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di MsEerie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologo ***
Capitolo 2: *** Neustart ***



Capitolo 1
*** 0. Prologo ***


 0. PROLOGO

 
Ein neuer Tag beginnt
Eine neue Hoffnung
Ein erneutes Ende fur mich
Wieder ein Kapitel
Doch meine Rolle stirbt fur dich

 
 
Notte fonda a Vancouver, superata la mezzanotte.
Il nuovo giorno, una domenica che il meteo predisse soleggiata e mite, degna di un picnic al parco, si faceva attendere quanto una dama a un ballo di corte. Il cielo era privo di nubi, come lo era anche di stelle, mentre la luna, in solitudine, faceva fatica a farsi notare in quella distesa infinita di ombre. Gli astri si erano riversati sulla costa meridionale della provincia canadese della Columbia Britannica e, da lontano, si poteva scorgere l'alone dorato in cui la città era avvolta. Un alone di smog, la somma di tutte quelle luci che brillavano e che contribuivano a renderla viva anche dopo il calar del sole, nelle ore diurne.
Le discoteche, i pub e i cinema erano luoghi pieni zeppi di gente, spazi senza storia né identità, in cui le relazioni che nascevano spesso non erano durature.
Nel migliore dei casi i due terzi della popolazione poteva dirsi impegnata in balli sfrenati, maratone di film e mangiate malsane sconsigliate dai medici; l'ultima porzione in gare automobilistiche illegali, piccoli furti e lanci di dadi, a causa dei quali i barboni sotto il ponte, che si innalzava sopra False Creek, stavano via via aumentando.
Un’ auto sfrecciò da una parte all'altra del Granville Street Bridge, attraversandolo in tempo record e raggiungendo il porto dove si stava svolgendo una festa memorabile su una nave da crociera. L’ Honda Civic Type R placcata di nero lucido si fermò nel parcheggio dedicato agli invitati al party. La portiera si aprì e una ragazza con i capelli ricci dal colore rossastro delle foglie autunnali si rivelò essere l'autista del veicolo. Con silenziosa grazia scese dall'auto, chiuse la portiera alla sue spalle e si avviò velocemente alle scale che l'avrebbero condotta alla festa. Tuttavia, grazie alla presenza dell'ascensore, non dovette usufruirne. Il cubo di ferro in cui era chiusa segnava i piani raggiunti con un suono che somigliava tanto a quello delle sveglie elettroniche e lei, mentre attendeva che la scalata terminasse, approfittò del tempo che ebbe a disposizione per darsi un' ultima occhiata allo specchio posizionato sulla parete innanzi all'entrata dell' ascensore. La stoffa leggera e levigata del vestito le avvolgeva il corpo con avvenenza, il nero andava man mano a sfumare nel glicine che, in seguito, cedeva il passo al lilla e, infine, al viola. La gonna spaccata sul lato strusciava sul pavimento nascondendo le gambe snelle e slanciate della lady che si muoveva, leggiadra, su un tacco dodici. Quando l'ascensore si arrestò, fermandosi al piano desiderato, le ante si aprirono e lei sgattaiolò all'interno del salone con un sorriso appena accennato che le illuminava il viso. Dall'altra parte della sala un giovane era affacciato alla finestra. Osservava il mare sconfinato che si estendeva oltre il punto dove il cielo toccava il pelo dell'acqua e, con aria assente, pensava e rifletteva sulla lezione di filosofia tenutasi su Kant quella mattina stessa;
“ Il noumeno é l'infinito, l'irrazionale, l'inconoscibile. Il fenomeno, invece, é tutto ciò che non é noumeno, é ciò che noi conosciamo grazie alla logica meccanicistica di causa-effetto. Se noi fossimo degli indigeni l'isola su cui vivremo sarebbe il fenomeno, e il noumeno il mare, il mare che ci farebbe naufragare se gliene dessimo la possibilità ”
Immerso nelle sue riflessioni, perso in quella metafora che lo affascinava, si estraniò da quell'evento che, a parer suo, non era altro che una noiosa perdita di tempo. O, almeno, così risultò finché, voltandosi, non intravide una figura sottile ed elegante entrare nel salone. Ecco, quello era il “suo noumeno“, che stava per tramutarsi in fenomeno.

 

                                                                                                                            ❖    ❖    ❖


 
Aveva trovato il modo di animare quella serata che stava per cadere in picchiata e battere il muso contro un terreno freddo e ricco di insofferenza per non aver scelto di stare altrove piuttosto che lì; non voleva di certo farsela scappare!
Quindi si lanciò alla ricerca della ragazza. Cercò con lo sguardo una chioma rossa, abbellita e messa in ordine da una treccia a cascata. Questa si stringeva sul capo e allentava la presa sulle ciocche oltre sé stessa, lasciando che i boccoli potessero muoversi liberamente ed esprimersi. Vagabondando per la sala s'infilò sgarbatamente tra due uomini che stavano chiacchierando in tranquillità, come buoni amici il cui rapporto era pervenuto nel tempo, e li interruppe.
Questi attesero pazientemente che si spostasse, ma lui stesso parve non averli notati, troppo distratto dalla donna che era intento a trovare. Si sollevò sulle punte nel tentativo di riuscire a scorgere lei oltre quell'ammasso di corpi petulanti, disinteressato a tutto il resto ed ignaro dei due.
Tale comportamento irritò palesemente entrambi che, insieme, decisero di allontanarsi preferendo riprendere il loro discorso in un posto più appartato, ove non sarebbero stati interrotti da altri.
Il ragazzo, intanto, si avvicinò ad una donna che, vista di spalle, sembrava proprio colei che aveva inseguito con lo sguardo. Le si avvicinò, cauto, ma nel momento in cui si voltò, capì che era tornato al punto di partenza. Sbuffò con aria affranta osservando quella massa di individui che recitavano e si crogiolavano nella falsità e superficialità dei discorsi convenzionali.
Fu allora che qualcuno gli porse un bicchiere di champagne accompagnato da un sorriso ammiccante e da un paio di labbra carnose colorate di rosso.
Impiegò una manciata di secondi per focalizzare il suo viso e realizzare chi fosse.
I ruoli del gioco si erano invertiti, il cacciatore si era trasformato in preda e la preda in cacciatore. Anch'egli le rivolse un sorriso e prese il bicchiere che gli stava porgendo con un lieve cenno del capo, un modo come un altro per ringraziarla.
L' aveva trovata, anzi; lei l'aveva trovato, e sarebbe risultato scortese rifiutare ciò che gli stava offrendo.
La lady l'incitò a bere poggiando l'indice sotto il bicchiere del ragazzo e facendo una lieve pressione in modo che lo sollevasse e lo portasse alle labbra. Allontanò la mano e distolse lo sguardo dal gentleman solo quando di champagne, nel bicchiere, non ne rimase neanche una goccia. Sembrava soddisfatta e, nel lasso di tempo in cui lui le diede spalle per posare il bicchiere sul tavolo dietro di loro, ricco di dolci e cascate di ponce, lei scomparse così come era apparsa. Il sorriso che Matt Pettyfer stava sfoggiando poco prima svanì, e il suo posto fu sostituito da un espressione stupita e decisamente delusa. Cominciò a tempestarsi di domande e quella, l'unica alla quale non riusciva a dar una risposta, risuonava muta nella sua testa: ''Dov'è?''

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Neustart ***


1. NEUSTART






Le tende scure impedivano al sole di disturbare i sogni di Darcey, ma nulla poteva ostacolare il trillo continuo del cellulare. La canadese era perfino arrivata a non tollerare più la canzone che aveva impostato come suoneria, nonostante fosse tra le sue preferite. 
Con gli occhi semichiusi, ancora in bilico tra sogno e realtà, allungò il braccio verso il comodino alla sua destra, sul quale aveva riposto l’aggeggio infernale la sera precedente. Tastò il legno e, prima di riuscire a pigiare il pulsante per disattivare la sveglia, si scottò con la candela al profumo di lavanda e cedro, che era poco più in là della lampada. Quella era una combinazione originale di aromi che avrebbe dovuto favorire il rilassamento e la meditazione, ma Darcey non si sentiva né rilassata né tantomeno rigenerata quella mattina.
Avrebbe preferito di gran lunga lasciarsi marcire nel letto da una piazza e mezzo, avvolta nel piumone striato di bianco, nero e grigio, mentre fuori il freddo pungente regnava sovrano. Avrebbe preferito far colazione ad orario di pranzo con un cornetto e una tazza di cioccolato caldo con un leggero strato di panna. Avrebbe preferito rimanere in pigiama tutto il santo giorno e farsi un bagno bollente giusto prima di andare a dormire, ma l’unico dolce incontro che le avrebbe scaldato il cuore sarebbe stato quello con Cassie, la sua migliore amica.
Proprio quando stava per prendere coraggio, alzarsi e abbandonare di malavoglia il letto, sentì chiamare il suo nome. Corrugò la fronte e, per un attimo, temette di poter essere diventata una di quelle sensitive che erano capaci di udire le voci dei non vivi - non che questa fosse mai stata una sua particolare abilità - e invece, in tutta risposta, il Samsung le aveva urlato un sonoro:
« Hey, Darcey! Buongiorno! Mi senti? »
Solo allora realizzò d’essersi svegliata in anticipo di un ora e che, in realtà, aveva risposto alla chiamata di un amico. Avvicinò il cellulare all' orecchio e con voce rauca, e ancora impastata dal sonno, parlò con tono volutamente seccato, senza preoccuparsi di poter sembrare scortese:
« Stew, spiegami cosa ti ha spinto a disturbarmi a quest'ora »
« Il soave suono sprigionato dallo sfregamento delle mie corde vocali.
Volevo condividerlo con qualcuno »
L'ironia non l'abbandonava mai, neanche alle cinque e mezza di mattina.
« Beh, allora sappi che hai sbagliato persona »
La minore non era dell' umore adatto. Dopotutto nessuno lo sarebbe stato dopo una notte insonne. Gli incubi che stava avendo di lì a poco sembravano trovare accoglienti i meandri più remoti nella sua mente, così vi si erano stabiliti vivendoci abusivamente - e chi sa per quanto - mentre lei non sapeva come mandarli via.
Con uno sbuffo irritato mise giù e dovette impegnarsi con tutta sé stessa per ignorare le chiamate seguenti quell'ultima, ma l'ostinazione di Stew era ammirevole.
Non era colpa sua se non si preoccupava di nessun altro e pensava che il mondo esistesse in funzione di sé stesso. Non lo si poteva definire un narcisista, bensì un adulto fermo da tempo allo stadio preo-operatorio di Piaget, egocentrico quanto un bambino di due anni.
Ormai, però, l’aveva strattonata fuori dal mondo dei sogni e la voglia di ritornarci le aveva sbattuto la porta in faccia. Si chiese se le persone, almeno una minima parte, prima di agire in tal modo, riflettessero e magari si ponessero il problema di poter
risultare indesiderate o fuori luogo.

❖    ❖    ❖

 
Ma più ci pensava e più si rendeva conto che, probabilmente, lei era l’unica nel raggio di cinque miglia che tentava di non essere invadente o tediosa. Arresasi al tartassamento insistente dell’amico, rassegnata e ai confini della sopportazione, rispose;
« Stew, cosa c'è? »
« Per andare a lavoro dovrò percorrere la stessa strada che fai tu per andare a facoltà. Magari potrei accompagnartici io all'università, mh? »
« Quanto tempo ho per prepararmi? »
« Mezz'ora ti basta? »
« Si, va bene. Allora a tra poco »
« Okay! Ah, Darcey… Non é carino attaccare mentre una persona sta parl- »
Riagganciò. La ragazza dai capelli azzurro polvere assunse un’ espressione molto simile a quella di un bambino quando viene scoperto a mangiare biscotti di nascosto, magari sotto al tavolo della cucina per non farsi cogliere con le mani nel sacco.
Tra trenta minuti esatti si sarebbe dovuta scusare, anche se la colpa era di Stew, si. Dopotutto aveva fatto una lunga pausa prima di riprendere a parlare, quindi Darcey aveva dato per scontato che avesse finito.
Prese subito a vestirsi, si truccò e in venti minuti fu pronta. Lasciò dietro di sé un letto disfatto, le pantofole in un angolo della stanza, il pigiama al rovescio nel bagno e il tubicino di dentifricio senza tappo. Corse velocemente giù per le scale, saltò la colazione e prese al volo il giubbotto fiondandosi in strada. Notò che la cassetta delle lettere era piena; scartò le bollette, la risposta di zia Giovì dal Quebec e recuperò solamente il quotidiano.

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♦  NOTIZIE DEL 6 OTTOBRE   //  PRIMA PAGINA  ♦

ERRORE ACCIDENTALE, SUICIDIO O OMICIDIO?

« Matt Pettyfer, un uomo sulla trentina, è stato ritrovato senza vita nel suo appartamento a Drake Street, Vancouver. A scoprire il cadavere la stessa madre del defunto, Mary Kudrow. Dopo scrupolose e attente indagini è stato confermato che la morte deve essersi verificata tra le quattro e le cinque di notte, tra domenica 28 e lunedì 29 settembre, circa una settimana fa. Settimana durante la quale Mrs. Pettyfer non aveva avuto nessuna notizia del suo primo e unico figlio.
Scoperto il corpo esanime dell’uomo, i detective hanno dato il via alle indagini cercando di percorrere i suoi ultimi giorni di vita a ritroso.
Si cercano i moventi e le ragioni che hanno condotto a questa tragica conseguenza ma, fino ad ora, nulla è chiaro, incluse le cause del decesso.
Tra la disperazione e lo sgomento dei parenti e degli amici di Matt in Drake Street, si diffonde un atmosfera carica di ansia, stupore e silenzioso rispetto nei confronti di questa donna rimasta ormai sola a sostenere il macigno della solitudine, vedova e senza il suo “adorato bambino“.
Tuttavia, al tempo stesso, dilaga il terrore e l’inquietudine.
Dei due cittadini dati per scomparsi nei mesi precedenti ancora nessuna traccia, nessuno li ha più visti o è riuscito a mettersi in contatto con loro.
Cala un mantello ricamato di mistero, intriso d’attesa e disperazione.


❖    ❖    ❖


La popolazione si accolla di fronte ad un nemico comune e misterioso di cui non si conosce la benché minima informazione, neanche la sagoma dell’ombra riflessa al suolo. E’ un periodo di scomparse e morti avuto inizio durante l’estate di due anni fa; quando avrà fine? Chi si nasconde dietro tutto questo? Qual è lo scopo? E perché?
Troppe domande senza risposte vanno a compattarsi in un unico punto interrogativo grande quanto uno dei grattacieli più alti di New York che, ci si augura, venga abbattuto presto.
“ Ero passata a salutarlo senza preavviso, volevo fargli una sorpresa.
Sono entrata in casa usando le chiavi di riserva che Matt mi aveva dato per qualsiasi evenienza. Ho chiamato il suo nome pensando che fosse in casa, invece c’era solo in parte, solo il corpo ”
Sono queste le parole di Mary Kudrow, la testimonianza sconfortante di un accaduto raccapricciante. La donna si è ritirata in casa propria senza riuscire a continuare, i singhiozzi le impedivano di parlare. L’ultima cosa che disse prima di chiudersi la porta alle spalle è stata “ Voglio giustizia ”.
Tuttavia, prima che la polizia possa agire, è necessario che si comprenda se Matt si sia tolto la vita di sua spontanea volontà, e se quindi sia corretto parlare di suicidio;
se sia stato assassinato, e che quindi si tratti di omicidio; oppure se avesse una qualche malattia terminale (sebbene la madre abbia più volte ribadito che il figlio era sanissimo e non aveva mai avuto alcun problema né fisico né psicologico).
L’unica certezza al momento è questa; è morto soffocato dal suo stesso sangue.
Si ha motivo di pensare che la causa sia stata un‘ embolia polmonare massiva, ma non si conosce il motivo che l‘ha scatenata »
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A leggere quelle righe le si rizzarono i peli sulle braccia e un'ondata di brividi le attraversò la schiena. Cercò di mettersi nei panni di Mary Kudrow e, sebbene il suo status di figlia, riuscì ad appercepire come potesse sentirsi la donna.
Tuttavia, quel dolore che captò, era paragonabile ad un granello di sabbia nel deserto del Sahara in confronto a ciò che stava sperimentando Mrs Pettyfer.
Subito pensò a sua madre, a come l'avrebbe vissuta se la malcapitata fosse stata sua figlia, al male che avrebbe subito.
Rabbrividì e scosse il capo allontanando velocemente quell'ipotesi dalla sua mente. Arrotolò il giornale e lo infilò furtivamente nello zaino che aveva in spalla, per evitare che lo leggesse; glielo avrebbe tenuto nascosto o, almeno, avrebbe tentato di farle giungere la notizia il più tardi possibile.
La signora Philips era già paranoica ed esageratamente apprensiva di suo quindi, leggere un articolo di quel genere, non avrebbe fatto altro che evidenziare quelle sue caratteristiche da madre iperprotettiva; doveva rendersi conto che Darcey non necessitava più d'essere guidata, sostenuta e protetta. Aveva intrapreso un percorso che le avrebbe permesso di conoscersi meglio, di scavare nelle profondità del suo essere e capire fin dove poteva spingersi; i limiti massimi, i baratri apparentemente insormontabili, le folli arrampicate da affrontare per raggiungere la cima dei monti e vedere oltre la nebbia fitta, che offusca la ragione e impedisce la  lucidità mentale.
In quel momento sentì il furgoncino di Stew avvicinarsi a gran velocità con un rumore rauco e una scia di fumo grigio rilasciato dalla marmitta. Quell’accozzaglia di ruote e ferraglia - anche arrugginita in alcune zone - sembrava millenaria. Magari era il bis nonno dell’antenato di Optimus Prime o, più semplicemente, un complesso errante di materiale recuperato dalla discarica del quartiere. 

 
❖    ❖    ❖

 
Il ragazzo si fermò proprio davanti casa sua e, rimanendo seduto al posto del conducente, si sporse sul lato e le spalancò la portiera.
« Sbrigati a salire, fa un freddo cane! »
Darcey fece come le era stato detto e richiuse la portiera sbattendola troppo forte.
« Oops! Per un attimo ho temuto che si staccasse »
Stew batté la mano sul cruscotto del furgoncino, come ad incoraggiarlo, e le rispose con un sottile sorriso affiancato da un’affermazione a favore del nonno di Prime, deviando così l’offesa sarcastica.
« Questo vecchio rottame è più resistente di quanto immagini, mia cara! »
« Basta che resista fino all’università, dopodiché può anche smontarsi per strada »
Stew aveva un’espressione che rasentava rassegnazione, dato che l’opinione dell’amica non sarebbe cambiata così facilmente come sperava, e divertimento insieme. 
Alzò gli occhi al cielo, scosse il capo e la croce che aveva al lobo oscillò da destra a sinistra. Infine si decise a partire sollevando lentamente il piede dalla frizione e innestando le marce. Percorsero metà del tragitto, da casa ad università, con una lentezza disarmate, tanto che Darcey temette di arrivare in ritardo, nonostante fosse in anticipo di un ora e mezza. Aveva il capo poggiato contro il vetro del finestrino e fissava il cemento della strada scivolare sotto le ruote al proseguire del veicolo.
Quelle ore di sonno profondo non erano state sufficienti e non avevano compensato le notti in bianco passate con Cassie a guardare “Saw“. Forse erano quei film la causa degli incubi.
« Dici che ce la faremo per mezzogiorno? »
Nessun parola, solo il rumore del mezzo che imprecava e prendeva velocità.
Il maggiore aveva gli occhi fissi sulla carreggiata, le dita ben strette intorno al volante e le labbra serrate. Darcey lo guardò con insistenza, quasi inquieta, e attese.  
« Hai letto il quotidiano? »
D’un tratto l’atmosfera era cambiata. Il precedente silenzio era servito all’altro per farsi forza e aprire un argomento non molto gradito dalla diciannovenne. Un sospiro prima del responso.
« Si… E credo di sapere dove vuoi arrivare. Non mi sarei mai aspettata di ricevere una predica da te, Stew Powell »
« Non è per niente una predica, cara la mia Darcey. Sai che non sono il tipo »
Ed effettivamente non lo era. Quel filo d’irritazione nella sua voce era contagioso e    parlare di quell’articolo le procurava ansia.
« Senti, Stew. So quel che vuoi dirmi. So che ultimamente stanno capitando cose spiacevoli, inaspettate e molte di queste sono inspiegabili,  ma non mi succederà nulla, non a me »
« Ah, no? E cosa te lo fa pensare? Cos‘hai in più rispetto agli altri, eh? Ti stai addentrando in un ambiente nuovo, conoscerai molte persone e voglio che tu stia allerta. Non fidarti. Meglio soli … »
Stew cominciava a spazientirsi, mentre Darcey aveva la stupida abitudine di incocciarsi sulle cose più futili e di mantener il pugno di ferro nonostante avesse torto. La situazione cominciava a scaldarsi e nessuno dei due aveva intenzione di portar ragione all’altro. Ma quello non era il giorno, il caso e il momento giusto di dar il via a un litigio, così cercò di spegnere la fiamma sul nascere e la buttò sul ridere. 
« … Che male accompagnati, lo so. E ti prometto che farò come dici, okay? Ci tengo a conoscere la svitata che avrà il coraggio di rispondere “si“, quando le chiederai di sposarti! Quindi … »


❖    ❖    ❖


Nel momento esatto in cui Stew cominciò ad accostare e prima che il furgoncino fosse completamente fermo, Darcey si caricò in spalla lo zaino e sgattaiolò giù dal veicolo evitando di prolungare quella sgradevole conversazione.
Stew stava per rimproverarla senza ritegno per l’azione sconsiderata a cui avevano assistito lui e Cassie - ovviamente Darcey l’aveva avvistata subito l‘amica; era all’entrata del bar con le braccia conserte e borsa a tracolla che l’attendeva - ma lei lo aveva anticipato. Cominciò a parlare, senza dargli il tempo di stopparla, e ad allontanarsi pian piano camminando all’indietro.
« … Ti auguro una buona giornata, buon lavoro, grazie mille per il passaggio e au revoir! Ci si sente quanto prima! »
Gli rivolse un ultimo sorriso furbetto, si voltò e corse dalla sua “best” stampandole un bacio sulla guancia. Intanto lui la guardava rassegnato. 
Finalmente la giornata stava cominciando a ingranare, escluso il cielo che sembrava esserle ostile. Il primo giorno di università era giunto insieme con la pioggia, che minacciava di farle arrivare bagnate fracide a lezione. Così, sperando che spiovesse, si trattennero al bar. Alla fine, e nonostante il temporale, si decisero e raggiunsero l’aula.
Quel lunedì fece la doccia a entrambe, si, ma almeno avevano la pancia piena della colazione divorata poco prima.


 

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