovo il toast, apprestandosi a seguire la ragazza ovunque stesse andando e scoprire cosa avesse in mente.

Attraversò la Sala Grande a passi svelti, sbucando in sala d’ingresso proprio al momento giusto per vederla scomparire nell’accesso laterale ai sotterranei. Si affrettò a dirigersi nella stessa direzione e riuscì a raggiungerla, seguendola a una ventina di passi di distanza, nascondendosi dietro agli angoli e in ogni anfratto dei corridoi. Quando la vide infilarsi nella nicchia retrostante a una statua, capì che anche lei stava seguendo qualcuno. Affrettò il passo, deciso a fermarla. Qualsiasi cosa avesse in mente, di certo non era nulla di buono.

La afferrò per il braccio proprio mentre sgattaiolava fuori dalla nicchia, facendola sobbalzare dalla sopresa. Lily sgranò gli occhi nel riconoscerlo.

La sua espressione si fece indispettita – probabilmente, pensò Jacob, era irritata sia per l’essere stata colta in flagrante che per non essersi resa conto della sua presenza.

« Lasciami stare, idiota » inveì in tono seccato, divincolandosi. Jake si accorse improvvisamente di quanto fossero vicini, e la lasciò andare di colpo.

« Beh, vedo che almeno capisci quando ti viene detto qualcosa » borbottò ancora, guardandolo storto e massaggiandosi il braccio.

Tutta scena.

« Che cosa stai combinando, Lily? » le si rivolse con severità.

« Non sono affari tuoi! » lo rimbeccò la ragazza in un tono inquietantemente simile a quello di Dominique. Era il tono che Jacob identificava con le verità scomode: questo non poté che insospettirlo ancor di più.

« Chi seguivi? »

« Christine De Bourgh » replicò Lily, impassibile.

Jake inarcò le sopracciglia: « Non vale mentire ».

Inaspettatamente, Lily sorrise con estrema sicurezza.

« Puoi chiedermelo altre venti, cinquanta, cento volte, Jake, ma tanto non te lo dirò ».

Lui la fissò dritto negli occhi, accigliato: « Pensavo avessi capito, Lily ».

Sincera perplessità. Per un istante solo, prima che Lily si ricomponesse e lo guardasse con aria apertamente provocatoria. « Capito cosa, Jacob? » lo sfidò.

Lui sbuffò: « Che è ora di smetterla con quegli assurdi complotti. Sono delle cose sciocche, inutili e infantili, che per di più contribuiscono a far del male a qualcuno ».

Con sua immensa sorpresa, Lily parve quasi ferita. Lo guardò malissimo.

« Non hai capito un accidente, Jake » replicò con un tono tagliente di cui il giovane Greengrass mai l’avrebbe creduta capace.

Si rese conto di non averla mai vista così arrabbiata... o forse, non l’aveva mai vista arrabbiata per davvero. Non con lui. Tutto questo non poté che riempirlo di perplessità.

« Lily, ma cos- »

« Adesso » sibilò lei, « adesso vattene ».

Ma cosa le è preso?

Si stupì ancora quando si rese conto di star facendo quello che Lily gli aveva detto. Quando si fu allontanato di una decina di passi, si voltò verso di lei, per scoprire la frustrazione con la quale stava fissando il muro davanti a sé.


****



1 ottobre 2022
Sala Comune di Serpeverde, Hogwarts
Ora del tè

L’allegria di Lily era forzata: di questo, Rose poteva dirsi certa.

« Devi assolutamente venire, stasera » stava ripetendo da circa mezz’ora con aria estremamente, falsamente entusiasta. « Sarà divertentissimo, se ci sarai anche tu! »

« Lily... »

« E poi, se non verrai mi annoierò di sicuro » si lagnò platealmente. « Albus non farà altro che correre dietro alla Menley per tutta la sera, lo sai ».

« Lily, che succede? »

L’espressione perplessa della cugina sarebbe parsa come vera agli occhi di chiunque, ma non a quelli di Rose.

« Nulla, perché? » replicò in tono innocente.

« Sai mentire ».

« Eh? »

« Di solito, dico » Rose sospirò. « Di solito sai mentire ».

« Infatti non sto men- »

« Stai mentendo male ».

Lily alzò gli occhi al cielo. Rose inarcò le sopracciglia: « Non me la bevo » disse.

L’altra sorrise angelicamente: « Rose, è il primo Luma-party dell’anno... Devi venire ».

« Non mi sono mai piaciuti » fu l’asciutta replica.

Era vero: nonostante l’anno precedente le fosse capitato di andare a quegli assurdi, pomposi festini, Rose non li amava. Non le piaceva affatto tutto quell’ammasso di formalità e sorrisini falsi, così come non gradiva particolarmente un qualsiasi tipo di evento di entità sociale. Sapeva di essere una persona abbastanza solitaria: non le piaceva stare in compagnia di troppa gente contemporaneamente. Specie se i tre quarti abbondanti dei presenti non le suscitavano grande simpatia. E i ragazzi... poteva sopportare la loro compagnia per cose di altro genere, questo sì, ma li reputava perlopiù una massa di idioti senza cervello, con l’ovvia esclusione di suo fratello e di Albus e i suoi amici.

Tranne Boot, naturalmente.

« Non cambiare discorso » brontolò.

« E tu non borbottare! » la rimbeccò Lily. « Devo andare, adesso, Amarillide e Swanilda hanno terribilmente bisogno di me ».

C’era sempre qualcuno che aveva terribilmente bisogno di Lily quando la cugina aveva qualcosa da nascondere.

« Lily... »

« Ciao! » tagliò corto l’altra, allontanandosi in fretta.

Rose non si mosse da dove si trovava, consapevole del fatto che sarebbe stato del tutto inutile. Scrollando le spalle, si mosse in direzione della poltrona che aveva in quel momento designato come la sua preferita – il che voleva dire che si trovava a debita distanza da quel perenne assillo di Bernard Boot.

Nonostante ciò, quando ebbe raggiunto la poltrona – per fortuna senza essere notata da Bernie – si avvide che riusciva comunque a sentire quello che quest’ultimo, Scorpius e Jacob dicevano. I tre ragazzi erano spaparanzati accanto al fuoco verdastro della Sala Comune di Serpeverde. Jake fissava il nulla con aria annoiata, mentre gli altri due giocavano a Sparaschiocco.

« Per le mutande di Merlino, Bernie! » stava protestando Scorpius. « Avresti la gentilezza di spiegarmi perché vinci sempre? »

« Questione di tattica, amico » replicò l’altro in tono vago. « E poi, fattelo dire, sei tu che stai giocando da cani ».

Sebbene non potesse vederli, riuscì senza difficoltà a figurarsi nella mente l’aria lagnosa del giovane Malfoy.

« Non riesco a concentrarmi » lo sentì dire.

« Infatti, Scorpius » intervenne Jacob con la sua voce leggermente roca. « Avresti la gentilezza di spiegarci perché sei così distratto? » gli fece il verso, imitando l’intonazione che l’altro aveva dato alla frase.

« Non sono distratto ».

« Sei contraddittorio, infatti ».

Rose si sorprese nel vedersi sorridere fra sé a quelle ultime parole di Bernie. Si ritrovò a pensare che non fosse troppo male quando si rivolgeva a qualcuno che non fosse lei oppure non si avvedesse della sua presenza nelle vicinanze.

« Ha ragione Bootie » convenne Jacob. « Che hai combinato? »

« Nulla » Scorpius rispose troppo in fretta.

« Come no » il tono di Greengrass era sarcastico.

« Faccende di cuore? » domandò Boot in tono zuccheroso.

Come non detto.

« In un certo senso » borbottò Scorpius, vago.

Jacob parve divertito a quelle parole: « Non dirmi che finalmente hai risolto qualcosa con Lucy! »

« In un certo senso » ripeté l’altro. « L’ho baciata ».

A Rose quasi andò di traverso la saliva per la sorpresa.

« Ah » fece Jake.

« Ah! » esclamò Bernard, trionfante.

Per qualche istante, calò il silenzio.

« Solo questo? » domandò poi Jacob.

« Ci siamo baciati » disse Scorpius in tono neutro. « Per un bel po’ ».

« Bene » commentò il giovane Greengrass. « Bene ».

Rose smise di ascoltarli, sprofondando nella propria poltrona. Di certo non era la massima delle sue prerogative prestare ascolto ai discorsi di quei tre... specie se concernevano la sua dolce, tenera cugina Lucy.

Anche se, ultimamente, tenera non direi.

Già: Lucy era cambiata parecchio negli ultimi mesi, questo era palese agli occhi di tutti. Si poteva dire che fosse cresciuta, in un certo senso, poiché il suo atteggiamento sembrava aver perso quella freschezza quasi infantile che fino a poco tempo prima la contraddistingueva. Probabilmente – rifletté Rose – ciò era anche dovuto a quanto aveva dovuto sopportare l’anno precedente... tutte quelle angherie e quegli stupidi scherzi di quell’oca di Jackie Finigann, che erano infine culminati con la sua rottura con Scorpius Malfoy. Era diventata meno ingenua, forse, più consapevole di sé e di quanto la circondava.

Non che a Rose importasse più di tanto, in fondo.

Piuttosto, anche se mai l’avrebbe ammesso, le faceva piacere che Scorpius avesse infine deciso di seguire il suo consiglio. Rose non era tipo da dispensare massime e insegnamenti alla gente, ma quelle occhiate affrante che Scorpius rivolgeva a Lucy iniziavano a divenire esasperanti alla vista di chiunque. E poi, lei non sopportava chi si piangeva addosso – sebbene Hugo spesso la accusasse di fare lo stesso. Piuttosto, non sopporto chi fa cose inutili. O chi non facendo un bel niente fa cose inutili.

Si passò una mano sulla fronte, sospirando. Non le riusciva facile rilassarsi, ultimamente, non con tutta quella questione della Pietra e del Proteus... Doveva ammetterlo, al riguardo si sentiva parecchio tesa. Era dell’idea che si trattasse di qualcosa di grosso.

Non era neanche il tipo da pretendere di controllare ogni cosa, lei. Anzi: col tempo aveva imparato a lasciare che gli eventi le scivolassero addosso come se nulla fosse. Si lasciava trascinare dalla vita e dagli accadimenti piuttosto che affrontarli, permetteva alla propria esistenza di travolgerla ma al contempo di non sfiorarla neanche – non nel profondo. Non avrebbe saputo dire bene perché agiva in questo modo, e preferiva non chiederselo.

Con il tempo aveva imparato anche a lasciare che le domande le scivolassero addosso come nulla fosse, per non essere costretta ad affrontarne le risposte.

In questo somigliava molto a Dominique. Aveva la sua medesima paura di affrontare se stessa. Con la non insignificante differenza che, al contrario della cugina, preferiva tacere: non riusciva a tenere strette a sé le redini della propria vita, ma non per questo aveva intenzione di reggere i fili di tutti gli altri burattini. Aveva preferito tagliare i propri, piuttosto.

Improvvisamente, la voce cristallina di Lily giunse a interrompere le sue riflessioni.

« Hessler, vedi di darci un taglio! »

« Ma non sto facendo assolutamente niente! »

Lily aveva la caratteristica di battibeccare con chiunque quando qualcosa la innervosiva. O almeno, di battibeccare con chiunque più del solito. La voce che le aveva risposto era maschile ma non troppo profonda... non le era familiare, ma il cognome pronunciato da Lily era stato sufficiente a farle capire di chi si trattasse: Herman Hessler, la persona che la cugina maggiormente sospettava. Probabilmente si doveva trattare di un qualche mezzo molto poco ortodosso che quest’ultima stava sfruttando per indagare su di lui. O forse, Lily voleva solo sfogare il proprio inspiegabile nervosismo.

O forse entrambe. Prendere due piccioni con una fava: tipico di Lily.

« Gironzoli qui intorno da due ore! » stava protestando la cugina.

« E allora? »

« Allora la tua presenza mi infastidisce, quindi fammi il favore di andartene! »

Rose alzò gli occhi al cielo. Voltandosi, incrociò lo sguardo di Jacob, che le rivolse un cenno di saluto. Lei apprezzò la sua discrezione: era stato un gesto abbastanza impercettibile perché Bernard non se ne rendesse conto e non potesse quindi focalizzare la sua presenza in Sala Comune.

Nel vedere il modo in cui lo sguardo di Jacob si posò brevemente su Lily, si accorse di aver capito perfettamente a cosa fosse dovuto il palese nervosismo della cugina.


****


1 ottobre 2022
Dormitorio Femminile di Serpeverde
Circa le sei

Mr & Mrs Dursley

4, Privet Drive

Little Whinging, Surrey


1 ottobre 2022

Cari mamma e papà,

sto bene. Viva. Sana e salva. Non vi ho scritto molto perché non mi andava. No, mamma, non mi scuserò. Papà, so perfettamente che stai ridendo sotto ai baffi.

Okay, non ho scritto affatto. Mi dispiace. Ma ho scritto a Max. Ve lo avrà detto. Suppongo.

Ecco. Hogwarts è... non so dire com’è, perché è così tante cose e tutte insieme e tutte belle che non si riesce a sceglierne una, se questo vuol dire mettere da parte le altre. Neanche alcune.

Ci sono anche cose meno belle. Una è Pix il Poltergeist, un fantasmino insopportabile. Se mai dovessi diventare la preside di Hogwarts, il mio primo atto ufficiale sarebbe espellerlo.

Poi c’è Fred, che io dovrei considerare cugino perché è cugino dei figli di zio Harry. Non è antipatico, solo che parla troppo. Un po’ tipo Joseph, l’amico di Max. Quello cui è misteriosamente crollata addosso la libreria in mia presenza. Ecco, quella era magia involontaria.

Le materie sono interessanti e fare magie bellissimo... c’è questa specie di flusso di potere che sembra passare dalla mente al braccio e poi alla bacchetta. Insomma, Lucrezia dice che me lo immagino perché c’è ma in teoria non si sente. Solo che mi piace pensare di sentirlo.

Lucrezia è la mia amica. Dico “la” perché per ora di amica ho solo lei, ma non mi dispiace affatto. Anche per lei c’è lo stesso problema di Hogwarts: così tante cose che non se ne può scegliere nessuna. Non mi somiglia molto, però mi fa tanto ridere e parlare con lei è interessante.

Invece non mi piacciono alcune mie compagne di Serpeverde. Serpeverde è una Casa, a Hogwarts ce ne sono quattro. Serpeverde è la mia. A decidere in che Casa bisogna andare è un vecchio cappello parlante, con un nome molto difficile da ricordare (Cappello Parlante).

Comunque, oltre a me e Lucrezia ci sono altre quattro ragazze nel mio dormitorio. Una si chiama Adelaide Nott. Non ho ancora deciso cosa pensare di lei, perché è un po’ strana. Parla poco o niente e sembra non fidarsi di nessuno. Un’altra è Candida Flint. Lei è molto gentile, ma un po’ altezzosa e affettata. Poi c’è Harriet Davis, che non è né carne né pesce, almeno secondo me.

Invece non sopporto Bernice Hessler. Ha una gran puzza sotto al naso, si crede chissà chi per una miriade di stupidi motivi e non fa che parlare di tutte le cose belle che ha. Più o meno. Mi guarda dall’alto in basso perché


« Lizzy? »

« Mmh? »

Elizabeth sollevò lo sguardo dalla pergamena scritta a metà, incontrando gli occhi chiari di Lucrezia. L’amica non attese il suo invito per salire sul letto dell’altra e accomodarsi a gambe incrociate. La piccola Dursley tappò con cura la boccetta d’inchiostro per poi allungarsi ad appoggiarla sul comodino; arrotolò in fretta la pergamena e la ficcò senza tanti preamboli sotto al cuscino. Lucrezia osservò i suoi movimenti con aria quieta, senza fare domande, ma nei suoi occhi brillava una scintilla, indicatrice che aveva qualcosa da dire e che riteneva l’argomento in questione piuttosto importante o interessante.

Lizzy si divertì a tenerla sulle spine ancora per un po’: era buffo vederla agitarsi appena – sbattere un piede, sospirare di continuo – dalla trepidazione di aver qualcosa da dire... ma era troppo orgogliosa per parlare senza che l’altra le avesse posto una domanda in merito a ciò che aveva intenzione di dire – perché Elizabeth sapeva perfettamente di quale argomento si trattasse.

« Allora? » le domandò dopo un po’, cauta. « Devi dirmi qualcosa o sei solo – »

« Ho scoperto cosa fa Lily ».

« Che cosa?! »

Lucrezia non riuscì a trattenere un sorrisino compiaciuto. Lizzy sapeva che l’amica era tutta soddisfatta per essere riuscita a stupirla.

Fece finta di raddrizzare alcuni pelucchi della sua penna d’oca.

« Beh? » fece in tono indifferente. « Qual’è la tua ipotesi? »

« Non è un’ipotesi » precisò Lucrezia, « è una certezza. L’ho visto con i miei occhi ».

« Sì, ma cosa?! »

« Lily » rispose l’altra trionfante, « mentre pedinava quell’antipatico del fratello di Bernice! »

« Ho capito chi intendi » ribatté lei neutra. « Ma non ricordo il suo nome ».

Lucrezia sorrise. « Herman, Herman Hessler ».

« E allora? Secondo te come mai lo pedinava? »

« Non ne ho idea » sospirò Lucrezia, « ma dopo l’ho vista anche litigare con Jacob Greengrass ».

« E c’entra qualcosa? »

« Suppongo. Ho come l’impressione che le due cose siano collegate, capisci? »

Lizzy ci pensò su un momento, prima di scrollare le spalle: « Non mi importa granché di Lily » borbottò.


****


1 ottobre 2021
Ufficio del professor Lumacorno
Ora di cena

Erano secoli che Lily aspettava quello stramaledetto Luma-party, e adesso che era giunta a destinazione davvero non le sembrò nulla di che. Non sapeva bene cosa fare in mezzo a tutte quelle persone abbigliate elegantemente che sembravano parlare solo di cose stupide. Per un solo istante, desiderò essere Dominique. Lei si sarebbe mossa con sicurezza fra gli invitati del professor Lumacorno, dicendo le cose giuste alle persone giuste con un’estrema, apparente naturalezza. Un sorrisino vezzoso le sarebbe poi salito alle labbra: avrebbe annuito con condiscendenza, per poi congelare qualche presente con una frase tagliente non appena gli influenti amici di Lumacorno fossero fuori portata d’orecchio.

Lily non era brava in queste cose. Cioè, brava lo era – Praticamente in tutto, aggiunse mentalmente – solo che non provava gusto a mettersi d’impegno in qualcosa che non la divertiva o perlomeno interessava. Non riusciva proprio a comprendere la soddisfazione che Dominique sembrava provare nello giostrare i fili degli eventi sociali... preferiva prenderne parte, ridere, divertirsi.

Dallo sguardo d’intesa che Albus le scoccò, si rese conto che il fratello aveva capito perfettamente cosa le passasse per la testa. Era una cosa che amava di lui: non riusciva a comprendere i suoi pensieri, magari, ma le sensazioni sì.

« Puoi anche divertirti, Lils » le sorrise. « Non hai partecipato all’organizzazione, puoi anche – »

« Ma Domi – »

« Domi non è qui. E Domi non sei tu ».

Lily trattenne un sorrisetto: « Com’è che non pensi solo alla Menley ma anche a me? »

A quelle parole, Albus parve incupirsi: « Vorrei solo sapere che cosa vi ha fatto di male Georgia ».

Lei inarcò le sopracciglia. « Vi? » chiese. « Io e chi? »

« Hugo » fu la semplice risposta.

« Perché, Hugo ti ha detto qualcosa? » domandò Lily.

Al sospirò. « Una specie » mugugnò.

Lily alzò gli occhi al cielo: « Ad ogni modo » riprese, « non ci ha fatto nulla di male. Sei tu che la rendi insopportabile a tutti parlandone di continuo. E ti rendi insopportabile anche da solo, per la cronaca ».

Il fratello la guardò malissimo, per poi sbuffare. « Non capite » disse.

« Non capiamo » convenne Lily. « Faccelo capire, no? »

Ma lo sguardo di Albus era già stato catturato da qualcos’altro. Da una ragazza che stava a pochi passi di distanza, una ragazza dai lunghi capelli neri e ricci, con occhi grandi e labbra piene.

« Al? » tentò di catturare la sua attenzione.

« Devo fare una cosa » mormorò invece lui, « Posso... ? »

« Come da copione » Lily sbuffò. « Vai ».

« Grazie! »

Il fratello le stampò un grosso bacio sulla guancia, prima di avviarsi verso Georgia Menley a grandi passi, con aria estasiata.

Ridicolo, pensò Lily.

Segretamente seccata, prese a gironzolare per la sala... Doppiamente seccata, poiché considerato che Al si era allontanato, neanche poteva sfruttare il suo pass per gli alcolici per bere a proprio piacimento. Di certo era stata una scelta saggia da parte della preside Sinistra il costringere Horace Lumacorno a servire alcolici solo agli ospiti maggiorenni. Tuttavia, il metodo scelto permetteva di svicolare senza difficoltà, poiché bastava che un maggiorenne presentasse il proprio pass agli elfi domestici per farsi servire quel che voleva affinché un minorenne potesse bere. C’era troppa confusione per prestare attenzione sufficiente al vero destinatario del bicchiere.

Era uno dei motivi per i quali aveva chiesto al fratello di accompagnarla: Albus era molto più permissivo di James per determinate cose. O più che altro, più disinteressato.

Al momento, tuttavia, la sfortuna di Lily si rivelò doppia: si stava annoiando e per di più non aveva modo di bere. Non le restava altro che cercare un maggiorenne cui accodarsi.

Forte di tale proposito, si mosse in direzione del bancone presso il quale veniva servito da bere, facendosi strada nella ressa. Il sottofondo musicale proposto dal professor Lumacorno ai suoi ospiti era coperto da un chiacchiericcio non troppo sommesso e dal suono di risa e passi, di bicchieri che si scontravano per chissà quale brindisi. Lily notò con un certo fastidio che nessuno pareva notare la sua presenza: tutti sembravano presissimi a fare altro.

Cose inutili e stupide, probabilmente.

Abbassò gli occhi sull’abitino verde che indossava. Non aveva prestato grande attenzione nello sceglierlo, forse perché non attribuiva grande importanza alla cosa, certa com’era che difficilmente qualcosa le sarebbe potuto star male addosso. Lily era perfettamente in pace con se stessa riguardo al proprio aspetto fisico: non prestava grande attenzione a quello che mangiava semplicemente perché non le importava affatto, e, sebbene non vi avesse mai pensato, se glielo avessero chiesto avrebbe detto che il suo corpo non ingrassava o dimagriva semplicemente perché la sua mente si posava molto di rado sulla questione.

Poso distrattamente lo sguardo sulla propria sagoma, riflessa sul vetro della finestra vicino alla quale stava passando in quel momento. Il suo fisico era esile di costituzione, i capelli lunghi e rossi le piovevano sulle spalle in onde naturali. Le piaceva il proprio aspetto, questo sì. Le piaceva molto.

Finalmente riuscì a farsi largo a forza di gomiti fino al bancone.

« Che cosa vuole che Tik le prepari, signorina? » le domandò un elfo domestico allegramente, abbigliato con il caratteristico strofinaccio che recava il blasone di Hogwarts sul davanti.

« Veramente... » cominciò lei, ma la sua voce fu sovrastata da un’altra alle sue spalle. Una voce maschile bassa, di gola, vagamente roca.

« Due mojito » ordinò Jacob Greengrass, in piedi dietro di lei.

Lily si voltò di scatto: il ragazzo stava mostrando il pass a Tik, il quale annuì e si apprestò a preparare quanto richiesto. Lei non disse nulla finché i due bicchieri non furono consegnati nelle mani di Jake.

« Tieni » parlò poi lui, porgendogliene uno.

Lei lo prese dalle sue mani lanciandole un’occhiataccia. « Come mai mi offri da bere? » domandò poi. « Non sono una ragazzina? »

Jake aggrottò le sopracciglia. « Perché dici così? » le chiese, perplesso.

Lily sbuffò. Non le piaceva essere fraintesa, a meno che non fosse proprio ciò a cui mirava, e quella mattina Jacob l’aveva fraintesa alla grande.

Idiota.

Okay, doveva ammettere che il ragazzo aveva tutti i motivi del mondo per supporre che dietro ai suoi movimenti sospetti vi fosse un qualche sciocco, frivolo complotto. Ma – non avrebbe saputo dir bene perché – lo scoprire che Jacob Greengrass la considerasse ancora una ragazzina l’aveva in qualche modo ferita. Insomma, la questione dell’Incanto Proteus non era affatto una sciocchezza, anzi. Era forse la cosa più importante nella quale in tutta la sua vita si fosse mai ritrovata invischiata. E d’accordo, Jake non lo poteva sapere, ma era stato spiacevole giungere alla consapevolezza che qualunque cosa sospetta che venisse a lei collegata venisse interpretata dal ragazzo come uno stupido piano ai danni di qualcuno.

Le risuonarono in mente le parole che Jacob le aveva rivolto quella stessa mattina:

« È ora di smetterla con quegli assurdi complotti. Sono delle cose sciocche, inutili e infantili, che per di più contribuiscono a far del male a qualcuno ».

« Lo sai perché » mugugnò.

« No » la contraddisse lui, « non lo so ».

« Pensavo avessi capito, Lily ».

Oh, eccome se ho capito.

Sorseggiò distrattamente il proprio mojito. Aveva un sapore caratteristico, piacevole. Poteva avvertire la freschezza della menta e il gusto più deciso del rum. Era vagamente asprigno, ma i granelli di zucchero di canna le si scioglievano sulla punta della lingua, sprigionando una certa dolcezza. Decise che non si sarebbe mai congratulata con Jacob per la scelta della bevanda, neanche per tutto l’oro del mondo, nonostante stesse mentalmente stringendo la mano al professor Lumacorno per la decisione di comprendere gli alcolici Babbani nel menu.

Jake continuava a guardarla.

« Beh? » commentò. « Ti piace? »

« No » mentì, « pessima scelta ».

Inaspettatamente, il ragazzo ridacchiò: « Ma cosa avete voi Weasley contro il mojito? »

« Non sono Weasley » ribatté lei automaticamente. « Sono Potter ».

« Per metà Weasley » puntualizzò Jacob.

« Ma il mio cognome è Potter ».

« Che cosa ti è preso, stamattina? »

Lily bevve un sorso di mojito, per poi sollevare lo sguardo e incontrare quello di Jake. Lo guardò dritto negli occhi.

« Non sono io quella che non ha capito, Greengrass » pronunciò in tono altezzoso, « sei tu ».

Fece per andarsene, ma lui la trattenne afferrandola per un braccio, come aveva fatto quella mattina. Lily si divincolò, sentendosi addosso una strana fretta.

Come aveva fatto quella mattina, Jacob la lasciò andare di colpo. La guardò con una luce inusuale negli occhi, e Lily avvertì improvvisamente e con incredibile intensità un’estrema percezione di se stessa e dello spazio – lì in piedi, sotto agli occhi di Jake.

« Scusa » fu un mormorio quasi impercettibile, ma Lily lo udì perfettamente. « Qualsiasi cosa ti abbia fatto... scusami ».

Lei annuì, seria. « Così va molto meglio » commentò.


Told myself that you were right for me [...]

But that was love and it’s an ache I still remember

You can get addicted to a certain kind of sadness

Like resignation to the end...


« Così va molto meglio » commentò Lily.

A Jacob quasi venne da ridere. Per quanto ci rimuginasse sopra da diverse ore, ancora non riusciva a capire che cosa diamine fosse preso alla ragazza quella mattina: non l’aveva mai vista comportarsi così, e dire che la conosceva da secoli – l’aveva sempre considerata un po’ una sorellina minore.

Solo che una sorellina minore non l’avrebbe mai guardato in quel modo, si ritrovò a pensare. Era strano, sbagliato.

Deglutì, tentando di cancellare quel pensiero dalla propria mente.

Albus. Pensa a cosa direbbe Albus.

Gli venne spontaneo cercare con lo sguardo l’amico nella folla. Ne scorse la figura accanto alla sagoma sinuosa della Menley. Albus si accorse della sua occhiata: lo guardò, guardò Lily, lo guardò ancora e sorrise. I suoi occhi dicevano: So che è al sicuro con te.

Lily era al sicuro con lui. Lily era anche la sua di sorella, in un certo senso. Diede una sbirciata nella direzione della ragazza: girava il ghiaccio nel proprio bicchiere con la cannuccia, scrutando qualcosa – o qualcuno – alcuni metri più in là. Jacob non indagò.

Tornando con lo sguardo sulla folla, colse una figura esile, dai lunghi capelli biondi e con indosso un abito nero. Quell’immagine gli riportò d’improvviso Dominique alla mente: realizzò con costernazione di non aver ancora pensato a lei, quella sera. Non fino a quel momento.

« Mi sono scusato » disse a Lily, « adesso puoi dirmi che cosa ti è preso? »

La vide incupirsi, e capì di aver fatto un passo falso. Un passo falso che un fratello maggiore non dovrebbe fare.

« Non sono una ragazzina » ribatté lei.

« Non l’ho mai detto » si difese Jacob.

« Sì, l’hai detto » lo contraddisse Lily, « molte volte. Anche questa mattina, indirettamente ».

Jake tentò di richiamare alla mente le parole che si erano scambiato in mattinata... Improvvisamente, fu come se una doccia d’acqua fredda gli avesse schiarito il cervello.

« Non è un complotto » disse, cauto, « vero? Non stai facendo nessun complotto ».

Lei si mantenne impassibile. « L’hai capito, finalmente » commentò in tono sprezzante.

Jacob inarcò le sopracciglia: « Finalmente? » chiese, perplesso. « È solo da stamattina che – »

« Oh, no » lo interruppe lei, sorprendendolo ancora una volta. « È da molto più tempo, Jake ».

La vide bere un sorso di mojito: decise di imitarla.

« Sai, Lily » le disse dopo un po’, quasi distrattamente, « non è facile prevederti ».

Lo sguardo di Lily parve come guizzare un istante... doveva essere il rum.

« Lo so » ribatté, sogghignando.

Fu solo più tardi – nel proprio letto nel dormitorio di Serpeverde, lo sguardo fisso sulle cortine color smeraldo sopra di lui – che Jacob si ritrovò a fare una lacerante constatazione. Improvvisamente, aveva capito di non essere più innamorato di Dominique Weasley.




Note dell’Autrice


Capitolo un po’ teen drama. Un po’ tanto, cioè, tanto da fare schifo. Ma di tanto in tanto tocca fare spazio anche alle vicende sentimentali di queste povere creature.

Come al solito, non sono riuscita a infilare nel capitolo tutto quello che volevo (per questioni logistiche, alias non farvi collassare a metà capitolo causa eccessiva lunghezza del suddetto). Tutto sommato, sono abbastanza soddisfatta di come è venuto fuori... Spero vi piaccia più del precedente, nel quale ho notato un certo, vistoso calo di recensioni.

Beh, è un capitolo un po’ di passaggio, in realtà, nel senso che la vicenda non procede granché dal punto di vista dell’Importante Missione... Ma ho infilato un paio di altri fili nel groviglio, immagino l’abbiate notato. E questo groviglio diventerà sempre più intricato, temo.

Perdonate il mio ritardo nel rispondere alle recensioni, ma ultimamente trovo a malapena il tempo di scrivere.

Grazie a tutti voi, come sempre.

E... ci vediamo fra 10/15 giorni! O forse meno, a seconda della variabile tempo.

Bacioni, Daph









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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Come sei ora ***



Capitolo 11

Come sei ora


What if the storm ends?

And I don't see you

As you are now

Ever again.

Snow Patrol



10 ottobre 2022

Biblioteca di Hogwarts

Pausa pranzo


Non è impossibile identificare eventuali influssi Babbani nei reperti di antiche civiltà magiche. Presso gli abitanti dell’antico Egitto era usanza comune fra i non-Maghi la mummificazione dei cadaveri, usanza ripresa dai maghi, i quali però

Hugo chiuse il libro con un colpo secco. Ormai gli era chiaro che lì dentro non avrebbe trovato nulla di utile... e non parlava solo del libro, ma dell’intera biblioteca. Dopo giorni di estenuanti ricerche, aveva dovuto tristemente ammettere che, nonostante avesse sventrato la biblioteca con grande gioia di sua cugina Lucy, non vi fosse nulla di particolarmente utile alla sua ricerca.

Qui è un continuo ricerche, ricerche, ricerche. Non c’è niente che vada per il vero giusto.

Gli unici libri che parevano coniugare la cultura Babbana a quella magica neanche parlavano di questioni recenti, anzi. Pareva che per i maghi la storia dei Babbani si fosse fermata agli antichi Romani, o anche prima...

Noi maghi siamo troppo chiusi, davvero.

Neanche nel Reparto Proibito era riuscito a trovare granché, se non un vecchio opuscolo impolverato cui mancavano svariate pagine e che recava qualche accenno riguardante il Rinascimento italiano. Per il resto, zero su tutta la linea.

« Ti disturbo? »

Hugo inziava quasi a detestare il sorriso smagliante di Anthony, il quale negli ultimi giorni pareva prendere ogni occasione come buona per sobissarlo di domande su quelle dannatissime stampe. Iniziava a sentirsi vagamente usato, e la cosa gli dava persino più sui nervi di quanto non avesse creduto.

« No » replicò, « ho appena finito ».

« Trovato qualcosa? »

Come previsto.

« No » ripeté in risposta, borbottando. « Non c’è nulla di utile ».

Il sorriso parve spegnersi sul volto di Tony, la cui espressione si adombrò. « Peccato... » sospirò.

Hugo gli lanciò un’occhiataccia, punto sul vivo. « Fattela da solo la tua ricerca, se non ti va bene come me ne occupo io! »

Oltre a irritarlo profondamente, l’atteggiamento insistente dell’altro non faceva che incrementare i sospetti che il giovane Weasley già nutriva nei suoi confronti. Insomma, se si fosse trattato di un interesse puramente intellettuale Tony non si sarebbe di certo dimostrato tanto ansioso.

Alla sua brusca replica, quest’ultimo era sobbalzato, lievemente sorpreso.

« Suvvia, Hugo » tentò di rabbonirlo, « sai che non intendevo questo ».

Lui sbuffò. « Lascia perdere » mugugnò.

Tony lo fissò con sguardo limpido. « Perdonami » sorrise, « non intendevo offenderti ».

« Non mi  hai offeso ».

« Invece mi pare proprio di sì ».

Hugo alzò gli occhi al cielo. « Sai, starei cercando di studiare ».

« Mi hai detto che hai appena finito ».

« Sto cercando di iniziare a studiare ».

Anthony inarcò le sopracciglia. « Hugo... »

« Come mai ti interessa così tanto sapere quale sia il significato di quelle immagini? » sbottò lui, interrompendolo.

« Interesse intellettuale ».

Fu il turno di Hugo di inarcare le sopracciglia. Non riusciva proprio a fidarsi di Anthony, e per questo nei suoi confronti covava sempre più rancore. Accidenti, perché mai non poteva avere un atteggiamento normale? Perché il sospettato numero uno doveva essere per forza lui?

Come se tutto ciò non bastasse, si sentiva anche terribilmente in colpa per non aver riferito alcunché ai cugini dei propri sospetti. Immaginava le reazioni che questi ultimi avrebbero avuto se mai l’avessero scoperto. Rose lo avrebbe guardato duramente, con uno di quei suoi sguardi in grado di far sentire colpevoli anche gli innocenti. Albus avrebbe gridato, probabilmente, o forse gli avrebbe tirato persino un pugno. E Lily... Lily lo avrebbe guardato con disprezzo, e riso di quella sua risatina sprezzante.

Basta, Hugo. Basta.

Si ripromise di confessare tutto a Rose e agli altri, più tardi. Sì, l’avrebbe fatto. Davvero.

« Allora » il tono di Anthony suonò forzatamente allegro, « come procede? »

Hugo decise che gli avrebbe scagliato contro una fattura, prima o poi. Durante le vacanze di Natale si sarebbe fatto spiegare da zia Ginny quel suo trucchetto con l’Orcovolante.

« Come procede cosa? » replicò in tono piatto.

« Lo sai » Tony sospirò, « la ricerca, no? »

Lo guardò male: « Te l’ho detto poco fa » disse gelidamente. « Non ho trovato nulla ».

« Ma come è possibile? » il sorriso dell’altro vacillò. « Sicuro di aver cercato bene, o – »

« Te l’ho detto » Hugo cominciava davvero a perdere la pazienza, « se non ti va bene, puoi anche cercartelo da te il significato di quelle figure ».

« Hai detto che l’avresti fatto tu ».

« Ti sto facendo un favore » si accorse di aver quasi gridato e abbassò il tono. Si trovavano ancora in biblioteca, dopo tutto. « Capisci? Non è dovuto ».

« E con ciò? »

« Non sono mica costretto a farlo ».

« Tu vuoi farlo ».

« Chi te lo dice? »

Anthony tacque per qualche istante: sembrava arrabbiato. « Ti rimangeresti la parola data? » sibilò in tono accusatorio.

Hugo capì di aver raggiunto il limite. « Crepa, Menley » sbottò, prima di raccogliere le proprie cose e allontanarsi a testa alta, con le stampe al sicuro nella borsa a tracolla. Dopotutto, scoprire cose stessero a significare quelle figure interessava anche a lui.

Se si fosse voltato – e non lo fece – avrebbe visto Anthony sferrare un calcio contro il tavolo, in preda alla frustrazione.


*


10 ottobre 2022

Sala Comune di Serpeverde

Intorno alle otto di sera


Stanno ancora confabulando.

Rose era seduta sulla sua poltrona preferita, che da un po’ di tempo restava la stessa. Era comoda, collocata in una buona posizione: abbastanza vicina al fuoco per ricevere parte del suo calore e sufficientemente lontana da non sentirsi la pelle bruciare. Inoltre – anche se non l’avrebbe ammesso neanche a se stessa – ultimamente stava prendendo l’abitudine di origliare discretamente i discorsi di Scorpius, Jacob e Bernie. Non che le interessassero particolarmente – per carità! – ma la divertivano. Era un punto di vista che non conosceva, insomma.

Tuttavia, quella sera Jacob Greengrass non sedeva come al solito di fronte al fuoco assieme ai suoi amici, sul divano in posizione privilegiata del quale si erano arrogati il diritto, in quanto studenti del settimo anno. Rose ricordava come l’anno precedente lo occupassero Ben Aubrey e i suoi compagni – Dominique preferiva una posizione più centrale, così da poter tenere d’occhio l’intera sala senza difficoltà. Non che le importasse molto di Ben Aubrey. Era solo un ragazzo dotato di cervello, ecco tutto.

Erano le otto di sera, e Scorpius Malfoy giaceva spaparanzato sul divano, sfogliando distrattamente le pagine di un libro. Quasi involontariamente, Rose cedette alla risatina che le gorgogliava la gola e scosse la testa, divertita. Non riusciva a non trovare Scorpius buffo, adesso che lo osservava meglio da un po’. Aveva quel modo distratto di vivere la vita, quasi non riuscisse a concentrarsi a lungo su niente. Il più delle volte parlava a sproposito, era estremamente lunatico e irrimediabilmente pigro. Si autocompiangeva facilmente e tendeva a vittimizzarsi in maniera indecente. Tuttavia, Rose aveva avuto modo di notare quanto a volte bastasse una spintarella nella direzione giusta per far sì che si tirasse su.

Bisogna pungerlo nell’orgoglio.

Si chiese dove diamine si fosse cacciato Boot. Fino a un istante prima era appollaiato sul bracciolo del divano occupato dall’amico, fissando il fuoco con aria pensierosa.

Rose sbuffò, tornando a posare lo sguardo su Jacob, il quale era seduto dall’altra parte della sala, presso un tavolo occupato solamente da lui e Christine De Bourgh. Nel guardare i due, gli occhi della ragazza si assottigliarono pericolosamente.

Jacob e Christine parlavano con calma, quasi distrattamente, senza neanche guardarsi in faccia – entrambi fissavano dritto di fronte a sé. Nonostante il loro atteggiamento apparisse tutto fuorché cospiratorio, Rose non riusciva a stare tranquilla, consapevole com’era del fatto che se quei due si fossero alleati in qualcosa sarebbero indubbiamente riusciti nel loro obiettivo. E, conoscendo Christine, non doveva trattarsi di nulla di buono.

Probabilmente – rifletté Rose – la dinamica della cosa doveva aver avuto origine da un’idea della ragazza. Ma come mai Jacob avrebbe dovuto accettare la sua proposta, qualunque essa fosse? Insomma, aveva tutti i motivi del mondo per detestare Christine! Per quanto ci stesse rimuginando su da almeno una mezz’ora, non le riusciva di giungere a una conclusione.

Che cosa voleva Christine? Era malauguratamente consapevole che non sarebbe mai riuscita a scoprirlo: l’altra era fin troppo brava a tenersi stretti i suoi segreti.

E perché, perché Jacob aveva accettato di aiutarla?

Dopo essersi parlati senza guardarsi in faccia l’un l’altra per un bel po’, finalmente Christine e Jake si scambiarono uno sguardo. Rose vide Greengrass alzare gli occhi al cielo e la ragazza sorridere lievemente. Poi Jacob si alzò: lo seguì con lo sguardo mentre attraversava la sala e andava a sedersi con Scorpius davanti al fuoco. Quando tornò a guardare in direzione di Christine, Rose scoprì che la sedia che la ragazza occupava fino a pochi istanti prima era vuota. Si chiese se fosse per caso andata in dormitorio e si disse che valeva la pena di tentare.

Risoluta, si alzò dalla propria poltrona e oltrepassò il passaggio che conduceva alle stanze destinate alle ragazze. Entrò nella camerata che condivideva con le altre studentesse del settimo anno e lì trovò Christine, seduta sul letto con la schiena sulla testiera e le gambe stese di fronte a sé. Nella mente di Rose balenò improvvisa l’immagine di Dominique, seduta su di un letto identico a quello nella medesima posizione, con le lacrime agli occhi e un’aria sperduta. La trovò una cupa coincidenza.

« Ciao, Christine » la salutò, ponendosi in piedi di fronte a lei.

L’altra parve sorridere automaticamente, senza un’ombra di gioia. « Ciao, Rose » la sua voce suonava falsamente innocente. « Mi fa piacere che tu abbia voglia di parlare ».

Rose inarcò le sopracciglia: « Non dire stronzate » disse.

« Non lo farò » acconsentì l’altra, per poi battere due volte la mano destra sul materasso vuoto al suo fianco. « Vieni » propose, « siediti qui ».

« Vuoi scherzare? » ribatté Rose a voce alta.

Christine scosse la testa, poi sorrise con una strana dolcezza, che addosso a lei risultava inquietante... o forse era Rose a vederla così, chissà.

« Sono serissima » fece Christine, inclinando la testa da un lato. « Vieni ».

« Non dire stronzate » ripeté lei di rimando, ma fece come l’altra le diceva. Si tolse le scarpe con un calcio e salì agilmente sul letto, poggiando la schiena accanto a quella di Christine sulla testiera del letto di quest’ultima e stendendo le gambe di fronte a sé proprio come lei. Si scoprì costernata dalla visuale delle proprie caviglie incrociate e dei propri piedi accanto a quelli di Christine. Si accorse che la ragazza portava calzini spaiati – uno rosa e uno celeste. Con la punta del piede destro stava sfregando il collo del sinistro... un gesto innocente, involontario, quasi infantile. Rose si rese conto di botto che anche Christine De Bourgh era una persona – sembrava stupido, ma non ci aveva mai pensato davvero.

« Cosa volevi dirmi? » domandò la ragazza, gli occhi fissi verso l’alto.

« Che cosa hai in mente? » la interrogò Rose senza tanti preamboli, consapevole di quanto ogni sotterfugio sarebbe stato inutile.

« Non ho intenzione di far soffrire tua cugina provandoci con il suo ex » Christine sorrise. « Quindi puoi stare tranquilla ».

« Quante volte devo ripeterti di non dire – »

« Stronzate? »

« Ecco, sì ».

Lo sguardo di Rose cadde di nuovo sui suoi piedi, vicini a quelli di Christine sul copriletto verde smeraldo. Si rese conto di quanto dovesse apparire ridicola una situazione del genere vista dall’esterno... e quanto normale, se si escludevano gli assurdi calzini spaiati dell’altra.

« Allora? » la incalzò. « Vuoi parlare o no? »

« Non conosci mezze misure, Rosie » replicò Christine, calcando il nomignolo. « Esiste una via di mezzo fra l’essere muti come un pesce e fare domande a raffica. Se vuoi posso indicartela ».

« La pianti di dire stronzate?! »

« Okay ».

Cadde il silenzio, e ancora una volta fu Rose a romperlo.

« Non me lo dirai, vero? »

Christine scosse la testa. Poi annuì. Infine scrollò le spalle.

« Potresti essermi utile » finì per concludere, « chissà ».

Rose inarcò le sopracciglia, scettica. « Vorrei solo sapere come sei riuscita a convincere Greengrass a stare dalla tua parte ».

L’altra emise un risolino. Pareva sinceramente divertita, quando parlò: « Sai, Rosie, è qui che sbagli. Non c’è una parte da cui stare, capisci? Non stavolta ».

« Come mai dovrei crederti? »

Christine levò gli occhi in alto. « Non devi » la guardò. « Puoi ».

« E perché potrei crederti? »

« Perché potresti anche non farlo e invece lo fai ».

Rose sbuffò: tutte quelle enigmatiche frasi smozzicate le davano sui nervi. Si chiese se Christine non avesse per caso qualche rotella fuori posto. « Cosa intendi dire? » insistette, ricevendo in risposta solo una scrollata di spalle. A quel punto non poté che arrendersi: rilassò la schiena sulla testiera del letto. « Ma come hai fatto a convincere Greengrass ad aiutarti? » chiese.

Christine sorrise di nuovo con quella dolcezza misteriosa e fuori posto. « Gli ho dato in cambio un consiglio » disse in tono soave.

Rose era sempre più perplessa. « Di che consiglio si tratta? »

L’altra la fissò. « Gli ho detto semplicemente di seguire ciò che non riesce a prevedere ».

« Inizio a chiedermi se il saper parlare chiaramente sia compreso nel tuo codice genetico ».

Christine scoppiò a ridere di gusto. « Pensavo mi odiassi » buttò lì.

« Ti odio, infatti » convenne Rose prontamente.

« Non sembra » replicò calma l’altra.

Rose non sapeva più cosa rispondere, perciò tacque, gettando uno sguardo ai calzini spaiati di Christine.


*


14 ottobre 2022
High Street, Hogsmeade
Dieci di mattina


« Siete felici, vero? Vero, Al? Eh? »

Rose sbuffò. « Taci, Lou ».

« Ma – »

« Ti scongiuro, Louis » Lily roteò gli occhi. « Stai dannatamente zitto ».

« Pensavo sareste stati felici di vedermi » brontolò il cugino.

Era il primo finesettimana dell’anno scolastico che gli studenti avevano il permesso di trascorrere al villaggio, e non appena Albus era giunto al corrente della possibilità concessa loro non aveva atteso per riferirla a Louis. Adesso si trovavano nella High Street di Hogsmeade, schiaffeggiata dal primo vento autunnale. Sopra le loro teste, il cielo era brumoso e bigio, i coraggiosi raggi di sole che riuscivano a oltrepassare il compatto strato di nubi giungevano smorti ai loro occhi, conferendo al panorama una soffocante luminosità indolente e pigra.

Come previsto, Louis Weasley aveva riservato ai cugini un’accoglienza teatrale, attirando l’attenzione di tutti, e Rose aveva resistito a stento alla tentazione di Schiantarlo lì per lì.

« Allora? » domandò Lily, impaziente, riconducendo i cugini alla vera ragione di quell’incontro. « Ti è venuto in mente qualcosa? »

« Direi di sì » Lou sorrise. « Ma forse è il caso di parlarne davanti a una Burrobirra piuttosto che in mezzo alla strada ».

« Hai ragione » convenne Albus pigramente. « Testa di Porco? »

« No » Rose scosse la testa, categorica. « Meglio ai Tre Manici » sospirò, « con tutta la gente che c’è difficilmente qualcuno presterà attenzione a ciò che diciamo ».

« E brava Rosie! » commentò Louis allegramente, scompigliando i capelli alla cugina. Quest’ultima si fivincolò, stizzita, soffiando come un gatto arrabbiato.

Il campanello appeso sopra la porta del pub tintinnò vivacemente al loro ingresso nel pub affollato. L’ambiente era caldo e rumoroso, il bancone di legno lucido scintillava allegramente alla morbida luce giallastra delle lucerne.

Albus parve agitarsi, alzando gli occhi al cielo, Rose si volse nella direzione in cui guizzava lo sguardo del cugino. Lui accennò a muoversi verso il gruppo di Corvonero che sostava presso un tavolo accanto all’ingresso, ma la ragazza lo trattenne afferrandogli il gomito.

« No, Al » lo richiamò. « Di là » indicò con un cenno del mento l’angolo opposto dell’ambiente. Lui sbuffò.

« Mia sorella ha ragione » sentenziò Hugo. « Lontano da Georgia Menley.

« Georgia Menley? » fece Lou, perplsso, inarcando le sopracciglia in un modo che ricordava moltissimo Dominique. « Devi raccontarmi qualcosa, A? » aggiunse sogghignando.

« Purtroppo no » sospirò l’interpellato, « proprio nulla da raccontare ».

Louis parve vagamente sorpreso, ma non disse nulla.

Nel frattempo avevano raggiunto un tavolo in fondo alla sala, e vi si erano accomodati.

« Che cosa vi porto, ragazzi? » chiese loro Hannah Paciock, gestrice della locanda.

« Credo Burrobirra per tutti » fece Louis con un sorriso smagliante. Rose alzò gli occhi al cielo, esasperata.

« Sai, Lou » disse al cugino non appena la donna si fu allontanata, « non c’è bisogno che tenti di sedurre chiunque ti passi davanti ».

Lui scrollò le spalle. « Beh, è più forte di me » tentò di giustificarsi.

« Sì, come no » ribatté Hugo acidamente.

« Basta » Rose parlò stancamente. « Passiamo alle cose serie, adesso. Okay? »

Per qualche istante tutti rimasero in silenzio.

« Ecco qui! » trillò poi la voce di Hannah, che stava posando sul tavolo le cinque Burrobirre.

Non appena si fu allontanata, Louis alzò il proprio boccale. « Alle belle donne! » disse. « Che ne dite? Al, Hugo ».

Alle sue parole quest’ultimo si contorse spiacevolmente sulla propria sedia, per poi scomparire sotto al tavolo mugugnando qualcosa di incomprensibile. Rose si scambiò con Lily uno sguardo perplesso, ma poi Hugo riemerse asserendo che gli fosse caduto qualcosa.

« Alla vittoria di Serpe- »

« Zitta, Lily! » Albus lanciò alla sorella un’occhiataccia, con il solo risultato di farla scoppiare in una risata fragorosa.

« D’accordo » disse poi la ragazza, sospirando teatralmente, « all’Importante Missione ».

Rose scosse la testa.

« A Hogwarts » fece Al. « E alla vittoria al Tremaghi, perché no! »

« Ci può stare » convenne Hugo, e tutti parvero d’accordo, poiché i cinque boccali si scontrarono sopra il tavolo con un robusto scroscio.

Tutti bevvero in silenzio. L’atmosfera si era improvvisamente fatta più tetra – cupa e taciturna, tesa.

« Allora, cugino » fece Al, « cosa hai pensato? »

« Illustraci il tuo ragionamento » lo incalzò Hugo, che si stava visibilmente rodendo il fegato dalla curiosità.

Louis sospirò appena, prima di prendere la parola. « Dunque » esordì, « ho cercato di prendere la questione dal principio. Ossia: non importa in realtà a cosa servano i galeoni in generale... ma il motivo per il quale Gossip Witch li usava ».

« Perché sembrassero veri, no? » sbuffò Lily.

Louis sgranò gli occhi. « Accidenti » commentò, « questo annullamento Empirico deve essere davvero potente ».

Rose si sentiva davvero molto perplessa e confusa. « Perché dici così? »

« Dai! » fece Lou. « Che cosa facevano i galeoni di Gossip Witch? »

« Distruggevano la reputazione degli studenti » fece Hugo a labbra strette.

« E come? » chiese l’altro.

Hugo parve concentrarsi molto. « Non so » disse – a Rose pareva di non avergli mai udito dire simili parole. « D-diffamando le persone » aggiunse poi il ragazzo in un balbettio.

« E come si diffamano le persone? » insistette Louis.

« Rovinando la loro reputazione » fece Lily.

Lou scosse la testa, apparendo sconfortato. « L’avere già detto » sospirò. « Proviamo così... In che modo la reputazione di qualcuno è al sicuro? »

« Quando nessuno conosce i suoi segreti » rispose pronta Lily.

« E questo come è possibile? »

Rose aggrottò le sopracciglia: « Basta che non li dica a nessuno, no? »

La ragazza non sapeva bene perché, ma si sentiva addosso una strana confusione. Le sembrava di avere la mente vagamente ottenebrata, come se qualcuno le avesse corretto la Burrobirra con del whiskey.

« Ma non dovevamo parlare dell’annullamento? » Hugo sembrava sinceramente interdetto. Rose si chiese di cosa stessero parlando.

Lou inarcò le sopracciglia. « Lo stiamo facendo » osservò.

Ma stiamo facendo cosa?

Il cugino sospirò. « L’incantesimo sta vacillando » disse, apparentemente più a se stesso che a loro. « Deve essere come impazzito, suppongo, per questo non capite nulla ».

« Ma non doveva venire anche Jamie, oggi? » chiese Al all’improvviso.

« Ci raggiunge più tardi » rispose Louis. « Sapete cosa faceva Gossup Witch? Raccontava i segreti della gente a tutti ».

« Ma non l’abbiamo già detto? » Lily sembrava perplessa. Louis la ignorò.

« La Proprietà dei galeoni » concluse, trionfante, « è la loro funzione di trasmettere messaggi ».

Fu come se qualcuno avesse rovesciato in testa a Rose una secchiata d’acqua gelida. Improvvisamente la sua mente si schiarì e ogni pezzo tornò al posto giusto. Si sentiva come se qualcuno l’avesse appena liberata da catene delle quali neanche sospettava l’esistenza.

La sua mente adesso era libera – lo percepì chiaramente.

« Qualcuno vuole impedire agli studenti di comunicare fra di loro con mezzo magici non controllati ».

A mormorare queste parole era stato Hugo. Rose si voltò verso iul fratello: appariva infuriato e nei suoi occhi aleggiava il bagliore vagamente folle che di solito accompagnava la ricerca di una qualche nozione.

« Chiunque sia stato » la voce chiara di Lily suonò agghiacciante, « vuole avere il controllo su Hogwarts ».

« Sì » Al convenne, « ma perché? »

La sorella scosse la testa, aggrottando al contempo le sopracciglia.

Louis, nel frattempo, pareva quasi divertito. « Beh, cugini » fece, « brindiamo alla ritrovata libertà mentale. Hannah! » chiamò. « Potresti portarci del Firewhiskey, per favore? »

L’interpellata parve dubbiosa. « Louis » disse, « sono studenti, non saprei se – »

« Al e Rose sono maggiorenni » fece lui, « e Hugo e Lily non berranno » promise. « Li tengo d’occhio io! » aggiunse con un sorriso smagliante.

Quando la donna si fu allontanata, Hugo parlò: « Questo è barare! » protestò. « Non puoi usare i tuoi poteri Veela per – »

« Vuoi bere, Corvonero? » lo interruppe Louis.

« Sì, ma – »

« Allora taci ».

Hugo tacque. Lily rise. Poi tacque anche lei. Tacquero tutti per un po’. Poi Hannah tornò al loro tavolo, portando con sé una bottiglia di Ogden Stravecchio e cinque bicchieri. Louis le sorrise: « Grazie » fece, « rimarrà fra di noi, tranquilla ».

Hannah scosse la testa, affettuosamente divertita. « Non farli ubriacare, Louis » lo ammonì, prima di allontanarsi borbottando qualcosa di simile a: « Come si può dirgli di no! »

Lou versò cinque identici bicchieri colmi sino all’orlo di liquore ambrato.

« Alla ritrovata libertà mentale » sospirò.

« Alla vittoria » sibilò Lily, gli occhi scintillanti.

Tutti si rivelarono d’accordo. Rose bevve e il liquore scorse bruciante nella sua gola. Subito poté percepire l’effetto tipico del Firewhiskey: fu come se un fuoco le fosse esploso nella trachea. Si sentì immediatamente rinvigorita.

« Perché qualcuno dovrebbe voler ottenere il controllo su Hogwarts? » chiese Al quasi distrattamente.

« Perché è il cuore del mondo magico britannico » rispose Hugo.

« Un’ipotesi » fece Lily, « è che quel qualcuno abbia intenzione di controllare tutto ».

« Sì » Louis convenne. « Deve essere così ».

Albus sgranò gli occhi verdi d’improvviso, quasi l’avesse colpito una folgore. « È la stessa persona! » quasi gridò.

« Abbassa la voce! » lo sgridò la sorella.

Rose strinse gli occhi, sospettosa. « Spiegati » si limitò a sibilare.

Albus annuì. « La stessa persona che ha annullato il Proteus » disse a bassa voce, « è la stessa che ha trafugato la Pietra ».

« Di cosa state parlando? » domandò Louis, perplesso.

Rose vide Lily e Hugo scambiarsi uno sguardo agghiacciato: Al doveva aver dimenticato che Louis non sapeva nulla del ritrovamento della Pietra né del suo furto.

Fottuto Firewhiskey.

« È una lunga storia » sospirò, preparandosi a dover spiegare molte cose.


*


14 ottobre 2021
Viuzza imprecisata di Hogsmeade
Primo pomeriggio


« Dove ti piacerebbe andare? » domandò Scorpius a Lucy.

La ragazza era molto carina, quel giorno. Aveva fermato una ciocca castana sopra la tempia con un fermaglio, scoprendo così il suo volto piacevole e rotondo. Indossava un vestito il cui orlo era appena lasciato scoperto dall’impermeabile che portava, e le gambe erano avvolte da un paio di calzamaglie a righe colorate che mettevano buon umore a vederle. Anche se fino a quel momento il loro secondo primo appuntamento non era parso procedere un granché bene.

Non si erano più baciati dopo quel sabato in biblioteca... a dire il vero, si erano parlati a stento. Scorpius aveva supposto che Lucy provasse un poco di imbarazzo, e sinceramente cominciava a sentirsi decisamente esasperato da quel suo atteggiamento assurdo. Doveva ammettere che il pensiero che la ragazza si stesse prendendo gioco dei suoi sentimenti l’aveva sfiorato, sebbene fosse una cosa talmente poco da Lucy da non poter essere realmente presa in considerazione. Scorpius era a malapena riuscito a ritagliare un angolo di tempo per chiederle di uscire, e quasi si era sorpreso nel sentirla acconsentire.

Si era poi figurata di salutarla con un bacio sulle labbra prima del loro appuntamento, ma lì per lì qualcosa l’aveva bloccato e lui era rimasto dove si trovava senza far nulla. Avevano poi percorso la strada per Hogsmeade parlando di banalità – l’atmosfera era talmente densa che la si sarebbe potuta tagliare col coltello.

Finalmente erano giunti al villaggio, e Scorpius le aveva chiesto dove le sarebbe piaciuto andare.

Lucy scrollò le spalle. « Madama Piediburro? » propose poi, poco convinta.

Scorpius si sentì decisamente perplesso. Lucy odiava la sala da tè di Madama Piediburro, ricordava di averglielo sentito dire miliardi di volte. E allora come mai adesso proponeva proprio il locale tanto detestato con l’aria di chi non ha la minima voglia di andarci?

Aprì la bocca per dire qualcosa. La richiuse. « Vada per Madama Piediburro » disse infine.

Lucy chinò la testa.

Finché non giunsero di fronte alla caffetteria, non si scambiarono altre parole. La frustrazione di Scorpius saliva a vista d’occhio: non riusciva più a parlare con Lucy, gli pareva di avere avanti un’estranea che di tanto in tanto mostrava sprazzi di quella che era la sua ex ragazza. E questo era triste, terribilmente triste... e gli faceva venire in mente strani pensieri.

Lucy era cambiata, questo era evidente – lo dicevano tutti. Ma Scorpius sarebbe riuscito ad amare questa nuova versione di lei? A tratti aveva l’impressione che tutti i suoi sentimenti si fossero sedimentati su di un’immagine che lui aveva di Lucy e che durante l’estate aveva provveduto a idealizzare ancor di più.

Amava un’idea, quindi? Un’illusione?

Gettò un’occhiata a Lucy. La ragazza lo guardava, in attesa, di fronte all’entrata della sala da tè.

La gente cambia d’abito, Scorpius, ma dentro è sempre la stessa.

« Entriamo? » le disse.

Lei annuì, distogliendo lo sguardo da Scorpius.

Ma perché fa così?

In cosa era cambiata, poi? Insomma, era sempre stata schiva... anche se adesso lo era in modo diverso. Prima la sua ritrosia era dovuta più che altro ad una naturale timidezza, ma ora sembrava solo voler sfuggire da qualcosa.

Sfuggire da me?

Scorpius avrebbe potuto dire che il cambiamento di Lucy era piuttosto un cambio di atteggiamento: per lui che l’aveva sempre vista in un determinato modo, questo generava una gran confusione. Improvvisamente, si accorse di non aver fatto altro che giustificarla – sempre. Aveva sempre lasciato che fosse lei a tenere le redini della loro relazione. Le redini di lui.

Possibile che io sia capace solo di essere manovrato?

Quando stava insieme a Dominique, la ragazza lo trattava come fosse stato il suo cagnolino di compagnia, e Scorpius glielo lasciava fare – per pigrizia, probabilmente, indolenza. Per quella sua codardia di fondo che gli impediva sempre di fare alcunché per migliorare la propria condizione, per quanto pessima essa potesse essere.

E Grace, con cui in passato aveva avuto una breve e sofferta relazione clandestina? Lei di certo non aveva avuto alcuna intenzione di manipolarlo, ma Scorpius si era lasciato rigirare come un burattino, totalmente in balia di ogni sua parola.

Infine veniva Lucy. Lucy che aveva deciso sempre tutto, in fondo. Lucy che sembrava volerlo comandare a proprio piacimento – Scorpius, è finita; Scorpius, adesso riconquistami!

Sono cieco. Cieco!

« Che cosa ti prende? »

Si accorse solo in quel momento di essersi seduto ad un tavolino coperto da una leziosa tovaglietta di pizzo, e che di fronte a sé poteva vedere la High Street di Hogsmeade attraverso la vetrina di Madama Piediburro. Lucy lo fissava con le sopracciglia lievemente inarcate e un’espressione perplessa.

« Niente » borbottò Scorpius, fingendo di leggere il menu.

Anche quando aveva creduto di essere lui a prendere un’iniziativa, in qualche modo era sempre Lucy a deciderne l’esito. L’anno precedente – solo adesso se ne rendeva conto – era stato un continuo lasciarsi e riprendersi sempre deciso dalla ragazza. Okay, poteva avere anche i suoi motivi... ma la colpa generalmente non era di Scorpius così come non era sua. Invece di prendersela con tutte le Jackie e le Christine del mondo, Lucy lasciava lui. Il destino ci è contrario, diceva, e tutte quelle altre cazzate. Per poi riprenderlo, e rimollarlo quanto le pareva e piaceva.

Ricominciare da zero. Ricominciare da zero. Ricominciare da zero.

Scorpius si accorse di avere le pulsazioni accellerate, e di essere molto, molto arrabbiato. Capì che era giunto il momento di parlare chiaramente.

« Allora? » domandò bruscamente a Lucy, abbassando il menu.

« Allora cosa? » chiese lei, stupita.

« Che se ne fa? » furono le parole di Scorpius. « Di me e te, dico ».

Lucy parve in difficoltà. « Scorpius » disse, « io – »

« Che cos’era quel bacio, sabato scorso? »

« Io, ecco » deglutì, « non so. Vorrei capirlo ».

Lui la guardò dritto negli occhi con severità: « Vuoi tornare con me o no? » disse senza mezzi termini.

« Ho bisogno di tempo » tentò Lucy, « capisci, io – »

« No » sussurrò lui.

« Cos’hai detto? »

« No » ripeté a voce più alta, « non capisco più ».

Distolse lo sguardo da lei, posandola sulla strada oltre il vetro alle sue spalle, appena in tempo per vedere passare Rose Weasley. I suoi capelli erano smossi dal vento e dai suoi passi, e la sua espressione come sempre tesa in chissà che.

« Scorpius » disse Lucy lentamente, « non capisci più cosa? »

Lui la guardò ancora. « Non capisco più te » quasi sorrise, « e non perché io non ci abbia provato... sei tu ».

Lei si limitò a ricambiare il suo sguardo con serietà, quasi incalzandolo a proseguire.

« Lucy, sei tu che non vuoi farti capire ».

La ragazza tacque.

« Sbaglio? » le chiese Scorpius con gentilezza.

Lucy scosse la testa, poi abbassò gli occhi.

« Sono io ad aver bisogno di stare un po’ da solo, stavolta » sussurrò Scorpius, « ma spero che prima o poi ce la faremo. Capito? »

Lei annuì e alzò gli occhi su di lui: « Hai ragione » il suo tono suonò stranamente privo di inflessione.

« Lo so » Scorpius convenne, prima di alzarsi e attraversare a grandi passi il locale, senza guardarsi indietro.

Uscito sulla strada, si sentiva addosso una sorta di febbre – gli sembrava di tremare e di avere caldo e di sentirsi estremamente leggero, libero. Il cuore continuava a pulsare con energia – quasi euforia – il sangue nelle sue vene, e improvvisamente un’istintivo desiderio di correre si impadronì di lui,

Lo fece. Iniziò a correre per Hosgmeade, un po’ senza un senso – senza sapere davvero dove stesse andando. Correva quanto più veloce fosse in suo potere, calcando forte i piedi sul suolo.

Tuc. Tuc.

Ogni tonfo dei suoi piedi contro l’acciottolato delle strade era un pezzo della sua frustrazione che scivolava via, ogni colpo sul terreno spazzava via strascichi di rabbia repressa e spesso inconsapevole, ogni singolo respiro affannato che usciva dalle sue labbra trascinava lontano parte dell’ingiustizia di tutta quella storia.

Non era giusto, anzi... era maledettamente ingiusto il comportamento che Lucy aveva assunto nei suoi confronti, ingiusto il modo in cui era sempre stato lui a sentirsi in colpa.

Tuc. Tuc. Tuc.

« Malfoy? »

Quando una voce familiare lo chiamò, si arrestò di colpo, quasi perdendo l’equilibrio. Voltandosi verso chi aveva parlato, si accorse di avere il fiatone. Nel frattempo aveva cominciato a piovere: piccole gocce cadevano dal cielo denso di nubi, picchiettando la sua testa e le sue braccia.

Di fronte a lui c’era Rose Weasley, dipinta sul volto un’espressione vagamente attonita e la macchia rossastra di una sigaretta accesa che ardeva nell’aria brumosa da qualche parte vicino alla sua mano destra.

« Ciao » le disse, stralunato.

Lei inarcò le sopracciglia. « Perché correvi come un pazzo? » chiese semplicemente.

Scorpius le si avvicinò. « Forse sono pazzo davvero » osservò.

« Forse sì » convenne Rose, prima di infilare la mano sinistra in tasca ed estrarre il pacchetto dal quale la sua sigaretta doveva provenire. Glielo porse, chiaramente offrendogliene una.

Scorpius pensò distrattamente che fumare non era propriamente il massimo dopo una corsa come quella, ma poi il bisogno di sfogarsi ancora in qualche modo ebbe il sopravvento.

« Grazie » disse educatamente, mentre ne prendeva una.

Rose non rispose, ma l’accese con un colpo di bacchetta. Scorpius fece un tiro, e il sapore vagamente acre del fumo invase per un’istante la sua mente prima che lui lo buttasse fuori in un sospiro. Gli parve che fosse durata troppo poco.

La sigaretta è il prototipo perfetto del vizio, si ritrovò a pensare. Lascia sempre insoddisfatti¹.

Gettò uno sguardo furtivo a Rose. Non si stupì nello scoprire che stava guardando da un’altra parte: per la precisione dritto di fronte a sé, verso il muro spoglio della casa di fronte.

« Grazie » ripeté.

« Prego » replicò lei in tono annoiato, tornando a guardarlo. A Scorpius parve che quell’occhiata l’avesse trapassato da parte a parte. Si chiese se Rose sapesse usare la Legilimanzia, e automaticamente la sua mente costruì la barriera di sensazioni piatte che gli era stata insegnata da suo padre. Era un bravo Occlumante, Draco, e aveva ritenuto doveroso impartire al suo unico figlio le nozioni da lui stesso apprese in gioventù riguardo all’Aritmanzia.

« Può sempre tornare utile » a Scorpius parve di udire nuovamente le parole del padre.

Poi pensò che, dopotutto, non c’era nulla in particolare che avrebbe dovuto tenere nascosto a Rose Weasley: abbassò le difese. Anche perché con ogni probabilità la ragazza non era una Legimante, quindi tutta quella faccenda era ridicola.

« Correvo perché avevo bisogno di sfogarmi » si ritrovò a dire.

« Perspicace » commentò Rose.

Scorpius scoppiò a ridere, ma quella risata aveva un sapore amaro.

« È per via di Lucy, vero? » domandò poi la ragazza.

Lui non le chiese come facesse a saperlo: era ovvio, lo sapeva. Lo sapeva con rabbia.

« Mi sono stufato di lasciar decidere tutto agli altri » disse Scorpius, « e non agire mai ».

Rose abbassò lo sguardo. « Posso capire » mormorò.

Il giovane Malfoy non era molto convinto. « Rose, tu decidi sempre tutto » commentò.

Anche la risata della ragazza suonò amara. « Oh, no » disse, « è la vita a decidere per me ».

Scorpius si accorse di aver detto una sciocchezza, quindi tacque.

« E non è bello » concluse Rose.

« Non lo è » convenne Scorpius, « però hai deciso tu di lasciar decidere la vita ».

Lei inarcò le sopracciglia: « Hai deciso tu di far decidere agli altri? »

Scorpius aspirò un’ultima boccata di fumo, prima di buttare la sigaretta al suolo e calpestarla con la punta della scarpa. « In un certo senso » rispose infine. Si voltò quindi verso Rose: « Ti va di andare alla Testa di Porco? »


*




14 ottobre 2021

Tre Manici di Scopa, Hogsmeade

Ora del tè


Lily era presissima a studiarsi le unghie smaltate di nero della mano sinistra. Le piacevano le sue mani: erano pallide e affusolate, e creavano un bel contrasto contro la superficie di legno lucido del tavolo del pub.

Il campanello appeso sopra la porta del locale tintinnò.

« Ecco Jamie! » esclamò Albus allegramente, e alle parole del fratello la ragazza sollevò lo sguardo sull’ingresso: sorrise nel vedere la sagoma di James farsi largo fra la gente che affollava il locale.

Quando il ragazzo riuscì a raggiungere il loro tavolo, si alzò in piedi per salutarlo con un abbraccio, e lo stesso fece Al. Si accorse d’improvviso di quanto James le fosse mancato.

« Che bello vedervi! » il fratello più grande sorrise. « Ho grandi notizie per voi! »

Louis si defilò con discrezione, dicendo qualcosa a proposito del bagno. Lily si stupì del gesto: non era da Louis fare alcunché con discrezione... doveva esserci qualcosa sotto.

Qualcosa di grosso.

« C’è qualcosa che devi dirci, Jamie? » si rivolse al fratello, gettandogli un’occhiata volutamente penetrante.

« Intanto ordiniamo da bere » tagliò corto questi. « Tre Burrobirre, per favore » disse ad Hannah Paciock.

Credo che dopo oggi avrò la nausea della Burrobirra per sempre.

« Come state? » domandò loro James.

« Si tira avanti » rispose Albus.

Lily rise. « Io bene! Albus continua a morire dietro alla Menley, però ».

« Ehi! » protestò lui.

James rivolse alla sorella un’occhiata complice. « Non gli sta andando bene, eh? » stuzzicò l’altro.

« Affatto » convenne Lily in tono tragico.

« Ecco qui! » tre Burrobirre fumanti vennero depositate sul tavolo.

« Grazie mille, Hannah » sorrise James.

L’interpellata sorrise. « Grazie a te! Saluta i tuoi genitori, eh! »

« Certo » James annuì. « Certo ».

Sembrava vagamente distratto. Sì, c’era decisamente qualcosa sotto.

« Forza » lo incalzò. « Ci hanno portato da bere. Adesso parla ».

Adesso anche Albus fissava il fratello maggiore con aria indagatoria. Messo alle strette, James si schiarì la voce, chiaramente preparandosi a parlare.

« Be’ » disse, « ho una notizia per voi ».

« Bella o brutta? » si preparò Lily.

James sorrise. « Bella » si grattò un sopracciglio, « decisamente bella ».

« E sarebbe? »

« Ieggraspettiabmbino ».

Quello uscito dalla gola di James era stato un gorgoglio incomprensibile.

« Come hai detto? » fece Al.

« Potresti ripetere? » rincarò Lily.

James prese fiato. « Ho detto » arrossì improvvisamente, « che io e Grace... uhm, io e Grace avremo un, ecco, un bambino ».

Lily fece tanto d’occhi. Al quasi si strozzò con un sorso di Burrobirra.

« Non fate quelle facce! » si lagnò James. « È una cosa bellissima! »

A quel punto, fu come se un fuoco d’artificio fosse esploso dove un attimo prima era seduto Albus.

« James, ma è GRANDIOSO! » iniziò a gridare. « È PAZZESCAMENTE GRANDIOSO! »

Il fratello ridacchiò: gli luccicavano gli occhi. « Abbassa la vo – »

« CONGRATULAZIONI! »

Lily scoprì di avere la gola secca. Non riusciva a parlare, non riusciva a –

James. Suo fratello James. Papà. Pa-pà. Sarebbe diventato papà. Un bambino. Un bambino che sarebbe nato da un po’ di lui e da un po’ di Grace. Un bambino.

Rifletté che quel bambino avrebbe avuto anche un po’ di lei, attraverso James. Lily Luna Potter e il nascituro avrebbero avuto qualcosa in comune, anche solo un microscopico gene.

Capelli. Probabile.

E se James sarebbe diventato padre – comprese improvvisamente – lei sarebbe diventata...

Zia. Zia Lily. Suona bene.

« James » disse, « io – »

Ma si arrestò, accorgendosi di avere le guance coperte di lacrime.

Mi sto commuovendo. Già cominciamo male, nipotino...

Gli occhi di James luccicavano più di prima. « Oh, Lily... » la strinse in un abbraccio, e Lily si ritrovò a singhiozzare sulla sua spalla.

« Sono così felice, Jamie » sentì dire alla propria voce, « così felice ».


 


 


¹ Questa frase non è mia, bensì un rifacimento da Oscar Wilde, più precisamente tratta da Il ritratto di Dorian Gray.





Note dell’Autrice


Capitolo iperfarcito, come avrete notato. E dovevano esserci altre due scene in teoria, ma poi sarebbe stato troppo lungo.

Vi adoro, lo sapete? Tanto tanto. Spero che questo pezzetto di mistero svelato vi farà piacere ;) Ad ogni modo, ho creato su fb un gruppo (http://www.facebook.com/groups/413888211962819/) sul quale pubblicherò notizie sulla pubblicazione o eventuali ritardi e tutto il resto. Potete iscrivervi anche se non avete l'amicizia con il mio account. Mi farebbe molto piacere <3


Bisous,

Daph

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Vibrare il silenzio ***


Capitolo 12



There's a cold war coming

On the radio I heard

Baby, it's a violent world.

Coldplay



14 ottobre 2021
Hogsmeade, Scozia
Dopo l’ora del tè


Jacob stava vagando a vuoto. Scorpius era a zonzo con Lucy, Bernie scomparso chi sa dove, Albus con i suoi fratelli e lui... non aveva nulla da fare. Proprio nulla. Come è possibile immaginare, il mesto torpore della noia si stava implacabilmente impadronendo di lui, accompagnato da una certa frustrazione. Davvero, ultimamente faticava a sopportare i suoi amici.. Erano talmente presi da loro stessi e dai loro amori impossibile da essersi a quanto pareva dimenticati di lui.

Sbuffò, spazientito. Il cielo di Hogsmeade era brumoso e opprimente, una pioggerellina sottile aveva preso a scivolare sull’acciottolato delle strade. Qualche sparuto gruppo di studenti si affrettava a mettersi al sicuro nell’accogliente tepore di un pub o una bottega, e in breve in giro rimase solo lui, incurante di ripararsi dalla pioggia. Era strano: di solito sostare sotto l’acqua lo infastidiva, ma adesso si scoprì curiosamente poco interessato alla faccenda. Forse perché i suoi pensieri lo irritavano a sufficienza da mettere in ombra tutto il resto.

Si ritrovò a pensare a Christine. O meglio, alle sue enigmatiche parole.

Segui ciò che non riesci a prevedere.

Deglutì, e decise che sarebbe stato meglio soffermarsi sull’altra metà dell’accordo sancito con la ragazza, ciò che lui le aveva promesso in cambio di quel suo consiglio sibillino. Chi mai poteva essere stato ad annullare il Proteus? Di certo non erano poche le persone che avevano interesse riguardo alla cessione delle attività di Gossip Witch – Jake ne conosceva un gran numero: in primis Dominique e tutti coloro che l’ignota strega aveva danneggiato con la messa in piazza dei loro più torbidi segreti. Pensò che avrebbe dovuto stilare una lista dei possibili responsabili, giusto per farsi un’idea.

Improvvisamente, un robusto rumore di passi si contrappose al tichettio della pioggia contro il suolo. Vagamente incuriosito, Jacob si voltò. Con quieto interesse riconobbe Herman Hessler, il portiere di Serpeverde, diretto chi sa dove con espressione cupa. Lo osservò girare l’angolo, poi scoccò uno sguardo al castello di Hogwarts, la cui figura orlata da nubi si profilava all’orizzonte, appena intuibile attraverso uno spesso strato di densa nebbia biancastra.

Che tempo da lupi.

Un altro rumore di passi, più svelto e lieve, catturò la sua attenzione. Con costernazione riconobbe la chioma rosso fiammante di Lily Potter, la quale si affrettava lungo la via precedentemente percorsa da Hessler.

Accigliato, Jake si ritrovò per l’ennesima volta a chiedersi cosa diamine stesse combinando.

Seguì ciò che non riesci a prevedere. Segui ciò che –

Di scatto si accinse a seguirla. In breve passi giunse a pochi passi da Lily, senza che lei se ne avvedesse. A quel punto scoprì di non essersi sbagliato: la ragazza stava seguendo Hessler. Si chiese quale fosse il motivo. Era indeciso se fermarla ancora una volta e chiederlo a lei direttamente – anche se lei non avrebbe detto una parola – oppure se continuare a seguirla e scoprirlo lui stesso.

Tuttavia, non ebbe bisogno di decidere alcunché, poiché Lily aveva raggiunto Hessler. Jake suppose che gli avesse detto qualcosa, dacché il ragazzo si arrestò di botto e si voltò verso di lei. Adesso il giovane Greengrass poteva vederli entrambi in volto, le loro figure appena offuscate dalla pioggia che andava facendosi più intensa. Lily disse qualcosa con espressione maligna, l’altro parve adirarsi. Lo vide prenderla per un braccio e tirarsela vicino, chinarsi per sussurrarle a denti stretti qualcosa nell’orecchio...

Improvvisamente, gli parve che il suolo si fosse spalancato sotto ai propri piedi, facendolo precipitare giù. Era stato vinto senza alcun preavviso da una consapevolezza, la consapevolezza che solo pochi centimetri separavano Lily e Hessler, e che a quest’ultimo sarebbe bastato chinarsi appena per sfiorare con le labbra il collo slanciato di lei. Jake sentì distintamente qualcosa che gli afferrava la bocca dello stomaco: gli pareva di avere le viscere capovolte e infuriate. Quel ragazzo... come poteva stare così vicino a Lily, afferrarle il gomito allo stesso modo in cui Jacob stesso aveva fatto innumerevoli volte – adesso d’improvviso quel gesto in così tante occasioni ripetuto gli apparve sotto una luce del tutto nuova. La sua immaginazione galoppava senza controllo: immaginava di raggiungere Lily, allontanare bruscamente Hessler da lei, portarla via da lì.

Ricordarsi di colpo che si trattava di Lily Potter fu come una doccia gelida. Lily. La sorellina di Al, quella stessa ragazza che lui aveva sempre considerato alla stregua di una sorella minore, da proteggere e custodire gelosamente.

Sì, doveva essere quella la sua spiegazione. La sua doveva essere mera gelosia fraterna, nulla di meno e nulla di più. Ecco, doveva proprio essere così.

Guardò in direzione di Lily e Hessler.

Albus non vorebbe che lui le stesse così vicino.

Si diresse determinato verso i due, calcando forte i piedi al suolo.

« Lily! »

Jake la vide sobbalzare leggermente, voltandosi verso di lui. Si accorse con fastidio del fatto che la mano di Hessler era ancora serrata attorno al braccio di Lily. La ragazza lo fissò, inarcando le sopracciglia con vaga perplessità. I suoi occhi scuri erano sgranati e i capelli bagnati  aderivano al suo volto pallido come serpeggianti strisce rossastre.

« Che cosa ci fai qui? » lo apostrofò, indispettita.

« Che cosa stai facendo? » la aggredì lui, ignorando la sua domanda, mentre Hessler si limitava a scrutare entrambi con cipiglio irritato. Lentamente lasciò andare il braccio di Lily, e Jacob subito si sentì stranamente sollevato.

« Nulla che ti riguardi » lo rimbeccò la ragazza. « Perché devi sempre seguirmi? »

Segui ciò che non riesci a prevedere.

« Che cosa direbbe Albus? » le chiese, stizzito.

Lily parve perplessa per un paio di secondi, poi inaspettatamente sogghignò. « Oh, tante cose » rise, « ma non ne ascolterei nessuna, lo sai ».

Jacob non seppe rispondere.

« Vattene, Hessler » riprese lei in un sibilo. L’interpellato, che sembrava non aspettare altro, eseguì all’istante, dileguandosi sotto la pioggia ormai battente.

Lily si rivolse poi a Jake con un cipiglio che ricordava molto quello di Ginny Potter, la madre di Albus.

« Numero uno » cominciò – a voce alta per superare il rumore della pioggia, « quello che faccio non ti riguarda ».

Fece una pausa. Jake colse al volo l’occasione per ribattere. « Albus direbbe – »

« Numero due » lo interruppe lei, ignorandolo, « sei completamente fuori strada ».

Questa volta, Jacob rimase davvero di stucco. Un istante dopo, si arrabbiò. « Senti, Lily » disse in tono adirato, « ho visto come eravate vicini e come, ecco, insomma... » deglutì. « Ti ha afferrata per il braccio ».

Lily parve scettica. « Jacob » sbuffò, « penso che proprio tu dovresti sapere che  se una persona ti afferra un braccio non è come se ci stessi pomiciando ». Parve pensarci per qualche istante, prima di proseguire: « E comunque, ho anche io il diritto di pomiciare con chi voglio ».

« Peccato che non mi ci voglia molto ad andare a riferire tutto ad Albus ».

« Prego! » Lily lo sfidò. « Non vedo la logica di tutto questo, Greengrass » sbottò.

« Oh, ti assicuro che Al te la farà capire ».

« Piantala ».

« Tu non farti mettere le mani addosso dal primo che passa ».

A quelle parole, il volto di Lily parve attraversato da un repentino lampo di comprensione. Poi scoppiò a ridere. « Jake » fece, « non dirmi che sei geloso! »

Lui aprì la bocca per rispondere, ma lei non gliene diede il tempo.

« Sei fuori strada, Greengrass » mormorò prima di allontanarsi.



*


14 ottobre 2021

Testa di Porco, Hogsmeade

Ancora dopo l’ora del tè


Il giovane Malfoy non era molto convinto. « Rose, tu decidi sempre tutto » commentò.

Anche la risata della ragazza suonò amara. « Oh, no » disse, « è la vita a decidere per me ».

Scorpius si accorse di aver detto una sciocchezza, quindi tacque.

« E non è bello » concluse Rose.

« Non lo è » convenne Scorpius, « però hai deciso tu di lasciar decidere la vita ».

Lei inarcò le sopracciglia: « Hai deciso tu di far decidere agli altri? »

Scorpius aspirò un’ultima boccata di fumo, prima di buttare la sigaretta al suolo e calpestarla con la punta della scarpa. « In un certo senso » rispose infine. Si voltò quindi verso Rose: « Ti va di andare alla Testa di Porco? »


Okay, Scorpius non sapeva bene come mai avesse fatto a Rose Weasley una simile proposta. A dire il vero non ci capiva granché di quanto lo circondava e allo stesso tempo comprendeva ciò che avveniva intorno a lui con una curiosa chiarezza. Era come... come se l’adrenalina derivata dal confessare a Lucy tutto il suo astio e poi correre come un pazzo per le strade di Hogsmeade si fosse riversata violentemente nel suo cervello, confondendolo vagamente e al tempo stesso conferendogli una percezione quasi istintiva della realtà. Era come se si fosse tolto un paio di lenti opache dagli occhi: tutti quei colori che prima non vedeva adesso lo abbagliavano, ma il mondo era anche estremamente vivido e vivo. Pulsante, impaziente, perennemente mobile.

Voleva tuffarsi in quella vita, tuffarsi in quel mondo? Voleva buttarsi in quel tutto così dolorosamente grande e imperfetto senza pensare di potervi annegare?

Aveva deciso di lasciar decidere gli altri, in passato, e lo stesso Rose aveva fatto con la vita. Ma poco prima lui aveva deciso di proporle la Testa di Porco e lei aveva deciso di accettare. E insieme avevano deciso di dirigersi verso il vecchio e polveroso pub.

La pioggia nel frattempo aveva preso a cadere con maggiore intensità, ma Scorpius aveva deciso di ignorarla. Scoccò di nascosto un’occhiata a Rose, la quale sembrava fregarsene oppure neanche essersene accorta. Fin da quando si erano incamminati la ragazza non gli aveva rivolto neanche una singola parola, ma a dirla tutta ciò non lo sorprendeva più di tanto. Insomma, Rose Weasley era nota anche per essere una persona taciturna. Una persona taciturna, brusca e scontrosa, spesso ermetica e il più delle volte illeggibile.

In questo Rose era diversa da Christine De Bourgh, ad esempio – lo stomaco di Scorpius subì al pensiero un rabbioso singulto, nonostante tutto. Quest’ultima raggirava il prossimo con frasette enigmatiche dal significato a tratti oscuro; Rose d’altro canto sembrava semplicemente fregarsene. Appariva troppo presa da chissà che per prestare attenzione a qualcosa – dalla sua espressione era sempre difficile capire se fosse infuriata o più semplicemente sovrappensiero.

La prima, probabilmente.

Si ritrovò a pensare che probabilmente Albus sarebbe stato proprio come Rose se gli fosse mancato il senso dell’umorismo. Poi comprese che Rose il senso dell’umorismo ce l’aveva eccome – un’ironia caustica e tagliente, come quella che spesso e volentieri metteva all’opera ai danni del povero Bernie. Scorpius era giunto alla conclusione che prima o poi Rose avrebbe risolto di concedere a quest’ultimo un appuntamento solo e soltanto perché condotta ormai all’esasperazione. Boot sapeva essere incredibilmente tenace – davvero, ogni giorno che passava Scorpius continuava a chiedersi cosa ci facesse in Serpeverde. Sarebbe stato più adatto a Tassorosso o al limite – soltanto al limite – a Grifondoro.

Si ritrovò a ridacchiare, e si interruppe solo quando percepì distintamente gli occhi scuri e impenetrabili di Rose posarsi su di lui. Si volse a guardarla. Il suo volto appariva impassibile, la sua espressione imperturbabile: solo il sopracciglio sinistro era appena alzato a indicare una leggera perplessità.

« Niente » disse Scorpius, quasi più a se stesso che a lei. « Pensavo che Bernie non ti lascerà mai in pace ».

« Che tragedia » replicò Rose in tono assolutamente piatto, guardando verso il cielo brumoso. Goccioline d’acqua le scivolarono lungo il naso – ormai i suoi capelli rossi erano umidi e leggermente increspati: la pioggia non dava segno di volersi minimamente placare. Anzi: piuttosto si faceva battente.

Senza alcun preavviso, Rose accellerò e Scorpius fece lo stesso. Nonostante ciò, erano bagnati come pulcini al momento in cui entrarono alla Testa di Porco. Sempre senza degnarlo di un’occhiata si diresse ad un tavolo libero, per poi sedersi e adagiare la schiena contro la parete del locale che quasi faceva da spalliera alla panca.

Scorpius si lasciò cadere seduto al suo fianco, guardando fisso di fronte a sé. Nel locale albergava un rumoreggiare confuso, sopra ai tavoli aleggiavano fitte nuvole di azzurrastro fumo di pipa. Michael Fletcher – il barista cui alla propria morte Aberforth Silente aveva lasciato il locale – sostava in piedi di fronte al bancone, pulendo imperterrito un bicchiere con uno strofinaccio impolverato.

Scorpius si voltò in direzione di Rose, e si sorprese nello scoprire che lo stava fissando. Il suo sguardo non era affatto diverso dal solito: lo scrutava con aria di totale disinteresse, quasi il ragazzo fosse un oggetto inanimato. Non appena lui si fu voltato verso di lei, Rose distolse lo sguardo.

« Cosa è successo con Lucy? » domandò in tono inespressivo, come se della risposta non le fosse importato poi granché.

« Siamo usciti » replicò Scorpius, flemmatico.

Rose non aprì bocca: attese in silenzio che lui proseguisse.

« Siamo usciti » riprese Scorpius, « e non so come ma ho capito una cosa ».

Ancora una volta, Rose non parlò, non gli chiese che cosa avesse capito.

« Che vi porto? » Fletcher si era improvvisamente apprestato al loro tavolo.

Scorpius gettò uno sguardo a Rose, e lei ricambiò la sua occhiata, piegando leggermente un angolo della bocca verso l’alto – il risultato era qualcosa di simile a un sorriso. Lui capì subito cosa intendesse: a Fletcher non importava se fossero o meno studenti, avrebbe servito loro qualunque cosa gli sarebbe stata chiesta.

Rise rivolse a SCorpius un breve cenno affermativo.

« Due Firewhiskey » disse lui.

Fletcher scoccò loro un’occhiata sospettosa, poi scrollò le spalle e segnò l’ordinazione sul suo taccuino, e infine si allontanò senza sprecare altre parole.

Scorpius si volse ancora verso Rose, incontrando come previsto la sua più tipica espressione neutra. « Dicevamo? » le chiese.

« Lucy » fece semplicemente lei.

Già, Lucy. Scorpius doveva ammettere che confessare alla sua ex tutta la frustrazione che provava era stato decisamente liberatorio. I sentimenti che provava... beh, quelli non erano cambiati – e come avrebbero potuto, così da un giorno all’altro! – ma Scorpius sentiva di aver messo un punto. Adesso bisognava solo andare a capo – ma sarebbe stata Lucy a farlo questa volta, se avesse voluto. Di certo non lui.

Forte di tale risoluzione rivolse a Rose un sorriso un po’ stentato – non era facile sorridere di fronte alla sua espressione glaciale – e si decise a parlare. « Ho messo un punto » disse, certo che Rose avrebbe capito, « e lei andrà a capo » sospirò. « Se lo vorrà » si affrettò a puntualizzare.

Cadde il silenzio. Fletcher si avvicinò al tavolo e poggiò di fronte a loro due bicchieri colmi fino all’orlo di Firewhiskey. Scorpius prese il suo e Rose lentamente fece lo stesso.

Lui la guardò, pensando di fare un brindisi, solo che non sapeva a cosa brindare. Perciò si limitò a sollevare leggermente il bicchiere alla volta di Rose. Lei annuì appena: anche il suo bicchiere si levò di qualche centimetro dal piano in legno, proiettando sulla sua superficie rugosa curiose ombre ambrate e vorticanti. Entrambi portarono il bicchiere alle labbra e buttarono giù un sorso. Scorpius si godette la piacevole sensazione del liquore che ardeva in fondo alla gola, quasi come se un fuoco d’artificio gli fosse esploso nel petto. Ricordò distrattamente i tempi in cui ancora stava con Dominique: lei odiava il Firewhiskey, e Scorpius era costretto a berlo di nascosto. Improvvisamente la cosa gli parve ridicola al punto di non sapere se scoppiare a ridere o sentirsi davvero un inetto.

Optò per la seconda, e Rose dovette accorgersi del leggero mutare della sua espressione, poiché inarcò appena le sopracciglia.

Scorpius bevve un sorso di Firewhiskey. « Dominique non voleva che ne bevessi » si ritrovò a dire.

« Lo so » Rose annuì. « La ami molto? » chiese poi all’improvviso.

Lui deglutì. « Lucy? »

« Lucy » la ragazza annuì ancora.

Scorpius mandò giù un altro sorso. « Sì » disse. « Molto e ancora ».

« E com’è? » domandò Rose. « Amare. Com’è? »

Lui la fissò. « Davvero non lo sai? » la apostrofò, per poi maledirsi neanche un istante dopo per le parole appena pronunciate.

Scorpius Malfoy, sei un idiota.

Rose tuttavia non parve esserne stata turbata: la sua espressione rimase immutata.

« No » la udì ammettere lentamente. « Non lo so » lo guardò, come esortandolo a rispondere alla domanda precedente.

Lui lo fece. « Non lo so » disse, e queste parole parvero in qualche modo riecheggiare quelle di Rose. « Essere innamorati è una bella sensazione » proseguì poi. « Ti senti stranamente elettrizzato ed è come se le giornate avessero più senso di essere. Riempe le giornate noiose e piatte e tutte uguali, in un certo senso ».

E le farfalle. Le farfalle nello stomaco.

Si stupì di come quelle parole fossero uscite dalla sua bocca con totale spontaneità, una dietro l’altra, senza nessun filtro. Probabilmente – rifletté – il Firewhiskey aveva collaborato. Ne bevve un altro sorso.

« Fa male? » chiese Rose.

« A volte sì » rospose lui.

La ragazza fissò lo sguardo su di un punto imprecisato di fronte a sé. « L’amore è inutile » sentenziò con neutra certezza.

Scorpius quasi rise. « Rose, hai appena detto una stronzata colossale ».

« È la mia opinione » replicò lei mestamente.

Lui guardò il fondo del proprio bicchiere. « Non è inutile » insisté. « Quando funziona fa stare bene » soggiunse, sollevando gli occhi su di lei.

Rose lo guardò gravemente. « E quando non funziona? » ribatté a voce bassa.

Scorpius in principio non seppe cosa rispondere. Si odiò un pochino. « Suppongo... Si spera che cominci a funzionare » mormorò.

« E se continua a non funzionare? » lo incalzò Rose.

Lui deglutì. « In questo caso, beh... » si schiarì la voce. « In questo caso si aspetta che arrivi qualcos’altro che possa funzionare ».

Rose sbuffò, e per la prima volta in tutta la serata la sua espressone parve vacillare per un istante.

« Ma se non funziona neanche quello? » Rose sembrava quasi arrabbiata. « Se si aspetta e si aspetta sempre qualcosa che funzioni e poi niente funziona mai? »

« Mai è un tempo molto lungo » commentò Scorpius senza pensarci.

« Anche sempre » sentenziò Rose. « A volte coincidono ».

Come fosse finito a filosofare alla Testa di Porco, con un bicchiere di Firewhiskey davanti e in compagnia di Rose Weasley... Scorpius non lo sapeva.

Ma non era male, si ritrovò a pensare. Neanche un po’.




*



18 ottobre 2021
Auror Academy, Londra
Imprecisate ore mattutine


Accadde in mattinata. Supportato da Louis, il professor Midgen stava mostrando loro l’articolato movimento del polso necessario al compimento di un astruso incantesimo di Difesa, e i cinque allievi ascoltavano con attenzione. Se c’era difatti una sostanziale differenza fra le lezioni che Ellen seguiva a Hogwarts e quelle frequentate in Accademia, era che le prime godevano il più delle volte di un attenzione discontinua da parte degli studenti, o comunque non omogenea in tutta la classe; invece adesso il loro gruppo pendeva dalle labbra di Midgen, sebbene egli non fosse chissà quale grande oratore.

Ben Aubrey ascoltava con espressione concentrata, provando a muovere il polso come indicato dall’insegnante. James sedeva accanto a Grace, che teneva una mano poggiata sul ventre ancora piatto con aria meditabonda. Hera, invece, si era messa di fianco a Ellen, e di tanto in tanto le scoccava un’occhiata complice. La giovane Kirke non riusciva a trattenere un sorrisetto in risposta a quelle occhiate. Era più forte di lei... e non poteva proprio fare a meno di costruire riguardo alla greca un castello in aria dietro l’altro – tutti smentiti da quattro caustiche parole: non ti illudere, Ellen.

Aveva paura di illudersi, già. Paura che ciò che per lei era qualcosa di più per Hera fosse solo una bella amicizia. Paura che l’altra sarebbe rimasta schifata nell’eventuale scoprire in che senso Ellen si sentiva attratta da lei, paura che l’avrebbe allontanata. Paura che tutti poi sapessero.

A tratti si diceva che non erano solo illusioni, che c’era troppa malizia nelle occhiate complici di Hera perché potesse sbagliarsi al suo riguardo. In quei momenti si sentiva stranamente forte e sicura, coraggiosa, senza timore di urlare al mondo che non le piacevano i ragazzi. Peccato che tali occasioni sparissero poi in un battito di ciglia quando i suoi timori risorgevano tutti assieme.

Piantala.

Respirò bruscamente e si accinse di nuovo ad ascoltare il signor Midgen. Provò il movimento del polso quando lui disse loro di farlo, annuì. Si azzardò infine a guardare ancora in direzione di Hera, e la sorprese a fissarla. Come sempre accadeva, distolse lo sguardo immediatamente, con il cuore che batteva a tremila.

Ti ho detto di piantarla.

Fu in quel momento che accadde. Senza alcun preavviso, le luci si spensero, e la classe si trovò al buio più completo. Dopo un istante di stasi, senza sapere ciò che gli altri stessero facendo, gli occhi aperti inondati di oscurità, Ellen si alzò con cautela e si diresse a tastoni verso la finestra. Giunta a destinazione, spalancò le tende. Quel giorno la luce all’aperto era fievole, giacché il cielo era coperto, ma quei pochi raggi di sole che entrarono nella stanza furono sufficienti a rischiarare il buio fino a una strana penombra.

« State calmi » disse Midgen, ma la sua voce non suonò tanto sicura.

Erano tutti calmi, ma Ellen non si sentì più tanto tranquilla. Cosa stava succedendo?

Vide James afferrare la mano di Grace e stringerla forte. Ben aveva estratto la bacchetta. Sentì delle dita serrarsi attorno al proprio braccio, e si avvide della presenza di Hera al proprio fianco, un’espressione sospettosa dipinta sul bel volto della greca.

A quel punto, le luci si riaccesero.

« Deve esserci stato un problema con l’impianto luci » il professore sospirò. « Dove eravamo rimasti? »


I can hear it coming

I can hear the silent sound

Now my feet won't touch the ground.


*


19 ottobre 2021
Ministero della Magia, Londra
h 9:43


Seduto alla sua scrivania di capo del dipartimento Auror, Harry Potter era più stressato che mai. La giornata lavorativa era appena cominciata, e già sul piano in mogano era stata depositata un’immensa pila di denunce e documenti da firmare. Come se ciò non fosse stato già di per sé sufficiente, Ron era in ritardo e avrebbe dovuto cominciare a sbrigare qualcosa da solo, quando avrebbe voluto solo accompagnare Ginny a scegliere la carrozzina per il nascituro – avrebbe dovuto saperlo che al momento di diventare nonno sarebbe letteralmente impazzito.

Decise che avrebbe letto qualche pagina della Gazzetta del Profeta in attesa dell’arrivo dell’amico.


ALLARME ECONOMIA PER IL MONDO MAGICO – così titolava un articolo in seconda pagina. Accigliato, Harry si accinse a leggere.


La crisi economica che imperversa nel mondo Babbano non è distante da noi come avremmo creduto.

« Ormai i Babbani sono inevitabilmente mescolati a noi » così ha parlato il portavoce della Gringott. « Chi di noi non ha almeno un parente Babbano? Non dovremmo stupirci se la crisi che stanno attraversando ormai da anni stia finendo per toccare anche noi ».

« Si è ricominciato ad acquistare oggetti di seconda mano per la scuola » ha invece testimoniato la madre di uno studente di Hogwarts. « Ci sono meno soldi da spendere, ecco tutto ».

Lo stesso ministro Kingsley Shakebolt si è detto preoccupato, mentre il capo dell’ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale Percy Weasley si è pronunciato speranzoso.

« Usciremo da questa crisi » ha promesso.

Di certo –


« ‘Giorno! » salutò Ron allegramente, entrando in ufficio e interrompendo la lettura dell’articolo. « Novità sulla Gazzetta? »

« Non buone, purtroppo » Harry sospirò. « Si continua a parlare della crisi ».

A quelle parole, vide Ron adombrarsi. « Un bel pasticcio, già » lo sentì dire. « Percy continua a ripetere che il Torneo Tremaghi attirerà un bel po’ di turismo in Gran Bretagna, ma non so quanto crederci ».

« Vorrei poter fare qualcosa » mormorò Harry.

« Tu vorresti sempre fare qualcosa » replicò Ron, sedendosi alla propria scrivania. « Ma questa volta possiamo solo aspettare e vedere ».

Cadde il silenzio per alcuni istanti, finché un areoplanino di carta color violetto infilò con uno svolazzo la porta, per poi planare sulla scrivania di Harry e atterrare di fronte a lui con un lieve tonfo. Ron levò il capo nella sua direzione.

Promemoria interufficio.

Con un sospiro, Harry si accinse a spiegare il biglietto.

Probabilmente sarà Kingsley che mi ricorda la riunione di stasera.


Da: Roger Davies, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia

A: Harry Potter, capo del dipartimento Auror


Segnalazione scomparsa donna Babbana.

Nome: Tamara Graysand;

Età: ventitré anni;

Luogo della scomparsa: Kingston, Surrey;

Cause: ignote.


« Qualcosa non va, Harry? Kingsley ha spostato la riunione? »

Ron doveva aver notato qualcosa di strano nella sua espressione, giacché la sua voce suonò carica di preoccupazione.

Harry ripiegò il promemoria, accigliato. « Una ragazza Babbana è scomparsa ».

L’altro si fece serio: « Cosa sappiamo? »

« Solo che si chiama Tamara Graysand, ha ventitré anni ed è scomparsa nel Su – » si bloccò. Aveva appena avuto l’impressione di aver già sentito da qualche parte quel cognome. Lo sguardo gli cadde sul giornale che aveva di fronte, ancora aperto alla pagina dell’articolo.

« Harry? Che succede? »

« Graysand » fece lui, scorrendo il trafiletto. « Graysand è il ministro del Tesoro Babbano ».

Ron aggrottò le sopracciglia. « Come fai a saperlo? »

« C’è scritto qui » Harry si stupì di quanto la propria voce suonasse trafelata. Erano secoli che non arrivava una notizia del genere al dipartimento Auror. « Senti... Ci sono giunte le testimonianze di John Graysand, ministro del Tesoro Babbano. “Stiamo facendo il possibile,” ha detto il ministro. “L’Inghilterra si risolleverà”. Secondo la Gringott... Il resto non importa ».

Ron si fece pensoso. « Pensi che si tratti della figlia di questo Graysand? »

« Di certo è sua parente » ribatté Harry. « Non è un cognome molto comune ».

« Probabilmente i suoi rapitori sono Babbani » ipotizzò Ron. « Avversari politici del padre o quel che sia. O magari qualche pazzo che dà a Graysand la colpa della crisi ».

Harry scosse la testa. « Non mi convince » sospirò, mettendo il giornale da parte.

Ron lo studiò per alcuni istanti. « Stai bene, Harry? Hai un’aria stanca ».

« Cos’è tutta questa premura? » replicò lui, sorridendo.

L’altro prese l’espressione di chi è stato colto in flagrante. « Hermione » rispose. « Dopo tutti questi anni ancora continua a ripetermi che dovrei prestare più attenzione alla sensibilità altrui ».

Harry scoppiò a ridere. « Venite a cena da noi, stasera? Ci saranno anche James e Grace. Ginny è tutta entusiasta della carroz- » ricordandosi improvvisamente che tutto il parentado non sapeva nulla della gravidanza della sua probabilmente futura nuora, tacque all’istante.

Ron parve perplesso. « Quale carrozza, Harry? » domandò stupidamente.

« Niente ».

« Forse... » improvvisamente sgranò gli occhi. « Carrozzina, Harry? Stavi davvero dicendo carrozzina? »

« No ».

« Diventi nonno, Harry? »

A quelle parole, l’interpellato levò lo sguardo in direzione dell’amico. Gli occhi azzurri di Ron erano ancora spalancati e luccicavano di commosso entusiasmo.

« Sì! » esultò. « Diventi nonno, Harry! »

Si alzò dalla sua sedia e in pochi passi lo raggiunse. Lo sollevò quasi di peso dalla sedia e lo abbracciò stretto.

« Congratulazioni, Harry! Sei emozionato? »

Harry lo guardò, più rilassato, e ricambiò il suo sorriso. « Secondo te? » replicò.


*


19 ottobre 2021
Corridoio del sesto piano, Hogwarts
Pomeriggio


Se continuo così va a finire che mi bocciano ai MAGO, rimuginava Jacob.

Stava percorrendo il corridoio del sesto piano a lunghi passi, seguendo Lily. Aveva difatti notato che negli ultimi tempi la ragazza pareva approfittare di ogni minuto libero per scomparire chissà dove. Lui faceva lo stesso per scoprire ciò che stesse combinando – no, non era a causa di quelle misteriose creaturine che svolazzavano nel suo stomaco – e il risultato era che ultimamente aveva messo i compiti decisamente in secondo piano.

È la sorella di Albus, si ripeteva di continuo. Voglio scoprire cosa stia combinando per evitare che faccia danni. Tutto qui. Solo tutto qui.

Alle calcagna di Lily, voltò l’angolo, giusto in tempo per cogliere con la coda dell’occhio la sagoma di due figurette che scomparivano nella nicchia di una statua. Perplesso, si arrestò e fece dietrofront per qualche passo. Cautamente si avvicinò alla nicchia e vi si affacciò.

Quando riconobbe nelle due ragazzine che lo squadravano con sospetto Lucrezia Goldstein ed Elizabeth Dursley ebbe il primo impulso di scoppiare a ridere. Poi si chiese cosa diamine stessero combinando.

Sono tutti pazzi, qui.

« Fuori da lì » parlò in tono autoritario. « Subito ».

« Non sei mica un prefetto che puoi dirci quello che dobbiamo fare! » protestò la sorella di Adrian Goldstein, lasciando Jacob esterrefatto. Non ricordava di essere stato così impunito al suo primo anno – salvo poi riflettere un momento dopo di esserlo stato eccome.

« Devo ripeterlo? » chiese alle ragazzine, tentando di imprimere alla propria voce il tono più severo che gli riuscisse.

« Potresti dire per favore » lo rimbeccò la Dursley con un’alterigia inaudita per una bambina di undici anni – e che gli riportò alla mente Lily, che era sempre stata impertinente alla stessa maniera.

« Non se ne parla proprio » disse pigramente. Non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da due undicenni maleducate, assolutamente no. « Adesso voi due uscite da lì e mi spiegate cosa stavate cambinando, o vado a riferire tutto alla preside » sospirò. « Oppure potrei mandare un gufo a tuo fratello » aggiunse, guardando in direzione di Lucrezia.

A quelle parole la ragazzina si scambiò un’occhiata preoccupata con la compagna, e le due uscirono silenziosamente fuori dalla nicchia.

« Allora » fece Jake, « si può sapere cosa stavate facendo? »

La piccola Goldstein alzò gli occhi al cielo. « Seguivamo Lily Potter » disse amaramente, scocciata per essere stata colta il flagrante e ricattata a quella maniera. Jacob pensò a quanto l’avrebbe preso in giro Dominique se mai fosse giunta a sapere di quella faccenda, e decise che con un altro paio di minacce avrebbe in seguito costretto quelle due pestifere ragazzine al silenzio.

Si soffermò sulle parole di Lucrezia, vagamente interdetto.

« E come mai dovreste fare una cosa simile? » chiese.

« Hanno in mente qualcosa » sospirò Lucrezia. « Lei, Rose, Hugo e Albus Severus ».

A quelle parole, Jacob fece tanto d’occhi.

E adesso cosa c’entrano Rose, Hugo e Al?

« Avete scoperto cosa? » chiese alle ragazzine.

« È quello che stavamo cercando di fare » sbuffò Elizabeth. « Solo che tu hai dovuto disturbarci ».

Lui annuì, pensoso. « D’accordo » sospirò. « Non dirò nulla a nessuno. Ma riferitemi eventuali novità, okay? »

Le due parvero costernate, ma Jacob pensò che gli sarebbero state utili due piccole ed efficienti spie come Lucrezia Goldstein ed Elizabeth Dursley sembravano essere. Le ragazzine non ci misero molto a dileguarsi, e lui si avvicinò alla finestra del corridoio, quella che dava sul cortile. Si appoggiò al davanzale, guardando di sotto e riconoscendo la figura di Christine De Bourgh che attraversava lo spazio aperto a grandi passi. A quel punto, fu come colto da una folgorazione.


« Lily, ma cosa diavolo stai combinando? »

La vide sussultare dalla sorpresa e voltarsi verso di lui. Stava visibilmente tentando di assumere l’espressione più innocente del suo repertorio, ma agli occhi di Jake aveva tutto l’aspetto di chi è appena stato colto in flagrante di reato.

Prevedendo un qualche tipo di complotto scosse la testa, vagamente divertito. « Che cosa ci facevi in questo corridoio? » la interrogò in tono affabile.

Lily parve decisamente scocciata. « Ti ha mandato Al? » si lagnò. « Non sto facendo un bel niente! »

Jacob notò come il suo sguardo saettava dalla parte opposta del corridoio, dove – lo sapeva – si trovava il ritratto di Lady Sanguina, uno dei quadri che riferivano a Gossip Witch tutti i pettegolezzi di cui venivano a conoscenza.

I quadri ne sanno sempre una in più.

« Lily, stavi andando da Lady Sanguina ».

« Io – » cominciò lei, ma Jake la interruppe.

« Non mi freghi » la ammonì.

L’espressione della ragazza si fece torva. « Non sono affari tuoi » borbottò.

« No, infatti » convenne lui. « Ma vorrei solo che tu capissi che la scomparsa di Gossip Witch è stata un bene per tutti ».

La vide alzare gli occhi al cielo.

« Sì, me l’avete detto in cinquecento. Quasi mi avete convinta »  sospirò. « Solo che volevo capire che fine abbia fatto ».


Jacob quasi si mise le mani nei capelli. Come diavolo aveva potuto essere così stupido? Era così ovvio...


« Jake »  sussurrò Albus, ospite degli amici al tavolo di Serpeverde. « Si può sapere come mai Lily ti guarda come se volesse incenerirti? »
Jacob scrollò le spalle, con aria rilassata. « Oh, niente » fece. « Abbiamo avuto una piccola scaramuccia, nulla di grave ».
Albus parve perplesso. « Per quale motivo, si può sapere? »
Jake prese a giocherellare con il tovagliolo. « Veramente le ho più o meno promesso di non dirti nulla » ammise, calibrando il tono con attenzione. « Non era nulla di che, però posso assicur- »
« O me lo dici tu, o lo chiedo a lei ».
Jacob alzò gli occhi al cielo. « Oh, voi Potter! Siete di una cocciutaggine unica, davvero! »
« E tu sei troppo bravo a cambiar discorso. Dai, dimmelo! »
Curioso in maniera irritante.
« E va bene » sospirò. « Stava andando a parlare con Lady Sanguina ».
« Lady Sanguina? » ripeté Albus, interdetto. « Il quadro? »
« Proprio lei » confermò Jacob.
« Quella che trasmetteva i messaggi a Gossip Witch? »
Il giovane Greengrass annuì.
« Ma non ha senso » mormorò Albus. « Non adesso che Gossip Witch non c’è più... o no? »
« Forse è proprio quello il motivo » borbottò Jacob fra i denti.
« Cosa? »
« Oh, niente ».
Al alzò gli occhi al cielo. Fece per parlare, ma Jacob lo interruppe prima che potesse cominciare.
« Oh, senti, chiedi a Lily! » sbottò. « È lei tua sorella ».
Inaspettatamente, il giovane Potter sorrise. « E tu sei mio amico, Jake. Dai, cosa stava cercando? »
Lui scoppiò a ridere. « Voleva scoprire che fine ha fatto Gossip Witch. Cercava di scoprire che cos’è l’annullamento... Empirico? Mi pare si chiami così ».

Jake si stupì nel vedere Albus sbiancare. Gli occhi verdi scintillarono per un istante, poi il ragazzo si alzò e raggiunse Lily a grandi passi. Le mormorò qualcosa all’orecchio e poi la trascinò via per un braccio. Lei parve protestare e si divincolò, per poi seguirlo fuori dalla sala con aria colpevole...


Era ovvio, accidenti. Più ovvio dell’ovvio. Quello che Lily stava cercando di fare assieme al fratello e ai cugini era la stessa, identica cosa che lui stesso stava cercando di fare per Christine.

Devo parlare con Lily.


*



20 ottobre 2021

Campo di Quidditch, Hogwarts

Tardo pomeriggio


« Potresti anche collaborare! » gli gridò Quinn, nello sfrecciare della sua direzione in sella alla propria Firebolt.

Albus non riusciva proprio a comprendere il suo punto di vista. Okay, poteva anche capire che ai suoi occhi appariva inconcepibile il fatto che qualcuno potesse anteporre una qualunque cosa al Quidditch, ma rimbrottarlo a quella maniera davanti a tutta la squadra costituiva una vera e propria esagerazione. E che diamine! Come poteva pretendere del rispetto dal resto della squadra se permetteva al suo vicecapitano di sgridarlo con tanta veemenza?

Era umiliante, già. E lui non intendeva sottostare ulteriormente alle ridicole beghe di Quinn.

D’accordo, l’impegno che stava mettendo nel corteggiare Georgia e sognare il Tremaghi a volte facevano sì che trascurasse un po’ il Quidditch, negli ultimi tempi.

Ma non sono affari suoi, per Merlino!

« Sto collaborando » ringhiò a denti stretti non appena la ragazza si fu avvicinata in volo.

« Non sembra proprio » sputò lei prima di allontanarsi così come era venuta.

Al si chiese come mai mostrasse tanto astio nei suoi confronti da qualche settimana a quella parte.

Prende il Quidditch troppo sul personale, si ritrovò a pensare. Poi nella sua mente si figurò l’immagine dell’espressione con cui l’avrebbe guardato lo zio Ron nel sentirlo parlare così, e al pensiero non seppe se ridere o vergognarsi a morte.

La prima.

Improvvisamente, un Bolide schizzò nella sua direzione, e lui riuscì a schivarlo per un soffio. Stava per gridare ai Battitori di fare il loro dovere, e rimase decisamente sconcertato nel vedere Quinn ancora con la mazza sollevata.

È stata lei!

Arrabbiato volò nella sua direzione.

« Quinn » le si rivolse, stizzito, « non mi risulta che disarciornare il tuo capitano rientri fra i tuoi obblighi di Battitore ».

« L’hai fatto di nuovo! » lo rimbeccò lei aspramente. « Ti sei distratto di nuovo! »

« Quinn, non sei tu il capitano ».

Adesso iniziava a stancarsi. Quinn era una giocatrice incredibile – davvero una fuoriclasse – e gli schemi di gioco da lei proposti spesso si rivelavano formidabili, ma il troppo era troppo. Lo stava scavalcando, insomma, e Al avrebbe voluto davvero che la smettesse.

« Non ancora » mentre Quinn replicava acidamente, nei suoi occhi arse un bagliore vagamente sinistro.

A quelle parole, Albus rimase esterrefatto. « Non vorrai ammutinarti?! » le sibilò proprio all’orecchio, incredulo e furioso, dopo esserle volato più vicino.

Lei si scostò bruscamente e gli lanciò un’occhiata strana, prima di sfrecciare dalla parte opposta del campo, scura in volto.

Albus sospirò e si passò una mano sulla fronte prima di ricominciare a strizzare gli occhi contro il sole che giungeva a loro filtrato dalle nubi grigiastre, alla ricerca del Boccino.

Al diavolo. Non pensava che Quinn avrebbe mai fatto un gesto simile – dopotutto, la ragazza conosceva bene il valore di Al come capitano – ed era certo che quelle parole fossero state pronunciate al solo scopo di provocarlo. Tuttavia... non era come se fossero riuscite ad andargli giù, ecco.

Che Quinn fosse una donna con le contropalle – per citare McGregory – in fondo l’aveva sempre saputo. Così come aveva sempre saputo che era una pazza vanatica del Quidditch, e che i tre quarti dei più giovani allievi Grifondoro avevano un sacrosanto terrore di lei. Ricordò quasi distrattamente di aver pensato chissà quando che mai avrebbe voluto tirarsi addosso la sa rabbia e realizzò sgradevolmente di averlo fatto, alla fine.

Dimentico del Boccino, si azzardò a lanciarle un’occhiata. Il suo volto era teso e concentrato, si gettava sui Bolidi con una furia inaudita.

Per un momento si ritrovò a pensare a quanto fosse diversa quando rideva, come gli era parsa l’anno prima dopo una corsa pazza lungo i corridoi per non fare tardi a lezione... Era la mattina dopo quel memorabile giorno in cui Scorpius aveva ingerito un filtro d’amore. Quinn stessa aveva proposto di convincerlo a giocare a Quidditch per tutto il pomeriggio affinché non facessero danni. Il giorno dopo si erano svegliati tutti quanti nel dormitorio dello stesso Scorpius e lui e Quinn avevano corso come matti per arrivare dai sotterranei fino alla torre di Grifondoro e poi cambiarsi in tempo per le lezioni. Strada facendo avevano improvvisato una gara, e poi riso entrambi nell’arrivare a destinazione nello stesso esatto istante. Quinn... Quinn sembrava spensierata, felice. Felice davvero, in una maniera in qualche modo diversa da quella in cui lo era dopo una partita vinta o un allenamento andato bene. Una maniera più libera e sorprendente.

Per un momento si chiese se il Quidditch non fosse per Quinn anche una maledizione.

Forse è questa la rovina della nostra generazione, si ritrovò a pensare. I nostri genitori sono quasi tutti eroi di guerra o comunque hanno fatto qualcosa di grandioso... Tutti hanno posto in noi troppe aspettative.

Pensò a Rose e capì di avere ragione.

Oliver Baston, il padre di Quinn, aveva combattuto la guerra, conseguito una brillante carriera come portiere del Puddlemere United e adesso era allenatore della stessa squadra. La madre, d’altro canto, era figlia di Aidan Lynch, il quale era stato il Cercatore della nazionale irlandese. In conclusione, se Quinn prendeva il Quidditch tantoa a cuore probabilmente era perché lo considerava alla stregua di un dovere.

È duro avere tante aspettative da soddisfare. Lui lo sapeva bene, solo che riusciva a fregarsene. Ma, e in quel momento lo comprese davvero fino in fondo, non tutti ci riuscivano.

Non Quinn. E forse tutta quella durezza che ostentava era solo... beh, solo una forma di difesa.

Scosse il capo e decise che non gliene importava, e che comunque il comportamento della ragazza era tutto fuorché giustificabile.

Era solo una sua impressione, forse, ma Quinn negli ultimi tempi pareva essersi irrigidita ulteriormente.

« Potter! » il grido severo della ragazza lo fece sobbalzare. Tutt’altro che rassegnato a subire l’ennesima sfuriata, volto la propria scopa nella sua direzione.

Rimase esterrefatto nel vederla sfrecciare verso di lui con la mazza da Battitore stretta fra il gomito e il costato e nella mano libera aveva qualcosa di spaventosamente simile a...

« Hai preso il boccino » mormorò, sconvolto.

Lei non diede segno di aver udito le sue parole.

« Potter » ringhiò, « il fottutissimo Boccino ha rallentato vicino a me, e tu dov’eri? »

Al boccheggiò, agghiacciato. « Quinn – » esordì, ma la ragazza lo interruppe.

« D’accordo! » la udì sbottare. « Questo irresistibile amore ti ha del tutto fritto il cervello! Ma vuoi farmi il sacrosanto favore di pensare anche al Boccino invece che alla Menley, di tanto in tanto?! »

« Voglio solo sapere come ti è venuto in mente di prendere il Boccino! » le gridò Albus di rimando. « Cosa volevi dimostrare, eh? »

Quinn sgranò gli occhi e volò a precipizio verso di lui – per un attimo Albus pensò che fosse intenzionata a buttarlo giù dalla scopa. Invece, la ragazza si limitò ad afferrarlo per il bavero della scarlatta divisa da Quidditch, strattonandolo appena.

« Non fare il testa di cazzo, Al » sibilò, guardandolo con odio. « Per una dannatissima volta ».

Stranamente teso e decisamente esterrefatto, Albus si divincolò bruscamente dalla sua presa.

« Un’altra insubordinazione del genere e sei fuori dalla squadra, Baston » disse freddamente.

Quinn scosse la testa, lanciandogli un’occhiata frustrata e ferita e scuotendo la testa. Poi inclinò il manico di scopa verso il suolo e atterrò dolcemente sull’erba, prima di dirigersi verso gli spogliatoi.

Albus capì che, per quel giorno, l’allenamento era finito.



 


 



Note dell’Autrice


Innanzitutto chiedo scusa dell’imperdonabile ritardo, ma la fine della scuola incombe con il suo carico di studio, e le prove di danza non contribuiscono a semplificare la situazione.

Come avrete visto, questo è un capitolo di passaggio, ma in cui succedono anche parecchie cose. Insomma, la situazione comincia a smuoversi.

Spero (come sempre) che vi sia piaciuto ;) e grazie di tutto, davvero.

Che ve ne pare di Harry-Auror?

Bisous, Daphne.


PS: Ho cominciato a postare A Series of Curious Coincidence, la multipairing pazza (W ♥ ) della serie di Sulla tua pelle. Ovviamente mi farebbe piacere se deste un’occhiata. Come ho già detto allo scorso capitolo anche creato un gruppo su Facebook per scambiare con voi informazioni su come procedono gli aggiornamenti, eventuali ritardi, opinioni, etc. Lo trovate qui: Write your own dance.

Ancora bisous!

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Talk ***


Capitolo 13




Well I feel like they're talking in a language I don't speak

And they're talking it to me.

Coldplay


25 ottobre 2021
Campo di Quidditch, Hogwarts
Tarda mattinata


La mattina del venticinque ottobre – data prefissata per il primo incontro di Quidditch della stagione – il sole splendeva alto nel cielo, che era sorprendentemente limpido e terso.

« Andrà tutto bene, ragazzi » stava dicendo Quinn agli altri membri della squadra prima di entrare negli spogliatoi, non mancando di riserbare ad Albusi un’occhiataccia. « Non ci siamo allenati come avremmo potuto » – lo guardò male ancora una volta – « ma ce la faremo, come sempre. Intesi? »

La squadra diede in qualche cenno affermativo, mentre McGregory si limitò a sbuffare con aria infastidita, e per una volta Albus non se la sentì di esprimere il proprio disappunto. Né di biasimarlo internamente, se è per questo.

Certo, Quinn Baston meritava in pieno il posto di vicecapitano – non l’aveva soffiato a nessuno. Ma Albus non riusciva a non provare un certo astio nei suoi confronti, in risposta a tutto il rancore che lei gli aveva ampiamente dimostrato. E poi cominciava a non sopportare più le sue continue insubordinazioni: in teoria stava al capitano incoraggiare la squadra di una partita, e Quinn non era il capitano nei Grifondoro. Quello era il ruolo del grande Albus Potter, insomma!

Scelse tuttavia di ignorare l’atteggiamento della Baston: non era il caso di scaldare gli animi in quel senso appena prima di un incontro, no?

Mentre indossava la divisa scarlatta, pensò distrattamente che era la prima partita che lui e Scorpius giocavano come avversari da quando l’amico era stato nominato capitano. Per quanto tenesse all’amico, una volta scesi in campo era naturale che fra i due venisse a sorgere una certa competitività.  Oltretutto, Scorpius giocava – e adesso capitanava anche – nella squadra di Serpeverde, e da sempre lo scontro in campo fra questi ultimi e i Grifondoro era atteso con grande aspettativa da tutta la scuola, un po’ per l’ormai proverbiale e pressoché defunto clima di ostilità che si avvertiva fra le due Case, un po’ perché tale incontro costituiva tradizionalmente la prima competizione sportiva dell’anno scolastico.

E poi, diciamocelo, sfottere l’amico in seguito a una vittoria era sempre uno spasso. Quell’anno, poi, avrebbe giocato anche Lily, che non aveva smentito la tradizione familiare diventando Cacciatrice di Serpeverde

Si disse che forse da settembre a quella parte si era fatto colpevole di prendere il Quidditch con troppa leggerezza. Negli anni precedenti si era talmente abituato a vincere – con la squadra formidabile che si ritrovava! – che la vittoria si era fatta per lui una certezza quasi a priori. Oltretutto, al momento si sentiva addosso una strana mancanza di tensione che trovò vagamente preoccupante.

Sistemò i legacci che stringevano il davanti della divisa, per poi alzare lo sguardo e incontrare quello di Quinn, che già pronta a entrare in campo lo scrutava torva. Albus si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo, mentre ogni dubbio riguardo ai meriti della propria condotta si dissolveva come fumo al vento.

Non sono io che prendo il Quidditch con leggerezza, si disse. È lei quella fissata.

Ancora una volta, ebbe la sensazione che se lo zio Ron fosse stato lì l’avrebbe preso volentieri a schiaffi. Per un momento si beò dell’immagine di zia Hermione che correva dietro al marito agitando la bacchetta, difendendo i diritti dei poveri nipoti tormentati.

COLON. Costruiamo Ospizi per Lesi e Oltraggiati Nipoti.

Trattenne a stento una risatina, e ancora una volta ebbe l’impressione di essere troppo distratto.

No. Non sono distratto. Solo... poco concentrato.

Si schiarì la voce, conscio del fatto che ormai era giunto il momento del suo discorsetto di incoraggiamento pre-partita.

« Dunque » esordì, « andrà tutto bene. Il sole splende, il cielo è pulito e noi vinceremo questa partita. Okay? »

Deglutì nel rendersi conto che l’intera squadra lo stava guardando con tanto d’occhi. Persino Quinn aveva smesso quella sua espressione furibonda in favore di un netto, scettico inarcarsi di sopracciglia.

« Insomma » riprese, « quello che cerco di dirvi è che... »

Ma dal campo il fischio penetrante di Madama Fairchild¹ raggiunse le loro orecchie, coprendo la voce di Albus e comunicando ai giocatori che era il momento di entrare in campo. Il cuore di Albus prese a battere più velocemente, mentre l’emozione per la partita imminente finalmente lo raggiungeva e l’adrenalina cominciava a scorrergli nel sangue. Si sentì improvvisamente carico, anche se in qualche modo insicuro – il che era strano, molto.

Come richiesto dalle vigenti norme, in quanto vicecapitano Quinn prese posto dietro di lui nella fila indiana secondo il cui ordine avrebbero lasciato gli spogliatoi. Albus evitò di guardarla, ma una volta che si fu a propria volta posizionato la ragazza si chinò verso di lui – che percepì i capelli drizzarsi sulla nuca nel sentirsi soffiare qualche parola sul collo.

« Un tempo i tuoi discorsetti d’incoraggiamento incoraggiavano davvero » la sentì dire, ma non ebbe tempo di ribattere perché la ragazza gli assestò una spintarella sulla schiena, esortandolo a precederla fuori.

« Andrà tutto bene » ripeté Albus con voce stentorea, rivolgendosi a se stesso più che al resto della squadra. Fece un respiro profondo prima di spingere la porta dello spogliatoio e uscire all’aperto sull’ovale di erba verde, circondato da centinaia di facce che dagli spalti puntavano gli sguardi proprio sulla sua squadra e su quella dei Serpeverde. Questi ultimi fronteggiavano la squadra avversaria con espressioni dannatamente decise – specie una minuscola Cacciatrice del quarto anno che gli pareva si chiamasse Agnes Cardmaker e aveva i capelli rossi come quelli di Lily. La quale, dal canto suo, sorrideva astutamente nella sua direzione, con la solita aria estremamente sicura di sé che la contraddistingueva.

Sta sogghignando, pensò Albus con una certa indignazione. Sta sogghignando contro suo fratello.

Non che non se lo fosse aspettato, ovvio.

« Capitani, stringetevi la mano » disse Madama Fairchild, che arbitrava la partita. Albus si fece avanti e lo stesso Scorpius. Si diedero una breve stretta di mano, guardandosi dritto in faccia, e Al non poté non notare una certa tensione negli occhi dell’amico, che lo scrutava con estrema, determinata serietà. Gli fece uno sberleffo e fu certo di aver intravisto il barlume di una risata nell’espressione di Scorpius prima che quest’ultimo non si ricomponesse in una maschera di bronzo. Albus sospettò che stesse facendo uso dell’Occlumanzia per calmarsi – non si è figli di un ex-Mangiamorte per niente: fin da quando il figlio era ancora piccolo, Draco Malfoy si era premurato di fargli apprendere l’arte di nascondere i propri pensieri. Era un uso abbastanza comune fra i Purosangue.

« Salite in sella alle scope! »

La voce di Madama Fairchild magicamente amplificata parve trapassargli i timpani, ma lo riscosse dai suoi pensieri. Si affrettò a obbedire, maledicendosi segretamente per essersi distratto ancora.

« In aria! »

Cercando disperatamente di concentrarsi, Albus eseguì ancora una volta i comandi nell’arbitro, levandosi in aria qualche metro sopra al resto della squadra, e lo stesso fece Scorpius, le cui sopracciglia convergevano pericolosamente verso il basso. Era un’espressione che Al vedeva raramente sul volto dell’amico, ma sapeva bene che in tali occasioni prestare bene attenzione ai suoi movimenti costituiva la scelta più prudente.

« Salve, Hogwarts! » tuonò la voce del cronista, un Tassorosso del quinto anno che si chiamava Wulfric Beagle. « Benvenuti al primo incontro di Quidditch della stagione... A disputarsi la gara sono le squadre di Grifondoro e Serpeverde, e qualcosa mi dice che sarà una partita piuttosto movimentata! »

Albus sbuffò, scettico.

« Troviamo la squadra di Grifondoro cambiata di poco rispetto all’anno scorso » proseguì Beagle, « ma lo stesso non possiamo dire dei Serpeverde. Il neocapitano Scorpius Malfoy sembra aver messo su proprio una bella squadra, quest’anno, rinnovando completamente lo schieramento per quanto riguarda i Cacciatori, che adesso rispondono al nome di Lily Potter, Christine De Bourgh e Agnes Cardmaker – una nuovissima scoperta che sembra essere davvero un talento. Tutti siamo curiosi di vedere la Potter giocare contro il fratello Albus, che capitana i Grifondoro... Ma attenzione! Madama Fairchild sta liberando la Pluffa... e ha inizio la partita! »



« Weasley » la salutò Jacob Greengrass, lasciandosi cadere accanto a lei sugli spalti, « io e te dobbiamo parlare ».

Rose rimase immobile per alcuni secondi, prima di volgere il capo nella sua direzione e inarcare le sopracciglia con aria di grande scetticismo. Jacob la guardava con occhi tinti di una strana spavalderia che avrebbe visto meglio addosso ad Albus, e la sua espressione era in qualche modo accesa, quasi esagitata.

Il ragazzo dovette accorgersi della sua occhiata indagatrice, giacché si ricompose immediatamente, facendo del proprio volto una neutra maschera di bronzo.

Rose sospirò e distolse lo sguardo dalla figura di Jake, tornando a prestare attenzione sullo svolgersi della partita. I Cacciatori si passavano la Pluffa in continuazione, sfrecciando a velocità folli da una parte all’altra del campo. In quel momento, Scorpius Malfoy fece una virata proprio di fronte a dove era seduta lei.

Greengrass non diceva nulla. Si limitava a stare lì... quasi stesse aspettando il permesso di Rose per parlare.

Ipocrita.

Non le piaceva molto Jacob Greengrass, senza un motivo ben preciso... Sapeva che non stava aspettando il suo permesso per cortesia, ma piuttosto per bendisporla in attesa della domanda che voleva porle – qualunque essa fosse. Oltretutto non riusciva a fidarsi di lui, specie dopo averlo visto complottare con Christine De Bourgh. E checché ne dicesse quest’ultima, non riusciva proprio a stare del tutto tranquilla per quanto la riguardava.

« Come mai dovrei crederti? »

« Non devi. Puoi ».

« E perché potrei crederti? »

« Perché potresti anche non farlo e invece lo fai ».

Davvero si fidava di Christine De Bourgh, dopo tutto ciò che l’anno precedente aveva fatto a Dominique e a Lucy?

Ma da quando in qua ho dato importanza a qualcosa del genere per giudicare una persona?

Rose non credeva di essere troppo severa nel giudicare. Affatto. Il punto era che l’avversità nei confronti di Christine era sempre stata un dato di fatto per lei, e adesso... questa certezza vacillava pericolosamente. Oltretutto, la De Bourgh ne aveva fatte di abbastanza gravi da meritarsi odio imperituro da parte di Rose.

Solamente...

« Pensavo mi odiassi ».

« Ti odio, infatti ».

« Non sembra ».

Christine aveva ragione. Non sembrava affatto che Rose la odiasse, poiché quando Rose odiava una persona non si sedeva accanto a quella persona a conversare amabilmente – okay, conversare amabilmente nei suoi limiti. Tutta quella faccenda risultava preoccupante, perché la ragazza si rendeva conto di fidarsi più di Christine che di Jacob, in un certo senso.

O forse il punto è che io e Greengrass non ci prendiamo proprio.

Ma Jacob somigliava a Christine, per certi versi, e proprio per questo motivo l’idea che adesso fossero alleati le metteva addosso un po’ di inquietudine.

E se si somigliano, dovrei fidarmi anche di lui. Forse.

Comprendendo che i suoi pensieri stavano declinando pericolosamente verso un punto di non ritorno, Rose decise di interrompere bruscamente le proprie riflessioni.

Non mi devo fidare di nessuno dei due. Punto.

« Che cosa vuoi, Greengrass? » si decise a domandare.

Il ragazzo sogghignò con grande faccia da schiaffi. « Come mai Lily segue Herman Hessler? » domandò senza tanti preamboli.

« Come mai ti interessa ciò che fa Lily? » replicò Rose sulla difensiva, impallidendo appena.

Che non sia...

La faccia di bronzo di Jacob vacillò in maniera quasi impercettibile, salvo diventare un istante dopo più impenetrabile di prima. Le sue sopracciglia erano allineate in un’espressione di serafica determinazione. Rose si chiese il perché di quella seppur breve esitazione, finché non fu colta da un’illuminazione.

Che Greengrass sia interessato a Lily?

Chissà perché, l’ipotesi la fece parimenti raggelare e avere l’impulso di scoppiare in una risata fragorosa. Poi pensò a quanto Jacob fosse stato male per Dominique, e si chiese se a catturare la sua attenzione fossero stati di Lily i punti in comune con la cugina. Non poteva permettere che Lily si facesse circuire da qualcuno che in lei vedeva solamente un’altra Dominique – perché Lily si sarebbe fatta circuire eccome da Jacob Greengrass, lo sapeva, nonostante non si fosse mai lasciata abbindolare da nessuno.

Lily non era Dominique. Lily avrebbe sofferto per tutta quella storia.

« Voglio evitare che combini macelli » replicò Greengrass prevedibilmente.

Proprio pessima la farsa del fratello maggiore. Perdi colpi, Greengrass.

« Poco credibile » mugugnò in risposta.

« È così » insistette lui. « Perché? »

« Dovresti chiedere a lei » prese tempo Rose.

Jacob alzò gli occhi al cielo. « L’ho fatto » confessò, « e lei mi ha più o meno detto di farmi gli affari miei ».

« Forse perché è proprio quello che dovresti fare ».

Non poteva permettere che Jake scoprisse il vero motivo per il quale Lily seguiva Hessler, non adesso che il ragazzo era in combutta con Christine... sempre che il punto non fosse proprio quello, e Lily un’arma per arrivare allo scopo. Qualunque esso fosse – e Christine era in biblioteca, quel giorno, ricordò con orrore.

« Sinceramente, Greengrass » sospirò, « cosa state complottando te e Christine De Bourgh? »

« Nulla di cui tu debba preoccuparti » replicò lui pigramente, gettando uno sguardo allo svolgersi della partita. « Bel colpo, Lily » mormorò fra sé e sé nel vedere la ragazza effettuare una rete particolarmente difficile.

Rose pensò che, come per Christine, era inutile mettere in atto sotterfugi.

« Ti piace Lily, Greengrass? » lo interrogò.

« Sono amico di Albus » rispose lui.

« Non ti ho chiesto questo ».

Il ragazzo sbuffò. « Per me è come una sorella, okay? » ripeté ostinatamente.

Rose scoppiò a ridere. « Come ho già detto, decisamente poco credibile ».

Jacob non rispose, e Rose comprese che quella conversazione era finita.

Gli rivolse un’ultima minaccia prima di andarsene da lì.

« Greengrass » gli disse, « prova a far soffrire Lily per arrivare ai tuoi loschi scopi e te la vedrai con me ».

Infine si allontanò, con la consapevolezza che da quel breve scambio di parole entrambi non avevano concluso nulla.



Mezz’ora più tardi, il Grifondoro era sotto di cinquanta punti, e Albus davvero disperato. Il lavoro delle tre Cacciatrici Serpeverde si stava rivelando davvero formidabile; Lily purtroppo era brava esattamente quanto Albus si aspettava, e sorprendentemente lei e Christine De Bourgh sembravano aver molta intesa sul campo – avevano lo stesso modo scaltro di giocare, sebbene Lily si buttasse sempre sulla Pluffa con più impetuosità rispetto alla compagna di squadra. Ma la vera sorpresa fu Agnes Cardmaker, che si era indubbiamente rivelata un talento eccezionale. Saettava da una parte all’altra del campo a velocità inaudita, dirigendosi sempre nella direzione che meno ci si sarebbe aspettati e facendo disperare il portiere Chris McGregory con i suoi lanci a effetto.

Quinn, fumante di rabbia, le sfrecciava indietro ovunque andasse, tentando in tutti i modi di disarcionarla con i suoi Bolidi – e se la ragazza non avesse svolto con tanta solerzia il proprio compito, probabilmente il Grifondoro sarebbe stato sotto di almeno un’altra decina di punti. Si trattava davvero uno scontro fra titani, poiché Quinn era una fuoriclasse ma Agnes non sembrava essere da meno.

Nel frattempo, il Serpeverde aveva segnato altre quattro reti – due goal erano di Agnes e gli altri rispettivamente di Lily e Christine. La situazione andava visibilmente peggiorando, poiché era chiaro a tutti che la squadra di Grifondoro – con l’ovvia esclusione di Quinn – si stava buttando giù per quella situazione via via più tragica.

Che fine hanno fatto i tempi in cui la mia squadra era unita e sicura di sé?

La curva verde-argento scoppiò in un tumulto quando Agnes segnò per l’ennesima volta.

Albus sapeva che ormai c’era una sola cosa da fare: acchiappare il Boccino il più velocemente possibile. Se fosse riuscito ad afferrare la piccola palla dorata in un tempo ragionevole, allora sarebbero riusciti comunque a strappare la più immeritata delle vittorie.

Strizzò gli occhi, saettando lo sguardo su e giù per il campo alla ricerca del Boccino. Inevitabilmente, i suoi occhi finirono per andare in direzione degli spalti, per poi posarsi casualmente su Georgia Menley... Okay, non così casualmente. Georgia si sedeva sempre nello stesso punto quando veniva ad assistere agli allenamenti delle altre squadre, ed era lì che Al aveva guardato appena entrato in campo, quasi a voler verificare se la ragazza fosse presente o meno.

Georgia seguiva la partita attentamente, soffermandosi in particolare sulla figura di Agnes Cardmaker – com’era prevedibile. Tuttavia, in quel momento sollevò il capo e guardò in direzione di Albus.

Deve essersi sentita il mio sguardo addosso, pensò Albus, esultando segretamente.

La ragazza accennò un sorrisetto nella sua direzione, prima che l’attenzione di Al venisse catturata dalla voce del cronista.

« La squadra di Grifondoro è in netto svantaggio, e appare sempre più in difficoltà ogni secondo che passa... Ma attenzione! Il Cercatore e capitano di Serpeverde Scorpius Malfoy è partito come una scheggia verso la tribuna d’onore... Che abbia visto il Boccino? »

Improvvisamente ansioso, Albus si voltò di scatto nella direzione inavvertitamente indicatagli da Wulfric Beagle. Il cronista ci aveva preso: Scorpius aveva visto il Boccino e adesso lo stava inseguendo con aria determinata.

Dannazione!

Maledicendosi, Albus sfrecciò verso la tribuna d’onore e in men che non si dica era alle calcagne di Scorpius... che si voltò verso di lui e gli rivolse un glorioso, sfacciato sorriso prima di effettuare uno scarto in avanti e gettarsi sul Boccino.

Un secondo dopo, la piccola palla dorata dibatteva furiosamente le ali, chiusa nel pugno del Serpeverde.

L’aveva preso, realizzò Albus. L’aveva dannatamente preso.

E loro... loro avevano perso, e senza un briciolo di dignità.

Non udì i Serpeverde festeggiare. Non udì il grido esultante di Lily. Non udì nulla, se non un sordo vibrare nelle orecchie. Non avvertì nulla, se non un mesto sconforto impadronirsi di lui.

Quasi indovinando il suo stato d’animo, la sua Firebolt prese a scendere lentamente verso terra, senza vita, quasi apatica.

Albus atterrò in mezzo a tutti i suoi giocatori, e rivolse loro una breve occhiata. C’era chi appariva  triste, chi amareggiato, chi in preda allo sconcerto o allo sconforto. Quinn era semplicemente furiosa.

Albus aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito dopo. Gli pareva che un’immensa voragine si fosse appena aperta nel proprio petto: senza una parola, si diresse a capo chino verso gli spogliatoi.


****



25 ottobre 2021
Sala Comune di Serpeverde, Hogwarts
Dopo cena


Non appena scattò il coprifuoco, nella Sala Comune di Serpeverde ebbero inizio i festeggiamenti, e Scorpius era visibilmente fuori di sé dalla gioia. Insomma, non accadeva da un bel po’ che Serpeverde vincesse contro Grifondoro, e l’intera Casa era andata in visibilio, e senza troppe recriminazioni Lumacorno aveva deciso di chiudere un’occhio e concesso persino ai bambini del primo anno di andare a letto qualche ora più tardi.

Jacob non poteva che essere contento di quest’ultima scelta dell’insegnante, giacché Lucrezia Goldstein e Lizzy Dursley di certo non avrebbero mancato di tenere d’occhio Lily qualora lui si fosse distratto. Aveva capito di aver commesso un gran passo falso cercando di ottenere informazioni da Rose – un passo falso che non era da lui. Chissà per quale motivo, si sentiva addosso una certa ansia di venire a capo di quella faccenda... Forse perché vi era invischiata Lily, che per lui era come una sorella.

Si sentiva confuso, e non era una cosa che gli accadeva spesso. Per quanto riguardava lo scoprire come mai il Proteus fosse stato annullato in realtà non sapeva che pesci prendere, perché non si sentiva di parlare direttamente con Albus e dirgli che stavano cercando la stessa cosa.

Forse dovrei farlo.

Ne avrebbe dovuto parlare prima con Christine, decise.

« Burrobirra? »

Scorpius gli rivolse un gran sorriso, porgendogli una bottiglia. Jacob la prese e assestò all’amico una pacca sulla spalla.

« Bella partita, eh? » buttò lì quest’ultimo biascicando.

Jacob aggrottò le sopracciglia, sospettoso, e guardando con maggiore attenzione si accorse che la bottiglia da Scorpius stava traendo una lunga sorsata – l’ennesima, indovinò – conteneva una bevanda diversa dalla sua.

Firewhiskey. Il capitano vittorioso festeggia con grandi bevute.

Chissà perché, gli parve uno stereotipo. E gli riportò alla mente l’ultima festa dell’anno precedente, quella per la vittoria di Grifondoro contro Corvonero... La festa in cui Albus era ubriaco fradicio e Scorpius aveva bevuto un filtro d’amore. Sembrava una vita fa.

« Sì, Scorpius » gli rivolse uno dei suoi furbeschi sorrisi. « Proprio una bella partita. Credevo che Al si sarebbe annegato nelle docce ».

Scorpius parve trovare le sue parole estremamente divertenti, giacché proruppe in una risata fragorosa.

« Più che altro » fece una pausa, quasi non trovasse le parole, « più che altro lo ucciderà Quinn Baston ».

« E come lo ucciderà? » chiese Jake distrattamente, guardando dall’altra parte della sala. Distolse immediatamente gli occhi quando si accorse di star fissando Lily. Quindi guardò Rose... che stava guardando verso di loro. Risolse di posare gli occhi su Scorpius, che adesso pareva soppesare l’aria.

Soppesare l’aria?! Ma che cosa ho in testa stasera?

La risposta stava per salire automatica alla sua mente, ma Jacob intimò alla propria coscienza di tacere. Gambe sottili, occhi grando, sorriso furbesco, capelli rossi... non dovevano stare nella sua testa. Peccato che fosse difficile schiodarli di lì.

Lily Luna, maledetta testarda.

Nel frattempo, Scorpius ancora stava pensando alla risposta da dare alla sua domanda. Jacob si sentì afferrare per la manica e guardò l’amico, trattenendo una risata, giacché l’altro appariva abbacinato.

« Gli darà una botta in testa » stava dicendo Scorpius, trionfante. « Con la sua mazza da Battitrice. Deve... deve far male ».

« Oh, io ho sempre pensato che Quinn fosse un po’ innamorata di Albus » buttò lì Jacob.

Con sua immensa sorpresa, a quelle parole Scorpius parve improvvisamente serio – per quanto poco fosse credibile la sua serietà, sbronzo com’era.

« Tu le capisci sempre queste, uhm, queste cose, vero? » balbettò il giovane Malfoy.

« Suppongo » convenne Jacob, che stava di nuovo guardando in direzione di Lily – non riusciva proprio a capire come evitarlo, proprio come sapeva cosa gli piaceva di lei così bene da non saperlo. Prese la bottiglia di Firewhiskey dalle mani di Scorpius – che neanche parve accorgersene – e ne trasse una lunga sorsata: l’alcool era risolutivo, talvolta. Gli sarebbe piaciuta un po’ di beata incoscienza, in quel momento – peccato che reggesse come pochi.

E comunque Lily non gli piaceva. Decise che ogni volta che si fosse trovato a guardarla avrebbe pensato ad Albus abbastanza da sentirsi in colpa e concentrarsi su quello. Non poteva piacergli Lily, punto e basta.

« Dunque tu sai... sai chi è innamorato. Chi e di chi » stava riflettendo Scorpius.

« Suppongo » ripeté Jacob. « Ho un certo intuito, sai ».

« E Rose Weasley? Di chi è innamorata Rose Weasley? »

Jacob lo guardò di sbiego, spiazzato da quella domanda. Da quando in qua a Scorpius fregava qualcosa di cosa facesse Rose? Insomma, nella sua mente c’era spazio solo per Lucy e per il Quidditch. E gli amici, qualche volta. Piuttosto di rado, negli ultimi tempi.

Soppesò con cura la risposta da dare, prima di pronunciarla.

« Beh, in realtà credo che Rose consideri l’amore una cosa inutile » pronunciò lentamente.

« Sì! » la pacca sulla spalla che gli diede Scorpius fu tanto forte da farlo quasi cadere – si interrogò su quale potesse essere il motivo di tutta quell’enfasi. « Hai proprio ragione! Sei... sei furbo, Jacob Greengrass. Anche Rose Weasley ha detto così ».

Jake si sentì sinceramente perplesso. « Ha detto... aspetta, quando? »

« A Hogsmeade » biascicò l’amico in risposta. « Quando io l’ho fatta finita con Lucy e poi Rose Weasley e io siamo stati alla Testa di Porco ».

Adesso si sentiva veramente interdetto.

« Scorpius » pronunciò lentamente, « non hai neanche lontanamente accennato al fatto che con Lucy è finita. Né a quello che hai incontrato Rose e vi siete fatti una bevuta. Perché? »

« Perché l’ho... l’ho incontrata. E abbiamo parlato. Ed era strano, capisci? Molto strano ».

Jake sbuffò. « Oh, su questo non è dubbi » borbottò. « Intendevo come mai non ne avessi fatto parola, Scorpius ».

L’altro si riprese la bottiglia di Firewhiskey e vi si attaccò. « Non lo so » disse poi con voce gracchiante. « È tutto così confuso e sbagliato ».

« Ti piace Rose? »

La sua domanda parve cogliere Scorpius alla sprovvista.

« No » scosse la testa.

« Bene » Jake sospirò di sollievo. « Perché altrimenti Bernie ti odierebbe. Lo sai questo, vero? »

« Perché... perché dovrebbe odiarmi? Non è come se avessi molte più possibilità di lui, no? »

Jacob trattenne bruscamente il fiato e lo rilasciò di colpo.

« Il problema non sei tu, Scorpius » tentò. « E neanche Bernie – okay, Bernie forse sì. Il problema è lei. L’amore è inutile, ti ricorda qualcosa? »

« A me non piace Rose ».

« È molto sexy » gli fece notare Jacob, logico. « Più di Lucy ».

Scorpius gli rivolse uno strano sorriso svagato, e per un istante parve barcollare.

« Non è questo » borbottò. « Io amo Lucy. Ma Rose Weasley... Rose Weasley e sempre così triste! »

« Non è triste » lo rimbeccò Jacob. « Ha solo mandato il mondo a farsi fottere » sospirò. « E comunque sei patetico quando ti ubriachi ».

« Ma Rose... »

« Capitano! » da chissà dove erano spuntate fuori le tre Cacciatrici di Serpeverde. Era stata Agnes Cardmaker a salutare Scorpius con enfasi e prenderlo a braccetto – Jacob si sentì quasi sollevato, dacché quella conversazione non aveva né capo né coda. Ma dopotutto, Scorpius era davvero sbronzo. Non si sarebbe stupito se da un momento all’altro avesse baciato Agnes sulle labbra. Senz’altro si sarebbe rivelato uno spettacolo esilarante.

Il suo sguardo incrociò quello di Christine, che gli fece l’occhiolino e prese sottobraccio Scorpius dall’altro lato – il capitano era talmente ubriaco che neanche tentò di divincolarsi dalla stretta della sua giocatrice meno amata.

Christine trascinò Scorpius dall’altra parte della sala, assecondata da una perplessa Christine.

Stronzetta, pensò Jacob fra sé e sé, rendendosi conto di essere rimasto solo con Lily e con la certezza che Christine l’avesse fatto apposta – in realtà era anche divertito, ma non l’avrebbe mai ammesso. Fino a quel momento aveva evitato di guardarla, ma adesso fu costretto a volgersi nella sua direzione. Si sarebbe aspettato che Lily lo stesse fissando, in attesa che dicesse qualcosa, e invece aveva gli occhi puntati dalla parte opposta della Sala. Jake seguì la traiettoria del suo sguardo, per scoprire che puntava su Lucrezia e Lizzy.

« Come mai fissi le ragazzine del primo anno? » chiese il giovane Greengrass. Non poteva permettersi di perdere l’ausilio delle piccole spie.

« Nulla ».

Finalmente, Lily si voltò verso di lui. I suoi occhi scuri e svegli lo fissarono da sotto le belle sopracciglia, con una certa allegra serietà.

Merlino, questa ragazza è un ossimoro vivente.

« Quell’esserino inutile di mia cugina è sempre alle mie calcagna » disse. « Mi odia. Credo stia progettando qualche dispetto... come se ne fosse in grado ».

« Ne è in grado » osservò Jacob senza pensarci. « Ti somiglia ».

Lily inarcò le sopracciglia, mentre un angolo della sua bocca si inarcava in una specie di mezzo sorriso. « Mi hai fatto un complimento, Jake ».

« Non doveva essere un complimento » obiettò lui. « Tu detesti la piccola Lizzy, o sbaglio? »

Lei scrollò appena le spalle. « Potrei rivalutarla » replicò serenamente.

« Potresti » convenne lui. « Ma non lo farai ».

Lily sospirò teatralmente. « Jacob Greengrass » disse, « chi sei tu per pensare di poter prevedere quello che farò? »

Segui ciò che non riesci a prevede-

Merda.

« Chi sei tu per pensare di non essere prevedibile, Lily Potter? » la prese in giro di rimando, mentre il cuore gli batteva furiosamente.

A quelle parole, Lily sogghignò furbescamente, con gli occhi che scintillavano. Jacob deglutì segretamente.

« Dammi retta, Jake » sospirò. « Potrei stupirti. Anche ora ».

« Come, ad esempio? »

Dannazione, Jake, piantala di flirtare. Ci sono una miriade di ragazze, qui, anche più sexy di Lily.

C’erano molte ragazze più sexy di Lily – lei era un dannato scricciolo. Ma quando la vide piegare il capo da un lato dovette rivedere le proprie prospettive, giacché nella sua mossa aveva scacciato via i capelli dalla spalla sinistra, scoprendo il collo chiaro. La mente di Jacob fu invasa dall’immagine di sé stesso che premeva le labbra proprio su quel punto del suo collo, che faceva scorrere le mani sulla linea snella della sua schiena, tuffava il naso nei capelli e ne aspirava il sentore – qualcosa di fresco e quasi bruciante, pesca e vino bianco e che buono il suo profumo.

Adesso lei era abbastanza vicina perché lui potesse sentirlo, quel profumo. Lo guardava, con quella sua testa inarcata e gli occhi grandi e le labbra rosee e leggermente lucide ed era terribilmente sensuale – a modo suo.

Jacob deglutì ancora, sempre più nervosamente


Steal my heart... and hold my tongue

I feel my time... my time has come.²



Lily sostenne il suo sguardo. La sua espressione era come sospesa, quasi fosse sul punto di ridere – la cosa infastidì Jacob, che si sentì il qualche modo inconsapevole di qualcosa, forse preso in giro. Compreso senza poter capire, ecco tutto.

« Mi chiedi come potrei stupirti » disse Lily lentamente, e non suonò come una domanda.

« Sai, in realtà non voglio saperlo » la contraddisse lui, senza pensarci più di tanto. « Quindi non rispondere, okay? »

Si aspettava che lei ghignasse e gli spiattellasse allegramente tutte le cose che avrebbe potuto fare per stupirlo – e se non l’avesse fatto, l’imprevedibilità sarebbe divenuta prevedibile.

Lily non fece nessuna delle due cose. Non ghignò, non restò in silenzio, ma serissima lo fissò e disse: « Potrei baciarti ».

Questo era davvero troppo, ma fu sufficiente perché Jacob capisse che Lily lo stava facendo apposta. Si stava divertendo un mondo a provocarlo a quella maniera.

« No che non potresti » la contraddisse bruscamente. « Al ti ammazzerebbe ».

« Ammazzerebbe te » lo corresse Lily, serafica.

« Peggio ancora » tentò di liquidarla con un sorrisino.

Lei proruppe in una risata allegra. « Oh, Jake » lo guardò. « Stavo scherzando ».

Nonostante Jacob lo sapesse benissimo già da sé, quelle parole furono come una secchiata d’acqua gelida.

« Nel senso » Lily guardò da un’altra parte. « Non nego che sarebbe piacevole. Ma non lo farei ».

Lo faresti eccome, bugiarda.

« Io non voglio che tu lo faccia » si ritrovò a dire.

« Bene » Lily sorrise. « Allora siamo d’accordo ». Mosse lo sguardo per la sala. « Che noia » commentò.

« Vuoi dire che è noioso parlare con me? » Jake finse di inalberarsi.

« Non propriamente. Non mi pare che tu stia facendo discorsi sensati ».

« Da quando in qua ti importa del senso dei discorsi della gente? »

« Tu non sei la gente, però » lo guardò. « Sei l’amico di mio fratello ».

Doveva proprio infierire?

« Già » le rivolse un sorriso forzato. « Sono l’amico di tuo fratello ».

« E la cosa ti dispiace? »

Sì. Lo stava decisamente facendo apposta – e ci stava riuscendo disgraziatamente bene.

« Lily » le disse, « credo sia il caso di finire questo discorso qui ».

Non so dove potrebbe portarci.

O forse, lo sapeva fin troppo bene.


I don't know which way I'm going

I don't know which way I've come.

 


****


25 ottobre 2021
Torre di Grifondoro
Tarda notte


Albus si era acceso una sigaretta. Davvero, non ci voleva molto: bastava aprire una finestra della Sala Comune e appostarsi sul davanzale, per poi far Evanescere il mozzicone ed evocare un Incantesimo Ventilante per mandare via l’acre sentore di fumo.

Come si può facilmente immaginare, il suo umore era dei peggiori, poiché una volta stemperata l’iniziale rabbia nei confronti del mondo – insomma, McGregory poteva anche sforzarsi di parare qualcosa! – era sopraggiunta la riflessione, e con essa la realizzazione. Infine la drammatica onclusione: era tutta colpa sua, e Quinn aveva ragione da vendere. Solamente che non poteva ammetterlo per un problema logistico... Non poteva proprio permettersi di perdere la faccia davanti a tutta la squadra: avrebbe solo peggiorato la situazione. E poi c’era quello schiaffo che ancora gli bruciava, così come la lunga serie di insubordinazioni.

Abbiamo perso per colpa di Quinn!, pensò in un ultimo singulto di orgoglio. Con le sue insubordinazioni ha fatto sì che la squadra perdesse fiducia in me e...

Ma quell’impeto di superbia passò così com’era venuto, diluito dal senso di colpa che ormai si era definitivamente annidato in lui.

Tutto è così ridicolo...

Già, era ridicolo. Ridicolo tutto. Erano due mesi che la sua vita faceva ridere. Prima tutta quella storia del Tremaghi... il pensiero della lettera di suo padre continuava ad agitare qualcosa dentro di lui, nonostante fosse ancora ben deciso a iscriversi al Torneo.

Il Calice mi sceglierà. Mi sceglierà di sicuro.

Forse così avrebbe riacquistato la dignità perduta. Forse così avrebbe catturato il cuore di Georgia – che sembrava non averne uno, davvero.

Ma è ridicolo anche questo.

Possibile che non fosse riuscito a trovare un approccio meno umiliante? Possibile che-

« Hai una sigare-... Ah, sei tu ».

La voce di Quinn l’aveva dapprima fatto sobbalzare, poi deglutire nel sentire da parte della ragazza un tono tanto carico d’astio. La vide ferma alla fine delle scale, con il volto stropicciato e la divisa da Quidditch scomposta ancora addosso.

Probabilmente si è addormentata dopo aver pianto tutto il pomeriggio.

L’immagine di Quinn che piangeva era talmente strana da confonderlo. Insomma, lei era Quinn Baston la tosta! Quando mai si sarebbe aspettato di vederla con addosso i chiari postumi di una crisi di pianto? Eppure i suoi occhi erano arrossati oltre la rabbia bollente che trasmettevano, desolati e delusi oltre la furia.

Albus pensava che fosse un po’ un’esagerazione, ridursi così per una partita persa – sebbene sentisse che Quinn avesse perso di più, chissà cosa poi.

Fece per andarsene, ma parlando Al la trattenne.

« Ma come, Quinn » gracchiò. « Sei una sportiva, non dovresti fumare ».

« Non sono affari tuoi ».

Quella secca replica era davvero poco da Quinn. Lei gridava, strepitava, dava in stridia isteriche. Estraeva la bacchetta, qualche volta. Ma quel tono era gelido, agghiacciante – in qualche modo lo ferì più dello schiaffo, delle insubordinazioni... di tutto.

« Ci tengo che la mia squadra sia in buona salute » replicò mestamente.

« Tu non tieni alla tua squadra » – Non tieni a me, dicevano i suoi occhi.

Albus deglutì. « Non dire cazzate, Quinn. Io tengo a voi » – Io tengo a te.

Lei scosse la testa. « Sono parole vuote » disse amaramente, prima di voltarsi e iniziare a salire le scale.

« Io vi voglio bene! » esclamò Albus, tentando di fermarla – Io ti voglio bene!

Quinn si fermò sulle scale per un istante, mentre Al fissava la sua schiena in attesa di una risposta. « Sei un bugiardo » sibilò, prima di mettere il piede sul gradino successivo e scomparire al piano superiore.

Albus aspirò una lunga boccata dalla sua sigaretta, rilasciando poi il fumo lentamente mentre l’aria della notte se lo portava via.





 


 

¹ Madama Fairchild – chiaro omaggio al personaggio di Sabrina Fairchild, interpretato da Audrey Hepburn.

² ‘Til Kingdom Come, Coldplay




Note dell’Autrice


Ebbene, eccomi qui!

Questo capitolo è un po’ più corto degli altri e chiaramente di passaggio. Non so se mi piace o no, in realtà. Spero piaccia a voi ;)

Siete tutti fantastici.

Bisous, Daph

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Beauxbatons e Durmstrang ***





 

Now we're back to the beginning

It's just a feeling and no one knows yet

But just because they can't feel it too

Doesn't mean that you have to forget.

Regina Spektor




27 ottobre 2021
Sala d’Ingresso, Hogwarts
Ora di colazione



TORNEO TREMAGHI


Le delegazioni di Beauxbatons e Durmstrang arriveranno alle 6 in punto di lunedì 30 ottobre. Le lezioni termineranno con mezz’ora d’anticipo e saranno interrotte fino al 2 novembre. Il giorno 31 gli studenti riporteranno borse e libri nei rispettivi dormitori e si riuniranno davanti al castello per salutare i nostri ospiti prima del Banchetto di Benvenuto.

Quando la mente di Lily Luna Potter registrò il messaggio contenuto nelle lettere cubitali del grosso cartello appeso in Sala d’Ingresso, il suo primo pensiero fu che nelle settimane successive ci sarebbe stato un gran bello scompiglio al castello. Ne seguì riflettere su quanto sarebbe stato divertente gettarsi nella mischia e piantare senza farsi notare le basi per qualche pasticcio, o anche semplicemente sedersi in un qualche punto dotato di una buona visuale e godersi lo spettacolo dell’arrivo dei nuovi studenti – o meglio, delle reazioni che gli allievi di Hogwarts avrebbero avuto in seguito allo giungere a destinazione delle delegazioni straniere. Le piaceva molto osservare i comportamenti altri – ne diveniva sempre più cosciente – e qualche volta aveva attraversato la sua mente il pensiero di potere forse diventare una brava Psicomaga, un giorno. Naturalmente non ne aveva fatto parola con nessuno.
Anche perché lei sarebbe diventata un pezzo grosso della Confederazione Internazionale dei Maghi, forse membro del Winzengamot. Ministro della Magia, magari, solo per il gusto di soffiare il posto a Molly. O forse no.
Non le piaceva molto pensare al futuro, a dire il vero, poiché era qualcosa che la faceva sentire in qualche modo insicura, dato che era inevitabile una certa inconsapevolezza per quanto riguardava ciò che sarebbe accaduto. Il passato l’aveva già vissuto, nello stabile e sicuro presente si muoveva con sicurezza. Ma il futuro... il futuro la spaventava.
Tuttavia, non poteva definire propriamente futuro ciò che sarebbe avvenuto di lì a una settimana, e l’arrivo delle delegazioni di Beuxbatons e Durmstrang non poteva che esaltarla almeno un poco – poco? Lily le viveva appieno le cose, gustava la vita a morsi decisi, seppur con la cautela di uscirne senza danno.
Inevitabilmente si ritrovò a pensare a quanto l’arrivo degli studenti stranieri sarebbe stato ancor più esilarante, con Gossip Witch ancora in giro. Parliamoci chiaro: era passato il tempo in cui desiderava il ritorno dell’ignota piantatrice di grane, solo che le sarebbe piaciuto vedere come l’anonima strega si sarebbe scatenata in un simile frangente.
Da lì i suoi pensieri finirono per posarsi su Jacob Greengrass, su quell’essere stata trattata da ragazzina che ancora le bruciava. Mentre si dirigeva da sola in direzione della Sala Grande – sempre a quei cinque o sei passi di distanza da Herman Hessler ormai divenuti canonici – si soffermò a pensare al ragazzo. Non era un pensiero che cercava di scansare, anzi: ultimamente le piaceva dilungarsi a riflettere su di lui, rievocando mentalmente tutti i loro ultimi incontri. O forse sarebbe stato più opportuno definirli scontri? Non lo sapeva, non con chiarezza. Il fulcro della questione era dopotutto piuttosto semplice: non poteva negare di provare in presenza di Jacob delle sensazioni particolari. Quando discuteva con lui, quando lo stuzzicava... si sentiva stranamente irrequieta, allo stesso modo in cui si esaltava alla notizia dell’arrivo degli studenti delle scuole straniere. Inizialmente aveva attribuito la cosa al vago senso di proibito che emanava il gesto stesso di flirtare con lui – insomma, Albus l’avrebbe strozzata sul serio! – poi però era stata costretta a concludere che non si trattava solo di quello, e che con ogni probabilità Jacob le piaceva, o perlomeno si sentiva attratta da lui. Fisicamente, prima di tutto. Okay, non che avesse molta esperienza in quel campo – certo, le era capitato di baciare dei ragazzi, e anche di pomiciare con qualcuno di loro, talvolta – ma i suoi trascorsi si fermavano lì. Ed era anche giusto che fosse così: in fondo aveva solo quindici anni.
Lily non era il tipo di persona abituata a mentire a se stessa. Intendiamoci, mentire agli altri sì – quello le riusciva bene, spesso e volentieri. Una volta Albus l’aveva definita il prototipo perfetto di bugiarda. Ma mentire a se stessa... quello no, non ne era porprio in grado, forse in virtù del suo orgoglio – per quante sciocchezze le fosse accaduto di combinare, non le era mai capitato di vergognarsi di se stessa o delle proprie azioni. Quindi non era durata che pochi illusori minuti l’autoconvinzione che Jacob le piacesse solo perché voleva riuscire laddove Dominique aveva fallito.
Che poi si poteva chiamare fallimento? La cugina aveva trovato la felicità, alla fine, e proprio con la persona più adatta a dargliene. Ma chi avrebbe saputo rendere Lily felice quanto Dominique lo era con Goldstein, se non Jacob?
Le piaceva parlare con Jake, punzecchiarlo, confrontarsi con lui. Le piaceva il modo in cui lo guardava e anche il pensiero di come sarebbe stato baciarlo – era un’immagine che suo malgrado le albergava spesso la mente negli ultimi tempi.
Ma anche prima, in realtà. Adesso capiva che essere chiamata Mostriciattolo da lui la infastidiva perché non voleva più essere considerata una bambina.
Lily conosceva i propri desideri e non se ne vergognava affatto: voleva sperimentare cosa si provi ad essere amati in maniera profonda, viscerale – e nel frattempo, magari, farsi anche quattro risate. Forse era proprio questo di Jacob ad affascinarla più di ogni altra cosa: la capacità che possedeva di amare davvero. E come riusciva a divertirla, a farla ridere – era come se il tempo che passava con lui fosse pieno, vero, intenso, per quanto potesse parere dall’esterno poco e non particolarmente significativo.
Sapeva di non essere innamorata di lui – sapeva di non esserlo ancora. Ma sapeva anche di volere per sé tutto l’amore di Jacob Greengrass, un giorno.
Nonostante non fosse in grado di mentire a se stessa, a tratti ci provava. Si diceva che si trattasse solo di una stupida fantasia senza fondamenti reali, senza sentimenti reali.
Si lasciò cadere sulla panca della Sala Comune accanto a Herman Hessler, ringraziando il cielo che sia Amarillide che Swanilda non fossero lì, impegnate com’erano in una punizione con Gazza, per essere state sorprese nell’aula di Pozioni dopo il coprifuoco.
Merlino sa cosa stessero combinando...
Non lo voleva sapere, no. E al tempo stesso si era stufata di passare il proprio tempo con due persone perennemente occupate a fingere di essere delle oche completamente prive di cervello. Okay, d’accordo, Amarillide era davvero stupida, ma Swanilda no. Da quanto aveva dedotto Lily, si amalgamava all’amica per non farla sentire troppo scema.
Ma chi le capisce, quelle due!
Non che le importasse qualcosa cercare di capirle, a dire il vero. Era solo uno spunto di riflessione, per pensare a qualcos’altro, poiché se continuava a pensare a Jacob sarebbe diventata un’ossessione e poi-
« Potter, mi stai ascoltando?! »
Lily si riscosse improvvisamente dai propri pensieri, degnando Herman di un’occhiata altezzosa, che il ragazzo ricambiò con l’espressione acida che gli era propria.
« Cosa c’è, Hessler? »
« Non mi stavi ascoltando! »
Roteò gli occhi. « Beh, forse se la pianti con quell’espressione la gente avrà più voglia di ascoltarti! » lo rimbeccò. « Sembra che tu abbia appena ingoiato un limone ».
Herman aggrottò le sopracciglia, scrutandola al di sotto di esse con i suoi occhi lucenti e astuti. I suoi capelli erano biondi e ricci, ma quel tipo di ricci che sta sempre in ordine. Lily li metteva sempre in paragone con i capelli di Al quando voleva far imbestialire suo fratello.
« Peccato » stava dicendo il compagno di Casa. « È qualcosa che ti sarebbe interessato ».
« E allora? » ribatté Lily in tono noncurante, sebbene la curiosità avesse immediatamente cominciato ad attanagliarle il fegato.
« E allora non te lo dirò più! »
« Che tenerezza » sospirò. « Sembri proprio un bambino ».
« Che simpaticona! »
« Un bambino odioso » ci tenne a puntualizzare.
Si sentì improvvisamente osservata, e sollevando lo sguardo incontrò con sua immensa sorpresa gli occhi azzurri di sua cugina Elizabeth, che la scrutava sospettosa al di sopra della sua cucchiaiata di fiocchi d’avena. Anche Lucrezia Goldstein sollevò il capo dal proprio piatto, rivolgendole un sorriso a trentadue denti.
« Ciao, Lily! » la salutò con entusiasmo.
« Ciao » rispose Lily, un po’ perplessa, prima di rivolgersi alla cugina. « Ciao, Lizzy » aggiunse.
Elizabeth sostenne il suo sguardo. « Ciao, Lily » pronunciò nella medesima intonazione.
Lily inarcò le sopracciglia. Era da un po’ che non aveva un faccia a faccia con l’undicenne, che a quanto pareva doveva essere diventata ancora più impunita di quanto non ricordasse.
Lizzy dispettosa, pensò. Quasi ridacchiò fra sé e sé nel ricordare che James la chiamava Lily dispettosa, quando da piccola non faceva altro che sobissarlo di tiri mancini.
Devo essere stata davvero una bambina insopportabile, si ritrovò a pensare, e pensò anche che i fratelli stravedevano per lei comunque.
Le due ragazzine continuavano a fissarla in silenzio, salvo poi spostare contemporaneamente i loro grandi occhi su Hessler – sul cui volto l’espressione acida aveva lasciato il posto a una certa perplessità.
Poi Lucrezia parlò. « Tu sei il fratello di Bernice » affermò.
« Grazie per l’informazione » replicò secco il ragazzo.
« Sei simpatico quasi quanto lei » osservò Elizabeth in tono innocente. Lucrezia le assestò una gomitata in mezzo alle costole.
Suo malgrado si ritrovò a scambiarsi con Herman un’occhiata esasperata.
« Voi due siete fidanzati? » domandò poi la piccola Goldstein in tono petulante.
Eh?!
« Che cosa?! » esclamarono lei e Herman al contempo. « No! »
Lizzy fece un ghignetto, Lucrezia scrollò le spalle. « Beh, mi sembrava » si giustificò, con l’aria di non dolersene affatto.
Lily si scambiò di nuovo uno sguardo con Hessler, che sembrava esterrefatto.
« Cosa ve lo fa pensare? » domandò cautamente alle due ragazzine.
Due maledette ragazzine con le contropalle.
Lucrezia fece mostra di un sorriso denso di sfacciataggine. « Beh, girate sempre negli stessi posti » fece notare.
« Seguiamo gli stessi corsi » replicò Lily, scandendo attentamente le parole. « È logico che siamo sempre negli stessi posti ».
Lizzy e Lucrezia si scambiarono uno sguardo che non le sfuggì.
« Non solo in classe o in Sala Comune » fece la piccola Dursley. « Anche fuori ».
Herman parve sinceramente perplesso, mentre Lily capì perfettamente a cosa si riferissero, maledicendosi per non essere stata più attenta nel seguire il ragazzo.
Anche Jake se n’è accorto.
Ma Jake non c’entrava – lui si accorgeva sempre di tutto, specie quando c’era Lily di mezzo.
Che irritante mancanza di fiducia.
Si chiese cosa diamine avessero in mente le due piccole Serpeverde.
« Ad ogni modo » esordì, ben sapendo che Hessler non doveva sospettare assolutamente nulla, « anche se fosse, non sarebbero cose che vi riguardano. Quindi filate, sciò! »
Fece con la mano il gesto che aveva tante volte visto Dominique ripetere, una secca rotazione del polso, quasi stesse scacciando una mosca irritante. Le due bambine alzarono gli occhi al cielo, poi Lizzy si alzò dicendo qualcosa a proposito del libro di Incantesimi, e Lucrezia la seguì, non mancando di salutare allegramente Lily e Herman. Il quale attese che se ne fossero andate prima di sogghignare.
« Ancora tenti di emulare tua cugina, Potter? »
« Ti rendi conto di essere davvero pesante? »
Lui strinse gli occhi. « Sì » ammise.
« Bene, allora taci ».
Lily sollevò lo sguardo sulla tavola, dove imperversavano le chiacchiere sul Torneo – le delegazioni straniere, i Campioni, il Ballo del Ceppo – e incontrò lo sguardo di Jacob, non sorprendendosi più di tanto nello scoprirlo fissato su di sé. A colpirla fu invece l’espressione che albergava nei suoi occhi. Apparivano in qualche modo foschi, tormentati. Si chiese se non fosse stata lei stessa la causa di ciò, accorgendosi improvvisamente che quella era una speranza.
Sostenne lo sguardo di Jacob con fermezza, tendendo un angolo della bocca in un sorrisino cospiratorio. Lui ricambiò con un cenno del capo, inarcando brevemente le sopracciglia, e per un istante Lily ebbe la certezza che le loro menti fossero state attraversate dallo stesso, silenzioso pensiero. Ossia le loro fronti premute l’una contro l’altra, le labbra che si scontravano e poi si cercavano.
Vide Jacob distogliere lo sguardo in fretta, puntandolo in direzione del tavolo di Grifondoro. Lily fece lo stesso, rendendosi conto di quale fosse il vero problema: Albus.
“Peccato che non mi ci voglia molto ad andare a riferire tutto ad Albus.”
Comprese immediatamente che agli occhi di Jacob quella costituiva davvero una minaccia consistente. Gli gettò un’occhiata di sottecchi, e non poté non notare che la sua espressione era mutata in maniera quasi impercettibile.
Bastò a dimostrarle che a breve il pensiero di cosa avrebbe detto Al sarebbe contato ben poco.


It started out as a feeling

Which then grew into a hope

Which then turned into a quiet thought

Which then turned into a quiet word...



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29 ottobre 2021
Kingston, Surrey
Tarda mattinata


Harry non amava tornare nel Surrey. Ogni volta era come viaggiare con una Giratempo e tornare alla propria sgradevole infanzia presso zia Petunia e zio Vernon. Per carità, adesso era in rapporti che si sarebbero potuti definire buoni con suo cugino Dudley – la piccola Lizzy frequentava persino Hogwarts! – ma era stato lieto, ad esempio, che si fossero occupati Dudley e la moglie di accompagnare la figlia a Ottery St Catchpole, non costringendolo a tornare a Privet Drive per poterla condurre alla Tana.
Kingston era ragionevolmente lontana da Little Whinging, ma il Surrey continuava a non piacergli. Tuttavia, trattandosi di dirigersi lì per questioni di lavoro, proprio non poteva rifiutarsi. Nella sua carriera di Auror aveva imparato da un bel pezzo che laddove le forze di polizia Babbane fallivano, toccava a loro intervenire.
Aveva con sé il promemoria interufficio mandatogli da Roger Davies dieci giorni prima – davvero erano passati solo dieci giorni? Harry aveva avuto una settimana talmente impegnata che gli pareva fosse trascorsa una vita. In primo luogo c’erano stati i problemi all’Accademia Auror, dove aveva avuto luogo un altro blackout solo cinque giorni prima.
Erano molto rari i blackout nel Mondo Magico, poiché tutte le apparecchiature non funzionavano semplicemente per mezzo della corrente elettrica, ma tramite sistemi di Elettromagia. Si trattava di una branca di studi cui il suo suocero Arthur era molto affezionato, e che consisteva in una sintesi di magia e scienze Babbane utilissima per ottimizzare l’uso degli elettrodomestici – sebbene Harry sapesse quanto questi ultimi fossero il più delle volte piuttosto antiquati. Il fatto è che i blackout all’Accademia Auror sembravano davvero inspiegabili. I tecnici adibiti a scoprire cosa fosse accaduto erano sempre più perplessi, e Harry non riusciva a schiodarsi una brutta sensazione dal petto.
« Suvvia, Harry » Ron aveva liquidato le sue ansie da stress con un sorriso comprensivo. « È solo un blackout. Stai diventando come Malocchio ».
I loro occhi, così come quelli di Kingsley, si erano tinti d’affetto e nostalgia nell’udire il nome del loro amico perito in guerra.
« Vigilanza costante » aveva mormorato Harry sovrappensiero.
« Malocchio mancherà sempre a tutti » aveva sospirato Kingsley. « Ma, Harry, questa volta sono d’accordo con Ronald. Penso sia solo un blackout ».
« Ma è stata costruita da poco quella sede! » aveva insistito Harry. « Gli impianti sono nuovi di zecca! »
« Ci sarà un guasto » era stata l’obiezione del Ministro.
Harry aveva avuto l’impressione di essere circondato da persone assolutamente ottuse. Si sentiva sempre più frustrato, e fu per questo che sbuffò rabbiosamente.
« Credetemi, state prendendo un granchio » aveva sbottato. « Qui c’è davvero qualcosa che non va, possibile che non lo capiate? »
Si chiedeva come fosse possibile che dopo tutti quegli anni i problemi fossero sempre gli stessi. Gli altri credevano che fosse diventato paranoico, ma...
« Harry, vedi guai dappertutto ».
« È sempre stato così! » era stato il commento allegro di Hestia.
Harry in quel momento l’avrebbe affatturata volentieri.
« Beh, peccato che i guai fossero davvero dappertutto! » aveva ringhiato.
« Non prendertela con Hestia » l’aveva rimbrottato Kingsley. « Come procedono le indagini per la scomparsa di quella ragazza Babbana? ».
Le indagini sulla scomparsa di Tamara Graysand erano state per giorni bloccate a un punto morto, poiché c’era voluto del tempo per ottenere i permessi necessari a indagare sul posto. Tuttavia, non per questo i giorni di Harry erano stati meno impegnativi.
Prima di tutto c’era stato l’annuncio della gravidanza di Grace a tutta la famiglia. Come previsto, Molly aveva iniziato a emettere gridolini estatici, chiedendo piena di entusiasmo se si sarebbero sposati dopo o prima la nascita del bambino, poiché in tal caso sarebbe stato necessario un abito dal taglio diverso per la sposa. A quanto ne sapeva Harry, Grace e James ancora non avevano parlato di sposarsi, e si era dispiaciuto nel vederli in difficoltà di fronte a tali domande – lui e Ginny avevano subito interrogatori simili, anni prima, e sapeva bene quanto potessero rivelarsi imbarazzanti.

Come se non bastasse, nei giorni successivi i due avevano litigato. Gli era subito parso chiaro quando aveva visto James con un aspetto decisamente mogio, una mattina che era passato in quella che fino a tre mesi prima era casa sua, per prendere dei libri che aveva lasciato lì.
Harry l’aveva intercettato in corridoio ed era bastata un’occhiata perché il figlio maggiore spiattellasse la verità. A quanto pareva, James aveva tentato di suggerire a Grace che sarebbe meglio se lei non avesse frequentato le lezioni in Accademia finché il guasto non sarebbe stato riparato. Naturalmente Grace – i cui nervi erano già messi duramente alla prova dalle violente nausee mattutine – aveva reagito malissimo, infuriandosi e insistendo sul fatto che “lei era incinta, mica ammalata!”. James aveva provato a insistere, e alla fine per calmare la ragazza era stato necessario l’intervento di Dominique.
Harry poteva capire il figlio, poiché anche lui provava un fortissimo istinto di protezione verso coloro che amava: avrebbe voluto vederli sempre assolutamente al sicuro. Tuttavia, credeva che anche il punto di vista di Grace fosse perfettamente comprensibile, giacché una personalità spumeggiante come quella della ragazza si sarebbe annoiata da morire, chiusa in casa.
Ed effettivamente ha ragione lei.
Ma non poteva – e non intendeva – negare che tutta quella faccenda dei blackout gli mettesse addosso una certa ansia.
Si costrinse a riscuotersi dai suoi pensieri, concentrandosi piuttosto sull’incarico che doveva svolgere. Abbassò nuovamente lo sguardo sul promemoria interufficio che teneva fra le mani, ormai uno spiegazzato foglio violaceo dove si potevano leggere le seguenti parole:


Da: Roger Davies, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia

A: Harry Potter, capo del dipartimento Auror


Segnalazione scomparsa donna Babbana.

Nome: Tamara Graysand;

Età: ventitré anni;

Luogo della scomparsa: Kingston, Surrey;

Cause: ignote.


« Ci siamo » disse Hestia.
Ron annuì. « È il momento di fare il nostro sopralluogo » convenne.
Harry si guardò intorno. L’asfalto della strada dove si trovavano era picchiettato di pioggia, e sulla via si affacciava una serie apparentemente infinita di villette a schiera praticamente identiche. Quella di fronte alla quale si trovavano appariva particolarmente mal tenuta, con tutti gli scuri serrati. Proprio lì era stato detto loro di dirigersi dalla polizia Babbana, che aveva ricavato tale informazione dall’interrogatorio di una certa Jenny Squalor, la quale a quanto pareva era l’amica del cuore della giovane Tamara, sua compagna di sballi notturni.
Già, perché la figlia del ministro del Tesoro John Graysand non conduceva affatto quel che si dice una vita tranquilla, anzi: a sentire la polizia Babbana il suo volto finiva spesso sulla prima pagina delle più celebri riviste di pettegolezzi, spesso in compagnia della bella faccia di un qualche attore famoso e di alcolici e stupefacenti illegali.
Una vita depravata, era stato il pensiero di Harry, che aveva provato nei confronti di quella ragazza una certa pietà.
Jenny Squalor, adesso tenuta al sicuro da una pattuglia di guardie del corpo – che a sua ovvia insaputa comprendeva anche due Auror – aveva dichiarato durante il suo interrogatorio che negli ultimi tempi Tamara tendeva a cercarla più raramente.
« Lei, ecco... » erano state le parole udite da Harry nella registrazione che era stata procurata loro, parole pronunciate in tono tremulo e disperato. « Lei non si comportava proprio come... come sempre. Mi chiamava meno spesso, insomma. Ho pro-provato a chiamarla io, ma lei... lei rispondeva con voce cattiva, diceva di non avere tempo per me. Ci sono rimasta male e non l’ho chiamata più, ma... continuava a non cercarmi ».
« Da quando Tamara ha iniziato a comportarsi in questo modo, Jenny? »
« M-mi sembra da quella volta che siamo andate alla casa ».
« A quale casa ti riferisci? »
« N-non lo so ».
« Non ricordo dove si trova? »
« Io... non lo so, ha guidato sempre Tam ».
« Non hai guardato la strada? »
« All’andata p-pensavo a parlare con lei. Con Tam ».
« E al ritorno? »
« Al ritorno... ecco, ero strafatta, credo. Non ricordo... non ricordo niente ».
« Cosa è successo in quella casa? »
« C’era... c’era della gente vestita in modo strano. Cantavano, cantavano in una lingua che non conoscevo. Sembrava latino, credo ».
« Era una canzone vera e propria? »
« No, non credo... più che altro una bassa litania, non so se mi spiego ».
« Cosa è accaduto, Jenny? »
« Io... non lo so di preciso. So solo che a un certo punto non vedevo più Tamara, ma poi ho ingoiato delle pillole, e... non so, credo di essermi addormentata. Poi mi ha svegliata Tam e mi ha detto che dovevamo andare via ».
« Sai per caso che ore fossero? »
« No, però immagino che fossero le tre o le quattro. Di solito andavamo via a quell’ora dai locali ».
« Che aspetto aveva Tamara quando ti ha svegliata? »
« Era... strana. Non sembrava lei, ecco ».
« Che cosa intendi? »
« Di solito... di solito Tam sembrava sempre piena di... di sentimenti, di emozioni. E invece quella volta... sembrava vuota. Ecco, sì. Vuota... vuota è la parola giusta ».
Harry si passò stancamente una mano sulla fronte, poi si decise a parlare. « Andiamo » disse, pensando che sarebbe stato meglio attendere prima di riferire ai colleghi il resto dei suoi sospetti. Probabilmente lo avrebbero di nuovo accusato di essere solo un paranoico se avesse rivelato ciò che aveva dedotto. Gli pareva quasi di poter udire la voce di Ron mentre si dilungava su quanto fosse improbabile che una Babbana fosse stata messa sotto la Maledizione Imperius.
Come al solito, si mangeranno le mani quando scopriranno che in realtà avevo ragione, pensò amaramente.
Con un po’ di fatica e la collaborazione di Jenny, la polizia Babbana era riuscita a rintracciare l’abitazione di cui la ragazza aveva parlato durante l’interrogatorio. Harry si avviò sul viottolo, seguito da Hestia e Ron, la mano destra sotto la giacca, serrata attorno alla bacchetta magica. Fra i mattoni del viottolo cresceva uno sgradevole muschio verdastro e il fazzoletto di giardino era infestato da più erbacce di quante ne potesse contenere.
Giunti al termine del vialetto, Harry spinse la porta e scoprì che era aperta. Non appena lui e i suoi colleghi furono all’interno – riparati dalla vista dei Babbani – estrasse la bacchetta e pronunciò un Lumos sottovoce, illuminando un ingresso sporco e ingombro di rifiuti di ogni genere. Era chiaro che la casa era disabitata da almeno un paio di mesi, ma sembrava che negli ultimi mesi in cui qualcuno era vissuto lì a occuparla era stato un gruppo di pazzi.
« Homenum Revelio » sussurrò Hestia, ma non accadde nulla.




****



30 ottobre 2021
Sala d’Ingresso, Hogwarts
Quasi le sei di pomeriggio


« Scorpius? »
Nel sentirsi chiamare improvvisamente da quella voce così familiare, quasi sobbalzò.
« Come va, Lucy? » domandò, rigido.
La ragazza lo guardò dritto in faccia con espressione statica. Le sue sopracciglia erano aggrottate e il suo sguardo indecifrabile al di sotto di esse.
« Relativamente bene » sospirò dopo un istante di silenzio.
« Mi fa piacere » commentò bruscamente.
« Hai cinque minuti? » replicò Lucy, quasi in tono di sfida.
Mancavano ancora una ventina di minuti alle sei – orario in cui tutta la scolaresca avrebbe dovuto trovarsi nel parco – quindi annuì. « Sì » aggiunse, giusto per rimarcare il concetto.
« Potresti spiegarmi per quale motivo mi hai mollata alla sala da tè di Madama Piediburro? » chiese lei.
Scorpius proruppe in una risatina amara. « Lucy, sono passate due settimane. Se per te era così importante, avresti potuto chiederlo prima. Ne hai avuto tutto il tempo, non credi? »
« Lo credo » convenne la ragazza. « Ma francamente mi sono sentita un po’ umiliata. Non avevo voglia di chiedertelo, a dire il vero ».
Come abbiamo fatto a ridurci così?
Era la prima volta che sentiva Lucy parlare così duramente, e lo fece sentire un poco in colpa la consapevolezza di essere la causa di tutto ciò. Tuttavia, era cosciente di essere dalla parte del giusto, e non permise al rammarico di sovrastare le sue buone ragioni.
« Penso di avertelo spiegato abbondantemente da Madama Piediburro » disse seccamente.
« In quel momento ti sei fatto prendere dalle emozioni » mormorò Lucy. « Ero talmente perplessa che credo di non aver compreso il reale senso di quello che stavi dicendo ».
« Perché sei voluta andare proprio da Madama Piediburro? » le chiese. « Hai sempre detto di detestare quel posto ».
« Lo detesto, infatti ».
« E allora? Perché? »
Scorpius tacque. Per fortuna nessuno sembrava star prestando loro attenzione: gli studenti che si dirigevano al parco erano troppo entusiasti per l’ormai prossimo arrivo delle delegazioni da notare che loro due non accennavano ad andarsene di lì.
Lucy sospirò. « Non lo so » fu la sua risposta. « Forse sentivo che sarebbe finita, chissà ».
« Lucy » Scorpius era sempre più esasperato, « ti sembra una motivazione decente? »
Lei questa volta sbuffò, spostandosi una ciocca di capelli dal viso con un gesto brusco, che gli ricordò straordinariamente Dominique – il che non aveva senso. Ma cosa sembrava averne?
« Ti ho detto » chissà perché le parole della ragazza suonarono in qualche modo categoriche, definitive, « che non lo so ».
« Non lo sai » ripeté Scorpius, quasi volesse imprimere al meglio quelle parole nella propria mente.
« Non lo so » convenne lei. « Mi sento confusa. Non so perché mi sono comportata in questo modo, non so niente di niente ».
Sorprendentemente, Scorpius si ritrovò a provare nei suoi confronti una certa pietà.
« Perché in biblioteca mi hai baciato? » domandò quasi automaticamente.
« Forse » parve esitare, « forse volevo solo cercare di convincermi che non fosse realmente finita. Poi tu hai ricostruito il nostro primo incontro, e io- »
« Ah, bene! » esclamò Scorpius, amaro. « Quindi adesso è colpa mia! »
Lucy sembrava frustrata. « Non ho detto questo! » ribatté. « E neanche lo penso. E smettila di capire quello che vuoi, okay? »
« Non sei nella posizione di- »
« Scorpius, non sto cercando di tornare assieme a te. Chiaro? »
Odiò il modo in cui quella frase era suonata tagliente. Odiò tutte quelle indecisioni. Non riuscì a odiare Lucy, però.
« Lucy » tentò di risultare freddo, « non c’è bisogno di rimarcare ancora il concetto. Mi sembra di essere stato io il primo a dire che è finita ».
« Appunto » la ragazza sospirò stancamente, « ti rendi conto che stiamo dicendo la stessa cosa? Che stiamo litigando per qualcosa su cui la pensiamo allo stesso, identico modo? Non contesto la tua decisione. Voglio solo capire le motivazioni che ti hanno spinto a prenderla! »
Era raro sentire Lucy parlare in modo tanto accorato. Una parte di Scorpius ne fu contento per lei: si stava finalmente svegliando. E, adesso lo capì appieno, questo costituiva un bene.
Non parlò finché non fu certo di riuscire a mantenere la calma. « Non ti sei comportata in maniera » scelse con cura le parole da usare, « in maniera comprensibile. Continui a fuggire. Stai facendo gli stessi errori di Dominique, e io... io penso di essere uno di quegli errori. Prendi sempre tempo perché non vuoi accettare la verità. E poi... » sospirò profondamente prima di proseguire, « poi credo di non amarti più ».
Lo sorprese l’assoluta mancanza di reazioni a quelle sue parole, poi comprese: Lucy lo sapeva, l’aveva intuito da tempo, solo che non riusciva a trovare la forza di ammetterlo.
« E tu non ami più me » concluse, forte di quella nuova consapevolezza.
L’espressione di Lucy si fece in qualche modo grave, poi la ragazza abbassò gli occhi. « In effetti è così » mormorò. « Vorrei che tu non mi odiassi ».
« Lucy, non ti odio » replicò Scorpius. « Ci ho provato più volte, ma non ci sono mai riuscito ».
« Bene » commentò lei con voce stentorea. Scorpius ebbe l’impressione che Lucy avesse appena posto l’ultima pietra del muro che aveva costruito fra loro due.
« Lucy... »
Voleva dirle di non fuggire. Voleva dirle di non farsi del male, di non rovinarsi ancora di più di quanto non avesse già fatto. Voleva dirle tante cose, ma la sua voce fu coperta da quella della preside Sinistra.
« Mancano solo cinque minuti alle sei » disse la donna. « Fra cinque minuti dovrete essere tutti al parco, radunati casa per casa ».
Scorpius e Lucy coprirono insieme parte del percorso, ma una volta giunti all’aperto dovettero dividersi, lui in direzione dei compagni Serpeverde e la ragazza verso i Grifondoro, radunati attorno al professor Paciock. Il giovane Malfoy si soffermò per un momento sulla figura di Albus, che non si accorse del suo sguardo, preso com’era a scalpitare per l’arrivo delle delegazioni straniere.
Scorpius sapeva quanto l’amico ci tenesse a mettere il proprio nome nel Calice di Fuoco. Lui stesso aveva ponderato a lungo sulla questione, beandosi dell’idea di poter forse divenire Campione di Hogwarts, ma alla fine aveva scelto di non iscriversi.
Non è che io muoia dalla voglia di essere mollato in un’arena assieme a chissà quale creatura.
Negli ultimi giorni il castello era stato ripulito a fondo. Gazza si era impegnato a scrostare parecchi ritratti ormai sudici, con il più completo disappunto dei loro soggetti, che non sembravano gradire il rosa acceso che adesso aveva preso la loro carnagione. Ogni angolo della scuola era stato lucidato fino a scintillare, e il Barone Sanguinario si era incaricato di terrorizzare Pix affinché non combinasse troppi danni, nonostante gli studenti sapessero perfettamente che non sarebbe durata. Quella mattina scendendo – o come nel suo caso salendo – in Sala Grande gli studenti avevano scoperto che durante la notte era stata addobbata con vistosi stendardi di seta appesi alle pareti, ciascuno recante lo stemma araldico di una delle quattro case. Lo stendardo appeso dietro al tavolo delle autorità, invece, portava impresso il blasone di Hogwarts – il leone, l’aquila, il tasso e il serpente riuniti sotto un’enorme H.
Scorpius si affrettò a raggiungere i compagni di casa. Al suo arrivo, Jacob gli scoccò un’occhiata interrogativa, cui rispose facendo cenno che ne avrebbero parlato più tardi. Bernie – che negli ultimi tempi pareva aver finalmente deciso di non assillare più la povera Rose – era da qualche parte a svolgere i propri doveri di Caposcuola.
Cercò Rose con lo sguardo, e lo stupì vederla solo pochi metri più in là in compagnia di Christine De Bourgh. L’altra ragazza le stava dicendo qualcosa che Rose ascoltava con espressione scettica, ma parvero in qualche modo in complicità. C’era una certa familiarità nei loro gesti, nel modo in cui Rose sbuffò e poi scosse la testa celando un sorrisetto nel vedere l’altra ridacchiare. Sembrava quasi che fossero diventate amiche. Con loro c’era Gwyneth Parkinson – una delle numerose ragazze che Jacob aveva avuto prima di mettersi con Dominique. A Scorpius pareva di ricordare che fosse finita perché l’aveva tradita proprio con Rose, ma preferì non pensarci. Sembrava fosse trascorsa una vita.
Gli fece piacere vedere Rose in compagnia delle sue compagne di casa piuttosto che nella costante solitudine che perpetuava ormai da troppo. Quasi l’avesse chiamata, improvvisamente la ragazza volse il capo nella sua direzione e gli rivolse uno sguardo in qualche modo sospeso – sguardo che Scorpius però credeva di essere in grado di interpretare. Voleva dire: Ehi, non ti sorrido solo perché non ne ho voglia.
« Cos’è quel sorriso? » chiese Jacob, sospettoso, prima di riprendere a sbirciare di sottecchi in direzione delle studentesse del quinto anno, proprio come – Scorpius se ne accorse solo adesso – aveva fatto fino a quel momento.
« Cos’è quello sguardo? » lo prese in giro Jacob di rimando. « Ti sei preso una cotta per Amarillide Stubbins, per caso? »
« Eh?! »
Di fronte all’espressione esterrefatta dell’amico, Scorpius scoppiò a ridere. « Okay, non per la Stubbins » concesse. « Troppo oca. Swanilda? Lei è abbastanza intelligente, credo, non- »
Improvvisamente, capì. « Jacob » parlò pianissimo, dopo essersi accertato che nessuno potesse udire. Il suo tono si era fatto vagamente allarmato. « Jacob, ti piace Lily? »
« Lily? » Jake sembrava sinceramente divertito. « Sei impazzito, per caso? »
Non sembrava che stesse mentendo, ma Jacob Greengrass aveva il vizio di mentire davvero molto bene.
« Perché no » finse di buttarla sullo scherzo, « è piuttosto carina. Ho notato anche io quanto è carina ».
Per un solo istante l’espressione di Jacob mutò quasi impercettibilmente prima che il ragazzo riuscisse a ricomporsi. Scorpius si complimentò con se stesso: era stata una gran mossa far leva sul punto debole di Jacob – la gelosia.
« Non mi freghi, Malfoy » disse poi l’amico in tono noncurante. « E comunque non mi piace. Albus mi ammazzerebbe ».
« Il fatto che Albus ti ammazzerebbe non sta necessariamente a significare che Lily non ti piaccia » lo contraddisse Scorpius, logico. « E comunque sì » aggiunse. « Albus ti ammazzerebbe, quindi ti conviene levartela dalla testa ».
« Ti ho già detto che non mi piace. Non farmelo ripetere un’altra volta, ti prego ».
Scorpius stava per ribattere, ma la voce del professor Lumacorno tuonò, sovrastando la sua.
« Mie piccole serpi » parlò in tono amorevole, sorridendo suadente. Passò in rassegna gli allievi con lo sguardo e accennò in maniera quasi impercettibile alla cravatta di Scorpius, prima di proseguire: « Siete splendidi, come sempre. Portate onore alla nostra Casa! »
Detto ciò, si piazzò di fianco ai propri studenti, probabilmente già pregustando il maiale in salmì che avrebbe mangiato al banchetto di benvenuto.
« Scorpius, sei un disastro » commentò Jake, ostentando una finta espressione esasperata, per poi allungare una mano verso di lui e sistemare il nodo della sua cravatta a bande verde-argento con un paio di mosse rapide e sicure.
« Grazie » fece Scorpius, e sollevando la testa si trovò con sua immensa sorpresa a incrociare lo sguardo di Herman Hessler, il suo antipatico portiere, che si affrettò a distogliere gli occhi.
Il sole stava ormai tramontando, e una pallida luna brillava quieta oltre le nubi rade.
« Chissà se arriverà prima la delegazione di Beauxbatons o quella di Durmstrang » disse Jacob, sovrappensiero.
« Papà mi ha detto che all’altro torneo sono arrivati prima gli studenti di Beauxbatons » rispose lui. « Quindi ci conviene guardare verso il cielo, credo ».
Poco dopo, accadde. Annunciata dal brusco trattenere di fiato di uno studente del secondo anno, qualcosa di molto grande si precipitava nel cielo scuro in direzione del castello. Una volta che la gigantesca figura fu abbastanza vicina da essere illuminata dalle luci del castello, fu loro possibile riconoscere la sagoma di una mastodontica carrozza di un blu polveroso, trainata da una dozzina di cavalli alati grossi come elefanti.
Le prime tre file di studenti furono costrette a ritrarsi mentre la carrozza planava al suolo e compiva un atterraggio non troppo leggiadro.
Scorpius notò che sulla porta della carrozza c’era un blasone che immaginò essere lo stemma della scuola, costituito da due bacchette d’oro incrociate da cui spuntavano tre stelle ciascuna. Poi la porta si aprì, e uno snello ragazzo vestito di seta azzurro pallido balzò agilmente dal predellino e si curvò per estrarre dei gradini d’oro da chissà dove, salvò poi ritrarsi educatamente per lasciare spazio alla donna che stava uscendo in quel momento dalla porta. Era di media altezza, sottile come un giunco, elegantemente abbigliata in lucente satin blu. I suoi capelli biondi erano raccolti morbidamente sulla nuca e i suoi tratti sembravano decisamente piacenti anche a quella distanza.
Una volta che la donna – che i ragazzi supposero fosse la preside di Beauxbatons – fu scesa, i suoi studenti la seguirono, raggruppandosi dietro di lei e rabbrividendo al più rigido clima inglese.
La preside Sinistra applaudì educatamente e gli studenti la imitarono assieme agli altri insegnanti – Lumacorno con entusiasmo quasi eccessivo, come notò Scorpius celando una risata.
La donna sorrise graziosamente, per poi avvicinarsi alla Sinistra.
« Benvenuta, Geraldine » la salutò quest’ultima con un’inaspettata assenza di formalità.
« Aurora! » le si rivolse l’altra in un impeccabile inglese. « Quanto tempo! »
Si salutarono con sincero piacere.
« I miei studenti » Geraldine – Scorpius non conosceva il suo cognome – fece cenno con orgoglio ai ragazzi dietro di lei, che battevano i denti dal freddo.
« Viktor sarà qui a momenti » la Sinistra ancora sorrideva. « Volete entrare dentro a scaldarvi un poco? »
« Oh, no » l’altra rifiutò cortesemente. « Possiamo attendere ».
Molti dei suoi studenti non sembravano dello stesso avviso, ma non vi furono proteste. La preside di Beauxbatons si mise a fianco della Sinistra, e si chinò per sussurrare qualcosa al suo orecchio.

« Credi che si conoscessero già? » mormorò Scorpius, sporgendosi verso Jacob.
Quest’ultimo sbuffò. « Mi sembra ovvio. Devono avere all’incirca la stessa età, e lei parla perfettamente l’inglese. Forse frequentava anche lei Hogwarts. Forse frequentavano Hogwarts insieme ».
Scorpius voleva dirsi dello stesso avviso, ma poi si accorse che qualcosa stava accadendo dalle parti del lago. La superficie dell’acqua, solitamente quasi liscia, era increspata da onde tumultuose, che aumentarono di intensità fino a creare un vortice, e dal vortice... qualcosa di simile ad un palo iniziò a fuoriuscire, portandosi dietro il sartiame, e poi... poco alla volta, una nave sorse dalle acque. Aveva un aspetto scheletrico, le nubi sembravano consumate e nel complesso l’imbarcazione pareva sopravvissuta a un naufragio, ma dai boccaporti scintillavano centinaia di luci, come se una Hogwarts in miniatura fosse d’un tratto sorta dal lago.
Si udì il tonfo di un’ancora gettata sul fondo e una passerella venne gettata a riva. In breve figure vestite di pesanti pellicce iniziarono a muoversi per la passerella, una delegazione più numerosa di quella di Beauxbatons. Non ci volle molto prima che gli ospiti stranieri raggiungessero le scolaresche in attesa.
Scorpius guardò il preside di Durmstrang, che precedeva i suoi studenti con impressa sul volto una sorta di solenne allegria. Quel volto aveva qualcosa di familiare... gli sembrava di conoscere quelle folte sopracciglia nere, quel profilo deciso. Improvvisamente, capì.
« Benvenuto, Viktor » la Sinistra sorrise in segno di benvenuto.
« Preside Sinistva » salutò educatamente Viktor Krum con il suo marcato accento, accompagnando il saluto con una sorta di piccolo inchino formale. « Hogvarts è sempve un luogo che fale la pena fisitare ».
« E Hogwarts è lieta di averti di nuovo qui, quest’anno! »
Scorpius si sentì assestare una robusta gomitata nelle costole. Era Bernie, appena ricomparso da chissà dove.
« Hai visto? » sorrise, entusiasta. « Non sapevo che il preside di Durmstrang fosse Viktor Krum ».
« Non lo sapevo neanche io » fece Scorpius, mentre osservava Krum stringere la mano alla direttrice di Beauxbatons. « Non ne avevo proprio idea ».









Note dell’Autrice

Che gaudio! Stavolta sono persino in anticipo rispetto alla tabella di marcia!
Ovviamente il capitolo doveva includere più cose, come al solito, ma non volevo ammorbarvi con tredici pagine filate, ecco.
Ho notato che il feedback è un po’ calato, ma spero in un pronto risollevamento ;) le vacanze dovrebbero collaborare, suppongo.
Grazie a tutti voi, davvero <3
Bisous


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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Relief ***




s


It took a moment before I lost myself in here

It took a moment and I could not be found?

Again and again and again and again

I see your face in everything...

30 Seconds To Mars


31 ottobre 2021
Dormitorio dei Serpeverde
Fin troppo presto per i gusti di Scorpius

Non fu un risveglio particolarmente gradevole.

Quando si destò di soprassalto, scattando a sedere sul letto, Scorpius aveva il fiato corto e il cuore che batteva all’impazzata, la fronte ricoperta da un velo di sottile sudore. Se lo asciugò col dorso della mano, tentando di placare i battiti furiosi del suo cuore. Una volta che fu riuscito a calmarsi, si lasciò sfuggire un sospiro dalle labbra e si abbandonò nuovamente sulle coltri disfatte. Fissò lo sguardo sul velluto verde smeraldo del baldacchino sopra di sé, cercando di raccogliere i ricordi del sogno appena concluso. Riusciva a richiamarne alla mente solo degli sprazzi, brevi immagini che non era in grado di assemblare per ricostruire qualcosa che avesse almeno un vago senso. Ricordava solo un pressante senso di angoscia e la netta sensazione che ci fosse qualcosa che non tornava. Qualcuno era in pericolo, rammentò. Ma chi?

Chiuse gli occhi, cercando di riaddormentarsi per qualche minuto – ma aveva ormai raggiunto quello stadio in cui pur, sentendosi addosso una certa sonnolenza, non si riesce ad abbandonarsi ad essa. Si tirò su nuovamente e si sporse in avanti per spalancare le cortine verdi. Nonostante la luce nei sotterranei fosse fioca e tendente al verdastro, gli parve quasi di esserne abbagliato, abituato com’era al buio del suo baldacchino chiuso ormai da diverse ore.

Lo lasciò di stucco – o forse non lo sorprese affatto – vedere un Jacob perfettamente sveglio e completamente vestito seduto sul letto, apparentemente perso nei propri pensieri. Quasi avesse percepito lo sguardo di Scorpius, si voltò nella sua direzione.

“Buongiorno,” lo salutò con voce inespressiva, serissimo e con espressione indecifrabile.

“Bu-buongiorno,” sbadigliò Scorpius di rimando. “Cos’è quella faccia piatta?”

Jacob si limitò a inarcare le sopracciglia con aria di superiore scetticismo.

“Stai diventando come Rose,” rincarò lui, soffocando l’ennesimo sbadiglio.

“Non penso proprio,” borbottò Jake. “Quella vede il male ovunque.”

“Perché, tu no?”

Jacob alzò gli occhi al cielo e parve deciso a surclassare sul resto della conversazione, poiché dopo pochi istanti di silenzio iniziò a parlare di tutt’altra cosa.

“Se ti vesti possiamo andare in Sala Grande,” disse, mentre si alzava dal letto e prendeva la bacchetta dal comodino. “È presto per la colazione, ma non sarebbe male dare un’occhiata a chi si candida per il Tremaghi.”

“Pensavo che non volessi offrirti,” commentò Scorpius, tirandosi in piedi a propria volta e frugando nell’armadio alla ricerca di una camicia pulita. Si pose proprio davanti all’anta aperta, affinché Jake non avesse la possibilità di criticare tutto quel disordine.

“Infatti non ne ho la minima intenzione,” replicò l’amico, divertito. “Voglio solo scoprire chi metterà il proprio nome del Calice.”

La sera precedente il banchetto era stato qualcosa di grandioso. Gli elfi domestici di Hogwarts avevano dato il meglio di sé, preparando oltre alle solite – e squisite – cibarie anche un gran numero di pietanze a loro sconosciute, probabilmente tipiche dei paesi di provenienza degli ospiti stranieri. Dopo il dolce, la preside Sinistra si era alzata in piedi e aveva presentato loro Percy Weasley, capo dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale e per la cronaca anche padre di Lucy, e Alicia Spinnet, ex-Cacciatrice dei Falmouth Falcons e attuale capo dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici. La signorina Spinnet fu salutata da applausi fragorosi.

Dopo un breve discorso, la preside aveva fatto cenno a Gazza di portare una grossa cassa al tavolo delle autorità. Quindi si era alzata in piedi e aveva roteato la bacchetta magica, svelando il Calice di Fuoco all’interno della cassa. La comparsa del Calice era stata accompagnata dalle grida meravigliate degli studenti del primo anno e dei ragazzi di origini Babbane. A quel punto, la Sinistra aveva spiegato loro il funzionamento dell’artefatto magico e spedito tutti a letto.

“Bernie dov’è?” chiese Scorpius.

Jacob scrollò le spalle. “Doveri da caposcuola. Ha detto così.”

“E se fosse andato a mettere il suo nome del Calice?”

L’altro ridacchiò. “Fidati, non l’ha fatto.”

Nel frattempo Scorpius aveva finito di vestirsi. Jake inarcò le sopracciglia nel vedere come aveva annodato la cravatta, ma non fece commenti.

Uscendo dalla Sala Comune, per poco non andarono a sbattere contro Rose Weasley, che entrava in quel momento.

Scorpius le sorrise. “Ciao, Rose.”

Lei ricambiò il suo sguardo con un’occhiata indecifrabile. “Ciao, Malfoy.” Gettò a Jake uno sguardo di sottecchi: “Greengrass,” constatò.

“Weasley,” le fece eco l’interpellato, guardandola male. Scorpius si chiese come mai.

Mentre si allontanavano lungo il sotterraneo buio, si rivolse a Jacob.

“Avete litigato?” chiese. “Tu e Rose, dico.”

“Non lo definirei propriamente litigio,” lo corresse Jake in tono pacato.

L’espressione di Scorpius si indurì. “E allora come lo definiresti?” replicò, animoso.

“Lo definirei Weasley è tutta matta.”

“Sì, ma perché?”

“Boh,” fece Jacob, vago. “Durante la partita contro i Grifondoro mi ha fatto una sottospecie di interrogatorio.”

“A che proposito?” cercò di metterlo alle strette.

Jacob alzò gli occhi al cielo, e Scorpius capì di averlo incastrato.

“Allora?” lo incalzò.

Jake capì di essere stato incastrato. L’unica via di uscita da quella situazione sarebbe stata parlare di Christine De Bourgh, ma in tal caso Scorpius gli avrebbe chiesto come mai si fosse alleato con lei, e quella era una domanda alla quale Jacob non poteva proprio rispondere. Rimaneva una sola possibilità, pensò con immensa frustrazione.

“Allora?” lo incalzò Scorpius.

“Lily Potter,” borbottò.

Non lo stupì vedere un’espressione trionfante farsi strada sul volto dell’amico. “Aha!” fece Scorpius. “Allora è vero che ti piace!”

Jacob roteò gli occhi, pur sapendo che a quel punto l’altro non se la sarebbe più bevuta. “Non mi piace. Non mi piace neanche un po’. È una ragazzina, e poi–”

“E poi Al ti ammazzerebbe,” concluse Scorpius per lui, con un sorrisino saputo impresso sulle labbra.

“Anche,” convenne Jacob.

Non stava mentendo. Lily non gli piaceva. Non gli piaceva il suo sguardo certo e malizioso, non gli piacevano le sue gambe sottili e le spalle esili e-

Okay, basta. Lily Potter non gli piaceva, e anche se gli fosse piaciuta... sarebbe comunque stata impossibile.

“Però il fatto che Al si infurierebbe non vuol dire necessariamente che Lily non ti piaccia,” buttò lì Scorpius, logico.

“Ma Lily non mi piace. Quindi falla finita con questa storia, d’accordo?”

“Lily e Domi si somigliano un po’,” commentò Scorpius con aria noncurante.

“Assolutamente no!” ribatté Jake prima di riuscire a controllarsi.

“Questo dimostra che ho ragione,” concluse l’altro. “Ho nominato Dominique e sei rimasto del tutto imperturbabile. Hai prestato attenzione solo alla parte della frase che riguardava anche Lily.”

Sbuffò. “È inutile che tu faccia mostra di tutto questo insospettabile acume, Scorpius,” mugugnò. “E comunque ti sbagli.”

“Va bene, come vuoi,” sospirò l’amico. “Comunque non preoccuparti per Al: il tuo segreto è al sicuro con me.”

“Grazie,” fece Jacob seccamente. “Peccato che non ci sia nessun segreto da tenere al sicuro.”

“Segreto? Qualcuno ha detto segreto?”

Ormai avevano raggiunto la Sala Grande, tanto presi dalla loro conversazione da non prestare attenzione alla presenza di Albus. Jacob ringraziò il cielo che avesse sentito solo l’ultima parte del discorso.

“Dicevamo che forse Bernie potrebbe aver messo il proprio nome nel Calice in segreto,” imbastì in fretta e furia una frettolosa bugia, ignorando l’occhiata che Scorpius gli scoccò.

Albus rivolse loro un ghigno furbesco che fece rivoltare le viscere di Jacob – un po’ per il senso di colpa, un po’ perché ricordava dannatamente l’espressione di Lily quando sogghignava.

“Non penso proprio,” disse allegramente. “Io ho appena messo il mio nome.”

“L’hai fatto, alla fine,” commentò Jacob meccanicamente.

“Già,” Albus si passò una mano fra i capelli, scompigliandoli ancora di più. “Papà diventerà una furia.”

Nonostante l’apparente noncuranza, Jacob capì che Al era dispiaciuto di aver agito contro il volere del padre. Pentito no, ma dispiaciuto. Dalle sue parole dedusse anche che l’amico aveva la certezza che il Calice avrebbe designato lui come Campione.

Jacob sperò che le sue aspettative non venissero deluse.

“Papà diventera una furia?” una voce fin troppo familiare risuonò alle loro spalle. “Perché papà diventerà una furia?”

Rimase immobile dove si trovava, senza voltarsi. Sentiva il cuore in gola.

“Fatti gli affari tuoi, Lily,” la rimbeccò il fratello.

“Perché non dovrei farmi gli affari tuoi se tu cerchi sempre di farti gli affari miei?”

A quella replica, Jacob non riuscì a trattenersi dal ridacchiare. Per fortuna, Al non parve prestare alla cosa una grande attenzione.

“Mi sono iscritto al Tremaghi,” disse con orgoglio.

Jake scosse la testa. Albus sapeva essere estremamente stupido e tronfio, alcune volte – probabilmente costituiva un effetto collaterale del suo essere così Grifondoro.

“Sono felice per te,” gli diede la propria benedizione. “Anche se non capisco come mai tu abbia così tanta voglia di rischiare la pelle.”

“Oh, io lo capisco eccome, invece,” fece Lily, sorprendendolo.

A quel punto era costretto a girarsi verso di lei. Scoprì che aveva raccolto i capelli rossi in un nodo sommario in cima alla testa. In quel modo il suo viso era del tutto scoperto: le labbra erano incurvate in un sorrisetto enigmatico. Sollevò brevemente le sopracciglia.

“Saresti molto gentile a spiegarmelo, allora,” replicò, sforzandosi di rivolgerle un sorriso indulgente. Forse Al se la sarebbe bevuta se avesse finto di ritenerla una mocciosa – improbabile, sì, ma non impossibile.

Lily si avvicinò a loro tre, seguita da Amarillide e Swanilda che come al solito procedevano sottobraccio.

“Beh,” cominciò, guardando Jacob dritto negli occhi, la testa appena voltata da un lato, “per la gloria, è ovvio.”

Jake dovette deglutire, mentre si rendeva ancora una volta conto di come Lily lo facesse apposta. Non sapeva dove volesse arrivare, ma continuando così ci sarebbe arrivata fin troppo presto. Rose sbagliava a diffidare di lui: in quella faccenda era decisamente Lily quella che bisognava temere, almeno per Jake.

“Ben detto, sorellina!” Albus, ritrovato il buonumore, la strinse a sé circondandole le spalle con un braccio e dandole un pizzicotto sulla guancia. Lily si divincolò, ma non sembrava infastidita. Continuava a fissare Jacob dritto negli occhi, e per la prima volta Jacob realizzò di piacerle quanto lei piaceva a lui.

E questo sì che è un problema.

“Greengrass!” quella voce così fastidiosa giunse come un’ancora di salvezza. “Sono secoli che ti cerco. Ho bisogno dei miei appunti di Trasfigurazione, peccato che ce li abbia tu da almeno due settimane!”

“Non così in fretta, Christine,” ribatté Jacob. “Non vedi che sono impegnato?”

“Sorvolerò sulla tua scortesia. Gli appunti mi servono adesso. Ciao, capitano,” si rivolse a Scorpius, che ricambiò il saluto un po’ rigidamente. “Stubbins, Simpson.” Si voltò infine verso Lily e Albus. “Ciao, Lily. Ciao, Potter.”

“Ciao, Christine,” Lily le rivolse una specie di sorriso.

“Ciao, De Bourgh,” le fece eco Al.

“Greengrass?”

Jacob sospirò. “E va bene, vengo subito.”

“Da quando in qua sono tanto in confidenza?” mormorò Albus a Scorpius, vedendo l’amico allontanarsi assieme a Christine.

L’altro scrollò le spalle. “Non ne ho la più pallida idea.”

****

“Vedo che mi stai prendendo in parola,” commentò Christine con apparente noncuranza, giocherellando con una penna d’oca che qualcuno doveva aver dimenticato sul tavolo della Sala Comune al quale si erano seduti. Ovviamente quella degli appunti era una scusa bella e buona.

Lo stomaco di Jacob brontolò – la ragazza non gli aveva lasciato il tempo di fare colazione.

“Che cosa intendi dire?” le chiese nonostante già conoscesse la risposta.

“Lily Potter,” rispose lei semplicemente. “Flirtate spudoratamente, lo sai? Meno male che ha un fratello così tonto. Carino, ma tonto.”

“Al non è tonto,” la contraddisse Jake. “Lui è solo-”

“Grifondoro,” concluse Christine.

Il ragazzo la guardò, accigliato. “Non è propriamente quello che intendevo dire, ma rende il concetto,” ammise.

Christine guardò un punto dritto di fronte a sé, apparentemente sovrappensiero, sebbene Jake sapesse perfettamente che si trattava di una posa. I due parlavano a voce sommessa nella Sala Comune quasi vuota, e nessuno sembrava prestar loro attenzione.

“Allora?” domandò la ragazza. “Ci sono novità?”

“Ancora non capisco come mai hai chiesto il mio aiuto,” replicò Jake, ignorando la domanda. “Te la saresti cavata benissimo anche da sola, e non è un complimento.”

Christine ridacchiò. “Per me è un complimento, Greengrass. Non hai risposto alla mia domanda, comunque.”

Jacob sospirò. “Non ho scoperto nulla di che, a dire il vero,” ammise. “Anche se sono abbastanza certo che non siamo gli unici a indagare sulla faccenda. E, beh,” roteò gli occhi. “Rose Weasley è convinta che il colpevole sia io.”

Questa volta la ragazza non si limitò a ridacchiare: scoppiò in una risata vagamente sinistra. “Rose Weasley di certo non manca di cervello,” commentò. “Non pensavo che sarebbe mai saltata a conclusioni tanto assurde.”

“Ha capito che hai chiesto il mio aiuto.”

“Questo lo sapevo anche io,” Christine sospirò. “Mi ha fatto una specie di interrogatorio, qualche tempo fa. Non credo di starle poi così antipatica, sai?”

“Infatti non le sei antipatica. Ti odia, direi.”

“Adesso sei tu che stai saltando a conclusioni assurde. Non mi odia, anche se afferma il contrario in continuazione.”

Jacob alzò gli occhi al cielo. “Sei convinta sempre di saperne una in più degli altri, eh?”

“No,” lo corresse lei. “Io ne so sempre una più degli altri.”

Fu il turno del ragazzo di scoppiare a ridere. Per quanto la sua opinione su Christine non fosse delle migliori, si era reso conto di quanto confrontarsi con lei potesse risultare piacevole. Era una ragazza fin troppo sveglia, ma si prendevano abbastanza.

E questo a volte può bastare.

Di certo con Christine andava più d’accordo di quanto non fosse mai andato d’accordo con Rose.

“Con Rose ti sei rovinato andandoci a letto,” commentò la sua improbabile alleata.

“Eh?”

“Oh, non fingere di pensare che non lo sapessi! Era su Gossip Witch.”

Jacob fu colto da un sospetto improvviso. “Christine,” disse, “sei stata tu a riferirlo a Gossip Witch, vero?”

Risaliva a più di un anno prima. A quei tempi lui stava da circa un mese con Gwyneth Parkinson, una compagna di Casa del loro stesso anno. In seguito a un Luma-party durante il quale aveva decisamente bevuto troppo, tuttavia, si era svegliato nello stesso letto di Rose. La vicenda non aveva avuto chissà quali conseguenze, se non la sua rottura con Gwyneth – la quale, oltretutto, si era dimostrata quasi divertita dalla cosa. La relazione più inutile del mondo, finita nel modo più banale del mondo. E poi in quel periodo tutta la scuola era in subbuglio per il ritorno di Grace, perciò nessuno aveva prestato grande attenzione alla faccenda.

Poi c’era stata Dominique, e quella era tutta un’altra storia.

“In effetti sono stata io,” ammise Christine. “Bella intuizione, Greengrass. Anche se era abbastanza ovvio, a dire il vero.”

“Che strano,” commentò lui. “Le ultime due storie che ho avuto si sono concluse entrambe a causa di una tua soffiata a Gossip Witch.”

“Qui ti sbagli,” lo contraddisse la ragazza. “Le cause erano ben altre, mentre le soffiate erano solo il casus belli¹. E poi tutto si è risolto per il meglio, no?”

Jacob le lanciò un’occhiataccia. “Non mi sembra proprio.”

“E invece sì,” insisté Christine. “Sai perfettamente che Goldstein è la persona più adatta a rendere Dominique Weasley davvero felice.”

Jacob si scoprì stranamente impermeabile a quella frecciatina – detestò Christine solo un pochino. “Non vorrai farmi credere che in realtà sei una fata madrina in incognito che vuole dare a tutti un lieto fine! Che vuoi darmi a bere, che stavi solo pensando al bene di Dominique?”

“Jacob, rifletti sui fatti. Se non ti fossi lasciato con Gwyneth non ti saresti messo con Dominique, e se non l’avessi fatta penare all’inizio lei non avrebbe avuto nulla a che fare con Goldstein.”

“E tu come diamine avresti potuto sapere tutto questo fin dall’inizio?”

“Che ne sai,” Christine roteò gli occhi, divertita. “Magari sono una veggente.”

“Non dire cazzate.”

“Non essere volgare. Stavo solo scherzando. E poi quello che conta è il risultato.”

Jacob sbuffò. “Io sono escluso da questi tuoi progetti misericordiosi?” domandò amaramente.

“No che non lo sei!” la ragazza sorrise di quel sorriso dolce che su di lei stonava così tanto. “Senza di me non ti saresti mai deciso di seguire ciò che non riesci a prevedere.”

“Beh, un’altra cosa che porterà solo guai!”

“Ti stai impuntando. Sai perfettamente che ho ragione, solo che non vuoi ammetterlo.”

“Christine,” parlò lui categoricamente, “tu sai perfettamente che il tuo obiettivo non era il bene di nessuno... ma solo ed esclusivamente il tuo divertimento.”

“Oh, di certo era il mio divertimento. Ma non è detto che le due cose non coincidano.”

“Vorrei sapere cosa ti passa per la testa.”

“Ma non lo sai, quindi non cercare di indovinarlo.”

Jacob guardò dritto di fronte a sé prima di gettarle un’occhiata di sottecchi. “Come mai te la sei presa tanto con Lucy Weasley, l’anno scorso? Pensavo fosse per colpire Dominique, ma alla luce delle nuove rivelazioni,” proseguì in tono derisorio, “non so più che cosa credere.”

Christine sorrise, questa volta più sinceramente. Jake si disse che forse si sarebbe anche potuto abituare a quel sorriso, un giorno. Un giorno molto lontano.

“Allora?” la incalzò.

“Beh,” il sorriso si trasformò in un ghigno, “io penso che Lucy non sia la persona giusta per Scorpius. E poi qualcun’altra doveva avere il suo lieto fine.”

Jacob rise. “L’hai presa sul serio, questa storia della fata madrina!”

Anche Christine scoppiò a ridere. “Direi proprio di sì!”

Seguì qualche istante di pausa, prima che la ragazza rompesse il silenzio. “Quindi è Rose a indagare sul Proteus,” constatò.

“Anche Albus, Hugo e Li-” si fermò improvvisamente. “Un momento,” disse, “è per questo che mi hai detto di seguire Lily? Sospettavi già qualcosa?”

“Beh, perché non prendere due piccioni con una fava!”

Jacob sentì di odiarla profondamente. Era riuscita a rigirarlo come una fottuta marionetta... ma allo stesso tempo gli aveva dato un buon consiglio. Aveva preso due piccioni con una fava, a tutti gli effetti.

“Jacob.”

Si voltò verso di lei. “Sì?”

“Questa sera non ci saranno Grifondoro nei sotterranei. Ogni casa festeggerà o si leccherà le ferite nella propria Sala Comune?”

“E con ciò?”

Christine si alzò. “Non faceva parte dell’accordo, ma era un consiglio. Fanne buon uso, d’accordo?”

****

31 ottobre 2021
Ufficio del Ministro della Magia
Pomeriggio

Per il corridoio del Primo Livello si udì un tonfo sordo.

“Possibile che non capiate?” sbottò Harry, esasperato.

Aveva appena sbattuto il pugno sulla scrivania di mogano del Ministro della Magia. Le nocche doloranti della sua mano destra ne erano la prova.

A favore di Kingsley c’era da dire che rimase assolutamente imperturbabile.

“Harry,” cominciò per l’ennesima volta, “ne abbiamo già parlato. Finché non presenteremo a Scotland Yard prove più concrete non potremo interrogare Jenny Squalor di persona, né tantomeno somministrarle del Veritaserum.”

“C’è la possibilità che Tamara Graysand sia sotto maledizione Imperius, Kingsley!”

“Non ti pare una conclusione un po’ azzardata?”

Harry aveva una gran voglia di sbattere la testa di Kingsley contro il muro – forte e ripetutamente.

“Bisogna prendere in considerazione tutte le ipotesi,” insisté rabbiosamente.

“Harry,” parlò improvvisamente Hestia con voce sommessa, “credo sia ora di darsi una calmata.”

Sapeva che la collega aveva ragione: non era proprio il caso di lasciarsi trascinare a quella maniera. Tuttavia, la situazione era davvero frustrante.

Respirò profondamente prima di riprendere la parola. “Inizio a pensare che il blackout e questa scomparsa abbiano qualche legame.”

Con suo immenso sollievo, Kingsley non fece mostra di scetticismo. “Come mai dici questo?”

“Beh, sono due eventi... insoliti, per così dire, avvenuti a una così breve distanza l’uno dall’altro.”

“Harry, non sono rari i sequestri di persona nel mondo Babbano, specie se si tratta di individui che hanno a che fare con chi ricopre posizioni di potere. Questa Tamara è figlia di un ministro e per di più conduceva una vita sregolata.”

“Non mi riferivo al rapimento,” fece Harry di rimando, “quanto invece al fatto che una Babbana sia stata posta sotto Imperius. Questo è insolito.”

“Ma non abbiamo le prove che ciò sia avvenuto.”

“La testimonianza di Jenny Squalor non è una prova sufficiente?” ringhiò Harry, che cominciava di nuovo a perdere la pazienza. “Mi sembra strano che una Babbana sappia descrivere con tanta precisione i sintomi della maledizione Imperius!”

“Di solito... di solito Tam sembrava sempre piena di... di sentimenti, di emozioni. E invece quella volta... sembrava vuota. Ecco, sì. Vuota... vuota è la parola giusta.”

Con sua immane soddisfazione, né Kingsley né Hestia parvero in grado di ribattere.

“Harry,” parlò poi il Ministro con la sua voce calma e profonda, “io credo che tu abbia ragione. Ma, ripeto, non ne abbiamo le prove.”

Arreso, Harry tornò a sedere. Sapeva che Kingsley aveva ragione: finché non avrebbero avuto in mano delle prove più concrete, sarebbe stato loro impossibile giungere a una conclusione definita.

Purtroppo, il suo istinto non costituiva una prova sufficiente.

“Su questo fronte non possiamo procedere,” riprese Kingsley. “Queste sono tutte congettu-”

Le sue parole furono interrotte da un Promemoria Interufficio che piroettando attraversò la stanza fino ad atterrare proprio di fronte al Ministro. Con espressione grave, Kingsley lo spiegò e lesse in fretta.

“Harry, Hestia,” esordì poi. “Dovete dirigervi immediatamente all’Accademia Auror. Gli addetti alla manutenzione non riescono a risolvere la faccenda. Probabilmente è stato gettato il malocchio sul sistema Elettromagico. Sarà meglio che interroghiate gli studenti, qualcuno di loro potrebbe avere a che fare con la faccenda. Ronald vi raggiungerà lì.” Fece una pausa. “È tutto.”

“Va bene,” annuì Harry. “Andiamo, Hestia.”

Si erano entrambi alzati in piedi. Harry strinse il gomito della donna prima di girare su sé stesso e Smaterializzarsi via da lì.

Non fecero in tempo a riapparire in Diagon Alley che Ron li raggiunse, trafelato.

“Kingsley mi ha mandato un Patronus,” disse loro. “Fortuna che ero già qui, Hermione aveva bisogno che ritirassi alcuni libri per lei.” Sollevò la busta dall’aria pesante che stringeva nella mano sinistra, tesa dai robusti spigoli di qualche tomo dalla lunghezza indecente.

Non ci volle molto per raggiungere l’edificio ospitante la nuova sede dell’Accademia. Era costruito in mattoni rossi e sulla facciata comparivano file e file di lucide finestre.

“Andiamo?” fece Hestia.

Harry annuì. “Andiamo.”

****

31 ottobre 2021
Sala Grande, Hogwarts
Ora di cena

Jacob non ebbe bisogno di voltarsi per capire chi si era seduto accanto a lui. Aveva a malapena intravisto uno svolazzare di capelli rossi, ma qualcosa dentro di lui aveva fatto click – il maledetto click che aveva ormai imparato a identificare come avvisaglia della presenza di Lily Luna da qualche parte troppo vicino a lui.

Automaticamente incrociò lo sguardo di Christine, seduta pochi metri più in là. La ragazza ammiccò.

“Fanne buon uso, d’accordo?”

Scosse la testa, tentando di scuotere via anche quel pensiero dalla mente. Il significato del nuovo consiglio di Christine era abbastanza semplice da comprendere: niente Grifondoro in Sala Comune equivaleva a niente Albus in Sala Comune.

Ecco, era proprio il genere di pensiero sul quale non avrebbe dovuto soffermarsi.

“Chi credi verrà scelto come campione?” domandò Lily. Accanto a Jacob, Scorpius e Bernie erano tutti intenti a parlare di Quidditch

Si voltò verso di lei: “Tifi per tuo fratello, immagino,” commentò.

Parlare di Albus era la cosa giusta da fare – così almeno si sarebbe ricordato che tutta quella faccenda era completamente sbagliata.

Lei scrollò le spalle. “Swanilda e Amarillide lo pensano.”

Jacob gettò uno sguardo alle due ragazze, sedute di fronte a loro. I capelli biondi di Amarillide erano sparsi sulla spalla di Swanilda, che la circondava con le braccia. Le due ridacchiavano in continuo come due oche, ma sembravano in grande intimità.

“Toglimi una curiosità,” fece Jake, chinandosi a parlare all’orecchio di Lily. “C’è qualcosa fra Amarillide e Swanilda?”

Lily guardò le due amiche. Sorrise. “Probabile. Come mai ti interessa?”

“Te l’ho detto, era una curiosità.”

“Mmh,” fu l’unica risposta che ricevette. Lily lo guardava di nuovo fisso negli occhi, con quel mezzo sorriso dall’aria astuta.

“Non tifi per Albus, quindi?”

“In teoria sì,” sospirò. “Ma-”

“... Ma non credi che verrà scelto.”

Jacob si disse che non avrebbe dovuto sorprendersi più di tanto. Dopotutto, Al aveva affermato di essere praticamente già campione davvero troppe volte per diventarlo davvero.

“Non mi sembra carino da dire, però,” ammise Lily. “Dopotutto è mio fratello. Quindi acqua in bocca, d’accordo?”

“Sarò muto come una tomba,” promise Jacob.

“Bene.”

Lily parve concentrata a guardare in direzione del tavolo di Corvonero, finché... Jacob sentì distintamente il ginocchio della ragazza premere contro il suo.

Deglutì, voltandosi verso di lei. Lily sogghignò, e Jake ebbe l’impressione di condividere con lei un segreto.

Maledetta.

Il banchetto di Halloween parve protrarsi più del solito. Jacob, tuttavia, non se lo godette granché – in parte perché la gamba di Lily continuava a premere sulla sua, in parte perché nella Sala si avvertiva una tensione crescente. Era chiaro che chiunque altro – a giudicare dalle espressioni di impazienza e dalle continue occhiate in direzione del tavolo delle autorità – attendeva solo che venisse sparecchiato per scoprire chi erano i campioni designati.

Jacob attendeva la cosa con sentimenti contrastanti. Da una parte era curioso di scoprire chi sarebbero stati i campioni, dall’altra temeva l’assenza di Grifondoro tanto decantata da Christine, il cui consiglio adesso appariva quasi profetico.

Finalmente, i piatti d’oro tornarono immacolati, e il brusio in Sala Grande crebbe fino a trasformarsi in frastuono. La Sinistra si alzò, e a quel punto scese il silenzio. Madame Laveau-Perrin e Krum sembravano tesi quanto gli altri. La prima giocherellava impaziente con un tovagliolo, il secondo appariva estremamente concentrato, le folte sopracciglia aggrottate. Alicia Spinnet sorrideva, emozionata, mentre Percy Weasley sembrava in fibrillazione.

“Bene,” esordì la preside. “Il Calice è ormai quasi pronto a rivelare il suo verdetto. Coloro che saranno chiamati come campioni dovranno venire da questa parte della Sala, passare davanti al tavolo degli insegnanti ed entrare nella stanza accanto,” indicò la porta dietro il tavolo, “dove riceveranno le prime istruzioni. Prego, Filius.”

Il professor Vitious si alzò in piedi e tracciò un ampio gesto con la sua bacchetta magica: tutte le candele della sala si spensero, con l’eccezione di quelle contenute dalle zucche fluttuanti. Adesso la Sala Grande era a malapena illuminata da bagliori aranciati. Il Calice di Fuoco splendeva più luminoso che mai, il bianco e il blu delle sue fiamme erano quasi abbaglianti.

Jacob si sentì improvvisamente afferrare la mano. “Ci siamo quasi,” mormorò Lily, emozionata, e lui si rese conto che si era trattato di un gesto involontario.

Tuttavia, non ebbe tempo di soffermarsi sulla faccenda, poiché le fiamme del Calice diventarono rosse all’improvviso, dal suo interno si sprigionavano scintille. Un attimo dopo, una lingua di fuoco serpeggiò nell’aria, facendo volare con sé un pezzetto di pergamenta bruciacchiato sui bordi.

La Sinistra lo afferrò, avvicinandolo alle fiamme per riuscire a decifrarlo.

“Il campione di Durmstrang,” l’intera sala trattenne il fiato, “è Natal’ja Bogdanova!”

All’estremità del tavolo di Serpeverde, dove gli studenti di Durmstrang si erano sistemati, partì un fragoroso applauso. Una ragazza molto alta – dai capelli biondi e la pelle chiarissima – si alzò, impressa sul volto un’espressione incredula ed emozionata, e si avviò verso il tavolo delle autorità come prescritto dalla preside. L’espressione di Viktor Krum era lieta. A giudicare dall’entusiasmo dei compagni, Natal’ja doveva essere una studentessa piuttosto popolare.

Quando la ragazza sparì oltre la porta, il frastuono a poco a poco si placò. L’attenzione di tutti era nuovamente sul Calice, che divenne di nuovo rosso e scagliò fuori un foglietto di pergamena assieme alla fiamma dardeggiante.

“ll campione di Beauxbatons,” annunciò la Sinistra, “è Guillome du Pierrefond!”

L’applauso degli studenti di Beauxbatons fu più discreto, ma nessuno parve esserci rimasto particolarmente male. Dal tavolo di Corvonero si alzò un ragazzo di bell’aspetto, che si diresse baldanzoso verso il tavolo delle autorità.

Quando anche Guillome du Pierrefond fu scomparso oltre la porta, calò di nuovo il silenzio, carico di un’eccitazione quasi palpabile. Era il momento che tutti aspettavano: il prossimo nome che sarebbe uscito dal calice avrebbe designato il campione di Hogwarts. Albus, al tavolo di Grifondoro, sedeva stringendosi la testa fra le mani.

Il Calice divenne rosso per la terza volta. Fra le scintille, la lingua di fuoco si levò alta sopra al tavolo, e la Sinistra afferrò il pezzetto di pergamena.

A Jacob parve che tutto stesse avvenendo con estrema lentezza.

“Il campione di Hogwarts,” scandì la preside, “è Rose Weasley!”

Il campione di Hogwarts è... Cosa?!

Rose non riusciva a crederci. Neanche sapeva bene perché avesse messo il proprio nome nel Calice... chissà, forse per una specie di desiderio di rivalsa. Ma venire scelta? Non se lo sarebbe mai aspettato, del resto era la peggiore Weasley di cui si avesse memoria e-

Forse avrebbe dovuto alzarsi da tavola. Sì, avrebbe dovuto. Ma si sentiva come se qualcuno l’avesse incollata alla panca. Sedeva immobile con gli occhi sgranati e un’aria abbacinata.

“Rose,” la sorprese udire la voce di Christine. “Rose, vai.”

L’altra le diede una spintarella e lo stesso fece Gwyneth Parkinson, dall’altro lato. Rose scattò in piedi. Sentì gli occhi dell’intera sala puntati su di sé, e gli stessi occhi la seguirono quando scavalcò la panca e camminò accanto al tavolo di Serpeverde fino a raggiungere gli insegnanti. Oltrepassò il tavolo delle autorità e varcò la soglia della porta retrostante ad esso. Scoprì che la porta dava su di una sala di dimensioni decisamente più ridotte, tappezzata di ritratti di maghi e strege. Un mago dall’aria rubiconda si grattò il naso.

Guillome du Pierrefond e Natal’ja Bogdanova erano in piedi accanto al caminetto acceso. Le loro figure creavano lunghe ombre scure sul soffice tappeto illuminato dal fuoco. Natal’ja continuava a sorridere, emozionata, mentre Guillome esibiva una smorfia soddisfatta.

Rose non riusciva a essere soddisfatta né felice. Era solo maledettamente incredula.

Il ragazzo si fece avanti, scoccandole un’occhiata spavalda.

“Guillome,” si presentò con il suo accento vellutato. “Piascere.”

Lei si schiarì la voce. Nonostante ciò, la voce le uscì rauca quando rispose: “Rose,” e strinse la mano che il ragazzo le porgeva.

Natal’ja le sorrise dolcemente. “Tu contenta di essere campiona?”

Deve essere una di quelle persone che cercano sempre di mettere gli altri a proprio agio e ci riescono dannatamente bene.

Si ritrovò a rispondere a propria volta con un sorriso stentato. “Per adesso solo sorpresa.”

“Io chiamo Natal’ja.”

“Rose.”

“Noi due donne. Uomo solo,” indicò Guillome, che rispose al suo sorriso con uno sbuffo altezzoso costruito ad arte – che non ingannò Rose minimamente.

“Eh già,” rispose lei. “Siamo in vantaggio.”

Natal’ja scoppiò a ridere. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi alle loro spalle si udì uno scalpiccio: i presidi li avevano raggiunti per spiegare come si sarebbe svolto il torneo.

****

31 ottobre 2021
Sala Comune di Serpeverde
Decisamente dopo il coprifuoco

Naturalmente avevano festeggiato in grande, nella Sala Comune di Serpeverde. Erano tutti piuttosto sorpresi dal fatto che fosse stata proprio Rose Weasley la prescelta dal Calice di Fuoco, ma questo avrebbe di certo conferito alla Casa grandi onori. La nuova campionessa di Hogwarts sembrava un po’ spaesata, come se ancora non l’avresse realizzato del tutto, ma gli altri Serpeverde erano decisamente su di giri.

Anche Jacob aveva bevuto un po’ troppo. Se ne accorse quando Christine gli si avvicinò e per poco non si rivolse a lei come alla cugina Holly.

La ragazza tolse dalle sue mani il bicchiere di plastica che fino a poco prima aveva contenuto del Firewhiskey.

“Greengrass, basta bere. Ricordi che ti ho detto? Niente Grifondoro.”

“Sì,” ammise lui, “però Al deve essere triste e deluso. Molto triste e deluso.”

“Non è questo il punto.”

“Senti, perché non cerchi un lieto fine anche per lui?”

“Ti prego, dimmi che non sei così brillo.”

“E anche per Bernie.”

Piantala.”

Jacob la guardò. “Va bene.”

“Se deve accadere... accadrà,” promise Christine prima di allontanarsi.

Jacob prese a guardarsi intorno. Non era ubriaco, solo un po’ su di giri. Il che non andava bene senza Grifondoro in giro, affatto.

In mezzo alla confusione, il suo sguardo incrociò quello di Lily. La ragazza sorrise, sardonica, e a lui si attorcigliò lo stomaco.

Basta, Greengrass. Dacci un taglio. Sai perfettamente che non è una cosa fattibile.

Ma Lily pareva non essere dello stesso avviso, poiché gli si avvicinò. Il giovane intimò alle proprie gambe di farlo allontanare immediatamente da lì, al fine di non trovarsi a fare qualcosa per cui in un futuro non troppo remoto avrebbe potuto pentirsi. Tuttavia, qualcosa dentro di lui gli impedì di muoversi.

“Non festeggi, Jake?” lo interpellò Lily senza smettere di sorridere, porgendogli la Burrobirra che stringeva fra le dita.

Senza una parola, Jacob prese la bottiglia e vi si attaccò, traendone una lunga sorsata. La restituì poi alla ragazza, avendo cura di far sì che le proprie mani non sfiorassero quelle di lei. Lily dovette accorgersi di quel gesto, poiché qualcosa brillò vivace sul fondo delle sue iridi scure. Jake abbassò lo sguardo sulla bottiglia e deglutì – aveva realizzato di aver appena posato le labbra esattamente dove doveva averle posate lei un attimo prima. Strinse i denti, sforzandosi di annegare il mostro che sembrava aver artigliato il suo stomaco. Quando levò nuovamente gli occhi verso Lily, si accorse che la ragazza non gli aveva tolto di dosso i propri neanche per un istante.

Jake, è Lily. La piccola Lily. La sorellina di Albus. Sarà sempre la sorellina di Albus anche se ci prova così spudoratamente. Non puoi...

Ma era troppo tardi. Le dita della ragazza avevano già artigliato l’orlo della sua manica, sfiorandogli il dorso della mano.

“Non sopporto più Swanilda e le altre,” disse. “Ti prego, salvami da quelle stupide.”

Mentiva. Mentiva spudoratamente, e anche piuttosto bene a dire il vero – pur se non abbastanza da ingannare lui.

Lo stomaco di Jake si annodò ancor più strettamente, mentre la sua mente era invasa da mille interrogativi.

Ha mentito per farmi un’avance? O è solo una mia impressione? Sì, ci vuole provare, e quello che è successo durante il banchetto ne è la prova... ma dannazione, Jacob, non è una buona cosa!

Ma il suo corpo pareva pensarla diversamente, poiché il suo cuore pulsava a velocità irragionevolmente accellerata e un consistente brivido lo attraversò lungo la spina dorsale.

Prima di poterselo impedire, aveva afferrato Lily per un braccio e se l’era tirata vicino. Negli occhi della ragazza brillò un baluginio divertito.

“Come posso aiutarti?” la sua voce suonò stranamente roca.

“Portami via da qui,” replicò lei senza esitare.

Jacob non era più padrone di se stesso. Pregando che nessuno se ne avvedesse e senza lasciare il gomito di Lily, la trascinò con sé fuori dalla sala comune, nel corridoio antistante a essa. Il cuore rimbombava nelle sue orecchie. Spostò la mano con cui stringeva il braccio di Lily sulla schiena della ragazza e se la tirò nuovamente addosso, catturando al contempo con l’altra mano la sua nuca e poi il suo volto – sentì i suoi capelli ribelli scivolare fra le dita.

Al diavolo, pensò, prima di chinarsi verso di lei e baciarla con decisione. Lily rispose al suo bacio con veemenza, allungandosi contro il suo corpo e stringendo fra le dita le sue ciocche scure. Jacob sentiva di aver perduto strada facendo ogni barlume di raziocinio superstite – in qualche punto indefinito fra le labbra di Lily e la pelle morbida del suo collo flessuoso, probabilmente. Il cuore gli martellava le tempie, e davvero non avrebbe saputo dire di preciso dove si trovasse il pavimento.

Quando si staccarono, qualcosa era cambiato nello sguardo di Lily. Quel baluginio divertito aveva ceduto il posto a un’espressione in qualche modo fremente – intensa, consapevole, viva.

Il rumore di qualcuno che usciva dalla sala comune riportò improvvisamente entrambi alla realtà. Il pensiero di come l’avrebbe potuta prendere Albus attraverso la mente di Jacob come una folgore.

“Torniamo in sala comune,” farfugliò in tono insolitamente instabile.

Lily annuì.


¹  Casus belli: espressione spesso usata per indicare un evento addotto a motivazione ufficiale per la dichiarazione di guerra, solitamente diverso o secondario rispetto alla vera causa. In parole povere, il casus belli è la “goccia che fa traboccare il vaso”, la scusa che viene posta per giustificare l’inizio di una guerra. Christine intende dire che facendo soffiate a Gossip Witch ha dato la spintarella necessaria perché quelle relazioni finissero, anche se i veri motivi per cui sarebbero finite erano altri.

Note dell’Autrice

Fatemi un monumento di proporzioni cooosmiche!

Bene, è giunto il momento che tutti aspettavamo.

Ne siete felici?

Vi ringrazio tutti di cuore <3 Le recensioni continuano a calare, ma confido in un pronto risollevamento XD

Bisous,

Daphne

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - Secrets ***


 

                                                                   Capitolo 16

                               


 

Bet you thought you had it all worked out

Bet you thought you knew what I was about

Bet you thought you solved all your problem.

Sex Pistols


1 novembre 2021
Sala Comune di Grifondoro
All’alba

L’umore di Albus Potter solo raramente era stato tanto pessimo.
Doveva esserci qualcosa di sbagliato, già. Perché non era possibile che Rose adesso fosse la Campionessa di Hogwarts mentre lui... lui era solo il capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro, con una vistosa sconfitta a pesargli sulle spalle a solo due mesi dall’inizio dell’anno scolastico.
Era tutta una grande, colossale montagna di schifo.
La sua vita lo era: con Georgia la situazione non accennava a migliorare, sua cugina Rose gli aveva soffiato il posto di Campione sotto al naso e, come se non bastasse, sul suo capo pendeva una sentenza di morte. Da parte di un vicecapitano fin troppo agguerrito, per la cronaca.
Che fine aveva fatto il grande Al Potter? Dove l’aveva lasciato?
Nella sua testa risuonarono le parole di Quinn: “Sei un completo deficiente, Potter.”
Digrignò i denti, irritato, e alzatosi dalla poltrona in cui era sprofondato scivolò fuori dal buco del ritratto, diretto alla guferia. Voleva fumare una sigaretta in santa pace e starsene un po’ per conto suo, cosa che ben presto sarebbe divenuta impossibile in Sala Comune, poiché per quel giorno erano state annullate tutte le lezioni.
Non avrebbe sopportato le occhiate di commiserazione dei compagni di casa.
Non oggi.
Percorse la strada quasi sovrappensiero, prestando a malapena il minimo di attenzione necessaria a non incrociare Gazza o Pix il Poltergeist. Non stava violando nessuna regola, giacché il coprifuoco vigeva solo fino all’alba, ma non aveva voglia di fare incontri sgradevoli.
Aveva voglia solo di fumarsi la sua sigaretta e stare un po’ in beata solitudine. Lontano da sguardi che risultavano commiserativi ai suoi occhi, lontano dallo sguardo dispiaciuto dei compagni di dormitorio, lontano dai volti amareggiati di chi davvero sperava che sarebbe stato un Grifondoro a venir designato Campione di Hogwarts.
Il tutto era molto triste, specie perché Albus non riusciva a rendersi conto che non tutte le occhiate commiserative erano dirette a lui e che quell’amarezza nei volti dei compagni di Casa forse poteva non dipendere unicamente da lui... e diciamocelo, il mondo aveva un altro perno intorno al quale girare.
Per raggiungere la Guferia sfruttò qualche scala poco frequentata e dei passaggi che non conoscevano in molti, al fine di evitare qualsiasi incontro.
Non c’è nessuno che il giorno dopo la scelta dei Campioni spedisca gufi all’alba, no?
Si diede dello stupido quando, entrando, si accorse di essere sbagliato. Una ragazza gli dava di spalle, una ragazza minuta dai capelli rossi, che indossava la divisa di Serpeverde.
Rose era inconfondibile. Albus ebbe l’impulso di andarsene, ma era troppo tardi: la cugina doveva aver preso nota della sua presenza, poiché all’improvviso si voltò verso di lui, lo sguardo indecifrabile sotto le sopracciglia appena sollevate per la sorpresa, le labbra strette.
Albus sostenne il suo sguardo con aria quasi di sfida.
Le sopracciglia di Rose si distesero e poi si aggrottarono. “Buongiorno,” mormorò.
“Scrivi agli zii?” la aggredì Albus. “Comunichi loro la tua vittoria?”
“Non ho ancora vinto un bel niente,” ribatté lei, piano. “Devo ancora gareggiare.”
“Beh,” borbottò lui. “Essere scelti dal Calice deve essere un’esaltante vittoria personale. Ritieniti orgogliosa.”
Rose si incupì. “Albus, piantala,” lo ammonì, secca.
“Perché, non è così?” replicò con aria innocente. “Non ti senti euforica?”
“Non mi sento un bel niente. Devo ancora capacitarmene.”
“Oh, beh,” Albus annuì, sarcastico. “Una gioia così grande deve essere realizzata, o sbaglio?”
“Al, adesso stai davvero esagerando.”
“Beh, hai vinto tu!”
“Non ho vinto ancora niente!”
Improvvisamente, Rose aveva sbottato, stizzita.
Albus boccheggiò per alcuni istanti, prima di rendersi tristemente conto di quanto fosse dalla parte del torto. Probabilmente si sarebbe lasciato scivolare al suolo, se il pavimento non fosse stato ricoperto di cacche di gufo. Rose parve quasi leggergli nel pensiero, poiché gli si avvicinò di un passo e gli strinse forte la mano. Sorpeso, Al sollevò su di lei lo sguardo che teneva fisso sulle lastre di pietra sotto i propri piedi.
Rose non era il tipo da manifestazioni d’affetto troppo fisiche. Non abbracciava e non baciava mai nessuno, ad esempio – in questo era diversa da zia Hermione. Fin da piccola sfuggiva agli abbracci di nonna Molly, mentre il fratello Hugo vi si crogiolava senza remore. E anche Albus, se è per questo.
Fra i due cugini fra loro fratelli le manifestazioni fisiche d'affetto erano pressoché nulle. Si limitavano a scambiarsi quelli che Lily definiva in modo abbastanza appropriato sguardi parlanti e qualche rarissima volta Rose poggiava le dita sull'avambraccio di Hugo oppure Hugo assestava una breve stretta alla spalla di Rose.
Lui e Lily, invece, si abbracciavano abbastanza spesso, e la sua sorellina aveva la tendenza a scoccargli schioccanti baci sulle guance, di tanto in tanto.
Rose era diversa. Sebbene passassero parecchio tempo a parlare, era raro che lei e Albus anche solo si sfiorassero. E adesso… adesso Rose aveva fatto un passo verso di lui e aveva stretto con forza la sua mano. Neanche si era subito scostata: erano rimasti immobili per qualche minuto lì dove si trovavano, mentre la cugina cercava di trasmettergli chissà cosa con quella stretta. Ad Albus era parso un gesto istintivo, di quelli che Rose solitamente evitava. Improvvisamente si accorse di quanto affetto provava nei suoi confronti e che questo affetto fosse ricambiato in maniera in qualche modo gratuita. Rose gli voleva bene ed era veramente dispiaciuta che lui ci fosse rimasto male.
"Rosie," mormorò, stringendole forte le dita per far sì che la cugina non togliesse la mano dalla sua. "Non te lo aspettavi, vero?"
Lei scosse la testa, fissando il pavimento. "No," ammise, con una voce inaspettatamente tremula. "Non me lo aspettavo affatto."
"E allora perché hai provato a mettere il tuo nome nel Calice?"
Rose scrollò le spalle. "Non so," rispose. "Forse volevo cercare di scoprire se in me ci fosse altro oltre alla peggiore Weasley sulla faccia della terra."
Albus sgranò gli occhi verdi. L'aveva sinceramente stupìto udire tali parole pronunciate dalla bocca di sua cugina – anche se in fondo, realizzò, ne era sempre stato in qualche modo cosciente. Lo sorprendeva il fatto che Rose riuscisse ad ammettere le sue paure, qualcosa gli disse che si trattava di un grande passo avanti.
Stranamente, le parole per rassicurare la cugina riuscirono a delinearsi nella sua testa senza difficoltà. Per fortuna il suo tanto decantato dono dell'empatia non doveva essersene andato del tutto.
"Rose," parlò con assoluta sincerità. "Io penso che tu non sia affatto la Weasley peggiore sulla faccia della terra, o il Calice non avrebbe designato proprio te. Io penso che tu non sia peggiore di niente, devi solo… Non so. Capire chi sei, forse."
"E tu, Albus? Tu l'hai capito chi sei?"
"No. Non credo."
Rose sospirò. "Non so. Mi sembra come se ogni passo che io faccia mi allontani dalla meta invece che avvicinarmi. Anche se non so che cosa è il traguardo, in realtà."
Albus aggrottò le sopracciglia. "Allora forse dovresti solo smettere di camminare," concluse dopo alcuni istanti di riflessione. "Resta dove sei, sennò rischi di perderti di più."
Lei emise un sorrisino stentato. "Che parole sagge, Al."
Albus rise. "Beh, a volte mi capita."
Rose gli diede un'altra stretta sulla mano prima di dire: "Sono felice che almeno tu sia riuscito a ritrovarti, Al." Quindi si allontanò, sul volto un'espressione un poco più serena.
Al guardò di nuovo il pavimento sporco della Guferia, dove il sole nascente disegnava gli archi a sesto acuto delle grandi finestre senza vetri. Spirava una brezza leggera e sembrava una buona giornata.
Albus ebbe un'improvvisa voglia di giocare a Quidditch, ma per il momento si limitò ad accendersi la sua sigaretta, osservando il fumo che si disperdeva quasi con delicatezza alla luce del sole.


****


1 novembre 2021
Diagon Alley, Londra
Mattinata di sole

Ellen teneva gli occhi chiusi, lasciando che il sole le carezzasse delicatamente il viso. I raggi percorrevano placidi il cielo sgombro da nubi – un vero miracolo, considerato che si era in pieno autunno – fino a giungere sul suo volto e inondarlo del loro calore. Non sapeva di essere osservata, ma se fosse stata un poco più attenta avrebbe percepito lo sguardo di Hera posato su di lei.
La greca osservava le sottili ombre giocose dei capelli mossi dal vento sulla fronte di Ellen, e quelle misteriose e vaghe che le ciglia proiettavano sui suoi zigomi.
Aveva un bellissimo volto, Ellen. Il suo viso era rotondo e piacevole, con una lieve fossetta sul mento accentuata dal pallore della carnagione. Le sue labbra erano sottili e graziose, sempre frementi prima di parlare. Il naso piccolo e delicato, e poi gli occhi… Ellen aveva degli occhi immensi, di un azzurro sorprendente. La forma tondeggiante di essi le conferiva a tratti un'aria vagamente stralunata, che però non stemperava minimamente il suo fascino timido e scherzoso.
Anzi, Hera pensava che lo valorizzasse.
Ellen le piaceva tantissimo. Non avrebbe saputo dire bene come, ma quando l'aveva vista la prima volta, quando aveva colto quella sorta di piacevole costernazione nei suoi occhi e il rossore che si era diffuso sulle sue guance, beh… aveva pensato che sarebbero potute stare bene, insieme. Era un pensiero che l'aveva colto improvvisamente, e osservando Ellen aveva capito che anche lei pensava la stessa cosa, seppur inconsapevolmente.
Decisamente, andare a studiare in Inghilterra era stata una grande idea.
Aveva pensato che in Ellen ci fosse molto. Aveva pensato che le sarebbe piaciuto scoprire cosa la bloccava e aiutarla a mostrare al mondo quanto valesse… perché Ellen valeva molto, ne era sicura, o non le sarebbe piaciuta così tanto fin dal primo sguardo.
Non aveva mai creduto in tutte quelle sciocchezze dell'amore a prima vista, e non ci credeva neanche adesso. Credeva invece nell'attrazione al primo sguardo e anche nella possibilità di percepire una persona dall'animo affine al proprio in maniera semplicemente istintiva. Ellen le era subito parsa un tipo a lei compatibile.
Hera si fidava del proprio istinto, e il proprio istinto le aveva detto fin da subito che Ellen era la persona giusta per lei.
In realtà siamo molto simili.
Avevano dentro lo stesso fuoco, lo sapeva, lo stesso ciclone, nonostante Ellen cercasse in tutti i modi di arginarlo.
Sorrise fra sé, e in quel momento l'altra aprì gli occhi. Si accorse subito del suo sguardo e lo sostenne con fermezza. Questa era una degli svariati cambiamenti facenti parte della metamorfosi che un passo alla volta si stava svolgendo sotto gli occhi di Hera. Ellen stava imparando ad accettarsi e a capirsi, forse anche ad apprezzarsi. Era una cosa che Hera – sebbene si conoscessero da due mesi scarsi – aveva molto a cuore: Ellen doveva essere maledettamente felice.
Si sarebbero amate, un giorno – forse molto presto.
"Stai bene?" le chiese.
"Alla grande," Ellen fece uno dei suoi sorrisi strani. "Mi è sempre piaciuto il sole."
Hera sorrise a propria volta. "Oh, anche a me."
L'altra sospirò. "Ti manca la Grecia?"
"Sì," ammise Hera. "Mi manca come può mancare la casa in cui hai vissuto nell'infanzia. Avrà sempre un posto nel mio cuore, ma," la guardò, "non è più quella casa mia."
Ellen parve indovinare qualcosa del recondito significato dietro a quelle parole, poiché arrossi e distolse lo sguardo, imbarazzata. "Cosa pensi degli interrogatori?" chiese.
Hera scrollò le spalle. "Penso che Harry Potter sia un grande Auror, ma che lui e la sua squadra stiano cercando nel posto sbagliato."
Per due giorni consecutivi erano state interrotte le lezioni in Accademia, poiché a causa dei ripetuti blackout da parte del dipartimento Auror – o forse il Ministro Shackebolt in persona? – era stato disposto che gli studenti venissero sottoposti a svariati interrogatori in merito alla questione. Da quanto Hera aveva potuto dedurre, gli Auror avevano supposto che fosse stato gettato un incantesimo sul sistema Elettromagico dell'Accademia… il che era abbastanza probabile, considerata la situazione. Tuttavia, pensava che fosse veramente stupido interrogare gli studenti in proposito.
Hera era una persona che dava ascolto al proprio istinto, e il suo istinto le diceva che gli Auror non fossero affatto sulla pista giusta.
Lei ed Ellen avevano risposto tranquillamente alle domande che erano state poste loro, proprio come il resto del gruppo. Louis aveva cercato di prendere la cosa con ironia, blaterando sulle giornate di bagordi che avrebbe trascorso in libertà dall'Accademia. Pensando a Lou, le sue labbra si incurvarono in un sorriso. Le era simpatico, adesso che aveva smesso di provarci con lei senza pudore.
Mi spiace Weasley, ma preferisco le more.
Il loro gruppo era ben affiatato, non c'era che dire. Grace e James avevano smesso di scambiarsi effusioni sdolcinate, adesso: si limitavano a star seduti vicini e qualche volta a stringersi la mano. Sembravano solidi e sicuri. La stessa Grace, nonostante la piccola creatura che andava crescendo nel suo ventre, appariva tutt'altro che indifesa: emanava una curiosa aura di florida forza. Nonostante ciò, era chiaro a tutti che negli ultimi tempi dovevano aver avuto qualche diatriba di coppia, poiché Grace a volte lo trattava con fare quasi scostante. Da quel che Hera aveva potuto comprendere, James aveva insistito affinché se ne stesse tranquilla finché i problemi in Accademia non sarebbero stati risolti. Naturalmente, la reazione di Grace era stata prevedibilmente stizzita.
Hera capiva quanto quell'atteggiamento. Dopotutto, Grace era appartenuta ai Grifondoro – Louis le aveva spiegato accuratamente il sistema delle Case a Hogwarts – e da quanto aveva capito appartenevano a quella Casa individui tenaci e impulsivi, dal gran fegato, che raramente si lasciavano andare all'inattività. Grace, con tutta la sua vivacità, le pareva il prototipo perfetto di individuo Grifondoro – così come quel Goldstein, il fidanzato della sorella di Lou.
James sembrava un cane bastonato: Hera capiva il suo istinto di protezione, ma lo riteneva anche un poco esagerato. Nonostante ciò, era sicura che i due avrebbero presto chiarito.
"Come mai credi che abbiano preso la pista sbagliata?" chiese Ellen in tono quasi noncurante.
Hera si gettò un'occhiata intorno. Si trovavano sedute ai tavolini esterni della gelateria Florian Fortebraccio, che era divenuto il punto di ritrovo del loro gruppetto. Si stava bene sotto al sole, con un caffè caldo davanti. Nonostante non ci fosse stata lezione, quella mattina, lei ed Ellen avevano deciso di incontrarsi per passare del tempo assieme.
Guardò l'altra. "Non so," buttò lì. "Che motivo avrebbe avuto uno studente per gettare il malocchio sul sistema Elettromagico?"
Ellen fece spallucce, guardandola con sguardo vispo. "Non saprei," ammise. "In effetti anche a me non è parsa una cosa molto intelligente. Neanche il signor Potter sembrava molto convinto."
"Lui e James si somigliano da pazzi," commentò Hera.
"Già," l'altra convenne. "James è sempre stato un tipo simpatico, per quanto io non abbia parlato mai molto con lui a scuola." Sospirò. "A dire il vero ci sono ben poche persone con le quali io abbia mai parlato a scuola."
"Come mai non parlavi con nessuno?" mormorò lei.
"Tentavo di non farmi notare. Sai, c'era una tizia sconosciuta che si faceva chiamare Gossip Witch e che usava dei galeoni sotto Proteus per diffondere pettegolezzi in giro per la scuola. Io ho cercato sempre di tenermi fuori il più possibile da queste faccende."
Hera la fissò. "Saggia scelta," fu il suo commento. "E Gossip Witch che fine ha fatto?"
Ellen guardò dritto di fronte a sé. "Un giorno i suoi galeoni hanno smesso di funzionare. Sono diventati tutti opachi e non hanno trasmesso più messaggi."
Stupita, Hera aggrottò le sopracciglia. "Vuoi dire che è stato annullato il Proteus?!"
L'altra annuì. "Probabilmente sì."
"Ma è una pratica magica estremamente difficile! Chi mai potrebbe essere stato?"
"C'era tanta gente che detestava Gossip Witch. Ha reso la vita difficile a parecchie persone, sai?"
"Posso immaginare," ammise Hera. "Ma non trovi che sia strano?"
Ellen la guardò intensamente. "Se tu hai questa sensazione, allora credo che sarebbe opportuno rifletterci un po' su."
Hera boccheggiò appena, improvvisamente insicura, ridendo leggermente. "Vuoi… vuoi dire che ti fidi così tanto di me?"
L'altra fece uno strano sorriso. "Beh, perché no!"


****



1 novembre 2021
Dormitori di Serpeverde
Tarda mattinata

Scorpius era sveglio da un pezzo e di umore neutro. Si era destato almeno da una mezz'ora, e in quell'arco di tempo era rimasto pressoché immobile, la testa arruffata poggiata alla spalliera del letto. Era sprofondato in un vago torpore: nonostante fosse completamente sveglio, si sentiva troppo impigrito per buttare le gambe giù dal letto e vestirsi per la colazione.
O forse stava solo aspettando Jacob.
Che da oggi in poi sarà chiamato il re della sbronza triste.
La sera precedente era stata un po' strana. Non avrebbe saputo definirla con altro termine se non quello: una serata in qualche modo scordata, fuori posto. Forse perché la festeggiata era quella che pareva divertirsi meno di tutti, chissà.
Scorpius poteva capire Rose. La poteva capire perché gli era capitato circa un milione di volte che Dominique – ai tempi in cui stavano insieme – organizzasse una festa in suo onore che in realtà era per lei. O meglio, per dimostrare al mondo il suo successo e le sue capacità di organizzare qualcosa in grande. Dominique aveva sempre avuto questa tendenza a ricadere in simili infantilismi, anche se in realtà per lei era una sofferenza questa sua convinzione di dover sempre dimostrare qualcosa a qualcuno per potersi affermare come avrebbe voluto. Adesso Scorpius capiva che crescere con la perfezione di Victoire come modello da eguagliare non doveva certo essere stato facile per Domi.
Ad ogni modo, in tali feste si ritrovava sempre in un angolo, annoiato e intento a cercare di corrompere gli elfi domestici per avere del Firewhiskey – cosa che Dominique disapprovava con tutto il suo cuore. Era strano, sentirsi fuori posto ad una festa organizzata per lui.
La sera precedente aveva avuto la sensazione che Rose si trovasse nelle stesse condizioni. Tutti si divertivano, mentre lei appariva costernata e vagamente a disagio, le emozioni per una volta leggibili una ad una sul suo volto sbattuto. Bernie – che ultimamente aveva smesso di assillarla – aveva commentato tristemente: “Non l’ha presa bene.
Scorpius, però, sapeva quanto l’amico si sbagliasse. Rose si sentiva a disagio perché non era ancora riuscita a realizzare la cosa e probabilmente avrebbe avuto voglia di stare un po’ da sola, poiché evidentemente tutta quella confusione non aveva altro effetto se non quello di frastornarla ancor di più.
Ma purtroppo noi Serpeverde non siamo fatti per far sentire a proprio agio le persone, a meno che il nostro obiettivo non sia proprio quello.
La confusione che si era creata la sera prima era davvero all’altezza della Sala Comune rosso-oro. I primini erano stati messi a letto da un previdente Caposcuola Boot, e a quel punto era cominciato a girare l’alcool.
Scorpius aveva cercato di avvicinare Rose, ma in qualche modo la ragazza era sempre impegnata a parlare con qualcuno. Tutti la trascinavano da una parte all’altra riempendola di domande. Quando finalmente l’aveva intravista sola accanto a una delle finestre su cui premeva la turbinosa acqua del lago, Scorpius era stato distratto da un Jacob totalmente sbronzo che gli caracollava addosso.
Dov’eri finito?” gli aveva chiesto.
“Io... Di che sta-stai parlando?”
Scorpius sbuffò. Era un po’ seccato nei confronti dell’amico, giacché aveva scelto proprio quel momento per ridursi ad essere ubriaco come una zucchina.
“Di te, Jake,” brontolò, aiutandolo a tirarsi su. “Dove sei stato fino ad ora?”
“A bere.”
“Prima di bere.”
L’altro lo guardò con occhi allucinati. “Davvero non lo sai, Scorpius?”
L’interpellato ritenne opportuno non soffermarsi a indagare ancora sull’argomento, poiché Jacob aveva ripreso a barcollare pericolosamente. Sorresse l’amico, che al momento non sembrava in grado di reggersi sulle proprie gambe.
Scorpius pensò che sarebbe stato opportuno portarlo nella loro stanza a farsi una dormita, così si buttò un suo braccio intorno alle spalle e, un po’ trascinandolo un po’ aiutandolo a camminare, raggiunse con lui l’entrata del loro dormitorio. Aprì la porta con una spallata e continuò a sorreggerlo mentre l’accompagnava verso il letto.
Jacob vi si lasciò cadere con espressione abbandonica, guardandosi attorno con occhi confusi sotto le sopracciglia aggrottate. Sembrava stesse tendando di focalizzare la propria concentrazione su qualcosa che a Scorpius sfuggiva.
“Sono un idiota,” lo sentì mugolare mentre si rigirava, affondando la faccia nel cuscino. “Vuoi sapere perché sono un idiota, Scorpius?”
“Sì,” lui annuì, accondiscendente, sedendosi sul bordo del letto di Jake e guardando l’amico. “Sì, Jake. Dimmi.”
Ma Jacob non rispose. Rimase come imbambolato a fissare la cortina verde smeraldo sopra di lui. Sembrava in qualche modo angosciato.
“Ahia,” Scorpius udì una voce parlare improvvisamente. “Deve essergli presa la sbornia triste.”
Si voltò di scatto e sgranò gli occhi nel ritrovarsi davanti una sconosciuta ragazza dai capelli biondi. Aveva qualcosa di familiare, che – comprese – gli ricordava Dominique. Forse era la forma del viso e delle sopracciglia, o magari gli occhi chiari, anche se questa ragazza aveva le labbra più sottili e il suo profilo non era perfetto come quello di Domi. Aveva indosso la divisa celeste di Beauxbatons. Scorpius si chiese come avesse fatto a entrare nel dormitorio di Serpeverde e come mai conoscesse tanto bene l’inglese e soprattutto perché non fosse con il resto della scuola a festeggiare. Lei gli scoccò un’occhiata divertita, quasi canzonatoria.
“Scorpius, davvero non ti ricordi di me?”
E allora Scorpius si dette dell’idiota, perché ricordava eccome. L’aveva conosciuta un paio di estati prima, a casa di Dominique.
“Li-Liliane?”
“Proprio lei.” La ragazza annuì e si sedette sul letto di Bernie, agitando le gambe snelle e fasciate in collant di seta mentre si toglieva con un calcio le scarpe dall’aria scomoda. Quindi prese a dondolare le caviglie incrociate, con un sorrisetto sulle labbra.
Liliane Durbuy Delacour era una cugina di secondo grado di Dominique, figlia di una cugina di Fleur dalla parte Delacour. Una ragazza spiritosa e brillante, abbastanza graziosa ma evidentemente senza una goccia di sangue Veela nelle vene. Se le dava pena il confronto con Victorie e Dominique, non lo dava a vedere.
A Scorpius era simpatica, anche se la trovava un po’ pazza. All’apparenza sembrava la perfetta figlia di una perfetta famiglia perbene, ma non appena i suoi genitori erano a distanza di sicurezza era come se crollasse una maschera: Liliane rideva e scherzava fraternamente con tutti loro, scompigliando i capelli di Dominique e assestando a tutti robuste pacche sulle spalle. Si tuffava in mare con tutti i vestiti addosso, giocava a Quidditch, beveva, fumava e diceva parolacce. Secondo Albus, Dominique provava nei suoi confronti un segreto terrore.
Liliane aveva un modo sfacciato di essere se stessa, una totale imperfezione che la rendeva in qualche modo brillante – forse per questo Domi aveva paura di lei: temeva la sua schiettezza.
Liliane Durbuy Delacour era ripartita dopo due settimane, e da quell’estate Scorpius ne aveva passate abbastanza da ritenersi in diritto di non ricordarsi di lei – o di non aver minimamente pensato al fatto che con ogni probabilità sarebbe arrivata anche lei assieme alla delegazione di Beauxbatons.
“Come hai fatto a entrare, Liliane?” le chiese.
Lei scrollò le spalle. “Quanto ha bevuto quello lì?” indicò Jacob con un cenno del mento.
Scorpius rivolse di nuovo la propria attenzione all’amico. “Non lo so,” rispose flebilmente. “So solo che è scomparso per un po’, e quando è tornato si è attaccato al tavolo degli alcol-”
Ma dovette interrompersi, poiché Jake l’aveva afferrato per il polso.
“Sono un idiota!” lo sentì ripetere.
“Probabile,” ribatté Scorpius. “Ma perché?”
“Perché...” Jake sospirò. “Perché ho fatto... ho fatto la cosa più stupida che pote-potessi fare.”
“Mmh,” replicò lui in tono piatto. “E cosa avresti fatto.”
Di nuovo l’amico non rispose. Scorpius sollevò lo sguardo su Liliane, che stava sogghignando. “Che cosa può aver combinato?”
Vero. Liliane era anche una grandissima esperta nel ficcanasare in giro.
Maledetta pettegola.
“Non ne ho la minima idea,” mormorò Scorpius, sebbene in realtà ne avesse una certa idea. “Perché sei venuta qui?”
“Mi andava,” fu la risposta serena. “Sulla carrozza è una noia. La Laveau-Perrin ci concede al massimo un brindisi con lo champagne.”
“Bella donna, la vostra preside.”
“Sì,” convenne Liliane. “Gran bella donna. In realtà è pure simpatica. Solo che è severa e pure furba.”
“E allora come hai fatto a uscire dalla carrozza?”
“Sono più furba di lei.”
Scorpius alzò gli occhi al cielo. Un’altra caratteristica di Liliane era la più totale mancanza di modestia. Non che si attribuisse meriti che non le erano propri, eh! Solo che non si sminuiva mai.

“E come mai sei venuta proprio qui?”
“Volevo passare a salutare Lily.”
Liliane sogghignò, e Scorpius capì che l’aveva fatto apposta. La ragazza non andava per nulla d’accordo con la più piccola dei Potter – o meglio, era la più piccola dei Potter a non andare per nulla d’accordo con lei. L’aveva sempre inspiegabilmente trattata con astio. Scorpius proprio non riusciva a capire come mai.
“E l’hai salutata?”
“Sì. Mi è sembrata un po’ su di giri. Mi ha salutata allegramente. Secondo me non si è accorta che ero io.”
“Ma dai...” ribatté Scorpius, mentre la sua mente per una volta lavorava febbrilmente.
Jacob si era ubriacato senza un motivo apparente e andava blaterando sciocchezze su cose stupide che diceva di aver fatto. E Lily, a quanto diceva Liliane, era parsa su di giri.
Tutto tornava. Tutto tornava in un criticissimo e drammatico puzzle.
Decise che non ne avrebbe fatto parola con Jake. Meno si immischiava in quella faccenda, meglio sarebbe stato.
Sperava solo che Jacob avrebbe avuto il buon senso di dire la verità ad Albus, perché certi segreti, se serbati troppo a lungo, potevano produrre conseguenze disastrose.
“Scorpius!”
Aprì gli occhi. Non si era accorto di essersi quasi appisolato contro la testiera del letto. Di fronte a lui, un Jacob dallo sguardo appannato lo scrutava con aria fosca.
“Era ora,” mugugnò con voce roca.
Scorpius scrollò le spalle. “Mi ero riaddormentato,” ammise.
“Me ne sono accorto,” replicò Jacob, chiaramente di pessimo umore. Il che, con ogni probabilità, era dovuto al mal di capo lancinante che di certo lo stava attanagliando.
Scorpius lo vide reggersi ad una colonnina del letto per tirarsi in piedi. L’amico chiuse gli occhi per un istante, e quando li riaprì sembrava già più lucido, nonostante fosse quasi verdognolo e avesse gli occhi circondati da pesanti occhiaie.
“Toh,” buttò lì Scorpius candidamente. “Sembra che tu sia di nuovo nello stato da post-Dominique.”
Jacob lo guardò malissimo, ma lui ignorò l’occhiataccia e si alzò, iniziando a vestirsi. Aveva utilizzato di proposito la definizione coniata da Lily Luna per spiare le reazioni dell’amico: la sua scelta era di non far parola dell’argomento, ma niente gli impediva di lanciare qualche frecciatina. Anche se, a dire il vero, non era sicuro se Jake si fosse indispettito per le parole da lui utilizzate oppure per il riferimento a Dominique.
“Se è sinonimo di dopo-sbronza,” lo udì borbottare di rimando, “allora ci hai preso alla grande.”
“Lo definirei un sinonimo azzeccato,” ammise Scorpius.
“Com’è che sei così ironico stamattina?”
Ignorò il brontolio. “Vestiti, su,” lo incitò. “Andiamo a fare colazione.”
“Non ho fame.”
“Vabbè, allora andiamo da Al a farci preparare un antidoto al Firewhiskey.”
“Adesso che ci penso, ho voglia di caffè.”

Scorpius sogghignò. “Come mai questo cambio di idea così repentino?”
Jake inarcò le sopracciglia. “Albus sarà di pessimo umore. Non è lui il campione, ricordi?”
“Mi stupisce che
tu riesca a ricordarlo.”
“Non dovrei?”
“La piantate di battibeccare come ragazzine?”
Si voltarono di scatto: nella stanza era entrato Bernie, sul cui volto era impressa un’espressione atterrita.
“Che succede, Bootie?” gli chiese Scorpius.
L’amico ignorò l’odiato nomignolo, rivolgendosi invece a Jacob. “Quella pazza della De Bourgh ti sta cercando, Jake. Mi ha minacciato.”
L’interpellato sbuffò. “Dille che la raggiungo dopo colazione.”

“Oh, io non ci parlo con quella.”
“Scorpius?”
“Non se ne parla!”
Jacob sbuffò. “Beh, Christine aspetterà,” concluse.
“Com’è che siete così in confidenza, voi due?” domandò Scorpius cautamente.
“Io e Bernie?” replicò l’amico simulando un’aria perplessa.
Lui alzò gli occhi al cielo. “Non far finta di non capire.”
Jacob sospirò. “Nulla di che. Mi dà una mano in... Trasfigurazione.”
“Trasfigurazione?” sbuffò Scorpius, scettico.
“Già,” Jacob lo fissò dritto negli occhi, imperturbabile. “Non sono mai stato particolarmente brillante in Trasfigurazione.”
“Si, ma tu cosa le dai in cambio?”
“Cosa vorresti dire?”
“Christine non fa nulla senza un tornaconto.”
Bernie passava gli occhi dall’uno all’altro, le sopracciglia aggrottate.
Jacob sospirò. “Abbiamo un accordo, è vero.”
“Già,” replicò Scorpius. “E qualcosa mi dice che la Trasfigurazione c’entri ben poco.”
Jake lo guardò storto ma non disse nulla.
A quel punto, inaspettatamente, fu Bernie a parlare. “Jacob,” disse in tono sicuro, “a noi puoi dirlo. Scorpius è seccato solo perché continui a mentire. Non è bello,” fece una pausa, “avere segreti tra di noi. No?”
Scorpius e Jake si guardarono.
“Hai ragione,” ammise quest’ultimo dopo qualche istante, a malincuore. “Mi ha chiesto di aiutarla in una certa faccenda. È... è una cosa che lei vuole scoprire. Non so come mai voglia scoprirlo e quali siano i suoi obiettivi, ma sono abbastanza sicuro che non abbia intenzione di far del male a nessuno.”
Scorpius si sentiva decisamente scettico. Sbuffò. “Mi chiedo solo come abbia fatto a convincerti ad aiutarla.”
“Mi ha proposto uno scambio convincente.”
“E cosa ti ha dato in cambio?”
“Un consiglio.”
Scorpius scoppiò in una risata amara. “E ti sembra uno scambio equo?”
“Dipende da che valore si dà alle cose,” fu la secca replica.
Lui alzò gli occhi al cielo, ma sorrise. Non riusciva a rimanere arrabbiato troppo a lungo. “Hai ragione su questo,” ammise, assestando a Jacob una pacca sulla spalla.
Quest’ultimo si volse verso di lui. Non gli avrebbe mai dato ragione, ma i suoi occhi dicevano chiaramente che stesse pensando la stessa cosa.


****


1 novembre 2021
Biblioteca di Hogwarts
Primo pomeriggio

“Che cosa ci fa lei, qui?”
“Lilian frequenta il settimo a Beauxbatons, Lily. È logico che sia qui.”
La cugina annuì, con un cambio di espressione appena percettibile. “Lo so,” ammise. “Solo che non la sopporto.”
Hugo inarcò le sopracciglia: era raro che Lily fosse così bendisposta a dargli ragione. Ma quel giorno appariva distratta, come se avesse avuto altro per la testa.
“Lily,” le chiese, “va tutto bene?”
“Mmh? Oh, sì. Tutto okay.”
Le scoccò un’occhiata eloquente. Lei ridacchiò e alzò gli occhi al cielo. “E va bene,” concesse. “La presenza di Lilian mi da fastidio.”
“E perché?”
“Come perché?!” Lily sembrava quasi scandalizzata. “Si chiama come me?”
Hugo trattenne una risata. “Ma tu ti chiami Lily,” osservò. “Non Lilian.”
“Stessa cosa,” borbottò lei di rimando, prima di sollevare la testa, guardando verso la fine del corridoio formato da alti scaffali. “Devo andare.”
Senza altre parole, si alzò e si allontanò in fretta.
Hugo scrollò le spalle, perplesso, e finalmente poté togliere il libro di Aritmanzia da quello di mitologia Babbana che si era fatto spedire dalla mamma. Era una fortuna che Lily fosse apparentemente concentrata su altro, poiché altrimenti si sarebbe resa perfettamente conto del fatto che lui stava nascondendo qualcosa – quella di dire bugie era per Hugo una qualità ancora da raffinare.
Ebbene sì: ancora non aveva detto una parola ai cugini delle strane immagini trovate da Tony nella Sala Comune di Corvonero. Al ragazzo aveva dato a intendere di aver interrotto le ricerche, ma ovviamente non era così.
In lui era andata avanzando l’ipotesi che colui che aveva annullato il Proteus – e probabilmente anche rubato la Pietra – avesse voluto dargli un indizio attraverso Anthony.
Ma perché? Non gli pareva un comportamento saggio, a meno che non servisse a depistarlo. Quindi aveva pensato che, forse, l’individuo ignoto stesse giocando con loro.
Si sentiva manovrato, il che non era affatto piacevole.
Tuttavia, non era riuscito a parlarne con la sorella e i cugini. Ormai aveva taciuto troppo a lungo il suo segreto: temeva che se gli altri lo avessero scoperto, si sarebbero infuriati con lui. Già, perché Hugo Weasley non l’avrebbe mai ammesso, ma c’erano alcune persone al cui giudizio teneva molto, e Rose, Lily e Albus erano contemplati nella categoria.
Era cosciente che con una simile condotta le cose sarebbero solo potute peggiorare. Alcuni tipi di segreti diventano più pesanti se lasciati fermentare. Un sassolino rischiava di diventare una montagna.
Eppure... non ci riusciva. Non ci riusciva proprio.
“Che cosa studi?”
Sobbalzò al suono di quella voce sconosciuta. Un ragazzo di Beauxbatons – l’aveva riconosciuto dall’accento e dalla divisa celeste – si lasciò cadere sulla sedia che fino a poco prima era stata occupata da Lily. Hugo lo guardò con circospezione, ma poi spinse il libro verso di lui.
“Mitologia Babana?” gli chiese. “È un argomento piascevole?”
Hugo emise un sorrisino. Il ragazzo era alto quasi quanto lui e aveva un viso molto dolce, con limpidi occhi azzurri sotto le sopracciglia bionde. “Interessante, già. Io sono Hugo Weasley, piacere.”
“Eugène Pepinot,” si presentò l’altro, stringendogli la mano. “Cosa stai scercando di presciso?”
Lui ponderò un istante prima di decidere che poteva arrischiarsi a parlarne con lui. Estrasse quindi dalla borsa le immagini che gli aveva procurato Tony.
“Sto cercando di scoprire il senso di queste immagini,” disse. “Per un compito di Babbanologia.”
Diamine, neanche frequentava Babbanologia. Era una fortuna che quel Pepinot fosse più grande di lui: non avrebbero frequentato assieme nessun corso, perciò difficilmente l’altro si sarebbe accorto del suo imbroglio.
“Mia madre insegna in un lisceo Babano,” replicò l’altro con un sorriso. “Se vuoi posso chiederle di mandarmi qualche libro di iconologia.”
Hugo si sentì improvvisamente sollevato: sorrise. “Sarebbe molto gentile da parte tua!” disse.
“Bene.” Eugène si alzò. “Adesso devo andare. Ti trovo in Biblioteca?”
Hugo annuì. “Sì, mi trovi in biblioteca.”
Guardò Pepinot allontanarsi, e non si rese conto di essere stato spiato da qualcuno cui quella scenetta non era piaciuta affatto.



****



Jacob si sentì improvvisamente afferrare per un braccio.
“Lily,” ebbe il tempo di sibilare. “Non-”
“Ssh,” Lily gli posò l’indice sulle labbra. “Adesso taci.”
Lui sospirò e lasciò che la ragazza lo trascinasse in direzione del Reparto Proibito. Doveva farle un bel discorsetto in cui sarebbe stato chiaro che era tutto un errore e che quel bacio era sbagliato e che-
La vide scavalcare il cordone con noncuranza.
“Lily, che cosa fai?” protestò, cercando di impedirle di introdursi nella zona vietata.
“Tranquillo, non c’è nessuno,” la ragazza appariva perfettamente rilassata. “Neanche c’è Madama Pince. E Lucy ci coprirebbe se dovesse accorgersi che siamo qui.”
“Ma-”

“Dobbiamo o no andare dove nessuno può sentirci.”
Jacob non trovò altre obiezioni.
Non appena si furono addentrati a sufficienza nel Reparto Proibito perché poterono sentirsi al sicuro, Lily gli rivolse un sorriso beffardo. “Allora, alla fine non hai più resistito,” buttò lì, gettandogli un’occhiata ferma e maliziosa.
Jacob respirò bruscamente.
E non resisterò neanche stavolta, se non la pianti! pensò furiosamente.
“Lily,” esordì, “hai idea di cosa potrebbe farmi Albus se lo venisse a sapere?”
Lei inarcò le sue folte sopracciglia. Jake non si era mai accorto prima di quanto fossero belle le sue sopracciglia.
“Al è mio fratello,” disse lentamente la ragazza. “Hai idea di cosa farebbe a me?”
“Sì, un’idea abbastanza precisa.”
“Bene.”

“E allora che si fa?”
Lei sorrise. “Basta che Albus non lo venga a sapere, no?”
Si stava avvicinando pericolosamente.
Lily, allontanati. Adesso.
Ma nonostante il suo cervello gli urlasse di andarsene e anche in fretta, Jacob si ritrovò a fare a propria volta un passo verso di lei.
“Sai,” fece Lily, giocando con il colletto della sua camicia. “Non sei l’unico che non resiste più.”
Era troppo. Era davvero troppo.
Prima che potesse pensare qualunque altra cosa, Jacob si ritrovò con la bocca incollata a quella di Lily ancora una volta.





Note dell’Autrice

Sono terribile sono terribile sono terribile. Okay, scusate il ritardo. Scusate davvero :(
Beh, questo capitolo è di passaggio e incentrato sui Segreti (con la S maiuscola). Spero vi sia piaciuto lo stesso ^^
Bisous,
Daphne



 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Rassegna Stampa ***


A Flaqui. Non me l’aspettavo, davvero! Grazie <3


I saw you in the curve of the moon

In the shadow cast across my room

You heard me in my tune

When I just heard confusion...

U2


3 novembre 2021
Sala Grande, Hogwarts
Ora della Colazione

“Al?”
Al tavolo di Grifondoro, Albus sobbalzò. La sua attenzione era focalizzata interamente sulla fetta di pane tostato che era sul punto di addentare, al punto che quel brusco e inaspettato contatto dall’esterno lo aveva colto di sorpresa.
Lo colse ancor più di sorpresa scoprire chi era stato a interpellarlo. Lucy Weasley lo squadrava con serafica tranquillità, i capelli castani gettati su di una spalla e gli occhi chiari e indagatori.
“A cosa stavi pensando?” gli chiese.
“Co– A niente, Lucy. Te come stai?”
“Io?”
La cugina parve quasi sorpresa che qualcuno si stesse interessando a come stava lei. Albus – che da un bel pezzo non si faceva una chiacchierata con Lucy Weasley – fu stupito di vederla tanto stanca e presumibilmente frustrata. Perché se a primo acchito Lucy sembrava perfettamente tranquilla e serena, scrutandola con più attenzione si poteva scorgere un certo nervosismo. Nel modo in cui continuava ad agitare la gamba sinistra, ad esempio. Faceva perno sul tallone e sollevava e abbassava il ginocchio ad un ritmo ipnotico. Gli ricordò Dominique, sorprendentemente.
Si chiese perché mai Domi dovesse continuare ad essere un punto di riferimento per tante cose.
“Sto benissimo.” Lucy distolse lo sguardo.
“Non mi sembra proprio,” ribatté Albus brusco, senza curarsi di essere delicato. Non avrebbe avuto senso, forse: tutti cercavano di essere delicati con lui da quando era stato scartato dal Calice, e così facendo peggioravano la situazione. Lo facevano sentire stupidamente compatito. Era stato l’istinto a dirgli che Lucy si sarebbe sentita esattamente allo stesso modo.
Se la ragazza era stata colpita da tanta durezza, non lo diede a vedere. Posò su di lui i suoi occhi grandi e chiari, le labbra strette.
“E da quando in qua ti preoccupi di come sto?” lo rimbeccò.
“Non ricominciare a fare la vittima,” rincarò lui. “Ne abbiamo tutti le scatole piene.”
Lei sbuffò rumorosamente. “Ne ho le scatole piene anche io,” ammise.
“Beh, è già un passo avanti,” sbottò Albus.
“È che mi sento terribilmente indecisa su tutto.”
“Fammi indovinare, Scorpius?” replicò lui con sarcasmo.
Lucy gli lanciò un’occhiataccia – Merlino se era strano ricevere un’occhiataccia da Lucy Weasley, anche se doveva ammettere che neanche sembrava lei con quell’espressione dispettosa!
“Esatto,” sibilò poi Lucy a denti stretti. Sembrava non aver perso la sua abituale franchezza, ma se prima era piena di dolcezza adesso sembrava sputar fuori la verità come veleno. Sperò che le passasse presto, perché così era davvero spaventosa. “Non sento nulla per lui e questo mi manda in bestia. Ma neanche riesco a lasciarlo andare del tutto, capisci?”
Albus si accorse di capire. Lo disse. “E ti senti anche in colpa,” aggiunse. “Ti senti in colpa da morire perché gli vuoi bene e sei consapevole di avergli fatto del male.”
Lei strinse gli occhi. Deglutì. “Mi odio per questo,” mormorò infine.

Il brusio degli altri studenti intenti a fare colazione tornò alle loro orecchie, quasi fosse scoppiata una bolla gigantesca. Albus si accorse che forse stava parlando veramente con sua cugina Lucy per la prima volta da anni, e l’ultima volta con ogni probabilità la loro conversazione aveva riguardato un qualche orsacchiotto di pezza che Lily aveva nascosto facendo piangere Hugo.
Si ritrovò a sorridere al ricordo.
Lucy aprì la bocca, sul punto di dire qualcosa, ma poi fu distratta dall’arrivo degli stormi di gufi in procinto di consegnare la posta mattutina. Un grosso barbagianni planò verso di lei con un giornale nel becco. La ragazza pagò cinque zellini al volatile, permettendogli anche di tuffare il becco nel suo succo di zucca, poi aprì la Gazzetta del Profeta e si accinse a leggerla.
Dopo qualche minuto in cui Albus aveva torturato il suo toast senza mangiarne neanche un boccone, Lucy diede in un gridolino e gli tirò una gomitata.
“Albus,” gli si rivolse in tono vagamente ansioso, “hai sentito Harry, per caso?”
“Avrei dovuto?” replicò Albus, lapidario, pensando che avrebbe dovuto eccome. In qualche modo Harry doveva essere giunto a conoscenza della sua candidatura come Campione, perché da almeno quindici giorni la lettera settimanale che gli arrivava da casa era firmata solo da sua madre.
Mi sta tenendo il muso. Una cosa del genere uno se l’aspetterebbe da zio Ron, non da mio padre.
Lucy gli scoccò un’occhiata di traverso. “Guarda,” disse poi, porgendogli il quotidiano.
Accigliato, Al chinò lo sguardo sull’articolo in questione.


CAOS ALL’ACCADEMIA AUROR


Sono molteplici le voci che ormai da settimane ronzano attorno alla misteriosa – e per adesso temporanea – chiusura della sede londinese dell’Accademia Auror. Si è parlato di difetti tecnici, problemi di struttura, persino di un attacco da parte di ignoti maghi oscuri. Al personale e al corpo studentesco è stato proibito di rilasciare dichiarazioni: siamo costretti ad ammettere che da tutto questo tacere non si possa presagire nulla di buono.
La nuova sede dell’Accademia è stata inaugurata neanche due anni orsono. La sua progettazione è stata affidata a MagiArchitetti della massima preparazione e le prima bozze poste sotto esame dal personale ministeriale. Si trova in Diagon Alley e garantisce – o dovrebbe garantire – la massima praticità.
Tutto questo fa supporre che un malfunzionamento del sistema ElettroMagico sia l’ipotesi più improbabile. Sarebbe altresì più verosimile se si trattasse piuttosto di un balordo scherzo organizzato da qualche allievo dell’Accademia o altrimenti da qualcuno estraneo all’istituto, dotato di un senso dell’umorismo piuttosto particolare.
Ad ogni modo, non si può negare che il misfatto sia stato messo su interamente sotto il naso degli Auror.
“Non rilascerò dichiarazioni,” è stata la decisione di Harry Potter, Salvatore del Mondo Magico e Capo del Dipartimento Auror al Ministero della Magia.
Il signor Potter ha i nervi a fior di pelle, e come non comprenderlo?
Un ignoto portavoce del Ministero ha assicurato–

Stizzito, Albus chiuse il giornale di scatto e lo restituì a Lucy.
“Papà sarà furioso,” mormorò, sentendosi improvvisamente un maledetto egoista.
“È quello che temevo,” replicò la cugina, dispiaciuta.
“Mi chiedo solo come abbiano fatto quelli della Gazzetta a venirlo a sapere.”
Lucy scrollò le spalle. “Qualcuno del Dipartimento avrà fatto una soffiata. C’è gente che farebbe di tutto per un sacchetto di Galeoni.”
Albus la guardò fisso. “C’è anche chi userebbe un sacchetto di Galeoni per fare di tutto,” buttò lì senza pensarci.
Lei aggrottò le sopracciglia. “Cosa intendi dire?” chiese, sospettosa.
Si rese conto di quanto quella non fosse affatto la frase giusta da dire. “Niente,” arrangiò. “Pensavo solo a voce alta.”
Lucy non sembrava convinta, ma non disse nulla. Abbassò anzi lo sguardo sull’orologio che portava al polso. “Devo andare,” disse con sussiego. “Ho il turno alla biblioteca.”
Albus annuì. “Sì, certo. Ci vediamo, Lu.”
Lei emise un sorrisetto forzato. “Naturalmente. Fai... fai i complimenti a Rose, se la incontri.”
Se non si fosse trattato di Lucy, Albus avrebbe sospettato un’implicita frecciatina in quelle parole. Ma di Lucy si trattava, e non ricordava di aver mai udito un commento perfido uscire dalle sue labbra: quella frase a sproposito era stata del tutto innocente da parte sua. Quindi mise su la sua migliore faccia di bronzo e annuì ancora, condiscendente.
La cugina scomparve oltre la porta della Sala Grande in uno svolazzo di capelli castani. Non appena si fu allontanata, Al si azzardò a gettare un’occhiata in direzione del tavolo di Corvonero, solo per scoprire Georgia Menley intenta a scherzare con Royal Myrne, un Corvonero del suo stesso anno – e uno degli studenti con la media migliore di tutta la scuola, per la cronaca.
Distolse lo sguardo, adombrandosi in volto e quasi afflosciandosi sulla panca. Gettò un’occhiata al proprio toast e alla tazza di tè zuccherato, scoprendo che gli era passata la fame.
Sentì un tramestio alla propria destra, nel posto lasciato libero da Lucy. Rimase di stucco nel vedere che Quinn Baston lo degnava ancora della sua presenza, ma dopo aver allungato lo sguardo sul resto del tavolo di Grifondoro comprese il perché: era l’unico posto non occupato. Probabilmente era la presenza delle delegazioni straniere a causare una tale confluenza di studenti al tavolo della colazione.
Tutti allo stesso orario. Di solito c’è sempre qualche posto lasciato libero da un ritardatario.
Dopo avergli gettato un’occhiata in cagnesco, Quinn aveva estratto dalla borsa una rivista di Quidditch e si era nascosta dietro di essa, quasi la presenza di Albus costituisse per lei una vista spiacevole.
Il ragazzo non ebbe neanche la forza di sentirsi offeso.
Decise comunque di fare un tentativo.
“Ehi, Quinn,” le si rivolse in tono allegro, incurante del fatto che la ragazza non gli rivolgesse parola da settimane. Non ottenendo risposta, allungò una mano e abbassò la rivista che la ragazza teneva aperta davanti al proprio viso. “Quinn,” ripeté.
Lei sollevò lo sguardo dal foglio, scoccandogli un’occhiata glaciale. “Potter,” constatò fra i denti, prima di risollevare il giornale.
Albus sbuffò. “Dai, Quinn. Basta tenermi il muso.”
“Non ti sto tenendo il muso.” Da dietro il giornale giunse un mugugno soffocato.
“Ah, no?” Albus si fece forza e addentò il proprio toast. “Mi sembra che tu stia facendo esattamente questo.”
“Non parlare con la bocca piena,” ribatté lei aspramente, ma Al ebbe l’impressione che si fosse un poco ammorbidita.
“Allora,” esordì, abbassando di nuovo il suo giornale, “come–”
Impressione sbagliata. Quinn scostò la rivista dalle sue mani con un gesto secco, prima di alzarsi bruscamente e dirigersi verso il tavolo di Tassorosso.
Albus la seguì con lo sguardo per tutto il tragitto. Era così visibilmente furiosa che gli studenti seduti alla tavolata giallo-nero non esitarono a farle posto.
Abbandonò nuovamente il toast nel piatto, sconfortato.


****


3 novembre 2021
Parco, Hogwarts
Tarda mattinata

Rose Weasley sostava in piedi sulle rive del lago. La sua figura si stagliava contro le nubi grigiastre e la sua espressione era concentrata, le sopracciglia aggrottate indice del fatto che la sua attenzione era interamente focalizzata su qualcosa di fondamentale. Una mano era sprofondata in tasca, l’altra abbandonata lungo un fianco e serrata in un pugno. Non ci volle molto prima che la causa ne fosse chiarita: portò il braccio dietro di sé e con un movimento fluido scagliò un sasso piatto sulla superficie del lago. La pietra rimbalzò tre o quattro volte sul pelo dell’acqua, prima di affondare con un sommesso plop.
Per qualche motivo, a Scorpius venne da sorridere. Forse perché Rose aveva un’aria così assorta, forse perché in qualche modo aveva iniziato a tenere a lei. Ad ogni modo, erano tre giorni che cercava un modo di avvicinarla, ma la ragazza era continuamente circondata da troppe persone e comunque era sempre riuscita a sfuggirgli. Aveva preferito attendere un momento più adatto: probabilmente Rose si sarebbe comunque dimostrata seccata, ma segretemente avrebbe gradito tale accortezza.
Le si avvicinò. Era avvolta nel mantello invernale – cominciava a fare davvero freddo – e portava al collo la sciarpa con i colori di Serpeverde. Scrutò per un istante la riva opposta, sempre sovrappensiero, poi si chinò a raccogliere dalla riva ghiaiosa un altro largo sasso piatto. Scorpius si accorse che accanto ai suoi piedi erano impilate parecchie pietre di quella forma e si chiese quanto fosse stata grande la pila all’inizio e soprattutto da quanto tempo Rose fosse lì.
Improvvisamente realizzò che c’era un solo modo per avere una risposta a quelle futili, piccole domande e che probabilmente porre la domanda giusta fosse in qualche maniera più importante di ricevere la relativa risposta altrettanto giusta.
“Ciao, Rose,” disse semplicemente.
La vide sobbalzare al suono della sua voce. Di certo era convinta di essere sola: si accorse dal suo sguardo lievemente indispettito che si stava chiedendo da quanto tempo lui fosse lì a osservarla.
Tanto, pensò, e non sapeva se sperare che lei non l’avesse capito oppure no.
“Malfoy,” constatò lei a bassa voce.
“Come stai?” le chiese.
Che domanda idiota.
Quasi conseguentemente ai suoi pensieri, Rose inarcò le sopracciglia. “Mi chiedevo quando ti saresti fatto vivo,” buttò lì.
“Pensavi a questo?!” replicò lui, sorpreso.
Lei tornò a posare lo sguardo sul lago. “Forse,” ammise, sibillina.
Scorpius si sentì inspiegabilmente felice. “Credevo fosse meglio lasciarti il tempo di interiorizzare la notizia,” ci tenne a precisare.
“Non ho bisogno di queste delicatezze,” sottolineò Rose, chiudendosi di nuovo a riccio. “Non da parte tua, perlomeno.”
“Io invece credo che tu abbia bisogno di questo,” la contraddisse, pentendosi di aver pronunciato quelle parole meno di cinque secondi dopo aver parlato. In cambio di quell’affermazione inopportuna, infatti, ricevette un’occhiata scettica e un po’ stordita da sotto le sopracciglia sollevate.
Rose ha le sopracciglia molto più scure dei capelli, si ritrovò a pensare. Quasi castane. Prima di quel momento non si era mai reso conto della cosa. O, forse, non vi aveva mai prestato particolare attenzione.
“Come l’hai presa?” le chiese precipitosamente, quasi sperando interiormente che la ragazza non avesse focalizzato la propria attenzione su quanto detto poco prima.
Rose lo guardò con espressione grave per alcuni istanti terribilmente lunghi.
“Mi sento ancora un po’ frastornata,” ammise poi, vagamente a malincuore.
Scorpius annuì, guardandola dritto in quei suoi occhi scuri e impenetrabili. “Posso immaginare,” borbottò.
Poteva immaginare, in effetti, e magari anche cercare di capire. Non che capire Rose Weasley costituisse un’impresa facile, anzi. Ma forse la chiave era sita proprio lì: tentare non costava nulla, non avrebbe fatto alcun male.
Chissà perché, non gli parve poi così pretenziosa la pretesa di potervi anche riuscire, magari. Un giorno. Improvvisamente si ritrovò a sperare che quel giorno arrivasse presto.
“Non te l’aspettavi, vero?” le chiese, le parole che salivano spontanee alle labbra.
Rose tornò a posare gli occhi sulla superficie del lago, appena increspata da una brezza leggera.
“No.” Aggrottò le sopracciglia. “Non me lo sarei mai aspettato.”
“Era quello che desideravi?” si arrischiò a domandare lui.
“Non lo so.” Rose diede in un sospiro spezzato. “Non è il Torneo in sé che volevo, probabilmente,” proseguì quasi soprappensiero, sorprendentemente loquace e schietta rispetto ai suoi standard. “Ma... non so. Mi è sembrata un’occasione. Improbabile, ma un’occasione.”
Scorpius rimase sorpreso: non si sarebbe mai aspettato una simile confessione.
“Un’occasione per cosa?”
La ragazza scrollò le spalle. “Per dimostrare che valgo qualcosa anche io.” Dal tono in cui parlò, a Scorpius parvero parole già pronunciate. Si chiese chi fosse stato il suo primo confidente al riguardo. Ma dopotutto, non erano affari suoi.
O sì?
Si concentrò su quanto detto da Rose, e la replica che ne seguì uscì autonomamente dalle sue labbra, prima che avesse il tempo di frenarsi. “Non devi dimostrare niente a nessuno, Rose.”
Lei gli scoccò un’occhiata talmente addolorata e palese da farlo sentire inspiegabilmente in colpa.
“Sì, invece,” ribatté.
“A me non devi dimostrare niente.”
Rose lo guardò per alcuni istanti con aria sbigottita, prima di voltare di scatto il capo verso il castello, come se qualcosa avesse catturato improvvisamente la sua attenzione. Aggrottando le sopracciglia, Scorpius fece lo stesso.
Giusto in tempo per vedere Bernie scomparire nel portone d’ingresso.
Merda!
Lui e Rose si guardarono. Si accorse improvvisamente di essere a corto di fiato, e capì di aver detto qualcosa di grosso. In un certo senso.
“Io...”
“Lo so,” lo anticipò Rose. “È tuo amico. Vai.”
Scorpius annuì, prima di voltarsi e correre verso il castello.



****


4 novembre 2021
Aula di Incantesimi, Hogwarts
Mattinata

“Allora?”
“Quante volte devo ripeterlo perché tu capisca? Non. Sono. Affari. Tuoi.”
“Ma se ho fatto da Cupido fra te e Li–”

“Abbassa la voce!” sibilò Jacob, improvvisamente in allerta, tappando la bocca di Christine con una mano. Così facendo aveva coperto metà del suo volto, ma nonostante ciò poté intuire il suo sogghigno, perché gli occhi della ragazza dardeggiavano con fin troppo entusiasmo.
Con assoluta nonchalance, Christine mosse la bacchetta, costringendolo a togliere la mano. Fortunatamente si trovavano nell’aula di Incantesimi, dove albergava una confusione sufficiente perché nessuno si rendesse conto dei loro movimenti. Già il modo in cui Christine l’aveva afferrato per il polso e costretto a sedersi al banco accanto al suo sarebbe potuto sembrare sospetto. O equivoco. E c’erano già fin troppe cose equivoche negli ultimi giorni di Jacob Greengrass: aggravare il suo carico con il peso di ulteriori pensieri non gli avrebbe di certo giovato.
Christine scrollò le spalle. “Muffliato,” mormorò, agitando la bacchetta.
Suo malgrado, Jake si ritrovò a emettere un sospiro di sollievo. Albus era seduto solo due banchi più avanti, e non doveva udire una parola dell’interrogatorio al quale senza dubbio Christine l’avrebbe sottoposto.
Come se le servisse, poi. Chissà come riesce sempre a sapere tutto di tutti.
Decise che non le avrebbe reso la cosa ancor più semplice per nulla al mondo.
“Allora?” ripeté Christine.
“Allora cosa?” replicò lui in tono inespressivo.
La ragazza alzò vistosamente gli occhi al cielo. “Lo sai. Tu e Lily Potter.”
“Come mai tutto questo interesse?” le domandò lui, tentando di incanalare il discorso in un’altra direzione.
“Devo proseguire la mia missione di fata madrina, no?”
“Secondo me è tutta una posa,” borbottò Jacob.
“Può darsi,” Christine ammiccò. “Ma non puoi saperlo, giusto?”
“Non mi interessa.”
“Ti interessa eccome, solo che fai finta di non capirlo. Come con Lily.”

Lo sguardo di Jacob guizzò via da Christine, per andare a fissarsi su di un punto imprecisato alle sue spalle. “Non succederà più nulla con Lily,” ci tenne a puntualizzare.
“Non succederà più nulla?” fece lei, con un sorrisino trionfante. “Allora è successo qualcosa!”
Dannazione.
“Non dirmi che non lo sapevi,” bofonchiò Jake.
“Me ne hai appena dato la conferma!” cinguettò Christine di rimando.
Lui alzò gli occhi al cielo. La sua nuova amica era un tipo inaspettatamente allegro, aspetto riguardo al quale non si era mai preso la briga di conoscerla prima.
Suo malgrado, stava cominciando a fidarsi di lei.
“Quindi?” riprese la ragazza. “Come pensi di risolvere questa situazione?”
“Che cosa intendi?”
“Albus.”

Jake deglutì. “Non c’è nulla da risolvere. Lui non saprà niente, perché non ci sarà più niente. E anche quello che c’è stato è niente.”
Christine sorrise, sorniona. “Beh, letteralmente parlando sarà successo ben poco. Insomma, hai baciato già altre ragazze. Potrebbe non essere nulla di più di un bacio paragonabile a qualsiasi altro bacio.”
“Ecco, appunto,” convenne Jake precipitosamente, appigliandosi a quell’ultimo raggio di speranza. “Un bacio come un altro. Niente di importante, nessuna conseguenza.”
Sapeva di mentire. Lo sapeva perché era inevitabile che nella sua mente balenasse la sensazione delle labbra di Lily che si muovevano contro le sue. Perché voleva che si muovessero contro le sue ancora.
Christine inarcò le sopracciglia con aria furba. “Questo per quanto riguarda il senso letterale,” precisò. “Per quanto riguarda la realtà, invece...” lasciò la frase a metà, parlando in tono misterioso.
Stizzito, Jacob roteò gli occhi. “Non chiarire il concetto.” Nella sua mente tali parole non avevano quel tono di supplica che invece gli era parso fin troppo intuibile quando le aveva pronunciate.
Naturalmente, a Christine non sfuggì. La ragazza, difatti, non perse l’occasione per prenderlo in giro. “Sei arrivato a questo punto, Jake? Sei arrivato a–”
“Non sono arrivato proprio a niente,” mugugnò lui di rimando.
Christine sorrise ancora. A Jacob sarebbe piaciuto attaccarle in faccia un cerotto con un incantesimo di Adesione Permanente. Almeno così avrebbe taciuto – anche se, conoscendola, avrebbe trovato comunque un modo di commentare quel che voleva commentare. Era maledettamente furba.
Anche Lily era furba. Era astuta. Era... era un milione di altre cose, e davvero la stupida mente di Jake non avrebbe dovuto sentirsi in diritto di collegare a lei ogni minimo particolare che potesse essere collegato a qualcosa.
“Ad ogni modo,” Christine riprese come nulla fosse, “dovresti ringraziarmi. Davvero.”
“Non credo proprio.”
“Oh, ma lo farai. Quando hai intenzione di dirlo ad Albus?”
“Quante volte devo ripeterti che non c’è nulla, assolutamente nulla da dire a nessuno?”
In particolare ad Al, aggiunse mentalmente.
“Invece secondo me dovresti dirglielo.” Scrollò le spalle. “È solo un consiglio.”
“Ne ho le scatole piene dei tuoi consigli.”
Christine rise. “Ti ho fatto un favore, ripeto.
Continuo a farti un favore.”
“Sei la fata madrina più petulante e insopportabile che–”
“Lo so, lo so.” La ragazza scosse la mano con noncuranza. “Hai scoperto qualcosa, per la cronaca?”
Jacob scosse la testa in segno di diniego, mentre agitava la bacchetta in direzione di una delle due identiche pergamene che aveva di fronte. “Res Adstringo¹,” mormorò, e dalla punta della sottile asticella in legno scaturì un vistoso bagliore azzurrastro, che parve pulsare per alcuni istanti prima di spegnersi. Le due pergamene di fronte a Jake erano rimaste immutate. Accigliato, il ragazzo prese la penna d’oca e scrisse il proprio nome su una delle due, attendendo che le stesse lettere comparissero anche sull’altra.
Non successe niente.
Sbuffò. “Non imparerò mai a fare un Proteus,” buttò lì.
“È questione di concentrazione,” osservò Christine tranquillamente. “In questo momento hai altro per la testa, è chiaro.”
Jacob ignorò la frecciatina e gettò un’occhiata alla ragazza. Aveva impugnato la sua bacchetta.
Res Adstringo,” pronunciò con voce forte e chiara. La luce che scaturì dalla sua bacchetta era molto più intensa e di un azzurro più limpido e brillante, tant’è che in parecchi si voltarono a guardarla. Il bagliore persisté per qualche istante, e infine venne come assorbito dalle due pergamene.
Poiché ormai gran parte della classe era voltata nella loro direzione, Jacob si affrettò ad annullare il Muffliato, e poi tornò a guardare Christine, esterrefatto.
Con tranquillità la ragazza prese la sua penna d’oca e scrisse su una delle due pergamene il proprio nome. Trascorsero quindi alcuni secondi che parvero interminabili, che Jacob passò con il cuore in gola. Poi, lentamente, la sagoma di una C si delineò sulla seconda pergamena ini inchiostro nero, nella calligrafia di Christine. Fu seguito da una H, e poi da tutte le altre lettere che componevano il nome della ragazza.
Nell’aula ogni brusio si era già spento da un pezzo. Nessunò parlò per qualche frazione di secondo, poi il professor Vitious diede in un applauso entusiastico.
“Bravissima, De Bourgh! Complimenti!” Sorrise. “Avete visto tutti quanti? La signorina De Bourgh ha dimostrato una completa padronanza dell’Incanto Proteus. Ottimo, Christine: dieci punti a Serpeverde.”
Il professore sembrava estastiato. Christine non rispose. Aveva gli occhi sgranati e le labbra socchiuse, e per la prima volta da che Jacob la conosceva sembrava davvero confusa.
Dall’altra parte dell’aula, gli occhi di Rose Weasley si assottigliarono.
Jacob sapeva il perché, visto che aveva pensato la stessa cosa.
Il Proteus. L’Annullamento. Christine. Gossip Witch. Il consiglio. Oh, accidenti!
“Professore, posso andare a chiedere una cosa a Greengrass?”
La voce di Rose si era levata nell’aula forte e chiara. Vitious le diede subito il permesso, quindi la ragazza si alzò e raggiunse il loro banco. Tuttavia, non fu a Jacob che si rivolse.
“Che cosa significa?” sibilò a Christine. Gli angoli della bocca di quest’ultima si incurvarono in un sorrisetto serafico.
“Di cosa stai parlando?” rispose candidamente, ma la sua voce era incrinata.
Rose fece una smorfia. “Lo sai benissimo!” esplose – pur mantenendo basso il tono di voce. Quindi si voltò e fece per allontanarsi. Christine, però, la trattenne per la manica.
“Pensi davvero che sarei stata tanto stupida da farlo capire a tutti in questo modo?” le chiese. Rose le scoccò un’occhiataccia e sembrò sul punto di rispondere – nell’inusuale silenzio, probabilmente tutti stavano origliando la loro conversazione. Tuttavia, non ebbe modo di esprimere ciò che voleva dire, perché qualcuno bussò improvvisamente alla porta.
Dalla soglia fece capolino la figuretta di Lucrezia Goldstein, che si diresse spedita verso la cattedra.
“Professor Vitious, mi scusi,” disse educatamente. “Devo accompagnare di sopra Rose Weasley.”
L’insegnante si aprì in un sorriso. “Per la Pesa delle Bacchette, suppongo!” replicò in tono allegro. “Vai pure, signorina Weasley. Grazie, Lucrezia.”
Prevedibile. Probabilmente tutti gli insegnanti la chiameranno già per nome.
Rose si scostò di malavoglia dal loro banco, si chinò a raccogliere le proprie cose e si apprestò a seguire la ragazzina.
Fino a quel momento, l’atmosfera nell’aula era stata in qualche modo sospesa. Jacob non aveva guardato Christine. Si era sforzato di non guardare Christine. Si era sforzato di far sì che i propri pensieri neanche la sfiorassero.
Christine non poteva essere Gossip Witch.
Realizzò improvvisamente quanto la cosa gli avrebbe fatto male. Non si era accorto di essersi affezionato a lei fino a quel punto, non aveva capito che la loro era diventata un’amicizia sincera. Si sarebbe sentito deluso, non poteva neanche prendere in considerazione l’ipotesi che–
Un momento, Christine non poteva essere Gossip Witch.
Prima di tutto, come aveva fatto notare a Rose, non sarebbe mai stata tanto sciocca da smascherarsi a quella maniera davanti a tre quarti degli studenti del loro anno. Praticamente nessuno riusciva a compiere un Proteus impeccabile come il suo alla prima lezione: che problema avrebbe avuto a mettere a compimento le sue doti una o due lezioni dopo?
Oltretutto, se davvero padroneggiava l’Incanto Proteus a quel punto, avrebbe semplicemente applicato di nuovo l’incantesimo sulle monete.
Infine, era parsa sinceramente sorpresa quando il suo Proteus si era rivelato perfetto.
Improvvisamente, Jacob realizzò che tutti gli studenti presenti in quell’aula adesso pensavano che Christine fosse Gossip Witch. E la ragazza avrebbe avuto seri problemi a convincere tutti del contrario.



****


Rose seguì la ragazzina fuori dall’aula, affiancandola per i corridoi di pietra. Concentrata su quanto appena accaduto nell’aula di Incantesimi – davvero, non riusciva a crederci! Christine Gossip Witch? Era troppo strano – non fece caso al fatto che l’altra la stesse fissando. Insistentemente.
Solo quando sentì lo sguardo della ragazzina solleticarle la nuca si volse verso di lei e realizzò che non le aveva tolto gli occhi di dosso neanche per un istante.
“Sei emozionata?” le si rivolse la bambina con tono sicuro, la cui incertezza fu tradita solamente da una certa eccessiva sveltezza nel modo in cui l’aveva pronunciata.
Deglutì, stranamente in difficoltà. “Dovrei?” domandò. Quella parola uscì estremamente esile dalle sue labbra.
La ragazzina scrollò le spalle. Aveva qualcosa di familiare – le era parso di vederla spesso assieme a Lizzy Dursley. Probabilmente si trattava di quello.
“Tu sei una delle cugine di Lizzy,” disse infatti la bambina.
“Non siamo propriamente cugine,” rispose Rose in tono piatto. “Lei è cugina dei miei cugini.”
“Lo so, Rose,” replicò l’altra. “Posso chiamarti Rose, vero?”

Lei aggrottò le sopracciglia, perplessa. “Non c’è problema.”
Non sapeva perché si stesse sprecando ad essere tanto gentile, né d’altronde perché stesse facendo conversazione con un’undicenne sconosciuta. Forse cercava di tenere la mente impegnata: se non l’avesse fatto con ogni probabilità sarebbe impazzita. Era innegabile che la faccenda del Torneo le mettesse addosso una certa ansia – specie perché non aveva capito ancora se la cosa le piacesse o meno – e quest’ultimo fatto che Christine padroneggiasse perfettamente il Proteus...
Realizzò di aver finito per rivalutarla, almeno un pochino.
Come ho potuto essere così stupida!
“Io sono Lucrezia Goldstein,” disse la ragazzina improvvisamente.
“Come, scusa?”
“Lucrezia Goldstein. Il mio nome.”
Ecco perché aveva un’aria familiare. Dominique le aveva parlato della sorellina di Adrian, qualche volta.
“So che conosci mio fratello,” proseguì Lucrezia.
“Già,” replicò Rose, laconica.
“Adrian è simpatico, e neanche palloso come sembra,” la ragazzina sorrise. “Vero?”
“Oh, certo.”

“Guarda che puoi dirmelo se pensi che non sia vero.”
Rose le gettò un’occhiata di sbiego. “Non ho detto che non sia vero.”
Il sorriso di Lucrezia si fece ancora più largo. Rose non poté fare a meno di pensare che fosse una ragazzina davvero strana. “Beh, meglio così!” la udì cinguettare allegramente. “Sai, Lizzy mi ha parlato tanto di voi. Di tutti voi.”
Rose inarcò le sopracciglia. Per quanto poco la conoscesse, riteneva alquanto improbabile che Elizabeth Dursley avesse riempito di chiacchiere l’amica. Specie perché aveva avuto l’impressione che nessun membro della famiglia le stesse particolarmente simpatico – fuorché, inspiegabilmente, Dominique.
“Le sei molto simpatica,” proseguì la ragazzina. “Apprezza che tu sia così... riservata.”
Oh, su questo non aveva dubbi. Lizzy era la bambina più antipatica che– Un momento, Lucrezia Goldstein l’aveva appena definita riservata? Cosa–
“Deve essere bello, avere una famiglia così grande e affettuosa.”
Rose si trovò improvvisamente in difficoltà. Conosceva a grandi linee la situazione familiare dei Goldstein, e in un certo senso riusciva a intuire quanto quella ragazzina fosse bisognosa di affetto.
Si sentì improvvisamente ingiusta. Lei aveva avuto affetto in abbondanza, e quando mai l’aveva apprezzata a sufficienza?
Era irritante che una mocciosa di appena undici anni avesse appena ribaltato gran parte delle sue prospettive, ma... si sentì comunque in dovere di dire qualcosa. Qualunque cosa facesse sentire Lucrezia accolta, forse.
“Lo è,” rispose, scoprendo con sorpresa di essere abbastanza sincera. “A volte è un po’... opprimente, per me. Ma suppongo sia una cosa bella.”
“Beh, a volte serve aver bisogno delle cose per apprezzarle sul serio, no?” Lucrezia si sforzava visibilmente di suonare allegra, ma qualcosa nel suo tono di voce non convinse Rose. C’era una nota di amarezza, nelle sue parole, che a lei non sfuggì.
“Probabilmente hai ragione,” mormorò.
Ma Lucrezia già si era ricomposta. “Ti starò assillando con queste chiacchiere!” Rise. “Siamo arrivate, comunque. A presto!”
Prima che Rose potesse anche solo aprire bocca, Lucrezia era corsa via. Perplessa e un po’ stordita, la ragazza si voltò verso la porta che aveva di fronte. Sollevò il pugno per bussare, ma prima che ne avesse l’opportunità la porta si spalancò praticamente sulla sua faccia, e qualcuno la trascinò dentro.
Sempre frastornata, si guardò intorno. Si trovava in un’aula abbastanza piccola, dove i banchi erano stati ordinatamente disposti intorno alla stanza. Così facendo, era stato guadagnato un ampio spazio, occupato da tre tavoli posti l’uno accanto all’altro e coperti da un drappo di velluto nero. Dietro di essi erano disposte cinque sedie. Solo una era occupata: lo zio Percy sorrise nel vederla, e le rivolse un segno di saluto, cui Rose rispose un po’ nervosamente.
Solo a quel punto notò chi l’avesse trascinata dentro. Era un ragazzo che dimostrava pochi anni più di lei – non doveva avere più di venticinque o ventisei anni. Aveva dei lineamenti regolari e attraenti, ciocche biondo scuro ricadevano ad arte sulla fronte e sugli occhi, che erano di un azzurro limpidissimo. Era decisamente un bell’uomo, ma c’era qualcosa nel suo sorriso smagliante e nei suoi vestiti perfettamente in ordine che in qualche modo le provocò repulsione. Come una nota di falsità che era impossibile ignorare.
Lo sconosciuto le aveva di nuovo artigliato il polso fra le dita sottili e ben curate.
“È arrivata!” annunciò a qualcuno.
“Finalmente, mancavi solo tu!” strillò estaticamente – o acidamente? – una ragazza rotondetta con al collo una macchina fotografica.
In effetti, mancava solo lei. Guillome e Natal’ja chiacchieravano con Alicia Spinnet, e i tre presidi erano in piedi accanto a una finestra, in compagnia di un uomo che Rose riconobbe immediatamente come Jeremiah Connery, titolare dello storico negozio di bacchette un tempo appartenuto alla famiglia Olivander. Il signor Connery era l’unico detentore del sapere dell’ultimo Olivander, che l’aveva preso come apprendista negli ultimi anni della sua vita.
Anche la Spinnet aveva notato l’arrivo di Rose.
“Adesso siamo tutti,” sorrise con calore. “Fra non molto avrà inizio la cerimonia della Pesa delle Bacchette!”
“Vuol dire che controlleranno lo stato delle nostre bacchette, giusto?” domandò lei, che aveva conosciuto Alicia da bambina.
“Proprio così,” confermò la donna. “Ma prima–”
“Prima dobbiamo intervistarli!” rispose l’uomo biondo per lei. Ancora non aveva lasciato il polso di Rose. “Possiamo cominciare dalla scuola ospite, non credete?” Agitò la mano di Rose in aria. Lei, d’altro canto, era troppo scioccata per pensare di apporre qualsiasi resistenza.
“Naturalmente,” la Spinnet annuì. “Ragazzi, lui è Jericho Allock². Scriverà un pezzo sul Torneo Tremaghi per la Gazzetta del Profeta.”
“Allora, ci muoviamo?” incalzò Allock in tono annoiato. Sebbene non gliene importasse granché, Rose era esterrefatta per la sua maleducazione. Insomma, era–
“Mi hai sentito?” si accorse che Jericho si stava rivolgendo a lei solo quando le tirò bruscamente il braccio. “Ti muovi?”
“Ehi!” protestò Rose, irritata. “Potresti essere più gentile!”
L’uomo fece un sorriso storto. “Jericho potrebbe essere più gentile!” la scimmiottò, imitando una vocetta infantile.
Lei non sapeva se fosse più stupido parlare di sé in terza persona o prendere in giro qualcuno che si doveva intervistare da un momento all’altro.
Probabilmente la seconda.
Jericho la trascinò senza tanti complimenti nell’aula adiacente, dove si accomodò alla cattedra con un sorrisetto compiaciuto impresso sul volto.
Inarcando le sopracciglia – e sempre più di cattivo umore – Rose afferrò una sedia e vi si lasciò cadere.
Con gesti di una lentezza esasperante, l’altro estrasse una pergamena bianca e una penna d’oca verde acido, che richiamò improvvisamente qualcosa alla memoria della ragazza.
La voce di sua madre parve riecheggiarle nella mente.
Con quella sua Prendiappunti verde acido! Rita Skeeter è sempre stata insopportabile..
Improvvisamente, comprese. Jericho Allock doveva essere il figlio di Rita Skeeter... e quella era la sua penna, su questo non c’era alcun dubbio. Il verde acido andava di gran moda una ventina di anni prima.
“Beh?” domandò Jericho bruscamente. “Come ti senti? Emozionata?”
Rose scrollò le spalle.
“Allora?”
Assottigliò gli occhi, seccata. “Un giornalista non dovrebbe mettere le persone a proprio agio?”
Jericho non dovrebbe mettere le persone a proprio agio?
Faticò a resistere alla tentazione di lanciargli una fattura. Si limitò a scoccare a Jericho un’occhiata gelida... il giornalista, d’altronde, non parve minimamente impressionato.
“Com’è stato essere scelta per il Tremaghi?” insisté ancora Jericho.
“Non è che se ripeti la stessa domanda in maniera diversa cambi qualcosa.”
“Ottimo,” commentò Jericho fra sé. Non sembrava che la stesse ascoltando davvero, ma la Prendiappunti correva svelta sulla pergamena bianca.
Rose si allungò per dare una sbirciata al foglio.

Rose Weasley, campionessa di Hogwarts, accavalla le lunghe gambe fasciate da collant di seta e arriccia le labbra. “C’è modo e modo di porre una domanda,” è la sua enigmatica risposta.

“Ma non ho le gambe accavallate!” protestò.
“Neanche le gambe lunghe, se è per questo,” ribatté l’altro in tono supponente.
Rose fece finta di non averlo sentito. “Non indosso calze di seta,” sottolineò, abbassando lo sguardo sulle spesse calze nere. Si accorse di avere una piccola smagliatura sul ginocchio.
Jericho emise un sospiro esasperato – e decisamente artefatto. “Il Campione di Beuxbatons è maschio, carina.”
Lei inarcò le sopracciglia. “E con ciò?”
Un altro sbuffo. “Possibile che tu sia così stupida? Bisogna soddisfare il pubblico, il pubblico!”
Sembrava esaltato, o un perfetto cretino. O entrambi.
“Non capisco cosa abbiano a che fare le mie gambe col pubblico.”
“Hanno molto a che fare con il pubblico.” Jericho riteò gli occhi. “Non ho studentesse sexy fasciate in completini celesti. Bisogna abbellire il tutto, Rose Weasley, e ti assicuro che quegli scarponcini hanno il sex appeal di una tavola da stiro.” Fece una smorfia. “E le tue calze sono smagliate.”
“Il campione di Beuxbatons è carino. Perché non abbellisce lui?”
Rose non ottenne l’effetto sperato con tali parole. Jericho sgranò gli occhi come folgorato dalla scarica di un fulmine, e la Prendiappunti sfrecciò sul foglio.


Basta un pizzico del mio intuito giornalistico a comprendere cosa affligge l’ermetica Rose. Sono alcuni suoi apprezzamenti nei confronti del Campione di Beuxbatons gli indizi di una travolgente, passionale vicenda amorosa?

“Cancelli subito!” protestò Rose, indignata.
“Ma dai,” Jericho sorrise in maniera agghiacciante. “Giusto un po’ di pepe.”
La ragazza stava per ribattere, ma qualcuno bussò alla porta. Era Alicia Spinnet, chiaramente esasperata.

“Sarebbe ora che iniziassimo la Pesa delle Bacchette,” annunciò in tono seccato. “Il signor Connery non ha tutto il tempo del mondo.”
Rose sospirò di sollievo, e senza ulteriori indugi seguì subito il Capo dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici fuori dall’aula. Jericho li seguì.
Dietro ai banchi coperti di velluto sedevano adesso i presidi e lo zio Percy, composti sulle loro sedie. Anche la Spinnet prese posto, mentre Jericho si accomodava in un angolo, assieme alla sua amica fotografa. La Prendiappunti era di nuovo al sicuro nella sua tasca, ma lui studiava la stanza con gli occhi leggermente spiritati e un sorriso entusiasta. Dovette trattenere un lamento.
“Vi presento il signor Connery,” disse la professoressa Sinistra, sbrigativa. “Esaminerà le vostre bacchette per verificarne le condizioni.”
Jeremiah Connery sorrise allegramente.
Devoushka³ Bogdanova, vuole venire avanti per prima?”
Tradizione. Prima venivano esaminate le bacchette degli studenti stranieri e infine quella del Campione della scuola ospite. Per quanto riguardava gli altri due Campioni, si dava la precedenza alle ragazze.

E se fossero state entrambe ragazze?⁴
Rose non ne aveva idea. Ma non era importante, dopotutto. Niente affatto.
Natal’ja si fece avanti e consegnò la propria bacchetta al signor Connery, che la ruotò fra le dita. Quella sprigionò una cascata di scintille rosse e oro.
I colori di Grifondoro. Beh, ha proprio l’aria da Grifondoro. Probabilmente l’avrebbero smistata lì se fosse venuta a Hogwarts.
O forse è solo una coincidenza.
Beh, i Grifondoro erano fin troppo temerari, tipicamente poco di strategia, famosi per agire d’impulso. Magari le sarebbe stato più utile a vincere... chissà. Atti troppo impulsivi forse avrebbero sottratto dei punti a Natal’ja. Forse nel Tremaghi qualche virtuosismo sarebbe stato utile.
Devo parlare con Hugo.
Connery aveva avvicinato la bacchetta agli occhi e la stava studiando attentamente.
“Undici pollici e mezzo,” mormorò. “Quercia, corda di cuore di drago. Rigida.”
“Esattamente,” Natal’ja sorrise con calore.
Connery agitò la bacchetta e dalla punta uscirono fuori alcuni petardi rossi.
“In buone condizioni,” commentò, poi voltò la bacchetta e la porse a Natal’ja dalla parte dell’impugnatura.”
“Signor du Pierrefond?”
Guillome emise un sorrisetto spavaldo e porse la bacchetta all’uomo, che la esaminò come aveva fatto con quella della ragazza di Durmstrang.
“Dodici pollici... Quercia rossa, crine di unicorno. Flessibile.”
Il ragazzo annuì, e Connery gli restituì la bacchetta dopo aver provocato una cascata di scintille.
Il fabbricante di bacchette si rivolse quindi a lei. “Prego, signorina Weasley.”
Senza una parola né un sorriso, Rose gli allungò la propria bacchetta.
Nel vederla, gli occhi dell’uomo si illuminarono improvvisamente. “Oh!” sospirò, estasiato. “Una delle ultime bacchette vendute da Olivander, quando ancora ero il suo apprendista!”
Rose annuì bruscamente.
Connery si rigirò la bacchetta fra le dita, quindi sorrise ancora. “Dodici pollici. Vite!” esclamò. “Che rarità! E piuma di Fenice, uhm? Che bacchetta, che bacchetta! Ah, ma Olivander sapeva il fatto suo.”
Le restituì la bacchetta senza fare altri commenti.
“Allora!” Jericho batté le mani entusiasticamente. “Queste foto?”









¹ Res Adstringo: mi sono deliberamente inventata la formula per l’Incanto Proteus. Traduzione dal latino: Vincolo le cose.
² Per chi non l’avesse capito, Jericho è il figlio di Gilderoy Allock e Rita Skeeter (scriverò uno spin-off in proposito, prima o poi) ed è anche l’essere umano più odioso sulla faccia della Terra.
³ Devoushka: signorina in russo. Traduzione da internet.
⁴ In Harry Potter e il Calice di Fuoco non è propriamente così, perché la bacchetta di Cedric viene esaminata prima di quella di Viktor Krum. Ma ho immaginato che in quell’occasione le cose fossero andate diversamente per via della presenza di Harry.
⁵ Tutte le informazioni sulle bacchette sono prese da Pottermore. In particolare, per quanto riguarda la bacchetta di Rose, cito il sito: Le bacchette di vite sono tra le meno comuni ed è stato affascinante notare come i loro proprietari siano quasi sempre streghe e maghi che perseguono uno scopo più alto, che hanno un intuito fuori dal comune e che stupiscono spesso chi crede di saperla più lunga. Pare che le bacchette di vite siano fortemente attratte da persone dotate di una profondità nascosta e ho scoperto che sono le più sensibili di tutte quando si tratta di riconoscere all'istante il proprio futuro padrone.





Note dell’Autrice

Finalmente! Sono felicissima di essere riuscita ad aggiornare.
Grazie a Clare Esse per aver creato il banner capitolo (sono momentaneamente priva di Photoshop –.-”)
Spero che questo capitolo sia valso l’attesa.
Ci avviciniamo alle 200!
Non ho più parole per ringraziarvi **
Bisous,
Daph

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Panic ***


Note
Questa volta metto le note anche a inizio capitolo, perché voglio ringraziarvi. Abbiamo superato le duecento recensioni, traguardo che fino a poche settimane fa mi sarebbe parso incredibilmente lontano. Voglio ringraziarvi per la simpatia e l’entusiasmo con il quale seguite e recensite questa storia. Vi assicuro che è davvero gratificante! Grazie davvero <3


n





Bones, sinking like stones,

All that we fought for,

Homes, places we’ve grown,

All of us are done for.

Coldplay


15 novembre 2021
Ufficio della preside Sinistra
Mattina

Albus sbuffò, seccato e consapevole di trovarsi in una situazione a dir poco pessima. La sua posizione non era certo delle migliori: convocato dalla preside Sinistra e in attesa di entrare nel suo ufficio per un colloquio.
Se fosse stato campione – rifletté – ci sarebbero potuti essere milioni di motivi per cui la preside avrebbe dovuto convocarlo, ma non era così, e di possibili cause non ne vedeva neanche una. L’unica cosa che avvertiva era un netto presentimento negativo. Aveva come la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto. Che qualcosa stesse già andando storto.
Era frustrante non sapere cosa diavolo facesse lì. Lo era anche l’inconsapevolezza di cosa lo aspettasse. Tutto ciò rappresentava una netta fonte d’angoscia: non sapere cosa lci fosse dietro quella porta ma avere la sensazione che non sarebbe stato nulla di buono.
Che sensazione orribile.
“Albus Severus Potter?” chiamò una voce all’improvviso.
Al sussultò. Era sprofondato nei propri funesti pensieri al punto di isolarsi completamente da ciò che lo circondava. La preside aveva fatto capolino dalla porta del suo studio. Sembrava tranquilla – Albus tirò un sospiro di sollievo, sebbene quel cattivo presagio ancora non l’avesse abbandonato.
L’ufficio della Sinistra era grande e di forma circolare, ingombro di telescopi e con le pareti tappezzate dei ritratti dei vecchi presidi, intenti a sonnecchiare nelle loro cornici.
La figura della professoressa dietro all’immensa scrivania pareva esile e sottile, ancora più minuta dell’usuale. Il suo sguardo, tuttavia, era d’acciaio. Acciaio dei folletti: fermo e inossidabile.
Lo scrutò attentamente ancora per qualche secondo, prima di parlare.
“Potter,” esordì. “Non mi piace fare giri di parole.”
Dritta al punto. Mi piace. Niente ansie inutili e giri di–
Però mi piacciono i giri di parole.
“Mi è stato riferito che ci sono stati alcuni problemi nella conduzione della squadra di Quidditch di Grifondoro.”
Albus boccheggiò. “Alcuni... Cosa?!”
La Sinistra sospirò, gettandogli un’occhiata rassegnata. “Parliamoci chiaro, Potter. Non nomino qualcuno capitano di Grifondoro per poi vedergli trascurare il proprio ruolo.”
Tutto tornava. La preside era stata una Grifondoro, evidentemente aveva a cuore la sorte della squadra.
“E chi nomino capitano di Grifondoro non deve per nessuna ragione mettere in secondo piano il Quidditch per correre dietro alle ragazze. Sono stata sufficientemente chiara?”
“Trasparente,” replicò con voce esile.

“... Naturalmente, se non vedrò miglioramenti potrò revocare il suo ruolo. Ho il potere di farlo.”
Al sgranò gli occhi, esterrefatto. Revocare il suo ruolo di capitano? Come avrebbe fatto la squadra senza di lui?
Non che la squadra avesse fatto molto con lui, almeno fino a quel momento.
Il pensiero lo colmava d’amarezza.
Un momento... Come poteva la Sinistra sapere che lui aveva trascurato la squadra per correre dietro a Georgia? Oltretutto, quella era un’idea che si era fatta Quinn. Non corrispondeva minimamente alla realtà dei fatti.
Quinn.
Improvvisamente, capì. Fu come se qualcuno gli avesse tirato un pugno dritto sulla bocca dello stomaco. Gli si mozzò il fiato, come se l’aria che aveva nei polmoni fosse stata estratta tutta assieme.
Tradimento!, gridò interiormente. Tradimento!
L’unica spiegazione era che Quinn fosse andata a parlare con la Sinistra. Il suo risentimento arrivava dunque fino a quel punto? Con quale coraggio aveva fatto una cosa simile?
Perché lo odiava a quella maniera?
“Non succederà,” promise alla preside, con l’impressione che la voce che aveva appena parlato non fosse la sua. “La squadra andrà bene.”
La Sinistra sospirò ancora, guardandolo con severità. “Spero che sarà così, Potter.”

“Gliel’ha detto qualcuno?” sbottò prima di riuscire a trattenersi.
L’insegnante parve perplessa. “Come?”
“Gliel’ha detto qualcuno, vero? Qualcuno della squadra.”
“Non dovrebbe interessarla, Potter,” lo redarguì la Sinistra. “Questo è solo affar mio.”
Tradimento!
“Ma ho il diritto di saperlo!” protestò lui. “Non crede?”
“Non credo,” convenne la preside con tranquillità.
“Ma gliel’ha detto qualcuno?” insisté Albus.
La donna sbuffò. “È la mia decisione definitiva, Potter.”
Il ragazzo aprì la bocca per parlare, ma poi desistette. La Sinistra non voleva dirglielo, perciò l’avrebbe scoperto da solo.

Il prima possibile.

****


15 novembre 2021
Casa Potter-Zabini, Londra
Mattinata

L’Accademia non aveva ancora ripreso i corsi regolari, specialmente dopo la fuga di notizie seguita al minatorio articolo di Jericho Allock, ma gli studenti del gruppo del professor Midgen si incontravano regolarmente.
Dopotutto, pensava Ellen con trepidazione, adesso siamo tutti amici.
La pioggia battente di quel quindici novembre, aveva impedito loro il solito appuntamento da Fortebraccio, perciò si erano rintanati tutti in casa di Grace e James. La ragazza – la cui pancia ormai si cominciava a intravvedere sotto la stoffa dei vestiti – sfogliava con tranquillità uno dei grossi volumi che avrebbero dovuto studiare.
“Meglio portarsi avanti dal punto di vista teorico,” propose al gruppo.
Ellen serrò attornò alla sua tazza di tè caldo le mani intorpidite dal freddo, godendosi la sensazione di calore e di benessere che era sprigionata da tutto quel calore. Sollevò lo sguardo, incontrando quello di Hera. Le sorrise. L’altra sorrise a lei.
Non avevano fatto alcun passo avanti, ma ormai Ellen era praticamente sicura che Hera provasse le stesse cose che provava lei. Sperava davvero che fosse così. Tuttavia, c’erano sempre troppi se e troppi ma.
Se per caso Ellen si fosse sbagliata? Se per Hera non fosse stato lo stesso?
Se quegli sguardi, l’interpretazione che lei ne faceva... se tutto questo fosse stato una mera, sciocca, ingenua suggestione? Aveva una dannata paura che fosse così. Perciò restavano in quella situazione di stasi, mentre Ellen era in attesa che Hera facesse la prima mossa.
Peccato che Hera non facesse la prima mossa. Proseguiva imperterrita a dispensarle sorrisi e occhiate intriganti, ma non faceva null’altro. Tutto ciò non faceva altro che accrescere le ansie di Ellen, che aveva sempre più paura all’idea di buttarsi.
Dopotutto, era avvenuto tutto troppo in fretta. L’incontro con Hera, quelle sensazioni improvvise e fulminanti... Il fatto che dopotutto non si conoscessero da più di tre mesi. In fondo, cosa sapeva di Hera? E cosa sapeva Hera di lei?
Ma cosa c’è da sapere di me? Un bel niente. Sono una persona totalmente piatta. Non c’è niente di complicato da capire.
Hera non vorrebbe che facessi questi pensieri...
Non riusciva a capire il suo comportamento, ma in quel momento c’erano altre cose cui pensare.
“Come mai la vostra Gossip Witch è scomparsa da un momento all’altro?”
Ellen sobbalzò. Non aveva dimenticato la conversazione con Hera a proposito di Gossip Witch, ma non credeva che l’altra avesse preso la faccenda tanto a cuore.
Grace distolse lo sguardo – Ellen sapeva quanto fosse sensibile sull’argomento. Lei, Dominique e tutti coloro le cui vite di adolescenti erano state condizionate pesantemente dalla misteriosa strega.
James, invece, aggrottò le sopracciglia, e lo stesso fece Ben. “Che cosa ne sai tu di Gossip Witch?” chiese quest’ultimo, perplesso.
Per tutta risposta, Hera scrollò le spalle. “Io ed Ellen ne abbiamo parlato, qualche settimana fa. Mi ha detto che è scomparsa misteriosamente.”
“Non proprio,” la corresse Grace, che pareva aver ritrovato il suo buon umore. “Diciamo che i galeoni hanno smesso di funzionare.”
“E non vi siete mai chiesti il perché?”

A Ellen non sfuggì l’occhiata che Grace si scambiò con James. Il ragazzo fece spallucce. “La odiavano in tanti,” fece, a mo’ di spiegazione.
Non sa mentire, decisamente.
Anche Hera non se l’era bevuta. “Dai, su!” rise. “L’ho capito che ne sapete qualcosa di più.”
Grace nascose un sorrisetto quando James mise su un mezzo broncio. “C’entra qualcosa l’annullamento Empirico della Proprietà,” ammise brontolando. “Sui galeoni c’era un Proteus.”
Ellen comprese improvvisamente. “Non possiamo sapere perché il Proteus è stato annullato, se non ne conosciamo la Proprietà,” fece, logica.
Ben, i gomiti sulle ginocchia, rivolse loro un mezzo sorriso furbesco. “Beh, abbiamo lei,” commentò, indicando Hera con un cenno del capo.
“Proprio lì volevo arrivare,” ammise lei. “Io non ero alla vostra scuola quando il Proteus è stato annullato, quindi posso ancora pensare alla Proprietà di questi galeoni.”
Chissà perché, Ellen si sentiva emozionata. Trepidante.
Quei discorsi avevano il sapore di una ricerca. Ricerca era quasi sinonimo di avventura.
Non aveva mai fatto qualcosa di fuori dall’ordinario, fino a quel momento della sua vita.
Ma adesso le cose sono cambiate. Aveva voglia di dimostrare al mondo di non essere poi così inutile.
Non sei inutile,” la voce di Hera suonò quasi seccata, mentre se la figurava. “Non dire cose simili, okay?
Prima di potersi trattenere – o anche solo pensare a quello che stava facendo – aveva preso la mano di Hera, stringendola fra le proprie. Sorprendentemente, nessuno sembrava aver prestato particolare attenzione alla faccenda.
“Bene!” fece la greca, stringendole le dita talmente forte da farle quasi male – e farla letteralmente impazzire per la gioia. “Ditemi tutto, e dico tutto, quel che sapete su questa Gossip Witch e i suoi galeoni stregati!”


****


15 novembre 2021
Campo di Quidditch, Hogwarts
Ora di pranzo

Solo Quinn Baston poteva passare l’ora di pranzo ad allenarsi al campo di Quidditch, mentre il resto degli studenti era intento a godersi il lauto pasto giornaliero. Solo l’anno precedente, Al avrebbe sorriso divertito all’idea e poi si sarebbe diretto in Sala Grande ad abbuffarsi di pasticcio di rognone. Adesso, invece, marciava verso lo stadio a passo serrato, rimuginando su foschi pensieri.
Non ci posso credere. Ancora non ci posso credere.
Il suo stomaco brontolò sonoramente. Almeno – pensò – il suo appetito non risentiva del suo umore.
Il cielo era brumoso e soffocato dalle nuvole. Si respirava aria di pioggia, e quando Albus ebbe raggiunto il campo di Quidditch le prime goccie avevano iniziato a cadere. Si fece strada nell’ovale erboso e guardò il cielo per cercare Quinn. La individuò subito: una figuretta scarlatta e solitaria che saettava da una parte all’altra del campo, spedendo i due Bolidi in tutte le direzioni. Per un po’, la ragazza non parve accorgersi della sua presenza, almeno finché non cambiò bruscamente direzione e scese in picchiata verso il suolo, proprio vicino a lui. Dopo un atterraggio impeccabile, chiamò a sé uno dei Bolidi con un incantesimo di Appello e ne arrestò la corsa fermandolo con le mani all’altezza dello stomaco. Quindi, con un po’ di fatica, lo sistemò al suo posto nella cassa, allacciando in fretta tutte le cinghiette. Ripeté con il secondo Bolide le stesse operazioni, e solo allora si voltò verso di lui, accigliata.
“Cosa vuoi, Potter?” chiese senza tanti preamboli.
Albus aggrottò le sopracciglia, stizzito. “Potresti essere un po’ più gentile,” si ritrovò a mugugnare. “Non me l’hai già fatta pagare abbastanza?”
Quinn sostenne il suo sguardo: “Di cosa stai parlando?”

Lui strinse le labbra. “Lo sai perfettamente.”
La ragazza assottigliò pericolosamente gli occhi. “Se lo dici tu.” Scrollò le spalle, per poi chinarsi e sollevare la cassa contenente le palle da Quidditch. Lo fece con una certa disinvoltura, ma le sue gambe tremarono sotto tutto quel peso. Si diresse a passi malfermi ma decisi verso gli spogliatoi.
Albus la seguì. Sapeva che Quinn non gli avrebbe parlato finché la cassa non sarebbe stata al suo posto negli spogliatoi, quindi tanto valeva accellerare la cosa: afferrò una delle maniglie del baule. Quinn parve sollevata, ma accettò il suo aiuto senza degnarlo di uno sguardo. Insieme raggiunsero lo spogliatoio e trascinarono la cassa fino al posto che gli spettava.
Quinn si voltò verso di lui. I capelli ricci erano in disordine e le guance pallide arrossate dal vento. La sua espressione era di bronzo, ma nei suoi occhi azzurri si intravvedeva una nota di perplessità.
Che ipocrita, pensò Albus con uno sbuffo.
Rimasero a guardarsi ancora per qualche altro secondo, come se entrambi volessero vedere quanto l’altro avrebbe resistito a quel momento di stasi. Al si sentiva un poco a disagio, ma non voleva assolutamente dargliela vinta – ne andava del suo onore.
Man mano che scorrevano i secondi – e poi i minuti – l’espressione sul volto di Quinn diventava sempre meno imperscrutabile e sempre più confusa. E arrabbiata.
“Allora?” disse finalmente.
“Cosa ti fa pensare che io abbia qualcosa da dirti?”
La vide stringere le labbra fino a farle impallidire. “Non so, forse il fatto che tu sia venuto fin qui invece che restare in Sala Grande ad abbuffarti di pasticcio di rognone.”

Quasi dando adito alle sue parole, lo stomaco di Al brontolò di nuovo.
Quinn parve impietosita e frugò nella borsa. Ne trasse due panini avvolti in un tovagliolo e ne porse uno ad Albus, che lo prese senza ringraziare. Lei non parve minimamente colpita dalla sua scortesia.
Sa perfettamente di cosa le voglio parlare e sta solo cercando di ritardare il momento in cui gliene parlerò.
Per un attimo, si sentì ingiusto. Dopotutto, non era detto che fosse stata proprio Quinn a parlare con la Sinistra... Ma chi altri avrebbe potuto dirle di Georgia? Che poi, tutto quell’astio nei confronti della Corvonero era del tutto ingiustificato da parte sua. Che cosa le aveva fatto di male?
Non addentò il panino, si limitò a scoccare a Quinn un’occhiataccia. La ragazza roteò gli occhi.
“Beh?” disse. “O mangi o parli.”
Albus la guardò dritto negli occhi. “Perché l’hai fatto?” si limitò a domandarle.
Lei inarcò le sopracciglia. “Fatto cosa, Potter?”
Al notò che non l’aveva chiamato capitano – anche se, a dire il vero, non lo chiamava così da un bel pezzo. Dal primo giorno di scuola, per essere precisi.

“Brutte notizie, capitano?” la voce di Quinn risuonò improvvisa al suo fianco.
Albus si voltò in fretta, affrettandosi a mettere la lettera di Harry in borsa. La guardò: era leggermente abbronzata e i suoi capelli ricci erano cresciuti di un paio di centimetri, ma per il resto la vide esattamente come la ricordava. Si ritrovò a sorridere.
“Quinn,” la salutò, tentando di imprimere alla propria voce un tono allegro. “Come stai?”
Quinn storse la bocca, come se si stesse trattenendo dal sorridere. Si sedette accanto a lui, versandosi un bicchiere di succo di zucca.
“Decentemente,” disse in tono brusco, anche se era chiaramente contenta di parlare con lui. “Ho messo su qualche altro schema di gioco durante l’estate. Senza Goldstein e tuo fratello quest’anno rischiamo che i Corvonero ci prendano a calci in culo”
Albus si ritrovò a trattenere una risatina. Quinn, con il suo lessico triviale e le espressioni colorite, riusciva sempre a metterlo di buon umore. Era davvero fortunato ad averla in squadra: una fuoriclasse come lei non era affatto facile da trovare.
Se solo fosse stata un po’ più femminile...
“Certo, Quinn,” assentì. “Li vediamo stasera in Sala Comune?”
“Sì!” il suo volto parve illuminarsi. “Io–”
Ma le sue parole morirono prima di arrivare alle orecchie di Albus, la cui attenzione era stata improvvisamente catturata dall’entrata di Georgia Menley in Sala Grande.
“Scusa, Quinn.” Si alzò in fretta. “Devo andare!”
Mentre si dirigeva a lunghi passi verso la Corvonero, colse con la coda dell’occhio la figura di Quinn, intenta a scrutare accigliata il suo bicchiere di succo di zucca.

Il ricordo l’aveva assalito improvvisamente. Come... No, doveva essere una coincidenza. Davvero Quinn teneva al Quidditch al punto di essere gelosa della ragazza di cui il suo capitano si era invaghito?
Assurdo. Ma Quinn era – a conti fatti – assurda.
Capì che ulteriori giri di parole sarebbero stati perfettamente inutili. “So che cosa hai fatto, Quinn.” Non ci riusciva, proprio non ci riusciva a chiamarla per cognome. Si stupì di quanto la propria voce fosse incrinata. “So che sei andata a parlare con la Sinistra.”
Quinn fece una smorfia. “Non sono andata a parlare con la Sinistra!”

“Ah, no?” ribatté lui, amaramente ironico.
La ragazza inarcò appena le sopracciglia. “Perché avrei dovuto parlare con la Sinistra?”

Albus aveva il fiatone e sentiva caldo. Tanto caldo.
Svegliarsi nel dormitorio di Serpeverde a quindici minuti dall’inizio della lezione non era quel che si dice una cosa molto pratica. Rose si era affacciata al dormitorio di Scorpius, Jake e Bernie vestita di tutto punto e con espressione imperturbabile, avvisandoli che si era fatto tardi.
Infame. Poteva avvisarci prima?
Quinn l’aveva superato di qualche metro e si voltò, facendogli uno sberleffo.
Maledetto Scorpius e quel filtro d’amore.
“Ehi, Baston! Vuoi che ti cacci dalla squadra?” le gridò, correndo dietro di lei – faceva davvero troppo caldo.
“Non oseresti!” esclamò Quinn, affannata.
“Tu dici?”
Lei strinse i denti e accelerò. Ormai correva a caso, come una furia, cercando solo – ed evidentemente – di andare pù veloce di Albus.
“E poi come faresti senza di me in squadra, Potter?” disse, ansante.
“Ce la farei tranquillamente.”
Quinn accennò una risata, ma questo non rallentò la sua corsa.
“No che non ce la faresti, Potter... chi ti salverebbe il culo da tutti quei Bolidi, eh?”
“Sai quanti bravi battitori ci sono in giro?”
Mancavano solo due corridoi. Solo due corridoi.
“Non bravi quanto me!” gridò Quinn.
“Sei una ragazza!”
“Sono una fuoriclasse!”
Si arrestarono di colpo davanti al ritratto della Signora Grassa, e si accorsero di essere arrivati lì allo stesso istante. Si guardarono e poi scoppiarono a ridere di cuore.
Quinn, esausta, si spostò un ricciolo dalla fronte.
Al le sorrise. “Hai avuto una...” – non riusciva a respirare –, “una buona idea, ieri, con questa storia della... della partita.”
Lei annuì. “Già.”
Grace e James uscirono improvvisamente dal buco del ritratto, per mano come al solito.
“Al, lo sai che fra cinque minuti cominciano le lezioni?” gli chiese il fratello.
Albus guardò Quinn, e scoppiò a ridere ancora.

Com’erano arrivati a quel punto, loro che erano così amici? Decise che fosse tutta colpa di Quinn e delle sue fisse assurde. Per la miseria, anche lui adorava il Quidditch! Ma non avrebbe mai, mai fatto la spia con la preside, per giunta basandosi su ipotesi che sfioravano l’assurdità.
“Per dirle che sto trascurando il mio ruolo di capitano,” mormorò, sentendosi improvvisamente e tristemente vuoto. Si era accorto che essere amico di Quinn gli mancava. E si sentiva così deluso, così ferito...
“Non l’ho fatto, Potter.” Tirò su la testa. Quinn non aveva messo su nessuna faccia di bronzo. Era seria, ma tranquilla. “Non sono stata io.”
Non sono stata io.
Per un momento – uno solo – Albus le credette. Ma l’orgoglio finì per avere il sopravvento.
“Non mentire, Baston!” si ritrovò a ringhiare – l’aveva fatto, alla fine: alla fine era riuscito a chiamarla per cognome.
“Non sto mentendo, razza di idiota!” l’altra sembrò improvvisamente ansiosa. “Non avrei mai fatto una cosa simile!”
“Mi tieni il muso da due mesi! Cosa dovrei pensare, eh?”
“Ma–”

“Non ho altro da dire. Alle sette ci sono gli allenamenti.”
Furente, Albus si voltò di scattò e se ne andò a passo di marcia, sbattendo forte i piedi al suolo per sfogare la rabbia.
“Potter!”
Strinse gli occhi e ignorò l’ultimo richiamo di Quinn.

****


17 novembre 2021
Sala Grande, Hogwarts
Colazione

“Ho detto che non voglio parlare.”
“Invece adesso mi ascolterai.” Christine si sedette accanto a Rose sulla panca e la trattenne per un polso quando quest’ultima fece per alzarsi.
Nessuno fece una piega di fronte a quella scena. Gwyneth Parkinson strinse lievemente le labbra, quindi chinò di nuovo lo sguardo sul capitolo di Trasfigurazione che stava ripassando.
Rose – afflitta da un forte mal di gola e da un’emicrania terrificante – scoccò a Christine il miglior sguardo raggelante del suo repertorio, consapevole che non sarebbe servito a molto. Se l’altra aveva deciso di parlarle, non sarebbe stata un’occhiataccia a fermarla.
Ma di certo non faciliterò il compito a Gossip Witch!
Sapeva quanto fosse sciocco dare un giudizio senza saperne prima qualcosa di più – Merlino, se lo sapeva – ma si sentiva così arrabbiata, così ferita... e delusa. Già, perché in qualche modo aveva iniziato a tenere a Christine. Fra loro due avevano cominciato a diramarsi dei fili sottili che le univano e che in parte comprendevano anche Gwyneth, come se – arrivate all’ultimo anno di scuola – loro tre avessero finalmente capito che non aveva senso ignorarsi reciprocamente e non parlarsi neanche per dirsi buongiorno e buonanotte.
Da che Rose ricordasse, era sempre stato così fra loro tre: lei fin dall’inizio passava molto tempo in compagnia di Dominique – un anno avanti rispetto a loro – e così poco alla volta aveva finito per stare sempre con il gruppo della cugina, pur senza allacciare chissà quali legami. Poi si era allontanata anche da loro, chiudendosi in se stessa. Gwyneth, invece, era stata immediatamente inglobata dalla cerchia di amici di suo fratello maggiore, in Corvonero.
Sinceramente, non aveva idea di cosa facesse Christine allora.
Probabilmente, pensò con sarcasmo, era troppo impegnata a specializzarsi negli incanti Proteus.
Si disse che avrebbe dovuto prevederlo: quei fili erano troppo fragili, non sarebbero durati a lungo.
Avrebbe dovuto parlare con Christine, prima o poi – ne era cosciente. Fu per questo che, quando l’altra chiuse le dita sottili attorno al suo polso, non oppose resistenza. Tornò a sedere, senza abbandonare la sua espressione dura. Aveva paura che, se avesse lasciato trapelare qualcosa, il resto sarebbe precipitato fuori in un fiume inarrestabile.
Non disse nulla, serrando la bocca per trattenere la scarica di parole che – temeva – da un momento all’altro sarebbe traboccata.
Christine parlò in fretta, come se avesse voluto approfittare fino all’ultima briciola del tempo che Rose le stava concedendo. “Non sono Gossip Witch,” disse concitata, mentre Amarillide Stubbins e Swanilda Simpson osservavano la scena con curiosità. Rose sapeva che si tenevano per mano sotto al tavolo dall’entusiasmo. “Non la sono mai stata! Probabilmente in tutta la scuola sono la persona che le ha spifferato più segreti, ma non sono io! Non ero io!”
Rose annuì, rigida. Non sapeva cosa credere. Non sapeva... non sapeva più nulla. Sentiva solo una gran confusione e un gran vuoto e... aveva voglia di scappare. Non era giusto che fosse così complicato, che ci fossero così tante domande di cui non riusciva a trovare la risposta. Era... era terribilmente ingiusto, e crudele. Non c’era via di fuga. Non ci sarebbe stata – mai.
Si accorse di avere il fiato corto e i battiti leggermente accellerati.
Lo ignorò. Ignorò tutto – Boot che non le rivolgeva più la parola; Christine che era così fottutamente incomprensibile; Albus che proseguiva ad avercela con lei, pur cercando di dissimulare; Jericho Allock e le sue maledette interviste; Scorpius per cui sentiva di provare cose complicate che non aveva il coraggio di indagare – non voleva rischiare di rompersi.
Ignorò tutto questo e si limitò a guardare Christine senza dir nulla. L’altra sostenne il suo sguardo con occhi leggermente lucidi.
“Era la prima volta che facevi un Proteus?” domandò improvvisamente una voce alle sue spalle. Rose si voltò: era Jake Greengrass, che doveva essere appena arrivato.
Si perse per un momento a osservare Lily, appena sopraggiunta qualche posto più in là. Stranamente, la cugina sembrava di corsa. Si sedette da sola con l’aria di chi ha fatto appena in tempo e un’aria compiaciuta, riempendosi il piatto di qualsiasi cosa dolce sulla quale riuscisse a mettere le mani – maledetta lei e il suo metabolismo supersonico.
Tornò alla realtà e si accorse che la testa le girava leggermente.
Ma che mi prende?
“Non è la prima volta,” stava ammettendo Christine con aria terribilmente ansiosa. “Mi era già capitato di eseguire incanti Proteus, ma non sono Gossip Witch!”
Greegrass strinse le labbra. Stava chiaramente ponderando la risposta della ragazza, e Rose – sempre stupendosi della facilità estrema con cui continuava a distrarsi – tornò a osservare Lily. Si accorse che aveva la gonna leggermente sollevata sulla gamba sinistra: sembrava armeggiare con le calze, che avevano una smagliatura abbastanza vistosa. La cugina prese la bacchetta magica e in un battibaleno le calze furono come nuove. Soddisfatta, Lily riprese a strafogarsi.
Si accorse che continuava a fissarla per estraniarsi dalla scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi... o meglio, dalla scena di cui prendeva parte.
“Hai mai eseguito il Proteus su dei galeoni?” si ritrovò a domandare: la sua voce sembrava non appartenerle.
Christine annuì. “Sì, mi è capitato. Ma non sono Gossip Witch.”
“È vero.” Jacob annuì, imperturbabile. “Se tu fossi stata Gossip Witch non saresti stata tanto idiota da farti beccare.”
Rose sperò che fosse vero, lo sperò con tutte le sue forze.
Ma, purtroppo, il resto della Sala Grande non sembrava essere d’accordo. Senza che Rose se ne accorgesse, tutti gli studenti sembravano aver focalizzato l’attenzione su di loro, esclusi quelli di Durmstrang e Beauxbatons che si scambiavano sguardi confusi. Anche Lily sembrava del tutto disinteressata alla vicenda – cosa strana – e continuava con calma a mangiare e sorridere compiaciuta, totalmente distaccata da ciò che la circondava.
Rose decise che le avrebbe parlato non appena avrebbe avuto un momento libero.
Guardò Christine. “Io–”
Ma la sua voce fu coperta da un fischio prolungato. Improvvisamente centinaia di gufi irruppero in Sala Grande, portando la posta del mattino. In quella confusione la scolaresca si distrasse.
Un grosso allocco scese in picchiata verso Rose, portando un giornale nel becco.
Che strano, non sono abbonata alla Gazzetta.
Tuttavia, si accorse, due gufi identici al suo erano scesi in direzione del tavolo di Corvonero e dal lato opposto di quello di Serpeverde, dove sedevano rispettivamente Guillome e Natal’ja.  
Improvvisamente, comprese chi doveva essere il mittente. Di colpo si sentì terribilmente in ansia e si affrettò a prendere il giornale, con il cuore che le batteva forsennatamente per l’ansia. Non era affatto convinta che Jericho Allock si fosse attenuto alla realtà dei fatti, scrivendo il suo articolo, anzi: a dirla tutta era praticamente certa del contrario. Senza dubbio ogni singola virgola di quel pezzo sarebbe stata umiliante o imbarazzante o...
Al diavolo.
Senza guardare nessuno – e ignorando gli altrui sguardi – afferrò con decisione il giornale dal becco del volatile e lo srotolò rapidamente.
Non appena vide la prima pagina di quell’edizione della Gazzetta, sbatté un paio di volte le palpebre, troppo sconvolta per parlare. In cima al foglio capeggiava una foto in bianco e nero dei tre Campioni. Natal’ja, essendo la più alta, era al centro. Sorrideva allegramente e salutava a destra e a manca. Guillome sostava impettito a un angolo della foto, guardandosi intorno con distacco e con espressione leggermente schifata. Poi, Rose osservò il ritratto di se stessa sulla carta del giornale: non faceva altro che muovere le mani davanti alla faccia per spostare invisibili ciocche in disordine, chiaramente una scusa per non farsi vedere in viso. Per quanto potesse essere carina – e lo era, parecchio – non aveva nulla della naturalezza di Natal’ja, che sembrava perfettamente a suo agio. Notò di avere le spalle incurvate e un cipiglio invidiabile, nei pochi momenti in cui si intravvedeva il suo volto. Sapeva di non essere particolarmente fotogenica, ma non credeva fino a quel punto.
Sconfortata, serrò le palpebre per un istante. Quando le riaprì, ebbe la curiosa sensazione di essere trafitta da una miriade di spilli. Sollevò la testa e scoprì di non essersi sbagliata: gli sguardi di tutta la Sala le parvero puntati su di lei – centinaia, migliaia di occhi.
Per la testa di quelle persone dovevano passare tante cose. Probabilmente rivangavano il suo comportamento degli scorsi anni, adducevano assurde ipotesi sul perché del suo cambio di atteggiamento degli ultimi mesi. Si chiedevano come mai fosse stata nominata dal Calice – lei! Proprio lei che fra i Weasley si distingueva per essere così sbagliata, peggiore.
Rose Weasley, davvero? Rose Weasley campionessa? La stessa Rose Weasley che non aveva un singolo amico che si potesse realmente definire tale? La stessa che fino a un anno prima aveva un atteggiamento tanto scriteriato? La stessa che piange ogni primo marzo perché non sa cosa scrivere al padre per il compleanno?
Ma veramente, Rose?
Pessimo, Rose. Davvero squallida. Pensi che tutti cambieranno idea, adesso? Pensi che verrai rivalutata?
Questo è solo l’ennesimo errore. Ci guadagnerai solo una figuraccia. Guardati! Hai paura, sei terrificata! Tu non hai coraggio, non sei un’eroina. Non vincerai mai. Sarà solo l’ennesimo brutto incidente! Dovrai ringraziare se ne uscirai viva! Dovrai ringraziare se qualcuno ne sarà felice!
Nessuno ti vuole, Rose.

Non hai amici, li hai mandati via tutti – uno per uno.
Credi che Scorpius tenga a te, in qualche modo? Credi che i tuoi cugini al guardarti non provino solo pietà? Credi che non lo sappia nessuno il motivo perché sei così chiusa? Credi di poter nascondere la tua paura?
Se hai paura i mostri ti inseguiranno, Rose. Devi ricordarlo.
“Rose? Rose? Stai bene?”
Di colpo sgranò gli occhi e scoprì di avere il fiato mozzo.
“Rose? Che ti succede?
Niente.
“Rose!”
Non sono io, sono i mostri.
“Rosie? Rosie, rispondi!”
Ti inseguiranno, Rose.
“Weasley, ehi! Weasley!”
… devi ricordarlo.
“Sto bene.”
“Lily, sta’ calma...”

“Non dirmi quello che devo fare. Cosa dice quel maledetto articolo?”
“Non so, io–”
“Non l’ho letto.” Quando Rose ebbe gracchiato quelle parole, per un istante tutti tacquero. Subito dopo, si sollevò un brusio.
Rose si accorse di essere distesa in terra solo perché sopra di sé poteva vedere diverse facce che la osservavano in circolo. In un solo colpo d’occhio riconobbe distrattamente Lily, Jacob, Christine, Albus, Gwyneth... e anche qualcuno di cui non ricordava il nome.
Si chiese cosa le fosse successo e come mai si sentisse tanto rintronata. La testa le doleva da morire.
“Che cosa succede?”
Scorpius.
“Weasley si è sentita male,” udì distintamente la voce di Greengrass.
Silenzio, brusco trattenere di fiato. “Cos’ha?”
Il volto di Scorpius comparve improvvisamente nel suo campo visivo. Doveva essersi inginocchiato accanto a lei, perché la sua faccia sembrava molto più grande di quelle degli altri.
“Rose, come ti senti?”
“Mi fa male la testa.”
“Ma–
“Fate largo!” la voce perentoria che aveva appena parlato apparteneva a Madama Chips. “Che cosa succede?” Rose sentì qualcuno che le afferrava il polso per contare i battiti, poi il palmo di una mano leggermente ruvida e piacevolmente fresca sulla fronte. “Scotta... possibile che nessuno se ne sia accorto prima? Questa ragazza è pallida come un cencio.”
“Non è nulla di grave, vero?”
“Nulla più di una banale influenza, signor Malfoy.”
“Ma dicono che sia svenuta...” la voce di Scorpius suonò apprensiva.

“Era un leggero malessere dovuto al suo stato influenzale. Ha subito un qualche shock?”
“La Gazzetta ha pubblicato un articolo sui Campioni.” Questa era Lily. “Magari la cosa potrebbe averla sconvolta.”

“Ma è sicura che non ci possano essere complicazioni?”
“Che cosa ho detto, signorina De Bourgh? L’unica cosa di cui preoccuparsi è un eventuale trauma cranico. Ha sbattuto forte la testa?”
“No, Greengrass l’ha presa al volo.”

“Allora non c’è nessun problema. Deve solo essere portata in Infermieria e stare a riposo per qualche giorno.”
“Ma–”
“Che avete tutti, oggi? Non ho mai visto studenti tanto esageratamente apprensivi!”

****



17 novembre 2021
Ufficio del Ministro della Magia, Londra
Tardo pomeriggio

“Questa è solo l’ennesima brutta notizia.” Ron si batté le mani sulle coscie, frustrato. “Non fanno che accadere cose strane, e la cosa peggiore è che non riusciamo a fare nulla per evitarle!”
“Non serve mostrare la situazione come se fosse peggiore di quello che è.”
“Ma Ministro–”
“Non c’è nulla che possiamo fare in questo preciso ed esatto istante se non pensare, Ronald.”
Harry, stufo di quella discussione, si sfilò gli occhiali dal naso per massaggiarsi stancamente le palpebre con pollice e indice.
“È la seconda persona che scompare nel giro di pochi mesi,” intervenne flebilmente.
Kingsley annuì, accigliato. “Hai qualche idea, Harry?”
Lui annuì. “Non riesco a togliermi dalla testa l’idea che le due sparizioni possano essere in qualche modo collegate.”
“Hai qualcosa di fondato su cui basare questa ipotesi?”
Harry scosse la testa, arreso. “Ho solo questa impressione,” biascicò laconico.
“Mmh.” Kingsley strinse appena le labbra, annuendo sovrappensiero. “Naturalmente affido il caso a voi due e Hestia. Questi sono i dati della vittima.”
Senza una parola, Harry tese la mano e prese un fascicolo da quella del Ministro. Lo sfogliò lentamente, quasi svogliato.
Otto Murray,” lesse ad alta voce. “Dipendente del Ministero della Magia, Indicibile dell’Ufficio Misteri. Scomparso il 16 novembre 2021. Ultimo avvistamento: Hogsmeade, Scozia.” A quelle parole, Ron rabbrividì. Harry lo capiva: anche a lui metteva addosso una certa inquietudine sapere che cose tanto orribili accadevano così vicino al luogo in cui vivevano due dei suoi figli. “Responsabile della ricerca della Traccia sul Crimi–” si bloccò. “Traccia sul Crimine,” ripeté. “Di cosa si tratta?” domandò rivolgendosi a Kingsley.
Il Ministro lo guardò con serietà. “Sarebbero informazioni riservate, ma date le circostanze non posso che parlarvene. Confido che non ne farete parola con anima viva, escludendo ovviamente Hestia.”
“Naturalmente,” Ron annuì con decisione. Harry lo imitò.
Kingsley sospirò e si accarezzò lentamente il dorso della mano destra con l’indice e il medio della sinistra. “Si tratta di un progetto di ricerca che stiamo portando avanti da un paio d’anni all’Ufficio Misteri.” Tacque un istante, osservando Harry con circospezione. L’Auror sapeva che lo faceva per delicatezza: sapeva che i suoi ricordi legati all’Ufficio Mistero erano sgradevoli e dolorosi e cercava di non metterlo a disagio. Harry strinse le labbra fino a farle impallidire leggermente. “Stanno tentando di realizzare un tipo particolare di Traccia da utilizzare come supporto per le indagini degli Auror. Diciamo che la ricerca per adesso procede su due ambiti... Uno è relativo alla bacchetta con cui vengono attuate pratiche oscure... si tratta di tenere sotto controllo maledizioni illegali. Questo sistema, tuttavia, presenta delle falle. Un mago oscuro potrebbe utilizzare la bacchetta di qualcun altro, e per giunta è possibile tenere sotto controllo solo le bacchette che già abbiamo esaminato e catalogato.”
Harry annuì, interessato.
Kingsley si schiarì la voce prima di proseguire. “Per questo all’Ufficio Misteri hanno pensato di indirizzare la ricerca anche su un altro campo. Si sta cercando di costruire una Traccia sul Crimine più simile al modello Babbano. Si cercano di formulare incantesimi che partendo da un indizio o da una prova possano ricostruire il contesto nel quale esso va inserito. Come una pista da seguire, in un certo senso.”
Harry annuì, pensoso. Ron, invece, pareva aver avuto un’idea.
“Anche l’ultima volta un Indicibile era stato vittima di un incidente.” Stava parlando in tono amaro ma con cautela. “Broderick Bode, ricordate? Era stato torturato per estorcergli informazioni sulla Sala delle Profezie e su come addentrarsi nell’Ufficio Misteri. Non potrebbe trattarsi di una cosa simile? Magari il colpevole sta cercando di entrare nell’Ufficio.”
“Non è da escludere,” convenne Kingsley. “Ma... Dimmi, Harry.”
L’Auror si era alzato in piedi improvvisamente. Prese a camminare avanti e indietro per l’ufficio del ministro, rimuginando a mezza voce.
“Ron ha ragione,” borbottò. “Otto Murray è stato rapito. Il colpevole voleva estorcergli informazioni sulla Traccia del Crimine, oppure...” sollevò lo sguardo sugli altri due. “Oppure voleva che le ricerche venissero interrotte per evitare che venisse scoperto altro.”
Kingsley aggrottò le sopracciglia. “Cosa vorresti dire?”

“Questa è la prova!” sbottò Harry di rimando. “La prova che le scomparse di Otto Murray e Tamara Graysand hanno un collegamento.”
“Ma la sparizione di una Babbana non–”
“La sparizione di una Babbana sotto Imperius, Kingsley,” gli ricordò Harry impaziente.
“Questo non è un dato certo.”
“La testimonianza di Jenny Squalor non è sufficiente?”
“No, Harry.” Kingsley scosse la testa. “Purtroppo no.”
Ma perché nessuno mi dà mai retta?
Strinse spasmodicamente le dita sull’orlo delle maniche. “Ma tu sai che ho ragione,” si rivolse al Ministro.
Quest’ultimo annuì stancamente. “Sì, Harry, lo so. Ma purtroppo non posso fare nulla se non ho sottomano delle prove che certificano qualunque ipotesi tu abbia.”
“Quindi, parlando per ipotesi,” fece l’Auror amaramente, “non credi che le due sparizioni abbiano qualcosa a che fare con i disastri in Accademia?”
Anche?!” fece Ron, scettico.
Harry – che in quel momento gli voltava le spalle – si  trattenne dallo scoccare un’occhiataccia all’amico. “Perché no?” disse con sussiego. “Dopotutto, sembra che qualcuno stia tentando di sabotare il lavoro degli Auror. La Traccia sul Crimine era pensata per facilitare le nostre indagini, no? E il caos in Accademia, oltre a gettare scompiglio, è servito anche a distrarci. E ritardare l’andamento delle lezioni.”
Kingsley lo osservò pensoso, il mento poggiato sulle dita intrecciate delle mani, i gomiti perfettamente di fronte alle spalle. I suoi avambracci sembravano formare un triangolo col piano in mogano della scrivania. “Sai, Harry,” disse con la sua voce profonda. “Lo scompiglio in Accademia mi è sembrato più una forma di provocazione.”
L’Auror si accigliò. Il Ministro aveva ragione: anche quella era un’eventualità da non escludere assolutamente. Il punto era che ogni cosa sembrava così confusa e incomprensibile che si potevano formulare milioni di ipotesi – e ciascuna di esse poteva risultare del tutto errata. Harry aveva la sensazione che i tre eventi – le sparizioni di Tamara e Murray, il caos in Accademia – fossero in qualche modo collegate, ma quello che continuava a sfuggirgli era la chiave di questo legame.

C’era qualcosa in comune fra tutti quegli elementi. Lui – e qui si scambiò un’occhiata con Ron – avrebbe solo dovuto scoprire cosa.

****




17 novembre 2021
Appena fuori dall’Infermieria di Hogwarts
Sera

Scorpius si molleggiava apprensivo da un piede all’altro. Madama Chips, senza clemenza, aveva chiuso i battenti dell’Infermieria da una mezz’ora – asserendo che la paziente aveva bisogno di riposo – ma lui non riusciva proprio ad andarsene di lì. Il che era piuttosto sciocco, visto che aveva un tema di trentacinque centimetri assegnato per il giorno dopo da Vitious e uno altrettanto lungo di Difesa, sempre da consegnare il giorno successivo. Li aveva iniziati tutti e due ed entrambi lasciati a metà.
Tu hai questo vizio di lasciare sempre tutto a metà.” La voce di Grace – così com’era risuonata nella sua mente – gli parve quasi profetica, seguita da una risata cristallina. Si ritrovò a sorridere fra sé e sé, prima di gettare l’ennesimo sguardo anelante alla porta dell’Infermieria.
Tutta questa fissa che hai per Rose Weasley sta diventando eccessiva. Fece una smorfia, tentando di soffocare le voci nella sua testa – voci! Doveva proprio essere messo male.
Il fatto era che sentiva davvero tanto bisogno di parlarle, di accertarsi che stesse bene. Prima aveva dormito tutto il tempo, con le guance arrossate, le labbra socchiuse e il respiro un po’ roco. Lui le aveva sfiorato leggermente la fronte, constatando quanto scottasse. Era cosciente che si trattasse di una banale influenza, ma non si subiva un mezzo svenimento a causa dell’influenza. Almeno credeva – non che fosse un grande esperto in materia.
Madama Chips aveva detto che Rose Weasley doveva essere sotto pressione con questa storia del Tremaghi, mentre Lily aveva supposto che l’articolo di Jericho Allock avesse finito per sconvolgerla. Scorpius l’aveva poi letto, quel pezzo. Da cima a fondo. Certo, Allock aveva delineato Rose come qualcosa di disgraziatamente simile a una novella Mata Hari – sensuale, enigmatica e letale – ma la cosa era solo un po’ imbarazzante. Non era proprio da Rose farsi lasciarsi abbattere da una cosa del genere, e oltretutto la ragazza insisteva a dire di non aver letto l’articolo, quando non dormiva ed era sufficientemente lucida – Madama Chips diceva che con un paio di infusi e una buona notte di sonno si sarebbe rimessa in sesto immediatamente.
Ad un certo punto gli aveva quasi fatto paura. Si era tirata su bruscamente – per quel che vi riusciva – e l’aveva afferrato per la manica, guardandolo con occhi lucidi e sgranati. “Ti inseguiranno,” aveva mormorato. “Devi ricordarlo.” La sua voce era parsa tremula, incrinata. Scorpius aveva attribuito alla febbre quella frase senza senso.
Nessuno aveva commentato la sua presenza in Infermieria. Jacob gli aveva scoccato un paio di occhiate penetranti e Albus prevedibilmente non ci aveva fatto caso; Hugo Weasley aveva stretto le labbra con l’aria di chi la sa lunga ma aveva taciuto come tutti gli altri. Bernie non si era fatto vedere.
Bernie.
Davvero, avrebbe dovuto parlare con lui. Spiegargli che era tutto con equivoco, che lui e Rose Weasley erano solo amici. D’accordo, lui provava quella bizzarra sensazione di doverla aiutare, ma che non c’era nulla di romantico in questo. Fra di loro non c’erano complicazioni sentimentali di sorta: semplicemente sentiva il bisogno di starle accanto, convincerla magari a parlare dei suoi problemi, cercare di capirla. Esserle amico. Si rendeva conto di quanto stesse diventando importante per lui la loro amicizia e non intendeva perderla. Non sopportava l’idea che Rose non gli parlasse più e che lo considerasse di nuovo come chiunque altro. Anche solo la prospettiva era troppo dolorosa.
“Ma l’Infermieria è chiu– Ah, sei tu.”
Scorpius si voltò di scatto. “Bernie!”
L’espressione dell’amico si raggelò. “Malfoy,” lo salutò, inespressivo.
Lui aggrottò le sopracciglia. “Da quando in qua sono Malfoy?”
Bernie fece una smorfia. “Da quando hai rivalutato le tue priorità.”
“Bella risposta,” mormorò Scorpius.
“Bene.”
Da che lo consosceva, sul volto di Bernie non era mai stato impresso tanto gelo. Non rivolto a lui, perlomeno... Doveva ammettere di non avere familiarità con questo aspetto dell’altro. Gli sembrava un’altra persona: finalmente capiva come mai fosse stato smistato fra i Serpeverde. Bernard Boot era un tipo estremamente vendicativo e – a quanto pare – capace di imprimere nel proprio sguardo un’espressione raggelante.
Si sentì in colpa. Parecchio. Ma non l’avrebbe mai ammesso.
Osservò Bernie con circospezione. L’amico – ancora lo era? – guardava dalla parte opposta con aria completamente indifferente. Strinse le labbra: non credeva che l’avrebbe sopportato a lungo.
“Senti, parliamoci chiaro,” sbottò infatti dopo una manciata di secondi. “Io e Rose siamo amici. Punto. Niente di romantico o di–”
Lo sguardo di Bernie si posò finalmente su di lui. Ghiacciato. La voce di Scorpius gli morì in gola.
“Vedi?” Bernie parlò dopo qualche istante di silenzio. “Non riesci a convincere nemmeno te stesso.”
“Ti assicuro che siamo solo amici,” insistette Scorpius, ostinato.
Le labbra serrate di Bernie subirono un piccolo spasmo. “Non lo siete. Non riesci a vedere come la guardi. Come lei guarda te.”
“Io–”
“Come non guarderà mai me.”
Scorpius tacque. Bernie distolse lo sguardo da lui. “Ma non è un problema,” riprese con voce piatta. “Sono affari tuoi, dopotutto. Avrei solo gradito esserne informato.”
“Io... non so come la guardo,” confessò. “Non so neanche come mi guarda lei. Lo sai, non sono tagliato per queste cose... capire gli altri.” Sospirò profondamente. Bernie non si era mosso di un millimetro, ma era in ascolto. “Io non sono come Jake che sa come prendere gli altri per il verso giusto o te che capisci gli altri, ecco. Però sento che Rose riesco a capirla, un po’. Se ci provo. Forse riesco... riesco ad aiutarla.”
Bernie lo guardò con espressione indecifrabile. “E tu questo come lo chiami, Scorpius?”
Lui fissò lo sguardo fuori dalla finestra, verso il parco invaso dal buio. Il cielo si era rischiarato e si vedevano già alcune stelle che punteggiavano flebili il cielo scuro.
“Lei non mi piace. Non in quel modo.”
“Sicuro di quello che dici?”
“Io–” cominciò, ma si interruppe. Aveva visto qualcosa di inusuale fuori dalla finestra.
Qualcosa di tremendamente simile a luci di bacchetta che si muovevano nel parco buio.






Note dell’Autrice

Puff, capitolone! Ci ho messo un po’, ma dovete ammettere che stavolta è bello denso! In teoria dovevo inserire una chilometrica scena Like, ma non sono riuscita a farla entrare nel capitolo. Così come alcune cose su Hugo che ho dovuto rimandare... ma vabbè!
Come avrete notato, le cose si stanno muovendo. Preparatevi, perché diventerà tutto sempre più ingarbugliato!
Come ho detto nelle note iniziali, abbiamo superato le 200 recensioni! Che dire, adesso ci aspettano le 300 ;) Scherzo.
Sto preparando uno spin-off preSTP postGW su Molly e Lorcan per festeggiare ^^
Bisous,
Daphne


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Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Metamorphosis ***



s

From the sea floor,

metamorphosis...¹

Foo Fighters


Le piccole cose hanno la loro importanza:

è sempre per le piccole cose che ci si perde.

F. M. Dostoevskij



17 novembre 2021
Appena fuori dall’Infermieria di Hogwarts
Notte

“Hai visto?”
Il cuore in gola, Scorpius si voltò verso l’amico. Bernie, serio in volto, si apprestò alla finestra e studiò oltre il vetro la vista del parco, colmo di buio fitto.
“Che cosa?” domandò, inespressivo.
“C’erano delle luci,” fece Scorpius. “Fuori c’erano delle luci.”
“Non c’è nessuno,” disse Bernie. “C’è solo tanto buio.”
“No, guarda!” Dei bagliori avevano ripreso a serpeggiare lungo i crinali erbosi. “C’è qualcuno in riva al lago!” Sull’acqua si rifletteva la sagoma del castello con le sue luminarie tremolanti e quella più piccola della nave di Durmstrang, ma oltre a quelle sagome conosciute sfrecciavano anche degli intensi puntini di luce, indubbiamente di bacchetta.
Bernie aggrottò le sopracciglia. “Ma chi potrebbe...”
“Non ne ho idea.” Scorpius respirò bruscamente. “Credi sia il caso di chiamare qualcuno?”
“E chi?” replicò Bernie. “No. Potrebbe essere qualcuno della nostra Casa.”
“Stasera sei di ronda?”
L’altro annuì senza guardarlo.

“Allora... Non credi che dovremmo andare a vedere?” propose lui, titubante. L’idea di andare in esplorazione di qualcosa di cui non conosceva la natura – e per giunta a quell’ora – non lo allettava particolarmente. Anzi, non lo allettava affatto.
“Io dovrei,” replicò Bernie, piatto. “Sono Caposcuola.”
“Ah, sì. Giusto.” Scorpius annuì. “Vengo con te?”
Bernie lo soppesò co lo sguardo per alcuni istanti. Sembrava dubbioso, poi scrollò le spalle. “Tu non dovresti essere fuori a quest’ora.”

Per un momento, Scorpius ebbe la netta impressione che, se non fossero appartenuti entrambi a Serpeverde, Bernie gli avrebbe tolto come minimo cinquanta punti. Ma l’altro non fece nulla di tutto ciò. “Non sarò io a impedirtelo,” concluse inespressivo.
“Bene. Vengo anche io,” decise Scorpius su due piedi, maledicendosi immediatamente per aver acconsentito. Non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva una dannata paura. Infilò la mano in tasca per accertarsi che la bacchetta fosse al suo posto. “Andiamo?” domandò, rassegnato.
Bernie annuì e insieme sgattaiolarono giù per le scale, diretti alla Sala d’Ingresso. Non era certo la prima volta che uscivano di straforo dopo il coprifuoco, ma Scorpius si sentiva addosso una tensione tutta nuova. Continuava a ripetersi che non era niente, che senza dubbio si trattava di studenti, ma...
Non ci credeva affatto.
“Chi credi possa essere?” domandò concitato a Bernie.
L’altro gli scoccò un’occhiata concentrata. “Studenti,” borbottò, ma non sembrava convinto. Chiaramente anche lui era nervoso: Scorpius se ne accorse dalla sua postura rigida e dalla mano che si stringeva spasmodicamente sotto la manica, attorno alla bacchetta magica.
Infilarono il portone e si precipitarono giù per la cresta della collina, in direzione del lago e delle luci che continuavano a muoversi di tanto in tanto.
“Non accendere la bacchetta,” fece Bernie, una volta che furono giunti nelle vicinanze del luogo. “Potrebbero vederci.”
Furono le ultime parole dell’amico a risvegliare in Scorpius una sinistra consapevolezza: non si trattava affatto di studenti. Non perché difficilmente uno studente si sarebbe avventurato per il parco di notte, no: non era questa la ragione. Uno studente, pensò, non si sarebbe avventurato per il parco di notte con la bacchetta impunemente accesa. E la differenza stava tutta lì. Insomma, chi avrebbe rischiato l’espulsione in un modo così stupido? Questo non fece che accrescere la sua ansia. Se non erano studenti, allora...
Sta giù!” sibilò Bernie improvvisamente, afferrandolo con forza per il braccio e trascinandoselo al suolo. Rimasero stesi a pancia in giù fra l’erba alta, spiando quanto avveniva attorno a loro. Vide distintamente una sagoma scura e avvolta in un mantello – al punto che era impossibile comprendere se fosse un uomo o una donna – passare a pochi passi dal punto in cui erano nascosti. Aveva il cuore in gola dal terrore, anche Bernie fino a quel momento non aveva cessato di stritolare il suo braccio.
Questo è solo un incubo, continuava a ripetersi. Solo uno stupido incubo che finirà e io sarò in pace nel mio letto e–
Ma non era un sogno, era tutto spaventosamente reale. Il terreno ruvido e irregolare sotto il suo petto, le dita di Bernie che gli artigliavano l’avanbraccio, l’erba che gli graffiava il volto. Il buio profondo e temibile, che la figura incappucciata fendeva con la luce della sua bacchetta.
Il tempo pareva essersi fermato, come fossero stati sospesi in un limbo  in cui ogni secondo si tratteneva sino alla sua ultima frazione. Alla prima figura incappucciata ne succedette un’altra altrettanto irriconoscibile, che procedeva a passi lenti e furtivi, svelati unicamente dal fruscio nell’erba secca.
Chi sono? pensò Scorpius freneticamente. Chi diavolo sono, cosa ci fanno qui e quali sono le loro intenzioni!
Serrò con forza le palpebre. Resta immobile, si ripeteva. Resta immobile, perché se si accorgono che siete qui sarete fottuti.
Riaprì gli occhi di scatto e lentamente si voltò in direzione di Bernie. L’amico non lo guardava. Continuava a stringere il suo braccio, ma teneva il capo sollevato e gli occhi – brillanti di tensione – rivolti in direzione delle figure misteriose che adesso si erano fermate alcuni metri più in là. Scorpius cercò di pensare a cosa vi fosse in quel punto.
Siamo vicino al lago, pensò, dal lato opposto rispetto al faggio. Dal lato della Foresta.
Ma certo! La tomba di Silente!
Non fece in tempo a formulare la fine di questo pensiero, che uno dei due individui parlò in una lingua che non conosceva, ma che doveva essere italiano o spagnolo, da quel che poteva intuire. Gli sembrava che la sua mente fosse andata in pallone: quelle parole sconosciute si susseguivano nella sua testa disordinatamente, senza che lui ne avesse chiaro l’inizio o la fine.
Il secondo individuo – questa volta dal timbro chiaramente femminile – diede una risposta tagliente nella stessa lingua sconosciuta. Il primo ribatté ancora una volta, poi vi fu silenzio. Trascorsero alcuni istanti bui e muti, prima che si accendesse improvvisamente la luce di una bacchetta molto vicino a loro.
És algú acì!” Questa volta, Scorpius distinse chiaramente le parole l’una dall’altra, pur senza comprenderne il significato.
Colpejes ell!
Ancora una volta non sapeva il significato di quelle parole. Ma, chissà come, ne comprese il senso... che per lui corrispondeva a scappare. Subito.
Bacchetta alla mano, afferrò Bernie per il polso e lo tirò su. Trascinandoselo dietro corse a perdifiato lungo i crinali del parco, inseguito dagli incantesimi degli altri due. Sembrava quasi che se li fossero lasciati alle spalle quando improvvisamente li raggiunsero.
Sectum–” uno dei due agitò la bacchetta in direzione di Scorpius, ma la sua maledizione fu prontamente bloccata da Bernie e dal suo “Protego!” quasi urlato. Poi – e tutta la scena parve scorrere davanti ai suoi occhi come al rallentatore – il secondo individuo mosse la bacchetta con un movimento a frusta troppo rapido perché Scorpius potesse bloccarlo, e con un sottile bagliore viola Bernie si accasciò al suolo. Scorpius si gettò su di lui.
Reinnerva!” tentò disperatamente. “Reinnerva!”
Anem...” Udì borbottare uno dei due, ma lo ignorò, continuando a tentare di far rinvenire Bernie mentre i due loschi individui si dileguavano.
A poco a poco si accorse che ogni suo tentativo era vano, ma anche che Bernie respirava tranquillamente. Sembrava... addormentato, quasi.
Improvvisamente si accesero le luminarie della nave di Durmstrang e qualcuno si precipitò per la passerella che conduceva a terraferma. Era inevitabile che qualcuno si accorgesse dello scontro.
Probabilmente qualcuno aveva notato le esplosioni del duello...
Altre luci spuntarono fuori dal portone d’ingresso del castello, scivolando giù per la cresta del colle. Non lo sapeva. Gli pareva tutto così irreale. Assurdo.
“Che cosa è successo?” la voce di Aurora Sinistra risuonò per il parco buio, tangibile ma non per questo più chiara e realistica di tutto il resto. “Che cosa è successo, Malfoy?”
Scorpius aprì la bocca e scoprì di non riuscire a parlare. Poi divenne tutto nero.


****



18 novembre 2021
Infermeria di Hogwarts, Scozia
Alba

Rose si svegliò con un sussulto. Per un momento rimase confusa: dove si trovava? Perché non era nel suo letto?
Poi, poco a poco, riconobbe la doppia serie di lettini bianchi dalle tende verde oliva e il familiare ambiente asettico dell’Infermeria di Hogwarts. Del giorno prima aveva ricordi piuttosto vaghi: poteva richiamare alla mente solo sprazzi di pensieri febbricitanti e immagini brevi ma curiosamente nitide di volti e sensazioni. Probabilmente, aveva dormito per il resto del tempo.
Si tastò distrattamente la fronte: era fresca. Abbandonò le spalle all’indietro e sospirò profondamente. Si sentiva decisamente rinfrancata dopo quella nottata di sonno ristoratore. Sul lenzuolo candido erano disegnati i quadranti luminosi delle finestre, oltre i cui vetri si poteva ammirare il cielo di un tenue azzurrino dettato dall’insolito bel tempo.
Rilassò il capo contro il guanciale, buttando l’occhio sul comodino. Su di esso torreggiava – cosa strana – un mazzo di narcisi. Rose si chiese chi glieli avesse mandati, ma poi il suo sguardo cadde sulla copia della Gazzetta del Profeta abbandonata sul ripiano, che portava la data del giorno prima. Distinse una porzione della foto che la ritraeva assieme agli altri campioni e strinse le labbra, amareggiata.
Si rese conto di non aver neanche letto l’articolo. Allungò una mano per recuperare il quotidiano, e–
“Non lo farei, se fossi in te.”
Sussultò. Non si era accorta di non essere sola in Infermeria. Si sollevò sui gomiti per sbirciare il letto di fronte al proprio, dove giaceva un Bernie Boot pallido come un ciencio e con un’aria sfinita.
Aggrottò le sopracciglia, chiedendosi cosa mai potesse essere accaduto.
“Adesso mi parli di nuovo?” rispose in automatico.
“Non mi sembra che tu abbia mai avuto interesse nel parlare con me.”
“Anche questo è vero,” ammise con franchezza.
Un’ombra passò sul volto di Bernie. “Appunto.”
Rose sentì l’improvviso bisogno di fare qualcosa – qualunque cosa. Quindi allungò nuovamente il braccio per prendere il giornale.
“Non lo farei, se fossi in te,” ripeté Bernie in una specie di cantilena.
Inspirò bruscamente, seccata. “Fare cosa?”
“Prendere il giornale.”
Non stavo prendendo il giornale.” Con quanta più naturalezza possibile deviò la traiettoria del proprio braccio verso il mazzo di narcisi. Le sue dita si chiusero attorno ai bordi rettangolari di un biglietto in cartoncino ruvido. Lo prese, per poi schiuderlo con calma, ignorando la presenza di Bernie mentre si apprestava a leggerlo.
“Fais ce que dois, advienne que pourra.”
Aggrottò le sopracciglia, perplessa. Girò il cartoncino da una parte all’altra: mancava la firma.
Cosa vorrà dire?
Non conosceva per nulla il francese. Se Dominique fosse stata lì, avrebbe potuto chiederle di tradurre il biglietto... Che poi, non aveva la minima idea di chi fosse il mittente. E come avrebbe mai potuto scoprirlo senza conoscere il significato di ciò che vi era scritto?
Osservò la calligrafia. Il messaggio era stato vergato in inchiostro nero – banale, non identificabile – e in una grafia lineare e controllata, quasi infantile, che chiunque senza difficoltà avrebbe saputo imitare.
“Chi te li manda?” Nella voce di Bernie si poteva intuire una punta d’amarezza. Non avrebbe saputo dire se si trattava di gelosia oppure... oppure di invidia.
“Nessuno di importante,” replicò in fretta. “Tu che cosa ci fai qui?”
“Postumi di un Incanto Togli-Forze,” mormorò lui, piatto.
Rose sussultò. “Stai scherzando?!”
Un Incanto Togli-Forze? Ne aveva sentito parlare. Sua madre le aveva detto di esserne stata vittima, una volta. Da parte di un Mangiamorte, nell’Ufficio Misteri. Era una maledizione, quella, non una fattura di quelle che si scagliavano nelle scaramucce fra studenti!
Bernie distolse lo sguardo da lei. “No,” rispose quietamente. “Non sto scherzando.”
Rose si sentiva la gola riarsa. “Non ci posso credere,” ripeté, ostinata. “E chi è stato?”
“Beh, ieri sera ero con Scorpius, quando–”

Che cosa?!
Non poteva crederci. Non
voleva crederci. Scorpius non poteva essere stato in grado di fare una cosa del genere! Non poteva proprio. Era... era strano, sbagliato. Terribilmente diverso dall’immagine che Rose aveva di lui. Terribilmente doloroso.
“Che ti prende?” Bernie appariva stranamente tranquillo. Non aveva l’aspetto di uno che fosse stato quasi ucciso dal suo migliore amico appena qualche ora prima, decisamente.
Lo disse. “Non hai l’aspetto di uno che sia stato quasi ucciso dal suo migliore amico poche ore fa,” commentò.
Inaspettatamente, Bernie rise. “Ma che cosa hai capito?” riuscì a biascicare mentre continuava a sghignazzare, premendosi una mano sul petto.
Rose strinse le labbra, leggermente offesa. Più che altro si sentiva un’idiota: era ovvio che non potesse essere stato Scorpius. “E allora, chi...” esitò.
“Ci stavo arrivando,” fece l’altro, e parve incupirsi. “Ieri sera ero con Scorpius quando ci siamo accorti che c’era qualcuno nel parco. In quanto Caposcuola avevo il dovere di andare a controllare.”
L’atmosfera si era fatta stranamente tesa. “E Scorpius ha deciso di seguirti,” mormorò Rose. Chissà per qualche motivo, non ne era affatto stupita.

Bernie annuì distrattamente, prima di proseguire. “Erano due tizi sconosciuti... un uomo e una donna. Parlavano in una lingua che non conosco, ma sembrava spagnolo o portoghese. O qualcosa del genere.”
“Italiano?” azzardò Rose.
“No.” Bernie scosse la testa. “L’italiano ha una musicalità diversa. Comunque, è andato tutto bene... almeno finché non si sono accorti di noi.”
“Che cosa è successo?” esalò lei.
“Abbiamo cercato di scappare, solo che poi io sono stato colpito. Scorpius dice che quei due sono scappati. Poi lui è svenuto o qualcosa del genere.”
“Adesso come sta?” Rose cercò di mascherare l’ansia nel suo tono di voce. Evidentemente, pensò con stizza, non doveva esservi riuscita. Bernie infatti aveva inarcato un sopracciglio.
“Se non è qui, evidentemente sta bene. Dubito che Madama Chips l’avrebbe dimesso senza accertarsi che fosse sano come un pesce.”
“Adesso dov’è?” Sapeva che era crudele tartassare Bernie di domande su Scorpius. Se ne rendeva conto perfettamente, ma nonostante ciò non riusciva a evitarlo.
“Nell’ufficio della preside.” La voce di Bernie era assolutamente incolore, ma Rose capì perfettamente che stava dissimulando. Qualcosa nel suo sguardo si era incrinato, poco prima. “Sotto interrogatorio. Ci sono anche degli Auror, credo.”
“Degli Auror?”
In effetti, la cosa era grave e soprattutto inaspettata. Insomma, non capitava tanto spesso che accadessero cose simili – specie a Hogwarts, il luogo sicuro per eccellenza.
Bernie scrollò le spalle con aria noncurante, ma era evidente la sua preoccupazione. “Così sembra.”
L’occhio di Rose cadde sul giornale in cui – lo sapeva – era scritto l’articolo su di lei. La curiosità di leggerlo sembrava essere del tutto scemata, ma le venne un’idea. “Il Profeta ha scritto qualcosa su quello che vi è successo?” domandò a Bernie.
“Sinceramente?” replicò lui. “Non ne ho idea.”
In effetti, come Rose potè appurare nei giorni successivi, sulla Gazzetta del Profeta era stato scritto qualcosa. Più di qualcosa, a dire il vero.
C’era stata una vera e propria fuga di notizie riguardo a quello che era stato definito un attacco di ignari lestofanti ai danni del più importante centro del Mondo Magico Britannico, ospite peraltro dell’epico Torneo Tremaghi per la durata dell’anno scolastico corrente. Ai titoloni seguivano carrellate di pettegolezzi e voci più o meno accertate, spesso accompagnate da improbabili interviste a membri del corpo studentesco.
Jericho Allock, naturalmente.
Quello spregevole individuo continuava ad aggirarsi dentro e fuori le mura scolastiche. Capitava spesso di vedere la sua testa bionda e ben fatta – se solo non fosse stata accompagnata da quel dannato sogghigno beffardo! – comparire da dietro un’armatura o fra le colline del parco, sempre più spazzate da pioggia e vento gelido.
Un paio di volte aveva cercato di accalappiarla per strapparle qualche parola in merito alla faccenda, ma Rose aveva sempre fatto in modo di evitarlo. Dopo l’exploit di quella mattinata in Infermeria, Bernie aveva ripreso a comportarsi come se lei non fosse esisita, mentre lui e Scorpius sembravano essere tornati amici. Le cose erano proseguite a quella maniera fino al ventitré novembre, vigilia della prima prova e – casualmente – giorno in cui si sarebbe svolta la seconda partita di Quidditch della stagione, Corvonero contro Tassorosso.
Naturalmente, Rose non pensava al Quidditch. Si svegliò di soprassalto quella mattina, la fronte imperlata di sudore e il fiato corto, gli occhi sbarrati.
Era qualche giorno che faceva tutti quegli incubi. Da circa una settimana a quella parte le sue notti erano costellate di narcisi appassiti e figure incappucciate che si muovevano per il parco deserto, il tutto intervallato da draghi e ogni genere di strana creatura che si sarebbe potuta trovare davanti il giorno della prima prova.
Del sogno di quella notte non riuscì a racimolare granché, tranne il fatto che era stato sorprendentemente nitido. Si trovava nell’arena in cui si sarebbe svolta la prova – da qualche giorno era in costruzione, una temporanea soluzione che si ergeva lontana nel parco, imponente quasi quanto il campo di Quidditch. Delle strane creature l’attaccavano, ma lei non riusciva a muoversi, come se le sue gambe avessero subito un Incantesimo della Pastoia. Non trovava la bacchetta.
Decisamente, quella storia del Torneo la stava ossessionando, così come quella dell’attacco in cui Scorpius e Bernie erano stati coinvolti. Nonostante un nutrito gruppo di Auror si stesse occupando del caso, non si era riuscito a cavare un ragno dal buco, né riguardo al movente né all’identità dei due individui.
Come se non bastasse sentirsi del tutto impreparata per la prima prova e in ansia per quanto riguardava l’attacco, il ricordo di quel mazzo di narcisi continuava a tormentarla. Anche se, a dire il vero, tenere perennemente in tasca quell’ermetico biglietto contribuiva a rinfrescarle la memoria.
Ancora non aveva avuto modo di scrivere a Domi o Louis per chiedere una traduzione – di Victoire non se ne parlava proprio; di francese non capiva una parola e non c’era stato tempo di fare ricerche in biblioteca. Oltretutto, le avrebbero fatto domande su domande e lei non aveva voglia di rispondere alle prese in giro di Lou né alle allusioni maliziosi di Domi. Neanche la minima intenzione.
Ovviamente continuava a porsi quintali di interrogativi su chi potesse essere stato il mittente... senza alcun risultato.
Rimuginando sui suoi foschi pensieri – pur cercando di non farli deviare sulla prova imminente – Rose scansò le lenzuola, buttando giù le gambe dal materasso finché i piedi non incontrarono il soffice velluto dello scendiletto. Negli altri due letti a baldacchino del dormitorio, Gwyneth e Christine dormivano profondamente. La prima giaceva a pancia in giù, abbracciando il cuscino contro il quale teneva premuto il volto. Christine, invece, era raggomitolata sotto le coperte, una mano poggiata sul guanciale proprio di fronte al proprio naso.
Ecco, Christine De Bourgh era solo un altro problema. A dire il vero, l’altra era stata piuttosto convincente, al punto che Rose non credeva veramente che lei fosse Gossip Witch. Tuttavia, appariva chiaro che Christine stava nascondendo qualcosa.
Ha detto di aver utilizzato il Proteus su dei galeoni ma di non essere Gossip Witch... Insomma, è chiaro che parlava dei galeoni di Gossip Witch, accidenti! Ma allora Christine conosce la sua identità?
Era cosciente che parlarne con Jake Greengrass sarebbe stata la cosa migliore da fare, sebbene non ne avesse affatto voglia. Dopotutto, non era stata la sola ad avvicinarsi a Christine nell’ultimo periodo: anche Greengrass l’aveva fatto, e per di più Rose sapeva che fra i due sussisteva una sorta di accordo.
Che razza di accordo, poi. L’aiuto di Greengrass per qualche faccenda losca in cambio di un consiglio.
Ma Jake non era tipo da lasciarsi imbrogliare, lei lo sapeva fin troppo bene. Fra loro probabilmente non sarebbe mai scorso buon sangue. C’era sempre stata una sorta di antipatia a pelle – sebbene in un passato sorprendentemente lontano fossero finiti a letto assieme. Mentre lui stava con Gwyneth Parkinson, per giunta.
Sembra una vita fa.
Gettò un’occhiata a Gwyneth, che emise un piccolo sospiro mentre si voltava su un fianco. Un inaspettato quanto dilaniante senso di colpa l’aggredì violentemente all’altezza dello stomaco. Era una sensazione oscura, il sentirsi colpevoli.
Si chiese come si sentisse Christine. Capì che non era molto diverso da quei rimorsi bui che talvolta l’assalivano. Somigliava ai mostri.
Se hai paura, i mostri ti inseguiranno, Rose. Devi ricordarlo...
Scosse la testa bruscamente, mentre distogliendo lo sguardo dalle sue compagne di classe si dirigeva decisa verso il bagno. Non avevano mai avuto problemi a condividerlo, loro tre. Per una sorta di tacito accordo chi si svegliava prima ne disponeva a piacimento, ma in nome della buona creanza non lo occupava troppo a lungo. Fortunatamente nessuna delle tre era particolarmente vanitosa.
Tuttavia, quello era un sabato mattina. La partita avrebbe avuto inizio solamente alle undici, se poi le altre vi avrebbero assistito, cosa di cui per di più dubitava. Aveva quindi buone ragioni di credere che almeo fino alle nove non si sarebbero alzate. Perciò aveva un sacco di tempo a disposizione per utilizzare il bagno a proprio piacimento.
Sorprendentemente rallegrata, entrò in bagno chiudendosi la porta alle spalle e girò il rubinetto dell’acqua calda nella doccia. Mentre il getto scorreva forte e sempre più bollente si pose davanti allo specchio per studiare la propria immagine. La superficie riflettente era velata da un sottile strato di vapore, quindi non distingueva la propria figura con grandissima nitidezza. La cosa non le dispiacque. Ora come ora, distingueva la sagoma sfocati di una ragazza dai capelli rossi e arruffati dal sonno, i lineamenti difficili da distinguere sotto quello strato di opacità.
Distolse lo sguardo e si liberò in fretta del pigiama, infilandosi sotto al getto bollente della doccia. Rimase immobile mentre l’acqua – fin troppo calda – le schizzava addosso per poi correre in rivoletti lungo le braccia, l’addome, le gambe. Presto sulla sua pelle chiara si diffuse un lieve rossore. Le accadeva sempre, con il caldo o quando sudava.
Era una cosa che non le dispiaceva. Le sembrava di essere onesta, almeno in quello. Davvero se stessa: dopotutto c’erano cose del suo corpo che non avrebbe mai potuto cambiare.
Rovesciò una dose di sciampo sui propri capelli e li strofinò con energia, prima di chinare la testa e lasciare che l’acqua trascinasse via il sapone. Passò le dita fra le ciocche aggrovigliate, su cui applicò del balsamo districante. Poi prese del bagnoschiuma e una spugna, che sfregò sul proprio corpo finché non ebbe l’impressione di aver strofinato via anche uno strato di pelle.
Si sentì in qualche modo pulita, depurata. Mentre si avvolgeva nell’accappatoio, si accorse di non aver pensato a nulla mentre era sotto il getto bollente della doccia. Come se la sua mente si fosse temporaneamente svuotata... e di certo non le aveva fatto male.
“Già sei sveglia?”
Nel suo accappatoio, intenta ad asciugare i capelli con un fiotto d’aria calda che emanava dalla sua bacchetta magica, Rose si voltò verso la porta. Gwyneth sostava sulla soglia, con un aspetto insonnolito e i capelli scuri in disordine.
Lei annuì, senza proferir parola.
Senza attendere un suo invito, la compagna di casa si addentrò nel bagno, appollaiandosi in cima a una piccola cassettiera che prendeva posto sotto la finestra, contro i cui spessi vetri turbinavano le acque verdastre del lago. Leggermente inquietante, ma alla lunga ci si faceva l’abitudine.
Rose tornò a guardarsi nello specchio, agitando i capelli da sotto in su mentre vi puntava contro il getto di aria calda. Dietrò di sé vedeva riflessa Gwyneth, che la osservava pensosa.
“Hai avuto un altro incubo.” Non suonò affatto come una domanda.
Rose deglutì. Avrebbe dovuto aspettarselo: erano Serpeverde, non si lasciavano sfuggire i dettagli. Evidentemente aveva lasciato trapelare troppo.
“Sei...” Gwyneth parve esitare, come se stesse scegliendo con cura ogni parola da usare, “sei... preoccupata? Per la prova?”
Lei annuì ancora. Inspiegabilmente, non riuscì a guardare l’altra. Prese a fissare il lavandino, continuando ad asciugarsi i capelli.
“Il Calice non ti avrebbe scelto se–”
“No.” Sbottò. “Non cercare di consolarmi.”
Gwyneth non fece una piega. Si limitò a restare in silenzio, un silenzio insostenibile.
“Non fingere di essere preoccupata,” rimarcò Rose, senza curarsi di essere sgarbata.
“Io sono preoccupata,” sottolineò l’altra, imperturbabile.
“Io...” tacque. Di nuovo quell’oscuro senso di colpa si stava spalancando all’altezza del suo stomaco. L’idea che l’acqua bollente avesse lavato anche quello era stata solo un’illusione.
I mostri ti afferreranno se ne avrai paura...
Il punto è che non riusciva a smettere di averne.
Si accorse di avere un groppo alla gola. Abbassò gli occhi.
“Non è solo questo, vero?” Adesso la voce di Gwyneth si era abbassata di un tono. Suonò... carezzevole, in qualche modo. Comprensiva, forse incuriosita... ma non pietosa.
Scosse la testa. Ancora una volta, aveva paura che cominciando a parlare le parole sarebbero uscite tutte insieme, una fiumana inarrestabile.
“E allora, cosa c’è?”
Rose fu colta da una consapevolezza improvvisa. La consapevolezza che lì – in quel preciso istante, in quel preciso luogo – poteva fidarsi di Gwyneth Parkinson. Non sapeva quanto sarebbe durato quel momento, ma tanto valeva approfittarne.
C’erano alcune cose di cui non poteva parlare, ovviamente. Segreti che riguardavano altre persone, segreti che parlavano di cose molto più grandi di loro.
Le disse del mazzo di narcisi e dell’intraducibile biglietto. E mentre le raccontava – mentre esponeva i fatti così come si erano svolti – la soluzione apparve chiara e limpida nella sua mente, prima ancora che l’altra la suggerisse.
In quel momento Hogwarts era piena di persone che parlavano francese. Dio solo sapeva cosa avesse avuto in testa fino a quel momento, per non pensarci prima.
Gwyneth le concesse un sorriso. Rose capì che almeno uno dei mostri l’aveva perdonata.


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23 novembre 2021
Appleton-le-Moors, Yorkshire
Mattina

La casa in cui Otto Murray abitava da solo era una comune villetta a schiera, del tutto nella norma. Nel giardinetto davanti all’abitazione si potevano vedere aiuole ben circoscritte di fiori Babbani di varie specie, più alcune piante in vaso dall’aria graziosa. Appariva chiaro che l’Indicibile fosse – o fosse stato – un amante del giardinaggio. L’unica nota discordante era lo stato di quelle aiuole: le piante pendevano floscie e tristi, i fiori giacevano appassiti e desolati, con i gambi moribondi e ricurvi.
Harry riuscì a pensare solo che zia Petunia, un tempo, nel vederle avrebbe strillato inorridita. Si chiese come se la passasse la piccola Lizzy a Hogwarts... senz’altro bene. Sembrava una ragazzina in gamba.
Strinse le labbra, concentrato sul proprio incarico. Dopo alcuni giorni di attesa, avevano finalmente avuto l’autorizzazione a perquisire l’abitazione di Otto Murray, l’Indicibile che si occupava della Traccia sul Crimine e che era di recente scomparso.
Vista la gravità del caso, oltre alla sua squadra – composta dai fidati Ron e Hestia – ne era stata mandata anche un’altra di supporto, per la precisione quella guidata da Demelza Robins, che un tempo era stata Cacciatrice nella squadra di Quidditch che Harry aveva guidato per un anno, a Hogwarts. Del suo gruppo di Auror facevano parte anche Theodore Nott – figlio di un ex-Mangiamorte e Serpeverde del suo stesso anno – e Gracia Simpson, una giovane Auror da poco laureata. Gracia era sveglia e allegra, con corti capelli corvini e un sorriso bianco e smagliante. La sua risata fragorosa gli ricordava Tonks.
In quel momento, tuttavia, Gracia non rideva. Bacchetta alla mano, si addentrarono nel giardino. La porta d’ingresso non era chiusa a chiave, Harry la aprì con la mano libera.
L’atrio era illuminato, perché la luce era libera di entrare dalle finestre, le cui imposte erano spalancate. Non c’erano segni di lotta. Ogni cosa era in perfetto ordine, come il giardino: l’unico segno di scarsa cura erano le spesse dita di polvere depositate ovunque. I loro piedi lasciavano nitide impronte sulla moquette resa grigiastra da tutto quello sporco.
Da protocollo, come prima cosa dovevano accertarsi che l’abitazione fosse vuota.
Homenum Re–” cominciò Harry, ma fu interrotto dalla bacchetta magica che saltava via dalla sua mano.
“Stupeficium!” Intorno a lui fu un improvviso fiorire di lampi rosso fuoco. Gli Schiantesimi dei colleghi volarono da tutte le parti mentre Harry si affrettava a recuperare la bacchetta dal suolo.
Homenum Revelio,” ripeté, quando la confusione si fu placata. Non accadde niente.
C’era qualcosa che non andava. Perché qualcuno avrebbe dovuto disarmarlo – lasciandogli la bacchetta, per giunta – e poi scappare?


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23 novembre 2021
Parco di Hogwarts, Scozia
Undici e qualcosa di mattina

Jacob spostò il peso da un piede all’altro, con una punta di nervosismo. Si guardò attorno con circospezione, gettando l’occhio sul viottolo che portava al campo di Quidditch, semivisibile dal punto in cui lui era nascosto.
Nello spazio dietro alla rimessa delle scope il terreno era battuto. Si poteva gettare una cicca di sigaretta senza rischiare di appiccare un incendio e – seminascosto com’era alla vista del campo come del castello – era perfetto per nascondersi a fumare in santa pace.
Sollevò la mano che stringeva la sigaretta fino alle labbra, e ne aspirò una lunga boccata che cacciò poi fuori a denti stretti.
È in ritardo.
Gettò ancora un’occhiata al campo di Quidditch, dove si stava svolgendo la partita di Corvonero contro Tassorosso.
Magari non è potuta venire. Per un attimo ci sperò. Fino a quel momento il tempo che lui e Lily avevano trascorso assieme era sempre stato ritagliato fra un’ora e l’altra, perennemente in allerta. Jake temeva che Albus lo venisse a sapere e cercava di prestare sempre la massima attenzione... Non che Lily gli facilitasse il compito. Anzi. Tutta quella faccenda del rischio sembrava divertirla un mondo. Nei momenti più improbabili le loro strade si incrociavano e Lily sorrideva in quel modo, e a quel punto finivano sempre avvinghiati a baciarsi furiosamente contro la porta di uno sgabuzzino o nascosti in qualche passaggio segreto. O in un’aula vuota. O in un’aula che sarebbe rimasta vuota solo per pochi minuti ancora.
Non avevano mai passato più di una quindicina di minuti assieme da soli, e in quelle occasioni erano sempre e senza esclusione finiti con le labbra dell’uno incollate a quelle dell’altra. Aveva desiderato di baciarla con tale intensità, in quelle settimane che avevano preceduto Halloween, che gli sembrava di non essere in grado di fare altro. Di non avere in mente altro che non fosse lei, le sue labbra, il profumo della sua pelle. E allo stesso tempo si sentiva così in colpa, così teso... Non riusciva a guardare Albus senza dimenticare che si vedeva di nascosto con la sorella dell’amico. Quando era con Lily, però, dimenticava con troppa facilità che Albus fosse suo fratello. Era come se tutti i problemi sembrassero sciocche bazzecole al cospetto di stare assieme a Lily, baciare le sue labbra e affondare le mani nei suoi capelli... Non aveva fretta, però, questo no. Nella loro frenesia, in quegli attimi rubati... non c’era fretta. Mai.
Non la udì arrivare, così quasi sobbalzò quando vide la sua sagoma familiare – davvero, gli sembrava di poterne ricomporre ogni minimo dettaglio con l’occhio della mente – comparire sul viottolo. La vide guardarsi attorno con tranquillità, celando ogni traccia di circospezione, per poi deviare non vista con aria impassibile in direzione del retro della rimessa. Jacob la osservò avvicinarsi e rivolgergli un sorrisetto di saluto. Aveva scoperto di adorare il modo in cui piegava le labbra in quel sogghigno furbo, ma anche quando scoppiava a ridere fragorosamente, di quella sua risata abbandonata. In quei momenti Lily rideva perché amava ridere. E non pensava ad altro.
Era strano essere vissuto al suo fianco per tutti quegli anni senza capire quanto fosse bella quando rideva. Il suo collo sottile si tendeva mentre gli occhi brillavano, e senza preoccuparsi di nulla Lily si premeva le mani sulla pancia per il troppo sghignazzare.
Gli piaceva la forma delle sopracciglia di Lily e quella del suo mento. Gli piaceva la luce implacabile e maliziosa dei suoi occhi. Il suo modo di muoversi, di guardare. Il suo corpo minuto ma slanciato, con quelle curve appena accennate e non del tutto intuibili sotto i vestiti. Le sue orecchie leggermente a sventola. La sua voce.
“Sei in ritardo,” commentò.
Lei inarcò le sopracciglia. “Non sarebbe parso strano vederci sparire nello stesso momento?” replicò facendo spallucce.
Jake la imitò scrollando le spalle. “Pensavo ti saresti organizzata per tempo,” mugugnò, tentando di assumere un atteggiamento scostante.
Lily gli scoccò un’occhiata scettica, sorridendo divertita. “Sono in ritardo di un minuto, Greengrass,” ribatté con voce leggermente roca. “Non ti sarai mica preoccupato?”
La sua voce trasudava una sorta di sarcasmo affettuoso.
“Affatto.”
La ragazza si mosse verso di lui. Gli prese la mano che stringeva la sigaretta e se la portò all’altezza delle labbra, quindi aspirò una lunga boccata. Gli soffiò il fumo in faccia. Guardandolo dritto negli occhi.
Ti ha fregato. Come sempre.
Strinse le mani attorno ai suoi gomiti, tirandosela contro. Lily lo lasciò fare, un curioso scintillio negli occhi.
“Adesso fumi anche?” la provocò, sottilmente divertito. Per una volta, l’avrò vinta io. “Cosa direbbe Albus?”
“Albus fuma,” replicò lei tranquilla. “Anche se crede che io non lo sappia,” aggiunse, fingendo di pensarci su.
A Jake venne da ridere. E da baciarla, a lungo e stringendo i suoi capelli fra le dita. Si trattenne dal fare entrambe le cose.
“Cosa penserebbe Albus se sapesse che la sigaretta dalla quale hai fumato era la mia?” rincarò a bassa voce, sforzandosi di non colmare immediatamente i pochi centimetri che li separavano per posare le labbra sulle sue.
Lei scrollò le spalle, senza smettere di sorridere e guardandolo dritto negli occhi. “Potrebbe essere una situazione... compromettente.”
“Potrebbe, sì.” Lily si era avvicinata di una manciata di centimetri. O forse era stato lui a farlo. Fatto sta che adesso lo spazio fra le loro labbra era praticamente
impercettibile e sarebbe bastato il minimo accenno di movimento a farle incontrare.
Ma cosa stavano aspettando, dopotutto?
Jacob allentò la stretta sui suoi gomiti, senza tuttavia lasciarla del tutto, e si chinò verso Lily nel momento esatto in cui lei si sollevava in punta di piedi per baciarlo. Come al solito, fu vertiginoso. Sembrava sciocco, ma Jake non riusciva proprio a trovare parole migliori per definire le precisa sensazione che baciare Lily faceva scaturire in lui. Ogni volta era come precipitare, cadere a velocità pazzesca con la consapevolezza che non ti saresti fatto male. Perché quella voragine non aveva fine. E il volo meritava la caduta.
Si può cadere e al tempo stesso librarsi in alto? Pazzescamente in alto?
Evidentemente, era possibile. Possibile mentre le sue labbra si muovevano contro quelle di Lily, contro il suo collo; possibile mentre lei gli prendeva il volto fra le mani e poi artigliava con le dita il colletto della sua camicia per attirarlo verso di sé.
Come se ce ne fosse bisogno.
Dopo quel bacio forsennato e infinito – durante il quale chissà come Jake era finito chissà come con la schiena premuta contro la parete della rimessa – si separarono. Lily sorrise, ma questa volta non fu un sogghigno sarcastico né un sorrisetto compiaciuto. Negli occhi le ardeva una luce brillante e mobile, mentre le labbra fremevano appena, quasi fossero sul punto di schiudersi in un sorriso ancora più ampio. Cosa volesse dire... lui non lo sapeva. Non sapeva niente di cosa gli stava succedendo, del motivo per cui adesso ogni cosa gli apparisse rinnovata e più vera.
Adesso i colori erano più nitidi. Li vedeva bene: erano tutti abbaglianti. Da far male.
Osservò Lily mentre tirava fuori da chissà dove un pacchetto di sigarette – davvero, da quando in qua fumava? – e faceva scattare un accendino Babbano vecchio stile. Lily avvicinò la sigaretta alle labbra per aspirare la prima boccata e voltò il capo dall’altra parte mentre la buttava fuori a labbra socchiuse, le sopracciglia appena aggrottate, come stesse rimuginando su qualcosa.
Comprese che anche lei aveva la stessa consapevolezza. Il fatto che Albus avrebbe potuto scoprirli non era l’unico rischio. I legami fra le persone erano la cosa più preziosa che si potesse avere. Erano complicati e spesso dolorosi, questo Jacob lo sapeva bene. Complicati al punto che istaurarne uno così profondo, così viscerale... avrebbe potuto spezzare chiunque, a questo punto.
Era un rischio che voleva correre? Un rischio che volevano correre.
Fece un passo verso Lily e l’abbracciò stretta, per una volta cogliendola di sorpresa. Percepì il cuore della ragazza battere forte, quasi rimbombare nella sua piccola cassa toracica. Quello di Jake faceva lo stesso.
Capì. Capì che Lily aveva capito.

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23 novembre 2021
Campo di Quidditch, Hogwarts
Sempre undici e qualcosa di mattina

Hugo scrutava lo svolgersi della partita assottigliando gli occhi. Il Quidditch gli piaceva – sebbene non avesse mai partecipato a un provino perché lo studio era al primo posto – e specialmente provocava in lui un convinto patriottismo verso Corvonero.
Corvonero contro Tassorosso era sempre reputata una partita poco interessante dai membri delle altre Case. Non era come quando Serpeverde giocava contro Grifondoro... In quei casi lo scontro si rivelava sempre epocale. Ci scappava regolarmente l’infortunio. Sul campo di Quidditch la proverbiale antipatia fra le due Case presunte rivali sembrava sempre rifiorire.
Hugo pensava che fosse sciocco per i giocatori non vedere all’opera le squadre contro cui avrebbero dovuto giocare, e in effetti – a onor del vero – i capitani di solito erano presenti.
Scorpius Malfoy – capitano di Serpeverde – era assente, ma Hugo l’aveva visto seguire la preside assieme a Bernie Boot, da poco dimesso dall’Infermeria. Probabilmente dovevano essere interrogati o qualcosa del genere, dopo gli eventi della settimana prima.
Suo cugino Albus, invece, aveva apparentemente convocato l’intera squadra di Grifondoro. Sembrava aver ripreso a lavorare seriamente, invece di correre dietro alla gonnella della Menley con la Psicopatica Baston che lo scrutava in cagnesco.
Ah, cieco Al!
La cosa non lo sfiorava più di tanto, ma doveva ammettere di sentirsi leggermente sollevato, e non solo perché la Baston si sarebbe macchiata da un momento all’altro di Pottericidio, se lui non l’avesse piantata. Al stava diventando imbarazzante, specie adesso che cercava di evitare Tony. In tutti i modi.
Probabilmente l’altro sospettava che lui avesse proseguito le ricerche, ma Hugo non aveva la minima intenzione di rivelargli dove esse l’avevano condotto. Perché aveva scoperto qualcosa, in effetti... decisamente più di qualcosa.

Il libro che Eugène gli aveva procurato era stato provvidenziale. Davanti agli occhi di Hugo adesso si susseguivano file e file di immagini simili alle quattro che gli erano state date da Tony. Era stato un lavoraccio scrutare quelle figure una per una con attenzione, specialmente con il non trascurabile impaccio della lingua. Non solo Iconologia o Emblemi Morali di Cesare Ripa² era scritto in italiano, ma in italiano del 1600. Hugo non conosceva nessuno che parlasse italiano – e comunque non avrebbe chiesto aiuto a nessuno – ma con l’aiuto di una vecchia grammatica recuperata in biblioteca e di un dizionario era riuscito perlomeno a ricavare ciò che reputava fondamentale.
Alla fine era riuscito a estrapolare il significato delle quattro immagini.
La prima riportava un angelo dalle vesti che turbinavano al vento, con le ali spiegate e gli occhi bendati. Teneva le braccia sollevate sul capo, e reggeva una gran quantità di corone, tiare e altri copricapo regali, tutti diversi in forma e qualità, corrispondenti a diversi titoli nobiliari... Quella era l’allegoria dell’Ambizione.
Piuttosto azzeccata, non c’è che dire.
Ma a cosa si riferiva? E perché quell’immagine era giunta fino a lui?
La seconda ritraeva un uomo barbuto, con impresso sulle labbra un sorrisetto sardonico. Pareva vestito di pelo, e il suo corpo era umano fino ai fianchi: al posto delle gambe, due code di serpente si intrecciavano a sorreggerlo. Al suo fianco sostava una pantere, secondo la descrizione di Ripa, che definiva come sarghi i pesci rinchiusi nella rete che l’individuo stringeva in mano. A quanto pareva era la rappresentazione allegorica dell’Inganno.
Oh, ma figurarsi! Come se qui non fosse un inganno continuo. È tutto così complicato...
Scosse la testa. In ordine alfabetico, aveva rintracciato anche la Parsimonia. Una donna abbigliata con semplicità, che teneva il braccio destro sollevato con un compasso in mano. Fra le dita della mano sinistra – abbandonata lungo il fianco – stringeva un sacchetto rigonfio di denaro. Parsimonia. Cosa diamine aveva a che fare la Parsimonia con il resto? Certo, poteva essere legata all’ambizione, ma allora... L’Inganno? Parsimonia era qualcosa di positivo, mentre Inganno vicino ad Ambizione conferiva a quest’ultima un’accezione negativa. Chissà.
Poi la quarta, la più spaventosa. Un uomo dal giovane corpo, il cui volto tuttavia era quello di un vecchio dall’espressione distorta e furibonda, con una barbetta a punta. Nonostante avesse un fisico giovanile, procedeva curvo e con l’incedere di una belva a caccia. La mano sinistra indicava il suolo, nella destra stringeva qualcosa di simile a un gatto a nove code, ma dei serpenti dalle bocche spalancate e sibilanti sostituivano le nove fruste uncinate.
Il Terrore.

La cosa continuava a tormentarlo. Terrore... Rose. Rose era spaventatissima all’idea della prima prova. Lei non lo avrebbe mai ammesso, ma Hugo la conosceva troppo bene per non intuirlo. Tuttavia, non poteva essere questo. Non solo, perlomeno. Non riusciva a non pensare che non fosse un caso che quelle immagini fossero arrivate fino a lui. Sembravano una sorta di enigma...
Salut!”
Sobbalzò. Immerso com’era nei propri pensieri, non si era accorto dell’arrivo di Eugène. Quest’ultimo scavalcò con noncuranza una fila di sedili e si accomodò al suo fianco sugli spalti.
“Ciao,” fece Hugo, osservando le ciocche bionde che sfioravano le sopracciglia dell’altro. Le aveva una nota più scure dei capelli.
“Come stai?”
Accennò un sorrisetto, tornando a guardare la partita. “Bene.”
“Alla fine sei riuscito a trovare quello che scercavi?”
Tornò a guardarlo. “Sì!” esclamò, mascherando la sua tensione con una dose di entusiasmo. “Grazie per il libro, davvero. Te lo restituirò quanto prima.”
Eugène scrollò le spalle. “Oh, tienilo pure quanto vuoi! Se lo ritieni interesonte...”
“A dire il vero ho avuto qualche problema con la lingua,” scherzò Hugo.
L’altro ricambiò il sogghigno. “Posso imaginare! L’italien vulgaire c’est très difficile!
Hugo non capiva il francese, ma afferrò il concetto. “Direi!” sorrise.
“Cosa volevano dire poi quei simboli?”
Scrollò le spalle. “Ambizione, Inganno, Parsimonia, Terrore. Solo non capisco cosa diamine c’entri la Par–” Si interruppe. Aveva udito un brusco tramestio alle sue spalle. Si voltò di scatto, solo per vedere la sagoma di Herman Hessler dileguarsi di gran carriera fra gli spalti.
Assottigliò gli occhi, sospettoso. Decisamente, c’era urgente bisogno di una riunione con i cugini.


****



Liliane stava in beata solitudine, appollaiata sugli spalti. La gonna celeste di Beuxbatons era sgualcita e faceva a pugni con i calzerotti a righe che indossava sotto. Le mollette con cui aveva fissato indietro alcune ciocche biondo platino erano a forma di farfalla. Bastava sfiorarle con la punta della bacchetta magica perché battessero le ali luccicanti.
Madame Laveau-Perrin aveva stretto convulsamente le labbra nel vederle, ma non aveva espresso commenti in merito. Probabilmente ormai si era rassegnata.
A Hogwarts faceva un freddo cane, non c’era che dire. Nonostante il cappotto, i guanti e la sciarpa, Liliane si sentiva intorpidita dal freddo.
Non aveva ancora visto Lily, quel giorno. Probabilmente si era nascosta in qualche anfratto con Greengrass. In quella scuola erano tutti così rimbambiti! Possibile che non se ne fosse accorto nessuno?
Lily. Mi odia perché si chiama come me. Non si accorge di essere esilarante, però. Ci pensò su. O forse se ne accorge perfettamente.
Non era male, come partita. A lei il Quidditch piaceva parecchio. Faceva parte della squadra della sua Casa, a Beauxbatons, ma a dire il vero non pensava di intraprendere una carriera sportiva, l’anno successivo. Per il momento non ci pensava granché. Troppe idee, tutte troppo belle.
A un certo punto, vide farsi strada fra gli spalti una figura familiare, che indossava calze nere e scarponcini consunti sotto alla divisa di Hogwarts. Aveva i capelli rossi sciolti che le piovevano sulla faccia e indossava una sciarpa Serpeverde, fuori posto fra quella fiumana di tifosi giallo-nero o bronzo-blu.
Si accorse che Rose si stava dirigendo decisa verso di lei e la salutò energicamente.
“Rose Weasley! Quale onore!”
L’altra si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a sedersi accanto a lei. “Ho bisogno di un favore.”
Liliane abbandonò la schiena contro la gradinata che precedeva la loro. “Spara.”
“Mi traduci questo?” Le porse la mano, sul palmo della quale c’era un biglietto di cartoncino. Aveva un aspetto consumato, come se Rose l’avesse tenuto in tasca per un bel pezzo.
Accigliata, lo prese. “Fais ce que dois, advienne que pourra,” lesse. “Chi te lo manda?” Voltò il cartoncino: mancava il mittente.
“Non ne ho idea.” Rose scrollò le spalle. “Non c’è firma. Che cosa significa?”
“Beh... è un proverbio francese.
Fai quel che devi, accada quel che può. All’incirca.”
“Quindi... è come dire di fare il tuo dovere, succeda quel che succeda?” L’altra aggrottò le sopracciglia.

Liliane annuì. “Beh, sì. Più o meno.”
“Capisco,” mormorò Rose.


****



23 novembre 2021
Ufficio della Preside, Hogwarts
Ancora undici e qualcosa di mattina

Harry osservò i due adolescenti che aveva di fronte. Uno dei due aveva un aspetto fin troppo familiare.
Scorpius Malfoy somigliava moltissimo al padre. Aveva gli stessi lineamenti appuntiti e la stessa carnagione pallida, i capelli di appena una nota più scuri. Solo, era molto più irrequieto. Spostava in continuazione lo sguardo da una parte all’altra della stanza, tamburellava per terra con il piede, gettava loro occhiate di sottecchi. Di Draco Malfoy gli mancava l’espressione beffarda, sostituita da una vagamente più mite ma anche leggermente fosca.
Gli era già accaduto diverse volte di vederlo, perché era amico di suo figlio Albus e per giunta era stato il ragazzo di sua nipote. Com’era prevedibile, quest’ultimo fattore accresceva l’antipatia di Ron nei suoi confronti... Non si era risparmiato commenti sul fatto che in quel pasticcio fosse in mezzo il figlio di Malfoy, mentre erano in viaggio verso Hogwarts. Fortunatamente, adesso si stava controllando.
L’altro ragazzo era il figlio di Terry Boot. Harry sapeva che anche lui faceva parte della cricca di amici di Albus, ma l’aveva visto più raramente. Aveva una carnagione molto chiara e riccioli scuri che gli sfioravano la fronte. Due folte sopracciglia sovrastavano occhi castani e seri.
Sospirò brevemente e rivolse di nuovo lo sguardo al giovane Malfoy. Non riuscì a sopprimere del tutto la sensazione di star parlando con la metifica prole del vecchio Draco, ma si sforzò in tutti i modi di essere il più gentile possibile.
Professionalità, Harry, professionalità.
Per Merlino, sono solo ragazzi!
“Buon giorno,” esordì, un po’ goffo. “Io sono Harry Potter, il capo del Dipartimento Auror.”
Contemporaneamente, i due ragazzi puntarono lo sguardo su di lui. Silenziosi e indagatori.
Poi, Malfoy fece un mezzo sorriso e gli porse la mano. “Salve, signor Potter. Sono Scorpius Malfoy.”
Harry la strinse.
“Bernard Boot,” si presentò l’altro.
I due strinsero la mano anche a Ron, che ricambiò quella di Scorpius rigidamente, e a Hestia, che sorrise loro rassicurante.
“Ho bisogno che mi raccontiate quello che vi è accaduto la sera del diciotto novembre,” proseguì quando si furono tutti seduti di nuovo. Aurora Sinistra osservava la scena, seduta alla scrivania che un tempo era appartenuta ad Albus Silente. “Tutti e due. Chi vuole cominciare... Bernard? Sei tu che hai ricevuto la maledizione, giusto?”
Il ragazzo annuì. “Eravamo fuori dall’Infermeria,” esordì. “Dopo il coprifuoco.”
Harry lo vide gettare un’occhiata di sottecchi alla preside, che però non fece una piega. “Come mai eravate fuori dalla vostra Sala Comune dopo il coprifuoco?” chiese lui, pensando vagamente a tutte le volte in cui lui stesso era andato a zonzo per il castello di notte.

“Io sono Caposcuola,” rispose Bernard. “Ero di ronda.”
“E tu, Scorpius?” Harry si sforzò di suonare amichevole.
“Ero appena uscito dall’Infermeria. Ero andato a trovare, ehm,” tossicchiò, guardando Ron in tralice, “una mia amica.”
“Si tratta della signorina Weasley,” completò Bernard per lui.
“Quale signorina Weasley?” Ron non era riuscito a trattenersi dall’intervenire.
“Rose Weasley,” disse Scorpius in fretta, guardando l’Auror con aria di profondo imbarazzo. Harry vide le sopracciglia di Ron unirsi in un’unica linea di stizza.
“E cosa è successo?” si affrettò a domandare.
“Ci siamo attardati a parlare per... non so, cinque, dieci minuti?” Guardò l’altro ragazzo, che annuì. “E a quel punto Scorpius si è accorto che nel parco si muovevano luci di bacchetta. C’era qualcuno.”
“Come mai avete deciso di andare a controllare di chi si trattasse?”
“Era mio dovere, in quanto Caposcuola.” Bernard rispose senza esitare. Sembrava tranquillo. “Scorpius non voleva che io andassi da solo.”
“Non avevo un buon presentimento,” mormorò il giovane Malfoy.
Harry annuì. “Quindi avete notato qualcosa di strano, e siete usciti nel parco per controllare.”
Proprio quello che avrei fatto io.
“Esatto.” Il Serpeverde assentì. “A quel punto siamo andati verso il lago. Lì ci siamo accorti che erano due persone incappucciate, chiaramente con cattive intenzioni, quindi ci siamo nascosti in mezzo all’erba. Poi, però, quelli si sono avvicinati...”
“Erano un uomo e una donna,” mormorò Scorpius.

“Hanno detto qualcosa?” domandò Hestia.
“Sì.” Malfoy annuì. “Parlavano in una lingua che non conosco... Non so, sembrava spagnolo o qualcosa del genere. Forse portoghese.”
Harry aggrottò le sopracciglia. “Ricordi qualche parola?”
“Sì.” Accigliato, il ragazzo parve sforzarsi per ricordare. “Hanno detto És algú acì. Quando ci hanno visti.”
“Hai annotato?” si rivolse Harry a Hestia. La donna annuì. “Altro?”
Colpejes ell.” Questa volta era stato Bernard a parlare. “Prima di iniziare a inseguirci e a scagliarci addosso incantesimi.”
“Poi che cosa è successo?”
“Uno dei due ha tentato di lanciarmi un Sectumsempra,” mormorò Malfoy. “Bernie è riuscito a bloccarlo con un Incanto Scudo appena in tempo... Ma poi è stato colpito.”
“Dall’Incanto Togli-Forze,” completò Harry.

“Beh, sì.”
“Tu cosa hai fatto quando Bernard è stato colpito?”
“Ho cercato di farlo rinvenire senza riuscirci. Loro sono scappati. Io mi sono accorto che era ancora vivo e a quel punto sono arrivati i soccorsi.”

Harry strinse le labbra, pensoso. Quel rescoconto non faceva una piega. Solo, aveva bisogno di alcuni dettagli in più. “Da che lato del lago si trovavano?” domandò.
“Dal lato opposto al faggio. Vicino alla lapide del preside Silente,” mormorò Scorpius.
L’Auror si sentì gelare, mentre una tremenda consapevolezza si faceva strada in lui.
Hanno rubato la Bacchetta di Sambuco.
E lui era stato disarmato solo poche ore prima. La Stecca della Morte non gli apparteneva più.
Decisamente, la situazione era più grave di quanto pensasse.


****


 

23 ottobre 2021
Lago di Hogwarts, Scozia
Tardo Pomeriggio

Fai quel che devi, accada quel che accada.
Rose osservò la figura di Scorpius, fermo in riva al lago. Era seduto sulla riva sassosa, ben coperto – con sciarpa e mantello invernale – contro il vento tagliente che si faceva sempre più freddo. Il cielo era ingombro di nuvole.
Alla vigilia della prima prova, si era ritrovata a gironzolare per il castello senza una meta. Si era in qualche modo rassegnata al fatto che il progressivo incombere del giorno successivo fosse inevitabile.
Non era male quanto avrebbe pensato. Dopotutto lo scorrere del tempo non dipendeva da lei... l’attesa non era così terribile. Il giorno dopo sarebbe stato peggio, probabilmente. Molto peggio.
Stufa di passeggiare per i corridoi si era decisa a coprirsi bene e affrontare il parco spazzato dal vento. I suoi piedi l’avevano portata autonomamente in direzione del lago: dopotutto era lì che andava quando aveva bisogno di stare sola, di riflettere, di cacciare via i mostri.
E Scorpius era già lì. Seduto sulla riva sassosa e ben coperto. Il volto pallido, i capelli biondi che gli piovevano fin quasi sugli occhi. Se li spostò con la mano, sovrappensiero.
Aveva un’aria sperduta.
Fai quel che devi, accada quel che accada.
Rose deglutì e si diresse decisa verso di lui. Scorpius, udendola avvicinarsi, si voltò a guardarla: sembrava sorpreso, ma non dispiaciuto. Per nulla dispiaciuto
Senza una parola, si lasciò scivolare in terra, seduta al suo fianco. Rimasero in silenzio l’uno accanto all’altra, per qualche minuto. Entrambi guardavano il lago, la sua superficie appena increspata dal vento che rifletteva il cielo grigio. La nave di Durmstrang in lontananza.
Rose rabbrividì a una folata di vento più freddo. Pensò agli eventi di una settimana prima, alle sopracciglia aggrottate di Scorpius.
“Hai paura?” gli chiese, esitante.
Lui la guardò, sorpreso. “Sì,” ammise piano. “Una paura matta.”
Senza pensarci, Rose posò la mano sinistra sul dorso della destra di Scorpius. Intrecciò le dita alle sue, stringendo piano.
“Ho paura anche io.”







¹ Questa è la canzone del capitolo. Per quanto riguarda le parti su Rose, invece, ho ascoltato Ora di Einaudi. Qui.
² Iconologia di Cesare Ripa. Qui per maggiori informazioni.


Note dell’Autrice

Lo so, è troppo lungo. Chilometrico. E dire che come al solito ho dovuto tagliare qualcosa e rimandarlo al prossimo capitolo!
Okay, vi è piaciuto? Questo capitolo mi lascia parecchio insicura, a dire il vero. Devo ammetterlo, non avevo praticamente mai scritto scene d’azione, prima. E per di più questo capitolo è ancora più fitto del precedente.
Grazie ancora a tutti voi <3
Ci vediamo al prossimo per la prima prova! :D
Bisous,
Daphne

PS: comunque ha vinto Corvonero ;) mi spiace, Wynne! XD

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 - Keep Breathing ***


s

Non esistono fiabe non cruente.

Tutte le fiabe provengono dalla profondità del sangue e dell'angoscia.

Franz Kafka


Don't lose your nerve

Breathe, keep breathing

I can't do this alone.

Radiohead¹






24 novembre 2021
Ufficio del Direttore del Dipartimento Auror, Londra
Mattina

“È catalano.” Hermione sospirò e strinse brevemente le labbra. “Non spagnolo, né portoghese.”
“Catalano...” ripeté Harry sovrappensiero.
Lei annuì distrattamente. “Sì. Il catalano è parlato nella zona nord-occidentale della Spagna, detta Catalogna... La regione esprime continuamente tendenze indipendentiste, poiché le loro tradizioni sono molto marcate.”
Harry, abituato al modo in cui Hermione era solita snocciolare un’informazione dopo l’altra, poggiò il gomito sinistro sul tavolo, il volto abbandonato sul pugno chiuso. Con l’altra mano giocherellava con la bacchetta magica. “Ci sono comunità magiche degne di nota?”

L’amica accennò un sorrisetto velato di preoccupazione. “Ci stavo arrivando. I maghi catalani hanno mantenuto il nome arcaico della loro terra, Gothalaunia. Oltre alla comunità magica di Barcellona, ce n’è solamente un’altra abbastanza numerosa da essere definita tale, situata nei pressi del villaggio Babbano di Caldes di Malavella.”
“Bene.” La voce gli uscì sorprendentemente stentata. Hermione gli scoccò un’occhiata apprensiva.
“Oh, Harry,” esalò, accomodandosi alla sedia di fronte alla sua scrivania. “Cosa pensi di fare?”
Oltre i vetri della falsa finestra brillava un limpido cielo azzurro.
Bugiarda di una finestra. Fuori c’è un tempo da lupi.
Pioveva dal giorno precedente, a dirotto.
Si sfilò gli occhiali e li pulì sul davanti della veste. “Non ne ho idea,” ammise, rauco.
Hermione aggrottò le sopracciglia, scrutandolo con espressione critica. “Hai delle occhiaie tremende.”
L’Auror ridacchiò. “Grazie per il supporto morale, Hermione.”
“Non c’è di che.” Anche lei sorrise. “Pensi di andare fino in Gothalaunia?”
“Al momento mi sembra l’unica strada possibile. Dovremmo solo ottenere un mandato di perquisizione per qualsiasi cosa troviamo, ma per quello c’è qualche problema diplomatico. Potresti... ?”
Hermione annuì. “Vedrò cosa posso fare, Harry. Dovrei procurarmi una codice civile del Ministerio de Cataluña, ma per questo non credo ci saranno grandi difficoltà.”
“Nel frattempo possiamo perquisire nuovamente la casa di Otto Murray,” Harry sospirò. “Dopotutto, è l’unica altra pista che abbiamo per il ladro della Bacchetta.”
“Avete verificato che il furto sia avvenuto, immagino.”
Harry annuì, turbato. Non era stato affatto piacevole aprire la tomba di Albus Silente, violata per la seconda volta nel giro di una settimana. Harry avrebbe preferito non assistere all’operazione, ma si era fatto forza e assieme alla preside Sinistra aveva fatto in modo di sovrintendere alla cosa. Orribile, orribile esperienza: la sera prima gli ci era voluta una doppia dose di Pozione Calmante per riuscire a prender sonno, mentre Ginny lo osservava indagatrice. Lui non aveva detto una parola, ma la moglie con molto tatto non gli aveva chiesto nulla, limitandosi a consolarlo con la sua stretta rassicurante.
“Sì,” mormorò, giusto per rimarcare il concetto.
Hermione spostò una ciocca riccioluta che era sfuggita dalla crocchia, accigliata. “Credi che il ladro sia intenzionato a rubare anche gli altri Doni della Morte?” domandò a voce bassa.
Harry gettò rapidamente un Muffliato in direzione della porta. Lui e Ron avevano concordato con la Sinistra nel non divulgare ancora il fatto che qualcuno avesse rubato la Stecca di Sambuco. Avrebbero fatto meglio a fingersi inconsapevoli, per avere un vantaggio sul nemico – qualunque esso fosse.
“Non escluderei questa eventualità.” Sospirò. “La Pietra è persa nel profondo della Foresta Proibita. Dubito che riescano a trovarla.”
“E il mantello?” Dall’espressione di Hermione, si sarebbe detto che conosceva già la risposta.
“A Hogwarts. Lo ha Albus.”
La donna si mordicchiò il labbro inferiore, sovrappensiero. “Faresti meglio ad avvisarlo. Il Mantello deve assolutamente essere tenuto al sicuro... Meglio ancora se lo prendi tu.”
“Non saprei.” Harry fece un sorriso storto. “Non hanno avuto grandi difficoltà a togliermi il possesso della Bacchetta di Sambuco, o sbaglio?”

Hermione alzò gli occhi al cielo. “Dovresti dirglielo, comunque. Se vuoi... se vuoi posso farlo io. Vado a Hogwarts, oggi.”
Harry si sentì improvvisamente un colossale idiota. Aveva del tutto dimenticato che quel giorno si sarebbe svolta la Prima Prova del Tremaghi, in tutto quel trambusto.

Rosie era Campionessa di Hogwarts... Hermione doveva essere preoccupatissima, nessuno di loro recava bei ricordi dell’ultimo Torneo.
“Hermione...” Rapidamente si alzò e fece il giro della scrivania. Le strinse goffamente una spalla: non era mai stato particolarmente a proprio agio nelle manifestazioni d’affetto. “Mi dispiace, me n’ero del tutto dimenticato... Io–”
“Tu taci.” Hermione sorrise. “Con tutto quello che tu e Ron avete per la testa, in questo periodo... Non credo di potervi rimproverare nulla. E quel Jericho Allock! Sai che è il figlio di Rita Skeeter, vero?”
“Hai intenzione di rinchiudere anche lui in un barattolo?” Harry rise sotto ai baffi.
Le labbra di Hermione si incurvarono in un sorrisetto agghiacciante. “Mi piacerebbe,” ammise, una luce vagamente folle negli occhi. Subito dopo, tornò seria. Volse lo sguardo verso la finestra, con aria preoccupata.
“Andrà tutto bene, vedrai,” fece Harry, stringendole ancora la spalla.

****


24 novembre 2021
Cortile, Hogwarts
Mattina

Riparata sotto le arcate del portico, Rose osservava la pioggia battente che schizzava il suolo lastricato del cortile. L’aria era fredda e umida, si respirava odore di terra ed erba e gocce salate.
Il cielo era ingombro di nubi grigiastre, il cui colore bigio a tratti si scuriva in un nero più intenso. Altre nuvole erano sagomate dalla luce del sole nascosto dietro di esse, scheggie bianche e accecanti nella volta rigato di pioggia.
Davanti alle labbra di Rose si addensava del vapore a ogni respiro. Si strinse nel suo mantello, mordicchiandosi il labbro inferiore. Le sembrava di avere la testa pesante e di essere estremamente tirata, come un filo così teso che una spintarella avrebbe potuto spezzarlo.
Non riusciva a realizzare che fosse arrivato quel giorno. Perché sì, sapeva che la Prima Prova si sarebbe svolta in quella data, lo sapeva da parecchio. Ma doveva aver calcolato male i tempi, o qualcosa del genere. Quel giorno era arrivato prima del previsto, e per giunta accompagnato da quel diluvio. Non aveva idea di ciò in cui la prova sarebbe consistita, ma aveva il forte sospetto – praticamente una certezza – che si sarebbe svolta all’aperto, vista l’arena che era in costruzione ormai da un po’.
Forse per quello si era rifugiata in cortile. Da lì l’imponente struttura non era visibile, mentre si poteva ammirare da ogni angolo del parco e pressoché ogni finestra del castello.
Tentava disperatamente di razionalizzare, di afferrare ogni brandello di lucidità nella propria mente, cercando di tirare le fila e prepararsi ad affrontare la prova con sangue freddo come avrebbe desiderato. Ma non ce la faceva proprio.
Rifletté sull’ultimo Torneo Tremaghi che era stato organizzato, finito in tragedia. La prima prova – che suo zio Harry aveva affrontato anni prima – era consistita nello sfidare un drago per impossessarsi di un uovo d’oro che conteneva un indizio sulla natura della seconda prova. Perciò, probabilmente anche questa volta i giudici avrebbero esaminato la loro prontezza di spirito e, più avanti, le loro capacità deduttive, fornendo ai Campioni un indizio per la sfida successiva.
Non era l’enigma a spaventarla. In quello se la sarebbe cavata senza difficoltà, o al limite Hugo le avrebbe potuto dare una mano. Il problema era arrivare viva ad affrontare il rompicapo, qualunque esso fosse.
Era terrorizzata, semplicemente terrorizzata. Questa consapevolezza non faceva che spaventarla ancora di più. Non si era mai trovata in una reale situazione di pericolo. Come avrebbe reagito? Sarebbe stata sufficientemente lucida?
Quanto avrebbe voluto non aver messo il proprio nome nel Calice! L’aveva fatto con la certezza di non essere scelta, e invece... Per un curioso scherzo del destino, era risultata idonea.
Ridicolo. Davvero ridicolo.
Sì, era ridicolo come la sorte continuasse a prendersi gioco di lei.
“La smetti di piangerti addosso?”
Sobbalzò, colta di sorpresa dal suono di quella voce familiare, e si voltò. Christine era solo un paio di metri più indietro rispetto a lei: il rumore della pioggia aveva coperto quello dei suoi passi. Aveva raccolto i capelli neri in una treccia frettolosa che le ricadeva su di una spalla e il suo volto era sorprendentemente pallido e tirato, smagrito sotto gli zigomi.
“Vattene,” replicò istintivamente di rimando.
Christine inarcò brevemente le sopracciglia. “Non lo farò. Hai bisogno di me.”
Scrollò le spalle. “Non ho bisogno di nessuno.”
“Non ci credi più neanche tu.”
“Se hai deciso di complicarmi ulteriormente la vita, tu–”

“Hai capito cosa ho detto? Basta piangersi addosso. Devi fare. Parlare è inutile senza fare.”
Fai quel che devi, accada quel che accada.
“Chris, conosci qualche proverbio francese?” domandò prima di riuscire a trattenersi.
L’altra scosse la testa, tranquilla. “No, a dire il vero. Perché ne hai bisogno?”
Sembrava sincera, decretò Rose. Ma nonostante ciò, non era del tutto certa di poterle credere. Con ogni probabilità, la dissimulazione faceva parte del corredo genetico di Christine quasi quanto il gusto per le frasette enigmatiche.
Decise di essere diretta. Se era stata la compagna di Casa a mandarle il mazzo di narcisi, aveva già intuito il senso della sua domanda, mentre se non era stata lei non c’era motivo di preoccuparsi.
“Non sei stata tu a mandarmelo?”
“Mandarti cosa?” Lo sguardo di Christine si fece concentrato. Rose aveva l’impressione di poter vedere gli ingranaggi della sua mente essersi messi in movimento. “Ah, quel mazzo di fiori?”
“Come fai a sapere che mi riferissi proprio a quello?”
L’altra mise su un sorrisetto. “Beh, non hai ricevuto altro, ultimamente, se non le copie di giornale che ti invia Allock.”
Rose aggrottò. “Pensi che possa essere stato lui?”
“Jericho?” Christine ridacchiò. “Perché no, magari voleva vezzeggiarti per convincerti a rilasciare un’intervista.”

“Non scherzare.”
“Quindi non c’era il mittente.” La vide posarsi l’indice sulla punta del naso. “Strano. Un ammiratore segreto, mmh?”

“Non credo di avere ammiratori segreti, checché ne dica Jericho.”
Christine roteò gli occhi. “Se ne sei così convinta...”
Le labbra di Rose subirono uno spasmo. “Non credo che sia stato un ammiratore segreto.”
In realtà aveva costruito un’ipotesi riguardo a chi potesse essere il mittente, ma voleva vedere se Christine sarebbe giunta alla sua stessa conclusione. I
narcisi non potevano essere un caso, giusto? La scelta di quel genere specifico di fiori... E la nonna di Scorpius si chiamava Narcissa. Questa era una di quelle informazioni che si scopriva di possedere solo quando tornavano utile.
Ma Scorpius non era tipo da architettare cose simili. E per giunta non provava nulla per Rose esattamente come Rose non provava nulla per lui, insomma.
Per questo voleva l’opinione di Christine.
“Non c’era nulla?” stava chiedendo quest’ultima. “Neanche un biglietto, zero?”
“Un biglietto c’era,” fece Rose. “È questo.”
Trasse fuori il biglietto spiegazzato che ancora teneva nella tasca del mantello.
Fais ce que dois, advienne que pourra,” lesse Christine a voce alta. “Cosa vuol dire?”
Fai quel che devi, accada quel che accada.”
“Ah.” Gli occhi dell’altra scintillarono di comprensione. “È per questo che mi hai chiesto dei proverbi francesi? Pensavi... pensavi che fossi stata io?”

Rose annuì, accigliata.
“Perché non avrei dovuto firmare?”
Lanciò un’occhiata a Christine. Dalla sua espressione, si sarebbe detto che avesse appena ricevuto una secchiata d’acqua gelida. Dritta in faccia.

Sembrava davvero costernata.
“Non lo so, Chris,” si ritrovò a sbottare. “Non so più cosa pensare. Non so nulla di nulla.”
“Beh, io so abbastanza anche per te!” Christine adesso sembrava davvero infervorata. I suoi denti bianchi rilucevano a ogni parola. “So che è il momento di smetterla con questi piagnistei!”
Rose digrignò i denti, stizzita. “Piagnistei? Vorrei vedere te, al mio posto!”
L’altra scosse la testa, il volto contratto e una strana espressione negli occhi. “Credimi, Rose, non sei l’unica persona
al mondo a esserti costruita la tua gabbia con le tue stesse mani!”
“Ma–”
“Adesso non devi pensare. Devi solo entrare in quell’arena a testa alta e sfidare qualunque schifosa creatura ci sia dentro! Fra poche ore sarà finita la prova e tu sarai viva e vegeta... Non permetterebbero mai la morte di un Campione, non dopo l’ultima volta! Capito?”
Quelle parole furono come uno schiaffo in pieno viso, ma – come uno schiaffo in pieno viso – ebbero la facolta di risvegliarla. Improvvisamente l’aria calda la costringeva a tenere gli occhi aperti, piuttosto che intorpidirle gli arti.

“Mi aiuterai?” le chiese. “Voglio scoprire chi mi ha mandato quel biglietto.”
Christine la osservò per alcuni istanti, quasi sovrappensiero, le sopracciglia aggrottate. Poi, tutto ad un tratto, i suoi occhi brillarono. “Perché no?” fece. “Mi piace andare a caccia.”



****




24 novembre 2021
Sala Grande, Hogwarts
Colazione

“Hai visto tua sorella?”
Hugo si voltò lentamente. Tony Menley aveva scavalcato agilmente la panca del tavolo di Corvonero, accomodandosi con naturalezza accanto a lui. Come se niente fosse. Come se non avessero trascorso un mese senza rivolgersi mai la parola.
“Che cosa vuoi da mia sorella?” rispose in automatico, inespressivo.
Tony scrollò le spalle. “Niente. Sapere come sta. Insomma, è la nostra Campionessa. Non essere geloso!”
Non poté fare a meno di ridacchiare. “Parla lui! Devo ricordarti per quale motivo ti ho dovuto coprire il primo settembre?”
“Quale?” fece l’altro di rimando, con un tono innocente molto poco credibile.

Hugo capì che stava cercando di farsi perdonare per aver avuto così poco riguardo della loro amicizia. Decise di soprassedere. “Avevi affatturato Bertram Highwood solo perché l’avevi sentito fare commenti sulle gambe di Georgia.”
“E non ti pare una giustificazione valida?”
“Un’
Orcovolante, Tony?”
L’altro scoppiò a ridere. “È bello che mi parli di nuovo,” disse goffo, posandogli una mano sulla spalla.
Hugo si ritrasse, mettendo su un sorriso che sperò fosse credibile. Ogni buonumore sembrava essere stato risucchiato improvvisamente. “Già,” convenne, piatto.
Anthony si rabbuiò. “Come non detto,” sospirò, guardando da un’altra parte.
Strinse le labbra. Le larghe sopracciglia di Tony si erano avvicinate in un’unica, desolata linea quasi ininterrotta. “Mi dispiace,” disse in fretta. “Credimi, non è facile da spiegare.”
“Lo so, ti ha dato fastidio che io fossi così pressante riguardo quelle icone...”
“Beh, sì,” arrangiò Hugo. “Più o meno.”
Il suo cervello lavorava furiosamente. Se davvero quelle immagini avevano a che fare con tutto il resto... allora lui avrebbe dovuto scoprire come Tony ne fosse entrato in possesso. A dire il vero dubitava di un suo reale coinvolgimento nella faccenda – specie dopo la fuga di Herman Hessler dal campo di Quidditch, cosa sulla quale avrebbe presto indagato – ma se il ragazzo era stato manipolato da qualcuno, quella poteva essere una pista da seguire. Forse la migliore, fino a quel momento.

Una volta passata la Prima Prova, avrebbe dovuto parlarne con Rose e i cugini. Doveva solo aspettare che passasse la tensione della sorella, e poi avrebbe detto loro di Hessler.
Non delle immagini. Forse è qualcosa che devo risolvere da solo... Una sfida.
Il gatto con il topo. Solo che il topo potrei essere io.
Mise un sorriso. “Dai, su! Quella è roba vecchia. Comunque non sono riuscito a trovare nulla.” Fece spallucce.
Tony questa volta parve essersela bevuta. “Bene, allora!” Di nuovo quella dannata mano sulla spalla. “Non importa, figurati. Era solo una sciocchezza.”
Davvero una fortuna, il fatto che Anthony non insistesse solo perché voleva farsi perdonare.

“Ad ogni modo, hai visto tua sorella?”
“Stamattina, ma solo per qualche minuto,” sospirò. “Hanno già prelevato i Campioni per la prelevazione e le interviste.”
“Ci mancava solo Jericho Allock, eh?”
Hugo annuì. “Già, credo che possa essere debilitante per il morale dei Campioni.”
“Rose è forte,” osservò Tony, gracchiando. “Georgia dice che–”

“Qualcuno sta parlando di me?”
Georgia Menley sorrideva, smagliante, il volto rotondo e grazioso contornato di boccoli scuri.

“Parlavamo della sorella di Hugo,” precisò Tony, spostandosi sulla panca per fare spazio alla sorella. Quest’ultima la scavalcò agilmente con la stessa movenza fluida del minore e vi si accomodò, prima di allungare la mano verso una tazza e riempirla di tè. I braccialetti che portava appesi al polso tintinnarono vistosamente gli uni contro gli altri. Le labbra di Hugo subirono un lieve spasmo irritato a quel trillo argentino.
“La nostra Campionessa,” fece Georgia, tra un sorso di Lady Gray e l’altro. “Sì, andrà alla grande. In realtà è una tosta.”
In realtà. Bah! Rosie è una tosta in generale, non solo in realtà!
Hugo era un tipo diplomatico, dopotutto – almeno quando gli faceva comodo. Quindi tacque.
“Weasley?” Riconobbe agghiacciato la voce che aveva parlato. “Ti è caduto questo,” aggiunse bruscamente Herman Hessler, gettandogli un’inspiegabile occhiataccia e porgendogli un foglietto che – ne era certo – non era mai stato nella sua tasca prima di quel momento.
“Grazie,” replicò freddamente.
Hessler gli gettò un altro – altrettanto immotivato – sguardo carico di stizza, quindi se ne andò scrollando le spalle.
“Che maleducato,” commentò Georgia, inespressiva.
“Già, lo è,” convenne Hugo in uno sbuffo sbrigativo, osservando il foglietto.
Sembrava un biglietto d’auguri stroppicciato e consunto, macchiato di pioggia. Sul davanti c’era scritta una frase sbiadita e incomprensibile. Voltò il biglietto.
Sul retro, una sola parola – anzi, un numero.
199.
Cosa diami–
Ma poi si alzò in piedi di scatto. Borbottò una scusa e corse via dalla Sala Grande, sotto gli sguardi dei fratelli Menley – Tony perplesso, Georgia perlopiù indifferente.
Estrasse dalla borsa il libro delle icone e voltò febbrilmente le pagine fino a raggiungere quella che voleva: la 199.
Sopra, due figure intente nei soliti impieghi incomprensibili, e poi la scritta.
Gioco.

****




24 novembre 2021
Arena della Prima Prova, Hogwarts
Tarda mattinata

“Sta per iniziare.” Albus batteva spasmodicamente il piede contro le assi di legno delle gradinate. “Sta per iniziare, accidenti!”
“Andrà tutto bene,” replicò Lucy, flemmatica. “Non c’è niente di cui preoccuparsi.”
“Non sono
preoccupato...”
“... è solo pieno di aspettativa,” concluse per lui Lily, appena sopraggiunta, mentre si accomodava fluidamente sugli spalti, le gambe accavallate e fasciate in calze nere coprenti, simili a quelle di Rose. Smagliate sotto al ginocchio, esattamente come quelle della cugina, che aveva il vizio di strofinare il calcagno del piede destro sul polpaccio sinistro, se nervosa.

Probabilmente lo starà facendo anche adesso, pensò Lucy distrattamente.
“Perché hai addosso le calze di Rose?” domandò Bernard Boot all’improvviso, rivolgendosi a Lily.
Quindi non sembrano le calze di Rose.
Lo sono.
Sembrava che si fossero riuniti tutti, i cugini e i loro amici, lì sugli spalti. Hugo era seduto immobile, lo sguardo fisso sull’arena, e non parlava da almeno mezz’ora per la tensione nervosa. Persino Lizzy Dursley e la sua amica – quella con cui girava sempre appicicata, quasi le avessero incollate – si erano unite a loro. Si erano portate dietro anche un’amichetta di Serpeverde, una ragazzina taciturna e accigliata.
La scena che si presentò davanti agli occhi di Lucy fu decisamente buffa. Jacob Greengrass, che era seduto accanto a Lily – o forse avrebbe fatto meglio a dire spaparanzato sulla gradinata alle proprie spalle – scattò su come una molla.
Contemporaneamente udì Al sbottare: “Perché guardi le gambe di mia sorella, Bernie?!”
Lucy mosse in direzione di Lily la traiettoria dei suoi grandi occhi chiari. Jacob Greengrass era tornato ad appoggiarsi alla gradinata e sembrava essersi incupito per chissà quale motivo
Tua sorella è qui con te, Albus,” replicò Lily freddamente.
Prevedibilmente, il cugino aggrottò le sopracciglia, seccato. “Ma lui–”
“Ti prego, Al, non essere così idiota.”
Adesso Lucy era francamente stupita. In genere Lily prendeva poco sul serio gli attacchi di gelosia di Albus. Perlopiù lo ignorava o lo derideva, e se la cosa la disturbava evitava di darlo a vedere. Quindi risultò sorprendente, ai suoi occhi, assistere a una simile reazione.

Anche Al sembrava esterrefatto.
“Buongiorno, perdenti di Hogwarts!”
Una ragazza dai capelli biondi tagliati corti – che Lucy riconobbe come la cugina francese di Dominique – si accomodò in mezzo a loro, raddrizzando la gonna celeste tutta spiegazzata. Lei studiò quasi ipnotizzata le sue movenze quasi sfacciate, mentre si stiracchiava come un gatto e sorrideva – amichevole ma anche beffarda – nella loro direzione.
“Non cantare vittoria troppo presto, Liliane,” la rimbeccò Albus fra i denti, mentre Greengrass alzava gli occhi al cielo e Lily sembrava semplicemente irritata, come sempre quando la sua quasi omonima era nei paraggi.
Liliane ricambiò con un sogghignò. “Vedremo,” promise, annuendo con energia.
“Siamo arrivate, Lily!” trillò una voce.
Lucy si voltò e riconobbe subito Amarillide Stubbins e Swanilda Simpson. Non esattamente delle grandi menti, ma tutto sommato compagnie passabili.
Lily non sembrava pensarla così, questa volta. “Ciao,” rispose, laconica, mentre tirava indietro le gambe magre per far passare le amiche.
“Mmh,” udì Lucy alle proprie spalle, e voltandosi scoprì che Liliane si era seduta accanto a lei. Stava studiando Amarillide e Swanilda con aria divertita e stampato in faccia il sorriso di chi la sa lunga. “Possibile che siate così tardi, a Hogwarts? Deve essere quest’aria umida.”
Lucy ci mise un po’ a capire che si stava rivolgendo a lei. “Come?” replicò, perplessa.

Il sorriso di Liliane si fece più largo. E più irritante. “Siete negati nei rapporti interpersonale,” spiegò con fare saputo. “Con qualche eccezione, eh. Ma a volte credo che siate ciechi.”
“Perché dici così?”
Liliane le lanciò uno sguardo di compatimento. “Te lo devo spiegare?”
Stringendo i denti e senza abbassare lo sguardo – non gliel’avrebbe data vinta, all’arrogante! – Lucy annuì.

La francese sospirò teatralmente, quindi si sporse verso di lei e le posò una mano sulla spalla, costringendola a voltarsi in direzione di Amarillide e Swanilda.
“Vedi come scherzano fra di loro?” parlò improvvisamente vicino al suo orecchio. Lucy riusciva a sentire il suo odore, un misto di vaniglia e qualcosa che non riconobbe, il tutto velato da un acre sentore di fumo.
Si concentrò su Amarillide e Swanilda. Chiacchieravano a bassa voce, ridacchiando.
“Non trovi che abbiano una certa complicità?”
Annuì ancora. “Sono amiche,” disse, stentorea.

“Bene.” Non poteva vedere Liliane in faccia – la ragazza non aveva allentato la morsa sulla sua spalla – ma era abbastanza certa che stesse sorridendo. “Guarda le loro mani... Sono vicine, vero? Troppo vicine.”
Lucy improvvisamente comprese e arrossì di botto, scostandosi bruscamente da Liliane. “Io–” aveva la gola secca. “Loro... Loro non–”

“Ciao a tutti!” disse improvvisamente una voce familiare.
Lucy sussultò e se possibile divenne ancora più rossa, guadagnandosi un’occhiata indagatrice da parte della francese. “Ciao, Scorpius,” rispose, cercando di suonare rilassata.
Il suo ex-ragazzo le rivolse un mezzo sorriso distratto. “Lucy, come va?”
“Bene,” fece, “sai, oggi–”
Ma Scorpius era già passato oltre, per andare a sedersi accanto a Bernard e Jacob Greengrass.
Lily intercettò lo sguardo di Lucy, quindi si alzò e raggiunse le altre due.
“Delacour, spostati,” intimò. “Devo parlare con mia cugina.”
Durbuy-Delacour,” sottolineò Liliane, serafica. “E hai dimenticato la parolina magica.”
Per favore,” sillabò Lily, acida, e solo allora la francese si spostò di qualche centimetro per farle posto. L’altra, che era di costituzione esile, si strinse in quello spazio scoccandole un’occhiataccia.
“Senti,” esordì Lily. “Non vorrei farmi i fatti tuoi, ma–”
“... ma è esattamente quello che stai per fare,” concluse Lucy in un sussurro.
“Esatto,” convenne Lily, prima di abbassare la voce di diversi toni. “Hai ancora qualche interesse nei confronti di Scorpius?”
Lucy gettò un’occhiata in tralice a Liliane, che adesso aveva ripreso quella sua irritante aria saputa.
Maledetta ficcanaso.
La ignorò, concentrandosi piuttosto sulla domanda di Lily.    
“No,” rispose poi sinceramente.
In quel momento, Amarillide e Swanilda chiocciarono una risata argentina, qualche metro più in là. Lucy guardò le loro mani.
Liliane aveva ragione: erano vicine.


****


24 novembre 2021
Tenda dei Campioni, Hogwarts
Tarda mattinata

La tenda dei campioni era adiacente al parco. Dentro non vi era nulla di che – solo i tre stendardi di rappresentanza, delle brandine da infermeria e alcune comode sedie per i Giudici.
Jericho Allock le aveva dato il tormento per un’ora di fila, finché Alicia Spinnet non lo aveva praticamente trascinato fuori per le orecchie.
Questo era accaduto più di mezz’ora prima. Rose adesso era appollaiata sulla sua brandina, i gomiti sulle ginocchia e il volto affondato nel cavo delle mani. Sapeva che Natal’ja fosse seduta sulla sua perché qualche minuto prima le aveva gettato un’occhiata: guardava in basso, immobile e come in trance per la concentrazione. Guillome, invece, non faceva altro che percorrere avanti e indietro il perimetro della tenda.
Per questo Rose si era coperta la faccia con le mani. Le faceva venire il mal di testa, l’idiota pomposo.
Si stupiva della facilità con cui riusciva a considerare gli altri due come avversari. Forse il fatto che tutti e tre indossassero la tenuta del Torneo influiva sulla faccenda.
Rose portava dei pantaloni stretti di un tessuto morbido ed elasticizzato – neri – sopra ai quali indossava una felpa con la zip rinforzata sulle spalle da placche metalliche ricurve. Era nera anch’essa, ma i polsi, l’orlo e il cappuccio erano bordati di verde. All’altezza del cuore recava il blasone di Hogwarts, la grossa H che sovrastava il leone, il serpente, il corvo e il tasso.
Gli altri due erano vestiti più o meno allo stesso modo, ma con colori e stemmi differenti. Guillome in celeste, Natal’ja in rosso sangue.
Quel colore le faceva venire la nausea. Le aveva sempre fatto venire la nausea il colore del sangue, e lei stessa aveva i capelli rosso scuro... C’era qualcosa di discordante, in tutta quella faccenda. Ma perché continuava a pensare cose talmente poco sensate?
Era come se i suoi pensieri si rincorressero confusi, cercando di soffermarsi su tutto ma non sulla prova imminente. Il pensiero le faceva salire la nausea ancor più del rosso sangue.
Fu in quel mentre – nell’attesa che i giudici tornassero dentro ad annunciare in cosa sarebbe consistita la prova – che udì delle voci inaspettate quanto familiari parlare oltre l’entrata della tenda.
“Calmati, okay? Avranno preso tutte le misure di sicurezza necessarie, non le accadrà nulla!”
“Se per te è
nulla ritrovarsi bloccati in un’arena alla mercé di qualche bestia schifosa, Goldstein, allora potrei anche darti ragione!”
“Domi...”

“No! Non dire quello che stai per dire. Qualunque cosa sia, mi irriterà.”
La solita egocentrica. Rose quasi non si accorse di star piegando le labbra in un sorriso esitante.
“Voglio parlare con lei.”
“Non si può, Domi!”
“Sì che si può! Solo i genitori non possono vedere i campioni, dopo la crisi isterica che ha impedito lo svolgersi della Seconda Prova nel 1808!”

“E tu questo come lo sai?”
“Mi sono informata!”
La voce di Dominique si era fatta più acuta. Rose udì la risata di Goldstein.
“Dai, su,” lo udì dire. “Entriamo.”
Rose si tolse le mani dalla faccia e aprì gli occhi, voltandosi verso l’ingresso della tenda nell’esatto istante in cui Dominique Weasley entrava a passo serrato, seguita da un Adrian dall’espressione divertita, che però si fece subito serio nell’avertire la tensione palpabile della stanza.
“Rose!” disse la cugina ad alta voce, avvicinandosi decisa. Non appena l’ebbe raggiunta, la strinse brevemente fra le braccia, rigida. Dominique non era mai stata tipa da manifestazioni fisiche di affetto: Rose sapeva quanto le costasse un abbraccio, e fu per questo che il gesto quasi la commosse.
Era raro che Dominique Weasley adeguasse il suo linguaggio a quello degli altri, poiché di solito pretendeva che fossero gli altri ad adeguarsi al suo modo di pensare.
Non si sforzò di sorridere, ma si limitò a guardare la cugina. Sapeva che avrebbe capito tutto quello che le passava per la testa, o perlomeno ci avrebbe provato. Era già qualcosa.
Scorpius.
Perché quel nome le balenava in testa sempre nei momenti più impensabili?
“Sta’ tranquilla, okay?” disse Dominique bruscamente, nel suo miglior tono da qualunque cosa dirai, io non ammetterò repliche. “Andrà tutto bene. Tutto per il meglio.”
Domi parlava sottovoce. Adrian passava il peso da un piede all’altro, vagamente imbarazzato, standosene discretamente in disparte. Natal’ja, invece, si era alzata dalla sua brandina e aveva raggiunto Guillome. La mano della ragazza era posata sull’avanbraccio del francese e Rose vedeva le sue labbra muoversi. Stava dicendo qualcosa... lo stava
rassicurando?
Adesso sentiva di avere maggiori possibilità di vincere il Torneo. Ma non le piaceva pensare di avere meno scrupoli.
“Zio Ron e zia Hermione ci sono,” le comunicò in fretta Dominique. “E poco fa ho incontrato Scorpius... Ha detto di augurarti buona fortuna.”
Rose aprì la bocca per parlare, ma fu interrotta dalla voce della Sinistra. “Signorina Weasley, signor Goldstein. Sono lieta di vedervi, ma adesso devo chiedervi di lasciarmi la
nostra signorina Weasley.”
Rara ironia. Buon segno, forse?

Domi le lanciò un’occhiata d’intesa prima di dileguarsi assieme ad Adrian.
Ogni preside prese posto accando al proprio studente. Viktor Krum si sollevò in punta di piedi per dire qualcosa all’orecchio di Natal’ja – l’immagine era così buffa che per poco Rose non scoppiò a ridere per la tensione; la Laveau-Perrin posò la sua mano pallida e sottile sulla spalla di Guillome. Rose si sentì afferrare il gomito dalla presa ferrea della professoressa Sinistra.
Se voleva essere rassicurante, non ci riusciva. Ma la preside non era un tipo particolarmente empatico – aspetto per il quale, francamente, Rose non si sentiva di criticare nessuno.
Finalmente, entrarono Alicia – sorridente – e lo zio Percy, funereo.
“Bene.” Lo zio si schiarì la voce, prima di esordire in tono pomposo. “Finalmente siamo tutti presenti! Tra non molto il pubblico avrà finito di prendere posto, e allora sarà il momento di entrare nell’arena.”
“Prima, però,” intervenne Alicia, “vi spiegheremo in cosa consisterà la prova.”

Sentendo di impallidire, Rose annuì. Il cuore le batteva forsennatamente mentre tentava di ignorare i sorrisi incerti dello zio, che chissà per quale motivo continuava a gettare occhiate apprensive nella sua direzione.
Non l’aveva mai visto tanto nervoso.
“Una volta entrati nell’arena, cosa che farete tutti e tre contemporaneamente, vi ritroverete di fronte a delle creature. Dovete trovare il modo di neutralizzarle o quanto meno superarle per impadronirvi di una pergamena posta su di una piattaforma sopraelevata. Ovviamente le pergamene sono inappellabili. Ve ne sono tre, ciascuna con una bandierina, esattamente dal lato dell’arena opposto a quello dal quale entrerete. Dovrete prendere la pergamena su cui è posto il blasone della vostra scuola. Questo è quanto.”
Non avrebbero detto loro neanche di che creature si sarebbe trattato.
Perfetto!, pensò Rose amaramente, prima che accadessero una serie di cose in rapida successione.
Un dipendente del Ministero si affacciò nella tenda, annunciando che il pubblico aveva preso posto. Bacchette alla mano, i tre Campioni furono condotti verso l’ingresso che dava sull’arena. Rose sentiva i battiti del proprio cuore rimbombarle furiosamente nelle vene, il respiro ansante e spezzato.
Respira, Rose. Continua a respirare.
Strinse il pugno sinistro finché le unghie non le si conficcarono nella carne, disegnando quattro mezzelune brucianti sui suoi palmi.
Le figure vorticavano attorno a lei. Il volto pallido e concentrato di Natal’ja, quello risoluto di Guillome... Si chiese che faccia avrebbe avuto lei entrando nell’arena, e immediatamente mise su la sua migliore faccia di bronzo, l’espressione più impenetrabile e inflessibile del suo repertorio.
“Nell’arena, ragazzi.”
Si mossero tutti e tre contemporaneamente, mentre i giudici uscivano per andare a prendere posto sulla tribuna d’onore.
Rose si ritrovò improvvisamente all’aria aperta. Nonostante avesse smesso di piovere, la luce giungeva soffocata da uno spesso manto di nubi, ma comunque ne rimase quasi abbagliata, mentre scrutava duramente le migliaia di facce che in quel momento li stavano fissando, a testa alta.
Poi udì Natal’ja trattenere bruscamente il respiro e spostò lo sguardo verso il lato opposto dell’arena. Le tre pergamene attendevano accanto alle corrispettive bandierine, e sotto...
Le si gelò il sangue, mentre comprendeva improvvisamente come mai lo zio Percy continuasse a osservarla ansiosamente.
Acromantule. Orde di Acromantule che schioccavano minacciose le tenaglie nella loro direzione.
Poi, fu il caos.
Prima di lei, gli altri due scartarono a destra e a sinistra, correndo con la bacchetta in mano. Rose si guardò rapidamente intorno. La pergamena con la bandierina di Hogwarts era quella al centro... e passare per il centro sarebbe stato più difficile, con tutte quelle Acromantule in mezzo. E lei non poteva affrontare le Acromantule, non poteva! Diamine, aveva sempre avuto il terrore anche di ragni larghi mezzo centimetro! Si accorse di essere rimasta impietrita dal terrore.
E non poteva. Non adesso, no.
Proprio no.
Si accorse che i ragni giganti adesso convergevano ai lati, attaccando Natal’ja e Guillome a destra e a sinistra. Il numero di Acromantule al centro dell’arena era notevolmente ridotto.
Ce la poteva fare.
Serrò la presa attorno al legno della sua bacchetta magica e – dopo un respiro profondo – iniziò a correre. Con la coda dell’occhio intravvedeva gli sprazzi luminosi degli incantesimi degli altri due campioni contro la fiumana nera di ragni.
Corse più veloce che poteva, più veloce di quanto avesse mai corso e sorprendentemente faticando la metà, almeno finché non si ritrovò davanti il grosso corpo scuro di un’Acromantula particolarmente aggressiva. Per evitare un fendente della bestia si gettò a terra – atterrando con forza sulla schiena – e rotolò dal lato opposto. L’Acromantula le si lanciò addosso: la respinse con un Incanto Scudo e si tirò su, riprendendo a correre verso la piattaforma.
Poi, improvvisamente, si ritrovò circondata. Ovunque attorno a lei si ergevano quelle immense bestiaccie nerastre, che agitavano le loro numerose zampe facendo schioccare le tenaglie all’aria.
Stupeficium!” si ritrovò a urlare Rose, a stento rendendosi conto di essere lei stessa a lanciare quegli incantesimi. “Impedimenta! Reducto!” A forza di attacchi riuscì ad aprirsi una strada.
Riprese a correre e si accorse di essere vicina.
Ma Guillome era più vicino, molto di più... E Natal’ja? Dov’era Natal’ja?
Probabilmente avrà già preso la sua pergamena, pensò mentre correva, arriverò ultima.
Non riusciva a sopportare questo pensiero. Scacciò via con un paio di Schiantesimi le ultime, immense Acromantule, mentre facendo ricorso agli ultimi barlumi di energia allungava il passo e correva a perdifiato verso la piattaforma.
Prima ancora di rendersene conto, stringeva le dita attorno alla sua pergamena. Immediatamente fu circondata da un gruppo di operatori che allontanarono da lei le Acromantule che continuavano ad attaccarla. Guardandosi attorno si accorse che con Guillome facevano lo stesso.
Ma Natal’ja dov’era?
Gli operatori erano in agitazione, la pergamena di Durmstrang era rimasta al suo posto.
Rose si accorse di avere ancora il fiato corto. Nell’arena era sceso il silenzio – anche se la ragazza non ricordava suoni se non gli schiocchi delle tenaglie dei ragni...
E poi Natal’ja comparve. Era pallidissima mentre si premeva una mano sul costato – fra le sue dita scorreva del sangue – ma comunque arrancò fino alla piattaforma, mentre il pubblico tratteneva il fiato. Finalmente chiuse le dita attorno alla pergamena contrassegnata col blasone di Durmstrang e in tutta l’arena risuonò il gong che dichiarava terminata la Prima Prova.
Rose udì a stento la voce di Alicia Spinnet mentre dichiarava che i giudici avrebbero discusso delle valutazioni per qualche minuto. Si lasciò condurre senza opporre resistenza alla tenda dei campioni, incredula.
Era finita! Fino a febbraio non avrebbe dovuto neanche pensare al Torneo Tremaghi!
Okay, avrebbe dovuto cercare di risolvere l’enigma, qualunque esso fosse. Ma aveva superato la Prima Prova solo con qualche graffio.
Adesso si sentiva davvero pronta a molto di più.

****


21 novembre 2021
Fuori dall’arena, Hogwarts
Dopo la prima prova

“Dopotutto è andata alla grande!” commentò Lily allegramente. “Seconda!”
“La ragazza di Durmstrang è stata punta da un’Acromantula, a quanto pare,” convenne Jake, pensoso.

“Si rimetterà,” sospirò Lily. “E per fortuna hanno preso quello di Rose per un piano geniale. Quando ho visto le Acromantule mi sono preoccupata a morte. Diamine, è aracnofobica da quando è nata!”
In quel momento nessuno avrebbe sospettato nulla, vedendoli. Jacob quasi non riusciva a crederci.
Dopotutto, era normale parlare con qualcuno. Normale parlare con un’amica. Normale parlare con un’amica davanti a tutti.
La situazione era frustrante, d’accordo, ma c’era un modo per farvi fronte.
Si guardò intorno con circospezione, quindi posò delicatamente la mano sul gomito di Lily. “Sono contento di parlare con te davanti a tutti,” buttò lì, con un certo imbarazzo inaspettato.
Lily contenne un sorriso entusiasta. Contenne visibilmente un sorriso entusiasta. La vide aprire la bocca per rispondere, finché una voce tremendamente familiare non risuono improvvisamente alle sue spalle.







¹ Questa è la canzone del capitolo;


Note dell’Autrice
Aha! Cliff-hanger! Meno peggio del precedente, però :)
Finalmente anche ‘sta prima prova è andata.
Scusate se non scrivo molto nelle note, ma sono distrutta.
Rinnovo un grande e grosso: GRAZIE! a tutti voi :)
Bisous,
Daphne

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 - Under Pressure ***


x

Insanity laughs under pressure we're cracking

Can't we give ourselves one more chance?

Why can't we give love that one more chance?

Queen



24 novembre 2021
Fuori dall’arena, Hogwarts
Dopo la prima prova

“Jake!”
Domi è qui, fu il suo primo pensiero.
Con una specie di fischio sordo a riempirgli le orecchie, si voltò nella direzione da cui era provenuta la voce, notando con la coda dell’occhio che Lily era sbiancata di colpo.
Scoprì di non essersi sbagliato – come se ne avesse dubitato anche solo per una frazione di secondo dal momento in cui la sua mente aveva registrato la voce di Dominique.
Lei era lì. Questa volta fu una constatazione.
Era bella come al solito, con quei suoi tratti classici e precisi, il volto perfettamente ovale, la pelle rosea, gli occhi grigi dal trucco quasi impercettibile. I capelli biondi piovevano a sfiorare le sopracciglia dritte, così diverse da quelle di Lily – che erano folte e mobili, più arcuate.
Sorrideva, Dominique, di quel sorriso un po’ triste e appena nostalgico – ma solo appena – che riservava solo a lui e, ne era convinto, gli avrebbe rivolto sempre.
“Sono felice di vederti,” gli disse.
“Dominique,” replicò lui, la gola secca, “anche io sono felice di vederti.”
Solo allora Jacob si accorse che non era sola. Quando posò lo sguardo sul suo accompagnatore, si irrigidì involontariamente.
Chiuse gli occhi per un istante. Li riaprì e la sua espressione era di nuovo impenetrabile. Guardò Adrian Goldstein dritto negli occhi e parlò con tranquillità. “Goldstein.” Chinò appena il capo in segno di saluto. Aveva sfruttato il suo migliore tono cortese da Piccolo Perfetto Purosangue, ma questo non fece sciogliere l’altro di un millimetro.
Poi Dominique si diresse cerso Lily, che fino a quel momento – così realizzò Jake con costernazione – non aveva aperto bocca, ma era rimasta immobile e silenziosa, guardando dalla parte opposta con espressione platealmente annoiata. All’apparenza sembrava perfettamente tranquilla, ma Jacob intuì una certa aura di nervosismo che in qualche modo lo mise in allarme.
Tuttavia, Lily sorrise mentre Dominique le stringeva brevemente in gomito e le diceva con aria complice qualcosa che lui non comprese.
Jacob guardò Goldstein. Goldstein guardò lui.
“Come va?” chiese il Serpeverde, inespressivo, sentendo il subitaneo bisogno di riempire quel silenzio. O si sarebbe svelato tutto il teatrino: Dominique avrebbe capito al volo. Lei aveva sempre avuto un intuito tutto particolare, per certe cose.
“Sto bene,” replicò l’altro, improvvisamente tranquillo. A Jake non era sfuggita l’occhiata che lui e Domi si erano lanciati. Con uno sguardo si erano scambiati una conferenza.
‘Sai perfettamente che Goldstein è la persona più adatta a rendere Dominique Weasley davvero felice.’
Christine aveva ragione, realizzò improvvisamente. E per quanto fosse stato doloroso il distacco, ora si rendeva conto di quanto fosse necessario.
E di quanto ne valesse la pena.
“Mi fa piacere,” mormorò, sorprendendosi di aver parlato con sincerità. Goldstein sembrò capire, perché gli rivolse una smorfia vagamente interpretabile come una specie di sorriso.
“Allora, Jake... Come stai?” Dominique – improvvisamente riapparsa al suo fianco – gli posò delicatamente la mano sul braccio. Goldstein finse diplomaticamente di non vedere.
Jacob non guardò cosa stesse facendo Lily. A dire il vero temeva la sua reazione.
Dopo, pensò, dopo. Non vedeva l’ora di parlare con lei di ciò di cui si era reso conto – di quanto a volte fosse necessario rinunciare a una parte della propria felicità per darne una migliore a chi si ama o si è amato.
Perché Dominique sarebbe tornata con Jake mesi prima, se lui gliel’avesse chiesto. L’avrebbe fatto.

“Chi è?” La voce di Dominique suonò sorprendentemente atona.
“Sono io, Dominique.”
Un istante di silenzio.

“Entra, Jake.”
La trovò seduta sul letto, la schiena sulla testiera e le gambe allungate davanti a sé, che fissava imbambolata il vuoto con occhi lucidi e abbacinati. Sembrava stanca, stanca e affranta, come se avesse corso chilometri per ottenere qualcosa e poi quel qualcosa si fosse disintegrato nelle sue stesse mani.
Deglutì, pensando a quanto detto da Scorpius poco prima.
‘Sta male quanto te per questa storia, dammi retta.’
Era vero. Il viso della ragazza di cui era innamorato era pallido e stropicciato, come se l’avessero tagliata in mille frammenti e poi ricomposta malamente. Faticava a tenersi attaccati i pezzi.
Non gli parve meno bella, per questo.
Si lasciò cadere seduto sul bordo del letto, i gomiti sulle ginocchia, e si prese la testa fra le mani.
“Come stai?” chiese bruscamente. Non riusciva più a sopportare tutto quel silenzio.
La guardò. I suoi occhi chiari erano sgranati e parvero vacillare, le sue labbra tremavano quanto la sua voce quando esalò la risposta a voce bassissima. “Non bene. E te?”
Conosceva la risposta. La conoscevano entrambi. “Male.” Improvvisamente sentì il vuoto all’altezza del proprio petto farsi più pesante. “Ti amo, Domi,” sbottò con voce rotta. Aveva il suono di una confessione.
Gli occhi di Dominique si riempirono di lacrime. “Lo so,” mormorò. Sembrava così fragile.
Cadde il silenzio, mentre Jake continuava a guardarla. Ricordò i capelli di Dominique sparsi sul cuscino, il suo corpo snello premuto contro il proprio.
Gli si strinse il cuore.
Lei sorrise, di un sorriso amaro e triste. “Non lo so, sai?” sospirò. “Perché saresti stato incredibilmente geloso. E poi, se ne avessi parlato con qualcuno... “
“Sarebbe diventato vero,” completò Jacob in un sussurro.
Basta scappare, Domi, pensò. Basta.
Entrambi mantenevano basso il tono di voce, come timorosi di distruggere qualcosa che – lo percepivano – già stava sfuggendo loro di mano. Ma non volevano, non avrebbero mai voluto farsi del male a vicenda – non più.
“Sì,” sussurrò Domi.
“Non tornerai con me.” Non era un invito a restare. Era piuttosto un’esortazione a superare quel pezzo della loro esistenza, anche se faceva male da morire. “Vero?” Non era chiedere conferma, ma semmai un rimarcare il concetto.
Dominique capì. Avrebbe capito sempre.
Sembrò tremolare e quasi restare sospesa, poi iniziò a piangere. Le lacrime cominciarono a scendere una dietro l’altra, si appendevano alle sue ciglia e poi rotolavano giù. Il corpo esile di Domi era scosso dai singhiozzi.
Aprì le braccia e lasciò che lei vi si rifugiasse dentro. “Scusami!” la udì dire fra un singhiozzo e l’altro. “Mi dispiace così tanto!”
“Lo so,” mormorò, assente. “Lo so.”

Era... era triste. Il pensiero lo colmava di rimpianto, ma non si era mai pentito della propria scelta.
Lily. Forse sono la persona più adatta a rendere felice Lily.
“Sto bene,” disse.
Lui e Domi si guardarono e si capirono: in un’occhiata era passato un torrente di parole. Ancora si capivano con uno sguardo... ma era diverso. Pensò a Lily, al modo in cui riusciva ad avvertire il suo nervosismo, a quel suo essere intuibile ma non prevedibile.
“Io... io credo che andrò al castello.” Si voltarono verso Lily, che stava esibendo una smorfietta delle sue. “Ho un sacco da fare. Ciao, Domi! Ciao, Goldstein!”
“Lily, aspet–”

Lei scrollò le spalle. “No, Greengrass, non preoccuparti. Ci becchiamo in Sala Comune!” Salutò con la mano mentre si allontanava. Jake osservò la sua figuretta oltrepassare il crinale della prima collinetta erbosa, con un crescente senso d’angoscia che cresceva in lui.
Dominique gli scoccò un’occhiata penetrante, ma non disse nulla.
“Devo andare anche io,” borbottò. “Domi.” Si profuse in un complimentoso baciamano, al solo scopo di irritare Goldstein – Lily, Lily, Lily, continuava a pensare ansiosamente – cui Dominique rispose con quel suo tipico sguardo a metà fra un’occhiataccia e un luccichio divertito.
“Avrai da fare,” disse la ragazza. Jacob si disse che almeno una frecciatina avrebbe dovuto aspettarsela, poiché – com’era prevedibile – Domi aveva capito tutto.
“Sì, infatti.” Non raccolse la provocazione. “Ci vediamo, Goldstein!” Come aveva fatto Lily poco prima, salutò con la mano mentre si allontanava.
Superò a passo svelto il primo crinale, e a quel punto gli fu chiaro che Lily non era affatto andata in direzione del castello.
Gli fu ancora più chiaro quando udì uno strillo provenire dalla direzione della rimessa delle scope, seguito da un tonfo.
Rimase come pietrificato per alcuni istanti, prima di correre nella direzione dalla quale era giunto il grido di Lily.


****


25 novembre 2021
Infermeria, Hogwarts
Dieci di mattina

“Jamie, non fare la mamma chioccia. Sto benissimo.”
“Sei distesa su un lettino bianco in una stanza piena di lettini bianchi chiamata
Infermeria. Non mi sembra che tu stia bene, sai?”
“Per Merlino, era solo uno stupido Schiantesimo, ed è già passato un giorno.”
“Ma–”

Ja-mi-e.”
Lui sbuffò. “D’accordo, ho capito.”
“Perfetto!” Lily sbuffò di rimando, roteando gli occhi.
“Ma proprio non ricordi niente?” domandò Hugo lentamente, le sopracciglia aggrottate.
Albus, che fino a quel momento era stato zitto e a testa bassa, l’espressione colpita, levò improvvisamente gli occhi verdi su di loro.
“Niente.” Lily annuì.
“Ti ha trovata Greengrass, vero?” domandò Jamie in tono leggermente aspro, ricordandole di colpo che lui non sopportava Jake.
“Sì, è stato Jacob.” Albus calcò il nome dell’amico. Aveva la voce rauca, a dimostrazione del fatto che non apriva bocca da un bel po’.
Lily era commossa da tutta quella preoccupazione, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Tuttavia, avrebbe preferito che non lo facessero – che non continuassero tutti a fare domande e ipotesi e supposizioni. Le mettevano addosso una certa ansia.
E non riuscire a ricordare nulla era frustrante da morire.
Rammentava ogni cosa solo fino al momento in cui si era allontanata da Jacob, Dominique e Goldstein, in preda a uno stupido attacco di gelosia.
Solo che non riusciva ad essere del tutto convinta che fosse solo stupido.
Poi si era risvegliata in Infermeria, gli istanti più recenti del tutto oscurati dentro la sua testa.
Jacob, nel suo interrogatorio – svoltosi peraltro davanti a lei, non appena era rinvenuta – aveva detto di averla trovata con la bacchetta in mano.
Perlomeno ho tentato di difendermi.
Aveva dovuto consegnare un flacone con il filamento argentato di memoria che riguardava quanto accaduto di recente. Suo padre le aveva spiegato che serviva agli Auror, poiché alcuni Incantesimi di Memoria si potevano sbloccare lavorando con un Pensatoio, almeno secondo degli studi svoltisi di recente all’Ufficio Misteri. Questa cosa l’aveva detta solo a lei, però, poiché era un’informazione riservata.
Lily sapeva tenere i segreti.
Era stato Harry a interrogare Jake, che aveva risposto a ogni interrogativo con voce salda e abbondanza di dettagli. Niente meno di quanto lei si sarebbe aspettata da lui.
La porta dell’Infermeria si aprì e si richiuse. Ginny Potter si stava avvicinando al suo letto, l’espressione terrificante che aveva impressa in faccia dal giorno prima ancora al proprio posto.
Diamine, fa paura anche a me.
Quasi.
Non l’aveva mai vista così arrabbiata, ma vederla così arrabbiata con qualcuno diverso da lei era uno spasso... Sebbene raramente avessero discusso: Lily era semplicemente troppo brava a non farsi beccare, al contrario dei suoi cari fratelloni.
Uno spasso per modo di dire, ovviamente.
“Devo andare, tesoro,” le si rivolse, addolcendo l’espressione.
Lily annuì sovrappensiero e si lasciò depositare un bacio sulla tempia, prima che sua madre si dirigesse verso l’ufficio di Madama Chips per dirle arrivederci.
Non vedeva l’ora di essere lasciata sola con i propri pensieri, giusto per avere l’opportunità di sfogare un po’ di sano autocompatimento. Era tutto tremendamente frustrante. Non riuscire a ricordare... si sentiva violata in qualcosa che apparteneva solo a lei: la sua mente.
Insomma, non si poteva toccare la mente, ma quanto accaduto il giorno prima dimostrava che raggiungerla e modificarne parte del funzionamento non fosse per nulla difficile. Era qualcosa che le riusciva difficile accettare.
“Tutti via!” sbottò Poppy Chips, allontanando con decisione Jamie, Al e Hugo – Rosie era stata prelevata quasi a forza da Jericho Allock mezz’ora prima per l’intervista sull’esito della prima prova.
Allock ovviamente era informato di quanto le fosse accaduto. Quel tizio sembrava avere occhi e orecchie ovunque. Lily ci avrebbe scommesso che il giornalista vi avrebbe scritto su qualcosa: un’aggressione attirava sempre l’attenzione dei curiosi.
Soprattutto se l’aggressione è ai danni della figlia del Salvatore del Mondo Magico.
Papà. Chissà cosa starà facendo adesso...
… Starà dando di matto nell’ufficio del Ministro, probabilmente.
Chiuse gli occhi e abbandonò la testa sul cuscino. Improvvisamente si sentiva così stanca, e il guanciale era così morbido e comodo...
Le avrebbe fatto bene dormire un po’.

****


25 novembre 2021
Ufficio del Ministro della Magia, Londra
Dieci di mattina


“Dobbiamo fare qualcosa,” sbottò Harry. “Mia figlia è stata aggredita, ministro! Un altro episodio simile e cosa dovremmo fare, eh?”
“Credi che io non la pensi esattamente come te?” La voce di Kingsley suonava calma e profonda anche in quel frangente, sebbene logorata da un’ombra di stanchezza. “Non sono io il tuo nemico, Harry.”

L’Auror sospirò e – osservando il Ministro dall’alto – si accorse che aveva un aspetto stropicciato e che il suo volto sembrava quasi ingrigito sotto la pelle scura. Si accorse anche di essere scattato in piedi.
Leggermente imbarazzato, tornò a sedere.
“Bene.” Il Ministro inspirò bruscamente, in virtù dell’enorme sforzo di autocontrollo che stava presumibilmente compiendo. “Adesso posso smettere di parlare con un quindicenne Harry infuriato e tornare a rivolgermi al signor Potter, capo del Dipartimento Auror?”
Una persona seria e responsabile. Che non si faccia condizionare emotivamente.
Sì, come no.
“Certo,” rispose, neutro. “Naturalmente.”
“Bene.” Nella voce del Ministro si poteva intuire appena un’ombra di irritazione. Harry si sentì leggermente in colpa. “Facciamo il punto della situazione. Una scomparsa...”
“Due.”
“Non siamo certi che il caso Graysand ci riguardi.” Kingsley digrignò i denti, esasperato. Proseguì prima che l’Auror potesse intervenire: “Una scomparsa, due aggressioni. Il furto della Bacchetta di Sambuco.”

“A questo proposito,” fece Harry, “credo che non ci sia una vasta gamma di possibilità per la via d’azione da seguire. Insomma, sui ladri abbiamo un solo indizio, oltre alla natura della refurtiva.”
“Il catalano.”
“Esatto. La testimonianza dei due ragazzi è stata molto d’aiuto.”
Il Ministro annuì, sovrappensiero, intrecciando le dita delle mani e posandovi sopra il mento. “Vorresti andare in Gothalaunia, Harry.” Non era una domanda.
Lui annuì.
“Credo anche io che sia la cosa giusta da fare,” convenne il Ministro con un sospiro.
“Io penso... penso che le aggressioni e le sparizioni siano collegate,” azzardò l’Auror. Meglio approfittare di quel momento in cui Kingsley sembrava tanto bendisposto e propenso a rivelarsi d’accordo con lui.
“Non è una possibilità da escludere,” ammise in effetti l’altro. “Ma come ben sai–”
“... Senza prove certe non possiamo fare nulla,” concluse per lui Harry, frustrato.

Il Ministro gli scoccò un’occhiata penetrante. “Proprio così,” commentò.
“Però possiamo indagare,” aggiunse l’Auror sovrappensiero. “Ministro,” riprese poi in tono formale, “potrebbe firmarmi un altro mandato di perquisizione? Per la casa di Otto Murray.”

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27 novembre 2021
Biblioteca di Hogwarts, Scozia
Pomeriggio

“Io e Chris pensiamo di organizzare una festa.”
“E da quando Christine è
Chris?” Rose mise automaticamente i paletti, scontrosa.
“Oh, non andare subito sulla difensiva! Una festa per te.”
Distolse lo sguardo. Quello era il pomeriggio di un’inaspettato mercoledì di sole, e raggi del sole si spandevano in strisce oblunghe oltre le finestre della biblioteca, rigando il pavimento delle ombre degli scaffali.
Un sottile pulviscolo dorato volteggiava a vuoto, visibile solo nelle strisce luminose.
“Per me.” Registrò.
“Per te,” le fece il verso Gwyneth, roteando gli occhi e sorridendo divertita.
Davvero, Rose cominciava a non sopportarla. Aveva quel modo di imporsi veramente esasperante: adesso, ad esempio, si era seduta sul tavolo presso il quale lei stava studiando. Sopra al libro da cui stava studiando, e dondolava i piedi nel vuoto, l’indice posato sul naso e l’aria pensosa.
“E perché mai dovreste organizzare una festa per me?”
Le sopracciglia scure di Gwyneth ebbero un guizzo. “Ti prego, emergi dalla tua misantropia.”
“Tu rispondi alla mia domanda.”
L’altra rise, cristallina, attirando l’attenzione di metà biblioteca. Rose si guardò attorno con espressione scontrosa, un poco a disagio.

“Conosci la risposta, quindi non serve che io ti risponda.” Gwyneth fece spallucce, allegra, scendendo dal tavolo con un salto leggiadro. “Ci vediamo a lezione!”
Si
librò letteralmente fuori dalla biblioteca, salutando con la mano.
Rose sbuffò e finalmente potè tornare a dedicarsi al suo libro. O megio, a ciò che aveva nascosto fra le sue pagine. Con un sospiro estrasse la pergamena conquistata durante la prima prova. Si prese alcuni istanti per studiarne l’aspetto: era bianca, completamente intonsa.
Poggiò il gomito sul piano del tavolo, sorreggendosi la fronte con la mano. La luce del sole cadeva sul foglio intatto, tracciandovi una striscia candida e quasi abbagliante. Quando la ragazza distolse lo sguardo dalla pergamena, le rimase impressa sulla retina l’orma colorata della linea luminosa.
Si pose a riflettere. Su di una cosa non nutriva alcun dubbio: poiché – come annunciato – la pergamena conteneva un indizio riguardante la natura della seconda prova, essa doveva recare un qualche messaggio occultato. Un meccanismo a lei familiare, non dissimile da quello apposto sulla Mappa del Malandrino.
Il nocciolo stava nello scoprire la chiave in grado di sbloccare la protezione del messaggio.
Si guardò attorno con circospezione, quindi estrasse la bacchetta magica. La puntò contro la pergamena, mormorando un poco convinto: “Svelati.”
Non accadde nulla.

Strinse le labbra, frustrata dal fallimento di quel suo primo tentativo. Cercò di mettere in moto il cervello, ma le sembrava di avere la mente completamente in biancò.
Mostrati,” riprovò. Ancora niente.
La chiave. Devo trovare la chiave.
Di cosa poteva trattarsi? Con la Mappa del Malandrino bisognava giurare solennemente di non avere buone intenzioni. Si chiese come avessero fatto lo zio George e il suo defunto gemello FRed a scoprire le parole che aprivano la Mappa, anni prima.
La chiave.
Aprire la mappa... Aprire...
Alohomora?” domandò ad alta voce, ancora la bacchetta in pugno, rivolgendosi più che altro a se stessa.
Quando sottili lettere in inchiostro nero iniziarono a delinearsi sulla pergamena, Rose sussultò, ritrovandosi a trattenere bruscamente il fiato.
Le venne da ridere. Era così sciocco, così ovvio... talmente ovvio da risultare quasi ostico.
Improvvisamente si sentì pervadere dall’eccitazione, un senso di entusiasmo bruciante che le corse rapido sotto la pelle, stringendole il cuore in una morsa e accellerando le sue pulsazioni cardiache.
L’entusiasmo si spense tutto assieme – come risucchiato – non appena la mente di Rose registrò
ciò che i suoi occhi avevano appena decifrato:

Nero come bianco,

cercando la tua ombra

finché non sarai stanco.

Bianco come nero,

l’ombra del terrore

fuggendo il giorno intero.

Corpo ruggente,

testa pensante,

coda pungente.

Mezzodì aggredisce,

chi cammina da cinque

e di piede nitrisce.

Ai vespri di sera,

strisciando ammantato

l’anima nera.

Nero come bianco,

cercando la tua ombra

finché non sarai stanco.


Cosa mai vorrà dire?
“Rose?”
Quando riconobbe la voce che aveva parlato deglutì improvvisamente e annuì, lo sguardo fisso sulla pergamena. Scorpius le rivolse un sorriso lievemente incerto, prima di spostare la sedia vuota accanto a quella dove la ragazza era seduta e accomodarvisi sopra con tranquillità.
Solo allora Rose si voltò verso di lui, ricambiando il suo sorriso con un’occhiata quieta.
“Ciao,” replicò, laconica.
Lo sguardo di Scorpius guizzò sulla pergamena. “Lavoravi all’enigma del Tremaghi.” Più che una domanda, suonò come una constatazione.
“Uhm, già,” borbottò lei di rimando, ritraendosi istintivamente.
“Sei stata... brava, alla prima prova.”
“Brava?” Quasi diede in una risata amara. “Ero rimasta pietrificata
dal terrore. Solo che i giudici hanno scambiato il mio atteggiamento per una sorta di piano preventivato.”
Scorpius rise.
“I vantaggi di essere in Serpeverde,” proseguì Rose con un sospiro. “Secondo gli altri dovremmo avere sempre un diabolico asso nascosto nella manica.”
Il ragazzo ridacchiò ancora, e Rose lo guardò, burbera.
“Che cosa c’è?” disse in tono improvvisamente acido.
“Sei divertente.” Scorpius roteò gli occhi.
Lei si chiese da quando in qua avessero tutta quella confidenza. Non riusciva a capire se la cosa le piacesse oppure le facesse un po’ paura.

Ma in queste cose di solito la paura non è equiparabile a un piano geniale.
Per quanto ne sappia io, di queste cose. Intendiamoci.
Sbuffò.
Che poi la nostra è solo... amicizia.
“A cosa stai rimuginando?” La voce di Scorpius la distolse improvvisamente dai suoi pensieri.
Inarcò un sopracciglio in direzione del ragazzo.
“No, dico davvero,” insisté lui. “Si percepiscono gli ingranaggi della tua mente in movimento.”
“Questa non è una cosa particolarmente intelligente da dire,” ribatté, aggressiva.
Scorpius, tuttavia, non parve prendersela: scrollò le spalle e sorrise appena, biascicando qualcosa a mezza voce.
“Come hai detto?”
“Ho detto infatti.”
“Capisco.” Annuì.
Scorpius soffocò l’ennesima risatina e Rose si trattenne dal roteare gli occhi. Si sentiva... strana. Voleva che l’altro – l’amico – stesse lì con lei, ma allo stesso tempo una parte di sé desiderava che se ne andasse. Immediatamente.
“Posso dare un’occhiata?” Scorpius fece cenno alla pergamena.
Per qualche ragione colpita, Rose annuì e gliela porse. Osservò le sue reazioni mentre la leggeva in fretta e le sue sopracciglia si aggrottavano sempre di più.
“Hai notato che ci sono diversi riferimenti alle ore del giorno?” le chiese, pensoso.
Accigliata, Rose si riprese la pergamena e la rilesse rapidamente.
Fuggendo il giorno intero,” lesse.
“Quello è il primo,” convenne Scorpius. “Leggi dopo.”
Mezzodì aggredisce... Ai vespri di sera. Che cosa vorrà dire?”
Il ragazzo poggiò il gomito sul tavolo e il mento nel cavo della mano. “Forse che la seconda prova è scandida in più momenti nel corso di una giornata. Composta da più parti. E queste parti...”

“... sono tre!” completò per lui Rose, incredula ed esaltata. “Le parti riguardanti il bianco, il nero e il terrore sono più delle... delle corolle.”
“Ottima intuizione, Rose!”

Quella voce familiare le gelò il sangue nelle vene. “Jericho,” borbottò fra i denti. “Non avresti dovuto ascoltare.”
Il giovane uomo la osservava con il solito sorriso beffardo e l’usuale baluginio agghiacciante negli occhi azzurri. Folle, irritante, perfido e del tutto idiota.
Non avresti dovuto ascoltare!” Le fece il verso, e la ragazza trattenne a fatica un ringhio sotto lo sguardo indecifrabile di Scorpius. “Non dovrei, non potrei... faccio comunque. Ma credo che tu, ormai, lo abbia capito più che bene.”
“Vattene,” sibilò.
“Non prima di aver scambiato qualche parola con il tuo ragazzo,” sorrise, smagliante.
“Non è il mio ragazzo,” lo contraddisse automaticamente, ma Jericho era già partito in quinta.
“Sei il figlio di Draco Malfoy, vero?” domandò, pensoso, per poi proseguire senza attendere una risposta. “Perfetto!” Batté le mani. “Un amore tormentato, frutto di decenni di odio fra famiglie rivali... Che cosa geniale! Sarà uno scoop. Tutti vi ameranno e tiferanno per voi... per il vostro amore che resiste alle intemperie.”
Rose e Scorpius si scambiarono uno sguardo allarmato. “Veramente...” tentò lui, ma il giornalista già si stava allontanando, frugando nelle tasche del mantello. Rose sapeva che, con ogni probabilità, era alla ricerca della sua odiosa Prendiappunti verde acido.
“Scriverà su di noi?” le chiese Scorpius, esitante.
“Vorrei risponderti di no.” Rose sospirò. “Ma purtroppo sono certa che lo farà.”
“Già.”
Improvvisamente, Rose percepì un velo di imbarazzo posarsi su di loro. Velo che si fece sempre più spesso, fino a ingombrare tutto lo spazio.

Scattò in piedi e raccolse in fretta la propria roba, ammassando a casaccio libri e quaderni nella borsa e arrotolando rapidamente la pergamena.
“Devo andare.” Fece per scappare via.
Qualcosa la trattenne: Scorpius l’aveva afferrata per il gomito e non accennava a lasciarla andare.
“Rose, io...” esordì, con uno strano sguardo negli occhi che improvvisamente la mise nel panico. Ma poi quello sguardo passò così com’era venuto. Scorpius la lasciò andare di colpo.
Lo salutò in fretta e se ne andò di gran carriera.
Lui si lasciò cadere sulla sedia, l’espressione vagamente sconfitta.
Scorpius Malfoy, sei un codardo e un idiota.

****


Certo che quei due non avevano proprio pudore. Seduti così, le teste vicine... Proprio davanti ai suoi occhi. Insomma, sapevano perfettamente del suo incarico in biblioteca, e allora... allora perché non se ne andavano a flirtare da un’altra parte?
Per Lucy Weasley era proprio una giornata no. Era cominciato tutto con i risultati di quel maledetto test di Aritmanzia. Lei aveva studiato ore per quel compito. Aveva studiato così tanto da essersi sognata la notte tutta quella serie infinita di cifre e calcoli, e il risultato era stato un carico d’ansia tale da mandarla completamente nel pallone.
Improvvisamente la pergamena colma di quelle cifre che conosceva tanto bene aveva assunto un aspetto del tutto incomprensibile. Ogni numero, ogni simbolo le era sembrato privo di senso.
Diciamo che, a giudicare dai pronostici, quello Scadente poteva aspettarselo. Ma vedersi davanti un voto del genere era sempre un brutto colpo.
Specie se Lucy cercava di immaginare il modo in cui avrebbe reagito suo padre. In effetti era quello il vantaggio di frequentare una scuola sufficientemente lontana da casa: non si potevano subire direttamente le reazioni dei genitori a un brutto voto. Specie di genitori come i suoi. O meglio, suo padre. Così rigido e inflessibile. Spesso anche ottuso.
Odiava pensare cose del genere di suo padre. Odiava pensarle di chiunque.
Ma quella era davvero una pessima giornata.
E poi... quei due. Rose e Scorpius che flirtavano in biblioteca davanti ai suoi occhi al solo scopo di ferirla. Non è giusto, pensò con stizza mentre scriveva il nome di Johnatan Hasting – studende di Grifondoro –  sull’apposito fascicolo con tanta forza da scheggiare la punta della sua penna d’oca.
“Lucy Weasley,” cantilenò una voce. Una voce odiata.
“Che cosa vuoi?” replicò, stizzita, voltandosi in direzione di chi aveva parlato.
Christine De Bourgh sorrise appena, sistemandosi una ciocca di capelli scuri. “Dovevo restituire questo.”
Le porse un libro dalla copertina consunta. Studies in Iconology, di Erwin Panofsky.
“Settore?” replicò rigidamente.
“Babbanologia,” fece l’altra, pacata.
“Bene. Puoi andare.”
Si alzò in piedi, voltando le spalle a Christine e armeggiando con lo schedario posto dietro alla scrivania. Sistemò al proprio posto il fascicolo di Johnatan Hasting ed estrasse quello che le serviva. Segnò la restituzione, ignorando la ragazza. La quale, ovviamente, sembrava aver tutto in mente fuorché di andarsene di lì.

Potevo aspettarmelo.
Continuava a fissarla con quel fastidiosissimo sguardo saccente a brillare negli occhi scuri.
Stringendo le labbra, si diresse a passo serrato verso il settore di Babbanologia.
Naturalmente, Christine si accodò.
Ignorandola, sistemò il libro al posto che gli spettava. Quando si voltò e realizzò che l’altra era ancora lì, le scoccò un’occhiataccia. “Si può sapere che cosa vuoi?”
“Fare conversazione?” La vide gettare un’occhiata eloquente in direzione di Rose e Scorpius.
Bene, ti sei tradita!
“Taci,” borbottò. “È solo colpa tua.”
Christine non fece una piega. “Di cosa stai parlando?”
“Lo sai.”

Si diresse di nuovo verso la scrivania della bibliotecaria. Le prudevano le mani dal desiderio di estrarre la bacchetta e lanciarle una fattura prima che l’altra potesse reagire.
Controllati, Lu. Controllati.
Le sarebbe piaciuto mandarle una lettera anonima contenente pus di Bubotubero, tanto per renderle pan per focaccia. Anzi, neanche anonima. Firmata con le sue iniziali. Avrebbe scritto: Dovresti stare più attenta, e non solo quando apri la tua posta. Firmato: L. W.
Sarebbe stato un messaggio chiaro. Come a dire: ‘Ehi, stronza! Non ho dimenticato cosa mi hai fatto!’
Ma Lucy sapeva che non sarebbe mai riuscita a fare una cosa simile. Lei non riusciva ad essere così poco corretta.
“Non sono stata io a dare il filtro d’amore a Scorpius.”
“Ancora sei qui?!”

L’altra scostò una ciocca di capelli con uno sbuffo. “Devo ripetertelo? Non sono stata io a dettare la vostra... uhm, conclusione.”
“E chi ha dato l’idea a Jackie Finigann?” ribatté Lucy fra i denti.
“Diciamo che potrei averle messo una pulce nell’orecchio.” Christine emise una sorta di sorrisino esitante, quasi di scuse.
“Beh, almeno sei sincera!” la rimbeccò Lucy, rabbiosa.
“Io dico sempre la verità.”
Si ritrovò a roteare gli occhi. La odiava. Odiava quel tono supponente, odiava quei modi di fare enigmatici e costruiti.
“Vattene.”
“Questa solfa già l’ho sentita.”
“Va bene.” Tremava dalla rabbia. “Allora dì quello che vuoi dire e fai quello che vuoi fare. E
poi vattene.”
Christine annuì. “Questa opzione mi piace di più. Prima di tutto piantala di piangerti addosso e scaricare le colpe addosso agli altri.”

Ma come si permette?!
“Che cosa vuoi dire?” ringhiò.
“Voglio dire che te e Scorpius siete tornati assieme. Devo spiegarti proprio tutto?” La Serpeverde roteò teatralmente gli occhi. “Poi non ha funzionato. Che peccato. Ma io non c’entro niente, chiaro?”
“Trasparente,” fece Lucy, acida.
“In secondo luogo... dovresti stare attenta.”
“Che cosa?!”

‘Dovresti stare più attenta, e non solo quando apri la tua posta.’
“Quello che ho detto,” Christine la guardò con improvvisa serietà. “Tieni gli occhi bene aperti, okay?”
“Questa... questa è una minaccia?”
L’altra sbuffò. “Cerca di non vedere
sempre il male in me, okay? In questo caso potresti chiamarmi la tua fata madrina.”
“Che intendi?” Non poté fare a meno di chiedere delucidazioni.

“Che sei in una situazione di cui qualcuno potrebbe approfittare.”
“Ma chi?”

“Non posso dire di più.” Per la prima volta da quando la conosceva, Christine sembrava in ansia. “Ti sto aiutando, capito? Non uscire da sola. Non stare da sola. Occhi aperti. Vigilanza costante,”
Questa è completamente fuori di testa.
“Ma–”
“Stai attenta,” ripeté Christine, per poi allontanarsi prima che Lucy potesse dire anche una sola parola.

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28 novembre 2021
Casa Kirke, Londra
Sera

“Ellen! Finalmente sei tornata!”
C’era qualcosa che non andava nel tono così entusiasta di sua madre – Ellen se ne accorse subito.
Conosceva quel tono. Era il tono delle feste a sorpresa, quello delle visite inaspettate.
In pratica, il tono delle cose misteriose che probabilmente non gradirò.
“Mamma,” la salutò con voce smorzata. “Sapevi che sarei tornata a quell’ora. Le lezioni in Accademia finiscono più tardi perché dobbiamo recuperare l’interruzione, e–”
Arrivata in sala da pranzo, si azzittì improvvisamente.
Aveva compreso di colpo il motivo di tutto quell’entusiasmo da parte di sua madre.
“Hai visto chi è venuto a trovarci?” le si rivolse quest’ultima, smagliante, indicando la donna di mezz’età seduta al suo fianco.
Prototipo Purosangue, pensò Ellen. Ben vestita e ingioiellata, non un capello fuori posto, anello col blasone di famiglia. Tradizionalista arietta di superiorità.
“Sì,” si fece avanti, esitante.
“Ricordi Artemisia Flint, vero? L’hai conosciuta quando eri bambina.”
No, non la ricordava. Affatto.
“E lui è suo figlio Marcus.”
Ecco davanti ai suoi occhi il motivo dell’entusiasmo di sua madre. Un giovane alto, prestante, dal sorriso aperto e una certa aria strafottente.

Sua madre pensava di combinarle un appuntamento. Ne aveva ben donde, dopotutto: Ellen non aveva mai avuto un ragazzo, e Georgette non poteva neanche sospettare che fosse perché i ragazzi non le interessavano affatto.
Hera, pensò improvvisamente.
“Piacere di conoscerti,” sorrise, porgendogli la mano. “Mi chiamo Ellen.”
“Piacere mio.” Marcus la strinse con un sorriso franco. “Ci siamo conosciuti da piccoli. Qui abbiamo appena riesumato ogni dettaglio di questo memorabile incontro, anche se francamente non ne ricordo una virgola.”
Artemisia Flint e sua madre risero. Anche Ellen si ritrovò a ridacchiare.
“Mi ha detto la cara Georgette che frequenti l’Accademia Auror,” commentò la signora Flint con un sorriso lievemente condiscendente. Irritante, ad ogni modo.
“Complimenti,” fece Marcus con teatralità, chinando leggermente il capo. “Entrare in Accademia non è mica semplice!”
“Ci ho messo molto impegno,” replicò lei sullo stesso tono. Dunque aggrottò le sopracciglia. “Frequentavi Hogwarts fino a tre anni fa, o sbaglio?”
“Non sbagli,” convenne lui. “Giocavo con la squadra di Quidditch di Serpeverde. Una volta ho fatto a botte con Louis Weasley nei corridoi, lui era capitano di Grifondoro.”
“Marcus!” intervenne la signora Flint seccamente. “Non raccontare queste cose!”
“Lasciaci riesumare i nostri anni di scuola!”
Ellen decise che le stava simpatico. Certo, aveva una fastidiosa aria strafottente e un modo di imporsi lievemente irritante, ma la faceva ridere.
“Non era la Greengrass il capitano di Grifondoro, a quei tempi?” domandò, tentando di riesumare i suoi primi anni di scuola.
Gli occhi di Marcus guizzarono. “Holly Wynne Greengrass! Certo. Ma lei aveva un anno più di me, e quando ha finito il settimo è stata rimpiazzata da Weasley.”
“Ah, è vero.” Ellen annuì. “Tu non sei mai stato capitano, giusto?”
L’espressione del ragazzo si fece addolorata. Esageratamente addolorata. “Questa è una ferita che brucia ancora.” Sospirò con aria sconsolata. “A quanto pare ero troppo collerico e impulsivo per i gusti Serpeverde.”
Sei troppo collerico e impulsivo,” si intromise la signora Flint.
“Anche per i gusti Purosangue.” Marcus alzò gli occhi al cielo.
“Non fare lo stupido,” lo rimbrottò la madre, ma sorrideva.
Ellen tentò con scarso successo di trattenere una risata.
“Avete molti interessi in comune,” buttò lì Georgette con aria da cospirazione. “Perché non uscite insieme, qualche volta?”
Bomba sganciata.
“Sì, certo!” rispose Marcus allegramente, ma poi Ellen incrociò lo sguardo con il suo, leggendo nei suoi occhi lo stesso disagio che avvertiva dentro di sé.

****




Note dell’Autrice
Perdonatemi l’immenso ritardo. Mi dispiace un sacco, è solo che la Real Life mi ha assorbita totalmente negli ultimi tempi.
Anyway, this is it.
Vi adoro moltissimo, lo sapete? E prometto che risponderò alle recensioni arretrate, non appena mi basterà il tempo <3
Bisous,
Daphne











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Capitolo 23
*** Capitolo 22 - My heart is numb ***


 


I reach out trying to love but I feel nothing

Yeah, my heart is numb.

OneRepublic

 

 

8 dicembre 2021

Torre di Corvonero, Hogwarts

Mattina

 

Quell’anno la neve era in ritardo.

Hugo se ne rese conto una mattina dei primi di dicembre, quando affacciandosi alla finestra del suo dormitorio poté ammirare la visione del lago di Hogwarts ridotto a una spessa lastra di ghiaccio, contro la quale premevano le acque turbolente. Il cielo sopra il castello era plumbeo, ma sui prati si era depositata solamente un po’ di brina e non si vedeva neanche un fiocco di neve.

Non seppe come prenderla. La neve non gli era mai piaciuta particolarmente – detestava l’inverno, con tutto quel freddo che intirizziva i muscoli, gelava le ossa e inibiva le facoltà intellettuali – ma chissà per quale motivo la cosa gli procurò una certa inquietudine. Insomma: la neve in ritardo? Un Natale senza neve? Non era normale

Avrebbe voluto davvero restare a Hogwarts, quell’anno. Aveva bisogno di tempo e solitudine per occuparsi della rete di mistero che ultimamente circondava la sua esistenza... e che sembrava decisa a farsi sempre più fitta.

Naturalmente, non era stato possibile. Il giorno di Natale a Hogwarts si sarebbe tenuto il Ballo del Ceppo, ma nonna Molly aveva preteso che almeno la Vigilia i nipoti la passassero tutti alla Tana. Risultato: una settimana lontano dalla biblioteca di Hogwarts.

Una settimana lontano da Eugène – insisteva una vocina dentro di lui. Ma nonostante tutto, Hugo non riusciva a estirpare una punta di sospetto. Non poteva essere stato un caso, il fatto che il francese si fosse presentato proprio nel momento in cui aveva bisogno di un aiuto, offrendo esattamente il libro che gli serviva. Possibile che anche lui avesse qualcosa a che fare con i simboli iconologici?

Possibile che ogni ragazzo che mi potrebbe interessare sembri essere invischiato con questa faccenda?

Era snervante. 

Poi c’era anche il fattore Hessler, naturalmente. Al momento, almeno nella testa di Hugo, il Serpeverde era il maggiore sospettato. Aveva origliato parte della sua conversazione con Eugéne. Gli aveva consegnato il biglietto che aveva portato all’ultimo indizio... il Gioco.

Gatto col topo... e io odio essere il topo.

Sospirò brevemente e si diresse a passi felpati verso il bagno. Non voleva svegliare i suoi compagni di dormitorio, rischiando domande inutili e commenti fastidiosi.

Ultimamente troppe cose gli sembravano fastidiose e irritanti. Non era una cosa che gli piaceva.

Si concesse una lunga doccia bollente, fregandosene del fatto che avrebbe probabilmente consumato tutta l’acqua calda. Una secchiata d’acqua gelida probabilmente avrebbe fatto solo bene ai neuroni catalettici dei suoi compagni di dormitorio.

Quel branco di idioti.

Si vestì con calma, sovrappensiero, indossando il maglione dell’uniforme ma lasciando la cravatta nell’armadio. Quel giorno era di vacanza, e perciò c’era un certo margine di libertà riguardo all’abbigliamento. Appuntò la spilla da Prefetto sul davanti del golf, studiando per un istante la propria immagine allo specchio. Si accorse di essere dimagrito – o forse era solo cresciuto di un’altra manciata di centimetri. Non prestò particolare attenzione alla cosa. 

Sospirò brevemente e afferrò la tracolla che di solito conteneva i libri di scuola. La vuotò fra le lenzuola sfatte del letto senza troppi complimenti, ficcandoci dentro alla rinfusa qualche pergamena, delle penne d’oca e una boccetta d’inchiostro. Quindi si guardò attorno con circospezione, e dopo essersi accertato che gli altri dormissero sollevò il bordo del materasso, sotto il quale aveva nascosto la lista dei sospettati con annessi e connessi. Naturalmente aveva gettato anche degli Incanti Dissimulatori sulle pergamene in questione: la prudenza non era mai troppa.

Mise in borsa le liste – assicurandosi che non ne mancasse nessuna – quindi abbandonò il dormitorio, scendendo la scala a chiocciola che conduceva alla Sala Comune.

Lo accolse uno scoppiare di risate allegre. Non si stupì nel vedere l’Alta Corte Corvonero – come lui stesso l’aveva battezzata – radunata sui morbidi divani dalle fodere di velluto blu notte che circondavano il caminetto acceso. 

“Ehi, Hugo!” Il suo flebile tentativo di passare inosservato fallì miseramente. “Mancavi solo tu!”

Si volse controvoglia verso il gruppetto di studenti che sedevano ordinatamente intorno al fuoco. Il solito gruppo di sempre, ossia quello che comprendeva i Corvonero con la media migliore: Fiona Beckett, Klaus Brooks, la minuscola undicenne Alice Bogart – fra l’altro sua lontana parente, nipote di un cugino Weasley di nonno Arthur; la noiosissima Teresa Grib e il suo ragazzo Vincent Greene. E i fratelli Menley, naturalmente, splendidi ed eleganti sul loro divano, con le identiche labbra mobili e carnose incurvate nello stesso sorriso.

Tony agitò la mano dopo averlo chiamato a gran voce, facendogli segno di venire a sedersi in mezzo a loro, mentre Georgia osservava la scena con aria vagamente divertita.

Hugo esitò, combattuto. Da una parte passare del tempo con i suoi amici l’avrebbe distratto per un po’ da tutta quell’ombra che continuava a infittirsi. Dall’altra, però, sentiva di non potersi più fidare di nessuno.

E poi mi sono già dato appuntamento con gli altri.

“Oggi non posso, Menley!” disse ad alta voce, nello stesso tono cameratesco dell’altro. “Ho preso un impegno con mia sorella.”

Per un momento, Tony parve adombrarsi, ma si riprese immediatamente. “D’accordo, d’accordo. Salutaci la campionessa.”

 “Sì,” Hugo annuì, leggermente a disagio. “D’accordo.”

 Si diresse verso l’uscita della Sala Comune, con la sgradevole sensazione di avere uno sguardo puntato addosso. 

Adesso sono anche in ritardo. Merda.

 

“Ce l’hai fatta, finalmente.”

 Hugo scoccò al cugino un’occhiataccia. Forse Albus non si rendeva conto di quanto stesse diventando petulante e fastidioso, negli ultimi tempi. O forse era lui a percepire i difetti degli altri in qualche modo accentuati. Non avrebbe saputo dire perché, ma si sentiva addosso una certa tensione. Come se nell’aria vi fosse un qualche elemento di disturbo. 

Ignorando Al, si pose a gettare contro la porta della solita aula inutilizzata i dovuti incantesimi di segretezza.

“... Muffliato.” Abbassò la bacchetta. “Bene,” proseguì dirigendosi verso la cattedra. “Ci sono novità?”

“No, professore,” si intromise Lily, con aria stranamente poco convinta. Non sembrava particolarmente entusiasta di prenderlo in giro, contrariamente al solito.

A dire il vero, anche la sua battuta non era particolarmente originale, né divertente.

Ma non è il momento di dedicarsi alle paturnie da quindicenne di Lils.

… A dire il vero, non è mai il momento di dedicarsi alle sue paturnie. Primadonna com’è, ci manca solo questo.

“Nessuna novità, almeno da parte mia.” Rose parlò in tono brusco, ma con più loquacità del solito. Sembrava che le parole che non pronunciava Lily le avesse rubate lei. “Ma, dal momento che tu hai indetto la riunione,” proseguì con fare formale, puntando l’indice verso suo fratello, “devo dedurre che delle novità ci siano.”

“Complimenti,” fece Lily, piatta.

Rose le scoccò uno sguardo sbiego, ma per il resto la ignorò. “Parla, Hugo.”

 “E sbrigati,” rincarò Albus, guardando l’orologio. “Ho gli allenamenti alle undici.”

 “Allenamenti?” sbottò Lily, con espressione quasi schifata. “Oggi?”

 Al roteò gli occhi. “Sai, Lily? Non ti succede niente se metti più di due parole attaccate l’una all’altra.”

La risposta fu una scrollata di spalle. Lily, scura in volto, si chiuse in un tetro mutismo.

“Davvero, Al,” fece Hugo. “Hai ricominciato ad allenare la squadra con un minimo di serietà?”

 “Credi davvero che lo verrei a dire proprio a te?” replicò il cugino seccamente. “Come se non sapessi che correresti subito a fare la spia ai tuoi amichetti Corvonero.”

Hugo roteò gli occhi. “Sei proprio un idiota, Al.”

“Non abbastanza da rivelarti le mie tattiche di gioco.” Albus sogghignò in una perfetta imitazione di Lily. “So che sei amico dei Menley, non mi freghi.”

 Rose sbuffò, richiamandoli all’ordine. 

Hugo sperò che nessuno si fosse accorto di come aveva sussultato sentendo nominare i Menley.

“Bene,” esordì. “Sono sempre più convinto che si tratti di Hessler. È... è la traccia più evidente. Il punto è, Lily,” si rivolse alla cugina, “che non puoi essere tu a pedinarlo.”

 La ragazza parve indignata. “Ehi, perché no?!” protestò, riemergendo dal suo silenzio tutto d’un colpo. “Non è giusto!”

“Hugo ha ragione,” tagliò corto Albus. “Sei stata attaccata, Lily. E non sappiamo perché. Potrebbe anche darsi che Hessler abbia capito le tue intenzioni e cercato di mettermi fuori gioco!”

 “Con uno Schiantesimo?” replicò Lily, scettica. “Non credo proprio. E poi poteva essere più furbo, no? Cancellarmi anche gli altri ricordi che riguardavano questa cosa.”

“Credo sia un pensiero unanime,” convenne Rose, categorica.

Lily aprì la bocca per ribattere e la richiuse, rassegnata. E, apparentemente, ancora più di cattivo umore.

Davvero. Sembra che abbia qualcosa che non va.

 

 

****

 

8 dicembre 2021

Sala Grande, Hogwarts

Ora di pranzo

 

“... Sarà magnifico,” sussurrò Amarillide estatica. “Ci pensate? Un ballo! Un vero ballo a Hogwarts. Non vedo l’ora!”

“Emozionante,” commentò Lily, sarcastica. Le amiche le scoccarono simultaneamente un’occhiata indignata. 

“Non fare l’uccellaccio del malaugurio,” la rimbeccò Swanilda. Lei roteò gli occhi. Non aveva voglia di ribattere. Non aveva voglia di fare proprio niente – o meglio, le sarebbe piaciuto rintanarsi in qualche angolo a fumare una sigaretta e piangersi addosso, ma questo non poteva farlo; non sopportava più le sue amiche, non sopportava più nessuno. 

Adesso Al e i cugini l’avevano anche prosciolta del suo incarico. Seguire quell’imbecille di Hessler avrebbe perlomeno riempito quell’inutile giornata di vacanza... e invece niente. L’incarico se l’era preso Hugo.

Neanche ha tirato fuori la scusa che deve studiare, il secchioncello. E poi era solo uno Schiantesimo. Per colpa di uno Schiantesimo devo annoiarmi a morte.

… Oh, credo di odiarli tutti.

Come se non bastasse, ci si metteva in mezzo anche il Ballo del Ceppo. Al solo pensiero il suo istinto primario era quello di cercare l’angolo più freddo e umido del parco per rintanarsi proprio

Che poi, l’idea in sé neanche le dispiaceva. Adorava la socializzazione e le occasioni mondane, le piaceva divertirsi e bere sfruttando il pass alcolici di qualcun altro. Non che le interessasse il Firewhiskey in sé, piuttosto la divertiva l’idea di riuscire a sfangarla sempre.

Devo solo riuscire a fregare il pass di Al.

Evitava con molta cura che i suoi pensieri finissero per deviare in una certa direzione, quando ascoltava i discorsi quasi isterici di Amarillide riguardo al Ballo. Soprattutto quando...

“... Con chi credi di andare, Lily?”

“Andare dove?” replicò, piatta, mentre il suo cervello lavorava furiosamente per inventare una scusa decente per strozzare Amarillide Stubbins lì. In piena Sala Grande, davanti agli occhi di centinaia di testimoni.

D’accordo, non era fattibile.

“Lo sai!” Amarillide alzò gli occhi al cielo. “Al Ballo. Dove, altrimenti?”

“Non so.” Lily le scoccò un’occhiataccia. “Potevi parlare di qualunque altra cosa.”

“No, non poteva,” le fece notare Swanilda. “Lo sai.”

Lei guardò da un’altra parte. “Oh, non rompere,” brontolò. Swanilda decise di soprassedere.

“Dicevi, Ama?” domandò all’amica.

Questa le rivolse un sorriso dolce. Uno di quei sorrisi dolci e privati che facevano sentire Lily un po’ invidiosa. “Chiedevo a Lily con chi andasse al Ballo.”

Swanilda le scoccò un’occhiata eloquente, cui lei rispose con uno sbuffo. “Non so,” si mantenne vaga. “Con l’individuo più convincente fra quelli che mi inviteranno.”

 “Sì,” fece Amarillide. “Ma intendevo... Chi credi ti inviterà?”

 Lei fece scorrere lo sguardo sul tavolo di Serpeverde, in difficoltà. Cercava di prendere tempo, disse a se stessa – ma quando Lily mentiva a se stessa, allora era nei guai; quando lo sguardo le cadde su una testa fin troppo familiare.

Non l’avevo calcolato. Affatto.

Una testa fin troppo familiare voltata verso di lei. Con espressione grave e sguardo fosco.

“Jacob? Jacob Greengrass?” Swanilda doveva aver seguito la traiettoria del suo sguardo.

“Certo che no,” replicò secca, distogliendo in fretta gli occhi. “Qualcuno di Beauxbatons,” inventò su due piedi. “Suppongo.”

“Perché, cos’hanno che non va i ragazzi di Hogwarts?” domandò Ama, maliziosa.

“Niente.” Lily deglutì, senza riuscire a evitare di lanciare un altro sguardo a Jacob – che adesso aveva abbassato gli occhi. Le sue sopracciglia erano aggrottate: la ragazza sentì una stretta al cuore. “C’è solo bisogno di... aria fresca.”

“Aria fresca?” Una voce familiare e leggermente roca risuonò alle sue spalle. “Ti senti poco bene, piccola Potter?”

 Lily si voltò di scatto, mascherando in fretta il suo stupore nel trovarsi Christine De Bourgh davanti così, improvvisamente.

“Sto benissimo.” Mise su un sorrisetto. “Adesso puoi pure andartene.”

 L’altra sembrò divertita. “Non credevo che ce l’avessi con me, sai?”

 “Non ce l’ho con te,” replicò Lily in fretta. “Per quello basta Lucy.”

La compagna di casa la studiò per un istante, poi ridacchiò. “Hai ragione.” Lanciò un’occhiata ad Amarillide e Swanilda. “Perdonatemi se vi rubo Lily. L’avete sentita anche voi. Ha bisogno di... aria fresca.”

Passare del tempo con Christine De Bourgh non era di certo il massimo delle sue aspettative; nonostante ciò, la compagna di Casa le aveva offerto un’allettante via di fuga da quegli scomodi discorsi, e Lily non indugiò a cogliere tale opportunità.

Si alzò in piedi. “Infatti,” annuì prontamente. “Non mi sento benissimo. Forse un po’ d’aria fresca mi farà bene.”

Christine accolse le sue parole con un sorrisetto sardonico, mentre Swanilda la guardava fisso con l’aria di non aver creduto a una sola parola. “Certo,” fece, laconica. “Ci vediamo dopo in Sala Comune.”

 “Rimettiti!” trillò Amarillide, che si era bevuta tutto.

Lily si sforzò di sorriderle, quindi scavalcò la panca e si pose accanto a Christine. Quest’ultima, dal canto suo, le circondò le spalle con costruita familiarità, prima di sospingerla con delicatezza lungo il corridoio fra il tavolo di Serpeverde e quello di Tassorosso. Lei ignorò il braccio dell'altra posato sulle proprie spalle finché non furono a distanza di sicurezza: quando Amarillide e Swanilda non poterono più vederle, si divincolò e proseguì per conto proprio fino alla Sala d'Ingresso. Christine accolse il suo gesto con uno sguardo imperturbabile e il solito sorrisetto di chi la sa lunga. Quel fastidioso sorriso che sembrava dire: tu non puoi esserne davvero certa, ma io riesco a leggere dentro di te anche senza essere una Legimante – non hai segreti, non per me.

E Lily ne aveva davvero abbastanza di persone che indagavano nella sua mente, fosse in senso letterale o figurato. 

“Allora? Questa boccata d’aria fresca?” Le labbra di Christine erano ancora incurvate nello stesso sorriso saccente, ma i suoi occhi sembravano mortalmente seri. Lily era infastidita dalla sua voce, flautata e lieve, con quella nota roca: forse quel timbro misterioso le ricordava troppo Dominique.

E non ho voglia di pensare a mia cugina adesso, grazie.

Non ci teneva, veramente. Non dopo aver avuto davanti agli occhi la prova concreta che il proprio ragazzo fosse ancora preso da lei.

… Che poi neanche è il mio ragazzo. Che nervi.

“Grazie per il... salvataggio,” replicò, imprimendo nella propria voce tutta la calma che riuscì a raccogliere. “Ma no, grazie. Preferisco stare per conto mio.”

 Lo sguardo scuro e insondabile di Christine non cedette di un millimetro. “Peccato che io avessi bisogno di parlarti.”

Lily percepì i battiti del proprio cuore accellerare lievemente. “Peccato che io non abbia voglia di ascoltarti,” ribatté sullo stesso tono.

“Non sta a te decidere.” La voce dell’altra suonò melodiosa, ma anche terribilmente irritante.

“Tu dici?” replicò lei, brusca, e fece per andarsene.

Christine la trattenne, afferrandole il gomito. “Davvero, Lily. Devo parlarti.”

Lily aggrottò le sopracciglia. "Sappi che non mi interessa quello che–"

"Probabilmente non ti interessa," convenne Christine, osservandola con un curioso luccichio negli occhi. "Ma ti interesserebbe, se sapessi di cosa si tratta."

Maledetta, rimuginò fra sé. La stronza aveva fatto leva sulla sua curiosità – bella mossa, non c'era che dire; sapeva quello che faceva. Lo sapeva fin troppo bene, e a quanto pareva conosceva Lily più di quanto lei stessa non pensasse.

Rimase ferma lì dove si trovava, la postura rilassata ma l'espressione rigida. 

"Parla," disse freddamente, lapidaria. Non voleva dare alla stronza così soddisfazione – le sarebbe dovuto bastare l'averla incastrata; non sopportava l'idea di vedere la De Bourgh gongolare per averla raggirata con tanta facilità. "E in fretta, non ho tutto questo tempo," aggiunse, giusto per darsi un tono.

Naturalmente, Christine non parve minimamente sfiorata dal suo atteggiamento. Appariva persino divertita, a dirla tutta. 

"Il tuo… atteggiamento delle ultime settimane." Malgrado tutto, la Serpeverde aveva finito per mostrare il primo segno di indecisione. Quasi un passo falso, quella latente difficoltà nel trovare le parole giuste.

Lily era perplessa: non si sarebbe mai aspettata insicurezza da parte di Christine De Bourgh. 

… Questo, almeno, finché non comprese. Era solo un bluff.

E lei non aveva intenzione di lasciarsi fregare.

Sostenne lo sguardo dell'altra, imponendo alla propria maschera di bronzo di non cedere di un millimetro. Il sorriso sulle labbra dell'altra si gelò solo appena.

"Beh?" la esortò sbrigativamente.

Christine parve quasi indispettirsi. Assottigliò gli occhi. "Imitare tua cugina non ha senso." Le sue parole erano più taglienti della lama del coltello. "Così non gli piacerai certo di più."

Fu un colpo basso. Lily ebbe la netta sensazione di aver ricevuto un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco. Gli occhi presero improvvisamente a pizzicarle e dovette davvero fare un enorme sforzo per impedire al proprio mento di tremolare stupidamente. 

Avrebbe dovuto aspettarselo, pensò, che Christine sapesse di lei e Jake – e che non avrebbe tardato a giocare anche quella carta.

"Sei patologica," si ritrovò a sbottare. 

Christine inarcò le sopracciglia, visibilmente perplessa. "Sono patoche?!"

Termine Babbano. Ovvio che non lo conosca, da brava Stronza Purosangue.

"Significa che sei malata." Sibilò guardandola rabbiosa. "Il tuo bisogno di attenzione è malato."

L'altra sostenne il suo sguardo per alcuni istanti, poi diede in una risata cristallina. 

Fu davvero troppo per Lily. Si voltò di scatto e si allontanò a lunghi passi oltre il battente socchiuso dell'enorme portone di quercia, facendosi strada nel parco gelido e deserto. Neanche indossava il mantello: si strinse nel golfino dell'uniforme, avvolgendosi più stretta la sciarpa verde-argento intorno al collo. 

Albus l'avrebbe ammazzata. Da quando era stata aggredita, le aveva intimato almeno duecento volte di non allontanarsi mai dal castello da sola. Ma in fondo se n'era sempre fregata di quel che diceva Albus – oltretutto, aveva la netta sensazione che la Stronza l'avrebbe seguita; e per di più aveva veramente bisogno di fumare una sigaretta in santa pace.

Aveva preso il vizio quasi di proposito, da circa un anno. Le piaceva quel senso di languida rilassatezza che provava aspirando e lasciando che il sapore leggermente acre della sigaretta si diffondesse nella sua gola, per poi soffiare il fumo delicatamente fra le labbra e osservarlo mentre saliva in dolci spirali verso il cielo. Le piaceva così tanto che adesso non riusciva più a farne a meno.

Questo è il mio problema, con le cose. Quando mi piacciono troppo finiscono per farmi male.

Percepì uno strano senso di calore negli occhi, mentre il resto del suo corpo era scosso da brividi di freddo. 

Il vento, Lily. Non stai piangendo, è solo il vento che ti fa lacrimare gli occhi.

Raggiunse un posto ben nascosto, dietro le serre. Si raggomitolò contro la parete di vetro – piacevolmente tiepida grazie agli Incantesimi Riscaldanti che il professor Paciock aveva posto all'interno per non far ibernare le piante; nonostante il lieve tepore, le sue spalle esili continuarono a tremare dal freddo, mentre la sua pelle era percorsa dalla pelle d'oca in ogni singolo centimetro che i refoli gelati riuscissero a raggiungere. 

Armeggiò con le dita ossute e malferme – chissà se per il gelo o per l'agitazione, anche se si sarebbe vergognata ad ammetterlo – e riuscì a estrarre un pacchetto di sigarette Babbane dalla minuscola borsetta a tracolla che aveva portato con sé quella mattina. Non si sprecò neanche a frugare ulteriormente per cercare un accendino: generò una fiammella dalla sua bacchetta magica e accese la sigaretta direttamente da lì. 

Mentre aspirava la prima boccata di fumo, il mento le iniziò a tremare senza che riuscisse più a controllarsi. Delle grosse lacrime presero a rotolarle giù per le guance. Sollevò un braccio e se le asciugò con rabbia, con il dorso della mano.

Le sembrava di avere perso qualche frammento di sé per strada, come se avesse smarrito qua e là pezzi della propria esistenza. Non c'era più niente che andasse come avrebbe dovuto, e faceva davvero tanto male.

Non era giusto che facesse così male, non era giusto che una persona le potesse piacere così tanto e al tempo stesso avere qualcun'altra in testa.

Bisognerebbe innamorarsi solo di chi ti può ricambiare.

E Christine. Perché aveva dovuto dirle quelle parole? Era solo colpa sua.

Udì dei passi avvicinarsi. Si asciugò l'unica lacrima superstite, pregando che i suoi occhi non fossero troppo rossi – anche se avrebbe sempre potuto dar la colpa al freddo. Da quando era passata dallo stato di lattante a quello di creatura autosufficiente, non ricordava di aver mai versato lacrime davanti a qualcun altro, fuorché in situazioni estreme – come quella volta in cui, a otto anni, era caduta dalla scopa da due metri d'altezza e si era fratturata la clavicola. 

Anche quando i passi si fermarono a neanche un metro da lei, continuò a fissare ostinatamente davanti a sé, continuando a fumare la sua sigaretta, scrutando il cielo come se fosse stata alla ricerca di eventuali fiocchi di neve.

Ma non aveva ancora nevicato. Neanche una spruzzata di nevischio.

Poi percepì chiaramente un tramestio, il tonfo leggero di qualcuno che si sedeva per terra accanto a lei. Con la coda dell'occhio aveva intravisto dei capelli scuri raccolti in una treccia morbida e una sciarpa identica alla sua.

"Vattene," sbottò con voce smorzata. "Hai già fatto abbastanza."

"Mi dispiace."

"Eh?!" Si voltò di scatto, talmente incredula all'udire quelle parole che non riuscì a frenarsi. 

Christine De Bourgh mise su l'ennesimo sorrisetto. Solo che era diverso, questa volta. Come se fosse più sincero.

Ma non è come se ci credessi, insomma.

"Ho detto che mi dispiace," ripeté l'altra con voce più chiara. 

Lily la soppesò con lo sguardo per un istante. "Non me ne faccio nulla del tuo dispiacere."

"Greengrass non è più innamorato di tua cugina."

Ebbe la sensazione dell'ennesima pugnalata in mezzo alle costole. Tuttavia, si limitò a sbirciare Christine, cercando di immettere nel proprio sguardo tutto il disgusto possibile. "Tu non sei proprio in grado di farti gli affari tuoi, vero?" replicò gelidamente.

"Trovo che gli affari degli altri siano… interessanti," convenne l'altra con aria di assoluta serenità, ammiccando. 

"Non ti sei mai chiesta perché tutti ti odiano, De Bourgh?"

"Forse non mi importa?"

"Forse perché sei una stronza."

Christine rispose con un istante di ritardo. "Ad ogni modo, non è vero che tutti mi odiano." Un istante solo. Per Lily fu sufficiente.

Mise su un sorrisetto vuoto e fasullo. "In effetti io non ti odio. Mi fai un po' pena, se devo essere sincera."

L'altra aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse – quasi che il vento le avesse ghiacciato le parole nella gola. 

"Forse dovresti lavorare un po' su te stessa," proseguì Lily, pungente. "Te l'ho detto: hai un patologico bisogno di attenzione. Vivi del rovinare le esistenze altrui. Possibile che tu non ti renda conto di essere terribilmente patetica?"

Negli occhi di Christine guizzò un bagliore. Un bagliore infuriato.

Lily sogghignò: la Stronza iniziava ad arrabbiarsi, lei iniziava a sentirsi soddisfatta.

"Forse non te ne rendi conto," infierì ancora, giusto per il gusto di provocarla, "ma la maggior parte di coloro che ti circondano ti commisera."

"Stai attenta, Potter." La voce di Christine uscì simile a un basso ringhio. "Potresti pentirti di ogni singola parola."

"Potrei." Lily convenne, rendendosi improvvisamente conto di aver alzato la voce. "Ma non lo farò. Perché potresti anche avere mille armi per colpirmi… ma io non sono Lucy. Io sono perfettamente in grado di difendermi, e lo sai perché? Perché delle conseguenze non mi importa un accidente!"

L'eco delle sue ultime parole risuonò appena nel parco deserto. 

Ci furono alcuni istanti di silenzio in cui si fissarono dritte negli occhi, Christine irrigidita e Lily – che era scattata in piedi chissà quando – ancora tremante e in una postura aggressiva, come un gatto che stesse per attaccare una preda. 

Poi Christine distolse bruscamente lo sguardo da lei e parve rilassarsi, mentre Lily raddrizzava la schiena. Con voce squillante e uno stupido sorrisetto in faccia, le disse: "Hai finito lo sfogo? Spero che adesso tu ti senta meglio."

Lily per un momento fu combattuta. Non sapeva se prenderla a schiaffi o…

Scoppiò a ridere di gusto. "Sai, De Bourgh? Non sei male come si potrebbe pensare, se si tiene conto che sei umana."

Dall'espressione di Christine De Bourgh, si sarebbe detto che avesse ricevuto una secchiate d'acqua gelida in pieno volto. La sua mascella subì uno spasmo leggero, come se anche lei fosse lì lì per scoppiare a ridere. Ma riuscì a trattenersi. "Mi… mi offriresti una sigaretta? A buon rendere." Era una domanda fatta tanto per fare, giusto per cambiare discorso. Christine sembrava a metà fra il contrariato e il divertito.

"D'accordo," concesse Lily in tono leggero, porgendole il pacchetto. Christine estrasse una sigaretta e glielo riconsegnò, dunque aspirò la prima boccata dopo averla accesa come aveva fatto lei, con la bacchetta magica. 

"Grazie." Fece, formale. "Nevica."

"Oh." Lily alzò la testa verso il cielo. "Hai ragione."

Piccoli fiocchi di neve avevano iniziato a cadere delicati verso il suolo. Volteggiavano nell'aria, in lontananza indistinti e poi sempre più nitidi. Lily provò a sceglierne uno e seguire il suo percorso verso terra, ma naturalmente era impossibile – lo confuse con milioni di altri. 

Improvvisamente, sentì il proprio cuore come inzuppato di una gioia irrazionale. 

Le sue mani erano gelate e tremava sempre di più, i capelli che iniziavano a inumidirsi. "Forse dovrei rientrare," annunciò serafica.

"Forse," convenne Christine roteando gli occhi. "Hai vinto questa volta, piccola Potter. Non ci sarà un bis. Ma questo lo sai, vero?"

"Certo." Fece Lily, ascoltandola solo a metà. Non riusciva a prenderla del tutto sul serio – forse perché Christine stessa non era del tutto seria. 

La compagna di Casa l'accompagnò lungo la strada che conduceva al castello. 

"Potter." La richiamò prima che si separassero, in Sala d'Ingresso. 

Lily si voltò lentamente. "Sì?"

"Non mentivo. Greengrass non ama più tua cugina."

Sospirò. "Non ho bisogno di essere consolata da te."

"Certo." Christine sollevò gli occhi al cielo. "Ovviamente."

Le venne da ridere, ma si trattenne. Scuotendo la testa, salutò con la mano e si avviò verso i sotterranei.

Forse la De Bourgh aveva ragione. Si sentiva meglio, adesso che si era sfogata… abbastanza bene da agire invece che continuare a piangersi addosso. 

Era giunto il momento che Jacob Greengrass si rendesse conto di ciò che stava perdendo. 

 

 

****

 

 

8 dicembre 2021

Sala Comune di Serpeverde, Hogwarts

Ora del tè

 

"Chi pensate di invitare al Ballo?"

Questa non era una domanda che gli piaceva. Insomma, così… su due piedi. In piena Sala Comune.

Come se quest'ultima non fosse già stata abbastanza piena di ochette starnazzanti e – almeno negli ultimi tempi – apparentemente in grado di parlare di un solo, unico argomento. 

Ovvero lo stramaledetto Ballo dello stramaledetto Ceppo.

A Bernie non piaceva parlarne. Da una parte lo imbarazzava da morire l'idea di fare qualcosa di tanto formale e stupido come invitare una ragazza al Ballo. In fondo, era come invitare qualcuna a passare una serata fuori. Si sarebbe ballato e mangiato, con probabile bacio ed eventuale dessert. Insomma, non era poi nulla di che.

Peccato che questa fosse solo la sua opinione, poiché a quanto pareva per la maggior parte della popolazione femminile il Ballo del Ceppo aveva un livello di importanza del tutto diverso rispetto a una qualunque uscita a Hogsmeade. Essere invitate al Ballo costituiva praticamente uno status sociale. 

Le ragazze non gli erano mai sembrate così tante in tutta la sua vita. Erano maledettamente troppe

Percorrere i corridoi era diventato quasi impraticabile. Soprattutto a causa delle ragazze del terzo anno, che avrebbero potuto partecipare al Ballo solo se invitate. A quanto pareva, loro del settimo erano considerati quelli maggiormente papabili, e gruppi piuttosto consistenti di tredici-quattordicenni tendevano a convergere in continuazione nelle loro vicinanze, ostacolando i loro movimenti. Naturalmente, non tutti ne erano infastiditi. Alcuni – come Albus o quel Chris McGregory – si accarezzavano i baffi e gonfiavano i muscoli come stupidi pavoni soddisfatti. Sorprendentemente, Jacob era del tutto indifferente alla faccenda. Si limitava a degnare di un'occhiata sufficiente chiunque fosse nei paraggi.

Anche se, a dire il vero, Jake era sorprendentemente di cattivo umore, negli ultimi tempi. Sembrava aver avuto una ricaduta dei postumi di Dominique. 

Scorpius ignorava la faccenda con molta classe. Bernie si sentiva imbarazzato da morire, anche se riusciva a non darlo a vedere senza troppa difficoltà.

Essere un Serpeverde ha i suoi lati positivi, qualche volta.

"Allora?" insisté Albus, come al solito ospite della loro Sala Comune e spaparanzato sul divano. "Chi volete invitare."

Jacob scrollò le spalle, lo sguardo fosco puntato sul fuoco acceso nel caminetto e un'espressione decisamente truce.

Il festino che ha organizzato la Parkinson stasera gli farà bene.

O forse no: sarà pieno di alcool. Noi Serpeverde facciamo sempre le cose per bene.

"Non distoglierlo dal suo mutismo, per favore," intervenne Scorpius in tono distaccato. "Le conseguenze non sono piacevoli."

Jake gli scoccò un'occhiata non dissimile da quella che avrebbe rivoltò a una mosca molesta, quindi tornò a fissare il fuoco.

La solita primadonna.

"Tu, Scorpius?" insisté Albus. "Chi pensi di invitare?"

"Già fatto," fece l'altro. "Tua cugina."

"Mia cugina?" Albus aggrottò le sopracciglia. "Hai invitato Lucy?"

Scorpius scosse la testa. "No. Io–"

"Ha invitato Rose," intervenne Bernie, pacato. 

"Come amici," si affrettò a precisare il giovane Malfoy.

Bernard non credeva affatto a questa storia di una sana e sincera amicizia, ma d'altronde aveva scoperto che non gli importava poi così tanto – insomma, quella per Rose era sempre stata una stupida cotta da preadolescente. Forse pomiciare con Agnes Cardmaker aveva contribuito a risollevargli il morale: la quattordicenne aveva delle labbra estremamente morbide e carnose, ed era stato magnifico stare con lei nello spogliatoio ancora umido dei vapori delle docce, dopo gli allenamenti di Quidditch. Specie perché poi non c'era stato bisogno di dirlo a nessuno. Agnes era un tipo abbastanza riservato, per fortuna: non un'oca starnazzante che sarebbe corsa a dirlo ai quattro venti.

A dire il vero, Bernie aveva anche pensato di invitarla al ballo, prima di scoprire che ci sarebbe andata con un tipo belloccio del sesto anno di Tassorosso.

Non gli importava nulla, solo che adesso non aveva idea di chi invitare. Per le ragazze quel ballo era importante, non voleva andarci con qualcuna che magari si sarebbe aspettata da lui qualcosa… qualcosa di più che sesso nello spogliatoio di Quidditch, insomma. 

Jake glielo diceva sempre, che si preoccupava troppo per gli altri per essere un Serpeverde.

"Non sapevo che foste diventati amici," stava dicendo nel frattempo Albus. "Rose non è propriamente socievole, insomma."

"Siamo amici," ripeté Scorpius, tagliando corto. Era chiaro quanto quel discorso lo mettesse a disagio.

O forse lo mette a disagio parlare di Rose davanti a me, pensò Bernie, sentendosi improvvisamente fuori posto.

"Devo andare." Si alzò bruscamente. "Credo sia ora della mia ronda."

Ultimamente usava quella scusa un po' troppo spesso. 

Gettò un'occhiata a Jake, che fissava ancora il fuoco. Decise di trarlo in salvo e lasciare Albus e Scorpius a parlare di Rose Weasley in santa pace.

"Vieni, Jake." Ordinò perentorio. "Il Caposcuola prescrive aria fresca."

"Non sei mica un Guaritore," mugugnò Jacob, ma si alzò senza fare troppe storie.

Bernie si sentiva un po' meglio. Una finta ronda in compagnia di un amico immusonito era sempre meglio di una finta ronda in compagnia del proprio malumore.

Mal comune, mezzo gaudio.

Basta puntare sul mezzo gaudio.

Jacob non disse una parola per tutto il percorso. Bernie procedeva un po' a caso, e i suoi passi lo condussero nel parco deserto, già affondato nel buio. Durante la giornata si era depositato uno strato di neve su tutto il perimetro, e il Caposcuola doveva ammettere che il parco gli piaceva da morire, ammantato di bianco a quella maniera. Aveva qualcosa di fiabesco, che gli ricordava la sua infanzia e i primi anni a Hogwarts – gli anni in cui non c'era da preoccuparsi per le ragazze o per aggressori sconosciuti. Si chiese in quale punto delle loro esistenze qualcosa fosse andato storto. Sembrava che si fossero persi per strada un pezzo del puzzle, e che adesso fosse troppo tardi perché calzasse perfettamente al posto che gli spettava.

Faceva davvero freddo: il fiato si condensava davanti alle loro labbra e il gelo strisciava sotto i mantelli, fin quasi alle ossa. 

Improvvisamente, riprese a fioccare. Guardò il cielo e gli venne un improvviso desiderio di volare, sebbene si sarebbe fatto troppo buio ancor prima che potesse raggiungere la rimessa delle scope, e per giunta volare nel mezzo di una nevicata era sconsigliabile. 

Si soffio sulle mani gelate, in un vano tentativo di scaldarsi.

"Allora?" La voce di Jake squarciò il silenzio. "Con la Cardmaker?"

"Con la Cardmaker… Cosa?!" Bernie sgranò gli occhi, esterrefatto. "Tu…"

Jake guardò in direzione della Foresta Proibita, pensieroso. "No, non me l'ha detto nessuno." La sua voce suonò estremamente piatta. "Sì, l'ho capito da solo. No, non è poi così palese."

Bernie emise un piccolo sospiro di sollievo, stupendosi appena di come l'amico avesse eluso una dopo l'altra tutte e tre le domande che gli erano balzate per la testa. Un sospetto improvviso lo colse. "Mi… Stai diventando un Legimante, Jacob?"

L'altro scosse la testa. "Sei tu. Hai sempre le cose scritte in faccia."

"Ah." Sbuffò, seccato. "Beh, se lo dici tu."

"Forse dovresti imparare un po' di Occlumanzia."

"Oh, taci."

Jake piegò le labbra in una sorta di sogghigno sghembo. La cosa più simile a un sorriso che si potesse ottenere da lui, quando era in quello stato d'animo. 

"Come è successo, ad ogni modo?"

Bernie scrollò le spalle. "Niente di che. Lei mi lanciava certi sguardi eloquenti… Mi sono limitato a raccogliere le sue provocazioni."

"Te la sei fatta." Lo vide ghignare, gli occhi che scintillavano nella penombra del parco.

Arrossì appena. "Ecco, se vuoi metterla in questi termini… Insomma, sì."

"Quindi il capitolo Rose Weasley è definitivamente chiuso."

Sospirò amaramente. "Ho mai avuto speranze?"

Jacob non rispose. Quel breve exploit di buon umore doveva essersi già esaurito. Tuttavia, dopo alcuni istanti di silenzio, riprese la parola, rauco. "Pensi di invitarla al ballo?"

Bernie aggrottò le sopracciglia. "Chi, Agnes?"

"Proprio lei."

"Ci va con Justin Canon."

Jacob annuì, pensoso. "Mi spiace, amico." Gli assestò una cameratesca pacca sulla spalla. 

"Fa nulla." Bernie sospirò. "Non è che ci tenessi particolarmente. Solo che adesso non so chi invitare."

"Come ti capisco," replicò l'altro in un mormorio.

Bernard aggrottò le sopracciglia, dispiaciuto. "Jake, non dirmi che pensi ancora a–"

"Non penso a Dominique, se è questo che intendi." Chiaramente a disagio, Jacob si frugò in tasca, finché non trovò un pacchetto di sigarette Babbane.

"Dovresti smetterla con quelle cose." Bernie ritenne doveroso redarguirlo. "Ti fanno male, lo sai?"

L'unica cosa che si guadagnò fu un occhiataccia da parte di Jacob, che per il resto lo ignorò completamente. Accese la sigaretta e aspirò una lunga boccata, rimanendo a osservare il fumo che si disperdeva quasi impercettibilmente nell'aria gelida; le sue sopracciglia erano aggrottate e lo sguardo più fosco che mai.

"Ne sei sicuro?" Bernie esitò. "So che è venuta a vedere la prima prova."

"L'ho incontrata," ammise l'altro. "Ma non è questo il punto… non solo."

Lo osservò per qualche istante, scrutando attentamente la sua espressione. "Qual'è il punto, allora?"

Jacob liberò il fumo che aveva aspirato, quindi strinse appena le labbra. "Sai tenere un segreto, Bootie?"

 

 

****

 

8 dicembre 2021

Gelateria Florian Fortebraccio, Diagon Alley

Pomeriggio

 

Ellen scoppiò a ridere. A dire il vero, lei e Marcus ridevano già da un pezzo: il ragazzo poteva apparire presuntuoso e arrogante, con quel suo modo di fare così vanesio e spocchioso, ma – come aveva scoperto – era anche estremamente auto ironico. E divertente. 

Il loro si sarebbe potuto dire l'appuntamento perfetto. Il tè aveva un gusto delicato, nella caffetteria di Fortebraccio c'era un bel tepore e il clima fra loro due era sereno e complice. Peccato che non fosse Marcus la persona con cui avrebbe voluto avere un appuntamento. 

Si sentiva un po' in colpa, a dire il vero. Flint le era simpatico, non voleva rischiare da suscitargli false impressioni. Il fatto era che Ellen non era particolarmente pratica di queste cose. Non era stata in grado di rifiutare l'invito, e adesso non era in grado di mettere in chiaro le cose.

"Guarda che l'ho capito che non ti piaccio," fece Marcus una volta che le loro risa si furono placate, quasi le avesse letto nel pensiero.

Ellen sussultò. "Di cosa stai parlando?" chiese in un filo di voce.

Il ragazzo sorrise bonario. "Ti rendi conto di non essere minimamente in grado di mentire, vero?"

"Ehm."

"Dai, non c'è problema. Anche tu non piaci a me." Marcus incrociò le braccia dietro la testa e si rilassò all'indietro, lo sguardo fisso verso l'alto e l'espressione pensosa.

Ellen bevve un sorso del proprio tè. "Perché mi hai invitata a uscire, se non ti piaccio?" Si sentiva in imbarazzo: di certo non era una situazione comune.

Marcus tornò a guardarla. "Volevo far contenta mia madre. Sai, non è esattamente entusiasta del fatto che io passi molto tempo all'estero e faccia un lavoro tanto pericoloso."

Lei sospirò. "Visto che siamo in tema di confessioni," ammise passandosi una mano sulla fronte, "anche io ho detto di sì per far contenta mia madre. Era così felice che finalmente avessi un appuntamento."

"Perché, non ti capita spesso?" Marcus sembrava davvero perplesso. "Ellen, sei… davvero bella. Com'è possibile?"

Ellen fece spallucce. "Sono sempre stata piuttosto timida." Come giustificazione era piuttosto banale, ma passabile.

"Certo." Il ragazzo roteò gli occhi. "Avanti, confessa. Come si chiama lui?"

"Lei." Ellen si accorse di ciò che aveva detto solo qualche istante dopo aver pronunciato quella parola. Arrossì di botto e si premette le mani sulla bocca, orripilata.

Marcus sembrò interdetto solo per un istante, poi si ricompose. "Allora, come si chiama lei?" riformulò la domanda come se nulla fosse.

Decise di rispondere sulla stessa lunghezza d'onda. "Hera," rispose con più naturalezza possibile, nonostante avesse il sospetto che la sua faccia stesse raggiungendo l'esatta tonalità di un pomodoro maturo. 

"State insieme?" Il tono di Marcus suonò esageratamente professionale.

La cosa la divertì e riuscì a metterla di nuovo a proprio agio. "No. Ci limitiamo a–"

"Flirtare?"

"Esatto." Annuì. "Flirtare è la parola giusta."

Marcus non dispose, si limitò a scoccarle una strana occhiata densa. 

Improvvisamente, capì.

"E tu?" Ammiccò. "Come si chiama la tua… o il tuo, ecco. Insomma, hai capito."

"Lei non si chiama. E comunque non mi vuole."

"Dai, non puoi esserne certo!" A giudicare dallo sguardo che le lanciò, Marcus non doveva essere dello stesso avviso. 

"Lei non si chiama. Vuol dire… Non c'è nessuna lei."

Lo studiò per alcuni istanti. "Eri un Serpeverde, Marcus. Dovresti essere in grado di mentire."

Il ragazzo sospirò teatralmente. "Non sto mentendo, maledetta Grifondoro."

Lei inarcò le sopracciglia scettica. "Dai. Sai che puoi dirmelo."

Marcus sbuffò. "Lei è un Auror. E mi odia."

"Auror." Ellen ci mise qualche secondo a registrare. "E ti odia."

"Pensa che io sia un perfetto cretino. Me lo ripete quotidianamente dai tempi di Hogwarts."

Ellen poggiò entrambi i gomiti sul tavolo e accomodò la testa fra i palmi delle mani, pensierosa. "Andava a Hogwarts più o meno contemporaneamente a te e ti odiava. Quindi dovrei conoscerla, almeno di vista. Era un tipo popolare?"

"Direi." Marcus sospirò e si affrettò a nascondere il volto nella sua tazza di tè. Lei trattenne una risatina con una certa difficoltà: Marcus Flint Jr era un ragazzone grande e grosso, con spalle larghe e un torace imponente – difficilmente qualcosa l'avrebbe nascosto, figurarsi una tazza da tè. 

"Mmh." Emise un breve sbuffo. "Una ragazza che a Hogwarts era popolare e adesso è un Auror. Ti odiava… Rivale di Quidditch?"

"Fuochino," borbottò il ragazzo di rimando.

"Grifondoro, probabilmente." Sentenziò ancora Ellen. "Non potrà es– Ho capito!" esclamò, trionfante, colta da un'improvvisa illuminazione. "Holly Wynne Greengrass."

"Già." Marcus la guardò, derelitto. "Non fa altro che darmi dell'idiota ogni giorno da dieci anni a questa parte."

"Hai mai provato a farti avanti?" Ellen non era un asso in cose simili. Si sentiva terribilmente inadatta a dare consigli di questo genere, ma in un simile frangente non sapeva cosa altro fare.

"Ripetutamente." Sbuffò. "Ma non mi ha mai preso sul serio, credo. Anche se non credo di farle così schifo… Le sue reazioni con me sono sempre esagerato. A dire il vero, ero sempre stato convinto di piacerle, sotto sotto."

"Ma… ?"

Il ragazzo le lanciò un'occhiata mogia. Sembrava davvero demoralizzato. "Te l'ho detto, non mi prende sul serio."

"Hai pensato di provare a farla ingelosire?" L'idea le era balenata in mente così, all'improvviso. Le dispiaceva così tanto per Marcus – il quale, nonostante il suo modo di fare in principio così vanesio, era davvero un caro ragazzo – che sentiva un bisogno istintivo di aiutarlo. Qualcosa dentro di sé le suggeriva che il suo nuovo amico meritava davvero di essere felice.

Cosa dicevano i veri Grifondoro? Mai ignorare l'istinto.

"Ci ho pensato, in effetti. Ma come?"

Dannazione, Marcus. Sei un Serpeverde: sbaglio o voi ottenete sempre quello che volete?

Ellen aggrottò le sopracciglia, incerta sul da farsi. "Usciamo di qui?" propose.

L'altro si rivelò d'accordo. Raggiunsero la cassa, e il ragazzo insistette molto cortesemente per essere lui a offrire. "Insomma, è pur sempre un appuntamento," si giustificò in un mugugno.

Una volta che si furono ritrovati all'aperto in Diagon Alley, Ellen si sentì subito meglio, come se l'aria gelida avesse prontamente schiarito il suo cervello. Aveva ripreso a nevicare leggermente sull'acciottolato già imbiancato ai margini – il centro della strada era stato precedentemente liberato con un paio di Incanti Spazzaneve. 

Si strinse nel suo cappottino grigio, e Marcus le circondò le spalle con un braccio, come una coppia di fidanzati.

Il vento gelido faceva sferzare nell'aria la sciarpa rossa e gialla di Ellen. Anche se non era più a Hogwarts, le piaceva indossare – più o meno – i colori di Grifondoro, qualche volta. Lei e Marcus camminarono fianco a fianco per un paio di isolati, finché il ragazzo non si arrestò improvvisamente, sbiancando. 

"Merda," bofonchiò. "C'è Holly."

Ellen seguì la traiettoria del suo sguardo. Dalla parte opposta della strada, vide la figura sottile di una graziosa ragazza dai capelli biondi, che indossava la divisa da Auror e aveva un'espressione tenace. Lei non si limitava a indossare i colori di quella che a Hogwarts era stata la sua Casa, ma addirittura indossava la sciarpa Grifondoro dei tempi della scuola.

Patriottismo puro.

O fanatismo, a seconda dei punti di vista.

Lo sguardo di Holly Wynne Greengrass si posò su di loro – o meglio, su Marcus – e i suoi occhi si assottigliarono pericolosamente, come alla vista di qualcosa di profondamente sgradito.

Ellen capì che bisognava di cogliere l'attimo.

"Marcus," disse in fretta. "Baciami."

L'altro sgranò gli occhi. "Che cosa?!"

"Adesso." Sibilò lei, rivolgendogli la perfetta imitazione di un sorriso zuccheroso.

Marcus capì. 

Posò una mano grande e calda alla base della sua schiena, con l'altra raccolse il suo volto, chinandosi su di lei, e la baciò.

Anche le labbra di Marcus erano calde, ed era piacevole sentirle muoversi con decisione contro le proprie. La sua lingua sapeva del tè dolce che entrambi avevano bevuto e le piaceva stringersi a quel modo al corpo di qualcun altro, ma c'era qualcosa… qualcosa che non andava. Forse il fatto che le guance di Marcus fossero così ruvide e che la sua barba rasata pizzicasse leggermente contro il mento di Ellen. O forse che quel corpo fosse così grande e robusto, privo di morbidezze. Il bacio di Marcus era dolce, ma il modo in cui dall'alto della sua mole lui incombeva su di lei non le piacque affatto. 

Poi, così com'era iniziato, il bacio finì.

Si staccarono ed Ellen si accorse di essere senza fiato, ma anche di aver appena avuto l'ennesima prova che non fosse questo ciò che davvero desiderava.

Marcus tolse la mano dalla sua schiena e fece scivolare casualmente intorno alle sue spalle quella che aveva poggiato sul suo viso. Ellen si sollevò in punta di piedi e gli schioccò un bacio sulla guancia, continuando a recitare la parte della fidanzata perfetta. 

Sembrò funzionare. Gettò casualmente uno sguardo in direzione di Holly, che li fissava basita.

"Non la guardare," avvisò Marcus. "Altrimenti capirà tutto."

Holly Wynne Greengrass scoccò loro un'altra occhiata furente, dunque si allontanò di gran carriera.

"Beh," commentò. "Credo proprio che abbia funzionato a meraviglia."

 

 

****

 

8 dicembre 2021

Sala Comune di Serpeverde, Hogwarts

Tarda sera

 

 

You believe there's something else

To relieve your emptiness…

 

Rose si stava divertendo. 

Non l'avrebbe mai ammesso con Christine e Gwyneth, certo, nonostante tutto quell'impegno da parte loro nell'organizzare una festa in suo onore l'avesse fatta sentire bene, ma la serata si stava rivelando estremamente piacevole. Le compagne di dormitorio avevano avuto occhio nel non coinvolgere nessuno che appartenesse ad altre Case – neanche Hugo o Albus – perché in tal caso si sarebbe indubbiamente formata una ressa inverosimile, e questo a Rose non sarebbe affatto piaciuto. Il risultato era stato un festino abbastanza ristretto: erano stati coinvolti solo gli studenti degli ultimi anni, con alcune eccezioni come Lily Potter e Agnes Cardmaker – tutti rigorosamente Serpeverde.

Ovviamente, come in ogni festa che si rispetti, c'era dell'alcool – Rose sospettava lo zampino di Greengrass, maestro di contrabbando; era abbastanza di buon umore da sopportare persino Jacob di buon grado, il che era tutto dire. Si sentiva abbastanza su di giri da fare cose piuttosto stupide e avere una parlantina insolitamente sciolta.

Forse era a causa del Firewhiskey, già. Se non fosse stata così brilla, non avrebbe mai accettato di partecipare a un'iniziativa tanto demenziale.

L'aveva proposto Christine, naturalmente, con un sogghigno divertito e uno scintillio tentatore in fondo agli occhi scuri, e in quella stanza erano tutti troppo allegri per pensare che lei fosse la De Bourgh, per Merlino, e che davvero non c'era da fidarsi di lei perché forse poteva essere la vera identità di Gossip Witch.

Però Rose sapeva che erano tutte sciocchezze, insomma. Di Christine in fondo ci si poteva fidare – o meglio, lei poteva; fatto sta che adesso l'altra le aveva buttato un braccio intorno alle spalle e Rose le aveva circondato la vita con il proprio, e questo la faceva sentire in qualche modo sicura. La sensazione era piacevole, perché Christine non voleva farle del male – non a lei. Avrebbe cacciato i mostri, se si fossero avvicinati.

E poi Rose era così brilla e i pensieri si riallacciavano confusi l'uno all'altro, nella sua testa, ma non si sentiva male – si sentiva bene.

Rose stava vicino a Chris e stringeva un bicchiere pieno di Firewhiskey nella mano libera. Erano tutti seduti in cerchio e Christine si sporgeva in avanti per far ruotare una bottiglia. Una bottiglia.

Era la balorda proposta di Christine, quella di giocare ad Obbligo o Verità, e tutti avevano acconsentito – chi con entusiasmo, chi con più o meno vera reticenza.

Lo sguardo di Rose incrociò quello di Scorpius. Lui non era del gruppo degli entusiasti e neanche di quello dei reticenti: si era limitato ad accogliere la proposta con tiepida rassegnazione.

Non erano riusciti a parlare per più di trenta secondi di fila, quella sera, ma non era stato poi così brutto – forse perché i loro sguardi si erano trovati spesso, e ogni volta Scorpius le aveva rivolto un sorriso rassicurante e felice per lei. Questo l'aveva fatta sentire ancor meglio di tutto il resto: sapere che la loro amicizia non si sarebbe sgretolata da un momento all'altro come un castello di sabbia.

Cominciò Christine. Si sporse verso il centro del cerchio e fece ruotare la bottiglia vuota di Ogden Stravecchio con un gesto sicuro. La bottiglia girò velocissima per alcuni istanti, poi cominciò a rallentare fino a fermarsi, il collo diretto verso Bernard Boot. 

Liliane Durbuy-Delacour – la quale chissà come era riuscita a imbucarsi – scoppiò in una risata fragorosa.

"Bene, bene…" Christine sorrise, guardando Bernie come se lo stesse soppesando. Nei suoi occhi c'era una scintilla strana. "Obbligo o Verità?"

Boot ricambiò con un'occhiata sospettosa, prima di borbottare: "Verità."

"Delizioso!" Il sorriso di Christine divenne se possibile ancor più largo. "Vediamo… Chi è l'ultima persona con cui sei stato a letto?"

Il ragazzo arrossì appena, forse più per il fastidio che per l'imbarazzo. Quindi gettò un'occhiata in tralice alla Cardmaker prima di biascicare un indistinto: "Agnes."

La ragazza, dal canto suo, non parve minimamente imbarazzata – o se lo era, lo nascose bene.

"Però non funziona così!" protestò Amarillide Stubbins ad alta voce. "Non è giusto che siamo costretti a dire i nostri segreti."

"Dovremmo giocare alla bottiglia e basta," chiarì Swanilda Simpson. "Ama voleva dire questo."

Christine accolse le proteste con quello che parve a Rose un sorrisino soddisfatto più che condiscendente. "Che cosa intendete?" domandò candidamente. "Che prima si stabilisca l'obbligo e poi si faccia girare la bottiglia?"

Amarillide sorrise a quarantadue denti. "Sì, dicevo proprio questo!" annuì con entusiasmo.

"D'accordo," acconsentì Chris in tono leggero. "Facciamo così."

"Ehi, non è giusto!" protestò Bernie, veemente. "Io la mia verità ho dovuto dirla!"

"Mi spiace Boot," fece Christine, sorridendogli. "Mi faro perdonare, te lo prometto."

Lui aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse quando la ragazza si sporse di nuovo in avanti – i suoi lunghi capelli scuri le scivolarono davanti alle spalle – e fece girare  la bottiglia. "Bacio." Stabilì. "Sulle labbra."

Di nuovo diede una secca botta di polso, e di nuovo la bottiglia girò, per fermarsi in direzione di Gwyneth, che scosse una ciocca di capelli dietro la spalla e sorrise. "Chi devo baciare, Chris?" La compagna di dormitorio le fece l'occhiolino, quindi roteò ancora la bottiglia, che si fermò in direzione di Herman Hessler. Quest'ultimo non parve particolarmente entusiasta, sorprendentemente, mentre Gwyneth si sporgeva in avanti e sfiorava le sue labbra con le proprie.

Rose si ritrovò a ridacchiare. Era tutto così stupido e infantile… ma era bello prendere tutto poco sul serio, per una volta. 

Era il turno di Gwyneth per ruotare la bottiglia. "Bacio," riecheggiò le parole di Christine. "Ma questa volta con la lingua."

L'atmosfera era ancora più trepidante di prima quando Gwyneth fece ruotare la bottiglia, che girò e girò fino a puntare… su Scorpius. Esattamente su di lui.

Rose provò uno strano senso di fastidio. 

Gwyneth girò ancora la bottiglia – Rose fece tanto d'occhi, quando si fermò dritta su di lei.

Restò immobile.

Baciare Scorpius?! 

E perché no?, rispose una vocina dentro di lei. Questo è solo un gioco, e voi siete amici. Probabilmente, domattina non ricorderete nulla di qualunque cosa possa succedere stasera.

Ma desiderava fermare il tempo, desiderava fermare se stessa. Lo desiderava disperatamente.

Nonostante ciò, si mosse. Scorpius – che aveva negli occhi una strana espressione intensa – fece lo stesso, poggiando una mano in terra e sporgendosi verso il centro. Anche Rose gli si accostò, finché non furono talmente vicini che solo pochi millimetri separavano la punta del suo naso dal viso di Scorpius. Per qualche istante rimasero immobili e Rose si accorse solo in quel momento che il suo cuore batteva furiosamente, rimbombandole nelle orecchie. 

Poi Scorpius annullò anche l'ultima distanza, chinandosi verso di lei e posando le labbra sulle sue.

 

We will always have the chance 

We can do this one more time...

 

La stava baciando. Stava baciando Rose Weasley.

Le stava sollevando il mento con una mano e teneva gli occhi chiusi, e le mani di Rose si erano aggrappate al bavero della sua camicia e…

… e le labbra. Merlino, le labbra! Le labbra che erano premute contro le sue e sembravano così soffici, così familiari… Forse aveva bevuto troppo, perché sentiva il cuore in gola e uno strano senso di vuoto sordo nelle orecchie. 

Poi le labbra di Rose si schiusero e il loro bacio divenne più profondo – Questa volta con la lingua!, la voce di Gwyneth Parkinson risuonò nella sua testa come da un ricordo molto lontano; e Scorpius non riusciva a pensare ad altro che a Rose, a quanto quel momento sembrasse assolutamente perfetto, al modo in cui stava ricambiando il suo bacio, a quanto avrebbe voluto slacciarle la camicetta, sfilarle quelle sue calze smagliate e poi… e poi finì. 

Improvvisamente, Rose si staccò da lui, e Scorpius ebbe l'impressione che venisse a mancargli l'aria. Gli sembrava di non aver fatto altro che pensare di baciarla per tutta la vita e che baciarla una sola volta non fosse abbastanza, non fosse sufficiente.

Si guardarono per un lungo istante – gli occhi della ragazza erano lucidi e lei gli parve bellissima – poi Rose si voltò in fretta e tornò al proprio posto.

Scorpius si ritrasse a propria volta. Era incredibile che il mondo si fosse rovesciato e gli altri non si fossero accorti di nulla.

Realizzò improvvisamente che quel bacio non era stato niente – che era stato solo un gioco.

Per tutti meno che per lui.

"Un… un bicchiere di Firewhiskey, tutto in un sorso," biascicò, facendo ruotare la bottiglia.

Subito si levò un coro di proteste. "Ma che razza di obbligo è!" protestò Leopold Higgs, sesto anno. "Che c'è di divertente?!"

"Infantile," commentò la Stubbins con aria altezzosa, del tutto a sproposito.

Scorpius colse Rose che lo sbirciava di sottecchi. Nel frattempo, la bottiglia si era fermata su Liliane, che come al solito aveva trovato il modo di imbucarsi. La ragazza scolò il bicchiere di Firewhiskey come prescritto, dunque sorrise sardonica e annunciò: "Bacio con la lingua!"

La bottiglia girò ancora, rallentò e si fermò in direzione di Lily Potter.

Scorpius gettò un'occhiata a Jacob: la sua unica reazione fu un leggero spasmo alla mascella, ma era chiaro che si stesse impegnando al massimo per controllarsi.

"La piccola Lily!" trillò Liliane, deliziata. "Chissà chi dovrai baciare."

"Molto divertente." Lily emise un sorriso gelido, mentre Liliane faceva roteare ancora la bottiglia, che si fermò in direzione di… Leopold Higgs.

Scorpius fu sicuro di aver visto il pugno di Jacob contrarsi spasmodicamente. Se mai aveva avuto dubbi sul fatto che l'amico provasse sentimenti per Lily, quello fu il momento in cui ogni dubbio svanì.

Per di più, con quello sbruffone di Leopold Higgs non era mai andato d'accordo. Nessuno di loro era mai andato d'accordo con lui.

Lily inarcò le sopracciglia per un istante, poi incurvò le labbra in una specie di sorrisetto e si sporse in avanti. Leopold fece lo stesso, la sua espressione tutto fuorché dispiaciuta. Si incontrarono a metà del cerchio, e Lily lo baciò senza esitare.

Il ragazzo ricambiò immediatamente e con entusiasmo, posandole le mani sui fianchi e chinandosi su di lei, che aveva poggiato lievemente le dita sulla sua mascella.

Doveva essere durato solo pochi istanti, ma a Scorpius parvero secoli, forse perché per tutto il tempo non era riuscito a non prestare attenzione a Jacob – che dal canto suo non aveva distolto gli occhi neanche per una frazione di secondo, mentre il suo sguardo si faceva sempre più fosco e la sua espressione sempre più visibilmente tetra. Quando Lily si scostò – fissando Leopold negli occhi con espressione ammiccante – Higgs le rivolse un sorriso storto e sollevò la mano per accarezzarle leggermente la guancia. Lei non disse niente, limitandosi a tirarsi indietro e girare la bottiglia. 

"Bacio… senza lingua," sentenziò in fretta, quindi gettò a Jake un'occhiata fugace che a Scorpius sarebbe probabilmente sfuggita se non fosse stato così attento. Jacob invece non la guardava, bensì fissava il punto opposto della sala con espressione nera.

Il fatto è che Lily non poteva proprio rifiutarsi di farlo, o sarebbe parso sospetto. Oh, Jake… perché non hai detto nulla ad Al?

La bottiglia si fermò in direzione di Bernie. Lily la fece girare di nuovo, e questa volta toccò a Christine.

"Te l'avevo detto, Boot, che mi sarei fatta perdonare!" rise la ragazza, quindi si sporse in avanti e premette le labbra su quelle di Bernie prima ancora che il ragazzo avesse il tempo di avvicinarsi a propria volta.

Bernie stabilì un altro bicchiere di Firewhiskey per il turno successivo, che per una qualche beffa del destino toccò a Jacob.

Che poi è l'unico ad averne davvero bisogno.

Ma, in fondo, sapeva che non era così. Sapeva come si sarebbe sentito il giorno dopo, quando avrebbe ricordato di aver baciato Rose, ma che era stato tutto un gioco.

 

 

****

 

Ormai era notte fonda. 

Hugo rientrò nel dormitorio dopo l'ultima ronda, stremato. Si stropicciò gli occhi e sfilò la bacchetta di tasca, poggiandola sul comodino. Quindi scalciò via le scarpe e si spogliò in fretta, gettando i vestiti in fondo al letto e infilandosi i vecchi pantaloni di tuta e la maglietta che usava per dormire.

Sbadigliò e si stiracchiò come un gatto, prima di sollevare come sua consuetudine il bordo del materasso, per controllare che le pergamene con le liste dei sospettati fossero ancora al proprio posto.

Gli ci volle qualche istante prima di riuscire a realizzare che erano sparite.

Improvvisamente in allarme, si mise a frugare freneticamente dappertutto. Svuotò la borsa sul letto, ma ne uscirono solo libri di Incantesimi e un quaderno per gli appunti, più diverse penne d'oca e una boccetta d'inchiostro che si rovesciò, sgocciolando sul pavimento.

Spalancò tutti i cassetti, ogni anta dell'armadio. Svuotò in terra l'intero contenuto del suo baule.

Alla fine, disperato, si mise le mani nei capelli.

Delle pergamene nessuna traccia.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’Autrice

 

ALLELUJA! ALLELUJA! ALLELUJA! No, non ho l’ADSL. No, niente Wi-fi.

Mi sono attaccata alla nuova (e già detestata) Vodafone Station con il cavo Ethernet e ho il portatile sulle ginocchia (sono seduta sullo sgabello del pianoforte). Ma sono qui <3

Mi scuso enormemente per questo ritardo ingiustificabile (anche se ‘sto capitolone è di 17 pagine non è una giustificazione).

Prima ho avuto problemi di organizzazione. Poi internet è partito. Insomma, è stata una serie di sfortunati eventi.

Alla fine sono qua, però!

Vi amo tutti quanti, e spero che questa storia recupererà i followers persi. Capisco che abbiamo tutti problemi di tempo (credetemi, lo capisco) ma un po’ di feedback fa sempre piacere ;)

Anyway, grazie <3 

Luv u so much!

Daphne

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 - Good at Escaping ***



18 dicembre 2021
Cucina di casa Weasley-Granger, Godric's Hollow
Mattinata


"Come sarebbe a dire che non abbiamo i permessi per la Gothalaunia?!"
Harry era semplicemente furioso: possibile che nessuno si rendesse conto della gravità di tutto ciò che accadeva negli ultimi tempi?
Si batté  a palmo aperto le mani sulle ginocchia, esasperato.
Hermione strinse brevemente le labbra. "Harry, fammi il piacere di calmarti," sbottò. "Non sei l'unico con due figli a Hogwarts."
La sua voce suonò spossata.
"Mi dispiace." Harry si sentiva improvvisamente in colpa. Fino a quel momento non aveva fatto altro che gettare addosso all'amica tutta la sua frustrazione, nonostante Hermione fosse in una situazione identica – o forse persino peggiore della sua.
"Non importa." La donna sospirò, diplomatica, prima di armeggiare con la teiera per mettere l'acqua a bollire. Accese il fuoco al di sotto di essa con un colpo di bacchetta, quindi si sedette di fronte a lui presso il tavolo della cucina. Sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli crespi, pensierosa.
"L'indagine in casa di Otto Murray ha prodotto qualche risultato?" si informò cautamente.
Harry scosse la testa, afflitto. "Niente di niente." Perlomeno, era grato all'amica per l'atteggiamento che stava assumendo in quel frangente – sembrava l'unica che prendesse seriamente in considerazione la sua ipotesi, cosa per cui Harry non poteva fare a meno di sentirsi sollevato. Almeno aveva la conferma di non star uscendo di testa, visto che tutti gli altri accoglievano i suoi ragionamenti con occhiate condiscendenti e scuotimenti di capo.
Come se non fosse evidente che c'è un collegamento. Il suo istinto continuava a suggerirgli che fosse così, e Harry del suo istinto si fidava.
La teiera fischiò. Hermione si alzò in piedi e versò l'acqua bollente in due tazze da tè, nelle quali mise a mollo due bustine di Earl Grey – rimaneva fedele alle tradizioni Babbane, per quanto riguardava il tè; dunque posò le tazze sul tavolo e appellò una scatola di latta piena di zenzerotti.
Sul coperchio era rappresentata una lieta famigliola riunita attorno a una tavola imbandita per il tè, il caminetto acceso e l'albero di Natale sullo sfondo. Il panorama che si vedeva fuori dalla finestrella disegnata non era dissimile da quello che si poteva osservare guardando oltre i vetri della cucina di Hermione: Godric's Hollow – ricoperta di neve e abbellita dalle luminarie natalizie – non era molto diversa dalla cittadina rappresentata.
Harry prese un biscotto, soprappensiero, sorseggiando il suo tè. Il tipico sapore al bergamotto si diffuse immediatamente sul suo palato, mentre la bevanda bollente gli procurava un fiotto di calore all'altezza del petto.
Hermione bevve a propria volta un sorso di tè, dunque alzò gli occhi castani su di lui.
"Ripetimi quanto è emerso dall'interrogatorio di Jenny Squalor," ordinò, perentoria.
Harry nascose un sorriso. Non era propriamente in linea con il protocollo d'indagine, ma parlare con Hermione riusciva sempre a schiarirgli le idee. Si soffermò a pensare per un istante, cercando di richiamare alla mente ogni dettaglio che potesse ricordare della registrazione.
"Jenny ha detto che è andata con Tamara fino a un luogo di cui non ricordava l'ubicazione… L'abbiamo identificato, è un abitazione nel Surrey in cui abbiamo fatto un sopralluogo qualche tempo fa. Vicino al luogo in cui Tamara è scomparsa."
Hermione annuì, attenta. Aveva ragione: a volte bisognava ripercorrere i propri passi dal principio, per non correre il rischio di trascurare qualche dettaglio fondamentale.
"Ha guidato Tamara. Jenny ha detto che si è rifiutata di dirle dove stessero andando… Poi sono andate in questa casa, dove Jenny ha perso di vista Tamara. Quindi ha accettato dell'alcool e delle pasticche."
Hermione posò il gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano. Stava riflettendo: a Harry sembrava quasi di vedere gli ingranaggi della sua mente muoversi febbrilmente. "D'accordo, Jenny era impasticcata. Ricorda qualcosa? Qualche dettaglio su chi si trovava nella casa, ad esempio."
Harry aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare. "Ha detto che c'erano delle persone vestite in modo strano, con delle sorta di tonache."
"Tonache?" Hermione inarcò le sopracciglia. "Credi che fossero vesti da mago." Non suonò come una domanda.
Scrollò le spalle. "Ci ho pensato, ma francamente non saprei. Sembra tutto così strano."
"Sei un Auror, Harry." La vide sorridere stancamente. "Le cose strane dovrebbero essere all'ordine del giorno."
"Lo sono." Sospirò. "Almeno negli ultimi tempi."
Lo sguardo di Hermione si perse nelle profondità della sua tazza di Earl Grey. "Come mai Jenny ha riferito di questa serata in particolare?"
"Perché da quella sera Tamara ha iniziato a comportarsi in modo strano." Si massaggiò le tempie. "Questo mi ha fatto pensare alla maledizione Imperius."
Hermione annuì, concentrata. "Ha detto altro nella registrazione?"
'Cantavano in una lingua che non conoscevo… Sembrava latino, credo.'
"Sì. Ha detto che quelle persone parlavano in un'altra lin–" La sua voce si spense alle ultime parole. Sgranò gli occhi: "Che parlavano in un'altra lingua!"
Hermione scattò in piedi, rovesciando tutto il tè sul tavolo, un luccichio folle negli occhi. "Harry, stai pensando la stessa cosa che sto pensando io? La chiave! La chiave è questa!"
Harry, che nel frattempo quasi senza rendersene conto era balzato a propria volta dalla sedia, abbracciò l'amica da sopra al tavolo, preso dall'entusiasmo. "Una lingua sconosciuta!"
"I due ragazzi aggrediti…"
"… La lingua misteriosa potrebbe essere sempre Catalano!"
Hermione si premette le mani sulle guance, esaltata. "Dobbiamo solo trovare il modo di scoprirlo!"
Harry tornò a sedere. Si sfilò gli occhiali e li ripulì sul davanti della divisa da Auror, prima di riassestarli sul naso con un colpo secco. "Bisognerebbe analizzare i ricordi di Jenny Squalor," concluse. "In questo modo potremmo anche avere le idee più chiare sul comportamento di Tamara, quella sera… Dalla dichiarazione che Jenny ha rilasciato, l'atteggiamento della Graysand è conforme agli effetti di una maledizione Imperius. Ma il Ministro…"
"… ha detto che il tuo istinto non costituisce una prova sufficiente," concluse Hermione per lui, comprensiva.
"Esatto," confermò Harry gravemente.
Hermione annuì, soprappensiero. "Credi che Kingsley accetterà che vengano presi in custodia i ricordi di Jenny?"
"Credo che non abbia scelta," replicò Harry, guardandola fisso. Lanciò poi un'occhiata all'orologio da polso – quello d'oro e un po' ammaccato che i suoceri gli avevano regalato per il suo diciassettesimo compleanno, cui l'Auror era profondamente affezionato. "Grazie del tuo aiuto, Hermione. Non so come farei senza i tuoi consigli."
Lei gli sorrise, prima di chiedere: "Devi andare?"
Harry annuì. "Oggi dovrebbero consegnarci l'analisi dei ricordi di Lily."
Hermione lo guardò, serissima, stringendogli la mano per un breve istante. "Stai tranquillo, Harry."
Lui sorrise un po' a stento. "Sì," promise. "Ci proverò."



****



18 dicembre 2021
Stazione, Hogsmeade
Circa le dieci di mattina


You thing I got my eyes closed,

But I'm lookin' at you the whole fuckin' time.

Pearl Jam



Il treno scarlatto fischiava sul binario. Albus si trascinò dietro il baule fino all'entrata del vagone più vicino, quindi salì a bordo e tirò su il bagaglio, con gli avambracci che gli dolevano.
Ci mise un po' troppa energia: il baule premette con forza sul suo stomaco, costringendolo a fare un salto indietro. Andò a sbattere contro un corpo umano, che perse l'equilibrio trascinandolo con sé al suolo, in un groviglio di braccia e gambe.
"Ahia!" Si tirò su, dolorante, e solo allora si accorse di aver travolto nientemeno che Quinn Baston.
La battitrice si ritrasse, rossa in volto. Digrignò i denti e ignorò la mano che Albus le porgeva, appoggiandosi con ostinazione al proprio baule per rialzarsi. Nel frattempo avevano bloccato il transito: Al si fece da parte per permettere agli altri studenti di passare, circondato da un coro di risatine.
Che figura di merda.
Irritato – ma anche piuttosto dispiaciuto – si rivolse a Quinn: "Scusa," borbottò. "Non l'ho fatto apposta, non volevo–"
"Non fa niente," mugugnò Quinn di rimando, burbera come sempre ma anche sorprendentemente garbata. "So che non l'hai fatto apposta."
Albus colse la palla al balzo: sorrise sornione, trattenendosi a stento dall'ammiccare. "Vedo che mi parli di nuovo."
La ragazza inarcò le sopracciglia castane, un brillio scettico negli occhi azzurri. "Educazione," ribatté con voce piatta.
"Sì." Albus si strinse contro la parete per permettere a un gruppo di Tassorosso del quarto di passare. "Già."
Lei gli scoccò un'occhiata raggelante. "Mi sarei aspettata un: scusa, Quinn, per averti fatto il processo alle intenzioni e averti accusata ingiustamente, ed essermi comportato nel complesso come un perfetto stronzo."
Al aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse.
Mi ha smontato.
"Oh," abbozzò. "Sì, certo. Scusa?"
Quinn sospirò e roteò gli occhi, ma sembrava quasi addolcita. "Non mi sembrano scuse particolarmente sentite." Lo guardò. "Ma credo di poterle accettare."
Albus ricambiò il suo sguardo, sollevato. "Ne sono contento." Al che, Quinn gli scoccò un'occhiata penetrante – se ne sentì trapassato da parte a parte. Calò un silenzio imbarazzato: a disagio, il ragazzo strascicò i piedi per terra. "Con chi vai al ballo?" Disse la prima cosa che gli venne in mente, giusto per rompere il silenzio.
Quinn esitò. "Anthony Menley mi ha chiesto di andare con lui, ma gli ho detto di no perché–"
"Ci vieni con me?" la interruppe Albus prima di riuscire a trattenersi. "Un… Un'offerta di pace."
Che male c'è? In fondo non ho ancora una dama, e io e Quinn dobbiamo ancora chiarire. Insomma, ritrovare un equilibrio.
Non c'è nulla di male ad andarci come amici.
Quinn parve decisamente stupita di fronte alla sua richiesta, tant'è che in principio neanche lo prese sul serio.
"Stai scherzando?" domandò, interdetta.
Albus sostenne il suo sguardo. "Sono serissimo."
La ragazza sbatté un paio di volte le palpebre. "Oh." Si mordicchiò il labbro. "Va bene, d'accordo." Lo guardò. "Verrò al ballo con te."
"Bene." Albus sorrise, sicuro, quindi le poggiò la mano sul gomito. "Ci vediamo, Quinn."
"Sì." Quinn emise un buffo sorriso da sotto le sopracciglia aggrottate. "Ci vediamo."
Albus le rivolse un'ultimo sogghigno d'intesa, alzando brevemente le sopracciglia, quindi si allontanò, incamminandosi lungo il corridoio del treno ormai in movimento. Il transito di studente proseguiva da un vagone all'altro, ma Al stava cercando i suoi amici.
Si imbatté in Jacob dopo un paio di carrozze: l'amico aveva un'aria nervosa e ostentava lo sguardo fosco che aveva messo su da settimane. Albus aveva archiviato la questione come ricadute di post-Dominique. Conosceva Jacob e sapeva quanto fosse poco opportuno – e prudente – insistere quando era in quello stato, perciò aveva preferito non indagare.
Jake stava tornando a casa solo per un paio di giorni, come tutti gli anni, prima di tornare a Hogwarts. Il Natale lui e Scorpius l'avevano sempre trascorso a Hogwarts, chissà per quale motivo.
"Ciao, Albus," lo salutò l'amico in tono cupo.
"Ciao, Jake!" ricambiò Albus, e insieme si avviarono lungo il treno, alla ricerca di Rose – Bernie era probabilmente intento nei suoi doveri di Caposcuola. Al schiuse le labbra in un sorriso pigro. "Hai trovato una dama per il ballo, alla fine?"
Jacob scrollò le spalle. "Ho invitato Gwyneth." Lo squadrò. "Dal tono in cui mi hai posto la domanda, direi che ne hai trovata una anche tu."
"Sì." Albus si scompigliò i capelli con una mano. "Ho invitato Quinn."
Nel frattempo, avevano continuato a procedere per il corridoio, ma all'udire tali parole Jacob si arrestò improvvisamente. Gli scoccò un'occhiata penetrante, e per la seconda volta nel giro di dieci minuti Al ebbe la netta sensazione che uno sguardo l'avesse passato da parte a parte. "Quinn?" ripeté l'amico, perplesso. "Quinn Baston?"
"Quante altre Quinn conosci?" replicò lui distrattamente, riprendendo a camminare.
Jacob lo seguì, fissando lo sguardo in alto con fare pensieroso. "Perché?" domandò semplicemente.
"Deve esserci un perché?" Albus fece spallucce. "Mi è preso di invitarla e l'ho fatto. Niente di più semplice."
L'altro inarcò brevemente le sopracciglia. "Ma perché lei?"
"Perché tutte queste domande?" Albus sbirciò dentro uno scompartimento, oltre il vetro del quale aveva preso per Rose la testa rossa di una Tassorosso del sesto. Guardò Jacob e sogghignò. "L'ho fatto perché mi andava, fine."
Jake alzò gli occhi al cielo. "Sai, non credevo che la considerassi una donna. Hai sempre affermato il contrario. Posso essere perlomeno stupito?"
Albus sbuffò: tutte quelle domande cominciavano seriamente a infastidirlo. "Io e Quinn siamo ai ferri corti da settembre. Mi è sembrata una cosa carina da fare… Una specie di offerta di pace."
"Piuttosto fuori dall'ordinario, come offerta di pace," osservò Jake con nonchalance, senza nascondere un sorriso allusivo.
"Piantala, dai."
"Come vuoi tu." L'altro fece spallucce. "Ma sei l'unico che non si sia accorto che Quinn Baston non è affatto male."
Questa volta fu Albus a fermarsi improvvisamente. "Che cosa?!"
"Mi hai sentito perfettamente." Jacob proseguì a camminare come se nulla fosse. "Parlo limitatamente al piano estetico, ovviamente," chiarì. "Per il resto è insopportabile. Però ha un bel corpo."
"Stronzate." Fischiettò. "Non è un granché."
Jacob alzò gli occhi al cielo, ma sembrava divertito. "Se vuoi pensarla così," concesse. "Prima o poi cambierai idea."
Albus sogghignò e sbirciò dentro l'ennesimo scompartimento: riconobbe la figura di Rose, più la testa rossa di Lily e una figura che gli parve di riconoscere come Christine De Bourgh.
Rivolse a Jake un cenno d'intesa, dunque aprì la porta scorrevole dello scompartimento e si infilò al suo interno, lasciandosi cadere di fianco a Scorpius sul sedile rivestito. Assestò all'amico una fraterna pacca sulla spalla, quindi allungò le gambe e si stiracchiò.
Lily gli scoccò uno sguardo in tralice, un sopracciglio leggermente inarcato.
Albus le lanciò un'occhiataccia. Non era ancora riuscito a perdonarle del tutto il fatto che fosse uscita dal castello da sola, dopo quanto era accaduto… Tornando in compagnia di Christine De Bourgh, oltretutto.
Quanto di meno affidabile ci sia in tutta Hogwarts.
Okay, non proprio. C'è anche Hessler.
Spesso Albus aveva avuto l'impressione che la De Bourgh fosse in grado di leggere nel pensiero: aveva quel modo così fastidioso di non farsi mai cogliere di sorpresa, trapassava con lo sguardo – questo lo faceva anche Jake, ma in modo diverso: lui indagava, Christine sapeva. Aveva uno sguardo che metteva a disagio.
Al si agitò un poco sul suo sedile, percependo gli occhi della De Bourgh perforargli la testa. Rassegnato, la guardò a propria volta. "Ciao, Christine," disse, sospettoso.
Per tutta risposta, le labbra della ragazza si incurvarono in un sorrisetto – Al ebbe l'impressione che lei sapesse con precisione cosa gli stesse passando in testa. "Ciao, Potter."
Lui le rivolse un ultimo cenno del capo, dunque si rivolse a tutti: "Bernie è con i Prefetti?"
"Sì." Fu Rose a rispondere, quieta. "Anche Gwyneth. E Hugo… ha detto che ci raggiungerà dopo."
Albus boccheggiò per un momento. "Aspetta. Hugo che abbandona l'Alta Corte Corvonero per stare con noi?" La cosa lo fece insospettire: non era nell'indole di Hugo degnarli della sua intellettualmente superiore presenza quando avrebbe potuto passare del tempo con gente al suo livello, a meno che… A meno che non vi fosse in ballo qualcosa di grosso.
Lo sguardo che Lily gli lanciò dal suo posto vicino al finestrino fu più che eloquente.
"Alla fine con chi andrete al ballo?" domandò Christine improvvisamente, con un candido sorriso ingannatore. "Non tu, Rose. So che ci vai con Scorpius." Sogghignò. "Potter?"
"Ho invitato Quinn Baston," rispose, preparandosi ai commenti che di certo sarebbero seguiti.
Sorprendentemente, invece, Christine non disse nulla. Si limitò a fare spallucce e rivolgersi a Lily: "Piccola Potter?"
"Leopold Higgs," mugugnò scontrosa quest'ultima.
Albus si infastidì. Insomma, Leopold Higgs? Uno degli individui più sbruffoni e strafottenti che conoscesse: non l'aveva mai sopportato. Gli sembrava così viscido… e adesso avrebbe ballato con la sua sorellina.
No, non andava affatto bene.
"Stai uscendo con Leopold Higgs?" Si sforzò di suonare severo.
Lily sorrise gelidamente. "No. E anche se fosse, non sarebbero affari tuoi."
"Sì che lo sarebbero," la contraddisse. "Sono tuo fratello."
"Appunto. Mio fratello, mica il mio cane da guardia."
Albus si irrigidì. "Higgs non mi piace."
"Sai?" Gli occhi di Lily si assottigliarono. "Non me ne importa proprio niente, Al." Si alzò. "Se volete scusarmi, ma non sopporto più mio fratello."
Detto ciò, attraversò a testa alta lo scompartimento e si dileguò oltre la porta scorrevole, che si richiuse alle sue spalle con uno schianto.
Al restò qualche istante a bocca aperta, basito.
"Ahia," fece Christine. "L'hai fatta proprio infuriare, eh?"
"Ho ragione io." Albus non demorse. "Non lei. Io."
"Quando fai così mi sembri un bambino capriccioso, Al." Lo sguardo di Rose si posò severo su di lui. "Devi sempre esagerare."
"Io non esagero!" si difese. "Solo che–"
Rose continuò a fissarlo. "Niente solo. Vai a chiederle scusa."
Lui sospirò. "La conosci, Rose. Non mi ascolterà mai, finché è arrabbiata."
"Allora mandaci qualcun altro," suggerì Christine, melodiosa.


****


Run when it hits the ground,

I'm good at escaping

But better at flaking out.

Foo Fighters


Il destino aveva davvero un pessimo senso dell'umorismo, pensò Jacob fra sé – non c'era altra spiegazione. Albus aveva fatto infuriare Lily in tempo record, e Jake era rimasto sulle prime basito quanto gli altri – come al solito, l'unica che non sembrasse perlomeno stupita era Christine; quindi aveva sentito il prepotente bisogno di andarsene di lì, sebbene una parte di lui sibilasse la più profonda approvazione per le parole di Albus. La stessa parte che avrebbe voluto prendere Higgs e trasformarlo in una pustola, per essere più precisi.
Alla fine era riuscito ad andarsene dallo scompartimento, ma non nel modo in cui avrebbe voluto.
Christine aveva suggerito con candore di mandare qualcuno a parlare con Lily, e quando Jake aveva percepito gli occhi di Albus posarsi su di sé si era sentito parimenti euforico e colpevole.
"Vai tu," gli aveva detto Albus. "Probabilmente ti ascolterebbe più di quanto non farebbe mai con me."
Non ci scommetterei.
Naturalmente si era sentito un verme… Stava tradendo la fiducia di Albus. Non aveva fatto altro fino a quel momento.
Sospirò, frustrato, quindi cercò di riflettere su dove Lily potesse essersi cacciata. Quando era arrabbiata o stava male, lei tendeva a non volere nessuno vicino – non sopportava neanche i passanti; probabilmente era andata in qualche luogo dov'era impossibile che passasse qualcuno. Come ad esempio…
La carrozza bagagli.
Si incamminò, risoluto, e giunto a destinazione scoprì di non essersi sbagliato. Lily era lì, nello stanzone ingombro di bauli e gabbie di famigli rumorosi.
La ragazza aveva aperto un finestrino, quindi lo sferragliare del treno arrivava fino all'interno. Era affacciata fuori dal treno e stava fumando una sigaretta, l'espressione imbronciata e le sopracciglia aggrottate. Se anche si era accorta del suo arrivo, non diede segno di aver preso nota della sua presenza.
Jake rimase a guardarla per qualche istante, pensando a quanto fosse bella, con quell'espressione pensierosa e una spalla magra scoperta dai capelli rossi che piovevano tutti da un lato del viso.
Sospirò e la raggiunse, ponendosi di fianco a lei affacciato al finestrino e – già che c'era – si accese una sigaretta a propria volta. Lily non lo degnò di uno sguardo – non aveva tutti i torti, Jake lo sapeva – ma la vide deglutire. "Ti ha mandato Albus?" Finalmente la ragazza si decise a parlare, in tono smorzato.
"Già." Jacob aspirò una boccata dalla sua sigaretta, sentendosi improvvisamente in difficoltà. Si chiese in che punto fosse riuscito a rovinare tutto.
Stavano male entrambi. E allora perché non può tornare tutto come prima?
… Perché com'era prima non andava bene. E Lily si è chiusa a riccio.
Era proprio questa la sua impressione: che Lily stesse erigendo un muro fra di loro. Come se mi volesse isolare dal suo mondo.
Lily continuò a non guardarlo. "Ironico," commentò in tono tetro.
"Esatto." Jacob sospirò. "Il destino ha un pessimo senso dell'umorismo."
Finalmente si voltò verso di lui. "Il destino, Jake?" Fece, scettica, guardandolo negli occhi.
"Mi sono espresso male?"
Fece una smorfia. "Non sarebbe la prima volta."
"Vai al ballo con Higgs?" domandò prima di riuscire a trattenersi, mentre il suo cuore perdeva un battito.
Lily rise amaramente. "Anche tu?!" La sua espressione vacillò appena. "Sì, Jake. Andrò al ballo con lui. Del resto, ti ricordo che tu non mi hai invitata."
Jacob ebbe l'impressione che qualcuno gli avesse rifilato un pugno ben assestato in pieno volto. Gli pareva quasi di sentire in bocca il sapore ferroso del sangue. Chiuse gli occhi per un momento, li riaprì. "Vuoi venire al ballo con me, Lily?"
"Non è carino dare buca."
"Andiamo, Lily!" Jacob respirò bruscamente. "Potresti farlo."
"E perché dovrei?" Il suo tono era gelido. "Per te?"
Ogni parola era peggio di una stilettata. "Ad esempio."
"Io non do buca alla gente."
Non ebbe difficoltà a cogliere la frecciatina. "Non ti ho dato buca, Lily. Non l'avrei mai fatto."
Lei lo fissò, con uno sguardo che sembrava volerlo trapassare da parte a parte.
Non avrebbe detto ancora una volta che gli dispiaceva. Non l'avrebbe fatto. "Lily, vuoi spiegarmi perché ce l'hai con me in questo modo?"
"Se davvero non ci arrivi da solo, allora non vale la pena che ne parliamo." La sua voce aveva perso qualche tono.
Jacob cominciava a innervosirsi, forse perché nel profondo sapeva che lei aveva ragione. "C'è qualcosa che posso fare?" La frase suonò più dura di quanto avrebbe voluto, e naturalmente Lily se ne rese perfettamente conto.
"Devo dirtelo io?" La voce della ragazza uscì in un sussurro smorto.
Jacob – che era voltato verso di lei – la guardò per alcuni istanti, quindi credette di capire. Si chinò su di lei e posò le labbra sulle sue, i gomiti ancora poggiati sul davanzale del finestrino, del tutto dimentico della sigaretta accesa.
Gli era mancata. Da morire.
Lily ricambiò il suo bacio per alcuni istanti, prima di scostarsi bruscamente. Jake fece per posarle cautamente un braccio sulle spalle, ma bastò lo sguardo significativo che lei gli lanciò per fargli cambiare idea. Erano più che eloquenti, certi sguardi di Lily.
"Non può essere finita," si ritrovò a mormorare. "Non adesso."
L'idea stessa gli sembrò improvvisamente inconcepibile.
"Perché?" Forse la cosa peggiore era sentire la voce di Lily così stanca, così arrabbiata. "Non vuoi rinunciare alla tua distrazione?" la udì sibilare.
Queste parole lo ferirono… e lo fecero infuriare. Come poteva Lily essere così convinta di una cosa talmente sbagliata, così diversa dalla realtà? Perché aveva così poca fiducia in lui?
"Non ho intenzione di rinunciare a te." La guardò. "Che cosa è andato storto?"
"Io sono andata storta, evidentemente."
La vide stringere le labbra fino a farle sbiancare, quindi Lily gettò la sigaretta fuori dal finestrino con un gesto rabbioso – lo fece sentire in colpa, era incredibile quanto fosse diventato lesto a cambiare di umore, negli ultimi tempi. Persino Christine gli aveva fatto notare quanto fosse diventato lunatico.
"Mi dispiace," borbottò, dimentico della promessa fatta a se stesso. "Credo… credo di aver avuto paura. Vedere Dominique non mi ha ricordato lei… mi ha ricordato quanto mi avesse fatto soffrire."
"Sei scappato," esalò lei. "Quando mi hanno dimessa dall'Infermeria… sei scomparso."
"Lo so." Gli sembrava di avere una morsa di ghiaccio serrata intorno al petto. "E credimi se ti dico che mi dispiace."
Lily lo guardò gravemente per parecchi secondi. "Ti credo." Sospirò. "Forse hai bisogno di riflettere."
"Perché, tu no?"
Lei ridacchiò, a sorpresa. "Io credo di sapere già quello che voglio. Sei te a non saperlo."


****


18 dicembre 2012
Carrozza dei Prefetti, Espresso di Hogwarts
Tarda mattinata

A Lucy le riunioni dei prefetti non piacevano affatto. Le trovava noiose e in fin dei conti inutili: regolarmente finivano per trasformarsi in infinite discussioni e recriminazioni sui turni per le ronde. A nessuno piaceva fare le guardie, naturalmente, e tutti cercavano di schivarle come potevano. Fra gli altri c’erano poi i fanatici – fra i quali era annoverato suo cugino Hugo; quei prefetti ambiziosi che sgomitavano in stupide rivalità per guadagnarsi i presupposti di Caposcuola. Si scadeva spesso in scambi di battute taglienti, accuse e contro accuse, cose che francamente Lucy non riusciva proprio a comprendere. A lei a dirla tutta non importava granché di essere un prefetto, sebbene suo padre si fosse profuso in lodi al momento della nomina.
Oltre ai fanatici c’erano gli scansafatiche, quelli che davano buca a una riunione sì e l’altra pure, che svolgevano le ronde a metà e, nel complesso, prendevano molto poco sul serio il proprio ruolo. Lucy non approvava neanche questo atteggiamento: non le piaceva che le persone trascurassero i loro doveri.
E poi c’erano quelli come lei, che erano finiti prefetti un po’ per caso, quelli che erano stati sinceramente sorpresi di ricevere la spilla.
Ad ogni modo, una delle cose dell’essere prefetto che Lucy detestava di più erano le riunioni a presenza obbligatoria sull’Espresso per Hogwarts. Le era sempre piaciuto viaggiare in treno, specialmente quando era inverno e il paesaggio oltre i finestrini tutto coperto di neve. Invece durante le riunioni non riusciva a godersi il viaggio. Poteva gettare solo occhiate fugaci oltre i vetri leggermente appannati, ed era costretta a prestare attenzione a tutti quegli sciocchi discorsi sui turni di guardia e la ridistribuzione delle ronde – invece di lasciar vagare libera la mente come avrebbe voluto.
Il Caposcuola di Serpeverde – Bernard Boot, gruppo dei disinteressati – chiacchierava sommessamente con il prefetto Gwyneth Parkinson, del suo stesso anno, una scansafatiche dalla faccia tosta senza eguali, appena più reattiva dei fannulloni par suo. O forse era solo abbastanza furba da riuscire ogni volta a evitare le ronde più sgradite. La ragazza aveva capelli scuri che le sfioravano le spalle e gambe tornite sotto la gonna dell’uniforme. Non era bellissima – nel suo volto c’era qualcosa di discorde che Lucy non sapeva spiegarsi – ma aveva occhi brillanti e una faccia intelligente. Bernie invece era uno dei migliori amici di Scorpius e davvero un bel ragazzo: i riccioli neri e ordinati gli sfioravano la fronte, contrastando con la carnagione chiara; aveva lineamenti piacevoli e puliti, più un certo aspetto da ingenuo – decisamente falso e decisamente paravento. Probabilmente ci marciava parecchio, su quell’apparenza tanto innocente.
Poco più in là, Hugo sentiva – senza ascoltare affatto, a giudicare dalla sua espressione – le chiacchiere di Cecily Greenwood, l’altra prefetto Corvonero del loro anno, che blaterava chissà cosa a proposito di un voto ingiusto in Aritmanzia.
Come fanno a parlare di scuola quando è finita da neanche ventiquattr’ore? Perché non si godono le vacanze?
Lucy si concesse un momento per osservare il cugino. Hugo aveva un’espressione a metà fra il depresso e lo scocciato. Sedeva tutto ingobbito presso il tavolo, con lo sguardo spento e le occhiaie di chi non dorme sonni sereni da un bel pezzo.
Aggrottò le sopracciglia. Suo cugino appariva pallido, con una certa aria frastornata. Occhiaie profonde cerchiavano i suoi occhi. Era persino dimagrito, lui che mangiava per tre con il tipico appetito Weasley – quella facoltà di poter mangiare di tutto senza ingrassare di un etto che, ovviamente, Lucy non aveva ereditato. Chiaramente qualcosa turbava Hugo: si chiese se non fosse il caso di preoccuparsi.
Subito dopo decise che non gliene importava granché. Del resto, Hugo non si era mai curato di cosa potesse accadere a lei.
Adesso la sentiva di nuovo, la rabbia che a volte la prendeva – quella rabbia immotivata e irrefrenabile, che scaturiva da qualsiasi sciocchezza, cosa che negli ultimi tempi accadeva decisamente troppo spesso. In quei momenti si sentiva simile a un fascio di nervi, pronta a esplodere al minimo tocco.
In bilico sull’orlo di un burrone.
Respirò profondamente, ricacciando indietro il nervosismo con tutte le proprie forze. Si agitò sulla sedia, guadagnandosi l’inarcata di sopracciglio di Teresa Grib e del suo immancabile ragazzo Vincent Greene, entrambi prefetti al sesto anno di Corvonero.
Antipatici.
Si trattenne dal rivolgere loro uno sberleffo e – improvvisamente di buon umore – si chiese da quanto fosse diventata così sfacciata da pensare di fare una cosa simile, lei che era sempre stata così timida e vergognosa.
Ma quando si viene perseguitati da un soggetto come Liliane Delacour ci si può solo adeguare. Si chiama strategia di sopravvivenza.
Già, perché negli ultimi tempi quella matta – perché era fuori come un balcone, Lucy ne era sempre più convinta – la seguiva ovunque, lei e le sue eccentriche mollette. Aveva raggiunto il colmo quando aveva indossato un fermaglio che rappresentava un mezzobusto di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany – uno dei cult di Lucy. Dal lungo bocchino dell’attrice ritratta fuoriusciva del fumo vero.
Lei era rimasta scandalizzata a dir poco, e le aveva domandato perché mai la sua preside non gli avesse sequestrato un oggetto così eccessivo. Madame Laveau-Perrin aveva l’aria di essere un tipetto rigido, per cose come la buona educazione e l’abbigliamento.
A giudicare da come si conciava – e comportava – Liliane, a Lucy veniva qualche dubbio. Specie osservando gli anfibi borchiati della francese poggiati senza il minimo pudore su di un tavolo della biblioteca. Evidentemente, a Liliane non importava un fico secco che le si vedessero le mutande. Alcuni Grifondoro brufolosi del terzo anno passando l’avevano indicata ridacchiando – chissà perché le mutande francesi apparivano ai ragazzi molto più interessanti di quelle inglesi – e Lucy era arrossita come un peperone, vergognandosi a morte.
“Devi piantarla di arrossire per ogni stronzata.” Liliane sorrideva sorniona, aggiustandosi una molletta e masticando bacchette di liquirizia. “Non vivi en la Moyen Âge.”
Lucy non riusciva a inquadrarla del tutto. Spesso si chiedeva in che casa sarebbe stata smistata, se mai avesse frequentato Hogwarts. Era pazza come il più pazzo dei Grifondoro pazzi – qualcosa di superlativamente folle, insomma – ma aveva anche alcuni tratti spiccatamente da Serpeverde.
Una riflessione da non fare in quel momento, però. Fiona Beckett – la graziosa Caposcuola Corvonero dai capelli rossi – battè una volta le mani per richiamare l’ordine, quindi prese la parola. “Buon giorno a tutti,” esordì, seria e compunta. Gettò un’occhiata alla pergamena che aveva davanti, un foglio liscio e senza una piega, ricoperto da una calligrafia minuta e ordinata. “I punti all’ordine del giorno sono i seguenti.” Si schiarì la voce. “Punto primo: organizzazione per l’allestimento del Ballo del Ceppo e distribuzione dei compiti per gli addetti al servizio d’ordine nel corso dello stesso.” A quelle parole salì un mormorio leggero. Chiaramente nessuno ci teneva a svolgere il servizio d’ordine in un’occasione in cui tutti gli altri studenti avrebbero pensato solo a divertirsi. Lily incrociò le dita sotto al tavolo, sperando che non toccasse a lei. “Secondo punto: distribuzione dei turni di guardia per il mese di gennaio, in maniera confurme alle norme vigenti dell’istituto.” In parole povere: stabilire a quali malcapitati sarebbe toccata la notte. “Terzo punto: discussione sullla polemica gettata dal prefetto Kirke in merito alla secondo lui ingiusta distribuzione dei turni di guardia.” Lucy roteò gli occhi. Alex Kirke era l’altro prefetto di Grifondoro del suo anno, un tipetto deciso che aveva messo su una vera e propria protesta perché non accettava che a loro del quinto – essendo novellini nell’ambito – toccassero tutte le ronde più gravose. Secondo lei Alex in teoria aveva ragione, ma in pratica si era messo solo nei pasticci, perché i più grandi avrebbero liquidato i suoi pretesti con nonchalance per poi affibbiare a lui ancor più ronde che agli altri novellini. Non era una cosa furba, guadagnarsi in quel modo l’astio dei prefetti, specie degli ambiziosi, per cui quella gerarchia era questione di vita o di morte. La maggior parte dei Corvonero erano così.
Molly è così. Pazza pure lei.
Hugo sembrava pensarla come lei riguardo a Kirke, perché quando i loro sguardi si incrociarono lui alzò gli occhi al cielo. Lucy camuffò una risata con un colpo di tosse. Fiona tossicchiò a propria volta, lanciandole un’occhiataccia. lei sorrise di rimando. “Quarto punto,” riprese la Caposcuola con voce leggermente stridula. “Varie ed eventuali.”


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18 dicembre 2012
In viaggio per Londra, Inghilterra
Primo pomeriggio

“Come sarebbe a dire che le avevi nascoste sotto il materasso?!” sbottò Lily, infuriata. A dire il vero era arrivata già arrabbiata di suo, e a giudicare da come guardava Albus con gelo, la colpa doveva essere di quest’ultimo. Hugo si strinse nelle spalle, sconsolato.
Come se non mi stessi dando dell’idiota da più di dodici ore.
E non avrei mai pensato di pensarlo.
“E dire che voi Corvonero dovreste esssere intelligenti!” tornò a infierire la cugina, impietosa.
“Lily, basta,” intervenne Rose con voce stanca. “Adesso è inutile fare recriminazioni.”
L’altra scattò in piedi, cominciando a percorrere lo scompartimento – doverosamente protetto da un Muffliato – a passi furenti. “Sotto il materasso! Di tutti i posti...” Sbuffò. “Chi le ha rubate?” sibilò, angosciata. “Chi? Chi?” “Lo stesso che ha rubato la pietra,” parlò Hugo in tono funereo. “Il che conferma le nostre ipotesi. Si tratta di un Corvonero, non c’è dubbio.” “Quindi escludi che possa essere stato Hessler?” domanò Albus, concentrato.
Hugo trattenne un piccolo respiro, che rilasciò poi tutto assieme. “Non escludo niente,” mormorò, disegnando invisibili cerchi sulle palpebre chiuse con i polpastrelli. Il furto delle pergamente gli aveva messo addosso un’ansia e una frustrazione tali che – di ritorno dalla ronda – non aveva chiuso occhio, e il risultato era stata una fortissima emicrania. Quando riaprì gli occhi, sorprese Rose a fissarlo tutta corrucciata, con sguardo preoccupato.
Gli occhi di Rose sono molto meno imperscrutabili negli ultimi tempi – osservò mentalmente. Non avrebbe saputo dire se fosse un bene o un male.
“Cosa possiamo fare?” si lagnò Lily, cui il malumore accentuava parecchi i modi da primadonna. “Mi sento in trappola. Un dannato topo in trappola.”
Il gatto e il topo, come sempre.
Comprese immediatamente che fosse giunto il momento. Non poteva più aspettare prima di parlare agli altri delle icone, del gioco di tracce e indovinelli che chissà chi aveva intrapreso con lui.
“Ascoltate. Devo... devo dirvi una cosa.” La sua voce scemò sulle ultime parole. Improvvisamente, non si sentiva più pronto a parlarne con gli altri... e a pensarci bene, non era una cosa furba da fare. Il misterioso sconosciuto giocava con lui e lui solo: probabilmente se Hugo ne avesse parlato con qualcuno la cosa si sarebbe senz’altro interrotta, e in quel modo lui avrebbe perso la possibilità di scoprire qualcosa grazie agli indizi. Si accorse solo in quel momento che gli altri tre lo osservavano con aria interrogativa. C’era qualcosa che poteva dire. “Non mi fido di Tony Menley,” disse in fretta.
Lily lo fissò e annuì. “Non mi piace. Nessuno dei Menley.”
“Lily, Georgia non ti piace solo perché sei gelosa.” Sentenziò Albus, saputo.
Lo sguardo della ragazza si assottigliò.
Diamine, è davvero inviperita.
“Sotto questo profilo sei l’ultimo che possa permersi di dirmi qualcosa, Al,” disse con voce limpida e uno sguardo tagliente. “Quindi taci, se vuoi fare un favore a tutti.”
La reazione di Albus fu la stessa di tutti i loro litigi. Sembrava esattamente a metà fra l’abbattersi come un cucciolo ferito oppure gridare addosso alla sorella tutte le insensate cose che pensava.
Come sempre, non fece nessuna delle due cose: Lily avrebbe tenuto il muso per un paio di giorni e gli avrebbe rinfacciato la litigata in questione per almeno sei mesi, ma oltre a questo avrebbe ripreso a comportarsi come sempre senza una parola.
Anche se Hugo sospettava che questa volta fosse lei ad avere ragione.
Sospirò. “Ho anche avuto un’idea. Credo che dovremmo coinvolgere Lucy.”
Albus non disse niente. Rose – inspiegabilmente – si irrigidì.
“Perché?” domandò Lily, inespressiva.
Hugo sospirò. “Perché ho la sensazione che ci possa tornare utile sapere con precisione chi frequenta con costanza determinati reparti al posto di altri. Non c’è bisogno che le diciamo tutto,” ci tenne a sottolineare. “Possiamo dirle... che abbiamo una mezza idea di chi abbia aggredito Lily.”
“Hai ragione.” Rose non sembrava entusiasta della cosa, ma pareva disposta a mettere da parte il suo disappunto, a qualunque cosa fosse esso dovuto.
“Va bene.” Anche Albus diede il suo consenso.
Lily si limitò ad annuire.


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18 dicembre 2021
Ufficio del Capo del Dipartimento Auror
Pomeriggio

La frustrazione di Harry stava raggiungendo per l’ennesima volta livelli indicibili.
Non è possibile che sia successo. Spossato, affondò il volto nel cavo delle mani: la sua pelle era bollente sotto la barba di due giorni. La testa gli doleva appena – un dolore accennato ma costante, simile al malessere che lo stava assalendo nel complesso. Aveva voglia di rimettere.
Quella mattina si era diretto verso l’Ufficio Misteri in uno stato d’animo che rasentava l’angoscia più profonda. Si sentiva trepidante ma al tempo stesso quasi baldanzoso: non vedeva l’ora di poter esaminare i referti dei ricordi della sua Lily e chiudere definitivamente quella storia.
Nei pressi dell’Ufficio si era sentito a disagio. Non gli piaceva andare lì, era un posto pieno di brutti ricordi e fantasmi del passato.
È qui che Sirius è stato ucciso. Il senso di colpa non avrebbe mai cessato di tormentarlo, probabilmente, nonostante fosse lenito da anni di pace e felicità. Quella stessa pace che adesso veniva turbata con troppa frequenza.
Aveva deglutito, irrigidendo l’espressione del volto e preparandosi a rispettare la Prima e Fondamentale Regola dell’Essere un Buon Auror: restare il più professionale possibile, qualunque cosa fosse accaduta.
Con una nuova sicurezza, aveva preoceduto per quel corridoio tanto tristemente familiare, con in fondo la porta scura. La prima cosa strana era stato il rumore.
L’Ufficio Misteri era sempre pervaso da un silenzio profondo e inquietante, quel tipo di silenzio che invade le orecchie e fa riecheggiare spaventosamente il tonfo di ogni singolo passo. Invece quella mattina oltre la porta nera – stranamente aperta, realizzò con costernazione – proveniva un brusio altalenante, interrotto di tanto in tanto da esclamazioni più acute.
Non riusciva a distinguere neanche una parola, ma un brutto presentimento lo aveva indotto ad accelerare il passo.
Quello che aveva scoperto poco dopo, non gli era piaciuto affatto – anzi, a dire il vero l’aveva lasciato esterrefatto e orripilato.
Agente Potter, abbiamo brutte notizie,” aveva detto Jerry Boyde, il Responsabile dell’Ufficio Misteri, rigido come tutti gli Indicibili – sembravano più marziali loro degli Auror, su questo non c’erano dubbi. “Qualcuno si è introdotto nell’Ufficio Misteri questa notte. Hanno distrutto l’intera collezione di Pensatoi del Ministero.” All’udire quelle parole, Harry era ragionevolmente sbiancato. Dopo una frazione di secondo in cui la sua mente si era completamente svuotata, in preda al panico, aveva raccolto frettolosamente le idee. “C’è un Pensatoio a Hogwarts.” La sua voce era suonata stranamente distante. “Mi metterò subito in contatto con la preside Sinistra. Non farà problemi per permetterci di utilizzarlo.” Oltre l’espressione neutra dell’Indicibile – Occlumante, non c’era dubbio – a Harry parve di leggere una nota di tristezza, come un dispiacere sincero.
Non credo che sia possibile, agente. I ricordi di sua figlia sono scomparsi.” “Come sarebbe a dire che sono scomparsi?!
Il suo cervello era andato completamente in bianco.
Sono stati rubati, signor Potter.” Nervoso, si tolse le mani dal volto e le sbattè con forza sul piano della scrivania, tornando al presente.
Quanto stava accadendo lo confondeva sempre di più. Non riusciva a schiarirsi le idee.
Se almeno avesse avuto Ron e Hestia lì con lui... ma i due erano impegnati nell’ennesimo sopralluogo al Misteri. Da quella mattina ne avevano effettuati almeno una dozzina – tutti infruttuosi – e dopo aver sprecato mezza giornata a quella maniera Harry aveva desunto che la sua presenza fosse ormai del tutto inutile. Sicuramente la sua persona sarebbe stata meno vanificata se si fosse applicato col cervello piuttosto che star lì a girare come un’anima in pena.
Il problema era che il suo cervello si rifiutava di collaborare. Era andato in esaurimento.
“Disturbo, Potter?”
La testa aristocratica di Theodore Nott si era appena affacciata oltre la porta del suo ufficio. La sua presenza dapprima lo lasciò perplesso, poi Harry ricordò che la squadra di Demelza Robins – della quale Nott faceva parte – era di supporto alla sua per una delle sue indagini.
Il caso Murray, oltretutto. Non sono cose che si possono dimenticare.
Professionalità, Harry!
“Entra pure.” Sospirò brevemente. “Ti manda Demelza?” chiese, cercando di far mente locale.
Il risultato era sempre lo stesso: i suoi neuroni sembravano in sciopero.
Nott annuì appena – un movimento quasi impercettibile – poi gettò un’occhiata eloquente alla sedia di fronte alla scrivania di Harry.
Purosangue. Sempre così ridicolmente formali.
“Accomodati.” Tentò perlomeno di sembrare cortese.
Nott sembrò gradire il suo sforzo. Incurvò le labbra in un sorriso di circostanza e si sedette con movimenti calmi e misurati. “Il Ministro è stato informato dell’... inconveniente dell’Ufficio Misteri.” Alla parola ‘inconveniente’, Nott aveva fatto una smorfia rapidissima. “Ha stabilito che la nostra squadra sia di supporto alla vostra anche per questa indagine.”
Harry annuì, ascoltandolo solo a metà. Per quanto il necessitare di una squadra di supporto ferisse leggermente il suo orgoglio, qui c’era di mezzo il benessere dei suoi figli e di tutti gli studenti di Hogwarts. Sapeva che un simile provvedimento era necessario: le indagini erano a un punto morto ormai da troppo settimane.
“Benissimo.” Convenne.
“Sono stato incaricato di informarti anche che il Ministro si è detto d’accordo sulla tua proposta di porre alcuni agenti di stanza a Hogwarts.”
Finalmente una buona notizia.
Afferrò un foglio violetto dalla pila di quelli destinati a diventare promemoria interufficio. Scarabocchiò un paio di nomi, scrisse il nome del destinatario e quindi lo colpì piano con la punta della bacchetta magica. Quello si ripiegò fino a diventare un areoplanino di carta e si infilò volteggiando sinuosamente fuori dalla porta.
Quando sollevò di nuovo gli occhi su Theodore Nott, sorprese il coetaneo a fissarlo con sguardo indecifrabile. Sembrava sardonico, o forse apprensivo, o forse un’altra cosa totalmente opposta e incompatibile con le altre.
Era un buon Auror, Nott. Era astuto, guardingo, intuitivo; manteneva il sangue freddo in tutte le situazioni e, soprattutto, aveva il dono della sintesi.
Harry lo sapeva, e non esitò ad approfittarne.
Non avrebbe senso.
“Che cosa pensi di questa storia, Nott?” Abbandonò subito i formalisimi. Agente qua e agente là... Non faceva per lui, specie in un frangente come questo.
L’altro tacque per un istante. Per una frazione di secondo, Harry pensò che non gli avrebbe risposto.
“Penso che sia quantomai intricata.” L’ex-Serpeverde soppesava con attenzione ogni parola. “I ricordi di tua figlia sono stati rubati, i Pensatoi distrutti... è chiaro che nella mente della ragazzina c’è la chiave, o il malfattore non si sarebbe preso la briga di far scomparire gli indizi a quella maniera.”
Fin qui potevo arrivarci anche io.
“Sai anche tu qual’è la soluzione.” L’Auror lo guardò con aria impassibile.
“Un Legimante.” Harry sospirò. “Pensi che la mente di mia figlia debba essere violata? No, è troppo pericoloso.”
Nott scrollò le spalle. “È naturale che sollevi simili obiezioni. Posso capirti. Anche io ho una figlia a Hogwarts.”
Questo lo sorprese davvero. Non sapeva neanche che l’altro fosse sposato. Gettò un’occhiata rapida alla mano sinistra del collega: non portava la fede.
Nott aveva seguito la traiettoria del suo sguardo – Harry se ne accorse quando alzarono gli occhi simultaneamente, l’altro con lo stesso sorriso sardonico di prima; si sentì arrossire.
Che gaffe vergognosa.
Il collega non parve prendersela.
“Non sapevo avessi figli,” borbottò Harry imbarazzato, cercando di rimediare mentre dava una sbirciata all’espressione impassibile dell’altro.
“Frequenta il primo anno,” rispose Nott sibillino.
Harry aggrottò le sopracciglia. “In che Casa...”
“Serpeverde.”
Come Lizzy.
“Allora starà in dormitorio con mia nipote.” Sospirò brevemente. “Elizabeth Dursley.” Consapevole che fosse un cognome nettamente Babbano, osservò Nott inquisitorio. Quello non batté ciglio.
“Adelaide mi ha scritto qualcosa su di lei. Sembra che vadano d’accordo.”
“Bene.” Se sua nipote e la figlia di Theodore Nott erano amiche, probabilmente non sarebbe stato poi così ostico per loro due instaurare un rapporto – se non buono – quantomeno decente.
Qualcuno bussò alla porta, interrompendo quello strano momento di confidenza.
“Avanti.” Harry si sorprese ancora una volta di quanto suonasse spossata e stanca la sua voce.
Si fecero strada nella stanza due familiari teste bionde. Una apparteneva a suo nipote Louis Weasley, che portava impressa sul volto la sua tipica espressione accattivante. Gli sorrise, sghembo.
“Ciao, zio Ha– Voglio dire: buonasera, signore.” Mise su un’espressione atterrita per nulla credibile.
A Harry venne da ridere: l’atmosfera nella stanza sembrava essersi scaldata almeno un pochino – Louis aveva sempre avuto questa capacità speciale di mettere tutti a proprio agio.
A meno che non trovasse espremamente divertente, in un determinato momento, mettere qualcuno terribilmente in imbarazzo. Quello gli riusciva parimenti bene, ma – per fortuna – non era questo il caso.
Di solito è la povera Molly la sua vittima prediletta.
Anche se sa difendersi, c’è da dirlo.
Ad ogni modo, era proprio questa capacità a rendere Louis così adatto al compito che Harry intendeva affidargli.
E poi mi sento più tranquillo se a pensare al benessere dei miei figli c’è qualcuno di cui mi fido.
La ragazza che era assieme a suo nipote aveva l’aria sveglia e uno sguardo estremamente pratico e reattivo – di certo meno su di giri e favoleggiante di Louis. Holly Wynne Greengrass era una brillante e capace giovane Auror, abbastanza inquadrata da stemperare a sufficienza gli eccessi del temperamento di Louis.
“Sapete perché siete qui?” Tastò il terreno.
Louis scosse la testa. “No, signore,” fece Holly, seria.
Harry deglutì. “L’agente Robins vi avrà aggiornati sugli avvenimenti di Hogwarts.
“Questa volta fu Holly ad annuire e Louis a rispondere: “Sì, signore.”
“Abbiamo stabilito che, finché la vicenda non sarà chiarita, piazzeremo due Auror di stanza fissa a Hogwarts.” I due si scambiarono uno sguardo. Harry ricordò improvvisamente che avevano giocato a Quidditch insieme, a Hogwarts. ‘Il capitano Greengrass mi ha preso in squadra come Cercatore!’ gli parve di udire di nuovo la voce tutta eccitata di un Louis di qualche anno prima.
Ottimo, sapranno lavorare in squadra,
“Ne siete stati incaricati voi.” Capitan Ovvio. “Andrete a Hogwarts già dai prossimi giorni, in previsione del Ballo del Ceppo. Con un evento simile, potrebbero esserci chissà quali trambusti. Manterrete un basso profilo. Sarete affiancati da uno Spezzaincantesimi che si occuperà di alcune ricerche relative a un furto avvenuto recentemente. Vi informerà lui stesso dei dettagli... Al momento l’incaricato è fuori un paio di giorni per non so quale incarico della Gringott, ma vi raggiungerà a Hogwarts entro due o tre giorni. Vi incontrerete lì.” Sbattè un paio di volte le palpebre. Era così stanco che dovette fare uno sforzo per non stropicciarsi gli occhi. “Sarete informati via gufo per quanto riguarda l’ora e il giorno precisi in cui dovrete recarvi in Scozia.” Li guardò. “Potete andare, adesso.”
I due annuirono, Louis con gli occhi che luccicavano di entusiasmo e Holly con un’espressione sfacciatamente soddisfatta che tentava invano di contenere.
Ma dopotutto è il loro primo incarico senza supervisione. Normale che siano entusiasti.
Una volta che i due ragazzi si furono chiusi la porta alle spalle, Harry posò lo sguardo su Nott, sorprendendolo a sbirciarlo con uno strano sorrisetto.
L’ex-Serpeverde si alzò e si diresse cerso la porta. Prima di uscire, si voltò a guardarlo.
“Dovresti riposare,” gli fece notare. “Un Capo del Dipartimento sull’orlo del tracollo nervoso non serve a nessuno.” Detto questo, se ne andò ancor prima che Harry avesse il tempo di rispondere alcunché.


****



18 dicembre 2021
Casa Weasley-Granger, Godric’s Hollow
Tardo pomeriggio


When you feel so tired

but you can’t sleep.

Coldplay


Rose roteò la bacchetta magica, e il baule pieno delle cose di scuola – con il suo nome impresso sul coperchio in bella grafia – si depositò con un tonfo sommesso ai piedi del letto. Sospirò e posò la bacchetta sul comodino, prima di sedersi sul bordo del materasso e abbandonare la schiena all’indietro, contro la trapunta soffice. Rimase imbambolata a fissare il soffitto per qualche secondo: si sentiva stremata – il viaggio in treno riusciva sempre a spossarla terribilmente.
Incrociò le braccia dietro la testa, pensierosa, continuando a guardare il soffitto ricoperto da carta da parati a roselline, a lei così familiare. Nell’angolo in alto vicino alla finestra c’era una vistosa macchia cangiante, che cambiava colore ormai fiocamente. L’aveva prodotta all’età di otto anni, quando in uno scoppio di magia accidentale aveva schizzato dell’Inchiostro Cambiacolore fino al soffitto. Sua madre aveva provveduto a ripulire tutto con un perfetto Gratta e netta, ma anche dopo tutti quegli anni quellla macchia non sembrava intenzionata ad andarsene.
La graziosa lampada che pendeva dal soffitto emetteva fredda luce elettrica. Il letto – dalla trapunta sui toni del verde e del rosa – era ingombrato da un paio di cuscini, sopra i quali sedeva innocente una giraffa di pezza. Sul comodino avevano sede un’abat-jour e una piantina di cactus. Automaticamente, Rose allungò un braccio e la solleticò fra le spine con la punta dell’indice: la piantina fremette ed emise una specie di sbuffo soddisfatto. Rose si mordicchiò il labbro e voltò la testa dall’altra parte.
La scrivania era circondata di scaffali pieni di libri – alcuni dei vecchi tomi scolastici, qualche romanzo Babbano, persino dei fumetti e una pila di riviste di Quidditch. Sul piano di legno c’erano un portapenne e una bocccetta di inchiostro profumato, regalatole da Dominique in occasione del suo ultimo compleanno – ancora chiusa. C’erano anche una lampada e dei  quadernini impilati con ordine, più un modellino di Nero delle Ebridi che le aveva regalato lo zio Charlie divers anni prima. Il primo cassetto era socchiuso, e la sua stanza non era cambiata pressoché per niente da quando aveva undici anni.
Si rese conto di indossare ancora la sciarpa verde-argento e il cappotto grigio di foggia Babbana. Si sfilò la sciarpa mentre si alzava e la lasciò sulla spalliera della sedia, appendendo il cappotto all’attaccapanni dietro la porta. Dunque si diresse di nuovo verso la scrivania e si sedette sulla sedia girevole, tirando un ginocchio verso il petto.
Aprì il primo cassetto, e nel vederne il contenuto sussultò leggermente: aveva dimenticato tutte le lettere con le quali Bernie l’aveva tartassata per tutta l’estate appena trascorsa.
Sollevò per un momento le sopracciglia e si concesse un breve sorriso. Quindi richiuse il cassetto, questa volta del tutto.
Tornò sul letto e vi si acciambellò, senza far nulla di particolare.
Aveva voglia di parlare con Scorpius. Il giorno dopo il fantomatico festino con bottiglia annessa, aveva sospirato di sollievo nel vedere che – nonostante il loro bacio – l’amicizia fra loro due fosse rimasta intatta. Scorpius si era comportato come al solito e così aveva fatto lei. Non poteva che esserne contenta.
Solo pochi giorni e poi tornerai a Hogwarts.
Per lo stramaledetto Ballo del Ceppo... Che pensiero sgradevole.
Non le erano mai piaciute particolarmente le feste. Più precisamente, non le era mai piaciuto vedere troppa gente stipata in un’unica stanza.
Però al festino di Gwyneth e Christine ti sei divertita.
Sospirò.
Solo perché avevo troppo alcool in corpo per formulare un pensiero decente.
Ad ogni modo, il Ballo del Ceppo sarebbe stato sicuramente molto diverso da quel tipo di festa. Era contenta di andarci con Scorpius: insomma, sempre meglio di chiunque altro.
Un lieve bussare alla porta la riscosse dai suoi pensieri. “Hugo?” domandò, per qualche motivo assolutamente certa che si trattasse del fratello.
Non si era sbagliata: la maniglia si abbassò e Hugo si fece strada nella stanza, i capelli castano ramati tutti scarruffati e la stessa espressione tirata che si portava dietro da quella mattina.
Le parve sciupato, come avrebbe detto nonna Molly. Era magro come un’acciuga, la maglietta che pendeva dalle spalle larghe come avrebbe fatto da una stampella.
Si sta stressando troppo con questa storia. Gli fa male.
“Posso stare un po’ qua?” le domandò.
Rose deglutì, leggermente stupita dalla sua richiesta. Quindi annuì, facendogli cenno di sedersi accanto a lei. “Certo,” mormorò, quando Hugo già si era accomodato, a gambe incrociate sulla trapunta.
Lo sguardo le cadde sui calzini del fratello – gli orribili calzerotti di lana di nonna Molly, che però erano caldi e comodissimi per le serate invernali casalinghe.
Trascorsero alcuni momenti in silenzio, senza guardarsi. Rose si era imbambolata a guardare fuori dalla finestra – la neve aveva ripreso a fioccare oltre i vetri – mentre Hugo si era preso la testa fra le mani e guardava in basso.
“Mi sento così stupido.” Lo udì borbottare, un sospiro sfiancato. “Come ho potuto...”
“Non devi essere così severo con te stesso,” si ritrovò a rispondere, posando cautamente una mano sulla sua spalla. Improvvisamente aveva ricordato che Hugo aveva solo quindici anni.
“Tu lo sei sempre.” La voce del fratello suonò spenta.
Rose annuì, pensierosa. “Sì, ma io non sono propriamente il miglior esempio da seguire.”
Hugo accennò una risatina soffocata. Poi – senza alcun preavviso – si fiondò fra le sue braccia, affondando il volto sulla sua spalla e stringendola forte per il costato con le braccia ossute.
Rose rimase per un attimo interdetta e stupita da quell’abbraccio improvviso – insomma, loro due neanche si sfioravano mai. Percepì la sensazione di solletico dei capelli di Hugo contro la guancia, e fu allora che comprese che era lo stesso fratello di dieci anni prima.
Erano sempre loro. Sarebbero sempre stati loro.
Lo strinse con forza fra le braccia a propria volta, sfiorandogli la testa in una carezza lieve.








Note dell’Autrice
Sono stata puntuale, sono stata puntuale!
Non mi sembra vero **

Ho notato un certo calo nelle recensioni: ricordate, il feedback – sebbene non sia indispensabile – è sempre rassicurante. Come un “okay, stai andando bene”. Insomma, tutti ne hanno bisogno.
Anyway, grazie a tutti voi <3
Joie!
Daphne



 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 - Spiderweb ***


Questo capitolo è dedicato a Tefnut. Un Lannister ripaga sempre i propri debiti!
 


 

È nel ricordo che le cose prendono il loro vero posto.

Jean Anouilh

24 dicembre 2021

Casa Potter-Weasley, Godric’s Hollow

Prima mattina

 

Non era da Lily avere incubi. Non le accadeva quasi mai: poteva fare sogni complicati e confusi, magari ossessionanti, ma non incubi veri e propri. 

Tuttavia, la mattina del ventiquattro dicembre si svegliò improvvisamente alle prime luci dell’alba, ridestandosi di soprassalto e scattando a sedere sul letto, la fronte imperlata di sudore. Ci mise qualche istante prima di realizzare che non c’era nulla fuori posto, che si trovava ancora nel suo letto – nella sua stanza, a Godric’s Hollow, dove la sera precedente si era addormentata. 

La camera era avvolta nella penombra; dalle fessure delle imposte chiuse facevano capolino degli spicchi di una luce pallida, acerba, che andavano a depositarsi sulle lenzuola e sulla trapunta patchwork. Lily respirò profondamente, e ci vollero un paio di minuti prima che il battito forsennato del suo cuore si calmasse e diventasse più regolare. 

Rimase lì dove si trovava, le lenzuola attorcigliate attorno ai fianchi, la schiena curva in avanti e le gambe intrecciate sotto le coperte. Le sue braccia giacevano protese in avanti. L’unico movimento era quello del suo petto, che si alzava e abbassava quasi impercettibilmente al ritmo del suo respiro. 

Fletté le dita lunghe e chiare sulla trapunta, graffiandola leggermente con la punta delle unghie. Quindi strinse gli occhi con forza, e quando li riaprì ebbe un leggero capogiro causato dalle macchie colorate che le vorticavano sulla retina.

Finalmente era riuscita a calmarsi, ma le sembrava che ci fosse poca aria nella stanza. Scalciò via le coperte e allungò le gambe oltre la sponda del letto, finché non incontrò la moquette soffice sotto la pianta dei piedi nudi. Scansò un cuscino con un braccio e si alzò lentamente – un angolo del lenzuolo che le era rimasto attorcigliato addosso scivolò via. Senza curarsi di raddrizzare la maglietta del pigiama, raggiunse le finestre e allargò le mani sul vetro fresco, prima di aprire le imposte e le persiane. 

Immediatamente la sua pelle si ricoprì di una sottile pelle d'oca, esposta com'era al vento della notte invernale. Respirò a pieni polmoni quell'aria fredda, quasi divorandola a sazietà. Godric's Hollow si spandeva davanti ai suoi occhi, illuminata per traverso dal brillio rasente delle prime luci, che rendeva quasi abbaglianti i tetti candidi di neve. Il cielo era ormai stemperato in un blu annacquato, nel quale brillavano solo poche stelle scolorite.

Quella visuale, lo spazio aperto davanti agli occhi… la fecero subito sentire meglio.

Lily non aveva incubi. Lily non soffriva mai di claustrofobia, mai.

Che cosa mi sta succedendo?

Deglutì leggermente e fece alcuni passi indietro, quindi aprì il cassetto del comodino facendo meno rumore possibile ed estrasse un pacchetto di sigarette – che agli occhi dei suoi genitori sarebbe apparso come la scatola di un mazzo di carte francesi grazie a un incantesimo di Dissimulazione ben congegnato. Lo avvicinò al viso per sfilarne una con le labbra, in un fruscio leggero. Quindi ripose ogni cosa al suo posto e recuperò dalla scrivania un accendino vecchio stile. Di quello i suoi non avrebbero sospettato nulla: fin da piccola li collezionava, le era sempre piaciuto accendere candele per osservare come la cera sgocciolava lenta, illuminata a tratti dal bagliore traballante della fiamma.

Sempre in punta di piedi, volteggiò fino al vano della finestra, dove si acciambellò sul davanzale e accese la sigaretta. 

Come sempre, fumare aveva uno straordinario potere calmante: si godette il sapore leggermente acre che le invadeva la gola, pizzicandole appena la trachea. Nel frattempo il cielo si era fatto denso di un piacevole colore rosato, che creava sulla neve dei riflessi magnifici, quasi fiabeschi.

Le venne un'improvvisa voglia di ridere. Si sentiva la regina del mondo: tutta sola a quella finestra, con un panorama magnifico davanti agli occhi, sveglia quando ogni cosa ancora dormiva. Ridacchiò sommessamente e poi prese a singhiozzare al tempo stesso, mentre due grosse lacrime – solo due – le rotolavano giù per le guance. 

Non è giusto che proprio alla vigilia di Natale mi debba sentire così uno schifo.

Sapeva di aver fatto la cosa giusta. Lei e Jake non potevano restare bloccati in quella situazione di stallo: non le andava che le cose fra loro fossero così poco chiare. 

Si sentiva così maledettamente stupida. Si era illusa che tutto stesse andando bene, che lui provasse qualcosa di sincero nei suoi confronti – mentre invece era ancora attaccato agli strascichi del passato.

Stupido passato. E stupido Jake.

E quel bacio, poi, sul vagone bagagli dell'espresso di Hogwarts in corsa. Glielo aveva letto negli occhi, a Jake, che qualcosa fra loro c'era – qualcosa che non consumava solo lei. Era il modo in cui la guardava: con un'intensità particolare, vibrante, quasi oscura. Ma non riusciva a convincersi – non riusciva a fidarsi.

Era proprio questo che la mandava in pezzi: l'amore non avrebbe dovuto fare questo effetto. 

Come se il suo stato d'animo non fosse già stato abbastanza brutto di suo, adesso ci si mettevano pure gli incubi. Non era abituata a svegliarsi così, di soprassalto, con addosso quel senso di terrore così angosciante, le spalle ancora tremanti per qualcosa di onirico e irreale che però sembrava troppo vicino. Aveva incubi così raramente che ricordava con precisione quando aveva avuto l'ultimo.

Era successo quell'estate, in una nottata di luglio tanto bollente che neanche sembrava di stare in Inghilterra. Tuttavia, non era stato per l'afa che Lily si era ridestata in un bagno di sudore, gli occhi sbarrati e la testa piena di immagini terribili e confuse.

C'era sangue, all'inizio. Si era tagliata con qualcosa – probabilmente con il bordo del foglio di carta con cui stava armeggiando – e il sangue le gocciolava giù dalle dita. Allora sfiorava con la punta dell'indice il profilo del foglio, come a saggiarne il filo, solo che le sue mani continuavano a ricoprirsi di graffi. 

Aveva iniziato a pensare che si trattasse di un sogno nel momento in cui si era resa conto che i graffi non bruciavano. Ma lei li vedeva rosseggiare sulla sua pelle chiara, lucidi di sangue e sorprendentemente brillanti quando tutto il resto era smorto e fosco, sgranato, con zone di buio, come una pellicola rovinata. 

Alzava improvvisamente il capo e si accorgeva di trovarsi in un luogo sconosciuto, un bosco sfocato con un sentiero stretto, che terminava in una di quelle macchie d'ombra. Lily scattava in piedi e iniziava a correre a perdifiato, con il cuore in gola e un pericolo sconosciuto che – lo sapeva – le stava alle calcagna. L'aria di fronte a lei sembrava densa come uno strato di burro: i suoi movimenti erano faticosi e rallentati, neanche stesse cercando di correre nell'acqua, controcorrente. Continuava a correre finché non si ritrovava invischiata nella zona d'ombra, col buio che le si avvinghiava addosso e il pericolo che da un momento all'altro l'avrebbe raggiunta.

Stava per scoprire di cosa si trattasse quando era saltata su, completamente sveglia. In quella notte d'estate le finestre erano aperte per racimolare un minimo di frescura, quella brezza probabilmente inesistente che, nonostante gli Incanti Refrigeranti di sua madre, sembrava decisa a farsi desiderare. Il fiato corto, Lily aveva armeggiato con le dita tremanti per spalancare le persiane, e la stanza era stata invasa dal frinire dei grilli, mentre lei aveva respirato profondamente finché il battito del suo cuore non si era calmato.

Allora aveva agguantato una sigaretta dal pacchetto che aveva sgraffignato ad Albus e se l'era fumata con i gomiti poggiati sul davanzale, scrollando la cenere sul marciapiede deserto sotto la sua finestra. 

L'unica differenza con la situazione attuale era il suo abbigliamento – pigiama pesante che cercava di allungare per coprire più superficie possibile, in contrasto con la vecchia maglietta di James con cui dormiva quella notte di luglio – e la presenza di un posacenere poggiato accanto a lei, a pochi centimetri dalla sua caviglia. E la neve che aveva sostituito i grilli, naturalmente.

Era passata una macchina sotto la sua finestra, quella notte d'estate. Un modello sportivo, dalla carrozzeria rosso fuoco. Era sfrecciata sulla curva, sgommando e sfiorando il marciapiede con le ruote mentre si arrestava bruscamente. La portiera dal lato del passeggero si era spalancata di botto, e una ragazza – capelli biondi e sottili, abitino succinto – aveva caracollato fuori, appigliandosi alla macchina per sostenersi. Con le braccia magrissime aveva tirato su i capelli come poteva, mentre si accartocciava su se stessa e dava di stomaco.

"Hai finito?" Dall'automobile si era udita la voce gelida di un'altra ragazza sbottare. 

"Sì… Certo, Tam." La voce della bionda era sfiancata. "Ho finito."

La prima ragazza si era di nuovo arrampicata in macchina, chiudendosi alle spalle la portiera con uno schianto, quindi l'auto era ripartita rombando, sempre a velocità folle.

Probabilmente la ragazza bionda doveva essersi drogata, rifletté Lily. Quelle due avevano tutta l'aria di essere di ritorno da una festa: la guida squilibrata di quella al volante lo confermava.

Sospirò. Non aveva idea del perché si stesse soffermando su simili pensieri proprio in quel momento… forse era dovuto al fatto di aver già vissuto una situazione praticamente identica a quella attuale. Quella notte – ormai quasi finita, dacché il sole aveva già fatto capolino – in un certo senso rispecchiava l'altra vissuta mesi prima. 

Allungò il braccio libero per grattarsi la scapola sinistra, dove una ciocca di capelli che si era infilata nel collo della maglietta del pigiama continuava a farle il solletico. Spense il mozzicone di sigaretta premendolo sul posacenere e si ritirò, richiudendo persiane e finestre e tornando a infilarsi sotto le coperte. 

Per un momento rabbrividì al contatto con le lenzuola, che erano state raffreddate dall'aria gelida dell'alba invernale, poi si stiracchiò come un gatto e trovò una posizione comoda, nel punto più morbido del materasso.

Non poté fare a meno di pensare a quando – da piccola, dopo ognuno dei suoi rari brutti sogni – si precipitava in camera di James, rifugiandosi dal fratello per farsi consolare. Era sicura che Jamie avrebbe mantenuto il suo segreto, mentre Al l'avrebbe probabilmente presa in giro davanti a tutti o qualcosa del genere, se mai si fosse recata in camera sua. 

James non abitava più con loro, ma a Londra con Grace. Avrebbero avuto un bambino – chissà se maschio o femmina: ancora non si conosceva il sesso del nascituro – e James avrebbe consolato lui, o lei, dopo gli incubi. Non più Lily.

Si sentì improvvisamente gelosa – ma solo un pochino.

E poi se anche Jamie fosse qui non andrei a farmi consolare da lui. Non ho più sei anni.

Quell'estate non era andata a farsi consolare dal fratello: se anche ne avesse avuto la possibilità, con ogni probabilità non l'avrebbe fatto neanche adesso. 

Si voltò sulla pancia. Non riusciva a ricordare nulla dell'incubo di quella notte, se non un certo senso di oppressione – e naturalmente si rendeva conto che doveva essere stato davvero brutto per sconvolgerla a quella maniera. 

Il sole era ormai sorto del tutto quando si riaddormentò.

 

****

 

24 dicembre 2021

Hogsmeade, Scozia

Mattinata

 

Il cielo era limpido, il giorno della vigilia di Natale. Il sole – pur non riuscendo neanche a scalfire il gelo pungente – brillava con dolcezza, l'aria che si respirava era trasparente e pura; era quel tipo di freddo invisibile e denso, che quasi si può mangiare.

Il villaggio di Hogsmeade somigliava ad una cartolina natalizia. I tetti spioventi erano candidi di neve, l'aria profumava di ghiaccio e di dolci, sulle vie acciottolate procedevano gruppi di persone ben imbacuccate ma allegre. Su tutto regnava un'atmosfera particolarmente festosa, accentuata dalle luminarie natalizie che scintillavano in ogni dove e dal fumo che si disperdeva dai comignoli.

La porta d'ingresso dei Tre Manici di Scopa si aprì e si richiuse, accompagnata dal tintinnio dei campanelli appesi sopra lo stipite. I clienti più vicini all'uscita si strinsero nei loro mantelli, colpiti da una folata di brezza gelida, mentre Madama Hannah – la proprietaria con il sorriso dolce e due pomelli rosa sulle guance rotonde – annuiva e prendeva le ordinazioni ai tavoli con fare gentile.

La mattina della Vigilia era sempre un giorno di grandi affari.

Sul retro della locanda c'era uno stretto vicolo cieco, su cui si affacciavano solo poche finestre sprangate e dove non passava mai nessuno. Hannah ci teneva le botti vuote, in attesa di essere riempite della prossima partita di idromele. Lì i rumori soffusi della cittadina arrivavano smorzati e l'unica presenza era quella di un gatto intento a banchettare con un avanzo di aringa affumicata. D'un tratto, la bestiola rizzò il pelo e inarcò la schiena, soffiando contro il vuoto per una frazione di secondo; dunque si udì un forte crack e due figure allacciate comparvero dal nulla nella stradina deserta.

Il gatto lanciò un miagolio indignato e se la filò alla svelta, lasciando i resti dell'aringa lì dove si trovavano.

Holly sbuffò apertamente e tolse la mano dal braccio di Louis. "Devi sempre fare tutto in modo così vistoso. Dovremmo mantenere un basso profilo, non Materializzarci con un fracasso tale da risvegliare anche i morti."

"A me quel gatto sembrava decisamente vivo," commentò Lou con un sorriso storto, stiracchiandosi pigramente e guardandosi intorno. "Carino qui."

La ragazza roteò gli occhi. "Ti prego, sii professionale."

Lui la fissò per una frazione di secondo. "Dovresti essere più buona, è Natale."

"Vigilia." Lo freddò con un sorrisetto. Si raddrizzò la sciarpa Grifondoro – indossarla la faceva sempre sentire orgogliosa, in qualche modo – e gettò un'occhiata all'orologio da polso. "Siamo in orario, per fortuna. Anche se non per merito tuo," aggiunse, pungente. 

Louis fece un gesto di noncuranza con la mano, come se stesse scacciando una mosca molesta. "Quanto sei critica."

"Sono a un livello più alto in Accademia, fino a prova contraria. Il che vuol dire," sorrise soddisfatta, "che in questa missione sono io che comando."

"Signorsì, capitano!"

Holly fissò per qualche momento la splendida faccia da schiaffi del collega, che non le si rivolgeva in questo modo da un bel po'. Dall'ultima partita a Quidditch giocata assieme quando lei guidava la squadra di Grifondoro, probabilmente. Louis Weasley era sempre stato capace di sfotterla anche in piena azione di gioco.

Ridacchiò, sciogliendosi un po'. "Andiamo, o il nostro in orario non sarà più valido. E cerca di non sembrare troppo allegro, siamo qui per motivi gravi."

Louis mutò improvvisamente impressione, mettendo su una faccia contrita poco credibile. 

Holly inarcò le sopracciglia, scoccandogli un'occhiata eloquente, mentre il ragazzo per tutta risposta sorrideva sornione. 

Senza dire altro, la ragazza prese a camminare spedita, voltando l'angolo che dalla fine del vicolo dava sull'ingresso dei Tre Manici. Per poco non centrò in pieno la figura che si stava chiudendo la porta del locale alle spalle, nascondendo al contempo qualcosa sotto il cappotto di foggia Babbana che indossava. Riuscì a fermarsi appena prima dell'impatto, frenando coi talloni. L'altra persona si limitò a molleggiarsi indietro per evitare di sfracellarsi addosso a lei. 

"Holly? Che cosa ci fai qui?"

Ci mise qualche frazione di secondo prima di realizzare che quello davanti a lei era suo cugino Jacob, il quale la scrutava sospettoso con la sua solita aria indagatrice. Il suo sguardo saettò in direzione di Louis, quindi aggrottò le sopracciglia quasi impercettibilmente e tornò a guardare lei.

"Anche io sono felice di vederti, Jake." Tornando in sé, e inarcando le sopracciglia gli gettò un'occhiata divertita, prima di stringerlo in un breve abbraccio. "Come va?"

"Va." Jake non si sbilanciò. "Perché sei qui?"

"Gli ultimi acquisti natalizi." Holly scrollò le spalle, cercando di sembrare naturale. Naturalmente, Jacob non se la bevve – irritanti i Serpeverde, sotto questo profilo – ma ebbe il buon senso di non dire nulla, limitandosi a scoccarle uno sguardo penetrante e grave.

Louis ritenne doveroso intervenire, probabilmente per risolvere all'improvviso raffreddarsi dell'atmosfera. "Piacere," si fece avanti con la mano tesa. "Io sono–"

"Louis Weasley," completò Jacob con voce piatta, stringendogli la mano.

Louis sogghignò minaccioso. "L'ex-ragazzo di mia sorella."

Holly sussultò appena. Suo cugino sostenne lo sguardo di Lou con tranquillità: la sua espressione era del tutto impassibile.

Che idiota. Antitesi del fratello maggiore geloso, ma sta cercando di terrorizzare Jake per divertimento… per fortuna lui è abbastanza sveglio da non prenderlo sul serio.

Immagino cosa avrà fatto passare al povero Ted Lupin.

"Già," confermò Jake tranquillamente. "Come sta Dominique?" chiese in tono cortese, mettendo su un sorrisetto di rimando.

"Splendidamente." Louis sospirò e le lanciò un'occhiata.

Holly capì al al volo e finse di gettare un'occhiata all'orologio prima di rivolgersi al cugino. "Jake, mi spiace ma si sta facendo tardi. Io e Louis dovremmo–"

"State andante a Hogwarts, tanto." La interruppe Jake con un sogghigno soddisfatto. "Ci vediamo, cugina!" Fece per allontanarsi, salutando con la mano.

Holly rimase per un momento interdetta, quindi si riscosse e lo agguantò per un braccio, trattenendolo. "Aspetta."

Nel frattempo, Louis si godeva la scena, sgranocchiando una piuma di zucchero con aria beata. 

Jake roteò gli occhi. "Holly, sai che non lo dirò a nessuno. Non sono uno stupido."

La ragazza deglutì. "Non volevo dirti questo." Decise di non dargli soddisfazione. "Che cosa nascondi sotto il cappotto?"

L'altro non batté ciglio. "Di cosa stai parlando."

"Sei uscito dai Tre Manici nascondendo qualcosa sotto il cappotto. Cos'è, una bottiglia di Firewhiskey?"

Jacob fece spallucce. "Direi pure tre o quattro," replicò con nonchalance.

"Direi pure tre o quattro." Louis bevve una sorsata di Firewhiskey, ridendo. 

La mente di Holly era annebbiata da tutto quell'alcool, ma anche abbastanza lucida da rendersi conto che fare tre o quattro giri della morte in sella ad una Firebolt fosse stupido. Lo disse: "Weasley, è stato stupido!"

"Dovevo festeggiare." Il Cercatore sorrise a quarantadue denti. "E far crepare di rabbia i Serpeverde."

La battuta fu accolta da un coro di risate. Nella Sala Comune di Grifondoro regnava una confusione inverosimile. Tutti erano intenti a fare baldoria per festeggiare la vittoria contro i Serpeverde che aveva fatto guadagnare loro la Coppa del Quidditch, e la folla convergeva attorno ai membri della squadra, che ancora indossavano le divise infangate ed erano intenti a buttare giù una pinta di Firewhiskey dopo l'altra. Adrian Goldstein – Battitore, uno dei giocatori più giovani – di solito estremamente compassato, adesso rideva con gli occhi luccicanti, partecipe del coro da stadio nel quale Samuel e Chace Bolger l'avevano coinvolto, volente o nolente. I gemelli – rispettivamente Portiere e Battitore – facevano un gran fracasso, appoggiati da James Potter, ed erano talmente ricoperti di fango che distinguerli era ormai praticamente impossibile. 

"Abbiamo vinto!" Holly iniziò a ridere stupidamente. "Abbiamo vinto, vinto, vinto!" Come già aveva fatto molte volte nel corso di quella serata, afferrò la Coppa del Quidditch per i manici e la sollevò alta sopra la testa, con entrambe le braccia. "Abbiamo vinto!"

"Dovevi vedere la faccia di Higgins, quando Lou gli ha soffiato il Boccino da sotto il naso!"

"E Flint?! Sembrava che gli avessero spruzzato in faccia un limone…"

"… Sì, Flint era il più arrabbiato! Ho pensato che avrebbe fatto esplodere lo stadio o qualcosa del genere."

Holly rise di nuovo, più felice che mai. La riempiva di tristezza il pensiero che quella fosse l'ultima volta in cui avrebbe potuto festeggiare con la sua adorata, formidabile squadra, che come sempre era uscita vittoriosa. 

Tornò al presente. "Potrei anche arrabbiarmi," fece notare al cugino, con espressione indecifrabile.

Jake la studiò per un momento con un sopracciglio inarcato, quindi scoppiò a ridere. "Non lo farai, lo sai benissimo."

Holly ridacchiò e gli scompigliò i capelli come faceva quando era piccolo, al solo scopo di irritarlo. Ottenne l'effetto desiderato: Jake si ritrasse bruscamente, gettandole un'occhiataccia. 

Vanitoso

"Si sta facendo tardi." Riprese Holly, questa volta più sinceramente. "Credo che–"

"Certo." Jake sogghignò. "Alla Sinistra non piace aspettare."

 

****

 

24 dicembre 2021

Casa Potter-Weasley, Godric's Hollow

Tarda mattinata

 

Lily scelse una pallina di Natale e la rigirò fra le dita un paio di volte, indecisa, prima di appenderla ad una fronda dell'albero. Era rossa e lucida, semplice: sulla sua superficie si riflettevano i brillii dorati e intermittenti delle lucine decorative. Sospirò leggermente e si spostò una ciocca di capelli dietro un'orecchio. Li aveva raccolti in un nodo basso e veloce, quella mattina, senza neanche guardarsi allo specchio. Si strofinò le mani: nonostante il fuoco scoppiettante nel camino e i calzerotti ai ferri di nonna Molly che indossava, le sue dita erano gelate. 

Suo padre era seduto sulla poltrona marrone davanti al camino – quella più comoda, coi cuscini ben sprimacciati. I suoi occhi verdi erano fissi sul fuoco scoppiettante e le sue sopracciglia aggrottate, come se fosse stato concentrato a riflettere su qualcosa di molto importante.

Probabilmente ci sarà qualche indagine che gli crea problemi. 

… A proposito, chissà quando arriveranno i risultati delle analisi sui miei ricordi.

Il suo sguardo si incantò per un momento, fisso sull'abete scintillante. Dunque si riscosse e si pose a cercare altre palline.

"Lily?" Improvvisamente, Harry aveva preso la parola. 

"Papà?" Si voltò nella sua direzione. "Dimmi."

Suo padre sospirò stancamente e si schiarì la voce. "Devo parlarti, Lily. Vieni qui."

Perplessa, fece pressione al suolo con la mano per tirarsi su e si avvicinò al camino, accanto al quale si acciambellò su un paio di cuscini. "Che succede, papà?" domandò, fremente. Quell'attesa era massacrante.

"Devi sapere che è… successa una cosa." La guardò e tirò un respiro profondo prima di proseguire. "Qualcuno ha rubato i tuoi ricordi che il Ministero aveva preso in custodia."

Ci vollero alcuni istanti perché la mente di Lily decifrasse e quindi riuscisse a metabolizzare quanto detto da Harry. Sul principio le parole risuonarono nelle sue orecchie come semplici suoni, privi di un senso compiuto, poi si ricomposero e acquistarono un reale significato.

"Come sarebbe a dire… rubati." Deglutì. "Papà, è… Perché?!"

Il padre sospirò, guardandola dispiaciuto. "Evidentemente la persona che ti ha aggredito aveva molto a cuore che non si conoscesse la sua identità. Ha distrutto tutti i Pensatoi in dotazione del Ministero. Questo ci ha fatto pensare–"

"Che il movente non fosse aggredire me," completò Lily con voce incolore. 

"Esatto." Lo vide massaggiarsi la fronte, affranto. "Diciamo che ti sei solo trovata al posto sbagliato nel momento sbagliato."

Lei ricambiò il suo sguardo con gravità. Il cuore le rimbalzava contro la cassa toracica, furiosamente: non era normale che accadessero cose simili – non lo era per niente.

Ma l'anormalità è diventata quotidiana, ultimamente.

"Papà, ma questo l'avevate capito, no? Insomma, che motivo ci sarebbe…"

"Poteva essere stato anche un altro studente, visto e considerato che uno Schiantesimo dopo tutto è roba di poco conto. Quello che ci ha dato da pensare è l'Incantesimo di Memoria, almeno all'inizio." La guardò. "E ovviamente il fatto che siano stati aggrediti anche altri due studenti."

Lily tamburellò con le dita sul pavimento, soprappensiero. "Quindi pensate che l'aggressore sia lo stesso."

Harry annuì. "È probabile." 

Calò il silenzio per alcuni istanti, rotto soltanto dallo scoppiettare del fuoco nel camino e dalle voci smorzate di James e Albus, intenti a bisticciare al piano di sopra. Grace era andata da qualche parte con Dominique e Ginny li aveva preceduti alla Tana. 

"Deve esserci un altro modo." Lily aggrottò le sopracciglia e fissò il padre. "Quello dell'Ufficio Misteri è un metodo sperimentale, no? Quello tradizionale qual'è?"

Harry distolse lo sguardo da lei, puntandolo ancora una volta sulle fiamme che danzavano nel caminetto. "Si può usare la Legilimanzia."

Qualcosa dentro la testa di Lily fece un fracasso furioso, come un campanello di allarme. "Quando?" domandò, ignorando l'istinto.

"Questo è proprio il punto di cui dobbiamo discutere." La guardò di nuovo, e nei suoi occhi Lily lesse una certa preoccupazione. "Agire sulla mente delle persone comporta sempre un certo rischio."

"Come per la povera Bertha Jorkins." 

Lily sollevò gli occhi dal disegno che era intenta a colorare, puntandoli in direzione del suo papà. I grandi – mamma e papà, zio Ron e zia Hermione – erano tutti riuniti sulle poltrone intorno al caminetto acceso, mentre Lily stava stesa a pancia in giù sul tappeto, con tutti i pastelli colorati sparsi intorno. 

Aveva litigato con Hugo e quindi stava da sola, a disegnare vicino all'albero addobbato. Suo cugino era uno stupido precisino che voleva mettere i colori in ordine – tutti in fila – ma per fargli dispetto Lily li aveva sparsi dappertutto. Adesso quello scemo di Hugo era in qualche angolo a frignare, ma a lei non importava. Se anche avesse fatto la spia, lei aveva una scusa pronta. 

Rosie e Al giocavano a fare gli eroi, come sempre, mentre Jamie chissà dov'era.

A lei non dispiaceva stare sola. Se faceva il faccino triste non davano mai la colpa a lei, e per di più disegnare le piaceva. Le piaceva pure ascoltare i discorsi dei grandi quando loro credevano che non fosse attenta, anche se certe volte non capiva proprio tutto quello che dicevano.

Riabbassò gli occhi sul disegno, facendo finta di niente, mentre in realtà stava con le orecchie tese. 

Sentì zia Hermione sospirare. "Ricordo. Barty Crouch le aveva modificato la memoria e poi Voldemort la uccise."

Zio Ron sussultò, come faceva sempre quando dicevano quel nome.

"Fu grazie a lei che scoprì che il figlio di Crouch era in vita, giusto?" Questa era la sua mamma. Aveva fatto la domanda come chi sa già la risposta.

"Già… Voldemort usò la Legilimanzia su di lei. La poverina uscì di testa," sospirò la zia.

"La uccise quando diventò inutile per lui." Il tono di suo papà si era fatto duro e secco, come quando si parlava di cose brutte – tanto brutte, molto più brutte di un dispetto di Lily o un bisticcio di Jamie e Al. 

Improvvisamente, decise che non voleva più sentire quel discorso. Forse sarebbe stato meglio andare a cercare Hugo… chissà dove si era cacciato, quell'antipatico.

"Lo so." Aggrottò le sopracciglia. "Ma è una percentuale molto bassa di rischio, giusto?"

Harry respirò bruscamente. Era angosciato: Lily se ne rendeva conto, e la cosa la spaventava parecchio. "Per quello che bisognerebbe fare a te, in realtà il rischio non è poi così elevato se si agisce con delicatezza… ma non è semplicissimo. Si tratta di scavare a fondo… è come togliere un velo dai ricordi che sono stati modificati, capisci?"

Lily annuì.

"L'indagine deve essere approfondita. Potrebbe metterti a disagio. Anche per questo ho voluto parlartene subito."

"Serve la mia approvazione?" La sua voce suonò stentorea. 

Harry scosse la testa. "A dire il vero basterebbe l'autorizzazione mia e della mamma, visto che sei minorenne. Ma deve essere una tua scelta. Voglio che sia tu a poter decidere."

Lily si mordicchiò il labbro. Era terrorizzata – veramente terrorizzata – ma al tempo stesso sapeva che conoscere il contenuto dei suoi ricordi avrebbe potuto essere risolutivo per le indagini di suo padre.

E non solo per le sue.

"Lo farò." Sollevò il mento, risoluta. "Questa è una cosa che va fatta."

"Sicura di non volerci pensare un po' di più?" L'espressione di suo padre era molto seria.

Lily deglutì a fatica e annuì. "Ho deciso. Non… non posso rifiutarmi."

Harry la fissò per alcuni lunghi istanti, quindi aprì le braccia. Lily vi si rifugiò senza indugio, accorgendosi improvvisamente di tremare tutta. 

"Sono orgoglioso di te." Le sussurrò suo padre. "Terrorizzato, ma davvero orgoglioso di te. Hai fatto una scelta molto coraggiosa."

Lily strinse gli occhi. Certe volte, anche i Serpeverde dovevano avere un po' di coraggio.

 

****

 

 

24 dicembre 2021

Hogwarts, Scozia

Pomeriggio

 

"Ah, che bello essere di nuovo qui!" Louis si gettò a peso morto sulla poltrona davanti al caminetto, premurosamente acceso da uno degli elfi domestici. Aveva un'espressione beata.

Holly ridacchiò, appendendo il cappotto a un attaccapanni. "So che non siamo qui per divertirci e bla bla bla," riprese Louis, "ma–"

"Louis." Lo interruppe con le sopracciglia leggermente inarcate. "Sono contenta anche io."

"D'accordo." Il ragazzo incrociò le braccia dietro la testa. "Se il Capitano è contento, sono autorizzato anche io."

"Non fare lo stupido." Replicò automaticamente. "Forse dovremmo disfare i bagagli."

La professoressa Sinistra li aveva accompagnati verso una sorta di appartamento allestito dagli elfi domestici e dotato di tutte le misure di sicurezza – non era il caso che gli studenti scoprissero dove gli Auror dormivano, o la voce sarebbe potuta arrivare alle orecchie sbagliate. Era un luogo caldo e comodo, con le finestre che davano sul cortile del castello. Holly aveva una stanza tutta per sé, mentre Louis avrebbe condiviso la propria con lo Spezzaincantesimi che sarebbe dovuto arrivare da un momento all'altro.

Il che ci fa capire che non si tratta di una donna.

… Nessuno sano di mente farebbe dormire una donna insieme a Louis.

Gettò un'occhiata al collega, che aveva chiuso gli occhi, ignorando allegramente la sua proposta di fare i bagagli. Era davvero di bell'aspetto, su questo non ci pioveva.

Ma immagino che essere per un ottavo Veela aiuti, per certe cose.

"Mi stai guardando."

Sbatté un paio di volte le palpebre. "Certo che ti sto guardando. Aspetto che tu mi risponda."

Louis aprì gli occhi e inarcò un sopracciglio. "Holly, rilassati. Il lavoro comincerà domani."

"Ma oggi dobbiamo predisporre le cose!" protestò lei. "Dobbiamo anche decidere come agire per domani, se–"

"D'accordo, d'accordo…" L'altro si alzò brontolando. "Domani. La Sinistra ha detto che dobbiamo confonderci con gli studenti."

Lei annuì, soprappensiero. "Già. I tuoi cugini sono a Hogwarts così come il mio, speriamo che non–"

"Saranno abbastanza intelligenti da tenere la bocca chiusa." Louis le si avvicinò, scrollando le spalle. "Quindi dobbiamo andare al ballo."

Holly sbuffò. "Direi di sì. Non che l'idea mi riempia di entusiasmo."

"Oh, non mentire." Louis le sorrise sornione, chinandosi su di lei di qualche centimetro. "Non vedi l'ora."

Lei scoppiò a ridere e scosse la testa, guardandolo con espressione scettica. "Non provarci con me, stupido." Gli assestò un pugno giocoso sulla spalla e sgusciò via. "Sono sempre il tuo Capitano!" aggiunse a gran voce, Appellando i bagagli e dirigendosi verso la propria stanza.

"E sei anche incapace a dire bugie!" le gridò dietro Louis in una risata.

Lei alzò gli occhi al cielo e si pose a disfare le valigie – che consistevano in una borsa di media grandezza con apposto un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile.

Non so proprio come facciano i Babbani senza magia.

Questo finché non udì un bussare leggero, la voce di Louis che diceva: "Avanti," e la porta della stanza che si apriva e si chiudeva – era incantata in maniera tale da autorizzare l'entrata solo a chi volevano loro.

"Io sono lo Spezzaincantesimi tirocinante che dovrà–"

Ma Holly non gli lasciò il tempo di parlare. Aveva riconosciuto quella voce, suo malgrado. "Flint! Per quale stupido motivo ci hanno mandato un tirocinante?!" esclamò irrompendo nella stanza.

"Greengrass." Marcus dissimulò facilmente la sua sorpresa nel vederla. La sua espressione rimase impassibile. "Piacere di vederti. E, fino a prova contraria, siete tirocinanti anche voi."

Holly, sii professionale. "D'accordo." Strinse le labbra. "Louis ti illuminerà su quanto detto dalla Sinistra." 

Perché lui? Fra tutti gli Spezzaincantesimi che esistono, proprio questo idiota borioso dovevano mandarci. Non lo sopporto.

"Flint, che gioia vederti." Lou gli sorrise sghembo, quello stesso sorriso affascinante che rivolgeva a ogni essere vivente che gli passasse davanti. "Passato un po' di tempo, eh? Forse dall'ultima volta che ti ho battuto a Quidditch."

Eccoli che iniziano. 

Marcus sogghignò. "Sentimentale, Weasley?"

L'altro aprì la bocca per ribattere. "Louis." Sibilò lei, gettando un'occhiataccia al collega, che si ricompose subito.

"Domani io e Holly andiamo al ballo per tenere d'occhio la situazione. Tu verrai con noi, salvo allontanarti di soppiatto ad un certo punto per fare le osservazioni che devi sulla tomba di Silente." Lo guardò. "Secondo la Sinistra è un buon momento, perché la scolaresca sarà distratta. Lei confida che riuscirai ad agire inosservato."

"Naturalmente ci riuscirò." Marcus incurvò le labbra in un sorriso vagamente inquietante. "Ho avuto parecchio a che fare con le tombe, negli ultimi tempi."

Naturalmente non ha atteso cinque minuti prima di iniziare a fare lo spocchioso.

"Vado a disfare i bagagli," borbottò, prima di andare a rifugiarsi in camera. 

Prevedeva un periodo davvero stressante.

 

****

 

24 dicembre 2021

Ministero della Magia, Londra

Ora di cena

 

A spiderweb is tangled up with me

and I lost my head.

Coldplay

 

Le feste del Ministero non gli erano mai piaciute particolarmente. Le trovava insipide e pieni di noiosi quanto inutili salamelecchi. 

Emise un piccolo sospiro, gettando un'occhiata di traverso a sua madre Judith, che sostava in piedi accanto a lui – elegantissima nel suo abito da sera. La signora Boot era sulla quarantina, una donna di grande carisma; non a caso ricopriva una posizione piuttosto elevata presso l'ufficio del Ministro della Magia. 

I loro sguardi si incrociarono, e sua madre gli rivolse un sorriso quasi impercettibile, destinato a lui solo. Suo padre, poco più in là, allargava il collo della camicia con due dita e appariva leggermente spaesato; detestava le occasioni mondane e Bernie aveva preso da lui sotto questo profilo.

Solo che io riesco a dissimularlo meglio.

Recuperò una tartina dal vassoio che viaggiava all'altezza del suo gomito, portato da un elfo domestico che lo reggeva con le braccine tese sopra la testa. La addentò con soddisfazione: il cenone della Vigilia al Ministero poteva essere noioso, ma indubbiamente si mangiava benissimo. Per di più, in virtù della sua maggiore età, quell'anno era riuscito a convincere sua madre a permettergli di indossare un completo Babbano piuttosto che la tradizionale veste da mago, il che lo faceva sentire infinitamente più comodo. Suo padre, d'altro canto, non era riuscito nell'intento: la lunga tunica lo faceva apparire leggermente impacciato e si sentiva visibilmente ingabbiato fra il panciotto e il gilet.

"Ehi, Boot!" Si voltò al suono di una voce che lo chiamava, e riconobbe Adrian Goldstein – Battitore nella squadra di Quidditch di Grifondoro dell'anno prima e attuale ragazzo di Dominique Weasley – che sorrideva sereno sotto le ciocche dei suoi capelli castani e teneva la mano sulla spalla di una ragazzina che gli somigliava moltissimo, e che Bernie aveva spesso visto in giro per la Sala Comune di Serpeverde e i corridoi del castello. "Come stai?"

"Bene." Rispose automaticamente, con poca convinzione. "Te?"

"Odia il cenone del Ministero," intervenne prontamente la ragazzina – Lucrezia, gli pareva si chiamasse.

Il fratello maggiore le gettò un'occhiataccia, sotto alla quale si leggeva un certo divertimento. "Lu, non dire queste cose. Non quando nostro padre è a portata d'orecchio."

Lucrezia fece spallucce e voltò il capo. Bernie seguì la traiettoria del suo sguardo: puntava su di un uomo sui quarantacinque, ancora prestante, la cui età era tradita solo dalle profonde rughe che solcavano orizzontalmente la sua fronte. Il signor Goldstein dava l'impressione di essere un uomo severo, poco incline al sorriso. 

"Papà non è a portata d'orecchio." Replicò spiccia la ragazzina.

"Anche io detesto questo genere di cosa," confessò Bernie in automatico, sentendosi di troppo. Non vedeva l'ora di andarsene.

Adrian gli lanciò un'occhiata comprensiva, che lui ricambiò. 

Si disse che probabilmente Goldstein doveva sentirsi ancora più in gabbia di lui. Magari avrebbe preferito passare la Vigilia con Dominique a casa dei nonni di lei… luogo in cui – a sentire Albus – regnava sempre un'immensa, caotica, accogliente confusione. 

Più adatto a un Grifondoro.

Anche se Adrian era sempre sembrato incline alla confusione quanto suo padre lo era al sorriso.

Quindi neanche un po'.

Si sentiva un po' a disagio, in compagnia di quei due. Adesso era sceso il silenzio: anche quella piccola petulante di Lucrezia sembrava aver perso la voglia di chiacchierare; Bernie capì che era il momento di andarsene da lì, magari trovare qualcun altro con cui passare la serata.

Fece piroettare lo sguardo sulla sala, puntandolo esattamente dal lato opposto di essa, quindi tornò a rivolgersi agli altri due. "Devo andare," comunicò con un mezzo sorriso. "Buon Natale!"

"Buon Natale anche a te, Boot." Si strinsero la mano con fare cameratesco.

"Buon Natale!" pigolò la piccola Lucrezia, porgendogli poi la mano con un'espressione estremamente adulta. Celando il sorriso che gli stava spuntando sulle labbra, Bernie la strinse.

Fece un'ultimo cenno con la testa in direzione di Adrian prima di dileguarsi. Deviò preventivamente un gruppetto di membri anziani del Wizengamot che sua madre conosceva, desiderando tutto fuorché essere costretto a intrattenere mezza dozzina di pezzi da museo – specialmente perché fra di loro aveva riconosciuto Bernadette Goyle, tipica Stronza Purosangue incartapecorita, e pure la signora Montgomery, che cercava da anni di procurargli un appuntamento con la sua antipatica figlia dal naso a becco.

Individuò in lontananza Pansy Parkinson assieme ai genitori di Scorpius e qualcun altro, rimpiangendo fortemente che né l'amico né Gwyneth fossero lì.

Sono a Hogwarts, i fortunati. Sapessero quanto li invidio…

Lui sarebbe tornato a Hogwarts l'indomani, via Metropolvere, come quei pochi che prima del Ballo del Ceppo erano andati a trascorrere la Vigilia con le famiglie. 

Come se fosse quello che sto facendo.

Da che ricordava, lui e i suoi genitori non avevano mai passato un Natale in famiglia. C'erano sempre feste formali cui presenziare, cene in cui sua madre era l'ospite d'onore. Suo padre detestava simili occasioni quanto lui, ma entrambi sapevano bene che Judith non poteva rifiutare simili inviti… e la diplomazia era la parola d'ordine, con un impiego come il suo. Bernie aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai e poi mai lavorato al Ministero, quando era diventato abbastanza grande da capire il perché.

Di solito, si rifugiavano entrambi a casa di zia Jaqueline – sorella di suo padre – appena potevano. Lo zio Albert, il marito Babbano della zia, era un esilarante ometto mezzo matto che nutriva un'ammirazione sorprendente per la magia. Spesso – almeno per quello che ne sapeva Bernie – i Babbani in principio si accostavano alla magia con diffidenza, poiché essa costituiva un fenomeno talmente al di fuori dei loro schemi da lasciarli completamente sbigottiti. D'altro canto, lo zio Albert aveva immediatamente accolto la natura di Jaqueline a braccia aperte, stupito e meravigliato dall'esistenza di una cosa tanto fantastica. Insisteva nel voler trovare una spiegazione scientifica all'origine della magia. "Deve esserci!" soleva dire. "Ed io la troverò."

Perso nei suoi pensieri, Bernie continuò a muoversi agilmente in mezzo alla folla, svicolando fra gruppetti di persone abbigliati con eleganza, finché non riuscì a raggiungere il tavolo delle bevande. Gongolò segretamente, al pensiero che per la prima volta avrebbe potuto ordinare alcolici. Era la sua prima Vigilia da maggiorenne, e intendeva approfittarne.

Anche perché la serata si prospetta troppo lunga e troppo noiosa.

Fece scorrere lo sguardo sul bancone, dove file di bottiglie luccicanti erano schierate l'una accanto all'altra, mentre i camerieri in livrea erano in piena attività. Chi agitava uno shaker, chi versava dello champagne, chi si chinava sotto il bancone per prendere dell'altro ghiaccio. Bernie studiò tutto quel tramestio, indeciso su cosa ordinare. Infine si decise per un calice di champagne.

Lo sorseggiò distrattamente, appoggiato al bancone, mentre osservava la sala. La soglia di età media dei partecipanti alla festa era sui cinquanta: si ripeté ancora una volta che fosse normale sentirsi fuori luogo. Anche Goldstein aveva la stessa sensazione, questo era trasparito chiaramente dalla loro conversazione.

Buttò giù un altro sorso di champagne, abbassando lo sguardo sul calice: le bollicine premevano contro il vetro trasparente e poi scivolavano via, scambiandosi di posto le une con le altre.

Bollicine. Mi piacciono… Stasera vorrei ubriacarmici, di bollicine.

Finì di scolare il calice e se ne fece subito riempire un altro, prima di allontanarsi di nuovo, riprendendo a vagare per la sala. Di tanto in tanto dispensava sorrisi di circostanza a qualche conoscenza dei suoi genitori o rivolgeva un saluto cordiale a chi gli era più simpatico. Al momento in cui il suo bicchiere si vuotava, regolarmente dirottava verso il bancone e lo faceva riempire di nuovo, sotto lo sguardo impassibile dei camerieri. Ogni tanto mangiava un'altra di quelle squisite tartine al salmone, che per altro si sposavano a meraviglia con lo champagne.

Era al quinto calice quando una mano gli artigliò il polso. Sentiva la punta delle unghie premere con delicatezza sulla pelle.

"Boot." La voce che gli si rivolse melodiosa era alle sue orecchie estremamente familiare. "Sono felice di vederti!"

Si voltò lentamente in direzione di Christine De Bourgh, che lo studiava con le labbra schiuse in un sorrisetto e quel solito, saccente brillio negli occhi. La presa sul suo polso si sciolse. "Spiacente di non poter dire lo stesso, De Bourgh."

La ragazza rispose con uno sbuffo simile a una risatina e distolse lo sguardo. Bernard ne approfittò per osservarla in tralice: indossava un vestito piuttosto sobrio, date le circostanze, e i boccoli scuri erano sciolti sulle spalle. Al contrario di lui, appariva perfettamente a proprio agio.

Non era dispiaciuto per averle risposto a quella maniera, dopotutto – lo champagne cominciava a dargli alla testa e non era riuscito a trattenersi; in fondo trovava Christine maligna e odiosa, e soprattutto non gli ispirava alcuna fiducia. La riteneva solo una subdola e perfida manipolatrice.

Ma è qualcuno con cui passare il tempo… Qualcuno che conosci, più o meno.

"Non ti sto simpatica." Fece Christine all'improvviso, lasciando scivolare le dita sul suo avambraccio mentre lo prendeva a braccetto. Bernie la lasciò fare e non si oppose neanche a passeggiare con lei ai margini della sala. 

"Non direi." Si voltò a guardarla. Lo champagne faceva apparire i contorni più vividi, premevano contro la retina. "Non credo che ci sia qualcuno a cui tu stia simpatica." Non riuscì a tenere a freno la lingua neanche questa volta. La ragazza gli suscitava un'antipatia troppo istintiva perché riuscisse a trattenersi, anche in una circostanza come la presente.

"Oh, ti sorprenderebbe." Sembrava quasi divertita dalle sue parole. "Sto simpatica al tuo amico Jake, giusto per fare un esempio."

"Solo perché l'hai incantato con quei tuoi stupidi giochi di parole. L'hai incastrato."

Lei fece spallucce e ridacchiò. "Non credo che lui sarebbe felice di sentirtelo dire."

Bernie bevve un sorso di champagne e rivolse un sorriso stiracchiato alla signora Montgomery mentre le passava accanto. "Jacob sa perfettamente come la penso."

"Bla bla bla." Christine spinse in fuori le labbra in una specie di broncio e roteò gli occhi. "Sei così fastidiosamente integerrimo."

Si mise a ridere. Ma che discorsi sono?! 

"E tu una stronza."

La ragazza sospirò e puntò lo sguardo da un'altra parte. "Queste sono solo parole."

Lui bevve l'ultimo sorso rimasto nel suo calice e lo poggiò sul vassoio di un cameriere di passaggio. Sussultò leggermente quando – senza nessun preavviso – Christine si mosse, parandoglisi di fronte e posando sulla sua spalla la mano che prima teneva sul suo braccio. "Balliamo."

Non ebbe la forza di rifiutare. Saliva il suono di un valzer leggero, violino e flauto, un sottofondo di cornamuse. Intorno a loro, molte coppie presero posto per danzare – Bernie vide con la coda dell'occhio suo padre porgere il braccio a sua madre con uno sguardo galante. Judith ridacchiò, leggermente rossa sulle gote.

Non li sopporto quando fanno i romantici. Mi fanno sentire in imbarazzo.

Seguiva i passi di Christine senza pensarci più di tanto, non abbastanza brillo da non rendersi conto dell'assurdità della situazione. Improvvisamente, quel silenzio tra di loro lo infastidì.

"Perché stai sempre addosso a Rose?" domandò, giusto per fare conversazione.

La ragazza lo scrutò per un momento, inarcando le sopracciglia. "Non le sto continuamente addosso. Siamo amiche."

"Dubito che qualcuno possa essere tuo amico."

"Te l'ho detto, Boot. Ti sorprenderesti." 

La fece girare sotto il proprio braccio, osservandola mentre per un tempo della musica si allontanava e poi tornava vicino a lui, con la mano sulla sua spalla. "Tu hai sempre un secondo fine," osservò. "Devi averlo anche stavolta."

Lei lo fissò per un lungo istante, gli occhi scuri imperscrutabili. "È così difficile pensare che io possa tenere a Rose?"

"È difficile pensare che tu possa tenere a qualcuno."

Bernie sentì la schiena di Christine irrigidirsi leggermente sotto la sua mano aperta. Durò solo un momento: subito i suoi muscoli parvero rilassarsi di nuovo. "Con chi vai al ballo?" La sua voce era calata di un tono.

Deglutì. Aveva continuato a procrastinare per settimane, finché non era giunto l'ultimo giorno di scuola e ancora non aveva invitato nessuna. "Ancora non lo so." Scrollò le spalle. "Tu?"

La musica cambiò. Entrambi si fermarono, mentre alcuni partecipanti alle danze si allontanavano e al contempo si aggiungevano altre coppie. Christine lo guardò dritto negli occhi. "Con te, suppongo."

Che cosa?!

"Io… Sei impazzita?!"

"Oh, no." Un sorrisetto saputo tornò a farsi vedere sul volto di Christine. "Tu non hai una dama, io non ho un cavaliere. Mi inviterai."

Bernie rise, alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa. "Perché dovrei invitare te?"

Lei tornò a prenderlo a braccetto. "Perché hai ballato con me fino ad ora, e hai visto che non è poi così male."

"Questo è quello che credi tu."

Christine tacque, mentre recuperava un calice di champagne da un vassoio e lo sorseggiava con aria pensosa. Bernie aggrottò le sopracciglia.

In fondo non ha poi tutti i torti. Si tratta solo di un ballo, alla fine.

Credo.

Respirò bruscamente.

Dopotutto Al ci andrà con Quinn Baston. Perché io non dovrei andarci con Christine De Bourgh?

Sbuffò. "E va bene. Vuoi venire al ballo con me, Christine?"

Lei sollevò brevemente le sopracciglia e poi sorrise. "Con molto piacere."

 

 

****

 

24 dicembre 2021

Hogwarts, Scozia

Sera

 

Let the ocean swell, dissolve 'way my past.

Pearl Jam

 

 

"Siete ubriachi." Agnes scoppiò a ridere, agitando la bottiglia di Firewhiskey vuota, mentre si lasciava andare con la schiena all'indietro sul divano. "Sono ubriaca anche io."

"Non sarebbe… non è la prima volta che ci vedi ubriachi." Scorpius sembrava faticare a trovare le parole giuste. Aveva le sopracciglia aggrottate e un certo cipiglio impresso sul volto.

Jacob sbuffò e scosse la testa, prima di avvicinare la bottiglia superstite alle labbra e buttare giù qualche sorso. Il bruciare del Firewhiskey nel petto era particolarmente piacevole, quella sera. Riusciva quasi a riscaldare i pezzi che gli mancavano e a fonderli con gli altri. Non del tutto, però: era solo una fottutissima illusione.

"Ma ci si ubriaca a Capodanno, no?" La ragazza buttò indietro i capelli scuotendo la testa, mentre si mordicchiava il labbro. "Non alla Vigilia!"

"Ci ubriacheremo anche a Capodanno, tranquilla." Anche Scorpius aveva preso a sorridere stupidamente, ma Jake sapeva che sarebbe durato poco – entro la fine della serata, l'amico sarebbe finito a pomiciare con Agnes o qualcosa del genere. In alternativa, gli sarebbe presa la solita sbronza triste.

Agnes Cardmaker era carina e completamente fuori. Saltò maldestra su una delle poltrone e prese a saltarvi sopra, a piedi scalzi. 

Gli ricordò Lily, con quei capelli rossi fiammanti che sobbalzavano sulle sue spalle e le gambe magre e pallide, le ginocchia coperte di lentiggini. 

Bevve ancora.

Agnes concluse l'ultimo salto sedendosi scompostamente sulla poltrona "Che c'è, Greengrass?" lo fissò per un momento, lo sguardo perso. "Di cattivo umore, stasera?"

"Che c'è, Greengrass? Di cattivo umore, stasera?"

L'espressione sul volto di Dominique Weasley era piccata – una delle sue espressioni più frequenti, peraltro, e pure una delle preferite di Jake. Quando qualcosa la irritava, Dominique stringeva leggermente le labbra, che sbiancavano appena, e i suoi occhi si sgranavano d'ira sotto le sopracciglia inarcate. 

"Che c'è, vorresti consolarmi?" Ribatté, schiudendo le labbra in un sogghigno.

La sua seconda espressione preferita era quella indignata. Dominique boccheggiò per pochi istanti, quindi sospirò bruscamente, trattenendo chissà quali improperi.

Jake gongolò.

"Sei inopportuno, come al solito." Fu l'acida risposta.

Lui si avvicinò, pronto a sussurrarle ammiccando qualcosa di ancora più inopportuno. La sua terza espressione preferita era quella scandalizzata.

"No. Di ottimo umore."

"Non sembra…" buttò lì, Agnes, osservandolo pensosa, le sopracciglia inarcate. Jacob socchiuse gli occhi finché la sua figura non divenne indistinta oltre il velo delle ciglia. Così sfocata, i tratti invisibili… somigliava davvero a Lily.

Si alzò dalla poltrona in cui era abbandonato e si avvicinò ad Agnes, mentre Scorpius osservava la scena perplesso. Si avvicinò, e i lineamenti della Cardmaker si fusero insieme per poi delinearsi in un volto diverso. Un volto con uno sprezzante nasino all'insù, occhi grandi e sconcertanti, quella bellezza quasi contemplativa di Lily.

Riaprì gli occhi e i tratti della ragazza mutarono, tornando a essere quelli di prima. Si allontanò, mentre Agnes lo scrutava con perplessità.

La mano di Scorpius si posò sul suo braccio, Jake la scrollò via. Non voleva essere consolato. 

Non aveva detto all'amico nulla di sé e Lily, ma fra di loro era una sorta di verità condivisa ma non dichiarata. 

Non era stato difficile dire a Scorpius di lui e Dominique. La cosa era nell'aria da un po', e per giunta l'amico era troppo preso da Lucy Weasley per prestare attenzione a qualunque altra cosa.

Dopotutto Scorpius non aveva mai amato Domi, e Jake si chiedeva come fosse possibile una cosa simile.

Lei aveva quel modo di baciarlo… quella maniera strana di far crollare ogni maschera, ogni apparenza fredda e stringerlo come se ogni cosa dipendesse da questo. Gli piaceva stare con lei, lanciarle battute pungenti, ridere delle sue piccole fissazioni.

Gli mancava da morire baciare Lily. Quando lei lo baciava, sembrava che cercasse di trovare la sua anima, da qualche parte. Quando si allontanava dalle sue labbra, lo guardava con quegli occhi che sembravano dire tu sei mio.

Non era giusto che lei fosse lontana. Non era giusto che tutto continuasse ad andare così maledettamente male nella sua vita. Non c'era niente, niente che funzionasse, e il peggio era non sentirsi in grado di cambiare le cose.

Ma posso farlo. Posso dire ad Albus la verità… Forse è questo che vuole Lily.

"Devo andare," biascicò, preda alla sbronza.

"Dove devi andare?" Scorpius lo guardò penetrante.

"Devo andare." Ripeté.

Si alzò in fretta e uscì dalla Sala Comune, mentre l'amico accennava a seguirlo per poi demordere, crollando di nuovo sulla poltrona.

Il passaggio… Il passaggio per Hogsmeade. Dov'è?

Ah, sì. La Strega Orba.

"Dissendium." 

Un momento prima era in Sala Comune, un momento dopo percorreva il tunnel buio e umido. Il tempo stava funzionando in modo strano, a scoppi. Sperò di arrivare presto a Godric's Hollow, di non essere costretto ad attendere.

Non aveva resistito alla tentazione di andare a Villa Conchiglia per vedere Dominique. Lui e Goldstein si erano presi a pugni, il pomeriggio del giorno di Natale, e c'era stato qualcosa nelle parole del Grifondoro che lo aveva reso improvvisamente insicuro.

Dominique, Dominique, Dominique.

Il suo pensiero costante, quasi un'ossessione. Devo essere un idiota. Spedì un gufo di poche righe a Dominique per avvisarla, poi buttò una manciata di Metropolvere nel fuoco della Sala Comune – per fortuna il Caposcuola Aubrey aveva garantito che l'avrebbe coperto – e capitolò nel salotto di casa Weasley-Delacour.

Dominique gli corse incontro e lo strinse a sé con una foga quasi sospetta.

Un momento dopo era all'aria aperta, col freddo della notte che gli asciugava il sudore lieve che aveva ricoperto la sua fronte. Godric's Hollow, vicino a casa di Al si concentrò con tutte le sue forze, prima di girare su se stesso e Smaterializzarsi. Ricomparve sulla via illuminata dai lampioni, i marciapiedi bordati di neve. 

"Cosa ci fai qui, Jake?"

La voce era viva, reale, come avrebbe dovuto essere. Ma non era quella giusta. 

Era stata Dominique a parlare: gli si parava di fronte, alcune ciocche di capelli biondi facevano capolino dal basco di lana, sfiorandole le sopracciglia, scomparendo nella sciarpa che portava avvolta intorno al collo.

Perché Dominique è qui? 

Lily.

"Ma sei in maniche di camicia a dicembre, stupido!" Gli si avvicinò di qualche passo. Jake non riuscì ad articolare una risposta. "Sei qui per Lily, vero?" Le dita sottili di Dominique sfiorarono la sua fronte. "Sei ubriaco." Una constatazione.

Lily. Gridò silenziosamente Jacob, nella propria testa.

Lily.

Fece un barcollante passo avanti, confuso, e qualcosa – forse la familiarità, forse la sbronza – lo spinse a chinarsi per premere le labbra su quelle di Dominique. Per un momento solo, la ragazza rimase immobile, pietrificata dalla sorpresa.

Quindi si scansò bruscamente. "Ma che cosa fai?" sbottò, arrabbiata. 

Jake pensò che, dopotutto, la sua espressione arrabbiata era identica a quella indignata… che era identica a tutte le altre. 

Non c'era nulla di particolarmente speciale. 

"Lily." Stavolta riuscì a dirlo. Gli uscì flebile, stentato.

Dominique lo fissò per un istante, quindi sospirò, scuotendo la testa. "Ti riporto a Hogwarts." Sentenziò, impietosita. "E la prossima volta che Scorpius ti permetterà di bere così tanto, giuro che lo strozzo." 

Infine posò la mano sul suo braccio, Smaterializzando entrambi.

 

 

 

 

 


 

 

 

 

Note dell'Autrice

Okay, non proprio puntualissima, ma ce l'ho fatta anche stavolta!

Come avrete notato, è un capitolo di più-o-meno passaggio. Mi è dispiaciuto dover tagliare tutte le scene della Vigilia alla Tana, ma non potevo mollarvi un mega capitolo di 20 pagine. Cercherò di inserire qualcosa nel prossimo (sebbene sarà difficile, poiché a quanto pare Ballo del Ceppo = Troppi problemi per inserire altro).

Stasera sono di buon umore e (stranamente) anche abbastanza soddisfatta.

Spero che il capitolo vi piaccia, e ricordate che recensire è cosa buona e giusta ;)

Bisous! E buon quasi-Natale!

Daphne

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 - The Yule Ball (Parte I) ***


A Tefnut.

Ci manchi, scema.

 

Each Life Converges to some Centre –

Expressed – or still –

Exist in every Human Nature

A Goal –

Emily Dickinson

 

25 dicembre 2021

Dormitorio femminile di Serpeverde

Tardo pomeriggio

 

"Questo stupido vestito non si chiude," sbottò Rose, armeggiando per chiudere la lampo. Si era impigliata in mezzo alle scapole, e per quanto la ragazza si torcesse e allungasse per cercare di recuperarla, non riusciva ad arrivarci. "Io ci rinuncio." Sospirò bruscamente, buttando giù le braccia doloranti. "Non ci voglio andare a questo stupido ballo."

"Non dire sciocchezze," sentenziò Christine. Depositò il ferro arricciacapelli sul piano del bagno e le si avvicinò.

Per qualche secondo Rose la sentì armeggiare: percepiva il tocco lieve e fresco delle sue dita sulla pelle mentre si dava da fare per riassestare la chiusura. "Ecco fatto." Udì il suono caratteristico della lampo tirata su fino in cima senza intoppi. "Fai con più calma, la prossima volta."

"Non ci sarà una prossima volta," mugugnò lei di rimando, burbera, accennando a un impacciato gesto di ringraziamento.

Christine ignorò quest'ultima uscita, attorcigliando una ciocca di capelli scurissimi intorno al ferro. Lo tenne fermo per qualche secondo prima di sfilarlo delicatamente dai capelli, che rimasero arricciolati in un boccolo lucido e perfetto. La ragazza scansò la ciocca sistemata e ne prese un'altra, apprestandosi ad acconciare anche quella. 

Rose per un momento la invidiò. L'altra aveva questa capacità di apparire sempre perfettamente a proprio agio, padrona della situazione e, soprattutto, di se stessa.

Anche in momenti in cui chiunque altro avrebbe un collasso. A volte mi chiedo se sia davvero umana.

Sospirò e si pose davanti allo specchio, osservando il vestito che aveva acquistato con sua madre.

Siamo persino andate a fare shopping come le persone normali.

Se le avessero chiesto di descriverlo, avrebbe risposto che era scomodo – e lo era senz'altro; ma la verità era che le piaceva da morire. Forse troppo principesco per i suoi gusti – aveva il terrore di sentirsi a disagio con indosso tutti quei metri di stoffa – ma appropriato. Dominique di certo l'avrebbe definito così, se fosse stata al suo posto.

Campionessa. Sono l'unica a trovarlo ridicolo?

L'abito era di un bel blu denso, pieno, metri e metri di raso e tulle traslucido. Quando l'aveva provato da Madama McClan, le era parso davvero splendido, baluginante sotto le luci soffuse del negozio. Ma adesso… adesso non riusciva a non pensare di avere un aspetto un po' sciocco. Forse era il contrasto fra lo splendore del vestito e il suo volto sbattuto, i capelli ancora non acconciati che piovevano flosci ai lati di esso. Le parve improvvisamente di avere la faccia troppo pallida e larga, il naso a patata, le labbra troppo sottili. Il che era più ridicolo di tutto il resto: se c'era qualcosa che Rose Weasley non aveva mai avuto, erano eventuali problemi col suo aspetto. Non l'aveva mai né scontentata né soddisfatta particolarmente: semplicemente era qualcosa che non teneva in gran conto. 

Il suo sguardo cadde nuovamente su Christine. La compagna di dormitorio era scalza, in piedi davanti allo specchio del bagno, ancora in canottiera. Arrotolava ciocca dopo ciocca i capelli sul ferro, lasciandoli poi ricadere giù distrattamente.

Oggi è troppo tranquilla. Deve avere qualcosa in mente.

In effetti dal momento in cui si erano ritrovate a Hogwarts, quella mattina, l'altra le era parsa insolitamente silenziosa. Sulle labbra le aleggiava un certo sorriso che non si curava di nascondere, e di tanto in tanto canticchiava

Si insospettì improvvisamente.

"Come mai sei così di buon umore?"

Christine si voltò lentamente, sul volto un'espressione innocente da ah, ma stai dicendo a me

La vide inarcare le sopracciglia. "Come, scusa?"

"Hai capito benissimo."

Christine alzò gli occhi al cielo e distolse lo sguardo, riprendendo ad arricciarsi i capelli.

Rose sbuffò, seccata, accingendosi a trovare il modo di sistemare i suoi, di capelli. Ormai aveva capito da un pezzo che Christine diceva quello che voleva quando voleva, e – soprattutto – quanto voleva; insistere non serviva a niente. Se l'altra non aveva intenzione di parlare, dalla sua bocca non sarebbe uscita una parola di più.

Si mosse per la stanza, tenendo sollevati i numerosi strati di lunghe gonne che indossava: non aveva idea di come avrebbe fatto a resistere per tutta la sera con quella roba addosso. E ballarci poi… 

Sussultò. Aveva avuto un'improvvisa illuminazione.

"Con chi vai al ballo?" chiese con nonchalance, piazzandosi di fianco a lei e iniziando a spazzolarsi i capelli.

L'altra ricambiò il suo sguardo riflesso nello specchio, imperturbabile. "Con Boot."

Sulle prime, Rose non fu certa di aver capito bene. Poi, quando si avvide che l'altra aveva ripreso ad arricciare la sua chioma come se nulla fosse, realizzò di aver colto benissimo il significato delle sue parole. Deglutì, perplessa.

"Quando ti ha invitata?" domandò con voce strozzata, cercando di contenere il proprio sbigottimento. Non che la cosa la riguardasse, le sembrava solo… strano.

Sì, strano è la parola giusta.

"Ieri sera." La risposta arrivò al tempo giusto, né troppo in fretta né con un secondo di ritardo, e Christine la pronunciò con leggerezza, modulando la sua voce melodiosa. Posò il ferro per ricci sul ripiano del bagno e lo sfiorò con la punta della bacchetta magica per spegnerlo: quello sfrigolò per un istante e si raffreddò gradualmente, come indicato dal minuscolo termostato incastonato sulla sua superficie. Christine sollevò le braccia e si sistemò qualche ciocca, spostando la massa di boccoli sulla spalla destra e fissandoli con qualche forcina. Dunque voltò la testa da una parte e dall'altra e sorrise al proprio riflesso, compiaciuta. 

Rose rimase immobile, la spazzola a metà di un ciuffo particolarmente ribelle, lo sguardo sperso mentre rimuginava sulle parole dell'altra. "Ieri sera," ripeté. "Come? E dove?"

"Al cenone del Ministero." Christine la degnò di un solo sguardo prima di oltrepassare la soglia del bagno e andare a prendere il suo vestito, che giaceva abbandonato sul letto. Era senza spalline, sui toni del beige e del nero, la gonna di tulle lucida quanto quella dell'abito di Rose. Lo sollevò davanti al proprio volto, senza smettere quel sorrisetto soddisfatto. L'angolo sinistro delle sue labbra guizzava in continuazione verso l'alto. "E per quanto riguarda il come, beh…" Fece spallucce. "Gli ho chiesto di invitarmi e lui l'ha fatto. Tutto lì."

"Cioè, spiegami…" Rose aggrottò le sopracciglia mentre mollava la spazzola sul lavandino, rassegnata, e iniziava a lisciarsi i capelli con la bacchetta magica. "Gli hai chiesto di–"

"Esatto." Confermò Christine, sfilandosi la canottiera e scavalcando la stoffa per infilarsi nel vestito. Torse il busto per tirare la chiusura lampo sotto il braccio sinistro: si chiuse senza intoppi. Si guardò allo specchio a figura intera della stanza, e di nuovo emise quel sorriso.

Non sarà che…

"Oh mio Dio." Esalò Rose, dimentica dei propri capelli, voltandosi di scatto verso di lei. "Ti piace?"

L'altra si limitò a guardarla. "Cosa intendi di preciso?"

Aprì la bocca per ribattere, ma prima che potesse proferir parola fu interrotta dal rumore della porta che si spalancava. Gwyneth si introdusse nel dormitorio a passi lunghi, domandando rilassata: "Siete già pronte?"

"Non ancora," rispose Christine candidamente, mentre Rose deglutiva e tornava a guardarsi allo specchio. Sollevò la bacchetta per cercare di sistemare i capelli, ma qualcuno gliela sfilò delicatamente di mano: era Christine, che le girava attorno in un fruscio di gonne. Non disse niente, limitandosi a girare alcune ciocche di capelli ramati da un lato e dall'altro con il suo tocco lieve. Parve quindi aver preso una decisione, perché estrasse la propria bacchetta magica che aveva nascosto fra le pieghe della gonna e iniziò a lavorare sui capelli di Rose. Quest'ultima rimase immobile e rigida mentre l'altra si dava da fare: in poco tempo Rose si ritrovò con i capelli raccolti in un basso chignon laterale, con qualche ciocca lasciata sfuggire ad arte che le ricadeva ai lati del volto.

Che adesso sembra decisamente più carino.

Mugugnò un ringraziamento e iniziò a truccarsi. Almeno quello era in grado di farlo.

Christine accennò un sorriso e aprì il proprio cofanetto dei gioielli, mentre dal dormitorio adiacente proveniva il trambusto che stava creando Gwyneth per prepararsi in fretta e furia. Frugò con le dita sottili fra i monili, finché non trovò quelli che cercava.

Rose la vide abbastanza bendisposta e si chiese se non fosse il caso di riprendere il discorso di prima.

Meglio cogliere l'attimo.

"Allora?" domandò in tono casuale. "Perché proprio Boot."

Christine sollevò lo sguardo verso lo specchio mentre si agganciava un orecchino. Lasciò ricadere giù le braccia, le punte delle dita poggiate lievemente sul ripiano del bagno e i gomiti appuntiti leggermente piegati. Recuperò l'altro orecchino e si pose a fissarlo al lobo. "Perché continui a ostinarti su questa storia del siamo solo amici?" Sogghignò al suo indirizzo. "Con Scorpius, dico."

Stronza. Ha evaso la domanda.

"Perché siamo solo amici," ribatté, brusca.

Christine roteò gli occhi, sbuffando. "Forse Scorpius è solo un amico per te." Concesse, prima di inarcare brevemente le sopracciglia. "Ma credimi… Tu sei molto più di un'amica per lui."

Rose deglutì. "Ti sbagli." Insistette. Lanciò il mascara nel cassetto, che chiuse di scatto con un gesto stizzito.

L'altra scrollò le spalle. "Ti sto dicendo la verità e lo sai."

"Non mi importa."

 

 

 

 

****

 

 

 

25 dicembre 2021

Dormitorio maschile di Serpeverde

Stessa ora

 

"Con– Cosa?!" Scorpius boccheggiò, in piedi di fronte allo specchio. Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e anche i due lembi della cravatta scivolarono di nuovo sul davanti del farsetto. Sbigottito, osservò le figure di Jake e Bernie, riflessi alle sue spalle.

Bernie sembrava seccato. Finì di abbottonarsi la camicia, rigido, quindi sollevò lo sguardo su di lui: le sue sopracciglia scure erano aggrottate in un'unica linea retta. "Sì," ripeté inespressivo. "Con Christine."

Scorpius si riscosse improvvisamente tornando bruscamente alla realtà. "Ma…" Rallentò, cercando di imprimere nelle sue parole tutto il tatto di cui era capace – che non era molto, a dire il vero. "Perché proprio lei?" si decise infine, cauto.

"Il motivo mi sembra abbastanza ovvio," sentenziò Jacob, sorridendo sornione mentre si girava una sigaretta soprappensiero, abbandonato sui cuscini del proprio letto. "È sexy."

Scorpius trattenne uno sbuffo, spazientito. Lo irritava che Jake si piazzasse sul volto quel sogghigno così tipico di un paio d'anni prima – come a voler dimostrare che non era cambiato nulla e che lui era lo stesso stronzo e sfacciato egoista di prima. Di quando voleva ancora portarsi solo a letto Dominique, nonostante lei fosse la ragazza del suo migliore amico. Certo, aveva atteso che si lasciassero prima di farlo davvero, e visto quanto accaduto in seguito lui non aveva certo il diritto di rimproverarlo per questo.

Perlomeno è stato corretto.

Non che gli fosse importato più di tanto, all'epoca, visto che la sua relazione con Dominique era un'autentica pagliacciata. Non capiva proprio perché ci stesse pensando adesso, specie perché dal canto suo aveva già tradito Domi, all'epoca. Sembravano eventi appartenuti alla vita di qualcun altro, quasi.

Nessuno di noi due è stato mai uno stinco di santo.

Ma erano Serpeverde, dopotutto.

Qui l'unico integro è Bernie.

Forse proprio per questo lo stupiva così tanto che l'amico avesse deciso di invitare proprio Christine al ballo – insomma, la De Bourgh equivaleva all'incirca al diavolo in persona, per come la vedeva lui… e come l'aveva sempre vista anche Bernie. Ancora di più lo infastidiva la superficialità ostentata con la quale Jake si ostinava a liquidare la faccenda: non sopportava che l'altro insistesse a fingere tutto quel menefreghismo; credeva che quella fase fosse ormai superata da un pezzo.

Come al solito reagisce di merda quando soffre. 

Speriamo ce Gwyn abbia abbastanza buonsenso da tenerlo lontano dall'alcool, stasera… Sarebbe meglio evitare il bis dell'anno scorso.

Il Natale dell'anno precedente Jake era venuto alle mani con Adrian Goldstein: se l'erano date di santa ragione rotolando sulla neve, sotto lo sguardo esterrefatto suo e di Grace. Solo che Leopold Higgs era uno stronzo, al contrario di Goldstein… Sarebbe stato meglio evitare di rendere memorabile il Ballo del Ceppo per uno scambio di fatture. Forse avrebbe dovuto dire qualcosa a Gwyneth in proposito.

Non sapeva di preciso cosa fosse successo fra lui e Lily, il perché della loro rottura. Probabilmente Albus c'entrava qualcosa, il che peggiorava ulteriormente le cose, se possibile.

"Quindi hai invitato la De Bourgh perché è sexy." Ripeté. "Comprensibile."

Sexy… D'accordo, era innegabile che Christine lo fosse. Ma era anche perfida e terribilmente maliziosa, psicopatica e con manie di protagonismo. Scorpius l'aveva sempre trovata troppo inquietante per riuscire a pensare a lei in quel modo.

Specie dopo tutto quello che ha fatto a Lucy. E a me.

"Esatto." Bernie indosso il gilet, evitando di guardarlo in faccia. Forse proprio per via dei trascorsi di Christine con Lucy, rifletté Scorpius.

Tentò distrattamente di allacciarsi la cravatta, prima di fermarsi di nuovo, un pensiero improvviso in mente. "Quando, se posso chiederlo?" Non ebbe bisogno di specificare.

"L'ho incontrata ieri al cenone del Ministero," rispose l'interpellato con voce incolore. 

"Ecco perché io e Scorpius evitiamo sempre quelle feste." Jake sogghignò. "Si fanno sempre incontri inquietanti."

Scorpius ebbe l'improvviso impulso di voltarsi, raggiungere Jacob e piazzargli un bel pugno in faccia, e poi calpestare quella dannata sigaretta che continuava a rigirarsi tra le dita. Avrebbe anche potuto avere il buon gusto di risparmiarsi certe uscite, soprattutto perché proprio lui era culo e camicia con Christine da mesi.

In cambio di un consiglio, poi.

Anche se, conoscendo Jake, un senso ce l'ha tutta questa faccenda.

Si sentiva un po' ingiusto a pensarla così, ma qualcosa dentro di lui lo spingeva a pensare che un'amicizia fra Christine e Jake fosse più comprensibile, in un certo senso, rispetto a…

Rispetto a questo.

"E come ti è venuta questa brillante idea?" Si rivolse di nuovo a Bernie, forse un po' troppo bruscamente.

"Idea sua." Rispose l'altro laconico, facendo spallucce.

Scorpius vide le sopracciglia di Jake inarcarsi, mentre l'amico si tirava a sedere con un cigolio leggero delle molle sul letto, l'espressione vagamente perplessa a indicare che anche lui era almeno un po' sorpreso da quest'ultimo dettaglio. "Come è successo?" domandò in tono pratico.

Bernie roteò gli occhi, esasperato. "Dovete proprio sottopormi a questo interrogatorio? Sembrate ragazze."

Aprì la bocca per ribattere, ma uno sguardo eloquente di Jacob lo fermò.

Non sopporto quando ha ragione mentre sono arrabbiato con lui.

"Scusa, Ber." Fece una pausa, cercando le parole giuste. "Stiamo esagerando."

Bernard sospirò, e dal suo sguardo Scorpius capì di essere stato perdonato.

Povero Ber, ha parecchio di cui perdonarmi.

Si sentì improvvisamente in colpa per aver reagito a quella maniera una volta scoperto chi sarebbe stata la dama designata da Bernie per il ballo. Dopotutto, lui aveva poco da parlare: la ragazza che aveva invitato era la stessa che era piaciuta all'altro per mesi.

Rose.

Da quando si erano scambiati quel bacio fasullo, il pensiero gli era rimasto inchiodato in testa, senza un momento di tregua: voleva baciarla di nuovo. Si rendeva conto, sapeva che per Rose era lo stesso. Quella sera l'avrebbe fatto – decise – e questa volta sarebbe stato un bacio vero e non uno scambiato davanti a tutti solo perché l'aveva stabilito una bottiglia.

A quel pensiero, si sentì improvvisamente molto più bendisposto nei confronti del mondo: arrangiò un nodo sbrigativo alla cravatta e si diresse a lunghi passi verso Bernie, con un sorriso da un orecchio all'altro. 

Gli scompigliò i capelli. "Forza, Ber!" Sogghignò. "Mi sa che sarai l'unico a beccarci qualcosa, stasera." Aggiunse per scaramanzia.

L'espressione dell'altro divenne specchio della sua. "Probabile. Se Jake ci provasse con Gwyn, più che altro si beccherebbe una padellata in testa."

Jacob si rabbuiò appena. "Gwyn farebbe molto peggio," commentò con un sorriso amaro. 

Ti sbagli, Jake. Gwyn è imprevedibile… Ci penserebbe Lily Potter a ucciderti se facessi qualcosa del genere.

E Al ti darebbe il resto.

"Andiamo?" propose agli amici, cercando di scaldare l'atmosfera. Jacob si alzò dal letto con un movimento fluido e lo raggiunse in pochi passi. 

"Imparerai mai ad allacciarti una cravatta?" brontolò, disfacendo il nodo per rifarlo da capo.

 

 

 

 

****

 

Counting every minute

Till' the feeling comes crashing down.

Foo Fighters

 

Jacob allargò con due dita il colletto della camicia, nervoso. Deglutì, scambiandosi uno sguardo con Scorpius e Bernie mentre aspettavano che le loro dame – casualmente le tre Serpeverde del loro anno, adesso che ci pensava – risalissero le scale dei dormitori femminili, così da recarsi tutti assieme in Sala Grande.

Scorpius e la Weasley avrebbero aperto le danze, visto che quest'ultima era la campionessa di Hogwarts. Jake aveva preferito non indagare troppo sul loro rapporto, intuendo che si trattava di un argomento delicato per l'amico. Sperava che Gwyn non avesse troppa voglia di ballare, quella sera, poiché il suo unico desiderio era quello di restarsene in dormitorio in perfetta solitudine. O magari con la compagnia di Lily…

Se solo potessimo chiarire.

La prospettiva era senz'altro dolce, ma purtroppo anche improbabile. Specie dopo la sua pessima performance della sera precedente – sperava davvero che Lily non lo avesse visto baciare Domi, ma di certo questo l'avrebbe saputo nel vederla. 

Dovrei dirle quello che è successo, forse… ma poi lei non vorrebbe più tornare con me.

E se lo scoprisse dopo? Sarebbe peggio.

Sospirò brevemente, tamburellando il pavimento con il piede. La situazione non era certo delle migliori.

Gettò un'ulteriore occhiata in direzione dell'uscita dai dormitori femminili, giusto in tempo per vedere la figura di Lily emergere dalla scala buia retrostante. Era… semplicemente bellissima, con un abito morbido e lucente dalla tipica foggia magica, che scopriva le spalle e un bel pezzo di schiena, come notò quando la ragazza si voltò per dire qualcosa a Swanilda Simpson, che veniva dietro di lei, le dita intrecciate a quelle della Stubbins, che rideva della solita risata scialba e aveva i capelli biondi tirati su in un'acconciatura principesca.

Perlomeno quelle due hanno deciso di palesarsi. 

Forse dovremmo farlo anche noi… o meglio, avremmo dovuto. Da un bel pezzo.

Tentò di mantenere impassibile la propria espressione mentre continuava a osservare Lily. Lei non aveva legato i capelli, si era limitata ad appuntarli leggermente sopra le orecchie e aveva fatto qualcosa ai ricci, che invece di essere selvaggi e ribelli come al solito erano fissati in onde lucenti e ordinate. Aveva anche fatto qualcosa al volto… forse era il trucco, diverso dalla solita matita nera messa frettolosamente che Lily prediligeva. I suoi occhi sembravano ancora più grandi e il suo aspetto… Raggiante. Questa era la parola giusta. 

Il sorriso in cui erano incurvate le sue labbra traballò appena quando i loro sguardi si incrociarono. L'occhiata che Lily gli rivolse era dispiaciuta e triste: anche a distanza la vide deglutire; la ragazza non si sforzò di sorridergli, ma chiuse gli occhi per un momento e quando li riaprì si era ricomposta. Jake si accorse solo in quel momento di aver fatto lo stesso. 

C'è qualcosa di sbagliato in questa serata, si ritrovò a pensare. Lo sapevano entrambi, qualcosa non tornava – come se un pezzo non fosse al suo posto; Jake sapeva quale pezzo fosse. Il pezzo mancante era lui, ed era anche Lily: erano l'uno per l'altra e viceversa. Improvvisamente realizzò – ma l'aveva saputo fin dall'inizio, da qualche parte dentro di sé – che quel senso di malinconia e di solitudine incurabile l'avrebbe accompagnato per tutta la serata. 

Al pensiero si sentì sprofondare e continuò a sostenere lo sguardo di Lily come poteva, poi chinò il mento in un cenno di saluto. Lei annuì quasi impercettibilmente, stringendo le labbra.

Era dall'altra parte della Sala Comune: l'avrebbe potuta raggiungere in pochi istanti, eppure erano più lontani che mai.

Si ritrovò improvvisamente a temere che i baci di Lily e i suoi sorrisi diventassero presto solo ricordi.

Lo stesso pensiero sembrò attraversare la mente di lei, perché aggrottò le sopracciglia e gli lanciò un'occhiata più intensa delle altre. Quindi socchiuse le labbra come se volesse dirgli qualcosa, ma a quel punto qualcosa la distrasse, perché voltò improvvisamente la testa da un'altra parte. Leopold Higgs le si avvicinò, porgendole il braccio. Lily sorrise appena, distratta, e posò lievemente le dita sul suo avambraccio, gettando un'occhiata in tralice a Jacob prima di dirigersi con Higgs verso l'uscita della Sala Comune.

Jacob sentì una stretta violenta al cuore ed ebbe l'improvviso impulso di raggiungerli, stringere Lily fra le braccia e dire a Higgs che gli dispiaceva tanto, ma la sua dama aveva già un cavaliere e che quel cavaliere era lui. 

Non lo fece. Rimase immobile e rigido a osservarli mentre superavano la parete mobile e scomparivano oltre, nel corridoio dei sotterranei… Nello stesso corridoio dove lui aveva baciato Lily la prima volta.

Senti una mano posarglisi sulla spalla e dare una breve stretta. Era Bernie, che guardava da tutt'altra parte ma evidentemente doveva essersi accorto del suo disagio, e averlo anche perdonato per come aveva affrontato l'argomento Christine. Si sentì un po' in colpa nei confronti dell'amico, e al contempo grato della sua comprensione. 

Finalmente, le loro dame comparvero all'uscita dei dormitori femminili. Erano tutte e tre decisamente carine, specialmente Christine, che aveva un'aria estremamente soddisfatta. 

Deve avere qualcosa in mente.

La Weasley, invece, appariva un po' stordita e si guardava intorno con espressione vacua. Scorpius, tuttavia, parve non pensare lo stesso, perché le si avvicinò a lunghe parti con un gran sorriso, porgendole il braccio con gesto cavalleresco. Rose accettò di prenderlo, con espressione guardinga. Un qualche triste presentimento gli disse che Scorpius non avrebbe avuto la serata che si aspettava.

Bernie, invece, non sembrava particolarmente entusiasta. Christine lo prese subito a braccetto e gli sussurrò qualcosa molto vicino all'orecchio: Ber rimase imperturbabile e sembrò risponderle per le rime: lei rise e lui alzò gli occhi al cielo.

Però!

Christine si accorse del suo sguardo e ammiccò nella sua direzione, incoraggiante. 

Gwyneth gli sorrise, perfettamente rilassata. Jacob si schiarì la voce e sorrise galante, porgendole il braccio: la ragazza gli rise in faccia. "Inutile, Greengrass: non riuscirai a farmi credere di essere contento di portare me al ballo."

"Mmh." Le prese la mano e la posò sul proprio avambraccio. "Così va bene?"

Le labbra di Gwyn si incurvarono in un sorriso leggero. "Meglio." Si incamminarono verso l'uscita della Sala Comune. "Dì la verità, con chi vorresti stare in questo momento?"

Si sentì improvvisamente infastidito. "Non credo che ti riguardi."

"In un certo senso sì." Percorsero un paio di corridoi umidi, prima che proseguisse il suo discorso. "In teoria potrei anche prendermela: sei con me ma pensi ad un'altra persona… Oh, no. Non ho intenti romantici nei tuoi confronti, stanne certo."

"Potevo immaginarlo." Jake si stampò in faccia un sorriso, sentendosi profondamente stupido. 

Non gli accadeva spesso di sentirsi così, e non gli piaceva affatto. 

"Potevi anche essere più cortese, ma non fa nulla." Sospirò. "Si vede che hai altro per la testa, e che questo altro sta andando piuttosto male."

"Che acume." Commentò Jake, sarcastico. Gwyn aveva detto chiaramente che non faceva nulla… Si limitava a prenderla in parola.

"Avanti, chi è?" La ragazza accennò un sorriso storto mentre finalmente emergevano in Sala d'Ingresso, decisamente più illuminata e tiepida dei sotterranei. "Forse è Rose Weasley? Non sarebbe la prima volta che provi interesse per lei, o sbaglio?"

Jacob rise amaramente. "Non sei così stupida da crederlo davvero."

Sei solo piena di astio nei miei confronti. Per carità… più che legittimo. 

"Infatti non lo credo." Entrarono insieme in Sala Grande e per qualche momento non dissero nulla, meravigliati: l'impressione era quella di trovarsi al centro di un immenso fiocco di neve: ogni cosa era candida o argentata, scintillante come ghiaccio al sole. I dodici abeti tradizionali di Hogwarts erano disposti lungo le pareti, e le decorazioni usuali erano state sostituite da cristalli di ghiaccio e finta neve magica che mandava bagliori.

Che meraviglia, non poté fare a meno di pensare.

Si sentì lievemente più bendisposto nei confronti di Gwyn. Dopotutto, non poteva rovinarle la serata per via del proprio malumore. Quindi si decise a fare buon viso a cattivo gioco e si chinò a darle un bacio sulla guancia, prima di mormorare: "Mi dispiace. Sono stato un terribile cafone finora."

Le labbra della ragazza si schiusero in un sorriso privo di gioia, scoprendo i denti bianchi e regolari. "Ne sei consapevole, quindi."

"Cercherò di rimediare," promise lui.

Lei mise su un'espressione pensosa. "Comincia dicendomi chi è." Inarcò brevemente le sopracciglia, sogghignando

"Non posso." La guardò. "Davvero, non posso dirtelo."

"Scommetto che Christine lo sa." Gwyn si sistemò una ciocca i capelli.

Lui sostenne il suo sguardo. "Sai com'è fatta Christine. Se vuole sapere una cosa, trova sempre il modo di scoprirlo."

"Già." La udì sospirare. "Di questo ce ne siamo accorti tutti."

 

 

 

****

 

 

 

 

"In teoria dovremmo confonderci con gli studenti."

"Non è quello che stiamo facendo?" domandò Holly, nervosa, lisciandosi la lunga gonna dell'abito da sera. "Mi sembra una cosa talmente irrazionale… se dovesse accadere qualcosa, dubito che riuscirei a correre vestita così."

Louis la squadrò da capo a piedi, adorabile in metri e metri di stoffa azzurra. "Non preoccuparti." Sorrise sghembo. "Sarò le tue gambe." Holly alzò gli occhi al cielo mentre accanto a loro qualcuno dissimulò una risata con un colpo di tosse. Senza smettere il suo sorriso, Lou si voltò in quella direzione. "C'è qualche problema, Flint?" domandò in tono cameratesco. 

Lo Spezzaincantesimi si limitò a incurvare leggermente le labbra e sostenere il suo sguardo. "Dovrebbe?" rispose quindi semplicemente, aggrottando brevemente le sopracciglia.

Holly tossicchiò, seccata. "Cercate di essere professionali, d'accordo? Siamo in missione, non in una partita di Quidditch."

"Verissimo." Flint lo anticipò. "E se magari la smettessi di guardarti attorno con aria circospetta, forse qualcuno non se ne accorgerà."

La giovane Auror scoccò a Marcus un'occhiata furente, che fece gongolare Louis interiormente: fin dai tempi della scuola, Holly Greengrass arrabbiata era qualcosa da temere se si era la malcapitata vittima, e un incantevole teatrino se vi si assisteva da spettatori. Tuttavia, nella situazione presente anche Holly dovette ammettere che l'ex-Serpeverde aveva ragione, perché si contenne al massimo, limitandosi a stringere le labbra fino a farle sbiancare. 

La vide sospirare profondamente. "Bene." La ragazza stirò le labbra in un sorriso finto. "Per confonderci con la scolaresca dovremmo perlomeno fingere di divertirci."

"Io mi sto divertendo un mondo." Fece Louis senza pensarci. In effetti, un'intera scolaresca tirata a lucido e vestita a festa era uno spettacolo mica male. Specie se si sapeva dove puntare lo sguardo.

E io più o meno lo so. Di solito le ragazze e i ragazzi più carini gravitano fra il tavolo degli alcolici e il centro della pista.

Holly ebbe il buon senso di ignorare il suo commento. "Andiamo a bere qualcosa?" propose. A giudicare dalla sua espressione, si era rassegnata. 

"Naturalmente." Lou le porse il braccio senza riflettere. Holly lo fissò per un momento, come se stesse valutando l'offerta, quindi sospirò leggermente e lo prese a braccetto. Poi voltò il capo in direzione di Flint e fra di loro passò qualcosa che l'Auror non capì: Marcus la guardò fisso con serietà, Holly abbassò lo sguardo e annuì quasi impercettibilmente. Lo Spezzaincantesimi si fece avanti, e tutti e tre si incamminarono insieme verso il tavolo delle bevande.

Mentre attraversavano la Sala Grande, qualcuno gli passò accanto e lo urtò con una spallata tutto sommato piuttosto discreta. Lou si voltò e riconobbe la sagoma familiare di sua cugina Lily, che lo superò di un passo e si voltò di nuovo indietro, sorridendo furba. Naturalmente, era abbastanza sveglia da non dar segni troppo palesi di averlo riconosciuto, per non attirare l'attenzione su di lui: stava in compagnia di un tipo mai visto e sogghignante, che tentava palesemente di flirtare con lei.

Faccia da Serpeverde.

Aveva intercettato Albus quella mattina per un saluto – e per raccomandargli di ignorarlo qualora lo avesse incrociato nel castello – e osservato Rose mentre apriva le danze con quel bellimbusto di Scorpius Malfoy.

Ex-ragazzi di Domi. Ex-ragazzi di Domi ovunque.

Anche se non era certo di poter definire Malfoy un ex-ragazzo, quanto piuttosto il Primo Fidanzatino. Che peraltro sembrava nutrire una palese preferenza nei confronti delle ragazze di marchio Weasley, visto che era stato con Domi e con Lucy e adesso faceva gli occhi dolci a Rose.

Ci manca solo che ci provi con Hugo.

O con me.

"Ehi, Louis! Sveglia!" Holly gli agitò una mano davanti alla faccia. "Non ti distrarre!" Lo sguardo di Lou scivolò ancora una volta sulla sua scollatura, com'era doveroso. La ragazza dovette accorgersene, perché sembrò innervosirsi e tirò su il fiato in fretta, come se si stesse trattenendo a stento dal lanciargli qualche improperio. 

Sogghignò fra sé e sé, sciogliendo il braccio destro dalla presa di lei e facendolo scivolare agilmente attorno alla sua vita. Holly non si irrigidì affatto, ma gli gettò comunque un'occhiata strana da sotto le sopracciglia inarcate. Un'occhiata rassegnata – e forse anche divertita, sotto sotto. 

Louis si stava divertendo da pazzi, decisamente. 

Flint lo guardò da sopra la testa di Holly. Non sembrava particolarmente entusiasta del risvolto che aveva preso la faccenda in generale – o più in particolare del fatto che il braccio di Lou fosse posato dove, nella sua ottica, avrebbe dovuto esserci il suo. Lo scrutò per un momento coi suoi occhi scuri, con espressione seria ma ancora non apertamente ostile.

Non è geloso, solo… infastidito.

Alla fine, agganciati a quella maniera riuscirono a raggiungere il tavolo delle bevande. Il braccio di Louis non si era mosso dalla vita di Holly, che stava ancora a braccetto con Flint. Ordinarono tutti e tre la stessa cosa – champagne – ma Lou notò che Marcus si bagnò appena le labbra, mentre Holly bevve un piccolo sorso misurato e lui quasi si scolò l'intero calice. 

Allegramente, diede una pacca sulla spalla dello Spezzaincantesimi da dietro la schiena di Holly. "Almeno un sorso puoi pure concedertelo," lo apostrofò. Flint incurvò le labbra in un sogghigno divertito, mentre la ragazza passava lo sguardo dall'uno all'altro, leggermente interdetta da quel primo, inaspettato accenno di una conversazione vagamente cordiale fra i due. 

L'altro sorrise ancora, scuotendo la testa, quindi buttò giù qualche sorso di champagne. "Stavo assaggiando."

Lou scoppiò a ridere di cuore: persino Holly sembrava divertita, sebbene si stesse masticando la lingua nel vano tentativo di non darlo a vedere. 

Flint scosse il braccio libero per far scivolare giù il polsino della camicia, quindi piegò il gomito per guardare l'orologio. "Adesso devo andare." Si guardò intorno. "C'è abbastanza confusione perché non si noti."

Louis si ricompose subito nel suo migliore atteggiamento professionale. "Certo, Flint."

"Hai un'ora," aggiunse Holly seriosa. "Poi ti raggiungiamo."

Le labbra di Marcus si schiusero in un sorriso sarcastico, mostrando i denti bianchi. "Quanto trasporto, Holly." Replicò, inarcando appena le sopracciglia.

Lei lo guardò malissimo mentre si allontanava sghignazzando senza lasciarle il tempo di ribattere.

Holly rivolse a Lou un'occhiata arrabbiata. "Perché voi due dovete sempre essere così idioti?!"

 

 

 

****

 

 

 

"Mi fa piacere che tu abbia accettato il mio invito."

Lily danzava con Leopold senza guardarlo in faccia, una mano posata leggermente sulla sua spalla. Perlomeno, il suo cavaliere aveva deciso di vestirsi alla Babbana piuttosto che infagottarsi in una di quelle orribili tuniche fuori moda, quindi riuscivano a ballare insieme senza inciampare nelle gonne dell'uno e dell'altra. I suoi piedi si muovevano automaticamente al ritmo della musica di quel ballo tradizionale, mentre attendeva che mettessero su una musica decente – o perlomeno moderna

Si accorse che Higgs le aveva rivolto la parola solo dopo qualche istante.

"Davvero?" replicò con voce piatta, gettandogli un'occhiata distratta prima di tornare a guardare oltre la sua spalla. Jake attraversò il suo campo visivo, volteggiando sulla pista assieme a Gwyneth Parkinson: abbassò gli occhi sulla stoffa ruvida della giacca di Leopold, amareggiata.

Con la sua risposta indifferente eluse per un momento le chiacchiere dell'altro, che tuttavia riprese presto la parola. "Volevo andare con te al ballo."

"Mi pare ovvio." Replicò Lily, caustica, quasi senza pensarci. "Non mi avresti invitata, altrimenti."

"Solo," la fece volteggiare sotto il proprio braccio, "non capisco perché tu mi abbia detto di sì, visto che stare qui con me sembra essere l'ultima cosa di cui tu abbia voglia in questo momento."

Lily buttò giù un respiro, seccata. "Ma che dici," lo contraddisse distrattamente.

Leopold schiuse le labbra in un sogghigno. "Possiamo almeno cercare di divertirci."

"Io mi sto divertendo." Mentì. "Sul serio."

La guardò. "L'ultima volta che ci ho pensato, sapevi mentire bene."

"Tu non mi conosci, Higgs," sibilò tra i denti, con un'occhiata raggelante da sotto le sopracciglia inarcate. "Sono cose che non ti riguardano."

Il ragazzo emise una risata amara simile ad uno sbuffo. "Ripeto, non capisco perché hai accettato il mio invito se mi detesti."

Lily sorrise senza gioia, con sguardo derisorio. "Perché a un certo punto ho deciso di andare al ballo con il prossimo che mi avrebbe invitata."

La musica cambiò, sostituita dall'ennesima danza tradizionale, una ballata. Lily e Leopold si divisero, ponendosi l'una al fianco dell'altro mentre accordavano i passi alla nuova melodia. Ballavano come prescritto, senza toccarsi ma limitandosi a sfiorare l'uno le dita dell'altra; i loro passi li portavano ad allontanarsi e avvicinarsi.

"Non mi sembrava di farti così schifo, quando mi hai baciato alla festa di tua cugina."

Lily girò su se stessa e tornò ad avvicinarsi a Leopold. "Avevo bevuto, come tutti." Scosse la testa, roteando gli occhi. "E poi il fatto che baci bene non vuol dire necessariamente che mi sei simpatico."

"Su questo concordo." Si misero l'uno di fronte all'altra, unendo i palmi. "Tu non sei affatto simpatica."

Lily fece una smorfia. "Come se fosse la prima volta che me lo dicono."

Lui strinse le labbra per un momento. "Un giorno mi svelerai da chi avresti voluto essere invitata," infierì, sarcastico. 

Fu costretta a chiudere gli occhi per un momento per contenere l'irritazione. 

Ma guarda tu che razza di idiota.

Se c'è qualcosa che non sopporto, sono gli idioti troppo intuitivi.

"Chi ti dice che sia così?" replicò sullo stesso tono, con espressione commiserativa.

Higgs chinò il capo verso Lily mentre lei accennava una reverenza, segno che era il momento di cambiare dame e cavalieri. "Non sei poi così brava a mentire, Lily Potter." Storse le labbra. "O a fingere indifferenza."

Staccò le proprie mani da quelle di Lily, allontanandosi con un cenno di saluto. Lei lo seguì con lo sguardo, con uno sbuffo esterrefatto, senza guardare dove andava, finché non si ritrovò tra le braccia di un'altra persona.

Si guardarono per un lungo istante. Lily restò sbigottita per una frazione di secondo, il mento sollevato, gli occhi sgranati e gravi.

"Jake." Constatò poi.

Lui non disse niente nel lasciarla andare, ma mentre abbassava il capo in un accenno di inchino non cessò di fissarla negli occhi. Lily fece la sua riverenza con un leggero ritardo rispetto alle altre ragazze. 

Deglutì mentre univano i palmi sfiorandosi appena, come aveva fatto prima con Leopold. Ma la differenza… era palpabile. Il sottile strato di aria fra la sua pelle e quella di Jake sembrava vibrare. Non era più vicina a lui di quanto non lo fosse stata al suo cavaliere, ma in qualche maniera la percezione di quella distanza sembrava aver mutato le sue proporzioni. Gli sembrava quasi di sentire l'alito di Jake, che odorava leggermente di menta.

Non pensavo che anche al Ballo del Ceppo facessero del mojito.

O forse è solo la sua fissa per la menta.

"Devo parlarti." La voce di Jacob la fece tornare improvvisamente alla realtà. Staccò brusca gli occhi dai suoi, voltando la testa mentre cercava di non guardare nella sua direzione.

Ma la tentazione era troppa: i suoi occhi continuavano a guizzare verso il viso di Jake, che la guardava fosco al di sotto delle sopracciglia aggrottate. Aveva lo sguardo sbieco e circospetto delle Grandi Preoccupazioni.

"Non mi… non mi sembra il momento più adatto," replicò nervosamente.

"È il momento più adatto." 

Buttò giù un sospiro spezzato, stringendo le labbra e tornando a guardarlo negli occhi. "D'accordo." Concesse. "Dimmi."

"Ieri notte sono andato a Godric's Hollow."

"Sei andato dove?!" Lily era troppo esterrefatta per riuscire a esternare un commento più intelligente. "Ma sei del tutto pazzo?"

La guardò, e i suoi occhi le parvero stranamente preoccupati. "Ero del tutto sbronzo, semmai."

Lily stava ancora registrando le sue parole mentre si allontanava e ruotava su se stessa. Si avvicinò di nuovo a Jake. Più vicino di prima. "Sei un idiota!" Emise uno sbuffo, sconcertata, le labbra contratte in una smorfia. 

"Più o meno la stessa cosa che mi ha detto tua cugina." Replicò Jake in tono cupo. 

Lily sussultò. Non riuscì proprio ad evitarlo. "Hai… hai incontrato Dominique." Non era una domanda. Tutto tornava: Dominique si era recata con lei a Godric's Hollow dopo i festeggiamenti alla Tana, la sera precedente, e non se n'era andata che a notte fonda. 

Era il seguito che temeva.

"Avete… parlato," lasciò cadere, senza riuscire a impedirsi di sperare, maledizione, sperare con tutte le proprie forze. 

"Sì." Jacob chiuse gli occhi con forza, quindi li riaprì. "Più o meno. Si è arrabbiata e mi ha riportato a Hogwarts, dopo che…"

Lily si accorse di star trattenendo il respiro. "Dopo che?" lo esortò a proseguire in un filo di voce.

"Dopo che l'ho baciata."

Le girò improvvisamente la testa, mentre aveva la sensazione che qualcuno le avesse appena suonato un gong sul capo. "L'hai baciata?!" La sua voce suonò lontanissima. 

La mano di Jake si strinse attorno alla sua invece di limitarsi a sfiorarla. Quel contatto improvviso la fece sobbalzare. "Lasciami."

L'altro obbedì, ma il suo sguardo era deciso. "Lily, adesso mi ascolterai. L'ho baciata, okay? Ma ero ubriaco ed ero andato a Godric's Hollow per vedere te."

"Come hai fatto presto a cambiare idea, allora!" Il dolore la colpì all'improvviso, costringendola a quella risposta pungente pur di non fare immediatamente qualcosa di molto stupido. Come dare uno schiaffo a Jacob o mettersi a piangere.

Si contenne, limitandosi a imprimere nel proprio sguardo tutta la rabbia che provava. 

Jacob respirò profondamente per trattenere una rispostaccia.

Come siamo uguali, noi due, pensò Lily quasi distrattamente.

"Ascoltami." Ripeté il ragazzo. "Ti volevo parlare. Volevo dirti che non mi importa niente di quello che Albus o chiunque altro può pensare." Un giro di danza li costrinse ad allontanarsi l'uno dall'altra per una frazione di secondo. "Io voglio te. Non mi importa del resto."

Lily non riuscì a impedire al proprio cuore di scaldarsi leggermente a quelle parole, e si odiò per questo.

Lei era arrabbiata, per la miseria. Anzi, era furiosa.

Un bottone del farsetto di Jake saltò improvvisamente.

Magia involontaria. Contieniti, stupida!

"Lily, ero completamente fuori." Jake le prese di nuovo la mano, stringendo convulsamente le dita attorno alle sue, senza dar segno di volerla lasciare andare. "Non capivo nulla di nulla, ma c'era qualcosa che sapevo." La fissò. "Sapevo di volerti vedere subito. E ho baciato Dominique pensando di baciare te."

Fu il suo turno di chiudere gli occhi per un momento. Altrimenti, sarebbe scoppiata in lacrime da un secondo all'altro. "Questo non cambia le cose. Sei ancora innamorato di lei." Suonò terribilmente patetica.

Maledizione!

Jake scosse la testa, concitato. "Ma non capisci?" la apostrofò in un sibilo. "Non sono innamorato di Domi, sono innamorato di te."

Per la seconda volta in meno di cinque minuti, Lily si sentì come percorsa da una scossa elettrica. Il gong colpì di nuovo la sua testa mentre il cuore batteva furiosamente. 

Jacob la fissò per un'ultimo, lungo istante, prima di chinare il capo e allontanarsi secondo lo schema, per raggiungere un'altra dama, prima che lei riuscisse a dire o anche solo pensare alcunché.

Lily dimenticò di fare la riverenza.

 

 

Getting lost in you again

Is better than vein numb.

Foo Fighters

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

Prima parte del Ballo del Ceppo in fase di arrivo! Mi scuso per aver fatto attendere qualche giorno in più, ma il Natale è il Natale.

(A proposito: buon Natale a tutti!)

Ad ogni modo, questo capitolo è un po' più corto del solito, ma le opzioni erano un capitolone complessivo di 25 pagine o due capitoli leggermente più brevi del solito. Credo sia stata la scelta più saggia, questa.

 

Anyway, ci vediamo presto per la seconda parte del capitolo.

Bacioni, Daphne

Questo capitolo ha richiesto grande impegno e necessita di un vostro parere

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 - The Yule Ball (Parte II) ***



Gonna rise up

Throw down my ace in the hole.

Eddie Vadder

 

 

25 dicembre 2021

Sala Grande, Hogwarts

Sera

 

Albus non amava molto ballare. Forse dipendeva dal fatto che bisognasse seguire tutte quelle stupide regole su dove mettere i piedi, o più probabilmente dal suo essere completamente negato e del tutto scoordinato. Gli sembrava di poter sentire la voce di Lily. 

"Il fatto, Al, è che il ballo non ama te."

Non se ne era mai fatto un cruccio, bisognava ammetterlo, tuttavia adesso – mentre volteggiava con Quinn sul bordo della pista – si sentiva terribilmente impacciato. 

Fortunatamente non ho dovuto indossare uno di quegli orribili sacchi informi, pensò tra sé, mentre Vicent Greene di Corvonero compariva al margine del suo campo visivo, con indosso l’orrida toga di tradizione. Ballava con Teresa Grib, e Albus si meravigliava di come riuscissero a guardarsi negli occhi, considerata la notevole appendice nasale della ragazza. 

Se avessi un naso del genere mi verrebbero gli occhi storti a forza di fissarne la punta.

I due Corvonero erano una coppia storica di Hogwarts, però una di quelle antipatiche, che parlavano solo ed esclusivamente in prima persona plurale. Noi di qua, noi di là. E guardavano tutti con sdegno, dall’alto della loro superiorità intellettuale.

Anche Hugo è un po’ così, però. Caratteristica peculiare dei Corvonero, evidentemente.

L’espressione della Grib era agghiacciante anche mentre faceva gli occhi dolci al suo ragazzo. Aveva una bocca che sarebbe potuta essere mica male, se non l’avesse sempre tenuta contratta in quella smorfia... Sembrava avesse inghiottito un limone.

Nonostante tutto, si sentiva un po’ invidioso di Vincent Greene – non per Teresa, ovviamente: non sarebbe riuscito a combinare nulla con lei neanche se fosse rimasta l’unica donna sulla faccia della Terra; ma il Corvonero sapeva ballare. E pure bene: la sua espressione era tranquilla, rilassata, come se i suoi piedi si muovessero in automatico, senza bisogno di pensarci più di tanto.

Albus invece doveva pensarci per non sbagliare, ma si sentiva comunque terribilmente goffo: era assurdo il contrasto fra come fosse agile in sella alla sua Firebolt e così scoordinato al suolo. 

Ho preso da papà. Quando balla è rigido come un manico di scopa, e Jamie anche.

Si è salvata solo Lily... Maledetta.

Per fortuna Quinn non se la cavava poi così male: ad Albus bastava seguire i suoi passi come poteva e cercare di non sentirsi troppo imbarazzato. Ogni tanto la vedeva strizzare gli occhi dopo che lui le aveva pestato il piede per errore, e allora percepiva un’ondata di rossore risalirgli lungo il volto, facendo capolino dal colletto della camicia. 

Diede una sbirciatina di sottecchi a Quinn, che indossava un abito di un lucido tessuto violetto tutto a piegoline, con lo scollo americano e la vita stretta. Sotto si allargava in una gonna ampia, sul cui orlo Albus inciampava di tanto in tanto. I capelli castani erano leggermente raccolti dietro la testa, ma alcune ciocche arricciolate sfuggivano all’acconciatura, cadendo a incorniciare il suo viso. 

Non era poi così male. Se solo avesse sorriso un po’ di più... Invece sembrava solo terribilmente a disagio.

Che poi è lo stesso modo in cui mi sento io.

Non lo aveva guardato più di tanto, fino a quel momento: tuttavia, sollevò il mento e gli occhi proprio nell’istante giusto per incontrare il suo sguardo. Inarcò leggermente le sopracciglia, e Albus cercò di decifrare la sua espressione.

Sembrava seccata, frustrata. Annoiata a morte, più probabilmente.

Capì che era giunto il momento di fare un minimo di conversazione. Si schiarì la voce nervoso. “Allora?” esordì, esibendo un sorrisetto sghembo e – nella sua idea – rilassato. “Ti stai divertendo?” Non appena ebbe finito di pronunciare tali parole, seppe che non avrebbe potuto scegliere un argomento peggiore per dare l’avvio a qualcosa che avesse la vaga parvenza di un dialogo. 

“Secondo te?” rispose Quinn nel solito tono brusco, ma poi lo fissò per qualche secondo e schiuse le labbra in qualcosa che poteva somigliare a un sorriso. Albus intravvide per una frazione di secondo il 

bagliore dei suoi denti regolari. 

Anche Al sorrise un po’ nervosamente. Poi si ricordò che non aveva ancora detto una parola sul suo aspetto, quando era da copione tirar fuori almeno qualche complimento. 

La osservò con attenzione. Il vestito le stava abbastanza bene: Quinn non aveva un brutto corpo, ed era difficile che qualcosa stesse proprio male su un corpo non brutto. Si era anche truccata, e questo rendeva il suo viso più carino.

Non che fosse brutta, la sua faccia. Aveva lineamenti... graziosi. Ma il naso era troppo all’insù e gli occhi troppo rotondi e grandi. 

“Stai... bene,” dichiarò, dopo qualche istante di conflitto interiore.

Quinn lo guardò come in dubbio riguardo alla sua sanità mentale. “Non mi stai... prendendo in giro, vero?” 

Albus emise uno sbuffo simile a una risata. Certo che è proprio strana. “Perché dovrei prenderti in giro?” replicò, perplesso. “Se non lo pensassi non lo direi.”

“No, certo che no.” Quinn scosse la testa, poi annuì. “Suppongo... suppongo di no.”

Le gettò un’altra occhiata, percorrendo la sua figura con lo sguardo – giusto per capire se avesse detto qualcosa di strano. I suoi occhi si soffermarono sulla scollatura prima che potesse evitarlo. 

Profonda. Per essere una scollatura, insomma.

Per fortuna Quinn non era abbastanza maliziosa da rendersene conto, o sarebbe stata una situazione imbarazzante. Probabilmente non sapeva neanche cosa fosse, la malizia.

Non vorrei che fraintendesse. Insomma, stiamo nella stessa squadra. 

E poi mi picchierebbe se mi scoprisse a guardarle le tette.

O forse era maliziosa abbastanza: se ne accorse dall’improvviso rossore della sua pelle, all’altezza dello sterno. Aveva una pelle molto chiara, perciò se arrossiva si vedeva subito... anche se Al non aveva idea che si potesse arrossire anche sullo sterno.

Era una cosa carina, più o meno. O forse era solo carino che non fosse arrossita di rabbia.

O sì?

Sollevò lo sguardo, improvvisamente allarmato. L’espressione di Quinn era strana, indecifrabile, ma in faccia gli parve ancora più rossa che sullo sterno.

Non dissero nulla per qualche minuto, ma in Albus cresceva un forte senso di disagio. 

Lentamente il valzer che stavano ballando ebbe le sue note finali, e fu presto sotituito da quella che gli parve una ballata tradizionale. Le coppie si disposero tutte allo stesso modo, la dama alla destra del cavaliere. In lontananza osservò Lily fare lo stesso con Leopold e trattenne un moto di fastidio: dopo la discussione sul treno, fra lui e sua sorella vigeva il tacito accordo di non parlarne.

Gettò un’occhiata a Quinn, che intercettò il suo sguardo e annuì leggermente. Sollevato, si pose al suo fianco: sebbene fosse negato nel ballo, temeva l’eventualità di una reale conversazione.

A dire il vero, si stava pentendo di aver invitato proprio lei: si stava rivelando qualcosa di decisamente imbarazzante.

A quel punto, la ragazza sorrise; per qualche motivo la cosa lo fece sentire più rilassato. Insomma, anche lei stava cercando di smorzare la tensione dell’atmosfera, e questo li rendeva in qualche modo complici. Avrebbero potuto lavorarci su, per rendere la serata un po' più sopportabile.

“Tu sai cosa stiamo per ballare, vero?” ritenne doveroso informarsi.

Quinn non abbassò lo sguardo di un millimetro. L’angolo destro delle sue labbra era incurvato in un sogghigno. “Certo che lo so. Non sono io quella che si mette in imbarazzo perché non sa ballare.”

“Non mi sto mettendo in imbarazzo!” la protesta gli uscì naturale, prima che riuscisse a trattenerla. “Sto solo–” ma il resto gli morì in gola. 

Il ghigno di Quinn si distese gradualmente in un sorriso, mentre gli mostrava come muovere i piedi. Poco alla volta, Al prese un po’ di sicurezza in più. 

“Adesso voltati di fronte a me.” 

Lo fece, e unì i palmi con quelli di Quinn come aveva visto fare alle altre coppie della sala. Aveva perso il senso del tempo: non aveva idea di quanto fosse passato dall’inizio della ballata, tanta era la sua concentrazione. 

La ragazza si allontanò di un passo, girò su se stessa e tornò a unire i palmi ai suoi. Aveva un’espressione strana, inusuale su di lei: aveva le guance arrossate e gli occhi brillanti, e le sue labbra si contorcevano come se stesse cercando di trattenere un sorriso.

“Non c’è bisogno che ti trattieni quando ti viene da sorridere,” buttò lì, cercando di parlare con nonchalance mentre ballava. Il risultato fu che sbagliò un passo.

Non sono in grado di ballare e fare qualunque altra cosa contemporaneamente, a quanto pare.

Quinn, dal canto suo, ne era perfettamente in grado. “Perché dici così?” Non c’era più l’ombra di un sorriso, neanche di uno trattenuto. Era serissima e con gli occhi spalancati, l’espressione maledettamente ingenua.

Si allontanò da lui e si riavvicinò, come prescritto dalla danza, senza interrompere il contatto visivo. 

“Mica sei male quando sorridi,” replicò lui, facendo spallucce e pensando ad altro – a come seguire i passi di Quinn senza sembrare un perfetto idiota scoordinato. 

La musica rallentò improvvisamente, e dai movimenti attorno a loro Albus comprese che fosse giunto il momento di cambiare dame e cavalieri.

Quinn fece la sua riverenza, Albus accennò un goffo inchino. “Ci vediamo dopo, Quinn.”

“Certo, capitano.”

Non si trattenne dal rivolgergli un sorriso mentre si avvicinava a Vincent Greene.

 

 

I'm falling

I am falling safely to the ground.

Eddie Vedder

 

 

Rose e Scorpius si inserirono nella ballata un giro di danza più tardi degli altri. Prima erano stati trattenuti dal professor Lumacorno, che come suo solito si era profuso in salamelecchi e lusinghe di ogni genere. Aveva fatto i complimenti a Rose per il suo abito, rinnovando quelli per il suo ruolo di campionessa, e con Scorpius si era congratulato per essere riuscito ad andare al ballo proprio con lei.

“Bella fortuna, ragazzo mio,” aveva sorriso, gli occhi leggermente lucidi. Forse aveva tracannato un idromele di troppo. “La Sala intera ti invidia.”

Scorpius non aveva idea di cosa pensasse la Sala intera, ma lui si sarebbe invidiato se non fosse stato lui, perciò supponeva che – magari – per qualcun altro potesse essere lo stesso. Non che gli importasse molto di quello che pensava la gente: era con Rose e questo bastava. 

Vestita e pettinata in questo modo stava davvero bene: il blu le donava moltissimo, mettendo in risalto il rosso dei suoi capelli, che erano tirati indietro morbidamente e le scoprivano il volto. La serata stava procedendo bene, in linea di massima, ma chissà per quale motivo Scorpius aveva l’impressione di non starla vivendo davvero. C’era... qualcosa di strano, una curiosa atmosfera quasi onirica. Gli pareva che i suoi piedi galleggiassero e che le parole suonassero in qualche modo ovattato.

Era come se la sua mente fosse stata offuscata. Si sentiva ottenebrato.

“Non ho mai ballato qualcosa di questo tipo,” buttò lì Rose mentre prendevano posto per le danze. “Non è difficile, vero?”

“No, no,” la rassicurò lui. “Solo uno di quegli stupidi balli tradizionali. Devi metterti alla mia destra.”

“Sono già alla tua destra.” Le labbra di Rose si incruvarono in un sorrisino, sotto le sopracciglia sollevate. Sorriso che ben presto divenne una risata soffocata. 

Deglutì. “Mi sono...”

“Distratto, già.” Rose fece spallucce. 

La musica prese il via, con i suoi alti e bassi di violino. Rose non aveva troppe difficoltà a seguire i suoi passi: per essere la prima volta che danzava una ballata, se la stava cavando bene. 

Seguendo l’esempio delle altre ragazze impegnate nelle danze, Rose fece un quarto di giro intorno a Scorpius e si mise davanti a lui, fissandolo negli occhi con quel suo solito sguardo scuro e impenetrabile. Non sorrideva: la sua espressione adesso era seria, quasi pensierosa.

Chissà a cosa starà pensando.

“A che cosa stai pensando?” domandò, mentre facevano un passo l’uno verso l’altra e univano i palmi delle mani. 

Rose, che fino a quel momento non aveva distolto lo sguardo da lui, abbassò gli occhi. “Nulla di che.” La risposta arrivò con un brevissimo ritardo. Pressoché impercettibile, ma Scorpius se ne accorse perfettamente: ormai era in grado di cogliere la maggior parte delle sfumature di Rose, quei cambiamenti d’espressione o del tono di voce che a chiunque altro sarebbero parsi insignificanti – ma lui sapeva.

“C’è qualcosa che non va?” le domandò ancora.

Rose si allontanò e girò su se stessa, per poi riavvicinarsi. “No.” Lo guardò. “Va tutto bene.” Questa volta rispose al momento giusto, ma Scorpius non era convinto.

Decise di lasciar perdere, per il momento. Era naturale che, qualunque cosa fosse, Rose non ne volesse parlare davanti a tutta quella gente. La fece volteggiare sotto il proprio braccio: la gonna blu e lucida della ragazza roteò attorno alle sue caviglie, attorcigliandosi sulle sue gambe, per poi sciogliersi e allargarsi di nuovo quando lei rifece il giro in senso opposto. 

La distanza adesso era diminuita, mentre Scorpius sfiorava il suo gomito lungo la strada per la sua vita. Rose allungò il braccio corrispondente fino a posare lievemente le dita sulla sua spalla. Le mani libere si strinsero. Nei due giri che seguirono, Scorpius guardava il volto di Rose e Rose aveva fissato lo sguardo oltre la spalla di Scorpius.

C’è qualcosa che non va.

Di nuovo si allontanarono, tornando a sfiorarsi appena con le mani. 

Scorpius sospirò appena. “Sono contento che tu abbia accettato il mio invito.”

Lei lo guardò, schiudendo le labbra in una sorta di sorrisetto nervoso. “Perché non avrei dovuto accettare?” Rose aggrottò le sopracciglia per una frazione di secondo.

“Non saprei. Però sono stato contento. Altrimenti, ecco, ci sarei rimasto male.” La guardò, chiedendosi se fossero quelle le parole giuste. Sperò che lei avesse capito.

Rose abbassò di nuovo lo sguardo. Le ciglia le ombreggiavano leggermente gli zigomi, e con le palpebre socchiuse aveva un’aria sorprendentemente dolce. Il suo volto era quello di sempre, ma i suoi occhi di solito trapassavano come lame, inasprendo tutta la delicatezza dei suoi lineamenti. “Mi sono venuti in mente molti motivi per dire di sì.” Sollevò lo sguardo, e quella tenerezza scomparve. “Ma nessuno per dire di no.” 

Il cuore gli balzò in gola improvvisamente. Senza una ragione. “Ad esempio?” 

Si stupì di come la sua voce fosse suonata normale.

“Quando sono con te,” Rose deglutì, leggermente in difficoltà, “le cose gravi non sembrano poi così gravi. Si ridimensionano.” Abbassò lo sguardo ancora: Scorpius si chiese perché. “Probabilmente è dovuto al fatto che siamo amici. Forse sei il primo vero amico che...” la sua voce si affievolì.

Scorpius si sentiva la gola riarsa. Credeva di aver capito.

Sperava di aver capito. 

Intorno a loro, le coppie si erano allontanate di un passo e facevano inchini e riverenze prima di cambiare dame e cavalieri. Si inchinò rapidamente, senza smettere di guardare Rose, che invece non cessò per un momento di fissare il suolo.

C’è qualcosa che non va.

“A dopo,” mormorò, esitante, prima di allontanarsi.

 

 

Not having someone, well that’s the worse curse ever.

Once Upon A Time

 

 

La situazione sembrava un tantino irreale. Probabilmente è irreale. Probabilmente domani mi sveglierò e questa serata non sarà mai accaduta. Bernie non faceva altro che ripeterselo da qualche ora, da quando Christine era emersa dal dormitorio femminile assieme a Rose e Gwyn, nel suo abito da sera.

Naturalmente, il più succinto di tutti l’aveva scelto lei. Le sue spalle lisce, dalla carnagione olivastra, emergevano nude dal tessuto ben tagliato dell’abito, così come la curva dello sterno e la leggera sporgenza della clavicola. Lo scollo era a cuore e pure piuttosto generoso.

Nonostante ciò, l’insieme riusciva comunque ad essere abbastanza fine, e Bernie non aveva potuto fare a meno di pensare che non fosse niente male. A dir poco.

Dovrei smetterla di pensare cose del genere sulla psicopatica della scuola.

Ma forse avrebbe dovuto pensarci prima di invitarla al Ballo del Ceppo. Il fatto era che Christine aveva tirato fuori l’argomento così improvvisamente che lui non aveva fatto in tempo a realizzare prima di acconsentire alla sua richiesta.

Mi ha messo con le spalle al muro.

Tutto sommato, non era stata un’idea così cattiva. Christine non era una compagnia spiacevole, se si sorvolava sulle sue manie di protagonismo e sulla sua mitomania. Così come se si riusciva a non pensare al fatto che fosse una stronza fuori di testa e completamente inaffidabile; una manipolatrice senza controllo e senza coscienza.

“Smettila di pensare quello che stai pensando.”

Bernard sussultò, alzando lo sguardo su di lei. Christine storse la bocca, senza nascondere un sorrisetto. “Non stavo pensando niente,” borbottò il ragazzo di rimando.

“Invece sì.” Sogghignò. “Avevi il tuo cipiglio da oddio cosa sto facendo, sto al ballo con la stronza!”

“Io non stavo–”

Devo essere impazzito! Potrebbe addorittura fuorviarmi!”

Sapeva che non era il caso, ma l’espressione falsamente scandalizzata di Christine era qualcosa di esilarante, con il labbro inferiore spinto verso l’esterno, i denti serrati e gli occhi sgranati. 

Ridacchiò, ma se ne pentì improvvisamente nell’avvedersi del ghigno compiaciuto che si dipinse all’istante sul volto della ragazza. 

“Prima che tu dica qualunque cosa, non sei divertente,” la anticipò con prontezza.

Anche lei rise, mostrando i denti fra le labbra schiuse. “Come sei carino quando fai così,” commentò, accarezzando lentamente il bavero della sua giacca con la punta dell’indice, seguendo con gli occhi il percorso della sua mano. Senza pensarci, Bernie sollevò la propria e le circondò il polso con le dita, scostandola. “Smettila.”

“Di fare cosa?”

“Di pensare quello che stai pensando.” Riecheggiò le parole da lei dette in precedenza.

Christine sostenne il suo sguardo. Aveva occhi grandi, scurissimi, con quella scintilla sempre balenante sul fondo di essi. Sollevò la mano libera a scostare una ciocca di capelli dalla fronte, sempre senza abbassare gli occhi di un millimetro. Solo allora Bernie si accorse di stringere ancora il polso di lei fra le dita. Lo mollò di botto: Christine lasciò che ricadesse sul fianco.

Finalmente la ragazza abbassò lo sguardo, ma solo per bere un sorso di champagne e allungare il braccio per depositare il calice sul tavolo più vicino. Bernard seguì i suoi movimenti, soprappensiero.

“Balliamo,” propose la ragazza, risoluta.

Bernie gettò un’occhiata dubbiosa alla pista, dove una quindicina di coppie erano impegnate in una ballata tradizionale. “Stanno già al terzo giro,” obiettò, cauto. 

“Ci inseriamo per il quarto,” replicò Christine alla svelta, un sorriso quasi infantile impresso sul volto. “Dai.”

“Io...” La ragazza stava già mettendo su un broncio da bambina capricciosa. Dovrei seriamente darmi una botta in testa. “D’accordo,” cedette infine.

Il broncio di Christine tornò ad essere un sorriso allegro. Prese a braccetto Bernie senza tanti complimenti e se lo trascinò dietro fino alla pista, dove presero posto in uno spazio libero e accordarono le loro mosse a quelle degli altri. 

“Ti avevo detto che andare al ballo con me non sarebbe stato così male.”

“Christine, è così male.”

Una risata, l’ennesima. Aveva una bella risata, di gola, leggera. 

“Non sei bravo a mentire.” Si mordicchiò il labbro, guardandolo fisso. Bernie si sentiva a metà fra il desiderio di strozzarla e qualcosa che non avrebbe dovuto esserci – quella sensazione gorgogliante in fondo alla gola, ad esempio.

Ho bisogno di bere qualcosa.

“Non quanto sei brava te, suppongo.”

“Io non dico bugie.” La fece volteggiare sotto il proprio braccio, in un inquietante riflesso della sera precedente. Christine lo fissò con quel sorriso che le affiorava sulle labbra, mentre girava calma, distogliendo gli occhi da lui solo per la frazione di secondo indispensabile a voltarsi. 

“Ah, no?” replicò, scettico, lasciando che si riavvicinasse.

Lei alzò gli occhi al cielo e fece una smorfia. “Non dico bugie,” ripeté. “Al massimo tralascio qualche dettaglio.”

“Quindi tutto dipende dall’entità del dettaglio sul quale sorvoli?” Si mise di nuovo di fronte a lei.

Christine eseguì un passo e si portò al suo fianco, le loro mani destre unite l’una all’altra mentre giravano lentamente in tondo. “Proprio così.”

Bernie aggrottò le sopracciglia, pensieroso. “Quindi se io ti facessi una domanda a cui è possibile rispondere solo con un sì e con un no... tu risponderesti con la verità? Se messa alle strette?” Non ci credeva particolarmente, ma tanto valeva fare un po’ di conversazione.

“Non è facile mettermi alle strette,” replicò Christine, tranquilla, con il solito esagerato narcisismo. “Ma se qualcuno dovesse riuscirci... sì.”

Rimase qualche istante in silenzio, meditando sulle parole della ragazza. “Sei Gossip Witch?” domandò poi, senza mezzi termini.

Christine lo guardò negli occhi mentre rispondeva senza esitare: “No.”

Bernie annuì, stringendo le labbra. Possibile che fosse stata sincera?

Qualcosa dentro di lui gli suggeriva di sì. 

“Però sai eseguire l’Incanto Proteus perfettamente,” rifletté. “Quindi–” si interruppe bruscamente. Improvvisamente, dentro di sé seppe la risposta. “Non sei Gossip Witch... ma hai gettato tu il Proteus sui galeoni.”

Parve seccata. Emise uno sbuffo irritato dal naso, stavolta senza l’ombra di un sorriso. “Sì,” mormorò infine, guardando da un’altra parte. Questa volta, Bernie ebbe la certezza che avesse detto la verità.

Si pose parecchie domande in rapida successione. Perché nel suo sguardo aveva individuato un’ombra di angoscia, passata rapidissima? Se l’era solamente immaginata?

E soprattutto, perché Christine aveva scelto di rivelare una cosa simile solo a lui? Era furba più che a sufficienza da essere in grado di evitare simili discorsi, se avesse voluto. Anche perché era stata lei a tirare fuori l’argomento. Che cosa aveva in mente? Perché aveva voluto fargli sapere di non essere Gossip Witch?

Vuole che io mi fidi di lei. L’aveva presa sottogamba, decisamente. Potrei chiederle che cosa ha in mente... ma questa è una domanda troppo ambigua.

“Sai chi è Gossip Witch, quindi.” Lei annuì. “Ma non hai intenzione di dirmelo.”

“Assolutamente no.”

Sospirò. “Come immaginavo.”

Per qualche altro istante regnò il silenzio. 

“Perché hai costretto proprio me a invitarti al ballo?”

“Costretto è un parolone.” Roteò gli occhi. “Non mi pare che ti dispiaccia.”

Di nuovo, Bernie ebbe voglia di ridere. “Va bene,” concesse, leggero. “Perché hai scelto di farti invitare proprio da me?”

Si mordicchiò appena il labbro. “Una miriade di motivi.” Poi, senza preavviso, si allontanò da lui, esibendo una perfetta riverenza. Bernie realizzò che era il momento di cambiare le dame e i cavalieri con un sussulto, nel momento in cui Teresa Grib di Corvonero fu fra le sue braccia al posto di Christine.

Anche Teresa aveva i capelli e gli occhi scuri, ma era... Completamente diversa.

Pensò al sogghigno di Christine e il suo stomaco si attorcigliò.

 

 

Roslin Brackley di Tassorosso gli rivolse un sorriso mentre faceva la riverenza e si allontanava. Jake si produsse nel suo inchino, voltandosi a guardare chi fosse sul punto di raggiungerlo, appena in tempo per vedere Christine allontanarsi da Bernie con aria vagamente compiaciuta, lasciandolo con un’aria perplessa ma anche – uno strano senso d’ansia lo prese – divertita.

Pochi istanti dopo, la ragazza fu al suo fianco. “Salve, Jake,” disse in tono fin troppo allegro.

“Lieto di vederti,” borbottò in automatico, mentre con la coda dell’occhio seguiva gli spostamenti di Lily, che adesso ballava con Scorpius. Si vedeva quanto tentasse di sorridere con naturalezza, ma non riusciva comunque a smorzare del tutto la sua aria stranita.

Si diede dell’idiota, per l’ennesima volta negli ultimi tre minuti. Avrebbe dovuto mordersi la lingua, la prossima volta, prima di buttarle tutta la verità addosso in quel modo. E con tutta la verità intendeva tutta la verità, anche quella dichiarazione confusionaria, inaspettata e del tutto inopportuna che aveva tirato fuori. Temeva di aver complicato la situazione ulteriormente. Neanche lui riusciva a credere di averlo detto, ma adesso che l’aveva fatto sapeva che quelle parole erano vere.

“Jake? Mi hai sentito?”

Tornò improvvisamente alla realtà. Era talmente preso a osservare Lily che aveva dimenticato di star ballando, mentre i suoi piedi si muovevano in automatico. 

Stupido, dovresti regolarti. Albus se ne accorgerà.

… Ma chi se ne importa di Albus!

“Sì.” La sua voce suonò rauca, distratta. “Cioè, no. Dimmi.”

Christine assottigliò gli occhi, insospettita, mentre si spostava di fronte a lui. “Che cosa hai fatto?” lo interrogò senza tanti preamboli.

“Ho detto a Lily di aver baciato Dominique.” Ormai aveva perso il controllo delle parole. Che Christine scoprisse quel che le pareva, adesso sapeva quello che voleva e avrebbe fatto quanto in suo potere per ottenerlo. 

“Le hai detto...” Per la prima volta da quando la conosceva, Christine sembrò sinceramente sorpresa. “Cosa?!”

Sogghignò. “Non sei onnisciente come vuoi far credere, De Bourgh?”

Lei non lo ascoltò: si limitò a scuotere la testa, esterrefatta. “Ma sei del tutto idiota?”

“Probabile.” Scrollò le spalle. “È la verità. È successo ieri notte. Le ho detto anche che sono innamorato di lei.”

Christine sgranò gli occhi, se possibile ancor più sorpresa di prima. “E–”

Non le lasciò il tempo di parlare. “Ed è vero anche questo, sì.”

“Fammi capire.” Christine girò su se stessa e tornò ad avvicinarsi a lui. “Ieri hai baciato Dominique Weasley. L’hai detto a Lily, per poi aggiungere subito dopo che sei innamorato di lei. Non mi sembri particolarmente coerente.”

“Non che mi importi molto del tuo giudizio, francamente.” Jacob sorrise leggermente. Improvvisamente, si sentiva di buon umore come non era stato da tempo. Sapeva di aver fatto la cosa giusta.

“Lei cosa ha risposto?”

“Non ha avuto il tempo di rispondere.” Sospirò. “Ho dovuto cambiare dama.” Christine non espletò nessun commento sarcastico, questa volta, limitandosi piuttosto a tacere. Jake colse la palla al balzo. “Mi dirai che cosa hai in mente?”

Gli rivolse uno sguardo di educata perplessità. “Di cosa stai parlando?”

“Lo sai.” Sbuffò. “Bernie.”

“Ah, sì.” Guardò da un’altra parte mentre un sorrisetto le affiorava alle labbra. “Non ho nulla in mente. Davvero è così difficile da credere?”

Entrambi fecero un passo indietro e uno equivalente in avanti. “Hanno tutti dubbi in proposito. Non dovresti farti qualche domanda?”

La vide deglutire. Sembrava quasi... in difficoltà? Assurdo. Il mondo deve essersi capovolto. “Posso assicurarti,” gli diede l’impressione di scegliere con cura ogni parola, “che nulla di ciò che ho in mente è volto a danneggiare Bernie.” Sospirò. “O nessuno di voi.”

C’era una strana serietà nella sua voce. Jake fece per rispondere, ma Christine fece la riverenza e si allontanò.

 

 

I fratelli Menley volteggiavano sulla pista, splendidi come al solito. Conversavano tranquillamente e sapevano i passi alla perfezione.

Hugo non riusciva a distogliere lo sguardo da loro, mentre girava in cerchio con una Grifondoro del quarto della quale non conosceva il nome. Non si erano parlati granché: perlopiù avevano danzato in silenzio, e lui veramente sperava che la ragazza non avesse fatto caso alla direzione verso la quale continuava a saettare il suo sguardo.

Non bisogna fidarsi di nessuno

Neanche delle piccole ragazzine dall’aria innocente.

Anche Eugène attraversò il suo campo visivo, danzando con una ragazza di Beauxbatons. Gli somigliava moltissimo: forse erano parenti. 

Tornò a guardare i Menley, perfettamente abbinati. Georgia indossava un abito color perla, lo stesso colore del farfallino di Tony. Lo sguardo del compagno di Casa si alzò improvvisamente dal volto della sorella, incrociando quello di Hugo, che distolse gli occhi in fretta, trasalendo.

“Ti senti bene?” domandò la piccola Grifondoro, guardandolo dalla sua altezza ridotta – o forse era la statura di Hugo a essere smisurata, in proporzione. Aveva capelli e occhi castani e un’espressione dolce. 

“Sì.” Deglutì. “Sto bene.”

La ragazzina non parve molto convinta, ma non insistette oltre. Poco alla volta, la musica rallentò fino a fermarsi e così fecero loro, arrestandosi infine l’uno di fronte all’altra. Hugo accennò l’inchino prescritto, la schiena rigida, mentre la Grifondoro si esibiva in una graziosa riverenza. Gli rivolse un cenno di saluto e si allontanò, raggiungendo il suo cavaliere originario.

Hugo sospirò e si guardò intorno, alla ricerca della sua dama fra tutte quelle lunghe vesti ampie e variopinte, cercando al contempo di non perdere d’occhio Georgia e Tony. 

Sono andati al ballo insieme, che cosa assurda. Nessuno dei due avrebbe avuto problemi a trovare una dama o un cavaliere, e invece...

Davvero strano. Dev’esserci qualcosa sotto.

Roslin Brackley lo raggiunse pochi istanti dopo, sorridendo leggermente. “Eccomi,” gli si rivolse, scostando una ciocca di capelli color grano maturo. La accomodò dietro l’orecchio, con la cura di non disfare il ricciolo dorato, guardandosi attorno coi suoi limpidi occhi azzurri. 

Hugo le sorrise di rimando come poteva, cercando di essere gentile.

Aveva scelto di invitare Roslin – Tassorosso del suo stesso anno – perché sapeva tre cose di lei: era discreta, tranquilla e, soprattutto, interessata a un ragazzo di Durmstrang dal nome impronunciabile. 

Forse fu per questo che, quando Georgia Menley si avvicinò con lunghi passi felini e domandò se fosse possibile rubarle il cavaliere per un ballo, Roslin non parve dispiacersi affatto. Sorrise affabile alla Corvonero e diede la sua approvazione senza pensarci due volte, mentre il suo sguardo già deviava in direzione del tipo, abbigliato nel rosso sangue di Durmstrang. 

Hugo, dal canto suo, non approvava proprio. Georgia non gli piaceva affatto: con i sorrisi morbidi, le moine e le occhiate languide non lo convinceva neanche un po’.

E poi è la sorella di Tony. Non c’è da fidarsi.

Forse gli ricordava troppo Anthony, per questo provava quella sensazione di sfiducia a pelle, come un cattivo presentimento legato alla sua figura. 

Nonostante ciò, conscio che nulla dell’inquietudine che provava dovesse trasparire dal suo atteggiamento, lasciò che Georgia gli si accostasse senza fare commenti, schiudendo anzi le labbra in un sorriso storto, d’intesa, quasi cameratesco. La ragazza si limitò a guardarlo da sotto le ciglia scure, quindi gli si avvicinò, mentre si udivano le prime note di un valzer. Aveva un profumo dolciastro, zuccherino, che lo infastidì.

Sapeva di non essere particolarmente portato per il ballo, ma fortunatamente era Georgia a condurre. 

Sperò con tutto il suo cuore che la ragazza non parlasse, che restasse zitta per la maggior parte del tempo come aveva fatto la piccola Grifondoro. 

Naturalmente, non fu così. “Allora, Weasley.” Georgia lo guardò dal basso. Nonostante avesse due anni più di Hugo, gli arrivava a malapena alla spalla. “Ti diverti con Roslin Brackley?”

Volteggiarono fino al centro della pista, confondendosi con le altre coppie. “Sufficientemente,” replicò Hugo, neutro, cercando una via di fuga da quella situazione. Ballare con Georgia lo stava mettendo terribilmente a disagio, soprattutto per il modo che aveva di comportarsi e di guardarlo da sotto le lunghe ciglia, come se stesse cercando di sedurlo.

La ragazza sogghignò e Hugo ricambiò immediatamente con un’espressione non dissimile. 

Georgia sospirò, leggera. “Mio fratello aveva invitato quell’essere di Quinn Baston,” buttò lì.

“La Battitrice di Grifondoro?” replicò Hugo, sorpreso. Quinn Baston? L’ha invitata Albus, mi pare

“Proprio lei.” La vide alzare gli occhi al cielo mentre girava sotto il suo braccio. “Scelta discutibile, secondo il mio modesto parere.”

“Magari avrà trovato qualcosa in lei... Fascino.”

Georgia ridacchiò, scettica. “Fascino? In Quinn Baston?” Abbassò lo sguardo mentre scuoteva la testa. “No. L’ha invitata solo perché non poteva invitare qualcun altro.”

Il cuore di Hugo balzò in gola. Che cosa vorrà dire?!

“Tu invece?” sentì domandare dalla propria voce, che suonò lontanissima. “Come mai sei finita per andare al ballo con tuo fratello?”

“Perché nessuno di quelli che mi hanno invitata era degno di essere preso in considerazione.” La ragazza fece spallucce mentre si portavano di nuovo verso il bordo della pista.

Chissà se Albus è fra questi...

Non c’era nulla di male a informarsi in proposito. “Chi sono stati gli sfortunati?” domandò vago.

Georgia sorrise sorniona. “Vuoi la lista?” replicò in tono vanesio. “Ad ogni modo, tuo cugino Albus non me l’ha chiesto. A lui, magari, avrei detto di sì.”

Hugo nascose un piccolo sospiro di sollievo. Albus si era reso già abbastanza ridicolo con quella faccenda, e se non aveva tentato di invitare al ballo la Corvonero, questo non poteva che essere un segno di ripresa.

C’è qualcosa che non mi quadra. Georgia è abbastanza sicura di sé da invitare lei stessa al ballo il ragazzo che le interessa. O forse no?

“Ma parliamo un po’ di te, Weasley.”

Questo era il momento che temeva. “Dici?” Fece una smorfia. “Non credo di essere un argomento interessante.”

Gerogia sogghignò. “Per quello che vedo io, sei un argomento piuttosto interessante.”

Hugo rimase in silenzio, cercando di elaborare un senso da attribuire all’affermazione di Georgia. Non ne trovò alcuno, ma a salvarlo giunsero tempestive le ultime note del valzer. Si separò subito dalla compagna di Casa.

Non ho intenzione di restare con lei un minuto di più.

“Vado a cercare la mia dama,” si giustificò, prima di allontanarsi senza aggiungere altro.

Non che avesse davvero intenzione di mettersi alla ricerca di Roslin, probabilmente impegnata a flirtare con il suo impronunciabile amichetto di Durmstrang. 

Almeno loro passeranno una bella serata.

Fece finta di guardarsi attorno finché fu a portata d’occhio di Georgia, dunque cambiò repentinamente direzione e si diresse al tavolo dove aveva consumato la cena in compagnia di Rosline di alcuni amici Tassorosso della ragazza. Adesso il tavolo era occupato solo da Alice Paciock, che chiacchierava con Thomas Melbourne, le guance accese e l’aria infervorata come sempre. Thomas pendeva letteralmente dalle sue labbra, ma Alice non sembrava accorgersene. Rivolse un saluto allegro a Hugo – si conoscevano da quando erano bambini – e subito sprofondò di nuovo nel suo comizio. 

Da un momento all’altro Melbourne la bacerà o scoppierà in lacrime. E probabilmente Alice riprenderà a parlare per dare una spiegazione logica al bacio o consolarlo.

Ridacchiò piano, complimentandosi interiormente per l’arguzia del proprio pensiero.

Il suo calice era ancora pieno dello champagne che Lily gli aveva procurato di straforo senza che nessuno le chiedesse alcunché. Hugo non ne aveva bevuto neanche un sorso, ma decise che un po’ di bollicine non gli avrebbero fatto male.

Aveva davvero bisogno di rilassarsi.

Quindi allungò la mano per recuperare il calice e buttò subito giù qualche sorso. Una goccia di chiampagne gli colò lungo il mento e lui raccolse il tovagliolo abbandonato sul tavolo per asciugarsi.

Mentre era impegnato in tale attività, dalle pieghe di stoffa bianca gli cadde qualcosa in grembo. Lentamente, sorpreso, posò il tovagliolo sul tavolo con la mano sinistra e con la destra lo raccolse.

Era una carta da gioco, di un mazzo francese. 

Il fante di fiori.

Sulle prime, restò talmente sorpreso da non riuscire a formulare un solo pensiero coerente. Poi realizzò che prima la carta non c’era, e che era stata lasciata proprio nel suo tovagliolo. Allora capì.

Il gioco continua.

 

 

****

 

25 dicembre 2021

Hogwarts, Scozia

Più tardi

 

“Ti andrebbe di... fare un giro?” Buttò lì Scorpius, esitante. Ormai conosceva Rose abbastanza bene da sapere che troppa gente radunata in un solo posto la metteva a disagio, e si trovavano in mezzo alla folla della Sala Grande da almeno un paio d’ore. 

Dallo sguardo grato che la ragazza gli gettò ebbe la conferma di aver fatto la mossa giusta. Rose annuì, acconsentendo alla sua proposta, e accettò il suo braccio per percorrere quel che restava della Sala Grande e l’intera Sala d’Ingresso. 

“Andiamo fuori?” gli domandò. “Sono curiosa di vedere come abbiano sistemato il parco. Mi ha detto mia madre che era magnifico quando l’hanno decorato per il loro Ballo del Ceppo.”

Insolitamente loquace. Era di certo un buon segno.

Rasserenato, Scorpius si disse d’accordo. “Ottima idea,” convenne. 

Il portone della Sala d’Ingresso era ancora aperto, e una volta che l’ebbero superato si trovarono davanti a quello che sembrava un giardino di rose, con fatine danzanti che baluginavano nel buio. Man mano che avanzavano nel parco, finirono per ritrovarsi in un labirinto di vialetti tortuosi e siepi ornamentali, potate nelle foggie più strane. L’aria era pervasa dal profumo delicato delle rose e in lontananza si udiva il gocciolio di una fontana. Di tanto in tanto – in alcove dei cespugli e suggestivi ripari tra le siepi – sorgevano delle panchine intagliate, occupate perlopiù da coppie.

Scorpius notò che nell’aria albergava un piacevole tepore, come se fosse stata una calda serata estiva. Incantesimi riscaldanti, non c’era dubbio, simili a quelli che il professor Paciock applicava sulle serre.

Comodo, non c’è che dire. Se magari mettessero incantesimi simili anche nei sotterranei di Serpeverde...

“Piacevole che non faccia freddo,” commentò.

Rose gli lanciò uno sguardo illegibile. “Già. Altrimenti non avrei resistito a lungo.”

Il suo sguardo si perse oltre ai cespugli. In effetti, sulle colline al di là di essi, un mantello di neve brillava leggermente alla luce della luna. Sembravano quasi due mondi distinti, il soffice tepore del giardino di rose e la fredda tranquillità del resto.

Il suo sguardo cadde su Rose, sulla sua nuca scoperta dai capelli tirati su. 

“Sei... bellissima.” Il complimento uscì fuori da solo, prima ancora che riuscisse a realizzare cosa stava per dire. Rose voltò il capo verso di lui, guardandolo sorpresa. Le sue labbra erano leggermente schiuse e il bagliore delle fatine danzanti era riflesso nei suoi occhi. 

Rimasero per qualche secondo in quella posizione statica, con Rose che lo fissava e lui che non sapeva bene che cosa dire o fare. Poi la ragazza abbassò lo sguardo e Scorpius si decise a prendere la parola. 

“Prima hai detto che–” deglutì. “Hai detto che quando sei con me le cose gravi sembrano meno gravi.”

Rose annuì, mordicchiandosi il labbro come faceva sempre quando era nervosa.

Scorpius seppe che non avrebbe parlato, non adesso. Stava a lui proseguire. “Io volevo dirti che per me è lo stesso. Mi fai sentire... utile. In grado di risolvere le cose.”

Aveva di nuovo sollevato lo sguardo, ma la sua espressione era diversa. Sembrava colpita, forse confusa, aveva aggrottato appena le sopracciglia e il suo mento tremava leggermente. 

“Io...” La vide deglutire. “Sapere di fare almeno una cosa giusta per qualcuno è... bello, ecco.”

“Sì.” La fissò dritta negli occhi. “È bello.”

Anche le spalle di Rose tremarono appena, come se avesse avuto freddo. Ma non aveva freddo: non era possibile; l’aria era riscaldata e sulla sua pelle chiara non c’erano tracce di pelle d’oca. 

Rimasero in silenzio per alcuni istanti, l’uno di fianco all’altra ma le teste voltate, a guardarsi in faccia. Anche il gomito della ragazza subì un breve sussulto, e Scorpius si accorse solo in quel momento che la propria mano era a metà strada sulla traiettoria che conduceva al viso di Rose.

Sospirò appena e lasciò che proseguisse in quella direzione. Le sue dita sfiorarono l’incavo del gomito di Rose, salirono per il braccio fino a raggiungere la spalla – Scorpius ebbe l’impressione di lasciare una scia fredda sulla sua pelle tiepida, un’ombra del suo passaggio. 

Rose aveva abbassato gli occhi, osservando i suoi movimenti da sotto le palpebre socchiuse.

Furono istanti interminabili, quelli in cui Scorpius seguì il percorso della propria mano mentre, con lentezza, deponeva carezze circolari sulla spalla di lei. 

Deglutì. “Quando ci siamo baciati” – la sua voce suonò ovattata, quasi ridotta a un mormorio – “ho capito qualcosa.”

“Cosa?” domandò Rose, come se stesse seguendo il tracciato delle sue parole. 

Non sapeva di preciso quando si fossero avvicinati di un’altra manciata di centimetri. Risalì nelle sue carezze lungo il collo di Rose, poi le sfiorò la mascella con la punta delle dita. “Che volevo baciarti ancora.”

Non c’era molto altro da fare, se non abbassarsi verso di lei e rendere nulla la distanza superstite. 

Per un folle, meraviglioso momento, Rose ricambiò il bacio.

Poi finì, più bruscamente di com’era iniziato. Lei si scostò di colpo, premendogli le mani sul petto per allontanarlo e facendo contemporaneamente un passo indietro. 

Scorpius la guardò inebetito per qualche secondo, la mente completamente stordita. Decifrò quindi le sue espressioni, una dopo l’altra: sorpresa, sgomento, delusione. Infine, parve affranta, mentre lo fissava con sguardo tradito, il volto contratto in una smorfia, come se stesse cercando di non piangere.

“C-cosa,” riuscì a malapena a balbettare. “Rose, io... Scusami, non pensavo–”

“Non pensavi cosa?” Gli occhi le si stavano riempendo di lacrime. “Io pensavo che fossi mio amico. Pensavo volessi aiutarmi.” 

“Ma–”

“Come sono stata stupida!”

Gi voltò le spalle e corse via, incespicando nella lunga gonna del vestito, le spalle che sussultavano in preda ai singhiozzi.

Scorpius rimase lì dove si trovava, immobile, ancora stordito dalla terribile rapidità con cui si erano susseguiti gli ultimi momenti. 

Poi sentì le ginocchia piegarsi e le lasciò fare, mentre si lasciava cadere seduto su di una delle grosse pietre che incorniciavano i vialetti. Aprì e chiuse le mani, con la sensazione che non funzionassero più. Il giardino di rose gli parve improvvisamente freddo.

Come sono stato stupido.

 

 

****

 

25 dicembre 2021

Bagno delle ragazze del primo piano, Hogwarts

Durante il ballo

 

“Erano secoli che non entravo in un bagno delle ragazze di Hogwarts,” osservò Louis al di là della porta chiusa del cubicolo. Holly alzò gli occhi al cielo mentre armeggiava per emergere dal vestito. Si accertò che la porta del gabinetto fosse ben chiusa prima di toglierselo del tutto.

“Era tua abitudine entrare nei bagni delle ragazze? Passami i jeans.”

Un paio di pantaloni superarono al volo la parete divisoria: Holly li prese al volo e si appoggiò alla porta con il gomito per riuscire a infilarli. Mentre tirava su la lampo e chiudeva il bottone, la voce di Louis si levò nuovamente dall’esterno.

“Di solito erano le ragazze a trascinarmi nei loro bagni.”

 Il solito sbruffone. “Perdi credibilità quando ti vanti come uno stupido pavone. Maglione.” Un pullover di cachemire dallo scollo a vu seguì la stessa traiettoria dei jeans. Holly se lo infilò dalla testa, armeggiando per sistemarsi le maniche. Quindi si chinò e raccolse il mucchio di stoffa azzurra ai suoi piedi, cercando di dare all’abito una piega e buttandoselo sul braccio. Tirò il chiavistello della porta e uscì dal cubicolo nello stesso istante in cui Louis ribatteva: “Mi sembra che tu mi abbia appena trascinata in un bagno.”

“Per cambiarmi,” puntualizzò lei, strappando dalle sue dita la clutch argentata che aveva abbinato all’abito da sera. La aprì, facendo schioccare il meccanismo di chiusura, prima di infilarvi dentro la mano per cercare qualcosa. Il suo braccio sprofondò fino al gomito nella minuscola borsetta, come se ne fosse stato inghiottito. L’espressione concentrata, frugò per alcuni momenti, prima di estrarne una giacca di pelle e un paio di stivali. Quindi si chinò e raccolse il vestito da sera, spingendo e premendo per farlo entrare nella borsa.

Chiunque abbia inventato gli incantesimi di Estensione Irriconoscibile, dev’essere stato un genio.

Calzò gli stivali e infilò le braccia nelle maniche del chiodo, nascondendo la bacchetta magica in una di esse. Quindi mise a tracolla la borsetta, avendo cura di coprirla con il bordo della giacca: quel colore attirava troppo l’attenzione. “Sono pronta,” concluse, gettando un’occhiata a Louis.

Il quale, dal canto suo, l’osservava con un sorriso pigro dipinto sul volto e indossava ancora il suo completo Babbano, con la cravatta allentata.

Ha sempre portato la cravatta allentata. Anche quella di Grifondoro quando andavamo ancora a scuola.

Idiota. Crede di essere sexy.

Lo era, peraltro. Ma Holly riteneva fosse meglio evitare di pensare cose del genere: dopotutto era un collega di lavoro... Un collega di lavoro con qualche gene Veela di troppo.

“Andiamo.” Lo esortò. “Chissà che fine ha fatto quell’idiota di Flint.”

“Non dovresti parlare così.” Louis le si avvicinò di un passo. “Flint è pur sempre un nostro collaboratore.”

Roteò gli occhi, emettendo un breve sospiro. “Hai bevuto troppo, Weasley? Non mi sarei mai aspettata tanta diplomazia da parte tua.”

“Tranquilla, sono perfettamente sobrio.” La fissò. “Ero solo distratto dalla scollatura del tuo maglioncino. E sei sexy con quel giubotto di pelle.”

Idiota.” Gli colpì il braccio con il dorso della mano, cercando di ignorare il minuscolo, trascurabile brivido che le aveva attraversato la schiena per un istante. Un istante brevissimo. “Andiamo, o Flint si metterà nei guai.”

“A meno che non lo sia già.” Louis sospirò teatralmente, dando a intendere che non era particolarmente preoccupato. 

Holly deglutì, sperando che il collega avesse ragione.

 

Era già nei guai, questo fu chiaro fin da subito. Holly non avrebbe saputo spiegarsi il presentimento che si sentì addosso dal momento in cui superò il grande portone di quercia, scendendo i gradini che conducevano al parco. 

Sia lei che Louis procedevano in fretta. Attraversarono senza esitare il giardino di rose, imboccando i bivi giusti fra i tortuosi vialetti decorativi: probabilmente l’idea di Flint di osservare la pianta del giardino da una finestra del quarto piano non era stata poi così pessima. Se non l’avessero fatto, avrebbero avuto indubbiamente qualche difficoltà a orientarsi per oltrepassarlo. 

Holly non smise di avere quella brutta sensazione, tant’è che estrasse la bacchetta dalla manica e la tenne pronta, nascosta sotto la giacca. D’un tratto si ritrovò a stringere convulsamente le dita della mano libera sul polsino della camicia di Lou, stropicciandolo. Il collega le gettò uno sguardo, questa volta senza l’ombra di un sorriso, gli occhi grigio-azzurri terribilmente seri. Lo vide annuire quasi impercettibilmente mentre a propria volta estraeva la bacchetta dal fodero, nascosto sotto la giacca. Dalla sua espressione, Holly capì che non era l’unica a provare quello sgradevole presentimento. 

Erano fermi sul finire dell’ultimo vialetto. Alle loro spalle c’era il giardino di rose, caldo e profumato, con la luce dolce emessa dalle fatine danzanti a spezzare la penombra e inondare i cespugli di una tiepida luminescenza dorata. Di fronte a loro, il parco buio e gelido. 

Si scambiarono un’ultimo sguardo prima di precipitarsi giù per il crinale della collina innevata. 

Il cuore di Holly batteva all’impazzata. Aveva l’impressione che da un momento all’altro le avrebbe sfondato la cassa toracica, a forza di rimbalzarvi su. 

Quando giunsero nei pressi della tomba di Albus Silente, Louis allungò un braccio per arrestare la corsa di Holly. Dunque la guardò, accennando silenziosamente alla macchia d’alberi che precedeva la bianca lapide. Lei annuì di rimando, dunque si diressero al riparo degli arbusti, procedendo con cautela. Una volta che furono ben nascosti, Louis agitò la bacchetta, mormorando: “Muffliato.”

Aggrottò le sopracciglia. “Che cos–”

“Non ci sentiranno, così.”

Deglutì, perplessa, stabilendo mentalmente che avrebbe richiesto maggiori spiegazioni in seguito. “Dovremmo Disilluderci.” La voce che parlava non le sembrava la propria. Soprattutto, era sorpresa del modo in cui parte di lei stava riuscendo a mantenere il sangue freddo, mentre il resto impazziva d’ansia. Chiuse brevemente gli occhi, e quando li riaprì la sua metà più calma aveva vinto. 

Sollevò la bacchetta e si colpì sulla testa: ebbe la sensazione che qualcuno le avesse appena aperto un uovo sul capo, mentre il gelo tipico dell’incantesimo l’attraversava, come se qualcuno la stesse immergendo a testa in giù in una pozza ghiacciata. 

Louis aveva fatto la stessa cosa: se ne accorse perché la sua figura adesso si confondeva con le foglie e le ombre sulla neve alle sue spalle. 

“Adesso andiamo,” stabilì. “Questo... Muffliato, ci seguirà?”

Anche se non riusciva più a vederlo, percepiva la presenza di Louis accanto a lei. “Sì. Crea una sorta di sfera sonora attorno alle persone, non circoscritta al luogo.”

“Capisco.” Poteva facilmente immaginare gli occhi di Lou che la fissavano, serissimi come prima.

“D’accordo. Procediamo.”

Strinse convulsamente le dita della mano sinistra attorno alla bacchetta mentre procedeva silenziosamente fra le fronde, di pari passo con il collega. La mano destra l’aveva stretta attorno al gomito di Louis, per restare uniti nonostante non potessero vedersi a vicenda. 

Il lato positivo di essere mancini. Altrimenti avrei dovuto stringergli il braccio della bacchetta.

O in alternativa camminare all’indietro.

Non aveva smesso di sentire il cuore in gola, ma in qualche maniera adesso riusciva a controllarlo. 

Superarono l’ennesimo lieve pendio, facendosi strada fra gli alberi, e a quel punto apparve davanti ai loro occhi. La tomba di Albus Silente sembrava quasi risplendere nella notte, nel suo marmo candido e maestoso. Neanche l’edera osava crescervi sopra...

Ma qualcuno ha avuto il coraggio di violarla.

Strinse gli occhi, cercando di vedere meglio. Accanto alla lapide, c’era qualcosa. Qualcosa di scuro e inerte.

Marcus. Per la miseria!

Anche la mente di Louis doveva essere stata attraversata dallo stesso pensiero, perché prima che Holly stessa riuscisse a mandare alle proprie gambe il segnale di iniziare a correre, sentì il gomito che stringeva fra le dita muoversi in avanti. Allora scattò.

Mentre si precipitavano in direzione della lapide, annullò gli incanti di Disillusione: ormai non servivano più. Il tempo che occorse per percorrere al massimo della loro rapidità la distanza che li separava dal corpo inerte dello Spezzaincantesimi sembrò infinito.

Quando finalmente lo raggiunsero, Holly si lasciò cadere in ginocchio accanto a lui, cercandogli il polso. Le mani le tremavano, ma riuscì comunque a sentire il suo battito. Sollevata, lasciò andare il respiro che aveva trattenuto fino a quel momento, e levò la bacchetta. “Homenum Revelio!”

Ma non c’era nessun altro. Solo loro tre. 

Che cosa è successo? L’hanno schiantato? Una fattura Togli-Forze? Cosa?!

“Louis...” chiamò, ma tutto quello che ricevette in risposta fu un verso strozzato a neanche un metro di distanza. “Louis!” Ripeté in un’esclamazione atterrita, voltandosi di scatto.

Anche il collega era caduto in ginocchio, ma in un modo diverso. Sembrava essere crollato carponi e si premeva una mano sul petto. La bacchetta era abbandonata al suolo accanto a lui.

Cosa diamine succede?!

“Louis!” Rimase aggrappata al polso di Marcus come ad un ultimo appiglio mentre si sporgeva verso l’Auror. 

Il giovane fece in tempo a rivolgerle uno sguardo privo d’espressione, nel suo volto contratto dal dolore, prima di crollare disteso in avanti, privo di sensi.

 

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25 dicembre 2021

Giardino delle Rose, Hogwarts

Sul tardi

 

Uscire all’aperto era stata una grande idea. Specialmente perché il giardino di rose che era stato messo su in occasione del ballo era sprofondato in un piacevole tepore, e il pacchetto di sigarette nel taschino della sua giacca costituiva un’attrattiva irresistibile. 

Era sinceramente stufo di ballare, ma la serata con Quinn si stava rivelando abbastanza divertente. Certo, sarebbe stato meglio andare al ballo con una tipa sexy come Georgia Menley – quando aveva visto Hugo ballare con lei il suo stomaco si era attorcigliato all’invidia – però la Battitrice sapeva essere una compagnia piacevole. Certo, aveva modi di fare bruschi ed era una gran musona, ma quando voleva riusciva a risultare davvero simpatica. Riusciva a farlo ridere, ed era stata anche piuttosto indulgente riguardo alla pressoché totale incapacità nel ballo di Al. 

Raggiunsero un’alcova riparata fra le siepi, il posto perfetto perché Albus potesse accendersi una sigaretta senza correre il rischio di essere sorpreso da un insegnante. Non c’erano norme particolari riguardanti il fumo, a Hogwarts – probabilmente perché si trattava di un vizio perlopiù Babbano; nonostante ciò, Al aveva la netta sensazione che il corpo docenti non avrebbe gradito. Sempre meglio nascondersi che beccarsi un castigo, per come la vedeva lui.

Quando estrasse il pacchetto di Lucky Strike pieno a metà, Quinn si accigliò ma non fece commenti. Non era la prima volta che lo vedeva fumare, ma era chiaro che non approvasse. Tuttavia si limitò a tenere le sopracciglia aggrottate per un pochino, rigida in piedi, mentre si circondava il busto con le braccia come se avesse avuto freddo.

Albus aspirò una lunga boccata, osservando il fumo che si disperdeva contro il cielo stellato.

Un insolito bel tempo, considerata la stagione.

Quinn si schiarì la voce, di fianco a lui. Sorpreso, si voltò nella sua direzione: nonostante i suoi modi di fare così poco delicati, la ragazza era sorprendentemente timida. Era raro che parlasse senza essere stata interpellata, a meno che non si trattasse di Quidditch.

Che si tratti di Quidditch anche adesso?

Non si trattava di Quidditch, qualcosa glielo suggeriva.

Rimase a guardarla mentre si portava di nuovo la sigaretta alle labbra, attendendo pazientemente che prendesse la parola.

“Io volevo...” La voce di Quinn suonò stranamente esile. Quasi un pigolio. “Rigraziarti?” concluse, esitante. Albus annuì, serio, continuando a tenere lo sguardo puntato su di lei. “Sì. Ringraziarti per avermi invitato.”

Non disse nient’altro per alcuni secondi, al che Albus dedusse che avesse finito il suo discorso. Estremamente breve date le premesse, bisognava dirlo.

“Non c’è nulla di cui tu mi debba ringraziare,” le parole gli salirono automatiche alle labbra, gentilmente.

Il cipiglio di Quinn si rilassò. Dal movimento delle sue gonne all’altezza del ginocchio, il ragazzo si accorse che stava dibattendo il piede sulla scarpa col tacco, in preda a chissà quale nervosismo. 

“Perché mi hai invitata?” La domanda uscì così, tutta d’un fiato, come se Quinn l’avesse rimuginata per tutta la serata finché non aveva resistito più.

Albus rimase un po’ spiazzato. A dire il vero, neanche lui aveva un’idea chiara del perché avesse scelto di portare proprio Quinn Baston al Ballo del Ceppo. Semplicemente... Non aveva ancora una dama, e gli era sembrato...

Che cosa le dico adesso?!

“Io...” esordì, atono, prima di deglutire e riprendere la parola. “Mi è sembrato una cosa... carina? Per suggellare il fatto che abbiamo chiarito.”

“Credi che abbiamo chiarito?” L’espressione di Quinn era imperscrutabile.

“Siamo di nuovo amici, no?” replicò in fretta, innervosito.

Gettò sul vialetto la sigaretta ancora a metà e la schiacciò con la punta della scarpa.

Quinn finalmente rilasciò le braccia che aveva tenuto strette intorno a sé. “Mi hai invitato solo per questo.” Non era una domanda.

“Tu non avevi un cavaliere, no?” Scrollò le spalle. “Ci siamo divertiti, mi sembra.”

Dall’espressione della ragazza, si sarebbe detto che si stesse masticando la lingua. “Io ho rifiutato l’invito di Tony Menley.”

“Me l’hai detto.”

“L’ho rifiutato perché speravo che mi avrebbe invitato qualcuno che mi interessa.”

Fu come ricevere una padellata in faccia. Quinn Baston era in grado di provare interesse per qualcuno?! 

“Ah.” Non sapeva bene cosa dire. “Mi dispiace che quella persona non l’abbia fatto,” tentò. 

Fallì. Quinn emise uno sbuffo stupefatto, guardandolo costernata da sotto le sopracciglia aggrottate mentre scuoteva la testa. “Ma proprio non capisci?”

Sbatté un paio di volte le palpebre. La mente gli si era tutta d’un tratto svuotata da qualsiasi frase intelligente l’avesse colmata fino a poco prima. “Che cosa dovrei capire?”

Quinn abbassò lo sguardo. “Speravo... speravo che mi invitassi tu.” La sua voce suonò estremamente flebile.

“Io?” Rise. Molto stupidamente. Poi capì. “Ti interesso io?!”

La frase gli uscì parecchio brusca di quanto avesse dovuto – e voluto.

Gli occhi di Quinn si sollevarono di scatto e gli parvero terribilmente trasparenti. “Sei un idiota, Albus Potter.”

“Io sono–” Ma non fece in tempo a continuare, perché Quinn gli tappò la bocca sporgendosi in avanti e premendo le labbra sulle sue.

Poi si scostò, in fretta come si era avvicinata, lasciandolo esterrefatto. “Non capisci mai niente!” sbottò, prima di allontanarsi di corsa.

Al si sentì un idiota.

 

 

****

 

 

 

Scorpius non si era ancora alzato da quella pietra. 

Era un posto davvero scomodo, o forse era lui ad essere troppo alto per stare seduto su di una pietra. Teneva piegate le sue gambe lunghe, i talloni piantati al suolo e le ginocchia vicine al petto, i gomiti poggiati su di esse e le mani affondate fra i capelli. L’unico comfort era l’aver slacciato il farfallino e i primi bottoni della camicia, perché aveva avuto la sensazione che l’aria gli venisse a mancare.

Terribilmente scomodo, ma non riusciva ad andarsene di lì. 

Così come non riusciva a smettere di darsi interiormente dell’idiota.

Sconfortato, sollevò la testa dalle mani e guardò verso l’alto, verso lo stupido cielo trapunto di stupide stelle. Desiderò che piovesse a dirotto: perlomeno avrebbe rispecchiato il suo umore. 

Improvvisamente sentì dei passi imboccare il vialetto in cui si trovava lui. Non si curò neanche di controllare di chi si trattasse, almeno finché l’acre e familiare odore del fumo di sigarette Babbane non raggiunse le sue narici. 

Allora voltò il capo e riconobbe la figura di Albus, l’espressione mogia, la sigaretta che continuava a portare alle labbra nella mano destra e quella che pareva una fiaschetta nella sinistra.

L’amico non disse nulla, ma continuò a percorrere il sentiero finché non lo raggiunse. A quel punto si lasciò cadere accanto a lui su quelle scomode pietre e gli porse la sigaretta. Scorpius scosse la testa, ma non emise protesta quando Al gli passò la fiaschetta. 

La stappò soprappensiero e buttò giù un sorso. Firewhiskey: lo riconobbe dal gusto e dal fuoco che l’aveva improvvisamente incendiato all’altezza del petto. Si sentì un po’ scaldato.

Riconsegnò la fiaschetta ad Albus, grato. Anche l’altro bevve un sorso, e subito dopo fece un tiro dalla sua sigaretta, gli occhi verdi pensierosi che fissavano il fumo senza guardarlo davvero.

Smise di guardarlo, ma bevve un’altra sorsata dalla fiaschetta quando l’altro gliela passò. 

“Brutta serata?” La voce di Al suonò rauca, smorta.

“Sì.” Rispose automaticamente. “La tua?”

“Orribile.”

Scorpius bevve ancora. “Ho sbagliato tutto, Al.”

“Con Rose?”

Riuscì solo ad annuire. Poi sentì il braccio di Al circondargli il collo e stringerlo in una sorta di goffo abbraccio. “Ho sbagliato tutto anche io.”

 

 

****

 

Stuck on the inside now

It’s fear I’m embracing

I never could face you down...

Foo Fighters

 

 

Il Ballo del Ceppo era quasi terminato. Ormai non erano rimaste che poche coppie a stringersi con il sottofondo di quella musica lenta.

Anche Jake era rimasto lì, nonostante Gwyn se la fosse filata da un pezzo con un bellimbusto di Beauxbatons – tale Emile – con la sua benedizione, per la cronaca. Più che dovuta, come aveva aggiunto Gwyneth con un sorriso storto nella sua direzione. 

Jake aveva occupato uno dei tanti tavoli rimasti vuoti, le gambe allungate e un calice di champagne pieno per metà davanti, sul cui orlo liscio faceva scorrere ritmicamente l’indice, lo sguardo fisso sulle bollicine che salivano lente fino alla superficie. 

Di tanto in tanto sollevava lo sguardo per accertarsi che Lily fosse da quelle parti: in quel momento la vide salutare Leopold Higgs distrattamente – il ragazzo sembrava piuttosto contrariato, e Jake non aveva difficoltà a intuirne il motivo. Da quel che aveva osservato nel corso della serata, Lily lo aveva trattato malissimo.

Poi anche Higgs se ne andò e Lily rimase sola.

Jake per poco non credette ai propri occhi quando la vide avvicinarsi al suo tavolo. Teneva sollevato il suo vestito sul davanti per non inciampare, e i suoi capelli non erano più impeccabili come all’inizio della serata. Il trucco era colato all’angolo dell’occhio destro, ma Jake la trovò bellissima. 

Quando giunse accanto alla sua sedia, alzò lo sguardo sul suo volto e poi si tirò in piedi, posando le mani sulle sue spalle. Lily lo lasciò fare. Neanche seguì i suoi movimenti, continuava a guardarlo dritto in faccia con quello sguardo che ti leggeva dentro. 

Anche lui la guardò. Rimasero a guardarsi per almeno un minuto. Poi Jake si decise a parlare. “Voglio baciarti. Voglio baciare solo te e non voglio che tu vada al ballo con un Leopold Higgs qualunque.”

Lily aggrottò le sopracciglia e socchiuse le labbra. “Quello che mi hai detto...”

“Lo penso davvero. Fino all’ultima sillaba.”

Emise uno dei suoi sorrisi storti, scoprendo leggermente i denti e guardandolo di sotto in su, con gli occhi che luccicavano. “Anche io voglio baciarti. Adesso.”

Jake non se lo fece ripetere due volte. Fece scivolare un braccio intorno alla sua vita e con l’altro le sfiorò il volto, tirandosela contro. 

Lily gli pose un dito sulle labbra. “Sei sicuro? Potrebbero vederci.” Mentre parlava le sue labbra continuavano a essere incurvate in un sorriso, ma gli occhi erano serissimi e fissi in quelli di Jacob. Fra loro passarono chilometri di parole in quella frase.

“Per quel che mi riguarda, può vederci chiunque.”

Non le lasciò il tempo di dire altro, chinandosi a baciarla. Lily rispose immediatamente, buttandogli le braccia al collo e sorridendo contro le sue labbra.

Rimasero a baciarsi per un pezzo. Era la cosa giusta.

 

 

 

****

 

 

“Forse è il momento di dirmi questi benedetti motivi per cui mi hai costretto a invitarti.”

Bernie era abbastanza sicuro di aver bevuto troppo. Se ne accorgeva dal fatto che i suoi sensi sembravano ovattati e i colori più accesi, e Christine ondeggiava davanti a lui.

Anche Christine doveva aver bevuto troppo, perché alle sue parole schiuse le labbra in un sorriso che durò più del solito e girò lentamente il collo. “Mi sono fatta invitare...” esordì, tentando di scandire le parole, nonostante suonassero un po’ impastate. “Perché mi piaci.” Gli piazzò l’indice al centro del petto. “Mi piaci tanto.” Giocherellò con la sua cravatta.

Non aveva capito la risposta. Non sapeva neanche bene dove si trovassero, per la miseria.

Nei sotterranei. Da qualche parte nei sotterraei. 

Sembra un’aula. Perché?

“Come mi hai detto prima?” Disse così, ma subito dopo dimenticò perché l’avesse fatto.

Christine sembrò confusa. Fece spallucce, sporgendo il labbro inferiore in fuori, quindi riprese a giocherellare con la sua cravatta. Inclinava la testa da una parte e dall’altra, mordicchiandosi il labbro.

Poi tirò la cravatta e Bernie assecondò i suoi movimenti, perché non vedeva motivi per non farlo.

Perché sto qui con Christine?

Non dovrei. Nessuno... nessuno dovrebbe.

“Io ti piaccio, Bernie?”

“No.” La sua voce suonò assente. “Non mi piaci, Christine. Sei pazza.” Ormai le parole erano a piede libero.

Christine non parve prendersela. Storse le labbra in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso. “Lo so. Lo dicono tutti.”

“Sì.” La guardò. “Ma non sono sicuro che sia vero.”

La vide chiudere gli occhi, e per un momento attraversò la sua mente il pensiero assurdo che si fosse addormentata. Sulla cattedra dell’aula di Pozioni.

Siamo nell’aula di Pozioni. Ecco dove siamo.

Ma poi la ragazza aprì gli occhi. “Non sono pazza. Fanno tutti degli errori. Perché quelli degli altri devono essere perdonati e i miei... i miei no?”

Non ci avevo mai... mai pensato.

“Non lo so. Forse hai fatto più...” – cercò la parola giusta – “più male.”

Christine sembrava essersi distratta di nuovo. “Ti sei... divertito, stasera?”

Di nuovo aveva preso a far scorrere l’indice sul bavero della sua giacca.

“Sì.” Rispose sinceramente – cos’altro avrebbe potuto fare, con tutto quell’alcool in corpo? “Non pensavo... ma sì.”

“Me lo dici ancora adesso?” Lo guardò con i suoi profondi occhi scuri e un accenno di sorriso.

“Cosa?”

“Smettila di pensare quello che stai pensando...”

Si avvicinò di parecchi centimetri: le sue labbra socchiuse erano a un soffio da quelle di Bernie. Il tempo sembrava sospeso.

“No,” disse poi Bernie in un sussurro. Christine gli accarezzò lentamente il viso e poi sorrise ancora, prima di baciarlo. 

Fu un bacio confuso. La testa di Bernie girava ed era a malapena consapevole delle labbra morbide che si muovevano contro le sue, delle braccia esili di Christine aggrappate alle sue spalle. Si accorse a stento delle proprie, di mani, del modo in cui si muovevano sul corpo di Christine e cercavano la cerniera del vestito.

Si accorse di tutto e non si accorse di niente.

Poi i suoi pensieri si spensero.

 

 

 

Note dell’Autrice

Questo è il capitolo più lungo che io abbia mai scritto e io sono stanchissima, quindi sarò breve.

Come avrete notato, è un capitolo pienissimo. E ho pure tagliato due scene! Quindi... non uccidetemi ma recensite numerosi :3

Bisous,

Daphne

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 - Ante up ***


Questo è dedicato a Giulia che ha passato l'esame! ♥ 

 




Non è necessario essere una stanza o una casa per essere stregata.

Il cervello ha corridoi che vanno oltre gli spazi materiali.

Emily Dickinson

 

 

26 dicembre 2021

Infermeria di Hogwarts, Scozia 

Prime luci dell'alba

 

Sulle piastrelle che pavimentavano l'Infermeria cadevano gli spicchi di luce infiltratisi fra le tende socchiuse. Oltre i vetri delle altre finestre, il sole spandeva i suoi primi raggi sui lievi pendii ricoperti di neve. Una giornata gelida e sorprendentemente serena: tirava tramontana, e il vento aveva trascinato via con sé ogni nube.

Holly non riusciva a trovare pace. Aveva trascorso la notte completamente insonne, percorrendo infiniti tracciati immaginari sulle piastrelle del pavimento. Sebbene fossero trascorse ore, ancora si sentiva l'adrenalina addosso. La sua mente non aveva cessato neanche per un istante di lavorare alacremente, portandosi dietro un pensiero dopo l'altro, in un susseguirsi continuo e ingombro di fibrillazione.Aveva pensato e pensato, senza però giungere a nessuna conclusione che si potesse definire tale. 

Si sentiva inutile e scoperta: quando aveva scorto il corpo accasciato di Marcus vicino alla lapide, nonostante non le piacesse ammetterlo, la consapevolezza di non essere sola e di avere Louis al proprio fianco, pronto ad appoggiarla, l'aveva rassicurata. Le aveva dato la forza di agire, in un certo senso. Solo che poi anche Louis era finito in balia di quello strano attacco, per poi perdere i sensi pochi istanti dopo.

Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine del collega che si premeva le mani sul petto con espressione sofferente, la bacchetta abbandonata al suolo a renderlo incapace di difendersi. Crollato in ginocchio, come se qualcosa l'avesse appena trafitto.

Gli eventi successivi erano stati confusi, sorprendentemente distaccati, come se li avesse vissuti al di fuori del proprio corpo, la mente del tutto scollegata. Rivedeva immagini sfocate e frammentate della dinamica con cui aveva agito. Poteva rievocare la visione di se stessa, in ginocchio fra i corpi privi di conoscenza di Marcus e Louis, appigliandosi all'uno e all'altro come ad ancora di salvezza. Aveva trascorso così un tempo indefinito – potevano essere stati minuti interi o anche solo una frazione di secondo; poi da qualche parte aveva trovato la forza di alzarsi, di riportare i due ragazzi al castello con un incanto di locomozione. Era stato semplice: semplice e irreale.

Madama Chips era stata incredibilmente efficiente, come c'era da aspettarsi: aveva chiesto a Holly delucidazioni su quanto accaduto, e la ragazza aveva spiegato tutto per filo e per segno con voce incolore. Quando aveva detto alla guaritrice del modo in cui Louis si era premuto le mani sul petto, la donna aveva aggrottato le sopracciglia e sbottonato la camicia di Louis, scoprendogli il torace. Holly aveva notato con un certo sgomento che il ragazzo aveva una strana bruciatura sul petto, dalla forma distorta. La carne viva era rosea e lucida, trasudava piccole gocce di sangue. L'odore che emanava era stranamente dolciastro, come l'odore dei fiori di chiesa quando fa troppo caldo. Un senso di nausea le era risalito su per la bocca dello stomaco.

Accigliata, Madama Chips si era chinata su Marcus, sdraiato sul letto vicino a quello di Louis, scoprendo il petto anche allo Spezzaincantesimi… che recava gli stessi segni dell'altro, all'altezza del cuore.

A quella vista la testa di Holly aveva girato e la mente si era bruscamente ricollegata al corpo. Le ginocchia improvvisamente non l'avevano retta più, ed era stata Madama Chips a costringerla su di una sedia. Holly era rimasta immobile mentre la donna finiva di visitarli.

"Sono stabili," aveva infine dichiarato la guaritrice. "Sembrano dormire."

Il mondo allora aveva riacquistato i suoi rumori. Alle orecchie di Holly erano giunte le note lontane del ballo ancora in corso, e con improvvisa lucidità la ragazza aveva realizzato che il tempo non si era fermato.

Si era scoperta a tremare. 

La notte era successivamente trascorsa in uno stato di veglia quasi febbrile, con i secondi che ticchettavano a strani scarti dall'orologio dell'Infermeria. A tratti era stata talmente immersa nei suoi pensieri da rendersi conto a malapena dello scorrere del tempo; in altri momenti invece aveva posato continuamente lo sguardo sulle sagome incoscienti di Louis e Marcus, sorprendendosi a fissare l'uno e l'altro, desiderando che si svegliassero. Voleva avere la certezza che stessero bene… voleva essere meno sola, meno inutile, meno scoperta.

Quando gli spicchi di luce cominciarono ad allungarsi – indice del fatto che il sole stava risalendo lentamente nel cielo – Holly chiuse gli occhi, in piedi vicino alla finestra. Scoprì che le bruciavano terribilmente e massaggiò piano le palpebre chiuse con le dita. Le sembrava di avere la faccia bollente, come se sopra la sua pelle avesse premuto un cuscinetto d'aria calda spesso due pollici. Rimase ferma lì, stringendosi nel suo maglioncino, accarezzata dalla luce del sole che si infiltrava nello spiraglio fra le tende. Allargò leggermente le cortine con le dita della mano destra, continuando ad abbracciarsi intorno alla vita con il braccio sinistro. Diede una sbirciata fuori dalla finestra, dove la neve brillava dolcemente sotto la luce del mattino. Si chiedeva se qualcuno avesse già delimitato la zona circostante alla lapide di Albus Silente, come aveva richiesto la sera precedente. Non dubitava che nel corso della giornata sarebbe venuto qualcuno per ascoltare il suo rapporto.

Si mordicchiò il labbro, sospirando appena. Non le piaceva quella situazione. Non le piaceva l'attesa.

"Ho-Holly?" 

La voce – roca e quasi irriconoscibile, tanto era flebile – proveniva da uno dei letti alle sue spalle. Holly voltò la testa, restando ferma lì dov'era. Il suo sguardo si posò su Marcus, che portava in volto un'espressione confusa e si tastava interdetto la fasciatura sul petto. A quella vista, qualcosa dentro di lei si sciolse improvvisamente. Dovette strizzare gli occhi e premere forte i palmi freschi sole guance che bollivano, per non cedere alla tensione nervosa.

Allora si avvicinò a lui, quasi esitante, sistemandosi i capelli dietro le orecchie. Si sedette ai piedi del letto di Marcus, scrutandolo preoccupata. "Come ti senti?" Anche la propria voce le parve arrochita, tremendamente stanca. 

"Strano." Continuava a tastarsi la fasciatura, guardando Holly dritto in faccia. "Che cosa mi è successo?"

Lei si mordicchiò il labbro, ancora. Le doleva la testa. "Quando ti abbiamo raggiunto, eri privo di sensi." Chiuse gli occhi, li riaprì. "Madama Chips suppone che ti sia accaduta la stessa cosa di Louis. Stava benissimo, ma quando ci siamo avvicinati alla tomba di Silente ha iniziato a premersi una mano sul petto… Non si reggeva in piedi. Ho avuto paura che fosse un infarto o qualcosa del genere."

Marcus continuava a guardarla, in silenzio. Annuì leggermente, fissandola con gravità da sotto le sopracciglia aggrottate. 

Attendeva che lei proseguisse, senza fretta, lasciando che si prendesse tutto il tempo che le serviva.

"Però non è stato un infarto. Chiaramente la colpa è di una maledizione o qualcosa del genere, perché la ferita è palesemente magica, visto che non c'era niente con cui vi sareste potuti bruciare… Quella sotto la medicazione è una bruciatura. Ha una forma strana." Aveva la gola secca. "Ma la vera domanda è… Se la colpa è di un incantesimo, perché io non ne sono stata colpita?"

Marcus la guardò, storcendo le labbra, concentrato. "Posso scoprirlo." Scosse la testa, sorridendo debolmente. Sembrava funestamente divertito. "In teoria sono andato lì per quello… per rilevare tracce di magia oscura."

"Non puoi tornare lì!" Holly non avrebbe voluto pronunciare tali parole con tanta enfasi, ma era più che determinata a impedire a Marcus di fare una cosa del genere. D'accordo, lo riteneva un borioso idiota, ma non voleva che qualcuno si facesse di nuovo del male. "Se ne può occupare qualcun altro."

"Non se ne può occupare nessuno, finché non si capisce quale sia il problema." Rilevò Marcus. "Da quello che dici, sembra difficile capire per quale motivo la maledizione agisce solo su alcune persone."

"Ad esempio, al signor Potter non ha fatto nulla." Ricordò lei, pensando ai sopralluoghi che dovevano essere già stati fatti. "Deve esserci un motivo per cui ha colpito solo voi due." 

Marcus la guardò. Le sue sopracciglia si distesero appena mentre incurvava di nuovo le labbra, stavolta per un sorriso vero. Allungò una mano verso Holly, posandola su quella di lei, abbandonata sulle lenzuola del lettino. "Stai tranquilla." La strinse lievemente. "Troveremo una soluzione."

Holly accondiscese per qualche istante a quel contatto, poi ritirò la mano. 

Si ritrovò a sbadigliare. L'adrenalina si stava dissipando e adesso iniziava a sentire il peso della notte insonne.

Marcus lo capì. "Adesso prova a dormire." Suggerì. "Quando Weasley si sveglierà gli spiegherò tutto io."

"Ma–"

"Penso che lucida e riposata saresti molto più utile."

Si ritrovò a sorridere, suo malgrado. "Quel divanetto sembra comodo, in effetti."

 

 

 

 

****

 

 

Close enough to start a war,

all I have is on the floor.

Adele

 

 

 

Quando aprì gli occhi, credette di star sognando. 

Doveva essere un sogno piuttosto strano, poiché la testa gli doleva come se qualcuno gli avesse stretto un cerchio di ferro attorno alle tempie e non sapeva bene che ore fossero. Un sogno fuori dall’ordinario, non c’era che dire, soprattutto perché si trovava semidisteso ai piedi della cattedra, nell’aula di Pozioni male illuminata, e davanti a lui c’era Christine De Bourgh che dormiva, sprofondata fra le gonne del suo ampio abito da sera.

I capelli scuri della ragazza erano arruffati in quel che restava dell’acconciatura della notte precedente, con ciocche sfuggite dalle forcine allentate che erano scivolate a ombreggiarle il volto. Aveva un’aria sorprendentemente pacifica, notò Bernie, e i suoi lineamenti apparivano distesi e rilassati. Per la prima volta si accorse che i tratti di Christine erano molto dolci, in un contrasto quasi stridente con quello che era il suo modo di fare.

Non ci aveva mai fatto caso.

Fece per grattarsi la nuca, nervoso, e allora si rese conto che il colletto della sua camicia era storto, i primi bottoni slacciati. Non indossava la giacca: ecco la spiegazione ai brividi di freddo che non cessavano di percorrergli le braccia.

Guardò Christine, chiedendosi se non avesse freddo col suo abito senza spalline, e allora si accorse che la lampo del corpetto era tirata giù, seminascosta dai suoi capelli, nonostante la ragazza avesse ancora il vestito indosso.

Cosa è successo ieri sera?

Chiuse gli occhi, riflettendo, e allora una serie di immagini della notte precedente balenarono sul buio dietro alle sue palpebre. Erano spaccati confusi, immagini vorticanti. I ricordi di un ubriaco.

Ricordava Christine con un sorriso strano – a metà fra malizia e una sorta di tristezza – che gli accarezzava il volto con il dorso della mano, guardandolo di sotto in su, dritto negli occhi. Poi chissà come si era ritrovato con le labbra di Christine sulle proprie. Si era ritrovato a rispondere al bacio con un certo entusiasmo.

Era stato lui a trovare la cerniera del suo vestito e abbassarla lentamente, a cercare la pelle calda di Christine sotto il corpetto. Ed era stata Christine ad abbarbicarsi addosso a lui con le gambe, baciandolo forsennatamente e slacciandogli nel frattempo la camicia.

Era piuttosto sicuro che non fosse accaduto altro, o se ne sarebbe ricordato.

Devo essere pazzo per baciare Christine De Bourgh. Perché l’ho baciata.

… Per un bel po’.

La guardò, lasciando scorrere lo sguardo sulle sue spalle nude, sulle labbra socchiuse nel sonno, sul suo petto che si alzava e abbassava lentamente, a ritmo col respiro. Non avrebbe voluto, ma doveva ammettere che era facile, terribilmente facile essere pazzi in quel modo. Sebbene offuscati dalla sbronza, i suoi ricordi in merito erano molto chiari, e decisamente più dolci di quanto Bernie avrebbe preferito.

Andiamo, Ber. Christine è pur sempre una donna, e tu eri ubriaco. Che altro avresti dovuto fare?

Ma non era bravo a fregare se stesso. Certo, il fatto che da ubriaco avesse agito in un certo modo non comportava necessariamente che da sobrio avrebbe fatto la stessa cosa... Ma l’idea del corpo di Christine premuto di nuovo contro di lui gli faceva attorcigliare lo stomaco di aspettativa. 

Le palpebre di Christine si schiusero lentamente, e la ragazza le sbatté un paio di volte prima di fare pressione sul braccio sinistro e tirarsi a sedere. Quando lo fece, il corpino slacciato scivolò giù di parecchi centimetri. Bernie non poté fare a meno di farvi cadere lo sguardo: Christine si limitò a sorridere di nascosto e tirare su la lampo, senza esprimere alcun commento in merito. Poi sbadigliò: il suo volto era ancora gonfio di sonno, ma gli occhi già vigili e attenti. Si guardava attorno alla sua solita maniera, con misurata attenzione, come se stesse registrando più informazioni possibile sul luogo in cui si trovava. Infine, posò di nuovo lo sguardo su Bernie, che sedeva con la schiena poggiata alla cattedra, una gamba allungata e l'altra piegata, il gomito pigramente appoggiato sul ginocchio. Gli occhi di Christine erano incredibilmente calmi. Bernie non riusciva proprio a capire cosa stesse pensando, se stesse sottoponendo anche lui ad un'analisi o altro.

E comunque, non dovrebbe interessarmi.

Il silenzio nell'aula non era fastidioso: la mancanza di parole non lo metteva a disagio. Somigliava piuttosto a un mutismo quieto, equilibrato, qualcosa da non interrompere. Christine lo osservava e lui ricambiava il suo sguardo, sostenendolo. Gli sembrava la cosa più giusta – o forse l'unica che potesse fare. Non si fidava di lei, sapeva quanto male aveva fatto in passato, ma chissà per quale motivo era fermamente convinto che, la sera precedente, la ragazza avesse detto la verità. Forse a convincerlo era stato il fatto che, oltre a quanto l'avrebbe risollevata ai suoi occhi, gli aveva confessato anche qualcosa che non la metteva esattamente in una luce positiva. D'accordo, non era Gossip Witch, ma ne conosceva l'identità: era stata sua complice e lo era ancora.

Certo, non doveva essere facile essere considerata dai tre quarti della scuola un'impostora ancor più di quanto non lo fosse.

Tacquero ancora per una manciata di minuti. "Buongiorno," disse poi Christine, e in quelle poche sillabe da lei pronunciate passò un torrente di parole. Lo guardava ancora, con le labbra incurvate in un sorriso lieve ed enigmatico, che Bernie non seppe valutare.

"Buongiorno," rispose, chiedendosi che altro avrebbe potuto dire. Si chiese anche se non dovessero andare via da lì, ma sembrava che Christine non avesse intenzione di alzarsi. Non subito, almeno.

Calò di nuovo il silenzio, ma stavolta Bernie sentiva il bisogno di riempirlo. Solo, non sapeva con cosa. In mente gli balenavano moltissime possibilità diverse, ma non avrebbe saputo quale scegliere.

"Ieri sera…" si ritrovò a mormorare. Poi tacque.

Il sorriso di Christine sfumò lentamente. "Lo so," fece, seria.

"Hai detto la verità." Non suonò esattamente come una domanda, ma d'altronde non voleva essere tale. "Perché?"

La ragazza fece spallucce. "Deve esserci un perché?"

"Sì."

La vide abbassare lo sguardo, mordicchiandosi il labbro. "Perché io non dico bugie," parlò infine, soffiando delicatamente ogni parola tra le labbra, a voce bassa.

Bernie aggrottò le sopracciglia. "Sai quello che intendo," replicò, schietto. "Non avremmo parlato di questo se tu non avessi voluto."

L'espressione di lei si mantenne neutra. "Voleva essere un complimento?"

Chissà perché, gli venne da sorridere. "Lo sai."

"Già," fece lei, vaga, lisciando soprappensiero le pieghe del suo vestito. Bernie guardò le sue labbra, leggermente lucide, e desiderò baciarle ancora. Si costrinse a distogliere gli occhi. "Hai gettato il Proteus sui galeoni," rilevò. "Perché?"

Continuava ad accarezzare il vestito, come fosse stato un gatto. Guardava in basso, e le ciglia le orlavano gli zigomi di ombre sfilacciate. "Dovevo un favore a qualcuno."

Sbatté un paio di volte le palpebre, interdetto. "Qualcuno ti ha… ricattata?"

"In un certo senso."

L'idea che Christine De Bourgh potesse essere incastrata da qualcuno era difficile da realizzare; forse Bernie era davvero troppo abituato a vederla come una perfida e inarrestabile manipolatrice.

Deve esserci dell'altro. Nessuno era completamente cattivo o completamente buono. E, rifletté la personalità di Christine non poteva essere davvero limitata a quella facciata di malignità. Bernie non intendeva giustificarla, ma le psicologie erano così varie e stratificate… e Christine era umana come gli altri, dopotutto. Un essere umano dannatamente complicato, certo, ma sempre tale. Chissà cosa le passava per la testa, come funzionava il suo modo di pensare. In confronto, Bernie si sentiva così semplice e lineare. Così franco, così poco complesso.

Forse è più facile essere felici per le persone non complicate.

Si era sentito così strano, la sera precedente, mentre cercava di decifrare Christine. Adesso poteva identificare le proprie sensazioni, in qualche modo, classificarle: torbida curiosità, vaga apprensione e – cosa più strana di tutte – persino una nota di contentezza soffusa, che avvolgeva le cose. Il suo cervello si era messo in moto nel tentativo di risolvere quel rompicapo, e questo non avrebbe dovuto trasmettergli così tanta positività, seppure orlata com'era d'incertezza.

C'è qualcosa che mi sfugge.

Questo era chiaro. Doveva esserci un movente, qualcosa che governava le azioni di Christine. 

C'è sempre un motivo per cui si fa qualcosa.

Mentre era immerso nei suoi pensieri, erano trascorsi parecchi minuti, Christine era rimasta quieta, silente, dandogli il tempo di riordinare le idee. La ragazza era sempre un passo avanti rispetto a lui.

Riesce sempre ad anticiparmi.

Si decise a parlare. "Ieri hai detto…"

"Che mi piaci. Lo ricordo." Era tornata a guardarlo con i suoi occhi scuri – era incredibile come potessero apparire inespugnabili e spaventosamente espressivi al tempo stesso. Christine provava, fin troppo: solo, era impossibile capire cosa provasse. 

A volte mettere in mostra la verità è il modo migliore per nasconderla.

Deglutì, in difficoltà, chiedendosi cosa significassero realmente quelle parole. "E questo…"

"Non dico bugie." Christine si alzò in piedi, rassettandosi il vestito. "Ci conviene andare," buttò lì. "Non credo tu voglia che la gente si faccia idee sbagliate." Sogghignò. "Peccato che già avranno pensato di tutto."

Bernie si ritrovò a ricambiare il ghigno di lei. Si sentiva in qualche modo sollevato nel vederle in faccia quell'impressione a lei così congeniale. Quella Christine così maliziosa e divertita dal disagio altrui gli era più familiare e, sorprendentemente, più facile da accettare. Questa Christine sapeva gestirla, con lei sapeva come muoversi.

E, anche se cercava in tutti i modi di ignorarlo, voleva muoversi parecchio.

"D'accordo." Si tirò su puntellandosi con le mani sulla cattedra. "Andiamo."

 

 

****

 

 

26 dicembre 2021

Biblioteca di Hogwarts, Scozia

Tarda mattinata

 

Ancor più che nelle settimane appena trascorse, sembrava che fra i corridoi vigesse un solo argomento di conversazione. 

Anche se il Ballo del Ceppo era ormai trascorso – faticosamente, avrebbe aggiunto Rose – ancora il giorno successivo al castello non si parlava d'altro. Chi era preso dal dettagliatissimo racconto di una fantastica serata, chi si lamentava per non aver trovato il ballo soddisfacente, chi si limitava ad ascoltare e tenersi i suoi segreti.

E poi c'erano quelli come Rose, che dal canto suo avrebbe dato qualsiasi cosa per sentir parlare d'altro. Più che mai aveva sentito il bisogno della compagnia di Christine, quella mattina. Nonostante fosse astuta e calcolatrice, pazza e totalmente incomprensibile, Chris aveva quella capacità di pronunciare, volendo, le parole esatte in grado di farla sentire meglio. Rose non desiderava altro che passare qualche ora con qualcuno che sapesse dire la cosa giusta al momento giusto… non come Scorpius, che la sera precedente era stato in grado solo di sbagliare i fatti, i tempi e le parole.

Chiuse gli occhi e tuffò le mani nei capelli sciolti, con una strana onda sulla mezza lunghezza – i residui dello chignon in cui erano stati raccolti la sera prima; non doveva pensarci, non adesso. Avrebbe fatto meglio a concentrarsi sulla pila di libri e lo stupido foglio di pergamena aperto davanti ai suoi occhi.

Christine non c'era, quella mattina. Rose aveva aperto gli occhi in un groviglio di coperte, il cuscino umido di pianto e macchiato di mascara, il trucco colato che le impiastricciava il viso. Si era tirata a sedere faticosamente, con la testa che le doleva, e guardandosi attorno aveva appurato che, se Gwyneth dormiva beatamente fra le lenzuola, dal canto suo il letto di Christine era vuoto.

Non si era chiesta il perché. Neanche le importava più di tanto, a dire il vero.

Aveva provato a stare un po' in Sala Comune, almeno finché non aveva visto una testa bionda spuntare fuori dalla scala che conduceva ai dormitori maschili. Allora aveva preso la borsa e si era dileguata in direzione della biblioteca, pensando di approfittare di quella mattinata libera e del bisogno di distrarsi per concentrarsi sull'enigma della seconda prova Tremaghi. 

Sospirò appena, rabbrividendo fra gli scaffali della biblioteca mentre si tirava più giù le maniche del maglione, coprendo i polsi e lasciandosi scivolare i polsini lungo le mani, finché non rimasero fuori solo le punte delle dita. Sulle unghie aveva ancora lo smalto della sera prima, scheggiato all'indice della mano destra.

Poco male: non le era mai piaciuto lo smalto. Non riusciva mai a smettere di mangiucchiarsi le unghie, quindi aveva rinunciato da un pezzo al proposito di avere mani ben curate. 

In biblioteca faceva freddo. Era una stanza immensa, dai soffitti altissimi, probabilmente copriva almeno il doppio dell'area della Sala Grande, nonostante l'effetto fosse smorzato dai corridoi angusti creati dagli alti scaffali, che rendevano in un certo qual modo discontinua la visuale dell'ambiente.

Si soffiò sulle dita e rilesse ancora una volta quella stupida pergamena.

Nero come bianco, cercando la tua ombra finché non sarai stanco.

In passato era stato Scorpius a darle quasi inavvertitamente una mano nel decifrare il contenuto dell'enigma.

Bianco come nero, l'ombra del terrore, fuggendo il giorno intero.

Era inquietante, niente da dire. La prospettiva di fuggire per il giorno intero inseguita dall'ombra del terrore non era delle più allettanti.

Corpo ruggente, testa pensante, coda pungente…

"Rosie?"

Sobbalzò, prima di riconoscere la voce di Hugo. Allora si voltò nella direzione da cui aveva parlato.

Il suo sguardo scorse sulla figura del fratello. Il volto di Hugo era pallido e tirato, profonde occhiaie denotavano una notte insonne, o forse una lunga serie di notti insonni. A giudicare dalla sua faccia, Rose non era l'unica ad aver dormito poco e male. Anche suo fratello aveva un'aria sbattuta, demoralizzata, smunta: notò che era dimagrito parecchio, il che si accompagnava alla spanna abbondante che aveva guadagnato in altezza. Era ancora più allampanato del solito.

Forse si sta distruggendo troppo con questa storia delle liste rubate. La frustrazione lo sta corrodendo.

"Hugo." Rilevò flebilmente.

Lui le rivolse una specie di sorriso. O, per meglio dire, le sue labbra si tesero in una smorfia grottesca.

"Dormito male?" domandò, caustico.

Non ebbe la forza di ricambiare il sogghigno. "Anche tu non hai l'aria di aver appena vissuto una delle migliori notti della tua vita."

"Infatti non è così." Hugo emise un sospiro profondo, di petto, prima di afferrare una sedia per la spalliera e girarla, accomodandosi di traverso accanto a Rose. Senza fare commenti, allungò un braccio e sfilò la pergamena del Tremaghi dalle mani di Rose. Nel compiere questi gesti, il polsino della camicia che indossava si tirò indietro, mostrando il polso ossuto.

Rose lo lasciò fare. Non l'avrebbe mai ammesso, ma l'aiuto di Hugo sarebbe potuto essere risolutivo, specie perché lei era in uno stato d'animo tale da faticare a concentrarsi. Oltretutto, il fratello era molto più abile di lei per quanto concerneva rompicapo e affini.

Hugo lesse la pergamena. Poi la rilesse, almeno un paio di volte. Rose vedeva i suoi occhi muoversi rapidamente mentre scorrevano sulle scritte.

Poi il ragazzo poggiò i gomiti sul tavolo e unì le punte dita davanti agli occhi. Stava pensando, e Rose lo lasciò fare.

Nel frattempo, rilesse la pergamena.

 

Nero come bianco,

cercando la tua ombra

finché non sarai stanco.

Bianco come nero,

l’ombra del terrore

fuggendo il giorno intero.

Corpo ruggente,

testa pensante,

coda pungente.

Mezzodì aggredisce,

chi cammina da cinque

e di piede nitrisce.

Ai vespri di sera,

strisciando ammantato

l’anima nera.

Nero come bianco,

cercando la tua ombra

finché non sarai stanco.

 

Lo osservò pensare per qualche minuto, poi Hugo abbassò le mani e si volse verso di lei per il verdetto.

"Allora," esordì in tono didattico, "è chiaro che la prima e l'ultima terzina costituiscono una sorta di cornice. Parla di nero e di bianco, di un'ombra da cercare. Evidentemente, l'ombra è ciò che dovrete affrontare durante la prova. Il fatto che venga specificato 'la tua ombra' ci fa capire che le vostre sfide saranno diverse l'una dalle altre."

Rose annuì, attendendo il resto. Fin lì, c'era arrivata anche lei. 

"La seconda terzina," riprese Hugo, "così come i riferimenti alle diverse ore del giorno… ci fanno capire che le tre sfide avverranno a orari diversi nel corso di un'intera giornata. La prima non è specificata, ma si suppone di mattina. Poi… Mezzodì. E ai vespri di sera." La guardò e emise un sorrisetto soddisfatto. "Infine, le tre terzine rimanenti. Sono le tre creature che dovrete affrontare."

"Creature." Ripeté Rose, atona. 

"Esatto." Hugo annuì. "Ci si riferisce a parti del corpo, ad aggredire, a strisciare… deve essere qualcosa di vivo. E dubito che un mago possa avere una coda pungente.

"Corpo ruggente, testa pensante, coda pungente," fece Rose, che ormai aveva imparato a memoria quella sorta di poesia, a forza di rileggerla. "Corpo ruggente…" Vicino al loro tavolo passò Lucy, una pila di libri in equilibrio precario fra le braccia. Rivolse loro un mesto cenno di saluto, e lo sguardo di Rose cadde sulla spilla da prefetto che portava sul petto. Recava il leone dello stemma di Grifondoro. "Il leone è l'animale che ruggisce per eccellenza. Testa pensante… l'uomo."

Lo sguardo di Hugo si illuminò. "Non ci avevo pensato. Parla di una Manticora!"

Rose non riuscì a rallegrarsi troppo. L'idea di trovarsi costretta ad affrontare una Manticora faceva sì che brividi di terrore le scivolassero giù per la schiena. Un'orrida fiera con corpo di leone, testa umana e coda di serpente: non somigliava granché a una tenera, innocua Puffola Pigmea. 

"Dopo parla di un Quintaped."

"Parla di un che?!" Sulle prime rimase perplessa, poi capì. Quella parola incomprensibile doveva solo essere l'ennesima riprova dell'erudizione di Hugo.

Se non ha una cultura enciclopedica lui…

"Ma hai almeno aperto il libro di Newt Scamandro?" La rimbeccò Hugo, alzando gli occhi al cielo.

"Sì che l'ho letto!" si difese Rose. "Ma non posso ricordarmi il nome di ogni singola formica del mondo magico."

Hugo sospirò platealmente. "Beh, il Quintaped è un filino più pericoloso di una formica. Il suo grado di pericolosità è di cinque X."

Il che significava solo una cosa: noto ammazzamaghi. Anche la Manticora era classificata in quel modo.

"Quale pensi sia la terza creatura?" domandò al fratello con un filo di voce, mentre sentiva crescere dentro di sé una certa apprensione.

"Strisciando ammantato." Hugo deglutì. "Cosa pensi possa essere, Rose?"

"Un Dissennatore." Esalò. "Ma… non è possibile. Questo è contro la legge, non…"

Hugo scosse la testa. "Hai ragione, non può essere un Dissennatore. Si tratta di un Lethifold."

Non è rassicurante, no. Proprio per niente.

 

 

****

 

 

26 dicembre 2021

Malfoy Manor, Wiltshire

Ora di pranzo

 

Scorpius se n'era dimenticato, semplicemente. Negli ultimi giorni la sua vita era stata talmente piena di pensieri – la maggior parte dei quali dirottata in una direzione del tutto sbagliata, tra le altre cose – da far sì che gli passasse di mente che il giorno di Santo Stefano corrispondeva anche all'anniversario di matrimonio dei suoi genitori.

Vent'anni di matrimonio. Più che legittimo che abbiano voluto festeggiare.

Insomma, che la mamma abbia voluto festeggiare. Papà si sarebbe risparmiato la festa volentieri, probabilmente.

La curiosa forma di misantropia cinica e sferzante, della quale Draco Malfoy andava soggetto negli ultimi anni, era una piega che da qualche mese a quella parte si stava accentuando ulteriormente. Tendeva a evitare le occasioni sociali – cioè, quelle alle quali la moglie non lo trascinava di peso; in compagnia di estrane tirava quasi sempre fuori l'artiglieria pesante e caricava di marcato sarcasmo tutte le sue frasi. La madre di Scorpius il più delle volte storceva la bocca per trattenere una risata, con gli occhi scintillanti di divertimento; altre volte, tuttavia – quando Draco iniziava a esagerare – gli affibbiava gomitate ben mirate fra le costole, le guance arrossate di imbarazzo.

Scorpius, dal canto suo, era un Serpeverde come suo padre, e sebbene la somiglianza fra di loro non si manifestasse poi troppo spesso, era perlomeno abituato al sarcasmo altrui. 

Ad ogni modo, nonostante Draco non fosse propriamente un amante della socialità, se proprio era necessario organizzare una festa a Villa Malfoy, allora doveva essere impeccabile. Da quella mattina non faceva altro che sobillare gli elfi domestici di ordini e contrordini, dicendo tutto e il contrario di tutto, cambiando repentinamente idea appena qualcosa non andava esattamente come voleva lui. Astoria aveva diplomaticamente deciso di far finta che tutto ciò fosse perfettamente normale, e non sintomo d'isteria.

In fondo lo sa che questo è il suo modo di dimostrarle affetto. 

Da psicopatici, ma lo è.

Per questo Scorpius – una volta giunto a Villa Malfoy dopo una frettolosa Smaterializzazione da Hogsmeade, dato che aveva perso la Passaporta predisposta allo scopo – era passato nel salone da pranzo adibito alla colazione dei parenti più prossimi, ospiti per qualche giorno con i dovuti onori, e aveva salutato tutti educatamente, cercando di imprimersi in volto il più naturale dei suoi sorrisi e di non dare a vedere che era di pessimo umore e non aveva dormito affatto. Una volta esauriti i convenevoli, era salito fino alla propria stanza, effettuando un giro complicato per i percorsi meno utilizzati per dribblare suo padre, avendo intuito quale doveva essere il suo stato d'animo.

E poi, nel vederlo con i capelli cresciuti di qualche centimetro di troppo e l'aria sfatta da creatura notturna, probabilmente Draco non sarebbe stato contento. Non quel giorno, in cui tutto doveva essere perfetto. Per non parlare del completo che aveva indossato al Ballo: tutto stropicciato e intriso dell'odore di sigaretta. Poiché gran parte del suo guardaroba si trovava a Hogwarts e per di più negli ultimi tempi aveva guadagnato ulteriori centimetri d'altezza, quindi tutti i suoi pantaloni gli andavano corti alla caviglia, aveva in mente di chiedere a Gilly – la sua elfa domestica preferita – se vi fosse un modo di rinfrescare quel completo in condizioni pietose. Altrimenti, l'avrebbe pregata di sottrarre di nascosto qualcosa dall'armadio di suo padre, nella speranza che non se ne accorgesse.

Il che era improbabile.

Tuttavia, una volta che ebbe superato la soglia della sua vecchia stanza, trovò una sorpresa ad attenderlo: sul letto era adagiato un completo nuovo, dal taglio simile a quello della sera precedente e esattamente al limite che suo padre riusciva a sopportare fra il Babbano e il magico.

Grazie, mamma.

Tirò un sospiro di sollievo, prima di avanzare nella camera e chiudersi la porta alle spalle con un tonfo sommesso. Solo in quel momento realizzò che per tutto il tempo aveva anelato solo a passare del tempo da solo, anche semplicemente per autocommiserarsi e arrabbiarsi un altro po' con se stesso. Gettò un'occhiata oltre la finestra. Le tende erano chiuse a metà, e dallo spiraglio vedeva uno squarcio delle colline che circondavano la villa, compresi i giardini, con le fontane ghiacciate e le siepi ornamentali ridotte a cumuli di neve. Se fosse dipeso da lui, quella neve ci sarebbe stata bene tutto l'anno. Confondeva fra di loro i confini dei sentieri tortuosi, rendeva pressoché indistinguibile una cosa dall'altra, in una visione che rilassava gli occhi.

Per un momento balenò dietro alle sue palpebre un'istantanea quasi fotografica del giardino di rose del Ballo del Ceppo, innaturalmente privo di neve e pervaso di un tepore artificiale. Subito si maledisse per aver permesso alla propria mente di soffermarsi sulla questione.

Emise un secondo sospiro, che di sollievo aveva ben poco. Quindi trasferì con delicatezza il completo dal letto alla morbida poltrona di pelle posta in un angolo, prima di sfilarsi le scarpe con un calcio e sdraiarsi sul letto dall'alta testiera in legno scolpito. Posò un piede sopra all'altro e incrociò le braccia dietro la testa, lo sguardo fisso sul soffitto. Non era trascorsa neanche mezza giornata, eppure quella manciata di ore sembrava una vita. C'era qualcosa di strano nello stare lì da solo – nonostante nella situazione attuale fosse preferibile – invece che a Hogwarts con i suoi amici, magari a giocare a Sparaschiocco o FantaQuidditch nei sotterranei di Serpeverde. 

A dire il vero, solo Albus continuava a giocare con lui a FantaQuidditch. Con la sua tendenza a conoscere a menadito qualunque cosa fosse completamente inutile, il Grifondoro ricordava ciascun dettaglio dell'andamento di ogni singola squadra di Quidditch in campionato. 

Lily lo prendeva spesso in giro sull'argomento e Albus ogni volta restava punto sul vivo e iniziava a discutere con la sorella, tutto infervorato. Rose, abituata come loro a quei teatrini, se incrociava lo sguardo di Scorpius roteava gli occhi, esasperata.

Improvvisamente, ebbe la sensazione che qualcosa l'avesse colpito duramente sullo stomaco. 

Ripensò alla fiaschetta che Albus gli aveva porto la sera prima, con uno sguardo comprensivo. Ne desiderò un sorso, quindi risolse di sopperire al problema nel solo modo possibile. Cioè affrontandolo.

Aveva riflettuto parecchio, la sera precedente, così come d'altro canto quella mattina aveva accuratamente evitato il pensiero della deprimente conclusione del Ballo. Lui e Albus erano rimasti seduti l'uno accanto all'altro per un bel pezzo. Di tanto in tanto, l'amico gli passava la fiaschetta e Scorpius buttava giù un sorso, non desiderando altro che il completo oblio dei propri pensieri. Anche Al era parso piuttosto depresso. Soffiava davanti a sé il fumo della sua sigaretta, osservandolo disperdersi nell'aria notturna, estremamente taciturno. Non che Scorpius avesse avuto voglia di parlare, anzi. L'orgoglio non era ancora scemato abbastanza da consentirgli di ammettere la disfatta. Quella ferita era scemata lentamente: dopo un certo numero di sorsate dalla fiaschetta, Scorpius aveva – paradossalmente – cominciato a razionalizzare. 

 

"Non so se dovrei essere più arrabbiato con me stesso o con lei."

Albus aveva sollevato uno sguardo storto su di lui. Sembrava annebbiato dall'alcool almeno quanto Scorpius, e non faceva altro che portare alle labbra l'ennesima sigaretta. Scorpius aveva perso il conto di quante ne avesse fumate fino a quel momento.

Si era chiesto cosa fosse accaduto ad Albus, ma, francamente, sul momento aveva già abbastanza problemi di suo per non sentirsi in dovere di preoccuparsi anche per gli altri. Probabilmente si era trattato di un diverbio con la Baston – dannazione, l'unico a non essersi accorto che la ragazza moriva dietro ad Albus era proprio Albus stesso.

Probabilmente avremmo dovuto accennargli qualcosa.

Si era sentito improvvisamente in colpa, pur se in quella maniera confusa dovuta a troppo alcool e troppi dispiaceri. Ad ogni modo, Al non era parso intenzionato di sollevare l'argomento. Qualunque cosa fosse stata, presumibilmente doveva ancora interiorizzarla.

Il Grifondoro gli aveva scoccato uno sguardo penetrante, seppure vagamente annebbiato. "Questo non posso dirtelo io, amico." Aveva scrollato le spalle. "Dipende da quello che è successo."

Scorpius aveva abbassato lo sguardo sulla ghiaia del sentiero. Aveva desiderato improvvisamente di disintegrare ogni singolo sassolino sotto la suola delle scarpe, anche solo per punirli di aver assistito muti al suo litigio con Rose. 

Per un breve, folle momento, era stato colto dal pensiero che distruggere un sassolino avrebbe davvero risolto tutto.

 

Un lieve bussare alla porta lo distolse dai suoi pensieri. 

"Avanti." Acconsentì atono.

La porta si schiuse con un lieve scricchiolio e sulla soglia – con sua immensa sorpresa – comparve la sagoma inconfondibile di Jacob Greengrass, vestito impeccabilmente e con una sorta di vago sorriso che gli aleggiava sulle labbra.

Si tirò a sedere facendo pressione sul materasso con le braccia, troppo perplesso per riuscire a dire altro che non fosse: "Che diavolo ci fai qui?"

"Apprezzo la tua cortesia." Replicò Jake di rimando, avvicinandosi alla finestra e gettando uno sguardo sul panorama, come aveva fatto Scorpius prima. Aprì lentamente le cortine, prima di voltarsi verso di lui. "Quindi non sono l'unico che a volte dimentica che siamo cugini."

"Alla lontana!" Ribatté Scorpius sulla difensiva. "Di quarto grado o qualcosa del genere."

"Terzo." Fu l'irritante replica. "Ma dopo diciassette anni ancora non ho capito esattamente come siamo imparentati."

Accidenti, mamma e papà hanno organizzato veramente una cosa in grande.

E ovviamente Jacob non si è neanche sognato di ricordarmi che giorno fosse oggi, stamattina.

Scorpius fece spallucce. "Perché, credi che io l'abbia mai capito?"

Jake fece un sorrisetto. "No. Credo che tu non ci abbia mai pensato."

Non ha tutti i torti.

Di nuovo prese nota dell'espressione fin troppo soddisfatta di Jacob. Indubbiamente appariva in netto contrasto con l'umore cupo e aggressivo che l'altro aveva ostentato deliberatamente nel corso delle ultime settimane. 

Si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo. "Avanti, confessa. Come mai sei così allegro stamattina?"

Un sottile bagliore attraversò gli occhi dell'altro, ma per il resto la sua espressione rimase imperscrutabile. Non avrebbe risposto. "Tu come mai sei così mogio?" domandò infatti.

Scorpius per un istante detestò Jake profondamente. Perciò decise di imitarlo, chiedendogli qualcos'altro per evitare di essere costretto a rispondere. "Alla fine si è scoperto che fine aveva fatto Ber?" Si rivolse all'amico con il tono più tranquillo del mondo. Quella mattina, lui e Jacob si erano visti a malapena per cinque minuti, prima che Scorpius schizzasse via per non perdere la sua Passaporta. 

Che poi l'aveva persa comunque, alla fine.

 

Aveva intravisto la testa rossa di Rose, in un angolo della Sala Comune. 

Gli era bastata una rapida occhiata per rendersi conto che portava sul volto le occhiaie profonde di chi avesse trascorso una notte insonne e gli occhi gonfi di chi l'avesse trascorsa piangendo. La cosa non l'aveva impietosito, non del tutto: forse aveva ancora addosso troppa rabbia. D'accordo, da parte sua non era stato il più furbo dei piani, ma Rose avrebbe dovuto aspettarsi una cosa del genere. Per come la vedeva Scorpius, i segnali erano stati più che chiari. 

Rose si era semplicemente rifiutata di vederli.

Aveva trovato conferma nelle sue ipotesi quando i loro sguardi si erano incrociati per una frazione di secondo. Rose nel vederlo era rimasta come pietrificata e poi aveva distolto in fretta gli occhi. Scorpius si era ritrovato a fare una smorfia prima di allontanarsi, frustrato e pieno di rabbia.

Non aveva smesso di osservare Rose, la quale – dopo avergli scoccato un'occhiata in tralice – aveva raccolto il fascio di libri e pergamene che stava studiando e si era dileguata in tutta fretta fuori dalla Sala Comune.

La cosa, se possibile, l'aveva fatto infuriare ancora di più. Iniziava a essere stufo di tutta questa gente che cercava di evitare i problemi piuttosto che affrontarli.

Sul principio era indeciso se attendere che Rose si fosse allontanata abbastanza, cosicché non avesse da pensare che lui la stava seguendo. Poi aveva deliberato che non gli interessava affatto: che Rose pensasse quello che le pareva. Era ora che la piantasse di comportarsi come una bambina, su questo non c'erano dubbi. Perciò aveva attraversato la Sala Comune a grandi passi, senza aver cura di fingere buon umore quando Agnes Cardmaker aveva sorriso nella sua direzione. Era uscito in corridoio giusto in tempo per intravedere Bernie e Christine De Bourgh che giravano l'angolo, entrambi piuttosto scapigliati.

La figura di Rose era appena scomparsa oltre l'angolo successivo. Scorpius aveva le gambe più lunghe delle sue, perciò l'aveva raggiunta immediatamente. Non si era fermato. Era passato oltre di lei, superandola, voltandosi quel tanto che bastava ad abbozzare un cenno di saluto, cui la ragazza non aveva risposto.

O forse era stato lui a non darle abbastanza tempo. Non gli importava.

Mentre si precipitava verso l'ufficio della Sinistra per chiederle di firmargli il permesso per uscire dalla scuola – avrebbe dovuto farlo giorni prima ma gli era completamente passato di mente – era andato a sbattere in pieno contro una figuretta che gli arrivava a malapena alle spalle, che passava davanti all'imbocco dei sotterranei proprio mentre lui ne usciva di corsa.

"Scusa," aveva biascicato a malapena, senza guardare di chi si trattasse. "Non volevo, devo–"

"Va tutto bene, Scorpius?" Aveva domandato una voce, nella cui direzione Scorpius aveva diretto lo sguardo. Solo allora si era accorto di chi aveva di fronte.

Lucy Weasley aveva i capelli leggermente spettinati, ma per il resto sembrava non aver subito danni dalla colluttazione. Aveva addosso un paio di jeans e uno di quei maglioni con le iniziali tipici del clan Weasley. Il suo era di un bel blu scuro, con una grossa L in giallo. 

Scorpius si era chiesto dove stesse andando, visto che non aveva con sé la borsa, né un libro. Poi rifletté che probabilmente stava scendendo a colazione, cosa che lui non aveva potuto fare perché in ritardo.

"Tutto benissimo." Aveva replicato bruscamente. "Scusa, ma ho fretta." Aveva superato Lucy a grandi passi, come con Rose pochi minuti prima.

"Aspetta…" La ragazza l'aveva trattenuto con la manica. "Sicuro che non ci sia qualcosa che non va?"

"Ho detto che–"

Ma la voce gli si era spenta in gola, vedendo che Rose stava facendo capolino dai sotterranei.

Non aveva voglia di vederla.

"Devo andare." Aveva ripetuto, per poi voltarsi e precipitarsi su per lo scalone di marmo, lasciandosi dietro Lucy che diventava sempre più piccola e lontana…

 

Jake lo guardava, penetrante. "Non ne ho idea." Fece spallucce. 

"Io sì." Scorpius non aveva trattenuto un sogghigno soddisfatto nel vedere l'espressione stupita di Jacob. 

Il quale, dal canto suo, camuffò immediatamente qualunque sorpresa, facendo un gesto di noncuranza con la mano. "Sarà andato a infrattarsi da qualche parte con Christine, immagino."

Scorpius pensò a Bernie e Christine che avanzavano per i sotterranei, entrambi piuttosto scapigliati. Bernie – aveva notato con una certa costernazione – non sembrava affatto a disagio. Il che era esattamente come si sarebbe sentito lui nei panni di Ber.

"Probabile." Convenne, scrollando le spalle. "Li ho visti rientrare. Ma non ne sarei poi così sicuro."

Qualcosa gli diceva che fra i due fosse accaduto molto meno di quanto venisse naturale pensare. Jake, dal canto suo, non sembrava della stessa opinione. "Conosco Christine." Sospirò. "Qualunque cosa fosse nei suoi piani, è andata alla perfezione. E al caro Bootie non sarà di certo dispiaciuto, fidati." Accompagnò le sue ultime parole con un sogghigno.

"Non fare il cazzone," ribatté Scorpius, improvvisamente irritato. 

Il ghigno di Jake sfumò ancora una volta nel vago sorriso che non aveva smesso neanche per un istante. Lo osservò tirare fuori il tabacco e cominciare a girarsi una sigaretta. Quando ebbe finito, la depositò con delicatezza sul davanzale della finestra e si pose a prepararne un'altra.

"Che c'è, fai la scorta?" Lo interrogò Scorpius acidamente.

L'amico lo guardò con serietà. "Veramente è per te. Si può fumare qui?"

Scorpius prese la bacchetta dal comodino e la puntò verso la porta, la cui serratura si chiuse con uno scatto. "Adesso sì." 

Jacob aprì la finestra ed estrasse di tasca un accendino Babbano vecchio stile, che a Scorpius pareva di aver già visto.

Nella sua testa balenò l'immagine di Lily Potter in una sera d'estate, che si accendeva una sigaretta con quello stesso accendino d'argento.

"Quello…" Lo indicò. "Insomma, è…"

"Sì, è di Lily." Jacob si accese la sigaretta e aspirò una lunga boccata, facendo scivolare dolcemente il fumo fra i denti fuori dalla finestra. Scorpius sperò che sua madre non fosse in giro per il giardino in quel momento. "Ieri sera mi sono dimenticato di restituirlo."

"Ieri sera." Ripeté Scorpius. "Avete fatto pace, quindi."

"Perché io e Lily Potter avremmo dovuto discutere?"

Scorpius sbuffò. "Non fare l'idiota, so tutto da un pezzo. E dammi quella sigaretta."

Jacob scoppiò a ridere e gli tirò quella che aveva lasciato sul davanzale. L'accendino, però, l'aveva già riposto al sicuro nella tasca. Lui dovette accendersela dalla bacchetta magica. Era ironico, rifletté, che Jake e Bernie se la stessero spassando con Lily e Christine mentre la sua serata e quella di Al erano state a dir poco disastrose.

Jake aveva iniziato a fare cerchi di fumo, indirizzandoli al centro della stanza. 

Scorpius li dissipò soffiando con forza la sua boccata, stizzito. Lui non c'era mai riuscito.

 

 

 

But there’s a side to you that I never knew, I never knew.
All the things you say that were never, were never true.

Adele

 

 

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26 dicembre 2021

Alloggio della delegazione Auror, Hogwarts

Pomeriggio

 

"… Quindi alla fine li ho portati in Infermeria e Madama Chips ha scoperto le bruciature sul torace. Ha preso loro un campione di sangue per effettuare delle analisi."

Harry guardò la giovane Auror. Il suo volto, scoperto dai capelli biondi che aveva raccolto in una coda, era pallido e tirato; nel complesso la ragazza sembrava provata, ma perfettamente lucida.

Ho fatto una buona scelta, si ritrovò a pensare. Holly Greengrass sembrava avere sangue freddo a sufficienza da fronteggiare una situazione del genere. Una situazione che avrebbe messo a dura prova persino qualsiasi Auror esperto. "Grazie, agente Greengrass." Le si rivolse, professionale. 

"Di niente, capitano." Fu la risposta pronta. "Ho solo fatto il mio dovere."

Theodore Nott, seduto accanto a lui al tavolino da tè accanto al caminetto, scrisse qualche altra riga sul suo verbale, prima di mettere il punto. 

Harry sospirò, gettando un'occhiata a suo nipote Louis e allo Spezzaincantesimi che avrebbe dovuto assistere i due Auror nella loro missione. I due ragazzi, nonostante fossero convalescenti, avevano insistito per essere presenti quando Holly aveva dovuto rilasciare la sua dichiarazione, e né Harry né Madama Chips avevano avuto il cuore di negar loro tale possibilità. Dopotutto, era più che legittimo che volessero conoscere ogni dettaglio di quanto era avvenuto.

Decise di rivolgersi allo Spezzaincantesimi. "Signor Flitt," gli si rivolse. "Cosa ha da dirmi in merito a quanto accaduto?"

Il giovane sostenne il suo sguardo. Aveva uno sguardo intelligente e appariva decisamente diverso dallo zio del quale aveva preso il nome, che Harry aveva sempre battuto a Quidditch ai tempi della scuola. "Non ho ricordi chiari riguardo a quello che è successo. Come già ha detto Holly, secondo Madama Chips è un effetto collaterale della maledizione." La ragazza annui, serissima, gli angoli della bocca voltati all'ingiù. "Però avrei qualcosa da dire sulla natura della maledizione."

Harry aggrottò le sopracciglia e colse con la coda dell'occhio Nott irrigidirsi al suo fianco. "Avanti." Esortò lo Spezzaincantesimi in tono neutro. "Parla pure."

Marcus Flitt Jr si grattò distrattamente la fasciatura e Harry notò la differenza fra lui e la disciplina di Louis, che pure non era l'esempio più calzante di persona disciplinata; suo nipote non aveva dato alcun segno di provare fastidio a causa della medicazione. 

Questa è la differenza fra un Auror e un civile. Anche Holly stava seduta sulla sua poltrona con una rigidità diversa. Certo, non che gli Spezzaincantesimi siano proprio dei civili nel vero senso della parola. Però sono più del genere… avventurieri.

Chi avesse conosciuto Louis superficialmente, probabilmente sarebbe stato dell'idea che il ragazzo fosse più adatto a diventare uno Spezzaincantesimi che non un difensore della società magica, ma Harry conosceva suo nipote, e sapeva che era della stoffa giusta per essere un Auror. 

Flitt sollevò leggermente il mento e ritirò il labbro inferiore sotto i denti, come concentrandosi a guardare qualcosa lontano da lì. Poi prese il via, con un tono professionale che Harry non si sarebbe mai aspettato da un tipo con una simile aria strafottente. "Dunque, per adesso la maledizione ha colpito solo me e Louis. Sulle prime ho pensato che colpisse solo gli uomini, ma poi Holly mi ha fatto pensare che dovevano essere già stati fatti dei sopralluoghi e che lei per primo, signor Potter, non aveva avuto nessun malessere avvicinandosi alla tomba." Fece una pausa.

"Continua." Lo esortò Nott, l'espressione impenetrabile.

"Beh, questo tipo di maledizioni in genere vengono utilizzate per colpire una persona in particolare. Dubito che uno di noi due fosse la vittima designata, ma questo mi ha fatto pensare. Se la maledizione non viene formulata perfettamente, allora colpisce qualsiasi persona che abbia un tratto particolare in comune con la vera vittima. Dobbiamo solo capire che cosa abbiamo in comune io e Weasley, e allora sapremo qualcosa di più sulla vittima e," Harry lo vide sogghignare lievemente, "anche sul colpevole."

Notevole, non c'è che dire.

"Quindi non dobbiamo fare altro che aspettare i risultati delle vostre analisi." Fece Harry dopo pochi istanti di silenzio. "Avrete qualche caratteristica genetica in comune, probabilmente."

A quel punto vide Louis sbattere un paio di volte le palpebre, lo sguardo distante sotto le sopracciglia aggrottate.

"Lou– Agente Weasley, stai bene?" gli si rivolse.

Suo nipote si riscosse. "Credo di aver capito."

"Capito?" Ripeté Harry. "Quello che avete in comune?"

Louis annuì, mentre le sue labbra si dispiegavano in un sorriso soddisfatto. "Io ho un ottavo di sangue Veela, e le Veela sono Mutaforma. E, a meno che non mi sbagli di grosso, Flitt dovrebbe essere imparentato alla lontana con i Black. Giusto?"

"Sì, è giusto." Flitt sembrava perplesso. "Ma non capisco–"

"Un ramo dei Black ha sangue Metamorfomagus." Proseguì Lou, impaziente. Guardò Harry. "Teddy ne è la prova vivente."

Vide Holly Greengrass aprire la bocca per parlare e richiuderla, quindi aprirla di nuovo, dubbiosa. "Vuoi dire che…"

"Un Metamorfomagus è il Mutaforma per eccellenza." 

"L'agente Weasley ha ragione." Intervenne Nott improvvisamente. "Adesso dobbiamo solo trovare il modo di confermarlo senza che nessuno si faccia del male.

 

 

****

 

26 dicembre 2021

Biblioteca, Hogwarts

Tardo pomeriggio

 

"Weasley?" 

Lucy sollevò la testa dal romanzo su cui era china, acciambellata sulla sua sedia dietro alla scrivania della bibliotecaria. Di fronte a lei c'era il Caposcuola Bernard Boot, che recava impressa sul volto un'espressione lievemente spaesata, come se non fosse stato del tutto sicuro di cosa stesse facendo in Biblioteca.

Sorrise automaticamente. "Ciao, Boot. Serve qualcosa?"

Il ragazzo annuì, senza guardarla. Sembrava estremamente distratto, come se avesse avuto la testa da un'altra parte, ma – paradossalmente – appariva anche concentrato. Come se la sua testa fosse da un'altra parte in biblioteca

"A dire il vero sì." Si decise a parlare. "Mi serve qualsiasi libro che parli dell'Incanto Proteus. Ho cercato, ma–"

Ma Lucy non ascoltò il resto della frase. Era bastato l'accenno all'Incanto Proteus per farla sussultare. Le tornarono alla mente le parole che aveva detto Lily per convincerla a quella scorribanda notturna alla biblioteca, solo pochi mesi prima… Sembrava una vita.

"Lu, è una cosa importante. Maledettamente importante.

Lily aveva pronunciato quelle parole con un'espressione strana, al limite fra la paura e l'entusiasmo.

E si sa, se i Potter non cercano i guai, quelli li trovano comunque. Qualunque sia la Casa cui appartengono.

Per conto suo, la cosa non le piaceva affatto. Per carità, Boot aveva un'aria insospettabile… Ma chiunque avesse annullato il Proteus sui galeoni, l'anno precedente, doveva essere stato anche disposto a uccidere.

La Proprietà viene annullata Empiricamente quando, per tutte le persone che al momento in cui l’incantesimo viene gettato si trovano in un luogo circoscritto e ben determinato, diviene impossibile pensare all’oggetto in questione in relazione allo scopo per il quale era stato creato.

Ricordava ancora alla perfezione le parole di quel libro, così come ne rammentava perfettamente l'ubicazione. Tuttavia, non era ciò che il Serpeverde cercava.

"Che cosa ti serve di preciso?" Lo interrogò, cauta. "Non parla del Proteus il tuo libro di Incantesimi?"

Bernie annuì, sempre con quell'espressione distratta. "Sì," rispose. "Ma non dice nulla su quanto voglio sapere io."

"Capisco." Lucy strinse le labbra. "Reparto Proibito, ad ogni modo."

"Sono Caposcuola," fu la pronta replica, accompagnata da un breve sollevarsi delle sopracciglia del ragazzo.

Accidenti, odio quando i Serpeverde fanno… i Serpeverde.

"Giusto." Sorrise angelica, nascondendo il moto d'ansia e fastidio che l'aveva assalita alla bocca dello stomaco. "Seguimi."

Devo parlare con i miei cugini.

 

"Grazie," fece Bernie, una volta che Lucy Weasley gli ebbe consegnato il libro che aveva chiesto. 

La ragazza scrollò le spalle. "Di nulla," replicò atona, per poi gettargli – chissà per quale motivo – un'occhiata sospettosa e allontanandosi con aria di urgenza. Non vi diede tanto peso. Si diceva in giro, a scuola, che ultimamente Lucy Weasley stesse diventando strana negli ultimi tempi.

Come se ci fosse un singolo Weasley del tutto normale.

O un Potter, ovviamente.

Bernie si chiedeva se Scorpius ignorasse quelle voci oppure non le sentisse proprio. Non che gli importasse granché.

Sospirò e aprì il libro all'indice, chiedendosi per l'ennesima volta se quello che stava facendo avesse senso. Probabilmente non lo aveva… ma Christine gli aveva dato da pensare. Sentiva il bisogno di ricostruire quel rompicapo, o perlomeno provarci. L'unico indizio chiaro che la ragazza gli aveva dato riguardava il Proteus, ma le notizie sul loro libro di Incantesimi erano piuttosto scarne.

In particolar modo, non facevano neanche un accenno riguardo all'annullamento dell'Incanto Proteus – perché se i galeoni avevano smesso di funzionare doveva esserci un motivo, e Bernie sospettava che il ruolo di Christine in quella faccenda fosse molto più grosso di quanto ci si potesse aspettare; quindi non aveva visto altre soluzioni se non quella di andare in biblioteca a cercare il libro giusto.

Che, per la cronaca, non avrebbe mai trovato senza l'aiuto di Lucy Weasley.

Pensò a Christine e immediatamente la sua mente fu invasa dall'immagine di lei che sorrideva e si avvicinava guardandolo di sotto in su con i suoi occhi più scuri. Sempre più vicina… sempre di più.

Scosse la testa. La scosse di nuovo. Non doveva pensarci, ma quell'immagine lo ossessionava da tutto il giorno.

Il titolo del libro era Incantesimi Avanzati, volume terzo: Incanti di Legame e rispettivi Annullamenti. Osservando l'indice, scoprì che si trattava di una sorta di glossario, dove in ordine alfabetico erano indicati una sfilza di incantesimi.

Scorrendo l'indice, trovò la pagina giusta. Incanto Proteus, pag. 394.

Saltò la parte in cui si descrivevano gli effetti del Proteus, arrivando subito a ciò che gli interessava.

"Gli effetti dell'Incanto Proteus," lesse a mezza voce, "possono essere annullati solo annullando Empiricamente la Proprietà degli oggetti sui quali è stato apposto l'Incanto, oppure…" – rallentò –, "con la morte di colui che ha lanciato l'incantesimo."

Lasciò cadere il libro, agghiacciato.

 

"Christine, devo parlarti."

La ragazza era comodamente abbandonata sulla poltrona di pelle nera più vicino al fuoco della Sala Comune, le gambe di traverso sul bracciolo, senza curarsi del fatto che la gonna era scesa parecchi centimetri di troppo. Nell'udire la sua voce, alzò su di lui gli occhi scuri, nei quali era riflessa la luce ballerina delle fiamme. Sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli neri, guardandolo fisso. "Deve essere urgente, se mi hai addirittura chiamata per nome."

Bernie si guardò attorno, nervoso. Si sentiva osservato e probabilmente lo era: nel corso della giornata, i pettegolezzi su di loro dovevano essersi notevolmente accresciuti in numero e fantasia. 

Basterà far finta di niente e stempereranno da soli. Avrebbe solo voluto apparire impermeabile ad essi come Christine.

"In effetti è urgente." Convenne, rigido. "Riguarda quello che hai fatto," aggiunse a voce bassa."

Christine mosse leggermente la testa, mentre le sue labbra si incurvavano in un sogghigno. "Veramente credevo di non aver fatto proprio niente. Forse la memoria mi inganna."

Bernie iniziava ad agitarsi. "Piantala. Sai di cosa sto parlando."

"Lo so." Convenne la ragazza con un lieve sospiro, prima di alzarsi fluidamente dalla sua poltrona. "Immagino che tu non voglia parlarne qui."

"Infatti." Digrignò i denti. "Andiamo…"

"Credo che due sotterranei di distanza e un Muffliato vadano più che bene."

Si forzò a guardare Christine negli occhi, sebbene il suo sguardo continuasse a scivolare sulle sue labbra. "Perfetto. Andiamo."

Attraversarono la Sala Comune a un metro abbondante di distanza l'uno dall'altra. Bernie continuava a sentirsi osservato, mentre lei appariva del tutto rilassata.

Percorsero allo stesso modo i due sotterranei che avevano stabilito. L'aria era umida e nei corridoi faceva piuttosto freddo, tant'è che davanti alle loro labbra si formavano delle piccole nuvole di vapore ad ogni respiro. Quando furono giunti a destinazione, fu Christine a lanciare il Muffliato, prima di rivolgersi a Bernie. "Dimmi."

Lo guardava ancora dritto negli occhi in quel modo. Bernie chiuse le palpebre e le riaprì.

Rimani concentrato. Perché sentiva la testa girare?

Infilò la mano in tasca, traendone la pagina che aveva strappato al libro. "Qui dice," esordì, "che gli effetti dell'Incanto Proteus possono essere annullati solo annullando Empiricamente la Proprietà degli oggetti sui quali è stato apposto l'Incanto, oppure con la morte di colui che ha lanciato l'incantesimo." La guardò. "O colei, come in questo caso."

Christine si avvicinò a lui di un passo, ma Bernie non arretrò. Lasciò che la ragazza gli arrivasse quasi addosso prima di riprendere la parola. "Il Proteus che tu hai lanciato è stato annullato." Mormorò. "Questo vuol dire che c'è qualcuno in giro che sarebbe disposto a ucciderti."

Rimasero per un momento in silenzio. Poi Christine aprì la bocca per parlare, roca: "Questo tu non lo dovevi–"

Ma Bernie le impedì di continuare. Si chinò su di lei e premette le labbra sulle sue, ripetendosi che non aveva alcun senso. 

Immediatamente si ritrovò con le braccia di Christine strette intorno al collo, insinuate nel colletto della sua camicia. Si ritrovò come la sera prima, con la bocca sulle sue labbra, sul suo collo, sul suo volto; si ritrovò a spingerla contro la parete e continuare a baciarla forsennatamente.

Non avrebbe saputo dire quanto fosse durato quel bacio, ma quando finì – col fiato corto e il colletto stropicciato – si ritrovò a dire: "Ti aiuterò. Dimmi quello che devo fare, io…" Le parole gli morirono in gola. Non sapeva perché l'avesse detto, quando qualcosa dentro la sua testa gli urlava di non farlo.

Ma Christine esalò un sospiro spezzato fra le labbra arrossate. "Non devi aiutarmi, Bernard." Gli accarezzò il volto con il dorso della mano. "Nessuno deve."

"Ma–"

Questa volta fu lei a baciarlo, impedendogli pronunciare anche solo un'altra parola. 

 

 

****

 

 

Malfoy Manor, Wiltshire

Sera

 

Nella grande sala da ballo di Villa Malfoy, l'atmosfera era festosa.

Gli ospiti si aggiravano ben vestiti per il salone, impegnati in danze aggraziate oppure a sorseggiare dello champagne o assaggiare qualcosa del buffet a innumerevoli portate che era stato allestito. La musica dei violini e delle cornamuse levava le sue note fino agli alti soffitti e tutti sembravano divertirsi.

"Che noia."

Jacob alzò gli occhi al cielo. Si annoiava da morire anche lui, per carità, e avrebbe dato qualsiasi cosa per stare con Lily in quel momento, ma…

"Scorpius, è l'anniversario dei tuoi genitori. Non dovresti–"

Scorpius scosse l'indice davanti alla sua faccia. "No, no. Non ci casco." Sbuffò. "Ti stai annoiando da morire anche tu."

"Non è vero," mentì Jacob, rilassato. "Guarda la gente. Invita qualcuno a ballare. Invita Gwyn."

La loro compagna di casa, figlia di un'amica di lunga data dei genitori di Scorpius, stava chiacchierando con un tipo francese, un lontano parente di cui nessuno di loro aveva mai sentito parlare prima di loro.

Le piacciono i francesi, ormai è evidente.

Scorpius la guardò per qualche istante in lontananza. "Le piacciono i francesi."

"Pessima scusa." Jake rise. "Le piacciono anche gli inglesi."

"Non ho intenzione di provarci con Gwyneth. Mi darebbe una padellata in testa."

Jake bevve un sorso di champagne. "Non vedo padelle in giro," replicò. "E poi hai detto che ti annoi. Sarebbe un modo come un altro per animarti la serata."

L'amico incurvò le labbra in un sogghigno. Lui alzò gli occhi al cielo: era la cosa più simile a un sorriso che fosse riuscito a strappargli nell'intera giornata. Non che Scorpius fosse triste. Piuttosto, appariva nervoso, arrabbiato. Sembrava che stesse rimuginando qualcosa ininterrottamente, e somigliava vagamente a una mina sul punto di esplodere.

Jacob aveva preferito non soffermarsi troppo sul discorso Rose, intuendo che fosse meglio rimandare la questione ad un altro giorno.

Di certo la sua serata non è stata delle migliori.

Pensò alla sua, di serata. O meglio: alla sua conclusione. Lui e Lily erano andati vicino alle serre, e lì erano rimasti a parlare e baciarsi, bevendo una bottiglia di champagne mezzo vuota che avevano sottratto al tavolo delle bevande e fumando una sigaretta di tanto in tanto.

La parete delle serre era piacevolmente tiepida nel freddo della notte, e Lily era bellissima.

Si riscosse dai suoi pensieri. "Allora, che hai de–" Ma qualcosa lo interruppe. 

Attraverso una delle alte finestre – dietro alle quali la neve aveva ripreso a fioccare – piombò nella sala un Patronus argenteo con l'aspetto di un cervo maestoso. La musica si arrestò di colpo e il Patronus prese a galoppare fra gli invitati attoniti, fino a fermarsi davanti alla figura magra e segaligna di Theodore Nott, un vecchio amico dei Malfoy.

A quel punto si rivolse all'uomo con l'inconfondibile voce di Harry Potter, Salvatore del Mondo Magico. "Siamo sotto attacco. Subito a Hogsmeade, con tutta la squadra." 

Detto ciò, il Patronus si dissolse in uno sbuffo argenteo. Senza alcun indugio, Theodore Nott roteò su se stesso e si Smaterializzò¹.

Nel caos che seguì, Jacob afferrò Scorpius per un braccio. "Dobbiamo andare anche noi."

"Ma che–"

"Dannazione, è il padre di Lily!"

Scorpius tentennò. "Non–"

"Non volevi animare la tua serata?"

L'amico lo guardò e – quasi impercettibilmente – annuì.

Senza che Jake lasciasse il suo braccio, si Smaterializzarono alla volta di Diagon Alley.

 

 

 


 

¹ Ho immaginato che il Ministero avesse imposto agli ex-Mangiamorte di togliere gli incantesimi di protezione dalle loro abitazioni. Per questo al Malfoy Manor si Smaterializzano senza difficoltà.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

 

Ebbene sì! Nonostante io sia oberata costantemente da impegni di ogni tipo e abbia la testa in tremila posti diversi… Ce l'ho fatta.

Spero che abbiate gradito questo capitolo, nonostante – specie all'inizio – sia parecchio più lento del precedente.

Mi raccomando, il feedback è sempre gratificante ;)

Bisous,

Daphne

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 - Sky shoots to kill ***



I could be dead in a second. Everything's so fragile.

Emily Fitch, Skins

 

Look over your hills and be still

The sky above us shoots to kill...

Mumford & Sons

 

Prime ore del 27 dicembre 2021

Hogsmeade, Scozia

 

 

 

L'aria gelida si addensava in nuvolette opache davanti alle loro bocche. 

Si erano Materializzati vicino alla Testa di Porco, le cui finestre erano ancora illuminate – alle loro orecchie giungeva un vociare sommesso, attutito dalle pareti del pub. Di tanto in tanto risuonava il sordo cozzare di biccheri per qualche brindisi.

Jacob si sentiva strano, confuso, come se una parte di lui non fosse stata davvero lì. Era così poco da loro, così poco Serpeverde. Solo che Scorpius gli era sembrato così perso, amareggiato, come se avesse avuto bisogno di sfogare in qualche modo tutta la rabbia che sentiva dentro. E poi, era stato il Patronus del padre di Lily e Albus a irrompere nel salone di Villa Malfoy, parlando con tono così urgente: proprio questo, forse l'aveva spinto a compiere un gesto tanto avventato. Almeno sul momento.

Mi sa che ho fatto una cazzata.

Si voltò verso Scorpius, mentre una parte di lui sperava che l'altro gli proponesse di tornare indietro. Rimase lì dove si trovava, immobile e senza aprir bocca, con il vento della notte a spazzargli via i capelli biondi dalla fronte, il volto pallido ma determinato.

Fu allora che lo capì: non sarebbero tornati indietro, non adesso. Lo capì dall'espressione di Scorpius, dal suo volto rigido, le cui ombre erano rimarcate dalla luce spiovente del lampione sopra le loro teste; dalla sua espressione decisa e apparentemente spogliata di ogni emozione.

Deglutì. Quello era un aspetto dell'amico che, prima di quel momento, non aveva mai avuto occasione di conoscere. Jake era più dinamico, certo, ma Scorpius molto più coraggioso di lui. E la rabbia, evidentemente, agiva su di lui estirpando ogni briciolo superstite di buon senso Serpeverde.

Improvvisamente, udì in lontananza uno scoppio e un grido. Dopodiché, il silenzio sembrò ancora più sordo e spaventoso di quanto già non fosse. Voltò di scatto la testa nella direzione da cui era provenuto il rumore, la bacchetta in pugno. Anche Scorpius stava in guardia, facendo guizzare gli occhi da una parte all'altra con lo sguardo attento di una belva braccata, decisamente in allarme ma ancora padrone della situazione. 

Jake, dal canto suo, sentiva un campanello d'allarme risuonargli nel cervello. Era semplicemente terrorizzato.

Tuttavia, si costrinse a contenere quelle oscure sensazioni, mantenendo la lucidità necessaria a fronteggiare ciò che li aspettava, qualunque cosa fosse.

La direzione da cui era provenuto lo scoppio nel buio era da qualche parte di fronte a loro, oltre le ultime case del villaggio, verso la collina innevata sulla cui cima sorgeva una vecchia casa diroccata.

La Stamberga Strillante.

Il silenzio profondo della notte adesso era rotto solo dall'indistinto vociare che proveniva dalla locanda e dai loro respiri. Entrambi tennero lo sguardo puntato verso la Stamberga, finché... finché delle luci non balenarono lungo i fianchi della collina e alle loro orecche giunsero echi di incantesimi.

Si scambiarono uno sguardo, prima di iniziare a correre in quella direzione.

Fu semplicemente spaventoso e al tempo stesso pazzesco. La consapevolezza di star facendo una cosa terribilmente stupida e perseverare comunque in essa era agghiacciante, lo faceva sentire un perfetto idiota; ma al contempo era anche esaltante. 

Scorpius aveva le gambe più lunghe delle sue, quindi aveva conquistato qualche metro di vantaggio. Jake correva dietro di lui, lo sguardo fisso sulla sua nuca.

Furono minuti veloci e interminabili quelli che impiegarono per raggiungere la Stamberga Strillante. Ai piedi della collina si arrestarono bruscamente, col fiatone.

Scorpius accennò a riprendere la corsa su per il crinale del colle, sul quale gli scoppi di luce si facevano sempre più frequenti e ravvicinati.

Te lo scordi, bello.

Jake lo afferrò repentinamente per un braccio, costringendolo a frenarsi.

“Non fare cazzate.” Lo apostrofò. “Dobbiamo agire con un po' di logica.”

“Sarebbe?” mormorò Scorpius di rimando, senza guardarlo in faccia. Scalpitava, nervoso, chiaramente desideroso di correre in cima alla collina e farsi ammazzare, pur di fare qualcosa.

... Okay. La rabbia non ha affatto risultati positivi su di lui.

Non avrei dovuto portarlo qui.

Era ora di rimediare. “Senti, siamo già stati sufficientemente stupidi a venire qui. Vediamo perlomeno di non farci ammazzare, d'accordo?”

Scorpius smise di divincolarsi, ma continuò a guardarlo con sfida. “Come intendi salvarci la pelle?” sibilò di rimando.

“Non lo so.” Jacob si guardò attorno, cercando di far lavorare la propria mente il più alacremente possibile. “Cerchiamo di capire quello che sta succedendo.”

“Non dobbiamo farci vedere.” Sbottò Scorpius, il quale evidentemente doveva essersi convinto che il suo proposito di correre in mezzo alla battaglia fosse una vera e propria follia. “È stato questo che ha fregato me e Ber, a Hogwarts.”

Jake deglutì. Aveva dimenticato che, se pure in prima persona non aveva mai vissuto un'esperienza simile prima d'ora, la stessa cosa non valeva per Scorpius.

“Hai ragione,” convenne. “Potremmo... potremmo acquattarci nei cespugli per arrivare fino in cima alla collina.”

Scorpius annuì e si guardò attorno con un'ultima tesa occhiata prima di lanciarsi fra i cespugli senza indugi.

Maledicendosi ancora una volta per essersi gettato in quell'impresa, Jacob lo seguì.

 

 

****

 

 

 

Quando aveva deciso di diventare Auror, Harry aveva tenuto conto dell'eventualità di trovarsi di nuovo in una situazione di battaglia vera e propria.

Tuttavia, adesso che quella circostanza era sopraggiunta per l'ennesima volta, non poteva che rimandare alla sua mente vecchi ricordi, gli scontri che aveva vissuto sulla propria pelle tanti anni prima.

Tomba dei Riddle¹.

I nomi che aveva assegnato a ciascuno di essi risuonavano nella sua mentre, pronunciati dalla voce di un se stesso adolescente, mentre opponeva un Incanto Scudo allo Schiantesimo di uno dei loro aggressori.

Ufficio Misteri.

A quanto pareva, l'intuizione di piazzare un contingente Auror a Hogsmeade si era rivelata salvifica. Era stato un provvedimento necessario, a dire di Harry: non potevano permettere che qualcuno penetrasse nuovamente nelle mura di Hogwarts, nella maniera più assoluta. Perciò aveva piazzato una squadra da Mielandia e un'altra alla Stamberga, al fine di impedire che – perlomeno – i malfattori entrassero per quelle vie. 

Torre di Astronomia.

Schivò un fiotto di luce viola. Un Incanto Togli-vita, rilevò, lo stesso che aveva colpito il ragazzo di Serpeverde aggredito assieme al figlio di Malfoy. 

I catalani!

La battaglia continuava a infuriare attorno a lui. Il gruppo che li aveva attaccati vestiva di scuro – niente vesti da mago, ma abiti Babbani di varie foggie – e avevano tutti il volto celato da pesanti passamontagna di lana. Sembravano piuttosto animati, smaniosi di combattere, ma solo pochi erano davvero in grado di tener testa a un Auror addestrato. Per la maggior parte, risultavano lenti e chiaramente poco allenati al duello.

Sembrano milizia di leva, si ritrovò a pensare distrattamente.

Quello che li avvantaggiava era l'essere nettamente superiori di numero, ma nonostante gli agenti Auror presenti costituissero un gruppo piuttosto esiguo, sembravano sulla buona strada per avere la meglio.

Tottenham Court Road.

Se solo non fosse stato per quei pochi veramente in grado di controbattere; sebbene costituissero una percentuale ben misera, stavano comunque dando loro parecchio filo da torcere.

Gli Auror continuavano a tenere la linea intorno alla Stamberga Strillante, ricacciando indietro gli avversari man mano che si facevano avanti. Ai piedi di Hestia Jones giaceva letteralmente una pila di corpi Schiantati. 

... Godric's Hollow.

Il suo attuale nemico si stava rivelando decisamente mordace. Continuava a spedirgli addosso fiotti di luce viola, senza tregua.

Harry si domandò se non potesse essere lo stesso che aveva quasi fatto fuori quel povero ragazzino e si accanì a sconfiggerlo con maggiore energia. 

Aveva quasi colpito l'altro con uno Schiantesimo quando un Protego intervenne a difendere l'avversario: il salvatore di quest'ultimo si unì a lui per combattere contro Harry, che improvvisamente si ritrovò in netto svantaggio.

Non aveva praticamente il tempo di contrattaccare: gli altri due gli scatenavano addosso un Togli-vita dopo l'altro, e l'Auror non poteva far altro che ripararsi dietro a fulminei Incanti Scudo, attendendo il momento giusto per replicare.

Poi, improvvisamente, qualcuno lo raggiunse.

Non ebbe bisogno di voltarsi per capire chi fosse. “Alla buon'ora, Nott!” Gridò, dopo aver lanciato uno Stupeficium che il suo avversario riuscì a evitare soltanto per un pelo.

“Sono qui da mezz'ora,” rispose l'ex-Serpeverde, proteggendo entrambi con un Incanto Scudo mentre finalmente Harry riusciva a Schiantare uno dei due assalitori. “Ho avuto...” schivò un getto viola quasi per miracolo, “degli impedimenti, sai.”

“Di che tipo?” domandò Harry, atterrando il secondo furfante.

Adesso erano schiena contro schiena, impegnati a ricacciare nuovi nemici. 

“Un paio di tipi loschi con il passamontagna.” Replicò Nott. “Credo volessero farmi fuori.”

Scoppiò scioccamente a ridere mentre mandava a segno l'ultimo Schiantesimo: colpito da un getto di luce rossa, il tipo in passamontagna si afflosciò su se stesso e rovinò al suolo. 

Nei pochi istanti di quiete che seguirono, Harry poté guardarsi intorno: la battaglia non era ancora conclusa, ma stava palesemente volgendo a loro favore. Si scambiò uno sguardo con Nott e assieme i due Auror raggiunsero Ron per aiutarlo a mettere fuori gioco gli avversari superstiti; premura che si rivelò superflua, poiché l'altro mise a terra l'ultimo rimasto nello stesso momento in cui giunsero al suo fianco.

La battaglia aveva avuto fine. Il silenzio tornò a premere alle orecchie di Harry, mentre gli Auror della sua squadra effettuavano un giro di ricognizione attorno alla Stamberga.

Qualcosa di caldo e viscoso colò sui suoi occhi, dietro le lenti degli occhiali: ripulì il sangue, appurando la presenza di un taglio sul sopracciglio destro, sebbene non avesse idea di come se lo era procurato.

A quel punto, tornò alla realtà. “Nott, Ron... Entriamo nella Stamberga. Dobbiamo essere certi che nessuno sia riuscito ad arrivare al passaggio per Hogwarts.”

 

****

 

Avevano trovato la grotta per pura casualità. 

Mentre si inerpicavano su per la collina, aquattati sotto i bassi cespugli schizzati di neve che ne ricoprivano i fianchi, Jake mise un piede in fallo, rimanendo incastrato in un affossamento del terreno; piombò al suolo, graffiandosi il volto e le mani con i rami degli arbusti spinosi. Affondò nella neve con un basso guaito.

Il freddo anestetizzò immediatamente i tagli, cosicché non ne percepì il bruciore, ma alla caviglia sentiva un dolore lacinante. Imprecando, Scorpius si accovacciò accanto a lui, cercando di aiutarlo a riberare la gamba. Anche lui si graffiò le mani mentre armeggiava con i rami.

Furono secondi di gelo e terrore quelli in cui rimasero bloccati lì, con i fiotti di luce della battaglia in corso che volavano da una parte all'altra sopra le loro teste. Il respiro affannato, i due collaborarono nel tentativo di rompere l'intrico di rovi, finché Scorpius non parve ricordare di avere con sé la bacchetta magica – nella caduta, Jake aveva perso la propria tra i rami – e riuscì a balbettare un roco Diffindo.

Preso dall'ansia, aveva lanciato l'incantesimo con scarsa precisione: i rami si erano spezzati, ma sulla caviglia già danneggiata di Jake si aprì un taglio profondo; sulla neve candida sotto di lui si allargò una macchia rossa. Tuttavia, ebbe a malapena il tempo di accorgersene prima che entrambi precipitassero nuovamente nel vuoto.

 

Atterrarono duramente, di schiena. Il peso di Jacob doveva aver gravato sulla caviglia lesionata, poiché Scorpius lo vide gemere di dolore, raccomitolato sul suolo polveroso di quella che sembrava una grotta – o forse piuttosto un buco nel terreno – annaspando nel tentativo di afferrarsi il piede, scosso da un tremito apparentemente incontrollabile.

Riuscì ad alzarsi in piedi, sbattendo la testa sul basso soffitto della caverna. Gemette leggermente mentre si accucciava al suolo e tastava il terreno attorno a sé, alla ricerca della bacchetta magica. Dopo alcuni istanti in cui brancolò inutilmente nel buio, le sue dita incontrarono una sottile asticella di legno, di traverso sul suolo polveroso. La raccolse e immediatamente capì che non era la propria, non solo a causa dell'impugnatura di forma diversa, ma anche perché non provò la solita familiarità, come se essa fosse stata una parte del suo corpo al pari di un braccio o una gamba.

Era la bacchetta di Jake, che doveva come loro essere sfuggita all'intrico di rami per poi precipitare in quella grotta.

Non era la sua, ma era comunque una bacchetta. Andava più che bene.

Lumos.” Il semplice incantesimo gli era costato più fatica del previsto, come se la stessa bacchetta avesse voluto opporre resistenza a qualcuno che non era il suo padrone. Riuscì comunque a produrre un fascio di chiarore, che puntò su Jacob, illuminando la sua figura raggomitolata al suolo. Scorpius si chinò al suo fianco, cercando di tamponare la ferita con il bordo della propria giacca.

Lui stesso era piuttosto malmesso, stordito e dolorante, pieno di graffi e sbucciature. Il suo completo era coperto di polvere e inzaccherato di neve e fanghiglia, strappato in più punti.

La mamma mi ucciderà, pensò distrattamente. 

Jacob mugugnò un ringraziamento soffocato e si tirò anche lui a sedere, facendo forza sulle braccia. Il suo sguardo grigio-azzurro si soffermò da qualche parte alle spalle di Scorpius.

“C'è qualcuno lì,” esalò.

Scorpius restò come pietrificato lì dove si trovava, lo sguardo fisso sugli occhi di Jake, che a loro volta erano fissi in qualche punto nel buio alle sue spalle. L'espressione dell'amico era serissima e grave nel volto graffiato. Spaventato, ma fermo.

Si voltò a propria volta, accompagnando la luce della bacchetta di Jacob nella direzione indicata dallo sguardo di quest'ultimo. Il fascio di luminosità inondò una figura raggomitolata in un angolo, su quello che sembrava il fondo di quella piccola caverna. Un uomo magrissimo, dalle cui braccia scheletriche pendevano stracci sporchi che una volta dovevano essere stati vestiti. Sulle guance scavate cresceva una barba castano cenere, i capelli sulle tempie erano radi, gli occhi azzurrastri abbacinati e fissi su di loro.

A Scorpius bastò un'occhiata per capire che quell'individuo non aveva addosso forze sufficienti per poter far loro del male. Sembrava – e probabilmente era – sul punto di morire d'inedia.

“Chi è lei?” gli si rivolse – la sua voce riecheggiò per il breve tunnel.

L'uomo non rispose. Si limitò a sporgersi in avanti, quasi fosse sul punto di cadere.

Scorpius fece per avanzare verso di lui, ma Jacob lo trattenne per il gomito. “Non...”
Posò una mano su quella dell'amico, sciogliendola dal proprio braccio. “È troppo debole per essere pericoloso.”
Se avesse potuto, Jake l'avrebbe probabilmente fulminato con lo sguardo. A malincuore, annuì. “D'accordo. Vai.”
Scorpius tornò a voltarsi verso l'uomo vestito di stracci. Deglutì leggermente prima di iniziare a procedere carponi nella sua direzione. Sebbene fosse certo che non vi fosse pericolo, sentiva comunque una certa apprensione nel muoversi verso la fine del tunnel. Il suo respiro si condensava nell'aria umida.

Solo quando giunse vicino a lui, lo sconosciuto tentò di venirgli incontro, arrancando. Sembrava estremamente debole – lo era; si sbilanciò e cadde in avanti, senza neanche tentare di pararsi il volto dall'impatto contro il suolo.

Scorpius si fermò, a un metro di distanza.

“Ha bisogno di aiuto? Che cosa le è successo?”

L'uomo sollevò la testa e fissò su di lui uno sguardo chiaro, slavato. Uno sguardo rassegnato.

Nell'aria si percepiva una strana tensione. Qualcosa di terribile stava per accadere, Scorpius ne era certo. Qualcosa che lui non avrebbe potuto far nulla per evitare.

“Attento...” sussurrò l'uomo, con la voce di chi non parla da troppo tempo. “Attento a chi... a chi l'ha spezzato. La... la maledizione.” 

Scorpius aggrottò le sopracciglia. “Di cosa sta parlando?”

Ma l'uomo parve non averlo udito. “Attento!” ripeté con enfasi, la voce rauca, consumando in poche sillabe le sue ultime forze. Poi emise uno strano singulto e si accasciò al suolo, mentre la vita abbandonava i suoi occhi.

Scorpius scattò. Si affiancò al corpo maleodorante dell'uomo, cercandogli disperatamente il polso.

Fai che batta, pregò. Fai che batta.

Il cuore dell'uomo non batteva.

 

“Scorpius, andiamo.”

La voce di Jake suonò lontanissima.

Scorpius rimase a fissare il polso dell'uomo che aveva appena visto morire, tenendolo stretto nella speranza vana di avvertire una pulsazione, un segno di nuova vita.

“Scorpius!”
Perché Jacob continuava a chiamarlo? Non aveva senso.

Un uomo era appena morto davanti ai loro occhi. Era successo tutto in maniera terribilmente lenta, ma anche troppo in fretta perché avessero il tempo di realizzare quanto stava accadendo.

La vita di quello sconosciuto era stata spezzata. Così, improvvisamente – senza un motivo.

Ma cosa aveva un motivo? Cosa aveva un senso di fronte... di fronte a questo?

Nulla, era la risposta. La vita era nulla, era spaventosamente fragile. Breve, dolorosamente effimera.

Scorpius!”

Tornò improvvisamente alla realtà e allora vide il cadavere che fino a quel momento aveva solo guardato. Lo lasciò andare, sconvolto: il braccio del morto ricadde al suolo con un tonfo inanimato.

Allora si ritrasse in fretta, avanzando all'indietro, finché non raggiunse Jake e scoprì che l'amico portava in volto la sua stessa espressione atterrita.

“La battaglia è finita.” Disse Jacob, in tono stranamente inespressivo. “Non senti? Sopra c'è silenzio.” Entrambi tacquero, e Scorpius poté verificare che l'altro aveva ragione. 

“Che cosa dobbiamo fare?” mormorò. Di fronte ai suoi occhi continuava a scomporsi e ricomporsi l'immagine del volto dell'uomo, della terribile consapevolezza nei suoi occhi mentre moriva. 

“Andiamo lì sopra. Dobbiamo... dobbiamo avvertire gli Auror.”

Il suo sguardo guizzò in direzione del corpo esamine mentre veniva attraversato da un visibile tremito.

Ci vollero alcuni istanti prima che Scorpius interiorizzasse ciò che Jake aveva detto. “No.” Disse immediatamente. “Tu resti qui, vado io.”

“Non ci penso proprio.” Replicò Jake. Il suo sguardo si posò su Scorpius, poi sul cadavere, poi di nuovo su Scorpius; quest'ultimo capì che da una parte l'amico non voleva farlo uscire nel pericolo, dall'altra non desiderava certo restare da solo con il morto.

Tuttavia, rimase fermo nella propria posizione. “Tu non sei in grado di camminare, con quella caviglia,” gli fece notare. “Devi restare qui.”

Jacob non sembrava entusiasta alla prospettiva, ma d'altronde era consapevole che Scorpius avesse ragione. Dopo un paio di altri flebili tentativi, acconsentì ad aspettare nella caverna.

“Se non torni entro cinque minuti, troverò il modo di seguirti,” lo avvisò.

Scorpius – ancora stordito – illuminò il pavimento della grotta alla ricerca della propria bacchetta; quando la trovò, restituì a Jake la sua. “Io vado.” Deglutì. “Farò presto.”

Quindi si arrampicò fino al bordo della fenditura e di nuovo uscì nell'aria fredda della notte.

 

 

****

 

 

La collina della Stamberga Strillante appariva devastata, come ogni campo di battaglia. La neve – che al loro arrivo era stata compatta e liscia, un manto intoccato – aveva adesso una superficie irregolare, coperta di solchi, privata del suo candore. 

Il caos dello scontro doveva aver ridestato gli abitanti delle ultime case del villaggio, dove le luci dietro alle finestre si erano accese come tanti piccoli occhi. Già da lontano spiccavano sulla neve ancora intonsa le figure scure di coloro che erano usciti per vedere cosa stesse accadendo, le bacchette illuminate.

Harry sospirò e ancora una volta si passò il dorso della mano sul sopracciglio, per impedire che il sangue gli colasse negli occhi.

“Agente Simpson,” chiamò. 

Gracia si rialzò dal corpo del ferito sul quale era china, passandosi una mano fra i corti capelli neri. “Sì, capitano?”

“Vai a parlare con la gente del villaggio. Se necessario, spiega a sommi capi quanto è successo, ma rassicurali.”

La giovane donna annuì; nei suoi occhi scuri era dipinta la massima professionalità. Senza dire altro, si diresse giù per la collina, andando incontro agli abitanti di Hogsmeade. 

I nemici erano stati tutti messi fuori gioco, adesso erano solo in attesa dei rinforzi dal Ministero per metterli in arresto – nei giorni successivi avrebbero provveduto a interrogarli tutti.

All'interno della Stamberga non avevano trovato nulla, sembrava che nessuno dei loro avversari fosse riuscito a penetrare al suo interno. Nonostante ciò, Harry era più che deciso ad aumentare il numero di Auror di guardia.

Ron rimase al suo fianco durante il giro di ricognizione, mentre Nott li seguiva qualche passo indietro. “Accidenti, Harry,” fece il primo. “Questa non ce l'aspettavamo proprio.”

“Infatti.” Dovette convenire. “Non siamo nella più comoda delle situazioni... Sembra tutto così ingarbugliato. È come se qualcosa mi sfuggisse. C'è un pezzo mancante.”
“Il pezzo chiave, probabilmente?”
“Già.”
Nott li affiancò. “C'è qualcuno laggiù.” Indicò un punto in lontananza, le sopracciglia aggrottate in un'unica linea tesa e gli occhi assottigliati di sospetto.

I Serpeverde sembrano sempre belve in guardia, quando si sentono minacciati.

Harry seguì la traiettoria del suo sguardo, e vide che sì, in effetti qualcuno si stava avvicinanto, arrancando nella neve. Una figura alta e sottile, emaciata e pallida nel buio, con indosso un abito elegante coperto di fango, sangue e polvere. Aveva capelli di un biondo chiarissimo e somigliava molto a...

“Scorpius.” Quello di Nott fu un gemito soffocato, che suonò più come un'imprecazione. “Cosa diavolo...”

Il ragazzo – che adesso anche Harry riconosceva chiaramente come Scorpius Malfoy – si stava dirigendo proprio verso di loro, che accellerarono il passo nella sua direzione. Nott sembrava furioso; Ron era scuro in volto e borbottava qualcosa contro i Malfoy e gli ex-Mangiamorte in genere.

Man mano che il giovane Malfoy si avvicinava, appariva sempre più chiaro che  ci fosse qualcosa che non andava. Il ragazzo aveva un'espressione stravolta: gli occhi chiari erano sbarrati e lontani, il mento tremante; chiaramente, era in stato di shock.

Questo non impedì a Ron di sbottare: “Tu cosa diamine ci fai qui, ragazzino?!” 

Scorpius guardò l'Auror, stordito, come se non avesse capito bene la domanda.

Cosa gli è successo?

Harry fece per parlare, ma Nott lo precedette. 

“Come ti è venuto in mente” – esordì in tono raggelante, scandendo con rabbia le parole – “di fare una cosa così stupida?!”

Guardò l'ex-Serpeverde, rendendosi conto che sotto alla sua espressione contratta di rabbia si leggeva una profonda preoccupazione.

Ma d'altronde, lui e il vecchio Draco sono amici di lunga data.

Probabilmente è come una specie di zio.

Il giovane Malfoy non replicò. Ingoiava il rimprovero passivamente, come se gli stesse scivolando addosso.

“Cosa diavolo ti è saltato in testa?” Proseguì Nott, tagliente. “Non avresti dovuto seguirmi per nessuna ragione.”

Harry aggrottò le sopracciglia. Qualcosa non gli tornava. “Nott, che diamine...”

“Quando mi hai mandato il Patronus, ero alla festa di anniversario dei suoi genitori.” Mugugnò il collega. Non infierì ulteriormente su Scorpius, ma dal suo sguardo trapelava chiaramente che dopo avrebbero fatto i conti.

Cosa sulla quale, peraltro, Harry era assolutamente d'accordo. Avrebbe speso anche lui due paroline in merito con il ragazzo – non c'erano dubbi che si meritasse una ramanzina, sebbene lui stesso da giovane avrebbe fatto lo stesso.

Lo farei ancora.

Quello che non tornava, era che a compiere un gesto simile fosse stato un Serpeverde, perlopiù il figlio di Draco Malfoy.

Come diceva Silente? A volte lo Smistamento avviene troppo presto.

Ron, nel frattempo, aveva iniziato a inveire contro il ragazzo, propinandogli un'inverosimile sgridata, alla quale persino Nott fece gli occhi annoiati.

Ma il giovane Malfoy lo ignorava. Sembrava che stesse pensando a tutt'altro... almeno finché il suo sguardo non si posò su Harry. Allora, tornò improvvisamente alla realtà.

“Signor Potter,” esordì in tono agitato, la voce spaventata. “C'è qualcosa che deve sapere.”

Harry sollevò brevemente le sopracciglia, senza la minima idea di cosa si potesse trattare. “Dì pure.” Concesse lentamente.

“Noi... Noi abbiamo trovato...”
Noi?” lo interruppe Nott. “C'era qualcun altro con te?!”

Scorpius lo guardò. “Sì, siamo io e Jacob. Solo che lui si è ferito alla caviglia, quindi è rimasto...”

“Che avete trovato?” lo incalzò Ron, rigido.

Il ragazzo deglutì. “Una persona. In una grotta. È... è morto.”

Cadde il gelo. Harry e Ron si scambiarono uno sguardo agghiacciato, prima di seguire il giovane Malfoy giù per la collina.

 

Strada facendo, Scorpius spiegò loro per sommi capi quanto era accaduto. “Noi... Io e Jacob, cioè” – aveva detto agli Auror di non essere da solo – “abbiamo trovato la grotta per caso. Jake è rimasto incastrato in un cespuglio di rovi con la caviglia, e quando sono riuscito a liberarlo siamo caduti entrambi di sotto. Lui... lui era lì.”
Arrancando nella neve, Harry Potter gli si rivolse: “L'avete trovato morto?”
“No.” L'immagine degli occhi azzurrastri dell'uomo ancora ingombrava la sua mente. “Era vivo. È morto pochi secondi dopo che ho cercato di parlargli.”

“Ti ha detto qualcosa? Informazioni sulla sua identità, magari.

Scorpius aggrottò le sopracciglia. “Ha detto qualcosa.” Attento a chi l'ha spezzato... La maledizione. “Niente di comprensibile. Farfugliava le parole.”

Non sapeva cosa l'avesse spinto a mentire, ma le parole del morto erano state troppo spaventose per ripeterle ad alta voce. 

“È qui. Seguitemi.”

Si calò nella fenditura, raggiungendo Jacob, la cui espressione era semplicemente atterrita. “Era ora che arrivaste,” esalò in un sospiro. Scorpius immediatamente si chinò sulla caviglia dell'amico, che ancora sanguinava abbondantemente.

Per primo si calò il signor Potter, che non attese neanche un istante prima di precipitarsi in fondo al tunnel, accanto al cadavere.

Quando fu il turno di Theodore, quest'ultimo gettò anche a Jake uno sguardo di rimprovero, prima di seguire il suo superiore. Ronald Weasley fece lo stesso.

Scorpius cercò di aiutare Jake a tirarsi su, ma rimase immobile quando udì il padre di Rose rantolare e il signor Potter trattenere bruscamente il fiato.

La voce del Direttore del Dipartimento Auror suonò nel silenzio: “Credo che abbiamo trovato Otto Murray, alla fine.”

 

 

****

 

27 dicembre 2021

Infermieria di Hogwarts

Primo pomeriggio

 

“Sei un idiota,” sbottò Lily. “Spero solo che tu ne sia consapevole.”

“Ne sono consapevole,” si difese Jake, facendo forza sulle braccia per tirarsi a sedere e soffocando un gemito di dolore. Lily non si fece impietosire.

“Sei anche un idiota,” ribadì.

Jake la guardò. I suoi occhi erano calmi e caldi, come sempre, con una scintilla di leggero divertimento, ma tutto il suo volto pallido e tirato, contorto in una smorfia preoccupata. “Sono consapevole di essere stato un idiota,” sospirò. 

Colossale idiota.” Puntualizzò, mettendo il broncio.

Jake roteò gli occhi e si allungò verso di lei – che era seduta ai piedi del letto – afferrandole i gomiti e tirandola accanto a sé. Lily lo lasciò fare, emettendo un mugolio soddisfatto quando la strinse tra le braccia. Rannicchiò le ginocchia al petto e si lasciò stringere, rilassandosi accanto a lui contro il cuscino.

Gettò un'occhiata a Scorpius, che si agitava nel sonno nel lettino accanto, poi tornò a guardare Jake, che si chinò a premere le labbra sulla sua fronte. Chiuse gli occhi e si godette quel contatto: si era preoccupata a morte quando aveva saputo che la squadra di suo padre aveva subito un attacco a Hogsmeade, e ancor di più non appena era giunta a conoscenza del fatto che Jacob e Scorpius vi fossero finiti in mezzo.

E che Jake è stato ferito. 

Odio i pettegolezzi di Hogwarts: ingigantiscono tutto. Una caviglia rotta e sembrava fosse in punto di morte.

Poi uno si preoccupava. Bah!

“Beh, almeno stai bene.” Borbottò, sempre in tono offeso.

Jake non se la prese. Si limitò a stringerla ancora più forte.

Lily lo capiva. Anche lei, quando era stata attaccata nel parco di Hogwarts, si era sentita spaventata da star male e aveva sentito il bisogno di qualcuno che la tenesse stretta. E l'idea che di lì a pochi giorni avrebbero invaso di nuovo la sua mente la terrorizzava.

“Mi sono spaventato da morire,” ammise infatti Jake, in un sussurro fra i suoi capelli. “Quando siamo caduti nella grotta e abbiamo visto quel tizio... Otto Murray.”

Pronunciò il nome dell'Indicibile deceduto pianissimo, facendolo scivolare fra le labbra, come se stesse dicendo una preghiera. 

“E poi... poi è morto, capisci? Un attimo prima era vivo e l'attimo dopo non lo era più.” La sua voce scese di un tono mentre i suoi occhi si perdevano chissà dove. “È stato solo... solo questione di un secondo.”

Lily strinse le labbra e fece scivolare le braccia intorno al busto di Jake, tenendolo stretto. “Adesso è passato. Gli Auror... scopriranno chi gli ha fatto del male.”

Devono scoprirlo.” Mormorò Jake. “O lo scoprirò io.”

Si irrigidì. Quelle parole non le erano piaciute affatto. Si sollevò a sedere, sciogliendo le braccia da lui e guardandolo dritto in faccia. “No.” Deglutì. “Siete già stati abbastanza stupidi così.”

“Lily, c'è qualcosa che quell'uomo ha detto... forse gli Auror non sono abbastanza.”

Questo la spaventò. Il suo cuore accellerò. “Che cosa vuoi dire?” domandò in un filo di voce.

Jacob la guardò dritto negli occhi. Sembrava in qualche modo... consapevole. “Ha detto di stare attenti a chi l'ha spezzato.”

Lily rimase come pietrificata. C'era solo qualcosa che potesse collegare a simili parole, ed era...

“Credo si tratti dei Proteus.” Proseguì Jacob. “Il Proteus sui galeoni di Gossip Witch,” aggiunse, come se vi fosse bisogno di puntualizzare. 

Dal modo in cui la guardava, comprese che il suo ragazzo sapeva perfettamente su cosa loro si stessero interrogando da mesi. Sentì uno strano moto di agitazione gorgogliare in fondo al proprio stomaco e un curioso tuffo al cuore. Da quanto Jake sapeva tutto? Come ne era giunto a conoscenza? Quanto sapeva?

“Come– Insomma,” farfugliò. “Come hai fatto a...”

Jake la guardò e le sue labbra si distesero in un sorriso complice. “Christine.” Disse semplicemente, come se quel nome fosse la risposta a tutto.

Di fatto lo era – non che la cosa le facesse piacere. 

Christine.” Ripeté, leggermente seccata.

“È questo il patto che abbiamo fatto.” Jake sospirò. “Avrei dovuto aiutarla a scoprire chi sia stato... Scoprire che anche voi stavate cercando la stessa cosa è venuto da sé. Tua cugina mi ha fatto una sottospecie di interrogatorio.”

Non aveva bisogno di specificare di quale cugina si trattasse. Nel pronunciare quella parola aveva fatto una smorfia – la smorfia che faceva quando parlava di qualcuno a cui sapeva di non stare simpatico. E Rose non lo sopportava.

Per di più, Rosie non aveva nascosto di aver sospettato di Jake, alcuni mesi prima.

“Mi chiedo quale sia stata l'altra parte dell'accordo,” sibilò.

Jacob non volle cogliere la provocazione. Anzi – sorprendentemente – le sorrise: “Un consiglio,” mormorò. “Che non ti dirò neanche sotto tortura.”

Inarcò le sopraciglia per un momento, con un sorrisetto astuto. Lily capì e stette al gioco.

“Ah, no?” lo provocò, sorridendo furba.

Jake scosse lentamente la testa, guardandola fisso. “Assolutamente.”

“Vedremo.” Promise Lily, sollevandosi a baciarlo. In fondo riusciva a capirlo: probabilmente, in una situazione simile, la curiosità l'avrebbe spinta ad agire esattamente come lui. E poi sarebbe riuscita a fargli confessare di che consiflio si trattasse, un giorno o l'altro – su questo non nutriva alcun dubbio.

Jake rispose al suo bacio con molto entusiasmo, tenendola stretta a sé.

Questo finché non fu Lily a sciogliersi dalle sue braccia e posargli l'indice sulle labbra, costringendolo a tacere. 

“Che cosa hai scoperto?”

“In realtà un bel niente.” La guardò, sorridendole. “Verso la fine di ottobre ho cominciato a essere leggermente distratto.”

Lily non raccolse la lusinga. “L'Indicibile ha detto altro?”

“Solo farfugliato qualcosa su una maledizione.”

Sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, pensosa. Rimase a pensarci per un po', prima di giungere a una conclusione e sogghignare tra sé. “Possiamo unire le forze,” buttò lì.

Jake sollevò le sopracciglia, sbattendo un paio di volte le palpebre. “Tua cugina Rose non mi accetterebbe mai nella vostra squadra anti-crimine.”
Lily arricciò le labbra. “Probabile,” convenne, “ma adesso lascia perdere Rose. Parlavo di me e te.”
Jake respirò profondamente, guardandola da sotto le sopracciglia aggrottate. “Che cosa intendi dire?”
Il sorriso di Lily, se possibile, si fece ancora più ampio. “Voglio dire che puoi indagare quanto vuoi... ma io indagherò con te.”

Jacob aprì la bocca per parlare, ma lei non glielo permise.

“E non ho bisogno del tuo permesso per farlo,” lo precedette. “Quindi non azzardarti a dire che non è possibile.”
Il ragazzo parve pensarci per un po'. “D'accordo,” sospirò infine. Non era contento, Lily lo vedeva bene, ma non le importava più di tanto. Del resto, anche lei non era contenta che lui si mettesse a rischio, e controllare direttamente che non facesse un'idiozia come quella della sera precedente la faceva sentire più tranquilla.

Beh, Jake di sicuro impedirà che sia io a fare idiozie.

O pù probabilmente faremo idiozie insieme.

Lo sapeva, ma la tentazione era troppo forte per riuscire a restistere.

Guardò Jake. Il suo viso era illividito e coperto di graffi, ma sempre il volto che amava, con la mascella squadrata e le sopracciglia pronunciate. Gli occhi di lui erano fissi nei suoi, e Lily gli prese il viso fra le mani, avvicinandosi.

“Non ti azzardare più a farmi spaventare così,” soffiò sulle sue labbra, prima di baciarlo con impeto. Jacob la circondò con le braccia, tenendola stretta.

Quanto le piaceva baciarlo. Avrebbe solo desiderato trovarsi in un angolo appartato del parco piuttosto che nel mezzo dell'Infermieria, e – a giudicare dal modo in cui ricambiava il suo bacio – anche per Jake era lo stesso. Almeno finché...

“Cosa diamine state facendo voi due?!” 

La voce di Albus le fece fare un salto. Si staccarono bruscamente, voltandosi entrambi verso di lui. 

A giudicare dalla sua espressione, Jake era semplicemente agghiacciato.

Per la miseria! Non avrebbe dovuto scoprirlo così

Ero pronta a mettere in atto tutta la diplomazia del mondo, dannazione.

Mise su la sua migliore faccia di bronzo, preparandosi ad affrontare suo fratello. “Ci stavamo baciando,” disse semplicemente. “Anche se credo fosse chiaro.”

Ma Albus non l'aveva udita. Il suo sguardo era fisso su Jacob, e vi si poteva leggere un'espressione localizzabile da qualche parte fra la rabbia, la sorpresa e l'indignazione. 

“Leva le mani di dosso a mia sorella,” sibilò.

“Veramente sono io che sto tenendo le mani addosso a lui,” soffiò Lily di rimando, infastidita.

Di nuovo, Al non sembrò ascoltarla. Il suo svolto era una tale smorfia di rabbia, afflizione e dolore che quasi riuscì a stringerle in cuore. Ma non poteva permettersi di intenerirsi, non di fronte all'ottusità di tuo fratello.

Se fosse stato James, ci avrebbe pensato Grace a mediare.

“Che cosa significa questo?!” I toni di Albus si stavano facendo più animati, tant'è che Scorpius si svegliò con uno sbadiglio.

“Che cosa sta succedendo?” domandò, perplesso, la voce stanca.

Poi il suo sguardo abbracciò l'intera scena – Lily e Jake seduti vicini nello stesso letto, Albus che diventava sempre più rosso e furioso; allora parve capire che aria tirava e non disse nient'altro.

“Penso che il significato sia chiaro.” Ribatté rivolta ad Albus, acida.

Dannazione, Jake, dì qualcosa.

“Come avete potuto non dirmelo?!”

“Dirtelo prima, Albus?” Finalmente, la voce di Jacob si era levata al suo fianco. Faticò a trattenere un sospiro di sollievo. “E come avresti reagito?”

Suo fratello sembrava letteralmente schiumare di rabbia. “Tu sei mio amico. E lei è mia sorella. Io mi fidavo di te!”

Lily scoppiò a ridere di gusto. “In che modo ha tradito la tua fiducia, sentiamo?”

Adesso si era alzata in piedi e fronteggiava suo fratello, con gli occhi assottigliati e una tentazione impellente di passare alle bacchette.

Io lo strozzo! Giuro che lo strozzo!

Jake la trattenne per un braccio. “Lily, non–”

“Non ti mettere in mezzo, tu!” sibilò. “È una faccenda fra me e quell'idiota di mio fratello!”

“Veramente è anche una faccenda che riguarda lui!” esclamò Albus. 

“Che cosa sta succedendo qui?!” domandò una voce sferzante. Madama Chips fece capolino in Infermieria, un fascio di bende appese al braccio e una cesta di antidoti. Il suo sguardo cadde su Lily e Albus, entrambi con la bacchetta sfoderata: allora i suoi occhi si strinsero. “Fuori di qui.” Sibilò. “Immediatamente! Questi ragazzi devono riposare, non assistere a stupidi duelli magici! Sciò!”

Lily rinfoderò la bacchetta e depose un bacio lieve sulla guancia di Jake prima di uscire dall'Infiermieria – che Albus, dal canto suo, aveva già abbandonato in uno scarto furente. 

Mentre si allontanava, udì Scorpius dire: “Certo che è proprio un bel casino, eh, amico?”

 

 

  

****

 

 

28 dicembre 2021

Hogwarts, Scozia

Tarda mattinata

 

Negli ariosi appartamenti occupati dai giovani Auror di pattuglia, Teddy Lupin non sembrava affatto fuori posto, con i suoi capelli turchesi e il pesante giubotto di pelle, indossato sopra la maglietta di un qualche gruppo metal Babbano. Era chino sul mucchio di carte che aveva portato con sé allo scopo di aiutare il gruppo nel loro compito.

A quanto sapeva Holly, Ted era un dipendente della Gringott, ma il suo lavoro era di ricerca. Questo valeva a dire che, mentre gli Spezzaincantesimi andavano a caccia di tesori, i Ricercatori svolgevano un incarico di tipo più filologico, ricercando su vecchi testi e fonti di vario tipo le coordinate da dare ai primi per sapere dove e cosa trovare.

In virtù dei loro compiti, i Ricercatori della Gringott avevano autorizzazioni speciali per accedere a gran parte degli archivi del Ministero, fra i quali quello che interessava loro.

Ossia gli alberi genealogici e tutto quanto riguardasse la trasmissione di particolarità genetiche.

Come la Metamorfomagia, ad esempio. O la Licantropia, se è per questo.

Curioso era pensare che il Ricercatore davanti a loro recasse entrambi gli aspetti, quindi due caratteri genetici da Mutaforma in un solo individuo.

Per lui la maledizione che circonda la tomba non avrebbe alcun dubbio.

L'ex-Tassorosso sospirò, prima di sollevare lo sguardo su di loro per il verdetto. “No.” Esordì. “Non è il gene da Metamorfomagus che ha fatto sì che la maledizione agisse su Marcus... deve esserci qualcos'altro.”

Alle sue parole, il morale di Holly si sgonfiò come un palloncino bucato. “Perché dici così?” domandò, seria.

Anche Louis e Marcus erano seri. Seguivano le parole di Lupin con attenzione.

“Vedete?” Ted spianò davanti a loro la pergamena contenente l'albero genealogico che stava studiando. “La linea dei Black collegata ai Flitt è minima, per quanto riguarda il ramo della Metamorfomagia. Non abbastanza forte da giustificare l'attivazione della maledizione.”

Marcus sbuffò, chino come lui sulla carta. “Hai ragione.” Si passò una mano fra i corti capelli scuri e Holly seguì i suoi movimenti, pensierosa. “Cosa potrebbe essere, allora?”

Lupin sorrise. Holly invidiò la sua calma esemplare. “Ho esaminato i vostri dati, alla ricerca di fattori comuni.” Sistemò gli occhiali sul naso, mentre i suoi capelli  si scurivano gradualmente fino a raggiungere una profonda sfumatura di blu. Holly vide le labbra di Louis incresparsi in un sorriso a quella vista. “Voi due avete in comune più di quanto pensiate. Siete entrambi del segno dei Gemelli, tanto per cominciare. Ho anche dato un'occhiata ai vostri risultati scolastici. Quelli di entrambi mostrano abilità particolari in Trasfigurazione, Aritmanzia e in Divinazione. In particolare, mi ha sopreso quest'ultimo fatto: in generale, sono ben pochi gli studenti che si appassionano davvero alla materia o che hanno per essa un talento particolare.” Li guardò. “Questo mi ha fatto supporre che la maledizione dipenda da più di un fattore.”

Tornò ad abbassare lo sguardo sull'albero genealogico. “Il punto, però, è un altro. Mi sono soffermato sulle ultime quattro generazioni della tua famiglia,” si rivolse a Marcus, “perché è il campo d'analisi per il quale il gene da Mutaforma può avere una certa rilevanza.”

Holly aggrottò le sopracciglia e bevve un sorso di tè. Le piaceva la modalità di lavoro che stava utilizzando Lupin in quella ricerca: aveva una grande chiarezza logica e un metodo sistematico – non trascurava nulla. Le sarebbe piaciuto essere in grado di fare un lavoro tanto cervellotico.

Probabilmente non ho l'impostazione mentale adatta.

“Cosa hai scoperto, Teddy?” Louis lo esortò a proseguire, impaziente.

Il Ricercatore sorrise, trionfante. “Una tua trisnonna era Lobella Rosier, nata Gamp. Ho dato un'occhiata qui.” Estrasse un volumetto malconcio e mezzo muffito, con tutta l'aria di essere decisamente vecchio. “Si tratta di una vecchia lista di persone affette da Licantropia. Ai tempi di Lobella, si svolgeva una sorta di censimento di coloro che venivano contagiati.”

Lupin sfogliò le pagine rovinate del libretto, per poi fermarsi su una delle ultime scritte. “Vedete?” indicò un punto, dove un nome era stato coperto da uno scarabocchio d'inchiostro. “Sotto la cancellatura c'è scritto Lobella Gamp. Evidentemente la famiglia avrà saputo del censimento e soffocato la cosa... Probabile che l'autore di questo libro abbia in seguito cessato l'attività, visto che il suo nome è su una delle ultime pagine scritte.” Lupin bevve un sorso di tè prima di proseguire. “Qui è riportata con il suo nome da nubile, quindi è stata morsa prima di sposarsi e avere dei figli... Trasmettendo quindi il gene da Mutaforma. Che è giunto fino a te.”

Marcus sbatté un paio di volte le palpebre. “Ma io non sono un Licantropo.”

“Neanche io lo sono.” Ted sorrise. “E neppure Louis è una Veela. Non mi risulta che si ricopra di piume e strilli, quando si arrabbia.”

Louis fece una smorfia. “Questo non lo puoi sapere, Teddy,” rise.

Holly non riuscì a fare a meno di ridacchiare a propria volta, sollevando gli occhi al cielo. “Quindi è questo.” Sospirò. “Gene Veela e gene da Lupo. Sangue Mutaforma...”

“... e la mia ipotesi è confermata.” Louis sorrise, sornione. “Sei stato risolutivo, Teddy.”

“Non c'è di che.” Il Ricercatore fece spallucce, mentre raccoglieva le sue carte e le riponeva nella tracolla di cuoio. 

Le labbra di Marcus si incurvarono in un sorriso leggero. “Non si finisce mai di scoprire cose sulla propria famiglia, eh?”

Teddy ricambiò il sorriso. “Penso che sia proprio vero. Credo che farò altre ricerche su Lobella... Insomma, credo che sia impossibile nascondere la Licantropia a un coniuge. E allevare i propri figli? Chissà come deve essere stato difficile. Sono curioso di sapere l'intera storia.”

“Fammi sapere, allora.” Marcus mosse la bacchetta magica, appellando la scatola di biscotti che si trovava due metri più in là.

Non è fisicamente possibile che uno Spezzaincantesimi sia così pigro.

“Ti terrò aggiornato.” Promise il Ricercatore.

Dopodiché, cadde il silenzio per qualche minuto, mentre ciascuno di loro era immerso nei propri pensieri. Poi, Louis parlò.

“Stasera abbiamo la serata libera,” ricordò loro. “Stavo organizzando qualcosa per vederci con il gruppo che supervisiono all'Accademia.”

Holly si voltò verso di scatto verso di lui. L'uso del plurale implicava che lei e Marcus fossero compresi nel pacchetto, questo era chiaro.

Quando pensava di dircelo, l'idiota?!

Si sforzò di non pensare a quanto fosse stata carina l'idea di organizzare qualcosa.

“Il gruppo di Jamie e Grace, giusto?” Ted sorrise.

Holly si chiese di chi stessero parlando. Jamie era chiaramente James Potter... Grace doveva essere la sua ragazza, allora. O qualcosa del genere.

“Proprio loro.” Louis sorrise. “L'ho detto anche a Domi. Se veniste anche tu e Vic mi farebbe davvero piacere.”

Lupin parve contento. “Magari! Vic sarà felicissima. Non fa che lamentarsi della tua cattiva condotta di fratello minore.”

Louis ridacchiò. “Vedete di trascinare anche Molly, se vi riesce.”
“La vedo dura.” Il Ricercatore fece un mezzo sorriso. “Vedrò cosa posso fare.”

 

 

 

 

****

 

 

 

28 dicembre 2021

Cortile, Hogwarts, Scozia

Primo pomeriggio

 

“Hugo, ti devo parlare.”
Sobbalzò al suono della voce di Lucy. Non l'aveva sentita arrivare, probabilmente perché i passi della cugina erano stati attutiti dal soffice tappeto di neve che ricopriva il cortile. 

Si voltò lentamente verso di lei, grattandosi il naso arrossato dal freddo. “Dimmi,” acconsentì a malincuore.

Era uscito in cortile proprio per non dover incontrare qualunque persona con la quale avrebbe dovuto parlare per più di trenta secondi, visto che faceva sufficientemente freddo da invogliare gli studenti a restare al calduccio nelle loro Sale Comuni, specie nell'atmosfera rilassata del post-Natale. 

Si sentiva decisamente poco propenso a intrattenere relazioni interpersonali, negli ultimi giorni. Quanto stava accadendo ultimamente lo riempiva d'inquietudine... Naturalmente aveva fatto delle ricerche, dopo aver ricevuto quella carta da gioco durante il Ballo del Ceppo. 

In Biblioteca era riuscito a rinvenire un volume sulla Cartomanzia, che aveva preso in prestito senza esitare. Era stato illuminante da una parte, ma dall'altra aveva reso tutto ancora più difficile e intricato.

Il fante di fiori² indicava una figura amichevole, con cui si intrattenessero buoni rapporti. Il che, purtroppo, non portava da nessuna parte, vista l'incredibile possibilità di combinazioni – specie considerando le immagini allegoriche ricevute in precedenza. 

Terrore, ambizione, inganno, gioco. E adesso un amico.

Che cosa poteva significare? Forse che un amico, per ambizione, l'avrebbe ingannato terrorizzandolo e magari giocando con lui?

Sembrava davvero stupido.

Probabilmente erano tutti pezzi di uno stesso puzzle, ma a che serviva saperlo se non era in grado di rimetterli insieme?

Come se non bastassero le sue angoscie, solo il giorno precedente un gruppo di ignoti aveva attaccato Hogsmeade. Si diceva che avessero cercato di penetrare a Hogwarts; il pensiero lo terrorizzava.

Aveva voluto uscire in cortile per starsene un po' per conto suo, pensando ai fatti propri senza che nessuno venisse a disturbarlo. Inoltre, sperava di incontrare un Auror: correva voce che vi fossero diverse pattuglie di stanza a Hogwarts, ma per adesso aveva solo incontrato suo cugino Louis di striscio per i corridoi, in compagnia di una ragazza bionda e di un tipo alto e piazzato, dai capelli scuri. 

Il cugino si era limitato a fargli un cenno di saluto, dando a intendere che in teoria nessuno avrebbe dovuto sapere della loro presenza lì. D'altronde, potevano passare tranquillamente per studenti del settimo anno, poiché erano in borghese e durante le vacanze nessuno a Hogwarts si sognava di indossare la divisa. 

Ad ogni modo, nel cortile non c'era traccia di Auror. C'era solo la neve, qualche gufo che volteggiava contro il cielo plumbeo; di tanto in tanto una folata di vento gelido o una risata in lontananza. 

Questo finché non era arrivata Lucy, a ingombrare con la sua voce squillante il silenzio che Hugo tanto avrebbe desiderato.

Quando si voltò verso di lei, sua cugina lo guardava di sotto in su, con i capelli sparsi sulle spalle e un'espressione risoluta. Aveva le sopracciglia leggermente sollevate e si mordicchiava il labbro inferiore.

“Che cosa vuoi, Lu?” La risposta gli uscì più aspra del previsto, ma non se ne curò. Lucy non era tipa da prendersela per una cosa tanto stupida, in fondo.

“C'è un problema.” La ragazza sospirò. “Hai presente quella ricerca che tu e Lily mi avete fatto fare l'anno scorso? Quella sull'annullamento del Proteus.”

Il cuore di Hugo gli balzò in gola, mentre la conversazione catturava improvvisamente il suo interesse. “Allora?” domandò, nel modo più gentile che gli riuscì.

Lucy strinse le labbra nel suo volto rotondo. Quando faceva così, di solito era preoccupata. “Beh,” deglutì, “hai presente Bernard Boot, no? Il Caposcuola di Serpeverde.”
Come il cuore di Hugo aveva fatto un tuffo verso l'alto in precedenza, adesso cadde con un tonfo. Boot era amico di Al. Era amico di Rose, più o meno. Era anche una persona con cui lui stesso andava abbastanza d'accordo.

Che sia invischiato in questa storia? Che sia lui, l'amico?

“Sì, ce l'ho presente.”

Lucy abbassò lo sguardo, tamburellando con il piede sul suolo coperto di neve. “Beh, un paio di giorni fa è venuto in biblioteca e ha chiesto di vedere un libro sugli annullamenti degli Incanti di Legame, del Proteus in particolare...”

Hugo la afferrò per il gomito in una stretta ferrea. “Che cosa?!”

La cugina sbatté un paio di volte le palpebre. “Ho pensato che fosse meglio dirvelo, così–”

“Zitta.” 

“Ma–”

“Sto pensando. Non ci riesco se parli.”

Si premette le mani sulle tempie, cercando di interiorizzare la notizia. 

Bernie Boot...

No. Non era possibile.

Ma è pur sempre un Serpeverde, pensò, sentendosi un po' in colpa nei confronti di Rose. In quelli di Lily per niente, e neanche in quelli di Dominique: erano due Serpeverde fatte e finite.

... Però Bernie Boot. Sarebbe troppo strano. Non può essere possibile.

Un momento, non era possibile. Se Boot avesse avuto a che fare con la faccenda dell'annullamento del Proteus, allora avrebbe già saputo tutto in proposito, e per lui non sarebbe stato necessario fare ricerche in Biblioteca.

A meno che non stia indagando anche lui.

Riaprì gli occhi. Era giunto a una conclusione. “Andiamo, Lu.” Ancora non aveva lasciato il gomito di Lucy: se la trascinò dietro mentre attraversava il cortile per tornare all'interno.

La cugina era visibilmente esterrefatta. “Hugo, cos–”

“Dobbiamo parlarne con gli altri.” Sorrise, trionfante. Anche se non sarà facile, adesso che Lily e Al non si rivolgono la parola neanche di striscio e Rose non vuole saperne più niente di questa storia. “Sei utile qualche volta, Lu. Abbiamo una pista.”

 

 

 

****

 

 

28 dicembre 2021

Hogwarts, Scozia

Sera

 

“Insomma, voi due siete proprio sicuri di voler uscire?” Holly sbuffò mentre indossava il solito chiodo di pelle. Fuori dalle finestre bifore dei loro appartamenti, il cielo era scuro di nubi.

“Sarà divertente, dolcezza.” Le assicurò Louis, facendo capolino dalla stanza dei ragazzi nel suo abbigliamento pseudo-casual. Era indubbio che la t-shirt dalla scritta vivace e i jeans sbiaditi gli stessero benissimo, così come la giacca. Holly cercò di non farsi condizionare dal suo aspetto – solo maledetti trucchi Veela

“Non ne dubito.” Sospirò. “Ma potrebbe piovere. Potrebbe nevicare. Potrebbe–”

“È la nostra serata libera, Holly.” Marcus fece una smorfia, emergendo dal bagno. Con il suo abbigliamento – più o meno sulla stessa linea di quello di Louis – e i capelli neri modellati con il gel, somigliava in tutto e per tutto a un Babbano sul punto di andare in giro per locali.

Che poi è quello che dovremo essere stasera. Finti Babbani in giro per locali di Londra.

Sperava con tutto il suo cuore che il locale fosse uno solo e non si facesse troppo tardi, ma non biasimava i due ragazzi per volersi distrarre, dopo le disavventure degli ultimi giorni.

“Infatti.” Iniziò a togliersi la giacca che aveva appena indossato. “Voi potete uscire. Io sono stanca. Credo che resterò a Hog–”

“Non ci pensare neanche.” Louis scosse l'indice davanti al suo naso, prima di scandagliare la sua figura con lo sguardo. “Stai troppo bene vestita così perché questo abbigliamento vada sprecato. Vero, Flitt?”

Si voltarono entrambi verso Marcus, che inarcò le sopracciglia e piegò la testa, a indicare che era d'accordo con Louis.

... Uomini.

Esasperata, emise un basso lamento. “Devo proprio?”

Marcus le si avvicinò a lunghi passi, aiutandola a rimettersi la giacca. “Hai colto il concetto.” Convenne. “Sei pronta?”

“Quasi.” Sospirò, rassegnata, prendendo la borsa.

Lo Spezzaincantesimi accennò un sorriso e le tirò una ciocca di capelli biondi, poi precedette lei e Louis verso la porta.

 

 


 

 

 

 

¹ Una piccola precisazione: nel caso non sia già chiaro, nella sua testa Harry identifica come “battaglie” tutte le circostanze in cui ha avuto bisogno di proteggere se stesso con la magia che abbiano avuto una particolare rilevanza su di lui. In realtà, volevo inserire anche il salvataggio dai Dissennatori del terzo anno, ma ho preferito cominciare con quella con Voldemort al cimitero di Little Hangleton; 

² Per il significato delle carte, mi sono rifatta a questo sito;

³ Per quanto riguarda le informazioni sulla genetica, mi sono basata un po' su quanto sapevo e su materiale trovato su internet, un po' ho inventato. Se qualcuno di voi è un esperto e ha notato sbagli clamorosi, vi prego di segnalarmeli!

 

 

Note dell'Autrice

So di averci messo una vita e mi dispiace, però è stato un periodo iper-impegnato e impegnativo.

Non mi sono dimenticata nessuno! Ragionevolmente, non posso concentrarmi in tutti i capitoli su tutti i personaggi (anche perché in questo modo verrebbero fuori di 30 pagine, non 15). 
Vi ricordo (perché ogni tanto ricordarlo fa bene :3) che questo è il gruppo Facebook che uso più o meno come pagina autrice, per eventuali aggiornamenti sulle mie storie, avvisi di ritardo, album di prestavolto, etc...

Sapete che vi amo <3

Daphne

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 - In good and bad times ***




 


Vero o falso, quello che si dice degli uomini occupa spesso nella loro vita,

e soprattutto nel loro destino, un posto uguale alle loro azioni.

Victor Hugo, I Miserabili

 

And if your strife strikes at your sleep

Remember spring swaps snow for leaves

You'll be happy and wholesome again

when the city clears and sun ascends.

Mumford & Sons

 

 

 

 

28 dicembre 2021

Fiddle Inn, Londra Babbana

Sera

 

 

Nel locale albergava un brusio confuso di musica e voci sovrapposte. In quel sottofondo Ellen riusciva di tanto in tanto a distinguere qualche parola o stralci di frasi pronunciate da sconosciuti, che spesso alle sue orecchie suonavano insensati, estratti com'erano dal loro contesto. 

Di tanto in tanto, risuonava il rumore sordo del cozzare di vetro su vetro per qualche brindisi, seguito da risate e acclamazioni.

I Babbani attorno a loro erano impegnati a vivere le proprie vite, ignari del mondo segreto che si nascondeva al centro della loro società, invisibile anche sotto gli occhi di tutti. Il mondo di cui lei stessa era in qualche modo rappresentante. 

Quanta vita, quanti sogni e desideri inespressi, non dissimili dai loro, in quel luogo senza magia!

Emise un respiro profondo, riemergendo dalle proprie riflessioni e tornando a rivolgere l'attenzione a quella che era la sua compagnia per quella serata. Erano seduti tutti intorno al tavolo di legno scuro del tipico pub Babbano che avevano prescelto come meta per la loro uscita.

Grace, seduta di fronte a lei, una ciocca dorata a ombreggiarle la fronte e gli occhi, giocherellava con il suo succo di pera, le labbra incurvate in un sorriso sereno mentre carezzava lievemente il ventre gravido con la punta delle dita, intervenendo di tanto in tanto nella conversazione con la sua voce vivace. James, al suo fianco, le cingeva le spalle con un braccio, conversando allegramente di Quidditch con Adrian. 

Dominique, invece, chiacchierava sommessamente con Hera dall'altro lato del tavolo. Le due ragazze si erano trovate subito e andavano anche piuttosto d'accordo, sebbene i loro caratteri non fossero proprio quel che si dice compatibili. Ma del resto, la migliore amica di Dominique era Grace, la cui indole era quanto di più diverso dalla sua si potesse immaginare.

Ma forse, per una come Dominique è più facile andare d'accordo con persone diverse da lei. 

Dopotutto, non ha il più facile dei caratteri.

Nel guardarla parlare con Hera, una lieve punta di gelosia si annidò in fondo allo stomaco di Ellen.

Per chissà quale motivo, negli ultimi tempi i suoi rapporti con la greca si erano decisamente raffreddati. Hera evitava il suo sguardo, e – contrariamente a quanto avveniva in precedenza – faceva sempre in modo di non restare da sola con lei. Ellen non era neanche riuscita a chiederle spiegazioni in merito al suo comportamento proprio per questo motivo.

Improvvisamente, Dominique si voltò in un frullare di capelli biondi, mentre sul suo volto si dipingeva un'espressione seccata. “Mio fratello è in ritardo,” si lamentò a voce alta.

Grace le sorrise. “Louis è sempre in ritardo,” convenne. “Dev'essere una prerogativa dei maschi della vostra famiglia,” aggiunse in tono innocente.

Adrian soffocò una risata mentre James prendeva un'espressione colpevole.

Anche Ellen rise, prima di recuperare dal tavolo la sua birra e bere una lunga sorsata. A quel punto, provò una sensazione non nuova. Quel familiare formicolio dietro la nuca, la traccia che lo sguardo di Hera lasciava invariabilmente quando si posava su di lei.

Non si era sbagliata: quando si voltò, la greca la stava osservando con serietà, quasi con una sfumatura severa, implacabile.

Le pulsazioni di Ellen accellerarono lievi, mentre il fiato le si spezzava in gola, come se una bolla d'aria si fosse gonfiata all'altezza del suo sterno. Moriva dalla voglia di alzarsi, fare il giro del tavolo, afferrare Hera per la collottola e baciarla. Lì, davanti a tutti.

Anche se non avrebbe mai avuto il coraggio di fare niente del genere. 

Deglutì, costringendosi a sostenere lo sguardo dell'altra mentre qualcosa dentro di lei si consumava.

Devo parlarle. Devo capire cosa sia successo, quando si è rovinato tutto.

Preso a raccolta tutto il suo coraggio, stava per rivolgersi a lei quando il campanello appeso sopra la porta d'ingresso del locale tintinnò vivacemente.

Ellen allungò il collo, come tutti, cercando di vedere oltre alla massa di teste e capelli lucidi chi fosse arrivato. Le parve di scorgere una familiare testa bionda serpeggiare fra la gente che affollava il locale.

“Buonasera a tutti!” esclamò Louis Weasley mentre si accostava al loro tavolo, facendosi largo a gomitate e sorrisi suadenti. “Non avete idea della fatica che abbiamo fatto per trovare questo posto. Proprio non riuscite a cavarvela senza il vostro tutor, eh?!”

Al suo fianco comparve una ragazza bionda, di cui Ellen non riuscì a vedere il viso, che gli assestò uno scappellotto leggero sul braccio. “No, Louis. Sei tu che ci hai fatti perdere!”

Le sopracciglia di Dominique si sollevarono fin quasi a scomparire all'attaccatura dei capelli. Gettò alla ragazza una lunga occhiata penetrante, quasi la stesse passando al radar. Dopo pochi secondi, sembrò soddisfatta del risultato ottenuto dalla sua analisi e le sue labbra si incurvarono in un sorriso che si sarebbe quasi potuto definire di approvazione

“Non ne dubito,” convenne nel solito tono sentenzioso. “Mio fratello ha sempre avuto un pessimo senso dell'orientamento. E dire che per un Auror dovrebbe essere una dote fondamentale.” 

La ragazza bionda si passò una mano fra i capelli, scoprendo il viso. Da dove stava seduta, Ellen riuscì appena a intuire la sagoma del suo profilo, che aveva qualcosa di vagamente familiare, come se l'avesse già vista da qualche parte.

“Comunque io sono Dominique.” La Weasley si alzò in piedi, tendendo la mano. “Ci siamo già viste, a meno che io non mi sbagli di grosso.”

“Non sbagli.” La ragazza strinse con calore la mano che l'altra le porgeva. “Sono Holly e ci siamo già viste a Hogwarts.” 

Nell'udire il suo nome, Ellen improvvisamente capì come mai il suo profilo avesse un che di familiare.

“Piacere di conoscervi!” Holly Wynne Greengrass rivolse loro un sorriso e un saluto generale, guardandosi attorno. Quando i suoi occhi si posarono su Ellen, il suo sguardo traballò leggermente. 

Nonostante l'espressione di Holly fosse rimasta la stessa – probabilmente merito del contegno militare degli Auror – la vide deglutire. Ellen capì che anche lei l'aveva riconosciuta.

Ma cosa ci fa qui con Louis?!

Ah, giusto. L'altra Auror a Hogwarts dev'essere lei.

Chissà per quale motivo, sentì un velo di rossore traboccare sulle guance. 

Holly si presentò a tutti, stringendo mani su mani e salutando James e Adrian con familiarità – nei suoi ultimi anni da capitano di Grifondoro i due erano già in squadra; stava per rivolgersi a Ellen quando una terza figura raggiunse il tavolo. Un ragazzo dai capelli neri, con spalle larghe e occhi scuri e luminosi.

“... Marcus?!” esclamò stupefatta, prima ancora di rendersene conto.

Al suo richiamo, Marcus si voltò nella sua direzione e allora i suoi lineamenti si distesero in un sorriso allegro. “Ellen!” esclamò, chinandosi per abbracciarla. “Che bella sorpresa!”

Ellen ricambiò il suo abbraccio, sentendosi leggermente a disagio. Sentiva lo sguardo di Holly trapassarle la nuca e si sentì imbarazzata al ricordo del bacio che si era scambiata con l'amico in piena Diagon Alley. Era stato un bacio dato per gioco, seppure con il puerile intento di aiutare Marcus suscitando la gelosia di Holly.

Aveva l'impressione di esservi riuscita fin troppo bene.

Quando l'abbraccio si sciolse e Marcus si dedicò alle altre presentazioni, percepì il solito pizzicore. Voltò di scatto la testa, per scoprire lo sguardo di Hera fisso su di sé. Da sotto le sopracciglia aggrottate, gli occhi della greca ardevano di qualcosa cui non seppe dare un nome.

Chissà per quale motivo, si chiese se quel qualcosa non fosse dovuto all'arrivo di Marcus.

 

 

****

 

 

 

Holly continuava a sentirsi addosso quel sottile senso di disagio. Da quando avevano fatto il loro ingresso in quel pub, sedeva assieme a Louis e alle sue sorelle. Si stava divertendo, questo sì, ma qualcosa la costringeva a dirigere continuamente lo sguardo verso il capo opposto del tavolo, dove Marcus conversava animatamente con quella Ellen.

Nel vederla, l'aveva riconosciuta all'istante come la ragazza con cui l'aveva visto baciarsi a Diagon Alley, settimane prima. Lì per lì, aveva supposto che fosse la sua fidanzata.

Anche adesso, non riusciva a spiegarsi la sensazione provata quel pomeriggio; non sapeva cosa le fosse preso, cosa l'avesse spinta ad allontanarsi di lì più in fretta che poteva.

Tuttavia, Ellen non poteva essere la ragazza di Marcus. Se lo fosse stata, l'avrebbe salutato con un bacio e soprattutto sarebbero stati entrambi al corrente dei rispettivi programmi per la serata, invece che incontrarsi per caso.

Oltretutto, in quei giorni vissuti fianco a fianco quasi ventiquattr'ore su ventiquattro, Marcus non aveva mai accennato a una ragazza o simili.

La risata di Louis risuonò al suo fianco, riscuotendola dai suoi pensieri. Quasi contemporaneamente, Dominique intercettò il suo sguardo.

Era incredibile quanto somigliasse al fratello, quasi fossero gemelli invece che portarsi due anni abbondanti di differenza. Avevano gli stessi occhi e i capelli del medesimo colore; la parte superiore dei loro volti era praticamente speculare.

Dominique le rivolse un sorriso a mezza bocca. C'era qualcosa di curioso nel modo in cui l'altra la osservava dall'inizio della serata, come se stesse cercando qualcosa nei suoi atteggiamenti o nelle sue espressioni. Quando l'aveva vista ordinare un mojito, Dominique aveva sorriso in modo strano, quasi fosse a conoscenza di qualcosa che Holly non riusciva a interpretare o che comunque non avrebbe saputo comprendere.

La sbirciò di sottecchi. Girava lentamente il suo Martini dry, chiacchierando a tratti con gli altri.

Di nuovo, lo sguardo di Holly si portò automaticamente verso Marcus. Alle spalle sue e di Ellen – ancora impegnati nella loro accesa conversazione – la parete era ricoperta da un grande specchio che sembrava raddoppiare le dimensioni della sala. Nel riflesso fumoso, Holly scorse un altro sguardo cupo fisso nella stessa direzione del suo. Gli occhi, scuri e luminosi, erano quelli di Hera, la ragazza con un leggero accento straniero seduta accanto a Dominique.

“Allora, Louis?” domandò quest'ultima in tono malizioso. “Holly è la tua ragazza?”

Sentì un leggero rossore diffondersi sotto la pelle. “C-come?” balbettò, ma l'altra le stava sorridendo amabilmente. 

“Sai,” le disse, ammiccando, “saresti di certo superiore ai suoi soliti standard.”

Per un momento, si chiese se dovesse interpretare il suo intervento come un complimento o come un insulto. Decise per la prima opzione.

Louis schiuse le labbra in un sogghigno, mentre faceva scivolare un braccio attorno alle spalle di Holly, avvicinando la testa alla sua. “Non è la mia ragazza,” si rivolse alla sorella minore con un sospiro teatrale. “Anche se le piacerebbe.”

“Continua a sognare,” replicò lei, piccata, afferrando il suo braccio e sospingendolo via dalle proprie spalle. Quando ebbe allontanato Louis, qualcosa dentro di lei si lamentò sonoramente, come se non fosse stata affatto contenta di interrompere quel contatto.

Dominique le sorrise complice. “Sai, fratellino, non sempre puoi ottenere quello che vuoi!”

A quella frase, Hera diede in una risata cristallina, con l'aria di chi la sa lunga. Era la prima volta che Holly la vedeva ridere in tutta la serata: fino a quel momento era stata cupa e taciturna; adesso, tuttavia, capì che il suo volto sembrava fatto apposta per sorridere.

Si chiese a cosa fosse dovuto quello scoppio d'ilarità tanto repentino.

Guardò Louis, che in quel momento osservava Hera, borbottando: “Non c'è niente di onorevole nell'essere stata il primo fra i miei fallimenti, Christakos!”

Hera sorrise di nuovo. “O il secondo, Weasley?” domandò, sibillina, guardando Holly.

Le labbra di Lou si incresparono in un sorriso lieve. “Questo non dipende da me.”

“Sei sexy, con quella giacca di pelle.”

Tentò di scacciare la voce del maledetto un-ottavo-Veela dalla propria mente.

“Basta,” stabilì Dominique. “Scusa se sono sembrata inopportuna.”

“Lasciala perdere, Holly,” ribatté Louis, guardando la sorella. “Dominique si diverte a mettere gli altri in imbarazzo.”

“Non è vero!” protestò la diretta interessata. “Vuoi che ti ricordi chi ha messo costantemente in imbarazzo Molly, quest'estate?”

Il fratello le sorrise. “Non sono stato il solo,” puntualizzò. “E poi Molly aveva davvero bisogno di una svegliata!”

Dominique fece un gesto con la mano, come se stesse scacciando una mosca molesta. “Questo non cambia i fatti.”
“Smettetela di battibeccare, voi due,” intervenne Victoire con la sua voce melodiosa. “Ammettetelo, vi siete solo divertiti a fare da Cupido.”

Holly – che non aveva la più pallida idea di quale fosse l'argomento della loro conversazione – seguiva i loro scambi di battute, divertita sebbene un po' spaesata.

“Per il bene di Molly,” sottolineò Louis, poi si voltò in direzione di Holly. Sotto il suo sguardo, si sentì come spogliata di ogni maschera e lievemente in imbarazzo.

“O il secondo, Weasley?

“In effetti, trovo che il ruolo di Cupido mi si addica,” Dominique fece spallucce, attorcigliandosi una ciocca bionda fra le dita. 

“Tu trovi che ti si addica qualunque ruolo in cui puoi tenere i fili della situazione,” la punzecchiò James Potter, intervenendo nel discorso. 

Dominique gli scoccò un'occhiataccia. “Vecchie abitudini.” Chissà per quale motivo, i suoi occhi si soffermarono su Holly, per poi abbassarsi sul mojito da lei ordinato, ancora a metà. Si sporse verso di lei da sopra al tavolo. “Dev'essere tipico di voi Greegrass, il mojito,” le sussurrò all'orecchio, in tono sorprendentemente dolce.

“Che cosa vuoi dire?” chiese Holly, aggrottando le sopracciglia.

L'altra sorrise. “Conosco tuo cugino Jacob e anche lui adora il mojito.”

Pensando alla voce carezzevole di poco prima, Holly si chiese quanto fosse stata approfondita la loro conoscenza. 

Aveva visto Jake solo il giorno prima, nel compiere un giro di ricognizione del castello assieme a Louis. Si erano incontrati in cortile: Jacob stava baciando una delle innumerevoli cugine di Louis, Lily Potter.

... La sorella di James.

La ragazza aveva capelli rossi che le scendevano in onde ribelli sulle spalle e lungo la schiena e occhi scuri e vivaci, incastonati in un viso esile, appuntito, da folletto. Le erano parsi molto felici insieme.

Decisa a scoprire cosa ci fosse stato fra suo cugino e Dominique Weasley, si rivolse a quest'ultima: “L'ho incontrato giusto ieri! Era con la sua ragazza... Mi sembra che sia tua cugina.”

“Lucy?!” Di nuovo, James si inserì nella conversazione. Solo che adesso l'intera tavola era focalizzata su Holly e le sue parole. Solo Louis – che era con lei il giorno prima – non sembrava sorpreso né in attesa di un responso. Anche Dominique non pareva per nulla sorpresa, a dire il vero. 

Continuava a girare il suo Martini, un lieve sorriso ad aleggiarle sulle labbra. “Non Lucy.” Chissà perché, l'idea che si potesse trattare di questa Lucy sembrava divertirla. Guardò James con aria innocente e – in qualche modo – trionfante. “Lily.”

Ahia, pensò Holly, vedendo l'espressione di James a quelle parole. Stiamo per fare i conti con un pericoloso caso di gelosia fraterna.

“Lily.” Holly lo vide deglutire mentre riecheggiava le parole della cugina. “Non ne sapevo niente.”

Non le sfuggì l'occhiata che si scambiarono i due cugini. Dominique aveva messo su un invidiabile cipiglio di sfida. “Lily non è tenuta a informarti di ogni suo movimento, James, specie se questa è la reazione.”

Accanto a Dominique, Adrian Goldstein passava lo sguardo dall'uno all'altra al di sotto delle sopracciglia aggrottate.

All'arrivo di Holly, il ragazzo si era tutto entusiasmato, e Dominique non aveva mancato di mettere in imbarazzo il proprio fidanzato, sottolineando come Holly fosse sempre stata il suo idolo e modello da imitare. Lei si era sentita vagamente lusingata e aveva ammirato, forse con un po' d'invidia, le loro dinamiche di coppia. Si punzecchiavano di continuo, ma nel modo in cui si guardavano c'era qualcosa di speciale. Era chiaro che si amassero molto.

Ma perché James se la prende tanto? Vabbè che Jake non ha mai assunto una condotta particolarmente onorevole, però...

Fu la ragazza dello stesso James a smorzare la tensione creatasi. Si era presentata come Grace ed era visibilmente incinta. A Holly aveva fatto un effetto strano. Lei stessa non aveva mai veramente pensato alla prospettiva di essere madre – probabilmente perché non si sentiva pronta per una tale responsabilità; mentre quella ragazza che aveva tre anni meno di lei si preparava ad esserlo con tanta serenità. La cosa, doveva ammetterlo, le faceva una certa impressione.

“Certo,” fece Grace, “da quando non c'è più Gossip Witch le notizie non corrono più così veloci.”

A quelle parole, Holly sbatté un paio di volte le palpebre. Che cosa era Gossip Witch? Una rivista di pettegolezzi? E come mai una quindicenne sarebbe dovuta finire su una rivista di pettegolezzi? Forse per essere la figlia del Salvatore del Mondo Magico?

“Che cos'è Gossip Witch?” domandò semplicemente.

Dominique e Grace si scambiarono uno sguardo grave.

“Oh, è vero.” Louis fece un cenno pigro con la testa. “Tu hai finito la scuola l'anno prima che Gossip Witch comparisse.” La guardò. “In sostanza, un'ignota studentessa–”

“O studente,” intervenne Dominique.

“O studente,” concesse lui, “alcuni anni fa ha gettato un Incanto Proteus su un numero indefinito di Galeoni. In questo modo...”

“... diffondeva in tutta Hogwarts qualunque tipo di scandalo o pettegolezzo,” concluse Grace sommessamente.

Holly era confusa. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto voler fare una cosa del genere? E soprattutto...

“Come faceva a entrare in possesso delle informazioni?” domandò, ancora incredula.

Louis fece spallucce. “Usava i quadri. Se qualcuno scopriva un qualche scoop, bastava che lo sussurrasse ai quadri giusti. Cambiavano ogni mese, presumo per proteggere la vera identità di Gossip Witch. Come una misura di sicurezza.”

“Erano i quadri a riferire tutto a lei,” proseguì James. “O a lui,” si corresse precipitosamente. “Allora Gossip Witch scriveva sul Galeone-madre il suo intervento, che contemporaneamente compariva sulle monete di tutti.”

“Si riscaldavano ogni volta che arrivava un nuovo messaggio,” aggiunse Dominique amaramente.

Holly aveva notato come a quell'argomento l'atmosfera del loro tavolo fosse diventata bruscamente più cupa.

“Come mai Gossip Witch è sparita?” chiese ancora.

Louis e James si scambiarono uno sguardo, mentre Grace – notò Holly – tendeva a evitare quello di Dominique.

Sembra quasi che sappiano qualcosa di cui gli altri non sono al corrente.

Adrian si schiarì la voce. “Questo non si sa. I Galeoni hanno semplicemente smesso di funzionare.”

Holly si sentiva perplessa, come se qualcosa non tornasse.

“I Galeoni hanno smesso di funzionare,” ripeté. “Quindi anche il Proteus l'ha fatto. Ma non è facile rompere un incantesimo di Legame! È un po' come un sigillo, no?”

“Hai ragione,” convenne Marcus. Chissà per quale motivo, al suo intervento Holly si sentì da una parte a casa, dall'altra quasi infastidita. Che tornasse a parlare con quella Ellen. “Non sapevo che Gossip Witch avesse smesso di funzionare... Finita la scuola, non ci ho pensato due volte prima di buttare quella moneta nel bidone della spazzatura.”

“Già funzionava quando tu eri a Hogwarts?” si ritrovò a domandare Holly suo malgrado. Non avrebbe voluto parlare con lui.

“Ha iniziato al nostro quinto anno,” mormorò Grace.

Quando io ero al primo anno di Accademia, quindi...

“Ad ogni modo,” riprese Marcus. “Funziona davvero come un sigillo, ma non come un Irreversibile.”

“Irreversibile” Louis aveva aggrottato le sopracciglia.

Tutti portavano in volto la stessa perplessità, con l'eccezione di Teddy, Dominique e Adrian.

Dev'essere qualcosa che insegnano al corso di Spezzaincantesimi della Gringott.

Difatti, fu proprio Lupin a prendere la parola. “Sostanzialmente,” esordì nel suo tono pacato da professorino, “esistono due tipi di sigilli. Gli Irreversibili – che di solito si trovano su tombe e simili – non si esauriscono con la morte di chi li ha formulati.”

“Poi ci sono i sigilli di Legame, fra i quali sono compresi pure gli incantesimi di Legame, come il Proteus,” intervenne Dominique in tono saputo. “In pratica si rompono automaticamente alla morte di chi li ha gettati.”

“Ma a Hogwarts non è morto nessuno!” La gravità di quei discorsi la colpì come una doccia fredda. “O no?”

“Per il Proteus c'è un'altra soluzione,” fece Louis.

Holly cercò di richiamare alla mente le vaghe reminescenze che possedeva delle lezioni di Incantesimi del settimo anno. Non le era mai piaciuta granché, Incantesimi, e aveva rimosso gran parte dei suoi ricordi al riguardo.

“L'Annullamento Empi-qualcosa della Proprietà!” esclamò esultante dopo alcuni secondi.

“Annullamento Empirico,” la corresse Marcus.

Gli gettò un'occhiataccia. “Annullamento della Proprietà, quindi. Chissà quella dei Galeoni qual era...”

“Brillare.” Dominique aveva parlato in tono stranamente sognante, lo sguardo perso nel vuoto.

Holly sollevò un sopracciglio. “Brillare?” ripeté, perplessa.

Guardò Louis, in tempo per vederlo alzare gli occhi al cielo. “Ci risiamo,” lo udì borbottare mentre si guardava attorno. “Per via dell'Annullamento la loro mente cerca sempre di cambiare direzione, quando pensano alla Proprietà di quelle maledette monete.”
Sbigottita, anche Holly si guardò intorno, per scoprire la stessa espressione vaga di Dominique sul volto di gran parte dei presenti.

James, Grace, Adrian, Ellen. 

Tutti quelli che erano a Hogwarts quando i Galeoni si sono impallati!

L'atmosfera si era fatta sospesa, quieta, quasi esitante. Sembrava che ogni suono fosse stato risucchiato nel nulla, come se attorno a loro si fosse gonfiata una bolla silenziosa.

“Ted,” intervenne allarmata. “Gli effetti collaterali dell'Annullamento non sono irreparabili, vero?”

“Certo che no,” borbottò Louis al posto del cognato. “Ci sono già passato...”

Ignorando le sue occhiate interrogative, si sporse in avanti sul tavolo, posando la mano su quella della sorella minore.

“Domi,” mormorò in un sussurro perfettamente udibile, guardandola negli occhi. “La Proprietà dei Galeoni di Gossip Witch è quella di mandare messaggi non controllati.”

Per un momento l'espressione di Dominique e degli altri parve vacua, poi atterrita.

Infine, si tinse di una nuova consapevolezza.

 

 

 

****

 

 

 

Ellen studiò il proprio riflesso, nello specchio sopra il lavabo nel bagno del pub. 

Aveva un'aria pallida, smunta; i capelli scuri piovevano smorti ai lati del volto. Decisamente, quella che doveva essere una tranquilla serata fra amici si stava rivelando piuttosto piena.

Ancora non riusciva a capacitarsi di essere stata inconsciamente posta sotto un incantesimo per mesi e di essersene liberata solo mezz'ora prima. E tutto a causa di Gossip Witch e dei suoi Galeoni! 

Che assurdità.

Era assurdo, certo, ma era anche vero. Il che era la cosa più inquietante di tutte – le sembrava di vivere un incubo; la sua mente assieme a quella di molti altri manipolata a quella maniera senza che se ne sapesse nulla. Quando Louis aveva sussurrato la vera Proprietà delle monete stregate, si era sentita in qualche modo libera da catene che non sapeva di portarsi dietro, come se fosse stato sollevato un velo di opacità che fino a poco prima le era parso del tutto normale. 

Spaventoso, a dir poco spaventoso.

Con un sospiro, si chinò sul lavandino, lasciando scorrere per un po' il getto dell'acqua, finché non divenne gelida. Allora se ne schizzò un po' sul viso, massaggiando le palpebre chiuse. Di certo il Long Island che si era scolata non contribuiva ad alleviare la sua confusione. 

Persa nel buio screziato dietro le sue palpebre, udì la porta del bagno aprirsi e richiudersi. Stringendo convulsamente le dita attorno al bordo del lavandino, sollevò la testa e aprì gli occhi per vedere chi fosse entrato.

Ferma sulla soglia, una mano ancora sulla maniglia, Hera la osservava. 

La greca non aveva ancora smesso quello sguardo nervoso e bruciante che si stava portando dietro dall'intera serata. Non disse nulla: si limitò a fissarla, con quello sguardo severo e implacabile che non lasciava vie di fuga.

Per Merlino, ma cosa le ho fatto di male?!

Si rese conto che erano da sole, per la prima volta dal misterioso cambio di atteggiamento dell'altra. Meglio approfittarne per parlare della questione, prima che fosse troppo tardi.

“Hera,” le disse, “potresti dirmi quello che è successo?” Deglutì, stringendo ancora di più il lavandino. L'altra la guardava, in attesa che proseguisse. “Perché io non riesco a capirlo. E non riesco più a sopportare questa situazione.” Sospirò. Hera continuava a tacere. “... Dì qualcosa. Ti prego.”

L'altra chiuse gli occhi per un lungo istante. Poi domandò: “Quello è il tuo ragazzo?”

Ellen sbatté un paio di volte le palpebre. “Chi?”

“Non far finta di non capire.” Hera tamburellò sul pavimento con il piede. “Marcus.”

Adesso si sentiva davvero perplessa. “Non capisco–”

Ma poi capì. Quel pomeriggio di diverse settimane prima, in Diagon Alley... Holly Greengrass non doveva essere stata l'unica spettatrice.

La sua nuova consapevolezza dovette essersi riflessa sul suo volto, perché l'espressione di Hera si indurì e la ragazza fece per uscire.

“Aspetta!” 

Senza rendersene conto, Ellen aveva quasi gridato e si era sporta in avanti, come per fermare l'altra.

Hera rimase immobile di fronte alla porta, dandole le spalle. “Che cosa c'è ancora?”

“Marcus non è il mio ragazzo!” Le parole le uscivano dalla bocca una dietro l'altra, in una sequela nervosa e fremente. “Siamo solo... solo amici. Lui non mi piace. Non mi piacciono gli uomini in generale.”

“E allora perché l'hai baciato?” mormorò Hera, iniziando a voltarsi lentamente.

“Per quella ragazza.” Ellen si sentiva stordita, ma anche stranamente euforica. Davvero era questo il motivo dell'atteggiamento di Hera? Solo... gelosia? “Holly. A Marcus piace più o meno da sempre, ma lei non lo ricambia. Lei era a Diagon Alley quel pomeriggio. Volevamo solo farla ingelosire, tutto... tutto qui.”

Le sopracciglia di Hera si aggrottarono leggermente, e i suoi occhi erano un po' lucidi, solo appena. “Tutto qui?” esalò, increspando appena le labbra in uno strano sorriso. “Stai dicendo la verità?”

Ellen le si avvicinò – ringraziando il Long Island per l'audacia che le aveva conferito – e l'afferrò per le spalle, costringendola a guardarla negli occhi. “Secondo te?”

Per alcuni istanti interminabili, rimasero entrambe in silenzio. Poi, in un singhiozzo sommesso, Hera mormorò: “Ti credo.”

Ed Ellen fece quello che avrebbe voluto fare dall'inizio della serata. Quello che avrebbe voluto fare da mesi.

Piano, con delicatezza, le sollevò il mento con la mano e si chinò per posare le labbra sulle sue, terrorizzata e felice come mai lo era stata in tutta la sua vita.

 

 

 

****

 

 

Hogwarts, Scozia

Prime ore del 29 dicembre 2021

 

 

Marcus sbadigliò. “Sono stanco morto, credo che me ne andrò a dormire.”

Holly lo guardò stiracchiarsi come un gatto.

“Buonanotte!” disse Louis allo Spezzaincantesimi, buttandosi sul divano e allungando i piedi sul tavolino da tè. A quella vista, la ragazza ingoiò un rimprovero, forse anche per non pensare a come i capelli biondi di Lou gli cadessero bene sulla fronte.

“Buonanotte,” riecheggiò la voce di Marcus.

Holly lo ignorò volutamente, senza guardarlo. Per un po', l'ex-Serpeverde rimase immobile, poi Holly udì i suoi passi che si allontanavano in direzione della stanza che condivideva con Louis. Udì distintamente il suono della porta che si chiudeva e un lieve frusciare di vestiti.

Chiuse gli occhi, deglutendo. Decisamente, era stata una serata piena di emozioni.

“Sei gelosa, eh?”

Il tono pigro di Louis la fece sussultare.

“Come hai detto?”

Il ragazzo sorrise, gettandole uno sguardo furbo. “Hai capito benissimo.”

Holly gli scoccò un'occhiataccia. “Non so di cosa tu stia parlando, Weasley.”

L'altro rise. I bagliori aranciati del fuoco nel camino si dispersero fra i suoi capelli. “Adesso sono tornato Weasley, quindi? Questa è la prova.”

Lo ignorò.

“Punta sul vivo, eh?”

Si costrinse a voltarsi verso di lui e a rivolgergli un sorrisetto sprezzante. “Ti stai capendo da solo.”

Di nuovo, il maledetto un-ottavo-Veela rise. “Certo, come no!”

Quando la sua risata si fu esaurita, Louis la fissò. “Proprio non vuoi ammetterlo con te stessa, eh?”

“Non c'è proprio nulla da ammettere.”

“Sì, certo.” Louis continuava a guardarla, con la stessa espressione che le aveva rivolto ore prima al pub. I suoi occhi risplendevano di qualcosa che Holly non capiva – furbizia, complicità, sicurezza di sé, qualcosa. Qualcosa che non avrebbe dovuto far accellerare i suoi battiti cardiaci e desiderare che la distanza fra lei e Louis si dimezzasse, come minimo.

Sedevano fianco a fianco sul divano di fronte al caminetto. Raccolse le ginocchia contro il petto, abbracciandosi le gambe e fissando il fuoco.

Smettila di guardarmi così.

Smettila subito.

Tanto per cambiare discorso, decise di tirare fuori le questioni di cui si era discusso al pub. “Certo che questo Annullamento Empirico è potente, eh?” Sospirò, sistemandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio. “Insomma, per manipolare la mente di così tanta gente...”

Louis annuì lentamente, guardandola. “Già.” Sembrava aver rinunciato a punzecchiarla, con immenso piacere di Holly.

“Infatti.” La ragazza aggrottò le sopracciglia, pensierosa. Sentiva come un tarlo nel cervello, sebbene non riuscisse a identificarne la natura – come un'idea che facesse fatica a delinearsi; c'era qualcosa che le era sfuggito, un pezzo che ancora mancava al puzzle. Era certa che parte del rompicapo si sarebbe risolta, una volta che fosse riuscita a individuare il frammento mancante. “Quindi,” iniziò a ripercorrere a voce alta il flusso dei propri pensieri, “decisamente non è stata la stessa Gossip Witch a spezzare il Proteus. Chi l'ha fatto, stando alla reale Proprietà di quei Galeoni, voleva impedire agli studenti di mandarsi fra di loro messaggi non controllati.”

Louis la guardò con una nuova espressione negli occhi grigio-azzurri, improvvisamente tinti di serietà. Non disse niente, si limitò a lasciarle tempo. Tempo che trascorse in strani sbuffi che si susseguirono in alcuni lunghi istanti carichi di tensione, in cui Holly cercò di riflettere con calma, lasciando la sua intuizione ancora non plasmata a macerare.

Infine, lentamente, giunse a una conclusione. “Chiunque abbia deciso di spezzare quel Proteus... Insomma, se l'Annullamento non avesse funzionato, una persona sarebbe morta. Quindi deve essere qualcuno molto motivato nel suo obiettivo, oppure...”

Gli occhi di Louis si sgranarono, come a causa di una comprensione improvvisa. “Oppure,” concluse per lei, “qualcuno a cui non importa affatto che delle persone possano farsi male sulla sua strada.”

Si guardarono per parecchi lunghi istanti, mentre il tempo che prima era passato lentamente aumentava bruscamente il proprio ritmo. Holly sentiva il cuore rimbombare furioso contro la cassa toracica, e uno strano sudore freddo che le colava lungo la schiena.

“Chi è che vorrebbe impedire agli studenti di mandarsi messaggi non controllati?” mormorò Louis, mentre il suo sguardo si perdeva da qualche parte sul viso di Holly.

La ragazza pronunciò la risposta quasi involontariamente, come se il suo incoscio l'avesse conosciuta molto prima di lei. “Qualcuno che brama il controllo.”

... La Bacchetta di Sambuco. 

“Chi ha rubato la Bacchetta di Sambuco ha lanciato la maledizione intorno alla tomba,” mormorò Louis, quasi dando voce ai pensieri della collega. “E se fosse la stessa persona? Se fosse tutto collegato?”

Holly non riuscì a trovare le parole per rispondere, come se le si fossero prosciugate in gola. Il suo istinto le suggeriva che Louis avesse ragione, e questo la terrorizzava.

 

 

 

 

****

 

 

 

29 dicembre 2021

Dormitorio femminile di Serpeverde, Hogwarts

Circa le due del mattino

 

 

Lily si rigirò per l'ennesima volta fra le coltri, frustrata. 

Nonostante nei sotterranei della sua Casa facesse decisamente freddo, si sentiva come avvolta da un velo di sudore. Toccò la fronte: era asciutta.

C'è qualcosa che non va.

Complessivamente, la più generale delle sue sensazioni era quella di fastidio. Ogni cosa sembrava decisa a disturbarla come poteva: le lenzuola erano aggrovigliate scomodamente attorno alle sue gambe, il materasso aveva scomodi bozzi premuti contro la sua schiena; persino il cuscino pareva troppo rigido. Sotto al baldacchino serrato c'era il buio più completo e l'aria sembrava irrespirabile.

Sentì il desiderio di una sigaretta. 

Contro le notti insonni, sapeva che non c'era rimedio migliore che un po' d'aria fresca in cui disperdere fumo grigiastro, lasciandolo scivolare lentamente dalle labbra. Non avrebbe chiesto altro, davvero, ma con tutte le misure di sicurezza rafforzate e senza Mantello dell'Invisibilità non c'era verso che potesse abbandonare i sotterranei.

O forse sì?

Perlomeno, un po' d'aria fresca poteva ottenerla. Si tirò a sedere e spalancò le tende del suo letto a baldacchino, prima da una parte e poi dall'altra. Amarillide e Swanilda dormivano serene nei loro letti, l'una tutta raggomitolata su se stessa e l'altra abbracciata al cuscino.

Sapessero come le invidio in questo momento.

Colse la sua figura riflessa nella penombra, sul vetro del grande specchio appeso alla parete. In quel vago buio, poteva distinguere la propria sagoma: una ragazza seduta fra le lenzuola sfatte, la schiena curva e due occhi abbacinati e brillanti nel viso pallido. Sulla sua fronte cadeva una ciocca scompigliata: la scostò con un gesto della mano, rigettandola indietro; quella ricadde dove stava fino a un momento prima, disobbediente. Con un sospiro, si lasciò nuovamente andare contro il materasso, scoprendo che il cuscino si era piacevolmente rinfrescato.

Rimase per un po' così, respirando a pieni polmoni mentre cercava di rilassarsi, lo sguardo fisso sul baldacchino sopra la sua testa e le mani strette al petto che reggevano la coperta. Cercò di abbandonarsi al suono del proprio respiro, come se fosse stata una forma di auto-ipnosi. 

Potrei provare a contare gli Ippogrifi. Chissà se funziona davvero, poi...

Niente da fare. Ogni volta che le sembrava di aver svuotato sufficientemente la sua testa di ogni pensiero, finiva per disperdersi nuovamente in tortuosi flussi di coscienza. La sua mente volò su Jake, su Albus e su suo padre; una costante era la sgradevole prospettiva dell'indagine mentale a cui sarebbe stata sottoposta di lì a pochi giorni, accompagnata da una sequela infinita di interrogativi sul mistero che negli ultimi tempi sembrava avvolgere ogni cosa.

Chi era davvero Otto Murray? Perché era stato imprigionato in quella grotta? Aveva forse a che fare con il suo essere un Indicibile?

Ricordò che lo studio che avrebbe dovuto essere posto sui suoi ricordi modificati – se solo non fossero stati rubati! – era frutto di un metodo elaborato proprio all'Ufficio Misteri.

Murray si occupava di questo?

Come mai Hogsmeade era stata attaccata? Chi le aveva cancellato la memoria? Perché suo cugino Louis era a Hogwarts assieme ad altri Auror?

E soprattutto, cosa concatenava tutti questi elementi?

Si girò a pancia in giù, affondando il volto nel cuscino profumato del suo bagnoschiuma, cercando di trovare una posizione comoda. Pochi secondi dopo, si rivoltò dal lato opposto e allontanò scalciando le coperte. L'aria libera della stanza le increspò di pelle d'oca i polsi e il collo.

Si sforzò di tenere chiusi gli occhi. Il sonno, tuttavia, invece che avvicinarsi parve allontanarsi ancora di più.

Forse è ora di andare a farmi una passeggiata.

Con l'ennesimo sospiro, buttò le gambe giù dal letto, cercando le pantofole con i piedi. Infilò un maglione sopra al pigiama e attraversò furtivamente la stanza, per poi uscire dal dormitorio chiudendosi lentamente la porta alle spalle, attenta che non scricchiolasse. Dunque attraversò in punta di piedi il corridoio su cui si affacciavano le porte degli altri dormitori delle ragazze e risalì le scale che conducevano alla Sala Comune facendo scorrere leggermente le dita sul corrimano. 

Una volta in cima, fece capolino nella sala, rischiarata appena dal bagliore delle ultime braci che ardevano nel camino, illuminando di luce tremolante una figura scura. Seduto sul divano di fronte al caminetto, i gomiti sulle ginocchia, c'era Jake. Il suo profilo era disegnato dai bagliori aranciati del fuoco ormai quasi estinto. L'espressione del suo ragazzo era seria e assorta; il suo volto sembrava leggermente sbattuto, recava le tracce di una pesante stanchezza.

Probabilmente anche lui non era riuscito a trovare il sonno tanto agognato da Lily, né le risposte che cercavano entrambi.

Sebbene Lily non avesse fatto il minimo rumore né per le scale né addentrandosi in Sala Comune, al suo apparire Jake si voltò, come se lei l'avesse chiamato. 

Era curioso come riuscissero sempre a percepire la presenza l'uno dell'altra.

Nel vederla, Jacob socchiuse leggermente la bocca, sorpreso, guardandola con calore. “Ciao,” mormorò semplicemente, in un sussurro perfettamente udibile anche dall'altra parte della sala.

Lily gli sorrise lievemente e attraversò con calma la distanza che li separava.

Salì sul divano al suo fianco, le gambe raccolte sotto il proprio corpo, e gli sorrise, prima di prendere il suo volto fra le mani e baciarlo a lungo. Come sempre, la bocca di Jake sapeva di menta, con un sentore lontano di fumo. Probabilmente, aveva masticato foglie di menta piperita fino a poco prima, immerso nei suoi pensieri mentre fissava il fuoco.

Jake ricambiò il suo bacio con il consueto entusiasmo, unito a una strana calma. Quando si separarono, Lily gli si raggomitolò addosso.

“Anche tu non riesci a dormire,” constatò in un sussurro.

Jacob sospirò e la strinse più forte. “Troppi pensieri,” mormorò. “Quando credi che tuo fratello ricomincerà a rivolgerci la parola?”

Lily notò come facesse attenzione a non pronunciare il nome di Albus. Percepì chiaramente la tristezza nel tono di Jake, chiaramente dispiaciuto della brusca interruzione del rapporto con uno dei suoi migliori amici. Lei stessa si sentiva ferita per la reazione di Al, specie perché – anche se non l'avrebbe mai ammesso – una parte di lei sapeva perfettamente che il fratello non aveva tutti i torti. Dopotutto, da parte loro era stato decisamente scorretto tenere nascosta la loro relazione.

Oltre che scorretto, pure stupido.

Ha creato più problemi a noi che a chiunque altro, a dire il vero.

Per fortuna, adesso era acqua passata. Jacob era lì, e qualunque cosa fosse in procinto di accadere l'avrebbero affrontata insieme.

Nel bene e nel male.

“Non lo so.” Emise uno sbuffo spezzato. “Aspettiamo che gli sbollisca e poi parliamo con lui. D'accordo?”

Stava semplicemente riecheggiando quello che negli ultimi giorni avevano entrambi ripetuto molte volte, come per autoconvincersi. Ma Lily non era mai stata brava a dirsi bugie, ed evidentemente anche Jake lo trovava difficile, in quella situazione.

“Tutto si risolverà,” volle cercare di rassicurarlo. Solo che non sapeva bene a cosa si stesse riferendo, sebbene le parole fossero le sue – se ad Albus o a tutto il resto; non sapeva neanche se lei stessa ci credeva fino in fondo o meno.

L'espressione di Jake mutò leggermente, come se avesse apprezzato il tentativo. La circondò con le braccia, tenendola stretta a sé, mentre Lily incuneava la testa nell'incavo fra il collo e la spalla di lui, osservando il fuoco.

Percepì il contatto delle labbra di Jacob premute sui propri capelli e si ritrovò a sorridere. Dunque sollevò la testa e le loro bocche si incontrarono. 

Con calma, lasciò che il bacio diventasse più profondo, nel silenzio della Sala Comune. Jake affondò le mani nei suoi capelli, ricambiando con trasporto, per poi lasciarle scivolare sulle spalle, giocando col colletto del maglione. Si chinò per baciarla sul collo, mentre Lily sollevava il mento per lasciargli spazio e socchiudeva gli occhi, godendosi alcuni lenti brividi lungo la spina dorsale. 

Sollevò di nuovo la testa di Jake, circondandogli il collo con le braccia e tenendolo stretto a sé, mentre il ragazzo prendeva ad accarezzarle lentamente la gamba. Risalì lungo il fianco, facendo scivolare la mano sotto il pullover e la maglietta del pigiama.

D'un tratto, chissà come, si ritrovarono sdraiati sul divano. I capelli di Lily piovevano come una cortina intorno alle loro teste. Si sollevò leggermente, rimandendo in sospeso sopra di lui. Jake  la guardava con gli occhi leggermente sgranati e le labbra socchiuse, il capo abbandonato sui cuscini del divano. Poi sollevò di scatto la testa, raggiungendo di nuovo le sue labbra mentre l'afferrava per la nuca, coinvolgendola nell'ennesimo bacio. 

Le mani di Jake scesero di nuovo, muovendosi per la schiena e afferrando i bordi del maglione.  Lo sfilò assieme alla maglietta, mentre Lily sollevava le braccia per assecondarlo, e allora la situazione si ribaltò. 

Lily si ritrovò a propria volta con la schiena contro il divano; Jake faceva scorrere le labbra su ogni centimetro libero della sua pelle chiara e leggermente lentigginosa, armeggiando con i gancetti del reggiseno. Inarcò la schiena per facilitargli il compito, mentre a propria volta gli sfilava la maglietta. 

Il bagliore delle ultime fiamme superstiti sfiorò le loro sagome abbracciate ancora per un bel pezzo.

 

 

 

 

Lily si svegliò come immersa in un piacevole senso di benessere. 

Sulle prime, si chiese cosa fosse quel piacevole tepore, poi riconobbe la sensazione di un corpo  che respirava contro il suo, ancora profondamente addormentato. Si sciolse dalle braccia di Jake solo di poco, quel tanto che bastava per voltarsi verso di lui. Si ritrovo a sorridere fra sé nel vederlo dormire sereno, il volto disteso e rilassato. 

Doveva essere ancora presto, visto che la Sala Comune era ancora deserta – per fortuna; non sarebbe stato esattamente il massimo farsi beccare in flagrante in questo modo, specie perché la maglietta di Jake ce l'aveva addosso lei. Il reggiseno di Lily era appeso allo schienale del divano e il suo maglione giaceva in un mucchietto informe al suolo assieme alla maglia del pigiama.

Qualcuno aveva riattizzato il fuoco del caminetto, probabilmente un elfo domestico. Si ritrovò a ridacchiare mentre nella sua testa si formava l'immagine mentale dell'espressione dell'elfo, alla vista di loro due che dormivano abbracciati – con Jake mezzo nudo e il reggiseno appeso al divano. 

I sussulti della sua risata svegliarono Jake, che aprì gli occhi lentamente. Lily gli sorrise, scostandogli con le dita una ciocca di capelli scuri dalla fronte.

Il suo ragazzo sbattè un paio di volte le palpebre, lo sguardo assonnato, prima di schiudere le labbra in un sorriso pigro. “Che c'è di tanto divertente?” mormorò, la voce impastata di sonno.

Lei scosse la testa. “Qualcuno ha riacceso il fuoco.”

Jake capì al volo. “Un elfo domestico? Sarà rimasto scandalizzato.”

“Probabile...” mormorò, chinandosi verso di lui e sollevandogli la testa.

Le loro labbra si incontrarono di nuovo. Per qualche minuto, rimasero a baciarsi, stringendosi l'uno all'altra. Lily chiuse gli occhi, sorridendo contro la bocca di Jake. Chissà perché, quella mattina le riusciva sorprendentemente facile sorridere.

 

“... Non male come performance, ma è ora di sgombrare.”

 

Al suono di quella voce, melodiosa quanto sgradita, specie in un momento come quello, Lily fece un salto. Letteralmente.

Lei e Jake si scostarono bruscamente l'uno dall'altra, voltandosi entrambi di scatto verso la scala che portava alla Sala Comune dai dormitori femminili.

“Ch-Christine?” esalò Jacob in un filo di voce.

Lily, dal canto suo, era troppo stupefatta e irritata per riuscire a formulare una frase di senso compiuto. La sagoma slanciata di Christine De Bourgh attraversò la Sala poco illuminata, con i riccioli bruni che ondeggiavano sulle spalle a ritmo con i passi delle sue lunghe gambe fasciate in jeans attillati. Sulle sue labbra aleggiava il solito, irritante sorrisetto.

Sempre nei momenti meno opportuni.

“Buongiorno,” si rivolse loro in tono ilare, mentre socchiudeva le labbra in un sogghigno gongolante. “Fareste meglio a darvi una mossa, sta arrivando tua cugina.” Accennò con una mossa della testa alla strada da cui lei stessa era provenuta.

Percepì un lieve rossore traboccarle sulle guance, e dire che di solito non arrossiva mai.

Per smorzare l'imbarazzo, si alzò in piedi, rivolgendosi a Christine mentre sollevava da terra il mucchietto di vestiti e recuperava il reggiseno dallo schienale del divano, coprendo il pizzo blu elettrico con una manica del maglione. “Che ore sono?”

Christine roteò gli occhi e gettò un'occhiata all'orologio che portava allacciato al polso sottile. “Le otto e mezza.” Scrollò le spalle. “Per vostra fortuna, dormono ancora quasi tutti. Anche se ormai è difficile trovare qualcuno che non sappia di voi due.”

Era solo un'impressione di Lily oppure sul volto dell'altra si era dipinta un'espressione compiaciuta? 

E poi, come fa a sapere in tempo reale chi dorma e chi non dorma?

... Sembra che abbia informatori ovunque. Il che è sorprendente, visto che tutti la odiano.

Fra Christine e Jake passò uno sguardo indecifrabile, dopo il quale lei ridacchiò e lui alzò gli occhi al cielo. Seccata, Lily passò gli occhi dall'uno all'altra, decisa a indagare in seguito con il suo ragazzo sul significato di quell'occhiata.

Udì il suono di passi in fondo alle scale, ed evidentemente doveva averlo udito anche Jake, perché le lanciò un'occhiata allarmata e si chinò rapidamente su di lei per un ultimo bacio, prima di defilarsi per i dormitori maschili. 

Lily rimase lì, in pantofole, con la maglietta di Jacob sopra i pantaloni del pigiama e il mucchietto di vestiti fra le mani. Christine, di fronte a lei, aveva un aspetto impeccabile, con i capelli sciolti sulle spalle e gli occhi scuri in cui albergava un bagliore dalla sfumatura decisamente divertita.

... È venuta ad avvertirci, realizzò. In qualche modo, sapeva che eravamo qui.

“Dovresti ringraziarmi, piccola Lily.” Anche parlando in fretta e sommessamente, Christine sembrava accarezzare ogni parola con le labbra e la voce. 

“Per averci avvertiti?” ribatté lei sullo stesso tono, scettica e decisa a non ringraziarla proprio per un bel niente.

Christine sorrise. “Non esattamente.” Replicò, sibillina, dando alle proprie parole un'intonazione misteriosa, enigmatica.

Lily roteò gli occhi. “Ti prendi troppo sul serio, De Bourgh. Te l'hanno mai detto?”

L'altra si limitò a lanciarle l'ennesimo ghigno, sollevando gli occhi al cielo ed emettendo uno sbuffo divertito.

Il suono di passi si fece più vicino: presto sulla soglia della Sala si delinearono le sagome di Gwyneth Parkinson e di Rose. Quest'ultima nel vedere Lily parve leggermente perplessa – inarcò le sopracciglia, sbattendo un paio di volte le palpebre; poi il suo sguardo scorse sulla maglietta da lei indossata, decisamente di qualche taglia in più, e pure sul mucchietto di vestiti che stringeva fra le braccia, da cui faceva capolino una bretellina del reggiseno di pizzo blu. D'altronde, la situazione non era poi così difficile da interpretare. A quella vista, gli occhi di Rose si strinsero. 

Ah, già. Lei disapprova.

Ma perché nessuno dei miei familiari sembra disposto a farsi i fatti propri?!

“Buongiorno, Rosie,” cinguettò alla volta della cugina. Nonostante il tono, il messaggio di sfida trasparì chiaramente. 

Rose ebbe il buongusto di non fare commenti, fortunatamente: Lily aveva già subito abbastanza esperienze fastidiose per essere sveglia a malapena da cinque minuti.

Rimasero a fissarsi per qualche secondo, a diversi metri di distanza. Lily sostenne il suo sguardo, sollevando il mento.

No, Rosie. Non sarò io a mollare per prima. 

... Capisco Al, ma l'atteggiamento di Rose è completamente immotivato.

Negli ultimi giorni, sua cugina sembrava volersi staccare da tutto e tutti. Vederla scendere a colazione con le compagne di stanza era divenuta un'esperienza sconvolgente, visto che Rose stava evitando ogni contatto umano come la peste. Non faceva altro che starsene lunghe ore in biblioteca, o comunque la si vedeva sempre con un libro in mano e la borsa carica. Si stava preparando per affrontare la Seconda Prova – così diceva a chiunque domandasse spiegazioni. Il che, almeno secondo Lily, non era poi così inopinabile.

Nonostante ciò, era convinta che il cambio di atteggiamento di Rose avesse parecchio a che fare con quello di Scorpius, che da quando era uscito dall'Infermieria appariva perennemente cupo e scorbutico, spesso parecchio più nervoso e aggressivo del normale. 

Aveva quasi fatto a pugni con uno del Sesto perché questi gli aveva inavvertitamente fatto cadere del succo di zucca addosso, durante la colazione di pochi giorni prima. O perlomeno, Lily credeva che fosse sul punto di fare a pugni, perché i suoi occhi avevano proiettato uno sguardo talmente furioso da spingere il tipo a dileguarsi più in fretta che poteva.

Molto Serpeverde, in effetti.

... Mentre Scorpius è molto poco Serpeverde, ultimamente.

Non c'era da sorprendersi che passasse moltissimo tempo con Al, visto che i due facevano mostra dello stesso identico umore.

Decisamente: qualcosa le suggeriva che il Ballo non fosse andato granché bene per la Campionessa di Hogwarts e il suo cavaliere.

E dire che prima vivevano praticamente in simbiosi... Chissà cosa è successo!

“Che ci fai qui, Lily?”

Si riscosse. Decise dunque di rispondere con una mezza verità. “Non riuscivo a dormire, ieri sera,” confessò. “Ho pensato di farmi un giro e ho finito per addormentarmi davanti al camino.”

“Certo.” La voce di Christine risuonò pigra e carezzevole dietro di lei. “Con il sonnifero giusto...”

Lily avrebbe voluto maledirla. O strozzarla, in alternativa, visto che la sua bacchetta era rimasta in dormitorio.

La ignorò. “Semmai dopo vi raggiungo,” buttò lì, prima di dileguarsi.

 

 

 

 

****

 

29 dicembre 2021

Hogwarts, Scozia

Pomeriggio

 

 

Gli spalti del campo di Quidditch si disegnavano contro il cielo brumoso e compatto. Le nubi gonfie e biancastre sembravano pronte a esplodere in una bufera di neve da un momento all'altro. In tutto quel grigiore, spiccavano le sagome scarlatte della squadra di Grifondoro, che saettavano da una parte all'altra come frecce. 

“Non capisco perché siamo dovuti venire fino qui solo per parlare.”

Hugo non trattenne una smorfia esasperata nel girarsi in direzione della cugina. 

Lucy, seduta accanto a lui sugli spalti, era rivolta verso di lui, con i capelli castani scompigliati dal vento e metà del volto sprofondato fra le pieghe della sciarpa rosso-oro. Lì dove si trovavano loro, soffiava forte. Gli ululati del vento si infrangevano contro le loro orecchie.

Stancamente, Hugo di dispose a dare le sue spiegazioni.

E dire che neanche le avrei ritenute necessarie.

“Perché è più sicuro. Così non corriamo il rischio che qualcuno ascolti la nostra conversazione.

Le sopracciglia di Lucy si inarcarono. “Ma fa un freddo cane.”

Era vero: sotto al mantello invernale, anche le spalle di Hugo erano scosse dai brividi.

“Lamentati con l'autorità, lassù,” borbottò di rimando, accennando al cielo. 

Lucy seguì il suo sguardo. Quando ebbe abbassato gli occhi, sembrava scettica. “Sei consapevole di essere terribilmente paranoico, vero?”

“Consapevolissimo,” mugugnò fra i denti. “Come vanno le tue osservazioni?”

La cugina spostò con la mano guantata i propri capelli, che il vento le sospingeva continuamente in faccia. “Boot è tornato in biblioteca ieri per restituire il libro.”

Hugo emise uno sbuffo spezzato. “Altri dati degni di nota?”

Lucy sbattè un paio di volte le palpebre, come se ci stesse pensando su. “Non aveva un'espressione particolarmente allegra,” rilevò, concentrata. “Era distratto. Particolarmente immerso nei suoi pensieri.”

Hugo aggrottò le sopracciglia. “Nient'altro?”

“Non mi pare...” L'espressione di Lucy era contratta, come se stesse cercando di ricordare. “Ah, sì!” Sorrise. “Ha borbottato qualcosa, mentre andava mia. Mi sembra, anche se non ne sono sicura, che abbia nominato Christine De Bourgh.”

“Christine De Bourgh?” ripeté Hugo, sorpreso.

Lucy annuì. “Proprio lei. Mi sembra che siano andati al Ballo insieme, però, quindi magari non c'entra niente.”

Hugo tornò a rivolgere lo sguardo sul campo di Quidditch. Le sue orecchie furono raggiunte dall'eco lontana di un urlaccio di Albus.

La questione di Lily e Greengrass proprio non gli è andata giù. È a dir poco intrattabile...

Lucy lo stava osservando, in attesa di un responso.

Dopo alcuni istanti ancora, lui si risolse a parlare. “Non bisogna escludere niente.”

E poi, Christine De Bourgh non è un personaggio da sottovalutare.

... Forse abbiamo sbagliato a considerare fra i papabili di sospetto solo i Corvonero.

Chiuse gli occhi. La situazione diventava sempre più intricata: ogni qual volta che compiva un passo in avanti, si rendeva conto di averne fatti due indietro. 

Perché deve essere tutto così complicato?

“Hugo?”

Si riscosse. “Sì, Lucy?” 

La cugina lo guardava da sotto le sopracciglia aggrottate con occhi indagatori. “Nascondi qualcosa, vero? A tutti noi.”

Le sue orecchie furono come invase da un rumore sordo. Sentiva nitidamente il pulsare del proprio cuore contro i timpani – sorprendentemente calmo, fragoroso; la gola divenne improvvisamente secca.

Potresti dirglielo. Dovresti dirglielo.

Mise su l'espressione più indifferente del suo repertorio. “Nascondere qualcosa? E perché dovrei?”

Gli occhi chiari e penetranti di Lucy – così limpidi e innocenti – non si smossero di una virgola. “Se non lo sai tu.”

Fu Hugo ad abbassare lo sguardo per primo. “Ti sbagli,” mormorò, ostinato.

Lucy sospirò, con l'aria di non essersela affatto bevuta. “Come vuoi. Se mai volessi parlare di qualcosa, insomma...” Si guardò le ginocchia, deglutendo. “Se avessi bisogno di confidarti con qualcuno, sono qui.”

“Non ho bisogno di una Psicomaga.” Borbottò Hugo, burbero, mentre al centro del suo petto si diffondeva suo malgrado un senso di tiepido calore. 

Si grattò la testa: improvvisamente, vedeva le cose con più lucidità, e capì qualcosa che gli era sfuggito. “Lucy,” esalò. “La chiave è scoprire chi sia Gossip Witch. Chi ha spezzato il Proteus doveva essere pronto a uccidere... Sicuramente anche lei si sarà messa sulle sue tracce. E probabilmente le sue informazioni saranno migliori delle nostre.”

La cugina annuì lentamente, guardandolo con serietà.

“Solo...” Hugo proseguì il suo monologo. “Come scoprirlo?”

Al che, Lucy fece qualcosa che lui non si sarebbe mai aspettato. A quelle parole, lo guardò furbescamente, per poi incurvare le labbra in un sorrisetto trionfante che Hugo avrebbe visto meglio indosso a Lily. “Nel dubbio, domanda ai quadri,” citò a mezza bocca, in tono proverbiale.

Se fosse stato etero e Lucy non fosse stata sua cugina, in quel momento Hugo l'avrebbe baciata.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

Finalmente ce l'ho fatta! Non mi sembra vero, ragazzi.

Come avrete notato, questo capitolo è più che altro di passaggio. Sebbene io abbia cercato di inserirvi qualche “evento” per non rendere il tutto troppo noioso, questa puntata serviva più che altro a chiarire e sottolineare alcuni snodi narrativi, in parte chiarendoli e in parte aprendo le strade a nuove soluzioni, nuove “facce” del mistero.

Spero che l'effetto finale non sia di noia eclatante! 

Mi dispiace di non essere riuscita a inserire il povero Albus neanche in questo capitolo, ma purtroppo non potevo propinarvi un malloppo di venti pagine (insomma, credo che una quindicina siano più che abbastanza!). Vi prometto, però, che nei prossimi capitoli verrà lasciato un po' più di spazio a personaggi che in questi ultimi due capitoli ho un po' trascurato, ossia Albus, Rose e in parte anche Bernie, sebbene lui sia stato nominato spesso (ho voluto far comparire di striscio pure Al in questo capitolo per farvi capire che non l'ho dimenticato!).

Beh, credo di aver detto tutto!

Spero che un po' di cose si siano chiarite ;) Ma adesso voglio le vostre teorie!

Bacioni, spero che il feedback risalga un po'! 

Daphnis (ho cambiato nickname, avete notato?)

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 - Days of dust ***







If you close your eyes, you see darkness. But if you keep them closed

for long enough, and concentrate hard, you'll see the light.

Effy, Skins

 

 

These days of dust

Wich we've known

Will blow away with this new sun.

Mumford & Sons

 

 

 

 

 

 

29 dicembre 2021

Hogwarts, Scozia

Pomeriggio

 

 

 

Nello spogliatoio di Quidditch faceva un freddo cane. L'aria gelida sembrava sorprendentemente compatta: aggrediva letteralmente ogni centimetro di pelle libera dai vestiti, increspando il collo e le spalle di Albus, scosse dai brividi. Più in fretta che poteva, il ragazzo infilò la divisa scarlatta dalla testa, cercando riparo dai morsi del gelo. Non che la stoffa sottile costituisse chissà che protezione, ma era meglio di niente.

Ammorbidì le labbra che aveva stretto in una smorfia fino a quel momento, rilasciando tra di esse uno sbuffo infastidito. Con le dita insicure a causa del freddo, regolò e strinse i lacci che chiudevano il collo della tunica, per poi dedicarsi alle protezioni in pelle sulle braccia e chinarsi ad allacciare le ginocchiere. 

Con un improvviso – ma neanche troppo inaspettato – moto di malumore, pensò che una volta fuori dagli spogliatoi avrebbe patito ancora di più il freddo, travolto dalle raffiche di vento nel librarsi a metri e metri di distanza dal suolo. Dopo alcuni istanti di riflessione, decise che avrebbe fatto meglio a indossare i guanti, a meno che non avesse desiderato che le sue dita si congelassero.

Li indossò e fletté le dita, prima di gettare uno sguardo al resto della squadra.

Era proprio una fortuna che – in virtù del Ballo del Ceppo – praticamente tutti gli studenti avessero deciso di restare a Hogwarts per le feste: perlomeno, non era costretto ad allenare una squadra dimezzata. Tuttavia, non riusciva a rallegrarsene del tutto.

Forse avrebbero fatto meglio a tornarsene a casa, pensò con un moto di stizza e senza un briciolo di senso di colpa. Era palese che l'umore del resto della squadra non fosse migliore del suo: non facevano altro che gettare al vuoto lunghe occhiate rancorose, alla prospettiva del freddo che sarebbero stati costretti a patire per le successive due ore. Albus si sentiva irritato dal loro atteggiamento: non avevano fatto altro che lamentare il suo scarso impegno nel Quidditch nei mesi precedenti, e adesso protestavano per le basse temperature. Come se fosse stata colpa sua! Gli sembrava un atteggiamento completamente incoerente.

… Io avrei fatto meglio di sicuro, a restarmene a casa. 

Il Ballo del Ceppo non era decisamente stato all'altezza delle sue aspettative. Anzi. Come aveva riassunto Scorpius con parole estremamente mirate, quella di Albus era stata una serata orribile. Che poi neanche sembrava andar tanto male, all'inizio: Quinn si era rivelata una compagnia piacevole per buona parte della serata, prima che la situazione precipitasse nel giro di pochi minuti.

E tutto per una risata. Decisamente, la causa scatenante era stata quella. Non era riuscito ad afferrare il reale significato delle parole di Quinn, prima di scoppiare a ridere. Perché se l'avesse capito prima, di sicuro non avrebbe riso. Come se non bastasse, quando aveva raccontato a Scorpius quello che era successo l'amico non era stato comprensivo come avrebbe voluto. O meglio, era stato il primo a metterlo realmente di fronte alla figuraccia che aveva fatto, e questo aveva fatto sentire Al ancora più idiota.

 

Scorpius l'aveva ascoltato fino in fondo, lo sguardo melanconico e l'espressione abbattuta di chi aveva appena vissuto una conclusione di serata persino peggiore della sua. Quando Albus aveva finito di parlare, si era aspettato che l'amico gli desse una pacca delle spalle o qualcosa del genere, per poi concludere con una frase del tipo 'Dai, non è successo niente, alla fine. Lasciala sbollire e poi le passerà.'

Tuttavia, Scorpius non aveva detto niente di simile. Si era limitato a stringere le labbra e lanciargli uno sguardo quasi compassionevole, prima di commentare: “In effetti, l'hai fatta grossa.”

 

Grossa. Una grossa figura di merda.

Avrebbe dovuto scusarsi con Quinn, probabilmente. Una parte di lui gli suggeriva che sarebbe stata la cosa giusta da fare. 

Tuttavia, almeno fino a quel momento, qualcosa l'aveva spinto a esitare. Un paio di volte si era trovato sul punto di rivolgerle la parola e cercare di produrre qualcosa di intelligente da dirle per farsi perdonare, ma poi per qualche motivo aveva desistito dal suo proposito, prima ancora di cominciare a metterlo in atto. Come se qualcosa lo tenesse bloccato.

Di sicuro la dichiarazione di Quinn l'aveva lasciato spiazzato. Sì, probabilmente era quello: non sapeva proprio come prenderla, cosa dirle, cosa fare. Avrebbe dovuto dirle che gli dispiaceva, forse. Che quella risata era stata dovuta semplicemente al fatto che era stato troppo stupido e lento di comprendonio per intuire il concetto prima che Quinn glielo buttasse in faccia. 

Letteralmente.

Ad ogni modo, si sentiva frenato. In parte era dovuto all'atteggiamento di Quinn, che dal Ballo aveva eretto fra di loro quello che James avrebbe realisticamente definito un muro di cortesia. Aveva messo su nei suoi confronti un atteggiamento di ineccepibile – ma gelida – buona educazione. Cortese ma scostante. Ghiacciata.

 

E neanche ha tutti i torti.”

 

La voce nella sua testa somigliava fin troppo a quella di Lily per riuscire a sopportarla, in quel momento. Ma non voleva pensare alla sorella. Non dopo quello che aveva scoperto su di lei e Jake... quel senso di tradimento bruciava ancora fresco, da qualche parte fra il petto e lo stomaco.

Non riesco ancora a crederci.

… O forse ci credo fin troppo.

Si fidava di Jake. Si era sempre fidato di Jake più di quanto non si fidasse di se stesso: più di Scorpius, più di Bernie, più di chiunque altro dei suoi amici. Aveva sempre saputo – o forse si era sempre ingannato, chissà – che il suo atteggiamento dissoluto e spesso licenzioso era solo una posa che gli piaceva assumere, che nel profondo era serio ed estremamente affidabile. Nonostante il suo spirito di protezione nei confronti di Lily, aveva sempre pensato che la sorellina fosse al sicuro, con lui. Si sentiva tranquillo se sapeva che c'era Jake accanto a lei, pronto a ergersi in sua difesa in qualunque circostanza. Probabilmente, se Lily fosse stata a conoscenza di questo suo pensiero avrebbe ribattuto di essere perfettamente in grado di badare a se stessa.

L'idea di essersi fatto ingannare in quel modo lo faceva fremere di rabbia anche a giorni dalla sua scoperta. Adesso molti pezzi del puzzle tornavano al loro posto, molti episodi gli apparivano più chiari. In quei giorni aveva ripensato e ripensato ai mesi appena trascorsi, chiedendosi come avesse fatto a essere così ingenuo, quando adesso riusciva a trovare una spiegazione perfettamente logica a infiniti dettagli che aveva trascurato. Come la sua discussione con la sorella durante il loro ultimo viaggio sull'Espresso, il primo giorno delle vacanze natalizie. Ora ogni cosa tornava, ogni elemento sembrava limpido e inequivocabile: l'aria piccata di Lily e l'imbarazzo di Jake, quando Albus aveva espresso la propria disapprovazione nei confronti del cavaliere con cui lei sarebbe andata al ballo. 

Di momenti simili, poteva richiamarne alla mente un'infinità.

Più di ogni cosa, aveva riflettuto a posteriori, era stato ferito dal modo in cui i due avevano tenuto nascosta la propria relazione. Dal poco che Al aveva capito, o voluto capire, la cosa andava avanti da parecchio. Erano riusciti a mantenere il segreto a meraviglia, non c'era che dire.

Da bravi Serpeverde.

 

Dirtelo prima, Albus?” La voce del traditore risuonò nella sua mente. “E come avresti reagito?”

 

Ancora una volta, si sentì pervaso da un moto di rabbia acuta. Ultimamente, aveva continuamente voglia di scagliare qualcosa contro il muro, come se il nervosismo che provava stesse poco alla volta diventando padrone di lui. Evidentemente, il gene Potter aveva trovato un pessimo connubio con l'eredità Weasley, per quanto riguardava gli scatti d'ira. 

Quasi dando voce ai suoi pensieri, si udì uno schianto. La stampella appendiabiti fra le sue mani, sulla quale stava sistemando il mantello, era stata attraversata da una lunga incrinatura, causata da uno scoppio di magia involontaria.

Chris McGregory, che si stava infilando i guanti da portiere dal lato opposto della stanza, gli scoccò un'occhiata preoccupata da sotto le sopracciglia aggrottate. Probabilmente aveva capito la causa della sua irritazione – ma chi non l'aveva fatto? Lily e Jake ormai erano usciti allo scoperto con un certo entusiasmo – i traditori – e non c'era nessuno in tutta la scuola che non fosse al corrente della loro relazione.

Lo irritava profondamente la consapevolezza di essere così facilmente interpretabile.

Fece finta di niente, mentre aggiustava la stampella sfiorandola con la punta della bacchetta magica e sussurrando un sommesso: “Reparo.”

Controllò di nuovo che le ginocchiere fossero ben allacciate, poi si guardò intorno nello spogliatoio. Il resto della squadra, sebbene fosse palesemente di cattivo umore, sembrava pronto a scendere in campo per l'allenamento. McGregory stava fissando i propri guanti e il resto della squadra chiacchierava tiepidamente, nonostante le espressioni funeree di ciascuno di loro.

Si fece sfuggire un lieve respiro frammentato, prima di azzardarsi a lanciare una cauta occhiata in direzione di Quinn. 

La ragazza era impassibile. I capelli castani erano raccolti in una coda in cima alla testa, scoprendo il viso ovale, dall'espressione imperscrutabile. Per qualche frazione di secondo si sforzò di capire cosa stesse pensando, ma proprio non ci riuscì.

Realizzare che Quinn era una ragazza in quel senso era stato strano. Insomma: non avrebbe mai potuto dire che fosse brutta – non adesso che la guardava meglio, perlomeno – ma chissà per quale motivo era sempre stato fermamente convinto che nella sua testa non vi fosse posto per altro che non fosse il Quidditch. 

Forse è proprio questa l'impressione che voleva dare.

Lo sguardo di Quinn, che fino a poco prima era stato scrupolosamente fisso sul pavimento di legno sotto i suoi piedi, si sollevò di scatto, incontrando il suo. Per un momento solo, la fermezza nei suoi occhi traballò. Durò pochissimo, tant'è che Albus pensò di esserselo immaginato: subito dopo, lo sguardo della ragazza tornò a trafiggerlo come una spada.

Totalmente impietosa. 

Cominciava a sentirsi irritato. Era seccante trovarsi di fronte un muro d'acciaio, qualsiasi cosa cercasse di fare. Come se già in partenza gli fosse stata preclusa ogni possibilità di rimediare.

Deglutì, abbassando lo sguardo. Improvvisamente, il carico di nervosismo si era convertito in un peso sfiancante che gli gravava sulle spalle. Non sapeva proprio cosa fare e non vedeva neanche una via d'uscita da quella scomoda, snervante situazione.

C'è una singola cosa della mia vita che sia disposta ad andare come dovrebbe?

Si morsicò forte l'interno della guancia, cercando di darsi una svegliata.
“Forza, squadra.” Si rivolse agli altri in tono risoluto, deciso a costringerli a darsi una mossa. “È ora di cominciare e non accetto scuse.”

Con borbottii e proteste sommesse, scope in spalla, la squadra si avviò verso il campo da Quidditch, levandosi in volo contro le raffiche di vento gelido, così forti da far sbandare la traiettoria dei loro manici di scopa. 

Tutto sommato, l'allenamento non andò poi così male. Certo, Albus dovette alzare la voce più volte in qualche urlaccio – anche perché tutto quel vento rendeva difficile lo svolgersi della prova; tuttavia, due ore più tardi, dovette riconoscere che avevano volato bene.

Più gli altri membri della squadra rispetto a lui, a dire il vero: aveva impiegato parecchio più tempo del solito per individuare il Boccino. Quando finalmente era riuscito a chiudere le dita attorno alla fredda pallina dorata, il campo era quasi buio e le nubi biancastre sopra le loro teste si facevano sempre più fitte.

“Nevicata in arrivo,” rilevò Johnatan Hasting mentre atterravano sull'ovale di erba ghiacciata. “Per fortuna abbiamo finito prima che cominciasse.”

Albus annuì stancamente, cercando di nascondere una smorfia esasperata. Contrariamente al solito, volare non era stato sufficiente per distendere i suoi nervi, sebbene una pausa di un paio d'ore da tutti i suoi pensieri avesse fatto sbollire almeno un po' tutta la rabbia e la frustrazione che provava. Perlomeno, non avrebbe rischiato altri pericolosi scoppi di magia involontaria.

Erano in procinto di entrare negli spogliatoi quando i loro occhi colsero l'avvicinarsi di due figure in lontananza: i mantelli erano gonfiati e agitati dall'aria gelida, che sferzava le loro sciarpe sullo sfondo del cielo coperto. 

“Chi sono?” domandò Chris McGregory in un borbottio.

Albus socchiuse gli occhi, cercando di distinguere meglio i due individui in avvicinamento.

Forse ha ragione papà. Forse dovrei cominciare a portare gli occhiali.

“Spie Corvonero!” mugugnò Hasting di rimando.

Non erano spie Corvonero, sebbene uno dei due appartenesse proprio a quella casa, a giudicare dai colori della sciarpa che si agitava al vento. La ragazza accanto a lui, tuttavia – quella con i capelli castani che le raffiche sollevavano come una corona attorno alla sua testa – indossava una sciarpa di Grifondoro. In una frazione di secondo, Albus riconobbe la sagoma allampanata di Hugo e quella più piccola e morbida di Lucy. 

Realizzò che c'era qualcosa di strano. Non era normale che quei due scendessero al campo di Quidditch, perlopiù con un tempo simile, a meno che non avessero uno scopo preciso. E stavano procedendo dritto verso di lui.

“Sono il capitano, ci penso io.” 

Scrollò le spalle. Il suo sguardo scivolò su Quinn, che si era fermata accanto all'ingresso degli spogliatoi, la mazza da Battitore in spalla. I suoi capelli ricci – che prima erano stati raccolti in una coda ordinata – piovevano in ciocche confuse sulle spalle e attorno al volto arrossato dal freddo. Per qualche istante si chiese che cosa stesse aspettando a entrare, poi capì: la sua espressione era immobile e quasi marziale, come se stesse aspettando un ordine. Solo in quel momento, ricordò che Quinn era il suo Vicecapitano.

“Vai pure, Quinn,” si schiarì la voce. “Sono solo i miei cugini.”

La ragazza si limitò ad annuire, rigida, prima di scoparire oltre l'entrata degli spogliatoi. Albus si ritrovò a osservare lo spazio che aveva occupato fino a pochi istanti prima, adesso vuoto, chiedendosi se non avesse perso l'ennesima occasione per scusarsi con lei.

Ad ogni modo, il senso di perdita lo stava aggredendo dall'interno, frammisto al sapore amaro della colpevolezza. Di nuovo, il peso di prima tornò a gravare sulle sue spalle. Chiuse gli occhi con forza e li riaprì dopo alcuni istanti, cercando di schiarire la mente. Quindi emise un sospiro profondo e attraversò i pochi metri che ancora lo separavano dai due cugini. 

Lucy sembrava tranquilla, come al solito. Aveva questa particolarità di riuscire a sembrare sempre tranquilla, sempre timida, sempre dimessa; in ogni circostanza. Spesso Albus si era trovato a riflettere che questo la rendeva persino più impenetrabile di Rose, in alcune occasioni. Ad ogni modo, nonostante i capelli agitati dal vento che la facevano apparire una selvaggia, aveva un'aria piuttosto rilassata e – forse se lo stava immaginando? – compiaciuta. 

Hugo, dal canto suo, era decisamente compiaciuto. I suoi occhi avevano quello sguardo esaltato e un po' folle, che prendevano quando era convinto di aver trovato una soluzione brillante per qualche problema. Persino le sue labbra erano incurvate in un sorrisetto soddisfatto.

Improvvisamente, realizzò che c'era un solo motivo per cui Hugo potesse avere intenzione di parlargli, anche se non riusciva a spiegarsi la presenza di Lucy. Un solo motivo per cui la sua espressione potesse apparire tanto trepidante e soddisfatta al tempo stesso.

Ha scoperto qualcosa riguardo al Proteus.

… O perlomeno, ha un'idea su come scoprire qualcosa riguardo al Proteus.

“Allora?” si rivolse al cugino immediatamente, deciso a evitare inutili introduzioni. “Che hai scoperto?”

“Non ho propriamente scoperto qualcosa.” Lo sguardo di Hugo si accese mentre sogghignava. “E comunque l'idea è stata di Lucy.” 

“In parte,” sottolineò la diretta interessata, corretta come al solito.

Albus strinse le labbra. “Venite al dunque. Non ho molto tempo.”

In realtà ne aveva parecchio, di tempo libero. Ma preferiva fingere con se stesso di essere particolarmente impegnato, per non rimuginare troppo sulle due questioni che lo facevano sentire al contempo perfettamente idiota e completamente furioso.

I due si scambiarono uno sguardo, come nel tentativo di stabilire chi dei due dovesse dare inizio al discorso. Alla fine, con grande sorpresa di Al, fu Lucy a esordire: “Hugo ha avuto un'idea. La chiave è scoprire chi è Gossip Witch: sicuramente anche lei si sarà messa alla ricerca di chi ha annullato il Proteus, no?”

Albus annuì lentamente riflettendo. “Beh, è vero,” ammise, aggrottando le sopracciglia. “Dopotutto, chiunque sia stato non avrebbe avuto scrupoli a far fuori qualcuno, specie se si considerano tutte le cose che sono accadute dopo.”

Nella sua mente, in rapida sequenza, si succedettero tutti gli attacchi avvenuti entro il perimetro di Hogwarts negli ultimi tempi.

Un po' troppi perché sia trascurabile. Diamine, hanno piazzato anche gli Auror!

“Ma avete almeno un punto di partenza?”

Si scambiarono un'altra occhiata, poi le labbra di Lucy si incurvarono nell'inequivocabile sorriso di chi è soddisfatto di una propria deduzione. “Beh, c'è qualcuno che potrebbe sapere qualcosa riguardo la sua identità. Qualcuno che ci ha già aiutati in passato.”

Per qualche momento, calò il silenzio, rotto solo dal mugghiare furioso del vento sopra le loro teste. 

“Chi?” domandò Albus, cercando di riflettere, mentre la sua voce veniva catturata dai fiotti d'aria gelida che gli sferzavano addosso la tenuta da Quidditch. 

Gli occhi della cugina scintillarono di entusiasmo. “Non è propriamente un essere umano.”

Per una frazione di secondo, la mente di Al rimase completamente in bianco. Poi davanti ai suoi occhi balenò l'immagine del quadro di una donna pallidissima, dai lunghi capelli rossi, con un baluginio inquietante negli occhi scurissimi e famelici.

“Lady Carmilla Sanguina,” mormorò. “Giusto?”

Il sorriso di Lucy divenne ancora più largo.

 

 

 

****

 

 

 

 

30 dicembre 2021

Biblioteca di Hogwarts, Scozia

Tarda mattinata

 

 

 

Expecto Patronum,” mormorò Rose. Dalla punta della sua bacchetta magica non scaturì altro che un'impalpabile nebbiolina grigiastra, che rimase sospesa di fronte a lei per alcuni istanti, prima di scolorire lentamente fino a disperdersi.

Seccata, posò la bacchetta sul tavolo di fronte a sé e si guardò intorno. Fra gli scaffali della biblioteca albergava un silenzio quieto e polveroso: era sola tra i libri. 

Poggiò entrambi i gomiti sul piano di legno, affondando il volto fra le mani; cercò di riflettere, di sgombrare la mente nel tentativo di trovare un ricordo più potente, più felice. Per l'ennesima volta, fallì. Più si sforzava, più dentro di sé percepuva solo un vuoto sordo, nel cui silenzio il battito del suo cuore rimbombava calmo e placido. 

Pensa, Rose, pensa. Dev'esserci qualcosa.

Risollevò il volto dalle mani, fissando lo sguardo sulla fiamma traballante della candela accesa che aveva di fronte. Soffiò piano tra le labbra: la fiammella si spense in un guizzo, lasciandosi dietro una sottile striscia di fumo che risaliva su verso il soffitto. Demoralizzata, Rose notò che quel fumo sembrava molto più corporeo del suo debole Patronus.

… Bisogna solo ricordarsi di accendere la luce.¹

Qualcosa dentro di lei si incrinò. Possibile che non riuscisse a trovare dentro di sé un ricordo abbastanza forte da generare uno straccio di Patronus decente? Era sempre stato un suo cruccio, quello del Patronus. Fra tutte le qualità che avrebbe potuto ereditare dalla sua brillantissima madre, proprio quell'unica pecca le era toccata. A quel che dicevano suo padre e gli zii, l'Incanto Patronus era l'unico incantesimo in cui Hermione Granger avesse mai trovato difficoltà.

Si lasciò sfuggire un sospiro frammentato fra le labbra, continuando a osservare la candela ormai spenta e il debole sentore di cera calda che continuava a emanare. Dalle alte finestre della biblioteca, la luce del suole scendeva a fiotti, disegnando i motivi della finestra sugli scaffali, sulle pareti, persino sulle sue dita che sorreggevano mollemente la bacchetta magica. Dopo la bufera di neve della sera precedente, le nubi si erano diradate, lasciando spazio a un cielo di un azzurro timido e quieto, che già sembrava presagire il futuro disgelo. Somigliava a qualcuno che, svegliatosi prima del suono della sveglia, dia una sbirciata fra le tende della finestra per vedere se si sia fatto giorno.

Improvvisamente, il suo campo visivo fu invaso da un braccio pallido che si sporgeva sopra la sua testa, verso la candela, infiammandola nuovamente con un accendino Babbano vecchio stile. 

Non ebbe bisogno di voltarsi per capire di chi si trattasse. Aveva riconosciuto il braccio e la mano sottile, così come l'accendino, d'altro canto. L'odore di cera calda si fece più forte. Rose rimase per qualche istante in silenzio, prima di posare lo sguardo su Lily. 

La cugina era in piedi di fronte a lei, i capelli rossi buttati su una spalla e il mento leggermente sollevato, quasi con sfida. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso strano, a metà fra la dolcezza e la presa in giro. 

Per qualche motivo, le ricordò immediatamente Christine.

“Ciao, Lily,” mormorò con un sospiro, lasciando rotolare la bacchetta sul tavolo mentre si rivolgeva all'altra. “Serve qualcosa?”

Sperava ardentemente che l'altra se ne andasse, ma non sembrava proprio che questo fosse nelle sue intenzioni. Lily fece forza con le braccia sul bordo del tavolo prima di sedercisi sopra e accavallare le gambe coperte da calze scure, che affondavano oltre il bordo dei bassi stivali neri. “Niente di particolare,” replicò scrollando le spalle. “Tu?” Senza attendere una risposta, si sporse verso di lei e posò la mano sul libro di Difesa aperto davanti ai suoi occhi, tirandoselo più vicino per capire di cosa parlasse. “Incanto Patronus?” Sbattè un paio di volte le palpebre, stupita. “Per la Seconda Prova, suppongo.”

Rose non disse nulla, limitandosi ad annuire. Chissà perché, le sembrava di avere le parole incastrate in gola.

Lily aggrottò le sopracciglia. “Non dirmi che vi faranno affrontare dei Dissennatori!”

“Certo che no.” Replicò Rose, rauca. Si stava disabituando a parlare, negli ultimi giorni. “Lethifold.”

La cugina fece una smorfia. “Bleah. L'idea mi ha sempre fatto senso.”

Rose fu colta dall'improvviso desiderio di sbattere la testa di Lily sulla libreria. “Non dirlo a me.” Affondò di nuovo il capo fra le mani: continuava a girarle la testa.

“E come procede con la preparazione?” domandò Lily, con il tono di chi già conosce la risposta. “Problemi con il Patronus?”

Aprì la bocca, pronta a dirle che andava tutto bene e desiderava solo essere lasciata in pace. Ma le parole che le sfuggirono tra le labbra furono ben diverse. “Sì,” mormorò. “Non riesco a produrre uno straccio di Patronus  decente.”

Lily aggrottò le sopracciglia e strinse le labbra, pensierosa. “Perché non provi con un ricordo più potente?”

“Il punto è proprio questo.” Rose sospirò. “Anche i ricordi che ritenevo più felici non vanno bene, a quanto pare.”

L'altra cominciò a dondolare nel vuoto le gambe accavallate, osservando la fiamma della candela. La luce esterna la illuminava a tratti: la parte inferiore del suo viso era in pieno sole e i suoi capelli baluginavano di bagliori ramati; gli occhi, invece, erano in ombra. Rose riusciva a coglierne lo scintillio da sotto le palpebre abbassate. 

Stava pensando: Rose lo capì dalla sottile linea verticale fra le sopracciglia folte, così come dalla piega che avevano preso le sue labbra. 

“Hai provato anche con quelli della tua infanzia?” domandò dopo un po', sollevando su di lei uno sguardo penetrante.

Rose annuì stancamente. “Ho provato soprattutto con quelli, ma non funzionano. Il fatto è che sono troppo vaghi... Come se non mi appartenessero realmente.”

Lo sguardo di Lily si perse di nuovo nel vuoto. “Dev'esserci una soluzione,” mormorò, in tono quasi assente. “Vuoi che chieda qualche consiglio a mio papà? Lui è bravissimo nei Patronus.”

“No,” ribatté Rose con decisione. Chissà per quale motivo, a quella prospettiva si sentiva vagamente umiliata. Non voleva sbattere in faccia allo zio tutta la sua debolezza. 

“Capisco.” Lily annuì piano. 

Lo sguardo di Rose scivolò sulle sue dita, ancora strette attorno all'accendino d'argento. Ripensò al modo in cui poco prima il braccio della cugina – lasciato scoperto fino al gomito dalla manica arrotolata della felpa – aveva invaso il suo campo visivo, accendendo di nuovo la fiamma della candela.

… Ricordarsi di accendere la luce.

Improvvisamente, ebbe un'idea. “Lily, hai mai prodotto un Patronus?”

La cugina piegò leggermente la testa, guardandola con espressione interrogativa e vagamente sospettosa. “No,” ammise, lo sguardo immobile. “Perché me lo domandi?”

Rose abbassò lo sguardo sul libro di Difesa ancora aperto davanti a lei. “Provaci.”

Lily inarcò le sopracciglia. “Che cosa?!”

“Hai capito benissimo.” Il suo cuore accellerò le pulsazioni. Sentiva di essere vicina alla soluzione del suo problema, come se i dubbi si stessero diradando. “Dai, provaci. Ora.”

L'altra emise uno scocciato sbuffo nasale, prima di affondare la mano in tasca e farne scivolare fuori la bacchetta magica. 

Rose la osservò aggrottare le sopracciglia per concentrarsi e sorridere, con la netta sensazione che non avrebbe avuto voglia di esplorare i ricordi scelti dalla cugina. Soprattutto se riguardavano Greengrass – cosa altamente probabile.

Dopo qualche istante, Lily sollevò la bacchetta in un movimento che agli occhi di Rose parve svolgersi al rallentatore, esclamando a voce bassa: “Expecto Patronum!

Dalla punta della sua bacchetta magica, capitombolò qualcosa di simile a una palla di pelo argenteo, che si srotolò mentre procedeva verso il suolo, atterrando sulle quattro zampe. Era una piccola volpe dal musetto furbo e appuntito, sorprendentemente simile a Lily stessa, con una coda folta e lucida che si mosse in un fluido movimento mentre il Patronus sollevava il naso come se avesse odorato una pista. 

Lily trattenne bruscamente il fiato e il suo Patronus si dissolse.

Rose si riscosse, tornando a rivolgere lo sguardo alla cugina. Sembrava felice, vagamente confusa, ma anche estremamente soddisfatta di se stessa. Non si curò neanche di nascondere il proprio compiacimento, ma sorprendentemente la cosa non disturbò Rose.

Non le domandò che ricordo avesse scelto. Le sembrava una cosa troppo intima, troppo segreta e profonda per chiedere a qualcuno di rivelarla. 

Dopo alcuni istanti di un silenzio quasi mistico, fu Lily a parlare per prima. “Forse non è il ricordo a essere potente in sé,” mormorò. “Probabilmente sei tu che devi ritenerlo tale.”

Di colpo, l'ansia tornò a gravarle contro. “Ma non posso convincermi, o non sarebbe vero.”

L'altra sorrise. “Proprio così.”

Rose sbuffò. “Non ci trovo niente di diver–”

“Hai bisogno di ricordi nuovi.” Lily la guardò, mentre il suo sorriso si tingeva di una dolcezza strana. “Nuovi ricordi abbastanza felici.”

Quando Rose ebbe davvero compreso il significato delle parole della cugina, si domandò come avesse fatto a non pensarci prima.

 

 

 

****

 

 

30 dicembre 2021

Quinto piano, Hogwarts

Ora di pranzo

 

 

Hugo si guardò intorno, prima oltrepassare l'angolo. 

Dalle alte finestre bifore, era visibile il cielo di un azzurro timido ma vivo, sotto il quale brillava un manto di neve fresca. Il corridoio e le pareti di pietra del corridoio che si estendeva davanti ai suoi occhi erano illuminate a tratti, in corrispondenza delle aperture verso l'esterno. Anche la sua figura alta e allampanata veniva inondata a intervalli regolari dalla luce del sole, mentre percorreva il lungo corridoio diretto a quello successivo, dove si trovava il ritratto di Lady Carmilla Sanguina. 

Lucy e Albus lo aspettavano davanti al quadro, come scoprì non appena ebbe imboccato la via giusta. In quel momento, Al si stava scompigliando con la mano i capelli già in disordine, conversando con l'effige della nobildonna. Sembrava nervoso, e come dargli torto? Lady Carmilla era una personalità decisamente inquietante.

Con uno sbuffo, li raggiunse. Lucy lo salutò con un sorriso e Albus con un cenno del capo, tornando subito dopo a rivolgersi al quadro.

“Sei in ritardo,” mormorò la cugina.

Hugo strinse le labbra. “Ho avuto un contrattempo.”

Contrattempo che giaceva nella tasca posteriore dei suoi jeans. Era una carta del mazzo francese: l'otto di picche, per essere più precisi. L'aveva trovata fra le pagine del suo libro di Pozioni, in corrispondenza del capitolo che aveva avuto intenzione di studiare quella mattina. Inutile dire che dopo averla rinvenuta non aveva studiato affatto: era rimasto seduto al suo tavolo in Sala Comune, lo sguardo fisso sulla pagina aperta, rileggendo almeno venti volte la prima riga del capitolo in questione, mentre i suoi occhi continuavano a essere dirottati verso la carta e la frase scritta in inchiostro verde sul bordo di essa: Il gioco continua.

… Come se avessi anche solo osato sperare che fosse concluso.

Era rimasto così tanto tempo a rimuginare su quella carta – purtroppo non aveva con sé il libro di Cartomanzia – che si era quasi dimenticato dell'appuntamento con i cugini per parlare con Lady Carmilla, allo scopo di raggiungere una soluzione almeno per un aspetto del mistero. Avevano stabilito di mettere in atto il loro piano durante il pranzo, così da non rischiare interruzioni o il fastidio provocato da eventuali passanti indiscreti.

Per fortuna il ritratto in questione non era poi così lontano dalla Torre di Corvonero: sebbene si fosse mosso dalla Sala Comune con un netto ritardo, non aveva avuto bisogno di correre troppo. 

“Che genere di contrattempo?” sussurrò Lucy.

Hugo scosse la testa, dando a intendere che non era nulla di importante. Ebbe l'impressione che la cugina non se la fosse bevuta affatto, ma Lucy non fece ulteriori domande.

Ecco perché non è Lily la mia cugina preferita.

… Lei avrebbe continuato ad assillarmi comunque fino a strapparmi la verità.

Albus gettò a entrambi un'occhiataccia, intimando loro di tacere. Sebbene apparisse di pessimo umore – che novità! – aveva preso la questione con molta serietà, come se fosse deciso a impegnarsi a fondo per venire a capo del mistero. Agli occhi di Hugo, questo non poteva costituire altro se non un miglioramento: Al aveva una testa niente male, quando decideva di sforzarsi in qualcosa, e in simili circostanze c'era bisogno del lavoro di squadra del maggior numero di neuroni possibili.

Hugo aggrottò le sopracciglia mentre volgeva il capo in direzione del quadro, che ritraeva la nobildonna con un opulento abito scarlatto, che creava un connubio sorprendente con i suoi capelli e un contrasto accecante rispetto alla sua pelle candida. Fra le dita sottili sorreggeva un calice di qualcosa che sembrava vino rosso, su cui Hugo non aveva la minima voglia di indagare.

Ricordò che alla nobildonna piacevano le buone maniere, quindi accennò un inchino. “Buona giornata, Lady Carmilla,” interloquì in tono cerimonioso.

Le labbra rosse e piene della vampira si incurvarono in un sorriso terrificante, mentre gli occhi mandavano un baluginio sinistro. Hugo notò con orrore che sul suo mento c'erano macchie di sangue, ma mantenne impassibile la propria espressione.

È un quadro. Non può farti niente, è stupido averne paura.

“Buona giornata anche a te,” la vide replicare. 

Albus gettò un'occhiata a Hugo e poi sospirò profondamente, l'espressione risoluta, tornando a guardare il quadro. “Lady Carmilla, abbiamo bisogno del tuo aiuto.”

L'interpellata strinse le labbra che fino a poco prima sorridevano. “Non sarebbe la prima volta, mi sembra,” commentò in un tono che Hugo non riuscì a interpretare. “Che ne è della fanciulla, Albus? Tua sorella Lily.”

Ansioso, rivolse uno sguardo in direzione del cugino. Come previsto, Al si era irrigidito nel sentir nominare sua sorella, ma non batté ciglio. “Non è potuta venire.”

La vampira sogghignò, mostrando i canini appuntiti. “Non mentire, Albus Potter. So che avete avuto dei malintesi, negli ultimi tempi. Le voci corrono, anche tra i quadri.”

“Non ho mentito,” replicò Al, scrollando le spalle e guardando Lady Carmilla dritto negli occhi. “Non è potuta venire proprio perché abbiamo avuto dei malintesi.” Fece una pausa. “Ci concederai il tuo aiuto, allora?”

“Dipende.” Abbassò lo sguardo, sfiorando l'orlo del calice in carezze circolari con la punta delle dita. “Fate la vostra richiesta.”

I tre cugini si scambiarono uno sguardo. Con grande sorpresa di tutti, alla fine fu Lucy a prendere la parola. 

“Abbiamo bisogno del tuo aiuto per scoprire l'identita di Gossip Witch,” disse semplicemente, senza ulteriori preamboli. 

Gli occhi di Lady Carmiglia si assottigliarono di sospetto. “Perché siete venuti a chiederlo a me?”

Lucy rimase seria, senza abbassare lo sguardo. “Perché il tuo quadro era uno dei suoi messaggeri.” Emise un lieve sospiro. “È qualcosa di importante, Lady Carmilla. Ne va della sicurezza di tutti.”

“Questo lo so!” La vampira sembrava indispettita, e al tempo stesso... allarmata? “Non dovrebbero essere ragazzini come voi a occuparsene.”

Hugo prese la parola prima di riuscire a frenarsi. “Non ce ne stiamo occupando solo noi.” Deglutì. “Solo che forse c'è bisogno di un aiuto da parte nostra. Sappiamo cose di cui gli Auror non sono al corrente.”

L'altra gli gettò un'occhiataccia. “Forse è perché siete giovani,” sibilò. “Ai giovani piace sempre fare gli eroi, finché non ci rimettono la pelle.”

Quella frase lo riempì d'inquietudine, tanto che non riuscì a trovare nulla con cui ribattere. Anche gli altri avevano avuto la stessa sensazione, probabilmente: gli era parso di scorgere Albus che tremava leggermente, come se fosse stato attraversato da un brivido. Solo Lucy era rimasta impassibile. “Non non vogliamo rimetterci la pelle,” disse in un sussurro appena udibile. “Proprio per questo ci serve l'informazione che ti abbiamo chiesto.”

Seguirono alcuni istanti di silenzio, che trascorsero in maniera estremamente lenta, come se stessero stillando poco alla volta da un contagocce. Lady Carmilla era serissima, il volto contratto in una smorfia che la rendeva decisamente meno attraente: chiaramente, stava soppesando la scelta che era sul punto di compiere.

Hugo si accorse di star trattenendo il fiato: il suo cuore batteva furiosamente, a ritmo inarrestabile, mentre sperava con tutte le proprie forze che il ritratto decidesse di aiutarli.

Infine, la donna parlò. 

“Non conosco il suo nome,” esordì, in tono stranamente stridulo. Dopo non aver respirato per parecchio, Hugo lasciò andare un sospiro, attendendo trepidante il seguito. “Non ha mai voluto rivelarlo, a nessuno di noi. Per proteggersi, diceva.” Lady Carmilla si passò una mano sugli occhi, storcendo la bocca in una linea curva. “È abbastanza alta, ma non di una statura fuori dall'ordinario. Capelli scuri. Di solito li teneva ricci e sciolti sulle spalle: solo raramente li allisciava oppure li legava in una coda.” Sospirò, guardandoli. “Aveva anche gli occhi scuri e parlava poco, per frasi enigmatiche.”

Hugo e Lucy si scambiarono uno sguardo. La descrizione corrispondeva perfettamente a...

“Qualche volta sorrideva. Ti dava l'impressione di sapere tutto di te e di avere sempre un piano in mente, o anche più di uno.”

… a Christine De Bourgh.

Di nuovo, calò il silenzio. Lo sguardo di Lady Carmilla era curiosamente accusatorio, come se li odiasse per averle strappato quella confessione. Lanciò loro un ultimo sguardo prima  di oltrepassare la cornice di corsa e irrompere in quella vicino, travolgendo i personaggi ritratti che protestarono animatamente, finché non ebbe superato la fine del corridoio.

Alle orecchie di Hugo, le proteste dei quadri suonarono ovattate finché non si dissiparono. Era un silenzio diverso da quello di prima: non c'era nulla di trepidante, nessuna attesa, solo una strana intensità e la consapevolezza che tutti e tre stavano pensando alla stessa cosa.

Alla fine, fu Albus a parlare. “Sappiamo tutti di chi stava parlando, vero?” mormorò gravemente.

Hugo si limitò ad annuire.  

 

 

****

 

 

 

But in the end everyone ends up alone

Losing her, the only one who's ever known

Who I am, who I'm not and who I wanna place.

The Fray

 

 

 

30 dicembre 2021

Sala Grande, Hogwarts, Scozia

Ora di cena

 

 

La sala era sprofondata in un brusio confuso. Seduti intorno ai lunghi tavoli, gli studenti delle quattro case erano impegnati a consumare la cena e a parlare di chissà che cosa, in quell'accumulo di giovani vite che lasciava sempre Bernie un po' scombussolato. Spesso si chiedeva cosa ci fosse nella testa di tutti quei ragazzi e ragazze, pensando a quanto sarebbe stato curioso ed estraniante conoscere ogni loro pensiero. 

Certo, c'era qualcuno che si divertiva moltissimo a dare l'impressione di conoscerli tutti per davvero. Qualcuno seduto alcuni posti più in là, dal lato di fronte al suo del tavolo di Serpeverde – qualcuno con lunghi capelli scuri, che giocherellava con la forchetta; qualcuno che sollevò lo sguardo proprio nel momento giusto per incontrare il suo.

Nello scoprirsi osservata da lui, Christine parve piacevolmente colpita. Era qualcosa che Bernie avrebbe dovuto abituarsi a vedere in lei: quel misto di allegria e soddisfazione che sorprendeva nei suoi occhi quando la ragazza scopriva un'attenzione che lui le stava riservando, di qualunque tipo fosse. 

Il collo di Christine si piegò leggermente di lato e gli angoli delle sue labbra si incurvarono in uno dei suoi sorrisi, che lo lasciavano sempre un po' spiazzato e con una sequela interminabile di domande in testa – A cosa sta pensando? Cosa nasconde? Cosa desidera davvero? Perché? 

Più si interrogava su di lei, più aveva la sensazione di dover risolvere quel puzzle, sebbene – almeno fino a quel momento – non avesse fatto altro che brancolare nel buio, cercando di ricostruire qualcosa dagli indizi frammentati che di tanto in tanto lei gli concedeva.

Ogni volta che questo accadeva, Bernie si sentiva vagamente in colpa per averle strappato una verità che Christine non avrebbe voluto rivelare. Il che era sorprendente, perché Christine non faceva nulla senza volerlo, dopotutto, ed era riconosciuta da tutta la scuola come la manipolatrice per eccellenza. La persona di cui non fidarsi.

Suo malgrado, Bernie cominciava a desiderare di ignorare la sensazione di essere preso in giro da lei, così come i suoi cattivi presentimenti. Avrebbe voluto lanciarsi senza riserve alla ricerca della soluzione di quel mistero, basandosi su quegli indizi che Christine disseminava qua e là, di certo con un criterio ben definito in testa, ma che lui non sapeva interpretare.

… Non devo fidarmi. Perché mi rivela cose così importanti con tutta questa leggerezza?

L'esatto genere di sensazione che avrebbe dovuto provare era questo: sfiducia. Ed era anche il genere di sensazione che desiderava con tutte le proprie forze di non provare, di poter ignorare. 

Quasi indovinando i suoi pensieri, il sorriso di Christine si fece più largo e nei suoi occhi balenò un guizzo provocatore. Bernie deglutì, mentre la osservava sollevare la mano per scostare una lunga ciocca di capelli scuri, scoprendo l'incavo del collo e la curva della spalla. Come sempre, nella sua testa si svolse rapidamente un vortice di domande, sulle quali torreggiava un “perché” scritto a lettere cubitali. 

Le sopracciglia scure di Christine si inarcarono e il suo sguardo deviò per un momento verso l'uscita della Sala Grande. Bernie capì al volo e – suo malgrado – si ritrovò a sorridere e annuire. Dopo cena, comprese, si sarebbero visti da qualche parte. 

Soffocò il sorriso, cercando di assumere un'espressione seria, mentre un altro gli affiorava spontaneamente alle labbra. Era passata una settimana scarsa dal Ballo del Ceppo, ma non era trascorso un giorno senza che Christine non accennasse con un sorrisetto a qualche aula vuota, oppure che Bernie scollegasse senza preavviso la mente dal corpo per afferrarla per il gomito, trascinarla da qualche parte e baciarla furiosamente.

Non che avessero fatto altro che baciarsi. Senza dire né smentire: d'altronde, nessuno aveva fatto loro domande, sebbene con ogni probabilità buona parte della scuola mettesse su una supposizione dietro l'altra alle loro spalle. Non che a Bernie importasse granché: non era mai stato il tipo di persona che dava credito alle chiacchiere della gente, specialmente in un ambiente straripante di adolescenti come Hogwarts.

Sapeva che le persone della sua età potevano essere estremamente rigide ed estremamente cattive. Solo, non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a baciare appassionatamente un'appartenente alla seconda categoria in ogni aula vuota disponibile per giorni e giorni.

“Ciao, Ber,” mugugnò qualcuno in tono tetro alle sue spalle, facendolo sobbalzare.

Sorpreso, Bernie si voltò verso Albus Potter, distogliendo gli occhi da Christine, sorpreso di trovarlo lì al tavolo di Serpeverde, che ultimamente Al aveva evitato come la peste. 

Si stupì ancora di più nel vederlo scavalcare la panca e sedersi al suo fianco, per poi avvicinarsi un grosso vassoio carico di pasticcio di rognone e depositarne sul proprio piatto una robusta porzione. 

“Senza offesa, Al,” buttò lì, osservandolo mangiare. “Ma che ci fai qui?”

Albus finì di masticare il proprio boccone con calma plateale, poi scrollò le spalle con uno sguardo eloquente. “Non dovrei?”

Bernie fu costretto a convenire che no, non c'era nessun motivo per cui non avrebbe dovuto, visto che Jake era seduto con Scorpius al capo opposto del tavolo e non c'era il rischio di ulteriori scontri. Per quanto lo riguardava, aveva preferito restare da solo per il pasto. Aveva bisogno di riflettere, e per di più ultimamente la compagnia degli altri lo infastidiva: si sentiva giudicato da loro, lo seccava la loro preoccupazione per quanto riguardava lui e Christine. Dopotutto, sapeva badare a se stesso. E loro non potevano capire. 

A dire il vero, Jake non era stato poi così implacabile, ma Scorpius sì, e Bernie ad essere sincero si era sentito piuttosto offeso per questo. In parte era dovuto al risentimento che ancora provava nei confronti dell'amico per la questione di Rose, in parte al fatto che non se lo sarebbe aspettato. Ma dal Ballo del Ceppo in poi, Scorpius era perennemente di cattivo umore, pronto a sparare a zero su qualsiasi cosa. In sette anni di reciproca conoscenza, Bernie non l'aveva mai visto così cupo e aggressivo.

Si chiese come mai Albus si fosse seduto proprio lì. Probabilmente, a giudicare da come gli lanciava un'occhiata guardinga di tanto in tanto, aveva qualcosa da dirgli. Qualcosa di importante.

Bernie non aveva intenzione di aspettare oltre, visto che dal canto suo aveva già finito di mangiare e non vedeva l'ora di infilarsi in qualche luogo riservato con Christine per una nuova sessione di baci furibondi, che erano diventati il suo nuovo hobby preferito. Dopo il Quidditch, forse. Fu per questo che emise uno sbuffo e si rivolse subito ad Albus senza tentennamenti di sorta. 

“Allora? Mi devi dire qualcosa?” 

Il tono della sua voce era uscito più sferzante di quanto avrebbe desiderato. Tuttavia, Albus non parve prestare alla cosa grande attenzione. Si limitò ad abbassare il bicchiere di succo di zucca che teneva fra le mani, gettandogli un'occhiata di... preoccupazione?

Oh, no. Non anche lui!

“Come va con Christine, Ber?” gli domandò il Grifondoro a mezza voce, accennando con la testa al lato opposto del tavolo, nel poco credibile tentativo di un tono noncurante.

… Ci risiamo.

“Bene,” replicò, rigido, fingendo di guardare l'orologio. Era deciso ad andarsene il prima possibile: fingere di avere fretta sarebbe stata una buona tattica. Albus non se la sarebbe bevuta, probabilmente, ma non avrebbe comunque potuto contraddirlo. 

L'amico sospirò appena. Evidentemente, aveva sperato che lui gli dicesse qualcosa di più.

“Com'è... lei?” domandò ancora Al dopo qualche istante di pausa, esitante. “Con te, dico.”

“Perfettamente normale,” sibilò di rimando, innervosito. Possibile che tutti volessero fargli da balia? Era assolutamente in grado di badare a se stesso. Non fosse stato così, Christine non sarebbe comunque stata affare di Albus. Non era affare di nessuno, fuorché suo.

“Ma...” la voce di Al si affievolì prima ancora che lui cominciasse la propria protesta.

Bernie cominciava ad averne abbastanza. “Dimmi quello che devi dire,” lo esortò, brusco. “Dopo cena ho un impegno, non ho molto tempo.” Di nuovo, finse di gettare un'occhiata all'orologio.

Gli occhi verdi di Albus si assottigliarono, insospettiti. “Hai un appuntamento con lei?”

“No,” mentì. “Avanti, spara.”

L'altro gli lanciò un'occhiata storta e posò le posate ai lati del piatto ancora pieno a metà, preparandosi a quello che doveva ritenere un discorso della massima importanza. Bernie rimase impassibile, pronto a farsi scivolare addosso qualunque parola l'amico fosse sul punto di pronunciare.

“Ho scoperto una cosa,” sussurrò Al concitato, evidentemente deciso ad abbandonare qualunque indugio. “Su Christine De Bourgh.”

Bernie non poté fare a meno di roteare gli occhi, esasperato.

Che è una stronza psicopatica e una manipolatrice senza scrupoli? No, grazie. Questa solfa già l'ho sentita.

“Che cosa?” replicò senza sbilanciarsi, cercando di non suonare troppo aggressivo.

Albus fece un respiro profondo prima di decidersi a sganciare la bomba. “Ho scoperto che lei è Gossip Witch.”

Fra di loro seguì un momento di tetro, raccapricciante silenzio. 

Poi, senza preavviso, Bernie scoppiò a ridere prima di riuscire a trattenersi, tenendosi la pancia. “Davvero, Al?” Rise ancora. “E cosa te lo fa pensare?”

L'altro sembrava terribilmente serio. Chissà perché, questo non fece che aumentare l'ilarità di Bernie, che si placò poi lentamente fino a sfumare nel silenzio. 

Prima di parlare, Albus attese che Bernie avesse finito di ridere.

“Ho parlato con il ritratto di Carmilla Sanguina,” sbottò. Sembrava arrabbiato, ma lui era stufo di sopportare i nervosismi degli altri oltre che il proprio, quindi non vi diede troppo peso. “Ci ha dato la descrizione fisica di Gossip Witch, e corrisponde a quella di Christine. Senza contare il fatto che lei ha dimostrato di saper eseguire un Proteus impeccabile.”

Di nuovo, Bernie roteò gli occhi. “Credi quel che ti pare,” si limitò a commentare, prima di alzarsi dalla panca e scavalcarla, con tutte le intenzioni di allontanarsi.

Albus lo trattenne per la manica. “Dove vai?” chiese, brusco.

Lo guardò con sfida. “A vedermi con Gossip Witch,” ribatté, sarcastico. “E comunque, non sono affari tuoi.”

Non gli lasciò neanche il tempo di ribattere, divincolandosi dalla sua presa e allontanandosi a passi rapidi dal tavolo di Serpeverde. Non smise di camminare in Sala d'Ingresso e neanche mentre scendeva verso i sotterranei: anzi, accellerò il passo, come se qualcuno lo stesse inseguendo. 

Infine, si fermò nei pressi della dispensa di Lumacorno, con la sensazione che vi fosse un altro puzzle da ricostruire. Senza volerlo, Albus gli aveva dato ulteriori informazioni per proseguire la propria indagine, e la conferma che anche lui e i suoi cugini – aveva notato l'uso del plurale da parte del Grifondoro – stavano indagando in merito alla sua stessa questione. 

Appoggiò la schiena contro la parete fredda e umida, cercando di riflettere, almeno finché non udì un suono di passi che si dirigevano verso di lui. Allora sollevò gli occhi, per posarli sulla figura di Christine, che lo stava raggiungendo con un sorrisetto sul volto e i ricci bruni che ondeggiavano sulle spalle a ritmo con i suoi passi.

Improvvisamente, gli parve di udire i suoni come ovattati, sovrastati dal sangue che gli vibrava nelle orecchie. Aveva imparato, nel corso di quei giorni, a distinguere quei sintomi come segnali di un pronto scollegamento fra mente e corpo.

Christine non disse nulla finché non fu fino a un metro da lui. “Io–” esordì, ma Bernie non le lasciò il tempo per dire altro, afferrandola per la vita sottile e tirandosela addosso per premere furiosamente le labbra sulle sue.

La sentì sorridere contro la sua bocca mentre con la coda dell'occhio vedeva il suo polso carico di braccialetti sporgersi per girare la maniglia dell'ingresso alla dispensa di Pozioni. Si lasciò spingere dentro senza protestare – e perché avrebbe dovuto? – e quando udì lo scatto della serratura alle spalle di Christine continuò a baciarla ancora, finché la schiena della ragazza non premette contro la porta chiusa e lei gli afferrò il volto tra le mani, stringendosi a lui come se ne dipendesse qualcosa di terribilmente fondamentale. 

Finché non poté definitivamente smettere di pensare.

 

 

 

 

I'll only see your good side 

and believe it's a miracle.

Biffy Clyro

 

 

 

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30 dicembre 2021

Biblioteca di Hogwarts, Scozia

Durante l'ora di cena

 

 

La biblioteca era semibuia, illuminata solo a tratti dalla luce traballante delle lampade, che gettavano sul pavimento lunghe ombre tremanti. Il silenzio era polveroso e profondo: premeva contro le orecchie, rotto soltanto dal fruscio di pagine che riecheggiava da angoli lontani, gli avanzi della giornata ormai giunta quasi al termine.

Per un motivo o per un altro, Hugo aveva atteso fin quasi all'orario di chiusura prima di decidersi ad andare a prendere in prestito il libro di cartomanzia Babbana che aveva già sfruttato in precedenza per interpretare il Jack di fiori. Dopo aver studiato per quasi tutto il pomeriggio, era stato trattenuto in Sala Comune da Fiona Beckett, che l'aveva coinvolto in una conversazione riguardo al programma di Incantesimi e i turni di guardia dei Prefetti. Dopo essersi riuscito a liberare di Fiona, erano sopraggiunti i Menley. Era stata Georgia a rivolgersi a lui, sistemandosi una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio e incurvando le labbra in un sorrisetto. Era rimasto con loro per un po', cercando di evitare lo sguardo di Tony e partecipando distrattamente alla loro conversazione, finché non era giunta l'ora di cena. Solo a quel punto i due fratelli l'avevano salutato per scendere in Sala Grande e lui aveva potuto dileguarsi alla volta della biblioteca.

Sospirò, imboccando il corridoio fra gli scaffali che l'avrebbe condotto alla sezione di Babbanologia. In cinque anni di frequentazione della biblioteca, aveva imparato a memoria la collocazione dei tomi riguardanti ogni materia, quindi non aveva dovuto chiedere aiuto a madama Pince, che con la vecchiaia era peggiorata ulteriormente, rifiutandosi di lasciare il suo regno incustodito persino durante le ore dei pasti.

Fortunatamente, non costringe Lucy a sostituirla in orari simili...

Deviò per il corridoio dove era situato il libro di cartomanzia, stupendosi di non trovarlo vuoto. Seduto ad uno dei tavoli a ridosso degli scaffali, vide Herman Hessler, prefetto di Serpeverde. Il profilo dell'altro – che Hugo aveva imparato a riconoscere nei suoi numerosi pedinamenti, quando il ragazzo era in cima alla lista dei sospettati – era disegnato dalla luce della lampada. La sua ombra era proiettata sullo scaffale dietro alle sue spalle, inquietantemente ingigantita.

Proponendosi di ignorarlo, Hugo procedette verso di lui, finché lo sguardo non gli cadde sul libro che Hessler stava leggendo. Allora si bloccò lì dove si trovava, impietrito dall'orrore. 

Il libro cui l'altro si stava dedicando era il volume di cartomanzia che lui stesso aveva intenzione di usare. 

Non riusciva a muovere un passo. Il cuore gli martellava furiosamente contro i timpani, mentre realizzava quale potesse essere il significato di ciò che aveva scoperto. E se fosse stato Hessler a mandargli quelle carte e a fargli recapitare il foglietto delle icone? Ricordò che era stato proprio lui a porgergli il biglietto che l'aveva indirizzato all'allegoria del Gioco, il giorno della Prima Prova.

Ogni pezzo stava tornando lentamente al proprio posto.

Il Serpeverde si accorse della sua presenza solo dopo parecchie manciate di secondi. Alzò lo sguardo dal libro, posando su di lui gli occhi azzurri, nei quali albergava un bagliore difficile da interpretare. 

Hugo aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito dopo.

Le sopracciglia di Hessler si aggrottarono. “Weasley,” gli si rivolse. La sua voce riecheggiò per la biblioteca, sebbene avesse parlato sommessamente. “Che stai guardando?”

Deglutì. “Quello... quello è il mio libro,” parlò senza pensare.

L'espressione dell'altro si tinse di perplessità. “Tecnicamente no,” replicò con tranquillità. “A quanto ne so io, è della biblioteca.”

Hugo strinse le labbra, sostenendo il suo sguardo. “Intendevo... intendevo che è il libro che stavo cercando.”

L'altro scrollò le spalle. “Tanto ho quasi finito. Puoi aspettare qualche minuto?”

Annuì, senza riuscire a proferir parola. Era incapace di parlare, come se la consapevolezza di chi aveva di fronte gli avesse tolto il fiato dalla gola. 

I minuti che Hessler gli aveva chiesto scorsero lentamente, gocciolando via, scanditi dai battiti angoscianti del suo cuore. Infine – dopo quelli che gli erano parsi secoli – il Serpeverde chiuse il libro e si alzò in piedi.

“Non sapevo che ti interessassi di Babbanologia,” commentò con tranquillità, porgendoglielo. “Non la frequenti, o sbaglio?”

“No, in effetti.” La voce gli uscì stranamente stonata. “Credevo che non la frequentassi neanche tu.”

“Non la frequento,” convenne Hessler, rilassato. Infilò le mani in tasca e chinò la testa in segno di saluto. “Ci si vede in giro, Weasley.”

Hugo si schiarì la voce. “Sì, ci si vede in giro.”

Continuò a osservare la figura di Herman finché non lo vide scomparire alla fine del corridoio fra gli scaffali. Solo allora si fiondò sul posto che l'altro aveva lasciato libero, girando furiosamente le pagine finché non ebbe raggiunto il capitolo sulle carte francesi.

Otto di picche: indica una nuova strada che si può essere tentati di prendere. Attenzione: questo nuovo percorso potrebbe portare problemi e sfortune.

Una nuova strada.

Davvero era Herman Hessler l'esecutore dell'enigma?

 

 

 

 

****

 

 

 

30 dicembre 2021

Sala Comune di Grifondoro

Dopo cena

 

Albus non avrebbe creduto che il suo umore potesse divenire ancor più cupo, ma a quanto pareva non c'era davvero limite al peggio. Quella mattina, era stato convinto che impegnarsi a fondo per convincere Lady Carmilla a rivelar loro l'identità di Gossip Witch l'avrebbe aiutato a distrarsi, a scacciare i pensieri che invadevano la sua mente senza sosta. Almeno all'inizio, doveva ammetterlo, il trucco aveva funzionato... almeno finché il ritratto non aveva scelto di aiutarli.

Non c'erano dubbi: la descrizione che la donna aveva fornito loro corrispondeva perfettamente alla figura di Christine De Bourgh. Non appena la mente di Albus aveva registrato l'informazione, per l'ennesima volta era riuscito a dare un senso a gran parte degli avvenimenti degli ultimi mesi. 

Non solo il fatto che Christine sapesse eseguire un Proteus impeccabile senza apparenti difficoltà: quello era il minimo. A insospettirlo molto di più era il modo in cui, ad esempio, la ragazza aveva convinto Jacob ad aiutarla in non si sapeva cosa – e no, non c'entrava nulla il fatto che adesso lui fosse più disposto di prima a pensare male dell'altro. Probabilmente, se la sua supposizione si fosse rivelata esatta, Christine l'aveva messo in mezzo in quella faccenda, domandando la sua collaborazione per venire a capo del mistero che stava sconvolgendo tutti loro.

… Ma se lei è Gossip Witch, deve per forza saperne più degli altri.

Sapere che anche Bernie adesso era finito in mezzo a quella storia lo preoccupava non poco. Sembrava che l'altro si fosse dimenticato del tutto chi era Christine, come aveva dimostrato arrabbiandosi in quel modo quando aveva capito le intenzioni del discorso di Albus. In modalità da contenimento Serpeverde, certo, ma sempre infuriato.

È completamente andato. Rimbecillito.

Rilasciò un sospiro frammentato fra le labbra, il suono del quale si perse nel chiacchiericcio confuso che albergava in Sala Comune. Nella Torre di Grifondoro, come al solito, regnava un dolce tepore e una gran confusione di voci sovrapposte e – di tanto in tanto – scoppi o schianti provocati dalla presenza non autorizzata, sebbene ampiamente tollerata, di qualche prodotto dei Tiri Vispi. 

Per la prima volta nella sua carriera scolastica, si sentiva solo, con un senso di angoscia opprimente all'altezza del petto che non sarebbe stato in grado di interpretare.

Improvvisamente, sentì la mancanza di suo fratello: avrebbe voluto che James fosse lì per assestargli una pacca sulla spalla e dirgli qualcosa di estremamente sfigato per tirarlo su di morale. Ma non era lì. Con ogni probabilità, James adesso si trovava nel salotto dell'appartamento che condivideva con Grace, magari accoccolati sul divano a parlare del loro futuro, a decidere il nome per il nascituro e definire tanti piccoli particolari della vita che avrebbero vissuto negli anni a venire.

Chissà per quale motivo, il pensiero lo face sentire ancora più solo. Suo fratello aveva solo un anno più di lui e si stava preparando per diventare padre, per finire di crescere tutto insieme. Albus faticava ad abituarsi all'idea.

Sprofondò ancora di più nella poltrona su cui si era sistemato – la sua preferita, quella morbida e un po' consunta accanto al caminetto; fissava il fuoco con espressione truce, osservando il gioco di ombre e luci agitate sul tappeto e sul fondo del camino. Una parte di lui avrebbe voluto alzarsi da lì e fare qualcosa – prendere il Mantello e uscire di nascosto per una sigaretta nel parco, filarsela nelle cucine, qualcosa; tuttavia, si sentiva troppo intorpidito e assonnato per schiodarsi dalla morbida pelle della poltrona e andarsene a zonzo per il castello.

Distolse lo sguardo dal fuoco, poiché ormai la pelle del suo volto era tanto bollente da sembrare sul punto di incendiarsi. L'aria vagamente più fresca che riuscì a ottenere voltando il capo fu un vero e proprio sollievo. 

I suoi occhi si persero in direzione dell'angolo della sala, dove Quinn Baston era seduta dietro al piano di un tavolo, da sola. Aveva un libro aperto davanti a sé, come se stesse studiando, ma il suo sguardo non si schiodava dallo stesso punto. Probabilmente, le sue intenzioni erano state di avvantaggiarsi qualche compito, ma aveva finito per perdersi nei propri pensieri. 

… Quidditch, probabilmente.

Idiota. Albus, sei un idiota. Nella sua testa non c'è solo il Quidditch, dovresti averlo imparato!

Di nuovo, la voce nel suo cervello somigliava troppo a quella di Lily per non procurargli una fitta acuta all'altezza dello stomaco. Il senso di solitudine si accentuò improvvisamente.

Tornò a concentrarsi su Quinn. Una ciocca castana le era scivolata sulla fronte, ombreggiando gli occhi e gli zigomi, ma lei non parve curarsene, come se non vi avesse fatto caso o semplicemente non le importasse. Albus si costrinse a distogliere lo sguardo da lei, distribuendo occhiate in giro: all'angolo opposto, sua cugina Lucy chiacchierava con alcune amiche. Qualche metro più in là, dei ragazzi del terzo sghignazzavano mentre facevano scivolare un Detonatore Abbindolante verso le loro compagne di classe, pronti a seminare il panico. 

Albus emise un sospiro. Sembrava che in Sala Comune, gli unici due a stare da soli fossero proprio lui e Quinn.

… È il momento giusto, Al. Vai a parlarle!

Deglutì, passandosi una mano fra le ciocche disordinate di capelli neri, ormai abbastanza lunghi da sfiorargli le orecchie, dopo la tosatura messa in atto da nonna Molly prima di Natale – come al solito, i suoi capelli crescevano a una velocità spaventosa e sempre più ribelli e disordinati. Lily rimproverava costantemente al loro padre di averle conferito una capigliatura indomabile, perché di certo lei non avrebbe optato per la tonsura come i suoi fratelli. I quali, tra l'altro, vi venivano sottoposti più o meno a forza.

Non temporeggiare, Al. Alzati e vai!

Era talmente agitato che non fece caso minimamente al fatto che la voce che invadeva il suo cervello fosse di Lily anche questa volta. Ingoiando il groppo alla gola, fece forza sul bracciolo rivestito di pelle marrone e si sollevò dalla poltrona, pronto a dirigersi a passo baldanzoso verso Quinn.

Il tragitto che lo separava da lei – corrispondente più o meno a metà del diametro della Sala – gli parve una strada che si dilungava senza fine davanti ai suoi occhi. Aveva quasi completato il percorso e aperto la bocca per rivolgersi al suo Vicecapitano, quando qualcuno gli tagliò la strada.

“Potter!” Chris McGregory gli si era parato di fronte, oscurando il suo campo visivo con la non trascurabile stazza che lo caratterizzava. Dopo sette anni nello stesso dormitorio, ancora lo chiamava per cognome, nonostante fossero in rapporti piuttosto amichevoli. Gli piaceva come suonava, a giudicare dalla soddisfazione con cui ogni volta lo pronunciava². “Cercavo proprio te.”

“Mmh, sì?” fece Albus, cercando di sporgersi al di sopra della sua spalla per sbirciare Quinn. “Come mai?”

“Gli allenamenti.” McGregory, apparentemente senza accorgersi dei suoi sforzi di guardare dietro di lui, si spostò leggermente per guardarlo in faccia, rendendo vano ogni tentativo di Al. “Ho un paio di nuovi schemi da farti vedere.”

“Ah, sì?” Replicò distratto, pensando disperatamente a un modo rapido per sbarazzarsi di lui prima che la sua volontà di parlare con Quinn venisse meno. “Senti, Chris, che ne pensi se me li fai vedere domani? Sono stanco morto e non–”

Si bloccò a metà della frase. Era riuscito a sporgersi abbastanza da riuscire a guardare oltre la spalla del Portiere della sua squadra, solo per scoprire che il tavolo occupato da Quinn fino a un momento prima, adesso era vuoto.

Desolato, tornò a guardare McGregory. “Dicevi?”

Improvvisamente, si sentiva davvero sconfitto. 

 

 

 

 

So take my flesh

And fix my eyes

That tethered mind free from the lies.

Mumford & Sons

 

 

 

 

 

 


 

¹ Bisogna solo ricordarsi di accendere la luce. C'è anche bisogno che vi dica da cosa è tratta? 

² Quanto mi piace scrivere di personaggi inglesi immaginandoli con l'accento inglese. Pottah!

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

Dai, questa volta non potete lamentarvi! Sono riuscita a essere un po' più puntuale e anche a tagliare meno scene del solito. Come annunciato nelle note allo scorso capitolo, stavolta ho avuto modo di dare più spazio a personaggi che nel frattempo avevo trascurato, in una sorta di “che cosa è successo nel frattempo”. Al contrario del precedente, non definirei questo capitolo “di passaggio”, perché come avrete notato finalmente la situazione si sta smuovendo un po' su alcuni fronti. Più che al teen drama (ormai l'avrete capito che alcuni personaggi son proprio tardi di comprendonio nelle faccende di cuore) mi riferisco alla Questione Proteus e quanto ne consegue.

Mi dispiace di non essere riuscita a inserire gli Aurors in questo capitolo (e neanche Harry, se è per questo) ma nel prossimo – il capitolo di Capodanno – torneranno quasi tutti.

Spero che la maturazione che Albus sta lentamente compiendo sia stata chiara nei brani che lo riguardavano.

 

Alors! Che altro dire? Beh, prima di tutto grazie, perché anche se le recensioni sono ahimè calate, il vostro sostegno è fondamentale nell'andamento di questa storia. Mi dispiace di essere rimasta (parecchio) indietro nel rispondere ai vostri commenti, ma un po' alla volta recupererò!

Grazie di tutto, davvero <3

Daph

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 - Equation ***






 

 

L'equazione della vita è talmente complessa 

che ciò che spaventa di più non sono tanto le 

incognite, ma tutti quei valori noti discordanti.

Riccardo De Zottis

 

 

And you don’t know how it feels to be alive,

Until you know how it feels to die.

Noah and The Whale

 

 

 

31 dicembre 2021

Sala Grande, Hogwarts

Ora di cena

 

 

In Sala Grande albergava un allegro frastuono di voci sovrapposte, frammisto al tintinnio delle posate. Gli avanzi del generoso banchetto erano scomparsi dalle stoviglie dorate, lasciando il posto ad un'ampia scelta di dolciumi. I tipici piatti inglesi erano affiancati da pietanze tipiche dei paesi cui appartenevano le delegazioni straniere.

Jake raccolse con il cucchiaino i resti del suo dolce alla menta, ancora rimasti in fondo al piatto, consumando con calma gli ultimi bocconi. Il suo sguardo si perse lungo i tavoli delle quattro case, soffermandosi in particolare sul quello di Grifondoro, dove si poteva distinguere la testa bruna e scompigliata di quello che era stato uno dei suoi migliori amici fino a pochi giorni prima. Il suo stomaco si strinse di rammarico al pensiero di tutti gli errori che aveva compiuto negli ultimi mesi. 

Assottigliò gli occhi, finché la sua realtà non si limitò a una fessura di campo visivo, frastagliata da sottili ciglie scure; il suo sguardo era abbassato sul piatto da cui aveva appena mangiato, sul cui fondo giacevano abbandonate le ultime briciole della sua porzione di dolce.

Percepì il peso lieve di una piccola mano posata sull'avambraccio, e le sue labbra si incurvarono spontaneamente in un sorriso. 

Lily non disse nulla, ma Jake seppe che aveva capito. Ancora una volta, si ritrovò a pensare con una certa risolutezza che – sebbene fosse costantemente aggredito dai sensi di colpa nei confronti di Al – non era pentito di nulla, se il risultato di quei lunghi mesi complicati era stato quello di avere Lily lì accanto a sé.

I capelli ramati della sua ragazza scendevano disordinati sulle sue spalle, incorniciando in onde morbide il suo viso appuntito e minuto, dall'aria vispa e intelligente. Posò la propria mano su quella fresca di Lily, stringendola appena. Gli occhi di lei scintillarono nel fantasma di un sorriso.

“Lily?”
Entrambi sobbalzarono quasi impercettibilmente, colti di sorpresa, prima di voltarsi nella direzione da cui era provenuta la voce che aveva parlato. In piedi di fronte a loro, allacciate per mano e pettinate allo stesso modo come al solito, c'erano Amarillide Stubbins e Swanilda Simpson, che si stavano rivolgendo a Lily con un sorriso allegro sulle labbra.

“Ehi.” L'interpellata sorrise un po' forzatamente. Se era infastidita, comunque, non lo diede a vedere.

Le altre due si scambiarono uno sguardo. “Vieni con noi?” le domandò Swanilda, sistemandosi una ciocca di capelli castano scuro e gettando a Jake un'occhiata esitante. “Così finiamo di prepararci per dopo.” Non sembrava molto convinta, come se non fosse sicura se fosse o meno il caso di disturbare Lily mentre stava con il suo ragazzo.

Dopo?

Il tradizionale conto alla rovescia per il nuovo anno in Sala Comune, con brindisi e bevute annesse. Jake, francamente, era dell'idea che prepararsi per quel genere di festeggiamenti non fosse un granché utile: la maggior parte degli studenti avrebbe tenuto l'uniforme di scuola, già indossata per il banchetto.

Ragazze. Non credo che le capirò mai fino in fondo.

Per quanto lo riguardava, Lily gli piaceva da morire con i capelli sciolti e spettinati e indosso i primi vestiti caduti dall'armadio, piuttosto che tutta in tiro, sebbene fosse innegabilmente molto bella in qualsiasi tenuta. Non capiva proprio tutta questa fretta di truccarsi e acconciarsi i capelli.

Sebbene non sembrasse troppo entusiasta all'idea, tuttavia, Lily annuì, se non altro per far contente le sue amiche. Cosa strana, da parte sua. “D'accordo,” acconsentì, scavalcando la panca. “Ci vediamo dopo.” Si rivolse a lui, chinandosi a baciarlo leggermente sulle labbra. 

Dopo quel breve, morbido contatto, gli sorrise e lo salutò con la mano mentre si allontanava.

“A dopo,” le fece eco Jake, continuando a seguire la sua figura con lo sguardo finché non la vide scomparire oltre la porta della Sala Grande. Allora i suoi occhi deviarono per incontrare quelli di Albus, che lo stava squadrando con aria truce dal tavolo di Grifondoro. Sostenne il suo sguardo, deciso a non cedere. Aveva intenzione di non lasciar perdere nessun tentativo di far valere le proprie ragioni, finché Albus non si fosse deciso ad accettarli e, conseguenzialmente, perdonarli. Voleva dimostrargli che con Lily faceva sul serio e che non avrebbe rinunciato a lei per nessuna ragione.

Al non è uno che fa caso ai piccoli gesti, certo, ma un piccolo gesto dopo l'altro...

Stava continuando a guardare Albus quando qualcuno ingombrò per un momento il suo campo visivo, superandolo. In una frazione di secondo la sua mente produsse una serie di considerazioni, che contribuirono alla formazione di una decisione. 

La persona che l'aveva superato era una ragazza sottile e bruna. Quei ricci che ondeggiavano a ritmo con la camminata appartenevano inconfondibilmente a Christine De Bourgh. Solo poco prima, aveva scorto con la coda dell'occhio Bernie abbandonare la Sala: la considerazione definitiva fu che quei due, con ogni probabilità, si fossero dati appuntamento da qualche parte dopo il banchetto. 

Continuano a comportarsi come se nessuno sapesse nulla.

… Come se non se ne fossero accorti tutti.

Improvvisamente, realizzò di essere determinato a scoprire cosa diamine volesse davvero Christine da Bernie. Fu per questo che si sporse e la afferrò per il braccio sottile, costringendola a fermarsi.

La ragazza si voltò di scatto, facendo sventagliare i lunghi capelli scuri attorno alle spalle. La sua bocca si contrasse in una smorfia irritata. “Greengrass,” sibilò. “Mai sentito parlare di cortesia?”

Non ha tutti i torti.

Jacob la lasciò andare, continuando a sostenere il suo sguardo. Accennò con un gesto del braccio al posto rimasto libero accanto a lui. “Vuoi sederti?” domandò, inespressivo ma con impeccabile educazione. “Avrei bisogno di parlarti.”

Christine inclinò appena il capo in segno di assenso, prima di scavalcare la panca e sedersi al suo fianco. Lo guardò con epressione arrogante, in attesa.

Jake capì che non avrebbe avuto senso ricorrere a inutili preamboli: probabilmente, l'altra aveva già intuito perfettamente cosa lui fosse sul punto di dirle. 

 

“Bernie,” borbottò semplicemente. “Che intenzioni hai?”

 

Christine non fece una piega. “Già al ballo ti ho detto che non è nelle mie intenzioni arrecare danno a nessuno di voi.”

Jake fece una smorfia. “Questo dipende unicamente da cosa si considera un danno, non credi?”

Le sopracciglia di lei si inarcarono in un guizzo. Intorno a loro, ogni suono era sovrastato dal chiacchiericcio confuso degli studenti. Il cielo riflesso per magia sul soffitto era oscuro e ingombro di nubi: il volto di Christine illuminato dalla luce altalenante delle candele che galleggiavano sopra le loro teste. 

Dopo alcuni secondi di stasi, la ragazza parlò: “Non mi dire, Jake,” cantilenò, melodiosa. “Hai già smesso di fidarti di me?”

Non rispose, riflettendo sulla domanda che lei gli aveva posto. Aveva davvero smesso di fidarsi di Christine? O meglio, aveva mai cominciato a farlo?

, suggerì una voce dentro di lui. Hai cominciato nel momento esatto in cui hai fatto un patto con lei.

Christine piegò il collo, gettandogli un'occhiata storta di sotto in su, come se avesse indovinato i suoi pensieri. “Ti ho mai mentito, Jacob Greengrass? L'ho mai fatto?”

Segui ciò che non riesci a prevedere.

“Ci sono molti modi di dire la verità,” ribatté mestamente. “Perché?” Si schiarì la voce. “Perché Bernie?”

Christine lo guardò fisso. La sua espressione era perfettamente neutra e il suo sguardo estremamente sicuro. La sua voce, tuttavia, emerse più flebile del solito – o forse se l'era solamente immaginato. “Sai meglio di me che alcune cose non si possono scegliere, Jake.” Le sue dita tamburellavano con insistenza sul legno compatto del tavolo.

Jacob aggrottò le sopracciglia. 

“C'è qualcosa che non mi hai detto?” soppesò accuratamente le parole mentre le pronunciava. “Perché hai voluto il mio aiuto per scoprire chi abbia annullato il Proteus?”

Fino a che punto mi stai manipolando?

Christine non rispose. 

“Perché volevi scoprirlo?” domandò ancora lui, incapace di fermarsi.

Nonostante attorno a loro continuasse a vigere il solito caos, l'atmosfera parve a Jake come sprofondata in uno strano silenzio.

La ragazza mantenne la propria espressione imperturbabile. “Non sono costretta a rispondere,” gli ricordò.

Jacob emise un lieve sospiro. “Come posso fidarmi di te se non lo fai?”

“Non hai bisogno di fidarti di me.”

“Tu dici?”

Improvvisamente, in Jake sopraggiunse una sensazione nuova e inaspettata. 

Il suo sguardo era scivolato su Christine: nient'altro che un puntolino, una testa bruna fra centinaia di altri studenti. 

Quanti segreti nascondeva? Fino a che punto ne era prigioniera? 

L'unico modo di sfuggire ai propri segreti è rivelarli a qualcuno.

… Ma ci sono segreti pronti a tornarti addosso, una volta svelati.

Improvvisamente, Christine De Bourgh gli parve improvvisamente fragile, come sospesa sull'orlo di un burrone. Provò dispiacere per lei.

“Jacob.” Le sue labbra erano di nuovo incurvate nel solito sorrisetto, a metà fra la presa in giro e l'autocompiacimento. “Ti ho dato pochi consigli, ma dimmi... quei pochi hanno mai sortito un effetto diverso da quello desiderato?”

Aveva ragione, ma Jake non avrebbe saputo dire se questo la rendesse più affidabile o – paradossalmente – meno degna di fiducia.

“Perché?” domandò ancora.

 

“Fidati di me,” replicò Christine, alzandosi. “Ti prometto che un giorno capirai ogni cosa.” 

 

La frase suonò un po' come un giuramento. La ragazza scavalcò la panca e fece per allontanarsi, ma Jake la trattenne ancora.

“Come?” la interrogò.

Christine sorrise. “Facendo le domande giuste.”

Dopo quest'ultima, enigmatica frase, si divincolò dalla sua presa, allontanandosi a lunghi passi dal tavolo di Serpeverde.

 

 

 

 

****

 

 

 

31 dicembre 2021

Torre di Corvonero, Hogwarts

Dopo cena

 

 

 

Nella Torre di Corvonero, i festeggiamenti di Capodanno non erano certo al livello della sovrumana baldoria Grifondoro, ma avevano comunque il loro perché. Questo pensava Hugo, sprofondato in una poltrona di velluto blu situata accanto a una delle alte finestre, occupato a sorseggiare una Burrobirra.

Oltre gli spessi vetri piombati, la neve cadeva leggera, depositando un nuovo manto fresco sopra a quello della sera precedente. All'interno della Sala Comune, regnava un chiacchiericcio soffuso ma tranquillo: i suoi compagni di Casa erano radunati a conversare in piccoli gruppi sparsi. Il sottofondo di voci sommesse era interrotto di tanto in tanto da una risata o dal tintinnio di bicchieri. 

Teresa Grib teneva banco qualche metro più in là, blaterando qualcosa riguardo un necessario ampliamento del programma di Storia della Magia, a suo dire vergognosamente ridotto.

Come se a qualcuno importasse qualcosa di Storia della Magia.

Probabilmente a qualcuno importava, alla fine, poiché Teresa era circondata da un gruppetto di accoliti che pendevano dalle sue labbra, mentre Vincent Greene la guardava con occhi adoranti.

Ma in fondo, era proprio per questo motivo che Hugo amava la propria casa: solo tra i Corvonero a qualcuno importava di Storia della Magia. Anche i migliori tra gli studenti delle altre case si limitavano a fingere di apprezzare la materia – che Hugo stesso riteneva di una noia mortale – al solo scopo di mantenere alta la media. 

Ai Corvonero, invece,  piaceva fare gli intellettuali e venire apostrofati come secchioni. Ogni aggettivo di quel genere, anche i più diffamanti, alle loro orecchie suonava più come un complimento che come un insulto. Dopotutto, non era un caso che solo raramente qualcuno che non fosse della loro Casa proseguisse Storia della Magia anche dopo i G.U.F.O.

Questa specie di ostentazione di cultura era palese nell'andamento della festa e persino nelle argomentazioni mentali di Hugo.

Un'impeccabile arringa di difesa per le Sacrosante Virtù Corvonero, si complimentò con se stesso. Forse dovrei prendere Magisprudenza, finita la scuola.

Quella sera, Hugo era sorprendentemente di buon umore, quindi ancora più incline del solito all'autocompiacimento. Probabilmente era tutto dovuto al fatto che finalmente la situazione sembrava in procinto di sbloccarsi. Scoprire l'identità di Gossip Witch aveva senz'altro costituito un notevole passo avanti, e su questo non ci pioveva. 

Ma non voleva pensarci: aveva tutte le intenzioni di godersi la serata.

In fondo alla Sala Comune, due membri della squadra di Quidditch stavano depositando sul tavolo una pesante cassa di Champagne – si stava avvicinando la mezzanotte e già erano occupati a organizzare il brindisi.

Perfettamente puntuali. Perfettamente Corvonero.

“Weasley!”

Riconobbe immediatamente la voce che lo stava apostrofando. Dal lato opposto della Sala, Anthony Menley si stava sbracciando per dirgli di raggiungere lui e gli altri: ciocche di capelli castani gli piovevano sugli occhi, illuminati da un gran sorriso.

Con un sospiro, Hugo si alzò dalla propria poltrona, avvicinandosi verso quella che chiamava ironicamente Alta Corte Corvonero, la Burrobirra fra le mani mentre avanzava attraverso la Sala Comune.

Radunati sui divani che attorniavano il caminetto acceso, i suoi amici lo salutarono con cenni educati e grandi sorrisi. Hugo si lasciò cadere sull'unico posto libero – suo malgrado, proprio davanti ai Menley; accettando senza troppi complimenti il sandwich al tacchino che gli fu offerto. 

“Allora, Hugo,” Tony incurvò le labbra in un sorriso, poggiando il gomito sullo schienale del divano. “Considerazioni su quest'anno che sta per finire?”

Hugo deglutì il suo boccone di panino, prima di stringere le labbra per disintegrare eventuali briciole. Solo allora emise un sospiro spezzato, preparandosi a rispondere.

 

… Che è statisticamente provato che chiunque possa interessarmi abbia a che fare con Gossip Witch, l'incanto Proteus o qualche carta misteriosa?

 

Scrollò le spalle. “Tutto sommato, non male.” 

Gettò un'occhiata ad Anthony, che lo fissava di rimando in attesa di una conclusione. Accanto a lui, Georgia sedeva con le gambe accavallate, i ricci bruni sciolti e gettati graziosamente sulla spalla destra; la sua bocca grande e mobile era incurvata in un sorrisetto difficile da interpretare. 

La osservò tamburellare distrattamente con le unghie sul bordo del suo calice, prima di tornare a volgere lo sguardo su Tony, che ancora lo fissava sorridendo.

Deglutì, mettendo su la sua migliore espressione noncurante. “Ogni volta alla fine di dicembre mi piace pensare che l'anno successivo sarà ancora migliore.”

Il sorriso di Anthony si fece più largo. Fiona Beckett chinò appena il capo, mentre i suoi occhi scintillavano di approvazione, quasi quanto la spilla da Caposcuola sul suo petto brillava al riflesso del fuoco. 

Anche Hugo sorrise, un po' nervosamente. Con i suoi amici, se così poteva chiamarli, aveva sempre l'impressione di essere sottoposto a un esame.

Fortuna che non soffro di ansia da prestazione come papà o Rosie...

Non era sicuro che questo fosse giusto, ma lo accettava senza troppe difficoltà. O perlomeno, l'aveva accettato fino a pochi mesi prima: da quando la sua vita era stata totalmente assorbita da quel mistero che sembrava infittirsi sempre di più, aveva trascurato molte cose.

Comprese le amicizie.

“Sono d'accordo con te.” Fiona gli rivolse un cenno d'intesa. “Dopotutto, per molti di noi è il momento di iniziare a pensare agli esami. Hai i G.U.F.O. quest'anno, o sbaglio?”

“Non sbagli,” Hugo scrollò le spalle.

“Quali sono le materie che pensi di continuare per il M.A.G.O.?” domandò Klaus Brooks, raddrizzandosi gli occhiali sul naso.

Abbassò lo sguardo. A dire il vero, non ci aveva pensato granché, preso com'era stato da tutto il resto. Non aveva un'idea definita di quale potesse essere il suo futuro, una volta terminata la scuola. Certo, gli sarebbe piaciuto cominciare gli studi in Magisprudenza, come sua madre – che lavorava all'ufficio di Applicazione della Legge sulla Magia –  ma non gli sarebbe dispiaciuto neanche intraprendere una carriera politica all'Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. O, perché no, diventare un ricercatore in qualche campo; anche dedicarsi all'insegnamento, poi, non sarebbe stato male.

 

Potrei tornare a Hogwarts.

 

Il pensiero di abbandonare il castello gli stringeva il cuore anche adesso, sebbene mancassero ancora più di due anni al momento in cui avrebbe dovuto farlo. Non aveva difficoltà a immaginarsi come un professore di Trasfigurazione o Aritmanzia, magari anche responsabile dei Corvonero. 

No, non sarebbe affatto male.

Sì, forse quella si sarebbe potuta rivelare la sua strada.

Ma immagino che i colloqui di orientamento servano proprio a capire questo.

“Penso quelle standard, senza un indirizzo in particolare,” disse infine, soppesando con cura le proprie parole. “Non ho ancora un'idea definita su cosa fare dopo la scuola.”

Improvvisamente, si sentì a disagio. Probabilmente, ciascuno dei compagni di Casa che lo circondavano in quel momento aveva perfettamente idea di cosa fare dopo. Non gli era mai capitato di sentirsi particolarmente fuori onda rispetto agli altri Corvonero, ma evidentemente c'era una prima volta per tutto.

Il suo sguardo cadde su Georgia, che proprio in quel momento gli gettò un'occhiata penetrante. Tony, al suo fianco, giocherellava con un pezzo di pergamena, spiegandolo e ripiegandolo fra le dita.

La mente di Hugo volò sul foglietto che Anthony gli aveva consegnato all'inizio dell'anno, chiedendogli di capire cosa significassero quei simboli. Conseguenzialmente, si ritrovò a pensare alle carte da gioco che aveva ricevuto negli ultimi tempi; pensò al suo ultimo sospetto su chi potesse esserne il mittente.

… Forse sarebbe il caso di andare a dare un'occhiata ai movimenti di Hessler.

La conversazione con i suoi amici, dopotutto, lo stava annoiando parecchio. 

Il gusto per l'avventura deve essere ereditario.

Era anche tragicamente Grifondoro, ma, dopotutto, metà della sua famiglia apparteneva a quella Casa: qualche gene doveva pur essergli stato trasmesso.

Si alzò in piedi. “Devo andare,” fece spallucce. “Mia sorella mi ha chiesto di passare con lei gli ultimi minuti dell'anno.”

Probabilmente non reggeva tanto come scusa, ma nessuno degli altri avrebbe potuto disquisire in proposito.

“Buon 2022,” aggiunse in un mormorio, avviandosi verso l'uscita della Sala Comune. “Sperando davvero che sia migliore.”

 

 

 

 

****

 

 

 

Take all the courage you have left

Wasted on fixing all the problems

That you made in your own head.

Mumford & Sons

 

 

 

 

31 dicembre 2021

Sotterranei, Hogwarts

Ancora dopo cena

 

 

 

Tanto per cambiare, Scorpius era solo. 

Jacob era scomparso dalla circolazione ormai da parecchi minuti – probabilmente per andare a infrattarsi da qualche parte con Lily, visto che anche lei sembrava essere caduta in un Armadio Svanitore; Bernie invece era andato a prendere da bere per entrambi, salvo poi essere dirottato da Christine De Bourgh prima ancora che potesse raggiungere il tavolo delle bevande. 

Adesso erano in un angolo semibuio a parlottare. Di tanto in tanto, Christine faceva delle smorfie e Bernie ridacchiava. 

Ridacchiare. Quella là l'ha del tutto rimbecillito.

L'equazione era pessima: Scorpius era da solo e per di più senza niente da bere, troppo impigrito per sollevarsi dalla poltrona in cui era sprofondato e andarsi a prendere un Firewhiskey. Pensò distrattamente alle occhiataccie che un tempo gli gettava Dominique quando lo vedeva berne. 

Improvvisamente, lo assalì uno strano moto di nostalgia. Stare assieme a Domi era stato facile: bastava fare – o fingere di fare – quello che lei diceva, perché tutto filasse liscio. In effetti con lei, se si escludeva la parentesi Grace, non c'erano mai state complicazioni. I veri problemi erano iniziati più tardi, quando aveva cominciato a frequentare Lucy: con lei era stata un'interminabile successione di malintesi a non finire, intervallati da rari momenti in cui entrambi si illudevano che sarebbe andato tutto bene. 

Ma Rose... Rose era persino più complicata di Lucy. Forse perché quest'ultima non era complicata nel vero senso della parola, bensì era la loro relazione ad essere costantemente minata da un equivoco dietro l'altro.

Rose, invece, era la persona più problematica che lui avesse mai conosciuto – esclusa forse quella psicopatica di Christine, che era riuscita ad attrarre Bernie nella sua ragnatela; con lei bisognava sempre sforzarsi per capire, per interpretare nel modo giusto i suoi atteggiamenti. 

E dire che in principio sembrava andare tutto bene, fra di loro! Tutto liscio, estremamente positivo: come se avessero bisogno l'uno dell'altra per stare in pace con se stessi.

Forse era stato proprio questo aspetto del carattere di Rose a suscitare in lui un interesse così improvviso: poi le illusioni erano sopraggiunte e si erano sovrapposte irreparabilmente, al punto che neanche si era reso conto di aver preso un abbaglio.

Se poi di un abbaglio si trattava davvero: aveva più che altro l'impressione che fosse stata Rose a fraintendere tutto, a ignorare segnali che – a dire di Scorpius – erano decisamente chiari. Insomma, poteva anche accettare che l'essere tanto difficile fosse un aspetto preponderante in lei; era proprio questo a piacergli, dopotutto. 

Ma ad ogni cosa c'è un limite.

Se magari Rose si fosse decisa a smettere di fare la ragazzina, forse... e magari prendere in considerazione il fatto che il mondo non girava intorno a lei. 

A dire il vero, si sentiva piuttosto stupito per il fatto che ancora non si fosse allontanata dalla festa: iniziava a pensare che simili ostentazioni di misantropia fossero un modo per attirare l'attenzione altrui. Finché le cose erano rimaste indistinte, non dette, a Rose era andata bene: solo al momento di prendere una decisione si era tirata indietro.

 

… Come se le fosse dispiaciuto baciarmi durante la festa per la Prima Prova.

 

Nonostante quella sera avesse avuto parecchio alcool in corpo, ricordava perfettamente il modo in cui Rose gli si fosse avvinghiata contro, aggrappandosi al bavero della sua camicia. Quel bacio le era piaciuto quanto era piaciuto a lui.

Non si sentiva ingiusto a pensare che la ragazza fosse un'ipocrita, in fondo, sebbene probabilmente fosse la rabbia a farglielo dire. Se solo avesse ancora avuto amici abbastanza sani di mente da parlarne, visto che Jake – oltre che da Lily – era assorbito dal desiderio di chiarire con Al. Scorpius sospettava che vi fosse anche qualcos'altro a ossessionarlo, ma l'amico non ne aveva fatto parola. 

Per non parlare di Bernie, che di fronte a ogni minima osservazione aveva reagito malissimo.

Peggio per lui! Quando sarà il momento, gli ricorderò che gliel'avevo detto.

Come se tutto questo non bastasse, le sue notti erano ormai costellate da incubi continui. Aveva assistito mille volte ancora, in sogno, alla morte di Otto Murray. L'aveva visto sporgersi verso di lui, pronunciare poche parole spossate e poi crollare.

La notizia era comparsa su tutti i giornali, anche se il signor Potter era stato sufficientemente sveglio da coprirli con la stampa, quindi il suo nome e quello di Jake non erano stati scritti. 

Tuttavia, a Hogwarts se n'era parlato parecchio: come previsto, ogni voce si era ingigantita, senza che nessuno li interpellasse per avere conferme.

Qualcuno diceva che lui e Jake avessero combattuto coraggiosamente al fianco degli Auror, strano comportamento per dei Serpeverde. Altri, invece, sembravano convinti del fatto che fossero stati rapiti e conseguentemente torturati dagli aggressori di Hogsmeade. Infine, v'erano opinioni secondo le quali fosse stato Scorpius stesso a eliminare l'Indicibile per proteggere un Jake agonizzante.

In seguito a quest'ultima diceria, una Grifondoro del quarto anno aveva concluso che probabilmente erano entrambi gay e che Lily Potter fosse solo una copertura. Si era persino dichiarata fan della coppia: Scorpius si era stupito che non avesse messo su una campagna per farli uscire allo scoperto.

Quando l'aveva comunicato a Jake, l'altro aveva riso a crepapelle. “Mi dispiace, amico. Sono già impegnato. Poi, pensavo che stessi con Bernie.”

Quest'ultimo aveva inarcato un sopracciglio. “Dovrei essere geloso?”

 

Si rese conto che da un momento all'altro si sarebbe addormentato dalla noia, se non si fosse alzato di lì per fare qualcosa. Di qualunque cosa si potesse trattare.

Prima di tutto, rilevò, sarebbe stata buona norma andare a prendere qualcosa da bere, visto che i festeggiamenti per la fine dell'anno erano cominciati già da un paio d'ore e ancora non aveva buttato giù neanche una goccia. 

Come sempre, avevano fatto un ottimo lavoro: mentre attraversava la Sala Comune, Scorpius ebbe modo di notare che il tavolo delle bevande era decisamente ben fornito. Dopotutto, anche Leopold Higgs serviva a qualcosa, abile com'era nel fornire alcolici di straforo. Giunto presso il tavolo, si servi di un generoso bicchiere di Firewhiskey: adorava la sensazione di bruciore che si sprigionava all'altezza del petto già al primo sorso.

Con la sua preda stretta fra le mani, fece per tornare alla sua comoda poltrona, quando qualcuno gli tagliò la strada. Una figura più bassa di lui di tutta la testa, con una chioma di capelli rossi. Per un momento pensò stupidamente che si trattasse di Rose, salvo poi realizzare che i capelli della ragazza erano lisci, al contrario della criniera indomabile della Weasley.

Agnes Cardmaker sorrise quasi distrattamente. “Tutto bene, capitano?”

Scrollò le spalle. “Una specie,” replicò bruscamente, salvo poi ricordare che di solito le persone cercavano di non essere maleducate, nel rapportarsi fra di loro.

Diamine, sto diventando sempre più intrattabile.

Deglutì. “Vuoi... qualcosa da bere?”

“Già fatto.” Agnes sollevò una bottiglia di Acquaviola. “Ma grazie per il tentativo.”

Un sorriso gli salì spontaneo alle labbra. “Come te la passi, Cardmaker?”

La ragazza fece una smorfia. “Non male. Tu invece sì, a giudicare dalla tua faccia.”

“La mia faccia?”

“Non sei tanto bravo a nascondere le tue emozioni, eh?”

Non raccolse la provocazione. Agnes lo guardava di sotto in su con aria vagamente maliziosa. Dopotutto era una ragazza carina e divertente: giocava a Quidditch, era sempre allegra, era sexy. E lo guardava di sotto in su con aria vagamente maliziosa.

“Non molto, già.” Sostenne il suo sguardo.

Dopotutto potrei... Sì, potrei. 

Non sarebbe male.

No, non sarebbe stato male: proprio per niente.

Le sorrise, accennando con un gesto del capo al margine della Sala, presso una delle inutili finestre contro i cui vetri turbinavano le acque verdastre del lago. 

“Agnes,” esordì, leggermente impacciato. “Vorresti–”

“Con molto piacere,” lo interruppe lei, prendendolo a braccetto.

Mentre procedevano verso l'angolo designato, Scorpius scorse con la coda dell'occhio la figura di Rose che li fissava. Per un brevissimo istante, un moto di soddisfazione gorgogliò in fondo al suo stomaco.

 

 

 

****

 

 

But it was not your fault but mine

And it was your heart on the line

I really fucked it up this time.

Mumford & Sons

 

 

 

Rose aggrottò le sopracciglia, seguendo con lo sguardo Scorpius e la Cardmaker dirigersi verso una finestra. Quest'ultima aveva preso il ragazzo a braccetto e i due si sorridevano in un modo che – non le piacque ammetterlo – fece rigirare qualcosa di sgradevole in fondo al suo stomaco.

Sei solo dispiaciuta per come si è conclusa la vostra amicizia, si ripetè.

Tuttavia, si dovette sforzare per distogliere lo sguardo da loro, sebbene non fossero affari suoi, in fondo. Cercò di concentrarsi su quello che aveva detto Lily: divertirsi. Essere felice. Dar vita a nuovi, più potenti ricordi per combattere la peggiore di tutte quelle schifezze della Seconda Prova. 

I suoi occhi tornarono a serpeggiare in direzione della nuova coppia.

Piantala, Rose.

 

“Quella si chiama gelosia, lo sai?” una voce melodiosa si levò alla sua sinistra.

 

Di male in peggio: al suo fianco era comparsa improvvisamente Christine. Avrebbe dovuto prevedere che l'altra non avrebbe perso un'occasione per infierire: dopotutto, dire te l'avevo detto era uno dei suoi hobby preferiti, assieme a rovinare la vita degli altri e corrompere tipi ingenui come Bernard Boot.

Si voltò verso la compagna di casa, inarcando un sopracciglio. “Osservazione brillante,” replicò piattamente.

“Forse non brillante,” ribatté Christine, sorseggiando il suo Firewhiskey. “Ma indubbiamente vera.”

“Come sempre devi essere irritante,” mormorò. “E comunque non sono gelosa.”

L'altra emise uno sbuffo vagamente esasperato. “Come no.”

Rose ingoiò il rospo, cercando di ignorare il prepotente senso di fastidio che l'aveva assalita all'altezza dello stomaco. Non era gelosa: semplicemente, non si aspettava che Scorpius l'avrebbe dimenticata così presto. Dopotutto, aveva creduto di significare qualcosa per lui. Probabilmente era un sentimento egoista da parte sua, ma...

“Certo che hai veramente i paraocchi.”

Roteò gli occhi, irritata. “Sempre con questi pareri non richiesti, tu?”

Christine rise, facendo scivolare una ciocca di ricci capelli scuri dietro la spalla con una fluida mossa della testa. Dunque si mordicchiò il labbro, perdendosi a guardare chissà che cosa nella ressa della Sala Comune. Rose sperò che guardasse quel qualcosa ancora a lungo, possibilmente in silenzio.

Naturalmente, le sue speranze furono tradite. 

“Ti prego, Rose,” cantilenò Christine. “Cerca di capire che non sempre le cose sono quelle che sembrano. D'accordo?”

“Eh?!” Rose fece una smorfia. “Questo cosa vorrebbe dire?”

L'altra alzò gli occhi al cielo, prima di chinarsi leggermente su di lei e picchiettarle con l'indice sulla fronte. “Pensa, Rose. Pensa. Il cervello non ti manca, o non saresti la nostra Campionessa Tremaghi.”

Si scansò, punta sul vivo, mentre il tocco delle dita fredde di Christine sembrava bruciarle come un marchio sulla fronte. “Sai di essere insoppor–”

“Oh, per favore!” La vide roteare gli occhi. “Smettila di ostinarti a negare l'evidenza.”

“Non c'è nessuna evidenza da negare.” Lo sguardo di Rose tornò a posarsi su Scorpius e Agnes, che adesso conversavano con le teste vicine. Per qualche motivo, si sentì vagamente sconfortata. I suoi occhi, nel tentativo di allontanarsi dai due, finirono per scivolare su Boot, che giocherellava con una bottiglia di Burrobirra, parlando con dei ragazzi del sesto anno. “Che intenzioni hai?” domandò a voce bassa.

Per la prima volta da quando la conosceva, Christine le parve davvero infastidita. “Se ti riferisci a Bernard, sappi che questa domanda mi è già stata rivolta troppe volte.”

“Vale a dire?”

Christine la guardò, gli occhi scuri insolitamente seri. “Vale a dire che mi sono stufata di rispondere ogni volta allo stesso modo.” Pronunciata la sua battuta, si allontanò in fretta.

Sempre la solita. Vuole avere l'ultima parola.

Sotto certi punti di vista, l'altra era facile da gestire, una volta che ci si rendeva conto che agiva né più né meno che come una bambina capricciosa. Sotto altre prospettive, beh... non lo era affatto. 

Di sicuro, non è semplice da interpretare.

Sbuffò, cercando Gwyneth con lo sguardo. Sorprendentemente, non aveva voglia di stare da sola, come per recuperare quegli ultimi giorni passati praticamente in isolamento. Finalmente la individuò in fondo alla Sala, mentre raccontava qualcosa a Lea Corner, una dei Prefetti del sesto anno. Come sempre, enfatizzava ogni espressione facciale e gesticolava con una certa energia.

Si versò un bicchiere di Firewhiskey prima di decidersi a raggiungerla. 

“Gwyneth?” 

L'altra si voltò e per un momento parve stupita. “Rose,” le si rivolse, vagamente sarcastica. “Noto con piacere che hai abbandonato il tuo eremo.”

“Detto anche biblioteca,” ribatté lei con una scrollata le spalle.

Gwyn le rivolse un sorriso enigmatico, spostandosi dietro l'orecchio una ciocca di capelli scuri. “Detta anche biblioteca,” le fece eco, concordando.

Lea – capelli biondo cenere e naso affilato – gettò loro un'occhiata annoiata, prima di salutarle con un cenno e defilarsi silenziosamente.

Gwyneth la guardò allontanarsi. Le sue labbra erano incurvate in un sogghigno, come se fosse stata a conoscenza di una qualche verità assoluta che non avrebbe rivelato per nessuna ragione al mondo. 

“Lea è terribilmente antipatica, sei d'accordo?” commentò con una smorfia.

Rose scoppiò a ridere. Per qualche motivo, a volte Gwyneth le ricordava Lily.

 

“Hai bisogno di ricordi nuovi. Nuovi ricordi abbastanza felici.”

 

“Rose Weasley?” Gwyneth sollevò le sopracciglia. “Hai davvero riso?”

Scrollò le spalle, mentre le sue labbra continuavano a piegarsi verso l'alto. Doveva essere il Firewhiskey. “Così pare.”

L'altra arricciò il naso. “Non credevo che ne fossi capace.”

“Non si smette mai di imparare, no?”

Lo sguardo dell'altra rimase sospeso per alcuni secondi, come se fosse stato appeso a un filo. “Non hai tutti i torti,” deliberò. Poi sorrise, enigmatica, scuotendo la chioma scura e mossa. “Sbaglio o hai bisogno di ridere di più?”

… Ricordi abbastanza felici.

“Non sbagli.” Si posò l'indice sulle labbra, come per dire all'altra di tacere. “Ma questo è un segreto.”

Gwyneth ridacchiò. “A me piacciono i segreti.”

 

 

 

 

****

 

 

 

 

31 dicembre 2021

Torre di Grifondoro, Hogwarts

Ormai agli sgoccioli

 

 

 

Ormai Albus aveva rinunciato ad ogni tentativo di impedire a Chris McGregory di riempire continuamente il suo bicchiere. 

In Sala Comune regnava una confusione inaudita. Le sue orecchie si erano abituate al caos, al punto che ormai quasi non faceva caso al fracasso infernale prodotto da voci, brindisi, risate e di tanto in tanto lo scoppio di qualche petardo magico, firmato Tiri Vispi Weasley. Nel corso della serata, la Burrobirra era scorsa a fiumi. Il Firewhiskey, invece, sembrava essere stato sottoposto al monopolio di McGregory, che dall'inizio della serata non aveva fatto altro che aggiungerne al bicchiere di Albus ogni volta che gli sembrava troppo vuoto, il che era avvenuto con una frequenza piuttosto rapida.

In conclusione, il corpo di Al sembrava aver smesso di rispondere ai suoi comandi. Al tempo stesso, aveva perso ogni filtro fra il cervello e le parole: biascicava in continuazione pensieri ai quali, da sobrio, probabilmente mai avrebbe dato voce. Fortunatamente, era troppo ubriaco perché la maggior parte delle sue parole fossero comprensibili ad orecchie altrui. 

Ormai mancavano solo pochi minuti alla mezzanotte: era facile rendersene conto anche dal mutare della baldoria nella Sala. Il livello di confusione era sempre lo stesso, ma sembrava distribuito diversamente, ad ampi respiri. Confusamente, Albus pensò che probabilmente da un momento all'altro il professor Paciock avrebbe fatto irruzione in Sala Comune per intimare di abbassare un po' i toni.

Sperava che non accadesse. 

Insomma, si stava divertendo semplicemente da morire, anche se la testa gli girava e i pensieri si riallacciavano l'uno all'altro senza un vero e proprio filo logico. Il suo sguardo vagava distrattamente sulla ressa di studenti, senza cercare nessuno in particolare. Tuttavia, finì per incappare in una testa di scomposti ricci castani e in un corpo sul quale l'uniforme scolastica cadeva niente male. 

Il Firewhiskey doveva aver sollevato dai suoi occhi quel velo di autoconvinzioni che si ostinava a mantenere da parecchio, poiché la realtà gli apparve improvvisamente con maggiore chiarezza. 

Quinn Baston era decisamente una ragazza. Una ragazza piuttosto carina, oltretutto: non una bellezza da copertina, magari, ma comunque graziosa e a modo suo anche divertente. Si accorse che le sopracciglia di Quinn erano aggrottate, ma che la sua bocca si contraeva leggermente, come nel tentativo di trattenere un sorriso che spontaneamente le affiorava alle labbra. 

Albus quasi scoppiò a ridere. Rise perché il Firewhiskey gli stava dando alla testa, probabilmente, e non capiva granché di cosa stesse accadendo dentro e fuori dalla sua mente. Il tempo scorreva a sbalzi irregolari, fra torrenti di pensieri convulsi e rari momenti di lucidità: a tratti gli sembrava di risvegliarsi dopo un intervallo di tempo infinito, quando in realtà non erano trascorsi che pochi istanti.

“Meno un minuto alla mezzanotte!” gridò qualcuno, che Al riconobbe distrattamente come Chris McGregory. 

Conseguentemente all'annuncio, la Sala parve come percorsa da un fremito. Poco alla volta, gli studenti ammutolirono, in trepidante attesa del conto alla rovescia. 

Albus scattò in piedi.

Devo brindare, pensò. Mi serve qualcosa per brindare.

McGregory sembrava troppo distratto dal tempo che passava per far caso a lui, quindi Albus – mentre il mondo sembrava vorticargli attorno – arrancò fino al tavolo delle bevande, recuperando una bottiglia di Firewhiskey semivuota. Risolse di bere direttamente dal collo di essa, poiché non era sicuro che sarebbe riuscito a versare il liquore in un bicchiere senza rovesciarne la metà. 

 

“Dieci!”

 

Appoggiandosi alla parete per non capitolare al suolo, iniziò a muoversi lungo il perimetro della Sala. Solo quando ebbe compiuto diversi passi realizzò di starsi dirigendo verso Quinn.

Dovrei chiederle scusa.

Dovrei–

“Nove!”

Si fermò: la testa gli girava troppo perché potesse proseguire senza crollare al suolo. Si resse al collo della bottiglia come a un'ancora di salvezza.

“Otto... Sette... Sei...”

Solo pochi secondi e sarebbe cominciato un nuovo anno.

“Cinque... Quattro...”

Poco... mancava veramente poco.

“Tre... Due...”

Forse avrebbe dovuto chiedere scusa a Quinn.

 

“Uno... Zero! Buon 2022!”

 

Alle parole di Chris McGregory, sembrò che fosse scoppiata una bomba. Il caos di poco prima tornò a sostituirsi al silenzio con rinnovato vigore. Ovunque regnava il frastuono provocato da brindisi entusiastici e auguri scambiati con voce fin troppo alta: Albus sollevò la bottiglia, brindando con tutti e con nessuno.

Aveva appena finito di attaccarsi ad essa quando si accorse di essere giunto più vicino a Quinn di quanto non pensasse. Rapidamente, pensò che fosse il momento giusto per scusarsi con lei, ignorando la stupida vocina nel suo cervello che gli suggeriva che sarebbe stato meglio affrontare l'argomento da sobrio. 

Con determinazione, si staccò dalla parete, annullando con passi incerti la distanza che li separava. Quinn parve percepire in qualche modo il suo avvicinamento, poiché quando Albus fu a poco più di un metro di distanza da lei, si voltò di scatto.

Barcollando, il ragazzo la afferrò per il gomito. Quinn gli gettò uno sguardo nervoso, spostando più volte gli occhi dalla sua mano al suo volto. 

“Che cosa vuoi, Potter?” lo apostrofò, sferzante.

La vedeva come se stesse ondeggiando, sfocata, davanti ai suoi occhi. “Quinn...”

“Sei ubriaco?!”

Vedeva anche la sua espressione disgustata, il movimento brusco con cui si sottrasse alla sua presa. Fece per afferrarla di nuovo: voleva che lo guardasse in faccia, che capisse quanto fosse sincero il suo desiderio di scusarsi. Quinn si scansò prima che lui riuscisse a stringere nuovamente il suo gomito.

… E dire che sono... sono un bravo Cercatore. Bravo ad acchiappare le cose.

Scoppiò a ridere, senza un perché, forse rendendosi conto di quanto fosse ridicola quella situazione. “Quinn, io... Io devo parlarti, capisci?”

“Sei ubriaco,” ripeté lei, questa volta in un'affermazione. “Ti si potrebbe sentire addosso l'odore di Firewhiskey a cinque metri di distanza.”

Devo parlarle.

“Sì, sono ubriaco,” ammette, la voce traballante. “Ma ti devo... ti devo parlare. Mi dispiace, io...”

Quinn strinse gli occhi e deglutì, contraendo leggermente il labbro inferiore. “Senti, non sei in te, è meglio se–”

No.

“Devo parlarti!” 

Le gettò uno sguardo confuso, brancolando nel vuoto con la mano, come cercando di stringere ancora il suo gomito. Lo sguardo di Quinn, per tutta risposta, sembrò indurirsi.

 

“Vattene, Al.”

 

Ma fu lei ad andarsene, mollando lì le compagne di dormitorio che avevano assistito perplesse alla scena. 

Albus la guardò allontanarsi, sentendosi per l'ennesima volta un emerito idiota, pur attraverso i fumi della sbornia.

 

 

 

****

 

 

 

 

 

1 gennaio 2022

Sotterranei, Hogwarts

Primi minuti dell'anno nuovo

 

 

Naturalmente, Hugo si era perso il conto alla rovescia. Questo perché – come un perfetto idiota – solo una volta giunto nei sotterranei aveva realizzato di non conoscere la parola d'ordine dei Serpeverde. 

Quindi aveva dovuto nascondersi, attendendo pazientemente che un appartenente di quella Casa rientrasse da chissà quali giri notturni e pronunciasse la frase giusta. 

Biscia acquatica,” riuscì finalmente a pronunciare. La parete umida si aprì lateralmente, come scorrendo su binari invisibili, e Hugo si infilò dentro cercando di non farsi notare. 

Era tutto sommato facile irrompere non visti nei festeggiamenti Serpeverde, decisamente meno placidi di quelli dei Corvonero, in cui addentrarsi di straforo avrebbe decisamente attirato l'attenzione. Fortunatamente, aveva avuto l'accortezza di togliersi la cravatta bronzo-blu e il distintivo da Prefetto, così da non attirare sguardi sospettosi.

Diamine, sono nella tana del serpente.

Si guardò intorno, pensieroso, poi sfiorò con la punta della bacchetta magica gli orli e i polsini del suo maglione, bordato di blu Corvonero, mutandoli in un verde smeraldo 

Così camuffato, riteneva di poter passare per un Serpeverde senza troppe difficoltà, anche perché la maggior parte degli studenti – solo degli ultimi anni, notò con sollievo – sembrava aver troppo alcool in corpo per far caso alla sua identità.

Si rifugiò in un angolo semibuio, scrutando la Sala in lungo e in largo alla ricerca di Herman Hessler. Finalmente, dopo parecchi minuti di osservazione, lo notò in un angolo, nella più completa solitudine, intento a sorseggiare una Burrobirra e fissare qualche punto imprecisato sul pavimento davanti a lui. 

Hugo sentì il cuore in gola. Quello sembrava proprio l'atteggiamento tipico di un pazzo psicopatico fissato con la cartomanzia, o in alternativa di una persona molto antipatica e sola. Assottigliò gli occhi, scrutando il Serpeverde con sospetto.

Dopo pochi secondi dall'inizio della sua analisi, Herman sollevò improvvisamente lo sguardo, incontrando il suo. Per una frazione di secondo parve sinceramente stupito, poi aggrottò le sopracciglia, incurvando le labbra in un mezzo sorriso. Anche a quella distanza, a Hugo parve di percepire l'eco di uno sbuffo.

Si grattò la nuca, imbarazzato, puntando in fretta lo sguardo dalla parte opposta, per la precisione in direzione di Rose, che chiacchierava con una sua compagna di dormitorio e – sorprendentemente – rideva

Quando rivolse di nuovo nel punto in cui si trovava Hessler, scoprì che il ragazzo non era più lì. Conseguentemente, lo individuò alcuni metri in avanti, intento a dirigersi proprio verso di lui.

A disagio, si guardò intorno, cercando una via di fuga, ma prima che riuscisse a trovarne una, l'altro l'aveva raggiunto.

“Weasley,” lo salutò piattamente. “Buon anno nuovo.”

“Anche a te,” replicò lui, la voce che traballava appena.

Il mezzo sorriso di Herman scemò. “Che cosa ci fai qui?” domandò.

Hugo deglutì, nervoso. “Festeggio l'anno nuovo con mia sorella,” arrangiò, riciclando la stessa scusa che aveva usato con i suoi amici Corvonero.

Herman inarcò le sopracciglia. “Ah, sì?” ribatté, inclinando il capo lateralmente. “E allora perché non sei con lei?”

Io odio, io odio, io odio i Serpeverde¹!

Guardò Rose, sentendo di arrossire. “Al momento è impegnata.”

L'altro annuì lentamente, lasciando scivolare lo sguardo sul golf di Hugo. “Che cosa è successo al tuo maglione?” chiese in tono leggero.

Abbassò lo sguardo sui polsini, sentendosi decisamente stupido. “Un Elfo Domestico deve aver sbagliato qualcosa nel lavaggio,” farfugliò.

Herman emise uno sbuffo scettico. “Per favore, non credere di darmela a bere.”

Ho già detto che odio i Serpeverde?

Mentire ulteriormente non avrebbe avuto senso. 

“D'accordo,” ammise, guardando il ragazzo dritto in faccia. “Mi ero stufato della festa nella Torre di Corvonero e speravo di infiltrarmi qua senza essere notato.” Dopotutto, non era che una mezza bugia. 

“Non mi sorprende.” Hessler scrollò le spalle, appoggiandosi al muro accanto a lui. “Le vostre feste devono essere di una noia mortale.”

“Più o meno.” Lanciò all'altro un'occhiata storta. Forse era il momento di fare un azzardo. “Mi ha stupito che stessi leggendo quel libro,” buttò lì. “Non capita spesso di incontrare persone interessate alla cartomanzia, almeno dal punto di vista Babbano.”

L'altro sorrise appena, abbassando lo sguardo. “È così, in effetti,” concesse. “Però trovo che sia interessante. Intendo il modo in cui i Babbani immaginano la magia.”

Stupito, Hugo aggrottò le palpebre. “Tu credi?”

Herman annuì. “Proprio così. Insomma, alcuni di loro credono di essere in grado di praticarla. E per quanto riguarda la Divinazione, a volte lo sono... Sai che anche alcuni fra i Babbani hanno la Vista?”

“Davvero?” Si sentiva imbarazzato. Aveva sempre visto l'ambito della Divinazione con un certo scetticismo, quindi la sua conoscenza della materia era scarsissima: decisamente, su quel discorso si trovava impreparato – cosa che a dire il vero non gli accadeva spesso.

“Già...” replicò Hessler, distogliendo lo sguardo da lui mentre beveva una lunga sorsata di Burrobirra. “Se l'argomento ti interessa, posso fornirti qualche titolo. Nessuno ci penserebbe, ma già parecchi autori si sono appassionati della materia.”

Hugo abbassò lo sguardo, sentendosi decisamente perlesso. Hessler sembrava normale, persino gentile, a dispetto dell'apparenza da burbero e sbruffone. Appariva come una persona piacevole, mediamente colta e aperta di vedute, considerato tutto l'interesse che stava dimostrando in una branca della Babbanologia. 

Tuttavia, poteva anche darsi che quella fosse l'impressione che voleva dare a lui per ingannarlo e far sì che cadesse nel suo tranello.

Improvvisamente, ebbe un'illuminazione: il modo migliore per scoprire il piano di Hessler e quindi incastrarlo era quello di fingere ingenuità, di fargli credere che si era effettivamente fatto ingannare. In questo modo, Herman avrebbe finito inevitabilmente per scoprirsi, prima o poi... Doveva farselo amico. Fargli credere di fidarsi di lui.

“Volentieri,” rispose, cercando di apparire rilassato. “A dire il vero non mi sono mai fidato granché della Divinazione, ma osservata da questo punto di vista sembra interessante.”
Hessler sorrise. Non doveva capitargli spesso di trovare qualcuno che fosse vagamente interessato all'argomento, che sembrava stargli piuttosto a cuore.

Potrei scoprire qualcosa di utile.

“Vuoi bere qualcosa?” domandò il Serpeverde.

Hugo sorrise con tutta la naturalezza di cui era capace. “Volentieri.”

 

 

 

 

****

 

 

 

Til' all my sleeves are stained red 

From all the truth that I've said 

Come by it honestly I swear.

OneRepublic

 

 

 

1 gennaio 2022

Torre di Grifondoro, Hogwarts

A festa ormai conclusa

 

 

Di pari passo con il graduale smaltimento della sbornia, Albus si sentiva sempre più sconfortato. Negli ultimi tempi, la sua vita era diventata uno stupido susseguirsi di un errore dietro l'altro. Errori compiuti con ingenuità e il più delle volte con le migliori intenzioni, oltretutto, cosa che non poteva non contribuire al farlo sentire un perfetto imbecille.

Stupido, stupido, stupido Al!

Tentare di chiedere scusa a Quinn da sbronzo era stata solo l'ennesima idiozia che aveva compiuto. Non gliene andava bene una: il pessimo posto in classifica della squadra di Grifondoro – okay, forse per quello era davvero colpa sua; la figuraccia al Ballo – quella dannata risata; il non aver notato che vi fosse qualcosa fra Jake e Lily per tutti quei mesi. 

Anche il fatto che avesse fatto passare più di una settimana prima di anche solo provare a ottenere il perdono di Quinn influiva negativamente sull'intera equazione. 

Ormai la sua mente si era del tutto schiarita, e il senso di confusione veniva gradualmente sostituito da un vago stordimento e un fortissimo mal di testa. 

Credo che prima o poi ucciderò McGregory.

Ormai la Sala Comune era deserta da un pezzo, anche se erano visibili ovunque i residui della festa: dal pavimento disseminato di cartacce al vago odore di bruciato che albergava nell'aria laddove qualche petardo era stato fatto esplodere maldestramente. Probabilmente, gli Elfi Domestici sarebbero saliti a ripulire quel macello durante le prime ore del mattino.

… Una puzza tremenda. Di certo non farà male a nessuno se apro un po' la finestra.

Lasciandosi sfuggire un lieve sospiro fra le labbra, si alzò in piedi, facendo forza sullo schienale di una poltrona per tirarsi su. La testa gli girava leggermente – nulla che non fosse perfettamente gestibile.

A passi incerti ma tutto sommato relativamente stabili, attraversò la penombra della Sala Comune, che ormai era illuminata solo dal vago bagliore delle ultime braci ancora vive in fondo al caminetto. Giunto presso una delle alte finestre, ebbe modo di notare il cielo sereno aldilà dei vetri, punteggiato di gelide stelle.

Aprì la finestra, ignorando il brivido di freddo che lo attraversò, non appena fu sfiorato dalla brezza notturna. Il gelo, tuttavia, parve rinfrancarlo: improvvisamente si sentiva molto più cosciente e vigile – e ancora più idiota.

Cacciò una mano in tasca, alla ricerca del pacchetto di sigarette semivuoto rimasto inutilizzato per tutta la serata. Ne tirò fuori una stringendola fra le labbra e l'accese con un colpo di bacchetta, godendosi l'aroma acre e rilassante che si diffuse lungo la sua gola, distendendo i suoi nervi.

Improvvisamente, udì dei passi lievi attraversare la Sala Comune. Si voltò, pensando che potesse essere Quinn, ma le sue speranze furono deluse: la ragazza che si stava avvicinando a lui era più minuta e molto meno atletica della Battitrice, e si stava stringendo in una vestaglia rosa, rabbrividendo per il freddo.

“Lucy,” rilevò rauco, aggrottando le sopracciglia nel vederla approssimarsi a lui. 

La cugina gli sorrise quietamente. “Brutta serata?”

Aprì la bocca per parlare ma si accorse di non avere quasi più voce. Si limitò ad annuire, volgendo uno sguardo desolato sui pendii ricoperti di neve del parco, visibili oltre le finestre. 

Lucy si sedette accanto a lui sul davanzale, sistemandosi dietro l'orecchio una ciocca di capelli castani. “Ne vuoi parlare?”

Scosse la testa. Si sentiva troppo idiota per riuscire ad ammetterlo.

Si accorse del modo in cui la cugina osservava la sigaretta che lui continuava a portare alle labbra, con uno scintillio negli occhi a metà fra il desiderio e il rimprovero.

“Che cos'è quella faccia?” domandò, forse un po' troppo brusco.

Lucy fece spallucce. “Stavo pensando che non ho mai fatto un tiro di sigaretta.”

Albus inarcò un sopracciglio. “E non lo farai mai,” sottolineò. 

Lei fece una smorfia. “E perché no?”

Ci pensò, cercando di trovare una spiegazione logica. “Perché ti farebbe male.”

“Fa male anche a te.”

“Suvvia, Lucy,” diede in una risata. “Persino Lily non ha mai–” ma guardando l'espressione scettica della cugina, la sua voce scemò. Sbatté un paio di volte le palpebre. “Lily fuma?!” domandò, esterrefatto.

Su quante cose mi ha mentito?

Lucy sostenne il suo sguardo, senza sfida. “Vi somigliate più di quanto pensiate, voi due.”

Albus abbassò lo sguardo, consapevole che la cugina avesse ragione.

Approfittando della sua distrazione, lei glì strappò di mano la sigaretta, e, prima che Al potesse fare qualunque cosa per impedirglielo, la portò alle labbra, aspirando una lunga boccata. 

La osservò, in attesa, ormai rassegnato. Lucy non tossì, ma fece una smorfia. “Bleah,” fu il suo commento. “Non so come faccia a piacervi... Secondo me è amaro e sgradevole.”
Albus si riprese la sigaretta e aspirò a propria volta, cercando di capire perché la cugina lo trovasse amaro e sgradevole. Lui amava proprio quella sensazione acre e calmante che si sprigionava dall'interno.

Aggrottò le sopracciglia: la sua espressione doveva essere buffa, perché Lucy lo guardò e scoppiò a ridere. A poco a poco, anche lui si fece coinvolgere dalla sua risata: improvvisamente, ogni problema gli sembrò più semplice, meno insormontabile.

Una volta che l'ilarità si fu estinta, Lucy lo guardò con serietà. “Allora? Mi vuoi parlare di Quinn Baston?”

Albus, a sorpresa, si accorse di aver voglia di parlarne.

Anno nuovo, vita nuova – si disse.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

¹ Omaggio al film Hook – Capitan Uncino.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

 

Quasi con puntualità, eccomi qui. 

Come avrete notato, in fin dei conti non è che in questo capitolo accada granché. Diciamo che le situazioni sentimentali/psicologiche di alcuni dei personaggi si aggiornano alla versione 2.0, mentre altre si complicano ulteriormente, condite di incomprensioni a non finire. Ormai mi conoscete: avrete capito che ho un certo gusto per i malintesi, gli equivoci e le situazioni scomode. E per i personaggi che ogni volta per un passo avanti ne fanno uno indietro.

Avrete notato anche che i nostri Aurors non compaiono: la motivazione è semplice. In questi giorni per loro la situazione Mistero è tranquilla e senza sbalzi particolari, quindi li ho messi da parte per un paio di capitoli, preferendo concentrarmi sul vero e proprio Teen -drama della situazione invece che mollarvi lì un inutile paragrafetto su di loro solo per ricordarvi che esistono.

Anche perché il prossimo capitolo sarà piuttosto fitto di indagini&co, indi per cui ci voleva un po' di robetta più leggera in questo! 

 

Come dico da un po' di capitoli a questa parte, ho notato un visibile calo del feedback. Ovviamente non lo rimprovero a voi – so cosa prende ai professori quando si accorgono di essere indietro coi programmi, non preoccupatevi – ma mi sorge spontanea una domanda: avete forse l'impressione che il “livello” stia calando? Perché in tal caso, accetto volentieri qualunque critica: mi piacerebbe migliorare, insomma. Il fatto è che il dubbio sale automatico: forse la storia non sta piacendo più?

 

 

Detto ciò, grazie a tutti voi <3 

Senza il vostro supporto, non so se sarei arrivata a questo punto!

Bisous,

Daph

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 - Oscurata ***




 


Quando sono gli altri a venire da noi, non li conosciamo; 

siamo noi che dobbiamo andare da loro per imparare chi siano.

Johann Wolfgang Goethe

 

 

And there’s ears below the floor

Cracks inside the ceiling

And there’s shadows at the door.

Noah and The Whale

 

 

 

10 gennaio 2022

Caterham, Surrey, Inghilterra

Sera

 

 

 

Eddie Clearwater aveva origini Babbane per metà e una capacità magica nella norma. Era piuttosto alto e i suoi capelli si facevano sempre più radi, sulle tempie ormai ingrigite da quasi sessantenne.

Era scapolo: dalla morte della vecchia madre, viveva solo nella villetta unifamiliare che aveva ereditato da lei. Del suo padre Babbano sapeva poco o niente, se non che viveva in Illinois circondato da nipotini che lui non aveva mai conosciuto.

Tutto sommato, però, Eddie era un uomo felice. Trascorreva i suoi giorni serenamente e conduceva una vita equilibrata, mangiando sano e facendo sport tre volte a settimana, dopo il lavoro al Ministero. Gli piaceva camminare e il suo unico vizio era il fumo – vizio che affrontava comunque con una certa morigeratezza, c'è da dire: in maniera quasi metodica. Si concedeva due sigarette al giorno: una durante la pausa pranzo, accompagnata da un caffè bollente, l'altra la sera, prima di andare a dormire, seduto e immerso nell'ombra del giardinetto ben curato sul retro della sua abitazione. 

Quella sigaretta costituiva per Eddie un momento sacro, di raccoglimento interiore, in cui riepilogava mentalmente la giornata appena trascorsa, preferendo – nella sua ottimista indole da Tassorosso – soffermarsi sugli aspetti positivi piuttosto che su quelli negativi. Ogni volta osservava il fumo disperdersi nell'aria di fronte a sé e inspirava il suo odore acre, pensando che era felice di essere al mondo, perché la vita era davvero piena di possibilità.

Sebbene sul suo giardino cadesse quella che probabilmente sarebbe stata l'ultima nevicata dell'anno, la sera del dieci gennaio Eddie Clearwater non rinunciò alla sua abitudine preferita, riparandosi sotto la piccola tettoia retrostante alla casa. Ben imbacuccato nel suo mantello invernale, accese la sigaretta con un tocco della bacchetta magica e si sedette sulla panchina umida e gelata poggiata alla parete, la schiena rilassata, preparandosi alla sua meditazione quotidiana.

Quella sera, il suo umore era ancora migliore del solito. Sebbene al Ministero ancora non fosse stemperata del tutto l'atmosfera pigra e appannata del rientro dalle vacanze natalizie – per chi ne aveva goduto, s'intende – era stata una giornata straordinariamente attiva. Eddie lavorava all'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, in un ruolo perlopiù di scrivania: di solito trascorreva le sue giornate compilando scrupolosamente scartoffie seduto dietro al suo scrittoio; di tanto in tanto, tuttavia, accadeva che in ufficio vi fosse un piacevole viavai di persone, oppure che le scartoffie cui doveva dedicarsi fossero particolarmente appassionanti e divertenti. 

Spesso gli incidenti che coinvolgevano creature magiche erano davvero spassosi: ricordava ancora una questione risalente a una trentina d'anni prima, quando un Ippogrifo colpevole di aver aggredito qualcuno era scomparso misteriosamente pochi minuti prima della sua esecuzione. 

Era stata una di quelle giornate. Aveva avuto sotto gli occhi per tutta la mattina il caso esilarante di una nidiata di Puffole Pigmee che avevano scatenato una furibonda ribellione contro il loro padrone, tenendo in ostaggio il servizio di piatti che il malcapitato aveva ereditato dalla famiglia materna. 

A metà mattina, si era recato a prendere una tazza di tè alla caffetteria del loro Livello e si era scambiato qualche sorriso con Greta Richardson, l'amabile signorina sua coetanea che preparava quegli adorabili bignè alla crema. A Eddie piaceva pensare che – entrambi vecchi e soli com'erano – avrebbero potuto uscire insieme per un gelato, qualche volta. Giocare ad essere giovani.

Si disse che avrebbe dovuto prendere coraggio e invitarla davvero, uno di quei giorni. Il pensiero lo fece sorridere, mentre ridacchiava interiormente di se stesso.

Aspirò un altra boccata di fumo, socchiudendo gli occhi, piacevolmente rilassato. Amava la neve per il modo in cui soffocava ogni suono, racchiudendo il mondo all'interno di una coltre candida e pacifica, che appianava qualunque differenza e faceva di una catapecchia una reggia. 

D'un tratto, quel silenzio bianco fu spezzato da una voce improvvisa, che lo fece sobbalzare per la sorpresa. 

“Sei in ritardo.”

Era suonata incredibilmente vicina: Eddie si massaggiò il petto, mentre il suo cuore martellava ancora furiosamente per lo spavento. Probabilmente, chi aveva parlato doveva trovarsi nel giardino della casa disabitata adiacente alla sua, oltre la siepe imbiancata di brina. 

“Ho avuto qualche impedimento.” A rispondere era stata una voce femminile, dal pesante accento straniero. “Sono contenta di vederti.”

Nell'udire quelle parole, Eddie si sentì lievemente in imbarazzo. Forse l'incontro che stava inavvertitamente origliando era di tipo sentimentale? Aggrottò le sopracciglia, indeciso. Non aveva intenzione di immischiarsi negli affari romantici di qualcun altro – non era certo un ficcanaso, lui – ma neanche voleva interrompere la sua abitudine quotidiana della sigaretta prima di dormire. 

Gettò un'occhiata alla cicca: dopo neanche un paio di minuti sarebbe terminata. Decise che avrebbe finito di fumare in santa pace, cercando di ascoltare il meno possibile.

Tuttavia, le sue orecchie non poterono fare a meno di udire la risposta dell'uomo.

“Io sarò contento solo quando avrò buone notizie.” Il tono della voce era stato brusco, scostante. 

Eddie sbattè un paio di volte le palpebre, perplesso: nessuno si sarebbe rivolto così alla propria innamorata. 

A pensarci bene, in tutta quella faccenda c'era qualcosa di losco. Perché quei due avrebbero dovuto incontrarsi in una casa abbandonata? E come avevano potuto entrare? La cittadina in cui viveva era Babbana: non conosceva altri maghi che abitassero nei paraggi. Probabilmente si trattava di spacciatori o qualcosa del genere. Deglutì, improvvisamente ansioso, chiedendosi se non fosse il caso di allertare la polizia non magica. 

“Le buone notizie ci sono,” replicò la donna in tono sferzante. “Il piano ha funzionato.”

La sigaretta ormai si era consumata, ma Eddie non si decideva a rientrare, per quanto continuasse a ripetersi che non erano affari suoi. Era come se qualcosa lo stesse tenendo immobilizzato lì dove si trovava.

“Questo è vero,” convenne l'uomo. “Quello di Hogsmeade è stato un diversivo abbastanza efficace.”

Hogsmeade?! Allora non erano Babbani. 

Quella consapevolezza lo aggredì all'altezza dello stomaco, assieme alla netta sensazione che vi fosse veramente qualcosa di sinistro in quei due sconosciuti. 

Abbastanza efficace?!” La donna sembrava indignata, dal suo tono di voce. “Mi sembra che abbia funzionato a meraviglia. Gli Auror si sono concentrati lì e non hanno notato niente a–”

Taci!” intimò l'uomo, che dal tono sembrava improvvisamente in allerta. “Come ti viene in mente di parlarne qui?!”

La sigaretta scivolò dalle dita di Eddie, affondando nella neve con un sottile sfrigolio, mentre un terrore crescente gli invadeva il cervello. Se c'entravano gli Auror, allora doveva essere qualcosa di grosso – terribilmente grosso.

“Mi sembra che tu mi abbia chiesto di incontrarci qui proprio per parlare di questo.”

L'uomo ignorò la provocazione della donna straniera, riprendendo la parola con l'argomento di poco prima. “Abbiamo perso lo scontro.”

“L'obiettivo non era vincerlo.”

“Sono stati catturati molti dei nostri.”

Dalla gola della donna risalì un risolino sprezzante. “Le loro menti erano tutte Oscurate. Non ne caveranno un ragno dal buco.”

Quando l'altro parlò per replicare, sembrò faticare per contenere l'ira. “Sai perfettamente che non è un metodo del tutto collaudato.”

“Funzionerà,” replicò la donna. “Per la ragazza di Hogwarts l'ha fatto.”

L'uomo emise uno sbuffo. “Ancora non lo sappiamo con certezza. L'indagine sulla sua mente deve ancora avere luogo, stando a quanto dice il nostro informatore.”

“Funzionerà,” disse di nuovo lei. “Ne sono certa.”

Il vecchio corpo di Eddie era squassato da un tremito che non aveva nulla, nulla a che fare con il freddo. I due sconosciuti avevano nominato Hogwarts e persino un informatore. Di che cosa poteva trattarsi? E che tipo di persone potevano essere quei due, per aver aggredito una ragazzina?

“L'altra ragazza?” domandò la donna, spezzando quei pochi istanti di silenzio appena trascorsi. “Cosa dice la nostra informatrice in proposito?”

“Parli dell'autrice del Proteus?” Il tono dell'uomo si fece più cupo. “Ancora non costituisce un reale pericolo. Se la nostra informatrice ha ragione, non ha scoperto la cosa più significativa.”
“E se questo dovesse accadere?” chiese la donna.

Seguirono alcuni istanti di silenzio, un lieve rumore di passi. “Nel caso in cui accadesse, saremo costretti a prendere misure... drastiche.”

Il significato di quelle parole fu immediatamente chiaro anche alle orecchie di Eddie. Quei due loschi figuri, purtroppo, sembravano fare sul serio.

Decise che lì avrebbe denunciati agli Auror seduta stante. Avrebbe dovuto solo entrare dentro e mandare un gufo... No, un gufo era troppo lento. Forse se avesse mandato immediatamente un Patronus al Dipartimento Auror, questi ultimi sarebbero intervenuti all'istante. Magari avrebbero acciuffato subito quei furfanti e strappato loro la verità.

Ancora tremante di paura, si sollevò lentamente in piedi e iniziò a retrocedere verso la porta sul retro, cercando di fare meno rumore possibile. Mise la mano sulla maniglia e l'abbassò.

“Capisco,” convenne la donna. “Del resto, non possiamo rischiare oltre.”

Iniziò ad aprire piano la porta. Con suo estremo orrore, tuttavia, i cardini scricchiolarono sonoramente. Agghiacciato, rimase immobile lì dove si trovava, pensando scioccamente che la prossima volta avrebbe dovuto oliarli meglio.

Dall'altro lato della siepe, calò il silenzio.

“Che cosa è stato?” disse poi la donna.

“C'è qualcuno,” replicò l'uomo. 

Eddie pensò disperatamente a una via di fuga. Pensò più in fretta che poteva, ma non fece in tempo prima che i due loschi figuri si Smaterializzassero con un lieve pop, riapparendo nel giro di un'istante con un sonoro crack appena due metri più in là. 

Esattamente di fronte a lui.

“Non sei un Babbano,” constatò la donna, gettando uno sguardo sulla bacchetta che spuntava dalla tasca dei suoi pantaloni. Aveva capelli scuri e lisci, la carnagione olivastra e lineamenti mediterranei; sembrava ben curata e nei suoi occhi marrone chiaro c'era qualcosa di gelido. 

L'uomo invece aveva un'aria in qualche modo disfatta, con la barba vecchia di qualche giorno e gli abiti sporchi e spiegazzati, come quelli di un latitante.

Avrebbe voluto ribattere, in qualche modo. Ma la sua voce sembrava essersi perduta in fondo alla gola, così come i suoi piedi erano come incollati lì dove si trovava. Tutto il suo corpo sembrava ghiacciato: non riuscì neanche a muovere la mano per prendere la bacchetta, l'unica arma a sua disposizione. 

Il cuore gli batteva furiosamente in ogni parte del corpo – petto, polsi, orecchie, tempie, gola, ginocchia.

I due si scambiarono uno sguardo. Poi, senza una parola, l'uomo sollevò la bacchetta contro Eddie, la bocca stretta in una smorfia.

 

Contro le sue iridi premette una luce verde. Fu l'ultima cosa che vide.

 

 

 

 

****

 

 

 

15 gennaio 2022

Sala Grande, Hogwarts, Scozia

Ora di colazione

 

 

 

Il cielo riflesso per magia sul soffitto sopra le loro teste era tappezzato di nubi disomogenee, che a tratti lasciavano intravedere il cielo azzurro retrostante. 

Lungo i tavoli delle quattro case albergava un chiacchiericcio assonnato, frammisto al tintinnio di posate e bicchieri. Era imbandita la solita, ricca colazione: Albus si servì di una generosa porzione di uova e pancetta, trangugiando un paio di bicchieri di succo di zucca.

Accanto a lui, Lucy inarcò un sopracciglio, gettandogli un'occhiata sottilmente ironica da sopra il suo giornale. L'angolo inferiore de La Gazzetta del Profeta giaceva accanto al piattino del burro: la cugina lo teneva ripiegato in una mano, sorreggendo con l'altra il toast che stava sbocconcellando distrattamente. 

Di fronte al suo sguardo, alzò gli occhi al cielo. Era tipico delle donne della sua famiglia quello sguardo penetrante, a metà fra la critica e la presa in giro. 

Deglutì un grosso boccone di uova, prima di gettare uno sguardo distratto al tavolo delle autorità. Si stupì nel notare il professor Vitious – il Vicepreside – parlottare sommessamente con la direttrice, la professoressa Sinistra. Quest'ultima teneva le sopracciglia corrugate in una smorfia preoccupata, annuendo con aria grave.

Incuriosito, si sporse per guardare meglio oltre le teste degli altri Grifondoro. Notò che Vitious indicava ripetutamente la pagina di un giornale, ripiegato sul tavolo.

Perplesso, socchiuse leggermente la bocca per poi stringere le labbra un momento dopo.

Cosa diavolo...

“Oh,” mormorò Lucy improvvisamente, facendolo sobbalzare.

Si voltò verso di lei. “Qualcosa non va?”

La cugina fece una smorfia. Sembrava colpita. “Non proprio,” mormorò. “Cioè, sì, ma non riguarda nessuno che conosciamo.”

Albus sbattè un paio di volte le palpebre, perplesso. “Che cosa–”

Ma Lucy non gli concesse il tempo di continuare. “Leggi qua...” borbottò, spingendo il giornale verso di lui. Accigliato, Albus sollevò la Gazzetta e si accinse alla lettura dell'articolo indicato dalla cugina.

 

 

TRAGEDIA NEL SURREY

 

Edmund “Eddie” Clearwater, cinquantottenne dipendente del Ministero della Magia, è stato ritrovato morto nella sua abitazione di Caterham, Surrey, alle prime ore del mattino dello scorso quattordici gennaio. 

Il signor Clearwater era dipendente presso l'archivio dell'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, un uomo che viveva una vita tranquilla e che – stando alle testimonianze di amici e colleghi di lavoro – era una persona estremamente pacifica. 

« Eddie era una persona per bene »  ha dichiarato in lacrime la signorina Greta Richardson, conoscente del Ministero. « Era sempre gentile con tutti, nessuno aveva motivo di essergli nemico ».

Il corpo del signor Clearwater è stato rinvenuto a seguito di una segnalazione dell'Ufficio presso il quale lavorava il defunto, poiché egli era assente dal lavoro da diversi giorni e non aveva comunicato alcunché. Nel momento del ritrovamento, Clearwater era già morto  da circa quattro giorni. 

In principio si è sospettato di cause naturali, probabilmente un colpo di cuore, considerata l'età del soggetto e la sua abitudine al fumo; tuttavia, la Magipsia effettuata dai Guaritori del San Mungo ha rivelato un diverso verdetto: Edmund Clearwater è morto a causa di un Anatema Che Uccide.

È da più di un decennio che in Gran Bretagna non viene denunciato l'utilizzo di una Maledizione Senza Perdono: naturale è che questo tragico evento abbia destato l'attenzione degli Auror, in quanto non si può escludere che possa essere opera di maghi oscuri, soprattutto in seguito all'inspiegabile attacco sferrato poche settimane fa sul villaggio di Hogsmeade.

Inoltre, quella di Edmund Clearwater non è l'unica morte per cause non naturali registrata nel nostro mondo in questi ultimi tempi: nella stessa occasione dell'attentato a Hogsmeade, è stato rinvenuto il corpo di Otto Murray, un dipendente dell'Ufficio Misteri al Ministero della Magia, il quale precedentemente era scomparso da lunghi mesi. Presumibilmente – considerato quanto accaduto in seguito – nel caso di Murray si è trattato di un rapimento.

In conclusione, sembra che non corrano bei tempi: questi tragici eventi gettano un'ombra di inquietudine sulla ritrovata serenità del nostro mondo. Per adesso, possiamo solo consigliare di vigilare costantemente ed evitare comportamenti incauti, fino al momento in cui l'omicida di Edmund Clearwater non verrà catturato.

 

 

Albus ripiegò il giornale, porgendolo a Lucy senza una parola. Gettò un'occhiata al piatto ancora pieno, perso ogni desiderio di dedicarsi alla propria colazione. 

L'autore dell'articolo aveva ragione: non correvano certo bei tempi; Albus e i suoi cugini lo sapevano meglio di chiunque altro.

Non essere sciocco, si disse. Probabilmente la morte di questo tizio non ha nulla a che fare con il Proteus e tutto il resto...

Però, almeno stando a quanto diceva il giornale, si sospettava un collegamento con l'omicidio di Otto Murray, l'Indicibile che Scorpius e Jake avevano trovato agonizzante in una grotta alle pendici del monte della Stamberga Strillante. 

Si era fatto raccontare l'accaduto da Scorpius, che gli aveva riferito un resoconto smozzicato, come se non avesse avuto voglia di parlarne.

“Lu?” richiamò la cugina, che smise di giocherellare con il suo Earl Grey e si voltò verso di lui. “Pensi che possa avere a che fare con... tu-sai-cosa?”

Lei fece una smorfia. “Non saprei... Certo, sarebbe una strana coincidenza.” Poggiò il gomito sul tavolo e la guancia nel cavo della mano. “Insomma, tutte queste cose strane che succedono in così poco tempo...”

Albus annuì. “Non è rassicurante.”

Lucy sospirò. “No, non direi.”

Al lasciò scorrere lo sguardo lungo il tavolo di Grifondoro, soffermandosi sulla figura di Quinn Baston, che giocherellava con il suo porridge con aria assonnata. Come ogni volta che la guardava, percepì un moto di ansia e colpevolezza aggredirgli la bocca dello stomaco. Dalla sera di Capodanno, aveva provato più volte a parlarle per riuscire a chiarire, ma ad ogni suo tentativo la ragazza si dileguava più veloce della luce. Pensò agli allenamenti di Quidditch che aveva fissato per quella settimana: almeno dopo uno di essi, sarebbe riuscito a parlare con lei. 

“Come sono andati i tuoi tentativi di mettere in guardia Boot?” domandò Lucy.

Albus si sentì attraversato da un'ondata di sconforto. “Malissimo. È del tutto impazzito, penso. Non ha voluto credermi e mi ha risposto male.”

Oltre ad avermi trattato come un idiota.

Lucy scrollò le spalle. “Capirà. Mi ha sempre dato l'impressione di essere un tipo intelligente.”

“È un ingenuo.”

“Meno di quanto sembri.”

Si trovò costretto a convenire. In fondo, anche lui sapeva perfettamente che l'apparenza pacifica di Bernie era – appunto – apparenza. A dispetto del suo carattere tendenzialmente gioviale e disponibile, l'altro sapeva tirare fuori gli artigli, se necessario, e – da bravo Serpeverde –  non agiva mai senza cognizione di causa. A dire il vero, tuttavia, temeva che in questo aspetto del suo carattere Christine costituisse un'eccezione: era decisamente strano il modo in cui quei due erano passati dal rivolgersi a malapena la parola al frequentarsi tanto assiduamente. 

A meno che Bernie non sappia qualcosa che noi invece non sappiamo.

Emise uno sbuffo spezzato. Quello era un aspetto ereditato da suo padre con il quale già qualche volta aveva dovuto fare i conti: avrebbe desiderato che le persone alle quali teneva fossero state costantemente al sicuro.

Mentre era immerso nelle sue riflessioni, notò un movimento dalle parti di Quinn, sulla quale aveva inavvertitamente posato lo sguardo di nuovo. La ragazza si stava alzando con la stessa espressione assonnata di poco prima, la borsa carica di libri appesa alla spalla, dirigendosi verso l'uscita della Sala Grande.

Albus pensò che fosse ora di cogliere l'attimo, e glielo confermò lo sguardo eloquente di Lucy, che si era autoproclamata suo consigliere ufficiale per quanto riguardava quella questione.

Lasciando a metà la sua colazione, recuperò la borsa per le lezioni e si precipitò fuori dalla Sala Grande. Riuscì a intercettare Quinn nella Sala d'Ingresso, ai piedi dello scalone di marmo, percorso da un viavai di studenti ritardatari diretti alla volta della colazione e da altri – più puntuali – che si stavano dirigendo in anticipo verso le aule di studio. Questi ultimi erano prevalentemente Corvonero.

Quinn non si era accorta di lui: Albus la afferrò per un braccio prima che potesse posare il piede sul primo gradino. Intorno a loro, gli altri studenti continuavano a camminare in una disomogenea corrente vestita di nero. 

La ragazza si voltò di scatto verso di lui. Non appena lo riconobbe, nei suoi occhi azzurri balenò un guizzo di sorpresa, che subito si ricompose in un'espressione gelida. Quinn si divincolò, cercando di sottrarsi alla sua presa, ma Albus non la lasciò andare.

“Quinn,” le si rivolse con decisione. “Devo parlarti.”

Lei emise uno sbuffo stizzito, cercando di nuovo di liberare il braccio. “Ora non ho tempo.”

“Non mi importa,” replicò Albus. “Devo parlarti adesso.”

Per qualche motivo – che Al non seppe trovare – la ragazza parve colpita. Smise di agitarsi, lasciando il braccio immobile nella sua presa. Albus poteva percepire il suo nervosismo dal modo in cui i tendini all'interno del suo gomito erano irrigiditi.

“Dimmi, allora,” lo esortò. “Ti ho detto che non ho molto tempo.” Rimase a guardarlo, in attesa, la testa lievemente piegata e lo sguardo di una serietà quasi dolente.

Albus tirò su un respiro profondo, desiderando disperatamente una sigaretta. “Mi dispiace,” buttò fuori tutto d'un fiato. “Mi dispiace da morire per come mi sono comportato al ballo – ti assicuro che non l'ho fatto apposta. Insomma, non avevo capito, io– Ecco. Scusami. Sono stato un idiota. Puoi perdonarmi?”

Quinn – il cui braccio si era improvvisamente rilassato – sbattè un paio di volte le palpebre, perplessa, come se non avesse davvero creduto a ciò che le sue orecchie avevano appena udito. 

“Mi stai chiedendo scusa?” domandò, cercando conferma. “Mi stai davvero chiedendo scusa?”

“È così difficile da credere?”

La ragazza si strinse nelle spalle. “Non proprio. Solo che... Insomma, è passato un po'. Ormai pensavo che non l'avresti fatto.”

“Ci ho provato.” Albus abbassò lo sguardo sui propri piedi, improvvisamente imbarazzato. “Però prima... Non so. A Capodanno è stato un disastro.”

“Sì, lo è stato,” convenne Quinn. “Eri sbronzo, Al.”

Nell'udirsi chiamare con il proprio soprannome, anche se probabilmente la ragazza l'aveva fatto solo per distrazione, qualcosa dentro di lui sembrò incresparsi e poi distendersi. Una sensazione simile a uno strano sollievo gorgogliante.

Improvvisamente, si sentiva in qualche modo euforico. “Tu mi hai evitato,” sottolineò, mentre percepiva le proprie labbra piegarsi in un sorriso indipendentemente da eventuali ordini del suo cervello. “Da Capodanno in poi.”

“Non è vero!” protestò Quinn, contraendo il volto. “Non ti ho evitato!”

Albus sollevò le sopracciglia. “L'hai fatto, invece.”

Quinn fece una buffa espressione, come se stesse cercando di nascondere un sorrisetto con una smorfia. Lentamente, Albus lasciò andare il suo braccio. Per qualche motivo, era sicuro che Quinn non si sarebbe allontanata.

Non lo fece, infatti.

Si limitò ad abbassare lo sguardo sulla sua mano, mentre la sua buffa smorfia si scioglieva gradualmente in un'espressione seria. La vide contrarre leggermente le labbra, come se fosse stata alla ricerca delle parole da dire.

“Beh,” mormorò infine. “Accetto... Accetto le tue scuse.”

Albus sorrise. “Grazie,” sussurrò di rimando. “Adesso c'è Incantesimi,” aggiunse. “Andiamo?”

Quinn mise su un'espressione rigida, quella che di solito ostentava quando era in imbarazzo. “D'accordo,” concesse dopo un istante di riflessione.

Mentre il sollievo continuava a gorgogliare nel suo stomaco, Al si avviò con lei su per lo scalone di marmo.

 

 

 

****

 

 

 

17 gennaio 2022

Ospedale San Mungo, Londra

Metà mattinata

 

 

 

“Quindi è stata una maledizione?” ripeté Harry lentamente, una singola ruga di concentrazione ad attraversargli la fronte, dritta fra le sopracciglia.

Dennis Canon annuì lentamente nella sua uniforme verde da Guaritore, regolando con un colpo della bacchetta la temperatura interna della teca frigorifera in cui il corpo di Otto Murray era stato rinchiuso per la Magipsia. 

“Sembra di sì.” Dennis annuì piano, sfiorando con la punta delle dita la superficie vitrea. Al di sotto di essa, il corpo dell'Indicibile era stato coperto da un lenzuolo. “Anche se non siamo riusciti a identificare con precisione quale sia stata, visto che è stata gettata mesi fa. L'Impronta magica dell'incantesimo è sbiadita perché è passato troppo tempo.”

Harry annuì, studiando il profilo del cadavere, mascherato dalla stoffa bianca che lo ripercorreva in pieghe discontinue. 

“Quindi la maledizione ha funzionato a scoppio ritardato?” chiese Ron, preso a studiare il corpo dall'altro lato della teca. “Come può essere?”

“Non è precisamente così,” fece Dennis di rimando, voltandosi per aprire uno schedario metallico.

Harry sospirò. Era contento che il corpo dell'uomo fosse stato posizionato in una stanza separata: almeno il loro incontro con il Guaritore responsabile non aveva avuto luogo nell'obitorio dell'ospedale. Forse per i suoi incubi – fino a una decina d'anni prima ricorrenti – riguardo agli Inferi della grotta che aveva visitato con Silente anni prima, i cadaveri lo inquietavano sempre leggermente.

“C'è un tipo di maledizione i cui effetti impiegano anche mesi a manifestarsi,” riprese Dennis in tono esplicativo. “Funzionano come malattie di lunga incubazione, in effetti. È come se procedessero lentamente all'interno del corpo di chi ne ha subito una.”

Di nuovo, nella mente di Harry balenò l'immagine di Albus Silente, questa volta associata a quella di una mano dalla carne morta e annerita. 

Si scambiò uno sguardo con Ron. Dunque il figlio di Malfoy e l'altro ragazzo avevano trovato il corpo di Murray proprio nel momento in cui la maledizione lo stava uccidendo definitivamente. 

“Si tratta di magia nera avanzata, suppongo,” mormorò, ricordando che quella che aveva aggredito Silente era stata gettata da Voldemort stesso. 

“È così.” Dennis aggrottò le sopracciglia, ricambiando il suo sguardo stanco e preoccupato.  

Harry lanciò un'occhiata all'orologio. “Dobbiamo andare, Ron. Fra mezz'ora dobbiamo essere a Hogwarts.”

Al pensiero, un moto di angoscia lo afferrò nel petto. L'idea che la sua piccola Lily fosse stata aggredita lo spaventava terribilmente, ma il pensiero che la sua mente sarebbe stata invasa di nuovo era decisamente sgradevole, soprattutto perché conosceva sua figlia e il disagio con cui avrebbe vissuto l'esperienza.

Era sollevato che dell'operazione si sarebbe occupato una persona degna di fiducia: Demelza Robins, Cacciatrice della squadra di Grifondoro all'epoca del suo sesto anno, era una Guaritrice specializzata in quel genere di operazioni, e non era la prima volta che veniva chiamata per collaborare con gli Auror. 

Avrebbero incontrato lei e Nott nell'atrio del Ministero, luogo dal quale si sarebbero recati tramite Metropolvere direttamente nel camino dell'ufficio della preside di Hogwarts. 

“D'accordo,” convenne Ron annuendo gravemente. “Sbrighiamoci.”

Salutarono Dennis, ma nell'abbandonare la stanza Harry non poté fare a meno di lanciare un'ultima occhiata al cadavere, promettendo interiormente al morto che presto o tardi avrebbero preso i suoi assassini.

Peccato che dagli interrogatori dei delinquenti che avevano attaccato Hogsmeade nessuno fosse riuscito a ricavare alcunché. A dire il vero erano parsi confusi: certi di aver combattuto e di averlo fatto per un motivo – nessuno sembrava ricordare quale fosse il motivo, però. Nonostante fossero individui della peggior specie, Harry non aveva potuto fare a meno di credere loro quando gli avevano assicurato di non avere idea del motivo per cui si fossero trovati a Hogsmeade: quello smarrimento nei loro occhi era sembrato incredibilmente reale.

Li avevano esaminati magicamente: solo pochi di loro erano stati posti sotto la Maledizione Imperius, ma nessuno – nessuno – sottoposto ad un Oblivion

È tutto così strano. Incomprensibile.

L'assassinio di Eddie Clearwater era stato solo l'ennesima complicazione da aggiungere alla lista. Probabilmente, l'anziano dipendente del Ministero si era solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato – stando alle testimonianze dei suoi conoscenti, non era tipo da farsi nemici. Tuttavia, Harry aveva come l'impressione che i due omicidi fossero in qualche modo collegati.

Più tardi aveva un appuntamento con Kingsley: sperava di ottenere finalmente quei permessi per la Gothalaunia, per risolvere almeno un pezzo del puzzle.

Nott e Demelza li aspettavano come promesso nell'atrio, di fronte a un camino vuoto. La donna – che indossava un tailleur Babbano e aveva i capelli raccolti sulla nuca – aveva la schiena poggiata lievemente sul muro accanto al caminetto e di tanto in tanto sollevava la mano per spostare una ciocca castana dietro l'orecchio. Nott era in piedi di fronte a lei, le braccia incrociate contro il petto.

Parlottavano piano, con espressione grave. Non appena notarono il loro avvicinamento, Nott chinò il capo in un cenno di saluto e Demelza sorrise, spostando la mani dai capelli e agitandola brevemente in aria. 

“Andiamo?” fece Harry senza mezzi termini, improvvisamente ansioso che l'indagine sulla mente di Lily iniziasse e finisse il prima possibile. 

Non permise agli altri di rispondere, prima di gettare una manciata di polvere nel camino e pronunciare con chiarezza quale fosse la sua destinazione. 

Fu il consueto, scomodo viaggio fra stretti camini: alla fine, capitombolò poco dignitosamente sul pavimento dell'ufficio della professoressa Sinistra, seguito poco dopo dagli altri tre. Ron capitombolò come lui, Nott si resse in piedi con espressione statica e Demelza scivolò con grazia fuori dal camino. 

Udì una risatina familiare e sentì il suo cuore scaldarsi. “Lily,” mormorò, posando gli occhi su sua figlia. La quale sedeva composta su di una sedia di fronte alla scrivania della preside, nella sua uniforme di Serpeverde, con la testa leggermente chinata di lato e un lieve sorriso – che non riusciva a mascherare del tutto la tensione nei suoi occhi. Aveva i capelli rossi legati in una coda disordinata, da cui scivolavano diverse ciocche.

“Ciao, papà,” disse sua figlia, sempre con quel sorriso a metà. 

Il suo istinto l'avrebbe spinto a correre da lei e abbracciarla, dicendole che sarebbe andato tutto bene. Tuttavia, il suo ruolo non glielo permetteva: si limitò ad avvicinarsi, a stringere la sua spalla esile – era ancora così piccola – e lanciarle uno sguardo d'intesa.

 

 

 

 

“Allora?” domandò Lily. “Cosa devo fare?”

La Guaritrice Robins – che sembrava un tipo discreto – si era seduta di fronte a lei su di una sedia e la osservava con sguardo professionale. La udì emettere un lievissimo sospiro, per poi vederla affondare una mano nella borsa ed estrarne una minuscola boccetta di liquido semi-trasparente, dalla lievissima sfumatura rossastra, come sangue disciolto.

“Per prima cosa devi bere questo.”

Lily scrutò la pozione con sospetto, stringendo la fialetta fra pollice e indice e sollevarla per guardarne controluce il contenuto. “Che cos'è?”

La Robins le sorrise rassicurante. “Uno Stimolatore di pensieri. Serve per rendere i tuoi ricordi più vividi e a far riemergere dalla memoria dettagli che potresti aver tralasciato ma che il tuo subconscio ha raccolto. In questo modo la mia analisi potrà essere più precisa.”

“Quanto dura l'effetto?” domandò, incuriosita.

“Dovrebbe esaurirsi verso metà pomeriggio. La dose è tarata sul tuo peso. L'unico effetto collaterale potrebbe essere un leggero mal di testa.”

Tornò a osservare la boccetta. Sebbene stesse cercando di controllarsi, i battiti del suo cuore accellerarono. Respirò profondamente nel tentativo di calmarli.

Ignorando gli sguardi della Preside, di suo padre, di zio Ron e dell'altro Auror che non conosceva – fissi su di lei – stappò con attenzione la fiala e ne buttò giù il contenuto in un solo sorso. Aveva un sapore strano, dolciastro come lo sciroppo, ma con una nota fastidiosamente salata. 

Non funziona.

Pensò a cosa avrebbe commentato Jake, visto che i suoi pensieri non erano affatto più intensi del solito. Improvvisamente le balenò davanti agli occhi un'immagine del suo ragazzo straordinariamente dettagliata: all'attaccatura dei capelli, seminascosto da qualche ciuffo, vide un minuscolo neo che non si era mai accorta di aver notato. Vicino allo zigomo c'era una piccola, sbiadita cicatrice che si intuiva appena. 

La sua espressione doveva essersi fatta meravigliata, perché Demelza Robins sorrise sotto ai baffi. Quando il suo nome sfiorò la mente di Lily, la ragazza ricordò improvvisamente un'immensa quantità di informazioni al suo riguardo, informazioni che neanche sapeva di possedere.

Sarebbe fantastico poter disporre di questa pozione durante i G.U.F.O.!

“Incredibile, vero?” commentò la Robins. “Sei pronta?”

Annuì lentamente. La donna estrasse la bacchetta da una tasca interna della giacca del tailleur. “Concentrati su quello che ricordi dei momenti precedenti all'attacco.”

Lily chiuse gli occhi senza pensarci e fece quanto detto dalla Guaritrice. Subito Jake, Dominique e Adrian si stagliarono nella sua mente, chiare e distinte come mai avrebbe creduto di poterle ripescare dalla memoria.

Legilimens,” sussurrò Demelza.

 

“Io... Io credo che andrò al castello. Ho un sacco di cose da fare. Ciao, Domi! Ciao, Goldstein!”

“Lily, aspet–”

“No, Greengrass, non preoccuparti! Ci becchiamo in Sala Comune!”

 

L'erba del parco ondeggiava davanti ai suoi occhi, accarezzata dal vento. Più nitido di quanto mai avrebbe pensato. Le sembrò di rivivere la scena: di camminare piano lungo il crinale della collina, percependo il terreno morbido e cedevole sotto le suole delle scarpe. 

Si sentiva invasa da una terribile desolazione, dalla sensazione di aver sbagliato qualcosa – dalla certezza che mai, mai fra lei e Jacob sarebbe potuto essere come avrebbe voluto.

 

Come ero stupida. Adesso è tutto perfetto.

 

“Non ti distrarre.” La voce della Guaritrice giunse come da molto lontano. “Concentrati solo sui tuoi ricordi, non permettere ai pensieri di adesso di superarli.”

 

Era vagamente imbarazzata – in fondo si trattava di cose private. Ma fece come aveva detto Demelza, concentrandosi sui suoi ricordi di quel ventiquattro novembre che era più vicino di quanto non sembrasse. 

Nel giro di pochi secondi, lo sconforto di quel giorno superò l'imbarazzo del presente. Di nuovo si ritrovò a percorrere il crinale della collina, con una terribile voglia di piangere. Piangere.

Pochi secondi e le lacrime premevano dietro alle sue palpebre. Aveva bisogno di correre, di nascondersi in un luogo in cui nessuno avrebbe potuto vederla in quelle condizioni. 

 

Pensò al capanno delle scope. Si sarebbe potuta nascondere lì dietro, pensando a Jacob mentre piangeva e si fumava una sigaretta.

Perché doveva essere così infelice? Che cosa la faceva stare così male?

 

D'un tratto, la Lily del presente realizzò che qualcosa non andava. Man mano che procedeva nei propri ricordi, questi divenivano sempre meno nitidi, come se una patina nera e appiccicosa li stesse ricoprendo poco alla volta. Terrificata, si sentì come attratta da quella sostanza scura, finché questa non le oscurò la vista.

La sua memoria era completamente buia, come se qualcuno avesse spento la luce su quella parte dei suoi ricordi, coprendola con qualcosa – con la patina nera che non riusciva a staccarsi di dosso.

Improvvisamente si sentì terrorizzata da tutto quel vuoto.

Aprì gli occhi, nel momento giusto per notare la Guaritrice che abbassava la bacchetta con le sopracciglia corrugate.

“C'è qualcosa che non va,” la udì dire.

 

 

 

****

 

 

 

17 gennaio 2022

Hogwarts, Scozia

Prima di pranzo

 

 

Il fuoco nel caminetto si tinse improvvisamente di verde: fra le fiamme apparve una figura alta e dai capelli scuri, che riuscì senza apparenti difficoltà a rimanere in piedi, evitando di capitolare sul tappeto. 

Holly, seduta sul divano con una gamba raccolta sotto il corpo e l'altra penzoloni, sollevò lo sguardo su Marcus, che adesso si stava scuotendo residui di cenere dalla giacca, puntando gli occhi scuri su di lei. Deglutì di nascosto, mentre distoglieva lo sguardo e tornava al libro che stava leggendo, dopo aver rivolto allo Spezzaincantesimi un breve cenno di saluto. 

Sperò con tutto il cuore che il ragazzo se ne andasse nella propria stanza senza dirle niente, invece percepì il peso di un corpo che si accomodava accanto a lei sui cuscini del divano.

“Dov'è Weasley?” domandò Marcus in tono rilassato.

Holly non staccò lo sguardo dalla pagina che stava leggendo. Era un romanzo Babbano che aveva trovato in Biblioteca, che parlava di un tipo – il signor K.¹ – che veniva coinvolto in un processo apparentemente senza motivo. Stava ancora ai primi capitoli, ma la lettura l'aveva piuttosto presa, sebbene i toni del romanzo fossero decisamente angoscianti.

Chissà per quale ragione, quella mattina si era svegliata di pessimo umore, e aveva lasciato che si occupasse Louis della ronda mattutina per i corridoi – durante il giorno, non era necessario che andassero in giro in coppia. Il fatto che anche Marcus fosse uscito, lasciandola sola nei loro appartamenti, non aveva fatto altro che incrementare il suo malumore.

Da qualche tempo, detestava stare da sola. Preferiva evitare che la sua mente venisse assalita da pensieri controversi, oltre che dalle miriadi di interrogativi scatenati da tutto quel mistero che ultimamente sembrava circondare ogni cosa.

“Giro di ricognizione,” replicò sulla stessa tonalità pacifica. “Torna dopo.”

“Capisco.” Dal lieve spostamento dei cuscini, rilevò che Marcus si fosse bellamente appoggiato sullo schienale, buttando il gomito su di esso. “Non mi chiedi com'è andata?”

Finse di essere ancora immersa nella lettura, nonostante il suo sguardo fosse puntato sulla stessa riga più o meno da quando Marcus aveva fatto il suo ingresso nella stanza. “Com'è andata?”

“Particolarmente loquace, oggi?”

Emise uno sbuffo, chiudendo il libro ma lasciandovi l'indice infilato per mantenere il segno. Si voltò verso lo Spezzaincantesimi, raccogliendo sotto il corpo anche l'altra gamba. “Allora?”

“Ho parlato con il responsabile della Sezione Spezzaincantesimi.” A giudicare dal suo tono di voce, Marcus sembrava piuttosto soddisfatto. “Ha detto che hanno compiuto i relativi esami e sono riusciti a trovare un gruppo di Spezzaincantesimi senza una goccia di sangue Mutaforma nelle vene. Nei prossimi giorni verranno a esaminare l'area protetta.”

Finalmente una buona notizia.

“Bene,” mormorò, recuperando dalla quarta di copertina la striscia di pergamena che utilizzava come segnalibro, per poi depositare il volume sul piano in legno del tavolino di fronte a lei. Si girò completamente in direzione di Marcus. “Suppongo che non ci resti che aspettare, allora.”

“Non esattamente,” il ragazzo rilasciò un sospiro. “Il responsabile ha ricevuto un gufo da Harry Potter. Dobbiamo andare in ricognizione a Hogsmeade.”

“Ma ci sono già dei distaccamenti di Auror.” Holly sollevò le gambe, portandole al petto e abbracciandosi da sola. “E poi perché il signor Potter non l'ha detto a noi?”

Marcus scrollò le spalle. “Probabilmente sapeva che sarei andato alla Gringott. Da quel che ho capito, oggi aveva altri impegni. Comunque, il responsabile mi ha spiegato che Potter ha l'idea che i nostri avversari – chiunque siano – sappiano come eludere i controlli degli Auror di pattuglia. Noi dobbiamo percorrere giri diversi dai loro, senza farci notare.”

Holly annuì lentamente. “Capisco.”

In quel momento, si udì lo scatto della porta che si apriva e si chiudeva: sulla soglia si stagliava la figura di Louis, che con tranquillità si tolse la giacca e l'appese sull'attaccapanni. “Bentrovato, Flitt. Quasi speravo di non vederti più, sai? Holly, tesoro...” si avvicinò, facendole segno di fargli spazio fra i cuscini. Senza riflettere più di tanto, la ragazza si lasciò scivolare verso il centro del divano, lasciando che Louis si sedesse accanto al bracciolo. 

Anche Lou lasciò scivolare il gomito oltre lo schienale. “Com'è andata col responsabile?” domandò a Marcus.

Holly ascoltò distrattamente quest'ultimo riferire all'altro le ultime novità. Nel frattempo, cercava di rimanere perfettamente immobile: i ragazzi occupavano decisamente più spazio di lei, su quel divano, e in qualunque modo si muovesse rischiava di andare a sbattere contro il ginocchio di uno o il braccio dell'altro. Era appollaiata fra di loro, rannicchiata su se stessa.

Doveva essere piuttosto concentrata nel non muoversi, perché si accorse a malapena che era sceso il silenzio e aveva lo sguardo di entrambi puntato addosso.

“Che c'è?!” li interpellò, nervosa. “Perché mi guardate così?”

Marcus si limitò a sollevare brevemente le sopracciglia.

Louis, invece, piegò le labbra in un sorriso. “Ti sei ridotta ai minimi termini, Holly?”

“Cosa?” replicò, perplessa. Poi capì e sciolse la sua posizione rigida, lasciando che le gambe scivolassero giù dal divano. Le accavallò, mettendosi comoda e godendo il sollievo dei muscoli – e cercando di ignorare la mano di Louis che le sfiorava la spalla.

I due si scambiarono uno sguardo complice, chiaramente trattenendo una risata. Improvvisamente indispettita, Holly aggrottò le sopracciglia e si scansò di qualche centimetro dalla mano di Louis, andando a cozzare contro il braccio di Marcus.

“Non vi rendete conto di quanto siete ingombranti,” sibilò.

Lou roteò gli occhi. “Il mio cervello occupa i tre quarti dello spazio,” buttò lì. “Perché ho avuto un'idea. Al contrario vostro, che da due settimane non fate altro che girarvi i pollici.”

“Weasley, il tuo cervello è pieno di mosche.”

Il ragazzo scosse la mano, come cercando di allontanare una di quelle mosche. Così facendo, toccò di nuovo la spalla di Holly, che lo ignorò, stringendo appena le labbra.

Per qualche istante, calò il silenzio.

Holly sbatté ritmicamente un piede a terra. “Allora?” esortò Louis, voltandosi verso di lui.

Il ragazzo piegò la testa, guardandola di sotto in su. “Ho pensato una cosa.” Scrollò le spalle. “Insomma, ci stiamo preoccupando troppo di cercare collegamenti, di capire cosa c'entrino tutte queste cose le une con le altre.”

“Perché, cosa suggerisci?” replicò seccamente Holly.

Lou guardò in alto, meditabondo. “Se tutte queste cose sono a opera della stessa persona, allora il motivo per cui sono state fatte è lo stesso. Ed è proprio quello che dobbiamo capire.”

Holly si passò una mano fra i capelli, allontanandoli dal viso. Doveva ammettere che il ragazzo aveva ragione: dovevano focalizzarsi su ciò che aveva spinto quell'individuo – o insieme di individui – a compiere atti simili.

“D'accordo,” udì Marcus parlare. “Hai qualche ipotesi, Weasley?”

Louis fece una smorfia. “È proprio per questo che mi servite voi.”

Non resistette dall'assestargli uno scappellotto sulla mano a quelle parole. “Hai idea di quanto sei arrogante?” lo apostrofò, alzando gli occhi al cielo. 

“E inutile,” soggiunse Marcus.

Lou rivolse a quest'ultimo un sorriso pigro. “Il tuo intervento non era richiesto, sai?”

Osservando il loro scambio di battute, Holly non riuscì a trattenersi dal ridacchiare. “Forza, mettiamoci al lavoro,” li esortò. 

Si sporse in avanti, recuperando dal tavolino il fascio dei loro appunti. Marcus glielo sfilò di mano in fretta, lanciandole un'occhiata divertita in risposta al suo sguardo omicida.

“D'accordo,” fece lo Spezzaincantesimi. “Questi sono i fatti. È stata rubata la Bacchetta di Sambuco, e nel luogo in cui è avvenuto il furto è stata posta una maledizione che colpisce solo chi abbia sangue Mutaforma nelle vene.”

“E la Pietra,” aggiunse Louis, i cui cugini amavano giocare ai piccoli detective – gli avevano passato l'informazione. “La Pietra della Resurrezione. Anche quella è stata rubata”

“Dunque hanno raccolto due Doni della Morte,” intervenne Holly. “Il che lascia pensare, in aggiunta al fatto che hanno preso il controllo delle comunicazioni all'interno di Hogwarts, che l'obiettivo di...” Non sapeva come definirlo, almeno finché lo sguardo non le cadde sul libro abbandonato sul tavolino. “L'obiettivo di K., chiamiamolo così, sia quello di ottenere il potere.”

“K.?” domandò Marcus, le sopracciglia sollevate.

Holly lo ignorò, strappandogli anzi di mano i loro appunti. “Poi ci sono stati quei blackout in Accademia. E l'attacco a Hogsmea–” si bloccò improvvisamente, colta da un'illuminazione. “L'attacco a Hogsmeade! I blackout! Sono state situazioni che hanno attratto l'attenzione degli Auror!”

I ragazzi la guardavano con tanto d'occhi. Holly spostò lo sguardo dall'uno all'altro, impaziente. “Possibile che non capiate?” gli apostrofò, mentre un sorriso di trionfo le affiorava spontaneo alle labbra. “Sono stati diversivi! Come delle distrazioni per nascondere il suo vero intento, capite?”

Seguirono alcuni istanti di silenzio. Poi Louis sorrise sornione, ammiccando in direzione di Marcus. “E questa, amico mio, è la dimostrazione della superiorità intellettuale delle donne.”

Di nuovo la sua mano si posò sulla spalla di Holly, che si voltò verso di lui guardandolo di sotto in su, le sopracciglia inarcate. “Se era un tentativo di lusingarmi, sappi che–” 

“Ssh.” Louis le posò l'indice sulle labbra. “Ero serio, capito?”

Non disse niente. Era troppo impegnata a ignorare il proprio stomaco in subbuglio.

 

 

 

 

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17 gennaio 2022

Sotterranei, Hogwarts, Scozia

Metà pomeriggio

 

 

Nell'aula di Pozioni i fumi risalivano lenti verso il soffitto, colmando la stanza di aromi dal sentore quasi medicinale. Sul sottofondo del ribollio dei preparati, di tanto in tanto si sollevava un leggero chiacchiericcio, frammisto al lieve tintinnio dei piatti di un bilancino.

Sbuffando, Lily si scostò dalla fronte una ciocca di capelli rossi, gonfiati dal vapore. Si sentiva accaldata, come se qualcuno le avesse premuto un panno tiepido sulla faccia. 

Per quanto si stesse imoegnando al massimo e in Pozioni tendenzialmente se la cavasse piuttosto bene, non riusciva a concentrarsi. Quel maledetto Stimolatore che aveva dovuto ingerire faceva sì che la sua mente si disperdesse in continuazione dietro a torrenti di pensieri fuori controllo, accompagnati da una sequela inarrestabile di riferimenti e ricordi sorprendentemente vividi e dettagliati. Come se non bastasse, aveva la testa sconquassata da fitte continue di acutissima emicrania, incrementata senza dubbio dall'aria soffocante che si respirava nel sotterraneo.

Un leggero mal di testa. Bah!

Non appena ebbe formulato il pensiero, nella sua mente si scatenò una sequenza di ricordi riguardanti altri momenti in cui aveva sofferto di emicrania – anche se Lily credeva di averne completamente rimosso la maggior parte. 

Sbuffò ancora, cercando di versare la giusta quantità di sciroppo di Elleboro nel dosatore. Ma la sua mano traballava: una piccola quantita di sciroppo si rovesciò sulle sue dita, scottandole e facendole sfuggire di mano il dosatore. Il contenitore di cristallo si infranse contro il pavimento di pietra con un notevole fracasso, attirando l'attenzione di tutta la classe.

Irritata e a disagio, si chinò sotto il banco per pronunciare un Reparo: i pezzi del dosatore si ricomposero nell'oggetto originario, ma al fluire della magia attraverso di lei si sentì aggredita da un forte giramento di testa. Riuscì a risollevarsi a fatica, reggendosi al bordo del banco in una stretta convulsa.

Nel banco accanto al suo, Amarillide e Swanilda la fissavano. Lily gettò loro un'occhiataccia, e le sue amiche – dopo essersi scambiate uno sguardo d'intesa e una scrollata di spalle – tornarono a dedicarsi alle loro pozioni.

Nel frattempo, Lily aveva ancora addosso gli occhi di tutti. Condividevano l'ora doppia di Pozioni con i Grifondoro: poteva percepire chiaramente lo sguardo indagatore di sua cugina Lucy.

Ignorando tutte quelle occhiate curiose e la testa che continuava a girarle, finse di tornare a dedicarsi alla sua pozione, sperando che Lumacorno non si fosse accorto di nulla. Tuttavia, l'insegnante – che aveva l'abitudine di girare tra i banchi, commentando gioviale i decotti degli studenti – si diresse con decisione verso di lei, che attese il suo arrivo a denti stretti.

“Lily,” le si rivolse il docente in tono bonario. “Ti senti male, cara?”

“Sto bene,” replicò, rigida. Non le piaceva essere compatita – non in questo.

“Ne sei sicura?” Il professore assottigliò gli occhi, scrutandola con attenzione. Nell'aula era sceso il silenzio, rotto solamente dal borbottio delle pozioni ribollenti; tutti avevano smesso le proprie occupazioni, guardando verso di loro – fuorché Hessler, che proseguì con aria indifferente il proprio compito. Lily gliene fu misteriosamente grata.

“Sì,” insistette, “io–” 

La voce le si bloccò in gola, mentre la testa le girava più violentemente di prima, costringendola ad appiggiarsi allo schienale e premersi le mani sulla fronte, per scoprirla coperta di sudore freddo, a dispetto del caldo soffocante che provava.

Il mondo sembrava vorticarle attorno anche dietro le sue palpebre chiuse.

“Lily?” la voce di Lumacorno sembrò giungere da molto lontano.

Lasciò scivolare lentamente le mani via dal proprio volto. Le sembrò di vedere milioni di facce che guardavano verso di lei, accavallate a ricordi confusi.

Devo andarmene da qui.

“In effetti non mi sento molto bene,” riuscì a esalare con una voce piccina che detestò.

“Va' pure, cara,” concesse Lumacorno, sorridendole con intenti rassicuranti. “Fatti dare un tonico da Madama Chips,” consigliò poi caldamente.

“D'accordo,” annuì, tirandosi cautamente in piedi e cominciando a raccogliere le proprie cose. “Grazie.”

Altro che tonico. La miglior cura sarebbe stata una sigaretta e un po' d'aria fresca: non aveva la minima intenzione di recarsi in Infermieria, ma non era certo il caso di comunicarlo all'insegnante.

Abbandonò l'aula: una volta fuori, nel corridoio gelido dei sotterranei, subito cominciò a sentirsi meglio. Risalì fino in Sala d'Ingresso, proseguendo poi lungo lo scalone di marmo, percorso da sparuti gruppetti di studenti degli ultimi anni, evidentemente occupati a godersi un'ora di buco. 

Rifletté per un momento sugli orari di Jake – grazie a quel simpatico Stimolatore li ricordava tutti: le sembrava che anche lui avesse un'ora libera, e si diede della stupida per essere salita fino al secondo piano, visto che probabilmente il suo ragazzo si trovava in Sala Comune. In quel momento aveva davvero, davvero bisogno di lui.

Con un sospiro, ignorò la rapidissima successione di ricordi riguardanti Jake, la Sala Comune e loro due insieme in Sala Comune. Si affidò quasi inconsapevolmente ai propri piedi, lasciando che la conducessero dove volevano.

Oltre le finestre alte e strette del corridoio, il cielo appariva ricoperto di nubi scure e minacciose.

Nuvole da pioggia, si ritrovò a pensare. Per questo inverno, possiamo salutare la neve definitivamente.

Sempre senza seguire un tracciato definito, si ritrovò all'ingresso del bagno infestato dal fantasma di Mirtilla Malcontenta. Sorrise fra sé, quasi distrattamente, nel realizzare che senza farlo di proposito era finita esattamente nel luogo giusto. In quel gabinetto non entrava mai nessuno, proprio per evitare di incrociare lo spettro di quella ragazza piagnucolosa, perciò era il posto migliore per accendersi una sigaretta appoggiata al davanzale della finestra senza che nessuno se ne avvedesse. Contravvenendo almeno a cinque o sei prescrizioni del regolamento di Hogwarts, ma pazienza.

Qualcosa pulsava contro le proprie tempie, ma le parve che i propri pensieri fossero vagamente più controllabili: forse l'effetto dello Stimolatore stava cominciando a svanire.

Risollevata, fece il suo ingresso nel bagno, accomagnata dal lieve sciabordare dei propri piedi sul pavimento bagnato: se lo aspettava, era risaputo che Mirtilla Malcontenta usasse allagare il suo bagno quando si sentiva particolarmente giù di morale. Il che avveniva più o meno ogni giorno.

Si sorprese, invece, nello scoprire che qualcuno aveva avuto la sua stessa idea. La schiena poggiata al muro e i gomiti sporti sul davanzale, con una sigaretta tra le dita, c'era una ragazza dai capelli scuri e ricciuti, che cadevano in pieghe morbide sulle sue spalle. Indossava la divisa di Serpeverde e teneva un ginocchio piegato.

Christine De Bourgh non si era accorta di lei, o – se l'aveva fatto – sembrava aver deciso di ignorare la sua presenza. Sebbene desse le spalle alla finestra, il suo sguardo era comunque puntato fuori, e il suo volto contratto in un espressione che Lily non le aveva mai visto. Sembrava quasi tesa: c'era una vaga nota di nervosismo nel modo in cui portava la sigaretta alle labbra e rigettava fuori il fumo, che si allargava in una patina grigiastra contro il suo viso per poi dissiparsi oltre la finestra aperta, dalla quale entravano lievi folate di vento freddo e umido.

Lily fece un altro passo: questa volta, il tonfo umido contro il pavimento risuonò più forte. 

Christine si volto verso di lei e immediatamente la sua espressione mutò: le sopracciglia si sollevarono sopra gli occhi scuri, la fronte si distese e le labbra si piegarono piano in un sorrisetto irriverente; il suo sguardo assunse il solito bagliore divertito, come se per qualche motivo avesse trovato buffa la presenza di Lily in quel bagno.

Caparbia, si decise a ignorare la sua occhiata, avviandosi verso di lei. Al contrario di Christine, si pose rivolta verso l'esterno, poggiando i gomiti sul davanzale dopo essersi accesa una sigaretta. Il fumo che soffiò tra le labbra si disperse contro il paesaggio, ancora imbiancato dell'ultima neve. 

Si meravigliò che l'altra non avesse ancora cominciato a parlare, scaricandole addosso la solita artiglieria di battutine sarcastiche e fastidiosamente veritiere.

Dopo alcuni istanti, si risolse a rompere il silenzio. “In fuga, De Bourgh?” 

Alle sue parole, il sorriso di Christine si fece più largo. “E tu, Potter?”

Si ritrovò a ridacchiare, sollevando gli occhi al cielo. Chissà per quale motivo, non si sentiva particolarmente in vena di litigare – e, sorprendentemente, neanche l'altra lo sembrava. Aveva la sensazione che un cumulo di stanchezza le fosse appena precipitato addosso. 

Rimasero per qualche minuto così, in silenzio a fumare l'una accanto all'altra.

Alla fine, Christine parlo. “Come mai non mi hai ancora chiesto quali siano le mie intenzioni riguardo a Bernard?”

“Boot?” Per un momento, Lily tacque, perplessa. “Non è che mi importi granché.”

Christine sollevò le sopracciglia. “Di solito ti diverti a ficcare il naso nelle cose che non ti riguardano.”

“Come te?” Sospirò. “Non sono affari miei, dopotutto.”

“Mi stupisci.” A quelle parole, Lily fece tanto d'occhi: non credeva che esistesse qualcosa in grado di stupire Christine De Bourgh. “Sembra che siano affari di tutti, sai.”

Lily scrollò le spalle. “Sono preoccupati, suppongo.”

“Tu non lo sei?”

Soffiò una boccata di fumo fra le labbra. “Non so.” Ci pensò su per qualche istante, prima di proseguire. “Non credo che tu voglia fargli del male.”

Non sapeva cosa glielo avesse fatto dire – o pensare – ma era così: lo sapeva e basta.

Le labbra di Christine si incurvarono in un sorrisetto, accompagnato da un lieve sbuffo: era l'espressione più spontanea che Lily avesse mai visto sul suo volto.

“Il tuo ragazzo ti ha mai detto cosa gli ho consigliato di fare, mesi fa?”

A quelle parole, l'attenzione di Lily si acuì improvvisamente: per quanto avesse insistito con Jake affinché le rivelasse l'oggetto del suo accordo con Christine, lui non aveva mai voluto farlo.

“Come pensavo.” Christine sogghignò, quasi con la stessa convinzione del solito. “Gli ho detto di seguire ciò che non riusciva a prevedere.”

Lily aggrottò le sopracciglia. “In parole comprensibili ai comuni mortali?”

“Gli ho detto di seguire te.”

Ci volle qualche istante perché la ragazza riuscisse a realizzare quale fosse la portata delle sue parole. L'effetto dello Stimolatore era ormai svanito, lasciandole addosso una certa spossatezza: anche la sua emicrania sembrava essere leggermente migliorata; almeno, la testa non le girava più.

Era quindi merito di Christine se lei e Jake, alla fine, erano riusciti a stare insieme?

Doveva ammetterlo: non se lo sarebbe mai aspettato.

“Perché?” domandò solamente.

L'altra fece una smorfia. “Perché tu credi che io non voglia fare del male a Bernard?”

Lily la detestava, questa sua abitudine di rispondere a una domanda con un altra domanda: forse perché era qualcosa per cui si somigliavano, almeno vagamente.

Di nuovo, si trovò a non conoscere la risposta. “Non lo so.” Aspirò una lunga boccata di fumo. “Forse perché non credo che Boot si fiderebbe di te, se non avesse un buon motivo per farlo. Non è uno stupido.”

Christine la guardò con espressione indecifrabile.

Aggrottò le sopracciglia, cercando di indagare sul perché credesse quello che credeva. “A volte un buon motivo per fidarsi vale molto di più che un buon motivo per non farlo, magari,” mormorò alla fine.

E ho appena avuto la dimostrazione che Christine è in grado di fare buone azioni. 

Certo, non è stata una cosa gratuita. Ma comunque.

L'altra non disse niente. 

“Allora?” la esortò Lily. “Adesso tocca a te, rispondere.”

Christine sembrò risvegliarsi di colpo. Sogghignò. “Non ho detto che avrei risposto.”

Quando sentì risorgere un certo istinto da Fattura Orcovolante dentro di sé, Lily capì di essere tornata se stessa, dopo quella giornata così difficile.

“D'accordo.” Scrollò le spalle, spegnendo la sigaretta contro il davanzale e gettandola dritta nel gabinetto di uno dei cubicoli con un ottimo lancio da Cacciatrice. “Non che mi importi più di tanto.”

Voltò le spalle a Christine, attraversando il bagno, sicura che l'altra stesse sogghignando dietro di lei.

Grazie,” le parve di udirla sussurrare. Anche se, probabilmente, doveva aver sentito male.

 

 

****

 

 

 

17 gennaio 2022

Hogsmeade, Scozia

Tarda sera

 

 

Louis Weasley era nel suo elemento. Dopotutto c'era un motivo per cui aveva deciso di diventare Auror: adorava andare in missione sul campo, percepire il brivido della paura lungo le braccia e il sangue carico di adrenalina.

Adorava il cuore che pulsava accelerato, sotto alla patina di fredda concentrazione e lucidità fuori dalla norma – quello stato di assoluta simbiosi fra mente e corpo che riusciva a trovare in ben poche altre occasioni. 

Proprio per questo, nello scivolare furtivo fra gli angoli bui delle vie di Hogsmeade – bacchetta sfoderata, appiattiti contro le pareti ruvide delle abitazioni – si sentiva straordinariamente vivo. Al suo fianco, Holly si guardava intorno guardinga, adorabile nella sua giacca di pelle, i capelli biondi che le sfioravano il viso, sfuggiti alla sua pratica coda. I suoi occhi erano spogliati di qualunque emozione: attenti, serissimi, leggermente sgranati.

A un cenno d'intesa della ragazza, si spostarono rapidamente lungo il vicolo cieco che stavano percorrendo. 

Flitt era in piedi dall'altro lato di Holly. Sebbene il suo mestiere non fosse quello di un Auror, se la stava cavando piuttosto bene: probabilmente nell'addestramento da Spezzaincantesimi veniva attribuita una certa importanza anche al come comportarsi in una situazione del genere. Anche quello era un lavoro che comportava un certo rischio, dopotutto, e non solo in situazioni fuori dall'ordinario come quella corrente. 

Era contento che lo zio Harry avesse deciso di affidar loro quel compito: l'incarico di pattugliare Hogwarts, nonostante gli desse l'opportunità di punzecchiare Holly di continuo, si stava rivelando poco entusiasmante, visto che dal giorno di Natale non era più successo niente che lo riguardasse in prima persona.

Non che non ne fosse sollevato sotto certi versi, per carità. Tuttavia, dopo tutta quella inattività si ritrovava spesso a scalpitare per un po' di azione.

Ed eccomi servito.

Rimasero appostati per qualche minuto lì, finché Holly non lo tirò leggermente per la manica, accennando alla strada chiusa di fronte a quella in cui si trovavano. Attorno a loro, il buio era denso, rotto solamente dalle flebili chiazze di luce dei lampioni, che si infrangevano contro i residui di neve rimasti agli angoli delle vie.

Di nuovo, si mossero silenziosamente, perfettamente coordinati.

Fu mentre si infilavano nel secondo vicolo cieco che Louis notò qualcosa di strano. Da principio gli apparse come un'ombra, che riuscì a cogliere solo con la coda dell'occhio.

Poi notò il movimento a frusta, notò la luce viola.

Protego!” gridò, prima che l'Incanto Togli-Forze prendesse Holly in pieno petto.

L'adrenalina nel suo sangue scorreva sempre più in fretta mentre afferrava entrambi – Holly e Marcus – per un braccio, facendo sì che tutti e tre si mettessero spalla contro spalla per non farsi colpire alla schiena.

Bastava guardarsi intorno per realizzare che erano circondati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

¹ Il signor K.: per chi non l'avesse capito, mi riferisco al romanzo Il Processo di Franz Kafka, uno dei miei libri preferiti.

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

Okay, okay, odiatemi. So di essere crudele e cattiva, a lasciarvi con un cliff-hanger così, ma... Ci stava.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, gente, anche perché per una volta sono stata puntuale: sono passati esattamente dieci giorni dall'ultimo aggiornamento!

Per adesso non dico altro, visto che devo scappare a scuola guida.

Fatemi sapere la vostra opinione!

Bisous,

Daphne

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Capitolo 34
*** Capitolo 33 - Patronus ***



We're all fugitives,

Look at the way we live.

Down here,

I cannot sleep from fear.

Coldplay

 

 

 

17 gennaio 2022

Hogsmeade, Scozia

Tarda sera

 

 

 

 

Erano circondati. Intorno a loro, da ogni lato del vicolo buio, spuntavano dal nulla figure scure e pressoché indistinguibili fra di loro, i volti celati da spessi passamontagna.

Louis, serrando convulsamente la presa sul legno della bacchetta, si guardò rapidamente intorno, cercando una via di fuga. L'aria ghiacciata della notte gli sembrò improvvisamente soffocante, sebbene davanti alle loro bocche continuassero ad addensarsi piccole nubi di vapore ad ogni respiro.

Poteva percepire la pressione delle braccia di Holly e Marcus ai suoi lati. Si era reso conto a stento che si fossero avvicinati così tanto fra di loro, nel disporsi l'uno contro l'altro come i lati di un triangolo, per non lasciare le spalle esposte a eventuali attacchi.

Alla propria destra percepì lo spostamento del braccio sinistro di Holly, che si alzava per sollevare la bacchetta. Si rese conto a stento di star compiendo lo stesso gesto e che anche Marcus li stava imitando.

Il cuore gli batteva furibondo nel petto, rimbombando fra il torace e le orecchie: per la prima volta da quando aveva avuto inizio tutta quella storia, provò veramente paura. Una paura matta, folle, a stento tenuta a freno da un velo di fredda lucidità che lo spaventò più di tutto il resto.

Quelle persone potevano aver ucciso Eddie Clearwater e Otto Murray. Probabilmente, sarebbero state pronte a uccidere anche loro.

Le figure scure sembravano farsi sempre più numerose: erano troppi, comprese, perché potessero affrontarli tutti a bacchetta tratta e uscirne incolumi.

Ai suoi lati percepiva quasi la paura di Holly e quella di Marcus urtare la sua, come grandi sfere traballanti, e infine fondersi in un unico, pulsante blocco di terrore. Colse con la coda dell'occhio una sagoma rettangolare incassata nella parete dell'abitazione alla sua destra, seminascosta dalla selva di avversari che li circondavano.

Una porta.

Dove li avrebbe condotti non aveva importanza. Non potevano affrontare tutti quei nemici, ma potevano ancora aprirsi una via di fuga: capì che era la loro unica possibilità per non venire sopraffatti. Non avevano la possibilità di Smaterializzarsi: agire in quel modo li avrebbe distratti, dando ai loro avversari la possibilità di attaccare per primi – cosa che, vista la loro minoranza numerica, non potevano proprio permettersi.

Il suo sguardo colse con la coda dell'occhio quello di Holly: la vide annuire quasi impercettibilmente; allora tirò piano un lembo della manica di Marcus, come per dirgli di tenersi pronto. Nel frattempo, i secondi sembravano stillare faticosamente da un contagocce: scorrevano lenti, spossati, succedendosi con una calma estenuante.

Vide chiaramente uno degli individui con il passamontagna sollevare la bacchetta.

Ora!” sibilò. 

Scattarono. Si mossero come un solo uomo, slanciandosi lateralmente verso la porta, le bacchette sguainate. 

Non appena ebbero compiuto il primo spostamento, parve esplodere una bomba: i loro avversari – Louis non aveva idea di quanti effettivamente fossero – sembrarono risvegliarsi improvvisamente, pronti ad attaccarli. La prima figura scura che si parò loro di fronte fu l'ultima cosa che distinse con chiarezza: poi smise del tutto di pensare, affidandosi completamente all'istinto, con pochi, semplici obiettivi davanti agli occhi. Quella porta, tenersi in vita, tenere in vita Marcus e Holly.

Attaccava e si difendeva quasi automaticamente, agendo prima ancora che gli ordini giungessero al suo cervello. Poteva udire la propria voce fondersi a quella di Holly e Marcus, nel pronunciare un incantesimo dietro l'altro. Poco alla volta, nell'intervallo senza tempo che era venuto a crearsi, riuscirono ad aprirsi una via. Louis chiudeva la fila, respingendo gli avversari che continuavano ad attaccarli alle spalle.

Si accorse che erano riusciti a raggiungere la porta solo quando udì la voce di Holly gridare l'incantesimo che l'avrebbe spalancata; sentì la presa di Marcus sul braccio mentre l'altro lo trascinava in fretta all'interno dell'abitazione. 

Vide la porta richiudersi davanti ai propri occhi, bloccando all'esterno i loro nemici. Udì come da molto lontano la voce di Holly sigillare l'entrata, per poi formulare freneticamente gli incantesimi che avrebbero impedito ai loro aggressori di penetrare all'interno del loro rifugio tramite Materializzazione.

L'ambiente in cui si trovavano sembrava vorticare pericolosamente attorno a loro. Finiti di pronunciare i suoi incantesimi, Holly si voltò di nuovo, spostando lo sguardo dall'uno all'altro. Il suo volto era livido, i capelli in disordine, gli occhi sgranati apparivano leggermente lucidi e il suo mento tremava lievemente, mentre dalle labbra le sfuggivano respiri accelerati. Il suo sguardo, tuttavia, era serio e attento, mentre sembrava analizzare ogni centimetro della stanza in cui si trovavano.

Anche Louis avrebbe voluto essere in grado di fare lo stesso, ma riuscì solamente a scambiarsi uno sguardo con Marcus, nei cui occhi scuri baluginava una scintilla di assoluta concentrazione. 

“Dobbiamo trovare il modo di uscire di qui.” Entrambi si voltarono verso Holly, che aveva pronunciato quelle parole con un filo di voce. 

Aprì la bocca per assentire, ma dalla sua bocca non uscì un suono. Si limitò dunque ad annuire, deglutendo. 

Marcus sembrava abbastanza padrone di sé: strinse i pugni per un momento, respirando profondamente come per recuperare il fiato. “Prima che riescano a entrare.” Si schiarì la voce. “Sono riusciti a coglierci di sorpresa in questo modo, penso che non ci impiegheranno molto a trovare un modo per superare quegli incantesimi.”

Holly aggrottò le sopracciglia con aria grave. “Come facciamo?”

Louis ancora non era riuscito a recuperare la voce, quindi si limitò a guardarsi intorno, cercando di memorizzare ogni dettaglio della stanza in cui si trovavano. Sebbene dall'esterno sembrasse un'abitazione abbandonata, qualcuno aveva vissuto lì di recente. Era palese dal materasso steso per terra, sovrastato da un mucchio di coperte in disordine; in un angolo si levava una piccola pila di vestiti e uno dei cassetti dello stretto comodino era aperto a metà. Si avvicinò per osservarne il contenuto e scoprì che era vuoto, così come l'armadio dalle ante spalancate.

Qualcuno è vissuto qui di recente, ma se n'è dovuto andare di gran fretta.

Il legno scuro del comodino era opaco alla luce della sua bacchetta: ci passò sopra i polpastrelli, trovandoli poi macchiati di polvere. Sollevò in alto la bacchetta, illuminando meglio la stanza: adesso che vi faceva caso, un sottile strato di polvere era posato ovunque.

Quindi abitata di recente... Ma non troppo di recente.

“Questo posto sembra sospetto.” Si accorse a malapena di aver parlato lui stesso. “Insomma, è chiaro che chiunque abbia vissuto qui se n'è andato in fretta. Non più di un mese fa.”

Osservò i movimenti degli altri due: li vide scambiarsi uno sguardo, per poi fissare Holly mentre si avvicinava a lunghi passi verso il materasso.

Nel frattempo, Marcus l'aveva raggiunto accanto al comodino. “Un fuggitivo, forse,” lo udì ipotizzare.

“O una persona scomparsa.” Quello di Holly era stato appena un mormorio, ma li fece sobbalzare entrambi. 

Louis puntò la bacchetta verso di lei, inondandola di luce. A quella luminescenza leggera, i capelli della ragazza mandarono un lieve baluginio dorato. Le ombre sul suo volto sembravano ritagliate nell'oscurità, la sua bocca era appena contratta sugli angoli. 

Fra le mani stringeva qualcosa di simile a un pezzo di carta. Abbandonato sulle lenzuola sotto di lei, giaceva un inconfondibile portafogli Babbano. 

“Tamara Graysand,” sussurrò Holly.

Improvvisamente, Louis capì. Quello che Holly stringeva fra le mani era un documento di identità. Il documento di identità di Tamara Graysand, quella ragazza Babbana scomparsa mesi prima, la figlia del Ministro del Tesoro.

Quindi zio Harry aveva ragione, pensò mentre il suo cuore sprofondava. Anche quel rapimento ha a che fare con tutto il resto.

Quasi tremante, Holly rimise il documento al suo posto nel portafogli, infilando entrambi nella clutch che già dal Ballo del Ceppo aveva sottoposto a un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile. Dunque si voltò verso di loro, alzandosi in piedi con espressione risoluta e muovendo diversi passi nella loro direzione. “Dobbiamo uscire di qui,” ripeté in tono deciso. 

La schiena di Louis fu attraversata da un brivido, ripensando al pericolo che avevano corso. Ancora sentiva il cuore battere furiosamente in fondo alla sua gola. Come se non bastasse, ripensare a come aveva annullato del tutto i pensieri durante il combattimento lo spaventava, quasi. 

Marcus si avvicinò a Holly di un passo. “Dobbiamo chiamare i rinforzi,” la corresse, pratico.

Per una volta, la ragazza non lo contraddisse. “Verissimo,” stabilì. “Penso che un Patronus sia la scelta migliore.”

Per quanto li avessero probabilmente salvati, gli incantesimi di Holly li avevano anche bloccati lì: non c'era verso che potessero smaterializzarsi, anche perché apparentemente quella stanza non aveva porte se non quella che si affacciava all'esterno.

E tornare lì fuori sarebbe una mossa suicida, per usare un eufemismo.

La stanza sembrò traballare paurosamente, come sotto gli effetti di un terremoto.

“Gli incantesimi stanno vacillando!” esclamò Holly, stridula, mentre Louis la afferrava istintivamente per un braccio – come Marcus aveva fatto con lui – per evitare che cadesse per il tremore del pavimento. La ragazza era talmente concentrata che neanche si divincolò dalla sua presa, come avrebbe fatto in qualunque situazione normale.

Il Patronus.

… Ah, già.

Sollevò la bacchetta, pensando al momento della sua ammissione all'Accademia. Automaticamente, la sua mente volò su Holly e Marcus, in piedi di fronte a lui. Vivi, entrambi.

Expecto Patronum!” 

Un gatto selvatico dal pelo argenteo e lucido scaturì dalla punta della sua bacchetta magica, rotolando in aria prima di atterrare sulle quattro zampe e guardare Louis dritto in faccia, come in attesa di ordini.

“A Theodore Nott, responsabile del gruppo di Hogsmeade.” Si stupì di come la propria voce suonasse stentorea. “Siamo bloccati nella zona della Testa di Porco. Servono rinforzi immediati.”

Il Patronus lo guardò intensamente, prima di sfrecciare via con sicurezza attraverso la porta chiusa.

Ancora una volta, si udì uno schianto e la stanza riprese a traballare. Questa volta caddero tutti e tre in terra prima di riuscire a mantenersi in equilibrio. 

Il suo sguardo scivolò su Holly, che puntellava con le braccia sul pavimento per sollevarsi di nuovo su. Non appena fu in piedi, le pareti ripresero a tremare.

“Aspettare,” mormorò Louis. “Non ci resta che aspettare.”

 

 

 

****

 

 

 

Theodore Nott sobbalzò nel vedere un Patronus – somigliava a un gatto selvatico o qualcosa del genere – atterrare sulle quattro zampe davanti ai suoi occhi, per poi rivolgersi a lui con la voce di Louis Weasley, uno dei giovani Auror attualmente di stanza a Hogwarts. 

“A Theodore Nott, responsabile del gruppo di Hogsmeade. Siamo bloccati nella zona della Tesa di Porco. Servono rinforzi immediati.”

Maledizione.

Scattò in piedi, sibilando pochi, scarni ordini alla sua squadra, prima di Materializzarsi con loro dalle parti del pub nominato da Weasley. Una volta lì – sprofondati nel buio compatto della sera – non fu difficile individuare il punto preciso con un incantesimo di localizzazione.

“Simpson.” 

“Sì, capitano?” Gracia era scattata sull'attenti.

“Ci dividiamo in due gruppi. Prendi metà della squadra e piazzati all'uscita del vicolo. Sarebbe buona norma un incantesimo anti-Smaterializzazione... Dopo che noi li avremo presi alle spalle, ovvio.”

La ragazza annuì: una ciocca dei suoi corti capelli castani le scivolò sulla fronte.

Dannato Potter, dove sei quando servi?

Non che la sua squadra non fosse in grado di gestire emergenze come quelle, ovvio, ma non erano granché numerosi: sperava solo che i loro avversari non si rivelassero ancora una volta in numero improponibile. 

Prima di entrare in azione, ritenne buona norma avvertirlo. Dopotutto, il Salvatore del Mondo Magico era anche a capo del suo Dipartimento.

“A Harry Potter,” borbottò rivolto al suo gabbiano dal piumaggio argentato. “A Hogsmeade, subito.”

Con un sospiro profondo, fece cenno agli altri di Smaterializzarsi in fondo al vicolo dove si trovavano i nemici, per cogliere alle spalle quella marmaglia. Iniziava a sentire i tendini tesi e le vene ribollenti di adrenalina, quando roteò su se stesso scomparendo nel buio per ricomparire nel luogo prescelto.

Allora, il suo braccio cominciò a muoversi automaticamente, lanciando incantesimi a destra e manca mentre teneva d'occhio i suoi Auror come poteva per assicurarsi che si muovessero tutti quanti a ranghi serrati. 

Non si era sbagliato: i delinquenti in passamontagna erano parecchi anche questa volta, ma sembravano per la maggior parte parecchio più preparati dei dilettanti che li avevano attaccati. Riuscivano a respingere buona parte dei loro incantesimi e avevano quasi steso Cormac McLaggen, che spediva ovunque Schiantesimi di forza bruta, senza pensare a difendersi.

Grifondoro sbruffone. Vorrei solo sapere chi è l'imbecille che l'ha ammesso in Accademia.

Continuava a lanciare Schiantesimi e Sortilegi Scudo con la mano destra, senza perdere la concentrazione; sollevò la sinistra ad asciugarsi il sudore dalla fronte, sollevando lo sguardo per incontrare quello di Gracia, dritta di fronte all'altra metà della squadra, in piedi di fronte all'imbocco del vicolo con la bacchetta tesa di fronte a sé. Lo fissava con espressione illeggibile, in attesa. Annuì impercettibilmente, per poi respingere in fretta una maledizione spedita dritta contro il suo petto.

Con la coda dell'occhio, scorse Gracia muovere la bacchetta per l'incantesimo anti-Smaterializzazione.

I loro avversari parvero accorgersi di quanto stava accadendo, perché molti di loro cominciarono a roteare su se stessi per poi svanire nel nulla. 

Gracia, sbrigati!

Dopo alcuni, lenti secondi – che passarono quasi in sospeso, mentre i furfanti in passamontagna smettevano di attaccarli per Smaterializzarsi più in fretta che potevano – sentì le braccia percorse da una sottile pelle d'oca, segno che l'incantesimo di Gracia stava funzionando. Messi alle strette, i loro nemici ripresero il loro attacco. Tuttavia erano calati parecchio di numero: per sopraffarli furono sufficienti pochi minuti.

Quando l'ultima figura scura cadde davanti ai suoi piedi, si prese alcuni secondi per riprendere fiato. “Beh, è fatta,” riuscì a esalare.

Se non altro, l'assenza di Potter non era stata poi così significativa.

 

 

 

****

 

 

Il pavimento aveva smesso di tremare da un pezzo: gli schianti provocati dal tentativo di forzare gli incantesimi erano cessati, sostituiti dallo scoppio di incantesimi e dalle grida delle persone in lotta all'esterno.

Quando improvvisamente calò il silenzio, dalle labbra di Holly scaturì un sospiro di sollievo. Dovevano essere stati gli Auror a vincere lo scontro, o i tizi in passamontagna avrebbero ripreso ad aggredire la porta del loro rifugio. 

Puntellandosi contro il pavimento con i gomiti, si tirò su, imitata dai ragazzi. Si sentiva semplicemente sfiancata: le sembrava di avere le braccia pesantissime ed era ammaccata più o meno ovunque. Probabilmente una volta al castello si sarebbe ritrovata la pelle ricoperta di lividi, per tutte le cadute che avevano subito quando la stanza aveva cominciato a tremare. 

“Penso che sia ora di uscire,” borbottò Marcus. Un grosso livido si stava allargando sotto il suo zigomo e sulle sue labbra si era incrostato del sangue. 

Holly annuì.

“L'avevo detto che bisognava solo aspettare,” cantilenò Louis, che sembrava piuttosto allegro e su di giri, nonostante il grosso taglio che continuava a sanguinare sopra il suo sopracciglio destro.

Probabilmente è il suo modo di reagire alla tensione.

Meglio del suo senza dubbio: non riusciva a far altro che sentirsi terribilmente abbattuta.

Ci siamo limitati a rintanarci al sicuro come stupidi topolini... 

Il suo pensiero volò al portafogli di Tamara Graysand.

… Anche se è servito.

Si accorse che gli altri due la guardavano, in attesa di una sua decisione. Ah, già: aveva dimenticato di essere lei a comandare, fra di loro. Almeno ufficialmente.

“Andiamo,” sbottò, brusca, dirigendosi a passo di marcia verso la porta. Mosse rapidamente la bacchetta per annullare gli incantesimi che avevano sigillato l'entrata, per poi spalancare la porta con un calcio, tenendo sollevata la bacchetta come misura di sicurezza.

Una ventata d'aria gelida la colse in pieno, facendola rabbrividire sotto la giacca di pelle. In un primo momento, rimase abbagliata dagli aloni di luci di svariate bacchette, al punto da non distinguere chi fosse schierato di fronte a loro. Strinse le palpebre, riuscendo a distinguere parecchie figure con indosso quella divisa scura che conosceva così bene.

Quando riconobbe Theodore Nott, dal sollievo l'avrebbe abbracciato.

Tuttavia, si costrinse a mantenere una postura stabile e un'aria professionale, mentre a poco a poco i suoi occhi si abituavano alla luce e riuscivano a riconoscere meglio le figure in piedi nel vicolo. Per la maggior parte sembravano abbastanza malconci, ma tutto sommato in ottima salute. 

La figura sottile di Nott si ergeva più avanti del resto della squadra: era un uomo che portava abbastanza bene i suoi anni e aveva sempre la stessa espressione serissima.

Non credo che sappia davvero ridere.

“Siete illesi,” constatò, serio. “Fai rapporto, Greengrass.”

Annuì, cercando di mantenere ferma la propria espressione. “Stavamo facendo il giro di ricognizione quando si sono Materializzati attorno a noi. Li abbiamo respinti finché potevamo.” Deglutì, lievemente imbarazzata. Ai suoi occhi, era stato un colossale fiasco. “Poi ci siamo rifugiati lì e abbiamo mandato il Patronus.” Si costrinse a guardare Nott negli occhi mentre apriva la borsetta e vi frugava dentro. “Ma abbiamo trovato questo.” Porse il portafogli all'Auror, senza fare a meno di sentirsi vagamente trionfante.

Quando aveva cominciato il tirocinio, era stata assegnata al gruppo di Nott, che era stato a dir poco impietoso con tutto il suo gruppo. Si era impegnata al massimo per tutta la durata della sua assegnazione, decisa a mostrare il proprio valore, ma la massima gratificazione che ne aveva conseguito da parte dell'uomo era stato un lievissimo, freddo sorriso. 

Ci teneva a dimostrare che il suo fiasco non era poi così colossale, insomma.

Con espressione educatamente perplessa, Nott aprì il portafogli, frugando al suo interno. Dopo pochi istanti, le sue sopracciglia si aggrottarono sopra gli occhi sgranati. La sua fronte tornò liscia nel giro di una frazione di secondo, ma Holly aveva avuto modo di notare la sua sorpresa – una lieve soddisfazione aveva gorgogliato in fondo al suo stomaco.

Finalmente, Nott alzò lo sguardo. Fece per dire qualcosa, ma la sua voce fu soffocata da un rumore di passi che si addentravano nel vicolo. Holly guardò in fretta in quella direzione, angosciata, per poi scoprire con sollievo che si trattava di Harry Potter e della sua squadra.

“Avete risolto?” la voce del capo di Dipartimento risuonò nell'improvviso silenzio. Holly notò che sembrava parecchio più stanco rispetto al loro ultimo incontro, come se avesse improvvisamente cominciato a invecchiare.

Senza una parola, Nott camminò a lunghi passi verso il signor Potter, porgendogli il documento di identità di Tamara Graysand. Non appena gli occhi verdi dell'uomo ne ebbero decifrato il contenuto, la sua espressione parve bloccarsi a metà di una smorfia, come se qualcuno l'avesse pietrificato.

“Nott, manda un Patronus al Ministro,” decretò. “Alla fine, il caso Graysand potrebbe avere a che fare con tutto il resto.”

 

 

 

****

 

 

 

“Io credo che me ne andrò a letto.” 

Marcus sbadigliò, strofinando ancora il dorso la mano contro il taglio sul labbro, disinfettato alla meno peggio non appena erano tornati al castello.

“Buonanotte.” La voce di Holly raggiunse flebilmente le orecchie di Louis, che le gettò un'occhiata in tralice prima di tornare a guardare lo Spezzaincantesimi.

In piedi accanto alla finestra, annuì. “Sogni d'oro, Flitt.”

Per tutta risposta, Marcus indirizzò verso di lui una scrollata di spalle, prima di scomparire oltre la soglia della loro stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Lo scatto della serratura risuonò nel silenzio. 

Con un sospiro, Louis si voltò verso Holly. L'adrenalina dello scontro si era dissipata, lasciandogli addosso un forte senso di spossatezza. 

La ragazza era in piedi accanto al caminetto, il gomito poggiato sulla mensola sopra di esso. Aveva le sopracciglia aggrottate, lo sguardo fisso sul fuoco, che disegnava ombre e luci tremolanti sulla sua pelle chiara. Sui suoi capelli biondi danzava un lieve baluginio aranciato, che chissà per quale motivo ricordò a Louis quello dorato di soltanto un'ora prima, di quando le aveva puntato contro la bacchetta per illuminare la sua figura.

Sorrise fra sé, lasciandosi sfuggire un sottile sbuffo, prima di raggiungerla di fronte al camino, piazzandosi di fronte a lei. 

Holly sollevò lo sguardo su di lui per un momento, salvo poi riabbassarlo sulle fiamme danzanti nel caminetto. Era carina, molto, anche con i capelli in disordine dopo quella serata così movimentata e un grosso livido sulla mascella. 

“Holly.” La voce gli uscì più roca di quanto avrebbe voluto. 

Di nuovo, lei tornò a guardarlo in faccia, sospirando appena. “Devi dirmi qualcosa?” La sua voce stanca recava ancora una traccia del solito sarcasmo. La cosa lo divertì, chissà per quale motivo, al punto che piegò la testa da un lato e rivolse alla ragazza un'occhiata vagamente ironica.

“Hai fatto la cosa giusta, oggi,” disse a bassa voce, assottigliando gli occhi e sollevando le sopracciglia per un momento solo, incurvando le labbra in un mezzo sorriso.

Chissà perché, quelle parole sembrarono colpire Holly. Louis capì subito di aver fatto centro: non ci voleva un genio a rendersi conto che la ragazza non era granché soddisfatta di come aveva agito.

… Noi Grifondoro vorremmo sempre fare gli eroi. Ma a volte bisogna pensare a non farsi ammazzare.

“Dico davvero,” soggiunse. “Sarebbe stato un suicidio, se non fossimo entrati in quella stanza.”

Pensò distrattamente al pensiero felice che aveva prodotto il suo Patronus. Holly e Marcus, vivi. Fortuitamente salvi.

Alla fine erano diventati una squadra, in qualche modo.

Tornò a guardare Holly, che teneva puntati gli occhi chiari su di lui, con un'espressione corrucciata ma al tempo stesso quasi sorridente. Stanca, forse grata.

“Spero che tu abbia ragione,” sospirò. “Nott sembrava–”

“Lo so cosa sembrava,” la interruppe. “Ma ha cambiato idea non appena ha visto quel portafogli.”

Holly gli gettò un'occhiataccia. “Quella è stata pura fortuna,” replicò a denti stretti.

“Beh,” si strinse nelle spalle. “A volte serve un po' di pura fortuna.”

Lei aprì la bocca per ribattere, ma poi la sua espressione rimase sospesa a metà, come colpita. Infine, si decise a buttare fuori uno sbuffo divertito. 

Louis non riuscì a trattenersi dal sorridere, mentre Holly sollevava la mano; seguì il tragitto del suo braccio, perplesso, finché non sentì le sue dita fresche posarsi appena sulla ferita che aveva in fronte. 

“Questa dovresti farla vedere,” sentenziò Holly. “Dovreste farvi vedere tutti e due.”

Roteò gli occhi. “Solo perché sei il capo.” La guardò, studiando il livido sulla mascella. “Anche tu non sembri messa tanto bene.”

Imitò il suo gesto di poco prima, sfiorando la lesione. Holly aveva un'espressione stranamente tremante, mentre teneva gli occhi abbassati sulla sua mano.

Forse la stanchezza aveva annullato il filtro fra il cervello e le sue terminazioni nervose. O forse doveva avere ancora parecchia adrenalina in circolo, perché probabilmente in un'altra situazione avrebbe riflettuto prima di agire. 

O forse, non avrebbe riflettuto comunque.

Non riuscì a frenare la propria mano mentre sfiorava la guancia di Holly, scivolando poi sul suo collo, seguendo la curva della sua spalla, discendendo lungo il suo braccio fino a circondarle il polso. Rimase in attesa, aspettando che lei lo respingesse.

Holly non fece nulla del genere. Si limitò a sollevare di scatto la testa verso di lui, con impressa sul volto la stessa aria grave di poco prima. 

Louis si chinò verso di lei, stringendole leggermente il braccio. Si fermò a pochi centimetri dalle sue labbra, sentendosi preso da una strana sensazione di vuoto allo stomaco. Ancora, Holly non si mosse. Continuava a guardarlo negli occhi, con la bocca leggermente socchiusa e le sopracciglia aggrottate. 

Allora Louis proseguì il suo movimento, abbassandosi ancora fino a incontrare le sue labbra per un istante. Erano morbide.

Tornò ad allontanarsi, solo appena. Solo abbastanza per osservare l'espressione di Holly, che sembrava spiazzata, confusa. I suoi battiti erano a mille: Louis lo poteva notare dalle pulsazioni nel polso che ancora stringeva e dal suo respiro accelerato.

Lasciò il suo polso, catturando i suoi fianchi con entrambe le mani e tirandosela addosso, prima di baciarla ancora. Fu un bacio molto diverso da quello di poco prima: Holly rispose immediatamente, stringendosi a lui – poteva sentire le sue mani sul volto. 

Per qualche motivo smise assolutamente di pensare: esistevano solo le labbra di Holly, i suoi fianchi, la sensazione di vuoto e squilibrio in fondo al proprio stomaco.

Sentì le dita della ragazza artigliargli i capelli: anche lui risalì lungò la sua schiena fino ad affondare le mani in quella matassa bionda e soffice, con ancora il segno dell'elastico a metà della lunghezza. Scostò i suoi capelli e scese a baciarla sul collo, prima che Holly gli risollevasse la testa con forza per incontrare di nuovo le sue labbra. 

Si era accorto a malapena di averla premuta contro lo stipite del caminetto: lo realizzò solo quando la sua mano discese di nuovo, finendo compressa fra il muro e la curva della sua schiena. Scivolò sotto la sua maglietta, accarezzando la sua pelle morbida e calda. 

Anche le mani di Holly discesero. Raggiunsero il suo petto e... lo spinsero via.

Colto di sorpresa, Louis la fissò, oltre il metro e mezzo di distanza che adesso li separava. Avevano entrambi il fiatone e l'espressione di Holly sembrava incredula, come se non credesse davvero a quello che aveva appena fatto. 

“Holly,” riuscì a esalare. “Non–”

“Non una parola,” sussurrò lei, deglutendo e cercando visibilmente di non guardarlo in faccia. “Siamo troppo stanchi per avere un barlume di raziocinio.”

“Troppo stanchi?” replicò Louis, scettico.

Holly annuì con convinzione. “Ne parleremo domani.” A giudicare dal tremolio del suo labbro inferiore, stava entrando in agitazione. “Quando saremo meno stanchi.”

“Non sembravi particolarmente stanca.”

Taci.” Replicò lei brusca. “Per favore.”

Louis roteò gli occhi. “Ti ripeto che non sembravi–”

“Domani,” ripeté ancora lei. “D'accordo?”

La guardò per qualche istante, soffermandosi sulle borse sotto gli occhi. Forse aveva ragione, dopotutto. “Okay,” decretò, annuendo. “Domani.”

Holly sembrò sul punto di dire qualcosa, ma alla fine non parlò. Si limitò a lanciargli un'ultima occhiata prima di scomparire oltre la soglia della stanza.

Non appena si fu chiusa la porta alle spalle, Louis si lasciò cadere sul divano, tenendosi la testa fra le mani. 

L'adrenalina fa brutti scherzi, certe volte.

Non così brutti, in fondo: il vuoto nel suo stomaco adesso sembrava ribollire

 

 

 

But if you give a little love, 

you can get a little love.

Noah and The Whale

 

 

 

 

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25 gennaio 2022

Centrale della Polizia Magica, Barcellona

Tarda mattinata

 

 

Dalla finestra della piccola sala d'attesa era visibile un cielo bigio e cupo; le nubi grigiastre sembravano quasi premere contro i vetri e l'aria che si respirava era sorprendentemente densa. Gli occhi di Harry, in piedi accanto all'apertura sull'esterno, si soffermavano spesso sul paesaggio meditarraneo visibile aldilà di essa, il verde cupo della vegetazione inframezzato da alberi dai rami nudi, spogliati dalla stagione invernale.

La Centrale della Polizia Magica si trovava parecchie miglia al di fuori della capitale della Gothalaunia: un edificio dalla forma squadrata, dalle mura di mattoni rossi. Assieme al clima deprimente, il materiale di costruzione aveva contribuito a non farlo sentire poi così lontano dall'Inghilterra, sebbene facesse molto più caldo.

Se caldo si può chiamare il clima di gennaio, poi.

Strinse i pugni: i tendini sul dorso della mano si contrassero, per poi distendersi non appena ebbe sciolto le dita. Si lasciò sfuggire uno sbuffo spezzato tra le labbra; ormai aspettavano da più di un'ora, e dopo quanto accaduto a Hogsmeade pochi giorni prima si sentiva ancora più motivato ad andare a fondo in quella faccenda – il ritrovamento del portafogli di Tamara Graysand in una zona prettamente magica aveva convinto Kingsley ad accelerare le cose, fortunatamente. 

Il viaggio con la Passaporta internazionale era stato piuttosto stancante; si strofinò distrattamente la cicatrice sbiadita sulla fronte, come sempre si ritrovava a fare quando era in agitazione, sebbene alla morte di Voldemort avesse smesso di bruciare per sempre.

La saletta – piccola e soffocante – sembrava riempita sino all'orlo dalla loro presenza, come se stando lì l'avessero completamente privata di spazi liberi. Ron, seduto su uno di quegli scomodi divanetti rivestiti di pelle, tamburellava nervosamente sul pavimento con la punta del piede destro. Nott, dal canto suo, sedeva rigido e composto, indossando la solita maschera impassibile. 

Ormai nessuno dei tre diceva una parola da più di mezz'ora: il silenzio premeva contro le orecchie di Harry, vibrante e teso, quasi soffocanto il torrente inarrestabile dei suoi pensieri. C'erano troppi pezzi in quel puzzle perché non dovessero riuscire ad agganciarsi in qualche modo, ma nonostante tutto ancora troppo pochi perché fosse possibile individuare la chiave dell'incastro. 

Di certo il ritrovamento del portafogli era un buon segno – il segno che Harry non si era sbagliato, che non stava diventando matto – ma non poteva essere del tutto sicuro che il loro avversario, chiunque fosse, non stesse cercando di sviarlo.

L'ipotesi del gruppetto di Louis – cioè che quella serie di attacchi non fosse altro che un diversivo – continuava a rimbalzare dentro la sua testa. Non era affatto scontata come teoria, e soprattutto più che plausibile, sebbene non facesse altro che scatenare una nuova caterva di interrogativi: da cosa era stato necessario distogliere l'attenzione degli Auror? Quale era in definitiva l'intento di quei farabutti?

E soprattutto, che cosa avevano a che fare le morti dei due dipendenti del Ministero con tutto il resto? Nel caso di Murray, poteva anche supporre che si trattasse dell'ultima ricerca compiuta dall'Indicibile – quella della Traccia sul Crimine – ma per quanto riguardava Eddie Clearwater sembrava un buco nero. 

Certo, c'era sempre l'ipotesi che si fosse trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. O che avesse scoperto qualcosa che non doveva sapere... Cosa improbabile, per un archivista di casi minori su Creature Magiche. 

Sembrava tutto così misterioso e intricato.

Improvvisamente, si udì lo scatto di una porta che si apriva. Sulla soglia comparvero due figure, un uomo e una donna, con indosso le uniformi rosso scuro della Polizia Magica Catalana. 

La strega – dalla pettorina adorna di medaglie e titoli – si fece avanti con la mano tesa, l'espressione statica sul volto abbronzato, dagli occhi scuri e intelligenti. “Il mio nome è Aide Mazu. Sono il vicecapitano della Polizia Magica.”

Harry strinse la mano che il vicecapitano gli stava porgendo, chinando appena il capo. “Harry Potter,” si presentò a propria volta.

Aide incurvò le labbra in un sorriso che non coinvolse il resto del volto, teso in un'espressione rigida e marziale. “So chi è,” disse semplicemente, per poi indicare l'uomo che l'accompagnava. “Lui è l'agente Jordi Alcover.”

Aveva un'accento piuttosto marcato, ma per il resto il suo inglese era perfetto.

Harry le presentò Ron e Nott, per poi seguire i due catalani lungo uno stretto corridoio che terminava in una stanzetta dalle pareti ricoperte di ritagli di giornale, che gli ricordò enormemente il Dipartimento Auror, al Ministero della Magia. Suppose che dovesse trattarsi dell'ufficio del vicecapitano Mazu.

Dalla piccola finestra, dai vetri macchiati di pioggia, era visibile il profilarsi in lontananza della città di Barcellona.

“Mentre eravate in attesa, è arrivato un messaggio per voi tramite Metropolvere,” comunicò Aide, dopo aver fatto loro cenno di accomodarsi su alcune poltroncine rivestite della stessa pelle dei divani in sala d'attesa. “Di una tale Guaritrice Robins.”

“Ah, Demelza,” fece Ron, seduto alla sua destra. “Potremmo...”

La strega annuì bruscamente. “Alcover,” parlò, secca. “Mostra la registrazione ai nostri ospiti.”

Senza una parola, l'agente scattò in piedi, avvicinandosi al caminetto e gettandovi dentro una manciata di Polvere Volante. La registrazione di Demelza cominciò dopo pochi istanti: Harry vide la testa della donna comparire fra le fiamme verdi, con espressione grave.

Abbiamo indagato sui ricordi degli uomini che avete catturato a Hogsmeade,” la udì dire sbrigativamente, come se avesse avuto fretta di andare da un'altra parte. “Il risultato è sempre quello. Sembra che qualcuno abbia spento la luce sulla loro memoria, come per tua figlia Lily. Supponiamo che abbiano trovato un nuovo metodo sperimentale per cancellare i ricordi, decisamente più valido di un semplice Oblivion... Stiamo cercando il modo di sbloccarlo. Comunicherò di nuovo con te non appena ci saranno novità.” 

Con un ultimo sfrigolio, la testa di Demelza scomparve dalle fiamme.

Harry si scambiò uno sguardo con Nott e Ron. “Beh, sempre meglio di niente,” commentò quest'ultimo con un borbottio. “Speriamo che ne ricavino qualcosa.”

Non rispose. Pensare a Lily e a tutto ciò che stava succedendo gli aveva riportato alla mente quanto fosse importante condurre a qualche risultato la loro missione più in fretta possibile. Si voltò in direzione del vicecapitano Mazu, deciso a venire subito al dunque. “Siamo qui a causa di alcuni sgradevoli episodi avvenuti in Inghilterra,” parlò cortesemente. Chissà per quale motivo, quella Aide gli dava l'impressione di essere un tipo che gradiva le formalità. “In particolare, dei ragazzi sono stati coinvolti in un attacco nel perimetro di Hogwarts, la nostra scuola di magia e stregoneria.”

La Mazu annuì lentamente, lo sguardo attento da dietro la sua scrivania ingombra di schedari e fogli sparsi. 

Harry si schiarì la voce, prima di proseguire. “Interrogando i ragazzi coinvolti, abbiamo scoperto che i loro aggressori parlavano Catalano.”

“Ed è per questo che siete qui,” concluse per lui il vicecapitano, con tono caldo e placido, estremamente diverso da quello con cui si era rivolta all'agente Alcover – che dal canto suo, se ne stava in piedi accanto alla sua superiore, in una posa rigida e impettita. Non sembrava uno stupido, tuttavia, almeno a giudicare dal suo sguardo tagliente e concentrato.

“Esattamente.” Sospirò appena, tornando a strofinarsi la cicatrice. “Abbiamo bisogno di una consulenza.”

Calò il silenzio: i secondi scorsero lentamente, sorprentendemente carichi. Harry poteva percepire la tensione di Ron e Nott, seduti ai suoi lati, oltre la propria. 

Infine, Aide si decise a parlare. “Credo che potremmo avere una risposta alle vostre domande.” I battiti di Harry accelerarono bruscamente. “O almeno a una parte di esse.” Il vicecapitano sospirò. Aveva parlato in tono grave, preoccupato, persino vagamente snervato. “Suppongo che non abbiate mai sentito parlare della Diable.”

Harry batté un paio di volte le palpebre, confuso; gli sembrava di aver già udito quella parola da qualche parte, anche se non ricordava in quale circostanza. Gettò un'occhiata a Ron, che portava in volto la sua stessa espressione attonita. 

Nott, invece, continuava a guardare Aide, le sopracciglia aggrottate e la bocca storta in una smorfia. “La società segreta catalana,” rispose fra i denti alle loro domande inespresse.

“Proprio così.” L'agente Alcover parlò per la prima volta. La sua voce ricordò a Harry quella di Kingsley, profonda e rassicurante. “Si potrebbe dire che tutto il nostro lavoro gira intorno alla Diable.”

Harry tornò a guardare Aide, gettandole un'occhiata interrogativa.

La strega si strofinò delicatamente un sopracciglio, stringendo le labbra. “Si potrebbe definire una... una forma di criminalità organizzata, di stanza qui. Hanno parecchie filiali in diversi paesi europei, fra i quali l'Inghilterra.”

Finalmente, riuscì a ricordare dove ne aveva già sentito parlare. Diversi anni prima, avevano avuto a che fare con il contrabbando di veleni illegali, importati dalla Diable. Nonostante i loro sforzi, il tentativo di individuare dei colpevoli era stato un buco nell'acqua: erano riusciti a impedire che i carichi di merce venissero distribuiti a Londra, ma non avevano catturato nessuno. 

“Dunque lei pensa che questa serie di attacchi abbia a che fare con la Diable?” domandò alla Mazu, più bruscamente di quanto non avrebbe voluto. 

“Penso che sia probabile.” Aide sospirò. “Soprattutto per la natura dell'attacco... O meglio, della serie d'attacchi. Ci è stato riferito che i vostri nemici abbiano mandato contro di voi combattenti poco preparati. È un modus operandi sfruttato spesso dalla Diable... Mandano avanti gli uomini più scarsi come diversivo, mentre i più capaci colpiscono in segreto nel punto più importante. Il problema è che non si può rischiare di mettere in mezzo dei civili solo per sventare un diversivo, quindi ci costringono a cadere nella loro trappola.” Tamburellò con le dita sul piano della scrivania. “Per non parlare dell'Oscuramento.”

“Per non parlare di– Cosa?!” Harry sollevò le sopracciglia, perplesso. “Di che cosa si tratta?”

I due agenti catalani si scambiarono uno sguardo. “Ho ascoltato anche io il messaggio della vostra amica Guaritrice. Spento la luce sulla loro memoria...” citò testualmente le parole di Demelza. “Sappiamo a cosa si sta riferendo.”

L'agente Alcover si schiarì la voce. “Si tratta di un'altra pratica che la Diable pratica spesso. Oscurano nella memoria dei loro uomini qualsiasi dato che possa essere sfruttato dalle forze dell'ordine.”

“Oscuramento.” Ron si rivolse al mago. “Diverso da un Oblivion.”

Il vicecapitano annuì. “Molto più potente. È un prodotto di Magia Oscura... Ancora non abbiamo trovato un modo di sbloccarlo. Anche se suppongo che una collaborazione fra i nostri Guaritori e i vostri potrebbe portare a qualche risultato.” Gettò a Harry una lunga occhiata penetrante. “Così come una collaborazione fra noi e voi.”

Harry fletté le dita della mano destra. “Credo sia necessario, vicecapitano Mazu.”

Aide sorrise. “Lo credo anche io, signor Potter.”

 

 

 

 

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26 gennaio 2022

Parco di Hogwarts, Scozia

Primo pomeriggio

 

 

“Mi chiedevo dove fossi finita.” La voce di Gwyneth risuonò squillante per il parco deserto. “Un giorno mi spiegherai questa tua passione per i luoghi freddi, solitari e deprimenti.”

Rose roteò gli occhi, limitandosi a stringersi nel proprio mantello invernale contro il vento tagliente, mentre le sue labbra si incurvavano spontaneamente in qualcosa di simile a un sorriso. Si era rifugiata dal lato del lago più lontano dal castello – se rifiugiata poteva essere un sinonimo di scappata in un posto tranquillo per produrre uno stupido Patronus – e davvero, davvero non avrebbe desiderato altro che starsene in santa pace.

Ma la solitudine, ultimamente, iniziava a starle un po' stretta. 

Gwyneth, in piedi al suo fianco, sorrise enigmatica. Aveva lasciato sciolti i capelli scuri, che ricadevano in morbide onde sulle spalle e lungo la schiena; nei suoi occhi neri brillava un baluginio divertito. “Allora? Ancora problemi con il Patronus?”

“Una specie,” replicò Rose, stringata, sistemando dietro l'orecchio una ciocca ramata sfuggita alla coda. “Inizia a diventare un po' più denso, credo.”

Gwyn annuì lentamente, guardandola con la testa leggermente piegata da un lato. Una folata di vento gelido travolse entrambe, facendo vorticare i ricci capelli scuri della sua amica contro il cielo ingombro di nubi grigiastre. “Sai, credo che i Patronus preferiscano il caldo,” commentò quest'ultima in tono innocente.

“In Biblioteca non fa meno freddo di qui,” replicò subito Rose. “E se credi che io abbia intenzione di esercitarmi in Sala Comune–”

“Non lo credo,” la interruppe l'altra, roteando gli occhi. “Fa' vedere.”

Che cosa?!”

Gwyneth fece un mezzo sorriso, stringendosi nelle spalle. “Magari confrontarti con qualcun altro ti farà bene,” buttò lì. 

Rose emise uno sbuffo. Suo malgrado, era consapevole che l'altra avesse ragione, ma come al solito l'idea di chiedere aiuto a qualcuno la infastidiva.

Forse ha ragione Scorpius.

Devo smetterla di intestardirmi a fare tutto da sola... E iniziare ad accettare gli altri.

Quelle parole le erano state gettate in faccia – letteralmente – da Scorpius stesso, in un alterco di poche settimane prima. Rose si era infastidita nel vederlo flirtare con Agnes Cardmaker – e no, la sua non era gelosia, checché ne dicesse Christine; dunque aveva cercato di parlargli per la prima volta da settimane, e avevano finito per discutere. O meglio, Scorpius le aveva sbottato contro un carico di sgradevoli verità e lei si era limitata a tacere, per poi andarsene tutta impettita non appena era terminato lo sproloquio dell'altro.

Infantile. Sono riuscita solo a comportarmi come una stupida ragazzina.

“D'accordo,” concesse. Aggrottò le sopracciglia, cercando di concentrarsi su qualcosa di bello. Pensò alla felicità di quando aveva superato incolume alla Prima Prova, focalizzando su quel ricordo tutta la concentrazione. Si accorse a malapena di aver chiuso gli occhi, chiamando a raccolta tutta la propria energia. “Expecto Patronum!” 

Aprì gli occhi, speranzosa, ma tutto quello che apparve davanti ai suoi occhi fu una nebbiolina grigiastra, appena più fulgida del solito. Irritata, gettò un'occhiataccia a Gwyneth, come se la colpa fosse sua.

L'altra non parve prendersela. Si limitò a guardarla con serietà, giocherellando con una ciocca di capelli scuri. “A cosa hai pensato?” domandò semplicemente, arricciando le labbra come faceva sempre quando stava riflettendo.

Rose sospirò, sconfortata. “A quando ho superato la Prima Prova.”

Lo sguardo che Gwyn le lanciò era talmente scettico da farla quasi vergognare. “Rose, ma dai,” la udì sbuffare. “Dovresti concentrarti sui ricordi nuovi. Possibilmente quelli che escludano luoghi freddi, solitari e deprimenti,” soggiunse, riecheggiando le parole che aveva pronunciato all'inizio della loro conversazione.

Si costrinse a non risponderle male, cercando di pensare a ricordi più forti. Le venne in mente un episodio di alcuni giorni prima, tutto sommato piuttosto semplice: lei, Christine e Gwyn radunate intorno al caminetto della Sala Comune, miracolosamente lasciato libero dai ragazzi del loro anno. Christine aveva fatto uno dei suoi soliti commenti sarcastici e supponenti su qualcosa che neanche ricordava, ora come ora; erano scoppiate a ridere tutte e tre. Era una cosa che Rose si stava abituando a fare senza imbarazzo solo ultimamente – ridere. Cercò di concentrarsi su quello. Sul ricordo della risata gorgogliante in fondo allo stomaco.

Expecto Patronus!

Dalla punta della sua bacchetta magica capitolò una forma indistinta, ma decisamente più materiale della nebbiolina di poco prima; ancora ben lontano da essere un Patronus corporeo, aveva tuttavia un bagliore nettamente argenteo.

Si voltò verso Gwyneth, sentendosi leggermente rincuorata. L'altra si limitò a rivolgerle un sorriso trionfante. “Credo che abbiamo trovato la chiave.”

“Già,” dovette convenire. “Forse i ricordi che tiro fuori devono riguardare persone. Non solo traguardi personali o... o simili, insomma.”

L'altra scrollò le spalle. “Non male come teoria. Riprova.” Sogghignò. “Scegli un ricordo che riguardi persone, allora. Però uno diverso, visto che quello di poco fa non era abbastanza potente. Qualunque fosse.” Ammiccò nella sua direzione, e Rose ebbe l'impressione che avesse una mezza idea di quale ricordo avesse scelto.

Ignorando il cuore che le zompava in gola – poteva essere il momento buono per un risultato decente – si concentrò di nuovo, chiudendo gli occhi. Un ricordo più potente, più intenso. 

Senza il minimo preavviso, le balzò in testa l'immagine del bacio che si era scambiata con Scorpius. Non quello disastroso del Ballo del Ceppo – decisamente non classificabile come ricordo felice – ma l'altro, quello dettato dal giro della bottiglia di Gwyneth, quasi due mesi prima. Ricordava il modo in cui le loro bocche si erano scontrate, dapprima esitanti e poi più sicure, come si erano cercati; il suo cuore aveva preso a battere furiosamente e in qualche modo aveva smesso di pensare, aggrappandosi alla camicia di Scorpius mentre lui le teneva il mento sollevato e la baciava con intensità sempre crescente. 

Il senso di familiarità che aveva provato nel baciarlo.

Era finito tutto all'improvviso, e per un momento si era sentita come se le avessero sottratto qualcosa.

Tuttavia, non si concentrò su come il suo corpo aveva reagito al bacio di Scorpius. Si focalizzò piuttosto su cosa aveva provato interiormente, rendendosene conto a malapena: il modo in cui il suo stomaco era sembrato svuotarsi e si era sentita leggera, incredibilmente leggera – e no, il Firewhiskey con questo non c'entrava proprio nulla.

Expecto Patronum!”

Lo sentì subito, che c'era qualcosa di diverso. La magia aveva fluito attraverso di lei in maniera più potente, autentica, quasi percepibile. 

Di fronte a lei, scaturì una figura quasi definibile, qualcosa di alato vagamente intuibile in mezzo alla nebbiolina addensata. Durò pochi istanti: poi sparì.

“Hai visto?” Gwyneth le rivolse un gran sorriso. “Ce l'hai quasi fatta.”

Ancora sconvolta, Rose si accorse di essere rimasta senza fiato. “Sì,” convenne con un fil di voce. “Ce l'ho quasi fatta.”

E soprattutto, aveva scoperto la chiave per risolvere il proprio problema.

 

With my head stuck under the sand,

I start before I can stop or

Before I see things the right way up.

Coldplay

 

 

 

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26 gennaio 2022

Cortile di Hogwarts, Scozia

Stessa ora, circa

 

 

“Boot? Che diamine ci fai qui?”

Bernard sobbalzò al suono di quella voce improvvisa. Si era abituato al silenzio del cortile, concentrandosi sul movimento delle foglie umide che ne ricoprivano l'acciottolato, marcite per tutto l'inverno sotto uno spesso strato di neve. Adesso erano agitate dal vento, che le carezzava facendole scivolare sul pavimento lastricato, in tumultuosi vortici a pochi millimetri dal suolo.

Si volto lentamente in direzione di chi aveva parlato, per posare lo sguardo su Lily Potter, che lo squadrava di traverso, ben imbacuccata nel mantello, la sciarpa a bande verde e argento adagiata attorno al collo. Aveva i capelli ribelli raccolti in una coda alta, dalla quale però il vento aveva sfilato diverse ciocche rosso fuoco, che si attorcigliavano in aria, stagliandosi contro la pietra grigia del castello.

“Lily,” la salutò semplicemente, senza muoversi né sfilare le mani dalle tasche – aveva dimenticato i guanti in dormitorio e non era intenzionato a lasciare che le sue dita si congelassero. “Potrei chiedere lo stesso a te. Non mi risulta che voi del Quinto abbiate già ore buche.”

La ragazza scrollò le spalle, emettendo uno sbuffo simile ad una risatina. “Aspetti la psicopatica, suppongo.”

Oh, no. Per favore, no!

“Non ti ci mettere anche tu,” sbottò in tono brusco. “A quante altre persone dovrò ripetere che–”

“Certo che siete paranoici, voi due,” commentò Lily, interrompendolo e sollevando le sopracciglia.

Per un momento, Bernie rimase interdetto di fronte alle sue parole. “Voi due?” ripeté, perplesso. “Hai parlato con Christine?”

Lily incurvò le labbra in un sorriso furbo. “Più o meno,” replicò, vaga.

Bernie annuì lentamente, soppesando le parole che l'altra aveva pronunciato. “Vi siete dette qualcosa di speciale?” le domandò in un borbottio.

La ragazza si strinse nelle spalle. “Niente di che,” fu la laconica risposta. “Adesso chi è il malfidato, eh?”

Deglutì, chiedendosi se fosse vero. Se davvero stava diventando paranoico. Se si stava facendo condizionare da Christine fino a questo punto. 

“Forse hai ragione,” convenne, cauto. “Allora? Deve averti detto qualcosa, se sei venuta qui a parlarmi.”

“Veramente sto aspettando Jake,” replicò lei, guardandolo dritto negli occhi con sicurezza. “Ti ho detto già che stai diventando paranoico?”

Era plausibile, dopotutto. Jake non era una persona particolarmente puntuale: non lo stupiva che avesse tardato all'appuntamento. Ma a dire il vero, anche Lily era sempre in ritardo – il fatto che questa volta avesse addirittura preceduto il suo ragazzo lo stupiva parecchio.

Mente in maniera credibile, ma mente. C'è qualcosa che vuole dirmi.

Decise di bluffare. “Beh, devo andare.” Chinò appena il capo. “Se non hai niente da dirmi...”

“Aspetta un momento.”

Non riuscì a trattenere un sorriso trionfante, mentre si voltava di nuovo verso Lily, lentamente. “C'è qualcosa che devi dirmi?” domandò cortesemente.

La ragazza si era fatta improvvisamente seria. “A dire il vero sì. Riguarda Christine.”

Mi sono illuso che almeno lei tacesse su questa storia?

“Dimmi,” ripeté, a malincuore.

Lily si mordicchiò l'unghia del pollice; sembrava quasi titubante, come se non fosse sicura o meno che fosse giusto esprimere quello che stava per dire. La cosa lo stupì non poco: da che ricordava, la sorella di Albus era sempre stata un tipetto deciso, una di quelle persone ben conscie dei propri desideri, che spesso pretendevano piuttosto che chiedere.

“Beh, io credo che lei sia in pericolo,” buttò fuori tutto d'un fiato la ragazza, guardandosi intorno come per assicurarsi che non arrivasse nessuno.

Beh, se c'è in giro qualcuno che era pronto a ucciderla.

“Mi è sembrata spaventata,” proseguì Lily, abbassando gli occhi. “Come sul punto di avere un crollo nervoso o qualcosa del genere.”

A dire il vero, anche lui aveva avuto quell'impressione: non gli piaceva esserne consapevole, soprattutto adesso che suo malgrado si stava avvicinando a lei sempre di più.

“Comunque,” concluse Lily scrollando le spalle, “credo che tu possa fidarti di lei. Qualcuno è dalla vostra parte.”

 

 

****

 

 

 

If you never try then you'll never know

How long do i have to climb

Up on the side of this mountain of mine.

Coldplay

 

 

 

 

26 gennaio 2022

Biblioteca di Hogwarts, Scozia

Pomeriggio

 

 

Titubante, Rose si affacciò all'imbocco dell'ennesimo, stretto corridoio tra gli scaffali, mentre il cuore le rimbalzava furiosamente in gola; frugò con lo sguardo fra gli studenti chini sui libri, cercando di individuare una familiare testa bionda. 

Quando vide che Scorpius non si trovava neanche lì, percepì una strana sensazione aggredirle la bocca dello stomaco, come di delusione mista ad una sorta di sollievo. Più tardi l'avrebbe trovato, più tempo continuava a separarla dall'imbarazzante, difficile conversazione che stava per sostenere. Ancora non era sicura al cento per cento della propria decisione – c'era una voce nella sua mente che urlava continuamente torna indietro, imbecille! – ma nonostante le sue indecisioni sapeva di non poter fare altrimenti. 

Ormai mancava meno di un mese alla Seconda Prova: per il ventiquattro febbraio doveva essere pronta ad affrontare non solo il Lethifold, ma anche le altre due ripugnanti creature comprese nella sfida, considerando che non sapeva se avrebbe dovuto affrontarle tutte tre o una sola – e ad ogni modo, seppure la seconda opzione si fosse rivelata veritiera, non aveva idea di quale bestia le sarebbe toccata in sorte.

Doveva assolutamente imparare a generare un Patronus decente.

Proseguì lungo il perimetro della Biblioteca, buttando l'occhio su ogni stretto passaggio cui passava vicina, alla ricerca di Scorpius. Stava quasi per rassegnarsi, dopotutto non poteva sapere con certezza che Scorpius si trovasse in biblioteca. Dopo la lezione di Trasfigurazione l'aveva visto dirigersi da quella parte, ma non aveva potuto seguirlo subito. Lì per lì, non le era venuta in mente una scusa adeguata per mollare lì Gwyneth e Christine, soprattutto perché aveva la sensazione che quest'ultima avrebbe capito al volo quelli che erano i suoi intenti. E non voleva assolutamente che qualcuno lo sapesse – non voleva essere costretta a parlarne con qualcuno.

Il suo piano per produrre un Patronus corporeo la metteva a disagio, sebbene fosse certa per chissà quale motivo che quella era l'unica strada che potesse percorrere.

Si voltò, decisa ad andarsene, andando dritta a sbattere contro qualcuno cui aveva tagliato la strada. Si precipitò ad aiutare il malcapitato a raccogliere la piccola pila di libri che era crollata al suolo, spargendo in giro quaderni e pagine di appunti. 

Solo quando alzò lo sguardo si accorse di essere andata a sbattere addosso a Scorpius. 

Avvampando, si alzò in fretta. Lui fece lo stesso, cosicché si trovarono in piedi l'uno di fronte all'altra, faccia a faccia. 

Lo scrutò con attenzione. Sembrava vagamente seccato.

“Devo parlarti,” balbettò, non appena si accorse che l'altro stava per voltarsi e andarsene.

Scorpius inarcò appena le sopracciglia, in un'espressione di educata perplessità. Annuì, rigido, senza dire una parola, in attesa.

“Non qui,” si affrettò ad aggiungere Rose, gettando uno sguardo agli studenti impegnati a studiare nello stretto corridoio accanto a loro.

Scorpius annuì di nuovo, per poi seguirla in un percorso tortuoso fra gli scaffali; Rose si fermò solo quando raggiunsero un'ala della Biblioteca completamente deserta, voltandosi verso di lui. 

Deglutì, a disagio, per nulla sicura di quanto stava per fare – o dire.

Scorpius stava in piedi di fronte a lei. Lo vide poggiare i libri sul tavolo più vicino, per poi incrociare le braccia contro il petto. “Allora?” Cercò di non sentirsi ferita di fronte alla sua espressione annoiata. “Non ho tutto il tempo del mondo.”

Rilasciò un sospiro tra le labbra. Il cuore le batteva talmente forte per l'agitazione da renderle difficoltosa la respirazione. “Baciami,” disse semplicemente, guardandolo dritto negli occhi.

Se prima l'espressione di Scorpius era stata perplessa, adesso il ragazzo sembrava semplicemente esterrefatto. La guardò con sorpresa e rancore per qualche secondo, poi fece per andarsene.

“Aspetta!” Lo trattenne per la manica, tremante di nervosismo. “Non è come credi.”

Il ragazzo le lanciò uno sguardo denso di rabbia, prima di sputare fuori: “Non è come credo?! Io non ti capisco, Rose. Non ci parliamo per settimane e poi–”

“È importante,” lo interruppe in tono ansioso. “Vedi, per la Prima Prova... Devo imparare a fare un Patronus.”

Di nuovo, Scorpius sollevò le sopracciglia. Tuttavia, questa volta non accennò minimamente a muoversi di lì. La guardò con espressione indecifrabile. “Non capisco cosa c'entro io.”

Chiuse gli occhi, li riaprì. “Sono riuscita solo una volta a fare un Patronus quasi corporeo,” mormorò con voce tremante. “È stato quando ho pensato al ricordo di quando ci siamo baciati. Non al Ballo,” aggiunse in fretta di fronte alla sua espressione scettica. “Alla festa, agli inizi di dicembre.”

Qualcosa cambiò nello sguardo che Scorpius le stava rivolgendo. Un mutamento di espressione lievissimo, quasi impercettibile. Quando il cuore le balzò in petto, Rose capì di essere sulla strada giusta.

“Quindi vuoi che ti baci per produrre un Patronus?” Le sopracciglia del ragazzo adesso erano aggrottate, come se stesse ponderando sulla questione. “Non è molto corretto da parte tua. Neanche particolarmente... Carino.”

Per usare un eufemismo, sembravano dire i suoi occhi.

“Non è solo questo,” sussurrò. “Non era propriamente felice, quel ricordo. Era... era speranza. O qualcosa del genere.”

Si accorse a malapena che Scorpius si era avvicinato a lei di un passo. Teneva gli occhi assottigliati; i suoi pugni si stringevano convulsamente, come se il ragazzo fosse stato in preda alla tensione.

“Sai cosa mi fa rabbia, Rose?” Lo udì sibilare. “Che anche adesso, anche dopo quello che è successo a Natale... Ancora adesso ho voglia di baciarti.”

I loro volti erano vicinissimi. Rose perse il senso dello spazio: non riusciva a smettere di guardarlo dritto in faccia, di desiderare che colmasse quella distanza chinandosi su di lei per baciarla. 

Non era sicura che avrebbe funzionato, ma valeva la pena provare.

“Ti sembra giusto?”  continuò il ragazzo, tra i denti. “Io... Non ti capisco. E la cosa più brutta è che ad una parte di me va bene anche così.”

Ormai poteva percepire il suo respiro sulle labbra. 

Ci sono cose in cui si può solo credere. Anche se non si capiscono.

“Io–” iniziò, ma le labbra di Scorpius la interruppero. Prima ancora di potersene rendere realmente conto, si trovò coinvolta in un bacio profondo, di intensità immediata. Scorpius aveva posato le mani attorno al suo viso, affondate nei capelli – poteva sentire le sue dita sulla nuca; l'aveva tirata verso di lui, baciandola con irruenza.

Quando realizzò cosa stesse accadendo, qualcosa le esplose dentro, come un respiro a lungo trattenuto. 

Senza rendersene conto, aveva artigliato con le dita il davanti del maglione di Scorpius; le mani di lui lasciarono il suo viso, per percorrere la sua schiena in carezze convulse, mentre si stringevano l'uno all'altra con urgenza. Improvvisamente si sentì sollevare, ritrovandosi seduta sullo stretto tavolo a ridosso dello scaffale, i dorsi dei libri impilati con ordine premuti contro la schiena. Cinse i fianchi di Scorpius con le ginocchia, tirandolo verso il maglione per avvicinarlo ancora di più, mentre lui continuava a stringerla, facendo correre la mano sul davanti della sua camicetta, armeggiando con la cravatta verde e argento per allargarla. 

Aveva completamente smesso di pensare; vedeva solo il buio dietro alle proprie palpebre chiuse, le sue orecchie erano colme di sospiri lievissimi e del chiacchiericcio lontano degli studenti che stavano facendo i loro compiti in biblioteca. 

Quando infine si staccarono, erano entrambi senza fiato. Rose guardò Scorpius e il suo maglione sgualcito: il ragazzo la stava guardando con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse. Lentamente, lasciò scivolare via le mani che aveva infilato sotto la sua camicia, continuando a fissarla con la stessa espressione. 

Rose si aggiustò il nodo della cravatta, ancora seduta sul tavolo, pensando che probabilmente ci sarebbe stato ben poco da fare con la sua gonna spiegazzata; i suoi capelli dovevano essere un disastro.

Ma non le importava, non davvero: si sentiva ancora addosso quel miscuglio confuso di sensazioni difficili da interpretare che aveva provato mentre Scorpius la baciava. Non aveva idea di quanto tempo fossero rimasti lì, se pochi minuti o addirittura ore

Osservò il ragazzo fare due passi indietro, cercando di allisciarsi il maglione sgualcito. Nei suoi occhi era dipinta una certa severità.

“Al posto tuo mi farei un paio di domande, Rose,” lo udì dire. “Forse c'è un motivo per cui quello era il ricordo giusto, non credi?”

Non riuscì a rispondere, come se qualcuno le avesse rubato tutte le parole. Scorpius rimase in attesa ancora per una manciata di secondi prima di voltarle le spalle e andarsene, non prima di aver recuperato i libri abbandonati sul tavolo.

Non appena si fu allontanato, Rose – ancora seduta dove lui l'aveva lasciata – tirò fuori la bacchetta magica, concentrandosi sui ricordi ancora vividi e intensi del bacio che si erano appena scambiati.

Expecto Patronum,” mormorò, quasi timorosa.

Dalla punta della bacchetta scaturì una figura piumata, questa volta ben distinta. Un corvo dal piumaggio argentato, che sbatté un paio di volte le ali di fronte a lei prima di aprire il becco in un muto gracchiare. 

 

Forse c'è un motivo per cui quello era il ricordo giusto, non credi?

 

 

 

 

Some things you have to believe,

When others are puzzles, puzzling me.

Coldplay

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

 

Beh, questo capitolo è un po' più corto rispetto al precedente di un paio di pagine, ma (credo) piuttosto denso.

So che molti di voi vorranno uccidermi per il bacio fra Holly e Louis. Così come molti altri mi falceranno nei prossimi capitoli, quando capiranno che si gioisce finché si può ;) niente spoilah. Comunque state tranquilli, non vi ho privato del confronto post-bacio: lo avrete nel prossimo capitolo!

BTW, non ho molto da dire, se non che ormai manca decisamente poco alla fine. Come sempre, grazia grazie grazie <3 

Spero che il feedback cominci a risalire!

Bisous,

Daph

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Capitolo 35
*** Capitolo 34 - Noose around your neck ***



 

Hope is the only thing stronger than fear.

Suzanne Collins, Hunger Games

 

 

But I will hold on hope

And I won’t let you choke

On the noose around your neck.

Mumford & Sons

 

 

 

 

5 febbraio 2022

Dormitori femminili di Serpeverde

Mattina

 

Sentiva l'aria premere sul viso, come se l'ossigeno stesso cercasse di soffocarla. Lo stomaco era attorcigliato in un nodo stretto e ansioso: camminava in mezzo a una folla di studenti senza volto, privi di qualunque dettaglio a lei familiare, facendosi largo a gomitate per raggiungere qualcuno in quel susseguirsi di sciarpe e uniformi di colori diversi.

Di questo era sicura: doveva trovare qualcuno. Doveva dire a quel qualcuno qualcosa di molto importante – lo sapeva con assoluta e insidacabile certezza. Tuttavia, non riusciva a ricordare cosa. Il concetto era chiaro nella sua mente – rischio, pericolo, sta attenta – ma per qualche motivo non era in grado a esprimerlo in una frase di senso compiuto; aveva la parola sulla punta della lingua, ma qualcosa le impediva di formularla.

Chi doveva trovare? Qualcuno era in pericolo.

Si accorse improvvisamente di una sorta di quaderno nero che teneva stretto tra le mani, piccolo ma abbastanza spesso, come un diario o qualcosa del genere. Si ritrovò a sfogliarlo febbrilmente, sempre facendosi largo in quella folla che le premeva addosso da tutte le parti. Non c'era scritto nulla – perché? 

Improvvisamente capì. 

Doveva scrivere qualcosa. O meglio, qualcosa doveva essere scritto, ma non da lei. Davanti ai suoi occhi balenò un volto familiare, con soffici capelli castani e un viso dolce e rotondo.

Lucy. Perché Lucy doveva scrivere qualcosa su quel quaderno?

Per salvare qualcuno, si ritrovò a pensare. Ma chi?

L'ansia la aggredì ancora. Doveva trovare quella persona: chissà per quale motivo, le venne in mente Rose. 

Rose? Rose era in pericolo?

La folla era sempre più fitta. Dicevano qualcosa, gridavano. Si accorse improvvisamente che lo spazio che stava percorrendo era in salita, come il crinale di una collina. Solo che di solito le colline non avevano gradini di legno e sedili. Si trovava su degli spalti? Forse lo stadio di Quidditch? Si guardò intorno, ma era come se una nebbia densa lambisse il suo campo visivo, circoscrivendolo a uno stretto raggio intorno a lei.

Rose. Doveva trovare Rose.

Ma Rose era impegnata con la Seconda Prova, non si trovava sugli spalti.

Ah, già. Il Torneo Tremaghi. Quella doveva essere la struttura adibita appositamente, per questo non le sembrava familiare. Ma se Rose non era lì, chi stava cercando? Forse Jacob. Lui avrebbe potuto aiutarla.

Tuttavia, non lo vedeva. Se Jake fosse stato da quelle parti, probabilmente già sarebbe stato al suo fianco.

Lily Potter, disse qualcuno nella sua mente. Devi salvare

 

Lily si svegliò di soprassalto, scattando a sedere in mezzo alle lenzuola. Aveva il fiato mozzo e sudori freddi che le scivolavano lungo la schiena. Il suo petto si alzava e si abbassava rapidamente, scosso da battiti furibondi. Si accorse di star stringendo convulsamente tra le dita il bordo della coperta. Chiuse gli occhi e li riaprì, cercando di calmarsi.

Quello non era il primo incubo. Ultimamente, si ritrovava spesso a fare sogni strani e angoscianti, ma mai nessuno era stato così vivido. L'angoscia per Rose – Rose da avvisare di qualcosa che non ricordava – la agitava ancora, così come la sensazione opprimente della folla che la circondava. Nelle sue orecchie le grida entusiastiche continuavano a confondersi con il fruscio delle pagine sfogliate di quel diario.

Il dormitorio era sprofondato nel silenzio.

Dev'essere ancora presto.

Si abbandonò contro i cuscini, scacciando le immagini del sogno. Ricordò improvvisamente, con un moto di sollievo, che era sabato. Di certo non sarebbe stato un problema se fosse rimasta a letto ancora un paio d'ore.

Le sue palpebre avevano ricominciato ad abbassarsi lentamente quando la porta che divideva il bagno dalla camerata si spalancò. Sulla soglia c'era Amarillide, vestita di tutto punto. Era un finesettimana, dunque non indossava la divisa, ma una gonna di lana viola e degli scarponcini. I capelli biondi erano tirati su in una coda alta che le accarezzava le spalle. Nel vederla sveglia, le sue labbra si incurvarono in un sorriso.

“Buongiorno,” la udì dire con la sua voce sottile. “Finalmente ti sei svegliata.”

Lily sbadigliò, senza preoccuparsi di coprirsi la bocca con la mano. “Perché, che ore sono?” domandò alla compagna di classe, stropicciandosi gli occhi.

Amarillide gettò uno sguardo al suo piccolo orologio da polso. “Quasi le dieci.”

Non riuscì a trattenere un singulto. Non pensava che fosse così tardi.

“Perché non mi avete svegliata?” borbottò, innervosita.

L'altra scrollò le spalle. “Ci abbiamo provato,” confessò. “Ma dormivi della grossa.” Si avvicinò al suo letto, sedendosi sul bordo del materasso. Sporse la mano per giocherellare con una ciocca dei suoi capelli e Lily la lasciò fare: Amarillide era una di quelle persone per cui il contatto fisico era ifondamentale nel rapportarsi con gli altri. “Hai fatto un brutto sogno?”

Nonostante avesse acconsentito di buon grado a lasciare che Amarillide le accarezzasse i capelli, a quella domanda non riuscì a trattenersi dallo scostarsi di scatto. “Perché me lo chiedi?” sibilò, sospettosa.

Ancora una volta, l'altra scrollò le spalle. “Hai un'aria un po' sconvolta. Di solito, quando ci si sveglia dopo aver dormito tanto, la faccia è più riposata.”

Sollevata, Lily annuì lentamente di fronte all'espressione innocente dell'altra, sentendosi improvvisamente in colpa. “Scusa, Ama,” sussurrò, passandosi una mano sulla fronte. “Non è per te. Non mi piace fare... brutti sogni.”

L'altra inclinò il capo. “Ne vuoi parlare? Fa bene confrontarsi con qualcuno, su certe cose.”

Un sopracciglio di Lily si inarcò. “Parlarne con qualcuno?” replicò, perplessa. “Cosa vorresti dire?”

L'altra si strinse nelle spalle, sempre con quel sorriso vago impresso sul volto. “Ci sono delle tecniche per interpretare i sogni,” buttò lì, con l'aria di chi sta facendo una grande rivelazione. “Fiorenzo dice sempre che–”

“Fiorenzo?!” la interruppe Lily.

L'altra annuì, guardandola con aria fastidiosamente comprensiva. “Fiorenzo è un centauro. Insegna divinazione.”

Si ritrovò a sbuffare. “So chi è.” Sospirò. “Perché, pensi che i miei potrebbero essere sogni premonitori?”

L'idea la spaventava. Come premonizione non era certo delle più allegre.

“Fiorenzo dice che tutti i sogni sono un po' premonitori.” Ancora, Amarillide sembrava piena di convinzione nel sostenere con fervente entusiasmo la teoria dell'insegnante. “Perché l'inconscio possiede dati che crediamo di non ricordare più e collegamenti che da svegli non ci verrebbero in mente.” Fece una pausa di calcolata intensità. “Sognare li svela, per questo capire i nostri sogni può aiutarci a prevedere cosa potrebbe accadere.”

Sembrava della filosofia spicciola da Settimanale delle Streghe, Lily doveva ammetterlo. Dopotutto non aveva mai frequentato Divinazione proprio per scetticismo nei confronti di una dottrina tanto vaga. Ma se Amarillide avesse avuto ragione?

Si stropicciò gli occhi di nuovo. “Va bene, Ama.” Si sforzò di sorriderle. “Grazie. Adesso è meglio che mi prepari, semmai ne possiamo parlare dopo,” aggiunse in un moto di benevolenza e senza la minima convinzione, abbastanza sicura che Amarillide si sarebbe scordata presto di quella conversazione.

Dopotutto, oggi c'è la partita del mio caro fratellone. Anche se non mi rivolge la parola da un mese.

Prima sarebbe meglio andare a trovare Fiorenzo.

La decisione era già presa.

 

 

 

 

 

*****

 

 

 

I know my call
Despite my faults
And despite my growing fears.

Mumford & Sons

 

5 febbraio 2022

Sala d'Ingresso, Hogwarts

Poco più tardi

 

Bernie sbadigliò. Nonostante fosse in piedi da più di un'ora, si sentiva ancora piuttosto assonnato – anche se avrebbe dovuto aspettarselo, visto che la sera precedente era rimasto in Sala Comune con Christine fino a tardi.

Gettò un'occhiata al cielo grigio, visibile attraverso uno spiraglio del portone di quercia socchiuso. Nonostante non promettesse bene, era abbastanza sicuro che il tempo avrebbe retto, il che non era male, considerato che poco più tardi avrebbe avuto inizio la partita fra Grifondoro e Tassorosso. Se glielo avessero chiesto un paio di mesi prima, avrebbe affermato senza esitare che la vittoria sarebbe stata della formazione giallo-nera; adesso, non avrebbe saputo cosa rispondere.

Negli ultimi tempi, Albus aveva risollevato la squadra di Grifondoro con un entusiasmo che non gli vedeva addosso da un pezzo. Non la riteneva affatto una buona notizia per la propria, di squadra: se Grifondoro fosse tornata al suo vecchio, brillante gioco, Serpeverde avrebbe avuto grosse difficoltà a conquistarsi la coppa.

Come se non bastassero i Corvonero.

Sbadigliò ancora. Tutta colpa di Christine: a causa sua, stava perdendo troppe ore di sonno, oltre ad aver trascurato indegnamente diversi turni di guardia – cosa che un Caposcuola non avrebbe dovuto assolutamente fare.

Il loro rapporto si stava evolvendo, in qualche modo, anche se non era del tutto chiaro se facessero o meno coppia fissa, e questa ambiguità, doveva ammetterlo, non gli dispiaceva più di tanto. Fortunatamente, la preoccupazione dei suoi amici sembrava essersi esaurita – sempre che non fossero loro a fingere che fosse così. Comunque non era più stato sobillato di ripetitive domande a questo proposito – un vero sollievo, decisamente.

Ormai erano trascorsi una decina di giorni da quando Lily Potter l'aveva avvicinato nel cortile per avvisarlo che Christine era in pericolo. Era stato un avvertimento vago: quella di Lily, come aveva lei stessa affermato, non era altro che una sensazione, un presagio di indeterminato pericolo... Tuttavia, non riusciva a schiodarsi dalla testa le sue parole e la serietà che aveva negli occhi mentre le pronunciava. Era come se, avvisandolo, la ragazza gli avesse trasmesso parte della sua apprensione: non riusciva a liberarsene. Dopotutto, lui sapeva che Christine era in pericolo: non aveva certo dimenticato il suo coinvolgimento con l'affare Gossip Witch – come avrebbe potuto?

Le aveva promesso che l'avrebbe aiutata, sebbene lei avesse detto chiaramente che non voleva che lo facesse. Non ne avevano più parlato, ma Bernie di certo non aveva cambiato idea.

In quei dieci giorni, aveva più volte riflettuto al riguardo, chiedendosi se fosse o meno necessario domandare spiegazioni a Christine – sempre se la ragazza fosse stata disposta a dargliene. Sebbene ci fosse una parte di lui che sentiva un disperato bisogno di chiarire le cose su quel punto, non aveva ancora trovato il momento – o il modo – di parlargliene. Anche perché, ogni volta che si vedevano in privato, non passava molto tempo prima che iniziassero a baciarsi furiosamente, e in quelle occasioni Bernie non riusciva proprio a considerare l'idea di staccarsi dalle sue labbra. Anche a più di un mese dal Ballo del Ceppo, dall'inizio di quella relazione che ancora non riusciva a spiegarsi, Christine continuava a costituire per lui un'attrattiva irresistibile.

Non riusciva proprio a capire cosa in lei lo attraesse così tanto. Una volta Jake aveva commentato sarcasticamente che Christine l'aveva avvinto nella sua ragnatela, e probabilmente aveva ragione: tuttavia, Bernie si era lasciato catturare fin troppo volentieri.

Si stropicciò gli occhi, la schiena poggiata ad una colonna. Non sapeva bene cosa lo trattenesse dal raggiungere gli altri in Sala Grande per la colazione; forse era perché ultimamente non aveva così tanta voglia di passare del tempo con loro. A eccezione di Christine, preferiva stare da solo: lei gli dava così tanto da riflettere che a volte aveva l'impressione che il suo cervello fosse sul punto di scoppiare.

Gettò un'occhiata all'imbocco dei sotterranei nella Sala d'Ingresso, in tempo per vedervi emergere una figura che conosceva fin troppo bene. Nel vederla, provò l'ormai familiare sensazione di vuoto nel petto. Immediatamente si staccò dalla colonna, andando incontro a Christine.

Nei finesettimana, la ragazza indossava sempre vestiti Babbani. Anche adesso aveva addosso un paio di jeans, stivaletti e un maglione dall'aria morbida, sulle cui pieghe si adagiavano i riccioli scuri. Mosse la testa per far scivolare una ciocca dietro la spalla, incurvando le labbra nel solito sorriso accattivante, che riuscì a mascherare quasi perfettamente la sua aria stanca.

Bernie aggrottò le sopracciglia: non era la prima volta che notava come il suo sorriso qualche volta traballasse o come di tanto in tanto apparisse spossata, o persa in contemplazione di qualcosa che nessun altro poteva vedere. Forse era stata la conversazione con Lily a suggestionarlo, ma continuava ad avere questa impressione.

Si accorse che i jeans le calavano leggermente sui fianchi: doveva essere dimagrita, negli ultimi tempi. Chiaro sintomo di stress, da parte di una persona notoriamente senza scrupoli, ma che in realtà sembrava avere tutti i problemi del mondo.

Forse era proprio questo a piacergli di lei.

Il che, probabilmente, aveva qualcosa di patologico.

Scorpius non ha tutti i torti quando dice che il mio istinto da Psicomago qualche volta è davvero fuori luogo.

“Ciao, Bernard.” Christine schiuse leggermente le labbra, parlando con la voce roca tipica di chi si è appena alzato dal letto. Aveva gli occhi un po' gonfi e l'aria assonnata.

Era l'unica a chiamarlo con il suo nome per intero e a Bernie non dispiaceva. Lo pronunciava in tono suadente e una certa soddisfazione, come una bambina capricciosa che parla del suo dolce preferito.

Il che è inquietante. Parecchio.

È ancora più inquietante il fatto che mi piaccia.

“Ciao, Christine,” replicò con una scrollata di spalle. “Dormito bene?”

Lei ridacchiò. “Che domanda banale,” commentò ammiccando. “Mi aspettavo qualcosa di meglio da te.”

Bernie si sforzò di evitare che anche le proprie labbra si incurvassero in un sorriso. “Solo che mi sembri stanca,” buttò lì, cauto.

Il sorriso di lei doveva essere rassicurante, con ogni probabilità, ma non poté fare a meno di trovarlo un po' forzato. “Sto benissimo,” la udì dire. “Non devi preoccuparti.”

Improvvisamente, gli era passata ogni voglia di sorridere. Assottigliò gli occhi. “Bugiarda.”

La vide roteare gli occhi, pur senza dire nulla.

Forse poteva provare a tastare un po' il terreno. “Ho capito perché dici sempre la verità,” la punzecchiò. “Non sai mentire.”

La vide irrigidirsi. Durò solo un momento: in una frazione di secondo, Christine sorrideva. Allungò una mano per spostargli una ciocca di capelli dalla fronte, avvicinandosi per baciarlo. “Questo è sciocco da parte tua, Bernard.”

Le pose le mani sulle spalle, impedendole di avvicinarsi ulteriormente, sebbene non vedesse l'ora di premere le labbra sulle sue. “Mi correggo,” rincarò. “Non sai mentire quando non vuoi mentire.”

Christine si limitò a guardarlo con serietà per alcuni secondi, come se stesse ponderando sulle sue parole. “Che cosa vuoi dire?”

Seppe di essere sul terreno giusto. Forse stava veramente iniziando a capirla.

“Tu credi di non volere aiuto,” mormorò contro le sue labbra, nel silenzio della Sala d'Ingresso. “Ma in realtà sai perfettamente che è proprio quello che vuoi. Dentro di te c'è un conflitto d'interessi.”

Christine strinse le labbra. “Tu deliri,” sibilò. “Fidati di me se ti dico che è meglio per te non venire coinvolto.”

“Sono coinvolto dall'esatto momento in cui ho accettato di accompagnarti al Ballo.”

La ragazza lo guardò fisso per un momento da sotto le sopracciglia scure, gli occhi sgranati. Dopo un momento di sospensione, scostò le mani di Bernie dalle proprie spalle in un gesto brusco, deglutendo.

“Tu non sai di cosa parli.” La sua voce suonò secca, sferzante. Preoccupata.

Lui rise. “Smettila di cercare di proteggermi.”

Christine aprì la bocca per ribattere, ma non disse niente.

“Forse dovresti cominciare a proteggere te stessa,” aggiunse Bernie, deciso a rischiare il tutto per tutto.

Per un momento, lei gli puntò contro lo stesso sguardo intenso di poco prima. “Sai, Boot, è quello che cerco di fare da sempre.” Gli voltò le spalle, procedendo spedita verso il portone di quercia.

Bernie la seguì in fretta, affiancandola e cercando di trattenerla per un braccio. “Perché non mi dici la verità?!”

Christine si limitò a gettargli un'occhiata difficile da interpretare – a metà fra il rimorso, la rabbia e qualcosa di inspiegabile – per poi divincolarsi dalla sua presa e continuare per la propria strada.

Questa volta non la seguì: rimase lì, fremente di stizza e di domande che, ancora una volta, non avevano avuto risposta.

 

 

 

*****

 

 

 

But if you turn your hands to flames
Oh, the light will burn the same.

Noah and The Whale

 

5 febbraio 2022

Parco, Hogwarts, Scozia

Stessa ora

 

Alla fine non ne avevano parlato il giorno dopo. Né quello dopo ancora.

Ad essere sincera, Holly non ne era poi così dispiaciuta. Dopotutto, era sempre stata dell'idea che sentimenti e lavoro fossero due ambiti da tenere nettamente separati – proprio per questo non aveva mai ammesso di avere avuto una cotta per Theodore Nott, anni prima – e preferiva considerare quel bacio con Louis come nulla più di un incidente di percorso.

Tuttavia, nonostante non ne avessero più parlato, quel ricordo continuava ad essere fin troppo vivido nella sua mente. Spesso le capitava di soffermarsi a pensare alle sensazioni provate mentre lo baciava – pensieri sconnessi, frammisti ad adrenalina e battiti furibondi del suo cuore; se non si controllava, i suoi pensieri deviavano verso ambiti decisamente poco innocenti.

Proprio per questo stava perennemente sull'attenti, decisa a evitare qualsiasi cosa che somigliasse anche solo vagamente ad un contatto fisico. Avrebbe solo voluto che il suo cuore la smettesse di saltare un battito ogni volta che si sfioravano.

Se continuo così, mi ricovereranno per squilibrio cardiaco.

Ad ogni modo, non parlarne la faceva sentire meglio, pur con la consapevolezza di quanto fosse vile voler evitare a tutti i costi un confronto che si sarebbe potuto rivelare assai difficile.

Chissà perché, aveva la sensazione che quel cambiamento del loro rapporto fosse percepibile dall'esterno, sebbene sia lei che Louis continuassero a comportarsi come se nulla fosse accaduto. Qualcosa in lei la spingeva a temere che coloro che li circondavano se ne rendessero conto – che Marcus se ne rendesse conto.

Fino a quel momento, aveva fatto in modo che lei e Louis si alternassero nelle ronde di guardia affinché non rimanessero troppo da soli – dopotutto, le ultime settimane erano state perfettamente calme, per fortuna – ma quella mattina Harry Potter in persona aveva inviato un messaggio tramite Metropolvere dalla Spagna per raccomandare loro di effettuare i giri di controllo in coppia.

Meglio non rischiare,” aveva dichiarato la sua testa tra le fiamme verdi del caminetto. “Fin'ora, più volte i nostri nemici hanno agito in concomitanza di un evento sportivo a Hogwarts.”

Doveva ammettere che le faceva una strana impressione pensare che adesso ci fosse un'altra squadra di Grifondoro, con tutt'altre persone. Una parte di lei avrebbe voluto scendere in campo per capitanare la sua vecchia squadra: al tempo, erano maledettamente forti.

Scacciò quel moto di nostalgia, volgendo lo sguardo al cielo bigio contro cui si stagliava la sagoma del castello. Louis, al suo fianco, fischiettava qualcosa a mezza bocca, frugando per terra con la punta di una scarpa. L'acqua del lago era increspata delicatamente dal vento gelido; di tanto in tanto anche le cime degli alberi erano scosse da qualche folata più forte delle altre.

Deglutì. “Anche qui mi sembra tutto normale.”

Gli voltò le spalle, incamminandosi alla volta della Foresta Proibita. Dopo una frazione di secondo, udì i suoi passi seguirla.

Percorsero in silenzio tutto il tragitto lungo il crinale della collina; avrebbero dovuto esplorare i margini della Foresta per tutto il perimetro. Un lavoro noioso ma necessario: oltretutto, certe volte la noia era preferibile ad un tizio in passamontagna nascosto dietro ad un albero.

Sì, la noia è davvero ben accetta.

La Foresta Proibita era sprofondata nel fruscio degli alberi smossi dal vento, accompagnato dal cinguettio degli uccellini e dal verso lontano di qualche animale. Il suolo era cosparso di foglie morte e umide, lambite da una poltiglia di terra bagnata che sporcava la suola delle loro scarpe.

La luce smorta della mattinata invernale passava attraverso i rami intricati e nudi sopra le loro teste, disegnando spicchi luminescenti contro il suolo. I raggi che si posavano sulla testa di Louis – il quale adesso camminava al suo fianco, costretto dallo stretto sentiero a starle più vicino di quanto Holly avrebbe voluto – facevano baluginare i suoi capelli biondi nell'ombra.

“Forse dovremmo parlarne.” Louis si arrestò di colpo.

Holly sussultò, mentre il suo cuore mancava un battito per l'ennesima volta. “Parlare di cosa?” Avrebbe voluto suonare noncurante, ma la sua voce somigliava più a un pigolio. Decisamente poco credibile.

Sollevò lo sguardo dai propri piedi per incontrare quello di Louis, che la osservava placido da sotto le sopracciglia sollevate, facendo roteare la bacchetta magica tra le dita. La sua espressione era difficile da interpretare, naturalmente; da che ricordasse, Lou aveva sempre usato la sua naturale allegria come una maschera. Forse lo faceva inconsapevolmente: ad ogni modo, era difficile intuire i suoi pensieri.

Anche adesso.

Il silenzio era esageratamente denso; Holly si lasciò sfuggire tra le labbra un sospiro frammentato. “D'accordo,” si arrese. “Parliamone.”

Doveva iniziare a comportarsi da persona adulta e matura, invece di reagire come una quattordicenne alle prime turbe ormonali. L'unica cosa da fare era parlare chiaramente, convenire che era stato un incidente di percorso e che non sarebbe accaduto più.

Ecco, a Louis avrebbe detto proprio questo.

Aprì la bocca per parlare, ma chissà per qualche motivo le parole le rimasero incastrate in gola, come se per qualche ragione non volessero saperne di essere pronunciate.

Le sopracciglia di Louis si aggrottarono brevemente, la sua bocca ebbe uno spasmo, simile al principio di una risata. Poi – e tutto accadde talmente in fretta che Holly non poté fare nulla per impedirlo – la afferrò per un braccio e premette le labbra sulle sue.

Allora è questo che intendeva, pensò Holly distrattamente, prima di realizzare cosa stava succedendo. Allora sgranò gli occhi e premette le mani sul petto di Louis per allontanarlo, nello stesso gesto di due settimane prima.

“Mi hai baciata,” constatò esterrefatta. “Mi hai baciata di nuovo.”

Louis scrollò le spalle, sorridendo a mezza bocca e grattandosi la nuca. “E sembra esserti piaciuto,” convenne. “Di nuovo.”

Holly emise uno sbuffo indignato, senza riuscire a trovare una risposta adeguata. Infine, dopo alcuni istanti di imbarazzante silenzio, sbottò: “Perché l'hai fatto?”

Di nuovo, Louis si strinse nelle spalle. “Penso sia ovvio,” buttò lì. “Mi piaci.”

“Certo.” Roteò gli occhi. “Solo che a te piacciono tutte le donne su questo pianeta, quindi non fai testo.”

“Non solo le donne,” sottolineò lui. “E comunque non proprio tutte. Solo quelle carine.”

Scosse la testa, esasperata. “Non fa molta differenza.”

Riprese a camminare a passo serrato lungo il sentiero, cercando di concentrarsi sul suono dei propri passi per ignorare quelli di Louis, che l'aveva raggiunta dopo pochi secondi.

Pregò che non dicesse altro.

“E comunque anche io piaccio a te.”

Il suo cuore fece un tuffo.

Come non detto.

Accellerò il passo. Una folata di vento si insinuò fra gli alberi, agitando i suoi capelli e sollevando un lembo della sua giacca di pelle. “Come fai a dire questo?” disse fra i denti.

Louis infilò una mano in tasca, camminando rilassato. “Sai, è difficile trovare qualcuno a cui non piaccio.”

Per un momento, lo detestò profondamente – lo stesso momento in cui dovette sforzarsi per non scoppiare a ridere, nonostante le circostanze. “Sei consapevole di essere veramente arrogante?”

Lo vide sorridere. “Un pochino, sì. Ma sono simpatico.”

Questa volta non si trattenne. Non avrebbe avuto senso: diede in una risata che aveva qualcosa di isterico. “Siamo colleghi.”

“E allora?” Louis sollevò le sopracciglia, con aria educatamente perplessa.

“Allora?” Non sapeva se picchiarlo o ridere ancora. Non fece nessuna delle due cose. “Dobbiamo concentrarci sul lavoro. Non su... queste cose.”

Il ragazzo roteò gli occhi. “Sono due settimane che non succede niente.”

Alle sue parole, Holly percepì un cattivo presentimento assalirla dall'interno. “Adesso che l'hai detto accadrà qualcosa,” mormorò senza pensarci.

“Non sono superstizioso,” replicò lui con noncuranza. “Tu però stai cercando di cambiare discorso.”

Strinse le labbra. “Non è così,” sbuffò. “Non–”

“Se non ti piaccio, perché ti sei fatta baciare con così tanto entusiasmo, due settimane fa?”

Non ho detto che non mi piaci.

Subito dopo aver formulato un simile pensiero, Holly ringraziò Merlino per non aver pronunciato quelle parole a voce alta. Non osava immaginare quando l'avrebbe presa in giro Louis se si fosse lasciata scappare una frase del genere.

“È diverso,” riuscì appena a mormorare.

Louis la trattenne per un gomito, impedendole di continuare a camminare. “Holly, tu sei una persona razionale,” mormorò lentamente, guardandola dritta negli occhi. “Ti conosco da anni e so come sei fatta. Proprio perché siamo colleghi non ti saresti fatta baciare se io non ti fossi piaciuto davvero.”

Si stava destreggiando fin troppo bene. L'aveva elogiata dandole della persona razionale – Holly adorava quando le veniva attribuito questo aggettivo, cosa molto poco razionale, peraltro – e si comportava come se fosse stato sicuro al cento per cento di piacerle. Tutto questo a bassa voce e con quello sguardo da un-ottavo-Veela.

Maledizione.

“Io non–” si schiarì la voce. “Louis, è stato solo un incidente di percorso.”

Lui sorrise, sornione. “Due.”

Cercò di mettere su un'espressione impermeabile. “Appunto,” replicò. “Fino a due sono classificabili come incidenti di percorso.”

Si pentì di aver parlato non appena vide l'espressione di Louis e capì cosa gli stava passando per la testa. Questa volta il ragazzo non la baciò con irruenza: si avvicinò al suo volto lentamente, dandole tutto il tempo di allontanarsi, se avesse voluto.

Holly, spostati, intimò a se stessa. Holly, spostati subito.

Non si spostò. Rimase perfettamente immobile mentre Louis si chinava verso di lei e la baciava appena. “Questo è solo un incidente di percorso?” lo udì mormorare sulle sue labbra.

Rimasero immobili per alcuni istanti, le loro labbra ad un soffio le une dalle altre, prima che Holly sollevasse la testa quel tanto che bastava per sfiorare la bocca di Louis. La sua reazione fu immediata: lasciò scivolare un braccio attorno alla vita di Holly e la strinse a sé baciandola con foga.

Decisamente, tre baci, di cui due a così breve distanza di tempo, non erano classificabili come incidenti di percorso.

 

 

 

****

 

 

 

5 febbraio 2022

Sala Grande, Hogwarts, Scozia

Ancora stessa ora

 

“Dai, Al, andrà tutto bene.” Lucy, seduta accanto ad Albus in Sala Grande, posò delicatamente una mano sul suo braccio. “Dovresti mangiare qualcosa.”

Lui chinò lo sguardo sul proprio piatto ancora integro, colmo di uova e pancetta. “Non ho fame,” sospirò.

La prospettiva della partita imminente lo faceva sentire carico d'ansia. Aveva una strana sensazione: gli sembrava che stesse per giocare il primo incontro della sua vita. Forse perché era la prima volta che la sua squadra scendeva in campo da quando aveva ricominciato ad allenarla come si deve, invece che trascurarla come aveva fatto negli ultimi mesi.

Sollevò lo sguardo, incontrando la figura di Quinn, seduta di fronte a lui. La ragazza stava ingurgitando metodicamente la piccola pila di toast che aveva di fronte; da che Al ricordasse, aveva sempre mangiato coscienziosamente la giusta dose di carboidrati prima di ogni partita. Avrebbe voluto apparire calmo come lei, che mascherava l'ansia con il suo broncio abituale.

Tutta la squadra indossava già l'uniforme di Quidditch. Chris McGregory, seduto dall'altro lato di Lucy, non faceva altro che lanciare occhiate in cagnesco alla squadra di Tassorosso, nelle loro divise giallo canarino.

Sta cercando di intimorirli?

I Tassorosso non sembravano minimamente impressionati: continuavano a chiacchierare tra di loro allegramente, senza prestare a McGregory la minima attenzione.

“Albus?” La voce di Lucy tornò petulante nelle sue orecchie.

“Sì, d'accordo,” sbuffò. “Cerco di mangiare.”

“Sarebbe meglio,” commentò qualcuno alle sue spalle. Una voce familiare, che tuttavia non udiva da un bel po'.

La forchetta cadde tintinnando nel piatto, affondando in mezzo alle uova.

Albus si voltò di scatto verso sua sorella Lily, in piedi dietro di lui. Guardandola, registrò immediatamente svariati dettagli che conosceva alla perfezione, come i capelli che sembravano opporsi in tutti i modi ai suoi tentativi di tenerli in ordine e l'impertinente nasino all'insù leggermente arricciato.

Per un momento, ebbe l'istinto di sorriderle. Poi pensò a Jacob e a quanto quei due erano stati bugiardi.

“Che cosa vuoi?” Il suo tono suonò brusco, persino più di quanto si sarebbe aspettato.

Lily non parve minimamente sfiorata dal suo tono rabbioso. “Solo augurarti buona fortuna,” replicò, imperturbabile.

“Beh, grazie,” borbottò Al di rimando, rigido.

Sua sorella gli sorrise, del solito sorriso furbo e saputo. Non riuscì ad esserne infastidito quanto avrebbe voluto.

“Sei proprio un testone,” concluse Lily, prima di allontanarsi in fretta, come se avesse avuto qualcosa di urgente da fare.

Albus si voltò di nuovo verso il tavolo, irritato.

Ancora, percepì il lieve peso della mano di Lucy sul suo braccio. “Sei proprio un testone,” commentò la cugina, facendo eco a Lily.

Sei proprio un testone, sembravano dire gli occhi azzurri di Quinn, adesso fissi su di lui.

Si sforzò di ignorarle, tutte e tre. “Allora?” si rivolse alla squadra in tono cameratesco. “Pronti a vincere questa partita?”

 

 

 

*****

 

 

Lily esitò prima di bussare alla porta.

In Sala Grande aveva raggiunto Lumacorno, il direttore della sua Casa, e gli aveva domandato dove avrebbe potuto trovare il professor Fiorenzo. L'insegnante le aveva risposto nel solito tono bonario che il centauro alloggiava in un'aula al pianterreno, adiacente a quella dove svolgeva le sue lezioni.

Il rintocco del suo pugno contro la porta sembrò rimbombare nel corridoio deserto. Dopo pochi istanti, una voce melodiosa e malinconica risuonò dall'altra parte. “Avanti.”

Lily aprì la porta lentamente, addentrandosi nell'aula a piccoli passi. Fu stupita nel trovare una luminescenza verdastra, come quella del sole che passa attraverso le fronde di un albero. Difatti, il suolo era cosparso di foglie secche e ovunque cresceva una vegetazione molto simile a quella della Foresta Proibita, al punto che era difficile pensare di essere ancora nel castello. Evidentemente, per il centauro era stato ricreato quello che doveva essere il suo habitat naturale, visto che anni prima era stato bandito dal territorio del suo branco.

Si guardò intorno, cercando l'insegnante di Divinazione tra le fronde. “Professor Fiorenzo?” sussurrò a mezza bocca, come nel timore di risvegliare qualcosa di oscuro e misterioso. In quell'aula – per quanto fosse difficile ritenerla tale – c'era un'atmosfera sospesa, quasi mistica, che la metteva vagamente a disagio.

“Lily Luna Potter.” La stessa voce melodiosa giunse da qualche parte alle sue spalle, accompagnata dal rumore attutito degli zoccoli contro le foglie che ricoprivano il pavimento. Lily si voltò di scatto, per posare gli occhi sulla figura imponente del centauro, i cui begli occhi erano fissi su di lei in maniera quasi inquietante. “Mi aspettavo di vederti oggi.”

“Ah, davvero?” La voce le uscì simile a un pigolio.

“Naturalmente,” rispose Fiorenzo, malinconico. “Cosa ti porta qui?”

Lily sbatté un paio di volte le palpebre. “Non lo sa?”

“Faccio delle supposizioni.” La guardò dritta negli occhi, sempre con quello sguardo velato di tristezza. “Ma vorrei che fossi tu a dirmelo.”

“D'accordo.” Deglutì. “Ho... ho un problema con i sogni.”

Il centauro annuì lentamente. “Accomodati, Lily Potter.” Indicò con un largo gesto il pavimento pieno di foglie secche, prima di piegare tutte e quattro le zampe e sedersi lui stesso al suolo. Lily si affrettò a imitarlo, raccogliendo contro il petto le gambe fasciate dai jeans.

Fiorenzo taceva, chiaramente in attesa che fosse lei a prendere la parola.

Si decise a farlo. “Beh, è un po' di tempo che faccio sogni strani. Incubi. Questa notte in particolare, io...”

“Vuoi raccontarmi cosa hai sognato?” la interruppe lui in tono pacato.

Lily contrasse le dita, leggermente in ansia. “D'accordo. Ero in mezzo a una folla di studenti, ma mi sembrava di non conoscerne nessuno.”

“Dove ti trovavi?”

Si schiarì la voce. “Su degli spalti. Era la struttura per la Seconda Prova.”

“Avevi qualcosa in mano?” Fiorenzo piegò la testa da un lato, continuando a fissarla con aria malinconica.

Lily aggrottò le sopracciglia. “Sì. Un diario.”

Il centauro annuì lentamente, con l'aria di chi si aspettava esattamente quella risposta.

“Lo sfogliavo,” proseguì lei. “Ad un certo punto ho capito che era necessario scrivere qualcosa per salvare qualcuno, ma non ero io a doverlo fare.”

Fiorenzo lasciò scivolare le dita contro il tappeto di foglie secche. “Qualcuno era in pericolo,” commentò.

Lily annuì. “Sì. Mia cugina Rose. Ma lei non aveva nulla a che fare con il diario, quello era... un'altra cosa.” Non sapeva bene cosa gliel'avesse fatto dire, ma in qualche maniera ne era certa.

“Naturalmente,” fu il commento del centauro.

Cadde il silenzio, rotto soltando dal fruscio delle fronde. Lily si accorse solo in quel momento della brezza magica che le scuoteva leggermente, accrescendo ulteriormente l'impressione di trovarsi all'aperto.

“Lei lo sapeva?” domandò.

“Non con esattezza,” replicò Fiorenzo. “Tuttavia, sono mesi che le stelle parlano con chiarezza a noi centauri... Pericolo, Lily Potter. Pericolo in ogni dove, e tu lo sai bene.”

Non riuscì a sostenere il suo sguardo. Aveva la sgradevole sensazione che il centauro potesse leggere dentro la sua mente. Per la prima volta, si chiese sinceramente se non avessero fatto meglio a parlare della questione del Proteus con un insegnante, con suo padre, o comunque con un adulto che avrebbe potuto gestire la situazione molto meglio di loro.

“E il diario?” mormorò. “Che cosa significa?”

Il centauro la scrutò attentamente, con i suoi occhi tristi orlati dalle lunghe ciglia. “Non posso saperlo con certezza.”

Lily annuì, leggermente delusa. Aveva sperato che Fiorenzo potesse dirle di più. Si alzò dal pavimento, passandosi le mani sul retro dei jeans per ripulirli delle foglie secche. “Grazie per l'aiuto,” mormorò, chinando leggermente il capo in segno di saluto, prima di avviarsi in direzione della porta.

“Cerca di ricordare dove hai già visto quel diario,” le si rivolse Fiorenzo non appena ebbe posato la mano sulla maniglia. “Potrebbe esserti d'aiuto.”

 

*****

 

5 febbraio 2022

Campo di Quidditch, Hogwarts

Durante la partita

 

Lucy aveva l'impressione che le sue orecchie sarebbero esplose da un momento all'altro. I tifosi di entrambe le squadre gridavano talmente forte da farle temere che lo stadio potesse collassare per la troppa pressione.

Sagome rosse e gialle sfrecciavano contro il cielo grigio e compatto, inseguiti dai Bolidi rilanciati da una parte all'altra dai Battitori. La squadra di Grifondoro stava giocando decisamente bene, ma i Tassorosso non erano da meno e continuavano a tallonarli: nessuno dei due schieramenti era in netto vantaggio e il margine fra un punteggio e l'altro non aveva superato i venti o trenta punti dall'inizio della partita.

Pluffa ai Tassorosso! Thomas Melbourne si precipita a rotta di collo verso gli anelli Grifondoro... Un bolide di Quinn Baston interrompe l'azione e la Pluffa torna in mano ai Grifondoro!

“Ciao, Lucy.”

Udendo la voce che le si era appena rivolta, roteò gli occhi. Accanto a lei si accomodò una ragazza dai corti capelli biondi, tenuta indietro da mollette a forma di pinguini che aprivano e chiudevano il becco.

Sospirò. “Ciao, Liliane. Ancora non hai rinunciato a perseguitarmi?”

La francese fece una smorfia. “Ancora non hai imparato a badare a te stessa,” replicò pacata con una scrollata di spalle.

... E Hasting segna! Settanta a cinquanta per i Grifondoro!

“Stanno giocando bene,” osservò Lucy, cercando di cambiare discorso. Non aveva ancora capito bene cosa si fosse messa in testa Liliane: sembrava quasi che stesse cercando di impartirle delle lezioni per renderla... come aveva detto? Ah, già. Capace di badare a se stessa.

Che personaggio insopportabile.

“Abbastanza,” si disse d'accordo Liliane. “Tuo cugino sembra particolarmente agguerrito.”

Era vero. Albus sorvolava il campo alla ricerca del Boccino, ma di tanto in tanto interrompeva la sua osservazione per sbraitare qualcosa alla volta della squadra, il viso contorto in una smorfia rabbiosa quanto ridicola.

Lily deve averlo innervosito parecchio, stamattina.

Per come la vedeva lei, era ora che Al si decidesse a smettere di tenerle il broncio. Da parte sua, Lucy non riusciva ad approvare del tutto la relazione di sua cugina con Jacob Greengrass – non le era mai stato particolarmente simpatico – ma comunque non erano affari suoi, ed era convinta che Lily avesse abbastanza buon senso da sapere quello che faceva. Oltretutto, visti i trascorsi dell'anno prima con Scorpius, si sentiva un po' come una paladina delle coppie che riuscivano a restare insieme nonostante tutti gli ostacoli che gli si paravano di fronte.

Tranne per quanto riguarda Scorpius e Rose, devi ammetterlo, suggerì una vocina maligna dentro di lei.

Cercò di scacciare quella voce. Non ne valeva la pena, in fondo.

“Già,” si trovò costretta a convenire con Liliane. “Questa mattina ha avuto una specie di diverbio con Lily.”

“Ancora?” L'altra sollevò gli occhi al cielo. “Qualcuno dovrebbe dirgli di darsi una calmata e trovarsi una ragazza, invece che importunare le relazioni altrui.”

Da parte di chiunque altro, quello sarebbe parso alle orecchie di Lucy un commento intriso di perfidia. Ma da Liliane, che era abituata a dire tutto quello che pensava senza peli sulla lingua, era perfettamente normale. Dopotutto – ma non l'avrebbe mai ammesso – non era male essere amica di una persona così. Era come avere qualcuno pronto a pronunciare ad alta voce cose che lei non aveva il coraggio di dire.

Pensò a Quinn Baston, a tutto quello che Albus le aveva raccontato su di lei.

“Già, avrebbe proprio bisogno di una ragazza.” E io so perfettamente di quale ragazza, anche se lui non se ne rende proprio conto. “Solo che mio cugino ha la tendenza a cercare altrove quello che in realtà ha già sotto il naso.”

A quelle parole, le sopracciglia di Liliane si inarcarono e le sue labbra si incurvarono in un sorrisino. “Lucy Weasley, hai forse iniziato a imparare qualcosa?”

Non volle darle soddisfazione, quindi si limitò a scrollare le spalle, cercando di assumere un'aria indifferente. Forse Liliane aveva ragione, o forse era lei stessa ad essere semplicemente meno ingenua. Di certo, non sarebbe stato male se qualcuno avesse trovato il modo di far aprire gli occhi ad Al, un giorno o l'altro.

Liliane distolse lo sguardo da lei, tornando a osservare la partita. Lucy, che stava iniziando a conoscerla davvero, aveva la netta sensazione che stesse cercando di capire cosa lei le aveva lasciato intendere. Liliane Durbuy-Delacour era il prototipo della ficcanaso perfetta: non si lasciava sfuggire quasi niente e detestava non essere al corrente di qualcosa.

Gli istanti che seguirono le parvero quasi sospesi, sebbene le sue orecchie continuassero ad essere ingombre delle grida dei tifosi.

“La Battitrice,” decretò infine Liliane, seguendo con lo sguardo la sagoma di Quinn Baston, intenta a rilanciare un Bolide contro i Cacciatori Tassorosso con tutte le sue – notevoli – forze. “Quella con cui è andato al Ballo.”

Lucy si ritrovò a sorridere fra sé. “Proprio così.”

“Albus sa di piacerle?” domando Liliane.

Per un momento, si sentì in colpa a parlare dei fatti privati di Albus con una persona che non aveva nulla a che fare con tutto ciò. Ma Liliane non era una ragazza come tutte le altre: se c'era qualcuno con cui ne avrebbe dovuto parlare, quel qualcuno era proprio lei.

Oltretutto, forse un tipo sfacciato come lei sarebbe stato utile per far aprire gli occhi a suo cugino.

“Più o meno.” Sbuffò. “Lei si è impegnata in tutti i modi per farglielo capire, suppongo, ma non è quel che si dice un tipo facile. E Albus su questa faccenda si sta dimostrando più idiota di quanto pensassi.”

Liliane ridacchiò. “Stai iniziando a diventare una ficcanaso, Weasley?”

“Beh, questa che sarebbe una novità!”

Quando quella voce odiosamente familiare risuonò alle sue spalle, Lucy non poté fare a meno di sobbalzare. Si voltò di scatto: dietro di lei, in piedi sugli spalti, Christine De Bourgh le rivolse il suo caratteristico sogghigno irritante. La sciarpa di Serpeverde che portava al collo frustava l'aria, sospinta dal vento, così come i suoi capelli scuri e ricciuti, che disegnavano onde disordinate contro il cielo grigio.

“Che cosa vuoi?” domandò, seccata. In qualche modo, Christine riusciva sempre a metterla a disagio, qualunque fosse la circostanza in cui si trovava ad avere a che fare con lei.

La Serpeverde sorrise ancora, ma Lucy non poté fare a meno di notare che sembrava diversa dal solito, non avrebbe saputo dire in cosa. Forse erano le pesanti occhiaie che lo strato di cipria non riusciva a nascondere del tutto, o magari la sua espressione stanca, spossata.

Christine si lasciò scivolare agilmente sul sedile accanto al suo, accavallando le gambe vestite di un paio di jeans leggermente abbondanti sulle ginocchia e sulle coscie magre.

“Nessuno ti ha detto di sederti,” si sentì in dovere di farle notare. Liliane, seduta accanto a lei dall'altro lato, osservava la scena con un certo interesse. Probabilmente, stava cercando di intuire le dinamiche che stavano dietro al comportamento di Lucy, così diverso dall'atteggiamento cortese con cui si poneva con le altre persone.

Ficcanaso.

Christine si limitò a inarcare le sopracciglia, come a volerle ricordare che, dopotutto, lei aveva sempre fatto esattamente quel che voleva. “Come sempre, non capisci quando le persone ti vogliono aiutare,” disse dopo qualche istante di silenzio.

Lucy si chiese a cosa si riferisse, se a Liliane o a se stessa.

“C'è qualcosa che vuoi dirmi, suppongo,” sospirò, arrendendosi all'evidenza che la Serpeverde non si sarebbe mossa da lì finché non avesse deciso di farlo.

L'altra annuì svogliatamente. “Che acume,” mormorò fra sé, lo sguardo apparentemente fisso sulla partita. L'andamento del Grifondoro era nel suo interesse, visto che giocava nella squadra di Serpeverde: tuttavia, non sembrava interessarle granché.

Per una manciata di secondi, le loro orecchie furono colme solamente del fracasso dei tifosi.

“Allora?” la incalzò poi Lucy, stanca di quell'atmosfera carica di tensione.

Finalmente, Christine si voltò di lei. “Ricordi il regalo che hai fatto a Scorpius per lo scorso Natale?”

Certo, il Diario Comunicante¹. Ma come diamine fa a–

Ah, già. Christine sapeva sempre tutto, in un modo o nell'altro. Se non fossero state così diverse – l'una sempre presa da giochetti ed enigmi e l'altra completamente folle e irrazionale – lei e Liliane sarebbero potute diventare grandi amiche.

E poi si chiede come mai la gente creda che Gossip Witch sia lei. Lucy si domandava come si facesse a credere che non fosse così – anche se, da parte sua, non ne era così convinta. Dubitava che un tipo come Christine avrebbe mai rischiato di esporsi in questo modo.

“Sì, lo ricordo,” borbottò. “Perché me lo chiedi?”

Christine strinse le labbra. Lucy notò come avesse smesso di guardarla in faccia: i suoi occhi si agitavano da un lato all'altro del campo. Si sarebbe detto che stava seguendo la partita, se la Pluffa non fosse stata dalla parte opposta.

Improvvisamente, capì cosa aveva di diverso la Serpeverde.

Sembra preoccupata.

Per qualche motivo, la cosa non le piacque. Non le piacque affatto.

“Christine?” insistette, abbassando la voce di un tono. Non sapeva cosa l'avesse spinta a chiamarla per nome, ma le era uscito spontaneo.

Io e il mio dannato cuore tenero...

L'altra si ricompose immediatamente. “Potrebbe capitare,” esordì, “che accada qualcosa di grosso. Molto grosso.” Nonostante avesse pronunciato tali parole nel solito tono misterioso, non era riuscita a nascondere del tutto l'esitazione nella sua voce. Era come se la sua maschera si stesse lentamente sgretolando, perdendo un pezzo dopo l'altro. “Se dovesse accadere, è necessario che quel Diario Comunicante venga usato.”

Lucy fletté le dita delle mani, nervosa. “Che cosa vuoi dire? Cosa... Cosa potrebbe accadere?”

Qualcosa di grosso.

“Non serve che tu sappia altro.” Christine tornò a rivolgerle il suo sorriso sprezzante e fece per alzarsi.

Prima di riuscire a impedirselo, Lucy la trattenne afferrandola per il gomito. “Che cosa succederà?!”

L'altra scosse la testa e si divincolò, per poi allontanarsi in fretta tra gli spalti.

Perplessa e decisamente scossa, Lucy tornò a poggiare la schiena contro la gradinata dietro di lei. “Roba da pazzi,” borbottò fra sé.

Al suo fianco, Liliane continuava – sorprendentemente – a non parlare. Avrebbe preferito che lo facesse: nella sua testa continuavano a riecheggiare le parole di Christine, accompagnate da un vortice furioso di domande.

Che cosa significavano veramente le sue parole? Cosa sarebbe potuto accadere?

... Jo Lynn si precipita verso gli anelli di Grifondoro... Sembra alquanto determinata... McGregory para! Forse adesso Albus Potter la smetterà di gridare come un pazzo contro la sua squadra, che ne dite?”

“Lucy,” la voce di Liliane risuonò improvvisamente al suo fianco. “Quella ragazza...”

Deglutì. “Non ne voglio parlare. Ci sono troppe cose–”

La voce le si spense in gola. Improvvisamente, si era sentita osservata. Colse un movimento con la coda dell'occhio, dalla gradinata immediatamente sotto quella occupata da loro. Leopold Higgs, il bellimbusto Serpeverde che aveva accompagnato Lily al Ballo, le stava guardando fino a pochi istanti prima.

“Chi è quello?” borbottò Liliane nel suo orecchio.

Scrollò le spalle. “Solo Leopold Higgs,” rispose, forse a voce troppo alta. “Quel Serpeverde strafottente e antipatico che ha portato Lily al Ballo.”

Sì, aveva decisamente parlato a voce troppo alta. Higgs si voltò lentamente verso di loro, guardandola sprezzante da sotto le sopracciglia inarcate.

Sentì la pelle del viso pizzicare. Probabilmente, un velo di rossore si stava espandendo sotto la sua pelle.

Con calma, Leopold Higgs si sporse indietro sul suo sedile, fino a poggiare il gomito sul suo ginocchio. “Weasley,” le si rivolse. Sorrideva, ma i suoi occhi erano ghiacciati. “La prossima volta in cui ti troverai a espletare a voce troppo alta un commento che non interessa a nessuno, assicurati che il diretto interessato non sia seduto proprio davanti a te.”

La osservò per la durata di una pausa a effetto, sempre con quell'aria vagamente disgustata, prima di staccarsi dal suo ginocchio e voltarsi con la stessa lentezza di prima.

Il cuore di Lucy batteva a duemila per la vergogna. Sconfortata, si lasciò andare con la schiena contro il sedile, desiderando di potersi sotterrare.

“Certo, Lu',” commentò Liliane pigramente, le braccia incrociate dietro la testa. “Hai un certo talento nel farti dei nemici, uhm?”

 

 

*****

 

 

“Che cos'hai?” La voce di Jake giunse improvvisa nelle sue orecchie.

Bernie lo ignorò, continuando a osservare la partita. Albus si lanciò in una picchiata, salvo poi riprendere quota con espressione vagamente delusa. Probabilmente, aveva avuto l'impressione di vedere il Boccino.

“Ber?”

La sua speranza di poter guadagnare qualche minuto fingendo di non sentire sfumò fra le sue dita. Sollevò lo sguardo in direzione dell'amico, dall'altro lato del quale era seduto Scorpius. Quest'ultimo non stava prestando loro molta attenzione: appariva assorto in chissà che, come se la sua mente fosse stata da tutt’altra parte. La sua espressione era tetra e ombrosa, il che – rifletté Bernie – probabilmente stava a indicare che il fulcro dei suoi pensieri fosse Rose Weasley. Nelle ultime due settimane Scorpius gli era sembrato più cupo del solito, il che era tutto dire, considerato che di recente il suo umore oscillava invariabilmente tra il tetro, l’irritabile e il sociopatico. 

Sospirò, distogliendo la sua attenzione da Scorpius per rivolgerla, rassegnato, verso Jake. 

“Dimmi,” borbottò scontroso, sperando che l’altro si rendesse conto che non aveva chissà quale voglia di chiacchierare. 

Naturalmente, non lo fece. O meglio: probabilmente l’aveva capito eccome ma aveva deciso di ignorare allegramente il suo stato d’animo. 

A quel punto si sarebbe aspettato un sogghigno da parte dell’amico, ma neanche quello arrivò. Jake si limitò a osservarlo per qualche istante con sguardo indagatore, prima di decidersi a parlare. 

“Va tutto bene?” domandò con l’aria di chi già conosce la risposta. “Con Christine, dico.”

Bernie sollevò la schiena dalla gradinata retrostante la loro, chinandosi in avanti per poggiare i gomiti sulle ginocchia – ed evitare di guardare Jacob.

“Secondo te?” replicò neutro.

Da parte di Jake provenne uno sbuffo. “Direi proprio di no,” lo udì ribattere. Dopo una pausa, proseguì: “Vuoi dirmi cosa è successo?”

“Non ho bisogno di uno Psicomago,” sbottò lui brusco. 

“A giudicare dal vostro comportamente delle ultime settimane, ne avete bisogno eccome.” L’altro rimase impassibile di fronte alla sua aggressività. “Tutti e due.”

Non ci voleva un genio a capire che si stava riferendo a Scorpius. 

Morgana, anche io sono così strano ultimamente?!

In verità, sapeva di esserlo. Christine era riuscita a stravolgere completamente la sua vita e lo stava facendo diventare matto. Letteralmente.

“Abbiamo litigato.” Si lasciò sfuggire alla fine, arreso. “Tutto qui.”

Gettò a Jacob un’occhiata in tralice, giusto in tempo per vedere le sue sopracciglia inarcarsi in segno di scetticismo. “Con Christine non è mai tutto qui,” gli fece notare in una secca replica.

Bernie percepì distintamente il robusto moto di nauseante fastidio che stava attraversando il suo stomaco. “Ah, già,” mormorò amaramente. “Dimenticavo che sei il suo amichetto del cuore.”

Jake lo fissò, serio e al tempo stesso quasi incredulo. “Sei geloso, Ber?”

L’assurdità di una simile teoria lo fece ridere, sulle prime. Tuttavia, nel giro di pochi secondi fu costretto a ricredersi e si trovò a riconoscere che forse l’amico aveva ragione.

Almeno un pochino.

Sono messo peggio di quanto pensassi. Decisamente.

“Non dire assurdità,” replicò comunque, deciso a non dare soddisfazione a Jake.

Il quale, da parte sua, tornò a rivolgergli una delle sue occhiate penetranti. “Come mai avete litigato?”

Improvvisamente, provò un inaspettato desiderio di confidarsi con lui. D’altronde, Jacob si era fidato di Bernie quando si era trattato di Lily. Erano amici da secoli, e se c’era una persona con la quale avrebbe potuto parlare di Christine, quella persona era proprio lui.

Tuttavia, non aveva idea di come riassumere in parole comprensibili il complicato miscuglio di emozioni e sentimenti contrastanti che lo aggredivano di continuo e mutavano costantemente. Non sapeva proprio da dove cominciare.

“Sono stato io,” mormorò infine, dopo alcuni istanti – quasi un minuto – di meditazione. Nel frattempo, Quinn Baston dirottava l’ennesimo Bolide verso i Cacciatori della formazione avversaria. Il suo viso era una maschera di concentrazione, sotto i ricci castani sferzati dal vento. “Ho cercato di convincerla a dirmi cose di cui non voleva parlare. Credo... credo di averla messa in difficoltà, o qualcosa del genere. Lei è... è scappata via.”

Jake lo ascoltava con pazienza, annuendo lentamente. “Vuoi dirmi di cosa si tratta?” Gli occhi dell’amico, di un verde grigiastro e brumoso, lo guardavano con serietà e una certa consapevolezza.

“Davvero non lo immagini?” replicò, improvvisamente spossato. 

Le sopracciglia di Jake si aggrottarono. “Forse sì.” Bernie lo udì ammettere. “Un po’.”

Affondò il volto tra le mani, frustrato. “Christine è invischiata in qualcosa di grosso. Qualcosa di pericoloso. E non vuole dirmi di cosa si tratta... Credo che stia cercando di proteggermi o qualcosa del genere.” Concluse, aspettandosi uno sbuffo di scetticismo da parte dell’amico.

“Probabile,” mormorò invece Jake, lasciandolo esterrefatto ancora una volta. “Le ho creduto quando mi ha detto di non avere secondi fini nei tuoi confronti.” Sospirò. “Non avrei mai pensato di dirlo, ma credo che tu le piaccia davvero. Probabilmente... probabilmente è la cosa più sincera della sua vita, da parecchi anni a questa parte.”

Bernie stirò le labbra in un sorriso. “Da quando in qua nutri tutta questa fiducia nei confronti del genere umano?”

Jake scrollò le spalle. “Da quando ho capito che il genere umano a volte lo merita.” Lo guardò fisso. “E tu? Lei ti piace davvero?”

La domanda lo spiazzò. Paradossalmente, fra tutte le domande che aveva posto a se stesso negli ultimi tempi, su quel punto non si era ancora interrogato. Forse il suo subconscio aveva cercato di non affrontare quella questione così spinosa.

“Non lo so,” replicò in un filo di voce. “Ma sono coinvolto con quanto le sta accadendo. Voglio   essere coinvolto.”

Jake sollevò le sopracciglia. “Beh, credo che questo significhi parecchio.” Tacque per un momento. “Dunque è questo che provi per lei? Vorresti proteggerla?”

“Forse. Lei è convinta di non averne bisogno.”

Non era solo questo, lo sapeva. Ormai era legato a lei, anche se in un modo che non riusciva a spiegarsi. Saperla in pericolo era insopportabile: lo stava distruggendo.

Forse sì.

Forse mi piace davvero.

 

****

 

“Allora? Commenti sulla partita?”

Rose si sforzò di ignorare il tono mellifluo di Gericho Allock, fingendo di concentrarsi sull'incontro di Quidditch. A dire il vero avrebbe potuto approfittare di quelle ore in cui la scuola sarebbe stata deserta per esercitarsi ancora con il Patronus – non che ve ne fosse bisogno, considerando che da quando Scorpius l’aveva baciata non aveva avuto più problemi con quell’incantesimo – ma aveva preferito recarsi allo stadio per avere un po’ di gente intorno.

Cosa strana. Decisamente poco da lei. Ma la solitudine non era servita a farla riflettere, negli ultimi tempi: forse la folla sarebbe stata utile.

Naturalmente, con folla utile mai e poi mai nei suoi pensieri si sarebbe riferita a Gericho. Il giornalista l’aveva individuata a pochi minuti dall’inizio della partita, da sola su una delle gradinate più alte; sedutosi accanto a lei, non aveva cessato un momento di assillarla con una domanda dietro l’altra.

Rose non aveva risposto neanche una volta, ma Gericho non demordeva.

E pensare che volevo sfruttare la partita come un momento di raccoglimento interiore. Avrebbe dovuto capirlo subito che era stato un pensiero stupido.

“Tuo cugino gioca, giusto? Albus Severus Potter. Il figlio del Salvatore del Mondo Magico. Cosa mi dici di lui?”
“Che non sono affari tuoi.” Sbottò esasperata. 

Che non sono affari tuoi!” le fece il verso Gericho. Rose lo ignorò.

Lei e Scorpius non si erano parlati, in quelle due settimane, ma per una volta era lui a evitare lei, come se le stesse lasciando dello spazio per riflettere – o più probabilmente era molto, molto arrabbiato. L’episodio del bacio in Biblioteca l’aveva confusa; prima di produrre il suo Patronus, non era stata veramente convinta della validità del proprio piano neanche per un momento. Aveva voluto tentare quell’ultima possibilità di uscire viva dalla Seconda Prova, rischiando il tutto e per tutto.

Quel bacio era stato il suo ricordo felice per tutti i Patronus che aveva prodotto nei giorni seguenti. Ormai non aveva più senso mentire a se stessa, no? 

Non aveva più senso cercare di convincersi che Scorpius non le piacesse da morire. 

“... Mancano solo diciannove giorni alla Seconda Prova. Come ti senti?”
Con un sospiro, si voltò lentamente verso Gericho, inarcando un sopracciglio. La Penna Prendiappunti verde acido del giornalista era in equilibrio su di una pagina del suo taccuino, già fitta di appunti – probabilmente, osservazioni di varia natura sull’umore di Rose e lo stato delle sue calze.

“Uno di questi giorni ti ritroverai quella penna giù per la gola se non mi lasci in pace,” sibilò.

Uno di questi giorni–”

“Piantala.” Gli pestò il piede. “Sei insopportabile.” 

Lui le rivolse una smorfietta. “Faccio solo il mio lavoro.”

“Ti detesto. Profondamente.”

Lo vide portarsi una mano al petto, l’espressione affranta. “Che colpo per il mio povero cuore!”
Inaspettatamente, Rose percepì una sensazione gorgogliante in fondo allo stomaco. Il vortice risalì, finché non proruppe dalle sue labbra in una risata irrefrenabile.

Gli occhi di Gericho scintillarono. “Sbalzi di umore da parte di Rose Weasley, la Campionessa Cozza di Hogwarts...”

Smise immediatamente di ridere, tirandogli una gomitata in mezzo alle costole. “Non mi hai già diffamata abbastanza?”

Il giornalista roteò gli occhi. “D’accordo, d’accordo...” sbuffò, tracciando una barra sulla parola cozza. “Viziata.”

“Imbecille.”

“Che mi dici del giovane Malfoy?”

Aprì la bocca per ribattere, indignata, ma qualcosa – qualcuno – glielo impedì. 

“Sei una palla al piede terrificante, scribacchino da quattro soldi,” cinguettò una voce alle sue spalle. “Anche se hai dei bei capelli.”

Di nuovo, le venne da ridere, mentre Lily scavalcava la gradinata scrollando i suoi lunghi capelli rossi e si infilava fra lei e Gericho, allontanando il giornalista a spintoni.

“Non avrò dei bei capelli ancora a lungo, se mi spingi così,” borbottò quest’ultimo, offeso, lisciandosi un perfetto ricciolo biondo sulla fronte.

“Perfetto, allora vattene,” tagliò corto Lily. Rose guardò la cugina: era pallida, con gli occhi cerchiati di occhiaie e chiaramente di pessimo umore. “O sarai costretto a indossare una parrucca per il resto della tua vita."

Il giornalista dovette capire l’antifona: rivolse a Rose uno sberleffo e si allontanò con il naso per aria. 

“Che essere sgradevole,” commentò Lily, sprezzante. “Viscido, odioso, disonesto...”

“Lily,” mormorò Rose. “Sei Serpeverde. In teoria essere sgradevoli, odiosi e disonesti dovrebbe essere un pregio.”

“Hai fatto una battuta, Rosie? Non ti sentivo fare una battuta da–”

"Lily..."

"Veramente, Rosie, hai un grande senso dell'umorismo quando ti ci impegni. Potresti scrivere un libro di massime o qualcosa del genere, perché–"

“Quando fai così sembri Freddie.”

La cugina tacque di colpo. Chiaramente, qualcosa la metteva in agitazione: parlava in fretta, visibilmente nervosa, come nel tentativo disperato di non pensare a qualcosa. 

Deglutì. Lei non era brava nelle relazioni interpersonali, né ad aiutare gli altri. Ma per sua cugina poteva provarci. “Vuoi...” Si schiarì la voce, a disagio. “Vuoi parlarmi di...” 

Lily sorrise nervosamente, facendole cenno di non preoccuparsi. “Grazie del tentativo.” Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, salvo poi ritirarla fuori e prendere a giocherellarci. “In effetti c’è qualcosa che dovrei dirti. Insomma. Non è una cosa che è successa. Più una cosa che–”

La voce le si spense in gola, e Rose cominciò a preoccuparsi. Non era da Lily parlare a sproposito. Non era da Lily impicciarsi con le parole. Non era da Lily manifestare tutto quel nervosismo.

Cautamente, allungò una mano sopra la sua. Cambiò idea e la ritrasse prima di sfiorarla, ma allora furono le dita di Lily a scattare verso l’alto e intrecciarsi alle sue, stringendo così forte da farle quasi male. 

Sentendosi impicciata, Rose poggiò la testa sulla spalla di Lily, cingendola come poteva in un abbraccio. Si sentiva strana a compiere gesti simili, doveva ammetterlo.

Ma se devo cambiare, se devo essere una persona migliore... Devo aiutare gli altri. Soprattutto chi di solito non chiede di essere aiutato.

La stretta di Rose, con suo immenso stupore, sembrò avere su Lily un potere calmante.

“Ho fatto un sogno strano,” la udì mormorare contro i suoi capelli. “Ama crede che possa essere premonitore.” Deglutì. “Eri in pericolo. Eri in pericolo, Rose, e io...” la sua voce salì di un’ottava. Palesemente si stava sforzando per non piangere. “Dovevo dirti di stare attenta. Ho paura per te.”

Ho paura per te.

 

 

 

****

 

 

 

“Io non ci credo.” Lizzy storse il naso. “Sogni premonitori, ma dai! Non esiste questa roba.”

Questa volta non avevano origliato apposta. Insomma, lei e Lucrezia si erano solo sedute davanti a Rose perché con lei c’era quel tipo strano – il giornalista biondo mezzo matto – ed erano curiose di quello che si sarebbero detti. Non potevano prevedere che sarebbe arrivata anche quell’antipatica di Lily, nella maniera più assoluta.

“Solo pochi mesi fa non credevi neanche alla magia,” le fece notare Lucrezia con un sorriso furbo. 

Lizzy roteò gli occhi. “Però quella è una cosa diversa,” protestò. “I sogni premonitori sono solo roba stupida da chiromanti.”

Lo sguardo dell’altra si accese di interesse. “Davvero hai conosciuto una chiromante?” domandò tutta eccitata.

Dal canto suo, Elizabeth rimase impassibile. “Niente di serio. Una tizia con un turbante che faceva la voce misteriosa e fingeva di vedere il futuro in una sfera di vetro.”

“Ah.” Lucrezia parve delusa. “Certo che i Babbani sono tutti matti,” commentò bonariamente.

Lizzy non si trattenne di fronte alla possibilità di prendere un po’ in giro l’amica. “Anche Bernice direbbe così,” la punzecchiò, consapevole di quanto entrambe detestassero la loro bionda e sciocca compagna di dormitorio.

L’altra non raccolse la provocazione. “Solo che Bernice direbbe sul serio.”

“Origliate sempre le conversazioni altrui, voi due?”

Si sentì gelare. Si voltò con lentezza, simultaneamente a Lucrezia: in piedi dietro di loro c’era una ragazza sottile e decisamente più grande di loro – almeno del sesto anno, giudicò – con riccioli scuri che le cadevano morbidamente tra le pieghe del maglione e le labbra incurvate in un sorriso vagamente terrificante. Non la conosceva ma non le ispirò chissà quale simpatia: trovò irritante il modo vezzoso in cui teneva la testa inclinata da un lato, guardandole con un sinistro scintillio negli occhi scuri.

“Non sempre,” rispose Lucrezia per entrambe. “Non è come se lo facessimo apposta.”

Il sorriso della ragazza era freddo e statico. “Fa’ nulla,” buttò lì, distogliendo lo sguardo da loro. “Continuate pure.”

Si allontanò così come era venuta, dileguandosi tra la folla sugli spalti. 

“Credi che abbia sentito tutto quello che dicevamo?” fece ansiosamente Lucrezia, la fronte corrugata.

Lizzy deglutì. “Penso di sì.”

In fondo non avevano detto niente di compromettente. O almeno, così sperava.


 

*****



“Weasley.”

Hugo sollevò la testa, riconoscendo all'istante chi l'aveva interpellato. I suoi occhi incontrarono la figura ormai familiare di Herman Hessler. Non troppo alto – Hugo lo superava di almeno dieci centimetri, anche se lui non faceva testo – con ciocche di capelli biondo scuro che gli piovevano sugli occhi, bocca sottile e uno sguardo sveglio e penetrante negli occhi bluastri.

“Hessler,” replicò con quello che sperava risultasse un tono casuale e disinvolto. “Come va?”

Tornò a posare lo sguardo sulla partita, in attesa di una risposta da parte del Serpeverde. Osservò con distacco Johnatan Hasting schivare un Bolide e ribatterlo verso i Cacciatori di Tassorosso, che sfrecciavano verso gli anelli Grifondoro. Il Bolide costrinse la maggior parte di loro a schizzare da tutte le parti per evitare di essere colpiti, rompendo la formazione, ma Jo Lynn riuscì a mantenere il possesso di Pluffa. Chris McGregory si tuffò in avanti per parare, ma nonostante i suoi sforzi la ragazza segnò un goal. Automaticamente, Hugo guardò in direzione di Albus in tempo per vederlo sbraitare qualcosa contro il suo Portiere.

“Non male,” fu la neutra risposta. Herman si sedette accanto a Hugo, poggiando con noncuranza i gomiti sulla gradinata posteriore. “Dura parecchio, eh?”

Capì subito che l'altro si stava riferendo alla partita.

“Purtroppo,” mugugnò, seccato. “Il Quidditch mi piace, ma ho di meglio da fare.”

Avrebbe potuto, ad esempio, controllare quale fosse il significato del Fante di Picche. L'ennesima carta: gli era stata recapitata quella mattina stessa da un anonimo gufo dell'Ufficio Postale; non aveva fatto in tempo a recarsi in Biblioteca per consultare il libro di cartomanzia, prima della partita, e si stava rodendo il fegato dal desiderio di scoprire cosa diamine significasse.

Le sopracciglia di Hessler si inarcarono. “Allora perché sei qui?” Replicò senza guardarlo. Era chinato in avanti, le ginocchia sui gomiti e il volto poggiato sulle mani intrecciate.

Sembra che stia pregando.

Il Serpeverde non aveva tutti i torti. Ma adesso che si trovava lì, faccia a faccia con il principale sospettato, Hugo non aveva la minima voglia di andarsene.

“Ho un problema,” buttò lì, sforzandosi di bilanciare il tono perché non sembrasse troppo interessato né esageratamente distaccato. “Non riesco a ricordare il significato del Fante di Picche, eppure è da questa mattina che ci penso.”

Le sopracciglia di Herman si inarcarono di nuovo. Questa volta quasi raggiunsero l'attaccatura dei capelli. “Non dirmi che sei di cattivo umore per questo.”

Hugo annuì. “È così imbarazzante?”

Non era una vera e propria bugia.

L'altro sorrise. O meglio, piegò le labbra in quel sogghigno inquietante che probabilmente voleva somigliare a un sorriso. “Direi,” fece una smorfia. Hugo ci mise qualche secondo a capire che lo stava prendendo in giro. “Voi Corvonero siete tutti matti.”

“La genialità ha sempre qualcosa di folle,” replicò Hugo in tono altezzoso, indeciso se offendersi o ridere con lui – il che era preoccupante, considerato che la persona che aveva davanti era un potenziale pazzo omicida. 

L'altro gli sorrise. “Forse posso aiutarti a risolvere questa questione di stato,” fece canzonatorio. “Mi sembra di ricordare che rappresenti un pericolo riguardante la famiglia.”

Hugo si irrigidì involontariamente. Doveva essere sbiancato, a giudicare da come lo stava scrutando l'altro, che sembrava registrare ogni oscillazione del suo umore – il che era molto morboso e molto da pazzo omicida.

Un pericolo riguardante la famiglia: nessuna delle carte che aveva ricevuto fino a quel momento lo aveva inquietato alla stessa maniera. Iniziò a riflettere disperatamente, ricapitolando mentalmente tutto ciò che sapeva su Hessler, tutto ciò che sapeva sulle carte e tutto ciò che sapeva sull'intera faccenda, cercando di giungere ad una conclusione.

Solo dopo alcuni istanti di strenua riflessione ricordò che Herman era accanto a lui. Fu come se qualcuno avesse stappato bruscamente le sue orecchie: il fracasso dello stadio tornò a rimbalzargli violentemente contro i timpani. 

Cercò di ricomporsi di fronte alla sua espressione perplessa. Aveva un modo particolare di dimostrare la perplessità, quasi impercettibile: il suo volto restava del tutto impassibile, rilassato, e l'angolo del sopracciglio destro si sollevava leggermente verso l'alto.

Si schiarì la voce, sperando di non essere impallidito in maniera troppo eloquente. Cercò di rilassare le spalle e di assumere un'aria impassibile, rivolgendo all'altro un sorriso. “Ecco che cos'era.” Il suo tono era vagamente gracchiante, ma non poteva farci niente. “Ricordavo qualcosa del genere.”

L'altro scrollò le spalle. Se aveva notato il disagio di Hugo, non lo diede a vedere. “Beh, generalmente le picche indicano pericolo. Poi a seconda del numero o della figura cambia il loro significato.” Sorrise appena, senza guardarlo. “Perché ti interessava tanto il Fante di Picche?”

Dovette fare uno sforzo sovrumano per non entrare in pallone. “Te l'ho detto,” replicò. “Cercavo di ricordarmelo.” Dall'espressione dell'altro, capì che non se l'era bevuta – anche perché, se le teorie di Hugo erano esatte, Herman sapeva perfettamente di cosa stesse parlando. “Sta-stamattina ho provato a leggere il mio futuro nelle carte,” inventò di sana pianta, procedendo spedito dopo l'iniziale incertezza. “Così, per scherzare. Ed è uscito il Fante di Picche.”

Stavolta, entrambe le sopracciglia di Herman si sollevarono. Scetticismo. 

“Stai mentendo, Weasley,” disse con calma. Se prima non l'aveva guardato mentre si rivolgeva a lui, adesso lo guardava dritto negli occhi. “Giusto?”

“... Giusto,” convenne Hugo in un filo di voce.

Adesso mi butta giù dagli spalti.

… No. Mi avvelenerà. È molto più da Serpeverde. Dovrò stare attentissimo a tutto quello che bevo... Mi informerò in Biblioteca su come esaminare con un incantesimo il contenuto delle bevande e del cibo.

Le sopracciglia di Herman si abbassarono rapidamente per aggrottarsi al centro della fronte. 

… Reparto Pozionistica, sezione Veleni e Antidoti. Sì, cercherò lì.

Lo udì lasciarsi sfuggire fra le labbra uno sbuffo a metà tra il divertimento e la costernazione, che lasciò Hugo stesso stupefatto.

Non sembrava lo sbuffo di qualcuno che sa più di quanto voglia far credere.

“Come hai fatto a capire che stavo mentendo?” sbottò, stanco di attendere che Herman dicesse qualcos'altro.

Quest'ultimo lo squadrò per alcuni secondi. “Oltre ai milioni di segnali?” sbuffò ancora. “Non esce una sola carta quando si cerca di predire il futuro.”

Hugo non fece in tempo a darsi dell'idiota prima che l'altro proseguisse.

“Ma non preoccuparti della gaffe. Non è come se mi cambiasse granché il fatto che tu mi abbia mentito.” Lo guardò fisso. “Dopotutto ognuno ha i suoi segreti.”

“D'accordo.” Hugo deglutì. “Amici come prima?”

Herman lo guardò e aprì la bocca per parlare, ma le sue parole furono coperte dal frastuono improvviso in cui scoppiò metà stadio. Hugo scattò automaticamente in piedi come una molla per vedere cosa stesse succedendo, visto che i tre quarti degli studenti intorno a loro avevano fatto lo stesso, appena in tempo per cogliere la sagoma scarlatta di Albus fare un giro dell morte, una piccola pallina dorata che si dibatteva nel pugno chiuso.

Grifondoro aveva vinto.

 

 

 

*****

 

 

 

5 febbraio 2021

Torre di Grifondoro, Hogwarts

Dopo la partita

 

 

Sembrava che il caos che aveva pervaso l'intero stadio di Quidditch fino ad appena un'ora prima si fosse concentrato interamente nella Sala Comune di Grifondoro. Dopo il disastroso inizio di campionato, lo scontro con Tassorosso era stato vissuto con molta tensione, poiché dall'esito della partita sarebbe dipeso l'intero torneo – se avessero perso, si sarebbero giocati definitivamente la Coppa.

Ma avevano vinto. Avevano vinto, e Albus – il quale forse aveva vissuto la questione con più angoscia di tutti, consapevole che la colpa della precedente sconfitta fosse fondamentalmente sua – si sentiva come liberato di un peso tremendo.

Aveva riscattato il suo ruolo di Capitano, dimostrando di meritarlo davvero.

Nella bolgia della Sala Comune, incrociò lo sguardo di Quinn e sollevò la bottiglia di Burrobirra che stringeva nella sua direzione. In cambio lei sorrise e Al rimase a osservarla per un po', notando per la prima volta la fossetta che si formava sul suo mento quando sorrideva. Quinn era – sorprendentemente – impegnata a chiacchierare con alcune ragazze del sesto anno, ma di tanto in tanto tornava a guardare Albus: i loro occhi tendevano a riallacciarsi ogni volta che entrambi facevano scorrere lo sguardo lungo la Sala.

Si grattò la nuca – aveva ancora del fango tra i capelli – cercando di non pensare a Quinn. 

“Albus!”

Sobbalzò, versandosi addosso parte della Burrobirra, che scivolò lungo l'uniforme scarlatta sporca di melma. Davanti ai suoi occhi c'era uno scarno gruppetto di ragazzine dall'aria intraprendente – massimo tredici, quattordici anni – che gli rivolgevano grandi sorrisi.

Un po' in soggezione, Al sollevò le sopracciglia. “Voi chi– Cosa volete?”

Le vide scambiarsi sguardi complici. Poi quella tra di loro che doveva essere la più grande – la stessa che aveva parlato – gli rivolse un sorriso luminoso, decidendosi a prendere la parola. “Posso darti un bacio?” domandò, arrossendo solo leggermente. 

Albus, sulle prime, sorrise vagamente. Solo dopo che ebbe realmente compreso il significato di quella frase si ritrovò a boccheggiare. “Che cosa?!” esclamò, esterrefatto.

… Queste sono matte.

La ragazza sospirò con aria tragica. “Ho perso una scommessa. Pensavo che avremmo perso, e Shailene” – indicò con aria vaga una delle sue amiche – “ha detto che se invece avessimo vinto dovevo dare un bacio al Capitano.”

… Pensava che avremmo perso?! Stronzetta.

Certa gente era completamente priva del naturale patriottismo nei confronti della propria Casa. Tuttavia, non aveva voglia di discutere ed era deciso a farsi benvolere dagli altri Grifondoro, considerata la sua pessima condotta nella squadra negli scorsi mesi.

Dopotutto, un bacio sulla guancia non gli avrebbe fatto alcun male.

“D'accordo,” concesse, chiedendosi per l'ennesima volta come si potesse fare una scommessa tanto stupida. 

Di nuovo, la ragazzina – neanche gli aveva detto come si chiamava – si scambiò uno sguardo con le sue amiche. Poi fece un sospiro profondo, come prendendo coraggio, si sollevò in punta di piedi e lo baciò sulle labbra.

Fu un contatto brevissimo e si concluse prima che riuscisse realmente a realizzae cosa stava accadendo. 

Albus era talmente esterrefatto da non sapere cosa dire, e la ragazza più imbarazzata di prima. Si dileguò nel giro di pochi secondi, biascicando qualcosa, seguita rapidamente dal corteo delle sue amiche.

Improvvisamente, Al sentì pizzicare la nuca, come se qualcuno lo stesse fissando.

Si voltò automaticamente verso Quinn, in tempo per vederla gettargli uno sguardo indignato e precipitarsi verso il ritratto della Signora Grassa.

Mollò la Burrobirra in mano allo studente più vicino e si precipitò alle sue calcagna, facendosi largo a spintoni fra tutte le persone decise a congratularsi con lui per la partita. Aveva smesso del tutto di pensare. Doveva raggiungerla e spiegarle della scommessa, che quella stupida l'aveva baciato solo per quello.

“Quinn!” esclamò nel corridoio. Si pose in ascoltò e udì l'eco lontano di passi di corsa.

Si accinse a seguirli a rotta di collo, precipitandosi come un matto giù per la scala a chiocciola. La inseguì per metà castello, riuscendo a fermarla solo dalle parti della Guferia. 

“Quinn.” La afferrò per un braccio. Lei non si divincolò, ma non disse nulla. Guardava in basso, come... come se si stesse sforzando per non piangere. “Quinn.” 

Ancora nulla.

“La prossima volta dammi un po' di vantaggio,” scherzò. Aveva il fiatone, in effetti: come se non fosse bastata la fatica della partita.

Se non altro, la sua battuta ebbe un effetto: Quinn si decise a rispondere. “Sei proprio un idiota,” gli si rivolse con voce nasale. “Quanti anni aveva quella lì? Dodici?”

“Non è come pensi–”

“Non mi interessa com'è.” Scostò bruscamente il braccio dalla sua presa. “Dopo tutto non c'è motivo per cui debba interessarmi, giusto?” 

Sbatté un paio di volte le palpebre. “Questo vorrebbe dire...” Si schiarì la voce. “Cosa vorrebbe dire?”

“Lascia perdere.” Lo sguardò di Quinn saettò per un momento sul suo volto, furioso, salvo poi tornare a guardare da un'altra parte.

Albus sentiva ancora il sapore del lucidalabbra alla ciliegia di quella ragazza sulle labbra. “Aveva perso una scommessa e doveva darmi un bacio,” esalò.

Quinn diede in una risata amara, guardandolo esterrefatta. “E tu hai pensato bene di accettare!” sbottò. Strinse le labbra fino a farle sbiancare; i suoi occhi erano socchiusi. “Sei perfino più idiota di quanto pensassi!”

“Pensavo che fosse sulla guancia!” tentò di giustificarsi.

“Pensavo che fossi una persona con un minimo di cervello.” Rincarò lei, voltandogli le spalle e incamminandosi per il corridoio.

“Quinn!” La chiamò Albus. “Aspetta...” Fece per seguirla, ma lei accelerò, scomparendo dietro l'angolo. 

Rimase immobile, come se qualcuno gli avesse gettato un Incantesimo della Pastoia. Una parte di lui avrebbe voluto inseguire Quinn per il corridoio, l'altra parte... Era cosciente che non avrebbe saputo cosa dirle.

Sentiva il senso di colpa gravare sul suo capo come una spada di Damocle. Stupidamente sollevò gli occhi verso l'alto, come nel timore che qualcosa stesse davvero per precipitargli addosso, e allora cominciò a camminare, dirigendosi automaticamente verso la Guferia. 

Entrando nella stanza, lo accolsero una folata di vento gelido e l'acre odore delle feci degli animali. Strinse il naso, ringraziando che il suo raffreddore gli impedisse di percepire di più la puzza. 

Solo dopo che si fu avvicinato ad una delle finestre scoprì di non essere solo.

“Brutta giornata, Potter?” Biascicò qualcuno da un angolo, con la voce di chi ha bevuto un goccetto di troppo. “E meno male che hai vinto la partita.”

“Chi è?” domandò stupidamente, voltandosi. Riconobbe con una certa costernazione Leopold Higg, il Serpeverde che aveva accompagnato Lily al Ballo.

“Io.” Lo udì dire. “Solo io.”

“Higgs.” Constatò, sempre più perplesso. Perché diamine era andato a ubriacarsi in Guferia? Il suo intento era quello, a giudicare dalla fiaschetta d'argento che stringeva nella mano sinistra. “Sei ubriaco?”

L'altro fece una smorfia. “Forse un pochino,” convenne. “Ma non quanto vorrei.” Il suo tono era una continua oscillazione fra suoni bassi e acuti. 

Sollevò le sopracciglia. “Credo che tu abbia... abbia bevuto abbastanza,” borbottò. In altre circostanze non avrebbe detto niente del genere, ma se Quinn avesse saputo che era stato così coscienzioso, magari l'avrebbe perdonato.

… Naturalmente non l'avrebbe saputo, perché lui non avrebbe raccontato di Higgs a nessuno. Specialmente perché – dopo il litigio con la Battitrice – il suo buon umore era sfumato di colpo, e un paio di sorsi da quella fiaschetta non gli sarebbero dispiaciuti.

Pur in quelle condizioni, Higgs sembrò capire cosa gli fosse balzato in testa. Sogghignò vagamente. “Perché vuoi bere tu, uhm?” Ridacchio. “Proprio no,” aggiunse, ma gli porse la fiaschetta.

Albus la prese e buttò giù una lunga sorsata. Si sarebbe aspettato del Firewhiskey, ma scoprì con sorpresa che si trattava di rum. 

Proprio da vecchio pirata.

Bevve un altro sorso, godendo del modo in cui l'alcool lo stava scaldando dall'interno. 

“Come mai vuoi bere, Potter?” fece Higgs. “Hai vinto la partita. Dovresti essere felici.”

Albus lo guardò. “Ho dei problemi con una ragazza,” rispose senza pensarci.

L'altro emise un profondo sospiro, guardandola con aria complice, seppure assai poco lucida. “Tutti hanno problemi con almeno una ragazza, Potter.” Replicò. “Tu pensi che io sia strafottente e antipatico?”

Dopo un altro sorso, Albus trovò quella domanda inaspettatamente buffa. Tuttavia non rise, sopraffatto da una improvvisa curiosità. “Perché me lo chiedi?” Il suo tono di voce cominciava a somigliare pericolosamente a quello di Higgs.

Diamine, questa... questa roba è più forte del Firewhiskey.

“Te l'ho detto, Potter,” sghignazzò Higgs, ma sembrava triste. “Tutti hanno problemi con una ragazza.”

 

 

*****

 

 

 

“Potrebbe non essere l'unica che sa troppo.” 

Tamara si svegliò improvvisamente, al suono di quella voce femminile. 

Era una voce nuova. Da quando era iniziata la sua prigionia, aveva sempre sentito parlare le stesse persone. 

Qualcuno parlava. Poteva udire le parole, attraverso la fessura sotto la porta. 

“Come fai a dirlo?”

Questa volta era stata Magdalena a parlare. 

Magdalena con le unghie lunghe e quella stecca di legno sottile che agitava verso Tamara, mormorando parole strane – e allora c'era il dolore. Tanto. Forte. Dappertutto.

“... Sua cugina ha paura per lei.” Di nuovo la voce nuova, ma Tam la udiva più distintamente di prima, come se si fosse avvicinata alla porta. Sembrava giovane. 

Una ragazza. Forse persino più piccola di lei, anche se la sua voce era calda ed enigmatica come quella di un'adulta.

“Ho sentito che ha avuto sogni premonitori e ha cercato di mettere l'altra in guardia.” 

Tamara udì Magdalena schiarirsi la voce. “Dunque si tratta di Oscurare i ricordi della ragazza. Pensi di esserne in grado?”

Non udì una risposta, ma l'altra persona doveva aver annuito, perché Magdalena proseguì.
“Qual'è il suo nome?”

Tam sperava che la ragazza restasse a lungo. Forse Magda avrebbe dimenticato di entrare nella sua cella, tentando di strapparle verità che non conosceva.

“Rose Weasley.”

 

 

 

 

 

 

 



 

¹ Per chi non avesse letto Gossip Witch oppure non ricordasse questo dettaglio, nel Natale del 2020 Lucy ha regalato a Scorpius un Diario Comunicante. Qui il capitolo in questione

 

 

 

 

Note dell'Autrice

Lo so. Lo so. Non c'è bisogno che me lo ricordiate. So che è passato più di un mese, ma ho avuto la maturità, guadagnato il mio diploma e studiato a tutte le ore del giorno. Comunque con questo (forse più con il successivo) ho dato il via ai capitoli finali. Difatti – e al pensiero da una parte mi si stringe il cuore, dall'altra sono felice – non mancano più di una decina di capitoli alla fine, senza contare epiloghi e affini. Dunque si entra nell'azione vera e propria, di cui questo capitolo dovrebbe essere il preludio.

Avrete notato che è esageratamente lungo. Il più lungo che io abbia mai scritto, direi.

Detto questo, bando alle ciance! 

È ora di postare. Buona lettura! :)

Bacioni, Daph

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Capitolo 36
*** Capitolo 35 - Fante di Picche ***





 


A che serve la previdenza? Il pericolo non si lascia mai vedere per intero.

Johann Wolfgang von Goethe, “I dolori del giovane Werther”

 

And the spies hide out in every corner

But you can’t touch them no
'Cause they’re all spies.

Coldplay



 

24 febbraio 2022

Archivio Magico Catalano, Barcellona

Prime ore del mattino

 

Al suo fianco, Ron soffocò uno sbadiglio.

Anche Harry si sentiva stanco morto – abbandonare il letto comodo della locanda in cui alloggiavano era stato un duro colpo, quella mattina – mentre si costringeva con tutte le proprie forze a tenere gli occhi aperti.

Una tazza di caffè, ecco quello che ci vorrebbe.

Non c'era stato tempo di fare colazione, quella mattina: i loro stomaci di tanto in tanto brontolavano sonoramente; tuttavia, la loro missione era troppo importante per permettere a qualsiasi cosa di distogliere da essa la loro attenzione. La Passaporta Internazionale che li avrebbe riportati in Gran Bretagna era fissata di lì a tre ore: dunque erano stati costretti a recarsi all'Archivio Magico di Barcellona molto presto.

“Dobbiamo prendere l'ascensore.” Il Capitano Mazu, al contrario di tutti loro, appariva ben sveglia e fresca come una rosa. I suoi capelli scuri erano raccolti dietro la testa in una crocchia severa cui non sfuggiva neanche una ciocca.

Si scambiò uno sguardo con Ron e Nott, prima di seguirla nell'ascensore spoglio; non appena l'agente Alcover ebbe premuto il pulsante di discesa – una sobria freccia che puntava verso il basso – le porte si chiusero ed esso inizio a scendere precipitosamente, dando loro l'impressione di star conducendo direttamente i suoi occupanti al centro della Terra.

L'Archivio Magico era collocato sotto le fondamenta della Sagrada Familia; il suo ingresso – con l'indicazione del luogo incisa in bella calligrafia su di un frontone di pietra – sarebbe apparso ai Babbani come un baracchino di bibite in disuso, aveva spiegato loro Aide.

“Gli Archivi dedicati alla Diablo si trovano molto in basso,” disse il Capitano, rompendo il silenzio denso dell'ascensore. “Sono inaccessibili ai civili e anche per noi serve un permesso speciale.” Questo Harry lo sapeva: avevano dovuto aspettare quasi un mese prima che il Ministero Catalano permettesse loro di visitarli.

In quei giorni avevano lavorato spalla a spalla con il Capitano Mazu e l'agente Alcover; Aide li aveva condotti in un meticoloso giro delle sedi in disuso della Diablo, sparse per tutta la Spagna, oltre ad aver raccontato loro tutto il possibile in proposito. Aveva spiegato l'organizzazione gerarchica della società criminale, oltre a riferire con abbondanza di dettagli tutto ciò che ricordava delle indagini da lei stessa effettuate al riguardo. Non le era permesso parlare di quelle che non aveva compiuto personalmente; essendo estremamente ligia alle regole e alquanto rigida nel rispettarle, aveva atteso che ottenessero il permesso prima di condurli nell'Archivio, dove avrebbero potuto trovare tutte le informazioni di cui lei non era in possesso.

Tuttavia, fino a quel momento non avevano ricavato granché da quella collaborazione: certo, adesso sapevano molte cose in più sulla Diablo e sulla loro organizzazione, ma non era abbastanza.

C'è qualcosa che continua a sfuggirci.

Cosa hanno a che fare Hogwarts, i Doni della Morte e i Babbani con tutto questo?

L'ascensore si arrestò con uno scossone e le porte si aprirono in un sinistro scricchiolio.

“Siamo arrivati,” comunicò l'agente Alcover.

Aide gettò loro un'occhiata, prima di precederli fuori.

Davanti ai loro occhi si spiegavano una serie di stretti corridoi ingombri di schedari, che ricordarono a Harry, più che la Biblioteca di Hogwarts, la Sala delle Profezie dell'Ufficio Misteri. L'aria era fredda, asettica; sapeva di disinfettante e stantio, come se la pulizia non bastasse per coprire del tutto l'odore stagnante del sottosuolo. Senza esitare, il Capitano li condusse fra gli scaffali, secondo un percorso tortuoso che Harry non riuscì a seguire, perdendo il senso dell'orientamento già alla quinta o sesta svolta.

Dopo parecchi minuti, nel corso dei quali i loro passi rimbombarono cupi nel silenzio polveroso dell'Archivio, Aide Mazu si arrestò improvvisamente. “Siamo qui.” Indicò loro uno degli stretti corridoi con un ampio gesto del braccio. “Tutto il materiale reperibile sulla Diablo. Naturalmente in Catalano.” Gettò a Harry un'occhiata strana, risoluta. “Io e l'agente Alcover possiamo fare da interpreti in qualunque momento.”

Lo sguardo che Harry si scambiò con gli altri due fu quasi una formalità: era già deciso.

Trascorsero parecchio tempo nell'Archivio, immagazzinando più informazioni possibile sui loro nemici – perché ormai era sempre più certo che la Diablo c'entrasse qualcosa – nell'inglese fluente del Capitano Mazu e in quello più zoppicante di Jordi Alcover.

Non ne ricavarono granché di utile, almeno in un primo momento. Chiaro era che la Diablo avesse filiali in diversi paesi europei – fra i quali la Gran Bretagna – ma non era specificato quali fossero; più volte l'attenzione di Harry fu attratta dalla frequenza con cui compariva un nome familiare – quello dell'ex-Mangiamorte Rowle, latitante ormai da anni e ritenuto innocuo, in quanto mai stato uno dei più pericolosi – ma, aldilà di questi scarni e discutibilmente probabili indizi, non emerse nulla di particolarmente importante dalla loro ricerca.

“Stiamo analizzando la questione da un punto di vista sbagliato.” Parlò Nott all'improvviso, in tono annoiato.

Le labbra di Ron, serrate, subirono uno spasmo. Harry da parte sua soffocò sul nascere il sospiro che gli era cresciuto nel petto, sorprendendosi nel provare un vago senso di sollievo. Fino a quel momento, le iniziative di Nott erano sempre state buone. Forse anche questa volta sarebbe stato risolutivo – magari avrebbe dato un senso a quel mese trascorso fuori dalla madrepatria, settimane che avrebbero di certo potuto occupare altrimenti.

“Che cosa intendi?”

Si raddrizzò sulla propria sedia, riassestandosi gli occhiali sul naso. Non avevano più molto tempo: la Passaporta sarebbe partita di lì a un'ora.

Anche Aide Mazu e Jordi Alcover stavano prestando a Nott la massima attenzione; per la prima volta, Harry capì che il caso interessava i catalani non meno di loro.

Gli occhi neri di Nott erano imperscrutabili, come sempre; la sua voce modulava ogni parola con sicurezza. Aveva un effetto calmante.

“Negli ultimi mesi ci siamo interrogati su quale fosse il filo conduttore di tutti questi elementi.” Fece una breve pausa, tamburellando due volte con le dita sul piano metallico del tavolo. “Sembra che possa essere la Diablo. Dunque soffermiamoci sugli obiettivi della Diablo, invece che cercare di capire inutilmente quante filiali abbia a Bristol o nel Galles.”

D'accordo, sarà risolutivo. Per la prima volta in tutta la sua carriera, Harry si sentì un pessimo Auror.

Tanto più che ci sono degli studenti di mezzo e fra questi c'è tua figlia.

Aide strinse le labbra. Fra lei e Nott passò uno sguardo strano, quasi di sfida. Poi, rigida, annuì. “Naturalmente.” Il suo accento catalano suonò più marcato, questa volta. Probabilmente era irritata e per questo aveva allentato appena la sua disciplina ferrea, permettendo al suo tono di assumere una cadenza nettamente ispanica. Durò solo un istante: quando riprese la parola, il suo inglese era tornato impeccabile. “Agente Alcover,” si rivolse al collega. “La documentazione.”

Jordi si alzò per recuperarla. Harry fu quasi certo di aver visto Nott sorridere sotto i baffi.

“Ecco qui.” Di nuovo, la voce del Capitano Mazu suonò estremamente professionale. “Questo è quanto abbiamo dedotto dalle indagini di parecchi anni fa, l'ultima volta in cui la Diablo ha agito su larga scala... E anche l'ultima volta che è sembrata avere uno scopo preciso.”

Harry si chinò a propria volta sulla cartellina che Aide aveva posato al centro del tavolo.

Era scritto tutto in catalano, a lui completamente incomprensibile, ma qualcosa riuscì a leggerlo benissimo. “Dunque è del 2011.” Aggrottò le sopracciglia. “Più di dieci anni fa.”

Aide annuì. “Esatto. A quel tempo non avevo ancora concluso l'Accademia di Polizia. Sono stata assegnata al dipartimento che si occupa della Diablo solo di recente.”

Harry si scambiò uno sguardo con Ron, che assottigliò gli occhi.

Ecco perché non vi ha parlato subito di questa documentazione. Non le è permesso parlare di casi di cui non si è occupata lei personalmente, ricordi?

La rigidità delle leggi Catalane lo lasciava sgomento, per certi versi.

“E non avete più scritto nessuna relazione riguardo agli scopi della Diablo?” domandò Nott, un sopracciglio inarcato in segno di perplessità.

“Certo che sì.” Il Capitano sostenne il suo sguardo. “Ma non ne abbiamo ricavato nulla di più importante che acquisizioni di grosse somme di denaro. Contrabbando, principalmente.”

Harry si sfilò gli occhiali, strofinando le lenti sul davanti della tenuta da Auror.

“Un punto interessante,” proseguì Aide, “sembra essere questo qui.”

Sporse il foglio verso di loro. Sia Ron che Nott allungarono il collo per guadare meglio, mentre Harry lo sollevava tra le dita. Naturalmente, nessuno di loro tre capì una parola di quanto scritto nella relazione, ma fu il Capitano stesso a informarli, mentre gli occhi di Harry scorrevano su quelle parole incomprensibili, tracciate a mano in una grafia fitta fitta.

“Parla di un artefatto magico.” Fece la strega, scostando dietro l'orecchio una ciocca scura, l'unica che era riuscita infine a sfuggire dalla sua crocchia. “Lo chiama Catalizzatore. Si tratta di un congegno... Non è specificato di che natura e sembra sia solo una leggenda.” Lo guardò dritto negli occhi. “Qui c'è scritto che potrebbe controllare tutta la Magia, ma per innescarlo è necessario un oggetto magico di grande potenza, come ad esempio la Pietra Filosofale o i leggendari Doni della Morte. Inoltre il rituale di innesco dev'essere svolto in un luogo particolare. Dev'essere un suolo pieno di energia magica.”

I Doni della Morte.

Nei volti di Ron e Nott, Harry vide impresso il suo stesso orrore.

Un suolo pieno di energia magica. Hogwarts.

Improvvisamente, la maggior parte dei pezzi sembrarono scivolare lentamente al loro posto.

Percepì distintamente Ron, al suo fianco, subire un singulto. “Harry, devi subito avvertire Al.” Sembrava a dir poco agghiacciato. “Bisogna dirgli di mettere al sicuro il Mantello.”


 

*****

 

24 febbraio 2022

Sala Grande, Hogwarts, Scozia

Più tardi

 

Albus Potter si era svegliato di pessimo umore quella mattina.

Per prima cosa, quella notte non aveva dormito bene. Aveva fatto un brutto sogno, in cui Quinn dava le dimissioni dalla squadra e perdevano la finale contro i Corvonero – il sogghigno di Georgia Menley era stata l'ultima cosa che aveva visto prima di svegliarsi. Dalla loro ultima discussione, lui e la Battitrice sembravano aver raggiunto un nuovo, fragile equilibrio, fatto di cortesie innaturali e parole inquietantemente pacate.

La quiete prima della tempesta. O dopo, come in questo caso.

Non c'era motivo di temere che Quinn lasciasse la squadra, dopotutto: era arrabbiato con se stesso per essersi lasciato influenzare in quel modo da uno stupido, stupidissimo sogno.

Come se non bastasse, quando – saltato in piedi in piena notte dopo il suo incubo – aveva cercato il Mantello dell'Invisibilità per una capatina alla cantina di Mielandia, di esso non c'era traccia. Lì per lì, aveva pensato di essere troppo stanco per cercare meglio e si era rimesso a letto, riaddormentandosi di colpo.

Il pensiero l'aveva colto improvvisamente quella mattina, tra un mal di testa da sonno insufficiente e l'altro. Si era precipitato a frugare in ogni meandro del baule, ma del Mantello neanche l'ombra. Aveva pensato che Lily l'avesse preso senza chiedergli il permesso – non era certo la prima volta – salvo ricordare che ormai da quasi due mesi in pratica non aveva più una sorella. Era piuttosto sicuro che Lily non avrebbe preso il Mantello, adesso che i rapporti tra di loro tendevano all'inesistenza.

Poteva essere stata Lucy, o Hugo – rifletté al tavolo della colazione, ingurgitando una forchettata di uova e pancetta. Non era per nulla improbabile – il Mantello sembrava essere proprietà dell'intero clan Potter-Weasley, negli ultimi tempi; decise che, non appena avesse incrociato l'uno o l'altro per i corridoi, avrebbe chiesto delucidazioni in merito.

Bevve un bicchiere di succo di zucca, sperando che riuscisse a placare almeno un po' la sua emicrania. Ovviamente, non ottenne nessun risultato. Sopra la sua testa, il cielo era plumbeo e tempestoso, sempre più scuro. Pensò a Rose, che con ogni probabilità avrebbe dovuto sostenere la Seconda Prova sotto un temporale.

La giornata era cominciata male e sembrava avere tutte le intenzioni di peggiorare ulteriormente.

Lasciò scorrere lo sguardo lungo il tavolo di Grifondoro, cercando Lucy. Della testa castana di sua cugina, tuttavia, neanche l'ombra. I suoi occhi incapparono in Quinn, che lo guardava di sottecchi, i capelli ricci raccolti in un nodo in cima alla testa.

Con un sussulto, notò che aveva qualcosa di diverso. Forse si era truccata, perché i suoi occhi sembravano più grandi e il suo viso più femminile.

Distolse lo sguardo prima che i suoi occhi scivolassero sulla sua scollatura. Accadeva un po' troppo spesso, ultimamente.

E sarebbe meglio evitare di minare il nostro rapporto più di quanto non abbiamo già fatto.

Le sorrise, esitante. Quinn ricambiò, incerta, tradita dalle sopracciglia aggrottate. Ad Albus venne un improvviso desiderio di spianare con i pollici la sua espressione, ma si affrettò a sopire quel bisogno così stupido. Il suo stato d'animo scalò parecchie posizioni nelle classifiche dell'orrido, passando da nervoso e facilmente irritabile a sconsolato e irreparabilmente depresso.

Lo stomaco chiuso, allontanò il piatto. Diede un'occhiata al tavolo di Serpeverde, in tempo per intravvedere Lily e Jacob scambiarsi un bacio rapido e percepire il proprio stomaco stringersi in un nodo nauseante. Rose non c'era: era già stata chiamata alla Tenda dei Campioni.

Bernard sedeva da solo a giocherellare con la forchetta; il suo sguardo dirottava di tanto in tanto in direzione di Christine De Bourgh, in un modo che ad Albus ricordò molto come lui guardava Quinn.

Si sentì molto stupido.

Di Scorpius, non c'era traccia.

Sospirò, decidendosi ad alzarsi in piedi, dopo essersi accertato di avere il suo pacchetto di sigarette Babbane al sicuro nella tasca interna del mantello. Attraversò lentamente la Sala d'Ingresso, esasperato dal senso di languore, pigrizia e intorpidimento che si sentiva addosso.

Accolse il freddo del parco con gioia, sperando che la pioggia leggera riuscisse a dargli una svegliata. Di certo l'aria gelida lo fece sentire rinvigorito, mentre i capelli neri si inumidivano al tocco lievissimo delle gocce d'acqua che precipitavano dal cielo. Raggiunse con calma lo spiazzo dietro al capanno delle scope, dove la piccola area di terra battuta era ridotta in fanghiglia. Abituato com'era alla melma – per il Quidditch, ovviamente – non ne fu particolarmente infastidito; accese una sigaretta con la punta della bacchetta magica, mentre la sua mente sembrava rilassarsi e svuotarsi di colpo.

La prima boccata scivolò leggera tra le sue labbra, disperdendosi a fatica nell'aria umida e densa.

“Potter,” disse una voce, “anche oggi ti dai ai vizi?”

Sussultò, colto di sorpresa. Non aveva riconosciuto quella voce, forse – come scoprì quando si voltò – perché, l'unica volta che l'aveva udita per più di cinque secondi di fila, il suo proprietario era sbronzo perso.

Gli occhi di Leopold Higgs luccicavano di qualcosa che Al non riconobbe – sfida, forse? – e le sue labbra erano incurvate in un sogghigno provocatore.

“Non sarei l'unico,” replicò con una scrollata di spalle, lasciando che il fumo rotolasse ancora via dalle proprie labbra. “Che fine ha fatto la tua fiaschetta?”

Higgs continuò a sorridere, imperturbabile. “A proposito di quella fiaschetta.” Quasi inquietante, doveva ammettere Albus. “Spero che tu non abbia fatto parola con nessuno dell'episodio.”

Le sopracciglia di Al si sollevarono. “Certo che no. Non sono un idiota.”

L'altro fece una smorfia. “Sei un Grifondoro. È più o meno la stessa cosa.”

Si sforzò di non sentirsi offeso e di resistere alla tentazione di rispondere a Higgs per le rime – vi riuscì. Dopotutto, non aveva la minima intenzione di dargli soddisfazione.

“Che ne dici di tutti hanno problemi con una ragazza, Higgs?” lo interpellò calmo, senza   cercare di nascondere una vena vagamente trionfante nel tono di voce. “Anche questo deve rimanere un segreto o posso dirlo a tutti?”

Il ghigno del Serpeverde sembrò congelarsi sulle sue labbra – solo un pochino.

Non poco soddisfatto, Albus diede un altro tiro della sua sigaretta, aspettando che Higgs facesse la sua mossa – perché l'avrebbe fatto, aveva abbastanza esperienza di persone della sua Casa per saperlo. Dopo parecchi secondi di silenzio stagnante, iniziò a pensare che forse l'altro non aveva più nulla da giocare.

“Sai Potter,” lo udì dire poi. “Forse è vero che non sei un idiota.”

“Tu invece sei veramente antipatico e tronfio.”

Leopold ridacchiò; Albus non avrebbe saputo dire se si fosse offeso o meno. “Non sei il primo a dirmelo.”

Fece una smorfia. “C'è un motivo, magari.”

Si lanciarono uno sguardo. D'intesa, quasi.

“Forse,” convenne il Serpeverde.

 

*****

 

Pioveva leggermente. Le colline del parco di Hogwarts erano accarezzate da una pioggerellina sottile, simile ad un fruscio, che tamburellava lieve sulle loro teste.

Marcus vide Holly serrare le labbra in una smorfia infastidita, spostando dietro l'orecchio una ciocca di capelli che le gocciolava sulla fronte. Louis camminava un metro avanti rispetto a lei; ogni tanto li vedeva scambiarsi degli sguardi.

Decisamente: era più di un mese che qualcosa non andava. Lo Spezzaincantesimi se n'era accorto fin da subito, ma in principio aveva cercato di convincersi di essersi sbagliato – almeno finché i segnali non erano diventati troppo espliciti perché fosse possibile ignorarli.

C'era qualcosa di particolare nel modo in cui i due Auror si sfioravano, una fisicità diversa, come se fossero stati abituati alla vicinanza dei loro corpi e la vivessero con una naturalezza particolare.

Era accaduto qualcosa tra di loro – Marcus ne era assolutamente certo.

Una raffica di vento si sollevò, inondandoli dell'umido sentore della pioggia. Mentre camminava, chino in avanti contro quella folata gelida, rifletté che, dopotutto, non c'era motivo per cui davvero questo avrebbe dovuto interessargli. In fin dei conti, nonostante Holly gli fosse sempre piaciuta, non si era mai illuso in proposito – erano troppo diversi, o forse troppo simili, per riuscire ad andare veramente d'accordo su qualcosa.

Tuttavia, non poteva fare a meno di sentirsi infastidito, come se Weasley avesse contaminato in qualche modo qualcosa che non era mai esistito ma che apparteneva a lui.

I suoi occhi scivolarono sulla figura di Holly – le guance arrossate dal freddo, l'espressione concentrata, sempre così innamorata del proprio lavoro – ma si affrettò a distogliere lo sguardo, preferendo posarlo sul cielo compatto e quasi spugnoso.

Non aveva senso soffermarsi troppo a pensare a qualcosa che comunque non poteva avere, giusto?

Weasley, per una volta, non era allegro e ridanciano come al solito. Anche la sua espressione appariva tesa, il suo volto contratto in una smorfia che non riusciva minimamente a rendere sgradevoli i suoi lineamenti da mezzo-Veela. Una bellezza che Marcus – sebbene fosse cosciente di non essere affatto un brutto tipo – non avrebbe mai potuto eguagliare.

Erano dovuti uscire dai loro appartamenti prima del previsto, quella mattina. Secondo i piani originari, si sarebbero dovuti limitare a descrivere il perimetro dell'arena durante la prova, attenti a qualsiasi movimento sospetto. Tuttavia, il signor Potter li aveva contattati un'ora prima via Metropolvere con istruzioni diverse.

Abbiamo scoperto qualcosa di importante.” Aveva detto. Il suo volto, fra le fiamme verdi del caminetto, era parso a Marcus stanco e sbattuto, come se il suo proprietario non si fosse fatto da un pezzo una bella notte di sonno.

Loro tre, ammassati davanti al caminetto, erano attentissimi alle parole dell'Auror.

Il signor Potter si era rivolto a Louis. “C'è qualcosa di molto urgente che dovete fare.” Il tono era sbrigativo, ansioso; Marcus si era sentito pervaso da una vaga nota d'inquietudine. “Raggiungete Al il prima possibile. Fatti consegnare il Mantello dell'Invisibilità... Lo terrete in custodia fino al mio arrivo.”

Perplessi e sorpresi, si erano guardati gli uni con gli altri, per poi mettersi in moto immediatamente alla ricerca di Albus Potter. Per prima cosa avevano controllato nella Sala Comune di Grifondoro – per fortuna Weasley sembrava avere cugini in ogni meandro del castello e non aveva avuto difficoltà a domandare se Potter si trovasse lì.

Si erano dunque recati in Sala Grande, dove una ragazza di Grifondoro – aveva capelli ricci e l'espressione più burbera che Marcus aveva mai visto – aveva comunicato loro in un borbottio di averlo visto dirigersi verso la Sala d'Ingresso.

Le sopracciglia di Louis si erano aggrottate per un momento, poi aveva stabilito con sicurezza che probabilmente il cugino era andato a fumarsi una sigaretta in un angolo riparato del parco.

Non si era sbagliato.

Dietro al capanno delle scope, era distinguibile il fumo di una sigaretta che aleggiava nell'aria imbevuta di umidità. Aguzzando lo sguardo nella pioggia – che iniziava a farsi scrosciante e sempre più fitta – Marcus riuscì a intravvedere due figure scure, riparate sotto la piccola tettoia sul retro del capanno.

Pur nella tensione – che era scivolata su di loro istintivamente, quasi senza un vero motivo – fu possibile vedere un lieve sorriso trionfante aprirsi sul volto bagnato di pioggia di Louis.

“Eccolo lì,” fece. Holly annuì, rigida; Marcus non disse niente.

 

Quando Albus si vide venire incontro suo cugino Louis in compagnia della sua collega Auror e di un altro tizio che non conosceva, si sentì improvvisamente assalito da un brutto presentimento. Higgs, ancora al suo fianco sotto la piccola tettoia, gli gettò un'occhiata interrogativa; probabilmente, lo sgomento di Al era trapelato dalla sua espressione.

Hanno scoperto a che punto sono arrivate le nostre indagini. Fu il suo primo pensiero. Se davvero fosse stato così, sarebbero stati in guai seri. Rischiava di passare per mancanza di collaborazione con le forze dell'ordine. Dannazione.

L'espressione di Louis era estremamente seria, così come quella degli altri due. C'era qualcosa che non andava, era evidente.

Attese in trepidazione che lo raggiungessero.

“Ciao, Al,” fece Lou. Il suo tono era tranquillo, ma le sopracciglia aggrottate e la bocca stirata in una smorfia. La ragazza bionda al suo fianco – Holly Greengrass, Capitano di Grifondoro diversi anni prima – aveva un'aria grave. Era molto carina, con lunghe gambe e un'aria da Barbie – quelle bambole Babbane con cui giocava Lucy qualche volta, quando era una bambina.

L'altro ragazzo aveva un'aria familiare: se la memoria non lo ingannava, aveva giocato nella squadra di Serpeverde quando Louis era ancora a scuola. Era ben piazzato, con tutti i muscoli che Albus aveva sempre desiderato avere.

“Ciao, Lou,” rispose, cercando di suonare rilassato. “Cercavi qualcuno?”

Il cugino scrollò le spalle. “Cercavo te.”

Deglutì. “Dimmi, allora.”

Vide Louis scambiarsi uno sguardo con la ragazza, la quale annuì appena, come accordandogli il permesso di riprendere la parola. Probabilmente, le aveva domandato di poter parlare anche davanti a Higgs.

Dev'essere lei a comandare.

In fondo è logico. Diritto d'anzianità.

“Tuo padre ci ha contattati questa mattina.” Louis lo guardò dritto negli occhi, e Albus si sentì vagamente sollevato. Suo padre non poteva avere idea delle indagini che avevano portato avanti per conto loro, giusto? “Dovresti consegnarci il Mantello.”

Non riuscì a trattenere un singulto.

Sulle prime, si limitò a chiedersi perché a suo padre servisse il Mantello dell'Invisibilità. Poi si rese conto che dopotutto era uno dei Doni della Morte; poiché gli altri due erano stati rubati, probabilmente voleva metterlo al sicuro.

Solo dopo parecchie manciati di secondi realizzò che non vedeva il Mantello da un bel pezzo.

Louis – così come gli altri due – dovette accorgersi che qualcosa non andava, perché sbiancò. “Albus,” disse in fretta, “tu hai ancora il Mantello dell'Invisibilità?”

“Stamattina l'ho cercato.” Parlò con voce strozzata. “Non c'era. Ho pensato che l'avesse preso Lucy, o Hugo.”

“Lo troverà.” Fu la ragazza a parlare, nel tono di chi cerca di convincersi disperatamente di qualcosa. “Basterà cercare meglio.”

Cercò di sentirsi rincuorato – fallì. “Certo.” Assicurò. “Lo cercherò meglio.”

Ma dentro di sé, sapeva con insidacabile e devastante certezza che non l'avrebbe trovato.

 

*****

 

How to be brave,

How can I love when
I’m afraid to fall
But watching you stand alone

All of my doubt suddenly goes away

Somehow one step closer

Christina Perri

 

24 febbraio 2022

Tenda dei Campioni, Foresta Proibita, Hogwarts

Prima dell'inizio

 

Avrebbe finito per consumare il tappeto della tenda a furia di camminarvi avanti e indietro. Quella mattina li avevano prelevati prima della colazione per portarli all'arena, ben nascosta al limitare della foresta proibita; avevano disposto un pasto leggero per loro, una volta lì, ma Rose non era riuscita a toccare cibo.

Le sembrava che qualcuno avesse preso il suo stomaco per poi annodarlo strettamente. Il fiato sfuggiva tra le sue labbra in respiri irregolari, mentre il suo cuore dava strani scarti e brusche accelerate.

Se la Prova non comincia presto, potrei morire di paura.

Ancora non avevano spiegato ai tre Campioni in cosa sarebbe consistita con esattezza: da una parte Rose avrebbe voluto saperlo già da un pezzo, dall'altra provava un curioso desiderio di ritardare il più possibile il momento della consapevolezza.

La pioggia continuava a pichiettare sulla stoffa della tenda.

Guillome sembrava abbastanza rilassato, anche se il suo nervosismo era tradito dal modo in cui continuava a tamburellare ritmicamente con il piede contro il suolo. Natal'ja, invece – dopo essere stata ferita durante la Prima Prova – era pallidissima, molto meno tranquilla di quanto non le fosse parsa la volta precedente, con un'aria sbattuta sotto i capelli biondi raccolti in una conda alta. Stringeva le labbra talmente forte da farle sbiancare e tremava leggermente.

Vederla così le strinse un po' il cuore.

La russa era sempre stata gentile con lei; si sentiva un po' in colpa a non essere in grado di sostenerla psicologicamente come – ne era certa – Natal'ja avrebbe fatto al suo posto.

Ma siamo pur sempre avversarie.

Nonostante si fosse esercitata con il suo Patronus fino alla nausea, non riusciva a non temere che qualcosa andasse storto, che trovandosi di fronte al Lethifold o ad un'altra di quelle orribili creature sarebbe andata in panico. Continuava a chiedersi per quale capriccio del destino il Calice avesse scelto proprio lei, una Serpeverde vigliacca che non aveva mai veramente desiderato essere la Campionessa di Hogwarts.

O forse l'hai desiderato eccome.

Forse non chiedevi altro che redimerti, che trovare un modo di farti valere.

Proporsi per il Torneo era stata una delle cose più stupide che aveva fatto nella sua vita – ma forse anche una delle più coraggiose.

Come sono sciocca.

Deglutì, lasciandosi cadere pesantemente sulla brandina che le era stata destinata. Si sentiva spaventosamente piccola e misera di fronte all'enormità della vita e all'incredibile varietà delle sensazioni che l'animo umano poteva provare.

Pensò a Scorpius. Se lui fosse stato lì, si sarebbe sentita rassicurata, forse – prima. Adesso non erano amici: non erano niente. Forse non sarebbero stati qualcosa mai più.

I battiti del suo cuore accelerarono, mentre una strana morsa l'afferrava all'altezza dello stomaco – simile a rimpianto.

Mai più.

Di punto in bianco, la colse un pensiero inaspettato. Se conosceva bene Scorpius – e credeva che fosse così – lui avrebbe trovato un modo di parlarle prima della Seconda Prova, nonostante fossero settimane che non si guardavano neanche in faccia.

Ripensò alle sue parole, il giorno in cui lui l'aveva aiutata a produrre il suo Patronus: “E la cosa più brutta è che ad una parte di me va bene anche così.”

Scorpius non l'avrebbe abbandonata. Non l'avrebbe mai fatto.

Si alzò bruscamente, le sopracciglia aggrottate, dirigendosi con decisione verso l'entrata posteriore della tenda, socchiusa sulla Foresta Proibita umida di pioggia. Sapeva di avere addosso gli sguardi perplessi degli altri Campioni, ma non le importava.

Mentre scostava la stoffa per uscire, aveva il cuore in gola. Si guardò intorno trepidante, tra gli alberi immersi nel grigiore, convinta ma non del tutto.

Poi lo vide. Si era riparato sotto un albero, che però non bastava a trattenere la pioggia: ciocche fradicie di capelli di un biondo molto chiaro erano attaccate alla sua fronte. Aveva l'aria intirizzita; una mano era sprofondata nella tasca del mantello, l'altra si sollevava con frequenza verso la bocca, stringendo una sigaretta tra le dita e liberando boccate di fumo nell'aria ghiacciata.

Era nervoso: doveva aver chiesto da fumare ad Albus o Jacob, perché lui solo molto raramente lo faceva.

“Scorpius.” Le uscì di gola in un mugolio strozzato.

Lui alzò lo sguardo, con l'aria di chi sapeva perfettamente che lei fosse lì – stava solo aspettando un suo segnale. Non si mosse. Si limitò a guardarla attraverso la cortina di pioggia grigia, mentre i suoi occhi sembravano esprimere più cose di quante non ne avrebbero potute dire a parole.

Rose deglutì e si avvicinò a lui a passi decisi, ignorando la pioggia che le scorreva in rivoli lungo le pieghe della tuta indossata per la Seconda Prova – nera, con le cuciture rinforzate e l'emblema di Hogwarts sul petto.

Si fermò solo quando a separarli non rimase più che mezzo metro. Il respiro si condensava in nuvolette di vapore davanti alle loro bocche, subito disperse dalle gocce d'acqua che precipitavano dal cielo.

Scorpius lasciò cadere la sigaretta sul suolo fangoso. La pioggia ne soffocò subito la fiamma.

“Come ti senti?” le chiese. Il suo tono di voce era neutro, quasi annoiato – ma era lì, era lì per lei.

Lo guardò dritto negli occhi, mentre il suo cuore non voleva saperne di rallentare i battiti. “Ho paura,” rispose sinceramente. “Ma credo che sia normale.”

Lui annuì. Per alcuni istanti, vi fu silenzio, rotto solo dal tamburellare costante della pioggia. “Ti stai fradiciando.”

Le venne da sorridere. “Anche tu. Da un bel pezzo, si direbbe.”

Scorpius la guardò. Per un momento, sembrò quasi arrabbiato. “Immagino che tu sappia che c'è un motivo per cui sono qui.” Sospirò. “Non è per essere tuo amico. Non perché tu abbia qualcuno con cui parlare, o da baciare solo perché l'ha detto una bottiglia.”

Le mancò il fiato; fu costretta a restare alcuni istanti in silenzio prima di riuscire a recuperare abbastanza ossigeno da poter parlare. “Lo so.” La voce le uscì sottilissima, simile ad un pigolio. “Spero che sia per perdonarmi.”

Lui emise uno strano sbuffo, simile a una risata. Le sorrise, ma di un sorriso triste. “Non capisci proprio, vero?” Strinse le labbra. “Qualsiasi decisione tu prenda, io finirò per accettarla. Per accettarti.” La guardò dritta negli occhi. “Non posso fare a meno di esserci sempre, per te.”

Rose abbassò lo sguardo. Le lacrime le premevano contro le palpebre, spingendosi le une con le altre per fare capolino oltre le ciglia. Pensò che, se anche avesse pianto, si sarebbero confuse con la pioggia e non sarebbe stata una cosa così grave.

Per questo tornò a guardarlo dritto negli occhi.

Devo essere coraggiosa. Devo essere una persona migliore.

“Lo so.” Non si sarebbe aspettata che la propria voce potesse suonare così decisa, quasi stampata sul sottofondo della pioggia. “Adesso l'ho capito.” Si fece forza, cercando di imprimere nel proprio sguardo tutto quello che provava. “Ho capito di essere stata una codarda. Non riuscivo... Non riuscivo ad accettare che qualcuno potesse apprezzarmi incondizionatamente. Vedi,” deglutì, “spesso fatico a trovare del buono in me... Praticamente sempre, in realtà.” Non riuscì a impedire a una lacrima di rotolarle lungo la guancia. “Non dico questo per giustificarmi. Io–”

Scorpius le posò l'indice sulle labbra, come a dire che non c'era bisogno di altre parole. Aveva le dita fredde. “Hai detto non riuscivo.” Mormorò. “Adesso ci riesci?”

“Sì,” confermò, guardandolo con il mento sollevato. “Perché adesso anche io capisco cosa voglia dire amare incondizionatamente. Provare una felicità così spiazzante da mettere paura.” Si sporse in avanti, afferrando la sua mano. “Per questo adesso so produrre un Patronus, Scorpius. Sono innamorata di te.”

Non aveva mai pensato che quelle parole potessero suonare così vere e dolci, pronunciate dalla sua bocca.

Scorpius era rimasto immobile, guardandola dall'alto dei centimetri che li separavano con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse, come non riuscendo a credere nelle proprie orecchie. “Tu...” Deglutì.

Si mordicchiò il labbro, annuendo. “Sì,” esalò.

Lui non sorrise. Si limitò a fissarla negli occhi, con uno sguardo estremamente intenso. Lasciò scivolare le mani attorno al suo volto, affondando le mani fredde nella massa di capelli bagnati di pioggia. Le sollevò il viso, chinandosi verso di lei.

“Anche io sono innamorato di te,” sussurrò a un centimetro dalle sue labbra.

Le sembrava che il suo cuore potesse esplodere, di una felicità meravigliosa e dolente.

Il mio pensiero felice.

Lui si chinò ancora – o forse fu lei a sollevarsi sulla punta dei piedi.

Le loro labbra si incontrarono. Per un breve, incantevole momento.

“Rose!”

Sobbalzò, voltandosi verso la tenda. La testa di suo zio Percy spuntava dalla tenda, la bocca serrata in una smorfia di disapprovazione.

“Arrivo subito!” Replicò in fretta.

Gettò un'occhiata a Scorpius. Lui le sfiorò le labbra con le proprie – per un istante solo. “Ci vediamo dopo,” mormorò, prima di dileguarsi tra gli alberi.

Rimase lì per una frazione di secondo, fissando il punto in cui l'aveva visto scomparire.

Poi, euforica, rientrò nella tenda, sentendosi meravigliosamente leggera.

 

I will be brave,

I will not let anything take away

What’s standing in front of me

Every breath, every hour

Has come to this
one step closer.

Christina Perri

 

*****

 

I was just guessing at numbers and figures,

Pulling your puzzles apart.

Coldplay

 

24 febbraio 2022

Arena della Seconda Prova, Hogwarts

Poco dopo l'inizio

 

Bernie si faceva strada a spintoni nel marasma di gente urlante che affollava gli spalti. La pioggia cadeva battente sulle loro teste; fra il pubblico, nonostante i molti ombrelli che il vento aveva prontamente rovesciato, non c'era nessuno che non fosse completamente zuppo.

Continuò a farsi largo a gomitate, le orecchie piene delle grida e delle incitazioni dei tifosi per il Campione di Beauxbatons, che per primo stava affrontando la prova. Bernie non aveva gettato neanche uno sguardo verso l'arena; finché non si trattava di Rose, non gli interessava granché cosa stesse accadendo lì sotto – sempre che uno degli altri due Campioni non finisse per rimetterci la pelle.

Fino a pochi minuti prima, stava con Jacob, seduto al loro posto in cima agli spalti. Aveva atteso con lui fino all'arrivo di Scorpius – gocciolante, in ritardo e inspiegabilmente allegro – per poi dileguarsi con una scusa che, ne era certo, nessuno dei due si era bevuto.

La verità era che non aveva voglia di stare lì. Non voleva vedere la Seconda Prova, osservare i Tre Campioni scontrarsi con tutte quelle creature disgustose.

Decise di salire in cima, sugli spalti più alti, meno affollati di gente. Lì sarebbe riuscito a muoversi con più facilità, era indubbio. Fu costretto a procedere controvento, mentre grandi folate non facevano altro che sbattergli in faccia secchiate di pioggia gelida.

Giunto a destinazione, aveva il fiatone ed era – se possibile – ancora più zuppo di prima. Si scostò un ciuffo gocciolante dalla fronte, chiedendosi per quale dannato motivo dovesse piovere a quella maniera proprio il giorno meno appropriato.

Era immerso nei propri pensieri quando il suo sguardo cadde su una figura familiare.

Christine sedeva in cima alle gradinate, a pochi metri da lui, senza dare segno di aver notato la sua presenza – il che era comprensibile, nel fracasso della pioggia scrosciante. Come ogni giorno delle due settimane che aveva trascorso lontano da lei, nel vederla si sentì combattuto tra il desiderio di baciarla furiosamente e quello di urlarle in faccia tutta la propria frustrazione.

Non fece nessuna delle due cose. Spinto da un irrefrenabile istinto, percorse con calma la distanza che li separava, camminando placido sotto l'acqua che cadeva a secchiate.

Giunto al suo fianco, si lasciò cadere sul sedile di legno fradicio accanto a quello che lei occupava.

Finalmente, Christine si accorse della sua presenza. Lo guardò, vagamente sorpresa, da sotto un sopracciglio inarcato. “Ciao, Bernard,” disse in tono rilassato. Come se niente fosse, come se non avessero mai litigato né la cosa tra loro si fosse mai interrotta.

Questo lo fece sentire sollevato. Capì che gli era mancato il modo in cui la ragazza pronunciava il suo nome, con quel tono così da bambina viziata.

“Ciao, Christine.” Sospirò, poggiando la schiena alla gradinata senza cercare di ripararsi dalla pioggia. Dopotutto, più bagnato di così non avrebbe potuto essere neanche impegnandosi.

Lei lo guardò. Anche i suoi capelli erano bagnati: correvano come serpenti scuri lungo il suo volto, gocciolando lentamente sul mantello.

Ci prenderemo tutti una polmonite.

Aveva gli occhi leggermente bistrati di nero, come se la pioggia le avesse sciolto in parte il trucco. Bernie la trovò più vera che mai e bella come non l'aveva mai vista, neanche al Ballo del Ceppo.

Era pallida, naturalmente, con gli occhi cerchiati di occhiaie. Ma non si era aspettato niente di diverso, e in un certo senso gli piaceva come le stava addosso quell'aspetto così fragile, come se uno scroscio di pioggia un po' più forte avesse potuto scioglierla.

Ma Christine non era debole – affatto. Non lo era quando gli artigliò il polso con le dita sottili, guardandolo con i suoi soliti occhi colmi di impertinenza e spregiudicatezza. Quegli occhi così sicuri, che sembravano dire “tanto l'avrò vinta io, anche contro di te”.

Contrariamente al solito, la ragazza impiegò alcuni istanti prima di decidersi a parlare. “Cosa fai qui, Bernard?”

Scrollò le spalle. “Guardo la prova, forse?”

Lei rise amaramente. “Ti si legge in faccia che non vedi l'ora di andar via.”

“Smettila di fare così.”

“... Perché, non è vero?” Sogghignò. “E dove vorresti andare, Bernard Boot?”

In dormitorio. Con te.

Non era il caso di esprimere quel pensiero ad alta voce. Se pure Christine gli aveva letto in faccia anche questa volta, non disse nulla in proposito.

Deglutì. “Non lo so.” Spostò lo sguardo sulla figura lontana del Campione di Beauxbatons, intento ad affrontare un Quintaped sotto la pioggia battente – lontano, tra gli alberi. “Forse volevo parlare con te.”

Lei lo guardò. La sua espressione tremolò per un momento prima di ricomporsi. “Non mi è parso che avessi questo grande desiderio di parlarmi nelle ultime settimane.”

Bernie fece una smorfia. “Oh, non dire stronzate.” Sbuffò. “Sai benissimo che non ho pensato ad altro.”

Quella frase gli era scappata prima che potesse trattenersi; non avrebbe voluto che Christine sapesse quanta importanza lui gli stava dando... Ma probabilmente, lei lo sapeva benissimo.

E poi cosa mi importa?

Che lei voglia o meno, sono coinvolto.

“Questo mi lusinga.” Dal suo tono, non avrebbe saputo dire se lo stava prendendo in giro o meno. Credeva di no, comunque. “Che cosa vuoi sapere?”

La guardò dritto negli occhi. “Quello che ti sta succedendo.”

“Ti ho già detto che non ho bisogno–”

“So cosa hai detto.” La interruppe. “E penso sia una bugia.” 

Christine strinse le labbra. Bernie si accorse di avere le pulsazioni accelerate: si rese conto che si stava ripetendo lo stesso schema dell'ultima volta che avevano parlato, finendo per litigare. Realizzò che doveva impedire che accadesse di nuovo, se voleva ottenere un risultato da quella conversazione.

“Perché non vuoi parlarmene?” mormorò sul sottofondo della pioggia e del vento che mugghiava contro gli spalti.

Lei lo guardò. I suoi occhi scuri avevano un'espressione strana, quasi dolente. “Perché non voglio coinvolgerti,” mormorò di rimando.

“Non capisci?” Bernie deglutì. Il bisogno di baciarla si faceva sentire sempre più forte. “Non puoi decidere per me. Non puoi controllarmi come controlli tutti gli altri.”

Le sopracciglia di Christine si aggrottarono. “Se davvero avessi il controllo su tutto, sarebbe molto più semplice.” Probabilmente voleva contraddirlo con una simile affermazione, ma Bernie ebbe l'impressione che, in realtà, stesse convenendo con le sue parole.

“Non lo hai.” Sospirò. “Il controllo, dico.”

Lei annuì, senza dire niente. Il suo sguardo adesso era fisso su un punto lontano, nel cielo grigio e tempestoso.

“Non voglio rinunciare ad aiutarti.” Adesso il suo cuore batteva ancora più forte, rimbalzando furioso contro la cassa toracica. Le parole sgorgavano da sole tra le sue labbra, senza che lui potesse – o volesse – trattenerle. “Non se questo significa rinunciare a te.”

Christine sussultò, sollevando di scatto lo sguardo su di lui. “Non ero la stronza, una volta? Quella di cui nessuno vuole essere amico?”

Deglutì. “Vedi, Christine, io non voglio essere un amico.”

Le labbra di lei si incresparono in un sorriso leggero. “Questo credo di saperlo.” Lo guardò dritto negli occhi. “Tu mi piaci davvero, Bernard. Perché dovrei metterti in pericolo, se posso evitarlo?”

Forse era vicino al punto di svolta. “Non puoi impedirmi di mettermi in pericolo da solo.” Allungò una mano verso Christine, circondandole il polso sottile con le dita, come aveva fatto lei in precedenza. La strinse appena, pronto a impedirle di allontanarsi da lui. “Perché io farò di tutto per aiutarti, che tu lo voglia o meno.”

Dallo sguardo che lei gli lanciò, non avrebbe saputo dire se fosse sul punto di baciarlo o di cacciarlo via. “Non è questo il luogo per parlarne.”

“Hai ragione.” Bernie si alzò. “Andiamo?”

 

 

 

*****

 

 

 

Hugo odiava la pioggia con tutto il suo cuore, così come detestava i sedili di legno di quell'arena. Erano troppo bassi per le sue gambe, che era costretto a tenere piegate, come un adulto appollaiato su di una sedia per bambini. 

Odiava anche l'attesa; nello specifico, aspettare il turno di Rose nella Seconda Prova dopo aver ricevuto una carta che indicava Pericolo in famiglia era frustrante da morire. Sentiva l'ansia rodergli il fegato e il suo stomaco sembrava essere stato stretto in un doppio nodo. 

Lily, al suo fianco, appariva altrettanto tesa. Nonostante il cappuccio sollevato sopra la testa, i capelli rossi le gocciolavano sulla fronte; si era rannicchiata sul sedile – che per lei era la misura giusta – abbracciandosi le ginocchia, lo sguardo fisso sul Campione di Beauxbatons che si batteva con una di quelle creature disgustose.

Non sopportava più il silenzio. Certo, in realtà l'arena era estremamente rumorosa – fra lo scrosciare della pioggia e le grida del pubblico – ma le sue orecchie sembravano colme di un mutismo sgradevole.

Lo sguardo gli tornò sul gufo che, quella mattina, era planato verso di lui al tavolo della colazione, lasciando cadere una busta nel suo bicchiere di succo di zucca.

Con un terribile presentimento l'aveva aperta, per vederne sfuggire ben tre carte. 

Aveva gettato uno sguardo in direzione del tavolo di Serpeverde per controllare i movimenti di Herman: il ragazzo sembrava perfettamente rilassato, lo sguardo perso nei recessi della sua tazza di tè. 

Dunque Hugo si era alzato e si era precipitato in Biblioteca, per consultare il suo libro prima che la Seconda Prova avesse inizio. La prima carta era stata il Fante di Cuori – corte assidua, gelosia; seguiva l'Asso di Picche, che indicava una brutta situazione. Infine la Donna di Quadri: una donna falsa.

Come sempre, accostare i significati di queste carte tra di loro era stato piuttosto complicato. La brutta situazione poteva essere causata dalla corte assidua di una donna falsa, oppure dalla gelosia nei suoi confronti. 

Ogni faccia del mistero sembrava non avere senso, se rapportata alle altre.

“A cosa pensi?” La voce sottile di Lily giunse improvvisa a colmare le sue orecchie.

La guardò, sollevando le sopracciglia. “Perché dovrei pensare a qualcosa?”

“Perché tu pensi sempre Hugo. E quando lo fai ti fumano le orecchie.”

Roteò gli occhi. “Ti hanno mai detto che a volte la tua ironia fa pietà, Lils.”

Lei ridacchiò sommessamente, sogghignando nella sua direzione dietro uno spesso strato di pioggia battente. “Mai quanto la tua, Corvonero dei miei stivali.”

Anche Hugo si ritrovò a sorridere. Per quanto il più delle volte trovasse Lily insopportabile, a volte la sua compagnia così snervante risultava quasi catartica, come il diluvio che si era rovesciato quel giorno sulla Scozia. Sua cugina era sempre stata una presenza costante nella sua vita, per quanto egocentrica, irritante e viziata; qualcosa che rimandava a giorni lontani dell'infanzia – quando tutto era pacifico e nessuno gli mandava carte misteriose.

Corte assidua. Brutta situazione. Donna falsa.

Più ci pensava, più la testa gli girava.

… Pericolo in famiglia. Famiglia.

“Lily.” 

Lei si voltò, sorridendogli da sotto il cappuccio gocciolante. “Hugo.” Gli fece il verso, con espressione ridicolmente grave. “Devi dirmi qualcosa?”

Effettivamente doveva dirle qualcosa. Doveva dire qualcosa a sua sorella e i suoi cugini da un bel pezzo, oramai. “Sì.” Disse precipitosamente, prima che il coraggio venisse meno. 

Le raccontò tutto, per filo e per segno, senza trascurare nessun dettaglio. Mentre lui parlava, quel Guillome era stato sostituito dalla Campionessa di Beauxbatons, che stava affrontando quelle schifezze con un certo coraggio. 

La pioggia continuava a scrosciare forte. Hugo non trascurò nulla – disse tutto dei suoi sospetti, delle Icone, delle carte – mentre Lily lo ascoltava attentamente. Per tutto il tempo, frugò con gli occhi l'espressione della cugina, temendo di vedervi impressa rabbia, delusione, ira, qualcosa; tuttavia lei rimase imperturbabile per tutto il tempo del suo discorso, senza dar segno di provare emozioni particolari.

Quando concluse, aveva la voce roca. 

Finalmente, Lily diede segni di vita: le sue sopracciglia si mossero lentamente fino ad aggrottarsi al centro della fronte. “Tutto questo è... sorprendente, Hugo.” Lo fissò. “Ma per quale dannato motivo non ce ne hai parlato prima?”

Deglutì. “Non c'è un motivo particolare.”

C'erano miriadi di motivi, ma improvvisamente gli sembrarono tutti sciocchi. Da una parte aveva creduto che quella fosse una lotta da portare avanti da solo, dall'altra... Non avrebbe saputo dirlo.

Lily sbuffò. “Non sono nella posizione di arrabbiarmi perché ci hai tenuto nascosto qualcosa.” Gli gettò un'occhiataccia. “Ma questa è una cosa grossa, Hugo. Non è come nascondere una relazione, insomma.”

Sorbì il rimprovero senza protestare. Dopotutto, sapeva di meritarlo. 

“Mi dispiace, Lily.” Fece. “Posso dire solo questo.”

Lei annuì, piano. “Perché non ci hai detto subito che Tony Menley ti aveva dato quelle immagini?” Scosse la testa, quasi esasperata. “Promettimi che non mi nasconderai più niente.”

Abbassò gli occhi. “Promesso.”

La folla ululò: la Campionessa di Durmstrang doveva aver completato la Prova; dopo una breve pausa, sarebbe stato il turno di Rose. Hugo sentì i battiti del cuore accelerare: durante la Prima Prova, non aveva certo avuto così tanta paura per sua sorella. Adesso invece aveva voglia di vomitare.

Promettimi che non mi nasconderai più niente.

“Lily,” buttò lì. “Ti ricordi quando mi prendevi in giro perché non avevo mai avuto una ragazza?”

Le sopracciglia della cugina si inarcarono. Sembrava perplessa. “Cosa c'entra questo adesso?”

“Ti ho promesso che non ti avrei più nascosto niente. La verità è che le ragazze non mi piacciono. Non mi sono mai piaciute.”

Di nuovo, osservò attentamente la sua espressione, temendo di trovarvi reazioni spiacevoli.

Tuttavia, Lily sollevò di nuovo le sopracciglia. “Davvero, Hugo,” sospirò, sorridendogli. “Credevi veramente che non lo sapessi?”

Ci mise alcuni istanti a registrare il significato delle sue parole. “Eh?” Fece una smorfia. “Ma come facevi a–”

Dovette interrompersi al suono del boato che si era levato dalla folla. Si sporse per guardare meglio oltre quelle centinaia di teste, scorgendo la figura di Rose, minuscola dall'altezza cui loro si trovavano, che entrava nell'arena con la bacchetta in mano, pallida in volto.

… Pericolo in famiglia.

Sta' attenta, Rose. Ti scongiuro.

 

 

 

*****

 

 

Tell me your secrets 

And ask me your questions,

Oh, lets go back to the start.

Coldplay

 

 

 

24 febbraio 2022

Dormitori maschili di Serpeverde, Hogwarts

Ormai pomeriggio

 

 

 

“Accomodati.”

Bernie osservò Christine sfilarsi con calma il mantello e srotolarsi la sciarpa, per poi poggiare quel mucchio di stoffa gocciolante di fronte al caminetto acceso del dormitorio. Contro gli spessi vetri deformanti delle finestre, l'acqua verdastra del Lago vorticava furiosamente.

Si perse per un momento a osservare quei movimenti sommessi, prima di lasciare che il proprio sguardo scivolasse su Christine. La ragazza era completamente zuppa – come lui, d'altronde. I vestiti Babbani che indossava sotto il mantello non erano messi poi così male – appena inumiditi sugli orli e nei punti che gli schizzi di pioggia erano riusciti a raggiungere – ma i suoi capelli erano completamente bagnati e gocciolavano sul tappeto.

Si passò una mano tra i propri, di capelli, per scoprirli anch'essi fradici. 

“Hai freddo?” domandò.

Lei scosse la testa, accennando con il mento al caminetto scoppiettante alle sue spalle.

Bernie si avvicinò, approfittando del tepore delle fiamme. “Bene.” Sbuffò. “Vuoi parlarmene?”

Christine sollevò gli occhi scuri su di lui. Sembrava stizzita, come se si fosse sentita in trappola. Non disse nulla.

Strinse le labbra, cercando le parole giuste. “Tu sei coinvolta con tutto quello che sta succedendo. Gli attacchi, gli Auror...” Deglutì. “O perlomeno, ne sai parecchio. Più di quanto dovresti.”

Lei fece una smorfia. “Brillante deduzione, Bernard.” Disse con voce rauca.

Le scoccò un'occhiataccia. “Risparmiami il tuo sarcasmo, d'accordo?” 

Christine roteò gli occhi. “D'accordo, d'accordo.” Sollevò una mano, scostando una ciocca di capelli scuri che si era attaccata alla sua guancia. 

Calò il silenzio, rotto solamente dallo scoppiettare delle fiamme nel camino e dal ticchettio dell'orologio a pendolo, imponente dall'angolo della stanza. Probabilmente, in tutto il sotterraneo di Serpeverde c'erano solo loro; gli altri erano senz'altro concentrati sulla Seconda Prova. 

Si sentì vagamente in colpa nei confronti di Rose. Dopotutto era la Campionessa di Hogwarts: sarebbe stato più educato assistere al suo turno.

Ma c'erano cose più importanti da fare.

“Potresti finire nei guai, se non parli,” fece Bernie. “Gli Auror potrebbero scoprire che hai omesso informazioni importanti.”

Per tutta risposta, ricevette una scrollata di spalle.

“A meno che tu non tema di finire in guai peggiori se invece parli,” proseguì lui tra sé e sé. “Potrebbe essere una spiegazione logica.”

Christine lo guardò. “Non hai pensato che forse è meglio che io non parli?”

Si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia. “Che cosa intendi dire?”

La ragazza si avvicinò di un passo. Adesso c'era meno di un metro a separarli, e Bernie – lasciando scivolare lo sguardo su di lei – pensò che avrebbero fatto meglio a finire quel discorso in fretta, perché di lì a poco sarebbero stati occupati in ben altre attività.

“Voglio dire che alcune informazioni vanno svelate a tempo debito.” Lo guardò dritto negli occhi, sulle labbra il fantasma di tutti i suoi sorrisi. 

Era in pericolo. Era vulnerabile – più di tutti gli altri. 

Improvvisamente, capì. La afferrò per i gomiti, tirandosela contro; Christine inciampò e si aggrappò alla lana bagnata del suo maglione per non cadere. Senza farlo apposta, l'aveva circondata con le braccia: a separare le loro labbra, non c'era che una manciata di centimetri. 

“Ti manca qualcosa.” Sibilò. “Un pezzo del puzzle. Finché non conoscerai anche quell'ultimo particolare, rischi di mettere tutti ancora più in pericolo.”

Dalla sua espressione, capì di avere indovinato. I suoi occhi scuri per una volta erano meno sfacciati, per nulla impermeabili. 

“Stai facendo questo, Christine?” Proseguì. “Stai cercando di salvare tutti noi?”

Lei scosse la testa. Nel suo sguardo balenò un lampo di sfida e determinazione. “Sto cercando di rimediare agli errori che ho fatto.”

Si fissarono per parecchi, lunghi istanti.

Poi Bernie si chinò per posare le labbra sulle sue. 

Christine rispose immediatamente al bacio, come se non avesse atteso altro. Gli circondò il collo con le braccia, avvinghiata a lui mentre retrocedevano entrambi fino a scontrarsi con il suo letto. Bernie la spinse delicatamente contro il materasso; con molta meno dolcezza, lei lo afferrò di nuovo per il davanti del maglione, tirandoselo addosso.

Erano sdraiati scomodamente, per traverso, ma nessuno dei due vi fece particolarmente caso, mentre Christine sollevava l'orlo del pullover di Bernie per toglierglielo di dosso e lui slacciava uno per uno i bottoni della camicetta che lei indossava. 

“Non ti lascerò scappare,” mormorò contro le sue labbra. “Non te lo permetterò.”

Per tutta risposta, Christine riprese a baciarlo con più intensità.

Non glielo permetterai.

… Non le permetterai di farsi del male.

 

Un'ora dopo, i loro vestiti erano tutti sparsi sul pavimento, e a coprire i loro corpi c'erano solo le lenzuola del letto di Bernie.

Christine era sdraiata su un fianco, un braccio piegato sotto la testa. Con l'altra mano, percorreva la mascella del ragazzo in carezze sottili, con la punta delle dita.

Bernie la fissava. Non riusciva a smettere di fissarla. 

I suoi capelli erano ancora umidi; si stavano arricciando più del normale, scivolando in onde ribelli sul cuscino e sulla sua spalla nuda. Era bella – era stata più bella che mai per tutta l'ora appena trascorsa. 

“Perché?” La udì domandare. La sua voce era bassa e roca, adorna del solito timbro melodioso. 

Rifletté che poche volte prima di quel momento Christine gli aveva chiesto qualcosa. Era sempre lui a riempirla di domande a cui rispondere. Tuttavia, era troppo rilassato per pensarci troppo su.

“Perché cosa?” domandò, sempre a voce bassa. Gli sembrava che tutto il mondo convergesse su di loro, sul tepore delle coperte e dei loro corpi. 

“Perché fai questo per me?”

Distolse lo sguardo da lei, puntandolo sulla stoffa verde smeraldo del baldacchino. “Non lo so.” Sospirò. “Da quel giorno al Ministero... A volte ho pensato che mi avessi stregato.”

La udì ridacchiare. “Non ne ho avuto bisogno.”

Tornò a guardarla, incerto se stesse scherzando o meno. Con Christine, non si poteva mai sapere. “Perché, l'avresti fatto davvero?”

“No.” Gli sorrise appena. I suoi occhi scintillavano. “Mi hai sempre colpito, Bernard. Più di tutti gli altri.” Sospirò. “All'inizio ti odiavo. Tu eri... Così limpido e sincero. Ho sempre pensato che per te fosse facile essere buono e farti apprezzare.” Aggrottò le sopracciglia. Non lo guardava più: sembrava come dispersa in ricordi lontani. “Io invece volevo essere sempre migliore degli altri. Ma non riuscivo ad essere come te. Non è nella mia natura.” Tornò a fissarlo. “Poi ho cominciato ad ammirarti.”

Aggrottò le sopracciglia, stupito dalla rivelazione. Non aveva mai creduto di poter essere invidiato da qualcuno, tanto più da una come lei. Si ritrovò ad allungare una mano verso Christine, accarezzando la sua spalla nuda e liscia. 

“Perché non hai cercato di comportarti bene per essere migliore?”

“Volevo essere migliore degli altri. Non migliore di me stessa.”

Probabilmente, era la prima volta che Christine parlava con qualcuno così a cuore aperto. Sembrava sincera, ma al contrario delle volte in cui lui l'aveva costretta a rivelare qualcosa su se stessa, sembrava che confessare i suoi sentimenti più intimi non le costasse fatica.

Ripensò alle parole di Jacob.

“Penso che tu le piaccia davvero.”

“Credo di aver capito perché faccio questo per te,” mormorò. “Sei meglio di come credono gli altri. Sei meglio anche di come credi tu.”

Lei si chinò in avanti per baciarlo. 

Sapeva di pericolo, ma anche di speranza.

 

 

*****

 

 

24 febbraio 2022

Parco, Hogwarts, Scozia

Dopo la Seconda Prova

 

 

Ancora non riusciva a crederci. Non solo aveva superato la Seconda Prova incolume, ma anche con un buon punteggio, piazzandosi dietro a Natal'ja, che adesso si era classificata prima! Si sentiva leggera come un palloncino. Da quel momento in poi – decise – se qualcuno le avesse parlato di nuovo di creature disgustose come quel Lethifold, lo avrebbe mandato elegantemente a quel paese. 

Per quanto riguardava la Terza Prova, di lì a un mese li avrebbero informati riguardo a come si sarebbe svolta; ma maggio era lontano, troppo per iniziare a preoccuparsi fin da subito. 

Continuava a piovere, anche se l'acqua era diventata meno fitta. Nel marasma all'uscita dell'arena, non era riuscita a individuare Scorpius, tanto più che si era dileguata in fretta e furia per evitare un incontro – scontro – con Gericho Allock, che si era appostato fuori dalla Tenda dei Campioni con la Penna Prendiappunti pronta all'opera, in equilibrio sul suo taccuino.

Per fortuna aveva indossato un mantello sopra alla tuta, dunque – con il cappuccio tirato sulla testa per ripararsi dalla pioggia – non aveva avuto difficoltà a sgattaiolare via indisturbata.

Per raggiungere il castello aveva deciso di fare il giro più lungo, pur di evitare Gericho, a costo di beccarsi un'infreddatura. Dunque aveva preso la via che passava dietro al campo da Quidditch. 

Percorse sotto la pioggia lieve il crinale della collina, i sensi colmi del pungente odore della terra bagnata. L'unico suono erano le grida della folla in lontananza e il frusciare del vento, che trascinava la pioggia di traverso.

Superata la cresta del colle, vide una figura in lontananza, di spalle. Aveva capelli scuri e lunghi, che gocciolavano sul mantello in rivoli d'acqua piovana.

… Christine?

“Ehi!” Salutò a gran voce, a qualche metro di distanza. “Christine!

La ragazza si voltò lentamente. 

Aveva la bacchetta sguainata, puntata dritta contro il petto di Rose.

 

 

“Cosa significava quello, Potter?”

Leopold accelerò il passo, affiancando il Grifondoro. I capelli di quest'ultimo anche se zuppi di pioggia non volevano saperne di stare giù.

“A cosa ti riferisci?”

Potter era a disagio. Se ne accorse dal modo in cui lo guardava – nettamente stizzito – e anche dalla rigidità con cui accelerò il passo, come un soldatino diretto al fronte.

Placidamente, tornò a camminare al suo fianco. “Lo sai, Potter. Quella faccenda di stamattina. Mantello dell'Invisibilità, ti dice niente?”

Lo vide irrigidirsi palesemente, mentre insieme superavano il crinale della collina.

“Non sono affari tuoi, Higgs. Ora, perché non–” Ma si azzittì improvvisamente, lo sguardo atterrito fisso in un punto, ai piedi della piccola altura.

Un corpo. Abbandonato sotto la pioggia, privo di sensi.

“Rose.” Rantolò Potter, strozzato. “Quella è mia cugina Rose.”

 

 

 

 

*****

 

 

 

24 febbraio 2022

Infermieria, Hogwarts, Scozia

Tardo pomeriggio

 

Aveva schiarito; la luce aranciata e pallida del tramonto penetrava traversalmente dalle finestre dell'Infermieria, disegnando striscie rossastre sui volti del capannello di persone radunate attorno a uno dei letti – l'unico occupato.

Scorpius, seduto su una sedia di fianco ad esso ormai da più di un'ora, guardò ancora Rose, sdraiata sotto le coperte con espressione serena e gli occhi chiusi, i capelli rossi ormai asciutti increspati sul cuscino. 

Si sentiva stordito. Non riusciva a realizzare appieno gli eventi di quel giorno – Rose che lo amava, la Seconda Prova, questo; aveva l'impressione che l'intera giornata fosse stata solo un sogno dal quale si sarebbe risvegliato l'indomani.

La porta che divideva l'Infermieria dall'ufficio di Madama Chips si aprì con uno scricchiolio, rivelando le figure dei genitori di Rose, entrambi pallidi in volto. Quando lo sguardo di Ron Weasley si posò su Scorpius, questi si sentì improvvisamente a disagio. Vide chiaramente il padre di Rose aprire la bocca per dire qualcosa – probabilmente domandare cosa ci facesse il figlio di Draco Malfoy al capezzale di sua figlia – ma ad un'occhiata stanca e addolorata della moglie, la richiuse senza dir nulla.

Li ignorò, entrambi, tornando con lo sguardo su Rose. Il cuore gli si strinse di agitazione.

Sentì il peso improvviso di una mano sulla spalla. Era Jacob, che con l'altro braccio si stringeva Lily al petto, e adesso cercava di rassicurarlo con quella stretta. 

Albus non sembrava far caso a sua sorella e a quello che era stato uno dei suoi migliori amici. Anche lui era concentrato su Rose. Le sue sopracciglia erano aggrottate, gli occhi sembravano traballare per la rabbia. 

C'era anche Hugo Weasley, naturalmente appollaiato ai piedi del letto. Non aveva smesso di fissare sua sorella per tutto il tempo, pallidissimo e con lo sguardo fosco, attento al minimo movimento delle sue palpebre.

Lo sguardo di Scorpius incrociò quello di Lucy, seduta accanto a Gwyneth sul letto accanto a quello occupato da Rose. La sua ex-ragazza gli rivolse un sorriso triste, che lui non riuscì a ricambiare.

… Rose. Svegliati, ti prego.

La porta dell'Infermieria si schiuse. Due figure familiari entrarono a passi rapidi, avvicinandosi al piccolo gruppo.

“L'abbiamo saputo adesso,” mormorò Bernie, accigliato. Al suo fianco, Christine osservò Rose con occhi angosciati. Scorpius non l'aveva mai vista così umana.

Si sentì preso da un groppo alla gola. Madama Chips aveva assicurato loro che Rose non era in pericolo di vita, ma non riusciva a liberarsi dall'ansia che lo divorava dall'interno.

“Tu!”

Sobbalzò, voltandosi di scatto verso Albus. Il suo volto era deformato dalla rabbia, la bocca storta in una smorfia e gli occhi verdi semplicemente furiosi. 

Impiegò alcuni istanti a realizzare che stava indicando Christine. 

La ragazza non reagì. Si limitò a sostenere il suo sguardo, l'espressione rigida, gli occhi duri e tristi.

“Sei stata tu!” rincarò Albus. “Tu sei la colpevole di tutto quello che sta succedendo! Hai fatto del male a Rose. Amm–”

“No.”

La voce che aveva parlato non apparteneva a Christine. Tutti si voltarono verso Bernie, ammutolendo. Il ragazzo sosteneva lo sguardo di Albus con aria determinata.

“Come hai detto?” Al fece una smorfia.

“Ho detto no,” ripeté Bernie. “Christine è stata con me per tutto il pomeriggio. Non può essere stata lei.”

Scorpius non si soffermò a pensare cosa avessero fatto quei due tutte quelle ore – forse lo poteva immaginare, ma non gli importava. Non riusciva a distogliere lo sguardo da Rose, dal modo in cui le sue ciglia ricurve si posavano delicate sugli zigomi, sul suo viso morbido.

Le voci degli occupanti dell'Infermieria si fusero insieme in un indistinto chiacchiericcio. Sollevò una mano, posandola su quella tiepida di Rose, adagiata sopra alle lenzuola candide.

Dopo parecchi istanti, le dita di Rose scattarono, intrecciandosi alle sue.

Sobbalzò. “Rose!” esclamò, scattando in piedi al suo fianco.

Nell'Infermieria piombò il silenzio. La piccola folla si aggregò attorno al letto della ragazza, che adesso stava sbattendo lentamente le palpebre. I suoi occhi scuri apparivano sperduti e il suo labbro inferiore tremava, mentre lasciava scivolare lo sguardo su tutti loro con aria spaesata. 

Infine, guardò Scorpius come se non lo riconoscesse.

“Chi è Rose?” esalò.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

 

*si prepara a ricevere padellate in testa*

Ehm, buonasera a tutti! Sono stata puntuale, questa volta, dai. Se qualcuno se lo stesse ancora chiedendo, sì: questo capitolo è quello che “innesca” tutti i successivi in una specie di reazione a catena.

D'altronde, lettori avvisati mezzi salvati: si era capito che sarebbe successo qualcosa a Rose, no? 

Comunque, ormai non manca tanto alla fine. 

Ho notato un estremo calo di feedback nell'ultimo capitolo postato. Capisco che è estate e che non aggiornavo da una vita, però ricevere un parere fa sempre bene (anche perché su questi capitoli più “pieni” sono sempre più insicura).

Comunque, adesso vi saluto!

Bisous, Daph

 

 

PS: Il mio nickname (non appena EFP si deciderà) non sarà più Daphnis ma whatadaph, perché mi fa troppo ridere :3

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Capitolo 37
*** Capitolo 36 - Brotherhood ***



Perché ogni volta che succede qualcosa

 ci siete sempre di mezzo voi tre?

Harry Potter e il Principe Mezzosangue

 

 

 

Bones, sinking like stones, 

All that we fought for, 

Homes, places we've grown.

Coldplay

 

 

 

 

 

28 febbraio 2022

Ufficio del Preside, Hogwarts, Scozia

Tardo pomeriggio

 

 

“Altro tè, Minerva?”

L'anziana strega annuì, incurvando le labbra in un sorriso lieve. “Grazie, Aurora.”

La Preside Sinistra sollevò la piccola teiera tondeggiante, versando del bollente tè ambrato alla sua ex-collega. Minerva McGranitt sollevò la tazza tra le dita sottili e nodose. Soffiò delicatamente per farlo raffreddare, increspando la superficie della bevanda di piccole onde aguzze. “C'è qualcosa di cui volevi parlarmi, Aurora?”

La Preside sentì lo stomaco sprofondare, mentre il suo cuore si stringeva. “A dire il vero sì, Minerva. Avrei diverse cose di cui parlarti.”

L'altra annuì lentamente, prima di bere un sorso di tè. Fuori dalle alte finestre dell'ufficio, era visibile un cielo grigiastro e compatto. Non accennava a piovere, ma neanche a rasserenarsi. Sembrava che il clima si fosse adeguato a quella situazione, che appariva agli occhi di Aurora come statica e priva di vie di scampo.

I vecchi Presidi russavano dalle loro cornici.

Si prese qualche istante di riflessione prima di parlare, lasciando che il proprio sguardo si perdesse nel fondo della sua tazza di tè. “Non so cosa fare,” confessò poi tutto d'un fiato, affondando il volto tra le mani. “Stanno succedendo cose terribili, terribili. Non credo di essere più all'altezza della situazione.”

Sollevò la testa dalle mani, studiando il volto di Minerva, in angosciata attesa di una reazione. Tuttavia, l'altra si limitò ad aggrottare le sopracciglia, sotto l'alta fronte lasciata scoperta dai capelli grigi – come sempre raccolti in una severa crocchia; strinse leggermente le labbra, osservandola con i suoi occhi acuti, prima di replicare: “Aurora, sei stata mia allieva per sette anni e mia collega per tre volte tanti. Quando ti ho nominata Vicepreside l'ho fatto perché ritenevo che tu fossi all'altezza di qualsiasi situazione.”

A quelle parole, il cuore le si scaldò leggermente. Era raro un elogio da parte di Minerva McGranitt, dunque ancora più prezioso. Tuttavia, non bastò a rassicurarla.

“Mi sono illusa che il peggio fosse passato.” Sospirò appena. “Ma in fondo sapevo che era solo l'inizio. Me lo sarei dovuto aspettare.” Serrò la mano destra in un pugno finché le unghie non le penetrarono nella carne. “Dopo che la mente di Lily Potter è stata Oscurata... Gli Auror di stanza a Hogwarts... E io non ho fatto nulla. E adesso Rose Weasley.” La sua voce si era spezzata nelle ultime parole. Il groppo alla gola si fece più pesante; per la prima volta da molti anni, ebbe voglia di piangere.

Non ricordava di essersi mai sentita così scoraggiata e così poco all'altezza delle sue responsabilità.

“Immagino che non debba sorprendermi la frequenza con cui certi nomi ricorrono, ogni volta che accade qualcosa.” Minerva sospirò. “I Potter continuano ad attirare i guai come calamite. Evidentemente questa caratteristica dev'essersi estesa anche ai Weasley, da quando sono diventati una famiglia.”

“Non solo ai Weasley.” Aurora tamburellò con le dita sul piano della scrivania. Le faceva sempre uno strano effetto essere seduta dal lato del Preside mentre Minerva stava dall'altra parte, come se i loro ruoli si fossero invertiti improvvisamente. “Anche ai loro amici. Bernard Boot e il ragazzo Malfoy girano spesso assieme a loro, e sono stati i primi studenti ad essere coinvolti con quanto sta succedendo.”

Minerva scosse leggermente la testa. Le sue labbra rimasero immobili e inflessibili, ma qualcosa nei suoi occhi sembrava sorridere, come se stesse ricordando anni lontani. “Mi ricorda qualcosa,” disse infatti. “Questo mi fa pensare. Dopotutto, Harry Potter e i suoi amici hanno giocato ai piccoli investigatori fin dal loro primo anno a Hogwarts.”

Aurora annuì. “E hanno sempre trovato il modo di rendersi più utili di quanto avrebbero dovuto.” Aggrottò le sopracciglia. “Mi chiedo se i loro figli non abbiano fatto lo stesso.”

“Non mi sorprenderei se l'avessero fatto.” Minerva fece una pausa, sollevando la tazza per bere un'ultima sorsata di tè. “Ma vieni al dunque, Aurora. Ho l'impressione che ci sia ancora qualcos'altro di cui senti il bisogno di parlarmi.”

Il cuore le si strinse ancora, dolente – più delle altre volte. “È così,” deglutì. Dovette chiamare a raccolta tutto il suo coraggio prima di proseguire. “Ho intenzione di dimettermi dal mio incarico. È giunto il momento di farmi da parte: ormai è palese che non sono in grado di gestire la situazione.”

L'espressione di Minerva si mantenne indecifrabile. “Perché lo stai dicendo a me, Aurora?”

La guardò dritto negli occhi. “Perché volevo chiederti di prendere il mio posto.”

 

 

 

 

*****

 

 

 

 

1 marzo 2022

Sala Grande, Hogwarts, Scozia

Colazione

 

 

“Gran bel compleanno per papà,” sospirò Hugo, rigirando il cucchiaio nella sua scodella di cornflakes. Aveva lo stomaco chiuso.

Lily, seduta assieme a lui al tavolo di Corvonero, strinse le labbra. Aveva un pessimo aspetto – lo stesso che, probabilmente, avevano tutti loro; il suo volto era tirato, pallido e stanco, gli occhi spenti e circondati di pensanti occhiaie. Dopo quello che era accaduto a Rose, probabilmente chiunque fosse coinvolto aveva avuto difficoltà a dormire. Hugo sapeva che gli sarebbe bastato guardarsi attorno per individuare una decina di facce in quelle stesse condizioni – i suoi cugini, gli amici Serpeverde di Rose, tutti

Posò il cucchiaio, rinunciando a tentare di buttar giù qualcosa. “Avrei dovuto saperlo,” sbottò.

Le sopracciglia di Lily si aggrottarono. Il suo sguardo era estremamente triste. “Avrei dovuto saperlo anche io.” Si mordicchiò l'unghia del pollice. “L'ho sognato, dannazione. Solo che ho pensato che avesse a che fare con il Tremaghi. Non avrei mai pensato a... a questo.”

“Anche io ho pensato che fosse così.” Hugo si morse il labbro quasi fino a farlo sanguinare. “Non avremmo dovuto lasciarla sola.”

Lo sguardo di Lily si perse nei meandri del tavolo. “Se fossimo andati con lei, sarebbe accaduto lo stesso anche a noi.” La udì sussurrare. “Così, invece, possiamo aiutarla.”
“Ma come?!” Hugo faticava a tenere basso il tono di voce. Il senso di colpa lo stava dilaniando. “Non c'è nulla che possiamo fare. Nulla.”

“Potresti dire delle carte a qualcuno,” suggerì Lily con voce rotta. “La Sinistra, i nostri genitori. Qualcuno che sappia tenere testa alla cosa meglio di noi.”

Lily aveva ragione. Erano stati talmente sciocchi! Se solo avessero parlato con qualcuno dei loro sospetti, magari la situazione non sarebbe stata così grave.

O forse sì. Forse vi illudete di poter salvare il mondo ma siete completamente inutili.

“Lo farò.” Sospirò. “Andrò dalla Sinistra prima delle lezioni e le dirò tutto.”

La cugina annuì, lasciando scivolare lo sguardo verso il tavolo delle autorità. Hugo fece lo stesso: i suoi occhi si scontrarono con il posto della Preside, trovandolo stranamente vuoto.

Si scambiò uno sguardo con la cugina. Stavano pensando la stessa cosa, probabilmente: la situazione era molto più grave di quanto mai avrebbero potuto immaginare.

In quel momento, stormi di gufi irruppero in Sala Grande per consegnare la posta del mattino. Quando vide un allocco dell'Ufficio Postale dirigersi dritto verso di lui, si irrigidì, agghiacciato. 

No. Non ora. Ti prego, no.

Le sue preghiere furono inutili. Inesorabilmente, il volatile planò in un arco perfetto in direzione di Hugo, lasciando cadere una busta sigillata proprio davanti a lui.

Percepì le dita di Lily artigliare il suo polso. “Hugo, è quello che sto pensando?”

Annuì lentamente. “Temo di sì,” esalò. Prese la busta tra le mani, rigirandola da una parte all'altra. Come al solito non c'era il mittente: la busta era chiusa con l'anonima ceralacca dell'Ufficio Postale e il suo nome era scritto sul retro in quella grafia elementare, impossibile da identificare.

“Devo aprirla,” mormorò. “Ma non qui.”

Lily annuì. Lo osservava con uno sguardo che Hugo non seppe interpretare, a metà tra il rimprovero, il rammarico e qualcos'altro. Forse paura, o preoccupazione.

“Dopo ti dirò tutto,” le assicurò.

Lei annuì ancora. “Certo.” Lasciò andare il suo polso. “Vai.”

Hugo non se lo fece ripetere ancora. Si alzò, abbandonando i suoi cornflakes intoccati, sotto lo sguardo fosco della cugina, che lo seguì con gli occhi finché non si fu allontanato di diversi passi. Con la coda dell'occhio, la vide di nuovo chinarsi sulla sua colazione – anch'essa praticamente intatta. Allora smise di guardarla, proseguendo a passi sempre più rapidi tra il tavolo di Corvonero e quello di Tassorosso, per poi abbandonare la Sala.

Mentre superava la tavolata della sua Casa, incrociò per un istante lo sguardo di Georgia Menley, che chinò appena il capo in cenno di saluto, la guancia accarezzata da una ciocca di capelli scuri.

Una volta in Sala d'Ingresso, prese un rapido respiro, per poi precipitarsi su per lo scalone di marmo, diretto in Biblioteca. La tracolla della borsa sembrava tagliare in due la sua spalla, ma non aveva importanza. Doveva decifrare quelle carte – perché neanche c'era da pensare che non si trattasse di questo – immediatamente. Subito dopo sarebbe andato dalla Sinistra e avrebbe confessato tutto.

Continuò a correre ancora per una rampa di scale e per un corridoio, per poi infilare senza esitazioni la porta della Biblioteca. I suoi piedi si diressero automaticamente il quel percorso che ormai conosceva a memoria, fino allo scaffale giusto del reparto di Babbanologia. Trovò subito il volume di Cartomanzia, per poi sedersi al piccolo tavolo addossato alla libreria e spezzare in fretta il sigillo della busta.

Nove di Picche. Nove di Quadri.

Sfogliò il libro fino alla pagina giusta. Il tempo, che fino a poco prima era trascorso a rapidità estrema, adesso sembrava trascinarsi lentamente, a fatica. 

Nove di Picche: spavento, un furto o un rapimento. Nove di Quadri: agire ora.

“Cosa stai facendo, Weasley?”

Per poco non cadde dalla sedia per la sopresa. Il cuore in gola, si voltò di scatto verso Herman Hessler. 

“Niente.” Si affrettò a coprire le carte chiudendo rapidamente il libro, ma fu del tutto inutile: l'altro aveva avuto tutto il tempo di vederle.

Difatti, gli occhi del Serpeverde si assottigliarono, sospettosi. “Perché hai nascosto quelle carte?” Il suo sguardo scivolò sul tavolo, soffermandosi – con sommo orrore di Hugo – sulla busta vuota che aveva abbandonato sul piano di legno scuro.

L'espressione di Herman si tinse di improvvisa comprensione. “Qualcuno ti sta mandando delle carte,” mormorò. “Per questo ti interessi di Cartomanzia. Qualcuno sta giocando con te.”

Hugo non poté far altro che tacere. Osservò Herman attentamente, sorprendendosi nello scoprire i suoi occhi tinti di una sorpresa genuina.

… Fino a questo momento, hai focalizzato tutti i tuoi sospetti sulla persona sbagliata.

A poco a poco, la sorpresa fu sostituita da un'altra espressione. Somigliava a rabbia.

“Pensavi che fossi io.” Sibilò Herman. “Per questo sei diventato mio amico.”

Continuò a tacere. Non avrebbe saputo cosa dire.

“Mi hai ingannato. Hai finto di essere mio amico, mentendo per tutto il tempo.”

L'accusa nel tono dell'altro era troppo palese per ignorarla. “Pensavo che fossi tu a ingannarmi,” tentò di difendersi Hugo, senza neanche troppa convinzione, alzandosi in piedi per fronteggiare il Serpeverde.

Del resto, cosa gli importava che Hessler si fosse offeso? La cosa non lo riguardava affatto.

“Perché credevi che fossi io?”

Questa era una domanda cui poteva rispondere. Sollevò lo sguardo, senza riuscire tuttavia a guardare l'altro negli occhi. “Ti ritrovavo sempre ovunque.” Scrollò le spalle. “E sei esperto di Cartomanzia.” Gli sembrava una motivazione più che accettabile. Insomma, chiunque, al posto suo, avrebbe avuto gli stessi sospetti.

Herman diede in una risata amara. “Sono diventato un esperto di Cartomanzia perché ti vedevo sempre con quel libro e ho pensato che ti interessasse.” Lo guardò. “Cercavo un maledetto argomento di conversazione.”

Hugo aggrottò le sopracciglia. “E perché avresti dovuto?”

Negli istanti successivi, accaddero diverse cose in rapida successione. Per prima cosa, Herman lo afferrò per la collottola – per un momento, Hugo aveva pensato che gli stesse per mollare un pugno in faccia. Tuttavia, l'altro fece qualcosa di inaspettato: tirò Hugo verso di sé, nonostante quei venti centimetri d'altezza che si portavano di differenza, facendo collidere bruscamente le loro labbra.

Per una frazione di secondo, Hugo fu troppo sorpreso per reagire in qualunque modo. Quando ebbe realizzato si scostò, stupefatto, ma prima che potesse dire nulla la voce della Preside Sinistra risuonò magicamente amplificata in tutta la Biblioteca – e probabilmente in tutta la scuola.

Tutti gli studenti e l'intero personale sono pregati di recarsi in Sala Grande immediatamente.”

Si scambiò uno sguardo perplesso con Herman, per un istante dimentico del bacio. Poi il Serpeverde gli gettò un'occhiataccia e si incamminò a lunghi passi fuori dalla Biblioteca, voltandogli le spalle. 

Quando fu lontano di una ventina di passi, Hugo raccolse le proprie cose e si affrettò a seguirlo alla volta della Sala Grande, rigirandosi tra le mani le carte. Solo in quel momento si accorse della frase scritta a lettere verdi e ordinate sul bordo del Nove di Picche.

Se vuoi salvare tua sorella, tieni la bocca chiusa.

Forse andare a confessare tutto alla Preside non era poi la migliore delle idee.

 

 

 

*****

 

 

 

Lily aveva appena raggiunto il secondo piano per la lezione di Incantesimi quando la voce della Preside era risuonata, rigida ma al tempo stesso quasi affranta, per tutti i corridoi della scuola.

Tutti gli studenti e l'intero personale sono pregati di recarsi in Sala Grande immediatamente.”

Per alcuni istanti era rimasta immobilizzata sul posto, riuscendo a stento a credere alle sue orecchie. Davvero l'annuncio che la Sinistra doveva fare era così importante – così grave – da non poter attendere la fine delle lezioni? Non riusciva a muoversi, aprendo e chiudendo i pugni, mentre il fiato usciva spezzato dalle sue labbra. Infine, aveva scosso la testa ed era tornata se stessa, decisa a raggiungere al più presto il luogo stabilito per scoprire cosa stesse succedendo. 

Aveva fatto dietrofront e percorso a ritroso i corridoi del secondo piano, ancora deserti se non per qualche sparuto gruppo di Corvonero sempre in anticipo sull'orario dei corsi. Ogni studente che incontrava sulla via, sempre più numerosi man mano che scendeva verso la Sala Grande, aveva in volto la stessa espressione – un misto di perplessità, confusione, paura. Sentiva risuonare nelle orecchie frasi sussurrate a mezza bocca, domande che non avrebbero avuto risposto.

A poco a poco la folla discontinua di studenti si trasformò in una fiumana scura, intervallata da macchie rosse o azzurre laddove si trovavano allievi delle scuole straniere con le loro divise colorate, che spiccavano contro tutto quel nero; la corrente procedeva giù per lo scalone di marmo, trascinando Lily con sé.

In Sala d'Ingresso incrociò Jacob, scuro in volto. Per un istante rimasero immobili l'uno di fronte all'altra, guardandosi intensamente mentre la folla continuava a scorrere ai loro lati. 

Poi Jacob si chinò su di lei per baciarla. “Andiamo,” sussurrò contro le sue labbra.

Andarono.

Vedere Jake da solo non l'aveva sorpresa più di tanto. Boot probabilmente si trovava con Christine, mentre Scorpius... Scorpius doveva essere in Infermieria. In quei giorni, aveva lasciato il capezzale di Rose solo per andare a lezione, infischiandone dell'orario di visita finché persino Madama Chips non aveva smesso di ricordarglielo.

C'era qualcosa di struggente nel modo in cui Scorpius guardava Rose – se solo si fosse ricordata di essere Rose – quando dormiva, oppure le parlava a voce bassa nei suoi confusi momenti di veglia. Sembrava un dolore intimo, estremamente privato, che Lily non riusciva a comprendere del tutto.

Madama Chips somministrava continuamente a Rose dei calmanti e dei tonici per farla dormire bene, sperando che con del sano riposo – Forzato, aveva commentato Christine a mezza bocca – potesse riprendersi al meglio.

Ma l'Infermiera stessa – credeva Lily – non era poi così convinta di questa teoria. Dopotutto l'amnesia di Rose era stata causata da un incantesimo potente. Era improbabile che qualche ora di sonno portasse a qualche risultato.

Quando giunsero in Sala Grande, la trovarono già gremita. L'intera scolaresca riunita costituiva una bella folla, soprattutto considerando che era incrementata dagli studenti di Beauxbatons e Durmstrang e da tutti i membri del personale.

Gli unici assenti, come c'era da aspettarsi, erano Rose, Scorpius e Madama Chips.

Faceva uno strano effetto vedere i quattro lunghi tavoli così spogli e al tempo stesso affollati di studenti.

Faticarono per trovare un posto a quello di Serpeverde, dove si accomondarono vicino ad un gruppetto del secondo anno che parlottava fitto fitto. Nella Sala, d'altro canto, si diffondeva un chiacchiericcio costante: sussurri che riecheggiavano confusi da un tavolo all'altro. Il suo sguardo incrociò quello di Albus, che sedeva al tavolo di Grifondoro fra Lucy e – con sua enorme sorpresa – Leopold Higgs. Non fece in tempo a chiedersi cosa diamine ci facesse un Serpeverde convinto come lui alla tavola della Casa rivale, perché lo sguardo di Al incrociò il suo. Per la prima volta da molti mesi, l'occhiata grave che si scambiarono fu quasi complice.

Improvvisamente, il brusio si affievolì fino a scomparire. Lily voltò di scatto il capo verso la tavola delle autorità, dove la Preside Sinistra si era alzata in piedi.

Nel silenzio, la sua mano scattò automaticamente, finendo per intrecciarsi con quella di Jake. Lui la strinse appena.

“Ho un annuncio da fare a tutti voi,” esordì la Preside, parlando lentamente come sempre. La sua voce era calma, ma Lily non poté fare a meno di percepire nel suo tono una vena di preoccupazione.

Come biasimarla?

“A seguito degli eventi allarmanti accaduti negli ultimi tempi, sono stata costretta dalle circostanze a prendere una decisione.” Il silenzio era tale da far risuonare il minimo fruscio come il rintocco di una campana. “In questo momento do le mie dimissioni dall'incarico di Preside di questa Scuola di Magia e Stregoneria.”

Sul principio, Lily credette di non aver sentito bene. Si guardò intorno, scoprendo che tutti gli occupanti della Sala Grande portavano in volto la sua stessa espressione costernata. Le sue orecchie fischiarono leggermente, mentre il suo sguardo scivolava a incrociare quello di Jacob. Le bastò vedere l'espressione del suo volto per realizzare che aveva capito benissimo. Una volta metabolizzato il contenuto delle parole della Preside, sentì lo stomaco sprofondare.

Che cosa?!” sbottò prima di riuscire a trattenersi, e con lei l'intero corpo studentesco.

La Sala, sprofondata nel silenzio fino a pochi istanti prima, era adesso percorsa da esclamazioni, proteste e borbottii.

“Ho lasciato il mio posto” – la voce stanca della Sinistra, levatasi ancora dal tavolo delle autorità, fece sì che ripiombasse il silenzio – “a qualcuno che credo tutti conosciate.”

Si voltò, puntando lo sguardo sulla strega anziana che sedeva al suo fianco e che Lily non aveva notato fino a quel momento.

“Minerva McGranitt.”

Udendo quel nome, un vortice di nozioni sembrò squassare la mente di Lily, neanche fosse stata sotto l'effetto di uno Stimolatore di Pensieri. Aveva udito così tante volte il nome di quella donna che le pareva quasi di conoscerla, sebbene prima di quel momento non l'avesse mai incontrata – se non quando era molto piccola, troppo per riuscire a ricordare.

Minerva McGranitt si alzò lentamente, alta e dritta come un fuso, prima di prendere la parola mentre l'ormai ex-Preside tornava a sedersi. 

“Ci tengo a precisare,” esordì, seria, “che occuperò questo posto solo temporaneamente, finché l'attuale situazione non verrà risolta. Dopodiciò, la Preside Sinistra verrà reintegrata nel suo ruolo.”

La diretta interessata non disse nulla, limitandosi ad abbassare lo sguardo.

“Detto questo, è necessario stabilire delle nuove norme di sicurezza.” La McGranitt dava l'impressione di essere una di quelle persone in grado di far calare assoluto silenzio ogni volta che prendeva la parola. “Norme che devono essere rispettate, sono stata chiara?”

Scandì le ultime parole lentamente, lasciando scorrere lo sguardo sulla Sala. Lily ebbe l'impressione che si fosse soffermata su di lei un momento più del necessario.

… Ma perché guarda me?

Gettò istintivamente un'occhiata al tavolo di Grifondoro: Albus sembrava sorpreso e vagamente perplesso. Forse anche lui si era sentito scrutato in modo particolare, come se la frase della McGranitt fosse rivolta a loro più che agli altri.

“Da questo momento in poi,” riprese la nuova – o vecchia? – Preside, “è assolutamente vietato per tutti gli studenti abbandonare la propria Sala Comune dopo il calar del sole. Qualsiasi allievo che venga sorpreso a contravvenire questa regola verrà punito severamente. È dell massima importanza, ripeto, della massima importanza.” Fece una breve pausa, lasciando di nuovo scivolare lo sguardo sulla Sala – ancora, Lily ebbe l'impressione che si fosse soffermato su di lei un istante in più rispetto agli altri. “Per gli studenti di Beauxbatons e Durmstrang verranno predisposti degli alloggi all'interno del castello, dotati delle stesse misure di sicurezza. Ci aspettiamo che i nostri ospiti siano disponibili a venire incontro alle regole stabilite per il loro stesso bene.” Gettò uno sguardo in direzione degli altri due Presidi, che annuirono entrambi con espressione grave. Dunque tornò a rivolgere gli occhi acuti alla scolaresca. “Gli allievi fino al quarto anno dovranno essere scortati nei corridoi da Prefetti e Caposcuola della loro Casa. Raccomando a tutti” – lo sguardo che lasciò scivolare sulla Sala fu più che eloquente – “di non uscire da soli per nessuna ragione, e di riferire agli insegnanti e agli Auror della guarnigione che verrà posta a Hogwarts qualsiasi cosa che vi paia sospetta.” 

Nonostante la McGranitt avesse terminato di parlare, ancora non volava una mosca.

“Adesso è tempo di tornare a lezione,” dichiarò infine la nuova Preside. “Nulla interferirà con il regolare svolgimento delle attività scolastiche. Buona giornata.”

Vi fu un istante di sospensione, come se nella Sala si fosse espansa una bolla di silenzio. Poi si udì il primo stridio di una panca allontanata dal tavolo, seguito dal brusio di tutti gli studenti che – poco alla volta – si alzavano per dirigersi alla prima lezione della giornata, che sarebbe iniziata con mezz'ora di ritardo. 

Lily e Jake seguirono la folla in silenzio, sempre tenendosi per mano.

“Che cosa ne pensi?” fece poi lui.

La ragazza si strinse nelle spalle. “Impressionante,” commentò, le sopracciglia leggermente inarcate. “La McGranitt mi sembra una grande donna.”

Jacob sorrise tra sé. “Mi riferivo alle nuove norme di sicurezza.”

Lo guardò con un sorriso furbo. “Impressionante,” ripeté lei.

“Sono d'accordo,” disse una voce accanto a loro, con immenso stupore di Lily. Si voltò di scatto, trovandosi davanti agli occhi Albus, che li aveva affiancati nell'abbandonare la Sala Grande. “Le cose si stanno mettendo male, sembra,” fece suo fratello, impacciato.

Per un istante rimase in silenzio, poi si sforzò di rilassare le spalle irrigidite. “Come se non lo sapessimo,” commentò poi come se niente fosse.

Al non parve sopreso dal suo sarcasmo. “Hai avuto anche te l'impressione che si riferisse soprattutto a noi con il discorso di rispettare le regole?”

Lily annuì. “Sì.” Improvvisamente, le era parso che lei e Albus non avessero mai litigato. Come se tutto fosse... semplicemente come prima. “Penso sia per via delle abitudini scolastiche dei nostri genitori. Sai, violare le regole...”

“... Uscire di nascosto in piena notte, ficcare il naso dove non si dovrebbe,” concluse Al per lei.

Jake, che fino a quel momento non aveva detto una parola, ridacchiò. “Beh, quest'ultima cosa la sapete fare benissimo.”

Albus non rispose, limitandosi a guardare l'amico. “In effetti...” deglutì, a disagio.

Lily capì che era il momento di dileguarsi. Quei due avevano bisogno di chiarire a quattr'occhi. Tanto più che il suo sguardo era scivolato su Christine De Bourgh, che stava attraversando il corridoio in compagnia di Boot. I due portavano in volto la stessa espressione cupa.

“Devo andare,” buttò lì. “Ho una cosa da fare.”

Prima che i due potessero dire qualsiasi cosa, si allontanò, lasciandoli da soli.

Attraversò il corridoio in senso contrario rispetto alla folla di studenti, parandosi davanti al suo obiettivo. “Boot, ti dispiace se ti rubo Christine per un momento?” disse spiccia.

Le sopracciglia di Bernie si inarcarono. Non le sfuggì lo sguardo che si scambiò con la ragazza.

“Nessun problema,” fece poi lui, allontanandosi placidamente.

Christine incurvò le labbra nel solito sogghigno. O meglio, tentò di imitarlo, ma il risultato fu un sorrisetto spento, poco convinto, come offuscato da un velo d'ombra. “Devi parlarmi, Lily Potter?”

“Con urgenza,” ammise Lily senza perdersi in inutili convenevoli. “Ma non qui.”

L'altra fece spallucce. “Guidami.”

Insieme, camminarono fino ad un aula vuota. Lily la precedette dentro, riflettendo per un momento se fosse o meno il caso di gettare un Muffliato contro la porta.

Al diavolo.

“Tu ne sai più di tutti,” disse subito, senza perdere tempo a lanciare l'incantesimo. “Di  quello che sta succedendo.” L'altra non si scompose, limitandosi ad ascoltarla attentamente. “Non voglio convincerti a parlare,” proseguì Lily. “Sono convinta che se non l'hai fatto fino a questo momento c'è un motivo, e spero con tutto il cuore che tu abbia ragione e che il tuo piano – qualunque sia – funzioni.”

Fece una pausa, aspettandosi un commento sarcastico. Tuttavia, Christine non disse nulla.

“Ad ogni modo,” continuò, “se c'è qualcosa che puoi fare per sistemare la situazione, fallo.”

Cadde il silenzio, rotto solamente dalla pioggia che aveva preso a tamburellare contro i vetri delle finestre. Lily percepì un senso di attesa, come se il mondo intero, concentrato in quella stanza, fosse rimasto con il fiato sospeso.

“Come mai hai deciso di iniziare a fidarti di me?” mormorò Christine dopo parecchi minuti.

“Non lo so.” Provò l'improvviso desiderio di raggomitolarsi da qualche parte a piangere. Ma non poteva. Doveva essere forte – doveva esserlo per Rose. “Sarà la disperazione, forse.”

La risposta parve soddisfare Christine, che la guardò con una strana espressione negli occhi. Quasi... dubbio? Sembrava tentennante.

“Mi manca un pezzo,” la udì dire infine. Doveva aver preso la sua decisione, e a giudicare dalla sua espressione l'aveva fatto con un certo rammarico. “C'è qualcosa che non so e che devo sapere per riuscire a risolvere il puzzle.”

“Sai che cosa è un puzzle?” replicò Lily, vagamente ironica. “Non è troppo Babbano per i gusti di voi Purosangue?”

L'altra roteò gli occhi.

“Comunque, posso collaborare,” si offrì istintivamente. Se davvero era necessario fidarsi di Christine, allora l'avrebbe fatto fino in fondo. “Se veramente hai la chiave per risolvere questa situazione, sono disposta ad aiutarti nel tuo piano, qualunque esso sia.”

Questa volta, la ragazza le parve davvero sorpresa. “Sei sicura, Potter?”

“Se non lo fossi, non l'avrei detto.”

L'altra le parve quasi divertita – con amara ironia. “Dovrai dirmi tutto quello che sai, Lily Potter.” Le gettò un'occhiata penetrante. “Potresti avere tu il pezzo del puzzle che mi manca.”

Si sedette sulla cattedra, certa che quella sarebbe stata una conversazione molto lunga. “Tu puoi salvare Rose?” domandò ancora.

“Farò il possibile,” promise l'altra. Guardandola negli occhi. Con sincerità

Lily sospirò. “D'accordo, allora. Forse dovrei cominciare dai Doni della Morte.”

Christine rimase come pietrificata sul posto. “I Doni della Morte, hai detto?” mormorò.

Alzò gli occhi al cielo. “La fiaba dei Tre Fratelli, hai presente? Una bacchetta, una pietra, un mantello...”

Ma la sua voce si affievolì di fronte all'espressione dell'altra. Era impallidita improvvisamente: il suo colorito si era fatto terreo.

“Devo andare in Biblioteca.” La udì borbottare, per poi allontanarsi in fretta verso la porta. Sulla soglia, Christine si voltò. “Sei stata fondamentale, Lily,” mormorò. “Se dovesse accadermi qualcosa... Ricordati di Corvonero.”

“Eh?” Scivolò giù dalla cattedra, avvicinandosi a Christine. “Che cosa–”

“Non c'è tempo.” Tagliò corto lei. “Ricordati di Corvonero, e quando capirai agisci subito. Prima che possano fare del male anche a te.”

Detto questo, si dileguò nel corridoio prima che Lily avesse il tempo di fare o dire qualsiasi cosa.

Si lasciò cadere di nuovo sulla cattedra, nella testa un vortice di domande, senza la minima intenzione di andare a seguire la lezione di Incantesimi. Era confusa, come sempre era confusa.

… Non credevo che ci avremmo impiegato così poco

Di una cosa era certa: Christine spaventata faceva ancora più paura.

Ricordati di Corvonero.

Improvvisamente, tutto fu più chiaro.

 

 

 

*****

 

 

 

Jake e Albus camminarono fianco a fianco per alcuni minuti, in silenzio, diretti alla lezione di Difesa Contro le Arti Oscure. Intorno a loro, il flusso di studenti diventava sempre minore, mentre poco alla volta si disperdevano nelle varie aule di studio. 

Il silenzio tra di loro era sgradevolmente teso, come non lo era mai stato. 

“Allora,” cominciò Albus, esitante. “Come... Come stai?”

Jake si voltò verso di lui, inarcando leggermente le sopracciglia. “Come stiamo tutti, suppongo,” replicò. 

A meno che non si stesse riferendo al mio stato di salute.

… Improbabile, data la situazione.

L'altro annuì lentamente, impacciato. Jacob si sentì attraversato da un vago senso di disagio, unito all'impulso di abbracciare l'amico e dirgli di non preoccuparsi, che era tutto come prima.

Tuttavia, sebbene il suo istinto fosse quello, sapeva bene che non era la strategia giusta con cui affrontare il problema. Dovevano parlarne e ascoltarsi a vicenda, senza lasciare a conti fatti irrisolta la questione. Con Lily era stato diverso perché lei non aveva mai smesso di essere sua sorella, dopotutto.

Tra di loro rimpiombò il silenzio. “Senti,” fece poi Albus in fretta, mangiandosi metà delle parole. “Volevo dirti che–”

“Al, è tutto a posto,” lo interruppe prima di riuscire a trattenersi. Anche lui non aveva mai smesso di essere suo amico, alla fine.

L'altro scosse la testa. “No, non lo è. La mia reazione... è stata ridicola. Ho davvero esagerato a non rivolgervi la parola per–”

“Ho sbagliato anche io,” tagliò corto di nuovo. “Avrei dovuto parlartene.” Lo guardò. “Abbiamo sbagliato entrambi, Al.”

La tensione si sciolse un po'. Ormai erano rimasti soli in quel corridoio: l'atmosfera parve smorzarsi e Jacob si sentì vagamente più rilassato.

Era stato semplice, dopotutto, anche se sospettava che prima o poi – in tempi più tranquilli – avrebbero avuto bisogno di un chiarimento più approfondito.

Per adesso, andava bene così.

“Fai sul serio con Lily, vero?” udì il Grifondoro domandare dopo alcuni istanti.

Gli sorrise. “Altroché.” I loro passi risuonarono per una rampa di scale. “Se posso chiederlo, come mai hai maturato questa decisione solo adesso?”

L'altro si strinse nelle spalle. “Dopo quello che è successo a Rose, ho capito che bisogna tenersi strette le persone importanti. Come gli amici.”

Jake aprì la bocca per rispondere, ma fu interrotto da uno scalpiccio alle sue spalle. Era Scorpius, che saliva le scale quattro a quattro, i capelli in disordine e la pelle del viso pallida e tirata. La cartella con i libri di scuola gli sbatteva contro la gamba ad ogni passo di corsa. 

Quando li vide insieme – e non intenti a prendersi a pugni – fece tanto d'occhi. Dietro alla sua espressione fosca, Jake colse un barlume di sorpresa.

Ci fu un momento di silenzio.

“Mi sono perso qualcosa?” disse poi Scorpius.

 

 

 

*****

 

 

 

1 marzo 2022

Infermieria, Hogwarts

Prima di cena

 

 

Scorpius schiuse piano la porta dell'Infermieria, entrando nella stanza a piccoli passi. 

Trovò Rose sveglia, seduta tra le lenzuola bianche del suo letto, la schiena poggiata contro i cuscini candidi. Teneva lo sguardo abbassato sulle mani intrecciate in grembo – le ciglia lunghe le lambivano gli zigomi – ma sollevò subito il capo non appena lo udì entrare, sempre con quell'espressione smarrita nei grandi occhi scuri. Quando lo vide, la sua espressione parve rilassarsi un po'. Dopotutto, era una faccia familiare per la nuova Rose.

Richiuse la porta dell'Infermieria dietro di sé.

“Ciao,” le disse a voce bassa, guardandola con la testa piegata da un lato. Madama Chips si era raccomandata di non rivolgersi mai a lei con il suo nome. La metteva a disagio, a quanto pareva. Doveva essere terribile sentirsi privi di identità.

“Ciao,” rispose Rose. “Scorpius?” fece, esitante.

Lui annuì. “Sì, sono io.” Si avvicinò al suo letto, appendendo la cartella con i libri alla sedia lì accanto, su cui poi si sedette. “Come va?”

Lei si strinse nelle spalle. Il suo sguardo si perse tra le lenzuola. “Ho dormito quasi tutto il giorno. L'infermiera è molto gentile.”

Gli faceva uno strano effetto vedere Rose così quieta. Certo, non era serena – come avrebbe potuto? Ma i suoi occhi erano limpidi come non erano mai stati.

Assieme al suo passato, aveva dimenticato anche i suoi fantasmi.

“Lo so.” Le sorrise. “Madama Chips sa quello che fa.”

“Le ho chiesto se riavrò i miei ricordi,” mormorò lei. “Ha detto che pensa di sì.” Lo guardò. Scorpius ebbe l'impressione che volesse domandargli qualcosa e che stesse chiamando a raccolta tutto il suo coraggio per farlo. “Che tipo di persona sono?”

Deglutì. Non era una domanda semplice.

Aggrottò le sopracciglia, scrutandola esitante, indeciso su quali parole usare per prime. “Non sei un tipo facile.” Decise di dirle la verità. “A volte sei incomprensibile e ti rifiuti di capire quello che hai davanti agli occhi.” Sospirò. “Ma sei anche fantastica.”

Rose sorrise vagamente, mentre nei suoi occhi brillava una dolcezza strana, dolente. “Dev'essere una cosa bella,” commentò a voce bassa, mentre il suo sguardo si abbassava nuovamente.

Scorpius annuì. “Sì. Lo è.”

Cadde il silenzio, accompagnato dal lieve stridio di una porta schiusa. Madama Chips fece capolino dal suo ufficio, per poi sorridergli incoraggiante e chiudersi di nuovo dentro.

Rose non sembrò farci caso, persa nei propri pensieri

“Scorpius,” la udì dire dopo un po'. “Quando pensi che potrò uscire di qui?”

La guardò. “Madama Chips dice che non sei ancora pronta.”

 

“Non sappiamo quanto ricordi del contesto in cui vive.” Erano state le sue parole. “Soprattutto, non possiamo sapere se sappia dell'esistenza della magia.”

Scorpius aveva aggrottato le sopracciglia, molto attento alle parole dell'Infermiera. “Quindi non dobbiamo fare magie davanti a lei?” aveva domandato.

Erano tutti radunati attorno al letto di Rose, che dormiva profondamente grazie alla pozione che le aveva somministrato Madama Chips, un tonico che le avrebbe garantito un sonno corroborante e senza sogni.

L'Infermiera aveva annuito lentamente. “Esatto, signor Malfoy. Dovremo essere attentissimi su questo punto, finché non avremo verificato quanto effettivamente sappia della magia. Può darsi che la conosca perché è la sua natura, così come potrebbe essere convinta di essere una Babbana.” Aveva sospirato, gettando alla ragazza dormiente un'occhiata addolorata. “Non deve uscire da qui. Ora come ora, la magia del castello potrebbe destabilizzarla e portarla ad una crisi.”

“Come farà a ricordare di nuovo?” aveva domandato Hugo Weasley con voce rotta.

“Prima o poi ci riuscirà.” L'aveva rassicurato Madama Chips. “Non dubito che presto cominci a fare domande in proposito... Con questo genere di cose non si può mai sapere. Può darsi che basti un gesto o un dettaglio a farle ricordare tutto, o che sia necessario un Controincantesimo. Per adesso, possiamo solo aspettare.”

 

Aspettare. Erano passati cinque giorni, e ancora Scorpius si sentiva morire dentro ogni volta che incontrava il suo sguardo smarrito. Aveva trascorso con lei ogni momento libero dalle lezioni, finché perfino la Chips non aveva rinunciato a ricordargli che gli orari di visita avrebbero dovuto essere limitati. A dire il vero, rifletté, non gli aveva mai imposto di andarsene. Non l'aveva mai costretto.

Sospettava di farle pena, ma non gli importava.

“Perché passi così tanto tempo qui con me?” Mormorò Rose improvvisamente, dopo parecchi minuti trascorsi in silenzio. “Sono... importante, per te?”

Sentì pizzicare gli occhi. “Sei molto importante per me, Ro–” si trattenne a fatica dal pronunciare il suo nome.

Tuttavia, la ragazza l'aveva udito benissimo. “Rose.” Ripeté, assaporando il suono. “Quindi è questo il mio nome.”

Annuì, sentendosi vagamente colpevole. “Sì.”

Di nuovo, lo sguardo di lei si perse nel nulla. Per alcuni istanti, l'unico suono fu il tichettio della pioggia contro i vetri della finestra. 

“Come mai ho perso la memoria?” La udì domandare ancora.

Esitò, cercando le parole giuste. Doveva stare attento a non dire nulla che potesse destabilizzarla. “È stato... è stato un incidente.”

Le sopracciglia di Rose si aggrottarono. “Un incidente magico?” Arrossì. “Non prendermi per matta, per favore. Solo che... Credo di essere una strega.” Lo guardò ansiosa; quando vide che non aveva reagito in alcun modo – se non manifestando un certo sollievo – parve rilassarsi. “Anche tu sei un mago?”

Si sentiva estremamente sollevato. Rose ricordava la magia! Per la prima volta in tutti quei giorni, vide un briciolo di speranza. “Sì,” le sorrise. “Siamo tutti maghi e streghe qui.”

Per la prima volta da quando la ragazza aveva perso la memoria, la vide sorridere. “Allora non sono matta.”

Ebbe l'impulso di stringerla tra le braccia, ma si trattenne, restando immobile lì dove si trovava. “No, non sei matta.” Scrollò le spalle. “O forse siamo tutti matti, chi lo sa.”

Lei rise. Poi sembrò rabbuiarsi: Scorpius riconobbe l'espressione che aveva quando era indecisa. Evidentemente, c'era un'altra domanda per la quale aveva bisogno di tutto il suo coraggio.

“Volevo chiederti una cosa,” la udì infine sussurrare.

Posò la mano sulla sua, sulle lenzuola bianche. “Qualunque cosa,” mormorò di rimando.

La ragazza parve rassicurata. “Raccontami di Rose, ti prego,” implorò.

“Qualsiasi cosa,” ripeté Scorpius, cercando le parole giuste per cominciare.

 

 

 

*****

 

 

 

1 marzo 2022

Sesto Piano, Hogwarts

Ora di cena

 

Holly era stanca morta. Era un bel pezzo che non si faceva una buona notte di sonno: da giorni – da quando quella povera ragazza era stata vittima dell'ultimo attacco – non facevano altro che lavorare senza sosta. Non erano più gli unici agenti di stanza a Hogwarts: squadre di Auror pattugliavano ininterrottamente tutto il perimetro; Harry Potter in persona faceva continuamente la spola tra il Ministero e Hogsmeade, in compagnia di due agenti stranieri che Holly non aveva mai visto prima di quel momento. 

Doveva ammettere che le faceva una strana impressione. In quei due mesi, si era abituata ad essere a capo della sua piccola squadra: non riusciva ad abituarsi di nuovo a non avere alcuna voce in capitolo riguardo alle decisioni che di volta in volta venivano prese dai suoi superiori.

Perlomeno, loro tre erano gli unici ad alloggiare a Hogwarts: gli altri Auror dormivano a turni in varie locande di Hogsmeade. In compenso, poiché solo loro pattugliavano l'interno del castello, da giorni non vedevano la luce del sole e dormivano pochissimo, alternandosi con Louis e Marcus in brevi ore di riposo. 

Lou era particolarmente frustrato in quei giorni, oltre che arrabbiato come non mai. Holly lo capiva: dopotutto, era sua cugina la ragazza che aveva perso la memoria.

Ma oltre alle preoccupazioni, era la mancanza di sonno e di aria fresca a conferire loro quel pallore così malsano. Gettò un'occhiata a Marcus, suo compagno in quel turno di guardia – Louis dormiva nei loro appartamenti. Non fu stupita nel trovare sul volto dello Spezzaincantesimi la sua stessa aria tirata e le sue stesse pesanti occhiaie.

Sospirò, tornando a posare lo sguardo sul corridoio che stavano percorrendo: si districava davanti ai suoi occhi, simile a una galleria oscura, le cui pietre apparivano a malapena lambite dalla luce traballante delle torce. Fuori, la notta era oscura e piena di pericoli¹.

Il suo stomaco brontolò. Negli ultimi giorni, prevedibilmente i loro pasti erano stati rapidi e frugali, consumati in fretta fra un turno di guardia e l'altro. 

“Fame, eh?” 

All'udire le improvvise parole di Marcus, si ritrovò a sobbalzare. Negli ultimi tempi, lo Spezzaincantesimi non era stato di tante parole. Una parte di lei temeva – come se ci fosse qualcosa da temere – che avesse colto il mutamento nei rapporti tra lei e Louis; tuttavia aveva accantonato quel pensiero quasi subito: avevano cose molto più gravi e importanti cui pensare, dopotutto.

“Tu che dici?” replicò, in un tentativo di suonare distaccata. Tuttavia, la sua voce denotava solo una grande stanchezza.

Marcus si limitò a rivolgerle una specie di sorriso, che non sfiorò gli occhi. “Non abbiamo avuto molto tempo per mangiare, ultimamente,” rilevò in tono neutro.

“Infatti.”

L'imbarazzo nella loro conversazione era palpabile. Si chiese a cosa fosse dovuto.

“Stavo pensando una cosa,” disse ancora lo Spezzaincantesimi, sempre con quel tono vago e rilassato. “È un bel po' che non ti chiedo un appuntamento.”

“Forse perché conosci già la risposta?” Si sentì arrossire, irrigidendosi involontariamente. Sperò che Marcus non se ne fosse accorto. “Oltretutto abbiamo altre cose a cui pensare, non credi?”

L'altro fece spallucce. “Vorresti uscire con me, quando tutto sarà finito?”

Di nuovo, percepì il rossore lambirle la pelle, pizzicando le sue guance. “D'accordo, era troppo bello per essere vero.” Tentò di ironizzare con scarsa convinzione.

Non dirgli di Louis. Qualunque cosa, ma non dirgli di Louis.

Non sapeva cosa la spingesse ad avere simili pensieri. Probabilmente – cercò di razionalizzare – temeva che l'equilibrio della loro squadra si rompesse, andando a discapito delle loro indagini.

… Ma chi vuoi prendere in giro?

La loro indagine era fallita. La presenza di tutti quegli Auror lo rendeva più che palese.

“Non mi hai ancora risposto.” Era un sogghigno vero quello in cui si incurvarono le labbra di Marcus. Chiaramente, si stava prendendo gioco di lei.

Come ha sempre fatto. Ma perché adesso ti ferisce?

“Penso che la risposta sia chiara,” replicò freddamente. Dopotutto, era dai tempi di Hogwarts che Marcus Flitt la scherniva ininterrottamente ogni volta che si trovavano a rapportarsi tra di loro, da quei falsi – e sprezzanti – inviti per appuntamenti agli scontri sul campo da Quidditch.

Aveva sempre pensato che la sua fosse solo invidia. Dopotutto, Serpeverde non aveva mai vinto contro la sua squadra. Ma che senso aveva l'invidia, adesso? Credeva che Marcus fosse cresciuto: aveva lavorato al fianco suo e di Louis con estrema professionalità e non aveva esitato a porsi in situazioni di pericolo.

Voleva solo mettersi in mostra. Certe cose non cambiano mai.

Lui sospirò, scuotendo la testa. Ogni traccia d'ilarità era scomparsa dai suoi occhi. “Holly, Holly... Non capirai mai?”

Si chiese il perché del groppo che si sentiva in petto. Conosceva Marcus Flitt da anni e mai – mai – si era sentita anche solo lontanamente sfiorata da una delle sue prese in giro. Forse qualcosa era cambiato, ma davvero non aveva voglia di scoprirlo.

“Non c'è nulla da capire.”

“Ne sei così sicura?”

Si sforzò di ignorarlo, camminando in fretta per i corridoi, guardandosi attorno alla ricerca di movimenti sospetti.

Niente. Se qualcosa non andava, decisamente non era al Sesto Piano.

“Holly.” 

Percepì la mano di Marcus circondarle il gomito, trattenendola dal proseguire oltre.

“Dobbiamo terminare la ronda,” gli ricordò con voce stentorea, cercando di ignorare il suo cuore che batteva come una grancassa.

Da quando questo stupido Serpeverde sbruffone ti fa tanto effetto?

Si sforzò di pensare a Louis. Ai suoi baci, alle sue carezze.

La sua mente era completamente in bianco.

“La ronda può aspettare.”

“La ronda non può aspettare.”

Allora perché non si divincolava dalla sua presa? Perché non si allontanava, lasciando Marcus solo in quel corridoio? Era ridicolo. Da adolescente era sempre riuscita a gestire situazioni del genere; perché adesso – da donna adulta e, si supponeva, matura – non riusciva più a farlo?

“Perché non vuoi uscire con me, Holly?” Senza lasciare il suo polso, lo Spezzaincantesimi le girò lentamente intorno, piazzandosi di fronte a lei. 

Chiuse gli occhi. Non voleva – non poteva – guardarlo in faccia. “Perché–” la voce le morì in gola.

Udì Marcus sospirare. Cercò di concentrarsi sul buio dietro le sue palpebre. “Perché, Holly?” la incalzò lui.

Spalancò gli occhi, improvvisamente stizzita. Detestava il modo in cui pronunciava il suo nome. “Perché sei ancora lo stesso, stupido Serpeverde che sa solo prendermi in giro!” sbottò furente, guardandolo dritto in faccia.

Ci fu un momento di silenzio. Marcus la guardava immobile, la bocca socchiusa, vagamente stupito. Poi diede in uno sbuffo esterrefatto. “Holly, è davvero questo il motivo?”

Aprì la bocca per ribattere, ma non fece in tempo a dire nulla, perché Marcus la baciò.

Fu un contatto irruento, inaspettato. Prima ancora di rendersene conto si ritrovò a ricambiare il bacio, stringendosi con le braccia attorno al collo di Marcus, che teneva una mano affondata tra i suoi capelli e l'altra sulla sua schiena, premendo i loro corpi l'uno sull'altro.

… Dannazione.

Si ritrasse bruscamente, sconvolta. L'uomo davanti a lei, che la guardava con occhi brillanti, era Marcus Flitt. Lo stesso Marcus Flitt che aveva cordialmente detestato per buona parte dei suoi anni scolastici. Lo stesso Marcus Flitt che si era ritrovata suo malgrado ad apprezzare, in quei mesi in cui avevano lavorato spalla a spalla. 

Improvvisamente, capì che fra di loro era lei quella che si era comportata come una ragazzina immatura per tutto quel tempo.

E Louis! D'accordo, tra di loro non c'era niente di definito. Non avevano mai parlato di esclusività del loro rapporto – conoscendo Louis l'aveva ritenuto improbabile, a dirla tutta, vista la sua attitudine a sedurre qualsiasi essere vivente che gli respirasse vicino – ma fra di loro c'era qualcosa. Adesso, sentiva di averlo tradito.

“Scusa,” esalò. “Non avrei dovuto farlo, né... né dirti quelle cose. Non penso che tu sia uno stupido.”

Marcus sbatté un paio di volte le palpebre, sorpreso. “Non so se mi stupisce più questo o il fatto che tu mi abbia baciato,” replicò.

Tu mi hai baciata,” ci tenne a precisare Holly.

Lui ridacchiò, salvo diventare subito serio un istante dopo. “Anche io non avrei dovuto. So di te e Weasley e non è stato... corretto, da parte mia.” La guardò con una strana intensità. “Ma erano anni che desideravo farlo.”

Sentì il cuore sprofondare. Riprese a camminare a velocità serrata, senza guardarlo in faccia, udendo però i suoi passi seguirla un istante dopo. Si sentiva in colpa: in colpa per averlo baciato, in colpa per aver trascurato alcuni minuti della sua ronda per quelle sciocchezze.

Soprattutto, si sentiva un'idiota.

… Forse perché, dopo anni, cominci a desiderarlo anche tu

 

 

 

*****

 

 

1 marzo 2022

Infermieria, Hogwarts

Sempre ora di cena

 

 

La porta dell'Infermieria si schiuse, facendolo svegliare di colpo. Si era appisolato su quella sedia, la testa sulle braccia, poggiato al letto di Rose. La quale, dal canto suo, dormiva ormai parecchio, del sonno magico indotto dalle pozioni di Madama Chips. 

Si voltò verso l'ingresso della stanza, per incontrare – stagliata sulla soglia – la figura minuta della madre di Rose, pallida e stanca, con i capelli crespi raccolti dietro la testa e gli occhi velati di dolore. 

Fece per alzarsi, ma la donna lo fermò con un cenno. “Resta,” disse a bassa voce.

Scorpius annuì e si lasciò cadere di nuovo sulla sedia, tornando a posare lo sguardo su Rose. Sembrava così serena quando dormiva – le ciglia posate sugli zigomi, le labbra socchiuse, il petto che si sollevava e si abbassava lentamente, allo stesso ritmo del suo respiro. Le palpebre chiuse celavano il suo sguardo sperduto.

Udì lo strusciare di una sedia sul pavimento: sollevò lo sguardo per scoprire che la madre di Rose si era seduta di fronte a lui, dall'altro lato della ragazza addormentata.

La vide sollevare una mano per scostare dolcemente alcune ciocche di capelli rossi dalla fronte della figlia. 

Deglutì, vagamente a disagio di fronte a quel momento così familiare e privato.

“Sembra così serena, vero?” disse la donna improvvisamente. “Quando dorme.”

Annuì, stupito che i pensieri di lei fossero stati così simili ai suoi. “Sì, signora Weasley. È vero.”

Lei gli rivolse un sorriso triste, per poi tornare a posare gli occhi sulla figlia da sotto le sopracciglia aggrottate. “Quello che stai facendo per lei è bello,” la udì mormorare.

Non seppe cosa rispondere. Rimase in silenzio.

“Sì.” La udì ancora. “Credo che tu tenga molto a lei.”

Abbassò gli occhi su Rose, abbandonata tra le lenzuola. “È così,” rispose in un sussurro.

La vide sollevare lo sguardo dal volto di Rose per puntarlo su di lui. “Era una bambina così buona,” sussurrò la signora Weasley, guardandolo dritto in faccia. Aveva degli occhi tremendamente intelligenti. “Sembrava così felice. Poi qualcosa è iniziato ad andare storto.” La sua voce tremò leggermente. “Aveva quattordici anni. Improvvisamente si è fatta più silenziosa. Quando era a casa, per scucirle una parola di bocca dovevo fare degli sforzi immensi.”

Scorpius annuì, in ascolto. Non si aspettava che la madre di Rose tirasse fuori quel discorso, né che parlasse con lui. Dopotutto, era sempre il figlio di Draco Malfoy: si sarebbe aspettato che lei gli intimasse di allontanarsi dalla figlia.

Ma evidentemente, Hermione Granger era troppo intelligente per fare una cosa simile.

D'altro canto, ricordava il periodo al quale si stava riferendo la donna. Era il loro quarto anno, lo stesso anno in cui Gossip Witch aveva iniziato a mettersi all'opera. 

Uno dei suoi primi scandali aveva riguardato proprio Rose.

“Forse è stata colpa mia,” proseguì la signora Weasley. “Ho sempre preteso troppo da lei. Credo fosse terrorizzata all'idea di deludermi... Non sono riuscita a farle capire che l'avrei accettata sempre e comunque, che il mio amore per lei era ed è totalmente incondizionato...” la sua voce si perse. Di colpo, parve ricordare che Scorpius era lì. Gli sorrise tristemente. “Ma ti starò annoiando con tutte queste chiacchiere, Scorpius.”

Sussultò. Non credeva che conoscesse il suo nome.

“Non si preoccupi, signora Weasley,” mormorò. “Nulla che riguardi Rose potrebbe mai annoiarmi.”

Specie se pronunciato da una persona che la ama almeno quanto me.

Il sorriso di lei si fece più largo e un po' più vivo. “Allora abbiamo qualcosa in comune, si vede.”

Tornò a guardare la figlia, ad accarezzare i capelli ai lati della sua fronte. 

“È tardi,” la udì sospirare. “Ho sentito parlare del vostro nuovo coprifuoco. Se non ti sbrighi rischi di non trovare più nulla da mangiare in Sala Grande.

In altre circostanze, avrebbe pensato che lei si volesse sbarazzare della sua presenza. Ma adesso capiva che quella di Hermione Granger era una reale preoccupazione: non aveva mai conosciuto una persona così generosa.

Si alzò piano, accarezzando la mano di Rose per salutarla. Le avrebbe dato un bacio sulla fronte, ma davanti alla madre non gli sembrava il caso.

“Grazie, signora Weasley.”

Lei gli sorrise. “Grazie a te, Scorpius. Puoi anche chiamarmi Hermione.”

 

 

 

*****

 

 

 

1 marzo 2022

Sala Grande, Hogwarts, Scozia

Subito dopo cena

 

 

Quando le pietanze scomparvero dai piatti dorati, Hugo si affrettò ad alzarsi dalla panca e a raggiungere la Sala d'Ingresso, per impedire a Herman di allontanarsi prima che lui potesse parlargli.

“Herman!” Esclamò, facendosi largo a gomitate tra gli studenti che uscivano dalla Sala Grande. “Aspetta un momento!”

Il Serpeverde si arrestò, voltandosi lentamente verso di lui mentre la folla continuava a camminare intorno a loro, affrettandosi a tornare nelle rispettive Sale Comuni in virtù delle nuove regole dello stato di emergenza. Attorno a loro, si potevano udire le esclamazioni dei Prefetti che richiamavano all'ordine gli studenti più piccoli.

Hugo era un Prefetto, e altrettanto valeva per Herman. Anche loro si sarebbero dovuti occupare di sovrintendere all'uscita degli allievi più giovani, ma a dire il vero in quel momento non gli importava granché.

Anche se Fiona Beckett te la farà pagare cara.

“Che cosa c'è, Weasley?” replicò, freddo. “Per caso hai un improvviso interesse per le foglie da tè?”

Hugo rise. “Questo era davvero un pessimo sarcasmo, Hessler.”

L'espressione dell'altro si ammorbidì appena. Era divertito, ma anche molto arrabbiato.

E lui sapeva di dover ottenere il suo perdono. Aveva avuto torto marcio, e oltretutto detestava sentirsi in debito – cosa che effettivamente era, visto l'aiuto che l'altro gli aveva dato con il libro di Cartomanzia Babbana.

Perché non c'entra nulla con quel bacio, vero Hugo?

“Che cosa vuoi?” insistette l'altro, brusco.

“Chiederti scusa?” tentò, stampandosi in faccia un sorriso tutto denti molto poco credibile.

Decisamente, chiedere perdono non era il suo forte.

L'altro roteò gli occhi, esasperato. “Sei impossibile.”

“Sono sincero.”

“Questo non toglie che tu sia impossibile.”

“E va bene,” cedette. “Mi sono comportato da idiota. I miei sospetti erano fondati ma avrei dovuto capire prima di essermi sbagliato. Mi dispiace.”

Herman rise. “Hai dovuto per forza sottolineare che i tuoi sospetti erano fondati, Weasley?”

Fece spallucce. “Sono pur sempre un Corvonero,” replicò con naturalezza.

“Hugo Weasley!” La voce di Fiona Beckett risuonò attraverso la Sala d'Ingresso. “Non sarebbe ora di fare il tuo dovere invece di perdere tempo?!”

“Agli ordini, generale!” gridò lui di rimando, per poi tornare a posare lo sguardo su Hessler, che lo osservava divertito. Ma davvero mi ha perdonato così in fretta? “Devo andare.”

Lui annuì. “Lo so.”

Si strinsero la mano con fare cameratesco, poi Hugo si allontanò.

… Probabilmente, Fiona te la farà pagare cara ugualmente.

 

 

 

*****

 

 

 

1 marzo 2022

Sala Comune di Serpeverde, Hogwarts

Scozia

 

 

Bernie si assicurò di avere la bacchetta in tasca, prima di dirigersi all'uscita della Sala Comune. Per ragioni di sicurezza, adesso erano solo i Caposcuola e i Prefetti dell'ultimo anno – che avessero dunque raggiunto i diciassette anni di età – a dedicarsi alle ronde notturne, e solo se volontariamente. Per quanto lo riguardava, si era proposto subito. 

Sentiva di essere coinvolto con quella vicenda più di quanto avrebbe dovuto, e non solo per quanto era successo a Rose, ma anche perché Christine sarebbe probabilmente stata una delle sospettate, nonostante il suo alibi di ferro, e non aveva dubbi che, nei giorni successivi, sarebbe stata interrogata dagli Auror fino allo sfinimento.

Senza contare quanto realmente Christine fosse coinvolta, coinvolgendo anche lui di riflesso.

Per tua scelta, Ber.

Sospirò, accingendosi ad abbandonare il tepore del caminetto per pattugliare i sotterranei umidi, dove il respiro si condensava in nubi di vapore. Abbandonò sul tavolo il libro di Trasfigurazione dal quale stava fingendo con se stesso di studiare – dopotutto avevano i M.A.G.O., quell'anno, anche se avrebbe preferito non pensarci visto quanto poco si stava dedicando allo studio – e si avviò a passi lenti verso l'uscita della Sala Comune, con l'aria funebre di un condannato a morte.

Non aveva voglia di girare per i corridoi di notte. Non aveva voglia di farlo da solo.

Stava per uscire quando qualcuno lo trattenne, tirandolo per la manica. “Bernard?”

Era Christine. Si era avvicinata così silenziosamente che lui neanche se n'era reso conto, sebbene di solito riuscisse a percepire la sua presenza in una maniera inspiegabile.

“Ciao, Christine. Dove sei stata tutto il giorno?” Era stata assente per un paio di lezioni, con sua notevole perplessità.

Lei non rispose. La studiò, sorprendendosi di trovarle impressa sul volto pallido un'aria ansiosa, come se avesse urgenza di dirgli qualcosa.

“Devo parlarti,” la udì mormorare. 

“Adesso ho la ronda,” replicò automaticamente.

Christine si lasciò sfuggire un respiro frammentato dalle labbra. “D'accordo.” Adesso Bernie iniziava a spaventarsi. C'era qualcosa di angosciante nel modo in cui la ragazza si guardava intorno nervosamente, come se qualcosa la terrorizzasse. “Vengo con te.”

Non aveva senso impedirglielo. Comunque, non ci sarebbe riuscito.

“Va bene,” acconsentì. “Ma cerca di non farti vedere, d'accordo?”

Lei sbuffò stancamente. “Per chi mi hai preso, Bernard?”

Assieme, si avviarono nel corridoio gelido del sotterraneo.

Per alcuni istanti, l'unico suono fu l'umido rimbombare dei loro passi. Poi, Christine parlò.

“L'ho trovato,” esalò. “Il pezzo che mi mancava.”

Per un momento, Bernie restò pietrificato sul posto. “Che cosa?!”

“Sì,” confermò lei. Sembrava avere molto fretta. “Non c'è molto tempo. Potrebbero già sapere che l'ho scoperto... Non so cosa mi faranno.”

“Eh?” L'afferrò per le spalle, esterrefatto e spaventato. “Chi? Che cosa dovrebbero farti?”

“Se dovesse accadermi qualcosa,” lo interruppe Christine senza ascoltarlo, “ricordati che Gossip Witch è–”

Ma fu interrotta. Improvvisamente, era stato lanciato su di loro un incantesimo che li aveva costretti ad allontanarsi bruscamente l'uno dall'altro, rilanciati come da un colpo allo stomaco. La schiena di Bernie cozzò violentemente contro la parete. Per un momento, la sua vista si appannò per il dolore dell'urto. 

Il cuore gli batteva a velocità forsennata.

Quando riuscì a vedere più nitidamente, distinse Christine. Tremava violentemente, l'espressione sul suo volto era semplicemente paralizzata dal terrore. Qualcuno la teneva immobilizzata, puntandole una bacchetta alla gola. 

Qualcuno che Bernie conosceva.

La testa gli girava, ma la sua mano corse automaticamente alla bacchetta. Tuttavia, la ragazza dai capelli scuri che aveva afferrato Christine lo disarmò immediatamente; rintontito dalla botta, non riuscì a reagire in nessun modo.

Il tempo scorreva in respiri lenti, umidi e confusi.

“Mi dispiace che tu ci sia finito in mezzo, Boot,” disse la ragazza, puntando la bacchetta contro di lui.

Poi, fu tutto nero.

 

 


 

 

 

 

¹ La notte era oscura e piena di pericoli. Chi conosce Martin e Game of Thrones, avrà già colto il riferimento.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

 

Oh, yes! Sono riuscita ad aggiornare abbastanza puntualmente anche questa volta (grazie, estate!). Spero che questo capitolo sia stato soddisfacente e che non mi odierete.

Questa volta sono di frettissima, quindi non mi soffermo molto qui nelle note dell'autore.

Grazie a tutti voi <3

Bisous!

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Capitolo 38
*** Capitolo 37 - Complicazioni ***




Ritengo che nel dubbio la cosa migliore
 sia tornare sui propri passi.

Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

 

And death is at your doorstep
And it will steal your innocence
But it will not steal your substance.

Mumford & Sons

 

 

 

 

4 marzo 2022
Langholm, Sud della Scozia
Circa 7:30 AM

 

 

Gabe Campbell sbuffò. Il suo respiro si condensò in vapore davanti alle sue labbra, per poi essere spazzato via da un soffio di vento.

Nonostante il giubbotto imbottito che indossava, il gelo gli strisciava sotto i vestiti, finendo per penetrare dentro le ossa. Sollevò il polso per gettare un'occhiata all'orologio, scoprendo senza poi molta sorpresa che il suo autobus era in ritardo di quasi dieci minuti.

Il cielo brumoso si rifletteva nelle acque turbolente dell'Esk. Il ponte che attraversava il fiume era percorso da poche automobili, occupate da lavoratori diretti in ufficio e da genitori intenti ad accompagnare i figli a scuola. Probabilmente, Gabe sarebbe stato in grado di identificarli tutti: in una cittadina di duemila anime, difficilmente si vedevano facce nuove. 

Oltre le sponde del fiume, il villaggio si stagliava contro i boschi in lontananza, con la sua schiera di casette grigie e tetti spioventi. Gabe avrebbe dato chissà cosa per vivere in centro invece che sulla riva opposta dell'Esk, così da non essere costretto a prendere ogni mattina quel maledetto autobus per andare a scuola – in alternativa, non gli sarebbe dispiaciuto se i suoi genitori avessero avuto il tempo di accompagnarlo in macchina, invece che essere obbligati a orari di lavoro improponibili.

Come se non bastasse, avrebbe avuto un test di biologia in prima ora. Un test per il quale aveva studiato così poco che neanche valeva la pena tentare di ripassare.

Sbuffò ancora, lasciando scorrere lo sguardo sulla sparuta striscia di case alle sue spalle, finendo per posarlo sul supermercato proprio accanto alla fermata dell'autobus.

Fu allora che la vide. All'inizio strabuzzò gli occhi, pensando che la vista lo ingannasse, salvo poi scoprire di non essersi sbagliato. 

In piedi accanto a una fila di carrelli, c'era una ragazza che non aveva mai visto prima. Aveva capelli rossi raccolti in due trecce arruffate, il trucco sbavato sotto gli occhi e i vestiti in disordine, ma lineamenti affilati da folletto e un corpo snello ed esile sotto gli abiti spiegazzati. Dimostrava quindici, al massimo sedici anni, e la sua mano destra continuava a sollevarsi per portare alle labbra una sigaretta, stretta tra le dita ossute. Il fumo restava sospeso per alcuni istanti davanti al suo viso, simile a una foschia grigiastra, per poi essere catturato e disperso dal vento.

Non solo era una faccia nuova: era anche decisamente attraente.

Forse la giornata poteva ancora migliorare. Si chiese chi fosse, se una nuova abitante di Langholm o – come temeva – semplicemente una ragazza di passaggio. Lo soprese che fosse sola. Ad un'occhiata più approfondita, notò come apparisse stanca, sfinita. Nei suoi occhi scuri ardeva un brillio febbrile.

Doveva star aspettando qualcuno, da come il suo sguardo continuava a dirottare nervosamente verso l'ingresso del supermercato. 

Gabe continuò a sbirciarla di nascosto, affascinato da quella sua aria così misteriosa e tormentata. Sembrava in fuga. Non sapeva come gli fosse venuto in mente, ma la definizione gli pareva adatta.

Dopo parecchi minuti – l'autobus era decisamente in ritardo, ma adesso non gli dispiaceva più di tanto – la vide sollevare il capo e sorridere appena in direzione del supermercato. Dalle porte scorrevoli era uscito un ragazzo che teneva una busta di plastica semivuota nella mano destra. Appariva più o meno nelle stesse condizioni di lei, con i capelli scuri in disordine, l'aria sbattuta e i vestiti spiegazzati. 

“Jake.” La ragazza andò incontro al tizio, per poi circondargli il collo con le braccia e baciarlo, con grande delusione di Gabe. “Dobbiamo fare in fretta.” Il suo accento era spiccatamente inglese, del Sud-Ovest. 

Quel Jake annuì. Entrambi erano accigliati, preoccupati. “Lily...” Udì la sua voce distintamente, sospinta dal vento nella sua direzione. “Sei sicura di quello che stiamo facendo, vero?”

Gabe vide Lily chiudere gli occhi, posando la fronte contro quella del ragazzo.

“Lo spero.”

Smise immediatamente di guardarli, accigliato. Non si era sbagliato quando aveva pensato che quella ragazza sembrasse in fuga: quei due avevano tutta l'aria di nascondere qualcosa di losco. 

Avrebbe dovuto saperlo, che con una del genere non avrebbe mai avuto speranze. Per fortuna, a distoglierlo dai suoi pensieri giunse il rombo lontano dell'autobus, finalmente in avvicinamento. 

Forse avrebbe fatto meglio a iniziare a preoccuparsi per il test di biologia.

 

 

 

*****

 

 

Tre giorni prima

 

 

 

2 marzo 2022
Quarto Piano, Hogwarts, Scozia
Mattina

 

 

Quel giorno il cielo era limpido. Sembrava premere contro i vetri delle finestre, nel suo azzurro timido e sbiadito, come se la primavera avesse deciso di affacciarsi prima del tempo. Gli studenti si muovevano lungo le scale, disperdendosi tra le diverse aule per la prima lezione della giornata. Il nero delle uniformi di Hogwarts era interrotto solo di tanto in tanto dalle divise colorate degli allievi stranieri. 

Nonostante le nuove norme di sicurezza e il clima di palpabile timore che era sceso sul castello, quell'accenno di primavera sembrava aver messo buon umore a tutti, a giudicare dalla vivacità che si poteva percepire per i corridoi. 

Scorpius Malfoy, tuttavia, sembrava essere escluso da quell'allegria generale. O almeno, così pensava lui. Non capiva proprio come si potesse manifestare serenità in una situazione come quella. Per quanto lo riguardava, non riusciva a liberarsi dell'angoscia causata da tutte quelle cose terribili e inspiegabili che stavano accadendo in rapida successione. 

Si lasciò sfuggire un sospiro tra le labbra. Jake, al suo fianco, lo guardò per un istante con fare interrogativo, inarcando un sopracciglio, salvo tornare subito dopo alla sua aria accigliata. Scorpius sapeva a cosa stava pensando. Quella mattina, svegliandosi nel loro dormitorio, avevano trovato il letto di Bernie vuoto e intatto, come se il loro amico non avesse dormito lì. 

 

“Aveva il turno di ronda,” gli aveva ricordato Jake, aggrottando le sopracciglia, quando si erano resi conto che Bernie non era lì.

Scorpius aveva emesso uno sbuffo scettico. “Sì, ma un turno di ronda non dura tutta la notte.” 

Alla sua risposta, l'altro non aveva fatto altro che annuire lentamente, lo sguardo fisso in un punto lontano. Non ci voleva poi molto a capire che stava riflettendo: quella era l'espressione che faceva quando qualcosa non gli tornava. La cosa non aveva potuto che accrescere l'inquietudine di Scorpius.

“Potrebbe aver passato la notte con Christine,” aveva ipotizzato Jake dopo una breve pausa. “Sì, dev'essere così. Non ci sono altre spiegazioni.”

“Probabile,” aveva convenuto Scorpius, poco convinto. “Dev'essere così,” aveva aggiunto, riecheggiando le parole dell'amico. “Tra poco arriverà.”

 

Tuttavia, né a colazione né in Sala Comune c'era stata traccia di Bernie. O di Christine, se era per questo. A dire il vero, tuttavia, era probabile che se davvero avevano passato la notte insieme facessero tardi a lezione. 

Sbuffò, chiedendosi se Rose dormisse ancora, nel suo lettino bianco in Infermieria. Gli sarebbe piaciuto poter andare subito a trovarla, ma sapeva che non era il caso di saltare le lezioni per stare con lei, o la Chips non gli avrebbe più permesso di accedere al suo piccolo regno fuori dall'orario di visita. 

Gettò un'altra occhiata al cielo limpido fuori dalle finestre, desiderando che le cose fossero meno complicate e dolorose. 

Erano diretti all'aula di Trasfigurazione, la prima lezione della giornata per gli studenti del Settimo Anno. Percorsero il corridoio che li avrebbe portati a destinazione con calma, circondati dall'andirivieni degli altri studenti. 

Di fronte alla porta della classe, per poco non andarono a sbattere contro Gwyneth Parkinson. Contrariamente all'aria rilassata che esibiva di solito, quella mattina la ragazza aveva le sopracciglia aggrottate e la bocca contratta. I capelli scuri spiccavano contro la pelle chiara, raccolti in parte dietro la testa; alcune ciocche sfuggivano, accarezzando la fronte liscia. 

La vide riassestarsi distrattamente la gonna sgualcita, stringendo le labbra.

“Christine ha dormito da voi, stanotte?” domandò loro sbrigativa.

A quelle parole, Scorpius sentì il sangue gelare nelle vene. Si scambiò con Jake uno sguardo significativo, poi quest'ultimo si rivolse a Gwyneth. “No, a dire il vero.” Lo udì sbuffare. “Neanche Bernie, se è per questo.”

Le sopracciglia scure di Gwyneth si sollevarono, disegnando due perfetti archi sopra gli occhi. “Beh,” commentò aspra, “non è che abbiano aspettato granché prima di violare tutte le norme di sicurezza.”

Scorpius non aveva difficoltà a capirla, perché provava in parte lo stesso astio. Dopo quanto era accaduto a Rose, non sopportava che quei due prendessero le nuove regole con tanta leggerezza. Tuttavia, si sentì in dovere di difendere l'amico. “Bernie aveva la ronda,” fece notare a Gwyneth.

La ragazza emise uno sbuffo sarcastico. “Ma Christine no, a quanto mi risulta.”

“Comunque è strano.” Jacob aveva parlato a voce molto bassa, ma perfettamente udibile. “La lezione sta per cominciare e ancora non sono qui.”

A quelle parole, tra di loro calò il silenzio, mentre tutti e tre si scambiavano sguardi perplessi e preoccupati. Poi, l'attenzione di Scorpius fu catturata dalla figura di una ragazza che emergeva dalla rampa di scale alle loro spalle. La sua espressione era spaesata e i capelli rossi raccolti dietro la testa.

Non aveva mai visto Rose Weasley con indosso l'uniforme di Hogwarts così in ordine. Indossava un paio di calze nuove, al posto di quelle perennemente smagliate che portava di solito. Il colletto della camicia scendeva liscio sulle spalle, la cravatta era perfettamente annodata e il mantello cadeva dritto, con gli alamari ben allacciati.

Le sue gambe si mossero automaticamente, portandolo verso di lei. Nel posarsi su di lui, gli occhi di Rose si tinsero di sollievo. Evidentemente, il suo volto doveva esserle diventato familiare in mezzo a tutte quelle facce improvvisamente sconosciute. 

“Ciao.” Lo salutò esitante quando se lo trovò di fronte. “Questo è il quarto piano, vero?”

Annuì. “Madama Chips ti ha fatta uscire?”

“L'Infermiera?” Rose aggrottò le sopracciglia. “Ha detto che ormai sono pronta ad andare in giro nel castello. Che per ragioni di sicurezza devo tornare al mio dormitorio.”

Era ragionevole, dopotutto. L'Infermieria non aveva parole d'ordine né alcuna norma di sicurezza: di certo per un eventuale aggressore sarebbe stato più facile irrompere lì che nei sotterranei di Serpeverde. 

Sentiva gli sguardi di Gwyneth e Jake puntati sulla nuca. “Andiamo.” Si sforzò di sorridere rassicurante, accennando con il capo alla volta dell'aula. “La lezione sta per cominciare.” 

Assieme a lei, raggiunse gli altri due. Rose rivolse loro occhiate confuse. Sembrava frustrata: evidentemente, cercava di ricordare chi fossero senza molti risultati. 

Per fortuna, il ragazzo interruppe quel momento di tensione, facendosi avanti con la mano tesa. “Piacere,” si presentò in tono educato. “Io sono Jake.”

Lei lo guardò. Scorpius pensò a quanto la vecchia Rose malsopportasse Jacob, il che faceva un curioso contrasto con il modo in cui lo stava osservando adesso. Il suo sguardo era limpido, vagamente rassicurato, e soprattutto privo di ogni astio. 

La vide chiudere per un momento gli occhi. Quando li riaprì, la sua espressione era decisa. “Io sono Rose.”

Jacob sorrise appena, annuendo lentamente. Scorpius lo ringraziò mentalmente per il tatto con cui era riuscito a rivolgersi a lei. Seguendo il suo esempio, anche Gwyneth si presentò, mentre la porta dell'aula di Trasfigurazione si apriva, invitandoli ad entrare. Si accomodarono tutti assieme, come non facevano più o meno dai tempi del Secondo Anno.

L'assenza di Bernie e Christine, doveva ammetterlo, era palpabile almeno quanto quella strana sensazione di unità.

Fra poco arriveranno, si ripeté Scorpius. Gli sarebbe piaciuto liberarsi di quel cattivo presentimento che lo aggrediva dall'interno.

 

 

 

 

*****

 

 

2 marzo 2022
Hogwarts, Scozia
Due ore più tardi

 

 

C'era qualcosa di strano. Jacob l'aveva sospettato fin dall'inizio, dal preciso momento in cui aveva posato gli occhi sul letto di Bernie e l'aveva trovato vuoto, con le coperte ben tese e le cortine spalancate. Somigliava a un presentimento oscuro, come un vago senso di apprensione e pericolo che continuava a punzecchiarlo dall'interno, simile ad un avvertimento. 

Quando al finire delle due ore di Trasfigurazione di Bernie e Christine ancora non c'era stata traccia, realizzò di non essersi sbagliato. C'era qualcosa di sospetto.

La campanella suonò e l'aula fu invasa del brusio di sedie spostate dai banchi e studenti che si alzavano per uscire dalla classe, diretti alla lezione successiva. Anche lui si alzò, scambiandosi uno sguardo con Gwyneth. L'espressione della ragazza era tesa e preoccupata: anche lei doveva avere la sua stessa sensazione. Gettò uno sguardo a Scorpius, che stava parlando piano con Rose Weasley. Nonostante apparisse abbastanza rilassato, era chiaro che si sforzasse di sembrare tale per non turbare la ragazza. 

Qualcosa di oscuro sembrava essere calato su di loro.

Albus lo raggiunse mentre usciva dalla porta. Non erano riusciti a parlarsi prima di quel momento, visto che il Grifondoro era arrivato a lezione trafelato, con i capelli ancora più in disordine del solito e l'aria assonnata, scusandosi per il ritardo. 

“Dov'è Bernie?” domandò subito Al. 

Jake si era aspettato quella domanda, ma non sapeva bene come rispondere. “Non lo so.” Disse infine. “Questa mattina non c'era nel dormitorio. E neanche Christine.”

Le sopracciglia dell'altro si aggrottarono mentre la sua espressione si faceva accigliata. “Pensi che lei gli abbia fatto del male?” fece brusco.

Quelle parole lo infastidirono. “No, non credo.” Si lasciò sfuggire uno sbuffo. “Mi chiedo se non sia successo qualcosa a entrambi.”

Albus non sembrava particolarmente convinto, ma non disse nulla. Assieme a Gwyneth, si incamminarono per il corridoio, facendosi strada tra la folla di studenti diretti alle varie aule di lezione. Individuò gli studenti di Serpeverde del Quinto Anno solo grazie alla presenza di Lily, che come al solito riusciva a percepire in ogni situazione. 

La sua ragazza gli andò incontro, spostando alcune ciocche di capelli rossi dietro le orecchie. Si sollevò in punta di piedi per dargli un bacio sulle labbra, per poi rivolgersi ad Albus con un sorriso smagliante. “Ciao, fratellone!”

Al rimase impassibile, ma a Jake non sfuggì la lieve contrazione della sua mascella. Lily li osservò per alcuni istanti, poi il suo sguardo parve adombrarsi.

“È successo qualcosa.” Aveva il tono di una constatazione più che di una domanda. 

Deglutì. “Bernie e Christine. Non erano nei loro letti questa mattina e ancora non si sono visti in giro.”

Si sarebbe aspettato una reazione uguale a quella che avevano avuto tutti in principio. Tuttavia, Lily lo sorprese ancora una volta. Non ipotizzò che avessero passato la notte insieme. Non commentò aspramente la loro assenza. Semplicemente, sbiancò.

“Dimmi che stai scherzando.” Esalò. Senza attendere una risposta, lo afferrò per il braccio, trascinandolo lontano da Gwyneth e Albus, che rimasero lì, immobili e perplessi. 

La sua espressione era spaventata e tesa; il suo volto aveva perso ogni colore e i suoi occhi erano sgranati. “Christine.” La sua voce era talmente flebile che persino a pochi centimetri di distanza Jake riuscì a udirla a malapena. “Deve aver trovato il pezzo che le mancava.”

Sbatté un paio di volte le palpebre, senza la più vaga idea di ciò di cui Lily stava parlando. “Che cosa–” cominciò, ma lei lo interruppe subito.

“Me l'ha detto!” parlava da sola, gesticolando, con l'espressione fissa di chi si sta sforzando disperatamente di pensare. “Dev'essere così,” proseguì, per poi puntare gli occhi su di lui. “Li hanno portati via.” 

Jake impiegò alcuni istanti a metabolizzare il significato delle sue parole. “Lily, di cosa–”

“È così.” Non aveva mai visto la sua espressione così decisa. “Christine ha cercato di avvertirmi che sarebbe accaduto qualcosa di brutto, e così è stato.” La vide guardarsi attorno nervosamente. “Dobbiamo agire subito.”

Si sentiva sempre più confuso, ma qualcosa gli suggeriva di lasciar fare Lily. Si fidava di lei: se credeva di sapere quello che faceva, doveva essere così. Era certo che dopo gli avrebbe spiegato tutto, e se aveva ragione – se davvero Bernie e Christine erano stati rapiti – allora non c'era tempo per esitare.

“Che cosa devo fare?” domandò serio.

Lily lo guardò intensamente. “Torna da Al e digli di controllare con la Mappa se sono ancora nel perimetro del castello. Se non ci sono corri ad avvertire gli Auror. Vai con Al da Louis e dite loro che Bernie e Christine sono scomparsi. Solo questo.”

Capì al volo cosa intendeva. Non avrebbero dovuto accennare a Gossip Witch e a tutto il resto. “D'accordo.” Annuì. “E tu cosa farai?”

Le labbra di lei si incurvarono in qualcosa di simile a un sorriso. “Io devo parlare con Hugo.”

 

 

 

 

*****

 

 

 

2 marzo 2022
Terzo Piano, Hogwarts, Scozia
Poco più tardi

 

 

Lo sguardo di Holly scivolò ancora sulla figura snella di Louis, che stava percorrendo il corridoio con il suo passo fluido, un paio di metri più avanti di dove si trovava lei, appena in tempo per vederlo arrestarsi improvvisamente. I raggi del sole – brillante in quel giorno di primavera anticipata – si posavano su di lui, immobile nel rettangolo di luce ritagliato da una finestra.

Piano, si voltò verso di lei. “C'è qualcosa di cui vuoi parlarmi, vero?”

Chiuse gli occhi per un momento e li riaprì. Era così, in effetti. Ancora si sentiva frastornata al ricordo di quanto accaduto con Marcus il pomeriggio precedente, ma, dopo una notte di riflessione, non aveva più intenzione di permettere alla sua confusione di avere la meglio su di lei. Avrebbe smesso di comportarsi come una bambinetta egoista, per cercare di affrontare i problemi uno alla volta, con una certa logica.

Il fatto che i suoi problemi fossero due persone non aiutava, ma doveva riallacciare i fili per tornare padrona della situazione e capire cosa fare.

“Sì.” Disse semplicemente.

Aveva sempre creduto nella sincerità nei rapporti tra le persone. Le cose andavano dette in faccia con assoluta onestà: forse per questo non aveva mai sopportato Marcus e i suoi amichetti Serpeverde, con i loro subdoli giri di parole. 

Non aveva mai pensato che potesse essere così difficile. Davanti ai suoi occhi, Louis era in attesa. La guardava dall'altro lato dei due passi che li separavano. Le sue labbra erano incurvate in un sorriso sottile, ma i suoi occhi decisamente seri. 

Chiuse gli occhi ancora, ma si costrinse a riaprirli un attimo dopo. Doveva essere coraggiosa e corretta, da vera Grifondoro. Avrebbe detto a Louis la verità guardandolo negli occhi.

“Ieri Marcus mi ha baciata.” 

Le sue parole furono chiare e limpide. Non riuscì a dire nulla sul modo in cui si era ritrovata a rispondere al bacio dello Spezzaincantesimi, ma sapeva che Louis l'avrebbe capito. Era rimasto di stucco: se ne accorse dalla sua espressione sinceramente stupita, con la bocca socchiusa e le sopracciglia sollevate. Le stesse sopracciglia che dopo poco si aggrottarono. Le labbra si richiusero, contraendosi ai margini.

Lo vide scrollare le spalle, distogliendo gli occhi da lei. Il suo sguardo era celato dalle palpebre – rilevò ansiosamente. Non aveva modo di capire quale fosse la sua espressione. “Non c'era bisogno che me lo dicessi.” Il tono della sua voce poteva apparire del tutto rilassato, ma non le sfuggì la freddezza con cui aveva parlato. “Non che mi importi granché. Il nostro non è un rapporto esclusivo, Holly.”

Le parole di Louis la ferirono, ma si sforzò di nasconderlo. “Già.” Rispose piatta. “Evidentemente non lo è.”

Sapeva di non essere nella posizione di sentirsi offesa, ma ciò nonostante non poté fare a meno di sentire una scintilla di rabbia agitarsi nel suo stomaco. Da vera Grifondoro, non poteva sopportare che qualcuno ferisse il suo orgoglio.

Ripresero a camminare.

Louis non la guardava. I suoi occhi si posavano su qualsiasi cosa che li circondasse, ma mai su di lei. Lo stomaco di Holly ribolliva di nervosismo e agitazione. Aprì la bocca per ribattere, ma prima che una sola parola potesse uscire dalle sue labbra, la sua attenzione fu catturata dalle figure di tre studenti di Hogwarts che si stavano dirigendo a rotta di collo verso di loro, provenienti dall'estremità del corridoio.

Dopo una frazione di secondo gli occhi di Holly misero a fuoco, distinguendo la sagoma di suo cugino Jake. L'altro ragazzo in corsa era uno dei cugini di Louis, nientemeno che il figlio di Harry Potter, con in una mano qualcosa di molto simile ad una vecchia pergamena. C'era anche una ragazza con lunghi capelli neri che serpeggiavano furiosi nell'aria dietro la sua testa. 

I suoi occhi scivolarono sull'espressione di suo cugino: il suo volto era contratto, le labbra tirate in una smorfia e uno sguardo estremamente furente e calcolatore – uno sguardo da Serpeverde infuriato. Gli altri due sembravano altrettanto agguerriti. 

“Che cosa è successo?” Li anticipò Louis al suo fianco. Evidentemente, la sua testa doveva essere stata attraversata dal medesimo pensiero.

L'espressione di Jake non mutò di un centimetro mentre parlava. “Sono scomparse due persone.”
Sulle prime, Holly non capì. Le ci volle una frazione di secondo per comprendere il significato di quanto detto dal cugino: quando vi riuscì, il suo cuore sprofondò. Il sangue sembrava essersi congelato nelle sue vene, ma si sforzò di mantenere la calma e la disciplina e non darlo a vedere. “Chi sono e quando li avete visti l'ultima volta?” domandò nel tono più professionale che riuscì ad assumere, nonostante il cuore le battesse all'impazzata. “Siete sicuri che non stiano più al castello?”

Non le sfuggì lo sguardo significativo che Louis si scambiò con il cugino; gli occhi del suo collega erano dirottati sulla vecchia pergamena tra le mani di Albus.

“Ne sono sicuri, Holly,” le mormorò vicino all'orecchio, solleticandole il collo tra ciocche di capelli biondi. 

Non ebbe bisogno neanche di un attimo di esitazione prima di annuire. “D'accordo.” Guardò i ragazzi. “Di chi si tratta?”

Questa volta fu la ragazza a rispondere. “Christine De Bourgh e Bernard Boot.” Il suo tono era freddo. “Li abbiamo visti l'ultima volta ieri sera nella Sala Comune di Serpeverde.”

Bernard Boot... Quel nome le era familiare.

Improvvisamente, capì. “Il ragazzo è iscritto alle ronde dello stato d'emergenza, vero?” fece tra i denti. 

Lei annuì. “Sì. L'abbiamo visto l'ultima volta quando si è allontanato per la ronda. Abbiamo supposto che Christine sia andata con lui.”

“Stanno insieme, più o meno,” chiarì Jake. Poi, il suo tono di voce calò di un'ottava. “Potrebbe essere accaduto qualcosa di brutto.”

Holly si scambiò con Louis uno sguardo serissimo. 

Jacob aveva ragione.

 

 

 

 

*****

 

 

 

 

2 marzo 2022
Hogwarts, Scozia
Ora di pranzo

 

 

Lily accelerò il passo, facendosi largo a spintoni in senso inverso rispetto alla folla di studenti che scendevano lungo lo scalone di marmo, diretti in Sala Grande per il pranzo. Il cuore le batteva all'impazzata, come non aveva mai cessato di fare da quando, quella mattina, Jake le aveva detto che Bernie e Christine erano scomparsi. 

In quel momento, era stato come se qualcosa si fosse schiarito di colpo nella sua mente.

Se dovesse accadermi qualcosa...

Naturalmente, le parole di Christine significavano molto più di quanto non avrebbe mai potuto immaginare. Chiuse gli occhi e li riaprì, senza smettere di camminare. 

... Quando capirai agisci subito. Prima che possano fare del male anche a te.”

L'altra aveva visto lontano. Solo adesso Lily si rendeva conto di quanto ogni mossa compiuta da Christine negli ultimi mesi fosse stata perfettamente calcolata allo scopo di mettere in moto le persone giuste nei momenti giusti. 

Aveva previsto tutto. Lily aveva deciso di fidarsi di lei e non aveva cambiato idea, soprattutto grazie alle informazioni che Christine le aveva messo in mano. Ormai aveva capito che ogni frase detta da lei aveva un significato ben preciso e quasi sempre più profondo di quanto non potesse apparire. Le parole che le aveva rivolto potevano sembrare insensate o forse irrilevanti, ma Christine aveva nascosto in esse delle informazioni fondamentali, che adesso toccava a Lily decifrare. E in fretta.

Ha fatto di me la sua chiave.

L'unico elemento che non tornava era Bernard Boot. Per quanto Lily si sforzasse, non riusciva a capire cosa avesse a che fare lui con tutto il resto. Riteneva improbabile che Christine l'avesse coinvolto: mettere in mezzo qualcuno a cui teneva sarebbe stato un passo falso da parte sua. E lei non era il tipo da fare passi falsi.

… A meno che non si sia coinvolto da solo.

Dannazione, devo trovare Hugo.

Senza fiato, si fermò in un corridoio vuoto, cercando disperatamente di pensare. Era l'ora di pranzo, ma di Hugo non c'era stata traccia né in Sala Grande né in mezzo alla folla di studenti diretti lì. Dove poteva essersi cacciato suo cugino?

Un momento più tardi, si diede della stupida. C'era solo un posto dove poteva essersi rintanato il figlio di Hermione Granger, quando non lo si trovava da nessuna parte. Respirò profondamente e riprese a correre, precipitandosi alla volta della Biblioteca. 

Non si era sbagliata. Lo scoprì quando distinse la sagoma di suo cugino, controluce presso una delle finestre dai vetri piombati che facevano capolino tra uno scaffale e l'altro. I capelli castano-rossicci erano in disordine, come sempre quando studiava – aveva l'abitudine di tuffarvi le dita in mezzo se in preda alla concentrazione; Lily notò che erano cresciuti abbastanza e che gli cadevano sulla fronte, costringendolo a spostarli di frequente dagli occhi per riuscire a vedere qualcosa. 

Tuttavia – e questo la sorprese – non stava studiando, nonostante avesse un paio di libroni sottobraccio. Era in piedi, la schiena poggiata al davanzale della finestra, e chiacchierava un ragazzo di spalle, più basso di lui di tutta la testa – e dunque dalla statura perfettamente nella norma. 

… Hessler? 

Non parlò ad alta voce, ma se lo avesse fatto probabilmente le sue parole sarebbero state simili ad un mugolio strozzato. Non avrebbe saputo dire se l'aveva lasciata di stucco più trovarlo in compagnia di un essere vivente piuttosto che delle pagine incartapecorite di qualche incunabulo oppure trovarlo in compagnia di Hessler

Notò che gli occhiali di Hugo erano appesi al colletto della sua camicia invece di trovarsi al loro posto sul naso del proprietario. Il quale di solito dimenticava di toglierli dopo aver finito di studiare – sempre se finiva di studiare.

Non poté impedire al proprio sopracciglio di inarcarsi nettamente, mentre contraeva le labbra per nascondere un sorrisetto, nell'avvicinarsi ai due ragazzi. 

… Lily, non è il momento di pensare al fatto che se Hugo si è tolto gli occhiali c'è un motivo. 

Decise che quando tutta quella storia sarebbe finita avrebbe chiesto al cugino delucidazioni in proposito. Non vedeva l'ora di guardarlo irritarsi, infastidirsi e alla fine imbestialirsi, come faceva ogni volta che si sentiva in imbarazzo.

Su questo lui e Al sono assolutamente identici.

Ma non era il momento di tentennare con pensieri così frivoli. La priorità era agire. “Ricordati di Corvonero,” aveva detto Christine. Lily aveva subito pensato a Hugo. Forse la ragazza poteva riferirsi a delle informazioni che lui possedeva e lei no, che l'avrebbero potuta aiutare a risolvere il mistero e ad essere l'arma che l'altra aveva voluto piazzare al punto giusto. La sua mente era scivolata sulle carte misteriose che Hugo aveva ricevuto per tutto quel tempo. Ciascuno di quei messaggi, se così si potevano chiamare, aveva previsto, in un certo senso, qualcosa che poi era effettivamente accaduto. 

Se fosse stata Christine a mandarle, e non il loro nemico? Se lo scopo di quell'epistolario così fuori dai canoni fosse stato quello di aiutarli e non di metterli in difficoltà? Sembrava molto nello stile di Christine, dopotutto. Forse le carte potevano contenere qualcosa che l'avrebbe effettivamente condotta verso la direzione giusta. Magari una dose degli indizi che la ragazza in quei mesi aveva calibrato attentamente tra le persone che la circondavano poteva essere stata destinata a Hugo proprio attraverso quelle missive.

Le sembrava un'ipotesi piuttosto plausibile.

Fu per questo che ignorò ogni pensiero al riguardo di quanto avrebbe preso in giro il cugino su Hessler e si avviò a passo sostenuto verso di lui.

Venire a capo della faccenda era suo dovere, soprattutto se aveva visto giusto e se Christine aveva veramente fatto sì che lei potesse essere la chiave. Doveva essere coraggiosa e non indugiare neanche per un momento.

Per Rose, per Boot, per papà.

E per Christine.

 

 

Nell'udire un suono di passi venir loro incontro nello stretto corridoio tra gli scaffali, Hugo sollevò la testa. Davanti ai suoi occhi si faceva sempre più vicina la sagoma minuta dell'ultima persona che avrebbe voluto trovarsi di fronte in quel momento. 

Sua cugina Lily aveva i capelli in disordine come una Banshee, selvaggiamente aggrovigliati in nodi rosso fuoco attorno al viso pallido. Il che non era di per se così strano – non c'era Potter che non avesse problemi con i capelli, di tanto in tanto – non fosse stato per l'espressione di sua cugina. 

Il viso livido, gli occhi sgranati, l'aria di chi è vicino a perdere la calma.

Non è un buon segno.

Gettò un'occhiata di sottecchi a Herman, che in piedi di accanto a lui seguiva con gli occhi il tragitto di Lily, entrambe le sopracciglia sollevate in segno di perplessità. Evidentemente averla vista tanto trafelata doveva aver sorpreso anche lui.

Raddrizzò la schiena, preparandosi a ricevere brutte notizie.

“Devo parlarti, Hugo. Ci sono problemi.”

… Appunto.

Scostò infastidito una ciocca di capelli dalla fronte. Era proprio ora di tagliarli: continuando di quel passo, ben presto avrebbe attirato l'attenzione di Nonna Molly e del suo discutibile gusto in fatto di capigliature maschili. Oltre a quella della sua bacchetta fin troppo lesta, per quanto riguardava il dare una spuntatina ai capelli dei suoi figli e nipoti.

“Che genere di problemi?” domandò neutro.

Lily si guardò nervosamente intorno, prima di borbottare un Muffliato a denti stretti. 

Al suo fianco, Hugo poté percepire Herman irrigidirsi. “Per cosa hai bisogno di non essere origliata, Potter?” Lo udì buttare lì sarcastico. “Hai buttato gli occhi su un altro ex di tua cugina?”

Certo che è proprio uno stronzo.

Naturalmente, Lily non parve minimamente impressionata. A dire il vero – e questo lo lasciò abbastanza stupito – non sembrò neanche accorgersene, visto che neanche si prese la briga di replicare con una battuta tagliente. 

Doveva essere veramente una cosa seria. Più del solito, se era così urgente da non poter aspettare di mandare via Herman prima di parlargliene. 

“Le carte che hai ricevuto ieri,” la udì buttare fuori tutto d'un fiato. I suoi occhi scuri sembravano quasi febbricitanti: erano sgranati e lucidi, di un intensità strana. “Che cosa dicevano? Devo saperlo subito.

Per alcuni istanti si limitò a battere le palpebre, perplesso di fronte a tanta fretta.

“D'accordo, d'accordo.” Deglutì, chinandosi sul tavolo addossato agli scaffali per cercarvi il libro di Trasfigurazione, tra le cui pagine aveva nascosto le carte. “Perché ti servono?” Ritenne doveroso informarsi, perché da bravo Corvonero non poteva sopportare di non comprendere quanto accadeva attorno a lui, soprattutto nella confusione e nelle angoscie dell'ultimo periodo.

O forse, avrebbe dovuto dire da bravo essere umano. Pensò a Rose e ai suoi occhi spaesati. A come lo guardava senza ricordare che lui era suo fratello.

“Bernie Boot e Christine De Bourgh sono scomparsi.” La voce di Lily suonò flebile ma determinata. “E devo capire se in quelle carte c'è qualcosa che possa aiutarmi a ritrovarli.”

Girò un paio di pagine, chiedendosi dove si fossero cacciate le carte.

Un momento.

… Che cosa?!

 

 

 

Non appena Lily ebbe finito di parlare, Hugo sbiancò. Letteralmente: il suo viso sembrava aver perso tutto d'un colpo quel poco di colore che aveva sotto alle lentiggini ben distribuite tra naso e fronte. 

Prima di quel momento, non aveva mai visto suo cugino entrare in panico. Più volte era stato infuriato – la maggior parte per colpa sua – altre, soprattutto negli ultimi tempi, inquieto e sottilmente spaventato. Ma adesso era una cosa diversa: la sua fronte era diventata lucida, come se sudori freddi vi stessero colando, e le sue mani si erano strette spasmodicamente attorno al libro di Trasfigurazione che aveva estratto dalla borsa, rischiando di stracciarlo.

Non si è mai visto che Hugo tratti così un libro.

Dopo alcuni istanti in cui anche lei aveva mantenuto una sorta di fredda obiettività, si sentì improvvisamente gelare, mentre un senso di terrore le risaliva nauseabondo dalla bocca dello stomaco. 

Prima ancora di rendersene conto, aveva afferrato il cugino per le spalle con una forza che mai avrebbe sospettato di avere, guardandolo dritto negli occhi da sotto in su. “Hugo!” lo scosse quasi gridando, mentre il Muffliato li proteggeva dalle orecchie acute della Pince. 

Ma lui non parve neanche sfiorato da tutto quell'impeto. I suoi occhi erano abbacinati e fissi nel vuoto. “Rapimento,” esalò. “Dicevano rapimento.” D'un tratto i suoi occhi si assottigliarono sotto le sopracciglia tese. “Come sono stato stupido.” Sbottò divincolandosi dalla sua presa. “Avrei dovuto saperlo. Me lo sarei dovuto aspettare! Quella strega!”

Nell'udire le sue parole, Lily si irrigidì automaticamente. “Se stai parlando di Christine...” cominciò, ma il cugino la interruppe.

“Non difenderla,” sbottò tra i denti. “Lei è Gossip Witch, Lily!”

Scoppiò a ridere prima di riuscire a trattenersi. Possibile che fossero tutti così ciechi?

La sua risata si placò in fretta, amara e improvvisa, così com'era iniziata. 

Herman Hessler passava gli occhi dall'uno all'altra continuamente, seguendo attentamente la discussione. In altre occasioni la sua presenza l'avrebbe infastidita, ma adesso non c'era tempo per pensare a cosa provava lei. 

Non con un cugino maledettamente cocciuto da ricondurre alla ragione.

“Perché sei così convinto che sia lei?” domandò in tono sarcastico. Si aspettava in risposta le solite, sciocche motivazioni tirate su da tutti davanti a quella domanda: la sorprese dunque l'espressione decisa che si dipinse sul volto di Hugo.

“Me l'ha detto Lady Carmilla Sanguina.” Lo udì dire.

Sulle prima, non capì bene il significato delle sue parole. Quando ebbe metabolizzato quanto detto dall'altro, aggrottò le sopracciglia, costernata.

Che cosa?!”

“Okay, non precisamente,” ammise Hugo in fretta. “Ha dato a me, Al e Lucy una descrizione fisica che corrisponde a quella di Christine.”

A quel punto, dovette trattenersi dal gettargli una Fattura Orcovolante, pensando a quanto i pregiudizi potessero rendere totalmente cretine anche persone con un quoziente intellettivo di parecchio superiore alla media come suo cugino. 

“E naturalmente,” quando parlò, la sua voce somigliava a un sibilo ghiacciato, “a nessuno di voialtri idioti è venuto in mente neanche lontanamente che esistono centinaia di ragazze con capelli e occhi scuri a Hogwarts?!”

Hugo non parve demordere. “Lady Carmilla ha descritto con una grande precisione le espressioni di quella ragazza. Ha parlato di un sorriso fastidioso e saccente e di uno sguardo strano, difficile da capire.”

Lily roteò gli occhi. “Sei un idiota, Hugo,” ripeté. “Hai frainteso tutto. Christine ha solo cercato di fare del suo meglio per tutto questo tempo.”

“Da quando sei diventata la sua paladina, Lily?” ribatté lui aspramente. “Sinceramente non mi aspetto altro che cattiveria dal meglio di una persona come lei.”

Herman sembrava sempre più confuso, ma Lily non si curò di lui. “Santo cielo, tu dovresti essere quello intelligente!” sbottò. “Sei talmente chiuso nei tuoi giudizi da non vedere neanche quello che hai davanti agli occhi!”

“E tu non dovresti essere quella ingenua, Lily!”

A quelle parole, il sangue le ribollì nelle vene. Da Serpeverde qual era, non si era mai sentita così tragicamente Potter e incompresa quanto in quel momento. Si lasciò andare completamente a quello che le suggeriva l'istinto, afferrando Hugo per la collottola come per assestargli un pugno sul volto, costringendolo a chinarsi per guardarla dritta negli occhi.

“Ascoltami bene, stupido Corvonero che non sei altro,” sbottò, infuriata. “Questo non è il momento di fare l'idiota. Se ancora hai un barlume d'intelligenza da qualche parte, ti prego, usala adesso.”

Se non altro, ottenne l'effetto di farlo stare zitto. Approfittò di quel raro momento per parlare in fretta, spiattellandogli in faccia quello che sapeva e ciò di cui aveva bisogno. 

“Stanno succedendo cose brutte e dobbiamo agire prima che ne accadano di peggiori,” esordì, parlando veloce come non aveva mai fatto. “Chiunque ti stia mandando quelle carte... Non ce l'ha con te, Hugo. Ti avverte di quanto accadrà. Sta cercando di aiutarti.”

Questa volta, il cugino parve colpito. Probabilmente riteneva valida la sua teoria. “Come fai a sapere che Christine non sia la colpevole?” Le domandò comunque, probabilmente non senza un certo riserbo.

Lily scrollò le spalle. “Solo dandole ascolto possiamo permetterle di salvarci tutti. Se non posso convincerti, ti chiedo solo di fidarti di me.”

Calò il silenzio per alcuni istanti, rotto solo dai loro respiri. La tensione tra di loro era palpabile. Lily sostenne lo sguardo di Hugo e Hugo sostenne il suo. Infine, la ragazza riuscì a vedere sul volto di lui un cambio di espressione. Percepì un senso di trionfo aggredirla dall'interno.

C'era ancora speranza. 

“Che cosa pensi di fare?” domandò lui, mentre le sue sopracciglia si univano in una linea decisa sopra gli occhi. “Hai un piano?”

“Io sono dei vostri.”

La voce di Herman, che aveva parlato all'improvviso, li fece sobbalzare entrambi. Si voltarono tutti e due verso il Serpeverde, che li guardava quasi con aria di sfida. 

“Come?” Lily non riusciva a capacitarsene. Si era persino dimenticata della presenza del ragazzo accanto a loro, come se fosse diventato invisibile. Né tantomeno si sarebbe aspettato da lui un tono di voce così deciso. O propositi volti a fare del bene senza alcun tornaconto.

… Forse Hugo non è l'unico ad avere pregiudizi.

Ma Herman Hessler sarebbe stato la dimostrazione di quanto le basi dei loro giudizi potessero essere completamente errate, delle volte.

“Voglio aiutarvi,” insistette il ragazzo. “Se volete combattere contro tutte le cose che stanno succedendo... Io sono con voi.”

“D'accordo.” Disse Hugo prima che Lily avesse il tempo di aprir bocca.

“... D'accordo,” si ritrovò a convenire lei di rimando, per poi riprendere immediatamente a parlare. “Io devo fare una cosa. Christine... Mi ha lasciato degli indizi. Qualcosa che devo risolvere io. Quando avrò capito... mi ha detto di agire prima che possano fare del male anche a me. Il che vuol dire,” fece una pausa, “che non è il momento di parlare con le autorità. Non ancora.”

Deglutì, sorpresa di se stessa – anche se non a disagio con se stessa, quello non le sarebbe mai accaduto. Si sentiva vagamente inquieta: la sua mente stava elaborando i dati che aveva a disposizione con una lucidità che non si sarebbe mai aspettata in un momento come quello.

Ma conoscendo papà, forse me lo sarei dovuta aspettare.

A quanto pare noi Potter funzioniamo meglio quando siamo sotto pressione.

“Perché?” domando Herman. Lily si stupì della naturalezza con cui aveva posto quella domanda. Improvvisamente, aveva avuto l'impressione che lui dovesse stare dalla loro parte. Erano stati sciocchi a non capirlo prima.

Erano stati sciocchi in tante cose.

“Perché Christine ha programmato tutto,” rispose, sorprendentemente fiduciosa. “Le cose devono essere svelate a tempo debito, o potrebbero  rivoltarsi contro di noi.”

Hugo non protestò. 

“Devi aspettare,” riprese lei. “Chiunque ti stia mandando quelle carte ti avvertirà anche di quando sarà il momento di agire.”

“Su una delle carte c'era scritto di agire subito,” fece il cugino, rigido.

“Forse non era riferito a te,” replicò Lily in fretta. “Forse era riferito a me.”

Non era così stupida da non sapere che stavano giocando d'azzardo. Ma se c'era un momento in cui bisognava fidarsi del proprio istinto, quel momento era giunto.

“Cosa hai bisogno di scoprire?” domando Hessler.

La sua voce rimandò la mente di Lily a ricordi lontani, risalenti a parecchi mesi prima. Con più precisione, riguardavano il giorno in cui avevano stilato le liste dei sospettati che erano state rubate a Hugo poco prima di Natale. 

La voce di suo fratello Albus le riecheggiò nelle orecchie come se lui fosse stato lì al suo fianco. “Herman Hessler, Serpeverde.” 

Le parve persino di udire il grattare della penna d'oca di Hugo sulla pergamena. Si premette le mani sulle tempie, cercando di riflettere. Cosa avrebbe fatto Christine al suo posto?

Devo sforzarmi di pensare come lei.

Deglutì.

Ricordati di Corvonero.”

Si era quasi dimenticata la presenza di Hugo e di Hessler, lì di fronte a lei. C'era qualcosa che le sfuggiva, ne era certa. Un ultimo pezzo – il più importante. Forse avevano sbagliato tutto dal principio. Avrebbe voluto poter tornare indietro per carpire quello che avevano trascurato, qualunque cosa fosse.

Anthony Menley.” Questa volta fu la voce di Hugo a risuonare dentro la sua testa. “Insieme a Georgia Menley. Corvonero.

Il suo cuore mancò un battito.

... una descrizione fisica che corrisponde a quella di Christine.”

Non era l'unica ragazza a Hogwarts di altezza media, con occhi e capelli scuri. 

“Ha parlato di un sorriso fastidioso e saccente e di uno sguardo strano, difficile da capire.”

Improvvisamente, fu tutto chiaro.

“Niente,” rispose a Herman in un filo di voce. “Non mi serve sapere nient'altro.”

Sapeva quello che doveva fare. Era così ovvio e lampante che si domandò come avessero fatto a non capirlo prima, visto che la verità era sempre stata lì davanti ai loro occhi, in bella vista. Decisamente: Georgia Menley non le aveva mai ispirato chissà quale simpatia.

Altro che Boot... Albus è l'unico che avrebbe bisogno di una bella lezione sui soggetti per i quali non è opportuno prendersi sbandate.

“Devo andare.” Mormorò. Doveva trovare Jake: aveva bisogno di lui. Si appuntò mentalmente di complimentarsi con Christine per come aveva gestito le cose, se mai l'avesse rivista, un giorno. Per adesso, poteva solo cercare di agire come lei: di distribuire indizi tra tutte le persone che amava, fornendo loro le armi per combattere. “Hugo, ricordati quello che ti ho detto. Occhio ai gufi.” Il cugino annuì. Non era mai stato così accondiscendente con lei prima d'ora. Dalla sua espressione serissima e concentrata, Lily seppe che aveva capito cosa lei avesse in mente. “E cerca di ricordare il contenuto di quelle liste, d'accordo?”

Hugo capì al volo, a giudicare dalla chiarezza che aveva illuminato improvvisamente il suo sguardo. Lily lo scrutò per qualche secondo, esitante, salvo poi sporgersi verso di lui e abbracciarlo di slancio, seppellendo il volto sulla sua spalla larga e ossuta per alcuni lunghi istanti. “Sei un cretino, Hughie,” mormorò contro la lana del suo pullover. “Ma ti voglio bene.”

Detto ciò, si voltò e si allontanò di corsa, senza dare a Hugo il tempo di ribattere. Non poteva permettersi neanche un'indecisione – non adesso, o avrebbe perso tutto il coraggio che aveva chiamato a raccolta.

Doveva andare, prima che fosse troppo tardi.

 

 

 

*****

 

 

 

2 marzo 2022
Sala Comune di Serpeverde, Hogwarts, Scozia
Dopo cena

 

 

Nella Sala Comune di Serpeverde – o perlomeno nella zona circoscritta al camino, occupata dal loro piccolo gruppetto – l'atmosfera era decisamente cupa. Contro i vetri verdastri delle finestre, le acque del lago erano più agitate del solito: si dibattevano in vortici furibondi, quasi ipnotici. 

Jacob si costrinse a distogliere lo sguardo dalle finestre, puntandolo invece sul fuoco acceso nel caminetto. Scoppiettava allegramente, costituendo una specie di sottofondo costante sul loro silenzio. Sollevò le mani per premersi le punte delle dita sulle tempie: la testa gli scoppiava. Non riusciva a raccapezzarsi: cosa era successo a Christine? Perché lei e Bernie erano stati portati via?

Ormai ne avevano la certezza. Non appena avevano dato l'allarme tutte le squadre di Auror presenti nella zona si erano mobilitate e a pochi sotterranei di distanza dalla Sala Comune era stata ritrovata la bacchetta di Bernie. Con un Prior Incantatio era venuto fuori che l'ultimo incantesimo eseguito dal ragazzo era stato un Sortilegio Scudo. Le lezioni erano state interrotte prima del previsto e tutti gli studenti mandati al sicuro nelle loro Sale Comuni, mentre alcuni elfi domestici provvedevano a una cena frugale a base di panini imbottiti e tè.

Decisamente britannico. Come se il tè potesse risolvere ogni problema.

Si costrinse anche a distogliere lo sguardo dal fuoco. Doveva emergere dalla propria apatia se voleva combinare qualcosa di buono. 

Radunati attorno al caminetto c'erano tutti. Scorpius, con il broncio di quando stava rimuginando su qualcosa oppure iniziava ad arrabbiarsi; la nuova Rose al suo fianco, con l'espressione vagamente disagiata di chi si sente di troppo. Gwyneth era bianchissima in volto: il suo sguardo era perso nel nulla, come se si fosse arresa. 

Tra di loro, il silenzio assoluto e permeato d'angoscia tipico dell'attesa. Già: non c'era altro che potessero fare, perché qualunque supposizione sarebbe stata completamente superflua. Dovevano solo aspettare

Per l'ennesima volta, si chiese cosa stesse combinando Lily. L'aveva vista solo di sfuggita, quando era stato dato l'ordine di rientrare nelle loro Sale Comuni. Lei era arrivata in ritardo, probabilmente proveniente dalla biblioteca, a giudicare dai pesanti volumi che stringeva a fatica tra le braccia. Gli aveva rivolto – sorprendentemente – un sorriso esaltato e frettoloso, prima di precipitarsi giù per le scale che conducevano ai dormitori femminili. Gettò un'occhiata alla porta oltre la quale l'aveva vista scomparire, sperando di veder spuntare la sua testa rossa e arruffata. Dopo parecchi secondi in cui fissò insulsamente la maniglia, si arrese. 

Tornò a osservare gli altri, finendo per incrociare lo sguardo di Scorpius, che lo scrutava con un certo astio.

… Ma che cos

“Jake.” Nonostante avesse usato il suo soprannome, la voce dell'amico era suonata gelida. “Cosa mi avete tenuto nascosto?”

La domanda lo colse di sopresa. “Niente,” mentì automaticamente, scrollando le spalle.

Le sopracciglia di Scorpius si aggrottarono. “Stronzo.” Inveì con stizza. “Non sono stupido. So perfettamente che almeno tu ne sai più di me.”

Tentò di ignorare il vago senso di colpa che gli aveva avvolto le viscere. “Non sono l'unico stronzo,” si sentì in dovere di sottolineare, gettando un'occhiata di sottecchi a Rose. Scorpius, naturalmente, colse quello sguardo, e lo stesso fece la ragazza, che tuttavia si limitò a guardarsi attorno con quegli occhioni spauriti. Sembrava parecchio dolce, questa nuova Rose, e di certo suscitava una certa pena.

… Quasi quasi però preferivo quella acida e musona.

“Sei l'unico che ho a portata di mano, però.” Ribadì Scorpius caustico. 

Era un'osservazione abbastanza ragionevole, fu costretto a riconoscerlo. Fece per annuire: poi ebbe a malapena il tempo di cogliere uno scatto da parte dell'amico prima di percepire un colpo alla mascella, che lo spinse indietro contro lo schienale della poltrona, seguito da un dolore acuto che per una frazione di secondo gli fece vedere tutto bianco.

Ebbe bisogno di alcuni istanti per realizzare appieno cosa fosse appena accaduto.

“Mi hai dato un pugno.” Rilevò irritato, massaggiandosi la mascella dolorante. “Sei del tutto impazzito?!”

Scorpius gli rivolse, a sorpresa, un sorriso amaro. “Te lo sei meritato,” replicò rilassato. “Adesso mi sento molto meglio.”

“Non ne ho dubbi,” commentò Jake tra i denti. Sapeva che l'altro aveva ragione, per questo non si era messo a sindacare. 

Ma ehi, un pugno fa male!

Gwyneth parve risvegliarsi improvvisamente da quella sua trance, inarcando un sopracciglio. “Credo che tu debba un po' di spiegazioni anche a me, Jake.” Suggerì aspra.

“Perché vi comportate come se fossi l'unico che ne sapeva più di voi?” Obiettò lui. “Non ha senso che ve la prendiate con me.”

“Non ti darò un pugno, se è questo che pensi,” sospirò la ragazza stancamente. “Vorremmo solo che ci spiegassi cosa diamine sta succedendo.”

Per un istante vi fu silenzio. Poi Jake sospirò. “Anche io non ne so molto, in realtà. Sono più una serie di informazioni sconnesse tra di loro. Gossip Witch...”

“Il Proteus.”

Jacob stentava a credere alle proprie orecchie. Si voltò di scatto verso Rose, come avevano fatto anche gli altri due. La ragazza si premeva le mani sulla bocca e i suoi occhi sembravano abbacinati e sconvolti. 

“Rose?” mormorò Scorpius, scrutandola con occhi assottigliati e una mano posata sul suo braccio. “Ti... ti sei ricordata qualcosa?”

Lei scosse la testa, pallidissima. “No. Solo... Solo queste parole. Il Proteus.”

Jake aggrottò le sopracciglia, distogliendo lo sguardo da lei. “Il Proteus è fondamentale per–”

Ma la voce gli si spense in gola. Lily si stava precipitando verso di lui con l'espressione più seria e decisa che le avesse mai visto in volto e quello che sembrava un fascio di pagine strappate tra le dita. “Devo parlarti.” Gli disse non appena fu abbastanza vicina da chinarsi a sussurrare nel suo orecchio. “So come salvare Christine e Bernie.”

A quelle parole, il cuore di Jake sprofondò. Si voltò verso la sua ragazza, ignorando la presenza degli altri tre. “Dici davvero?” Domandò serio.

Lei annuì impercettibilmente. “Cosa hai fatto alla guancia?” domandò poi a voce più alta, in tono candido, probabilmente per dirottare l'attenzione degli altri lontano da quel suo strano comportamento.

“Scorpius,” replicò Jake, imitando la sua aria rilassata. “Mi ha dato un pugno a sopresa per reagire allo stress.”

“Perché sei uno stronzo!” Questionò l'altro in un borbottio incolore. “E lo sai benissimo.”
Jacob si strinse nelle spalle. “Cose che capitano.”

In qualche modo sapevano tutti per quale motivo si stessero disperdendo dietro a chiacchiere tanto futili. Sapevano tutto quanto fosse sciocco questionare al riguardo di uno schiaffo o di chi fosse la colpa, quando erano accadute cose tanto più gravi, e proprio per questo si soffermavano su quelle che erano a conti fatti sciocchezze – proprio per non pensare al resto. Era una tacita consapevolezza condivisa, che nessuno si sarebbe mai azzardato ad esprimere a voce alta.

Improvvisamente, Jake sentì che non avrebbe sopportato quella situazione ancora a lungo. La tensione era scesa sul gruppo ed era palpabile, come se l'angoscia fosse calata sui loro volti, simile ad un manto appiccicoso. Qualcosa in lui iniziava a fremere: sentiva il bisogno di agire, di prendere il controllo della situazione. Di fare qualcosa, di avere un obiettivo.

L'obiettivo che Lily aveva – realizzò un momento dopo. Lily sapeva come aiutare Bernie e Christine e per qualcosa del genere non si poteva aspettare. 

“Mi accompagni di sotto?” disse in un soffio contro il suo orecchio, avendo cura che gli altri udissero perfettamente, per sventare qualsiasi sospetto al riguardo. In una diversa situazione si sarebbe aspettato una battuta sagace da parte di qualcuno, ma di solito le insinuazioni che si udivano erano quelle di Christine. E lei non era lì. Era da qualche parte, in pericolo; come se non bastasse, nelle stesse condizioni si trovava anche Bernie.

Lily era convinta di poterli salvare: Jake non aveva bisogno di udire altro.

Gli altri membri del gruppo sembravano persi in contemplazione: Scorpius esibiva un'espressione truce, mentre Gwyneth sembrava solo maledettamente preoccupata. Rose, dal canto suo, aveva l'aria di disagio di chi si sente di troppo. 

Di nuovo, Jake si sentì aggredito da una certa pena nei suoi confronti. Da parte sua, lui non riusciva neanche a figurarsi la prospettiva di vivere privato di un'identità, tanto gli pareva orribile. 

Lily non rispose, limitandosi ad alzarsi e a sorridere appena. La sua espressione non era diversa dal solito, ma a Jake non sfuggì lo strano brillio angosciato e stravolto che aleggiava in fondo ai suoi occhi. Fu lei a guidarlo giù per le scale, praticamente senza guardarlo. Procedeva a testa bassa lungo i gradini umidi e sdrucciolosi, mentre i capelli rossi – più aggrovigliati del solito – le rimbalzavano ritmicamente sulle spalle esili. 

Quando infine raggiunsero il dormitorio e Lily si voltò verso di lui, la sua espressione era allucinata, con gli occhi sgranati e traballanti, terribilmente spaventati. La sua bocca, tuttavia, era serrata in una linea di determinazione. 

Jake si sentì travolto da un torrente di amore, fiducia e ammirazione nei suoi confronti, manifestato da un senso di calore che gli lambì lo stomaco. 

“Che cosa dobbiamo fare?” domandò semplicemente.

 

 

 

*****

 

 

 

2 marzo 2022
Torre di Grifondoro, Hogwarts, Scozia
Sempre dopo cena

 

 

 

“Forse dovresti provare a rilassarti,” suggerì Lucy senza crederci troppo. Il sopracciglio inarcato che ricevette in risposta da parte di suo cugino Al – il quale in quel momento sembrava l'esatta copia di una Lily con occhi verdi e corti capelli neri – fu più che eloquente.

Lasciandosi sfuggire un sospiro, rilassò le spalle contro lo schienale della poltrona, abbattuta. Non riusciva a capacitarsene. Ciò che aveva continuamente auspicato con timore dentro la propria testa nel corso delle ultime settimane aveva infine avuto luogo: Christine De Bourgh sembrava essere precipitata in un buco nero, trascinandosi dietro nella caduta anche il povero Boot. La Serpeverde aveva pronosticato tutto, in fondo, e la cosa peggiore era la consapevolezza di Lucy di non aver fatto assolutamente niente nonostante fosse a conoscenza di qualche pezzo della vicenda.

Se dovesse accadermi qualcosa...

Lucy non riusciva a liberarsi di quelle parole che continuavano a riecheggiarle per la testa, rimbalzando da un orecchio all'altro: il senso di colpa non le dava tregua. Alla fine qualcosa di brutto era accaduto, persino peggiore di quanto successo a Rose. Si sentiva talmente sciocca: avrebbe dovuto dare ascolto a Christine ma non l'aveva fatto; non aveva voluto credere alle sue parole neanche quando la necessità era ormai divenuta impellente. Forse dandole fiducia sarebbe riuscita a ottenere quelle informazioni in più che avrebbero fatto la differenza.

Il diario, poi. Cosa ci dovrei fare con quel diario?

Forse era ancora più sciocco e ipocrita raccomandare ad Albus di stare tranquillo quando lei stessa si sentiva un fascio di nervi. Lasciò cadere lo sguardo sul grosso libro che giaceva aperto sulle sue ginocchia, realizzando che dal momento in cui l'aveva aperto – ormai più di mezz'ora prima – non aveva fatto altro che leggere e rileggere le stesse dieci righe senza assimilarne neanche lontanamente il contenuto. Lo chiuse con uno schianto secco, sbuffando mentre gettava un'occhiata di sottecchi ad Al.

È uno dei suoi migliori amici, dopotutto.

“Scusa,” bisbigliò senza pensarci, in un filo di voce.

Albus si limitò a gettarle uno sguardo verde e distratto. Non sembrava essersela presa con lei, per fortuna.

Ancora, Lucy. Ancora non hai imparato che non sei il centro del mondo.

Distolse lo sguardo da Al non così presto da lasciarsi sfuggire la mossa con la quale nascose qualcosa sotto la lana del pullover. Qualcosa che aveva emanato un vago luccichio metallico e aveva tutta l'aria di essere proibito.

Rinunciò a guardare da un'altra parte, assottigliando gli occhi. “Una fiaschetta, Al?” sbottò incredula. “Da quando in qua sei diventato un alcolizzato?!”

“Non sono un alcolizzato,” replicò lui mogio, in un accenno di protesta che per un momento lo risvegliò dalla sua apatia. “Non è mia, comunque.”

“Ah, no?” Lucy sbuffò, scettica.

Albus la guardò con aria scocciata. “Non è mia, te l'ho detto. È di Higgs.”

Come se questo servisse a rassicurarmi.

“Ah, già,” roteò gli occhi. “Il tuo nuovo amichetto del cuore.”

L'altro le gettò un'occhiataccia. “Sei diventata sarcastica tutto d'un tratto o cosa?” Mugugnò stizzitò.

Lucy aprì la bocca per ribattere, salvo poi richiuderla di scatto, arresa e vagamente frustrata. Detestava stare lì senza poter fare niente per aiutare; avrebbe voluto perlomeno che qualcuno le spiegasse cosa stava accadendo e soprattutto perché.

… Dannazione.

Non avrebbe chiesto altro che un po' di chiarezza su quella faccenda, o perlomeno che qualcosa la distraesse da tutte quelle cose inspiegabili, confuse e spaventose. Non potendo reagire si sentiva come privata di qualche facoltà. Aveva la sensazione che le fosse stato tolto un pezzo fondamentale. 

“Mi dispiace per quello che è successo.”

La voce che risuonò all'improvviso accanto a loro la fece sussultare. Alzò subito lo sguardo, posandolo sulla figura di una ragazza atletica dai capelli castani e ricci. Tornò subito dopo a guardare Albus, in tempo per vederlo sollevare di scatto gli occhi con aria incredula, come se si fosse risvegliato di colpo.

Forse è ora di tirare la corda, eh, Lucy?

Represse un ulteriore sbuffo. “Al, posso andare su a dare un'occhiata alla vecchia pergamena?” Buttò lì, sapendo perfettamente che Albus avrebbe capito. Dopotutto non sarebbe stato male controllare di nuovo la Mappa del Malandrino, nel caso in cui Bernie o Christine fossero ricomparsi all'interno del perimetro della scuola, interamente rappresentato nella vecchia pianta.

Albus annuì distrattamente. “Sì, vai pure.” Sembrò proiettarsi verso l'alto con la schiena mentre Quinn Baston si sedeva sul divano accanto a lui. In fondo lei era la persona più adatta a rassicurarlo, giusto?

Accennò un sorriso alla ragazza – che da parte sua parve troppo concentrata su Al per accorgersene; dopo aver raccolto il suo libro dalla poltrona si incamminò alla volta della scala a chiocciola che conduceva ai dormitori maschili, facendosi largo tra gli studenti che iniziavano a diradarsi sbadigliando. 

Fu sulla soglia del passaggio che si arrestò improvvisamente, travolta da un'illuminazione. C'era un motivo se Christine le aveva raccomandato di tenere a mente il Diario Comunicante che aveva regalato a Scorpius il Natale precedente. Dopotutto, la Sala Comune di Christine era quella di Serpeverde – vicina, estremamente vicina al dormitorio maschile in cui avrebbe potuto trovare l'agenda gemella della sua. 

Si accorse di avere il fiato corto mentre il cuore le rimbalzava furiosamente in gola. Risoluta, deviò dalla sua strada, dirigendosi invece al proprio dormitorio. Forse avrebbe davvero potuto aiutare Christine – si congratulò mentalmente con lei per l'intelligenza con cui aveva provveduto a questo, anche se non l'avrebbe mai ammesso.

Poteva mettersi in contatto con lei.

 

 

 

*****

 

 

La Sala Comune aveva continuato a vuotarsi lentamente, mentre studenti dall'aria assonnata si dirigevano poco alla volta verso i loro dormitori. Per tutto quel tempo Quinn era rimasta sul divano accanto a lui, pressoché immobile, limitandosi ad aggiustare di tanto in tanto la propria posizione per non far intorpidire i muscoli. 

“Mi dispiace per quello che è successo.”

Al non aveva risposto e la ragazza, dopo quella frase, non aveva detto altro. Era semplicemente rimasta al suo fianco, presenza silenziosa ma percepibile, osservando il fuoco con aria assente per sollevare di tanto in tanto lo sguardo su di lui. 

Non avrebbe saputo dire di preciso quanto tempo fosse trascorso – se solo mezz'ora o molto di più; alla fine, rimasero con la sola compagnia di un gruppetto di ragazzi del terzo anno, impegnati in un gioco di ruolo magico chiamato Wizards and Dragons. Nella Sala Comune, oltre allo scoppiettio del fuoco, si poteva solo udire il chiacchiericcio sommesso del piccolo gruppo, interrotto di tanto in tanto da un'esclamazione più alta solo di qualche tono. Alle orecchie di Albus giungevano frasi indistinte, inframmezzate da parole strane di cui non comprendeva il significato.

Quando anche i ragazzi del terzo anno ebbero raccolto le loro carte e si furono diretti parlottando alla volta dei dormitori, loro due rimasero davvero soli.

Fu in quel momento che Quinn sollevò lo sguardo su di lui e rimase a osservarlo, invece di limitarsi a gettargli occhiate fugaci. Albus ricambiò la sua occhiata: il suo volto era accarezzato dalla luce del fuoco, adorno di ombre e luci traballanti. Gli occhi azzurri erano vividi al chiarore della fiamma, spogli della solita tensione, quasi immersi in una sorta di contemplazione malinconica. 

“Mi dispiace per quello che è successo.” La udì ripetere flebilmente, come se la sua gola si fosse arrochita dopo tutto quel silenzio. 

Anche lui fu costretto a schiarirsi la voce per rispondere. “Dispiace anche a me.”

Lei annuì piano, distratta. “Lo so.” La vide deglutire. “C'è qualcosa che posso fare per–” ma la sua voce, dapprima esitante, si affievolì. 

C'era qualcosa che poteva fare? Albus sospirò. Quello che era accaduto... era terribile. Come se non bastasse, lo strano comportamento di Lily nell'udire la notizia gli aveva dato da pensare. Sua sorella sembrava convinta dell'innocenza di Christine, mentre Albus non sapeva cosa pensare; gli era parsa estremamente decisa a proteggerla ad ogni costo, come se per qualche bizzarro motivo si fidasse di lei. Si era chiesto cosa si fosse perso in quei mesi in cui era stato lontano da Lily. La sua sorellina era cresciuta, era più seria. 

Avresti dovuto stare al suo fianco. 

L'idea di essersi perso il suo più importante passo verso la crescita lo faceva sentire pieno di rimorsi, e non era una bella sensazione. Forse per questo aveva deciso di fidarsi del giudizio di Jake quando questi gli aveva mormorato di lasciarle campo libero. A quanto pareva, lui era convinto che Lily sapesse quello che faceva. 

Nel complesso, non riusciva a raccapezzarsi. Forse era semplicemente troppo stanco per riuscire a pensare, dopo aver rimuginato tutto il giorno; fatto sta che non riusciva proprio a capire in che modo i fili intricati di quella vicenda potessero intrecciarsi correttamente e dargli qualche tipo di risposta.

Risposte... Ecco quello di cui hai bisogno. Sapere la verità.

Non poter agire era frustrante. Dover aspettare era frustrante. Non poter stare con i suoi amici a cercare di capirci qualcosa era frustrante. 

Guardò di nuovo Quinn. Sebbene non avesse completato la sua frase, era rimasta in attesa di una risposta, senza insistere né rinunciare. 

Pensò al modo in cui lei l'aveva baciato, il giorno di Natale. 

“Sei un idiota, Albus Potter.”

C'era qualcosa che Quinn poteva fare. Il fatto che lei fosse lì in quel momento, al suo fianco quando chiunque altro era lontano... Significava parecchio. Soprattutto dopo quanto era accaduto nei mesi precedenti. 

“Resta,” si limitò a mormorare. 

Le sopracciglia di lei si aggrottarono mentre sporgeva il busto verso di lui, allungando il braccio per prendere la sua mano e stringerla. Al la lasciò fare, accorgendosi di avere il fiato sospeso. 

“Sono qui,” disse Quinn.

Era importante. Era maledettamente più importante di ogni altra cosa. 

La ragazza gli si accostò, strusciando sui cuscini del divano, finché non fu abbastanza vicina da lasciar scivolare le braccia attorno alla sua vita e appoggiare la testa contro il suo petto. Stupito, Albus lasciò che il suo corpo reagisse automaticamente, abbracciandola a propria volta. Da parte di Quinn, che era sempre stata completamente imbranata nei rapporti interpersonali e in particolar modo nei contatti fisici, una naturalezza simile l'aveva sorpreso non poco. 

Percepì un senso di improvviso vuoto allo stomaco. “Ho paura,” gli uscì detto prima di riuscire a trattenersi. “Ho paura per Bernie. Non voglio che muoia. E neanche Christine.”

L'aveva espresso, alla fine. Forse era stato proprio questo ad affliggerlo ininterrottamente per tutte quelle ore, il timore di un pericolo che non poteva controllare – e poi l'impensabile, la cosa peggiore di tutte. 

L'aveva espresso, alla fine. E adesso si sentiva più leggero, come se bisbigliando nelle orecchie di Quinn quella che era la sua paura più grande – perdere le persone che amava, perdere qualcosa, perdere chiunque, la morte – si fosse in qualche modo liberato di un grosso peso. 

Sentiva i capelli ricci di lei solleticargli il mento. Chinò il capo, poggiando la guancia sopra la sua testa mentre per qualche strano motivo il suo cuore accelerava i battiti. 

“Grazie.” Mormorò.

Per tutta risposta, lei lo strinse più forte.

 

 

Don't let your heart grow cold
I will call you by name
I will share your road.
Mumford & Sons

 

 

 

*****

 

 

 

3 marzo 2022
Dormitorio Serpeverde, Hogwarts, Scozia
Sette del mattino

 

 

Esistono cose chiamate percezioni. Sono quasi dei presentimenti, come un'anticipazione, il sentore che qualcosa di orribile stia per accadere. 

In quei due terribili giorni, Scorpius scoprì che, di solito, i brutti presentimenti tendono a rivelarsi veritieri. La mattina del tre marzo si svegliò di colpo, scattando a sedere sul letto, con la sensazione istintiva e inequivocabile che vi fosse qualcosa di sbagliato. Più tardi non sarebbe stato in grado di descrivere quella sensazione se non come un senso di vuoto, di oscura vertigine. 

A colpirlo era stato il silenzio. Oltre al suo respiro affannato, la stanza in cui si trovava era sprofondata nel silenzio più assoluto. Non udiva il respiro di Jacob e neanche lo scrosciare dell'acqua nel bagno adiacente. Non sapeva di preciso che ore fossero, ma era certo che fosse troppo presto perché l'amico già fosse uscito dal dormitorio, nonostante fosse sempre stato un tipo mattiniero.

Il cuore che batteva all'impazzata, si guardò intorno. Il letto di Jake si presentava esattamente come quello di Bernie il giorno prima: vuoto e intatto, con le lenzuola ben tese e le coperte liscie, senza una piega. 

Nessuno aveva dormito lì, quella notte.

“Jake.” Di gola gli uscì un mugolio strozzato. “Jake!” chiamò ancora, a voce più alta. “Ci sei?”

Non c'era. Non c'era nessuno. 

Era solo.

Si alzò dal letto, scansando a calci le coperte che gli si erano aggrovigliate intorno alle gambe. Così com'era, scalzo, si precipitò fuori dal dormitorio, ignorando il freddo dei pavimenti di pietra sotto le piante dei piedi. Corse lungo il corridoio, risalì le scale quattro a quattro, fino a emergere nella Sala Comune, chiaramente deserta e libera delle cartacce che gli studenti avevano lasciato in giro la sera prima – gli Elfi Domestici di Hogwarts dovevano aver già provveduto a pulirla. 

“Jake!” Chiamò. “Jake, sei qui?”

“Scorpius?”

Si voltò di scatto verso chi l'aveva chiamato, sebbene sapesse perfettamente che non si trattava di lui, perché la voce che aveva risposto, altrettanto familiare, aveva un timbro decisamente femminile.

Sulla soglia della porta che conduceva ai dormitori delle ragazze, c'era Gwyneth che si stringeva nella sua vestaglia, con i capelli scuri raccolti in una treccia arruffata e un'espressione angosciata sul volto pallido. 

Gli si avvicinò, aggrottando le sopracciglia.

Scorpius si accorse di tremare, e non per il freddo, nonostante la temperatura nei sotterranei fosse decisamente bassa, soprattutto a quell'ora e attraverso il sottile strato di cotone del pigiama. Il suo cuore, che fino a quel momento aveva pulsato frenetico, rallentò leggermente i battiti.

“Jake,” riuscì a esalare, guardando Gwyneth dritto negli occhi. “Jake non c'è.”

Se prima era pallida, adesso la ragazza appariva semplicemente terrea. “Che cosa?!” replicò in fretta – ma dalla sua espressione terrificata, era chiaro che avesse capito perfettamente.

“Jake.” Ripeté lui. “Non c'è in dormitorio. È scomparso.”

Non farti prendere dal panico. Qualunque cosa, ma non farti prendere dal panico.

“Gwyneth,” aggiunse velocemente. “Dobbiamo andare subito. Dobbiamo avvertire gli Auror.”

Ma lo sguardo della ragazza si era allontanato da lui, posandosi su di un nuovo foglio appeso alla bacheca. Un foglio che la sera prima non c'era.

Guardò Gwyn dirigersi lentamente in quella direzione; i suoi piedi la seguirono automaticamente, i suoi occhi si posarono sulla pergamena quando lei la staccò dalla superficie in sughero. 

 

Fidatevi di noi e tenete d'occhio i Corvonero.

Lily

 

 

 

*****

 

 

 

Hold me fast, hold me fast
Because I'm a hopeless wanderer.
Mumford & Sons

 

 

4 marzo 2022
Langholm, Sud della Scozia
Circa 7:30 AM

 

 

Le acque del fiume erano increspate da una leggera brezza e riflettevano il cielo grigio sopra la sua testa, oltre al profilo del villaggio che si stagliava aldilà del ponte. 

Tirava un venticello freddo, strisciante e fastidioso, che si insinuava sotto i vestiti spiegazzati che indossava. Oltre al freddo, a infastidirla era la sensazione di sporcizia: sapeva di avere il viso incrostato di sudiciume, lacrime e mascara colato giù; i capelli rossi erano arruffati e raccolti in due rapide trecce. Gli abiti che portava erano gli stessi da un paio di giorni.  

Lily Potter sollevò la mano destra, portando alle labbra la sigaretta che aveva appena acceso. Aspirò una lunga boccata, lasciando che l'ennesima folata di vento freddo si portasse via la piccola nube di fumo formatasi davanti alle sue labbra. 

Era sola davanti al supermercato di quella sperduta cittadina scozzese, con l'unica compagnia di poche, sparute automobili che passavano strombazzando e di un ragazzo Babbano in piedi una decina di metri più in là, accanto alla fermata dell'autobus, nel suo giubbotto imbottito. Di tanto in tanto, le gettava delle occhiate di palese ammirazione.

Al pensiero le scappò un sorrisetto, subito riassorbito dalla mole di angoscia e tensione che si tirava dietro da un paio di giorni – per la precisione, da quando lei e Jake avevano oltrepassato di nascosto i confini di Hogwarts per seguire una pista neanche tanto certa. Per la cronaca, lo stesso lasso di tempo nel quale non aveva avuto modo di cambiarsi d'abito. 

In quel momento si era fidata dell'istinto e di Christine perché era la cosa migliore da fare, ma adesso si ritrovava a sperare con tutte le proprie forze di non essersi sbagliata. Pur non volendo, aveva qualche dubbio e sapeva perfettamente che la sua era stata una decisione avventata, molto poco da Serpeverde ma decisamente da Potter. 

Aveva cercato di comportarsi come avrebbe fatto Christine, agendo e distribuendo indizi tra le persone di cui si fidava, in maniera tale di consentire loro di fare qualcosa di utile qualora lei avesse fallito.

Erano stati costretti a muoversi con mezzi Babbani e a non fare magie, visto che, in quanto minorenne, aveva addosso la Traccia e per il Ministero sarebbe stata rintracciabile in un lampo.

E non è il momento perché il Ministero entri in gioco.

Christine lo sapeva benissimo e ha agito di conseguenza. Lo stesso hai dovuto fare anche tu.

Gettò un'occhiata in direzione del supermercato, sperando con tutte le proprie forze che Jake tornasse a momenti. Non si fidava a restare troppo a lungo in un posto, non guidando senza patente un automobile rubata a una famiglia Babbana in vacanza per discendere dalla Scozia fino allo Yorkshire. Era stata una fortuna che avesse da parte qualche soldo Babbano, o neanche avrebbero avuto da mangiare e bere.

Finalmente, dalle porte scorrevoli del supermercato uscì Jake, andato a fare rifornimenti, reggendo una busta di plastica semivuota.

“Jake.” Andò incontro al proprio ragazzo. Circondò il suo collo con le braccia, sollevandosi per posare le labbra sulle sue. Per un momento si beò del suo bacio, che ebbe il potere di confortarla, in qualche modo. Di darle fiducia in se stessa. “Dobbiamo fare in fretta.”

Lui annuì, accigliato. La strinse. “Lily...” La sua voce era roca. “Sei sicura di quello che stiamo facendo?” Non era la prima volta che le rivolgeva quella domanda, ma di nuovo la risposta sembrò bastargli.

“Lo spero.” Mormorò, sollevandosi in punta di piedi per posare la fronte contro la sua. “Ti amo. Questo lo sai, vero?”

“Ti amo anche io.” Rispose Jake, baciandole la tempia. “Mi fido di te.”

Lo baciò ancora, a lungo. Era terrorizzata e confusa, ma non avrebbe permesso all'incertezza e alla paura di avere la meglio su di lei.

Aveva una missione. Da brava Serpeverde – e da brava Potter – l'avrebbe portata avanti fino in fondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

 

Lo so, lo so. So di essere in un ritardo imperdonabile, ma è stato un periodo piuttosto complicato e pieno di novità (mi sono trasferita, ho dovuto fare dei test, etc...). 

Spero che questo capitolo (il più lungo che io abbia mai scritto, credo che batta il record di  The Yule Ball) sia abbastanza soddisfacente – e chiarificatore su alcuni punti – da permettervi di perdonarmi!

Comunque, finalmente alcuni tasselli del mistero si svelano, anche se le cose continuano a complicarsi sotto altri punti di vista ;)

Spero che, dato che ormai l'estate è finita, ci sia la possibilità di un po' più di feedback rispetto ai capitoli scorsi.

Vi ringrazio per tutto <3

Bisous,

Daph

 

 

 

 

 

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Capitolo 39
*** Capitolo 38 - Un asso nella manica ***


A tutti coloro che sono ancora qui.

 

 

 

 

It matters not how strait the gate,


How charged with punishments the scroll.

William Ernest Henley

 

 

But you saw no fault, no crack in my heart

And you kneel beside my hope torn apart.

Mumford & Sons

 

 

 

 

 

Quando aveva preso la decisione di diventare un'Auror, Holly Greengrass non aveva esitato. Da brava Grifondoro, bramava l'avventura, il rischio, il brivido dell'incertezza.

Quando aveva preso la decisione di diventare un'Auror, Holly Greengrass non aveva riflettuto su alcuni punti fondamentali. Non aveva pensato a ciò che un mestiere come quello contemplava – l'angoscia, i dubbi, la paura.

Era stata Capitano di Grifondoro per anni e non aveva mai smesso di amare la tensione che precedeva un incontro – quel vago timore in qualche modo trepidante, che faceva battere più forte il cuore. Quella che stava vivendo adesso, tuttavia, era una tensione di tipo diverso. Una tensione che opprimeva lo stomaco, che non accelerava le pulsazioni ma le placava in modo innaturale, lento, implacabile.

Aveva immaginato l'avventura, senza pensare che qualcuno avrebbe potuto farsi male materialmente sotto il suo naso. Aveva desiderato il rischio, senza rendersi conto di quello che poteva comportare. E, per finire, il brivido dell'incertezza era molto diverso da come se l'era figurato.

Quando aveva preso la decisione di diventare un'Auror, Holly Greengrass non aveva esitato.

Solo, non aveva considerato quanto fosse brutto avere paura.

 

 

 

*****

 

 

7 marzo 2022

Hogsmeade, Scozia

Tardo pomeriggio

 

 

 

Davanti ai loro occhi, Hogsmeade somigliava ad un nugolo di lucciole nella piccola valle affondata nel buio. Dietro il villaggio si profilava in lontananza la sagoma imponente del castello di Hogwarts, coronato delle sue innumerevoli torri.

Holly si strofinò le mani ghiacciate, guardandosi intorno nel buio. Al suo fianco c'erano Louis e Marcus. Il primo con il cipiglio cupo che non aveva smesso mai dal momento in cui aveva saputo della fuga della sua cugina più piccola; il secondo, invece, con espressione imperscrutabile e gli occhi scuri che saettavano nel buio da una parte all'altra, guardinghi.

Sbuffò, ed entrambi si volsero nella sua direzione.

Per un momento restò immobile, perplessa, salvo poi realizzare che – in teoria – stava a lei dare gli ordini.

“Andiamo,” decretò, dopo un'ultima occhiata circospetta negli stretti vicoli che li circondavano. “Non c'è nulla qui.”

Senza una parola, i due si mossero verso il limitare del villaggio, per completare il giro di ronda. Deglutendo, Holly li seguì.

Dopo il drammatico precipitare degli eventi che aveva avuto luogo negli ultimi giorni, Harry Potter aveva stabilito che il numero di componenti di ogni squadra di pattuglia fosse aumentato da due a tre, per assicurare un maggiore controllo. Nel corso di quei due o tre giorni terribili nessuno di loro aveva chiuso occhio, e Holly aveva per la prima volta realizzato come il Capo del suo Dipartimento avesse potuto un tempo sconfiggere Voldemort. Da quando aveva avuto la notizia della scomparsa della figlia, non aveva cessato un momento di lavorare, sempre in compagnia dei due agenti catalani e degli altri membri della sua squadra.

Holly, come tutti i Capitani delle squadre Auror in azione, si era dovuta recare più volte a fare rapporto presso il comando – temporaneamente stabilito in un locale sopra alla Testa di Porco – e allora aveva potuto vederlo spesso: Harry Potter aveva un'espressione cupa e brumosa semplicemente terrificante; percorreva avanti e indietro il perimetro della piccola stanza, come un leone in gabbia in attesa di scatenare tutta la sua ira.

Anche se, a dire il vero, avrebbe dovuto aspettarsi che questo sarebbe stato l'effetto: da quello che aveva capito di quell'uomo, diventava una belva quando qualcuno osava sfiorare uno dei suoi affetti.

Ad ogni modo, il clima di tensione era palpabile, e Holly non era certa di riuscire a sostenerlo ancora a lungo. In qualche modo le mancavano i primi tempi della loro indagine, quando – nonostante le numerose difficoltà – l'atmosfera tra di loro era stata distesa e serena.

Quando ancora riuscivamo a lavorare bene.

Prima che le cose finissero per sfuggirci di mano. In tutti i sensi.

Adesso poteva percepire l'angoscia come un'entità a se stante, una cappa fuligginosa e densa calata su tutti loro.

Si sforzò di non pensarci, raggiungendo il vecchio magazzino in cui avrebbero dovuto incontrare la loro squadra di supporto. Gli Auror, a causa della situazione di pressante emergenza, avevano messo in campo tutte le loro forse, compresi gli allievi dell'Accademia, ai quali erano affidati gli incarichi di minor rischio per permettere ai veterani di occuparsi a tempo pieno del resto.

Come ritrovare quattro studenti scomparsi, ad esempio.

Uno dei quali, tanto per dirne una, era suo cugino. Holly si sforzava di dimenticare che uno dei ragazzi svaniti nel nulla fosse Jake: solo rinchiudere questa consapevolezza in un comparto stagno nella sua mente le impediva di correre da Harry Potter e scuoterlo forte finché non l'avesse ritrovato.

Ma sapeva che non ce n'era bisogno. Del resto, quella scomparsa assieme a suo cugino era nientemeno che Lily Potter.

La porta del magazzino si schiuse con un lungo cigolio. Davanti agli occhi di Holly, si profilavano le sagome di quattro figure, due maschili e due femminili, stagliate contro il bagliore azzurrino del fuoco magico che fluttuava alle loro spalle.

Erano volti familiari: James Potter, con un'espressione incredibilmente simile a quella del padre; Ellen, la ragazza che aveva visto baciare Marcus a Diagon Alley in quella che sembrava una vita precedente, era in piedi e molto vicina alla giovane greca della loro squadra. Hera – ricordava che fosse questo il suo nome. Poco più indietro, più vicino alle fiamme azzurre e ballerine, sostava un giovane uomo dai capelli scuri che Holly non conosceva.

Grace non c'era, naturalmente. Ormai la sua gravidanza doveva essere ad uno stadio piuttosto avanzato, non c'era da meravigliarsi che non fosse presente.

Cupamente, James alzò lo sguardo su di loro. Non disse nulla, limitandosi a chinare appena la testa in segno di saluto.

Anche Holly non disse niente. Improvvisamente, di fronte a quel clima di terribile angoscia, le sembrava che le parole le fossero morte in gola. Fu Marcus a prendere parola: gli fu terribilmente grata per questo.

“Andiamo?” disse semplicemente lo Spezzaincantesimi.

Nessuno aveva commentato il fatto che, nonostante non fosse un Auror, il giovane continuasse ad essere impegnato nell'azione. Forse perché c'era bisogno di più bacchette possibili, o forse – semplicemente – perché era stato dentro quella faccenda fin dall'inizio e a nessuno era venuto in mente di tirarlo fuori. Di certo non a Marcus stesso.

Si sollevò un brusio sottile mentre gli allievi Auror si ricomponevano ed estraevano di tasca la bacchetta, pronti a uscire. Il ragazzo che Holly non conosceva sollevò la propria verso il fuoco, risucchiando le fiamme azzurre nella punta.

Sempre in religioso silenzio, uno dopo l'altro abbandonarono il vecchio magazzino. Camminavano a ranghi serrati tra le case del villaggio; in giro non c'era neanche un abitante: vedendo l'aria che tirava e gli Auror che continuavano ad aggirarsi tra i viottoli tortuosi, si erano tutti tappati in casa.

Superarono il limitare dell'ultima casa, seguendo il tracciato che era stato affidato loro dai superiori: un percorso tra le colline. Probabilmente non avrebbero trovato nulla: i loro nemici erano infidi e – ormai questo era chiaro – si facevano vedere solo quando la loro intenzione era proprio quella.

Probabilmente.

Perché videro qualcosa, oltre il crinale della prima collina. Una sagoma scura, affondata tra l'erba nuova di marzo: un corpo sottile riverso al suolo, con abiti stracciati e capelli neri a coprirle il viso.

Per alcuni istanti, rimasero tutti immobili, senza emettere fiato. Lentamente, Holly voltò il capo alla propria sinistra, incontrando lo sguardo di Louis, che le gettò un'occhiata ugualmente grave e consapevole.

Percepì le dita di Marcus stringerle lievemente il braccio per darle coraggio.

Ancora una volta, non riuscì a dire nulla. Contrasse appena le labbra e prese a camminare decisa verso la figura lontana, accelerando il passo sempre di più. Paradossalmente, più si avvicinava alla sagoma di quella ragazza, più essa le sembrava lontana.

Giunse presso di lei prima di quanto si aspettasse e subito si lasciò cadere in ginocchio al suo fianco, sollevandole delicatamente la testa per scoprirle il volto.

Percepì qualcuno chinarsi accanto a lei: era Louis, che puntò la bacchetta verso la ragazza inanime. “Reinnerva,” lo udì sussurrare.

In un sussulto la ragazza aprì gli occhi. Erano scuri e brillanti, ma confusi.

Al comando. Riuscì a pensare convulsamente. Dobbiamo andare al comando per dire che l'abbiamo trovata. Abbiamo trovato Christine De Bourgh.

 

 

 

*****

 

 

7 marzo 2022

Torre di Grifondoro, Hogwarts

Stessa ora

 

 

Il bagliore del fuoco lambiva ondeggiante le pagine del quadernetto, sgradevolmente immacolate.

Lucy Weasley sospirò, sconsolata, sistemando dietro l'orecchio una ciocca di capelli castani mentre, con la mano libera, faceva roteare tra le dita la sua penna d'oca. Era frustrante rimanere lì in attesa, con il Diario Comunicante sulle ginocchia, senza poter far altro che fissare le pagine bianche nella speranza che, prima o poi, vi comparisse la grafia di Christine De Bourgh.

Quando aveva ricollegato le parole di Christine alla effettiva speranza di comunicare con lei, si era sentita euforica, con il cuore che rimbombava furioso e uno strano miscuglio di sollievo e speranza ad agitarla dall'interno. Adesso, tuttavia, era già passato troppo tempo senza che l'altra rispondesse; l'angoscia le era ripiombata addosso.

E Lily... Non voleva neanche pensarci. Preferiva concentrare tutta la propria attenzione su quelle pagine bianche nella speranza che si riempissero, piuttosto che dare alla sua mente il permesso di soffermarsi sul fatto che sua cugina fosse scomparsa. Aveva scelto di aggrapparsi a quell'esile filo di speranza con tutte le proprie forze: era l'unico modo per non crollare.

Certo, il fatto che Christine ancora non avesse ancora risposto faceva traballare quel filo sempre di più.

Fissava le pagine bianche con tanta intensità che, quando sollevava lo sguardo, l'impronta rettangolare dell'agenda le restava aggrappata alla retina.

“Quello è il tuo diario segreto, Weasley?”

Al suono di quella voce sprezzante, dapprima sobbalzò, riscossa improvvisamente dalla propria veglia silenziosa. Poi sollevò il capo in direzione di chi aveva parlato, senza avere la forza di ribattere. Aveva riconosciuto la voce, dunque non si stupì quando i suoi occhi si posarono sulla figura di Leopold Higgs, estremamente fuori posto, con la sua divisa Serpeverde, nella sala comune calda e accogliente.

“Come hai fatto a entrare?” questionò flebilmente, pur conoscendo la risposta. Senza dubbio era stato Albus a passargli la parola d'ordine o – più probabilmente – farlo entrare con lui, visto che ultimamente sembravano essere diventati amici.

Higgs ignorò la sua domanda, limitandosi a sedersi accanto a lei sul divano. Le fiamme del caminetto facevano baluginare i suoi capelli corti di bagliori ramati.

Lo vide sporgersi verso di lei per dare un'occhiata all'agenda aperta sulle sue ginocchia.

“Anche se,” lo udì rilevare, “non c'è scritto nulla, dunque dubito che sia davvero il tuo diario segreto.”

Roteò gli occhi. “Però, sei un'aquila!”

Higgs ignorò elegantemente il sarcasmo, poggiando la schiena sulla spalliera del divano e incrociando le braccia dietro la testa, lo sguardo fisso sulle fiamme danzanti del caminetto acceso. Lucy si accorse di avere ancora gli occhi puntati su di lui e abbassò la testa, tornando a fissare le pagine vuote.

“Chi deve scriverti, Weasley?”

Di nuovo sobbalzò, questa volta concedendosi di gettare a Higgs un'occhiataccia. Il Serpeverde neanche se ne accorse, troppo impegnato a osservare le fiamme, come se fossero degne del suo interesse molto più di Lucy.

Deglutì. “Come hai fatto a–”

“Weasley, si vede a un miglio di distanza che quello è un Diario Comunicante.” Improvvisamente, Higgs si voltò, tornando a guardare lei. “E a giudicare dal modo in cui stai fissando quelle pagine è chiaro che stai aspettando una risposta da qualcuno.”

A quelle parole, si sentì improvvisamente depressa. Aveva bisogno di stare da sola, non delle ciance di un cretino.

Sbuffò. “Se hai intenzione di continuare a fare osservazioni ovvie,” mormorò, “va' via, per favore.”

Se quella frase l'avesse pronunciata Lily, probabilmente sarebbe suonata molto meglio. Tornare a pensare alla cugina la fece sentire come se qualcuno le avesse assestato un pugno alla bocca dello stomaco. Higgs dovette accorgersi del suo cambio di espressione, perché improvvisamente mutò la propria.

“Che succede, Weasley? Stai male?”

Scosse la testa, incapace di parlare. Sapeva che se avesse aperto bocca le lacrime avrebbero preso improvvisamente a scorrere a fiumi, e non aveva la minima intenzione di piangere davanti a lui.

Continuando a fissare la pagina, percepì il suo avvicinamento dallo spostamento di peso sui cuscini del divano. “Non stai aspettando la risposta del tuo ragazzo, vero?” La voce del Serpeverde era adesso del tutto priva di sarcasmo e suonava vagamente sospettosa.

“Non ho un ragazzo,” replicò stupidamente Lucy.

“Certo che no,” fece lui. “Ma non è quello che intendevo.” Tacque, come se stesse riflettendo. Al suo improvviso silenzio, Lucy si sentì in qualche modo rassicurata. Improvvisamente era diventato piacevole avere compagnia.

Forse avrebbe potuto dirglielo. Dirgli la verità sulla natura del messaggio che stava aspettando, anche se probabilmente Higgs aveva già intuito qualcosa. Dopotutto, era un segreto che andava condiviso, e se non l'aveva fatto fino a quel momento era perché non voleva dare false speranze alle persone a cui voleva bene.

Ma di Higgs non le importava granché: non si sarebbe sentita così in colpa come nell'illudere di qualcosa Albus o Scorpius. Forse lui poteva essere il candidato giusto a conoscere ciò che da giorni teneva nascosto a chiunque.

Si potrebbe dire che questo sia davvero un diario segreto, eh, Lucy?

“L'altro Diario...” esordì a mezza bocca, concitata, sollevando lo sguardo verso Higgs. Il ragazzo era lì in attesa, l'espressione totalmente impermeabile. “Potrebbe averlo Christine De Bourgh.”

A giudicare da come il Serpeverde sgranò gli occhi alle sue parole, non se lo aspettava. E, sebbene fosse un pensiero terribilmente egoista, Lucy non riuscì a trattenere un interiore moto di soddisfazione per essere riuscita a stupirlo. Anche se, tecnicamente, era stata Christine a farlo.

Higgs assottigliò gli occhi, visibilmente pensieroso. Quando parlò, la sua voce era grave. “Non eravate in buoni rapporti. Perché lei avrebbe dovuto avere il gemello del tuo diario?”

Alle sue parole, non poté fare a meno di serrare gli occhi, cercando di dimenticarle. Aveva usato il passato, come si fa per le persone morte.

E Christine non era morta. Non poteva esserlo, era troppo furba per morire così.

Si costrinse ad aprire di nuovo gli occhi. Prima di parlare, si schiarì la voce. “L'avevo regalato a Scorpius per Natale, lo scorso anno.”

Higgs annuì lentamente, dando a intendere di aver capito. “E come fai a sapere che ce l'ha Christine?”

Lucy si mordicchiò il labbro. “Per una cosa che mi ha detto al riguardo, un po' di tempo fa. Non ero riuscita a capire cosa intendesse, ma poi lei è scomparsa, e io ho pensato...” la voce le morì in gola.

“... Hai pensato che l'avesse preso Christine.” Completò il ragazzo per lei. “Non era più semplice chiedere a Malfoy se avesse visto quel diario, negli ultimi tempi?”

Lucy scosse la testa. “Non voglio dare false speranze. A nessuno di loro.” Deglutì. “Potrebbe essere una mia congettura sbagliata,” disse, anche se era certa di essere nel giusto, “e se io dessi loro l'illusione di poter comunicare con Boot e in realtà non fosse così, beh, io...”

“Saresti distrutta.” Higgs aggrottò le sopracciglia.

“Esatto.” Lucy sospirò. “Non so cosa fare, se non aspettare. Ho scritto a Christine e lei ancora non ha risposto.”

“Beh,” il Serpeverde scrollò le spalle. “Se sono stati rapiti, è possibile che non abbia con sé niente per scrivere.”

Lucy scosse la testa. “Non è così. Christine... Lei ha pianificato tutto. Sapeva che sarebbe potuto accaderle qualcosa di molto grave e si è organizzata di conseguenza. Non credo che avrebbe trascurato l'eventualità di non avere la possibilità di rispondere, dopo aver fatto in modo di avere qualcosa con cui comunicare.”

Le sopracciglia del ragazzo erano ancora corrugate.

Lucy si accorse di sentirsi in qualche modo sollevata, come se rivelando a qualcuno quanto accaduto si fosse tolta un grosso peso. Accarezzò con la punta delle dita la pagina liscia e intatta del diario, cercando di riflettere. Aveva già ragionato a lungo sulla questione, giungendo alla conclusione che in un piano così ben congegnato Christine non doveva aver trascurato nessun dettaglio.

Ma allora? Perché non rispondeva.

“Non hai pensato che potesse esserci qualcos'altro?”

La voce di Leopold la fece sobbalzare di nuovo. “Che cosa intendi dire?” replicò, perplessa.

Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Che potrebbe aver lasciato a qualcun altro un altro indizio per te.” La fissò intensamente. “Forse non è l'unica cosa che devi fare per lei.”

 

 

 

*****

 

 

Cause oh that gave me such a fright

But I will hold on with all of my might

Just promise me that we’ll be alright.

Mumford & Sons

 

 

 

7 marzo 2022

Luogo imprecisato nel Norfolk

Orario indefinito

 

 

Il tempo era scandito dalla frequenza costante con cui le gocce colavano giù dal soffitto. Somigliava al tichettio di un orologio, ma il suono era più umido e acquoso. Riecheggiava tra le pareti della piccola stanza sotterranea, profondo e amplificato.

Christine aveva smesso di contare da un pezzo. Aveva iniziato perché si annoiava, dato che nella noia correva il rischio di lasciare che la preoccupazione sopraffacesse la sua lucidità, ed era qualcosa che non poteva permettersi. Non in quella situazione.

Era inutile continuare a rifletterci sopra, dunque aveva preso a contare per distrarsi. Dopo tutto aveva fatto quello che poteva, distribuendo informazioni nel modo migliore che le fosse venuto in mente – dunque, probabilmente, anche nel miglior modo possibile. Da parte sua sarebbe stato sciocco mettersi a pensare a ulteriori previsioni e percentuali di quanto sarebbe potuto accadere. Doveva solo attendere che coloro che aveva incaricato mettessero a posto gli ultimi pezzi.

Se le sue congetture erano esatte, cosa su cui aveva pochi dubbi, Lily Potter doveva aver già lasciato Hogwarts. Sperava che fosse stata abbastanza sveglia da portarsi dietro Greengrass, ma a dire il vero era piuttosto certa che l'avesse fatto.

Dopotutto, Lily era la più furba, lì dentro. Proprio per questo Christine aveva predisposto che fosse lei la prima a entrare in azione.

Si lasciò sfuggire uno sbuffo tra le labbra secche. Era frustrante avere l'acqua così vicino, sentirla piovere dal soffitto e infrangersi umida contro il pavimento di pietra, e non potersi avvicinare ad essa per dissetarsi. Le corde strette attorno ai suoi polsi bruciavano; sfregando le avevano ricoperto la pelle di abrasioni. Quando alle gambe, ormai non le sentiva più, forzate com'erano nella stessa posizione ormai da un bel pezzo.

Non avrebbe saputo dire quando, perché aveva smesso di contare. Dopo un po' anche quello aveva iniziato ad annoiarla.

Spesso si perdeva a osservare Bernard, che ancora non aveva ripreso i sensi. Dopo essere rimasto svenuto a lungo, era scivolato in un sonno profondo dal quale ancora non accennava a svegliarsi. Christine non aveva potuto avvicinarsi più di tanto, ma da quel che era riuscita a osservare respirava regolarmente e sembrava star bene, tranne che per lo spesso taglio sulla tempia, sul quale si era raggrumato del sangue secco.

La stanza era buia, se non per la sottilissima luminosità che traspariva ritagliata dalla porta. A poco a poco gli occhi di Christine si erano abituati all'oscurità, e se prima riusciva a malapena a intuire la sagoma del ragazzo – sdraiato al suo fianco e legato nelle sue stesse condizioni – adesso poteva persino intravvedere il suo volto, i capelli scuri in disordine e incrostati di sangue e terriccio.

Non era felice di avere le mani legate. Le sarebbe piaciuto poter accarezzare il suo viso e cercare di fare qualcosa per pulire il sangue dalla sua fronte.

Si sentiva combattuta, e non era qualcosa che le accadeva molto spesso. Da una parte avrebbe voluto tenerlo al di fuori di tutta la faccenda, ed era vagamente irritata nei suoi confronti per essersi messo in mezzo deliberatamente contro la sua volontà. Dall'altra, tuttavia, se si concentrava sul suono del suo respiro in qualche modo si sentiva meglio.

Aveva la gola riarsa: udire la goccia che pioveva dal soffitto non faceva altro che accentuarne la sensazione. Anche il suo stomaco era terribilmente vuoto, ma ormai neanche sentiva più la fame. Aveva semplicemente la sensazione che il suo corpo fosse estremamente debole: cercava di dormire il più possibile per raccogliere le forze, ma non era facile.

Questo la infastidiva. Per permettere al proprio cervello di funzionare al meglio, aveva bisogno di energie.

Sperava che Lucy Weasley si desse una mossa a capire cosa fare. Anche se, con le mani legate, non poteva neanche raggiungere il diario, nascosto al sicuro sotto il maglione malridotto e la camicia, per verificare se già le avesse scritto.

Rabbrividì a causa del freddo. Per l'ennesima volta, tentò di trascinarsi lungo le pareti per avvicinarsi ulteriormente a Bernard, ma non voleva scivolare distesa, o non sarebbe più riuscita a tirarsi su. Si accontentò di essere giunta a una distanza sufficientemente piccola da poter sfiorare con le ginocchia le sue braccia.

Qualcosa di simile ad angoscia accennò ad aggredirla dall'interno, ma la ricacciò indietro.

“Bernard?” mormorò. Il suo sussurro risuonò nel silenzio, rasposo e rauco a causa della sete e del troppo tempo trascorso senza parlare con nessuno.

Il ragazzo non rispose, limitandosi ad agitarsi lievemente nel sonno. Non l'aveva mai fatto fino a quel momento, non in maniera così evidente.

Aggrottò le sopracciglia, tendendo la schiena e facendo perno contro il suolo con i polsi legati per riuscire a chinarsi su di lui. Ogni muscolo del suo corpo sembrò gemere dolorosamente a quell'iniziativa, ma Christine ignorò il dolore.

“Bernard?” tentò ancora.

Lui si agitò ancora, con più evidenza. Christine assottigliò gli occhi e rimase immobile, in attesa. Sul suo viso si posava la sottile lama di luce che traspariva dalla porta, permettendole di distinguere un ritaglio del suo volto. Fu in quel bagliore dal perimetro ristretto che intravvide i suoi occhi agitarsi da una parte all'altra e infine schiudersi.

Rimase immobile mentre Bernard voltava lentamente la testa verso di lei.

Christine sapeva che la luce si posava anche sul proprio viso, e che dunque il ragazzo l'avrebbe riconosciuta. Per qualche istante l'espressione di lui fu confusa: probabilmente, stava cercando di ricostruire gli eventi per i quali si trovava legato in una stanza buia assieme a lei.

E no, non è una condizione piacevole quanto potrebbe.

Vide distintamente l'istante in cui lo sguardo di Bernard si tinse di consapevolezza, poi di paura. Infine, di quel qualcosa che persino lei aveva difficoltà a interpretare: quello sguardo terribilmente schietto che Christine non riusciva a capire, e che per questo l'aveva sempre attratta.

“Christine...” lo udì mormorare. La sua voce era in condizioni persino peggiori. I suoi occhi, appena distinguibili, sembravano infossati, ma erano lucidi. “Dove siamo?”

Lo guardò attentamente, rimpiangendo di non potersi avvicinare di più. “Non lo so con precisione.”

Bernard roteò gli occhi. Anche in quelle condizioni, sembrava quasi divertito. “Tu sei Christine De Bourgh. Ti sarai fatta almeno un'idea.”

Gli sorrise leggermente. “Questo è ovvio.” Strinse le labbra. “Stiamo in uno dei manieri dei Menley. Presumo in uno di quelli a Nord, visto che gli altri sono abitati.”

“I Menley.” Bernard scosse la testa. Dalla sua espressione, era ancora incredulo. “Non posso credere che Georgia Menley fosse Gossip Witch.”

Christine sorrise amaramente. “Fidati, non hai idea di quello che Georgia sia in grado di fare.”

Alle sue parole, il ragazzo sollevò le sopracciglia. “La conosci bene, a quanto sembra.” La guardava attentamente. “E come fai a sapere quali castelli dei Menley siano abitati e quali no?”

Non aveva voglia di rispondere alla domanda, dunque si limitò a stringersi nelle spalle. “Credi di riuscire a slegarmi le mani?” cambiò discorso. Era valso a qualcosa escoriarsi i polsi: i nodi erano allentati, adesso, e grazie all'aiuto di Bernard avrebbe potuto slegarli.

Lui sembrò ignorare il suo repentino salto di argomento. “Posso provare.”

Gli porse le braccia e Bernard sollevò le proprie, armeggiando per quanto poteva, vista la scarsa libertà di movimenti data dalle corde, con quelle che stringevano insieme i polsi di Christine. Dopo parecchi minuti, finalmente la ragazza percepì la fune allentarsi e riuscì a liberare una mano, beandosi della possibilità di poter muovere un braccio a proprio piacimento. Anche a quella luce flebilissima, riuscì a distinguere una spessa striscia arrossata dove la corda le aveva escoriato la pelle. In alcuni punti, stillavano delle piccole gocce di sangue.

Fece scivolare via la corda dalla mano libera e prese quelle di Bernard, liberandolo più rapidamente che poteva nonostante le dita intorpidite.

Improvvisamente, si accorse di provare una terribile urgenza di liberare le gambe. Sentiva la schiena rattrappita e aveva bisogno di sciogliere quelle corde e potersi muovere, distendere i muscoli e sentire il sangue tornare in circolo.

La sua prima sensazione, quando finalmente allungò le gambe che era stata costretta a tenere rannicchiate sotto il corpo, fu il dolore: improvviso e lancinante, sembrò percorrere ogni suo nervo e crescere finché, altrettanto repentinamente, non passò, sostituito da una lieve dolenza.

Gettò un'occhiata a Bernard: anche lui era riuscito a liberarsi e la sua espressione era un caleidoscopio di sensazioni diverse.

Sospirò, infilando la mano sotto la lana umida e sporca del maglione. Spostando un lembo della camicia, percepì sotto le dita il cuoio rigido del dorso dell'agenda che aveva sottratto a Scorpius Malfoy.

Percepiva lo sguardo perplesso di Bernard posato su di sé, ma lo ignorò, sfogliando febbrilmente le prime pagine. Infine, li vide: tre messaggi di Lucy Weasley, posti uno dopo l'altro, tutti con la stessa domanda: Cosa devo fare?

Sorrise, trionfante. Se tutto era andato come previsto, Leopold Higgs le avrebbe dato l'indizio mancante molto, molto presto.

Oh, Leopold... Uno dei miei migliori assi nella manica.

“Christine... Perché sorridi?”

Sollevò lo sguardo su Bernard, che la fissava ancora stupefatto e vagamente rancoroso.

Scrollò le spalle, mettendo su la migliore espressione noncurante del suo repertorio. “Ho appena scoperto che il mio piano per salvarci la vita sta funzionando.”

Le sopracciglia del ragazzo si inarcarono. “Gradirei essere messo al corrente del tuo piano.”

Trattenne uno sbuffo infastidito. Sapeva che sarebbe accaduto: Bernard aveva mostrato sin dall'inizio una certa attitudine a ficcare il naso. “Non c'è biso–”

Ma lui si era tirato su dal pavimento e aveva stretto le mani attorno alle sue spalle. “C'è bisogno, Christine. C'è bisogno che tu mi dica tutto.” La guardò, emettendo una sorta di sbuffo amaro. “Siamo chiusi in una cella in un castello, ma non sappiamo quale né dove si trova. Probabilmente siamo in pericolo di vita... Se hai un piano, devi dirmelo.”

Un istante dopo, Bernard la sorprese, togliendo le mani dalle sue spalle per accarezzarle il volto. Sapeva che non avesse finito di parlare, dunque rimase in silenzio, in attesa.

“Basta sotterfugi, Christine.” Lo udì mormorare contro le proprie labbra. “Basta con i giochi di parole e gli indizi incompleti. Adesso devi dirmi la verità.”

Christine soppesò le sue parole, godendosi il contatto con il corpo di lui, caldo contro il proprio. “La verità è quello che avrai, allora.” Decretò infine, cercando di sistemare le gambe in modo che non le facessero troppo male. “Ma sarà una lunga storia.”

Le braccia di Bernard la strinsero forte, e Christine percepì con chiarezza il suo bisogno di contatto fisico.

Ne aveva bisogno anche lei.

“Credo che abbiamo tempo a sufficienza,” lo udì mormorare.

 

 

 

*****

 

 

 

7 marzo 2022

Testa di Porco, Hogsmeade, Scozia

Poco prima dell'ora di cena

 

 

Il Capitano Mazu serrò le dita fredde attorno alla tazza di tè che stringeva tra le mani, desiderando ardentemente qualcosa di più forte.

Naturalmente non avrebbe mai bevuto alcolici sul posto di lavoro, specialmente in una situazione difficile come la presente, ma l'aria che si respirava al comando Auror era densa come gelatina. Si lasciò sfuggire uno sbuffo, aggrottando le sopracciglia scure e folte: già di per sé non era mai piacevole trovarsi ad avere a che fare con la Diablo, e adesso che erano stati coinvolti ben quattro studenti... Beh, era angosciante.

Improvvisamente percepì qualcuno affiancarla. “Novetat?” fece voltandosi, convinta di trovarsi davanti la sagoma massiccia e rassicurante dell'agente Alcover.

Ma quello accanto a lei non era Jordi, bensì un uomo dalla figura più sottile e sfuggente. Theodore Nott piegò le labbra in un sorriso amaro. “Sono io.”

Lei annuì piano. “Novità?” ripeté in inglese.

“Rispetto a cinque minuti fa?” L'Auror scrollò le spalle. “Purtroppo no. La squadra di Holly Greengrass è in ricognizione. Dovrebbero tornare da un momento all'altro.”

Aide distolse lo sguardo, lasciando che scivolasse lungo il corridoio ricoperto di tappezzeria consunta. Si chiedeva spesso perché le cose, nel Mondo Magico Britannico, avessero spesso un'aria così antica, come vestigia di vecchi lussi.

“E Potter?”

Di nuovo, l'inglese si strinse nelle spalle. “Continua a consumare il pavimento a forza di camminare avanti e indietro.” Sospirò, evidentemente in vena di confidenze. “Non l'ho mai visto così agitato. Ma è comprensibile... Si tratta di sua figlia, dopotutto.”

Detto ciò si interruppe, meditabondo, lo sguardo perso sulla porta chiusa della stanza adibita a comando. Dal piano inferiore risuonò lo sbattere della porta della locanda e uno scalpiccio rapido di diverse paia di piedi: la squadra in ricognizione doveva essere rientrata.

Aide guardò Nott più attentamente. Le sue sopracciglia erano corrugate.

“Lei ha figli?” domandò all'Auror.

Questi si voltò, stupito. “E lei?” replicò, chiaramente sulla difensiva.

Lei scosse la testa. Non si era mai sposata, né aveva intenzione di farlo.

Nott abbassò lo sguardo. “Una.” Disse infine, serio. “Si chiama Adelaide e ha solo undici anni. Per questo capisco Harry... Se le dovesse accadere qualcosa, io–”

Ma fu interrotto dall'arrivo della squadra di ricognizione, sopraggiunta a rotta di collo in cima alle scale.

O meglio, di parte della squadra.

“Dove sono gli altri?” Nott doveva essersi posto la medesima questione, a giudicare dal tono allarmato in cui si rivolse al gruppetto di giovani Auror davanti a lui. Erano solo tre: due allievi dell'Accademia – una ragazza dai capelli scuri e quello che era palesemente il figlio di Harry Potter – e il capitano della piccola squadra, una giovane donna bionda dall'espressione grave. “Holly, è successo qualcosa?”

“Sì, in effetti.” La ragazza annui, stringendo le labbra. “L'abbiamo trovata. Christine De Bourgh. È viva, ma sembra Confusa...” la sua voce sbiadì fino a svanire.

Seguirono alcuni istanti di silenzio. Nott sbatté diverse volte le palpebre, l'aria perplessa, come pietrificato sul posto. Poi si riscosse. “Dove?” domandò secco.

“Poco oltre il limitare del villaggio.” Rispose lei. “Ho lasciato il resto della squadra a controllarla.”

“Ottimo lavoro,” replicò Nott, col tono di chi sta sparando un insulto piuttosto che un complimento. “Ora, andresti a chiamare il Capitano e l'agente Weasley? Di' loro che è urgente.”

 

 

 

*****

 

 

 

Che potrebbe aver lasciato a qualcun altro un altro indizio per te. Forse non è l'unica cosa che devi fare per lei.”

Allle sue parole, Lucy Weasley sgranò di scatto gli occhi verso di lui. Leopold la osservò. La sua espressione era tinta di perplessità: chiaramente, non aveva capito cosa volesse dire con quelle parole. Dopo alcuni secondi di silenzio, tuttavia, la comprensione sembrò farsi a poco a poco strada sul suo volto.

Del resto, pensò Leopold, Lucy era una ragazza intelligente. E molto meno ingenua di quanto non volesse apparire.

“Ti ha detto qualcosa?!” quasi sembrò aggredirlo, pur restando immobile lì dove si trovava. “Devi dirmelo subito!”

Leopold sospirò leggermente, tornando con la mente alla conversazione con Christine De Bourgh che aveva avuto luogo poco prima di Natale. La ragazza l'aveva preso da parte a sorpresa, nella penombra verdastra della Sala Comune, in un momento di sufficiente tranquillità perché nessuno se ne rendesse conto.

 

Devi fare amicizia con i Potter,” aveva esordito senza tanti preamboli, gli occhi scuri scintillanti.

Perplesso, Leopold aveva inarcato le sopracciglia. “Come hai detto?” aveva replicato educatamente, sulla difensiva. Con una come Christine De Bourgh, bisognava prestar cautela.

Amicizia. Con i Potter.” Aveva ribadito melodiosa. “Non far finta di non capire, Higgs.”

Lui aveva ridacchiato, scettico. “Mettiamo in chiaro un paio di cose, De Bourgh.” Aveva detto, avvicinandosi di un passo. “Prima di tutto, non ci siamo mai parlati prima d'ora. Non vedo perché dovrei fare quello che mi dici tu.”

E secondo di tutto?” Christine era parsa divertita. “Continua pure, Higgs. Sto solo morendo dalla noia.”

Aveva ignorato il suo sarcasmo, senza riuscire a ingoiare il moto di fastidio che l'aveva aggredito dall'interno. “Secondo,” aveva ripreso come se nulla fosse. “A maggior ragione non lo farò se neanche so il perché.”

Come mi aspettavo.” La ragazza aveva scrollato le spalle.

Irritante, aveva pensato lui. Incredibilmente irritante.

Allora?” aveva insistito, perché suo malgrado la curiosità cominciava a farsi strada. “Perché?”

Di colpo, Christine si era fatta seria. La cosa era evidente anche se continuava a sorridere. “Si tratta di una cosa importante, Higgs,” aveva detto infatti. “Non aspettarti che io ti dica tutto ora. Non è nella mia indole, capisci?”

In tutta onestà, Leopold se ne sbatteva della sua indole. Nonostante ciò, era rimasto in silenzio, aspettando che la ragazza finisse il suo discorsetto.

Dopo alcuni istanti, Christine aveva ripreso: “Tanto so perfettamente che mi aiuterai comunque... So scegliere bene i miei alleati.”

Non sono un tuo alleato,” si era sentito in dovere di chiarire. Da bravo Serpeverde, prendere le parti di qualcuno lo faceva sentire ingabbiato.

Non ancora,” aveva sottolineato lei. “Non ancora Higgs.”

Beh?” si era ritrovato a insistere allora. “Perché vuoi che io faccia amicizia con i Potter?”

Christine si era guardata attorno con circospezione, prima di proseguire. “Sta accadendo qualcosa, Higgs,” aveva buttato lì in tono noncurante. “Qualcosa di grosso. Quando arriverà il momento, c'è qualcosa che devi essere nella condizione di fare...”

Non gli piaceva affatto. Quella faccenda puzzava, su questo non c'erano dubbi... Ma d'altra parte, moriva dalla voglia di sapere di cosa si trattasse.

Era troppo ficcanaso per essere del tutto un codardo, dunque era rimasto in ascolto, invece che voltarsi e andar via come il suo istinto gli suggeriva.

Ad un certo punto, potrebbe accadermi qualcosa,” aveva ripreso la ragazza, sempre in quel tono rilassato, stridente con le parole che stava pronunciando. “Quando e se questo accadrà, dovrai essere nella condizione di dire ad uno dei Potter o dei Weasley qualcosa di molto importante riguardo un Diario...”

Uno dei Potter o dei Weasley? Potresti almeno dirmi di chi si tratta.”

Non dubitare: quando sarà il momento, lo capirai subito.”

Ridacchiò ancora, incredulo. “Come credi di convincermi ad aiutarti se non mi dai uno straccio di informazione decente? Di cosa si tratta? Posso sapere almeno questo?”

Lei si era stretta nelle spalle. “A tempo debito. Per adesso ti basti questo...” si era sporta verso di lui, sussurrandogli alcune parole all'orecchio.

Erano bastate a convincerlo. “D'accordo.” Aveva concesso. “Come faccio ad avvicinarli?”

Beh,” la ragazza aveva sorriso furbescamente. “Potresti cominciare invitando Lily Potter al Ballo del Ceppo...”

 

Lucy lo guardava, in attesa, la schiena rigida e lo sguardo deciso. Qualcosa nello stomaco di Leopold sembro rimestarsi. “In effetti è così,” le disse a voce bassa. “Ma questo non è il luogo giusto per parlarne.”

Si alzò dal divano, facendo segno alla ragazza di seguirlo. L'espressione di Lucy era vagamente dubbiosa, ma comunque non fece commenti nel tirarsi in piedi a propria volta, il Diario stretto tra le braccia, e seguirlo fuori dalla Sala Comune. Per fortuna, nella Torre di Grifondoro c'era una certa confusione e nessuno fece caso a loro.

Il corridoio su cui si affacciava il quadro della Signora Grassa era deserto, dunque sarebbe andato più che bene per la loro conversazione. Il ritratto parve capire subito che stavano per parlare di argomenti riservati: iniziò a gettar loro occhiate curiose, palesemente in ascolto.

Leopold la ignorò, tornando a guardare Lucy, in piedi davanti a lui nella sua divisa di Grifondoro. Il suo volto dall'aria morbida era contratto in un broncio, le sopracciglia castane aggrottate sopra gli occhi chiari.

Anche le sue labbra avevano l'aria morbida, ma adesso non era il momento per pensare a questo. “Christine mi ha parlato poco prima di Natale,” disse in fretta. “Mi ha detto che c'era qualcosa che avrei dovuto fare se le fosse accaduto qualcosa di brutto.”

Lucy non parve troppo sorpresa. “Deve piacerle questa frase,” commentò con tono simile ad un singhiozzo. “A me ha detto praticamente la stessa cosa.”

Leopold scrollò le spalle. “Mi ha detto che avrei dovuto avvicinarmi alla tua famiglia, che avrei dovuto dire qualcosa a qualcuno di voi. E che avrei capito a chi si riferisse quando sarebbe stato il momento.”

Lo sguardo della ragazza si tinse di comprensione. “Per questo hai invitato Lily al Ballo!” esclamò a mezza voce. “E per questo sei diventato amico di Albus... E oggi sei venuto a parlare con me.” Per qualche ragione, sembrò vagamente delusa nel pronunciare l'ultima frase.

Leopold non se ne curò. In quel momento non era la cosa più importante, anche se credeva di capire il motivo della sua reazione. “Solo oggi ho capito che quella persona sei tu,” concluse.

“Che cosa avresti dovuto dirmi?” chiese Lucy, le sopracciglia sempre più aggrottate.

Sezione Q, Scaffale 3, quarto piano, dorso blu,” recitò la breve lista che aveva imparato a memoria dietro costrizione di Christine. “Non ho idea di cosa voglia dire... Lei ha detto che la persona giusta l'avrebbe capito subito.”

Dall'espressione di Lucy, comprese che era stato così. I suoi occhi scintillavano di trionfo.

Si guardò intorno circospetta, prima di afferrarlo per un braccio e sbottare perentoria: “Accompagnami in Biblioteca, Higgs. Subito.”

 

 

 

*****

 

 

 

 

Il vento gelido aggrediva tagliente il gruppetto di Auror che risalivano il crinale della collina, facendo frustare le loro vesti contro il cielo grigio. Superarono la cresta del colle e iniziarono a discendere verso la cunetta erbosa ai suoi piedi, raggiungendo l'altro gruppo che li attendeva lì.

L'uomo alla testa del gruppo, la cicatrice sulla fronte nascosta dai capelli neri che non volevano saperne di star buoni nel loro taglio marziale, sembrò accelerare ulteriormente il passo.

Harry Potter aveva l'impressione di non aver fatto altro che correre, negli ultimi giorni. Faceva in modo di compiere ogni gesto più in fretta possibile, nella speranza di guadagnare altro tempo: tempo per trovare Lily, per salvare gli studenti scomparsi, per porre fine alla tremenda situazione in cui si trovavano.

Anche adesso – mentre con il cuore in gola dirigeva la squadra lungo la collina – si sentiva internamente aggredito da una sorta di furiosa frenesia. La consapevolezza che la sua bambina fosse scomparsa chissà dove lo faceva sprofondare nell'angoscia più torbida ogni volta che i suoi pensieri si posavano sulla questione, dunque perennemente, poiché non aveva cessato di pensarci dal momento in cui aveva appreso la notizia.

Il momento peggiore, tuttavia, era stato quello in cui aveva dovuto comunicare a Ginny la terribile novità.

 

Si era Materializzato direttamente in cucina, sapendo che l'avrebbe trovata lì. Sua moglie preferiva sistemarsi in quel piccolo e accogliente spazio quando scriveva i suoi articoli, invece che nel loro studio, in parte per il dolce tepore che pervadeva la stanza e in parte perché così non avrebbe dovuto fare un piano di scale solo per prendere un bicchiere d'acqua del rubinetto.

Difatti Ginny era seduta al tavolo: sul piano di legno grezzo erano sparsi fogli di pergamena fitti di appunti e davanti a lei torreggiava la MagiOlivetti che usava sempre quando lavorava per il giornale.

Era chiaramente rimasta di stucco quando se l'era visto apparire improvvisamente davanti: aveva sbattuto un paio di volte le palpebre dietro alle lenti dei suoi occhiali da lettura, per poi sfilarseli dal naso e sospirare appena, lanciandogli un'occhiata grave.

Che cosa è successo?” Aveva domandato semplicemente.

Harry le aveva spiegato tutto con voce angosciata e larghi gesti delle braccia, percorrendo avanti e indietro le mattonelle della cucina. Ancora non sapeva che avrebbe passato camminando in circolo pressoché ogni ora dei giorni successivi, cercando una soluzione che sembrava non avere la minima intenzione di lasciarsi trovare.

Ginny non aveva proferito parola per tutta la durata del racconto. Aveva continuato a tacere anche dopo che Harry aveva concluso il discorso e si era lasciato cadere su di una sedia, affondando sconfortato il volto tra le mani.

Dopo essere rimasta in silenzio per almeno un quarto d'ora – lo sguardo fisso davanti a sé – si era alzata e aveva fatto il giro del tavolo per posizionarsi di fronte a Harry e cingerlo tra le braccia. Lui aveva abbandonato la testa contro il suo petto, tremante.

Quando infine sua moglie si era decisa a parlare, la sua voce era suonata più salda di quanto si sarebbe aspettato.

Non angosciarti per lei, Harry,” aveva detto, carezzandogli delicatamente la testa. “Lily non è stata rapita.”

Lui aveva sollevato di scatto la testa, sgranando gli occhi. “Come fai a dirlo?” chiese semplicemente.

Ginny si era stretta nelle spalle. Nonostante le sue parole, bastava guardarla in faccia per capire che era anche lei terrorizzata.

Perché conosco mia figlia,” fece però con fermezza. “Lily non è una sciocca. Sono certa che non si sarebbe messa nella situazione di rischiare un rapimento, non con quello che è successo... No, non è stata rapita. Se n'è andata di sua volontà.”

Harry aveva dovuto sospirare con forza per placare i battiti forsennati del proprio cuore. “Ma Ginny... Perché avrebbe dovuto farlo?”

Inaspettatamente, sua moglie aveva sorriso. “Perché lei è come te, Harry... Non può stare ad aspettare se le persone che ama sono in pericolo.” Si era chinata per baciarlo leggera sulle labbra. “Ma, per fortuna, somiglia anche a me... E di certo non sarà andata lì fuori senza un buon piano, come qualcuno che conosco adorava fare...”

 

Ancora adesso, non sapeva cosa avesse spinto Ginny a quelle riflessioni, se non il suo istinto di madre. Nonostante ciò, era comunque preoccupatissimo per Lily, e così la moglie: la bambina poteva anche avere un buon piano – sempre che se ne fosse veramente andata di propria volontà – ma era comunque in terribile pericolo.

Nel grigiore di quella giornata di marzo, finalmente giunsero a pochi passi dal gruppo di Allievi che Holly aveva lasciato a controllare Christine De Bourgh.

Ricordava perfettamente il volto della ragazza: una sua fotografia – così come quelle degli altri due ragazzi scomparsi e di Lily – era appeso nella stanza sopra la Testa di Porco che avevano adibito a comando.

Fu per questo che, nel posare lo sguardo su quella ragazza dai capelli scuri, impiegò solo pochi istanti a riconoscerla.

“Non è Christine De Bourgh.” La sua voce risuonò tagliente contro il mugghiare del vento. “È Tamara Graysand.”
 

*****

 

 

 

Reparto Proibito, Biblioteca di Hogwarts

Stessa ora (più o meno)

 

 

“Perché non ho mai sentito parlare della Sezione Q?”

Lucy si voltò, inarcando un sopracciglio in direzione di Leopold. “Perché è nel Reparto Proibito, forse?”

L'altro roteò gli occhi, seguendola nell'angusto e polveroso corridoio che si affacciava sulle strette file di alti scaffali. “Non sapevo che conoscessi il sarcasmo.”

“Io invece sapevo perfettamente che non hai neanche un po' di sale in zucca.” Replicò lei distrattamente, gettando un'occhiata ai cartelli che numeravano gli scaffali. Sopra le loro teste, torreggiava un vecchio segnale sbiadito, sul quale tuttavia era ancora possibile leggere un numero tre tracciato in caratteri antiquati.

Sezione Q, Scaffale 3, quarto piano, dorso blu.

Sorrise tra sé, vagamente trionfante, le orecchie colme del cicaleccio di Higgs. Nonostante fosse irritante, pieno di sé e la schernisse di continuo, iniziava ad apprezzare la compagnia del Serpeverde: non solo si era rivelato fondamentale – ancora non riusciva a capire perché diamine Christine avesse dovuto ideare un piano così complesso e intricato, pur complimentandosi mentalmente per la sua genialità – ma in qualche modo era riuscito a consolarla e si era rivelato disponibile ad accompagnarla in Biblioteca dopo il coprifuoco.

Per essere un Serpeverde ha le palle, non c'è che dire.

Gli fece un cenno con la testa, dando a intendere di seguirla lungo la scaffalatura numero tre. Quarto piano... Anche qui le indicazioni di Christine le risultavano perfettamente chiare: era abbastanza ovvio che con quarto piano la ragazza intendesse il quarto livello nelle file di libri.

Era proprio all'altezza del suo naso, dunque le bastò voltare il capo e camminare lungo lo stretto corridoio. Higgs la seguiva passo passo. Di tanto in tanto, le loro mani si sfioravano.

Dorso blu... De Bourgh, non so se odiarti o amarti alla follia.

In tutta la scaffalatura, c'era un unico libro dalla copertina blu. Probabilmente, pensò, Christine l'aveva messo lì di persona, soprattutto a giudicare dal titolo – Elementi di Alta Trasfigurazione nella sezione di Erbologia; si chiese come avesse fatto la Pince a non rendersene conto. Evidentemente, stava invecchiando anche lei.

Si scambiò un'occhiata con Leopold, di colpo intimorita. Lui la degnò di un sogghigno, posando la mano sulla sua spalla e stringendo appena.

“Forza, Weasley. Non fare la fifona.”

Solleticata nell'orgoglio, si sporse oltre di lui, tirando giù il pesante volume dallo scaffale. Maneggiandolo con cautela, lo posò sullo spazio apposito per la consultazione, posto a ridosso della libreria. La copertina era vecchia e consunta, ma non ricoperta di polvere come la maggior parte dei tomi ospitati dal Reparto Proibito: chiaramente, era stato utilizzato di recente.

E chissà chi è stato, eh, De Bourgh?

Come ogni ricercatrice che si rispetti, per prima cosa consultò l'indice, sotto lo sguardo a tratti distratto e a tratti indagatore di Higgs.

Non fu poi così sorpresa nello scoprire che una delle voci era stata segnata da un doppio tratto di inchiostro violaceo. Gettò un'occhiata di striscio a Leopold: lo trovò a scuotere la testa, con un leggero sorriso a increspargli le labbra.

“Ha pensato proprio a tutto, eh?” lo udì commentare. Non c'era bisogno di specificare a chi si stesse riferendo.

La voce segnata da Christine riportava alla pagina trecentonovantaquattro, dove si trovava un capitolo che trattava di un certo Incanto di Dislocazione del quale Lucy non aveva mai sentito parlare.

Febbrilmente voltò le pagine finché non raggiunse il paragrafo in questione. “La Fattura di Locomozione Interspaziale, più comunemente nota come Incanto di Dislocazione o Fattura di Winworth-Baggins, dal nome del suo inventore,” lesse Lucy a voce bassa, “è un'integrazione a Incanto Proteus preposto che permette di stabilire, previo Percorso di Legame già tracciato ad una sola Corsia – ossia coniugante tra di loro non più di due elementi appartenenti alla stessa Linea di Proprietà – una connessione che permetta di trasferire da un capo all'altro del Percorso piccoli oggetti.” Finito di leggere, sollevò lo sguardo su Leopold, trovandolo con il volto contratto in una smorfia.

“Tu ci hai capito qualcosa?” lo udì borbottare.

Aggrottò le sopracciglia, dubbiosa, grattandosi il naso mentre era presa a riflettere. “Forse.” Concluse infine, gettando un'altra occhiata al paragrafo introduttivo che aveva appena letto, al quale seguivano pagine e pagine che spiegavano come gettare l'incantesimo. “Dice che è un'integrazione a Proteus preposto... Penso intenda che vada eseguito sopra un Proteus già esistente... A patto che gli elementi che collega siano solo due.”

Il ragazzo annuì lentamente. “Come i diari,” commentò.

A quelle parole, per qualche ragione il cuore di Lucy accelerò i propri battiti. “Come i diari...” ripeté in un sussulto, per poi rileggere l'ultima frase. “Una connessione che permetta di trasferire da un capo all'altro del Percorso piccoli oggetti.”

Improvvisamente aveva capito: sollevò lo sguardo, incontrando quello di Leopold; a giudicare dalla sua espressione, non doveva essere l'unica ad aver finalmente compreso.

“Vuole che io le mandi qualcosa per rispondere!” esclamò, contenendo a fatica il tono di voce. “E allora mi dirà cosa fare.”

Inaspettatamente, sentì il braccio del Serpeverde sollevarsi e cingerle le spalle. Sembrava vagamente scettico. “Tu sei in grado di fare questo incantesimo, Lucy?”

Aggrottò le sopracciglia, gettando un'occhiata al libro – chiedendosi nel frattempo il perché del gesto di lui. “No, non credo.” Decretò. “Dubito che sarei in grado di eseguire un Proteus... Figurarsi questa roba.” Sospirò, vagamente sconfortata. “E tu?”

Leopold si sporse oltre di lei, avvicinandosi al libro. “Io no,” mormorò. “Ma forse, una campionessa Tremaghi sì.”

Stava indicando la pagina. Anche Lucy guardò meglio, e per l'ennesima volta parimenti ammirò e odiò Christine per l'accuratezza con cui aveva pensato ad ogni cosa. Sul margine, era scarabocchiato qualcosa con lo stesso inchiostro violaceo utilizzato per segnare la voce sull'indice. Una breve esclamazione: Adesso è il tuo turno, R.W.!

Deglutì. “Leopold?” La sua voce suonò rauca. “Portami alla tua Sala Comune... Ho bisogno di mia cugina Rose.”

 

 

 

*****

 

 

 

Di nuovo 7 marzo, di nuovo Hosgmeade

E di nuovo stessa ora

 

 

“Non è Christine De Bourgh. È Tamara Graysand.”

Non appena il signor Potter ebbe terminato di pronunciare quelle parole, Holly si diede della stupida. Adesso che la osservava con più attenzione, era evidente che la ragazza non potesse essere Christine De Bourgh.

Prima di tutto, era decisamente troppo grande: nonostante la magrezza eccessiva le desse un corpo simile a quello di un ragazzino, bastava guardarla in volto oltre le ciocche di capelli scuri e scarmigliati per capire che doveva avere almeno vent'anni.

Inoltre, il suo aspetto e le condizioni dei suoi vestiti lasciavano intuire abbastanza chiaramente che doveva aver passato parecchi mesi di reclusione, mentre la ragazza De Bourgh era scomparsa da appena pochi giorni.

Improvvisamente, sentì le orecchie ovattate: percepiva a malapena i movimenti degli Auror attorno a lei, mentre la superavano per precipitarsi da Tamara e verificare le sue condizioni, Harry Potter in testa al gruppo. Le sembrava di star sprofondando: giù, sempre più giù, fino al centro della Terra...

“Holly!”

Come in trance, sollevò gli occhi su chi si era rivolto a lei. Si accorse di averli pieni di lacrime, al punto che di Louis non distinse altro che una sfocata macchia bionda contro il cielo grigio.

“Holly...”

Si sentì afferrare per le braccia e trascinare senza tanta cortesia poco più in là; incespicando accompagnò i suoi movimenti finché non giunsero al riparo di una macchia d'alberi. Con la coda dell'occhio, distinse Marcus seguirla con lo sguardo; tuttavia, lo Spezzaincantesimi non si mosse.

Tornò a guardare Louis. Il suo sguardo era penetrante e il volto una smorfia di preoccupazione. “Holly,” lo udì ripetere con più fermezza. “Non è colpa tua, capito? Non hai fatto nulla di male, anche noi non abbiamo riconosciuto la ragazza... Neanche James e gli altri, che conoscono Christine De Bourgh di persona!”

Tuttavia, nonostante le sue parole le labbra di Holly presero a tremare, mentre le lacrime – le sembrava di trattenerle da almeno una settimana – iniziarono a traboccare. Si sentì terribilmente grata a Louis per averla allontanata dalla vista degli altri.

“È che continuo a sbagliare...” Riuscì a confessare tra i singhiozzi. Louis la strinse tra le braccia, e lei continuò contro la sua spalla: “In tutto quello che faccio... Un errore dopo l'altro, anche sul lavoro... Non so cosa fare!”

Louis la prese per le spalle, allontanandola da sé per poterla guardare in faccia. “Ascoltami bene, Holly Greengrass... Non sei tu a sbagliare–”

“Forse non è la cosa giusta per me,” lo interruppe. “Forse non sono tagliata per essere un'Auror, ecco tutto...”

L'espressione di Louis mutò, tingendosi di improvvisa severità. “Basta.” Sbottò. “Basta con queste cazzate, Holly. Non è affatto vero che non sei tagliata per fare l'Auror... E neanche dovresti avere bisogno che qualcuno te lo dica.”

Lei aggrottò le sopracciglia, asciugandosi le lacrime con il volto della mano. “Però–”

Ma Louis la interruppe, tappandole la bocca con la mano. “Smettila di sentirti in colpa per cose che non dipendono da te. Tutti abbiamo fatto degli errori in questa faccenda, ma non per questo ci possiamo arrendere!” Sospirò tra i denti, guardandola dritta negli occhi. “Ti ricordi cosa ci dicevi sempre, prima di una partita a Quidditch?”

Holly lo guardò a propria volta. “Qualunque cosa succeda, ci proveremo fino alla fine,” mormorò la frase che aveva pronunciato tante volte in passato. Il mento aveva ricominciato a tremarle.

Louis annuì. Le aveva preso il volto tra le mani e continuava ad accarezzarle le guance con i pollici. “La Holly che conosco non si arrende così. La Holly che conosco, la Holly di cui mi sono innamorato... Lei combatterebbe fino alla fine.”

Si ritrovò a deglutire. “Hai ragione.” Fece un respiro profondo, cercando di liberarsi del panico da cui si era sentita presa. La calma tornò tutta insieme, improvvisa: d'un tratto la sua mente fu di nuovo lucida. “Innamorato, hai detto?”

“Così pare.” Louis fece una smorfia, vagamente amaro. “E tu?”

Holly sospirò. “Louis, io...” la sua voce si spense.

“Tu cosa, Holly?” Il ragazzo la incitò a proseguire.

Rimase in attesa a fissarla, gli occhi grigi sorprendentemente trasparenti.

Holly capì che era giunto il momento di tirar fuori il coraggio, e non solo per quanto riguardava il lavoro.

“Io provo qualcosa per te, Lou.” Riuscì a dire infine. “Quando ti vedo... Qualcosa si rigira, nel mio stomaco. E quando succede qualcosa ho sempre una paura terribile per te.” Fece una pausa, concedendosi di chiudere per alcuni istanti gli occhi prima di riaprirli. “Ma sento la stessa cosa anche per Marcus, anche se in modo diverso.” Sospirò. “Non riesco a spiegarmelo. Tengo moltissimo a tutti e due, capisci? Non posso perdervi e neanche posso avervi. So che prima o poi dovrò prendere una decisione, che il mio atteggiamento è sbagliato... Ma l'idea mi spaventa.” Deglutì. “Mi spaventa quello che provo e mi spaventa questa situazione.”

Quando ebbe finito di parlare, affondò il volto tra le mani. Subito dopo, si sentì circondata dalle braccia di Louis, che la strinse contro il proprio petto.

“Sono furioso con te, lo sai?” Lo udiva respirare forte. “Ma penso che possa succedere. Se fosse impossibile amare due persone allo stesso modo, beh... Sarebbero molte meno le persone che soffrono per queste cose.”

“E quindi?” fece Holly.

“Quindi niente.” Concluse Louis. “Intanto pensiamo a salvare noi e gli altri, d'accordo? Ci sarà tempo per pensarci alla fine di questa storia.”

“Ben detto, Weasley.” Disse una voce profonda – inaspettata quanto familiare.

Si voltarono entrambi: Marcus si avvicinò a passi decisi, per poi dare una pacca sulla spalla a Louis e un bacio sulla fronte a Holly, che aveva la netta sensazione che lo Spezzaincantesimi avesse ascoltato ben più della fine della loro conversazione.

Inaspettatamente, la cosa non le diede fastidio.

Louis continuava a cingerla con un braccio; Holly fece scivolare la propria mano in quella di Marcus. Tutti e tre – così abbracciati – tornarono sui loro passi, lasciandosi andare solo quando furono giunti in vista del gruppo più massiccio di Auror, per avere un minimo di contegno.

In qualche modo, Holly sentì che l'equilibrio tra di loro si era ristabilito.

Ma non è il momento per pensarci...

È il momento di salvare la pelle a quel mocciosetto tronfio di mio cugino.

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

Ma salve, gente!

Sì, sono – ahimè – cosciente che la mia assenza per questi mesi sia stata imperdonabile, ma è stato un periodo piuttosto complicato e avevo voglia di scrivere altro, non so come spiegare.

Ad ogni modo, sono dell'idea che le cose che si iniziano non vadano lasciate a metà – né tantomeno a tre-quattro capitoli dalla fine – dunque eccomi qui!

Non so se a STP – che ormai è quasi finita – seguirà il prequel promesso, ma intanto voglio finire quello che ho cominciato, con i miei personaggi a cui mi sono terribilmente affezionata.

Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguita per questo tempo – se ci sono ancora!

Un bacio grande <3



PS: Perdonate l'impostazione grafica atroce, devo essere un po' arrugginita con l'html!

 

 

 

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Capitolo 40
*** Capitolo 39 - Ancora complicazioni ***



And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence...

Simon & Garfunkel
 

 

7 marzo 2022

Testa di Porco, Hogsmeade, Scozia

Tarda sera

 

“No,” dichiarò Harry perentorio.

Al suo deciso rifiuto – forse pronunciato un filino troppo ad alta voce – tutti gli occupanti della piccola stanza sopra la Testa di Porco voltarono il capo verso di lui. Ron lo sbirciava interrogativo, mentre il Capitano Mazu si limitò a serrare le labbra e aggrottare le sopracciglia: non avrebbe saputo dire se la pensasse o meno come lui.

Nott, dal canto suo, rimase impassibile come al solito.

Il Ministro si schiarì la voce. “È nostro dovere informare le autorità Babbane,” ribadì con il solito tono calmo e profondo. “Soprattutto dal momento che una di loro è coinvolta.”

“Lo so.” Harry sentiva qualcosa fremere in fondo allo stomaco e un curioso tremito alle ginocchia: non ne poteva più di starsene chiuso al comando senza la possibilità di lavorare in prima linea. Senza poter correre a salvare Lily. “Ma ragiona, Kingsley...” Scattò in piedi e prese a camminare da una parte e l'altra della stanza, calpestando le ceramiche incrinate del pavimento in lungo e in largo. Gli occhi dei presenti non cessarono per un attimo di seguire i suoi movimenti. “Il Primo Ministro chiederà di consegnar loro Tamara immediatamente, per far sì che si ricongiunga con la sua famiglia... Ma non possiamo. Non ancora.”

Non senza averla interrogata a fondo. Poteva immaginare come la famiglia di Tamara avesse vissuto la sua scomparsa – diamine, la sua Lily era dispersa chissà dove! – ma d'altra parte era cosciente che non potevano fare a meno della ragazza per le loro indagini. Non avrebbe mai rinunciato a nulla, nulla che gli potesse tornare utile per trovare sua figlia il prima possibile.

“Dovremmo perlomeno metterli al corrente delle novità,” obiettò Kingsley.

“Se permette, Ministro,” prese la parola Nott, a voce molto bassa, “credo che Potter stia semplicemente suggerendo di attendere.”

“La ragazza ci serve,” intervenne Aide in tono perentorio, quasi completando la frase dell'ex-Serpeverde.

Harry si scambiò uno sguardo eloquente con Ron. Il Capitano non era esattamente sotto le direttive del Ministro Britannico – o almeno, non tanto quanto loro; si ripromise di ringraziarla più tardi per aver espresso quello che in fondo pensavano tutti, almeno lei che poteva.

Kingsley annuì lentamente. “Su questo non ho dubbi. Come forse ricordi, Harry,” si voltò verso di lui, gettandogli un'occhiata che, se fosse stato ancora un quindicenne, avrebbe definito severa, “sono stato un Auror anche io.” Si alzò in piedi, segno che aveva finalmente preso una decisione. “Vi do ventiquattr'ore, non di più.” Gettò un'occhiata all'orologio che portava al polso, con dodici lancette e piccoli pianeti che si muovevano lungo il quadrante. “Alle undici in punto di domani sera mi recherò dal Primo Ministro per comunicargli il ritrovamento.”

Dopo aver chinato il capo in segno di saluto, mosse in direzione della porta, accompagnato dagli educati Arrivederci, Ministro del piccolo gruppo di Auror. Quando i saluti si furono estinti del tutto, il silenzio era tale che poterono udire distintamente i suoi passi lungo le scale e persino il sommesso pop della Smaterializzazione.

Harry, che nel frattempo aveva smesso da un pezzo di camminare, gettò un'occhiata fuori dalla finestra. Le vie del villaggio erano indistinguibili nel buio pesto e la pioggia scrosciava rabbiosa contro il vetro appannato.

Pensò a Lily, dispersa chissà dove nelle tenebre, sotto quel diluvio.

“Allora?!” sbottò. “Che cosa stiamo aspettando?”

Un'ora più tardi, si trovavano tutti nell'Infermieria improvvisata che era stata messa su al pianterreno di una vecchia magione in disuso, situata poco oltre il limitare del villaggio e dotata di tutte le possibili misure di sicurezza. La scelta era stata obbligata, dal momento che agli occhi Babbani di Tamara sia Hogsmeade che il castello sarebbero apparsi come nient'altro che un mucchio di ruderi.

La ragazza giaceva su di un lettino bianco, priva di conoscenza. Nelle tubicino della flebo, iniettato al suo braccio sinistro, scorreva ininterrottamente della banalissima soluzione fisiologica e intorno a lei si affaccendava un capannello di Medimaghi. Per la maggior parte sembravano vagamente a disagio, alle prese con la medicina Babbana.

Contrariamente agli altri, il Guaritore Canon era perfettamente padrone di sé e non sembrava avere difficoltà a destreggiarsi tutti quei tubicini: lui stesso aveva stabilito che per il momento si limitassero a metodi Babbani. Nonostante le avessero prelevato un campioncino di sangue per effettuare le dovute analisi, non era ancora chiaro quali e quanti sortilegi avesse subito durante il sequestro. Non potevano sapere come avrebbe reagito alle cure, dal momento che la Medimagia a volte aveva strani effetti sui non-Maghi.

Attendere? Non possiamo fare altro?

Come se gli avesse letto nel pensiero, Dennis gli rivolse un sorriso rilassato. “Non preoccuparti, non dovrete aspettare a lungo. Dubito che impiegherà ancora molto tempo a svegliarsi.”

Harry fece un segno alla sua squadra; Aide agitò la bacchetta per evocare alcune sedie di legno pieghevoli, su cui si accomodarono alla sinistra del letto di Tamara, a sufficiente distanza da non ostacolare i movimenti dei Guaritori.

Nel silenzio trascorsero cinque minuti, poi dieci. Dopo un quarto d'ora, il corpo della Babbana parve sussultare: Harry scattò in piedi, precipitandosi al suo fianco in tempo per vederla aprire lentamente gli occhi. L'espressione di Tamara parve dapprima spaesata, poi terrorizzata.

Iniziò ad agitarsi sotto le lenzuola bianche, tentando invano di sollevare le gambe e le braccia magre per difendersi da un inesistente pericolo.

Harry guardò incerto il Guaritore Canon, che annuì e chiamò uno dei Medimaghi. “Un calmante,” ordinò. “Basso dosaggio, per lei dovrebbe bastare...”

Passarono alcuni minuti che per Harry parvero scorrere al rallentatore: i suoni apparivano ovattati alle sue orecchie, neanche si trovasse sott'acqua. Tamara continuava ad agitarsi e l'espressione del suo volto sembrava sempre più impaurita; dai suoi denti stretti sfuggivano rauchi mugolii di terrore. I capelli neri attorcigliati – sparsi sul cuscino bianco come un'aureola – richiamarono alla mente di Harry un ricordo di molti anni prima, quello di Katie Bell sbalzata in aria dalla maledizione della collana di opali, pallidissima e con la chioma sollevata intorno alla testa.

Finalmente, dopo un tempo che era parso eterno, il Medimago tornò con il calmante, che Dennis si affrettò a strappargli di mano e a somministrare alla ragazza – non senza qualche difficoltà, dal momento che Tamara sembrava non essere minimamente intenzionata a bere la pozione.

Tuttavia, una volta assunto, il calmante fece effetto quasi immediatamente. Il corpo di Tamara si rilassò contro il cuscino e il terrore scomparve dai suoi occhi, adesso solamente sospettosi.

Di nuovo, Harry gettò un'occhiata incerta a Dennis. Questi annuì: si avvicinò dunque di un altro passo al lettino della ragazza, mentre con la coda dell'occhio vedeva Nott e Ron accostarsi a propria volta a Tamara. Aide e l'agente Alcover rimasero al proprio posto: tra le mani del Capitano erano magicamente apparsi un blocco per appunti e una penna biro.

“Ciao, Tamara,” esordì lentamente. In occasioni simili, gli sarebbe piaciuto avere la voce calma e rassicurante di Kingsley. “Io sono il Capitano Harry Potter e queste persone” – indicò gli altri dopo essersi accertato che la ragazza seguisse i suoi movimenti – “sono la mia squadra. Siamo qui per aiutarti, ma abbiamo bisogno a nostra volta del tuo aiuto. Dovrai solo rispondere alle nostre domande e poi potremo riportarti dalla tua famiglia.”

Dopo un bell'Incantesimo di Memoria, aggiunse nei propri pensieri, osservando la paura con cui la ragazza guardava la sua bacchetta magica che faceva capolino dalla tasca.

Fece un sospiro profondo e la estrasse – Tamara sobbalzò e serrò le dita attorno al lenzuolo – per poi dirigersi a posarla su un tavolino dal lato opposto della stanza. Subito Ron e Nott seguirono il suo esempio.

Capì di aver fatto la mossa giusta quando il sospetto negli occhi di Tamara si attenuò appena.

“Pensi di riuscire a parlare?” le chiese.

Seguirono alcuni istanti di silenzio pulsante, mentre gli ultimi Guaritori e Medimaghi seguivano Dennis fuori dalla stanza.

“Sì,” rispose poi Tamara flebilmente.

“Bene.” Harry si scambiò uno sguardo con i colleghi, prima di schiarirsi la voce. “Che cosa ricordi degli ultimi mesi, Tamara?”

Le sopracciglia della ragazza si aggrottarono, mentre la sua espressione si faceva confusa. “Magdalena,” disse poi rauca. “Mi faceva male. Tanto. Con una cosa come quella.” Fece un cenno con la testa dall'altro lato della stanza, dove gli Auror avevano lasciato le loro bacchette.

Harry si voltò verso Aide: il Capitano stava annotando tutto sul suo taccuino.

“Chi è Magdalena?” domandò a Tamara.

Per tutta risposta, la Babbana gli rivolse uno sguardo spaesato. “Chi?”

Nott, alla sua sinistra, sollevò leggermente le sopracciglia. Harry contrasse le dita. “Magdalena. Hai detto che ti faceva del male.”

Gli occhi di Tamara si sgranarono. “Non dite a Magdalena che sono qua. Mi troverà. Mi farà del male... ancora.”

Dannazione... Ma che cosa le hanno fatto?

“D'accordo, Tamara,” disse a voce bassa. “Adesso devi riposare. Dopo ti faremo altre domande.”

Fece un cenno alla squadra: insieme si diressero a recuperare la bacchetta, per poi uscire dalla stanza permettendo ai Guaritori di rientrare. Quando Dennis gli passò accanto, lo trattenne per un braccio. “Resta,” borbottò. Senza fare commenti, l'altro si scostò dall'ingresso per permettere ai colleghi di raggiungere Tamara.

Una volta che la porta si fu chiusa alle loro spalle, Harry si voltò verso gli altri.

“Le hanno Oscurato la mente,” sentenziò subito Ron. “Ma qualcosa dev'essere andato male...”

“Sono d'accordo,” convenne Aide. “È come se a sprazzi i suoi ricordi riemergessero, ma non riuscisse a controllarli.”

Harry annuì lentamente. “È quello che penso anche io,” mormorò. “L'unica cosa da fare è usare la Legilimanzia e cercare di ricostruire qualcosa dai ricordi che riemergono...”

“Sei sicuro, Harry?” intervenne Dennis, con voce scontenta. “Non credo che sia una buona idea sottoporla all'ennesimo trauma.”

“Proprio per questo ti ho chiesto di restare,” replicò. “Credi che possa causarle danni permanenti?”

Il Guaritore scosse la testa. “No, questo no. Ancora non possiamo sapere se si rimetterà del tutto, ma dubito che un interrogatorio possa influire su questo.” Sospirò. “Al limite potrebbe rendere più lunga la convalescenza.”

“Non abbiamo altra possibilità,” mormorò Harry. “Ci serve l'autorizzazione del Guaritore responsabile per intervenire su di lei. E abbiamo meno di ventiquattr'ore di tempo prima che il Ministro comunichi le novità alle autorità Babbane

Dennis annuì, ma sembrava scontento. “D'accordo, avrete la mia autorizzazione,” borbottò infine. “Ma sappiate che l'idea non mi piace.”

Le pulsazioni di Harry accelerarono bruscamente: sentiva di essere sempre più vicino a scoprire la verità.

“Ron? Manda un Patronus a Demelza. Ci serve di nuovo il suo aiuto. E in fretta.”

 

 

 

*****

 

 

 

7 marzo 2022

Hogwarts, Scozia

Un paio d'ore prima

 

Quinn Baston non riusciva a raccapezzarsi.

Negli ultimi tempi stavano accadendo cose così strane – e così in rapida successione – da farle ritenere a buon diritto che fosse perfettamente legittimo finire per perdere il filo. I quattro studenti scomparsi, la sconclusionata confessione di Albus circa gli avvenimenti degli ultimi mesi, in quella conversazione risalente a pochi giorni prima, che pure sembrava appartenere ad una vita precedente...

Di colpo si era trovata catapultata nel retroscena di tutti gli eventi bizzarri e inspiegabili degli ultimi mesi. Non riusciva a spiegarsi come quelle cose fossero accadute sotto gli occhi di tutti senza che nessuno, nessuno se ne accorgesse, né come accidenti fosse venuto in mente ad Albus e ai suoi cugini di non parlare con le autorità per tutto quel tempo.

Come se ora non stessi facendo esattamente lo stesso.

Una settimana prima non avrebbe mai creduto che di lì a pochi giorni si sarebbe ritrovata a percorrere i sotterranei di Hogwarts dopo il coprifuoco, protetta da un incantesimo di Disillusione e in compagnia di Albus Potter.

La mano del ragazzo si serrò improvvisamente attorno al suo braccio. Ignorò il sobbalzo del suo cuore nel petto, emergendo dalle tenebre assieme a lui, alle spalle dell'ennesima pattuglia di Auror.

Il sotterraneo gelido era finalmente libero.

Boa Constrictor,” sussurrò Albus. La parete scorrevole che proteggeva l'entrata della Sala Comune di Serpeverde scivolò sui propri cardini, consentendo loro il passaggio nonostante le cravatte rosse-oro che indossavano.

Si infilarono dentro prima che gli Auror passassero di nuovo. Appena entrati nella Sala Comune, Albus le diede un colpetto sulla testa con la punta della bacchetta magica per annullare la Disillusione.

“Potevo farlo anche da sola,” borbottò stizzita, mentre un calore non poi così insolito si diffondeva all'altezza del suo stomaco.

Albus la fissò per qualche secondo sbattendo le palpebre, poi aprì la bocca per dire qualcosa, ma una voce lo interruppe prima che potesse iniziare a parlare.

“Era ora.” Scorpius Malfoy, pallidissimo alla luce del fuoco verdastro, aveva sollevato su di loro gli occhi cupi.

“Vorrei vedere voi a fare sette piani con una pattuglia di Auror ogni due corridoi,” protestò Albus, lasciandosi cadere su un divano di pelle nera. Quinn si sedette al suo fianco. “La Disillusione non vale nulla rispetto al Mantello.”

“Basta chiacchiere,” li interruppe seccamente Gwyneth Parkinson, sistemando una ciocca scura dietro l'orecchio con una mossa brusca. “Non mi sembra affatto il momento.”

Quinn sollevò lo sguardo su Albus: sul suo volto tremolavano i riflessi di quel fuoco dall'aria curiosamente fredda, in una strana alternanza di ombre e luci verdastre. Quella vista non poteva che richiamarle alla mente quella notte così irreale in cui il ragazzo aveva finito per dirle tutto quello che sapeva.

 

Erano rimasti in quel modo per un po', Quinn con le braccia serrate attorno al torace di Albus e lui aggrappato a lei a propria volta, la testa premuta contro la sua.

Non le era parso affatto come aveva sempre pensato dovesse essere abbracciare Albus. Si era sempre immaginata quel senso di calore e completezza, questo sì. Ma quel vuoto allo stomaco, la sensazione di cadere a velocità vertiginosa... No, questo non se lo aspettava per nulla.

Non aveva saputo calcolare per quanto tempo fossero rimasti abbracciati, ma gli studenti del terzo anno se n'erano andati da un pezzo quando Albus aveva allentato la presa. Per alcuni istanti erano rimasti a guardarsi vicendevolmente in volto, in una paurosa atmosfera di sospensione.

Poi Albus aveva sciolto definitivamente l'abbraccio, distogliendo lo sguardo per volgerlo in direzione del caminetto scoppiettante.

Quinn...” aveva mormorato.

La ragazza era rimasta in silenzio, in attesa che continuasse, ma quando aveva realizzato che Al era come incantato a fissare il fuoco, apparentemente assai poco propenso ad aprire bocca, si era decisa a parlare.

Sì, Albus?”

Lui era tornato a fissarla. Negli occhi verdi ardeva una gravità che Quinn non aveva mai visto in lui.

Si era sporto verso di lei, posandole le mani ai lati del volto, come per attirare la sua massima attenzione.

Ci sono delle cose che devo dirti,” aveva farfugliato. “Cioè, non devo dirtele, in realtà, ma...” – il suo sguardo si era fatto quasi implorante – “hai il diritto di sapere... No. Non è questo il punto. Capisci?”

Aveva aggrottato le sopracciglia. “Sinceramente, Al?” aveva replicato. “No.”

Certo, hai ragione.” Il ragazzo l'aveva lasciata andare, passandosi le mani sul viso mentre tornava a fissare il fuoco, abbandonandosi contro i cuscini del divano. “Non ho detto nulla di comprensibile.” Aveva sospirato. “Il fatto è che ho bisogno di dirtelo. Ho bisogno di parlartene.”

Ma parlarmi di cosa?”

Albus si era voltato di nuovo verso di lei. Quinn aveva avuto l'impressione che il suo sguardo, straniato e assieme lucido, le stesse scandagliando l'anima.

C'è qualcosa dietro a quello che è successo negli ultimi mesi.” Aveva infine confessato lui. “E io e i miei cugini, ecco... Siamo molto più coinvolti di quanto dovremmo.”

 

C'era voluta quasi tutta la notte perché, a smozziconi, Albus riuscisse a raccontarle tutto quanto. Alcuni punti non le erano del tutto chiari – perché diamine proprio quel pazzo di Scamandro doveva trovare la Pietra della Resurrezione e come diavolo avesse fatto Hugo Weasley a capire cosa fosse, ad esempio – ma non ci voleva molto a capire una cosa: i Potter-Weasley erano davvero coinvolti molto più di quanto avrebbero dovuto.

Non avrebbe saputo se complimentarsi con loro o prenderli a schiaffi, al primo all'ultimo.

Alla fine, aveva deciso di aiutarli. Avrebbe avuto tutto il tempo per qualche sonora sberla, una volta che ogni cosa fosse stata risolta.

E poi, sentiva il bisogno di stare vicina ad Al. Non poteva sopportare l'idea di lasciarlo solo in quella situazione.

Si accorse di star fissando Albus solo quando il ragazzo si voltò, ricambiando la sua occhiata. Allora si voltò bruscamente, sperando di non essere arrossita: le sopracciglia aggrottate, puntò lo sguardo sulla Parkinson, che aveva le occhiaie e l'aria sbattuta.

Non che gli altri fossero messi meglio.

“Beh?” fece la ragazza flebilmente. “Avete–”

Ma non poté continuare, perché la parete muscosa tornò ad aprirsi, lasciando due figure libere di precipitarsi dentro. Con l'aria di essersi scapicollata per numerosi piani di scale, si fece avanti nella Sala Comune di Serpeverde una ragazza dai capelli castani e il volto rotondo, che Quinn riconobbe come Lucy, la cugina più piccola di Albus, in compagnia – con sua immensa sorpresa – di quello sbruffone di Leopold Higgs.

“Ma perché tutti ci provano con le ragazze della mia famiglia?” udì Albus brontolare. Ma lo ignorò, perché aveva notato qualcos'altro sui volti dei nuovi arrivati.

I loro occhi luccicavano: sembravano trionfanti.

“Ho trovato la soluzione!” esclamò frenetica Lucy, in tono febbrile e con l'aria di essere sul punto di scoppiare a ridere. Quinn, sempre abituata a vederla discreta e compassata, era sempre più perplessa. “Dobbiamo parlare con Rose. Adesso.”

 

 

 

 

*****

 

Ah, well if I ever caused you trouble.
Oh, no, I never meant to do you harm...

Coldplay


 

 

Luogo imprecisato del Norfolk

Stessa ora

 

Bernie aveva perso completamente il senso del tempo. Non sarebbe stato in grado di dire da quanto tempo lui e Christine fossero rinchiusi in quella cella, il più possibile vicini per combattere il freddo umido.

La cosa peggiore era la sete, nonostante cercassero di alleviarla con l'acqua che gocciolava dal soffitto. Avevano la bocca secca e le loro gole raschiavano anche solo a respirare. Era come se nel suo cervello si fosse incantato un disco che ripeteva un mantra dei suoi bisogni più immediati – calore cibo acqua calore acqua, acqua, per favore... – e Christine era lì accanto a lui, lo teneva stretto e ogni tanto piangeva. Piangevano insieme, anche, e se qualcuno glielo avesse detto solo un anno prima avrebbe chiamato il reparto Lesioni Permanenti del San Mungo per farlo internare.

Se all'inizio, quando si era svegliato, la ragazza gli era parsa lucida e non poi così diversa dal solito, dopo avergli confessato la verità sembrava aver avuto una specie di crollo. Era come se quella paura che Bernie, negli scorsi mesi, di tanto in tanto aveva visto far capolino dalla sua espressione e dai suoi occhi fosse improvvisamente esplosa.

“Io non voglio morire,” l'aveva sentita mugolare. “Non voglio che tu muoia.”

“Non moriremo...” sussurrava lui. “Ci salveranno... Stanno arrivando, Jake e Lily. Il tuo piano sta funzionando, no? Lucy Weasley ti ha scritto... Non ci vorrà molto perché riesca a fare il resto... Sta funzionando.”

Aveva capito che, in quel delirio febbricitante, ricordarle il suo piano aiutava sempre a farla sentire meglio: tornava ad essere più lucida, più consapevole degli ingranaggi che grazie a lei avevano cominciato a muoversi.

“È proprio questo che mi fa diventare matta, Bernard. Avevo considerato che quando tutti si sarebbero messi in moto non sarei stata lì per controllare le cose... proprio per questo avevo bisogno di loro. Ma non poter vedere cosa stia succedendo mi fa impazzire...”

Ogni tanto si baciavano furiosamente, tutti e due brucianti di febbre, sporchi e insaguinati, con le labbra secche e screpolate. Per quello che ne sapevano, ogni volta poteva essere l'ultima.

“Christine, io non volevo venire al Ballo con te. Non volevo neanche tutto quello che è successo dopo. Ma non ho potuto evitarlo, capisci? Qualcosa è scattato e non potevo più stare lontano da te.”

Ogni tanto cercavano di ricostruire quanto tempo fosse trascorso da quando erano stati rinchiusi lì dentro. Avevano concluso che non dovevano essere passati più di pochi giorni, o la sete – che già li tormentava – sarebbe stata ancor peggiore. Il tempo scorreva a sbalzi: intere ore trascorrevano nello spazio di qualche secondo – erano i momenti più annebbiati, dove ricordi confusi si sovrapponevano al presente e la testa sembrava scoppiare; pochi minuti invece sembravano a volte immensamente dilatati: erano i momenti di lucidità, dove la paura di morire spingeva le loro menti a lavorare febbrilmente e avevano bisogno di parlare, parlare, per riempire in qualche modo quel silenzio e scacciare il terrore puro. In pochi minuti avevano l'impressione di dirsi cose per cui normalmente avrebbero impiegato giorni, come se la verità si comprimesse in quella condizione di pericolo mortale, con l'unico scopo di essere detta tutta prima che fosse troppo tardi.

“Credo di essermi innamorato di te, ma non ho idea di come sia successo.”

“Io sono innamorata di te da molto tempo.”

“Cosa credi, che moriremo? Per quanto tempo staremo qui dentro ancora senza che qualcuno ci porti da bere? Senza mangiare?”

“Io ho freddo. Dobbiamo avere fiducia. Lucy Weasley ce la farà.”

“Jake e Lily stanno arrivando.”

“Oh, Bernard, mi dispiace che tu ci sia finito in mezzo... Non era così che doveva andare. Non volevo coinvolgerti. Non dovevo coinvolgerti.”

“Non eri tu a dover scegliere... Te l'ho detto tante volte. Dovevo scegliere io e ho scelto te, anche se ci sono milioni di cose in te che non posso condividere e altrettante che non sono in grado capire fino in fondo.”

“Non voglio che tu muoia per colpa mia.”

“Non morirò, non moriremo.”

Non sapevano quanto tempo fosse trascorso quando udirono lo scatto ferriginoso della serratura. Nessuno dei due fiatò: si limitarono a scambiarsi un identico sguardo atterrito. Dopo un istante di sospensione, che parve tuttavia durare una vita intera, Christine estrasse con gesti frenetici il consunto diario che teneva nascosto sotto la camicia e lo lanciò a Bernie, che lo afferrò al volo e lo nascose dietro il proprio corpo più in fretta che poteva.

La porta della cella si aprì con un lungo scricchiolio: sulla soglia si stagliava la figura sinuosa di una donna dai capelli scuri, tagliati all'altezza del mento, illuminata dalla luce della propria bacchetta. Sarebbe stata bella se la sua bocca non fosse stata storta in una smorfia sprezzante che piegava crudelmente il suo volto.

Disse qualcosa in una lingua che Bernie non poteva capire, ma aveva già udito quella voce: mesi prima, nel gelido parco di Hogwarts affondato nel buio.

Sono loro. I catalani.

La donna continuava a parlare. Sembrava arrabbiata. Indicava le corde, che avrebbero dovuto essere ai loro polsi e caviglie, e invece giacevano sul pavimento. Poi scosse la testa e si chinò ad afferrare Christine per il braccio, sollevandola quasi di peso; la ragazza, debole per il lungo digiuno, sembrava pendere dalla sua presa come una marionetta rotta.

Bernie, quasi involontariamente, fece per scattare verso di lei, ma Christine scosse silenziosamente la testa.

Non devo fare mosse false, capì. Se Christine...

Ma non riusciva neanche a pensarlo.

Mi ha lasciato il Diario. Posso comunicare... Dannazione, Weasley, fai presto.

 

 

 

 

*****

 

 

 

Dormitorio femminile di Serpeverde

Hogwarts, Scozia

Pochi minuti più tardi

 

 

La ragazza stringeva tra le dita una ciocca di capelli rossi, scrutandone i riflessi con fare meditabondo. Le sopracciglia erano aggrottate e le labbra strette, al centro del volto pallido. I suoi pensieri erano come sempre confusi.

Rose. Quello era il nome con cui tutti la chiamavano – tutti quei volti che lei non ricordava ma che sembravano conoscerla da cima a fondo. Indubbiamente sapevano più cose sul suo conto di quanto lei stessa potesse ricordarne.

Scrutò attentamente il caminetto acceso. Piccole lingue di fuoco si attorcigliavano attorno alle braci iridescenti. Le fiamme avevano riflessi freddi, verdastri, vagamente innaturali, così com'era la luce fioca delle candele. Le acque del lago turbinavano oscure contro i vetri delle finestre.

Chissà se a Rose piaceva il fuoco, si chiese la ragazza. Chissà come doveva essere pensare con la coscienza di essere Rose – qualcuno, una persona, un'identità.

Le sembrava di non conoscere nulla di quanto la circondava. A volte, aveva l'impressione che qualcosa stesse riaffiorando dalle tenebre confuse della sua coscienza – una sensazione di familiarità, una vaga immagine sfocata, qualcosa – ma erano momenti che sbiadivano così come arrivavano, senza che la ragazza potesse determinarli o attribuirli a qualcosa di preciso. Perlopiù, era come avere addosso un abito che non le stava più: si sentiva ingombrante, inopportuna, a disagio.

Ormai aveva imparato a riconoscere i volti che la circondavano più spesso e ad attribuire un nome e alcune scarne informazioni a ciascuno di essi. Scorpius, ad esempio, era quel ragazzo che passava con lei più tempo possibile. Quando le stava accanto, i suoi occhi brillavano, dunque supponeva che avesse provato per Rose un certo trasporto, prima.

Hugo: diceva di essere suo fratello e le voleva bene, questo era chiaro. Guardandosi allo specchio, aveva scoperto di somigliare a lui parecchio, dunque gli aveva creduto. Gwyneth era la ragazza dai capelli scuri che cercava sempre di farla ridere. C'era poi Jacob, quel tipo dall'aria scontrosa e dai modi estremamente cortesi. Non lo vedeva da qualche giorno, così come non vedeva più Lily – una faccia tra l'infinita schiera di persone che le si era presentata come parte del parentado. Anche Bernard e Christine, altri due membri di quel gruppo abbastanza eterogeneo, non si vedevano da un bel pezzo.

Da quello che aveva sentito in giro, erano tutti e quattro in grave pericolo. La ragazza non aveva abbastanza conoscenze del mondo che la circondava per capirne l'entità; tuttavia – sebbene aveva avuto l'impressione che tutti cercassero di tenerle nascosta ogni cosa – aveva capito perfettamente che non si trovavano in una bella situazione.

Aveva perso la memoria, mica il cervello.

La infastidiva il fatto che quasi tutti la trattassero come un'invalida. Avrebbe preferito essere ignorata.

“Rose?”

Si accorse che la voce che le si era rivolta l'aveva chiamata già un paio di volte. Dimenticava spesso che quello fosse il suo nome.

Non aveva udito la porta del dormitorio aprirsi.

Si voltò lentamente, sistemando una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, mentre il consueto moto d'ansia l'aggrediva alla bocca dello stomaco. Si sentiva sempre molto tesa quando doveva parlare con qualcuno: aveva sempre l'impressione di essere terribilmente inadeguata. Di non essere quella Rose che chiaramente stava a cuore a tutti loro.

Quando si vide di fronte un intero capannello di persone affacciate alla porta del dormitorio, istintivamente si strinse nella vestaglia lilla di Rose, desiderando di sprofondare ancor di più tra i cuscini della poltrona e al tempo stesso chiedendosi cosa mai volessero da lei.

Gwyneth si stava facendo avanti per prima nella stanza, seguita poco più indietro da Scorpius e una ragazza minuta appartenente all'immenso parentado di Rose. Seguivano Albus con una sua amica – li aveva visti insieme molto spesso – e un tale che non ricordava di aver mai visto.

Fu su di lui che concentrò maggiormente l'attenzione: i suoi sguardi furtivi furono ricambiati da un'occhiata di placida curiosità.

Deglutì. “È successo qualcosa?” domandò, perplessa.

“In generale o negli ultimi cinque minuti?” replicò Gwyneth.

Aggrottò le sopracciglia, infastidita. “Che cosa ci fate qui?”

“Abbiamo bisogno di te.”

Era stata sua cugina – o meglio, la cugina di Rose – a parlare. Sulle prime, non seppe come rispondere, semplicemente stupefatta.

Questa sì che è una novità!

“Per fare cosa?” sussurrò infine. Sentiva su di sé lo sguardo di tutti i presenti, come se i loro occhi puntati su di lei formicolassero sulla sua pelle.

Lucy – adesso ricordava il suo nome – infilò la mano in tasca e ne estrasse un foglio piegato in quattro, che aveva tutta l'aria di essere stato strappato da un libro; senza una parola, glielo porse.

Rose scorse in fretta il contenuto: parlava di un incantesimo di Locomozione Interqualcosa, inventata da un certo Winworth-Baggins; alla spiegazione teorica seguiva la formula e alcune illustrazioni che indicavano il corretto movimento da compiere con il polso per eseguirlo.

“Cosa significa tutto questo?”

Fece scivolare lo sguardo su tutti i presenti, per scoprire tuttavia che, all'infuori dello sconosciuto e di Lucy, tutti apparivano perplessi almeno quanto lei. Tornò a osservare la pagina, aggrottando le sopracciglia: fu allora che notò uno scarabocchio in inchiostro violaceo sul margine. Strinse gli occhi per decifrarlo: Adesso è il tuo turno, R.W.!

R.W... Rose Weasley. Le iniziali di Rose.

Le mie iniziali.

Forse iniziava a capire. “Volete che io faccia questo incantesimo?” mormorò. “Vero?”

“Sì.” Disse semplicemente lo sconosciuto, per poi rivolgersi agli altri. “Christine mi aveva lasciato un indizio da consegnare a Lucy, che indicava la collocazione in biblioteca del libro da cui abbiamo staccato il foglio.”

Elementi di Alta Trasfigurazione,” intervenne Lucy. “Sull'indice aveva lasciato un'indicazione del capitolo giusto... Quello dell'Incanto di Dislocazione.” Si guardò intorno: trovandosi circondata da espressioni perplesse, emise uno sbuffo e proseguì. “In pratica consiste nel trasferimento di piccoli oggetti da un capo all'altro di un Legame Proteus. In questo modo potremmo mandare a Christine qualcosa per comunicare con noi o persino un'arma!”

Mentre parlava, la voce di Lucy si faceva sempre più concitata e gesticolava con energia, rossa in volto. Lei, tuttavia, vi prestò poca attenzione: quella parola – Proteus – le era parsa improvvisamente familiare... Era certa di averla udita prima di quel momento, ma non riusciva a ricordare quando. La spiegazione poteva essere una sola: Rose l'aveva udita, e quel poco di Rose che forse era ancora nascosto dentro di lei l'aveva riconosciuta.

Per la testa le riecheggiò improvvisamente un mantra pronunciato da tante voci diverse, tra le quali riconobbe la propria.

Proteus, Proteus, Proteus... Proteus.

Si aggrappò a quella parola come ad una luce, mentre le sue orecchie udivano distrattamente la conversazione degli altri.

“... le monete non funzionano più, Lucy,” borbottava Albus scettico. “Non vedo come potremmo fare.”

“Christine potrebbe aver piazzato un Proteus anche su altri oggetti. Magari ha con sé uno dei capi del legame e ha lasciato a noi l'altro...”

“Non ci resta che cercarlo!” La voce di Gwyneth era colma di speranza. “Ha lasciato indizi dappertutto, magari ci ha dato un'indicazione su dove–”

“Non è così,” la interruppe Lucy. “Christine ha fatto in modo che io avessi già tutto ciò che serviva.”

Detto ciò, estrasse dalla tasca un libriccino dalla rilegatura nera, con il suo nome in lettere argentate impresso sulla copertina.

“Il Diario Comunicante?” Fece Scorpius. “Ma com'è possibile? L'altro ce l'ho–”

“Christine te l'ha rubato,” replicò Lucy. “Rifletti: da quanto tempo non ti capita sott'occhio?”

Cadde il silenzio per qualche istante, mentre nella sua mente la ragazza continuava a ripetere ossessivamente quella parola: Proteus, Proteus, Proteus...

“È ovvio, se ci pensate,” mormorò Gwyneth. “Il Diario può servirci anche per comunicare con loro.”

“Proprio questo è il punto,” fece lo sconosciuto. “Il fatto è che probabilmente non hanno nulla per rispondere a Lucy: dobbiamo usare l'Incanto di Dislocazione per mandare loro una penna o qualcosa del genere.”

Proteus.

... oggi, ragazzi, tratteremo dell'Incanto Proteus...”

... non dobbiamo pensarci noi... qualcuno che non era a Hogwarts nel momento in cui il Proteus è stato annullato.”

La Proprietà dei galeoni è la loro funzione di trasmettere messaggi.”

Res Adstringo!”

Improvvisamente la vide: Christine De Bourgh e la sua cascata di riccioli bruni, presa a confabulare con Jacob Greengrass nell'aula di Incantesimi; la vide roteare la bacchetta in un movimento perfettamente svolto... La vide in un ricordo che non le apparteneva, in un ricordo che non sapeva di avere.

Che cosa significa?!”

Di cosa stai parlando?”

Lo sai benissimo!”

Non sono Gossip Witch! Non lo sono mai stata! Probabilmente in tutta la scuola sono la persona che le ha spifferato più segreti, ma non sono io! Non ero io!”

Era la prima volta che facevi un Proteus?”

“Ricordo!” sbottò improvvisa, quasi gridando. In quello stesso istante le voci nella sua testa si spensero e tutti i presenti tacquero, e Rose seppe che quegli sprazzi di memoria le appartenevano, che anche se non poteva ricordare tutto adesso c'era qualcosa da ricordare. Ricordava l'affetto che provava per Christine, per tutte quelle persone che parlavano dentro la sua testa, che a loro volta volevano bene a Rose e avevano bisogno di lei.

Questo le diede la determinazione che fino a quel momento le era mancata. “Dammi quella pergamena, Lucy,” disse con decisione, affondando la mano sotto la vestaglia per tirare fuori la bacchetta magica. Gli altri si stavano scambiando sguardi quasi esitanti, ma li ignorò. La cugina le porse, assieme alla pagina, anche l'agenda consunta.

Osservò con attenzione la pergamena, lesse e rilesse la formula, studiando il movimento che avrebbe dovuto compiere con il polso.

Adesso è il tuo turno, R.W.!

Christine era convinta che lei sarebbe stata in grado di compiere quell'incantesimo. Per qualche misteriosa ragione, bastò. Levò la bacchetta, lasciando cadere la pergamena e reggendo il Diario con la mano libera.

Res Exporto!” articolò lentamente, roteando la bacchetta magica.

Per un istante, non accadde nulla: subito dopo, il quadernettò divenne improvvisamente caldo e brillò di una lieve e pulsante luce rossastra; in quel momento seppe di esserci riuscita.

Solo allora sollevò lo sguardo sui presenti, per scoprire che la stavano fissando tutti con gli occhi spalancati e, nel caso di Albus, anche la bocca. Rimasero tutti immobili, fuorché Gwyneth, che d'un tratto scattò in direzione del proprio comodino, dove aveva lasciato una penna d'oca a Inchiostro Inesauribile nuova di zecca. Quasi automaticamente Rose aprì il quaderno – il cui bagliore si era adesso affievolito, benché fosse ancora tiepido – mentre l'altra la raggiungeva. Col fiato sospeso, Gwyneth appoggiò la punta della penna d'oca sul foglio e premette leggermente, invece di scorrere per scrivere: la carta stessa parve inglobare la penna, che affondò in essa come fosse burro, per poi risucchiarla, strappandola dalla mano della ragazza.

Rose si accorse di avere il fiato corto. “Ci sono riuscita?!” esalò, credendoci a stento.

Vide Lucy premersi le mani sulla bocca, con gli occhi al tempo stesso ridenti e pieni di lacrime. Percepì Gwyneth aggrapparsi al suo braccio e udì la sua risata quasi isterica. Vide Albus sollevare di peso la sua amica e girare in tondo ridendo: le tornò alla mente che il suo nome era Quinn.

Lo sconosciuto sorrideva in disparte, in piedi e con la schiena appoggiata allo stipite della porta.

Cercò Scorpius con lo sguardo e lo vide camminare verso di lei con le braccia tese per stringerla; per qualche motivo questo le fece girare la testa, mentre qualcosa batteva con decisione le ali nel suo stomaco. Si lasciò abbracciare affondando il viso nella sua spalla come se questo fosse giusto, naturale, come se dovesse essere proprio così, mentre l'euforia le faceva battere forte il cuore e tutto sembrava improvvisamente traboccare di speranza.

Che siano questi i sentimenti?, si chiese. Che stiano cominciando a riaffiorare?

Persino lei sapeva che non era finita lì, che un incantesimo andato a buon fine non avrebbe risolto la situazione: tuttavia, finalmente qualcosa si era mosso. Finalmente la speranza tornava ad agitarsi e per questo si erano tutti abbandonati a quell'euforia collettiva.

Rose si lasciò stringere da Scorpius in un abbraccio che fece riecheggiare nella sua testa l'ombra di altre strette, di altri contatti.

Che sia questo?, si domandò ancora. Che sia questo il riscatto per la mia memoria?

 

 

 

Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping.

Simon & Garfunkel

 

 

 

*****

 

 

Luogo imprecisato del Norfolk

Pochi secondi prima

 

 

Accadde improvvisamente, proprio quando Bernie credeva di essere sul punto di impazzire, a furia di udire le urla di Christine provenire dal piano superiore e non poter fare nulla per aiutarla. Per tutto quel tempo, si era aggrappato al Diario Comunicante con tutte le proprie forze, trattenendosi a stento dal gridare a propria volta per la disperazione.

Accadde improvvisamente: il Diario divenne bollente tutto d'un colpo e iniziò a emanare un bagliore rossastro e pulsante. Il cuore in gola, Bernie si affrettò ad aprirlo, sfogliandolo freneticamente fino alle pagine dove la calligrafia ordinata di Lucy Weasley incideva il suo ripetitivo appello a Christine.

Proprio lì la pagina sembrava ricoperta di ondulazioni, simile ai cerchi che si creano nell'acqua quando vi si getta dentro un sasso. Dal centro esatto del foglio faceva capolino qualcosa: una penna d'oca.

Incredulo e quasi stupito che dal piano superiore non udissero il suo cuore che batteva furiosamente, si affrettò a prendere la penna e a scrivere un messaggio succinto.

Sono Bernie. Io sto bene, ma hanno preso Christine.”

Le sue parole furono assorbite dalla carta. Dovette attendere solo pochi istanti perché comparisse la risposta, in una calligrafia che riconobbe immediatamente come quella di Scorpius.

Christine aveva ragione... Hanno unito le forze.

Hai visto chi sono?”

Ho visto solo la donna catalana che avevamo sentito nel parco.”

Che cosa dobbiamo fare?”

Chiuse gli occhi per qualche istante; li riaprì poco dopo, ringraziando il cielo che Christine lo avesse messo a parte dei dettagli del proprio piano, perché altrimenti non avrebbe saputo combinare granché.

Doveva solamente agire come avrebbe fatto lei.

Jake e Lily sono ancora là?”

No. Sono scomparsi.”

Scosse la testa, sorridendo amaramente: Christine aveva valutato bene le proprie carte.

Ho bisogno della mia bacchetta.”

Dal piano superiore, le grida erano improvvisamente cessate.

Cerchiamo di recuperarla.” Questa volta riconobbe la scrittura di Gwyneth. “Quando vedi la tua ragazza, dille che se esce viva da questa faccenda ci penso io a ucciderla.”

Scosse la testa, ridacchiando istericamente. “Promesso.”

VI SALVEREMO.” Era stato Albus a scrivere, in uno stampatello che aveva riempito quasi mezza pagina. “Costi quel che costi, vi tiriamo fuori da lì.”

Chiuse il Diario, desiderando di poter essere fiducioso e sperando che facessero in fretta.

Un piano più in alto, Christine riprese a gridare, e Bernie fu assalito da una rabbia sorda. Avrebbe dato qualunque cosa per essere in possesso di una bacchetta, poter correre di sopra e impedir loro di farle del male.

Qualunque cosa...

 

 

 

 

 

 

Sotterranei di Hogwarts, Scozia

Dieci minuti più tardi

 

 

A Gwyneth Parkinson era sempre piaciuto girare per i sotterranei di notte, forse perché le dava quella sottile sensazione di inquietudine che faceva saltare il cuore in gola; era un modo come un'altro per mettere alla prova il suo nascosto – molto nascosto – lato temerario, quel lato che a volte faceva sì che si domandasse se non sarebbe stata bene anche tra quei sbruffoni dei Grifondoro.

Tuttavia, questa volta provava ben altro: una volta spentasi l'euforia collettiva per quel successo, erano riusciti finalmente a comunicare con Bernie.

Io sto bene, ma hanno preso Christine.”

La sua scrittura le era parsa tremolante e assai meno precisa del solito; chiaramente non stava bene. Hanno preso Christine.

Di certo non stava bene. Sollevò lo sguardo su Scorpius, che al suo fianco percorreva furtivo il corridoio buio e umido. Si erano offerti loro per andare a recuperare la bacchetta di Bernie, custodita nell'ufficio di Lumacorno, e per questo erano sgattaiolati fuori dalla Sala Comune, incamminandosi nei sotterranei gelidi proteggendosi con un incanto di Disillusione. Si erano introdotti nello studio del professore senza molte difficoltà, e non avevano impiegato più di dieci minuti per recuperare la bacchetta dell'amico, a loro così familiare, che era stata ritrovata nei sotterranei non molto tempo dopo la scomparsa.

Gwyneth aveva paura. Non era tanto l'ansia di essere scoperti da Auror o professori, quanto piuttosto il terrore di non fare in tempo. Quasi le avesse letto nel pensiero, Scorpius accelerò il passo, affrettandosi in direzione dei sotterranei Serpeverde, dove gli altri li aspettavano lì dove li avevano lasciati, nel dormitorio femminile del Settimo Anno.

Boa Constrictor,” sussurrò, e la parete si mosse sui propri cardini.

Proprio davanti alla soglia, trovarono ad aspettarli una figuretta in vestaglia, ben dritta sulle spalle e con un'espressione serissima sul faccino appuntito. La riconobbe come una studentessa del Primo Anno; per qualche ragione, le ricordò Lily Potter.

Si scambiò con Scorpius uno sguardo perplesso.

“Tu chi saresti?” la interpellò poi.

“Mi chiamo Elizabeth Dursley,” fece la ragazzina in tono antipatico. “E so qualcosa che potrebbe esservi utile.”

 

“Lizzy?!” esclamò Lucy, stupefatta. “Che cosa ci fai qui?”

“Potrei chiederti la stessa cosa,” replicò quella, lanciandole un'occhiataccia. “Fino a prova contraria, questa è la mia Sala Comune.”

Una Serpeverde coi fiocchi, eh?

Albus non si concesse il tempo di domandarsi a propria volta cosa ci facesse lì la sua cuginetta di parte Potter. “Non perdiamo altro tempo, okay?” sbottò. Strappò di mano a Gwyneth la bacchetta di Bernie, tolse dalle mani di Rose il Diario di Lucy e fece scivolare la prima tra le pagine del secondo, provando la curiosa sensazione che qualcosa la stesse risucchiando via dalla sua stretta. “Bene.” Decretò poi, sotto gli occhi vagamente divertiti, seppur pieni d'ansia, di Quinn. “Adesso possiamo parlare di cosa ci fa Lizzy qui.”

L'espressione della ragazzina si fece indignata. “Devo ripetere che–”

“Bla bla.” La interruppe Gwyneth. “Abbiamo capito che questa è la tua Sala Comune. Adesso dì quello che devi e poi torna a dormire.”

Certo che la Parkinson ha trovato pane per i suoi denti. Si domandò cosa avrebbe detto Lily e risolse che sarebbe scoppiata a ridere. Improvvisamente, la sua sorellina gli mancò così tanto che ebbe l'impressione che qualcosa si stesse torcendo dolorosamente all'altezza del suo petto.

Tra le sue mani, il Diario si scaldò. Lo aprì, trovandosi davanti un nuovo messaggio di Bernie. “La bacchetta è arrivata.”

Fece per prendere la penna d'oca e rispondere, ma Lucy gli strappò di mano il Diario.

Chi è Gossip Witch?” la vide scrivere sbirciando da sopra la sua testa. Nell'attesa generale della risposta, nessuno disse altro per parecchi minuti. Quando fu chiaro che per quel momento Bernie non avrebbe scritto altro, Gwyneth tornò a rivolgersi a Lizzy.

“Beh?” la incitò a parlare.

“Dovete capire chi è Gossip Witch, giusto?” replicò invece la ragazzina.

Albus annuì, aggrottando al tempo stesso le sopracciglia. “Come fai a sapere di lei? Sei arrivata solo quest'anno.”

Lizzy gli rivolse un sorrisetto supponente che gli ricordò terribilmente Lily, e di nuovo un moto di nostalgia lo aggredì violentemente alla bocca dello stomaco. “Mi sono informata.” Scrollò le spalle, in un gesto curioso per la sua età. “Ad ogni modo, io credo di sapere chi sia. Non so il suo nome, ma l'ho vista. Durante una partita di Quidditch si è accorta che con una mia amica avevo sentito una conversazione tra Lily e Rose che lei stava origliando. Ci ha detto di dimenticare quello che avevamo sentito, o saremmo finite nei pasticci. Sembrava veramente cattiva.”

“Com'è fatta?” domandò Rose, intervenendo improvvisamente. Albus si scambiò uno sguardo con Scorpius: dal momento in cui aveva gridato di ricordare e aveva azzeccato l'Incanto di Dislocazione al primo colpo, la cugina si comportava in modo strano; per il più del tempo se ne stava seduta imbambolata sulla poltrona, ma di tanto in tanto si inseriva nella conversazione in maniera del tutto pertinente ed esattamente col tono che avrebbe usato la vecchia Rose.

Lizzy non sembrò fare caso a tale stranezza. Scrollò le spalle di nuovo. “Ha i capelli scuri e ricci, gli occhi che luccicano e un sorriso inquietante.”

Questa volta fu Lucy a cercare lo sguardo di Albus: la descrizione data da Elizabeth corrispondeva perfettamente a quella che aveva fornito loro Lady Carmilla.

“... è una Corvonero,” precisò poi Lizzy.

Improvvisamente, tutto fu più chiaro.

Albus si voltò verso Lucy e trovò nei suoi occhi la sua stessa espressione costernata.

 

 

 

 

*****

 

 

Torre di Corvonero

Hogwarts, Scozia

Più o meno alla stessa ora (forse poco più tardi)

 

 

Hugo, ricordati quello che ti ho detto. Occhio ai gufi.”

Non c'era altro da fare se non attendere, a quanto pareva, e Hugo non si era mai sentito così frustrato in tutta la sua vita. La Sala Comune di Corvonero era andata vuotandosi man mano che calava la notte, finché anche l'ultimo gruppetto del Sesto Anno non si era diretto sbadigliando verso i dormitori ed era rimasta solo una coppia ad amoreggiare su di un divano accanto al fuoco. Hugo si chiedeva come facessero a baciarsi senza che la prorompente appendice nasale di Teresa Grib finisse per cavare un occhio a Vincent Greene.

Era un pensiero così tanto da Lily da far male al cuore

Sei un cretino, Hughie. Ma ti voglio bene.”

Si sentiva uno sciocco a non aver captato quali fossero i piani di Lily in quel momento; sapeva che avrebbe dovuto capirlo dalle parole che gli aveva rivolto e dal modo in cui lo aveva abbracciato, esprimendogli il proprio affetto apertamente per la prima volta da sempre, come se non fosse stata certa che avrebbe avuto un'altra occasione per farlo.

Devo andare.”

Rilassò la schiena contro lo schienale della poltrona che aveva rivolto verso la finestra, mentre la pioggia scrosciava furiosa contro i vetri con un fracasso da mitragliatrice. In quel diluvio, nel quale di tanto in tanto si udiva il rimbombo di un tuono, Hugo aguzzava gli occhi nel tentativo e nella speranza di vedere un gufo planare verso la finestra.

Riteneva fondamentale restare sveglio più tempo possibile, per evitare di perdere tempo trovando il gufo che aspettava solo al risveglio. Tuttavia, si stava rivelando un'ardua impresa... Erano mesi che non faceva sonni tranquilli, e negli ultimi giorni non aveva dormito che una manciata di ore.

La pioggia continuava a tichettare contro la finestra, adesso più sommessamente, coprendo solo appena il chiacchiericcio e le risatine di Teresa e Vincent. A Hugo parve che la poltrona su cui era seduto cominciasse a dondolare... Pensò di alzarsi per andare a prendere un libro, qualcosa con cui passare il tempo nell'attesa, ma chissà perché il suo corpo non ne voleva sapere di obbedire ai comandi e rimase dunque lì, con le gambe comodamente allungate, nel piacevole tepore del suo maglione alla Weasley.

D'un tratto si accorse che non era più notte, ma tardo pomeriggio, a giudicare dal trionfo arancione del tramonto fuori dalle finestre. La Sala Comune era affollata e la poltrona di Hugo era ancora rivolta verso la finestra, dando alle spalle al cerchio di cui faceva parte, dove era radunata l'intera Alta Corte Corvonero, come la chiamava ironicamente lui. Teresa e Vincent continuavano ad amoreggiare su quel divano, che però anziché accanto al fuoco era stato spostato fino ad essere inserito nel cerchio.

Vide Tony e Georgia Menley, seduti come sempre l'uno accanto all'altra, con le labbra incurvate in sorrisi identici.

“Allora, Weasley?” Gli si rivolgeva Fiona Beckett, con una smorfia severa. “Non hai fatto il tuo giro di ronda, questa sera.”

“Mi dispiace,” cercava di difendersi lui, “mi sono addormentato...”

Le unghie di Georgia cominciavano a tamburellare sul bracciolo ligneo della poltrona, sempre più insistentemente, finché il rumore non si fece ossessivo e talmente forte da impedire a Hugo di udire sia le parole di Fiona che le proprie; infine aprì gli occhi, svegliandosi di soprassalto.

Il rumore continuava: si accorse allora che fuori dalla finestra dibatteva le ali sotto la pioggia un gufo della scuola, bussando contro il vetro con il becco perché lui gli aprisse.

Per un momento rimase immobile, incredulo, convinto di star ancora sognando. Aveva aspettato quel gufo con tanta ansia che non riusciva a credere fosse davvero lì di fronte a lui. Con le dita tremanti aprì la finestra: il volatile entrò nella stanza in un frullare d'ali; una chiostra di goccioline di pioggia si abbatté su Hugo. Fece a stento caso alla protesta di Teresa, infastidita dal fiotto di vento gelido che irrompeva improvviso dalla finestra, affrettandosi a slegare dalla zampa del gufo una busta chiusa. Non appena ebbe finito, l'animale tornò a tuffarsi nel cielo in tempesta, diretto alla Guferia.

Hugo chiuse la finestra e tornò a lasciarsi cadere sulla poltrona, rabbrividendo per gli schizzi d'acqua gelida che l'avevano raggiunto.

Osservò per parecchi secondi la busta chiusa e macchiata di pioggia, rigirandosela tra le mani. Nello stesso corsivo neutro in cui aveva trovato scritti gli altri messaggi, sul retro era scritto il suo nome in inchiostro blu. Sospirò di petto e si decise ad aprire la busta.

Avrei dovuto aspettarmelo, pensò, quando da essa cadde una carta del mazzo francese: l'Asso di quadri.

Una missiva che porta cattive notizie. Ormai aveva imparato a memoria il significato delle carte, ed era abbastanza ovvio che la missiva, in quel caso, fosse la carta stessa. L'avvicinò agli occhi: non fu realmente stupito quando, sul margine della carta, trovò un breve, lapidario messaggio:

 

A Hogwarts. Stanotte.

Stai attento.”

 

Hugo deglutì.

Devi aspettare... Chiunque ti stia mandando quelle carte ti avvertirà anche di quando sarà il momento di agire.”

Lily aveva ragione: oh, se aveva ragione. Ormai era più che sicuro che fosse Christine a mandargli le carte: il significato di quell'ultimo messaggio era ben chiaro.

Solo dandole ascolto possiamo permetterle di salvarci tutti... Se non posso convincerti, ti chiedo solo di fidarti di me.”

Si fidava della sua Lily. Si fidava di lei ciecamente e sperava, sperava con tutto il cuore che avesse ragione. Allora, improvvisamente, seppe che doveva andare da Albus e Lucy. Ed era piuttosto certo che non li avrebbe trovati nella Sala Comune di Grifondoro.

 

 

 

*****

 

 

 

Luogo imprecisato nel Norfolk

Mezz'ora prima

 

 

Quando il Diario tornò a scaldarsi e sputò fuori la sua bacchetta magica, Bernie quasi non riusciva a crederci. Spinto dall'istinto, immediatamente la raccolse e la nascose sotto la camicia macchiata di sangue. Recuperò quindi la penna dal pavimento della cella e trepidante scarabocchiò un rapido messaggio.

La bacchetta è arrivata.”

Tornò ad appoggiare la parete al muro di pietra, parimenti sollevato e perplesso, perché pur essendo in possesso della propria bacchetta non aveva idea di cosa fare.

Dal piano superiore, le grida di Christine cessarono: che la stessero riportando nella cella? Di certo, lei avrebbe saputo come agire.

Il Diario divenne bollente tra le sue mani.

Chi è Gossip Witch?” apparve scritto nella nitida grafia di Lucy Weasley.

Bernie era sul punto di rispondere, quando dei passi risuonarono giù per le scale. Il cuore in gola, gettò penna e Diario in un angolo buio della cella, esattamente dal lato opposto rispetto a quello dove lui si trovava.

Tornò quindi immobile; le sue pulsazioni erano così accelerate da fargli credere che da un momento all'altro sarebbe esploso.

Si udì lo scatto della serratura e la porta si aprì con un lungo scricchiolio: sollevò gli occhi, sperando di vedere Christine, ma stagliata sulla soglia c'era solamente la donna che prima era venuta a prendere la ragazza. Come aveva fatto prima con lei, si avvicinò a Bernie e lo sollevò praticamente di peso per un braccio; con frustrazione, il ragazzo scoprì di non essere abbastanza in forze da potersi ribellare: poteva solo lasciarsi trascinare su per le scale.

La catalana non lasciò il suo braccio finché non furono in una grande sala dalle pareti di pietra, illuminata da torcie fiammeggianti. Non c'erano finestre e la scarsa mobilia era coperta da bianchi teli dall'aria polverosa, come se quel castello non fosse abitato da molto tempo.

Si guardò intorno, cercando Christine, e infine la vide: rannicchiata sul pavimento, con espressione dolente, il volto sporco pallidissimo e circondato dagli scuri capelli aggrovigliati. I suoi occhi, tuttavia, ardevano come braci nella sua direzione.

Rimasero a guardarsi per qualche secondo; poi la donna si scambiò diverse frasi in catalano con un uomo che era anche lui nella sala e che Bernie fino a quel momento non aveva notato. Entrambi si fecero avanti verso di lui.

L'uomo si rivolse a Christine. “Il ragazzo,” borbottò in un inglese pesantemente accentato, “soffrirà finché non ci avrai detto quello che sai.”

Bernie la guardò: aveva gli occhi pieni di lacrime. Strinse le labbra e fece segno di no con la testa; lei annuì mentre il suo sguardo si tingeva di disperazione.

Crucio,” udì dire dall'uomo, e poi non sentì nulla all'infuori del dolore.

Aveva l'impressione che l'intera superficie del suo corpo fosse affondata tra le braci ardenti, che milioni di coltelli lo pugnalassero dall'interno.

Sentiva un grido terribile straziare le sue orecchie: gli ci vollero alcuni istanti prima di capire che era il suo.

 

Non avrebbe saputo dire quanto fosse durata quella tortura, ma quando infine cessò si sentiva dolorante come dopo una brutta caduta da un manico di scopa. Provò un curioso senso di sorpresa: sotto l'influsso della Maledizione Cruciatus, aveva avuto l'impressione che, fino a quel momento, la sua intera vita fosse stata attraversata dal dolore. Adesso gli sembrava strano non provare nessuna sofferenza se non una dolenza leggera ma persistente in tutto il corpo.

Ebbe bisogno di alcuni istanti per capire come mai la maledizione fosse stata interrotta. La testa gli girava e i colori parevano stranamente amplificati, ma vide Christine, che l'uomo aveva afferrato per la collottola fino a sollevarla alla sua altezza; le puntava la bacchetta alla gola. Si chiese dove fosse la donna e infine la vide di fronte a sé: guardava in direzione dei due, tenendolo al contempo sotto il tiro della sua bacchetta.

Ci volle un'ulteriore manciata di secondi prima che si rendesse conto di ciò che stava succedendo, prima che le sue orecchie ricominciassero a udire.

“... Vi dirò tutto... tutto quanto. Lasciatelo andare, vi dirò tutto... Lasciatelo andare.”

Una litania rauca e quasi insopportabile sfuggiva dalle labbra di Christine; Bernie si irrigidì. “No...” riuscì a esalare.

Christine guardò verso di lui, con la bocca socchiusa come se volesse dire qualcosa; tuttavia, non parlò, se non per il sospiro che a stento parve riucire ad emettere. “Bernard...”

Il cuore aveva rallentato i suoi battiti: adesso andava lento e quasi rumoroso, come se la tensione del momento facesse procedere il tempo al rallentatore. Continuò a scuotere la testa, sperando che Christine tacesse, che non dicesse nulla... Non voleva essere il suo passo falso. Non voleva mandare all'aria tutto quel folle piano che lei aveva ordito con tanta cura negli ultimi mesi.

Alcuni secondi scorsero spugnosi e lentissimi, neanche stessero colando da un contagocce.

La sua vista annebbiata cominciava a divenire più chiara; vide nitidamente Christine aprire la bocca per parlare, ma non fece in tempo, perché una voce limpida e familiare risuonò nella sala.

Stupeficium!” gridò Lily Potter, colpendo dritto in mezzo alla schiena l'uomo, mentre si faceva largo nella stanza con gli abiti stracciati e il viso sporco.

Christine cadde con lui ma riuscì a reggersi sulle braccia e a scansarsi prima che le piombasse addosso; sulle sue labbra, a Bernie parve di riconoscere qualcosa che gli sembrava di non vedere da un'eternità: un sorriso fugace, accompagnato dallo scintillio dei suoi occhi.

Immediatamente nella stanza irruppe anche Jake, anche lui ridotto in pessime condizioni, precipitandosi al fianco di Lily. Con la coda dell'occhio, Bernie vide la catalana muoversi verso di sé; più in fretta che poteva estrasse la bacchetta e, consapevole che non avrebbe avuto il tempo né la forza di difendersi, la fece rotolare verso Christine, che nel frattempo si stava alzando in piedi.

Fece in tempo a vedere Christine e Jake precipitarsi verso di lui prima che la catalana schivasse l'Incanto Scudo della ragazza e muovesse la bacchetta nella sua direzione con un movimento di frusta.

Poi, per la seconda volta nel giro di pochi giorni, Bernie non vide altro che nero.

 

A spiderweb, and it's me in the middle
So I twist and turn
But here am I in my little bubble.

Coldplay

 

 

*****

 

 

Ufficio della Preside

Hogwarts, Scozia

Più tardi

 

 

“Papà, devi ascoltarci!” sbottò Albus, cominciando ad alzare la voce.

Per come la vedeva Lucy, l'ufficio della Sinistra non era mai stato tanto affollato. Oltre a lei, Albus, Hugo, Rose, Quinn, Leopold, Scorpius e Gwyneth, erano presenti la professoressa McGranitt, i quattro direttori delle Case, lo zio Harry e lo zio Ron, due Auror che non conosceva e la Sinistra stessa, presente pur avendo momentaneamente deposto il proprio incarico. La McGranitt era seduta alla scrivania, con i professori in piedi dietro di lei – fuorché Lumacorno, che evidentemente non si era trattenuto dall'Evocare per sé un comodo puf; gli Auror e lo zio Ron sostavano poco più in là, mentre lei e gli altri erano in piedi dal lato della porta. Tranne per Albus, che era in piedi a fronteggiare suo padre al centro della stanza.

Perché?!” Da che ricordava, non aveva mai visto lo zio Harry così furioso. “Per quale ragione non ci avete detto niente fino a questo momento?!”

Se continua così, lo sentiranno fino alle cucine.

“Zio,” intervenne Hugo con tono ansioso, “dovete andare nella Torre di Corvonero e arrestare Georgia Menley per interrogarla. Per favore,” aggiunse, vedendo che non aveva reazioni.

Per fortuna, lo zio non aveva perso del tutto il cervello. “Va bene,” disse bruscamente, sebbene i suoi occhi continuassero a dardeggiare furiosi. “Qualcuno vada a prendere la ragazza.”

La McGranitt fece un cenno a Vitious; di propria iniziativa, lo zio Ron lo seguì fuori dallo studio per accompagnarlo alla Torre di Corvonero.

Di nuovo, Harry Potter fece per rivolgersi aspramente al figlio, ma una testa improvvisamente comparsa nel caminetto acceso catturò la sua attenzione. Quasi con sgomento, Lucy riconobbe Louis.

“Zio, hanno chiamato i responsabili di Magia Minorile! Hanno trovato la Traccia di Lily!”

Albus e il padre si precipitarono verso il camino con un identico scatto. “Dov'è?”

“In un maniero del Norfolk appartenente ai possedimenti della famiglia Menley.”

Lucy si scambiò uno sguardo con Hugo: se avevano fatto bene i loro ragionamenti, era lì che si trovavano anche Christine e Boot. E se Lily e Greengrass li avevano raggiunti...

Non era così certa che si trattasse di una buona notizia.

“... Grazie, Louis. Riferisci al comando di radunare tutte le forze e di dirigerci lì. Ci incontreremo fuori dal perimetro del possedimento.” Fece una pausa, mentre negli occhi ardeva un brillio febbrile. “Lasciate a casa Allievi e Spezzaincantesimi,” aggiunse infine.

Lucy vide distintamente le sopracciglia di Louis aggrottarsi per un istante e la sua bocca storcersi in una smorfia. “Subito, Capitano,” disse poi in tono formale, prima di scomparire dalle fiamme.

Lo zio Harry tornò a rivolgersi a loro. “Dopo mi spiegherete tutto per filo e per segno... Professoressa,” si voltò quindi verso la McGranitt, “vi occuperete di tenere la ragazza Menley sotto attenta custodia?”

“Naturalmente, Potter,” replicò la donna. “Dirò a Weasley di raggiungervi.”

“La ringrazio.”

Detto ciò, fece un cenno agli Auror, muovendosi verso il caminetto per tornare a Hogsmeade tramite Metropolvere.

Fu allora che Hugo scattò. Con quella carta francese stretta in mano – Lucy non aveva capito mezza parola del suo discorso in proposito – si precipitò verso lo zio Harry per trattenerlo. “Zio, devi lasciare anche una guarnigione a Hogwarts! Succederà qualcosa questa notte!” La sua espressione era semplicemente terrorizzata.

Harry Potter si fermò. “Questo non possiamo saperlo,” disse senza voltarsi. “Ma possiamo salvare quei ragazzi adesso.”

Detto ciò, gettata una manciata di Polvere Volante nel caminetto acceso, scomparve tra le fiamme verdi, seguito immediatamente dagli Auror.

“Confido che tornerete tutti nei vostri dormitori,” fece seccamente la McGranitt.

 

Non appena furono usciti in corridoio, Albus praticamente lo aggredì. “Per quale dannata ragione non ci hai mai detto nulla di quelle carte?!”

Hugo allontanò l'altro con una spinta, con la netta sensazione che avrebbero finito per fare a pugni. “Tuo padre ti ha chiesto la stessa cosa, Al!” sbottò insensatamente. “Tu cosa gli hai risposto?”

Lucy doveva aver percepito l'aria che tirava, giacché Hugo la vide con la coda dell'occhio avvicinare la mano alla bacchetta, pronta a separarli.

“Non è il momento di litigare, stupidi idioti,” intervenne aspramente Gwyneth Parkinson. “Weasley, cosa diamine dovrebbe succedere questa notte?”

Scosse la testa, sentendosi sconfitto. “Non ne ho idea,” ammise. “Ma so che succederà stanotte e...” esitò, poco sicuro di quanto stava per dire. Ma ormai aveva imparato che nascondere le cose poteva soltanto peggiorare la situazione, sebbene le sue fossero solo ipotesi. “E credo che riguardi i Doni della Morte e la tomba di Silente.”

Scorpius Malfoy aggrottò le sopracciglia. “Ma cosa...”

“Non c'è tempo di spiegarvi,” tagliò corto lui, “ma ho le mie buone ragioni per ritenere che sia così.”

“Ripetimelo di nuovo,” fece Lucy. “Tu sai che qualcosa avverrà stanotte perché... ?”

“Perché Christine De Bourgh mi ha sempre avvisato in anticipo di cosa stava per accadere,” ripeté Hugo stancamente per l'ennesima volta. “Tramite le carte. Ecco qui... C'è scritto A Hogwarts. Stanotte... Secondo voi cosa vorrebbe dire?” borbottò sarcastico.

Lucy aggrottò le sopracciglia e gli strappò di mano la carta. “Inchiostro blu,” osservò dubbiosa. “Gli altri messaggi di Christine erano scritti in inchiostro viola.”

“Questo non ha importanza adesso.” Gli angoli della bocca di Scorpius Malfoy continuavano a contrarsi. “Che cosa facciamo? Se questa notte accadrà qualcosa a Hogwarts dobbiamo essere preparati.”

“Sono d'accordo.” Quinn Baston assentì. “Gli Auror sono tutti andati via, dunque muoversi per i corridoi sarà abbastanza semplice.”

“Non solo per noi, purtroppo,” brontolò Albus, ma la ragazza lo ignorò.

“Io propongo di fare in modo di tenere sott'occhio chi dovesse entrare nel castello... Al, tu puoi farlo con quella mappa, giusto?”

Hugo fece tanto d'occhi nello scoprire che il cugino le avesse parlato della Mappa del Malandrino, ma non era tempo di soffermarsi su cose tanto futili. “Baston, la tua idea è buona, ma siamo troppo pochi.”

Malfoy annuì. “Ha ragione. Quando io e Jake siamo finiti in mezzo all'attacco a Hogsmeade erano moltissimi... Contro gli Auror non avevano scampo, ma noi siamo solo studenti,” aggiunse logicamente.

Hugo si sentì pungolato nell'orgoglio. “Studenti capaci, ma solo studenti,” convenne, ma solo in parte.

“Dunque cosa possiamo fare?” sospirò Gwyneth Parkinson. “Senza Auror siamo fottuti. Un tentativo di intervenire in qualsiasi cosa stia per accadere equivarrebbe ad una missione suicida.”

Cadde il silenzio. Dietro di loro, oltre il gargoyle che faceva la guardia alla presidenza, udirono un suono di passi. Come un solo uomo, si incamminarono tutti verso la fine del corridoio, camminando più lentamente possibile.

Poi, Hugo colse con gli occhi un movimento di Lucy, che si era precipitata ad aggrapparsi al braccio di Albus.

James!” la udì esclamare.

L'espressione di Al si fece perplessa. “Stai bene, Lu? Io sono Albus, ricordi?”

“Non fare l'idiota!” La vide assestare al cugino un debole pugno sulla spalla. “James, tuo fratello. Non hai sentito cos'ha detto Harry? Lasciate a casa gli Allievi.”

 

 

 

*****

 

 

And I’ll walk slow, I’ll walk slow

Take my hand, help me on my way.

Mumford & Sons

 

 

8 marzo 2022

Torre di Grifondoro, Hogwarts, Scozia

All'una del mattino

 

 

La Sala Comune di Grifondoro era deserta. Oltre le finestre, continuava a infuriare il temporale: la pioggia veniva trascinata da un lato all'altro dal vento impetuoso; spesso variava la propria intensità, oscillando da un diluvio sottile ma persistente a robusti scrosci d'acqua contro i vetri.

Nel caminetto ardevano le ultime braci: sfrigolavano delicate nel buio, inondando Quinn – seduta al suo fianco – di strane luminescenze altalenanti, che a tratti sembravano seguire il ritmo della pioggia.

Al aveva spedito il proprio gufo da James neanche un'ora prima, con una succinta richiesta di aiuto. Era certo che il fratello avrebbe risposto all'appello – in fondo, Al non l'avrebbe contattato se non fosse stato qualcosa di veramente grave; sperava solo che, oltre al suo gruppetto di Allievi coinvolgesse anche altri.

La Mappa del Malandrino era aperta sul tavolino di fronte a loro: Quinn scrutava attentamente la riproduzione dei confini del parco, nell'attesa di cogliere movimenti entro il perimetro di Hogwarts. Contravvenendo agli ordini della McGranitt, Lucy era andata con Hugo ad aspettare nella Torre di Corvonero, poiché avevano convenuto di restare ad aspettare perlomeno in piccoli gruppi.

Perciò nella Sala Comune c'erano solo loro.

Il silenzio era gravido di attesa e tensione; Al temette di non farcela più. “E così Georgia Menley, eh?” farfugliò imbarazzato.

Quinn sollevò gli occhi dalla Mappa, posandoli su di lui. Le sue sopracciglia si inarcarono. “Ti prego, Albus, non farmi dire niente. Potrei ridurti in poltiglia.”

Albus ridacchiò stupidamente. “Sono stato un idiota. Più di quanto pensassi.”

“Ecco quello che volevo sentire.”

Erano seduti sul divano, l'uno accanto all'altra. Lo stesso divano sul quale, pochi giorni prima, aveva abbracciato Quinn, finendo per raccontarle ogni cosa. Lei era rimasta ad ascoltarlo pazientemente per tutta la notte, per poi buttarsi a capofitto nell'impresa, decisa a dare in qualche modo il proprio apporto. Non lo avrebbe mai ammesso, ma si sentiva estremamente grato nei suoi confronti per questo: per qualche ragione che non riusciva a spiegarsi, averla al suo fianco lo rassicurava.

Senza preavviso, una terribile angoscia gli capitolò addosso, quella stessa angoscia che l'adrenalina della serata appena trascorso aveva spazzato via come foglie secche. Era come se fino a quel momento non avesse realizzato che davvero stavano per trovarsi in una situazione di pericolo mortale. E sebbene, sepolto in qualche andito del suo animo, vi fosse qualcosa che aspirava esattamente a questo, il suo cuore pareva dibattersi furiosamente al pensiero.

Si accorse improvvisamente di essere terrorizzato: di avere paura per sé e per le persone che amava, che di lì a poco si sarebbero gettate a capofitto in quella missione suicida, come l'aveva definita Gwyneth. Realizzò che non era come una partita a Quidditch o un Torneo Tremaghi: c'era veramente il rischio, la possibilità concreta che qualcuno di loro non tornasse tutto intero.

O non tornasse affatto.

Si voltò verso Quinn e la scoprì a fissarlo, con i suoi occhi chiari e seri. Si ritrovò a desiderare che quel momento non finisse mai, come sperando che quella sospensione, quel respiro profondo durasse per sempre.

“Vorrei che il tempo si fermasse,” mormorò. Non si era accorto che fossero seduti così vicini; qualcosa si agitò all'altezza del suo stomaco. “Ho paura.”

“Ne ho anche io.”

Ne fu quasi stupito. Quinn l'impavida non poteva avere paura, eppure aveva appena ammesso di essere spaventata quanto lui.

Si schiarì la voce. “Quinn, nel caso dovesse accaderci qualcosa...”

“Lo so, Albus,” disse lei.

Seguì l'istinto: fu semplice. Semplice avvicinarsi a Quinn ancora un po', quel tanto che bastava perché i loro nasi si sfiorassero.

La baciò senza porsi troppe domande, senza chiedersi nulla fuorché cosa mai avessero avuto in mente in tutti quegli anni per non cominciare prima. Le labbra di Quinn erano soffici e i suoi capelli morbidi sotto le dita: il bacio fu di intensità immediata, come se entrambi non ne potessero più di attendere. Come se entrambi non avessero desiderato altro.

E – ma Albus se ne rendeva conto solo adesso – probabilmente era sempre stato così.

Quando si separarono, non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato; tuttavia, non ebbero il tempo di dirsi nulla: Albus vide distintamente gli occhi di Quinn posarsi sulla Mappa del Malandrino e la sua espressione mutare. Si affrettò dunque a volgere lo sguardo nella stessa direzione.

Ai confini della Foresta Proibita, vide un agitarsi di puntini con relativo cartiglio, così tanti che rinunciò subito a contarli.

 

 

 

 

 

 


 

 

Note dell'Autrice

 

 

Con mesi di ritardo, ci sono.

Mi scuso di nuovo di dovermi scusare ogni volta, ma prometto che il prossimo non si farà aspettare così tanto, visto che la sessione è finita e sono ufficialmente “in vacanza”.

Grazie a chi ancora continua a seguirmi <3

Un bacio a tutti/e.

Daph

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Capitolo 41
*** Capitolo 40 - Deus ex machina ***


 


If this is to end in fire
Then we should all burn together.

Ed Sheeran

 

 

 

7 marzo 2022

Hogwarts, Scozia

Ultimi minuti prima di mezzanotte

 

 

Negli appartamenti dove avevano alloggiato negli ultimi mesi ogni cosa appariva curiosamente calma. Il fuoco scoppiettava allegramente nel camino e il divano di pelle un po' consumato sostava immobile di fronte ad esso, con i cuscini ben sprimacciati e un romanzo Babbano ancora poggiato sul bracciolo.

Nulla in quella stanza dall'aria accogliente sembrava presagire la battaglia imminente, che adesso agli occhi di Holly appariva del tutto insospettabile.

“Dobbiamo fare in fretta,” borbottò, interrompendo quella pace. “Louis, prendi le tue cose e andiamo.”

Lei aveva già indossato l'uniforme degli Auror; dopo aver vestito panni borghesi per tutto quel tempo, provava una sensazione straniante nel percepire di nuovo quel cuoio morbido contro la pelle, ma allo stesso tempo un senso di sollievo. Dopotutto, quella divisa era un po' la sua seconda pelle.

Senza una parola, Louis scomparve nella sua stanza per cambiarsi. Holly, rimasta sola con Marcus, percepiva con esattezza il suo sguardo trafiggerle la nuca.

Tirò un respiro profondo e si voltò verso di lui: lo trovò a fissarla con le braccia incrociate e uno sguardo carico di gravità.

“Io...” mormorò, ma la voce le si spense in gola.

Marcus sciolse le braccia e mosse verso di lei finché la distanza tra di loro non fu ridotta che a pochi centimetri. “Devi promettermi che farete attenzione,” le disse, serio. “Entrambi. D'accordo?”

Holly annuì. “Per quanto possibile,” promise.

Il ragazzo strinse le labbra: era evidente che restare indietro non gli piacesse affatto. Del resto era stato coinvolto in quella storia fin dall'inizio.

E poi vuole potersi accertare che io e Louis ce la caveremo.

Poteva capirlo, dopotutto. Poteva mettersi nei suoi panni. Le bastava immaginare che fosse lei stessa a restare a Hogwarts, mentre Marcus e Louis si dirigevano incontro ad una vera e propria battaglia. La sola idea le faceva rigirare orrendamente lo stomaco; poteva figurarsi come lui avrebbe trascorso le prossime ore... Con quale ansia e preoccupazione.

Siamo inseparabili, a quanto pare. Tutti e tre. L'ironia della sorte...

Improvvisamente ebbe voglia di piangere, ma sapeva di doversi trattenere: per le successive ore, Holly doveva scomparire, lasciando il posto all'Agente Greegrass.

Marcus non le permise di annullarsi. Si chinò su di lei per darle un bacio sulla fronte, prendendo il suo volto tra le mani. Le sue labbra erano calde e Holly chiuse gli occhi, sforzandosi di non pensare che quella poteva essere l'ultima volta in cui lo vedeva.

Per un secondo, uno solo, la sua mente fu invasa solo da un bianco terrore cieco; lo seppellì come le era stato insegnato a fare.

Louis riemerse dalla sua stanza con il suo passo leggero. Marcus lasciò andare Holly e si diresse a salutare l'altro con una familiare pacca sulla spalla. “Stammi bene, Weasley,” buttò lì. “Cerca di non farti ammazzare, quello è compito mio.”

“D'accordo,” ridacchiò Louis.

“Andiamo,” mormorò Holly. L'atmosfera di quiete di quella stanza stava diventando insostenibile. Improvvisamente un cattivo presentimento la aggredì all'altezza del petto: ebbe la repentina impressione che, per chissà quale ragione, Marcus fosse assai più in pericolo di loro. Ricacciò quelle brutte sensazioni in qualche recesso angusto della sua mente; si accertò di avere con sé tutto quello che le serviva prima di dirigersi verso la porta degli appartamenti, mentre i ragazzi la seguivano.

Se non che, nel bel mezzo del corridoio, si trovarono di fronte un magro gruppo di persone in piedi, che chiaramente stavano aspettando proprio loro.

 

 

Louis dovette sbattere un paio di volte le palpebre prima di realizzare che la piccola delegazione dei suoi cugini minori che aveva davanti non era un miraggio causato da qualche strana pozione che doveva aver inavvertitamente ingerito.

Aveva la gola secca. “Che cosa...” esordì rasposo, prima di schiarirsi la voce, “... che cosa ci fate qui?”

Lucy e Hugo, in compagnia del Serpeverde che era andato con Lily al ballo, si scambiarono degli sguardi colpevoli non troppo dissimili, benché avessero gli occhi di colore diverso. “Ecco...” esordì Lucy, ma Holly la interruppe.

“Siete fuori oltre l'orario del coprifuoco,” fece notare ai tre ragazzi nel suo più irritante tono Caposcuola. “Spero che abbiate una valida spiegazione.”

Hugo inarcò un sopracciglio. “Abbiamo un'ottima spiegazione,” replicò. Nonostante tutto, Louis faticò a trattenere una risatina. “I vostri nemici approfitteranno del fatto che tutti gli Auror si stanno dirigendo nel Norfolk per attaccare Hogwarts.”

La sua mente impiegò alcuni secondi per registrare il preciso significato delle parole del cugino. Nemici. Norfolk. Hogwarts. In rapida successione, si chiese come diamine facessero i suoi cugini a sapere del Norfolk e chi avesse detto loro di un probabile attacco a Hogwarts, per poi giungere alla conclusione che nessuno di loro era così stupido da venire a disturbarlo in quel frangente senza essere sicuro al cento per cento di avere ragione.

“Come diamine–” borbottò Marcus, ma Holly non lo lasciò parlare.

“Come fate a saperlo?” domandò seria.

Lucy sospirò. “È lunga da spiegare,” disse in fretta. “Ma dovete crederci. Per favore. Non potete lasciare Hogwarts scoperta.”

Ritenne opportuno intervenire. “Holly, non hanno tutti i torti,” mormorò, notando con la coda dell'occhio lo sguardo grato di Hugo. Si ripromise di scambiare un paio di parole con lui, più tardi. “Lasciare Hogwarts senza nessuna protezione è una cosa davvero stupida.”

L'espressione della ragazza si fece tentennante: non era abituata a mettere in discussione gli ordini espliciti dei suoi superiori, né tantomeno a prendere iniziative che contravvenissero ad essi. “Cosa volete precisamente da noi?” domandò, mentre la sua mascella subiva una lieve contrazione.

Buon segno, pensò Louis. Ci sta pensando su.

Il pensiero che Marcus fosse uno dei motivi per cui era in dubbio lo pungolò fastidiosamente allo stomaco, ma Lou si sforzò di ignorare quella sensazione. Aveva detto a Holly che avrebbero pensato a quelle faccende una volta risolte queste e non intendeva venir meno alla parola data.

Hugo fece un passo in avanti con un'espressione risoluta che lo rendeva inquietantemente simile alla zia Hermione. “Vogliamo che restiate qui. Abbiamo anche scritto a Jamie,” aggiunse rivolto a Louis. “Anche lui verrà con la sua squadra.”

Con la mia squadra, lo corresse Louis mentalmente.

“Poca protezione è meglio di nessuna protezione, giusto?” concluse Lucy per lui in tono concitato. “Allora, ci aiuterete o no?”

Holly aprì la bocca per rispondere e la richiuse. Esitava.

“Io resterò,” fece improvvisamente Marcus con la sua voce profonda. “Io non ho l'obbligo di andare nel Norfolk... Tecnicamente ho l'obbligo di non andarci.”

Cadde un silenzio profondo. Gli occhi di tutti erano fissi su Holly: d'altronde, la decisione spettava a lei. Per almeno un minuto non si udì che lo scrosciare della pioggia oltre le finestre del corridoio.

“E va bene,” sbottò Holly infine. “Agente Weasley, come tua superiore ti ordino di restare a Hogwarts, anche se l'avresti fatto anche se ti avessi ordinato il contrario.” Fece scorrere gli occhi sui tre ragazzi, che adesso sembravano quasi esultanti. “Avete già un piano?”

 

 

 

*

 

 

Villa Menley, Norfolk

Quasi un'ora più tardi

 

Lily non avrebbe saputo realmente definire la situazione in cui si trovava al momento. O meglio, non ne avrebbe avuto il tempo.

Aveva la sensazione che la mente si fosse in qualche modo staccata dal corpo: esso si muoveva frenetico, come catturato in una sorta di modalità automatica; i lampi di luce degli incantesimi suoi, di Jake e Christine si diffondevano in ogni direzione, frammisti a quelli dei loro avversari.

Quanti erano?

Lily non avrebbe saputo dirlo.

Sapeva solo che erano in inferiorità numerica sempre crescente. Si erano stretti attorno al corpo esamine di Boot, tentando di proteggerlo assieme a loro stessi.

Proteggersi: non potevano fare altro. Sulle prime – quando i rinforzi chiamati dalla catalana non erano che cinque o sei – avevano potuto accennare un contrattacco; ma adesso? Si limitavano a difendersi disperatamente.

Non c'era altro da fare.

L'aria era spugnosa, bollente. Sotto i denti Lily sentiva il sapore del sangue.

Gettava un Incanto Scudo dietro l'altro, sperando di rallentarli... Sperando che questo bastasse. Nella frenesia, i suoi occhi riuscirono a incrociare quelli di Jake per una frazione di secondo; quello che vi lesse non le piacque affatto.

Forse perché somigliava troppo a quello che anche lei cominciava a pensare: erano spacciati. Quelle persone erano sempre di più e il cerchio che descrivevano attorno a loro sempre più stretto. Improvvisamente il panico la aggredì: la sua mente andò del tutto in bianco.

Sono troppi. Sono maledettamente troppi!

Non voleva morire. In quel momento era la sua unica certezza: non voleva morire e si sarebbe aggrappata alla vita con tutte le sue forze.

La sua esistenza non poteva certo finire lì. C'erano ancora una marea di cose che avrebbe voluto fare... Ad esempio diplomarsi. Crescere. Scoprire cosa volesse dire essere adulti. Decidere cosa fare del proprio futuro.

Abbracciare i propri genitori. Veder nascere il figlio di James.

Dannazione, Lily, non morirai. Non morirai.

“De Bourgh!” chiamò in mezzo alla battaglia. “Se mai uscissimo vivi da questo casino ricordati che mi devi una sigaretta!”

Fra un incantesimo e l'altro, percepì un rauco gorgoglio provenire dalla sua sinistra: era Christine che rideva.

No che non moriremo, accidenti!

Improvvisamente, si sentì come colpita da una determinazione nuova. Non sarebbero morti, ne era certa: dovevano solo resistere fino all'arrivo dell'Auror... Perché sarebbero arrivati presto, non aveva dubbi. Dopotutto aveva ancora addosso la Traccia: non ci sarebbe voluto molto prima che la rintracciassero, sempre che non l'avessero già fatto.

 

 

 

*

 

 

Sala d'Ingresso

Hogwarts, Scozia

 

 

Era accaduto tutto molto in fretta.

Quinn aveva visto tutti quei puntini con cartiglio irrompere ai confini della Mappa del Malandrino e Albus era scattato in piedi, affrettandosi a produrre dei Patronus – cuccioli di leone che rotolavano allegramente sul tappeto prima di eseguire i suoi ordini – per avvisare i suoi amici e cugini di porsi sull'attenti.

Dunque si era precipitato con la ragazza verso la Sala d'Ingresso, dove avrebbe dovuto incontrare gli altri; strada facendo erano quasi andati a sbattere contro la Sinistra, la McGranitt e i direttori delle Case. Avvedendosi dell'attacco, anche loro si erano precipitati fuori dalle rispettive stanze per decidere il da farsi.

La McGranitt lo aveva scrutato per alcuni secondi; le sue labbra si erano strette fin quasi a scomparire e Albus, suo malgrado, aveva provato un sincero terrore. Tuttavia, la preside sostitutiva si era limitata a sospirare.

“Immagino che tu abbia un piano, Potter.”

Finalmente giunto in Sala d'Ingresso, Albus vi trovò già i suoi amici Serpeverde e anche i cugini, con i quali c'erano Louis e gli altri due membri della sua squadra.

Si appuntò mentalmente di complimentarsi con Hugo e Lucy, una volta che tutta quella faccenda fosse stata risolta. Deglutì, chiedendosi perché James ci stesse mettendo così tanto. Mentre i professori parlottavano tra di loro, con sua immensa sorpresa si rese conto dell'affluenza sempre crescente di studenti di tutte le Case verso la Sala d'Ingresso, provenienti alcuni dallo scalone di marmo, altri dai corridoi del pianterreno, altri ancora dai sotterranei, al punto che l'immenso ambiente stava diventando sempre più affollato.

Ma cosa...

“Ehilà, Potter!” gli si rivolse in tono allegro Chris McGregory. “Dalle finestre abbiamo visto tutte quelle luci del parco... Sai cosa sta succedendo?”

“Albus!” esclamò un'altra compagna dello stesso anno. “Che cosa succede, lo sai?”

Si scambiò con Quinn uno sguardo terrificato. “Pensi dovremmo intervenire?”

La ragazza scrollò le spalle. “Su di loro sì,” indicò un gruppetto di Corvonero del primo anno, tutti in pigiama, che si avvicinavano con aria incuriosita.

“D'accordo.” Albus deglutì. “C'è una ragione per cui non sono un prefetto.”

Lucy sembrò materializzarsi al suo fianco. “Voi del primo anno!” prese l'iniziativa, levando la sua vocetta acuta sopra il brusio crescente. “Tornate nei vostri dormitori immediatamente!”

Horace Lumacorno li affiancò. “Credo che la cara Minerva desideri... Uhm.” Si grattò la testa. “Come aveva detto? Ah, sì... Solo gli studenti maggiorenni sono autorizzati a restare in piedi. Tutti gli altri debbono tornare nei propri dormitori.” Sorrise sornione. “Sonorus!”

Ripeté l'ordine come se lo stesse gridando in un megafono, al punto che entrambi dovettero tapparsi le orecchie per evitare una perforazione del timpano. Lucy, come c'era da aspettarsi, si era dileguata al primo accenno alla maggiore età.

Albus guardò Quinn e improvvisamente il suo cuore sprofondò. Si chinò a baciarla. “Andrà tutto bene, vero?”

Lei lo strinse. “Sì,” sussurrò nel suo orecchio. “Non siamo soli.”

 

 

*

 

 

Per la prima volta in tutta la sua vita, Lucy Weasley stava consapevolmente e deliberatamente violando i dettami imposti da un'autorità. Ne era perfettamente cosciente e non se ne vergognava affatto, mentre aspettava in Sala d'Ingresso con gli altri studenti e gli insegnanti, cercando di non farsi notare troppo.

Improvvisamente, nel brusio costante che avvolgeva la Sala, si levò un trambusto ancor più considerevole: giù per lo scalone di marmo si stava precipitando un considerevole gruppo di persone che indossavano la divisa degli Allievi Auror, tra i quali riconobbe suo cugino James.

Scivolò non vista verso l'accesso ai piani superiori: ai piedi della gradinata gli Allievi avevano raggiunto gli insegnanti; si avvicinò abbastanza da udire quel che dicevano senza farsi notare – aveva la netta impressione che, ancor più dei professori, se suo cugino l'avesse vista l'avrebbe costretta a tornare in dormitorio.

“Scusate se ci abbiamo messo tanto,” stava dicendo James in tono allegro, abbracciando Albus e Louis. “Abbiamo usato il passaggio della Strega Orba e c'è voluto un po' a passarci tutti...”

Mentre il cugino finiva di parlare, un brusio attraversò la Sala.

“Si avvicinano...” udì dire da qualcuno.

Il suo cuore mancò un battito. Era iniziata.

Le sembrò che tutti iniziassero a muoversi freneticamente verso il portone di quercia, mentre altri studenti continuavano a precipitarsi giù per lo scalone di marmo per partecipare alla battaglia. Si rese conto appena di aver cominciato anche lei a correre; rischiò quasi di essere travolta dalla folla nel brusio generale, ma qualcuno l'aiutò afferrandola per un braccio.

Senza smettere di correre, sollevò lo sguardo su Leopold, che le rivolse un sogghigno e senza lasciare il suo gomito procedette con lei fino al parco.

Il diluvio furibondo di alcune ore prima si era placato solo appena, lasciando il posto ad una pioggerellina sottile, quasi invisibile ma consistente. Nel giro di pochi minuti si ritrovò inzuppata fino alle ossa. Si rendeva conto a malapena di cose che non fossero la pioggia, la mano di Leopold stretta attorno al suo gomito e le proprie dita serrate sulla bacchetta magica.

Improvvisamente – non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato – se li ritrovarono di fronte. Lo schieramento nemico: file e file di individui incappucciati, immobili sotto la pioggia con le bacchette puntate.

Era il momento. Era veramente giunto il momento.

Per alcuni umidi istanti, l'atmosfera parve sorpresa. Poi dallo schieramento nemico qualcuno lanciò un incantesimo: allora cominciò davvero. Nel giro di pochi secondi si scatenò l'inferno e lei stessa ne faceva parte.

Nel caos generale, udì Leopold dirle qualcosa, ma la sua voce fu coperta dal rumore della pioggia e dalla confusione di voci.

“Cosa?!” gridò di rimando.

Il ragazzo lanciò una fattura prima di voltarsi verso di lei. “Esci con me, Weasley?” urlò più forte.

Del tutto insensatamente, Lucy scoppiò a ridere mentre respingeva con un Incanto Scudo una maledizione lanciata dritta verso di lei. “Ti sembra il momento per dirmelo?!” gridò.

“Era il momento perfetto!” fu la replica urlata.

Lucy non rispose, buttandosi della battaglia con maggiore determinazione.

Dopotutto, adesso aveva un'ulteriore buona ragione per uscirne viva.

 

 

*

 

 

Pochi minuti prima

 

 

“Hugo...”

Nel caos generale, Louis lo trattenne per un braccio. Mentre la folla continuava a scorrere intorno a loro, il cugino lo guardava con aria di estrema gravità. Sebbene fosse persino più alto di lui, Hugo si sentì improvvisamente un ragazzino.

E un perfetto idiota.

“Che c'è?” replicò angosciato, mentre gli Allievi Auror, i professori e gli studenti si precipitavano oltre il portone di quercia, riversandosi nel parco per andare incontro alla battaglia.

“Forse saprai dirmelo tu. Come diamine facevi a sapere dell'attacco?”

Hugo deglutì. “C'è qualcuno... Non so con sicurezza chi sia, anche se ho dei sospetti. Mi manda informazioni. Dall'inizio dell'anno. Ci ho messo un po' per riuscire a decifrare i suoi messaggi, per capire che stava cercando di aiutarmi..:”

Louis annuì grave. “Poi mi spiegherai,” borbottò, scansandosi per permettere ad un gruppo di Allievi di passare. “Ha a che fare con i Doni?”

“I Doni?” Hugo aggrottò le sopracciglia perplesso. “Che cosa c'entrano? Io sapevo solo della Pietra, non–”

Improvvisamente la voce gli si spense in gola: aveva avuto un'idea. O almeno credeva... Forse i Doni erano la chiave di volta. Il pezzo mancante del puzzle, quello che avrebbe risolto ogni cosa.

C'era solo un modo per scoprirlo.

“Devo andare, Lou,” sbottò, divincolandosi per liberare il braccio dalla sua presa.

“Hugo...” cercò di trattenerlo lui, ma alle sue orecchie la voce del cugino si dissolse presto, coperta dal brusio di tutti quei passi e tutte quelle voci.

Hugo procedeva controcorrente rispetto alla massa eterogenea di persone dirette al parco. Si precipitò su per lo scalone di marmo, il fiato in gola, correndo come mai aveva corso nella sua intera vita. Era possibile che la soluzione, ciò che avrebbe chiarito tutto, si trovasse in Biblioteca? In quel luogo in cui da cinque anni passava la maggior parte del proprio tempo, praticamente tutto quello trascorso tra le mura scolastiche?

C'era un che di ironico, doveva ammetterlo.

Sgomitava per farsi largo tra la gente che procedeva con la sua stessa frenesia ma in senso inverso; sembravano non far caso a lui, presi dall'adrenalina e forse dal terrore.

Riconosceva alcune facce familiari dell'ultimo anno di Corvonero e Grifondoro scendere dalle loro Torri, decisi a partecipare alla battaglia. Fiona Beckett gli passò accanto, ravvivandosi i capelli ondulati, bacchetta alla mano: non parve notare la sua presenza.

Provava un curioso senso di libertà a scivolare lungo lo scalone senza che nessuno lo vedesse. Quell'ultimo tassello da ricomporre per chiarire il quadro... Stava a lui trovarlo, solo a lui spettava compiere quella ricerca.

Forse era questo il mio ruolo fin dall'inizio, De Bourgh?

Perché non siamo mai diventati amici? Quella ragazza è un dannato genio.

“Weasley?!”

Sentendosi richiamare, accelerò il passo lungo i gradini marmorei. Non poteva permettere che qualcosa lo distogliesse dal suo obiettivo, giusto?

Weasley!”

Quando la voce divenne un grido fu costretto a voltarsi per non attirare troppo l'attenzione. “Che c'è?!” sbottò rivolto a Herman Hessler, che l'aveva raggiunto – visibilmente a fatica, considerato il fiatone – lì dove si trovava, verso la fine della scalinata.

Per la seconda volta in pochi minuti, ebbe l'impressione che lui e il suo interlocutore fossero le uniche persone immobili in un mare di gente in movimento. Gli parve che il suo stomaco sprofondasse.

“Dove stai andando?” gli chiese l'altro.

Strinse le labbra. “Tu dove stai andando. Sei minorenne, dovresti restare in dormitorio.”

Herman emise uno sbuffo sarcastico. “Cos'è, questa regola vale per tutti tranne che per te? Solo perché sei un Weasley?”

Fu un colpo basso, ma Hugo sapeva che l'altro aveva ragione, perciò non replicò. “Devo andare,” disse invece. “Ho un'ultima cosa da sbrigare, e in fretta.”

Herman parve intuire la gravità della cosa, perché annuì, serio. “Certamente.” Sogghignò. “Ti accompagno.”
Hugo aprì la bocca per replicare. La richiuse una frazione di secondo più tardi, quando capì che qualunque replica sarebbe stata del tutto inutile.

 


 

*

 

Villa Menley, Norfolk

Stessa ora

 

 

Il maniero era una struttura massiccia e complessivamente ben tenuta, sebbene fosse circondato da un giardino incolto. Il che, rifletté Harry, non poteva che esser loro d'aiuto, nel caso ci fosse stata qualche vedetta alle finestre.

Non c'erano barriere di protezione. Erano entrati nel parco senza difficoltà, arrampicandosi sulle basse siepi che lo circondavano; strisciavano cauti tra l'erba alta, le ginocchia affondate nella fanghiglia e la pioggia che tamburellava lieve sulle loro schiene, la bacchetta stretta convulsamente tra le dita.

Procedettero a quella maniera finché non si trovarono a pochi metri appena dall'edificio vero e proprio. Tra il buio e la pioggia che macchiava le lenti dei suoi occhiali, Harry distinse una pianta d'edera inerpicata sul muro, fino ad una finestra con le imposte chiuse, che tuttavia lasciavano filtrare una luminescenza aranciata e traballante, come il fuoco di un caminetto. Si voltò verso Ron e Nott, accennando con il capo in quella direzione.

“Di là,” mormorò.

Ron sollevò la bacchetta magica, muovendo il braccio in un largo semicerchio. “Homenum revelio... La stanza è vuota, ma nell'edificio ci sono almeno una trentina di persone,” dichiarò. “Siamo più o meno pari di numero.”

Harry annuì. “Andiamo.”

Continuarono a strisciare finché non si trovarono sotto la finestra: a quel punto Evocarono delle corde, che utilizzarono per raggiungere il primo piano. Harry fu il primo ad arrampicarsi sino in cima: aprì le imposte e i vetri con un Alohomora e si calò dentro con cautela.

Non si era sbagliato: la stanza era abbastanza piccola e in disuso, a giudicare dai mobili coperti da teli bianchi, con l'eccezione di un divano scoperto e messo davanti al caminetto acceso assieme ad un basso tavolino da tè, dove due tazze attendevano di essere vuotate e qualche mozzicone ancora fumava da un posacenere lasciato lì, tra avanzi di cibo e carte da gioco sparse disordinatamente.

“La stanza è stata abbandonata in fretta,” constatò Harry. “Solo pochi minuti fa.”

“Sono d'accordo,” convenne Hestia, che si era appena lasciata scivolare a propria volta nel piccolo ambiente. “Cosa devono fare le altre squadre?”

“Dite loro di cercare altre entrate e trovare il punto in cui questa gente è corsa d'urgenza. Noi intanto cercheremo i ragazzi.”

Hestia annuì e tornò a scivolare giù dalla finestra per dare l'ordine.

Una volta che fu tornata su, bacchetta alla mano, Harry si diresse verso la porta che costituiva l'unico accesso verso il resto per la casa. La aprì con un calcio e si incamminò in quello che sembrava un lussuoso corridoio dalle pareti coperte di quadri, dove calavano dal soffitto, a intervalli regolari, grossi lampadari impolverati. Al corridoio si affacciavano numerosissime porte: si domandò quale direzione dovessero prendere.

Almeno finché non udì un robusto scoppio provenire da lontano. Ad essere precisi, dal fondo del corridoio, che ai loro occhi appariva affondato nel buio, fuori dal raggio di visibilità dei loro Lumos.

“Lì,” disse semplicemente, per iniziare dunque a procedere in quella direzione; inizialmente camminava con cautela, per poi iniziare ad accelerare il passo man mano che si avvicinavano e che il rumore di scoppi e grida si faceva sempre più forte.

Il corridoio immetteva in una stanza piuttosto piccola, quasi completamente buia. Una piccola rampa di scale conduceva ad un grande portone di legno con inserti metallici: evidentemente quell'ambiente faceva da anticamera ad una sala più grande.

Il portone era socchiuso. Al di là di esso le grida si facevano udire ancora più forti.

Harry non ebbe bisogno di dare l'ordine. Come un sol uomo, anche le due squadre che aveva portato con sé si mossero verso la porta dietro di lui.

Il tragitto da un capo all'altro dell'anticamera non durò che pochi secondi, ma Harry ebbe l'impressione che ogni passo di corsa fosse troppo lento, che occupasse troppo tempo del poco che aveva a disposizione per entrare lì dentro e tirare sua figlia fuori dai pasticci.

 

 

*

 

 

Stentò a crederci quando vide gli Auror irrompere nella stanza, attaccando alle spalle i loro avversari. Sapeva che sarebbero arrivati, presto e tardi, ma non aveva saputo impedire ad una parte di sé di temere segretamente che questo non avvenisse. Che non facessero in tempo a salvarli.

Papà!

Suo padre era lì, zuppo di pioggia e ricoperto di fango. Agitava la bacchetta a destra e a manca, respingendo il contrattacco del nemico e facendosi strada assieme agli altri verso di loro; ogni volta che poteva, sollevava lo sguardo, cercandola con gli occhi per assicurarsi che fosse lì.

Per vedere se sono ancora viva... Cosa devo avergli fatto patire in questi giorni.

Sentiva qualcosa di caldo colarle giù per la fronte. Si asciugò il sangue che sgorgava da un grosso taglio poco sopra il sopracciglio e continuò a lanciare un incantesimo dietro l'altro, mentre Jake gridava tra una formula e l'altra che tra poco sarebbero stati al sicuro, che sarebbe andato tutto bene e che ce l'avevano fatta a salvarli, a salvare Bernie e Christine...

Stupeficium!”

Adesso che erano arrivati i rinforzi, potevano passare al contrattacco: provò un senso di indicibile trionfo nel vedere il primo di quei terribili figuri perdere i sensi per il suo Schiantesimo.

Non sarebbe morta. Nessuno di loro sarebbe morto. Avrebbe fumato la sigaretta che Christine le doveva e sarebbe andato tutto bene... Ancora aveva un futuro davanti. Aveva almeno un milione di cose da fare.

Aveva Jake con cui condividere quel futuro, o almeno così sperava. Aveva un nipote da veder nascere e crescere, dei fratelli a cui voleva bene e dei genitori amorevoli che di lì a poco avrebbe potuto riabbracciare.

Una vita da vivere... Mica male, eh, Lily?

 

 

 

*

 

 

Biblioteca di Hogwarts, Scozia

Durante la battaglia

 

 

Nel buio più completo – con l'eccezione dei circoli luminosi prodotti dalle bacchette accese – i corridoi della Biblioteca apparivano infiniti e tenebrosi. L'odore di polvere si avvertiva con più forza che durante il giorno e il silenzio sembrava raschiare nelle sue orecchie. Rispetto al caos della Sala d'Ingresso, dello scalone di marmo e di parte dei corridoi, tutta quella quiete produsse su Hugo un effetto straniante.

“Sei ancora convinto di voler restare qui?” biascicò rivolgendosi a Herman.

“Ancora convinto,” confermò il Serpeverde in tono piatto.

Hugo inarcò le sopracciglia, perplesso per tutta quell'ostinazione, dunque deglutì e si decise risoluto a cercare di capirci qualcosa. Se solo Lucy fosse stata lì... La cugina aveva ricevuto istruzioni circa l'organizzazione della Biblioteca dalla vecchia Pince in persona.

Decretò che sarebbe comunque stato in grado di cavarsela. Aveva una certa considerazione della propria intelligenza, e inoltre passava lì dentro più tempo della maggior parte degli studenti di Hogwarts. Poteva farcela.

Avrebbe semplicemente bisogno di riflettere. Fu per questo che si lasciò scivolare con la schiena contro uno scaffale fino a sedersi a terra, le gambe piegate di fronte a sé e i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo fisso sulla luce prodotta sulla sua bacchetta.

“Stai bene, Weasley?”

“Certo che sto bene. Ho solo bisogno di pensare.”

“D'accordo.”

Herman si sedette accanto a lui senza dire nient'altro, cosa di cui Hugo gli fu estremamente grato.

Il Proteus. I Doni. Hogwarts. Dovevano avere qualcosa in comune.

Scattò in piedi ed Herman lo guardò perplesso. “Qualche idea?”

Hugo scrollò le spalle. “Non esattamente,” replicò, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. Herman lo ignorò, puntellandosi con i gomiti sullo scaffale per tirarsi su senza il suo aiuto. “Potresti tornarmi utile, Hessler,” proseguì. “Dopotutto, ho almeno una cinquantina di libri da consultare.”

 

 

*

 

 

Villa Menley, Norfolk

Nel frattempo

 

 

Dovettero arrivare anche gli altri Auror prima che avessero la meglio su quella gente, ma alla fine ce l'avevano fatta.

Quando anche la donna dai capelli corti fu messa a tappeto, tutto parve acquietarsi d'un colpo. Nella vasta sala ormai non erano rimaste in piedi che una ventina di persone; riversi al suolo e privi di sensi giacevano tutti i loro avversari e anche parecchi Auror.

L'adrenalina ancora in circolo lo faceva tremare, come sempre dopo una battaglia.

Immediatamente cercò Lily e la trovò dove era rimasta per tutto quel tempo: proprio al centro dell'ambiente, in piedi a formare con gli altri ragazzi un circolo attorno al corpo esanime di uno di loro.

Lily,” esalò in un mugolio strozzato, per poi precipitarsi verso di lei.

“Papà!”

Anche sua figlia corse. Si scontrarono quasi e la strinse forte contro il petto, mentre il sollievo gli gonfiava il cuore come un palloncino; Lily era lì, era viva, era salva.

Sentiva un groppo alla gola. Per la prima volta da anni e anni percepì la figlia singhiozzare senza ritegno, probabilmente per la tensione accumulata, la paura...

“La prossima volta che farai una cosa del genere–” esordì, ma non riuscì a proseguire. Certo, Lily era stata avventata. Era stata folle.

Ma era stata anche coraggiosa e furba e non poteva che essere orgoglioso di lei, non poteva che essere felice che fosse salva. Non era quello il momento di arrabbiarsi.

Anche se una bella punizione non gliela leva nessuno, uhm?

Afferrò le sue spalle e l'allontanò leggermente da sé per verificare le sue condizioni. Del sangue colava da uno spesso taglio sulla fronte, i suoi capelli erano sporchi e arruffati, il suo viso macchiato e le labbra secche e screpolate. Aveva l'aria pallida e smunta di chi da giorni non mangia né dorme decentemente. I suoi vestiti erano spiegazzati e anche vagamente puzzolenti, ma nel complesso sembrava star bene.

Sta bene. Sta bene.

“Scusa, papà,” sbottò Lily con voce arrochita, tra un singhiozzo e l'altro. “Mi dispiace di avervi fatto spaventare da pazzi, tutti quanti... Ma dovevo farlo. Non avevo scelta, non potevo abbandonarli qua...”

“Oh, Lily,” mormorò. “Sei viva, e questo è l'importante.”

Lei annuì, asciugandosi le lacrime che avevano segnato strisce lucide sul viso sporco. Harry dovette allontanarsi da lei per verificare come stessero gli altri, in particolar modo il ragazzo privo di sensi, attorno al quale un gruppetto degli Auror ancora in piedi si stavano già affaccendando per verificarne le condizioni.

“Un Incanto Togli-forze, eh?” udì Ron borbottare mentre si stringeva al petto il braccio destro, che perdeva molto sangue. “... Il secondo che questo ragazzo becca in un anno, non c'è che dire.”

“Non ha nulla da invidiarti, Potter,” commentò Nott quando lo vide avvicinarsi.

In ginocchio accanto a Bernard Bott stava la ragazzina che era stata rapita assieme a lui, Christine De Bourgh. Harry la riconobbe all'istante: aveva imparato a memoria i loro lineamenti, a forza di osservare ossessivamente le foto identificative appese alla base Auror.

Le sue condizioni gli ricordarono quelle di Tamara Graysand al momento del ritrovamento, sebbene la ragazza fosse prigioniera dai catalani da molto meno tempo.

“Signor Potter...” gli si rivolse subito con voce roca. “Starà bene?” accennò con il capo al ragazzo, come se non le interessasse altro.

Harry annuì. “Sì,” mormorò. “Starà bene.”

Christine De Bourgh sorrise. “Ah...” la sua voce si fece più flebile. “Molto bene...”

Le sue parole si dissolsero e i suoi occhi si chiusero mentre si accasciava accanto alla figura priva di sensi di Bernard Boot, evidentemente troppo priva di forze per restare ancora sveglia.

“Molto bene,” ripeté Harry tra sé. “Al San Mungo.” Decretò poi. “Tutti e quattro.”

 

 

*

 

 

Lily non credeva di essere così sensibile agli abbracci.

Quando suo padre l'aveva stretta era scoppiata a piangere senza remore, con tanto di singhiozzi rumorosi e naso che colava, come le succedeva solo da bambina. Adesso che era avvolta tra le braccia di Jake – a propria volta stringendolo così forte da rischiare di incrinargli qualche costola – dopo solo una breve tregua aveva ripreso a singhiozzare furiosamente.

Dannazione, se è così che reagisco alla tensione si capisce perché non ne faccio spesso, di queste cose.

Il suo volto era affondato nell'incavo della spalla di Jake e le sue braccia circondavano il suo torace. Erano entrambi sporchi, insanguinati e probabilmente anche puzzolenti, ma non importava... Adesso erano salvi. Salvi.

Non l'aveva ancora realizzato del tutto, ma aveva l'impressione che quando l'avesse fatto avrebbe anche cominciato a gridare in preda all'euforia.

Sono viva!

“Lily...” mormorò Jake contro il suo orecchio. “Ce l'hai fatta. Avevi ragione.”

“No, ti sbagli,” riuscì a dire lei tirando su col naso e sollevando la testa per guardarlo negli occhi. “Ce l'abbiamo fatta. Ed era Christine ad avere ragione, anche se...”

“Sì, la voglio strozzare anche io. Non so come si possa essere al tempo stesso così intelligenti e così stupidi.”

Lily scoppiò a ridere in mezzo alle lacrime.

Si sentiva bene.

 

*

 

 

Biblioteca di Hogwarts, Scozia

Tre quarti d'ora, venticinque libri diversi e quattro ipotesi surreali dopo

 

 

La risposta arrivò dopo tre quarti d'ora, venticinque libri diversi e quattro ipotesi abbastanza surreali da parte di Hessler, almeno secondo Hugo. Dopo aver consultato libri di Trasfigurazione, Incantesimi, Pozioni e persino Erbologia, si era ritrovato tra le mani un tomo spesso milleduecento pagine di Aritmanzia Comparata.

Consultando l'indice analitico si era reso conto che ben due delle parole che cercava – Doni della Morte e Incanto Proteus – riconducevano ad un'unica pagina. Il cuore in gola, aveva sfogliato le pagine sino ad arrivare a quella giusta. Herman, accortosi per qualche ragione che era arrivato il momento cruciale, si era posto accanto a lui, posandogli una mano sulla spalla. Hugo era troppo concentrato; a malapena se ne rese conto e non si scostò come avrebbe fatto normalmente.

“Ecco qui...” mormorò tra sé. “È solo un riferimento a qualcosa di cui non parla apertamente... La predizione di un Aritmante del secolo scorso, Sir Artemis Audrey. Sembra che abbia rintracciato in base a calcoli numerici la localizzazione di un oggetto magico di enorme potenza... Senti qua, Hessler,” si schiarì la voce. “... Grazie ai suoi calcoli aritmantici Sir Audrey seppe ricostruire il percorso storico del Catalizzatore, leggendario congegno in grado di guidare e raccogliere la magia stessa a suo piacimento. Per compiere il sortilegio permesso dal Catalizzatore la formula dev'essere pronunciata su di un suolo dall'intensa e antica carica magica, con l'ausilio di potenti oggetti come la Pietra Filosofale o i mitici Doni della Morte.” Hugo dovette interrompersi, poiché uno strozzato mugolio d'orrore era risalito automaticamente per le sue corde vocali. “Hai capito, Hessler?” sbottò, rivolgendosi al suo interlocutore come avrebbe fatto con se stesso. “Hogwarts è un posto intriso di carica magica vecchia mille anni. E loro hanno i Doni. Capisci?!

Herman annuì, prima di strappargli il libro dalle mani. “Finisci di leggere, Weasley.” Indicò il foglio. “Qui c'è scritto che nel luogo preciso che si sceglie di destinare all'incantesimo vanno compiuti nel corso dei mesi precedenti determinati incantesimi...”

Hugo si riprese il libro. “Nel luogo destinato al sortilegio,” lesse ad alta voce, “è necessario apporre, almeno due mesi prima del giorno prefisso, un Sigillo di Legame che renda immutabile il terreno per prepararlo alla magia. Naturalmente per fare questo debbono essere annullati tutti gli Incanti di Legame eventualmente imposti in precedenza.

Posò il libro sull'apposito spazio a ridosso della libreria, per poi sollevare lo sguardo su Herman. Sul suo volto riconobbe la propria espressione agghiacciata; si sentiva atterrito, terrificato.

In effetti, adesso tutto cominciava a tornare.

Naturalmente il loro nemico, chiunque fosse, si era occupato di impadronirsi dei Doni, venendo a sapere grazie a Georgia Menley che la Pietra fosse in possesso di Lysander Scamandro... Le intrusioni a Hogwarts dei mesi precedenti erano serviti ad apporre quel Sigillo di Legame, per il quale era stato necessario annullare il Proteus dei galeoni di Gossip Witch. Gli attacchi a Hogwarts e i problemi al Ministero erano probabilmente stati null'altro che diversivi per distogliere l'attenzione degli Auror dal castello.

Non c'erano altre spiegazioni.

Ma dove...

“Hessler!” agguantò l'altro per il braccio. “Ho capito, dannazione. La tomba di Silente! Quell'area è recintata da mesi... Ho visto anche degli Spezzaincantesimi cercare di lavorarci. E il gruppo di Auror di mio cugino! Sono qui da Natale.”

Affondò il volto tra le mani. Il suo cervello era in fermento.

Dopo mesi e mesi di infinite domande e nessuna risposta, finalmente era giunto alla verità. Ma non era soddisfazione quella che provava: semplicemente, la sua angoscia si era dissolta. Provava un vago senso di esaltazione ed era perfettamente in grado di rendersi conto del perché: adesso sapeva cosa fosse necessario fare per interrompere tutta quella follia.

Aveva scoperto l'unica soluzione possibile: niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo.

Si voltò verso Hessler, ma l'altro non gli lasciò il tempo di aprir bocca.

“Prima che parli: se quello che vuoi dirmi è di restare qui, la risposta è no.” Lo guardò inflessibile. “Verrò con te.”

 

 

*

 

Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche

(Londra)

 

 

Lily non aveva potuto fare a meno di gettarsi sul cibo con tutte le scarse energie che le erano rimaste, e così Jake, al suo fianco. Dopo un breve controllo, una doccia e una bella dose di Unguento Cicatrizzante sulla fronte, suo padre e un suo collega Auror li avevano accompagnati alla caffetteria del San Mungo.

L'altro Auror – Nott? Le pareva si chiamasse così – sembrava conoscere Jake molto bene, dal momento che si erano parlati con una certa familiarità. Tuttavia, veva deciso di rimandare le spiegazioni non appena si era vista depositare di fronte un toast al formaggio e un succo di zucca. A quel punto, dopo aver spazzolato tutto in pochi secondi, ne aveva chiesto ancora.

Al terzo toast, finalmente sazia, si era abbandonata contro lo schienale della sedia di plastica, mentre i suoi occhi cominciavano a chiudersi. Suo padre si alzò per andare a pagare, accompagnato dal collega: finalmente, lei e Jake restavano soli per qualche secondo.

“Come ti senti?” le domandò il ragazzo, poggiando la mano sulla sua sopra la superficie del tavolo.

“Stanca morta,” replicò Lily, scansandosi dalla fronte una ciocca ribelle. “E tu?”

Jake non rispose. Si limitò ad accarezzarle lentamente la mano, per poi sollevare di scatto gli occhi sul suo volto e gettarle un'occhiata penetrante. “Ti ho mai detto che sono innamorato di te, Lily Potter?”

“Solo qualche volta,” scherzò lei in una scrollata di spalle. “Sono contenta che siamo vivi.”

 

Due piani e un corridoio più in là, in una stanza dietro una porta chiusa, Bernard Boot stava riaprendo gli occhi.

Per alcuni istanti, gli parve di rivivere qualcosa di già visto. Apriva lentamente gli occhi dopo aver perso i sensi e subito vedeva Christine, con il volto smagrito e coperto di lividi e i capelli scarmigliati che piovevano in una massa nerastra sulle spalle.

“... Christine?” esalò. “Dove siamo?”

“Al San Mungo,” rispose lei con espressione sollevata. “Hai sete?”

Bernie si rese conto di averne. “Sì,” riuscì a sillabare raschiante. Christine gli versò un bicchier d'acqua dalla brocca che era posta sul comodino.

“Bevi piano,” si raccomandò. Bernie fu felice che gliel'avesse detto: era talmente assetato che senza il suo avvertimento avrebbe bevuto avidamente un bicchiere dietro l'altro, rischiando una congestione.

Finito di bere, rimase a osservare la ragazza per qualche istante, come incantato.

Christine ricambiò il suo sguardo e Bernie si accorse di non aver mai visto i suoi occhi così, prima di quel momento. Sembravano più grandi del solito ed erano curiosamente privi di barriere, liberi da ogni maschera. Onesti, spogliati, senza più nulla da nascondere. Senza più nulla da combattere.

“Christine...” ripeté, ma la sua voce si spense.

Lei sorrise e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Bernie sentì i propri fare lo stesso e seppe di cosa si trattava: sollievo. Gioia.

Gli accarezzò il volto con delicatezza. “Lo so, Bernard,” sorrise ancora. “È finita adesso. Siamo vivi.”

 

 

*

 

Parco di Hogwarts, Scozia

Nel mezzo di un gran casino

 

 

La battaglia infuriava attorno a lei.

Si difendeva e contrattaccava come meglio poteva, lanciando un incantesimo dietro l'altro in tutta quella confusione. Non sapeva di preciso cosa l'avesse spinta a partecipare. Tutti – i ragazzi, i professori, Scorpius – le avevano detto di pensarci, le avevano chiesto se davvero se la sentisse. Lei aveva solo saputo rispondere che , se la sentiva, e , avrebbe combattuto come tutti gli altri.

Quel barlume di memoria che le aveva permesso di compiere l'incanto per mandare la bacchetta a Bernard Boot era bastato a far sì che si rendesse conto che era effettivamente quella Rose che tutti cercavano continuamente in lei. Aveva deciso di combattere perché lo doveva a lei e anche perché lo doveva a se stessa.

Sono una persona vera. Esisto realmente.

Lanciò uno Schiantesimo contro una figura incappucciata prima che questa avesse il tempo di scagliarle contro qualche maledizione: la fattura andò a segno e l'avversario cadde riverso al suolo. Si voltò rapidamente per vedere se aveva qualcuno alle spalle, e allora... Allora la vide.

Vide una ragazza dai capelli scuri sgattaiolare nella folla in battaglia e la riconobbe all'istante. I ricordi si riversarono nella sua mente improvvisi, senza controllo.

 

Christine?”

Nell'udire la sua voce, la ragazza dai capelli scuri si era voltata, ai piedi della collina, e allora Rose aveva saputo che non si trattava di Christine.

Georgia Menley aveva sogghignato nella sua direzione. “Ti aspettavo, Rose,” aveva detto, prima di puntarle contro la bacchetta.

Allora era diventato tutto nero.

 

Ricordò ogni cosa. Ricordò chi era, ricordò tutti gli eventi degli ultimi mesi e anche quelli precedenti: ricordò ogni istante dei suoi diciassette anni di vita.

“Rose?”

Si voltò verso Scorpius, che si era fatto strada nella battaglia sino a raggiungerla. Vide il suo viso, i capelli biondi madidi di pioggia attaccati alla fronte. Improvvisamente, tutti i sentimenti che provava per lui riaffiorarono. Seppe di essere innamorata di lui e di aver avuto a malapena il tempo di dirglielo, prima di perdere la memoria.

Allora si precipitò verso Scorpius. Poteva essere la sua ultima occasione di farlo, quindi non si trattenne dall'afferrarlo per la collottola e premere le labbra sulle sue.

Da come la guardò una volta che si furono allontanati, seppe che aveva capito.

“Vedi di non farti ammazzare, Scorpius Malfoy,” gli gridò nella confusione, prima di mettersi schiena contro schiena con lui e ricominciare a combattere.

“Ti amo anche io,” lo udì dire.

Nel frattempo, la battaglia continuava.

 

 

*

 

 

 

Parco di Hogwarts, Scozia

Nel momento peggiore per Hugo

 

 

Hugo scoprì che scivolare in mezzo alla battaglia era assai più facile di quanto pensasse. Certo, doveva respingere di tanto in tanto lampi di luce colorata, ma assieme ad Herman stava scivolando così rapidamente lungo il crinale della collina da non lasciare a nessuno il tempo di coinvolgerlo in un duello vero e proprio.

In fondo alla collina, al di là del Lago, la tomba bianchissima di Albus Silente sembrava quasi rilucere nel buio, spiccando tra le chiome dei grandi alberi che la circondavano. Era visibile anche la recinzione che la circondava.

Accelerò il passo, arrancando sotto la pioggia in quella fanghiglia esasperante, finché non arrivo a correre, bacchetta alla mano, in una disperata lotta contro il tempo. Nel buio esplodevano i lampi coloratissimi degli incantesimi, come un selvaggio scontro di mortuari fuochi d'artificio.

Herman arrancava alle sue calcagna; finalmente, dopo aver corso attorno ad una porzione del Lago, giunsero in prossimità della candida lapide... In tempo per osservare un piccolo gruppo di persone avvicinarsi di soppiatto, con in testa un uomo dalla barba scarmigliata, che sorreggeva tra le mani un mantello dal tessuto argenteo simile alla superficie del lago quando la accarezzava la luce della luna. Sopra il Mantello dell'Invisibilità erano poggiati una bacchetta magica e una pietra scura tondeggiante, graffiata sui lati, che Hugo conosceva assai bene.

Dannazione!

L'uomo aveva iniziato a parlare in una lingua che Hugo non conosceva.

I secondi scorrevano pulsanti come i battiti di un cuore gigantesco. La sua mente prese a lavorare febbrilmente... Cosa doveva fare? Che cosa avrebbe fatto lo zio Harry al suo posto?

Improvvisamente lo seppe. Per impedire a quell'uomo di utilizzare il Catalizzatore poteva strappargli di mano i Doni... E c'era solo un modo per farlo.

Richiese un ultimo sforzo alle sue gambe, accelerando la corsa per fiondarsi nella recinzione. Il magro gruppo di persone che sostava dall'altro lato della tomba sollevarono lo sguardo su di lui, ma Hugo non lasciò loro il tempo di reagire.

Expelliarmus!” gridò, e il suo cuore si gonfiò come un palloncino nel vedere i Doni della Morte sollevarsi di scatto dalle mani dell'uomo e volare precipitosamente verso di lui.

Li afferrò, lasciando cadere la propria bacchetta per stringere le dita della mano destra attorno a quella di Sambuco.

Stupeficium!”

Dopotutto doveva esserci una ragione, se quella era la bacchetta più potente. Il suo Schiantesimo parve comprendere l'intero gruppo di persone vestite di nero, che nel giro di pochi secondi crollarono al suolo, prive di sensi, sotto gli occhi stupefatti di Herman, che l'aveva raggiunto proprio in quel momento. Un boato sembrò aggredire le orecchie di Hugo, per poi dileguarsi, lasciando spazio alla voce dell'altro

“Weasley?!” lo udì esclamare stupefatto.

Fece in tempo a sorridere tra sé, prima di percepire le proprie energie prosciugarsi e accasciarsi al suolo, svenuto.

 

 

 

*

 

 

Infermieria di Hogwarts, Scozia

Due settimane più tardi

 

 

Quando aprì gli occhi, la sua prima sensazione fu il bianco.

Gli sembrava che la sua vista fosse inondata da un candore estremo e morbido, che lo cullava. Poco a poco, iniziò a mettere a fuoco ciò che aveva di fronte. Distinse il profilo morbido delle lenzuola, che disegnavano pieghe strane sul suo corpo. Notò i raggi del sole che facevano capolino dalla finestra dell'Infermieria: doveva essere mattina, a giudicare dalla luminosità dorata e fresca.

Si sentiva curiosamente rinvigorito, come non gli accadeva da... Beh, non avrebbe saputo dire da quando. Non aveva idea del perché si trovasse in Infermieria, né di come mai si sentisse così leggero.

Almeno finché non iniziò a ricostruire gli ultimi eventi.

Allora scattò a sedere.

“Ben svegliato,” disse una voce meravigliosamente familiare. “Era ora, Hughie.”

“Lily?!”

Non riusciva a crederci, ma appollaiata ai piedi del letto c'era proprio la cugina, intenta a giocherellare con uno dei suoi accendini vecchio stile. “L'unica e sola,” la udì replicare con fare da primadonna.

Sogghignò. “Vedi di non dar fuoco all'Infermieria.”

Lily scrollò le spalle, ma ripose l'accendino in tasca. Il sole inondava la sua figura, facendo risplendere i suoi lunghi capelli di bagliori rossastri. Hugo si perse per qualche secondo a osservarla con estremo sollievo: aveva sinceramente temuto di non rivederla mai più, e averla di fronte...

“Ti voglio bene, lo sai?”

Lily fece una smorfia che lo fece pentire di aver parlato. “Mi sa che dormire troppo non ti fa bene se diventi così mieloso.”

Roteò gli occhi. “Perché, ho dormito molto?”

“Due settimane.”

“Ah.” Tornò a poggiare le spalle sul cuscino. Poi realizzò: “Che cosa?!

Lily sorrise sardonica. “Due settimane,” ripeté. “Secondo Rose hai deciso di recuperare in una volta tutte le ore di sonno perse quest'anno.”

Hugo aggrottò le sopracciglia, perplesso. “Rose?”

La cugina sbarrò gli occhi. “È vero! Non lo sai.” Sorrise. “Rose ha recuperato la memoria. Tutta la memoria. Dovrebbe arrivare da un momento all'altro...” gettò uno sguardo all'orologio da polso.

Il suo cuore si gonfiò di felicità come un palloncino. Per evitare che Lily scorgesse i suoi occhi lucidi di commozione, Hugo voltò lo sguardo dall'altra parte, per scoprire un cumulo enorme di dolci sul carrello dell'Infermieria. Il suo stomaco brontolò sonoramente.

“Quelli...” esordì esitante.

“Sì, Hugo,” sorrise furbesca la cugina. “Sono tutti tuoi.”

Non se lo fece dire due volte e recuperò il braccio per agguantare una manciata di Cioccorane, qualche Zuccotto di Zucca e una tavoletta di Cioccolata Deluxe di Mielandia. Iniziò a mangiare spargendo briciole e cartacce sulle lenzuola candide, condividendo il cioccolato con Lily come avevano sempre fatto.

“Che altro mi sono perso?”

“Non parlare con la bocca piena.”

Lily.

La cugina sbuffò. “Vediamo... Al si è messo con Quinn Baston. Christine e Boot sono decisamente vivi e vegeti, a quanto pare, visto che si appartano continuamente. Poi... vediamo. Ah, sì,” si incupì. “Siamo in punizione, Hughie. Tutti quanti.”

Quasi si strozzò con una Cioccorana. “Stai scherzando?”

“Affatto.” Lily fece spallucce. “Anzi, reputati fortunato ad aver già scontato un paio di settimane in Infermieria mentre noi sgobbavamo. Hanno deciso di abbonartele.”

“E la battaglia?” mormorò. “Ci sono stati...”

Lily sorrise. “Dalla nostra parte nessuna vittima. Un'infinità di feriti, ovviamente, ma stanno tutti bene, apparte alcuni che hanno perso la memoria come era successo a Rose... Ma al San Mungo dicono che riusciranno a rimettersi.”

Sollevato, finì di sgranocchiare uno Zuccotto e appallottolò la carta stagnola che lo ricopriva.

Non riusciva a credere che fosse tutto finito, che veramente adesso andasse tutto bene. Forse perché c'era ancora un'ultima cosa da chiarire. Una volta uscito dall'Infermieria, avrebbe scambiato quattro chiacchiere con Christine De Bourgh riguardo alla questione delle carte, decise.

Nel frattempo, tuttavia, poteva godersi la presenza di Lily e il fatto che fosse viva. Che ci fosse ancora.

Non pensò ad altro mentre si sporgeva ad abbracciarla.

 

 

 

 

 


 

Note dell'Autrice

 

Mi sento un po' depressa perché è il penultimo capitolo... Ma pazienza! Rimandiamo i discorsi strappalacrime al prossimo e all'epilogo.

Anyway, sono fiera di me per essere riuscita a pubblicare in tempi se non buoni perlomeno decenti. Vi ringrazio infinitamente e spero che questo capitolo vi piacerà – non sono un granchè nelle scene d'azione, spero di non aver fatto un pasticcio.

Avrete notato che è più breve del solito, ma avevo bisogno di rapidità per le scene della battaglia (spero che si noti l'effetto “visivo” che ho cercato di creare).

Detto ciò... Ci vediamo al prossimo capitolo!
Un bacione

Daph

 

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Capitolo 42
*** Capitolo 41 - Ritorno alla normalità ***


A tutti quelli che sono ancora qui a leggere.

 

 

23 maggio 2022

Londra, Inghilterra

h 2:03 AM

 

In un giorno di maggio, James Sirius Potter fu svegliato bruscamente alle prime ore del mattino dalla sua fidanzata, che lo scuoteva forte premendo le mani sul pancione.

“Credo sia ora, Jamie!”

“Chiamo subito il San Mungo.”

Alcune ore più tardi, nel reparto maternità dell'Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche, era venuta al mondo una bambina con qualche capello rosso sulla testa e un violaceo visino raggrinzito.

“È identica a te quando sei nato,” osservò estatica Ginny rivolta al figlio maggiore, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla nipotina.

“Tocca a me,” dichiarò Lily, togliendole delicatamente – ma anche con una certa decisione – la neonata dalle braccia. “Ciao, piccola,” sussurrò, soffiando leggermente sul suo minuscolo naso. “Anche se adesso sembri una ranocchia diventerai più carina, non preoccuparti.”

Ginny roteò gli occhi, ma James sorrideva e così Grace, che ancora stremata dal parto li osservava adagiata sui cuscini, attraverso le palpebre socchiuse.

“Vuoi prenderla in braccio anche tu, Al?” chiese Lily al fratello, sogghignando.

Albus, che fissava adorante la bimba, gli occhi verdi spalancati, apparve improvvisamente terrificato. “Oh, n-no,” disse impacciato. “Ho paura di... romperla, o qualcosa del genere.”

Harry, in piedi accanto al figlio di mezzo, sembrava dello stesso avviso. Ginny sbuffò tra sé.

Potter. Quando mai impareranno a gestire le emozioni?

“Non fare l'idiota, Harry,” borbottò. “Hai avuto tre figli, dico io.”

L'Auror si ritrovò costretto ad assentire mentre Grace rideva e Lily gli porgeva la bambina con aria di chi non ammette replica, un sopracciglio inarcato. Ginny si scambiò un ghigno con la figlia, mentre Albus lanciava loro un'occhiataccia e il sorriso di James si faceva sempre più largo.

Harry accomodò la bambina sulle braccia, osservando come apriva e chiudeva lentamente le dita dalle unghie simili a piccole conchiglie rosate. I suoi occhi verdi si soffermarono sulle orecchie, minuscole e perfette.

Più rilassato, sorrise.

“Benvenuta, piccola Clara.”

Ginny sentì il cuore scaldarsi, mentre osservava quella scena che le ricordava il momento in cui erano venuti al mondo i suoi figli: il coscienzioso James, quel combinaguai di Albus, e poi Lily, la sua meravigliosa bambina ficcanaso, che sfoggiava sempre quel suo sorrisetto furbo...

Le parve che gli eventi degli ultimi mesi fossero incredibilmente lontani. Ancora non riusciva a credere che si era sfuggiti per un pelo ad una terza guerra magica e che, da bravi Potter, i suoi figli ci fossero finiti in mezzo. Che Lily fosse stata tanto in pericolo.

Ma d'altronde avrei dovuto saperlo quando mi sono messa con Harry, giusto? Se i Potter non cercano guai...

Si ritrovò a sorridere tra sé, felice. Dopotutto, adesso era tutto finito, e non restava che osservare la piccola Clara, che adesso aveva dato a intendere con un robusto lamento di voler tornare tra le braccia della sua mamma. Ginny sorrise ancora, pensando a quanto, forse più ancora di Jamie, le ricordasse la sua Lily, che appena nata già si dava da fare per far capire ai grandi quello che voleva.

Beh, Grace e James ne avranno di filo da torcere!

 

 

*

 

 

Un piano più sotto, Louis Weasley schiuse con cautela la porta di una stanza privata, infilandosi al suo interno.

Il piccolo ambiente era rischiarato dai raggi del sole primaverile che trapelavano oltre le tendine bianche e dalla luminescenza asettica dei globi illuminati. Lo sguardo del giovane si posò sull'unico letto presente nella stanza, dove giaceva un uomo dalla corporatura massiccia, con i corti capelli neri che accarezzavano il cuscino e il volto riverso, profondamente addormentato.

Di spalle alla porta, su una poltroncina posta di fianco al letto, una ragazza dormiva a propria volta, raggomitolata con le ginocchia strette tra le braccia. La luce fredda dei globi faceva apparire i suoi capelli biondi quasi verdognoli.

Louis ingoiò un sospiro e strinse le labbra, avvicinandosi a lei con passo felpato per non svegliare Marcus. Una volta giunto a propria volta accanto al letto, strinse la spalla di Holly, scuotendola leggermente.

La ragazza si ridestò con un lieve sussulto, che lui percepì distintamente sotto le dita. Sollevò su di lui gli occhi ancora cisposi di sonno. “Louis...” sussurrò rauca, per poi schiarirsi piano la voce.

“Ciao, Holly,” replicò in un mormorio.

Lei sorrise a stento, prima di rivolgere un breve sguardo alla sagoma addormentata di Marcus.

“Oggi è nata la figlia di James,” fece Louis. “Clara.”

Il volto di Holly si illuminò del primo, vero sorriso che le vedeva in volto da oltre un mese. “Finalmente una buona notizia,” disse infatti. “Congratulazioni!”

Louis ridacchiò. “Dovresti farle a James: è sua figlia, non la mia.” Mise su un'espressione pensosa. “Anche se a dire il vero potrei aver prodotto prole illegittima senza saperlo.”

Holly si imporporò in volto e abbassò gli occhi. “Non fare l'idiota.”

“È nella mia natura, dolcezza. Non posso farci niente.”

La vide roteare gli occhi e qualcosa si rimestò dolorosamente nel suo stomaco.

Nel sonno, Marcus emise un sospiro lieve e voltò il capo dall'altra parte.

“Non ci sono cambiamenti, vero?” mormorò.

“Nessuna novità,” confermò Holly, improvvisamente rattristata. “Quasi tutte le altre vittime sono in via di recupero, o perlomeno iniziano ad avere barlumi di memoria. Lui invece niente: il massimo che sono riuscita a ottenere è stata una smorfia quando gli ho sventolato la sciarpa di Grifondoro sotto il naso... Ma non sono certa che sia dovuto a un ricordo. Magari gli ha solo dato fastidio.”

Louis, che in tutto quel tempo non aveva tolto le dita dalla sua spalla, la strinse appena. La mano di Holly si sollevò per posarsi sulla sua, avvolgendolo in una calda stretta.

“Che cosa farai?” le chiese.

Lei scrollò le spalle. “Tra pochi giorni lo dimetteranno... Non ha recuperato la memoria ma la sua salute è stabile. Tornerà nel suo appartamento a Londra...” deglutì.

Louis capì che c'era dell'altro in quella frase lasciata in sospeso. “Immagino che non possa stare da solo,” buttò lì, mentre il suo cuore sprofondava. Sapeva già quale sarebbe stata la risposta.

“No, non può,” convenne Holly. “Naturalmente è in grado di fare tutto, ma la mancanza di memoria potrebbe farlo sentire... spaesato. Il Guaritore Canon dice che è troppo rischioso.” Sollevò lo sguardo su di lui: i suoi occhi erano lucidi e seri; tra di loro passò un torrente di parole non dette. “Andrò io con lui.”

Annuì in silenzio, per nulla sorpreso, anche se avrebbe desiderato esserlo. “Verrò a trovarvi,” promise istintivamente. “Anche tutti i giorni, se avrò tempo. Magari lo aiuterà... Forse potrà ricordare i vecchi tempi.”

Holly sorrise. “Forse,” rispose, guardandolo dritto negli occhi. “Te ne sarei molto grata, Lou.”

Sai quanto tengo a te, completò Louis per lei, felice che non l'avesse detto a voce alta.

Era la fine, dopotutto. E non c'era modo di sapere cosa sarebbe successo se le cose fossero andate in modo diverso... Se la mente di Marcus non fosse stata Oscurata.

I Guaritori hanno detto che comunque è reversibile...

Ingoiò quell'ultimo moto di speranza. In fondo, da qualche parte dentro di sé, aveva sempre saputo quale sarebbe stata la scelta di Holly. Così come la conosceva abbastanza da sapere che non sarebbe tornata indietro.

“Adesso devo andare al lavoro,” biascicò, il cuore dolente. Non desiderava prolungare oltre quel colloquio: era cosciente che sarebbe stata solo un'inutile agonia.

Holly si alzò per salutarlo e lui la strinse tra le braccia, affondando il volto nei suoi morbidi capelli biondi. Non seppe trattenere l'impulso di sollevarle il mento e posare le labbra sulle sue.

Lei ricambiò quel breve, ultimo bacio. Ancora una volta si erano capiti senza bisogno di parole.

“Ci vediamo presto, Holly,” promise Louis prima di lasciare la stanza.

 

 

*

 

 

23 maggio 2022

Sala dei Trofei, Hogwarts (Scozia)

Dopo cena

 

“Bentornata, piccola Potter.”

“Ciao, Christine.”

“Potresti anche risparmiarti quell'espressione funerea ogni volta che mi vedi.”

Lily roteò gli occhi e scoppiò a ridere. “Mi riesce difficile evitarlo, visto che stiamo in punizione insieme.”

L'altra sollevò a propria volta gli occhi al cielo, prima di precederla nella penombra della Sala dei Trofei, con i riccioli bruni che sobbalzavano sulle spalle a ritmo col suo passo.

Dopo due mesi passati a lucidare e scrostare targhe, coppe e medaglie spalla a spalla con Christine De Bourgh quattro sere a settimana con mezzi rigorosamente non magici, Lily pensava di essere stata punita abbastanza. Naturalmente nella brillante idea dei professori di distribuirli in coppie a smaltire il castigo, non solo le era toccato il compito più noioso, ma anche di adempierlo in compagnia di quella pazza.

Certo, non poteva lamentarsi più di tanto – dopotutto a Boot e Lucy era toccato di pulire dai vermi il fegato di drago, giù nei sotterranei – ma neanche faceva salti di gioia, ecco.

Tuttavia, e non lo avrebbe mai ammesso, neanche con una bacchetta puntata alla tempia, si rendeva conto che tra lei e Christine quella che era stata una sorta di alleanza si stava trasformando in qualcosa di fin troppo simile ad un'amicizia... e neanche le dispiaceva più di tanto.

Dopo la baraonda di quella stancante, meravigliosa giornata, lei e Albus erano tornati a Hogwarts in tempo per la loro punizione. Come aveva detto sua madre, dopotutto Harry non era riuscito a sgridarli a dovere perché si sarebbe sentito un po' ipocrita, con tutte le cose che aveva combinato ai tempi della scuola, ma dovevano subire quel castigo fino all'ultimo.

E di certo non mi dimenticherò presto di queste dannate targhe.

Prendendo dalle mani di Gazza solventi, aceto, lucido per ottone e stracci puzzolenti, si scambiò con Christine uno sguardo rassegnato, seppur con il consolante pensiero che quella sarebbe stata la loro ultima punizione.

Il custode le guardò sogghignando, porgendo loro la mano. “Bacchette, prego,” sibilò astioso. “Che a voi sudicie mocciose non venga in mente di usare la magia...”

Lily ingoiò il rospo e gli porse la bacchetta; Christine fece lo stesso. Gazza chiuse la porta della Sala dei Trofei: udirono i suoi passi e il miagolio della sua insopportabile gatta allontanarsi lungo il corridoio.

Sospirò. “Dai, mettiamoci al lavoro.”

Osservò sconsolata le lunghe file di medaglie, chiedendosi per l'ennesima volta come diamine facessero a incrostarsi di tutto quel sudiciume in soli due giorni.

“Devono essere stregati,” borbottò Christine, neanche le avesse letto nel pensiero, prima di dirigersi con decisione verso una grossa coppa ricoperta di polvere, armata di stracci e detersivo.

Lily iniziò a dedicarsi subito alla sua targa preferita, quella dedicata a suo padre e a zio Ron per aver ucciso un basilisco e salvato una studentessa dalla Camera dei Segreti...

Tre ore più tardi, medaglie, targhe e coppe rilucevano splendenti alla fiamma traballante delle candele. Fuori dalla finestra spalancata, era calata una notte particolarmente serena: il cielo blu scuro era punteggiato di stelle e la luna crescente si specchiava sulla superficie del lago, lievemente increspata dal vento.

Christine, dopo aver finito di lucidare la Coppa del Quidditch, aveva allungato verso Lily un pacchetto di sigarette. “Non te ne dovevo una, Potter?”

Senza nascondere il sorriso che le stava affiorando alle labbra, Lily se n'era accesa una e così aveva fatto Christine, e adesso fumavano presso la finestra, lasciando che l'aria notturna assorbisse volute di fumo grigiastro. Come quella volta nel bagno delle ragazze al secondo piano – le sembrava che fosse trascorsa una vita – se ne stavano appoggiate al davanzale, Christine di spalle e Lily rivolta verso il panorama notturno che si allargava sotto di loro, con i lumicini di Hogsmeade visibili in lontananza.

Lily inspirò una boccata di fumo che si fece poi scivolare tra i denti. “Adesso è davvero finita, giusto?” mormorò soprappensiero.

Christine le sorrise enigmatica, con un brillio fugace negli occhi scuri. “Sembra di sì,” rispose lentamente.

Lei lasciò che il proprio sguardo scivolasse sul cielo scuro prima di parlare di nuovo. Prima di porre la domanda che l'assillava da due mesi a quella parte. “Christine, perché hai fatto il Proteus sui galeoni di Gossip Witch? Su tutto il resto ho trovato delle spiegazioni, ma questo...” la voce le si spense in gola.

L'altra si prese qualche attimo di silenzio, prima di rispondere – attimi in cui Lily non le tolse lo sguardo di dosso neanche per un millesimo di secondo, studiando le sue reazioni.

“Ti sorprenderà,” disse poi Christine, “ma la risposta è abbastanza semplice.” Sollevò lo sguardo su di lei. “Georgia Menley è la mia sorellastra. Sono... imparentata con la sua famiglia, abbiamo lo stesso padre.”

Tra tutte le risposte possibili che Lily aveva contemplato, questa non le era mai passata neanche per l'anticamera del cervello. Tuttavia, adesso che lo sapeva molte cose le erano più chiare. La somiglianza fisica di Christine e Georgia, ad esempio. Certi aspetti pressoché identici del loro carattere.

Tuttavia... Tuttavia non aveva ancora ottenuto una reale risposta.

“D'accordo.” Mormorò. “Mi hai sorpresa... Ma perché?”

L'altra fece spallucce. “Sono illegittima. Prima di sposare la madre di Georgia e Anthony, mio padre era fidanzato con mia madre. So che è una cosa stupida, ma... Beh, Georgia mi conosce da sempre, perché passavo con loro le vacanze, anche se pensavano fossi una lontana cugina. Abbiamo scoperto la verità quando ero al quarto anno. Lì per lì mi era sembrata una cosa gravissima e vergognosa... Georgia era andata su tutte le furie.”

Lily credeva di aver capito. “Dunque ti ha minacciata di dirlo a tutti se non l'avessi aiutata con i galeoni.”

In effetti tutto tornava: Gossip Witch aveva iniziato a diffondere i suoi messaggi proprio nel gennaio di quell'anno... Esordendo con una notizia su Rose, come Lily ricordava fin troppo bene.

“Esatto.” Christine fece spallucce. “Ma è acqua passata e Georgia si è rivelata anche più stupida di quanto credessi.”

Lily roteò gli occhi. “Dev'essere una cosa di famiglia, questa di progettare piani geniali, complicatissimi e con una percentuale di possibile riuscita così bassa da essere quasi invisibile...” commentò, consapevole che l'altra non se la sarebbe presa.

“Beh, il mio piano ha funzionato.”

“Solo merito della fortuna. E mio, ovviamente.”

“Dev'essere una cosa di famiglia, questa di pavoneggiarsi senza vergogna...” le fece il verso Christine.

“Senti chi parla!” ribatté Lily ridendo.

Calò il silenzio: udirono distintamente il respiro asmatico di Gazza avvicinarsi lungo il corridoio; più in fretta possibile spensero le loro sigarette e le fecero scivolare tra gli stracci sporchi.

Mentre la porta della Sala dei Trofei si apriva con un cigolio prolungato, si scambiarono uno sguardo di intesa.

 

*

 

 

Due piani più in alto, nei pressi della Torre di Grifondoro, Lucy Weasley era di ritorno dal suo giro di ronda. Sbadigliando raggiunse il ritratto della Signora Grassa: era sul punto di pronunciare la parola d'ordine, quando con la coda dell'occhio colse una figura attraversare il corridoio.

Si voltò di scatto, sfoderando automaticamente la bacchetta.

Una frazione di secondo più tardi, realizzò di starla puntando dritta contro il naso di Leopold Higgs. Non le parve un buon motivo per toglierla di lì, dunque gli si rivolse in tono minaccioso.

“Sei fuori dai dormitori,” gli fece notare.

Il ragazzo sollevò le sopracciglia. “Questo lo sapevo anche da me.”

Lucy strinse le labbra, mentre lo sguardo le scivolava sulla fiaschetta d'argento che il ragazzo stringeva tra le dita. “Quella contiene alcolici?” domandò, sempre senza spostare la bacchetta dal suo naso.

Lo vide sogghignare. “Questo puoi capirlo anche da sola. Quello che non capisco io è perché ancora non sei uscita con me.”

Per camuffare il rossore che le era affiorato in volto, Lucy spostò la bacchetta e la ripose in tasca. “Forse perché sono in punizione da due mesi e mi sono precluse le uscite a Hogsmeade?”

“Sono in punizione anche io, Weasley.”

“Beh, almeno tu non sei costretto a pulire il fegato di drago dai vermi! Hai idea di quanto faccia schifo?!”

“Hagrid fa raccogliere a me e a Malfoy sterco di ippogrifo. Ritieniti fortunata.”

Lucy sbuffò. “Beh, perlomeno il letame sta fermo. Quindi fa meno schifo.”

“Puzza.”

“Anche il fegato di drago puzza, Serpeverde schizzinoso che non sei altro...”

Leopold le rivolse un mezzo sorriso che Lucy si ritrovò a ricambiare. “Dobbiamo litigare su chi abbia la punizione peggiore, Weasley?”

Fece spallucce. “Mi sembra un ottimo motivo...”

Il ragazzo roteò gli occhi e si avvicinò di un passo nel corridoio deserto. Lucy vide con la coda dell'occhio la Signora Grassa strabuzzare gli occhi e scivolare via dalla sua cornice, probabilmente per andare a chiamare la sua amica Violet e spettegolare un po'.

“Complimenti, Higgs,” sbottò improvvisamente stizzita. “Adesso sono bloccata fuori dalla mia Sala Comune. Sei contento?!”

“Sinceramente? Parecchio.”

Si trattenne a stento dal ringhiare. “Idiota.”

Leopold le sorrise. “Questa è l'ultima settimana di punizione, Lucy. Uscirai con me sabato?”

Lucy voleva dire di sì, lo voleva davvero, ma neanche aveva intenzione di dargli subito soddisfazione. Non capiva come potesse piacerle tanto e infastidirla a tal punto al tempo stesso.

“Perché dovrei uscire con te?” replicò acida.

Il ragazzo non fece una piega, il che le fece capire di non essere stata granché convincente.

“Perché te lo chiedo da due mesi,” disse Leopold. “Perché non riesco a smettere di pensarti in ogni singolo istante della giornata. Perché ho passato le ultime otto settimane in punizione con il tuo ex-ragazzo senza lanciargli una fattura. Va bene così?”

Lucy spalancò la bocca per replicare qualcosa, qualunque cosa, ma non fece in tempo, perché Leopold fu velocissimo a baciarla prima che riuscisse a emettere fiato. Si ritrovò a rispondere al suo bacio, stringendosi a lui con il cuore che le batteva come una grancassa contro le orecchie.

“Lo prendo come un sì,” sussurrò il ragazzo contro le sue labbra, prima di sogghignare e allontanarsi velocemente per il corridoio buio.

Lucy rimase lì come una scema per alcuni istanti, prima di trovare le parole.

“Sei un totale idiota, Leopold Higgs!” gridò, ricevendo in risposta una risata allegra.

Quando fu certa che lui non potesse vederla, sorrise.
 

*

 

24 maggio 2022

Parco di Hogwarts, Scozia

Primo pomeriggio

 

 

Albus si asciugò il sudore dalla fronte, mettendo finalmente giù le cesoie. “Beh,” esclamò soddisfatto. “Abbiamo fatto un buon lavoro.”

Sorrise e si allungò in mezzo all'erba verde, smossa appena dalla brezza. Il sole di fine maggio distendeva i suoi raggi sul parco di Hogwarts, preannunciando un'estate particolarmente calda.

Jacob si lasciò cadere seduto al suo fianco, altrettanto grondante di sudore, con i gomiti poggiati sulle ginocchia. Si smosse i capelli madidi che gli piovevano sulla fronte per tirare via gli ultimi rametti e foglie rimasti incastrati, facendo una smorfia nell'osservare i propri vestiti ricoperti di terriccio.

“Non capisco il tuo entusiasmo,” borbottò.

Albus lasciò che il proprio sguardo scivolasse sul complicatissimo intrico di basse siepi che avevano appena finito di potare, circondate da aiuole di fiori colorati, che emettevano sospiri soddisfatti nel tendere i gambi verso la luce del sole. Da otto settimane a quella parte, lui e Jake erano stati puniti con l'obbligo di mettere su – dietro precise indicazioni della professoressa Sprite – un giardino speciale in cui si sarebbe tenuta la premiazione del vincitore del Tremaghi. Nel frattempo la Terza Prova era arrivata e conclusa, con Rose che si era piazzata ad un buon secondo posto, mentre la ragazza di Durmstrang aveva ottenuto il trofeo.

Di per sé – pensava Albus – il compito non sarebbe stato neanche così male, non fosse stato per la fatica di potare tutte quelle siepi e la scarsa collaborazione delle piantine nel farsi travasare nel terreno. Un giorno avevano avuto a che fare con delle Violette Veraci che avevano quasi staccato il suo naso a morsi: la sua faccia si era salvata solo grazie all'intervento di Jake.

Tuttavia, nel vedere il risultato del loro lavoro, si sentiva effettivamente soddisfatto: a vedersi, il giardino non era niente male.

“Mi entusiasma che sia l'ultimo giorno,” replicò, mentre Jake – dopo essersi guardato attorno con aria circospetta – si accendeva una sigaretta. Attese che l'amico gli passasse la cicca e aspirò una lunga boccata. “La punizione è finita.”

“Già, e i miei vestiti sono pieni di terra.”

“Oh, non farne una tragedia...”

Jake gli lanciò uno sguardo indecifrabile. “Non ne faccio una tragedia,” replicò.

Albus sghignazzò. “Meno male che a Lily è toccata la Sala dei Trofei... Avrebbe dato di matto con questo.”

Le sopracciglia di Jacob si inarcarono mentre il suo sguardo si faceva indagatore. “Ha dato di matto lo stesso,” replicò cauto, in tono leggero.

Albus si sentì improvvisamente in imbarazzo. Negli ultimi due mesi lui e Jake si erano comportati in maniera perfettamente normale tra di loro, con l'unico dettaglio che avevano sempre accuratamente evitato l'argomento Lily, in una sorta di tacito accordo.

Nervoso, si tirò in piedi. “Iniziamo ad andare?”

L'altro annuì – ad Albus parve di cogliere una scintilla di gratitudine nei suoi occhi – e si alzò in piedi a propria volta, raccogliendo le cesoie e seguendolo nell'inerpicarsi su per la collina accanto al lago dove avevano portato avanti il loro incarico.

Uno corvo volò sopra di loro, gracchiando nel quieto frusciare del vento sull'erba.

Jake lo affiancò proprio in cima alla collina. “Albus,” disse a mezza voce, posandogli una mano sulla spalla. Al si stupì nel vederlo deglutire, come se non fosse del tutto certo di cosa stava per dire – cosa che, con Jacob Greengrass, non accadeva di certo tutti i giorni. “Volevo dirti che... Ecco, sono contento che tu abbia accettato la cosa, alla fine. Di me e Lily, intendo.”

Adesso Albus era talmente imbarazzato che avrebbe desiderato essere inghiottito dalla siepe alle sue spalle. “Jake, tu sei il mio migliore amico e Lily è mia sorella. La cosa da una parte mi fa infuriare, dall'altra...” rilasciò andare un sospiro a fatica, “... dall'altra meglio tu che un Leopold Higgs qualunque, no?”

Vide l'amico sogghignare. “Direi,” convenne, palesemente sollevato.

Albus era divertito, ma allo stesso tempo sentiva il bisogno di sfogare tutta la rabbia di qualche mese prima... Improvvisamente gli prudettero le mani. “Comunque c'è ancora una cosa che devo fare, Jake.”

L'altro inarcò le sopracciglia. “Sarebbe?”

Si rimboccò la manica del braccio destro. “Non avercela con me, d'accordo?”

Jake parve perplesso: “Ma cos–”

Ma non fece in tempo a finire la frase, perché Albus gli aveva sferrato un pugno in faccia.

Wow, ha quasi perso l'equilibrio. Il pugno migliore che io abbia mai dato!

Jacob si premeva le mani sulla mascella, ringhiando dal dolore. “D'accordo, Potter,” gemette, “questo me lo sono meritato.”

“Per non avermelo detto subito,” puntualizzò Albus soddisfatto, con l'impressione di essersi tolto un grosso peso. “È stato–”

A propria volta non fece in tempo a dire granché, accecato dal pugno che gli era appena arrivato dallo zigomo: il dolore fu così improvviso e inaspettato da non fargli capire assolutamente nulla per una manciata di secondi. Tuttavia si riprese in tempo per vedere Jake massaggiarsi delicatamente lo zigomo.

“D'accordo,” ammise. “Me lo sono meritato anche io.”

Buttò un braccio intorno alle spalle di Jake e con lui si avviò verso il castello, mentre l'altro continuava a imprecare per il pugno, la terra e le dannate foglie nei capelli.

Di fronte al portone di quercia incapparono in Lily, che non appena li vide sorrise allegramente e fluttuò verso di loro, baciando Jake sulle labbra con uno schiocco vistoso.

Albus distolse lo sguardo mentre gli sfiorava la mascella – su cui stava spuntando un grosso livido violaceo – con la punta delle dita. Aveva accettato che stessero insieme, d'accordo, ma vedere certe cose...

“Avete fatto a botte, voi due idioti?” li interrogò Lily con voce supponente.

Si ritrovò a scambiarsi con Jake uno sguardo allarmato. “Ecco... Noi...”

Lei roteò gli occhi. “Beh, se volete presentarvi ai M.A.G.O. così conciati sono affari vostri.” Sogghignò. “Jake, sei carino ricoperto di terra.”

Li salutò con la mano dopo un altro bacio a Jacob, correndo a raggiungere le sue amiche. Albus fece per dire qualcosa, ma nell'osservare l'espressione di Jake nel veder andare via Lily preferì tacere.

Per qualche ragione, gli era venuta in mente Quinn.

 

 

*

 

 

“Produca un Incanto Patronus, signorina Weasley.”

Rose chiuse gli occhi, concentrandosi sui momenti che aveva passato con Scorpius nelle ultime settimane. “Expecto Patronus.”

Dalla punta della sua bacchetta magica capitolò la figura piumata del suo corvo lucente, che descrisse un cerchio in aria intorno a lei prima si scomparire in uno sbuffo argenteo.

“Molto bene, molto bene.” L'esaminatore le sorrise dietro il naso adunco. “Vada pure, signorina.”

Rose si alzò e si diresse verso l'uscita della Sala Grande; era l'ultima per i M.A.G.O. e di lì a poco sarebbe stato il turno dei ragazzi del Quinto Anno che dovevano sostenere i G.U.F.O. di Difesa Contro le Arti Oscure.

Sapeva che fuori dalle porte della sala avrebbe incontrato suo fratello, probabilmente in estrema, inutile angoscia. Così fu: Hugo camminava avanti e indietro lungo il perimetro della Sala d'Ingresso, per la disperazione dei suoi compagni di Casa, ripetendo una formula dietro l'altra in tono concitato.

“Non so niente, Rose!” Non appena la vide, l'agguantò per i gomiti. “Non so niente!”

Lei sbuffò. “Hugo, dalla gioia di tutti i presenti, deduco che tu stia ripetendo ininterrottamente le formule da almeno un'ora. Dunque sai tutto.”

“Ah!” Hugo le sorrise, come se la sua frase fosse stata la più geniale mai pronunciata. “Hai ragione, so tutto. Andrà benissimo.”

Parve improvvisamente rilassato. Iniziò a canticchiare e sorrise ai compagni di Casa, che a dire il vero ricambiarono il suo sguardo con astio. Temendo per la salute del fratello, Rose decise di allontanarlo da lì.

“Ehi, Hugo... Probabilmente sarai uno degli ultimi, che ne dici di andare a farci un giro al parco?”

“Buona idea,” convenne lui, stringendo le labbra.

In silenzio, si incamminarono oltre il portone di quercia, lasciando scivolare i loro passi sulle colline che declinavano dolcemente verso il lago e, più in fondo, l'oscura massa di alberi della Foresta Proibita. Il sole di maggio era ormai a metà strada verso l'orizzonte e aveva preso a tirare una piacevole brezza, che scompigliava i loro capelli sullo sfondo del cielo azzurro denso.

Come se non bastassero tutti i miei nodi...

Si beò del senso di rilassatezza conseguente alla fine degli esami. Il suo sguardo corse sul podio messo su per il Tremaghi, proprio accanto al lago, circondato dalle siepi che Albus aveva potato per quasi due mesi insieme a quel pretenzioso di Greengrass. Era felice che anche quello fosse finito, nonostante non fosse riuscita a raggiungere il primo posto.

Non le importava granché. Essere viva e con tutti i ricordi al loro posto – non le dispiaceva che fossero tornati neanche quelli brutti – era più che sufficiente.

Era bellissimo.

Mentre scendevano in direzione del lago, osservò silenziosamente Hugo per qualche secondo. Il fratello stava visibilmente meglio di due mesi prima: aveva raggiunto un peso forma quantomeno normale e le occhiaie erano svanite del tutto. Le sembrava che il fratello fosse ulteriormente cresciuto, al punto che ormai gli arrivava a malapena alla spalla: con quella zazzera rossa più alta di tutta la testa rispetto alla maggior parte delle persone, era perfettamente riconoscibile anche a distanza.

Tuttavia notò che sembrava pensieroso, come se qualcosa continuasse ad affliggerlo, e non era sicura che si trattasse degli esami.

“Tutto bene, Hugo?” buttò lì. “Si può sapere a cosa stai pensando?”

L'altro fece spallucce. “Solo una cosa che non mi torna.”

Rose aggrottò le sopracciglia, in attesa del seguito. Quando si avvide che Hugo rimaneva chiuso in un recalcitrante silenzio, decise di insistere. “E sarebbe?”

Lo vide sbuffare. “Ecco, ricordi tutti i messaggi misteriosi che qualcuno mi mandava? Le carte, le immagini...”

Rose inarcò le sopracciglia.

Come dimenticarle?

Hugo parve prenderlo per un segno d'assenso, dacché immediatamente proseguì: “Non ho ancora capito chi fosse il mittente. Sono due mesi che mi interrogo su questo, e credevo di essere giunto ad una conclusione, ma...”

“Quale conclusione, Hugo?”

Il fratello scrollò nuovamente le spalle. “Pensavo fosse stata Christine De Bourgh. Mi sembrava la persona più probabile, visto che si è inventata tutto quel piano solo per aiutare tutti, e che alla fine quelle carte mi aiutavano, in qualche modo perverso... Cercavano di darmi indizi, di avvisarmi delle cose che stavano per accadere.”

Rose annuì lentamente. “Ne hai parlato con lei?”

Hugo parve sconfortato. “Il punto è proprio questo. Ho parlato con Christine, chiedendoglielo direttamente. Ma lei ha negato tutto. Dice di non essere stata lei e mi sono ritrovato a crederle... Sembrava davvero sincera ed era proprio stupita quando gliene ho parlato.”

Rose si mordicchiò l'unghia del pollice, mentre finalmente scivolavano sull'ultimo crinale erboso prima del lago, dalla superficie lievemente incrostate di onde, profilate di bagliori cangianti dai raggi obliqui del sole.

Ci pensò un po' su prima di rispondere. “Fai bene a crederle. Se c'è una cosa che abbiamo imparato negli ultimi mesi è che Christine non dice bugie.”

Hugo sbuffò sonoramente. “Ecco il problema. Io le credo. Ma se non è stata lei, allora chi?”

Rose si lasciò cadere a gambe incrociate in mezzo al prato, allargando le braccia perché i fili d'erba le pizzicassero leggermente i palmi e la punta delle dita. Il fratello la imitò, sedendosi al suo fianco con le gambe piegate e i gomiti sulle ginocchia. Si ritrovò a riflettere, osservandolo, che ormai doveva aver superato di parecchi centimetri persino Scorpius, che era sempre stato il più alto del loro anno.

Sospirò, osservando la superficie del lago: la piovra gigante aveva fatto sbucare la punta di un tentacolo in un guizzo, per poi tornare a immergersi lasciando l'acqua increspata da svariati cerchi concentrici, che si allargavano in piccole onde fin quasi in riva.

“Rifletti,” mormorò. “Ricordi cosa ha aiutato te e Lily a capire come erano andate le cose? Tornare sui vostri passi. Al momento in cui tutto è cominciato.”

Hugo aggrottò le sopracciglia, osservandola di traverso oltre le lenti degli occhiali. “Che cosa intendi dire?”

Rose fece spallucce. “Non so, niente di particolare in realtà. Come hai avuto i primi indizi, ad esempio?”

“Me li ha dati–” iniziò Hugo, ma poi si interruppe a metà frase, come faceva sempre quando improvvisamente giungeva ad una conclusione.

Non si stupì più di tanto quando lo vide alzarsi di scatto. “Devo andare, Rosie,” sbottò concitato. “Ho un esame da fare e poi un'altra cosa...” aggiunse tra sé prima di allontanarsi di corsa su per la collina, senza lasciarle neanche il tempo di rispondere.

Diamine, lo odio quando fa il misterioso, pensò Rose.

Rassegnatasi a chiedere più tardi a Hugo che cosa avesse capito tutto d'un tratto, si dispose a pensare a cosa fare adesso: risolse che sarebbe rimasta lì per un po', per godersi un po' la piacevole brezza di fine maggio e la meravigliosa sensazione di essere finalmente libera.

A dire il vero, l'idea di lasciare Hogwarts le metteva un po' di tristezza. Le sarebbe mancato il castello con tutte le sue torri, le passeggiate in riva al lago, le notti in dormitorio, persino le interminabili ore di lezione... Anche perché non aveva idea di cosa avrebbe fatto dopo. Intorno a sé vedeva tutte persone che, se non erano convinte, ne avevano comunque una mezza idea. Lei, invece, non sapeva proprio cosa le sarebbe piaciuto di più. Di azione ne aveva avuta abbastanza per tutta la vita, quindi di fare l'Auror o la Spezzaincantesimi proprio non se ne parlava. Non era mai stata particolarmente empatica, dunque avrebbe dovuto escludere anche un lavoro come Guaritrice. Le piaceva studiare ma non abbastanza da dedicarsi a una qualche branca di ricerca troppo teorica...

Anche pensando alle sue materie preferite non c'era nulla che le tornasse.

Era così immersa nei propri pensieri che non si accorse dell'arrivo di Scorpius finché non lo udì sedersi in terra al suo fianco. Allora si voltò verso di lui e sorrise, prima che il ragazzo si chinasse sul suo viso per baciarla. Subito dopo si lasciò abbracciare e rimasero così per un po', senza scambiarsi una parola, finché Scorpius non disse improvvisamente: “Che cosa ti preoccupa, Rose?”

Lei deglutì. “Niente,” borbottò, osservando un corvo che planava sulla superficie del lago, che ormai il sole iniziava a tingere di arancione. “Stavo pensando che tutti sembrano abbastanza convinti di cosa fare dopo la fine della scuola, mentre io non ne ho proprio idea.”

Scorpius la strinse più forte. “Se ti può consolare, ho il tuo stesso problema.”

“Davvero?!” si distaccò da lui per guardarlo bene in faccia. “Avevo capito che volessi fare il Guaritore.”

Il ragazzo fece una smorfia. “Era l'idea che avevo in origine, forse perché è quello che ha sempre voluto fare Jake...”

Fu il turno di Rose di storcere il naso. Poteva tollerare la presenza di Greengrass, ma per qualche ragione era certa che non le sarebbe mai piaciuto.

“Ma forse,” proseguì Scorpius, “forse non è davvero quello che voglio. Ultimamente ho tante idee per la testa...”

“Del tipo?”

Scorpius sembrò vagamente imbarazzato. “Del tipo che non piacerebbero a mio padre. Mi piacerebbe se la mia vita futura fosse un po'... avventurosa, se capisci quello che intendo.”

“Capisco benissimo,” replicò Rose, scoprendosi con stupore poco sorpresa. “Vuoi fare l'Auror.”

Non era una domanda: non richiese una risposta. Scorpius sorrise, con l'aria di qualcuno che si fosse appena tolto un peso. “Penso che mio padre non la prenderà benissimo. Gli ho fatto già prendere parecchi colpi quest'anno... Continua a ripetere che dovrei essere più prudente, da bravo Serpeverde.”

“Sei molto meno Serpeverde di quanto credi,” borbottò Rose di rimando.

Scorpius scrollò le spalle. “A proposito di padri,” cambiò discorso, chinandosi a darle un bacio dietro l'orecchio, “non ci è ancora venuto in mente come dirglielo.”

Rose intuì immediatamente a cosa si riferisse. “Non è proprio che non mi sia venuto in mente,” osservò. “Diciamo piuttosto che ho accuratamente evitato il pensiero.”

“Dici che la prenderanno tanto male?” fece Scorpius. Ma non sembrava così preoccupato, né interessato alla risposta, dato che continuava a baciarla sorridendo contro il suo collo.

Anche Rose sorrise. “Direi che possiamo parlarne più tardi.”

 

 

*

 

 

Una settimana più tardi

Stazione di Hogsmeade, Scozia

Mattina

 

La banchina del treno era ingombra di studenti carichi di bauli e famigli, l'aria ammantata di vapore e pervasa dal frastuono di valigie spostate e versi di animali, in una confusionaria babilonia di miagolii e stridii sopra i quali dirompeva robusto lo sbuffo della locomotiva scarlatta.

Nell'aria umida e opaca, Hugo Weasley – che già aveva depositato sul treno i suoi bagagli – si diresse a passo sicuro verso una familiare testa castana, facendosi largo a spintoni nella folla di studenti.

“Menley!” esclamò nell'avvicinarsi a Tony, che sentendosi chiamare sollevò il capo verso di lui, sorpreso. Da quando tutta la faccenda della Diablo era giunta allo scoperto, così come le implicazioni avute da Georgia in quanto accaduto, Anthony era sembrato terribilmente depresso.

Era stato sottoposto a una marea di interrogatori, in seguito ai quali era stato reputato innocente, contrariamente alla sorella che era ancora sotto processo. Inoltre, dopo aver saputo che Georgia era stata Gossip Witch, veniva guardato con un naturale, seppure ingiusto, sospetto da tutti quanti.

A dire il vero, Hugo non sapeva quanto quel sospetto fosse poi così ingiusto: Tony poteva pure essere innocente, ma di certo non gli ispirava fiducia.

Ad ogni modo, aveva qualcosa da chiedergli.

“Che cosa vuoi, Weasley?” si vide rispondere a muso duro. Non se ne stupì: dopotutto aveva avuto un ruolo nello smascheramento di Georgia.

“Ho una cosa da chiederti,” disse senza mezzi termini.

“Sarebbe?”

Tony si passò la mano tra i capelli, visibilmente a disagio, guardandosi nervosamente attorno.

Hugo esitò.

“Allora?” lo esortò l'altro.

Fece un sospiro profondo prima di parlare. “Eri tu, vero?”

Si vide rispondere con una smorfia. “Di cosa stai parlando?”

“Lo sai benissimo,” replicò svelto. “A settembre mi hai dato quelle icone Babbane. Hai proseguito tutto l'anno mandandomi carte e indizi.”
 

“Non sono stato io,” fece Tony senza scomporsi, ma dal guizzo della sua palpebra Hugo capì che stava mentendo. Non si era mai sentito tanto stupido in tutta la sua vita.

“Ma certo che sei stato tu!” insistette. “E non solo,” aggiunse, colto da un'illuminazione, “sei stato tu anche a mandare a Rose quel mazzo di narcisi dopo lo svenimento in Sala Grande prima della Prima Prova. Sei stato tu, sei sempre stato tu!”

La gente continuava a passare loro accanto, senza prestar loro la minima attenzione. Nonostante ciò, Tony sembrava a disagio e continuava a guardarsi attorno con aria sospettosa, al punto che Hugo provò pena per lui. Gli sembrava di vedere se stesso appena due mesi prima.

“Perché avrei dovuto farlo?” fece Tony a mezza bocca, digrignando i denti.

Hugo scrollò le spalle. “Questo puoi dirmelo solo tu, Tony.” Deglutì. “Volevi aiutarmi, magari? Continuavi a darmi indizi. A dirmi cosa sarebbe accaduto.”

L'altro abbassò lo sguardo. “Aiutarti, sì,” replicò in tono aspro. “Probabilmente.”

Nell'udire quell'implicita confessione, Hugo si sentì improvvisamente sollevato: finalmente gli ultimi nodi venivano al pettine. Si sentì terribilmente stupido a non aver capito tutto fin dall'inizio.

“Ma non sarebbe stato più semplice dirmi come stavano le cose?” mormorò, mentre Tony continuava a evitare il suo sguardo, salvo poi sollevare di scatto gli occhi su di lui.

Lo vide inarcare le sopracciglia. “Più semplice?” sospirò. “Forse. Io non ero in una situazione semplice. Nessuno di noi lo era. Né io, né Georgia, né Christine...”

Hugo abbassò lo sguardo, sentendosi improvvisamente a disagio a propria volta. “Non ci avevo pensato,” ammise, “ma probabilmente hai ragione.”

“Certo che ho ragione,” replicò Tony. “Solo che nessuno ci pensa, proprio come te. Perché Christine vi ha salvati tutti e adesso è dalla parte dei buoni. Mentre io...”

“Tu hai cercato di fare la stessa cosa.” Mormorò Hugo. Ma con meno convinzione, senza dubbio, aggiunse mentalmente.

Il treno fischiò: ormai era giunto il momento di salire a bordo.

Si sporse verso Tony, assestandogli una pacca sulla spalla. “Devo andare alla carrozza dei prefetti. Scrivimi ogni tanto, d'accordo?”

Non gli lasciò il tempo di rifiutare, dirigendosi di scatto verso il treno, con un sorriso soddisfatto stampato in volto.

 

 

*

 

 

“I Caposcuola non dovrebbero dare il buon esempio, Bernie?” sorrise Scorpius, lasciandosi cadere su di un sedile dello scompartimento vuoto di fronte all'amico.

L'altro sogghignò. “Non sono più Caposcuola.” Diede una spinta al baule per caricarlo sulla reticella, per poi sedersi a sua volta. “E poi volevo godermi l'ultimo viaggio in treno.”

“Tecnicamente sei ancora Caposcuola finché l'Espresso non arriva a Londra,” fece Jake in tono piatto, seguendoli oltre la porta scorrevole dello scompartimento. “Gwyneth ti ucciderà per averla lasciata da sola con tutti quei Corvonero.”

Bernie scrollò le spalle con fare noncurante. “Gwyn non mi fa così paura.”

“Suppongo che difficilmente qualcosa possa farti paura, dato che ti sei messo con Christine De Bourgh.”

L'altro ignorò la frecciatina di Jake, limitandosi a sorridere. Scorpius si sentì improvvisamente malinconico: dopotutto era davvero l'ultimo viaggio in treno. Stavano lasciando Hogwarts definitivamente, adesso, e l'idea di essere catapultato tutto d'un tratto nel mondo degli adulti in parte lo spaventava, nonostante provasse una certa eccitazione al riguardo.

E poi, mi mancherà tutto questo.

Preferì non lasciarsi andare a riflessioni troppo sentimentali. Nonostante avesse il cuore tenero, non aveva senso crogiolarsi in pensieri tristi quando ancora poteva godersi quell'ultimo viaggio nei vagoni di quel treno scarlatto.

La locomotiva iniziò a rollare sui binari: il suo fischio insistente arrivava fin dentro lo scompartimento. Erano partiti. Ben presto la brughiera scozzese cominciò a scorrere oltre i finestrini, sotto un cielo azzurro chiaro appena oscurato da uno spugnoso velo di nubi biancastre.

Si chiese dove fosse finita Rose e si rispose che probabilmente era con Christine e Lily in qualche altro scompartimento, visto che Gwyneth doveva essere nella carrozza dei prefetti.

Poggiò la fronte contro il finestrino, le orecchie colme delle voci sommesse di Jake e Bernie, intenti a parlare di chissà che cosa, finché non udì la porta dello scompartimento aprirsi: sulla soglia c'era Albus, con la gabbia del suo barbagianni sottobraccio e ancora la cravatta a bande rosse e oro annodata attorno al collo. Lo vide entrare, trascinandosi dietro il baule; con uno sbuffo, il Grifondoro si sedette al suo fianco.

Improvvisamente realizzò che l'ultimo viaggio non significava la fine. Intuì che ci sarebbe stato altro, tanto altro; comprese che la vita continuava, che anzi era appena iniziata.

Si rilassò contro lo schienale del sedile, felice, mentre il suo sguardo incrociava quello di Bernard, seduto di fronte a lui. Per qualche motivo, ebbe l'impressione che l'amico avesse indovinato i suoi pensieri, vedendolo sorridere apertamente.

Erano felici, tutti e quattro. Erano vivi.

 

 

 

 

 

 

 


 

Note dell'Autrice

Allora, buongiorno a tutti/e!

So bene di aver di nuovo fatto passare un tempo indecente dall'ultimo aggiornamento, ma vi giuro che faccio del mio meglio. Domani ho due esami ma ho deciso di postare stamattina perché non volevo più aspettare (né farvi aspettare).

Questo capitolo è ufficialmente l'ultimo: seguirà l'epilogo, che spero di pubblicare in tempi brevi, e poi... E poi. Ho già plottato un prequel, ho qualche idea in testa per un sequel. Ma per quest'ultimo non so ben dire quando ci sarà (se ci sarà) perché ho deciso che, se prenderò la decisione di rimettere mano su questi personaggi (cosa che, come ho detto a qualcuno, muoio dalla voglia di fare) non pubblicherò nulla sul sito finché non avrò un buon numero di capitoli scritti, onde evitare terribili ritardi come quelli di quest'ultimo anno. Ho scoperto che se riuscivo a conciliare alla grande scrittura-postaggio con lo studio quando ero al liceo, con l'università faccio molta più fatica; inoltre ho anche diversi progetti per altre cose da scrivere, ma farò del mio meglio per riuscire a fare entrambe le cose, specie perché i personaggi scalpitano per entrare in scena di nuovo.

Bene: si vedrà. Rimando all'epilogo i discorsi strappalacrime, proprio come ho fatto con Gossip Witch.

Sappiate che vi adoro e vi ringrazio davvero per essere ancora qui.

Un bacione <3

A presto!

Daph

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Capitolo 43
*** EPILOGO ***


EPILOGO
 
15 giugno 2027
Godric’s Hollow, Inghilterra
Dieci del mattino
 
Hugo non aveva affatto dimenticato la scatola.
Certo, non era il suo pensiero fisso. Con il tempo aveva messo da parte quel parallelepipedo di cartone blu scuro decorato a motivi di astrolabi, con tutto il suo contenuto; l’aveva seppellito in un angolo recondito della mente, sotto uno spesso strato di ricordi nuovi e decisamente più rilassanti. Ovviamente di tanto in tanto il pensiero saltava fuori e per qualche istante lui si perdeva in rimembranze, vagamente trepidante, con il cuore che accelerava i propri battiti, come se, in qualche modo, volesse pensarci ma non osasse.
Durava alcuni istanti. Poi la sensazione scemava lentamente e lui si sentiva sollevato.
Per i minuti successivi, di solito Hugo era colto a intermittenza dalla tentazione di tornare sull’argomento e fare letteralmente il bagno nei ricordi. Il che era curioso, perché ne aveva voglia e paura al tempo stesso. Chissà. Non riusciva a spiegarselo, ma, contrariamente al solito, non aveva trascorso troppo tempo a lambiccarsi sull’argomento: avrebbe significato pensarci, e questo lui non poteva permetterselo. Non voleva, forse.
Passati quei minuti, tornava a dimenticarsene, di solito per qualche settimana o addirittura diversi mesi. Poi se ne ricordava e ricominciava il ciclo.
Quella mattina era tornato a pensare alla scatola.
Era stata tutta colpa di quel maledetto gufo che l’aveva buttato giù dal letto alle otto del mattino, di sabato. Dopo il turno al bar, la sera prima, aveva in programma di dormire almeno fino alle undici e poi mettersi sui libri.
Non ragiono allo stesso modo se non dormo tanto e bene.
Solo un altro residuo di quell’anno disastroso. Della dannata scatola.
Il gufo aveva battuto con il becco sul vetro della sua finestra per cinque minuti buoni e infine Hugo si era deciso ad alzarsi dal letto e andargli ad aprire, visto che aveva iniziato a sentire mugugni seccati dei suoi coinquilini provenire dalle altre stanze. Del resto quello era proprio un gran fracasso.
Dai cieli di Londra quel gufaccio del malaugurio era piombato nella sua stanza, aveva lasciato cadere una lettera sulla moquette azzurrastra del pavimento; dopo un’occhiata snob nella sua direzione e un frullo d’ali, era tornato a uscire.
Sulla lettera era scarabocchiato solo il suo nome. In inchiostro blu. Con una grafia che probabilmente Hugo non avrebbe mai dimenticato: lo avevano investito i ricordi e il pensiero della scatola.
La scatola.
Si era vestito, aveva fatto colazione e si era Materializzato a casa dei suoi genitori, dove aveva fatto di nuovo colazione ed era salito nella sua vecchia stanza, piena di libri di scuola e leggermente impolverata.
Aveva aperto il secondo cassetto della scrivania, scostato un po’ di carte. Ed eccola lì.
La scatola.
Hugo riassestò gli occhiali sulla punta del naso, scostò una ciocca di capelli rossi dalla fronte e sospirò profondamente; accarezzò i lati della scatola, poggiata di fronte a sé sul piano della scrivania, spazzò via la polvere dal coperchio con le lunghe dita.
Quindi l’aprì.
Era ancora tutto là, radunato con ordine, esattamente come l’aveva lasciato tre anni prima, quando aveva chiuso quella scatola per l’ultima volta. Il mazzetto di carte francesi ordinatamente impilato, le icone, la Pietra della Resurrezione avvolta in un fazzoletto di cotone, per sempre separata dagli altri Doni.
La Bacchetta di Sambuco era stata rimessa al proprio posto nella tomba di Silente, ma spezzata, cosicché nessuno avrebbe più potuto usarla. Il Mantello era di nuovo nelle mani di Albus. Stando così le cose, quando Hugo aveva chiesto timidamente di poter tenere la Pietra, il Ministro aveva acconsentito.
Di colpo una morsa lo aggredì allo stomaco. Non voleva ricordare. Non voleva abbandonarsi. Non adesso.
Non voleva leggere la lettera di Tony Menley.
Così lasciò perdere e mise la busta nella scatola, richiuse il coperchio, infilò tutto nella borsa a tracolla, fianco a fianco con i manuali universitari di Aritmanzia Comparata e Trasfigurazione Avanzata.
Emise un sospiro lieve e affondò la mano nella tasca della giacca, cercando il cellulare. Scorse brevemente la rubrica alla ricerca di un numero ben preciso e fece partire la chiamata: squillava.
“Pronto?” rispose Lily dall’altra parte.
Come sempre, Hugo si sentì decisamente meglio nell’udire la voce della cugina. Anche se non l’avrebbe ammesso neanche con una bacchetta puntata alla tempia. “A che punto sei, Lils?”
“Sono già in biblioteca. Fuori dalla biblioteca, tecnicamente.” Stava fumando: Hugo la sentì sbuffare via una boccata.
“Aspettami lì,” disse. Riattaccò e girò su se stesso, per riapparire neanche un secondo dopo davanti alla pacchianissima facciata della Biblioteca Magica Britannica.
Lily era lì, dritta come un fuso sulle gambe. I suoi capelli, tagliati di fresco all’altezza delle spalle, mandavano riflessi ramati nella mattina di giugno; aveva una sigaretta tra le dita e accanto ai piedi una borsa più grossa di lei, probabilmente contenente diversi codici di Magisprudenza.
“Ciao, Hughie.”
“Ciao, Lily.”
“Hai una faccia strana.”
Hugo scrollò le spalle. “Sono solo stanco…” Non era del tutto un bugia. “Ieri ho fatto il turno serale al bar e mi sono svegliato presto stamattina.”
Lily sollevò leggermente un sopracciglio, ma non fece commenti. Gettò a terra la cicca e la calpestò con la punta del piede. “Andiamo, dai,” gli sorrise appena, furba, con gli occhi scintillanti. “Dopo mi dirai perché hai una faccia strana.”
“Va bene.” Hugo la seguì oltre il grande portone d’ingresso, sentendosi improvvisamente privato di un peso.
Dopotutto, più tardi ne avrebbe parlato con Lily. Si sarebbero seduti a bere un caffè da qualche parte, avrebbero schiuso la scatola, aperto la lettera, ricordato insieme. Anche se probabilmente dopo avrebbero avuto bisogno di qualcosa di un po’ più forte di un caffè.
“Ehi, Lils.” Le si accostò e le strinse appena il gomito. “Dopo ci beviamo qualcosa?”
Lei annuì dopo avergli gettato un’occhiata fugace; gli accarezzò leggermente la spalla.
Come sempre, aveva capito.
 
****
 
15 giugno 2027
4, Privet Drive
Little Whinging, Surrey
 
Elizabeth Dursley uscì dalla porta d’ingresso, percorse metà del vialetto, attraversò diagonalmente il praticello ben curato e andò a sedersi sulla vecchia panchina scrostata in mezzo alle begonie, proprio accanto alla finestra del soggiorno.
Era di pessimo umore.
Sbuffò seccata e accavallò le gambe ossute, ponderando se allontanarsi di qualche metro a fumarsi una cicca di nascosto dal vicinato oppure accendersela lì, sfacciatamente. Alla fine propese per la seconda ipotesi, come sempre quando c’era da scegliere tra qualcosa che avrebbe potuto evitare un fastidio a qualcuno e qualcosa che l’avrebbe causato.
Provocatoria. Si accese la sigaretta e sogghignò leggermente, ma non era un vero sorriso. Era troppo di cattivo umore e troppo lontana da Hogwarts e per sorridere. Mancava così poco al suo diciassettesimo compleanno... Solo poche settimane. Eppure ancora non poteva compiere magie durante le vacanze: non l’aveva mai trovato così frustrante.
Dall’interno si levò la sigla del notiziario, che i suoi genitori guardavano sempre il sabato mattina, dopo aver fatto colazione con tutta la famiglia.
Elizabeth soffiò via una boccata, attenta a fare in modo che la piccola nuvola di fumo non passasse davanti al bovindo del soggiorno: un conto era rischiare di essere vista dal vicinato, un altro fumare direttamente davanti a sua madre.
La voce del presentatore in televisione arrivava fino alle sue orecchie, nonostante la finestra fosse chiusa: suo padre cominciava a diventare leggermente sordo e aveva preso ad alzare il volume praticamente al massimo.
… In diretta dal centro di Londra: Steve Banks sul clamoroso furto alla National Gallery… Cosa ci dici, Steve?”
“Qui c’è proprio una bella confusione. Ancora non ci sono state dichiarazioni, ma è chiaro che la situazione non sia del tutto sotto…”
Ma Elizabeth smise di ascoltare. Dal piano superiore provenne improvvisamente il suono di una chitarra elettrica a tutto volume.
“Ehi, Max!” gridò Lizzy. “Stai diventando sordo come papà?!”
Naturalmente, con l’amplificatore al massimo il fratello non la udì. Ma non le importava: si sentiva di umore vagamente migliore.
Erano solo due mesi, del resto.
Doveva resistere solo due miseri, lunghissimi mesi, e poi… Poi sarebbe tornata a Hogwarts, finalmente.
Guardò il cielo azzurro e si rilassò contro lo schienale della panchina, godendosi il sole. Sorrise.
 
 
 


 
Note dell’Autrice
 
Infine ci siamo.
È finita.
Mi fa un effetto piuttosto strano, devo dire. Ho diverse cose da dire e lo farò in breve. Prima di tutto volevo ringraziare tutti coloro che hanno seguito, “preferito”, “ricordato”, commentato, apprezzato e letto questa storia. Un grazie speciale a tutti voi, davvero: con il vostro entusiasmo e la vostra simpatia mi avete sempre incoraggiata ad andare avanti a scrivere. Dunque un bacio gigante per voi.
In secondo luogo, volevo dirvi che mi sono divertita da pazzi nello scrivere questa storia e condividerla con voi. È stata una delle esperienze più divertenti della mia vita… Nell’ultimo anno la mia attenzione e presenza si è un po’ diradata a causa dei numerosi impegni universitari e non, ma sappiate che ho sempre avuto in mente questa storia, questi personaggi, questi lettori (insomma, non vi ho chiuso in una scatola come ha fatto Hugo). Ho adorato scrivere questa storia e descrivere tutte le cavolate dei miei personaggi, che non abbandonerò tanto facilmente… E qui il punto tre.
Tre: ci sarà sicuramente un sequel e forse il prequel promesso, anche se saranno di certo più brevi e soprattutto non posso dirvi di preciso quando li pubblicherò, perché non voglio finire come durante l’ultimo anno a scrivere un capitolo ogni sei mesi e quindi aspetterò di averne un po’ pronti prima di iniziare a metterli sul sito.
Quattro: grazie. L’ho già detto nel punto uno? Lo ripeto. GRAZIE GRAZIE GRAZIE. Vi adoro tutti. Sniff.
Vado per non commuovermi, ragazzi.
Un bacio enorme e a presto,
Daph
 
 

 

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