perfect

di shewolf_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capiotlo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32. ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33. ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34. ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37. ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38. ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39. ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40. ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41. ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42. ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43. ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44. ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45. ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46. ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47. ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48. ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49. ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50. ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51. ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52. ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53. ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54. ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55. ***
Capitolo 56: *** Capitolo 56. ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57. ***
Capitolo 58: *** Capitolo 58. ***
Capitolo 59: *** Capitolo 59. ***
Capitolo 60: *** Capitolo 60. ***
Capitolo 61: *** Capitolo 61. ***
Capitolo 62: *** Capitolo 62. ***
Capitolo 63: *** Capitolo 63. ***
Capitolo 64: *** Capitolo 64. ***
Capitolo 65: *** Capitolo 65. ***
Capitolo 66: *** Capitolo 66. ***
Capitolo 67: *** Capitolo 67. ***
Capitolo 68: *** Capitolo 68. ***
Capitolo 69: *** Capitolo 69. ***
Capitolo 70: *** Capitolo 70. ***
Capitolo 71: *** Capitolo 71. ***
Capitolo 72: *** Capitolo 72. ***
Capitolo 73: *** Capitolo 73. ***
Capitolo 74: *** Capitolo 74. ***
Capitolo 75: *** Capitolo 75 ***
Capitolo 76: *** Capitolo 76. ***
Capitolo 77: *** Capitolo 77. ***
Capitolo 78: *** Capitolo 78. ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Salve a tutti, questa è una storia che ho cominciato a scrivere un paio di anni fa e che, per causa scuola, non sono mai riuscita a continuare. Ho gia molti capitoli da parte, una cinquantina circa, tendo a scrivere molto quando mi interesso ad una storia.
Ora che ho un pò di tempo libero mi piacerebbe ritagliarlo e dedicarmi a continuarla; aggiornerò abbastanza spesso quindi.
I personaggi non mi appartengono e tutto quello che ho scritto è pura fantasia.
Mi scuso in anticipo per gli eventuali errori di scrittura, tendo a non rileggere.
Questo è un assaggio, enjoy.

PERFECT. 

-Gwen,Kimberly e Julia,se non la finite,vi sbatto fuori dall'aula!- gridò l'insegnante di economia.
Era una donna non troppo alta,capelli corvini dal taglio a caschetto e occhi molto grandi,sul grigio..o un colore altrettanto neutro,dato che Kimberly non era mai stata molto interessata ad assicurarsene.
Era una donna in gamba e sicuramente molto preparata,minuta ma con una forza e un carisma che poteva ribaltare il mondo in un secondo,se solo avesse voluto.
Sicuramente a conoscerla meglio,era anche simpatica.. ma le sue materie proprio non lo erano.
Di tutta risposta Gwen sbuffò un “mamma mia,questa..” tornando a sfogliare la sua rivista,Julia le sghignazzò in faccia e Kimberly si girò decentemente nel suo banco,in modo da non dare più le spalle all'insegnante e riportando la sua piena attenzione alle doppie punte dei suoi liscissimi capelli.
La professoressa preferì non perdere altro tempo e continuò con la sua lezione,mentre le 3 continuarono a fare i propri comodi,sta volta silenziosamente e ognuna per conto suo.
Non mancava molto alla fine,ma in certi casi anche dieci minuti sembravano durare un'eternità.
Kimberly sospirò e,accavallando le gambe,appoggiò anche una mano sulla guancia.
Esitò un minuto,prima di alzare la mano e chiedere il permesso per uscire,sarebbe uscita comunque tanto.
Non era esattamente una ragazza modello sotto quel punto di vista,non più almeno.
La professoressa le fece segno di andare,senza neanche interrompere la frase che stava recitando o darle la parola,tanto sapeva perfettamente che non le avrebbe posto una domanda inerente.
La ragazza scavallò le gambe e uscì dall'aula,quei stivaletti col tacco in legno attiravano l'attenzione su di lei ovunque andasse,tanto erano rumorosi.
Quindi non c'era da stupirsi se quando si voltò per chiudere la porta,tutti gli occhi della classe erano puntati su di lei.
Andò in bagno senza fretta,ne scelse uno a caso e vi si chiuse dentro.
Si appoggiò alla porta e si lasciò andare al suolo,per poi portarsi la testa tra le mani.
Odiava la sua vita,la odiava con tutta se stessa.
Detestava la persona idiota che era diventata,odiava il tono con cui rispondeva alle persone,e i loro sguardi avviliti quando ricevevano parole crude come uno schiaffo;detestava gli specchi e detestava sentirsi carina e alla moda quando si riconosceva nelle figure riflesse.
Lei non era come Gwen o Julia. Lei era una persona vera.
Non sopportava più quel estenuante routine quotidiana,sempre uguale,sempre monotona,sempre quella.
Ogni tanto desiderava più di qualsiasi altra cosa scomparire,scappare lontano da tutto e datutti.
Ma,quando la situazione si faceva ai limiti della sopportazione,si ritirava tra sé e sé facendosi forza e ripetendosi che la sua felicità era lì vicina,mancava poco e l'avrebbe assaporata.
Non desiderava altro che arrivare al momento in cui si sarebbe potuta guardare indietro con un sorriso e finalmente non pensare più alla sofferenza e a tutte le lacrime perse nel nulla più assoluto.
Lo desiderava con tutta sé stessa.
Nella sua più nera e viva negatività,c'era un barlume di speranza che non faceva che ardere incessantemente,quasi a simboleggiare la sua forza d'animo che non voleva assolutamente sotterrarsi.
Era stata male,sì,forse aveva addirittura sfiorato la depressione,ma non si sarebbe mai e poi mai data per vinta così,per nulla.
Anzi,era stata forte,aveva saputo rialzarsi e imparare a trarre beneficio da ogni sua sensazione,comprese quelle che rientravano nel dolore.
Era riuscita ad andare avanti,o almeno,era ancora in procinto di farlo,dato che pur di dimenticare tutto,stava letteralmente cambiando quello che era.
E si odiava,eccome. Ma non aveva scelta,dal suo punto di vista.
Fece un respiro profondo e uscì dalla cabina per poi andare davanti allo specchio. Solo lì si accorse,quando vide le strisce di trucco colate sulle guance,di aver pianto.

 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Ecco il secondo capitolo dove entra in gioco Jared.
Perdonate gli errori, enjoy :)


Capitolo 2.

Velocemente prese un paio di fazzoletti e asciugò quel pasticcio,maledicendosi sommessamente.
A lavoro compiuto,tornò in classe e anche lì,non si stupì di trovarsi tutti gli occhi puntati addosso,dato che avevano sentito il suo arrivo.
Si sedette al suo posto in silenzio e notò con la coda dell'occhio che le sue due amiche avevano ricominciato a confabulare sotto gli occhi della prof rassegnata al fatto che mancassero solo 5 minuti.
Quando,finalmente,la campanella suonò,ci fu un sospiro generale.
I suoi compagni si alzavano e stiravano,sbadigliando senza nemmeno preoccuparsi di coprirsi la bocca.
Kimberly ridacchiò senza scomporsi,quando decise anche lei di imitarli.
Si sgranchì per bene la schiena e si diresse verso il suo migliore amico,Joseph,così per scambiare 4 chiacchiere,l'unico che aveva deciso di risparmiare dalla sua furia.
Si allungò verso di lui incurvando la schiena in dentro,facendolo sorridere.
-Sfiancante,eh?- domandò sorridente.
-Più del solito..- rispose la ragazza continuando con la sua serie di sgranchimenti.
Era un ragazzo alto,sarà stato 1.85 m,se non di più,spalle larghe,fisico asciutto,capelli e occhi scuri.
Forse era carino,non ne aveva idea. Quando un ragazzo era suo amico non si soffermava mai sull'aspetto fisico,quasi non se ne accorgeva.
Questo dava non poco fastidio a Joe,il quale era risaputo che avesse una cotta per Kim da quasi il primo momento che si erano conosciuti. Ma lei era ingenuamente convinta che fossero semplici dicerie dei compagni.
Quando ragazzo e ragazza hanno il feeling che avevano loro due,subito si va a pensare che si piacciano,invece a Kim piaceva stare in sua compagnia,molto semplicemente..era così sbagliato?
Erano solo amici,niente di più. Non sarebbero mai stati niente di più.
Anche se,quando sorrideva in quel modo,Kimberly pensava che fosse molto più che semplicemente carino,ma non glielo aveva mai detto.
Kim si accorse che il suo amico guardò alle sue spalle e subito gli si spense il sorriso,nel vedere il professore dell'ora successiva entrare in classe e appropinquarsi alla cattedra.
Tutti si misero ai propri posti in piedi,aspettando il permesso per sedersi: si trovavano in una scuola privata e questo era l'unico gesto educato che era loro richiesto di eseguire.
-Sedetevi pure.- disse il professore di musica,con un sorriso accennato.
Ecco,per Kimberly,quell'uomo era la prova che la perfezione esisteva.
Non avevano mai avuto musica prima d'ora,era stata una riforma scolastica di settembre dell'inizio dell'anno.
Loro erano al 4° anno e quando vennero a sapere delle ore di musica settimanali ne furono piacevolmente confusi. Era una novità,e a scuola,chi non apprezza le novità?
Specialmente in una scuola piccola come quella,dove le novità sono più rare di una nevicata in pieno agosto.
La preside aveva risposto alle domande curiose degli alunni usando come scusa il fatto che,trattandosi di un liceo,gli studenti necessitavano di una preparazione generica almeno su ogni campo.
Nessuno sporse lamentele,soprattutto dopo aver visto l'insegnante.
Le professoresse lo descrivevano come “un uomo piacente”,giusto per non sforare e mantenere quel decoro che viene loro richiesto in ambito lavorativo.
Tant'è che inizialmente nessuno ci credeva. Cosa potevano sapere delle donne abbastanza attempate,di cosa era ritenuto bello al giorno d'oggi?
E invece.. eccolo lì. Il professore di musica più affascinante che potesse esistere.
Si chiamava Jared Leto,e grazie a lui,musica era la materia più attesa della settimana.
Tutti andavano bene nella sua materia,un po' perchè lui era ampio di maniche,un po' perchè,trattandosi di una scuola composta in maggioranza da femmine,tutte si mettevano a studiare solo per attirare la sua attenzione.
Era abbastanza alto,allampanato,capelli scuri e occhi ghiacciati,o azzurro cielo,o blu o.. tutte le sfumature possibili.
Era un sogno,era desiderato ed aveva sulla 40ina d'anni.
Kimberly adorava le sue lezioni per la passione che ci metteva in quello che faceva o spiegava.. si vedeva che era un artista.
Inoltre,non c'era spettacolo più bello di tutte le ragazze che si ridicolizzavano senza neanche rendersene conto.
Ad esempio,se un compagno chiedeva una penna nera,tutte rispondevano che non ce l'avevano o semplicemente lo ignoravano,non si sa se per pigrizia o altro;mentre invece,se a chiederne una era il Prof. Leto,improvvisamente tutte ne possedevano una e facevano a gara a chi arrivava prima.
Kim non si scomponeva più di tanto,lo utilizzava solamente per rifarsi gli occhi tra un'ora e l'altra.
E poi,sinceramente parlando,la sua materia la annoiava. La parte teorica,almeno.
Se fosse stato per lei lo avrebbe fatto solo suonare e cantare,dato che lo faceva magnificamente.
Lei adorava cantare,amava la musica e tutto quello che ne derivava. Da piccina desiderava proprio essere una rock star,tanto che si ricreava la scena in camera sua,con una borsa a forma di chitarra e l'asta per appendere gli abiti come microfono.
Peccato che non fosse particolarmente intonata,quindi si arrese con un'alzatina di spalle e decise di limitarsi a sentirla la musica,anziché crearla.
Inoltre,Kim e il profe non si potevano soffrire. Per questo lo preferiva quando cantava,lo trovava molto più sopportabile.
Lui percepiva la sua noia nei confronti della sua materia,ritenendola come un'offesa personale,infatti finiva che spesso e volentieri discutessero sugli aspetti più futili,solo per non darsi ragione a vicenda.
Jared la riteneva una bisbetica ignorante,come le sue due amiche,le quali però erano troppo accecate dalla sua bellezza per prendersela a male.
Probabilmente si sarebbero anche fatte bocciare,se i corsi estivi fossero stati tenuti da lui.
-Chi mi ripete la lezione del giorno?- chiese lui dalla cattedra,il tono pareva particolarmente allegro.
Questa frase fece sgranare gli occhi a Kim,la quale si ricordò improvvisamente di non avere neanche aperto il libro. Non che ci tenesse,tanto lui più del 6 non le avrebbe mai dato.
-Kimberly? Vuoi concederci l'onore?- le domandò cercandola tra le teste.
Il suo tono strafottente la infastidì. Era sicuro che non fosse pronta,lo faceva apposta,sembrava ci godesse a umiliarla davanti ai compagni. O gli piaceva lo scontro,punti di vista.
Per come la fissava ogni tanto,le veniva da pensare che gli piacesse lei,ma cercava di scacciare certe idee e pensava che la troppa vicinanza con Gwen e Juls le avessero annebbiato il cervello.
Loro si auto-convincevano sempre che mr Leto era segretamente cotto di loro o qualcosa di simile,non che le ascoltasse poi molto.
-Ehm.. no,non mi sembra il caso.- rispose,cercando di sorridere in modo amichevole. Di solito con i professori più aperti come lui funzionava. Ma non con lui,purtroppo. Non con lei.
-Non hai studiato,immagino. Kimberly,tu sai almeno come è fatta la copertina del libro?- sbuffò incrociando le braccia al petto.
-Scusi se ho una vita.-  ribattè Kim,con le guance leggermente arrossate dal nervoso.
La risposta gli fece alzare le sopracciglia,sebbene se l'aspettasse da parte sua una risposta impertinente da quella ragazza.
-Kimberly,sto per darti un brutto voto,non mi sembra il caso di mettersi su un piedistallo.- disse lui di tutta risposta. In questi casi adorava tirare fuori il potere di stare seduto ad una cattedra.
Il volto delicato dell'alunna impallidì leggermente. -Non può farlo!- sbottò,senza rendere conto della persona con cui stava parlando.
-Oh sì che posso.- un sorriso maligno gli si disegnò sul viso. Eccome se adorava sentirsi superiore.
Kim sentiva i suoi occhi di ghiaccio penetrarla in profondità,quasi a leggerle i pensieri.
Ma non si lasciava intimidire e reggeva il suo sguardo senza problemi,fissandolo negli occhi,a sua volta. Del resto era uno spettacolo per le pupille,e quando socchiudeva le palpebre e sorrideva in quella maniera saccente,non faceva che imbellirsi.
Lei sapeva che aveva ragione,lui era il professore,poteva anche bocciarla quando voleva. E la sua essenza era ciò che di più lontano potesse apparire dall'esterno.
Se fuori aveva l'aspetto di un angelo,dentro era il demonio. Per lei.
-E mi dispiace,ma con me i tuoi occhioni da cerbiatta non funzionano,non mi incanti.- continuò Leto,senza distogliere l'attenzione dal suo volto.
Kimberly si sentì colpita nel profondo,questo era un colpo basso.
Ammetteva che ogni tanto utilizzava la sua espressività accentuata per intenerire i professori,specialmente  i maschi;ma in quel preciso momento impietosirlo era la sua ultima intenzione. Era davvero questo che era diventata? Una bambola manipolatrice?
Fu in quel momento che mollò la presa,abbassando lo sguardo e posandolo sulle sue mani tramanti di rabbia,con una smorfia delusa.
Era davvero bravo. 1-0 per lui.
Jared se ne accorse e il suo sorriso vincente si accentuò su quelle labbra talmente perfette da sembrar finte. Ma decise di lasciar perdere per il momento,erano solo i primi 5 minuti dell'ora,aveva ancora 45 minuti di tempo per altri scontri.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Ecco il terzo capitolo.
Spero sia di vostro gradimento :)



Capitolo 3.
 

Con molta sorpresa per il professore, per il resto dell'ora Kimberly non aprì bocca, nonostante i suoi immensi sforzi per ravvivarla o le innumerevoli frecciatine.
Niente, non una parola altezzosa, un'occhiataccia raggelante o una smorfia disgustata.
Stette mesta e immobile con l'attenzione esclusiva per la manicure per tutto il tempo, non aveva neanche il coraggio di incontrare il suo sguardo.
Doveva essersi profondamente offesa, non la conosceva proprio bene.
Quando si parlavano era o per discutere o perchè lei fosse interrogata per recuperare il brutto voto precedente, sebbene non ci fosse alcun brutto voto.
Non la conosceva da molto, saranno stati sì e no 3 mesi scolastici, ma lei aveva subito un cambiamento radicale nel giro di uno solo.
Inizialmente era una ragazza piena di vita, allegra e solare, particolare. Semplicemente unica.
Capelli lunghi e castani e due occhioni onice, così scuri che riflettevano l'immagine della persona che stava guardando. Molto espressivi,dal taglio lungo.
Nessuna caratteristica particolarmente eccentrica o memorabile, ma il suo viso era uno di quelli che quando lo incontri, è difficile da rimuovere. I lineamenti non erano spigolosi, ma morbidi e delicati.
Profilo così perfetto da essere invidiabile, labbra non troppo carnose e pelle che pareva di pesca.
Ovviamente trovandosi in un liceo composto in maggioranza da ragazze veniva difficile non notarle, nonostante sapeva perfettamente che se qualcuno gli avesse letto nel pensiero, l'avrebbe preso per maniaco.
Naturalmente sapeva che alcune si prendevano un po' troppo sul serio, molte volte si era frenato dal urlare loro che era inutile tirarsela in quella maniera, l'aspetto non porta da nessuna parte ad una certa età. Anche lui da ragazzo era attratto dalle belle ragazze, c'era poco da fare,ma quando poi si rendeva conto del vuoto che in realtà erano, non le trovava più così interessanti.
Infatti in genere, lui era il tipico bello e impossibile che tutte volevano e le poche che riuscivano a raggiungerlo,non durava più di qualche ora.
Era anche un po' stronzo, a dirla tutta. Ma non gli interessava, lui voleva una persona da scoprire che non fosse solamente tutto involucro e niente sostanza.
E la gran parte delle ragazzine in quella scuola lo erano, non che aveva mai sfiorato l'idea di cedere ad uno dei loro tentativi di attirare la sua attenzione. Gli faceva ridere solo l'idea di infatuarsi di una ragazza così tanto più giovane e lo divertiva l'idea di essere denunciato per pedofilia.
Non sarebbe mai e poi mai successo.
Nonostante questo, il suo interesse per Kimberly lo spaventava, dato che la sua personalità controversa lo attirava più di qualsiasi altra.
I suoi occhi pece per lui erano un enigma tutto da scoprire.
Spesso avrebbe voluto andare a risvegliarla da uno dei suoi viaggi mentali e chiederle a cosa stesse pensando da rendere tanto meraviglioso il suo viso.
Poi, un giorno improvviso, cominciò a mutare.
Lei cominciò a cambiare abbigliamento e portamento, certo, solo l'esterno cambiava all'apparenza.
Per chi la vedeva da fuori poteva pensare che stesse solamente crescendo e avesse finalmente scoperto della sua bellezza e di come potesse tornarle utile, iniziando così a trattare male le persone. Altri potevano pensare che stesse semplicemente tentando darsi una forma più adulta, ma lui notò che c'era dell'altro.
Dietro alle solite risate sguaiate,alle risposte come al solito acide ed al suo cambio di look, c'era qualcosa di più profondo. Nei suoi occhi neri quella luce di vitalità era svanita. Non c'era allegria nei suoi sorrisi, non c'era profondità nei suoi gesti. Spesso Jared pensava che lo guardasse senza neanche vederlo, persa nei suoi pensieri più loschi e tormentati.
Quando si perdeva a fissare il vuoto, la sua espressione assumeva una nota puramente sofferente.
Lo nascondeva bene, certo. Ma dentro di sé voleva esplodere.
Erano le sue amichette che la stavano fagocitando lentamente,ancora poco e sarebbe diventata il terzo clone platinato,ne era sicuro.
In cuor suo, Leto sperava che tornasse in sé, temeva che la sua luce andasse scemando ulteriormente.
Anche in quel momento, osservandola durante l'intervallo nei corridoi, con Gwen e Julia, persa a fissare i suoi amici ridenti e scherzosi, vedeva qualcosa dentro i suoi occhi sgretolarsi inesorabilmente.
Certo,questo non toglieva che si trattasse della ragazza più irritante,impertinente e viziata che avesse mai conosciuto,ma era sinceramente dispiaciuto per quello a cui assisteva.
Tornò in classe e si sedette di nuovo alla cattedra, l'aula vuota sembrava un campo di battaglia reduce da una guerra in trincea. Libri,quaderni e quant'altro era sparpagliato sui banchi di ciascun alunno, abbandonato nella fretta di uscire da quella classe in cui stavano rintanati per sei ore al giorno.
Si sentiva particolarmente stanco e spossato,e l'idea di avere altre 3 ore ad aspettarlo non aiutavano di certo.
Ad interrompere i suoi pensieri, fu la porta di legno che si aprì.
Kimbely entrò e quando si accorse della presenza dell'insegnante,dovette trattenersi dal retrocedere. Si fece coraggio e camminò silenziosamente verso il suo banco,vi si sedette e buttò la testa tra le mani,sospirando rumorosamente. Poi si sporse,afferrò la borsa da cui estrasse un libro che stava leggendo in quel periodo e l'aveva presa particolarmente.
Si sentiva osservata, infatti, quando sollevò lo sguardo,i suoi occhi incontrarono immediatamente quelli del professor Leto. Rimase qualche secondo perplessa, domandandogli con gli occhi quale fosse il problema. Lui scosse semplicemente la testa, senza però distogliere lo sguardo dal suo.
La guardò stendere la schiena contro lo schienale e accavallare le gambe, aprendo il libro alla pagina in cui l'aveva lasciato. Le sue labbra mimarono un “ok” poco credibile e le sopracciglia si alzarono con uno scattino che faceva palesemente intendere “questo è scemo”.
-Che libro leggi?- le domandò fingendo disinteresse.
-Non sono affari suoi.- ribatté senza sollevare l'attenzione dal libro.
-Come siamo scontrose..- ridacchiò lui,prendendosi gioco della sua impazienza.
-Sa com'è,vorrei leggere in santa pace, e invece c'è un cretino che mi distrae.- finalmente riportò l'attenzione sul volto di Jared.
Lo fissava con sfida, le si leggeva chiaramente che non lo sopportava assolutamente.
Ciò lo divertiva, mentre lei continuava a domandarsi cosa ci fosse di tanto interessante nell'infastidirla.. Era l'unica che provava gusto a torturare?
-Sai, è una delle tante cose che non ti ci vedo proprio fare. E invece..leggi.- disse appoggiando la guancia su un palmo aperto, ignorando il fatto che gli avesse dato del cretino.
Kimberly lo guardò indispettita. Stava per scoppiare.
-Scusi?! Ma come si permette ad insinuare che io non sappia leggere?- ringhiò a denti stretti.
Lui la guardò alzando un sopracciglio. -Mi viene da pensarlo dato che non apri neanche il mio di libro.- rispose pacato.
-Semplicemente perchè la sua è una materia altamente noiosa. Ecco perchè non ci perdo un minuto del mio tempo.- spiegò calma.
-Sei troppo viziata..- sbuffò l'insegnante alzando gli occhi al cielo.
-E lei è troppo detestabile.- disse come una scheggia, pensando di colpire qualche tallone di Achille del professore. Jared invece, con sua grande sorpresa, ridacchiò sommessamente senza dire niente.
Si fissarono intensamente per gli attimi restanti di pausa,senza fiatare.
Lui tentava di capire, di scavare dietro quei buchi neri senza espressione, cercava di immaginare con quanti aggettivi poteva in quel momento Kimberly descrivere il suo odio per lui.
Invece lei, contrariamente di quanto pensasse l'insegnante, non pensava a nulla.
Si sentiva svuotata, si sentiva intorpidita e sentiva che non sentiva più niente. Sapeva che ciò sarebbe durato finchè il loro contatto visivo non si fosse rotto, quindi decise di goderselo.
Lo guardava come se non l'avesse mai visto, sinceramente contenta che lui la stesse guardando di rimando, per un minuto il suo ego ingigantito piacevolmente le fece pure pensare che sarebbero anche potuti andare d'accordo, in un universo parallelo.
Ma durò troppo poco per non pensare che fosse stato tutto frutto della sua immaginazione, perchè infatti non appena i compagni cominciarono a ritornare in classe, lui distolse l'attenzione da lei, raccolse il suo libro e la sua chitarra e uscì dalla classe con un -Arrivederci.- generale.
Mentre Kimberly continuava come una fessa a fissare dove si trovava lui fino a 5 secondi prima.

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Capitolo 4
*** capitolo 4. ***


Buongiorno! Ecco a voi il nuovo capitolo.
Niente di che, un capitolo di transizione, solo per presentare il personaggio principale.
Mi raccomando se avete qualche critica, commento o anche solo un bisogno sfrenato di mandarmi un saluto (ahah) non trattenetevi, non mordo :)
Buona lettura!



Capitolo 4.
 

Camminava a testa bassa verso casa con la sua andatura altezzosa e rumorosa.
Detestava quei tacchi,nonostante non arrivassero ai 10 cm,le facevano un gran male alla pianta dei piedi.
Quasi, quasi sarebbe tornata a rimettere le sue adorate Vans o All Star.
Ma ciò sarebbe significato cedere, e lei non ne aveva la minima intenzione.. quello che era prima non andava bene, evidentemente.
Quando si liberò di quel fardello insostenibile che erano le sue scarpe, tirò un sospiro di sollievo e salì velocemente le scale fino in camera sua, lanciando cartella e giacca sul letto.
Casa sua era vuota a quell'ora, non c'era mai nessuno che le faceva compagnia mentre pranzava, così spesso evitava proprio di cucinare inutilmente
Viveva con sua madre Lilian e il patrigno James in una delle villette a schiera in un paese non molto lontano dal centro.
Non le piaceva particolarmente quel paese, lei era cresciuta nello stesso di sua mamma, dove tutt'ora vivevano i suoi nonni.
Era un paesino carino, con tanto di centro commerciale e cinema apposito per i ragazzi.
Ma lei non era mai stata una a cui piaceva la stabilità, infatti si era stufata di tutto e tutti e non appena aveva cominciato le superiori, aveva smesso di frequentare i suoi ex compagni di scuola, tagliando completamente i ponti.
Se ci pensava lo trovava altamente egoistico, ma non le importava più di tanto.
Quanto sarebbero andate avanti quelle amicizie, dopo tutto?
Preferiva lasciarsi tutto alle spalle con tanto di ricordi di momenti che non avrebbe perso per niente al mondo.. Del resto quello rimaneva il suo paese, e qualvolta avesse deciso di tornarci, poteva tranquillamente farlo.
Il libro che stava leggendo in quel periodo l'aveva colpita principalmente per quello.. proprio perché parlava dell'importanza dell'appartenere ad un paese.
Diceva che il bello di un paese era sì, lasciarlo, ma anche essere consapevoli che nella lontananza, qualcosa di tuo rimane là ad aspettarti.
L'unica pecca è tornare e notare tutte le orrende differenze che non ti aspettavi di trovare.
Erano ormai sei mesi che non ci metteva più piede in quel paese, e per il momento era intenzionata a non farlo per altrettanto tempo.
Quello in cui viveva invece, non aveva niente di suo, era piccolissimo quindi sapeva perfettamente percorrerlo grazie alle innumerevoli passeggiate col cane, ma non conosceva nessuno e non aveva alcuna voglia di fare amicizia proprio ora, dopo ormai 10 anni che ci viveva.
Era sempre stata un po' sulle sue, molto spesso preferiva star sola, nel silenzio, piuttosto che circondata da gente idiota e fastidiosa. Erano gli altri ad avvicinarla, e, quando succedeva, non si tirava mai indietro, nonostante il suo essere solitario. Conoscere qualcuno era sempre un'esperienza interessante.
Era convinta che certe persone dovessero essere conosciute almeno una volta nella vita.
L'unico contatto che aveva con gli abitanti di quel paese era la pensilina dell'autobus, mezzo che lei disprezzava, infatti aveva cominciato a studiare per la patente in modo da poterla prendere appena compiuti i 18. Avrebbe tagliato i ponti anche con quelle persone che a pelle non le andavano a genio.

Sua madre le aveva lasciato una ricetta su un post-it sul frigorifero, ma non ci fece neanche caso e decise di stendersi in camera sua.
Lilian era una donna forte, con la testa sulle spalle, maniaca del pulito e uno sviluppato senso pratico.
Organizzava l'inorganizzabile.
Da lei aveva preso i capelli castani e il lato materno e combattivo.
Capelli lunghezza spalle, occhi vispi e intelligenti di un verde intenso, bel fisico nonostante i suoi suonati 45 anni.
James invece era un uomo molto attivo e con uno spiccato senso del dovere, non troppo alto e dalla corporatura un po' pingue.
Da quando aveva memoria lui era presente nella sua vita, quindi per lei era come un padre.
A lui doveva la tenacia e il senso della giustizia, lui le aveva insegnato come capire cosa fosse giusto e sbagliato, essendo lui un avvocato.
Avevano una figlia, la sua sorellina minore, Gaya.
Era all'asilo al momento, una bambina allegra e vivace, dalla risata contagiosa. Capelli biondicci come il padre e occhi verdi come la loro madre.
Dopo aver spedito la piccola all'asilo, James assunse Lilian come sua segretaria in modo da non darle il tempo di annoiarsi, idea che apprezzò particolarmente Kimberly,dato che almeno non doveva subirsi le lamentele della donna da mattina a sera.
Kim adorava la sua famiglia, sebbene spesso si sentisse un poco a disagio circondata da delle persone accasate come loro.
E, a dirla tutta, si sentiva anche di troppo, ogni tanto.
Quando la sera si ritirava in camera sua e per puro caso dopo qualche ora scendeva a prendere un bicchiere d'acqua, capitava che li trovasse tutti e tre distesi sul divano del salotto abbracciati, come una perfetta famigliola al completo.
Non per questo era gelosa o disprezzava la sorellina, anzi, era più che convinta che per lei avrebbe dato la sua stessa vita.
Semplicemente lei era più tendente verso suo padre.. Max.
Un uomo in carriera,una sorta di manager a cui era concesso girare il mondo, mentre lei era costretta a stare segregata in 4 km quadrati.
Lui non le parlava spesso del suo lavoro, sua figlia era semplicemente a conoscenza del fatto che fosse a diretto contatto con la musica, ma da quanto aveva capito si trattava di un produttore famoso e non gli andava di intromettere questo lato della sua vita, nei pochi momenti di intimità che aveva con sua figlia.
Lei significava il mondo intero per lui. Era tutto, era una cosa a parte, il suo riparo dalla frenesia della quotidianità.
Kim non ne era così a conoscenza, ma sapeva che l'affetto che il suo papà nutriva nei suoi confronti era quasi sovraumano.
Lo capiva da quanto si impegnava nel chiamarla una volta alla settimana alla stessa ora, precisamente il giovedì alle 9; dai nomignoli idioti che continuava ad affibbiarle, nonostante il tempo e l'età di ques'ultima; dall'entusiasmo che le dimostrava ogni qual volta che lei gli comunicava una novità, un buon voto o qualsiasi cosa aveva animato la sua settimana; dal modo in cui tentava sempre a spronarla a fare del suo meglio e non abbattersi nel caso si trovasse di fronte a delle difficoltà e da come ogni volta le ripetesse di quanto fosse orgoglioso di lei.
Ad essere sincera, Kimberly sapeva in cuor suo che tutto quello che faceva di buono, lo faceva per lui. Non si sarebbe mai e poi mai perdonata nel caso in cui gli avrebbe provocato una delusione.

Lei ammirava profondamente suo padre, scaltro, ribelle e soprattutto libero. Sempre pronto a seguire il suo istinto, mentre lei si riteneva anche fin troppo riflessiva.
Lui alla sua età, quando si era rotto della monotonia della sua vita, prese e partì a far esperienza e a conoscere le cose che poteva solo immaginare tramite la televisione.
Qualche giorno prima l'aveva chiamata chiedendole se desiderava qualcosa dalla Francia.. Mentre lei si trattenne dall'implorarlo di venire a prenderla e portarla con sé.
Era terrorizzata dalla vita sedentaria che sarebbe stata costretta a vivere. Non voleva assolutamente che finisse così per lei.
Non voleva assolutamente che nella sua vita si sarebbe detta “sono nata a X,vivo a X,mi seppelliranno a X”. Lo trovava altamente deprimente.
Ecco, da suo padre si poteva dire che aveva preso la capacità di pensare in grande, la capacità di sognare.
Oltre al suo amore per la musica e al suo essere in un certo senso eccentrica, una specie di artista.
Lei era particolare, non era la tipica 17enne. O forse era la speranza di un'adolescente che non vuole conformarsi alla massa..
Ma aveva dei sogni, aveva dei principi... quando invece i primi le furono stati negati, non fu difficile per lei perdere anche i secondi.
Si stese sul tappeto che le occupava completamente il pavimento, e si ranicchiò su se stessa, cercando di non spezzarsi in miliardi di granelli.
Aveva uno sfrenato bisogno di parlare con qualcuno.. ma non le era rimasto nessuno.
La sua migliore amica era partita mesi prima per l'anno all'estero e non erano più riuscite a sentirsi, Gwen e Julia non la stavano manco a sentire, coi genitori non aveva questo gran rapporto, andavano d'accordo, certo, ma lei era stata sempre molto riservata riguardo agli affari suoi.
E l'unica persona che in quel momento voleva fosse accanto a lei.. l'aveva abbandonata.
Aveva una tremenda voglia di piangere, di sfogare tutta la sua frustrazione e tristezza incolmabile.
Dicevano che la ruota gira. E lei stava semplicemente aspettando che arrivasse il suo momento di lasciarsi trasportare in alto. Invece, non faceva altro che trovarsi a terra e ogni vota che tentava di risalire, veniva spinta giù brutalmente. Non sopportava più questa situazione e quel dolore che attendeva solo che lei rimanesse da sola per colpirla e trascinarla con lui.
Fortunatamente, squillò il cellulare. Come appena sveglia si avvicinò a carponi all'oggetto vibrante rispondendo alzando di un tono la voce, per darsi vitalità.
-Gioia! Tra un'ora in centro?- le chiedeva Gwen dall'altra parte del cavo.
-Assolutamente!-  e senza aggiungere altro riattaccò, buttò tutto il necessario in borsa, si diede un'occhiata allo specchio e uscì velocemente di casa.

Pur di non rimanere da sola, avrebbe fatto di tutto.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ciao :)
Vi dirò, mi è molto piaciuto scrivere questo capitolo, mi sono divertita perchè è uscito spontaneo,
non l'avevo neanche programmato.
Spero piaccia anche a voi!
Se non lo leggete bene, se lo leggete meglio e se magari commentate ancora meglio ahah.
Grazie a tutti :)



Capitolo 5.

-Signora Bloomwood,sua figlia mi trova detestabile e la mia materia la annoia.- disse il professor Leto a due occhi incantati che lo fissavano, mentre un altro paio lo scrutavano con disprezzo.
Era il pomeriggio dei ricevimenti per le pagelle del primo quadrimestre, fine gennaio.
Ovviamente Kim sapeva che non l'aveva comunicato a sua madre cercando di metterla nei guai, dato che disse quella frase con la più totale calma e le labbra piegate in un sorriso seducente.
Non aveva la minima idea di cosa stesse tentando di fare, perché si vedeva che si rendeva perfettamente conto del suo potere sul sesso femminile.
Lilian cercava di darsi un minimo di contegno, Kim l'aveva avvisata prima di scendere dalla macchina.
“Mamma non sbavare davanti a quello di musica, ti prego.” le aveva intimato.
Di tutta risposta aveva ricevuto un “Ma figurati..” scettico, riguardo al fatto che ci fosse ancora qualcosa che potesse colpirla.
E in effetti c'era, evidentemente. Lo fissava senza mai sbattere le palpebre  e annuendo come un' automa dopo essere stata privata del cervello.
Infatti Kimberly corrugò la fronte, notando che sua madre non le aveva rivolto ancora uno sguardo di rimprovero. Non che non se lo aspettasse, sua figlia l'aveva avvertita dei suoi problemi con quell'uomo, sebbene in quel momento la donna non riusciva a capire come si potesse detestare una persona di così bell'aspetto.
Jared sorrise compiaciuto dell'effetto che aveva sulla madre, del resto ci era abituato. In quella scuola erano messe tutte così -tutte tranne Kim. Infatti il motivo non riusciva ancora a spiegarselo, non che gli interessasse particolarmente, era bello ogni tanto parlare con qualcuno che non gli desse assolutamente ragione solo perché non stavano a sentire quello che diceva o perché aveva ragione a priori.
-Signora?- decise che era meglio svegliarla dal suo stato inquietante.
-Sì? Oh, sìsì capisco.- sobbalzò come dopo essere stata bruscamente riportata sul pianeta Terra. Poi voltandosi verso sua figlia -Kimberly!- con un tono finto severo, senza aggiungere altro.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e si batté il palmo della mano sulla fronte pensando “figura di ,me*da, figura di me*da, figura di me*da”.
Sperava sinceramente che la madre non avrebbe reagito in questa maniera imbarazzante davanti a mr Leto ,il quale sembrava piacevolmente divertito e la guardava leccandosi di tanto in tanto le labbra. Gesto che mandava la concentrazione di sua madre da tutt'altra parte.
-Mi..Ci..Lei..- balbettava Lilian fissando le labbra del professore, alche Kim le diede un calcio alla sedia, in modo da ristabilirla in quella classe. Erano ormai 10 minuti che stavano parlando, si stava creando coda fuori dall'aula: altre mamme con gli ormoni accesi che giustificavano la loro impazienza con il voler parlare dei propri figli, nonostante tutti sapessero che musica era considerata una materia inutile solo alla pari con educazione fisica.
-Profe, mia madre vuole dire che sono una buona a nulla, che è dispiaciuta e ora si è fatto proprio tardi e dovremmo andare così che in macchina possa farmi la ramanzina, poi mi segregherà in camera a  vita assicurandosi che non pensi ad altro che a musica! Grazie del suo tempo, arrivederci!- Kimberly decise di prendere in mano la situazione, alzandosi e agganciando sua madre a braccetto, tentando di trascinarla con sé.
Jared sì alzò di scatto e afferrò la ragazza per il braccio. -Nono, non abbiamo ancora finito.- fece segno alla signora di riaccomodarsi, la quale eseguì senza farsi problemi.
L’alunna sbuffò mostrando tutta la sua frustrazione e guardando in cagnesco l'insegnante si risedette pesantemente.
-Chiuderla in stanza lo trovo perfettamente inutile, perché se la voglia non c'è, non le verrà sicuramente così, conoscendo il soggetto..- cominciò sorridente l'uomo.
-Cosa intende dire con questo, scusi?- domandò infastidita Kimberly.
-Sto dicendo che hai problemi quando ti si obbliga a fare qualcosa. E non negare, signorina.- disse lentamente, con quel sorriso leggermente accennato che tanto faceva girare la testa alle donne, e guardandola fisso negli occhi.
Kim decise di non dare l'avvio ad uno scontro proprio davanti a sua madre, quindi strinse i denti e incrociò le braccia al petto.
Capendo, il professore proseguì. -Bene,dicevo.. a mio avviso sarebbe molto più producente se per il prossimo mese si fermasse qua a scuola il pomeriggio, due volte a settimana.. con me. -
Kimbrely lo guardò allibita. Se non fosse che si teneva strette le braccia, le sarebbero cadute.
Mentre lui le continuava a sorridere, sapendo di aver la vittoria in pugno.. che poi, in cosa consisteva? Perché ci teneva tanto che lei studiasse la sua cacchio di materia? Ci teneva a torturarla, questo era certo, ma che genere di soddisfazione ne avrebbe ricavato lui? Già si immaginava che sarebbero state delle ore insopportabili, piegata sul libro e trattata come una bambina di 9 anni, inesperta e incapace di studiare.
Doveva fare qualcosa, doveva impedirglielo. -No,professore non le vorrei rubare del tempo prezioso. Mi metterò a studiare, glielo garantisco.- disse con il tono più gentile che poteva produrre in quel momento, presa dalla rabbia.
-Nessun disturbo, te lo assicuro.- rispose anche lui fingendo gentilezza per poi sorridere alla madre, sapendo che bastava solo quello per convincerla.
Infatti questa si svegliò. -Oh beh.. Kim se il tuo professore lo ritiene opportuno, direi che devi.- il tono di sua madre era convinto.
-Ma mamma!- cercò di replicare Kim voltandosi verso di lei di scatto.
-No Kimberly, niente ma. Ci vai, almeno lui può assicurarsi che tu abbia studiato.- non ammetteva lamentele.
“Povera me..” pensò Kim chiudendo gli occhi e buttando appena indietro la testa.
Quando li riaprì, ovviamente,Jared la stava guardando, quel sorriso maligno e trionfante che avrebbe fatto saltare i nervi anche ad un santo. Lei non si lasciò prendere dalla desolazione e si alzò.
-Ok, ora però direi che è proprio ora di andare.- disse a sua madre cercando di farla staccare da quella sedia. Lilian, suo malgrado si alzò, seguita da Jared che le porse la mano.
Se la strinsero e quando il professore fece per fare la stessa cosa con la ragazza, lei si allontanò di un passo, infilandosi la giacca a vento, così lui la riabbassò e le infilò entrambe in tasca.
-Arrivederci Signora Bloomwood. A presto Kim.- le salutò guardando esclusivamente la ragazza uscire dalla classe, la quale gli rivolse lo sguardo più cattivo che conosceva, facendolo ridere sommessamente.
Ormai in macchina, mentre sua madre continuava a dirle di quanto fosse fortunata ad avere un professore così attraente, lei ripensava al saluto: l'aveva chiamata per la prima volta Kim.
E doveva ammettere che detto da lui suonava davvero bene.

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Capitolo 6
*** capitolo 6. ***


Ok, capitolo davvero misero e breve, oltre che scritto male.
Perdonatemi :)



Capitolo 6.

Passeggiava per strada, diretto verso il parcheggio a pagamento in cui aveva lasciato la macchina la mattina stessa. Erano le sette meno un quarto, non sopportava più quella scuola, se ci fosse stato dentro un minuto di più sarebbe esploso in una furia omicida.
Starci 10 ore al giorno non è affatto una bella esperienza, ma gli toccava subirla ogni volta che c'era un'assemblea o un ricevimento genitori come quello a cui era stato.
Anzi nel secondo caso era anche peggio, dato che doveva sorbirsi sia l'assemblea -a cui poteva tranquillamente non partecipare, dato che tanto non diceva mai niente- che un branco di genitori lamentosi e prepotenti.
Sì, aveva assolutamente bisogno di una sigaretta.
Camminava lento, passando per la via principale in modo da ammirare le vetrine variopinte e da assaporare con molta più calma la stizza.
Si sentiva decisamente molto più rilassato, e quell'arietta fresca che tirava gli dava un gran sollievo.
Non gli piaceva più di tanto quella città, tra tutte quelle in cui aveva vissuto, questa stava tra le più basse della categoria.
Non c'era un perchè preciso, forse per l'anonimato del luogo, né troppo caldo né troppo freddo, o forse perchè era l'unico posto ad avergli offerto una cattedra fissa, mandandogli a rotoli i piani inizialmente ideati.
Lui aveva da sempre un sogno: diventare qualcuno.
E le carte in regola le possedeva tutte, dalla prima all'ultima. Solo che per qualche assurdo scherzo della natura ,nessuno l'aveva mai notato, sebbene non passasse così tanto in secondo piano.
Aveva talento, ne era sicuro, e aveva anche l'aspetto, volendo.
Aveva girato in lungo e in largo il pianeta, sperando di trovare fortuna da qualche parte, faticando per ogni singolo oggetto che possedeva e spaccandosi la schiena per sopravvivere o almeno portare avanti una vita degna di essere vissuta.
Eppure, alla fine,s i era ritrovato in questo luogo dimenticato dagli stessi abitanti tanto era tipico e scontato. Nulla di particolarmente interessante da attrarre i turisti, nulla di storicamente importante da apparire sui libri. Niente.
Ogni tanto la vita era ingiusta. Passi gran parte del tempo -dalla nascita alla maggiore età- a immaginarti lo stile di vita perfetto per te, e tutto il resto, invece, a leccarti le ferite mentre ti rendi conto che niente di quello che avevi ipotizzato potrà divenire reale.
Jared sapeva bene come ci si sentiva, sebbene non fosse mai stato il tipico ragazzo che si abbatteva davanti alla prima difficoltà, anzi.
Era sempre stato maturo e in gamba rispetto ai suoi coetanei, diverso.
Adorava definirsi diverso.. lo faceva sentire vivo.
Guardarsi intorno e rendersi conto che nessuno era come lui, lo rendeva fiero.
Sempre sicuro, sopra le righe, talentuoso e una gran testa. Perchè anche questa ci vuole nella vita.
Certo, di scemenze ne aveva fatte anche lui, aveva il suo giro di amici in ogni posto in cui si trasferiva; gli piaceva far tardi la sera e le cose proibite come ogni adolescente, certamente.
Ma da sempre, probabilmente da quando aveva imparato a ragionare, aveva capito che il suo futuro non sarebbe semplicemente stato legato ad una comunissima scrivania in un altrettanto comunissimo edificio come una banca.
Lui, il suo nome, la sua persona, sarebbero stati conosciuti nel mondo.
E quando, da piccolissimo, aveva messo mano per la prima volta su di un pianoforte, capì finalmente in che ambito.
Era stato amore a prima vista, o meglio, a primo tocco.
Uno di quegli amori che ti consumano e ti corrodono tutti i pensieri; uno di quegli amori egoisti ed esigenti, che pretende ogni pensiero per sé.
Lui amava la musica.. era quello il suo futuro. La sua intera vita dipendeva dalle 7 note.
Quindi tutto quello che aveva affrontato e sopportato era stato solamente per lei, il suo primo amore.
Aveva girato, viaggiato, fatto ogni genere di lavoro e condotto ogni genere di vita.. aveva lottato, sofferto ma non si era mai arreso.
E alla fine, ironia della sorte, si trovava legato ad una comunissima cattedra in una comunissima scuola. Aveva ormai quasi 40'anni, sarebbe stato stupido pretendere che il successo cadesse dalle piante adesso.. almeno poteva dire di averci provato.
Non aveva neanche mai preso in considerazione questo lavoro, lui detestava i professori.
E sinceramente, neppure lui aveva la minima idea di come ci fosse arrivato, probabilmente in un momento di disperazione acuta aveva spedito curriculum a destra e a manca, sperando di trovare qualsiasi cosa.
Era convinto che, tra tutte le possibilità che potessero capitargli, gli fosse anche andata di lusso.
Meglio quello che netturbino, sicuramente.
E, tutto sommato, non era così male. Con i suoi alunni aveva instaurato un bel rapporto, non era il comune professore tutto studio e voti, anzi, li aiutava sempre.
Ogni tanto faceva qualche domanda giusto perchè per legge necessitava avere almeno 3 voti per alunno.
E poi gli era infinitamente grato. A loro faceva sentire le sue canzoni, raccontava delle sue avventure nei paesi più strani in cui era stato e specialmente, li incoraggiava ad inseguire i loro sogni.
Forse loro potevano avere più fortuna di lui.
Sospirando si appoggiò con la schiena alla macchina per terminare la sigaretta.
Era tutto assurdamente ingiusto, il colmo dei colmi. Ma non se la sentiva di abbattersi proprio adesso.. niente accade senza motivo, dicevano.
In cuor suo lo sperava, magari aveva sopravvalutato tutto ed era semplicemente destinato ad altro, qualcosa di più normale.
Gli venne in mente un libro, che aveva letto una volta. Si chiamava “La profezia di Celestino”, diceva che tutti noi nella vita abbiamo una strada ed è lì pronta che ci aspetta.. sta a noi incanalarci nella giusta direzione. E per trovarla, era importante non forzare troppo le cose, certo, metterci un po' del nostro e prendere le cose come vengono.
Così aveva deciso di fare lui. Aveva premuto sull'acceleratore per anni e anni, senza ottenere niente.
Ora voleva godersi quello che si era creato, sperando così di lasciarsi trasportare dalla corrente della sua strada.
Un sorriso amaro gli si disegnò in volto, fece un respiro profondo e dopo di che montò in macchina, ingranò la marcia e partì, pronto a per tornare a casa.

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Oh yeah ecco a voi un altro capitolo.
siamo in depression mode: On; e mi scuso ma ogni tanto tocca farlo ;)
Come sempre spero gradiate, e qualsiasi commento è ben accetto.
Cuoricino.


Capitolo 7.
 

Si sentiva soffocare,ancora.
Quanto sarebbe durata quella fase? Quanto sarebbe riuscita a proseguire così senza che gli altri se ne accorgessero? O per lo meno, fingessero di non accorgersene?
Non desiderava altro che tutto finisse. Era diventato tutto troppo insopportabile, persino i quattro gradini che precedevano l'entrata di scuola sembravano sfiancarla.
Prima di aprire la porta della sua classe chiuse gli occhi un nano secondo e si dipinse sul volto il sorriso più vero che potesse sfornare.
Entrò, la classe era semi vuota o semi piena, punti di vista... oggi la vedeva particolarmente vuota.
Lei si sentiva vuota. Non aveva nessuno qui disposto a parlare di quello che la torturava da mesi, ma, anche se avesse voluto, non pensava ci sarebbe riuscita.
Preferiva non pensarci, sebbene spesso le immagini dolorose le passassero davanti quando meno se l'aspettava, come flash improvvisi e spaventosi.
Si sedette al suo posto e cominciò a parlare del più e del meno con le persone che subito l'accerchiarono.
Nonostante sotto certi aspetti fosse mutata, il carattere e il carisma che prima non passavano inosservati le erano ancora addosso e i suoi compagni sapevano che nel profondo era solamente una fase e sarebbe passata. Infatti lei voleva molto bene a tutti loro, nonostante non avesse più un cuore.
Gliel'avevano strappato, spezzato e polverizzato davanti agli occhi.

 La giornata passava lenta e monotona, come tutte le altre del resto.
Appena ti consegnavano la pagella, nessuno aveva più voglia di assegnare voti per un bel po', per quanto i tempi fossero davvero stretti
Kim stava ascoltando distrattamente la lezione di letteratura, le piaceva la sua professoressa, aveva un voce molto limpida e soffice. Sembrava intonata apposta per una ninna nanna.
Sua madre non voleva mai andare a parlare con lei perchè le faceva venire sonno.
Talmente calma e leggera che nessuno nella stanza fiatava per prestarle attenzione.
Kimberly la ascoltava incantata, mentre l’insegnante leggeva l'argomento del giorno, con una guancia sostenuta dal palmo aperto della mano.
Leggeva “l'Orlando Furioso” di Ariosto, molto scorrevolmente e con enfasi.
L'atto che stava leggendo poi, la prese sinceramente, sebbene tentasse ripetute volte i svegliarsi.
Parlava di questo personaggio che, andato alla ricerca della sua amata Angelica, un giorno scopre in una foresta il nome di lei inciso su alberi, pietre, rocce, casinsieme a quello del suo amato, Amedoro.
Inizialmente lui  tentava di convincersi che non fosse quello che pensava, che quell'Angelica non fosse la sua Angelica, o che Amedoro fosse il nome con cui lei lo chiamasse in segreto.
Ma quando la realtà delle cose, sebbene già molto evidente, gli fu sbattuta in faccia, impazzì.
Si svestì e cominciò a correre in giro per il mondo, uccidendo persone e animali a mani nude e sradicando pini come fossero finocchi.
La delusione d'amore gli fece perdere il senno.
Come ci somigliamo, Orlando.
La professoressa si interruppe, finito di leggere una parte importante. -Pensate che ci siano dei riferimenti alla realtà?- chiese generalmente ai ragazzi che erano presi dalla storia.
La letteratura quando parla di cose che si sentono vicine, non sembra affatto pesante, anzi, prende una piega interessante.
Tutti alzarono contemporaneamente lo sguardo, portandolo nel suo.
Occhi confusi, divertiti, indifferenti, interessati e feriti le comunicarono già abbastanza.
Kim, senza sapere per volere di chi, prese la parola. Non interveniva spesso, certe cose non la entusiasmavano tanto.
Ma il suo bisogno di esternare i suoi sentimenti la precedettero.
-Io penso di sì.- disse ad alta voce.
L'insegnante la guardò, contenta di aver ricevuto una risposta. Forse avrebbe potuto iniziare un dibattito, cosa che adorava. I dibattiti tra alunni la entusiasmavano, voleva dire che aveva fatto centro.
-Continua Kimberly.-  la spronò interessata.
Tutti i compagni erano girati nella sua direzione, come se per sentire quello che aveva da dire fosse necessario anche guardarla.
-Ovviamente nel limite del possibile. Però penso che renda bene cosa la sofferenza arrivi a farti fare.
Il dolore che può provocare un rifiuto.
Ovviamente nella realtà non ci trasformiamo in mostri verdi, ma credo che tutti tendano a trasformarsi in qualcun altro in seguito, come se perdessero una parte di loro stessi.- rispose la ragazza, tenendo gli occhi nei suoi, sperando sinceramente che la prof non le leggesse dentro quanto sentiva quelle parole.
Fortunatamente entrarono in campo altre voci di compagni che volevano dire la propria, quasi tutti concordi con Kim.
L'amore arriva addirittura a farti uccidere.
E nel suo caso, lei stava uccidendo se stessa.

L'ora finì, e Kimberly si sentiva più debole e vulnerabile del solito.
Una delle sue tante barriere protettive erano state ampiamente abbattute: il non pensarci.
Lei non voleva permettersi mai di pensare a ciò che più la faceva soffrire, ma quella storia, la professoressa e i suoi occhi comprensivi quando diceva la sua, la fecero del tutto crollare.
Si sentiva fragile, bastava uno sguardo a distruggerla.
Era il momento di musica, così lei decise di concentrarsi su come discutere in un qualche modo con mr Leto. Le avrebbe fatto bene.
L'uomo entrò con un  sorriso disarmante in classe, cosa che fece sciogliere tutte in un sospiro estasiato.
Portava la chitarra acustica in spalla, era sempre di buon auspicio.
Aveva scritto una nuova canzone e voleva che i suoi alunni la ascoltassero e gli dicessero cosa ne pensavano.
Riportò tutti all'ordine e disse loro di accomodarsi.
Kim notò quanto la sua bellezza aumentasse quando era così raggiante.. emanava calore e luminosità.
Intercettò il suo sguardo e le sorrise gentilmente, a mo' di saluto.
Lei si risvegliò dai suoi pensieri e distolse il suo, sentendosi lievemente in imbarazzo. Non era mai stata beccata a guardarlo con gli occhi che non fossero di fuoco.
-Ragazzi! Indovinate?- chiese sorridente alla classe, in tutto il suo splendore.
-Ha una nuova canzone!- esclamò una delle ragazze.
-Esatto!- disse lui facendole l'occhiolino, cosa che per poco non la mandò in iperventilazione.
-La vogliamo sentire.- disse un altro a nome di tutta la classe.
Tutti volevano sentirla, sentirlo cantare era una delle 5 cose che ti avrebbero fatto sentire bene anche dopo la tipica giornata no.
Senza obiezioni prese una sedia e si sedette con la sua fida chitarra.
Cominciò a strimpellare una melodia dolce, e, quando la sua voce cominciò ad intonare calde, tristi parole, a Kimberly si spezzò il fiato nei polmoni.
Quello che diceva, come lo diceva.. faceva un male immenso.
-Come, break me down. Bury me, bury me, I am finished with you.- la sua voce era perfetta. Intonata ma con quell'accenno di rauco che lo rendeva estremamente
sexy.

Ma tutto quello che sentiva Kimberly erano pugnalate, una dietro l'altra.
Il dolore che era in grado di esprimere, le sue espressioni d'agonia, i suoi acuti che parevano richiesta d'aiuto.. tutto faceva solo che far star peggio Kim.
Il bello delle canzoni era sempre stato il fatto che riuscissero ad esprimere sentimenti comuni ma tanto complessi da non riuscire ad essere espressi, sebbene tutti le pensassero.
“Vieni, distruggimi e seppelliscimi.” quante volte Kim aveva pensato queste parole, quante volte, colma di disperazione, aveva implorato di morire, piuttosto che continuare con la sofferenza che la stava dilaniando dall'interno.
Quante volte aveva desiderato andare da Lui e dirgli “guardami negli occhi” e vedere una reazione in lui, vedere se un briciolo di rimorso si poteva cogliere nel suo sguardo. Si sarebbe mai reso conto che la stava uccidendo?
-Tutto quello che volevo eri tu.- diceva Jared e non aveva la minima idea di quanto in quel momento Kimberly gli desse ragione. Forse per la prima e unica volta si trovava d'accordo con lui.
A Kim salirono le lacrime agli occhi, e, non appena il professore finì la canzone scatenando un boato comune, lei chiese gentilmente di andare in bagno, sfilando un oggetto dal suo astuccio.
Jared la guardò per risponderle ma il sorriso si spense. -Kimberly, tutto bene?- le domandò un po' preoccupato dall'espressione smorta che aveva la ragazza. Che non le fosse piaciuta la canzone?
Che stesse male? Sarebbe stata la sua prima alunna malata.
Subito tutti si voltarono a guardarla, e i suoi occhi si accesero di un'improvvisa luce, in modo da non destare sospetti. -Certo.- rispose sicura, avviandosi alla porta, sotto lo sguardo indagatore del professore che la guardava sospettoso.
Uscì velocemente dalla classe, andò in bagno e si chiuse in una cabina.
Il bello di quella scuola era che era sempre pulitissima, e i bagni erano in perfetto stato.
In quel momento però poteva trovarsi anche in un angolo della strada, perchè non capiva più nulla.
Il respiro si fece più intenso e profondo, cercava di mantenere la calma, ma non ci riusciva.
Gli occhi le si offuscarono, non vedeva più nulla e il respiro ormai le si era smorzato in gola.
Si lasciò cadere, si raggomitolò a terra, cercando di soffocare i singhiozzi.
Perchè non voleva passare quell'orrenda sensazione di rifiuto ed abbandono? Era passato ormai più di un mese, e Lui non c'era più.
Se n'era andato, lasciandola quando meno se l'aspettava. L'aveva ingannata, delusa e sfruttata.
Nonostante ciò, Lui possedeva il suo cuore. Ce l'aveva tutto dalla prima all'ultima molecola.
In realtà il suo cuore batteva, lo sentiva eccome. Ma era un flebile eco di un affetto che le era stato rifiutato. Spesso, desiderava sinceramente non averne uno, pensava
che sarebbe stata decisamente meglio. Tutto sarebbe stato sempre più facile.

“Vieni, fammi a pezzi.” perchè senza di te non ne vale più la pena.
Si tirò su a sedere e cercò di riprendere la calma, mentre le immagini più tormentose e dilanianti le sfrecciavano davanti, una dopo l'altra.
Perchè si era comportato così? Perchè, dopo tutto quello che lei gli aveva concesso, aveva lo stesso deciso di farle questo? Lui, che diceva di amarla e proteggerla, alla fine si era rivelato il primo ad averla utilizzata solo come passatempo.
“Lo vedi? Mi stai uccidendo.” pensò, tirando fuori dalla tasca dei jeans il taglierino.
Alzò una manica e premette la lama contro la pelle,in modo da darle un po' più sollievo.
“Tutto quello che volevo eri tu”.

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Capitolo 8
*** capiotlo 8 ***


Le voila le nouveau chapitre!
Scusate ogni tanto ho questi esploi di francese ahah.
In ogni caso, BAM con questo capitolo entriamo nel vivo dell'azione, ci saranno sempre capitoli di transizione (del resto non si può sempre vivere con l'ansia ;) ) ma da qua in poi comincia la storia vera e propria!
Spero leggiate, gradiate e abbiate la pazineza di farmi sapere che ne pensate :)
Grazie a tutti per i commenti lasciati ;D




Capitolo 8. 

La campanella di fine scuola suonò e nel giro di qualche minuto la classe era completamente vuota.
I ragazzi, ammassati come formiche, spintonavano per uscire il prima possibile, neanche fosse una prigione.
Tutti tranne Kimbely però, che quel giorno sarebbe dovuta rimanere il pomeriggio con l'insegnante di musica. Che cosa significasse tenerla come ostaggio per due ore poi, non lo sapeva neanche lei.
Pensava forse che se l'avesse tenuta controllata mentre studiava, magari le sarebbe venuta ancora più voglia? Tsk, illuso.
Mentre i suoi compagni si lanciavano fuori dall'aula, lei non muoveva un muscolo, come se la professoressa di chimica stesse ancora finendo di spiegare, sebbene lei fosse stata tra i primi a lasciare la stanza.
-Ehy Kimmy, non vieni?- le domandò Juls con una voce stridula.
A Kimberly dava un fastidio insopportabile la sua voce nel pronunciare quell'orrendo nomignolo.
Subito fu affiancata da Gwen, erano le solite ritardatarie.
Prima di uscire dall'edificio avrebbero fatto una capatina in bagno, per rifarsi il trucco.
-Mh, no oggi devo restare per..- cominciò a spiegare Kim, ma Gwen non la lasciò nemmeno finire che le schioccò un bacio sulla guancia -Sìsì, come preferisci. Ti squillo sul tardi, bacione!- e uscì di scena insieme a Julia, che la salutò timidamente.
Kim rimase immobile qualche istante prima di sospirare pesantemente, ingobbendo la schiena e piegarsi su se stessa. Portò la testa tra le mani e fece scorrere le dita tri lunghi capelli ondulati.
Lanciò un'occhiata all'orologio alla parete appena sopra la lavagna.
Doveva vedersi con Leto tra un'ora, probabilmente lui ora era in sala professori a pranzare, pensando che Kimberly stesse facendo lo stesso fuori scuola.
Per passare il tempo cominciò a sistemare il suo banco tirando fuori dalla borsa solo il necessario. Si era ricordata il libro di musica, fortunatamente.
Poi si alzò e si avvicinò alla finestra, la aprì per far circolare con po' d'aria.
Fuori era una bella giornata, soleggiata e neanche troppo fredda, nonostante fosse inizio febbraio.
Un'arietta fresca le scompigliò i capelli. Adorava l'aria, per lei era l'emblema della libertà e respirarla a pieni polmoni le faceva pensare di farne un po’ parte.
Il panorama dalla sua classe non era il massimo, ma l'altezza, l'aria e i raggi del sole davano al tutto un risvolto più interessante del solito.
Si appoggiò al banco più vicino e rimase incantata a guardare fuori, senza pensieri, senza preoccupazioni, sentiva solo l'aria attraversarla e invaderle la testa.
I vestiti non erano poi tanto pesanti, quindi si strinse le braccia al petto, sebbene qualche flebile raggio la illuminava, allietandole i brividi lungo la schiena.
-I tuoi capelli hanno dei riflessi rossi e biondi al sole. Non l'avevo mai notato.- disse una voce alle sue spalle, spaventandola. Era anche piuttosto vicina.
Kim sobbalzò e si sollevò, girandosi per guardare in faccia il suo interlocutore, sebbene avesse perfettamente capito di chi si trattasse.
Erano in due in quella scuola a quell'ora. Mr Leto la guardava con una profondità terrificante, Kimberly detestava quando la guardava così, sembrava che riuscisse  a leggerle nell’anima.
-Oh, perdonami. Non intendevo spaventarti.- continuò notando la mano posata sul petto della ragazza. Lei scosse la testa rispondendo con un flebile -Non fa niente, ero sovrappensiero.- non riusciva a reggere il suo sguardo quando la prendeva così alla sprovvista.
Lui sospirò e guardò fuori. -E' proprio una bella giornata. Ti piace il sole?- le domandò. La cosa che sorprese più Kim era il fatto che sembrasse seriamente interessato. Che razza di domanda era? Non aveva mai parlato dei suoi gusti con un insegnante.
-Sì, ogni tanto. Vado a umori, oggi mi sento serena.- disse con un accenno di sorriso.
L'uomo la guardava confuso, che strana risposta che gli aveva dato.
-Allora l'altro giorno dovevano piacerti la pioggia e il cielo plumbeo.-  azzardò.
Kimberly si sentì avvampare. -Cosa intende?-
-Che sembravi in pieno tracollo emotivo.- disse, facendola ridere leggermente.
L'aveva beccata, nonostante la sua buona volontà. -Era davvero una bella canzone.- commentò, cercando di cambiare discorso.
-Grazie, fa sempre piacere sentirsi apprezzati. Quindi non ti piace il caldo, ho capito bene?- continuava concentrato su di lei. Kimberly non capiva assolutamente dove volesse arrivare.
Decise di non pensarci e per una volta avere un dialogo civile con lui. Avevano il resto del pomeriggio per scannarsi.
-Esatto. Preferisco l'inverno, il freddo, il camino acceso, la neve.. mi ricorda quando ero bambina. Oppure l'autunno! Gli alberi prendono dei colori stupendi, come se le
foglie volessero farsi notare prima di morire e cadere al suolo.- si sentì una stupida. Quelle erano affermazioni da monologo interiore! Non certo cosa da raccontare al primo che ti capita davanti.

Diede una rapida occhiata a Jared, aspettandosi di trovarlo rosso in viso, pronto per scoppiarle a ridere in faccia.
Invece aveva un sorrisino in volto, e dalla sua espressione vedeva chiaramente che non stava assolutamente pensando di prenderla in giro. Stava pensando alle parole
che erano appena uscite dalla bocca della ragazza, lei non lo sospettava minimamente, ma a lui piaceva sentirla parlare. Possedeva un vocabolario molto vasto, ogni oggetto per lei aveva un nome e poi era in grado di articolare molto bene un discorso.

-Professore? A che pensa?- la sua voce si intromise nei suoi pensieri, era rimasto troppi secondi muto ad osservarla.
-Penso che probabilmente non smetterai mai di stupirmi, ragazzina.- rispose l'uomo appoggiandosi al banco dietro di lui.
Lei la percepì come un'offesa, si sentiva leggermente umiliata. Aveva lasciato scorrere i suoi pensieri e lui le aveva dato della ragazzina. La sua espressione cambiò improvvisamente.
-Non sono una ragazzina.- la voce era ferma e impuntata. La cosa accese un sorriso a Jared.
-Oh certo che no. Quanti anni hai?- aveva chiaramente un tono strafottente.
-Diciassette.-
-Ah allora mi sono sbagliato. Sei ancora una bambina.-
Kim si sentiva corrodere l'interno dalla rabbia. Come si permetteva?
-Sarò anche una bambina, ma almeno io non sono una maniaca dalla personalità multipla da analizzare.- rispose a tono, causando una risata prorompente dal prof.
Non l'aveva mai sentito ridere, era bella risata.
-E quindi io sarei da analizzare?- chiese divertito.
-Peggio. Psicoanalizzare, direi.- rispose andandosi a sedere. Lui roteò sul banco, seguendola con lo sguardo.
-Non dirmi che ti sei offesa.- disse severo.
-Assolutamente no. Perché dovrei?- non lo guardò neanche più in faccia, intrecciò le braccia al petto e accavallò le gambe. Jared la interpretò come “statemi alla larga che mordo” ma non si fece intimidire e si avvicinò, finendo per sedersi proprio sul suo banco.
-Non mangi?- le domandò, notando che era l'1.30 e lei non poteva essere uscita da scuola.
-No.-
-Non hai nemmeno fame?- continuò lui.
-No, grazie per l'interessamento.-
-Sicura?-
-No, ho detto. E potrebbe farmi il favore di togliere il suo deretano dal mio banco? Sa com'è. - sembrava davvero arrabbiata.
-Come vuoi..- si rassegnò, alzandosi e sedendosi sulla sedia accanto a lei. -Meglio?-
-Perchè le piace infastidirmi?- scattò lei improvvisamente nella sua direzione.
-non ti sto infastidendo.- la contraddisse corrugando la fronte.
-Eppure io mi sento irritata.-
-Mi dispiace per te, ma io non ho fatto assolutamente nulla.-
-Noo, lei è da ricovero! Prima sembra l'uomo più dolce del mondo e il momento seguente sembra solo uno stupido essere in andropausa!- aveva decisamente alzato la voce, le guance le si erano arrossate e cominciò a gesticolare animatamente. -E' frustrante.- disse infine, calmandosi.
Jared non si scompose più di tanto, non si sentiva un professore, ogni tanto era convinto di essere affetto dalla sindrome di Peter Pan. Quindi il fatto che lei gli
mancasse esplicitamente di rispetto non lo sfiorava assolutamente.

Anzi, più andava avanti, più si rendeva conto della sfacciataggine e della forza di carattere che l’alunna possedeva, caratteristiche che lo affascinavano molto. Era questo che lo turbava terribilmente.
Alzò le mani in segno di resa. -Ok, hai vinto, sono uno schizzato. Potrai mai perdonarmi?- le domandò piegando lievemente la testa, affinché riuscisse a cogliere i suoi occhi.
Lentamente lei li portò nei suoi. Oceano e catrame. Assolutamente opposti.
Lei guardandoli stentava a non capire più nulla, era più vicino del solito, era più vicino di quanto qualsiasi altro insegnante si fosse mai permesso.
-Dipende.- rispose poi sospirando. -Da cosa?- Leto inarcò un sopracciglio.
-Solamente se la prossima volta mi avverte quando sta per diventare Mr Hyde.- sembrava una bambina, a Jared venne un'improvvisa voglia di toccarla, di accarezzarle una guancia o spostare quel ciuffo di capelli che le copriva mezzo occhio. Sembravano setosi, doveva esserlo anche al tatto.
Sorrise dolcemente. -Preferisci Dottor Jeckyll?- domandò distrattamente.
-Sì,assolutamente. È decisamente meno indomabile.- sentì Leto ridacchiare, e questo la fece ridere a sua volta.
-Sai cosa mi stupisce?- riportò gli occhi nei suoi. Kimberly in quel momento si sentiva in bilico, poteva aspettarsi di tutto. -Che sei l'unica in grado di insultarmi senza dimenticare di darmi del “lei”. È piuttosto comico.- lei rise coprendosi la bocca con una mano.
-Già, non immagina quanto sia difficile. Ma ormai mi viene spontaneo- rispose serena.

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Capitolo 9
*** capitolo 9. ***


Ecco il capitolo 9.
Spero apprezziate :)



Capitolo 9.
 

Risate. -E quindi Beethoven ha scritto “Per Elisa” da sordo?!- chiese stupita Kimberly guardando negli occhi il suo interlocutore che, sconcertato ogni momento di più, continuava a spiegarle musica.
Possibile che fosse così ignorante al riguardo?
-Non ci credo che non lo sapevi già.- rispose scettico Jared.
Lei sorrise -Infatti, c'è cascato.- disse divertita dall'espressione sconvolta del suo insegnante. -Lei crede proprio a tutto?-
-Diciamo che ho la pessima caratteristica di essere positivo. Fino al midollo. Quindi credo subito alle persone, ho l'abitudine di dare fiducia a tutti. Ovviamente con moderazione, non darei mai il mio portafoglio al primo che passa chiedendogli gentilmente di reggerlo mentre mi allaccio le stringhe!- Kim scoppiò a ridere.
-Davvero? Non la facevo uno così. Insomma, lei sembra più qualcosa tipo..il diavolo.- commentò la ragazza, come se lui potesse intendere quello che voleva dire.
-In che senso, scusa?- le domandò con un ghigno.
Lei avvampò. Quando parlava con lui non riusciva a mettere il limite alle parole che sbrodolava senza ritegno. -Cioè..- cominciò a pensare ad un modo semplice per farglielo capire senza incasinarsi o offenderlo. -Lei sembra la tipica persona che potrebbe far fare tutto quello che vuole agli altri. Anzi, lo è! Guardi me, non riesco a controllare quello che dico! Lei incanta le persone, ecco.- arrossì ancora più vergognosamente. Come poteva dire certe cose al suo insegnante?
Leto di conseguenza la guardava e basta, conscio del suo potere su di lei. Lo aveva ammesso, nonostante l'avesse sempre nascosto bene.
-Mi fai così malvagio?- fece il finto preoccupato.
-No, certo che no! Non è colpa sua, solo che.. non è da tutti essere così. - disse indicandolo con la mano, per fargli intendere a cosa si riferisse. Al suo aspetto, ovvio.
Lui sorrideva fiero. Era un uomo, ovvio che gli facessero piacere le adulazioni, fatte in questo modo poi. Descritto come una sorta di demone che ottiene quello che vuole quando vuole e da chi vuole.
-Davvero?- la guardava intensamente, come a farla crollare dalla sua cinta muraria con la quale si era protetta fin dal primo momento.
Kimberly portò gli occhi nei suoi, scettica. -Non mi dica che non lo sa. Perché sarebbe davvero un cretino, o estremamente umile. E la seconda la escluderei, conoscendo il genere.-
Jared rise lievemente. -Sì, certo sarei uno sciocco se anche solo fingessi di non accorgermene. Quello che mi sorprende è che anche tu ne sia affetta. Sembravi immune.- dalla sua espressione Kim capì che era convinto di quello che diceva e ciò lo turbava.
Ricambiò il suo sguardo con uno espressamente incerto. Come aveva potuto anche solo immaginare una cosa simile? Come se una adolescente in piena fase ormonale non potesse accorgersi di uno come lui.
-Ma mi faccia il piacere. Semplicemente perché non sbavo come un cane non vuol dire che non apprezzo gli ossi.- cominciava a detestare queste sue similitudini insensate. Avrebbe voluto molto volentieri tapparsi la bocca una volta per tutte.
Jared invece ne era affascinato. -Tu hai sempre qualcosa da dire su tutto, eh?- forse era un modo per cambiare il discorso, che le stava diventando terribilmente stretto.
Kimberly apprezzò. -Sì, sa mi hanno detto che ho dei problemi...- gli disse sorridendo.
Lui ricambiò e tornarono al loro libro di musica.

 Un'ora dopo, quando Leto si accorse che a Kim stava per cadere la mandibola tanto sbadigliava, capì che era abbastanza. L'aveva cotta a sufficienza per oggi.
-Ehy ragazzina, stai rischiando di slogarti la mascella!- la prese in giro lui.
-Oh mi scusi ma.. sono le 4 e io..- ad interromperla fu il suo stesso stomaco che imprecava. Arrossì leggermente, guardando di sottecchi Jared, sperando che non se ne fosse accorto.
Lui aveva la testa inclinata verso il basso a guardarle il ventre, per poi spostare lo sguardo nei suoi occhi neri. -..Stai morendo di fame.- finì la frase per lei.
-Non era quello che volevo dire, ma il mio corpo la pensa diversamente.- constatò Kim imbronciata, mentre metteva le sue cose in borsa. Stava facendo figuracce una dietro l'altra, non ce la faceva più.
-Perfetto, allora andiamo!- vide l'insegnante alzarsi, mettersi la giacca e prenderla per mano, indirizzandoli verso la porta. Lei riuscì appena in tempo a raccogliere giubbotto e cartella.
-E dove scusi?- gli domandò lei alquanto perplessa, mentre si infilava il piumino bianco.
-Ti porto a prendere un gelato, ok? Ti piace, mi auguro.- la guardò un secondo negli occhi, dubbioso.
-Perché non dovrebbe? Sono un essere umano!- gli rispose, come se fosse la cosa più scontata al mondo.
-No è che dato il soggetto niente è scontato.- disse avvilito.
-Tsk, parla mr alter ego!- lo canzonò Kim. Il professore le lanciò un'occhiata sarcastica. -E comunque non vorrei rovinarle i piani, ma è febbraio! Ci geleranno le mani.- ansimò. Stare al suo passo le metteva il fiatone, con quei tacchi poi, faceva il doppio della fatica.
-Staremo al coperto. Non dirmi che non c'è un bar in questa benedetta città e mi metto ad urlare.-  Jared si accorse della sua difficoltà, quindi rallentò quel giusto da permetterle di tirare il fiato.
-Nonostante sarebbe una bella scena, sì certo che c'è. Mi segua!- Kim accelerò, ma le strade del centro della città erano tutte composte da ciottoli, quindi per poco non stramazzò al suolo, in seguito ad una storta. Jared l'afferrò al volo e, tenendola stretta, la posizionò. -Forse è meglio che tu dica “mi accompagni!”.- rise ,mentre la
sosteneva. -non..mi tratti co..me una demente,..per favore.- la poveretta faceva fatica anche a parlare, a causa delle ripetute quasi-slogature.. Un altro motivo per non mettere più tacchi. Si attaccò con le unghie al cappotto del suo professore, che la reggeva perfettamente.

-Mi viene difficile però se fai così!- rise lui, riferendosi ai suoi continui traballamenti.
-Senta, può lasciarmi, ce la faccio anche da sola!- l'orgoglio femminile cominciava a farsi sentire. -Mi accompagni a lato della strada, c'è il marciapiede apposta.- disse, indicandone uno.
Lui fece finta di nulla, e continuò a scarrozzarla come se fosse una malandata.
-Comunque, quando siamo fuori da scuola potresti anche darmi del “tu”. È piuttosto fastidioso sentirsi dare del vecchio per più di sei ore al giorno.- cambiò discorso.
-Ok, e come dovrei chiamar..ti?- si corresse prima di dargli ancora del “lei”.
-Jared, semplicemente. È così che mi chiama la gente.- rispose ironico.
Solo l'idea di chiamarlo per nome e abbattere quelle linee di confine che c'erano tra di loro, la spaventava un pochino. Certo, la elettrizzava, ma insomma.. avrebbe dovuto abituarsi.
-Va bene, vada per Jared.- ripeté il suo nome. Lo rifece altre mille volte nella sua testa, calibrando ogni lettera e immaginando di pronunciarlo con il tono più calmo possibile.
Aveva già fatto gaff su gaff, non poteva permettersi di sembrare un ghiacciolo al sole mentre lo pronunciava davanti ai suoi occhi celesti.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Adoro questi capitoli, mi ricordano quando all'inizio di una storia sei preso da quella frenesia dello scrivere,
quando hai le dita che fremono e le mille idee che spingono per uscire; quando i capitoli escono lunghi e 
ben strutturati senza fatica e di getto; quando non vedi l'ora di trovarti davanti ad un foglio bianco per continuare a esaurire queste idee così pressanti o quando non vedi di l'ora di arrivare ad un certo punto della trama, allora scrivi tutto rapidamente e senza troppi giri di pensiero.
Gli inizi delle storie sono sempre stupende. La novità ha sempre un fascino tutto suo, irresistibile.
Non so perchè mi sono lanciata in questo monologo, in ogni caso questo è il decimo capitolo,
mi auguro che vi piaccia al punto da farvi venire una gran voglia di commentare :)
Grazie a tutti dell'attenzione


Capitolo 10. 

Tra battutine e inciampi vari, finalmente arrivarono a destinazione.
-Ecco, è lì dentro!- esclamò Kimberly indicandogli un bar all'angolo di un cunicolo.
Jared la accompagnò fino al marciapiede e la lasciò solo quando fu sicuro che non cadesse da un momento all'altro, poi diede una rapida occhiata al locale.
Sembrava un posto prettamente giovanile, era completamente trasparente, su due piani: sotto c'era il bancone e sopra le poltroncine dove sedersi.
Appariva particolarmente alla moda, ma non si stupì granché, visto il tipo di ragazza con cui era in giro.
Kim fece strada e una volta dentro salutò tutti i presenti chiamandoli per nome.
Ci aveva azzeccato, era uno dei locali che frequentava abitualmente.
I camerieri ricambiarono con un gran sorriso, per poi lanciare una rapida occhiata a Jared.
Nei loro occhi non leggeva sconcerto o sgomento. La differenza di età non riuscivano neanche a notarla, cosa che a lui fece un gran piacere. Ovvio, che avesse qualche anno più di lei era palese, ma nessuno avrebbe mai sospettato che fossero addirittura una 20ina.
La seguì al piano superiore e si sedettero ad un tavolino in un angolo verso l'interno, in modo che nessuno potesse vederli dal fuori. Insomma, come avrebbe potuto spiegare alla preside il fatto che fossero in un locale insieme? L'avrebbe licenziato in tronco, o al minimo,avrebbe dovuto subirsi una lavata di capo non da poco.
Kim sembrava piuttosto tranquilla, anzi lo era. Era così presa dal fatto che la sua fame sarebbe stata saziata, che non si preoccupava assolutamente dell'assurda circostanza in cui si trovava.
Anche perché, gli occhi con cui si guardavano ogni tanto, erano tutt'altro che formali.
Si tolsero la giacca e Kim strappò letteralmente il menù dalle mani del professore, facendolo sorridere. Non si preoccupò neanche di chiedergli scusa.
Lui glielo concesse e si allungò per prenderne un altro dal tavolo adiacente.
-Porca.. c'è una coppa di gelato da 30 dollari?!- parlò ad alta voce, senza nemmeno pensarci.
La ragazza ridacchiò appena, nel vedere l'espressione attonita di lui. Avrebbe voluto fargli una foto.. era talmente espressivo certe volte. Ma non disse niente e tornò alla sua perenne indecisione, nonostante alla fine scegliesse sempre la stessa cosa.
Quando ordinarono e rimasero di nuovo soli, calò il silenzio. Ma non uno di quelli pesanti, in cui si percepisce l'imbarazzo nell'aria, uno puramente voluto.
Per lo meno quando stavano zitti non potevano punzecchiarsi a vicenda e finire per discutere come bambini.
Kimberly cominciò a pensare che dopotutto non era una compagnia così malvagia, anzi si trovava davvero bene con lui. Se aveva qualcosa da dire, la diceva, se invece non gli andava, stava zitto. Niente di più bello. Era abituata ad essere circondata da persone -specialmente ragazze- molto ferrate nelle parole/argomenti tappabuchi, che spesso e volentieri risultavano solamente fastidiosi.
-Dimmi a cosa pensi.- la sua voce calda la risvegliò dai suoi viaggi mentali.
Si rese improvvisamente conto che la stava osservando da più di 3 minuti, mentre lei aveva prestato tutta la sua attenzione a degli stuzzicadenti. Aveva davanti uno degli uomini più belli mai visti e lei era in grado di perdersi dietro a delle sciocchezze. Ogni tanto avrebbe decisamente voluto schiaffeggiarsi da sola.
Portò gli occhi nei suoi, con una vena di perplessità. -E' una richiesta o un ordine?- gli domandò confusa. Nonostante il tono gentile con cui gliel'aveva proposto, la struttura della frase sembrava qualcosa di più che semplice curiosità, come se ci tenesse particolarmente a saperlo. O forse era lei ad essere estremamente egocentrica.
-Un po' dell'uno e dell'altro.- rispose con un debole sorriso Jared. -Io esigo saperlo, ma te lo chiedo, dato che non posso strappartelo dalla testa. Anche se mi piacerebbe.- spiegò sinteticamente.
Lei lo guardò confusa. -E perché ci terresti tanto, se posso chiedere?- nonostante il tu, Kim cercava di mantenere quella distanza che la faceva sentire a proprio agio. La imbarazzava renderlo partecipe dei suoi pensieri, quando cominciava non aveva un blocco, come se le mancasse il pudore. Sarebbe anche stata capace di raccontargli le cose che la facevano vergognare solo a pensare di pensarci.
E poi lui era così particolare.. con quale lato di lui stava parlando al momento?
-Beh, semplicemente perché mi incuriosisci. Ne ho visti di volti espressivi, e il tuo è uno dei più belli, nonostante per me rimanga un mistero totale. Quando pensi a qualcosa, le sensazioni che ti fa provare si riversano sul tuo volto e certe volte hai un'espressione così.. indescrivibile che mi verrebbe voglia di entrare nella tua testa e sentirmi anch'io così.- disse lentamente e a bassa voce, come se le stesse rivelando un segreto. -Prima ad esempio sorridevi.- concluse.
Kimberly rimase colpita. L'uomo ne parlava come se non facesse altro che guardarla dalla mattina alla sera, e trovava spaventoso il fatto che lui sembrava riuscire a capirla molto meglio di quanto facessero altre persone che la conoscevano da molto più tempo.. loro due parlavano pacificamente da neanche due ore.
-Parli come se fossi l'unica al mondo in grado di pensare.- disse guardandolo negli occhi, non temeva il suo sguardo ora. Non dopo quello che le aveva detto.
-No, ma sei una delle poche con la quale riesco ad avere un discorso concreto. Non ci sono molte ragazze in grado di guardarmi negli occhi come stai facendo adesso tu.- a momenti non batteva neanche le palpebre. Lei si chiese come fosse possibile non riuscire a guardarglieli. Erano così grandi, così chiari, così limpidi.. sembravano gli occhi di un angelo.
Dovette trattenersi dal sorridere come una scema, lui notava troppe cose.
-Sembra un fastidio.- commentò, girando il cucchiaino nella coppetta che le era appena stata portata.
-Ogni tanto lo è, sì.- trattenne uno sbuffo. -Ma non cambiare discorso. Allora, mi renderesti partecipe dei tuoi più loschi pensieri?- assottigliò gli occhi, rendendo più intenso lo sguardo.
-Ma niente.. stavo semplicemente pensando che stare con te è.. come dire, diverso.- sapeva che stava per arrossire.
-Diverso?- chiese chiarimenti, corrugando la fronte e portandosi un cucchiaino di gelato alla bocca.
Kimberly dovette sforzarsi per non fissargli le labbra. -Sì, cioè.. diverso in senso positivo. È un diverso bello, diciamo.- confessò, guardandolo di sfuggita.
Era sicura che i suoi occhi l'avrebbero umiliata.
-Oh ok. Mi piace come risposta.. anche io la penso similmente. Tu mi fa sentire diversamente.- disse, senza ritegno alcuno che lei, lì, in quel momento si sarebbe messa a ballare sul tavolo. Detto da lui la faceva sentire così vera.. sentì un brivido invaderla, e fece del suo meglio per trattenere un sorriso immenso. Era bello che lui avesse colto il senso e che l'avesse fatto proprio, stravolgendone il significato originale.
Anche Jared ricambiò il sorriso che lei aveva tramutato in una buffa smorfia. Lo divertiva il fatto che tentasse di trattenere la sua gioia ed era contento che avesse fatto centro.
E più la guardava, più vedeva aspetti di lei che non facevano che piacergli.

-La prossima volta offro io!- borbottò Kim mentre tornavano verso scuola, dove si sarebbero separati.
Lui le aveva impedito vivacemente di pagare, cosa che da una parte le aveva anche fatto piacere, ma dall'altra l'aveva fatta sentire terribilmente a disagio.
-Sìsì, come vuoi...- sbuffò Jared, con un tono che faceva palesemente intendere che voleva solamente farla smettere. Erano 10 minuti che si lamentava, non aveva mai conosciuto nessuna che potesse prendersela per un gesto nobile.
-Non dirlo solo per farmi smettere, che tanto è inutile. Quando mi metto in testa una cosa, la faccio!- in realtà non era così testarda per queste cose, insomma le aveva fatto risparmiare qualche spicciolo!
Ma in quel caso parlava per lei il profondo desiderio che tutto quello accadesse di nuovo.. il più presto possibile. Avrebbe speso anche tutti i suoi risparmi, fino all'ultimo centesimo, purché lui le concedesse un altro pomeriggio simile. Era sinceramente preoccupata che dal giorno dopo si sarebbe comportato come se nulla fosse, come se finalmente il loro rapporto non si fosse cucito e i loro sguardi e le loro parole cariche se li fosse solo immaginati. Non voleva, assolutamente.
Lui sorrise semplicemente, stringendosi nel cappotto pesante. L'aria era davvero fredda, ora che stava calando la sera.
-Vuoi che ti accompagni a casa?- le domandò, giusto per cambiare discorso.
-Oh no, grazie. Tra poco dovrebbe passare il mio autobus, vai pure.- lei sorrise gentilmente. Anche solo chiederglielo era stato un gesto carino.
-Dove lo prendi?-
-Là in fondo.- disse indicando una pensilina gialla, e subito dopo vide lui incamminarsi in quella direzione. -Ehy, dove vai?- chiese correndogli dietro. -La scuola è dall'altra parte!-
-Non è ovvio? Ti sto accompagnando!- rispose lui leggermente infastidito. Insomma, dove pensava stesse andando?
-Ma non c'è bisogno, Jared.- pronunciò il suo nome per la prima volta da quando lui le aveva detto di farlo. Lui sembrò neanche sentirla, continuava a passo spedito e si fermò giusto in prossimità della fermata.
-Tu sei sotto la mia responsabilità, e io voglio essere sicuro che arrivi a casa sana e salva.- si giustificò.
-E come fai ad essere sicuro che ci arrivi? Potrei..- cominciò ad azzardare Kim, ma lui la bloccò. -Non farmici neanche pensare. Penso mi sentirei in colpa fino alla morte. Ok, vieni con me, ti porto in macchina!- sembrava seriamente preoccupato, la prese per mano e la trainò per un metro, ma lei si sfilò sorridendo.
-Ma smettila, sei ridicolo. Me la so cavare egregiamente anche da sola.- scherzò.
-Sì, infatti prima non riuscivi a stare neanche in piedi..- commentò Jared, il quale si chiese davvero quale fosse il motivo di tanta angoscia.. insomma, non era mica una bambina.
Lasciò la presa e retrocedette di cinque passi, tornando dov'era prima, con uno sbuffo.
Per il resto del tempo Kimberly lo sentì distante. Quando lei attaccava un discorso, lui rispondeva a monosillabi senza neanche guardarla in faccia. Aveva ragione, era piuttosto fastidioso parlare con qualcuno che non ha neanche il coraggio di guardarti negli occhi.
Quella sensazione terribile che percepiva prima, ora si faceva sempre più intensa. Non sarebbe cambiato niente tra loro due, anzi, si sentì ancora più stupida solo per aver pensato una cosa del genere, senza parlare dell'averlo sperato.
La conferma le fu data quando l'autobus arrivò e lui quasi non la guardò neanche. Le sussurrò solamente un flebile -Fai attenzione..- e poi indietreggiò, quando sembrava proprio che lei si stesse avvicinando. Eppure, anche quando, con il morale a terra si sedette sul pullman, lo vide lì fuori immobile, in attesa che il mezzo se ne andasse, così da essere sicuro che lei stesse bene.
In quel momento Kimberly pensò amaramente che era meglio che Jared non sapesse ciò a cui stava pensando.

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Capitolo 11
*** capitolo 11. ***


Ecco un altro capitoletto.
I presupposti sono sepre quelli, spero che vi piaccia e che mi lasciate qualche commento.
Grazie a tutti :)



Capitolo 11.

Dopo qualche giorno, proprio come aveva previsto Kim, il loro rapporto non aveva subito nessun cambiamento positivo.
Anzi, sembrava proprio che lui la evitasse come una piaga, e durante le sue lezioni anche quando Kimberly tentava di attaccar briga con qualche battutina, lui non le rivolgeva neanche uno sguardo e proseguiva con la lezione. E non era neppure possibile che fosse un periodo “no” perché alle battute degli altri ci stava eccome.
Kim si sentiva triste, dato che non capiva nemmeno dove avesse sbagliato. L'ultimo dialogo che avevano avuto era stato riguardo alla macchina, lei non voleva che lui si preoccupasse inutilmente.
Aveva ripassato ogni istante degli ultimi minuti, ma niente. Cercava, invano, tra le parole che aveva pronunciato qualcosa di sbagliato che potesse averlo offeso o frainteso.
Eppure gli aveva detto anche di peggio fino a qualche ora prima.
Doveva chiarire con lui, ma non le dava mai la possibilità: ogni volta che gli si avvicinava con una scusa campata un po' per aria le diceva che non si sarebbero potuti fermare il pomeriggio per studiare e si allontanava senza aggiungere altro.
Anche il quel momento, mentre lui strimpellava qualche accordo davanti alla classe, con espressione concentrata e voce meravigliosa, lei stessa stentava a credere ai ricordi che risalivano solo a qualche giorno prima.
Eppure erano accaduti, ne era certa.
Cercava di fare il meno possibile la donzella ferita e continuava a guardarlo con quell'aria di sufficienza mentre si sistemava i capelli e si limava le unghie.
Se con Jared la sua vera personalità poteva tranquillamente risalire in superficie, senza si sentiva la solita nullità di sempre e la maschera tornava a coprirle vergognosamente il viso.
-Scusa Kim, mi raccoglieresti la matita?- le domandò gentilmente uno che stava a due banchi da lei.
Senza scomporsi più di tanto, lanciò una rapida occhiata all'oggetto che stava esattamente sotto ai suoi piedi. -No.- rispose risoluta, senza aggiungere altro.
Se le stava antipatico? Assolutamente no. Faceva tutto semplicemente parte della sua stupida facciata da prima donna.
-Ma è proprio sotto di te!- insistette il poverino.
Si chiamava Brian e aveva due grandi occhi azzurri e capelli biondi. Lo guardò di sfuggita per non perdersi dentro i suoi occhi, troppo simili ad un altro paio. Anche la più lontana imitazione dei suoi occhi glaciali, la facevano bruciare di rabbia e frustrazione.
-Arrangiati.- ribatté apatica, spostando i capelli sulla spalla verso il compagno, come a chiudere la discussione.
Improvvisamente sentì dei passi nella sua direzione e qualcuno che si inchinava per raccogliere la matita da terra, le sfiorò la gamba, ma non si scompose più di tanto, immaginando fosse Brian.
-Certo che l'educazione per te è un optional.- quella voce, fredda forse quanto gli stessi occhi, la fece voltare di scatto. Era l'insegnante, il quale, senza che lei se ne accorgesse minimamente, aveva sentito tutto.
La sua espressione da prima donna mutò in stupita, poi colpevole ed infine amareggiata.
Lui le stava rivolgendo la parola solamente per riprenderla sul suo atteggiamento. Era ingiusto. Ma se fosse servito a tenerlo vicino a lei, avrebbe continuato.
-E dica, da quando questi sono affari suoi?- spense l'interruttore della disperazione e tornò ad essere la solita sfacciatissima Kimberly di sempre. Se era quello che voleva, lo avrebbe accontentato.
-Visto che questa è una scuola e io ho il compito di educarti, questi sono eccome affari miei.- la sua voce le pareva meccanica, non aveva più quella luce divertita negli occhi e quello sorrisetto da schiaffi perennemente stampato in volto. Era cambiato, e lei sentiva che era colpa sua.
-Ma chi si crede di essere?- mormorò con voce rotta, fissandolo intensamente negli occhi, sperando di farlo rinsavire. Non le piaceva mr Hyde, lo detestava con tutta se stessa.
-Una persona, come tutti gli altri in questa classe. Non ci sei solo tu in questo mondo, ficcatelo bene in testa.- la stava sgridando, e la guardava con disprezzo, come se volesse fargliela pagare per qualcosa.
A Kim si velarono gli occhi di lacrime, sebbene avsse il pieno controllo di sé e sapesse che non ne avrebbe fatta scendere neanche una, neanche morta.
Si sentiva umiliata e confusa.. quest'uomo era proprio malato.
-Qualche giorno fa non la pensava così.- sussurrò, in modo che soltanto lui la potesse sentire. Lui le guardò il labiale per essere sicuro di quello che stava dicendo, poi riportò gli occhi nei suoi e, nel rendersi conto delle lacrime che teneva represse, il suo sguardo si addolcì. Si morse le labbra e senza fiatare tornò alla cattedra
continuando la lezione.

Alla ragazza sembrava come di essere stata liberata da una morsa letale, respirò profondamente cercando di trattenersi il più possibile dal piangere come una bambina.
Detestava piangere, in pubblico per di più.
Gli occhi dei presenti nella classe facevano intendere un evidente sollievo, riguardante alla lavata di capo che aveva appena ricevuto. Ben le stava, secondo alcuni, il suo ego si sarebbe un attimo affievolito, forse.
Per il tempo restante prima della campanella dell'intervallo, Kim teneva le mani a pugni, così strette che le tremavano, conficcandosi le unghie nella carne. Non sentiva il male, era abituata a peggio.
Il dolore interno spesso è decisamente più straziante, e quello esterno è un solletico che aiuta come diversivo.
Quando finalmente suonò la campanella, il professore non fece neanche a tempo a finire la frase che si precipitarono tutti fuori, Kimberly compresa.
Doveva assolutamente trovare il modo di stare con lui da sola. Doveva chiarire, anche se questo avesse dovuto includere il rapirlo.
Perché si era intestardita tanto? Del resto si trattava di uno stupido uomo dalla parlantina affascinante e dall'aspetto mozzafiato che godeva nel giocare con i suoi sentimenti.. niente di nuovo.
Girò per i corridoi per un po' in compagnia di Gwen e Juls, le quali non facevano altro che parlare di quanto fosse figo l'insegnante mentre riprendeva Kim. Lei non disse niente, non aveva neanche voglia di ascoltare le loro stupidate.
Così, quando era sicura che fossero distratte entrambe, entrò silenziosamente in classe, dopo essersi accertata che Jared fosse lì.
Ed infatti, eccolo. Seduto con le gambe accavallate che sorseggiava il suo caffè.
Quando udì la porta spalancarsi, si voltò di scatto, quasi fosse stato colto in flagrante commettere qualche reato, ma quando invece vide Kimberly sgusciare dentro e chiudersi la porta alle spalle, sospirò e cominciò a preparare le sue cose, in modo da uscire.
Lei non se la sentiva di attaccarlo subito, così si avvicinò lentamente e si sedette sui banchi di fronte alla cattedra. Lui intanto evitava il suo sguardo, concentrato nell'impilare i libri uno sopra l'altro.
-Mi è piaciuta la lezione oggi.. la nuova canzone è molto bella.- azzardò ad un discorso.
L'uomo sollevò il capo, semplicemente. -Grazie.-
-Come si chiama? Cioè, le hai dato un titolo?- testardamente cercava di creare un dialogo, ma era davvero difficile: sarebbe stato più produttivo discutere del riscaldamento globale con Julia durante i saldi invernali.
-Oblivion.- nient'altro. A Kim stavano per saltare i nervi. Neanche con i bambini si sforzava tanto.. se fosse stata in se stessa sarebbe uscita di scena con parole poco cortesi. -Ora se vuoi scusarmi..- continuò lui, alzandosi dalla sedia e indirizzandosi alla porta.
Ma lei fu più veloce e con uno scatto gli strappò il registro personale dalle mani, nascondendoselo dietro la schiena. -Vuoi giocare, Jared? Allora giochiamo!- esclamò furente.
Il professore lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e sbuffò roteando gli occhi. -Avanti, non fare la bambina Kim.- disse severo, allungando una mano verso di lei, la quale indietreggiò di un passo.
Rimase un attimo sballottata nel risentire il nomignolo detto da lui, ma non perse lucidità.
-Che vuoi fare?- le domandò confuso. -Confiscandomi il registro cosa pensi di ottenere?-
-La tua attenzione.- sostenne il suo sguardo e tono. -E ci sto riuscendo.- un'ombra di sorriso si accese e immediatamente spense sul volto di Jared. Lentamente ritornò verso la cattedra e riappoggiò i libri al tavolo. -Ok, e adesso?- la spronò, come se realmente non sapesse cosa ci facesse lì.
Kimberly lo guardò inarcando un sopracciglio. -Una spiegazione, ovviamente.-
-Ma a cosa?- recitava, era ovvio. Cominciava a farla sentire un'emerita imbecille.
-Al tuo comportamento!-
-Ma quale comportamento?! Sono il tuo professore, cosa pretendi?- cominciava ad agitarsi. -E a proposito, siamo a scuola e non sono tuo fratello, quindi il “lei” lo esigo.-questo era un colpo basso. Kim cominciava seriamente a pensare che lui potesse avere un gemello buono. Solo così si spiegavano le incongruenze.
-Oddio.. penso di stare impazzendo.- mormorò lei sommessamente, appoggiandosi al banco dietro di lei e tenendo stretto al petto il registro azzurro di Jared.
Forse neanche nei suoi pensieri poteva più chiamarlo così.
Leto sospirò profondamente e si avvicinò lentamente a lei. Sembrava così piccola e così fragile.. era troppo combattuto tra il restare e aiutarla a vederci chiaro o
strapparle il registro dalle mani e scappare il più lontano possibile. Dura scelta.

-Kimberly..- azzardò avvicinandosi ulteriormente.
-Aveva detto che mi avrebbe avvertito quando sarebbe diventato “l'altro”. Con chi sto parlando adesso?- alzò lo sguardo, velato ancora una volta dalle lacrime.
A Jared si strinse il cuore, detestava vedere quegli occhioni neri così infelici. Esitò un istante, poi mandando al diavolo ogni sua preoccupazione alzò una mano e la portò al viso di lei, scostandole i capelli da davanti agli occhi e portandoli dietro un orecchio. Aveva sempre avuto ragione, anche al tatto parevano seta.
La guardava negli occhi terrorizzati, un piccolo sorriso rassicurante gli si formò in faccia. Ma durò poco.
-L'altro giorno devi avere frainteso molte cose, ragazzina. Lo so di essermi comportato da irresponsabile e sono pronto a darmi tutta la colpa.. ma tu hai sbagliato a fidarti e a pensare che le cose sarebbero cambiate. Sono il tuo professore e questo non si può cambiare.- ora la sua voce era più calma, vellutata e tagliente come una
lama che faceva scorrere lungo il suo collo, aspettando il momento giusto per attaccare e premere più forte.

Aveva frainteso? Ma cosa? Lei non aveva neanche mai considerato il fatto che potesse essere qualcosa più che un professore.. sarebbe stato stupido.
-Questo non giustifica il taglio netto. Neanche prima era così distaccato.- cercava di vederci chiaro. C'era qualcosa che non filava.. quello che pensava lui, non le era mai stato abbastanza chiaro.
-Ti darei semplicemente corda. Non voglio illuderti.- a quelle parole, Kim arrossì furiosamente.
Aveva capito tutto. Lui le aveva chiaramente detto che lei gli era sempre sembrata immune al suo charme, quindi voleva solo vedere quanto ci avrebbe impiegato a
cedere. Quando si era reso conto del pericolo -le aveva confessato troppe cose che avrebbe potuto usare contro di lui- si era allontanato.. un'altra preda arrostita per
bene.

Si vergognava come una ladra. Si alzò in piedi e lo spinse via, scrollandoselo di dosso.
-Lei è un pezzente. È solamente un egocentrico montato! Oggi mi ha detto che il mondo non gira intorno a me, ma sicuramente neanche a lei. Chi si crede di essere per dirmi che mi sarei illusa di avere qualcosa a che fare con lei al di fuori dell'ambito scolastico?! Mi ha fatta addirittura sentire in colpa perché pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato! E invece ora mi sento meglio a sapere che è lei il lurido che mi ha riempita di belle parole solo per farmi cascare ai suoi piedi, e le do anche una bella notizia: c'è ampiamente riuscito. Per un intero pomeriggio ho persino pensato che non fosse così malaccio, mi è stato anche simpatico per un po'. Ma ora mi fa solamente pena!- lasciò che il fiume di parole le sgorgasse senza riserve. Si sentiva davvero delusa.
Gli lanciò anche il registro, in malo modo e uscì velocemente dalla classe prima che potesse passare anche ad insulti.
Un sorriso dispiaciuto si disegnò sul volto di Jared, mentre si malediceva per le bugie che le aveva appena fatto credere.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


Ecco un nuovo capitolo.
Ovviamente, non per anticipare qualcosa, preparate le lamette che
la depression mode è totalmente ON
Divertitevi e non sordatevi di lasciare un adorabile commento.
Grazie :3




Capitolo 12.

Finalmente quell'orrida settimana era giunta ad una conclusione. Era sabato, e le ore erano passate piacevolmente veloci, dato che quello era il giorno libero dell'insegnante di musica.
Non avrebbe rischiato di imbattersi in lui o di sentirsi male ripensando a come l'aveva trattata.
Arrivata a casa, la sua famiglia al completo era lì per accoglierla, ma lei non degnò loro più di un saluto e si rinchiuse in camera, buttandosi a peso morto sul letto.
Era sfinita, se i brutti pensieri avessero deciso di concederle una piccola tregua, avrebbe sicuramente dormito.
Dopo un periodo di tempo indeterminato, caratterizzato solamente dallo sguardo vuoto e perso di lei nel soffitto, il cellulare vibrò. Rispose senza neanche guardare, era sicuramente Gwen.
Infatti la voce stridula dell'amica la risvegliò dal suo torpore, chiedendole di vedersi nel giro di un'oretta. Kim si trovò davanti ad un bivio, in quel momento.
Da una parte si era creata una sorta di fobia, si era assolutamente proibita di uscire il sabato, correva solamente un rischio atroce; ma d'altro canto aveva a disposizione un pomeriggio all'insegna della baldoria e del non pensare praticamente a nulla. Decise che era decisamente più contemplabile la seconda, sebbene la prima comportasse un pericolo maggiore.
Ma preferiva non pensarci, magari era solamente una sua paura. Chiuse la telefonata dicendo che ci sarebbe stata e cominciò a prepararsi.
Si truccò di nuovo, si cambiò d'abito all'incirca sei volte prima di scegliere quale era meglio e buttò tutto il necessario nella borsa.
La vera Kimberly non ci avrebbe messo molto, anzi avrebbe optato semplicemente per tenere indosso quello che aveva portato la mattina, senza preoccuparsi troppo. Ma quella Kimberly, ahimè non c'era più.
Uscì di casa frettolosamente, le strade erano deserte quel pomeriggio. Si sentiva solamente il pestare dei suoi tacchi in tutta la sua via.
Dopo una mezz'oretta circa si trovava in centro, seduta ad aspettare le amiche al solito posto di incontro. Non c'era molta gente in giro, faceva davvero freddo in effetti.. Perciò quando cominciò a tremare e ad essere continuamente scossa da brividi, si mise a camminare.
Girare per vetrine l'avrebbe scaldata e in caso le due galline sapevano come rintracciarla.
Si strinse nel giubbetto e cominciò a muoversi con passo sostenuto,il più che poteva. Vedeva il suo respiro uscirle sotto forma di calore dalla bocca ghiacciata. Non riusciva neanche a muoverla.
Si strofinava le mani una dentro l'altra, maledicendosi nella mente per non aver mai pensato a comprare un paio di guanti.. magari li avrebbe rimediati di lì a qualche ora.
E l'arietta gelida che tirava le fece sollevare lo sguardo verso il cielo, più cupo e grigio del solito. Sarebbe sicuramente venuto a piovere, quella era aria di pioggia, ormai la riconosceva.
Sperava soltanto che le avrebbe concesso qualche oretta prima di diluviare.
Tutta presa nei suoi pensieri, svoltò l'angolo. E fu lì, in quel preciso momento che fu quasi certa di aver sentito il suo cuore, già malandato, fermarsi di colpo.
E all'improvviso.. i suoi occhi.
Le sue labbra,con le quali le aveva regalato fantastici sorrisi.
Le sue tante, care e belle parole.
Lui, per la quale viveva e respirava.
I momenti e le risate che non sarebbero mai più tornati.
I suoi stupidissimi “ti amo” e le sue falsissime attenzioni.
I loro pomeriggi, le loro serate, il suo letto, i suoi film, i suoi discorsi, la sua musica, le sue battute... mille schifosissime fitte che non facevano altro che straziarle il cuore.
Le sue mani, che un tempo aveva adorato, erano intrecciate con un altro paio.
I suoi capelli, tenuti da sempre appositamente lunghi dato che Kim apprezzava i capelli folti, ora erano spuntati quasi totalmente.
Le sue labbra dalle quali era dipesa e dipendeva tutt'ora la sua vita, dalle quali erano uscite le parole più dolci e quelle più orribili, crudeli e dolorose che avesse mai sentito, ora erano incollate a quelle di un'altra persona.
Non sapeva perchè stava lì, così, ferma a fissarli. Cercò, vanamente, di richiamare al rapporto il suo corpo, ma fu del tutto inutile.
Era lui la causa di tutto, il suo cambiamento radicale era colpa sua e del suo stupidissimo e schifosissimo ego.
Lui, che tornava solamente per controllare che la ragazza fosse ancora persa per lui, provando gusto nel farla soffrire e a raccontarle tutte le cose che faceva che lei gli aveva sempre chiesto di non fare.
La faceva solamente star male, sebbene quella fosse la sofferenza che più preferiva.
Sentirlo, voleva dire che lui ci pensava di tanto in tanto a lei e non poteva chiedere di più.
Le aveva detto che l'amava così, per quello che era e poi l'aveva abbandonata per una che era esattamente il suo opposto. Le aveva giurato che non l'avrebbe mai lasciata, mai l'avrebbe ferita. Eppure non aveva indugiato un minuto prima di correre da quella a braccia aperte. E l'aveva pure convinta, lei ingenuamente, c'era cascata come una pera cotta.
Con lui aveva trascorso i migliori mesi della sua odiosa vita. Quel ragazzo che tanto le aveva dato e tanto le aveva strappato, era la prova concreta che la cattiveria esistesse.
L'aveva solamente ingannata, niente di più. Se l'era lavorata fino a che non si fosse sciolta completamente, fino a che non fosse sicuro che avrebbe addirittura dato l'anima, neanche a al diavolo, bensì al primo barbone che passava, solamente per lui.
Fino a che non gli avesse dato tutto quello che poteva offrirgli. E una volta ottenuto,l’aveva semplicemente lasciata.
Non una scusa, non una parola. La sera prima era insieme a lei e la mattina dopo non c'era più.
Se gli aveva chiesto spiegazioni? E a che pro? Se n'era andato. Non era abbastanza per lui evidentemente.
Certe volte, nonostante le domande che ti poni ti tolgano il sonno, le risposte ti terrorizzano a tal punto che preferisci rimanere nel dubbio.
Le risposte sono spaventosamente scontate, in certi casi.
 Ovviamente, aveva tentato di rimettersi in contatto con lui. Ancora adesso ricordava chiaramente quella telefonata, l'unica a cui aveva risposto dopo averla evitata come la peste per giorni consecutivi.
Prima d'allora, non aveva mai pensato come certe frasi potessero realmente uscire dalla bocca di una persona. Non era umanamente spiegabile.
-Cosa vuoi Kim?- -No,non voglio vederti.- -E' inutile che insisti.. cosa ti dovrei spiegare? Che sono innamorato di un'altra? Non c'è niente da spiegare!- -Mi dispiace piccola. Ma non sei quella giusta per me.- -Sì lo so di avertelo detto. Evidentemente in quel momento la pensavo così.- erano infinite le frasi che le facevano venire voglia di buttarsi da un ponte.
Ma, come disse il grande Nietzsche, ciò che non uccide fortifica. E questo in un certo senso era capitato a lei, sebbene all'interno si sentisse una gelatina.
Dopo un periodo di tortura, in cui lei stava ai suoi giochi, si era finalmente decisa ad evitarlo e a non cercarlo o sentirlo più, sebbene quello fosse l'unico modo per continuare a vivere.
Vivere nella sofferenza non era il massimo, quindi alla sofferenza aveva preferito il niente. Aveva chiuso i contatti con lui da ormai un mese e mezzo e non c’era stato niente di più doloroso.
Sapeva che lui non aveva più bisogno di lei, quindi tanto valeva togliersi di mezzo.
Lui non la voleva più, non c'era niente da dire. Lei desiderava semplicemente che fosse felice.
Che poi la felicità equivalesse ad una cavallona bionda, quasi più alta di lui, con un pessimo cappello e degli stivali vomitevoli, non erano di certo affari suoi.
Eh,l'amore. Che sentimento schifoso.
L'intera riflessione durò semplicemente 4 secondi circa, poi riprese coscienza di sé e scappò, nel vero senso della parola, ancor prima che i due si divisero da quel bacio
che pareva interminabile.

Pensare che lui l'avesse vista in quello stato, gli avrebbe semplicemente dato un ulteriore motivo per pavoneggiarsi, e non poteva assolutamente permetterselo.
Le aveva tolto tutto: felicità, carattere, sogni, dignità. Non poteva far sì che la lista si allungasse.
Scappò, con la coda tra le gambe. Come una canaglia, come se l’avessero bandita dalla città, come inseguita da un serial killer.
Si mise a correre, fingendo di essere in ritardo, mentre spintonava e sbatteva contro i poveri passanti.
Doveva fare presto, sarebbe esplosa di lì a pochissimi istanti. Ormai sapeva come andavano quelle cose. Eppure lo sapeva. Sapeva che non doveva uscire! Si maledisse
un miliardo di volte, mentre, un passo dopo l'altro, si allontanava dal centro della città.

Non sapeva bene dove si stesse dirigendo, percepiva solamente il freddo che le frustava le guance accaldate e l'orribile sensazione che la stava attanagliando da dentro.
All'improvviso, dopo essersi resa conto di essersi allontanata a sufficienza, si fermò. Non c'era nulla intorno a lei, a parte qualche albero e macchina parcheggiata. Il fiato corto inspessiva l'aria che espirava, la milza le doleva e cominciò a tremare, purtroppo questa volta il freddo non c'entrava però.
Si parla tanto di cuori spezzati, come se si trattasse di un cliché, di una scena vista mille volte, di un dolore quasi piacevole.
La sfortuna è che quanto capita a te, non è mai sopportabile.
Ti senti implodere ed esplodere contemporaneamente; è come finire in una piscina di alcol etilico dopo esserti riempito di tagli; e fa male, male più di quanto si possa immaginare o controllare.
Kimberly, in un barlume di lucidità, si rese effettivamente conto di avere il cuore spezzato. Non metaforicamente, lo poteva percepire, come se fosse lui stesso a rifiutarsi di stare insieme.
Si piegò sulle ginocchia, nascondendo il viso tra le braccia, la vista si appannò e il respiro si bloccò del tutto, andando ad animare un magone incontenibile. Esplose in singhiozzi, mentre calde lacrime le scivolavano lungo le guance e mille dei momenti che non voleva assolutamente ricordare, ma si rifiutava di dimenticare, le passavano davanti, uno dietro l'altro, come chicchi di grandine.
Non era possibile placare quel mostro dentro che le dilaniava l'anima. Non era concepibile continuare a vivere così, nascondendosi da se stessa, costringendosi a fingere di stare bene. Era controproducente.
Aveva il cuore spezzato e ora sapeva benissimo come ci si potesse sentire; sarebbe stata addirittura in grado di descriverlo.
Si accasciò a terra, incurante che qualcuno potesse vederla, non le importava. Se non era nessuno che potesse essere in grado di alleviarle la sofferenza, potevano anche tornarsene da dove erano venuti e lasciarla in pace, non se ne faceva niente della pietà altrui.
Cercava, nei limiti del possibile, di farsi forza, di rialzarsi in piedi magari correre da lui e prenderlo a calci nei denti, sperando di fargli provare almeno un decimo del dolore che provava lei al momento.
Ma sarebbe stato del tutto inutile, dato che, se mai si fosse trovata davanti a lui, l'ultima cosa che gli avrebbe fatto, era ferirlo.

Un altro degli aspetti più schifosissimi dell'amore: quando ami qualcuno, puoi sforzarti ad odiarlo finché vuoi, ma quel forte sentimento non svanirà mai.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


Dato che è Natale, e a Natale siamo tutti più buoni vi lascio questo capitoletto
sebbene nessuno abbia cagato quello precedente XD
Non importa, solo che oggi parto e per una buona settimana non riuscirò ad aggiungere capitoli
indi per cui mi sembrava giusto lasciarne uno in più :)
Auguro a tutti buone feste, ferie e vacanze, fate i bravi e mi raccomando
se passate di qua lasciatemi un commentino per regalo.. mi rendereste immensamente felice!
Grazie dell'attenzione, buona lettura.



Capitolo 13.
 

Uscì dal market in una vietta nascosta del centro con le mani in tasca e una borsetta di plastica appesa al polso, contenente i pochi acquisti di cui era sprovvisto in casa.
Estrasse una sigaretta dal taschino della giacca e cominciò a fumare, ingrigendo ancora di più l'ambiente che lo circondava.
Un lieve venticello gli scompigliò i capelli, mettendogli il dubbio e facendolo guardare in su: come prevedeva. Stava proprio per piovere.
Infatti dopo appena due passi, una goccia gli atterrò sullo zigomo, per poi discendere lungo la guancia sottostante come una lacrima. Merda.
Spense la sigaretta al volo e cominciò a correre, aveva lasciato la macchina abbastanza lontano da dove si trovava.
Sentiva la pioggia aumentare con il velocizzarsi dei suoi passi, stava arrivando un temporale davvero tosto. Non si era ancora ammalato quell'anno, e non se la sentiva certo di rovinare quel nuovo record.
Non c'era molta gente in giro, erano stati più furbi e previdenti di lui, ma di certo non poteva lasciare il suo cane a digiuno per il resto del weekend.
Mentre continuava la sua corsa contro il tempo, il suo sguardo fu attirato da un dettaglio che rovinava il paesaggio, più che rovinarlo, stonava. Era troppo insolito.
Inizialmente vedendo quella figura ranicchiata in un angolo senza curarsi del fatto che piovesse a dirotto, gli fece pensare si trattasse di un clochard, ma guardando meglio era una figura femminile e di certo vestita fin troppo bene per essere una senza tetto.
Man mano si avvicinava alla figura, i pezzi del puzzle si ricomposero e, quando fu sufficientemente vicino da allegarle un nome, sgranò gli occhi e si affrettò a controllare che stesse bene.
Era Kimberly, in effetti. Bagnata come un pulcino, si teneva la testa tra le braccia nascondendogli il viso.
-Oddio Kimberly, cosa è successo?- domandò preso dall'ansia il professore. -Kim, mi senti?-
Le prese il viso tra le dita e glielo sollevò, tentando di guardarla in faccia.
Era pallidissima, i capelli bagnati erano appiccicati al volto e il trucco era tutto colato. Non lo guardava, continuava a piangere disperata. -Kim, guardami!-  ordinò mentre lei tentava di divincolarsi dalla sua presa. Ma erano tentativi vani, neanche lei ci credeva.
Quando aprì gli occhi per guardarlo, Jared si accorse che non lo vedeva minimamente, i suoi occhi erano vuoti, scuri.. due pozzi senza fondo.
Continuava a singhiozzare senza dire una parola, così lui cominciò a tastarla partendo dalle spalle, per controllare che non si fosse fatta male.
I vestiti erano intatti, la borsa era perfettamente sigillata e non c'era traccia di sangue. Nessun segno di un possibile scippo o maltrattamento.
-Kimberly, sei ferita? Ti hanno fatto del male?- continuava sempre più confuso a domandarle, nella speranza che quel volto senza vita riprendesse un po' di colore. -Dimmi chi ti ha fatto questo.- cercava di sembrare autoritario, quando in realtà era davvero preoccupato.
Si era quasi scordato della pioggia che non cessava un istante di inzupparli.
Kim, dal canto suo, si sentiva frastornata e disperata. Non aveva neanche la forza di aprir bocca.
Percepiva le mani di Jared mentre controllavano che stesse bene, ma non aveva nemmeno la forza di dirgli di non preoccuparsi, che nessuno l'aveva sfiorata con un dito.
Era dentro che si sentiva sgretolata.
Rabbrividì sentendo delle goccioline scenderle l'ungo la spina dorsale.
Non si era neppure accorta della pioggia prima che il professore le sollevasse la testa. Stava quasi per chiedergli cosa ci facesse in giro bagnato fradicio.
Tentava di spingerlo via, non sopportava che la toccasse con quell'espressione di pura preoccupazione, quando e se avesse saputo il motivo di tutto ciò, l'avrebbe derisa fino alla fine dei suoi giorni, già se lo immaginava.
-Ti hanno fatto del male? Qualcuno ti ha toccata?- ripeté con voce dolce e grave.
Incapace di proferir parola, scosse lievemente il capo, stanca dalle sue continue domande e del fatto che continuasse a ripetere il suo nome con quel tono colmo di pietà. Detestava la pietà.
Jared tirò un sospiro di sollievo. Allora si trattava di qualcosa di interno.. un litigio forse.
Per un secondo temette che fosse colpa sua, della loro discussione del giorno precedente, ma ne dubitò il secondo dopo, dato che era davvero sconvolta. Sembrava sotto shock.
-Vuoi che ti accompagni a casa?- bastò quella frase a farla aprire realmente le pupille e a guardarlo negli occhi. Prima di rispondere esitò un secondo, affascinata dal suo volto tanto vicino e tanto bello. Dai capelli grondavano gocce di pioggia, per poi discendere lungo i suoi lineamenti.
Davvero bello, gli avrebbe fatto volentieri una foto.
Ma quando pronunciò la parola casa, desiderò con tutta se stessa che piuttosto la lasciasse lì a marcire in mezzo al marciapiede. Non ci voleva tornare a casa, sarebbe stata sola, circondata da ricordi dolorosi e da domande indiscrete.
-No! No! Se ne vada, non mi tocchi. Mi lasci qui!- strillò con un briciolo di vita in più,spintonandolo via ancora. Dalla sua voce Leto percepì terrore puro,mentre tentava di tenerla ferma.
-Ok,ok,ok. Niente casa. Ma di certo non ti lascio qui!- rispose l'uomo, stringendola a sé. Non fece una piega e riprese a singhiozzare contro il suo petto, già completamente fradicio. -Ti prenderai qualcosa se non ci sbrighiamo. Vieni con me,ho la macchina qui vicino.- si fece forza e sollevò da terra sia il suo peso che quello della ragazza.
-Ce la fai a camminare, vero?- continuò senza smettere un secondo di tenerla stretta, tremava come un'ossessa.
Non rispose, annuì semplicemente, seguendo i passi svelti e sicuri di Jared. Tanto valeva che gli dicesse di no, la stava praticamente trasportando.
Quando arrivarono in prossimità della macchina, tirò fuori le chiavi e aprì prima il bagagliaio, da cui estrasse una coperta che aveva sempre tenuto per le emergenze.
Tolse il piumino a Kimberly e l'avvolse dentro. -Sei completamente fradicia, ti prenderai un accidente.- disse severo, lei non lo ascoltava neanche.
Montarono in macchina, mise in moto e accese il riscaldamento. Stava gelando anche lui, sentiva i brividi di freddo invaderlo.
Durante il tragitto lanciava rapide e apprensive occhiate alla ragazza accanto a lui, che al momento sembrava più una bambina. Non piangeva più, aveva semplicemente il solito sguardo vacuo perso nel vuoto, si teneva stretta la coperta, mentre si abituava alla temperatura dell'auto. Le accarezzò il volto qualche volta, era molto calda. Le stava salendo la febbre. Di bene in meglio! Sbuffò sonoramente. -Come ti senti?- non rispose. Lo guardò semplicemente, come se bastasse quello, e in effetti sì, bastava.
-Ti va di raccontarmi..?- ma si fermò, ricordandosi improvvisamente la sua reazione di prima, riguardo al fatto di portarla a casa. -Per caso sei scappata di casa? Qualche problema con i tuoi?- cercava di farla parlare, sembrava di trasportare un cadavere. Due profonde occhiaie le circondavano gli occhi, la carnagione pallida faceva a cazzotti con le labbra viola. Si stava proprio ammalando.
Una leggera risata la scosse, facendo lievemente sollevare lui. Non era completamente persa.
Sorrise senza un briciolo di allegria.. non sbatteva neanche le palpebre,continuando a non aprir bocca.
-ti trattano sempre bene, vero?- non sapeva perché, ma era seriamente interessato alla domanda.. e non solo perchè lei era una sua alunna.
-Mh, Mh- mormorò la voce senza vita, facendo “sì” con la testa.
Si sentiva così stanca ed esausta, ma allo stesso tempo aveva la sensazione che se avesse perso quel minimo di autocontrollo che aveva ritrovato, se avesse aperto la bocca, se avesse dato fiato ai suoi pensieri, sarebbe stata la fine.
-Allora non faranno storie se passi una notte fuori casa.- intuì il professore, guardandola di sottecchi.
Kim voltò il viso verso il suo. Alcune gocce di pioggia continuavano a riversarsi sul suo volto.
Senza dire niente estrasse molto lentamente il telefono dalla borsa. Fortuna che era impermeabile, se no avrebbe dovuto dire addio a tutti i suoi effetti. Tossì un paio di volte, cercando di rendere la sua voce meno rauca e il tono più vivo. Incurvò le labbra in un sorriso che a Jared parve più una smorfia molto poco convincente, e chiamò.
Non ci furono obiezioni, alle orecchie di lui arrivò soltanto un -Divertiti tesoro!- lontano, della madre.
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille, dato che somigliava terribilmente a quella di Kim.
La cosa che lo fece più pensare fu che nel suo tono non c'era allegria, ma solamente vera speranza che la figlia passasse un po' di tempo in serenità. A casa doveva essere peggio che a scuola, e quello a cui aveva appena assistito poteva non trattarsi della prima volta.
Sospirando si fermò ad un semaforo, e la guardò.
Quando se ne accorse, lei voltò svogliatamente la faccia verso di lui.
-Dove mi sta portando?- gli domandò, atona. Non che la preoccupasse ma non gliel'aveva ancora chiesto.
-A casa mia. Ho un cane da sfamare!- esclamò Jared, facendola sorridere. -Non hai paura dei cani vero?- continuò un attimino perplesso.
Lei scosse semplicemente la testa. Aveva finito la scorta di parole da dire.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


Capitolo 14.

Don’t you want to hold me baby?

 Parcheggiò appena sotto l'entrata del condominio dove si trovava il suo appartamento. Le porse la busta di plastica, chiedendole di reggerla sotto la coperta.
Il temporale non aveva cessato per un misero istante. Sembrava li inseguisse.
Scesero velocemente dall'auto, lui sempre accompagnandola molto premurosamente.
Lei si sentiva una specie di bambola di porcellana, una di quelle che guardava da piccola in casa di sua nonna. Non le era permesso toccarle, soltanto guardarle. Le trovava bellissime.
Entrarono in ascensore ancora grondanti d'acqua. Jared la teneva stretta tra le sue braccia, strofinandole le mani lungo le spalle, in modo da scaldarla.
Effettivamente sentiva molto freddo, ma era davvero conciata così male? Ogni volta che incontrava il suo sguardo, nei suoi occhi leggeva spavento. Magari non proprio dal suo aspetto, ma delle sue condizioni sanitarie sì.
Quando la trascinò in casa fu assalita da un lupo spaventoso, dal pelo bianco e grigio e una grande voglia di coccole. Infatti le saltava addosso scodinzolando e cainando di gioia.
-Judas, a cuccia!- gridò il professore alle sue spalle, facendo immediatamente placare la bestia. -Scusalo, è un giocherellone.- disse sorridendo.
Lei ricambiò, accarezzando la nuca del cane.
Sollevò lo sguardo e si guardò intorno. Alla sua destra intravedeva una stanza aperta con tanto di fornelli, ovviamente era la cucina; davanti a sé due divani in pelle e di fronte poteva vedere due grandissime finestre che davano su un parco e alla sua sinistra un corridoio molto buio, con qualche porta lungo i lati.
-Su, dobbiamo levarci questi vestiti fradici. Ti stai già ammalando.- le portò una mano dietro la schiena e la guidò verso una stanza.
Effettivamente non si sentiva affatto bene, ma non ci aveva fatto troppo caso. Era scossa da brividi di freddo, sebbene si sentisse caldissima.
La chiuse in bagno lanciandole una coperta di pile. -Tieni su questa mentre ti cerco qualcosa da mettere.- le disse dall'altra parte della porta.
E lì, per la prima volta da quando era uscita di casa, si vide allo specchio.
Quasi non si riconobbe. Aveva i capelli scombinati in un groviglio, il trucco che aveva accuratamente messo sugli occhi, ora le impiastricciava la faccia ed era terribilmente pallida, tendente al giallo. In quel momento capì come mai Leto la guardasse con quello sguardo terrorizzato. Era impresentabile, e non riusciva a credere che lui l'avesse davvero vista conciata in quel modo. Nessuna persona, forse neanche sua madre stessa l'aveva mai vista in uno stato così pessimo!
Con mani tremanti si levò i vestiti e li mise su un calorifero, dopo averli strizzati per bene nella doccia. Poi si diede una sciacquata al viso, in modo da togliere i residui di sporco e si sistemò i capelli, strizzando anch'essi nella vasca.
Infine, con in dosso solamente la biancheria, si avvolse nella coperta di pile, che la copriva dalle spalle ai piedi. Uscì dal bagno silenziosamente e cominciò a guardarsi intorno, alla ricerca di un posto dove distendersi. Era già stato uno sforzo spogliarsi in piedi, la testa le girava terribilmente.
-Professor Leto?- chiamò lungo il corridoio di porte.
Era sicuramente un appartamento carino, ma non aveva assolutamente voglia di analizzarlo proprio ora.
Lui magicamente fece capolino dalle sue spalle, trasportandola verso uno dei divani che aveva visto prima. La fece distendere e le si inginocchiò davanti, accarezzandole il volto con quel fare protettivo.
-Come ti senti?- le domandò in un sussurro.
Lei sorrise mentendo spudoratamente. Ma per tutto quello che le stava offrendo, si meritava assolutamente di calmarsi un attimo. -Lei?- gli chiese sistemando meglio la testa su un cuscino.
Sorrise appena. -Chiamami Jared, Kim.- la corresse.
-Ma lei..- cominciò ad obbiettare la ragazza, ma lui la interruppe.
-Ne parliamo dopo. Ora permettimi di fare una doccia calda e di levarmi questi vestiti.-
A Kimberly si allargarono le pupille. -Non mi lasciare sola.- sussurrò con voce spezzata.
-Non ti lascio sola, Kim. Sono nell'altra stanza. Tu riposa, andrà tutto bene.- cercò di consolarla,accarezzandole la testa.
Lei nascose il volto dietro alle mani. -No.. niente andrà bene. Io non starò mai bene.- mormorò per la prima volta una frase completa. Se avesse avuto ancora lacrime, le sarebbero uscite sicuramente.
Jared non capiva a cosa si riferisse. Le continuava a sfregare le spalle con la coperta, non sapendo bene cosa dire.
-Ehy, non dire così.. tutto si risolve, non c’è niente per cui valga la pena ammalarsi.- la voce vellutata aveva chiaramente l’intento di consolarla.
-Ma per qualcuno sì.- ribatté l’alunna, senza un minimo di forza nel tono.
-Niente e nessuno.- sottolineò lui, affilando gli occhi. –Ricordatelo bene.- forse aveva capito quale fosse il problema.
Lei annuì semplicemente, portandosi il labbro inferiore tra i denti e premendo leggermente. Respirava affannosamente, cosa che gli fece intuire che stava per piangere, di nuovo.
Mosso da un istinto di auto protezione –non ce l’avrebbe fatta, vederla piangere ancora non era assolutamente sopportabile per lui- cercò, in un modo molto goffo di stringerla a sé.
Kimberly si stupì nel percepire qualcosa nel petto muoversi. I cocci del suo cuore erano ancora in grado di palpitare così forte per la vicinanza di un uomo?
Purtroppo durò troppo poco perché potesse rispondere con certezza. -Se hai bisogno di qualsiasi cosa, urla. Io canterò per tenerti compagnia, torno immediatamente.- sorrise facendole l'occhiolino e sparendo nel corridoio.
Kim, rimasta sola si strinse nella coperta, con le lacrime ancora pronte all'assalto. Milioni di pensieri le circolavano in testa per giorni, quando c'erano ricadute simili.
Sapeva che sarebbe tutto passato nel giro di qualche giorno, che si sarebbe svegliata prosciugata da tutto e come se tutti i pianti non fossero mai avvenuti. Era come svegliarsi da un incubo.
Tentò di non pensarci e di concentrarsi sulla stanchezza immonda che le pesava sugli occhi.
Si addormentò profondamente con la voce di Jared che veniva dal bagno, mentre intonava una melodia malinconica.

 I suoi sogni furono i tipici incubi deliranti della febbre.
Winnie the Pooh in 3D, sua nonna che ballava il flamenco con tanto di vestito a balze rosse e nacchere o altre cose che più tentava di spiegarsi, più si complicavano.
Tramava, sentiva i denti batterle e, se non fosse morta soffocata, avrebbe immerso anche la testa sotto la coperta, dato che sentiva come se degli spifferi d'aria le entrassero nelle ossa.
Ma nel frattempo si sentiva bruciare, come se un falò nascesse da lei.
Sentiva il respiro nella gola ardere e certe parti del corpo andare a fuoco. Ironicamente si immaginò potessero cuocerle un uovo sullo stomaco, proprio come nei cartoni.
Qualcosa di umido le accarezzò la fronte e il naso, in due passate.
Fece una smorfia e spostò il viso, verso l'alto.
-Judas, smettila!- un urlo sussurrato le ricordò improvvisamente di dove si trovasse.
Aprì gli occhi di scatto e si tirò su un gomito, le sue gambe erano distese su quelle di Jared, il quale faceva zapping distrattamente.
-Oh, mi dispiace che ti abbia svegliata.- le chiese umilmente scusa.
-Non preoccuparti, è un cane piacevolmente.. amichevole.- disse con voce roca, sorridendogli.
-Come stai?- lui si sporse per poggiarle una mano sulla fronte, lei non si scostò minimamente.
-Sei bollente.. mentre dormivi ho fatto un salto nella farmacia qua sotto e ho preso l'occorrente.- la informò con un sorriso soddisfatto e mostrandole il sacchetto trasparente che le poggiò sul grembo.
Kim si sistemò meglio piegando le gambe in modo da liberarlo e cominciò a frugare.
C'era un termometro e almeno 3 differenti tipi di medicine. Un sorriso smorto le si accese, riconoscente. -Non dovevi.- tossì leggermente. -Ma grazie lo stesso.-
Lui ricambiò il sorriso e per un momento lei si perse nei suoi occhi azzurro-grigio. Il tempo non doveva ancora essere migliorato, se lo conosceva abbastanza da riconoscere le differenze delle sue pagliuzze.
-Dai, vediamo se sei stabile.- disse lui avvicinandosi pericolosamente e posandole il termometro elettronico sulla fronte. Sapeva del suo solito profumo e di dopobarba. Dopo un bip lo tolse e guardò lo schermino, sollevando appena le sopracciglia. -Caspita. Sei 38.5- la informò. -cosa ti senti?-
-Forse ho un po' di mal di gola.- disse minimizzando. In realtà sentiva delle lame ogni volta che deglutiva.
-Perfetto, ora ti preparo qualcosa.- fece lui, alzandosi.
-Non è necessario che mi faccia da infermiere.- scherzò lei.
Jared non l'ascoltò nemmeno e sparì in cucina da dove riemerse qualche minuto dopo munito di bicchiere con un'acqua dal colore un po' incerto e una pacchettino di caramelle per la gola.
Gliele porse. Quella medicina aveva un aspetto poco affidabile.
-Avanti, ti farà solo che bene.-
-Sai che sono contro le medicine? Se il nostro organismo si abitua a prendere la pappa pronta, non se la sbrigherà più da solo.-
-Ma finiscila. O le prendi tu o te le faccio prendere a forza.- disse solenne. Non ammetteva “no”.
Rassegnatasi, Kim ne bevve un sorso. Sapeva di arancia.
Finito quello si infilò una caramella in bocca e diede il tutto a Jared che la fissava impaziente, come se si aspettasse di vederla subito stare meglio.
-Grazie Jared per prenderti cura di me. Non dovresti.- mormorò Kimberly giocherellando con le unghie. La imbarazzava essere troppo gentile o chiedere scusa, erano cose che non le appartenevano più.
-Non dovrei?- la guardò stupito. -E perchè no?-
-Non sopporto la pietà di nessuno.- rispose lei acida.
Jared assottigliò gli occhi, sentiva qualcosa pulsargli dentro. Rabbia, forse.
-Pietà? Tu pensi che io faccia questo per pietà?- il suo tono era un misto tra l'infastidito e l'incredulo.
Di tutta risposta la ragazza alzò le spalle. -Sì. Io non vedo altra spiegazione.-
L'uomo sbuffò sonoramente, trattenendo la voglia impulsiva di schiaffeggiarla. Del resto stava male, magari era la febbre a farla parlare.
-Tu stai delirando.- le disse freddo, fissandola con occhi di ghiaccio. Poi si alzò e fece il giro del divano, per portare le cose in cucina.
-Sto benissimo, invece!- urlò, per quanto le fosse possibile, Kim stringendosi nella coperta ed inseguendolo nell'altra stanza. -So perfettamente quello che dico!-
-No, tu non sai assolutamente niente! Tu pensi di sapere tutto, ti atteggi da primadonna e guardi le persone che ti circondano come fossero alieni. Ma sei solamente una ragazzina arrogante che non capisce niente di niente.- ribatté ormai irato lui. Si appoggiò ad un mobile, aggrappandovisi con le mani, onde evitare ti sfogare quella voglia di farla rinsavire.
A lei si bloccò il respiro e lo guardò fisso negli occhi, cercando di sostenere il più possibile il suo sguardo. Qualcos'altro le si incrinò dentro. Forse non aveva tutti i torti.. del resto di lui non aveva mai capito nulla.
-Hai ragione. Io non so niente.. specialmente di te, penso di non aver mai capito niente. Pensavo di piacerti, pensavo che tra me e te ci potesse essere un legame speciale, tu mi hai fatto credere in qualcosa di prettamente inesistente. E invece hai fatto tutto per la tua vanità.- annuì tra sé e sé, pensierosa per poi tornare sul divano, abbracciandosi le ginocchia molto stretta al petto.
Quella sua frase infastidita l'aveva fatta ragionare e ripensare a quello che l'aveva scossa fino a qualche ora prima della crisi depressiva. 

Disappointed, going crazy.
 

Note finali: Eccomi con un nuovo capitoletto post-vacanze natalizie!
spero che abbiate passato delle feste piacevoli :)
Anyway, la canzone in grassetto è Sky is over di Serj Tankian e, non saprei, è tutta vacanza che la canto e sencodno me ci 
stava bene in questa ragnatela di incomprensioni e confusione. E' una frase che mi trasmette la frustrazione nell'aiutare il prossimo quando non lo vuole e, viceversa, quel volere essere aiutati 
ma allo stesso tempo sentire che non lo si sta facendo nel modo giusto.
Ok, il jet lag ha preso il sopravvento, quindi io spero che vi sia piaciuto e mi auguro che mi lasciate qualche commentino :)
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


Capitolo 15.

And that was the day tha I promised
I'd never sing of love
If it does not exist.

Jared buttò la testa all'indietro e sbuffò dandosi del cretino minimo un migliaio di volte. Era stato troppo duro con lei, non stava assolutamente bene, sia fisicamente che interiormente.
La raggiunse non appena si fu ripreso e, ingentilendo il tono le chiese dalla porta -Hai fame?-
La risposta gli arrivò in una scrollatina di spalle. Le si era praticamente chiuso lo stomaco, pensava che non avrebbe più mangiato per almeno un mese.
Strisciando i piedi, le si avvicinò e si buttò accanto a lei.
C'erano così tante cose che avrebbe voluto chiederle, e tante altre che lei avrebbe giustamente avuto il diritto di sapere. Allungò una mano e le accarezzò una guancia col dorso, scostandole i capelli che gli coprivano la visuale.
Kimberly voltò il viso verso il suo, appoggiando il mento alla spalla. Il suo sguardo tremolava, temeva di guardarlo per troppo tempo negli occhi, come se questo potesse riaccenderlo come un fiammifero e rovinare quel secondo di quiete.
Jared invece, non poteva fare a meno di guardarla. Aveva la montagna di capelli mossi e voluminosi che le incorniciavano il volto e così posizionata sembrava piccola e fragile.
-Perdonami Kim. L'altro giorno..- cercava nella sua mente parole che prendessero forma.
Ma così, davanti a quei buchi neri, neanche lui, il compositore che le parole sapeva destreggiarle come un giocoliere con le palline, che le parole erano il suo forte, non riusciva a fare chiarezza in quello che le desiderava comunicare.
-Non preoccuparti Jared. Sono io che ho frainteso tutto.- lo interruppe Kimberly, lasciva.
-No Kim, io ti ho fatto credere questo.. tu non hai frainteso niente. Perdonami se ti ho mentito, ma pensavo fosse meglio così.- confessò l’uomo, guardandola intensamente, nella speranza che capisse senza chiedere spiegazioni.
Ma non ci sperò troppo, dato che non sarebbe stata lei se fosse stata zitta.
-Che intendi?- domandò, infatti, con un’espressione confusa più che mai.
L'uomo prese un respiro profondo.. ora che aveva cominciato non poteva di certo tirarsi indietro.
-Ricordi quando siamo usciti, qualche giorno fa?- Kim annuì silenziosamente, come se potesse dimenticare una cosa simile. -Ecco, penso tu ti sia chiesta come mai ad un certo punto il mio umore sia mutato totalmente..-
-Esatto, quando stavamo aspettando il pullman.-
-Cosa pensi sia successo?- Jared non resistette dal chiederle quali fossero i suoi dubbi e pensieri al riguardo. Lo affascinava troppo il modo in cui ragionava, era sempre troppo imprevedibile.
La ragazza si strinse nelle spalle. Sentiva le mani di lui che si rigiravano le ciocche dei lunghi capelli tra le dita. Le metteva i brividi, ma non si permise di scuotersi minimamente, temendo che avrebbe smesso pensando di darle fastidio. In realtà adorava quel contatto fisico particolare che c'era tra di loro.
Sembrava che ci fosse una perenne barriera che lui desiderava terribilmente oltrepassare ma di cui temesse le conseguenze, quindi quando doveva toccarla, le accarezzava semplicemente un punto estremo, come i capelli in quel caso.
-Abbiamo discusso perché tu volevi accompagnarmi a casa. Pensavo di averti offeso, ho pensato migliaia di volte a quello che ci eravamo detti, ma sinceramente ti avevo detto anche di peggio, quindi il ragionamento non filava.-
Leto sorrise. -Infatti, non mi sono affatto offeso.- disse lui, leccandosi le labbra e distogliendo lo sguardo dai suoi occhi interrogativi, cercando le parole più chiare e semplici che conoscesse.
-Il fatto è che mi ero reso conto che non volevo ti capitasse qualcosa, ma non perché sei minorenne e temevo potessi finire io nei guai. Semplicemente perché.. ci tengo a te.- concluse a fatica.
-Tieni a me perché.. sei il mio professore?- azzardò lei, sentendo quasi chiaramente le reliquie del suo cuore sussultare.
Lui scosse la testa serrando le labbra in un sorriso, come per sdrammatizzare, come se fosse la scena più comica della sua vita. E forse lo era. –No, come persona.-
La ragazza deglutì rumorosamente, talmente assolta nel momento da non sentire il dolore. –Come un padre?- chiese timorosa, nonostante si fosse imposta di non porgli mai domande simili.
Rassegnato, scosse ancora la testa. –No.- prese aria nei polmoni, sforzandosi di trovare l’immagine che rendesse meglio quello che intendeva. –Come un uomo tiene ad una donna.- pronunciò l'ultima frase lentamente, scrutando Kim negli occhi e cercando di trovare qualsiasi cosa gli facesse intendere che non stava superando nessun confine. Ma non ci trovò niente, dato che la ragazza boccheggiava.
Cercava di non perdere i sensi e di trovare qualcosa che le facesse credere realmente che non stesse ancora dormendo e che le sue parole non fossero solamente il frutto di un altro incubo delirante.
Strana dichiarazione, ma del resto cosa poteva aspettarsi da un individuo del genere? Rimaneva pur sempre una dichiarazione.. contorta e trattenuta, ma una dichiarazione del fatto che lui sentisse qualcosa per lei, realmente.
-Ma io sono il tuo professore e questo non può cambiare, quindi ho preferito retrocedere e fare finta di niente, come se niente fosse successo, pensando che tu non te ne fossi minimamente accorta.-
Ecco, sembrava troppo bello. -Come dire..- sbuffò lei, mettendosi a giocare con un ricamo della coperta che aveva ancora indosso.
Sentì Jared accanto a lei sospirare. Le smosse appena i capelli.  -Appunto. Ed è questo che mi turba.- mormorò abbassando la testa. Kimberly voltò di scatto la testa, con gli occhi sgranati.
-Che vuoi dire?- domandò in ansia, con gli occhi lucidi. In caso poteva spacciarli per febbre, continuava a sentirsi calda.
-Kim..- sbuffò portandosi una mano sulla tempia il professore. -Sai che quello che ti sto dicendo  non dovrei assolutamente neanche pensarlo, vero? Io e te non dovremmo essere qui. È sbagliato, lo capisci?- parlava lentamente, cercando comprensione nei suoi occhi, tentando il più possibile di non rovinarle l'umore.
-Sì, lo capisco.- annuì lei tristemente. -E se mi stai chiedendo di fare come se niente fosse, ok. Non voglio metterti nei guai, lo giuro.-
L'uomo si morse il labbro inferiore, togliendo la mano dai capelli di lei. Non aveva fatto una piega al riguardo, voleva dire che non le era arrivato il messaggio. Ma del resto cosa poteva aspettarsi? Era un'adolescente, se non le avesse spiattellato i fatti concretamente in faccia non ci sarebbe mai arrivata. Cercava di pensare solamente ai lati positivi della faccenda, se lei non era troppo coinvolta voleva dire che non avrebbe rischiato il posto.
Dal canto suo Kim si voleva mangiare le mani per la possibilità che aveva lasciato scappare senza neanche prenderla in considerazione.
Non voleva che lui ci rimettesse il posto, non si sentiva abbastanza importante da fargli correre un tale rischio. La scuola sarebbe stata un trauma senza di lui, ne era sicura.
Ma, nonostante ciò, si sentì in dovere di chiarire un ultimo punto. -Mentre invece, se mi stai chiedendo di dimenticare, mi dispiace, ma non potrò accontentarti. Non sarò una minaccia, te lo garantisco. Ci tengo al fatto che tu sia il mio professore..- disse evitando il più possibile il suo sguardo.
Sebbene tra i due non fosse successo granché, il feeling che li avvolgeva quando erano insieme era innegabile e dal momento che lui le aveva permesso di infischiarsene di qualche regola, sarebbe stato difficile tornare indietro.
Jared, guardandola, capì perchè era così fortemente attratto da lei e si attaccò con le unghie al divano per non combinare qualche scemenza di cui si sarebbe pentito.
Ma in quel momento lei non aveva la minima idea di quanto si stesse trattenendo dal baciarla. Si era sbagliato di grosso nel giudicarla. Aveva capito perfettamente quello che lui intendeva, provava le stesse cose ma non avrebbe fatto lo stesso nulla per metterlo in crisi.
Sentendosi gli occhi dell'uomo puntati addosso, Kim sollevò il viso.
-Quanto mai non ti ho incontrata in un qualsiasi altro posto.- sussurrò, noncurante di quello che si erano appena promessi.
Non riuscendo a gestire quella parvenza di cuore che pareva battere all’impazzata nel petto, lei sorrise timidamente, distendendosi su un fianco. Le girava vorticosamente la testa, ma non era sicura se si trattasse della febbre o delle mille emozioni che una frase così semplice ma così ben detta aveva scatenato.

But darling, you are the only exception


NOTE FINALI: yeah, siamo già al 15simo capitolo signori e signore.
La canzone è ovviamente The only exception degli ovvi Paramore. Se la conoscete allora nessuna sorpresa,
se non la conoscete MOLTO MALE, e andate a sentirvela immediately. 
Ohr, quanti cuori si percepiscono in questo capitolo <3 spero vi sia piaciuto e che vi dedichiate un secondo a commentarlo,
se non vi è piaciuto, commentate lo stesso :)
Bacibaci

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


Capitolo 16.

 
You loved me, and I frozed in time
Hungry for that flesh of mine

 Col passare delle ore, lei si sentiva peggiorare.
Si era sforzata anche fin troppo tempo di rimanere lucida senza distendersi o riposare, ma in cuor suo non si pentiva affatto.
Se fosse stato necessario, pur di ascoltare quello che Jared aveva da dirle, sarebbe anche stata in piedi per un'ora, anche se solo il pensarci le faceva mancare le forze.
E più lei peggiorava, più il professore si preoccupava. Kim aveva l'impressione che non si fosse mai preso cura di nessuno fuorché se stesso ed ora non sapeva da che parte girarsi.
Le faceva tenerezza, voleva rassicurarlo e dirgli di non preoccuparsi così tanto, che era questione di qualche ora e sarebbe tornata come nuova. Ma al momento preferiva non aprire nemmeno gli occhi e il solo pensiero di far uscire un dito da sotto quella coperta la faceva tremare di freddo.
-Kim, vuoi ancora un po' di medicina?- le domandò premuroso Jared. La sua voce era incrinata dalla preoccupazione.
Lei aprì un occhio e scosse la testa. –No, grazie.- le medicine non le andavano proprio giù.
Jared non la lasciò sola neppure un momento. Si sentiva troppo responsabile nei confronti di quella ragazza e vederla in quello stato lo faceva stare malissimo. Avrebbe voluto assorbire un po' della sua malattia, se fosse stato in grado l'avrebbe fatto sicuramente, senza ombra di dubbio.
Se fosse stato necessario, sarebbe stato sveglio anche tutta notte a vegliare su di lei, ma Kimberly insistette affinché la piantasse di fissarla così insistentemente. Ovviamente, non ne volle sapere di farsi trasportare in camera sua, che le avrebbe volentieri ceduto, essendo l'ospite. Ma alzarsi da quel divano che ormai aveva assorbito il suo calore per andare in una stanza fredda e buia, era fuori discussione.
Non passò molto prima che lei perdesse completamente i sensi e si addormentasse per smaltire l'influenza.
Rimasto solo, Jared si rese conto dell'effettiva stanchezza che aveva addosso. Prendersi cura di una persona era più stancante di quanto si aspettasse. Non si era mai occupato di nessuno all'infuori di se stesso, quando era piccolo c'era la sua famiglia a prendersi cura di lui, una famiglia composta da una madre e un fratello maggiore, quindi il suo aiuto in qualcosa era pressoché inutile.
Se c'era una cosa che però aveva imparato sulle malattie, leggendo e guardando documentari a caso, era che bisognava sudare. Solo col caldo Kim avrebbe smaltito il virus.
Cosa c'è di più caloroso di un corpo umano?
Pensando ciò, si fece spazio tra il corpo rannicchiato della ragazza e lo schienale del divano, avvolgendola con un braccio all'altezza della vita e appoggiandole la testa sul collo bollente.
Era davvero caldissima, preferì non testarle la temperatura per non preoccuparsi ulteriormente e cominciò a rilassarsi, stringendola contro il suo petto muscoloso.
Il suo corpo continuava ad essere scosso da brividi violenti e, quando smise, probabilmente lui si era addormentato perché non se ne accorse minimamente.

Kim aprì leggermente gli occhi, svegliata dall'ennesimo incubo da delirio.
Non ricordava bene cosa fosse successo, aveva il vuoto in testa e il salotto davanti ai suoi occhi non era sicuramente quello di casa sua.
E la cosa che più la preoccupava era il respiro pesante che non le apparteneva, ma che le soffiava sul collo, smuovendole qualche capello.
Era ancora aggrovigliata in quel pile pesante, da cui aveva sfilato le braccia in modo da temperare un po' il corpo. Cominciava ad avere caldo, probabilmente significava che stesse meglio.
Non capiva bene che ore fossero, dalla luce che filtrava dalle tapparelle abbassate poteva perfettamente essere mattina presto, 4 massimo 5 am.
Quando gli occhi si abituarono all'oscurità della stanza, si accorse che c'era un altro braccio intrecciato ai suoi.
Non le fu difficile collegare il tutto, finalmente.
Sorrise tra sé e sé. Il profumo di dopo barba era proprio quello di Jared, le stava dormendo letteralmente addosso, alle spalle.
Improvvisamente il caldo non era più così sentito e si spinse ancora un po' indietro, per aderire meglio al suo petto.
Dopo non seppe bene quanto tempo, sentì il respiro di Jared dietro di lei batterle sulla spalla irregolarmente e lo sentì sgranchirsi in un qualche modo, tentando di non muoversi troppo per disturbarle il sonno.
Sollevò lentamente il braccio con cui la circondava e si strofinò un occhio, per poi portarlo sulla sua spalla e con l'indice tracciarne il profilo, molto delicatamente.
Si tirò anche leggermente su per immergere il viso nella sua chioma di capelli e aspirarne il profumo di shampoo all'albicocca a pieni polmoni.
Kim tentò il più possibile di stare immobile, ma le fece il solletico, quindi non riuscì a trattenere un sorriso rumoroso.
-Ti ho svegliata?- disse la voce roca che le arrivava dalle spalle.
-Assolutamente no.- rispose a bassa voce, come se ci fosse qualcuno da non svegliare.
-Ti senti meglio?-
-Sì, ho solo un po' di freddo.- disse lei, estraendo silenziosamente da sotto le coperte una gamba, in modo da avere la scusa. Lui non se ne accorse e la strinse un po' di più a sé, con un sorriso.
-Ma così poi te l'attacco..- si lagnò molto falsamente lei, spingendosi via, ma l’uomo prontamente la trattenne, con entrambe le braccia.
-Non essere ridicola.- sussurrò Jared, mentre Kim rideva sotto i baffi.
-che ore sono?- domandò la ragazza guardandosi intorno. Era contenta fosse buio, aveva un sorriso paralizzato davvero inquietante stampato in volto.
-Sono le..- si guardò l'orologio al polso. -4.45 del mattino. Hai sonno? Vuoi dormire ancora un po'?- le chiese accarezzandole la fronte. -Sei così calda..-
-No Jared sto bene, davvero.- tentò di tranquillizzarlo. In effetti si sentiva un po' meglio, non stava scherzando.
Lui fece per tirarsi su e alzarsi, ma lei lo trattenne, tenendolo per la cintura dei jeans. Si rese conto in quel momento che non aveva la maglietta e ringraziò il cielo che fosse abbastanza scuro da non permetterle di vederlo bene e fare espressioni idiote davanti ai suoi occhi.
-Dove vai?- non sopportava che si allontanasse.
-In bagno un secondo, ti scongiuro!- esclamò lui, al limite.
Kim ridacchiò e lasciò la presa, così che la scavalcasse e corresse verso il corridoio.
Dopo poco tornò, con un sorriso rilassato. Senza fatica si rinfilò nello spazio di prima, stringendosi Kimberly al petto. -Ti va di parlare?- le domandò sussurrando.
-Posso sapere perché ti piace tanto parlare?- lei stava così bene lì in silenzio con lui.
-Perché adoro il tuo timbro di voce. E mi piace quello che dici e come lo dici.- si giustificò lui senza cambiare il tono.
-Anche quando ti insulto?-
-Specialmente.- rispose, facendola sorridere.
-Ok.. allora di cosa vuoi parlare?- chiese lei, senza voltarsi a guardarlo.
-Non saprei.. ad esempio di quello che è successo ieri.- ovviamente si riferiva allo stato in cui l'aveva trovata per strada.
Kimberly sgranò gli occhi, ma non si stupì. Del resto se lo aspettava e lui si meritava una spiegazione.
-Oh, certo..- mormorò lei, non troppo convinta.
-Non ti va?-
-Solo che.. non mi va di parlare di una cosa così stupida.-
-Kim, non essere tu stupida. Non hai visto la tua faccia e non era il fatto che stessi piangendo o che eri in uno stato pietoso a causa della pioggia. Erano i tuoi occhi.. erano assenti, vuoti, smarriti.
Tu hai qualcosa che ti sta logorando da tempo, solo che non vuoi parlarne.. perché?-
-Jared.. ti sbagli. Io sto benissimo.- ma la sua voce morta non convinceva neanche se stessa.
-No ragazzina. Tu sei cambiata nel giro di pochissimo tempo. Ti è successo qualcosa.. sei scontrosa con le persone, ti perdi nel vuoto e sembra che ti terrorizzi il fatto che qualcuno ti legga dentro.
Ma facendo la dura, non arrivi da nessuna parte.- la rimproverò con un filo di voce.
-E tu chi sei, il mio psicologo? Lo saprò se sto bene o no.- lei cominciava ad infastidirsi, infatti la sua voce raggiunse un livello di volume normale.
-Lo vedi? Io voglio conoscerti Kim. Non ti farò del male, puoi fidarti.- le sussurrò appoggiando la testa al suo collo, in modo che le parole le arrivassero dritte alle orecchie.
Quelle parole le portarono la mente lontana, in un ricordo chiuso nel cassetto che aveva soprannominato “non aprire assolutamente!”, ma in cui spesso e volentieri si permetteva di dare una sbirciatina, anche solo per controllare che l'effetto fosse sempre lo stesso.
Quanto avrebbe desiderato un giorno svegliarsi e non sentire più nulla. L'avrebbe sinceramente preferito.
-Kim? Dove sei?- la voce lontana di Jared la riportò lì su quel divano.
Lei voltò il viso di scatto, facendo così scivolare l'ennesima lacrima.. strano, pensava di non averne più.  -Sono qui, con te. - sorrise lievemente.
Lui con un sospiro trattenuto le accarezzò una guancia, levandole la goccia che inesorabile scendeva. -Chi ti ha fatto questo?-
Rassegnata, optò per il raccontare quello che poteva.
-Si chiama Christopher ed è.. era il mio migliore amico. Ma io ho sempre avuto una sorta di cotta per lui, ho sofferto tutta la vita a stargli accanto ad aiutarlo a conquistare le ragazze che gli facevano girare la testa. Io gli sono sempre stata vicina.. sperando che un giorno si accorgesse di me.-
L'uomo si appoggiò su un gomito fissandole la catenina che aveva al collo e attorcigliandole una ciocca, la fronte corrugata attento nel racconto.
-Cosa è successo poi?-
-Quello che è scontato.. sì è reso conto del fatto che gli morissi dietro. E c'è stato per un po'.
Per mesi siamo usciti insieme e non eravamo più semplici amici, mi abbracciava e mi guardava in maniera diversa, come avevo sempre sognato.
Diceva che era stato un cretino a non accorgersene prima, che ero perfetta per lui e che non riusciva ad immaginarsi la sua vita con qualsiasi altra che non fossi io.- la voce le tremava appena, mentre ricordava quei momenti ormai mille miglia lontani dalla vera realtà.
-Ma..?- era ovvio che ci fosse un ma, in caso contrario non sarebbero stati lì in quel momento.
-Ma.. non era niente vero. Certo, lui ci teneva a me.. ma era più affezionato all'idea di me che a quello che ero realmente. Ero solo un numero. Una persona che conosce da 9 anni, ragazza numero 4, con cui è stato per tot mesi.. Se n'è andato così, di punto in bianco, nel momento in cui ero più convinta che le cose non potessero andare meglio. La notte prima mi aveva convinta ad andare a letto con lui, e la mattina dopo mi sono svegliata da sola.- a ripensare alla fitta allo stomaco che aveva sentito quella mattina di due mesi e mezzo prima, si trattenne dal piegarsi su se stessa.
Quando le faceva male anche solo respirare, si rannicchiava a uovo come per proteggersi.
Jared deglutì, pensando a quanto ci fosse rimasta male. E a quanti pugni avrebbe volentieri dato a quell'insulso individuo.
-Non ti ha dato spiegazioni?-
-No, semplicemente che eravamo troppo amici e per me non avrebbe mai provato quello che prova per una ragazza. Ci siamo sentiti per un po' di tempo, cercavo di sforzarmi a far tornare le cose normali..- Kimberly ricordava esattamente quella sensazione orribile ma allo stesso tempo piacevole che provava nel sentirlo. Era come essere consapevoli di non riuscire a sopportare la sua assenza, ma contemporaneamente riuscire a malapena tollerare la sua presenza. Era difficile da spiegare, se non lo provi non capisci. Nessuno sa spiegare a parole come ci si sente ad odiare e contemporaneamente amare una persona.
-..ma non era possibile e quando me ne sono accorta, mi sono convinta con tutte le mie forze che io sarei stata molto meglio se non lo avessi neanche sentito. E così ho fatto.. ma la cosa che più mi turbò era che lui non fece una piega. Quanto ci teneva a me, se ora non si interessa minimamente di sapere se sono viva? Lui continuava a scrivermi e a chiamarmi dicendo che non riusciva a pensare alla sua vita senza la mia presenza.-
-Quindi tu vorresti una spiegazione. È per questo che ci pensi ancora tanto?-
-No, non voglio nessuna spiegazione. Non voglio niente di niente, voglio solo che lui muoia per me e stia male almeno un decimo di quello che sono stata io. Vorrei svegliarmi la mattina e sentirmi libera, finalmente. Non voglio nessuna risposta, perchè mi crollerebbe il mondo addosso, lo so per certo.-
-E questo cambiamento lo dobbiamo a lui?-
-Esatto. La ragazza con cui mi tradiva e con cui l'ho visto amoreggiare ieri è esattamente quella che sono diventata..l'opposto di quello che ero. Probabilmente c'era qualcosa di sbagliato in me e ingenuamente ho pensato che se fossi cambiata, diventando quello che lui voleva, sarebbe tornato da me implorando pietà.-
-Sai vero che è una cosa perfettamente stupida?- le disse con voce dolce.
-Sì ma.. l'amore rende stupidi. Io ho agito di conseguenza.- si giustificò Kimberly portando gli occhi nei suoi. Ora poteva vederli un po' meglio, si stava schiarendo fuori.
-Se può farti sentire meglio posso dirti che è stato un idiota.. guarda cosa si è perso!- esclamò con un sorriso Jared.
Kim fece una smorfia scettica. Era una frase troppo scontata da parte di uno come lui.
-Sei poco credibile. Lei è altissima, biondissima, sicuramente molto più carina, simpatica e intelligente di me.- disse sconsolata voltandogli le spalle.
L'uomo sorrise appena e portò le labbra vicino al suo orecchio. -Ascoltami bene Kimberly. Io ho quasi 40 anni, ho vissuto in svariati paesi nel mondo e ne ho conosciuta di gente, non sono il primo cretino che passa. Quindi fidati se ti dico che non esiste essere più interessante, sveglio e particolare di te.
Lo so che stai male, me ne rendo conto. Lo so che hai il cuore spezzato e ora qualsiasi cosa ti venga detta ti sembra solo una menzogna.. ma credimi, passa tutto. Devi solo dargli tempo.- le disse in un sussurro, spegnendole definitivamente il cervello.
Lei sorrise di conseguenza, ravanando inconsciamente nella speranza di ritrovare quel barlume di fede che le era stata strappata. Quanto desiderava potergli credere..

 But I can’t compete
With the she-wolf who has brought me to my knees
What do you see in those yellow eyes?
‘Cause I’m falling to pieces.

 

Note finali:
bene bene bene ecco il capitolo 16, mooooolto depresso lo so, me ne rendo conto,
ma non saranno tutti su questa lunghezza d'onda, anche se, sappiatelo, io sono molto per i tira e molla,
prendi e lascia, ti voglio ma non posso e così via quindi ci sarà molta penatura prima di una love story,
in qualsiasi mia storia... o forse questa volta no.
Bah, spero il messaggio sia chiaro, non sono sicura di averlo esposto come meglio credevo, ma whatever,
ai posteri l'ardua sentenza.
Come sempre vi raccomando di lasciarmi un pensierino, così, per sapere se sto andando nella direzione giusta
anche se il più è già scritto quindi non penso rivoluzionerei 60 capitoli di storia per un commento negativo per come la sto struttiurando ahahah.
Ok, non faccio ridere ma è una giornata di MERDA quindi posso permettermelo.
Baci&Abbracci.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


 

Capitolo 17.

 

Il resto della mattinata lo passarono nella medesima posizione. Ogni tanto guardavano la televisione, ogni tanto parlavano di argomenti a caso e spesso Jared si interrompeva nel bel mezzo di una frase per obbligarla a prendere un po' di medicina.
Kimberly rideva divertita a tutte le sue pressioni, ma le facevano piacere. Non era abituata a ricevere certe attenzioni, da un po' di tempo ormai nessuno la trattava più come se non fosse in grado di cavarsela da sola.
Ciò le dava un po' di sicurezza.. la faceva sentire protetta stare così a stretto contatto con Jared.
Molti momenti della giornata furono un buco nero per lei.
Momenti di vuoto erano alternati a sprazzi di lucidità. La sua mente andava e veniva,come se perdesse i sensi innumerevoli volte. Sentiva respiri soffocanti, voci lontane e mani che ogni tanto le scostavano i capelli.
Jared temette che fosse a causa del misto di medicine che le cacciava in gola a forza.
Ma decise di non perdersi troppo in dubbi e di lasciarla riposare, era davvero stanca e le sue ombre violacee sotto gli occhi non diminuivano affatto, sebbene la controllasse dormire di ora in ora.
Stanco di rimanere fossilizzato nella stessa posizione decise di sgranchirsi un po' le gambe, portando Judas a fare un giro al parco lì vicino, approfittando del sonno di Kimberly.
Ma, anche quando fu di ritorno, la figura sul divano era nella medesima posizione in cui l'aveva lasciata.
Si avvicinò e le distese addosso l'ennesima coperta, dato che non la smetteva di tremare un secondo da quando lui si era alzato. Toccandole i capelli però, notò piacevolmente che erano bagnati di sudore. Sorrise compiaciuto: il suo metodo stava funzionando.
Proprio in quel momento sentì una vibrazione, ma non veniva dalla sua tasca.
Una vibrazione sempre più insistente e improvvisamente si ricordò che la ragazza aveva dei genitori che dovevano essere abbastanza preoccupati o al limite curiosi di sapere fino a che ora si sarebbe trattenuta.
Con uno scatto prese la sua borsa, sapeva che non era educato, ma non voleva assolutamente svegliarla, e cominciò a frugare tra le cose.
Quante cianfrusaglie si possono trovare nella borsa di una ragazza? Persino lui ne fu sconvolto.
Finalmente lo trovò e vide che sulla schermata c'erano una quindicina di chiamate perse da parte di Gwen o Julia ed altrettanti messaggi di non sapeva chi.
In quel momento la schermata dava “mamma chiama”, così premette il tasto verde e la voce della donna che tanto somigliava a Kimberly gli parlò dolcemente.
-Ciao tesoro, come stai? Ti diverti?- doveva essere proprio una brava donna. Come aveva potuto anche solo sospettare che Kim avesse dei problemi con loro?
Ma in quel frangente si ritrovò bloccato, non sapendo bene cosa rispondere.
-Salve signora, scusi ma Kimberly sta dormendo al momento.- sembrava il suo segretario.
-E lei chi è scusi?- Lilian, dall'altro capo della linea, si ritrovò rossa di vergogna e confusione.
Poi fece un piccolo calcolo. -Oh, lei deve essere il padre di Gwen! Scusi tanto, non volevo essere scortese.-
Jared tirò il fiato. Per fortuna gli aveva servito la balla perfetta su un piatto d'argento, non sapeva come avrebbe
potuto scamparla se no.

-Sì, proprio io. Ieri sera le ragazze sono tornate non troppo presto e Kimberly ha scordato il telefono sul tavolino in salotto.. solo per questo mi sono permesso di rispondere.-
-Oh certo la capisco. Sta bene?- ovviamente si riferiva a sua figlia.
Non sapeva se era il caso di dirle che in effetti no, non stava proprio bene. Nah, era meglio non allarmarla, sarebbero corsi a prenderla al volo e lui non lo voleva assolutamente.
-Sì, molto bene. Appena si sveglia la faccio richiamare, ok?-
-Sarebbe molto gentile. Ma per caso sa per che ora ha intenzione di tornare a casa?-
-Se a lei non fa niente, potrebbe anche stare una serata in più e domani dopo scuola sarà di ritorno.-
-Non vorrei recare troppo disturbo..- cominciò indecisa la donna.
-Nessun disturbo, Gwen le è molto affezionata!- la rassicurò dolcemente lui.
-Sa che ha una voce familiare? Ci siamo già visti o sentiti io e lei?-
Jared si portò una mano alla bocca, dandosi dell'idiota.
-No no, assolutamente.. almeno non mi pare!-
-Bah, sarà. Comunque va bene, se non è un problema e se ovviamente Kimberly vuole, le diamo il permesso. Mi raccomando si ricordi di dirle di chiamarmi!-
-Senz'altro. Arrivederci.- e riattaccarono entrambi.
Ma che memoria uditiva non aveva quella donna? Assurdo, si erano parlati una volta e basta, dopo tutto! Ed era successo ormai un po' di tempo prima.
Lanciò ancora una volta un'occhiata a Kim appoggiandole il telefono vicino così che appena sveglia potesse darci una controllata, e poi decise di farsi una doccia.
Quella ragazza era una stufa, lui stava morendo di caldo.
Entrò in vasca e nel docciarsi perse il senso del tempo.

 Quando Kim aprì un occhio, non aveva la minima idea di quanto tempo fosse passato o di che ore fossero. Si sentiva completamente frastornata e il caldo soffocante che si sentiva addosso le fece togliere la massa di coperte che la sormontava, con un calcio.
Aria.
Le sembrò di uscire da una sauna. Aveva la parte inferiore dei capelli completamente bagnati e appiccicati al volto e al collo.
Il divano di pelle ormai aveva la sua conca e la sua sagoma era impressa nella pelle nera. Poteva vedere il profilo delle dita sudate, quando tolse la mano.
E pensare che fino a qualche ora prima stando lì sotto sentiva freddo..
Si alzò barcollante, facendo cadere il cellulare -che non ricordava assolutamente di aver messo lì vicino- a terra e andò verso la parete completamente costituita da finestre e ne aprì una a caso.
Il vento che tirava al quarto piano di quell'appartamento era una goduria per la sua pelle. Non ce la faceva più. Respirò più volte sia dalla bocca che dal naso, lasciando che l'ossigeno la invadesse completamente.
Non si preoccupò nemmeno del fatto che aveva indosso solamente la biancheria intima e che qualsiasi persona potesse vederla in quel preciso momento.
Quando il freddo di inizio febbraio le entrò fin dentro le ossa, decise di tornare sul divano e di avvolgersi in una coperta leggera, lasciando però che l'aria continuasse a circolare.
Si sentiva meglio, decisamente.
Come se le due giornate precedenti non fossero mai avvenute, come se non fosse mai stata malata.
Improvvisamente un profumo di bagnoschiuma le arrivò alle narici, quando sentì il cigolio di una porta aprirsi e un
Jared pulito e profumato camminare nella sua direzione.

Aveva un piccolo asciugamano con cui si strofinava i capelli, affinché si asciugassero.
Kim si strinse il lenzuolo addosso e cercò di rendersi presentabile con la mente, dato che al confronto sembrava un cadavere.
Lui invece sembrava fresco, nuovo e lindo. Niente di meglio.
Quando si accorse di lei, sorrise confortato.
-Temevo fossi morta!- scherzò avvicinandosi a lei velocemente. Le posò una mano sulla fronte umidiccia e sorrise. -Sei guarita finalmente.- pareva davvero sollevato.
-Sì, il metodo di coprirmi come un salame è stato utile.- sorrise lei di rimando, scansandosi appena.
Non voleva provocargli ribrezzo in quella maniera ,ma lui sembrava non accorgersene neanche.
-Hai sete, immagino.- azzardò lui dirigendosi verso la cucina.
In effetti sì, sentiva la gola arsa, e a deglutire non sentiva troppo male come il giorno precedente.
-No, non tanto..- rispose minimizzando lei, ma quando lui tornò con due bicchieri colmi d'acqua non fece a tempo neanche a sedersi che lei ne scolò uno fino all'ultima goccia, tenendo la tazza a due mani.
-Ancora?- propose Jared offrendole anche la sua tazza.
Senza fare complimenti la afferrò e bevve senza respirare anche quella. Si sentiva piena, se si fosse messa a saltare avrebbe sentito l'acqua dentro il suo stomaco scrosciare.
-Caspita. Non tanto, eh?- commentò lui ridendo appena.
Kim arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo. -Non sembrava così tanta..- si giustificò e, guardando a terra, si
ricordò del telefono, immobile a fissarla.

Lo raccolse e leggendo le mille chiamate perse impallidì. -Madonna, mi sono completamente scordata di Gwen e Juls! Gli ho dato buca ieri!- esclamò con una mano alla bocca. Si sentiva terribilmente in colpa.
-Spiega loro che non stavi tanto bene. Speriamo non abbiano chiamato a casa tua..- disse poi tra sé e sé.
-No, non hanno il numero di casa, grazie al cielo.- rispose, mandando un messaggio fulmineo a Gwen dicendole che era molto dispiaciuta per la buca e di perdonarla, le avrebbe spiegato tutto appena si sarebbero viste. Magari non proprio tutto.. semplicemente quello che poteva raccontarle.
-Ah a proposito, prima ha chiamato tua madre..- disse lui alzandosi e andando verso la finestra spalancata, con un'espressione sconcertata. Voleva rimanere ammalata per il resto della sua vita, quella disgraziata?! Poi si indirizzò in cucina, scuotendo incredulo la testa.
A Kimberly si drizzarono le orecchie e lo seguì con lo sguardo, solo in quel momento si accorse che nel muro tra la cucina e il salotto c'era un oblò che le permetteva di comunicare con lui e di guardarlo.
-..mi dispiace di aver risposto, ma pensavo che sarebbe stato il caso di farle sapere che eri viva.- continuò Jared sperando che non si arrabbiasse. Quella ragazza era così suscettibile.. si arrabbiava per niente certe volte.
Kim fece una rapida radiografia mentale al contenuto della sua borsa sperando di non aver lasciato dentro niente di compromettente, poi scrollò le spalle e rispose indifferentemente -Non fa niente, hai fatto bene. Cos'ha detto? Oddio, ma ti ha riconosciuto?- esclamò in fine.
-no tranquilla, pensava fossi il padre di Gwen. Ha detto di richiamarla appena ti saresti svegliata. E..- si avvicinò cautamente allo stipite della porta che dava sul salotto. -Le ho chiesto se non era un problema che tu rimanessi qui un altra notte.- mormorò, guardandola attentamente.
Kimberly fece una faccia sorpresa. Poi lanciò un'occhiata fuori e si accorse che ormai dovevano essere le 6 passate. Non si stupì della richiesta di Jared, sicuramente aveva ancora una faccia sbattuta, era tardi e probabilmente non aveva nessuna voglia di accompagnarla, figuriamoci lasciarla andare da sola.
-Sicuro che non sia un problema?- preferì accertarsene.
-Se l'ho chiesto io, direi di no.- rispose con fermezza.
-Sei molto gentile Jared.. grazie.- gli sorrise timidamente.
-Si chiama ospitalità ragazzina.- lei fece una smorfia. -Immagino inoltre che tu voglia farti una doccia. Vieni con me.- disse facendole segno di seguirlo.
I fatti erano due, o puzzava in una maniera indicibile che non riusciva neanche a starle a distanza, o le leggeva nel pensiero. Stava proprio per chiederglielo.
-Non avevi detto che ti era difficile capire a cosa penso?- disse sospettosa, stringendosi il lenzuolo leggero attorno al corpo e seguendolo velocemente, onde evitare di smarrirsi, sebbene non fosse una gran casa.
-Infatti.- annuì lui, senza guardarla, continuando a camminare fino in fondo al corridoio.
D'oh. Questo voleva dire che doveva prendere in considerazione la prima ipotesi.
-Ma a forza di passare il tempo con te sto iniziando a connettermi alla tua stessa frequenza radio.-
continuò facendole l'occhiolino per poi sparire dietro ad una porta.
Lei sorrise tentando di trattenersi, quando lui tornò con una maglietta e un paio di pantaloncini.
-Queste sono le cose più piccole che ho. In caso i pantaloni della tuta hanno la cordina stringente.- disse
mostrandogliela. Lei sorrise e lo ringraziò afferrando gli indumenti per poi seguirlo nel bagno.

Sapeva tutto ancora dello stesso profumo che aveva addosso.
Le mostrò come funzionavano le cose come fosse una bambina e poi la lasciò sola, permettendole di avere la sua privacy.

Note finali:
SCUSATEMI INFINITAMENTE PER QUESTA ORRIBILE ASSENZA! Qualora ve ne siate accorte, certo ahah.
Davvero, sono desolata e mortificata, ma mi hanno staccato internet a casa per volere di mia madre (è pazza) e in questi giorni dovremmo risolvere.
Niente di che in questo capitolo spero vi piaccia e mi lasciatr qualche commento
xoxoxoxox
NoNnelhfj 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***


 

Capitolo 18.

 Adorava farsi la doccia. Specialmente in casi come quello.
Mettersi lo shampoo e il bagnoschiuma di Jared poi era la chicca per renderlo ancora più perfetto.
L'acqua calda che le scorreva lungo la schiena, i brividi e il sudore che se ne andava lasciando spazio al sapone, era il meglio del meglio.
Uscì, si asciugò e si mise addosso il cambio che Jared le aveva prestato.
Non doveva poi starle molto largo, vedendo la magrezza eccessiva del padrone di casa. A momenti aveva paura che le stesse stretto.
Ma, dato che i muscoli c'erano, sì la maglietta le stava abbastanza larga.
Era lunga più che altro e le maniche le nascondevano le mani, mentre per i pantaloni avevano una fascetta elastica che le permetteva di non perderli mentre camminava.
Era abbastanza buffa, dato che i pantaloni così ampi le facevano sembrare le gambe due tronchi, e la stoffa che avanzava le andava a finire sotto i piedi, costringendola ad arrotolare il bordo elastico in vita. Ironicamente pensò
come doveva essere vederli indossati da Jared, con le gambe secche che si trovava, avrebbe reso presentabile il “buffo” di Kim, a confronto.

Si pettinò con la spazzola che aveva a disposizione, sebbene Jared non portasse i capelli lunghi. Le venne il dubbio che l'avesse comprata apposta per lei.
Si strizzò i capelli abbastanza da non farli più gocciolare e quando pensava di essere abbastanza guardabile, uscì. Meglio di prima era sicuramente.
-Jared?- chiamò a voce alta prima di entrare nel salone. Quando era a casa di qualcuno lo faceva sempre, era un modo per avvertire i presenti che stava per arrivare così da non trovarsi in situazioni imbarazzanti. Detestava le situazioni imbarazzanti.
Lo vide dall'oblò che dava sulla cucina –del quale si era appena accorta- che si affaccendava a fare qualcosa, mentre tra la spalla e il collo teneva il cordless.
Lui alzò lo sguardo e quando la vide le sorrise e fece un cenno.
-Sì certo. Ok mammina! Sììì, ho capito. Ok, ciao buona notte.- e riattaccò proprio mentre lei entrava in cucina. -Hai fame?- le domandò gentilmente.
Kim non dovette pensarci troppo, la risposta le arrivò immediatamente dalla bocca dello stomaco vuoto da due giorni.
-Da morire.- sorrise, accomodandosi su uno sgabello intorno alla penisola.
-Perfetto. Dato che non conosco i tuoi gusti e non mi sembrava il caso di cucinarti pietanze troppo pesanti, ho preparato caffè-latte e cereali. A tutti piacciono caffè-latte e cereali, sbaglio?-
-Vuoi scherzare? Quando i miei fanno tardi al lavoro questa è la mia cena abituale!- esclamò lei entusiasta facendo spuntare sul viso di lui un sorriso incantevole.
Era contento di aver fatto centro, anche perchè non aveva alcuna voglia di mostrare le sue pessime doti di cuoco.
Le passò una tazza colma di cereali e fece strada verso il salotto. Ormai vegetavano lì.
-Dovresti asciugarteli i capelli, se no ti tornerà l'accidente!- la rimproverò lui, Kimberly fece finta di non sentirlo e si buttò in quello che ormai era il suo posto sul divano.
Jared le si sedette accanto e cominciarono a mangiare tranquillamente. Era domenica sera, non c'era niente di niente alla televisione, quindi si limitarono ad abbassare il volume e a chiaccherare animatamente. Sembravano due
logorroici insieme.

-Allora, chi era prima al telefono?- gli domandò sperando di non essere troppo invadente.
-Era Shannon.- rispose facendo spallucce, come se fosse scontato che lei sapesse di chi si trattasse.
A primo acchitto le venne da pensare che era una donna, dato il nome.
Il falò che sentì interiormente bruciare le diede abbastanza fastidio. Anche ripensando a come parlava al telefono, con quel tono affettuoso e scherzoso faceva pensare che fosse una persona importante per lui.
-Bel nome..- mormorò pensierosa. -E' la tua ragazza?- domandò senza distogliere l'attenzione dai cereali.
Con la coda dell'occhio vide Jared voltare il viso di scatto e guardarla con due occhi sgranati.
-Come scusa?- chiese rosso in volto. Aveva tutta l'aria di uno che stava per scoppiare a ridere da un momento all'altro.
-Scusa forse sono stata troppo invadente.- disse, nascondendo subito il volto con i capelli.
-Nono, aspetta cosa ti fa pensare che Shannon sia la mia ragazza?- era evidentemente divertito. Che avesse percepito il briciolo di gelosia che stava provando?
-Beh, non è un nome da donna?- chiese lei, sempre più confusa. Alche Jared scoppiò a ridere in una fragorosa risata, buttando la testa all'indietro e battendo una mano su una gamba, avendo la tazza ancora nell’altra.
-Jared? Cosa c'è da ridere?- chiese trattenendosi dal ridere a stenti. La risata del professore era troppo contagiosa, era un bene che non ridesse spesso.
-Tu non ti rendi conto di quello che hai detto.. Shannon.. ti ucciderà quando lo verrà a sapere!- quasi non respirava.
Mentre lei non vedeva la catastrofe dove stava. Perchè avrebbe dovuto offendersi? Chiunque avrebbe voluto passare per la ragazza di Jared Leto.
-Shannon è mio fratello!- rivelò col fiato corto.
Kim impallidì e subito l'istante dopo arrossì, di ogni sfumatura che le era possibile.
-Oh Jared io.. davvero non immaginavo! Scusa!- lei e la sua maledettissima boccaccia, e la sua stupidissima testa che non filtrava i pensieri quando era in sua presenza.
-Ma che scusa, mi hai fatto fare una grassa risata. La prossima volta saprò come infastidirlo ahahahahah.- anche Kimberly si permise di ridere, ma non così animatamente.
Tornato calmo, la ragazza tentò di riprendere la conversazione.
-E così.. hai un fratello.- era sott'inteso che volesse saperne di più.
Chi era? Cosa faceva? Dov'era? Era bello almeno la metà del fratello? Era troppo curiosa.
-Esatto.- si limitò ad annuire lui. Mentre lei lo fissava impaziente. Poggiò la tazza sul tavolino davanti a loro e si voltò completamente verso di lui, che la imitò.
-Ok..qualcosa mi dice che vuoi saperne di più.-
-Perspicace. Da cosa l'hai capito, dalle domande insistenti o dal mio sguardo pressante?- ironizzò Kim sistemandosi meglio.
-L'uno e l'altro direi. Allora, che posso dire di Shannon..?-
-Qualsiasi cosa! Voglio sapere tutto di lui.- annuì energicamente lei, incuriosendo Jared. -E perchè mai?-
-Sono sempre io a parlare. Ora tocca un po' anche a te. Neanche tu sei così facile da interpretare, sai?-
Lui sorrise e cominciò a pensare. -Mh. È il mio fratello maggiore, ha un anno in più di me. Quando ero piccolo lui era il mio punto di riferimento, ho sempre voluto essere come lui. -
-Dov'è lui ora?-
-E'..lui vive in Scozia, vicino a Edimburgo, un posto molto carino ci sono stato qualche volta.-
Woh, la Scozia. A Kim anche solo pensare di uscire dal Canada sembrava un sogno.
-Dev'essere bellissima la Scozia..- disse con occhi sognanti.
-Sì, lo è. Il problema è la distanza.- sbuffò l'uomo, guardandosi le mani.
Kimberly assottigliò gli occhi. -Quando l'hai visto l'ultima volta?- era evidente che soffriva della distanza.
-A Natale forse. Di due anni fa.- continuò, senza alzare lo sguardo.
-E perchè così tanto tempo?- sembrava sconvolta.
-Beh, del resto io faccio l'insegnante e lui il cameriere di una birreria. Non siamo così ricchi.
Ma ci sentiamo spesso, quasi ogni giorno!- continuò con un sorriso, ma non era uno di quelli accesi che piacevano a
lei.

-Ma perchè così lontano? Capisco non trovare lavoro ma addirittura andare fino in Scozia per fare il barista mi sembra un po' esagerato!-
-Sì beh, in effetti è stato per causa di Jenah, la sua fidanzata. Ormai fanno coppia fissa da qualcosa come 15 anni.. si sono conosciuti quando io e lui stavamo coltivando il sogno di creare una band. Facevamo gli apri concerto di band
non troppo famose oppure suonavamo a matrimoni e così via. Poi un giorno ecco che arriva questa ragazza dalla chioma rossa e gli occhi di un verde intenso che lo fagocita e se lo porta via, senza troppi complimenti.

Certo, è la sua vita e ne fa quello che vuole.. ma in quel sogno ci avevamo messo tutti noi stessi. Io ci credevo e così anche lui. Invece è bastata una scozzese per mandare tutto a puttane.-
Kim sussultò, si era scaldato. Quasi rimpiangeva di avergli domandato certe cose.. ma come lei anche lui aveva bisogno di sfogarsi probabilmente. -Scusa il termine.-
-Poi come è andata?- lo spronò facendo spallucce.
-Come vuoi che sia andata? Io ho tentato di combinare qualcosa, ma senza di lui non era la stessa cosa.- disse sconsolato. -Ma non per questo lo biasimo. Ha fatto solo quello che si sentiva, ha sempre seguito il suo cuore, il suo istinto. Lo ammiro per questo.-
-Ti manca molto?-
-Sì, è il mio unico fratello.. è ovvio che mi manchi.-
-Devi tenerci molto a lui. Se nonostante abbia distrutto il vostro sogno, tu non gli porti il minimo rancore.- azzardò Kim stringendosi le gambe al petto.
Lui sorrise guardandola, ma non la stava guardando realmente. Era incantato, con lo sguardo perso in un mondo lontanissimo. -Sì. Probabilmente è la persona a cui voglio più bene in assoluto.-
Signori e signore, abbiamo scoperto che la vita di Jared Leto non è tutta rosea come ce la si aspetta.” pensò la ragazza, mordicchiandosi un ginocchio.
-Tu invece? Hai fratelli?- le chiese lui per cambiare un po' argomento.
Decise di assecondarlo. -Solo una sorellina. Si chiama Gaya.. in realtà è una sorellastra, ma non mi piace proprio pensarla come cosa.-
-I tuoi sono divorziati?-
-No, non sono neanche mai stati sposati. Sono semplicemente separati.. da tutta la mia esistenza praticamente. Per quanto ne so non sono mai stati felici insieme, sono troppo diversi.-
-Dov'è tuo padre ora?- domandò interessato. -In Francia. O almeno qualche settimana fa era lì, ora non saprei.- mormorò pensosa.
-Ti fa male questa distanza?-
Lei sorrise tristemente. -Sì, cioè no. Non molto. Diciamo che ci pensavo di più da piccola, che, quando veniva a prendermi e stavamo insieme qualche giorno, non sopportavo l’idea di vederlo ripartire. Ora sono cresciuta, certe cose non mi fanno più male. Anzi, più cresco più mi rendo conto del peso che devo essere stata per lui..- mormorò con una strana smorfia in volto. Jared si sorprese nel vedere che ci credeva davvero a quello che diceva.
-Perchè dici questo?-
-Perchè lui.. non è tipo da famiglia. Ha tentato di farsi una vita, di sposarsi.. ma la monogamia non è esattamente il suo prototipo di vita. Io probabilmente sono stata solo un “incidente di percorso”-
-Kim.. lo so che certe volte le persone.. soprattutto gli uomini o il genere maschile in generale, fanno/dicono cose stupide. Molto stupide, quasi insensate direi. Ma questo non vuol dire che tuo padre non ti voglia o che tu sia stata un peso.- disse avvicinandosi a sufficenza per accarezzarle una guancia con i polpastrelli delle dita.
Lei assottigliò gli occhi. -Ma da che pianeta vieni tu?- gli domandò con un sorriso grato.
-Da Marte.- sorrise, assottigliando gli occhi.

Note finali:
Bah sinceramente non ho idea del perchè abbia concluso così, forse un riferimento velato alla realtà ahah.
Mi auguro che piaccia nonostante la scarsità del capitolo :)
xoxox
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. ***


Capitolo 19.

Guardare si può
Toccare no no
Che occhi che hai
Paura mi fai

 La mattina dopo si ritrovarono di nuovo in salotto, però ognuno su un divano diverso.
Kim non aveva più bisogno di calore quindi Jared pensò che sarebbe stato meglio non stare troppo vicino a lei. Stavano legando tanto, troppo nonostante i buoni propositi dell'insegnante di non fare più distinzione tra l'alunna e la ragazza che era.
L'alunna Kimberly era testarda, cinica e arrogante. Kim invece era dolce, allegra e umile. Quello che era in realtà era un mix dei due generi e lui aveva avuto l'onore di testarli entrambi. Ormai aveva conosciuto ogni aspetto della sua personalità controversa e si era tristemente reso conto che sarebbe stato più difficile di quanto pensasse tornare alla normalità.
Ma non poteva assolutamente far sì che quello che provava nei suoi confronti degenerasse, influenzando anche lei. Finchè si fosse trattato di lui, dei suoi sentimenti poteva farcela. Ma se anche Kim avesse cominciato a prendere seriamente in considerazione la sua infatuazione per lui, sarebbero stati guai.
Jared fu il primo ad aprire gli occhi, rendendosi conto di essere in ritardo.
Il lunedì era un giorno orribile, da sempre. Si preparò in fretta e furia, almeno un punto positivo del suo lavoro era che non gli veniva richiesto di mettersi in giacca e cravatta, non l'avrebbe sopportato 7 giorni su 7.
Quando tornò in sala e si sedette sul divano di Kim per mettersi le scarpe la svegliò, intenzionalmente. Voleva farle sapere che usciva.
Lei si ricordò improvvisamente del giorno che era e che doveva andare a scuola.
-Oddio, perchè non mi hai svegliata?- cominciò inveendo contro di lui, che però la trattenne per i polsi e la tenne seduta. -Perchè oggi non vai a scuola. Tranquilla, non ti terrò mia prigioniera a vita, semplicemente voglio assicurarmi che tu guarisca completamente. Appena torno ti riporto a casa.- sorrise. La ragazza lo guardò negli
occhi. Erano splendidi, celesti tendenti al blu. Doveva essere una bella giornata.

Kim si accigliò leggermente. -Quanto stai via?-
-Fino a mezzogiorno. Torno presto, non preoccuparti.-
-Non ho alcuna fretta di tornare a casa.- mormorò distogliendo lo sguardo. Stava troppo bene con lui, sebbene non se lo sarebbe mai e poi mai aspettato.
Jared non disse niente, ma sorrise e le baciò la fronte. -Scotti ancora un po'. Mi raccomando non combinare disastri che questa è l'unica casa che possiedo.-  disse facendole l'occhiolino ed uscendo di scena.
Per la mezz'ora seguente Kim rimase immobile a fissare il nulla, stordita da quanto era successo in quei giorni. Pazzesco. Fortunatamente c'era Judas a farle compagnia che, poverino piangeva affinché lo portasse fuori.
Lei sapeva perfettamente che Jared non avrebbe gradito, anzi non gliel'avrebbe proprio permesso, ma lei inforcò le sue scarpe e il suo giubbino e portò il cane a fare un giro, sperando tra sé e sé che non tirasse troppo, avendo un paio di scarpe col tacco.
In effetti non tirava, anzi poteva anche lasciarlo libero che non si sarebbe allontanato. Il padrone aveva fatto un buon lavoro.
Quando tornò in casa, decise che per passare il tempo avrebbe curiosato in giro. Dal mobilio avrebbe sicuramente afferrato l'essenza di Jared.
La casa sembrava etnica. C'erano cartine in stile pirata appese alla pareti che raffiguravano isole sparse nel mondo, un orologio composto da sole lancette senza quadrante sopra la tv, e cornici con tantissime foto su ciascun mobile posizionato in ogni angolo della casa.
Il bagno lo conosceva già, quindi passò oltre. Controllò una stanza che la incuriosì parecchio.
Era in stile orientale, anche le porte in vetro opaco si aprivano scorrevoli. Il pavimento in legno nero sembrava delicatissimo e il letto al centro della stanza era poggiato a terra, così come i comodini accanto. Anche i cuscini e i quadri richiamavano l'oriente, con foto di giardini giapponesi e fiori tipici orientali. Una bella camera
da letto.

Uscì da quella stanza e proseguì aprendo varcando una porta che invece la riportò alla realtà, a quello che era Jared realmente. La camera da letto era troppo sofisticata in effetti.
Mentre questa sì che era vera. Pareti insonorizzate e in ogni angolo uno strumento diverso.
Una parete era interamente coperta da un armadio a cassettoni pieno di cd sia in vinile che quelli moderni. Chitarre, bassi, tastiere e perfino una batteria completa giacevano inermi in modo ordinato e composto, perfettamente lucidati. Su un tavolo dall'altra parte della stanza c'era pure un sintetizzatore o qualcosa di simile, lei
non se ne intendeva molto.

Ma la cosa che più attirò la sua attenzione erano i disegni attaccati su tutta una parete. Quasi non si vedeva il muro. Erano disegni di simboli inventati, tribali ma anche situazioni e persone reali.
Ritratti a carboncino, acquarelli, pastelli, tempera su tela.. e ciascuno in basso a destra portava una firma che lei riconobbe subito. La vedeva sempre sul libretto scolastico quando lui le firmava la giustifica o sulle verifiche di musica, accanto al voto. Erano tutte opera di Jared.
Un altro tavolo era completamente ricoperto di spartiti e fogli con parole scarabocchiate, cancellate in matita penna o quant'altro.
Ecco cos'era Jared: un artista completo. Niente di più, niente di meno.
Cambiò stanza, stare dentro un luogo così personale e vivo le sembrava come leggere il diario segreto di un bambino.
Aprì un'altra porta, trovandosi invece nello studio del professore che era. C'era un computer posizionato su una scrivania massiccia, un attaccapanni professionale e una libreria colma di libri ed enciclopedie.
Su una parete notò appesa una mappa del mondo magnetica su cui lui aveva attaccato delle freccette che stavano ad indicare tutti i luoghi in cui era stato o aveva vissuto.
Voltandosi notò delle cornici sulla scrivania accanto al pc spento, pieno di polvere.
C'erano così tante foto che Kim nel suo sarcasmo, pensò che probabilmente il professore doveva aver immortalato tutte le persone che aveva conosciuto lungo la sua esistenza. Erano veramente tante. Ma la maggioranza ritraevano lui in un luogo particolare o in compagnia di qualcuno. Il più delle volte era accanto ad un altro uomo più o meno della sua età. Dato che stavano suonando non le fu difficile immaginare che quello fosse il fratello Shannon.
Uno squillo lontano la fece tornare alla realtà, catapultandola violentemente a terra.
Sobbalzò come se fosse stata scoperta con le dita nella marmellata e corse in direzione di quel suono ripetitivo. Era il telefono di casa e dopo vari squilli, riuscì a scovarlo da sotto un cuscino del divano. Non era casa sua, ma le venne spontaneo rispondere.
-Pronto?- disse affannata.
-Ehy ragazzina tutto bene? Mi sembri affaticata.- la voce di Jared anche per telefono era terribilmente seducente.
-Jared! No no, solo che non trovavo il telefono..come va?-
-Tutto bene, dato che qua stavano per chiamarti a casa per controllare che tu non avessi saltato scuola, mi sono allarmato costringendo la segretaria a far fare a me la chiamata. Se tua madre fosse a conoscenza del fatto che non sei a scuola, non immagino il casino.-
Kimberly rise immaginando chiaramente come fosse riuscito a convincere l'irremovibile segretaria a cedere il suo lavoro a qualcun altro. -E così mi hai chiamata realmente..-
-Sì, volevo sapere come stavi. I vigili del fuoco non mi hanno ancora interrotto, devo dire che non sei disastrosa come temevo.- scherzò divertito. -Che stai combinando-
-Stavo curiosando...- ammise senza troppi timori. Sapeva che non se la sarebbe presa.
-Lo immaginavo.- infatti sembrava sereno. -Trovato niente di interessante?-
-Sì, un giorno voglio che tu mi faccia un ritratto!- esclamò la ragazza, facendolo ridere.
-Senz'altro, Kim. Ora è meglio che torni al lavoro, sai com'è.-
-Sì certamente. A più tardi!- e riattaccò senza aspettare risposta.
Le mancava la sua presenza costante in casa e non vedeva l'ora che tornasse, anche se questo voleva dire che sarebbe dovuta tornare a casa.

 *

 Quando finalmente tornò, aprendo la porta dell’appartamento con un solenne -Tesoro,sono a casa!- prettamente telegenico, Kimberly si sollevò dal divano contentissima e gli si avvicinò saltellante.
-Sei tornato!- era sinceramente contenta.
-E tu stai bene! Non sai che sollievo..- le sorrise, poggiando le cose a terra accanto alla porta.
-Come è andata?-
-Mh.. solite cose. Non ti sei persa nulla, specialmente la mia lezione l'avresti trovata noiosa.-
-Niente di nuovo..- borbottò Kim, non troppo scherzosa. -Puzzi incredibilmente di fumo.- notò poi.
Lui fece una smorfia ma la ignorò e andò in cucina per prendersi un bicchiere d'acqua.
-Non ti piace il fumo?- chiese pensando alla sigaretta che si era appena fumato, uscendo da scuola.
-No, affatto. Mio padre quando ero piccola fumava come un turco, perfino in macchina! Mi faceva venire la nausea.. infatti adesso mi sento male ogni volta che sento l'odore di sigaretta.- spiegò storcendo il naso.
Lui con un sorriso, si tolse la giacca e si lavò le mani, assicurandosi che i rimasugli di odore non gli fossero rimasti anche sulla maglietta. Lei sorrise soddisfatta.
-Pronta per tornare a casa?- le chiese guardandola mentre si sedeva su uno sgabello dall'altra parte della penisola. Notò che l'ampio collo della maglietta era difficile per lei da gestire, in quel momento le scopriva completamente la spalla destra.
-Beh, mica sono stata in villeggiatura!- ribattè, notando lo sguardo insistente del professore sulla sua spalla nuda. Cercò di porvi rimedio.
-Più o meno.. ti ho servita e riverita come una star quindi non voglio lamentele!- scherzò puntandole l'indice contro.
-Gnègnè.- gli fece la linguaccia e sporgendosi in avanti, con le ginocchia sullo sgabello.
La scollatura della maglietta le scivolò in avanti, scoprendole così il raggiseno, cosa che Jared non si lasciò sfuggire. -Ti sta bene la mia maglietta..- disse sornione, distogliendo lo sguardo e dandole le spalle.
Kim automaticamente si guardò e nel notare il dettaglio a cui si riferiva indirettamente lui, avvampò furiosamente, tirandosela indietro.
Quando Jared tornò a guardarla, il suo sorrisetto da schiaffi non mancava. La ragazza notò che continuava a lanciarle occhiate indiscrete e quando scese dallo sgabello, il reggiseno si intravide di nuovo.
Lui distolse immediatamente lo sguardo, provocando la collera di Kim.
-Oh Jared, sono tette non dirmi che non le hai mai viste!- sbottò lei infastidita. Sembrava lo schifasse la sola vista. Era così orrenda? Era probabile che lui fosse abituato ad un livello più elevato.
-Sì certo..- rise lui, in effetti ne aveva viste e molto più chiaramente di quanto potesse scorgere dalla magliettina leggera.
-E allora cosa c'è, ti fanno schifo quelle di una diciassettenne?- continuò avvicinandosi rabbiosa.
-No, affatto. È questo che mi spaventa.- disse scostandosi di qualche passo.
Kimberly trattenne un sorriso e immediatamente i suoi occhi si ingentilirono. Quando le parlava così, come se fosse un frutto peccaminoso e proibito, la faceva impazzire.
-Mi permetterai di ringraziarti per tutto, almeno?- chiese con un filo di voce, avvicinandosi ancora di più, sebbene ormai gli fosse addosso.
-Kim..- sussurrò lui, ma non indietreggiò assolutamente. Neanche quando si allungò per raggiungere le sue labbra. Preferì rimanere immobile, per niente lucido.
Le appoggiò una mano sull'incavo tra il collo e la spalla e si chinò leggermente fino a trovarsi a pochi centimetri dalle labbra della ragazza. I loro sguardi ballavano dalle bocche agli occhi dell'altro.
-Kim fermami.- la implorò lui, mentre le fissava le labbra. Sembrava morbidissime, piene, carnose.
Lei, ovviamente neanche lo sentì, persa nei suoi occhi color del cielo.
“Jared fermo. Diciassette anni, cazzo. No. no. No!” dovette cercare di accumulare tutto il buon senso che possedeva, per riuscire a chiudere gli occhi e così, allontanarsi dal viso della ragazza.
Se avesse lasciato che quegli occhi onice lo perforassero per un altro secondo, serebbe stata la fine.
-Io direi che ti porto a casa.- disse, finalmente eretto e mantenendo sempre gli occhi chiusi.
Infine se ne andò, scansandosi da lei.

Ma al buio potrei
Al buio saprei
Illudermi di
Averti.


 

Note finali: yeeeeeeh! lentamente stiamo andando avanti, tra scontri e scontri, internet che c'è e non c'è, esami, vacanze e quant altro.
Che dire di questo capitolo? Niente, non ricordo neanche cosa avevo bevuto quando l'ho scritto ahahah
sinceramente trovo degli aspetti decisamente da tipica Fan Fiction adolescenziale, ma finchè sono ancora nei teen-years posso permettermelo ;)
La fantstica canzone si chiama Paura mi fai dei Blastema, un gruppo meno conosciuto della capitale del Turkmenistan, ma davvero meritevoli!
li consiglio calorosamente.
 Chissà se meriteranno di accompagnare altri capitoli in futuro? Chi  vivrà, vedrà, intanto io scrivo come se non ci fosse un domani e AAAH non vedo l'ora di farveli leggere perchè ci saranno dei risvolti inaspettati. Ma voi, tsk, siete solo al puro e semplice inizio, NO BUONO.
Se siete un minimo curiosi commentate, commentate, commentate perchè io ho bisogno di sentirmi dire se il capitolo era convincente o no
capito 70 e passa persone che leggete ma non mi cagate? ;)
xoxoxoxo a domani

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. ***


Capitolo 20.

 I want a girl with lips like morphine…

 Per tutto il tragitto verso casa, Kim si sentiva tristissima. Non umiliata per la rezione di lui o perchè non avesse accettato di baciarla, triste e basta.
Lui voleva farlo, erano giorni che glielo leggeva negli occhi. Il problema era il suo orgoglio e il suo inutile buon senso, che aveva avuto la brillante idea di saltare fuori proprio sul più bello, non quando l'aveva fatto dormire con lei o quando le aveva fatto richiesta di rimanere con lui il pomeriggio, dato che ora aveva capito che l'aveva fatto di proposito, per passare del tempo con lei.
No! proprio quando lei era decisa a fare il primo passo!
Se quel maledetto buon senso si fosse degnato di svegliarsi un po' prima, Jared per Kim sarebbe rimasto il bellissimo ma stronzissimo professore di musica.
E invece? Ha permesso loro di passare del tempo insieme, di conoscersi, di capirsi, di piacersi.
E dopo tanto tempo Kimberly si era sentita bene, davvero bene e a suo agio in compagnia di qualcuno. E le sembrava parecchio ingiusto che questa meravigliosa persona dovesse essere il suo professore di 20 anni più vecchio. Per tutto questo si sentiva triste.
Per tutto il tempo guardò fuori dal finestrino, parlavano solamente quando Jared le chiedeva se il navigatore stava dettando la direzione giusta, dato che non la conosceva. Nient'altro.
Quando le chiese dove abitava, appena furono entrati in macchina, lei si rese conto di non sapere nemmeno dove si trovasse casa di Jared. Quindi anche volendo, non sarebbe potuta tornarci.
A momenti le venne lo schizzo di farlo continuare ancora, ancora e ancora mentendogli spudoratamente magari fino a farli finire a qualche ora di fuso orario da lì.
Sarebbe stato il massimo e avrebbero passato dell'altro tempo insieme.
Purtroppo però lui era munito di quel cavolo di Tom Tom Go.
Quando la vita ti offre certe occasioni, ma che poi si rivelano le più sbagliate di questo mondo, è orribile.
Kimberly, verso la fine quando cominciò a riconoscere i luoghi, si mise a fissare di sottecchi l'uomo al volante, cercando di goderselo il più possibile e stamparsi quella stupenda visione in testa. Per quanto ne sapeva dal giorno dopo lui poteva anche fargliela sembrare tutta una lunga allucinazione. Lo avrebbe odiato, con tutta se stessa.
-Perchè mi guardi così?- le chiese, infilandosi nella via che l'aggeggio malefico indicava come destinazione.
-Ecco, parcheggia qua sulla sinistra. Casa mia è quella lì rosa.- disse lei, evitando la sua domanda.
-Kim? Non mi hai risposto.- fece lui, eseguendo gli ordini e inserendo il freno a mano.
-Perchè ho l'orrenda sensazione che una volta scesa da questa macchina sarà tutto come se niente fosse successo.- sentiva le lacrime agli occhi salire.
Lui sbuffò e buttò la testa sul sedile. -Ricordi cosa mi hai assicurato l'altro ieri? Che avresti fatto come se nulla fosse.-
-Sì ovvio che lo ricordo.- annuì lei. -Ma ricordo anche di aver detto di non pretendere affatto che dimenticassi. Non lo sopporterei.- continuò, scorticandosi un polpastrello con le unghie.
-Perchè ci tieni tanto? Mi fai impazzire quando fai così.- mormorò col tono tormentato, Jared.
Lei lo guardò ferita. Ma non poteva dargli torto.. lui era l'adulto, lui sapeva cosa fare e una ragazzina attaccata alla gamba non era per niente semplice da
gestire.
Fece uno scatto nervoso, voltandosi verso di lui. Se proprio doveva lanciarsi in una dichiarazione, preferiva essere convincente. -Perchè tu mi fai sentire.. come non sono mai stata. Stare con te mi fa sentire bene e mi fa sorridere. Quando mi guardi, quando i miei occhi incontrano i tuoi, mi sento finalmente viva.  E dimentico tutti gli orridi pensieri che mi turbano da mesi e mi vien voglia di essere me stessa. Perché non so cosa mi sta succedendo, ma è bellissimo. È per questo che ci tengo tanto Jared, nient'altro.- gesticolò animatamente, guardando fisso il suo profilo, dato che lui non le rivolse lo sguardo se non per pochi istanti.
Ma si accorse degli occhi lucidi e comprese che quello che stava dicendo non erano fantasie di una adolescente capricciosa. Era Kim, la vera Kim. E nonostante questo rimase immobile a fissare davanti a se, con entrambe le mani sul volante a ripetersi le parole appena pronunciate da lei per assaporarle meglio.
Alla ragazza non fu difficile capire che era assolutamente il momento di andare.
-Ok, allora.. ci vediamo a scuola.- aprì la portiera, ma non fece a tempo a posare un piede a terra che si sentì tirare dentro con uno strattone tanto forte che le fece chiudere la portiera.
Due occhi di ghiaccio, duri e infuriati la fissavano irati.
-Sai cosa mi fa più arrabbiare?- il tono era così tenebroso che le mise la pelle d'oca. Non aveva neanche il coraggio di parlare anche perchè era ovvio che lui non attendesse risposta. -Non arrabbiare, il termine che cerco è incazzare. Sì, incazzare. Tu mi fai sempre più incazzare ogni minuto che trascorriamo insieme.- la sua
mano era ancora stretta al braccio di Kimberly che si sentiva ipnotizzata da quello sguardo così intenso, incapace di distogliere il suo. Ma non si lasciò distrarre 
dalla bellezza del suo viso e tentò di seguire il filo del discorso, sebbene non sembrava essere un discorso amorevole.
Jared sospirò, tentanto di trattenere la rabbia, sempre più evidente. -Tu, con le tue straordinarie parole, i tuoi strepitosi sorrisi e i tuoi bellissimi occhi, mi fai incazzare più di ogni altra cosa.
Perchè più tento di vedere l'irrealtà di una nostra possibile relazione, più tu te ne esci con certi atteggiamenti che mi mandano fuori di testa e mi rendono più concreta di quanto sia possibile quella irrealtà. Più cerco difetti, più ti desidero. Più tento di non pensarci, più mi accorgo di stare bene solo perchè sono accanto a te. Quindi non ti chiederei mai di dimenticare se neanche io sarò in grado di farlo.- e così dicendo, si avvicinò sempre di più al volto impaurito di Kimberly che lo guardava non sapendo bene come prenderlo, dal momento che sembrava realmente arrabbiato.
-Jared..- sussurrò con la voce incrinata a pochi centimetri dalle sue labbra.
-Dimmi.- rispose, ma dal tono sembrava completamente assente e guardava semplicemente la sua bocca.
-Dove sei?- gli chiese tremante.
-Esattamente dove vorrei essere.- rispose a fior di labbra per poi infrangere completamente la distanza tra di loro.
La baciò, portandole una mano fredda dietro il collo per tenerla ferma, quasi come se temesse che potesse anche solo avere la forza di andarsene.
O la voglia.
Lei rimase immobile, incerta se credere a quello che succedeva o se lo stava sognando. Ma era lì, davvero. Gli occhi aperti di Jared la fissavano di rimando, facendola sciogliere ancora di più. Le sue labbra sapevano di lui e di quel nettare che mai aveva pensato di poter assaggiare.
Decise di assecondare le sue fantasie e chiuse gli occhi, toccandogli il mento con due dita tremanti, per poi far scorrere il palmo intero fin dietro il suo collo.
Inclinò il capo, approfondendo il bacio, il bacio più bello della sua vita, poteva affermarlo con certezza. Quando le reciproche lingue si accarezzarono, una scossa di brividi percorse la spina dorsale della ragazza, creando una pelle d’oca potente, così forte da farle male il contatto tra la pelle e i vestiti.
Da calmo, il bacio si fece sempre più animato, portando i due ad avvicinarsi di più, quasi volessero entrare fisicamente l’una nel corpo dell’altro. Mentre Kim teneva gli occhi chiusi, lui li aveva lasciati aperti, per godersi ogni istante di quella bellezza così pura e ingenua.
Era così… bella. Poche cose in vita sua potevano godere appieno di questo aggettivo e lei era uno di questi.
Era così bella e lui si stava approfittando. In quel momento si risvegliò, come  nuovamente dotato del senso visivo. Si ritirò dolcemente, con uno schiocco sonoro, lasciando la ragazza a mezz’aria, ancora insoddisfatta.
Mille domande ora urlavano nella testa di Kimberly, completamente asfissiata e stordita da tutta l'elettricità che avevano creato. Perchè gliel'aveva tolto così velocemente?
-Kim, ti prego di scendere. Te ne devi assolutamente andare.- il suo tono non ammetteva repliche.
-Jared, io..- tentava di raccogliere la quantità necessaria di vocaboli per dire qualcosa, ma tutto in quel momento sembrava così difficile.
Optò per il scendere dall'auto, l'aria le avrebbe sicuramente fatto meglio. Quando si voltò, lui le sorrise rapidamente, per poi mettere in moto e sgommare verso casa.
Rista sola, Kim si toccò le labbra. Era successo davvero? Il sapore che aveva tanto agognato nella bocca e le labbra gonfie e umide, le fecero spuntare un sorriso raggiante sul viso.
Corse a casa con un'euforia e carica che si era completamente dimenticata di possedere, tutta scatenata da quel fantastico bacio,che sotto certi aspetti alcuni potevano interpretarlo come qualsiasi altra cosa. Segno d'amicizia? No, dal momento che c’era la lingua, come avrebbe testimoniato orgogliosa la sua amica Ingrid, l’amicizia era oltrepassata.
E poi il suo tono che le ordinava di scendere dall'auto era un altro aspetto che avrebbe assolutamente dovuto toglierle quell'orrido sorriso dalla faccia.
Ma non poteva e non se ne fregava. In quel momento avrebbe potuto saltare il cancellino di casa a pie' pari senza il minimo sforzo.
-Tesoro, come è andata? Ti sei divertita?- le chiese la mamma dalla cucina, che raggiunse e baciò sulla guancia, come ormai non faceva da anni.
-Sì, è andata benissimo.- le sorrise a mille denti per poi correre in camera sua.
Non le importava se la notte avrebbe sofferto come un cane, se avrebbe pianto per la settimana seguente e così via. In quel momento stava benissimo e nient'altro fuorché il viso e il nome di Jared Leto occupavano la sua mente.
Lilian colpita dal gesto della figlia non poté fare altro che sorridere di gioia, pensando felicemente
“E' innamorata”.
Il problema era che ancora non sapeva di chi. 

…Knock me out everytime they touch me.

Note finali: sciogliamoci in un brodo di giuggiole tutte insieme, suvvia
3,2,1, OOOOOOOOOHHHHHRRRRRR.
Allora, cosa ne pensate? Avventata? Giusta? Romantica? Squallida?
Whatever, fatemelo sapere!!!
La canzone è Lips like morphine dei Kill Hannah, bella canzone, e cacchio, ci stava perfettamente con questo capitolo!
Cosa pensate succederà ora?
Fatemelo sapere al più presto e in tante :)
xoxoxox

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. ***


Capitolo 21.

La lacerante distanza
Tra fiducia e illudersi…

 Inutile dire che la notte dormì poco. Quasi per niente, in effetti.
E non era l'unica.. dall'altra parte della provincia c'era un uomo che non aveva nemmeno la forza di trascinarsi in camera da letto.. e ormai era così dannatamente affezionato a quel divano che non aveva assolutamente voglia di alzarsi.
Quando era tornato a casa solo, trovarsi la sala vuota senza la vivace presenza di Kim, lo aveva devastato. Era come rientrare dalle vacanze.. un senso di malinconia, quando sei solo la notte ti assale e ti tormenta finché non perdi i sensi.
Gli era mancata l'abitudine di tornare a casa con la consapevolezza che c'era qualcuno ad aspettarlo, ormai non si ricordava neppure come fosse.
Il suo profumo caratteristico era impresso sul cuscino sulla quale aveva riposato per quasi 24 ore consecutive e non gli ci volle molto per capire che gli mancava
terribilmente.
Sorrise guardando il soffitto spoglio. Odiava non riuscire a prendere sonno, era una cosa che non riusciva a sopportare dato che già sapeva che il giorno dopo sarebbe stato devastante alzarsi.
Ma era tutto inutile, per quanto si rigirasse e tentasse di pensare a cose futili per prendere sonno, il pensiero di Kim continuava ad assalirlo.
Si era comportato da stupido incosciente.. come gli era saltato in mente di perdere il controllo?
L'aveva baciata. Non poteva commettere passo più falso.
Cosa avrebbe fatto ora? Lei avrebbe richiesto delle spiegazioni o al limite si sarebbe aspettata qualche cambiamento da parte sua. Ma non si rendeva conto della situazione vincolante in cui si trovavano? Tutto quello era altamente sbagliato, perverso e.. impossibile.
Non ci sarebbe mai stato universo in cui loro due avessero potuto avere una relazione, per quanto l'idea lo affascinasse. Ma, onestamente, valeva la pena perdere il lavoro per una storiella simile?
Dopotutto Kimberly non era neanche maggiorenne, quindi incapace di intendere e di volere.
Anzi di volere anche fin troppo, ma appunto, voleva solo l'impossibile. Era l'intendere quello su cui avrebbe dovuto lavorare.
E poi la differenza di età.. loro non la sentivano affatto, certo. Ma gli altri? Il mondo lo avrebbe additato e l'avrebbero potuto anche arrestare!
Valeva la pena rischiare la galera per una ragazzina?
Chiuse gli occhi e sbuffò sonoramente. Perferì non rispondere, perché la risposta che metà della sua testa dava non voleva neanche ascoltarla da quanto era impensabile.
Quando finalmente, tra un rotolamento e l'altro, riuscì a prensere sonno, era già mattina.

 *

Kimberly si sentiva diversa, appena scesa dal letto, per la prima volta dopo un'infinità di tempo, aveva la carica e l'energia sufficenti per cominciare una nuova giornata.
Non aveva dormito affatto, ma era giunta ad una conclusione: non avrebbe lasciato che Jared la condizionasse e la facesse ricadere nel baratro dal quale era riuscito così velocemente a tirarla fuori.
Ci aveva passato mesi in quel buco nero come il catrame e stando con lui era riuscita a riemergere in pochissimi giorni. Ora che aveva riscoperto la luce non avrebbe permesso a quello stupido insegnante di ricacciarla dentro.
Gli avrebbe mostrato tutta la sua maturità, non sarebbe caduta ai suoi piedi implorandolo di mettersi con lei.
L'avrebbe ignorato se era quello che voleva. L'importante era che le permettesse almeno di vederlo..non chiedeva nient'altro. Non toccarlo, non parlargli, non pretendeva neanche che lui la guardasse. Solo vederlo anche un minuto al giorno. Se l'avesse avuto davanti avrebbe avuto il motivo concreto della fatica che stava
compiendo.

Aveva deciso di cambiare, di nuovo. Non sarebbe sicuramente stata la vecchia Kimberly, dopo un mutamento radicale, nonostante gli sforzi, niente può tornare come prima. Ma neanche continuare a vivere nei panni di qualcuno che non era, poteva essere dannoso.
Si sarebbe limitata ad essere se stessa, come voleva e si sentiva di essere.. La Kim che aveva tirato fuori Jared.
Non lisciò i capelli quella mattina e neanche si vestì troppo mondana, ma neanche troppo sciatta. Un misto dei due stili. E poi.. la ciliegina sulla torta: le sue amatissime All Star sarebbero tornate dove dovevano stare.
Quando uscì di casa anche l'aria che respirava era diversa, più leggera, più buona e fresca.
L'aria che respiri quando il tuo cuore è occupato da un singolo nome.
A scuola, in molti stentarono a riconoscerla. La guardavano come se non l'avessero mai vista e scostavano immediatamente lo sguardo quando i suoi occhi amichevoli si posavano sui visi di quelli che incontrava. Ma non ci faceva minimamente caso.
Gwen quando entrò in classe seguita da Juls, sussultò visibilmente.
-Kimberly?! Ma che diavolo ti sei messa oggi?- esclamò sconcertata, tirandole la magliettina semplice che indossava quel giorno.
Kim fece spallucce. -Quello che mi andava.- rispose con un sorriso, senza badarci troppo e tornò a parlare animatamente con un compagno di cui si era anche dimenticata l'esistenza per un periodo.
I suoi amici erano convinti che il giorno prima fosse stata assente perchè un gruppo di alieni curiosi l'aveva rapita per farle un lavaggio del cervello. O che comunque fosse stata contagiata da una malattia così drastica che, le aveva rivoluzionato il senso della vita e aveva deciso di godersi la vita senza più quel muso lungo che la caratterizzava da qualche mese.
All'intervallo camminava a braccetto accanto a Charlotte, una delle sue più care amiche di sempre.
Fino alla settimana precedente aveva tentato di schivarla in tutti i modi, dato che questa era dotata di un grande intuito e non le andava di essere psicoanalizzata da lei.
Era bassina ma con un carattere forte e combattivo e con un eccessivo senso critico. Doveva mettere sempre tutto in dubbio.. cosa che spesso poteva mandare fuori dai
gangheri le persone non abituate.

Proprio mentre chiacchieravano.. eccolo. A Kim si illuminarono gli occhi, nel vedere la figura asciutta dell'insegnante di musica scendere le scale con la custodia della
chitarra in spalla.

Aveva due occhiaie spaventose, grandi quasi quanto le sue. La ragazza sorrise tra sé e sé, abbassando lo sguardo. A Charlotte questo gesto non sfuggì, ma preferì fingere di non aver visto niente. Troppo bizzarro, magari se l'era solo immaginato. Incrociarono il professor Leto e lo salutarono in coro.
-Buongiorno Professore!- esclamarono con un sorriso vivace.
Jared a momenti non riconobbe Kimberly. Certo, l'aveva vista fino al giorno prima, ma nei corridoi non era più abituato a vederla camminare come se non fosse perennemente col culo su un piedistallo.
Rimase folgorato da quel sorriso, e non poté fare altro che rispondere ad entrambe con un semplice cenno, per non dare troppo nell'occhio. Ma a Charlotte neanche questo dettaglio sfuggì, però proseguì noncurante, dopo che Kim le aveva chiesto di andare avanti che l'avrebbe raggiunta subitissimo.
-Salve professore.- mormorò lei, con un tono indefinibile ma il sorrisetto stampato che aveva faceva intendere che era piuttosto di buon umore.
“cattivo segno..” pensò titubante Jared. Probabilmente si aspettava che adesso si abbassasse a baciarla come saluto tipico da coppia.
Invece lei, con suo grande stupore, indietreggiò e si appoggiò al muro con le braccia incrociate al petto. Posa tutt'altro che ammiccante.
Un po' accigliato posò la chitarra a terra. -Buongiorno a te, Kimberly.- sorrise appena.
-Senta, per quanto riguarda..- cominciò a dire lei.
Jared la fermò, dato che già immaginava dove stava andando a parare. -Non è il caso di parlarne qui e adesso..- la interruppe guardandosi attorno.
-Scusi?- fece lei confusa. -Volevo chiederle per i corsi pomeridiani.. se li ricorda vero?- lo guardava come se non capisse tutta la sua confusione.
Cosa stava succedendo? Il professore la guardava perplesso, come se avesse perso un passaggio.
Era la stessa persona? E poi era lui quello accusato di personalità multipla…
-Oh certo, certo..- decise di stare al gioco. -Cosa volevi dirmi?-
-Che io ho tutti i pomeriggi liberi tranne il giovedì, quindi mi faccia sapere.- il suo tono era prettamente professionale.
Lui annuì con la fronte corruciata e mordendosi il labbro inferiore, senza guardarla in faccia.
Guardava un punto indefinito, con una mano appoggiata alla cusodia della chitarra e una su un fianco, pensoso.
-Ok, allora.. a dopo.- sorrise Kim, con quel distacco che gli faceva male.
-Cosa fai il giovedì?- le domandò mentre lei era in procinto di raggiungere la sua amica. Si voltò a guardarlo, non si era mosso di un centimetro.
-Devo fare i corsi per l'esame della patente!- rispose elettrizzata. Lui sorrise, riconoscendola, finalmente. Alzò lo sguardo. -Sembri contenta.- notò.
-Non immagina quanto!-
-E perchè tanta fretta di crescere?- lui immaginava il motivo, cercava di incastrarla. Il suo atteggiamento distaccato lo faceva preoccupare della propria sanità mentale.
Si sedette su una panca del corridoio, immaginandosi che lei gli si sedesse accanto. Invece no, si sedette su quella in parte, non lontana certo ma pur sempre staccata.
-Voglio la mia indipendenza. La desidero praticamente da.. sempre!- riuscì a scampare quella domanda trabocchetto. Era ovvio che avesse voglia di crescere, diventare
maggiorenne e finalmente essere libera di fare quello che voleva e anche lui lo sarebbe stato, secondo lei. Magari se avesse visto che aveva raggiunto la maggiore età,
non si sarebbe più frenato tanto.

-Quando compi gli anni?- chiese lui, appoggiando il mento alla chitarra.
-A marzo, il 26.-
-Manca poco..- sorrise lui.
-Sì, molto poco.- ripeté fissandolo intensamente negli occhi blu. Quel giorno erano blu oceano.. uno spettacolo.
-Per quanto hai intenzione di far finta di niente?- fece, infine, la domanda che lo tormentava di più.
Lei sollevo le sopracciglia, sorpresa. -Non erano questi i patti?- fece, confusa.
-Sì è vero, ho sbagliato termine. Tu mi stai deviando.- disse un poco scontroso.
-Non la sto deviando!- esclamò stizzita. -Stiamo parlando.. l'abbiamo sempre fatto mi pare.-
-Abbiamo sempre discusso più che parlato io e te.- la corresse.
-Preferisce litigare? Sa che non mi viene difficile.- rise leggermente.
-Nono, non intendo questo..- sorrise anche lui. -solo che.. non mi aspettavo mi ascoltassi: non l'hai mai fatto.-
-Caro professor Leto.. c'è sempre una prima volta.-
Jared sospirò. -Un'ultima cosa.. non pensare che una volta che avrai 18 anni le cose potrebbero cambiare. Non cambieranno mai, Kim. Ricordatelo.- il tono divenne improvvisamente severo.
Mr Hyde stava tornando, ora che il distacco tra loro era assicurato, non c'era più bisogno che si trattenesse.
Kim si irrigidì. L'aveva capita, aveva viaggiato per troppo tempo sulla sua stessa frequenza negli ultimi giorni. -Non l'ho mai dubitato.- rispose secca, rigida, ghiacciata.
“Bingo” pensò Jared con un ghigno malvagio. Aveva fatto centro.
-Ciao ragazzina..- sussurrò alzandosi e andandosene, lasciandola lì sola come una cretina a respirare profondamente per non rischiare di perdere la calma. 

È una porta aperta
E una che non sa chiudersi.
 

Note finali: Che persona malvagia è questo professor Leto. 
Non è molto bello questa capitolo, deludente sicuramente per tutte voi che fino a una secondo fa eravate su una nuvola di zucchero filato rosa, già con gli occhioni lanciati in un romanticissima love story (E INVECE NO ohoh), non particolarmente ben strutturato e un pò palloso nel primo pezzo, diciamocelo.
E va beh, la calma piatta ci vuole ogni tanto.
Ciò nonostante io spero sempre in un qualche commentino :)
La canzone è La paura che... di T. Ferro, non esattamente il mio genere, ma un grande cantautore, mio preferito da piccola, a cui devo la mia passione sfrenata per la musica ;) e, diciamocelo, questo verso è pura poesia.
Chissenefotte? direte voi, e c'avete ragione; voi commentate e perdonate questo tremendo capitolo.
xoxoxo.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22. ***


Capitolo 22. 

There’s a burning in my pride
A nervous bleeding in my brain
An ounce of peace is all I want for you.
Will you ever call again?
And will you never say that you love me, just to put it in my face?
 

Sentì una testa appoggiarsi alla sua schiena gobba, incurvata dal colpo che le era appena stato inferto. Jared Leto era uno stronzo ipocrita.

Kimberly si girò tentando di assumere un'aria del tutto indifferente, mentre gli occhi di Charlotte la scrutavano.
-Che voleva il professore di musica?- le domandò senza un tono preciso.
-Mh niente. Tormentarmi come al solito.- rispose facendo spallucce la mora. Si alzò e camminò lungo il corridoio, con l'amica al seguito.
Insieme, tornarono verso la loro classe, dove tutti i loro compagni gironzolavano fuori senza una meta precisa, ridendo e scherzando animatamente.
Solo allora Kimberly notò certi cambiamenti che fino al giorno prima non si era minimamente interessata di cogliere. Dettagli, molto futili e per niente significativi, come una taglio di capelli, uno aveva tolto gli occhiali da vista cambiandoli con un paio di lenti a contatto.. ma che in una classe si notano subito. Specialmente una classe piccola e unita come la loro.
Gli insegnanti quando erano incaricati di cambiare i posti erano sempre disperati, dato che tutti andavano così d'accordo che ovunque li spostassero, era inevitabile che facessero casino.
A Kim piaceva quel fatto, una classe unita era come una specie di famiglia. Era sicura che non si sarebbero mai traditi l'un l'altro, anche a discapito della media scolastica.
Ad esempio, notò che Joe, il suo migliore amico, era visibilmente triste.
Stava da solo su una sedia verde di fronte alla porta della classe a bere da una lattina.
Kim non riuscì a trattenere un'ondata di compassione e gli si avvicinò, seriamente preoccupata di aiutarlo a risolvergli i problemi.
-Ehy Joe..- mormorò dandogli una leggera spintarella con la spalla e sendendosi in parte a lui.
-Ehy..- le sorrise leggermente.
-Come stai?-
-Uno schifo, grazie.- rispose senza cambiare espressione. Almeno non le avrebbe complicato il lavoro facendo il discreto.
-Che succede?- gli chiese poggiandogli una mano sulla schiena. Lui ebbe un sussulto.
Il loro legame, per quanto forte, non era affatto fisico. Si abbracciavano di rado e stavano sempre a debita distanza, senza neanche farlo di proposito.
Anche per Kimberly fu strano quel gesto affettuoso, in quanto non era mai stata espansiva in quel senso, consolare per lei era una grande fatica dato che la
metteva in imbarazzo non essere in grado di pensare bene a qualcosa da dire.
-Victoria.. mi ha lasciato.- confessò il ragazzo guardando dritto davanti a lui.
A Kim venne  un colpo. Il suo amico aveva la ragazza? Lei non ne sapeva nulla.
Era stata un'amica così pessima?
Si sentì improvvisamente terribilmente in colpa per quello che doveva avergli fatto pesare non parlargli per tanto tempo e non fingere nemmeno di interessarsi a quello che aveva da dirle.
Probabilmente lui le aveva anche parlato di questa ragazza, le aveva raccontato tutto, nella speranza di un sorriso di approvazione o qualche commento sinceramente felice.
Invece niente, lei non l'aveva mai degnato di un ascolto; e se l’aseva fatto, non se lo ricordava affatto.
Però, d'altra parte, lei era proprio l'ultima persona con cui parlare di certe cose in quel periodo. Anche solo in quel momento, sentì una gran fitta al petto.
Cosa doveva fare? Come doveva comportarsi nei confronti del suo amico? Era in bilico tra quello che avrebbe fatto star meglio lui e quello che faceva star male lei.
Una frase tipo “avevi la ragazza?!” sicuramente era da evitare. Ma anche chiedere dettagli non sarebbe stato producente, almeno per lei.
Si limitò a fare quello che avrebbe voluto che avrebbero fatto con lei, quando si era trovata nella sua stessa situazione, forse un pelino più drammatica.
Dopo un breve minuto di silenzio, la mano di lei cominciò a sfregare sulla schiena di Joe e, in seguito ad un respiro profondo, gli si avvicinò e lo abbracciò.
La scena era alquanto goffa, dato che lei lo stava facendo di lato e lui era molto spallato, tanto che la sua mano non riusciva a raggiungere l'altra spalla.
Quindi lui la aiutò, voltandosi appena in modo da avvolgerla meglio.
-Mi dispiace, Joe.- sussurrò lei, tra i suoi ricci neri. Aveva un buon profumo, se ne rese conto solo allora.
La grande mano del ragazzo passò dietro la testa di lei e, tentennando, le accarezzò la nuca.
Era bello sentirla così vicina, nemmeno nei suoi sogni più intimi si era mai permesso di immaginarla così affettuosa nei suoi confronti.
Lei aveva quel ragazzo con cui stava da molto tempo e, sebbene fosse ovvio che non stessero più insieme, si era ormai arreso all'idea che dovevano essere semplici amici.
Era sicuro che anche senza quel ragazzo, lei non l'avrebbe mai voluto come qualcosa di più. Era davvero troppo per lui, era fermamente convinto di non
meritare tanto.
-i tuoi capelli sanno di quel profumo che porti sempre..- sussurrò lui, in seguito a vari istanti di silenzio.
Sentì Kimberly sorridere. -Ma va?- scherzò.
-E' buono. Molto.- disse, scostandola appena.
Lei lo guardò negli occhi, neri quasi quanto i suoi.
Ormai trovava noiosi gli occhi scuri, li vedeva da sempre! Riflettersi negli occhi chiari faceva tutto un altro effetto..
vide una figura alle spalle del suo amico, camminare nella loro direzione. Scostò lo sguardo appena per capire chi fosse: mr Leto. I suoi occhi erano grandi, sgranati da quello a cui stavano assistendo, sebbene non fosse niente di che. Azzurrissimi.
-Ragazzi, non mi sembra il caso. Siamo in pubblico.- li riprese, duro, una volta trovatosi di fronte a loro.
I due si guardarono confusi, senza muovere un muscolo.
-Scusi?- chiese educatamente ma scontroso Joe. Era il suo momento insieme a Kimeberly, e l'insegnante glielo stava rovinando.
-Hai capito perfettamente. Toglile le mani di dosso.- il tono protettivo che stava usando spaventò non poco Kim e nel contempo la infastidì.
Infatti, mentre Joe eseguiva, lei lo tenne più stretto, portando le gambe su quelle del ragazzo e poggiando la testa sulla sua spalla destra, tenendo gli occhi inquelli del professore con aria di sfida.
Joe sentì che il cuore non aveva mai battuto così forte in vita sua.
-siamo amici professor Leto, e facciamo quello che vogliamo. Non c'è scritto da nessuna parte che due persone non possano abbracciarsi.- rispose secca Kimberly.
-Oh..certo.- chiuse il discorso con una smorfia Jared, lanciando una fulminata con gli occhi al ragazzo, che intanto teneva le mani immobili e salde sulle gambe e schiena di lei.
Era evidente che nello sguardo dell'”amico” non ci fosse semplice amicizia, ma Kimberly in quel momento aveva altri sguardi a cui pensare.
L'uomo con la chitarra in spalla si avvicinò all'aula di musica alla fine del corridoio e vi si chiuse dentro, sbattendo la porta.
Nessuno si era accorto della breve discussione che c'era stata, ognuno continuava beatamente la ricreazione.
-Chissà che gli è preso a quello.. parlava come se fosse geloso.- mormorò sospettoso Joe.
Kim si levò di scatto dalla morsa del suo amico e, senza degnarlo di un solo sguardo, seguì il professore, lasciandolo lì seduto, con una confusione mentale al
limite.
Aprì la porta e se la chiuse contro le spalle. Jared le dava la schiena seduto su un banco qualche metro più avanti, circondato da strumenti musicali.
-Jared..- lo chiamò.
Lui alzò la testa al cielo sbuffando, come se la ragazza fosse un fastidio asfissiante. Un sassolino nella scarpa, per intenderci.
-Cosa vuoi Kimberly?- non era nemmeno una domanda, dal suo tono annoiato e pienamente consapevole di quello che gli avrebbe detto.
Lei si avvicinò furiosa. -Sei un maleducato!- esclamò, guardandolo in faccia.
-Non sono io quello che fa cose poco ortodosse nel bel mezzo del corridoio!- rispose lui, poggiando a terra la chitarra.
-Cose poco ortodosse? Jared, per l'amor di Dio, ci stavamo abbracciando!- ribatté lei, sconvolta.
-Evidentemente non hai visto con che occhi ti guardava.- disse lui assottigliando i suoi. -Ti stava spogliando, ragazzina, non fare tanto l'ingenua.-
-Ma tu sei completamente matto!- esclamò Kimberly non sapendo se ridere o piangere. -Io e Joe siamo amici.-
-Anche con Christopher lo eri, o sbaglio?- la malvagità con cui pronunciò la domanda fece intendere all’alunna che il solo scopo era quello di colpirla, pur slealmente. Non solo la colpì, ma l’affondò copletamente, eppure Jared non riusciva a provare orgoglio; al contrario, si sarebbe volentieri fracassato la testa contro lo spigolo della porta in ferro.
La ragazza strinse la mascella e per un istante si immobilzzò. Quello era davvero un colpo gobbo.
-Come osi tirare fuori un argomento del genere?!- urlò al sconcertata, mettendosi le mani sul volto e facendo  un giro su se stessa, per prendere fiato. -Tu non
sai niente di niente! Dio!- la sua voce raggiunse note altissime; gli diede le spalle e si avvicinò alla finestra, trattenendo a stenti le lacrime.
Jared si sentiva terribilemente in colpa, aveva davvero esagerato.
Le si avvicinò, alzò una mano e la portò esitante su un spalla.
Lei con uno scatto gliela tolse. -Non mi toccare!- disse tra i denti, con un tono che faceva sicuramente più paura delle solite urla.
Il professore la trattenne per un braccio, sebbene lei tentasse inutilmente di divincolarsi. Ma l'energia che il pianto le stava rubando, le fece perdere ogni volontà di sfuggire dalla presa dell'uomo. -Scusa, Kim. Sono stato uno stronzo.- disse mesto, stringendosela al petto.
Non oppose resistenza. -Avevi detto che potevo fidarmi.- gli ricordò lei singhizzando. -Che non mi avresti fatto del male.-
-Ed è così, davvero perdonami. Era la rabbia a farmi parlare, credimi.-
-Vorrei, ma non ne capisco il motivo!- ribatté scansandosi. -Prima mi baci, poi mi tratti malissimo.. Jared, io non so mai come prenderti. Con chi sto parlando adesso? Chi sei tu?- domandò guardandolo negli occhi.
Lui sospirò. -Lo so che questa situazione.. ci ha completamente scossi, entrambi. E volevo chiederti scusa per ieri, anche. Non dovevo.-  disse più calmo, riferendosi al bacio.
-Quella forse è stata l'unica cosa buona che hai fatto nelle ultime ore.- borbottò Kim avvicinandosi.
-Perchè devi fingere che non provi niente? Che senso ha?-
-Dove porterebbe, Kim? Se anche ti dicessi che provo qualcosa per te, cosa cambierebbe?-
Lei si avvicinò ulteriormente, i loro corpi aderivano, ormai.
-Cambierebbe.. tutto.- sorrise appena, alludendo ad un disegno tutto suo della cosa.
-Non posso, Kimberly.- ribadì lui, a malincuore. -Capiscimi.-
-Sì che puoi..- mormorò cercando di raggiungere le sue labbra. -Basta volerlo. Lo vuoi, Jared?-
lui la trattenne lontana qualche dita dal suo volto.
-No.- rispose lui, a gli istanti tra la domanda e la risposta resero il tutto poco credibile.
Lei si distaccò. -Ok, allora dimmi, guardandomi negli occhi, che non provi niente per me. Che la scenata di gelosia di prima era nei confronti di Joe. Dimmi, che non volevi davvero baciarmi ieri.. e ti giuro che ti lascio in pace.-
-Ragazzina, stai rendendo tutto troppo difficile. Quello che tu desideri non avverrà mai.- le sorrise tristemente.
-Perchè te ne vuoi convincere da solo?- lei davvero non capiva. -Cederai un giorno, lo sai anche tu.-
-E' la verità Kim, una cosa che non posso cambiare. Io provo qualcosa per te, questo è chiaro. Sei tu che non sai bene cosa senti.- disse, spiazzandola.
Kimberly lo guardò attentamente, confusa. -Che intendi dire?- metteva forse in discussione i suoi sentimenti per lui?
-Tu sei così giovane.. e hai il cuore spezzato. Io ti ho dato attenzioni ed è ovvio che tu ti sia affezionata a me. Ma quello che io e te proviamo viaggiano su due lunghezze d'onda completamente diverse.- spiegò, infastidendola.
-Detesto quando la gente è convinta di sapere cosa penso. Tu come puoi dirlo? Non sono la solita ragazzina a cui insegni a disegnare un pentagramma, pensavo
l'avessi capito.-
-Certo, lo so perfettamente. Ma guardiamo in faccia la realtà.. io ho 20 anni precisi più di te, cerco stabilità. Tu non hai la minima idea di quanti altri dovranno passare nella tua lista prima che tu sia sicura di sapere quello che vuoi.- disse amaramente.
Kim leggeva negli occhi dell'uomo il vero terrore di essere usato e abbandonato quando meno se lo meritava, un po' quello che era successo a lei. Ma non poteva parmettergli di pensare una cosa del genere. Non l'avrebbe mai fatto, ne era certa.
-Non è così Jared, puoi fidarti!- ribatté avvicinandosi di nuovo pericolosamente alle sue labbra. –Baciami ancora, ti scongiuro.-
-Sebbene la richiesta sia allettante, no Kim. Basta, adesso.- disse solenne, scrollandosela di dosso e uscendo dalla classe, giusto nel momento in cui sentirono la campanella annunciare la fine della pausa.
Kimberly rimase scossa per un altro paio di minuti, con gli occhi fissi sulla porta, sperando che si riaprisse riportando una Jared lucido e conscio solo di volerla.
Ma non accadde. 


And with a sad heart I say bye to you
And wave

Note finali: Sempre un pò stronzetto questo Jared, eh? Va beh, le migliori storie sono nate cosi ;)

Non ho niente da commentare col mio innato sarcasmo oggi, lascio a voi poveri malcapitati questo creudele compito ;)

 Oggi è una di quelle giornate apatiche e piatte, e protagonisti di oggi saranno il mio letto (con tanto di scaldaletto, fuck yeah), 

un buon libro che mi sta molto prendendo e tazze interminabili di caffè. Il mio paradiso.

Cosa farete voi oggi? Cosa vi piace fare nelle giornate di calma piatta? 

Mi piacerebbe conoscere meglio le persone che perdono minuti preziosi della loro giornata su queste pagine ahah

La canzone è Hate me dei Blue October, molto ispirante, penso la userò ancora in futuro.

Buona lettura, buon commento e buon sabato 

baci&abbracci

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Capitolo 23
*** Capitolo 23. ***


Capitolo 23.


I don’t know how I feel when I’m around you
 

Si girava una matita tra le dita, con il mento appoggiato al palmo aperto e lo sguardo fisso su una scritta bianca sulla sua cartella.
Risaliva a quasi 2 anni prima, e il “ti voglio bene” finale era stato sbarrato e corretto con un “ti amo”, molto più recente.
I suoi occhi, il suo sorriso, il loro parco.. avrebbe assolutamente dovuto cambiare cartella, solo che ogni volta si sentiva troppo pigra e smetteva semplicemente di pensarci.
Come in quel momento. Infatti chiuse gli occhi e sospirò profondamente, sedendosi composta.
-Kimberly, cosa ho appena finito di dire?- le domandò l'odiosissima voce del professor Leto.
Kim lasciò andare la testa di lato, come per dire espressamente “Dio, che palle”.
Lo guardò assente, come se non lo vedesse neanche, come se stesse guardando un passante a caso.
Dall'ultima volta che avevano avuto quella conversazione non si erano più parlati, cosa che aveva fatto soffrire lei e peggiorare il rapporto con lui.
Erano tornati cane e gatto, come se la tregua non fosse mai esistita.
Forse un po' di meno. Lei non aveva neanche più la forza di litigarci.. si sentiva abbandonata, completamente.
Continuava a desiderarlo con tutta se stessa, ovviamente.. ma l'uomo che aveva davanti le ricordava ogni giorno di meno quello che l'aveva in un certo senso “salvata”. E lentamente, stava ritornando nel baratro, esattamente quello si era imposta di non fare. Aveva bisogno di lui e lui c'era, ma non come avrebbe voluto lei.
La osservava dalla cattedra alla quale si era appoggiato per fare l'annuncio di cui aveva appena finito di parlare. Era ovvio che lei lo evitasse come la peste in quei giorni, sarebbe stato un cretino a dire che non se n'era accorto.
Non lo guardava più, ad eccezione di qualche occhiata fugace completamente disinteressata. Figuriamoci parlargli.
Nella sua testa, la ragazza fece un rapido riepilogo di quello che aveva appena sentito dire dall'insegnante, ma non c'erano parole concrete, solo un brusio di sottofondo.
-Kimberly.. dove sei?- la spronò lui, corrugando la fronte. Si sentiva in colpa, se stava tornando ad essere triste era tutto per causa sua.
Dal canto suo lei tentava di tirarsi su, facendosi forza e dicendosi tra sé e sé che le cose si sarebbero sistemate nel giro di qualche giorno. Invece, niente.
E più andavano avanti così, più le veniva difficile continuare a sperare e ad incoraggiarsi.
Era uno spreco di tempo.
E con quella domanda rese il tutto più difficile. “Dove sei?”
nella sua mente lo stava maledicendo in 4 lingue differenti. Strinse i denti e indurì lo sguardo,
-Sono qui, ero distratta. Mi scusi.- rispose col tono più gentile che avesse mai usato.
Alche la metà delle persone che la circondavano rimasero sbalorditi.. Jared compreso.
Evidentemente non aveva più voglia di combattere, non c'era più niente che le desse la carica, anche il suo rancore era completamente prosciugato.
Ora nella sua testa c'era solo il rifiuto di Jared. Le sue parole crude e spregevoli le toglievano ogni speranza e forza di credere.
-Non stai bene?- le chiese, allibito. Lei scrollò le spalle. -No, sto benissimo.- sorrise, senza intenzione alcuna. “Stronzo, non far finta di interessarti a me”.
Dopo essere rimasto un attimo di troppo a fissarla intensamente, decise di lasciar perdere.
-Dato che quando parlo io non le va di ascoltare, dille tu Joe cosa ho appena detto- continuò mr Leto senza un tono preciso.
Kimberly questa volta optò per l'ascoltare il suo amico, così voltò la testa nella sua direzione.
-Ha detto che ci farà da accompagnatore in gita.- spiegò apatico Joe. Stava beatamente in quello stato di dormiveglia perenne in cui qualsiasi studente entra non appena mette piede nella scuola.
Kim sgranò gli occhi. Si era completamente dimenticata che dovevano andare in gita, sebbene negli ultimi tempi in classe non si parlasse d'altro.
Di bene in meglio. Jared li avrebbe accompagnati neanche si ricordava più dove e sarebbero stati insieme per 120 ore consecutive. Yeah.
-Sì, io l'ho fatta molto più articolata e con un po' di suspance.. ma il succo è questo.- finì lui sorridendole amichevole. Lei ricambiò debolmente. -Oh. Bello.-
commentò a mezza voce, per poi abbassare la testa e tornare ai suoi scarabocchi. 

-Che bello, Kim! Che bello, che bello, che bello!- le si avvicinò saltellando Julia.
Kimberly respirò profondamente per placare gli istinti e alzò lo sguardo, finalmente.
Per il resto del tempo non aveva osato guardare neppure nella direzione dell'insegnante, ma ora era uscito di scena con un saluto generale.
-Cosa, Juls?- le domandò solo per gentilezza, sebbene sapesse perfettamente per cosa fosse tanto entusiasta.
Gwen stava poco bene e quindi non era venuta a scuola, solo per quello Julia le parlava. Di solito non avevano quel rapporto stretto e amichevole.
Anzi, sotto sotto Julia non la poteva soffrire, dato che in un certo senso le aveva soffiato l'interesse dell'amica del cuore. Gwen, vedendo che Kimberly si era isolata dalla classe aveva cominciato a girarle intorno, trovandola interessante e finendo così, per mettere in secondo piano Julia, il suo cagnolino.
Kim era sicura che se fosse stato per lei l'avrebbe massacrata di botte, ma grazie al cielo non aveva uno spirito combattivo né tantomeno un carattere indipendente. Era una di quelle tipiche ragazze che campano in simbiosi di un'altra, più superba e forte.
-Ma come cosa? Sei sorda per caso?- le chiese la bionda esterrefatta. -Jared Leto viene in gita con noi!!- esclamò trattenendo un gridolino estasiato. -Quando lo dirò a Gwen..! sarà contentissima!-
-Oh, quello.. sì, davvero bello.- disse lei sorridendo, cercando di imitarla. Le uscì solo una smorfia lontanissima dall'essere un sorriso.
-Kimmy che ti succede? Sei così spenta in questi giorni.. e poi le tue scarpe! Ew.- commentò schizzinosamente, Kim alzò un sopracciglio, spazientita.
Si alzò senza dirle una parola e uscì dall'aula, tanto la professoressa dell'ora seguente non era ancora arrivata.
Decise di andare nei bagni più lontani, per perdere tempo. Sospirando si mise le mani tra i capelli e chiuse gli occhi, quei tre secondi che sembravano fatti apposta per non farle rendere conto che si stava per schiantare contro qualcuno.
Rimbalzò e alzò lo sguardo spaventata. -Oddio, scus...!- era Jared ovviamente, che la guardava massaggiandosi l'addome.
-Ehy ragazzina attenta. Mi hai conficcato un gomito nello stomaco.- sorrise lui.
Lei si immobilizzò, scissa tra il rispondergli con una frase delle sue, o semplicemente scusarsi e proseguire per la sua strada. Optò per la seconda, se avessero litigato lui avrebbe sicuramente avuto la meglio.
-Mi scusi, non l'avevo vista. Starò più attenta.- si scusò debolmente e si scansò continuando a camminare dove era diretta.
Una volta in bagno, si sentì afferrare per un braccio e chiudere sbrigativamente dentro.
-Adesso tu mi dici che diavolo ti prende.- le ordinò il professore, prendendole il viso tra le mani, costringendola così a guardarlo negli occhi.
Kim si sentì come ravvivata, una scossa di adrenalina le fece aprire gli occhi realmente, come se fino a quel momento avesse avuto la vista offuscata da una pellicola opaca.
Gli occhi di Jared quel giorno erano.. spettacolari. Più del solito. Forse è l'effetto luccicoso che prendono tutte le cose che non puoi avere. Quando ti viene rifiutata una cosa, la vedi sempre più bella e luminosa. Probabilmente era quello il motivo. Voleva convincersi che fosse quello.
Azzurrissimi, come il cielo limpido in una calda e ventosa giornata estiva.
Dovette raccogliere tutte le forze che sapeva di possedere per tentare di toglierselo di dosso.
-Mi lasci andare..- disse a denti stretti, stringendogli le mani attorno ai polsi.
-Kimberly, ti prego. Odio quando mi eviti, lo sai.-
-Come se se ne fosse realmente reso conto..- sbuffò lei arrabbiata.
-Come se non potessi accorgermene.- sorrise debolmente. -Come se esistesse qualcosa più importante.-
-Piantala di dire certe cose. Mi danno sui nervi.- continuò lei nervosamente, cambiando automaticamente persona. Quando parlavano di cose intime, le veniva spontaneo.
-Quali?- chiese ingenuamente lui.
-Le bugie. Io non sopporto chi mi mente, specie se il suo unico scopo è abbindolarmi per tenermi buona.-
-Io non ti sto mentendo, credimi.- le sussurrò. Gli era mancata la sua carica e quella luce di vita negli occhi, si sentiva nuovamente se stesso, ora che lei sembrava viva.
Lei non si rendeva conto di quanto ormai il suo umore influisse su di lui.
-Allora non dirmi certe cose perché non ci vedo nessuna finalità, dato che poi torni ad ignorarmi completamente.- continuò lei, scrollandoselo di dosso.
Jared non oppose resistenza. -Infatti non c'è nessuna finalità nel dirti quello che sento.- disse stringendosi nelle spalle.
-Perchè mi fai questo?- gli chiese Kim, con le mani sul viso. Stava per scoppiare in lacrime, se lo sentiva.
Lui si avvicinò e gliele tolse. -Non coprirti gli occhi, non capisco cosa provi.- disse dolcemente.
-Vuoi sapere cosa provo? Io ti detesto Jared. Mi hai fatto provare le sensazioni più belle che abbia mai sentito, per poi strapparmele bruscamente. Come vuoi che mi senta?!- non fu difficile immaginare che le lacrime cominciarono a sgorgare e il labbro inferiore le tremava.
-Non piangere Kim, per favore.- la pregò lui asciugandogliele. -Mi uccidi.-
-E' colpa tua. Mica mi diverto.. io odio piangere.- borbottò, sinceramente imbarazzata del fatto che piangesse ogni volta che avevano una discussione. Si sentiva una stupida bambina, proprio quello che non voleva apparire ai suoi occhi adulti.
-E non immagini quanto mi rincresce. Non devi stare male per me, non me lo merito.- la rimproverò senza distogliere gli occhi dai suoi. -Se c'è qualcosa che posso fare..- continuò premuroso, ricevendo in cambio uno sguardo raggelante.
-Sì c'è. Vattene.- disse, più fredda che mai. -Sparisci, dalla mia vista, dalla mia testa.. vattene.-
Jared la guardò intensamente negli occhi per capire quanto fosse seria. I suoi occhi onice sembravano liquidi, animati da un fuoco che le partiva dall'interno.
Optò per lasciarla, se era quello che voleva, non l'avrebbe disturbata ulteriormente.
Si morse il labbro inferiore e guardò alle sue spalle. -Ok, come vuoi. Se questo è l'unico modo per non farti più soffrire.. lo farò.- le sorrise di un sorriso spento e
poi uscì di scena, come gli aveva ordinato lei.
Probabilmente dentro Kim c'era una lotta segreta, in cui combatteva tra il desiderio di seguirlo e il meccanismo rabbioso di autodifesa. Aveva imparato dalle esperienze che più ti allontani da ciò che ti fa soffrire, prima guarisci.
Respirò intensamente e poi tornò in classe, dopo essersi accertata di non avere il volto macchiato di trucco colato.
 

I, I know how I feel when I’m around you.

Note finali: ecco un nuovo capitolozzo di questo intrallazzo. Prima torna lei ma lui non la vuole, poi torna lui e lei non la vuole. Eh, quelle tristesse!
Ok sto diventando monotona in queste note finali che non so per quale finalità sono state create (da me stessa, tra l'altro), ogni tanto tengo a precisare alcuni punti, ma ad esempio in questo caso penso che sia tutto chiaro, no?
Ecco, una cosa a cui ho pensato solo ora è che ho assolutamente dato per scontato che le canzoncine apri-chiudi fila fosse inutile tradurle, dato che ormai noi adolescenti comunichiamo più con l'inglese che con l'italiano, chi ha un minimo contatto con la musica tende a masticarla poi la lingua.
Ma è anche vero che siamo tutti diversi e magari alcuni di noi disprezzano le altre lingue, non sono portati e non vogliono saperne di passare l'esistenza su google translate, quindi riconosco di essere stata un po' presuntuosa e vi chiedo scusa! 
Ogni tanto saranno anche in altre lingue queste canzoni, ( a me piacciono molto, ho fatto il linguistico e non credo di essere l'unica qua dentro) indi per cui, sarà il prossimo compito del postaggio :D

Non so se è necessario tradurre queste due frasette, ma va beh facciamolo questo sforzone! 
Io non so come mi sento quando ti sono vicino,
io lo so come mi sento quando ti sono vicino
La canzone si chiama Roulette ed è dei mitici System of a down, e no, non è rincoglionito il cantante che prima dice di no e poi sì, semplicemente descrive quella condizione di confusione che ti causa una persona.
A me piace molto e anche a voi conviene ascoltarla, specialmente se anche voi avete un amore folle per le voci particolari e in questa canzone quella di Serj si sente tutta. 

Ok, ho finito, ora CORRETE a commentare, sempre se vi va :))
bacibacibaci

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Capitolo 24
*** Capitolo 24. ***


Capitolo 24.

I feel it everyday it’s all the same
It brings me down but I’m the one to blame
I’ve tried everything to get away
So here I go again
Chasing you down again
Why do I do this?
 

Uscì di casa più infastidito che mai. Accese una sigaretta, cercando di darsi una calmata.
Non era ancora cominciata quella giornata ma già si prospettava odiosa.
Avrebbe dovuto fare due verifiche a due classi in sei ore, e nonostante non fosse lui ad essere sotto esame, si sentiva insopportabile da solo.
E per di più aveva perso l'ispirazione. Ieri sera era stato sveglio fino a mezzanotte a strimpellare i soliti accordi e a scrivere parole senza senso in fogli di carta
che finivano appallottolati e lanciati in un angolo della stanza. Detestava perdere l'ispirazione, era un po' come se non potesse più godersi il suo dono.
Scriveva, ma quello che leggeva non lo soddisfaceva affatto. Suonava, ma quello che sentiva gli pareva solo stonato e monotono.
E tutto per un motivo solo: Kimberly.
Non riusciva più a fare altro se non pensare a lei. E si odiava per questo, perchè nonostante tutta la buona volontà e l'impegno non era riuscito a rimanere semplicemente un suo professore.
Non sopportava essere messo in ginocchio da una femmina. Lui era superiore a tutte quelle persone che si sfinivano per amore, era andato oltre al periodo della vita in cui pensi di non riuscire a fare a meno di una persona. Eppure, eccolo di nuovo con quelle aspettative e speranze che gli davano la carica di alzarsi dal letto ogni mattina e al contempo lo facevano incazzare da morire, perché non sopportava ridursi in quello stato. Non era il tipo che si lasciava intimidire e rovinare la giornata da una persone; eppure lei c’era riuscita. Poteva comandarlo a bacchetta con la sola forza della mente: se avesse deciso di perdonarlo la sua giornata avrebbe preso una piega completamente diversa rispetto al caso in cui non l’avesse fatto. E lo detestava.
Da sempre, dal primo momento che i loro sguardi si erano incrociati, avevano sentito quell'affinità che inizialmente avevano scambiato per disprezzo.
Per lei era solo un meccanismo di difesa, era molto vulnerabile in quel periodo e qualsiasi sguardo troppo indiscreto la spaventava e la spingeva a rintanarsi nella sua corazza.
Per lui invece, era stato uno sguardo colpito da una bellezza così particolare, ambigua e difettosa.
Non era perfetta, ma ai suoi occhi era come una calamita. Quando entrava in una stanza non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, e quando lo faceva, non passava molto prima che tornassero a cercarla.
Solo che non gli era mai successo, quindi non ci aveva fatto particolarmente caso.. ma più passava il tempo, più notava aspetti di lei che lo interessavano e non come alunna, sicuramente.
Aveva avuto la brillante idea di farla stare il pomeriggio con lui utilizzando la scusa del suo scarso studio, per conoscerla e levarsi finalmente il dubbio che da tempo lo assillava.
Ed ora.. aveva finito col rovinare tutto. Ma cosa poteva farci? Era così giovane e inesperta..
e poi era troppo rischioso. Non se la sentiva di mettere in pericolo il suo lavoro e Kimberly stessa, per un'infatuazione. Sarebbe stato irresponsabile.
Quando arrivò a scuola le ore passarono lentissimamente.. più del solito.
Approfittava degli attimi di silenzio durante la prima verifica per concentrarsi completamente sulla scrittura, magari se avesse ascoltato le sue emozioni avrebbe tirato fuori una bella canzone.
Invece, tutto quello che gli usciva dalla mente erano parole di altre canzoni già conosciute. 

So many thoughts that I can’t get out of my head
I try lo live without you, every time I do I feel dead
I know what’s best for me
But I want you instead
I’ll keep on wasting all my time
 

Sicuramente non avrebbe riscosso successo plagiando.
Stava fermo, zitto e pensoso a fissare il vuoto come un paramecio senza vita. Si era sentito così poche volte in vita sua, e l'ultima volta era stata un'eternità

prima, così tanto tempo che si era scordato come ci si sentisse ad essere così spenti.

Ma del resto non poteva fare altrimenti dal momento che la ragazza che occupava la sua testa, erano settimane che non gli parlava né lo guardava. Spesso non la vedeva neanche più in corridoio, gli venne pure il dubbio che lei si nascondesse di proposito.

Sospirò molto forte, quando arrivò la quinta ora: verifica nella classe di Kimberly.

Detestava l'effetto che avevano le verifiche sui suoi alunni. Quando entrò tutti lo guardavano terrorizzati, come fosse armato di un bazuka, ma sorrisero e lo salutarono educati.

Ipocriti. Oggi lui per loro era solo un professore e il loro unico interesse era di riuscire ad avere una sufficienza nella sua materia.

Salutò di rimando e si sedette alla cattedra, quando alzò la testa subito lo sguardo volò sul banco di Kim. Era lì, non in pienissima forma, ma sorrideva e non c'era niente di meglio per lui che vederla così serena.

Quando ebbe finito di distribuire le schede, Kimberly abbassò lo sguardo e cominciò a concentrarsi sulla verifica. Aveva studiato tutto il pomeriggio precedente, se le fosse andata male la colpa era esclusivamente dell'orgoglio ferito dell'insegnante.

Per quello si era sprecata, solo per essere sicura che Leto non potesse fare storie nel metterle la sufficenza. In effetti fu strano per lei leggere le domande e rispondere di getto, sapendo di saperle.

Era una sensazione nuova. Tutta soddisfatta, compilava le righe vuote, svuotando la mente di tutte le informazioni che aveva accumulato.

Finito, appoggiò la penna al banco e con un sorriso controllò quello che aveva scritto. Perfetto, si sarebbe elogiata da sola.

Nel sollevare lo sguardo, incrociò quello del professore, fisso su di lei. La osservava dalla cattedra, con grande interesse e una luce negli occhi che non sapeva ben definire.

Sapeva solo che era tanto intenso che avrebbe volentieri distolto il suo, ma purtroppo era ipnotico, quindi non ce la faceva.

Stettero una buona decina di minuti così, a comunicare con gli occhi. Per Kimberly era una sensazione bellissima.. quando intrecciava il suo sguardo ghiacciato, si sentiva completamente svuotata di tutto. Era come avere la testa in una bolla d'aria. Non sentiva niente, non sentiva nessuno. Nulla poteva sfiorarla, non c'era niente che potesse attirare la sua attenzione all'infuori di lui.

Ma, ovviamente, durava solo finché lui non guardava altrove o, peggio, spariva dalla sua vista.

Come in quel momento, tutti avevano consegnato e lui si era alzato per uscire dall'aula ed incamminarsi verso l'ora successiva, lasciando lei in balia della realtà e dei rumori più insignificanti, ma che, alle sue orecchie otturate, parevano come martellate.

Jared camminava lungo il corridoio, soffermandosi davanti alla bacheca, dato che si era completamente scordato dove doveva andare.
Stupida ragazzina. Ecco cosa gli combinava.. era un problema, era il demonio. Solo il demonio può essere scambiato per una cosa tanto bella e proibita da permettergli di prosciugarti e sgretolarti, finché non gli cedi addirittura la tua anima.

-Jared! Come stai?- una voce allegra, dallo strano accento lo fece sobbalzare.

Voltò il volto nella direzione della voce dall'accento spagnolo. -Lola..- chinò leggermente il capo salutandola. -Come te la passi?-

Lei rimase un secondo a fissarlo, per poi guardare altrove. Sembrava non riuscisse a pensare se avesse sostenuto lo sguardo di lui. Ecco quella sensazione di fastidio che percepiva Jared ogni volta che succedeva.. detestava parlare con chi non lo guardava, e non era una questione di egocentrismo.. solo che non si

sentiva ascoltato.

Ma lei era una bella donna, e tutte le belle donne hanno diritto ad essere comprese.

Lola Rodriguez, sua collega, insegnante di Spagnolo. Tipica latina, carnagione olivastra e tratti mediterranei. Per non parlare del suo corpo tutto forme.. Jared non poteva che apprezzare.

-Tutto bene. Gli studenti mi fanno un po' delirare.. possibile che voi americani troviate lo spagnolo una lingua tanto complicata?- chiese lei divertita.

Lui abbozzò un sorriso. -Non saprei.. prova a ripetermelo in spagnolo e ti faccio sapere!- rispose, facendo intendere che scherzasse. Non aveva il minimo interesse nell'imparare una lingua tanto complessa, quando lui era padrelingua di quella detta anche “lingua mondiale”. Perdita di tempo, e lui odiava perdere tempo, come in quel momento.

Ma notava dalla gonna sopra il ginocchio della donna che stava muovendo convulsamente una gamba.

Era nervosa, doveva sicuramente chiedergli qualcosa.. e immaginava cosa.

Decise di aprirle la strada, così che non indugiasse ancora troppo a lungo.

-..oppure, non riescono a rimanere concentrati, distratti dalla bellezza della loro insegnante.- disse ammiccante. Per un secondo temette che Lola gli svenisse addosso.

-Sei molto gentile Jared..-disse arrossendo e spostandosi una ciocca dietro le orecchie.

-Figurati Lola. Ora se vuoi scusarmi..- fece per andarsene, intenzionato a finire questa sceneggiata.

Kim gli avrebbe chiesto di uscire in una maniera molto più diretta e dignitosa e avrebbe sicuramente apprezzato di più. Scosse rapidamente il capo per liberarsi di questo pensiero, come poteva fare paragoni tra le due persone?! Stava impazzendo, era ufficiale.

Ovviamente, lei lo fermò. -Aspetta! Ero venuta appunto a chiederti una cosa..- continuò insicura, con lo sguardo puntato a terra.

Lui la guardò insistentemente, come se davvero non avesse la più pallida idea di cosa volesse.

-Ecco.. stavo pensando che tu sei molto simpatico e.. stiamo bene quando stiamo insieme.. insomma, mi fai ridere.. quindi, che ne diresti di uscire qualche volta? Niente di serio, solo un pranzo..magari.- con molta fatica concluse il discorso.

Jared sorrise affabile. -Con molto piacere. Ora davvero, sono in ritardo.. a dopo.- disse chinandosi e dandole un rapido bacio sulla guancia, in modo da darle un briciolo di sicurezza in più.

Era una così bella donna, non doveva essere così introversa. Le faceva perdere fascino.

Sorridendo la signorina Rodriguez si scansò, per andare alle sue spalle e salire le scale, leggera come una bolla di sapone. Poteva affermare di sentirsi perfettamente in quel momento.

Jared la seguì con lo sguardo e quando lo riportò davanti per raccogliere la sua chitarra, si trovò il magnifico viso di Kimberly, storpiato da un'espressione ferita.

Aveva sentito tutto. 

Over and over, over and over
I fall for you
Over and over, over and over

I try not to

Note finali:  Stiamo galoppando regass, e state aumentando ogni giorno di più, non potete imaginare la soddisfazione che mi date!
Le visite salgono ogni volta che controllo e non importa se cliccate per sbaglio o sono solo 3 persone che se li rileggono 10 volte al giorno, io mi gaso che non ne avete un'idea ahaha.
Tornando al capitolo, che ne pensate di sta new entry? immagino già gli insulti ;) 
La canzone si chiama Over and over dei Three Days Grace, ed è stata la canzone giusta al momento giusto. Vi spiego: stavo rileggendo il capitolo per eventuali modifiche/correzioni/allungamenti e BAM ecco che parte questa canzone dalla mia playlist shuffle.
sinceramente non l'avevo mai cagata, sono andata a leggermi il testo e OMMMIODDIO ci stavaabbestia (scusate il gergo colorito) 

Lo sento ogni giorno ed è sempre lo stesso
Mi deprime, ma è colpa mia
Ho fatto il possibile per scappar
Quindi eccomi di nuovo
Ti inseguo di nuovo
Perchè lo faccio?

Così tanti pensieri che non riesco a levarmi dalla mente
Provo a vivere senza di te, ogni volta che lo faccio mi sento morto
So cosa è meglio per me
Ma io voglio te
Continuo a pederdere tempo..

Continuamente
Mi innamoro di te (OOOOHRRR ♥)
Continuamento
cerco di non farlo.

Q
uindi, questo è il testo, ovviamente non sono laureata in traduzione simultanea (che credo sia una lavoro difficilissimo e pagato pochissimo), cerco di fare quello che posso.
tanti baci e tanti commenti prego :) ps: scusate le duecento scritture diverse nelle note ma non ho un buon rapporto con sti cacchio di codici!

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Capitolo 25
*** Capitolo 25. ***


Capitolo 25.

 So if we all turn to dust
Better to have loved and lost
Cos everything has a cost.

 Kimberly lo guardava non capendo cosa pensare.
Sentiva un misto di emozioni riempirle la testa: delusione, rabbia, incredulità e un briciolo di comprensione.
Da una parte tentava di capirlo e giustificarlo, del resto era una bella donna la Rodriguez e lei l'aveva espressamente mandato a quel paese. Anzi peggio, gli aveva detto che stava benone senza di lui.
Ma dall'altra provava una furia, causata dalla gelosia e dal nervosismo, che non aveva limiti. Lo avrebbe ucciso, se non avessero avuto la fortuna di trovarsi a scuola, avrebbe sicuramente attentato alla sua vita.
Lo guardava fisso, leggendo negli occhi azzurri stupore, paura e sgomento.
Jared, di conseguenza, non poteva che sentirsi in colpa.. ma facendo due calcoli veloci, di chi era la colpa? La domanda lo fece inciampare, dato che era stato lui a scatenare la reazione di Kim settimane prima. Ok, era colpa sua.
-Kimberly..- pronunciò il suo nome con cautela, temendo che si potesse spezzare proprio davanti ai suoi occhi.
Lei non mosse un muscolo, se non avesse visto le spalle salire e scendere velocemente, avrebbe addirittura osato pensare che fosse morta. In piedi? Dettagli.. in certi casi anche l'impossibile può avvenire.
-..posso spiegare.- bisbigliò, non sapendo come prenderla.
Lei alzò una mano. -No, non devi spiegarmi niente.- e fece per tornarsene da dove era venuta, ma lui la arrestò prendendola per un braccio.
-Io e te dobbiamo parlare.- disse con tono fermo, intento a chiarire alcuni punti.
Kimberly fece forza per liberarsi, ma era tutto inutile. Strinse ancora più forte e la trascinò su per i dieci gradini che li dividevano dalle altre classi. -Aspettami qui.- disse, facendola sedere su una panca in corridoio e entrando nella classe di fronte per tenerla d'occhio.
Le sarebbe corso dietro, in caso avesse tentato la fuga.
-Ragazzi, ho una questione da risolvere. Non fate troppo baccano se no i bidelli si accorgono che non ci sono e mi uccidono.- comunicò alla classe, mentre firmava frettolosamente il registro.
-Non ballate sui banchi, non ridete troppo ad alta voce e, anche se so che è chiedervi troppo, trovate qualcosa di costruttivo da fare.- e detto ciò uscì di nuovo, sapendo che in caso lo avrebbero coperto.
I suoi alunni lo adoravano.
Kim era ancora lì fuori seduta con gambe e braccia incrociate, che lo attendeva.
Le fece segno di seguirlo, mentre lui puntava verso una classe che in quelle ore era sempre vuota.
Era la più estrema del corridoio, quasi isolata da tutte le altre che facevano gruppetto e nelle ultime due ore del giovedì, erano in palestra per educazione fisica. Avrebbero potuto urlare senza essere interrotti.
Jared prese sottobraccio una bidella che passava di lì e le chiese cortesemente di andare nell'aula di Kim e comunicare alla prof che Kimberly Bloomwood sarebbe stata impegnata con lui per risolvere una faccenda, durante l'ora. E se non tutta, una buona parte.
Dopodichè spinse Kim dentro la classe e chiuse la porta.
-Kimberly, posso spiegarti.- ripeté con lo stesso tono preoccupato di prima.
-Sì, dai. Ho proprio una gran voglia di sentire le belle palle che hai da dirmi.- disse lei sarcastica.
-Non parlarmi con questo tono, io sono disposto a chiarire certi.. malintesi.-
-Malintesi? Quali sarebbero i malintesi? Quello che c'è stato tra me e te intendi?- alzò il volume della voce, evidentemente ferita. -Quello è stato tutto un malinteso? Me lo sono sognato?-
-No Kim, non hai sognato un bel niente. E non voglio mentirti dicendoti che ti sei presa un granchio, perchè siamo sulla stessa barca io e te.- le disse, poggiando le mani sulle spalle.
-Non è vero, c'è una differenza. Tu non mi vuoi.- precisò Kimberly, con occhi rigidi.
-Cosa?!- esclamò sorpreso Jared.
-Dimmi una cosa.. ci uscirai, allora?- chiese, senza mascherare l'interesse, ormai.
-Probabile.- rispose lui secco. -E allora?- come se non sapesse di quello che pensava la ragazza che infatti,sgranò gli occhi allibita.
-E allora!?- sbraitò. -Muori Jared, cazzo.- se lo scrollò di dosso e si appoggiò alla cattedra alle sue spalle.
-Kimberly, io e te non possiamo stare insieme.- disse lui intenerito ma sfinito e scandendo le parole. -Lo capisci?-
-Perchè no?- domandò lei con voce rotta, al limite della tensione.
-Non fare così..- bisbigliò lui avvicinandosi. -Lo sai, tu sei ancora minorenne..-
-Tra un mese non più!- gli ricordò.
-Sono il tuo professore.-  le ricordò.
-Non ti sto chiedendo di dirlo a tutti, infatti! Sarà una cosa tra me e te, come è giusto che sia..- tentò di nuovo. Sembrava implorarlo.
-E' un rischio troppo grande, Kim.-
-E io sono pronta a correrlo. Saremo insieme io e te Jared, non ti lascerò affondare da solo.- mormorò avvicinandosi ed accarezzandogli una guancia ruvida dalla barbetta appena accennata.
-Io.. non lo so.- sbuffò l'uomo portandosi le mani tra i capelli e voltandole le spalle.
Amareggiata, lei poggiò una mano sul tavolo, come per reggersi dalle continue pugnalate che riceveva. -A me sembra che tu stia inventando scuse su scuse.. il
che mi riporta alla prima ipotesi: tu non mi vuoi. O almeno, non quanto ti desidero io.- spiegò la ragazza con calma, in modo da trattenere i lacrimoni che spingevano per essere liberati.
Lui si voltò, guardandola. Gli occhi erano spalancati. -Come puoi credere questo?- le chiese, frustrato.
-Non prenderesti appuntamenti con altre, ad esempio.- disse lei, gelida.
-Sei tu che mi hai detto di starti alla larga.- puntualizzò Leto, indicandola.
-Jared, mi spieghi che cosa c'entra?! Tu mi stavi evitando! Mi hai sbattuto il rifiuto in faccia senza neanche un minimo di tatto e io stavo male. Cosa pretendevi, che mi sciogliessi ai tuoi piedi con un battito dei tuoi folti ciglioni? Sei abituato male, caro. Io non sono così!-
-Ed è proprio per questo che mi piaci. Io tengo davvero a te, Kim, neanche immagini cosa farei per te!-
-E allora qual è il problema? Lo vedi che fai tutto da solo?-
-Sei troppo giovane!- ripeté, sfinito.
-No, è solo una scusa, perchè tu non la senti la differenza di età, come non la sento io quando stiamo insieme!- ribatté disperata. Non riusciva proprio a ficcarglielo in testa che era solo una convinzione che si era creato da solo. -A casa tua mi avevi detto che hai sempre invidiato tuo fratello perchè ci mette il cuore in quello che fa, segue solo quello che sente. Perchè sembra che invece che prendere il suo esempio, tenti solo di allontanarti sempre di più?-
Jared rimase colpito da quello che aveva tirato in ballo l’alunna pur di convincerlo.. ma aveva ragione.
Lui si era sempre lamentato di quanto non fosse in grado di essere come suo fratello.. ma era una lamentela a vuoto, in quanto non ci metteva niente pur di cambiare un po'.
-Ascolta il tuo cuore Jared. Cosa dice?- continuò con un filo di voce, avvicinandosi ulteriormente.
Per un istante lo sguardo del professore si posò sulle labbra della ragazza e trattenne un improvviso impulso di baciarla. E fu lì, che finalmente si accorse dove sbagliava.
-Io sto troppo bene con te. Hai ragione Kim, su tutto.- sussurrò, immergendo una mano tra la cascata di morbidi capelli. -Scusa se ci ho messo tanto.-
Lei sorrise, con le lacrime agli occhi che stavano per tornare da dove erano venute, senza alcuna voglia di sfogare la rabbia o la tristezza, dato che in quel momento non c'era traccia né di una né dell'altra in lei. Solo tanto sollievo.
Kimberly alzò le due mani e le portò intorno al viso di lui, incorniciandolo.
-Ricordi quando, un minuto fa, hai detto che non immagino neanche cosa faresti per me?- gli ricordò maliziosa.
Lui non trattenne il sorriso. -Cosa mi stai chiedendo?- domandò a fior di labbra.
-Baciami, Jared.- sentiva che se glielo avesse negato, sarebbe morta. Gira che ti gira la richiesta era sempre quella e si vergognò un poco per questo. Ma quando era successo la scossa di adrenalina che le era arrivata era stata talmente forte e intensa che non vedeva l’ora di riprovare.
Lui era la sua dipendenza personale, la sua scorta di felicità istantanea.
L'insegnante sospirò dubbioso, guardandola intensamente, sforzandosi il più possibile di immaginarsi di essere in un qualsiasi altro posto che non fosse la scuola, in quel momento.
Ma non gli fu difficile, quando si concentrò sulle sue labbra, perfette e ben disegnate, capire che fossero ciò che più desiderava in quel momento.
E proprio mentre stava per compiere il gesto, ecco che Kim lo spinse frettolosamente lontano da lei, per poi sedersi su un banco alle proprie spalle.
Leto per un istante rimase immobilizzato, non capendo cosa stesse succedendo, finchè non intravide la porta aprirsi. In uno scatto assunse una posa formale nei confronti della ragazza.
-Oh scusate. Vi ho interrotti?- chiese pacata l'insegnante di matematica.
-Nono, nessun problema.- rispose lui sorridendo, mentre dentro di sé la odiava la stava disprezzando profondamente.
-Ne avete ancora per molto? Jared mi stai rubando l'alunna da ormai mezz'ora. Ha preso un brutto voto o c'è qualche problema grave in corso?- indagò senza un sospetto preciso.
Ovviamente non aveva visto nulla, tutto grazie ai riflessi prontissimi di Kim.
-Perdonami Sarah, ma c'è il diritto di privacy. Era sicuramente una questione importante, se no non l'avrei mai derubata di un'importantissima lezione algebrica.- disse lui, senza un tono preciso.
-Ma, in ogni caso, abbiamo finito. Puoi andare Kimberly, grazie del tuo tempo.- le sorrise e fece cenno di seguire l'insegnante di matematica.
Kim eseguì senza dire una parola, ma proprio mentre usciva e stava per chiudersi la porta alle spalle, la voce di Jared la richiamò. -E ricordati di domani pomeriggio. Resti, vero?-
-Certamente.- gli sorrise timidamente lei, per poi sparire.

 So when it comes to us
I’ve weighted up all the odds
I bet that this is love.

 Note finali: AVANTI, AMATEMI DOPO QUESTO CAPITOLO ;)

Non so se l'ho scritto bene, se quando lo finite avrete quella sensazione di soddisfazione in corpo come quano leggete un capitolo o una pagina e chiudendola pensate "oh, ha detto tutto quello che doveva, come l'avrei detto io e nel migliore dei modi". Non credo questo sia il migliore dei modi (non sono una falsa modesta o in cerca di complimenti/smentite: ci sono dei capitoli che quando li finisco mi sento totalmente soddisfatta e penso di non aver sbagliato nulla, ma ahimè, l'ispirazione è una signora poco costante!) e ci sono alcune falle nei ragionamenti dei personaggi su cui potremmo discuterne per ore. Questo è il risultato originale e non mi sono sentita di cambiarlo quindi pace&bene, spero che per voi sia stato piacevole.
Non voglio fare sempre la guastafeste, festeggiamo!! All'alba del 25simo capitolo il professore si è sciulato e ha detto un bel WHY NOT a questa tresca! Non siamo felici?? Chissà chissà.
La canzone si chiama Time dei Ben's Brothers, e sebbene non mi piaccia tanto nel complesso, quando l'altro giorno una mia amica mi ha chiesto di tradurgliela, ho letto il testo e l'ho trovato perfetto.

Quindi, se alla fine tutti diventiamo polvere
E' meglio avere amato e perso
perchè tutto ha un costo.

Così, quando si tratta di noi
Ho ponderato tutte le possibilità
E scommetto che questo è amore.

Inguaribile romantica? patetica incallita? Chissene, fatemi sapere cosa ne pensate di tutto sto ambaradam perchè io ESIGO, PRETENDO mille mila recensioni ;)
xoxoxoxoxox

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Capitolo 26
*** Capitolo 26. ***


Capitolo 26.

 
My hands are searching for you
My arms are outstretched towards you
I feel you on my fingertips
My tongue dances behind my lips for you 

This fire rising through my being
Burning I’m not used to seeing you.
 

Kimberly era semi distesa su un banco, mentre fissava assente le labbra del suo interlocutore.

Non capiva neanche una parola di quello che le stava dicendo, impegnata a pensare a tutt'altro.
-Kim? Mi stai seguendo?- la mano di Jared le passò davanti agli occhi, in modo di svegliarla, dato che non chiudeva neanche le palpebre.
-Mh, sìsì. Certo.- rispose lei annuendo animatamente.
Sinceramente non capiva perchè mai fosse determinato a farle imparare la lezione, ora che erano finalmente da soli e potevano anche concentrarsi su loro stessi.
-No, non è vero!- la riprese lui. -Sei stanca?- le chiese, spostandole una ciocca dietro l'orecchio.
Non la guardava come un insegnante guarda il suo alunno. Era uno sguardo più intenso, affettuoso.
-No, no.. è solo che con questi lavori in corso non riesco a sentirti bene!- si giustificò Kim indicando fuori dalla finestra, dove erano state costruite dalla mattina stessa delle impalacature su cui dei muratori in canottiera passeggiavano tranquillamente.
Come in quel momento, ad esempio. Kim irrigidì il volto in una smorfia disgustata nel vedere un flaccido 50enne camminare proprio davanti ai suoi occhi.
Jared si voltò di scatto per capire cosa le prendesse e quando riportò l'attenzione su di lei, era piuttosto divertito.
-Ok, qua pretendere la tua concentrazione è troppo. Andiamo a casa mia.- le disse, cominciando a farle la cartella.
-Oh..ok.- concordò la ragazza, aiutandolo a sistemare.
Fecero per uscire dalla classe, quando Kim andò a sbattere contro la signorina Rodriguez.
-Kimberly, che ci fai qua?- le domandò confusa Lola, per poi alzare lo sguardo e incontrare il viso di Jared. Non capì ufficialmente più nulla, quasi si dimenticò dell’alunna, Kim glielo leggeva negli occhi.
-Salve ms Rodriguez.- la salutò in un ringhio trattenuto. -Ero qui col prof. Leto per i corsi che..- ma non finì neanche la frase che lei la scansò per una spalla e si avvicinò a Jared.
Kimberly la fissava con occhi di fuoco. “Brutta stronza” pensò tra sé e sé.
-Jared...- sospirò sorridente Lola.
-Lola..- la imitò lui, sapendo di essere sotto lo sguardo vigile di Kim. -Kimberly, puoi aspettarmi all'uscita?- chiese lui facendole segno di lasciarli soli.
Con uno sbuffo la ragazza obbedì senza fare storie.
-Aspettavo una tua chiamata ieri.- disse l'insegnante di spagnolo, scostando lo sguardo.
-Ah certo..- Jared non sapeva da che parte girarsi, ma alla fine decise che essere sincero era il minore dei mali.. o almeno una mezza verità non l'avrebbe ferita troppo.
-Senti Lola, tu sei una bellissima donna..- cominciò, lei sorrise storcendosi le mani per il nervosismo. -Ma.. in questo momento non c'è spazio per una relazione nella mia vita. Mi sembrerebbe stupido uscire ed illuderti.- le confessò, guardandola accigliato.
-Oh..- non aggiunse altro, sinceramente al momento non aveva parole.
-Scusami tanto..- sussurrò, per poi schivarla e raggiungere Kimberly, la quale nel frattempo era diventata sempre più curiosa.
Lui le portò una mano intorno alle spalle e uscirono in silenzio dall'edificio.
Kim lo guarda di sfuggita, mentre lui era perso con lo sguardo sul marciapiede, nel raggiungere il garage sotterraneo della scuola. Era silenzioso, troppo.
Magari c'era qualcosa che non sapeva come dirle. Avevano preso appuntamento? Aveva ripensato a tutto? Dentro di sé giurò che se le avesse fatto l'ennesimo torto l'avrebbe buttato giù dal finestrone del suo appartamento. Eppure continuava a stringerle quel braccio intorno alle spalle.
-Perchè mi guardi così?- le chiese quando la beccò a fissarlo.
-Oh no niente..- rispose evasiva, infilandosi in macchina.
Quando uscirono dal parcheggio Jared le mise una mano dietro il collo e la spinse giù.
-Che stai facendo?!- gli domandò sconvolta.
-Evito che ci vedano. Secondo gli stupidi regolamenti della scuola non posso neanche accompagnarti a casa. Se ci beccassero passerei il resto della mia vita per strada.- disse lui sorridendo. Dato che si sentiva scomoda si accovacciò nel buco dove di solito dovrebbero starci i piedi e si mise con la schiena contro la portiera
a fissarlo.
-No non succederebbe. Hai un gran talento Jared.- gli disse appoggiando una guancia al sedile.
Intento a far manovra, gli uscì una smorfia. -Non sei la prima a dirlo. Eppure non sto facendo il lavoro che ho sempre sognato.- disse amareggiato.
-Non ti piace il tuo lavoro?-
-Non esattamente. Mi ci vedi?- chiese poi, lanciandole un'occhiata.
Effettivamente no. Bastò l'espressione per farglielo intendere.
-Ecco, infatti.- mormorò guardando dritto.
-Cosa è successo? Insomma, perchè invece ti sei ritrovato qui?-
-Puoi uscire da lì sotto ora.- deviò la domanda con non-chalance.
Lei eseguì e si mise a fissarlo, come a mettergli pressione.
-Okok. Sinceramente? Ero stanco di viaggiare a vuoto. Così ho accettato il primo posto di lavoro che mi hanno proposto e mi sono stabilito.- spiegò stringendosi
nelle spalle.
-Se ti avessero offerto di fare il camionista avresti fatto quello?- gli domandò Kim appoggiando il braccio al finestrino.
-Avrei avuto scelta?- era ovvio che la risposta fosse sott'intesa.
Passarono alcuni minuti di silenzio, mentre Kimberly pensava a quanto Jared le aveva rivelato.
-Se ti offrissero il posto di lavoro che hai sempre sognato, te ne andresti?-
Lui inchiodò parcheggiando l'auto fuori casa e riportò gli occhi nei suoi. -Senza dubbio.- e poi scese. Kim rimase dentro due secondi di più, non sapendo bene come interpretare la risposta secca di Jared. L'avrebbe mollata qui come un sacco della pastorina?
Per il suo sogno, probabilmente.
Quando scese, lui era davanti a lei ad aspettarla con un sorriso. -Devo dire però, che questa è stata una grande possibilità. Non avrei mai sospettato di avere doti da insegnante, se non ci avessi provato.-
-Se te ne andassi immagina quanta gente ne soffrirebbe.- lei in primis, ma evitò questo punto.
Arricciò le labbra. -Forse sì. Ma tanto non vado da nessuna parte, ormai.- nel tono aveva un che di deluso. A Kim dispiaceva vederlo così. -Non devi essere giù.. mia nonna diceva sempre “il sole splenderà anche nel tuo cortile”- gli sorrise stringendogli un braccio.
Lui rise flebilmente, estraendo le chiavi dalla tasca ed aprendo il portone principale, in cui, per qualche istante, Kim intravide il loro riflesso. Lui era impeccabile. E lei stentò a credere di riconoscersi nella figura accanto a quell'uomo dalla bellezza statuaria.
-Chissà, magari..- entrarono in ascensore, Kim sorrise nel ricordare quando ci erano stati la prima volta. -Per ora sono riconoscente per questo lavoro.-
-Ma non è quello che ti rende felice!- esclamò lei contrariata.
Jared fece per uscire, ma si soffermò un secondo più a lungo a guardarla negli occhi. Gli faceva piacere che a lei venisse spontaneo pensare alla felicità di lui, prima di tutto.
-Probabilmente ma.. mi ha portato a te.-
Kimberly arrossì e sgusciò fuori dall'ascensore, posizionandosi davanti all'entrata dell'appartamento di lui, sentiva già il cane graffiare sulla porta e cainare dalla
gioia.
Infatti, non appena il padrone di casa aprì, il lupo balzò addosso ad entrambi, a turno, scodinzolante.
-Judas, a cuccia.- ordinò Jared accarezzandolo sulla testa. La bestia obbedì, abbassando le orecchie.
L'appartamento era esattamente come se lo ricordava, sempre ordinato e pulito, con quel tocco eccentrico nell'arredamento che lo distingueva.
Un paio di mani le si posizionarono sui fianchi, sciogliendola in un sorriso.
-Togliamoci questa cartella pesante..- sussurrò lui, risalendo con le mani e togliendole quel peso dalle spalle, per poi andare a sedersi sul divano, che ormai era un po' anche di Kim.
Sorridendo, gli si avvicinò e si sedette accanto a lui, accavallando le gambe.
-Jared, devo chiederti una cosa.- annunciò chiudendo gli occhi. Voleva levarsi quel fardello della signorina Rodriguez, voleva essere sicura di non essere
impigliata in un triangolo amoroso, non l'avrebbe sopportato.
-Dimmi.- fece lui curioso. Le portò una mano attorno alle spalle.
Kim cercò di placare il batticuore e pensò bene alle parole da dire. -Cosa vi siete detti tu e quella di spagnolo, prima?-
Lui sorrise. -Oh, si tratta di questo..- ridacchiò. -Semplicemente mi ha detto che si aspettava una chiamata per l'appuntamento, ma ho detto che non ero intenzionato ad uscire con lei.- spiegò velocemente.
La ragazza corrugò la fronte. -E che scusa hai usato?-
-Ho detto la verità. Che nella mia vita non c'è spazio per una relazione..-
Kim si sentì colpita nel profondo e si scansò leggermente da lui. Allora da lei cosa voleva?
-Ehy, ehy, fammi finire!- esclamò lui sorridente, riportandosela stretta. -Per relazione, intendevo relazione normale.-
-Dovrebbe farmi sentire meglio questo?- domandò confusa cercando i suoi occhi. Non riusciva assolutamente a vederci un complimento nella frase.
-Certamente. La normalità mi annoia, è molto meglio quello che siamo io e te.. quando troverò la definizione appropriata, ti farò sapere.- concluse, afferrandole una mano e intrecciandola nella sua.
Kimberly lo guardava senza parole. Era un mago nel trasformare le frasi, con quel tono poi, faceva apparire il tutto ancora più bello.
-Io ce l'avrei.- azzardò lei. -Oserei con un “bizzarri”.- lui sorrise, mentre le sollevava il volto, portando gli occhi nei suoi.
-Giustissimo..- sussurrò a fior di labbra, quando poi.. Accadde.
Quanto tempo era che Kim sognava quel momento ad occhi aperti? Troppo.
E, finalmente, il bacio tanto aspettato, arrivò.
Un bacio vero. .
Decise di non pensarci e assecondò i movimenti delle sue labbra, godendosi ogni minimo istante. Inconsciamente non si rese conto di quanto stava stringendo la camicia dell'insegnante, e spontaneamente portò le gambe sulle sue, facendo leva e portandolo giù con lei, distendendoselo addosso.
Lui si muoveva rapidamente, sapeva esattamente cosa fare e come farlo. L'esperienza era evidente.
Senza staccare il viso dal suo, si sollevò abbastanza da far passare la gamba destra della ragazza dall'altra parte, in modo da torvarsi nel mezzo.
Si separarono e nei loro occhi si leggeva solo un evidentisimo desiderio fisico l'uno dell'altra.
Tornando su di lei, Jared portò una mano sull'allacciatura dei jeans di lei, per poi ristaccarsi e senza aspettare il permesso glieli strappò di dosso, velocemente ma non con violenza.
Kimberly non si sentiva per niente forzata a fare nulla, era tutto fortemente voluto, da entrambe le parti.
Ma il cuore le batteva come non mai. Poteva sentirlo pulsare perfino nelle vene dei polsi che Jared le stava stringendo, mentre la fissava intensamente negli occhi.
Sotto quello sguardo, non poteva fare altro che cedere. Lasciò che le sue mani vagassero, lasciò che le sfilasse anche l'intimo, e tenne lo sguardo fisso nei suoi occhi, mentre intravedeva le mani che stavano slacciandosi cintura e cerniera. Jared sostenne quegli occhi onice per tutto il tempo, senza pensare minimamente a quello che stava facendo.
Se il buon senso si fosse intrufolato nella sua mente proprio il quel momento poteva star certo che sarebbe rinsavito all'istante e la cosa sarebbe finita lì.
Invece, senza neanche spogliarsi dei pantaloni, si abbassò su di lei, ricongiungendo le labbra con quelle morbide di Kimberly. Era quasi sicuro che fossero tra le più buone che avesse mai assaggiato, erano dolci e sapevano di proibito e di peccato. Niente di meglio.
Quando Kim sentì una lieve fitta di dolore in basso, capì cosa stava realmente accadendo, ma non per quello si sfilò urlando, anzi.
Entrambi si lasciarono sfuggire un lieve gemito, mentre, lentamente, Jared stava prendendo il ritmo.
Lei si strinse a lui, cercando di seguirlo nonostante lo spazio molto ridotto del divano. Ma le piaceva, il suo profumo, il suo respiro affannato, come la teneva stretta, dandole qualche bacio di tanto in tanto e reggendosi sui gomiti per non pesarle troppo addosso.. si sentiva bene.
Erano fronte contro fronte, entrambi con gli occhi serrati.
Dal canto suo, lui tentava di non pensare assolutamente, tenendo gli occhi chiusi e assaporando il piacere minuto dopo minuto, spinta dopo spinta.
Velocizzò il movimento, fino ad arrivare al culmine. Quando sentì lei affondare le unghie nel giubbotto di pelle che ancora indossava, non gli ci volle molto a capire che non era un riflesso al dolore.
-Jared!- si lasciò sfuggire ansimante, mentre lui, con un rantolo, si rilassò affondando il volto tra i suoi capelli, col fiato corto.
Restarono entrambi immobili in quella posizione, incastrati, nel tentativo di regolarizzare i battiti dei cuori sovraccaricati.
Kim sollevò una gamba nuda e la portò stretta attorno al bacino di lui, passandogli anche entrambe le mani dietro la testa, per tenerselo più vicino.
Jared finalmente aprì gli occhi. Niente, non c'era traccia dei sensi di colpa che temeva lo avrebbero assalito. Le diede un bacio a fior di labbra e nel sollevarsi fece leva con le braccia, sfilandosi da lei, che si alzò in contemporanea a lui. Quando si riallacciò i jeans, raccolse anche gli indumenti di Kimberly da terra, la quale lì afferrò e se li portò in grembo senza distogliere lo sguardo dal volto del professore.
-Io..- cominciò lui, con un tono davvero a disagio. Non sapeva neanche come concludere. Indicò il corridoio e vi sparì per qualche minuto, mentre Kim, una volta ripresa la sensibilità delle gambe, si infilò quello che le era stato tolto. Non si erano nemmeno levati le scarpe, pensò come se fosse quello il punto focale della faccenda. L'atmosfera tesa era palpabile, poteva essere tagliata con un coltello.
Decise che era il caso di andarsene, sicuramente l'imbarazzo avrebbe rovinato quel momento che per lei era stato uno dei più belli della sua intera vita.
Raccolse le sue cose e uscì dal'appartamento, il più silenziosamente possibile. 


I can feel you all around me
Thickening the air I’m breathing
Holding onto what I’m feeling

Savoring this heart that’s healing

Note finali:  OMMIODDIO innanzitutto scusate il tremendo ritardo ma è il primo momento libero della giornata.

Seconda cosa, chiedo umilmente scusa per il capitolo quivi postato. Davvero, io faccio schifo in queste cose e mi vergogno estremamente per tutto questo, ma ormai non potevo risparmiarvelo. Ho cercato di modificarlo, purtroppo non sono stata in grado e questo è quasi del tutto originale. Chiedo veeeeniiiiaaaaa!! Brrr, mi vengono i brividi, l'ho riletto con un solo occhio, tanto mi sento disgustata ahahah.
Un pò antitetica questa coppia, nevvero? Passiamo dal "quasi ci salutiamo" al "togliti i vestiti, stallone" nel giro di pochissimo! Tendenzialmente non sono così sbrigativa, ma c'è sempre una prima volta no?
Mi rendo conto di sembrare una santarellina, non è così, ma non apprezzo neanche le romanzate stile "50 sfumature". Se descritte bene certe scene sencondo me possono mostrare dolcezza e il sentimento che c'è dietro, quelle troppo forzate non mi fanno impazzire e non sarò mai in grado di scriverle. Ho un Super-io molto intransigente, non so cosa dirvi!
Non siete obbligate a recensire, anche perchè non c'è nulla da recensire, spero che apprezzerete lo sforzo immenso per lo meno ahah.
Parlando di cose belle, la bellissima canzone (che ci sta totalmente, c'ho pensato sul treno oggi) si chiama All around me dei Flyleaf, che se non conoscete, vi consiglio vivemente. Il fatto che siano una band rock-cristiana da' da riflettere in questo capitolo XD ok, la smetto.

Le mie mani ti stanno cercando
le mi braccia sono tese verso di te
Ti sento sulle mie dita
La mia lingua danza dietro le labbra per te.

Questo fuoco cresce attraverso il mio essere,
bruciando
Non ero abituata a vederti.

Posso sentirti tutto intorno a me
Inspessendo l'aria che respiro
Trattenendo quello che sento
godendo di questo cuore che sta guarendo.

Grazie per l'attention,
lovelovelove

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Capitolo 27
*** Capitolo 27. ***


Capitolo 27.

 A friend in need

 Una volta in strada, non le fu difficile trovare la via per tornare a casa. La conosceva ormai la strada.
Mentre Jared, quando uscito dal bagno, non la trovò, si spaventò incredibilmente.
Temeva di aver sbagliato qualcosa, magari era stato troppo affrettato, magari era stato troppo violento.
Era una ragazza, per l'amor di Dio! Ma ci rifletté un secondo di più.
Magari le avrebbe dato il tempo di digerire la cosa, come avrebbe dovuto fare lui, chiamandola più tardi. Le aveva rubato il numero di telefono l'ultima volta che l'aveva tenuto in mano quando lei stava male, digitanto il proprio e poi facendolo squillare.
Si sedette sul divano, ancora caldo di loro, esausto e terribilmente confuso.
Era forse stato un errore?
Stette lì fermo e immobile per almeno un'ora prima di decidersi ad impegnare la testa in qualcos'altro. Corresse le verifiche nel suo studio, ma volente o nolente la mente volava ogni momento altrove.
Dopo l'ennesimo errore di correzione, decise che era il caso di piantarla di prendersi in giro.
Afferrò il giubbotto e uscì in strada, armato di portafoglio e sigarette. No, le sigarette le lasciò giù all'ultimo, deciso a smettere.
Scese in strada, e si diresse esattamente dove voleva andare.
Quando giunse davanti ad un edificio con la scritta in grande “PUB”, non poté che sospirare di sollievo, che non riuscì a godersi abbastanza, notando la scritta in rosso sul cartellino appeso con una ventosa dall'interno: CHIUSO.
Si mise a bussare, inizialmente con le nocche di una mano e pian piano con entrambi i pugni chiusi.
Il proprietario, sentendo quel bussare insistente si affacciò dal retro del bancone e si avvicinò alla porta.
-Siamo chiusi, che sei ubriaco?- disse a gran voce l'uomo che Jared non ebbe difficoltà a riconoscere.
-Tomo, sono io Jared! Fammi entrare, dai!- implorò dall'altro capo della porta l'amico.
Infatti non passarono molti secondi prima che Jared sentì le chiavi girare nella serratura e trovarsi una faccia amica ornata da una barba incolta, sorridergli ospitale.
-Jared! Come butta vecchio?- lo salutò battendogli il cinque seguito da un pugno contro pugno, saluto abituale da ormai... tutta la vita forse.
Senza neanche aspettare risposta gli diede le spalle e camminò verso il bancone dove si trovava a pulire i bicchieri poco prima.
Il professore prese uno sgabello e vi si sedette sopra con uno sbuffo pensoso, mentre osservava il proprietario del locale che passava una manata di straccio impregnato
di qualche detersivo sul legno del bancone.

Tomo era un davvero un personaggio. Si erano conosciuti quasi 30 anni prima, quando lui da ragazzino si era trasferito nella città di Jared e Shannon, allora due fratellini inseparabili.
Tomo era ignorato da tutti a causa del suo strano accento, dato che proveniva dall'Europa dell'est, tranne che dai due fratelli con la quale ebbe fin da subito un buon rapporto. Jared fu colpito innanzitutto dal suo talento di violinista. Era un sogno sentirlo suonare, in quei lineamenti spigolosi e quelle mani affusolate, Jared ci vide
immediatamente la strada per il successo.

Lo convinse a darsi alla chitarra, senza ovviamente lasciargli abbandonare il violino, sua passione più sfrenata. Ed infine, fondarono un gruppo.
Una di quelle band adolescenziali, che suonavano nel garage e che erano perennemente segnalati alla polizia comunale per “rumori molesti”.
Purtroppo dopo soli cinque anni, la famiglia Milicevic dovette trasferirsi di nuovo, con gran dispiacere dei due fratelli Leto, che però non si arresero e continuarono ad inseguire il loro sogno, facendo fare audizioni su audizioni ai ragazzi che avrebbero desiderato unirsi a loro. Niente da fare, come Tomo non c'era nessuno.
Jared era convinto che la loro disgrazia iniziò tutta dalla partenza di Tomo. Era stupido inseguire un sogno che era destinato a loro tre insieme, in due e, quando anche Shannon gettò la spugna, da solo.
Il mondo li voleva insieme, di questo era certo.
Fu solamente un caso che, trasferitosi in quella cittadina dimenticata dagli abitanti stessi per accettare la cattedra di professore, si incontrarono dopo così tanti anni.
Ora avevano ripreso i contatti e si erano ripromessi di mantenerli definitivamente.
Tomo aveva sviluppato una nuova passione per la cucina e da lì, lui e la sorella Ivana avevano deciso di aprire un locale. Non era il massimo del lusso, ma i clienti si
trovavano bene, i prezzi erano ragionevoli e per arrivare alla fine del mese, andava benissimo.

Ogni tanto assoldavano addirittura Jared come intrattenimento i sabato sera.
-Come sta quella carogna di tuo fratello?- gli domandò improvvisamente, porgendogli un bicchierino di un liquido alcolico. -E quand'è che si degnerà di riportare il suo culo americano in patria?-
-Bene, l'ho sentito qualche giorno fa. Dipende tutto da Jenah, lo sai.- rispose Jared corrugando la fronte e guardando con sospetto il contenuto dall'aspetto incerto. -Cos'è?- chiese a sua volta.
-Provalo, rigenera.. tutto d'un fiato.- disse sorridente l'amico, facendogli l'occhiolino.
-Sai che non bevo.- gli rammentò Jared, allontanando il bicchierino con una mano.
Tomo glielo riavvicinò. -Ogni tanto fa bene.- lo guardò intensamente negli occhi. -E tu hai la faccia di uno che ne ha fortemente bisogno.-
Leto abbassò lo sguardo accennando appena un sorriso, poi afferrò il bicchierino e lo svuotò in un sorso. Tenne gli occhi chiusi per non vedere la parete alla spalle dell'amico girare su se stessa e, una volta finito il bruciore amaro, li riaprì.
Era vero, ne aveva assolutamente bisogno.
-Ora di' cosa ti turba al cugino Tomo.- gli sorrise incoraggiante.
-Un altro.- ordinò, sbattendo leggermente il bicchierino sul tavolo. Tomo eseguì e aspettò che Jared terminasse anche quello.
-Ho fatto sesso.- annunciò, posando di nuovo il recipiente vuoto.
L'altro trattenne una risata, per poi guardarlo con un'espressione alquanto perplessa. -Jared, te ne ho dati solo due, sei lontano dall'essere anche solo brillo!- esclamò ridendo.
-Infatti non sono mai stato più lucido.- continuò lui, del tutto serio.
Tomo lo guardò attentamente, continuando a non capire cosa nascondesse quella facciata pensierosa. Ripensò alla frase appena detta, senza vederci niente di strano.
Erano amici, e non era assolutamente la prima volta che parlavano di quell'argomento.

Jared l'aveva perfino costretto ad ascoltarlo mentre si gasava del fatto che fosse stato con sua sorella! E la cosa l'aveva disgustato non poco. Insomma.. era sua sorella!
Ma quel Jared era completamente diverso da quello che era solito conoscere. Sembrava terribilmente tormentato da qualcosa.
-Scusa ma continuo a non vederci il problema..- commentò asciugandosi le mani in uno straccio.
-Oh, invece il problema c'è, ed è anche enorme.- disse lui, rigirandosi il bicchierino tra le mani.
-Ha fatto così schifo?- chiese interessato a capirci di più Tomo.
-No, purtroppo no. Anzi..- continuò senza svelare altro. Tomo stava impazzendo.
-Leto, mi dici sì o no perchè hai questa faccia esaurita, nonostante io continui a non vederci assolutamente niente di catastrofico?- esclamò infine esasperato il proprietario del locale.
-Semplice..- rispose con un sorrisino Jared. Un sorriso che non prometteva nulla di buono. -Ha 17 anni.- confessò infine, spiazzando completamente l'amico, il quale lo fissava sconcertato per capire se fosse serio o si stesse prendendo solamente gioco di lui.
Andiamo, Jared Leto era famoso per combinare certe cose.. ma questa gli era nuova.
-Non è vero.- disse apatico Tomo.
-oh sì che è vero.- fece più convincente, continuando a rigirarsi il bicchierino trasparente tra le dita.
Il talentuoso violinista sospirò nervosamente, non sapendo bene come reagire. Se l'ha fatto ci sarà stato un motivo, almeno.
-Senti Jared.. io non so proprio cosa dirti. Cioè dai.. può capitare.- tentò di vederci del buono, tentennando appena.
-Sì ma non sai tutto... è una mia alunna.- disse portandosi il bicchiere vuoto alle labbra, sebbene fosse consapevole che non poteva svuotarlo ulteriormente. Era solo un diversivo per non guardare l'espressione attonita di Tomo, sempre più convinto che avrebbe dovuto lasciarlo fuori sta volta.
-Pure!- esclamò esterrefatto portandosi le mani nei capelli. -Jared ma ti rendi conto della scemenza che hai fatto?! Neanche maggiorenne! Potrebbero arrestarti, scemo!- non gli piaceva sgridarlo, anche perchè l’altro in teoria era qualche anno più grande. Ma certe volte davvero, sembrava che il cervello lo lasciasse sul comodino
accanto al letto, troppo pigro per farlo lavorare.

-Pensi che non lo sappia? Ma Tomo.. tu non la conosci.- un piccolo sorriso fece intendere a Tomo che era più grave del previsto.
-Fammi indovinare: bionda e occhi azzurri, tanto per cambiare!- azzardò irritato, dandogli le spalle per sistemare un paio di bottiglie.
-Ti sbagli, l'esatto opposto.- continuò con quel sorriso, appoggiando la guancia ad un palmo aperto, come un ragazzino innamorato. Tomo si rifiutò di voltarsi per
guardarlo, però poteva intendere dal tono dolce che non era una ragazza qualsiasi.

Conosceva il suo amico, e c'erano state davvero pochissime ragazze in tutta la sua vita ad essere davvero riuscite a colpirlo. Se questa era addirittura vietata, doveva essere proprio interessante.
-Uh, e da quando capelli e occhi scuri ti piacciono? Non entravano nei canoni della “banalità”?- disse prendendolo in giro. Anni prima Jared gliel'aveva detto per beffarsi di lui, dato che Tomo possedeva quelle caratteristiche.
-E' proprio questo il punto! Può sembrarlo a descrizione, ma Tomo, credimi se ti dico che potrei anche star qui tutta la notte a raccontarti di lei, senza dirti essenzialmente nulla.- spiegò sgranando gli occhi, con uno sguardo che dava del tutto l'idea che fosse letteralmente svitato.
A quel punto Milicevic comprese: l'aveva perso. L'ultima volta che aveva detto una frase altrettanto insensata riguardo una ragazza ci era stato insieme per 4 anni.
E, dopotutto, gli mancava quel Jared spensierato e innamorato. Se quella ragazza era la chiave per riportarglielo indietro, ben venisse.
-Quando diventerà meno illegale?- Jared intuì che era una tipica domanda alla Tomo: un modo completamente assurdo per chiedere un'informazione. Una domanda che partiva dal fine.
-Tra meno di un mese.- rispose di getto, dopo essersi ricordato la data del giorno.
-Secondo me non c'è niente di male.- disse infine, sperando di non averlo davvero detto.
Intravide Jared tirarsi su di scatto, fissandolo pesantemente. -Davvero?- era incredulo.
Tomo sospirò. -Beh, allora amico.. questa ragazza sembra che ti dia proprio alla testa, e non mi sembra giusto togliertela.- sorrise amichevole. -Fai quello che credi, io ti supporto sempre, lo sai.-
Il professore, spinto da uno slancio puramente grato, si levò sullo sgabello per aderire al bancone col ventre e trovarsi con le braccia attorno al collo di Tomo. -Sapevo che potevo contare su di te.-
Ma tanto Tomo sapeva perfettamente che anche senza la sua benedizione avrebbe fatto esattamente quello che voleva.
-Anche perchè ora chi te la toglie più dalla testa?- scherzò, spingendolo via.
Un sorriso timido si disegnò appena sul volto di Leto, Tomo ebbe un flash improvviso. Quant'era che non lo vedeva sorridere così?
Le ultime ragazze che aveva avuto non erano durate più di due settimane e quel sorriso non avevano mai neanche avuto la fortuna di intravederlo.. figurarsi causarlo!
-Vero. Cosa dovrei fare per te?- chiese consiglio, guardandolo negli occhi di sbieco.
Senza suo fratello maggiore Jared si sentiva perso. Ovvio, era sempre in grado di stare in piedi, ma aveva bisogno di una figura costante che ogni tanto gli tenesse la mano per scavalcare i fossati.
Quella mano era solita essere quella di Shan, ma il caso aveva voluto che si trasferisse a mille miglia da lì. E ritrovare Tomo, per Jared era stato un po' come trovare un sostituto. Ecco perché ci teneva tanto all’opinione di Milicevic al riguardo; di certo non aveva bisogno del suo permesso, saperlo favorevole però, gli avrebbe reso il tutto più facile.
Anche per quello alla fine si era deciso a rimanere in quella città. Trovare lì il suo migliore amico perduto voleva pur dir qualcosa...
-Bah, che domande! Va' da lei!- sorrise convincente, alche il professore si alzò, per poi correre fuori dal locale, sbattendo la porta. Tornò indietro dopo dieci secondi, entrando giusto con la testa solo per dirgli -Ah, grazie Tomo! Sei un amico.- e poi se ne andò, definitivamente sta volta. 

.. is a friend indeed.
 

Note finali: noto che non avevo torto, a parte un paio di consensi, il capitolo precedente non è stato chissà che!
Pace&bene, spero di essermi rifatta con questo che, meiner Meinung nach, è uscito bene; sì, penso che non avrei altro da aggiungere. Non so poi questo Tomo così pacifico e allegro... wa lo adoro ahah.
Ammettetelo che non ve lo aspettavate! Ho mille altri assi nella manica, don't panic ;)
La canzone è Morning pure dei Placebo e mi è sempre piaciuta sta frase, gettonatissima tra l'altro

Un amico nel bisogno
è davvero un amico


E niente, è tutto per oggi, noto che piace a molti questo mio aggiornamento giornaliero e piace anche a me,
ma sapete, tutto ha un prezzo e in cambio gradirei  una MAREA di recensioni ;) neanche una recensione, vorrei solo che appena finito di leggere mi lasciate qualcosa, anche un "ciao sono cazzoneso e ti leggo sempre", sapete solo per vedere quante siete effettivamente e non mi monto la testa nel vedere così tante visite in così poco tempo (aumentano sempre di più)!!
Lo gradirei molto, mi darebbe la voglia di vivere per oggi, e non romperei più! Cosa volete di più?? ahah.
peace&love

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Capitolo 28
*** Capitolo 28. ***


Capitolo 28.

Oh, kiss me
beneath the milky twilight
Lead me out on the moonlit floor, lift your open hand
Strike up the band and make the fireflies dance
Silver moon's sparkling


Kimberly tornò a casa senza problemi, ma era del tutto assente. Pensava e ripensava all'accaduto, cercando di immaginare come stesse ora Jared e alle varie conseguenze possibili da quel momento in poi.
Era molto preoccupata.. lui era così perennemente indeciso.
A ripensare a come stava là tra le sue braccia, sentiva una stretta soffocante al cuore, una stretta che portava ad un sorriso immediato e ad una improvvisa voglia di urlare tutta la sua gioia.
Ma pensando a lui, ai suoi occhi quando si era sollevato da lei.. non aveva un buon presentimento.
E se fosse andata ancora una volta per il verso sbagliato, giurava su Dio, l'avrebbe rovinato.
Chi se ne frega del suo lavoro, se era solo quello che lo teneva lontano da lei, avrebbe anche mandato quello all'aria. Chi ha bisogno di musica del resto? A lui non piace neanche il suo lavoro, quindi non si sarebbe sentita neppure più di tanto in colpa. Forse proprio per niente.
Sorridente entrò in casa fischiettando. Non c'era nessuno, sentiva l'eco dei suoi fischi rimbombare sulle pareti mentre saliva le scale.
Era abbastanza tardi, ma doveva assolutamente fare un tema per il giorno dopo che sarebbero tornati dalla gita, in cui sarebbero andati il giorno seguente, e sapeva perfettamente come erano fatte le gite: sarebbe tornata stanca e stremata, e si sarebbe maledetta un miliardo di volte per non aver già fatto il testo. Odiava scrivere temi, le mancava sempre la fantasia. Il titolo di questo era: “Intervista impossibile.” praticamente doveva scrivere un'intervista immaginaria ad un personaggio storico.
Niente di più impossibile. Non avrebbe mai e poi mai trovato un'idea prima di un'ora a fissare il foglio protocollo completamente bianco. Specialmente in quel momento, in cui aveva tutt'altro per la testa.
E quel tutt'altro era un uomo con un paio di occhi blu da mandarla fuori di testa, così tanto da essere in grado di farla distendere sul letto e pensare ad una miriade di domande, argomenti e ipotesi, contemporaneamente.
La sua mente sembrava un collage di immagini in quel momento.
Fu risvegliata da una vibrazione che la fece sobbalzare rumorosamente. Era sicura fosse Gwen, per raccontarle di cosa ancora non ne aveva idea, ma la chiamava più o meno ogni giorno.
Rispose senza guardare lo schermo e portando lo sguardo sul foglio ancora vuoto.
-Pronto?- disse svogliata.
-Ehy ragazzina..- una stretta al cuore. Quella, stretta al cuore.
Sgranò gli occhi e si portò una mano tremante sulle labbra, per non lasciarsi scappare nessun gridolino euforico.
-Jared? Come hai il mio numero?- chiese esterrefatta, lanciando una rapida occhiata allo schermo del cellulare.
-Ho le mie fonti..- rispose evasivo, dal tono era chiaro che fosse di buon umore. -Volevo sapere come stavi, sai.. sei scomparsa.- la voce era calda e limpida.
Kim si sdraiò sulla schiena, poteva sentire il cuore rimbombarle nelle orecchie.
-Sto bene, grazie. Tu?-
-Anch'io. Molto bene.- sottolineò con un sorriso.
-Riguardo al fatto che me ne sono andata..- disse scharendosi la voce. -Ho pensato che sarebbe stato meglio lasciarti un po' da solo a chiarirti le idee.. ti conosco ormai, e immaginavo già una reazione del tutto opposta a quella che avrei voluto vedere.- spiegò sospirando.
Sentì una risatina provenire dal telefono. Jared adorava il fatto che con lui fosse sempre perfettamente sincera, senza paura della sua reazione. -Probabilmente hai fatto bene. Grazie, sei stata molto prudente.- Kimberly si sentì orgogliosa. La prima cosa giusta da quando si erano conosciuti.
-Jared?- fece poi lei, completamente insicura.
-Dimmi.- rispose, senza un tono preciso.
-Cosa dovrei aspettarmi adesso?- chiese, arrossendo appena. Ringraziò il cielo che fosse una conversazione telefonica, detestava arrossire.
-Cosa intendi?- domandò lui sospirando. Ad essere sincero aveva capito più o meno a cosa si riferiva.. ma preferiva farla sfogare.
Kim si tirò su a sedere, mordicchiandosi un'unghia. -Beh, riguardo a noi due. Cioè, non so come devo prendere quello che c'è stato.- spiegò, chiudendo gli occhi, sperando che lui non si arrabbiasse.
Lo sentì sorridere. -Prendila come vuoi, sappi solo che avrei una gran voglia di vederti.- disse con voce dolce.
Kimberly trattenne i suoi polmoni dall'esplodere. -Anch'io..- rispose timidamente.
-Ah beh, allora dovresti proprio uscire.- azzardò Jared, con un tono vago.
Un'espressione confusa si disegnò in faccia alla ragazza. -Uscire dove?-
-Di casa. A meno che tu abbia qualcosa di meglio da fare.- si accertò lui.
Kimberly guardò il foglio di carta ancora intatto, e con una smorfia saltò giù dal letto per poi percorrere le scale, volando. Pur di stare con lui, avrebbe addirittura rischiato la bocciatura, per quanto le importasse. -No no,niente di niente.- sorrise, uscendo dal cancellino in ferro, senza nemmeno essersi coperta
con il piumino.
Si guardò attorno, con il cellulare ancora incollato all'orecchio. -Dove sei?- chiese guardandosi intorno. Era molto buio, sebbene fossero state sì e no le 8.
-Eccomi.- fece lui, lampeggiando con i fari dell'auto. Kim non aspettò un istante solo per correre verso quella macchina.
La raggirò e aprì la porta per catapultarsi dentro. Casa.
Gli occhioni blu del professore l'accolsero severi. -Tu sei pazza.- ringhiò, levandosi la felpa rosso scuro che aveva indosso per poi posargliela sulle spalle.
-Scusa..- arrossì lievemente lei, scostando lo sguardo. -E' che nella fretta di vederti mi sono scordata anche di essere al mondo.- si giustificò, stringendosi nella felpa.
Sentì le sue grandi mani circondarle il volto, e senza che potesse rendersene conto, percepì il respiro di lui infrangersi sulle sue labbra.
La baciò, un bacio soffice, lento, indescrivibile. Il cuore le batteva così forte nel petto, era sconvolta dalla rapidità con cui Jared era riuscito a ricomporglielo, l'ultima volta che ci aveva pensato era ridotto in granelli microscopici. Ora come ora, cantava l'inno nazionale.
Con suo grande dispiacere, si separò da lei, per poi appoggiare la fronte contro la sua.
Non riuscì a trattenere un sorriso. Portò una mano incerta sul viso del professore, accarezzandolo, come per accertarsi che fosse reale, non una semplice immagine della sua mente deviata.
-Perchè sei qui?- gli domandò poi, sottovoce.
-Avevo solo un gran bisogno di vederti.- rispose tranquillamente Jared, col medesimo tono di voce.
I suoi palmi erano stretti intorno al viso della ragazza, la quale lo fissava intensamente. Le mani dell'uomo erano calde, in netto contrasto con le gote ghiacciate dal vento gelido di fine febbraio di Kim.
Si sporse ulteriormente, per raggiungere le labbra del suo professore, ci fu un altro bacio e un altro ancora.
-Ti va di cenare con me?- le domandò con gli occhi ancora chiusi e la fronte premuta contro la sua.
-Sicuramente.. ma purtroppo domani abbiamo la gita e io non ho preparato neppure virtualmente la valigia.- gli ricordò, staccando il volto dal suo.
Jared sgranò gli occhi e si battè una mano sulla fronte. -Oh merda, la gita!- esclamò sconvolto. -Ci credi se ti dico che l'avevo completamente scordata?-
Kimberly sorrise mordendosi il labbro inferiore. -Vedo che non sono l'unica.- lo prese in giro.
-Va beh, poco male, tanto soffro d'insonnia. La farò stanotte, mentre penserò a te.- ghignò, portando una mano dietro la testa della ragazza e baciandola.
-Beh, in questo caso.. ti va di aiutare me?- propose esitante.
Lui la guardò sbattendo ripetute volte le palpebre.
-I miei non ci sono e non mi va di rimanere tutta la serata sola come un cane..- spiegò.
-Certo, nessun problema.- affermò, aprendo la portiera ed uscendo dal veicolo.
Kimberly rimase un secondo attonita per la serietà con cui l'aveva presa. Le piaceva quel Jared, sembrava più spensierato.
Scese anche lei e lo raggiunse, il quale si accertò di aver chiuso la macchina, prima di allontanarsene. Portò un braccio attorno alle spalle di Kim e la tenne stretta, lasciandole di tanto in tanto un bacio in fronte.
Arrivati in casa, lei presentò l’abitazione al professore in un piccolo tour, mentre lui faceva il finto interessato, guardandosi intorno.
Quando la vide esitare davanti ad una porta, non gli fu difficile capire che si trattava di camera sua.
Per quanto si sforzasse, Kim non riusciva a ricordare in che stato l'avesse lasciata prima di volare da Jared. Sentì lui che la prese da dietro e la spinse dentro, quasi entusiasta di quello che stava per vedere.
In effetti non era esattamente l'emblema dell'ordine. Ma Jared la trovò ugualmente adorabile.
Sorrise a Kim, addentrandovisi e girando su se stesso, osservando ogni minimo dettaglio gli saltasse all'occhio.
Era spaziosa, molto spaziosa. Un letto ad una piazza e mezza regnava nel centro di quella stanza dalle pareti di un lillà molto chiaro. Il pavimento era coperto da una moquette a sua volta sovrastato da vestiti, cartacce e libri. Dal lato opposto c'era una porta finestra che dava su di un balconcino tondeggiante.
Si avvicinò al letto, su cui notò il tema ancora non svolto.
-Finito di fare la radiografia?- chiese leggermente imbarazzata l’alunna, appoggiata allo stipite della porta.
-Hai una bella stanza, ed è tutta tua. Sei fortunata, io la dividevo con mio fratello... quasi sempre.- commentò sedendosi tranquillamente.
-Quasi?- fece lei, avvicinandosi e accomodandosi accanto a lui.
-Sì, sai ci siamo trasferiti svariate volte.. spesso eravamo in camera insieme.- spiegò.
-Anche all'estero?-
-Sì anche all'estero. Hai presente il mappamondo magnetico nel mio studio? La maggiorparte di quelle frecciette risalgono alla mia infanzia/adolescenza.-
Kim sollevò le sopracciglia. -Alla mia età avevi già visto mezzo mondo praticamente.-
-Nah. Il mondo è così vasto.. ce ne servirebbero almeno due o tre di vite per godercelo decentemente.-
-Oh beh.. io sono già in ritardo.- sbuffò lei, stendendo anche la schiena. -Il posto più lontano in cui sono stata è stato a 30 miglia da qui.-
Jared sorrise. -Non preoccuparti, sei giovane, hai tutto il tempo per rifarti.- disse, raggiungendola.
Si distese accanto a lei, voltandosi su un fianco prendendole una mano.
-Tu verrai con me?- chiese avvicinandosi a lui.
-Se è quello che vorrai, sicuramente.-
-Beh, stai certo che io non vado da nessuna parte senza di te, ora che ti ho trovato.- mormorò Kimberly, con una genuinità che spiazzò il professore, il quale, preso da un impeto di affetto, riprese a baciarla come se non fosse venuto che per questo.

 
…So kiss me

Note finali: che tenerezza!! Che dite, il professore si è fatto perdonare, a modo suo?  immaginatevi al posto di Kim e poi ditemi se aveste reagito diversamente ;)
Solecuoreeamore in questo capitolo, valà ogni tanto ci sta! A voi piace viaggiare? Avete avuto la fortuna di andare anche oltre oceano? Mi interessa molto :)
Non ho sinceramente niente da dire o di cui lamentarmi credo, indi per cui passo alla canzone
è ovviamente la famosissima Kiss me dei Sixpence none the richer ♥ 

Oh, baciami
Sotto il latteo crepuscolo
Portami fuori, sul pavimento illuminato dalla luna
Solleva la tua mano aperta 
Attacca con la banda e fai danzare le lucciole
La luna argentea scintilla

...Quindi, baciami.

Credo di non avere altro da dire, le premesse sono sempre quelle, che piaccia e soprattutto che non piaccia, fatemi sapere il vostro parere.
bacibacibaci

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Capitolo 29
*** Capitolo 29. ***


Capitolo 29.


-Jared mi stai stropicciando il tema.- mormorò Kim all'improvviso.
Lui senza troppa fretta sollevò leggermente la schiena, quel poco per permettere al suo stesso braccio di passare sotto e afferrare il foglio spiegazzato. Lo osservò.
-Bel tema. Spiegami solo una cosa.- disse, sollevandosi su un gomito. -Se il titolo è “intervista impossibile” cosa c'entro io?- le domandò con un ghigno.
Kimberly lo guardò confusa, per poi sbiancare in volto quando realizzò. Mentre pensava completamente assorbita dalle nuvolette rosate, aveva riempito una pagina col nome di Jared Leto. E ogni tanto spuntava un cuoricino qua e là.
Dire che arrossì furiosamente era un eufemismo.
Strinse le labbra, gli strappò il foglio dalle mani e si alzò di scatto dal letto, nascondendoselo dietro la schiena. Come se ciò potesse cambiare le cose.
E per di più Jared non voleva saperne di levarsi quell'espressione vittoriosa dal viso.
-Smettila.- lo sgridò lei, sempre più imbarazzata.
-Di fare cosa?- fece lui innocentemente.
Kim gli diede le spalle e strinse gli occhi, come sempre quando faceva una figuraccia simile.
-Non.. non ho proprio idee. Scrivere temi non è affatto il mio forte.-
Le braccia del professore la avvolsero all'altezza del collo. -Dai, non devi imbarazzarti.- sussurrò con una tonalità di voce talmente bassa che Kim cominciò a dimenticare per cosa se la fosse presa. -E' una bella cosa.- la girò verso di sé, sorridendole. -E comunque vedrai che entro domani lo finirai.-
-La fai facile tu.- borbottò lei, ancora immersa nell'imbarazzo. -Possibile che quando sto con te faccio sempre la figura della scema?- esclamò coprendosi gli occhi con i palmi aperti.
Jared trattenne una risata. Lei non faceva assolutamente la figura della scema, lei era impeccabile, sempre. Senza aspettare che si togliesse le mani dal volto, la baciò teneramente.
Quando finalmente Kimberly era sufficientemente assuefatta dalla sua presenza tanto da uscire da quello stato di vergogna, lui riprese a parlarle. -Ma scusa, se domani andiamo in gita, perchè ti riduci a fare ora il tema?- per quanto ricordasse, all'epoca i temi li faceva la stessa mattina della consegna, tanto scrivere per lui non era affatto un problema, ma sicuramente non si rovinava il giorno libero pre gita.
Questa ragazza aveva sicuramente qualcosa che funzionava alla rovescia.
Kim sospirò. -Perchè la consegna è per il giorno dopo che torniamo, e io so già che la mia mente sarà ancora completamente persa nella gita per scrivere questo dannato tema.- spiegò, tenendo le mani attorno alle sue spalle.
Lui annuì. -E la valigia?-
Di tutta risposta ricevette un colpetto sul petto. -La smetti di assillarmi?!-
Si sentiva già nervosa, come sempre quando sapeva che aveva una miriade di cose da fare ma perdeva tempo in tutt'altro e un uomo che continuasse a punzecchiarla più di quanto facesse la sua coscienza, era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.
-Mi metto al lavoro, ok?- chiese stizzita, avvicinandosi al suo armadio. -Ora la faccio, contento?-
Jared roteò gli occhi e si accomodò sul letto, osservandola mentre decideva cosa le sembrava opportuno portare e cosa no.
L'armadio era esattamente come se lo aspettava, almeno l'interno. Dal fuori sembrava l'avesse rubato alle “Cronache di Narnia” dato che era in legno e aveva quell'aspetto spettrale e antico che, tutto sommato, lo affascinava. Il pensiero che lei entrandovici, non ne sarebbe più uscita, lo inquietò leggermente.
Dentro invece era.. l'armadio più disordinato che avesse mai visto. Neanche il suo, ai tempi in cui lo condivideva con suo fratello, era mai stato così caotico.
L'abbigliamento era tutto incentrato su colori scuri, che potevano spaziare dal verde al viola, dal blu al rosso, ma erano comunque sul dark tone.
-Ripetimi dove andiamo?- la voce concentrata della ragazza, indaffarata nello scovare qualcosa lo risvegliò.
Corrugò la fronte pensando al fatto che solitamente una gita è la cosa che gli studenti aspettano tutto l'anno, che si sa fin dall'inizio. Lei, ovviamente, non se lo ricordava.
-Manhattan?-
-A New York?- esclamò Kim, voltandosi verso di lui, quasi sconcertata quanto lui.
Jared assottigliò gli occhi. -Kimberly, si può sapere in che universo parallelo ti trovavi tu nelle ultime settimane?- non avevano parlato d'altro.
L’alunna arrossì appena e distolse lo sguardo, tornando all'armadio. -Sai quanti gradi ci sono?- deviò la domanda, dandosi -per l'ennesima volta- della deficiente. Era seriamente preoccupata per la sua stessa salute mentale. Possibile che davvero in queste ultime settimane stesse solamente a vegetare come un automa in attesa che qualsiasi cosa che implicasse Jared Leto la facesse tornare in vita?
Era davvero così patetica? Lanciò un'occhiata all'uomo steso sul suo letto, ancora immobile a fissarla con un'espressione criptica, e non le ci volle molto a capire che era esattamente così.
A fare un riepilogo delle ultime settimane tutto quello che le veniva in mente, oltre alle luuuunghissime mezz'ore in cui sognava ad occhi aperti di stare con lui nel tragitto in autobus, erano sprazzi in cui lei pensava effettivamente a lui e a quanto ci stesse male.
Meledetto Jared Leto.
-Ehy..- la vicinanza della voce dell'uomo la fece voltare di scatto, inondandogli il volto con i capelli.
Lui aveva perfettamente intuito quello a cui stava pensando. Cioè, non esattamente, ma dalla sua espressione sconsolata aveva capito che era per la gran parte colpa sua se lei era stata così assente per tutto quel tempo.
-Senti Kim.. mi dispiace.-
-Tu hai la minima idea se farà freddo?- lo interruppe, come se non avesse detto niente. Non voleva che si sentisse in colpa per una cosa simile. Era la sua mente da adolescente che quando si fissava con qualcosa, diventava irremovibile. -No perchè non sono mai stata fuori dall’Ontario e se fa più caldo..-
-Seriamente.- la interruppe il professore, costringendola a voltarsi verso di lui. -Mi sento tremendamente in colpa per la confusione che ti ho creato nell'ultimo mese.- disse guardandola il meno possibile negli occhi.
Non è mai facile chiedere scusa, per lui poi, non lo era particolarmente.
-Sono stato un egoista, ma l'ho fatto per te.- finì.
Kimberly si morse il labbro inferiore e sorrise leggermente. Sapeva che se era stato bloccato per tutto quel tempo era stato solo per non metterla troppo nei casini, ma purtroppo.. era servito a poco.
-Non fa niente, Jared.- scrollò le spalle. -L'importante è che tu sia qui ora.-
Lui ricambiò il sorriso e rimasero così immobili per qualche istante senza dire nulla.
-Comunque è un po' più a sud rispetto a dove siamo ora noi, quindi non fa più freddo di qua, ma guai a te se porti indumenti leggeri.- la informò, dandole un bacio in fronte, per poi alzarsi e andare a risistemarsi sul letto.
Kim trattenne un sorriso e tornò al lavoro, ora aveva un'informazione in più per finire quello che stava facendo. -Quant'è che stiamo?-
-5 giorni.- rispose lui automaticamente, senza togliere gli occhi da lei.
-Tu ci sei già stato, immagino.- non era neanche una domanda, era ovvio ci fosse stato. Se vuoi diventare famoso o vai a Los Angeles o a New York, di storie non ce ne sono.
-Sì, effettivamente sì.- annuì, ripensandoci. -Neanche troppi anni fa.-
-Come è?- chiese lei piegando un lupetto a maniche lunghe.
-Ti potrai fare tu stessa un'opinione domani.- rispose facendo spallucce.
-Io voglio sapere tu cosa ne pensi.- continuò, interrompendo i suoi gesti per guardarlo. Quando era così evasivo c'era qualcosa che non voleva farle sapere, o meglio, qualcosa che lo disturbava ricordare. Come la storia del lavoro.
Jared sbuffò guardandosi le mani. A quegli occhi non sapeva proprio resistere. -E'.. bella. Molto bella. L'unico peccato è il Ground Zero. Sì, è proprio un peccato che voi non abbiate fatto in tempo a vedere le Torri.-
Kimberly assottigliò gli occhi, infilando un paio di jeans nel borsone. Aveva optato per qualcosa di più comodo, erano solo 5 giorni. -Cosa ti è successo lì?-
L'uomo si lasciò sfuggire un sorriso poco stupito. Era ovvio che avesse capito.
-Sempre se ne vuoi parlare.- tipica frase cortese ma inutile. Era scontato che lei non l'avrebbe lasciato uscire dalla stanza senza sapere la sua storia.
-Ma niente di troppo importante.. semplicemente non ne ho un grande ricordo perchè è lì che ho ricevuto la prima delusione di lavoro.- sembrava chiaro che
non volesse andare nei dettagli.
Kim rimase un po' delusa dalla spiegazione scarna. Di solito era più prolisso. Ma decise di lasciar correre, magari col tempo gliel'avrebbe anche raccontato.
-Allora a che punto sei?- cambiò discorso lui muovendo le gambe impaziente.
-Quasi finito!- esclamò Kim con un sorriso allegro. Non le piaceva fare i bagagli, specialmente per il ritorno. Lo trovava noioso e la sensazione che potesse
dimenticare qualcosa la assillava fino alla partenza, una cosa che non sopportava perchè poi, nonostante i controlli scrupolosi, lei dimenticava effettivamente qualcosa.
Si alzò sulle ginocchia e portò il peso sulle braccia per schiacciare il tutto e poi chiudere la cerniera, senza intoppi. Il lato positivo di avere un padre che stava sempre in giro era che l'aveva visto milioni di volte fare una valigia, quindi era diventata esperta. E si sa, a forza di vedere o immaginare di fare una cosa, l'azione diventa più fluida.
-Fattoo!- si alzò in piedi e chiuse l'armadio, barcollando appena a causa del tempo che era stata inginocchiata.
-Che stai facendo?- domandò Jared, sollevandosi dal materasso. Kim si reggeva su un piede e scrollava l'altra gamba.
-Lascio fluire il sangue ai piedi, no?-
Lui scoppiò a ridere, buttando la testa indietro e si lanciò contro di lei, prendendola si peso in spalla e poi buttarla sul letto.
Era bello vederlo allegro, e cosa ci trovasse di tanto divertente non ne aveva idea, ma di certo non le importava affatto. Quando poi lui prese a baciarla, poteva anche crollare il soffitto che lei non se ne sarebbe nemmeno accorta.
-Jared, devo fare il tema.- disse ridendo, dato che mentre le baciava il collo, la barbetta le faceva il solletico.
-Ma che si fotta anche il tema.- borbottò contrariato, facendola ridere ancora più forte.
-Ma che scortese che sono!- esclamò Kim all'improvviso. -Hai sete, fame, vuoi qualcosa?-
-Sì, per favore.- il professore alzò la testa, incrociando i suoi occhi. -Che tu stia zitta.- sussurrò riavvicinandosi alle sue labbra.
E sta volta Kim non lo interruppe più. 

Qualche ora dopo si svegliò, la stanza era completamente vuota e buia. Si alzò per guardarsi intorno e scese dal letto, per andare a vedere dove si fosse cacciato Jared.
Aprì la porta e notò che i cappotti dei suoi erano sull'attaccapanni, quindi erano già tornati.
Sarà sgattaiolato via quando si era addormentata, tra le sue braccia, o si sarà buttato giù dalla finestra quando avrà sentito i genitori tornare?

Kimberly rise divertita all'idea di lui che si calasse dalla finestra, cosa che sarebbe stato perfettamente in grado di fare.
Si cambiò i vestiti e ritornò sotto le coperte, il letto era ancora caldo, quindi non fece troppa fatica ad abituare il corpo. Rigirandosi, udì un rumore di carta,
come se ci si fosse rotolata sopra.
-Merda, il tema.- imprecò, afferrando il foglio e accendendo l'abat-jour sul comodino accanto.
Sgranò gli occhi nel notare che c'era qualcosa di diverso: sulla pagina iniziale non c'erano più i mille nomi di Jared Leto, bensì il tema che avrebbe dovuto svolgere, in una grafia che certamente non era la sua. Lo lesse e sorrise sommessamente in alcuni punti, era riuscito a rendere perfino un compito palloso
qualcosa di carino.
Era un personaggio realmente storico che lei manco sapeva fosse esistito, le domande sembravano pertinenti e anche le risposte. Si era pure preoccupato di scrivere tutto in matita così che lei potesse poi scriverci sopra.
Alla fine delle 3 pagine c'era un messaggio:
Te l'avevo detto che l'avresti finito entro domani! Dormi bene ragazzina, domani ti voglio attiva e scattante. (;    J.”
Per trattenere il sorriso esplosivo che le si stava disegnando in volto dovette mordersi le guance.
“Al diavolo.” pensò, per poi lasciarlo sfogare, illuminandole così il volto e tornando a dormire.
Per quanto le fosse possibile.

Note finali: lo so lo so lo so non è niente di particolare questo capitolo tant'è che nonsono neanche riuscita a trovarci una canzone di sottofondo... va benissimo qualcisasi melodia smielata, diciamocelo ;)
Coooomuuuunquuueeee non siete tutte esaltate per la carrellata di capitoli new yorkesi??? I am!

Sapete è un pò che mi girano nella testa delle idee per delle nuove storie e ne ho in mente due per cui avrò stra bisogno di fantasia... ma ieri sono riuscita a scrivere i primi capitoli di quella più difficile! Sarà davvero un'odissea, già me lo sento. E' il genere di storie che ti trascina nel limbo della dispierazione non pensi ad altro.
Aveva ragione chi diceva che "chi scrive, rimarrà solo" perchè succede che l'irrealtà che è nella tua testa ti divora e non puoi farci nulla, devi chiuderti in camera per ore a mettere per iscritto tutte queste idee, e chi non si trova nei tuoi panni non lo capirà mai; forse voi stessi leggendo queste righe penserete che mi sia esploso il cervello!
Questa di storia è semplice, carina, fresca.. quella che sto buttando giù è davvero complessa e spero vivamente di riuscire ad arrivare al punto di esserne abbstanza soddisfatta da farvela leggere.
Sarebbe un sogno perché tratterò di tematiche serie. Spero che l'ispirazione non mi abbandoni.

Ok, basta crogiolarci, ora fatemi sapere cosa ne pensate di qualsiasi cosa abbia trattato in questa pagina, capitolo e non.
Grazie a todos :)))

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Capitolo 30
*** Capitolo 30. ***


Capitolo 30.

It’s you, it’s you, it’s all for you

 La mattina giunse più lentamente di quello che si aspettava.
Dopo il risveglio nel cuore della notte le veniva difficile riprendere sonno, specialmente dopo il gesto di Jared. Quindi, mezz'ora prima che suonasse la sveglia del patrigno, decise di preparare il bagaglio a mano, dato che sapeva che se non l'avesse fatto subito l'avrebbe sicuramente dimenticato.
James si stupì quando, bussando alla porta per svegliarla, la trovò già in piedi. Solitamente era un trauma per lui svegliarla, specialmente se gli orari precedevano le 9 di mattina.
In quel caso erano le 5.30, dato che dovevano trovarsi tutti in aeroporto per le 6 e il volo sarebbe stato alle 8.
Lei gli rivolse un gran sorriso, non sembrava minimamente stanca e, contrariamente al solito, gli occhi non erano piccoli e doloranti dal sonno che veniva loro strappato.
Come se non avesse proprio dormito. Pensò che fosse la voglia di andare in gita, quindi non ci diede affatto peso e cominciò a prepararsi.
Kim sgattaiolò in camera della madre -che ancora dormiva profondamente- per salutarla. Quella sarebbe stata la prima volta che passavano addirittura 5 giorni separate.
Non pensava sarebbe stato uno shock, ma conosceva Lilian e sapeva che se non l'avesse salutata le avrebbe reso la gita un'inferno.
La mamma aprì gli occhi di scatto, come l'avesse percepita nel sonno leggero. -Sei già pronta?- le chiese in un sorriso, con la voce stanca.
Kimberly annuì e si sedette accanto a lei nel letto. -Sì, mi sono svegliata un po' prima.-
-Ok. Kim sai che mi fido di te..- Lilian cominciò con la tiritera che la figlia sapeva a memoria, dato che gliela faceva appena ne vedeva il bisogno.
-Sì mamma, cosa vuoi che combini? È una gita scolastica..- borbottò infatti, insofferente.
-Tesoro è Manhattan.- le ricordò lei. Kim sbuffò. Perfino sua madre sapeva la meta e lei non si ricordava neanche di averglielo detto.
-E quindi?-
Lilian sospirò e si tirò su a sedere, decisa a far cadere l'imminente discussione inutile. Erano perennemente in conflitto loro due, come capita sempre quando hai una figlia adolescente con una frustrazione radicale nei confronti del mondo intero.
Le prese una mano. -Solo promettimi che starai attenta.- le sorrise con gli occhi velati di lacrime.
Quella ragazza era tutta la sua vita.. e se non tutta, una buona parte era occupata da lei.
E sicuramente in quei giorni le sarebbe mancata la musica che proveniva dal computer nella sua camera; le sue risposte impertinenti; il suo continuo sbuffare “che palle” quando le urlava dal bagno di andare a rispondere al telefono. Sì, l'atmosfera sarebbe stata diversa.
Kim dal canto suo non ci vedeva tutta questa tragedia. Ovviamente, cercava di essere clemente e tentava di capirla, solo che davvero non comprendeva tutta questa eccessiva preoccupazione nei suoi confronti... probabilmente -sperava di no- l'avrebbe scoperto in un futuro più anteriore.
-Sì mamma. Non preoccuparti, ti chiamerò tutti i giorni.- promise, sebbene l'idea non è che l'aggradasse più di tanto. Ma pur di sentirla tranquilla avrebbe fatto quello che poteva. La volta dopo magari le avrebbe dato più fiducia.
-Grazie. Divertiti tesoro.- allungò una mano e le accarezzò una guancia, con un debole sorriso.
Kimberly però, si scostò quasi subito. Una cosa che detestava di quando doveva partire era che tutti si facevano improvvisamente gentili, quasi a farlo apposta a toglierle la voglia e in modo da metterle la malinconia una volta lontana. Non che questo bastasse a farle saltare la gita, ma sapeva che era uno dei viscidi metodi della madre per imprigionarla.
Lo sapeva che non lo faceva di proposito, ma del resto è il desiderio di tutte le madri che i figli sentano la mancanza della sua costante presenza.
Si alzò e uscì dalla stanza con un rapido “ciao”.
Raccolse i bagagli e, aiutata da James caricò tutto in macchina.
Passare il suo tempo con James invece, era estremamente divertente. Probabilmente è vera quella storia che le figlie legano di più col padre e i figli con la madre, perchè loro due andavano davvero d'accordo.
Non era il padre biologico, ma ovviamente lui avrebbe dato anche la sua stessa vita per Kimberly, esattamente come per Gaya. Era sua figlia, almeno un po'. Il suo desiderio più grande per un lungo periodo era che lei lo chiamasse “papà” e non più col nome di battesimo, ma si sa, non puoi costringere una bambina a fare qualcosa che potrebbe irrimediabilmente offendere il vero padre. E poi, per rispetto nei confronti dello stesso.
Ma l'aveva cresciuta lui, l'aveva sgridata ed educata lui, soffrendo per ogni lacrima che le faceva versare da piccola e per ogni litigata quando era un po' più grande, quindi in un certo senso se lo sarebbe anche meritato.
In ogni caso, Kim si sentiva davvero a suo agio a star con lui, era una sorte di amico, quando erano fuori casa. Lui era sempre disponibile e le parlava di tutte le avventure che aveva vissuto da ragazzo, dandole consigli di vita. Lei non gli raccontava mai nulla, ma riuscivano lo stesso a condividere questo rapporto un po' speciale.
Di lui Kimberly adorava l'umorismo e come riusciva sempre a rendere l'atmosfera piacevole, anche quando lei era di pessimo umore per i conti suoi.
Infatti, non gli ci volle molto per strapparle qualche sorriso, mentre commentava certi tizi che vedevano per strada e il viaggio in macchina fu piuttosto piacevole e rapido.
Quando arrivarono davanti all'aeroporto, Kim intravide alcuni dei suoi compagni raggruppati a qualche metro e dovette mordersi le guancie per non sorridere gioiosamente, nel vedere il professor Leto con le mani in tasca che scherzava con qualche alunno.
-Puoi fermarti qui.- disse a James, slacciandosi la cintura e raccogliendo la borsa.
-Ci sono già persone che conosci?- le chiese guardandosi intorno e posteggiando la macchina.
-Sì, là ci sono i miei compagni.- glieli indicò e scese dalla macchina.
Alzò lo sguardo e si accorse che Jared stava camminando nella sua direzione. Deglutì forte, mentre sentiva il cuore che le accellerava nel petto.
Kim si avvicinò a James, il quale stava aprendo il bagagliaio. -Ebbene..- cominciò lei con un sorriso.
-Ebbene.. divertiti, ma non troppo.- le sorrise il patrigno prendendola per un braccio e tirandola a sé.
-James.. non piangere però.- lo prese in giro lei, sapendo della sua debolezza. Ogni tanto era troppo sentimentale quell'uomo. -Ma figurati.- mormorò spintonandola.
Il loro scambio di battute fu interrotto da una voce terribilmente vicina. -Posso aiutare?- domandò cortesemente indicando il borsone che James teneva in mano.
Kim sobbalzò. -Buongiorno professore.- lo salutò raggiante.
-Oh, questo è lo spirito per cominciare la gita!- esclamò lui, seriamente contento che fosse di buon umore.
-Sì, penso che sia il primo giorno da quando è nata che la vedo così allegra a un'ora così tragica della mattina.- scherzò James, dandole una pacca in testa.
-Io sono Jared.- si presentò il professore porgendogli la mano. -Il professore di musica.-
-Ah, è lei il professore detestabile! Finalmente ho un volto a cui associarlo.- disse ridendo il patrigno, stringendogli la mano; non gli sembrava affatto antipatico, specialmente per come era gentile nei confronti della figlia. Ora capiva a cosa si riferisse Lilian quando era tornata a casa dal colloquio, disidratata da quanto aveva sbavato. Storse appena la bocca, ma era indubbiamente un ragazzo di bell'aspetto, quindi glielo concesse. -Piacere, James.-
Ricevette una gomitata nel fianco da Kimberly, seguita da un occhiataccia. Jared invece rise di gusto.
James le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse a sé. -Ah questa ragazzina impertinente. Mi raccomando, me la controlli.- si assicurò rivolgendosi al professore, il quale rispose con un sorriso smagliante. -Non si preoccupi, non le toglierò gli occhi di dosso un solo istante, può stare tranquillo.- ed era sincero, più di quanto il padre potesse sospettare.
Porse la mano per prendere il bagaglio dalla mano di Kim e cominciò a camminare verso il gruppo, con Kimberly al seguito, che però fu fermata da James, il quale le posò una mano sulla spalla, pensieroso. -Siamo sicuri che sia una compagnia affidabile?- le chiese mormorando circospetto.
Lei roteò gli occhi. -Ciao James.- gli sorrise, dandogli un bacio sulla guancia e correndo dietro al prof di musica, che si era fermato a qualche passo di distanza ad attenderla.
-Non dovevi Jared.- gli disse, una volta al suo fianco,f acendogli gesto di darle il borsone.
-E' un piacere, non preoccuparti.- le sorrise appena. -Quindi.. non vado a genio a tuo padre, eh?- aveva sentito quello che le aveva appena detto, cosa che lo aveva fatto abbastanza ridere.
Kim si morse il labbro. -Oh, lascialo perdere.. è un avvocato: sospettare è più forte di lui.-
-Tranquilla..- la interruppe. -Deve aver notato come ti guardo.- constatò, senza distogliere lo sguardo dal gruppo che stavano raggiungendo.
Kimberly lo guardò, rapita da ciò che le aveva detto. Ma ormai erano circondati dai compagni, era troppo tardi per aggiungere qualsiasi cosa. Fatto stava, che lei fosse arrossita.
Jared le lanciò un'occhiata ammiccante e posò il borsone a terra per poi allontanarsi di qualche metro.
Solo quando le fu vicino, Kim notò la presenza della signorina Rodriguez. Maledizione, ecco chi era l'altro accompagnatore. Strinse i denti con forza, lei non era un tipo geloso, ma in quel frangente avrebbe tanto voluto che Jared le stesse a debita distanza.
-Ehy Kimmy!- si sentì scrollare una spalla: Gwen, elettrizzata come un palo della luce.
-Ciao Gwen, Julia.- salutò lei e la socia che le sorrise appena, per poi tornare al suo telefono. Con chi poteva messaggiare a quell’ora del mattino?
-Allora sei pronta? Io sì!- esclamò. Kim non poté fare a meno di notare la valigia.. una vera valigia, di quelle rigide, e sembrava molto pesante, come se l'avesse riempita per una gita di 2-3 settimane.
-Gwen, non ti sembra un po' piena?- il bagaglio rosa accecante sembrava sul punto di esplodere.
La bionda fece spallucce. -E' tutta apparenza, cara. Dentro c'è ancora molto spazio per un po' di shopping.- sorrise entusiasta. Kimberly respirò profondamente all'idea di dover essere scarrozzata in giro per tutta la 5th Avenue, negozio dopo negozio.

Ma quando incrociò lo sguardo di Jared, che le sorrise, fu come sentire una scossa capace di motivarla e quel pensiero non le sembrò più un gran sacrificio. 

Ore: 7.00
si trovavano tutti seduti al gate, in attesa che il loro volo cominciasse ad imbarcare.
C'erano file e file di panchine, i quali seggiolini erano quasi tutti occupati dalla classe di Kimberly + Profs. Ovviamente i due professori era ovvio che dovessero stare sempre insieme, se no si sarebbero annoiati in un gruppo di ragazzi.. almeno Lola, sicuramente.
Jared ci stava anche fin troppo bene con la classe. In quel momento ad esempio erano contornati dagli alunni mentre Leto era alle prese dei suoi racconti. Kim li osservava di tanto in tanto da lontano, su un seggiolino di fronte che dava verso di loro, ma c'era troppa confusione e la stanchezza cominciava a farsi sentire, quindi decise che andare a comprare un libro era l'ideale.
Mancava ancora un'ora, non si sarebbe di certo persa. Pensava che avrebbe potuto chiedere a Gwen di controllare la sua borsa, ma dall'espressione idiota che aveva in volto mentre fissava mr Leto le fece assolutamente rivalutare la cosa. Uno sconosciuto a caso avrebbe perfettamente potuto andare da lei e chiederle la carta di credito con codice in prestito, che l'avrebbe ottenuta senza un misero problema.
Si alzò e cominciò a vagare in quel piccolo aeroporto alla ricerca di una cartoleria o qualcosa di simile, che trovò non molto tempo dopo.
Cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di un buon libro che potesse tenerle compagnia mentre Jared era impegnato a far da baby-sitter. Non le dava assolutamente fastidio, voleva soltanto non essere troppo appiccicosa nei suoi confronti. Aveva letto da qualche parte che il 76% delle relazioni finivano a causa del troppo accollamento di uno dei due al partner.
Prese in mano un bel po' di libri, prima di stringere il cerchio a due, tra i quali era indecisissima.
Uno era un romanzo, il nuovo romanzo, di Stephen King uno dei suoi scrittori preferiti in assoluto.
L'altro invece era un libro non troppo famoso a cui lei era strettamente legata..dire che lo adorava era poco.
-Ragazzina, che ci fai qui? Sai che non si lascia il gruppo!- ad intromettersi nei suoi pensieri, ovviamente, fu Jared. Sussultò, portandosi entrambi i libri al petto dallo spavento.
-Ehy, cosa stai leggendo, il Kamasutra?- scherzò, data la reazione.
Lei sorrise appena. -Perchè sei qua?- gli domandò guardandolo negli occhi. Non li aveva ancora notati quel giorno, non erano luminosi come al solito, tendevano al grigio.
“Maledetto clima” pensò Kim, mentre lo osservava.
-Te l'ho detto, non si lascia il gruppo classe! Tutti per uno, uno per tutti.- disse prendendole i libri dalle mani e guardandone le copertine. Era evidente che fosse alla prima esperienza in fatto di gita scolastica.
-E se dovessi andare al bagno? Dovrebbero venire tutti?- rispose abbastanza inacidita.
-No, in quel caso ti dovrebbe accompagnare Lola.- frase che la fece rabbrividire dallo sgomento.
Lui sapeva perfettamente che Kim aveva una sorta di fastidio nei confronti di quella donna, lo faceva apposta, ne era certa. Gli diede le spalle, con una smorfia. -Non chiamarla così.-
-Così come? Lola? È il suo nome, Kim!- si difese confuso.
-Sì lo so.. ma mi sa di intimo, quindi per favore davanti a me non chiamarla in quel modo.- gesticolò come animata da frustrazione. Lui sorrise appena, avvicinandosi lentamente.
-Che poi che nome è Lola?- domandò tra sé e sé. -Cioè, sarai anche latina.. ma ti potevano chiamare.. che ne so.. Carmen! Sofia! Alejandra! Ma.. Lola!- esclamò disgustata.

Sentì Jared vicinissimo, il respiro le smuoveva qualche ciuffo di capelli.
-Se non temessi che qualcuno potesse vederci adesso ti bacerei.- le sussurrò. -E' tutta mattina che voglio farlo.-
Lei voltò il viso, un soffio di vento li separava ora. -Già se ci vedessero così sarebbe un enorme problema..- mormorò in risposta lei.
Lo vide indugiare e sollevarsi ritto, allontanando il viso da quello dell'alunna. -Allora perchè ti vedevo tanto pensierosa su due libri talmente diversi?- le domandò mostrandole i libri che reggeva fino a qualche minuto prima.
-Perchè..- si voltò verso di lui. -Quando si tratta di libri sono la persona più insicura sulla faccia della terra. Ho sempre paura di pentirmene.-
-Beh io ho la soluzione.- disse vincente. -Comprali entrambi.-
-Magari, ma no. I miei mi hanno dato i soldi contati, sai “per responsabilizzarmi” o qualcosa di simile..- spiegò facendo le virgolette con le dita e alzando gli occhi al cielo. -In ogni caso, sbancarmi in libri non mi sembra il caso.-
-Ok.. allora.. a te la scelta.- e glieli porse.
-Sai questo libro era il preferito di mia nonna. Lo avrò letto almeno un miliardo di volte, ma non mi stanca mai. L'ho prestato ad una mia amica e..puff, è scomparso. Lì dentro avevo sottolineato anche in matita le parti che mi piacevano di più. Era forse il libro più spiegazzato che abbia mai avuto.- sorrise al ricordo.
-Allora prendilo.- suggerì l'uomo.
Lei scosse la testa. -No. Prenderò il mio unico amore, Stephen.- disse solenne, posando con amarezza il libro a cui era tanto legata tanto, dirigendosi verso la cassa.
Prese anche un pacchetto di cicche, tanto per arrotondare il prezzo e pagò tristemente.
Dopo poco Jared la raggiunse con un paio di riviste in mano, sostanzialmente musicali.
Come si sarebbe comportata se fosse stato un professore come un altro? si chiese mentalmente. Di certo non l'avrebbe aspettato, quindi optò per il tornare al gate senza di lui, se non fosse che lui la chiamò. -Kim aspettami, dai.- chiese gentilmente.
Se fosse stato un professore come un altro avrebbe rispettato la sua richiesta, pensò. Non si sentiva sotto accusa almeno e se qualcuno li avesse visti poteva dare questa spiegazione.
Fare la cosa giusta in questa situazione si stava dimostrando un vero rompi capo. Loro non erano abituati a comportarsi come se fossero perennemente inseguiti, e la cosa la metteva a disagio.
Il cassiere infilò le due riviste, un pacchetto di caramelle e un libro nella busta. Kim strinse gli occhi per poi sgranarli e si avvicinò velocemente a lui: stava comprando il libro che lei aveva lasciato giù.
-Jared che stai.. non dovevi comprarlo!- esclamò contrariata.
-Perchè no?- fece lui confuso, prendendo la busta e cominciando ad incamminarsi.
-Cioè non fraintendermi, è un gesto molto dolce ma.. non dovevi farlo per me.-
-Infatti l'ho comprato per me.- disse lui indifferente, prendendo la scatola di caramelle. -Voglio capire cosa ti piace tanto, avevi una faccia quando guardavi questa copertina.- le sorrise infilandosi in bocca una manciata di confetti. -Se poi, quando l'avrò finito, finirà casualmente nella tua borsa.. è un altra storia.-
A Kimberly una sensazione di commozione le attanagliò lo stomaco: nessuno aveva mai fatto niente di così carino per lei. Lo guardava profondamente colpita, con un sorriso che non riuscì a trattenere. Quindi, appena prima di mettere piede nella stanza del gate, si guardò bene intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno che li conoscesse e prese Jared per una manica, trascinandolo con lei in un angolo.  Si appoggiò con la schiena al muro e lo avvicinò a sé.
-E' la cosa più bella che potessi fare per me.- gli sorrise grata.
Lui portò una mano accanto al suo volto e l'appoggiò al muro, mentre con l'altra le prese il viso e la baciò.
Uno di tanti modi per dirle quanto fosse importante per lui. 

Everything I do.

Note finali: ma quanto siamo dolci?? Zio caro, mi sa che ero innamorata persa o ne avevo un gran bisogno quando ho scritto questa serie di capitoli cuoricinosi ♥
Ma va bene così, ci piace l'ammmmòòòréé! Fatene scorta perchè non si sa quanto durerà OHOHO
A voi piace leggere? Avete un genere? C'è stato un libro che vi ha cambiato la vita?
Suvvia ogni tanto raccontatemi qualcosa di voi, si sa mai magari vi sfrutto per un pò di ispirazione ;)

La canzone è Video Games di Lana del Rey <3 canzone che mi ha tormentata per mesi e mesi e mesi e dice delle cose tanto belle che non mi sono sentita di usarla tutta per questo capitolo, la utilizzerò un pò alla volta.
Questo tratto dice

E' per te, è per te, è tutto per te

qualsiasi cosa faccio.

E lo so in italiano non rende per un cazzo, però il senso è ttttenero.
Buono io passo e chiudo, la palla passa a voi ;)
xoxoxoxoxo

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Capitolo 31
*** Capitolo 31. ***


Capitolo 31.

I got my headset on New York city
I’ll fly away tomorrow
Won’t even miss me

 -L'aereo 34056A per New York sta imbarcando al gate b4.- disse la signorina dalla voce meccanica, interrompendo i loro “profondi pensieri”.
Jared si staccò da lei con uno schiocco sonoro a malincuore, accompagnato da uno sbuffo spazientito di Kim.
-Dai, qualche ora siamo arrivati e poi avremo 5 giorni tutti per noi.- la incoraggiò lui, accarezzandole una guancia.
-Tutti per noi è una parola. Non avremo uno straccio di tempo per noi Jared!- borbottò sconsolata.
-Troveremo il modo.- le fece l'occhiolino per poi lasciarle un ultimo, rapido bacio.
Si separarono e camminarono insieme verso la sala del gate, raggiungendo tutti gli altri, i quali non si accorsero minimamente che erano tornati insieme.
Forse non si erano accorti neanche della loro assenza esaltati com'erano dal viaggio che li attendeva.
Kimberly si allontanò da lui, raggiuingendo i suoi compagni che continuavano a spintonare, ridere e immaginarsi cosa avrebbero visto. Qualche saputello che ci era già stato non tardava ad ammutolirli con delle risposte da persona vissuta, della serie -Non è sto granchè, nei film la rendono spettacolare, ma è una città come un'altra.- spegnendo un'ondata di entusiasmo in pochi secondi.
Jared intanto era in fondo alla fila che teneva discretamente d'occhio Kim.
Era stato tutta la mattina con un occhio puntato su di lei, a controllare che stesse bene e che non avesse problemi al check-in o ai controlli.
Si sentiva un cretino, ma era più forte di lui. Quella ragazza gli stava terribilmente a cuore e non riusciva a passare istante senza lanciarle un'occhiata
apprensiva.
-Sai, sono stata contenta di sapere che eri tu incaricato insieme a me di potare questa classe.- gli sorrise l'insegnante di spagnolo, intenta a cominciare una conversazione.
-Grazie, anch'io sono contento di essere qua.- rispose riconoscente lui. Era una cara donna e sicuramente lui non aveva motivo di avercela con lei. Se mai il contrario!
Infatti gli sembrò strano che l’avesse presa così bene. Insomma, l'aveva illusa come non aveva mai illuso nessuno in tutta la sua vita e lei non si era minimamente alterata.
Sarà stata anche male, ma di certo non gliel’aveva fatto pesare, anzi. Negli occhi poteva perfettamente leggerle “hai fatto la tua scelta? Bene, l'accetto e ci convivo”.
Perfino Kimberly diventava nevrotica se le faceva un torto, non che fosse una ragazza dotata di uno spiccato senso della calma, anzi a ripensare ai battibecchi vari durante le sue lezioni non riusciva ancora a capacitarsi di quanto invece stessero bene insieme, combaciavano quasi.
-Potremo conoscerci meglio almeno..- gli sorrise di sfuggita.
Jared inarcò le sopracciglia. Oh. Si era sbagliato, tanto per cambiare, lui e quel suo maledetto vizio di  credere ciecamente nell'esistenza del lato positivo in ogni individuo.
-Lola, io pensavo fosse chiaro..- cominciò cercando le parole adatte per dirle di cambiare rotta, ma lei lo interruppe. -No Jared, non hai capito tu.- accennò una risata. -Intendevo dire che siamo colleghi da ormai 6 mesi e non ci conosciamo neanche! Sai ci sono certi insegnanti che ti trovano losco..- intensificò lo
sguardo, rendendo il significato della parola.
-Tipico.- sbuffò il professore, distogliendo lo sguardo. Era da sempre stato così: solamente perchè lui era una persona alquanto discreta, che non rivelava mai troppo di sé, cominciavano a girare le “leggende di corridoio”. Era alquanto fastidioso, ma darci peso li avrebbe sicuramente fatti gioire in un certo senso e avrebbero vinto loro, quindi non si scomponeva più di tanto, in modo da mantenere quell'alone di mistero e la sua personalità. Che si fottessero pure.
Attirava le masse in questo modo.
-Diciamo che mi piace mantenere la mia privacy.- spiegò in sua difesa.
-Certo, non ti biasimo. Solo che sai.. sembri una persona interessante, secondo me dovresti mostrarlo a tutti e non lasciare che dicano certe cattiverie su di te, sbattendogli allegramente quello che sei in faccia.-
Jared inarcò le sopracciglia, osservandola stupito: quella era senz'altro la frase più lunga che le aveva mai sentito dire.
-Nah, non mi interessa! Che pensino quello che vogliono.- fece spallucce. -Decido io chi voglio che mi conosca per quello che sono.-
-Sì, lo so.- annuì leggermente sconsolata. -E trovo che quelle persone siano estremamente fortunate.-
-Ti assicuro che non ti perdi niente.- scherzò lui, facendole sollevare lo sguardo da terra.
Per qualche istante incrociarono gli occhi e li tennero così, incatenati.
-Eppure io sono sicura che ti sbagli. Se mi aprissi al tuo mondo sarebbe una grande conquista per me.- gli occhi le scintillavano.
Leto notò che dietro le lenti degli occhiali della donna si nascondevano due grandi occhi neri e profondi, quanto quelli di Kim. Ne rimase affascinato per
qualche secondo, prima di essere risvegliato dall'hostess che gli chiedeva di vedere la carta d'imbarco. 

Sull'aereo i posti furono assegnati un po' a caso. Ma ovviamente, la perenne sfortuna di Kim volle che fosse seduta assolutamente opposta a Jared.
E per di più accanto ad uno sconosciuto, un uomo sulla 50ina, vestito di tutto punto con la ventiquattr'ore in pelle nera e cravatta di un colore non troppo
acceso.
“Fantastico” pensò “questo è il mio primo volo e non potrò condividere l'emozione con nessuno.” contemplare il suicidio non le fu difficile in quel momento.
Fortunatamente, il suo entusiasmo si riaccese quando sentì il motore dell'aereo prendere vita e cominciare a muoversi.
Era una sensazione stranissima, si sentiva tutta vibrare e quando prese velocità per decollare, si sentiva elettrizzata come una bambina. Lo stomaco le sobbalzò seguendo ogni movimento o turbolenza, le sembrava di essere sulle giostre e fu tanto presa nel guardare dall'oblò che il volo durò meno del previsto.
Mentre l'aereo stava discendendo dalle nuvole, il panorama si faceva sempre più vivo. I grattacieli erano così immensi che era sicura se le avessero permesso di allungare la mano sarebbe riuscita a sfiorarne una vetrata.
Nessuno di loro ebbe problemi di alcun genere, i bagagli arrivarono tutti e il pullmino che avevano prenotato si era presentato puntualissimo.
Ovviamente, Jared le era stato accanto per tutto il tempo con la scusa del bagaglio troppo pesante, così ebbero anche occasione per scambiare due chiacchere.
Nonostante tutti gli sforzi però, Kimberly si sentiva prepotentemente infastidita dall'affiatamento che mostravano i due professori. Quasi come se Lola fosse riuscita a trovare la combinazione per far scattare la molla dentro Jared, una molla capace di attivare un meccanismo automatico in lui: Kim lo chiamava il “rapimento”. Non lo faceva apposta, ma quando in un qualche modo riuscivi a conquistare la sua attenzione, lui trovava il modo di rapirti e tutto quello che facevi o pensavi girava attorno a lui. Questo lo rendeva ancora più amabile e attrente -già, poteva anche esserlo più di quel che era normalmente, purtroppo- e lo stargli lontano diventava quasi impossibile.
Era una cosa che avevano in comune: tendevano a “fagocitare” chi stava loro intorno.
Per esempio, quando Kim aveva un compagno di banco diverso, specialmente se era uno di quelli con cui conviveva, senza aver mai avuto un gran rapporto, bastava starci qualche ora, perché per i mesi successivi diventassero molto uniti. Le era successo così con Gwen.
In questo momento ad esempio, Kimberly notò che Jared guardava la signorina Rodriguez e stava sorridendo. Uno di quei sorrisi che le faceva sempre una certa impressione, in grado di ammutolire o ravvivare una folla.
Si sentiva declassata e questo le faceva terribilmente male.
Ma era a New York, non poteva permettersi di rovinarsi la vacanza per colpa dell'incredibile fascino dell'uomo che le piaceva e dell'effetto che questo aveva a chi gli stava intorno.
Sul furgoncino stette per i cavoli suoi, con l amusica nelle orecchie e lo sguardo perso nel paesaggio che le si presentava davanti. Era magnifico.
Specialmente quando arrivarono nell'isola di Manhattan. Le si spalancò la bocca: i “grattacieli” che era solita vedere nella sua piccola città, in confronto erano casette di campagna.
Dire che era tutto enorme era un eufemismo. Per poco si scordò anche del problema-Rodriguez, ma purtroppo fu proprio lei a picchiettarle nella spalla per dirle che erano arrivati all'albergo.
Con un sospiro, si fece coraggio e scese, accompagnata dalle urla e dalle risate dei suoi compagni in estasi.
Entrarono nella hall, sembrava un gran bell'albergo. Anch'esso si limitava intorno ad una centinaia di piani, ma andava bene così.
Si avvicinò a Jared che, con l'aiuto di altri compagni maschi, svuotavano il bagagliaio. Il suo glielo porse proprio lui, con un sorriso.
Quando tutti entrarono, i due professori si avvicinarono al bancone della reception e cominciarono a distribuire le chiavi delle camere.
Kim era rassegnata al dover condividere la camera con Gwen e Julia, ma non ci diede troppo peso.
La receptionist era una donna sui 30 ed era completamente rapita dagli occhi limpidi del suo professore, tanto che spesso non riusciva a non lanciargli un'occhiatina anche quando non era per niente necessaria.
-Ecco, questa è per voi.- disse con un sorriso sciolto, porgendo a Jared la chiave della camera.
Lui ricambiò confuso. -Perchè una sola?- lanciò un'occhiata a Lola.
-Deve esserci un errore.- constatò non troppo contrariata quella di spagnolo all'idea di poter condividere la camera con Jared Leto.
-Noi non siamo una coppia, siamo colleghi.- precisò lui piccato, la donna ne fu immediatamente mortificata, ma Kimberly poteva giurare di averle visto una luce di sollievo negli occhi.
-Oh, perdonatemi pensavo..- si scusò, cercando un'altra chiave.
-Che stessimo insieme?- azzardò Jared. -E magari questi sarebbero i nostri 25 gemelli completamente diversi.- esclamò indicando gli alunni che guardavano la scena divertiti.
In effetti quella doveva essere parecchio fusa, pensò Kim, avvicinandosi a prendere la chiave della loro camera.
Gwen e Juls si erano avvicinate all'ascensore, quindi fece per raggiungerle, ma subito Jared la fermò per un braccio, facendo segno a tutti di aspettare un istante.
-Ok, ragazzi. Sono le..- si guardò l'orologio da polso. -2 pm. Vi diamo un'ora e mezza di riposo?- disse a mo' di domanda guardando verso miss Rodriguez, la quale acconsentì con una scrollatina di spalle. -Ok, quindi alle 3.30 ci troviamo qua.- sorrise, dando il via alla corsa verso le camere.
Nella confusione nessuno notò che lui si girò verso Kimberly e le sussurrò ad un orecchio -694.- accompagnato da un sorriso.
La ragazza non fece neanche a tempo a realizzare che fu trascinata a forza dentro una cabina in cui erano contenuti 2000 kg, tra studenti e bagagli. Stavano davvero stretti, stentava a credere che l'ascensore riuscisse lo stesso ad adempiere al suo lavoro.
Le mancava l'ossigeno che scorresse fino al cervello lì dentro, infatti, solo quando uscirono comprese: era il numero della sua stanza.
 

And I’ll get a big boyfriend
Just to piss you off

 Note finali: hello hello hello people! eccoci con l'aggiornamento giornaliero, rendetevi conto, ci abbiamo messo due mesi spaccati per arrivare
a questo punto!! Quelle merveille!
Bontà divina non ho detto un cacchio in questo capitolo ahah, mi rendo conto che dovrete pazientare un pò però ne varrà la pena, ne vedrete delle belle ;)
La canzone è Headset di Avril Lavigne e, avete presente quelle canzoni che quando le ascoltate vi viene da pensare che sono state scritte appositamente per voi?
Ecco, questo è il mio caso! Amo questa canzone che, lo so, non centra un beneamato cavolo col capitolo ma pensando alla parola New York è l'unica che mi è venuta in mente ahaha tornando a bolla, è proprio bella, leggera, sa di libertà e di sogni irrealizzabili.

Ho la testa a New York
volerò via domani
non sentirete neanche la mia mancanza
e mi troverò un gran ragazzo
solo per farvi incazzare.

Eeeeeeh quanti ricordi!ok, il mio tempo è scaduto, mi raccomando fatemi sapere qualsiasi cosa ne pensiate, vostre sensazioni, pensieri, opinioni, previsioni.
tutto è perfettamente accetto! 

besitos ♥

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Capitolo 32
*** Capitolo 32. ***


Capitolo 32.

Walked into the room, you know
You made my eyes burn
You so fresh to death and sick as ca-cancer 

Improvvisamente sentì una scarica di emozione attraversarla dalla testa ai piedi. Velocemente guidò le sue compagne di stanza lungo gli interminabili corridoi, seguendo i numeri in ordine crescente. Sul lato destro di uno trovarono la stanza indicata dalla loro chiave-tessera e vi entrarono.
Aperta la porta, rimasero a bocca aperta. Almeno Kim; non sapeva se le altre due fossero abituate al lusso più sfrenato.
Era dalla forma oblunga, nel centro regnavano 3 Queen Beds con le lenzuola di un colore che sfociava nell'oro, intonato alle tende e alla tappezzeria. C'era un tavolino vicino al finestrone su cui poggiava una macchinetta per il caffè e di fronte ai letti un televisore al plasma, situato sopra al minibar.
Appoggiarono i rispettivi bagagli a terra e si lanciarono sui letti.
-Oddio, venite a vedere qua!- strillo Julia da una stanzetta accanto che doveva proprio essere il bagno.
Ridendo lei e Gwen si avvicinarono alla voce dell'amica: si trovava nel centro della toilette, guardandosi attorno, meravigliata. -Ci sono anche gli accappatoi!- esclamò entusiasta.
Kimberly sospirò, sollevata. Almeno non si sentiva l'unica a non aver mai visto niente di simile.
Tornarono nel punto centrale della stanza, e quando Kim constatò che erano entrambe occupate a far qualcosa di decisamente concentrante, decise di imboccare la porta.
-Ehy, dove vai?- le chiese Gwen, spuntando con la testa da dietro la sua immane valigia. -Non vuoi cambiarti?-
“No, Gwen, io non mi cambio 16 volte al giorno.” voleva dirle, ma si trattenne e diede una semplice scrollata di spalle.
-Prima voglio andare un attimo a esplorare l'albergo. Sembra molto... intrigante.- e senza aspettare risposta ne uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Con una certa fretta si mise alla ricerca dell'ascensore, sia mai che una delle due o entrambe, decidessero di unirsi a lei.
Una volta in ascensore, azzardò al piano che per lei poteva essere quello di Jared, ma dovette riprovare due volte, quando si accorse che le cifre delle camere erano ancora troppo basse.
Al terzo tentativo si ritrovò davanti alla camera 680, quindi uscì. “< 681-689  - 690-700 >” dicevano le indicazioni, così voltò a destra e quando si trovò davanti alla 694, fece un respiro profondo, dandosi una sistemata ai capelli, e bussò.
Subito udì dei passi felpati avvicinarsi e la porta si spalancò, mostrando un Jared Leto a torso nudo.
Dato che Kim non sembrava volersi muovere dallo stato catatonico, lui allungò un braccio e la tirò dentro a forza, sbattendo la porta.
-Ehy ma che modi..- brontolò la ragazza, guardandosi intorno per distrarsi. Se la sua stanza l'aveva trovata bellissima, in confronto a quella di Jared era niente. Che invidia.
-Scusa, ma non ti muovevi!- si difese lui alle sue spalle.
-Non è colpa mia se tu vaghi allegramente senza la maglia.- disse camminando verso il finestrone centrale che dava su un palazzo egualmente immenso.
Poteva scorgere degli uffici dai vetri delle finestre e distingueva nettamente le persone al suo interno. -Insomma, metti che fosse arrivata la cameriera.. o magari la tua amica Lola.- borbottò con una smorfia.
Guardando in basso vedeva le macchine e taxi gialli sfrecciare avanti e indietro, piccole come macchinine giocattolo per bambini.
-Ok, se tanto ci tieni mi rivesto. Mi stavo solo cambiando Kim, non farla tanto lunga.- sospirò prendendo una maglietta a caso dalla valigia aperta e facendo come per indossarla.
Lei si voltò confusa, colpita. Le sembrava un po' seccato. Gli si avvicinò e gli circondò il collo con le braccia, prima che potesse vestirsi. -Jared, stai bene?- gli domandò preoccupata.
Lui non esitò a portarle le mani sui fianchi e a stringerla a sé, con un lieve sorriso. -Sì, ora sì.- e si chinò a baciarla, buttando sia lei che se stesso sul letto.
-Solo che sai.. questa città mi mette una sorta di angoscia.- disse cupo, guardando fuori dalla finestra.
-Io la trovo bellissima.- sospirò Kim a pancia in su,vguardando nella sua stessa direzione.
-Ne sono contento.- sorrise,vportando il viso sul suo collo dove prese a baciarla e a inspirare profondamente. -Come è andato il viaggio?- le chiese poi.
-Meglio di quanto pensassi. Era la mia prima volta!- esclamò entusiasta.
-Davvero? Ed eri in parte a quel vecchio marpione!-
Lei corrugo la fronte, non si era lasciato scappare quel piccolo dettaglio. -Ma quale marpione, non ci siamo neanche rivolti il saluto.-
-Se, tu non hai visto le occhiate che lanciava alla scollatura della tua maglietta.- disse guardandola negli occhi.
-Perchè, tu sì?- gli chiese divertita.
-Certo, io noto tutto. Sono un buon osservatore, ricorda.- le sorrise gongolante.
Kim non trattenne una piccola risata e gli portò le mani nei capelli, scostandoglieli.
-A te invece? Come è andato il volo?- alludeva al suo rapporto con la sign.na Rodriguez  e di quanto si fossero avvicinati.
Lui non se ne accorse, ovviamente. Fece spallucce -Un volo come un altro. Un'altra ora della mia vita lontano da te.-
-C'era Lola, dai.- lo punzecchiò lei.
Jared si lasciò scappare un sorriso e roteò gli occhi. -Non sarai gelosa?-
-Chi io? Mai stata gelosa nella mia intera esistenza. È solo che.. sai, non sei l'unico che sa osservare.-
-Cosa intendi?- chiese, sollevandosi su un gomito.
Lei si alzò dal letto. -Ricordi quando ti ho detto che tu sembri il diavolo? Che sei in grado di far fare tutto quello che vuoi alle altre persone?- lui annuì. -Ecco, lei ne è totalmente succube. Più di tutte le altre, forse perfino più di me! Sono sicura che se le chiedessi con quel sorriso smagliante di buttarsi fuori dalla finestra della sua camera d'albergo, lo farebbe senza rimorso.- incrociò le braccia al petto. La infastidiva parecchio quel che aveva appena detto, ma del resto con Jared era così: non dirgli quello che pensava sembrava impossibile e lui lo sapeva e ne traeva vantaggio, il più possibile.
L'uomo si sporse e le prese le mani, per poi portarla di nuovo, dolcemente, sul letto accanto a lui.
-Tu sei succube di questa mia capacità?- sorrise sornione, fingendo innocenza.
-Solo un po'.- fece il segno della misura con l'indice e il pollice, distogliendo lo sguardo.
Un moto di tenerezza si espanse in lui che, infatti, portò una mano sul viso dell'alunna in modo da riportare gli occhi nei suoi e perdercisi dentro. Niente da fare, quelli di Lola non gli avrebbero mai e poi mai fatto lo stesso effetto.
Seguirono una serie di minuti in cui tutto quello che si poteva udire in quella stanza erano i loro baci, i loro sorrisi e sospiri mescolati.
-Sarà meglio che vada..- sussurrò Kim a malincuore, lanciando un'occhiata all'orologio da polso di Jared.
-Di già?- si lamentò, tenendola più stretta.
Lei poggiò la testa sul suo petto nudo, le sembrava così pesante in quel momento e quello era l'unico posto in cui poteva sentirsi protetta dai mille dubbi e dai mille pensieri.
-Le mie compagne mi daranno per dispersa..- constatò, dato che era in giro da 3 quarti d'ora.
-Eddai, che ti importa. Resta ancora un po'.- non gli servì stringerla ancora più forte a lui, perchè il suo tono di voce aveva già fatto centro nella debolezza di Kim. Non che se ne volesse andare davvero, ma ci teneva sul serio a non rompergli troppo l'anima con la sua costante presenza, quindi non voleva farsi vedere troppo presa. Gli afferrò una mano e cominciò a rigirarsela tra le dita, osservandone ogni più piccolo dettaglio.
Chissà quante col quale era stato si erano dimostrate totalmente abbindolate da questo suo ascendente, standogli perennemente incollate addosso.
Lei già non poteva sopportare che lo facessero a lei, figuarsi essere lei stessa a farlo ad altri.
La sua personalità aveva questo problema, tra le varie cose: quando si rompeva di qualcuno, tagliava i ponti e il motivo principale era proprio il fatto che le persone le stessero appiccicate.
Che poi era tutto un controsenso. Lei sapeva di monopolizzare le persone, sapeva di avere questo carisma, o qualità che non sapeva definire, che attraeva la gente, rendendola interessata a lei e le piaceva anche. Sapere che le persone diventassero come dipendenti da lei le faceva piacere, le dava importanza. In aggiunta pensava che probabilmente questo suo fare solitario, questo suo costante bisogno di starsene per i cavoli suoi di tanto in tanto, attirasse ancora di più l’attenzione. Era pronta a scommettere che era grazie a quello stesso motivo che ora si trovava lì nel letto accanto a Jared, era sicuramente così che l'aveva
accalappiato.
E poi, quando si rendeva conto che la persona tale ci teneva eccessivamente, o cominciava a imitarle i modi, le abitudini o anche solo il gergo, chiamarla tutti i giorni o a pretendere che parlasse solo con lei, si stufava e cominciava ad ignorarlo.
Sapeva che era un atteggiamento davvero poco responsabile e sensato, ma era più forte di lei. Preferiva chiuderci piuttosto che arrivare ad odiare quella persona.
Potevano toccarle tutto, ma non la libertà. Era sua e almeno in quel piccolo spazio non voleva intoppi. La libertà, la giustizia e l'onestà erano le uniche tre cose per cui valeva la pena di combattere e mandare avanti un'esistenza. Sarebbe stata pronta a morire in loro nome, chi era in grado di togliertele aveva di conseguenza il potere di condannarti a morte. Almeno, questo era il suo parere.
Un sospiro al suo fianco la risvegliò da quel prolisso filo di pensieri e quando incrociò gli occhi finalmente azzurri di Jared, capì una cosa molto semplice ma allo stesso tempo estremamente illuminante: improvvisamente le cose per la quale sarebbe morta anche subito erano quattro, non più tre.
Il volto del suo professore si ammorbidì in un sorriso. -A cosa stai pensando?- le chiese in un sussurro. Era stato tutto il tempo a fissarla persa nei suoi deliri interiori, senza lasciarsi sfuggire un singolo istante, un semplice battito di ciglia, un leggero movimento facciale.
Quella ragazza era semplicemente uno spettacolo per le sue iridi celesti. Chissà in quale diamine di pensiero stava arrovellandosi la sua mente per prenderla così tanto da non accorgersi minimamente di essere osservata a un palmo dal suo stesso naso.
Certe volte lui desiderava di possedere una concentrazione/distrazione simile. Non ne era di certo in grado.
Ma proprio quando lei cominciò a pensare a cosa rispondergli, bussarono alla porta.
Entrambi si sollevarono di scatto, guardando in direzione dell'ingresso. -Vado ad aprire.- disse velocemente Jared, senza neanche pensare di nascondere Kim, del resto se fosse stata la cameriera cosa mai gli avrebbe potuto dire? E perchè avrebbe per forza dovuto entrare in stanza?
Neanche Kimberly diede più di tanto peso alla cosa, se non per un piccolo dettaglio. -Jared! La maglietta!- gli rammentò, lanciandogliela in piena faccia.
Con un sorriso lui se la infilò velocemente per poi aprire. La signorina Rodriguez che lo guardava sorridente lo colse di sorpresa. -Lola!- esclamò per poi chiuderle la porta in faccia.
Fece un rapidissimo gesto a Kim di nascondersi, la quale eseguì senza ribattere, nascondendosi dietro al letto. Fortuna che gli aveva ordinato di indossare la maglietta, se no era sicura che quella sarebbe svenuta.
Sentì Jared aprire la porta, di nuovo. Lola era ancora lì, sconcertata dal comportamento del collega.
-Jared? Tutto bene?- chiese, leggermente turbata.
Lui si appoggiò con un braccio allo stipite senza far svanire quel sorriso indifferente. -No, scusa è un tic nervoso.- inventò su due piedi, senza preoccuparsi che la balla reggesse.
-Certo.. allora, facciamo il piano della giornata?- domandò entusiasta, estraendo una cartina e vari opuscoli di luoghi che potevano andare a visitare.
-Non ci serve quella roba.- disse lui sicuro. -Io qua c'ho vissuto anni, so io dove portarvi.-
Kim drizzò le orecchie. C'era stato così tanto?
-Sì, ma sarebbe opportuno che facessimo per lo meno una scaletta, con gli orari, le pause per i ragazzi, che chiamassimo per vedere se sono aperti, dove, come e quando..- cominciò a sbrodolare parole senza freno.
L'uomo mise le mani in avanti, prendendola per le spalle, dato che questa mentre parlava faceva del suo meglio per farsi largo e entrare.
-Senti Lola, la mia camera non è nelle condizioni giuste. Facciamo in camera tua tra un  minuto, ok?- visto l'imminente pericolo, gli era sembrato giusto
cedere.
Lei sorrise tutta soddisfatta e si allontanò, per tornare da dove era venuta. -685!- gli urlò.
Leto si chiuse la porta alle spalle con un sospiro. -Uff, l'abbiamo scampata.-
Kimberly riemerse. -Già, c'è andata bene.- disse avvicinandosi a lui. -ci vediamo tra circa mezz'ora, allora.- gli sorrise e gli diede un semplice bacio a stampo, imboccando la porta.
Jared fu sorpreso che non gli avesse fatto alcuna storia per il fatto che ora sarebbe andato in camera della collega, da solo. Diceva la verità quando si definiva non gelosa.
-Ah, e tieni le mani a posto, chiaro?- rise, facendogli l'occhiolino, per poi sparire.
 

And I know that love is mean
And love hurts

But I still remember the day we met in december

 

 Note finali:  eccoci col nuovo capitolo!
Non ho niente da dire oggi! Sarete tutte basite ma davvero è stata un giornata.. prosciugante e non mi perderò in chiacchiere per vostra immensa fortuna ;)

La canzone non c'entra una cippa di niente col tutto, lo so, ma mi piace molto e avevo voglia di questo tono un pò provocante e malinconico.
E' Blue Jeans di Lana del Rey

Sei entrato nella stanza
E hai fatto infiamare i miei occhi
Così dannatamente bello 
e pericoloso come il cancro (non saprei come altro tradurla per rendere il senso)

So che l'amore è meschino
e fa male
ma ricordo ancora il giorno in cui ci siamo incontrati

E niente, that's it! Fatemi sapere, spero abbiate gradito :)

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Capitolo 33
*** Capitolo 33. ***


Capitolo 33.

 So let me know just how to take this
cos you're way too cold.
Now show me before it breaks me.
Did you come here to watch me,watch me burn?
 

Alle 3.30 precise, Kim fu costretta a trascinare le altre per non permetter loro di far troppo tardi.
Le conosceva e il ritardo per loro era di norma.
Sarebbe scesa da sola in caso, non le importava poi molto di stare in loro perenne compagnia, quindi raggiunsero gli altri e Gwen le diede una pacca, facendole notare che mancava ancora metà della classe e le aveva messo fretta per niente.
Kimberly scrollò le spalle e si avvicinò a Joe e amici, tutti maschi, quindi il paradiso per lei.
Preferiva di gran lunga gli amici maschi,non ti facevano star male inutilmente e se avevano qualcosa da dirti lo dicevano, senza troppi problemi.
In più non erano stronze puttanelle pettegole, il che era solo un vantaggio.
-Kim!- la abbracciò Joe, facendo partire un abbraccio di gruppo.
Sì, ci stava proprio bene con loro.
Quando i professori si furono accertati che non mancava nessuno, uscirono dall'edificio.
Come prima cosa, decisero di far dare una rapida occhiata alla città ai ragazzi, prendendo il “New York Sight Seeing”, il pullmino rosso a due piani che avrebbe permesso ai ragazzi di scoprire e vedere velocemente le strade più importanti, in caso si fossero smarriti nel tempo libero.
Esatto, ci sarebbe stato un tempo libero e, dato che la metà di loro era ormai maggiorenne, i professori li avrebbero fatti circolare senza problemi. La lingua la sapevano, ognuno aveva un biglietto da visita dell'albergo e una cartina, perdersi non era esattamente così facile in una città in cui si danno indicazioni come a battaglia navale.
Si misero tutti in coda, una coda che dopo poco diventò lunghissima, come se avessero lanciato una moda. Kimberly notò la presenza di un immenso omone nero con un cappello altrettanto grande argenteo sulla testa, che faceva da intrattenitore. Andava da ognuno delle persone in fila chiedendo il proprio nome e intonando un pezzo rap con quel nome.
Fortunatamente non fece a tempo a raggiungerli e salirono sul pullman, riempito quasi completamente da loro.
Joe le propose di andare a sedersi allo scoperto, nonostante il freddo e Kim accettò, non le importava quanto freddo poteva esserci, era sicura che una cosa del genere non le sarebbe ricapitata troppo presto.
Quasi tutti i compagni presero il loro esempio e si sedettero tutti nel piano superiore, professori compresi.
C'era una guida che stava in piedi davanti a tutti e distribuiva le cuffiette per sentire bene quello che diceva, mentre indicava e spiegava i vari edifici.
Era un uomo simpatico, di mezza età, dalla battuta sempre pronta.
Ogni tanto, mentre il mezzo era in movimento, era costretto ad abbassarsi, dato che rischiava di essere colpito da un semaforo proprio sulla nuca.
Alla fine del giro i professori furono molto soddisfatti di vedere che era stata una gran scelta quella del pullman, dato che ora ciascuno degli alunni li implorava di andare a vedere qualcosa.
Jared improvvisamente capì che la scelta di Lola di fare una scaletta delle giornate era stata un'ottima idea, se no a questo punto neanche lui avrebbe saputo dove sarebbe stato meglio condurli.
Fecero una breve pausa, dato che i ragazzi agognavano del cibo e poi si rimisero in marcia, camminando in direzione dell'Empire State Building, dove li avrebbero fatti salire e vedere bene la città dall'alto.
Tutti erano a conoscenza dell'Empire per essere l'edificio su cui saliva e moriva King Kong, ma nessuno aveva mai pensato che ci sarebbe andato un giorno, salvo alcuni.
Erano molto elettrizzati all'idea, Kim compresa. Stava perennemente a naso in su a guardare tutti quei palazzi infiniti. Se non ci fosse stato Joe al suo fianco, sarebbe andata a sbattere ripetute volte contro i passanti e abitanti.
Il cielo era abbastanza limpido, ma la temperatura davvero troppo bassa per pensare di avere caldo.
Si strinse nel cappotto nero respirando a fondo: una nuvoletta di respiro condensato le uscì dalle labbra. -Ehy, hai freddo?- le chiese gentilmente Joe, allargando un braccio e stringendola a sé.
-Solo un pochino.- rispose timidamente lei. -Allora, come ti vanno le cose, Joe?-
domandò per muovere un po' la faccia che rischiava di gelarsi.
-Tutto bene, grazie.-
-Ti senti meglio riguardo a..?- ad essere sincera non si ricordava neanche il nome della ragazza che l'aveva lasciato, non ricordava neanche che gliel'avesse detto.
Fortunatamente lui comprese. -Oh, sì, sì. Purtroppo la mia richiesta di ripensarci è stata bocciata, ma ormai è passata. Nonostante quella ragazza per me fosse molto, ho capito che non era tutto.-
Kimberly rimase affascinata dalla risposta. -Non ti facevo così poetico.- lo prese in giro, ridacchiando.
-Beh, ogni tanto lo sono anch'io.- rispose con un sorriso.
-Ragazzi tutto bene?- in quel momento nella loro conversazione si intromise il professore di musica, il quale, vedendo Kimberly così incollata al suo amico, pensò fosse troppo stanca o non stesse bene.
-Sì, professore.- dissero in coro i due. Oh, stavano semplicemente comodi così.
Un moto di rabbia gli scaldò lo stomaco.
-Avevo semplicemente un po' di freddo.- gli spiegò Kim, dato che aveva intuito cosa ci fosse dietro a quello sguardo ghiacciato.
Lui annuì senza dir niente e tornò agli affari suoi. Quando fu abbastanza lontano Joe lo guardò storto. -Tu piaci a quel professore.- sibilò.
Kimberly sgranò gli occhi levando la testa per guardarlo in faccia. -Ma cosa dici?- esclamò stizzita.
-Ogni volta che mi volto a guardarlo il suo sguardo è puntato nella tua direzione; è sempre così apprensivo nei tuoi confronti e quando ci vede insieme sembra che abbia qualcosa in contrario. Cioè, sembra un pedofilo!- spiegò rabbioso.
Lei lo guardò infastidita. -Joe, smettila. È un nostro professore, non puoi parlarne in questo modo. Solo è un po' protettivo nei miei confronti perché sono tra i pochi non ancora maggiorenni e quindi penso sia ovvio mi tenga sott'occhio, come farà di certo con tutti gli altri. Ogni tanto sembri paranoico..- lo difese Kim a spada tratta, raggirando la cosa mettendo in questo modo Joe sotto accusa.
-E tu lo difendi un po' troppo per essere il professore che detesti.- commentò guardandola di sottecchi.
Kimberly sbuffò pesantemente. Doveva trovare il modo di uscirne. -Ho passato più tempo con lui ultimamente, per farmi recuperare la sua materia. E sono giunta alla conclusione che non è così male una volta che lo conosci.- disse fingendo indifferenza.
-Sarà..- sospirò lui, deciso a chiudere l'argomento ma non a lasciar perdere.
Di poche cose era stato sicuro nella sua vita, e che quei due avessero sotto qualcosa era una di quelle. 

*

La visita finì intorno alle 6 e gli studenti scesero tutti in fila da quell'immenso grattacielo con la testa pesante dalle troppe informazioni raccolte sulla cima.
Incredibile a dirsi ma all'ultimo piano c'era una stanza -completamente aperta dalle finestrone- in cui davano in prestito quella sorta di telefono da cui avevano
ascoltato tutta la storia dell'edificio, di Manhattan e non solo.
La voce registrata che parlava era una donna che viveva lì da tutta la vita e nel spiegare le varie cose, metteva anche un po' del suo, ad esempio parlando del Central Park disse che era solita portarci i figli da piccoli, e sempre uno di questi figli doveva essere un pompiere o qualcosa di simile, perchè nell'attentato alle torri fu uno dei primi ad essere accorso.
Quante cose di potevano imparare in una sola giornata? Kimberly si sentiva piena per il momento.
Tutti insieme decisero di passare per l'hotel a darsi una sistemata prima di uscire a cena. Quella sera sarebbero tutti andati a cenare insieme, poi avrebbero avuto il tempo libero per andare a folleggiare per locali.
Gwen e Juls sembravano in perfetta forma, si vestirono il più elegante che poterono, pur rimanendo consce di essere in compagnia dei professori, quindi senza sfociare nell'esagerato. Mentre Kimberly optò per rimanere sul casual, cioè quindi maglietta a collo alto, jeans stretti e stivali alti.
Niente che non avrebbe messo in qualsiasi occasione e quando raggiunsero gli altri, la maggioranza sembrava della sua stessa idea. Il comfort veniva prima.
Andarono all'Hard Rock Cafè, sotto precisa richiesta dei maschi vogliosi di schifezze.
Kimberly non era mai stata in un Hard Rock, quindi non sapeva neanche cosa fosse di preciso, semplicemente l'aveva sentito nominare o visto scritto sulle magliette dei suoi coetanei.
Quindi non c'era da stupirsi se quando entrò ne rimase affascinata.
C'erano teche appese alle pareti con dischi, chitarre e mise autografate dai grandi del rock, c'era una macchina appesa al soffitto, schermi giganti sintonizzati su canali prettamente di musica rock e camerieri abbastanza squinternati che viaggiavano tra i tavoli servendo piatti pieni di roba.
Tutti si fiondarono a trovare posto, mentre i professori li guardavano sorridenti.
Sembravano i genitori, sinceramente contenti per l’entusiasmo che gli alunni ostentavano. Sembrava li stessero guardando con orgoglio e soddisfazione.
-Sei sicura di voler mangiare qui?- domandò tranquillamente Jared alla sign.na Rodriguez. -Se vuoi ti posso portare da un'altra parte, non c'è problema.-
Magari non si sentiva a suo agio a mangiare certe porcherie, essendo una donna.
-Ma stai scherzando?- gli rivolse un'occhiata sconvolta. -Era un secolo che non venivo in un Hard Rock!- lo prese per mano e presero posto in un tavolo per due,
circondati dai ragazzi.
Lui la guardò colpito. Stava scoprendo molti aspetti inaspettatamente positivi della personalità di Lola. Le serviva un rifiuto per aprirsi? Decisamente bizzarro.
Quando ordinarono lei gli rivolse un sorriso allegro. -Mi fa sentire giovane tornare in questo posto!-
Lui la guardò storto. -Parli come se avessi 87 anni!-
-Più o meno. Ne ho 35!- scherzò lei, facendolo ridere. -No, solo che ogni volta che ci sono venuta ero con amici e so solo che non ricordo come si sono concluse le varie serate.-
Jared inarcò le sopracciglia. Non ce la vedeva proprio fare certe follie quella donna. Aveva tutta l'aria dell'innocente che non si azzardava mai a bere un bicchiere di alcol. E invece..
Cominciarono a parlare del più e del meno, specialmente di fatti che riguardavano lei. Lui sembrava parecchio interessato, infatti, la riempiva di domande alle
quali rispondeva quasi posseduta dalla logorrea.
Quando portarono i piatti che avevano ordinato, lei si stupì nel notare che lui era riuscito a trovare la cosa più salutare che poteva esserci sul menù.
-Dimmi di te, invece.- azzardò infilzando un pezzo di carne con la forchetta. -Insomma, chi è Jared Leto?- intensificò lo sguardo.
-Sei sicura di volerlo sapere?- chiese lui, assottigliando gli occhi come lei, con quel fare misterioso.
-Senza dubbio.. ad esempio, mi stavo chiedendo come fai a sembrare esattamente l'opposto di quello che sei?-
la guardò confuso. -Cosa intendi?- 
lei indicò il suo piatto con la forchetta. -Ti facevo un carnivoro. O almeno un uomo con un po' di gusto!- scherzò.
Jared sorrise. -E invece no. Sono vegetariano, non fumo e non bevo.- spiegò brevemente. -Ovviamente non lo sono sempre stato, ma un giorno ho aperto gli occhi e.. ho pensato che la vita fosse troppo breve per godersela solamente grazie a certi vizi e la maniera più facile per apprezzarla il più a fondo possibile fosse vivere più a lungo. E per far questo serve la salute.-
Lola lo osservò attentamente, colpita. -Ecco svelato il segreto dell'eterna giovinezza.- disse squadrandolo. Insomma, aveva qualche anno in più di lei ma ne dimostrava 10 di meno. Era alquanto fastidioso, dato che essendo donna un minimo di vanità voleva averla. Lui le toglieva anche quello.
-Sì, e non è proprio un segreto dato che i genitori ce lo dicono fin dalla nascita. Solo che noi siamo troppo caparbi per dar loro retta.- bevve un sorso d'acqua. -Se i nostri alunni avessero una tale illuminazione probabilmene sì che il futuro sarebbe un posto migliore.-
-Invece è così che va la vita. Quando te ne rendi conto, sei troppo vecchio.- sorrise la collega. -Quindi è questo che nascondi a tutti? In realtà sei un brav'uomo che tiene alla vita e all'ambiente.-
Jared scrollò le spalle. -Sì, probabilmente sì.-
Kimberly intanto guardava la scena da lontano, con un moto di tristezza che sguazzava allegramente al suo interno. Più i due prendevano confidenza, più sembrava che il tavolino si stringesse. Si avvicinavano l'uno all'altra, spesso facevano gli stessi movimenti senza rendersene conto e Jared le sembrava veramente sereno.
Tutti segni di due persone che vanno estremamente d'accordo tra loro, mentre invece quando lui stava con lei, sembrava perennemente assalito dall'ansia che qualcuno potesse scoprirli o comunque come se ci fosse un intoppo tra di loro.
Era davvero giusto tenerlo prigioniero così? Magari sarebbe stato meglio lasciarlo andare.
Che poi lasciarlo andare dove? Loro non erano una coppia ufficiale, anzi. Sembravano più una cosa da scappatella nei bagni pubblici.
Ora un senso di disgusto la assalì. Stavano addirittura canticchiando insieme una canzone che passava al momento sul canale.
E lui sorrideva, sorrideva come neanche con lei faceva. Deglutì, voltandosi verso il suo compagno.
-Joe, ragazzi, andiamo?- propose, infilandosi il cappotto.
All'istante tutti la imitarono, pronti per andare a far un po' di baldoria.
E così, Kim uscì di scena, non dicendo assolutamente nulla perfino quando vide Lola prendergli la mano.
 

Come all the way down
and watch me burn.

 Note finali: sono alquanto perplessa.
Non capisco se il capitolo vi ha fatto schifo per qualche motivo o se ci siete rimaste male che non ho sparato un pò delle mie stronzate nell note ahah.
Nel primo caso, gradirei più di qualsiasi altra cosa qualche delucidazione, nel senso, il perchè vi abbia fatto tanto cagare almeno cambio qualcosa, o in futuro provvedo.. boh davvero, avrei seriamente bisogno di critiche, non credo di essere chissà cosa!
Nel secondo caso invece, non allarmatevi! sono sempre qua e sparerò sempre le mie 4 stronzate XD
Ovviamente sto scherzando, non mi aspettavo sinceramente 0 commenti su 60 visite, ma pace&amen spero di invogliarvi con questo magari :)

Attenderò qualche risposta nel mentre mi sfonderò di chiacchiere (zio caro che buone) (ma tra poco vomito quindi meglio smetterla) e mi eserciterò per quel BIP di esame di informatica.
ps: a voi da fastidio se ogni tanto scappa qualche parolaccia? Confesso, sono una persona abbastanza scurrile, anzi al limite del disumano a dirla tutta, mentre per iscritto cerco di contenermi senza troppo successo x)

La canzone è dei nostri amatissimi Three days grace, Burn e non so perché ho inserito questa canzone, ma ho preferito lasciarla come nell'original version

Fammi sapere come devo prenderla
perchè sei fin troppo freddo
mostramelo adesso, prima che mi distrugga
Sei venuto qua per guardarmi, guardarmi bruciare?

Vieni fino in fondo e
guardami bruciare.

Ok, questo è, spero almeno oggi di ricevere un minimo di considerazione :)

xoxoxox

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Capitolo 34
*** Capitolo 34. ***


Capitolo  34.

 She is everything  and more
The solemn hypnotic
My doll you're bathed in possession
She is home to me.

 Lola Rogriguez stava stringendo il palmo aperto del collega tra le sue, scrutandone le linee della mano. -Ecco, vedi? Questa è la linea della vita.- disse indicandogliela col polpastrello. -E' molto lunga, mi sa tanto che ci seppellirai tutti, vecchio mio!- esclamò divertita la donna.
Jared nel frattempo la osservava interessato. Passare il tempo con questa persona si stava rivelando meglio del previsto. -Fai anche la chiromante?- chiese deliziato. Era la prima persona che glil'avesse mai proposto e per di più poteva predisporre del servizio gratis.
Fece spalluccie. -Solo come hobby. No, neanche sinceramente. Una volta mi sono informata così, per curiosità e ora leggo le mani.- rispose allegra. -Questa invece è la linea del cuore. Devia sul medio, vuol dire che sei una persona molto altruista Jared.- spiegò concentrata. -Questa invece è la linea della mente. Mh, è staccata da quella della vita, vuol dire che sei scemo!- rise di gusto, trascinando anche Leto.
-Oh, ma guarda!- indicò proprio sotto all'anulare. -Questa piccola linea viene detta “dell'artista”. Non tutti la possiedono e non sempre è perfettamente disegnata, ma la tua sì.- gli sorrise quasi più entusiasta di lui.
Poi gli chiuse la mano a pugno, osservandogli il lato. -Queste linee indicano gli affetti. Quelli che stanno sopra la linea del cuore sono gli affetti più importanti della tua vita, sia passati che presenti. Guarda ce n'è uno che è molto profondo.. passato o presente?- gli domandò con quella luce ammiccante negli occhi.
Immediatamente gli venne da pensare a Shannon. Era l'unico che valesse una ruga tanto profonda nella sua mano.
-E sotto ce ne sono altre due, una più marcata dell'altra. Sotto la linea del cuore ci sono i figli!-
Ok, gli stava rivelando un po' troppo della sua vita, si sentiva sotto un riflettore; quindi estrasse la mano dalla sua, prima che potesse contarne le linee che sarebbero stati i suoi ipotetici figli.
-Ecco, i figli anche no!- ribatté provocandole una risata accesa.
Alzò lo sguardo pensando di trovarci Kimberly, insomma l'ultima volta che aveva guardato era proprio in quel punto e invece ora il tavolo era vuoto. Prese a guardarsi intorno, preso da un moto di preoccupazione. -Cerchi qualcuno?- gli chiese Lola imitandolo, sull'attenti.
-No, no.- le sorrise scrollando la testa. -Andiamo?- cominciò a mettere il cappotto e andò alla cassa, pagando immediatamente per entrambi, senza darle il tempo di ribattere. Gli aveva fatto passare una buona serata e si era rivelata una bella persona, interessante e spiritosa.
-Jared!- si lamentò lei, ma l'uomo prontamente le portò una mano dietro la schiena e la guidò verso l'uscita. Lola sentì immediatamente il cuore balzarle in gola. Quello forse era il primo contatto diretto che lui aveva mai avuto con lei di sua spontanea volontà.
Una volta fuori infilò le mani nelle tasche del giubbino. -Bene, ora dove si va?- chiese, sperando che la cosa non finisse lì. Già si immaginava loro due passeggiare insieme a Central Park, o in un locale a bere qualcosa -di analcolico se necessario- e magari non dover dormire separati.
Ma tutto ciò si rivelò semplicemente una fantasia, perchè Jared le rivolse uno sguardo assonnato. -Scusa, ma mi sento davvero devastato. Ti ho mai detto che soffro d'insonnia?- le disse, iniziando un discorso, mentre li indirizzava verso l'hotel.
Miss Rodriguez cercò di fingere che non le importasse affatto di questa opportunità che le aveva negato e lo seguì, facendosi interessata all'argomento. Qualsiasi cosa usciva da quella bocca valeva la pena di essere ascoltata.
-No, davvero?- disse seria, fissandolo completamente inebriata dal racconto di Jared. Non lo conosceva troppo bene, ma per quanto ne sapesse c'era qualcosa che lo tormentava, come se il parlare di una stupidaggine a caso potesse distrarlo dalla preoccupazione.
Ogni volta che un gruppo di ragazze gli passavano accanto, lui le squadrava tutte, ma non in modo volgare -per l'amor di Dio, erano adolescenti.- semplicemente come se stesse cercando qualcuno.
Il tragitto fu troppo breve per i gusti della donna, in men che non si dica si trovavano già nella hall dell'albergo di fronte all'ascensore. -Tu non sali?- gli chiese notando che si stava dirigendo alla reception. -No, voglio controllare chi dei nostri è già salito e far mettere la sveglia, dato che non abbiamo nemmeno fatto a tempo a dire loro a che ora ci si ritrova domani, che si sono defilati senza una parola.- cosa che, tecnicamente, era vera ma non era l'unico motivo.
Era il volto di Kim che gli martellava nella testa, e lo spettro della preoccupazione gli stava addosso come fosse una ventosa. Voleva semplicemente accertarsi che stesse bene.
Lei acconsentì e chiamò l'ascensore. -Allora.. a domani.- sorrise.
-Buonanotte, Lola.- ricambiò con un sorriso grato per la giornata piacevole. La guardò finché le porte non si chiusero e il mezzo non se la portò via.
Si avvicinò al bancone della reception ed eseguì le azioni che aveva detto avrebbe fatto. Solo una camera era stata occupata di nuovo, gli altri 23 alunni erano ancora per le vie della città.
Sperava sinceramente che non si stessero realmente divertendo troppo, ok che i controlli a New York erano degni di lode e sotto i 21 anni non permettavano a nessuno di bere, ma si sa che non si era mai troppo attenti.
Fece mettere la sveglia telefonica in ciascuna delle stanze dei ragazzi e poi si sedette su una poltroncina vicino all'ingresso, attendendo colmo di ansia di scorgere il viso di Kimberly, soddisfatta e pronta a sorridergli.
 

Kimberly e i suoi amici stavano camminando per le strade buie della città.. oddio, più che camminare stavano barcollando.
Avevano trovato un locale, probabilmente dove le persone lavoravano in nero, perché non si fecero troppi scrupoli riguardo l'effettiva età dei giovani e offrirono loro tutto quello che chiedevano.
In principio Kim stava in disparte, troppo presa a piangersi addosso per la sua immane sfortuna di avere una professoressa così bella e un professore altrettanto attraente che si attirassero a vicenda.
E per di più, lei era cotta persa di quest'ultimo. Una sfiga immensa.
Ma, quando le immagini nella sua testa si fecero sempre più prepotenti e la sua immaginazione cominciò a vagare in troppi dettagli, decise di lasciarsi trasportare dagli inviti dei suoi compagni e buttar giù qualche bicchiere.
-Vieni Kim, prova questo, ti sentirai subito meglio.- gli offrì Chase, un compagno biondo, il migliore amico di Joe.
-Sì, affoga i pensieri nell'alcol, per stasera non vogliamo vedere despressione!- rise Brian, il quale era già un po' brillo e continuava a porgerle bicchieri su bicchieri.
Lei diede loro retta e cominciò a dissetarsi, ingoiando a forza quelle bevande misteriose e tanto forti da lasciarle un'espressione disgustata in volto. Ma passò presto, perchè più beveva, più si rendeva conto che si sentiva meglio e tutto quello che la circondava era solo divertimento e alcol.
I suoi pensieri si confondevano nella mente, non riusciva neanche più a dare un nome agli oggetti che vedeva, i colori divennero sfocati e più accesi, i tavoli e le persone presero le stesse sembianze, e nella sua testa non c'era niente che potesse richiedere troppa della sua concentrazione. Perciò capì che non desiderava altro: sentirsi di nuovo così.
-Kim, forse è meglio se ti dai una calmata.- asserì Joe, levandole di mano l'ennesimo bicchiere.
-Oh, piantala di rompere.- si lamentò, spingendolo via. Ne passarono ancora molti di bicchieri colmi, prima che si decidessero ad uscire da quel locale.
Quindi ora erano in 4 a vagabondare per le strade sconosciute di New York City.
I suoi tre amici erano abbastanza allenati con l'alcol, per cui erano semplicemente alticci, mentre Kimberly era quella messa peggio.
Rideva come un'ossessa e doveva essere costantemente retta da qualcuno, onde evitare di finire a gambe all'aria.
-Cristo ragazzi, ve l'avevo detto di andarci piano!- li rimproverò Joe reggendola per la vita.
-Ma smettila Joe, non vedi come si diverte?- risero gli altri, lanciando qualche battutina per farla ridere ancora di più. Era così fuori che stava in apnea fin troppo, a furia di ridere.
-Kimberly, come ti senti?- le chiese, temendo che potesse sentirsi male. Conosceva i sintomi delle sbronze e sapeva che dopo il divertimento iniziale c'era il malessere, specialmente se non eri abituato e per quanto ne sapesse, lei non era una gran bevitrice.
-Sto una favola, smettila di tastarmi!- lo spinse via, con fare molto precario e ,infatti, dopo qualche passo incespicò e cadde dritta in terra.
Scoppiarono tutti a ridere, lei compresa e si affrettarono a raccoglierla dal marciapiede come una buccia di banana.
-Quanto hai detto che manca?- domandò Brian a Joe.
Quest'ultimo si guardò intorno. -Solo un isolato, avanti Kim.- la prese tra le braccia e la tenne stretta, deciso a non farla cadere per almeno i prossimi 100 metri.
-Dici che ho esagerato?- gli chiese, circondandogli il collo con le braccia e appoggiando la testa sul suo petto con gli occhi chiusi, mentre muoveva le gambe automaticamente.
-Diciamo così..- rispose sorridendo lui. Gli faceva sempre un certo effetto sentirla vicina, così tanto vicina.
-E' che.. lui e lei.. il modo in cui si guardano.. lui starebbe dieci mila volte meglio con una come lei, io sono troppo, boh, che ne so..strana.. ahahahah. O piccola. No, non sono troppo giovane, è lui che è fissato. Io sto così bene con lui.. ma lui no, lo so, cazzo. E poi sono anche ubriaca.. mi prenderà in giro perchè dirà che
sono una ragazzina stupida.- borbottò, alternando risate e mugolii.
Joe non diede troppo peso a quello che stava blaterando, la missione da compiere era di arrivare interi a domani mattina, possibilmente senza far accorgere i professori di niente.
Fece proprio a tempo a chiudere questo pensiero, che entrarono nella hall dell'albergo.
La porta d'ingresso era girevole, quindi ce ne misero un po' prima di riuscire a capire da che parte girase e come si potesse uscirne.
Ma quando, tra le risate e le urla, ne uscirono, si ritrovarono faccia a faccia con Jared Leto, che sembrava appostato lì proprio ad aspettarli.
Joe e Chase, ancora piegati dal ridere, si ripresero all'istante e nello spavento lasciarono andare Kimberly, la quale, cadde piatta come se le gambe le fossero diventata improvvisamente molli.
-Professore! C-che ci fa qua?- gli domandò Chase balbettando.
Lui si alzò dalla postazione e camminò senza fretta verso di loro. -Proprio per controllare che non succedesse qualcosa di simile.- disse severo e si chinò sull’alunna, ancora accasciata a terra che rideva sommessamente.
Le scostò i capelli dal viso accarezzandole una guancia, con una delicatezza spaventosa.
Joseph, ovviamente non si lasciò scappare questo dettaglio, e cominciò a guardarlo in cagnesco, serrando la mandibola.
-Kimberly, stai bene?- le chiese dolcemente. -Sono io.-
-Gesù?- chiese sollevando il capo.
-Qualcosa di simile..- sorrise Jared, prendendola per un braccio e aiutandola ad alzarsi.
-Jared mi fa male tutto..- mormorò appoggiandosi a lui con la fronte davanti agli occhi ancora spaventati dei compagni. Loro erano troppo terrorizzati di finire nei guai e sapevano perfettamente che era completamente fuori, per questo motivo non fecero minimamente caso a tutta questa confidenza. -Tranquilla ragazzina, tra poco starai meglio.- la rassicurò per poi lanciare un'occhiataccia ai ragazzi -Cosa avete combinato?-
“Ragazzina?” pensò distrattamente Joe, ricordandosi le parole confuse che gli aveva detto poco prima la sua migliore amica. Strinse gli occhi e lo guardò attentamente, controllando bene come si comportasse nei suoi confronti.
-Niente, ha alzato un po' il gomito! Per favore, non ci spedisca a casa!- piagnucolò Brian, congiungendo le mani in segno di supplica.
-Andate nella vostre camere. Ci penso io a lei.-
-No, ci penso io.- si avvicinò Joe, preso da un'improvvisa paura. Quello era pazzo, aveva 21 anni in più di lei e la guardava come se fosse la sua promessa sposa. Non gli piaceva per niente come si comportava con lei. Fece un passo avanti, provando a prenderla, ma Jared la ritrasse.
-Hai fatto abbastanza. Tutti in camera vostra, per sta volta chiuderò un occhio.- il suo tono non ammetteva repliche, infatti, tutti tranne Joe, si avvicinarono all'ascensore con la testa bassa.
Joe e il professore restarono un lungo momento a fissarsi. L'uomo avrebbe dato molto volentieri una fracca di calci a quell'irresponsabile di un ragazzo che ora lo stava polverizzando con lo sguardo.
-Joe, muoviti!- lo chiamarono dall'ascensore i compari, facendogli segno di camminare. Se avesse fatto girare i 5 minuti a Leto ne avrebbero risposto tutti e a loro non andava proprio di terminare la gita così presto. Il ragazzo cedette per primo, e si allontanò entrando nell'ascensore in cui rimuginò nella sua testa le parole senza senso che gli aveva detto Kim mentre la trasportava. Non le aveva meorizzate tutte, ma quelle che ricordava potevano perfettamente essere ricollegate a Jared Leto.
Sperò con tutto se stesso di sbagliare.

 
I get nervous, perversed when I see her , to worse.
But the stress is outstanding.

Note finali: Bonjours mes amies :)
Noto con grande piacere che lamentarsi per una volta ha riscosso successo ahah!
Anyway, quanto mi piace aver scritto questo capitolo, non so mi diverte. Sinceramente non sono mai stata conciata tanto male in vita mia e spero neanche voi
ma va beh, sono le stronzate che si fanno e va benissimo così.
Allora, cosa ne pensate? Chi sarà il primo degli "antagonisti"  che capirà di questa tresca? Joe? Lola? Gwen? James? La preside? Nessuno?
Chi indovina riceverà tanti cuoricini ♥ :)
Allora, tornando a bolla, la canzone è degli Splipknot e si chiama Vermillion. Per me sono TROPPO come band, cioè seriamente urlano, saltano, sclerano, si incazzano, indossano quelle maschere terrificanti (ahah) ma questa canzone (sia la part 1 che la part 2) è LA MORTE mia. 
(Ovviamente sono gusti, non sto in nessun modo cercando di insultarli o influenzare le vostre menti.)
Davvero, la citerei tutta perchè racchiude quel connubio di romanticismo/incazzatura che mi  piace tanto. Quell'amore che diventa ossessione e possessione, quando non pensi ad altro e nel frattempo ti girano i coglioni perchè non vuoi che questa persona sia così onnipresente dentro di te. Eh.

Non fateci caso  ;)

Lei è tutto e di più
Solenne e ipnotica
La mia bambola bagnata di possessioni
E' casa mia.

Divento perverso, nervoso
e quando la vedo è peggio
Ma lo stress è sbalorditivo.

Ok, direi che è tutto e vorrei tantitantitanti giudizi sia positivi che NEGATIVI. Grazie cento :)

xoxoxoxo

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Capitolo 35
*** Capitolo 35. ***


Capitolo 35.

I never  meant to start a war
You know, I never want to hurt you.
Don't even know what we're fighting for.

 Jared prese di peso la ragazza e la trasportò verso l'ascensore.
-Jared.. mi sa che non mi sento molto bene.- mormorò Kimberly con voce soffocata. Sentiva un dolore lancinante allo stomaco e sapeva che non avrebbe retto troppo a lungo.
-Non preoccuparti Kim, ci siamo quasi.- le fece coraggio entrando nella cabina e premendo il tasto che indicava il suo piano. -Resisti.-
finalmente raggiunsero la meta e una volta dentro lei si distese sul letto stringendosi le gambe al busto.
-Oh. Giuro che non toccherò mai più un bicchiere di gin tonic in vita mia.- si lamentò abbracciandosi al cuscino e nascondendovi il volto. Si sentiva come su una barca a remi nel bel mezzo di una tempesta, sofferente di mal di mare.
Una sensazione peggiore non poteva di certo esistere. Forse era un metodo di tortura nel medioevo, per far pentire dei loro peccati quelli che venivano considerati eretici. Li ubriacavano e poi gli ridevano addosso quando la sbornia doveva smaltirsi.
 La testa sembrava volesse esplodere da un secondo all'altro facendo schizzare gli occhi fuori dalle orbite e lo stomaco continuava a contorcersi come se si volesse ribellare e farle sputare fuori tutto quello che aveva mangiato nell'ultima settimana.
-Fallo smettere ti prego.- lo implorò, senza sollevare a testa.
Lui le si sedette accanto, sfilandole il cappotto, mentre lei si contorceva dal mal di pancia. Sapeva come ci si sentiva, e in questi casi o doveva dormire o vomitare, ce n'erano poche di scappatoie.
-Ah no, tu sul letto in cui dovrò dormire io non ci stai.- disse, prendendola per un braccio ed accompagnandola verso il bagno. Quando accese la luce, lei si separò da lui bruscamente, quasi finendo nella vasca. Era troppo bianco quel bagno, era accecante e le recava solo dolore in più.
-Jared, sono morta?- gli domandò con un tono allucinato, quando la afferrò, aiutandola a recuperare l'equilibrio.
-Cosa?- le rispose divertito. Adorava far parlare le persone quando erano in questo stato, non rispondevano più di quello che dicevano.
-E' tutto così bianco e tu sei qui... e hai quei maledetti occhi d’angelo di sempre.- spiegò con un sorriso stupido Kim, mentre Jared la scortava vicino al water.
Quando la poggiò a terra lei buttò di nuovo la testa tra le gambe, rincagnandosi nel suo dolore.
-Ma si può sapere cosa ti è saltato in mente? Ma io non lo so..- brontolò il professore sommessamente, scostandole i capelli dal viso.
-Ti prego almeno tu non ti ci mettere. Mi sto già pentendo a sufficenza, mi sto pentendo così tanto che ne basta per tutte le mie 9 vite.- borbottò.
-Sei un gatto?-
-Mi piacerebbe.-
-E perchè?-
-Perchè i gatti sono così morbidi, indipendenti...e non bevono alcol.- disse, stringendosi le mani attorno alle tempie. -Preferiscono il latte.-
Jared rise, quasi deciso a scrivere tutte le stupidate che stava dicendo su un foglietto e prenderla in giro per il resto della sua vita.
-Brutto stronzo.- esclamò poi, come se gli avesse letto nel pensiero.
Lui sussultò. -Che ho fatto?-
-Io sto così per te!-
-Me? Io non ho fatto niente! Non c'ero neanche, se no fidati che ora staresti dormendo beatamente non sul punto di sboccarmi sul pavimento.-
-No, è colpa tua. Tua e di quella razza di immigrata..- ma non fece a tempo a finire la frase che un conato la fece alzare da terra e attaccarsi con le unghie alla tazza.
Fortuna che aveva i capelli raccolti in una coda, disordinata, ma pur sempre una coda.
Il sollievo che provò l'istante successivo alla scarica,fu davvero come se si fosse trovata in paradiso. Jared le accarezzò la schiena, portandola a sé. -Meglio?-
-Oh sì. Non stavo così bene da.. l'ultima volta a casa tua.- confessò, arrossendo un po'.
L'uomo sorrise facendole appoggiare la schiena contro il suo petto e le lasciò un bacio tra i capelli.
-Sei tornata più lucida di quanto mi aspettassi.- scherzò.
-Non ci giurerei.- ora si sentiva solamente molto stanca. -Che ore sono, Jared?-
Lanciò la solita occhiata al fido orologio da polso. -Le 4 meno un quarto. Ti consiglierei di attendere ancora almeno un'ora prima di andare a dormire, però. Sai, questa calma non dura troppo.-
-Ti odio, mi stai rovinando il momento.- disse, appoggiandosi meglio contro di lui e chiudendo gli occhi. La testa le girava terribilmente.
-Mi stai riempiendo di parole dolci stasera ,eh?- notò sarcastico. -Allora mi vuoi spiegare cosa intendevi prima? Davvero ti sei ridotta in questo stato per causa mia?- fece un po' di pressione per scostarla da lui in modo da guardarla in faccia. Kimberly non oppose resistenza.
-Beh, no. È colpa mia se sto così, tu non c'entri nulla.- rimangiò in un secondo tutto quello che aveva maledetto l'intera serata.
Jared le lanciò un'occhiata eloquente, deciso a capire cosa si celasse dietro quel gesto assurdo, perchè sapeva che era sincera. Come si dice? In vino veritas.
La ragazza fece spalluccie. -Sono solo una stupida ragazzina, Jared. Lasciami perdere.- mormorò disgustata da se stessa, scostandosi da lui.
-Perchè dici così?- la trattenne deciso.
-Perchè.. vi ho osservati oggi, te e miss Rodriguez. E ho notato come sei sereno quando c'è lei nei paraggi.- spiegò brevemente.
Lui roteò gli occhi. -Kim, tu sei solamente..- cominciò, nell'intento di rassicurarla.
-...sicurissima di quello che dico.- finì per lui. -Ok, magari non saprò cosa circola nella tua testa, anche in questo preciso momento tu mi sembri solo un grande
punto di domanda!
Ma ti conosco, Jared e riconosco certe tue reazioni. Stai bene con lei.-
Il professore sbuffò. -Sì, ok, ci sto bene. E con questo?- era un crimine, forse?
-E ti piace..-
-..sì.- confermò, sebbene questo creasse un varco di dolore nel petto di Kim.
-Ecco, non vi serve altro.- sorrise tristemente.
-Tutto questo è assurdo.- sbottò lui, non capendo dove volesse arrivare.
-No che non lo è! Tu e lei potreste.. sì, ecco, hai capito.- concluse, senza dire niente di preciso. Il solo pensare alle parole che le circolavano vagabondanti nella testa le faceva male, pronunciarle sarebbe stato sicuramente peggio.
L'uomo sorrise scuotendo la testa. -Ascoltami ragazzina. Lola è una brava donna, ok, mi piace e mi piace star con lei, sarò franco con te. Ma questo non toglie che con te ci stia meglio e tu mi piaccia di più.- le spiegò lentamente, in modo che non potesse perdersi dei passaggi.
Già Kimberly lo guardava con occhi socchiusi e vedeva sfuocato di suo, parlarle animatamente non avrebbe sicuramente migliorato la situazione.
-Tu non mi segui..- mormorò lei desolata. -Non ti rendi conto di quanto sarebbe più salutare e sicuro se tu frequentassi una come lei?-
Jared sospirò, stringendo i denti. -Kimberly, rimandiamo questo discorso a quando sarai lucida. Hai sparato abbastanza stupidaggini per stasera.- il tono era duro e tendente all'irato.
Si stava arrabbiando, seriamente.
-No, Jared io voglio farlo adesso questo discorso, perchè quando sarò lucida non riuscirò ad affrontare una cosa simile.-
-Perchè mi stai dicendo tutto questo, Kim?- alzò la voce.
-Perchè ci tengo troppo a te!- esclamò, quasi sull'orlo delle lacrime. -Forse avevi ragione riguardo alla troppa differenza di età.- la voce le tremava.
La guardò con occhi colmi di scetticismo. -E tu vieni adesso a dirmi una cosa simile?- sibilò scattando in piedi e allontanandosi dalla stanza da bagno. -Adesso vieni a dirmi che avevo ragione quando ti dicevo che era meglio non cominciare questa cosa?-
Alla ragazza diede fastidio come aveva definito così volgarmente quello che erano.. cosa.
Si alzò da terra, decisa a seguirlo, ma le gambe non ne volevano sapere di collaborare, quindi dovette farsi forza e con le braccia aggrapparsi a tutto quello che le era possibile per raggiungerlo.
In cuor suo non voleva perderlo ma... forse era meglio così.
Il professore era di spalle, guardava fuori dalla finestra con le braccia appoggiate sui fianchi.
-Sai, non ho mai osato pensare che questa storia sarebbe stata semplice, ma non mi aspettavo che saresti stata tu a creare problemi. Così presto, per giunta!- sembrava più un monologo interiore.
-Jared, cerca di capire.- lo implorò appoggiandosi al muro, a debita distanza da lui. Non le aveva mai storto un capello, ma sembrava parecchio girato in quel momento.
Lui si voltò, per guardarla in faccia. -Spiegami Kimberly, forse è meglio.- disse appoggiandosi furiosamente al piccolo davanzale che precedeva l'immensa finestra, la quale comprendeva l'intera parete.
-Mi dispiace di essermi svegliata solo ora, ma ho aperto gli occhi. Non intendo lasciarti, o il termine giusto per troncare questa cosa.. so che fino a ieri ero incentrata su quello che desideravo io, non quello che vuoi davvero tu. E io non voglio che tu sia infelice.- confessò accasciandosi al suolo e portando le mani a
circondare le tempie che le pulsavano incredibilmente.
-E cosa ti fa pensare che io mi senta infelice?- chiese, ora più calmo.
-Il fatto che in pubblico non puoi mai essere te stesso. E mi infastidisce.-
-Oh, ti assicuro che quello non è proprio un problema. Non sono mai stato espansivo sentimentalmente se è quello a cui ti riferisci.
Piuttosto, sei tu che ci stai ripensando?- la guardò di traverso.
-Cosa? Come puoi pensarlo?- alzò la testa giusto per parlare, per poi riportarla sulle ginocchia, tenendo gli occhi chiusi.
-Magari mi stai raggirando per dar la colpa a me.- spiegò.
-Non sono così, mi conosci.- sta volta non si sprecò neppure a sollevare il cranio, troppo pesante e dolente.
-Sappi che se invece è così, non devi disturbarti a fare tutta sta scena. Io non ti tengo prigioniera.- sospirò per poi portarsi sul letto, pesantemente. Il suo tono cupo arrivò alle orecchie di Kim come un vento gelido.
Era contenta in un certo senso, le stava garantendo la libertà, la sua preziosa libertà. -Ok, buono a sapersi.- stava per svenire, alcol e sonno eccessivo erano un cocktail perfetto. Erano qualcosa come 24 ore che non chiudeva occhio. Se Jared dormiva sempre così poco si domandò mentalmente come facesse a mantenersi così bene. Magari dormiva appositamente poco per fare dei trattamenti alla pelle o farsi dei frullati magici.
Ok, era davvero troppo stanca, stava attraversando la soglia del mondo dei sogni, immaginandosi lui fare il patto col Diavolo come Dorian Gray. Forse nascondeva anchre lui un dipinto marcio in soffitta.
I suoi deliri interiori furono interrotti dalla voce finalmente tornata nelle tonalità normali di Leto.
-Ma allora, perchè proprio adesso? È cominciata..due giorni fa!- erano successe così tante cose che gli venne difficile ricollegare il senso del tempo.
-Meglio adesso che tardi, sai?- mugugnò lei, senza sollevare il capo così che le parole arrivarono al professore attutite dalla posizione accucciata. Meglio ora che era appena cominciata che quando ormai si fossero dichiarati il loro amore davanti al parroco. Sarebbe stato fastidioso interrompere la cerimonia così in malo modo.
Pazzesco, già si stava immaginando di sposarselo. Doveva assolutamente dormire.
-Per quanto mi riguarda, è già troppo tardi.- disse tranquillamente, scrollando le spalle.
Bastò questa frase a far spalancare gli occhi di Kimberly, come riposatissima e improvvisamente lucida. Sollevò la testa e guardò il professore, il quale teneva gli occhi puntati sul pavimento.
-Che c'è?- le domandò spaventato, accorgendosi di come lo fissava.
Lei non fece a tempo a ribattere che dovette correre in bagno, per la seconda volta.
Maledetto vomito, proprio adesso? Proprio adesso che le aveva detto la frase più bella della giornata? Respirò profondamente, alzandosi dalle piastrelle del bagno e tirando lo sciacquone, con una smorfia schifata. Jared le era accanto, lo sentì cingerle i fianchi con le dita affusolate ma forti.
-Cosa hai detto?- improvvisamente sentì una gran carica dentro di sé. Si voltò verso di lui, appoggiandosi al lavello alle proprie spalle.
-Non so di cosa tu stia parlando..- sorrise facendo il finto tonto, porgendole lo spazzolino impacchettato offerto dall'albergo nel corredo da bagno, il quale includeva due saponette, crema corpo e cuffietta di plastica.
-Prima.. che corressi qui.- gli ricordò cominciando a pulirsi. La menta finalmente cominciò a prendere il posto del disgustoso mix alcol+vomito. -Ah, quando sembravi in coma etilico?- la prese in giro osservandola. Anche mentre compieva la azione più umana possibile, gli sembrava proveniente da un altro pianeta. Tornò a guardarlo, girandosi completamente verso di lui, mostrandogli la linguaccia.
-Spiritoso..- sussurrò, mentre lo guardava avvicinarsi. Lui appoggiò le mani al lavandino dietro di lei, come ad intrappolarla. -Ero sul punto di crollare, ma stai certo che non me lo sono immaginata.- non ne era pienamente sicura, ma di certo non aveva una fantasia tanto vivace.
-E allora che bisogno c'è che te lo ripeta?-
Alzò le spalle. -Ne ho bisogno.. ti prego.- gli diede un bacio, senza togliere gli occhi dai suoi.
Sospirò. -Io ci sono dentro, Kim. Ormai è troppo tardi, perciò non venire a farmi discorsi futili riguardo al fatto che non ti senti sicura di quello che voglio io o di quello che vuoi tu, perchè io voglio solo te.
Mi spiace per te, ma non scappi.-
A quel punto, Kimberly non ebbe più dubbi su niente e rinsavì completamente. Gli portò le braccia al collo e lo baciò. Si sentiva come se fosse passata una vita dall'ultima volta ed era a corto di riserve. Lui sentendo che gli stava praticamente aggrappata al collo, comprese che le gambe stavano andando fuori uso, così, senza staccarsi, la mise seduta sul lavandino, stringendola più a sé e approfondendo il bacio.

 

Why does love always feel like
a battlefield?

Note finali: holaaaaaaaaaaaa! 

Allora come state? Domani c'è vacanza giusto (ovviamente per chi di voi va a scuola)? Pensate un pò, io invece domani ricomincio le lezioni, che due palle.
So che non ve ne frega una beata mazza, ma velo dico proprio per avvertirvi di non passare il pomeriggio in attesa di un aggiornamento (ahahah); perchè conciliare uni-lavoro mi porta a tornare a casa alle 6.30, quindi da lì in avanti state certe che arriverà il capitolo, non temete, non vi abbandono ♥ XD
Ok, cazzate a parte, un pò controverso questo capitolo, me ne rendo conto, ma che ce volete fa', io sono controversa e antitetica e questa cosa deve essere evidente in qualsiasi cosa mi riguardi! proprio per questo motivo mi auguto che non siate lettrici attente in quanto questa storia è piena di incongruenze, ma cazzocene, non sono laureata in romanzologia, mea culpa, faccamocene una ragione. E comunque l'amore stesso è un controsenso unico, giusto? Quindi rimaniamo in tema, fuck yeah.
In ogni caso abbiamo il lieto fine no? Volete il diabete? E diabete sia!
Spero vi abbia tenute col fiato sospeso fino alla fine (!!!)
La canzone è Battlefield di Jordin Sparks (se non erro) e non mi esprimo più di tanto dato che non me la ricordo neanche, so solo che esprime in pieno questa incongruenza che è il sentimento, che ci spinge a fare cose che non vorremmo fare, litigare per cose che non ricordiamo neanche alla fine e arrabbiarsi inutilmente.

Non avevo intenzione di cominciare una guerra
Sai che non ti farei mai del male
Non sappiamo neanche perché stiamo combattendo!

Perché l'amore sembra sempre
un campo di battaglia?

Ok, si vede che è domenica mattina e che io sono completamente rincoglionita e assuefatta dal tutto, ne ho sparate fin troppe per oggi quindi vi lascio ai fantastici commenti che SICURAMENTE mi lascerete, nevvero? ;)
LOTSOFLOVE

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Capitolo 36
*** Capitolo 36. ***


Capitolo 36.

 Notte prima fino a mattina
Inginocchiato a liberarmi
Dallo stato in cui sono stato e che mi è costato
La memoria
Sonno e bile, amaro soffrire
Il sole è tornato e già si vendica

 Dopo non troppo capì che era meglio smetterla, dato che non gli ci volle molto per intuire che Kimberly voleva altro. In una situazione diversa l'avrebbe accontentata, ma non all'alba delle 5 del mattino, sapendo che entro due ore e mezza sarebbero dovuti essere tutti presenti svegli e attivi, pronti per la super giornata in cui li aspettava una super camminata.
Stancarla eccessivamente non gli sembrò proprio il caso. E poi non era ancora miss lucidità, non si sarebbe sorpreso se il giorno dopo -cioè a ore- si fosse spaventata ritrovandosi insieme a lui.
Si separò da lei, con un ultimo piccolo bacio a stampo. Prese un bicchiere poggiato sul ripiano del mobiletto lì accanto e lo riempì d'acqua, per poi porgerglielo. Lei lo bevve senza esitazioni, finendolo in un sorso. Incredibile la sete che aveva accumulato. Lo ridiede a Jared che lo riempì una seconda volta e glielo riporse. Lei lo guardò confusa. -Mi vuoi ingolfare d'acqua per distrarmi?-
-Fidati, ti aiuterà domani mattina.- le assicurò. -Idrata l'organismo da tutta l'acqua che hai perduto riempiendoti d'alcol.- Kim non fece più obiezioni e ingurgitò completamente anche questo.
-Andiamo, devi riposare ragazzina.- mormorò prendendola per mano.
-No che non devo.- negò l'evidenza, seguendolo lo stesso, strascicando i piedi. La trascinò sul letto e la fece finalmente sdraiare. Il quel momento Kim si sentì paragonata alla marmellata, spalmata su un toast. I nervi si allentarono improvvisamente e si sentiva così pesante che pensava di star sprofondando nel materasso. -Tu come fai a non essere stanco?- gli domandò con una cadenza che fece intendere che ormai era più di là che di qua.
-Ho anni di pratica. I bambini hanno bisogno di almeno 8 ore di sonno.- sussurrò, baciandole il collo e sistemandosi alle sue spalle, le passò un braccio sotto la testa, così che ce la appoggiasse.
-Anche i nonni devono riposarsi, sai? Succhiare il brodo di pollo e rompere le palle, è faticoso.- scherzò stringendosi a lui, il quale sorrise. Nonostante fosse mezza morta, il suo sarcasmo non si spegneva proprio.
-Solo.. almeno stavolta non te ne andare.- mugugnò, riferendosi alla volta precedente.
Le lasciò un bacio in fronte e l'avvolse con le braccia, coprendola con il piumone inserito in un lenzuolo dorato. -Dormi e fai tanti bei sogni. Al tuo risveglio sarò qui.- promise per poi sporsi e spegnere la lampada sul comodino.
Non servì a molto, dato che ormai il cielo si stava schiarendo, e quella camera essendo composta in buona parte dalla finestrona, era illuminata da una luce fioca, ma abbastanza chiara da poter distinguere tutti gli oggetti presenti.
Al contrario di Kimberly, che crollò letteralmente in un mondo composto da nuvole di panna, unicorni alati e Jared Leto a torso nudo; lui fu come travolto da una specie di frenesia, dovuta alla eccessiva vicinanza della ragazza.
E pensare che stavano per troncare a causa di una stupida idea di lei, secondo la quale lui avesse bisogno di qualcosa di meglio. Come se dopo l'ondata che l'aveva travolto potesse trovare qualcosa altrettanto forte da togliergliela dalla testa. Assurdo anche solo pensarlo.
Era difficile dire cosa lo avesse attratto di lei, ma era una attrazione afida e, come ormai le aveva già detto, non poteva tornare indietro. Non dopo la fatica che aveva fatto per lasciarsi andare veramente.
Non dormì praticamente nulla, ma c'era abituato. Lo trovava semplicemente uno spreco di tempo, e poi, detto francamente, perchè doveva dormire se poteva passare quel poco tempo che gli era concesso con Kim? Avrebbe desiderato dare sia lei che se stesso per malati il giorno dopo così per recuperare i momenti rubati.
Sarebbe stato bello e lei ci sarebbe stata sicuramente.
Invece gli sarebbe toccato scarrozzarsi per tutta la giornata una povera ragazza, reduce da una sbronza e con due occhiaie equivalenti ad un montacarichi, dato che sia Lola che quel furfante del suo amico si sarebbero insospettiti. Entrambi avevano notato questo attaccamento eccessivo, pur essendo alunna e insegnante. Passavano davvero troppo tempo insieme, senza neppure farlo di proposito, sebbene a entrambi pareva valesse meno di zero. Probabilmente il giorno dopo avrebbero dovuto inscenare un litigio futile dei loro, tanto per non dare troppo nell'occhio.
Kimberly si mosse nel sonno, voltandosi verso di lui e poggiandogli la testa sul petto, abbracciandolo come fosse il suo cuscino. Lui prese a passarle le dita tra i capelli, pensando e ripensando a una serie di collegamenti senza senso, senza capo né coda, giungendo ad un punto in cui non sarebbe riuscito a ricostruire il filo del discorso al rovescio.
Fu la sveglia impostata sul cellulare a riportarlo sulla terra.  Erano già passate due ore. Tante se le valuti in base ad uno scioglilingua di pensieri, ma davvero troppo poche se le vedi dal punto di vista di un'adolescente con 24 ore di arretrati.
Si fece coraggio e con calma, cominciò a svegliarla. -Kim..- la scrollò appena.
Quando si accorse che dava segni di vita andò a prenderle un altro bicchiere d'acqua. Immaginava la sete immensa che doveva avere, e aiutarla era il minimo che poteva fare.
Non fece a tempo ad aprire il rubinetto che sentì un urlo micidiale provenire dalla camera da letto, più precisamente da Kim.
Sorrise, scuotendo la testa e tornò da lei, la quale era ranicchiata su se stessa, tenendosi la testa tra le braccia. Le si sedette accanto, poggiando il bicchiere sul tavolo. -Toglimi questa fottuta combriccola di muratori armati di trapano elettrico dalla testa!- sbraitò, senza cambiare posizione.
-Va così male?- le domandò a bassa voce, accarezzandole i capelli.
-Da morire. Anzi, la morte sembra un invito allettante e liberatorio.- bofonchiò tirandosi su a sedere. -Dimmi che hai una vagonata di aulin o qualsiasi cosa, ti prego, ti supplico, ti scongiuro.- continuava a non aprire gli occhi e a massaggiarsi le tempie con un espressione dolorante.
-Mi dispiace, per ora posso offrirti solo questo.- e le porse il bicchiere.
Il viso le si illuminò, per quanto possibile. -Dio ti benedica!- esclamò strappandoglielo dalla mano e scolandolo fino all'ultima goccia. La gola era secca e ruvida come la parte verde delle spugne che si utilizzano per scrostare le pentole.
Senza aggiungere altro corse in bagno e al posto che riempire il bicchiere, si attaccò direttamente con la bocca al rubinetto, riempiendosi d'acqua finché riusciva a tenere il respiro.
Tornò da Jared, il quale la aspettava tranquillamente, nella stessa posizione. Si risedette davanti a lui, incrociando le gambe. -Meglio?- le chiese.
La sua occhiata disperata gli fece comprendere abbastanza. -Ok. Quindi, tu ora vai in camera tua, ti prepari e ci vediamo tra un quarto d'ora a far colazione. Farò tutto quello che posso per fartela passare, giuro.- sorrise.
Kimberly gli si avvicinò e gli diede un rapido bacio, grata dello sforzo. Lei aveva fatto la cretina e lui si comportava come se fosse stata davvero causa sua. Adorabile.
Raccolse le sue cose e uscì dalla stanza, lasciandogli il bicchiere vuoto sul comodino. 

Raggiunse camera sua, sulla cui porta bussò appoggiandovisi con tutta la pesantezza del suo essere.
Stupida e cretina erano le poche parole sensate che le circolavano nella testa, mentre si malediceva per come si era comportata la sera precedente.
Juls prontamente aprì la porta, con un sorriso smagliate, quasi rischiando di farla crollare in terra.
-Kim! Ma che fine hai fatto?- esclamò, con quella voce trillante e affilata che equivaleva ad una serie di pugnalate nei timpani.
Si portò le mani alle orecchie. -Ti prego non urlare.- la implorò, dirigendosi verso la valigia per estrarre dei capi nuovi.
In quel momento Gwen uscì dal bagno e le si sedette accanto. -Kim, che ti è successo ieri? Ti abbiamo persa di vista!- teneva la voce volutamente bassa, sapeva cosa volevano dire i postumi di una sbornia. Insopportabili.
-Sono andata con Joe, Chase e Brian in un locale ma mi sa che ho bevuto un po' troppo. Poi non ricordo bene.- confessò dubbiosa. Sì, ricordava praticamente tutto, ma erano immagini sfocate, voci lontane che andavano e venivano e l'ordine degli avvenimenti era confuso.
-E dove hai passato la notte?- le chiese sgranando gli occhi. -Non sarai mica stata con loro!- dagli occhi celesti traspariva letteralmente quello che stava pensando. Kim poteva vedere le immagini che le si muovevano nelle retine come un filmato.
-Ma non dire scemenze!- le diede un piccolo colpo, risvegliandola dai suoi intrighi mentali. -Il professor Leto era all'entrata quando siamo tornati, e vedendomi in quell'orrido stato è intervenuto.-
A quel punto sia Gwen che Juls spalancarono la bocca, incredule. -Ma che culo immenso che hai Kim!!- esclamò la prima, prendendola per le mani. -Julia, siamo due sceme! Quando l'abbiamo visto dovevamo anche noi fingerci ubriache, al posto che augurargli la buonanotte!-
-Ma cosa hai capito..- si alzò da terra, arrossendo furiosamente. Forse aveva sbagliato a smentire della notte passata in un rito orgiastico con i tre amici. Meglio essere accusata di essere andata con tre consecutivi che mettere Jared nei casini.
-Sta' calma Kim, sappiamo che non è successo niente, dai ha 38 anni! Però solo quello dev'essere stato da sballo!- Juls sembrava più entusiasta di Kimberly stessa. Neanche ci fosse stata lei una notte con Jared.
-Sììì e poi deve avere un fisico pazzesco! L'hai visto, per caso?- le domandò Gwen, interessata.
Kim trattenne un sorriso. Era un bene che quelle due lo ritenessero “troppo serio” e che non fossero tanto sveglie. -No, sfortunatamente mi sa che sono crollata sul colpo.- inventò, per poi chiudersi in bagno. Woh. Aveva un aspetto orripilante, neanche se l'avessero investita sarebbe stata ridotta così male: aveva il volto
stravolto, le si poteva chiaramente leggere in faccia che non aveva dormito e che invece aveva passato una serata piacevole; i capelli erano tutti schiacciati sul lato sinistro del cranio e per di più aveva l'impressione che il suo stomaco fosse stato posseduto da un mostro (per non aggiungere niente riguardo alla sua testa).
Si lavò il più in fretta possibile, cercando di ridonare una forma ai capelli e idratando bene la pelle del viso. Possibile che l'alcol fosse così devastante? Una volta e ti rovina.
Tornò dalle compagne, ancora sedute sul letto a confabulare un piano per scoprire la camera del professore di musica e sorprenderlo senza maglietta. Quei cinguettii sovraeccitati le mettevano il nervoso, le mettevano una gran voglia di urlare.
-Kim, vuoi partecipare a.. oh signore santissimo, ma che ti sei messa?- esclamò Gwen, disgustata. La maglietta e il maglioncino stonavano troppo per i suoi gusti.
La zittì con un gesto spazientito. -Gwen, al momento sarei pronta ad uccidere per una scatola d'aulin e una scorta di bicarbonato, o una macchina del tempo in modo da poter tornare indietro e cancellare le mega stronzate che ho fatto; ho un mostro che sta giocando a flipper nella mia pancia e ho dormito sì e no due ore. Non mi provocate.- le minacciò con l'idice alzato.
Le due si guardarono tendenti all'impaurito, poi tornarono a lei e decisero di prendere in mano la situazione: in men che non si dica erano riuscite a cambiarla -a piacimento di Gwen- e a coprirle quelle occhiaie spaventose, grazie alle mani abili di Juls.
Ora potevano anche presentarsi in salone per fare una buona colazione.
Kim le guardò colma di gratitudine. -E voi, che avete fatto ieri?- 

Nel frattempo Jared era sceso da qualche minuto, unendosi ai ragazzi più mattinieri. Non erano molti, ma erano più di quanti si aspettasse. E, in ogni caso, la faccia stravolta l'avevano tutti.
Quella sera era quasi certo che la metà avrebbe preferito fermarsi in camera a guardare la televisione, invece di andare a folleggiare. Specialmente dopo la scarpinata programmata per la giornata.
-Jared!- sentì chiamare alle spalle, con quell'adorabile accento latino. Si voltò e Lola più pimpante del dovuto lo salutava con la mano, allegramente.
-Lola! Dormito bene?- le domandò indicandole il tavolone del buffet, da cui potevano pretendere tutte le cibarie.
-Sì grazie, tu?- rispose cordialmente la donna.
Lui fece spalluccie e si buttò sul cibo. Innanzitutto aveva un gran bisogno di caffè, non sarebbe mai riuscito ad arrivare al termine della giornata senza, e poi fece una grande scorta di frutta fresca, yogurt e bicchieri colmi d'acqua.
-Jared ma che cavolo..? sei così tanto affamato?- gli chiese, quando si sedettero a tavola. Lei aveva solo un piatto di uova e bacon e lui sembrava avesse fatto rifornimento per un esercito.
-Vedi..- optò per lo spiegarle perchè quella mattina avrebbe invitato Kimberly a sedersi a mangiare con loro senza che lei lo ritenesse un pervertito. -ieri sera mi sono imbattuto in alcuni dei nostri ragazzi, ovviamente un po' brilli. E tra questi c'era Kimberly, solo che lei era messa decisamente peggio, quindi me ne sono occupato io e sono deciso a farle passare questa brutta sbronza.-
-Oh, povera cara. Ora come sta?- sembrava davvero preoccupata e per nulla contraria a quello che le aveva raccontato. Meglio di quanto sperasse. -Non pensi sia più sicuro lasciarla riposare per oggi?- il tono era quasi materno.
-Quando si è svegliata aveva il tipico mal di testa ma non credo ci sia bisogno di lasciarla in hotel, più si muove meglio è.- affermò, sembrava uno che la sapeva lunga.
-Oh, eccola!- lo avvisò poi miss Rodriguez, vedendola arrivare dalle scale. Jared voltò immediatamente lo sguardo nella sua direzione, intercettando i suoi occhi e facendole segno di unirsi a loro. Le tre ragazze raggiunsero il tavolo e si accomodarono, salutando molto educatamente. Il tavolo era rotondo, quindi ci stavano perfettamente tutti e 5.
-Ciao Kimberly, come ti senti?- le chiese dolcemente l'insegnante di spagnolo, sorseggiando una tazza di tè.
La ragazza non sorrise, sistemandosi accanto a Jared. -Come dopo una vivisezione.- si lagnò, portando una mano in grembo.
Lola sollevò le sopracciglia. -Mh, il paragone rende.- sussurrò a Jared, il quale rise di gusto, senza distogliere l'attenzione dalla diciassettenne.
-Kim, vado a prendere la mia colazione, vuoi qualcosa?- domandò gentilmente Juls.
-Oh, sì ti prego, una brocca di caffè.-
-Nononono, grazie Julia a Kimberly ci penso io.- s'intromise quello di musica sorridendole, tant'è che Juls se ne andò con un aspetto completamente imbambolato.
-Perchè? Cos'ha contro il caffè?- sbottò brusca Kim.
-Io nulla, tu invece per stamattina sei pregata di ingurgitare quello che ti do senza storie.- disse porgendole una ciotola di frutta fresca, per quanto fosse possibile che a New York ci fosse dell'ananas fresco a marzo.
Lei sbuffò, cominciando a piluccare un po' di fragole. Avrebbe preferito di gran lunga una bisteccona al sangue, ma non erano male e se lui gliele consigliava ci doveva essere un motivo.
Notò che l’insegnante teneva in mano una tazza di caffè fumante e se la portò alle labbra. -Lei è una disgrazia.- brontolò cominciando a bere un bicchierone di acqua fredda.
-Fidati ragazzina, ti sentirai meglio.- disse convinto con un sorriso.
Lei lo fulminò con gli occhi. -Quando sverrò in piena crisi di astinenza da caffeina, non si disturbi nemmeno di venire a raccogliermi da terra.-
-Ci pensavi prima di fare la cretina con le bottiglie di gin!- si difese continuando a sorseggiare davanti ai suoi occhi pietrificati.
-E quando mi trascineranno via in barella per poi conficcarmi in una tomba buia e soffocante, si ricordi che sarà lei il responsabile di tutto questo e mentre leggerà davanti ai miei amici e parenti la sua lettera di condoglianze pretendo che citi le seguenti parole “Era così giovane... e mi aveva chiesto solo una tazza di caffè”- mentre sbrodolava parole a caso in modo da confonderlo gli si avvicinava sempre di più, con un fare tutt'altro che amorevole, anzi. Sembrava piuttosto misaccioso, brandendo nella mano destra quel cucchiaino per mangiare lo yogurt; Leto era convinto che sarebbe stata capace di cavargli un occhio.  -E la mia immagine le circolerà per il resto della vita davanti agli occhi ogni volta  che scioglierà lo zucchero nel suo caffè!- sbuffò isterica per poi portarsi le braccia al petto.
I due insegnanti rimasero sconvolti nel notare che non aveva mai interrotto lo sproloquio per prendere aria. -Ok, ok!- si arrese spazientito, porgendole la sua stessa tazza di caffè, gli aveva messo la nausea.

-Ma tu non respiri mai?- le domandò Lola, ancora stupita.

-Non quando mi si nega qualcosa di tale importanza.- sorrise vittoriosa sorseggiando la bevanda calda che le scorreva lungo la gola.

-Sappi che non voglio sentire storie se non ti passa!- esclamò contrariato Jared, mostrandole qualcosa che avrebbe fatto più al caso suo.

-Mh, mamma che palle che è prof. Sto bene, ora sto decisamente molto bene.- gli sorrise, mettendo in mostra tutti i denti perfettamente allineati.

“Vorrei solo strapparmi gli occhi e gettarli in un catino d'acqua gelata, ma pace.” pensò tra sé e sé la ragazza, notando che si sentiva come se qualcuno le avesse sbriciolato del vetro negli occhi.

-Io mi sono portata qualcosa simile all'aulin, se può farti star meglio.- disse la signorina Rodriguez, mentre frugava nella borsetta.

Meglio tardi che mai, Kim quando udì la parola magica si issò immediatamente, con uno sguardo assatanato. -Davvero? Oh mio Dio, lei è la provvidenza!- esultò allungando una mano, quando Lola le mostrò una bustina.

La afferrò e ne sciolse il contenuto in un bicchiere per poi scolarla in un colpo.

-Non eri tu quella che non prendeva medicine?- osservò sarcastico Jared.

-Signorina, il suo collega mi disturba!- esclamò capricciosa Kim, indicandoglielo imbronciata.

-Eddai Jared, lasciala stare!- la difese immediatamente la donna, dando un colpetto sul braccio dell'insegnante, il quale non fece a tempo a reagire che entrarono in sala i tre compari di Kim.

-Ehilà, guarda chi c'è!- esclamò Chase, venendole in contro. -La nostra vecchia spugna!-

-Ciao Chase.- rispose apatica, continuando a sorseggiare. -Brian, Joe.- continuò, rivolgendo loro un semplice sguardo.

-Ehy pazzoide, come ti senti?- chiese dolcemente l'ultimo, chinandosi su di lei per lasciarle un bacio in fronte. Non si lasciò sfuggire l'irrigidirsi del professore accanto a lei, e ghignò sommessamente.

-Meglio grazie. E tutto il merito va al professore.- disse guardandolo di sottecchi.

Joe gli lanciò un'occhiata che Jared ricambiò, rimanendo così a fissarsi intensamente per dici secondi buoni, come la sera prima.

I due amici, i quali avevano già assistito alla medesima scena, decisero di interromperla immediatamente, dato che avrebbe tanto potuto urtare l'umore del professore questo atteggiamento del loro compagno nei suoi confronti. -Buongiorno, professori!- esclamarono, prendendo Joe per le braccia e trascinandolo ad

un tavolo, lontano dal loro.

Caffeina, nera regina
Salva i tuoi sudditi fedeli
Santo Brufen prega per tutti quelli che hanno bisogno di
Una superficie dove sacrificare senza rimorsi
 un giorno fatto di sudori freddi,

occhiali da sole e monosillabi.

Note finali: mi ricordo id avervi detto che avrei aggiornato stasera ma causa neve c'è stato un cambio di programma!
Anyway, mi rendo conto che questo capitolo faccia abbastanza cagare e non sia scritto nel migliore dei modi, troppe cose, troppe insieme, ma siate clementi!
Ho scelto una canzone azzeccatissima almeno! Mi piace moltissimo e quando l'ho sentita la prima volta mesi fa mi è venuto spontaneo collegarla a sto capitolo. almeno non ho messo Hangover, guardiamo i lati positivi ahaha.
E' Synthami dei Blastema, sempre quel gruppetto poco conosciuto.
Non ho molto da dire, dato che prevedo poche se non zero recensioni, ci vediamo Morgen con un nuovo aggiornamento, yoh!
xoxoxoxoxox

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Capitolo 37
*** Capitolo 37. ***


Capitolo 37.

 I tell you all the time
Heaven is a place on earth with you

 La giornata iniziò quindi, nel migliore dei modi. Da quel momento in poi Jared cercò di evitare Kim come la peste, specialmente se nei paraggi del suo compagno.
Aveva intuito dagli sguardi minatori che quel ragazzo aveva qualcosa che gli frullava nella testa e non era niente di buono. Sicuramente qualcosa di compromettente e, dato non sembrava particolarmente propenso a perdere Kimberly d'occhio, era meglio tenersi a debita distanza.
Un'occhiata troppo lunga o eloquente, una carezza troppo vistosa o un sorriso di troppo sarebbe stato un enorme sbaglio.
Kim si accorse di questa chiara freddezza nei suoi confronti e non capiva proprio cosa gli fosse capitato di punto in bianco. Dalla colazione non avevano avuto neanche un secondo per scambiare due parole e lui non sembrava volerle concedere neanche il tempo per porgli la domanda.
Ma decise di non pensarci e, del resto, sapeva perfettamente che l'umore di Jared non aveva nulla da invidiare a quello di una comune donna.
Camminava accanto ai suoi compagni sul marciapiede, destinazione Ground Zero, ovvero il luogo dove si trovavano ai tempi le Twin Towers.
Kim sentiva dentro una grande angoscia, e non solo per il trattamento scontroso che Jared le riservava, ma anche perché si conosceva perfettamente e sapeva che quello che le sarebbe toccato vedere avrebbe avuto un impatto emotivo devastante sulla sua vulnerabilità.
Ok, detta così poteva sembrare un'immensa stupidaggine, ma i luoghi malinconici per lei erano come la criptonite per Superman: l'assorbivano e la demolivano dall'interno.
E di sentirsi fragile proprio non ne aveva voglia, anche se dato lo stato catatonico in cui si ritrovava, non pensava di potersi ritenere poi così tanto influenzabile.
Quando arrivarono a destinazione rimase alquanto stupita. Si aspettava un ampio spiazzone coperto di ceneri e macerie non ancora rimosse per il lutto generale -nonostante ormai lo scorrere degli anni- ritenuto un po' come il simbolo di qualcosa che era andato perso per sempre.
Invece non riusciva a vedere.. niente.
A parte le folle di turisti che spintonavano, da quello che riusciva a scorgere dalla sua bassezza/altezza era un vero e proprio cantiere, con le tipiche reti rosse che arrivavano ai 3 m di altezza.
Si avvicinarono in gruppo ad un'insenatura per scorgere l'interno, mentre Kimberly preferì rimanere sul fondo. Dato che la sua fortuna per una volta l'aveva assistita mettendole quell'intoppo alla visuale drastica della faccenda, non le avrebbe fatto questo torto, per una volta.
Godiamocela, pensò.
Purtroppo però i suoi compagni la presero per le spalle e l'avvicinarono di peso, descrivendole lo scenario che avrebbe visto “da panico”. Ed effettivamente, era proprio vero.
La tremenda curiosità che in quel momento la persuase non le fece chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo, ma anzi, la fece guardare all'interno di quella rete rossa e osservare il tutto, dandole il tempo di imprimere nella memoria e immagazzinare le informazioni.
Il risultato fu seriamente da panico. Non si buttò a terra in seguito ad una crisi isterica, ma, come aveva temuto, quel luogo disfatto, devastato e diroccato la assorbì completamente facendola sentire parte del paesaggio.
Era come si immaginava, come aveva visto nelle immagini sui libri o in internet, un vasto, immenso, sconcertante buco che stonava, specialmente se attorniato da quei palazzoni massicci ma che improvvisamente le apparvero ricurvi, ripiegati su loro stessi nell'angoscia dell'aver assistito alla strage avvenuta davanti ai loro occhi di vetro.
Quel luogo era peggio di qualsiasi altro cantiere che avesse mai visto. Pareva più un cimitero, sebbene non ci fossero ladipi o amici dolenti vestiti di nero e in lacrime.
Ma, e qua poteva metterci entrambe le mani sul fuoco, attorno ad esso aleggiava la medesima atmosfera di morte e malinconia di un cimitero; sotto tutta quella cenere e quelle macerie, poteva scorgere le basi su cui una volta si innalzavano le famose Torri.
Fu scossa da un brivido e delle mani la levarono con prepotenza da lì. -Ehy Kim, ti sei addormentata?- le domandò Joe scherzando prima di poterla realmente guardare.
Sembrava spaventata a morte da quello che aveva appena visto. –Ti senti male?- magari le stava tornando la nausea.
E in effetti sì, si sentiva un po' nauseata dalla sua mente contorta e dalla sua emotività così corruttiva.
-Dio, Joe.. è così spaventoso questo posto.- mormorò guardandosi alle spalle.
-E' solo un cantiere Kim, non può farti del male.- la rassicurò allontanandola.
Era evidente che lui non avesse colto quello che aveva colto lei. Quelle ceneri non erano solo dovute alle esplosioni o ai rimasugli di cemento, no. Tra quella cenere giacevano anche i resti delle vittime.
Ma la mente di quel ragazzo era completamente annebbiata da altro, probabilmente era convinto che lei fosse affetta da crisi mistiche e allucinazioni da alcol.
Niente di più sbagliato, dato che improvvisamente si sentiva talmente amareggiata che il mal di testa e la stanchezza si fecero così flebili da non esistere, così nulle rispetto a quello che era accaduto in quel luogo anni prima, dei fuochi così vani rispetto a quelli che avevano letteralmente distrutto delle vite.
In silenzio si divincolò dalla presa e si unì al resto del gruppo, composto da ragazzi che parlavano tra di loro per ammazzare il tempo e professori che attendevano impazienti la guida ingaggiata per far sì che i ragazzi ci capissero di più.
Kimberly si avvicinò cautamente a Jared, strattonandogli la giacca. L'uomo le rivolse una semplice occhiata, tra il curioso e l'indifferente, quasi scocciato.
-Jared non voglio stare qui.- sussurrò Kim guardandosi attorno.
-Mi dispiace ma il piano della giornata comprende questo.- disse con tono apatico, senza incrociare mai, neanche una volta, neanche per sbaglio lo sguardo della ragazza.
-Jared, per favore. Portami via da qui.- il tono si fece implorante e solo a quel punto lui si decise ad abbassare la testa e a rivolgerle un’occhiata che inizialmente sfociò nell'apprensivo. -Non ti senti bene?- domandò, estraendo dall'ampia tasca della giacca una bottiglietta d'acqua, per poi porgergliela. Kim la respinse con un gesto brusco, stizzita.
-Non sto male, voglio solo che tu mi porti via!- esclamò, mantenendo pur sempre un tono di voce moderato, essendo fin troppo vicina ai compagni e amici.
-Kimberly lo capisci che non posso? Piantala di essere insistente. La risposta è no; no, non posso portarti via e non posso passare il tempo qui a discutere con te di queste cose improbabili!- rispose continuando a guardare da tutt'altra parte per poi allontanarsi. L’alunna rimase basita da quella reazione spropositata, osservandolo mentre si avvicinava alla collega, la quale nel frattempo era stata al telefono ad avvisare la compagnia che la loro guida non si era ancora fatta
viva.
Con lei sorrideva, per lo meno.
Quando voltò la testa sconsolata da un'altra parte si accorse che Joseph li aveva osservati tutto il tempo e ora la guardava con un'espressione criptica, studiandola. Lei gli rivolse un'occhiata acida e poi si allontanò di qualche passo, guardandosi intorno. 

Dopo qualcosa come 10 minuti, la guida finalmente si degnò di unirsi al branco di ragazzi annoiati e sbadiglianti, scusandosi per il ritardo dovuto al traffico.
Era un uomo di bell'aspetto -a milioni se ne trovavano in quel periodo- infatti non fu difficile attirare più di tanto l'attenzione dei membri femminili, specialmente della Rodriguez, la quale sorrideva per ogni battuta tentata da parte dell'uomo di nome Mason.
Era sicuramente molto carismatico e preparato, spiegava bene tutta la storia nei minimi dettagli quasi fosse stato presente, ma Kimberly non gli prestava più della concentrazione che metteva per immaginare cosa avesse contro di lei Jared quella mattina.
Era un aspetto davvero frustrante che nella loro situazione non potessero chiarirsi neppure liberamente. Sempre controllati, lui isterico e lei nervosa -o viceversa- e rivali ovunque.
Per non parlare dei spaventosi cambiamenti d'umore dell'insegnante. Era invivibile, desiderava quasi tornare a casa.
Mentre Mason stava quindi mostrando ai ragazzi il plastico del futuro palazzo che erano intenzionati a costruirci -opera che richiederà anni e anni date le mastodontiche misure-, Kim guardò tutti i palazzi attorno al buco. Aveva avvertito Mason informare i presenti che tutti questi grattacieli circostanti, a causa dell'esplosione, erano stati danneggiati o proprio distrutti e quindi risistemati. Proprio mentre un pensiero che somigliava “Però, non l'avrei mai detto. Hanno fatto proprio un gran lavoro!” il suo sguardo fu catturato da un piccolo edificio non troppo lontano.
Controllò che fossero tutti attenti ai discorsi della guida e cominciò ad avvicinarvisi a grandi passi.
Era una chiesetta in mattoni rossi, visibilmente molto vecchia, tanto che alle spalle di quel piccolo campanile c'era un piccolo cimitero dove le lapidi erano tipicamente anglicane e in pietra, non come adesso che le fanno in granito o pietre comunque di un certo spessore.
La cosa che la colpì principalmente fu che non sembrava affatto ristrutturata, dato che appariva spoglia proprio come le chiese del nord Europa. Ma data la tremenda vicinanza con il “cantiere” le sembrò una cosa pressoché impossibile. Dei giganti di grattacieli erano stati tremendamente colpiti dall'accaduto e come era possibile che invece un piccoletto così non fosse stato minimamente sfiorato?
Il suo flusso di pensieri accompagnato dai suoi passi che non accennavano a fermarsi, furono invece interrotti da una voce che le bloccò i polmoni. Il professore, con quegli occhi così freddi e spettrali l'avevano pedinata.
-Dove credi di andare?- le chiese con un sorriso che gli increspava le labbra sottili, ma belle.
Possibile che fosse così? Era dotato di una bellezza quasi sfacciata e ne era totalmente consapevole.
La mano era stretta attorno al suo braccio all'altezza del gomito e, come se emanasse un'energia solare, come se si illuminasse di luce propria, Kim sentì da quel punto di contatto un calore espandersi in tutto il corpo. Improvvisamente il suo sguardo non sembrava tanto rigido, non più così freddo e severo come se ce l'avesse con lei. Sembrava sereno.
-Potrebbero vederci.- gli rammentò la ragazza, scrollandoselo di dosso senza distogliere gli occhi dai suoi.
Lui alzò le spalle con sufficienza e infilandosi le mani in tasca sentenziò -Un'alunna mi stava scappando. Io, insegnante, ho tutto il dovere di inseguirti.-
-Sei un tesoro quando fai il tuo lavoro.- disse sarcastica, incrociando le braccia al petto.
Lui sorrise di rimando e fece un cenno con la testa in direzione del gruppo. -Non sarebbe meglio tornare?- con quel tono suadente e quel sorriso che sapeva l'avrebbero persuasa.
Kim indicò la piccola chiesetta. -Portami là dentro.- era più una richiesta che un ordine. Quando lui la trattava in quel modo era davvero difficile rimanere fedele alla sua stessa volontà e aggrapparcisi.
Jared le lanciò una breve occhiata, in fondo a quel cielo Kim ci vide un barlume di curiosità. -Perchè ci tieni tanto?- le domandò confuso.
-Meglio che star in quella trincea di guerra. Quel posto mi terrorizza.- confessò finalmente.
La guardò intensamente negli occhi per capire a cosa si riferisse. -Cosa c'è che non va Kim?- lo sguardo si corrugò in un aspetto un poco preoccupato, avendo colto la sua frustrazione.
Kimberly deglutì, sentendosi stupidamente debole per quella barriera che aveva messo tra loro due, così, deliberatamente. -Tu, Jared! Sei tu che non vai. Con questi cambi di umore degni di una ragazzina, mi fai diventare deficiente!- sbottò, presa dalla collera.
Il professore le si avvicinò con un mezzo sorriso. -Kimberly non volevo trattarti male, mi dispiace. Devi sapere che il tuo caro amico ci sta tenendo d'occhio. Ha fatto 2+2 molto più velocemente di qualsiasi altro.- scherzò, poggiandole le mani sulle spalle.
Lei si sentì improvvisamente una grande idiota. Chiuse gli occhi con il fare di chi si vorrebbe sotterrare nel giro di pochi secondi. -Oh, ma quanto sono scema.- borbottò, coprendosi il volto con una mano. Tutto quell'odio nei confronti dell'uomo che pensava al suo bene, sfumato inutilmente nell'inutilità.
-No, non scema. Solo.. un po' svampita.- la prese in giro, beffandosi della grande fortuna di Kim di non accorgersi assolutamente di quello che le accade intorno. Poi alzò lo sguardo, controllando alle sue spalle e, accertatosi che i conoscenti fossero a debita distanza e ancora persi nelle spiegazioni di Mason, si chinò per baciarla, tenendola stretta.
-Ora, dimmi cosa c'è che ti turba. Non penso di essere stato io ad averti fatto scappare.- constatò circondandola con un braccio, mentre si dirigevano verso la chiesetta.
-Ho il brutto difetto di immedesimarmi in quello che vedo. E quel posto, la dimora di tutti gli spettri e i fallimenti di New York, mi ha messa profondamente a disagio.- spiegò stringendosi al suo petto.
Salirono le scale d'ingresso e vi entrarono. Jared, appena si accorse di cosa si trattava in realtà quella chiesa, decise che era davvero il caso di portarla fuori, se era davvero così sensibile.
-Kim, io direi che è meglio raggiungere gli altri.- deglutì, facendo per portarla fuori, ma lei glielo impedì, con gli occhi fissi davanti a lei.
Quella chiesa -definita da alcuni miracolosa- era interamente dedicata alla strage dell'11 settembre.
C'erano altarini su cui giacevano fotografie, dediche, regali, fiori e offerte in onore di quelle povere vittime innocenti. Kimberly, sebbene appunto fosse anche fin troppo suscettibile per queste cose, si sentiva in dovere di rimanere e spendere un po' del suo tempo in quella realtà.
Lanciò un'occhiata a Jared e poi si incamminò tra la folla di persone che in quel momento non le sembravano neanche estranei: in un ambiente simile ci si rende davvero conto di quanto siamo uguali, in realtà.
Tutti i presenti avevano almeno gli occhi lucidi -non che ci badassero più di tanto a guardarsi l'un l'altro- e per la ragazza era praticamente impossibile che fossero tutti parenti venuti per far visita. Quindi erano turisti, come lei, e esseri umani, come lei, come quei poveretti. Kimberly lesse innumerevoli testamenti e lettere strappalacrime di persone che avevano subito realmente la perdita.
Molti di quei visi, lo sapeva, le sarebbero rimasti impressi come uno stampino.
Una foto la colpì particolarmente: una foto raffigurante due sposi. Qual era la loro storia? Quale dei due era rimasto vittima della strage? Tutti e due forse? Sapeva solo che quella fotografia risaliva solamente ad un mese prima dell'attentato.
Ciò significava solo che i due non avevano fatto a tempo a godersi fino in fondo la loro storia. Non avranno litigato fino a rischiare un divorzio che poi non sarebbe avvenuto, non avevano fatto a tempo a capire di essere pronti per avere dei figli, non avevano potuto assaporare la sensazione di noia che si prova dopo 50 anni di matrimonio.
Sotto c'era scritto in bella calligrafia tondeggiante
“Non smetterò di amarti un solo istante della mia vita. Mi dispiace di non averti mai saputo dimostrare quanto realmente fossi importante per me”
Gli occhi, che fino ad adesso erano stati incredibilmente appannati, si sfogarono silenziosamente. Sarebbe stato irrispettoso dare spettacolo piangendo tutta la tristezza che questo le causava. Irrispettoso e decisamente di cattivo gusto. Sentì la mano calda di Jared stringere la sua, avendola vista così abbattuta. La strinse a sé e le diede un bacio sulla tempia, cercando di consolarla, per quanto gli fosse possibile.
Cosa puoi dire a una ragazza che piange per un lutto che non le appartiene neppure?
Kim gli sorrise tristemente tornando a guardare insieme a lui altri volti, altri fiori, altre parole; senza togliere un intante la mano dalla sua.
Alla fine decisero che sarebbe stato meglio tornare dagli altri che li stavano certamente dati per dispersi, sempre se si erano accorti della loro mancanza.
Avrebbero potuto dire che l’alunna si era sentita male e lui l’avesse accompagnata in un bagno pubblico.
 All'uscita il professore estrasse dalla tasca dei pantaloni una manciata di monete che infilò nella scatola delle offerte per quella chiesa così antica e importante per l'isola di Manhattan, gesto che colpì piacevolmente Kim. Lui in parte lo fece sicuramente per lei.
-Jared?- lo chiamò improvvisamente con voce provata.
-Dimmi, Kim.- si fece attento, tenendo lo sguardo fisso sul marciapiede.
Lo precedette e gli si piantò davanti. -Sei importante per me. Sei più importante di qualsiasi altra cosa al mondo, sei la più importante delle importantezze che mi sia mai capitata.- disse fissandolo intensamente. Cogliendo la scintilla nei suoi occhi profondi e scuri, così scuri da non riuscire a scrogerne la pupilla, si chinò per raggiungere le sue labbra, con una serietà disarmante.
Sapeva che era sincera, e quelle rientravano nella scala delle parole più belle che gli fossero mai state rivolte. -Voglio solo che tu lo sappia.- continuò, separandosi dalla bocca dell'uomo. –Significhi davvero molto per me.-

 It’s better than I ever even knew
They say that the world was built for two

Only worth living if somedody is loving you.

Note finali: in questo spazietto ci terrei a chiarire 3 cose.
1)questo capitolo è molto importante per me, forse perchè per la prima volta tratto un argomento serio o forse perchè sono stata molto autobiografica.
Ora so che c'è quella magnifica costruzione, ma quando ho avuto io la (s)fortuna di visitare Ground Zero era un immenso cantiere e, forse sono io molto romantica (nel senso letterario del termine) o probabilmente è una cosa normalissima, ma mi sono sentita così.. male. Sono molto empatica e mi immedesimo nelle persone e nei posti; di fronte a certe stragi non posso rimanere indifferente, sebbene mi riguardino in terza persona plurale.
Chi di voi è come me può capire, e spero davvero molto che questo aspetto sia passato attraverso quello che ho scritto.
Se qualcosa ve l'ho smosso, posso considerarmi la persona più soddisfatta della terra, come avessi vinto un premio Pulitzer.

2)La chiesetta (per chi c'è stato lo sa) esiste davvero, ora non ricordo il nome esatto, ma il "miracolo" c'è stato davvero. Al contrario di tutti i palazzi attorno alle Torri che hanno risentito dell'esplosione, questo piccolo edificio è rimasto intatto. Miracolo, culo, mistero di Fatima, chiamatelo come volete, ma rimane una cosa davvero pazzesca.
All'interno c'è o per lo meno, c'era davvero un memoriale dedicato alle vittime, e preferisco non rivelarvi se quella foto l'ho vista davvero o si tratta di pura invenzione. (Sicuramente quelle non erano le parole esatte, non ho una buona memoria)
Mi appello alla mia licenza poetica (qualora ne avessi una) e vi lascio nel dubbio, sebbene non sia questo il punto della faccenda.

3) Non sono impazzita e so che "importantezze" non esiste, mi riappello alla mia licenza poetica e mi autoconcedo il potere di coniarla oggi stesso (ahah) 
Volevo trasparisse la genuinità e l'euforia romantica (nel senso moderno del termine) del momento, quando vuoi assolutamente far capire qualcosa di così importante ad una persona, ma l'agitazione non ti fa trovare le parole, allora capita (a me spessissimo, poi non so voi) che ne inventi di nuovi.

Cerco sempre di inserire parole auliche o ricercate, e non vorrei insegnarvi qualche strafalcione ahaha.

In ogni caso, la morale del capitolo credo si colga in pieno: dite alle persone a cui volete bene quanto sono importanti per voi. Non aspettate di perderle. (Non necessariamente così tragicamente!!) Mi è capitato recentemente, e rileggendo cosa ho scritto qui sopra, mi sono resa conto di quanto sono stata cogliona, ma pace, non si torna indietro.

Ok, la canzone l'abbiamo già incontrata e non sono sicura che fosse giusta per questo capitolo perchè il tema centrale non è la relazione tra i due dell'ave Maria, però regass c'ho messo un'ora per modificare e scrivere sto papiro, quindi pietà ;) 

Videogames di Lana del Rey.

Te lo dico sempre
Il paradiso è un posto sulla Terra (quando sono) con te

E' meglio di quanto mi aspettassi
Dicono che il mondo fosse costruito per due
Vale la pena vivere, solo se qualcuno ti ama.

Anzi, ora traducendola mi rendo conto di quanto fosse inconsciamente azzeccata ahaha.
Ok, scrollatevi di dosso questo senso di angoscia/irrequietudine/tristezza che sono consapevole di aver fomentato finora, MEA CULPA e fate un bel sorrisone, che non è successo nulla di grave da piangere oggi. La tragicità è parte della mia personalità, ve ne renderete conto più avanti (se non l'avete fatto con i capitoli iniziali) che quando tratto di cose spiacevoli, diventano tragedie greche!
Gradirei molto mi diceste se avete sentito qualcosa, se vi è piaciuta o meno, se mi odiate per qualsiasi cosa o no ahaha.
Grazie dell'attenzione, baci&abbracci.

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Capitolo 38
*** Capitolo 38. ***


Capitolo 38. 

It's about you and the sun 
A morning run 
The story of my maker 
What I have and what I ache for 

Kimberly rotolò su un fianco, assaporando il profumo fresco di lenzuola appena lavate.
Si trovava in uno stato di dormiveglia da cui non voleva quasi assolutamente uscire. Il tipico dormiveglia dato dall'orologio biologico, che ti rende consapevole del fatto che c'è tua madre in bagno e sta per venire a svegliarti.
Quel dormiveglia che non vorresti mai interrompere, da cui non vorresti mai svegliarti perchè improvvisamente quella in cui ti trovi è la posizione più comoda del mondo, quelle coperte sono più calde del solito e sbaglio o il cuscino è più soffice del normale?
Kim riordinò le idee senza aprire gli occhi, cercando di prolungare il momento. Non riusciva assolutamente a ricordarsi che giorno fosse o cosa avrebbe dovuto fare, se avesse interrogazioni o compiti di qualche genere.
Fin quando un sospiro non suo la riportò alla realtà dei fatti.
Grazie al cielo era ancora in gita e ora capiva cosa era quella sensazione che le premeva sul petto quasi a ricordarle che c'era qualcosa di cui gioire, che se avesse aperto gli occhi non si sarebbe trovata semplicemente di fronte ad una giornata qualunque, fatta di autobus, sbadigli e nervosismo.
Allungò alla cieca una mano incredibilmente gelida rispetto alla sua temperatura corporea e si trovò a tastare davanti a sé, alla ricerca di ciò che lei sperava ci fosse.
Inizialmente solo coperte che avvolgevano un piumone soffice contenente piume d'oca, al quale doveva il tepore da cui non voleva destarsi, ma poi arrivò a percepire sui polpastrelli  lisci qualcosa di altrettanto liscio; vi posò il palmo intero e, contenta di non deludere le sue aspettative, il piano su cui era appoggiata si alzava e abbassava, scandendo il passare dei secondi.
Sempre tenendo gli occhi chiusi cominciò percorrere con la punta delle dita la superficie verso l'alto, figurandosi nella mente quello che si sarebbe trovata davanti se solo avesse aperto una palpebra. Non aveva mai fatto caso a quanto la pelle di Jared fosse morbida.  
I polpastrelli arrivarono al petto nudo dell'uomo, poi al collo, toccò al mento spigoloso e pungente dove si soffermò qualche secondo di troppo per accarezzare le labbra, delinearne i contorni con l'indice e ripassarle col pollice; passò al naso per poi arrivare agli occhi che guizzavano sotto le palpebre -significava che era sveglio e li aveva chiusi proprio per evitare che lo accecasse- e infine appoggiò il palmo aperto su quella che doveva essere la guancia, accarezzandone la superficie ruvida a causa della barbetta.
Una mano estranea raggiunse la sua e gliela appoggiò sopra con una delicatezza quasi spaventosa e poi la portò dritta sulle labbra lasciandole un bacio lieve.
Sul viso di Kim si formò un sorriso, carico di gioia e soddisfazione data dal fatto che non fosse tutta una sua illusione, ma c'era davvero qualcosa per cui valesse la pena svegliarsi.
A quel punto trattenersi dall'aprire gli occhi fu impossibile. Decise di assecondare quell'irrefrenabile impulso e diede una sbirciata alla realtà che era praticamente identica a come se l'era immaginata al buio. Jared era lì, non distante dal suo corpo prono, in una posizione semi seduta che le teneva la mano tra le sue e continuava a strofinarsela con dolcezza sulle labbra socchiuse.
Gli occhi, ovviamente, erano puntati fissi su di lei, come incantato.
-Buongiorno.- sussurrò senza cambiare espressione. Era riposata, seria ma non cupa, più pensierosa. Kim pensò che finalmente quel povero uomo era riuscito a concedersi un po' di sonno, le occhiaie non erano più così evidenti.
-Buongiorno.- gracchiò lei in risposta, lasciandosi sfuggire un sorriso di troppo. -Dormito bene?- domandò, sperando di aver colto nel modo giusto i segni sul suo viso.
Jared annuì soltanto, come fosse in catalessi, come fosse lui quello a non volersi svegliare da un sogno. Quell'espressione tormentata non sembrava intenzionata a togliersi dalla sua faccia, e Kim si preoccupò leggermente per questo.
Aveva forse parlato nel sonno? Capitava di rado ma capitava e non poteva assolutamente immaginare cosa avrebbe potuto dire. O magari era stata troppo agitata e gli aveva mollato qualche calcione senza rendersene conto, effettivamente la cena della sera prima non era stata così leggera.
Erano stati assolutamente liberi il giorno prima, infatti ne avevano tutti approfittato per andare a fare shopping o a comprare qualche souvenirs; sfortunatamente però loro due non avevano proprio avuto modo per passare un po' di tempo “casualmente” isolati.
Le occhiate di Joe erano diventate troppo insistenti e sembrava che volesse diventare un surrogato della sua ombra. Quando verso l'ora di pranzo i professori avevano dato il via alla mezza giornata di libertà lui le aveva chiesto se volessero andare da qualche parte insieme, ma lei declinò cordialmente l'offerta, dato che Gwen le aveva ripetuto costantemente per tutta la mattina che il pomeriggio sarebbero andate in giro per negozi, con un'espressione a cui Kim non poté assolutamente dire di no, suo malgrado.
Come se fosse stato invitato, Joe le seguì per tutto il pomeriggio, quasi come se volesse accertarsi che non gli avesse mentito, camminandole letteralmente addosso per tutto il tempo, alle loro spalle senza proferir parola. Chi camminava loro intorno avrà sicuramente pensato che fosse o un maniaco o la loro guardia del corpo.
La sera, come avevano predetto i professori, erano tutti troppo stanchi per uscire a folleggiare e alla fin fine ebbero tutti la stessa idea e si trovarono nell'atrio dell'albergo a usufruire del salotto con tanto di tv, senza neanche mettersi d'accordo.
Tra le litigate dei ragazzi e delle ragazze per la supremazia del telecomando, Kim comprese che la resistenza che poteva fare al suo bisogno naturale di dormire era giunta ad un limite e si abbioccò sulla spalla di Gwen, la quale la coccolò materna. Quell'aspetto di Gwen si era totalmente oscurato fino a quel momento, tanto che quando Kimberly si svegliò a causa delle risate troppo elevate dei suoi compagni intenti a seguire un Talk Show, rimase spiazzata nel vedere che l'amica non era affatto schifata della troppa vicinanza -spesso non era assolutamente espansiva, e nelle dimostrazioni d'affetto era negata, quasi temesse che abbracciare una persona le procurasse la malaria- anzi l'aveva fatta adagiare sulle sue gambe e le faceva le treccie ai capelli mentre seguiva con attenzione la trasmissione.
Quando si accorse che Kim la stava fissando con un'espressione del tutto incredula, le sorrise semplicemente. Forse non era quella specie di alieno della moda che Kimberly aveva sempre pensato fosse.. fino ad allora aveva celato un lato molto più umano.
Con la coda dell'occhio vide Leto che parlava vicino all'entrata con Lola e si rese conto che quel giorno non si erano quasi rivolti la parola. Conveniva rifarsi, dal momento che non appena lo vide la voglia che aveva di stare con lui si fece incontenibile.
Lanciò un'occhiata a Joe, e fu contenta di vederlo dormire beatamente. Sogghignò tra sé e sé : la camminata sostenuta delle ragazze l'aveva stroncato.
Quindi decise di alzarsi fingendo di andare al bagno, mentre invece si avvicinò facendosi vedere da Jared e andò verso l'ascensore; Lola non la vide dato che le dava le spalle e 10 minuti dopo salirono anche i due professori. Jared sembrava molto impaziente di andare a dormire e Lola decise di assecondarlo in quanto non le sembrava il caso di privarlo del sonno di cui aveva evidentemente bisogno.
Quindi, una volta liberatosi della collega, l'uomo si precipitò in camera, davanti alla cui porta trovò una Kim assonnata e desiderosa di passare del tempo con lui.
Non fece neppure in tempo a sorriderle che se la ritrovò tra le braccia; le labbra che cercavano le sue; gli occhi nei suoi e senza esitare la strinse a sé; ed entrarono in camera incespicando.
Ora Kim fissava il volto del professore senza vederci quella scintilla di passione, ma solo preoccupazione, turbamento e tanta concentrazione, come se stesse calibrando le parole da usare per iniziare un discorso.
Improvvisamente la consapevolezza nel corpo della ragazza si fece più intensa, come una fiammella al centro del petto che cominciava a divampare e ad espandersi, accendendo il cuore che sentiva pompare nel petto quasi rimbalzando sul materasso su cui era distesa.
Jared non aveva cambiato espressione, il tocco delle sue mani che percorrevano tutta la lunghezza del suo braccio  nudo fino al gomito, da dolce e delicato, che le provocava una piacevole pelle d'oca, divenne d'un tratto intenso come se lasciasse una scia di fuoco.
Ma era solo una sua sensazione, perchè lui non aveva assolutamente cambiato nulla. Sembrava incredibilmente triste adesso e un barlume di sgomento gli saettò negli occhi.
Senza neanche rendersene conto, Kimberly cercò di sfilare il braccio dalle sue mani, purtroppo però la presa era forte e decisa a non lasciarla andare. Lo sguardo finalmente si spostò dagli occhi di lei, per finire sull'interno dell'avambraccio, dove una decina di cicatrici rosate risplendevano, neanche fossero illuminate dal sole.
La stanza era nella penombra, le tapparelle erano abbassate, ma non era abbastanza buio perché Jared non si accorgesse di quei tagli palesemente non casuali.
Improvvisamente Kim si sentì sprofondare nella vergogna di quel gesto, come volesse seppellirsi all'istante nel materasso del letto; si sentiva una fallita, sporca e perfettamente cosciente del fatto che avrebbe potuto inventarsi tutte le scuse di questo mondo, ma non avrebbero mai e poi mai retto.
Era scontato che Jared non fosse un completo idiota e avesse capito tutto. Ce l'aveva scritto in faccia.
Vide il suo petto gonfiarsi e gli occhi chiudersi, quasi con dolore, quasi come se non volesse assolutamente cominciare un discorso che avrebbe recato ad entrambi una pena infinita.
-Kim.. cosa hai.. cosa è successo al tuo braccio?- domandò senza distogliere l'attenzione da quei segni indelebili.
La ragazza si maledisse stringendo gli occhi. Le dita di Jared che percorrevano il braccio soffermandosi sul rilievo che ogni taglio procurava era una visione che non poteva sopportare.
-Niente. E' stato il mio cane, per gioco ovviamente.- si scoprì dire. Non era stata lei a pronunciare quelle parole,ma una parte della sua ragione che tentava in ogni modo di farlo passare come un malinteso, in modo da uscirne indenne e smettere di vedere quell'espressione sull'uomo che sembrava sentirsi in colpa.
Il professore affilò gli occhi, sospirando a pieni polmoni. -Perchè l'hai fatto?-
-Io non ho fatto niente.- affermò decisa, nonostante fosse sicura di star facendo la figura della demente.
-Per favore Kim, non trattarmi come un ingenuo.- l'aspetto che le fece più male era il tono: sembrava senza vita.
-Non guardarmi così!- disse lei, estraendo il braccio a forza dalla presa dell'altro, ranicchiandosi su se stessa. Scoppiò a piangere non sapendo se per il fatto che l'avesse scoperta o per quello che sarebbe successo in seguito a questa discussione.
-Kim..- tentò di calmarla Jared ma lei lo interruppe con un gesto isterico delle mani.
-Lo so Jared!- esclamò -Lo so che ho sbagliato, lo so che ti ho deluso, che ti faccio schifo/pena/ribrezzo e so esattamente che pensi che sia una stupida incosciente, debole e malata. Lo so come so che tu adesso mi stai rivalutando e che preferiresti uscire dalla mia vita come hanno fatto tutte le persone che mi hanno fatto fare questo!- disse sgomenta, indicandosi il braccio rosso da tanto se lo grattava, nella speranza che fossero solo delle illusioni. Ogni tanto prudevano da morire.
Sentì le braccia dell'uomo avvolgerla all'altezza della vita e far forza per tirarla su a sedere da sotto le coperte. Con foga e impazienza le cercava il viso tra la massa di capelli, intento a trovare i suoi occhi. Ma la ragazza non ce la faceva, non voleva assolutamente guardarlo in faccia mentre le avrebbe detto che era una psicopatica e avrebbe dovuto farsi vedere, quindi per ogni tentativo di lui di trattenerla,  si beccava uno spintone e subito gli sfuggiva dalle mani.
-Kimberly calmati..- disse con voce soffice stringendosela al petto. Sentiva le lacrime della ragazza bagnarglielo; la cullò per qualche istante finché gli spintoni si fecero più deboli.
Le strinse le mani attorno all'ovale del viso e la costrinse a guardarlo. -Io non ho nessuna intenzione di lasciarti, chiaro? Non trovo che tu sia malata, Kim voglio solamente aiutarti. Non ti lascerò, non potrei mai farlo.-  Kimberly colse che nel suo tono non c'era disprezzo o disgusto. Jared desiderava semplicemente capirla, e questo le riempì gli occhi ancora più di lacrime.
L'uomo se la strinse al petto e la trascinò con sé, distendendola sul materasso, mentre pazientemente attendeva che si calmasse. Ascoltando i suoi sussulta farsi meno insistenti, cominciò a tranquillizzarla con voce calma, sussurrandole parole rassicuranti e cariche d'affetto.
-Sai, stamattina quando mi sono svegliato mi sono sentito così riposato e felice quando ti ho trovata al mio fianco. Come sempre quando sei nelle vicinanze.
Quando mi è scappato l'occhio e ho visto quelle cicatrici sul tuo braccio che risaltavano in confronto alla tua carnagione pallida, ho perso qualche anno.- spiegò.
Kim si sentì mortificata. In effetti aveva smesso da un po' di provocarsi dolore, ma ciò nonostante i segni sembravano non volersene andar via, costringendola ad indossare sempre magliette a maniche lunghe e a portare tanti braccialetti e manicotti durante educazione fisica.
Era una specie di condanna, ma era inevitabile dato che alcune erano davvero profonde. Ancora riusciva a ricordarsi il dolore acuto che aveva percepito quando si spingeva così in profondità e quanto sangue le usciva quando recideva una parte del braccio composta da molta carne, ogni tanto non riusciva a fermarlo per diversi minuti.
Razionalmente lei sapeva che non aveva intenzione di uccidersi, se no non avrebbe fatto assolutamente attenzione a dove appoggiava la lama. Era più un modo per sfogarsi, come se il dolore e il vuoto nell'anima fossero troppi da sostenere. Si sentiva piena di tutto quel vuoto e sfiancata ogni misero minuto della sua esistenza e non riusciva più a vivere pensando continuamente a quanto le costasse farlo.
E questo era un modo come un altro, molto estremo lo sapeva,  per liberarsene almeno in parte. Per un minuto della giornata riusciva a non pensare assolutamente a niente, se non al dolore e al colore intenso del sangue che le usciva dalla ferita. A volte non faceva neanche male.
-Mi dispiace..- sussurrò lei, gli occhi ancora gonfi. -Non immaginavo potessi scoprirlo.-
-Promettimi che non lo farai mai più, Kimberly. Per favore, se mai ti dovessi trascurare o causare una pena tanto grande, piuttosto sfogati, picchiami, urla quanto vuoi; se è necessario fallo a me, ma non farti mai più del male, Kim.- la sua voce era tanto intensa e seria che l’alunna rabbrividì all'idea di far del male a lui. Maltrattare se stessa era fattibile, provocare dolore a Jared era un’azione nemmeno lontanamente contemplabile.
Le mise due dita sotto il mento, portando gli occhi della ragazza nei suoi. -Me lo prometti?- gli occhi azzurri erano sinceramente imploranti.
Kim annuì energicamente con la testa, torturandosi il labbro inferiore con i denti. L’uomo le strinse una mano intrecciandola con la sua e le avvicinò il capo, arrivando a far combaciare le loro bocche.

 I don't know what more to ask for 
I was given just one wish

Note finali: Eccoci qua, again.

Allora, innanzi tutto ci terrei a ringraziarvi una per una dal profondo del cuore per i duecentomilioni di complimenti che mi sono stati fatti. Davvero, se tutte ste lusinghe potessero essere tramutate in pasticcini, non passerei dalle porte. Quindi grazie a tutte per fare ingrassare in questo modo mostruoso il mio ego, diventerò molto arrogante per colpa vostra ;)
So che mi odierete per farvi ingurgitare (scusate i mille riferimenti al cibo, non so che cazzo mi sta succedendo ma ho mega fame, ieri notte non ho fatto altro che sognare di mangiare. Starò morendo? NON VI AZZARDATE NEANCHE PER SBAGLIO A PENSARE ALLA PAROLA BAMBINO O INCINTA PERCHè VI MANDO A CAGARE VIRTUALMENTE ♥)  tutti sti capitoli pesanti, ma credo che sia importante trattare di cose serie (ogni tanto).
E' un argomento molto delicato che recenemente ha spopolato diventando una moda, e chi non è mai entrato in contatto con questo tipo di sofferenza so che non può capirlo, si sofferma all'apparenza e non perde 5 secondi di tempo per tentare di guardare al di là; che tipo di dolore si cela dietro questi gesti.
So che voi non siete così, lo sento da quello che mi dite e ripongo molta fiducia in voi. So che apprezzerete anche questo capitolo e capirete il mio personaggio..

Sapete, anni fa, quando ho pubblicato questa storia la prima volta in un altro sito, una ragazzina mi ha contattata ringraziandomi come fossi il messia, perchè la mia storia la stava aiutando, aveva passato momenti difficili, e il fatto che mi degnassi di parlarne per lei era stato di grande aiuto.
Non dico che grazie a me abbia smesso di farsi del male (sia mai, non sono un cazzo di nessuno), ma siamo state a contatto per un pò e so che il parlarne con una persona completamente estranea l'aveva risollevata.
L'ho risentita più recentemente e stava meglio. Ci penso spesso, e spero con ogni centimetro della mia persona che abbia trovato la sua pace e che stia bene e se, non si sa mai, è tra le fantastiche (♥) persone che mi stanno seguendo qui su EFP, le mando un bacionissimo.

Tornando a bolla, quello che sto cercando di dirvi è se c'è qualcuno tra voi che ha qualche problema, bisogno di sfogarsi, parlare di queste tematiche un pò delicate, sappiate che io ci sono e sono prontissima a darvi tutto il mio supporto e tempo. So che non mi conoscete e potrei essere un maniaco sessuale di 67 anni (eheh), ma mi auguro che dopo 38 capitoli in cui vi racconto anche i beneamati cazzi miei, ormai abbiate capito che persona sono e, come ho detto prima, sono pronta ad ascoltarci e a darvi tutto l'ascolto di questo mondo, perchè so che alla fine è questo che le persone con questo tipo di problemi cercano: qualcuno disposto ad ascoltarle.

Davvero non sono nessuno, ma io voglio capire e  soprattutto posso perfettamente capire. Senza pregiudizi, mano sul cuore.

Tornando al capitolo, questa è solo una storia, ma spero davvero di trattarla in modo che qualcosa vi resti. 
La canzone credo che davvero stavolta non c'entri DAVVERO un cazzo, ma è la prima a cui ho pensato grazie ai suoi toni un pò dark e cupi (il video è angosciante a mio dire) ma sono sicura che il capitolo sarà così tragicomico che non ve ne renderete neanche conto ;)
Si chiama What else is there ed è dei Royskoop

Si tratta di te e del sole
una corsa mattutina
la storia del mio creatore
Quello che ho e quello per cui soffro

Io non so cos'altro chiedere
Mi è stato dato un solo desiderio.

Ok, Ho finito anche con questa pergamena. Spero sia piaciuto e mi prendiate in parola.
Tante coccole a tutte ♥


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Capitolo 39
*** Capitolo 39. ***


Capitolo 39.

Your eyes, your eyes
I can see in your eyes, your eyes
Everything in your eyes, your eyes..

 Nonostante l'inizio non molto tranquillo della giornata, il resto proseguì egregiamente.
I professori di comune accordo decisero di lasciar decidere agli alunni cosa andare a vedere, le mete più gettonate erano i musei come Mme Toussaut, le quali vennere volentieri accolte da tutti.
Era l'ultimo giorno, il mattino dopo avrebbero dovuto tutti prepararsi per andare in aeroporto, direzione casa.
La situazione tra Jared e Kimberly non risultava essere deteriorata, anzi, con gran sorpresa della seconda, sembravano più affiatati, anche in pubblico.
Come se lo scoprire qualcosa di più su di lei l'avesse avvicinato ulteriormente, in un certo senso questo la fece sentire sollevata.
Certo, non facevano come se niente fosse dando libero sfogo ai loro sentimenti, ma non era più così raro trovarli insieme a chiaccherare riguardo al clima o ad un monumento, senza preoccuparsi delle occhiate fulminanti di alcuni presenti -2 in particolare-.
Jared non era ancora riuscito a superare la scoperta fatta la mattina, ma non per questo era intenzionato a lasciar perdere la ragazza. Al contrario, questo lo convinse a starle ancor più vicino.
Le persone che avevano quel tipo di problemi solitamente era per cause affettive, e lui conosceva perfettamente la situazione di Kim. Non necessariamente la delusione amorosa, ma più probabilmente l'assenza prolungata del padre fin da piccola doveva aver creato in lei quel costante senso d’inadeguatezza e solitudine che spesso le leggeva negli occhi neri.
A guardarla ora, allegra e sorridente mentre con le sue amiche si faceva la foto accanto alla statua di cera di Johnny Depp, non l'avrebbe mai detto.
Sospirando si avvicinò alla statua di Britney Spears in una posizione tutto meno che normale, in cui la scollatura era la parte più evidente; Kimberly si avvicinò a lui, vedendolo piuttosto concentrato.
-Professore cosa sta guardando?- lo rimproverò sarcastica.
Lui sobbalzò e immediatamente sorrise. -Niente, stavo constatando che sono fatti proprio bene!-
Kim rise di  gusto, facendo ridere con lei anche l'uomo. Non c'è niente di meglio di una risata sguaiata ogni tanto, Kimberly lo aveva sempre sostenuto.
-Pensa, magari un giorno ci sarai anche tu qua dentro..- sospirò lei rilassata.
-Sì, nel mondo dei poi..- ribatté lui sarcastico. Non sarebbe mai successo, lo sapeva e ormai ci conviveva con questa idea. Anche perchè avere una statua a dimensioni naturali di se stesso chiusa in un museo lo faceva sentire alquanto inquieto. Anzi da una parte era piuttosto sollevato non esistesse.
L'unico aspetto che lo fece desistere dal diventare un artista di fama era il lato negativo dell'essere conosciuto da tutti. Tutti l'avrebbero additato, fermato per strada, avrebbero voluto conoscere sua madre, il suo indirizzo, il suo cane.. ciò che era suo e basta non lo sarebbe più stato, e ogni volta che il prurito alle mani causato dalla consapevolezza di qualcosa che non poteva mai avere si faceva largo nei suoi pensieri, cercava in tutti i modi di convincersi che dopotutto, fosse sicuramente meglio così.
-Sono seria Jared, ti ci vedo benissimo.- sorrise Kim guardandolo negli occhi. -E sappi quando mi immagino troppo bene una cosa, accade.- disse lei, si vedeva che ci credeva seriamente in quello che diceva.
Lui non fece a tempo a rispondere che la conversazione fu interrotta da una persona in più che si intromise nella visuale dei due.
-Kimberly, dai andiamo!- la andò a prendere Gwen, afferrandola per un polso e trascinandola verso l'uscita. -Ho una fame!- continuò la bionda unendosi alla truppa di compagni che si era impilata davanti al fast food di fronte all'uscita dell'edificio.
-Che noia sempre hamburger..- borbottò la Kim a mezza voce, pensando che una volta tornata a casa non avrebbe più sfiorato nemmeno con il pensiero l'idea di andare a mangiare in un Mc.
-Siamo in America, Kim che ti aspetti?- scherzò Joe alle sue spalle. Lei si stupì, come aveva fatto a sentirla? Ma poi sospirò rassegnata, non c'era niente che quel ragazzo non cogliesse, niente che gli potesse sfuggire. Almeno per quanto riguardasse lei.
Ogni tanto lo trovava fastidioso, dato che quando si trovava a parlare degli affari suoi con qualche sua amica lo intravedeva con la coda dell'occhio che stava a fissarla a distanza, intento ad ascoltare cosa aveva da dire riguardo all'argomento.
E per di più lui era una delle persone più intelligenti che conoscesse, una di quelle a cui si spiega un concetto complicatissimo di biologia che lei stessa aveva impiegato ore ad assimilare, e lui un'ora dopo era ancora in grado di ripeterlo, forse anche meglio.
Spesso Kim non poteva soffrire questo aspetto dell'amico. Lei passava ore e ore a studiare un paragrafo di storia, mentre a lui bastava un'occhiatina per prendere il suo stesso voto.
Eppure un ragazzo con tali abilità intellettive e potenzialità si intestardiva a sprecarle per lei e con lei. Quando si rese conto di essere rimasta a fissarlo un pelino di più, si scosse e distolse lo sguardo, tornando alla solita indecisione quando si trattava di scegliere il pranzo.
Intravide qualcosa che faceva al caso suo e gli occhi le si illuminarono, prese il take away come tutti e poi andarono di comune accordo al Central Park, decisi a passare un altro pomeriggio rilassante.
Si divisero in gruppi, avventurandosi nell'immenso parco e decisero dove piazzarsi. Kimberly era  irrequieta, doveva trovare un modo per unirsi al suo insegnante di musica, che aveva visto allontanarsi da solo; senza dare troppo nell'occhio e senza far pesare la sua assenza agli amici che si aspettavano di vederla unirsi a loro per il pranzo.
Quando una piccola bugia le venne in mente, decise che era il caso di agire in fretta.
-Gwen, devo andare da Joe, ho promesso loro che avremmo pranzato insieme oggi!- sorrise fingendo dispiacere, sapendo che tanto i due non potevano soffrirsi e che quindi non si sarebbe auto invitata. Come previsto l'amica scrollò le spalle con un sorriso neutro.
-Non preoccuparti.- rispose. -Ci vediamo più tardi, noi ci sistemiamo là al sole, magari prendiamo un po' di colore.- ammiccò e poi proseguì insieme a Juls.
Soddisfatta della risposta, Kimberly si affrettò verso dove aveva visto scomparire Jared.
-Hey Kim!- si sentì chiamare da destra, quindi si voltò sussultando, come fosse stata colta sul fatto.
-Joe!- esclamò, sentendosi in trappola. Quegli occhi che coglievano qualsiasi dettaglio la mettevano estemamente a disagio, quindi non c'era da stupirsi che non si sentì minimamente sollevata nel riconoscere il suo interlocutore.
-Chi stai cercando così furtivamente?- domandò lui sorridente, seduto in uno spiazzo d'erba insieme agli altri del gruppo delle bevute. Quando se ne accorse Kim li salutò con un lieve cenno, al quale ricambiarono tutti distrattamente, troppo concentrati nella mole di panini che erano lì lì per addentare.
Nonostante una parte della sua attenzione fosse precipitata sugli altri, non si era lasciata sfuggire il suo tono retorico, come se sapesse già la risposta ma la volesse sentire con le sue orecchie.
Ciò la mise ancora più a disagio, ma cercò di non darlo a vedere, sebbene fosse sicura che tutto quello che pensava in ogni singolo istante di attesa per lui era come se le fosse chiaramente scritto in fronte. Era come un dannatissimo libro elementare per lui quella ragazza e ciò la faceva sentire tremendamente a disagio, come se improvvisamente si fosse resa conto di essere senza vestiti.
-Perchè furtivamente?- chiese Kim d’un tratto, mentre tentava di raggirarlo.
-Boh, sembri in incognito.- sorrise affabile Joe, affilando gli occhi. -Perchè non ti unisci a noi?- le propose picchiettando sull'erba proprio accanto a sé.
Kimberly respirò con cautela, guardandolo meglio non c'era niente di losco nei suoi occhi, non era la voglia di non farla stare con Jared a farlo parlare, ma la voglia di farla stare con lui.
-Oh.. spiacente ma Gwen mi obbliga a prenzare con loro. Dice che dovrei prendere un po' di colore, perchè così sembro un cadavere.- chiosò, condendo con dettagli completamente inventati.
Non completamente inventati, dato che una frase del genere gliel'aveva sentita dire un giorno di quelli, ma sinceramente, neanche le importava. Il suo pensiero fisso era liberarsi senza sollevare troppi polveroni di mistero, per passare tranquillamente il suo tempo con chi davvero desiderava.
-Ancora non mi capacito di come tu possa ancora passare il tuo tempo con una come lei.- mormorò il suo amico, ravanando nel suo sacchetto del pranzo.
Il commento le tolse il sorriso dal volto, ma decise di non dargli troppo ascolto e optò per il proseguire, dato che stava solamente perdendo tempo.
-Prima di sparare sentenze dovresti conoscerla.- disse prima di continuare. -Buon appetito, comunque; a più tardi!-
Accidenti, quel parco era davvero enorme. Era quasi convinta di essersi persa quando, dopo aver camminato per 10 minuti consecutivi nella direzione in cui era sicura fosse andato Jared, ancora non riusciva a vederlo.
Per lo meno il luogo era di una bellezza evidente: con quel sole tipico dei giorni ancora freddi che precedevano la primavera, l'aria era molto leggera e respirabile, il cielo era splendente e ogni dettaglio della natura risplendeva sotto i raggi lucenti. I prati erano di un verde intenso, nelle aiuole i germogli apparivano con colori così intensi che sembrava stessero per sbocciare da un istante all'altro e il laghetto centrale risultava accecante.
Decise di avvicinarvisi, vedendo un gruppo di volatili, tra cigni e papere che vi sguazzavano tranquillamente. Anche vicino a casa sua c'era un parco con un lago simile, con Christopher ci andava spesso.
Prendevano i sacchetti del pane secco e andavano a sedersi in riva al lago e lanciavano gli avanzi ai cigni, divertendosi nel vederli scuotere la coda piumata o litigare con gli altri animali per la supremazia di qualche briciola.
Quasi subito però, le si strinse il cuore. Ormai quanti erano, 4 mesi che non lo vedeva/sentiva? Come se non fosse mai esistito, neanche per sbaglio, neanche per caso, neanche in lontananza.
E ciò le provocava fitte a non finire. Era esasperante a pensarci bene, dato che stava rischiando moltissimo con la sua relazione segreta col professore, del quale era completamente succube, ma ciò non aveva modificato assolutamente tutto quello che l'altro le provocava.
E fu in quel momento che raggiunse un'amara certezza.
Lui, con tutta la sua stronzaggine e perversione acuta, era interamente presente in lei. Nonostante l'odio che provava per lui, nonostante il dolore che le provocava solo il pensare ai suoi occhi; lui c'era, era dentro di lei e la sua presenza non accennava a voler sparire.
Non bastava non pensarci per dimenticare, non pensarci è anni luce distante dal dimenticare.
Si accorse anche che era per quello che in quella città si sentiva così a suo agio e rilassata, fin dalla prima volta che era sbarcata: lì non c'era niente di lui che potesse ferirla, tranne che i suoi incubi. Perchè sì, le duoleva ammetterlo, ma non aveva smesso di sognarlo una sola volta da quando erano arrivati. Lo sognava e, sebbene ciò le facesse assolutamente ribrezzo, il rivederlo così vicino per un secondo le faceva battere il cuore e si vergognava infinitamente nel provare sollievo nel pensare che fosse realmente tornato, che non fosse semplicemente un sogno.
Ma era così. Sebbene non l'avesse mai e poi mai ammesso ad alta voce era ovvio che quando passeggiava per strada scrutando tra i passanti, quando il telefono vibrava, quando si svegliava la mattina.. c'era un solo nome fisso a cui ricorreva il pensiero.
E c'era costantemente una domanda che le rotolava nella mente: se per puro scherzo dell'immaginazione divina Chris fosse tornato, che ne sarebbe stato di Jared?
-Ehy, non si dà da mangiare agli animali!- esclamò una voce dura alle sue spalle, che la risvegliò dai suoi infantili e degradanti pensieri di adolescente impedita.
Si sarebbe annegata da sola nel laghetto gelido, se solo non avesse avuto uno spirito di sopravvivenza testardo.
Si voltò di scatto sobbalzando leggermente, non appena si rese conto di aver dato inconsciamente una spiluccata di pane dolce all'animale a poca distanza da lei, che ora la fissava ancora più insistentemente, affinchè gliene desse ancora un po'.
Arrossì furiosamente, quando nella voce vi riconobbe Jared Leto in persona, che la scrutava con la schiena appoggiata al tronco di un albero poco distante.
-Jared!- esclamò, sentendosi sollevata dal peso delle sue stupide azioni e ancor più stupidi pensieri.
L'uomo aveva cominciato ad avvicinarsi e oramai si trovava a pochi passi da lei. -Sbaglio o qualcuno mi pedina?- scherzò, prendendola per mano e conducendola verso una panchina a qualche metro dal laghetto.
-Taci che ho dovuto mentire spudoratamente per trovarmi qui adesso. E poi è stata una faticaccia raggiungerti, quanto cammini veloce!- si lagnò la ragazza, cominciando ad addentare le sue crocchette di pollo. Tutto ciò le aveva messo una gran fame.
-Vuoi gradire?- domandò gentilmente, porgendo il sacchetto all'uomo, il quale stava beatamente ad osservarla con un braccio attorno alle spalle.
-Sono vegetariano, Kim.- le ricordò, con un sorriso calmo.
-Oh, davvero?- fece lei con aria da svampita. -Che disdetta. Guarda caso, ho un Veggie Burger che mi avanza.- sorrise astraendo la scatoletta dalla busta.
La scintilla che colse negli occhi azzurrissimi -grazie al clima fortunato- di Jared, la convinse che per una volta aveva fatto la cosa giusta.
-Non ci credo..- sussurrò colpito lui, prendendogliela dalle mani. -E' un gesto molto bello, Kimberly.- era serio, con una serietà così adulta che Kim si sentì quasi a disagio; ma il sorriso che le rifilò nell'istante dopo seguito da un bacio sonoro, le riportò quel rossore sulle gote che caratterizzavano il loro tempo insieme.
-Te l'avevo detto che ti avrei offerto qualcosa un giorno!- gli ricordò con un sorriso timido.
Jared sbuffò e cominciarono a pranzare, chiaccherando del più e del meno e condividendo le patatine. Kim lo trovava molto rilassato, si vedeva che quello era il suo ambiente. Ogni tanto le risate e i baci erano intervallati da silenzi di contemplazione della natura o dei reciproci visi.
Era strabiliante come un solo suo sguardo azzurro potesse scacciare tutto ciò che era in grado di turbare o ferire la ragazza.
-Sai Kim stavo pensando..- cominciò lui prendendole una mano e rigirandosela tra le sue. Il tono era incredibilmente sciolto, Kimberly sarebbe stata disposta ad ascoltarlo parlare di storia della musica quel giorno. Quando era di così buon umore si sentiva come a un passo dal paradiso.
-Sì?- fece lei curiosa.
-..stasera vorrei portarti a cena.- un lieve sorriso gli si disegnò in volto. -Ti va?- chiese poi, riportando gli occhi celesti nei suoi, nei quali la ragazza ci lesse un pizzico di imploro immeritato. Come se in un qualsiasi universo parallelo lei potesse rifiutare.
-Come?- si scoprì dire, non completamente sicura di quello che le era stato chiesto.
-Perchè ti sconvolge tanto?- rise appena lui divertito.
-E' che.. sei sicuro?-
-Certo. Non hai paura di stare qua alla luce del sole incollata a me coi tuoi compagni a 200 metri di distanza, ma temi che ci scoprano a cena insieme?- la stuzzicò con un sorriso furbo.
-Questo può anche essere spiegato con un raggiro, ma una cena è una cena. Saremmo spacciati.- lo rimbeccò.
-Questo tu riusciresti a spiegarlo come?- domandò riferendosi al fatto che lei fosse praticamente seduta in braccio a lui.
-Mh..- riflettè Kimberly, assolttigliando gli occhi. -Sono inciampata, mi sono slogata una caviglia e tu mi hai soccorsa. Non è geniale?- rispose poco convinta.
-Ok, stasera ceniamo insieme.- decise stringendola a sé, causandole un batticuore talmente potente da farglielo percepire dalla sua schiena direttamente sul petto. 

Dopo un piacevole pomeriggio passato a passeggiare tranquillamente in quell'immenso parco, finalmente tornarono tutti in albergo pronti per prepararsi e uscire a divertirsi, per l'ultima serata che era loro concessa.
Quando Kim e Jared si congedarono sussurrandosi di trovarsi pronti alle 8 nella hall, alla ragazza venne un improvviso attacco di panico.
Non aveva la minima idea di dove sarebbero andati e di conseguenza cosa mettersi e per di più, non sapeva come sfuggire a Gwen per l'ennesima volta senza dare nell'occhio.
Proprio in quel momento la porta alle sue spalle si aprì, da cui fecero entrata le due sue compagne di stanza, allegre e con ancora alcune buste sulle quali era disegnato il logo di qualche negozio del centro.
-Kimmy, dove sei stata?- le domandò indifferente Juls, mentre poggiava le buste sul letto.
-Con Joe e gli altri te l'ho detto oggi.- rispose senza guardarla Kimberly, che invece fissava pallida in volto dentro il borsone, sperando che comparisse da un momento all'altro qualcosa di abbastanza elegante.
Quando fece per ribattere qualcosa, Juls fu interrotta da Gwen che le chiese improvvisamente di andare a farsi la doccia in quanto lei si sarebbe dovuta anche lavare i capelli, quindi ci avrebbe messo di più. Inutile dire che la cosa causò un battibecco tra le due che non volevano assolutamente offrirsi di andare per prima sotto la doccia.
Kimberly non le ascoltò nemmeno, persa com'era nei suoi dubbi che se non fossero stati suoi le sarebbero apparsi una sciocchezza, ma in realtà erano atroci.
Era una serata importante, non era mai uscita a cena con un ragazzo, e il fatto di uscire con niente popò di meno che Jared Leto, la terrorizzava un po'.
Senza dire una parola uscì dalla stanza, il baccano che facevano quelle due la innervosiva ulteriormente, e decise di andare a rivolgersi all'unica persona che sarebbe stata in grado di placarle quell'orribile sensazione di inadeguatezza con un solo sguardo: Jared stesso.
Raggiunse rapidamente la sua camera, bussandovici abbastanza forte affinchè sentisse. Sperò con tutta se stessa che non fosse già sotto la doccia.
Fortunatamente invece subito dopo aver bussato percepì dei passi rapidi attutiti dalla moquette e la porta si aprì davanti a lei. Jared la fissò per un secondo e nell'istante seguente impallidì di colpo, per poi sbatterle la porta in faccia. Nel brevissimo lasso di tempo lei non si era lasciata sfuggire il suono della voce di
una donna proveniente dall'interno della stanza che cortesemente domandava di chi si trattasse.
Kimberly capì subito il gesto dell'uomo e si nascose dietro l'angolo subito dopo la porta della camera.
-Jared!- esclamò la voce di Lola, divertita. -Dovresti fare qualcosa per questo tic nervoso!- disse ridendo di gusto.
Lui respirò profondamente sollevato dal fatto che non avrebbe dovuto inventarsi una scusa, dato che la collega gliene aveva offerta una perfetta su un piatto dorato.
-Hai ragione..- sospirò l'uomo, ma il sorriso che gli si creò in volto non coprì completamente l'espressione da “c'èmancatounsoffio” e uscì, facendo intendere che si trattasse della cameriera.
Si chiuse la porta alle spalle guardandosi intorno. -Kim?- gridò sottovoce, facendo uscire la ragazza dal suo nascondiglio, la quale si rivelò con aria colpevole. -Che diavolo ci fai qui? Volevi farci scoprire?- la rimproverò il professore, forse un po' troppo duro.
-Mi dispiace, Jared.- sussurrò lei. -Ma come potevo sapere che c'era lei in camera tua? Non avete finito con i programmi della gita?- domandò alquanto infastidita.
-Cosa c'entra, ti ho detto espressamente alle 8 , cosa ci fai qua?- niente, quel tono non sembrava volersene andare.
-Smettila di urlare, se no sei tu che finisci per farci scoprire!- lo rimbeccò la ragazza, incrociando le braccia al petto. -Lascia stare, me ne vado.- disse, rassegnata, accennando due passi, ma lui la bloccò.
La strinse per entrambi i polsi e la riportò dove si era nascosta, così che potessero parlare normalmente senza alcun timore.
-Scusami, è solo che davvero abbiamo rischiato.- disse prendedole le mani nelle sue e baciandone il dorso. -Lola è venuta per sapere come stavo, è tutto il giorno che ci siamo persi di vista. Cosa c'è Kimberly?- ripetè, cercando i suoi occhi.
Lei si sentì improvvisamente così stupida che le venne voglia di sotterrarsi. Si stava dimostrando solo una ragazzina insicura e pavida, esattamente quello che un uomo preferirebbe aver superato.
-Mi sentivo un po' in ansia... e avevo bisogno di vederti.- spiegò con voce bassa. -Scusami, ho sbagliato.- disse sentendosi molto in colpa. Negli occhi di Jared c'era vera preoccupazione, era stato troppo rischioso sta volta.
-Ma figurati..- le sorrise ora più rilassato, portandole le mani sui fianchi. -Sono contento che sei passata. Ora però direi che è meglio che rientri, ok?- disse chinandosi appena per lasciarle un bacio a fior di labbra.
Lei annuì impercettibilmente, nonostante la situazione di tensione, la sua presenza l'aveva decisamente risollevata. Era un bene che le facesse questo effetto, sebbene fosse meglio che non lo rendesse partecipe dato che non avrebbe fatto altro che aumentare il suo ego.
Cominciò a camminare con calma, come se fosse avvolta da una nuvola di vapore, senza fretta. Si sentì chiamare dalle spalle, la voce di Jared era il solito sussurro, ora si trovava proprio di fronte alla porta della sua camera. -Se sei venuta per chiedermi cosa dovresti metterti, non preoccuparti, niente di troppo tirato, sii semplicemente te stessa.- le sorrise facendole l'occhiolino, per poi rientrare.
Il sorriso che quella frase le provocò, l'accompagnò per tutto il tragitto fino alla sua camera. Si sentiva sollevata, decisamente.
Si chiuse la porta alle spalle con un sospiro deliziato e si buttò sul letto, nella stanza c'era solo Gwen, evidentemente aveva vinto ed era riuscita a convincere l'altra a buttarsi per prima sotto la doccia.
-Dove sei stata?- improvvisamente si accorse che la stava fissando con aria seria.
-Da nessuna parte.- rispose scrollando le spalle.
-Oh davvero? Beh, sembra un bel posto, tu e il professor Leto ci passate molto tempo.- disse con tono eloquente e di un maligno particolare, da far accapponare la pelle a Kim senza che neanche se ne accorgesse.
Si sollevò in uno scatto. -Ma che stai dicendo Gwen?- domandò falsamente, non si sarebbe creduta da sola.
-Oh, non fare tanto la santarellina con me, Kim. So che tu e Leto avete una tresca, quindi piantala.-
D'oh. Fine dei giochi.

 …You make me wanna die.

Note finali:  TATADAN! TATADAAAAAAN!!! Colpo di scena, signore e signori.
Congratulazioni a chi avesse indovinato, se nelle recensioni me lo dite, vi lascio il vostro premio ;)
Allora?? Che ne pensate?? E' una cosa bella o brutta? Manterrà il segreto? Ci saranno condizioni? Quanto durerà??
Ho trattato quattrocento argomenti in questo capitolo, me ne rendo conto, ma vabbbè, possiamo sempre spaziare. 
Ad esempio siete mai state innamorate così tanto? Facendo sfociare tutto quell'affetto nella malattia e nell'ossessione? Spero tanto per voi di no, o forse sì. Del resto è sempre un'esperienza, no?

Io forse sì. E forse credo si possa chiaramente sentire. Forse nei prossimi capitoli vi parlerò un pò di più di questo argomento, VEDREMO.

Scusate l'assenza, ma il 14 ho dovuto fare il mio dovere da brava fidanzatina (Auguroni a tutti in ritardo, by the way) (e anche a quelle che mi malediranno "sono single, stronza" "è una festa inutile" "io sono anticonformista e lo festeggio il 7 luglio", io vi rispondo riferendovi quello che mi disse la mia collega la mattina di giovedì "Oggi è la festa di tutti, perché ognuno di noi è innamorato di qualcosa" cosa che mi è piaciuta tantissimo, e mi farà apprezzare davvero questa festa [del cazzo, tra l'altro ahahah] anche in futuro.)
Mentre ieri è stata un di quelle giornate terribili, che si annunciano per la loro merdosità da quando incontri i tuoi stessi occhi allo specchio. Ti vedi uno schifo, qualsiasi indumento ti sta da schifo, ed è solo il minimo della giornata ma già il fatto che dovrai affrontarla sapendo di essere inguardabile è di una trsitezza unica.
Una di quelle giornate in cui può succedere di tutto, dall'essere ferito da una meteorite (pensa te) all'essere rapito dagli alieni (stanno seriamente succedendo cose strane a casa mia), all' ingozzarsi con una lisca di pesce, all'avere la certezza di vivere con persone psicologicamente instabili.
Ebbene, da me c'è stata un'esplosione nucleare (metaforica, s'intende!) e ora vivo con questa sensazione di lutto allucinante, sebbene non sia morto nessuno.
Non so se l'avete mai provato, ma è quando sei così triste/avvilito/abbattuto/sconcertato/allucinato da avere un estremo bisogno di cazzoneso, piangere, parlare, correre sotto la pioggia, fumare ottocento sigarette nonostante il mal di gola, insomma, sfogare tutta sta merda, ma non ci riesci, le lacrime sono talmente abbattute di loro che non hanno voglia di mostrarsi.
Sarà sempre sta stronza di un'empatia, però regass, tra poco mi suicido di docce calde ahaha.
Non riesco neanche a scrivere e questo mi manda all'ostia, perchè non è quel dolore ispirante, è solo tristezza inspiegabile. CHEPALLE.
Speriamo sia sindrome premestruale e ridiamoci su ;)

Rileggendo questo capitolo ho notato di aver scritto 400 volte occhi quindi ho optato per la canzone You make me wanna die dei Pretty Reckless, e tra l'altro la frase finale ci sta bene con quello che è successo. Tipo da urlare un bel FUCK!

I tuoi occhi, i tuoi occhi
Posso vedere nei tuoi occhi
Qualsiasi cosa nei tuoi occhi.

Mi fai venir voglia di morire.

Cazzo quanto si addice al mio stato d'animo questa canzone! ahah. Ok, ho finito e perdonatemi al solito delle mille cose che mi perdo via a dirvi sebbene sono a conoscenza che la metà non ve ne frega per un cazzo, ma sono fatta così. Quando ho una tastiera sotto le dita, parlano da sole x)
Vorrei chiudere con una pillola di pura saggezza: avere un cervello difettoso è dieci milioni di volte peggio che essere brutti. Ve lo dico qualora viveste con una persona che non spreca un secondo del suo tempo a dirvelo e tutta la vita a dimostrarvi il contrario.
Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Spero abbiate gradito, e mi lasciate un pensierino. Tanti baci.

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Capitolo 40
*** Capitolo 40. ***


Capitolo 40.

Chiunque può simpatizzare col dolore di un amico

Kimberly si immobilizzò sentendosi divampare un fuoco dal ventre, che, lentamente, si sprigionava in tutto il corpo. Senza rendersene conto i sensi le si erano improvvisamente raffinati, fatti più acuti; poteva percepire il profumo del bagnoschiuma di Juls provenire dal bagno; sentì il lieve ronzio del condizionatore che sprigionava calore e il cuore che nel petto le pompava sangue all'impazzata; le faceva pulsare tutte le vene. Inconsciamente si ritrovò a pensare che forse fosse così che si sentivano gli animali quando fiutavano il pericolo, come a prepararsi alla difesa.

Gwen invece, era lì di fronte a lei, stoica, severa, immobile che non accennava a lasciar trasparire assolutamente quello che pensava.
Deglutire rumorosamente le venne spontaneo, e non sapendo bene cosa si sarebbero dette nei minuti più prossimi, pensò mentalmente ad una via di fuga o, ancora meglio, come ricattarla per farle tenere la bocca chiusa e riuscire ad avvertire Jared del pericolo imminente.
Non riusciva a crederci che lei fosse riuscita a scoprirli, proprio lei, la bionda ochetta che oltre al suo naso non vede, aveva capito tutto molto più velocemente degli altri.
Quasi più di Joe. Al solo pensiero che forse i due stessero complottando alle sue spalle da tempo senza che lei se ne rendesse conto, troppo impegnata a scioglersi per ogni movimento del professore, le venne la pelle d'oca e nell'immediato istante cominciò ad autoinsultarsi. Come aveva fatto ad essere così ingenua? Così sciocca? Così poco attenta?
Quando li aveva visti? In che ambito? Erano stati seguiti forse? Oppure era tutta una tattica di Gwen, tessere una tela di parole affinchè Kim si impigliasse e ci inciampasse completamente?
-Cioè, io non ci posso credere..- esclamò Gwen all'improvviso, distogliendola dalla sua valanga di domande interiori.
-Gwen.. T-ti posso spiegare..- azzardò Kimberly nella piena incertezza. Possibile che fino a 5 minuti prima si sentisse a un soffio dal paradiso mentre ora si trovava quasi faccia a faccia con Lucifero? Era profondamente ingiusto e in cuor suo Kim sapeva che se questo -come probabilmente sarebbe successo- le avesse portato via Jared, non se lo sarebbe mai e poi mai perdonata.
-..tu te la fai con l'uomo più sexy d'America e non me lo dici?!- continuò la bionda, cambiando radicalmente espressione, alche Kimberly rimase per qualche secondo in apnea.
Uno sguardo molto confuso le si disegnò in volto quando la sensazione che la faccia maligna di prima dell'amica fosse solo una presa in giro, una recita, un'opera fatta e finita.
Ma solo quando sul viso dell'altra si aprì un ampio sorriso, si permise finalmente di respirare, ancora incredula e con il cuore che non accennava a rallentare.
-Mi stai dicendo che non sei arrabbiata?- chiese per esserne certa.
Gwen corrugò la fronte, guardandola di sbieco. -Arrabbiata? E perchè dovrei?- domandò sorpresa, come se non ci fosse domanda più stupida al mondo. -Certo, ho una cotta per quell'uomo da quando è arrivato; come ogni essere femminile in quella scuola del resto, ma figurati essere addirittura arrabbiata!-
Kim scosse la testa, cercando di bloccare quel fiume di parole, non ancora pienamente sicura di quello che stava succedendo. -No, intendevo.. non hai intenzione di andare a dirlo?- strise la mandibola e incrociò le dita, nella speranza che non la minacciasse troppo pensantemente, e che magari potesse in un qualche modo “comprarsi” il suo silenzio.
-Cosa? E a chi?- a confondere ulteriormente Kimberly non erano tanto le parole o l'espressione angelica e seriamente sincera, ma il fatto che sembrasse così convinta che non ci fosse niente di sbagliato.
Se Jared per qualche colpo in testa avesse trovato un grande interesse nei suoi confronti, sarebbe stato molto più difficile dirle di no. Si sentì quasi invidiosa di quell’ingenuità sbalorditiva che Gwen sembrava possedere.
-Alla preside, ai compagni, alla Rodriguez, non lo so! Per favore Gwen, non farlo.- come se si fosse resa conto di averle appena dato una grande idea si ritrovò ad implorarla. Uno degli implori più veritieri che avesse mai eseguito, per di più.
Un sorriso luminoso si sprigionò sul volto di Gwen. -Ma stai scherzando? Non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello!- esclamò, andandole incontro e facendola sedere sul letto alle sue spalle. -Ora però, raccontami tutto!- disse, inginocchiandosi accanto a lei.
Kimberly le lesse negli occhi vero interesse, un interesse che non aveva mai conosciuto. Quel genere di interesse che leggi negli occhi di una grande amica quando le dici di essere appena tornata da un appuntamento. Si sentì strana nel pensare che anche questa fosse una situazione nuova per lei.
-Aspetta, prima dimmi come hai fatto a capirlo..- rispose, decisa a placare la miriade di domande che le pulsavano nelle tempie.
L'espressione di Gwen cambiò un'altra volta. Sta volta la guardava come se fosse lei quella appena svegliatasi dal mondo delle favole, come se le avesse chiesto la più ovvia delle ovvietà. -Kimberly cara, ti rendi conto per caso delle posizioni che assumono i vostri corpi quando vi parlate? O di come stranamente dove c'è lui, ci sei tu? O anche solo di come vi guardate di nascosto?- chiosò gesticolando animatamente. Chi l'avrebbe mai detto che Gwen fosse una così grande osservatrice?
-Non è vero che lo seguo ovunque..- borbottò lei in risposta, più a se stessa che alla sua interlocutrice, la quale le rifilò un'occhiata scettica. -Ma fammi il piacere! Ti sei ubriacata? Lui c'era! Sei scomparsa l'altra mattina? Siete tornati insieme! Facciamo un pic nic? E tu dov'è che vai? Da lui!- le ricordò, più per prenderla in giro che per altro.
-Ah, quindi l'avevi capito che non stavo andando da Joe.- dedusse Kim, ricordandosi quanto invece le fosse sembrata convinta quando le aveva inventato quella bugia su due piedi.
-Inizialmente no, anche se il dubbio già da un po' mi stava logorando. Insomma, tu non hai idea di come vi sorridete quando parlate di una qualsiasi cosa! Non ve ne rendete neanche conto!- ridacchiò punzecchiandola su una spalla con l'indice.
-Non è vero..- mormorò Kim, pensando a tutte le sante volte che si erano parlati e accorgendosi di non ricordarsi assolutamente di sorridere come una demente.
Gwen alzò gli occhi al cielo e continuò. -Insomma, dopo pranzo stavo cercando un benedetto bagno in quel parco enorme e chi mi ritrovo? Joe e combriccola che passeggiavano tranquillamente, ma di te neanche l'ombra. Quindi mi sono avvicinata chiedendogli dove fossi, pensando che ti fossi staccata da loro per fare non so cosa, ma quando lui mi ha risposto con sospetto che pensava fossi con me mi si è gelato il sangue. Ho anche pensato “adesso vedi che quell'impiastro si fa scoprire e ci vado di mezzo anch'io” quindi gli ho campato una scusa, tipo che stavi cercando il bagno anche tu e ho proseguito, quando poi.. tombola!- esclamò battendo le mani una sola volta. -Ecco i due piccioncini avvinghiati seduti sopra una panchina. E lì, o il professore ti stava spiegando vita, morte e miracoli di Mozart ad una vicinanza indecente o la situazione non poteva essere intesa in una maniera pudica. Ti è andata davvero bene che sia capitata io e non quella di spagnolo, se no potevi sicuramente dire addio a quegli occhioni blu.- terminò con un ampio sorriso scherzoso.
Kim si accorse di essere arrossita vistosamente e cercò di distogliere l'attenzione da se stessa. - Caspita Gwen, come fai ad essere così attenta alle persone?-
L'amica sospirò. -Mia madre è psicologa e sono cresciuta con lei che cercava costantemente di psicoanalizzarmi e una raccolta impressionante di libri sull’antropologia. Mentre mio padre è appassionato di libri gialli o polizieschi, quindi diciamo che conoscere l'animo umano e cogliere i dettagli più insignificanti è una dote naturale. Solo che io l'ho messa in pratica sullo shopping e stile personale!- spiegò rapidamente ammiccando, poi si mise più comoda e le scosse un braccio. -Allora, sbrigati prima che esca Julia dal bagno, da quanto va avanti questa storia?- domandò quasi elettrizzata, come se si trattasse dell'avvincente puntata finale del suo telefilm preferito.
Kimberly ingenuamente si sentì quasi commossa. Aveva custodito così a lungo quella situazione dentro di sé gelosamente, ma solo allora si rese conto di quanto in realtà volesse sfogarsi, parlare, raccontarsi, spiegare dall'inizio com'era andata, che non era stata lei ad istigarlo, ma che invece era stato lui ad ipnotizzarla fin da subito, purtroppo però era stata così diffidente da non rendersene conto.
Un po' come si era comportata con Gwen. Fino a quel momento, mentre le raccontava tutto quello che era successo negli ultimi mesi così minuziosamente che sembrava stesse leggendo ad alta voce dal suo stesso diario mentale, si rese conto di quanto in realtà l'avesse giudicata male pensando di sapere tutto di lei, mentre in realtà non la conosceva affatto.
Era stata estremamente egoista e superficiale, solo ora se ne era accorta e si sentiva terribilmente in colpa per ciò. Lei che aveva sempre detestato i pregiudizi ne era stata l'emblema per un bel pezzo, nascondendosi dietro alla facciata che Gwen le offriva solo perchè sembrava non essere assolutamente interessata a lei e non le facesse troppe domande; quando invece Gwen aveva capito meglio di chiunque altro come si sentisse davvero Kimberly, era per quello che la teneva sempre impegnata e le stava molto appiccicata, solo che aveva preferito lasciarle il suo tempo per somatizzare il tutto.
Gwen ascoltava tutto il racconto assolutamente concentrata, infilando ogni tanto un commentino che a Kim faceva piacere, ma senza mai interromperla; facendole di tanto in tanto domande mirate ad approfondire il suo stesso interesse. Un particolare che colpì Kim era che ogni volta le chiedesse anche come si era sentita lei in quella situazione: l'influsso della madre psicologa si faceva sentire.
Incredibile ma vero, Kimberly aveva trovato una persona di sesso femminile in grado di ascoltare senza sbadigliare o distrarla.
-E quindi.. eccoci qui.- finì la ragazza, sospirando con un mezzo sorriso.
-Oh-oh.- mormorò subito Gwen, facendo preoccupare Kim. -Ma Kim!- esclamò poi, sul viso un'espressione carica di panico.
-Che c'è?- chiese l'altra guardandosi intorno. Magari Juls era uscita dal bagno senza che se ne accorgessero e aveva sentito tutto, ma immediatamente sentì il rumore del phon proveniente dalla porta ancora chiusa, quindi si rigirò verso Gwen.
-Non hai niente da metterti!!- sembrava più agitata di Kim stessa quando Jared l'aveva portata a casa sua la prima volta.
Non le diede tempo di rispondere neanche con un cenno che balzò giù dal letto portandosela dietro e si avvicinarono alla sua valigia laccata di rosa, dalla quale estrasse un sacchetto di cartoncino blu con delle scritte sopra. In quel poco che era riuscita a vedere del bagaglio aperto, a Kimberly più che una valigia sembrava un magazzino stesso. Si chiese se il suo armadio intero ci sarebbe stato lì dentro; poi tornò a concentrarsi di nuovo sulla bionda, la quale aveva tolto dal sacchetto un pezzo di stoffa blu elettrico.
-Non vorrai farmi mettere quel costume da bagno, spero.- borbottò Kim con un'aria abbastanza imbarazzata e spaventata. Non l'aveva ancora spiegato, ma sembrava davvero molto corto, stretto e piccolo.
-Dai non fare la difficile! Pensa che l'ho comprato pensando a te.- le sorrise distendendoglielo sotto agli occhi sul letto. -Il blu sta meglio a una più scura come te che a una bionda. Però mi piaceva troppo e non ho resistito.-
-Gwen, è una maglietta!- si lamentò Kimberly posizionandoselo davanti, notando che le arrivava a malapena sotto il sedere.
-Ma lo vedi che non capisci proprio niente di stile? Eh, chissà come hai fatto prima di incontrare me.- sorrise lei tutta soddisfatta, tornando alla sua valigia dalla quale tornò con un altro pezzo di stoffa ancora più stretto, e solo dopo averlo preso in mano Kimberly capì perché: erano dei pantacollant.
-Di solito si indossa senza, ma conoscendoti è meglio darti una mano.- ammiccò Gwen, facendole segno di cominciare a provarseli.
Quando ebbe finito e si diede una breve occhiata allo specchio capì che non era poi così male, e sinceramente nel corso di quei pochi mesi di amicizia, Gwen le aveva fatto indossare cosa ancora peggiori se possibile.
-Ehy, come mai così elegante Kim?- le chiese una vocetta stridula alle spalle. Juls era riemersa dal bagno e la fissava dallo stipite della porta ancora in accappatoio.
-Deve uscire con uno.- rispose al suo posto Gwen, facendola sedere e cominciando a truccarla.
Juls le si avvicinò con la solita smorfia bizzarra. Un vizio che aveva sempre quella ragazza era che muoveva la bocca in continuazione come se avesse del cibo tra i denti e stesse cercando di levarlo senza dare troppo nell'occhio, mentre invece si trattava solo di nervosismo e continuava a torturarsi l'interno della bocca
con i denti, come a deconcentrarsi.
 -E dove l'hai conosciuto?- domandò con indifferenza, dirigendosi verso la sua valigia e portando la completa attenzione al suo guardaroba.
-Oggi a Central Park.- rispose veloce Kim, con il consenso di Gwen che le sorrise debolmente, intenta a metterle un tocco di eye liner. Cercava di pensare cosa sarebbe piaciuto a mr Leto e cosa le avrebbe permesso di farle Kimberly.
Pensò a suo padre -che aveva più o meno l'età del professore- e a quante volte l'aveva sentito fare apprezzamenti a sua madre quando non si tirava troppo per uscire a cena, a come la preferisse casual. Ma dato che quella non era una cena proprio da coppia ormai sposata da tempo, optò per una via di mezzo: non esagerò troppo come se stesse andando in discoteca, ma cercò di mantenerla sul sofisticato, accentuanto l'intensità dello sguardo, rendendo gli occhi più grandi con qualche sfumata di blu che richiamava la maglietta -che, per la cronaca, le era perfetta, proprio come se l'era immaginata-.
A opera conclusa passò ai capelli, ma pensava che andasse bene così raccolti con una molletta in modo che qualche ciocca le ricadesse sul viso. Qualche accessorio abbinato e la bionda si sentì fiera della sua opera.
Kimberly le fu enormemente riconoscente quando, dopo essersi studiata un pelo di più allo specchio, si piacque, all'altezza della situazione, sicura che a Jared non sarebbe dispiaciuta.
-A che ora dovete trovarvi?- le chiese Gwen sistemandole ancora qualche ciuffo qua e là.
-Alle 8.- rispose Kim sgranando gli occhi dopo essersi accorta che erano le 8 passate da qualche minuto. Senza aggiungere altro si scagliò fuori dalla stanza con borsa e cappotto ancora in mano e Gwen al seguito. Dato che l'ascensore non sembrava volersi muovere, Kim si gettò per le scale cercando di non inciampare. Sapeva che Jared non approvava troppo i ritardi e per di più muoversi le avrebbe fatto smaltire un po' di nervosismo accumulato.
Arrivata al piano terra fece un respiro profondo e andò verso l'ingresso dove un Jared di spalle l'aspettava fissando le porta girevole che continuava a ruotare.
Come se l'avesse chiamato, si voltò nella sua esatta direzione e rimase con un'espressione indecifrabile per qualche istante, mentre la osservava avvicinarsi lentamente, senza distogliere gli occhi dai suoi.
-Ciao..- sussurrò lei a mezzo metro da lui, talmente a bassa voce che per capire le dovette leggere il labiale.
-Ciao.- rispose con un sorrisetto, le passò una mano gelida sotto alla mandibola e la avvicinò al suo volto lasciandole un bacio a fior di labbra.
Solo quando percepì il suo tocco ghiacciato Kim si rese conto di quanto scottasse la sua pelle e fu scossa da un brivido che la portò ad allontanarsi con un flebile scatto. Improvvisamente vide la sua espressione cambiare in un lampo, sbiancò e si irrigidì come se alle sue spalle ci fosse un fantasma.
Non capendo, Kimberly si voltò cercando di capire quale fosse il problema, e quando vide Gwen a qualche metro che li osservava appoggiata ad un muro con le braccia incrociate ed un sorriso che poteva risultare ambiguo, realizzò di colpo. Si era completamente dimenticata dell'amica nel frattempo, l'effetto che quell'uomo giocava su di lei era impressionante.
Jared non si era ancora mosso, rigido e terrorizzato dal sorrisetto che Gwen aveva in faccia che, Kimberly se ne accorse, poteva sembrare stesse per “ah, beccati!” mentre invece lei ci lesse puro orgoglio personale. Probabilmente Gwen aveva osservato bene Jared e gli era piaciuto quello che aveva capito dal suo linguaggio del corpo.
Cominciò a muoversi verso di loro, mentre Jared stava stringendo Kim per un polso, come se fosse stato pronto a prendere il volo da un momento all'altro e a portarla con sé.
Quando Kimberly si accorse che il suo sguardo stava cominciando a diventare aggrassivo, decise di calmarlo prima che saltasse addosso all'amica. -Jared, non preoccuparti.- lo tranquillizzò posandogli le mani sul petto. -Lei sta dalla nostra parte.- spiegò cercando i suoi occhi azzurri.
-Tu gliel'hai detto?- chiese l'uomo incredulo assottigliando gli occhi.
-No, l'ho scoperto da me professore.- sorrise Gwen appena li ebbe raggiunti. -Del resto è difficile non notare certe occhiate di fuoco.- disse facendo l'occhiolino a Kim, la quale ricambiò tornando a fissare Jared con sguardo apprensivo. Sembrava sotto shock, come vittima di uno scherzo a cui non riusciva ancora a credere.
-Non hai intenzione di smascherarci, vero Gwen?- le chiese lui un po' titubante. Kim non l'aveva mai visto così, la teneva stretta contro il suo fianco, cingendola con una mano dietro la schiena,  come se gliela potessero portare via da un momento all'altro. L'eccessiva vicinanza, le duoleva ammetterlo, intestardiva il suo cuore a non voler rallentare assolutamente, neanche per prendere un po' di fiato. Aveva un buon profumo, appena di più accennato sul collo e il tipico aroma di dopobarba sembrava seguirlo ovunque.
-Certo che no. Se no stia pur certo che non gliel'avrei preparata così bene apposta!- scherzò Gwen con quella voce acuta, ma piacevolmente acuta, come se gli angoli striduli fossero smussati da un po' di miele.
Kimberly sentì la stretta di Jared farsi meno intensa, come il suo sguardo e si riconobbe stupita nel notare che Gwen per la prima volta nella sua intera carriera scolastica, riusciva a sostenere lo sguardo del professore, cosa che non l'aveva mai vista fare. Probabilmente vederlo nelle vesti di uomo impegnato lo rendeva più terreno e simile a un qualunque essere umano.
-Grazie.- rispose ora lui, con un sorriso appena accennato. -Di tutto.- aggiunse poi lanciando un'occhiata eloquente a Kim, facendo scoppiare a ridere Gwen.
-Me la tratti bene, che quel vestito l'ho pagato con la carta dei miei!- scherzò, per poi avvicinarsi all'orecchio di Kimberly e sussurrare -Questo ti mangia con gli occhi, guai a te se torni in camera stanotte!- e poi si avviò verso gli ascensori, con uno spintone da parte dell'amica che avvampò vergognosamente, facendo palesemente intuire a Jared più o meno che cosa le avesse detto. 

…ma solo chi ha un animo nobile riesce a simpatizzare col successo di un amico.

Note finali: Allora?? Contente che Gwen pare abbia questo lato umano? So che vi aspettavate fulmini e saette, ma sono spiacente, vorrei che questa storiella durasse ancora un pò ahaha.

Questa non è una canzone (qualora non l'aveste ancora capito) ma si tratta di una citazione di altissimo livello: il mio Oscar Wilde in persona è stato citato (al momento si rivolterà nella tomba, povera anima in pena che viene menzionata in una stronzata come questa ahah) dopo un lunghisssssssimo dibattito interiore.
Ne ho lette a dozzine di ste quotation andando ad animare il mio lato cinico (sono proprio una persona strana, abbiate pazienza) e credeteci o no, nonostante la fantastica e adorabile persona che sono (ahaha) non credo molto nell'amicizia. Sì, mi affeziono e do tanto; ma c'è un limite all'affetto che posso dispendiare, spesso succede che gli altri tengano di più a me di quanto io tenga a loro.
Faccio il possibile per loro nel momento in cui hanno bisogno, ma col tempo ho imparato che più dai fiducia ad una persona più questa ti delude. Non voglio sperperare lezioni di bassa lega, anche perchè ormai siete tutte "grandi" e avrete una vostra personalissima opinione data da educazione ed esperienze, proprio per questo mi sento liberissima di esprimere tutto il mio cinismo al riguardo.
Questa frase tra tutte (la conoscevo già da tempo, pensate che ho un file sul pc in cui ho scritto tutte le citazioni di Oscar ♥ [ahaha]) secondo me, esprime l'essenza dell'amicizia e al contempo la corruzione dell'animo umano: fin troppo egoista per dispendiare un pò di buoni sentimenti per la felicità altrui.
Forse c'è un motivo pratico (intendo per la trama) per cui l'ho scelta? Forse è tutta una farsa? Gwen non vuole davvero il suo bene e sta recitando! O forse è davvero così, solo che il suo orgoglio le ha sempre impedito di mostrare questo lato disponibile? 
Speratele tutte se volete, tanto non l'ho deciso neanche io ahahah. E' ancora un vasetto di creta da plasmare questo personaggio, vedremo come sarà il mio umore quando deciderò di affrontare l'argomento ;)

Mi interesserebbe molto conoscere il vostro POV al riguardo. Sono l'ultima delle stronze esistenti, o c'è chi come me ha imparato a difendersi coi denti nel tempo?

Volevo dirvi un'ultima cosa: vi ho abituate bene finora XD purtroppo non credo potrò continuare ad aggiornare tutti i giorni, sapete, non me ne restano molti di capitoli e prima di lasciarvi proprio a secco per lungo tempo, preferisco preservarvi e darvene uno ogni 2/3 giorni :)
E' anche vero che ho 800 idee per 34 storie tutte diverse e può sembrare che non ci metta un cazzo a scrivere (il che è una semi-minchiata, dato che ci metto un dalle 3 ore al giorno intero per partorirne uno decente, pensato e revisionato, tutto dipende dal grado dell'ispirazione, predisposizione psico-fisica mia e quanto ho voglia di scrivere quel determinato capitolo) ma ci vuole tempo per i miliardi di cose che voglio avvengano ancora in questa FF e voglio prendermi tutto il tempo di gestazione possibile per farli uscire bene :) Spero mi comprendiate.

Ok, anche per oggi è tutto spero abbiate gradito la reazione dell'amica e tutto quello che potrebbe derivarne.
Fate scorrere la fantasia a fiotti e riferitemi tutto quello che ne pensate :D
XOXOXOX


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Capitolo 41
*** Capitolo 41. ***


Capitolo 41.
 
Ich weiss was ich will und ich will es nur mit dir 
Komm ich habe keine Angst 
Ich weiss was ich will und ich will es jetzt und hier 
Wir warten schon so lang 

Una volta soli, Jared non sembrava essere tornato davvero sereno.
Le portò una mano alla base della schiena e la scortò fuori dall'albergo, nell'attesa di un taxi.
-Questa me la devi spiegare.- disse lui con un tono confuso, ovviamente riferendosi a Gwen.
Kimberly sentiva una strana energia provenire da parte sua, era ancora un po' scosso. Il terrore di essere stati scoperti l'aveva assalito e non sembrava decidersi a sparire.
Effettivamente, sebbene tentasse in tutti i modi di mascherarlo, a lui era venuto un mezzo infarto. Se al posto dell'amica della ragazza ci fosse stato chiunque altro poteva definirsi fottuto, senza cadere in galanterie.
A Kim preoccupava un po' l'espressione che Jared manteneva, nonostante si sforzasse di non darlo a vedere, era ovvio che dopo quell'episodio in lui si era fatta largo l'idea di troncare tutto.
Sperò vivamente in cuor suo che non fosse così e che fosse solo una sua sensazione, ma ultimamente le sue sensazioni riguardo alla personalità multipla del professore avevano cominciato a rivelarsi esatte, come se cominciassero a contennettersi.
Cercò quindi di spiegarglielo nella maniera più innocente possibile, nel tentativo di far risaltare Gwen come un'amica, un'alleata e non una strega sfascia relazioni.
-Lei... l'ha capito da sola. E mi ha coperta oggi pomeriggio, quando le avevo detto che sarei andata da Joe e invece sono venuta da te.. Avrebbe potuto rivelarlo agli altri o anche solo a Julia, invece ha mantenuto il segreto.- optò con il raccontargli quell'aneddoto: il fatto che Gwen tifasse per lui e non per Joe gli avrebbe sicuramente fatto piacere e lei avrebbe guadagnato qualche punto.
Infatti sul volto dell'uomo un accenno di sorriso fece capolino, mentre sporse il braccio dal marciapiede per invitare un taxi a scortarli.
Il fatto che tentasse di evitare il suo sguardo la metteva a disagio. Voleva dire che le stava nascondendo quello che pensava realmente.
Quando la macchina gialla si arrestò accanto a loro, lui le aprì la portiera e lei entrò aspettandolo nell'abitacolo.
Una volta che Jared ebbe detto l'indirizzo al taxista, Kim decise di prendere in mano la situazione. Non poteva permettere che lui continuasse a farsi condizionare da queste sue paturnie, non era salutare e avrebbe finito per rovinare la loro serata. La loro prima serata.
-Jared, per favore non essere nervoso. Non è il caso di allarmarsi, è solo Gwen!- lo implorò, tenendo lo sguardo basso.
Lui rimase immobile. -Tsk, è solo Gwen. Certo, poi sarà solamente Julia, poi Tom, Eric, Christian, Lola...- cominciò a elencare chiaramente scettico.
-Perchè devi sempre essere così disfattista?- chiese lei leggermente alterata.
-Non sono disfattista tesoro, ho qualche anno in più di te e lascia che abbia qualche esperienza di più sul come gira il mondo.-
Kim non sapeva cosa le dava più fastidio, se il tono arrogante che aveva usato o il modo in cui si era autoelevato. Come se lei fosse una povera ragazzina scema.
-Non trattarmi come un'ingenua, lo so anch'io come funziona di solito, ma ciò non toglie che dovremmo avere fede. Non essere diffidente, è una brava persona.- continuò a portare argomentazioni valide per sostenere la sua tesi.
-Kimberly non è questione di diffidare, è che proprio quella ragazza non mi va giù.- lui invece sembrava testardo a remare contro di lei.
-Non sei diffidente, non sei disfattista, e allora cosa sei? E che fine ha fatto l'uomo allegro che una volta mi ha detto di fidarsi anche fin troppo delle persone, quasi pronto a porgere loro il suo portafoglio? Ogni tanto quell'uomo sembra essere scomparso.- sputò amareggiata.
Lo sentì sospirare accanto a sé, poi il suo braccio le passò dietro la schiena per cingerla al livello della vita e portarla contro il suo petto.
-Io sono preoccupato Kim. Questa volta non è il mio portafoglio ad essere a rischio ma è qualcosa di gran lunga più prezioso e che se perdessi non ci sarebbe lotteria o documento nuovo di zecca in grado di riportarmela indietro. So che ogni tanto ti posso sembrare pesante, ma io sono semplicemente troppo spaventato di perderti.- spiegò con un giro di parole che solo lui riusciva a rendere affascinante. Una qualità che Kimberly apprezzava particolarmente in Jared era il suo essere così maledettamente poetico in qualsiasi cosa dicesse.
-Il che mi riconduce a quello che ho detto prima: fin dall'inizio sapevamo quali pericoli avremmo corso, ma questo non ci ha tolto la voglia di avere fede e provarci.
Se proprio deve finire questa storia, voglio che siamo noi a sceglierlo. Noi due Jared, nessun altro. Siamo in due in questa situazione, quindi per favore smettila di affibbiarti tutte le colpe.- sorrise più rilassata la ragazza scostando il viso dal torace del professore e portando una mano sulla sua guancia.
-Nonostante io sia di gran lunga più... maturo di te, riesci sempre a stupirmi.- sussurrò portando le labbra vicino alle sue.
-Vecchio Jared, è vecchio la parola che stavi cercando.- scherzò Kim per poi baciarlo.
Era il primo bacio della serata e solo in quel momento lei si rese conto di quanto stesse aspettando quel momento. Infatti nel giro di pochi secondi si liberò della borsa per riuscire a circondare la testa di lui con entrambe le mani, le sue dita si intrecciarono nei capelli e fece forza sulle gambe per mettersi quasi in braccio a lui e farsi più vicina.
Jared non stava assolutamente facendo nulla per placarla o per lo meno per ricordarle che c'era qualcun altro nel sedile anteriore, ma anzi, la assecondava intensificando il bacio e desiderando con tutto se stesso di essere in un qualsiasi altro luogo al momento.
Entrambi sentivano l'adrenalina e l'eccitazione crescere in loro mentre i cuori aumentavano la quantità di sangue da pompare, vista la scarsità di utilizzo dell'ossigeno.
-Ehm, mi dispiace interrompervi ma saremmo arrivati.- udirono dire dall'autista, il quale si era limitato a dare un'occhiata allo specchietto retrovisore, arrossendo appena.
I due si trovarono improvvisamente a fare i conti con la realtà effettiva e dovettero separarsi a malincuore. Jared dovette obbligarsi con tutte le sue forze a pagare questo viaggio e a scendere, piuttosto che ordinare al tassista di fare dietrofront e portarli in albergo.
Non gli andava di spaventare Kimberly, dandole l'impressione di essere un pervertito.
Quella sera la ragazza era incredibilmente bella e già era un sacrificio starle accanto senza approfittarne, se faceva così poi entro fine serata gli sarebbe venuto un arresto cardiaco.
Kimberly avvampò lievemente cercando di darsi un tono, vergognandosi paurosamente.
La sua vena insicura tentava di venire fuori, facendola pentire di quello che aveva appena fatto, forse dimostrandosi per l'adolescente immatura per cui poteva apparire.
Osservò Jared pagare l'uomo e uscire dalla macchina, così lo imitò e, una volta fuori, si portò subito accanto a lui.
-Scusami, non so che mi è preso.- sorrise arrossendo appena, e il sorriso che poi il professore le rifilò, fece aumentare il suo rossore.
Era indecifrabile, non riusciva a capire se fosse malizioso o indifferente. L'uomo le portò ancora la mano alla base della schiena scortandola verso l'ingresso del ristorante. Un ristorante cinese o giapponese, quale fosse la differenza tra le due etnie, Kim non riusciva proprio a capirlo.
-Non sei mai stata al giapponese, giusto?- le chiese Jared per accertarsene.
Lei scosse la testa. -No, mia madre è intollerante a tutte le cucine che non rientrino nel gusto europeo.- rispose aggrottando le ciglia.
-Una particolare forma di xenofobia?- notò divertito.
-Sì, definiamola così.- lo appoggiò ridendo leggermente.
-Mh, ricordavo bene..- disse lui tra sé e sé nel momento in cui Kimberly stava formulando una domanda.
I suoi pensieri vennero interrotti da una cameriera asiatica che li portò al tavolo, proprio accanto allo striscione su cui passavano tutti i piattini colorati contenenti le pietanze.
-Tu non eri vegetariano?- domandò infine lei, guardandosi intorno.
Gli era grata per averla portata in un posto semi informale, non si sentiva a disagio e non c'era nessuno vestito come se fosse l’ultima occasione per apparire al mondo in tutta la sua eleganza.
Lo vide esitare, calibrando bene che risposta usare. -Nessuno può dire di no al sushi.- rispose infine, optando per l'essere il più sincero possibile.
-Cos'è, i pesci non meritano la tua compassione?- lo provocò sarcasticamente.
-Tu mangi carne, quindi sei pregata di non commentare.- ribadì con un sopracciglio alzato, mentre guardava i piattini passargli davanti.
-Io sono coerente.- lo corresse, prendendo una porzione di maiale in agrodolce.
-Senti, essere vegetariano in America ti toglie già troppa scelta, il sushi è l'unico sgarro che posso concedermi essendo molto salutare. Potresti mangiarne in quantità industriale e il tuo organismo non ne risentirebbe minimamente.- spiegò, prendendo un piatto di sushi, appunto.
A quel punto la ragazza non ebbe da obbiettare e cominciò a riempirsi la metà di tavolo di cibi bizzarri che non aveva mai avuto occasione di mangiare.
Jared sorrise osservandola di sottecchi. Aveva il tavolo così colmo che sembrava venire da tre mesi di volontariato in Africa.
-Hai appetito?- commentò ironico senza sollevare lo sguardo.
-Vuoi che apra i miei gusti culinari ad altre cucine? Devo farlo come si deve.- scherzò con sguardo serio, tentando in qualche modo di impugnare le bacchette.
Il professore apprezzava il ragionamento, e per la seguente mezz'ora le insegnò ad utilizzare le “posate asiatiche” dato che se fosse stato per lei, avrebbe usato le mani.
Infatti, dopo un bel po' di litigi con un piatto di sashimi, abbandonò la sua tentata classe e utilizzò le bacchette come stuzzicadenti, infilzando brutalmente il cibo e portandoselo alla bocca con espressione vittoriosa, il tutto sotto lo sguardo attento e divertito dell'uomo.
-Non commentare.- disse tra i denti lei, provocando una leggera risata a Jared.
 
*
 
Quando uscirono dal ristorante, Kimberly si poteva ritenere sazia e soddisfatta. Il cibo non era stato niente male e la compagnia di Jared era sempre il massimo.
Avevano parlato per tutto il tempo, mentenendo il contatto visivo costante.. almeno da parte di lui.
Lei quando lo guardava negli occhi non riusciva a fare una frase di senso compiuto. Ciò le dava maledettamente fastidio, pensava di averla superata la fase da farfalle nello stomaco appena lui la sfiorava! Invece continuava costantemente a sentirsi scema al suo fianco ed era una sensazione terribile. A meno che non aprisse bocca per insultarlo o rispondergli a tono, ogni volta che tentava di intrattenere un discorso finiva per incepparsi e fare versacci.
La capacità di farle perdere la facoltà di parola non rientrava nelle caratteristiche del suo uomo ideale.
Sollevò lo sguardo trovando il professore a fissarla.
Arrossì all'istante immaginando che lui stesse aspettando una risposta alla domanda che non aveva assolutamente sentito formulargli.
-S-scusa, mi sono persa nei miei pensieri.- disse.
Notò che la stava squadrando e si chiese cosa gli passasse per la testa. -Ho semplicemente chiesto se ti andava di tornare in albergo.- ripeté lui sorridendo. Un sorriso che Kimberly non poté non riconoscere o categorizzare.
Le venne il batticuore, un po' per l'ansia improvvisa e un po' per la gioia.
Annuì rigida con il capo seguendolo verso il posteggio dove avrebbero trovato un taxi. Per tutto il tragitto lei non proferì parola, agitatissima.
Si ricordò delle parole di Gwen prima che la lasciasse andare “questo ti mangia con gli occhi”, “me la tratti bene che l'ho pagato con la carta dei miei” e ancora “guai a te se torni in camera stanotte”.
Non era la prima volta che dormivano insieme, la mattina stessa si erano svegliati insieme, non era quello il punto, e neanche il fatto che dormissero in mutande o nessun tipo di imbarazzo sotto quel punto di vista.
Ma era ovvio che nelle intenzioni di Jared non ci fosse semplicemente il dormire.
Solo una volta gli aveva visto quello sguardo malizioso che sfociava nel serio, così serio da spaventarla quasi: sul divano a casa Leto.
Poteva definirla “ansia da prestazione” forse? Avrebbe fatto cambio con chiunque al momento.
Si sentiva così insicura ed inesperta da essere a disagio con se stessa. Lui invece era un uomo maturo e vissuto e non sapeva come girarsi, come comportarsi per dargli un'idea di ragazza esperta che sapeva il fatto suo.
-Ehm Kim?- la voce di Jared la risvegliò, facendola catapultare nella realtà. Si trovava nella camera d'albergo del professore, era stata così presa nelle sue torture mentali che non si era nemmeno accorta di essere scesa dal taxi ed aver camminato fino a lì. Per quanto la riguardava potevano anche essere arrivati tramite il teletrasporto.
Sussultò, voltandosi verso di lui, con il cuore che non sembrava intenzionato a darle tregua e mettendole un'ansia tremenda.
-Sicura di star bene?- continuò lui avvicinandosi a lei. Le posò una mano sulla gota arrossata.
-Qualcosa non va?- le chiese guardandola intensamente negli occhi, i quali erano lucidi e trasmettevano un'insicurezza lampante.
Solo un idiota poteva non capirlo, e per come la conosceva lui. Kim era certa che glielo leggesse in faccia. Decise quindi di optare per quello che sicuramente Gwen le avrebbe consigliato di fare: buttarsi e fingere di sapere ciò che faceva. Agli uomini piacciono le ragazze decise, no?
Chiuse gli occhi e si fiondò al suo collo cominciando a baciarlo con passione, senza nemmeno lasciargli il tempo di capire o di pensare, e gli slacciò la camicia senza troppa delicatezza, strappandogli qualche bottone.
Preferiva non aprire gli occhi per rendersi conto di quanto imbarazzante poteva apparire e guidava le mani di Jared lungo il suo corpo, le quali erano sì decise, ma tentennanti, come se non fosse poi così certo di quello che doveva fare.
Quando gli tolse la camicia alzò le braccia in modo che lui le levasse il vestitino blu. L'uomo prestò addirittura attenzione a non stropicciarlo, ma non fece a tempo a poggiarlo sul comodino che Kimberly gli circondò il collo con le braccia e lo trascinò con sé al centro del letto con una foga che non era di certo della ragazza che era abituato a conoscere.
Quando non gli arrivava quasi più ossigeno da fargli capire cosa stesse facendo Kim con la sua cintura, se la staccò di dosso con forza, col fiato corto.
-Mamma mia Kim, se fai così però mi dovranno portare via con una flebo!- scherzò cercando di tenerle strette le mani che tentavano di riportarlo a sé.
Kimberly finalmente aprì gli occhi e sentendosi gli occhi di Jared puntati addosso in un'espressione tra lo sconvolto e il compiaciuto non seppe a quale dare retta e si sentì terribilmente a disagio.
Lui era sopra di lei che si teneva a distanza stendendo le braccia, mentre lei lo teneva vicino con le gambe strette attorno al suo bacino.
-Scusa...- mormorò liberandosi una mano per afferrargli la cintura e riportarlo completamente su di lei.
Non fece a tempo a baciarlo di nuovo che lui scoppiò a riderle in faccia.
-Cosa c'è adesso?- brontolò lei scocciata.
-Mi spieghi cosa stai facendo?- le domandò sorridendo e appoggiandosi sui gomiti.
-Sto cercando... non so di piacerti, penso.- rispose deviando lo sguardo.
-Kim non devi fare la gattina arrapata per piacermi! Chi ti ha messo in testa questa idea? Quando avevo 20 anni forse, ma adesso non mi sembra il caso!- ironizzò, ma vedendo che il suo volto non si rilassava assolutamente e anzi, rimaneva immobile rigida come pietra, decise di calmarla. -Ascolta Kimberly, non voglio che tu cambi il tuo modo di essere solo per “piacermi di più”. Scusa se ti ho messo ansia, ma se non te la senti rimandiamo.- le disse con voce bassa, baciandole la punta del naso.
Lei sorrise appena, aggrottando la fronte. -Perchè mi hai invitata a cena, Jared?-
Lui corrugò le sopracciglia, confuso. -Se è quello che pensi, levati dalla testa che era per questo!- rispose abbastanza scocciato riferendosi alla situazione. -Oggi è il 4 marzo. Un mese fa non ci parlavamo neanche e ricordo quanto questo mi facesse star male. Mi ero ripromesso che se le cose si fossero aggiustate mi sarei fatto perdonare per tutta la confusione che ti ho causato. Tutto qui, non pensare che volessi approfittare di te.- disse alzandosi e sdraiandosi accanto a lei. Anche perché, ormai non si poteva più dire che approfittasse di lei.
-Non lo pensavo assolutamente. Volevo semplicemente che questa volta fosse perfetta.- ammise la ragazza voltandosi su un fianco per guardarlo.
Lui sorrise e le accarezzò il collo per poi far scorrere la mano lungo il suo corpo semi nudo.
-Riproviamo?- le chiese ammiccante.
Lei arrossì furiosamente ma non lo fermò una volta che fu sopra di lei.

 

Ich weiss was ich will das was ich will bist du 
Ich freu mich schon auf dich 
Ich weisswas ich will und ich greife heute zu 
Ich bin für dich gefährlich 
Küss mich - Küss mich


Note finali:
Occi ziamo teteshki.
Ok, scherzi a parte, come state? Come avete preso questo distacco improvviso? Riuscite a non divorarvi più un capitolo al giorno?
Siete stati prese da attacchi di puro panico, vi siete sentite smarrite, svegliate intontite, sudando freddo e tremando in preda ad una crisi d'astinenza? Non mi sono arrivate laentele, quindi deduco di no ;)
Sapete mi girano i maroni in sti giorni, ma non mi va di creare scompigli inutili, dato che ormai ho quasi 20 anni e di fare la bambina non mi va.
Ci tengo solo a dire una cosa, quello che mi piace di questa storia sono le idee "pure" che la costituiscono. E' nata da mie esperienze, miei pensieri, sogni, fantasie e mi sta davvero tanto sul cazzo che qualcuno se le prenda deliberatamente e le faccia proprie senza chiedermi niente.
Ma d'altra parte significa che sono state apprezzate e innovative, e si sa, tutte le idee innovative vengono recuperate, quindi va bene così :)
E poi davvero, sono vecchia per mettermi a fare la bambina possessiva, quindi facciamo finta di nulla e passiamo al capitolo.
L'ultima parte la trovo esilarante, mi piacciono tanto questi due pipotti immaginari insieme, mi sento un Cupido taaaanto orgoglioso!
I capitoli della gita sono giunti agli sgoccioli e mi ritengo soddisfatta (c'ho impiegato mesi a scriverli ahah), avete dato sfogo al vostro lato sentimentale nelle mie doti di scrittrice (♥) quindi direi che mi merito un pat-pat sulla testa ahahah.
Voi vi meritate un casino di coccole invece, dato che siamo al capitolo 41 e ancora mi sopportate :D

La canzone è di Lafee, una cantante tedesca (MA VA?!) che non so quante di vuoi conoscono.
si chiama Kuss mich , scusate la banalità (ho usato un altro kiss me in capitoli precedenti) e cazzo in tedesco rende benissimissimo ahah.

Io so cosa voglio
e lo voglio soltanto con te
vieni, non ho paura
So cosa voglio e lo voglio qui e adesso
Abbiamo aspettato così a lungo

So quello che voglio, e ciò che voglio sei tu
Non vedo l'ora
So cosa voglio e me lo prendo subito
Sono pericolosa per te
Baciami - baciami

 Rende 2086 volte meglio in tedesco (avete presente dire ad una persona Ich bin fur dich gefarlich che effettone che fa rispetto allo smidollato sono pericolosa? Tsk)
e ci stava l'immagine di una Kim vogliosa/pericolosa/imbranata ahahah ametto che nelle ultime righe ho dato sfogo alla mia gelosia per lei (rendiamoci conto a che livelli sono messa).
Bene, spero siate soddisfatte, mi amiate per essere arrivata a quest'ora del giorno e mi lasciate qualche commentino.
BACIOTTI.

n.b: scusate se davvero ho superato il confine della decenza nelle note, non mi controllo da una certa ora in avanti.

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Capitolo 42
*** Capitolo 42. ***


Capitolo 42.

Whenever I fall at your feet
Do you let your tears
Rain down on me?
Whenever I touch your slow turning pain

 Si svegliò di soprassalto, sentendo il suono di quella insopportabile sveglia provenire dal cellulare del professore. Sarà stato pure il fatto che il suo cervello l'associava al risveglio, ma quel suono stava cominciando a non sopportarlo, il che rendeva lo svegliarsi ancora più traumatico.
Avrebbe dovuto dire a Jared di cambiare suoneria, pensò, quando si allungò sopra di lui per raggiungere il comodino, in modo da porre fine a quella tortura, visto che lui non accennava a volersi muovere.
Tornò al petto dell'uomo, appoggiandovi la testa.
Quando fece mente locale e si ricordò di tutti gli avvenimenti nell'arco delle ultime 12 ore, arrossì appena, sollevando il volto e raggiungendo il viso di Jared facendo un percorso di baci lungo il suo collo.
Lo sentì sorridere appena, senza però aprire gli occhi e poi le portò le mani attorno ai fianchi nudi.
-Eddai Kim, è ancora presto.- sussurrò spostandosi sul fianco destro, senza togliere le mani dal corpo della ragazza.
Lei però non si sentiva più stanca. In ogni caso le faceva piacere che il professore invece avesse voglia di riposarsi ulteriormente e cominciò ad accarezzargli i capelli, sorridendo tra sé e sé.
Immagini della notte trascorsa le abbagliavano la mente di tanto in tanto. Era stato bello stare così con lui, in quella complicità che non aveva mai sperimentato con nessuno.
Lui era stato più dolce e delicato della volta precedente, ma nonostante ciò si sentiva indolenzita un po' ovunque. Niente di irreparabile o per cui lamentarsi, comunque.
Ricordandosi che quello sarebbe stato il giorno della partenza e sapendo dell'ansia che le sarebbe immancabilmente venuta, nella speranza di non aver dimenticato nulla, decise che era il momento buono per alzarsi e andare a fare i bagagli.
Diede un ultimo bacio sulle labbra del professore e poi si alzò, raccogliendo le sue cose.
-Te ne stai andando?- disse la voce rauca alle sue spalle, mentre la osservava rimettersi i vestiti.
Kimberly annuì sorridendogli. -Devo ancora mettere a posto tutte le mie cianfrusaglie. Le valigie mi mettono un sacco di pressione, meglio essere preparata.- spiegò concisa. -A che ora abbiamo il volo?- chiese poi, mettendosi le scarpe.
-Mhhh.. all'una. Il che vuol dire che tra un'ora dobbiamo incontrarci tutti.- disse Jared stiracchiandosi appena e sbadigliando, facendosi forza per affrontare la nuova intensa giornata.
Prendere gli aerei poteva sembrare cosa da poco, mentre invece era più stancante e impegnativo di quello che appariva, specialmente quando si aveva una classe di ragazzi sotto la propria responsabilità.
-Ok, è meglio che scappo allora. Gwen mi farà il terzo grado!- scherzò allungandosi sul letto per dare un ultimo bacio all'uomo, il quale ricambiò con un sorriso rilassato.
In seguito la ragazza schizzò fuori dalla stanza, sempre attenta che non ci fosse nessuno che potesse vederla.

 *

 Qualche ora dopo erano in aeroporto, tutti stanchi e affaticati.
Kimberly si guardò intorno. Erano tutti così diversi rispetto a quando erano partiti! Non avevano più quei sorrisi intrepidi e quegli sguardi carichi di entusiasmo.
Invece erano tutti nella tipica fase della depressione pre-ritorno. Tutti esausti per l'intensità delle giornate e amareggiati per l'imminente ritorno alla routine quotidiana che caratterizzava le vite di tutti loro.
L'unica a non esserne poi tanto dispiaciuta era Kimberly. Certo la voglia di tornare a casa non c'era proprio... ma cosa le importava di dove si trovava quando Jared era con lei?
Erano tutti al gate nell'attesa di essere chiamati per salire a bordo. Tutti stravaccati sulle seggioline, dormienti o almeno non completamente coscienti.
Kim e Gwen stavano parlottando tra loro, ovviamente la bionda l'aveva placcata e aveva cominciato a bombardarla di domande sulla serata passata, alle quale Kimbelry rispondeva nei dettagli, troppo contenta di avere qualcuno con cui condividere quello che non poteva raccontare a nessuno.
Le parole le uscivano di bocca come un fiume in piena, parole traboccanti di particolari che sbrodolava senza ritegno o senza pensare cosa fosse opportuno o meno dire.
Si fidava e per la prima volta dopo tanto tempo non si soffermava a pensare se fosse effettivamente giusto o sarebbe stato meglio essere diffidente.
Le mancava così tanto avere un'amica con cui confidarsi, da chiamare a tarda notte o davanti alla quale piangere senza rimorsi.
Lei aveva un'amica simile, ma in quel momento si trovava in America Latina, in un paesino dove probabilmente non c'era neanche la connessione internet.
Ne aveva parlato moltissimo a Jared, dicendogli che gli sarebbe piaciuta sicuramente essendo eccentrica, vivace e abbastanza pazzoide. Ogni tanto le mancava tanto da sognare il suo ritorno. Nei sogni le correva incontro e l'abbracciava così forte da temere di spezzarla, ma non le importava proprio come non le importava di trattenere le lacrime di gioia.
Non mancava tanto al suo ritorno e sinceramente non vedeva proprio l'ora di presentarla a Jared.
In quel momento si voltò in direzione dell'uomo, chiedendosi cosa stesse facendo.
Era incantato a fissare un cartellone pubblicitario di dimensioni monumentali, mentre Lola sembrava tutta intenta a parlargli di qualcosa o a interloquire con lui che invece pareva in catalessi.
Il cartellone rappresentava una stanza da letto nel quale si vedeva solo uno spicchio di materasso coperto da un piumone bianco e una finestra molto grande alle spalle di una ragazza incredibilmente bella.
Probabilmente era per lei che Jared non sembrava intenzionato a togliere gli occhi da quella pubblicità. La ragazza si trovava al centro del letto, in una posizione semi sdraiata, “coperta” solo da un completo intimo composto da corpetto-slip-reggicalze nero che risaltava sulla pelle diafana, bianca come porcellana.
Aveva una chioma di capelli color mogano lunghi fino alle spalle, non troppo lisci né troppo ricci, e un paio di occhi verdi intenso che guardavano dritto lo spettatore, con uno sguardo così ammiccante da non poter lasciar indifferente neanche i maschietti più schivi.
Un moto di gelosia colpì Kim in pieno stomaco, mentre desiderava con tutta se stessa incenerire il suo professore con lo sguardo. Ma pensandoci con appena più calma, era anche giusto che si concedesse di guardarla... sicuramente lei non si sarebbe fatta troppi problemi al suo posto, se ci fosse stato un modello altrettanto bello.
Ciò nonostante decise di alzarsi e di andar loro incontro, pensando a che domanda porgere ai professori per togliere a Jared quell'espressione da pesce lesso... che guardando meglio non era affatto da pesce lesso.
La guardava come se in realtà non la vedesse poi così bene, come se quella bellezza prorompente quasi lo accecasse e gli facesse addirittura male.
Sembrava l'uomo più triste che avesse messo piede in un aeroporto.
Lo vedeva di profilo corruciato in una smorfia indecifrabile, che deglutiva a fatica, con gli occhi che celavano un dolore che non le sembrava poi così distante; al contrario era piuttosto familiare.
Era sgomento, fisso, uno sguardo che, lo promise a se stessa, non gli avrebbe mai procurato di sua mano.
Cosa stava pensando? Cosa gli comunicava la modella nella foto?
Guardarlo così le costava una gran fatica. Aveva solamente voglia di stare con lui, rassicurarlo, amarlo.
Ma non poteva, dovette costringersi con tutte le sue forze a lasciar perdere e tornare sui propri passi, optando per affrontarlo un'altra volta.

 *

L'espressione di Jared la tormentò per giorni al loro ritorno a casa. Era un pensiero saltuario che tornava a stuzzicarle la curiosità quando pensava di esserselo dimenticato.
Non sapeva perchè, ma aveva la sensazione che porgergli quella domanda avrebbe spezzato Jared. L'avrebbe aperto e smembrato, rivoltato come un calzino.

E non sapeva se fosse stata abbastanza forte da sopportare una visione simile. Se lui che rappresentava la sua guarigione, la sua ripresa, il suo sforzo per migliorare si fosse lasciato andare davanti a lei.. come avrebbe retto alla vista del crollo di tutte le sue certezze?

Non lo poteva immaginare, ma era questo che significava “stare insieme”: sostenere l'altro quando la sua personale scorta di demoni sembrava essere piena fino all'orlo.

Ma dato che il professore aveva questa innata capacità di creare sotterfugi o chiudersi a riccio quando la sua discrezione rischiava di essere intaccata, Kimberly decise di affrontarlo come un argomento normale, come chiedergli cosa avesse voglia di spiegare il giorno dopo alla classe del terzo anno.

Erano passati pochi giorni dal ritorno dalla gita e gli studenti erano totalmente esausti, come se l'uscita insieme al posto che averli rinvigoriti, li avesse prosciugati totalmente.

Era sempre così da che la ragazza ricordasse. I giorni scolastici post gita erano terribili.

Lei almeno recuperava tutte le ore di sonno perse a fare casino nelle altre stanze fino a mattina presto, quindi capitava che non cenasse per diverse sere consecutive.

Questa volta non era da meno, ma si sforzò per lo meno ad addormentarsi a casa di Jared, così che il suo subconscio non la tenesse troppo in coma.

Passava quasi tutti i pomeriggi da lui, almeno la sua coscienza era a posto. Dormiva sempre, ma almeno erano insieme, secondo il suo ragionamento malato.

L'uomo inizialmente era abbastanza preoccupato. Cioè, quanto poteva essere stanca un'adolescente? Quando lui aveva la sua età riusciva a fare orari inimmaginabili e ad essere sempre fresco come una rosa, aspetto che gli veniva meno con l'avanzare dell'età.

Invece ora era abbastanza abituato a quella specie di routine che si era creata: dopo scuola spesso lui aveva assemblee o doveva restare più del previsto a sistemare certe questioni, così dava direttamente a lei la chiave dell’appartamento, la quale non avendo nessuno a casa per pranzo, trovava molto più utile passarlo insieme a lui.

Inoltre aveva sempre un po' di tempo per preparargli qualcosa e aiutarlo in qualche faccenda, prima che fosse lui stesso a preoccuparsene.

Si sentiva lusingata che si fidasse di lei. Lo apprezzava molto, e da quella relazione stava imparando tanto.

Kimberly era abituata a rapporti tipici da ragazzi, uscire insieme, passare un tot di tempo a fare qualcosa e poi ognuno a casa propria a scriversi o chiamarsi.

Questo era molto più profondo. Passavano quasi tutta la giornata insieme, ogni tanto anche la notte quando non aveva assolutamente voglia di separarsi da lui.. era una sorta di convivenza e Kim ne stava ricavando molto.

In ogni caso, in quei giorni quando Jared tornava a casa si era abituato a trovarla svenuta sul divano ad aspettarlo, nonostante in cucina fosse tutto pronto. Quella vista gli faceva talmente tenerezza da sdraiarsi e riposare insieme a lei per un po'.

Poi prendeva le sue cose e si ritirava nel suo studio per correggere i compiti. Aveva valanghe e valanghe di arretrati.

Dopo una dormita di quasi 3 ore, Kim si ritrovò nella realtà, scombinata e frustrata per quella stanchezza insopportabile. Si era ripromessa che almeno questa volta l'avrebbe trovata sveglia!

Si alzò con i capogiri di chi ha dormito troppo e diede un'occhiata in cucina: tutto intatto, sarebbe stata la loro cena. Decise di sistemare prima che la roba andasse a male e raggiunse il professore nello studio, dove lo trovò sommerso da fogli.

-Ehy bella addormentata!- la salutò quando si accorse che gli si stava avvicinando.

-Ehy..- rispose lei dandogli un bacio a stampo, e sedendosi sulle sue ginocchia, quando lui si scostò appena dalla scrivania. -Come sei messo?- domandò poi.

-Sono in rimonta!.- chiosò con fare ottimista. -Mi mancano solo quelli di oggi e quelli da preparare per domani.-

-Caspita, non ti interrompo.- disse contenta che non fosse più il Jared stressato di pochi giorni prima. Si alzò dalle sue gambe e si allontanò, andando a sedersi su una poltroncina rossa in pelle, dove aveva passato metà dei pomeriggi in sua compagnia, ogni tanto facendo i compiti, ogni tanto semplicemente facendogli da spalla.

Lui tornò subito al lavoro, intento a finire il prima possibile. -Insomma, finito questo letargo?- le chiese senza guardarla.

Lei sbadigliò, rendendosi conto di essere terribilmente intontita. -New York mi ha distrutta! Anzi tu mi hai distrutta!- disse sorridendo e tirandosi indietro i

capelli come per farsi una coda alta.

Poi come un lampo, le balenò in mente lo sguardo vuoto di Jared il giorno della partenza e decise di tentare l'approcio.

Lasciò scorrere qualche minuto di silenzio pensando a che parole usare, ma era talmente intontita da scegliere le più banali.

-Jared, posso farti una domanda?-

-Certo.- assentì lui alzando lo sguardo soddisfatto da un plico di fogli. Aveva finalmente finito gli arretrati, ora gli mancavano solamente quelli per il giorno dopo. La scheda era già pronta, doveva stamparla e fotocopiarla.

-Ti ricordi il giorno del ritorno dalla gita, quando eravamo in aeroporto?- continuò, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo.

Lui era tutto concentrato ad impacchettare e catalogare i compiti per le varie sezioni. Nonostante ciò, sapeva che la stava perfettamente seguendo, era forse l'unico esemplare maschio in grado di fare due cose allo stesso momento. Un ottimo pregio.

-Sì, è stato solo pochi giorni fa..- rispose indifferente, lanciandole un'occhiata confusa.

Ecco, era il momento di far esplodere la sacca dei demoni di Jared. -Ho notato che al gate tu eri davanti ad un'insegna pubblicitaria... e avevi una faccia che mi ha turbata.- spiegò tenendo gli occhi concentrati sui suoi capelli, lanciandogli solo una breve occhiata per vedere se ci fosse una reazione.

Se si fosse accorto che lo stava controllando, si sarebbe sentito attaccato. Lei voleva semplicemente che gliene parlasse.

-Mh.. non ricordo a che insegna tu ti riferisca.- disse pensoso. Il suo viso non tradiva emozioni.

-La pubblicità dell'intimo. Quello della modella dai capelli rossi semi sdraiata sul letto.- la ragazza cercava di riportarglielo alla memoria. Era ovvio che se lo ricordasse, non era possibile che avesse speso così tanta energia negativa e tempo a fissare qualcosa che non aveva significato.

Lo vide concentrarsi per ricordare. -Oh, sì! Ora ricordo.- ma non era un'esclamazione, era una frase piatta senza tono.

-Chi è quella donna?- gli domandò alla fine. Pronunciare quella frase era più difficile di quanto pensasse, dato che l'effetto nella sua immaginazione sarebbe stato devastante.

Jared si bloccò e mosse la testa in modo macchinoso verso di lei, negli occhi un barlume di stupore. Ma non durò più di 3 secondi, infatti il volto tornò rigido e

impassibile, come prima.

-Non lo so.- rispose, con un tono davvero sincero, tanto che Kimberly si stupì di non aver colto neanche un segno di insicurezza.

-Jared, ho visto l'espressione stravolta che avevi. O quella ragazza la conosci, o hai una strana reazione quando vedi una bella donna.- rispose scettica.

-Era bella?- la sua voce era ferma e mostrava pura ingenuità. Come se non si ricordasse seriamente i lineamenti di quel volto tanto bello. Si alzò e uscì dalla stanza con i pacchetti di fogli in mano.

Kim piegò la testa indietro in modo che la sua voce potesse raggiungerlo. -Strepitosa!-.

Si alzò dalla poltroncina e lo seguì, decisa a non arrendersi. -Neanche un cieco non avrebbe potuto notarla!- lo raggiunse e lo trovò chino a stampare i suoi compiti. -Quindi non fare il furbo e dimmi chi è.- concluse, appoggiandosi allo stipite della porta della stanza.

-Ti ho già risposto.- puntualizzò l'uomo voltandosi verso di lei. -Io non lo so.- ripeté calmo.

-Non mentirmi.- Kim assottigliò gli occhi e gli puntò l'indice contro.

-Si può sapere di cosa mi stai incolpando? Solo perchè stavo guardando la foto di una ragazza mi fai il terzo grado?- cominciava ad agitarsi, la tipica impazienza di chi non ha niente da nascondere, ma si sente accusato.

Se stava fingendo, lo faceva talmente bene che Kimberly si sentì quasi in imbarazzo. Quasi.

-Il tuo volto...- cominciò ma lui la interruppe alzando la voce di un tono più alto.

-Il mio volto non aveva niente! Ti sarai sbagliata Kimberly, ognuno ha le sue espressioni quando sono stanchi, spossati e incantati a fissare il vuoto!-

-Sì certo, ora sono pure pazza.- ribatté lei, tornando sui suoi passi e buttandosi sulla poltroncina rossa, piuttosto infastidita. Poteva anche sbagliarsi e lui sarà stato enigmatico quanto voleva, ma quell'espressione era troppo lampante ai suoi occhi per trattarsi di niente.

Quando lui la raggiunse sospirando e le si inginocchiò davanti però, cominciò a sentire la sua testardaggine sciogliersi lentamente in un lago fluido.

-Dimmi che non sai chi sia..- gli disse guardandolo attentamente. -E io chiudo la questione.-

Lui le prese una mano e le baciò il dorso. -Non so chi sia quella ragazza.- ripeté per l'ennesima volta.

Alche Kim decise di credergli. Che delusione che la sua sacca di demoni fosse così poco profonda.

-Ok, scusami.- mormorò indecisa.

Lui accennò ad un sorriso e si alzò in piedi. -Dai che mi è venuta fame, sono 24 h che non mangiamo!- si lamentò trascinandola verso la cucina con sé. 

The finger of blame has turned upon itself
And I’m more than willing to offer myself
Do you want my presence or need my help?
Who knows where that might lead

Note finali: oh, che gran bene siamo tornati in patria con questo capitolo.
Sapete, il capitolo 41 è stato l'ultimo capitolo per una marea di tempo. Ero bloccata, non avevo idee, non sapevo più che cacchio inventarmi.. e poi è arrivata l'illuminazione :) anzi LE illuminazioni, che questa storia è piena di cose che devono succedere ahah
Credo sia evidente in senso positivo che era da un pò che non scivevo e avevo avuto tempo per ricaricare le batterie, (tranquille, ci saranno esempi anche in senso negativo di capitoli scritti malissimo proprio perchè era un pò che non lo facevo); infatti questo rientra in uno di quei capitoli che a me personalmente piacciono molto per la fluidità con cui l'ho scritto e i termini poco ripetitivi che ho usato (cose tipo plico di fogli, normalmente, non i verrebbe mai automatico scriverle ahaha) ma le pause vanno bene anche per questo.
Spero di non averne più, ora che so cosa voglio che succeda fino alla fine ;) ma come ho già detto una volta, l'ispirazione è una signora molto fuggente e non si può mai sapere. magari vi mollo per sei mesi tra 10 capitoli o forse no ahah.
Allora, che ne pensate? Jared è un grande attore, o è sincero e Kimberly si è presa un granchio? (si dice così? perchè poi?! bah)
Chissà chissà chissà cosa ci avete letto in questo capitolo e cosa non, cosa ne pensate e cosa non e soprattutto, chissà cosa ho progettato io e cosa non ;)

La canzone è di James Blunt, Fall at your feet [per chi di voi guardava OC era nella puntata in cui l'amico di Marissa (non ricordo il nome) cade dalla scogliera :(((  ]
E mi piace molto, mentre rileggevo or ora mi è venuta come un flash!

Qualora cadessi ai tuoi piedi
Lasceresti cadere le tue lacrime su di me?
Qualora toccassi il tuo dolore che torna lentamente

Il dito della colpa si è rigirato su se stesso
E io sono più che disposto a offrire me stesso
Vuoi la mia presenza o hai bisogno del mio aiuto?
Chissà tutto questo dove ci porterà.

Eccoci, anche per oggi ho fatto il mio dovere e voi pazze scriteriate non dimenticate di compiere il vostro ;)
baci&abbracci

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Capitolo 43
*** Capitolo 43. ***


Capitolo 43.

Love will tear us apart 

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN.
La campanella del cambio dell'ora in certi casi assumeva le sembianze di una sinfonia venuta direttamente dai cieli.
Kimberly, che riusciva a stento a tenere gli occhi aperti quella mattina, si congratulò con se stessa per essere riuscita a resistere un'intera ora di diritto, nonostante il timbro monotono della voce dell'insegnante, tedioso più della materia stessa, se possibile.
Il suo nome di battesimo era Jean Baptiste, il che fece pensare a tutti che fosse di origine francese, le prime volte. Invece, sorpresa, si chiamava semplicemente così. Quando qualcuno glielo chiedeva così per conversare, lui giustificava con un'alzata di spalle “aveva un bel suono secondo mia madre”.
Come scardinare tutto l'entusiasmo di una persona in un secondo. Ma quell'uomo era così e gli alunni ormai si erano abituati a quell'alone di noia e apatia da cui era perennemente avvolto.
-Kim, devo raccontarti una cosa.- le disse una voce all'improvviso. Sollevò lo sguardo e si trovò Charlotte davanti agli occhi.
-Ti ascolto.- le disse voltandosi verso di lei tutta concentrata.
-Però non dirlo a Joe.- quel premesso non aveva nulla di buono. Kimberly aggrottò la fronte guardandola di sottecchi. -Certo che no.. tutto bene?-
-Sìsì, è solo che sai com'è siete così amici, non vorrei mai che ti scappasse dal nulla.- spiegò appoggiandosi al suo banco.
-Fidati, lo sai. Allora?- e prima che l'amica prendesse fiato controllarono entrambe che il ragazzo fosse a debita distanza.
Si trovava infatti dall'altra parte della stanza a scherzare con un paio di compagni. Indossava una camicia a quadri neri e turchese e Kim sorrise mentalmente ricordando tutte le volte che l'aveva preso in giro per quell'indumento.
Tutte gli facevano i complimenti per come gli stesse, mentre lei quasi non se ne accorgeva e lui stava sempre a punzecchiarla al riguardo. Ma lei era fatta così, non era ragazza da complimenti, e così come non sapeva farli, non sapeva apprezzarli.
Quindi ogni volta che lo vedeva con quella camicia addosso gli si avvicinava e cominciava ad esaltarlo e ad affibbiargli appellativi come “sexy” o “affascinante”, con un tono leggero e lui stava al gioco. In effetti a guardarlo bene, non gli stava affatto male.
Proprio in quel momento Joe guardò verso di lei e i loro occhi si incrociarono per un attimo. Maledizione, lui e il suo feeling con lei.
Kim quindi convenne che fosse molto meglio se avessero affrontato l'argomento fuori da quella classe, date le sue precedenti esperienze.
Invitò la sua compagna a discuterne in corridoio. -Meglio se andiamo in bagno, lui ha le antenne per certe cose.- e uscirono insieme dalla stanza. -Quindi?-
La biondina prese la parola, valutando bene cosa e come dirlo. -Vedi, ieri io e lui siamo andati insieme alla scuola vicino alla stazione per aspettare una mia amica, così che anche lui aspettasse la sua ragazza che frequenta lì...-
Kim rimase interdetta. -Aspetta.. ha già la ragazza? Non si è appena lasciato con una certa V qualcosa?- ma appena finì la frase si sentì sciocca. Lo conosceva bene e sapeva che lui era fatto così. Sarà stato anche il suo modo per affrontare il “dolore” della rottura, ma alla svelta come si riprendeva lui non lo faceva nessuno di sua conoscenza.
Era un aspetto che l'aveva sempre infastidita: lei non sarebbe mai stata con una persona sapendo che appena si fossero lasciati, lui l’avrebbe immediatament rimpiazzata. Dava l'idea di uno che si accontentasse di qualsiasi cosa respirasse.
-Sì, ma sai com'è fatto.- continuò Charlotte.
I loro pensieri furono interrotti da Jared, munito di chitarra che si dirigeva verso la loro classe. -Ragazze, vi siete perse?- scherzò facendo gesto di entrare.
-Un attimo prof. Leto andiamo in bagno.- gli sorrise Kim, mettendo una mano sulla schiena della sua amica e proseguendo sul loro percorso.
Lui la guardò severo, ma decise di lasciarle andare e continuò per la sua strada. -Ok, ma solo 5 minuti!- urlò loro dietro, alche Kim gli fece un gesto frettoloso con la mano che stava a significare “sìsì, rompi poco e cammina”.
-Che ansia Charlotte, dicevi?- la ragazza ormai era al limite della curiosità.
-Sì, stavamo parlando del più e del meno, e poi dal nulla mi ha detto “perchè a me Kimberly piace da sempre. Però mi sono rassegnato al suo disinteresse, e io non starò ad aspettarla in eterno”. Cioè, non che la cosa mi stupisca, ma il fatto che me l'abbia detto lui, di sua spontanea volontà, da un discorso che non c'entrava nulla, mi ha sorpresa...-
Kimberly era attonita. Fissava la ragazza bassina davanti a lei incredula e meravigliata e basita tutto insieme. Avrebbe di gran lunga preferito che non gliel'avesse mai confessato.
Si sentiva umiliata, imbarazzata e in un certo senso tradita. Aspettarla in eterno? E come poteva immaginare che lui chiamandola “la sua migliore amica” in realtà sperasse in qualcosa di più?
Era come se il mondo le fosse crollato addosso, l'ennesima certezza smontata totalmente. Ed era una sensazione insopportabile.
Loro due erano la prova che l'amicizia tra i due sessi era possibile... invece lui aveva tutt'altro per la testa. Lei sapeva che dal momento che uno dei due amici prova qualcosa di più profondo nei confronti dell'altro, l'amicizia svanisce e si entra in un turbinio di emozioni contrastanti e sofferenza.
Quanto doveva esserci stato male quando lei era tutta allegra e gli raccontava delle sue storie con i ragazzi? Quanto doveva averci sofferto, vedendola deprimersi per Christopher senza minimamente accorgersi di lui e degli sforzi che stava facendo -invano- per farla sentire meglio?
Milioni di idee e ricordi le ruotavano nella testa, ma fu un pensiero tra tutti che la colpì in assoluto: lei non aveva mai avuto un migliore amico, ma solo una ragazzo che vedendola come una potenziale macchina eccitante, cercava di starle vicino.
Dall'altra parte però cominciò a sentirsi tremendamente in colpa. Era combattuta tra due fuochi e fu costretta a sedersi un attimo, non sapendo come affrontare la situazione.
Ora cominciava a passare rapidamente in rassegna di tutti i ricordi insieme a lui, chiedendosi come avesse potuto essere così cieca. Come quella volta che erano a teatro con la scuola, loro erano seduti vicini e cominciarono a parlare normalmente.
Era dicembre, così lei gli chiese “Allora, cosa vuoi per Natale?” aspettandosi che le rispondesse qualcosa come una Ferrari o un viaggio in Australia. Joe invece, girò la testa nella sua direzione e la guardò dritta negli occhi. “Te.” rispose, con un tono che non tradiva sarcasmo.
Lì per lì lei la prese sul ridere e gli diede una spallata, nonostante i continui raggiri di lui mentre le spiegava come “casualmente” si sarebbero trovati insieme sotto un agrifoglio.
Inutile dire che Kimberly cominciò sommessamente ad imprecare e ad insultarsi.
-Kim, mi dici cosa ti prende?- le chiese Charlotte in piedi davanti a lei, dato che questa reagiva come se fosse in atto una catastrofe. Lei non ci vedeva niente di catastrofico. -Non dirmi che ti stupisce sul serio, perchè saresti da ricovero!-
-Sì invece!- ringhiò Kim presa dalla disperazione. -Pensavo fossero solamente dicerie, che lui quando mi diceva di tenerci a me come amico, fosse sincero!-
-Ahi ahi cara, sei messa proprio male...- commentò la bionda.
-Charlie tu non capisci. E adesso come faccio? Come lo affronto? Come posso far finta di niente e parlare con lui sapendo che lui magari sta pensando a come “provarci”?
Come ha potuto non dirmelo?!?- era fuori di sé, non riusciva a ragionare.
-Kim, non vorrei dire che sono dalla sua parte, ma vedendoti adesso, tu stessa ti fideresti a confidarti qualcosa di così intimo? Se se l'è tenuto dentro ci sarà un motivo!- la sgridò tenendole le spalle ferme, dato che sembrava una tarantolata da tanto si agitava.
Kimberly tacque. Charlotte aveva ragione, stava reagendo in modo spropositato, e scoprì anche come definire l'ennesima sensazione che le intorpidiva i sensi in quel momento: gratitudine.
Joe era stato abbastanza riservato da non averci mai provato esplicitamente con lei, salvo qualche battutina innocua, tutto per salvaguardare il loro rapporto, temendo che lei si spaventasse o lo rifiutasse con la diretta conseguenza del definitivo crollo della loro amicizia.
-Sono stata una pessima amica. Cieca e opportunista, mi sono sempre approfittata dell'eccessivo affetto e delle attenzioni che mi riservava.- si lagnò, sulla soglia della tipica fase “sensi di colpa”.
Charlie era abbastanza sconvolta. L'amica passava da un estremo all'altro in troppo poco tempo!
-Kimberly, sei sicura di non soffrire di schizofrenia?-
Lei rise sommessamente, rendendosene conto. -Scusa, è che davvero non me l'aspettavo.- si scusò cercando di ritrovare il centro del suo equilibrio, poi alzò lo sguardo trovando i suoi occhi nocciola e con un'espressione sconsolata domandò -Cosa devo fare, Charlotte?-
Charlie valutò bene come risponderle. Ora sembrava stabile, quindi tanto valeva terminare quella discussione. -Lui dice che se non te ne sei accorta tutti questi anni, la vede dura che ti svegli proprio ora. Però è ovvio che ci speri ancora... anche Chase ogni tanto lo rassicura dicendogli che prima o poi te ne renderai
conto.- spiegò.
Kim si imbronciò. -Quanti lo sanno, scusa?-
-Madonna Kim, lo sanno tutti, non è che parliamo a caso!- ribatté Charlotte. -E' talmente evidente che anche l'ultimo degli imbecilli se ne accorgerebbe!-
-Quindi io sarei peggio dell'ultimo degli imbecilli?-
-No, tu sei proprio una categoria a parte. L'ingenua persa!- rispose ridendo, ricevendo in cambio una spinta. -Comunque, se vuoi la mia opinione, dovresti starci Kimberly.-
Kim drizzò le orecchie e la guardò incredula. -Scusami?-
-Sì, tu non l'hai visto mentre ne parlavamo ieri. È moralmente distrutto per questo, ci tiene sul serio a te e ti tratterebbe bene. Voglio dire, sarebbe pronto a tutto pur di renderti felice. E sono sicura che lo saresti come non ti vedo da un po'.- continuò con un tono talmente convinto che Kimberly dovette prenderla sul serio.
-Sì, e intanto va con tutte..- ironizzò distogliendo lo sguardo.
-Cosa pretendi scusa, che resti come un ebete ad aspettare te?- la ragazza riprese a gesticolare.
-No, ma che almeno mi avesse dimostrato che può essere serio, non so!- ribatté
-Ti ricordo: INGENUA PERSA.- scandì bene le due parole. -Probabilmente l'ha anche fatto.-
Kimberly si arrese, ma dentro di lei le parole dell'amica vorticavano in una spirale fastidiosa che le fece solo venire voglia di chiudersi in se stessa a riflettere per almeno 3 giorni.
-Ma io non provo niente per lui...- bofonchiò nervosa.
-Questo lo dici tu. Kim, tu sei stata ferita e adesso qualsiasi tentativo di avvicinamento ti rende diffidente. Non riconosceresti il principe azzurro nemmeno se ti crollasse addosso!- ironizzò Charlotte, sicura di quello che diceva. Lei aveva sempre sospettato che l'altra ricambiasse i sentimenti di Joe, ma le credeva quando
sosteneva di non rendersene conto.
Per Kimberly invece non c'era niente che potesse darle di più sui nervi. Non solo la sua amica era convinta di sapere meglio di lei stessa come si sentisse, per di più la stava spingendo tra le braccia del suo “migliore amico cotto di lei”, solo perchè sarebbe stata un'ottima terapia.
Come diceva quel poeta francese? Bisogna amare quello che si ha.
La frase più triste del mondo.
E Kim non sopportava proprio l'idea di sfruttarlo per i suoi comodi. Inoltre questo significava accontentarsi, impedirsi di sognare e cercare ciò che è davvero meglio per lei, anche a costo di sbatterci la faccia più e più volte... e lei non si sarebbe più permessa di accontentarsi.
Charlotte non sapeva proprio di cosa stesse parlando, quello era un ottimo periodo e il principe azzurro ce l'aveva e se lo teneva già stretto, tra l'altro.
-Charlie, ti sbagli. Puoi insinuare tutto quello che vuoi, ma capisco quando sono innamorata di qualcuno, fidati. Non sono neanche gelosa di questa sua ragazza, non lo sono mai stata di nessuna.- chiarì, e malgrado le loro idee fossero diverse, non ce l'aveva con Charlotte. Pensava di fare solo il suo bene.
L'altra sospirò e annuì, lanciando un'occhiata all'orologio appeso di fronte a loro. -Leto ci darà per disperse, sarà meglio tornare!- convenne e mentre stavano tornando chiese all'amica -Non ci sono problemi, vero?- non le andava di rovinare la loro amicizia per un discorso simile.
-Assolutamente no.- rispose Kim con un sorriso, stringendole un braccio attorno alle spalle, ma per tutto il tempo anche quando rientrarono in classe non poté fare a meno di mantenere quell'espressione pensierosa sul volto, un'espressione che neppure Jared si fece scappare.

Again.

Note finali: Hi guys! Wazzappp??
Scusate se ho tardato tanto, ma sono stata impegnata e a dir la verità, sia ieri che stamattina ero sul punto di aggiornare... ma non so c'era qualcosa che mi frenava, come se non avessi voglia. Imploriamo tutti in coro che non mi stia passando la voglia di finirla anche sta volta! XD
Ebbene sì, come voi non avete voglia di recensire, anche a me capita di non aver voglia di postare! Facciamocene una ragione.
Sì, non è una vostra impressione, oggi sono più acida del solito. Ho l'angoscia kierkegaardiana che mi perseguita, troppe scelte importanti in troppo poco tempo.
But whatever! L'importante che siamo arrivate anche a oggi!
Allora, siete sconcertate come Kim da questa notizia?? Ahahah lo so, ma credo ci siamo passate tutte in un rapporto di amicizia simile, e in certi casi più che non accorgersene, esiste il non voler rendersene conto. Spero capiate la reazione spropositata della ragazza.
Anche se, devo ammettere, che ho dovuto cancellare più volte per non scrivere COGLIONA al posto di ingenua persa. Non volevo cadere in galanterie simili ;)
E ora?! Che succederà?! Dopo questa scoperta illuminante, cambierà qualcosa?! Kimberly prenderà in mano la situazione e gli parlerà, o preferirà far finta di niente e lui la sorprenderà con un bacio a istintivo??? Bah, vedrete, vedrete  ;)))

La canzone (va de retro a chiunque non la conosca) è dei Joy Division e non l'ho scelta perchè c'entrasse molto, più che altro ce l'ho in mente da tutto il giorno
ed è una di quelle frasi che boh. Se avete anche voi dei lampi di filosofia nascosti in voi stesse, potete capire di cosa parlo.
Quando ne leggete una e sentite uno pseudo colpo allo stomaco, sebbene non ci sia niente di concreto per cui sentirsi così. Eppure, trovo che questa frase sia eccezionale: in 5 parole esprime 300 concetti ed è di una bellezza sconvolgente. Davvero, resto stupefatta di fronte a questa capacità delle parole.

L'amore ci farà a pezzi, ancora.

Credo di averla scelta perchè è vera, e in questo capitolo credo si possa cogliere una possibile distruzione di tutti i legami: 
Un amore non ricambiato; un amore non desiderato (da parte di Joe che probabilmente vorrebbe con tutto se stesso non essere innamorato di Kim, ma purtroppo è più forte di lui [non osate dirmi che non vi siete mai sentite così, perchè non ci credo]); un amore messo a rischio; un rapporto di amicizia che potrebbe trasformarsi in qualsiasi cosa...

Insomma, credo molto in questa frase e credo molto nella vostra fantasia e intuito e sono sicura possiate capire di cosa parlo.

Vorrei che mi diceste cosa ne pensate DI QUALSIASI COSA ABBIA TRATTATO IN QUESTA PAGINA.
Buono, vi abbandono. 
Scusate se sono dislessica più del solito in queste note (non ho detto un cazzo di concreto, andrete molto a interpretazione leggendo ahah) ma sono molto provata stasera.
Ho avuto degli incontri ravvicinati del 4 tipo e non è mai una bella esperienza ;)

Tiratemi su voi :) ♥♥♥ 

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Capitolo 44
*** Capitolo 44. ***


Capitolo 44.

 Appena l'ora terminò e tutti uscirono dall'aula per godersi la pausa, Jared ne approfittò per avvicinarsi alla sua ragazza, la quale non si era mossa di un centimetro per tutto il tempo, talmente presa da dei suoi pensieri interni che non sbadigliò nemmeno una volta in tutta l'ora, il che fu davvero strano da parte sua.
-Ehy tesoro, cosa c'è?- le domandò una volta che si fu avvicinato abbastanza da sedersi nel banco accanto al suo, stampandole un bacio sulla tempia sinistra.
Lei sospirò senza distogliere lo sguardo incantato sulle sue mani, mentre se le torturava a sangue. Quella visione fece impressione al professore, lo faceva sempre quando c'era qualcosa che la turbava, innervosiva, annoiava. Si scorticava la pelle dei polpastrelli in un modo alquanto brutale.
Pertanto quando si stava per portare alla bocca l'ennesima ferita aperta, le bloccò le mani e le tenne strette tra le sue. -Sai che non sopporto quando lo fai.- la rimproverò poi.
Kim gli lanciò un'occhiata e in quel breve momento di contatto lui si accorse che la ragazza aveva gli occhi lucidi. Le lasciò le mani per prenderle il viso tra i palmi, costringendola a guardarlo.
-Kimberly, di cosa ti ha parlato Charlotte? Cosa c'è che ti preoccupa?- le chiese, con un tono talmente intenso da farle sciogliere il cuore.
Si schiarì la voce. -Lei.. mi ha detto che Joe le ha confidato di essere innamorato di me.- ammise, sperando che Jared non se la prendesse troppo, il quale, dal canto suo, sollevò le sopracciglia in un'espressione sorpresa. -Ma va?- gli uscì in tono finto stupito, da presa in giro.
Lei gli rivolse un'occhiataccia offesa e se lo scrollò di dosso violentemente, alche a lui uscì una risata flebile. -Beh Kim, io te l'ho sempre detto. Piuttosto sono io sconvolto dal tuo stupore! Davvero non c'eri arrivata?-
Kimberly sbuffò impaziente. Era così difficile da credere?
-Io credo nell'amicizia, ok?- ribatté alzandosi in piedi e dirigendosi verso le finestre, piuttosto inacidita.
L'uomo scosse la testa ancora un po' perplesso, ma poi si rese conto che, malgrado tutte le sue particolarità, Kim rimaneva una ragazza, una femmina, e come tutte le ragazze, una volta che si convincevano di qualcosa, era difficile far cambiare loro idea. A meno che saltasse fuori la prova che potesse confutare il loro sbaglio.
Questo era successo a Kimberly, e ora non sapeva come affrontarlo.
Le si avvicinò di nuovo, deciso a sostenerla. A lui non andava assolutamente a genio quel ragazzo, ormai era ovvio a chiunque li avesse visti insieme in una stanza, ma sapeva quanto lei ci tenesse e, nonostante non approvasse, voleva che la situazione si aggiustasse.
Joe per lei significava molto, aveva una sorta di forte ascendente su Kim e non passava giorno senza che lei gliene parlasse, anche senza rendersene conto.
Kim non era brava a dimostrare l'affetto che provava nei confronti degli altri, aveva sicuramente moltissimi pregi certo, ma aveva da sempre avuto un atteggiamento alquanto distaccato e freddo, anche nei rapporti più stretti.
Le si posizionò davanti e le riprese il volto tra le mani. Non sopportava vederla così giù, proprio non ci riusciva.
-Ascolta Kim, so che probabilmente sarai preoccupata perchè che tu gli stia troppo vicina o troppo lontana ne risentireste entrambi e il vostro rapporto potrebbe cambiare.. ma la stai prendendo peggio di quello che è.- disse con voce lenta e calma. Ci teneva che capisse.
Il volto della ragazza si increspò. -Cosa vuoi saperne tu?- per quanto ne sapesse lei, Jared non tollerava Joe e sarebbe stato solo che contento se la loro amicizia si fosse sfaldata. -Io non voglio perderlo.-
Lui sorrise appena. -Quello che sto cercando di dirti è che non è così grave. Tu hai vissuto fino ad oggi ignara di tutto e lo stesso lui è sopravvissuto anche solo come tuo amico. So che genere di amicizia vi lega, e se è forte come penso non sarà questo a dividervi.- le spiegò, cercando sempre di trovare le parole giuste. Lei lo guardava come se il suo destino pendesse dalle sue labbra. -Quindi hai due cose da fare: continuare a fare come se niente fosse, o affrontarlo e mettere in chiaro la situazione.- concluse.
Kimberly rimase immobile, non sapendo bene come reagire. Uno scontro aperto sarebbe stato sicuramente insostenibile, non pensava di essere abbastanza forte. Ma era sicura che fosse la scelta giusta da fare.
-Hai ragione, Jared.- sorrise dolcemente, avvicinandosi al suo volto per baciarlo. Quel giorno era particolarmente luminoso, i capelli scuri gli ricadevano sul volto incorniciandolo, la barbetta era leggermente accennata dato che erano un paio di giorni che  non si radeva, e inoltre i suoi occhi erano di un colore blu talmente intenso da ipnotizzarla.
Non vedeva l'ora di stare un po' da sola con lui, dopo scuola.
-Va meglio?- le chiese, una volta separati.
-Sì, grazie alla tua saggezza.- rise, staccandosi completamente da lui, il quale indietreggiò di un metro. Erano stati troppo poco prudenti finora, era meglio non giocare troppo col destino.
-Oggi passa verso sera, ok? Voglio farti conoscere delle persone.- le disse, superandola, raccogliendo le sue cose e uscendo dalla stanza nell'esatto istante in cui suonò la campanella che annunciava la fine della ricreazione.
 

Per tutto il pomeriggio, Kimberly fu un mix di nervosismo, eccitazione ed entusiasmo.
Era seriamente euforica per il fatto che Jared volesse presentarla a qualcuno, finora erano stati solo loro due, e all'infuori di Gwen nessuno di sua conoscenza sapeva di questa relazione.
Questo evento avrebbe ufficializzato la loro storia, quindi era normale che fosse leggermente nervosa.
Cercò di concentrarsi sui compiti e lo studio, e nel pomeriggio tardo avrebbe dovuto andare a Scuolaguida distante 5 minuti a piedi da casa sua.
Sua nonna le aveva fatto questo regalo anticipato per i suoi 18 anni, che si stavano avvicinando lenti ma inesorabili.
Il giorno dopo avrebbe avuto l'esame teorico, ma non era assolutamente spaventata o agitata, dato che si era esercitata costantemente per un mese e aveva frequentato tutte le lezioni.
L'uomo che insegnava sarà stato sulla cinquantina, forse. Era uno di quelle persone a cui per quanto ti sforzi, non riesci a dare un'età precisa.
Era bassino, di corporatura media e capelli molto radi -specialmente sul davanti- e brizzolati. Aveva una voce calma, piatta, inespressiva quasi quanto il suo volto, che si sfregava con entrambe le mani aperte ogni cambio di diapositiva. Mentre spiegava non si dilungava tanto in chiacchiere e, dopo un breve saluto generale, cominciava con la lezione del giorno.
Sorrideva raramente, ma Kimberly apprezzava lo sforzo che faceva nell'infilare una battutina di tanto in tanto. Inoltre, non faceva mai passare i vari volti dei presenti mentre parlava, ma ne guardava uno fisso, per tutta l'ora.
Inizialmente Kim si sentiva un po' a disagio ogni volta che doveva andarci, dato che essendo alle prime armi, era un po' imbranata e i quiz li sbagliava spesso, e il fatto che non conoscesse nessuno dei presenti rendeva l'intera esperienza ancora più dura da affrontare.
Quindi non c’era da stupirsi che fosse contenta di essere giunta alla fine. Questa cosa le rubava moltissimo tempo prezioso per studiare, ormai non sbagliava più le risposte e per di più non le avrebbe portato nessun credito a scuola.
C'era di buono che un paio di settimane fa era arrivato un novellino di 16 anni che attaccò da subito bottone con lei.
Nonostante la prima volta che la vide le avesse lanciato una lunghissima, evidente e insistente occhiata, le stava simpatico e aveva ravvivato un po' quei pomeriggi. Era ovvio che ci provasse con lei, che ne fosse attratto e non c'ercava minimamente di nasconderlo, ma ad ogni suo tentativo, lei lo liquidava con ironia facendo riferimento alla differenza di età.
Lui non si offendeva mai, ma anzi le sorrideva e insisteva dicendo -Ma sono solo 2 anni!-
E lei ogni volta rispondeva -Se io ne avessi 28 e tu 26 ok, ma siamo 18 e 16 e non mi sembra proprio il caso!- inoltre era più basso di lei e aveva la S sibilante.
Pensandoci era proprio l'ironia della sorte ad averla messa in quella situazione. In un certo senso rispecchiava la sua relazione con Jared, e in quei casi riusciva a capire come potesse sentirsi lui con non 2 ma bensì 20 anni di più.
Anche a Jared era simpatico questo pischellino di cui gli aveva parlato e ogni volta le chiedeva di lui. Lo trovava audace. Avrebbe fatto strada nella vita.
A fine lezione questo Micheal la accompagnò a casa come tutte le volte, nonostante fosse una deviazione parecchio lunga rispetto a casa sua, ma se lui ci teneva tanto allora ok.
La terza volta le aveva chiesto il numero di cellulare, e dopo molta resistenza l'aveva ottenuto. Però non l'aveva mai contattata. Il “bacino” invece, non lo ottenne mai.
Una volta a casa, Kim dovette solo darsi una sistemata rapida e poi volare alla fermata dell'auobus, dato che i suoi non erano ancora rientrati.
Il viaggio non fu molto lungo, e una volta raggiunto il centro della città, decise di raggiungere casa Leto a piedi; l'orologio segnava le 7.30, era perfettamente in orario.
Mentre camminava un'ondata di panico la travolse: era sempre così, una volta che riusciva a distrarsi per abbastanza tempo trovava la calma, ma quando si rendeva conto del pericolo, la pancia cominciava a contrarsi e a farle davvero male.
Sapeva che le sarebbe successa la stessa cosa domani all'esame.
Tutto ciò che pensava adesso era al problema imminente: e se i suoi amici o quelle persone non l'avrebbero accettata? Jared sarebbe stato abbastanza deciso da fregarsene o sarebbe stato pronto a chiudere con lei?
Conoscendo la lealtà di quell'uomo e quanto fosse legato alle persone importanti di cui le parlava, probabilmente sarebbe stata una bella lotta, dato che ormai non poteva più dire di non significare niente per lui.
Ma rinunciare ad una storia di qualche mese non poteva neanche nella migliore delle ipotesi competere con un'amicizia di anni e anni, lo sapeva bene.
I suoi pensieri furono improvvisamente interrotti da uno stridio assordante di freni che non riuscivano a compiere la loro funzione, o comunque lei non se ne intendeva, sapeva solo che provenisse da una macchina.
Fece a tempo a girarsi per vedere l'auto venire dritta verso di lei e se ne rese lucidamente conto, dato che l'ultima cosa che pensò fu “sono morta”.
I riflessi agirono prima ancora che potesse capacitarsene e indietreggiò, ma era come paralizzata nell'incertezza di quello che stava per accadere. Fortuna volle che nell'indietreggiare aveva fatto un movimento talmente brusco da destabilizzare il suo equilibrio sulle scarpe alte che portava, facendola cadere
rovinosamente a terra, picchiando il fondo schiena sul prato adiacente a quel minuscolo marciapiede.
La macchina arrivò a 20 centimentri di distanza da lei, facendole capire che se non fosse crollata portandola a stringersi le gambe al petto, sarebbe stata sicuramente travolta.
Il cuore le batteva all'impazzata, lo sentiva tuonare nel suo petto e in ogni frammento di se stessa. Avrebbe incorniciato queste scarpe, le avrebbe battezzate “lucky shoes”.
L’auto riuscì finalmente a inchiodare a 3 metri di distanza, sbilenca, date le due ruote di destra sul marciapiede.
Quando Kim scorse il conducente scendere affannato per controllare che la ragazza stesse bene, provò una collera e una furia che poche volte in vita sua aveva provato. -Per l'amor di Johnny Depp, mi hai quasi ammazzato, stronzo!- imprecò vedendolo avvicinarsi velocemente.
L'uomo le si avvicinò e si inginocchiò accanto a lei. -Mi dispiace talmente tanto!- si scusò con enfasi. Aveva il fiato corto dato lo spavento ed era probabile che il suo cuore battesse alla stessa velocità di quello di Kim.
-Sai cosa me ne sarei fatta delle tue scuse se mi avessi falciata? Ma chi te l'ha data la patente, Topolino??- lei continuava ad inveire contro di lui, e ciò nonostante lo sconosciuto manteneva una calma sconvolgente.
-Stai bene? Devo portarti al pronto soccorso?- le chiese esaminandola e tastandola un po' ovunque.
Aveva uno strano accento, si rese conto Kim, e va bene che fosse preoccupato, ma le mani doveva tenerle a posto!
-Non mi toccare, disgraziato!- cominciò ad assalirlo, colpendolo con la borsetta. Era in questi casi che servivano i mattoni nella borsa, si pentì di non essersene procurata. -Comunque sto bene, smettila di assillarmi.- lo informò, una volta che aveva smesso di menarlo.
Lui si alzò velocemente e le porse la mano a sua volta. -Meno male. Mi dispiace così tanto!-
-Questo l'hai già detto.- bofonchiò acida, rimettendosi in piedi con il suo aiuto, Kim. Le gambe le tremavano senza che lei potesse porvi rimedio. Fece alcuni movimenti e fu sollevata di sapere che stava effettivamente bene.
Le doleva un po' il didietro certo, ma finché stava in piedi l'avrebbe sopportato. -Si può sapere che cacchio ti è preso?- inveì nuovamente contro di lui, così all'improvviso che lui sussultò vistosamente e si fece scudo con le braccia, temendo un altro attacco di borsate. -Ma non lo so, ci sarà stata una macchia d'olio per terra e ho perso il controllo dell'auto!-
-Questo perchè andavi troppo veloce, assassino!-
L'uomo dai capelli neri non cercò neanche di difendersi da quelle accuse, sebbene non fosse completamente colpa sua. Aveva un tremendo senso di colpa, quello che aveva scampato era un miracolo.
Protese una mano verso di lei. -Io sono..- ma non finì la frase che una valanga di insulti lo travolse di nuovo.
-Non mi interessa, ora sparisci!- urlò con voce tremante lei e ricominciò a camminare. La consapevolezza di quello che le sarebbe successo la inondò improvvisamente, facendole provare un turbinio di emozioni quali gioia, sgomento, terrore, sollievo, euforia, collera e terrore. Respirò profondamente e riprese la sua strada.
-Se hai bisogno di qualsiasi cosa...- riprovò lo sfortunato conducente.
-Tranquillo, non verrò sicuramente da te!- esclamò lei per poi alzare il dito medio della mano sinistra.
Dal canto suo, l'uomo non poté fare altro che rimontare in macchina, tirare un profondo sospiro di sollievo e rimettere in moto, stavolta stando il più attento possibile.

 Dopo 10 minuti buoni Kimberly si trovava davanti alla porta dell'appartamento di Jared, non più così scossa. Aveva smesso di tremare e stava vedendo il lato positivo di tutta quella situazione: adesso avrebbe potuto trovarsi spiaccicata su quel marciapiede invece che pronta ad essere accolta dalle braccia del suo uomo.
Entrò senza bussare, dato che immaginava che la porta fosse aperta, e sistemando le sue cose all'appendiabiti si accorse che gli ospiti erano già arrivati.
Sentendo il portone sbattere, il padrone di casa le andò incontro dalla cucina con un sorriso rilassato. -Ragazzina, che fine hai fatto? Ti stavo per chiamare!- disse prendendola tra le braccia e schioccandole un bacio sulle labbra.
Lei sbuffò indignata. -Non sai cosa è successo, Jared! Un pazzo furioso con l'auto mi stava per tirare sotto!- esclamò fuori di sé, stringendolo un po' di più.
-Jared, dove lo metto questo?- chiese una voce alle sue spalle che la fece rabbrividire. Quell'accento.
Kimberly si voltò con un braccio di Jared ancora stretto in vita. Lui le sorrise e le indicò l'uomo che la stava per uccidere poco prima in strada e che lei aveva insultato senza ritegno. -Kimberly, ti presento il mio vecchio amico Tomo.-

“Perfetto.” pensò lei sbigottita davanti a quella figura.

Note finali: Buondì! Come state? Scusate il ritardo, in teoria avrei dovuto farmi viva ieri o l'altro, ma sto tornando a casa solo per dormire ultimamente.
Alloraaaaa??? Che ne pensate di un Tomo pseudo-assassino?? Ahaha, voglio raccontarvi un aneddoto.
Sinceramente non ricordo molte cose di questa FF, come ad esempio il titolo. Cioè, cazzo vuol dire perfect? Perchè ho scelto una parola del genere come titolo di una fan fic (del genere)? Sarà per le 200 canzoni che lo portano come titolo e mi sono unita per solidarietà? Bah, resterà un mistero a meno che mi sottopongano a sedute di ipnosi regressiva, e non credo avverrà mai per un motivo tanto idiota.
(qualora ve lo stiate chiedendo, non mi sogno di notte cosa inserire nelle note, ho solo la grande dote di sparare minchiate ad una velocità supersonica ;) e immagino ormai ve ne siate accorte)
DICEVO, per la parte del quasi omicidio (XD) mi è stata d'aiuto (assolutamente senza saperlo) una ragazza che una volta su twitter (quando lo avevo) aveva scritto di questa ragazza sua amica che, rischiando di essere investita, ha inveito al conducente "per l'amor di Jared Leto, mi stavi quasi uccidendo!" (non ricordo le esatte parole e poi era americana, quindi men che meno) ed era stata una scena esilarantissima nella mia testa e, why not, ho deciso di rendere grazie a queste persone meravigliose che traboccano d'ispirazione ahahah. Ovviamente, non potevo mettere Jared Leto in questo caso, ho usato il primo nome di attore figo che mi è venuto in mente.
Inoltre la cit. "Chi ti ha dato la patente, Topolino?" la dobbiamo al mio istruttore di scuolaguida che quando lo scarrozzavo in giro per le guide e beccava guidatori al telefono o che sbagliavano qualcosa, esclamava questa frase molto esilarante (-.-) però va beh, si traggono idee da quello che si può, no? ahah.

Detto ciò, solitamente sono una persona molto abitudinaria e non mi piace si spostino i parametri, purtroppo però non avevo idea di che canzone mettere come background
per la quantità di argomenti trattati (salto di pal'in frasca con una velocità disarmante, me ne rendo conto ahah) e per la qualità!
Non mi pare di aver mai sentito canzoni parlare di certe cose, e qualora a voi venga in mente qualcosa ditemelo e rimedio subito ;)

Grazie per l'attenzione donzelle, spero il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Quasiasi sia la vostra risposta, sapete cosa fare ;)
xoxoxoxoxox

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Capitolo 45
*** Capitolo 45. ***


Capitolo 45.

 (Cause) I'm feeling nervous 
Trying to be so perfect 
Cause I know you're worth it 
You're worth it 

 Ebbene ora il serial killer dall'accento insolito aveva un nome. Lo sguardo di Kimberly nell'arco di 5 secondi mutò da sorpreso, a sconvolto, a minaccioso. Lui ricambiava invece con un'espressione più limpida, insicura sì, ma comunque molto gentile ed educata.
Quando Tomo azzardò ad avvicinarsi con una mano protesa, Kim scattò indietro, aggrappandosi a Jared. -Oddio è lui il maniaco che mi stava per ammazzare Jared!- piagnucolò nascondendo il volto contro il suo petto.
L'uomo la guardò confuso, per poi far ballare gli occhi da lei a quelli dell'amico, il quale lo guardava estremamente mortificato. -Tu hai fatto cosa?- gli chiese, pensando di aver capito male.
La ragazza sollevò la testa e voltò il viso verso di lui, in volto un ghigno le si disegnò compiaciuto.
Il tono di Jared non era stato aggressivo, ma protettivo e sconcertato sì.
Tomo alzò le mani sulla difensiva. -ti ho già chiesto scusa 70 volte!- esclamò impettito, rivolto a Kimberly. -E' stato un incidente, Jared. Mentre stavo venendo qua ho perso il controllo dell'auto e mi sono fatto un tratto di strada metà sul marciapiede..-
-..Dove stavi camminando tu?- terminò Leto guardando spaventato Kimberly. -Ma stai bene, no?- le chiese poi esaminandola rapidamente.
Tomo sbuffò roteando gli occhi. Argh, Jared Leto innamorato era una cosa insopportabile in certi aspetti. -Dicevo, non l'ho nemmeno sfiorata. Concedimelo questo almeno!- disse rivolto a lei, la quale fece un lieve cenno affermativo con la testa.
-Meno male!- sospirò Jared stringendola a sé. -Beh, citando Macbeth “quel che è fatto è fatto”, è inutile rimugiraci su a lungo, no?- sorrise ad entrambi e spinse la ragazza con una mano sulla schiena verso il suo amico, che l'accolse con un sorriso amichevole.
-Allora, ricominciamo? E così tu sei Kimberly, è un piacere conoscerti!- le porse la mano, che lei afferrò piuttosto schifata. -Il piacere è tutto tuo, Milosevic.- rispose.
-Il mio nome è Milicevic.- la corresse, mantenendo un tono cordiale.
-E' lo stesso.- disse sbrigativa, con un gesto fugace della mano.
Jared si strinse nelle spalle, quando l'amico gli rivolse un'occhiata infastidita. -Fa sempre così all'inizio. Le stai simpatico!- cercò di scusarsi, prendendola per le spalle e conducendola verso la cucina. Kim commentò con un sonoro sbuffo che somigliava ad una risata trattenuta.
-Quindi finirà col prendersi una cotta per me?- rispose sarcastico con un'occhiata scettica.
Jared lo fulminò con gli occhi, mentre stava trattenendo Kim con la forza, voltatasi per dirgliene 4.
Proprio in quel momento entrò in scena un'altra figura. Kimberly si girò sussultando, non essendosi accorta di quest'altra persona.
Era una ragazza alta, mora, dai lineamenti spigolosi, ma l'espressione dolce che aveva negli occhi le sciolse il cuore, facendogliela subito piacere.
Jared alle sue spalle sorrise senza trattenere l'entusiasmo. -Ecco, finalmente.- si scansò da lei e si avvicinò alla donna davanti ai suoi occhi, era altissima, aveva tutte le misure per fare la modella pensò distrattamente Kim. -Kimberly, lei è Ivana, la sorella di Tomo. Ti troverai benissimo con lei, è una donna fantastica!- disse visibilmente contento di presentargliela, come se già si prospettasse un gran futuro di amicizia per loro due.
Un lieve sentore di gelosia si fece spazio nelle viscere di Kim: cos'era successo tra quei due? Era troppo strano che Jared avesse un rapporto talmente stretto con una donna. Lui non era fatto per essere amico del gentil sesso, lui era la macchina per far sbavare il mondo femminile.
Mai nella vita avrebbe conosciuto una donna, che, dopo aver visto la foto di Jared Leto, avrebbe sicuramente risposto “ottima persona con cui fare 4 chiacchere”.
Non era possibile.
Nonostante ciò, vedeva come si guardavano e se mai ci fosse stato qualcosa, ormai era passato. Negli occhi di Ivana non ci leggeva astio, rancore o invidia... ma autentica gioia nel conoscere la nuova fiamma del suo amico.
Decise di reprimere quella sensazione di timore che aveva nei suoi confronti e rispose al saluto, con un ampio sorriso. -E' un piacere, Ivana.-
Sentì un borbottio provenire dalle sue spalle, ma non si sprecò neppure a controllare chi fosse. Ovviamente era Tomo, invidioso della differenza con la quale si era approciata Kimberly nei confronti della sorella.
-Ma che bella ragazza che sei!- esclamò poi Ivana, girandole intorno per studiarla bene. Aveva un che di materno nei modi che la mise in soggezione. -Hai dei bei capelli.- continuò prendendole una ciocca da davanti agli occhi. Anche lei aveva lo stesso strano accento del fratello.
Sentiva su di sé lo sguardo di tutti e tre, due che la squadravano commentandone mentalmente tutti i dettagli per tenerli a mente, e uno che le pareva davvero insistente.
Lanciò un'occhiata a Jared e subito si rilassò incrociando i suoi occhi ammiccanti. Non la fissava in modo severo; piuttosto gli vide una scintilla di orgoglio e fierezza personale. Come se stesse mostrando uno dei trofei più importanti della sua vita.
-Grazie..- rispose imbarazzata Kim, cominciando a torturarsi i polpastrelli. -Da dov'è che venite voi due?- chiese poi scostandosi per rivolgere la domanda anche a Tomo, tanto per distogliere l'attenzione da sé, anche se, lo sapeva perfettamente, lei sarebbe stata il punto focale della serata.
-Europa dell'est.- ripose rapido Tomo, con un sorriso che Kimberly non notò neanche. Gli rivolse uno sguardo scarno, per poi ritornare con gli occhi su Ivana. -Europa dell'est.- ripeté lei con un accenno di sorriso divertito. Le piaceva il gioco che stava facendo Kim, anche lei quando erano entrambi ragazzini, adorava burlarsi del fratello in quel modo. Lui odiava sentirsi ignorato, era un trattamento che non reggeva proprio.
Kimberly si avvicinò di qualche passo a Jared, sentendosi come una bambina per un secondo e lui in un certo senso rappresentava la sua ancora. Accanto a lui si sentiva davvero sicura, ma ciò nonostante per tutto il corso della serata, la ragazza tentò il più possibile di atteggiarsi da ragazza matura, responsabile ed intellettuale, stando sempre attenta ai discorsi che facevano e rispondendo alle domande che le venivano rivolte, pensadoci il più possibile onde evitare di sbrodolare una stupidaggine delle sue.
Sebbene con Tomo non andasse d'accordissimo, tentava lo stesso di farselo andare a genio, dato che lui e la sorella avrebbero rappresentato una sfida importante per la sua relazione col professore. Se lei non avesse corrisposto ai parametri di gradimento dei suoi amici, non poteva essere certa che lui sarebbe stato disposto a continuare a frequentarla.
Purtroppo però, malgrado tutti i suoi sforzi di apparire “adulta”, negli occhi degli amici di Jared continuava a leggerci preoccupazione.
Era ovvio che loro pensassero che fosse troppo giovane per lui, ma l'uomo non sembrava accorgersene affatto. Aveva passato tutta la serata con il corpo rivolto verso di lei, le aveva tenuto la mano sotto il tavolo oppure un braccio intorno alle sue spalle, appoggiato allo schienale della sedia di lei. E la fissava con quegli occhi capaci di stregarla, nei quali leggeva tutto tranne che disapprovazione.
Jared sembrava seriamente convinto della sua scelta e lei gli credeva a tal punto da rilassarsi, verso la fine della serata.
Quando finirono di sparecchiare e dare una veloce sistemata Kimberly andò un attimo al bagno, congedandosi con un sorriso generale. A Jared non bastò e l’attirò a sé per lasciarle un lieve bacio, gesto che normalmente avrebbe provocato le vertigini alla ragazza, ma quella sera doveva recitare la parte della persona composta e cercò di non uscire di scena con le gambe chiaramente molli.
Non appena voltò l’angolo, Ivana tolse dalla borsa un pacchetto di sigarette, facendo un cenno col capo ad entrambi di andare in terrazzo.
Così uscirono, e quando fece per offrirne una al suo vecchio amico di fumate, rimase sorpresa da come lui avesse  rifiutato senza indugio. -Da quando non fumi, Jared?- gli chiese spaesata.
-A Kim non piace..- confessò con un sospiro, guardando fisso in un punto lontano ed impreciso, i gomiti appoggiati alla ringhiera del balcone. Il clima quella sera sembrava essere pronto ad accogliere la primavera. Non era freddo, tranne che per quel leggero venticello che scompigliava i capelli ai ragazzi.
I due fratelli si scambiarono un'occhiata stupita. -Però..- commentò Tomo con un sorriso colpito, Jared gli rivolse un'occhiata incerta.
-Cosa ne pensate?- domandò finalmente, svuotando il petto dai suoi dubbi. Non gli piaceva essere inquieto davanti ai suoi amici, ma questa situazione lo stressava abbastanza.
Ivana fece spallucce. -E' molto carina, Jared.- gli sorrise amichevole, prendendo un tiro profondo dalla stizza. -Sembra sveglia, sicura ed è indubbiamente innamorata di te.- continuò, mentre parlava, Jared osservava il fumo uscirle fluttuante dalle labbra sottili.
Proprio in quel momento Kimberly tornò dal bagno e, avendo sentito le loro voci, si stava dirigendo in terrazzo. Purtroppo i commenti le arrivarono alle orecchie prima che loro potessero vederla, e la sua curiosità morbosa si impossessò di lei, costringendola ad inchiodarsi lì ad origliare, senza che gli altri se ne accorgessero. Dopotutto stavano parlando di lei, non era così grave no?
-Ma..?- sentì la voce di Jared arrivarle incerta. Lui aveva percepito che Ivana non aveva detto tutto.
-Ma..- riprese lei, nella mente stava formulando la frase più esatta. Jared si era improvvisamente fatto attento, vigile. -E' così giovane!- la interruppe il fratello, la cui cadenza aveva particolarmente calcato la seconda parola.
-Lo so...- rispose il professore, il suo tono sembrava ormai rassegnato, arreso. Questo smosse una brutta sensazione nello stomaco di Kim, le si chiuse improvvisamente il cardias, facendole venire una grande angoscia.
“Ti prego” pensò Kimberly congiungendo lentamente le mani a mo' d'imploro “Ti prego, Jared, fagli capire che questo non cambia niente”.
Si sentì immediatamente stupida. Aveva puntato soprattutto ad atteggiarsi da persona matura, dimenticando totalmente il suo aspetto. Poteva recitare quanto voleva, ma quel volto immacolato non glielo avrebbe tolto nessuno.
Cominciò a sentirsi nauseata da tutta quella situazione.
-Tuttavia, vi ho osservati stasera e i vostri atteggiamenti sembrano essere il prodotto di un rapporto causa-effetto. Quando lei si muove tu ti muovi; quando tu parli lei ti guarda; quando vi guardate sorridete senza rendervene conto.- Tomo stava cercando il più possibile di essere chiaro e di utilizzare le parole giuste, dato che rendere i concetti presenti nella sua mente non era esattamente il suo punto di forza. Era Jared quello con questa innata capacità, lui sfortunatamente invece no, e l'ultima cosa che voleva era che il suo amico intendesse male quello che aveva da dirgli. -Diciamo che ho capito perchè ti stai mettendo nei guai.- gli sorrise infine, in segno di approvazione. Nonostante alla ragazza lui non stesse molto simpatico, lei invece su di lui aveva da subito fatto una certa impressione. Quel caratterino tutto pepe l'aveva ammaliato.
Jared non riuscì a smorzare un sorriso compiaciuto e sollevato. -E ne vale completamente la pena.- affermò convinto e deciso. Il rischio ormai non era più fonte di stress per il professore.
Il fine giustifica i mezzi, e il quel caso il fine giustificava e minimizzava qualsiasi aspetto che potesse ostacolare la loro relazione.
Lanciò un rapido sguardo alla donna che stava annuendo energicamente, totalmente d'accordo col fratello. -Mi piace Kimberly, è una ragazza che sa quello che vuole. E quello che vuole sei tu, Jared.- spiegò spegnendo la sigaretta e buttandola alle sue spalle, giù dal terrazzo. -L'unica cosa che non mi convince è il perchè.- concluse, distogliendo lo sguardo da quegli occhi glaciali che improvvisamente si impietrirono.
Kim trattenne il respiro, sebbene per un secondo fosse stata sul punto di rilassarsi. Le critiche che le erano state mosse non erano per niente negative, tranne che per quell'ultima frase che le fece portare una mano sulla bocca, per impedirsi di emettere gemiti contrariati.
-Cosa intendi?- sentì la voce del suo professore farsi dura, poteva immaginare il suo sguardo carico di tensione.
Il tono di Ivana ora era diventato più calmo, come se non volesse scatenare l'ira dell'amico. -Nel senso che, non prendertela perchè è solo una mia ipotesi, ma magari tutta questa passione da parte sua potrebbe essere solo una...- esitò, cercando nella mente i vocaboli per definire quello che stava pensando.
-Trasgressione adolescenziale.- finì per lei Tomo, che aveva perfettamente intuito a cosa si stesse riferendo. Magari per lei era una cotta causata dalla voglia di rischiare.
Kimberly, dietro alle tende, deglutì sconvolta. Come potevano pensare una cosa simile? Che se ne stesse solamente approfittando? Che fosse tutto determinato dalla sua voglia di “avventura”?
-La conosco, so che non è così.- chiosò Jared, la sua voce era rigida, cupa. Non sopportava l'idea dei suoi amici, ma non aveva neppure le parole per smentirla. Se avesse parlato al momento sarebbe stato aggressivo, quindi si limitò a difenderla con queste brevi parole. -C'è qualcosa di profondo tra di noi.-
-Ne sono certo.- rispose freddo Tomo. Era ovvio che aveva risposto così solo per non creare una lite. In cuor suo sapeva addirittura che era così, cioè vedere il suo migliore amico finalmente felice e spensierato era qualcosa che aspettava da anni, ma aveva lo stesso una brutta sensazione.
-Però sta' attento.- disse impovvisamente Ivana, avvicinandosi a lui, la voce carica di tensione. Kimberly si fece attenta, perchè il suo tono era cambiato e con esso, anche il discorso. Si stava riferendo a qualcos'altro che non sembrava essere intenzionata ad esplicitare.
-Ivana, ti ricordo che stiamo parlando di una diciottenne.- la rassicurò con voce grave.
-Lo so, ma quando tu ti perdi, il tuo cervello va a mille km/h e non rispondi più delle tue azioni.- gli rammentò con voce dolce, portandogli una mano sulla spalla. -Non sopporterei di vederti soffrire ancora.-
-Non preoccuparti per me.- le sorrise. -So quello che faccio.- disse poi mettendo la mano su quella di  lei.
Kimberly ritenne di aver sentito troppo, così tante informazioni per un periodo di tempo così ridotto le sembrava davvero una violenza per la sua povera testa.
Non sapeva se potersi ritenere approvata o se dovesse restare in allerta ancora per un po'. Una volta che si svelò agli altri con un sorriso timido, gli sguardi dei due fratelli glielo fecero intendere subito: doveva mostrar loro che con Jared faceva sul serio, che ci teneva a lui incondizionatamente.
Il professore l'accolse con un sorriso dal quale traspariva tutto il sollievo della sua presenza. Si scostò subito da Ivana e aprì un braccio, come ad accoglierla, dove lei ci si fiondò immediatamente.
Solo allora le venne l'idea perfetta.
 

What's on my mind?
If ain't coming out
We're not going anywhere
So why can't I just tell you that I care?

Note finali: Quale sarà quest'idea per far capire loro che lei tiene davvero al professore?
Mah chissà chi di voi indovinerà!
Spero vi sia piaciuto, spero di aver delineato decentemente i personaggi trattati e spero di essere stata chiara.
Scusate ma non ho molto da dire, sono in una fase artistico-depressiva e non lo so, sento di non riuscire più a scrivere. Fa tutto schifo, oGGesù che disgusto.
Ho mille motivi per essere contenta però, quindi keep calm e non rompiamo i coglioni :)
La canzone è Things I'll never say di Avril Lavigne, e non lo so, mi da quella sensazione di infatuazione pura, quando all'inizio di una storia non riesci neanche ad incrociare i suoi occhi e subito arrossisci come una scema. Eh, bei tempi. Per la seconda strofa invece mi metto nei panni di Kim che vorrebbe semplicemente dire "ci tengo a lui" e sperare che i due le credano sulla fiducia. Purtroppo non è sempre così facile!

Perche mi sento nervosa
cercando di essere così perfetta
Perchè so che ne vali la pena,
ne vali la pena.

Cosa c'è nella mia testa?
Se non viene fuori
Non andremo da nessuna parte
Quindi perchè non posso seplicemente dirti che m'importa?

Bene, scusate lo scazzamento che trasmetto ma spero comunque che il capitolo sia piaciuto e per qualsiasi cosa me lo diciate
Grazie a tutte
Baci&Abbracci

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Capitolo 46
*** Capitolo 46. ***


Capitolo 46.

The worst is over now and we can breathe again
I wanna hold you high, you steal my pain away

 La sera terminò in un modo come un altro, con saluti cordiali e promesse di rivedersi presto. Sembravano sinceri, nonostante tutto.. Kim lo apprezzava molto.
In seguito, dopo che ebbero sistemato insieme la cucina, Jared l'accompagnò a casa, però non fece neanche un cenno al discorso che lei aveva segretamente origliato. Non le comunicò neppure i loro commenti positivi o quelli negativi trasformandoli in qualcosa di positivo.
Ciò turbò abbastanza Kimberly, portandola a domandarsi se lui ci stesse in un qualche modo ripensando. O magari, semplicemente non gli andava di farla preoccupare per niente.
Sapeva che la ragazza era un soggetto alquanto suscettibile e certe cose era meglio non fargliele sapere, perchè per quanto belle, alle sue orecchie sarebbero apparse difetti enormi.
Il professore si atteggiava normalmente, senza farle pesare il suo silenzio, senza farle pensare che avessero parlato di lei mentre non c'era. O forse, sperava che fosse lei a chiederglielo.
Ma a Kimberly non piaceva chiedere agli altri cosa ne pensassero di lei. Non voleva mai essere influenzata dal pensiero altrui, era una cosa che proprio non sopportava.
Preferiva basarsi su quello che sentiva lei stessa quando passava il suo tempo con questi.
Quindi non si sbilanciò affatto e lo salutò normalmente, un bacio, un sorriso e un “ci vediamo domani, buonanotte”, dicevano già tutto.

 Il giorno dopo fu un trauma per la ragazza. Dal punto di vista scolastico la resa non era ottima, non lo era mai stata, ma non poteva permetterselo proprio all'ultimo anno.
Avrebbe avuto gli esami e, una volta che la scuola fosse finita, avrebbe dovuto decidere cosa fare della sua vita.
Benché la questione fosse già di per sé complicata, gli insegnanti si intestardivano ad appiopparle compiti e argomenti che mai, ma proprio mai nella vita l'avrebbero portata da qualche parte.
Il giorno che conoscere la formula della parabola le avesse salvato la vita, lo sapeva, si sarebbe iscritta alla facoltà di ingegneria nucleare, per fortuna non era ancora successo.
Giusto il minimo per raggiungere la sufficienza, del resto le materie scientifiche non sarebbero sicuramente state la sua vocazione. Non lo erano stato per tutta la vita, figuriamoci se a settembre le cose fossero cambiate.
Ma quando la professoressa le consegnò l'ultimo compito, rimase quasi sconvolta dal voto. Non ne vedeva uno così basso da un bel pezzo, e in matematica non ci voleva proprio.
Fosse stata letteratura, biologia, arte non si sarebbe assolutamente preoccupata e, con un'alzata di spalle avrebbe sbuffato delusa. In questo caso, invece, quando ricevette la verifica, rimase a bocca aperta e improvvisamente la frase che le occupò la mente fu: non mi diplomerò.
Già una volta per recuperare un'insufficienza così grave in geometria le costò moltissimo, ma in quel caso sarebbe semplicemente stata rimandata ai corsi estivi.. che non si sarebbe perdonata comunque, dato il suo orgoglio stoico, ma per lo meno non si sarebbe giocata l'anno.
Mentre all'ultimo anno non puoi sbagliare, non puoi proprio e per recuperare quello schifo di voto sarebbe stata pronta a vendere il sangue, pulire il pavimento di casa della professoressa con la lingua e studiare una settimana consecutiva senza mai chiudere occhio. Improvvisamente tutto quello che aveva importanza divenne quel voto e il suo umore mutò totalmente. La delusione verso se stessa la deprimeva, in un certo senso.
Evidentemente però, non era proprio giornata, perchè una volta uscita dall'edificio intenzionata a prendere l'autobus per andare a casa e immergersi nelle coperte per riposare e fare il punto della situazione, il pullman le passò davanti agli occhi increduli. Erano mesi che non le capitava e oggi non era proprio in grado di affrontare un torto simile.
Decise di non abbattersi, dato che era orario di punta, a quell'ora c'era spesso traffico, quindi se avesse corso fino alla fermata dopo sarebbe riuscita a imbrogliare quel maledetto autista e ad arrivare a casa in orario.
Tra l'altro nel giro di poche ore aveva l'esame della patente, e se avesse fallito anche in quello non se lo sarebbe proprio perdonato. Era categoricamente escluso.
Casualmente quel giorno il traffico non era così intenso e, sebbene avesse corso investendo chiunque le capitasse davanti senza rimorso, quando raggiunse la fermata dell'autobus era troppo tardi. Ne sarebbe passato uno nel giro di poco, ma sfortunata come si sentiva quel giorno, probabilmente era già passato, con l'apposita intenzione di farla aspettare per un'ora. Eh no! Stavolta avrebbe giocato d'anticipo, quindi si incamminò verso la stazione, dove sarebbe passato un
pullman diverso che avrebbe posticipato il suo ritorno solo di mezz'ora. Niente di trascendentale.
Si incamminò quindi, decisa e bestemmiante come non mai. Nel tragitto incrociò vari volti di vecchie conoscenze che cercò di evitare il più possibile, rivolgendo lo sguardo verso il basso oppure guardando dritta davanti a sé, fingendo di non essersi assolutamente accorta.
Dunque era per questo che il destino le stava giocando questo brutto scherzo? Per farle rivedere tutti i personaggi del passato che non sono riusciti a starle dietro?
Per dimostrarle che per quanto quella giornata fosse stata pessima, non ci fosse limite alla sfiga? Ne fu quasi certa quando, sollevando gli occhi, vide passare l'autobus che era convinta di aver già perso.
Ma non si scoraggiò nemmeno questa volta, ormai la sua strada era segnata e decise di rimanere fedele a se stessa... anche perchè neanche correndo fino a consumarsi i polmoni sarebbe riuscita a salire su quel dannato mezzo che l'aveva appena superata.
Raggiunta la meta, il livello di incazzamento che Kimbelry aveva accumulato era ai massimi storici. Allora, che diamine voleva il destino da lei?
Ultimamente l'idea che tutto quello che conoscesse e facesse avesse in un certo senso sempre un motivo nell'immediato futuro, l'aveva travolta, quindi ogni volta che capitava qualcosa si scopriva pensare “non era destino” oppure come in quel caso “sarà destino”.
Dunque cosa avrebbe scoperto quel giorno? Che nonostante tutti gli intrighi lei avrebbe abbattuto i limiti del possibile per catapultarsi in una realtà parallela e arrivare all'esame in tempo? Che non era proprio giornata per sostenere un esame? O che era semplicemente -opzione più probabile- nata sfigata?
Non lo sapeva e questo le dava sui nervi. Appoggiata alla vetrata di un bar, faceva continuamente dondolare una gamba, come forma di stress e fretta.
Non le piaceva quel posto, rientrava nella lista dei luoghi da non frequentare per almeno un anno, e lei aveva stupidamente infranto la regola.
Se ne infischiò, tanto peggio di così...
Arrivò finalmente l'autobus e si rese conto di quanto non fosse più abituata a salire su mezzi così stracarichi di gente. Una massa di ragazzi la superò rapida e andarono a formare delle sorte di muraglie cinesi davanti alle porte d'accesso, enormi, robusti, impenetrabili.
Ok, si sarebbe fatta un bel viaggetto in piedi. Tanto peggio di così...
Spintonando e ricevendo spintoni si fece largo tra la folla e riuscì a mettere piede sul pullman, dove camminò finchè le fu possibile, per trovare dove posizionarsi senza essere di troppo e stare abbastanza comoda. Una volta bloccata nella parte anteriore, non potendo più né proseguire né retrocedere, cominciò a guardarsi intorno.
I ragazzi entravano come dei predatori dalle porte, si addentravano quasi fossero un tutt'uno, a ondate di individui, forti e prepotenti come uno tzunami che invade luoghi che non gli appartengono.
Impressionante, fu l'ultimo avverbio che pensò Kim, prima del black-out. Solo così riuscì a definirlo il periodo seguente, dato che tutto quello che ricordava, lo ricordava estremamente al rallentatore, ma allo stesso tempo molto confusionario, come negli incubi.
Guardandosi intorno Kimberly rivolse lo sguardo alla sua destra, cercando tra la folla non sapendo bene chi o che cosa, ma se lo sentiva che stava ispezionando ogni angolo per controllare chi ci fosse, o meglio per accertarsi chi non ci fosse.
E invece, eccolo lì.
Lo vide entrare anche lui trasportato da quell'ondata di figure umane, lo vide farsi largo e fare a botte scherzosamente con qualche amico affinché questo gli lasciasse il posto, lo vide sedersi e sorridere, sorridere, sorridere.
Dio, quel sorriso.
In un istante la mente di Kim si annebbiò e i pensieri che ne seguirono furono completamente confusi e incerti. Si accorse di star pensando di sentirsi come se
se la fosse fatta sotto dato che improvvisamente un calore la attanagliò nel basso ventre.
Si accorse anche di star pensando “accidenti come gli sono cresciuti i capelli”, notando i ricciolini che si muovevano quando lui annuiva.
Si accorse di essere in apnea nel pensare ecco che cacchio voleva da lei il destino, ecco perchè si ritrovava lì, ecco qual'era la missione del giorno, ecco qual'era il peggio di “tanto peggio di così”.
Christopher, a meno di 2 metri da lei, si dimenava e parlava come al suo solito e no, stavolta non era un fantasma. Era lì, dopo così tanto tempo, così tante speranze, così tante lacrime.
Infine si accorse di pensare “e adesso che cazzo faccio?”. Lo shock momentaneo lasciò spazio allo spirito di sopravvivenza. Come quando ti provochi una ferita profonda, dopo l'annebbiamento provocato dal dolore acuto, segue il momento di lucità. Lei stava spaventosamente sanguinando, ma non poteva permettersi
di farlo davanti a lui.
Cosa avrebbe dovuto fare? Cominciò a guardarsi intorno, si trovava esattamente a metà strada tra la porta anteriore e quella centrale. Uscire da quella davanti e fregarsene di calpestare/sgomitare/causare lamenti a non finire; tentare di raggiungere quella centrale col rischio che potesse vederla; o rimanere a bordo nella
speranza che fosse una delle tante volte in cui lui le appariva, ma per una qualche strana ragione Chris non la notava?
L'indecisione davanti a quel bivio le metteva un'angoscia tremenda e prima di scegliere si voltò un'ultima volta, forse per accettarsi che finora lui continuasse a non fare caso a lei. Del resto era uno spazio talmente affollato!
E invece, meraviglia delle meraviglie, quando voltò la testa, si immobilizzò nel vedere che i suoi occhi erano puntati su di lei. Sgamata.
Erano grandi, e vicini, così vicini che poteva distinguere le pagliuzze ocra da quelle vedreggianti e stavano guardando lei, ne era sicura tanto quanto fosse sicura che quel giorno avrebbe fatto meglio a starsene a casa.
Il tempo ricominciò a scorrere davanti ai suoi occhi, vorticante, e lei non ebbe più dubbi, non ci pensò due volte e non se lo fece ripetere altrettante dal suo istinto. Raramente lo ascoltava, e questa sarebbe stata una di quelle volte: doveva scendere da lì.
Facendosi cogliere da una frenesia del momento, cominciò a sgomitare a destra e a manca, a pestare cartelle e piedi, e a mormorare dei sommessi “scusate, permesso” fino ad arrivare all'entrata anteriore, le cui porte si chiusero proprio quando fece per sporgere un braccio.
-No!- fu tutto quello che le uscì dalla bocca. Era una supplica che sapeva di disperazione e di sgomento. Probabilmente la voce roca lo trasudò da ogni lettera, dato che la guardarono tutti sconcertati.
Subito chiese all'autista di aprire le porte, doveva avere un aspetto particolarmente pallido perchè il signore non se lo fece ripetere e la lasciò andare. Meglio
evitarle quelle vomitanti, poi toccava a lui pulire.
Libera.
Appena scesa, l'autobus alle sue spalle si mise in movimento, lasciando lei e il suo cuore spezzato a terra. Le faceva male tutto, si sentiva nauseata e completamente priva dei cinque sensi. Sembrava sotto shock.
Doveva sbollire la tensione e darsi una calmata, perchè il cuore sembrava sul punto di esplodere.
Aspettò pazientemente il prossimo, e sta volta la sua mente era così carica di pensieri e sensazioni che il tempo passò in un attimo. Cercava di analizzare quello che provava in quel momento, voleva sentire se ci fosse qualche differenza dal “periodo depressione” al presente, e non riusciva proprio a giungere ad una
conclusione dato che tutto ciò che pensava era: ti prego, non cercarmi.
Una visione l'avrebbe sopportata.
Un ritorno l'avrebbe messa in seria difficoltà.
Quando arrivò alla fermata di casa sua, decise di andare direttamente in motorizzazione dove avrebbe sostenuto l'esame.
Per tutto il tempo rimase con un'espressione impassibile e piatta in volto, totalmente assente ed estranea a quell'ambiente concentrato. Si impegnò quel minimo per capire le domande, lasciò perdere le vibrazioni provenienti dal cellulare nella tasca dei suoi pantaloni, controllò un paio di volte le risposte al test proprio per sicurezza ed uscì velocemente, quasi sicura di non essere passata, dato che una volta fuori non si ricordava neanche una risposta che aveva dato.
Invece si sorprese di vedere di essere passata con 0 errori. Neppure una volta durante le esercitazioni aveva fatto 0 errori.
Ancora più sconvolta tornò a casa, e finalmente si mise sotto le coperte, sentendo uno strano groppo alla gola che le voleva ricordare qualcosa, ma che fino a quel momento aveva lasciato perdere.
Improvvisamente si ricordò: nella tasca dei suoi pantaloni c'era un pesantissimo fardello. In quel rimbambimento generale, si era scordata anche di informare i suoi che i 150$ che avevano sborsato per l'esame, non erano stati sprecati.
Ma ricordandosi della vibrazione durante il quiz, aveva una paura terribile di controllare.
Facendo un respiro profondo, estrasse l'aggeggio dalla tasca e, prendendo il coraggio a due mani, controllò il mittente del messaggio, pregando con tutte le sue forze che non fosse Lui.
Come aveva sempre sostenuto, pregare era una perdita di tempo.
 

Cos I’m broken when I’m open
And I don’t feel like I am strong enough
Cos I’m broken when I’m lonesome

And I don’t feel right when you’re gone  away.

Note finali: mi sento tremendamente in colpa per il ritardo, ma ho avuto da fare e d'altra parte ho l'impressione che non siate più interessate come prima, quindi mi abbatto e mi passa la voglia di aggiornare ahah
Certo mi dispiace perchè vorrei renderla più interessante di quello che è ma purtroppo non posso fare miracoli, non sono una poetessa e sicuramente non ho lo stile più ricercato del mondo, vorrei scrivere come molte altre persone su EFP, così articolate e pompose, uno stile arzigogolato e talmente ricco da sembrare degno di un professionista, purtroppo però sono così e il modo in cui scrivo posso migliorarlo o peggiorarlo, ma sono arrivata ad un punto in cui non posso proprio mutarlo.
Questo è e questo rimarrà :) E poi fi basta con sti castelli, sono in una fase troppo paranoica (perdonatemi) e comunque life goes on and so this ff does, quindi bando alle ciance e cerchiamo di finirla che questo è l'importante!

Aaaaaallooooooraaaaaaaa alzi la mano chi NON si aspettava un ritorno di Chris!! Ahahah immagino che nessuno la alzerà, so che è un risvolto un pò mainstream ma credo ci volesse, per forza di cose.
Scusate se è trattato molto superficialmente, ma avevo fretta di pubblicarlo data l'ora almeno non ci pensavo più per un pò!
Sapete (è arrivato il momento parabola, quindi se siete scoglionate andate direttamente a fondo pagina XD) è un capitolo sento molto dato che il 90% è tratto da una storia vera.. la mia.
Ricordo bene quel giorno e ricordo bene che sono salita su quell'autobus incazzata come una iena per motivi molto ovvi ahaha e poi BAM tutto si è dissolto: il ritardo, il brutto voto, il fatto che potevo essere rimandata a settembre per colpa di una materia che odiavo(non ero all'ultimo anno), tutto lo scazzamento generale è evaporato alla vista di quella persona con cui non avevo contatti da mesi.
Credo di essermi smaterializzata nell'istante in cui ho incontrato quegli occhi, occhi che vengono spesso a trovarmi tutt'ora.

Quanto avrò parlato e scritto di quel ragazzo? Quanto l'avrò sognato, pensato, immaginato, desiderato? Quante maledette canzoni gli avrò dedicato? 
Quante di voi possono capirmi? 
Per chi non l'avesse capito, questa storia è partita dalla mia esperienza diretta. Non è andata esattamente come nella FF, ho preso spunto praticamente sulle sensazioni che ricordo di aver provato e basta, aneddoti davvero autobiografici sono gran pochi se escludiamo questo capitolo.
Penso sia la persona che più ho amato/odiato in vita mia, la tipica persona che tutti incrociano prima o poi e che finisce per cambiarci. PErchè dopo di lei, niente avrà lo stesso sapore.
Io ho giurato a me stessa che non avrei mai più permesso a nessuno di entrarmi così dentro, non mi ridurrò mai più come un'ameba per qualcuno. MAI. 
So che sembra la tipica frase da cinema, ma chi l'ha provato (quindi immagino ognuna di voi, ci scommetto il pancreas) può concordare con me quando dico che è una conseguenza inevitabile.

Quando tutta quella pena insopportabile finisce, non senti nulla, o meglio senti ancora, ma il tutto pare ovattato come se ormai fossi impenetrabile e inconsciamente hai eretto questa barriera che nessuno potrà disintegrare, nemmeno LUI e un suo improbabile ritorno.

Nel mio caso questo ritorno è stato molto scenico, come potete vedere ;)

Certo, all'epoca stavo iniziando ad essere sentimentalmente coinvolta con un'altra persona (tant'è che dopo questa visione mi sono mega incazzata: possibile che il destino non volesse farmi andare avanti?!) (che poi anche con quest'altra persona è stata un'esperienza surreale ahahaha cazzo non ne conosco uno di individuo normale, un giorno scriverò una storia anche su di lui) ma per le persone come me il "chiodo scaccia chiodo" non ha mai funzionato.

Come è andata a finire?
Lo vedrete con il proseguire della storia ;)

Non sarà tutta vera, ovviamente! Solo che questa esperienza è stata particolarmente ispirante per questa FF che all'epoca si trovava in una fase di paralisi gestazionale ahah
Ci saranno accenni autobiografici ed elementi di pura invenzione, come per ogni storia che meriti di essere letta ;)
Magari approfondirò anche il lato personale, vedremo come reagirete a questo ahaha.

La MERAVIGLIOSA canzone è Broken di Seether, una canzone che può ammazzare, se ascoltata nel momento sbagliato.

Il peggio ora è passato e possiamo tornare a respirare
Voglio renderti felice, tu spazzi via il mio dolore

Perchè sono spezzato quando sono aperto
E sento di non essere abbastanza forte
Perchè sono spezzato quando sono solo
E non sto bene da quando te ne sei andata.

Bona, anche questa è andata, apprezzerei che mi rendiate partecipe di cosa ne pensate, delle vostre impressioni presenti e sul futuro svolgersi della storia
e perchè no, se avete voglia di non farmi sentire un'emerita cogliona e dirmi che anche voi avete un vostro Christopher, sappiate che non vedo l'ora :) (non per farmi i cazzi vostri, sia mai!!)
Grazie a tutte, posto presto :)
xoxoxoxoxox

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Capitolo 47
*** Capitolo 47. ***


Capitolo 47.

 Slipping down a slide
I did enjoy the ride
Don’t know what to decide
You lied to me

 Leggere il nome di Christopher sullo schermo del cellulare le creò quel misto di emozioni che non sentiva da tantissimo tempo. Quel dolore misto gioia dato dalla presenza di ciò che amava di più in assoluto, ma che era conscia di non potere avere.
Però, essendo una ragazza, e quindi fatta di carne, sangue e sentimenti, era ovvio che in lei avesse sempre covato la pura e ingenua speranza che lui cambiasse idea e tornasse da lei.
Chris non aveva la minima idea di quanto le costasse smaltire tutta quell'adrenalina, di quanto le sarebbe costato accettare gli incubi che ne sarebbero sicuramente derivati e così via.
Che poi non erano incubi veri e propri, anzi dal punto di vista tecnico non erano neanche malaccio: Lui tornava da lei, la abbracciava, le chiedeva scusa e le diceva che “l'altra” non valeva niente. C'erano delle volte in cui riusciva a rendersi conto che era solo una fantasia ed era prossima al risveglio che quando giungeva, lo accoglieva a cuor leggero, alzandosi e promettendosi che non avrebbe più dormito per giorni. Le volte peggiori invece, erano quando non riusciva a capirlo e in quei casi, il risveglio era paragonabile ad un'accoltellata in pieno petto.
Svegliarsi col sorriso e rendersi conto che fosse completamente immotivato, era il vero e proprio incubo.
Ancora si ricordava con un grandissima angoscia il periodo che aveva seguito la loro “rottura”, durante il quale lei, pur di sentirlo al suo fianco, sopportava che la trattasse come una macchina fotografica usa e getta, in mancanza della Reflex.
Il cuore le batteva in gola così forte da riuscire a deconcentrarla per un attimo. Si ricordò improvvisamente le varie discussioni che aveva avuto con Joe proprio in quel periodo di finta amicizia con Christopher, in cui lui le diceva semplicemente di lasciarlo perdere, che sapeva che era lui a cercarla, e quando lo faceva di cancellare il messaggio senza nemmeno aprirlo.
“-Vedrai che inizialmente ti sentirai male, ma nel giro di un mese sarà molto più tenue e nel giro di qualche altro mese quando riceverai un suo messaggio penserai “e questo chi cacchio è?”-”
Se c'aveva provato? Neanche per sogno. Era pura pazzia per lei pensare di riuscire a fare una cosa simile. Ignorarlo? Magari! Arrivare addirittura a leggere il suo nome sullo schermo e pensare “e questo chi cacchio è?” sarebbe successo solo in seguito ad un miracolo, lo sapeva perfettamente.
Come in quel momento. Ormai erano mesi che non lo sentiva più, eppura quel “e questo chi cacchio è?” non le era saltato in mente neppure per un secondo, neanche sforzandosi, neanche volendolo.
Aprì il messaggio con dita tremanti, consapevole che se ne sarebbe pentita a vita.

“Mi odi così tanto da non salutarmi neanche?” chiedeva. Sembrava amareggiato, ma il problema dei messaggi era proprio il tono sempre fraintendibile.
Rimase lunghi istanti a fissare lo schermo, non sapendo bene cosa rispondere. Una cosa tipo “che cazzo vuoi!” sarebbe stata controproducente, ma al momento era terribilmente fragile per essere scontrosa, talmente fragile che bastava un soffio per disperderla come polvere.

“Scusa.” scrisse alla fine e premette invio. Si sentì immediatamente sciocca e infantile, cioè, cosa diamine aveva lei da farsi perdonare? Lei non aveva nessunissima colpa, avrebbe dovuto ficcarselo in testa.
“Tranquilla.” ricevette dopo qualche minuto. Esattamente quello che sperava, non c'era domanda, il che significava che non era tenuta a mantenere viva la conversazione.
Bloccò il cellulare e lo posizionò sotto il cuscino, sul quale appoggiò la testa che sembrava così pesante.. Lasciò scorrere due lacrime lungo le guance, non capendo se derivanti dalla delusione per il fatto che ancora qualcosa glielo smuoveva sentire il suo ex, oppure per l'imbarazzo di aver reagito così da vigliacca.
Era scappata con la coda tra le gambe e si era addirittura inginocchiata chiedendogli scusa. Patetica, questo era dieci mila volte peggio che restare sul pullman e scambarsi un saluto veloce.
Una vibrazione lieve e breve le fece sollevare la testa di scatto. Controllò di nuovo lo schermo: ovvio che si trattasse di Chris. Cosa voleva ancora?

“Come stai?” chiedeva, come se realmente gli interessasse.
“Cosa te ne frega?” rispose, inacidita. Aveva raggiunto un livello di pace interiore tale che non ci pensasse più così spesso e lui? Eccolo di nuovo nella sua vita, come un promemoria, come per ricordarle che non poteva andare avanti, non senza di lui.
Non gliene era mai importato nulla di lei, non aveva fatto una piega quando gli aveva chiesto di lasciarla in pace, come poteva pretendere che gli credesse ora?

“Non cominciare Kim. Lo sai che ci tengo a te.” rispose, poco dopo, ma il messaggio non le provocò nessuna tachicardia o iperventilazione.
Era totalmente scettica, eppure sapeva l'affetto per quella persona che un tempo conosceva così bene non si era spento. Forse affievolito, però a lui ci pensava ancora tanto.

“Come puoi pensare che ti creda?” Invio. a causa sua non riusciva più a fidarsi di nessuno, aveva totalmente perso ogni barlume di positività nei confronti del genere umano. Per fidarsi di Jared ci aveva messo un po’.
“Perché dici così?” domandò, e a Kimberly per poco non cadde la mandibola.
“Non lo so, forse perché mi hai tradita, lasciata, umiliata, abbandonata e te ne sei andato appena te l'ho chiesto, invece di provare a capirmi. Non hai nemmeno fatto un minimo sforzo per dimostrarmi che ti dispiaceva o che davvero mi amavi. Sono stata solo un passatempo per te.” Invio. Non sapeva perché si continuava a piegare per fargli capire certe cose, cose che aveva fatto lui attivamente e che quindi, se non aveva ancora capito, il motivo era solo uno.
Però dopo tanto tempo, quelle parole trovavano uno sfogo. Kim si sentiva le guance bollenti e le mani ghiacciate come mesi prima.
Non temeva la sua reazione, non temeva che non le avrebbe più risposto lasciandola in bilico per giorni, fino a farla sentire in colpa.
Lui era tremendamente permaloso e ogni volta che lei esagerava o si sbottonava appena di più, finiva per non risponderle più e sparire per qualche giorno, coa che per lei costituivano ore e ore di tortura. Quando gli argomenti si facevano un po' più intimi e lei voleva parlare di quello che era successo, guarda caso lui
doveva “andare”.
Come quando, in seguito ad aver scoperto che lui si era ufficialmente impegnato con l'altra, gli aveva detto di non cercarla più, che non avrebbe più risposto e tante care parole per ricevere in cambio un messaggio che si ricorderà per sempre: “devo andare a studiare, ciao bacio.”
Se lo ricordava ancora quel giorno, e si ricordava come in quel momento avesse capito che non c’erano più speranze, era una battaglia che stava combattendo da sola, un muro di cemento armato che neanche una bomba poteva smuovere.
Si ricordava perfettamente come ci fosse rimasta malissimo, come avesse preso la scatola chiusa nell’armadio contenente i loro ricordi e come avesse gettato tutto nel camino acceso.
Aveva preso oggetto dopo oggetto e aveva guardato ogni lettera, cartolina, fotografia piegarsi sotto il calore del fuoco, trasformandosi in cenere.
Le si strinse il cuore, mentre il cellulare vibrò nella sua mano.
“Kimberly non eri un passatempo e non riesco a capire come tu possa pensarlo. E' semplicemente andata così, e ti chiedo scusa.”
Era la prima volta che le chiedeva scusa. Tutte le altre volte che era riuscita a strappargli un “mi dispiace” pareva tanto una presa in giro, un modo per liquidarla senza tanti giri di parole.
Eppure, non bastava e riuscì a rendersene conto solo in quel momento.

“Tu hai rovinato tutto.” Invio. Lo scrisse senza pensarci, lasciando scorrere quel flusso di coscienza e quel flusso di lacrime.
Perchè era tornato? Perchè proprio adesso? Proprio ora che era riuscita a far andare bene la relazione con Jared, proprio adesso che riusciva a vedere un futuro migliore con lui accanto, proprio adesso il destino aveva deciso di fare questa magica riapparizione dal passato?!
Era furiosa. Voleva metterla alla prova forse?

“Mi dispiace veramente. Credimi se ti dico che mi sento in colpa.” aveva un retrogusto di verità quel messaggio, se fossero stati faccia a faccia Kimberly era sicura che sarebbe scoppiata a piangere.
Ma non lo fece. Davanti a lui era sempre riuscita ad ingoiare tutte le lacrime e a sopportare, sebbene l’impulso fosse talmente forte da strapparle il respiro.

“Perchè sei tornato?” gli domandò poi, non sapendo sinceramente cosa le avrebbe risposto. Sicuramente non sarebbe stata una risposta alla Jared Leto, un aforisma che le avrebbe sciolto e ricomposto il cuore nel giro di pochi secondi. Aveva sempre avuto una grande capacità linguistica Chris, probabilmente era una qualità che l'attraeva in generale nei ragazzi, ma non reggeva assolutamente il confronto col suo professore.
“Perchè mi è venuto un colpo quando ti ho vista oggi, e volevo sapere come stavi. Ti ho pensata spesso, ho sempre chiesto di te e mi sono sempre augurato che fossi felice.”
Erano due semplici frasi, ma bastarono per allietarle un po' il temperamento. Era moltissimo che non lo sentiva così gentile con lei, le ultime volte sembrava più scazzato e bastardo che altro. Probabilmente, e ne era certa, l'aveva portato allo sfinimento con tutte le sue paturnie e ricerche di attenzioni.
Per quanto l'avesse fatta star male, la sua colpa riusciva a riconoscerla: non puoi costringere qualcuno a ricambiarti. Lo sapeva bene, e allora perchè aveva insistito tanto?
Era proprio vero che l’amore era qualcosa di folle.

“Anch'io ti ho pensato tanto. Forse così tanto che adesso è solo grazie a me se stai bene.” in fin dei conti, lei aveva sempre desiderato che lui fosse felice, punto.
Che questo non includesse lei era stato difficile da accettare, ma col tempo se ne era fatta una ragione.

“Provi rancore nei miei confronti?” le chiese poi.
Normalemente avrebbe risposto di sì, sì, sì e ancora sì. Sì, perchè era stato la sua ossessione per così tanti mesi; sì, perchè le aveva fatto tanto male e si era approfittato deliberatamente di lei e sì, perchè sembrava perseguitarla anche quando era decisa a voltare pagina.
Ma in quel momento si sentì come liberata finalmente: tra le varie sensazioni, riuscì a riconoscere il cambiamento.
Non era più angosciata a sentirlo, a differenza di prima. Non contava più i minuti che ci metteva a risponderle, non si struggeva nel pensare che fosse al telefono con la biondona, o che forse ne stava sentendo altre mille.
Si sentiva normale. Sentiva che le era mancato, ma che sarebbe sopravvissuta una volta che l'avrebbe salutata con una scusa idiota.

“No, Chris.. anzi ti dirò, non stavo così bene da un po'.” confessò, sorridendo tra sé e sé.
“Vedo, ti trovo meglio devo dire!” rispose dopo poco. “Anzi, sei una gnocca (;” riuscì addirittura a farla ridere sommessamente.
Sarà stato che non era più depressa. L'ultima volta che avevano passato del tempo insieme era stato tragico e al momento se ne vergognava profondamente.

“Posso chiederti una cosa?” gli scrisse subito dopo.
“Spara.”
“Ti sei mai pentito della scelta che hai fatto?”
premette il tasto invio mordendosi un labbro. Questa domanda la metteva moltissimo a disagio, dato che era sempre stato il confronto ad ammazzarle l'autostima.
“Sì, spesso ho dovuto costringermi a non cercarti, pensando che lo stavo facendo per te.”
Mh, quindi la bionda non era riuscita proprio a compiacerlo del tutto, eh? Un ghigno le si aprì in volto, dato che ormai era consapevole che mai, ma proprio mai nella vita sarebbe tornata ad essere  lo zombie di 6 mesi prima. Per nessuno, non più.
Non fece a tempo a rispondere che lui le scrisse un altro messaggio.

“Adesso tocca a me: cosa hai pensato quando mi hai visto?”
Eh, bella domanda. Cosa aveva pensato? Scrisse la cosa più vera che le venne in mente: “Ecco perchè ho perso l'autobus.”
Nel scriverlo era certa che lui le avrebbe risposto dicendo di non capire.
“In che senso?” appunto.
“Nel senso che tu Chrisopher, sei il mio discorso a parte. Ogni tanto ritorni e prima quando ti ho visto ho capito perchè avevo dovuto perdere due autobus. Come per chiudere questo nostro capitolo lasciato in sospeso per così tanto tempo.”
“Cosa intendi con discorso a parte?”
“Non so se hai notato, ma tu ogni tot ricompari come per magia.”
scrisse ironica lei.
“Tu invece non ricompari mai...” le fece notare con un filo di amarezza.
“Non te lo sei mai meritato,forse.” scrisse veloce, senza confessargli che in verità lei lo aveva visto più spesso di quanto lui pensasse, ed era lui a non accorgersi mai di lei.
Il messaggio dopo ovviamente, era un congedo. Un tempo
leggendo “Devo andare che Barbara si incavola se non le mando neanche un messaggio.” sarebbe morta di crepa cuore, invece ora non le interessava assolutamente. 

Quella sera, quando andò a coricarsi, si addormentò di colpo, non appena la guancia sfiorò il cuscino, fece però a tempo a rendersi conto di avere un sorrisetto stampato in volto. Sapeva che gli incubi non sarebbero più venuti a tormentarla, era cominciata una nuova era, finalmente.
L'adrenalina si era dissolta come niente, non pulsava più nelle tempie.
La libertà aveva proprio un buon sapore.

 
Don’t turn around, cos you will get punched in the face
Don’t make this worse, you’ve already gone and it got me mad.
It's too bad, I’m not sad, it’s casting over

It’s just one of those things you have to get over it.

Note finali: Eccoci con l'aggiornamento!
Grazie per i bei commenti e pensieri che avete condiviso con me lo scorso capitolo, e sono sinceramente imbarazzata per lo stato in cui vi ho risposto ahah, non ero completamente in aria solo molto sciolta XD Perdonatemi!
Scusate se il capitolo è un pò confusionario, ma in certe situazioni il cervello va a mille km/h e provi 500 emozioni insieme e non riesci a sviluppare tutti i pensieri che ti bombardano la testa.
Ovviamente non l'ho scritto quando mi ci sono trovata ma ripensandoci mi mette un pò in confusione, ad essere sincera.
La morale di questo capitolo spero sia comprensibile, ovviamente è quel processo stranissimo che fa la nostra mente quando veniamo rifiutati o non siamo ricambiati: succede che ci fissiamo con questa persona sebbene sappiamo che non è quella giusta per noi, ci rendiamo conto del male che ci ha fatto stare e seppur andando avanti con le nostre vite questa persona resta un'ossessione, un "conto in sospeso", che io trovo la cosa PEGGIORE in assoluto.
Personalmente, in qualsiasi tipo di rapporto, se questo si chiude in malo modo, senza essersi detti molte cose, continuo a sognare queste persone, sebbene alla fine non è che mi importi così tanto. Credo sia la curiosità, le motivazioni, o il fatto che abbiano preferito non affrontarmi face to face a farmi fissare così.
Possiamo dire che la nostra Kimberly è stata vittima di questo processo, certo abbastanza giustificato.
E ora che ha "risolto" si sente come liberata, e credo che liberarti di una persona sia una delle cose più belle che possano succederti.
Ovviamente questa non è stata la vera conversazione che io e coso abbiamo avuto, ma ho chiaramente preso spunto.

E voi avete presente questo senso di "persecuzione" o "liberazione"?
Cosa ne pensate? Implicherà qualche cambiamento questo ritorno?
Fateme sape' ;)

La canzone è Get over it di Avril Ramona Lavigne, canzone che mi piace tanto tanto tanto.

Scendendo da uno scivolo
Mi è piaciuta la corsa
non so cosa decidere
Tu mi hai mentito

Non voltarti
perchè riceverai un pugno in faccia
non peggiorare le cose
te ne sei andato e (questo) mi ha fatta impazzire
Peccato, ma non sono triste
sta passando
è una di quelle cose che devi superare.

Questa canzone mi ha aiutata un paio di volte. Credo che le canzoni abbiano un grande potere, dicono quello che già sai ma che non hai mai voluto realizzare.
Ti aprono gli occhi, forse è questa una delle tante magie della musica che continuiamo ad osannare senza definirne i motivi.
Fatemi sapere whatcha think ;)
Grazie a tutte
Besitos ♥

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Capitolo 48
*** Capitolo 48. ***


 

Capitolo 48

 There's truth in you lies
doubt in your faith
all I've got is what you didn't take.

 Da quella volta, Chris cominciò a farsi sentire regolarmente, anche quando meno Kimberly se l'aspettava, ecco un messaggio da parte sua.
E più il tempo passava, più la ragazza si stupiva di se stessa. Fino a pochi mesi prima tutto ciò le avrebbe causato adrenalina, batticuore, lacrime a non finire... invece ora niente.
Nei rari giorni in cui non si sentivano lei era talmente presa da altre cose che quando per puro caso le veniva in mente lui, era troppo tardi e non aveva nessuna voglia di sentirlo.
Capitava addirittura che lui si faceva sentire il pomeriggio dicendole che aveva solo 10 messaggi per lei, dato che poi avrebbe superato il limite dei messaggi gratis. Solitamente Kim odiava che lui le desse un limite di messaggi -cioè, piuttosto non farti sentire!- e anche questa volta non era diversamente, ma lo affrontava senza pensarci, e sorpresona, la sera tornava a farsi sentire nonostante ormai ogni messaggio avesse un costo.
Questo invece colpì abbastanza Kim, dato che prima non avrebbe mai sprecato dei messaggi per lei, figuriamoci per comunicarle certe sciocchezze!
Che fosse realmente cambiato? Nah.
La ragazza era sicura che il motivo fosse un altro: la curiosità cronica di Christopher.
Se lei poteva definirsi curiosa, lui esasperava questa caratteristica all'estremo. E la ragazza aveva pane per i suoi denti affamati, avendogli detto che ora era impegnata con un altro.
Pur di scoprire qualcosa su questo “tizio misterioso”, lui si autoponeva dei diritti di ex, secondo i quali Kimberly avrebbe dovuto confidarsi con lui, come se fosse possibile che fosse tanto sciocca.
Come quella sera, lei era stata per quasi 3 ore impegnata con il libro di biologia e lui continuava a tartassarla con domande riguardanti Jared.
Al momento era solo riuscito a scoprire il suo nome di battesimo e che si erano conosciuti a scuola, nient'altro. Kim sapeva essere una tomba se voleva, e inoltre conosceva bene Chris e sapeva come stuzzicarlo.
Non si poteva dire diversamente di lui, tant'è che dopo una ventina di “dai, dimmi chi è”, passò a domande più infide, sapendo perfettamente dove colpire l'amica di vecchia data.

“Gli hai detto che ci sentiamo ancora?”. Beccata.
“No.” rispose sincera.
In effetti, non era riuscita ancora a parlare a Jared di questa comparsa dal passato, non sapeva bene perché.
Ogni tanto le scappava proprio di mente quando era in compagnia del professore, altre volte non se la sentiva di cominciare discussioni per dei motivi tanto stupidi e altre sentiva che Jared, per quanto buono e comprensivo, non avrebbe capito e le avrebbe chiesto di rinunciare a lui.
E lei non avrebbe retto, abbandonarlo dopo averlo ritrovato pensando di averlo perso per sempre sarebbe stata una violenza davvero insopportabile.

“Lo immaginavo. E perché no?”
Perchè, le duoleva ammetterlo e soprattutto non l'avrebbe mai detto a Chris, da quando lui era tornato nella sua vita, si sentiva finalmente completa, come se nonostante tutti gli sforzi per essere felice, ci fosse sempre quel dettaglio che mancava e a cui ricorreva quando meno se ne accorgeva.
Era come incorniciare un puzzle da mille pezzi a cui però mancava un tassello: ammirevole, ma senza senso. Vantarsi di una felicità incompleta è insensato.
Da quando lui era tornato invece poteva esibirlo questo puzzle. Andava a dormire senza temere più nulla, si sentiva bene, non ci pensava più con quel sentore di angoscia e nemmeno i suoi sogni erano pericolosi, non più.
Se Jared le avesse tolto questo, non sapeva come avrebbe fatto.
Quindi per il momento preferiva rimandare... e in ogni caso, riusciva ancora a tenere testa alle provocazioni del suo ex.

“Perché è irrilevante.” e, come immaginava, non le rispose più, fino alla sera seguente.
Digerire una cosa simile, di essere irrilevanti, di non avere significato, non era facile, specialmente per un ragazzo orgoglioso come Christopher, che infatti non perdeva occasione per rinfacciarle certe sue risposte acide.
Ma del resto si sa, togli a un ragazzo l'egemonia su di te e non te lo perdonerà mai.
A parte questi piccoli battibecchi però, tra di loro c'era sempre quel feeling tipico di chi si conosce da tanto tempo, nel quale riesci a prevedere anche i gesti e le risposte dell'altro, in un modo che fa quasi tenerezza.
 

*

 
-Kim, mi fai un favore?- sentì la voce di Jared venirle dalle spalle.
Lei era nel salotto di casa Leto con un libro aperto sulle gambe, intenta ad analizzare una poesia di John Keats, mentre lui era in cucina munito di chiodi e martello per sistemare una credenza che il giorno prima aveva ceduto, rovinando così le deliziose ceramiche a forma di papere.
Era successo proprio mentre i due erano in cucina e dire che si erano spaventati moltissimo è davvero poco, fatto stava che le cause del crollo fossero ancora incerte.
-Dimmi, Jared.- rispose lei senza distogliere gli occhi dal libro, aggrovigliando la matita tra i capelli, andando a formare uno chignon quasi perfetto. Ormai era allenata.
-Andresti in camera mia a prendermi il metro? Lo trovi nel 3 cassetto del comodino accanto al letto.- spiegò mentre controllava che i fori della mensola non si fossero rovinati.
-Da quale lato?- chiese la ragazza, indirizzatasi verso la sua camera.
-Il tuo.-
A sentire quelle parole, Kimberly sorrise sorniona. Si era aggiudicata un “lato del letto”. Questo era un aspetto da convivenza.
Aprì le porte in vetro opaco della camera facendole scorrere dolcemente, e vi entrò. Ogni volta che ci entrava, rimaneva sempre più affascinata.
Adorava quella stanza, così orientale e raffinata da metterle il buonumore.
Fece il giro del letto e si avvicinò al comodino in ebano indicato da Jared, aprì il 3 cassetto e non dovette neppure frugare tra le cianfrusaglie perché l'oggetto era proprio lì.
Quando era così facile trovare le cose, Kim si sentiva soddisfatta. Non come quando era piccola che doveva fare certe commissioni per sua madre trasformandole in vere e proprie ricerche, la cui morale era sempre quella: chiamava sua mamma ormai disperata, la quale appena la raggiungeva con un pai
di mosse magiche, trovava quello che aveva incaricato la figlia di portarle, sbuffando spazientita.
Invece questa volta non sarebbe servito l'aiuto di Jared, e ciò la rallegrò molto.
Non appena fece per alzarsi però, l'acconciatura improvvisata cedette facendole cadere la matita, che, a causa di un riflesso involontario della ragazza, fu calciata
sotto il letto.
Kimberly emise dei gemiti contrariati, ma appoggiò il metro sul comodino e si accucciò accanto al letto, il quale essendo japan style era davvero basso, e sotto riusciva a passarci soltanto il suo braccio fino al gomito, oltre non ce la faceva.
Con una guancia premuta contro il pavimento e il sedere all'aria tipo posizione fetale, cercava di allungarsi per tastare meglio.
Quando le sue dita afferrarono qualcosa che era un po' più grosso di una matita, anzi sembrava una scatola, non riuscì a resistere ed estrasse la mano.
Si mise sulle ginocchia ad osservare quella scatoletta sottile a forma di cuore rosso e l'aprì corrugando le labbra.
Quello che vi trovò all'interno la lasciò dapprima confusa, ma quando realizzò la rabbia e la frustrazione la invasero e la accecarono completamente.
Il contenuto costituiva sostanzialmente di fotografie e biglietti. In una, nella primissima che trovò era raffigurato Jared qualche anno prima, che avvolgeva dal dietro una ragazza, vedeva le mani che si intrecciavano all'altezza del bacino di lei, il mento appoggiato alla sua spalla e il volto inclinato di 45 gradi col naso
che andava a sfiorarle i capelli, ma nonostante questo gli occhi guardavano nell'obbiettivo.
Lei aveva la testa piegata per essere più in contatto con quella del professore, e tra le mani teneva la macchina fotografica all'altezza del seno, come se se la fossero scattata davanti ad uno specchio.
Ma la rabbia scatenata in Kim non era data dalla gelosia di uno scatto così intimo, perché sebbene fossero entrambi vestiti, l'atteggiamento era molto privato; bensì dal viso di quella donna, della stessa bellezza che l'aveva stupita quando l'aveva vista sul cartellone dell'aeroporto.
Gli stessi occhi scintillanti, le stesse ciocche color mogano. La stessa che Jared le aveva giurato di non conoscere.
Mille pensieri cominciarono a vorticarle nella testa in quel momento, e piano, piano si facevano talmente pressanti da toglierle il respiro.
Perchè le aveva mentito? Perchè aveva addirittura preferito farla passare per pazza? Perchè le aveva garantito che non l'aveva mai vista se evidentemente con lei aveva testato anche gli altri 4 sensi?
-Kim, ti sei persa?- disse l'uomo scherzoso affacciandosi nella stanza e accendendole la luce.
Vedendola lì per terra immobile si preoccupò appena, e le si avvicinò. -Tesoro, cosa succ..?- le parole gli morirono in gola quando vide cosa fissava così insistentemente la ragazza.
-K-Kim... ti posso spiegare.- pensò distrattamente che ogni volta che pronunciava queste parole era quando lei lo “beccava” con un'altra.
Lei con tutta calma chiuse la scatola e la ripose dove l'aveva trovata, poi si alzò lentamente aiutandosi facendo leva col letto.
-Sì, dai spiegami.- il suo tono era innaturalmente calmo. A Jared venne sinceramente paura, non l'aveva mai vista a quel livello d'ira. Sembrava che volesse trattenersi proprio perchè consapevole che esplodendo, avrebbe estirpato l'intero continente. -Ho proprio voglia di sentire quello che hai da dirmi. Come mi convincerai che sono pazza quesa volta?-
Lui deglutì ruomorosamente, prendendo tempo. -Io non volevo... complicare le cose.-
-Mentendomi?-
-Non ti ho...- stava per contraddirla, ma preferì fermarsi.
-Non provarci neanche!- urlò spingendolo da davanti a sé. -Vuoi per caso dirmi che senza vestiti non l'hai riconosciuta?!- continuò uscendo dalla stanza con passo pesante ma spedito.
L'uomo la seguì velocemente. -Kimberly ascolta, non ho scuse davvero. Sono un certino, è vero ti ho mentito.-
Kim cominciò a sentire le lacrime scorrerle lungo le guance e aveva un enorme groppo in gola che non riusciva a levarsi. Odiava Jared, lo odiava, aveva bruciato tutta la sua fiducia in lui nel giro di pochi secondi e senza rimorso.
-Kim, ti prego dì qualcosa...- si avvicinò lui, sporgendo una mano per toccarla, ma lei lo allontanò con violenza e furia.
-Cosa ti aspetti che dica, Jared?!- sbraitò raccogliendo la borsa e riempiendola delle sue cose. -Non toccarmi e non parlarmi perchè brucia, fa male, mi hai mentito e non te ne sei neanche pentito!-
-Questo non è vero, mi sono sentito una merda subito dopo che ti ho risposto..- disse, cercando di afferrarla, ma lei si allontanava per ogni sforzo che lui facesse.
-Allora perchè l'hai fatto?-
-E'... complicato..-
-Non è affatto complicato Jared, sei tu che complichi tutto! Potevamo parlarne e risolvere insieme, perchè è così che fanno le persone che si vogliono bene!
Tu invece al tuo solito hai dovuto farmi passare per l'idiota della situazione, l'allucinata. E ora mi sento così inadatta, Jared, mi fai sentire così sbagliata.-
Se non si era sentito di dirle la verità doveva essere colpa sua, no? Non ispirava abbastanza fiducia.
Rimase immobile a piangere per qualche secondo, portandosi una mano davanti agli occhi. Assistere a quel momento per il professore equivaleva a giorni di agonia alla gogna. Non sopportava vederla piangere in quel modo, specialmente se era per causa sua.
Kim era una di quelle persone che piangono raramente e solo perchè proprio se lo sentono; quando avviene è un evento davvero disarmante, come assistere ad un bambino imprecare in chiesa.
Nessuno piange come le persone come lei, Kimberly piangeva con tutto il cuore, senza tenersi dentro nulla.
Un pianto che era la fine dell'esistenza.
Le si avvicinò cauto sinceramente dispiaciuto e pronto a qualsiasi cosa purché lei la smettesse. Con suo stupore Kimberly si lasciò fare, e sentirla sfogarsi un po' addosso a lui lo faceva sentire meno in colpa, come se stesse scontando una briciola della sua pena.
Sarebbe stata una perfetta pena del contrappasso dantesco, dato che per lui le lacrime della ragazza valevano quanto tutta la sua anima.
Dopo pochissimo però lei si separò da lui, singhiozzante e visibilmente provata e se lo scrollò di dosso, dirigendosi in fretta verso la porta.
-Kim, ti prego!- la implorò lui, c'era disperazione nella sua voce, per un momento Kimberly ne fu quasi certa, ma ormai nella sua mente lui era catalogato come un bravo attore, e gli attori sono degli ottimi manipolatori.
-Lasciami in pace, Jared. Per quanto mi riguarda puoi anche ammazzarti.- esagerata forse, ma in quel momento era esattamente quello che voleva dire.
Ed era esattamente ciò che Jared voleva fare.
 

And you, you will be alone
alone with all your secrets,

and regrets, don't lie.

Note finali: We we we we we we we we we people!!
Alura??? Cacchio avete sentito il nuovo singolo dei Mars? Cosa ne pensate?!
Io sono sinceramente combattuta.. da una parte credo di essere """"delusa"""", certo nella mia testa sono la band alternative-rock (se così possiamo definirli) che mi hanno sempre messo un sacco di energia e che avevano uno stile unico e Up in the air mi sembra molto lontana da quello che mi aspettavo.
Mi viene anche difficile definirlo rock a questo punto (anche se, se ci avvalessimo del concetto di rock di Virgin Radio saremmo in una botte di ferro) (ahahah) mi viene difficile!
Però d'altra parte giustamente tutto si evolve e anche loro devono sperimentare, specialmente in un ambito come la musica! E comunque saranno 8h che l'ascolto non-stop XD questo è amore.
Va beh, fatemi sapere se sono l'unica a pensarla così, sono pronta a rimangiarmi tutto!

Tornando a bolla, ovvero al motivo per cui siamo qui: il capitolo! MMMMMMMH avete visto il colpo di scena numero 3??
Chi se lo aspettava? (tutte immagino) ahaha un capitolo un pò cattivo, un pò esagerato alla fine (lo so) però la drammaticità come già dissi, CISTA e un capitolo che mostra i lati bugiardi di entrambi i personaggi.
Voi se foste Kim lo direste a Jared che vi sentite ancora con l'ex? Perchè sì/no? Perchè lei non lo fa?
E perchè Jared non le ha detto chiaro e tondo chi fosse la modella? MAH!

Un'altra cosa fighissima che volevo condividere con voi che sole potete capirmi (non c'entra un cazzo col capitolo) è che ieri ho letto che era stato "proclamato" da non ho capito chi Il Thirty seconds to Mars day! Ovvero il giorno del mio compleanno! (sì ieri ho compiuto 20 anni secchi ma mi considero una twenteen almeno posso permettermi ancora stronzate adolescenziali per un anno ahaha) CHE MERAVIGLIA!
Saremo legati forever and ever *-----*  ahahahah ok fangirl moment finito.

La canzone è In Pieces dei Linkin Park (fuck yeah) che personalmente amo.

C'è verità nelle tue bugie
dubbio nella tua fede
Quello che ho è ciò che tu non hai preso

E tu, tu rimarrai solo
solo con i tuoi segreti
e rimpianti
non mentire.

Insomma tutto incentrato sulla menzogna. Yeah, un altro argomentino su cui potremmo discutere ore, vorrei chiedervi 500 cose tipo se voi credete nelle "bugie bianche", vi sentite in colpa se le dite o non ve ne frega un cazzo, lo fate spesso o mai, ma evitiamo perchè so che già vi trituro fin troppo i maroni e forse è per questo che mi cagano sempre le solite 5 (fantastiche) povere ragazze e gli altri si sono smaterializzati ahahaha.
Fatemi sapere se ho fatto centro
LOTS OF LOVE

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Capitolo 49
*** Capitolo 49. ***


Capitolo 49.

 We’re like fire and rain
You can drive me insane
But I can’t stay mad at you for anything

 Kimberly tornò a casa stravolta, confusa e amareggiata. Si sentiva piena di risentimento nei confronti di Jared, l'uomo che le aveva garantito sincerità assicurata e che invece le aveva mentito guardandola dritta negli occhi.
Non riusciva a crederci, era come risvegliarsi da un sogno lungo e confuso. Non riusciva a distinguire la finzione dalla realtà.
E il bello era che fosse lei quella passata per la scema di turno che si spacciava tanto per una chiara lettrice di anime, quando invece non era per niente riuscita a cogliere il sentore di menzogna che aleggiava intorno a quella lontana discussione, riguardo la donna dai capelli rossi.
Era troppo, non sapeva se fosse riuscita ad affrontare un torto simile.

 
Il giorno dopo e i giorni seguenti fece di tutto per evitare il professore di musica, pur di non incrociarlo o rimanere “casualmente” da sola con lui nella stessa stanza, si sarebbe fatta venire il vomito.
Dal canto suo, Jared tentava invano di avere la sua attenzione, di lanciarle frecciatine o di cominciare un qualsiasi discorso purché lei gli rivolgesse un briciolo di attenzione.
Aveva sbagliato, ne era conscio, quanto ancora gliel'avrebbe fatta pesare?
Stava passeggiando per i corridoi durante una sua ora buca, domandandosi come poter fare per far sì che Kim gli desse anche solo un'occasione per spiegarsi.
Sembrava lo stesse evitando come la peste e lui poteva giurare su quanto gli fosse più caro al mondo che non sopportava essere ignorato.
Piuttosto poteva prenderlo e sbraitare, urlare, picchiarlo, scalciarlo, ma non il silenzio, l'indifferenza era l'arma più affilata da utilizzare durante un litigio.
Finché si trattava di dimostrargli tutto il suo odio e rancore, avrebbe anche sopportato sicché voleva dire che ci fosse rimasta male ma per lo meno significava che lui aveva una sua rilevanza per lei.
Il fatto che lo evitasse lo faceva sentire importante quanto la sabbia nel costume dopo che esci dal mare, lo faceva sentire miserabile e inutile, non degno di attenzione.
Voleva dire che non le importava veramente nulla di lui, sebbene in cuor suo non poteva esserne tanto certo.
Kimberly era sì una ragazza fredda e distaccata, ma quando amava, amava con tutto il cuore, senza rimpianti e senza insicurezze.
Un amore che poteva riempirlo completamente e farlo sentire sazio delle sue attenzioni; o svuotarlo totalmente fino a sciuparlo e renderlo paragonabile ad una medusa lasciata ad essiccare sulla spiaggia.
Era un amore che non poteva lasciarti indifferente, non era mite, non era grigio. Era travolgente, carico, pieno e lui ne sentiva terribilmente la mancanza, sentiva di averla persa irrimediabilmente per uno stupido sbaglio... ma cosa poteva fare?
Quando gli aveva rivolto quella domanda era stato più forte di lui negare l'evidenza, mentire, rinnegare quella donna che al solo pensiero gli apriva un varco nello sterno.
Quella era l'incarnazione della sofferenza, lei era tutto quello che si avvicinava alla felicità per Jared, ma che, una volta sparita, si era portata via tutto.
Non voleva nemmeno pensarci, non voleva più sprecare del tempo a sentirsi così tradito e rifiutato, non all'altezza.
Avrebbe preferito sbattere la testa mille volte contro al muro, piuttosto.
I suoi pensieri svanirono, nel momento in cui lo spazio in cui il suo sguardo vacuo puntava senza un briciolo di vita, si riempì di una figura che camminava rapidamente nella direzione opposta. Quella era la camminata che avrebbe riconosciuto tra mille, era fiera, elegante, precisa e gli fece acquistare immediata speranza, tanto che lasciò perdere i suoi effetti e le corse dietro.
Si dirigeva in bagno, quindi l'aspettò fuori e una volta uscita la colse di sorpresa, prendendola per un polso e trascinandola verso l'aula d'informatica, al momento vuota.
-Jared, ma che cacchio stai facendo?- gli chiese Kimberly colta alla sprovvista e spaventata a morte da quella comparsa improvvisa.
-Dammi un momento, Kim, ti scongiuro. Permettimi di spiegarti.- disse lui, posizionandosi davanti alla porta, in modo che lei non uscisse dalla stanza.
-Ho lezione, non puoi rapirmi così ogni volta che abbiamo una discussione!- sbuffò la ragazza, incrociando le braccia al petto.
-Quale discussione? Tu non mi permetti di starti a meno di 50 metri!- ribatté lui agitando le mani, senza abbandonare la sua postazione.
-Sia mai che te ne approfitti per pugnalarmi alle spalle!- il risentimento nei confronti del professore era palpabile, al momento.
-Kimberly, come ti devo dire che mi dispiace?- disse l'uomo facendo un passo verso di lei, con tono esasperato.
-In tutte le lingue che vuoi, Jared, io ormai non ti credo più.- sentenziò senza muovere un muscolo. Per quanto ce l'avesse con lui, non poteva negare che le mancasse moltissimo.
Leto sospirò portando le braccia lungo i fianchi, già stanco. -Ok Kim, puoi dirmi tutto quello che vuoi, insultarmi come meglio credi, non mi interessa, io ho sbagliato e sono pronto a pagare, ma ti prego non ignorarmi così...-
Non tanto per lui, quanto per il fatto che l'esperienza gli aveva insegnato che quando una ragazza ti ignora, può solamente voler dire che è davvero ferita, è stanca e non sente neanche più la voglia per combattere. E la Kimberly che era abituato a conoscere ce l'aveva eccome la voglia di combattere per loro, ne
aveva riserve intere e lei da sola sarebbe stata pronta a ribaltare il mondo.
-Non voglio darti la soddisfazione.- asserì più per orgoglio che per altro. -Non te la meriti.- e dato che lui si era spostato abbastanza dalla porta d'accesso, fece uno scatto come per sorpassarlo e andarsene, ma lui fu più veloce e la trattenne per le spalle.
-Ho sbagliato, ok? Lo so, sono pronto ad ammetterlo pur di avere un'altra occasione, ma lascia che ti spieghi!- la implorò guardandola negli occhi.
-No, non mi interessa più niente.- rispose con una freddezza che non le apparteneva. Dentro intanto le piangeva il cuore, ma non voleva dimostrarglielo.
-Ti ho già chiesto scusa...- sospirò l'uomo affranto, allentando la presa perché lei potesse andarsene.
Infatti si scostò. -Sì, ma non basta.- chiosò, uscendo dalla porta alle sue spalle, lasciandolo solo.
Una volta tornata in classe mancava davvero poco all'inizio dell'intervallo e, quando suonò la campanella, si precipitò da Gwen per parlarle anche di queste ultime news, essendo l'unica ad esserne al corrente.
Un aspetto che faceva imbestialire Kim, era che Gwen si presentava troppo neutrale per essere sua amica, sembrava stesse dalla parte dell'uomo e non da quella
della ragazza.
-Se ti senti così, evidentemente nei suoi confronti non provi più le stesse cose...- le disse seduta al suo posto con le gambe accavallate mentre si limava le unghie.
A forza di fare la ricostruzione col gel erano diventate debolissime, e le si sfogliavano come la buccia della cipolla.
Kimberly invece era seduta sul banco dell'amica, sclerando mentre muoveva nervosamente le gambe avanti e indietro.
-Non è questo il punto, Gwen!- esclamò improvvisamente, spazientita dai continui raggiri della bionda.
-E allora quale sarebbe?- chiese di rimando lei, spostando uno sguardo scettico dalle sue mani per portarlo al volto infuriato di Kim.
-Il punto è che... mi ha mentito! Come farò a fidarmi di lui se gli do un'altra chance?-
-Se posso permettermi Kim, neanche tu sei stata pienamente sincera con lui...- le fece notare senza distogliere l'attenzione dalla sua operazione.
Kimberly sbuffò buttando il capo all'indietro. -Mi spieghi che cosa c'entra? Lui non me l'ha mai chiesto e comunque non sto facendo niente di male sentendo Christopher!-
-Ok, allora perchè non gliel'hai detto?- domandò seguendo un filo logico tutto suo, ma che sicuramente avrebbe portato da qualche parte nella sua testa.
-Perchè è irrilevante!- ripeté Kim, ricordandosi come aveva fatto effetto su Chris. Magari anche con Gwen sarebbe servito a farla stare zitta una volta tanto.
Ma l'occhiata fugace che le rivolse le fece intendere che no, non l'aveva convinta. E non aveva tutti i torti in effetti...
-Appunto, se è così “irrilevante”, perchè non gliel'hai detto?- per Kim tutto ciò era incredibile. Si era confidata con Gwen pensando di riuscire a trovare un'alleata traboccante di conforto, e invece sembrava lei quella messa al patibolo!
-Gwen, puoi fingere solo per un secondo di stare dalla mia parte?-
-Non se questo ti servirà solo ad aiutarti a darti la zappa sui piedi da sola. Fidati, ho una conclusione.- chiosò con una sicurezza disarmante, che riuscì ad intimidire addirittura Kimberly.
-Sarebbe?- le rivolse uno sguardo accigliato.
-Sinceramente, perchè non l'hai detto a Jared?- ripeté, stavolta guardandola negli occhi.
Kim ansimò buttando la testa tra le mani, vittima di quel rompicapo senza uscita ideato dalla sua improvvisata psicanalista. -Ti ho già risposto.-
-No, quella è la risposta tappabuchi che ti ripeti nella tua stessa testa per aiutarti a diminuire il senso di colpa. Tu usi quella risposta come arma di difesa, perché sai che se ti sottoponessi ad un minimo di autocoscienza anche tu ti renderesti di quanto sei ipocrita a prendertela così tanto con lui.- sentenziò Gwen calma ma allo stesso tempo agitandole davanti alla faccia il suo lima unghie.
Effettivamente Kimberly si sentì colpita nel profondo.
Non era riuscita ad ammettere neppure a se stessa che comunque stava sbagliando. Chris l'aveva trattata come uno zerbino e lei sembrava sempre pronta a distendersi davanti a lui non appena desiderasse pulirsi le scarpe.
E nonostante ciò a lui le possibilità non erano mai mancate, neanche quando la fiducia in lui sarebbe stata più producente se utilizzata come soprammobile.
-Ora pensaci bene, e rispondi.- terminò la biondina.
Kim non dovette rifletterci per molto, dato che la verità venne allo scoperto automaticamente, duolendo la ragazza nell'orgoglio.
-Perché temo che..- prima di terminare la frase serrò gli occhi, sentendosi una completa idiota; e ad aggravare la situazione, sembrava che Gwen ci fosse arrivata molto prima di lei. -...non capirebbe.-
E il gesto che fece l'amica per sottolineare ciò che aveva detto, le fece capire che sì, per tutto il tempo era stata un passo avanti e sapeva esattamente dove andare a parare.
-Quindi, ricapitolando, secondo te perché non ti ha voluto dire la verità?-
-Perché temeva che non l'avrei capito.- affermò guardando un punto nel vuoto, dandosi subito dopo un colpo di palmo sulla fronte. Aveva sbagliato tutto.
Lo sguardo compiaciuto di Gwen la fece sentire una vera schifezza. -Sei davvero brava, sai?- ammise portando gli occhi ai suoi piedi dondolanti.
-Lo so, tesoro.- ammiccò. -Ora levati dal mio banco che mi interroga in letteratura e non mi hai dato il tempo di ripassare!-
Sorridendo Kim si alzò e tornò al suo posto, giusto in tempo per sentire la campanella annunciante la fine della ricreazione, squillare.
Per le ore successive Kimberly non riusciva a stare ferma, ed avrebbe dato di tutto pur di correre da Jared e scusarsi per averlo trattato male e capito solo adesso: lui desiderava solo condividerla con qualcuno che se lo meritasse davvero la sua scorta di demoni e lei non si era mostrata all'altezza, era fuggita a gambe levate, dimostrandosi invece per la codarda che era, esattamente quello che Jared voleva evitare mentendole.. Perché in tutta sincerità la storia che quella donna nascondeva le metteva paura, doveva essere una storia profonda ed importante, le avrebbe svelato un Jared diverso, più giovane, più spensierato, innamorato perdutamente di una con cui non avrebbe potuto competere, per quanto tentasse di sforzarsi.
Quando scuola finì cercò Jared ovunque, con scarsi risultati. Avrebbe voluto passare da lui quel pomeriggio, ma avrebbe avuto la sua prima guida e non poteva mancare.
Il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno, finalmente sarebbe diventata maggiorenne e la sua relazione col professore sarebbe diventata legale, non dovevano più nascondersi almeno fuori da scuola. Nella sua immaginazione Kim aveva sempre immaginato di trascorrere questo giorno accanto a Jared, come una specie di count down, in attesa di celebrare ufficialmente la loro storia.
Tentò anche di chiamarlo, ma rispondeva sempre la segreteria telefonica e si sentì persa all'idea di esserselo giocato irrimediabilemente per colpa del suo stupido orgoglio. 

*

 -Pronto?- dopo l'ennesimo tentativo, finalmente la voce del professore la rianimò.
-Jared! È tutto il giorno che ti cerco!- cominciò lei, non riuscendo a trattenere la gioia.
-Stavo lavorando..- la interruppe lui, con uno sbadiglio. -Mi dispiace.-
-No, dispiace a me. Ho bisogno di vederti.-
Lo sentì sorridere. -Cambi idea con una velocità impressionante.- scherzò. -Ora Kim sono troppo stanco, ma domani mattina presto vieni a scuola, è sempre deserta fino all'inizio delle lezioni.-
-Ok.- rispose più felice che mai. -Ma Jared.. che lavoro stavi facendo alle 11 di sera?- chiese poi, confusa. Ok che i compiti richiedevano tempo per essere corretti,
ma che lui si riducesse fino a quell'ora assurda le sembrava eccessivo.
-Stavo.. intrattenendo nel bar di Tomo. Sai, ogni tanto mi ingaggia per portare un po' più di clientela.-
Su due piedi non riuscì a trattenere la propria immaginazione e si vide chiaramente il professore ballare sul bancone del locale dell’amico, con tanto di palo da strip tease. La clientela sarebbe stata super affollata da figure femminili o al più, omosessuali.
Scosse il capo strabuzzando gli occhi. Aveva assolutamente bisogno di dormire, perché lui era un cantautore, un musicista ed era ovvio che fosse quello l’oggetto dell’intrattenimento, ma i suoi ormoni l’avevano anche questa volta soggiogata.
-Un giorno voglio sentirti.- affermò lei, sentendosi improvvisamente in pace con tutto il mondo, camuffando il tono imbarazzato.
-Senz'altro. Ora vado a dormire, se no domani faccio tardi.- la sua voce, anche da stanco, era così bella e rilassante che Kim l'avrebbe ascoltato per tutta la notte. -Buonanotte, ragazzina e... tanti auguri.- sospirò. -Non posso essere più felice di farteli.-
Non capendo lei guardò il telefono e si rese conto che ormai era mezzanotte spaccata.

 
We’re like Venus and Mars
We’re like different stars
But you’re the harmony to every song I sing

And I wouldn’t change a thing.

Note finali: bene bene bene tutto è bene quel che finisce bene :)
Non c'è molto da dire, non è niente di strepitoso purtroppo ma è un capitolo ok, e poi è a lieto fine quindi THUMBS UP.

Per vostra fortuna non mi dilungo più del dovuto :)
La canzone non ricordo neanche come faccia ad averla in playlist, in ogni caso è di Camp Rock 2 (amata adolescenza, quante ore avrò speso su disney channel? ahaha)
In ogni caso trovo che ci stia molto bene con gli argomenti quindi eccovela.
Wouldn't change a thing

Siamo come pioggia e fuoco
 riesci a farmi impazzire (ci starebbe meglio mi tiri deficiente, ma il contegno deve stare alla base)
ma non riesco a rimanere arrabbiata con te per niente

siamo come Venere e Marte (YEAH)
siamo come stelle diverse
ma tu sei l'armonia di ogni canzone che canto
E non cambierei nulla.

Buono, detto ciò spero vi sia piaciuto, vi abbia intrattenute amabilmente e spero che mi lasciate qualche impressione personale.
XOXOXOXOX

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Capitolo 50
*** Capitolo 50. ***


Capitolo 50.

 Waking up I see everything is okay
the first time in my life and now it's so great
Slowing down and look around and I am so amazed
I think about the little things that make life great.

 La notte la passò tranquillamente, assopita in quel sonno tipico dell'inverno.
La sera non aveva mai voglia di dormire nonostante il sonno che le pesava sulle palpebre, ma una volta addormentata, la mattina svegliarsi sembrava un trauma perchè l'accoglienza di cui era capace il piumone pareva irripetibile.
Quella mattina però, era speciale. Lei aveva sempre adorato il giorno del suo compleanno, c'era chi non lo sopportava per motivi del tutto ignari tipo “non adorano essere al centro dell'attenzione” o come sua madre “significa che sta invecchiando”, ma per lei era un giorno davvero unico, paragonabile ad un evento raro, sebbene si ripetesse ogni anno.
Era il suo giorno, e quell'anno era ancora più bello dato che finalmente aveva raggiunto la maggiore età.
Per gli adolescenti normali significava avere più possibilità, più libertà, più responsabilità, per altri solo essere perseguibili legalmente, ma per Kim significava anche essere libera di amare l'uomo dei suoi sogni senza ripensamenti.
La differenza restava, ok, ma per Jared magari non sarebbe più stata un'esperienza pericolosa passare il suo tempo con lei.
Si svegliò tirandosi su a sedere di scatto, senza alcuna difficoltà, come se si fosse appena sdraiata e stesse andando a rispondere al telefono.
Con un sorriso, prese il cellulare e si diresse in bagno, dove si diede una rinfrescata veloce. Mentre dormiva le erano arrivati una marea di messaggi, molti di persone che le ricordavano di quanto era stato difficile per loro reggere fino alla mezza; altri che gridavano al miracolo per esserselo ricordati; altri che le ricordavano che ora poteva essere arrestata e altri che non si sprecavano molto e le scrissero un semplice augurio.
Anche per questo le piaceva il suo compleanno: si rendeva conto dell'effettiva quantità di persone che la pensavano.
Ciò non significava necessariamente che ci tenessero a lei, ma il fatto che se lo fossero ricordato significava già molto per lei.
Sempre sorridendo, uscì dal bagno e tornò in camera, dove trovò una sorpresa sul letto: era una scatola rossa rettangolare e un biglietto accanto.
Lo lesse velocemente, sentendo le lacrime salirle. Era da parte di sua madre, la quale aveva spremuto tutta se stessa in una lettera che scrivi una sola volta nella vita, proprio in occasione di una figlia che diventa maggiorenne. Per i genitori doveva essere un evento importante quanto lo era per i figli. Sapere di avere un elemento in meno a cui appellarsi per far valere la propria autorità probabilmente li faceva rendere conto dell’inevitabile crescere dei propri figli e di conseguenza sempre meno dispensabili. Una realtà davvero dura da accettare per loro.
Trasudava amore, imbarazzo ma allo stesso tempo orgoglio per la ragazza che era riuscita a crescere.
La scatola conteneva una catenina con brillantino che si mise subito al collo.
Ora era impaziente di andare a scuola.
Si preparò velocemente e prima di uscire di casa salutò con molto affetto entrambi i genitori, i quali si sciolsero in abbracci e auguri a volontà.
Sinceramente non erano tanto i regali quello che aspettava di più durante il suo giorno speciale, bensì i messaggi che le scrivevano le persone davvero importanti.
Come quello che le inviò James mentre stava camminando verso scuola. Le parole erano ciò che più la colpivano, il modo in cui le persone riuscivano ad asprimere le loro sensazioni semplicemente parlandone, l'affascinavano.
Ed erano capace di commuoverla; i biglietti e i messaggi erano decisamente la parte migliore di tutto il compleanno.
Lo ringraziò velocemente e finalmente entrò nell'edificio ancora sgombro. Solamente la bidella incaricata di aprire era presente, tutti gli altri sembravano ancora essere addormentati, decisi a rimandare la voglia di andare a scuola.
Non appena entrò in classe, vi trovò Jared accucciato, intento a smanettare col suo banco.
-Buongiorno.- lo salutò, facendolo sobbalzare.
-Kim!- si alzò rapidamente, venendole incontro. -Tantissimi auguri, ancora.- sorrise, di un sorriso che riusciva ad esprimere tutta la sua gioia e affetto.
-Grazie.- rispose timida, mentre lui le prendeva entrambe le mani intrecciandole con le sue.
Ecco cosa le era mancato durante quel periodo di pausa: le sue mani, così ampie e calde, erano capace di catturare pienamente la sua attenzione per ore intere.
Come in quel momento, la visione delle loro mani congiunte la mandò in uno stato di adorazione, manco fosse la prima volta.
Quando si rese conto che lui si stava avvicinando per baciarla, si scansò leggermente, indietreggiando. -Allora..- cominciò, intenta ad iniziare un discorso.
-Allora..- continuò lui confuso.
-C'è niente che devi dirmi?-
-Oltre gli auguri? No, direi di no.- fece il professore, guardandosi intorno.
-Jared! Ok che ieri ti ho chiamato, ma ciò non significa che sia totalmente idiota e abbia dimenticato!-
l'uomo sbuffò spazientito, portandosi le mani sui fianchi e leccandosi rapidamente le labbra.
-Ti ho già chiesto scusa mille volte, Kim, pensavo avessimo chiuso questa storia.-
-Sì, io sono disposta a passarci sopra, ma voglio anche sapere a cosa devo tutto questo mistero.-
-Non credo sia necessario...- disse lui, facendo come per uscire dalla stanza. -Congratulazioni, hai rovinato anche questo giorno.-
-No, sei tu che me lo stai rovinando! Perchè non possiamo finalmente chiarire?- domandò, andandogli dietro.
-Perchè non c'è niente da dire!- il tono di voce era rotto, ma di qualche nota più alta. Stava quasi urlando, rischiando così di attirare l'attenzione di sconosciuti magari.
Perchè faceva così? Kimberly voleva ascoltarlo, voleva che si fidasse di lei e invece? Non faceva altro che voltarle le spalle quando lei gli mostrava tutta la sua comprensione.
-Jared, io voglio solo che tu ti fidi di me. Vorrei che tu ti sfogassi e ti confidassi, non posso sempre essere io quella problematica.- se c'era un aspetto di lui che non sopportava, era proprio il fatto che lui fosse sempre quello calmo dei due, quello stoico, quello che nonostante fosse lampante quando si trovava in situazioni difficili, non perdeva mai il controllo, facendo così sentire la ragazza la donzella bisognosa.
Perchè non si apriva?
-Io non... non me la sento Kim. Mi dispiace.- disse con voce sommessa, uscendo dall'aula.
Wow, 7 minuti erano bastati per farlo scappare a gambe levate, un nuovo record.
Ma Jared era così, faceva parte della cerchia di persone che anche quando vorrebbero spezzarsi, possono solo piegarsi.

 
Poco dopo l'aula cominciò a riempirsi e per quanto Kim fosse afflitta, cercò di non darlo a vedere e di ringraziare i compagni per tutte le attenzioni che le dedicavano.
-Ehy Kim, chi te l'ha portata questa?- chiese Juls dalle sue spalle, indicando una rosa sul banco.
Lei diede un'occhiata e il cuore le si sciolse in un brodo di giuggiole.
Bastò questo per farla sentire in colpa. Come al solito era stata troppo brusca.
-Io.. non lo so.- rispose incantata a fissare il fiore. Le rose erano i suoi fiori preferiti, volevano sempre dire qualcosa di bello.
Quando la campanella di inizio lezione richiamò l'attenzione dei ragazzi e gli impose di sedersi ai propri posti, Kimberly portò automaticamente, senza pensarci le mani verso il sotto banco come per prendere dei libri, dove invece vi trovò un foglio di carta spessa.
Corrugando la fronte lo estrasse, e rimase a bocca aperta.
Era un disegno a matita che ritraeva lei in un primo piano. Era un ritratto bellissimo, tanto accurato da sembrare una fotografia, e ingenuamente la ragazza si domandò quando poteva averglielo fatto senza che lei se ne rendesse conto.
Probabilmente lui l'aveva anche abbellita, in quanto fosse certa di non essere così graziosa. Era incantevole in quel ritratto, e i suoi occhi scuri erano talmente perfetti che sembrava parlassero a chi li guardava.
In basso a destra splendeva la firma di Jared, in uno scarabocchio degno di un artista.
Si ricordò improvvisamente quando, quella volta che lui l'aveva tenuta in ostaggio a casa sua per malattia, era stata lei a chiedergli di ritrarla, un giorno. (vedi cap. 19)
Era uno dei regali più belli che avesse potuto desiderare.
Per tutto il resto delle lezioni pensò a come convincerlo, non tanto ad aprirsi con lei, ma per lo meno a fare la pace dato che quel giorno poteva essere reso ancora più speciale solamente dalla presenza pacifica del professore.
Doveva semplicemente cercare di non aggredirlo e andarci cauta, come quando gli aveva posto la domanda che era l'origine di tutto questo macello. Sperò di ottenere un risultato differente, questa volta.
All'intervallo lo cercò ovunque, trovandolo finalmente nell'aula lingue infondo al corridoio a sinistra. Si rifugiava sempre là quando c'ercava di evitarla, molto ingenuamente tra l'altro, dato che ormai lei lo aveva imparato.
-Professore?- lo chiamò, una volta che fu dentro.
Lui si voltò lentamente, senza espressioni in volto, sembrava solo molto stanco.
-Grazie per il disegno. È meraviglioso, è la cosa più bella che tu potessi fare per me.- disse timida. -So di averti aggredito prima, non volevo, è che la mia sete di sapere ogni tanto è paragonabile ad un fiume in piena e beh, sai com'è. Devasta tutto quello che ha intorno, fregandosene del resto.
Però sono pronta a redimermi e sono qui per ascoltarti qualora ne avessi bisogno. Sappi che sono disposta ad offrirti tutta me stessa.-
Jared la fissava senza muovere un muscolo, il volto sofferente e provato. Stava forse per esplodere?
Visto che sembrava deciso a continuare nel suo silenzio, Kim fece dietrofront. ---…mentre tu a quanto pare.. niente.-
Proprio mentre aprì la porta, si sentì chiamare.
-Kimberly, ti prego. Non andartene.- la voce era rotta, e lui le era addosso improvvisamente, senza che lei se ne fosse accorta.
La abbracciava e la teneva stretta, come se temesse che potesse smaterializzarsi da un momento all’altro.
Mentre infilava con foga e disperazione il volto tra i suoi capelli lo sentì sussurrare vagamente
-Scusami.- ripetuto all'infinito.
La ragazza spaventata gli prese il volto tra le mani e si rese conto degli occhi lucidi. Doveva aver toccato dei tasti davvero dolenti.
-Jared, cosa succede?- chiese allarmata, stringendolo a sé.
-Non lasciarmi, Kim. Per favore, non lasciarmi.- il tono era una chiara richiesta di aiuto.
L'aveva spezzato, ed ora il suo cuore pulsante era nelle mani di Kim.
Quest'idea la fece sentire malissimo, ma improvvisamente si rese conto che non era il momento di mostrarsi deboli; Jared aveva finalmente bisogno di lei, era pronto a lasciarsi andare e lei l’avrebbe afferrato prontamente.
-Non vado da nessuna parte, non ci penso neanche.- gli rispose, con un sorriso.
Era esattamente come temeva, vedere l'uomo che significava la sua felicità in quello stato, era esattamente come l'aveva immaginato.
Ora pendeva inerme dalle sue labbra, poteva orchestrarselo come meglio preferiva e non esisteva situazione più disarmante.
Ma non lo fece e anzi, lo accompagnò su un banco e lo tenne stretto a sé finché lui non decise di prendere la parola.
-La ragazza del tabellone di chiama Anya, e l'ho conosciuta a New York 10 anni fa, ormai.
Lei faceva la modella da poco, era giunta nella Grande Mela, come me, nel tentativo di sfondare nella carriera che più amava.
Ci siamo incontrati per puro caso, inciampando per strada, un caffè riparatore e poi, bam 5 anni a convivere con la stessa ragazza. Non mi era mai successo di
provare niente di simile per nessuna, ma non mi interessava perchè non ero stato ancora ferito e non riuscivo neppure ad immaginare di passare del tempo insieme ad una ragazza che non fosse lei.
È stato uno dei periodi più belli della mia vita.- raccontò, con gli occhi persi nel vuoto.
La voce era calma, pacifica, come se ricordare non potesse più fargli male.
-Dopo un paio di anni dal nostro incontro, lei cominciò ad avere successo ed io incontrai un manager di successo pronto a lanciarmi nel mondo della musica.
Mi aveva scoperto mentre mi esibivo in un pub, e mi ingaggiò, proponendomi a delle case discografiche di un certo livello.
Io e questo manager diventammo amici, eravamo coetanei più o meno, e passavamo molto tempo a stretto contatto per ovvi motivi.
Gli feci conoscere anche Anya, e, quando finalmente anche la mia di carriera sembrava essere in procinto di svilupparsi, presi una decisione molto importante.-
Kimberly era tutta concentrata in quel racconto, non riusciva a distogliere gli occhi da quelli di Jared, il quale improvvisamente si fermò per lanciarle una
rapida occhiata, ma intensa.
Immaginò a cosa potesse riferirsi con “decisione importante”, ma impedì al suo stomaco di produrre quell’acidità tipica data dalla gelosia.
-Le feci la proposta una sera di inizio estate.
Tutto era così perfetto che a momenti mi venne il dubbio di essere in uno squallido film. La portai fuori a cena, avevamo riservato una saletta per restare da soli, e... lei rispose di sì.
Voleva sposarmi, diceva di amarmi quanto la amavo io.
Il tempo passò e, sebbene i nostri rispettivi lavori richiedessero molto tempo e concentrazione, riuscivamo lo stesso a trovare lo spazio per impegnarci nei preparativi della cerimonia e per partecipare ai corsi di preparazione. Non ne mancammo nemmeno una, ad essere sinceri.-
Tutto il racconto pareva essere destinato ad un lieto fine, allora perchè ora Jared appariva così devastato a ripensarci?
-Cosa è andato storto, allora?- chiese Kim, quasi convinta che il mistero fosse che in realtà il suo professore fosse tutt’ora sposato.
Una situazione alla Jare Eyre sarebbe stata la ciliegina sulla torta di quella relazione impossibile.
-Chiesi al manager di cui ti ho parlato prima di essere il mio testimone, era la persona che sentivo più vicina in quel momento.
Ma.. ad un mese dal matrimonio, tornando prima dal lavoro trovai lui e Anya insieme.. a letto.- concluse, deglutendo a fatica.
Kimberly spalancò gli occhi, pietrificata. Non era sicura di voler sentire il resto, perchè sarebbe sicuramente stato solamente pura sofferenza per l’uomo.
-Mi... mi dissero che quella storia andava avanti da un pò. E... so che potrei sembrarti uno smidollato, ma ero addirittura disposto a passarci sopra, a perdonare e dimenticare.
Ero innamorato Kim, e quando lo sei a quei livelli la lucidità non è esattamente la qualità che più ti caratterizza. Io l'amavo ed ero disposto a mandare a rotoli il mio lavoro e la mia carriera, pur di stare con lei il resto della mia vita.-
La ragazza riuscì perfettamente a rispecchiarsi nelle parole del professore. Quando ami, lo fai senza ritegno e senza chiedere nulla in cambio, ami e basta, come una fonte d'acqua inesauribile, devi riversarla su qualcuno o finirà per annullarti completamente.
-Ma Anya era innamorata di lui e non se la sentiva più di sposarmi.
Annullammo tutto, me ne fregai delle spese e di ritirare tutti gli inviti, di chiamare io stesso il catering, la chiesa e il resto. Non mi interessava nulla, volevo solo andarmene da quel posto per non tornarci mai più.- terminò la storia con una smorfia che fece intravedere a Kimberly il puro dolore che doveva avergli provocato.
-Ecco perchè eri così nervoso quando eravamo a New York. Sembravi perennemente inseguito da qualcosa.- commentò lei, parlando più a se stessa.
Lo intravide annuire.
-Ormai sono più di 4 anni che non vedo né lui né lei, ma per quanto ne so si sono lasciati pochi mesi dopo che io mi sono trasferito.
Da allora non ho fatto altro che girare e girare senza una meta, ormai convinto che non ci fosse più pace per me, ero stato troppo ambizioso e avevo perso tutto, per questo dovevo pagare.
Poi mi sono trasferito in questa piccola città, dove, caso volle che ritrovai Tomo.
Questo dettaglio mi fece capire che mi ero incanalato nella direzione giusta. C’era ancora speranza per me.-
-Mi dispiace così tanto, Jared. Capisco come devi esserti sentito, e mi sento in colpa per averti messo così tanta pressione.- mormorò Kim con la voce tremante.
Non sopportava quello che gli avevano fatto passare, lui non si meritava neanche un grammo di tutta quella sofferenza.
-In colpa per cosa, Kim? Venendo qui ho incontrato te.- le rispose con una luce diversa negli occhi e la genuinità che le trasmetteva, la portò automaticamente a credergli senza riserve. -E' grazie a te se il mondo ha ricominciato a girare; è grazie a te se ho ritrovato la pace; è grazie a te e alla tua voglia di vivere che ho
finalmente capito che il mio destino sei tu.- la tonalità con cui pronunciava quelle parole era disumana per Kim, era quasi certa che fosse un angelo a pronunciarle e non l'uomo davanti a lei.
Aveva finalmente svelato la sua vera natura. -Probabilmente penserai che sia abbastanza squallido dato che io sono così vecchio e tu ancora così fiorente, ma mai come ora ho sentito di essere effettivamente dove dovrei essere.- mormorò in fine, rendendo le gambe dell'allieva molli come pongo.
Stava letteralmente svenendogli addosso, ma furono i suoi occhi a tenerla attaccata a terra. Era sincero, erano le parole più sincere che avesse mai udito in tutta la sua vita e bastò questo per farle ingoiare il cuore.
Nonostante gli sforzi però, non trovò la forza di rispondere, annaspando tra le lacrime date solo dall’immensa gioia di quel momento perfetto.
 

This moment is perfect
please, don't go away
I need you now
And I'll hold onto it,

don't you let it pass you by.

Note finali: WHOOOOOOOOOOOOO OOOOOOOOOOOOOOOOOH cazzissimo ragazze, dopo 50 capitoli Kimberly è diventata maggiorenne ahahahahahhaha
e voi siete ancora qui che nonostante tutto mi sopportate e supportate? Ohi, mi vida!
Allora abbiamo risolto un paio di misteri?? Siete soddisfatte di questo flashback doloroso del professore? Che ne pensate? 
Tra l'altro volevo farvi notare una cosa fichissima che ho pensato mentre correggevo vari strafalcioni.... se andate indietro al capitolo 21 quando i due erano in semi lite (cioè più che altro lui si sentiva in colpa perchè l'aveva baciata) salta fuori che lei gli dice di compiere gli anni a marzo... IL 26! E oggi che giorno è?

IL VENTISEI! Cioè ditemi se non è il destino questo! in questo momento è giusto che noi siamo qui e stiamo facendo questa cosa ahahaha. Non prendetemi per pazza (in questo piccolo esempio ovviamente sto esagerando) è una cosa a cui credo davvero, l'ho notato anche ieri (stavo studiando psicologia sociale, una materia interessantissima perchè mi fa rendere conto di quanto siamo sfigati  e prevedibili noi esseri umani) quando il topic era il LOCUS OF CONTROL ossia quella variabile psicologica che ci permette di "misurare" quanto riteniamo di controllare il nostro destino. Ok che poi leggendo era come se fossi un pò di parte (sapendo il risultato, il pensiero non è più così genuino e si sa) però io credo che il destino sia parte fondamentale di quello che succede.  SPesso mi viene da pensare "non sarà destino" o "pensa te dove mi ha portata il destino" (e qualche capitolo fa è stato abbastanza palese se ricordate XD) 
Certo poi riconosco che possiamo pilotare gli eventi, siamo dotati della libertà di scelta e possiamo sempre cambiare la situazione in cui ci troviamo qualora non ci vada bene. 
Però credo che tutto succeda per un motivo.
e voi credete di avere il controllo sulla vostra vita o imputate quello che succede a cause esterne?
(CHIUSA MODALITà FILOSOFIA e chiedo venia per chiunque finora avesse trovato i miei sporadici (ahah) sproloqui spassosi, So essere più divertente di così, credetemi!!)

Inoltre, anche a voi piace il vostro compleanno, o lo trovate un giorno palloso come un altro? 
A me piace da morire se non si fosse capito ahahahaha
Ok, chiudo qui se no non la smetto più. Però almeno adesso sapete che questi sprazzi (piccoli proprio) di curiosità atavica che mi spinge a farvi dodicimila domande ogni volta o di spronarvi a raccontarmi qualcosa di voi è data dalla mia vocazione psicologica XD  non tento di psicoanalizzarvi, tranquille!

Ok, la chanson è Innocence di Avril Lavigne (sta accompagnando una marea di capitoli sta tizia ma trovavo che ci stesse bene una melodia dolce e ottimista)

Svegliandomi vedo che tutto è ok
la prima volta in vita mia ed è grandioso
Rallentando e guardandomi intorno mi stupisco
penso alle piccole cose che rendono la vita bella

Questo momento è perfetto
per favore non andartene
ho bisogno di te adesso
E lo terrò con me (il momento)
non lasciare che ti sorpassi.

Ok, qui mi fermo davvero. Spero vi sia piaciuto e mi lasciate un pensierino ;))
Grazie a tutte!
Cuoricino.

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Capitolo 51
*** Capitolo 51. ***


Capitolo 51.

 I could follow you to the beginning
And just relive the start
And maybe then we’ll remember to slow down
At all of our favourite parts

 -Stasera ti passo a prendere?- le chiese appoggiando la fronte contro la sua.
I loro nasi si sfioravano, e i loro occhi erano talmente vicini che sembrava ne avessero uno solo.
Lei sorrise appena. -Passa verso le 9, che prima ho una cena con mio padre e mia madre.- mormorò.
Lui acconsentì e appena udirono la campanella di fine ricreazione interromperli, sbuffarono all'unisono e si separarono, per poi tornare ognuno nelle rispettive aule.
Il resto delle lezioni passò incredibilmente veloce, e la tasca destra dei pantaloni di Kim non smise per un istante di vibrare.
Erano vibrazioni brevi, rapide, che portavano messaggi d'auguri.
Quando gli insegnanti non se ne accorgevano e tra un cambio di ora e l'altro, li controllava per verificare da chi fossero mandati.
Si stupì della miriade di persone che conosceva. Alcune non le vedeva da anni, altre le incrociava per strada ogni tanto, ma si erano ricordati del suo giorno speciale.
Una in particolare glieli faceva tutti gli anni perchè il giorno dopo sarebbe stato il suo, quindi per lei era difficile sbagliare.
Quando finalmente la mattinata terminò ed era ora di tornare a casa, Kimberly si precipitò giù per la tromba delle scale, conscia di chi avrebbe trovato una volta attraversata la porta.
E infatti, eccolo lì.
Alto qualche spanna in più di lei, con gli occhi neri quanto i suoi, i capelli neri e corti che cominciavano a farsi più radi sulla nuca e i lineamenti così simili ai suoi.
Max, suo padre biologico, era in piedi contro un muretto esattamente di fronte a lei che le sorrideva.
L’aveva visto indossare di tutto. Quando era più piccola spesso indossava gli anfibi e l'orecchino; altre volte metteva una giacca di pelle lunga e occhiali da sole sottile stile Matrix; crescendo invece l'aveva visto mettersi abiti più comodi e casual, scarpe da ginnastica o addirittura mocassini, come in quel caso, aspetto che la destabilizzò per un attimo.
Suo padre coi mocassini era il mix più improbabile che si sarebbe mai aspettata, un po' come porchetta e café zero.. non c'entrano un accidente.
Nonostante ciò, vederlo davanti a lei le dava sempre quella sensazione di protezione e sicurezza tipico delle bambine affezionatissime al padre. Suo papà era una specie di eroe dei fumetti, per lei.
Avevano un gran bel rapporto nonostante la distanza, lui le faceva sempre percepire la sua presenza, era come avere un angelo custode senza ali.
Con un sorriso immenso, la ragazza gli si gettò tra le braccia, ricevendo in cambio un super abbraccio tipico solo di lui.
Era sempre stata orgogliosa del suo papà, ed era fiera che fosse solo suo.
Non che lui avesse mai presentato la voglia di accasarsi e costruire una nuova famiglia, grazie al cielo, ma ogni tanto a Kim non sarebbe dispiaciuto vederlo per una volta accanto ad una donna fissa.
Gliene aveva presentate nel corso degli anni, ma nessuna era stata all'altezza, evidentemente.
I suoi genitori erano entrambi morti di cancro, non aveva fratelli, men che meno zii e parenti, quindi Kimberly rappresentava tutto ciò che gli desse motivo di esistere e questo, dava un gran senso di responsabilità alla ragazza.
Andare bene a scuola, non cadere in depressione cronica o non cominciare a drogarsi più che per chiunque altro o per se stessa, lo faceva per lui, perché sapeva
che l'avrebbe ucciso, e deluderlo era l'ultima delle sue intenzioni.
Certo, non era del tutto priva di morale, e anzi la sua ambizione, testardaggine e orgoglio non le avrebbero mai concesso di fallire in un qualunque ambito, comunque ogni volta che si sentiva debole o pensava che non sarebbe riuscita a raggiungere un determinato obbiettivo, le bastava pensare a Max, al fatto che lui credeva ciecamente in lei per darle la forza necessaria.
-Auuuguuurii cucciolotta di papà!- sebbene quel giorno compiesse 18 anni, per lui rimaneva sempre la sua “cucciolotta”. Eh, si parla tanto di madri sdolcinate, ma anche i padri non scherzano quando si tratta delle figlie.
E lei, sebbene ormai fossero passati anni, non si stancava mai di sentirselo dire.
La sua famiglia era piuttosto fredda nei modi, sua mamma aveva smesso di abbracciarla o di chiamarla con nomignoli imbarazzanti da ormai 14 anni, e tutte le attenzioni dei suoi genitori erano sempre rivolte a Gaya, la sorellina minore.
Essere l'unica per almeno una persona, aveva davvero molto significato per lei.
-Come stai?- le chiese poi, allentando la presa.
-Benone pa', tu? Come è andato il viaggio?- domandò di rimando, separadosi da lui e cominciando a passeggiare per le vie del centro.
Lui viaggiava sempre moltissimo per lavoro, e aveva l’immensa fortuna di conoscere e imparare sempre nuove cose.
L'uomo rispose come sempre “solito” e cominciarono a discorrere di tutto quello che si erano persi l'uno dell'altro nel corso di questi mesi che non si erano visti.
Non si vedevano dalle vacanze di Natale, ma ormai Kim era abituata a non vederlo per così tanto tempo.
Gli raccontò delle lodi scolastiche, della scuolaguida, della gita e così via; mentre lui le parlò dell'Europa, del suo acquario che ha dovuto buttare perchè non riusciva più a tenere a causa delle lunghe assenze e della batteria elettrica che si era comprato.
Lui era un bambinone, sotto certi punti di vista: adorava giocare alla playstation, da giovane faceva parte di una band e il suo sogno più grande era proprio quello di suona la batteria come un professionista, mentre invece quando lo chiese ai suoi, loro gli regalarono una chitarra, infrangendo i suoi piani.
Nonostante ciò, mantenne questa insana passione per la musica e infatti, il suo lavoro aveva a che fare con questa. Era un produttore di fama del settore musicale o qualcosa di simile, lui non le parlava mai del suo lavoro se non per chiederle il suo parere su alcune band promettenti.
Ogni tanto le portava dei CD non ancora usciti nel mercato per farglieli ascoltare. Lei rappresentava la gioventù di quella generazione, se fosse piaciuto a lei era possibile che piacessero anche a tutti gli altri.
Quando aveva qualcosa da dire o qualche commento da fare, lui prendeva sempre nota e apportava le determinate modifiche da lei indicate, se ritenute opportune.
E questo fece accendere la lampadina nella mente di Kimberly.
-Pa', quanto ti fermi?- gli domandò dando un morso al suo panino imbottito.
Si erano seduti sul bordo di una fontana in pietra, proprio di fronte a quel negozietto che era più piccolo del bagno di Kim, ma che producevano dei panini davvero eccellenti.
E lo sapevano tutti dato che ogni volta bisognava fare la coda per ordinare.
-Domani sera riparto.- rispose gustandosi il pranzo, lui. -Perchè?- chiese poi, voltandosi a guardarla.
-Perché.. vorrei farti conoscere una persona.- disse lei, sforzandosi di non incrociare i suoi occhi, il che, fece intendere a lui di cosa si trattasse.
Infatti sorrise, furbetto. -Ti sei fatta il fidanzatino, eh?- non era il tipo da essere possessivo o geloso, ma si trattava comunque di sua figlia. E in ogni caso, sarebbe stata la prima volta che gli presentava il ragazzo, e ciò sotto un certo punto di vista, lo entusiasmava parecchio.
-In un certo senso..- rispose lei evasiva, dato che “fidanzatino” le pareva il termine più lontano da quello che Jared effettivamente era.
-Si chiama Jared ed è un musicista. Per questo vorrei che lo conoscessi, ha davvero talento, è bravissimo ed è il suo sogno da sempre.-
-Ne sei sicura?- domandò il padre, lanciandole un'occhiata scettica. Magari era l'amore ad accecarla, e non era seriamente bravura.
-Da quando metti in dubbio il mio intuito?- fece lei ironica, pulendosi dalle briciole che le si erano impigliate nei capelli.
-Da quando questo ragazzo ti piace..- rispose conciso.
-Papà, non sono fusa, lui se lo meriterebbe davvero.- pareva sicura di quello che diceva.
-Allora perchè non c'è ancora riuscito?- se aveva davvero così tanto talento, era strano che non avesse ancora sentito il suo nome.
-Diciamo che non ha avuto fortuna..- giustificò lei, con un'alzata di spalle. -Per questo voglio che tu lo ascoltassi, potresti aiutarlo!-
-Mi garantisci che non sia un idiota? Ha almeno cambiato la voce?- ridacchiò lui, facendo allusioni al periodo di pubertà attraverso cui la figlia e amici erano
passati da poco.
Lei gli rivolse un'occhiata infastidita, che diceva tutto. -Per la cronaca, è più grande di me ed è proprio la sua voce che mi ha colpita!-
-Mh, ok di solito tu ci prendi quando si tratta di doti canore.- ammise il padre, facendole segno di avviarsi verso il parcheggio sotterraneo dove aveva lasciato la macchina.
-Sì pa', fidati. E' un artista.- e gli occhi con cui lo disse lo convinsero al 100%.
Quando entrarono nel parcheggio e lui si accinse a pagare, lei fece un paio di calcoli. -Ma sei venuto fino a qua in macchina?- gli chiese stupita. C'erano almeno 6 ore di distanza tra casa sua e casa di lei.
-No, l'ho noleggiata in aeroporto come al solito.- mentì rapido, pagando e scendendo le scale.
Lei lo seguì, guardandosi intorno.
-Oggi si festeggia il tuo compleanno...- aggiunse, camminando davanti a lei. -Quindi, buon compleannoooo!!- esclamò, indicandole una macchina davanti a lui.
Il cuore le si fermò in gola mentre rimase a bocca aperta. Era piccolina, nera con dettagli rosa e tanti fiocchetti rosa incollati sul vetro e sul cofano.
Kimberly pensò che fosse la cosa più bella che avesse mai visto, probabilmente data dal fatto che era solo sua.
-Stai scherzando?!- domandò correndo verso quella meraviglia e rigirandosela tutta.
-E' una Citroen C1, in Francia è molto conosciuta. Qui si usano più fuori strada, quindi questa sarà pressoché unica nel suo genere. E' di seconda mano, così se la picchi via non ti sentirai troppo in colpa e ho fatto cambiare certi dettagli che erano ormai consumati, come tappetini e tergicristalli.. ma in sé era tenuta
abbastanza bene.- disse, ma lei quasi non lo ascoltava.
Era in estasi, non aveva neanche la patente ma già una macchina.. Bel tentativo da parte sua di farla intestardire sulla patente. Quando le porse le chiavi, si fiondò ad aprirla per controllare gli interni, in classica pelle chiara.
Era davvero bellissima e Kim si sentiva entusiasta. -Domani facciamo un po' di guide, ok?- le propose avvicinandosi.
La ragazza con la stessa espressione da ormai 5 minuti, lo abbracciò di slancio, ringraziandolo ancora e ancora. Rischiava una paresi facciale da tanto sorrideva.
Il resto del pomeriggio ne approfittarono per andare al cinema e passare un po' di tempo insieme a chiaccherare e per cena, lui sarebbe stato a casa sua.
Quando arrivarono Lilian li accolse con un sorriso, e Kimberly vi lesse subito che sapeva perfettamente del suo regalo, ma non aveva mai lasciato trapelare niente. Quella donna quando voleva diventava una tomba.
-Ciao Lilian.- la salutò Max cordialmente, saluto che ricambiò con due baci sulle guance, saluti di diplomazia, alquanto imbarazzati, non degni di due persone che una volta si sono amate al punto da mettere al mondo un bambino.
Strana ogni tanto la vita; ogni volta che li vedeva insieme Kim, si chiedeva sempre che cosa ci avessero trovato l'uno nell'altra, dato che avevano decisamente poco in comune, a prenderli separatamente.
James e Gaya erano andati a trovare dei parenti quella sera, quindi sarebbero stati solo loro tre, il che emozionò profondamente Kimberly.
Era stata un'idea di sua madre, James non era esattamente entusiasta, ma gli effettivi genitori ritenevano che sarebbe stato un gran bel regalo per la figlia.
Effettivamente c'avevano preso. Per quanto si sforzasse, Kim, non riusciva assolutamente a ricordare il periodo in cui i suoi erano insieme, in cui lei aveva avuto una vera famiglia. Era troppo piccola, ma un ricordo di quel genere le avrebbe risparmiato molta pena per parecchio tempo.
Per quanto James le piacesse, quando era più giovane, non riusciva a non desiderare ogni notte che i suoi tornassero insieme, che formassero una famiglia normale, che suo padre tornasse a casa ogni sera e che potesse vedere da cosa fosse venuta fuori.
Spesso si sentiva senza origini, dato che l'amore da cui era nata, non c'era più. Per un bambino non c'è niente di più destabilizzante e difficile da accettare.
Ed ora, loro le stavano facendo il regalo più bello che potesse aver mai desiderato.
Vederli in cucina a parlare normalmente, mentre sua madre preparava i piatti e lui spiluccava con le dita alcuni pomodorini, congratulandosi per l'eccezionale cuoca che era, le pareva talmente surreale ma al contempo talmente fantastico da farla commuovere in silenzio.
Sedersi a tavola solo loro tre a cenare, tra chiacchiere e risate, la fece sentire al settimo cielo e, ne era certa, non li avrebbe mai ringraziati abbastanza per quello
che stavano facendo, sapendo quanto effettivamente costasse loro.
Perché un po' d'imbarazzo si coglieva, le frasi ogni tanto apparivano sconnesse, e gli sguardi parevano impacciati e non si soffermavano per più di tot secondi.
Solo allora Kimberly realizzò che, dopo tutto, era sicuramente meglio così, loro non si appartenevano e probabilmente era proprio la distanza a rendere il rapporto con suo padre tanto speciale.
Però quel momento non l'avrebbe scambiato con nient'altro, nemmeno per tutto l'oro del mondo.
 

All I wanted was you.

Note finali: AAAAALLLLEEEEEEEEEEE'!!!
Come si dice "chi non muore si rivede" e io non faccio che confermare questa regola, fuck yeah.
Lo so lo so lo so che è stata una mega assenza la mia (almeno credo, era ancora marzo quando ho postato l'ultima volta?) e mi dispiace non sono scomparsa perchè ero morta/depressa/stronza, ma ho avuto il mio grandissimo da fare e sono contenta di annunciarvi che una nuova era della mia vita sta cominciando :D
Non vi annoierò con dettagli futili, e passiamo al piccante della questione: il capitolo!
Mi rendo conto che fa abbastanza cagare, immagino le vostre espressioni affamate dopo esservi succhiate in un batter d'occhio queste ben 3 pagine e mezzo di Word e arrivate in fondo avrete alzato un sopracciglio della seria "ma che, davero?" e purtroppo devo rispondere di sì, non lo ricordavo neanche io così corto, è stato un puro caso che io sia mancata proprio prima di un capitolo così deludente!

Ma cerchiamo di rianimarlo noi, no??
Allora, il topic di oggi è: quali sono stati i momenti più belli della vostra vita? Ve li ricordate? Descrivetemeli orsù :)



La canzone è All I wanted dei Paramore, canzone indescrivibile, una di quelle che ti entrano dentro un minuto e ci restano per i 4 mesi seguenti. Ho passato non so quanto tempo a cantare questa canzone! So che è un pò triste, ma se la si ascolta bene secondo me è in tono con i capitolo :)

Potrei seguirti al principio
e rivivere l'inizio
Poi magari ci ricorderemo di rallentare
ad ogni nostra parte preferita.

Tutto quello che volevo eri tu.

Ok, bando le ciance, credo di avervi annoiate più che a sufficienza :) ma dato che il capitolo era un pò così, non volevo che le note finali fossero altrettanto deludenti ahahah.
chiedo venia, e ricordatevi di lasciarmi i vostri momenti migliori, se proprio non riuscite a commentare questa sottospecie di capitolo. Non abbiate paura di dilungarvi, mi piace molto quello che mi scrivete e nel caso in cui non volete che cazzoneso li legga o avete qualche remora in più di me nello sputtanarvi allegramente nel web (ahahah), rispondetemi pure in privato :)
LOTSOFLOVE.

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Capitolo 52
*** Capitolo 52. ***


Capitolo 52.

La serata passò molto alla svelta, forse anche perché la cena si era tenuta molto presto, quindi arrivati intorno alle 20, già avevano terminato anche di sparecchiare e pulire.
-E' meglio che vada..- sbadigliò Max, guardando sua figlia, la quale si sentiva ancora stranita dalla sua presenza in quella casa che apparteneva a qualcun altro. -Il viaggio mi ha sfiancato.-
-Ok, tranquillo.- sorrise lei di rimando. -Ci vediamo domani, tanto!-
-Certo, ti chiamo quando mi sveglio e ti raggiungo con tutta la calma.- disse il padre avviandosi verso la porta, accompagnato sia da Kim che da Lilian.
Si augurarono la buona notte e lo guardarono andare via.
In seguito Kimberly controllò il cellulare, che presentava ancora dei messaggi di auguri, pochi, ma continuavano a indurla a domandarsi quanta gente effettivamente conoscesse.
Mancava solo una persona all'appello, cosa che l'aveva innervosita parecchio: Joseph, il suo migliore amico non si era presentato neanche a scuola.
E sarà stata anche una sciocchezza, ma nel giorno così importante che lui non si facesse minimente vivo la infastidiva.
Era tutto il giorno che ci pensava, e non riusciva a capire che diavolo avesse in mente. Magari era stato male e non era riuscito a venire e continuava a non scriverle perché ci teneva a farglieli di persona.
Non importava, lo avrebbe massacrato se entro la mezzanotte non si fosse fatto vivo.
Scrisse velocemente a Jared per avvisarlo che era libera e che poteva venire a prenderla quando voleva, per poi cominciare a prepararsi.
Era emozionata all'idea di dargli la notizia che il giorno dopo gli avrebbe presentato suo padre. Questo avrebbe potuto aiutarlo, gli avrebbe fatto realizzare i suoi sogni, l'avrebbe reso qualcuno. Se lo sentiva, avrebbe fatto il possibile perchè accadesse.
Proprio mentre si stava mettendo un po' di mascara sulle ciglia, sentì il telefono suonare e si voltò rapidamente esclamando tra sé e sé -Questo sì che si chiama tempismo!-
Ma quando vide che il mittente era Joe rimase di stucco e per un paio di secondi stette immobile, appesa in quello stato di indecisione che andava dal non rispondergli o il rispondergli con voce scorbutica.
Ma in definitiva si stava facendo sentire, no? E poi era un giornata troppo bella per essere arrabbiati.
-Pronto?- nonostante i buoni propositi, la sua voce non aveva mascherato proprio bene il “non essere arrabbiata”.
-Dove sei?- chiese la sua voce tipicamente nasale.
-In casa, dove vuoi che sia?- rispose abbastanza brusca Kimberly.
-Allora affacciati.- e fu la decisione nel tono che le fece subito cambiare l'umore. Scese rapidamente le scale ed entrò nella camera di sua sorella, che dava direttamente sulla strada.
Davanti al cancello d'ingresso infatti c'era Joe che si guardava in giro, tra le mani teneva una rosa rossa.
Non era mai stato a casa sua e non era neanche sicura di avergli mai detto la sua via né di avergli mostrato la strada per arrivarci, ma ce l'aveva fatta, a modo suo, aveva contribuito a renderle questo giorno speciale.
Si fece il resto delle rampe di scale rimanenti nel giro di pochi secondi, e senza mettersi nulla di caldo addosso, andò incontro al suo amico.
-Come cavolo ci sei arrivato qui?- chiese con un tono allegro ma vagamente confuso.
-Ehm.. buon compleanno.- le sorrise, ignorando completamente la domanda, e donandole quella rosa a cui era attaccata una lettera.
-Grazie.- rispose, leggermente commossa e a disagio. Era una situazione davvero imbarazzante e optò per deviare l’attenzione su altro.
-Non sai quanto mi hai fatta arrabbiare oggi, cretino!- esclamò poco dopo, dandogli un colpetto sullo sterno.
Lui si piegò emettendo un gemito di dolore, anche se ovvio che fosse un po' forzato. Più che la forza, lei utilizzava la tecnica e riusciva sempre a beccare un punto imprecisato nei dinorni dello stomaco.
-Ecco, lo sapevo che mi avresti menato!- brontolò lui. -Ma ti pare che non ti avrei fatto gli auguri?
Anche se mi fossi trovato sul letto di morte, avrei fatto il possibile per venire.- chiarì guardando altrove.
-Bastava anche solo un messaggio, non dovevi farti i kilometri, comunque..- bisbigliò timida Kim, osservando la rosa.
Era proprio bella, grossa e piena, il profumo la faceva impazzire.
Le rose vogliono sempre dire qualcosa di buono.
-Ne vale la pena, Kimberly.- sospirò il suo amico, infilando le mani in tasca e facendo un passo avanti.
L’imbarazzo crebbe inevitabilmente dentro di lei, si sentiva a disagio con Joe che la fissava in quel modo inequivocabile, e distrattamente si chiese anche quante altre volte doveva averla palesemente fissata così senza che lei lo metabolizzasse fino a capire cosa ci fosse realmente dietro.
Sapeva che non era il momento più opportuno, ma ci teneva a chiarire la questione, dato che non se la sentiva di aprire la lettera immaginando che fosse una dichiarazione aperta.
-Joe, vorrei farti una domanda..- disse poi, guardandolo. Lui la osservava di rimando, intensamente.
-Ti ascolto..- e non si sa come, ma Kim aveva la sensazione che più o meno lui avesse capito l'argomento.
-Ma tu.. cioè, io.. oddio, non so come dirlo.- sbuffò chiudendo gli occhi per un secondo. Il ragazzo la guardava con una smorfia che sfociava nel diverito, vista la
sua evidente difficoltà.
-Insomma, io ti piaccio?- domandò infine, con il terrore di guardarlo in faccia.
La risposta le arrivò secca e diretta, come quando si risponde alla domanda più ovvia del mondo.
-Certo. Non lo sapevi?-
-Ehm, no. Mai sospettato.- confessò, probabilmente imbarazzata all'estremo.
-Ma tu ovviamente..- cominciò a dire lui, cercando negli occhi di Kim una scintilla che lo facesse fermare.
-No, Joe, mi dispiace.- fece lei scuotendo la testa, desolata.
-Posso sapere perchè?- ma nella sua voce non c'era disperazione o tristezza, al che Kim si sentì sollevata e sorrise nel pensare a come rispondere decentemente alla domanda.
-Siamo troppo amici e prima di perdere un amico come te, Joseph, mi staccherei una gamba a morsi.- ammise.
-E.. c'è un altro, vero?- da come lo chiese, Kimberly capì che sarebbe stato davvero stupido negare, dato che più che una domanda sembrava un'affermazione, talmente sicura da sapere anche con chi.
Annuì debolmente, deviando lo sguardo.
-Posso chiederti quanti anni ha?- indagò il ragazzo, con uno sguardo che le fece chiaramente intendere che non serviva neppure rispondere.
-L'hai capito..- commentò tra sé e sé, non trovando il coraggio di alzare lo sguardo. Le guance divamparono in un incendio colpevole.
-Probabilmente l'ho sempre saputo, solo che non riuscivo ad accettarlo.-
Lei sospirò. -Senti, è troppo presuntuoso chiederti di non dire niente a nessuno?-
-Non puoi immaginare quanto questa situazione mi disgusti, Kimberly. Tu sei così giovane, e lui è solamente un depravato! Non riesco a capire come tu sia così cieca e cocciuta!-
-Cieca?- le sembrava un termine troppo forzato e a dirla tutta, come se lui potesse conoscerlo meglio di lei! In queste situazioni si usava un aggettivo simile
quando la ragazza non si rendeva conto che il partner la stava tradendo o usando.
Ed era certissima che Jared non fosse immischiato in nessuna della due cose.
-Sì, cieca per capire che lui non è giusto per te. Che ci sarebbero altre mille persone che potrebbero renderti felice, mentre tu invece vai a ficcarti in queste situazioni assurde!- sembrava abbastanza alterato, infatti il suo tono era mutato.
Ecco a cosa si riferiva. Spontaneamente le scappò una smorfia incredula. –E tu saresti una di queste, eh?- domandò non riuscendo a controllare il suo fastidio; ma se ne pentì subito.
Sembrava un animale rabbioso, non l'aveva mai visto davvero irato e la cosa la spaventava un pochino.
Dopo la risposta secca che aveva dato, lo vide stringere entrambi i pugni con talmente tanta intensità da fargli vibrare le braccia. Poteva distinguere le vene verdastre sui dorsi delle mani, gonfiarsi sempre di più.
Sicuramente insultarlo o urlare a sua volta non sarebbe stata una buona idea, quindi non le restava che fare leva sulla comprensione del ragazzo, cercando di essere il più sincera possibile e facendogli capire cosa provava.
-Scusami, non intendevo offenderti. So che tu saresti una bellissima soluzione per me.. purtroppo però, Joe, lui mi rende felice. Capisco che ti venga difficile crederlo, e forse è davvero bizzarra come situazione, ma è l'unica cosa di cui sono certa. Io voglio stare con lui.- più chiaro di così non poteva dirglielo.
A quel punto gli occhi di Joseph non erano più puntati nei suoi, bensì guardavano in un punto fisso dietro di lei, con talmente tanta concentrazione da costringerla a voltarsi a sua volta.
A pochi metri da loro, c'era la macchina nera di Jared parcheggiata.
Subito Kim portò gli occhi sul volto dell'amico, emanando una speranza evidente.
-Tranquilla.- disse lui senza distogliere gli occhi dal conducente dell'auto che, anche se nella notte non si vedeva, era ovvio stesse facendo la stessa cosa. -Sebbene non condivida, io voglio solo la tua felicità.. e se è lui la tua scelta, la rispetto.- c'era disprezzo nei suoi occhi, ma per lo meno le aveva garantito che
non avrebbe rovinato tutto.
In uno slancio di gratitudine, si levò sulle punte e gli strinse le braccia attorno al collo. Lui ricambiò facendola sentire avvolta dalle lunghe e forti braccia, che sembravano uno scudo di calore. Poi sollevò la testa e, stampandogli un bacio casto sulle labbra, lo salutò. -Grazie di tutto Joe, anche per la sorpresa.- gli sorrise, e poi si diresse verso l'auto.
Quando vi entrò sapeva che avrebbe dovuto affrontare un altro animale rabbioso.
-Ciao, Jared.-
-Che cosa ci fa lui qui?- appunto.
-E' passato a portarmi il regalo.- spiegò poggiando la rosa e la lettera sul cruscotto. -E sì, sa chi c'è in macchina con me.-
La tensione era totalmente espressa nel modo in cui il professore serrava la mascella.
Nel frattempo Joe si era finalmente deciso ad andarsene, entrambi lo fissarono mentre saliva a bordo dell’utilitaria grigia parcheggiata davanti al cancello di casa di Kimberly e mettere in moto per andare via. Probabilmente era la macchina dei suoi genitori, le sembrava troppo grande e troppo vecchia perché
l’avesse scelta l’amico.
-Ti vuoi rilassare?- esclamò scocciata Kim notando che il professore non aveva mosso un muscolo per tutto il tempo. -Sarà una tomba, non devi sempre irrigidirti così! Ci sono persone che sanno farsi gli affari loro.-
Lo sentì sospirare. -Lo spero per lui, perché se no fidati, sarà lui a finire dentro una tomba.- commentò, voltandosi verso di lei dandole un bacio, per poi partire. 

Nel tragitto, dato che Jared era molto silenzioso, Kim ne approfittò per leggere la lettera di Joseph.
Probabilmente il professore lo faceva apposta, aveva capito che lei non stava nella pelle per aprire la busta. Era un aspetto molto gradevole dell'uomo: sapeva
esattamente che c'erano dei momenti in cui stare zitti, spesso le parole risultano solo molto fastidiose.
Sua nonna avrebbe dovuto apprendere questa lezione ad esempio. Solitamente, forse per la tensione che sentiva addosso, si autoproclamava la regina delle conversazioni e non riuscivi a farla smettere neppure rispondendo a monosillabi o dicendoglielo chiaramente.
Kimberly allungò una mano ed afferrò la busta, la aprì e prima della lettera le finì in mano un piccolo ciondolo a forma di tribale nero.
Confusa di cosa si trattasse, estrasse il foglio a quadretti ripiegato in 4, strappato palesemente da un quaderno e cominciò a leggere il contenuto, scritta rigorosamente a mano.. infatti in quella calligrafia disordinata e disarticolata vi riconobbe lo stile di Joe. Solo lui al posto del punto a fine frase metteva sempre tre puntini di sospensione. 

“Hola,
Da quest'anno si cambia! Sono solito a scriverti messaggi sdolcinati il giorno del tuo compleanno, ma dato che non sai apprezzarli, in questa lettera scriverò solamente insulti.
Sei stupida, scema, idiota, puzzolente, mi fai schifo, mi stai sulle palle... ok, meglio che mi fermi dato che questa lettera la leggerai mentre io sarò lì e a casa voglio tornarci tutto intero.
Caspita oggi compi 18 anni! Finalmente sei grande, gioia! Allegria! Felicità!
Sei una donna... no detto a te sembra strano (ok, davvero la smetto ahaha)
Mi ricordo quando mi hai detto che le lettere scritte a mano ti mancano, perchè avevano qualcosa ti terribilmente romantico che ormai è stato usurpato e distrutto dai cellulari…e quindi eccomi qua…
Lo so che nonostante i buoni propositi di insultarti e basta, questa lettera vorrei che tu la tenessi, quindi ora passiamo alla parte delicata.
Tu sei una grande amica, mi sopporti, mi ascolti e mi sei sempre stata accanto quindi ti faccio un piccolo regalo per ringraziarti.
A parte la rosa, dentro la busta troverai un ciondolo che possiedo da quando avevo 5 anni, e non dico che sia magico o cosa, ma da quando ce l'ho mi accadono cose belle…
È il mio portafortuna personale e, credici o no, quando ti ho conosciuta l'avevo attaccato al portachiavi…e ok, è stupido, però voglio che sia tu a tenerlo perchè tu sei una delle cose più belle che mi siano mai capitate, non so chi devo ringraziare per la fortuna che ho avuto a conoscerti, ma appena lo trovo gli faccio una statua!
Quindi ora è tuo, e ti auguro che porti fortuna come l'ha portato a me…
Auguri ♥ ti voglio bene.
Joe”

 

Per tutta la lettura Kimberly sorrise come una scema, ma non poteva farne a meno.. era sinceramente uno dei più belli regali che avesse mai ricevuto e quel ciondolo non sarebbe stato niente in confronto alle parole scritte su quel pezzo di carta.
Mordendosi il labbro inferiore pensierosa, rimise al suo posto il foglio a quadretti e poggiò la busta accanto alla rosa.
-Ti è piaciuta?- le chiese la voce calda alla sua sinistra.
-Sì.- rispose con un sussurro, che bastò a fargli intendere che sta volta il ragazzo si era davvero dato da fare.
-Ok.. allora spero ti piaccia anche quello che ho preparato io per te.- mormorò slacciandosi la cintura e uscendo dalla macchina.
Lei in un lampò uscì dalla macchina e lo raggiunse, il quale intrecciò la mano nella sua e la condusse dentro l'ascensore.
-Ma Jared, il ritratto è stato già un regalo meraviglioso, non dovevi disturbarti oltre!- disse contrariata, ma non nascondendo il filo di eccitazione che traspariva dal suo volto.
Lui l'attirò a sé e le lasciò un bacio a fior di labbra, e, non appena la porta dell'ascensore si aprì la trascinò davanti all'ingresso dell'appartamento.
-Ora chiudi gli occhi..- sussurrò posizionandosi alle sue spalle e guidandola all'interno.
Sentendo il cuore in gola, la ragazza ubbidì non riuscendo a spegnere il sorriso che le era divampato in volto.
Percepì le mani dell'uomo avvolgerla all'altezza della vita e fare leggermente pressione per condurla dove voleva lui.
Arrivati in una stanza, la fece sedere su una poltrona. -Ma.. Jared, siamo nel tuo studio?- chiese lei, riconoscendo il tessuto della sedia che lui utilizzava sempre davanti al computer.
-Ancora un attimo, mantienili chiusi.- le ripeté agitato.
Lo sentì premere qualche tasto e il continuo click del mouse la indusse quasi ad aprire gli occhi. Ma poi... sentì una voce che fece fatica a ricondurre ad un volto, e nonostante questo si rese conto di sorridere senza volerlo.
Era di una ragazza che intonava una nenia in una lingua che non riusciva a riconoscere, ma che si rifaceva chiaramente a “happy bday to you”.
Il suo cervello lavorò ad una velocità supersonica in quel lasso di tempo, facendo passare nella mente le innagini dei volti di tutte le persone che conosceva e che potevano parlare una lingua così strana. Che lingua era poi? Cinese? Arabo? Russo? Italiano? Francese?
-Ok, puoi aprire gli occhi.- mormorò all'altezza del suo orecchio Jared e lei non se lo fece ripetere due volte.
Nello schermo vide un volto che non poteva non riconoscere.
Si trattava di Ingrid, la sua migliore amica partita per il Sud America per il programma dell’anno di studio all'estero.
Era spagnolo la lingua che non riusciva a riconoscere.
-Hola querida!- dissero quelle labbra, e Kimberly era talmente senza parole che non riusciva nemmeno a respirare.

In uno spasmo di gioia guardò Jared che la fissava sorridente di rimando, poi di nuovo la sua amica ed esplose in un pianto incontenibile.






Note finali: Eccoci con un nuovo capitolo. Questo è stato un altro ultimo capitolo per un botto di tempo, non sapevo più che cazzo scrivere e come scriverlo.
Purtroppo devo avvisarvi che mi sta succedendo anche ora :( spero sia dovuto al fatto che ho altre cose a cui pensare e ogni volta che penso a scrivere ho stra voglia, mi piazzo lì davanti e mi sento INCAPACE di produrre qualcosa e inoltre si aggiunge uno spropositato senso di colpa che mi ricorda dello studio, dei panni da lavare o delle altre 200 cose che potrei fare al posto di perdere tempo davanti al black mirror.
Maledetto Super-Io.
Ma non pensiamo cose negative soprattutto dopo un capitolo così gioioso!!! Cosa ne pensate? Di Joe? Della reazione alla relazione col professore? Sarà sincero o no? E la lettera che ve ne pare? E la sorpresa di Jared è tenera o no?
Oooohr io mi sarei sciolta in un brodo di giggiole (cosa che ho realmente fatto ahaha).
La canzone non sapevo proprio che cacchio mettere, ho fatto passare i 1600 brani sull'ipod e non ne sono venuta a una quindi fuck anche alla canzone, mi sebrava un capitolo carino anche così. Scritto un pò di merda, ma il contenuto è tenero :)

Ok, è tutto vorrei chiedervi di raccontarmi se a voi sono mai successe cose simili ma non vorrei sembrare troppo impicciona.
Mi raccomando fatemi sentire amata e lasciatemi qualche pensierino!! Anche negativo se necessario :)
Baci baciotti

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Capitolo 53
*** Capitolo 53. ***


Capitolo 53.

 Le pido al cielo, solo un deseo
Que in tus ojos yo pueda vivir
He recorrido ya el mundo entero
Y una cosa te vengo a decir :

 Nonostante il moto di commozione che tentava di storpiare il volto della giovane, Kimberly si costrinse a mantere gli occhi aperti, non sapendo per quanto le sarebbe stato concesso guardare Ingrid dritta in faccia, dopo ormai 7/8 mesi.
-Ingrid!!- esclamò portandosi le mani davanti alla bocca per la sorpresa.
La ricciolina dall’altra parte dello schermo sorrideva quasi rischiando una paresi facciale. –Kim!! Come ci si sente ad essere maggiorenni?- le domandò cercando di creare una conversazione.
Intanto Kim intravide Jared uscire con discrezione dalla stanza, in modo da permettere loro di avere un po’ di privacy.
Avrebbe tanto voluto fermarlo e condividere questo momento con lui, ma capiva il suo disagio ed era giusto che lei si godesse questo momento tanto prezioso.
-Per ora procede tutto alla perfezione. Tu sei la ciliegina sulla torta.- rispose di riamando. –A te come prosegue nel sud? Perché non siamo mai riuscite a contattarci?- le chiese poi, con un briciolo di rancore.
Ancora si ricordava le ore passate davanti ad una mail, scrivendola più volte in modo da correggere i toni che potevano essere fraintesi ma pur sempre cercando di mantenere quell’umanità e unicità che Ingrid avrebbe trovato in Kimberly, se si fossero parlate face-to-face.
Tutte queste e-mail però erano risultate vane, in quanto Ingrid non le aveva mai risposto.
-E’ vero Kim,  mi spiace tanto ma ho avuto seri problemi di connessione, ho addirittura dovuto cambiare i miei indirizzi di posta elettronica perdendo tutti quelli che avevo salvato..insomma un casino.
Non ho scuse dato che avrei potuto trovare mille modi per contattarti ma non ho mai avuto modo, perdonami.- le spiegò mortificata.
Kimberly sospirò alzando le spalle, non le andava di discutere per un motivo simile rovinandole quindi l’esperienza.
L’importante era che si stesse divertendo e solitamente quando non ti fai molto sentire, anche in vacanza, il motivo di fondo è che obiettivamente di stai divertendo troppo per pensare a farti vivo con i parenti e conoscenti a casa.
-Non fa niente, basta che adesso mi dai l’indirizzo nuovo e possiamo sentirci per i prossimi mesi.- sorrise, portandosi dietro l’orecchio una ciocca sbarazzina. –Sono molto contenta di vedere che stai bene.-
-Anch’io. Ti trovo bene. Sarà grazie a quell’ometto dagli occhi azzurri?- chiese Ingrid con fare malizioso.
Kim scoppiò a ridere. Questo genere di battute era tipico dell’amica. Faceva battute penose a pensarci bene, ma le mancavano davvero tanto.
-“quell’ometto” come l’hai definito tu, cara Ingrid, è il mio nonché tuo professore di musica.- le annunciò, aspettandosi la reazione drammatica tipica dell’altra, che infatti, non tardò ad arrivare.
-Cosa?! Credo ci siano state delle interferenze Kimberly, mi è sembrato di capire che TU TE LA STESSI FACENDO CON IL NOSTRO PROF.  DI MUSICA!- era chiaramente scioccata.
-Gioia mia, se avessi cagato le mie mail avresti saputo tutto nell’immediato!- la rimproverò Kim con aria di sufficienza.
-Tu sei pazza! Ma come? Quando? Perché?- continuò nel suo raving l’amica in diretta dal Sud America.
-E’... semplicemente successo Ingrid. Piano, piano ci siamo avvicinati fino a renderci conto che separati non funzionavamo più.- spiegò brevemente Kimberly, alzando le spalle con un’aria tra l’imbarazzato e l’emozionato.
Percepire come le batteva il cuore nel petto le fece capire quanto quello che aveva detto fosse seriamente sentito.
-Cavoli..- borbottò l’altra imbronciata. –Sembra tu ti stia divertendo molto senza di me.- commentò, poi spalancò gli occhi come spiritata. –Ma non lo sanno a scuola giusto? Sarebbe licenziato all’istante!-
Kim scosse energicamente la testa. –No, l’hanno scoperto solo Gwen e Joe. - le confessò, pronta per dirle i dettagli che aveva tralasciato. –Tra l’altro ha 20 anni più di noi.- lanciò la frase all’amica e poi chiuse gli occhi presa dal panico, come se l’altra potesse darle uno scappellotto.
Il troppo silenzio però le fece aprire gli occhi, confusa.
Ingrid era immobile, con un sopracciglio sollevato. –Stai scherzando, vero?-
-No.- affermò Kimberly mordendosi il labbro inferiore. –Sono serissima.-
-Va beh, va beh, l’amore non ha età!- esclamò Ingrid, sorprendendola completamente.
Kim sapeva quanto l’amica fosse libertina e di quanto in realtà lei si stesse preoccupando per niente a confidarle questi segreti.
La lontananza però sembrava averla resa più spensierata del solito.
-Ingrid, c’è qualcosa che hai combinato da farti apparire così tranquilla?- le domandò con fare circospetto come se fosse a conoscenza che la risposta fosse affermativa.
-Diciamo che mi sto divertendo.- asserì l’amica, con un sorriso che Kimberly conosceva fin troppo bene.
-Sei incorreggibile.- mormorò tra lo sconvolto e il cinico. –Quanti?- le chiese immaginando la quantità.
-Per ora 20.- rispose con soddisfazione, alche Kim sgranò gli occhi e la mandibola le cadde senza ritegno.
-COME? Poi sono io la disgraziata.- commentò acida.
Ingrid era una vera e propria mangia uomini. Saranno stati i suoi occhioni azzurri ed espressivi, ma tutti i ragazzi rimanevano scottati in un certo senso dalla
ragazza.
Dentro di sé Kim ringraziò il cielo che Jared non l’avesse mai conosciuta prima di conoscere Kim, il paragone purtroppo per lei, non avrebbe retto.
-Eddai Kimmy, capiscimi qua non c’è niente da fare. E’ tutto verde. Ci sono pochi negozi. La lingua però l’ho imparata molto bene!- si vantò soddisfatta.
-Non ne dubito.- borbottò Kimberly, disgustata. Quella in 8 mesi aveva avuto più ragazzi che lei in 18 anni di vita, contando anche i fidanzatini dell’asilo.
Ingrid scoppiò a ridere per la reazione della mora, reazione alla quale Kim non riuscì a resistere e cominciò a ridere a sua volta.
Cominciarono a parlare di quello che si erano perse l’una dell’altra, Kimberly l’aggiornava degli ultimi gossip che si stava perdendo e Ingrid a sua volta le raccontò delle avventure e difficoltà che aveva dovuto affrontare in quei mesi di lontananza.
Kim si sentì come non si sentiva da davvero molto tempo. Le mancava così tanto la sua amica e non passava giorno senza che le rivolgesse almeno un pensiero, sperando con tutta se stessa che si stesse divertendo, ma che non vedesse l’ora quanto lei di riabbracciarla.
-Adesso devo andare.- sospirò Ingrid imbronciando le labbra lasciando trasparire quanto questo le dispiacesse.
Anche a Kim dispiaceva, ma d’altro canto stavano strillando da mezz’ora come delle ochette e Jared probabilmente la stava aspettando.
A pensare all’uomo, la ragazza sentì lo stomaco balzarle in gola come sulle montagne russe.
-Va bene, fai la brava.- le sorrise affettuosamente Kim.
-Anche tu. Ah Kim!- la richiamò poi, riportando l’attenzione dell’amica su di sé. –Sono molto contenta per te e Jared.- le disse poi, quando Kimberly la guardò. –Cioè, per Mr Leto. Ehm.- si corresse ammiccando.
-Grazie, Ingrid.-
Si salutarono e Kim cercò meglio che poteva di spegnere quell’affare maledetto.
Uscì dalla stanza per raggiungere Jared, il quale se ne stava sul divano con un bicchiere di coca-cola in mano e il cellulare nell’altra, intento a battere il suo record ad un gioco per passatempo.
Quando si accorse della presenza della ragazza, le rivolse un sorriso compiaciuto.
Lei si fiondò tra le sue braccia e nell’abbracciarlo gli ripeté infinite volte un –Grazie.- che sapeva di pura riconoscenza.
-Ma figurati.- rispose. –Speravo ti avrebbe resa felice avere sue notizie il giorno del tuo compleanno.-
Finalmente lei si separò e portò gli occhi nei suoi. –Come hai fatto?- gli chiese poi contemplandone il colore intenso.
Quella sera, forse per il clima un po’ uggioso o per le luci offuscate della stanza, sembravano tendenti al verde acqua.
-E’ stato facile.- rispose lui scrollando le spalle. –Sono andato in aula professori, mi sono informato su chi fosse la sua referente.. sapevi avesse un referente?- le domandò corrugando la fronte.
-No, non so neanche cosa sia.- rispose lei aspettando la sua spiegazione.
-E’ uno dei nostri professori che le fa da tramite in modo da tenerla aggiornata sul programma scolastico e, certo, per assicurarsi che tutto proceda al meglio.-
disse in breve.
-Oh.- si lasciò sfuggire Kimberly nella sua delusione. Rintracciarla sarebbe stato più facile del previsto, aveva avuto poca fantasia.
-In ogni caso, è la professoressa di scienze, se ti interessa saperlo. Le ho chiesto l’indirizzo con la scusa che una mia alunna la stava cercando e l’ho contattata su skype. Ta-dan.- concluse con un battito di mani.
-Io non sono così tecnologica, non immaginavo neanche ci fosse questo programma.- si lagnò incrociando le braccia al petto.
Il professore rise buttando all’indietro la testa, sconvolto da quanto questa ragazza potesse essere più primitiva di lui, con 20 anni in meno.
Facendo forza sulle gambe si sollevò in piedi trascinandola con lui, la quale, grazie alla spinta che le aveva dato, si trovò il busto coincidere con quello
dell’uomo.
Jared inclinò leggermente il capo e si avvicinò a lei, congiungendo le labbra con le sue. Kimberly presa dall’emozione derivante da quello slancio di romanticismo, gli circondò il collo con entrambe le braccia, stringendolo a sé.
Lui intanto portò le mani sui fianchi della ragazza, rendendo lo spazio tra loro da invisibile a nullo.
Kim si separò delicatamente da quel bacio per guardare i bellissimi occhi dell’uomo. -Comunque grazie.- ripeté, la voce colma di gratitudine. –Hai reso questa giornata da eccellente a perfetta.-
-E il meglio deve ancora venire.- rispose lui ammiccante, portando una mano dietro al collo di Kimberly per far sì che le due bocche si ritrovassero.
Poi la prese per mano e senza distogliere gli occhi dai suoi, andarono insieme in camera da letto.
 

viajé de Bahrein hasta Beirut
fuí desde el norte hasta el polo sur
y no encontré ojos así

como los que tienes tú

Note finali: Oggi sono moooolto annoiata e incoerente come al solito nel frattempo non ho oglia di fare un Kaiser, quindi mi porto avanti e chiudiamo la carrellata di capitoli melensi sul compleanno di Kim allèèèèèè.

Come potete notare questo è stato il primo che ho scritto quest'anno (esatto, i capitoli di riserva stanno per finire, teniamoci forte) e credo si veda molto bene che non scrivevo da un botto perchè è fatto male, machecazzocenefotteanoi siamo nei capitoli di transizione prima del botto e tenetevi forte perchè non oglio anticipare nulla, ma il prossimo capitolo sarà l'ennesimo asso nella manica ;))

Bene, evito aneddoti imbarazzanti e passo alla canzone, per la prima volta en Espanol, muchachas!

E' di Shakira credo si chiami Ojos asì e non lo so in tinta con l'America Latina mi sono sbizzarrita in questa nuova prova.

Lo chiedo al cielo, solo un desiderio
che possa vivere nei tuoi occhi
ho girato tutto il mondo
e vengo a virti una cosa:

Viaggiai da Barhein fino a Beirut
sono stata dal nord fino al Polo sud
e non ho mai incontrato occhi così
come quelli che hai tu

Bueno, ho finito anche per oggi e spero che siate clementi al vostro solito.
Adios bonitas ;)

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Capitolo 54
*** Capitolo 54. ***


Capitolo 54.

Shove me under you again
I can't wait for this to end
Sober, empty in the head
I know I can never win

-Carino il tuo amico.-

Kimberly sentì questa frase provenire dalla bocca amara del padre, con un tono decisamente sarcastico.

-Peccato non sia qui.- continuò nella sua lamentela.

La ragazza roteò gli occhi con uno sbuffo spazientito. Voltò lo sguardo nella direzione di suo papà, il quale se ne stava con le braccia incrociate al petto, appoggiato alla fontanella di marmo sulla quale avevano pranzato insieme il giorno prima.

Si guardava intorno con quel fare stizzito; labbra increspate in una smorfia annoiata e la gamba sinistra che non la smetteva di martellare contro il suolo.

Se fossero stati su una superficie di gomma, al momento Kim starebbe tremando.

-E’ leggermente in ritardo!- lo riprese, contrariata.

Pareva che al suo vecchio non andasse di trovarsi lì.

Si guardò l’orologio, carica di agitazione. Non aveva mai presentato nessuno a suo padre, questa novità la rendeva non poco nervosa.

Dove si era cacciato Jared?

La sera prima, quando lei gli aveva comunicato la sua iniziativa riguardo a fargli conoscere un famoso produttore, nonché suo padre, il professore si era istantaneamente irrigidito.

Si trovavano nel letto matrimoniale di lui; Jared era supino e fissava il soffitto in uno stato quasi di estasi, mentre la ragazza era poggiata sopra il suo petto, lasciandosi cullare dal dolce sali-scendi che esso compieva.

Sentiva battere il suo cuore proprio sotto l’orecchio, un suono incredibilmente rilassante.

Lui la circondava con il braccio sinistro, con la cui mano le accarezzava il capo, togliendole qualche ciocca sbarazzina da davanti agli occhi e lasciandole un bacio occasionale tra i capelli.

Non riusciva a staccare gli occhi dal soffitto, era incantato in un torpore decisamente piacevole.

Quando decise di dargli la notizia si tirò su un gomito per guardarlo negli occhi.

Solo una notizia simile gli avrebbe fatto distogliere lo sguardo insistente dal soffitto. Il silenzio che si creò fu a dir poco imbarazzante, silenzio che lui interruppe con un secco -Sei pazza?-

-Cosa c’è di male?- domandò lei stringendosi nelle spalle, in modo da farsi più piccola.

Jared si era sollevato su entrambi i gomiti, quello sguardo folle insisteva su di lei. –Come ti è venuta in mente una cosa simile?- sembrava fuori di sé.

-Non capisco quale sia il problema.- fece spallucce Kim, corrugando la fronte.

Di tutta risposta ricevette un -Sei seria?- talmente sentito che portò Jared dallo stare semi-disteso al seduto.

Il fatto che ora fosse più alto di lei la mise in soggezione.

-Ti schiarisco le idee, cara Kimberly.- fece lui con un sorrisetto forzato, ma quella follia perennemente negli occhi. –Di che anno è tuo padre?-

-Del ’69- rispose lei, scrollando la testa.

-Perfetto, di che anno sono io?- ribatté lui, sgranando più del dovuto gli occhi.

-Oh.- fece lei di tutta risposta, mordendosi forte il labbro inferiore. Come aveva fatto a non rendersi conto di quanto fosse un problema questo? –Pessima idea. – si disse da sola.

-Ma per me è diventato talmente normale che al momento non mi è nemmeno passato per l’anticamera del cervello che fosse una pazzia.- si difese subito, prima che lui potesse iniziare ad inveire contro di lei.

L’uomo si piegò su se stesso in un rantolo contrariato. –E adesso?- la voce le arrivò attutita dalle mani, passando però attraverso le fessure delle dita.

-Non importa, Jared.- gli disse portandogli una mano sulla spalla. Il contatto tra le sue dita gelide e la sua pelle accaldata –forse dallo schock- creò un contrasto a cui Jared non poté fare a meno di rabbrividire.

Di tutta risposta portò gli occhi in quelli ingenui e innocenti, si fa per dire, della ragazza.

Lei vi lesse sarcasmo e incredulità.

-Davvero?- rispose lui, amareggiato.

-Certo, è inutile che mi guardi così. È una mia scelta, e poi non ho mai specificato che stessimo insieme io e te. - spiegò, stringendosi il piumone al petto.

Il suo sguardo non era mutato di una virgola, facendola sentire immediatamente in colpa della falsità appena detta.

-Davvero?- ripeté lui, con lo stesso tono, solo leggermente più scettico.

-Siamo rovinati.- fece lei, abbandonando le braccia tra le gambe incrociate. –Mi spedirà in collegio e ti denuncerà.- disse con la tragicità in gola.

-Va bene, non esageriamo. Ormai sei maggiorenne, e basta non sappia che sono il tuo professore. Almeno questo l’hai tenuto per te, vero?- le chiese, un barlume di speranza gli ravvivò la voce.

Lei annuì col capo, incapace di guardarlo negli occhi.

Con un sospiro rassegnato il professore si distese nuovamente, conscio del fatto che quella notte non avrebbe chiuso occhio.

 

Con il passare dei minuti Kim si fece sempre più nervosa. Possibile non l’avesse avvisata che non sarebbe venuto?

Proprio quando sentì Max prendere aria per continuare la sua lamentela, Kimberly lo intravide in lontananza.

Avrebbe riconosciuto quella camminata tra un milione.

-Eccolo!- esclamò frettolosa, andandogli incontro.

Suo padre rese gli occhi già piccoli, due fessure, in modo da mettere a fuoco e capire di chi stesse parlando.

C’erano all’incirca una ventina di ragazzi che passeggiavano nella sua direzione; essendo domenica, a quell’ora del pomeriggio il sentierone del centro era colmo per lo più di adolescenti mano nella mano che passeggiavano guardando le vetrine, e famigliole dirette alle giostre appena allestite in occasione dell’arrivo della primavera.

Quando però si rese conto che la persona verso cui andava sua figlia non era un comune ragazzo ma un uomo un po’ più cresciutello, il volto si contrasse in una smorfia rabbiosa.

Non c’erano dubbi fosse lui, dal momento che si era appositamente fermato per salutarla e ora camminavano fianco a fianco nella sua direzione.

Nel mentre si avvicinavano però Max sentì una sensazione terribile farsi strada dentro di lui, partendo dallo stomaco e diramandosi in vari punti del suo corpo.

Trasalì in questa sensazione che gli fece sgranare gli occhi e spalancare la bocca, gli raggelò le mani e gli fece percepire una scossa alla base della nuca per poi scorrergli lungo tutta la spina dorsale, la quale lo fece vibrare in uno spasmo.

Quell’uomo stava sorridendo a sua figlia, con un calore particolare negli occhi.

La gola si seccò, impedendogli di deglutire o emettere qualsiasi suono; le gambe erano più pesanti del solito e non riusciva nemmeno a sollevarle.

Lui conosceva quell’uomo.

E fu proprio quando quest’ultimo sollevò lo sguardo verso di lui che riconobbe nei suoi occhi esattamente la stessa espressione sconvolta, che lo fece fermare a 6 metri di distanza.

Kimberly fece qualche passo in più del dovuto, ma rendendosi conto che Jared non stava più camminando accanto a lei, si girò velocemente.

Il professore era immobile dietro di lei, congelato, ibernato in una smorfia incredula.

-Jared?- lo chiamò preoccupata, per poi voltarsi di scatto verso suo padre, sul cui volto lesse la medesima espressione colma d’incredulità.

Il professore si sfilò lentamente gli occhiali da sole, gli occhi fissi in quelli dell’uomo che si trovava di fronte.

-Tu..- mimarono le sue labbra, Kimberly vi lesse una smorfia di dolore.

Suo padre invece era ancora contrito nella stessa espressione, la figlia vi lesse mortificazione.

Subito vide Jared serrare la mandibola e percorrere il resto dello spazio con passi grandi e pesanti fino a trovarsi finalmente faccia a faccia con l’uomo che, quasi 5 anni prima, gli aveva portato via la donna che amava.

 

We left this land of shiny lights
I wish I may, I wish I might
When all these dreams have come to end
You wish you were, you're not my friend

Note finali: Tatatataaaaaaaaaan!!! Tatatataaaaaaan!!! Ops questa sigletta l'ho usata con il colpo di scena precedente..
Allora andiamo con gli archi UIII UII UIII UII (se non avete visto psycho non potete capire e mi prenderete per scema, ma tranquille, è tutto programmato)
Alloraaaa????? E' una sorpresa o c'avevate già pensato voi??? Sono stata scaltra come una lince o state sbadigliando dalla noia??? 
Mi rendo conto sia una situazione un pò surreale, ma ogni tanto la vita stessa è surreale quindi ho detto why not e vi ho scataffiato questa novità assoluta.
Avete dubbi, domande, quesiti? Cosa pensate succederà? Il padre come prenderà questa relazione? E moooo'????
Sbizzarritevi ;)
Ps: si ho lasciato gli spazi per illudervi che il capitolo non fosse così deludentemente breve XD Spero che il contenuto vinca sulla lunghezza :)

La canzone è Wish I may dei Breaking Benjamin, canzone che era nei titoli di coda del film "Wrong turn" e che ho impiegato secoli per trovare (ero tecnologica come un..un..un.. non mi viene un termine di paragone appropriato, ma sappiate che ho speso inutilmente un fottio di soldi con l'account iTunes per trovarla anni fa XD)

Sovrastami di nuovo
non vedo l'ora che finisca
Sobrio, vuoto nella testa
So che non vincerò mai

Abbiamo lasciato questa terra dalle luci scintillanti
Vorrei potere, vorrei aver potuto
Quando tutti questi sogni saranno giunti ad una fine
Vorresti essere, ma non sei mio amico.

Non saprei, così incazzata ho pensato fosse perfetta. Come se J si rivolgesse al suo ex amicone... bah, potete anche non apprezzare non è questo il punto ahah.
Ok, io ho terminato, spero vi sia piaciuto e vi abbia prese in contro piede e ovviamente fatemi sapere tutto quello che ne pensateeeeeeeee!!!
bisoux

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Capitolo 55
*** Capitolo 55. ***


Capitolo 55.

 Cos we lost it all
Nothing lasts forever

 Il tempo sembrava essersi completamente fermato, e Kimberly si riteneva ufficialmente confusa.
I due uomini si guardavano in un modo davvero strano, non riusciva neanche a categorizzare le loro espressioni essendo un misto tra lo scandalizzato, il confuso, l’incredulo, l’amareggiato, l’adirato, il rancoroso.. cercava di leggere sui volti di entrambi un segno, un indizio di quello che stava passando nelle loro teste.
Con uno scatto rabbioso, Jared si voltò verso Kim. –Avevi detto che il tuo cognome era Bloomwood.- le ringhiò contro.
-Cosa c’entra adesso il mio cognome!- esclamò la ragazza, sussultando per l’aggressività con cui le si era rivolto.
-Perché mi hai mentito?- le chiese, con la stessa furia.
-E’ la verità, ho il cognome di mia madre!- rispose cercando di imitare lo stesso tono del suo interlocutore. Cosa gli prende?  Pensò tra sé e sé.
Era vero, da quanto ne sapesse lei il motivo per cui non portava il nome di suo padre era dato dal fatto che lui fosse una personalità molto nota e i suoi genitori avevano deciso unanimemente che non volevano la figlia fosse coinvolta in un qualche modo.
Era stata riconosciuta da Max ed era legittimamente sua figlia, semplicemente non portava il suo stesso cognome.
-Jared.- pronunciò finalmente suo padre. La voce aveva un che di ironico. –Ho faticato a riconoscerti, l’ultima volta che ti ho visto avevi quell’assurda pettinatura asimmetrica bionda.- si giustificò, le labbra piegate in una smorfia disgustata.
Kim era sicura di non aver mai visto suo padre guardare una persona in quel modo. Come se si stesse trattenendo dal sfondargli il cranio contro il muretto di marmo della fontana.
Il professore non poté trattenersi dal sorridergli, ma non nel modo genuino e amorevole che conosceva Kim, quell’espressione si avvicinava più alla desolazione, alla rassegnazione dell’aver perso, ancora una volta.
Kimberly era convinta di aver già visto quell’espressione sconsolata, ma le cose stavano accadendo in modo talmente repentino che non riusciva a ricongiungere la memoria
-Max Danes.. quanto tempo.- disse infine Jared, gli occhi persi nei ricordi. –Ho sempre pensato al giorno in cui ci saremmo rincontrati, ma mai avrei immaginato un contesto simile.-
Suo padre sbuffò, scuotendo incredulo il capo. –Sapevo che eri una persona eccentrica, è per questo che ho creduto tanto in te. Ma vendicarti con mia figlia.- il modo in cui pronunciò le ultime parole fece sinceramente paura a Kim, la quale sgranò gli occhi e portò lo sguardo attonito sul professore.
-Jared.. di cosa sta parlando?- chiese con voce spezzata la ragazza.
Lui vedendo come gli occhi di lei si fossero rapidamente velati di lacrime, scosse lievemente più volte la testa e velocemente le circondò il volto con entrambi i palmi aperti.
Lei sentiva i pollici forti dell’uomo accarezzarle le guancie. –Non credergli Kim, per favore non dargli retta.- negli occhi limpidi vi lesse affanno e sincera paura.
-Kimberly, non permettergli di toccarti.- ordinò poi suo padre con un tono talmente brusco che le fece automaticamente portare lo sguardo sul suo volto paonazzo.
Spaventata la ragazza guardò un’altra volta Jared, come per trovarvi sostegno.
-Lo sai che non ti farei mai e poi mai del male.- continuò l’uomo di fronte a lei, con quella voce vellutata e rassicurante. –Lo sai.- ripeté in un bisbiglio.
Per un secondo si ricordò quando il suo professore di filosofia, in una delle solite divagazioni, aveva spiegato alla classe del perché tra innamorati si tende a guardarsi negli occhi tutto il tempo.
Quando mentiamo, involontariamente le nostre pupille si restringono; vedendo quindi le pupille del proprio partner continuamente dilatate o per lo meno stabili, dovrebbe essere segno di completa e totale sincerità.
A dire il vero Kimberly non credeva affatto a questa stupida spiegazione, forse perché non amava particolarmente filosofia o forse perché qualora il partner avesse gli occhi scuri come nel suo caso, ci si troverebbe perennemente nel dubbio; ma in quella circostanza non poté fare a meno di assicurarsi che le pupille di Jared non lo tradissero.
Non era insicura a causa dell’unica volta in cui il professore le aveva mentito, si era ripromessa che non avrebbe mai e poi mai basato i suoi criteri di giudizio su quel particolare caso in tutta la loro storia.
Dovette accertarsene perché quello che c’era in ballo era molto più importante di una lite tra fidanzati.
Non aveva capito ancora bene quale fosse il problema tra i due uomini, ma si rese conto di trovarsi di fronte ad una scelta che non prevedeva premi, solo una pena: scegliere uno, le avrebbe irrimediabilmente fatto perdere l’altro.
Il cuore le si strinse, mentre col respiro affannato e gli occhi lucidi, cercò con tutte le sue forze di non essere debole per una volta e affrontare questa situazione mantenendo i suoi principi.
Guardò un’ultima volta suo padre con la coda dell’occhio e infine riportò la completa attenzione sul magnifico viso del professor Leto. Nell’esatto momento in cui i loro occhi si ritrovarono, non ebbe più dubbi.
-Sì.- annuì lei, portando una mano su quella di lui, ancora appoggiata al suo volto. Si fidava ciecamente di quegli occhi celesti, e quel giorno erano talmente chiari che sembrava riflettessero l’animo trasparente di Jared.
Quest’ultimo le sorrise dolcemente, sinceramente rincuorato e facendo ballare lo sguardo dalle labbra agli occhi profondi dell’alunna.
Avrebbe trascorso l’intera giornata fissando quei due pozzi senza fondo, e sembrava che il petrolio fluido con cui lo stava osservando non stesse aspettando altri che lui.
-Kimberly!- urlò carico di angoscia Max.
La ragazza spaventata si tolse le grandi mani di Jared dal volto. –Cosa sta succedendo?- chiese poi, domanda riferita ad entrambi.
-Avanti Max, lascio a te l’onore.- disse con un sorrisetto ironico l’uomo accanto a lei.
-Non sono affari che la riguardano.- grugnì il padre, gli occhi pece come quelli di Kim, carichi di fuoco.
-Neanche Anya era un affare tuo, ma tu te la sei deliberatamente presa!- sibilò poi Jared, col cuore che gli martellava nel petto.
Kim sussultò vistosamente, puntando lo sguardo sconcertato sul padre.
Automaticamente portò le mani a coprirsi bocca e naso, mentre il suo cervello lavorava e riavvolgeva tutti gli avvenimenti al contrario.
Finalmente, evviva la scaltrezza, riusciva a spiegarsi molte cose.
Dove aveva visto lo sguardo lacerato di Jared; perché si conoscevano e sembravano non andarne contenti; quella stranissima domanda che il professore le aveva rivolto riguardo il suo cognome; l’assurda storia della vendetta prima citata da suo padre.
Lei era la figlia del famoso e detestabile produttore, quasi testimone ed ex-amico che aveva fatto sì che l’artista emergente perdesse tutto.
Colma di incredulità, Kimberly giunse alla conclusione che nessuno, nemmeno il suo adorato papà, fosse perfetto.
Max, vedendo come lo stava fissando sua figlia, abbassò il capo non riuscendo a mantenere il contatto visivo.
-L’hai fatto davvero, papà?- domandò ingenuamente la ragazza. La voce tradiva un nodo alla gola talmente grosso che avrebbe potuto essere la chiusura di un cappio con cui si sarebbe volentieri impiccato.
-Non ne vado fiero, ma sì Kim. Ci sono tante stupidaggini che fanno gli adulti, pensando che queste non influiscano mai sulla vita dei propri figli.
Probabilmente questo caso del destino è stato un modo per farmela pagare.- ripose lui, indicandoli entrambi, facendo riferimento alla casualità con la quale tutto quello fosse successo.
Quante possibilità c’erano che l’uomo che più lo odiava e sua figlia si trovassero e s’innamorassero, nonostante l’incredibile differenza d’età e le dimensioni del Globo?
Il fato gli aveva giocato proprio un bello scherzetto, non c’è che dire.
-Questo non significa che il vostro rapporto non sia deplorevole e.. malato.- continuò poi, col volto raccapricciato. Solo a pensarci per più di un secondo gli veniva una nausea immediata e una gran voglia di ficcare la testa di quel Leto nell’acqua gelata della fontana, finché non smettesse di dimenarsi e respirare.
Purtroppo però, aveva notato come i due si guardavano prima e con sconcerto e disperazione aveva capito che non ci sarebbe stato niente da fare; se non avesse
accettato questa storia, avrebbe perso senza neanche un ripensamento Kimberly.
Calò un silenzio assordante. Uno di quei silenzi che valgono più di parole, grida, liti e gesti.
C’era solo uno scambio di sguardi, molto espressivi, sguardi che parlavano chiaramente.
-E’ meglio che vada.- concluse infine Max Danes, guardando la figlia con occhi tristi, la quale ricambiò con lo sgomento nel cuore.
-Aspetta.- lo fermò Jared sull’attenti. –Quindi non hai intenzione di intrometterti? Di farmi arrestare? Di spedire Kim a milioni di miglia lontano da me?-
Il produttore sospirò con una tale intensità che il proprio corpo si gonfiò e sgonfiò visibilmente.
-No. Dopotutto ti devo una ragazza, giusto?- cercò di sdrammatizzare, ma tutti e tre la trovarono una battuta fuori luogo. – Tranquillo non sono un padre degenere, se non avessi la certezza di come tratti le ragazze mi sarei mobilitato all’istante.- diede una rapida occhiata a Kim, prima di proseguire. –Anya mi
diceva sempre di quanto fantastico e dolce fossi.. Per questo non è mai riuscita a rifiutarti.- ghignò a mo’ di presa in giro. Era chiaro che fosse mirato a farlo star male.
Jared però non reagì, stette immobile analizzando il suo dolore in modo da renderlo estremamente superficiale. Stava vincendo questa volta e non si sarebbe mai piegato al cospetto di quel despota, non gli avrebbe permesso di rovinare tutto un’altra volta.
-Papà smettila.- lo difese Kimberly, immaginando come questo potesse farlo stare.
Il volto di Max si irrigidì. –La tua fortuna Kim, è che sei anche molto giovane, sono sicuro ti renderai conto di essere dentro una follia e ne uscirai prima del previsto.-
-Ti sbagli.- lo contraddisse con prontezza e decisione. Per tutto il tempo non si era mossa dal fianco di Jared, come per fargli capire che gli sarebbe rimasta accanto, no matter what.
La faccia con cui suo padre la fissava però, le stava lentamente rompendo qualcosa dentro. Era uno sguardo amaro, deluso.
Uno di quegli sguardi che ti pesano a vita sulla coscienza.
Ciò che non si sarebbe mai perdonata era causargli una delusione, e invece eccola lì, stoica nella sua decisione; determinata a continuare a deluderlo.
-Non vuoi dare un ultimo abbraccione al tuo vecchio?- le chiese poi, aprendo le braccia e indicandole il proprio petto.
Con un groppo enorme in gola e le lacrime che spingevano per poter essere liberate, Kimberly scosse la testa e fece un ulteriore passo indietro, sempre più vicina invece al suo insegnante.
Quella decisione le avrebbe spezzato il cuore non appena se ne fosse resa conto a mente lucida, lo sapeva bene.
Aveva un profumo unico, che sapeva di casa, amore, calore. Sarebbe stato il suo rifugio ideale a vita e in quel momento era esattamente quello che voleva fare con tutto il suo essere.
Suo malgrado, continuò nella sua determinazione, scuotendo la testa. -No.- sussurrò flebilmente, il tono di voce talmente basso che il padre non lo sentì neppure.
Aveva messo i suoi principi prima di tutto, suo padre aveva sbagliato come persona e lei stava moralmente dalla parte del professore.
Jared accanto a lei non era fiero di quello che aveva causato, sebbene la rabbia nei confronti di quell’uomo non gli sarebbe mai passata.
Non era di certo uno spettacolo piacevole assistere ad un padre e una figlia che si separano.
Max, rassegnato, chiuse gli occhi e sospirò. –Stai certo Jared che questa me la paghi. Se c’è anche solo una minuscola possibilità che tu diventi qualcuno, te lo giuro sulla mia bambina, io la polverizzerò.- lo minacciò.
Sebbene quella fosse la peggiore minaccia che potessero fargli, il musicista riuscì a sostenere lo sguardo del suo rivale per tutto il tempo, senza lasciar trasparire nessuna fragilità al riguardo.
La ragazza invece, spalancò gli occhi, carica di sgomento e dispiacere nel rendersi conto che l’unico, vero motivo di esistere per l’uomo che amava, fosse appena stato dissolto nel nulla.
Diede un’occhiata a Jared e tornò sul padre, il quale si era di nuovo incamminato verso la macchina.
-Papà!- lo chiamò poi, presa da un impulso viscerale.
Crescendo aveva imparato a controllare molte emozioni e impulsi. Aveva imparato a trattenere le risate dopo essersi accertata che la persona caduta rovinosamente davanti ai suoi occhi stesse bene.
Aveva imparato a controllare la rabbia e il tono di voce quando qualcuno l’aggrediva verbalmente.
Purtroppo però, continuava ad essere la stessa bambina fragile che si sentiva mancare la terra sotto i piedi vedendo l’uomo che l’aveva generata, andarsene.
Era qualcosa a cui non si sarebbe mai abituata, era una cosa innaturale. I figli dovrebbero allontanarsi dai genitori, non il contrario.
Lui si voltò e la guardò.
Uno sguardo spento, davvero poche volte in vita sua aveva visto così poca vita negli occhi di Max.
Durò anche molto poco a dir la verità.
In quel breve contatto visivo però, Kimberly ebbe la crudele sensazione che quella fosse l’ultima volta che l’avrebbe visto.
 

I’m sorry,
I can’t be perfect.

Note finali: eheheheh allora?? Cosa ne pensate?
La immaginavate così? Obiettivamente anche io me la immaginavo più drastica e drammatica, capelli strappati, occhi cavati e colli sgozzati ma non so per quale motivo invece mi sia uscita questa via di mezzo non completamente indolore, ma neanche tragicissima.
Forse ero troppo indecisa su quale legame spezzare e alla fine ho optato per "mantenerli" entrambi. Boh, in ogni caso questo è il risultato e spero che vi convinca.. per qualsiasi cosa invece, se aveste preferito qualcosa di diverso fatemelo sapere.. non lo cambierò ma mi farebbe piacere immaginare finali alternativi :)

La canzone è Perfect (en pendant con la storia, insomma) dei Simple Plan. Credo di averla inconsciamente scelta perchè nella canzone è trattato il rapporto col padre.
Va beh, vedetela come volete dovrei smetterla di spiegare tutto quello che faccio, sta diventando irritante ahaha.

Perchè abbiamo perso tutto
niente dura per sempre

Mi spiace
ma non riesco ad essere perfetto.

Ahi, mi vida risollevatemi voi che oggi è una giornata da scazzamento totale!!!
Spero abbiate gradito e vi sarei gratissima se mi facciate sapere cosa ne pensate :)
xxoxoxoxoxoxo

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Capitolo 56
*** Capitolo 56. ***


Capitolo 56.

 The love for what you hide
The bitterness inside
Is growing like the new born

 

Estrasse le chiavi di casa dalla tasca dei jeans scuri, vecchi e sdruciti sul fondo a forza di camminarci sopra con le scarpe.
Era affezionato a quei pantaloni, non c’era una ragione in particolare, del resto era molto legato a qualsiasi capo che andava a creare il suo eccentrico guardaroba.
Aveva cominciato a vestirsi in maniera più consona da quando ottenne la cattedra da insegnante di musica, e quel paio di pantaloni facevano parte della categoria di vestiti sobri che aveva posseduto da sempre.
E inoltre a Kim piacevano molto.
Le infilò nella serratura e le girò mezza volta: significava che qualcuno vi si era già intrufolato dentro.
Non ne fu colpito, era stato lui stesso a dirle di trovarsi direttamente a casa sua.
Infatti, non appena accese la luce del soggiorno, vide la ragazza distesa sul divano, tanto per cambiare.
Era sdraiata sul fianco destro, il braccio destro a farle da cuscino le premeva contro la guancia, mentre il sinistro era disteso sopra la testa.
Aveva spogliato le scarpe, le quali al momento giacevano inermi esattamente sotto di lei, sul tappeto tra il divano e il tavolino in vetro.
Le gambe erano piegate, mantenute strette il più possibile al ventre, probabilmente per trattenersi il calore addosso, che tendenzialmente comincia a scemare quando stai sdraiato in quel modo.
I lunghi capelli che le coprivano il volto, erano stesi in direzione opposta rispetto al suo corpo, facendo quindi capolino dal bordo del divano più vicino alla sua testa.
Il fatto che fosse così distesa, con la luce e televisione spenta poteva lasciar immaginare che stesse dormendo.
Ciononostante, il modo in cui l’indice della mano sinistra si attorcigliava una ciocca di capelli già ondulata, gli fece intendere che fosse sveglia.
Senza dire niente, l’uomo sorrise rumorosamente, appoggiando i suoi effetti contro la parete subito accanto alla porta, e si incamminò verso il divano.
Una volta raggiunto, si sedette sul tappeto, proprio di fronte al viso della giovane.
Il respiro flebile le smuoveva le ciocche di capelli davanti al viso. Jared si avvicinò fino ad appoggiarsi con un gomito sulla superficie del divano, e con l’altra mano prese a liberarle il volto.
Quando questo emerse, lui non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso affettuoso.
-Ehi..- disse in un sussurro.
Gli occhi pece incontrarono subito i suoi, nella quale però Jared vi riconobbe quell’aria tormentata che era solito trovarvi nelle ultime settimane.
Erano passati 15 giorni ormai dall’incontro a sei occhi con Max Danes… per qualche motivo però Kim non riusciva a darsi pace, malgrado tutti gli sforzi del professore per farle capire di non avere colpe.
L’occhiata che gli rivolse, gli fece intendere che si trovasse ancora in piena pena per quanto riguardava la minaccia del padre nei confronti di Jared.
-Per quanto tempo vuoi continuare con questa storia?- le domandò, il tono per niente alterato. Era intenerito da questo atteggiamento.
-E tu per quanto fingerai che non ti interessa?- disse di rimando la ragazza, la voce esprimeva chiaramente il suo stato d’animo.
-Non sto fingendo Kimberly.- rispose il professore, cominciando a giocare a sua volta con i capelli folti della ragazza, facendoseli passare tra le dita a mo’ di pettine. –Certo sono dispiaciuto, ma non ero davvero convinto di poter diventare qualcuno a ormai 40 erotti anni. –
Lei chiuse gli occhi, sospirando. –Sono mortificata, Jared.-
-Lo so.- alzò gli occhi al cielo. –Sono due settimane che me lo ripeti.-
-Avrei potuto fare qualcosa!- disse lei, col tono di voce leggermente più alto. La responsabilità di tutto l’accaduto era totalmente sua, ne era consapevole.
-Kim, ho 20 anni più di te, davvero, credimi, non ho bisogno che tu mi difenda.- chiosò con un ché di presuntuoso. Non comprendeva tutto questo lagnarsi della giovane, per quanto gli suscitasse tenerezza, dall’altra parte non riusciva a capire: il SUO sogno era stato infranto e lei si comportava come se la vittima fosse lei.
-Piuttosto, l’hai più sentito?- le chiese poi, continuando a passare le dita tra i capelli di Kim. Erano davvero setosi, per un momento gli venne in mente quando il solo pensare di toccarglieli lo faceva rabbrividire.
Lei scosse piano la testa. – Mi ha chiamato per i due giovedì seguenti, ma non gli ho risposto.- confessò mordendosi il labbro inferiore.
Jared strabuzzò gli occhi. –E perché? Se non erro eri terrorizzata dall’idea di non sentirlo più!-
-E’ vero.- confermò Kimberly. –Il problema adesso è che non voglio sentirlo io. Ho scoperto un lato di lui che mi ha fatto malissimo, non avrei mai sospettato potesse essere una persona tanto crudele.
C’ho provato, Jared, credimi. Quando ho visto che il mittente era lui però, non sono riuscita a rispondere, proprio non ce l’ho fatta.-
Il professore si inumidì le labbra, gli occhi carichi di comprensione. –Posso immaginare come ti senti Kim e capisco tu possa essere arrabbiata con lui.. ma è tuo padre e tu devi giudicarlo solo in quanto essere padre.
So che al momento non riesci a separare l’immagine dell’uomo che mi ha fatto star male dal padre affettuoso di cui mi hai sempre parlato.. ma è questo che devono fare i figli.
Questo lato di lui non ti riguarda, e non è giusto nei suoi confronti tenergli il muso.-
Obiettivamente, aveva ragione. Questo aspetto ragionevole della sua personalità cominciava ad infastidire l’alunna, la quale capì immediatamente di essersi comportata male nei confronti di suo padre.
Però ripensandoci, se adesso la chiamasse, non esiterebbe ad ignorare il cellulare. Il lato orgoglioso del suo carattere non riusciva a placarsi e finché era così, non ci sarebbe stato modo per affrontare la situazione lucidamente.
-Hai ragione.- ammise subito però, convinta di quello che diceva.
-So che è difficile, e non dico di chiamarlo seduta stante.. solo la prossima volta, quando sarai pronta, non evitarlo.  Sono convinto che gli stai causando un dolore che non riusciamo neppure ad immaginare.-

Touchée  pensò colpevole Kim. Questo uomo aveva un potere straordinario.
-Com’è che sei bravo in tutto?- gli chiese poi, nel volto si aprì un sorriso carico di riconoscimento.
Lui scrollò le spalle. –Sei tu che mi ispiri.- si giustificò. –Tu mi fai venire voglia di essere un uomo buono, un uomo migliore.-
Kimberly sporse il labbro inferiore. –Che bella cosa mi hai detto.- si alzò su un gomito e si chinò sul volto del professore, lasciandogli un dolce bacio. –Grazie, Jared.-
-Domani è Pasqua, tutti devono essere più buoni.- spiegò lui con un sorriso ammiccante.
-Quello è il Natale, Jared. A Natale si è più buoni, a Pasqua ci si riempie di uova di cioccolato e basta!- disse lei ridendo di gusto.
La suoneria del cellulare di Kim, purtroppo, interruppe quell’atmosfera magica.
La ragazza si lanciò sull’oggetto. Lo schermo non presentava nome, solo un numero che Kimberly non tardò a riconoscere.
Presa dal panico si sollevò dal divano e raccolse il telefono interrompendo la chiamata.
-Ho già visto da qualche parte quel numero.- sentì dire da un Jared pensoso, alle sue spalle. –Solo che non ricordo dove.-
Presa alla sprovvista si sentì dire –E’ il numero dell’operatore incaricato di sottoporti al questionario per quanto riguarda il servizio degli autobus. Ti chiede di giudicare in una scala da 1 a 7 come trovi gli orari, la pulizia, il personale.. è tutta settimana che mi chiamano.- spiegò molto velocemente Kim, aggiungendo
più dettagli possibile.
Appena vide che Jared stava per contraddirla, con quell’aria confusa negli occhi, si picchiò un palmo sulla fronte. –No! Che sbadata! Mi sono appena ricordata di avere una guida importantissima tra un’ora! Sai manca poco all’esame finale.- esclamò, avvicinandosi a lui e raccogliendo le scarpe, per poi infilarsele.
-Tu invece hai quelle commissioni da fare, giusto?- continuò rivolgendosi a lui, mentre si stava infilando la giacca, il tutto sotto gli occhi dubbiosi del professore.
-S-sì.- confermò lui, incerto. La ragazza si stava comportando in modo strano, come se stesse macchinando qualcosa a sua insaputa. –Tutto bene?- le domandò quindi, gli occhi apprensivi.
Quelle “commissioni” come le definiva lei, avevano detto che le avrebbero fatte insieme.
Possibile che se lo fosse dimenticata? Non che la sua presenza fosse necessaria per comprare delle tende nuove o degli aggeggi elettronici di cui non si interessava minimamente, e anzi, trovasse assolutamente “pallosi”; però ritenne strano come sembrava convinta di non ricordarselo.
Probabilmente però erano tutte sue paturnie e stava lasciando correre un po’ troppo la fantasia.
-Certo.- rispose lei sicura. Si avvicinò a lui, gli prese il volto tra le mani e avvicinandolo al proprio, in modo che i due nasi si toccassero. –Tu?-
Decise di fidarsi, e con una scrollata di capo fece uscire quelle idee bizzarre dalla mente. –Sì, tutto bene.- affermò con un sorriso.
Accarezzandogli il naso col proprio, Kimberly uscì dall’appartamento, con un sonoro –Ci vediamo stasera!-
Rimasto solo, l’uomo sorrise nella penombra della stanza.
Senza perdersi d’animo, andò in camera sua a cambiarsi, indossando una vecchia e consunta t-shirt al posto della camicia che aveva tenuto tutta mattina. Sapeva troppo di scuola, non la poteva reggere per il resto della giornata. 

Solo quando ormai si trovava fuori dall’appartamento, Jared si rese conto che la ragazza gli aveva mentito.

 

When you’ve seen, seen too much
Too young, too young
Soulless is everywhere

Note finali: Aaaaaaallooooraaa amatemi innanzitutto perchè stasera parto e non ci sarò per una quasi settimana,
e nonostante sia tirata coi tempi e i capitoli di riserva stiano finendo, ho deciso di lasciarvi questo pensierino. E' corto, ma ha un suo senso ;)
Trovo molto bello il discorso che Jared ha fatto a Kim riguardo al padre; è una lezione che è stata insegnata anche a me anni fa, perchè si sa, i genitori non si scelgono. Sbaglio?
Vorrei condividere con voi questa lezione di vita quindi, può non riguardarvi per niente o può esservi utilissimo: bisogna giudicarli solo per il loro essere genitori. Il resto non è affare nostro, per quanto sia difficile farsene una ragione. Quando si scoprono determinate cose riguardo a loro magari si arriva a vederli sotto un'ottica completamente diversa, arrivando ad ignorare la cosa fondamentale: ci vogliono più bene del bene che noi potremmo mai immaginare (o potremo solo in futuro).
Forse per voi sarà una cosa banale e siete maturate 100 anni prima di me. Forse ora come ora mi direte "cazzonevuoisaperetu" ma poi col tempo, quando vi si presenterà l'occasione, capirete.
Forse sto solo cercando di autoconvincermene, per l'ennesima volta ;)
Eh.

Alloooora, cosa nasconde Kim??? Da cosa ha capito Jared della menzogna? Chi era al telefono??
Cosa ha architettato questa volta, il mio neurone? (A proposito, si chiama Petronilla, non starò a raccontarvi perchè e per come abbia un nome tanto idiota; sappiate solo che è fierissima di fare la vostra conoscenza XD)
Se state attente potreste chiudere qualche cerchio, per altri, ahimè, solo io posso saperlo ahaha. Ripensate a tutte le questioni in sospeso che ci sono e ci arriverete ;)

La canzone è MERAVIGLIOSA ed è New born dei Muse quando ancora spaccavano i culi (jk ;))
Non c'entra nulla ma boh, tanto a voi non interessa che sia in tema col capitolo, cosa sto a scervellarmi ogni volta, lo so solo io :)

L'amore per quello che nascondi
l'amarezza che hai dentro
sta crescendo come un neonato.

Quando hai visto, hai visto troppo
troppo giovane, troppo giovane
i senza cuore sono ovunque

Ok, datemi un pò di amore e di opinioni <3<3<3<3<3<3<3<3<3

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Capitolo 57
*** Capitolo 57. ***


Capitolo 57.

 

Sospirò a pieni polmoni nel tentativo di calmarsi.

Si portò una mano al petto, percepiva sensibilmente il cuore palpitarle sui polpastrelli. Poche volte in vita sua era stata così nervosa, forse mai così tanto.

Inspirava dal naso per espirare rumorosamente dalla bocca. Le stava venendo un attacco di panico, ne era quasi certa.

Si trovava davanti all’aeroporto, era fortunata fosse facilmente raggiungibile dal momento che si trovasse proprio di fronte ad un grande centro commerciale, quindi molti autobus passavano di lì, senza per forza aver bisogno di un taxi.

Si guardò intorno. Quel luogo era colmo di persone opposte. C’erano quelli stremati che uscivano dalle porte automatiche, e quelli invece super elettrizzati per l’imminente partenza; persone impazienti e gioiose e persone tristi e occhi carichi di lacrime; persone che partivano e persone che restavano.

Quel luogo la spazientiva: lei faceva sempre parte della seconda categoria. Lei restava, lei rimaneva, immobile, statica, sempre pronta ad aspettare.

Ok, doveva ammettere che non si era svegliata nevrotica, semplicemente il periodo non era certo dei più tranquilli. Oltre al casino con suo padre e Jared ci si metteva Ingrid, la quale ora sì, si faceva sentire più spesso, ma in certi casi Kim avrebbe preferito se avesse evitato.

L’amica si stava rendendo conto che il tempo Sud Americano stava per scadere e si sfogava con Kimberly, raccontandole di quanto lì la gente fosse meravigliosa, di quanto tutti si volessero bene e si abbracciassero di continuo; le raccontava anche della “sorella” acquisita, con la quale aveva non pochi diverbi, ma del resto si volevano bene come fossero vere parenti.

Proprio il giorno prima le aveva scritto una mail in cui le raccontava di quanto si comportasse male quella ragazza, la quale, pur sapendo che lei partisse a luglio, aveva prenotato una vacanza proprio pochi giorni prima della partenza di Ingrid.

Quando poi si era resa conto della carognata era andata da lei in lacrime a chiederle scusa, dicendole che non sarebbe più partita e Ingrid, sentimentalona come diceva di essere è scoppiata a piangere con lei, pianto a cui si aggiunsero anche madre, padre e fratello.

Insomma si abbracciarono tutti insieme riversando più acqua delle cascate del Niagara e Ingrid era così colma di disperazione da averle comunicato la sua infelicità nel dover tornare! Come si vogliono bene loro, nessuno; i “genitori” non prenderanno più nessun ragazzo perché si sono troppo affezionati a lei e così via.

Kimberly davanti a quella mail non poté trattenere il nervoso che irrimediabilmente si scaturì in lei e dal centro del petto si riversò sulle falangi, facendole rispondere con un’e-mail carica di energia negativa.

Va bene tutto, pensava, ma quando le due si erano salutate sapendo che non si sarebbero viste per un anno, Ingrid non aveva pianto né si era rotolata per terra strappandosi i capelli a ciocche, ma un semplice messaggio “Stammi bene” era bastato; alcuni dei suoi amici non avevano avuto neppure questa fortuna e non la sentivano da più di un anno.

Ma chi se ne frega no? A lei tutto era dovuto, quello era un Paese orribile e non importava se lì ci fosse la sua famiglia, i suoi amici, la sua vita o persone idiote come Kim che l’aspettavano da un anno, nonostante un pidocchioso “stammi bene”.

Sbuffò ancora più energicamente, di nuovo carica di nervosismo. Però aveva fatto bene a pensarci, distrarsi da quell’agitazione immensa le aveva fatto dimenticare per un secondo cosa, o meglio, chi stava aspettando.

Improvvisamente dalle porta scorrevoli davanti ai suoi occhi si presentarono tre persone, un uomo e due donne per la precisione.

La ragazza li riconobbe per forza di cose, era stata ore a fissare le loro foto. Solitamente scordava i volti, specialmente di persone che non aveva mai visto dal vivo.

In quel caso però era talmente spaventata di dimenticarli che non fece assolutamente fatica a riconoscerli, come se in realtà si trattassero di vecchi amici.

Questi si guardavano intorno, alla ricerca di qualcuno che potesse assomigliare alla descrizione data da Kim di se stessa, la quale si diede uno scappellotto virtuale per non aver pensato a scrivere un cartello con il  nome degli interessati.

Le gambe non rispondevano ai comandi, tuttavia si fece forza e con una camminata decisamente incerta si diresse verso il gruppetto, guardandoli fissi, in modo si accorgessero che la ragazza ce l’avesse con loro.

Man mano si avvicinava, le figure si facevano più grandi, i volti più chiari, i dettagli più nitidi.

All’estrema sinistra c’era una donna dai capelli rosso aranciato, piccolina, bassa statura, mingherlina.

Le gote erano coperte di lentiggini, al di sopra delle quali due occhi verdi intenso la puntarono. Da quegli smeraldi Kimberly percepì una grande energia, come se nonostante le dimensioni ridotte della donna, in questa giacesse una forza di spirito impressionante, capace di spostare le montagne.

All’estrema destra un’altra donna dai capelli lunghi e biondi e gli occhi azzurri, lasciò perplessa Kim, la quale però non riuscì a spiegare su due piedi il motivo di tale sensazione.

Al centro, l’uomo era di altezza media, capelli molto corti, niente barba. A giudicare da come la felpa gli stesse attillata sulle spalle, la ragazza capì che si trattava di una persona piuttosto muscolosa.

Ma ciò che la colpì particolarmente furono gli occhi.

Erano dal taglio lungo, le ciglia folte rendevano lo sguardo ancora più intenso e il colore attraversava varie tonalità cromatiche dal verde al nocciola. Erano degli occhi davvero interessanti.

Com’era possibile che due fratelli potessero essere così diversi ma al contempo avere una caratteristica strabiliante in comune?

-Buonasera.- salutò Kimberly, cercando di mostrarsi il meno intimidita possibile.

Il primo a porgerle la mano fu l’uomo. –Io sono Shannon, molto piacere. Tu devi essere la ragazza misteriosa..-  intuì lui con un ghigno divertito.

Gli occhi si erano assottigliati in uno sguardo talmente seducente che la ragazza si costrinse a distogliere lo sguardo. Era possibile che anche lui avesse lo stesso potere di Jared e come lui si divertisse alle spalle degli altri?

-Questa è la mia compagna, Jenah.- disse presentando la donna dai capelli rossi, facendole fare un passo in avanti con una mano dietro la schiena.

-Molto piacere, Kimberly.- l’accento era diverso dal suo, del resto era scozzese, ma il timbro di voce era soffice, pareva rimbombarle nelle orecchie al momento.

Shannon fece finta di nulla, ma in quel momento fu altamente riconoscente a Jenah per avergli involontariamente ricordato il nome della ragazza. Non se lo ricordava proprio, anzi, lui tendeva a dimenticare qualsiasi nome nel giro di 3 minuti.

Cominciò a ripeterselo mentalmente infinite volte, dipingendosi una faccia da poker sul volto.

Quando davanti a Kim si parò una persona che doveva per forza di cose essere la madre di Jared, capì perché prima si sentiva così perplessa nel guardarla.

Era troppo giovane, eppure, a meno che avesse partorito quando era decisamente minorenne, doveva avere sessant’anni!

La ragazza cercò di non lasciar trapelare tutti questi dubbi, aspettando semplicemente che la signora si presentasse.

Quando questa le porse la mano e le disse –Ciao Kimberly, io sono Constance.- per poco non le cadde la mandibola.

Incredula, cominciò a pensare che si trattasse di uno scherzo di pessimo gusto, finché i loro occhi non si  incontrarono. Solo allora non ebbe più dubbi.

Era come riflettersi in quelli di Jared; era come tuffarsi in quell’oceano in tempesta, date le tonalità scure causate dal tempo che ormai si era rannuvolato in vista della sera.

Gli occhi del suo professore, grandi, tondi, limpidi, solo leggermente più rugosi ai lati, la stavano fissando di rimando.

Erano uguali a quelli dell’uomo che le faceva venire le palpitazioni, per questo motivo per un nano secondo si estraniò da quel contesto immaginandosi di trovarsi di fronte a lui.

Un sorriso decisamente ebete le si disegnò in faccia, mentre cercò con tutte le sue forze di riportarsi coi piedi per terra.

-Molto piacere.- rispose con un tono soave, il tipico che usava quando si perdeva negli occhi di Jared.

A malincuore dovette separarsene, o la madre avrebbe pensato che stesse flirtando con lei.

Svelta si infilò le mani in tasca, portando lo sguardo a terra, nel tentativo di riprendersi.

Non era normale che anche il solo pensiero di essere col professore di musica la rimbambisse in quel modo.

-Vi accompagno all’albergo?- chiese poi sorridente, indicando loro un taxi. Si sentiva estremamente a disagio, estremamente in soggezione di fronte a quelle tre paia di occhi curiosi che la scrutavano.

Poteva sentire nelle loro menti le domande, le normalissime e comunissime domande, che si stavano silenziosamente ponendo. Ma a lei arrivavano chiare come degli schiaffi in pieno volto.

Quanti anni avrà? Che genere di rapporto è il loro? Sarà così tanta la differenza di età? Jared si era bevuto il cervello? Sarà maggiorenne?!

Loro annuirono all’unisono, raccolsero i proprio bagagli e si diressero verso una delle macchine posteggiate lì di fronte.

La tensione era palpabile, ma la caparbietà di Kimberly era solida e avrebbe compiuto questa missione fino in fondo; voleva sinceramente dimostrare a Jared e a chiunque fosse presente quella sera, quanto in realtà ci tenesse a lui e quanto fosse seria nei suoi confronti.

Quella macchina era terribilmente stretta, però dovette ammettere che in quanto a discrezione e gentilezza, la famiglia del suo professore fosse davvero ferrata.

Le porgevano delle domande generiche, senza intaccare –per il momento- il suo rapporto con Jared, e creando dei dialoghi pacifici e ironici, per alleggerire quell’atmosfera cupa.

Fortunatamente l’albergo si trovava nelle vicinanze dell’appartamento di Leto. Nonostante le varie carinerie, Kim non vedeva l’ora che entrasse in gioco anche lui, non avrebbe retto per troppo tempo la pressione.

Era impaziente che scoprisse la sorpresa, lei amava sorprendere gli altri, soprattutto quando sapeva che l’idea era proprio azzeccata e la reazione sarebbe stata solo che positiva.



note finali:
TAAADAAAAAN!!! MMMbèèè c'eravate arrivate? Avevate pensato a questa chicca?

Eheheh finalmente anche Shannon è entrato nel vivo della storia, facciamo una HOLA tutte insieme :) 
Scusate se è molto corto e molto scritto male ma non sono particolarmente in vena... non sono nemmeno riuscita a trovare una canzone appropriata :(
Spero mi vogliate bene lo stesso e mi diciate cosa ne pensate di questa nuova entrata!!
Grazie a tutte :)

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Capitolo 58
*** Capitolo 58. ***


 

Capitolo 58.

 

Cos we belong together now

Forever united here, somehow

You got a piece of me

And honeslty

 

Dopo averli scortati all’hotel, Kimberly li aiutò a fare check-in, dato che era stato tutto prenotato a nome suo.

Le era obiettivamente costato una fortuna, ma il Signore volle che lei fosse da sempre una gran risparmiatrice e in aggiunta il compleanno recente, aveva fatto ammontare il suo gruzzoletto ad una bella somma.

Inoltre aveva una tessera appartenente a suo padre – ne aveva svariate- la quale accumulava punti con i viaggi che questo faceva, quindi i biglietti le erano venuti a costare davvero poco.

Le era bastato rubare i numeri dei parenti di Jared dal cellulare quando era poco attento, e il gioco era fatto.

Una volta consegnate le chiavi, la ragazza decise che era il momento opportuno per andarsene.

-Se non c’è altro che posso fare per voi, io andrei. Passo tra un paio d’ore, l’appartamento di Jared si trova a 5 minuti da qui.- spiegò indicando col pollice la porta scorrevole alle sue spalle, con un sorriso insicuro rivolto agli ospiti.

Questi le sorrisero di rimando, congedandola, quell’espressione curiosa faceva sempre da sfondo.

Poteva sentire i loro occhi puntati sulla schiena, mentre si incamminava per raggiungere velocemente l’uscita.

-Kimberly, aspetta!- sentì poi una voce maschile riportarla indietro, proprio quando appoggiò una mano sulla porta per spingerla e finalmente uscire da quel clima di tensione.

Shannon l’aveva raggiunta e ora si trovava di fronte a lei a fissarla con quell’espressione seducente. Voleva chiaramente qualcosa.

-Sì?- fece la ragazza intimidita. Possibile che qualsiasi membro della famiglia del professor Leto fosse in grado di metterla così a disagio?

A pensarci bene, era sempre così con le famiglie dei suoi ragazzi: non riusciva mai a sentirsi a suo agio in loro presenza, facendoli quindi sentire come se avessero fatto qualcosa di male, o dandogli l’impressione di non starle particolarmente simpatici, quando in realtà a lei piacevano moltissimo.

Non riusciva a spiegarsela questa reazione spontanea, come fosse un meccanismo di difesa. Sì, ma da cosa ?

Non avevano mai tentato di mangiarsela e sicuramente non erano  mai stati avversi alla sua relazione col figlio.

Forse questa era l’unica vera volta in cui questo istinto aveva motivo di esistere.

-Vorrei venire con te.- disse senza molti giri di parole, frase che la lasciò per un momento di stucco, portandola automaticamente a guardare alle spalle dell’uomo.

Le due donne non c’erano, doveva essersene liberato molto velocemente. Distrattamente pensò addirittura che potesse essere un modo per controllarla, per capire cosa fosse lei per Jared, cosa avessero di così importante per spingerla ad organizzare tutto questo a sua insaputa.

Ma lo sguardo che Shannon le dedicava, per un qualche motivo, le sciolse immediatamente questa idea e la fece annuire con un sorriso.

Una volta fuori glielo chiese, il perché di questa decisione così affrettata.

-Vedi, volevo passare un po’ di tempo in tua compagnia. Vorrei mi raccontassi come sta mio fratello.- spiegò l’uomo, guardandosi attorno.

Non era mai stato in Canada, ma gliene avevano da sempre parlato come un posto tranquillo, pulito.

Kimberly prese fiato. –Jared.. Jared sta molto bene. Cioè, forse molto no, però sta bene.

Il lavoro va bene, per quanto essere professore di musica possa creare problemi.-

-Allora qual era il motivo urgente per farci venire qui?- domandò guardandola di sottecchi.

Lei scrollò le spalle. –Gli manca molto la sua famiglia, è una delle poche cose che lascia trapelare nonostante gli sforzi per trattenersi.-

-Sempre molto riservato, eh? È sempre stato questo alone di mistero che mandava in fibrillazione le ragazze.- ghignò l’uomo al suo fianco, come se questo non potesse in un qualsiasi modo toccare la ragazza.

La quale infatti si irrigidì appena, quell’appena che non sfuggì allo sguardo vigile di Shannon, il quale colse la palla al balzo.

-Come vi conoscete tu e lui?- chiese con finto disinteresse.

Eccola, la domanda che più temeva ma che sarebbe sicuramente arrivata. Mordendosi il labbro inferiore, Kim cercò le parole giuste per affrontare un argomento simile, aveva fatto male a fidarsi del suo sguardo.

-Sono una sua alunna. Una di quelle che ha accalappiato proprio con quell’alone di mistero.- confessò per poi bloccarsi in mezzo al marciapiede, accigliata. –Anzi, a dire il vero non è stato quello. Al contrario, è stata la sua trasparenza, a colpirmi. Come si era preso cura di me quando ero malata, la dedizione con cui è sempre stato attento ai miei sentimenti, e il suo lato oscuro. Sì, per quanto mi facesse innervosire, d’altra parte sono sempre stata affascinata dalla doppia personalità che mi mostrava.-

Non ci volle un molto perché Shannon capisse che genere di rapporto ci fosse tra i due.

Improvvisamente ricordò dove aveva già sentito quel nome. Jared gli parlava sempre di quell’alunna permalosa e impertinente che gli faceva  fare figuracce davanti alla sua classe.

Tuttavia, sentiva che c’era qualcosa di diverso nel tono del fratello, come se non lo colpisse davvero il fatto che lui facesse la figura del cretino davanti agli alunni, bensì l’alunna stessa. Era una sfumatura della voce che però era molto bravo a coprire, come se volesse reprimerla in eterno dentro se stesso.

Evidentemente, Jay in teoria era molto più forte che in pratica, e la prova se ne stava in silenzio a fissarlo, proprio di fronte a lui.

Kimberly aveva un’espressione eroica in volto, come se il suo discorso fosse qualcosa a cui aveva sempre pensato ma che non si era mai permessa di sviscerare.

Sembrava molto soddisfatta, ma al contempo leggermente spaventata dalla possibile reazione di Shannon.

Il quale invece, sospirò e con un sorriso le chiese –Allora, quali sono i tuoi programmi?-

 

*

Kimberly era intenzionata a fare la spesa, a preparare qualcosa di speciale per quella serata tutti insieme. Probabilmente era una pretesa sciocca, dato che a Jared non sarebbe fregato niente del cibo dal momento che avrebbe rivisto la sua famiglia.

-Ti hanno mandato loro a chiedermi quale fosse la situazione tra me e tuo fratello?- domandò poi lei, trovandosi davanti al reparto ortaggi.

Il professore ne mangiava tanti, quindi provvide a fare una scorta.

-A cena abbiamo un esercito di conigli?- rise Shannon, divertito dal carrello mezzo riempito da verdure. E anche un po’ schifato a dirla tutta.

Lui odiava le verdure, era un carnivoro nato, avrebbe addentato qualsiasi pezzo di carne gli si fosse parato davanti.

-Jared è vegetariano, non lo sapevi?- la ragazza distolse l’attenzione per portarla sull’uomo alle sue spalle.

Ogni volta che i loro occhi si incrociavano, qualcosa dentro di lei fremeva. Aveva un fascino spropositato, non le era mai successo di sentirsi così davanti ad un uomo che non fosse Jared.

Si sa, buon sangue..

-Deve essermi sfuggito.- chiosò lui sbuffando. Poteva esserselo sicuramente dimenticato, ma dentro di sé sentì come se il fratello l’avesse tradito, lui e il suo orgoglio carnivoro. Improvvisamente una bruttissima idea gli balenò in mente. –Quindi non ci sarà carne stasera??- disse inorridito.

Kim fece spallucce. –Se ci tieni puoi prendere qualcosa tu. E comunque non mi hai risposto.- sospirò, indicandogli il bancone della carne.

-No, avevo solo bisogno di stare un po’ lontano da Jenah.- confessò dirigendovisi.

La ragazza strabuzzò gli occhi, fissandolo. Tutto avrebbe detto, tranne che vi fosse una crisi tra i due.

Ma non le sembrò il momento per scendere in un argomento simile, con una persona che conosceva da un’ora scarsa e che era niente di meno che il fratello del suo ragazzo.

Le fece una certa impressione pensare a Jared come il suo “ragazzo”. Non lo era già da un pezzo, ma definirlo fidanzato le sembrava davvero esagerato.

A pensarci bene non avevano mai trattato l’argomento, avrebbero dovuto farlo al più presto.

-Oh, capisco..- mormorò Kimberly, proseguendo verso le altre corsie.

Dal canto suo, Shannon apprezzò questa discrezione da parte della giovane. A dirla tutta era molto più matura di quanto avesse immaginato e anzi, ogni tanto riusciva a capire cosa potesse vederci suo fratello di tanto speciale da mettere a rischio il posto.

Gli sarebbe piaciuto avere un po’ del suo coraggio. Era qualcosa che gli aveva sempre invidiato, un po’ come adesso gli stava invidiando la conquista.

Si riscoprì geloso di un rapporto come quello. Era tanto che non sentiva i brividi pensando ad una donna, e le famigerate farfalle nello stomaco ormai si erano tutte estinte.

La storia con Jenah era ormai un’abitudine, se non peggio, era giunta al capolinea. Quanto avrebbero finto ancora?

Vedendo l’espressione criptica di Kimberly mentre osservava scrupolosamente due tipi di sushi già pronto, decise di darle una mano.

-A Jared piace il salmone.- le sorrise, per poi sobbalzare su se stesso. –Un momento, che vegetariano è uno che mangia il sushi?!- esclamò, causando una risata di cuore da parte di Kim.

-Te l’ho detto che ha un lato oscuro.- ironizzò, cercando di ricomporsi.

 

*

 

-E ora?- le chiese entusiasta come un bambino, appena fuori dal supermercato.

Si era divertito, quella ragazza tirava fuori il suo lato adolescenziale ormai sepolto da un pezzo.

Lei gli rivolse un’occhiata divertita: non si sarebbe mai e poi mai aspettata di trovarsi così a suo agio con Shannon. Che la sua anima fosse già intorno alla quarantina? Non riusciva a spiegarsi come potesse legare rapidamente solo con gente così adulta.

D’altro canto, non si poteva non adorare Shannon Leto. Era molto meno problematico e tormentato di Jared; più genuino, fresco, sicuro, libero.

Avevano passato il tempo nel supermercato ridendo come due folli, come se avessero la sindrome della iena ridens, come se non si fossero conosciuti in giornata.

Alla fine si era addirittura proposto per pagare lui questa spesa, riconoscente degli sforzi Kim aveva fatto.

-Ora ti porto da una persona.- disse sorridendogli misteriosamente.

 

Fuori dal locale, cominciò a bussare forte alla porta, finché non sentì dei passi contrariati avvicinarsi.

-Ma per l’amor del cielo, proprio vi è difficile leggere la scritta “chius..?- Tomo aprì la porta sbraitando, trovandosi col cuore in gola quando vi riconobbe Kimberly e Shannon. Soprattutto Shannon.

-Tomo!- esclamò quest’ultimo prendendogli con forza la testa e salutarlo in un modo che Kim avrebbe definito “scimmiesco”. Gli saltò letteralmente addosso, cosa che non infastidì per niente l’amico, emozionato al punto da ricambiare con lo stesso tipo di foga.

Era la prima volta che la ragazza assisteva ad un esempio di violenza amorevole. Era una situazione bizzarra.

-Che diavolo ci fai tu qui?!- chiese Tomo incredulo. –Ivana! Ivana! Guarda chi è venuto a trovarci!- chiamò poi la sorella a gran voce.

Shannon sorrise di cuore a quella notizia: tutti volevano molto bene alla sorella Milicevic.

Quando questa fece capolino nella stanza, cacciò un urlo e si gettò tra le braccia di Leto, elettrizzata e incredula. –Come mai sei qui?! Perché non ci hai avvertito?!-

Di tutta risposta, lui si scostò riportando l’attenzione sulla giovane. –E’ merito della ragazza, con una telefonata ha chiamato all’appello me,  Jenah e la mamma.- spiegò lui indicandola con la mano, facendole segno di avvicinarsi.

Lei timidamente si mise al suo fianco, incrociando gli sguardi sbigottiti dei due amici d’infanzia di Shannon. Negli occhi di Ivana vi lesse una luce che le fece chiaramente intendere quanto si fosse sbagliata a giudicarla avventata.

Era riuscita nel suo intento e lo constatò con una fitta d’orgoglio.

 

My life would suck without you

Note finali: lo so lo so lo so la canzone in background non c'entra davvero un cazzo ma è passata un'ora ormai e tutte le 2000 della mia playlist non si addicono, indi per cui facciamocela piacere :)

Capitoletto di transizione tra una cosa e l'altra, in cui si approfondisce la figura di Shannon. A me piace molto come è venuto fuori questo personaggio, lo immagino giovane inside, un "mattacchione", smemorato e soprattutto CARNIVORO. 

Scusate se invece ogni tanto può sembrare che ci sia una specie di flirt tra lui e Kim, non era mia intenzione, ma credo sia dato dal fatto che quando l'ho scritto Jared era scheletricissimissimo (tutt'ora secondo me deve recuperare qualcosa) e inconsciamente ho lasciato che questa poca attrazione nei suoi confronti si riversasse in Kim ma non ho in mente ménage à trois, a meno che siate voi a chiedermelo.

ahahahahahahaahahahhahahahaahahhahahaahahahhaah.

Tornando serie, alloraaaa??? Che vi sembra????

La canzone è di Kelly Clarkson, My life would suck without you e come ho già detto non c'entra un'emerita ceppa, ma pace&bene, è andata così.

Perchè ora noi ci apparteniamo
uniti per sempre, qui, in un qualche modo
hai preso un pezzo di me
e, onestamente,
la mia vita farebbe schifo senza te

Bene, that's it. A voi la linea ;)
bacibacibacibacibacibacibacibacibaci

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Capitolo 59
*** Capitolo 59. ***


Capitolo 59.

 Life is bigger  
It's bigger than you
And you are not me
The lengths that I will go to
The distance in your eyes
Oh no Ìve said too much
I set it up

 

-Ok, lui vive qui, ce la fai ad andare all’albergo e poi tornare qui senza perderti?- gli chiese Kim, indicandogli il campanello da suonare.
-Mi hai preso per un cretino? È tutta dritta!- rispose lui, pieno di sé. –Tu piuttosto, sei sicura di riuscire a portare su tutto?- erano quattro sacchetti colmi di roba.
-Ovvio.- disse lei incerta, rendendosi conto di non riuscire a tenere in mano anche le bottiglie.
-Dai, queste le porto io.- si propose l’uomo, sollevando una confezione di 6 bottiglie da un litro, con un’agilità spaventosa, come se si trattasse di un mucchio di foglie secche.
-Ci vediamo dopo.- lo salutò, soffermandosi forse un po’ troppo a lungo sul suo volto.
Una volta in ascensore, Kimberly chiuse gli occhi e si appoggiò contro una parete, cercando di trovare il controllo. Non era possibile che fosse così affascinata dal fratello di Jared, era una situazione di pessimo gusto.
Una volta raggiunto l’appartamento organizzò mentalmente il da farsi: cominciò a cuocere ciò che doveva essere cotto, lasciando però in disparte le bistecche di Shannon. Sembrava molto affezionato ai suoi acquisti, era meglio non intralciargli l’opera.
Quando udì il citofono era già riuscita ad apparecchiare il lungo tavolo e a riporvi delle bielle di verdure condite.
Gli ospiti entrarono nell’appartamento, c’erano anche Tomo e Ivana. Non si sarebbero persi quella serata per nulla al mondo, avrebbero lasciato il locale chiuso
quella sera, a costo di perdere qualche cliente.
-Che meraviglia, Kimberly!- esclamò Costance, ammirando la tavola imbandita. Notò con piacere che era tutto salutare, le fu evidente che la ragazza conosceva bene i gusti di suo figlio minore.
La ragazza le rivolse un sorriso grato, colma di imbarazzo.
-Dove sono le mie bistecche?- chiese Shannon a gran voce, distraendola.
-Le ho lasciate lì, non volevo far danni.- disse lei, scortandolo in cucina e mostrandogli dove poteva trovare l’occorrente.
Ne aveva prese veramente tante, ma guardandolo meglio doveva essere una persona molto bisognosa di proteine. E comunque non credeva che tutti avrebbero mangiato solo le pietanze favorite da Jared, quindi aveva fatto bene a spaziare un po’.
Proprio in quel momento sentì il campanello: doveva essere Lui.
Fece segno a tutti di rintanarsi in cucina, in modo da fargli una sorpresa. –Svelti!-
Quando aprì la porta, il professore le mostrò uno sguardo fiammante. Non era esattaente di buon umore…
-Ciao!- lo salutò lei, con un sorriso che lui non ricambiò assolutamente.
-Ciao.- rispose, superandola e dirigendosi verso la camera, dove buttò le tende nuove e i sacchetti degli aggeggi che aveva comprato.
-Trovato tutto quello che ti serviva?- continuò Kim, invariando il tono energico della voce.
Lui la guardò per la prima volta, negli occhi quello sguardo acceso non accennava a calmarsi. –Sì, e sicuramente non grazie a te.-
-Jared, è successo qualcosa?- domandò lei preoccupata, avvicinandosi per prendergli il volto.
L’uomo si scostò. –Devi dirmi niente?- ribatté eloquente.
-A che proposito?- il tono brusco e il modo con cui si era scansato da lei, l’avevano davvero ferita e ora cercava di pensare a cosa avesse potuto fare di sbagliato, ma in quella giornata tutto si poteva dire fuorché si fosse comportata male nei suoi confronti.
-Sai, fino ad oggi quando sei uscita da casa mia, non avrei mai dubitato di te. Mai, in niente, per nessun motivo. Ho sempre creduto fossi sincera con me, io credo ciecamente a qualsiasi cosa tu dica.- spiegò, indirizzandosi di nuovo verso la sala, con la ragazza al seguito. –E invece, improvvisamente mi è balenato in
mente un dettaglio, un piccolo dettaglio che sicuramente nella tua invenzione non era presente: io non prendo il pullman.- concluse voltandosi ad effetto verso di lei, come se potesse capire di cosa stesse parlando.
-Sono confusa.- ammise l’alunna, corrugando la fronte e distogliendo lo sguardo dal suo.
-Oh, davvero? Allora dimmi, di chi era il numero che ti ha chiamato oggi?- le ricordò, gli occhi diabolici puntati su di lei.
Improvvisamente, come quando un battito di ciglia ti ricorda un pezzo di sogno fatto nella notte che non riuscivi assolutamente a ricostruire, si ricordò la palla colossale che gli aveva raccontato quando aveva riconosciuto il numero di Shannon: il segnale per dirle che erano arrivati in aeroporto, e lei avrebbe avuto il tempo di raggiungerli mentre loro avrebbero aspettato le valigie e fatto la fila per mostrare il passaporto alla dogana.
Kim nel panico aveva inventato che erano le interviste riguardanti i servizi dell’autobus, ma solo ora si era resa conto del passo falso che aveva fatto, dal momento che il professore non poteva conoscere quel numero se non era un cliente fisso, al contrario suo che da ormai 6 anni aveva l’abbonamento annuale.
-Oh.- rispose semplicemente, non sapendo cosa aggiungere.
-Esatto, oh.- ripeté Jared, continuando il suo tragitto verso la sala.
-Jared, lascia che ti spieghi!- lo seguì lei, agitando le mani. Stava rovinando tutto, come al solito, qualcosa doveva andare per il verso sbagliato.
-No, ora mi dai il cellulare e sentiamo chi è!- era davvero furioso, il tono di voce non era mai stato così alto. Le si avvicinò per strapparle l’apparecchio dalle tasche dei pantaloni.
-Ahi, mi fai male!- si difese l’alunna, spingendolo via. Non aveva tasche, il telefono era nella borsa, in cucina.
-Dimmi dov’è!- sbraitò, ancora una volta.
-La smetti di urlare?!- disse agitata lei, portandosi le mani attorno alla testa.
Era nero, non l’aveva mai visto così arrabbiato e non riusciva a capire tutta questa foga improvvisa, solitamente lui si dimostrava calmo anche davanti alle situazioni più urgenti!
-Dimmi dove cazzo è!-  continuò l’uomo come se non la sentisse.
Con un sospiro rassegnato, gli indicò la cucina. –Sul tavolo, di là.- si sentiva così mortificata che non le interessava più che la sorpresa fosse scoperta in un modo diverso da come se l’era immaginato.
Deglutì, guardandola un’ultima volta più intensamente, con gli spettri del senso di colpa che cominciavano ad eccheggiare dentro di lui.
Subito però si scosse, ripensando che gli avesse mentito e ora si trovava nel torto. Risoluto, la lasciò lì, dirigendosi verso la cucina.
Una volta aperta la porta si trovò di fronte i cinque ospiti, tre dei quali erano quelli che meno si aspettava di vedere.
Il respiro gli si smorzò in gola.
 

*

 -Buh.- fece Costance, sfilandosi le unghie di entrambi i pollici dai denti, intenta a mordicchiarli. Era nervosa e preoccupata per la sfuriata che la ragazza aveva ricevuto, e ora gli mostrava un sorriso pallido; chissà come l’avrebbe presa. A questo punto, tutto era possibile.
Jared di fronte a loro non riusciva a muoversi né a pensare qualcosa di sensato. Si sentiva così confuso, come se si trovasse davanti ad una visione.
Con un sussulto si voltò, incrociando lo sguardo di Kimberly, visibilmente scossa dalla reazione per niente controllata del professore. Spaesato davanti a quella vista, cadde totalmente vittima del senso di colpa, che ormai lo artigliava dall’interno, riversandosi completamente su di lui.
-Kimberly.. – mormorò lui, cercando un modo credibile per chiederle scusa.
Rendendosene conto, lei gli dedicò un flebile sorriso, cercando di essere il più convincente possibile.
-Lo so Jared, va’ tranquillo.- non voleva si rovinasse questo momento, a costo di fingere che non fosse successo niente; in quel momento però non sapeva quanto sarebbe riuscita a sostenere il suo sguardo.
Fortunatamente Jared tornò a guardare gli ospiti, i quali cominciarono ad avvicinarsi, percorrendo lentamente il tavolo rotondo in mezzo alla stanza che li divideva da lui.
La prima ad abbracciarlo fu proprio sua madre, che in cambio ricevette una forte stretta. –Il mio bambino!- mormorò, procurando uno scioglimento generale.
Lui era il piccolo della famiglia e per lei sarebbe sempre rimasto tale.
Kimberly abbassò lo sguardo, come a non sentirsi all’altezza di partecipare a quella dimostrazione di estremo amore e rispetto, non aveva mai visto l’uomo indugiare tanto dal separarsi da un abbraccio. Sembrava vi ci fosse abbandonato.
Finalmente toccò al fratello, il quale lo strinse così forte che Kim per un secondo temette potesse spezzarglielo davanti agli occhi: era così magro rispetto al maggiore!
-Era mio il numero, Jay.- rivelò, guardando Kim negli occhi, la quale gli sorrise riconoscente.
-Lo so, fratello.- disse l’ultimo, che se ne era reso conto proprio nel momento in cui aveva varcato la soglia della cucina. 

Il momento si sedersi a tavola era giunto, e ormai la tensione non era più così palpabile. Lo era solamente tra Kim e Jared, gli altri ridevano e scherzavano per smorzare un po’ l’atmosfera e i ricordi delle urla dell’uomo.
In realtà la ragazza era ancora mortificata, e non riusciva a capacitarsi del fatto che lui ora fingesse così bene che fosse tutto finito. Erano seduti lontani, in modo che non potessero incrociarsi gli sguardi, se non volendolo.
Lui era a capotavola, lei lateralmente, dopo Ivana e Tomo. Accanto a lei, di fronte a Jared quindi, c’era la madre e davanti a Kim, Shannon e Jenah.
Lei si rallegrò, avendo così la possibilità di osservarli e rendersi conto che obiettivamente non sembravano neanche una coppia. La rossa non era poi così simpatica, anzi era praticamente chiaro che tra lei e Jared non scorresse buon sangue.
Probabilmente perché lei era la causa del fallimento dei sogni dei due fratelli, in ogni caso era evidente che Shannon ora come ora rimpiangeva la sua scelta.
Ebbe l’occasione di osservare Constance e cogliere tutti i piccoli aspetti che la legassero ai due fratelli. Il naso, ad esempio, era di Shannon e così anche il modo in cui strizzava gli occhi.
La parlata soave e incantevole, i modi eleganti che la rendevano regale anche mentre masticava, erano sicuramente riconducibili a Jared. Ne ebbe la conferma
anche da come il maggiore si avventava sulle costolette, e lo sguardo schifato della compagna infastidì Kimberly.
Se ti piace una persona e ci stai insieme da così tanto tempo, non puoi guardarlo in quel modo, come se fosse la prima volta che lo vedi mangiare e non potessi aspettartelo.
Per tutta la durata del pasto –molto abbondante, tra l’altro- gli altri parlarono e ricordarono insieme degli aneddoti molto divertenti che portarono tutti a ridere molto vivacemente.
La giovane invece, per quanto trovasse interessanti le loro discussioni e le loro risate accese, non riusciva a sentirsi parte di quel tavolo, come se in realtà lei fosse in un angolino remoto della stanza.
Silenziosamente se ne accorsero tutti, ma preferivano non intervenire per non creare ulteriore scompiglio tra i due, lasciandola così tra i suoi pensieri.
Cercava di partecipare sorridendo e guardando chi stava parlando, con l’eccezione di Jared, ma senza mai aprire bocca.
Era delusa e amareggiata dal comportamento del professore. Non si era preoccupato di farla sedere vicino a lui; quando si alzava per sparecchiare e andare a lavare i piatti, non ne approfittava per raggiungerla, invece le lanciava solo delle lunghe occhiate.
Si sentiva come una serva, se ne rese conto mentre lei era in cucina con una pila di piatti sporchi da strofinare e gli altri se ne stavano tutti seduti a scherzare.
Sbuffò, scacciando quei pensieri, risoluta. Era giusto si divertissero, del resto non avevano molti giorni a disposizione.
Solo Ivana si era degnata di darle una mano, anche in quel momento la raggiunse, portandole anche gli ultimi bicchieri.
-Ti serve aiuto?- domandò gentilmente.
-No, grazie.- sorrise cordiale Kim, lanciandole uno sguardo di sfuggita.
-Sai, sei stata molto carina. Ti confesso che inizialmente ero restia riguardo al tuo rapporto con Jared.. lui è stato molto ferito in passato e tu sei molto più giovane di lui. Ho pensato che per te non fosse così importante, solo un’avventura adolescenziale.- spiegò, prendendo un panno e asciugando i piatti e stoviglie
già lavate.
Kimberly le rivolse uno sguardo assente. Ma và?  Pensò tra sé e sé, ma decise di scuotere la testa facendole intendere che non fosse importante.
-Ti porgo le mie scuse.- concluse la vecchia amica di Jared.
-Non importa, davvero. Ci tenevo a vederlo felice.- si giustificò la ragazza, imbarazzata.
In quel momento le arrivò alle orecchie una scarica di risate accese. –Vado a vedere cosa combinano!- disse Ivana, sparendo dalla sua vista e portando il dolce
con sé.
Rimasta nuovamente sola, Kim pensò con malinconia a suo padre e a come si fosse comportata male con lui. Avrebbe avuto bisogno di una faccia amica in questo momento, perché nonostante l’uomo dei suoi sogni fosse dall’altro lato del muro e che il suo orgoglio fosse stato bene ripagato per il successo che la
sua idea aveva riscosso, si sentiva tremendamente sola.
Finito il lavoro, ne approfittò della distrazione generale per recarsi nell’ufficio di Jared: lì avrebbe trovato un telefono e non le importava di fargli spendere qualcosa in più di bolletta. Ben gli stava.
Il professore la vide passare davanti al tavolo per poi allontanarsi. La seguì con gli occhi per tutto il tragitto e poi abbassò lo sguardo, ancora attanagliato dai sensi di colpa persistenti. Si era comportato da vero cane con lei, non c’era dubbio; eppure non aveva ancora il coraggio di recarsi da lei e chiederle scusa. Si vergognava immensamente per come l’aveva trattata e non sapeva come avrebbe potuto farsi perdonare.
Quando alzò di nuovo gli occhi dal tavolo, tutti erano in silenzio a fissarlo con espressione scocciata e apprensiva. –Che aspetti?- gli chiese Shannon, facendo cenno in direzione di Kim.
Il fratello, di tutta risposta, sospirò insicuro.

 *

 Si sedette sulla poltrona di Jared, sempre molto comoda.
Prese il telefono fisso e si portò la cornetta all’orecchio, componendo il numero che conosceva a memoria. Una voce maschile le rispose quasi subito, sembrava sorpresa.
-Kim?- chiese, il tono non si preoccupava minimamente di nascondere questa sorpresa mista a confusione.
Un brivido le corse lungo la schiena, il cuore le palpitava nel petto e la gola si seccò tutta d’un tratto.
-Ciao, Chris.- 

That's me in the corner
That's me in the spotlight
Losing my religion
Trying to keep up with you
And I don't know if I can do it
Oh no I've said too much
I haven't said enough
I thought that I heard you laughing
I thought that I heard you sing

I think I thought I saw you try

Note finali: oh, ragazze quanto sto male. Forse è per questo che mi trovo qui invece che essere da tutt'altra parte dove dovrei essere. Avete presente quando si dice che la vita non è un film? Ecco, nel mio caso la mia sembra un film molto spesso, con tutte le tragiche conseguenze che ne derivano.
Quant'è difficile dire addio ad una persona? Forse solo oggi me ne sono resa davvero conto. Ma è stata una scelta giusta, se non avessi addiato questo, avrei person l'altro e l'altro non potevo perderlo. Non era sopportabile.

Credo che la differenza tra l'amicizia e l'amore sia direttamente proporzionale alla differenza tra un gigantesco groppo in gola e il non riuscire a smettere di piangere.

Sì, ho un modo tutto mio per prendere le decisioni, lo so. Cosa è più sopportabile? Col risultato che ora ho questo groppo che non riesco a smaltire. Spero solo che mi dia un paio di giorni per metabolizzare la cosa, quando finalmente me ne dimenticherò  (ho una memoria molto corta, ed è una fortuna enorme spesso e volentieri) e posso tornare a crogiolarmi nel mio senso di colpa, finché non mi perdonerà completamente.
Sta di fatto che perdere le persone non fa parte della mia natura. Non sono proprio in grado, è una mia disabilità che t'aggia dì?

MA VA BEH tornando a bolla, allora??? Vi aspettavate una reazione così?? E tutto il resto?!! Credo che questo capitolo sia molto particolare, me piasce ;)

Spero che la lunghezza e i contenuti vi permettano di perdonare il mio orribile ritardo.

Sono molto curiosa di quello che avete da dire, davvero davvero molto! 

La canzone l'ho scelta epr due motivi, Loosing my religion dei R.E.M: 1) CI STAVA 2) era nel CD che mi aveva fatto la persona che ho addiato, e boh, mi fa sentire meno triste questa sua inconsapevole e involontaria presenza.

La vita è più grande

È più grande di te

E tu non sei me

Le lunghezze che percorrerò

La distanza dai tuoi occhi

Oh no, ho detto fin troppo

L'ho voluto io

 

Sono io quello nell'angolo

Sono io quello alla ribalta

Che perdo la mia pazienza

Cercando di sostenermi con te  

E non so se posso farlo

Oh no, ho detto fin troppo

Non ho detto abbastanza

Pensavo di averti sentito ridere

Pensavo di averti sentito cantare

Credo che pensassi di averti visto tentare


Inoltre un'altra chicca del giorno è che secondo me esiste tanta, TROPPA gente TROPPO rincoglionita. Ma di questo ne parliamo un'altra volta ;-P ahaha
Fatemi sapere fanciulle, spero sia di vostro gradimento ♥♥♥

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Capitolo 60
*** Capitolo 60. ***


Capitolo 60.

 And I
Still don’t know how to tell
The things I can’t explain
You make me feel I’m not so bad

 Certe volte capita che siamo noi a cercare le persone. Magari nei momenti grigi e di pausa, quando l’unica cosa che riusciamo a fare è fissare un muro e tutto il resto comporta indifferenza. Allora usciamo da quella casa spoglia, conosciamo qualcuno e succede che ci attacchiamo a questo come l’aria, come se fosse la nostra ultima fonte di sussistenza; fino a che anche lui non si affeziona a noi.
Altre volte no. Altre volte invece accade che sono gli altri a cercarci.
Questi ci prendono e ci invadono, ci aprono e si infilano nelle nostre vite così velocemente da farci dimenticare come era prima, senza di loro.
E a quel punto noi non lo sappiamo, ma non siamo più gli stessi.

 
Quanto tempo era che non sentiva la sua voce? Le sembrava cresciuta, maturata.
Non le era mai particolarmente piaciuto il suo timbro, era decisamente nasale.. ma si sa, l’amore è cieco, sordo, muto e pure tetraplegico, ogni tanto.
Si ricordò quando, ancora stava con la ragazza prima di lei ma già c’era un tira e molla in ballo tra i due, che lui le chiedeva sempre di chiamarlo, anche quasi a mezzanotte e lei non gliel’aveva negato neanche una volta.
Si andava a chiudere nel bagno in cantina per non disturbare i suoi genitori e componeva quel numero col cuore che batteva all’impazzata.
Come in quel momento.
Sembravano trascorsi secoli da quei tempi e, anche se ci pensava con imbarazzo, non riusciva a reprimere quei moti di malinconia infinita.
Lui era stato il suo primo amore, e tutti sanno quanto valore si attribuisce a questo. Non significa necessariamente che sia l’unico; non sminuisce certo quelli seguenti e questo non fa del primo amore anche il vero amore; però è il primo, e qualsiasi prima cosa ha qualcosa che ti rimarrà dentro in eterno; tutte le volte che ripeterai quell’azione, lo sai, ormai sarà troppo tardi, perderà di genuinità.
Kimberly se ne rese conto con un impeto di amarezza. Ogni tanto, con Jared, desiderava con tutta se stessa che fosse stato lui il primo a farle battere il cuore così, avrebbe di gran lunga preferito concedersi per la prima volta all’uomo piuttosto che allo spacca cuori dall’altro capo del telefono.
Ma ormai era passato, e non c’era nulla che potesse riavvolgere il nastro.

 *

-Kimberly? Tutto apposto?- insistette quella voce, che ancora non riusciva a capacitarsi di quello a cui stava assistendo.
-Sì, ti rilassi?- rispose irritata la ragazza. Le domande ripetute all’infinito la rendevano nevrotica.
-Scusami, è solo che non mi aspettavo di sentirti.- si giustificò sulla difensiva Christopher. –Cosa posso fare per te?-
-Sembri un cameriere.- rise leggermente lei, le gambe accavallate e il busto sporto, puntando i gomiti sulle cosce.
-Spiritosa. Allora, che mi racconti?- era una domanda che le poneva sempre, come a non voler farsi carico della piega che la conversazione avrebbe preso.
Kim ci rifletté un po’. –Tra un paio di settimane ho l’esame della patente!-
-Si salvi chi può!- scherzò lui, fingendo puro panico.
-Smettila, guarda che sono bravissima!- smentì imbronciata.
-Non lo dubito. Come quella volta da piccoli, che con il monopattino ti sei sfracellata al suolo. O con lo skateboard, che non riuscivi a fare un metro senza volare in terra. O con la motoretta a quattro ruote con cui centravi tutti i cespugli!- le elencò, ricordando la sua disabilità cronica nel condurre un mezzo.
Kimberly arrossì di vergogna. Era tutto vero, ancora oggi riportava i segni di quei piccoli e insignificanti incidenti di percorso, ma questo non significava per forza che lui dovesse rinfacciarglieli ogni volta.
-Mh, vogliamo parlare della tua passione per il ballo da sala, allora?- lo minacciò le sarcastica, riferendosi alle lezioni che aveva preso fino a poco tempo prima, con sua madre.
-Sei una vigliacca, lo sai che era mia mamma a trascinarmici!!- esclamò, fingendosi offeso. Ciò provocò ilarità generale, che li fece ridere insieme.
Trascorsero istanti di silenzio in cui entrambi ascoltarono il reciproco respiro infrangersi contro il microfono. Erano istanti piacevoli, che li riportavano indietro nel tempo.
-Perché mi hai chiamato?- chiese improvvisamente Chris, con un tono così dolce che Kim stentò a riconoscerlo, un tono che la commosse, o forse era tutta la frustrazione accumulata, che infatti le fece rispondere con voce spezzata –È che non mi hai ancora fatto gli auguri di buona Pasqua.-
Non ci voleva un genio per capire che fosse una scusa campata per aria e che in quel momento lei stesse piangendo, e lui se ne accorse.
Una sensazione simile a dispiacere si fece largo nel suo petto, e si trattenne dal ricordarle che Pasqua sarebbe stata il giorno dopo ed era un po’ presto per gli auguri, per quanto fosse davvero necessario farsi gli auguri per una festività simile.
-Che sbadato.- ammise.
-Ti prego, raccontami qualcosa che mi possa distrarre.- pareva lo implorasse, cercando di trattenere le lacrime che spingevano per uscire finalmente, dopo tutto quello che aveva ingoiato.
-Mh, ok, pensa, pensa, Chris..- si sforzò improvvisamente sotto pressione. Non aveva la minima idea di cosa potesse dirle per distrarla. –Io e Barbara ci stiamo lasciando.-
Fu un colpo allo stomaco per Kimberly.
Perché? Perché glielo stava raccontando, con così non-chalance?
-Oh.- fu tutto quello che riuscì a commentare. Del resto era davvero riuscito a distrarla. Anzi, l’aveva letteralmente lasciata senza parole. –Cosa è successo?- chiese poi, raccogliendo il coraggio a due mani.
Nei suoi indimenticabili incubi e deliri questa era una frase incredibilmente ricorrente. Una frase semplice e interpretata con tono neutro, come se non fosse poi così importante; ma per Kim lo era, eccome.
Quante volte aveva sognato le rivolgesse queste parole? Le confessasse che non poteva continuare con l’altra, perché nel suo cuore c’era solo spazio per lei?
Strinse gli occhi, immergendo dentro di sé questa agitazione improvvisa, che la fece drizzare e stringere i braccioli della poltrona da scrivania del professor Leto, con le unghie.
Se erano le parole che aspettava da sempre, perché ora le faceva così paura la prospettiva che lui tornasse?
-Perché mi sto stancando.- rivelò. La ragazza riusciva ad immaginarselo, con una mano in tasca, una sigaretta nell’altra e i pantaloni calati posteriormente, come la moda dettava.
Avrebbe scrollato le spalle, dando una lunga aspirata alla sigaretta, per poi espirare tutto il fumo  dal naso. –Il fatto è che.. è troppo gelosa. Da quando il suo ex l’ha tradita, non si fida più di nessun ragazzo e io non lo sopporto. Anzi questo mi induce solo a farlo.-
Le sue parole le fecero automaticamente pensare a Jared. Illuso, tradito e abbandonato, ora dava i numeri ogni qual volta in lui si insinuasse il dubbio di un presunto tradimento.
Qualcosa dentro le si incrinò leggermente: povava un’immensa empatia nei suoi confronti, l’aveva sempre provata ed in fondo sapeva che era per questo che non riusciva a prendersela tanto con lui per la sfuriata che le aveva vomitato addosso.
Inoltre, Kim si sentì colpevole nei confronti di quella povera ragazza, quando si rese conto che altro non era che una bambola come lo era stata lei, un giocattolo di cui lui si era stancato e che aveva poi gettato via.
Lei aveva passato tutto questo tempo a detestarla, a sperare di incontrarla per strada solo per spingerla sotto ad un’auto; aveva rigettato tutta la colpa su di lei, quando questa Barbara invece era una vittima, proprio come lo era stata Kim.
Eh, l’ironia della sorte.
-Sei tremendo.- commentò, dura.
-E’ carattere, Kimberly. A dir la verità lei sarebbe perfetta per me, se non fosse che è venuta nel momento sbagliato.. ora non sono pronto per fissarmi in una storia seria.-
La ragazza annuì silenziosamente. Sebbene non fosse più così amareggiata nei confronti della sua attuale fidanzata, non avrebbe mai e poi mai tifato a suo favore, quindi non poté che sbuffare e con un’alzata di spalle, dire –Troverai qualcuno che saprà farti cambiare idea.- e non seppe sinceramente se fosse l’esperienza a farle pronunciare quelle parole, o il profondo affetto che comunque riversava e avrebbe continuato a riversare nei suoi confronti, quella parte di lei che continuava a sperare ci fosse ancora qualcosa da salvare in Chris, il lato di cui si era perdutamente innamorata, tempo addietro.
Con gli occhi lucidi, concluse che quella persona non sarebbe stata lei. Non più.
-Sei sempre molto saggia, piccola.- disse Christopher e bastò questo per illuminarle il volto, pur molto vergognosamente.
-Ora è meglio che vada..- tagliò corto Kim, spaventata da quell’improvvisa ondata di affetto e calore.
Non voleva abituare il suo cuore alla presenza del ragazzo, sapeva che non l’avrebbe sopportato qualora non ci fosse più stato. Alla sua assenza col tempo si abituava, era il suo tornare per poi andarsene di nuovo che non avrebbe mai retto.
-Va bene.- disse lui con un sorriso sentito. –Mi prometti che ci sentiremo presto?- sembrava una richiesta seria, come se ci tenesse davvero che gli promettesse di farsi viva.
-Certo. Ciao, Chris.- lo salutò, ma proprio mentre stava per abbassare la cornetta, si sentì richiamare. –Ah Kim..- indugiò un secondo di più lui. –Sì?- lo spronò la ragazza.
-Buona Pasqua.- e riattaccò senza lasciarle il tempo di rispondere.
Rimase così, in silenzio, a fissare la cornetta muta, con un sorriso colmo di gioia.

 *

 -Io ho bisogno di una sigaretta.- annunciò Ivana, facendo leva con le mani sul tavolo per sollevarsi, come per enfatizzare quanto il suo stomaco fosse pieno. Aveva mangiato davvero tanto, erano anni che non si consentiva di sforare così. Rimpiangeva i tempi in cui poteva permettersi di ingerire un carico industriale di cibo spazzatura senza risentirne, sia fisicamente che salutarmente.
Quando si dava a quei livelli, ora, ne avrebbe risentito per tutto il giorno seguente, non essendo più in grado di digerire portate simili di cibo.
Era uno degli aspetti che invidiava a Kimberly, la ragazza del suo storico amico. Tsk, il pensiero di loro due insieme le fece venire una fitta di acidità allo stomaco, dato dal suo lato che riteneva tutta quella situazione ridicola.
Jared si era fatto una fidanzatina, neanche fosse tornato ai tempi del liceo e non solo questa bambina era riuscita a fargli perdere la testa come mai nessuna era stata in grado, poteva pure vantarsi di un metabolismo trita-sassi invidiabile.
La vita era proprio ingiusta, pensò sbuffando tra sé e sé, mentre si dirigeva verso il terrazzo.
Non aveva niente contro Kim, specialmente dopo quello che si era data la pena di organizzare per quella sera, solo per rendere Leto felice. Era stato un gesto stupendo, sebbene al momento lui non potesse goderselo completamente, dopo il loro litigio furioso.
Era riuscita a guadagnare punti, probabilmente era quella la differenza tra il sentimento che provavano le due per l’uomo: Kimberly si era veramente dimostrata disposta a renderlo felice, Ivana no. Anche se lui non le aveva mai dato la possibilità…
-Vengo anch’io.- sentì dire a pochi passi dietro di lei. Si girò per accertarsi del proprietario della voce e non si stupì nel cogliere gli occhi glaciali di Jared.
Il cuore sussultò, mentre si sforzò di sorridergli. Lui le portò una mano sulla schiena e l’accompagnò fino a che non si trovarono entrambi vittime dell’aria non troppo mite di inizio aprile.
Sotto gli occhi vigili di lui, Ivana si accese una sigaretta, inspirando a pieni polmoni la nicotina mista a catrame, unica ricetta in grado di rilassarla, anche se momentaneamente.
-Ti ho insegnato proprio bene.- sogghignò l’uomo, riferendosi al fatto che prima di “stare” con lui, la donna non aveva mai osato toccarne una.
Capiva perfettamente a cosa si riferisse. I due erano stati “amici con benefici” da tutta la vita, all’incirca. Non le aveva mai concesso di più, e lei non aveva mai osato chiederglielo.
Lui la riteneva la sua amica più stretta e fidata; non lo avrebbe mai tradito, nonostante quel ruolo le fosse stato sempre troppo stretto.
-E sono rimasta l’unica.- disse lei, dopo avergli espirato tutto il fumo in faccia. Pure questo le aveva tolto quella bambina, ora non potevano più condividere le loro fumate di coppia.
Si sorrisero.
Lui allungò una mano, le prese la sigaretta dalle labbra e la portò alle sue. Prese una boccata profonda, sentendosi immediatamente meglio.
Aveva combinato un casino, e non importava quello che avrebbe deciso di fare, non sarebbe mai riuscito a rimediare.
-Ho paura, Ivana.-  confessò poi, guardando un punto fisso sulla sua gonna, senza rendersene conto. -Ho rovinato tutto.- la voce lasciava trasparire tutto il rammarico e la rassegnazione che l’uomo provava.
Ma come aveva fatto? Quella era entrata nella sua vita da 6 mesi; lei c’era da tutta la vita, e non solo l’aveva superata, l’aveva addirittura doppiata e mancava
davvero poco perché raggiungesse il traguardo.
In cuor suo l’illusione che lui potesse rendersi conto di non riuscire a vivere senza di lei pulsava ancora vivida, ma quando le parlava in quel modo doveva seriamente separare il cuore dalla ragione. Non poteva permettere che il primo prendesse il sopravvento, avrebbe significato perdere irrimediabilmente Jared,
ed era l’ultima cosa al mondo che voleva.
Finchè sarebbe stata abbastanza forte da sopportare questo rapporto –che da quanto era subentrata Kimberly, era diventato totalmente platonico- avrebbe dato il meglio che poteva.
-Dimmi cosa senti.- disse lei, armandosi di coraggio e inspirando a pieni polmoni altra nicotina.
Era una richiesta che comportava una serie di risposte che, lo sapeva, l’avrebbero uccisa. Doveva stordirsi più che poteva, rimpianse di non aver portato un po’ di psicofarmaci.
Dopo istanti interminabili persi a guardare il vuoto, Jared le rivolse un lungo sguardo, uno dei più intensi che aveva mai visto. Il lato sentimentale della donna
si sarebbe buttato dal terrazzo, sapendo di non essere il diretto interessato, ma fortunatamente era quello razionale a prevalere al momento.
-Sento che..- prese un profondo respiro. –Che da quando Kimberly è entrata nella mia vita, tutto ha ripreso a funzionare. Sai, si parla tanto di quella fantomatica ruota che quando tocca a te sembra non girare mai. Beh, da quando c’è lei, la mia vita è stata rivoluzionata completamente: ho sentito la ruota girare ogni secondo trascorso insieme, e me la sono goduta.
Sento che tutto quello che ho vissuto, sopportato e attraversato sia valso la pena, se la ricompensa è stata incontrare una ragazza come lei.
Da quando c’è lei, tutto sembra più bello. Dentro ai suoi occhi, io vedo un mondo diverso e l’onore di farne parte, è la cosa più gratificante che potesse succedermi. Non potrei mai perdonarmi se rovinassi quest’occasione per essere felice. Mai.-
Gli occhi di Ivana si riempirono di lacrime; il suo muro razionale era stato abbattuto. Fu costretta a distogliere lo sguardo da quel volto incantevole, quando si rese conto dell’amara realtà che quelle parole celavano: la corsa era stata stra vinta e non c’era spazio per lei, nemmeno sul podio. Il primo, il secondo, il terzo, pure il quarto, e perché no, tutti i posti seguenti erano di Kim; li aveva conquistati e non glieli avrebbe tolti nessuno.
Con le mani tremanti prese il pacchetto di sigarette, da cui ne estrasse un’altra che, colma di agitazione, si infilò tra le labbra pronta per aspirarla.
Jared notò che solo con il primo tiro era riuscita a bruciarne metà. Gli faceva male vederla così, era consapevole della sua cotta per lui, ma non era mai stato un problema; si era sempre rivelata superiore a quelle cose chiamate “sentimenti”.
Al momento però sembrava proprio sul punto di crollare. –Ivana?- mormorò preoccupato, sollevandosi dal corrimano e prendendole il viso con un intero palmo della mano.
Velocemente la donna si asciugò una lacrima. –Scusami Jared, era proprio un bel discorso. Scommetto che anche lei non vede l’ora di sentirlo.- la voce le tremava mentre tentava di mantenere un contegno. Gli indicò l’interno dell’edificio, facendogli intendere di andare dalla ragazza.
Gli occhi di Jared si riempirono di pena. Spostò la mano dal viso al coppino di lei, facendo così forza per avvicinarla. –Grazie Iva. Sei sempre fantastica.- le sussurrò all’orecchio, provocando così un rilascio di lacrime da parte dell’amica, che avrebbe segnato i massimi storici.
-Ma non sono abbastanza.- constatò colma di disperazione, sfogandosi sulla sua camicia.
Non ebbe il coraggio di ribattere niente, anche perché non sarebbe stato credibile nel caso in cui avesse negato. Lei era una donna meravigliosa… ma non avrebbe mai funzionato, di questo era sicurissimo.
-Vai ora.- disse lei, con un tono tra l’affranto e il deluso, separandosi da quell’abbraccio che somigliava più ad una Vergine di Norimberga e tentando di ricomporsi –Per favore.- insistette quando lo vide indugiare oltre. –Dille quello che hai detto a me.. poi se non funziona mandamela che la faccio rinsavire io.-
Lui sorrise dolcemente, provocandole un piccolo terremoto interiore, per poi lasciarla lì, diretto sotto suo consiglio, dalla ragazza che amava.

 You rocked my life
I’ve never been so close

Like a punch straight in the nose

Note finali: yoh raga whazzzaaap?? Eccomi a rallegrarvi questo freddo lunedi di metà maggio (Global Warming dicevano? STICAZZI!)
Allora cosa ne pensate? Spero sia scritto decentemente, pietà, non ho neanche ricontrollato, sono in mega fretta perchè devo studiare ma non ce la faccio! Non mi ricordo più come si fa, come si approcia la lettura di un libro, non mi viene neanche l'ansia sapendo che tra un mese ho l'esame. cazzo.

Cosa ne pensate? Vi piace come si sta svilluppando? Cosa credete succederà? Avete aspettative??

Eh, parlando di cose serie OMMIODDIONONSIETEELETTRIZZATEANCHEVOICHEDOMANIESCEILCD????? Per chi non avesse voglia di cimentarsi nella lettura a fraddo traduco, DOMANI. ESCE. IL. CD. (ma và?) santalamadonnaetuttiisantiincolonna!! Siete elettrizzate? Galvanizzate? Non state nella pelle? Siete tra gli stronzi che hanno già il CD? 
Facciamo che al prossimo aggiornamento ci scambiamo le opinions, ok? 

Eeeeeee la canzone è sconosciutissima, avrei voglia di raccontarvi il perchè e il per come l'ho conosciuta e l'ho cercata colma di ossessione, ma mi state sopportando anche troppo per oggi, indi per cui:  Can't Explain di non so chi

E continuo a non sapere come dire
le cose che non riesco a spiegare
Mi fai sentire come se non fossi così male.

Mi hai stravolto la vita,
non sono mai stato così vicio
come un pugno dritto sul naso.

Quindi anche per oggi è tutto, spero leggiate, commentiate e ci sentiamo presto
BACIATUTTE ♥

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Capitolo 61
*** Capitolo 61. ***


Capitolo 61.

 I’ve been up in the air
Out of my head
Stuck in a moment of emotion I destroyed
Is this the end I feel?

Una scia di luce investì la stanza, quando la porta si aprì di fronte a lei.
-Si può?- chiese Jared, affacciandosi al buio. Dovette sforzare le pupille più del dovuto per scorgere la ragazza, rintanata in un angolo dello studio.

-Sì.- disse Kim secca, senza neppure sollevare lo sguardo. Quando era davvero molto scossa o umiliata a causa di una discussione le veniva difficilissimo guardare l’altra persona negli occhi. Forse perché il suo viso troppo espressivo l’avrebbe tradita nonostante cercasse di far finta di nulla; o forse perché le faceva
semplicemente ricordare come si era sentita prima e il rancore nei suoi confronti era talmente tanto che temeva le sarebbe fuoriuscito dalle cavità oculari.
L’uomo si sentì leggermente sollevato sentendola rispondere, il silenzio delle donne era sempre la cosa più spaventosa che un uomo dovesse affrontare.
Si chiuse la porta alle spalle, in modo che il buio potesse inghiottirlo e si diresse verso la poltrona davanti alla scrivania.
Lei giaceva inerte, la schiena lasciata contro lo schienale e le braccia abbandonate lungo i braccioli la facevano sembrare una bambola senza vita, e il bagliore della luna piena fuori dalla finestra ad illuminarle il volto diafano, di certo non aiutava.
Si inginocchiò ai suoi piedi, arreso a quello che ormai avrebbe dovuto essere la sua punizione.
Sentiva gli occhi scuri scrutarlo, ma al contempo evitare il contatto diretto. Era contento fossero al buio, sicuramente avrebbe aiutato di più.
-Cosa ci fai qui?- le chiese toccando un calorifero e rendendosi conto di quanto fosse freddo lì dentro, eppure lei si mostrava immobile e insensibile a tutto.
-Avevo bisogno di.. starmene per conto mio.- spiegò con un sospiro. Il tono era mantenuto molto basso, quasi non volesse dall’altra parte della porta potessero sentire cosa si dicevano.
-Ascolta Kim, ti chiedo scusa.- iniziò, portando una mano attorno alla caviglia ossuta della ragazza e cominciando ad accarezzarle la lunghezza delle gamba dal polpaccio in giù. Erano così sottili che in quei tratti se la accarezzava con entrambe le mani, le sue dita potevano toccarsi. Si sentì uno schifo ripensando a quello che aveva fatto, era così piccola.. -Sono stato un vero stronzo, ho alzato la voce e ti ho addirittura messo le mani addosso.. davvero perdonami, non so cosa mi sia preso.- era seriamente mortificato, continuava a scuotere lentamente il capo, come se non potesse capacitarsi di quello che aveva fatto e volesse scacciare le immagini che gli piombavano in testa.
Kimberly lo guardò con gli occhi colmi di tristezza, era così pentito che aveva deciso di sedersi per terra in modo che lei avesse potuto sovrastarlo nel caso in cui avesse voluto.
-Hai dubitato di me.- mormorò, con quella parvenza di risolutezza che sorprese lei stessa. Quando solitamente la guardava così, di tutta questa risolutezza non c’era neppure l’ombra.
Lui annuì. –Lo so, lo so, e mi dispiace ma ti assicuro che non succederà più.- le disse cercando di intrappolarle gli occhi con i suoi, ma nel buio non riusciva proprio a coglierli. –Quando ho capito che mi avevi mentito riguardo al numero, sono impazzito. Non riuscivo a pensare ad altro, mi scervellavo per capire chi fosse, perché me l’avessi nascosto. Volevo trovarti e scuoterti finché non mi avessi rivelato tutto!-
Dalla sua posizione invece Kim riusciva perfettamente a distinguere gli occhi lucenti del professore. Grazie alla luna poi, avevano un aspetto magico, sfociavano nell’argentato e brillavano, brillavano come diamanti e le si strinse il cuore nel pensare che fosse perché velati dalle lacrime.
-E tu invece!- esclamò poi, preso da un’impeto improvviso. –Tu sei stata così buona e dolce, hai organizzato questa sorpresa, hai consumato i tuoi risparmi… per me!- sembrava meravigliato e stupefatto nel pronunciare le ultime due parole.
-L’ho fatto con piacere.- sussurrò lei, afferrandogli una mano che aveva osato spingersi fin quasi al ginocchio. –Non fa niente, Jared. Ho capito perché l’hai fatto e probabilmente avrei reagito anche io nello stesso modo.- continuò, sollevando le spalle e rivolgendogli un tono di voce più rilassato.
-Sono stato un mostro.- lui invece sembrava categorico.
-E’ vero, ma questo spetta a me dirlo. E spetta a me anche il compito di assolverti dalle tue colpe, quindi smettila di crogiolarti.- gli ordinò, alzandosi e facendo leva per sollevare anche lui, il quale, con un sorriso accennato, la aiutò e la raggiunse, superandola in altezza.
-Come fai ad essere così? Piaci anche a mia madre.- le confessò, poggiando la fronte contro la sua.
-Eh, non sei l’unico ad avere uno charme incontenibile.- sorrise, mentre lui le avvolse il volto con i palmi aperti per far sparire quella misera distanza tra i loro volti.
Quando le labbra dell’uomo si unirono a quelle dell’alunna, questa quasi si dimenticò del tempo, del luogo e del motivo per cui si trovavano lì, dal momento che tutto ciò che sentiva, respirava e percepiva era  solo Jared Leto.
Automaticamente e rapita da un nuovo istinto, gli circondò il collo con i gomiti, alzandosi sulle punte per essere più agevolata nel ricambiarlo.
Si sentì subito meglio, nuova, migliore, rinata, come se le ultime ore non fossero state le peggiori della sua vita; come se baciarlo fosse il motivo della sua stessa esistenza.
Non seppe indicare quanto tempo erano rimasti in quella posizione, in silenzio, ad ascoltare i reciproci respiri infrangersi sui volti altrui, persi in un mondo tutto loro; forse un minuto, dieci, forse un’ora o forse addirittura tutta la notte; l’unica cosa certa per Kimberly quando si separarono, furono gli occhi carichi di amore di Jared. Era convinta che non avrebbe mai letto così tanto affetto e felicità contemporaneamente in nessunissimo altro paio di occhi stupendi. 

*

 Dopo un po’ uscirono dallo studio, ripresentandosi agli ospiti, felicemente riuniti.
Entrambi sfoggiavano un sorriso sereno, lui le circondava le spalle con un braccio e prima di accomodarsi la tirò a sé dandole un bacio sulla tempia, per poi sedersi al suo posto, facendola sedere sulle sue ginocchia.
-Ohr, fate quasi schifo.- commentò divertito Shannon, unendo i due indici e i due pollici, andando a formare un cuore, sarcastico.
Jared gli diede un pugno sulla spalla più vicina, mentre Kim rise lievemente, rossa di vergogna.
-Dov’è Ivana?- chiese poi Jared, rendendosi conto che la sorella di Tomo non era più rientrata.
-E’ andata via poco fa.- disse il fratello. –Era molto stanca.- ma anche lui sembrava dubbioso al riguardo.
Jared sentì un peso nel petto quasi insostenibile. Ciò che più lo fece sentire in colpa era il fatto che non gli importasse poi molto, dal momento che lui e Kimberly avevano fatto pace.
Si sforzò di non pensarci e strinse più a sé la ragazza.
La serata si riprese velocemente, come se la prima parte fosse stata una lunga allucinazione di gruppo. Scherzavano e ridevano, riportando a galla aneddoti divertenti e imbarazzantissimi soprattutto per quanto riguardava i due fratelli Leto.
-Sei sempre stato testardo, Jared.- disse a mo’ di falso rimprovero la madre. –Dovevi vederlo Kimberly: quando aveva cominciato a gattonare era un disastro. Pensa che vivevamo in una casetta su due piani, all’inizio delle cui scale avevo messo un cancellino per far sì che non si facessero male.- spiegò Constance, trattenendo l’attenzione di tutti, meno quella del professore, che l’aveva sentita 200 volte e giocherellava con un tappo, rigirandoselo tra le dita sulla tovaglia, nel tentativo di nascondere il suo imbarazzo, seppur flebile. –Jared gattonante raggiungeva questo benedetto cancellino, vi si attaccava con entrambi i pugnetti e poi, all’improvviso, si lasciava cadere, picchiando continuamente la nuca sul pavimento.-
Kimberly sgranò gli occhi preoccupata con un sorriso accennato. L’uomo stava bene e questo le dava conforto, ma non riusciva a distogliere l’attenzione dai splendidi occhi di Constance, così abile e magnetica quando parlava. –Piangeva, si lagnava per qualche minuto, per poi ripartire alla carica, contro quel benedetto cancellino, ripetendo la stessa scena, finché non lo spostavo in un’altra stanza.-
-Da qui si spiegano molte cose, Jared.- bofonchiò Tomo, riferendosi al fatto che tutte quelle cadute dovevano per forza essere la causa di qualche difetto mentale dell’amico. Battuta che provocò un po’ di ilarità generale.
Il professore lo fulminò con lo sguardo, Tomo distolse il contatto visivo andando a fissare il tavolo come se volesse per magia nascondercisi all’interno. Provava da sempre un po’ di timore nei confronti di Jared, lo metteva in soggezione nonostante ormai si conoscessero da una vita.
L’unica che non parlava affatto, era Jenah. Kim se ne rese conto un po’ sovrappensiero e andò a guardare il punto in cui l’aveva vista seduta l’ultima volta, temendo di non vederla più e di non essersi neppure accorta che se ne fosse andata.
La donna dai capelli rossi era seduta dietro Shannon, il quale le dava pienamente le spalle, ma questo non sembrava infastidirla, stava bene nella sua esclusione.
La gola di Kimberly si riempì di pena, pensando che non si trovasse a suo agio e che forse non avrebbe dovuto includerla.
Sembrava tremendamente triste. Anche lei non era completamente tranquilla, e avrebbe tanto voluto avvicinarsi per sdrammatizzare con lei e tirarle su il morale: era lei quella messa alla prova quel giorno, il suo rapporto con Jared sembrava rappresentare un tabù, e come se non bastasse, era stata umiliata pubblicamente nel tentativo di fare una buona impressione! Avrebbe voluto fare cambio?
Cosa celavano quegli occhi?
Sentendo pronunciare il suo nome, tornò nel mondo reale, con un sussulto. –Di cosa ti occupi, Kimberly?- le chiese poi la madre di Jared, congelando l’atmosfera.
Probabilmente aveva immaginato che fosse una studentessa universitaria. Voleva davvero una risposta? Cosa avrebbe dovuto rispondere? Qual era la risposta che voleva sentire la signora?
Percependo il professore alle sue spalle, rigido come un sasso, Kim precipitò nell’ansia. –Io..- gli lanciò una rapida occhiata e in quell’istante lui le fece cenno di stare tranquilla. Tanto l’avrebbero saputo in un modo o nell’altro. –Studio.- intercettò lo sguardo teso di Tomo, il quale teneva le labbra serrate e lanciava occhiate fugaci all’orologio appeso alla parete sopra la tv, come se sperasse di vedere arrivare la fata madrina, pronta a trasformarlo in zucca e farlo sparire da
quel contesto.
Si sentì leggermente meglio, rendendosi conto di non essere quella messa peggio. –Sono all’ultimo anno di liceo.- confessò alla copia degli occhi azzurri del professore, leggermente più sbiaditi dal tempo.
-Ed è anche molto brava!- aggiunse Jared dalle sue spalle, come se il suo commento potesse distogliere l’attenzione da quello che era appena stato detto.
Le rughe di espressione sul volto di Constance si infittirono quando rivolse un’occhiata raggelante a lui. –Dove?-
-Cosa?- chiese Kim non capendo.
-Sì, mamma. Dove lavoro io, è la stessa scuola.- rivelò lui come se non l’avesse già capito. Non poteva essere solo una coincidenza il fatto che lui fosse un insegnante e lei ancora al liceo.
Un silenzio assordante calò nella stanza, andando ad aumentare il volume dei pensieri di ognuno di loro.
Gli occhi raggelanti la fissavano immobili, come se non avessero colto l’informazione.
Quando poi alle orecchie di Kim arrivò quella che sembrava una risata sguaiata, credette seriamente che i suoi neuroni si stessero suicidando e fosse in balia di un’allucinazione.
Una risata così fragorosa era l’ultima cosa che si aspettava di sentire dopo LA rielazione alla madre di Jared.
Ciononostante si guardò intorno e vide gli sguardi di tutti i presenti scioccati quanto i suoi, spostarsi all’estremo opposto del tavolo.
Jenah, dal suo angolino, era stesa sulla sedia con il volto rivolto verso il soffitto, lasciando quella risata liberarsi senza alcun freno.
Tutti gli occhi erano puntati su di lei ora, curiosi e confusi.
-Jenah, non mi sembrava così divertente.- disse burbero Shannon, guardandola di sottecchi.
-Tu non ti rendi conto..- rispose lei, col fiato corto dalle troppe risate. Sembrava divertirsi un mondo, Kimberly l’avrebbe ammazzata. Si chiese quanto avrebbe continuato a ridere con il volto tumefatto.
–Per anni ho dovuto sentirmi una schifezza. Mai all’altezza di stare con te, Shannon, e adesso..!- non concluse la frase perché scoppiò nuovamente a ridere, portandosi entrambe le mani davanti al viso.
-E adesso cosa?- chiese Jared, come se sapesse dove stesse andando a parare la cognata. Kim appoggiata al suo petto sentì un gorgoglio che parve un ringhio.
Avrebbe cominciato ad abbaiare?
-E adesso mi sento talmente sollevata! Cazzo, Shannon tu te ne sei trovata una dall’altra parte del mondo, ma tuo fratello l’ha combinata di gran lunga più grossa! Un’adolescente!- continuò per poi ricominciare a ridere a crepapelle, come se avesse appena terminato la barzelletta più esilarante della storia, e aspettasse che tutti si lasciassero andare in fragorose risate.
Kim la guardò colma d’incredulità. Quanta pressione doveva aver subito questa donna, per essere così contenta di sfogare tutta la sua frustrazione su una povera ragazza?
Lanciò una rapida occhiata a Constance e si rese conto che la donna era come ibernata, immobile in uno stato di shock a livelli troppo elevati. La ragazza temette che se avesse tentato di sfiorarla, il minimo contatto fisico avrebbe sbriciolato la madre di Jared.
Sembrava che la forza d’animo l’avesse abbandonata e quegli occhi celesti avrebbero tanto preferito esplodere, piuttosto che posarsi sul figlio e la nuova ragazza, insieme.
Kimberly in quel momento si pentì con tutta se stessa di aver organizzato quella rimpatriata di famiglia. Aveva sempre disprezzato le riunioni familiari, il Natale ad esempio, per lei costituiva una sincera tortura gratuita.
Come poteva essere stata tanto ingenua? Inserirsi così spontaneamente, senza prevedere le conseguenze che si sarebbero ripercosse sulla sua relazione col professore?
Sentì la mano calda dell’uomo stringerla per i fianchi, avvicinandosi al suo orecchio dal dietro.
-Non ascoltarla, non sa quello che dice.- sussurrò, con la voce profonda, che subito le iniettò una dose di tranquillità istantanea. Lui le era vicino, lo sentiva dalla sua parte e ci sarebbe rimasto.
-Stai zitta, Jenah, non ti permettere.- continuò poi, diretto alla fidanzata di suo fratello.
-Si può sapere qual è il tuo problema, Jared? Non è colpa mia se Shannon ha preferito venire a vivere da me e di certo non puoi attribuire a me la rottura di tutti i vostri sogni!
Eppure cosa ho ricevuto da te? Sempre e solo disprezzo.- esprimeva una rabbia respressa di anni, aveva da sempre aspettato questo momento per dire chiaramente quello che pensava. E ora che il fratello del suo uomo se n’era uscito con quella novità assurda, poteva finalmente considerarsi libera da tutti quei dissidi familiari.
-Jenah, calmati!- la riprese duro Shannon, voltandosi completamente verso di lei.
-No, Shannon, tu sai che ho ragione ma non ti sei mai azzardato a difendermi una sola volta!- ora la voce della donna, raggiungeva note aspre e alte, pronta a non guardare più in faccia nessuno.
-Sono venuto a vivere con te, non ti è bastato?!- chiese sconcertato. Lui era un uomo di fatti, le parole le lasciava alle persone più intellettuali.
-Non è questo il punto!- esclamò lei, agitando le braccine magre.
-Io ti amavo, Jenah! Perché non ti basta questo?- le chiese poi l’uomo più calmo.
Il volto della donna dai capelli rossi finalmente si placò, lo sguardo fiammante divenne improvvisamente umido, colmo di lacrime. –Hai usato il verbo al passato, Shan. Ecco perché non mi basta.. come può bastarmi un sentimento appassito?-
Quello che disse in qualche modo parve toccare Shannon, il quale distolse lo sguardo dal volto sofferente della compagna.
Quelle parole lo colpivano come schiaffi in faccia, ma non poteva dire niente in sua discolpa, dal momento che Jenah aveva ragione.
La sentì gemere nel suo dolore, intenta a trattenersi mentre raccoglieva tutte le sue cose.
Colma di sorpresa di fronte a quello cui stava assistendo, Kimberly si voltò a guardare Jared, non del tutto certa che fosse una scena reale.
Lui le strinse una mano, scuotendo lievemente il capo.
Ciò che più colpì la ragazza fu il fatto che Shannon non avesse fatto una piega, non la seguì nemmeno quando, ormai vestita e con un –Scappa Kimberly, finché sei in tempo!-, si era chiusa la porta alle spalle.
Sembrava fosse una scena o vista più volte, o sognata da tempo.

 *

 Poco dopo Tomo si rianimò, come se fino a quel momento si fosse chiuso nel suo letargo, e bofonchiando una scusa se ne andò, ovviamente dopo aver ringraziato Kimberly della serata “particolare”.
Lei era profondamente abbattuta, nel constatare che la sua idea si era trasformata in un autentico disastro.
Rimasta ormai con i parenti più stretti del professore, dopo la piega che avevano preso le cose, si sentiva ancora più a disagio.
-Ragazzi, vi chiedo scusa per quello a cui avete assistito, soprattutto tu Kimberly. Era davvero una relazione con i giorni contati. Eravamo destinati a finire.- disse poi Shannon, guardandoli nella speranza che capissero.
Lei annuì, ancora un po’ sconvolta. Si era ormai alzata dalle ginocchia di Jared e si era seduta su una sedia accanto a lui, convinta che da un momento all’altro lui potesse cambiare idea, dopo aver assistito alla scena di un loro ipotetico futuro.
-Mi dispiace.. non avrei dovuto organizzare niente. Ha portato solo problemi questa sorpresa.- disse sconsolata.
Subito sentì le mani calde di Jared circondarle il volto. –Non dire così, ragazzina. Non è stata colpa tua, hai avuto la sfortuna di avere a che fare con persone più incasinate del dovuto.- le sorrise, confortante.
-Sì, Kimberly. Devi scusare anche la mia reazione di prima, devo solo abituarmi alla situazione.. Tu mi piaci, mi piace la tua determinazione ma non posso dire di essere concorde alla vostra relazione.- disse poi Constance. –Però non mi opporrò. Anche perché mio figlio è più che grande abbastanza. E come ho detto prima è troppo testardo, le mie lamentele gli scivolerebbero addosso come acqua sull’olio.-
La donna dovette costringersi a non lasciar trapelare altro dal tono o dal suo sguardo. Come avrebbe potuto dire che trovava tutta quella situazione allucinante? Non poteva perché comunque Kimberly le piaceva davvero molto, e Jared aveva sempre saputo quale fosse la cosa giusta da fare.
Era stato maturo fin dall’età di 12 anni e lei si era sempre fidata ciecamente del suo bambino. Non l’aveva delusa mai, neanche una volta e anche ora sentiva che lui stava insieme a quella ragazza perché era quello che voleva.
E anche volendo, Constance abitava dall’altra parte dello Stato, come avrebbe potuto impedire al figlio quarantenne di avere una relazione con chi voleva?
L’animo puro della ragazza era troppo evidente, era ovvio che Jared si fosse legato a lei.
Kim la guardò. Aveva un sorriso rassicurante in volto e sembrava essere sincera.

 I’ll wrap my hands around your neck
So tight with love,

Love

Note finali: Allora scusatemi infinitamente, so di aver messo a dura prova la vostra pazienza con questo capitolo perché
A- è scritto male
B- succedono un casino di cose
C- è confusionario all'inverosimile.

So che la parte finale è un pò troppo artificiosa, ed è anche molto artificioso il fatto che i genitori sapendo di questa relazione non intendano intralciarla, ma mi sono sinceramente chiesta come potesse una madre di un figlio quarantenne inpedirgli di fare quello che vuole. Per questo motivo credo che la mia visione in parte ci stia.
D'altra parte però so che sembra che voglia fare tutto facile per non complicare la situa, o meglio, che la complico in tutti i modi tranne che in quelli """ovvi""".
Sarà meglio, sarà peggio? Bah, ai posteri l'ardua sentenza!
Tornando a noi, ALLORA?? Che ne pensate?? Avete dubbi, commenti, domande, qualsiasi cosa??? Sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate di tutto questo ambaradam e se avete delle supposizioni per il futuro :)

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Passando al lato divertente dell'aggiornamento: CHI DI VOI HA LOVE LUST FAITH + DREAMS????? Cosa ne pensate? Vi piace o no? Canzoni preferite? Sbizzarritevi e lasciate che il vostro lato fangirlesco galoppi allegramente sulla tastiera!!!
A me piace da morire. Davvero, un bel THUMBS UP per i ragazzi, stavolta mi hanno sorpresa. Ammetto che a prima impressione pensavo fosse una minchiata di album, ma mi sono ricreduta dalla primissima traccia. Credo anzi che quest'album sia meglio (per certi versi) di ABL e di gran lunga lo preferisco a TIW!
Cioè davvero non riesco a dire che c'è una traccia che preferisco, sono belle e sorprendenti tutte! E più le ascolti più ti piacciono! 
Personalmente però adoro Birth (cioè davvero ragazze io STO MALE per sta canzone da quando l'ho sentita nel video di UITA); End of all days che è l'apoteosi dei miei sogni erotici con la voce di Mr Leto (sono in apnea dalla prima all'ultima nota della canzone) e Northern Lights che è LA MORTE MIA, serio proprio. La amo, amo la musica, la melodia, l'introduzione, la voce straziata quando dice SING A SONG TO SAVE US ALL (poi vogliamo parlare del verso arabeggiante di Jared? Volete davvero farmene parlare?)(che tra l'altro sa Dio che cazzo dice)
Ma ripeto, tra tutte siamo dentro che anneghiamo, perché A. M. O. questo cd. ♥♥♥♥♥♥♥♥♥

La canzone-accompagna-capitolo non sto neanche a specificarla per ovvie ragioni. Vedetela come un tributo alla mia fonte d'ispirazione ahaha.

Ok raga, io direi che mi sono sputtanata fin troppo allegramente per oggi. Spero vi siate divertite, vi divertiate nel recensire perchè CARE MIE questa volta vi tocca[ ; - ) ], vi sia piaciuto il capitolo (passato in mega secondo piano ahahaha) e mi scriviate tutto quello che pensate.
Stream of consciousness totale, vi chiedo solo questo.

A presto :-*

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Capitolo 62
*** Capitolo 62. ***


 

Capitolo 62.

 La felicità si racconta male
Perché non ha parole

 Jared si mise supino, perso a contemplare il soffitto nell’oscurità.
Una luce fioca faceva capolino dalle fessure delle tapparelle, illuminando la stanza quel che bastava affinché ci vedesse.
Adorava i momenti che seguivano il sesso con Kimberly. O forse era meglio definirlo amore?
In ogni caso, gli piacevano quasi più di tutto l’amplesso. Si sentiva svuotato di tutto, non aveva pensieri, non aveva dubbi, non pensava assolutamente a dei possibili problemi o eventuali complicazioni della vita.
In quegli istanti lui era lì e basta, perso nell’infinità di sfumature che il piacere potesse avere; lì con lei e forse era proprio questa la parte migliore.
Condividersi con la persona giusta per se stessi, precludeva milioni di sentimenti solo piacevoli.
Ascoltando i battiti del proprio cuore rallentare e percependo il movimento del petto regolarizzarsi, le lanciò una rapida occhiata.
Erano entrambi completamente silenziosi ogni volta e lui adorava il fatto che avessero questo aspetto in comune. Per qualche secondo lui aveva bisogno di staccarsi ed isolarsi completamente, in modo da assaporare con ancora più intensità ogni dettaglio di quell’esperienza magnifica.
Era così ispirante.
A quanto pareva anche per lei doveva essere così, tant’era che gli dava addirittura le spalle, attendendo il momento che lui si riprendesse e la riportasse sulla Terra.
Perché in quei momenti per lei era come fluttuare. Non era in quella casa, chiusa in quelle quattro mura bensì da tutt’altra parte, in un mondo dove non era necessario urlare per esprimere la propria gioia; un mondo fatto di sogni irrealizzabili. Era un’esperienza quasi mistica per lei, ed era profondamente convinta che tutto questo fosse dato dal fatto che fosse intensamente, inesorabilmente innamorata di Jared Leto.
Non la spaventavano certi pensieri, ma non se la sentiva di rivelarglielo. Preferiva aspettare il momento opportuno, per adesso ritenne fosse meglio tenerlo per sé.
Erano successe troppe cose in quei giorni, e non pensava che il professore fosse pronto ad affrontare anche quel passo.
Aveva dovuto consolare il fratello mollato, dopo aver assistito alla scena spacca cuore di Jenah che prendeva le sue cose e salutava tutti con un bel sayonara, dicendo esplicitamente a Shannon di non farsi più vedere in Scozia. Gli avrebbe spedito tutti i tuoi effetti nel tempo.
Non fu quello a sconvolgerlo, quanto l’idea di essere tornato solo, dopo così tanto tempo di convivenza con una sola persona.
Il fatto che non le avesse mai chiesto di sposarlo era stato chiaramente un segno della sua insicurezza riguardo quel rapporto.
Probabilmente non sarebbe mai stato contento di sposare una persona che non andasse d’accordo col resto della sua famiglia, e Kim lo comprese più che mai.
Quindi ora i due fratelli condividevano l’appartamento, nell’attesa che Shannon riuscisse a trovarne uno tutto per sé.
Quella vicinanza aveva reso Jared un uomo nuovo, l’alunna credeva di non averlo mai visto così sereno, e già di per sé non era un persona troppo problematica.
Suo fratello era tornato e sta volta, era tornato per restare e non poteva desiderare niente di meglio. Certo, aveva i suoi lati negativi la convivenza, ad esempio trovare dei momenti di intimità con Kimberly era più difficile, ma pareva che Shannon se ne rendesse conto prima di loro stessi e con una scusa lasciava l’appartamento per qualche ora.

 Con un sospirò estasiato, lui voltò lo sguardo nella sua direzione, contemplando senza ritegno tutti i lati positivi che la differenza di età comportava.
Era sdraiata obliquamente, con le gambe ancora intrecciate alle sue e le braccia aggrappate ad un cuscino molto spesso.
Da quella posizione Jared vide la cascata di capelli che di solito le occupavano metà schiena, sparpagliarsi e andare ad invadere anche parte del cuscino e delle lenzuola.
La pelle candida, morbida, vellutata, copriva la corporatura esile, da cui potevano intravedersi parte della cassa toracica e la linea della spina dorsale.
Il lenzuolo l’avvolgeva giusto all’inizio del fondoschiena, lasciando però intravedere leggermente il solco delle natiche, che il professore non poté fare a meno di notare. Un barlume di eccitazione gli illuminò gli occhi, mentre si chiedeva come fosse possibile che una tale fortuna fosse toccata proprio a lui.
Era bellissima e glielo avrebbe ripetuto finché avesse avuto fiato in corpo, sebbene lei non ci avrebbe mai creduto.
Questa nuova convivenza li aveva catapultati di nuovo nel passato, facendogli riprendere in considerazione l’idea di tornare ad essere una band, sempre con lo stesso sogno.
Ogni sera si riunivano i tre membri più Kimberly e Constance; e facevano insieme nuovi progetti, leggevano quello che aveva scritto Jared e magari improvvisavano un’ipotetico arrangiamento e quando la combinazione li convinceva, volavano nella stanza artistica del proprietario di casa, imbracciavano i vari strumenti e strimpellavano qualche pezzo.
Sembravano un branco di ragazzini, ma l’entusiasmo che Kim leggeva negli occhi del professore, era qualcosa di impareggiabile e le dava sempre una scossa di vita. 

Allungò un braccio e con la punta dei polpastrelli cominciò a percorrere la lunghezza della sua schiena nuda, provocandole una pelle d’oca istantanea.
I punti in cui le dita andavano ad accarezzare la pelle increspata erano estremamente sensibili, colmi di terminazioni nevose, causando così dei movimenti convulsi e spontanei da parte della ragazza, la quale inarcava la schiena lentamente e in modo insopportabilmente sensuale.
Proprio qualche sera prima, approfittando dell’ultima serata che anche la madre avrebbe trascorso con loro, organizzarono un piccolo concerto a scopo intrattenitivo nel locale di Tomo.
Erano galvanizzati come poche volte in vita loro, ma quell’adrenalina fece loro tornare in mente il motivo per cui avessero tanto lottato in passato.
Kimberly si era presentata con un paio di pantaloni di eco-pelle (Jared non mangiava gli animali, lei non li avrebbe mai indossati) che le fasciavano alla perfezione le gambe, andando ad attirare anche l’attenzione di Shannon, il quale rivolse un’occhiata maliziosa al fratello. –Ora è chiaro perché te la fai con le adolescenti.- aveva commentato, ricevendo in cambio un calcio non troppo divertito. –Stai guardando la mia ragazza!- aveva inveito Jared, geloso fino al midollo, provocando in Kim una scarica d’emozione che andò a stringerle la bocca dello stomaco.
L’esibizione fu grandiosa. Piacque a tutti e i protagonisti promisero di organizzarne una con cadenza mensile, in modo da conciliare anche la vita quotidiana con quegli sprazzi di irrealtà.
Il giorno dopo Constance era tornata a casa, ribadendo più e più volte quanto fosse orgogliosa dei suoi bambini e salutando Kimberly riempiendola d’affetto.
Era entrata nella famiglia, era stata accettata, e non c’era niente che potesse renderla più felice. 

Improvvisamente Jared si fermò, portando la mano col palmo aperto rivolto verso l’alto sul fianco della ragazza, la quale la afferrò per poi sentirsi tirare verso di lui.
Lo aiutò, indietreggiando senza mai voltarsi, andando a coincidere con la schiena contro il suo petto muscoloso.
Lui passò un gomito piegato sotto testa di lei in modo che potesse poggiarvisi e la circondò all’altezza della vita col braccio sinistro. Le diede un bacio sopra la spalla per poi immergere il volto nella cascata di capelli.
-Jared?- lo chiamò, mantenendo il volume di voce basso, come se tornare ai toni normali potesse implicare la rottura di quella ragnatela di beatitudine e piacere in cui erano avvolti.
-Dimmi.- rispose prontamente. La voce calda le avrebbe sempre fatto lo stesso effetto che le aveva fatto la prima volta in cui avevano passato la notte insieme, sul divano.
Da quel momento, lo sapeva, niente sarebbe più tornato come prima, e i tentativi di Jared di far finta di niente erano risultati completamente, totalmente vani.
-Cosa stai pensando?- gli chiese beandosi di sentire il respiro dell’uomo batterle contro la spalla.
Il professore emise un sussulto che le fece intendere stesse sorridendo.
-Perché questa domanda?- domandò a sua volta con un che di divertito nella voce.
-Mi incuriosisce questo tuo silenzio ogni volta.-
-Non che tu sia presa da un attacco di logorrea.- disse lui ironico.
-Va beh, ma io sono una ragazza, è normale! Quello che sentite voi, noi lo sentiamo 10 volte più amplificato!- mormorò orgogliosa. Una delle poche cose positive dell’essere femmine, pensò. –E in ogni caso, per me sono sempre esperienze nuove, tu l’avrai fatto mille miliardi di volte in più.- non riuscì a trattenere quel briciolo di gelosia spontanea, ma non avrebbe comunque potuto rimproverarlo.
Ogni tanto le faceva impressione l’idea che quando lui aveva 20 anni, quindi ormai aveva avuto da parecchio tempo le prime esperienze sessuali, lei era solo una poppante.
Aveva un mucchio di tempo da recuperare, constatò pensierosa.
-Ti prego smettila di pensare quello che stai pensando!- esclamò lui, sapendo che ogni volta che facevano questi discorsi, automaticamente lei portava l’attenzione sul ragionamento dei 20 anni di differenza e di quanto tempo avesse avuto il professore più di lei, non rendendosi conto di quanto fosse più avvantaggiata, invece. Aveva ancora tutto da vivere.
-Perché ti imbarazza tanto? Pensa che Micheal Douglas e Catherine Zeta-Jones hanno 35 anni di differenza!-
-Kimberly!- la riprese lui.
-Cosa ho detto?- fece la ragazza imbronciata, provocando una risata spontanea all’uomo. –E comunque non hai risposto, è inutile che devii!-
-Caspita, sei attenta come una faina.- brontolò lui ironico.
Kimberly non si fece sfuggire tutta quella riluttanza nel risponderle, come se non fosse sicuro di quello che volesse dirle, come se fosse una cosa difficile da esporre e che sicuramente avrebbe portato un dibattito tra i due.
-Vorrei che dopo il diploma restassi con me.- mormorò, portandola a trattenere un immenso sorriso.
In quei giorni avevano addirittura affrontato la fatidica domanda  che Kimberly si poneva indirettamente da ormai 6 mesi. Cosa ne sarebbe stato della sua vita?
Mancava poco alla fine della scuola, quindi agli esami, quindi al suo futuro che al momento coincideva ad un enorme punto di domanda.
La cosa le metteva molta ansia, e avrebbe preferito con tutta se stessa non trovarsi già a quel punto della sua vita.
Per quanto non sopportasse la scuola, era costretta ad ammettere che fino a quel momento si era presentata come una costante nella sua vita, che volente o nolente, era sempre pronta ad aspettarla dopo ogni vacanza e pausa estiva.
Uscendo da quell’edificio sapeva che l’avrebbe rivisto insieme a tutte le persone che ne facevano parte qualche settimana o mese seguente.
Adesso invece, avrebbe dovuto dirle addio, pronta per il salto nel vuoto a cui l’avevano preparata così duramente fino a quel giorno.
A parte la normalissima e scontatissima paura che questo comportasse, Kimberly dovette scontrarsi con una dura realtà da accettare: non aveva la minima idea di cosa avrebbe voluto fare.
Era brava in tutte le materie allo stesso modo, non ce n’era una in cui eccellesse e non ce n’era una in cui avrebbe desiderato specializzarsi o approfondire.
Aveva diversi interessi, ma nessuno di questi voleva fossero la sua professione.
E, sfortunatamente, da quando nella sua vita era subentrato Jared Leto, niente l’assorbiva di più. Avrebbe dato qualsiasi cosa affinché potesse essere lui il suo futuro, pur di avere la certezza di passare accanto a lui ogni istante della sua vita, avrebbe rinunciato a qualsiasi cosa.
C’era chi desiderava da tutta la vita la possibilità di frequentare una facoltosa università o di intraprendere una certa carriera o di trasferirsi nella città dei suoi sogni.. lei no, lei voleva solo lui e, lo sapeva, non ci sarebbe stato niente e nessuno che l’avrebbe resa più felice e realizzata. Se lo sentiva, era stato il destino a
farli incontrare e sempre il destino, li voleva insieme.
Il problema era sicuramente i suoi genitori, e sicuramente lui che avrebbero spinto il più possibile affinché si costruisse la sua vita da sola con le sue forze.
Avevano totalmente ragione, peccato che a lei sarebbe bastato anche fare la cameriera nel bar sotto casa e vivere una pacifica esistenza accanto all’uomo dei suoi sogni. 

Kim si girò completamente verso di lui e gli prese il volto tra le mani, avvicinandolo al suo.
-Te l’ho già detto, Jared. Io senza di te non vado da nessuna parte.-

 
Ma si consuma
E nessuno se ne accorge.

Note finali: NON è L'AMORE QUESTO CAPITOLO? Cioè no, ditemi voi come è possibile che io abbia scritto una cosa così mielosa e melensa. Ero in preciclo? Iniezione di insulina a gogo? Bisogno di cioccolato? Il mio ragazzo mi aveva regalato un pony? 
Mah non lo sapremo mai, il dato di fatto è che IO ho scritto questo capitolo che ti fa venire da vomitare arcobaleni. Lo state facendo, n'evvero?
Chissà i vostri occhietti come luccicano in questo momento.
Parlando di cose serie, scusate eventuali errori ma sono TALMENTE svogliata oggi che non ho neanche lo sbatti di rileggerlo, esattamente quindi niente acobaleni per me.
Ci tengo a sottolineare una cosa, prima che mi diciate che sono una pessima dispensatrice di consigli: ad un certo punto, verso la fine c'è lei che dice "chissenefotte della mia vita, io voglio stare con lui" bene, questo NON SI FA.
Certo fossimo al posto di Kim, se qualsiasi di voi mi scrivesse "cazzo vuoi, io ho Jared che mi ha chiesto proprio questo" ovviamente risponderei "STICAZZI tienitelostrettoenonlasciarteloscapparepernientealmondo" ma fino ad allora, non dovete MAI postporre i vostri obiettivi ad un ragazzo. Mai. Nel modo più asssoluto. Eliminate questa malsana idea dalla vostra mente. 
Poi ovviamente sono la figlia delle variabili ed è più forte di me pensare "ci sono casi e casi", ho una parte di me terribilmente romantica (e ve l'ho palesemente vomitata qua sopra e più volte nel corso di questi 62 capitoli) (ossignoreiddio siamo già a 62 capitoli??) e sono probabilmente la prima che se si innamorasse della persona che ritiene giusta ogni signola cellula del suo corpo, si ritroverebbe a Las Vegas travestita da Marylin Monroe accanto al suo Elvis; ma fino ad allora combatterò affinché l'altra mia parte estremamente femminista continui a predicare e dimostrare che gli uomini sono inferiori e noi femmine possiamo diventare quello che vogliamo nella vita :D

Ok, anche per oggi il mio ruolo da moralista è stato giocato, ho solo messo le mani avanti prima che mi diciate che mi sono bevuta il cervello :) Poi ognuno vive la sua vita come vuole e può dedicarla a chi vuole!

La frase invece la trovo molto realistica e trovo che ci stia col contesto. Proviene dal film Jules et Jim, mai visto ma sono molto curiosa.
Vi consiglio di rileggerla più volte finchè il signoficato non diventa vostro: trovo che sia vero, molto spesso capita che siamo felici ma siamo talmente presi dal momento, talmente presi ad assaporarla che non stiamo neanche a rifletterci su, rischiando di non accorgercene. Siamo felici e neanche ce ne rensiamo conto.
Quante volte studiando i poeti ci siamo dette "MA FATTELA UNA RISATA" ? Io mille. Ma aete mai pensato perchè sono sempre depresse le loro opere (salvo poche eccezioni)? 
Credo che questa frase lo spieghi. La felicità non ha parole. Pensate a quanti sinonimi di felicità conoscete. Ce ne sono gran pochi e questo proprio perchè quando la viviamo non stiamo a pensarci, siamo felici e non c'è bisogno di analizzarlo o scriverlo. La felicità si consuma, ed è per questo che si racconta male; quando l'intensità svanisce e tentiamo di ricordarci e descriverlo è troppo tardi e finiamo per usare parole ridontanti e scontate.
I sentimenti tristi invece hanno mille sinonimi e sono quelli descritti meglio. Quando sei felice non perdi tempo a metterlo per iscritto, quando sei infelice invece è quasi un obbligo stare in silenzio al buio ad analizzare quello che senti.

Boh mi piace molto. 
Fatemi sapere cosa pensate di tutto ciò, se il capitolo vi è piaciuto o meno, se rinuncereste a qualsiasi prospettiva di vita per l'ammòòòre o siete il genere di ragazze ambiziose, e se la frase vi tocca in qualche modo o l'avreste intuita diversamente.
Sono molto curiosa :)

A presto chicas ;)

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Capitolo 63
*** Capitolo 63. ***


Capitolo 63.

 -Ci sono assenti oggi?- chiese il professore alla classe, scrutando bene tra quegli occhi attenti.
Certo che c’erano e se n’era accorto, ma avrebbe dovuto fingere di non esserne al corrente.
-Sì, Bloomwood.. Kimberly è assente.- dissero alcuni alunni all’unisono.
Lui annuì e segnò il nome dell’alunna sul registro personale, chiedendosi pieno di dubbi quale potesse essere il motivo dell’assenza della ragazza. Solitamente gli riferiva sempre tutto, specialmente le sue assenze ingiustificate.
Si sentiva abbastanza turbato, ma la parte difficile era non darlo a vedere.
Incrociò gli occhi di Gwen, la quale lo fissava con una luce strana negli occhi. Gli stavano per caso nascondendo qualcosa?
Sorrise alla classe, appena finito di firmare i vari registri.
-Bene gente, oggi vi introdurrò un personaggio importantissimo nella storia della musica.- disse, iniziando a spiegare quella che sarebbe stata la lezione più pallosa della giornata.
Era l’ultima ora del giovedì, e non tanto perché fosse giovedì, ma perché fosse l’ultima di una serie di ore lunghissime e insopportabilissime sia per lui che per gli alunni.
Lo poteva leggere nei loro sguardi insofferenti, che avrebbero dato qualsiasi cosa per tornare indietro di una settimana e trovarsi nel periodo di pausa.
E poi, l’ultima ora era sempre devastante, sia volontariamente che involontariamente. Era come essere in pieno purgatorio, e il professore non solo doveva reggere la propria stanchezza, ma anche quella degli alunni.
Doveva sostenere la loro attenzione per più tempo possibile, sebbene quello che gli veniva rivolto erano per lo più sbadigli e occhiate assonnate.
Era orribile, si sentiva noioso ed era ancora peggio che provare noia. Infondere noia negli altri era infinitamente frustrante.
Specialmente se il suo compito era quello di far imparare ai ragazzi la vita e le opere di un uomo morto una marea di tempo prima.
E, come se non bastasse, non poteva neppure perdersi qualche minuto negli occhi sognanti di Kimberly.
Dove diamine era? Perché non gli aveva detto niente?
Dovette mordersi la lingua più volte per non porre la domanda ai ragazzi, che lo fissavano senza minimamente vederlo. Tenevano gli occhi sgranati, imbambolati, senza mai sbattere le palpebre.
Abbattuto ogni minuto di più, tirò un sospiro di sollievo quando udì la campanella annunciare la fine di quel supplizio.
Vide la propria espressione rinata, riflessa sui volti degli alunni i quali, senza aspettare che concluse la frase, presero e uscirono dall’aula, spintonandosi tra di loro.
Con uno sbuffo pienamente sentito, si sedette dietro la cattedra e lasciò andare il capo tra le mani aperte.  Voleva prendere il telefono e rintracciare Kim, ma finché si trovava all’interno dell’edificio scolastico era meglio evitare.
-Jared?- si sentì chiamare da una voce femminile estremamente vicina.
Ciò che lo portò ad alzare lo sguardo con un’espressione inorridita non era la vicinanza, bensì il fatto che non avesse riconosciuto quella voce; o meglio, l’aveva riconosciuta ma non riusciva a credere che quella voce avesse espresso cotanta  intimità sfacciata.
-Gwen?- il tono non voleva formulare una domanda, ma fu più forte di lui. –T-tu.. tu mi hai..- stava balbettando e ne era consapevole. Quell’uscita dell’alunna l’aveva lasciato letteralmente esterrefatto.
Perché gli aveva dato del “tu”? Cos’era quel tono così confidenziale?
Il fatto che fosse l’amica della sua ragazza non le dava alcun diritto di entrare così nel personale.
Loro due non avevano nulla da spartire, non l’avevano mai fatto, e di certo non avrebbe cominciato ora.
-Volevo dirti di non preoccuparti, Kim è..- cominciò la ragazza con un gran sorriso, ma lui non le fece terminare la frase.
-Gwen, non dovresti darmi del “tu”. Tu sei una mia alunna e non è corretto nei confronti di tutti gli altri.-
Lei sbatté le palpebre ripetutamente, confusa. –Non siamo al lezione al momento.- rispose, guardandosi intorno.
-Non c’entra nulla, per favore non farlo.- ripeté l’uomo, guardandola attentamente.
Una luce maligna le luccicò negli occhi. –Hai opposto tutta questa resistenza anche con Kimberly?-
Lui assottigliò gli occhi, rivolgendole lo sguardo più serio che potesse. –Cosa hai detto?-
-Anche lei è una tua alunna, o sbaglio? Eppure questo non vi ha impedito di legarvi.-
Jared rimase impassibile, valutando le opzioni che questo comportamento inspiegabile comportasse. –Avete litigato, Gwen? E’ per questo che ti stai
comportando così?-
-No!- esclamò lei, confusa. –Pensavo solo che, in quanto ormai sia a conoscenza di questa relazione, potessimo avere un rapporto un po’ pi..- ma anche qua, il professore non la fece finire.
-No, Gwen! Assolutamente no, sto già rischiando il mondo con Kimberly, ti prego, non aggiungere carta a questo fuoco che non posso spegnere.-
Lei gli rivolse un’occhiata schifata. Doveva per forza essere incredibilmente perfetto in qualsiasi cosa? Anche per dirle di andarsene a quel paese lo stava facendo in un modo terribilmente poetico e.. affascinante. Si costrinse a togliersi questi pensieri dalla mente, sentendo il suo orgoglio ferito.
-Jared, io..- riprovò, ma il suo ennesimo tentativo fece esplodere il professore.
-Cazzo, Gwen! No ti ho detto! Il fatto che tu sia l’amica della ragazza che frequento non implica niente di niente, quindi ora sei pregata di andartene.- aveva alzato la voce, facendo indietreggiare la ragazza di un passo incerto. Non sbottava così velocemente, di solito.  –Farò come se questa conversazione non fosse mai avvenuta, se torni a comportarti solo come una mia alunna.-
Lui stesso non si riconobbe in quell’ansia che esprimeva ogni parola appena pronunciata.
La giovane, dal canto suo, sollevò un sopracciglio, sapendo perfettamente quali carte aveva a sua disposizione e come poteva giocarle.
-Professore, non le conviene fare così, lo sa?- disse poi, poggiandosi con i palmi aperti sulla superficie della cattedra, con aria di sfida.
Sentendo l’intonazione della voce cambiare, Jared si allarmò, cogliendo all’istante quello che intendesse l’alunna. –Non ti conviene minacciarmi.- ribatté, rivolgendole lo sguardo più sicuro che potesse, sebbene fosse pienamente al corrente di quanto precaria fosse questa condizione.
Lei sorrise. –A dir la verità, credo che non convenga a lei.- rispose, risoluta.
Aveva ragione, ma nonostante questo lui, sentendosi attaccato, si sollevò andando a sovrastarla in altezza, e sporgendosi verso di lei, chiaramente furioso.
-Saresti tu a perderci, Gwen.- e sicuramente, in parte aveva ragione. Avrebbe perso lui come insegnante, Kim come amica e qualsiasi opinione positiva di se stessa.
Proprio in quel momento si aprì la porta, mostrando a entrambi una Kimberly sorridente, la quale però, ritrovandosi davanti ad una scena simile rimase di carta.
Quelli che si scambiavano erano sguardi appassionati o minacciosi? Spesso il confine odio/amore è talmente sottile…
-Kimberly!- esclamò Jared, solare come non lo era stato tutta la giornata.
Gwen se ne accorse e gli rivolse un’occhiata ferita, osservandolo mentre si avvicinava all’amica, con un’espressione che non le aveva assolutamente visto dedicare.
Qualsiasi tipo di sicurezza l’abbandonò, quando lui portò le mani attorno ai fianchi della ragazza e si scambiarono un bacio a stampo.
-Ho interrotto qualcosa?- chiese poi Kim, guardandoli entrambi, insicura.
-Nono, ho solo chiesto al professore un chiarimento riguardo alla lezione di oggi..- inventò Gwen su due piedi, sfoggiando il sorriso più veritiero che potesse e avvicinandosi alla coppia.
-Ci vediamo domani.- disse a entrambi, lasciando un bacio sulla guancia di Kimberly, senza degnare Jared di uno sguardo e chiudendosi la porta alle spalle.
Rimasti soli, lei lo guardò criptica. –Cosa le hai fatto?- chiese, portando l’uomo a sbuffare sonoramente.
-Perché dai per scontato che io le abbia fatto qualcosa?- ribatté lui, scocciato.
-Non saprei, forse perché tu sei il demone di turno?- scherzò, facendolo sorridere. –Aveva una faccia abbastanza provata e vedendo le occhiate di fuoco che vi lanciavate, mi viene qualche dubbio.- spiegò poi, sedendosi su uno dei banchi in prima fila.
Jared rivolse gli occhi al soffitto. Erano sempre le femmine quelle che passavano per poverine, e non si parlava di maschilismo, era la pura, ingiusta realtà.
-Non erano occhiate di fuoco, Kim. Abbiamo avuto un piccolo dibattito, niente di serio.-  le sorrise, avvicinandosi a lei. –Tu piuttosto, mi spieghi che fine hai fatto?-
-Di cosa parli?- rispose lei divertita, facendo la finta tonta.
-Sai, di solito si viene a scuola quando ci sono le lezioni, non quando finiscono.- sorrise. –Cosa ci fai qua, ora? E perché non mi hai detto che non ci saresti stata?-
-Scaramanzia!- esclamò la ragazza, come se lui potesse capire a cosa cavolo si riferisse.
-Scaramanzia?-
-Sì! Ho fatto una cosa oggi, e appena ho avuto l’esito sono corsa a dirtelo!-
Il professore affilò gli occhi. –Ma si può sapere di cosa stai parlando?-
-Tieniti forte, allora!- disse carica, allontanandolo a sufficienza perché potesse saltellare senza fargli del male. –Ho fatto l’esame della patente! Sono petentata, sono patentata!- sembrava una molla, non si fermava più neanche per lasciare che Jared l’afferrasse.
Dal canto suo, lui non poteva che esserne orgoglioso e contento, come se fosse stato lui a raggiungere quel traguardo –ancora-.
-Kim, ma è meraviglioso!- esultò, soddisfatto, cercando di riportarla a sé.
-Vero??- era elettrizzata, non vedeva l’ora di tornare a casa e finalmente sfruttare il suo regalo di compleanno e portare in giro tutte le persone che l’avevano scarrozzata a destra e a manca fino a quel momento.
-Sì, sono fiero di te.- disse, con quel tono abbastanza caldo da bloccarla finalmente e farle portare l’attenzione su di lui.
-Grazie.- rispose, guardandolo negli occhi.
-Quindi…vuoi andare da qualche parte questo week-end?- era seduto su un banco e portando entrambe le mani sui fianchi della ragazza, la portò tra le gambe aperte, avvicinandola il più possibile a sé.
-Al momento sono al verde.- ammise lei, facendoli scoppiare entrambi a ridere, dato gli ovvi motivi per cui si trovava senza soldi. –Però posso contribuire in benzina.-
Suo padre le aveva fatto il pieno, carburante che non aspettava altro che essere smaltito.
-Perfetto allora, dopo decidiamo quale meta fa al caso nostro.- sorrise l’uomo, avvicinando il volto a quello della giovane, la quale portò le mani attorno al suo viso, più felice che mai. 

Proprio in quel momento, Jared si accorse della porta che si spalancava portando una figura a presentarsi di fronte a quella scena di un tipo d’affetto che non sarebbe dovuto esistere tra insegnante e alunna.
Ma ormai era troppo tardi, per quanto si fossero separati rapidamente, quegli occhi castani li avevano colti in fallo.
Riconoscendo la preside, Kimberly desiderò in quel momento più che mai di potersi smaterializzare.

Note finali: ALLORA! Scusatemi infinitissiamamente per questa merdata di capitolo che non ho riletto/corretto e sono talmente di fretta che non vi allego neanche uno straccio di canzoncina ç_______ç sono orribile lo so, ma mi sento in colpa per 345 cose ultimamente e almeno questo volevo placarlo.
E inoltre non volevo postare questo capitolo :( Sono stati sgamati al 63esimo capitolo purtroppo!!
Fatemi sapere cosa ne pensate, cosa pensate che accadrà e riversate un pò del vostro amore nelle vostre recensioni che tanto amo ♥
Scusatemi la fretta, non voglio davvero liquidarvi così e mi perderei a raccontarvi un sacco di stronzate ma ahimè il dovere chiama!
Ci sentiamo presto, mi auguro di avervi lasciato un pò di suspance anche con questo!
xxoxoxoxoxoxoxoxoxox

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Capitolo 64
*** Capitolo 64. ***


Capitolo 64.

 Don’t make me sad
Don’t make me cry
Sometimes love is not enough and the road gets tough
I don’t know why.

 Trascorsero istanti di profondo silenzio.
Tutti e tre erano fossilizzati, immobili, congelati nell’impotenza di quel momento. Non era possibile, non era assolutamente possibile.
Avevano preso tutte le precauzioni del mondo e l’unica volta in cui avevano abbassato la guardia, il loro peggiore incubo si era avverato.
Kimberly non riusciva a capacitarsi di come si sentisse atterrita e imbarazzata in quel momento. Se fino a 5 minuti prima avesse scalato il monte Everest senza l’aiuto delle braccia dalla gioia, adesso si sarebbe volentieri polverizzata.
Quella donna al momento e in quell’edificio soprattutto, ricopriva una carica di potere assoluto e la cosa la rendeva più inquietante di quello che già non fosse.
Kim aveva avuto modo di conoscerla meglio nei pomeriggi del mercoledì nel corso degli anni, quando c’era recupero di matematica. Si era dimostrata una donna allegra, affabile, alla mano e molto capace nel suo lavoro. I calcoli per lei non avevano più segreti e riusciva a trasmettere questa passione allucinante anche in persone totalmente negate come la ragazza.
Però rimaneva pur sempre la preside della scuola e, per quanto potesse essere carina nei modi, era un grandissimo rischio farla incazzare. Era lei che comandava, volente o nolente.
Era alta, rossa tinta e con gli occhi castani. Aveva una voce profonda, l’alunna aveva sempre pensato che fosse perfetta per ricoprire il suo ruolo.
Una persona “al comando” doveva avere una voce così, calda e severa ma anche rassicurante e dolce, all’occorrenza. A Kim piaceva molto come persona e si sentì male pensando di averle mancato di rispetto in questo modo; ma era entrata in contatto con un sentimento ingestibile, più grande di loro e di tutte le regole burocratiche del mondo.
Dal canto suo, la preside invece si sentiva profondamente avvilita. Era proprietaria della scuola, tutte le decisioni erano prese da lei, nessuno muoveva un muscolo lì dentro senza il suo consenso; una scuola che aveva costruito con le sue forze, dentro la quale aveva messo l’anima. Era la sua vita e in quel momento si sentì una fallita totale.
Era stata lei ad assegnare quel ruolo all’insegnante di musica.
Come aveva potuto pensare di assumere un uomo del genere, affascinante e giovanile, in una scuola così piccola e composta per lo più da ragazze? Le aveva fatto un’ottima impressione, sembrava così serio e responsabile e aveva quel lato così umano che sarebbe sicuramente piaciuto agli alunni.
Era consapevole dei rischi che questa scelta avrebbe comportato, ma si era fidata del suo intuito. Sbagliando, evidentemente.
Sospirò a fondo. –Jared, devo chiederti di venire con me. Dobbiamo compilare il modulo per le dimissioni.- nessuno dei due poteva immaginare quanto le facesse male pronunciare quelle parole, ma era la regola.
Il professore annuì lentamente, non avendo del tutto realizzato la situazione: per lui era semplicemente impossibile che fosse successo.
Kimberly sgranò gli occhi, e si posizionò davanti all’uomo, pronta a tutto pur di difenderlo. Lei avrebbe accettato qualsiasi tipo di conseguenza, in quanto non sarebbe mai stata permanente.
Poteva espellerla, bocciarla, farle sudare il diploma quanto voleva. Ma Jared non poteva perdere la sua unica fonte di sussistenza, non poteva permetterselo.
-Professoressa, è tutta colpa mia. Ho sedotto il prof. Leto ed è giusto che sia io a pagare, non lui.- si rivolse a lei con una decisione che spiazzò la preside.
Di certo non si aspettava una risolutezza simile da parte della ragazza. Da quanto andava avanti quella storia? Il volto si accartocciò, raccapricciato dall’idea che potessero essere insieme da più di qualche settimana.
-Kimberly..- deglutì, amareggiata. –E’ la regola, mi dispiace. Non posso essere concorde con questa storia, e sai bene che non posso cacciarti dalla scuola per un motivo del genere.- Come l’avrebbe giustificato a chiunque gliel’avesse chiesto?
-La prego.- implorò Kim, ricongiungendo le mani.
Il professore la guardò stranito, sentendo il cuore soffocare. Perché insisteva tanto? Già erano nella merda fino al collo, non doveva fare così leva sul volere della preside.
-Kim..- mormorò Jared, toccandole una spalla. –E’ giusto così.- disse rassegnato, cercando di placare tutta la combattività della ragazza. Non avrebbe portato da nessuna parte questa volta.
Lei si voltò a guardarlo, incrociando i suoi occhi pallidi. Non erano azzurri, quel giorno erano più tendenti al grigino.
Avrebbe tanto voluto stringerlo a sé e dirgli che le dispiaceva da morire. Avrebbe tanto desiderato tornare indietro e non averlo convinto ad intraprendere quell’impresa, si rese conto solo in quel momento di aver sottovalutato il rischio di cui lui parlava tanto all’inizio.
La preside, di fronte a quel contatto visivo così intimo, dovette distogliere lo sguardo. Ebbe la certezza in quel momento del fatto che non fosse una storiella passeggera, ma che i due avessero condiviso molto. Si trovava davanti ad un’infatuazione bella grossa.
Si morse il labbro inferiore, cercando di respirare profondamente nel tentativo di calmare i battiti violenti del suo cuore.
Questo era un bel casino.
Ma quale bel, questo era un dannato casino.
O meglio ancora, questo era un cazzo di casino.
Per qualche secondo si estraniò immaginando come avrebbe risposto alle lamentele degli alunni, quando avrebbero saputo che il loro professore adorato era stato licenziato agli sgoccioli dell’anno scolastico soprattutto.
Dove avrebbe trovato un valido sostituto? I ragazzi l’avrebbero apprezzato? Se fosse saltata fuori la storia, avrebbero cominciato a reputarla una pessima preside e avrebbe perso credibilità? Le iscrizioni sarebbero diminuite?
Non ci poteva pensare, chiuse gli occhi e si portò una mano sullo stomaco. Le stava venendo la nausea.
Se non fosse stato illegale li avrebbe impiccati entrambi, non si erano resi conto di tutto quello che questa storia avrebbe implicato?!
Lo stream of consciousness della donna dai capelli rossi fu interrotto dall’ennesimo tentativo di difesa dell’alunna.
-No!- esclamò questa prendendo il registro personale del professore dalla cattedra.
–Professoressa, mi ascolti. Lui è sempre stato molto professionale, guardi la mia media! Questa relazione non ha intaccato in nessun modo il nostro rapporto scolastico.- disse poi, mostrando alla donna la serie di alti e bassi nella materia insegnata da Leto.
“Ah beh allora, proseguite pure.” Pensò in un lampo di sarcaso la preside, prendendo il registro in mano.
Per quanto ne sapesse Kim, era questo l’importante. I genitori-insegnanti non potevano fare da maestri ai figli e parenti perché c’era il rischio che fossero di
parte.
Alla preside oltre a questo non sarebbe dovuto importare nulla, dal momento che la loro era sempre stata una relazione “segreta”. Gli alunni non li avevano mai visti –salvo Gwen- in atteggiamenti troppo intimi, quindi a meno che si appellasse alla cosi detta “morale”, non aveva motivi per licenziare Jared.
D’altro canto il professore si meravigliò di tutta quella caparbietà nel tentare di mantenergli il lavoro, pur sapendo che ci sarebbe stato il rovescio della
medaglia.
Teneva così poco alla loro relazione?
Improvvisamente sentì una vampata di calore nelle viscere, scaturita da un contrasto di sentimenti dal quale ne sorgeva uno: risentimento. Si sentiva sinceramente risentito nei confronti della ragazza, non capendo perché si stesse comportando così.
Effettivamente, la ragazza non stava bluffando. Vide voti recenti (cercò di sforzarsi a non guardare più indietro per non pensare che fossero in una relazione da più di un mese) anche sotto la sufficienza e dovette ammettere che, per lo meno, Leto aveva continuato a fare il suo lavoro.
Ma non avrebbe potuto fare finta di niente, avrebbe voluto sicuramente ma non poteva.
Cosa doveva fare?
Riempì i pomoni, sperando che la cosa andasse a buon fine. -Va bene, allora a voi la scelta. O la chiudete qui, o lui se ne va.- disse indicando l’uomo, con quella poca forza rimastale.
La soffiata, il fatto che non volesse crederci, la scoperta sconvolgente, la delusione, la tristezza con cui aveva dovuto pensare che Leto se ne andasse e l’insistenza della giovane, l’avevano davvero stremata. Non le piaceva ricattare, era una persona semplice e non le piacevano i giochetti.
Per la sua sanità mentale però, riteneva necessario che i due fossero trasparenti. Non avrebbe tollerato la relazione segreta qualora fosse continuata sotto i suoi occhi ignari.
I due si guardarono smarriti, cogliendo l’ultimatum e leggendo nei reciproci occhi quale fosse la cosa giusta da fare.
Allungarono istintivamente una mano, come per sostenersi a vicenda di fronte a quella decisione così difficile. I loro occhi si osservavano intensamente e si scambiavano silenziosamente idee ed opinioni.
Kim non avrebbe permesso che lui venisse sbattuto fuori, non così improvvisamente e senza preavviso. Era vero, non era sicuramente il lavoro dei suoi sogni, ma significava davvero tanto per lui. Era la sua soddisfazione quotidiana e ci aveva preso gusto in questa professione, finendo per appassionarcisi involontariamente.
Gliel’aveva letto sul volto, giorno dopo giorno, nelle settimane e nei mesi trascorsi. C’era una luce sempre più luminosa nei suoi occhi quando si trovava di fronte alla classe. Non era sicuramente come stare su un palco davanti ad una folla scalmanata, ma era lo stesso entusiasmante vedere come quello che diceva venisse preso in considerazione, annotato, ascoltato e dibattuto.
Mentre Jared, ancora preda del suo risentimento, decise di essere superiore, non mostrarsi debole e assecondare i desideri della ragazza.
Voleva chiudere?
Perfetto.
Per l’ennesima volta, Kimberly avrebbe ottenuto quello che voleva.
Inoltre dopo quello che era appena accaduto, non sapeva come sarebbero riusciti a continuare. Forse entro una settimana sarebbe finito quel terremoto interiore, ma al momento sentiva che se fossero rimasti insieme e lui si fosse licenziato, avrebbero passato momenti difficili, caratterizzati da sensi di colpa a non finire e rancore inconscio.
Prima Max gli aveva garantito che non avrebbe mai trovato successo, poi la preside che non lo voleva più in quella scuola.. c’era un limite alla sfortuna che una persona poteva sopportare.
Con il cuore in frantumi, Leto osservò la ragazza sorridergli debolmente, come per incoraggiarlo a prendere quella decisione dolorosa.
Si intendevano proprio bene, loro due.
Lui comprese e annuì automaticamente; poi rivolse lo sguardo più deciso che poteva, per quanto quella decisione gli sarebbe costata molto cara in un futuro prossimo.
-Va bene. La chiudiamo qua.- le parole si susseguirono velocemente, e il tono freddo resero molto veritiera la scena. In realtà si sentiva minuscolo e si vergognava di essere stato portato a preferire il lavoro ai suoi sentimenti.
Kimberly si morse il labbro inferiore, guardando in terra. Poi si rivolse anche lei alla preside e concordò con quello che le aveva appena riferito Jared.
-Mi dispiace ragazzi..- disse in seguito la preside. –Tengo a precisare però, che se non rispettate questo patto, io licenzio in tronco te, Jared, e ci saranno conseguenze pesanti anche per te, Kimberly.- si sarebbe fidata, ma non avrebbe lasciato che si prendessero gioco di lei, di nuovo.
I due annuirono all’unisono, ritenendo che fosse più che legittimo.
Essere presi per i fondelli una volta ci stava, la seconda molto meno; specialmente per una donna seria come lo era lei.
-Bene. Ora vi lascio 10 minuti.. poi ti aspetto in sala professori per l’assemblea pomeridiana, Jared.- fece per andarsene quando però, l’uomo la richiamò.
-Come sapevi che eravamo qui, Eleonor?- chiese, pronunciando per la prima volta il nome della donna. Kimberly non aveva mai saputo quale fosse il nome di battesimo della preside della sua scuola e se ne accorse solo in quel momento, sentendosi così sorpresa nell’udire quel nome che, a suo modesto parere, non le
si addiceva affatto.
Lei si voltò, guardandolo eloquente, avendo intuito quale fosse la domanda di fondo. –Siete stati traditi.- disse poi, guardando intensamente Kimberly, cosa che lì per lì, la ragazza non seppe spiegarsi.
La osservarono aprire la porta e uscire dalla stanza, lasciando che si godessero la fine della loro relazione per quegli ultimi, brevissimi 10 minuti. 

* 

Per quanto non avesse mai cercato di immaginarsi la fine di quella storia, a Kim era capitato di buttarci il pensiero.
Erano raving insensati, sprazzi di possibilità che non si sarebbero mai avverate, lampi di momenti che sarebbero stati parte solo ed esclusivamente della sua immaginazione.
Sicuramente però, non aveva assolutamente immaginato potesse finire tutto così, con i minuti contati e per motivi che non avevano niente a che vedere con delle loro divergenze personali.
Si voltò verso l’uomo che sapeva, le sarebbe mancato come l’aria non appena fosse uscita da quell’edificio e le sarebbe mancato ancora di più quando ci fosse tornata.
Lo guardò, trovando i suoi occhi fissarla intensamente di rimando. Le portò una mano su una gota, facendo scorrere le dita lungo quella superficie così morbida.
-Mi dispiace..- sussurrò lui, avvicinandosela e avvolgendola con entrambe le braccia.
Dal canto suo, lei non riuscì ad opporre troppa resistenza al gigantesco groppo che aveva in gola e permise alle lacrime di scorrerle lungo le guance.
Non era un pianto disperato, non sussultava e non singhiozzava ripetutamente. Era passivo, le gocce salate fuoriuscivano di loro spontanea volontà.
Era un tristezza così profonda che non le avrebbe dato pace per molto tempo, non appena lo avesse realizzato. Sentiva la consapevolezza pizzicarla, ma preferiva rimandare il momento del crollo.
Lo avrebbe capito tornando a casa, nel tragitto in macchina, mentre con le cuffiette nelle orecchie, una canzone che le ricordava loro due fosse capitata in playlist.
Solo allora l’avrebbe capito e lì si sarebbe lasciata andare.
Per ora, si accontentava di godersi quell’abbraccio e sfogare un po’ di quella frustrazione.
-E’ tutto così ingiusto.- mormorò la ragazza, la voce non voleva uscirle.
-Arriverà il momento giusto anche per noi.- le disse lui, cercando di consolarla. Doveva mostrarsi forte, lo doveva essere per entrambi, sebbene dentro si stesse sgretolando lentamente.
-No.- ribatté lei, sconsolatissima. –Era questo il momento giusto, Jared. È adesso che io e te dovremmo stare insieme e decidere ogni giorno se continuare. -
L’uomo sapeva che Kimberly aveva ragione, ma d’altra parte non poteva ignorare tutto il risentimento che provava in quel momento.
-Gwen ha parlato.- rivelò poi con voce bassa, continuando ad accarezzarle la nuca mentre lei era con la fronte poggiata sulla sua spalla.
La ragazza sgranò gli occhi, pensando di aver capito male. Si scostò per guardarlo in faccia. –Cosa?-
Lui diede finalmente aria a tutti i giri di pensiero che aveva avuto dal momento che l’amica era uscita dall’aula. –Oggi era strana. Si era messa in testa strane idee, si è rivolta a me con un tono troppo confidenziale. Le ho detto che non volevo e lei evidentemente si è arrabbiata.-
Kim scosse ripetutamente il capo. –No, non è possibile.- ne era certa, Gwen non l’avrebbe mai tradita. Le aveva giurato complicità e rispetto; si erano rivelate molte confidenze; era convinta che il suo affetto fosse reale. Ne era certa.
Non era stata lei, non era assolutamente possibile. –Ce l’hai sempre avuta con lei, non utilizzarla come capro espiatorio ogni volta!- lo riprese Kimberly, abbastanza alterata.
-Tu non hai visto come mi guardava!- ribatté lui, sulla difensiva. –Sapeva di avere il coltello dalla parte del manico e me l’ha fatto chiaramente intendere.-
-Questo non significa nulla! Tutti in un momento di rabbia possono dire certe cose!-
-Pensala come vuoi, fatto sta che quando la TUA amica è uscita, la preside è entrata!- sottolineò lui, con un tono di voce più alto. –E forse finalmente ora aprirai gli occhi, cazzo.-
La cattiveria con cui marcò l’ultima frase, impietrì Kimberly. –Cioè?-
-Che tu vivi sempre nel tuo mondo delle favole, dove tutti sono buoni e non ci vogliono fare del male! Beh, ho una notizia per te cara: è in parte colpa tua quello che è successo.-
-Mia? Io ho impedito che ti licenziasse!- esclamò lei, basita. Non capiva da dove provenisse tutta questa rabbia improvvisa.
–Perché hai insistito tanto, Kim?- chiese poi, improvvisamente serio.
Il tono leggermente più amaro fece drizzare le orecchie della ragazza, la quale lo guardò interdetta.
-E’ una decisione che era giusto prendere…- cominciò a dire, confusa. Era talmente spiazzata da non riuscire a trovare le parole.
-No.- la interruppe il professore. –L’hai voluto tu, hai scelto tu che finisse oggi.-
-Jared cosa stai dicendo? Io l’ho fatto per te!- esclamò lei, allontanandosi di un passo.
-Oh, grazie! È confortante il tuo altruismo Kimberly, ma potevo farne a meno per questa volta.- ribattè lui, colmo di sarcasmo.
-Si può sapere cosa ti prende?- era basita.
-Se tu mi avessi ascoltato, non sarebbe mai successo! Non sarebbe successo niente di tutto questo! Invece no, tu devi sempre fare di testa tua!- urlò Jared, picchiando un pugno su di un banco e voltandosi, dandole le spalle.
Sospirò profondamente, chiudendo gli occhi. Sapeva che quello che stava dicendo avrebbe comportato delle brutte conseguenze, ma ormai non c’era più niente da perdere.
Aveva perso lei, tanto valeva convincerla definitivamente.
Sconvolta, lei si sentì costretta a fargli una domanda. –Ti riferisci ancora a Gwen? Non sarebbe successo che la preside ci scovasse?-
-No.- sibilò lui, fissandola negli occhi. –Parlo di tempo fa, quando cercavo di convincerti a non iniziare questa storia.-
La ragazza non riusciva a capire se fosse il tono così serio o il fatto che la rinnegasse senza ripensamenti a distruggerla in quel modo. La stava incolpando di tutto, come se fosse stata tutta una sua iniziativa e lui si fosse ritrovato dentro quella valanga precipitosa che era la sua testardaggine, così, di punto in bianco.
Come se lui non l’avesse mai voluta.
Avrebbe avuto mille cose da dirgli effettivamente. Mille cattiverie o frasi da film con tanto di uscita scenica con la porta che sbatteva.
Ma non aveva assolutamente la forza. Probabilmente era solo molto arrabbiato e frustrato e non intendeva dire quelle cose; però l’aveva fatto e aveva rovinato i
loro ultimi minuti insieme.
Silenziosamente, si avvicinò e gli portò una mano sul volto. Quanto gli sarebbe mancato quello sguardo celeste fisso su di lei? E la pelle ruvida contro i polpastrelli? E quelle labbra sottili ma estremamente belle? La sua voce, la sua voce forse era ciò che le sarebbe mancato più di tutto.
Senza dire una parola, gli sorrise tristemente e uscì dall’aula, lasciando il professore solo con i suoi rimorsi. 

*

Rimase in quella stanza silenziosa per altri minuti, in attesa non sapeva esattamente di cosa.
Che lei tornasse? Che chiunque venisse a riportarlo nel mondo reale?
Sinceramente, si accorse che non gli interessava affatto. Non c’era niente per cui valesse la pena di dare un senso alla giornata o alla sua esistenza in generale. Non ci sarebbe più stata, lo realizzò cupamente solo in quel momento.
Niente e soprattutto nessuno.
Chiuse gli occhi e si portò una mano sul volto, raccogliendo tutte le riserve di energia che possedeva in angoli remoti del suo corpo, per casi proprio come quello.
Respirò profondamente più volte, pensando che doveva resistere, doveva presentarsi davanti alla preside e colleghi come sempre, come se fosse la solita giornata allegra e solare e non come se gli fosse crollato il pavimento da sotto i piedi.
Deglutì più volte, sentendo le labbra deboli. Optò per portarsi una bottiglietta d’acqua, lo aiutava a combattere l’imminente momento di estrema debolezza.
Non piangeva mai, l’ultima volta che era capitato anni prima. Purtroppo il suo record oggi si sarebbe concluso.
Raccolse le sue cose e si diresse verso la sala professori, dove si sistemò al solito posto con un sorriso di circostanza, sotto lo sguardo attento e finto indifferente
della preside.
Tra un sorso e l’altro, quell’assemblea che solitamente trovava lunghissima, terminò piuttosto rapidamente; mentre lui per tutto il tempo aveva pensato solo ad una cosa:
La spia avrebbe pagato.

 Choose your last words
This is the last time
Cos you and I

We were born to die.

Note finali: WELLA PIPOL! Come andate? Todo bien?
Io oggi sono in modalità  "I regret nothing" più del solito e credo sia lapalissiano dopo aver scritto e pubblicato questo capitolo molto poco coerente. Ci sono sprazzi di incongruenza un pò ovunque e nei vari ragionamenti dei personaggi ma fottesega, nel complesso l'ho torvato leggibile ed è stato un processo troppo doloroso scriverlo (ç______________ç i miei bambini si sono lasciati!! SIGH) quindi già averlo scritto in tempi diversi, ritoccato, modificato, tagliato o allungato ha reso quest'esperienza ancora più dolorosa. Non potevo ripeterla daccccapo mi capite? :(

Eh.

Sono curiosa di sapere cosa ne pensate di tutto e se vi aspettavate questa cosa. Tipo ma Kim che cazzo insiste? E Jared che si è fumato? E la preside un bel vaffanculo no eh??
Qualcosa di simile insomma ♥

E poi

vogliamo parlare di Gwen? PARLIAMONE. Sarei curiosa di leggere tutte le offese che siete in grado di sproloquiare ahaha.

La lunghezza questa volta mi sembra piùcheaccettabile no? L'ho fatto apposta almeno mi faccio perdonare 

-il ritardo

-e il futuro sicuro ritardo

La canzone è Born to die della bellissima bravissima miaamatissima Lana del Rey

Non rendermi triste
non farmi piangere
ogni tanto l'amore non basta e la strada si fa dura
non so perchè.

Scegli le tue ultime parole
questa è l'ultima volta
perchè io e te
siamo nati per morire.

Non trovate che ci siano dei passaggi merpendibili nella canzone?? (Merpendibili aka meravigliosi+stupendi+incredibili) (lo so, sono un piccolo genio) CIOé avrei così tante considerazioni sulla semplice frase "Ogni tanto l'amore non basta" da scrivere un FF a parte! E poi "Nati per morire" non sembra perfetto per la nostra giovane e adultera (cazzo c'entra) coppia?
Cioè davvero io ogni tanto non riesco a spiegarmi perchè per ventordici capitoli non trovo niente di adeguato e poi SBAM ecco la canzone perrrrrfetta! Mi commuovo da sola!

Ho seriamente finito, mi raccomando leggete, pensate, piangete e sfogatevi che mi fa sempre piacere condividere qualche bestemmia con qualcuno :)♥
A bientot
Vi lovvo.

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Capitolo 65
*** Capitolo 65. ***


Capitolo 65.

 

All the things she said
All the things she said
Running through my head
Running through my head
All the things she said
This is not enough

 

Era sconvolta. Stravolta. Straziata. Allibita. Confusa. Incredula. Stupefatta. Furiosa. Disperata.

Non si era mai sentita così. Erano delle sensazioni talmente estreme e contemporanee, che non riusciva a realizzarle. L’informazione non le arrivava al cervello, facendola sentire come in una bolla di vetro.

E temeva come la peste il momento in cui se ne fosse resa conto, sapeva che sarebbe stato un momento di crollo completo.

Proprio per questo motivo aveva deciso di distrarsi in un unico modo: si diresse verso casa di Gwen.

Guidò la sua meravigliosa macchinetta, che sfortunatamente, non poté godersi a fondo, incazzata com’era. Non teneva conto dei semafori che diventavano gialli, passava anche se a pelo coi rossi, infrangendo ogni limite di velocità consentito su suolo del centro urbano, ma se ne fregava.

Se ne fregava come se ne fregava di risultare sgarbata con i pedoni, non lasciando loro la precedenza di attraversare; se ne fregava degli altri clacson che la riprendevano severi; se ne fregava di rischiare il ritiro della patente a poche ore della sua nascita; c’era una sola cosa che pensava:

l’avrebbe ammazzata, quanto era vero il cielo, avrebbe investito Gwen non appena se la fosse trovata davanti.

Come aveva potuto farle una cosa del genere? Uno smacco simile? Un torto così imperdonabile? Un tale tradimento?

Non riusciva a crederci, eppure tutta la rabbia che le consentiva di mantenere la mente lucida e distaccata dal dolore, era indirizzata a quella che si era definita più volte sua amica.

Eppure si era così stupidamente fidata.

Le avrebbe perdonato qualsiasi cosa, le avrebbe concesso qualsiasi sgarro.

Ma non questo, non l’avrebbe mai scusata per averle portato via l’uomo di cui era innamorata.

Con un’ira in corpo che non aveva precedenti svoltò rischiando di far ribaltare la macchina, nella via riportante il nome dell’indirizzo di Gwen.

Nel corso delle lezioni di guida aveva imparato molte cose: le partenze; le frenate non troppo brusche; quando/dove/come inserire le marce; fare inversione di marcia; partire in salita; guidare per dei pezzi in retro e parcheggi ad L e ad S.

Eppure, si rese conto solo in quel momento, trovandosi una serie lunghissima di macchine perfettamente (o quasi) parcheggiate, che non le era stato insegnato come inserirsi dal davanti.

Si trattenne dal compiere un primo tentativo, sapendo che agitata come era, avrebbe sicuramente rigato quelle adiacenti.

La lasciò accanto in una posizione poco comune, di fronte alla villetta di Gwen, dove si diresse con una furia che non credeva appartenerle.

Suonò al citofono e quando la voce della compagna le rispose, cominciò ad aggredirla verbalmente, ribadendo quanto la odiasse.

-Kimberly?? Che ti prende?- chiese l’interlocutrice, alquanto spaventata.

-A me niente, ma se scendi succede che ti prendo a pugni!- inveì l’altra, quasi attaccandosi all’apparecchio da cui proveniva la voce.

La sentì riappendere e intuì che la stesse raggiungendo. Bene.

Un ghigno si aprì sul volto di Kim, mentre intrepida si raccoglieva la maniche. L’avrebbe sfigurata, martoriata, spappolata, disintegrata.

Vide la bionda uscire dalla porta d’accesso e raggiungerla, con un passo davvero deciso, cosa che Kim trovò ammirevole dal momento fosse consapevole dei presupposti con cui sarebbe stata accolta.

Eppure, una volta che se la trovò davanti, tutta l’energia distruttiva di cui si era avvalsa fino a quel momento, parve abbandonarla.

-Allora, si può sapere cosa succede?- le chiese Gwen con un’espressione tra lo sconvolto e il confuso.

Kimberly passò dal tenere le braccia sollevate alle cui estremità si ergevano le due mani strette a pugni, all’abbassarle completamente, inerme.

Il cuore che prima batteva molto velocemente, scandendo i millesimi di secondo a causa della rabbia; ora aveva rallentato, amplificando il rimbombo dei battiti.

Scandevano lenti ed inesorabili il passare dei secondi, era un battito prepotente e profondo, da farla tentennare fino alle unghie dei piedi con quella calma e quell’ardore disarmanti.

Era un battito funebre, prossimo ad appassire. Lo ascoltò mentre si sentiva mancare.

Era il tipico battito che precedeva la rottura, il suo decadimento.

Lo sentiva espandersi nel petto assieme all’unica consapevolezza che poteva farla crollare in quello stato comatoso: l’aveva perso.

Aveva perso la persona a cui più teneva in quel momento sulla faccia della Terra, fino ad un’ora prima poteva chiamarlo, stringerlo, guardarlo, toccarlo, abbracciarlo, baciarlo; ora il solo pensiero di pronunciare il suo nome le straziava il cuore.

Aveva permesso che accadesse, era stata ingenua, frivola e troppo fiduciosa.

Fu più forte di lei scoppiare in lacrime in quel momento. Non le interessava che ci fosse Gwen, non le interessava più di ucciderla. Avrebbe fatto leva sul suo senso di colpa, forse così avrebbe raggiunto lo stesso il suo scopo.

-Kimberly!- le prese le spalle e la scosse. –Mi spieghi cos’hai?- la sua voce tradiva una certa angoscia.

Che attrice, pensò colma di rancore Kim, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia minute, non riuscendo ad opporre resistenza.

-Hai distrutto tutto.- le rispose con una tonalità molto debole. –Hai distrutto tutto.-

Gwen sgranò gli occhi. –N-non capisco di cosa parli.- tentennò, aggrottando la fronte.

-Sì che lo sai.- la contraddì l’altra, singhiozzando. –Non vedevi l’ora di farmela pagare, vero?-

A questo punto era ovvio che fosse una questione di gelosia. Gwen si era seriamente persa una sbandata per il professore all’inizio dell’anno? Tutte le scenette in cui si imbatteva venendo a scuola su quanto fosse figo/bravo/buono l’insegnante non erano una farsa?

-Farti pagare che cosa?-

-Oh, smettila di fare la finta tonta!- esclamò poi Kim, furiosa. –Tu non hai mai accettato che io e Jared ci frequentassimo! Come ho fatto ad essere così cieca!- disse poi tra sé e sé.

-Cieca? Kimberly non riesco a seguirti!- il tono di Gwen aveva un che di sconcertato, ma uno sconcertato pacato, tipico di chi vuole rimanere calmo anche in una situazione di estremo panico.

-E’ successo qualcosa con il professor Leto?- osò poi chiedere, e Kimberly si accorse del suo sforzo per mantenere un’espressione neutra. Lesse un barlume di coscienza sul suo volto, come se lo sapesse già e con quello scintillio stesse confessando il misfatto.

A quel punto non ebbe più dubbi, e le venne l’impulso di metterle le mani addosso.

-Sì.- la guardò negli occhi. –Ci siamo lasciati.- il volto si rattrappì in una smorfia di puro dolore incondizionato.

-C-che cosa?- sussurrò Gwen, la voce talmente bassa che Kim la sentì a stenti.

-Oh, maledizione Gwen! Come puoi continuare a fingere così?!- era davvero brava, e in quel momento capì perché si fosse lasciata abbindolare così facilmente: era troppo convincente, nessuno neanche Jared stesso era mai riuscito a persuaderla dal fidarsi si lei.

L’espressione che le stava mostrando ad esempio era puramente sconvolta. Per un secondo le riscordò di quando a casa Leto, gli aveva chiesto della modella in aeroporto e di come lui aveva negato, con una sincerità nello sguardo da indurla per forza di cose a credergli.

Una delle cose più stupide che avesse mai fatto, e non era sicuramente intenzionata a ripetersi.

-Per lo meno avete questo in comune.- si lasciò sfuggire, in un ringhio feroce. Già se li immaginava, anche se sapeva che non avrebbe mai permesso ai suoi occhi di vederli insieme. Nessun organo del suo corpo avrebbe retto ad una visione del genere, molto probabilmente si sarebbero indotti al suicidio smettendo di funzionare.

-Kimberly, ti prego..- tentò invano, ostentando un passo avanti alla quale conseguì un passo indietro automatico di Kim. –Va bene! Ho sbagliato ok? Non credevo che vi sareste addirittura lasciati!- esclamò alla fine esasperata.

Lo sguardo che le rivolse la mora, le fece palesemente intendere che se si fosse risparmiata le ultime parole pronunciate avrebbe fatto la genialata del secolo.

-Tu non credevi?! Come hai potuto pensare di fare una cosa del genere e pensare che io e lui non ne risentissimo? Io mi fidavo di te!- inveì questa con un tono di voce più alto del dovuto.

Se non si fosse sentita la persona più umiliata a tradita sulla faccia della Terra, avrebbe sicuramente pensato a quanto fosse ingiusto per il vicinato udire le sue urla isteriche. Ma ad essere sincera, non le interessava proprio per niente, lei stava male e il mondo intero avrebbe dovuto fermarsi e soffrire con lei.

Evitò il pensiero dolore e si concentrò sulla rabbia che provava, mentre osservava Gwen paonazza farle segno di calmarsi.

-Mi dispiace Kim!-

-Non me ne frega un accidente che ti dispiaccia! Non riesco a credere che tu ti sia permessa di fare una cosa del genere! Ma che diritto ne avevi?- non erano domande interessate ad una risposta, erano una serie di sentenze che dal cervello uscivano direttamente dalla bocca per puro e semplice sfogo.

-Mi sentivo messa da parte e volevo solo..- provò per l’ennesima volta ad esprimere il suo punto di vista Gwen, senza però riuscire a concludere una singola frase.

Kimberly fece uno scatto isterico, agitando le mani e portandosele in volto, tremanti. Non riusciva a sentire il suono della sua voce, non lo sopportava, era come se i timpani bruciassero ogni volta che la tonalità dispiaciuta e soave della ragazza le arrivava alle orecchie.

Non riusciva a sopportarla, ancora un paio di parole e le avrebbe fatto del male fisico.

-Ti prego Gwen, non dire niente.- le disse quindi, un pelino più calma. La ragazza sembrò intuire il pericolo dietro quella calma apparente e tacque, abbassando lo sguardo.

Sentiva gli occhi e il naso pizzicarle, chiaro segno che la debolezza stava cominciando a farsi sentire. Tutte quelle accuse e, doveva ammetterlo, il senso di colpa la stavano per fagocitare. Avrebbe tanto voluto che l’amica le permettesse di spiegarle le sue intenzioni e che probabilmente si trattava di un enorme malinteso.. se fosse riuscita a parlare con i diretti interessati avrebbe potuto risolvere tutto, ne era sicura.

Al momento purtroppo però, aveva a che fare con una persona che non aveva nessunissima intenzione di ascoltarla.

-Al di là del rispetto nei miei confronti, che sono tua amica e mi sono ciecamente fidata di te, come hai potuto mancare di rispetto anche a lui e al fatto che lui ci campa con quel lavoro? Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere!-

-Ma veramente io..- tentò nuovamente, ma lo sguardo feroce di Kim le fece inghiottire le sue stesse parole. –Perché non vuoi ascoltarmi?-

-Perché non posso farlo senza pensare che per tutto questo tempo tu mi abbia raggirata! Non posso pensare a tutto quello che ti ho confidato e come tu in realtà pensassi a farmi lasciare con Jared!

Non voglio ascoltarti perché non te lo meriti, Gwen.- le rispose la mora, con le labbra tremanti.

-Scordati della mia esistenza.- disse infine, per poi voltarsi e incamminarsi verso la macchina.

Gwen, dal canto suo, avrebbe voluto con tutta se stessa correrle dietro e spiegarle come era andata in realtà e come aveva sbagliato, ma che quello non era assolutamente il suo scopo.

Però la conosceva ed era consapevole del fatto che non era esattamente il momento giusto per affrontarla. Troppo passionale Kimberly, nessuno era in grado di domare tutto quel fuoco.

Avrebbe voluto pensare di avere un’altra occasione per riprovare, ma dato il danno che aveva causato le venne spontaneo pensare che non l’avrebbe mai perdonata.

 

I’m in serious shit, I feel totally lost
If I’m asking for help it’s only because
Being with you has opened my eyes
Could I ever believe such a perfect surprise?

 

I keep asking myself, wondering how
I keep closing my eyes but I can’t block you out

Note finali: ciao amiche!
Scusatemi ma sono in una fretta dannata, spero che stiate bene e vada tutto ok. 
Il capitolo è un grande MAH, ce ne saranno alcuni di transizione in cui Kimberly si crogiola nella rabbia/disperazione quindi mettetevi l'anima in pace cos that's the way it goes ahaha.
Scherzi a parte, fatemi sapere cosa ne pensate, se avete dubbi o se questo capitolo (che non ho riletto quindi potrebbe essere la culla di 800 errori, scusatemi) vi ha generato qualche tipo di... non so. Riflessione? Ok, avete capito a cosa mi riferisco e se siete rapide avete capito già cosa accadrà nei prossimi capitoli ;)
In caso contrario molto meglio per me! OHOHO.

La canzone è All the things she said delle T.A.T.U e so che tendenzialmente parlerebbe di due lesbiche ma possiamo adattarla a diverse situazioni ahaha.

Tutte le cose che ha detto mi girano nella testa
e non è mai abbastanza.

Sono totalmente nella merda, mi sento completamente persa
se chiedo aiuto è solo perchè
stare con te mi ha aperto gli occhi
Potevo mai credere ad una sorpresa così perfetta? (Eheh il titolo c'è sempre)

Continuo a chiedermi, domandarmi come
Continuo a chiudere gli occhi ma non riesco a
toglierti dalla mente.

Ooookkk guuurlzzzz, fatemi sapere i vostri pareri, se siete favorevoli o contrarie a questo chapter, all'atteggiamento di Kim e se voi perdonereste Gwen o l'avreste affrontata diversamente.
kisskisskiss ♥

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Capitolo 66
*** Capitolo 66. ***


 

Capitolo 66.

 

Tornò a casa più depressa di quanto avesse pensato.
Aveva perso anche lei. Olè. Due in un colpo solo.
“Che bella giocata” pensò la ragazza tra sé e sé, con una delusione addosso che toccava i massimi storici.
Certo, si suoleva dire che certe persone era meglio perderle che trovarle, però questo senso di abbandono sembrava intenzionato a nutrirsi di lei e del suo dolore per parecchio tempo.
Aveva perso l’uomo che amava, era condannata a vederlo girare tutti i giorni per la scuola e, come se non bastasse, non aveva nessun’amica con cui confidarsi e condividere questa sofferenza immonda.
Eppure ancora non riusciva a cadere in ginocchio, vittima del dolore.
C’era qualcosa che le impediva di elaborare quella tremenda sensazione ancora, e non riusciva a capire cosa fosse.
Probabilmente non riusciva ancora a crederci, fissata nella prima fase del lutto: la negazione.
Non era logicamente possibile che fino ad un paio d’ore prima potesse essere la persona più realizzata al mondo, mentre ora era la più sola esistente.
Non poteva essere, avrebbe dovuto fare quattro chiacchiere col suo karma. Eppure cosa aveva fatto di male recentemente?
Spense il cellulare onde evitare di stare troppo tempo a fissarlo invano e trascorse la serata come se fosse una qualsiasi.
Cenò con la sua famiglia, parlando del più e del meno; lesse qualche pagina che avrebbe dovuto sapere per il giorno seguente; fece una rilassante sessione di zapping e preparò perfino la cartella. Le sembrò di aver fatto un salto indietro di qualche anno, dal momento che la borsa di scuola non la preparava il giorno prima da tempo immemore, proprio come i vestiti che avrebbe indossato.
Si sentì come alle elementari, ritrovandosi in piedi di fronte all’armadio in legno, nel tentativo di cercare qualche infido indumento che non voleva farsi scovare in mezzo a tutto quel caos.
Mentre era tutta intenta a frugare quasi completamente all’interno della cabina in legno, sentì bussare alla porta.
-Sì?- rispose scocciata.
-Kim, c’è tuo padre al telefono.- dalla porta fece capolino il volto di Lilian, la quale mostrò un’espressione sorpresa e divertita, vedendo la figlia litigare con le grucce che si impigliavano tra loro. Sembrava che il vecchio armadio stesse in agguato con le ante spalancate come fauci, in attesa del momento più opportuno per divorarsela.
Si avvicinò e le porse il cordless, coprendo con l’altra mano la parte inferiore del ricevitore. -Dice che hai il cellulare spento.- continuò con una vaga tonalità di rimprovero nella voce.
La madre trovò alquanto strano questo dettaglio, dato che per quanto ne sapesse Kimberly era tutta presa da un ragazzo e sembrava proteggere quell’oggetto a costo della vita.
Lilian era estremamente curiosa e avrebbe tanto desiderato che la figlia le raccontasse di questa persona, ma preferiva aspettare i suoi tempi e darle modo di superare quella sorta di imbarazzo.
La ragazza si diede una pacca in fronte. –Ah già!- esclamò, rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse distratta. Si era dimenticata che era giovedì e Max si sarebbe fatto vivo.
-Ciao pa’.- disse fingendo enfasi, facendo segno alla madre di lasciarla sola, la quale obbedì con una smorfia indispettita.
-Ehi Kim, allora?! Come è andata??- chiese dall’altra parte Max, con un tono estremamente entusiasta.
Da qualche settimana i due avevano ricominciato a sentirsi, Kim aveva battuto il suo orgoglio e si era decisa a rispondergli, dopo quasi 3 settimane di silenzio.
Il padre non si era dimostrato per niente arrabbiato con lei, anzi a dirla tutta le era parso sollevato, come se si fosse tolto un macigno insostenibile dallo stomaco.
Parlarono a lungo quella sera, aggiornandosi riguardo tutto quello che si erano persi l’uno dell’altra in quelle settimane. Parlarono perfino di Jared.
Ovviamente non erano scesi in dettagli, e la conversazione a quel punto era diventata molto stentata, però Kimberly aveva trovato molto dolce il suo tentativo di interesse nei confronti di questa sfera della figlia.
Erano tornati ad essere come un tempo, molto affiatati.
Eppure, in quel momento la ragazza non riuscì proprio a capire a cosa dovesse tutta quell’allegria e anzi, le diede anche fastidio.
Perché sembravano tutti così contenti quando lei era entrata nella prima fase del lutto?
-Di cosa parli?- gli chiese, rivangando nella memoria cosa potesse causargli tanto entusiasmo.
-Come di cosa parlo? È da secoli che aspettiamo di festeggiare questo momento e tu lo ignori così?! La patente!- esclamò lui, in un secondo tentativo di travolgerla.
-Ah!- sussultò poi lei, come aveva fatto a scordarselo?? –E’ stato emozionantissimo pa’, dovevi esserci! Insomma, io ero tutta agitata mentre quel vecchiaccio dell’esaminatore…- cominciò a far leva sulla sua logorrea misto a retorica che potesse da una parte distrarla dai brutti pensieri, e dall’altra distrarre lui dal porgerle domande scomode.
Parlò a vanvera, raccontando ogni minimo dettaglio in modo che lui si figurasse perfettamente la scena, per almeno 10 minuti, durante i quali lui era contentissimo sì, di sentirla così carica per il grande passo che aveva compiuto, ma dall’altra parte percepiva benissimo la presenza di una cadenza diversa nella voce della figlia, come se non fosse del tutto presente.
-…quindi mi ha guardata e con un sorriso mi ha consegnato la tesserina con la mia foto!!!- esclamò alla fine di quel monologo intervallato da sporadici commenti e risate riempitive da parte del padre.
-Oh, la mia cucciolotta sta crescendo!- si lagnò lui, fingendo di avere la voce spezzata. –Ricordo ancora quando ti ho fatto provare a guidare per la prima volta la mia macchina nel parcheggio deserto del centro commerciale...-
Kim roteò gli occhi sbuffando. -..e io stavo per schiantarmi contro un muro nel tentativo di fare un parcheggio.-
Ogni volta le ricordava quell’aneddoto, esperienza che non avrebbe mai dimenticato. Rare volte in vita sua si era sentita così eccitata e allo stesso tempo terrorizzata.
L’esito di quella prima prova però era stato talmente scadente da farle prendere in considerazione l’idea di non prendere mai la patente e muoversi a vita tramite passaggi a scrocco e mezzi pubblici.
Si sentì sollevata in quel momento invece nel rendersi conto che, tiè, alla faccia di tutti, invece ce l’aveva fatta, sebbene nessuno ci avrebbe (avesse?) mai scommesso.
-E anche questa l’abbiamo fatta.- disse lui emozionato. –Ricordatelo però che è stato il tuo papà ad insegnartelo!- le rammentò per l’ennesima volta, sempre con quell’angoscia tipica dei genitori di non sentirsi mai abbastanza considerati.
Certo che se lo sarebbe ricordato. Era stato lui ad insegnarle praticamente tutto quello che sapeva fare. Tranne leggere e scrivere, quello era merito di Lilian.
O fare l’occhiolino alternativamente con entrambi gli occhi. Quello era stato James.
Ma azioni come leggere l’orologio analogico, usare il suo primo cellulare, nuotare, andare in bicicletta, fare sci di discesa erano tutte cose in cui lui aveva impegnato il suo tempo e la sua dedizione.
-Grazie papino.- disse lei semplicemente, con un sorriso nostalgico. Probabilmente “guidare” sarebbe stata l’ultima cosa sulla lista, perché non le veniva in mente altro.
-Figurati, cucciola. Dai è tardi, vai a dormire e fai la brava che tra qualche mese hai gli esami!-
Lei mugolò contrariata. –Non mettermi pressione, che i professori se la stanno già cavando più che egregiamente.- rispose sarcastica. –Buonanotte pa’.-
-Notte e ricordati che il tuo vecchio qui è molto orgoglioso.- non c’era frase che la rendeva più felice. La soddisfazione di suo padre era anche la sua. 

*

 Con il cuore martellante, dopo ormai un paio d’ore trascorse di fronte a quell’armadio che non le diceva nulla, si rese conto che era ora di andare a dormire.
Si infilò sotto le coperte e, col petto colmo d’angoscia, decise di accendere il cellulare, così, tanto per. Finse tra sé e sé di non aspettarsi che una certa persona l’avesse cercata più volte, finse di avere necessità di accenderlo solo per vedere che ore fossero o magari qualcuno le avesse scritto solo per dirle che la scuola era stata bombardata da un meteorite e non c’era più bisogno che si presentasse.
Finalmente l’aggeggio si accese, vibrandole più volte nella mano, mostrandole i messaggi delle chiamate perse di suo padre.
Nient altro.
Rimase a lungo in quella posizione, al buio, nel letto, col cellulare ad un palmo dal naso ad illuminarle il viso, nella vaga speranza che lui si facesse vivo.

Ma fu del tutto invano.



Note finali: SO CHE è IL CAPITOLO PIù DELUDENTE NEL CORSO DELLA STORIA ma abbiate pietà, sono tempi duri questi.
Sono stata molto combattuta se postarlo o passare direttamente al prossimo, ma alla fine la parte di me che vuole che le cose siano fatte bene (AHAHA che parolone, "bene") ha prevalso. C'erano un paio di cose in questo capitolo che se fossero mancate nei prossimi magari ci sarebbe stata una qualche lacuna.
MA visto e considerato che non sono così stronza, domani o comunque a giorni metterò il prossimo che è già più lungo e più completo.
Non mi aspetto neppure che commentiate, povere anime anche voi. Leggete, così, quando non avete una ceppa da fare, consideratelo come un capitolo "appendice".
Grazie per l'attenzione e grazie per essere passate, a moooolto presto ♥
xoxoxoxox

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Capitolo 67
*** Capitolo 67. ***


Capitolo 67.

 Why do we sit around and 
Break each others hearts tonight, 
Why do we dance around 
The issues till the morning light, 
When we sit and talk and 
Tear each others lives apart, 
You were the one to tell me go, 
But you were the one for me 
And now youre going through the door 
When you take that step 
I love you baby more and more 
We need to laugh and sing and cry 
And warm each others hearts tonight

 Svegliarsi per lei fu come non aver mai chiuso occhio. Non era sicura se fosse per via della lacrime che le avevano reso gli occhi come due palle da golf, o perché effettivamente non aveva chiuso occhio per due notti consecutive.
Non ce l’avrebbe fatta, non avrebbe retto una giornata inutile come quella che avrebbe sicuramente passato.
La vita non aveva più un senso, il sole non aveva motivo di splendere e la scuola era tornata a far schifo come ai vecchi tempi.
Il giorno prima, sebbene non avesse dormito molto per via di quel cellulare insopportabilmente silenzioso, si era svegliata carica, animata da una forza adrenalinica che la portò ad essere attiva e pimpante sebbene i presupposti riguardo all’esito della giornata non fossero dei migliori.
Pensò che probabilmente fosse per via dell’eccitazione causata dalla privazione di sonno; o per quella interminabile prima fase del lutto.
La vera motivazione le era arrivata come un razzo, non appena aveva varcato la soglia dell’ingresso scolastico: l’avrebbe visto. Già si immaginava la scena.
Il professore di musica sarebbe entrato totalmente e completamente sconsolato in aula, con la tristezza viva negli occhi. Avrebbe iniziato a spiegare una delle sue asfissianti lezioni ma, nell’istante in cui i loro occhi si fossero incrociati, sarebbe scoppiato nuovamente l’amore tra i due; per poi approfittare dell’intervallo per scambiarsi le reciproche scuse e tornare ad essere la coppietta segreta del giorno prima. Non c’erano dubbi, lei gli mancava esattamente come lui mancava a lei, e Jared non avrebbe mai e poi mai opposto resistenza ad una loro riappacificazione.
E invece.
Ripensando a come fosse effettivamente andata, a Kim si contorsero le budella.
Aveva aspettato la terza ora di quella giornata in ansia, impaziente di rivederlo e guardarlo mentre si innamorava di nuovo dei suoi occhi.
Quando invece lui fece la sua entrata in classe, tutto si poteva dire fuochè si fosse appena lasciato con la sua ragazza.
Sembrava un’altra persona, fresco, bello più del dovuto e sorridente come non mai. Il cuore di Kimberly mancò un battito nel vederlo così.. contento?
Si sentì immediatamente tradita, umiliata e mortificata. Eppure, per tutta la lezione non aveva distolto l’attenzione da lui, dedicandogli infiniti sorrisi e sguardi intensi ai quali non aveva mai, neanche una misera volta, prestato attenzione.
La sorvolava completamente, come se non fosse presente quel giorno. Lo osservava far passare sotto lo sguardo vigile ogni alunno, e quando finalmente giungeva il suo turno, eccolo che la evitava con una naturalezza che Kim avrebbe definito a dir poco sconvolgente.
Era forse invisibile? Si guardò rapidamente le mani, quasi aspettandosi di posare lo sguardo sul banco sotto i suoi gomiti.
Se era tutta una recita, Jared si meritava il premio Oscar come miglior attore protagonista.
Sempre più sconvolta l’aveva osservato calarsi nella parte del sadico doppiogiochista: davanti agli occhi dei poveri alunni, aveva deciso di improvvisare un’interrogazione a sorpresa.
La vittima di questa terribile uscita fu Gwen, sebbene Kim constatò che il professore avesse escogitato bene il modo per chiamarla. Come se fosse stato tutto un piano della sorte.
Aveva guardato attentamente il registro, poi aveva afferrato il barattolino contenente i numeri a cui corrispondeva l’ordine dell’elenco alfabetico e aveva casualmente estratto il 15, di Gwen Kingston.
Probabilmente gli era uscito un numero a caso, come il 3. Non sarebbe mai importato, per lui era un 15 e lo sarebbe stato in ogni caso.
L’aveva osservato bene per poi guardare dritto verso l’alunna bionda. Un ghigno compiaciuto si aprì sul suo volto nel pronunciare il suo nome. –Accomodati pure.- indicò la sedia nel banchetto deserto accanto alla cattedra, apposito per le interrogazioni.
Era questo il suo subdolo modo per sfogarsi? Per esternare la sua frustrazione?
Kimberly non poteva negare di essere d’accordo, ma c’erano dei limiti oltre ai quali la vendetta diventava pura tortura.
Aveva guardato Gwen avvicinarsi alla cattedra come se fosse un patibolo, con il terrore che le scalpitava nello sguardo. Era ovvio quale fosse il fine di quella messa in scena, però purtroppo la ragazza non avrebbe avuto le prove a disposizione per denunciarlo alla preside.
Per quanto male le potesse volere, Kim non era in grado di sopportare la vista di quell’umiliazione pubblica. Era ovvio che l’alunna non fosse preparata e anzi, ad un certo punto era arrivata addirittura ad implorare il professore di lasciarla tornare al posto con la sua meritata insufficienza. Ciononostante, Leto sembrava godere di fronte alla vista della ragazza in difficoltà, balbettante, le guance che le erano andate a fuoco e quella luce ferita negli occhi alla quale lui rispondeva con uno sguardo affilato “Fa abbastanza male, ora?”
-Cosa vogliamo fare, Gwen?- aveva detto infine con un recitatissimo sospiro sconsolato. Come se fosse dispiaciuto per quello a cui aveva appena assistito.
Lei aveva scrollato le spalle con gli occhi lucidi. Si era costretta a non guardarlo, perché il contatto visivo col suo carnefice l’avrebbe irrimediabilmente distrutta.
Il professore aveva avvicinato il registro a e con la penna nera in mano aveva seguito la fila dei nomi fino ad arrivare a quello di Gwen, per poi scorrere in orizzontale fino alla data del giorno. Vi fece un puntino e poi era tornato a fissarla intensamente.
-E’ evidente che tu non abbia studiato. Cosa avevi d’importante da fare ieri?- le aveva chiesto, stendendosi contro lo schienale.
Umiliata, la ragazza l’aveva guardato per un secondo solo. –Niente.- la sua voce era molto bassa, Kim immaginò fosse per via del groppo che aveva in gola.
-Mi dispiace ma non credo di poterti dare neppure un voto. Dovrei metterti un “non classificato” per una interrogazione del genere.- continuò, senza toglierle gli occhi di dosso. Gli piaceva quello che vedeva, il suo rancore ne stava gioendo e non riusciva a farsene una colpa.
L’alunna dal canto suo non riusciva a credere a quello di cui era caduta vittima. Un Non classificato? Era pesante da portare all’esame della maturità. Avrebbe influito? La sua media totale ne avrebbe sicuramente risentito, ma anche l’esame di per sé?
Come l’avrebbe spiegato ai suoi, nel caso non fosse stata ammessa?
-No, la prego un NC no. La supplico, mi interroghi la prossima settimana o anche domani stesso, le garantisco che..-
-Gwen, Gwen, Gwen..- aveva sbuffato mr Leto, invariando quel tono costernato. –Non è possibile mi spiace. La vita è complicata e ti prende in contropiede ogni tanto. Devi accettarne le conseguenze. Se ti aiuto, sarei un cattivo educatore. Io ti sto regalando un’esperienza di vita.-
-E dovrei anche ringraziarla?- aveva domandato lei di rimando, a denti stretti.
Lui sorrise, sollevando le spalle. –Già che ci siamo, perché no.-
Le guance della ragazza divamparono mentre sentì una lacrima scorrerle lungo il volto. Il professore non si lasciò scappare quel dettaglio e anzi se lo godette, osservandone il percorso fino alla sua caduta sul colletto della camicetta di Gwen. –Sto aspettando.- la incitò, non vedendo sinceramente l’ora che il ringraziamento fuoriuscisse da quelle labbra.
La lingua le sarebbe servita a qualcosa per lo meno.
Gwen provò con tutta se stessa a trovare la forza dentro di lei per emettere un suono che somigliasse ad un “Grazie”, ma le sembrava impossibile. Era come se la gola si fosse otturata da tutte le lacrime e gli insulti che avrebbe voluto esternare, e un ringraziamento era sicuramente l’ultima delle parole che avrebbe rivolto a quel mostro.
Era la tipica persona che non riesciuva a dire certe cose se non le pensava. Non riusciva a chiedere scusa se non si sentiva realmente pentita o non riusciva a scrivere le faccine sorridenti nei messaggi, se era arrabbiata con la persona con cui stava parlando.
-Gweeen..?- il professore le passò una mano davanti agli occhi, ancora in attesa di fronte a quel viso inespressivo.
-La smetta.- una voce finalmente si era innalzata dalla classe statica e silenziosa fino a quel secondo. Erano rimasti tutti immobili e basiti di fronte a quella novità assoluta e a quel comportamento del signor Leto, che fino ad allora era conosciuto per essere il più buono e il preferito tra tutti i professori. Tra i banchi girava l’idea che una volta finito con la compagna, potesse prendersela con qualcun altro e sicuramente lamentandosi non avrebbero migliorato le cose.
Kimberly però, ritenne che il limite fosse stato sufficientemente superato e che il professore stesse davvero esagerando. Le era uscita spontanea quella sorta di comando.
Non le importava che le si ritorcesse contro, non era giusto quello che stava succedendo e inoltre, forse così Jared l’avrebbe degnata di una minima attenzione.
Tutti gli occhi ora erano puntati su di lei, anche quelli azzurri del professore. –Non credo di aver capito, Bloomwood.- aveva detto questo, con il tono più neutro che le avesse mai rivolto.
Il fiato le si smorzò in gola. L’aveva chiamata per cognome. Non l’aveva mai fatto, mai, neanche una singola e sporadica volta. Con nessuno.
Cercò di non darsi per vinta: la stava guardando, o per lo meno, lo sguardo puntava nella sua direzione e questo la faceva esistere. Dava un senso a quella giornata.
-La smetta.- aveva ripetuto lei, in preda al batticuore.
-Di fare cosa?- d’altra parte lui stava solo facendo il suo lavoro.
-Il despota.- rispose Kim risoluta. Non aveva fatto così in 7 mesi, non c’era motivo che cominciasse da oggi.
-Sto solo dandole quello che si merita.- chiosò il professore fissando l’alunna negli occhi neri. Kim fu scossa da un brivido: non si riferiva più al voto, e lo stava ammettendo apertamente.
Anche Gwen l’aveva capito, sollevò lo sguardo su di lui incredula, per poi tornare a fissarsi le mani.
-Non è questo il modo, professore.-
-Non dirmi come devo fare il mio lavoro, Kimberly.- il tono divenne fermo, duro come il marmo, gli occhi si velarono di rabbia.
La ragazza l’aveva guardato bene: che ne era del suo Jared? Sembrava che non la riconoscesse più. Cominciò a pensare di essersi immaginata tutta la relazione: quegli occhi la guardavano come se fosse seriamente solo un’alunna.
Le guance le divamparono. –Se lo fa di merda, è giusto che glielo si dica.-
Si erano guardati per un lungo istante, durante il quale gli occhi di Jared avevano subito una metamorfosi. Divennero freddi, di ghiaccio, velati da uno strato di arroganza. Era come se non la stesse guardando lui, ma lo spettro del suo rancore.
Sentiva il peso di quegli occhi sul suo volto e dovette concentrarsi per non cedere e abbassare lo sguardo. Era un’occhiata insostenibile, che non le aveva mai rivolto.
Pensò tra sé e sé che probabilmente sarebbe stata un’occhiata più volte vista se non fosse che lui aveva sempre provato qualcosa per lei. C’era quel freno a difenderla, i suoi sentimenti avevano sempre attutito e modellato la rabbia nei suoi confronti.
Il fatto che adesso non ci fosse più significava una cosa sola: per lui era davvero finita.
Il professore distolse per primo lo sguardo. –Bene, Gwen vai a posto. Per questa volta sei salva.- disse poi, allontanando il registro e chiudendolo.
Gwen lo guardò interdetta, ma si alzò e se ne andò velocemente onde evitare che quel sociopatico cambiasse idea.
Kimberly non riuscì a sollevare lo sguardo, aveva aiutato la persona che aveva distrutto la sua relazione a non rovinarsi la media scolastica e Jared le aveva ampiamente dimostrato che di lei non gliene fregava più niente. Si sarebbe cavata gli occhi pur di non guardare Gwen che tornava a posto sollevata.
-Bloombwood, vieni con me.- la voce fredda l’aveva chiamata. Veloce lei aveva alzato lo sguardo, portandolo verso l’ingresso. Jared era in piedi che teneva la porta aperta, facendole segno di raggiungerlo.
Il suo cuore spiccò il volo. Voleva che uscissero dall’aula per parlare? Quella scuola era piena di luoghi dove loro avevano chiarito, sperò silenziosamente che la portasse nella classe dove lui aveva accettato di cominciare una relazione con lei.
Era stato un giorno meraviglioso e quella stanza avrebbe per sempre mantenuto un’atmosfera magica nella sua memoria.
-Dove?- chiese però involontariamente. Lo sguardo freddo non si spegneva e anzi sembrò infittirsi dopo quella domanda.
-Nell’ufficio della preside.- il tono che utilizzò le fece venire la pelle d’oca. In che senso dalla preside? Aveva un orribile presentimento e tutti i compagni che la circondavano col fiato sospeso, le facevano solo aumentare l’angoscia.
-Perché?- aveva chiesto titubante, mentre si alzava.
–Mi sono stancato di questo atteggiamento. Vai a fare la paladina della giustizia davanti a lei, ci penserà lei a trovare una punizione per te.- spiegò lui, facendole segno di uscire.
-Arrivo subito.- disse poi agli occhi spaventati degli alunni, i quali annuirono all’unisono, silenziosamente.
Non l’avevano mai visto così, perfino Joe e Gwen, consapevoli della loro relazione, erano rimasti pietrificati. A Joe sorse una domanda che gli gonfiò il petto come un palloncino, ma dovette ingoiarla nell’attesa di un momento più propizio.
Gwen invece avrebbe tanto voluto fare qualcosa, impedire che Kim finisse nei guai proprio come aveva fatto lei. Ma l’umiliazione appena subita l’aveva spompata, e, d’altra parte in cuor suo sapeva che Leto non sarebbe mai andato fino in fondo.
 

*

 -Cosa sta succedendo?- chiese Kimberly al professore, una volta fuori.
Aveva notato che non l’aveva nemmeno sfiorata e anzi, si teneva a debita distanza camminandole davanti.
Lui la ignorò completamente, avanzando deciso.
-Jared!- lo chiamò fermandosi in mezzo al corridoio.
Lui si voltò, in viso emerse un’espressione indemoniata. –Non chiamarmi per nome.- le aveva ordinato, facendo un passo verso di lei.
-Ma J.. professore, possiamo parlarne! Perché sta facendo tutto questo?- continuò lei, con un groppo in gola insormontabile.
-Te l’ho già detto, non è rispettoso il modo in cui ti rivolgi a me.-
-No, tu vuoi solo dimostrare alla preside che non c’è più un legame tra noi!- era ovvio che fosse per quello.
-Ti ho detto di non darmi del tu.- le ringhiò. –Vedila come vuoi, ma mi hai seriamente stancato Kimberly.- disse per poi voltarsi e ricominciare a camminare,
con lei al seguito, mortificata fino al midollo.
Deglutì rumorosamente, cercando di trattenere il magone che spingeva per uscire.
Erano arrivati al bancone della segretaria in mezzo al corridoio, la quale non appena aveva visto Jared, si era sciolta in un sorriso. Kim lo guardò mentre ricambiava amorevolmente.
-Che posso fare per te?- gli chiese quella vecchia megera. In condizioni normali il sangue le sarebbe ribollito dinnanzi a quella scena. Ma era talmente incredula e distrutta moralmente che non riusciva a reagire.
-Puoi controllare che la preside sia libera?- un pezzo del cuore della ragazza si dilaniò. Era serio, la stava seriamente mandando a morire.
-Sì lo è, l’ho vista poco fa.- gli sorrise ancora la segretaria.
Jared aveva preso per una spalla Kimberly e l’aveva avvicinata al bancone. –So che è molto impegnata Janet, ma non potrebbe accompagnarci la signorina Bloomwood?-
-Per quale motivo?-
-Mi ha mancato di rispetto e ne ho abbastanza. Vedrà la preside come provvedere, se con una nota, un colloquio con i genitori o una sospensione.-
Kim aveva abbassato lo sguardo. Non riusciva a crederci, era una situazione a dir poco surreale.
La segretaria le rivolse un’occhiata impressionata e schifata. –Questa ragazza impertinente. Non è il primo che si lamenta di te sai, Kimberly?- lei dovette trattenersi per non sputarle in faccia.
-Non le dica però che la mando io, le dica semplicemente quello che le ho riferito.- ciò che più colpì Kim era la sua risolutezza nel mandarla al patibolo. Si era tirato perfino fuori, in modo da non essere coinvolto e dimostrare alla ragazza che non aveva niente a che vedere con la loro rottura, semplicemente voleva
punirla.
Non poteva crederci.
-Senz’altro.- gli aveva sorriso, per l’ennesima volta.
Quando Jared aveva fatto come per allontanarsi si era sentito strattonare la maglietta. Gli occhi neri come il carbone dell’alunna lo fissavano increduli.
-Possiamo parlarne..- disse lei con la voce rotta.
Non lo vide tentennare nemmeno per un istante. Aveva semplicemente scosso il capo.
-Non oggi, Kimberly.- aveva sussurrato, per poi andarsene.
L’aveva lasciata lì, indifesa, a scontare il suo triste destino.  

Tearing us, you’re tearing us, 
You’re breaking us, you’re breaking us, 
You’re killing us, killing us, 
You’re saving us, you’re saving us, 
You’re tearing us, you’re tearing us, 
You’re breaking us, breaking us, 
You’re killing us, killing us, 
You’re saving us

Note finali: Ecco, come promesso sono tornata per farmi perdonare la cortezza e l'assenza di contenuto nel capitolo precedente. 
ALLORA che ne pensate?? Di tutto in generale, sono curiosa di sapere le vostre opinioni riguardo alla piega che sta prendendo la situazione. Cosa ne pensate del comportamento di Jared? E quello di Kim?
Tra l'altro se non l'aveste capito (non credo di averlo fatto capire molto bene) è tutto un lungo flashback questo capitolo, si comincia parlando di due mattine dopo la sera con cui è terminato il capitolo di ieri.
?????????????
Credo di avervi confuse il triplo, quindi faccio affidamento sul vostro intuito e logica e spero di aver descritto il tutto il meglio possibile.
VOGLIO ANGOSCIA, voglio quella sensazione opprimentissima  che parte dal petto e annebbia il cervello tipica di quando ci si rende conto che la persona che vogliamo non ci vuole più e ANZI ci sta bellamente mettendo nei cazzi.
La sentite? Se sì ORO, se no farò del mio meglio nelle prossime occasioni.
Per quanto riguarda la canzone L'HO FATTO DI NUOVO, HA! Ho trovato la canzone peerrrrrfetta per il capitolo perrrfetto!!!
Amo Saving us di Serj Tankian (era un pò che non saltava fuori nè?)

Perchè ce ne stiamo con le mani in mano e
ci spezziamo il cuore a vicenda, stanotte?
Perchè giriamo attorno ai problemi fino a che viene giorno?
Quando ci sediamo e parliamo e separiamo le nostre vite
Eri tu quello/a che mi ha detto di andare
Ma tu eri quella giusto/a per me e adesso sei fuori dalla porta
Quando fai quel passo, ti amo sempre di più
Abbiamo bisogno di ridere e cantare e piangere
e scaldarci il cuore a vicenda, stanotte

Ci stai demolendo, ci stai demolendo
Ci stai distruggendo, ci stai distruggendo
ci stai uccidendo, ci stai uccidendo
Ci stai salvando, ci stai salvando.

Eccoci qua quindi, spero vi sia piaciuto anche se non esattamente allegro, e spero che mi caghiate almeno per l'impegno ♥
xoxoxoxox

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Capitolo 68
*** Capitolo 68. ***


Capitolo 68.

 Hang me down
By the river bed
With the other dead
I will die without a sound

 Aveva aspettato per 15 minuti buoni che la preside la chiamasse nel suo ufficio, la quale quando la vide, le mostrò un’espressione stupita.
-Kimberly, quanto tempo.- la salutò sarcastica. –Avanti cosa hai combinato sta volta?-
Le aveva porto la domanda come se fosse un’abitudine averla lì e ciò le aveva dato molto fastidio. Era vero, nell’ultimo anno si era mostrata un po’ indisciplinata, ma di recente il suo comportamento era stato impeccabile.
Non si preoccupò di farlo notare alla donna, dal momento che probabilmente era un passo avanti a lei e aveva immaginato il motivo.
-Niente.- rispose apatica. Si sentiva un’adolescente ribelle, nella fase in cui odi tutto il mondo e qualsiasi forma di autorità ti fa venire l’orticaria. Aveva detestato quella fase, ma in quell’istante non poté fare a meno di sentirsi concorde con quel suo lato trasgressivo.
-A me hanno riferito che sei stata maleducata con un insegnante.- la contraddì con un sospiro.
La ragazza scrollò le spalle, senza emmettere un suono. Se lo sapeva allora cosa diamine glielo chiedeva a fare?
Si era tenuta quell’uscita per sé, sapendo che già era nei casini, era meglio evitare un’espulsione all’ormai ultimo anno.
-Cosa hai detto?-
-Che insegna di merda.- aveva risposto schietta, guardandola negli occhi.
Sapeva di non essere nella posizione per fare la spavalda, ma era più forte di lei. Dentro di lei intanto, continuava a pulsare l’illusa speranza che Leto potesse entrare dalla porta alle sue spalle e rimangiarsi quell’accusa, difenderla, comportarsi come il Jared per cui aveva perso la testa.
Niente di tutto ciò ovviamente, solo una donna molto arrabbiata con lei. Per la seconda volta in 24 ore e come se non bastasse era la persona con maggiore autorità nell’edificio.
Tombola.
-Posso sapere perché?- domandò la preside, lasciandosi sfuggire un sorriso. Le piaceva molto Kimberly, le era piaciuta da subito.
Era una di quelle ragazze che attirano la tua attenzione e il tuo affetto, inconsciamente. In una scuola così poco numerosa la donna conosceva nome e cognome di tutti gli alunni e si ricordava anche la gran parte di quelli ormai diplomati.
Era più forte di lei voler loro bene. Poi si sa, ce ne sono alcuni con cui si trovava più in sintonia e c’era più complicità.
Kimberly con la testardaggine che le aveva dimostrato, presentandosi tutti i mercoledì pomeriggio ai recuperi di matematica per tre anni consecutivi, l’aveva conquistata.
…Probabilmente era lo stesso modo in cui era riuscita a far breccia nel professore di musica…
Cercò di bloccare questo pensiero sul nascere, concentrandosi su quello che stava per riferirle Kim.
-Stava umiliando una compagna.. e non era giusto.- aveva spiegato brevemente la ragazza, guardandosi le mani.
Era altrettanto ingiusto che per questo motivo fosse finita lei nei guai, ma aveva cercato di non pensarci sebbene le fosse tremata più volte la voce nel dire la frase.
-Non dovresti impicciarti negli affari degli altri, lo sai Kimberly?- era risaputo: chi si fa gli affari propri, campa cent’anni. Ma aveva dovuto ammettere che dopo tutto fosse stato un gesto nobile.
-Lo so, professoressa. Ma vede, in certi casi è più forte di me.. lui era troppo crudele, passi la vendetta anche se non la condivido, ma Gwen non si meritava addirittura un NC.- aveva detto poi agitando le braccia.
La preside la guardò un attimo stranita pensando di essersi persa un paio di passaggi. –Vendetta?- ci aveva messo una manciata di secondi più del dovuto per realizzare cosa stesse cercando di dirle l’alunna. –Un momento, è stato il professor Leto a mandarti qui? E stava mettendo un NC a Gwen per vendicarsi di c..?- chiese per poi annuire quando aveva realizzato.
Kim sgranò gli occhi, rendendosi conto che in questo modo sarebbe finito Jared nei casini. Aveva comunque messo il personale davanti al professionale e non andava assolutamente bene.
-No, aspetti, aspetti professoressa non se la prenda con Jar.. ehm, col professore.-
Ma la preside sembrava essere rimasta qualche battuta indietro. Era fossilizzata, inespressiva, muta.
Alla giovane era passata tutta la vita davanti. Si era sacrificata il giorno prima per mantenere il posto al suo ex, e ora lo avrebbe fatto licenziare comunque.
-Prof, per favore non lo licenzi.-
-E’ incredibile come nonostante ti abbia mandato qui, tu continui a difenderlo a spada tratta.- si era sentita dire dalla donna che la guardava con gli occhi fissi.
Alche Kim si strinse nelle spalle, non sapendo come rispondere. Era probabile che Jared potesse essere più avanti di lei, trovandosi nel pieno della rabbia, la seconda fase del lutto.
Invece perché  Kim continuava a sentirsi così stupidamente in costante negazione? Perché non riusciva ad affrontare il fatto che fosse finita e a sentirsi, una volta per tutte, sganciata dalla sua relazione con l’uomo?
Ok che era passato poco tempo, ma in teoria in quel momento avrebbe dovuto trovarsi a casa a rotolare tra le coperte e a disperarsi; invece si trovava di fronte alla preside a difendere un amore che ormai non esisteva più, come se fosse vivo e vegeto.
-Ok Kimberly, puoi andare.- aveva detto la preside, così, di punto in bianco.
Kim l’aveva guardata estremamente perplessa. –Scusi?-
-Diciamo che Leto è un uomo e come ogni uomo, non riesce ad accettare una sconfitta. Deve esserci rimasto male per ieri e oggi ha riversato questa frustrazione su di te. Non temere, non lo licenzierò, tutti hanno i loro giorni “no”. Io stessa ce li ho.- le aveva esposto la sua teoria. –Peccato, ero sicura fosse diverso.- l’aveva sentita dire poi, con un sospiro deluso.
L’alunna aveva dovuto tapparsi la bocca virtualmente con entrambe le mani per non smentirla, per non dirle che effettivamente, lui era diverso dagli altri. Ma non era importante, non era necessario che lei lo sapesse e aveva già sopportato troppo la preside per quei giorni, era meglio lasciarla in pace per un po’.
-Ovviamente però, una lavata di capo non gliela eviterà nessuno. Nemmeno tu.- sorrise lievemente.
-Fa parte del mio lavoro, le scorrettezze devono essere rimproverate.- e qualcosa nel suo sguardo fece pensare a Kimberly che, dopotutto, non vedesse l’ora di farlo.
In ogni caso aveva detto che non ci sarebbero state conseguenze per lui, e non c’era notizia che potesse  renderla più contenta.
-E per quanto riguarda me?-
-Stai tranquilla, la tua reazione è stata più che lecita in questo caso. Ma non dovrà mai più ripetersi, devi imparare a stare al tuo posto. Sono stata chiara?-
-Limpida.- come gli occhi di Jared Leto, aveva concluso tra sé e sé la ragazza, annuendo convinta.
Si alzò dalla sedia e uscì da quell’ufficio, sperando di non farvi più ritorno.
Era ormai l’intervallo, e lei si trovava in una dimensione talmente a parte che le sembrava di fluttuare in una bolla di sapone. Era riuscita a farsi mandare dalla preside e ad uscirne indenne!
Non ci avrebbe mai creduto se glielo avessero raccontato. E invece le era accaduto e avrebbe così tanto voluto condividere questa esperienza con qualcuno, che si precipitò nella sua classe alla ricerca di Gwen o di Jared, sovrappensiero.
Incrociò il professore nel corridoio, ma quando aveva fatto per rivolgergli qualsiasi tipo di attenzione, dallo sguardo alla parola, lui l’aveva sorpassata senza degnarla di un’occhiata. Come se non fosse stata nemmeno lì, come una stupida in mezzo al corridoio.
Ovvio non si aspettava che le sorridesse o che le chiedesse scusa, ma dopo che l’aveva mandata dalla preside per una cavolata, avrebbe dovuto per lo meno guardarla o.. calcolarla?
Lo guardò allontanarsi e scherzare con un paio di alunne –tutte perse a divorarselo con lo sguardo- mentre parlottavano e ridevano insieme.
Lui rideva.
Lui l’aveva spedita dalla preside con una stupida scusa e ora rideva, come se non ci fosse motivo per sentirsi colpevole.
Esterrefatta e incredula, Kim lo osservò bene.
Portava la stessa camicia che aveva indossato quando l’aveva recuperata dall’angolo della strada ormai mesi prima; solo che quella volta era tutta inzuppata e gli stava incollata al busto. Si ricordò improvvisamente la voce calda e gli occhi azzurro-blu che l’avevano salvata e le gocce di pioggia che dalle punte dei capelli, piovevano dirette sul viso di lei, da tanto le stava addosso, avvolto nella preoccupazione.
Tutto d’un tratto le sembrò così tanto tempo prima da non essere mai successo.
Fu in quell’istante che la consapevolezza le piombò addosso come un’ancora legata alla caviglia e la trascinò giù, verso il baratro del non-ritorno.
Si rese conto di aver lottato tutto il tempo per una coppia che non esisteva più, era rimasta solo lei e ogni cellula del corpo di Jared aveva cercato di farglielo capire da tutto il giorno, perfino quell’istante, mentre lo osservava più sorridente che mai, glielo stava urlando.
Loro due non erano più niente insieme.
Era finita. 

*

 Si riprese da quel lunghissimo flashback con una terribile fitta allo stomaco.
La prima fase era stata ampiamente superata e nel giro di un batter d’occhio era saltata  direttamente alla quarta, terribile e tremenda fase del lutto: la depressione.
Era nel pieno del dolore, ci navigava dentro come una scialuppa senza remi naviga in mezzo all’oceano Pacifico, senza controllo, senza freni, senza aspettative.
Lasciava che le onde le si infrangessero addosso, sballottandola da una parte all’altra, entrandole in ogni orifizio possibile, fino a toglierle il respiro.
Si poteva morire di dolore?
Era convinta che se avesse continuato così, avrebbe conosciuto personalmente la risposta. Già una volta si era trovata in una situazione del genere, e si rese conto di come lo spirito di autoconservazione le avesse permesso di dimenticarselo e fingere che non fosse mai successo e quelle fossero tutte esperienze nuovissime.
Si voltò di lato, stringendosi il piumone contro il viso, nel tentativo di coprire i singhiozzi. Le sembrava che la sua anima stesse sanguinando così rovinosamente da costringerla a spremere tutte le lacrime che avesse in corpo.
E, purtroppo, pareva ne avesse una riserva illimitata.
Lanciò una rapida e appannata occhiata alla sveglia da comodino, rendendosi conto che mancava ancora mezz’ora prima che dovesse cominciare a prepararsi per andare a scuola.
Tra l’altro era sabato, quindi non l’avrebbe visto.
Non riusciva a capire se dovesse esserne contenta o meno. Quello che odiava dello stare così, era la perenne indecisione che qualsiasi azione assumeva.
Era meglio o peggio che nessuno si facesse sentire? Avrebbe dovuto nutrirsi, così che la sua miserabile vita sarebbe continuata o smettere per porre fine alle sue sofferenze? Era meglio o peggio morire?
E per di più neanche il sonno poteva concederle quei rari sprazzi di respiro, visto che o non si presentava, o comportava dei sogni misto a ricordi che era meglio non fare.
Sarebbe stato meglio se fosse stata a casa a compiangersi come una povera isterica o sarebbe dovuta andare a scuola dove sì, si sarebbe distratta per qualche ora ma per lo meno a casa avrebbe potuto piangere liberamente, mentre a scuola con che coraggio si sarebbe messa a frignare?
Tuttavia era convinta che il suo orgoglio glielo avrebbe impedito, per questo motivo, dopo essersi sfogata per l’ultima mezz’ora rimanente, decise di andare a prepararsi.
Un’avvincente giornata l’aspettava, alè. 

Una volta a scuola, nell’esatto istante in cui ebbe messo piede dentro l’edificio, se ne pentì con tutta se stessa e sentì un’improvvisa mancanza del suo letto.
Ormai non poteva farci niente, purtroppo.
Si trascinò come uno zombie verso la classe, dove molti dei suoi compagni l’accolsero riempiendola di domande riguardo all’incontro con la preside del giorno prima, pensando che quel suo aspetto devastato fosse per i provvedimenti troppo severi presi dalla suddetta.
La ragazza si riscoprì pensare un immenso “MAGARI”, ma non rivelò niente di preciso, disse solo che la preside era molto impegnata e che non le aveva ancora
comunicato le sue intenzioni.
In un modo o nell’altro capirono che voleva essere lasciata sola ed eseguirono.
Per tutto il tempo si sentì uno strofinaccio e neanche il suo amato orgoglio le aveva impedito di lasciarsi andare in pianti sconsolati.
La prima volta era successo durante la verifica di spagnolo, la quale consisteva nello scrivere un tema riguardo all’amore nella letteratura che avevano studiato quell’anno.
Fortunatamente si trovava in uno dei posti in fondo alla classe e per di più si trovava attaccata al muro. Fatto stava, che trascorse le seguenti due ore a scrivere con la destra e a sciupare il pacchetto di fazzoletti con la sinistra, mentre con gli occhi orribilmente appannati cercava di comporre qualcosa in quella lingua straniera.
Sarebbe andata sicuramente di merda, dal momento che scriveva tutto quello che le passava per la testa –pertinente, ovvio- senza fermarsi mai, né per controllare le regole grammaticali né per cercare le parole che non conosceva sul dizionario.
Se le inventava, seguendo la regola del aggiungi-una-S-alla-fine-della-parola.
Mai si era aspettata di trovarsi in una situazione del genere. Non le era mai successo di piangere in classe, era sempre riuscita a trattenersi.
Quasi nessuno se ne accorse comunque e questo era un bene.
La seconda volta accadde durante la lezione di diritto, con il tedioso professore Jean-Baptiste.
Stava spiegando la sua fantastica lezione quando, nello sfogliare il libro, Kim aveva notato un cuoricino con scritta una J al suo interno, risalente al periodo post-gita.
Una serie di ricordi si susseguirono nella sua mente portandola a stendersi sul banco con un gemito di dolore che Gwen, alla sua destra, non poté fare a meno di notare.
Si sentiva malissimo per quello che doveva provare al momento la sua amica e il fatto di essere così impotente la faceva stare peggio.
Era terribile vederla così ed essere costretti a far finta di niente.
La terza volta accadde durante l’intervallo, quando, seduta su delle sedie verdi fuori dalla classe, degli alunni con una chitarra a spalla le passarono davanti per rifugiarsi nell’aula di musica, più volte luogo di incontro/scontro tra Jared e lei.
Si piegò su se stessa, portandosi le mani sul volto, nel tentativo di fermare questa cosa sul nascere.
Poi una mano si appoggiò sulla sua spalla, facendola sussultare e portandola ad asciugarsi velolce le poche lacrime che erano riuscite ad espatriare.
-Joe..- esclamò con un tono morto nel notare il ragazzo accanto a lei. Si accorse improvvisamente che i capelli gli erano cresciuti in un modo spaventoso.
Si asciugò più in frettà che poté i cadaveri delle lacrime rimaste a rigarle le guance.
-Cosa ti succede, Kim?- domandò lui, sfregandole una grande mano contro la schiena a mo’ di conforto.
Lei scosse la testa, non avrebbe capito.
-Dai Kimberly, sono io. Puoi dirmi qualsiasi cosa, lo sai.- la spronò lui, mostrandole un sorriso incoraggiante.
La ragazza lo guardò bene. Non c’era un secondo fine nelle sue domande, sembrava solo seriamente preoccupato ed interessato a lei e al suo problema.
Tirò su col naso, portandosi una ciocca di capelli dietro alle orecchie. –Qual è la cosa che sai far peggio, Joseph?- gli chiese poi lei, guardandolo negli occhi scuri quasi quanto i suoi.
Lo vide sollevare gli occhi al cielo per rifletterci, sebbene non capisse cosa potesse c’entrare col suo problema. Le sue disabilità non gli sembravano proprio un motivo per cui piangere ininterrottamente da ore.
Perché sì, l’aveva notata ma si sentiva incapace di fare qualsiasi cosa.
-Mhhh vediamo, la lista è talmente lunga..- sospirò, provocando una risata di cuore da parte di Kim. Lo ringraziò mentalmente per quello sprazzo di buonumore.
-Ah sì!- esclamò poi. –Sorridere.-
Tutto si aspettava Kim fuorché questa risposta. –Scusami?- gli chiese, che poi non era neanche credibile dal momento che spesso e volentieri l’aveva visto sorridere.
-Ci sono persone, come te, che quando sorridono sono delle opere d’arte. E poi ci sono io, che sembro un fenicottero con un ictus.-
Kimberly rise coprendosi la bocca con una mano, sebbene il paragone non c’entrasse assolutamente niente. Era la seconda volta nel giro di due minuti che la faceva ridere, gli sarebbe stata grata a vita.
-Tu? In cosa non sei brava?- le domandò lui di rimando.
Tornando seria, prese il respiro. Distolse lo sguardo dalle proprie mani e lo rivolse al ragazzo.
-A perdere le persone. Non sono proprio capace.. anzi faccio letteralmente schifo. E nel giro di un giorno ne ho perse irrimediabilmente due.- sospirò, riportando l’attenzione sulle sue mani.
-Ti riferisci al professore?-
Lei annuì sconsolata. –E a Gwen.-
-Gwen?- cosa c’entrava la biondina? –Non dirmi che ti ha soffiato il rag..!-
Ma non terminò la frase che lei gli diede una pacca sulla coscia accanto alla sua. –Non urlare! Comunque no, ci mancava solo questo e avremmo fatto 13.- sbuffò, accavallando le gambe.
-E quindi cosa c’entra Gwen?-
-Non ha tenuto la bocca chiusa.- le parole le uscirono stentate, probabilmente dettato dal fatto che non riusciva ancora a capacitarsene. –E quindi ora non solo sono single, non ho neppure la mia amica a consolarmi.- deglutì sentendo la gola e gli occhi gonfiarsi di nuovo. –Oh Joe, mi sento talmente sola..-
Sentendo la voce tremarle, lui tentò di stringerla a sé, con risultati molto scarsi. Era un blocco di ghiaccio. –Hai me.- le disse poi, con un sorriso sentito.
Kim lo guardò ricambiando, senza però mostrare i denti, un sorriso tirato. –Grazie, Joseph.- mormorò.
Tornò a puntare con lo sguardo il pavimento, notando la notevole differenza di dimensione che c’era tra le sue scarpe e quelle dell’amico. Avrebbe potuto portarle come cappello, pensò lei distratta, mentre lo sentì sbuffare. –Accidenti però, è un vero peccato che la preside vi abbia scoperti, da quant’è che stavate insieme? Uno-due mesi?-
-Quasi quattro.- rispose lei automaticamente, pensando distrattamente a quando, ormai quasi quattro mesi prima si era presentata la situazione ribaltata, con lei che consolava Joe perché la sua ex con la V l’aveva lasc…
Ma non fece a tempo a terminare il pensiero che un’informazione sconvolgente le rivoltò lo stomaco.
Si voltò lentamente verso Joseph, chiedendosi come facesse a sapere della preside dal momento che lei non gliene avesse mai parlato.
 

Save me, save me, save..
oh Lord
Save me, save me
again

Note finali:  non so come cominciare ad introdurre questo mirabolante (XD) ennesimo colpo di scena. Ho finito tutte le sigle da film :(
Diciamo che non è stato molto mirabolante dato che qualcuno l'aveva già capito (si Mary, mi riferisco a te, maledetta) (haha) deduco quindi che sto diventando prevedibile e devo cambiare il mio modus operandi ahaha.
In ogni caso, COSA NE PENSATE? Ammetto che il primo pezzo è abbastanza confusionario e anche un pò inverosimile che la preside faccia la parte della clemente, ma immaginiamocela presa da altri 800 mila impegni e scadenze e non ha voglia di perdersi in questi comportamenti ridicoli da parte di un suo sottoposto.
Ce la fate o la trovate un'uscita troppo scontata?
E il resto del capitolo fino a raggiungere il climax? Come lo vedete? Voi altre che non mi avete detto niente ci avevate pensato? Vi ho sconvolto? Per la mia sanità soddisfazionale ditemi di sì :(
Ahahah scherzo, siate sincere e lasciatemi tutte le impressioni che avete avuto.
Non so, non mi convince molto, ma mi fido di voi esterne e dei vostri pareri.
Non abbiate timore di insultare il colpevole, sapete che i raving folli mi piacciono da morire ♥ 

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Inoltre volevo chiedere a chi è andata ai concerti, COME è ANDATA? Sono curiosa di sapere come li avete trovati :)

Avrei mille aneddoti/impressioni/emozioni/sensazioni e chi più ne ha più ne metta da raccontare al riguardo (alla fine sono riuscita anche io ad andarci), ma evito di farlo qua perchè immagino il male che possa fare a chi voleva assolutamente esserci e non ce l'ha fatta. Non mi piace pensare di infastidire qualcuna di voi, quindi mi astengo dal commentare.

Però voglio i racconti DETTAGLIATI di chi c'è stato :) Condivideteli con me, ve ne prego!

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La canzone la sto ascoltando fino a che i neuroni cominceranno ad associarla a qualcosa di nauseante e non ce la farò più, ma adesso come adesso non posso farne a meno.
Save me dei Mars ♥ dedicata al dolore soffocante di Kimberly che chi ha mai provato in vita sua, sa cosa significa.

Fammi discendere
lungo il letto del fiume
con gli altri morti
Morirò senza emettere un suono.

Salvami, salvami
oh, Signore
Salvami, salvami
amico

I brividi.

Credo che sia tutto per oggi, spero che abbiate apprezzato lunghezza e contenuto, di essere riuscita a sorprendervi ancora e che mi diciate tutto quello che pensate :)
Ricordatevi di raccontarmi le vostre esperienze marziane ;)
Grazie a tutte ♥

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Capitolo 69
*** Capitolo 69. ***


Capitolo 69.

 Gli rivolse uno sguardo completamente spaesato. Sperava di aver capito male. Doveva aver capito male.
Con gli occhi lucidi provò ad emettere qualsiasi sillaba, ma il groppone il gola glielo impediva.
-Kim? Cosa ti prende?- chiese lui con l’aria corrucciata, nel vederla così in panico.
-S-sei..- ce la metteva tutta –..sei stato..- ma una parte di lei sapeva che dal momento che avrebbe pronunciato quella frase, sarebbe cambiato tutto. Tutto. -..oh mio dio..-
Il cielo non sarebbe stato più azzurro, la Terra avrebbe smesso di girare, il mare si sarebbe ghiacciato dal momento che ora niente avrebbe più avuto senso.
Quello che stava pensando non aveva senso.
-Come fai a sapere della preside, Joe?- gli chiese finalmente.
Lo vide trasalire e cercare nei suoi occhi un qualsiasi appiglio che gli permettesse di arrampicarsi sugli specchi, anche se in questo caso gli sarebbe servita un’immensa vetrata.
-Ma come Kim.. me l’hai detto tu.- disse con un filo di voce, sulla difensiva.
-Non è vero.- smentì lei con una certezza più che empirica. Di poche cose era stata tanto certa nella sua vita.
-Massì.. prima.. quando..- lo vide, stentare nel pronunciare quelle poche parole ma quello che sentì furono solo gli stridii assordanti delle dita umide che cercavano di issarsi sulla lastra dello specchio.
-Sei stato tu.- sussurrò con un barlume di voce lei, come ipnotizzata da quella notizia così.. brutta.
Lo guardò scuotere il capo, mentre la campanella che avevano di fronte li informò della fine della ricreazione.
Come aveva fatto?
La ragazza si avviò spedita verso l’aula. Doveva pensare, doveva immagazzinare le informazioni. Doveva perderlo.
Si conosceva troppo bene, se non avesse pensato a come potesse essere successo, non avrebbe realizzato e avrebbe finito col perdonarlo dato che ormai il capro espiatorio era stata Gwen.

Povera Gwen..
Respirò a fondo una volta seduta al banco e cercò di fare mente locale. Giovedì.
Giovedì aveva avuto l’esame pratico della patente. Guidare. Parcheggio a S. Parti. Frena. Stop. Patente. Jared! Doveva dirlo a Jared. Macchina. Scuola. Parcheggio. Era l’una passata. Jared. Jared. Jared. No, doveva tornare indietro. Jared che parlava con Gwen. Gwen era dispiaciuta e le aveva dato un bacio sulla guancia –che poi avrebbe definito di Giuda-. Jared. Jared. Jared. No, ancora più indietro. Scuola. Bidella che la notò ma che probabilmente non sapeva della sua assenza. Jared e Gwen. Jared. Doveva raccontare tutto a Jared!
Maledizione!
Sbuffò profondamente portando le mani a circondarle le tempie mentre riavvolgeva e riviveva le scene del primo pomeriggio di giovedì.
Tutto quello che pensava era sempre Jared, però.
-Pensa Kim, pensa.- sussurrò poi, ripercorrendo la strada verso la sua aula per l’ennesima volta.
Parcheggio. Scendi. Cancello. Rampa. Corridoio. Atrio. Scale. Segretaria.
Niente.
-Chi hai incontrato nel tragitto?- si chiese, ancora con la voce ridotta ad un bisbiglio. Come poteva ricordarselo? Era arrivata nell’esatto momento in cui tutti uscivano, quindi fondamentalmente aveva incontrato tutti ma aveva dato troppo conto al fatto che quando esci da scuola sei annebbiato, quindi immaginava che nessuno l’avesse notata.
Improvvisamente un lampo.
Aveva incontrato Joseph sulle scale, in uno di quei momenti che non realizzi chi hai davanti e lo metabolizzi solo più tardi, quando ormai la persona è bella che superata. Lui aveva anche cercato di attirare la sua attenzione e salutarla, ma lei era talmente presa dal suo scopo da non averlo minimamente degnato di uno sguardo.
Si sentì in colpa per un istante. Un misero istante: ora aveva la prova, poteva cominciare a riversare tutto il suo odio su di lui.
Il problema era che non sapeva come affrontarlo a fine scuola. Come avrebbe fatto a guardarlo in faccia senza lasciargli un manrovescio?
Tutta la disperazione provata in quei due giorni era causa sua! Gwen aveva rischiato la vita e la media scolastica, per colpa sua! Jared aveva rischiato il posto per colpa sua!
La sua relazione era finita per colpa sua.
Respirava profondamente cercando di non perdere i sensi. Le veniva la nausea, non era possibile provare così tante emozioni in così poche ore!
La lezione passò incredibilmente lenta, ma grazie al cielo era sabato e la scuola durava un’ora di meno. Niente di esaltante, ma era pur sempre un’ora di meno e lei aveva estremente bisogno di uscire da lì e fare una strage.
Sventrare persone. Spezzare colli. Spargere sangue.
Colma di rabbia, prese la campanella come un’invocazione divina e preparò la borsa in fretta e furia. Doveva raccontarlo a Jared!
Si stupì di questo pensiero idiota, prima doveva chiedere scusa per tutte le cattiverie dette a Gwen!
Prese al volo la borsa e si precipitò fuori dall’edificio, cercando di raggiungere Gwen, la quale era dieci mila passi avanti.
Ma una voce la fermò, la riconobbe e per questo motivo non si voltò neppure per accertarsene.
-Kim, possiamo parlarne?- Joe l’aveva superata e le si era piazzato davanti.
-Sono tutta orecchie.- ribattè lei calma, portando le braccia strette al petto.
-Giovedì.. io.. sono impazzito, Kim. Quando ho visto che non mi hai neppure degnato di un saluto perché dovevi andare da lui, io.. non c’ho più visto. Ti stavo per seguire, quando ho casualmente incrociato la preside sulle scale.- spiegò. La ragazza notò che stava istericamente agitando una gamba ossuta.
Cosa avrebbe potuto rispondere ad una confessione del genere? Cosa avrebbe potuto dire per sentirsi meglio? Niente, non c’era niente che potesse megliorare le cose al momento.
-Devo andare.- disse inespressiva, raggirandolo e cominciando a camminare; lui però l’afferrò.
-E dove? Da lui?- l’astio che esprimeva ogni parola fu lampante per Kim.
-Non sono affari tuoi.-
-Non sono affari miei? Kimberly, io ti ho aspettato per 3 anni! Sono tre lunghissimi anni che attendo che tu ti accorga di me e dopo neanche 4 mesi ti metti con un vecchio?!- c’era disperazione nella sua voce, o era una sua impressione?
-Ma tu eri mio amico, Joe!- si giustificò lei, sconvolta. Quello gliene stava facendo una colpa! Come se fosse stata lei a chiedergli di preservarsi tutti quegli anni nell’attesa che lei si svegliasse.
-Io posso darti tutto quello di cui hai bisogno.- chiosò il ragazzo, tenendola ancora più stretta e con uno sguardo che non gli aveva mai visto rivolgerle. –Ti scongiuro, Kim. Scegli me.-
Lei inorridita cercò di ritrarsi. Come poteva quello squinternato pretendere che lei scegliesse lui, dopo che le aveva rovinato la vita? Nonono, non si erano capiti.
-Io non ho bisogno di scegliere, Joe. Non c’è scelta per me, non c’è paragone di scelta né motivo di scelta. Io voglio lui.- e, se non errava, non era la prima volta che gli diceva certe cose. Quante volte ancora avrebbe dovuto sentirsi rifiutare?
-No..- mormorò Joseph, con voce spezzata. –Come puoi? Hai visto come ti ha trattata ieri? Lui non ti vuole Kimberly, come fai a non rendertene conto?!- stava alzando la voce, e  lei si accorse solo in quel momento di non averlo mai sentito urlare.
Per di più, quello che stava dicendo aveva un fondo di verità e quelle parole, una dopo l’altra, non fecero che infilzarsi in profondità nella sua carne.

Lui non ti vuole.
-Mi stai facendo male.- disse tra i denti, ma non specificò in che senso. Ciononostante lui non la lasciò.
-Non posso.- rispose lui colmo di tristezza. –Se ti lascio andare so che dovrò cominciare a dimenticarti.-
A Kimberly si strinse sinceramente il cuore nel vederlo in quello stato. Avrebbe dovuto dire qualcosa di simile a Jared il giorno prima, perché non l’aveva fatto? Perché aveva lasciato che tutto finisse così?
Avrebbe dovuto dire qualcosa.
Stava per esplodere in singhiozzi. Era il caso che se ne andasse, assolutamente.
-Non osare più rivolgerti a me.- ordinò poi, senza fiato, strattonando finché lui non la lasciò.
La guardò allontanarsi, senza fermarla questa volta. 

*

 Era andata in pullman quella mattina a scuola, di conseguenza dovette aspettare secoli prima di raggiungere casa, prendere la macchina e guidare da Gwen.
Non sapeva neanche lei cosa le avrebbe detto, si sentiva così in colpa che probabilmente avrebbe lasciato che le cose venissero da loro.
Sperando che lei la perdonasse.
Una volta fuori casa dell’amica, suonò al citofono. Sentiva il cuore rimbombarle nelle orecchie dall’ansia. Non vedeva l’ora di chiarire, almeno con lei, quell’enorme malinteso.
-Chi è?- la voce meccanizzata di Gwen la fece sussultare di gioia, ma si accorse di far fatica a rispondere.
Senza rendersene conto stava singhiozzando come un ossessa, compulsivamente da praticamente tutto il tragitto. Se ne accorse dalle guance bagnate e da quella sensazione nel petto di aver pianto abbastanza, ma di poter dare di più.
-..s-sono i-o..-
-Kim?? Cos’è successo?- sentì nel tono l’angoscia pura di nuovi guai in corso. Probabilmente si stava chiedendo cosa avesse fatto di male questa volta.
-Volevo chiederti scusa.- rispose Kimberly tutto d’un fiato per non tentennare come prima.
-Sali.- le ordinò, aprendole il cancello d’ingresso.
Quando la raggiunse in camera, Kim si sentì una grandissima stupida, nel notare che Gwen si stava preparando per uscire.
-Oddio scusa Gwen, non voglio trattenerti per molto.- era stata già una fortuna che l’avesse trovata. Se fosse arrivata 5 minuti dopo, sarebbe stato peggio.
La bionda aveva già le chiavi della macchina strette in un pungo e la borsa sull’avambraccio.
Le fece segno di accomodarsi, indicandole il letto. –Non preoccuparti, non c’è fretta.- si sedette sulla seggiolina nell’“angolo cosmetica” nella sua stanza. Kim glielo aveva sempre invidiato, ne avrebbe voluto uno anche lei. –Dicevi?-
-Ti devo delle scuse, Gwen. L’altro giorno sono stata.. non te lo meritavi. Ti prego, perdonami.- la voce rotta insieme ai continui singhiozzi le impedivano di spiccicare una frase di senso compiuto.
-Mi sarebbe piaciuto essere venuta lucida per farti un discorso decente, ma sono sconvolta perché Jared.. e poi Joe.. tu.. ho creduto di averti persa, Gwen.- singhiozzò, portando il viso tra le mani e ricominciando a piangere, disperata.
L’amica, incapace di vederla in quello stato, le si avvicinò, sedendosi accanto a lei. La prese per le spalle e se la buttò addosso, mentre le accarezzava i capelli.
-Eh, Kim, Kim.. sono più le volte che ti ho vista stare male per un ragazzo che altre, sai?- buttò lì per sdrammatizzare, riferendosi al fatto che quando avevano cominciato a frequentarsi, lei era uno zombie a causa di Chris. La fece ridere leggermente, per qualche secondo.
-Adesso raccontami di Joe.-
Per l’ora seguente Kimberly riassunse quello che era successo negli ultimi tre giorni, da quando la preside li aveva scoperti.
Più volte si era interrotta per dire a Gwen che le stava rovinando il pomeriggio e che avrebbe fatto meglio ad andarsene. Ogni volta che ci provava, si prendeva
uno scappellotto, seguito da un
–Smettila di dire scemenze.-
Alla fine di tutto il racconto, aveva formato una macchia gigante di lacrime sui jeans della bionda. Le chiese scusa e anche per questo le arrivò un colpetto sulla spalla.
-Perché non mi vuole, Gwen?- chiese poi, tirando più volte su col naso.
-Non essere ridicola.- chiosò la ragazza, con una decisione che diede un barlume di speranza a Kim.
-Dovevi vedere com’era ansioso giovedì, quando aveva visto che tu non c’eri e non sapeva perché. Alla fine della lezione mi sono avvicinata apposta per rassicurarlo e dirgli che stavi bene, ma che avevi quell’impegno.-
-E’ per quello che l’hai fatto arrabbiare?-
-No, quello sono stata stupida io. Non so cosa mi sia preso Kim, volevo avere un briciolo del rapporto speciale che avete voi, capisci? Spero che tu riesca a perdonarmi.- la cosa normalmente l’avrebbe sicuramente infastidita, e a dirla tutta un po’ lo era, ma rispetto a quello che aveva combinato Joseph, questo passava di gran lunga in secondo piano.
-Certo Gwen. Non è causa tua la nostra rottura, non ho motivo per non perdonarti.-
-Non te l’avrei mai fatto. Lo sai vero, Kimberly? Tu lo sapevi, che non ti avrei mai fatto una cosa del genere.- d’un tratto divenne ansiosa e a Kim dispiacque per lei.
Annuì semplicemente, dedicandole un piccolo sorriso. –Devi stare tranquilla.-
-Secondo me dovresti dirglielo.- esordì, dopo un’altra oretta passata a cullarla tra le sue braccia.
-Dirgli cosa?- Kimberly non capì né di chi né di cosa stesse parlando. Dato che non poteva essere Jared, la cosa le interessava molto poco, in effetti.
Sentì poi Gwen raccoglierla per le spalle e metterla in posizione seduta. –Va’ da lui.- le ordinò, guardandola negli occhi.
-Come da lui?- si sentì letteralmente deficiente ma non poteva credere le stesse dicendo di andare da Jared. O da Joe. Non sapeva quale delle due ipotesi poteva essere più impossibile.
-Sono due giorni che ti crogioli nelle tue lacrime. Devi dirglielo.- le sorrise e le asciugò gli occhi e le guance, le ravvivò i capelli e la fece alzare.
-Va’ da lui.- ripeté, con gli occhi che sorridevano.
Forse fu proprio quel lampo di positività che le lesse negli occhi a farle afferrare le borsa e chiavi e farla scappare fuori di casa. Ovviamente non prima averla stritolata e ringraziata.
-Non chiamarmi prima di domani!- le urlò dietro Gwen, sorridendo tra sé e sé.
 

*

 Sentì Judas guaire e subito dopo le chiavi nella serratura girare un paio di mandate.
Si aspettava di trovarla lì? Immaginava fosse lei? La stava aspettando?
L’avrebbe cacciata?
Col cuore che rimbombava furiosamente nelle orecchie, osservò il proprietario aprire il portone e, non troppo incredulo, rivolgerle un sorriso imbarazzato.
Notò che aveva gli occhi lucidi, e tirava su col naso. Si sentirono entrambi sollevati nel notare che tra i due, non si sapeva chi fosse messo peggio.
Lui aveva l’aria di uno che da 24h non vedeva la luce del sole. Lei incorporava il remake de “L’alba dei morti viventi”.
Non disse nulla, si appoggiò allo stipite e attese la prossima mossa della ragazza, inerme.
-Ormai è chiaro. Questo è un dolore insopportabile, e non ne voglio più nemmeno un grammo.- esordì Kim, con la voce che le usciva a stenti da tanto tremava.
Vedendolo inclinare il capo, si accorse di non riuscire a sostenere il suo sguardo e lo puntò sulle sue stesse mani. -Sono tornata da te sconfitta, arresa, disposta a farmi infilzare fino alla totale incoscienza.
Sarò una foresta da tagliare, un villaggio da incendiare, una nave da affondare.- era pronta a qualsiasi comportamento da parte sua, purché si trattasse di lui e fosse lui ad infliggerglielo.
Non c’era tortura più piacevole.
Sollevò il volto, portando gli occhi dritti in quelli chiari e celestiali del professore.
-Riducimi in rovine, te ne prego.-
Lo vide indugiare un secondo solo, ma non ne passò un altro che le fu subito addosso.
-Oh, Kimberly..- sussurrò, prendendole il volto tra le mani e portando la bocca a coincidere con la propria, baciandola con una sorta di disperazione che la lasciò
senza fiato. 

Era esattamente il tipo di amore che aveva sempre desiderato.

Note finali: Cioè ragazze mi prenderete per scema e magari a voi non piacerà tanto, ma io sto male per aver scritto la parte finale di questo capitolo. Pensate che è una delle prime scene che mi sono venute in mente quando ho cominciato a scrivere questa storia, anni orsono.
Poi come sempre le scene sono più belle nella mia testa che quando le metto per iscritto, ma spero di avervi trasmesso quello che volevo, un tipo di sentimento che sta alla base dei sogni di tutte le romantiche che si rispettino. Eh.
Cosa ne pensate? 
Questa volta non ho messo volutamente la canzone proprio perché in un capitolo così volevo risuonassero a mille le mie parole e non quelle di una canzone di cui non ho nessun merito. Volevo catapultarvi dentro e basta.
Al limite sarebbe accompagnabile da una base solo musicale, tipo pianoforte. Perchè mi sto perdendo in tutte sti dettagli? Ho solo notato che a molte di voi è piaciuta l'idea che i capitoli fossero accompagnati da una canzone e non vorrei farvi un torto troppo grande ahaha.
Tornando a bolla, ve l'aspettavate così il tutto? Pensavate che la riappacificazione fosse a questo livello? 
E mmmo'?? Che succederà?? Datemi tutte le vostre congetture, ne ho BISOGNO perchè il momento tanto temuto è arrivato: Ho finito i capitoli che avevo da parte (questi ultimi 3 sono recentissimi, li ho scritti in un weekend mentre annaspavo nell'ispirazione) quindi per il prossimo non posso garantirvi neppure ci sia questa settimana circa di distacco.
Il 2 ho un esame, quindi prima penso a quello, poi farò del mio meglio per richiamare le idee e partorire altre decine di capitoli ahahah.
Spero che come "ultimo" per il momento sia all'altezza.
Fatemi sapere fanciulle, ci tengo molto :)

A presto xoxoxoxox ♥

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Capitolo 70
*** Capitolo 70. ***


Capitolo 70.

When it’s you and me
We don’t need no-one to tell us to be

 Aprì gli occhi e il buio le riempì le iridi di quel medesimo non-colore. Sforzò le pupille, guardandosi attorno nell’oscurità, nel tentativo di scorgere qualsiasi cosa.
Dove si trovava?
Era come quelle volte in cui si era svegliata al contrario nel suo stesso letto e non riusciva a riconoscere il luogo in cui si trovava.
In quei casi per lo meno c’era la luce, adesso invece non c’era niente di niente, non un rumore, non un colore, una puntina di luce che le potesse dare dei punti di riferimento.
Solo il buio. Era così intenso da sembrare addirittura spesso. Le venne da pensare di poterlo toccare, afferrare; che in questo momento potesse divorarla o impossessarsi del suo corpo, entrando da ogni parte possibile e come una valanga, riempirla.
Quando nella sua follia notturna stava cominciando a sentire l’oscurità addirittura dentro ai polmoni, udì un sospiro profondo al suo fianco.
Sussultò, le pupille dilatate, il sistema simpatico attivo. Assottigliò gli occhi per acuire la vista ma non c’era niente che risaltasse ai suoi occhi.
Era incredibile come quel sospiro fosse vicino ma lei non riuscisse a vedere ad un palmo dal suo stesso naso.
Non era sola per lo meno, e con questo pensiero sorrise mentre con gioia, sentì il cuore velocizzare i battiti quando la memoria le tornò e finalmente si ricordò di dove si trovasse.
Si issò sul gomito sinistro, mentre allungò il braccio opposto andando a tastare tra le lenzuola alla ricerca della provenienza di quel respiro che ora era così magnificamente udibile.
I suoi polpastrelli entrarono infine in contatto con qualcosa che somigliava ad un braccio e arrivò alla punta, fino a toccarne le dita.
Afferrò il polso e si portò quella mano estranea al volto.
Le dita profumavano dell’acqua di colonia che lui indossava ogni giorno, Kim se n’era accorta fin dal primo momento in cui era entrata in contatto con lui, tra i corridoi del liceo.
Ogni tanto ripensava alla prima volta che l’aveva visto, a come si erano conosciuti e ogni volta le sembrava incredibile pensare che fossero finiti in una situazione completamente diversa.
Era un mercoledì di inizio settembre, la seconda settimana ad essere precisi.
Kimberly ci aveva pensato molto intensamente più e più volte, in modo da ricollegare tutti i dettagli che riuscisse a ricordare così da ricostruire quel giorno più perfettamente che potesse.
Era da poco finito l’intervallo e lei si era attardata appositamente in bagno per perdere i cinque minuti della lezione seguente.
Ehi, chi non l’aveva mai fatto?
Non aveva ancora subito la sua metamorfosi da sindrome-del-cuore-spezzato, anzi era molto diligente a scuola e il suo look era ancora basico, semplice.
La diligenza però non era sinonimo di passione, e non si poteva proprio dire che Kim fosse un’appassionata studiosa, semplicemente faceva il suo dovere con degli sprazzi di svogliatezza.
Quel giorno lo era più del solito a causa del comportamento di Christopher: era scostante, disattento, le era più volte capitato di avere la sensazione di parlare da sola quando erano insieme.
Aveva la tremenda sensazione che lui non volesse sinceramente quello che stava accadendo tra di loro, come se in realtà si stesse cominciando ad interessare a lei semplicemente perché non ci fosse nient’altro di più produttivo da fare.
Scacciò quel pensiero, costringendosi a tornare con i piedi per terra.
Insomma, il ragazzo che le piaceva da così tanto tempo finalmente stava cambiando atteggiamento nei suoi confronti e la sua paranoia doveva già metterla in allerta?
“No” aveva pensato tra sé e sé “Va tutto benissimo. Noi ci amiamo.”
E sebbene sentisse che gran parte delle sue sensazioni non assecondavano questo pensiero, decise che era così e che avrebbe dovuto andare in classe.
Uscì quindi dal bagno senza far caso a quanto continuasse ad essere inquieta riguardo alle sue emozioni contrastanti riguardo alla relazione con Chris.
Da una parte c’erano i suoi sentimenti, così forti e determinati a non farsi abbattere da semplici insicurezze determinate da un po’ di malumore da parte del ragazzo.
Dall’altra invece era convinta dello spassionato disinteresse di Christopher, il quale non credeva fino in fondo di voler uscire dalla “friend zone”.
Sentì un tuffo al cuore nel metabolizzare quel pensiero, ma non fece a tempo ad accorgersene perché sentì una voce rimbobare per il corridoio fino ad arrivare alle sue orecchie.
Nell’esatto istante in cui si voltò, si rese conto di non averla mai sentita e probabilmente il suo proprietario non era qualcuno che conosceva.
Infatti, l’uomo (ragazzo?) che le si stava avvicinando con passo blando, non assomigliava a nessuno che la sua memoria a lungo e breve termine potesse riconoscere.
-Scusami!- aveva esclamato lui per attirare la sua attenzione.
-Sì?- aveva risposto lei di rimando, incuriosita. Cominciò a squadrarlo, man mano lo sconosciuto si avvicinava.
Aveva il volto magro, i capelli scuri di media lunghezza e un paio di occhi angelici.
-Non è che per caso potresti dirmi dove si trovano le macchinette?- sorrise mostrando una fila di denti bianchi.
-Oh, lei è il tecnico? Sono là in fondo.- si affrettò a dire la ragazza, indicandogli con la mano il lato opposto del corridoio. –Era ora che arrivasse, quella maledetta cosa mi ha mangiato l’intero portafoglio!- si lagnò Kim, rivolgendo un’occhiata irata alle suddette ladre.
Con gran sorpresa da parte della studentessa, l’uomo scoppiò a ridere. –Mi dispiace, ma devi esserti confusa. Non sono qui per aggiustare niente, avevo solo bisogno di un caffè.. sai oggi è stato il mio primo giorno e gli orari sono così stretti qui. Non ho fatto a tempo a percorrere il corridoio che la pausa è terminata e tutti si sono volatilizzati in classe!-
-Oh.- mormorò Kimberly, guardando al suolo. –Che imbarazzo.-
-Tranquilla. Niente caffè, quindi?- sbuffò lui, chiudendo anche gli occhi dallo sconforto. Niente a cui aggrapparsi per arrivare al termine di quella giornata infinita e sfiancante.
Non che insegnare fosse così difficile, ma essere alunni lasciava il tempo di distrarsi o far finta di essere attenti mentre in realtà si dormiva ad occhi aperti.. trovarsi dall’altra parte della cattedra invece era tutto l’opposto.
Si rese conto solo in quel momento di quanto avesse sottovalutato quell’aspetto quando aveva accettato il lavoro. A lui in quanto insegnante, non era concesso di annoiarsi, sbadigliare, sbuffare o distrarsi. Era necessario che fosse vivo e attivo tutto il tempo e che si impegnasse fino alla fine.
Doveva essere in grado di attirare la loro attenzione e al contempo di insegnar loro qualcosa di educativo e pertinente.. quindi la maggior parte delle volte estremamente noioso.
Abbassò lo sguardo sul volto della ragazza, dove lesse la sua stessa amarezza.
-Purtroppo no.- chiosò infatti lei, scuotendo il capo.
Dopo qualche secondo di silenzio durante il quale l’insegnante stava pensando a come evadere da quell’edificio sprovvisto di caffeina per procurarsene, con la morte nel cuore concluse che non avrebbe mai fatto in tempo per la prossima lezione.
Anzi, era già  in ritardo!
Prima che potesse andarsene però, la ragazza lo bloccò. –Sei nuovo quindi?-
Il tono colloquiale e amichevole che aveva utilizzato, gli fece strabuzzare gli occhi. Pensava fossero coetanei?
Dal canto suo Kimberly aveva trascorso tutto il tempo a squadrarlo, cercando di capire cosa non la convincesse in quell’individuo.
Alla fine riuscì a comprendere quale fosse il problema: non riusciva a ricollegarlo a nessuna fascia di età precisa. Certo, non poteva essere minorenne… ma dedusse che fosse uno studente pluribocciato che tentava di finire il liceo per l’ennesima volta.
-S-sì.- rispose lui incerto, con un tono imprecisato. Gli era già capitato di essere scambiato per uno più giovane rispetto alla sua vera età, ma solitamente erano adulti o suoi coetanei che gli davano qualche anno di meno.
Questa ragazza pensava che fosse un suo compagno.
Cominciò a sorridere per la botta di vanità che si concesse il suo ego.
-E come ti trovi?- continuò Kimberly, con un sorriso gentile. Era un bel ragazzo, e in una scuola così povera di portatori di testosterone, era sempre positivo godere di una novità del genere.
Una gran bella novità, tra l’altro.
-Bene, ma è solo il primo giorno.- continuò lui, con quel sorriso sfacciato.
-Credimi, nel giro di poco ti verrà una gran voglia di scappare.- disse lei, sentendo pienamente ogni sillaba di quella frase.
-E dove?-
-Ovunque, qualsiasi posto sarebbe sicuramente meglio di questa piccola Alcatraz. Non sei di qua, vero? Ci sono un sacco di luoghi che potrei mostrarti.- e condì la frase con un pizzico di involontaria ma chiara malizia. Anche perché non c’era assolutamente nessun posto degno di essere visto in quella piccola città!
La parte di sé introspettiva e timida stava per prendendo a testate il muro, ma lui non ne sembrava infastidito, anzi.
Il sorriso che aveva presentato in volto fino a pochi istanti prima si ampliò ulteriormente.
-E’ vero, non sono di queste parti. Ti piace vivere qui?- chiese poi lui, assottigliando gli occhi. Quell’espressione ammaliatrice non faceva cenno di volersene andare e la cosa la metteva al quanto su di giri. Era una situazione surreale.
Sbuffò, spostandosi i capelli da davanti al volto. -Non particolarmente, ma c’è chi lo definirebbe un paradiso. Mi piace crederlo.- incrociò le braccia al petto e si appoggiò con una spalla al muro accanto al quale si trovava.
Lui la imitò, fissandola intensamente negli occhi. Tutta quella situazione, quel gioco di sguardi, la agitavano molto. Ma era un agitato bello, eccitante, che non le facevano pensare ai suoi problemi col suo presunto ragazzo.
Si sentì anche un po’ in colpa nei confronti di Christopher, in quel momento. Aveva incontrato quella persona da 5 minuti e ci stava flirtando come se fosse questo che le insegnavano a scuola.. ma poi lui parlò e lei si dimenticò dell’esistenza di Chris.
-Non credo nel paradiso. Ma se tu rappresenti ciò che è il paradiso, allora portami con te.- sussurrò, con un tono talmente seducente che nemmeno tutto l’autocontrollo del mondo riuscì a distoglierle lo sguardo dalle labbra di lui.
-Oh, beh..- bofonchiò al limite dell’imbarazzo allontanandosi di qualche centimetro dal ragazzo, stentando una risatina completamente deficiente.
Lanciò inavvertitamente un’occhiata all’orologio sopra la testa dello sconosciuto, appeso al muro in fondo al corridoio e sussultò –Devo andare!- cominciando affrettarsi verso la sua classe. Era in ritardo di 15 minuti, non le era mai successo e l’insegnante l’avrebbe ammazzata.
Era quello nuovo tra l’altro, quello di musica!
-Ehi dove scappi?- l’espressione di lui si tramutò da affascinante a preoccupata. Aveva forse esagerato? Si stava solo divertendo a prenderla in giro!
Le corse dietro; lei gli rivolse un’occhiata dispiaciuta. –Chiunque tu sia, è stato bello conoscerti e se potessi rimarrei ancora ore con te, ma sono in super ritardo e quello di musica mi decapiterà non appena varcherò quella soglia.-
L’uomo dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere. –Quello di musica?-
-Sì, il professore nuovo! Mi pare si chiami Lieto, o qualcosa di altrettanto palloso. Non ho mai avuto musica nella mia esistenza e scommetto già che sarà un suicidio.- brontolò Kim, arrivata finalmente di fronte alla porta chiusa della sua classe.
Proveniva un gran baccano dal suo interno, come se i suoi compagni fossero ancora privi di supervisione.
Rinviò le domande a qualche secondo dopo, decisa a dedicarsi completamente al ragazzo.
Si voltò verso di lui e vide che ridacchiava in seguito alle sue parole. –Se è così allora dobbiamo salutarci. Spero che sopravvivrai.- disse avvicinandosi.
Kim deglutì, la sua acqua di colonia la inebriò, appannandole i pensieri. –Così potremo rivederci.-
-E tu potrai portarmi in quei famosi posti.- le fissava le labbra con un’insistenza quasi imbarazzante.
-Non vedo l’ora- annuì, immobile.
Lui sorrise, facendole segno di andare.
Kim indietreggiò fino ad arrivare alla porta. –Io sono Kimberly, comunque.- ma dato che lui non sembrava volersi presentare né tantomeno allontanarsi, le venne spontaneo chiedersi se non avesse una certa fretta anche lui.
-Tu non vai in classe?- gli chiese poi, rendendosi conto di non essere l’unica in ritardo ma come a lui sembrava non importare.
-Sono arrivato.- le rispose con un’espressione nuova, che la ragazza non seppe catalogare sul momento.
Sgranò gli occhi, quando lo vide afferrare la porta in ferro che lei aveva appena aperto, e spingerla dentro con cautela.
Tutti gli occhi si puntarono su di loro, ma Kimberly non se ne rese conto, aveva una scoperta di gran lunga più spaventosa davanti a sé.
Il suo cuore si sgonfiò come un palloncino quando lo vide farle segno di andare a posto e proseguire verso la cattedra.
-Buongiorno a tutti e scusate il ritardo. Io sono Jared Leto..- i suoi occhi si puntarono in quelli di Kim. –Il vostro nuovo, palloso, insegnante di musica.- e un ghigno si fece spazio sul suo volto, mirato proprio a colpire lei.
Si era preso gioco di Kim fin dall’inizio e lo sconcerto che provava in quel momento la ragazza non era e non sarebbe mai stato paragonabile a nessun’altra esperienza in tutta la sua vita.
Fu quella la ragione scatenante di tutte le loro diatribe, di come mai il professore si era preso così tanto in simpatia l’alunna e del perché lei invece non lo potesse soffrire.
Il suo orgoglio aveva subito uno smacco impareggiabile, non avrebbe più tollerato la presenza di quell’uomo di buon grado. Se lo era garantito, il suo compito d’ora in avanti, sarebbe stato solo detestarlo. 

*

 Si portò quel grande palmo contro la guancia. Aveva le mani così profumate, così calde, così buone.
Avrebbe passato ore intere con le sue mani addosso, avrebbe lasciato che l’accarezzasse finché non gli fossero venuti i crampi.
Lo amava, e lo avrebbe volentieri gridato al mondo.
La mano prese vita nel buio e la strinse leggermente, avvicinandola all’origine del corpo. Una volta raggiunto il petto di Jared, Kim vi si accoccolò contro, baciandolo più volte.
Non si era mai sentita così, il sollievo che aveva provato quando aveva aperto la porta dell’appartamento e la leggerezza di cui si nutriva adesso il suo cuore erano delle sensazioni talmente appaganti, da far sembrare tutta la sofferenza provata fino a qualche ora prima, un semplice solletico in un punto del corpo neanche troppo sensibile.
Amava sentirsi così, amava quell’uomo e non le importava se lui non ricambiava. Si sarebbe fatta bastare queste sensazioni, era come sentirsi drogati.
-Kim.- sussurrò la voce che proveniva dal buio.
-Sì, Jared?-
-Mi sei mancata così tanto.- sussurrò lui, stringendole entrambe le braccia invisibili attorno al corpo.
Il calore dei loro corpi in contatto le fecero danzare le farfalle nello stomaco.
-Ripensi mai al giorno in cui ci siamo conosciuti?- chiese lei. Tutto in lei trasmetteva gioia, felicità, amore. Perfino la sua gola nel pronunciare quelle parole si stringeva in una morsa piacevole, quasi non fossero quelle le parole che avrebbe voluto pronunciare, ma ben altre.
-Tutti i giorni. È da lì che la mia ossessione per te ha avuto inizio.- l’uomo sollevò il capo e andò a baciarle la testa, tra i capelli.
-Io ti odiavo.- ribatté lei divertita.
-E’ comprensibile.-  ridacchiò il professore. –Ma solo perché non potevi avermi.-
Lei si sollevò, andando a fissare nel buio il punto in cui avrebbe dovuto esserci il suo volto. –Perché ti sei comportato così?-
-Eri stupenda, Kim. Eri spontanea, giovane, fresca, libera. C’era qualcosa in te di tremendamente intrigante e non ho resistito.-
-Ti sei approfittato di me.- si lamentò, fingendo di essere offesa.
Lui si sollevò su entrambi i gomiti, arrivando presumibilmente alla sua altezza. La ragazza sentì il suo corpo fremere nel percepire il suo profumo leggermente più intenso e il respiro che le faceva smuovere i capelli.
-Visto il risultato, non riuscirai mai a farmene pentire.- il sussurro seducente che le aveva smorzato il cuore la prima volta, si ripropose facendola sciogliere in
brodo di giuggiole.
Lo sentì esplodere nel petto, quel “ti amo”.
Ma invece di assecondarlo, si sporse trovando le sue labbra, lasciando che il buio ingoiasse anche la distanza che c’era tra loro.

 Let’em know that we still rock&roll

Note finali: com'è quel detto? Ah già, chi non muore si rivede.
Sono un'enorme, gigantesca, grandiosa e colossale merda me ne rendo conto e vi chiedo umilmente scusa con tutto il mio cuore, MA prima che possiate dire tutte in coro "sì, è vero", lasciate che provi, dalla mia bassezza e umiliante schifezza, provare a giustificarmi.

1. non avevo assolutamente nessunissima idea per questo capitolo. O meglio, ce l'avevo, ma si sarebbe conclusa nel giro di 10 righe e per il resto ci sarei stata io che avrei cominciato a sproloquiare parole senza senso ma incredibilmente intellettuali solo per arrivare ad una discreta lunghezza di ben 4 pagine di Word.
E credetemi, mi avreste odiata.

2. purtroppo anche io ho una vita, e in quanto tale bisogna coltivarla se no, se mi chiudessi in casa come uno stilita a non fare altro che contemplare il soffitto nel tentativo di approfondire tutte le mie passioni, non saprei rapportarmi con le persone, mi odierebbero tutti (cosa che gran parte delle persone fanno, anzi stavo proprio pensando l'altro giorno che ci sono più persone che mi odiano di quante mi amano, a questo mondo) (giuro che non è colpa mia!) e credo che morirei dato che non andrei al lavoro (quindi niente soldi, quindi niente cibo e niente alloggio) e niente università (quindi niente esami, quindi mio padre mi ammazzerebbe).

3. non avete idea della miriade delle cose che ho fatto nel corso di questi mesi (era agosto l'ultima volta che ci siamo sentite??) e starei ore a raccontarvele tutte, ma torniamo al punto 2 e aggiungiamoci che dovrei lavarmi tra le varie cose che concernono l'esistere, e urge una seria doccia.

Vi sono mancate le mie note finali, vero?

Alla fine però mi sono seduta, ho raccolto coraggio e PC e mi sono costretta a scrivere. Non sapevo cosa, non sapevo come sarebbe uscito e ho deciso che non me ne sarebbe fregato un beneamatocazzo, volevo solo farvi sapere che ci sono ancora e che giuro sulla mia esistenza, io finirò questa storia.
Nel giro di breve, tra l'altro.
Ho scritto su un foglio ormai un mese fa (tant'è che non ricordo nemmeno cosa ci sia scritto) cosa voglio che accada nei vari capitoli che seguiranno questo e ce ne restano una decina circa.
Prima di stringervi nel lutto (o di organizzare un Oktoberfest, punti di vista) sappiate o forse sapete già, che quando scrivo perdo la concezione di quello che sto scrivendo, e divento incredibilmente lunga. Quasi troppo (ahaha).
E può succedere che mentre voglio far succedere una cosa, i giri di parole mi facciano raccontare tutt'altro, quindi per esprimere il concetto principale mi ci vogliono 4 capitoli.
Come in questo caso: questo capitolo non doveva ASSOLUTAMENTE  essere così o finire così. Volevo che succedessero altre cose ma Petronilla (ve lo ricordate il mio neurone?) ha partorito l'idea lampante di raccontare la prima volta che si sono conosciuti COSA CHE NON AVEVO MAI PENSATO DI FARE.
Per farvi capire i miei livelli di follia.
Quindi non agitiamoci e vediamo cosa succederà. Sappiate solo che questa storia ha un termine ed è tutto dentro la mia testa :)

TORNANDO A NOI cosa ne pensate? Fa schifo vero? Come ho già detto non sapevo cosa dire, come dirlo e perchè dirlo, quindi sono andata mooooolto a sentimento e se molto probabilmente trovate degli errori, fate finta di niente perchè non l'ho neanche riletto.
Lo so, è estremamente demenziale come incontro ma facciamoci una risata, io volevo solo farvi sapere che sono ancora qui, nella speranza che non vi siate stancate di aspettare e non mi abbiate abbandonata.
Fatemi sapere qualsiasi cosa, voglio sapere se ci siete ancora, se avete qualche news and so on!

La canzone è Rock&Roll di Avril, mi è piaciuta troppo specialmente l'idea del lyrics video con tutti i fan su instragram!
(?) non ha senso la frase sopra, ma sono sicura che abbiate capito di cosa sto parlando.

Quando siamo io e te non abbiamo bisogno
di qualcuno che ci dica come essere

Facciamogli sapere che spacchiamo ancora (traduzione molto personalizzata :D)

Ok, come al solito le note finali sono più lunghe del capitolo (che delusione)
Non vi garantisco la prontezza del prossimo, ma aspettatemi che torno.
Spero di sentirvi, spero che abbiate apprezzato lo sforzo, spero che il messaggio sia arrivato.
Per chi è mezza addormentata e non ha capito, lo ripeto:
io sono qua e non mollo. Dovranno amputarmi le dita per non farmi finire questa storia.
xoxoxoxoxoxxo

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Capitolo 71
*** Capitolo 71. ***


Capitolo 71.

 Quale amore..

 Era ancora lì nel suo dilemma.
Erano trascorse alcune ore e ormai, la stanza era inondata da un fioca luce, tipica di giornate uggiose di inizio maggio, quando ormai la primavera dovrebbe esplodere senza farsi troppi scrupoli.
Chissà perché invece, quell’anno pareva essere un po’ troppo timida e assonnata, e di farsi vedere sembrava non averne alcuna voglia.
Ovvio, sebbene le temperature non volessero aumentare poi di molto, la natura lo sentiva che era il suo tempo ormai e lo faceva senza vergognarsene minimamente.
Kimberly adorava come in quel periodo dell’anno gli alberi tornassero a fiorire con una maestosità che ogni volta la lasciava senza fiato.
Era una specie di magia. Sebbene il clima non volesse saperne di essere favorevole, ecco che le piccole gemme imperterrite si facevano largo e da minuscoli
puntini verdi si trasformavano in stupendi fiori colorati.
Era come se lo sentissero. Loro sapevano che era arrivato il momento giusto, e non riuscivano a trattenersi, più forti delle condizioni climatiche.
Anche Kim se lo sentiva. Lei lo amava e come le gemme dei fiori, avrebbe dovuto aprirsi a lui senza alcuna esitazione.
Dopo tutto erano diversi mesi che si frequentavano, no? Ed era palese che entrambi non potessero resistere l’uno senza l’altra, giusto?
Allora perché aveva tutta quella paura?
Ogni volta che riempiva i polmoni per pronunciare quelle tre parole, ecco che la voce le mancava e esse tornavano a precipitarle in fondo alla gola.
Erano entrambi in cucina, lei seduta al tavolo mentre fissava la schiena dell’uomo alle prese con i fornelli, intento a preparare la colazione.
Lo osservava muoversi e si rese conto di quante altre volte doveva averlo fatto, perché ormai conosceva tutte le sue mosse alla perfezione, al punto di riuscire a prevedere quello che avrebbe fatto.
Lo ascoltava mentre il suono del suo fischiettio riempiva quelle mura, e si lasciò sfuggire un sorriso nel pensare che fosse un suono pieno di soddisfazione.
Era un uomo contento, appagato.. innamorato?
Il sorriso scomparve di nuovo dal volto della giovane, ancora alle prese con le proprie angosce.
Eppure cosa aveva da temere?
Jared si era dimostrato disperato e leggermente impazzito nel breve periodo di distacco. Cosa poteva andare storto?
-Kim?- il tono divertito del professore le rubò tutta l’attenzione. –Ti senti bene?-
La ragazza si scrollò leggermente e gli mostrò il suo sorriso migliore. –Certo, perché?-
-Ti stai torturando le labbra.. c’è qualcosa che ti preoccupa?- la conosceva così bene da sapere che quando era nervosa o aveva dei pensieri importanti per la mente, si sfogava tramite i denti, mordicchiandodi labbra e guance.
Le avrebbe risposto “anche io?”
-No, solo… dov’è Shannon? E’ un po’ che non lo vedo gironzolare per casa.- rispose lei evasiva, cominciando a guardarsi intorno.
Gli occhi di Jared la guardarono leggermente sospettosi, ma poi le diede di nuovo le spalle. -E’ con Tomo. Volevano portarmi fuori un weekend per passare del tempo “tra uomini” sai… non ero esattamente in forma e avevano organizzato una vacanza fuori porta.- quando si rivoltò, cominciò a distribuire sul tavolo di fronte a lei una serie di piatti pieni di ogni tipo di leccornia.
Le aveva preparate apposta per lei, lui era uno attento a cui il cibo spazzatura non piaceva poi molto.. ma per lei si sforzava di fare qualche sgarro.
Una persona che cambiava le sue abitudini per un’altra non era un lampante segno di amore? Era la regola numero uno, no? Se ami qualcuno, tendi a cambiare per lui. Tendi a diventare la sua parte complementare, e Jared sembrava esattamente fare questo.
Avrebbe sicuramente risposto “anche io”.
-Oh, e cosa c’era in programma?- chiese Kimberly, avventandosi su di un krapfen che sembrava ululare il suo nome.
L’esplosione di crema che provò in bocca dopo il primo morso, le fece perdere un attimo i sensi.
-Mh.. nulla. Qualche strip club e una nottata fuori città.-
Per lo sconcerto, Kim emise un verso che le fece andare lo zucchero a velo di traverso. Abbandonò il dolce e cominciò a tossire con forza, nell’intento di riuscire a recuperare la voce per dire qualcosa.
A questo punto non sapeva se era meglio morire soffocata o riacqusire le forze per picchiare Jared; il quale dal canto suo, aveva cominciato a ridere e a darle qualche manata sulla schiena.
-Come?!- pigolò la ragazza, con voce strozzata.
-Conosci un modo migliore per tirare su una persona?- ammiccò lui, alzandosi per prendere la teiera che aveva infilato nel microonde.
L’occhiata raggelante che gli rivolse, fece chiaramente intendere quello che al momento pensava di lui. –Sei uno schifoso.-
Jared buttò la testa indietro lasciando fuoriuscire una risata. –Addirittura.-
-L’avresti fatto?- chiese poi lei con gli occhi resi una fessura. Era il tipico sguardo “radar”, talmente intenso che avrebbe captato qualsiasi parvenza di bugia.
L’uomo le rivolse un’occhiata annoiata. –Kim, ti prego.-
E se avesse risposto “io no”? Cosa avrebbe fatto?
Come sarebbe riuscita a far fronte ad una delusione del genere?
Sarebbe stato come stare in fila per ore e ore al bancone dei biglietti per la prima del film che si aspetta da una vita; litigare con tutti i furboni che cercano di superare; passare ore interminabili in piedi, sotto il sole cocente o l’acqua scrosciante; senza mangiare né bere onde evitare di dover allontanarsi inaspettatamente; arrivare finalmente davanti alla cassiera, con arti, schiena, stomaco che urlano di dolore e sentirsi dire “sold out”.
Come si sopravvive dopo tutto quello sbattimento e quelle ore di vita sprecate?
In questo caso poi sarebbe stato anche peggio: non si parlava di un film, ma del suo cuore e non si parlava di ore, ma di mesi persi appresso ad una persona.
A farle male non sarebbero state gambe e schiena ma la sua esistenza.
Dopo un rifiuto di quel calibro non avrebbe più sopportato la sua immagine riflessa nello specchio.
Una delusione sarebbe stata inaffrontabile, inaccettabile. Sarebbe stata la fine del mondo e la fine di qualsiasi parvenza di occasione che il suo cuore avrebbe dato a qualcuno in un ipotetico futuro in cui non si sarebbe suicidata.
-Non dirmi “Kim, ti prego”! Voi uomini siete tutti uguali, mentre noi femmine ci consoliamo guardandoci film strappalacrime e comprando libri di auto-aiuto, ecco che voi vi riunite a sbavare da qualche ballerina senza pudore!- si lamentò quindi Kimberly, con un tono di voce abbastanza inalberato.
Lei stava per dire una cosa così importante ad una persona del genere?
Esattamente uguale a Christopher e a qualsiasi altro essere maschile che avrebbe avuto opportunità di incontrare?
Valeva così poco un suo “ti amo”?
Jared vedendo che si stava chiaramente alterando, decise di prendere in mano la situazione.
Prese un profondo respiro e le si avvicinò, placcandole le braccia al livello dei polsi onde evitare di prendere un cazzotto sul naso, agitata com’era.
Era chiaro che lui stesse scherzando, eppure lei l’aveva presa come un fatto personale, come un tradimento a livello cosmico.
Cosa le frullava nella testa? Qual era il vero problema, al momento?
La Kimberly che conosceva sapeva essere molto divertente e aveva un ottimo senso dell’umorismo, come mai invece si trovava di fronte a questa ragazzina spiritata e quasi ferita?
-Kimberly, adesso calmati e ascoltami.- disse lui ad un tratto, serio in volto.
Lei ricambiò subito, rapita. Deglutì sonoramente, quello sguardo così intenso le faceva perdere il senso della realtà.
-So che al momento sei presa dalla tua vena femminista secondo cui gli uomini sono esseri spregevoli; e sono quasi sicuro che dentro di te stai anche programmando di diventare lesbica.. ma prima che tu cambi ufficialmente sponda, vorrei solo ricordarti una cosa.- la voce era resa un sussurro e per tutto il
tempo la ragazza dovette trattenersi dallo sciogliersi al suolo.
Quella voce avrebbe provocato l’allineamento dei pianeti.
Si rendeva conto di quanto fosse pericoloso?
Quella voce era tutto per lei e non riusciva ad immaginarsela, così calda e sensuale, dirle un freddo e secco “io no”.
-Cosa?- mormorò lei, timorosa.
-Sono io che ti ho aperto la porta ieri sera. Tu mi hai trovato qua, da solo, dopo aver rifiutato l’allettantissima proposta di mio fratello e del nostro migliore amico di passare un fine settimana all’insegna del “non pensare a Kimberly”.
Tu mi hai trovato qua, a pensare a te.
Io, anche nel male, anche se non mi faceva stare per niente bene, ho scelto te.-
Ma in fin dei conti, a lei interessava che lui ricambiasse il suo “ti amo”? Era davvero necessario nella loro relazione che entrambi fossero allo stesso livello di sentimento?
Cosa le sarebbe costato aspettare ancora un po’? Lei avrebbe potuto dirglielo lo stesso, così, tanto per renderlo partecipe.
Anzi sarebbe stato doveroso.
Era suo dovere informarlo che le cose per lei si stavano facendo decisamente serie e che lui avrebbe dovuto fare qualcosa se l’avesse ritenuto necessario.
E anche se la sua fosse stata un “io no”, l’avrebbe superato perché è questo che fa un animo innamorato: aspetta, proprio come aveva fatto Jared quel sabato sera.
Non era necessario, se lo ripeté con una carica di sicurezza in più che la portò a sorridere.
Vide gli occhi del professore, ad una spanna di distanza dai suoi, illuminarsi nell’aver interpretato quel sorriso come un segno di resa. Si era calmata, e adesso avrebbero continuato la loro colazione in santa pace per poi trascorrere quella domenica insieme, esattamente come prima che la situazione tra loro si
interrompesse.
Ma poi Kim prese fiato.
-Jared.. io ti amo.- 

*

Cosa aveva pensato lei fino a qualche minuto prima?
Era come essere in fila alla prima del film che aspettavi da un secolo?
Che cosa si era fumata per pensare ad un paragone così.. stupido?
E cosa aveva fatto lei per essere così stupida?
Non era affatto come sentire la parola “sold out”, non era affatto la stessa cosa e neanche il dolore dell’attesa e del tempo sprecato potevano minimamente
renderla paragonabile a quello che sentiva lei adesso.
Pensò a quali parole potessero regalarle le stesse sensazioni che provava al momento.
Forse “abbiamo fatto il possibile.. mi dispiace”? la frase tipica detta dai dottori nei momenti più strazianti di un film, forse solo quella le avrebbe causato una sensazione di nausea del genere.
Ma, pensandoci a fondo, invece no. Quella era una frase, erano parole, qualcuno le aveva pronunciate per definire una situazione, una situazione in cui qualcuno non c’è più, ha preso una posizione, se n’è andato.
Era una certezza e ora lei non provava nessun tipo di certezza.
Tra quella frase e la risposta di Jared, la differenza stava nell’aver pronunciato una parola.
Lui non aveva aperto bocca, se n’era rimasto lì fisso con gli occhi sgranati e la bocca schiusa come se si fosse interrotto nel mezzo di un discorso.
Dopo qualche decina di secondi, durante i quali Kimberly aveva desiderato prendere una pala e cominciare a scavare nel punto esatto in cui si trovava; si era distanziato ed era tornato a mangiare, come se nulla fosse successo.
-Allora, oggi cosa vuoi fare?- le domandò poi, con un tono talmente neutro da far venire la pelle d’oca a Kim.
-Jared?- sussurrò lei. Sentiva il cuore battere così forte da rimbombarle nelle orecchie, nella testa, sotto le mani strette al petto.
-Non c’è bel tempo, però se ti va potremmo fare un giro in centro.- e di fronte a tutto lo sconcerto della ragazza, lui continuava a far finta di niente.
-Jared..- ci riprovò, con voce un po’ più alta.
-Oppure se preferisci possiamo andare al centro commerciale, c’è un negozio che sta chiudendo e per questo motivo svendono tutto. Ho visto molte cose che potrebbero piacerti.-
Kim pensò di star sognando, ma sapeva di non essere tanto fortunata. Sentiva un dolore imprecisato troppo vivido per essere finto e quel groppo in gola era troppo grosso per essere solo frutto della sua immaginazione.
Si sforzò di non perdere la calma, ma questa volta alzò la voce ancora un po’ nel pronunciare il nome dell’uomo che continuava a fingere.
-Ok, io.. devo andare.- convenne infine ritrovandosi ancora senza una risposta, e si diresse velocemente verso la camera da letto per vestirsi e raccogliere le sue cose.
L’aveva sentito seguirla e se lo trovò alle spalle, che la osservava mentre si muoveva fulminea, di modo che tutto quello strazio finisse il prima possibile. -Kim, aspetta. Non prenderla così, è solo che..-
-Che cosa, Jared?- chiese poi lei, bloccandosi in un attimo di rabbia. –Che io ti amo e tu no?-
-Ehi, io non ho detto questo.- ribatté lui, mostrandole le mani a mo’ di difesa.
-Ah, certo scusa. Dimenticavo che non dire niente a casa tua significa “anche io”.- borbottò lei, tornando a sistemarsi.
-Eddai, Kim. E’ successo tutto così in fretta che io non so..-
-Tu non sai cosa? Non sai se mi ricambi o no? Come puoi non saperlo, sei stato male in queste settimane e l’hai detto prima, hai scelto me anche nel male.
Vorrà pur dire qualcosa, accidenti!- sembrava fuori di sé.
Ecco perché una parte di lei continuava ad essere restia nei confronti di quel momento: evidentemente, non era quello giusto e lei nel profondo se lo sentiva.
-Vuole semplicemente dire quello che ho detto, non stiamo a parafrasare per cortesia.-
Il sorriso che gli rivolse era assolutamente forzato. –Non sei nella posizione per fare il sostenuto.- disse offesa, per poi avviarsi verso la porta della stanza.
Jared le si parò davanti. –Non andartene, per favore.- glielo chiedeva sinceramente.
La ragazza ricordò tutte le volte in cui aveva pensato che se solo glielo avesse chiesto lui, con l’esatta espressione e stesso tono di voce che aveva in quel momento, avrebbe eseguito senza pensarci due volte.
Ma non in questo caso. Non riusciva a guardarlo in faccia senza temere di esplodere in un pianto deprimente e non voleva farlo davanti a lui.
-Devo andare.- chiosò semplicemente, senza sollevare lo sguardo.
-No, non devi. Possiamo stare qui e risolvere questo malinteso, basta parlarne.- allungò una mano, scostandole i capelli da davanti agli occhi.
-Malinteso? Jared, per creare un malinteso qualcuno deve dire qualcosa. Tu non hai detto niente!- ribadì irata, tornando verso il letto e buttando di peso la sua borsa.
-Ma perché mi hai colto impreparato, non me lo aspettavo minimamente!-
-Vuol dire che tu non ci hai mai pensato?- lo sguardo che gli rifilò, lo fece immediatamente pentire di quello che aveva detto.
Era impossibile discutere con una ragazza in queste situazioni. Diventavano cieche e sorde e non c’era niente che riuscisse a distoglierle dal loro punto fisso della discussione.
-Certo che ci ho pensato! Insomma stiamo insieme da mesi, è ovvio che qualche pensiero ce l’abbia buttato.- non sapeva come districarsi da questa complicazione.
Dannazione, tutte a lui capitavano.
-E cosa ne pensi? Sarai arrivato a una specie di conclusione.- ne dedusse lei, scettica.
Lui sbuffò appoggiandosi con la schiena allo stipite della porta. –Forse ti amo anche io, ma ancora non lo so per certo.-
-Forse?- lo sconcerto con cui sviscerò quella parola la fece sembrare quasi una bestemmia. –Io me ne vado.- disse praticamente in lacrime, riprovando ad uscire dalla porta.
Ovviamente, l’uomo la bloccò. La prese per le spalle e la strinse contro il suo petto, sentendola sussultare sotto le sue mani.
Si odiò in quel momento. Erano di nuovo insieme da tipo 10h ed era già riuscito a ferirla.
-Kim ascolta..- mormorò accarezzandole la nuca. –Probabilmente è così, anche io provo le stesse cose per te. Ma vedi, è difficile per me.-
-Credi che per me sia facile?- ribatté lei scostandosi abbastanza per guardarlo in faccia.
-Non dico questo, solo che adesso come adesso non sono in grado di risponderti in modo assoluto.- disse dolce, accarezzandole una guancia.
La ragazza ripensò a quando qualche minuto prima aveva deciso che non sarebbe stato importante che lui ricambiasse. Lei l’avrebbe accettato e aspettato.
Bella dimostrazione Kim, sbuffò tra sé e sé.
-Dammi solo ancora un po’ per capirlo, ti va?- quel tono così premuroso le fece venire voglia di piangere ancora un po’, ma se lo vietò.
Invece annuì con la testa, rassegnata. –Va bene. Scusa, hai ragione, non avrei dovuto reagire così.. sono proprio una stupida.-
-Non dire così.. anche io ci sarei rimasto male. Hai tutte le ragioni, e ti chiedo scusa.- c’era un risvolto positivo o era una sua impressione?
Kimberly si staccò da lui e si asciugò i residui di lacrime dal volto. –Ora è meglio che vada.- disse poi, sforzando un piccolo sorriso.
Sapeva che non sarebbe stata una bella giornata se fossero stati insieme. Il suo umore ormai era a terra e non c’era niente da fare.
-Ma dai..- provò a farle cambiare idea. –Dai abbiamo ancora tutta la giornata davanti, non deve per forza finire così.-
Lei scrollò le spalle. –Devo preparare una relazione per domani e non l’ho neppure iniziata.-
Il professore annuì e si scostò, facendola passare e seguendola fino alla porta d’ingresso.
-Mi chiami stasera?- le chiese poi quando la aprì.
Kim uscì e gli rivolse un lieve sorriso. –Certo.- poi fece per andarsene, ma si sentì afferrare per un polso e si ritrovò faccia a faccia con Jared.
-Ciao.- sussurrò per poi darle un bacio lungo e intenso, un bacio che in una qualunque altra situazione le avrebbe tolto il respiro. 

*

È buffo come un giorno le cose sembrano andare alla perfezione e come il giorno seguente la situazione sembra precipitare, come se non potesse andare peggio.
E invece possono. Spesso, complice il destino, le cose assumono una piega che non avresti mai immaginato.
Sentì il cellulare vibrare e un messaggio le accesse lo schermo.

 -Sei libera oggi? Ti va un giro in centro?
Chris.

 Prese un profondo respiro e con il cuore martellante nel petto, rispose senza nemmeno pensarci.

 -Volentieri.

 ..potrà mai
Tenerti con me?

Note finali: rieccomi qua con un nuovo mirabolante capitolo! Non ci credo di essere finalmente riuscita a scriverlo, era tanto che sentivo di doverlo fare ma tra una cosa e l'altra avevo sempre paura di non riuscire a scriverlo come volevo.
Infatti non era quello che mi immaginavo, ma va bene così poteva andare moooolto peggio, potevo essere colta dalla solita afasia o meglio conosciuta come "so-che-esiste-una-perfetta-parola-per-descrivere-questa-cosa-ma-al-momento-mi-sfugge" ma non è andata così. Anzi non è stato un capitolo troppo problematico, abbastanza scorrevole e perfino tranquillo. Sono molto fiera :D

Bando alle ciance, che ne pensate voi? 
Lo sapete che da questo in poi mi odierete, vero? Lo sospettavate eh? 
Ma se mi seguite da un pò avreste dovuto aspettarvelo, con me e con Petronilla non si sta tranquilli un attimo!
Fatemi sapere ce que vous en pensez! (Si dice/scrive così?? Ohiboi non ricordo più una beata mazza di francese)

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Quello che volevo sapere questa volta è: Chi di voi è stata al concerto?? Io sono ancora tra le prime fasi della DPC e non riesco ancora ad ascoltare delle loro canzoni senza mettermi a frignare. La mia personalissima opinione è che abbiamo spaccato i culi.
Se non tornano e non ne fanno di più li ammazzo, perchè dopo tre sold out devono muoversi e farsi un bel giretto d'Italia, di modo che tutte tutte tutte abbiate la possibilità di assitere ad una cosa del genere.
Spintoni e teste di cazzo a parte (il mondo ne è pieno e in certe occasioni sembrano tutti perdere qualche miliardo di neuroni) è stata una serata meravigliosa.
Ho ancora il mal di gola ed è bellissimo :D

Ok, chiudo qui che posso risultare più antipatica del solito.

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La canzone è Quale amore, ancora degli sconosciutissimi Blastema (ma ve l'ho mai detto che una volta mi hanno risposto su twitter???) (volevo implodere ahaha) e mi piace tanto tanto tanto, ve la stra consiglio perchè per chi è amante delle belle voci, si troverà stra soddisfatto. Il cantante di questo gruppo è bravissimo, un pò strano, ma bravissimo.
mmmmmmmmmmmmmmmmmhhhhhhhhh ok, direi che non c'è altro da aggiungere, come al solito spero che abbiate gradito il capitolo e non mancate dal farmi sapere che ne pensate :) 

A prestissimooooo xoxoxoxox




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Capitolo 72
*** Capitolo 72. ***


Capitolo 72.

 But somewhere we were wrong
We were once so strong

 Per tutto il viaggio in autobus, diretto verso il centro della città, provò una tremenda ansia.
Ansia di cosa? Se lo chiese più volte e non trovava mai una risposta precisa.
Ogni volta nella sua mente si susseguivano una serie di immagini di lei e Chris, di come sarebbe stato tracorrere del tempo con lui dopo così tanto tempo, di cosa avrebbero fatto, di con che coraggio l’avrebbe guardato negli occhi mentre le parlava.
Non riusciva ad avere un’idea precisa di cosa avrebbe provato e sentito, stando di nuovo con lui.
Era passato così tanto tempo, così tante lacrime, così tante esperienze che le sembrava una vita fa. In effetti, era una vita fa.
Scoprì di provare anche una certa paura. Di cosa, ancora non riusciva a figurarselo.
Nelle orecchie nel frattempo, le tracce casuali che stava ascoltando si susseguivano, senza che lei vi prestasse abbastanza attenzione da riconoscerne i brani.
Quando si rendeva conto della confusione che sentiva nella mente, abbassava lo sguardo sullo schermo del telefono e, sorpresa, si accorgeva di conoscere quella canzone da secoli, ma era talmente sconvolta dalla piega che gli eventi avevano preso, da non riuscire a concentrarsi neppure sulla musica.
Per lo meno, pensò distrattamente, tutto quello la distoglieva dalla lite con Jared.
Si pentì immediatamente di quel pensiero, dal momento che percepì una fitta lancinante allo stomaco. Subito cominciò a chiedersi cosa avesse sbagliato, perché lei fosse arrivata al punto da sentirsi sicura di esporsi tanto e lui no.
Eppure avevano alle spalle un’esperienza simile, un raggiro con tanto di tradimento.. perché lei era riuscita a superarlo e a rimettersi in gioco e lui invece era ancora così dannatamente attaccato a quella delusione del passato, al punto di non avere nemmeno il coraggio di dirle quello che provava per lei?
Con una punta di amarezza si rese conto dell’ipocrita che era dal momento che, se si trovava lì, anche lei non era ancora riuscita a chiudere con il passato.
Fortunatamente a distoglierla da quel pensiero incriminante, furono le porte dell’autobus che si aprirono facendole capire di essere arrivata a destinazione.
Prese un profondo respiro e scese, camminando con decisione verso il punto d’incontro prefissato. Sapeva che se avesse dubitato, se avesse lasciato che i sensi di colpa si insinuassero in lei proprio in quel momento, avrebbe dato forfait e se ne sarebbe tornata a casa.
Era determinata. Quale fosse il motivo, ancora non le era chiaro.
Si chiese come sarebbe stato mentre, un passo dopo l’altro, raggiungeva Chris. Come sarebbe stato essere di nuovo con lui? Cosa le avrebbe detto? Quali sarebbero state le sensazioni?
Era forse per questo che ci teneva ad essere lì? Per vedere cosa sarebbe successo?
Scrollò il capo, tirandosi indietro i capelli spinti davanti al viso da un leggero vento. Era una giornata grigia ma piacevole. Non faceva troppo freddo, sebbene del sole non ci fosse neanche l’ombra.
Pensò a quanto fosse strano che, sebbene non se lo fossero confermati, lei sapeva esattamente dove l’avrebbe trovato.
Probabilmente era questo conoscere una persona per tanto tempo, erano questi i rischi e i risultati. Si arrivava a prevedere e a battezzare involontariamente e inconsapevolmente dei luoghi come “propri”. Luoghi che sarebbero stati suoi solo se con quella persona accanto e se mai ce ne avesse portata un’altra, lo
sapeva, non sarebbe mai stata la stessa cosa.
Il posto in cui aveva speso tempo e liti, carico di emozioni e di ricordi, insieme ad un altro sarebbe stato solo un luogo neutro e grigio.
Il loro ad esempio, era il retro di una costruzione storica ma abbandonata da tempo, che si trovava in pieno centro città. Era il loro luogo d’incontro ogni mattina, prima di andare a scuola. Passavano circa 10 minuti ogni giorno, per iniziare con positività la giornata. Se Kim avesse dovuto riassumere gli eventi sotto quella tettoia, sarebbe arrossita.
Si sa, il comportamento degli innamorati alla luce della loro relazione, è di pura ossessione, passione, pura voglia di stare insieme e quella tipica incapacità di esprimerlo a parole ma solo attraverso i baci.
Tanti, troppi, un’infinità di baci, spesso unici protagonisti di un incontro. Spesso si salutavano e per minuti interi regnava solo il silenzio. Spesso non si salutavano nemmeno, convenne rossa in volto la ragazza.
Scrollò per l’ennesima volta il capo, e svoltò l’angolo. Il cuore le si fermò quando, sollevando lo sguardo su per i gradini, ecco Christopher nell’identica posizione in cui era abituata a trovarlo, ogni santa mattina di mesi e mesi fa.
Pensò a tutte quelle volte, in seguito alla loro rottura, passando per questo posto per andare verso scuola, avesse rivolto uno sguardo speranzoso, aspettandosi di trovarlo lì, come ora, ad attenderla per chiederle scusa e farsi perdonare con un’intensa dichiarazione d’amore.
Si era immaginata di fare la sostenuta per un po’, lamentarsi in modo teatrale e infine dirgli che per questa volta l’avrebbe perdonato.
Lui non si era mai presentato, però.
Quante volte l’aveva fatto? E quante volte si era rivoltata con il cuore vuoto e gli occhi pieni di lacrime?
Sospirò, scacciando l’ennesimo ricordo amaro. Ora era lì, il ragazzo dei suoi sogni, il ragazzo che tanto aveva amato e che tanto le aveva strappato.
Chris si accorse di lei e le sorrise, con quel fare arrogante e misterioso che le era sempre piaciuto.
Dopo l’ennesimo sospiro, Kimberly salì i pochi gradini che li separavano per raggiungerlo.
Il ragazzo si staccò dal muro e le andò incontro, con le mani nella tasche dei jeans sdruciti. –Ciao.- la salutò, con una voce che suonò tremendamente familiare a Kim e in quel momento si rese conto del colmo di tutta quella situazione.
Si era tanto preoccupata di come sarebbe stato trovarsi con lui di nuovo, e stupidamente capì solo adesso di quanto fosse stata una domanda da ignorante: si sentiva esattamente come si era sempre sentita accanto a lui.
Lui era lo stesso, i suoi occhi la guardavano nello stesso modo che tempo prima l’avrebbe fatta volare, la sua voce era sempre della stessa tonalità leggermente rauca e i suoi modi nei confronti di lei erano sempre sicuri e gentili come l’ultima volta.
Sorrise, finalmente col cuore rilassato. –Ciao Chris.-
 

*

 -Allora, che progetti hai per l’anno prossimo?- gli chiese Kim, sorridendo distrattamente al cameriere che aveva portato loro le ordinazioni.
Lei aveva preso un caffè, lui una crepe alla nutella. Quel ragazzo aveva sempre fame, e a Kimberly scappò un sorriso, notando che neppure questo era cambiato in lui.
Lui sospirò per poi guardarla negli occhi. Alla ragazza non erano mai piaciuti particolarmente gli occhi di Chris, erano un verde misto a marrone difficilmente definibile, un colore insapore. E poi erano decisamente troppo grandi.
Ma si sa, quando ami una persona, tutto di lei tende a brillare come un diamante. Fu contenta però di non pensare che fossero belli.
Un po’ di quella magia era sparita.
-Me ne vado, Kim. Mi hanno accettato al college a Montreal e non posso esserne più felice.- spiegò rifilandole un occhiolino malizioso. –Ho sempre trovato
l’accento francese estremamente eccitante.-
Kimberly scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca per non far attirare troppo l’attenzione su di loro, sebbene il locale fosse colmo e di certo non sarebbero stati a guardare proprio loro.
Era domenica pomeriggio, e come tutte le domeniche primaverili che ci fosse o meno il sole, la città si riempiva. Sembrava sempre una festa in centro, per un motivo o per l’altro c’erano giostre, fiere, mercatini o parate.
-Non sto scherzando!- insisté il ragazzo, sgranando più del dovuto quegli occhi enormi. Ma quanto erano grandi?
Kim alzò i palmi, per dargli corda. –Non lo dubito Chris, lo so perfettamente. Anche se, non credo ci siano ragazze non in grado di farlo.- constatò con
sarcasmo.
Christopher sollevò un sopracciglio. –Mi stai dando del tipico “basta che respiri”?-
La ragazza si morse le labbra, cercando di restare seria. Sollevò le spalle, fingendo un’espressione innocente. –Lo stai dicendo tu.-
Lui sorrise appena, facendo il finto offeso e strappò un morso del dolce. –E tu?- chiese poi con la bocca piena. –Quali sono i tuoi progetti?-
“Jared” fu tutto quello che la mente di Kim partorì. “Restare con Jared”.
Si rese conto di non poter dire una cosa del genere per diversi motivi tra cui lo sguardo scettico che questa affermazione avrebbe portato il ragazzo a rivolgerle, le mille domande, il come avrebbe potuto difendersi lei, i rimproveri che avrebbe ricevuto come “non ti facevo una ragazza così remissiva” “pensavo avessi dei sogni” a cui lei avrebbe potuto giustificarsi solo con “E’ lui il mio sogno. Io lo amo”.
Già, il problema fondamentale era che Jared invece non amava lei.
Tutta la depressione che quel pensiero comportava, le si scaraventò addosso, portandola ad abbandonarsi contro lo schienale della sedia con uno sconsolato –Non ne ho idea.-
Lui parve leggere qualcosa nella sua espressione, infatti si allungò sul tavolo e le prese una mano. –Ehi, tutto bene?-
Lei annuì cercando di auto convincersi. –E’ solo che sta succedendo tutto così in fretta. Fino a ieri eravamo bambini e potevamo permetterci di sognare più in grande possibile.. ma adesso? Tutti i pensieri e le azioni che compiamo hanno un loro peso e dobbiamo sorbirci le conseguenze.
Nella vita reale è così facile fallire.- sospirò tristemente.
-Lo so bene, Kim. Ma questo non significa che devi arrenderti dal principio. La paura di fallire non può fermarti da subito, dove sarebbe il divertimento? Se non ti metti in gioco, dove sarebbe il bello della vita?-
La ragazza sollevò gli occhi in quelli di lui. Si ricordò solo in quel momento di quanto Chris fosse una persona positiva. Una delle tipiche persone che cadendo si rialzano senza un singolo lamento, che vedono sempre il bicchiere mezzo pieno, che combattevano per la propria felicità a discapito degli altri.
Una di quelle persone che le persone come Kim necessitavano.
Lei aveva bisogno di quella positività, un aspetto che in Jared spesso veniva a mancare.
-Non lo so, Chris. Ho così tanta pressione addosso ultimamente che mi si potrebbe accende come un fiammifero solo parlandomi.- la sua storia con Jared, i problemi con Joseph e Gwen, la preside, i professori che richiedevano concentrazione massima e studio continuo agli alunni dal momento che mancava
davvero poco agli esami finali ed infine, gli esami imminenti che premevano su di lei come un macigno. Per non parlare appunto della scelta dopo gli esami. Come faceva a sapere cosa voleva fare?
Negli occhi del ragazzo lesse comprensione totale. Lui la capiva, del resto erano nella stessa situazione, ma in un certo modo sembrava comprendere come per lei fosse un po’ più difficile.
Lui era sempre stato così risoluto e deciso! Per lui era tutta una scommessa, e sembrava non temere di perdere anche se in ballo ci fosse la sua vita.
-Ce la farai, Kimberly. Io lo so che tu ce la puoi fare. Posso capire la tua confusione, ma ti assicuro che un giorno la risposta ti si presenterà chiara, e ti chiederai come hai fatto ad ignorarla per tutto quel tempo.- era di una sicurezza disarmante.
-Qual è stata la tua risposta?-
-Mi interessano i soldi e le ragazze. Se vado a studiare economia posso ottenerle entrambe.- disse con un’ingenuità che la fece scoppiare nell’ennesima risata.
-Come se fosse così semplice!- ribatté scettica ma divertita.
Lui scrollò le spalle. –La vita è semplice, siamo noi che la complichiamo con problemi inutili. Quando ti libererai da tutti gli inghippi superficiali che ti stanno affliggendo ora e li riconoscerai come tali, capirai le tue passioni e i tuoi obiettivi.-
-Continuo a non capire la connessione tra economia-soldi-ragazze.- continuò Kim, prendendo un sorso di caffè bollente.
-Studiando economia si impara tutto ciò che sta attorno ai soldi, quindi imparerò a farli e la ricchezza chiama ragazze, quindi in definitiva.. diventerò un uomo molto felice.- concluse ammiccando per l’ennesima volta.
Kimberly corrugò la fronte. –Lo sai che non è così facile, vero?-
Chris le rivolse un’occhiata indifferente. –Cercherò di renderlo tale. In ogni caso io ho un obiettivo.-
Ed era vero, cosa che Kim non aveva assolutamente.
O meglio.. uno l’aveva ma più passava più si rendeva conto di quanto fosse una meta irrealistica dal momento che la meta stessa non la voleva.  

-E dimmi, Barbara? C’è ancora?- gli chiese, per cambiare un po’ discorso da un argomento così stressante come il futuro.
Christopher prese una sorsata dalla bibita gassata che aveva ordinato. Dal modo in cui lo fece sembrava deluso che non fosse alcolica.
-No. Andata.-
-Oh.- mormorò imbarazzata Kim. –Mi dispiace.-
-Non devi.- le fece Chris con un gesto della mano che le facesse capire che non gli interessasse poi molto. –E’ giusto così, siamo arrivati al capolinea. Non avevamo sufficienti motivi per continuare.-
La positività di quel ragazzo si faceva viva anche in un argomento del genere. Era affascinante e in un certo senso nauseante come atteggiamento, sembrava che nulla lo ferisse ma che al contempo non ci fosse nulla che riuscisse a prendere sul serio.
Anche la sua sofferenza l’aveva presa così poco seriamente? E tutte le lacrime che aveva versato, o la sua voce disperata quando l’aveva chiamato tutte le volte che la sua sopportazione arrivava al limite di rottura?
-E tu? Col tuo com’è che si chiamava.. Jeremy?-
Era evidente che lui sapesse perfettamente come si chiamasse la fiamma di Kim, ma non volesse pronunciare quel nome per qualche motivo. Che gli desse fastidio?
-Jared.- lo corresse la ragazza, sentendosi ancora peggio. Era come se dire il nome del professore ad alta voce le riversasse addosso tutto il carico emotivo che l’ultima esperienza aveva prodotto.
Si sentiva talmente inadeguata con se stessa che temeva non sarebbe più riuscita a guardarlo in faccia.
-Va tutto bene.- disse con un tono poco credibile.
Chris le rifilò uno sguardo dispiaciuto. –Ehi Kim, ho detto qualcosa di sbagliato? Non volevo sollevare argomenti scomodi.-
Lei scrollò la testa. –No, niente di scomodo solo che.. preferisco non parlarne.- sorrise debolmente, senza guardarlo.
-Ti sta rendendo infelice? Sai che se lo incontro per strada lo picchio, vero?-
La ragazza trattenne una risata. –Non sai neanche com’è fatto!-
-A questo non devi preoccuparti.- fece lui sicuro. –In un modo o nell’altro lo trovo e lo faccio pentire.-
Questa volta la risata non la trattenne Kim e lo guardò con una calma in corpo che non sentiva da un po’. –Smettila di fare il cretino.- lo ammonì.
Christopher si sollevò e si infilò la giacca.
-Te ne vai?- gli chiese la ragazza, confusa da quell’iniziativa improvvisa.
-Certo, e tu vieni con me.- disse risoluto.
-E dove?-
-C’è un solo posto che cura tutte le ferite del cuore.- mormorò il ragazzo, chinandosi su di lei.
Kimberly assottigliò gli occhi, cercando di cogliere quali fossero le sue intenzioni celate. Non colse niente, non sembrava nascondere niente di losco. Era solo Chris, e stava solo facendo se stesso.
Le porse la mano. –Allora, andiamo?-
Lei osservò quella mano ossuta ma grande con tutti contorni delle unghie torturati e screpolati. Chris era una persona apparentemente molto sicura ma
Kimberly sapeva che aveva anche lui le sue difficoltà. Infatti tutto il nervosismo lo accumulava e lo scaricava sulle dita, rompendosi le unghie e strappandosi la pelle coi denti. Quel piccolo difetto rassicurò Kim, facendole sentire il calore familiare di quel ragazzo.
Afferrò la sua mano e, con la giacchetta nell’altra, lo seguì fuori dal bar. 

*

-Non posso credere che tu mi abbia portata qui!- esclamò Kim contrariata, mentre lui testardo, la trainava all’interno del palazzetto dello sport.
-Su, non fare la scorbutica! Vedrai che ti divertirai!- insisté Chris con un sorriso convinto.
-No! L’ultima volta che ho pattinato sono caduta così tante volte che non ho camminato per una settimana, tanto mi faceva male il sedere!- ribatté spingendo nel senso opposto.
-Fidati di me, Kim. Ti tengo io.- le disse improvvisamente serio l’altro, guardandola con un’intensità disarmante.
Kimberly deglutì, decidendo improvvisamente di cedere e di assecondarlo. Cosa poteva succedere di male?
Finalmente entrarono accompagnati dal sorriso soddisfatto di lui, il quale pagò l’entrata per entrambi e andarono a cambiarsi le scarpe.
Chris si assicurò più volte che lei si trovasse comoda e a suo agio con i pattini che aveva addosso e poi le diede tutto il tempo di cui aveva bisogno per sentirsi pronta.
Quando raccolse coraggio a sufficienza si aggrappò a lui, il quale la reggeva saldamente e insieme andarono verso l’entrata della pista.
La ragazza si attaccò alla ringhiera guardando tutti i presenti che pattinavano sereni e allegri. Sembrava così facile per loro! Si chiese più volte per quale motivo fosse così disabile in qualsiasi forma di sport e specialmente perché fosse così tanto negata nel pattinaggio.
Sembrava come fluttuare da come lo facevano gli altri.
-Qual è il problema?- la voce di Chris la riportò alla realtà.
Lei si guardò le mani e le nascose. –Ho paura di perdere le dita.- disse, vergognosamente.
-Cosa?- esclamò il ragazzo, confuso.
-Hai capito.- Kim si voltò verso di lui, guardandolo sconfortata. –Mia nonna mi ha sempre detto di stare attenta qualora fossi andata a pattinare perché se cadi e qualcuno ti viene addosso, i pattini possono tranciarti le dita.-
La risata che sfuggì a Chris la fece sentire più idiota del dovuto. –Davvero ti ha detto una cosa del genere?-
-E’ vero Chris!-
-Basta fare attenzione!- ribattè lui. –Ti terrò io le mani, ok? Anche quando cadrai, le mani te le terrò bene in alto io.- tentò di confortarla, ma non servì a molto.
Vedendo che l’espressione spaventata non voleva andarsene dal suo volto, si allontanò un attimo dicendole di aspettarlo e che sarebbe tornato subito.
Dopo qualche minuto Kimberly lo vide tornare con un paio di guanti da sci, belli spessi. –Credi di convincermi con questi pezzi di tessuto?-
Se quelle lame potevano tagliare le ossa, come avrebbero fatto i guanti a proteggerla?
-Meglio di niente, no?- la sua positività non si diede per vita e con risoluzione, le infilò i guanti. –Fidati di me, ok?-
Era impossibile dire di no. Non con quegli occhi giganti che la puntavano colmi di speranza. Non sarebbe mai e poi mai riuscita a opporre ancora più resistenza e alla fine, con un cenno del capo, gli prese la mano e lo seguì in pista.
 

Pattinare era peggio di quanto ricordasse. Non riusciva a reggersi in piedi senza che le gambe si separassero per conto proprio, andando una da una parte e l’altra dall’altra. L’unica ancora di salvezza era Christopher, il quale con una pazienza innegabile, continuava ad aiutarla e a spiegarle come doveva comportarsi.
-Kimberly, non mi stai ascoltando.- le disse divertito, dopo qualche tentativo. –Aggrappati alle mie spalle e mettiti con i piedi paralleli.- sembrava semplice da come lo diceva lui,  e sorprendentemente con un po’ di volontà, riuscì ad eseguire.
-Ooooolàà.- esclamò il ragazzo, cingendole la vita e girandole attorno. –Adesso piattiniamo.-
-Vuoi dire, tu pattini e io mi faccio trainare, giusto?- lo corresse Kim.
-Nono, ora noi pattiniamo.- ribadì senza perdere quella facciata sicura lui.
-Noi cosa?- era stata una faticaccia stare ferma, cosa gli faceva pensare che la sua coordinazione le permettesse di muovere i piedi senza che si uccidesse da sola?
-Ora ti mostro. Tu devi stare tranquilla, e in ogni caso resta sporta in avanti. Se cadi di schiena rischi di farti male, in avanti per lo meno puoi proteggerti. I
guanti come vanno?-
Kimberly glieli mostrò con un sorriso fiero. Le tenevano caldo, per lo meno.
Christopher ricambiò, posizionandosi dietro di lei, senza staccarle le mani dai fianchi. –Ok, ora una piede alla volta, devi farlo scivolare in avanti e verso l’esterno.-
Eseguire fu più difficile del previsto. Si sentiva troppo impedita, ed era di una scoordinazione imbarazzante.
-Visto che non ci riesco!- si lagnò la ragazza, presa dallo sconforto.
-Per forza, sei rigida come un palo! Devi rilassarti e rendere il tutto più.. non so, fluido.- Chris trovò difficile spiegare a parole una cosa che a lui veniva così naturale. Non doveva rifletterci tanto, doveva semplicemente farlo.
-E se cado?-
-Non cadi.- le disse sicuro. –O in caso, cadiamo insieme e ci facciamo una risata.-
Kim respirò a fondo, cercando di fare come le aveva detto lui rendendosi improvvisamente conto che non le sarebbe importato niente di cadere, si fidava ciecamente di quelle mani e se lui diceva che non l’avrebbe fatta cadere, ci credeva.
Cominciò a muovere i primi passi, con una calma che divenne sempre più sicura e stabile. Cercò di concentrarsi il più possibile, un pattino dopo l’altro, Chris accanto a lei e le sue mani stabili sul suo corpo.
Le sembrò improvvisamente di essere diventata capace. Le sembrò improvvisamente di non essere più così disabile, ma anche lei in grado di fluttuare come tutti gli altri.
-Chris..- mormorò con un velo di entusiasmo. –Sto pattinando! Non ci posso credere, ce la faccio!-
-Sei bravissima.- la assicurò lui, cominciando a lasciarla andare per poi prenderle una mano e cominciare a volteggiare insieme.
-E tu quando hai imparato?- le chiese contrariata, notanto che lui fosse anche capace di pattinare al contrario.
Christopher fece spallucce. –Con i pattini a rotelle. Questi non sono molto diversi.-
-Ok, però tu non lasciarmi.- ribadì Kim, notando che si facesse sempre più distante.
Le mostrò un sorriso sicuro, un sorriso che le ricordò tutte le volte in cui gliene aveva mostrato uno simile. Un sorriso che voleva dire mille cose, ma che taceva sempre.
Il suo tipico sorriso, che per un solo attimo le fece perdere la concentrazione.. posizionò il pattino sinistro male e nel giro di qualche secondo erano entrambi a terra.
-Kim!- esclamò lui. –Stai bene?-
Notò che la ragazza aveva chiuso le mani a pugno e se le era strette al petto. –Ho ancora le dita?- chiese lei, senza aprire gli occhi come se temesse di trovarsi ricoperta di sangue.
Christopher provò un impulso di puro affetto, era un’emozione che non provava da diverso tempo e per un attimo gli sembrò come di essersi risvegliato. Le luci soffuse colorate creavano un’atmosfera magica, e lei era così bella e adorabile che fu più forte di lui prenderle il viso poco distante dal suo, e baciarla.
Sentì una scarica di adrenalina manifestarsi in tutto il corpo, rendendosi conto che era una cosa che aveva voluto fare dal primo momento in cui i loro occhi si erano incrociati quel giorno, se non da prima.
Kimberly dal canto suo non poté fare altro che restare immobile e ricambiare. Voleva ricambiarlo, voleva che lui la baciasse, ed era bello esattamente come lo era nei suoi ricordi.
L’aveva desiderato per così tanto tempo, aveva bramato un suo ritorno, l’aveva sognato per notti intere e l’aveva rimpianto per mesi.
A malincuore, Chris si separò da lei prima del previsto, lasciandola di stucco.
-Kim, scusami.. non so cosa mi sia preso.- disse mesto, ma non fece a tempo a terminare la frase che si trovò la ragazza addosso, con le mani a cingergli il viso e a continuare quello scambio di baci.
Kim si sentiva in un certo senso meglio e per un verso era come e sapesse fin dal principio che sarebbe successo. A dir la verità era proprio per questo che aveva accettato l’invito, lei lo desiderava e dopo essere stata mortificata da Jared, sentiva che sarebbe stato l’unico modo per farla smettere di pensare.
Era davvero diventata una persona del genere?
Un moto di nausea le attanagliò lo stomaco, portandola a posare un palmo sul busto di Chris, nel tentativo di staccarselo dal volto, il quale nel frattempo sembrava estremamente contento di quella sorta di consenso e le stava baciando ogni centimetro della bocca e del viso.
-Chris!!- esclamò infine lei, vedendo che non sembrava voler mollare.
-Cosa c’è?- domandò lui di rimando, tenendola per le spalle. –Ti ho fatto male?-
Kimberly si tolse un guanto e si asciugò il volto, rendendosi conto solo in quel momento di star piangendo. Scosse il capo e deglutì a fatica. –No, devo andare.- mormorò, nel tentativo di sollevarsi.
Quei dannati pattini le resero il tutto più difficile, ma fortunatamente si trovavano poco distanti dall’uscita.
-Ma Kim, aspetta.. io..-
La ragazza lo zittì con un gesto rapido. –Non dire niente, ti prego.- qualsiasi cosa fosse uscita da quella bocca, l’avrebbe distrutta ancora di più.
Si sentiva malissimo, un connubio tra nausea e disgusto le attanagliavano lo stomaco e tutto quello che desiderava fare in quel momento era catapultarsi di Jared, e chiedergli scusa.
-Kim!- insisté il poveretto, non capendo cosa le fosse preso. Era lei che aveva ricambiato e prolungato il bacio, e ora si comportava come se gli avesse fatto schifo.
-Chris, lasciami andare! Non sarei dovuta venire, ti prego.. lasciami andare.- disse a voce decisamente più alta, una volta aggrappatasi al corrimano.
Questa volta il ragazzo smise di seguirla e le tolse le mani di dosso, osservandola mentre, con foga usciva dalla pista e goffamente si rimetteva le scarpe.
Quando finalmente fu fuori di lì, Kimberly era decisa a correre da Jared ma qualcosa la bloccò.
Lui non l’avrebbe mai perdonata, ne era certa. Non l’avrebbe perdonata neppure se avesse cercato di spiegargli le sue motivazioni, perché in realtà non c’erano motivazioni, niente avrebbe potuto giustificare le sue azioni.
Si avviò verso casa, con le lacrime che non smettevano di rigarle il volto e i sensi di colpa che le attanagliavano la testa.
Cosa doveva fare?
 

Our love is like a song
You can’t forget it.

Note finali: Boo! Esatto rieccomi per l'ennesima volta in un ritardo tremendo.
Tra l'altro, ironia della sorte, questo schifo di capitolo mi è uscito più lungo del previsto, quindi la tortura per voi è tipo triplicata. Vi chiedo scusa davvero, per i tempi di attesa e per il capitolo davvero scritto male. Ne ho scritti abbastanza per sapere quando faccio schifo e questa volta credo di essermi battuta.
Il lato positivo però è che sono tornata no? Non voglio giustificarmi, ma ho avuto tante cose da fare e inoltre la mia vena scrittrice è presa da un'altra storiella e quindi per un periodo ho speso tutte le energie in quell'altra. Quella famosa, ricordate? Quella difficile di cui vi ho accennato tempo addietro, che si sta rivelando sinceramente un'impresa titanica MA questo non mi deve distogliere da questa che ha la precedenza. Devo mettermelo in testa, questa ha la precedenza. 
Non manca molto, purtroppo o per fortuna. 
E' stata una faticaccia scriverlo! Alla fine è uscito molto elementare, ma credetemi per mesi non sapevo che cosa inventarmi!
Anyway, credo fosse un pò prevedibile o per lo meno credo proprio che tutte vi foste fatte un'idea del genere! Chi di voi può immaginare cosa succederà?
Proverò a postarne uno a settimana come ai bei tempi, cercate di perdonarmi e portare pazienza per favore.
Nel frattempo vi prego di farmi sapere qualcosa, anche se magari vi siete rotte, sta diventando troppo paturniosa e prevedibile e magari non so, l'accantono. 
Ragazze, non so scrivere oggi, non ho proprio il cervello connesso. Che palle quando è così. Avete capito il succo del discorso.

La canzone è un vecchio tributo a Demi Lovato (beati quindici anni) con Don't forget.

Ma da qualche parte abbiamo sbagliato
una volta eravamo così forti
il nostro amore è come una canzone
non puoi dimenticarla.

Ok, mi dileguo. Chiedo umilmente perdono per l'ennesima volta e spero di sentire qualche parere.
Love y'all

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Capitolo 73
*** Capitolo 73. ***


Capitolo 73.

Sì che la fine arrivò
Leggera e distratta come una stagione
Drogata di nuvole
Ed ora mi accorgo che niente è quello che è

-Ehi Kim, sono Jared. Ho provato a chiamarti ma pare che il tuo telefono sia spento. Immagino tu sia stanca per la lunga giornata di studio.
Ci vediamo domani, sogni d’oro.-

-Ciao, sono Jared. So che mi hai scritto un messaggio e non voglio assillarti, ma vorrei sentire la tua voce. Non ti senti ancora bene? Fammi sapere, prima che cominci a preoccuparmi.
Spero di vederti domani, anche solo di sfuggita. E.. niente. Richiamami.-

 -Kim, sono sempre io. Va tutto bene? Mi sembra di non vederti da un secolo anche se sono passate a dir tanto 48h. Ti va di passare da  me stasera? Mi manchi.-

 -Come è possibile che non riesca mai a rintracciarti? Mi dispiace che tu stia ancora un po’ male, riposa pure e spero di vederti domani a scuola.
Buonanotte ragazzina.-

-Ehm Kim.. sono io, Jared, di nuovo. Oggi non ti ho quasi vista e una volta finita la scuola sei scappata. Ho anche visto che hai cancellato il “corso di recupero” che avevamo fissato per domani pomeriggio.
Direi che c’è qualcosa che non va. Possiamo parlare di questa situazione, per favore? Avrei un paio di cose da dirti, se solo mi dessi la possibilità.
Richiamami.-

 Con un sbuffo disperato, Kimberly buttò il telefono davanti a sé, sul letto.
Si strinse le ginocchia al petto e riprese a piangere. Erano giorni che non faceva altro e si malediva in continuazione.
Come poteva essere stata così stupida? Aveva rovinato tutto, e l’aveva fatto consapevolmente, che è peggio rispetto a farlo per sbaglio.
Ascoltare la voce quasi disperata di Jared che la implorava di farsi viva e di richiamarlo, la uccideva e la faceva sentire malissimo.
Ma con che coraggio l’avrebbe affrontato? Con quale forza l’avrebbe guardato negli occhi nel dirgli tutte le bugie che gli aveva raccontato fino a quel momento? Con che faccia gli avrebbe giustificato l’avvenimento come “uno stupido errore”?
Non era stato un’errore, lei se l’era cercata. E si sentiva uno schifo per questo.
Doveva dirglielo ma non sapeva come fare. Così non poteva continuare a lungo, nella voce dell’uomo aveva percepito la sua testardaggine tipica di Jared, la quale le aveva fatto intendere che non sarebbe passato molto tempo prima che se lo ritrovasse fuori casa.
E poi non avrebbe potuto continuare a vivere con se stessa, trascinandosi appresso un peso del genere.
Distrattamente si chiese come facessero le persone sposate a condurre una doppia vita con un amante. Bisognava decisamente essere arrivati al capolinea per sopportare la propria immagine allo specchio, dopo quello che si stava facendo al compagno.
Chiuse gli occhi con un moto di disperazione in corpo, quando udì il cellulare emettere una breve vibrazione.
Allungò una mano e osservò lo schermo che, nell’oscurità della sua stanza, le illuminava il viso come un raggio di sole. 

“Kimberly, per favore rispondimi. Mi dispiace per quello che è successo l’altro giorno, e capisco che tu ne sia sconvolta, ma ho bisogno di parlarti.” 

Questa volta era Christopher, il quale, chiaramente, la stava assillando da giorni proprio come il professore.
La differenza in questo caso era che lei non voleva assolutamente vederlo. Il solo pensiero del suo viso la induceva al vomito.
Era la personificazione della sua colpa e finchè non fosse stata capace di perdonarsi, non sarebbe più riuscita a tollerare la sua presenza.
Inoltre da quello che il ragazzo continuava a scriverle, pareva che in seguito a quel bacio, in lui si fossero risvegliati i sentimenti romantici nei suoi confronti. Della serie “non poteva andare peggio”.
Abbandonò il telefono di ogni attenzione e si accasciò lateralmente, trovando un piccolo conforto nel morbido cuscino.
Non sarebbe uscita viva da questa situazione, ne era certa.
 

*

 La campanella che indicava la fine della lezione di musica, la risvegliò dai suoi loschi pensieri suicidi.
Jared sembrava così contento di vederla fisicamente presente, che era stato quasi incapace di staccarle gli occhi di dosso per tutta la lezione, come se una volta terminato il contatto, lei potesse scomparire.
L’aveva sperato sinceramente, Kim avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di smettere di esistere.
-Kimberly, vieni in bagno?- trillò la voce di Gwen al suo fianco.
L’amica sapeva già tutto, aveva intuito già da prima che qualcosa gravasse sulle spalle di Kim, ma aveva atteso che questo peso la schiacciasse e fosse lei stessa a rivelarglielo. L’aveva chiamata il giorno prima quando, nel pieno dei sensi di colpa, aveva bisogno di un parere esterno.
L’aveva definita una “tragedia”, e ogni volta che ci ripensava, Kim constatava che non avrebbe potuto trovare termine migliore.
Ovviamente Gwen non aveva potuto consigliarle niente di cui Kimberly non fosse a conoscenza da sola.
Certo, essendo comunque un’amica, non era stata cattiva e aveva sempre cercato di dissuaderla dalle proposte di morte che le poneva Kim. Anzi, le aveva ripetuto più volte che un bacio non era mica la fine del mondo, ma vedendo come la ragazza l’aveva presa così personalmente, aveva intuito che il senso di colpa l’avrebbe uccisa, se non se ne fosse liberata.
-Cosa sarebbe peggio- le aveva domandato. –Odiarti con la persona che ami o farti odiare dalla persona che ami?-
Era stato un indovinello abbastanza tosto per Kim, ma la risposta le era arrivata quasi immediatamente.
In quel momento Gwen le stava mostrando uno sguardo dispiaciuto come se la disperazione che l’attanagliava dall’interno le si riversasse sul volto e lei fosse in grado di leggerglielo chiaramente.
Kimberly si alzò e fece per seguire l’amica più in fretta che poté, ma una voce la fermò prima che potesse sperare di essere salva.
Il professore, alle sue spalle, le aveva chiesto cortesemente di fermarsi un secondo, per discutere di quali fossero i motivi che le impedissero di fermarsi il pomeriggio.
Gwen le rivolse un’occhiata incoraggiante, per poi uscire dall’aula ormai sgombra.
Col cuore che batteva alla velocità della luce, Kim si voltò verso il professore rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse difficile anche solo guardarlo in faccia.
-Allora.. come stai?- le chiese con un accenno di sorriso, rimanendo appoggiato alla cattedra. C’era un imbarazzo bizzarro nell’aria, distrattamente lui pensò che non si parlavano così a stento neanche all’inizio dell’anno quando tra loro non scorreva buon sangue.
Lei si strinse nelle spalle. –Un po’ meglio. Sarà stata colpa dell’allergia.- si giustificò, credendoci appena lei stessa. Non era mai stata allergica a niente in tutta la sua esistenza, ma grazie al cielo Jared non la conosceva da abbastanza tempo per saperlo.
L’uomo finalmente fece un passo avanti, quasi trattenendo il respiro. Si sentiva avvolto nell’incertezza ed era insicuro di qualsiasi gesto compiesse.
Peggio che ai primi appuntamenti.
La ragazza si allarmò immediatamente. Cosa doveva fare? Era pronta per affrontare la realtà o doveva fingere? Come si fa finta di essere innocenti?
Sentiva che se gli avesse permesso di toccarla, sarebbe stata la fine. Si sarebbe aperta come una pesca davanti a lui e gli avrebbe sviscerato tutte le sue colpe, ma non era ancora il momento.
-Devo andare.- disse frettolosa, indietreggiando verso la porta.
-Kim, per favore, aspetta.- c’era qualcosa in quella voce meravigliosa che la indusse a fermarsi sebbene si trovasse in una situazione di “pericolo”. Ritenne che fosse quella nota di imploro a convincerla. Non capiva come una persona cattiva come lei, potesse portare uno come lui ad implorarla di restare.
Lo guardò appena mentre le chiedeva. -Cosa c’è che non va?-
“Io”. Urlò una voce dentro di lei. “C’è che sono una persona terribile e ti ho tradito” che sopperì con un falsissimo –Niente.- portando il professore a sbuffare e scuotere il capo.
-Ok, se non c’è niente allora perché mi stai evitando?-
-Non ti sto affatto evitando!- esclamò l’alunna, con un tono fin troppo veritiero per star mentendo.
-Ah no? Le chiamate, la scuola, oggi pomeriggio.. non riesci neanche a guardarmi in faccia!- ribatté Jared, dando un mezzo pugno alla cattedra.
Kimberly, per quanto le costasse fatica, si impose di guardarlo fisso. Forse le riuscì un po’ più semplice per il fatto che lui ora non la guardasse più.
-So che l’altro giorno ti ho ferita..- le disse con tono sconsolato. –Permettimi solo di rimediare. Dammi occasione di parlarne meglio insieme, non ti chiedo altro.-
Kim pensò di star sognando; quello cui stava assistendo era sinceramente incredibile. Il senso di colpa di Jared lo stava seriamente accecando, al punto da non fargli minimamente dubitare di lei, ma di prendersi tutta la responsabilità per le azioni della ragazza.
Quanto poco lo amava in realtà rispetto a quanto la amava lui, se ne rese conto solo in quel momento.
-Va bene.- mormorò lei con le lacrime agli occhi.
-Oggi pomeriggio?- propose il professore, con gli occhi nuovamente luccicanti di speranza.
Kimberly annuì, e si sorprese nel realizzare che quelli fossero gli ultimi attimi in cui lui l’avrebbe guardata con quel calore. Era strano essere consapevole di quanto manchi prima che le cose finiscano, prima ancora che succeda.
Erano gli ultimi attimi in cui sarebbero stati insieme. Dopo il pomeriggio, lui non l’avrebbe più voluta.
Ci volle tutta la forza di volontà che aveva in corpo, ad indurla ad avanzare verso l’uomo. Sporse una mano e gli accarezzò il volto.
La guancia era ruvida a causa della barba ispida che ormai da qualche giorno cresceva indisturbata; la pelle del viso era calda; i scuri capelli stavano crescendo, andando quasi a nasconderle la vista degli occhi, azzurri e limpidi come il cielo nelle cartoline.
Quello spesso era finto e modificato al computer, i suoi occhi invece erano veri e profondi. Se avesse potuto esprimere un ultimo desiderio, sarebbe stato quello di annegarci dentro.
Jared le rivolse un sorriso di cuore, e le afferrò la mano per portarla alle labbra. Dopo averle lasciato un bacio lieve, lasciò anche lei sola nell’aula dicendole di vedersi alle 2 puntuali nello stesso posto.
 

*

 Mentre lo attendeva, pensò alla prima volta in cui si era trovata in quella situazione, a guardare fuori dalla finestra, lo stomaco in subbuglio e il morale a terra in attesa che il professore di musica facesse capolino dalla porta per trascorrere con lei un intero pomeriggio di noia.
Quanto avrebbe voluto tornare indietro.
La pesantezza di un’altra presenza nella stanza si fece spazio in lei, portandola a voltarsi di scatto.
Jared dalla porta, la stava fissando in quel modo enigmatico e compiaciuto di tanto tempo prima.
Era così bello, fin dalla prima volta che l’aveva visto aveva pensato che fosse l’uomo più bello che avesse mai visto.
Inoltre conoscendolo, aveva appurato anche di quanto fosse buono, come se quella bellezza interiore fosse troppa e si fosse riversata anche sul suo aspetto. La sua bellezza eterea lo avvolgeva come uno strato di glassa.
Lei non si sarebbe mai meritata un suo perdono.
In un impeto di coraggio, gli si avvicinò a lunghi passi, fino a trovarsi davanti a lui. –Jared, dobbiamo parlare di una cosa importante.-
L’uomo sospirò, come quando un momento tanto temuto, ti si presenta davanti. Si tolse la borsa a tracolla e la posò sul banco più vicino, per poi posare entrambe le mani sulle spalle della giovane.
-Lo so Kim, sono giorni che ci penso e ho capito cosa ti sta succedendo.-
Lei lo guardò impaurita, pensando di essere stata scoperta prima ancora che potesse confessare i suoi peccati.
-Di cosa parli?- gli chiese, il cuore che le pulsava in gola.
-Tu non riesci a perdonarmi per l’altro giorno.- rivelò lui con un’assolutezza che lasciò l’alunna a bocca aperta.
-Cosa?!- esclamò lei, non sapendo se sollevata o frustrata per il fatto che lui in realtà non avesse capito un accidenti.
-E’ per questo che mi stai evitando, non fingere. E ne hai tutte le ragioni, mi sono comportato da stupido.-
Kimberly prese a scuotere la testa, incredula di fronte a quelle parole autoaccusatorie: questo rendeva il tutto decisamente più complicato.
Portandosi le mani sulle tempie si allontanò da lui di qualche passo. –No, tu non capisci..-
-Sì che capisco Kim. So che ti aspettavi una reazione decisamente diversa, una risposta che meritassi sul serio.- sembrava convinto di quello che diceva, e questo distruggeva ancora di più la ragazza.
-Jared, per favore lasciami parlare..-
-Ho pensato molto in questi giorni: avevi ragione a dire che non potessi avere una minima idea di cosa provassi per te e mi dispiace per non averti dato quello che volevi.. dovevo solo rifletterci un po’ di più.- lui, imperterrito, continuava senza badare minimamente a Kimberly.
-Jared, per favore! No, non dire niente!- insisté lei, portandosi anche le mani davanti alle orecchie, come se questo potesse fermarla dal sentire le sue parole.
Quello che stava tentando di dirle era stato chiaro fin dalla prima parola. Il modo in cui la guardava, il modo in cui le parole scorressero fluide da quelle labbra, lasciavano chiaramente intendere che fosse un discorso a cui aveva pensato più e più volte.
-Calmati e ascoltami un attimo.- le ordinò con dolcezza il professore, prendendole il volto tra le mani. –L’ho capito nonostante fosse chiaro da molto tempo ormai. Ti amo anch’io, Kim. Ti amo con tutto me stesso.-
Non avrebbe potuto dire altro, non avrebbe potuto dire nient’altro di così perfetto da straziarle il cuore in quel modo.
-No..- mormorò Kimberly, con la voce spezzata dalle lacrime che cominciarono a rigarle il viso con una tale potenza da toglierle il respiro. –No!- esclamò infine, con sgomento più che con rabbia. –Non puoi dirmelo così! Non puoi dirmelo adesso, Jared, accidenti!-
Lo sguardo che le rivolse fece chiaramente intendere quanto si aspettasse una reazione del tutto diversa. –Cosa vuoi dire?-
-Che tu non puoi amarmi!- era sconvolta e ogni parte di lei lo esprimeva molto bene. –Non dopo quello che ho fatto!-
-Ma cosa stai dicendo?- lui sembrava non cogliere minimamente il senso che stava dietro quelle parole, sembrava non ascoltarla affatto. –Stai forse insinuando che stia fingendo? Che i miei sentimenti non siano sinceri?-
-Jared no! Vuoi ascoltarmi per un momento?-
-No, se non la smetti di dire cose senza senso.- rispose, dandole perfino le spalle, stupito di fronte al comportamento della ragazza. Finalmente si era aperto e lei stava dando i numeri. Niente avrebbe potuto stupirlo di più.
-Domenica non ho studiato, ho visto Christopher.-  

La voce disperata arrivò alle orecchie del professore come una sassata sui denti. Si era sbagliato: ora niente avrebbe potuto stupirlo di più.
Si voltò lentamente, sperando di non aver capito bene. –Cosa?-
Il viso rosso e inondato di lacrime di Kim lo fece desistere dal pensare che si trattasse di uno scherzo.
Senza che potesse rendersene conto, la faccia gli si contorse in un’espressione carica di dolore e si portò una mano davanti alla bocca come quando non sai cosa fare, non sai cosa ti sta succedendo e hai come l’impressione di non riuscire a controllare i tuoi movimenti.
Se non si fosse controllato, avrebbe sfondato le pareti in cartongesso dell’aula.
-E cosa è successo?- chiese con voce più neutra possibile, come per darle un’altra possibilità prima di giungere a conclusioni affrettate.
L’aveva già fatto in passato e aveva sempre sbagliato. Doveva darle solo un’altra possibilità e le cose si sarebbero chiarite.
Eppure non riusciva a guardarla in faccia.
Kimberly pensò più volte a cosa dire, e sebbene avesse pensato un milione di volte alle parole da usare, improvvisamente si sentì come presa in contropiede.
Del resto, quali erano le parole giuste da usare per rendere qualcuno consapevole di essere stato tradito?
Optò per tralasciare gli inutili preamboli e andare direttamente al sodo. –Ci siamo baciati.-
Il professore non mosse un muscolo e rimase in silezio per diversi minuti, come a ponderare le parole usate dalla ragazza o che avrebbe voluto usare lui.
Gli venne in mente, ironia della sorte, quando si era trovato in una situazione analoga con Anya, e di come lei gli avesse confessato i suoi ripetuti tradimenti tra le lacrime.
Allo stesso modo, di fronte a Kim, si trovò a domandarsi perché diamine fossero loro a piangere, sebbene in entrambi i casi il cuore spezzato e calpestato fosse il
suo.
-E’ ricomparso casualmente domenica?- la sua voce sembrava provenire da un luogo privo di luce.
Questa sarebbe stata la parte più difficile, ed era anche quella che Kimberly temeva di più.
Scosse il capo. –No. Ci sentiamo da qualche mese.-
Intravide gli occhi di Jared chiudersi in una smorfia di dolore insopportabile. –Da.. qualche mese?- ripeté. –Esattamente da quanto Kim? Da prima o dopo che scoprissi di Anya? Da prima o dopo che mi facessi sentire un mostro per aver dubitato di te?- erano domande retoriche, ma per qualche motivo l’alunna decise di confermare le sue ipotesi.
-Da prima.-
L’uomo sollevò il capo, come se avesse appena realizzato il colmo di tutta quella situazione. –E non me l’hai detto.-
Gli scappò un mezzo sorriso non ben identificato, tra l’incredulo e lo soncertato. –Mi hai fatto sentire un verme per averti nascosto certe cose.. mentre tu mi stavi mentendo spudoratamente.-
Non poteva crederci. Avrebbe creduto a tutto, perfino che a notti alterne si potesse trasformare in un unicorno; ma non che la sua pura, adorata e perfetta Kimberly gli stesse nascondendo che si sentisse col suo ex.
Lei era pienamente consapevole di tutta quella serie di cose, ma sentirle ora ad alta voce per la prima volta, le fece apparire quelle azioni come estranee e spaventose.
-Lo so, Jared!- non sapeva chi glielo avesse dato, ma aveva trovato il coraggio di avvicinarsi a lui. -Ho sbagliato e non l’ho mai davvero capito.-
-Dimmi solo perché.- disse lui improvvisamente. -Perché non me ne hai parlato?-
-Perché non avresti capito.- rispose prontamente la ragazza. –E me l’avresti impedito.-
Le rifilò un’occhiata affilata. –E dimmi, col senno di poi, avrei anche avuto torto?-
Lei scosse semplicemente la testa, trovandosi completamente sprovvista di voce. Aveva sbagliato tutto.
Il silenzio fu interrotto da un profondo sospiro del professore. –Devo andare.-
Il panico si fece rapidamente spazio in Kimberly, nel rendersi conto che avrebbe voluto fermarlo, dirgli qualsiasi cosa, ma dal momento che gli avesse mentito, niente sarebbe stato veritiero alle sue orecchie.
-Jared..!- esclamò semplicemente, sporgendo le mani come a toccarlo, ma si fermò appena prima. –So che non potrai mai credermi, ma cerca di capire.. Domenica io ero sconvolta e non capivo neppure cosa stessi facendo!- si rendeva perfettamente conto di come quelle parole risultassero banali e false alle sue
stesse orecchie, ma in quel momento avrebbe detto qualsiasi cosa.
Lo vide scuotere il capo e voltarsi lentamente nella sua direzione. Quella fu la prima volta da diversi minuti che si guardarono negli occhi e un flashbak attraversò la mente della ragazza.
Le venne in mente l’ultimo giorno di gita, quando aveva scoperto Jared fissare il cartellone della modella con quello sguardo vuoto e sgomento.
L’uomo più triste che avesse mai messo piede in un aeroporto.
Lo stesso sguardo che si era ripromessa non gli avrebbe mai causato.
-Non è per domenica. Tu mi hai mentito per mesi, proprio come Anya. Non è il tradimento in sé ad ammazzarmi, ma come tu mi abbia preso in giro.
Come io non avevo capito niente, per l’ennesima volta, di una persona. E di come, per l’ennesima volta, io mi sia innamorato della persona sbagliata.-
Cosa poteva dire? Qualsiasi cosa in quel momento, sarebbe stata fuori luogo e priva di significato.
-Mi dispiace.- lo disse con un tono talmente basso che lei stessa fece fatica a sentirlo.
-Anche a me.- la decisione che aveva nel tono, le fece perdere qualsiasi speranza. Sapeva quello che stava per sentirgli dire e non ne era pronta. Non lo sarebbe mai stata.
-E’ finita, Kimberly.-

 La fine del mondo sta
Vibrando nel fiato corto di un respiro
Stuprando ogni battito

 Brucio in silenzio.

Note finali: Et voilaaaaa!
So che sono in ritardo di qualche giorno, ma meglio del solito no? In ogni caso questo è un capitolo tanto aspettato e tanto agognato, spero si aver risolto alcuni dubbi che mi erano stati posti, tipo per quale motivo non avevo ancora fatto dire la verità alla cara Kim che era sempre passata per la santarellina di turno.
Eccovi la risposta, signore. Questo era il motivo che la mi amente malata aveva partorito, dovevo dargli un serio motivo per lasciarsi (ççççççççç_____________çççççççç) 
Che tristezza quando scrivi di due persone che si lasciano. Ti odi da solo ed è una situazione bizzarra. A metà capitolo ero tentata di cambiare idea e cancellare questa idea, ma poi mi sono detta NO, ho un piano e devo rispettarlo.
Allora, che ne pensate? Abbastanza tragico? Deludente? Speravate in qualcosa di più cattivo?
Vedrete che avrò modo di rifarmi LOL

La canzone è sempre dei Blastema (dovrebbero amarmi per tutta la pubblicità che gli faccio) avrei potuto cambiarla, è vero, ma è tanto che pensavo di abbinarla a questo capitolo e dato che mi piace tantissimissimissimissimissimissimissimisssimissimo, ecco a voi La fine del mondo.
Abbastanza tragica no?

Bene, io ho finito, ho scritto anche abbastanza per oggi (il capitolo l'ho scritto questo pomeriggio e mi è uscito più lungo del previsto) (quale novità) fatemi sapere come al solito e ricordate che critiche/commenti/consigli/bestemmie sono sempre accetti 

xoxoxoxoxo

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Capitolo 74
*** Capitolo 74. ***


Capitolo 74.

And I’d give up forever to touch you
Cos I know that you feel me somehow
You’re the closest to heaven that I’ll ever be
And I don’t wanna go home right now

 Sentii un tonfo di fronte a lei e sollevò il capo senza troppa fretta, incrociando gli occhi indispettiti di Gwen.
-Kiiiim? Ci sei?-
La ragazza scosse la testa. –Non ho sentito, scusami.- rispose con tono piattissimo, richiamando a sé tutta la concentrazione necessaria per prestare sufficiente attenzione alla compagna per almeno la prossima frase.
Questa sbuffò con un’espressione desolata. –Kim, io posso capire come ti senti e mi scoccia essere proprio io a ricordarti che tra un mese o poco più abbiamo gli esami finali.- si era allungata sul tavolo, afferrando l’avambraccio di Kimberly, con fare comprensivo. –Ma serve un po’ più di sforzo da parte tua se vogliamo ripassare tutta storia.-
La mora dal canto suo fu costretta a chiudere gli occhi e portare entrambe le mani a reggerle la testa. –Non ce la faccio, Gwen.-
L’altra si lasciò sfuggire un verso divertito. –E chi ci riesce a studiare il programma di tutto l’anno di tutte le materie? Non sentirti sola.- ribatté nel tentativo di sdrammatizzare.
Stare in compagnia di Kimberly ultimamente era come passarlo con un cadavere. O peggio, era come trascorrerlo con qualcuno reduce da un tristissimo funerale. Per quanto si sforzasse di non parlarne o di distogliere l’attenzione da quel fortissimo lutto, sembrava tutto inutile. Era una cosa che non si poteva non sentire, con l’amica in quello stato catatonico era impossibile non percepire l’urgenza di quell’incredibile tristezza e voltente o nolente, il fantasma pareva continuamente aleggiare su di loro.
Kim non si era scomposta da quella posizione chiusa. –Non è quello.- brontolò finalmente, il tono incrinato fece intendere alla bionda che si sarebbe rimessa a piangere nel giro di poco. Non faceva altro da una settimana circa. –Non riesco a concentrarmi su niente, Gwen. È una situazione stranissima, non importa quello che sto facendo o con chi sono, che stia leggendo un libro, guardando un film, parlando con mia madre.. all’improvviso mi blocco e torno in quell’aula con Jared.- spiegò togliendosi infine le mani da davanti il volto. –Ripenso a quello che ci siamo detti. A quello che avrei potuto dirgli. Al suo sguardo.
L’avessi visto Gwen..- concluse con un sospiro, poggiando la schiena contro la sedia in legno.
Per lo meno non stava piangendo, pensò con un cenno di conforto la compagna. Se solo l’avesse ascoltata, se lo era ripetuto nella testa un miliardo di volte, se solo Kimberly l’avesse ascoltata quando avevano già discusso sul perché stesse tenendo nascosto a Jared il suo contatto con Christopher.  Se solo le avesse dato retta.
Ogni volta, sebbene il tipico “te l’avevo detto” le si era poggiato sulla punta della lingua, Gwen era sempre stata capace di ingoiarlo. Infilzare la punta di una lama in una piaga già aperta e dolorante non sarebbe stato gentile in nessun caso.
-Kim, smettila di torturarti così.-
-Come?- le chiese subito l’altra, quasi si aspettasse una formula magica in risposta.
Eh. Bella domanda. Come smettere di dannarsi dopo aver ferito una persona? L’unica risposta plausibile era essere mentalmente instabili, ma non era un’opzione attuabile.
Si strinse nelle spalle. –Devi pensarci il meno possibile e lasciare che il tempo faccia il suo lavoro.-
-Non riesco a pensare ad altro!- ribadì Kimberly, lentamente e con gli occhi bene aperti, quasi a voler far arrivare a Gwen il meglio possibile quello che volesse intendere. –Non so neanche come spiegartelo. Non è come quando litighi con una persona e per tutto il giorno seguente pensi a come avresti potuto gestire meglio a tuo favore lo scontro. È come se Jared si fosse impossessato della mia anima o qualcosa del genere, e ogni volta che gli pare, sia che sia impegnata o concentrata, sia che non stia pensando a niente, torna a infierire.-
Il modo deprimente in cui parlava senza lasciare che la tristezza prendesse il sopravvento, fecero seriamente tentennare Gwen. Era tremendo consolare le persone, soprattutto quando avevi terminato la scorta di pillole di saggezza e i casi erano estremamente disperati.
Kimberly era un caso perso, aveva riconosciuto la sua colpa e probabilmente era questo a tormentarla.
Quante volte nel giro di quella settimana avrebbe voluto parlare con Jared, fermarlo per i corridoi, chiamarlo a casa solo per dirgli per l’ennesima volta che le dispiaceva! Non le interessava che lui la volesse di nuovo, avrebbe semplicemente desiderato che la perdonasse. O che smettesse di odiarla.
Il problema era molto più profondo di tutte le volte in cui si era trovata a chiedere scusa, però. Questa volta le sue parole alle sue stesse orecchie rimbombavano come grosse, enormi, stratosferiche bugie. E se era così per lei, non poteva immaginare come fosse per Jared.
Aveva tradito la sua fiducia e se c’era una sola cosa che aveva imparato da che si trovava al mondo, era che in un persona si poteva distruggere tutto senza avere più o meno ripercussione, tranne la fiducia.  Era l’unica cosa che non si sarebbe mai più ricostruita.
Le era successo più volte con altre persone, le quali le avevano fatto torti più o meno grandi e sebbene poi i rapporti si fossero riallacciati fu più forte di lei notare come le cose non fossero più le stesse e non ci fosse niente che potesse fare.
Ogni volta che queste parlavano, era come se le sentisse ma non le ascoltasse. Sentiva, percepiva e capiva quello che le veniva detto, ma era come se lo filtrasse e credesse ad 1/3 del contenuto.
E le era venuto naturale, un meccanismo che nel giro di poco tempo aveva cominciato a non notare nemmeno più; come se quella determinata persona non meritasse di essere ascoltata anche per quei 2/3 di contenuto rimanenti. Non si fidava più, punto.
-E poi nei litigi in generale puoi recuperare. Io ho perso tutto e non posso più rimediare.- probabilmente era il fatto di dover convivere con questo pensiero a frustrarla più di tutto. Non avrebbe mai potuto chiarire con lui, scusarsi, riappacificarsi.
Era andato tutto perso.
Gwen sentì un’estrema urgenza di tirare un profondissimo e lunghissimo sospiro.  Tutta quella tensione l’avrebbe fatta invecchiare a vista d’occhio.
In uno slancio di egoismo constatò di essere felicissima di non trovarsi al posto dell’amica, ma lo ricacciò subito indietro. Che pensiero idiota per una situzione del genere.
-Devi solo dargli tempo, Kim. Vedrai che piano, piano le cose si aggiusteranno e tu riuscirai a rimediare in un modo o nell’altro.- non era chissà che credibile come frase, ma la ragazza aveva seriamente perso le sue capacità. Kimberly le aveva esaurite.
L’amica le lanciò un’occhiata scettica. -Ma se non riesce neppure a guardarmi! L’altro giorno a lezione si stava facendo venire il torcicollo per non distogliere lo sguardo dalla sua cattedra, quando l’ho trattenuto con una stupida scusa durante l’intervallo.-
Gwen corrugò la fronte, dubbiosa. –Aspetta. Quindi ci hai parlato.- questa non la sapeva.
Kim si strinse nelle spalle. –C’ho provato.- disse sottovoce, esprimendo tutta la delusione che sentiva nel pensarci. –Qualsiasi cosa tentassi di dire non ne voleva sapere di uscirmi dalla bocca. Cosa potevo dire? Mi dispiace? Non volevo? Io ti amo, credimi?- elencò le possibili frasi con un evidente disgusto nel tono, per poi abbassare lo sguardo sulle proprie mani. –Niente aveva senso. Come se non conoscessi il significato di quelle frasi, suonavano finte e artefatte senza nemmeno che mi prendessi la briga di pronunciarle.-
-Quindi? Cosa vi siete detti?- domandò la compagna, impaziente.
-Gli ho semplicemente detto che ero consapevole del fatto che non credesse ad una parola che uscisse dalla mia bocca, ma che dei miei sentimenti non doveva dubitare. Io lo amavo e gliel’avevo dimostrato in più occasioni.-
Gwen si sentì soddisfatta per il passo avanti che aveva compiuto Kimberly. Dal piangersi addosso all’azione era un grande progresso. Avrebbe quasi esultato, sentendosi così tanto in colpa Kim pensava di non poter fare nulla per farsi perdonare, diventando quindi una vittima delle sue azioni estremamente passiva.
Ogni tanto Gwen avrebbe voluto spronarla, urlarle “fa qualcosa, maledizione!”; solo che non spettava a lei e poi era troppo depressa per ascoltarla. Il fatto che lo avesse affrontato, le diede di nuovo speranza.
–Hai visto che ce l’hai fatta? E lui?-
Kim prese un grande respiro, prendendo a mordersi le labbra. Le parole di Jared se le ricordava perfettamente e anche in quel momento le risuonavano nella mente, ripeterle ad alta voce però avrebbe sicuramente comportato un impatto emotivo che non sentiva di riuscire affrontare.
Tuttavia trovò la forza. –Ha detto..- deglutì. –Ha chiesto come poteva credermi. Ha detto che se i miei sentimenti fossero stati veri, se davvero lo avessi amato, non lo avrei mai demolito.-  fece una breve pausa per controllarsi dal piangere. -Ha detto che lui si sente rovinato, distrutto, smantellato, devastato. L’amore
non fa questo, chi ama non fa questo.-
-Accidenti.- fu tutto quello che Gwen riuscì a sussurrare. Aveva ufficialmente finito le buone parole per farla sentire meglio. Un discorso del genere non avrebbe mai trovato un rivale in grado di rincuorarla.
Kimberly annuì lentamente. –E’ meglio che vada, non ti faccio studiare così.- e prese le sue cose con una tale rapidità che portò Gwen al desistere dal chiederle di rimanere.
 

*

 Jared camminava assente per i corridoi della scuola, con il fare distratto caratteristico degli ultimi giorni.
Si chiese vago come si potesse pretendere il contrario da lui, quando le persone che gli stavano accanto glielo facevano notare. “Sei troppo distratto” avevano l’eccessiva e non necessaria accortezza di sottolineare tutti: colleghi, alunni, suo fratello.
Vorrei vedere voi, avrebbe voluto rispondere ogni volta. Invece si scusava sommessamente e cambiava discorso.
Fare il suo lavoro era diventato il principale motivo di distrazione. Come poteva, quando entrava nell’aula di Kimberly, condurre una lezione senza perdere pezzi?
L’umiliazione che sentiva ogni minuto della sua esistenza lo portava ad essere distratto. Distraendosi riusciva a ricomporsi ogni volta che un ricordo veniva a trovarlo nel bel mezzo del nulla, facendolo sentire ancora più stupido di quanto si era sentito ultimamente.
Era sempre stato il suo modo per affrontare il dolore: non pensarci. Cercare, ogni volta che questo imperterrito tentava di farsi spazio in lui, di glissare; di cambiare idea, pensiero, frase, discorso, casa, lavoro, vita.
Era una specie di meccanismo di difesa. Evitare il motivo di strazio era l’unico modo per lui di continuare con la sua esistenza, di sopravvivere.
O si distraeva o si uccideva. Probabilmente no, ma vedendola così almeno aveva una scusa in più per rifugiarsi ulteriormente nella sua distrazione.
Si scontrò con una persona e quasi non se ne accorse, se non fosse che questa gli rivolse uno sguardo contrariato. –Ehi, attento a dove vai amico.- borbottò il ragazzo con fare distaccato. Jared bofonchiò uno –Scusa.- e proseguì per qualche passo prima di voltarsi con espressione criptica.
E questo da dove saltava fuori?
-Posso esserti d’aiuto?- gli chiese quindi, notando che davanti a lui ci fosse o un alunno nuovo (strano, calcolando che la scuola era praticamente finita) o un ragazzo che si era perso, dal momento che non l’avesse mai visto nella sua vita.
E quella scuola era fin troppo piccola per dimenticarsi delle facce.
-No grazie, la vecchia dietro il bancone ha detto che mi raggiunge subito.- rispose questo con fare ironico, indicando la postazione in cui di solito si poteva vedere la segretaria.
Jared lanciò un’occhiata non troppo sorpresa nel vedere che la donna non fosse dove ci si aspettasse di trovarla. –Fa sempre così, specialmente quando ci sono delle urgenze. Scompare.-
Lo sconosciuto sorrise assecondandolo. –Però immagino che quando non serve ve la troviate spuntare alle spalle come un fungo!-
-Proprio così.- rise il professore. Sembrava simpatico il ragazzo. –In ogni caso, cosa ti serve?-
-E’ così evidente che non studio qui?- chiese l’altro scherzando.
Jared fece spallucce. –Ci sono talmente pochi ragazzi in questa scuola che si tende a socializzare per solidarietà. Ti avrei già visto.- sorrise di rimando allo sconosciuto, il quale alzò le mani in segno di resa. –Ok, sono stato scoperto. Anche se un po’ mi dispiace non frequentare qui.- continuò eloquentemente, indicando un paio di alunne che in quel momento gli passarono accanto tra una chiacchera e l’altra.
Il professore ghignò. –Non è così bello come si pensa, credimi. Le donne ti fanno uscire di testa.-
Il ragazzo annuì con un’espressione colpevole. –Vero.-
-Perché sei qui?-
Lui si strofinò le mani, imbarazzato. –Per una ragazza. Ho fatto un casino e vorrei parlarle per vedere se possiamo darci un’altra possibilità.-
Leto lo guardò colpito. Erano discorsi importanti per quell’età. –Wow, devi tenerci molto.-
-In effetti sì.- quel sorriso imbarazzato non voleva andarsene. –Io e Kimberly ci conosciamo da così tanto che sarebbe un grandissimo errore se non tentassi di sistemare le cose.- ma Jared non lo stava più ascoltando dalla terza parola.
Tra tutti i nomi che poteva sentirgli dire, Kimberly era proprio l’ultimo. Pensò di esserselo immaginato dal momento che quella ragazza era tutto quello che aveva per la testa da 6 mesi a questa parte. –Scu.. scusa, puoi ripetermi il nome?-
-Il suo nome Kimberly.-
L’uomo appoggiò la chitarra al suolo contro la parete, cominciando ad accarezzarsi i lati del volto dove la barba stava crescendo senza problemi da un po’. Oh cazzo, pensò. Oh, cazzo cazzo.
E adesso?
-Posso sapere chi la cerca?- gli domandò, sprecando l’ultimo centimetro di calma aveva conservato quasi in vista di un momento come quello.
Il ragazzo gli rivolse un’occhiata infastidita e curiosa. Sembrò percepire qualcosa cambiare nel professore e si mise sulla difesa. –Perché scusi? La conosce? Comunque mi chiamo Christopher.- 

Si era immaginato diverse volte di trovarselo davanti. La personificazione del tradimento di Kimberly, il ragazzo che aveva amato al punto da rinnegarsi per mesi. L’aveva vista soffrire, piangere, disperarsi, spegnersi a causa dell’omuncolo che si trovava ora di fronte a lui, a fissarlo di rimando con un’espressione criptica.
L’aveva amato così tanto da non essere mai riuscita a mettere una pietra sulla loro relazione e appena ne aveva avuto l’occasione l’aveva riassaporata.

-Porca miseria.- sussurrò l’uomo senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso.

Se l’era aspettato diverso, ad essere sincero. Era più alto di lui di parecchi centimetri, i capelli erano tenuti corti e in mezzo al volto c’era questo paio di occhi immensi e di un colore neutro nei quali poteva scorgere la sua immagine.

-Cosa?- chiese Christopher sconcertato dalla reazione che l’uomo stava avendo, solo dopo aver sentito il suo nome. –Cosa c’è? Chi è lei?-

Il professore si morse il labbro inferiore, distogliendo finalmente lo sguardo da lui. Era sicuro come poche cose che il ragazzo aveva saputo della sua esistenza mentre si era tenuto in contatto con Kim in quei mesi. Chissà se anche quella famosa domenica lui era a conoscenza del fatto che stavano ancora insieme? Non si era mai chiesto, tra le varie cose, e per motivi abbastanza ovvi, chi dei due avesse preso l’iniziativa.

Tornò a puntare gli occhi ghiacciati nei suoi. –Io sono Jared.-

La reazione che lesse negli occhi del ragazzo gli fece perfettamente intendere che sapesse chi fosse “Jared”; per questo fu più forte di lui sollevare il gomito e affondare un pugno secco contro lo zigomo di quello stangone che credeva di poter fare di Kimberly quello che desiderava.

Se l’avesse rivoluta avrebbe prima di tutto dovuto passare sul suo cadavere. 

And I don’t want the world to see me
Cos I know think that they’d understand
When everything’s make to be broken

I just want you to know who I am

Note finali: ce l'ho fatta.

Non avete idea della fatica che ho fatto per scrivere questo capitolo che per inciso -non doveva uscire così, ma va bene, vediamo cosa succede da questa nuova sparata
- finisco per ripetere sempre le stesse cose.
E' un periodo in cui non sono (tocchiamo ferro, corna a manetta, accendiamo un cerino) triste, e per me è fondamentale sentire il sentimento che voglio esprimere per essere ispirata. Se nella mia testa c'è solo "oh che bello, posso dormire quanto voglio perchè tanto non devo più studiare" non riesco ad espirmere niente di tragico e credo che i risultati si vedano.
Chiedo venia e spero possiate apprezzare lo stesso, a parte la mancanza di sinonimi e giri di parole sempre uguali, ho fatto del mio meglio.

Sono in estremo ritardo, qualora non ve ne siate accorte. (Sono stra divertente, eh?) E mi dispiace tantissimo, ma ringrazio la vostra impazienza che mi sprona a scrivere.
Ogni tanto ho bisogno di essere messa sotto pressione, se no finisco per rimandare...... come tutto quello che faccio.
Oh, sono un essere umano medio anch'io!

Tornando a noi, che depressione scrivere questi capitoli. Davvero, i personaggi mi fanno di una pena che non sto neanche a descrivervi. Spero di avervi prese in contropiede con l'ultima uscita (Evvai Jared, sfonda il muso a quello sfigato!!) perchè sapete quanto mi piacciono i colpi di scena.
La canzone non sono soddisfattissima, e so che nel secondo esatto in cui posterò questo capitolo me ne verranno in mente un migliaio migliori di questa per il tipo di capitolo, ma come al solito sono nata sfigata e poi è una bellissima canzone, quindi fuck la canzone del capitolo è Iris dei Goo Goo Dolls ♥

E ho rinunciato per sempre a toccarti
perchè so che tu mi senti in qualche modo
tu sei più vicino al paradiso di quel che io sia mai stato
e non voglio andare a casa ora.

Non voglio che il mondo mi veda
perché non penso che capirebbe
quando tutto è stato fatto per essere distrutto
io voglio solo che tu sappia chi sono.

Ok, ho fatto  il mio dovere. Pat pat. Fatemi sapere, fatevi vive, mortificatemi, insultatemi, fate quello che volete ma voglio risposte.
Ah, per chiunque non sia sicuro che la sua opinione sia importante o vuole rimanere nell'ombra per cacchioneso, vi svelo un segreto: più mi fate sapere che ne pensate, più mi date la voglia di continuare.
Chissà, magari la prossima se vedo richiesta non sarò così in ritardo.... ;)
Scherzi a parte, ho avuto i miei impegni  non c'entrate voi. Sappiate che una recensione in più (positiva o negativa/lunga o corta che sia) è un bell'aiuto. Anche perchè io scrivo per voi, se fosse una cosa che mi diletto a fare e basta le sognerei o le scriverei e le terrei nel mio pc ahaha.

Passo e chiudo
xoxoxoxo

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Capitolo 75
*** Capitolo 75 ***


Capitolo 75.
 
All this time I was wasting hoping you would come around
I’ve been giving out chances everytime and all you do is let me down
And it’s taking me this long , baby
But I figured you out
And you think it will be fine again but not this time around.
 
La campanella dell’intervallo era suonata da un minuto e Kim già non ce la faceva più. Era un giorno come un altro, in cui non tollerava quasi nulla che le facesse rendere conto che il suo petto continuava imperterrito a riempirsi di ossigeno, contro la sua volontà.
Ogni volta che qualcosa del mondo dei vivi la faceva uscire dalla sua bolla di vetro, era più forte di lei esalare un sospiro impaziente.
Voleva solo tornare a casa, infilarsi sotto le coperte e tentare di escogitare un piano per sopravvivere quell’ultimo mese di scuola. Nient’altro le importava, non più.
Ricordò di essersi già sentita così, molti mesi prima, e pensò che fosse proprio buffo che la colpa fosse sempre quella di un ragazzo.
Nella sua immaginazione non pensava di essere così patetica, si riteneva una ragazza forte, con la spina dorsale e in più occasioni l’aveva dimostrato.
Quando però si trattava del sesso maschile, non c’era niente che potesse fare: era, evidentemente, il suo punto debole.
C’era chi ci metteva una pietra sopra e ne cercava subito un altro; e poi c’erano quelle come lei che semplicemente smettevano di vivere.
Sopravviveva. C’era reazione più patetica al dolore?
Non poteva neanche essere considerata una “reazione”, il solo termine implicava un’azione, un cambiamento. Qualcosa, insomma.
Lei si lasciava morire lentamente, pur continuando a vivere. Continuava a fare tutto ciò che era comunemente ritenuto buono e giusto fare, come lavarsi, andare a scuola, chiedere scusa se si calpestavano i piedi di qualcuno. Tutto qui.
C’era sinceramente, cosa più patetica?
Non lo sapeva e neanche le interessava, concluse con la testa appoggiata sulle braccia incrociate, stesa sul banco.
Contava i secondi che creavano i minuti che costituivano le ore che la separavano dall’uscita da quell’edificio. Era l’unica azione costruttiva che si impegnava a fare: del resto nel giro di poco avrebbe avuto gli esami finali e non poteva certo presentarsi con il cervello atrofizzato.
Mentre scandiva i secondi tramite il battito delle tempie contro i polsi, un tonfo molto vicino la riportò nel mondo dei vivi per l’ennesima volta.
La bolla esplose in modo alquanto fastidioso e con insofferenza portò lo sguardo all’origine di quel distrurbo. Cosa osava interrompere la sua lenta agonia?
Riconobbe prima su tutto i capelli dorati e lunghi. Gwen.
La ragazza aveva sbattuto i palmi sul banco di Kimberly, e l’agitazione che aveva negli occhi le fece intendere che aveva provato più volte a riportarla alla realtà, e quello che Kim aveva percepito come un tonfo ovattato, in realtà era stata una bella botta.
La mora sbuffò con indifferenza, decisa a tornare nella sua bolla. –Sto bene, non preoccuparti.- si limitò a dirle per rassicurarla: Gwen si sprecava in almeno un tentativo giornaliero di interrompere il lento declino patetico dell’amica, spesso solo per accertarsi che fosse viva, più sporadicamente per informarla di qualche pettegolezzo di cui Kimberly poteva perfettamente fare a meno; ma il codice comportamentale dell’essere umano diceva che per essere tale bisognava che ci fosse uno scambio verbale con un proprio simile. Quindi Kim solitamente si concentrava il minimo per ascoltarla, dimostrarle che non era impazzita e tornare nella sua dimensione apatica.
Ma questa volta il disturbo di Gwen sembrava avere uno scopo. Kim non fece a tempo a riposizionare la testa sulle braccia incrociate che la bionda la interruppe subito.  –Kim è importante, devi venire.-
Come se le stessero chiedendo di fare un’acrobazia un secondo dopo averla svegliata dalla fase REM, Kimberly la guardò scocciata e senza troppo impegno. –Gwen, non mi interessa se Shelley e Logan sono stati sorpresi per l’ottantesima volta nei bagni. Io non vengo da nessuna parte e lo sai bene. Fino alla fine dell’anno il mio scopo è di rimanere zitta e immobile al mio posto e non c’è niente che mi possa..-
-E’ per Jared.- la interruppe con negli occhi una gravità tale, da non farle neppure prendere in considerazione per un istante che la stesse burlando.
Improvvisamente sveglissima, si ritrovò fuori dalla porta dell’aula in un batter d’occhio.
 
*
 
La confusione che trovò nei corridoi la spaventò e la confuse.
C’era una massa di ragazzi e ragazze accalcati e disposti in cerchio, intenti ad osservare qualcosa che ancora sfuggiva alla vista di Kimberly.
Se non fosse stato per la certezza che lo spettacolo di turno coinvolgesse Jared, in quel mucchio non ci si sarebbe infilata nemmeno per tutto l’oro del mondo, anzi se ne sarebbe tenuta il più alla larga possibile.
Certe cose non erano da lei, lei era per i margini, per gli angoli; non per il palcoscenico, l’attenzione e i riflettori.
C’erano urla, tifo, e applausi.
Si voltò verso Gwen. –Ma cosa sta succedendo?- chiese con sgomento, senza essere tanto sicura del motivo.
La ragazza in risposta si morse il labbro inferiore. Provò ad aprire la bocca, a dire qualcosa, ma era come se fosse troppo scioccata per spiegarsi.
Kimberly non aspettò neppure che si riprendesse e si infilò in quella massa, spintonando tra i corpi dei suoi compagni, cercando di farsi strada fino al centro del ciclone.
Quello che vide le tolse qualche anno di vita.
Due persone, accerchiate dagli alunni agitati, si stavano prendendo a pugni. Due portatori sani di testosterone, per essere più esatti.
In uno riconobbe immediatamente Jared, il quale sembrava avere la meglio sull’altro, ma Kim non fece a tempo a tirare un sospiro di sollievo che la situazione si capovolse, portando il rivale in vantaggio a cavalcioni sul professore e a tirargli qualche gancio destro ben ponderato.
E quello era Christopher.
La ragazza si portò le mani alla bocca, in preda allo stupore che però non durò troppo. Doveva assolutamente intervenire.
-Chris, no!!- esclamò immediatamente, lanciandosi verso di loro.
Dal canto suo il ragazzo, sentendosi chiamare, distolse l’attenzione da Jared, il quale ne approfittò per ribaltare nuovamente la situazione sferrandogli un ultimo e diretto pugno che gli spaccò un sopracciglio.
Prima che potesse duplicare la mossa, il professore si sentì afferrare con forza da dietro il gomito e si voltò. Riconoscendo gli occhi terrorizzati di Kimberly si placò immediatamente.
-Kim..- mormorò forse nel lieve tentativo di scusarsi. La ragazza rabbrividì nell’osservare il volto tumefatto dell’uomo: Chris l’aveva pestato per bene.
Le salirono le lacrime agli occhi ma non fece a tempo a rispondere nulla che Christopher si sollevò e gli sferrò una ginocchiata nello stomaco.
-No!- urlò la ragazza con panico puro nella voce. –Chris, smettila!- continuò mettendosi in mezzo e piegandosi sul professore, il quale si era accasciato su se stesso con un rantolo sofferto.
Improvvisamente, come se vedere Kimberly intenta a fermare la rissa gli avesse ricordato cosa fosse giusto fare, intervennero altri compagni maschi a trattenere Christopher, nel tentativo di sventare una ripresa della rissa.
Kim si trattenne dal esclamare un “Finalmente” trovandoli spiacevoli e ridicoli.
Tornò a concentrarsi su Jared, il quale era stato per mezzo minuto con la bocca spalancata nel tentativo di riprendere aria che però sembrava a non riuscire ad inalare.
-Jared, Jared mi senti? Riesci a respirare?- gli chiese lei con gravità non essendo preparata in caso di una risposta negativa.
Fortunatamente non ce ne fu bisogno perché entro la fine del minuto il professore aveva preso a produrre profondi respiri.
-Ma si può sapere che problema hai?!- sbraitò la ragazza all’indirizzo di Chris, sollevata che l’uomo stesse bene.
Il ragazzo si divincolò dalla presa di altri due alunni che cercavano di placarlo, sebbene avesse smesso di fare a botte da un minuto pieno.
-E’ lui che ha cominciato!- si difese subito, scovolto.
Aveva il labbro inferiore e il sopracciglio sinistro spaccati, e lei se la stava prendendo con lui? Che schifo.
Quando altre persone più qualificate cominciarono ad occuparsi di controllare che il professore stesse bene, Kim ne approfittò per avvicinarsi a Christopher. –Cosa sei venuto a fare qui??- domandò quasi urlando.
-Volevo parlarti, sono settimane che mi eviti!-
-Perché non avevo nessuna voglia di vederti! È così che funziona quando non vuoi discutere con una persona di cose inutili, la si evita il più possibile.- spiegò lei sarcastica. –Me lo hai insegnato tu.-
Christopher alzò gli occhi al cielo. –Ancora con questa storia?- chiese esasperato. –Per quanto tempo mi torturerai per quello che è successo mesi fa?-
Kimberly sgranò gli occhi per lo stupore di fronte a tutta quell’arroganza. –Non smetterò mai, Chris. Ti sei approfittato di me, mi hai spezzato il cuore e poi mi hai ancora ridicolizzata non prendendomi sul serio. L’hai gestita talmente di merda che non sono più stata capace di mettere una pietra sopra a quello che c’è stato tra di noi! Hai idea dell’inferno che è stato per me? Hai la minima idea di quanto è stato doloroso imparare a vivere senza di te? Eri tutto per me, Chris. Tutto.-
Il ragazzo scosse il capo, quasi non si rendesse conto di cosa lei si stesse riferendo. –Stavamo insieme Kimberly, ma non ha funzionato! Succede, e riconosco che sia stata mia la colpa. Sono venuto qui oggi per chiederti di riprovarci. Dammi un’altra chance.-
Si avvicinò a lei e le prese le mani. Kim guardò la scena come se non la riguardasse, vedeva le mani che toccavano le sue, ma quasi non le sentiva.
-Tu non ti rendi conto..- mormorò con le lacrime agli occhi. –Hai idea di quante volte ho sognato questa scena? Hai la minima idea?- c’era una nota di disperazione in quella domanda che intimorì Chris.
-Sono qui ora.- disse lui, tutto d’un pezzo. Come se bastasse, convinto che bastasse.
Lei si lasciò scappare una lieve risata. –Rinunciare a te è stato come rinunciare ad una parte del mio corpo, ma non una parte qualsiasi come l’apprendice o un pezzo di fegato, senza il quale è faticoso ma piano, piano torni a vivere come se niente fosse successo e il ricovero diventa solo un ricordo lontano.
Ho rinunciato a te come se avessi rinunciato ad un arto.
Come puoi fare qualsiasi cosa senza che il pensiero voli lì, dove adesso non c’è più nulla?
Perdere te è stato come perdere un braccio intero: l’amputazione mi ha lasciata pietrificata, incredula, confusa e mi ha colta impreparata.
Per un periodo molto lungo ho creduto che la mia vita non sarebbe mai più tornata ad essere la stessa, che io non sarei mai più stata la stessa.
Inizialmente sembrava impossibile sopportare il prurito che sentivo pulsare lì, dove c’era quella mano fantasma, e qualsiasi cosa facessi mi ricordava quella mancanza, che ora non potevo più farla, che mi mancava qualcosa.
Ma nella vita ci si abitua a tutto, ci si adatta e si tira avanti.
Io mi sono adattata, con un arto in meno, senza di te.
Ho imparato a vivere senza quella parte di me e ho accettato che mi mettessero una protesi che ho imparato a conoscere e ad amare.
Sebbene una protesi non potesse rimpiazzare le sensazioni che ti da la sensibilità di un braccio vero e proprio, non c’era più la totale assenza e senso di incompletezza che mi torturava.
Rinunciare a te è stata la cosa più difficile che potessi fare, ma ormai è passata, non ho più un braccio e, ora lo so, non lo rivorrei indietro neanche se me lo offrissero, neanche se me lo pagassero, neanche se me lo ricucissero.
Vivrei sempre nella costante angoscia di riperderlo.-
Christopher seguì il discorso capendo, parola dopo parola, quanto il suo tentativo si trovasse di fronte ad un muro. Quel discorso era un arzigogolato e poetico modo di rifiutarlo, e l’impegno che ci aveva messo per formularlo, gli aveva fatto intendere quanto sarebbe stata inutile qualsiasi richiesta di ripensamento. L’aveva paragonato ad un’amputazione.
Ci rimase male, le lasciò le mani e i suoi occhi finirono dritti in quelli di Jared, il quale era seduto su un gradino poco distante.
Erano solo loro tre nel corridoio, ora. Nonostante le proteste, gli alunni erano stati rispediti nelle classi e a loro era stato dato il permesso di chiarirsi, solo perché dopo il professore e l’alunna sarebbero stati ricevuti per l’ennesima volta dalla preside.
L’uomo aveva uno zigomo rosso, un occhio gonfio e si stava tenendo un fazzoletto per fermare il sangue dal naso. Gli tornò improvvisamente in mente la rissa e il dolore sparso in tutto il volto lo sorprese, d’un tratto.
Gliele aveva suonate di santa ragione, ma doveva ammettere che anche il vecchietto si era dato da fare. Non osava immaginare come fosse ridotta la sua di faccia, non avendo ancora avuto possibilità di specchiarsi.
Mantenne lo sguardo su Jared, fermo a fissarli. Sembrava pronto al secondo round, era sicuro che se avesse anche solo sfiorato Kimberly nel modo sbagliato, se lo sarebbe ritrovato addosso nel giro di un secondo, col gomito alto, pronto a infierire su di lui.
No, grazie.
Poteva tenersela.
-E quindi..- sospirò, dopo quel breve silenzio. –Ora preferisci una protesi.-
Kim sorrise debolmente. –E’ una gran bella protesi. Io la amo e non la cambierei per niente al mondo.- si voltò rapidamente verso il professore, per poi tornare su di lui. –Ora vattene e non cercarmi più, Chris. Non tornare, questa volta.-
Pronunciare quelle parole fu più facile di quanto si aspettasse. Lui era il suo conto in sospeso, ed era tornato ogni volta, probabilmente perché in fondo neanche lei si sentiva pronta.
Ora lo sapeva, doveva lasciarlo andare.
Sconfitto, il ragazzo annuì. –Sii felice, Kim.- disse accarezzandole il volto e facendo un gesto di saluto col capo a Jared, il quale ricambiò suo malgrado.
Che tipo, quel Christopher.
 
*
 
-Mi sembrava di essere stata chiara.- disse la donna con un tono contenuto ma chiaramente sconvolta da quello che aveva permesso accadesse all’interno della sua scuola.
-Quel ragazzo mi importunava.- si affrettò subito a giustificare Kimberly, in difesa delle azioni sconsiderate del professore, il quale le era seduto accanto, abbandonato indifferentemente al suo destino.
Dava l’idea di aver compiuto il suo scopo nella vita e ora non gli sarebbe interessato nulla delle conseguenze; si sentiva realizzato, il resto non contava più.
-Non mi importa il motivo, il professor Leto non doveva agire così, anzi SOPRATTUTTO il professor Leto non era per niente tenuto a.. malmenare un adolescente!- la preside non sapeva se era più scioccata per la rissa o per i protagonisti della rissa. –E se ci denunciasse? Hai pensato per un solo secondo a questa eventualità?- esclamò lei inorridita, all’indirizzo di Jared.
L’uomo, dal canto suo, si limitò a fare spallucce. –Non lo farà.-
Kimberly cercava di apparire il più distaccata possibile, ma avrebbe disperatamente voluto toccarlo, difenderlo fino a che non avesse più fiato in corpo, assicurarsi che stesse bene e medicarlo lei stessa.
Non era stato un gesto eroico, ma era stata lei a spingerlo a farlo e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di prendersi tutta la responsabilità.
Purtroppo però, non sapeva davvero cosa inventarsi per salvargli il posto per la terza volta.
-No, non lo farà.- confermò la ragazza, dando una rapida occhiata al professore.
La preside la captò. –Non vi avevo detto di chiudere qualsiasi cosa ci fosse tra voi due?-
Entrambi annuirono con decisione. –Non c’è niente tra noi, infatti.- fece Leto annoiato. Sembrava davvero che non gli importasse nulla della ragazza, sebbene fino a prova contraria lui era appena uscito da una scazzotata in suo nome.
-Allora questa urgenza di proteggerla da dove ti è uscita?- chiese la donna assottigliando gli occhi, credendo poco a quella facciata indifferente. –Anzi, sapete cosa?- cambiò rapidamente idea. –Non lo voglio sapere. Jared, hai dimostrato di non essere fatto per stare a contatto con i ragazzi, sarà che sei giovane dentro, sarà che ti rispecchi in loro.. in ogni caso questa sarà la tua ultima settimana.-
-No!- esclamò Kimberly, presa dal panico. –La prego professoressa, non lo licenzi. È un uomo istintivo, sa come sono primitivi!-
-Kimberly..- mormorò il professore, con calma.
-No!- Ripeté lei, come se fosse stata data a lei la notizia. –Non può farlo!-
La preside le lanciò un’occhiata di sufficienza. –Veramente, posso.- chissà perché ci tenne a precisarlo.
-Kim..- riprovò Jared, dato che questa non accennava a contenersi.
-No, Jared, no! Non permetterò che tu perda il posto a causa mia.- gli disse con uno sguardo pieno di sentimento negli occhi al punto che la preside distolse lo sguardo, rassegnata.
Era la cosa giusta da fare. Espellere lei ormai non avrebbe avuto senso, non l’ultimo mese di scuola.
E poi era stato lui ad esagerare, ed era tempo che lei trattasse la situazione come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio.
-Kimberly, mi dispiace ma è quello che ritengo giusto fare.-
-La prego, professoressa.- la implorò. –Non gli faccia questo.-
-Kim..- l’uomo allungò un braccio afferrando quello di lei, mostrando finalmente quell’interesse che l’aveva spinto a compiere quella serie di sciocchezze, ma che aveva represso davanti alla ragazza per non darle false speranze di una possibile ripresa.
Lei fissò quel contatto fisico, calmandosi finalmente. Quando portò gli occhi in quelli celesti di lui, si rise conto da quanto tempo non lo faceva e quanto le mancava farlo.
Jared la fissava trasmettendole tutto l’amore che provava per lei e che non era scemato neppure un po’. –Va tutto bene.- le disse infondendole quella calma che soltanto la sua voce sapeva darle. –Va tutto bene, è giusto così. La preside è stata fin troppo clemente con me, è ora che mi prenda la responsabilità delle mie azioni.-
Le lacrime le appannarono completamente la vista, ma si aggrappò alla sensazione del contatto fisico che persisteva tra loro, per non lasciarsi andare in pianti.
Annuì debolmente, assaporando il gusto amaro del fallimento. Aveva tentato di salvarlo fino alla fine, gli aveva dimostrato qualcosa fino alla fine e avrebbe sopportato tutto il dolore del mondo, per quel piccolo momento di considerazione che le stava mostrando.
La preside nel frattempo cercava di tenere gli occhi puntati sulla cattedra. Assistere a questa scena senza dire niente in qualsiasi altro contesto avrebbe significato appoggiarli.
Ma era una donna molto empatica e ormai aveva capito che tra i due ci fosse o c’era stato qualcosa di serio. Sospirò, catturando finalmente l’attenzione di entrambi.
-Grazie per la comprensione, Jared. E per quello che vale, mi dispiace.- concluse, rivolta ad entrambi per poi fargli segno di aver finito.
I due si alzarono all’unisono e si avviarono lentamente verso la rispettiva meta, in silenzio.
-Sei stata carina là dentro.. io l’ho picchiato, non dovevi difendermi.- proruppe l’uomo a metà strada.
Lei fece spallucce. –E’ stata mia la colpa, Jared. Qualsiasi stupidaggine tu abbia fatto qua dentro, la colpa è sempre stata mia.-
-Vero.- constatò lui, senza aggiungere altro.
-E così.. cosa farai?-
Il professore inspirò profondamente. –Mi arrangerò come ho sempre fatto. Troverò altro, magari ne approfitterò per trasferirmi di nuovo, cambiare aria.-
Il cuore di Kimberly si bloccò e così fecero anche i suoi piedi.
Jared si voltò dopo qualche passo per vedere cosa le prendesse, e trovandola immobile a fissarlo con quegli occhi pieni di lacrime, intese perfettamente.
-Non ti vedrò più.- la voce spezzata le tolse il fiato in fondo alla frase. Era tutto quello che riusciva a pensare. Fino a dieci minuti fa le rimaneva ancora un mese, ora le rimanevano sette giorni.
-Kim..- sbuffò lui. –Pensavo che l’avessi immaginato da sola. Del resto non è mai stato il lavoro dei miei sogni. Era destino che non rimanessi qua a lungo.-
La ragazza non aveva la capacità di rispondere, pensare e articolare un pensiero apparivano azioni troppo complesse.
Lo guardò con la speranza che capisse. Che capisse che se fosse riuscita ad aprir bocca gli avrebbe detto di aspettarla per quel mese, che insieme avrebbero ricominciato da capo in un altro posto, si sarebbero fatti una nuova vita; lui era tutto quello che desiderava, di non lasciarla e che lo amava più di qualsiasi altro sogno avesse mai amato in tutta la sua vita.
L’uomo le sorrise debolmente, il cuore di Kim si alleggerì appena vedendo che stava prendendo aria per dire qualcosa. Che avesse capito?
-E’ ora che ti trovi un’altra protesi.- disse semplicemente per poi darle le spalle e proseguire.
 
You don’t have to call anymore
I won’t pick up the phone
This is the last straw
Don’t wanna hurt anymore
And you can tell me that you’re sorry
But I don’t believe you baby like I did before
You’re not sorry, no more.


 
Note finali: Sono viva, sono viva!
Perdonate l'incredibile ritardo, ogni volta sembro voler battere il mio record precedente, ma credetemi non è mia intenzione.
Grazie per la pazienza e grazie per richiamarmi al rapporto.

Spero vi sia piaciuto, e anche se no fatemi sapere che ne pensate.

Alla prossima (se tutto va bene) 
xoxo

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Capitolo 76
*** Capitolo 76. ***


Capitolo 76.

If everything was everything
But everything is over
Everything could be everything
If only we were older

 I giorni seguenti per Kimberly furono un vero e proprio trauma. Ormai la sua bolla di vetro era esplosa, esponendola a tutta la cattiveria che il mondo stava riservando per lei.
Non solo avrebbe dovuto imparare a convivere con la notizia che Jared Leto sarebbe sparito dalla circolazione nel giro di breve tempo; in seguito alla scazzottata del giorno precedente, ora in tutta la scuola si era diffusa la diceria –ormai praticamente appurata- che tra i due ci fosse o ci fosse stata una relazione.
Cosa avrebbe potuto animare di più un pettegolezzo che una presunta tresca tra professore e alunna?
Quando camminava nei corridoi sentiva tutti gli occhi accusatori puntati su di lei e nemmeno in classe riusciva ad avere un briciolo di pace.
Sentiva domande aperte, domande con risposta implicita, accuse che la vedevano come una manovra da parte della ragazza per evitare di studiare e prendere bei voti senza sprecarsi troppo; altri che davano a priori la colpa a lui, dal momento che essendo l’adulto non avrebbe dovuto farsi sedurre e avrebbe dovuto fermare la cosa sul nascere.
O meglio, non avrebbe mai dovuto permettere che accadesse.
Lei poteva anche essere giustificata in un certo senso, l’uomo era estremamente affascinante e l’alunna avrebbe comunque trovato un modo per ricavarci qualcosa da una relazione.
Ma lui? Tutto ciò che era visibile da parte sua era una perversione. Jared Leto era il pervertito della scuola e avrebbe dovuto andarsene al più presto.
Solo in quel momento Kimberly si rese conto di quanto sarebbe stato impossibile per lui rimanere, a prescindere della decisione della preside.
Ormai per lui mancava meno di una settimana e per lei meno di un mese.
Ce l’avrebbe fatta, avrebbe affrontato gli sguardi acidi, le risposte saccenti e i pettegolezzi, si trattava solo di un mese in definitiva!
Entrò nella sua classe e immediatamente tutti gli occhi le furono addosso, colmi di domande implicite.
Per tutti era praticamente chiaro: per quale motivo un professore avrebbe dovuto fare a botte con l’ex di un’alunna, se tra i due non ci fosse stato del tenero?
Il resto della scuola l’aveva dato per scontato; i suoi compagni invece erano ancora allibiti e indecisi sul cosa pensare.
Veniva spontaneo anche a loro immaginarlo, ma non avrebbero voluto giungere a conclusioni affrettate.
E d’altra parte l’amarezza per non averlo capito prima, dal momento che il tutto si stava svolgendo sotto i loro occhi ingenui, si poteva leggere chiaramente sul volto di ognuno.
Questa parte di tutta la faccenda, Kim l’aveva tremendamente sottovalutata.
Cosa aveva pensato prima? Che ce l’avrebbe fatta con le sue forze?
Ma a chi cacchio voleva darla a bere? Non sarebbe mai stata in grado di sopravvivere quell’ultimo mese di scuola senza entrare nel vortice di qualche droga o psicofarmaco.
Sarebbe stata un’altra storia se il professore fosse stato al suo fianco, a proteggerla e sostenerla, ma il caso volle che lei l’avesse fatto incazzare da morire, al punto da rendergli impossibile anche solo l’incrociare gli sguardi senza che lui distogliesse immediatamente il suo.
Si affrettò al suo banco, dove vi trovò Gwen tutta carica di positività e comprensione, la quale la trainò al bagno di modo che i compagni non potessero assalirla con le domande.
-Ho saputo..- proruppe l’amica dispiaciuta. Non sapeva neppure se le fosse permesso precisare di cosa stava parlando. Kim da depressa era talmente imprevedibile.
La ragazza annuì in risposta. –E’ la sua ultima settimana. Se non fosse per gli esami, avrei fatto carte false pur di cambiare scuola.-
Gwen cercò invano qualcosa da dirle per non farle ritenere la situazione tragica come purtroppo effettivamente era.
-Ma dai, tanto non hanno prove..!- disse stupidamente, l’amica le rifilò un’occhiata scettica in risposta.
-Non avranno prove, ma quello che è successo ieri basta e avanza per incriminarci.- sbuffò, sedendosi tristemente sulla tavoletta di un WC chiuso. –Quello che mi fa più rabbia è ciò che verrà spontaneo a tutti pensare di Jared. Che sia un maniaco, che mi abbia costretta o cose del genere.- buttò il volto tra i palmi. –Mi sento talemente in colpa, Gwen.-
La bionda le si inginocchiò di fronte. –Ascolta, so che ti viene difficile capirlo, ma questa volta non è davvero colpa tua. Chi poteva immaginarsi che Christopher si presentasse qui e che lo ricevesse guarda caso proprio il professor Leto il quale, assetato di sangue, perdesse la testa in quel modo?-
Le accarezzò un ginocchio per sostenerla. –Nessuno poteva prevederlo, Kim. Questa volta è stato il professore ad esagerare.- e a farli smascherare, ma non lo aggiunse per non aggravare la situazione.
Kimberly sospirò forte, sentendosi estremamente nervosa.
Si ricordò improvvisamente che alla terza ora avrebbero avuto proprio musica.
Il terrore di quello che sarebbe potuto succedere le fece venire la pelle d’oca.

 

* * *

 Quando il professore entrò in aula, il silenzio che calò sugli  alunni era a dir poco spettrale. La tensione era quasi palpabile e il cuore di Kimberly non ne voleva sapere di darsi una calmata, battendole così forte da farle perdere quasi la concezione dei rumori esterni.
Leto dal canto suo, si mostrò irrealmente calmo e calato nella sua parte di professore. Era davvero convinto di potersi prendere gioco di tutti? Era convinto che fossero tutti così scemi?
Sebbene Kim lo sperasse con tutta se stessa, trovò sinceramente inutile provare ad illudersi.
Il professore di musica cominciò a spiegare l’ultimo capitolo del libro che avevano in programma, con fare apparentemente tranquillo.
Evidentemente era seriamente convinto che fossero un branco di imbecilli.
Infatti i ragazzi non tardarono a farsi sentire.
-Professore..- proruppe improvvisamente una compagna, lasciandolo con la frase a mezz’aria. –Abbiamo sentito che questa è la sua ultima settimana.- il dispiacere che questa aveva nel tono, sorprese Kimberly: aveva completamente sottovalutato quanto gli alunni adorassero mr Leto, quanto effettivamente loro lo ritenessero il loro professore preferito.
E questo non era accaduto semplicemente per il suo fascino, bensì per la sua bravura. Era questo il dono di Jared Leto, era capace di entrarti nel cuore come niente, proprio come una canzone.
L’uomo osservò per qualche secondo l’alunna che si era esposta, provando un moto di tenerezza. Non poteva essere così insensibile da lasciarli dopo un anno intero trascorso insieme, come se questo non avesse significato niente.
Avrebbe dovuto affrontare l’argomento. Prese un forte respiro e si posizionò davanti alla cattedra sedendovisi sopra.
-Riguardo a quello a cui avete assistito ieri.. vi porgo le mie più sincere scuse. Ho commesso un errore, ma voi mi conoscete.- sorrise malinconico. –E’ un anno che trascorriamo due ore a settimana insieme, sapete che sono un “finto adulto”, che in realtà sono uno di voi.
Sono una persona esattamente come voi, e come tutte le persone anche io sbaglio.
Questo non significa che sono perdonato o che picchiare qualcuno può essere giustificato come semplice errore.-
Si guardò intorno e tra i presenti lesse comprensione e pura empatia. La simpatia che aveva generato in loro si rivelò una vera e propria fortuna.
-In ogni caso, anche se non capiste quello che voglio dire è più che comprensibile. La preside stessa non ha potuto farlo, anche volendo.
E quindi, rispondendo alla tua domanda Lucy, sì questa è la mia ultima settimana di insegnamento.- concluse, con un tono che Kimberly ritenne piuttosto stonato per quello che stava dicendo.
Sembrava tranquillo, rassegnato al suo destino, come se l’avesse atteso da tanto e avesse colto la palla al balzo per filarsela.
La ragazza si portò una mano al petto, puntando gli occhi sul banco ripetendosi nella testa di non piangere, che già avevano creato troppo scompiglio e farsi vedere demoralizzata per il suo licenziamento avrebbe solo aumentato l’attenzione su di una cosa che ormai non esisteva più.
Era quasi sicuramente lei il motivo per cui Jared era sollevato di potersene andare, probabilmente la sola idea di passare più tempo del dovuto nello stesso edificio in cui si trovava lei, gli faceva preferire il morire di fame.
Questo semplice pensiero le fece mancare il respiro per diversi secondi, fino a che fu proprio necessario che reintroducesse aria nei polmoni.
Tornò a guardarlo, c’erano state altre domande e altre risposte in seguito, ma le sue orecchie ovattate le impedirono di ascoltare.
-Perché l’ha fatto?- la domanda le arrivò come una testata, risvegliandola. Chi poteva porre un interrogativo del genere? Con che coraggio?
Aveva ritenuto i suoi compagni abbastanza cresciuti per capire quando era necessario diventare discreti, ma probabilemente si era sbagliata.
Leto sorrise debolmente, glissando completamente l’argomento. –Per quanto riguarda l’esame finale, dato che è questo che vi interessa realmente, sarà fatto nella prossima lezione.-
-Ma è tra 3 giorni!- una compagna si lamentò. –Come prepareremo tutto il programma dell’anno in soli tre giorni?- del resto si trattava di un libro intero.
-Hai perfettamente ragione Fiona, per questo sarà concentrato solo su quest’ultimo capitolo.- un sospiro di sollievo si levò all’unisono da tutti gli alunni, i quali si affrettarono a vedere di quante pagine fosse composto quell’ultimo fatidico capitolo.
-Si tratta di una trentina di pagine e non voglio scuse.- terminò il professore, riprendendo il libro tra le mani per continuare la lezione. –Se avete delle domande al riguardo, non esitate.-
Un’altra compagna sollevò la mano, attirando l’attenzione dell’uomo, il quale portò gli occhi su di lei e con il mento le diede la parola. –Si vociferano cose su di lei da ieri.. è vero che ha una relazione con una sua alunna?-
L’ennesima prova della sfacciataggine dei presenti lasciò Kim esterrefatta. Per poco non cadde dalla sedia e si trattenne dal guardare la compagna in cagnesco, per non attirare sguardi indiscreti.
Era ovvio che tutti la stessero tenendo sott’occhio, era chiaro che tutti fossero al corrente del fatto che fosse lei l’oggetto della domanda, lo stesso si era imposta di non reagire, di non muovere un singolo muscolo per l’intera ora.
Leto dal canto suo si limitò a fissare per qualche secondo l’alunna, mordendosi le labbra indeciso sul da farsi.
La curiosità dei giovani d’oggi, pensò, è impossibile da tenere a freno. Mai si sarebbe aspettato una domanda tanto diretta.
Lanciò una rapida occhiata a Kimberly, notando solo in quel momento di quanto fosse rigida, seduta come pietrificata al suo posto.
I gomiti erano tenuti saldamente sul banco e le mani intrecciate tanto forte da far diventare le dita bianche a causa della scarsa circolazione. Il volto era pallido e lo sguardo che aveva gli trasmetteva tutta la preoccupazione e il senso di colpa che provava in quel momento.. non aveva esattamente una bella cera.
Avrebbe dovuto toglierle immediatamente gli occhi di dosso, eppure qualcosa lo spinse a prendersi un secondo in più per osservarla meglio.
Ne avevano passate tante insieme, si erano conosciuti in un modo estremamente particolare, in un periodo in cui lui non sentiva di avere né speranze né aspettative né tantomeno un futuro, e lei come un asteroide gli era piombata addosso, portandogli improvvisamente un gran caos e una gran luce.
Tutto quel buio era svanito dal momento in cui lei aveva messo piede nella sua vita.
Le cose ormai erano cambiate e la Kimberly che pensava di conoscere, l’idea della persona persona che credeva fosse era scomparsa, mostrandone una diversa, una variante decisamente deludente per il professore, fin troppo stanco di sopportare tutto il dolore che la vita pareva riservargli.
Si era lasciato abbindolare, le aveva permesso di entrargli dentro, di portare tutta quella luce ad invadere ogni angolo della sua persona. E aveva sbagliato.
Eppure in quel momento, il modo in cui teneva inclinato il capo, i capelli che le incorniciavano il volto, ricadendole sulle spalle, le labbra carnose e invitanti, rese insopportabilmente rosse dal continuo mordicchiarle con cui si sfogava ogni volta che era vittima di tensioni, e gli occhi neri che gli rivolgeva, quegli occhi in cui più e più volte si era riflesso e che aveva ammirato per infiniti attimi, gli diedero improvvisamente una scossa di adrenalina.
Quegli occhi rappresentavano tutto ciò che aveva desiderato di vedere nel suo futuro.
In quell’attimo, senza che potesse governare il pensiero, rivide in quella ragazza la sua Kimberly, la giovane che gli aveva rubato il cuore e che aveva invaso i suoi pensieri con un solo sguardo e un semplice sorriso.
La Kimberly che aveva infinitamente lottato per salvare la loro relazione, che l’aveva più volte protetto con una forza invidiabile, preferendolo addirittura al suo stesso padre, andando contro ogni convenzione e ogni ostacolo con cui si erano scontrati.
La Kimberly di cui si era perdutamente innamorato, tanto bella da lasciarlo interdetto, come se fosse la prima volta che i suoi occhi si posavano sul suo volto.
Si era costretto più volte a denigrare quel sentimento, a nasconderlo, a negarlo. Quello che provava per lei era un amore profondo, più di quanto avrebbe sospettato, praticamente impossibile da reprimere e da affogare.
Sbuffò svuotando il petto, mentre constatava che sarebbe stato davvero inutile da parte sua smentire un sentimento così forte.
Kim dal canto suo, come se gli avesse letto nel pensiero, annuì dandogli un tacito consenso e quell’affinità che li aveva accomunati fin da subito, che aveva permesso loro di vivere la loro relazione in un modo così affiatato, tornò a galla prendendolo in contropiede.
Sarebbe stato davvero un’idiozia tentare di nascondere agli altri un sentimento che non riusciva a nascondere neppure a se stesso.
Finalmente interruppe il contatto visivo e tornò sull’audace alunna che gli aveva posto la fatidica domanda.
-Dal momento che non sono affari vostri probabilmente dovrei smentire, ma purtroppo so che non ci sarebbe modo più rapido di rovinare il rapporto che abbiamo creato nel tempo. Dal momento che questa sarà l’ultima lezione insieme, facciamo che sia il momento delle confidenze.- sospirò, cercando le parole adatte. –E’ vero. È successo, e non ho scusanti, sono pronto a prendermi tutta la colpa di un errore talmente madornale. Un errore che non è assolutamente perdonabile, di gran lunga peggiore e più umiliante del picchiare un ragazzo.-
Kimberly abbassò nuovamente lo sguardo, puntandolo sulle sue nocche bianche e congelate. Con una frase del genere avrebbe tranquillamente potuto ucciderla.
Fece appello a tutta la sua forza d’animo, si costrinse con tutta se stessa a non lasciarsi andare in pianti e commiserazioni proprio lì, di fronte a tutti.
Cercava di non pensare al fatto che l’avesse chiaramente definita un errore, che avesse demolito a parole quello che c’era stato tra loro. Una relazione in cui lei aveva creduto ciecamente.
-Però..- continuò la voce di Leto. –Dato che di una confidenza si tratta, non voglio ingannarvi troppo.- spostò lo sguardo su Kimberly, la quale portò istintivamente gli occhi nei suoi. –Credetemi se vi dico che non c’è stato un solo momento in cui me ne sia pentito. Anzi, se dovessi tornare indietro infinite volte, lo ripeterei completamente altrettante infinite volte, perché sebbene ormai sia tutto finito, per me è stato perfetto.-
Questa volta la ragazza non poté impedire ai suoi occhi di velarsi di lacrime. Il tono e il modo in cui l’aveva detto e in cui l’aveva guardata le fece intuire che si trattava di una dichiarazione assolutamente sincera.
Tutti i compagni ammutolirono di fronte ad una frase così forte e così inaspettata. Con quelle parole capirono finalmente che quello che c’era stato tra loro non era una semplice tresca e passò in loro improvvisamente qualsiasi voglia di giudicarli.
Si volevano un bene profondo, e ai loro occhi tutta quella situazione apparve d’un tratto con sfumature diverse e romantiche, come qualcosa che si doveva rispettare e non schernire.
Si emozionarono a sentire quelle parole. Il fatto che fossero per gran parte ragazze fu decisamente d’aiuto al professore.
I pochi ragazzi infatti non compresero del tutto, specialmente Joe, continuando imperterriti a ritenerla una disgustosa perversione.
Gwen guardò con gli occhi lucidi in direzione di Kimberly, pensando che fosse fortunata dopotutto. L’aveva perso, ma lui era rimasto lo stesso a sostenere la loro relazione. Lo trovò un gesto molto romantico.
Kim nel frattempo rimase fossilizzata in quella posizione, con lo sguardo fisso nello stesso punto, con la voce di Jared che le rieccheggiava nella mente, ripetendole ciò che aveva detto per molto tempo, anche dopo che se ne era andato.
Il visto le si illuminò di un sorriso che cercava a stento di trattenere.
Forse c’era ancora una speranza.
 

* * *

 Bussò alla porta dell’appartamento che conosceva fin troppo bene, trafelata e con il cuore che batteva a mille nel petto.
Era colma di adrenalina e carica di speranza.
Nella testa continuava a vorticare l’ultima frase che gli aveva sentito pronunciare quella mattina, frase che non l’aveva lasciata in pace per tutto il resto della giornata.
Le era parsa talmente carica di amore da sembrarle addirittura in grado di cancellare tutto il risentimento che lui provava nei suoi confronti.
Lui l’amava ancora, ne era certa e probabilmente se lei gli avesse detto che lo amava ancora anche lei, l’avrebbe ripresa come era successo l’ultima volta.
Ricordava perfettamente lo sguardo che le aveva rivolto quando aveva aperto la porta la sera di qualche settimana prima, ricordava perfettamente come si era fiondato sulla sua bocca, l’aveva accolta come aria fresca dopo infiniti momenti di apnea.
Poteva perfettamente rievocare il sapore di lui tra le labbra, pronte ed elettrizzate di accoglierlo.
Quando però la porta si aprì, il sorriso le morì in volto.
Era Shannon, il quale la fissava con occhi dispiaciuti mentre scuoteva la testa silenziosamente.
-Mi dispiace.- sillabò sottovoce. –Non vuole vederti.-
Le sbatté la porta in faccia, e non seppe se il tonfo che udì fosse l’uscio o il suo cuore che esplodeva in mille frantumi.
 

Guess its just a silly song about you
And how i lost you

And your brown eyes

Note finali: ed eccoci di nuovo qui! Sono in un ritardo imperdonabile, ho promesso che ci avrei messo poco e invece? siamo a 3 mesi dall'ultimo aggiornamento, evvai così!
Vi chiedo come al solito scusa, ma purtroppo è stata dura. Chi di voi scrive può capirmi quando dico che se manca "l'ispirazione" è difficile. Perchè le idee le ho e anche ben definite, ma se non hai molta voglia di mettere giù quelle idee, non sai come farlo e come contornarle, scrivere un intero capitolo diventa impossibile.
Come questo ad esempio, non mi piace granché, lo trovo scritto malissimo tranne che in qualche passaggio. E' ridondante, con troppi giri di parole e credo che non prenda abbastanza. Anche i dialoghi non mi entusiasmano per niente, ma trovavo necessario buttar giù qualcosa per diversi motivi.
Era innanzitutto davvero troppo tempo, sono ormai 2 anni che ho pubblicato questa FF che ho cominciato quando avevo 17 anni e contando che ora ne ho 21, sta diventando abbastanza imbarazzante per una come me che ne finiva una in un paio di mesi! Sempre composte da tanti capitoli (sono sempre stata molto prolissa nelle idee). Ok il tempo che è diminuito, ok gli impegni che sono aumentati, ok la monotonia di scrivere sempre degli stessi personaggi, ma ormai dovrei smetterla di temporeggiare.
Il secondo motivo è che (come ho detto in passato) ne sto scrivendo un'altra che è ancora più prolissa di questa e ho paura ad immaginare quanto ci metterò. Ma la voglio condividere perchè sento che potrebbe piacere. Quindi prima finisco questa, prima pubblico l'altra, prima finisco anche l'altra.
Ci sarebbe anche la possibilità di pubblicarne due insieme, ma non è da me, già sono disorganizzata con una, figuriamoci con due! 
La terza è che ho ricevuto diversi richiami, vi adoro tutte e avete ragionissima a riprendermi. Ho promesso troppe volte che avrei continuato "presto", e va bene il soon di Jared, ma qui si sta decisamente esagerando.
E poi diciamocelo, lui può permetterselo di tenere sulle spine le persone, io invece che diritto ne ho?
Quindi tutto ciò per dire che mi dispiace del ritardo e mi dispiace se il capitolo fa abbastanza pena, ma dovevo scrivere qualcosa sperando di riprendere il via e sviaggiarmela un pò meglio.

Detto ciò: che ne pensate? E' tristissimo vero? Del resto, dopo 60 più o meno capitoli di storia d'amore più o meno liscia, è necessario che ci sia un pò di dramma. La conclusione sarà  incerta fino alla fine, non garantisco nessun happy ending ;)
Scusate anche se la volta scorsa ho scritto due righe di numero nelle note, ma ho avuto preblemi di pc e ho pubblicato da un computer non mio e non i sembrava il caso di stare 60 ore a ciaccolare (ed è anche il motivo per cui l'edit non mi è esattamente riuscito.. mi sono accorta dopo che serviva una lente d'ingrandimento per leggere). So che non vi mancava, ma è tanto che non ci "sentiamo" e volevo comunque prendermi la possibilità di spiegarmi.

La canzone di oggi è Brown Eyes di Lady Gaga, e boh ho pensato che ci stesse. Ho l'impressione di averla già usata, e se così fosse chiedo scusa per la monotonia.

Se tutto fosse tutto
ma tutto è finito
tutto potrebbe essere tutto
se solo fossimo più grandi

Credo sia solo una stupida canzone su di te
e su come ho perso te
e i tuoi occhi scuri.

Credo sia tutto, come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, idee, consigli e opinioni che non fanno mai male. Mi piacciono i pareri discordanti e anche quando ci sono pensieri negativi sono molto apprezzati.
Noi ci rivediamo ormai l'anno prossimo e se siamo abbastanza miracolati vi dico direttamente che prima di febbraio la vedo dura causa studio.. però non si sa mai, vi garantisco che mi impegnerò e forse a metà gennaio avrete qualcosa.

Io vi saluto, vi mando un bacione e vi auguro buone feste e un felice anno nuovo.

xoxoxo

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Capitolo 77
*** Capitolo 77. ***


Capitolo 77.

 Ich weiß nich' mehr, wer ich bin - und was noch wichtig ist
Das ist alles irgendwo, wo du bist
Ohne dich durch die Nacht - ich kann nichts mehr in mir finden
Was hast du mit mir gemacht - Ich seh mich immer mehr verschwinden

 I due uomini si scambiarono un’occhiata spazientita, mentre il terzo sbuffò un’imprecazione per poi bofonchiare un paio di scuse.
-Jared e che cazzo!- sbottò il fratello, rigirandosi le bacchette tra le mani preso dal nervosismo.
Stavano ormai provando da tre quarti d’ora la stessa canzone, non riuscendo a terminarla neppure una volta e la causa era sempre il cantante.
O andava fuori tempo, o dimenticava le parole o si bloccava nel mezzo del ritornello.
Era impossibile mantenere la calma, soprattutto per uno come Shannon che aveva la tendenza a scaldarsi rapidamente.
Tomo gli fece segno di prendere un profondo respiro e dargli tempo, per poi avvicinarsi al Leto più giovane. –Amico, se non te la senti rimandiamo..-
L’altro si scansò, mentre Shannon disse acidamente –E quando? La serata al tuo locale è domani!-
Jared scosse la testa, prendendo profondi respiri. –Scusate ragazzi, sono solo un po’ distratto.-
-Un po’?!- esclamò aspro il fratello.
Tomo lanciò a quest’ultimo un’occhiata minacciosa, facendogli gesto di rompergli la chitarra in testa.
-Sappiamo che stai passando un momento duro, Jay. Ma cerca di capire, se non suoni non riuscirò a pagarti e..-
-E mi ritroverò col culo per terra, sì Tomo, lo so.- concluse Jared, facendo riferimento al fatto che in breve sarebbe stato un disoccupato. –Non ci voleva proprio.- borbottò, portandosi una mano in tasca e avvicinandosi ad una finestra per accendere una sigaretta.
Un lato positivo di essermi lasciato con Kimberly, pensò tra sé e sé, mentre inspirava un po’ di nicotina.
La dose di sigarette era triplicata in quel periodo.
-Il problema è che questa canzone l’avevo scritta pensando a lei.- si giustificò, puntando lo sguardo fuori dalla finestra.
-Perfetto! Cambiamola!- propose rapido Shannon, facendo una breve rullata di tamburi.
Il fratello minore sbuffò, lasciando fuoriuscire tutto il fumo. –Non è questo Shan, non è così facile.-
I due amici si guardarono rassegnati. Jared col cuore infranto era insostenibile.
Fortuna che era successo raramente, constatò Tomo. –Qual è il problema, allora?- chiese poi.
-Il problema è che è ovunque! Ragazzi, io la vedo ovunque!- rispose spazientito. –Vedo i suoi occhi brillare ogni volta che suono la chitarra, la vedo quando mi faccio una tazza di caffè latte, sento il suo profumo quando mi siedo sul divano, la vedo in ogni ragazza che incrocio quando porto Judas a spasso, sento la sua risata quando vado a dormire. È ovunque.-
-Che problema.- sospirò Shannon, incrociandosi beatamente le braccia al petto. –Anche se.. magari se ti disfacessi degli oggetti che te la ricordano, faresti un po’ di progressi.-
Jared gli lanciò un’occhiata scettica. –Ci sono cose astratte che non ti mollano, sai?-
Il fratello alzò gli occhi al cielo, annoiato. Ma cosa gli poteva essere saltato in mente di proporre a suo fratello di mettersi a suonare per arrotondare nel mentre si cercava un altro lavoro?
Aveva decisamente sottovalutato quanto Jared fosse lunatico.
Tomo gli andò in aiuto, fortunatamente. –Beh devo dire che Shannon non ha tutti i torti, Jared. Se magari cominciassi a togliere gli oggetti fisici che te la ricordano, unendoci il fatto che tra poco non sarai più costretto a vederla, dovresti riuscire a riprenderti.-
Jared lo guardò, inclinando il capo all’indietro.
-Ci vorrà del tempo, ma secondo me tanto vale tentare.- continuò l’amico, cercando di mantenere un tono gentile e incoraggiante.
Il cantante espirò tutto il fumo dal naso, dando un’ultima occhiata fuori dalla finestra. L’idea di sbarazzarsi di Kimberly gli metteva un’infinita tristezza, si sentiva mancare solo all’idea di tutte le cose che avrebbe dovuto cestinare.
Ma sarebbe decisamente stata una cosa che avrebbe dovuto prendere in considerazione di fare.
Non poteva continuare a vivere in quella condizione di costante malinconia, stava diventando insopportabile perfino entrare nella sua stessa casa.
Quella ragazzina aveva rovinato tutto.
E del resto, dal momento che tornare con lei non era assolutamente un’opzione attuabile, non aveva neppure senso che si aggrappasse così morbosamente a quello che si era lasciata dietro.
Si voltò in direzione degli altri. –D’accordo, lo farò.- alché i due optarono per lasciargli il suo spazio velocemente onde evitare che cambiasse improvvisamente idea, immaginando che l’uomo preferisse stare da solo.
E poi, non sarebbero riusciti a sostenerlo. Era quasi un mese che era così a terra e non si era mai sfogato con loro –non che tendesse a fare scenate- ma non ci tenevano particolarmente ad essere presenti nel caso gli fosse venuta una crisi mentre faceva pulizia.
Non appena se ne furono andati, Jared scoprì di non avere una scatola in cui riporre tutto quello che doveva mettere via. Non voleva sbarazzarsene completamente, voleva semplicemente averli fuori dalla visuale quotidiana fino a che non fosse stato pronto ad andare avanti.
Perciò prese un sacchetto di media dimensione e cominciò a riempirlo con tutto quello che gli ricordasse Kimberly: la tazza che usava sempre a forma di gatto, le posate col manico rosa che erano state comprate apposta per lei, alcuni regalini sparsi che gli aveva fatto, le loro foto insieme, le mille bozze del ritratto che aveva deciso di regalarle per il compleanno, il portachiavi a forma di cuore spezzato che gli aveva comprato ad una fiera nel paese lì vicino, il suo profumo preferito che aveva lasciato lì apposta perché a lui piaceva da morire e così via.
A fine dell’opera alcuni spazi come la sala e lo studio si erano letteralmente svuotati, ma cominciò già a sentirsi meglio.
C’erano altre cose che avrebbe dovuto togliersi di torno ma che, a differenza delle altre, non avrebbe dovuto tenersi.. quindi restava solo una cosa da fare:
Ora toccava alla parte peggiore.

 * * *

 Kimberly sbatté forte la testa contro il libro di musica aperto. –Ci rinuncio.- bofonchiò abbattuta, lanciando un’occhiata depressa verso l’orologio rendendosi conto che erano ormai due ore che tentava invano di memorizzare le stesse 3 pagine.
Doveva togliersi tutti i pensieri dalla testa, ma era davvero complesso se si considerava che il professore di quella materia era Jared, il suo offesissimo ex.
Tanto offeso da ordinare addirittura al fratello maggiore di non farla entrare in casa, da non venire neppure ad aprirle la porta, sia mai vederla al di fuori degli orari stabiliti.
O era diventato uno smidollato o ce l’aveva ancora talmente a morte con lei da essere disgustato dall’idea di vederla più del dovuto.
Aveva sempre sostenuto che il fatto che fosse il suo professore fosse proprio una fortuna, così in un modo o nell’altro poteva vederlo anche di sfuggita ogni giorno.
Ultimamente aveva capito quanto invece fosse una maledizione completa. Ed era convinta che lo pensasse anche lui.
Era mercoledì, ancora un paio di giorni e poi sarebbe finito tutto.
Non seppe sinceramente dire quanto quest’idea le piacesse e quanto le dispiacesse. Era sicura solo di una cosa: sarebbe stato fottutamente difficile.
Non intravederlo più tra un’ora e l’altra, non riconoscere più la sua camminata ciondolante nei corridoi, non averlo più a 2 metri dal proprio banco un paio di volte alla settimana, sarebbe stata davvero una novità ardua a cui abituarsi.
Provò a ripetere i concetti del libro per distrarsi da tutti quei pensieri e incredibilmente realizzò di aver memorizzato finalmente il tutto.
Sorpresa, si decise a riprendere e continuò senza problemi per l’ora successiva, arrivando a metà del capitolo prestabilito, oggetto dell’imminente compito in classe.
La voglia le mancava come per tutte le altre materie, ma l’idea di togliersene una prima del previsto le dava un certo senso di sollievo.
Quando stava per cominciare la ventesima pagina però, qualcosa la distrasse. Un ronzio insistente e inizialmente di dubbia provenienza, la portò a guardarsi intorno, fino ad indiviaduare la causa del disturbo: il cellulare sul letto.
Corrugò la fronte, domandandosi chi potesse essere. Non era più abituata a ricevere telefonate, oramai.
Quando lo sollevò e vide chi era il mittente, quasi non le cedettero le ginocchia facendola stramazzare al suolo.
Perché la chiamava? Un suono assordante le azzerò l’udito, mentre senza pensarci su troppo, rispose al telefono.
-Pronto?- si sforzò di non sembrare elettrizzata. Ok essere disperate, ma si era dismostrata fin troppo patetica di recente.
La voce sublime che aveva agognato di sentirsi rivolgere spontaneamente da tempo, si rivelò ancora più sublime di quanto ricordasse. –Ciao Kimberly, disturbo?-
-No, non preoccuparti. Stavo solo studiando una materia inutile.- scherzò. Cosa cavolo stava facendo? Non era più il suo ragazzo, che cosa le saltava in mente di parlargli come se si aspettasse una sua chiamata, come se fosse stata una cosa da routine?
Sorprendentemente, lui le diede corda. –Oh davvero?- rise. –Non ti conviene prenderla troppo sotto gamba, guarda che ti boccio.-
Kim ridacchiò lievemente, facendo cadere il discorso. –Ti serviva qualcosa?- voleva per caso scusarsi per la maleducazione della sera precedente?
-Pensavo di passare io, ma non so com’è la situazione in casa tua. Perciò ti va di fare un salto da me?- la tranquillità con cui lo chiese, le fece mancare un battito. –E’ una cosa veloce, te lo assicuro. Così poi potrai tornare a studiare quella materia meravigliosa.-
Era di buon umore?
Kimberly non sapeva come prendere tutta quella cordialità, come poteva essere la stessa persona che il giorno prima si era rifiutata di aprirle la porta?
Credendo di essere vittima di allucinazioni, decise di controllare lo schermo per essere sicura che fosse proprio Jared.
Il nome sullo schermo era il suo, e perfino la voce era la sua. La voce, per quanto la amasse, il suo cervello malato non sarebbe mai stato in grado di replicarla così bene e di sovrapporla a quella di un’altra persona.
-Va bene, arrivo.- disse trattenendo a stento un singhiozzo di gioia.
Voleva vederla per scusarsi? Per dirle che aveva cambiato idea? Cosa poteva fare da metterci così poco?
Quasi dimenticandosi di mettersi le scarpe, prese borsa e chiavi e si precipitò in macchina.
Per quanto cercasse di contenersi e di non lasciare che la sua mente si costruisse i castelli di fantasie, era davvero più forte di lei non vedere cattive intenzioni in quella richiesta.
Probabilmente gli mancava chiamarla? Voleva vederla solo per vederla?
Non sarebbe stato poi molto, ma in cuor suo Kimberly sapeva che le sarebbe bastato, perché anche a lei lui mancava più di quanto potesse sopportare.
Era sicura che stava per accadere qualcosa di magico.
Sorrise per praticamente tutto il tragitto, trovando il traffico estremamente lento, non vedendo l’ora di arrivare a destinazione.
Una volta sotto casa sua, suonò il citofono e si apprestò a salire la scale quattro a quattro, trovandosi di fronte alla porta dell’appartamento di Jared tutta trafelata.
Si costrinse a trattenere un sorriso entusiasta e si ricordò solo in quel momento di non essersi neppure specchiata prima di uscire di casa. Sperò con tutta se stessa di avere un aspetto decente, degno di qualsiasi cosa sarebbe successa.
Il professore aprì la porta e la invitò ad entrare, dove Judas scodinzolante la accolse con guaiti gioiosi.
-Hai fatto veloce.- constatò Jared, per poi chiderle se potesse offrirle qualcosa.
Lei rifiutò. –Prima vado, prima mi rimetto a studiare.- fece ironica, facendo chiaramente intendere che non avesse poi tutta questa fretta.
-Ok, allora..- si avvicinò al divano dal quale afferrò una cosa che poi le porse.
Una scatola per le scarpe.
La ragazza lo guardò senza capire, per poi aprirla. Che le avesse fatto un regalo? Cosa stava succedendo?
Quando l’aprì, il suo contenuto la lasciò dapprima incerta per poi svuotarla completamente di qualsiasi buona aspettativa avesse al riguardo. Il cuore che fino ad un secondo prima batteva tanto forte da rimbombarle nelle orecchie, ora sembrava si fosse improvvisamente spento ed una profonda tristezza le calò sugli occhi. Tentò di non darlo a vedere, ma era sinceramente rimasta senza parole.
-Ho pensato che dovessi ridartele.. del resto sono cose tue.- il professore ruppe il silenzio, riferendosi al contenuto.
Kim si prese più tempo del dovuto per osservare l’interno: tutto pur di non sollevare lo sguardo su Jared per fargli intendere che si fosse illusa in un modo vergognoso.
C’erano tutte le cose che aveva lasciato lì dal momento che era iniziata la loro relazione: uno spazzolino che aveva portato apposta per lasciarlo in bagno, una camicia da notte per non dover sempre utilizzare i vestiti di Jared, un paio di CD che aveva dimenticato, dei braccialetti ed elastici per capelli e dei libri. Tra cui quello che il professore aveva comprato in aeroporto il giorno della gita. Il suo libro preferito.
Pensò a quanto fosse stata sciocca. Il giorno prima non aveva neppure voluto aprirle la porta di persona e oggi come aveva potuto pensare che fosse addirittura tornato sui suoi passi decidendo di farla venire lì per perdonarla?
Che cacchio si era fumata? Come aveva potuto andare lì con il cuore pulsante di speranza, senza prevedere tutto ciò?
Finalmente alzò lo sguardo su di lui, rendendosi conto per l’ennesima volta di quanto fosse effettivamente tranquillo al riguardo. Una persona in una situazione del genere poteva essere tranquilla solamente per due motivi: non l’aveva mai amata o aveva completamente smesso di amarla.
Eppure glielo aveva dimostrato e ripetuto più e più volte quanto per lui la loro relazione fosse finita.
Quella scatola era decisamente l’ultima prova. Se non l’avesse capito così, non l’avrebbe mai capito.
A Kimberly non restavano che due strade: o fare la parte della ex ossessiva e incapace di lasciarlo andare, o della ragazza comprensiva che si sarebbe definitivamente messa il cuore in pace.
Eppure non riusciva a credere che per lui fosse stato così semplice. Come aveva potuto mettere tutti gli oggetti cardine della loro relazione in una misera scatola e restituirglieli?
Significava solo una cosa: lui voleva andare avanti, e le stava schiettamente suggerendo di fare lo stesso. Non ci sarebbe mai e poi mai stata una ripresa per la loro coppia, il messaggio urlava forte e chiaro.
Un groppo gigante le intasò la gola. Fece per parlare, ma non le uscì niente.
Jared comprese perfettamente il suo stato d’animo e avrebbe tanto voluto dirle che neanche per lui era stato facile, ma l’aveva trovato necessario o non se la sarebbe più scrollata di dosso.
-Dal momento che non ci vedremo più mi è sembrato d’obbligo. Farlo a scuola sarebbe stato di pessimo gusto, del resto abbiamo già..-
-..Attirato troppa attenzione..- concluse lei al posto suo. –Sì, hai fatto bene. Grazie.- il tono piatto e le gambe incapaci di muoversi.
Come si poteva sopravvivere ad una situazione del genere?
-Bene..- sospirò il professore, avvicinandosi alla porta d’ingresso e aprendola. –Credo sia tutto.-
Il magone che aveva Kim alla gola le impedì di dire qualsiasi altra cosa, ma d’altra parte cosa avrebbe potuto dire? Cosa valeva la pena dire? Avrebbe avuto senso parlare?
Si limitò a fissarlo per poi avvicinarsi alla porta molto lentamente, sotto lo sguardo di Jared. Anche lui le dava l’impressione di voler dire qualcosa, ma probabilmente avrebbe reso tutto più difficile.
L’aveva perfino ringraziato. Se non si fosse sentita così triste l’avrebbe trovato addirittura buffo.
L’aveva ringraziato per averle restituito le ultime cose che lo legavano a lui, come per evitare che lei un giorno in futuro gli piombasse in casa con una scusa del tipo –Mi ridaresti lo spazzolino? Sai, quello a casa si è rotto.-
Improvvisamente la sua presenza in quella casa le sembrò assurda, ridicola e meno voluta di un vampiro in chiesa. Era necessario che se ne andasse il prima possibile.
Non si salutarono nemmeno e, una volta fuori, aspettò che la porta le sbattesse alle spalle per poi poggiarvisi con la schiena e scorrere fino a sedersi sullo zerbino.
Lo sguardo vacuo, l’espressione pietrificata, incapace di muoversi o di fare qualsiasi cosa.
Dall’altra parte, una volta chiusa la porta, anche il professore vi si poggiò contro scivolando fino a finire in ginocchio sul pavimento intento a riprendere aria, col petto dolorante e la testa che avrebbe voluto esplodere.
Si era preparato per diverse ore a quanto sarebbe successo ma solo in quel momento si era reso conto che non sarebbero mai bastate tutte le ore del mondo per affrontare a cuor leggero una cosa del genere.
Non sarebbe mai stato pronto a dirle addio.

 Ich bin nich' ich wenn du nich' bei mir bist - bin ich allein
Und das was jetzt noch von mir übrig ist - will ich nich' sein
Draußen hängt der Himmel schief
Und an der Wand dein Abschiedbrief

Ich bin nich' ich wenn du nich' bei mir bist - bin ich allein

Note finali:   no, non avete un'allucinazione, ho davvero aggiornato prima dei miei tipici sei mesi!
Mi piacerebe sapere cosa ne pensate della piega che sta prendendo questa storia e cosa secondo voi succederà. Finale positivo o negativo? Sto valutando anche io e forse, ripeto FORSE il prossimo sarà l'ultimo. Era del tutto imprevisto ma quando l'ho scritto ho pensato che potesse essere un modo abbastanza buono per terminare questa storia
 Vediamo in che mood mi troverò io e quello che possibilmente direte voi ;)
In ogni caso se non è il prossimo ce ne saranno altri.............. 3/4.

Per la canzone avevo voglia di riprendere le mie amate lingue straniere e mi sono imbattuta in questa deutsch Lied dei  Tokio Hotel (ahah)
Ich bin nicht ich.

Non so più chi sono,
e cosa è importante.
E' tutto da qualche parte, dove sei tu.
Senza te la notte
non mi ritrovo più in me stesso
Cosa ne hai fatto di me?
Mi vedo sempre di più scomparire.

Io non sono più io quando tu non sei con me
sono solo
E ciò che di me è rimasto, non voglio esserlo
Lì fuori il cielo è appeso storto
e alla parete la tua lettera d'addio.
Non sono più io se non sei con me
non voglio più esserlo.

E dopo questa botta di allegria vi auguro una buona serata.
Spero mi facciate sapere qualcosa, e vi comunico che ho già scritto il prossimo capitolo quindi anche questa volta non dovrete aspettare un'infinità.
baci&abbracci


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Capitolo 78
*** Capitolo 78. ***


Capitolo 78.

 Quando mise piede in macchina, si trovò in uno stato quasi catatonico, di totale assenza.
Guidò per diverso tempo, fece più volte la stessa strada, percorrendo paesini lontani che però conosceva, concentrata sulla guida più che sul pensare.
In un certo senso, guidare la distraeva da tutta la tristezza che aveva dentro, un modo come un altro per non rivivere il momento appena trascorso, tanto brutto da poter rientrare nel primi posti della top ten dei momenti da dimenticare.
Non poteva crederci. Non poteva semplicemente crederci, forse perché non se lo sarebbe mai e poi mai aspettato.
Teneva lo sguardo fisso, il piede cambiava agevolmente pedale, misurando adeguatamente l’intensità con cui premente. Metteva la freccia, si fermava ai semafori, prendeva le curve con un’agevolezza che solitamente tendeva a trascurare per la fretta.
La migliore guida da quando aveva preso la patente.
Più volte arrivò al bivio che le permetteva di imboccare l’autostrada, e se non fosse stato il pensiero costante di non avere abbastanza soldi con sé, sarebbe fuggita senza neppure guardarsi indietro.
Probabilmente sarebbe poi tornata nel giro di qualche giorno, ma l’idea di evadere da quel posto, di allontanarsi per un po’ e cambiare aria, le sembrava l’unica alternativa che l’avrebbe fatta sopravvivere a tutto quel buio che si sarebbe ben presto impossessato di lei.
Perché sebbene ancora non l’avesse assalita, sentiva che il dolore era in agguato, pronto che lei si distraesse per saltarle alla gola e dilaniarla fino a che non le si fossero prosciugate le lacrime.
Sapeva che non sarebbe riuscita ed evitare di pensare e ripensare infinite volte a quello che era accaduto, che quella scatola l’avrebbe tormentata per diverso tempo e non aveva alcuna voglia di ridursi nuovamente una scorza senza vita.
Un cadavere capace solo di piangere e limitarsi ad esistere.
Doveva essere lucida, avrebbe avuto gli esami nel giro di breve e non riusciva ad immaginarsi come li avrebbe affrontati, come si sarebbe presentata davanti ai professori dimostrandosi sicura di sé e di quello che sapeva, se in quel momento si sentiva come del pattume da buttare.
A risvegliarla dai pensieri fu la spia della benzina che la fece accorgere di aver bruciato ben due tacche da quando era partita da casa di Jared.
Era in riserva e senza soldi al momento, quindi trovò necessario tornare a casa.
Quando vi giunse, rimase ancora un periodo di tempo indeterminato in macchina a fissare il vuoto.
Non era pronta ad entrare in casa e ad affrontare di nuovo tutto il dolore, ancora una volta, tutto da capo. L’anno prima ne era uscita devastata, aveva dovuto
cambiare gran parte di sé per riuscire ad uscirne, per essere nuovamente in grado di sopportare la sua vita.
Cosa avrebbe fatto questa volta? Come avrebbe superato e soprattutto in quanto tempo?
Dopo non seppe precisamente quanto,  si accorse che il cielo era diventato ormai nero e i denti avevano cominciato ad emettere un suono decisamente fastidioso, dato dal freddo.
I suoi si sarebbero preoccupati se non fosse rincasata per cena senza che li avesse avvisati, quindi con un profondo respiro, prese la decisione di rientrare.
Tanto sarebbe dovuto succedere prima o poi, no? 

Quella notte non chiuse occhio un istante e per tutto il tempo e tutto il giorno seguente pianse a dirotto, singhiozzando così forte da temere di farsi venire le convulsioni.
Continuava a pensare a quella scatola, che si era accurata di nascondere sotto al letto per averla fuori dalla vista, al modo sereno con cui Jared gliel’aveva data, come se si fosse trattata solo di una scatola.
C’era tutto lì dentro, Kimberly l’aveva constatato profondamente afflitta. C’era il loro passato insieme, i momenti del corteggiamento, quei momenti che le avevano strappato mille sospiri e mille sorrisi, i momenti in cui si erano dichiarati, le difficoltà, i gesti d’amore che si erano dimostrati.
Restituendogliela, lui stava in un certo senso rinnegando tutto. Le stava restituendo tutto, tutti i ricordi, come se fossero qualcosa che non valesse nemmeno la pena di conservare, e neanche lo volesse fare. Come se nulla fosse successo. Come a dire “è stato bello, ma puoi pure ripenderti tutto”.
Ormai aveva capito che le cose non si sarebbero mai sistemate, ma che addirittura lui si comportasse così crudelmente, non l’avrebbe mai sospettato.
Pianse con tutto il cuore, tentando di soffocare tutta la tristezza sui cuscini. Non era semplicemente triste, non era come le altre volte in cui avevano litigato e Jared era arrabbiato.
Si sentiva come in lutto. Si sentiva come se le avessero strappato e distrutto qualcosa, una parte importante di sé, un pezzo del puzzle che aveva gelosamente abbracciato per tutto quel tempo, in cui aveva riposto vagonate di speranza e sogni.
Nella sua visione, il professore ormai era diventato una parte fondamentale del suo futuro, quasi l’elemento cardine e dal momento che questo si era spontaneamente tirato indietro, cosa le rimaneva ora?
Stava assistendo al funerale della vita come se la era immaginata accanto a Jared, e quel feretro era una visione che non riusciva a tollerare.
L’aveva perso e ora doveva lasciarlo andare, ma era come se si sentisse completamente incapace.
Ci aveva creduto ciecamente, avrebbe dato qualsiasi cosa perché si avverasse e l’idea che fosse proprio lei la causa di quello sfacelo la faceva gemere ancora di più dal dolore.
Aveva pianto senza sosta, senza riprendere fiato, entrando spesso in un’apnea momentanea; fino a consumare pacchetti interi di fazzoletti, scorticarsi la pelle a forza di asciugarsi le lacrime e far perdere il sonno addirittura ai suoi genitori.
I due avevano capito che per un periodo la figlia era stata in una relazione, non erano proprio deficienti e il fatto che andasse così spesso a dormire da Gwen dopo un po’ era parso anche a loro eccessivo.
Ok che le due fossero legate, ma la storia non stava in piedi.
Da qualche tempo invece, la loro Kim era tornata ad essere uno spettro. Poco sonno, poco appetito, poche parole e in generale si faceva vedere di rado.
Lei sapeva che avrebbero capito, si sarebbero preoccupati e avrebbero fatto tantissime domande e quella relazione era stata un vero e proprio segreto fino a quel momento, non sarebbero riusciti a cavarle una parola neanche impegnandosi come matti.
Per quanto si sforzassero di starne fuori, Lilian e James non riuscivano a vederla ridursi in quello stato. Va bene che l’adolescenza portava i ragazzi a reagire in modo spropositato, ma questo era davvero troppo.
Avrebbero voluto aiutarla, ma sapevano che non ci fosse niente da fare.
La madre non chiuse occhio tutta notte, ascoltando i suoi singhiozzi sommessi, sperando che ognuno fosse l’ultimo. Chi poteva averla ferita tanto? Cosa poteva essere successo?
Erano così tante le domande che avrebbe voluto porle, ma conosceva Kimberly e sapeva quanto fosse gelosa della sua privacy.
Eppure Lilian avrebbe voluto far qualcosa.
Il giorno seguente però la ragazza non si sprecò neppure a nascondere il motivo per cui non sarebbe andata a scuola, a parte il volto devastato e stanco, non aveva ancora la forza di smetterla di versare lacrime su lacrime.
La madre non le porse domande, nonostante la voglia, e si limitò a farle una carezza prima di andare al lavoro. Si sforzò di non mostrarle quanto il vederla in quello stato la distruggesse, nascondendole gli occhi lucidi, ma inutilmente dato che Kim era talmente afflitta dal suo tormento da non accorgersene
minimamente.
Alla ragazza venne in mente solo per un secondo che probabilmente non avrebbe dovuto comportarsi così, che avrebbe dovuto sollevarsi dal letto e far vedere loro che avevano cresciuto una persona forte e indipendente, che non si lasciava abbattere dalle delusioni d’amore.
Cancellò sul nascere quel pensiero, non le fregava sinceramente un cazzo in quel momento di quello che potessero o non potessero pensare i suoi genitori.
Faceva già fatica a stare dietro a se stessa, non poteva che affrontare una questione alla volta. Se mai fosse sopravvissuta.
Per sua fortuna la stanchezza prese il sopravvento e a metà mattina si appisolò per diverse ore, permettendo ai suoi dotti lacrimali di ricaricarsi e al suo viso di distendersi. Quante rughe le sarebbero venute solo ed esclusivamente per quella notte?
Si svegliò dopo diverso tempo, quando qualcuno bussò alla porta della sua camera. Lilian entrò senza aspettare il permesso, trovando la figlia esattamente nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata la mattina. Senza dire una parola, le lasciò sul comodino dei biscotti e una vaschetta di gelato a due gusti, mentre sul letto poggiò un paio di film strappa lacrime.
Kimberly la guardò dispiaciuta. –Grazie, mamma.- mormorò con la voce impastata.
La donna le rivolse uno sguardo incoraggiante, per poi andarsene di nuovo.

 Il resto del pomeriggio la tiritera sembrò non voler finire. Aveva visto i film e si era riempita di quelle schifezze, andando a cibare la sua anima e per quello che poteva il suo umore, anche se non durò per troppo tempo.
Gwen l’aveva chiamata, immaginando che la sua assenza fosse dovuta a Leto, e la spronò a raccontarle cosa fosse successo.
-Mi ha cancellata, Gwen. Come nel film “Se mi lasci ti cancello”, hai presente? Ecco io sono Joseph e lui è Clementine. Mi ha cancellata esattamente con la stessa facilità con cui lei cambia colore di capelli.- si lagnò, soffiandosi il naso tra una frase e l’altra.
L’amica non sapeva proprio cosa dire, non poteva dire che il professore si fosse comportato bene, ma d’altra parte era una cosa abbastanza normale quando una relazione finiva.
-Io vorrei solo capire come sia stato così facile per lui!- continuò tra le lacrime.
-Non credo lo sia stato, Kim.. è solo che è un uomo, probabilmente nasconde bene le sue emozioni.-
-No, vuole semplicemente lasciarsi questa storia alle spalle il prima possibile. Sono solamente una virgola nella sua vita, entro un mese non si ricorderà neppure il mio nome.-
-Non dire fesserie.- si affrettò Gwen, sebbene sapesse che fosse del tutto inutile darle qualsiasi barlume di speranza che lei fosse ancora importante per il professore. Ormai lui aveva decisamente messo le cose in chiaro.
-Non mi ama più, Gwen. Non so nemmeno se mi abbia mai amata, ma so per certo che non mi ama già più.- Kimberly dal canto suo, era inconsolabile. –Perché per lui è stato così rapido? Io lo amo ancora così tanto, lui mi ha cambiata. Solo l’idea di togliermelo dalla testa mi fa preferire il suicidio, e lui invece? Mi ha
scardinata dalla sua vita.-
-Io non sarei così affrettata. Sarà pure arrabbiato, ma se fino a 3 settimane fa andavate d’amore e d’accordo non è umanamente possibile che il sentimento si sia già spento.-
-Forse non si è spento, ma lui sta facendo il possibile per far sì che succeda rapidamente. Non vede proprio l’ora, come quando non vedi l’ora di toglierti una terribile irritazione cutanea.- si soffiò nuovamente il naso.
-Kimberly, io non so sinceramente cosa dirti. Mi dispiace tantissimo, ma devi cercare di stare su e non abbatterti così.- del resto quando una relazione finiva, era questo che si faceva. Si faceva un bel sospirone e poi si ricominciava a camminare con le proprie gambe, ricordandosi com’era prima che quella persona fosse nella nostra vita.
La ragazza annuì silenziosamente. –Devi darmi qualche giorno.- l’amica aveva ragione, e si rendeva conto di essere fin troppo pesante, perciò si era sforzata di cambiare “’qualche mese” in quel “qualche giorno”.
Dopo un breve scambio di battute, Gwen le ricordò che si sarebbe dovuta mettere a studiare, dato che il giorno seguente le aspettava la verifica imminente. Per quanto Kim le avesse dato ragione e le avesse promesso di esserci, non uscì mai dal letto per finire il capitolo che aveva lasciato a metà.

 * * *

 Il professore entrò in aula. –Separate i banchi.- ordinò a gran voce di modo che tutti gli alunni potessero udirlo senza scusanti.
Infatti eseguirono con una sonora sbuffata. Era l’ultimo giorno di insegnamento di Leto, era davvero stupido pensare che potesse esserne dimenticato.
Quando la distribuzione dei banchi lo soddisfò, cominciò a far passare le schede tra i ragazzi.
-Avete mezz’ora.- disse, aspettando che tutti avessero il foglio per poi dare il via.
Gwen quando ricevette il suo, si apprestò a leggerne le domande. Strabuzzò gli occhi.
Lei non era mai stata una grande studentessa, studiare in generale non la faceva impazzire ed erano stati davvero rari i compiti in cui aveva eccelso.
E la gran parte si potevano accumulare tra le elementari e le medie.
Eppure, il compito che si trovava sotto il naso era di una semplicità sconvolgente. Notò anche come il professore fingesse di essere tutto concentrato nel leggere qualcosa, dando in questo modo agli sfaticati che non avevano avuto voglia di studiare, la possibilità di copiare.
La ragazza sorrise debolmente. Probabilmente era l’ultimo regalo che desiderava far loro.
Erano una trentina di quesiti a scelta multipla, posti in una maniera estremamente elementare. Sembrava strutturato in modo che anche chi non avesse neppure aperto libro, fosse in grado di azzeccare la risposta corretta.
Lei aveva studiato e per questo motivo, nel giro di un quarto d’ora, si ritrovò a posare la penna e a rimirare la verifica tra le mani, con un gran sorriso. Forse la migliore della sua carriera, osò pensare.
Soddisfatta, voltò lo sguardo su Kimberly, chiedendosi come se la stesse cavando l’amica.
Si accorse solo in quel momento che la ragazza a meno di un metro da lei, non aveva neppure toccato la verifica, forse non l’aveva manco letta, intenta a fissare fuori dalla finestra mentre si rigirava una biro tra le dita.
Non aveva lo sguardo triste: di tutta la depressione del giorno precedente non c’era la minima traccia. Sembrava semplicemente assorta, persa in un altro mondo fuori da quelle quattro mura.
A Gwen venne un colpo: non avrebbe permesso che si facesse bocciare in quella materia solamente perché aveva avuto dei problemi col professore.
La loro relazione non aveva mai influito sul rendimento di lei, era davvero una mossa stupida farlo succedere ora, quando si trattava del voto decisivo.
Si apprestò ad attirare la sua attenzione. –Kim!- sibilò. –Che cavolo stai facendo?-
La ragazza la guardò completamente rassegnata, facendo spallucce. –Non ho studiato.- giustificò tranquilla.
-E’ a prova di imbecilli questo compito!- prova ne era che stavano serenamente conversando a due passi dal prof.
Kimberly le rivolse uno sguardo completamente disinteressato. –Sono stanca.- e tornò a fissare fuori dalla finestra. Il clima si stava scaldando rapidamente, e se fino a qualche settimana prima la primavera sembrava non volerne sapere di venir fuori, ora l’estate sembrava avere fin troppa fretta di presentarsi.
Kimberly non vedeva l’ora. Sarebbe stata l’estate più lunga della sua vita e senza neppure il pensiero di avere dei compiti.
L’idea la rallegrava. Avrebbe passato tutte le altre materie, se anche una le fosse andata male, non sarebbe poi stata la fine del mondo.
A Jared non importava più un accidente di lei? Perfetto, per lei ora non esisteva più neppure un professor Leto.
Portandosi le mani nei capelli, Gwen puntò gli occhi sul professore, il quale sollevò lo sguardo su di lei dopo poco. Evidentemente si sentiva osservato.
Lei gli indicò con un cenno la sua compagna, e a vedere Kim bruciare così l’opportunità di ricevere un ottimo voto, in lui si aprì un varco di apprensione.
Fece cenno a Gwen di avvicinarsi, la quale eseguì. –Che cosa sta facendo?- le chiese.
La ragazza gli rivolse uno sguardo irritato. –La prossima volta magari provi ad essere più cauto.- chiosò, facendo riferimento a qualcosa che lui capì
immediatamente.
-Non ho fatto niente di male.- lo sguardo si indurì.
-Ne sono sicura, ma il messaggio che le è arrivato non è esattamente carino.- sapeva che non avrebbe dovuto, ma fu più forte di lei prodigarsi per difendere la sua amica. Sarebbe stata dalla sua parte nel bene e nel male, per quanto magari a volte si dimostrasse dura nei consigli.
-Le ho solo restituito le sue cose.- ribatté sottovoce.
-Professore, non deve giustificarsi con me. Solo che io penso che quando non si ama più una persona, va bene farglielo capire, ma illuderla così per spezzarle il cuore, mi sembra un’azione un po’ bassa.. perfino per un uomo.-
Leto sbatté più volte le palpebre. –E’ questo che ha capito?- doveva aspettarselo.
Le femmine erano più complesse e in un basico gesto ci vedevano una tragedia romantica, mentre per le menti semplici dei maschi, restituire una scatola significava solo ed esclusivamente restituire una scatola. Niente di più, niente di meno.
Sbuffò, appoggiandosi allo schienale, facendo poi segno a Gwen di tornare al suo posto.
Osservò il volto immobile di Kimberly per il resto del tempo concesso per la verifica, alla fine del quale chiese che gli fossero restituiti i fogli. 

-E ora cosa facciamo?- chiese un alunno sorridente per il compito che era sicuramente andato bene, ma rendendosi conto che mancava ancora una mezz’ora piena.
Il professore ricambiò il sorriso, estraendo da dietro la sedia la sua fida chitarra.
Tutti ne furono subito felici. Era tanto che mr Leto non suonava per loro.
Dal canto suo Jared, la sera prima aveva davvero fatto schifo al locale di Tomo e l’idea di ripetere l’opera non lo aggradava poi molto, ma voleva condividere un’ultima volta con i suoi alunni questa passione. Erano loro il suo pubblico più appassionato, e del resto, voleva cogliere l’occasione per suonare qualcosa a Kimberly.
Le avrebbe lasciato qualcosa di diverso, rispetto a quel codardo “non ti amo più” che si era portata a casa l’altro giorno.
I ragazzi richiesero a turno una canzone che potessero cantare tutti insieme, e sebbene non fossero le sue, l’uomo si divertì molto vedendo come stavano a tempo e si appassionavano a sentirlo.
Leggeva sui loro volti la gioia di quell’ultima condivisione, porgendogli tra una strimpellata e l’altra, alcune domande sul suo conto.
Cosa avrebbe fatto ora, se gli sarebbero mancati, se si potessero rivedere un giorno, se fosse tornato a trovarli… non era ancora uscito da quell’edificio e già sentiva un’incredibile nostalgia dei suoi alunni.
Kimberly nel frattempo era rimasta immobile ad osservare qualcosa fuori dal vetro. Non muoveva neppure un muscolo, neanche le palpebre, al punto da
apparire quasi finta.
Perciò, stanco di vederla così, desideroso di vedersi rivolgere almeno uno sguardo, fu il professore a scegliere l’ultima canzone. 

Ti ho deluso o abbandonato?
dovrei sentirmi in colpa o lasciare che
i giudici mi guardino male?
Perchè ho visto la fine prima che iniziassimo
sì, ho visto che tu eri cieca
ed io sapevo di aver vinto.
Quindi ho preso quel che era mio per diritto divino
Ho preso la tua anima durante la notte
potrebbe essere finita ma non finirà qui,
sono qui per te, se solo te ne importasse.

 
Le note invasero la stanza, mentre i ragazzi uno ad uno cominciarono a riconoscere di che canzone si trattasse.
Gwen, da come il professore guardava insistentemente in direzione dell’amica, capì che fosse appositamente dedicata a lei e si sentì sollevata nel notare che finalmente Kimberly non era più un ologramma, ma fosse finalmente resuscitata e improvvisamente si fosse fatta attenta.

 Hai toccato il mio cuore, hai toccato la mia anima
hai cambiato la mia vita e tutti i miei obiettivi
e l'amore è cieco e l'ho saputo quando
il mio cuore era accecato da te.
Ho baciato le tue labbra e tenuto la fronte
ho condiviso con te i tuoi sogni e il tuo letto
Ti conosco bene, conosco il tuo odore
Sono stato dipendente da te.

 Il sentimento con cui intonava quelle parole, fece presto comprendere a tutti di cosa si trattasse e improvvisamente i compagni cominciarono a sentirsi di troppo ma al contempo onorati di poter assistere ad una scena del genere.
Non era una bella canzone, spensierata e felice, ma era una canzone capace di toccare il cuore.
E quelle parole stavano toccando quello di Kim al punto che per lei fu improvvisamente impossibile nascondere cosa provasse e il suo viso d’un tratto, da quasi plastificato, mutò in una maschera di dolore.
Non sapeva bene dire da cosa potesse essere spinto Jared in quella follia, ma l’accettò e decise di seguire fino in fondo come sarebbe andata. 

Addio amore mio, addio amica mia
sei stata quella giusta, quella giusta per me

 Sentirgli pronunciare quelle parole, fece più male di quanto potesse mai aspettarsi.
Si sapeva, Jared non era un gran chiacchierone per certe cose, per questo motivo non si sarebbe mai immaginata di sentirle proprio dire dalla sua bocca.
Ma era lì, e per quanto tentasse di non starlo a sentire, le orecchie non potevano che tendersi alla sua voce e gli occhi non potevano che bramare di essere guardati dai suoi. 

Sono un sognatore ma quando mi sveglio,
non puoi spezzare il mio spirito
sono i miei sogni che prendi.
E ora che stai andando avanti, ricordati di me
ricordati di noi e di quello che eravamo.
 

Probabilmente aveva avuto ragione Gwen a dirle che se la era presa troppo. Quella scatola non significava necessariamente che non volesse più niente che la ricordasse nella sua vita, ma che desiderava solamente un po’ di spazio per poter andare avanti.
Per quanto fosse un messaggio un po’ più gestibile rispetto a quello con cui si era flagellata notte e giorno la ragazza, per lei costituì lo stesso una gigantesca pillola da ingoiare.
Lei non voleva lasciarlo andare, per quanto si sforzasse.

 Ti ho vista piangere, ti ho visto sorridere
ti ho guardata dormire per un po’
Sarei stato il padre dei tuoi figli,
avrei passato il resto della vita con te.
Conosco le tue paure e tu conosci le mie
abbiamo avuto i nostri dubbi
ma adesso stiamo bene,
e ti amo, giuro che è vero.
Non posso vivere senza di te.

 Perfino per Jared cantare quelle parole fu estremamente difficile. Se fosse stato in un’altra situazione si sarebbe messo a piangere come un bambino.
Lui l’amava sul serio, l’amava solo come un uomo che non era mai stato ferito poteva amare e sarebbe stato un sentimento davvero difficile da seppellire.
Le varie circostanze però gli avevano dimostrato che non sarebbero potuti stare insieme, che per quanto si fossero sforzati di avvicinarsi, le varie divergenze alla fine li avevano allontanati.
Lo stesso lui era grato per tutto ciò che gli aveva concesso, per quello che gli aveva permesso di vivere e ci teneva che lei lo sapesse.
Sempre che il messaggio ora arrivasse giusto. 

Addio amore mio, addio amica mia
sei stata l'unica, l'unica per me

 Ed io continuo a stringere la tua mano nella mia
nella mia quando mi addormento.
E sopporterò la mia anima nel tempo
mentre mi inginocchierò ai tuoi piedi
 

E quindi era un addio. Si sarebbe mai aspettata una conclusione del genere?
Avrebbe mai sospettato che la sua travagliata storia d’amore proibita terminasse così, con una serenata strappalacrime in piena lezione in orario scolastico?
Del resto, tutto era nato con una canzone e come conclusione sembrava davvero la più azzeccata.
Quando terminò la canzone, i compagni ci misero un po’ a riprendersi, per poi guardarsi intorno e accorgersi che quella nenia non aveva solo toccato i diretti interessati, ma fossero tutti reduci da una strofinata di occhi atta a bloccare le possibili lacrime.
Gwen stessa aveva occhi e naso che pizzicavano e ritardò il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto voltarsi verso Kimberly.
Quando accadde, la trovò nuovamente immobile a fissare il professore, questa volta. Per quanto si fosse impegnata a mantenere il viso inespressivo, delle lacrime silenziose avevano lasciato traccia sulle gote appena, appena bagnate.
Teneva gli occhi saldi su Jared, il quale ricambiava con tutto l’affetto che fosse in grado di lasciar trasparire.
E le stava arrivando tutto. Kim non riusciva più a sentirsi arrabbiata nei suoi confronti o delusa. Affranta e sgomenta sì, ma l’uomo era riuscito finalmente a dimostarle per l’ultima volta che aveva a disposizione la sua vera natura e tutto l’amore che aveva serbato per lei.
Non si sarebbe mai aspettata niente di simile e stentava a credere che quelle parole fossero uscite dalla sua bocca.
Eppure era successo. La stava davvero lasciando con una canzone, le stava dicendo che l’amava ma che questo amore non era abbastanza per tenerli insieme.

Forse un giorno se ne sarebbe fatta una ragione.


Note finali: eh. Rileggendolo non mi soddisfa moltissimo e soprattutto la prima parte, immagino quanto sia tedioso e odioso per voi leggere di sta ragazza che si trafigge nel dolore.
Ognuno reagisce a modo suo, io ho voluto renderla più disperata possibile, perché credo che sia così che si reagisce quando una persona che ami, non ti corrisponde più. Almeno, sarò una piattola, ma io quando sto male sto davvero malissimo, quindi diciamo che è proprio il trauma che proverei io che volevo far uscire in questo testo.
Spero di non essere troppo esagerata o di non avervi annoiate troppo, ma posso dire che dovrebbe essere l'ultima volta che trovate una Kimberly così distrutta. O dei sentimenti così negativi. Non spoilero niente, semplicemente mi sono un pò rotta anche io di questa situazione xD
Non c'è una canzone di contorno, dato che il capitolo in sé è concentrato su una canzone, che è, se non l'avete ancora colta, Goodbye my lover di James Blunt, che ho direttamente tradotto (le inglesofile mi odieranno) perché volevo far arrivare direttamente il significato, e se non riesce a farlo la nostra lingua madre, non ci riesce nient'altro.
Perdonatemi questa scorciatoia x)
E' quindi un addio?
L'idea più recete che ho avuto era di farlo terminare così, con la triste morale che le cose anche belle, se non sono giuste per noi, dobbiamo essere in grado di capire quando devono essere lasciate andare. E' una lezione dura, ma deve essere imparata e lo sappiamo bene.
Un finale degno per una relazione tra teste e persone così diverse, no?
D'altra parte però questa FF è nata quando avevo 17 anni e l'idea originale non era di finirla così, quindi con il vostro permesso, io avrei ancora un paio di idee nella manica.

Spero di avere il vostro appoggio e vi auguro buona lettura.
Fatemi sapere come sempre, e scusatemi eventuali errori che mi sono sfuggiti, al momento sono un ciclope e si fa quel che si può ahaha.
xoxoxo

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