Simone e Francesca

di Sweetheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione iniziale ***
Capitolo 2: *** Spleen dei ricordi ***
Capitolo 3: *** Simone ***
Capitolo 4: *** Ripetizioni! ***



Capitolo 1
*** Introduzione iniziale ***



 

 

 

Simone era un ragazzo come tanti, nell’afosa Milano, a non potersi permettere una settimana al mare, o in qualsiasi altro luogo un po’ più fresco e vivibile del suo condominio. Certo, in passato aveva trascorso molte vacanze in Liguria, ma ora suo padre aveva perso la cattedra di inglese in un liceo privato e il solo stipendio della madre non bastava per andare in ferie.

Simone però era un ragazzo intelligente ed evitò di esser triste per la sua nuova condizione economica: del resto la sua città offriva mille risorse anche d’estate. C’erano i teatri, i musei, e spesso gli artisti più alla moda cominciavano proprio a Milano le loro tournèe.

 

Ma c’era chi pativa più di lui, a soli due piani sotto il suo appartamento.

Francesca era vissuta per ben quattordici anni a Rimini, la capitale del divertimento, a due passi dal mare, dove aveva passato estati di amori e amicizie.

Ma che cosa ci faceva a Milano? Bella domanda per deprimente risposta. Sua madre l’aveva costretta a seguirla dopo essersi sposata con Ascanio. Francesca voleva bene al patrigno, perciò fu più facile farle un ricatto psicologico: se si fosse rifiutata di seguire sua madre, quest’ultima non si sarebbe più sposata e lei sarebbe stata la colpevole.

Erano tre anni che non abitava più a Rimini, però in estate le era concesso stare per un paio di mesi a casa di un’amica, Ilaria, l’unica di cui si potesse davvero fidare. Ma quell’anno probabilmente Ascanio e sua mamma l’avrebbero portata con loro in Sardegna per la loro prima vacanza insieme: sarebbe Francesca riuscita a sopravvivere un anno intero senza i suoi adorati amici? Infatti nella nuova città non aveva stretto legami importanti, e si ritrovava spesso a vagare come un fantasma sola nella sua stanza, o a ingozzarsi di cibo, riuscendo a dimagrire visibilmente solo nei suoi due mesi di “vita” estivi.

Poi, ecco un altro elemento fondamentale che le mancava: i suoi “morosi”. Quando abitava ancora a Rimini ne aveva quattro, tutti contemporaneamente: Davide, di Treviso, scendeva a Rimini subito dopo la fine della scuola, e rimaneva per due o tre settimane; poi c’erano un paio di settimane “di scurezza” (come le chiamava lei) ed ecco Mathiew, un francese poco più piccolo di lei che la adorava e la assecondava in tutto. Un’ altra settimana di stallo e arrivava Eugenio, che si fermava per una decina di giorni, poi finalmente il suo preferito, Alessio. Non è che Francesca li avesse mai amati, ma le servivano solo per fare una bella figura in spiaggia, per non farsi vedere sola. In fondo erano solo amici, per farsi un bagno al mare o al massimo mangiarsi un gelato insieme: lei era una brava ragazza e non voleva illuderli.

Però da quando si era trasferita non era più riuscita a seguire questa rotazione e li aveva lasciati perdere, anche perché ormai, a diciassette anni, se voleva una storia doveva averla seria.

E Francesca ne soffriva in silenzio, sul pianerottolo di un condominio che la faceva sentire in galera.

 

 

Fu proprio su quel pianerottolo che incontrò per la prima volta Simone.

In tre anni non l’aveva ancora mai visto: il suo palazzo era talmente grande che non conosceva neppure chi ci abitava!

Il ragazzo le cadde addosso dalle scale, mentre lei stava uscendo. Si ritrovarono per terra aggrovigliati tra loro, ma Simone aveva sbattuto la testa in uno spigolo ed era tutto pesto.

- Entra un attimo, che ti do del ghiaccio!- Furono queste le prime parole di Francesca quando riuscirono ad alzarsi.

- No, grazie, abito solo due piani sopra- Simone era nero di lividi e rosso di vergogna. Questo non sfuggì a Francesca, che decise che quello era il momento buono per sfoderare, per la prima volta a Milano, il suo carattere simpatico e coinvolgente da amica.

- Dai, che non ti mangio mica!- Questa frase, aggiunta a una buona dose di accento romagnolo e a un sorrisino ironico, riuscirono a fare accomodare il ragazzo nel salotto.

I due parlarono della loro vita per molte ore, ridendo e scherzando. Un peccato che non si fossero conosciuti prima!

Nei mesi successivi i due cominciarono a frequentarsi sempre più spesso, divenendo amici per la pelle.

 

Bellissima per Francesca fu la notizia che le diede Ascanio: annullava la vacanza in Sardegna per un convegno di lavoro. 

In fibrillazione la ragazza chiamò subito la sua amica Ilaria.

- Franci! È da un pezzo che non ti facevi sentire, eh? Come te la passi nella capitale della moda?-

Di Ilaria ne esisteva una sola, capace di farla restare serena come se si vedessero tutti i giorni. Con questo pensiero a Francesca venne quasi da piangere.

- Ila! Santo cielo, non sai che giornata è stata oggi. Udite udite… I vecchi non partono più e io posso venire a Rimini anche subito! E poi un po’ di tempo fa ho conosciuto anche un ragazzo simpaticissimo. Si chiama Simone…-

- Grande! Franci, ora prepara le valigie e vieni qui. Subito! E porta anche Simone. Davide, Mathiew, Eugenio e Alessio se ne faranno una ragione. Tanto non sei mai stata ufficialmente con nessuno di loro, no? –

- Guarda che Simone è solo un amico. Ma… Se venisse, davvero non sarebbe un problema? –

- Una branda in più non ha mai fatto male a nessuno. Sistemeremo il tuo amico al posto della scrivania, tanto d’estate non mi serve. Tu dormirai come sempre nella parte alta del letto a castello, e io mi trasferirò in quella sotto. Dai, portalo…-

Francesca capì che il suo invito non era solo per gentilezza. Lo voleva davvero conoscere. Questo le fece infinito piacere.

 

Data la confidenza con Simone, non fu difficile invitarlo.

Dopo un primo rifiuto di cortesia, il ragazzo accettò di buon grado, così come i suoi genitori: erano felici che il figlio si distraesse per qualche tempo, e ormai sapevano che Francesca era una brava ragazza

 

La mattina della partenza Simone si presentò alla porta di Francesca con due pacchetti: uno era per lei, uno per Ilaria.

- Questo è un piccolo ringraziamento da parte mia per la tua amica. E questo è per te.-

Francesca accettò il regalo di buon grado. Era la collana di caucciù che avevano visto insieme: cominciò a sospettare che Simone non sarebbe rimasto per sempre solo un amico.

Partirono in treno e arrivarono alla stazione di Rimini verso mezzogiorno. Ilaria era già lì che li aspettava. Arrivati a casa, la nonna di Ilaria fece accomodare i tre ragazzi e li rimpinzò a dovere con deliziosi manicaretti.

Per la prima volta Simone vide Francesca veramente a suo agio. Sembrava tranquilla anche a Milano, così gentile e simpatica, ma attorno a quella tavola si rese conto che era come se quella ragazza avesse sempre tenuto una cicatrice di dolore sul suo viso, che chi non l’aveva mai vista senza non poteva notare.

Proprio quella sera ci fu la “Notte Rosa”, di cui si parlava tanto anche a Milano. Ilaria e Francesca indossarono due vestitini rosa confetto e, dopo una piccola battaglia, riuscirono a far diventare fucsia i capelli di Simone con una lacca colorata.

I tre cominciarono a passeggiare sul lungomare. Ilaria non mollava un attimo la sua amica, per troppo tempo “vissuta” solo con sporadici messaggini. Francesca durante quella sera incontrò molti suoi vecchi compagni di scuola, i suoi amici.

E Simone le seguiva, ma non con noia: per lui quella situazione era completamente nuova, così come la sua amica: era “Francesca da Rimini”, di un “Paolo” un po’ addormentato che non si era ancora reso conto di ciò che aveva di fronte… Era diventata veramente bella con quel sorriso così sereno e appagato.

 

Francesca incontrò uno dei suoi quattro “morosi”: Alessio, un tempo il suo prediletto, l’unico che non aveva più visto da quando si era trasferita. Quell’anno era sceso a Rimini prima. Si salutarono, lui era con un’altra, ma a Francesca non fece né caldo né freddo, anzi, era contenta per lui. Quanto era cambiato in quei tre anni! Solo allora la ragazzina si rese conto di essere cresciuta. Non aveva più bisogno della compagnia di qualcuno solo per fare bella figura. E ne era silenziosamente felice. Ora c’era Simone.

 

Simone le chiese:- Era lui Alessio, vero?- Infatti sapeva dei “morosi estivi” (e si stupiva di quel termine) di una Francesca quattordicenne. Lei gli aveva raccontato proprio tutto.

- Sì, ma non ho mai provato niente né per lui né per gli altri tre che sia paragonabile ai miei sentimenti nei tuoi confronti.-

Ilaria pensò bene dopo queste parole di farsi da parte. E non le fu difficile, perché di lì passò un gruppetto di amici che aveva conosciuto alle superiori, tra cui c’era anche il ragazzo che le piaceva da morire.

Simone e Francesca si ritrovarono soli vicino alla cabina del bagnino.

-Dai, sediamoci sulle prime brandine, che tra poco ci sono i fuochi!-

I due si accomodarono, ma per la prima volta non sapevano cosa dirsi.

Allora Francesca disegnò un cuore sulla sabbia, come da troppo tempo non faceva.

Simone sbuffò un’espressione sghemba e felice, la guardò negli occhi e aggiunse al disegno le loro iniziali.

I due sorrisero sereni. Che vacanza fuori dalla norma, seppur Rimini era una meta così banale! Che destino bizzarro e dolcissimo!

Prese lei l’iniziativa di baciarlo. Appena le loro labbra si sfiorarono, ecco i fuochi, tutti rosa a forma cuore, per festeggiare il loro amore. Che botti… tum turutum... potenti e gioiosi… Ma Francesca e Simone non dissero mai a nessuno che… Quel rumore non era dei fuochi d’artificio, ma dei battiti dei loro cuori!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Spleen dei ricordi ***


CAPITOLO 2 - "SPLEEN" DEI RICORDI

-… Tu pensoso in disparte il tutto miri: non compagni, non voli, non ti cal d’allegria, schivi gli spassi. Canti, e così trapassi dell’anno e di tua vita il più bel fiore.-

 “Ok”, si disse Francesca “la prima strofa c’è”

La ragazza rilesse a voce alta il tutto, poi provò a ripetere. Le aveva sempre fatto schifo Leopardi. Un povero sfigato con i paraocchi puntati nel suo circoscritto mondo intellettuale.

“Il Passero Solitario”, la più grande bufala della letteratura italiana dalla costruzione dell’Arco d’Augusto, le si presentava davanti come compito per il giorno dopo. Solo la prima strofa, una sciocchezza per la sua mente, che ricordava tutto e non dimenticava mai niente, una memoria duplice, capace di tenere a mente tutto ma anche di cadere per ore in rimembranze paranoiche che la bloccavano nel passato, mentre sarebbe stato maglio accettare il presente, se non condividerlo.

Del resto non aveva niente in comune con i ragazzi di quella classe, aggrappata com’era alla moda che fino a tre anni prima, e anche in quel momento a Rimini, vedeva la bellezza delle ragazze nei jeans a vita bassa, mezza spanna sotto l’ombelico, che le cadevano attillati sulle sue belle gambe, andando a finire fin sotto le sneakers Adidas immacolate. Si era ribellata al nuovo stile che imponeva felpe spesse ed enormi per il suo piccolo corpo da adolescente, continuava a portare quelle bellissime maglie a barchetta, che lasciavano intravedere senza timore le sue calde spalle e qualche centimetro di ventre, morbido ma piatto. Assolutamente non le passava nemmeno per la testa di conformizzarsi a maglioni e pantaloni a vita alta, a lei piaceva solo il suo stile, e quello un po’ più sbarazzino di Ilaria, la sua migliore amica di sempre rimasta a Rimini.

Era un dato di fatto: i ragazzi che condividevano con Francesca le mattine scolastiche entravano in contatto con lei solo per i pochi minuti della ricreazione, attirati da quel suo carattere gentilissimo che però non si concedeva più di un sorriso o di un’equazione a ventimila incognite, risolta brillantemente, passata durante un compito in classe.

 

Francesca amava la matematica, forse perché non la riteneva“un’opinione” ma un modo di pensare, una chiave razionale per interpretare la realtà.  Ed era la sola unica cosa che riuscisse a portarla  via da quel tetro palazzone, lontana da quei nauseabondi ascensori che parevano emanare la noia di vivere dagli scarabocchi neri disegnati a caso da quelli che erano stati adolescenti negli anni novanta. Chissà se anche le sue scritte erano state annoverate dai posteri nella lista di quelle degli amori finiti, su cui ormai si poteva riscrivere altre frasi in mancanza di posto? Chissà che cosa era rimasto di quel “Alessio ti amo” scritto con l’indelebile fucsia l’otto Giugno di tre anni prima sulla porta del bagno a destra del secondo piano della scuola media di Miramare, a Rimini?

Il suo Alessio, l’ultima volta che lo aveva visto era stata nell’estate duemilasei, tre anni prima.

 

 

 

Lui era venuto a sapere del trasferimento da Ilaria.

-Dài, non ti metterai mica a piangere…-

La guardò a luogo con l’aria di quando la prendeva in giro, però alla fine… La baciò. Un silenzio "pieno" e elettricamente appassionato si irradiò lì per lì per un attimo, come se dovesse essere seguito da infiniti altri. Ma quel calore pulsava ancora nelle sue tempie, rendendole impossibile tutto, tutto.

Non si ricordava il primo bacio, forse troppo piccola, forse troppo disinibita, ma l’ultimo…

La sera qualcuno li accompagnò a Gabicce, alla Baia.

Ballarono, il suo corpo innamorato e sciolto sulle note di quello di lui, deciso, distratto da danze che lei non poteva vedere.

E sulle più belle note di Emanuele Inglese nessuno notò tra tanti bagliori quello di due giovani lacrime infrangersi preziose.

 

Ora le lacrime gocciavano direttamente da quella lunga spina conficcata nel suo cuore, ormai da troppo tempo. Non se l’era di certo infilata da sola, ma non aveva fatto nemmeno nulla per evitarla. Ormai era troppo profonda, e le serviva l’aiuto di qualcuno… Ma se non lanci l’S.O.S. nessuna barca potrà salvarti dal naufragio.

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 Per SognatriceCullen_182
Grazie grazie mille per le tue critiche, perchè penso che una sola correzione costruttiva valga più di 1000 elogi ^^
Comunque il testo ke hai letto è stato un tema del liceo, ma ma  nei prossimi capitoli ho già in mente di riprendere tutta la storia in modo più "succoso"
Grazie ancora

Per Kukuri
Grazie mille!!!
continua a seguire la mia ff e nn ti deluderò ^^

Per Balakov
Ecco il capitolo di cui ti parlavo
A presto!!!!

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Capitolo 3
*** Simone ***


SIMONE

Uscito da scuola solo dopo aver salutato tutti, Simone si è diretto col suo passo tranquillo e un po’ sognatore alla metro, come del resto ogni giorno. Senza dar troppo nell’occhio, è salito e si è accovacciato sul solito posto a sinistra.

Che era un ragazzo tranquillo e senza noie particolari per la testa lo si capisce, oltre che da quel libro scritto in greco tenuto aperto tra le mani, dal suo aspetto: ragazzo alto, ma non troppo, spalle belle aperte, postura tranquilla. Il castano chiaro dei suoi capelli fa spiccare due occhi color smeraldo, uno da falco, uno cieco (vecchia storia…Se la museruola ai cani è obbligatoria un motivo ci sarà), che però all’apparenza è perfetto come l’altro. E che altro dire… Viso ancora un po’ scuro dall’estate, naso normale, labbra non troppo carnose ma morbide. Da sotto la giacca di pelle da motociclista si intravede una t-shirt bianca che fa risaltare i pettorali non gonfi, ma formati. I jeans, non di marca ma scelti con gran stile, coprono la stellina sulla caviglia delle sue All Star rosse, nuove fiammanti, che paiono fuoco sotto la cenere, un embrione di ribellione adolescenziale che palpita anche sotto la sua figura così pacifica.

Da qualche sedile più indietro giungono gli squittii di un gruppo di dodicenni che dicono pressappoco “troppo bello!”

Simone si volta istintivamente. Tutte fanno finta di niente, vergognose, tranne una, che rimane imbalsamata a fissarlo. Simone vuole farle notare che le è rimasta la bocca aperta, con le piastrine dell’apparecchio in bella vista, ma decide di non rovinare quel momento che forse lei aspettava da sempre. Si rigira, e al sicuro dietro le sue pagine in greco, è libero di sghignazzare alla reazione della bambina che mormora “Mi ha guardata…”

Ma lui le tipe non le vede nemmeno. In questi diciotto anni non si è mai innamorato, e le ragazze, dopo la prima fiamma che suscita in loro, passano ad altra scelta: è troppo bravo a fare   l’ “amico delle donne”. E quando hai un amico dell’altro sesso, non guardi più nemmeno di che colore ha gli occhi, ammesso che ne abbia.

 

La metro si ferma.

Mette “Omero” nella vecchia tracolla grigia, carica tutto in spalla, scende.

Esce fuori.

Il suo è uno di quei quartieri con i condominii alti minimo cinque piani che si alternano a qualche giardinetto per i cani e a rosticcerie di vario genere e varia stirpe; fortuna che c’era quella dei Siciliani dove i prodotti, anche se un po’ troppo unti per i gusti di sua madre, sono l’unica consolazione dopo il tempo pieno del giovedì.

Non è un brutto posto dove vivere, tutto sommato: non periferia, ma “zona residenziale”… Forse però l’unica vera differenza, oltre agli appartamenti un po’ più grandi e la gente un po’ più “per bene” la fanno i giardinetti per i cani.

Simone cammina affianco al marciapiede, poi prende la strada a sinistra, silenzioso sulle sue sneakers, si ferma davanti al portone che, pur essendo identico a tutti gli altri, lui riconosce come “casa dolce casa”. Da quella figura così elegante e silenziosa nasce un piccolo disordine, un tintinnio di chiavi che non sono quella giusta.

Suona sotto voce Leurini.

Catullo, accoccolato sul letto del ragazzo, sottrae dal suo dormiveglia un momento di sussulto per la voce gracchiante del citofono. È sempre così, il suo padrone. Innamorato come lui, ma di nessuna ragazza in particolare.

-Chi è???-

Ma chi vuoi che sia all’una e un quarto?

-Mago Merlino. Dài ma’, sono Simo!-

Sorridono entrambi, dai due lati del citofono. Lei che spera nel giorno in cui Omero, Esopo e compagnia bella porteranno la chiave giusta a quel figlio un po’ strano che la dimentica sempre (Almeno il Greco e il Latino servirebbero a qualcuno!). Lui che ogni tanto vorrebbe una mamma che, oltre a stirare, cucinare e a dargli un bel bacione sulla guancia prima di uscire a far commissioni, si sedesse un po’ a sognare con lui.

 

Apre il portone di casa e con lui entra uno spiraglio di vento, aggrappato alla sua pelle e ai suoi capelli. Catullo è lì, che lo aspetta come sempre, dal primo giorno che era entrato in quella casa, piccolo e bagnato.

Il gattosi gode la carezza di Simone sulla testolina e lo ringrazia con le fusa.

Ecco che sono entrati in sintonia sulle stesse frequenze.

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Capitolo 4
*** Ripetizioni! ***


"Ripetizioni"

“Io scrivo molto bene, se vuoi posso darti una mano!”
Ecco che, del tutto fuori dai suoi programmi, Francesca si trova ad aspettare il ragazzo che le darà ripetizioni nella materia che più odia.
Sono le tre e mezza. Il campanello suona. È lui.
-Ciao!
Sembra un’altra persona. Il livido si è assorbito quasi del tutto, i capelli sono pettinati, un bel sorriso gli dipinge il volto.
-Ciao! Entra pure!
Simone varca la soglia e si dirige con lei verso la cucina.
-Bello questo quadro! È un Reinassant?
-Boh! Lo abbiamo preso al mercatino, a Rimini
-Sei tata a Rimini?
-Per i miei primi quattordici anni.
-Sei nata lì?
-Sì. Io e mia mamma siamo riminesi.
-E con che coraggio avreste lasciato l’ombelico del divertimento per venir qui?
Coltello nella piaga. Tacco a spillo piantato su un piede scalzo. Fulmine a ciel sereno che colpisce proprio lei. Francesca cerca di rimanere tranquilla, quasi indifferente: è così che si fa per non piangersi addosso.
-Beh, vedi… Dopo tredici anni di fidanzamento, mia mamma si è sposata col babbo e siamo venute qui da lui. Cioè, lui non è il mio padre naturale, ma è come se lo fosse!
Simone capisce che forse sarebbe stato meglio non porle quell’ultima domanda. È stata un po’ impertinente, forse… Bisogna rimediare.
-Ti faccio una domanda: tieni un diario?
-No! Non mi piace scrivere!
-Non sai quello che ti perdi! Poter trascrivere le proprie emozioni aiuta a sfogarsi, e soprattutto a riflettere e a conoscere sé stessi! E non pensi anche tu che conoscere sé stessi sia il modo migliore per migliorare noi e ciò che ci circonda? È inutile che l’uomo scali le montagne più alte e navighi i mari più tempestosi, se poi non riesce a raggiungere la sua essenza! È per questo che io scrivo.
Silenzio. Francesca si è persa verso le parti dello sfogarsi e del conoscersi.
-Ma io mi conosco già!
-O è quello che pensi… Fa’ così: scrivi qualcosa su di te, quello che ti pare. Anche due o tre righe vanno bene. Più scriverai, più bisogno avrai di scrivere. Scrivere sarà la tua droga.
-Bisogna stare attenti, però: la droga brucia i neuroni!

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