perfect di shewolf_ (/viewuser.php?uid=275884)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capiotlo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32. ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33. ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34. ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37. ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38. ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39. ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40. ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41. ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42. ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43. ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44. ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45. ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46. ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47. ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48. ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49. ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50. ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51. ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52. ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53. ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54. ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55. ***
Capitolo 56: *** Capitolo 56. ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57. ***
Capitolo 58: *** Capitolo 58. ***
Capitolo 59: *** Capitolo 59. ***
Capitolo 60: *** Capitolo 60. ***
Capitolo 61: *** Capitolo 61. ***
Capitolo 62: *** Capitolo 62. ***
Capitolo 63: *** Capitolo 63. ***
Capitolo 64: *** Capitolo 64. ***
Capitolo 65: *** Capitolo 65. ***
Capitolo 66: *** Capitolo 66. ***
Capitolo 67: *** Capitolo 67. ***
Capitolo 68: *** Capitolo 68. ***
Capitolo 69: *** Capitolo 69. ***
Capitolo 70: *** Capitolo 70. ***
Capitolo 71: *** Capitolo 71. ***
Capitolo 72: *** Capitolo 72. ***
Capitolo 73: *** Capitolo 73. ***
Capitolo 74: *** Capitolo 74. ***
Capitolo 75: *** Capitolo 75 ***
Capitolo 76: *** Capitolo 76. ***
Capitolo 77: *** Capitolo 77. ***
Capitolo 78: *** Capitolo 78. ***
Capitolo 1 *** capitolo 1 ***
Salve a tutti, questa è una storia che ho cominciato a scrivere un paio di anni fa e che, per causa scuola, non sono mai riuscita a continuare. Ho gia molti capitoli da parte, una cinquantina circa, tendo a scrivere molto quando mi interesso ad una storia.
Ora che ho un pò di tempo libero mi piacerebbe ritagliarlo e dedicarmi a continuarla; aggiornerò abbastanza spesso quindi.
I personaggi non mi appartengono e tutto quello che ho scritto è pura fantasia.
Mi scuso in anticipo per gli eventuali errori di scrittura, tendo a non rileggere.
Questo è un assaggio, enjoy.
PERFECT.
-Gwen,Kimberly e Julia,se non la finite,vi sbatto fuori dall'aula!- gridò l'insegnante di economia.
Era una donna non troppo alta,capelli corvini dal taglio a caschetto e occhi molto grandi,sul grigio..o un colore altrettanto neutro,dato che Kimberly non era mai stata molto interessata ad assicurarsene.
Era una donna in gamba e sicuramente molto preparata,minuta ma con una forza e un carisma che poteva ribaltare il mondo in un secondo,se solo avesse voluto.
Sicuramente a conoscerla meglio,era anche simpatica.. ma le sue materie proprio non lo erano.
Di tutta risposta Gwen sbuffò un “mamma mia,questa..” tornando a sfogliare la sua rivista,Julia le sghignazzò in faccia e Kimberly si girò decentemente nel suo banco,in modo da non dare più le spalle all'insegnante e riportando la sua piena attenzione alle doppie punte dei suoi liscissimi capelli.
La professoressa preferì non perdere altro tempo e continuò con la sua lezione,mentre le 3 continuarono a fare i propri comodi,sta volta silenziosamente e ognuna per conto suo.
Non mancava molto alla fine,ma in certi casi anche dieci minuti sembravano durare un'eternità.
Kimberly sospirò e,accavallando le gambe,appoggiò anche una mano sulla guancia.
Esitò un minuto,prima di alzare la mano e chiedere il permesso per uscire,sarebbe uscita comunque tanto.
Non era esattamente una ragazza modello sotto quel punto di vista,non più almeno.
La professoressa le fece segno di andare,senza neanche interrompere la frase che stava recitando o darle la parola,tanto sapeva perfettamente che non le avrebbe posto una domanda inerente.
La ragazza scavallò le gambe e uscì dall'aula,quei stivaletti col tacco in legno attiravano l'attenzione su di lei ovunque andasse,tanto erano rumorosi.
Quindi non c'era da stupirsi se quando si voltò per chiudere la porta,tutti gli occhi della classe erano puntati su di lei.
Andò in bagno senza fretta,ne scelse uno a caso e vi si chiuse dentro.
Si appoggiò alla porta e si lasciò andare al suolo,per poi portarsi la testa tra le mani.
Odiava la sua vita,la odiava con tutta se stessa.
Detestava la persona idiota che era diventata,odiava il tono con cui rispondeva alle persone,e i loro sguardi avviliti quando ricevevano parole crude come uno schiaffo;detestava gli specchi e detestava sentirsi carina e alla moda quando si riconosceva nelle figure riflesse.
Lei non era come Gwen o Julia. Lei era una persona vera.
Non sopportava più quel estenuante routine quotidiana,sempre uguale,sempre monotona,sempre quella.
Ogni tanto desiderava più di qualsiasi altra cosa scomparire,scappare lontano da tutto e datutti.
Ma,quando la situazione si faceva ai limiti della sopportazione,si ritirava tra sé e sé facendosi forza e ripetendosi che la sua felicità era lì vicina,mancava poco e l'avrebbe assaporata.
Non desiderava altro che arrivare al momento in cui si sarebbe potuta guardare indietro con un sorriso e finalmente non pensare più alla sofferenza e a tutte le lacrime perse nel nulla più assoluto.
Lo desiderava con tutta sé stessa.
Nella sua più nera e viva negatività,c'era un barlume di speranza che non faceva che ardere incessantemente,quasi a simboleggiare la sua forza d'animo che non voleva assolutamente sotterrarsi.
Era stata male,sì,forse aveva addirittura sfiorato la depressione,ma non si sarebbe mai e poi mai data per vinta così,per nulla.
Anzi,era stata forte,aveva saputo rialzarsi e imparare a trarre beneficio da ogni sua sensazione,comprese quelle che rientravano nel dolore.
Era riuscita ad andare avanti,o almeno,era ancora in procinto di farlo,dato che pur di dimenticare tutto,stava letteralmente cambiando quello che era.
E si odiava,eccome. Ma non aveva scelta,dal suo punto di vista.
Fece un respiro profondo e uscì dalla cabina per poi andare davanti allo specchio. Solo lì si accorse,quando vide le strisce di trucco colate sulle guance,di aver pianto.
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Capitolo 2 *** capitolo 2 ***
Ecco il secondo capitolo dove entra in gioco Jared.
Perdonate gli errori, enjoy :)
Capitolo 2.
Velocemente prese un paio di fazzoletti e asciugò quel pasticcio,maledicendosi sommessamente.
A lavoro compiuto,tornò in classe e anche lì,non si stupì di trovarsi tutti gli occhi puntati addosso,dato che avevano sentito il suo arrivo.
Si sedette al suo posto in silenzio e notò con la coda dell'occhio che le sue due amiche avevano ricominciato a confabulare sotto gli occhi della prof rassegnata al fatto che mancassero solo 5 minuti.
Quando,finalmente,la campanella suonò,ci fu un sospiro generale.
I suoi compagni si alzavano e stiravano,sbadigliando senza nemmeno preoccuparsi di coprirsi la bocca.
Kimberly ridacchiò senza scomporsi,quando decise anche lei di imitarli.
Si sgranchì per bene la schiena e si diresse verso il suo migliore amico,Joseph,così per scambiare 4 chiacchiere,l'unico che aveva deciso di risparmiare dalla sua furia.
Si allungò verso di lui incurvando la schiena in dentro,facendolo sorridere.
-Sfiancante,eh?- domandò sorridente.
-Più del solito..- rispose la ragazza continuando con la sua serie di sgranchimenti.
Era un ragazzo alto,sarà stato 1.85 m,se non di più,spalle larghe,fisico asciutto,capelli e occhi scuri.
Forse era carino,non ne aveva idea. Quando un ragazzo era suo amico non si soffermava mai sull'aspetto fisico,quasi non se ne accorgeva.
Questo dava non poco fastidio a Joe,il quale era risaputo che avesse una cotta per Kim da quasi il primo momento che si erano conosciuti. Ma lei era ingenuamente convinta che fossero semplici dicerie dei compagni.
Quando ragazzo e ragazza hanno il feeling che avevano loro due,subito si va a pensare che si piacciano,invece a Kim piaceva stare in sua compagnia,molto semplicemente..era così sbagliato?
Erano solo amici,niente di più. Non sarebbero mai stati niente di più.
Anche se,quando sorrideva in quel modo,Kimberly pensava che fosse molto più che semplicemente carino,ma non glielo aveva mai detto.
Kim si accorse che il suo amico guardò alle sue spalle e subito gli si spense il sorriso,nel vedere il professore dell'ora successiva entrare in classe e appropinquarsi alla cattedra.
Tutti si misero ai propri posti in piedi,aspettando il permesso per sedersi: si trovavano in una scuola privata e questo era l'unico gesto educato che era loro richiesto di eseguire.
-Sedetevi pure.- disse il professore di musica,con un sorriso accennato.
Ecco,per Kimberly,quell'uomo era la prova che la perfezione esisteva.
Non avevano mai avuto musica prima d'ora,era stata una riforma scolastica di settembre dell'inizio dell'anno.
Loro erano al 4° anno e quando vennero a sapere delle ore di musica settimanali ne furono piacevolmente confusi. Era una novità,e a scuola,chi non apprezza le novità?
Specialmente in una scuola piccola come quella,dove le novità sono più rare di una nevicata in pieno agosto.
La preside aveva risposto alle domande curiose degli alunni usando come scusa il fatto che,trattandosi di un liceo,gli studenti necessitavano di una preparazione generica almeno su ogni campo.
Nessuno sporse lamentele,soprattutto dopo aver visto l'insegnante.
Le professoresse lo descrivevano come “un uomo piacente”,giusto per non sforare e mantenere quel decoro che viene loro richiesto in ambito lavorativo.
Tant'è che inizialmente nessuno ci credeva. Cosa potevano sapere delle donne abbastanza attempate,di cosa era ritenuto bello al giorno d'oggi?
E invece.. eccolo lì. Il professore di musica più affascinante che potesse esistere.
Si chiamava Jared Leto,e grazie a lui,musica era la materia più attesa della settimana.
Tutti andavano bene nella sua materia,un po' perchè lui era ampio di maniche,un po' perchè,trattandosi di una scuola composta in maggioranza da femmine,tutte si mettevano a studiare solo per attirare la sua attenzione.
Era abbastanza alto,allampanato,capelli scuri e occhi ghiacciati,o azzurro cielo,o blu o.. tutte le sfumature possibili.
Era un sogno,era desiderato ed aveva sulla 40ina d'anni.
Kimberly adorava le sue lezioni per la passione che ci metteva in quello che faceva o spiegava.. si vedeva che era un artista.
Inoltre,non c'era spettacolo più bello di tutte le ragazze che si ridicolizzavano senza neanche rendersene conto.
Ad esempio,se un compagno chiedeva una penna nera,tutte rispondevano che non ce l'avevano o semplicemente lo ignoravano,non si sa se per pigrizia o altro;mentre invece,se a chiederne una era il Prof. Leto,improvvisamente tutte ne possedevano una e facevano a gara a chi arrivava prima.
Kim non si scomponeva più di tanto,lo utilizzava solamente per rifarsi gli occhi tra un'ora e l'altra.
E poi,sinceramente parlando,la sua materia la annoiava. La parte teorica,almeno.
Se fosse stato per lei lo avrebbe fatto solo suonare e cantare,dato che lo faceva magnificamente.
Lei adorava cantare,amava la musica e tutto quello che ne derivava. Da piccina desiderava proprio essere una rock star,tanto che si ricreava la scena in camera sua,con una borsa a forma di chitarra e l'asta per appendere gli abiti come microfono.
Peccato che non fosse particolarmente intonata,quindi si arrese con un'alzatina di spalle e decise di limitarsi a sentirla la musica,anziché crearla.
Inoltre,Kim e il profe non si potevano soffrire. Per questo lo preferiva quando cantava,lo trovava molto più sopportabile.
Lui percepiva la sua noia nei confronti della sua materia,ritenendola come un'offesa personale,infatti finiva che spesso e volentieri discutessero sugli aspetti più futili,solo per non darsi ragione a vicenda.
Jared la riteneva una bisbetica ignorante,come le sue due amiche,le quali però erano troppo accecate dalla sua bellezza per prendersela a male.
Probabilmente si sarebbero anche fatte bocciare,se i corsi estivi fossero stati tenuti da lui.
-Chi mi ripete la lezione del giorno?- chiese lui dalla cattedra,il tono pareva particolarmente allegro.
Questa frase fece sgranare gli occhi a Kim,la quale si ricordò improvvisamente di non avere neanche aperto il libro. Non che ci tenesse,tanto lui più del 6 non le avrebbe mai dato.
-Kimberly? Vuoi concederci l'onore?- le domandò cercandola tra le teste.
Il suo tono strafottente la infastidì. Era sicuro che non fosse pronta,lo faceva apposta,sembrava ci godesse a umiliarla davanti ai compagni. O gli piaceva lo scontro,punti di vista.
Per come la fissava ogni tanto,le veniva da pensare che gli piacesse lei,ma cercava di scacciare certe idee e pensava che la troppa vicinanza con Gwen e Juls le avessero annebbiato il cervello.
Loro si auto-convincevano sempre che mr Leto era segretamente cotto di loro o qualcosa di simile,non che le ascoltasse poi molto.
-Ehm.. no,non mi sembra il caso.- rispose,cercando di sorridere in modo amichevole. Di solito con i professori più aperti come lui funzionava. Ma non con lui,purtroppo. Non con lei.
-Non hai studiato,immagino. Kimberly,tu sai almeno come è fatta la copertina del libro?- sbuffò incrociando le braccia al petto.
-Scusi se ho una vita.- ribattè Kim,con le guance leggermente arrossate dal nervoso.
La risposta gli fece alzare le sopracciglia,sebbene se l'aspettasse da parte sua una risposta impertinente da quella ragazza.
-Kimberly,sto per darti un brutto voto,non mi sembra il caso di mettersi su un piedistallo.- disse lui di tutta risposta. In questi casi adorava tirare fuori il potere di stare seduto ad una cattedra.
Il volto delicato dell'alunna impallidì leggermente. -Non può farlo!- sbottò,senza rendere conto della persona con cui stava parlando.
-Oh sì che posso.- un sorriso maligno gli si disegnò sul viso. Eccome se adorava sentirsi superiore.
Kim sentiva i suoi occhi di ghiaccio penetrarla in profondità,quasi a leggerle i pensieri.
Ma non si lasciava intimidire e reggeva il suo sguardo senza problemi,fissandolo negli occhi,a sua volta. Del resto era uno spettacolo per le pupille,e quando socchiudeva le palpebre e sorrideva in quella maniera saccente,non faceva che imbellirsi.
Lei sapeva che aveva ragione,lui era il professore,poteva anche bocciarla quando voleva. E la sua essenza era ciò che di più lontano potesse apparire dall'esterno.
Se fuori aveva l'aspetto di un angelo,dentro era il demonio. Per lei.
-E mi dispiace,ma con me i tuoi occhioni da cerbiatta non funzionano,non mi incanti.- continuò Leto,senza distogliere l'attenzione dal suo volto.
Kimberly si sentì colpita nel profondo,questo era un colpo basso.
Ammetteva che ogni tanto utilizzava la sua espressività accentuata per intenerire i professori,specialmente i maschi;ma in quel preciso momento impietosirlo era la sua ultima intenzione. Era davvero questo che era diventata? Una bambola manipolatrice?
Fu in quel momento che mollò la presa,abbassando lo sguardo e posandolo sulle sue mani tramanti di rabbia,con una smorfia delusa.
Era davvero bravo. 1-0 per lui.
Jared se ne accorse e il suo sorriso vincente si accentuò su quelle labbra talmente perfette da sembrar finte. Ma decise di lasciar perdere per il momento,erano solo i primi 5 minuti dell'ora,aveva ancora 45 minuti di tempo per altri scontri.
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Capitolo 3 *** capitolo 3 ***
Ecco il terzo capitolo.
Spero sia di vostro gradimento :)
Capitolo 3.
Con molta sorpresa per il professore, per il resto dell'ora Kimberly non aprì bocca, nonostante i suoi immensi sforzi per ravvivarla o le innumerevoli frecciatine.
Niente, non una parola altezzosa, un'occhiataccia raggelante o una smorfia disgustata.
Stette mesta e immobile con l'attenzione esclusiva per la manicure per tutto il tempo, non aveva neanche il coraggio di incontrare il suo sguardo.
Doveva essersi profondamente offesa, non la conosceva proprio bene.
Quando si parlavano era o per discutere o perchè lei fosse interrogata per recuperare il brutto voto precedente, sebbene non ci fosse alcun brutto voto.
Non la conosceva da molto, saranno stati sì e no 3 mesi scolastici, ma lei aveva subito un cambiamento radicale nel giro di uno solo.
Inizialmente era una ragazza piena di vita, allegra e solare, particolare. Semplicemente unica.
Capelli lunghi e castani e due occhioni onice, così scuri che riflettevano l'immagine della persona che stava guardando. Molto espressivi,dal taglio lungo.
Nessuna caratteristica particolarmente eccentrica o memorabile, ma il suo viso era uno di quelli che quando lo incontri, è difficile da rimuovere. I lineamenti non erano spigolosi, ma morbidi e delicati.
Profilo così perfetto da essere invidiabile, labbra non troppo carnose e pelle che pareva di pesca.
Ovviamente trovandosi in un liceo composto in maggioranza da ragazze veniva difficile non notarle, nonostante sapeva perfettamente che se qualcuno gli avesse letto nel pensiero, l'avrebbe preso per maniaco.
Naturalmente sapeva che alcune si prendevano un po' troppo sul serio, molte volte si era frenato dal urlare loro che era inutile tirarsela in quella maniera, l'aspetto non porta da nessuna parte ad una certa età. Anche lui da ragazzo era attratto dalle belle ragazze, c'era poco da fare,ma quando poi si rendeva conto del vuoto che in realtà erano, non le trovava più così interessanti.
Infatti in genere, lui era il tipico bello e impossibile che tutte volevano e le poche che riuscivano a raggiungerlo,non durava più di qualche ora.
Era anche un po' stronzo, a dirla tutta. Ma non gli interessava, lui voleva una persona da scoprire che non fosse solamente tutto involucro e niente sostanza.
E la gran parte delle ragazzine in quella scuola lo erano, non che aveva mai sfiorato l'idea di cedere ad uno dei loro tentativi di attirare la sua attenzione. Gli faceva ridere solo l'idea di infatuarsi di una ragazza così tanto più giovane e lo divertiva l'idea di essere denunciato per pedofilia.
Non sarebbe mai e poi mai successo.
Nonostante questo, il suo interesse per Kimberly lo spaventava, dato che la sua personalità controversa lo attirava più di qualsiasi altra.
I suoi occhi pece per lui erano un enigma tutto da scoprire.
Spesso avrebbe voluto andare a risvegliarla da uno dei suoi viaggi mentali e chiederle a cosa stesse pensando da rendere tanto meraviglioso il suo viso.
Poi, un giorno improvviso, cominciò a mutare.
Lei cominciò a cambiare abbigliamento e portamento, certo, solo l'esterno cambiava all'apparenza.
Per chi la vedeva da fuori poteva pensare che stesse solamente crescendo e avesse finalmente scoperto della sua bellezza e di come potesse tornarle utile, iniziando così a trattare male le persone. Altri potevano pensare che stesse semplicemente tentando darsi una forma più adulta, ma lui notò che c'era dell'altro.
Dietro alle solite risate sguaiate,alle risposte come al solito acide ed al suo cambio di look, c'era qualcosa di più profondo. Nei suoi occhi neri quella luce di vitalità era svanita. Non c'era allegria nei suoi sorrisi, non c'era profondità nei suoi gesti. Spesso Jared pensava che lo guardasse senza neanche vederlo, persa nei suoi pensieri più loschi e tormentati.
Quando si perdeva a fissare il vuoto, la sua espressione assumeva una nota puramente sofferente.
Lo nascondeva bene, certo. Ma dentro di sé voleva esplodere.
Erano le sue amichette che la stavano fagocitando lentamente,ancora poco e sarebbe diventata il terzo clone platinato,ne era sicuro.
In cuor suo, Leto sperava che tornasse in sé, temeva che la sua luce andasse scemando ulteriormente.
Anche in quel momento, osservandola durante l'intervallo nei corridoi, con Gwen e Julia, persa a fissare i suoi amici ridenti e scherzosi, vedeva qualcosa dentro i suoi occhi sgretolarsi inesorabilmente.
Certo,questo non toglieva che si trattasse della ragazza più irritante,impertinente e viziata che avesse mai conosciuto,ma era sinceramente dispiaciuto per quello a cui assisteva.
Tornò in classe e si sedette di nuovo alla cattedra, l'aula vuota sembrava un campo di battaglia reduce da una guerra in trincea. Libri,quaderni e quant'altro era sparpagliato sui banchi di ciascun alunno, abbandonato nella fretta di uscire da quella classe in cui stavano rintanati per sei ore al giorno.
Si sentiva particolarmente stanco e spossato,e l'idea di avere altre 3 ore ad aspettarlo non aiutavano di certo.
Ad interrompere i suoi pensieri, fu la porta di legno che si aprì.
Kimbely entrò e quando si accorse della presenza dell'insegnante,dovette trattenersi dal retrocedere. Si fece coraggio e camminò silenziosamente verso il suo banco,vi si sedette e buttò la testa tra le mani,sospirando rumorosamente. Poi si sporse,afferrò la borsa da cui estrasse un libro che stava leggendo in quel periodo e l'aveva presa particolarmente.
Si sentiva osservata, infatti, quando sollevò lo sguardo,i suoi occhi incontrarono immediatamente quelli del professor Leto. Rimase qualche secondo perplessa, domandandogli con gli occhi quale fosse il problema. Lui scosse semplicemente la testa, senza però distogliere lo sguardo dal suo.
La guardò stendere la schiena contro lo schienale e accavallare le gambe, aprendo il libro alla pagina in cui l'aveva lasciato. Le sue labbra mimarono un “ok” poco credibile e le sopracciglia si alzarono con uno scattino che faceva palesemente intendere “questo è scemo”.
-Che libro leggi?- le domandò fingendo disinteresse.
-Non sono affari suoi.- ribatté senza sollevare l'attenzione dal libro.
-Come siamo scontrose..- ridacchiò lui,prendendosi gioco della sua impazienza.
-Sa com'è,vorrei leggere in santa pace, e invece c'è un cretino che mi distrae.- finalmente riportò l'attenzione sul volto di Jared.
Lo fissava con sfida, le si leggeva chiaramente che non lo sopportava assolutamente.
Ciò lo divertiva, mentre lei continuava a domandarsi cosa ci fosse di tanto interessante nell'infastidirla.. Era l'unica che provava gusto a torturare?
-Sai, è una delle tante cose che non ti ci vedo proprio fare. E invece..leggi.- disse appoggiando la guancia su un palmo aperto, ignorando il fatto che gli avesse dato del cretino.
Kimberly lo guardò indispettita. Stava per scoppiare.
-Scusi?! Ma come si permette ad insinuare che io non sappia leggere?- ringhiò a denti stretti.
Lui la guardò alzando un sopracciglio. -Mi viene da pensarlo dato che non apri neanche il mio di libro.- rispose pacato.
-Semplicemente perchè la sua è una materia altamente noiosa. Ecco perchè non ci perdo un minuto del mio tempo.- spiegò calma.
-Sei troppo viziata..- sbuffò l'insegnante alzando gli occhi al cielo.
-E lei è troppo detestabile.- disse come una scheggia, pensando di colpire qualche tallone di Achille del professore. Jared invece, con sua grande sorpresa, ridacchiò sommessamente senza dire niente.
Si fissarono intensamente per gli attimi restanti di pausa,senza fiatare.
Lui tentava di capire, di scavare dietro quei buchi neri senza espressione, cercava di immaginare con quanti aggettivi poteva in quel momento Kimberly descrivere il suo odio per lui.
Invece lei, contrariamente di quanto pensasse l'insegnante, non pensava a nulla.
Si sentiva svuotata, si sentiva intorpidita e sentiva che non sentiva più niente. Sapeva che ciò sarebbe durato finchè il loro contatto visivo non si fosse rotto, quindi decise di goderselo.
Lo guardava come se non l'avesse mai visto, sinceramente contenta che lui la stesse guardando di rimando, per un minuto il suo ego ingigantito piacevolmente le fece pure pensare che sarebbero anche potuti andare d'accordo, in un universo parallelo.
Ma durò troppo poco per non pensare che fosse stato tutto frutto della sua immaginazione, perchè infatti non appena i compagni cominciarono a ritornare in classe, lui distolse l'attenzione da lei, raccolse il suo libro e la sua chitarra e uscì dalla classe con un -Arrivederci.- generale.
Mentre Kimberly continuava come una fessa a fissare dove si trovava lui fino a 5 secondi prima.
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Capitolo 4 *** capitolo 4. ***
Buongiorno! Ecco a voi il nuovo capitolo.
Niente di che, un capitolo di transizione, solo per presentare il personaggio principale.
Mi raccomando se avete qualche critica, commento o anche solo un bisogno sfrenato di mandarmi un saluto (ahah) non trattenetevi, non mordo :)
Buona lettura!
Capitolo 4.
Camminava a testa bassa verso casa con la sua andatura altezzosa e rumorosa.
Detestava quei tacchi,nonostante non arrivassero ai 10 cm,le facevano un gran male alla pianta dei piedi.
Quasi, quasi sarebbe tornata a rimettere le sue adorate Vans o All Star.
Ma ciò sarebbe significato cedere, e lei non ne aveva la minima intenzione.. quello che era prima non andava bene, evidentemente.
Quando si liberò di quel fardello insostenibile che erano le sue scarpe, tirò un sospiro di sollievo e salì velocemente le scale fino in camera sua, lanciando cartella e giacca sul letto.
Casa sua era vuota a quell'ora, non c'era mai nessuno che le faceva compagnia mentre pranzava, così spesso evitava proprio di cucinare inutilmente
Viveva con sua madre Lilian e il patrigno James in una delle villette a schiera in un paese non molto lontano dal centro.
Non le piaceva particolarmente quel paese, lei era cresciuta nello stesso di sua mamma, dove tutt'ora vivevano i suoi nonni.
Era un paesino carino, con tanto di centro commerciale e cinema apposito per i ragazzi.
Ma lei non era mai stata una a cui piaceva la stabilità, infatti si era stufata di tutto e tutti e non appena aveva cominciato le superiori, aveva smesso di frequentare i suoi ex compagni di scuola, tagliando completamente i ponti.
Se ci pensava lo trovava altamente egoistico, ma non le importava più di tanto.
Quanto sarebbero andate avanti quelle amicizie, dopo tutto?
Preferiva lasciarsi tutto alle spalle con tanto di ricordi di momenti che non avrebbe perso per niente al mondo.. Del resto quello rimaneva il suo paese, e qualvolta avesse deciso di tornarci, poteva tranquillamente farlo.
Il libro che stava leggendo in quel periodo l'aveva colpita principalmente per quello.. proprio perché parlava dell'importanza dell'appartenere ad un paese.
Diceva che il bello di un paese era sì, lasciarlo, ma anche essere consapevoli che nella lontananza, qualcosa di tuo rimane là ad aspettarti.
L'unica pecca è tornare e notare tutte le orrende differenze che non ti aspettavi di trovare.
Erano ormai sei mesi che non ci metteva più piede in quel paese, e per il momento era intenzionata a non farlo per altrettanto tempo.
Quello in cui viveva invece, non aveva niente di suo, era piccolissimo quindi sapeva perfettamente percorrerlo grazie alle innumerevoli passeggiate col cane, ma non conosceva nessuno e non aveva alcuna voglia di fare amicizia proprio ora, dopo ormai 10 anni che ci viveva.
Era sempre stata un po' sulle sue, molto spesso preferiva star sola, nel silenzio, piuttosto che circondata da gente idiota e fastidiosa. Erano gli altri ad avvicinarla, e, quando succedeva, non si tirava mai indietro, nonostante il suo essere solitario. Conoscere qualcuno era sempre un'esperienza interessante.
Era convinta che certe persone dovessero essere conosciute almeno una volta nella vita.
L'unico contatto che aveva con gli abitanti di quel paese era la pensilina dell'autobus, mezzo che lei disprezzava, infatti aveva cominciato a studiare per la patente in modo da poterla prendere appena compiuti i 18. Avrebbe tagliato i ponti anche con quelle persone che a pelle non le andavano a genio.
Sua madre le aveva lasciato una ricetta su un post-it sul frigorifero, ma non ci fece neanche caso e decise di stendersi in camera sua.
Lilian era una donna forte, con la testa sulle spalle, maniaca del pulito e uno sviluppato senso pratico.
Organizzava l'inorganizzabile.
Da lei aveva preso i capelli castani e il lato materno e combattivo.
Capelli lunghezza spalle, occhi vispi e intelligenti di un verde intenso, bel fisico nonostante i suoi suonati 45 anni.
James invece era un uomo molto attivo e con uno spiccato senso del dovere, non troppo alto e dalla corporatura un po' pingue.
Da quando aveva memoria lui era presente nella sua vita, quindi per lei era come un padre.
A lui doveva la tenacia e il senso della giustizia, lui le aveva insegnato come capire cosa fosse giusto e sbagliato, essendo lui un avvocato.
Avevano una figlia, la sua sorellina minore, Gaya.
Era all'asilo al momento, una bambina allegra e vivace, dalla risata contagiosa. Capelli biondicci come il padre e occhi verdi come la loro madre.
Dopo aver spedito la piccola all'asilo, James assunse Lilian come sua segretaria in modo da non darle il tempo di annoiarsi, idea che apprezzò particolarmente Kimberly,dato che almeno non doveva subirsi le lamentele della donna da mattina a sera.
Kim adorava la sua famiglia, sebbene spesso si sentisse un poco a disagio circondata da delle persone accasate come loro.
E, a dirla tutta, si sentiva anche di troppo, ogni tanto.
Quando la sera si ritirava in camera sua e per puro caso dopo qualche ora scendeva a prendere un bicchiere d'acqua, capitava che li trovasse tutti e tre distesi sul divano del salotto abbracciati, come una perfetta famigliola al completo.
Non per questo era gelosa o disprezzava la sorellina, anzi, era più che convinta che per lei avrebbe dato la sua stessa vita.
Semplicemente lei era più tendente verso suo padre.. Max.
Un uomo in carriera,una sorta di manager a cui era concesso girare il mondo, mentre lei era costretta a stare segregata in 4 km quadrati.
Lui non le parlava spesso del suo lavoro, sua figlia era semplicemente a conoscenza del fatto che fosse a diretto contatto con la musica, ma da quanto aveva capito si trattava di un produttore famoso e non gli andava di intromettere questo lato della sua vita, nei pochi momenti di intimità che aveva con sua figlia.
Lei significava il mondo intero per lui. Era tutto, era una cosa a parte, il suo riparo dalla frenesia della quotidianità.
Kim non ne era così a conoscenza, ma sapeva che l'affetto che il suo papà nutriva nei suoi confronti era quasi sovraumano.
Lo capiva da quanto si impegnava nel chiamarla una volta alla settimana alla stessa ora, precisamente il giovedì alle 9; dai nomignoli idioti che continuava ad affibbiarle, nonostante il tempo e l'età di ques'ultima; dall'entusiasmo che le dimostrava ogni qual volta che lei gli comunicava una novità, un buon voto o qualsiasi cosa aveva animato la sua settimana; dal modo in cui tentava sempre a spronarla a fare del suo meglio e non abbattersi nel caso si trovasse di fronte a delle difficoltà e da come ogni volta le ripetesse di quanto fosse orgoglioso di lei.
Ad essere sincera, Kimberly sapeva in cuor suo che tutto quello che faceva di buono, lo faceva per lui. Non si sarebbe mai e poi mai perdonata nel caso in cui gli avrebbe provocato una delusione.
Lei ammirava profondamente suo padre, scaltro, ribelle e soprattutto libero. Sempre pronto a seguire il suo istinto, mentre lei si riteneva anche fin troppo riflessiva.
Lui alla sua età, quando si era rotto della monotonia della sua vita, prese e partì a far esperienza e a conoscere le cose che poteva solo immaginare tramite la televisione.
Qualche giorno prima l'aveva chiamata chiedendole se desiderava qualcosa dalla Francia.. Mentre lei si trattenne dall'implorarlo di venire a prenderla e portarla con sé.
Era terrorizzata dalla vita sedentaria che sarebbe stata costretta a vivere. Non voleva assolutamente che finisse così per lei.
Non voleva assolutamente che nella sua vita si sarebbe detta “sono nata a X,vivo a X,mi seppelliranno a X”. Lo trovava altamente deprimente.
Ecco, da suo padre si poteva dire che aveva preso la capacità di pensare in grande, la capacità di sognare.
Oltre al suo amore per la musica e al suo essere in un certo senso eccentrica, una specie di artista.
Lei era particolare, non era la tipica 17enne. O forse era la speranza di un'adolescente che non vuole conformarsi alla massa..
Ma aveva dei sogni, aveva dei principi... quando invece i primi le furono stati negati, non fu difficile per lei perdere anche i secondi.
Si stese sul tappeto che le occupava completamente il pavimento, e si ranicchiò su se stessa, cercando di non spezzarsi in miliardi di granelli.
Aveva uno sfrenato bisogno di parlare con qualcuno.. ma non le era rimasto nessuno.
La sua migliore amica era partita mesi prima per l'anno all'estero e non erano più riuscite a sentirsi, Gwen e Julia non la stavano manco a sentire, coi genitori non aveva questo gran rapporto, andavano d'accordo, certo, ma lei era stata sempre molto riservata riguardo agli affari suoi.
E l'unica persona che in quel momento voleva fosse accanto a lei.. l'aveva abbandonata.
Aveva una tremenda voglia di piangere, di sfogare tutta la sua frustrazione e tristezza incolmabile.
Dicevano che la ruota gira. E lei stava semplicemente aspettando che arrivasse il suo momento di lasciarsi trasportare in alto. Invece, non faceva altro che trovarsi a terra e ogni vota che tentava di risalire, veniva spinta giù brutalmente. Non sopportava più questa situazione e quel dolore che attendeva solo che lei rimanesse da sola per colpirla e trascinarla con lui.
Fortunatamente, squillò il cellulare. Come appena sveglia si avvicinò a carponi all'oggetto vibrante rispondendo alzando di un tono la voce, per darsi vitalità.
-Gioia! Tra un'ora in centro?- le chiedeva Gwen dall'altra parte del cavo.
-Assolutamente!- e senza aggiungere altro riattaccò, buttò tutto il necessario in borsa, si diede un'occhiata allo specchio e uscì velocemente di casa.
Pur di non rimanere da sola, avrebbe fatto di tutto.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Ciao :)
Vi dirò, mi è molto piaciuto scrivere questo capitolo, mi sono divertita perchè è uscito spontaneo,
non l'avevo neanche programmato.
Spero piaccia anche a voi!
Se non lo leggete bene, se lo leggete meglio e se magari commentate ancora meglio ahah.
Grazie a tutti :)
Capitolo 5.
-Signora Bloomwood,sua figlia mi trova detestabile e la mia materia la annoia.- disse il professor Leto a due occhi incantati che lo fissavano, mentre un altro paio lo scrutavano con disprezzo.
Era il pomeriggio dei ricevimenti per le pagelle del primo quadrimestre, fine gennaio.
Ovviamente Kim sapeva che non l'aveva comunicato a sua madre cercando di metterla nei guai, dato che disse quella frase con la più totale calma e le labbra piegate in un sorriso seducente.
Non aveva la minima idea di cosa stesse tentando di fare, perché si vedeva che si rendeva perfettamente conto del suo potere sul sesso femminile.
Lilian cercava di darsi un minimo di contegno, Kim l'aveva avvisata prima di scendere dalla macchina.
“Mamma non sbavare davanti a quello di musica, ti prego.” le aveva intimato.
Di tutta risposta aveva ricevuto un “Ma figurati..” scettico, riguardo al fatto che ci fosse ancora qualcosa che potesse colpirla.
E in effetti c'era, evidentemente. Lo fissava senza mai sbattere le palpebre e annuendo come un' automa dopo essere stata privata del cervello.
Infatti Kimberly corrugò la fronte, notando che sua madre non le aveva rivolto ancora uno sguardo di rimprovero. Non che non se lo aspettasse, sua figlia l'aveva avvertita dei suoi problemi con quell'uomo, sebbene in quel momento la donna non riusciva a capire come si potesse detestare una persona di così bell'aspetto.
Jared sorrise compiaciuto dell'effetto che aveva sulla madre, del resto ci era abituato. In quella scuola erano messe tutte così -tutte tranne Kim. Infatti il motivo non riusciva ancora a spiegarselo, non che gli interessasse particolarmente, era bello ogni tanto parlare con qualcuno che non gli desse assolutamente ragione solo perché non stavano a sentire quello che diceva o perché aveva ragione a priori.
-Signora?- decise che era meglio svegliarla dal suo stato inquietante.
-Sì? Oh, sìsì capisco.- sobbalzò come dopo essere stata bruscamente riportata sul pianeta Terra. Poi voltandosi verso sua figlia -Kimberly!- con un tono finto severo, senza aggiungere altro.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e si batté il palmo della mano sulla fronte pensando “figura di ,me*da, figura di me*da, figura di me*da”.
Sperava sinceramente che la madre non avrebbe reagito in questa maniera imbarazzante davanti a mr Leto ,il quale sembrava piacevolmente divertito e la guardava leccandosi di tanto in tanto le labbra. Gesto che mandava la concentrazione di sua madre da tutt'altra parte.
-Mi..Ci..Lei..- balbettava Lilian fissando le labbra del professore, alche Kim le diede un calcio alla sedia, in modo da ristabilirla in quella classe. Erano ormai 10 minuti che stavano parlando, si stava creando coda fuori dall'aula: altre mamme con gli ormoni accesi che giustificavano la loro impazienza con il voler parlare dei propri figli, nonostante tutti sapessero che musica era considerata una materia inutile solo alla pari con educazione fisica.
-Profe, mia madre vuole dire che sono una buona a nulla, che è dispiaciuta e ora si è fatto proprio tardi e dovremmo andare così che in macchina possa farmi la ramanzina, poi mi segregherà in camera a vita assicurandosi che non pensi ad altro che a musica! Grazie del suo tempo, arrivederci!- Kimberly decise di prendere in mano la situazione, alzandosi e agganciando sua madre a braccetto, tentando di trascinarla con sé.
Jared sì alzò di scatto e afferrò la ragazza per il braccio. -Nono, non abbiamo ancora finito.- fece segno alla signora di riaccomodarsi, la quale eseguì senza farsi problemi.
L’alunna sbuffò mostrando tutta la sua frustrazione e guardando in cagnesco l'insegnante si risedette pesantemente.
-Chiuderla in stanza lo trovo perfettamente inutile, perché se la voglia non c'è, non le verrà sicuramente così, conoscendo il soggetto..- cominciò sorridente l'uomo.
-Cosa intende dire con questo, scusi?- domandò infastidita Kimberly.
-Sto dicendo che hai problemi quando ti si obbliga a fare qualcosa. E non negare, signorina.- disse lentamente, con quel sorriso leggermente accennato che tanto faceva girare la testa alle donne, e guardandola fisso negli occhi.
Kim decise di non dare l'avvio ad uno scontro proprio davanti a sua madre, quindi strinse i denti e incrociò le braccia al petto.
Capendo, il professore proseguì. -Bene,dicevo.. a mio avviso sarebbe molto più producente se per il prossimo mese si fermasse qua a scuola il pomeriggio, due volte a settimana.. con me. -
Kimbrely lo guardò allibita. Se non fosse che si teneva strette le braccia, le sarebbero cadute.
Mentre lui le continuava a sorridere, sapendo di aver la vittoria in pugno.. che poi, in cosa consisteva? Perché ci teneva tanto che lei studiasse la sua cacchio di materia? Ci teneva a torturarla, questo era certo, ma che genere di soddisfazione ne avrebbe ricavato lui? Già si immaginava che sarebbero state delle ore insopportabili, piegata sul libro e trattata come una bambina di 9 anni, inesperta e incapace di studiare.
Doveva fare qualcosa, doveva impedirglielo. -No,professore non le vorrei rubare del tempo prezioso. Mi metterò a studiare, glielo garantisco.- disse con il tono più gentile che poteva produrre in quel momento, presa dalla rabbia.
-Nessun disturbo, te lo assicuro.- rispose anche lui fingendo gentilezza per poi sorridere alla madre, sapendo che bastava solo quello per convincerla.
Infatti questa si svegliò. -Oh beh.. Kim se il tuo professore lo ritiene opportuno, direi che devi.- il tono di sua madre era convinto.
-Ma mamma!- cercò di replicare Kim voltandosi verso di lei di scatto.
-No Kimberly, niente ma. Ci vai, almeno lui può assicurarsi che tu abbia studiato.- non ammetteva lamentele.
“Povera me..” pensò Kim chiudendo gli occhi e buttando appena indietro la testa.
Quando li riaprì, ovviamente,Jared la stava guardando, quel sorriso maligno e trionfante che avrebbe fatto saltare i nervi anche ad un santo. Lei non si lasciò prendere dalla desolazione e si alzò.
-Ok, ora però direi che è proprio ora di andare.- disse a sua madre cercando di farla staccare da quella sedia. Lilian, suo malgrado si alzò, seguita da Jared che le porse la mano.
Se la strinsero e quando il professore fece per fare la stessa cosa con la ragazza, lei si allontanò di un passo, infilandosi la giacca a vento, così lui la riabbassò e le infilò entrambe in tasca.
-Arrivederci Signora Bloomwood. A presto Kim.- le salutò guardando esclusivamente la ragazza uscire dalla classe, la quale gli rivolse lo sguardo più cattivo che conosceva, facendolo ridere sommessamente.
Ormai in macchina, mentre sua madre continuava a dirle di quanto fosse fortunata ad avere un professore così attraente, lei ripensava al saluto: l'aveva chiamata per la prima volta Kim.
E doveva ammettere che detto da lui suonava davvero bene.
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Capitolo 6 *** capitolo 6. ***
Ok, capitolo davvero misero e breve, oltre che scritto male.
Perdonatemi :)
Capitolo 6.
Passeggiava per strada, diretto verso il parcheggio a pagamento in cui aveva lasciato la macchina la mattina stessa. Erano le sette meno un quarto, non sopportava più quella scuola, se ci fosse stato dentro un minuto di più sarebbe esploso in una furia omicida.
Starci 10 ore al giorno non è affatto una bella esperienza, ma gli toccava subirla ogni volta che c'era un'assemblea o un ricevimento genitori come quello a cui era stato.
Anzi nel secondo caso era anche peggio, dato che doveva sorbirsi sia l'assemblea -a cui poteva tranquillamente non partecipare, dato che tanto non diceva mai niente- che un branco di genitori lamentosi e prepotenti.
Sì, aveva assolutamente bisogno di una sigaretta.
Camminava lento, passando per la via principale in modo da ammirare le vetrine variopinte e da assaporare con molta più calma la stizza.
Si sentiva decisamente molto più rilassato, e quell'arietta fresca che tirava gli dava un gran sollievo.
Non gli piaceva più di tanto quella città, tra tutte quelle in cui aveva vissuto, questa stava tra le più basse della categoria.
Non c'era un perchè preciso, forse per l'anonimato del luogo, né troppo caldo né troppo freddo, o forse perchè era l'unico posto ad avergli offerto una cattedra fissa, mandandogli a rotoli i piani inizialmente ideati.
Lui aveva da sempre un sogno: diventare qualcuno.
E le carte in regola le possedeva tutte, dalla prima all'ultima. Solo che per qualche assurdo scherzo della natura ,nessuno l'aveva mai notato, sebbene non passasse così tanto in secondo piano.
Aveva talento, ne era sicuro, e aveva anche l'aspetto, volendo.
Aveva girato in lungo e in largo il pianeta, sperando di trovare fortuna da qualche parte, faticando per ogni singolo oggetto che possedeva e spaccandosi la schiena per sopravvivere o almeno portare avanti una vita degna di essere vissuta.
Eppure, alla fine,s i era ritrovato in questo luogo dimenticato dagli stessi abitanti tanto era tipico e scontato. Nulla di particolarmente interessante da attrarre i turisti, nulla di storicamente importante da apparire sui libri. Niente.
Ogni tanto la vita era ingiusta. Passi gran parte del tempo -dalla nascita alla maggiore età- a immaginarti lo stile di vita perfetto per te, e tutto il resto, invece, a leccarti le ferite mentre ti rendi conto che niente di quello che avevi ipotizzato potrà divenire reale.
Jared sapeva bene come ci si sentiva, sebbene non fosse mai stato il tipico ragazzo che si abbatteva davanti alla prima difficoltà, anzi.
Era sempre stato maturo e in gamba rispetto ai suoi coetanei, diverso.
Adorava definirsi diverso.. lo faceva sentire vivo.
Guardarsi intorno e rendersi conto che nessuno era come lui, lo rendeva fiero.
Sempre sicuro, sopra le righe, talentuoso e una gran testa. Perchè anche questa ci vuole nella vita.
Certo, di scemenze ne aveva fatte anche lui, aveva il suo giro di amici in ogni posto in cui si trasferiva; gli piaceva far tardi la sera e le cose proibite come ogni adolescente, certamente.
Ma da sempre, probabilmente da quando aveva imparato a ragionare, aveva capito che il suo futuro non sarebbe semplicemente stato legato ad una comunissima scrivania in un altrettanto comunissimo edificio come una banca.
Lui, il suo nome, la sua persona, sarebbero stati conosciuti nel mondo.
E quando, da piccolissimo, aveva messo mano per la prima volta su di un pianoforte, capì finalmente in che ambito.
Era stato amore a prima vista, o meglio, a primo tocco.
Uno di quegli amori che ti consumano e ti corrodono tutti i pensieri; uno di quegli amori egoisti ed esigenti, che pretende ogni pensiero per sé.
Lui amava la musica.. era quello il suo futuro. La sua intera vita dipendeva dalle 7 note.
Quindi tutto quello che aveva affrontato e sopportato era stato solamente per lei, il suo primo amore.
Aveva girato, viaggiato, fatto ogni genere di lavoro e condotto ogni genere di vita.. aveva lottato, sofferto ma non si era mai arreso.
E alla fine, ironia della sorte, si trovava legato ad una comunissima cattedra in una comunissima scuola. Aveva ormai quasi 40'anni, sarebbe stato stupido pretendere che il successo cadesse dalle piante adesso.. almeno poteva dire di averci provato.
Non aveva neanche mai preso in considerazione questo lavoro, lui detestava i professori.
E sinceramente, neppure lui aveva la minima idea di come ci fosse arrivato, probabilmente in un momento di disperazione acuta aveva spedito curriculum a destra e a manca, sperando di trovare qualsiasi cosa.
Era convinto che, tra tutte le possibilità che potessero capitargli, gli fosse anche andata di lusso.
Meglio quello che netturbino, sicuramente.
E, tutto sommato, non era così male. Con i suoi alunni aveva instaurato un bel rapporto, non era il comune professore tutto studio e voti, anzi, li aiutava sempre.
Ogni tanto faceva qualche domanda giusto perchè per legge necessitava avere almeno 3 voti per alunno.
E poi gli era infinitamente grato. A loro faceva sentire le sue canzoni, raccontava delle sue avventure nei paesi più strani in cui era stato e specialmente, li incoraggiava ad inseguire i loro sogni.
Forse loro potevano avere più fortuna di lui.
Sospirando si appoggiò con la schiena alla macchina per terminare la sigaretta.
Era tutto assurdamente ingiusto, il colmo dei colmi. Ma non se la sentiva di abbattersi proprio adesso.. niente accade senza motivo, dicevano.
In cuor suo lo sperava, magari aveva sopravvalutato tutto ed era semplicemente destinato ad altro, qualcosa di più normale.
Gli venne in mente un libro, che aveva letto una volta. Si chiamava “La profezia di Celestino”, diceva che tutti noi nella vita abbiamo una strada ed è lì pronta che ci aspetta.. sta a noi incanalarci nella giusta direzione. E per trovarla, era importante non forzare troppo le cose, certo, metterci un po' del nostro e prendere le cose come vengono.
Così aveva deciso di fare lui. Aveva premuto sull'acceleratore per anni e anni, senza ottenere niente.
Ora voleva godersi quello che si era creato, sperando così di lasciarsi trasportare dalla corrente della sua strada.
Un sorriso amaro gli si disegnò in volto, fece un respiro profondo e dopo di che montò in macchina, ingranò la marcia e partì, pronto a per tornare a casa.
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Capitolo 7 *** capitolo 7 ***
Oh yeah ecco a voi un altro capitolo.
siamo in depression mode: On; e mi scuso ma ogni tanto tocca farlo ;)
Come sempre spero gradiate, e qualsiasi commento è ben accetto.
Cuoricino.
Capitolo 7.
Si sentiva soffocare,ancora.
Quanto sarebbe durata quella fase? Quanto sarebbe riuscita a proseguire così senza che gli altri se ne accorgessero? O per lo meno, fingessero di non accorgersene?
Non desiderava altro che tutto finisse. Era diventato tutto troppo insopportabile, persino i quattro gradini che precedevano l'entrata di scuola sembravano sfiancarla.
Prima di aprire la porta della sua classe chiuse gli occhi un nano secondo e si dipinse sul volto il sorriso più vero che potesse sfornare.
Entrò, la classe era semi vuota o semi piena, punti di vista... oggi la vedeva particolarmente vuota.
Lei si sentiva vuota. Non aveva nessuno qui disposto a parlare di quello che la torturava da mesi, ma, anche se avesse voluto, non pensava ci sarebbe riuscita.
Preferiva non pensarci, sebbene spesso le immagini dolorose le passassero davanti quando meno se l'aspettava, come flash improvvisi e spaventosi.
Si sedette al suo posto e cominciò a parlare del più e del meno con le persone che subito l'accerchiarono.
Nonostante sotto certi aspetti fosse mutata, il carattere e il carisma che prima non passavano inosservati le erano ancora addosso e i suoi compagni sapevano che nel profondo era solamente una fase e sarebbe passata. Infatti lei voleva molto bene a tutti loro, nonostante non avesse più un cuore.
Gliel'avevano strappato, spezzato e polverizzato davanti agli occhi.
La giornata passava lenta e monotona, come tutte le altre del resto.
Appena ti consegnavano la pagella, nessuno aveva più voglia di assegnare voti per un bel po', per quanto i tempi fossero davvero stretti
Kim stava ascoltando distrattamente la lezione di letteratura, le piaceva la sua professoressa, aveva un voce molto limpida e soffice. Sembrava intonata apposta per una ninna nanna.
Sua madre non voleva mai andare a parlare con lei perchè le faceva venire sonno.
Talmente calma e leggera che nessuno nella stanza fiatava per prestarle attenzione.
Kimberly la ascoltava incantata, mentre l’insegnante leggeva l'argomento del giorno, con una guancia sostenuta dal palmo aperto della mano.
Leggeva “l'Orlando Furioso” di Ariosto, molto scorrevolmente e con enfasi.
L'atto che stava leggendo poi, la prese sinceramente, sebbene tentasse ripetute volte i svegliarsi.
Parlava di questo personaggio che, andato alla ricerca della sua amata Angelica, un giorno scopre in una foresta il nome di lei inciso su alberi, pietre, rocce, casinsieme a quello del suo amato, Amedoro.
Inizialmente lui tentava di convincersi che non fosse quello che pensava, che quell'Angelica non fosse la sua Angelica, o che Amedoro fosse il nome con cui lei lo chiamasse in segreto.
Ma quando la realtà delle cose, sebbene già molto evidente, gli fu sbattuta in faccia, impazzì.
Si svestì e cominciò a correre in giro per il mondo, uccidendo persone e animali a mani nude e sradicando pini come fossero finocchi.
La delusione d'amore gli fece perdere il senno.
Come ci somigliamo, Orlando.
La professoressa si interruppe, finito di leggere una parte importante. -Pensate che ci siano dei riferimenti alla realtà?- chiese generalmente ai ragazzi che erano presi dalla storia.
La letteratura quando parla di cose che si sentono vicine, non sembra affatto pesante, anzi, prende una piega interessante.
Tutti alzarono contemporaneamente lo sguardo, portandolo nel suo.
Occhi confusi, divertiti, indifferenti, interessati e feriti le comunicarono già abbastanza.
Kim, senza sapere per volere di chi, prese la parola. Non interveniva spesso, certe cose non la entusiasmavano tanto.
Ma il suo bisogno di esternare i suoi sentimenti la precedettero.
-Io penso di sì.- disse ad alta voce.
L'insegnante la guardò, contenta di aver ricevuto una risposta. Forse avrebbe potuto iniziare un dibattito, cosa che adorava. I dibattiti tra alunni la entusiasmavano, voleva dire che aveva fatto centro.
-Continua Kimberly.- la spronò interessata.
Tutti i compagni erano girati nella sua direzione, come se per sentire quello che aveva da dire fosse necessario anche guardarla.
-Ovviamente nel limite del possibile. Però penso che renda bene cosa la sofferenza arrivi a farti fare.
Il dolore che può provocare un rifiuto.
Ovviamente nella realtà non ci trasformiamo in mostri verdi, ma credo che tutti tendano a trasformarsi in qualcun altro in seguito, come se perdessero una parte di loro stessi.- rispose la ragazza, tenendo gli occhi nei suoi, sperando sinceramente che la prof non le leggesse dentro quanto sentiva quelle parole.
Fortunatamente entrarono in campo altre voci di compagni che volevano dire la propria, quasi tutti concordi con Kim.
L'amore arriva addirittura a farti uccidere.
E nel suo caso, lei stava uccidendo se stessa.
L'ora finì, e Kimberly si sentiva più debole e vulnerabile del solito.
Una delle sue tante barriere protettive erano state ampiamente abbattute: il non pensarci.
Lei non voleva permettersi mai di pensare a ciò che più la faceva soffrire, ma quella storia, la professoressa e i suoi occhi comprensivi quando diceva la sua, la fecero del tutto crollare.
Si sentiva fragile, bastava uno sguardo a distruggerla.
Era il momento di musica, così lei decise di concentrarsi su come discutere in un qualche modo con mr Leto. Le avrebbe fatto bene.
L'uomo entrò con un sorriso disarmante in classe, cosa che fece sciogliere tutte in un sospiro estasiato.
Portava la chitarra acustica in spalla, era sempre di buon auspicio.
Aveva scritto una nuova canzone e voleva che i suoi alunni la ascoltassero e gli dicessero cosa ne pensavano.
Riportò tutti all'ordine e disse loro di accomodarsi.
Kim notò quanto la sua bellezza aumentasse quando era così raggiante.. emanava calore e luminosità.
Intercettò il suo sguardo e le sorrise gentilmente, a mo' di saluto.
Lei si risvegliò dai suoi pensieri e distolse il suo, sentendosi lievemente in imbarazzo. Non era mai stata beccata a guardarlo con gli occhi che non fossero di fuoco.
-Ragazzi! Indovinate?- chiese sorridente alla classe, in tutto il suo splendore.
-Ha una nuova canzone!- esclamò una delle ragazze.
-Esatto!- disse lui facendole l'occhiolino, cosa che per poco non la mandò in iperventilazione.
-La vogliamo sentire.- disse un altro a nome di tutta la classe.
Tutti volevano sentirla, sentirlo cantare era una delle 5 cose che ti avrebbero fatto sentire bene anche dopo la tipica giornata no.
Senza obiezioni prese una sedia e si sedette con la sua fida chitarra.
Cominciò a strimpellare una melodia dolce, e, quando la sua voce cominciò ad intonare calde, tristi parole, a Kimberly si spezzò il fiato nei polmoni.
Quello che diceva, come lo diceva.. faceva un male immenso.
-Come, break me down. Bury me, bury me, I am finished with you.- la sua voce era perfetta. Intonata ma con quell'accenno di rauco che lo rendeva estremamente
sexy.
Ma tutto quello che sentiva Kimberly erano pugnalate, una dietro l'altra.
Il dolore che era in grado di esprimere, le sue espressioni d'agonia, i suoi acuti che parevano richiesta d'aiuto.. tutto faceva solo che far star peggio Kim.
Il bello delle canzoni era sempre stato il fatto che riuscissero ad esprimere sentimenti comuni ma tanto complessi da non riuscire ad essere espressi, sebbene tutti le pensassero.
“Vieni, distruggimi e seppelliscimi.” quante volte Kim aveva pensato queste parole, quante volte, colma di disperazione, aveva implorato di morire, piuttosto che continuare con la sofferenza che la stava dilaniando dall'interno.
Quante volte aveva desiderato andare da Lui e dirgli “guardami negli occhi” e vedere una reazione in lui, vedere se un briciolo di rimorso si poteva cogliere nel suo sguardo. Si sarebbe mai reso conto che la stava uccidendo?
-Tutto quello che volevo eri tu.- diceva Jared e non aveva la minima idea di quanto in quel momento Kimberly gli desse ragione. Forse per la prima e unica volta si trovava d'accordo con lui.
A Kim salirono le lacrime agli occhi, e, non appena il professore finì la canzone scatenando un boato comune, lei chiese gentilmente di andare in bagno, sfilando un oggetto dal suo astuccio.
Jared la guardò per risponderle ma il sorriso si spense. -Kimberly, tutto bene?- le domandò un po' preoccupato dall'espressione smorta che aveva la ragazza. Che non le fosse piaciuta la canzone?
Che stesse male? Sarebbe stata la sua prima alunna malata.
Subito tutti si voltarono a guardarla, e i suoi occhi si accesero di un'improvvisa luce, in modo da non destare sospetti. -Certo.- rispose sicura, avviandosi alla porta, sotto lo sguardo indagatore del professore che la guardava sospettoso.
Uscì velocemente dalla classe, andò in bagno e si chiuse in una cabina.
Il bello di quella scuola era che era sempre pulitissima, e i bagni erano in perfetto stato.
In quel momento però poteva trovarsi anche in un angolo della strada, perchè non capiva più nulla.
Il respiro si fece più intenso e profondo, cercava di mantenere la calma, ma non ci riusciva.
Gli occhi le si offuscarono, non vedeva più nulla e il respiro ormai le si era smorzato in gola.
Si lasciò cadere, si raggomitolò a terra, cercando di soffocare i singhiozzi.
Perchè non voleva passare quell'orrenda sensazione di rifiuto ed abbandono? Era passato ormai più di un mese, e Lui non c'era più.
Se n'era andato, lasciandola quando meno se l'aspettava. L'aveva ingannata, delusa e sfruttata.
Nonostante ciò, Lui possedeva il suo cuore. Ce l'aveva tutto dalla prima all'ultima molecola.
In realtà il suo cuore batteva, lo sentiva eccome. Ma era un flebile eco di un affetto che le era stato rifiutato. Spesso, desiderava sinceramente non averne uno, pensava
che sarebbe stata decisamente meglio. Tutto sarebbe stato sempre più facile.
“Vieni, fammi a pezzi.” perchè senza di te non ne vale più la pena.
Si tirò su a sedere e cercò di riprendere la calma, mentre le immagini più tormentose e dilanianti le sfrecciavano davanti, una dopo l'altra.
Perchè si era comportato così? Perchè, dopo tutto quello che lei gli aveva concesso, aveva lo stesso deciso di farle questo? Lui, che diceva di amarla e proteggerla, alla fine si era rivelato il primo ad averla utilizzata solo come passatempo.
“Lo vedi? Mi stai uccidendo.” pensò, tirando fuori dalla tasca dei jeans il taglierino.
Alzò una manica e premette la lama contro la pelle,in modo da darle un po' più sollievo.
“Tutto quello che volevo eri tu”.
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Capitolo 8 *** capiotlo 8 ***
Le voila le nouveau chapitre!
Scusate ogni tanto ho questi esploi di francese ahah.
In ogni caso, BAM con questo capitolo entriamo nel vivo dell'azione, ci saranno sempre capitoli di transizione (del resto non si può sempre vivere con l'ansia ;) ) ma da qua in poi comincia la storia vera e propria!
Spero leggiate, gradiate e abbiate la pazineza di farmi sapere che ne pensate :)
Grazie a tutti per i commenti lasciati ;D
Capitolo 8.
La campanella di fine scuola suonò e nel giro di qualche minuto la classe era completamente vuota.
I ragazzi, ammassati come formiche, spintonavano per uscire il prima possibile, neanche fosse una prigione.
Tutti tranne Kimbely però, che quel giorno sarebbe dovuta rimanere il pomeriggio con l'insegnante di musica. Che cosa significasse tenerla come ostaggio per due ore poi, non lo sapeva neanche lei.
Pensava forse che se l'avesse tenuta controllata mentre studiava, magari le sarebbe venuta ancora più voglia? Tsk, illuso.
Mentre i suoi compagni si lanciavano fuori dall'aula, lei non muoveva un muscolo, come se la professoressa di chimica stesse ancora finendo di spiegare, sebbene lei fosse stata tra i primi a lasciare la stanza.
-Ehy Kimmy, non vieni?- le domandò Juls con una voce stridula.
A Kimberly dava un fastidio insopportabile la sua voce nel pronunciare quell'orrendo nomignolo.
Subito fu affiancata da Gwen, erano le solite ritardatarie.
Prima di uscire dall'edificio avrebbero fatto una capatina in bagno, per rifarsi il trucco.
-Mh, no oggi devo restare per..- cominciò a spiegare Kim, ma Gwen non la lasciò nemmeno finire che le schioccò un bacio sulla guancia -Sìsì, come preferisci. Ti squillo sul tardi, bacione!- e uscì di scena insieme a Julia, che la salutò timidamente.
Kim rimase immobile qualche istante prima di sospirare pesantemente, ingobbendo la schiena e piegarsi su se stessa. Portò la testa tra le mani e fece scorrere le dita tri lunghi capelli ondulati.
Lanciò un'occhiata all'orologio alla parete appena sopra la lavagna.
Doveva vedersi con Leto tra un'ora, probabilmente lui ora era in sala professori a pranzare, pensando che Kimberly stesse facendo lo stesso fuori scuola.
Per passare il tempo cominciò a sistemare il suo banco tirando fuori dalla borsa solo il necessario. Si era ricordata il libro di musica, fortunatamente.
Poi si alzò e si avvicinò alla finestra, la aprì per far circolare con po' d'aria.
Fuori era una bella giornata, soleggiata e neanche troppo fredda, nonostante fosse inizio febbraio.
Un'arietta fresca le scompigliò i capelli. Adorava l'aria, per lei era l'emblema della libertà e respirarla a pieni polmoni le faceva pensare di farne un po’ parte.
Il panorama dalla sua classe non era il massimo, ma l'altezza, l'aria e i raggi del sole davano al tutto un risvolto più interessante del solito.
Si appoggiò al banco più vicino e rimase incantata a guardare fuori, senza pensieri, senza preoccupazioni, sentiva solo l'aria attraversarla e invaderle la testa.
I vestiti non erano poi tanto pesanti, quindi si strinse le braccia al petto, sebbene qualche flebile raggio la illuminava, allietandole i brividi lungo la schiena.
-I tuoi capelli hanno dei riflessi rossi e biondi al sole. Non l'avevo mai notato.- disse una voce alle sue spalle, spaventandola. Era anche piuttosto vicina.
Kim sobbalzò e si sollevò, girandosi per guardare in faccia il suo interlocutore, sebbene avesse perfettamente capito di chi si trattasse.
Erano in due in quella scuola a quell'ora. Mr Leto la guardava con una profondità terrificante, Kimberly detestava quando la guardava così, sembrava che riuscisse a leggerle nell’anima.
-Oh, perdonami. Non intendevo spaventarti.- continuò notando la mano posata sul petto della ragazza. Lei scosse la testa rispondendo con un flebile -Non fa niente, ero sovrappensiero.- non riusciva a reggere il suo sguardo quando la prendeva così alla sprovvista.
Lui sospirò e guardò fuori. -E' proprio una bella giornata. Ti piace il sole?- le domandò. La cosa che sorprese più Kim era il fatto che sembrasse seriamente interessato. Che razza di domanda era? Non aveva mai parlato dei suoi gusti con un insegnante.
-Sì, ogni tanto. Vado a umori, oggi mi sento serena.- disse con un accenno di sorriso.
L'uomo la guardava confuso, che strana risposta che gli aveva dato.
-Allora l'altro giorno dovevano piacerti la pioggia e il cielo plumbeo.- azzardò.
Kimberly si sentì avvampare. -Cosa intende?-
-Che sembravi in pieno tracollo emotivo.- disse, facendola ridere leggermente.
L'aveva beccata, nonostante la sua buona volontà. -Era davvero una bella canzone.- commentò, cercando di cambiare discorso.
-Grazie, fa sempre piacere sentirsi apprezzati. Quindi non ti piace il caldo, ho capito bene?- continuava concentrato su di lei. Kimberly non capiva assolutamente dove volesse arrivare.
Decise di non pensarci e per una volta avere un dialogo civile con lui. Avevano il resto del pomeriggio per scannarsi.
-Esatto. Preferisco l'inverno, il freddo, il camino acceso, la neve.. mi ricorda quando ero bambina. Oppure l'autunno! Gli alberi prendono dei colori stupendi, come se le
foglie volessero farsi notare prima di morire e cadere al suolo.- si sentì una stupida. Quelle erano affermazioni da monologo interiore! Non certo cosa da raccontare al primo che ti capita davanti.
Diede una rapida occhiata a Jared, aspettandosi di trovarlo rosso in viso, pronto per scoppiarle a ridere in faccia.
Invece aveva un sorrisino in volto, e dalla sua espressione vedeva chiaramente che non stava assolutamente pensando di prenderla in giro. Stava pensando alle parole
che erano appena uscite dalla bocca della ragazza, lei non lo sospettava minimamente, ma a lui piaceva sentirla parlare. Possedeva un vocabolario molto vasto, ogni oggetto per lei aveva un nome e poi era in grado di articolare molto bene un discorso.
-Professore? A che pensa?- la sua voce si intromise nei suoi pensieri, era rimasto troppi secondi muto ad osservarla.
-Penso che probabilmente non smetterai mai di stupirmi, ragazzina.- rispose l'uomo appoggiandosi al banco dietro di lui.
Lei la percepì come un'offesa, si sentiva leggermente umiliata. Aveva lasciato scorrere i suoi pensieri e lui le aveva dato della ragazzina. La sua espressione cambiò improvvisamente.
-Non sono una ragazzina.- la voce era ferma e impuntata. La cosa accese un sorriso a Jared.
-Oh certo che no. Quanti anni hai?- aveva chiaramente un tono strafottente.
-Diciassette.-
-Ah allora mi sono sbagliato. Sei ancora una bambina.-
Kim si sentiva corrodere l'interno dalla rabbia. Come si permetteva?
-Sarò anche una bambina, ma almeno io non sono una maniaca dalla personalità multipla da analizzare.- rispose a tono, causando una risata prorompente dal prof.
Non l'aveva mai sentito ridere, era bella risata.
-E quindi io sarei da analizzare?- chiese divertito.
-Peggio. Psicoanalizzare, direi.- rispose andandosi a sedere. Lui roteò sul banco, seguendola con lo sguardo.
-Non dirmi che ti sei offesa.- disse severo.
-Assolutamente no. Perché dovrei?- non lo guardò neanche più in faccia, intrecciò le braccia al petto e accavallò le gambe. Jared la interpretò come “statemi alla larga che mordo” ma non si fece intimidire e si avvicinò, finendo per sedersi proprio sul suo banco.
-Non mangi?- le domandò, notando che era l'1.30 e lei non poteva essere uscita da scuola.
-No.-
-Non hai nemmeno fame?- continuò lui.
-No, grazie per l'interessamento.-
-Sicura?-
-No, ho detto. E potrebbe farmi il favore di togliere il suo deretano dal mio banco? Sa com'è. - sembrava davvero arrabbiata.
-Come vuoi..- si rassegnò, alzandosi e sedendosi sulla sedia accanto a lei. -Meglio?-
-Perchè le piace infastidirmi?- scattò lei improvvisamente nella sua direzione.
-non ti sto infastidendo.- la contraddisse corrugando la fronte.
-Eppure io mi sento irritata.-
-Mi dispiace per te, ma io non ho fatto assolutamente nulla.-
-Noo, lei è da ricovero! Prima sembra l'uomo più dolce del mondo e il momento seguente sembra solo uno stupido essere in andropausa!- aveva decisamente alzato la voce, le guance le si erano arrossate e cominciò a gesticolare animatamente. -E' frustrante.- disse infine, calmandosi.
Jared non si scompose più di tanto, non si sentiva un professore, ogni tanto era convinto di essere affetto dalla sindrome di Peter Pan. Quindi il fatto che lei gli
mancasse esplicitamente di rispetto non lo sfiorava assolutamente.
Anzi, più andava avanti, più si rendeva conto della sfacciataggine e della forza di carattere che l’alunna possedeva, caratteristiche che lo affascinavano molto. Era questo che lo turbava terribilmente.
Alzò le mani in segno di resa. -Ok, hai vinto, sono uno schizzato. Potrai mai perdonarmi?- le domandò piegando lievemente la testa, affinché riuscisse a cogliere i suoi occhi.
Lentamente lei li portò nei suoi. Oceano e catrame. Assolutamente opposti.
Lei guardandoli stentava a non capire più nulla, era più vicino del solito, era più vicino di quanto qualsiasi altro insegnante si fosse mai permesso.
-Dipende.- rispose poi sospirando. -Da cosa?- Leto inarcò un sopracciglio.
-Solamente se la prossima volta mi avverte quando sta per diventare Mr Hyde.- sembrava una bambina, a Jared venne un'improvvisa voglia di toccarla, di accarezzarle una guancia o spostare quel ciuffo di capelli che le copriva mezzo occhio. Sembravano setosi, doveva esserlo anche al tatto.
Sorrise dolcemente. -Preferisci Dottor Jeckyll?- domandò distrattamente.
-Sì,assolutamente. È decisamente meno indomabile.- sentì Leto ridacchiare, e questo la fece ridere a sua volta.
-Sai cosa mi stupisce?- riportò gli occhi nei suoi. Kimberly in quel momento si sentiva in bilico, poteva aspettarsi di tutto. -Che sei l'unica in grado di insultarmi senza dimenticare di darmi del “lei”. È piuttosto comico.- lei rise coprendosi la bocca con una mano.
-Già, non immagina quanto sia difficile. Ma ormai mi viene spontaneo- rispose serena.
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Capitolo 9 *** capitolo 9. ***
Ecco il capitolo 9.
Spero apprezziate :)
Capitolo 9.
Risate. -E quindi Beethoven ha scritto “Per Elisa” da sordo?!- chiese stupita Kimberly guardando negli occhi il suo interlocutore che, sconcertato ogni momento di più, continuava a spiegarle musica.
Possibile che fosse così ignorante al riguardo?
-Non ci credo che non lo sapevi già.- rispose scettico Jared.
Lei sorrise -Infatti, c'è cascato.- disse divertita dall'espressione sconvolta del suo insegnante. -Lei crede proprio a tutto?-
-Diciamo che ho la pessima caratteristica di essere positivo. Fino al midollo. Quindi credo subito alle persone, ho l'abitudine di dare fiducia a tutti. Ovviamente con moderazione, non darei mai il mio portafoglio al primo che passa chiedendogli gentilmente di reggerlo mentre mi allaccio le stringhe!- Kim scoppiò a ridere.
-Davvero? Non la facevo uno così. Insomma, lei sembra più qualcosa tipo..il diavolo.- commentò la ragazza, come se lui potesse intendere quello che voleva dire.
-In che senso, scusa?- le domandò con un ghigno.
Lei avvampò. Quando parlava con lui non riusciva a mettere il limite alle parole che sbrodolava senza ritegno. -Cioè..- cominciò a pensare ad un modo semplice per farglielo capire senza incasinarsi o offenderlo. -Lei sembra la tipica persona che potrebbe far fare tutto quello che vuole agli altri. Anzi, lo è! Guardi me, non riesco a controllare quello che dico! Lei incanta le persone, ecco.- arrossì ancora più vergognosamente. Come poteva dire certe cose al suo insegnante?
Leto di conseguenza la guardava e basta, conscio del suo potere su di lei. Lo aveva ammesso, nonostante l'avesse sempre nascosto bene.
-Mi fai così malvagio?- fece il finto preoccupato.
-No, certo che no! Non è colpa sua, solo che.. non è da tutti essere così. - disse indicandolo con la mano, per fargli intendere a cosa si riferisse. Al suo aspetto, ovvio.
Lui sorrideva fiero. Era un uomo, ovvio che gli facessero piacere le adulazioni, fatte in questo modo poi. Descritto come una sorta di demone che ottiene quello che vuole quando vuole e da chi vuole.
-Davvero?- la guardava intensamente, come a farla crollare dalla sua cinta muraria con la quale si era protetta fin dal primo momento.
Kimberly portò gli occhi nei suoi, scettica. -Non mi dica che non lo sa. Perché sarebbe davvero un cretino, o estremamente umile. E la seconda la escluderei, conoscendo il genere.-
Jared rise lievemente. -Sì, certo sarei uno sciocco se anche solo fingessi di non accorgermene. Quello che mi sorprende è che anche tu ne sia affetta. Sembravi immune.- dalla sua espressione Kim capì che era convinto di quello che diceva e ciò lo turbava.
Ricambiò il suo sguardo con uno espressamente incerto. Come aveva potuto anche solo immaginare una cosa simile? Come se una adolescente in piena fase ormonale non potesse accorgersi di uno come lui.
-Ma mi faccia il piacere. Semplicemente perché non sbavo come un cane non vuol dire che non apprezzo gli ossi.- cominciava a detestare queste sue similitudini insensate. Avrebbe voluto molto volentieri tapparsi la bocca una volta per tutte.
Jared invece ne era affascinato. -Tu hai sempre qualcosa da dire su tutto, eh?- forse era un modo per cambiare il discorso, che le stava diventando terribilmente stretto.
Kimberly apprezzò. -Sì, sa mi hanno detto che ho dei problemi...- gli disse sorridendo.
Lui ricambiò e tornarono al loro libro di musica.
Un'ora dopo, quando Leto si accorse che a Kim stava per cadere la mandibola tanto sbadigliava, capì che era abbastanza. L'aveva cotta a sufficienza per oggi.
-Ehy ragazzina, stai rischiando di slogarti la mascella!- la prese in giro lui.
-Oh mi scusi ma.. sono le 4 e io..- ad interromperla fu il suo stesso stomaco che imprecava. Arrossì leggermente, guardando di sottecchi Jared, sperando che non se ne fosse accorto.
Lui aveva la testa inclinata verso il basso a guardarle il ventre, per poi spostare lo sguardo nei suoi occhi neri. -..Stai morendo di fame.- finì la frase per lei.
-Non era quello che volevo dire, ma il mio corpo la pensa diversamente.- constatò Kim imbronciata, mentre metteva le sue cose in borsa. Stava facendo figuracce una dietro l'altra, non ce la faceva più.
-Perfetto, allora andiamo!- vide l'insegnante alzarsi, mettersi la giacca e prenderla per mano, indirizzandoli verso la porta. Lei riuscì appena in tempo a raccogliere giubbotto e cartella.
-E dove scusi?- gli domandò lei alquanto perplessa, mentre si infilava il piumino bianco.
-Ti porto a prendere un gelato, ok? Ti piace, mi auguro.- la guardò un secondo negli occhi, dubbioso.
-Perché non dovrebbe? Sono un essere umano!- gli rispose, come se fosse la cosa più scontata al mondo.
-No è che dato il soggetto niente è scontato.- disse avvilito.
-Tsk, parla mr alter ego!- lo canzonò Kim. Il professore le lanciò un'occhiata sarcastica. -E comunque non vorrei rovinarle i piani, ma è febbraio! Ci geleranno le mani.- ansimò. Stare al suo passo le metteva il fiatone, con quei tacchi poi, faceva il doppio della fatica.
-Staremo al coperto. Non dirmi che non c'è un bar in questa benedetta città e mi metto ad urlare.- Jared si accorse della sua difficoltà, quindi rallentò quel giusto da permetterle di tirare il fiato.
-Nonostante sarebbe una bella scena, sì certo che c'è. Mi segua!- Kim accelerò, ma le strade del centro della città erano tutte composte da ciottoli, quindi per poco non stramazzò al suolo, in seguito ad una storta. Jared l'afferrò al volo e, tenendola stretta, la posizionò. -Forse è meglio che tu dica “mi accompagni!”.- rise ,mentre la
sosteneva. -non..mi tratti co..me una demente,..per favore.- la poveretta faceva fatica anche a parlare, a causa delle ripetute quasi-slogature.. Un altro motivo per non mettere più tacchi. Si attaccò con le unghie al cappotto del suo professore, che la reggeva perfettamente.
-Mi viene difficile però se fai così!- rise lui, riferendosi ai suoi continui traballamenti.
-Senta, può lasciarmi, ce la faccio anche da sola!- l'orgoglio femminile cominciava a farsi sentire. -Mi accompagni a lato della strada, c'è il marciapiede apposta.- disse, indicandone uno.
Lui fece finta di nulla, e continuò a scarrozzarla come se fosse una malandata.
-Comunque, quando siamo fuori da scuola potresti anche darmi del “tu”. È piuttosto fastidioso sentirsi dare del vecchio per più di sei ore al giorno.- cambiò discorso.
-Ok, e come dovrei chiamar..ti?- si corresse prima di dargli ancora del “lei”.
-Jared, semplicemente. È così che mi chiama la gente.- rispose ironico.
Solo l'idea di chiamarlo per nome e abbattere quelle linee di confine che c'erano tra di loro, la spaventava un pochino. Certo, la elettrizzava, ma insomma.. avrebbe dovuto abituarsi.
-Va bene, vada per Jared.- ripeté il suo nome. Lo rifece altre mille volte nella sua testa, calibrando ogni lettera e immaginando di pronunciarlo con il tono più calmo possibile.
Aveva già fatto gaff su gaff, non poteva permettersi di sembrare un ghiacciolo al sole mentre lo pronunciava davanti ai suoi occhi celesti.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10. ***
Adoro questi capitoli, mi ricordano quando all'inizio di una storia sei preso da quella frenesia dello scrivere,
quando hai le dita che fremono e le mille idee che spingono per uscire; quando i capitoli escono lunghi e
ben strutturati senza fatica e di getto; quando non vedi l'ora di trovarti davanti ad un foglio bianco per continuare a esaurire queste idee così pressanti o quando non vedi di l'ora di arrivare ad un certo punto della trama, allora scrivi tutto rapidamente e senza troppi giri di pensiero.
Gli inizi delle storie sono sempre stupende. La novità ha sempre un fascino tutto suo, irresistibile.
Non so perchè mi sono lanciata in questo monologo, in ogni caso questo è il decimo capitolo,
mi auguro che vi piaccia al punto da farvi venire una gran voglia di commentare :)
Grazie a tutti dell'attenzione
Capitolo 10.
Tra battutine e inciampi vari, finalmente arrivarono a destinazione.
-Ecco, è lì dentro!- esclamò Kimberly indicandogli un bar all'angolo di un cunicolo.
Jared la accompagnò fino al marciapiede e la lasciò solo quando fu sicuro che non cadesse da un momento all'altro, poi diede una rapida occhiata al locale.
Sembrava un posto prettamente giovanile, era completamente trasparente, su due piani: sotto c'era il bancone e sopra le poltroncine dove sedersi.
Appariva particolarmente alla moda, ma non si stupì granché, visto il tipo di ragazza con cui era in giro.
Kim fece strada e una volta dentro salutò tutti i presenti chiamandoli per nome.
Ci aveva azzeccato, era uno dei locali che frequentava abitualmente.
I camerieri ricambiarono con un gran sorriso, per poi lanciare una rapida occhiata a Jared.
Nei loro occhi non leggeva sconcerto o sgomento. La differenza di età non riuscivano neanche a notarla, cosa che a lui fece un gran piacere. Ovvio, che avesse qualche anno più di lei era palese, ma nessuno avrebbe mai sospettato che fossero addirittura una 20ina.
La seguì al piano superiore e si sedettero ad un tavolino in un angolo verso l'interno, in modo che nessuno potesse vederli dal fuori. Insomma, come avrebbe potuto spiegare alla preside il fatto che fossero in un locale insieme? L'avrebbe licenziato in tronco, o al minimo,avrebbe dovuto subirsi una lavata di capo non da poco.
Kim sembrava piuttosto tranquilla, anzi lo era. Era così presa dal fatto che la sua fame sarebbe stata saziata, che non si preoccupava assolutamente dell'assurda circostanza in cui si trovava.
Anche perché, gli occhi con cui si guardavano ogni tanto, erano tutt'altro che formali.
Si tolsero la giacca e Kim strappò letteralmente il menù dalle mani del professore, facendolo sorridere. Non si preoccupò neanche di chiedergli scusa.
Lui glielo concesse e si allungò per prenderne un altro dal tavolo adiacente.
-Porca.. c'è una coppa di gelato da 30 dollari?!- parlò ad alta voce, senza nemmeno pensarci.
La ragazza ridacchiò appena, nel vedere l'espressione attonita di lui. Avrebbe voluto fargli una foto.. era talmente espressivo certe volte. Ma non disse niente e tornò alla sua perenne indecisione, nonostante alla fine scegliesse sempre la stessa cosa.
Quando ordinarono e rimasero di nuovo soli, calò il silenzio. Ma non uno di quelli pesanti, in cui si percepisce l'imbarazzo nell'aria, uno puramente voluto.
Per lo meno quando stavano zitti non potevano punzecchiarsi a vicenda e finire per discutere come bambini.
Kimberly cominciò a pensare che dopotutto non era una compagnia così malvagia, anzi si trovava davvero bene con lui. Se aveva qualcosa da dire, la diceva, se invece non gli andava, stava zitto. Niente di più bello. Era abituata ad essere circondata da persone -specialmente ragazze- molto ferrate nelle parole/argomenti tappabuchi, che spesso e volentieri risultavano solamente fastidiosi.
-Dimmi a cosa pensi.- la sua voce calda la risvegliò dai suoi viaggi mentali.
Si rese improvvisamente conto che la stava osservando da più di 3 minuti, mentre lei aveva prestato tutta la sua attenzione a degli stuzzicadenti. Aveva davanti uno degli uomini più belli mai visti e lei era in grado di perdersi dietro a delle sciocchezze. Ogni tanto avrebbe decisamente voluto schiaffeggiarsi da sola.
Portò gli occhi nei suoi, con una vena di perplessità. -E' una richiesta o un ordine?- gli domandò confusa. Nonostante il tono gentile con cui gliel'aveva proposto, la struttura della frase sembrava qualcosa di più che semplice curiosità, come se ci tenesse particolarmente a saperlo. O forse era lei ad essere estremamente egocentrica.
-Un po' dell'uno e dell'altro.- rispose con un debole sorriso Jared. -Io esigo saperlo, ma te lo chiedo, dato che non posso strappartelo dalla testa. Anche se mi piacerebbe.- spiegò sinteticamente.
Lei lo guardò confusa. -E perché ci terresti tanto, se posso chiedere?- nonostante il tu, Kim cercava di mantenere quella distanza che la faceva sentire a proprio agio. La imbarazzava renderlo partecipe dei suoi pensieri, quando cominciava non aveva un blocco, come se le mancasse il pudore. Sarebbe anche stata capace di raccontargli le cose che la facevano vergognare solo a pensare di pensarci.
E poi lui era così particolare.. con quale lato di lui stava parlando al momento?
-Beh, semplicemente perché mi incuriosisci. Ne ho visti di volti espressivi, e il tuo è uno dei più belli, nonostante per me rimanga un mistero totale. Quando pensi a qualcosa, le sensazioni che ti fa provare si riversano sul tuo volto e certe volte hai un'espressione così.. indescrivibile che mi verrebbe voglia di entrare nella tua testa e sentirmi anch'io così.- disse lentamente e a bassa voce, come se le stesse rivelando un segreto. -Prima ad esempio sorridevi.- concluse.
Kimberly rimase colpita. L'uomo ne parlava come se non facesse altro che guardarla dalla mattina alla sera, e trovava spaventoso il fatto che lui sembrava riuscire a capirla molto meglio di quanto facessero altre persone che la conoscevano da molto più tempo.. loro due parlavano pacificamente da neanche due ore.
-Parli come se fossi l'unica al mondo in grado di pensare.- disse guardandolo negli occhi, non temeva il suo sguardo ora. Non dopo quello che le aveva detto.
-No, ma sei una delle poche con la quale riesco ad avere un discorso concreto. Non ci sono molte ragazze in grado di guardarmi negli occhi come stai facendo adesso tu.- a momenti non batteva neanche le palpebre. Lei si chiese come fosse possibile non riuscire a guardarglieli. Erano così grandi, così chiari, così limpidi.. sembravano gli occhi di un angelo.
Dovette trattenersi dal sorridere come una scema, lui notava troppe cose.
-Sembra un fastidio.- commentò, girando il cucchiaino nella coppetta che le era appena stata portata.
-Ogni tanto lo è, sì.- trattenne uno sbuffo. -Ma non cambiare discorso. Allora, mi renderesti partecipe dei tuoi più loschi pensieri?- assottigliò gli occhi, rendendo più intenso lo sguardo.
-Ma niente.. stavo semplicemente pensando che stare con te è.. come dire, diverso.- sapeva che stava per arrossire.
-Diverso?- chiese chiarimenti, corrugando la fronte e portandosi un cucchiaino di gelato alla bocca.
Kimberly dovette sforzarsi per non fissargli le labbra. -Sì, cioè.. diverso in senso positivo. È un diverso bello, diciamo.- confessò, guardandolo di sfuggita.
Era sicura che i suoi occhi l'avrebbero umiliata.
-Oh ok. Mi piace come risposta.. anche io la penso similmente. Tu mi fa sentire diversamente.- disse, senza ritegno alcuno che lei, lì, in quel momento si sarebbe messa a ballare sul tavolo. Detto da lui la faceva sentire così vera.. sentì un brivido invaderla, e fece del suo meglio per trattenere un sorriso immenso. Era bello che lui avesse colto il senso e che l'avesse fatto proprio, stravolgendone il significato originale.
Anche Jared ricambiò il sorriso che lei aveva tramutato in una buffa smorfia. Lo divertiva il fatto che tentasse di trattenere la sua gioia ed era contento che avesse fatto centro.
E più la guardava, più vedeva aspetti di lei che non facevano che piacergli.
-La prossima volta offro io!- borbottò Kim mentre tornavano verso scuola, dove si sarebbero separati.
Lui le aveva impedito vivacemente di pagare, cosa che da una parte le aveva anche fatto piacere, ma dall'altra l'aveva fatta sentire terribilmente a disagio.
-Sìsì, come vuoi...- sbuffò Jared, con un tono che faceva palesemente intendere che voleva solamente farla smettere. Erano 10 minuti che si lamentava, non aveva mai conosciuto nessuna che potesse prendersela per un gesto nobile.
-Non dirlo solo per farmi smettere, che tanto è inutile. Quando mi metto in testa una cosa, la faccio!- in realtà non era così testarda per queste cose, insomma le aveva fatto risparmiare qualche spicciolo!
Ma in quel caso parlava per lei il profondo desiderio che tutto quello accadesse di nuovo.. il più presto possibile. Avrebbe speso anche tutti i suoi risparmi, fino all'ultimo centesimo, purché lui le concedesse un altro pomeriggio simile. Era sinceramente preoccupata che dal giorno dopo si sarebbe comportato come se nulla fosse, come se finalmente il loro rapporto non si fosse cucito e i loro sguardi e le loro parole cariche se li fosse solo immaginati. Non voleva, assolutamente.
Lui sorrise semplicemente, stringendosi nel cappotto pesante. L'aria era davvero fredda, ora che stava calando la sera.
-Vuoi che ti accompagni a casa?- le domandò, giusto per cambiare discorso.
-Oh no, grazie. Tra poco dovrebbe passare il mio autobus, vai pure.- lei sorrise gentilmente. Anche solo chiederglielo era stato un gesto carino.
-Dove lo prendi?-
-Là in fondo.- disse indicando una pensilina gialla, e subito dopo vide lui incamminarsi in quella direzione. -Ehy, dove vai?- chiese correndogli dietro. -La scuola è dall'altra parte!-
-Non è ovvio? Ti sto accompagnando!- rispose lui leggermente infastidito. Insomma, dove pensava stesse andando?
-Ma non c'è bisogno, Jared.- pronunciò il suo nome per la prima volta da quando lui le aveva detto di farlo. Lui sembrò neanche sentirla, continuava a passo spedito e si fermò giusto in prossimità della fermata.
-Tu sei sotto la mia responsabilità, e io voglio essere sicuro che arrivi a casa sana e salva.- si giustificò.
-E come fai ad essere sicuro che ci arrivi? Potrei..- cominciò ad azzardare Kim, ma lui la bloccò. -Non farmici neanche pensare. Penso mi sentirei in colpa fino alla morte. Ok, vieni con me, ti porto in macchina!- sembrava seriamente preoccupato, la prese per mano e la trainò per un metro, ma lei si sfilò sorridendo.
-Ma smettila, sei ridicolo. Me la so cavare egregiamente anche da sola.- scherzò.
-Sì, infatti prima non riuscivi a stare neanche in piedi..- commentò Jared, il quale si chiese davvero quale fosse il motivo di tanta angoscia.. insomma, non era mica una bambina.
Lasciò la presa e retrocedette di cinque passi, tornando dov'era prima, con uno sbuffo.
Per il resto del tempo Kimberly lo sentì distante. Quando lei attaccava un discorso, lui rispondeva a monosillabi senza neanche guardarla in faccia. Aveva ragione, era piuttosto fastidioso parlare con qualcuno che non ha neanche il coraggio di guardarti negli occhi.
Quella sensazione terribile che percepiva prima, ora si faceva sempre più intensa. Non sarebbe cambiato niente tra loro due, anzi, si sentì ancora più stupida solo per aver pensato una cosa del genere, senza parlare dell'averlo sperato.
La conferma le fu data quando l'autobus arrivò e lui quasi non la guardò neanche. Le sussurrò solamente un flebile -Fai attenzione..- e poi indietreggiò, quando sembrava proprio che lei si stesse avvicinando. Eppure, anche quando, con il morale a terra si sedette sul pullman, lo vide lì fuori immobile, in attesa che il mezzo se ne andasse, così da essere sicuro che lei stesse bene.
In quel momento Kimberly pensò amaramente che era meglio che Jared non sapesse ciò a cui stava pensando.
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Capitolo 11 *** capitolo 11. ***
Ecco un altro capitoletto.
I presupposti sono sepre quelli, spero che vi piaccia e che mi lasciate qualche commento.
Grazie a tutti :)
Capitolo 11.
Dopo qualche giorno, proprio come aveva previsto Kim, il loro rapporto non aveva subito nessun cambiamento positivo.
Anzi, sembrava proprio che lui la evitasse come una piaga, e durante le sue lezioni anche quando Kimberly tentava di attaccar briga con qualche battutina, lui non le rivolgeva neanche uno sguardo e proseguiva con la lezione. E non era neppure possibile che fosse un periodo “no” perché alle battute degli altri ci stava eccome.
Kim si sentiva triste, dato che non capiva nemmeno dove avesse sbagliato. L'ultimo dialogo che avevano avuto era stato riguardo alla macchina, lei non voleva che lui si preoccupasse inutilmente.
Aveva ripassato ogni istante degli ultimi minuti, ma niente. Cercava, invano, tra le parole che aveva pronunciato qualcosa di sbagliato che potesse averlo offeso o frainteso.
Eppure gli aveva detto anche di peggio fino a qualche ora prima.
Doveva chiarire con lui, ma non le dava mai la possibilità: ogni volta che gli si avvicinava con una scusa campata un po' per aria le diceva che non si sarebbero potuti fermare il pomeriggio per studiare e si allontanava senza aggiungere altro.
Anche il quel momento, mentre lui strimpellava qualche accordo davanti alla classe, con espressione concentrata e voce meravigliosa, lei stessa stentava a credere ai ricordi che risalivano solo a qualche giorno prima.
Eppure erano accaduti, ne era certa.
Cercava di fare il meno possibile la donzella ferita e continuava a guardarlo con quell'aria di sufficienza mentre si sistemava i capelli e si limava le unghie.
Se con Jared la sua vera personalità poteva tranquillamente risalire in superficie, senza si sentiva la solita nullità di sempre e la maschera tornava a coprirle vergognosamente il viso.
-Scusa Kim, mi raccoglieresti la matita?- le domandò gentilmente uno che stava a due banchi da lei.
Senza scomporsi più di tanto, lanciò una rapida occhiata all'oggetto che stava esattamente sotto ai suoi piedi. -No.- rispose risoluta, senza aggiungere altro.
Se le stava antipatico? Assolutamente no. Faceva tutto semplicemente parte della sua stupida facciata da prima donna.
-Ma è proprio sotto di te!- insistette il poverino.
Si chiamava Brian e aveva due grandi occhi azzurri e capelli biondi. Lo guardò di sfuggita per non perdersi dentro i suoi occhi, troppo simili ad un altro paio. Anche la più lontana imitazione dei suoi occhi glaciali, la facevano bruciare di rabbia e frustrazione.
-Arrangiati.- ribatté apatica, spostando i capelli sulla spalla verso il compagno, come a chiudere la discussione.
Improvvisamente sentì dei passi nella sua direzione e qualcuno che si inchinava per raccogliere la matita da terra, le sfiorò la gamba, ma non si scompose più di tanto, immaginando fosse Brian.
-Certo che l'educazione per te è un optional.- quella voce, fredda forse quanto gli stessi occhi, la fece voltare di scatto. Era l'insegnante, il quale, senza che lei se ne accorgesse minimamente, aveva sentito tutto.
La sua espressione da prima donna mutò in stupita, poi colpevole ed infine amareggiata.
Lui le stava rivolgendo la parola solamente per riprenderla sul suo atteggiamento. Era ingiusto. Ma se fosse servito a tenerlo vicino a lei, avrebbe continuato.
-E dica, da quando questi sono affari suoi?- spense l'interruttore della disperazione e tornò ad essere la solita sfacciatissima Kimberly di sempre. Se era quello che voleva, lo avrebbe accontentato.
-Visto che questa è una scuola e io ho il compito di educarti, questi sono eccome affari miei.- la sua voce le pareva meccanica, non aveva più quella luce divertita negli occhi e quello sorrisetto da schiaffi perennemente stampato in volto. Era cambiato, e lei sentiva che era colpa sua.
-Ma chi si crede di essere?- mormorò con voce rotta, fissandolo intensamente negli occhi, sperando di farlo rinsavire. Non le piaceva mr Hyde, lo detestava con tutta se stessa.
-Una persona, come tutti gli altri in questa classe. Non ci sei solo tu in questo mondo, ficcatelo bene in testa.- la stava sgridando, e la guardava con disprezzo, come se volesse fargliela pagare per qualcosa.
A Kim si velarono gli occhi di lacrime, sebbene avsse il pieno controllo di sé e sapesse che non ne avrebbe fatta scendere neanche una, neanche morta.
Si sentiva umiliata e confusa.. quest'uomo era proprio malato.
-Qualche giorno fa non la pensava così.- sussurrò, in modo che soltanto lui la potesse sentire. Lui le guardò il labiale per essere sicuro di quello che stava dicendo, poi riportò gli occhi nei suoi e, nel rendersi conto delle lacrime che teneva represse, il suo sguardo si addolcì. Si morse le labbra e senza fiatare tornò alla cattedra
continuando la lezione.
Alla ragazza sembrava come di essere stata liberata da una morsa letale, respirò profondamente cercando di trattenersi il più possibile dal piangere come una bambina.
Detestava piangere, in pubblico per di più.
Gli occhi dei presenti nella classe facevano intendere un evidente sollievo, riguardante alla lavata di capo che aveva appena ricevuto. Ben le stava, secondo alcuni, il suo ego si sarebbe un attimo affievolito, forse.
Per il tempo restante prima della campanella dell'intervallo, Kim teneva le mani a pugni, così strette che le tremavano, conficcandosi le unghie nella carne. Non sentiva il male, era abituata a peggio.
Il dolore interno spesso è decisamente più straziante, e quello esterno è un solletico che aiuta come diversivo.
Quando finalmente suonò la campanella, il professore non fece neanche a tempo a finire la frase che si precipitarono tutti fuori, Kimberly compresa.
Doveva assolutamente trovare il modo di stare con lui da sola. Doveva chiarire, anche se questo avesse dovuto includere il rapirlo.
Perché si era intestardita tanto? Del resto si trattava di uno stupido uomo dalla parlantina affascinante e dall'aspetto mozzafiato che godeva nel giocare con i suoi sentimenti.. niente di nuovo.
Girò per i corridoi per un po' in compagnia di Gwen e Juls, le quali non facevano altro che parlare di quanto fosse figo l'insegnante mentre riprendeva Kim. Lei non disse niente, non aveva neanche voglia di ascoltare le loro stupidate.
Così, quando era sicura che fossero distratte entrambe, entrò silenziosamente in classe, dopo essersi accertata che Jared fosse lì.
Ed infatti, eccolo. Seduto con le gambe accavallate che sorseggiava il suo caffè.
Quando udì la porta spalancarsi, si voltò di scatto, quasi fosse stato colto in flagrante commettere qualche reato, ma quando invece vide Kimberly sgusciare dentro e chiudersi la porta alle spalle, sospirò e cominciò a preparare le sue cose, in modo da uscire.
Lei non se la sentiva di attaccarlo subito, così si avvicinò lentamente e si sedette sui banchi di fronte alla cattedra. Lui intanto evitava il suo sguardo, concentrato nell'impilare i libri uno sopra l'altro.
-Mi è piaciuta la lezione oggi.. la nuova canzone è molto bella.- azzardò ad un discorso.
L'uomo sollevò il capo, semplicemente. -Grazie.-
-Come si chiama? Cioè, le hai dato un titolo?- testardamente cercava di creare un dialogo, ma era davvero difficile: sarebbe stato più produttivo discutere del riscaldamento globale con Julia durante i saldi invernali.
-Oblivion.- nient'altro. A Kim stavano per saltare i nervi. Neanche con i bambini si sforzava tanto.. se fosse stata in se stessa sarebbe uscita di scena con parole poco cortesi. -Ora se vuoi scusarmi..- continuò lui, alzandosi dalla sedia e indirizzandosi alla porta.
Ma lei fu più veloce e con uno scatto gli strappò il registro personale dalle mani, nascondendoselo dietro la schiena. -Vuoi giocare, Jared? Allora giochiamo!- esclamò furente.
Il professore lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e sbuffò roteando gli occhi. -Avanti, non fare la bambina Kim.- disse severo, allungando una mano verso di lei, la quale indietreggiò di un passo.
Rimase un attimo sballottata nel risentire il nomignolo detto da lui, ma non perse lucidità.
-Che vuoi fare?- le domandò confuso. -Confiscandomi il registro cosa pensi di ottenere?-
-La tua attenzione.- sostenne il suo sguardo e tono. -E ci sto riuscendo.- un'ombra di sorriso si accese e immediatamente spense sul volto di Jared. Lentamente ritornò verso la cattedra e riappoggiò i libri al tavolo. -Ok, e adesso?- la spronò, come se realmente non sapesse cosa ci facesse lì.
Kimberly lo guardò inarcando un sopracciglio. -Una spiegazione, ovviamente.-
-Ma a cosa?- recitava, era ovvio. Cominciava a farla sentire un'emerita imbecille.
-Al tuo comportamento!-
-Ma quale comportamento?! Sono il tuo professore, cosa pretendi?- cominciava ad agitarsi. -E a proposito, siamo a scuola e non sono tuo fratello, quindi il “lei” lo esigo.-questo era un colpo basso. Kim cominciava seriamente a pensare che lui potesse avere un gemello buono. Solo così si spiegavano le incongruenze.
-Oddio.. penso di stare impazzendo.- mormorò lei sommessamente, appoggiandosi al banco dietro di lei e tenendo stretto al petto il registro azzurro di Jared.
Forse neanche nei suoi pensieri poteva più chiamarlo così.
Leto sospirò profondamente e si avvicinò lentamente a lei. Sembrava così piccola e così fragile.. era troppo combattuto tra il restare e aiutarla a vederci chiaro o
strapparle il registro dalle mani e scappare il più lontano possibile. Dura scelta.
-Kimberly..- azzardò avvicinandosi ulteriormente.
-Aveva detto che mi avrebbe avvertito quando sarebbe diventato “l'altro”. Con chi sto parlando adesso?- alzò lo sguardo, velato ancora una volta dalle lacrime.
A Jared si strinse il cuore, detestava vedere quegli occhioni neri così infelici. Esitò un istante, poi mandando al diavolo ogni sua preoccupazione alzò una mano e la portò al viso di lei, scostandole i capelli da davanti agli occhi e portandoli dietro un orecchio. Aveva sempre avuto ragione, anche al tatto parevano seta.
La guardava negli occhi terrorizzati, un piccolo sorriso rassicurante gli si formò in faccia. Ma durò poco.
-L'altro giorno devi avere frainteso molte cose, ragazzina. Lo so di essermi comportato da irresponsabile e sono pronto a darmi tutta la colpa.. ma tu hai sbagliato a fidarti e a pensare che le cose sarebbero cambiate. Sono il tuo professore e questo non si può cambiare.- ora la sua voce era più calma, vellutata e tagliente come una
lama che faceva scorrere lungo il suo collo, aspettando il momento giusto per attaccare e premere più forte.
Aveva frainteso? Ma cosa? Lei non aveva neanche mai considerato il fatto che potesse essere qualcosa più che un professore.. sarebbe stato stupido.
-Questo non giustifica il taglio netto. Neanche prima era così distaccato.- cercava di vederci chiaro. C'era qualcosa che non filava.. quello che pensava lui, non le era mai stato abbastanza chiaro.
-Ti darei semplicemente corda. Non voglio illuderti.- a quelle parole, Kim arrossì furiosamente.
Aveva capito tutto. Lui le aveva chiaramente detto che lei gli era sempre sembrata immune al suo charme, quindi voleva solo vedere quanto ci avrebbe impiegato a
cedere. Quando si era reso conto del pericolo -le aveva confessato troppe cose che avrebbe potuto usare contro di lui- si era allontanato.. un'altra preda arrostita per
bene.
Si vergognava come una ladra. Si alzò in piedi e lo spinse via, scrollandoselo di dosso.
-Lei è un pezzente. È solamente un egocentrico montato! Oggi mi ha detto che il mondo non gira intorno a me, ma sicuramente neanche a lei. Chi si crede di essere per dirmi che mi sarei illusa di avere qualcosa a che fare con lei al di fuori dell'ambito scolastico?! Mi ha fatta addirittura sentire in colpa perché pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato! E invece ora mi sento meglio a sapere che è lei il lurido che mi ha riempita di belle parole solo per farmi cascare ai suoi piedi, e le do anche una bella notizia: c'è ampiamente riuscito. Per un intero pomeriggio ho persino pensato che non fosse così malaccio, mi è stato anche simpatico per un po'. Ma ora mi fa solamente pena!- lasciò che il fiume di parole le sgorgasse senza riserve. Si sentiva davvero delusa.
Gli lanciò anche il registro, in malo modo e uscì velocemente dalla classe prima che potesse passare anche ad insulti.
Un sorriso dispiaciuto si disegnò sul volto di Jared, mentre si malediceva per le bugie che le aveva appena fatto credere.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12. ***
Ecco un nuovo capitolo.
Ovviamente, non per anticipare qualcosa, preparate le lamette che
la depression mode è totalmente ON!
Divertitevi e non sordatevi di lasciare un adorabile commento.
Grazie :3
Capitolo 12.
Finalmente quell'orrida settimana era giunta ad una conclusione. Era sabato, e le ore erano passate piacevolmente veloci, dato che quello era il giorno libero dell'insegnante di musica.
Non avrebbe rischiato di imbattersi in lui o di sentirsi male ripensando a come l'aveva trattata.
Arrivata a casa, la sua famiglia al completo era lì per accoglierla, ma lei non degnò loro più di un saluto e si rinchiuse in camera, buttandosi a peso morto sul letto.
Era sfinita, se i brutti pensieri avessero deciso di concederle una piccola tregua, avrebbe sicuramente dormito.
Dopo un periodo di tempo indeterminato, caratterizzato solamente dallo sguardo vuoto e perso di lei nel soffitto, il cellulare vibrò. Rispose senza neanche guardare, era sicuramente Gwen.
Infatti la voce stridula dell'amica la risvegliò dal suo torpore, chiedendole di vedersi nel giro di un'oretta. Kim si trovò davanti ad un bivio, in quel momento.
Da una parte si era creata una sorta di fobia, si era assolutamente proibita di uscire il sabato, correva solamente un rischio atroce; ma d'altro canto aveva a disposizione un pomeriggio all'insegna della baldoria e del non pensare praticamente a nulla. Decise che era decisamente più contemplabile la seconda, sebbene la prima comportasse un pericolo maggiore.
Ma preferiva non pensarci, magari era solamente una sua paura. Chiuse la telefonata dicendo che ci sarebbe stata e cominciò a prepararsi.
Si truccò di nuovo, si cambiò d'abito all'incirca sei volte prima di scegliere quale era meglio e buttò tutto il necessario nella borsa.
La vera Kimberly non ci avrebbe messo molto, anzi avrebbe optato semplicemente per tenere indosso quello che aveva portato la mattina, senza preoccuparsi troppo. Ma quella Kimberly, ahimè non c'era più.
Uscì di casa frettolosamente, le strade erano deserte quel pomeriggio. Si sentiva solamente il pestare dei suoi tacchi in tutta la sua via.
Dopo una mezz'oretta circa si trovava in centro, seduta ad aspettare le amiche al solito posto di incontro. Non c'era molta gente in giro, faceva davvero freddo in effetti.. Perciò quando cominciò a tremare e ad essere continuamente scossa da brividi, si mise a camminare.
Girare per vetrine l'avrebbe scaldata e in caso le due galline sapevano come rintracciarla.
Si strinse nel giubbetto e cominciò a muoversi con passo sostenuto,il più che poteva. Vedeva il suo respiro uscirle sotto forma di calore dalla bocca ghiacciata. Non riusciva neanche a muoverla.
Si strofinava le mani una dentro l'altra, maledicendosi nella mente per non aver mai pensato a comprare un paio di guanti.. magari li avrebbe rimediati di lì a qualche ora.
E l'arietta gelida che tirava le fece sollevare lo sguardo verso il cielo, più cupo e grigio del solito. Sarebbe sicuramente venuto a piovere, quella era aria di pioggia, ormai la riconosceva.
Sperava soltanto che le avrebbe concesso qualche oretta prima di diluviare.
Tutta presa nei suoi pensieri, svoltò l'angolo. E fu lì, in quel preciso momento che fu quasi certa di aver sentito il suo cuore, già malandato, fermarsi di colpo.
E all'improvviso.. i suoi occhi.
Le sue labbra,con le quali le aveva regalato fantastici sorrisi.
Le sue tante, care e belle parole.
Lui, per la quale viveva e respirava.
I momenti e le risate che non sarebbero mai più tornati.
I suoi stupidissimi “ti amo” e le sue falsissime attenzioni.
I loro pomeriggi, le loro serate, il suo letto, i suoi film, i suoi discorsi, la sua musica, le sue battute... mille schifosissime fitte che non facevano altro che straziarle il cuore.
Le sue mani, che un tempo aveva adorato, erano intrecciate con un altro paio.
I suoi capelli, tenuti da sempre appositamente lunghi dato che Kim apprezzava i capelli folti, ora erano spuntati quasi totalmente.
Le sue labbra dalle quali era dipesa e dipendeva tutt'ora la sua vita, dalle quali erano uscite le parole più dolci e quelle più orribili, crudeli e dolorose che avesse mai sentito, ora erano incollate a quelle di un'altra persona.
Non sapeva perchè stava lì, così, ferma a fissarli. Cercò, vanamente, di richiamare al rapporto il suo corpo, ma fu del tutto inutile.
Era lui la causa di tutto, il suo cambiamento radicale era colpa sua e del suo stupidissimo e schifosissimo ego.
Lui, che tornava solamente per controllare che la ragazza fosse ancora persa per lui, provando gusto nel farla soffrire e a raccontarle tutte le cose che faceva che lei gli aveva sempre chiesto di non fare.
La faceva solamente star male, sebbene quella fosse la sofferenza che più preferiva.
Sentirlo, voleva dire che lui ci pensava di tanto in tanto a lei e non poteva chiedere di più.
Le aveva detto che l'amava così, per quello che era e poi l'aveva abbandonata per una che era esattamente il suo opposto. Le aveva giurato che non l'avrebbe mai lasciata, mai l'avrebbe ferita. Eppure non aveva indugiato un minuto prima di correre da quella a braccia aperte. E l'aveva pure convinta, lei ingenuamente, c'era cascata come una pera cotta.
Con lui aveva trascorso i migliori mesi della sua odiosa vita. Quel ragazzo che tanto le aveva dato e tanto le aveva strappato, era la prova concreta che la cattiveria esistesse.
L'aveva solamente ingannata, niente di più. Se l'era lavorata fino a che non si fosse sciolta completamente, fino a che non fosse sicuro che avrebbe addirittura dato l'anima, neanche a al diavolo, bensì al primo barbone che passava, solamente per lui.
Fino a che non gli avesse dato tutto quello che poteva offrirgli. E una volta ottenuto,l’aveva semplicemente lasciata.
Non una scusa, non una parola. La sera prima era insieme a lei e la mattina dopo non c'era più.
Se gli aveva chiesto spiegazioni? E a che pro? Se n'era andato. Non era abbastanza per lui evidentemente.
Certe volte, nonostante le domande che ti poni ti tolgano il sonno, le risposte ti terrorizzano a tal punto che preferisci rimanere nel dubbio.
Le risposte sono spaventosamente scontate, in certi casi.
Ovviamente, aveva tentato di rimettersi in contatto con lui. Ancora adesso ricordava chiaramente quella telefonata, l'unica a cui aveva risposto dopo averla evitata come la peste per giorni consecutivi.
Prima d'allora, non aveva mai pensato come certe frasi potessero realmente uscire dalla bocca di una persona. Non era umanamente spiegabile.
-Cosa vuoi Kim?- -No,non voglio vederti.- -E' inutile che insisti.. cosa ti dovrei spiegare? Che sono innamorato di un'altra? Non c'è niente da spiegare!- -Mi dispiace piccola. Ma non sei quella giusta per me.- -Sì lo so di avertelo detto. Evidentemente in quel momento la pensavo così.- erano infinite le frasi che le facevano venire voglia di buttarsi da un ponte.
Ma, come disse il grande Nietzsche, ciò che non uccide fortifica. E questo in un certo senso era capitato a lei, sebbene all'interno si sentisse una gelatina.
Dopo un periodo di tortura, in cui lei stava ai suoi giochi, si era finalmente decisa ad evitarlo e a non cercarlo o sentirlo più, sebbene quello fosse l'unico modo per continuare a vivere.
Vivere nella sofferenza non era il massimo, quindi alla sofferenza aveva preferito il niente. Aveva chiuso i contatti con lui da ormai un mese e mezzo e non c’era stato niente di più doloroso.
Sapeva che lui non aveva più bisogno di lei, quindi tanto valeva togliersi di mezzo.
Lui non la voleva più, non c'era niente da dire. Lei desiderava semplicemente che fosse felice.
Che poi la felicità equivalesse ad una cavallona bionda, quasi più alta di lui, con un pessimo cappello e degli stivali vomitevoli, non erano di certo affari suoi.
Eh,l'amore. Che sentimento schifoso.
L'intera riflessione durò semplicemente 4 secondi circa, poi riprese coscienza di sé e scappò, nel vero senso della parola, ancor prima che i due si divisero da quel bacio
che pareva interminabile.
Pensare che lui l'avesse vista in quello stato, gli avrebbe semplicemente dato un ulteriore motivo per pavoneggiarsi, e non poteva assolutamente permetterselo.
Le aveva tolto tutto: felicità, carattere, sogni, dignità. Non poteva far sì che la lista si allungasse.
Scappò, con la coda tra le gambe. Come una canaglia, come se l’avessero bandita dalla città, come inseguita da un serial killer.
Si mise a correre, fingendo di essere in ritardo, mentre spintonava e sbatteva contro i poveri passanti.
Doveva fare presto, sarebbe esplosa di lì a pochissimi istanti. Ormai sapeva come andavano quelle cose. Eppure lo sapeva. Sapeva che non doveva uscire! Si maledisse
un miliardo di volte, mentre, un passo dopo l'altro, si allontanava dal centro della città.
Non sapeva bene dove si stesse dirigendo, percepiva solamente il freddo che le frustava le guance accaldate e l'orribile sensazione che la stava attanagliando da dentro.
All'improvviso, dopo essersi resa conto di essersi allontanata a sufficienza, si fermò. Non c'era nulla intorno a lei, a parte qualche albero e macchina parcheggiata. Il fiato corto inspessiva l'aria che espirava, la milza le doleva e cominciò a tremare, purtroppo questa volta il freddo non c'entrava però.
Si parla tanto di cuori spezzati, come se si trattasse di un cliché, di una scena vista mille volte, di un dolore quasi piacevole.
La sfortuna è che quanto capita a te, non è mai sopportabile.
Ti senti implodere ed esplodere contemporaneamente; è come finire in una piscina di alcol etilico dopo esserti riempito di tagli; e fa male, male più di quanto si possa immaginare o controllare.
Kimberly, in un barlume di lucidità, si rese effettivamente conto di avere il cuore spezzato. Non metaforicamente, lo poteva percepire, come se fosse lui stesso a rifiutarsi di stare insieme.
Si piegò sulle ginocchia, nascondendo il viso tra le braccia, la vista si appannò e il respiro si bloccò del tutto, andando ad animare un magone incontenibile. Esplose in singhiozzi, mentre calde lacrime le scivolavano lungo le guance e mille dei momenti che non voleva assolutamente ricordare, ma si rifiutava di dimenticare, le passavano davanti, uno dietro l'altro, come chicchi di grandine.
Non era possibile placare quel mostro dentro che le dilaniava l'anima. Non era concepibile continuare a vivere così, nascondendosi da se stessa, costringendosi a fingere di stare bene. Era controproducente.
Aveva il cuore spezzato e ora sapeva benissimo come ci si potesse sentire; sarebbe stata addirittura in grado di descriverlo.
Si accasciò a terra, incurante che qualcuno potesse vederla, non le importava. Se non era nessuno che potesse essere in grado di alleviarle la sofferenza, potevano anche tornarsene da dove erano venuti e lasciarla in pace, non se ne faceva niente della pietà altrui.
Cercava, nei limiti del possibile, di farsi forza, di rialzarsi in piedi magari correre da lui e prenderlo a calci nei denti, sperando di fargli provare almeno un decimo del dolore che provava lei al momento.
Ma sarebbe stato del tutto inutile, dato che, se mai si fosse trovata davanti a lui, l'ultima cosa che gli avrebbe fatto, era ferirlo.
Un altro degli aspetti più schifosissimi dell'amore: quando ami qualcuno, puoi sforzarti ad odiarlo finché vuoi, ma quel forte sentimento non svanirà mai.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13. ***
Dato che è Natale, e a Natale siamo tutti più buoni vi lascio questo capitoletto
sebbene nessuno abbia cagato quello precedente XD
Non importa, solo che oggi parto e per una buona settimana non riuscirò ad aggiungere capitoli
indi per cui mi sembrava giusto lasciarne uno in più :)
Auguro a tutti buone feste, ferie e vacanze, fate i bravi e mi raccomando
se passate di qua lasciatemi un commentino per regalo.. mi rendereste immensamente felice!
Grazie dell'attenzione, buona lettura.
Capitolo 13.
Uscì dal market in una vietta nascosta del centro con le mani in tasca e una borsetta di plastica appesa al polso, contenente i pochi acquisti di cui era sprovvisto in casa.
Estrasse una sigaretta dal taschino della giacca e cominciò a fumare, ingrigendo ancora di più l'ambiente che lo circondava.
Un lieve venticello gli scompigliò i capelli, mettendogli il dubbio e facendolo guardare in su: come prevedeva. Stava proprio per piovere.
Infatti dopo appena due passi, una goccia gli atterrò sullo zigomo, per poi discendere lungo la guancia sottostante come una lacrima. Merda.
Spense la sigaretta al volo e cominciò a correre, aveva lasciato la macchina abbastanza lontano da dove si trovava.
Sentiva la pioggia aumentare con il velocizzarsi dei suoi passi, stava arrivando un temporale davvero tosto. Non si era ancora ammalato quell'anno, e non se la sentiva certo di rovinare quel nuovo record.
Non c'era molta gente in giro, erano stati più furbi e previdenti di lui, ma di certo non poteva lasciare il suo cane a digiuno per il resto del weekend.
Mentre continuava la sua corsa contro il tempo, il suo sguardo fu attirato da un dettaglio che rovinava il paesaggio, più che rovinarlo, stonava. Era troppo insolito.
Inizialmente vedendo quella figura ranicchiata in un angolo senza curarsi del fatto che piovesse a dirotto, gli fece pensare si trattasse di un clochard, ma guardando meglio era una figura femminile e di certo vestita fin troppo bene per essere una senza tetto.
Man mano si avvicinava alla figura, i pezzi del puzzle si ricomposero e, quando fu sufficientemente vicino da allegarle un nome, sgranò gli occhi e si affrettò a controllare che stesse bene.
Era Kimberly, in effetti. Bagnata come un pulcino, si teneva la testa tra le braccia nascondendogli il viso.
-Oddio Kimberly, cosa è successo?- domandò preso dall'ansia il professore. -Kim, mi senti?-
Le prese il viso tra le dita e glielo sollevò, tentando di guardarla in faccia.
Era pallidissima, i capelli bagnati erano appiccicati al volto e il trucco era tutto colato. Non lo guardava, continuava a piangere disperata. -Kim, guardami!- ordinò mentre lei tentava di divincolarsi dalla sua presa. Ma erano tentativi vani, neanche lei ci credeva.
Quando aprì gli occhi per guardarlo, Jared si accorse che non lo vedeva minimamente, i suoi occhi erano vuoti, scuri.. due pozzi senza fondo.
Continuava a singhiozzare senza dire una parola, così lui cominciò a tastarla partendo dalle spalle, per controllare che non si fosse fatta male.
I vestiti erano intatti, la borsa era perfettamente sigillata e non c'era traccia di sangue. Nessun segno di un possibile scippo o maltrattamento.
-Kimberly, sei ferita? Ti hanno fatto del male?- continuava sempre più confuso a domandarle, nella speranza che quel volto senza vita riprendesse un po' di colore. -Dimmi chi ti ha fatto questo.- cercava di sembrare autoritario, quando in realtà era davvero preoccupato.
Si era quasi scordato della pioggia che non cessava un istante di inzupparli.
Kim, dal canto suo, si sentiva frastornata e disperata. Non aveva neanche la forza di aprir bocca.
Percepiva le mani di Jared mentre controllavano che stesse bene, ma non aveva nemmeno la forza di dirgli di non preoccuparsi, che nessuno l'aveva sfiorata con un dito.
Era dentro che si sentiva sgretolata.
Rabbrividì sentendo delle goccioline scenderle l'ungo la spina dorsale.
Non si era neppure accorta della pioggia prima che il professore le sollevasse la testa. Stava quasi per chiedergli cosa ci facesse in giro bagnato fradicio.
Tentava di spingerlo via, non sopportava che la toccasse con quell'espressione di pura preoccupazione, quando e se avesse saputo il motivo di tutto ciò, l'avrebbe derisa fino alla fine dei suoi giorni, già se lo immaginava.
-Ti hanno fatto del male? Qualcuno ti ha toccata?- ripeté con voce dolce e grave.
Incapace di proferir parola, scosse lievemente il capo, stanca dalle sue continue domande e del fatto che continuasse a ripetere il suo nome con quel tono colmo di pietà. Detestava la pietà.
Jared tirò un sospiro di sollievo. Allora si trattava di qualcosa di interno.. un litigio forse.
Per un secondo temette che fosse colpa sua, della loro discussione del giorno precedente, ma ne dubitò il secondo dopo, dato che era davvero sconvolta. Sembrava sotto shock.
-Vuoi che ti accompagni a casa?- bastò quella frase a farla aprire realmente le pupille e a guardarlo negli occhi. Prima di rispondere esitò un secondo, affascinata dal suo volto tanto vicino e tanto bello. Dai capelli grondavano gocce di pioggia, per poi discendere lungo i suoi lineamenti.
Davvero bello, gli avrebbe fatto volentieri una foto.
Ma quando pronunciò la parola casa, desiderò con tutta se stessa che piuttosto la lasciasse lì a marcire in mezzo al marciapiede. Non ci voleva tornare a casa, sarebbe stata sola, circondata da ricordi dolorosi e da domande indiscrete.
-No! No! Se ne vada, non mi tocchi. Mi lasci qui!- strillò con un briciolo di vita in più,spintonandolo via ancora. Dalla sua voce Leto percepì terrore puro,mentre tentava di tenerla ferma.
-Ok,ok,ok. Niente casa. Ma di certo non ti lascio qui!- rispose l'uomo, stringendola a sé. Non fece una piega e riprese a singhiozzare contro il suo petto, già completamente fradicio. -Ti prenderai qualcosa se non ci sbrighiamo. Vieni con me,ho la macchina qui vicino.- si fece forza e sollevò da terra sia il suo peso che quello della ragazza.
-Ce la fai a camminare, vero?- continuò senza smettere un secondo di tenerla stretta, tremava come un'ossessa.
Non rispose, annuì semplicemente, seguendo i passi svelti e sicuri di Jared. Tanto valeva che gli dicesse di no, la stava praticamente trasportando.
Quando arrivarono in prossimità della macchina, tirò fuori le chiavi e aprì prima il bagagliaio, da cui estrasse una coperta che aveva sempre tenuto per le emergenze.
Tolse il piumino a Kimberly e l'avvolse dentro. -Sei completamente fradicia, ti prenderai un accidente.- disse severo, lei non lo ascoltava neanche.
Montarono in macchina, mise in moto e accese il riscaldamento. Stava gelando anche lui, sentiva i brividi di freddo invaderlo.
Durante il tragitto lanciava rapide e apprensive occhiate alla ragazza accanto a lui, che al momento sembrava più una bambina. Non piangeva più, aveva semplicemente il solito sguardo vacuo perso nel vuoto, si teneva stretta la coperta, mentre si abituava alla temperatura dell'auto. Le accarezzò il volto qualche volta, era molto calda. Le stava salendo la febbre. Di bene in meglio! Sbuffò sonoramente. -Come ti senti?- non rispose. Lo guardò semplicemente, come se bastasse quello, e in effetti sì, bastava.
-Ti va di raccontarmi..?- ma si fermò, ricordandosi improvvisamente la sua reazione di prima, riguardo al fatto di portarla a casa. -Per caso sei scappata di casa? Qualche problema con i tuoi?- cercava di farla parlare, sembrava di trasportare un cadavere. Due profonde occhiaie le circondavano gli occhi, la carnagione pallida faceva a cazzotti con le labbra viola. Si stava proprio ammalando.
Una leggera risata la scosse, facendo lievemente sollevare lui. Non era completamente persa.
Sorrise senza un briciolo di allegria.. non sbatteva neanche le palpebre,continuando a non aprir bocca.
-ti trattano sempre bene, vero?- non sapeva perché, ma era seriamente interessato alla domanda.. e non solo perchè lei era una sua alunna.
-Mh, Mh- mormorò la voce senza vita, facendo “sì” con la testa.
Si sentiva così stanca ed esausta, ma allo stesso tempo aveva la sensazione che se avesse perso quel minimo di autocontrollo che aveva ritrovato, se avesse aperto la bocca, se avesse dato fiato ai suoi pensieri, sarebbe stata la fine.
-Allora non faranno storie se passi una notte fuori casa.- intuì il professore, guardandola di sottecchi.
Kim voltò il viso verso il suo. Alcune gocce di pioggia continuavano a riversarsi sul suo volto.
Senza dire niente estrasse molto lentamente il telefono dalla borsa. Fortuna che era impermeabile, se no avrebbe dovuto dire addio a tutti i suoi effetti. Tossì un paio di volte, cercando di rendere la sua voce meno rauca e il tono più vivo. Incurvò le labbra in un sorriso che a Jared parve più una smorfia molto poco convincente, e chiamò.
Non ci furono obiezioni, alle orecchie di lui arrivò soltanto un -Divertiti tesoro!- lontano, della madre.
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille, dato che somigliava terribilmente a quella di Kim.
La cosa che lo fece più pensare fu che nel suo tono non c'era allegria, ma solamente vera speranza che la figlia passasse un po' di tempo in serenità. A casa doveva essere peggio che a scuola, e quello a cui aveva appena assistito poteva non trattarsi della prima volta.
Sospirando si fermò ad un semaforo, e la guardò.
Quando se ne accorse, lei voltò svogliatamente la faccia verso di lui.
-Dove mi sta portando?- gli domandò, atona. Non che la preoccupasse ma non gliel'aveva ancora chiesto.
-A casa mia. Ho un cane da sfamare!- esclamò Jared, facendola sorridere. -Non hai paura dei cani vero?- continuò un attimino perplesso.
Lei scosse semplicemente la testa. Aveva finito la scorta di parole da dire.
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Capitolo 14 *** Capitolo 14. ***
Capitolo 14.
Don’t you want to hold me baby?
Parcheggiò appena sotto l'entrata del condominio dove si trovava il suo appartamento. Le porse la busta di plastica, chiedendole di reggerla sotto la coperta.
Il temporale non aveva cessato per un misero istante. Sembrava li inseguisse.
Scesero velocemente dall'auto, lui sempre accompagnandola molto premurosamente.
Lei si sentiva una specie di bambola di porcellana, una di quelle che guardava da piccola in casa di sua nonna. Non le era permesso toccarle, soltanto guardarle. Le trovava bellissime.
Entrarono in ascensore ancora grondanti d'acqua. Jared la teneva stretta tra le sue braccia, strofinandole le mani lungo le spalle, in modo da scaldarla.
Effettivamente sentiva molto freddo, ma era davvero conciata così male? Ogni volta che incontrava il suo sguardo, nei suoi occhi leggeva spavento. Magari non proprio dal suo aspetto, ma delle sue condizioni sanitarie sì.
Quando la trascinò in casa fu assalita da un lupo spaventoso, dal pelo bianco e grigio e una grande voglia di coccole. Infatti le saltava addosso scodinzolando e cainando di gioia.
-Judas, a cuccia!- gridò il professore alle sue spalle, facendo immediatamente placare la bestia. -Scusalo, è un giocherellone.- disse sorridendo.
Lei ricambiò, accarezzando la nuca del cane.
Sollevò lo sguardo e si guardò intorno. Alla sua destra intravedeva una stanza aperta con tanto di fornelli, ovviamente era la cucina; davanti a sé due divani in pelle e di fronte poteva vedere due grandissime finestre che davano su un parco e alla sua sinistra un corridoio molto buio, con qualche porta lungo i lati.
-Su, dobbiamo levarci questi vestiti fradici. Ti stai già ammalando.- le portò una mano dietro la schiena e la guidò verso una stanza.
Effettivamente non si sentiva affatto bene, ma non ci aveva fatto troppo caso. Era scossa da brividi di freddo, sebbene si sentisse caldissima.
La chiuse in bagno lanciandole una coperta di pile. -Tieni su questa mentre ti cerco qualcosa da mettere.- le disse dall'altra parte della porta.
E lì, per la prima volta da quando era uscita di casa, si vide allo specchio.
Quasi non si riconobbe. Aveva i capelli scombinati in un groviglio, il trucco che aveva accuratamente messo sugli occhi, ora le impiastricciava la faccia ed era terribilmente pallida, tendente al giallo. In quel momento capì come mai Leto la guardasse con quello sguardo terrorizzato. Era impresentabile, e non riusciva a credere che lui l'avesse davvero vista conciata in quel modo. Nessuna persona, forse neanche sua madre stessa l'aveva mai vista in uno stato così pessimo!
Con mani tremanti si levò i vestiti e li mise su un calorifero, dopo averli strizzati per bene nella doccia. Poi si diede una sciacquata al viso, in modo da togliere i residui di sporco e si sistemò i capelli, strizzando anch'essi nella vasca.
Infine, con in dosso solamente la biancheria, si avvolse nella coperta di pile, che la copriva dalle spalle ai piedi. Uscì dal bagno silenziosamente e cominciò a guardarsi intorno, alla ricerca di un posto dove distendersi. Era già stato uno sforzo spogliarsi in piedi, la testa le girava terribilmente.
-Professor Leto?- chiamò lungo il corridoio di porte.
Era sicuramente un appartamento carino, ma non aveva assolutamente voglia di analizzarlo proprio ora.
Lui magicamente fece capolino dalle sue spalle, trasportandola verso uno dei divani che aveva visto prima. La fece distendere e le si inginocchiò davanti, accarezzandole il volto con quel fare protettivo.
-Come ti senti?- le domandò in un sussurro.
Lei sorrise mentendo spudoratamente. Ma per tutto quello che le stava offrendo, si meritava assolutamente di calmarsi un attimo. -Lei?- gli chiese sistemando meglio la testa su un cuscino.
Sorrise appena. -Chiamami Jared, Kim.- la corresse.
-Ma lei..- cominciò ad obbiettare la ragazza, ma lui la interruppe.
-Ne parliamo dopo. Ora permettimi di fare una doccia calda e di levarmi questi vestiti.-
A Kimberly si allargarono le pupille. -Non mi lasciare sola.- sussurrò con voce spezzata.
-Non ti lascio sola, Kim. Sono nell'altra stanza. Tu riposa, andrà tutto bene.- cercò di consolarla,accarezzandole la testa.
Lei nascose il volto dietro alle mani. -No.. niente andrà bene. Io non starò mai bene.- mormorò per la prima volta una frase completa. Se avesse avuto ancora lacrime, le sarebbero uscite sicuramente.
Jared non capiva a cosa si riferisse. Le continuava a sfregare le spalle con la coperta, non sapendo bene cosa dire.
-Ehy, non dire così.. tutto si risolve, non c’è niente per cui valga la pena ammalarsi.- la voce vellutata aveva chiaramente l’intento di consolarla.
-Ma per qualcuno sì.- ribatté l’alunna, senza un minimo di forza nel tono.
-Niente e nessuno.- sottolineò lui, affilando gli occhi. –Ricordatelo bene.- forse aveva capito quale fosse il problema.
Lei annuì semplicemente, portandosi il labbro inferiore tra i denti e premendo leggermente. Respirava affannosamente, cosa che gli fece intuire che stava per piangere, di nuovo.
Mosso da un istinto di auto protezione –non ce l’avrebbe fatta, vederla piangere ancora non era assolutamente sopportabile per lui- cercò, in un modo molto goffo di stringerla a sé.
Kimberly si stupì nel percepire qualcosa nel petto muoversi. I cocci del suo cuore erano ancora in grado di palpitare così forte per la vicinanza di un uomo?
Purtroppo durò troppo poco perché potesse rispondere con certezza. -Se hai bisogno di qualsiasi cosa, urla. Io canterò per tenerti compagnia, torno immediatamente.- sorrise facendole l'occhiolino e sparendo nel corridoio.
Kim, rimasta sola si strinse nella coperta, con le lacrime ancora pronte all'assalto. Milioni di pensieri le circolavano in testa per giorni, quando c'erano ricadute simili.
Sapeva che sarebbe tutto passato nel giro di qualche giorno, che si sarebbe svegliata prosciugata da tutto e come se tutti i pianti non fossero mai avvenuti. Era come svegliarsi da un incubo.
Tentò di non pensarci e di concentrarsi sulla stanchezza immonda che le pesava sugli occhi.
Si addormentò profondamente con la voce di Jared che veniva dal bagno, mentre intonava una melodia malinconica.
I suoi sogni furono i tipici incubi deliranti della febbre.
Winnie the Pooh in 3D, sua nonna che ballava il flamenco con tanto di vestito a balze rosse e nacchere o altre cose che più tentava di spiegarsi, più si complicavano.
Tramava, sentiva i denti batterle e, se non fosse morta soffocata, avrebbe immerso anche la testa sotto la coperta, dato che sentiva come se degli spifferi d'aria le entrassero nelle ossa.
Ma nel frattempo si sentiva bruciare, come se un falò nascesse da lei.
Sentiva il respiro nella gola ardere e certe parti del corpo andare a fuoco. Ironicamente si immaginò potessero cuocerle un uovo sullo stomaco, proprio come nei cartoni.
Qualcosa di umido le accarezzò la fronte e il naso, in due passate.
Fece una smorfia e spostò il viso, verso l'alto.
-Judas, smettila!- un urlo sussurrato le ricordò improvvisamente di dove si trovasse.
Aprì gli occhi di scatto e si tirò su un gomito, le sue gambe erano distese su quelle di Jared, il quale faceva zapping distrattamente.
-Oh, mi dispiace che ti abbia svegliata.- le chiese umilmente scusa.
-Non preoccuparti, è un cane piacevolmente.. amichevole.- disse con voce roca, sorridendogli.
-Come stai?- lui si sporse per poggiarle una mano sulla fronte, lei non si scostò minimamente.
-Sei bollente.. mentre dormivi ho fatto un salto nella farmacia qua sotto e ho preso l'occorrente.- la informò con un sorriso soddisfatto e mostrandole il sacchetto trasparente che le poggiò sul grembo.
Kim si sistemò meglio piegando le gambe in modo da liberarlo e cominciò a frugare.
C'era un termometro e almeno 3 differenti tipi di medicine. Un sorriso smorto le si accese, riconoscente. -Non dovevi.- tossì leggermente. -Ma grazie lo stesso.-
Lui ricambiò il sorriso e per un momento lei si perse nei suoi occhi azzurro-grigio. Il tempo non doveva ancora essere migliorato, se lo conosceva abbastanza da riconoscere le differenze delle sue pagliuzze.
-Dai, vediamo se sei stabile.- disse lui avvicinandosi pericolosamente e posandole il termometro elettronico sulla fronte. Sapeva del suo solito profumo e di dopobarba. Dopo un bip lo tolse e guardò lo schermino, sollevando appena le sopracciglia. -Caspita. Sei 38.5- la informò. -cosa ti senti?-
-Forse ho un po' di mal di gola.- disse minimizzando. In realtà sentiva delle lame ogni volta che deglutiva.
-Perfetto, ora ti preparo qualcosa.- fece lui, alzandosi.
-Non è necessario che mi faccia da infermiere.- scherzò lei.
Jared non l'ascoltò nemmeno e sparì in cucina da dove riemerse qualche minuto dopo munito di bicchiere con un'acqua dal colore un po' incerto e una pacchettino di caramelle per la gola.
Gliele porse. Quella medicina aveva un aspetto poco affidabile.
-Avanti, ti farà solo che bene.-
-Sai che sono contro le medicine? Se il nostro organismo si abitua a prendere la pappa pronta, non se la sbrigherà più da solo.-
-Ma finiscila. O le prendi tu o te le faccio prendere a forza.- disse solenne. Non ammetteva “no”.
Rassegnatasi, Kim ne bevve un sorso. Sapeva di arancia.
Finito quello si infilò una caramella in bocca e diede il tutto a Jared che la fissava impaziente, come se si aspettasse di vederla subito stare meglio.
-Grazie Jared per prenderti cura di me. Non dovresti.- mormorò Kimberly giocherellando con le unghie. La imbarazzava essere troppo gentile o chiedere scusa, erano cose che non le appartenevano più.
-Non dovrei?- la guardò stupito. -E perchè no?-
-Non sopporto la pietà di nessuno.- rispose lei acida.
Jared assottigliò gli occhi, sentiva qualcosa pulsargli dentro. Rabbia, forse.
-Pietà? Tu pensi che io faccia questo per pietà?- il suo tono era un misto tra l'infastidito e l'incredulo.
Di tutta risposta la ragazza alzò le spalle. -Sì. Io non vedo altra spiegazione.-
L'uomo sbuffò sonoramente, trattenendo la voglia impulsiva di schiaffeggiarla. Del resto stava male, magari era la febbre a farla parlare.
-Tu stai delirando.- le disse freddo, fissandola con occhi di ghiaccio. Poi si alzò e fece il giro del divano, per portare le cose in cucina.
-Sto benissimo, invece!- urlò, per quanto le fosse possibile, Kim stringendosi nella coperta ed inseguendolo nell'altra stanza. -So perfettamente quello che dico!-
-No, tu non sai assolutamente niente! Tu pensi di sapere tutto, ti atteggi da primadonna e guardi le persone che ti circondano come fossero alieni. Ma sei solamente una ragazzina arrogante che non capisce niente di niente.- ribatté ormai irato lui. Si appoggiò ad un mobile, aggrappandovisi con le mani, onde evitare ti sfogare quella voglia di farla rinsavire.
A lei si bloccò il respiro e lo guardò fisso negli occhi, cercando di sostenere il più possibile il suo sguardo. Qualcos'altro le si incrinò dentro. Forse non aveva tutti i torti.. del resto di lui non aveva mai capito nulla.
-Hai ragione. Io non so niente.. specialmente di te, penso di non aver mai capito niente. Pensavo di piacerti, pensavo che tra me e te ci potesse essere un legame speciale, tu mi hai fatto credere in qualcosa di prettamente inesistente. E invece hai fatto tutto per la tua vanità.- annuì tra sé e sé, pensierosa per poi tornare sul divano, abbracciandosi le ginocchia molto stretta al petto.
Quella sua frase infastidita l'aveva fatta ragionare e ripensare a quello che l'aveva scossa fino a qualche ora prima della crisi depressiva.
Disappointed, going crazy.
Note finali: Eccomi con un nuovo capitoletto post-vacanze natalizie!
spero che abbiate passato delle feste piacevoli :)
Anyway, la canzone in grassetto è Sky is over di Serj Tankian e, non saprei, è tutta vacanza che la canto e sencodno me ci
stava bene in questa ragnatela di incomprensioni e confusione. E' una frase che mi trasmette la frustrazione nell'aiutare il prossimo quando non lo vuole e, viceversa, quel volere essere aiutati
ma allo stesso tempo sentire che non lo si sta facendo nel modo giusto.
Ok, il jet lag ha preso il sopravvento, quindi io spero che vi sia piaciuto e mi auguro che mi lasciate qualche commentino :)
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Capitolo 15 *** Capitolo 15. ***
Capitolo 15.
And that was the day tha I promised
I'd never sing of love
If it does not exist.
Jared buttò la testa all'indietro e sbuffò dandosi del cretino minimo un migliaio di volte. Era stato troppo duro con lei, non stava assolutamente bene, sia fisicamente che interiormente.
La raggiunse non appena si fu ripreso e, ingentilendo il tono le chiese dalla porta -Hai fame?-
La risposta gli arrivò in una scrollatina di spalle. Le si era praticamente chiuso lo stomaco, pensava che non avrebbe più mangiato per almeno un mese.
Strisciando i piedi, le si avvicinò e si buttò accanto a lei.
C'erano così tante cose che avrebbe voluto chiederle, e tante altre che lei avrebbe giustamente avuto il diritto di sapere. Allungò una mano e le accarezzò una guancia col dorso, scostandole i capelli che gli coprivano la visuale.
Kimberly voltò il viso verso il suo, appoggiando il mento alla spalla. Il suo sguardo tremolava, temeva di guardarlo per troppo tempo negli occhi, come se questo potesse riaccenderlo come un fiammifero e rovinare quel secondo di quiete.
Jared invece, non poteva fare a meno di guardarla. Aveva la montagna di capelli mossi e voluminosi che le incorniciavano il volto e così posizionata sembrava piccola e fragile.
-Perdonami Kim. L'altro giorno..- cercava nella sua mente parole che prendessero forma.
Ma così, davanti a quei buchi neri, neanche lui, il compositore che le parole sapeva destreggiarle come un giocoliere con le palline, che le parole erano il suo forte, non riusciva a fare chiarezza in quello che le desiderava comunicare.
-Non preoccuparti Jared. Sono io che ho frainteso tutto.- lo interruppe Kimberly, lasciva.
-No Kim, io ti ho fatto credere questo.. tu non hai frainteso niente. Perdonami se ti ho mentito, ma pensavo fosse meglio così.- confessò l’uomo, guardandola intensamente, nella speranza che capisse senza chiedere spiegazioni.
Ma non ci sperò troppo, dato che non sarebbe stata lei se fosse stata zitta.
-Che intendi?- domandò, infatti, con un’espressione confusa più che mai.
L'uomo prese un respiro profondo.. ora che aveva cominciato non poteva di certo tirarsi indietro.
-Ricordi quando siamo usciti, qualche giorno fa?- Kim annuì silenziosamente, come se potesse dimenticare una cosa simile. -Ecco, penso tu ti sia chiesta come mai ad un certo punto il mio umore sia mutato totalmente..-
-Esatto, quando stavamo aspettando il pullman.-
-Cosa pensi sia successo?- Jared non resistette dal chiederle quali fossero i suoi dubbi e pensieri al riguardo. Lo affascinava troppo il modo in cui ragionava, era sempre troppo imprevedibile.
La ragazza si strinse nelle spalle. Sentiva le mani di lui che si rigiravano le ciocche dei lunghi capelli tra le dita. Le metteva i brividi, ma non si permise di scuotersi minimamente, temendo che avrebbe smesso pensando di darle fastidio. In realtà adorava quel contatto fisico particolare che c'era tra di loro.
Sembrava che ci fosse una perenne barriera che lui desiderava terribilmente oltrepassare ma di cui temesse le conseguenze, quindi quando doveva toccarla, le accarezzava semplicemente un punto estremo, come i capelli in quel caso.
-Abbiamo discusso perché tu volevi accompagnarmi a casa. Pensavo di averti offeso, ho pensato migliaia di volte a quello che ci eravamo detti, ma sinceramente ti avevo detto anche di peggio, quindi il ragionamento non filava.-
Leto sorrise. -Infatti, non mi sono affatto offeso.- disse lui, leccandosi le labbra e distogliendo lo sguardo dai suoi occhi interrogativi, cercando le parole più chiare e semplici che conoscesse.
-Il fatto è che mi ero reso conto che non volevo ti capitasse qualcosa, ma non perché sei minorenne e temevo potessi finire io nei guai. Semplicemente perché.. ci tengo a te.- concluse a fatica.
-Tieni a me perché.. sei il mio professore?- azzardò lei, sentendo quasi chiaramente le reliquie del suo cuore sussultare.
Lui scosse la testa serrando le labbra in un sorriso, come per sdrammatizzare, come se fosse la scena più comica della sua vita. E forse lo era. –No, come persona.-
La ragazza deglutì rumorosamente, talmente assolta nel momento da non sentire il dolore. –Come un padre?- chiese timorosa, nonostante si fosse imposta di non porgli mai domande simili.
Rassegnato, scosse ancora la testa. –No.- prese aria nei polmoni, sforzandosi di trovare l’immagine che rendesse meglio quello che intendeva. –Come un uomo tiene ad una donna.- pronunciò l'ultima frase lentamente, scrutando Kim negli occhi e cercando di trovare qualsiasi cosa gli facesse intendere che non stava superando nessun confine. Ma non ci trovò niente, dato che la ragazza boccheggiava.
Cercava di non perdere i sensi e di trovare qualcosa che le facesse credere realmente che non stesse ancora dormendo e che le sue parole non fossero solamente il frutto di un altro incubo delirante.
Strana dichiarazione, ma del resto cosa poteva aspettarsi da un individuo del genere? Rimaneva pur sempre una dichiarazione.. contorta e trattenuta, ma una dichiarazione del fatto che lui sentisse qualcosa per lei, realmente.
-Ma io sono il tuo professore e questo non può cambiare, quindi ho preferito retrocedere e fare finta di niente, come se niente fosse successo, pensando che tu non te ne fossi minimamente accorta.-
Ecco, sembrava troppo bello. -Come dire..- sbuffò lei, mettendosi a giocare con un ricamo della coperta che aveva ancora indosso.
Sentì Jared accanto a lei sospirare. Le smosse appena i capelli. -Appunto. Ed è questo che mi turba.- mormorò abbassando la testa. Kimberly voltò di scatto la testa, con gli occhi sgranati.
-Che vuoi dire?- domandò in ansia, con gli occhi lucidi. In caso poteva spacciarli per febbre, continuava a sentirsi calda.
-Kim..- sbuffò portandosi una mano sulla tempia il professore. -Sai che quello che ti sto dicendo non dovrei assolutamente neanche pensarlo, vero? Io e te non dovremmo essere qui. È sbagliato, lo capisci?- parlava lentamente, cercando comprensione nei suoi occhi, tentando il più possibile di non rovinarle l'umore.
-Sì, lo capisco.- annuì lei tristemente. -E se mi stai chiedendo di fare come se niente fosse, ok. Non voglio metterti nei guai, lo giuro.-
L'uomo si morse il labbro inferiore, togliendo la mano dai capelli di lei. Non aveva fatto una piega al riguardo, voleva dire che non le era arrivato il messaggio. Ma del resto cosa poteva aspettarsi? Era un'adolescente, se non le avesse spiattellato i fatti concretamente in faccia non ci sarebbe mai arrivata. Cercava di pensare solamente ai lati positivi della faccenda, se lei non era troppo coinvolta voleva dire che non avrebbe rischiato il posto.
Dal canto suo Kim si voleva mangiare le mani per la possibilità che aveva lasciato scappare senza neanche prenderla in considerazione.
Non voleva che lui ci rimettesse il posto, non si sentiva abbastanza importante da fargli correre un tale rischio. La scuola sarebbe stata un trauma senza di lui, ne era sicura.
Ma, nonostante ciò, si sentì in dovere di chiarire un ultimo punto. -Mentre invece, se mi stai chiedendo di dimenticare, mi dispiace, ma non potrò accontentarti. Non sarò una minaccia, te lo garantisco. Ci tengo al fatto che tu sia il mio professore..- disse evitando il più possibile il suo sguardo.
Sebbene tra i due non fosse successo granché, il feeling che li avvolgeva quando erano insieme era innegabile e dal momento che lui le aveva permesso di infischiarsene di qualche regola, sarebbe stato difficile tornare indietro.
Jared, guardandola, capì perchè era così fortemente attratto da lei e si attaccò con le unghie al divano per non combinare qualche scemenza di cui si sarebbe pentito.
Ma in quel momento lei non aveva la minima idea di quanto si stesse trattenendo dal baciarla. Si era sbagliato di grosso nel giudicarla. Aveva capito perfettamente quello che lui intendeva, provava le stesse cose ma non avrebbe fatto lo stesso nulla per metterlo in crisi.
Sentendosi gli occhi dell'uomo puntati addosso, Kim sollevò il viso.
-Quanto mai non ti ho incontrata in un qualsiasi altro posto.- sussurrò, noncurante di quello che si erano appena promessi.
Non riuscendo a gestire quella parvenza di cuore che pareva battere all’impazzata nel petto, lei sorrise timidamente, distendendosi su un fianco. Le girava vorticosamente la testa, ma non era sicura se si trattasse della febbre o delle mille emozioni che una frase così semplice ma così ben detta aveva scatenato.
But darling, you are the only exception
NOTE FINALI: yeah, siamo già al 15simo capitolo signori e signore.
La canzone è ovviamente The only exception degli ovvi Paramore. Se la conoscete allora nessuna sorpresa,
se non la conoscete MOLTO MALE, e andate a sentirvela immediately.
Ohr, quanti cuori si percepiscono in questo capitolo <3 spero vi sia piaciuto e che vi dedichiate un secondo a commentarlo,
se non vi è piaciuto, commentate lo stesso :)
Bacibaci
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Capitolo 16 *** Capitolo 16. ***
Capitolo 16.
You loved me, and I frozed in time
Hungry for that flesh of mine
Col passare delle ore, lei si sentiva peggiorare.
Si era sforzata anche fin troppo tempo di rimanere lucida senza distendersi o riposare, ma in cuor suo non si pentiva affatto.
Se fosse stato necessario, pur di ascoltare quello che Jared aveva da dirle, sarebbe anche stata in piedi per un'ora, anche se solo il pensarci le faceva mancare le forze.
E più lei peggiorava, più il professore si preoccupava. Kim aveva l'impressione che non si fosse mai preso cura di nessuno fuorché se stesso ed ora non sapeva da che parte girarsi.
Le faceva tenerezza, voleva rassicurarlo e dirgli di non preoccuparsi così tanto, che era questione di qualche ora e sarebbe tornata come nuova. Ma al momento preferiva non aprire nemmeno gli occhi e il solo pensiero di far uscire un dito da sotto quella coperta la faceva tremare di freddo.
-Kim, vuoi ancora un po' di medicina?- le domandò premuroso Jared. La sua voce era incrinata dalla preoccupazione.
Lei aprì un occhio e scosse la testa. –No, grazie.- le medicine non le andavano proprio giù.
Jared non la lasciò sola neppure un momento. Si sentiva troppo responsabile nei confronti di quella ragazza e vederla in quello stato lo faceva stare malissimo. Avrebbe voluto assorbire un po' della sua malattia, se fosse stato in grado l'avrebbe fatto sicuramente, senza ombra di dubbio.
Se fosse stato necessario, sarebbe stato sveglio anche tutta notte a vegliare su di lei, ma Kimberly insistette affinché la piantasse di fissarla così insistentemente. Ovviamente, non ne volle sapere di farsi trasportare in camera sua, che le avrebbe volentieri ceduto, essendo l'ospite. Ma alzarsi da quel divano che ormai aveva assorbito il suo calore per andare in una stanza fredda e buia, era fuori discussione.
Non passò molto prima che lei perdesse completamente i sensi e si addormentasse per smaltire l'influenza.
Rimasto solo, Jared si rese conto dell'effettiva stanchezza che aveva addosso. Prendersi cura di una persona era più stancante di quanto si aspettasse. Non si era mai occupato di nessuno all'infuori di se stesso, quando era piccolo c'era la sua famiglia a prendersi cura di lui, una famiglia composta da una madre e un fratello maggiore, quindi il suo aiuto in qualcosa era pressoché inutile.
Se c'era una cosa che però aveva imparato sulle malattie, leggendo e guardando documentari a caso, era che bisognava sudare. Solo col caldo Kim avrebbe smaltito il virus.
Cosa c'è di più caloroso di un corpo umano?
Pensando ciò, si fece spazio tra il corpo rannicchiato della ragazza e lo schienale del divano, avvolgendola con un braccio all'altezza della vita e appoggiandole la testa sul collo bollente.
Era davvero caldissima, preferì non testarle la temperatura per non preoccuparsi ulteriormente e cominciò a rilassarsi, stringendola contro il suo petto muscoloso.
Il suo corpo continuava ad essere scosso da brividi violenti e, quando smise, probabilmente lui si era addormentato perché non se ne accorse minimamente.
Kim aprì leggermente gli occhi, svegliata dall'ennesimo incubo da delirio.
Non ricordava bene cosa fosse successo, aveva il vuoto in testa e il salotto davanti ai suoi occhi non era sicuramente quello di casa sua.
E la cosa che più la preoccupava era il respiro pesante che non le apparteneva, ma che le soffiava sul collo, smuovendole qualche capello.
Era ancora aggrovigliata in quel pile pesante, da cui aveva sfilato le braccia in modo da temperare un po' il corpo. Cominciava ad avere caldo, probabilmente significava che stesse meglio.
Non capiva bene che ore fossero, dalla luce che filtrava dalle tapparelle abbassate poteva perfettamente essere mattina presto, 4 massimo 5 am.
Quando gli occhi si abituarono all'oscurità della stanza, si accorse che c'era un altro braccio intrecciato ai suoi.
Non le fu difficile collegare il tutto, finalmente.
Sorrise tra sé e sé. Il profumo di dopo barba era proprio quello di Jared, le stava dormendo letteralmente addosso, alle spalle.
Improvvisamente il caldo non era più così sentito e si spinse ancora un po' indietro, per aderire meglio al suo petto.
Dopo non seppe bene quanto tempo, sentì il respiro di Jared dietro di lei batterle sulla spalla irregolarmente e lo sentì sgranchirsi in un qualche modo, tentando di non muoversi troppo per disturbarle il sonno.
Sollevò lentamente il braccio con cui la circondava e si strofinò un occhio, per poi portarlo sulla sua spalla e con l'indice tracciarne il profilo, molto delicatamente.
Si tirò anche leggermente su per immergere il viso nella sua chioma di capelli e aspirarne il profumo di shampoo all'albicocca a pieni polmoni.
Kim tentò il più possibile di stare immobile, ma le fece il solletico, quindi non riuscì a trattenere un sorriso rumoroso.
-Ti ho svegliata?- disse la voce roca che le arrivava dalle spalle.
-Assolutamente no.- rispose a bassa voce, come se ci fosse qualcuno da non svegliare.
-Ti senti meglio?-
-Sì, ho solo un po' di freddo.- disse lei, estraendo silenziosamente da sotto le coperte una gamba, in modo da avere la scusa. Lui non se ne accorse e la strinse un po' di più a sé, con un sorriso.
-Ma così poi te l'attacco..- si lagnò molto falsamente lei, spingendosi via, ma l’uomo prontamente la trattenne, con entrambe le braccia.
-Non essere ridicola.- sussurrò Jared, mentre Kim rideva sotto i baffi.
-che ore sono?- domandò la ragazza guardandosi intorno. Era contenta fosse buio, aveva un sorriso paralizzato davvero inquietante stampato in volto.
-Sono le..- si guardò l'orologio al polso. -4.45 del mattino. Hai sonno? Vuoi dormire ancora un po'?- le chiese accarezzandole la fronte. -Sei così calda..-
-No Jared sto bene, davvero.- tentò di tranquillizzarlo. In effetti si sentiva un po' meglio, non stava scherzando.
Lui fece per tirarsi su e alzarsi, ma lei lo trattenne, tenendolo per la cintura dei jeans. Si rese conto in quel momento che non aveva la maglietta e ringraziò il cielo che fosse abbastanza scuro da non permetterle di vederlo bene e fare espressioni idiote davanti ai suoi occhi.
-Dove vai?- non sopportava che si allontanasse.
-In bagno un secondo, ti scongiuro!- esclamò lui, al limite.
Kim ridacchiò e lasciò la presa, così che la scavalcasse e corresse verso il corridoio.
Dopo poco tornò, con un sorriso rilassato. Senza fatica si rinfilò nello spazio di prima, stringendosi Kimberly al petto. -Ti va di parlare?- le domandò sussurrando.
-Posso sapere perché ti piace tanto parlare?- lei stava così bene lì in silenzio con lui.
-Perché adoro il tuo timbro di voce. E mi piace quello che dici e come lo dici.- si giustificò lui senza cambiare il tono.
-Anche quando ti insulto?-
-Specialmente.- rispose, facendola sorridere.
-Ok.. allora di cosa vuoi parlare?- chiese lei, senza voltarsi a guardarlo.
-Non saprei.. ad esempio di quello che è successo ieri.- ovviamente si riferiva allo stato in cui l'aveva trovata per strada.
Kimberly sgranò gli occhi, ma non si stupì. Del resto se lo aspettava e lui si meritava una spiegazione.
-Oh, certo..- mormorò lei, non troppo convinta.
-Non ti va?-
-Solo che.. non mi va di parlare di una cosa così stupida.-
-Kim, non essere tu stupida. Non hai visto la tua faccia e non era il fatto che stessi piangendo o che eri in uno stato pietoso a causa della pioggia. Erano i tuoi occhi.. erano assenti, vuoti, smarriti.
Tu hai qualcosa che ti sta logorando da tempo, solo che non vuoi parlarne.. perché?-
-Jared.. ti sbagli. Io sto benissimo.- ma la sua voce morta non convinceva neanche se stessa.
-No ragazzina. Tu sei cambiata nel giro di pochissimo tempo. Ti è successo qualcosa.. sei scontrosa con le persone, ti perdi nel vuoto e sembra che ti terrorizzi il fatto che qualcuno ti legga dentro.
Ma facendo la dura, non arrivi da nessuna parte.- la rimproverò con un filo di voce.
-E tu chi sei, il mio psicologo? Lo saprò se sto bene o no.- lei cominciava ad infastidirsi, infatti la sua voce raggiunse un livello di volume normale.
-Lo vedi? Io voglio conoscerti Kim. Non ti farò del male, puoi fidarti.- le sussurrò appoggiando la testa al suo collo, in modo che le parole le arrivassero dritte alle orecchie.
Quelle parole le portarono la mente lontana, in un ricordo chiuso nel cassetto che aveva soprannominato “non aprire assolutamente!”, ma in cui spesso e volentieri si permetteva di dare una sbirciatina, anche solo per controllare che l'effetto fosse sempre lo stesso.
Quanto avrebbe desiderato un giorno svegliarsi e non sentire più nulla. L'avrebbe sinceramente preferito.
-Kim? Dove sei?- la voce lontana di Jared la riportò lì su quel divano.
Lei voltò il viso di scatto, facendo così scivolare l'ennesima lacrima.. strano, pensava di non averne più. -Sono qui, con te. - sorrise lievemente.
Lui con un sospiro trattenuto le accarezzò una guancia, levandole la goccia che inesorabile scendeva. -Chi ti ha fatto questo?-
Rassegnata, optò per il raccontare quello che poteva.
-Si chiama Christopher ed è.. era il mio migliore amico. Ma io ho sempre avuto una sorta di cotta per lui, ho sofferto tutta la vita a stargli accanto ad aiutarlo a conquistare le ragazze che gli facevano girare la testa. Io gli sono sempre stata vicina.. sperando che un giorno si accorgesse di me.-
L'uomo si appoggiò su un gomito fissandole la catenina che aveva al collo e attorcigliandole una ciocca, la fronte corrugata attento nel racconto.
-Cosa è successo poi?-
-Quello che è scontato.. sì è reso conto del fatto che gli morissi dietro. E c'è stato per un po'.
Per mesi siamo usciti insieme e non eravamo più semplici amici, mi abbracciava e mi guardava in maniera diversa, come avevo sempre sognato.
Diceva che era stato un cretino a non accorgersene prima, che ero perfetta per lui e che non riusciva ad immaginarsi la sua vita con qualsiasi altra che non fossi io.- la voce le tremava appena, mentre ricordava quei momenti ormai mille miglia lontani dalla vera realtà.
-Ma..?- era ovvio che ci fosse un ma, in caso contrario non sarebbero stati lì in quel momento.
-Ma.. non era niente vero. Certo, lui ci teneva a me.. ma era più affezionato all'idea di me che a quello che ero realmente. Ero solo un numero. Una persona che conosce da 9 anni, ragazza numero 4, con cui è stato per tot mesi.. Se n'è andato così, di punto in bianco, nel momento in cui ero più convinta che le cose non potessero andare meglio. La notte prima mi aveva convinta ad andare a letto con lui, e la mattina dopo mi sono svegliata da sola.- a ripensare alla fitta allo stomaco che aveva sentito quella mattina di due mesi e mezzo prima, si trattenne dal piegarsi su se stessa.
Quando le faceva male anche solo respirare, si rannicchiava a uovo come per proteggersi.
Jared deglutì, pensando a quanto ci fosse rimasta male. E a quanti pugni avrebbe volentieri dato a quell'insulso individuo.
-Non ti ha dato spiegazioni?-
-No, semplicemente che eravamo troppo amici e per me non avrebbe mai provato quello che prova per una ragazza. Ci siamo sentiti per un po' di tempo, cercavo di sforzarmi a far tornare le cose normali..- Kimberly ricordava esattamente quella sensazione orribile ma allo stesso tempo piacevole che provava nel sentirlo. Era come essere consapevoli di non riuscire a sopportare la sua assenza, ma contemporaneamente riuscire a malapena tollerare la sua presenza. Era difficile da spiegare, se non lo provi non capisci. Nessuno sa spiegare a parole come ci si sente ad odiare e contemporaneamente amare una persona.
-..ma non era possibile e quando me ne sono accorta, mi sono convinta con tutte le mie forze che io sarei stata molto meglio se non lo avessi neanche sentito. E così ho fatto.. ma la cosa che più mi turbò era che lui non fece una piega. Quanto ci teneva a me, se ora non si interessa minimamente di sapere se sono viva? Lui continuava a scrivermi e a chiamarmi dicendo che non riusciva a pensare alla sua vita senza la mia presenza.-
-Quindi tu vorresti una spiegazione. È per questo che ci pensi ancora tanto?-
-No, non voglio nessuna spiegazione. Non voglio niente di niente, voglio solo che lui muoia per me e stia male almeno un decimo di quello che sono stata io. Vorrei svegliarmi la mattina e sentirmi libera, finalmente. Non voglio nessuna risposta, perchè mi crollerebbe il mondo addosso, lo so per certo.-
-E questo cambiamento lo dobbiamo a lui?-
-Esatto. La ragazza con cui mi tradiva e con cui l'ho visto amoreggiare ieri è esattamente quella che sono diventata..l'opposto di quello che ero. Probabilmente c'era qualcosa di sbagliato in me e ingenuamente ho pensato che se fossi cambiata, diventando quello che lui voleva, sarebbe tornato da me implorando pietà.-
-Sai vero che è una cosa perfettamente stupida?- le disse con voce dolce.
-Sì ma.. l'amore rende stupidi. Io ho agito di conseguenza.- si giustificò Kimberly portando gli occhi nei suoi. Ora poteva vederli un po' meglio, si stava schiarendo fuori.
-Se può farti sentire meglio posso dirti che è stato un idiota.. guarda cosa si è perso!- esclamò con un sorriso Jared.
Kim fece una smorfia scettica. Era una frase troppo scontata da parte di uno come lui.
-Sei poco credibile. Lei è altissima, biondissima, sicuramente molto più carina, simpatica e intelligente di me.- disse sconsolata voltandogli le spalle.
L'uomo sorrise appena e portò le labbra vicino al suo orecchio. -Ascoltami bene Kimberly. Io ho quasi 40 anni, ho vissuto in svariati paesi nel mondo e ne ho conosciuta di gente, non sono il primo cretino che passa. Quindi fidati se ti dico che non esiste essere più interessante, sveglio e particolare di te.
Lo so che stai male, me ne rendo conto. Lo so che hai il cuore spezzato e ora qualsiasi cosa ti venga detta ti sembra solo una menzogna.. ma credimi, passa tutto. Devi solo dargli tempo.- le disse in un sussurro, spegnendole definitivamente il cervello.
Lei sorrise di conseguenza, ravanando inconsciamente nella speranza di ritrovare quel barlume di fede che le era stata strappata. Quanto desiderava potergli credere..
But I can’t compete
With the she-wolf who has brought me to my knees
What do you see in those yellow eyes?
‘Cause I’m falling to pieces.
Note finali:
bene bene bene ecco il capitolo 16, mooooolto depresso lo so, me ne rendo conto,
ma non saranno tutti su questa lunghezza d'onda, anche se, sappiatelo, io sono molto per i tira e molla,
prendi e lascia, ti voglio ma non posso e così via quindi ci sarà molta penatura prima di una love story,
in qualsiasi mia storia... o forse questa volta no.
Bah, spero il messaggio sia chiaro, non sono sicura di averlo esposto come meglio credevo, ma whatever,
ai posteri l'ardua sentenza.
Come sempre vi raccomando di lasciarmi un pensierino, così, per sapere se sto andando nella direzione giusta
anche se il più è già scritto quindi non penso rivoluzionerei 60 capitoli di storia per un commento negativo per come la sto struttiurando ahahah.
Ok, non faccio ridere ma è una giornata di MERDA quindi posso permettermelo.
Baci&Abbracci.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17. ***
Capitolo 17.
Il resto della mattinata lo passarono nella medesima posizione. Ogni tanto guardavano la televisione, ogni tanto parlavano di argomenti a caso e spesso Jared si interrompeva nel bel mezzo di una frase per obbligarla a prendere un po' di medicina.
Kimberly rideva divertita a tutte le sue pressioni, ma le facevano piacere. Non era abituata a ricevere certe attenzioni, da un po' di tempo ormai nessuno la trattava più come se non fosse in grado di cavarsela da sola.
Ciò le dava un po' di sicurezza.. la faceva sentire protetta stare così a stretto contatto con Jared.
Molti momenti della giornata furono un buco nero per lei.
Momenti di vuoto erano alternati a sprazzi di lucidità. La sua mente andava e veniva,come se perdesse i sensi innumerevoli volte. Sentiva respiri soffocanti, voci lontane e mani che ogni tanto le scostavano i capelli.
Jared temette che fosse a causa del misto di medicine che le cacciava in gola a forza.
Ma decise di non perdersi troppo in dubbi e di lasciarla riposare, era davvero stanca e le sue ombre violacee sotto gli occhi non diminuivano affatto, sebbene la controllasse dormire di ora in ora.
Stanco di rimanere fossilizzato nella stessa posizione decise di sgranchirsi un po' le gambe, portando Judas a fare un giro al parco lì vicino, approfittando del sonno di Kimberly.
Ma, anche quando fu di ritorno, la figura sul divano era nella medesima posizione in cui l'aveva lasciata.
Si avvicinò e le distese addosso l'ennesima coperta, dato che non la smetteva di tremare un secondo da quando lui si era alzato. Toccandole i capelli però, notò piacevolmente che erano bagnati di sudore. Sorrise compiaciuto: il suo metodo stava funzionando.
Proprio in quel momento sentì una vibrazione, ma non veniva dalla sua tasca.
Una vibrazione sempre più insistente e improvvisamente si ricordò che la ragazza aveva dei genitori che dovevano essere abbastanza preoccupati o al limite curiosi di sapere fino a che ora si sarebbe trattenuta.
Con uno scatto prese la sua borsa, sapeva che non era educato, ma non voleva assolutamente svegliarla, e cominciò a frugare tra le cose.
Quante cianfrusaglie si possono trovare nella borsa di una ragazza? Persino lui ne fu sconvolto.
Finalmente lo trovò e vide che sulla schermata c'erano una quindicina di chiamate perse da parte di Gwen o Julia ed altrettanti messaggi di non sapeva chi.
In quel momento la schermata dava “mamma chiama”, così premette il tasto verde e la voce della donna che tanto somigliava a Kimberly gli parlò dolcemente.
-Ciao tesoro, come stai? Ti diverti?- doveva essere proprio una brava donna. Come aveva potuto anche solo sospettare che Kim avesse dei problemi con loro?
Ma in quel frangente si ritrovò bloccato, non sapendo bene cosa rispondere.
-Salve signora, scusi ma Kimberly sta dormendo al momento.- sembrava il suo segretario.
-E lei chi è scusi?- Lilian, dall'altro capo della linea, si ritrovò rossa di vergogna e confusione.
Poi fece un piccolo calcolo. -Oh, lei deve essere il padre di Gwen! Scusi tanto, non volevo essere scortese.-
Jared tirò il fiato. Per fortuna gli aveva servito la balla perfetta su un piatto d'argento, non sapeva come avrebbe
potuto scamparla se no.
-Sì, proprio io. Ieri sera le ragazze sono tornate non troppo presto e Kimberly ha scordato il telefono sul tavolino in salotto.. solo per questo mi sono permesso di rispondere.-
-Oh certo la capisco. Sta bene?- ovviamente si riferiva a sua figlia.
Non sapeva se era il caso di dirle che in effetti no, non stava proprio bene. Nah, era meglio non allarmarla, sarebbero corsi a prenderla al volo e lui non lo voleva assolutamente.
-Sì, molto bene. Appena si sveglia la faccio richiamare, ok?-
-Sarebbe molto gentile. Ma per caso sa per che ora ha intenzione di tornare a casa?-
-Se a lei non fa niente, potrebbe anche stare una serata in più e domani dopo scuola sarà di ritorno.-
-Non vorrei recare troppo disturbo..- cominciò indecisa la donna.
-Nessun disturbo, Gwen le è molto affezionata!- la rassicurò dolcemente lui.
-Sa che ha una voce familiare? Ci siamo già visti o sentiti io e lei?-
Jared si portò una mano alla bocca, dandosi dell'idiota.
-No no, assolutamente.. almeno non mi pare!-
-Bah, sarà. Comunque va bene, se non è un problema e se ovviamente Kimberly vuole, le diamo il permesso. Mi raccomando si ricordi di dirle di chiamarmi!-
-Senz'altro. Arrivederci.- e riattaccarono entrambi.
Ma che memoria uditiva non aveva quella donna? Assurdo, si erano parlati una volta e basta, dopo tutto! Ed era successo ormai un po' di tempo prima.
Lanciò ancora una volta un'occhiata a Kim appoggiandole il telefono vicino così che appena sveglia potesse darci una controllata, e poi decise di farsi una doccia.
Quella ragazza era una stufa, lui stava morendo di caldo.
Entrò in vasca e nel docciarsi perse il senso del tempo.
Quando Kim aprì un occhio, non aveva la minima idea di quanto tempo fosse passato o di che ore fossero. Si sentiva completamente frastornata e il caldo soffocante che si sentiva addosso le fece togliere la massa di coperte che la sormontava, con un calcio.
Aria.
Le sembrò di uscire da una sauna. Aveva la parte inferiore dei capelli completamente bagnati e appiccicati al volto e al collo.
Il divano di pelle ormai aveva la sua conca e la sua sagoma era impressa nella pelle nera. Poteva vedere il profilo delle dita sudate, quando tolse la mano.
E pensare che fino a qualche ora prima stando lì sotto sentiva freddo..
Si alzò barcollante, facendo cadere il cellulare -che non ricordava assolutamente di aver messo lì vicino- a terra e andò verso la parete completamente costituita da finestre e ne aprì una a caso.
Il vento che tirava al quarto piano di quell'appartamento era una goduria per la sua pelle. Non ce la faceva più. Respirò più volte sia dalla bocca che dal naso, lasciando che l'ossigeno la invadesse completamente.
Non si preoccupò nemmeno del fatto che aveva indosso solamente la biancheria intima e che qualsiasi persona potesse vederla in quel preciso momento.
Quando il freddo di inizio febbraio le entrò fin dentro le ossa, decise di tornare sul divano e di avvolgersi in una coperta leggera, lasciando però che l'aria continuasse a circolare.
Si sentiva meglio, decisamente.
Come se le due giornate precedenti non fossero mai avvenute, come se non fosse mai stata malata.
Improvvisamente un profumo di bagnoschiuma le arrivò alle narici, quando sentì il cigolio di una porta aprirsi e un
Jared pulito e profumato camminare nella sua direzione.
Aveva un piccolo asciugamano con cui si strofinava i capelli, affinché si asciugassero.
Kim si strinse il lenzuolo addosso e cercò di rendersi presentabile con la mente, dato che al confronto sembrava un cadavere.
Lui invece sembrava fresco, nuovo e lindo. Niente di meglio.
Quando si accorse di lei, sorrise confortato.
-Temevo fossi morta!- scherzò avvicinandosi a lei velocemente. Le posò una mano sulla fronte umidiccia e sorrise. -Sei guarita finalmente.- pareva davvero sollevato.
-Sì, il metodo di coprirmi come un salame è stato utile.- sorrise lei di rimando, scansandosi appena.
Non voleva provocargli ribrezzo in quella maniera ,ma lui sembrava non accorgersene neanche.
-Hai sete, immagino.- azzardò lui dirigendosi verso la cucina.
In effetti sì, sentiva la gola arsa, e a deglutire non sentiva troppo male come il giorno precedente.
-No, non tanto..- rispose minimizzando lei, ma quando lui tornò con due bicchieri colmi d'acqua non fece a tempo neanche a sedersi che lei ne scolò uno fino all'ultima goccia, tenendo la tazza a due mani.
-Ancora?- propose Jared offrendole anche la sua tazza.
Senza fare complimenti la afferrò e bevve senza respirare anche quella. Si sentiva piena, se si fosse messa a saltare avrebbe sentito l'acqua dentro il suo stomaco scrosciare.
-Caspita. Non tanto, eh?- commentò lui ridendo appena.
Kim arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo. -Non sembrava così tanta..- si giustificò e, guardando a terra, si
ricordò del telefono, immobile a fissarla.
Lo raccolse e leggendo le mille chiamate perse impallidì. -Madonna, mi sono completamente scordata di Gwen e Juls! Gli ho dato buca ieri!- esclamò con una mano alla bocca. Si sentiva terribilmente in colpa.
-Spiega loro che non stavi tanto bene. Speriamo non abbiano chiamato a casa tua..- disse poi tra sé e sé.
-No, non hanno il numero di casa, grazie al cielo.- rispose, mandando un messaggio fulmineo a Gwen dicendole che era molto dispiaciuta per la buca e di perdonarla, le avrebbe spiegato tutto appena si sarebbero viste. Magari non proprio tutto.. semplicemente quello che poteva raccontarle.
-Ah a proposito, prima ha chiamato tua madre..- disse lui alzandosi e andando verso la finestra spalancata, con un'espressione sconcertata. Voleva rimanere ammalata per il resto della sua vita, quella disgraziata?! Poi si indirizzò in cucina, scuotendo incredulo la testa.
A Kimberly si drizzarono le orecchie e lo seguì con lo sguardo, solo in quel momento si accorse che nel muro tra la cucina e il salotto c'era un oblò che le permetteva di comunicare con lui e di guardarlo.
-..mi dispiace di aver risposto, ma pensavo che sarebbe stato il caso di farle sapere che eri viva.- continuò Jared sperando che non si arrabbiasse. Quella ragazza era così suscettibile.. si arrabbiava per niente certe volte.
Kim fece una rapida radiografia mentale al contenuto della sua borsa sperando di non aver lasciato dentro niente di compromettente, poi scrollò le spalle e rispose indifferentemente -Non fa niente, hai fatto bene. Cos'ha detto? Oddio, ma ti ha riconosciuto?- esclamò in fine.
-no tranquilla, pensava fossi il padre di Gwen. Ha detto di richiamarla appena ti saresti svegliata. E..- si avvicinò cautamente allo stipite della porta che dava sul salotto. -Le ho chiesto se non era un problema che tu rimanessi qui un altra notte.- mormorò, guardandola attentamente.
Kimberly fece una faccia sorpresa. Poi lanciò un'occhiata fuori e si accorse che ormai dovevano essere le 6 passate. Non si stupì della richiesta di Jared, sicuramente aveva ancora una faccia sbattuta, era tardi e probabilmente non aveva nessuna voglia di accompagnarla, figuriamoci lasciarla andare da sola.
-Sicuro che non sia un problema?- preferì accertarsene.
-Se l'ho chiesto io, direi di no.- rispose con fermezza.
-Sei molto gentile Jared.. grazie.- gli sorrise timidamente.
-Si chiama ospitalità ragazzina.- lei fece una smorfia. -Immagino inoltre che tu voglia farti una doccia. Vieni con me.- disse facendole segno di seguirlo.
I fatti erano due, o puzzava in una maniera indicibile che non riusciva neanche a starle a distanza, o le leggeva nel pensiero. Stava proprio per chiederglielo.
-Non avevi detto che ti era difficile capire a cosa penso?- disse sospettosa, stringendosi il lenzuolo leggero attorno al corpo e seguendolo velocemente, onde evitare di smarrirsi, sebbene non fosse una gran casa.
-Infatti.- annuì lui, senza guardarla, continuando a camminare fino in fondo al corridoio.
D'oh. Questo voleva dire che doveva prendere in considerazione la prima ipotesi.
-Ma a forza di passare il tempo con te sto iniziando a connettermi alla tua stessa frequenza radio.-
continuò facendole l'occhiolino per poi sparire dietro ad una porta.
Lei sorrise tentando di trattenersi, quando lui tornò con una maglietta e un paio di pantaloncini.
-Queste sono le cose più piccole che ho. In caso i pantaloni della tuta hanno la cordina stringente.- disse
mostrandogliela. Lei sorrise e lo ringraziò afferrando gli indumenti per poi seguirlo nel bagno.
Sapeva tutto ancora dello stesso profumo che aveva addosso.
Le mostrò come funzionavano le cose come fosse una bambina e poi la lasciò sola, permettendole di avere la sua privacy.
Note finali:
SCUSATEMI INFINITAMENTE PER QUESTA ORRIBILE ASSENZA! Qualora ve ne siate accorte, certo ahah.
Davvero, sono desolata e mortificata, ma mi hanno staccato internet a casa per volere di mia madre (è pazza) e in questi giorni dovremmo risolvere.
Niente di che in questo capitolo spero vi piaccia e mi lasciatr qualche commento
xoxoxoxox
NoNnelhfj
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Capitolo 18 *** Capitolo 18. ***
Capitolo 18.
Adorava farsi la doccia. Specialmente in casi come quello.
Mettersi lo shampoo e il bagnoschiuma di Jared poi era la chicca per renderlo ancora più perfetto.
L'acqua calda che le scorreva lungo la schiena, i brividi e il sudore che se ne andava lasciando spazio al sapone, era il meglio del meglio.
Uscì, si asciugò e si mise addosso il cambio che Jared le aveva prestato.
Non doveva poi starle molto largo, vedendo la magrezza eccessiva del padrone di casa. A momenti aveva paura che le stesse stretto.
Ma, dato che i muscoli c'erano, sì la maglietta le stava abbastanza larga.
Era lunga più che altro e le maniche le nascondevano le mani, mentre per i pantaloni avevano una fascetta elastica che le permetteva di non perderli mentre camminava.
Era abbastanza buffa, dato che i pantaloni così ampi le facevano sembrare le gambe due tronchi, e la stoffa che avanzava le andava a finire sotto i piedi, costringendola ad arrotolare il bordo elastico in vita. Ironicamente pensò
come doveva essere vederli indossati da Jared, con le gambe secche che si trovava, avrebbe reso presentabile il “buffo” di Kim, a confronto.
Si pettinò con la spazzola che aveva a disposizione, sebbene Jared non portasse i capelli lunghi. Le venne il dubbio che l'avesse comprata apposta per lei.
Si strizzò i capelli abbastanza da non farli più gocciolare e quando pensava di essere abbastanza guardabile, uscì. Meglio di prima era sicuramente.
-Jared?- chiamò a voce alta prima di entrare nel salone. Quando era a casa di qualcuno lo faceva sempre, era un modo per avvertire i presenti che stava per arrivare così da non trovarsi in situazioni imbarazzanti. Detestava le situazioni imbarazzanti.
Lo vide dall'oblò che dava sulla cucina –del quale si era appena accorta- che si affaccendava a fare qualcosa, mentre tra la spalla e il collo teneva il cordless.
Lui alzò lo sguardo e quando la vide le sorrise e fece un cenno.
-Sì certo. Ok mammina! Sììì, ho capito. Ok, ciao buona notte.- e riattaccò proprio mentre lei entrava in cucina. -Hai fame?- le domandò gentilmente.
Kim non dovette pensarci troppo, la risposta le arrivò immediatamente dalla bocca dello stomaco vuoto da due giorni.
-Da morire.- sorrise, accomodandosi su uno sgabello intorno alla penisola.
-Perfetto. Dato che non conosco i tuoi gusti e non mi sembrava il caso di cucinarti pietanze troppo pesanti, ho preparato caffè-latte e cereali. A tutti piacciono caffè-latte e cereali, sbaglio?-
-Vuoi scherzare? Quando i miei fanno tardi al lavoro questa è la mia cena abituale!- esclamò lei entusiasta facendo spuntare sul viso di lui un sorriso incantevole.
Era contento di aver fatto centro, anche perchè non aveva alcuna voglia di mostrare le sue pessime doti di cuoco.
Le passò una tazza colma di cereali e fece strada verso il salotto. Ormai vegetavano lì.
-Dovresti asciugarteli i capelli, se no ti tornerà l'accidente!- la rimproverò lui, Kimberly fece finta di non sentirlo e si buttò in quello che ormai era il suo posto sul divano.
Jared le si sedette accanto e cominciarono a mangiare tranquillamente. Era domenica sera, non c'era niente di niente alla televisione, quindi si limitarono ad abbassare il volume e a chiaccherare animatamente. Sembravano due
logorroici insieme.
-Allora, chi era prima al telefono?- gli domandò sperando di non essere troppo invadente.
-Era Shannon.- rispose facendo spallucce, come se fosse scontato che lei sapesse di chi si trattasse.
A primo acchitto le venne da pensare che era una donna, dato il nome.
Il falò che sentì interiormente bruciare le diede abbastanza fastidio. Anche ripensando a come parlava al telefono, con quel tono affettuoso e scherzoso faceva pensare che fosse una persona importante per lui.
-Bel nome..- mormorò pensierosa. -E' la tua ragazza?- domandò senza distogliere l'attenzione dai cereali.
Con la coda dell'occhio vide Jared voltare il viso di scatto e guardarla con due occhi sgranati.
-Come scusa?- chiese rosso in volto. Aveva tutta l'aria di uno che stava per scoppiare a ridere da un momento all'altro.
-Scusa forse sono stata troppo invadente.- disse, nascondendo subito il volto con i capelli.
-Nono, aspetta cosa ti fa pensare che Shannon sia la mia ragazza?- era evidentemente divertito. Che avesse percepito il briciolo di gelosia che stava provando?
-Beh, non è un nome da donna?- chiese lei, sempre più confusa. Alche Jared scoppiò a ridere in una fragorosa risata, buttando la testa all'indietro e battendo una mano su una gamba, avendo la tazza ancora nell’altra.
-Jared? Cosa c'è da ridere?- chiese trattenendosi dal ridere a stenti. La risata del professore era troppo contagiosa, era un bene che non ridesse spesso.
-Tu non ti rendi conto di quello che hai detto.. Shannon.. ti ucciderà quando lo verrà a sapere!- quasi non respirava.
Mentre lei non vedeva la catastrofe dove stava. Perchè avrebbe dovuto offendersi? Chiunque avrebbe voluto passare per la ragazza di Jared Leto.
-Shannon è mio fratello!- rivelò col fiato corto.
Kim impallidì e subito l'istante dopo arrossì, di ogni sfumatura che le era possibile.
-Oh Jared io.. davvero non immaginavo! Scusa!- lei e la sua maledettissima boccaccia, e la sua stupidissima testa che non filtrava i pensieri quando era in sua presenza.
-Ma che scusa, mi hai fatto fare una grassa risata. La prossima volta saprò come infastidirlo ahahahahah.- anche Kimberly si permise di ridere, ma non così animatamente.
Tornato calmo, la ragazza tentò di riprendere la conversazione.
-E così.. hai un fratello.- era sott'inteso che volesse saperne di più.
Chi era? Cosa faceva? Dov'era? Era bello almeno la metà del fratello? Era troppo curiosa.
-Esatto.- si limitò ad annuire lui. Mentre lei lo fissava impaziente. Poggiò la tazza sul tavolino davanti a loro e si voltò completamente verso di lui, che la imitò.
-Ok..qualcosa mi dice che vuoi saperne di più.-
-Perspicace. Da cosa l'hai capito, dalle domande insistenti o dal mio sguardo pressante?- ironizzò Kim sistemandosi meglio.
-L'uno e l'altro direi. Allora, che posso dire di Shannon..?-
-Qualsiasi cosa! Voglio sapere tutto di lui.- annuì energicamente lei, incuriosendo Jared. -E perchè mai?-
-Sono sempre io a parlare. Ora tocca un po' anche a te. Neanche tu sei così facile da interpretare, sai?-
Lui sorrise e cominciò a pensare. -Mh. È il mio fratello maggiore, ha un anno in più di me. Quando ero piccolo lui era il mio punto di riferimento, ho sempre voluto essere come lui. -
-Dov'è lui ora?-
-E'..lui vive in Scozia, vicino a Edimburgo, un posto molto carino ci sono stato qualche volta.-
Woh, la Scozia. A Kim anche solo pensare di uscire dal Canada sembrava un sogno.
-Dev'essere bellissima la Scozia..- disse con occhi sognanti.
-Sì, lo è. Il problema è la distanza.- sbuffò l'uomo, guardandosi le mani.
Kimberly assottigliò gli occhi. -Quando l'hai visto l'ultima volta?- era evidente che soffriva della distanza.
-A Natale forse. Di due anni fa.- continuò, senza alzare lo sguardo.
-E perchè così tanto tempo?- sembrava sconvolta.
-Beh, del resto io faccio l'insegnante e lui il cameriere di una birreria. Non siamo così ricchi.
Ma ci sentiamo spesso, quasi ogni giorno!- continuò con un sorriso, ma non era uno di quelli accesi che piacevano a
lei.
-Ma perchè così lontano? Capisco non trovare lavoro ma addirittura andare fino in Scozia per fare il barista mi sembra un po' esagerato!-
-Sì beh, in effetti è stato per causa di Jenah, la sua fidanzata. Ormai fanno coppia fissa da qualcosa come 15 anni.. si sono conosciuti quando io e lui stavamo coltivando il sogno di creare una band. Facevamo gli apri concerto di band
non troppo famose oppure suonavamo a matrimoni e così via. Poi un giorno ecco che arriva questa ragazza dalla chioma rossa e gli occhi di un verde intenso che lo fagocita e se lo porta via, senza troppi complimenti.
Certo, è la sua vita e ne fa quello che vuole.. ma in quel sogno ci avevamo messo tutti noi stessi. Io ci credevo e così anche lui. Invece è bastata una scozzese per mandare tutto a puttane.-
Kim sussultò, si era scaldato. Quasi rimpiangeva di avergli domandato certe cose.. ma come lei anche lui aveva bisogno di sfogarsi probabilmente. -Scusa il termine.-
-Poi come è andata?- lo spronò facendo spallucce.
-Come vuoi che sia andata? Io ho tentato di combinare qualcosa, ma senza di lui non era la stessa cosa.- disse sconsolato. -Ma non per questo lo biasimo. Ha fatto solo quello che si sentiva, ha sempre seguito il suo cuore, il suo istinto. Lo ammiro per questo.-
-Ti manca molto?-
-Sì, è il mio unico fratello.. è ovvio che mi manchi.-
-Devi tenerci molto a lui. Se nonostante abbia distrutto il vostro sogno, tu non gli porti il minimo rancore.- azzardò Kim stringendosi le gambe al petto.
Lui sorrise guardandola, ma non la stava guardando realmente. Era incantato, con lo sguardo perso in un mondo lontanissimo. -Sì. Probabilmente è la persona a cui voglio più bene in assoluto.-
“Signori e signore, abbiamo scoperto che la vita di Jared Leto non è tutta rosea come ce la si aspetta.” pensò la ragazza, mordicchiandosi un ginocchio.
-Tu invece? Hai fratelli?- le chiese lui per cambiare un po' argomento.
Decise di assecondarlo. -Solo una sorellina. Si chiama Gaya.. in realtà è una sorellastra, ma non mi piace proprio pensarla come cosa.-
-I tuoi sono divorziati?-
-No, non sono neanche mai stati sposati. Sono semplicemente separati.. da tutta la mia esistenza praticamente. Per quanto ne so non sono mai stati felici insieme, sono troppo diversi.-
-Dov'è tuo padre ora?- domandò interessato. -In Francia. O almeno qualche settimana fa era lì, ora non saprei.- mormorò pensosa.
-Ti fa male questa distanza?-
Lei sorrise tristemente. -Sì, cioè no. Non molto. Diciamo che ci pensavo di più da piccola, che, quando veniva a prendermi e stavamo insieme qualche giorno, non sopportavo l’idea di vederlo ripartire. Ora sono cresciuta, certe cose non mi fanno più male. Anzi, più cresco più mi rendo conto del peso che devo essere stata per lui..- mormorò con una strana smorfia in volto. Jared si sorprese nel vedere che ci credeva davvero a quello che diceva.
-Perchè dici questo?-
-Perchè lui.. non è tipo da famiglia. Ha tentato di farsi una vita, di sposarsi.. ma la monogamia non è esattamente il suo prototipo di vita. Io probabilmente sono stata solo un “incidente di percorso”-
-Kim.. lo so che certe volte le persone.. soprattutto gli uomini o il genere maschile in generale, fanno/dicono cose stupide. Molto stupide, quasi insensate direi. Ma questo non vuol dire che tuo padre non ti voglia o che tu sia stata un peso.- disse avvicinandosi a sufficenza per accarezzarle una guancia con i polpastrelli delle dita.
Lei assottigliò gli occhi. -Ma da che pianeta vieni tu?- gli domandò con un sorriso grato.
-Da Marte.- sorrise, assottigliando gli occhi.
Note finali:
Bah sinceramente non ho idea del perchè abbia concluso così, forse un riferimento velato alla realtà ahah.
Mi auguro che piaccia nonostante la scarsità del capitolo :)
xoxox
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Capitolo 19 *** Capitolo 19. ***
Capitolo 19.
Guardare si può
Toccare no no
Che occhi che hai
Paura mi fai
La mattina dopo si ritrovarono di nuovo in salotto, però ognuno su un divano diverso.
Kim non aveva più bisogno di calore quindi Jared pensò che sarebbe stato meglio non stare troppo vicino a lei. Stavano legando tanto, troppo nonostante i buoni propositi dell'insegnante di non fare più distinzione tra l'alunna e la ragazza che era.
L'alunna Kimberly era testarda, cinica e arrogante. Kim invece era dolce, allegra e umile. Quello che era in realtà era un mix dei due generi e lui aveva avuto l'onore di testarli entrambi. Ormai aveva conosciuto ogni aspetto della sua personalità controversa e si era tristemente reso conto che sarebbe stato più difficile di quanto pensasse tornare alla normalità.
Ma non poteva assolutamente far sì che quello che provava nei suoi confronti degenerasse, influenzando anche lei. Finchè si fosse trattato di lui, dei suoi sentimenti poteva farcela. Ma se anche Kim avesse cominciato a prendere seriamente in considerazione la sua infatuazione per lui, sarebbero stati guai.
Jared fu il primo ad aprire gli occhi, rendendosi conto di essere in ritardo.
Il lunedì era un giorno orribile, da sempre. Si preparò in fretta e furia, almeno un punto positivo del suo lavoro era che non gli veniva richiesto di mettersi in giacca e cravatta, non l'avrebbe sopportato 7 giorni su 7.
Quando tornò in sala e si sedette sul divano di Kim per mettersi le scarpe la svegliò, intenzionalmente. Voleva farle sapere che usciva.
Lei si ricordò improvvisamente del giorno che era e che doveva andare a scuola.
-Oddio, perchè non mi hai svegliata?- cominciò inveendo contro di lui, che però la trattenne per i polsi e la tenne seduta. -Perchè oggi non vai a scuola. Tranquilla, non ti terrò mia prigioniera a vita, semplicemente voglio assicurarmi che tu guarisca completamente. Appena torno ti riporto a casa.- sorrise. La ragazza lo guardò negli
occhi. Erano splendidi, celesti tendenti al blu. Doveva essere una bella giornata.
Kim si accigliò leggermente. -Quanto stai via?-
-Fino a mezzogiorno. Torno presto, non preoccuparti.-
-Non ho alcuna fretta di tornare a casa.- mormorò distogliendo lo sguardo. Stava troppo bene con lui, sebbene non se lo sarebbe mai e poi mai aspettato.
Jared non disse niente, ma sorrise e le baciò la fronte. -Scotti ancora un po'. Mi raccomando non combinare disastri che questa è l'unica casa che possiedo.- disse facendole l'occhiolino ed uscendo di scena.
Per la mezz'ora seguente Kim rimase immobile a fissare il nulla, stordita da quanto era successo in quei giorni. Pazzesco. Fortunatamente c'era Judas a farle compagnia che, poverino piangeva affinché lo portasse fuori.
Lei sapeva perfettamente che Jared non avrebbe gradito, anzi non gliel'avrebbe proprio permesso, ma lei inforcò le sue scarpe e il suo giubbino e portò il cane a fare un giro, sperando tra sé e sé che non tirasse troppo, avendo un paio di scarpe col tacco.
In effetti non tirava, anzi poteva anche lasciarlo libero che non si sarebbe allontanato. Il padrone aveva fatto un buon lavoro.
Quando tornò in casa, decise che per passare il tempo avrebbe curiosato in giro. Dal mobilio avrebbe sicuramente afferrato l'essenza di Jared.
La casa sembrava etnica. C'erano cartine in stile pirata appese alla pareti che raffiguravano isole sparse nel mondo, un orologio composto da sole lancette senza quadrante sopra la tv, e cornici con tantissime foto su ciascun mobile posizionato in ogni angolo della casa.
Il bagno lo conosceva già, quindi passò oltre. Controllò una stanza che la incuriosì parecchio.
Era in stile orientale, anche le porte in vetro opaco si aprivano scorrevoli. Il pavimento in legno nero sembrava delicatissimo e il letto al centro della stanza era poggiato a terra, così come i comodini accanto. Anche i cuscini e i quadri richiamavano l'oriente, con foto di giardini giapponesi e fiori tipici orientali. Una bella camera
da letto.
Uscì da quella stanza e proseguì aprendo varcando una porta che invece la riportò alla realtà, a quello che era Jared realmente. La camera da letto era troppo sofisticata in effetti.
Mentre questa sì che era vera. Pareti insonorizzate e in ogni angolo uno strumento diverso.
Una parete era interamente coperta da un armadio a cassettoni pieno di cd sia in vinile che quelli moderni. Chitarre, bassi, tastiere e perfino una batteria completa giacevano inermi in modo ordinato e composto, perfettamente lucidati. Su un tavolo dall'altra parte della stanza c'era pure un sintetizzatore o qualcosa di simile, lei
non se ne intendeva molto.
Ma la cosa che più attirò la sua attenzione erano i disegni attaccati su tutta una parete. Quasi non si vedeva il muro. Erano disegni di simboli inventati, tribali ma anche situazioni e persone reali.
Ritratti a carboncino, acquarelli, pastelli, tempera su tela.. e ciascuno in basso a destra portava una firma che lei riconobbe subito. La vedeva sempre sul libretto scolastico quando lui le firmava la giustifica o sulle verifiche di musica, accanto al voto. Erano tutte opera di Jared.
Un altro tavolo era completamente ricoperto di spartiti e fogli con parole scarabocchiate, cancellate in matita penna o quant'altro.
Ecco cos'era Jared: un artista completo. Niente di più, niente di meno.
Cambiò stanza, stare dentro un luogo così personale e vivo le sembrava come leggere il diario segreto di un bambino.
Aprì un'altra porta, trovandosi invece nello studio del professore che era. C'era un computer posizionato su una scrivania massiccia, un attaccapanni professionale e una libreria colma di libri ed enciclopedie.
Su una parete notò appesa una mappa del mondo magnetica su cui lui aveva attaccato delle freccette che stavano ad indicare tutti i luoghi in cui era stato o aveva vissuto.
Voltandosi notò delle cornici sulla scrivania accanto al pc spento, pieno di polvere.
C'erano così tante foto che Kim nel suo sarcasmo, pensò che probabilmente il professore doveva aver immortalato tutte le persone che aveva conosciuto lungo la sua esistenza. Erano veramente tante. Ma la maggioranza ritraevano lui in un luogo particolare o in compagnia di qualcuno. Il più delle volte era accanto ad un altro uomo più o meno della sua età. Dato che stavano suonando non le fu difficile immaginare che quello fosse il fratello Shannon.
Uno squillo lontano la fece tornare alla realtà, catapultandola violentemente a terra.
Sobbalzò come se fosse stata scoperta con le dita nella marmellata e corse in direzione di quel suono ripetitivo. Era il telefono di casa e dopo vari squilli, riuscì a scovarlo da sotto un cuscino del divano. Non era casa sua, ma le venne spontaneo rispondere.
-Pronto?- disse affannata.
-Ehy ragazzina tutto bene? Mi sembri affaticata.- la voce di Jared anche per telefono era terribilmente seducente.
-Jared! No no, solo che non trovavo il telefono..come va?-
-Tutto bene, dato che qua stavano per chiamarti a casa per controllare che tu non avessi saltato scuola, mi sono allarmato costringendo la segretaria a far fare a me la chiamata. Se tua madre fosse a conoscenza del fatto che non sei a scuola, non immagino il casino.-
Kimberly rise immaginando chiaramente come fosse riuscito a convincere l'irremovibile segretaria a cedere il suo lavoro a qualcun altro. -E così mi hai chiamata realmente..-
-Sì, volevo sapere come stavi. I vigili del fuoco non mi hanno ancora interrotto, devo dire che non sei disastrosa come temevo.- scherzò divertito. -Che stai combinando-
-Stavo curiosando...- ammise senza troppi timori. Sapeva che non se la sarebbe presa.
-Lo immaginavo.- infatti sembrava sereno. -Trovato niente di interessante?-
-Sì, un giorno voglio che tu mi faccia un ritratto!- esclamò la ragazza, facendolo ridere.
-Senz'altro, Kim. Ora è meglio che torni al lavoro, sai com'è.-
-Sì certamente. A più tardi!- e riattaccò senza aspettare risposta.
Le mancava la sua presenza costante in casa e non vedeva l'ora che tornasse, anche se questo voleva dire che sarebbe dovuta tornare a casa.
*
Quando finalmente tornò, aprendo la porta dell’appartamento con un solenne -Tesoro,sono a casa!- prettamente telegenico, Kimberly si sollevò dal divano contentissima e gli si avvicinò saltellante.
-Sei tornato!- era sinceramente contenta.
-E tu stai bene! Non sai che sollievo..- le sorrise, poggiando le cose a terra accanto alla porta.
-Come è andata?-
-Mh.. solite cose. Non ti sei persa nulla, specialmente la mia lezione l'avresti trovata noiosa.-
-Niente di nuovo..- borbottò Kim, non troppo scherzosa. -Puzzi incredibilmente di fumo.- notò poi.
Lui fece una smorfia ma la ignorò e andò in cucina per prendersi un bicchiere d'acqua.
-Non ti piace il fumo?- chiese pensando alla sigaretta che si era appena fumato, uscendo da scuola.
-No, affatto. Mio padre quando ero piccola fumava come un turco, perfino in macchina! Mi faceva venire la nausea.. infatti adesso mi sento male ogni volta che sento l'odore di sigaretta.- spiegò storcendo il naso.
Lui con un sorriso, si tolse la giacca e si lavò le mani, assicurandosi che i rimasugli di odore non gli fossero rimasti anche sulla maglietta. Lei sorrise soddisfatta.
-Pronta per tornare a casa?- le chiese guardandola mentre si sedeva su uno sgabello dall'altra parte della penisola. Notò che l'ampio collo della maglietta era difficile per lei da gestire, in quel momento le scopriva completamente la spalla destra.
-Beh, mica sono stata in villeggiatura!- ribattè, notando lo sguardo insistente del professore sulla sua spalla nuda. Cercò di porvi rimedio.
-Più o meno.. ti ho servita e riverita come una star quindi non voglio lamentele!- scherzò puntandole l'indice contro.
-Gnègnè.- gli fece la linguaccia e sporgendosi in avanti, con le ginocchia sullo sgabello.
La scollatura della maglietta le scivolò in avanti, scoprendole così il raggiseno, cosa che Jared non si lasciò sfuggire. -Ti sta bene la mia maglietta..- disse sornione, distogliendo lo sguardo e dandole le spalle.
Kim automaticamente si guardò e nel notare il dettaglio a cui si riferiva indirettamente lui, avvampò furiosamente, tirandosela indietro.
Quando Jared tornò a guardarla, il suo sorrisetto da schiaffi non mancava. La ragazza notò che continuava a lanciarle occhiate indiscrete e quando scese dallo sgabello, il reggiseno si intravide di nuovo.
Lui distolse immediatamente lo sguardo, provocando la collera di Kim.
-Oh Jared, sono tette non dirmi che non le hai mai viste!- sbottò lei infastidita. Sembrava lo schifasse la sola vista. Era così orrenda? Era probabile che lui fosse abituato ad un livello più elevato.
-Sì certo..- rise lui, in effetti ne aveva viste e molto più chiaramente di quanto potesse scorgere dalla magliettina leggera.
-E allora cosa c'è, ti fanno schifo quelle di una diciassettenne?- continuò avvicinandosi rabbiosa.
-No, affatto. È questo che mi spaventa.- disse scostandosi di qualche passo.
Kimberly trattenne un sorriso e immediatamente i suoi occhi si ingentilirono. Quando le parlava così, come se fosse un frutto peccaminoso e proibito, la faceva impazzire.
-Mi permetterai di ringraziarti per tutto, almeno?- chiese con un filo di voce, avvicinandosi ancora di più, sebbene ormai gli fosse addosso.
-Kim..- sussurrò lui, ma non indietreggiò assolutamente. Neanche quando si allungò per raggiungere le sue labbra. Preferì rimanere immobile, per niente lucido.
Le appoggiò una mano sull'incavo tra il collo e la spalla e si chinò leggermente fino a trovarsi a pochi centimetri dalle labbra della ragazza. I loro sguardi ballavano dalle bocche agli occhi dell'altro.
-Kim fermami.- la implorò lui, mentre le fissava le labbra. Sembrava morbidissime, piene, carnose.
Lei, ovviamente neanche lo sentì, persa nei suoi occhi color del cielo.
“Jared fermo. Diciassette anni, cazzo. No. no. No!” dovette cercare di accumulare tutto il buon senso che possedeva, per riuscire a chiudere gli occhi e così, allontanarsi dal viso della ragazza.
Se avesse lasciato che quegli occhi onice lo perforassero per un altro secondo, serebbe stata la fine.
-Io direi che ti porto a casa.- disse, finalmente eretto e mantenendo sempre gli occhi chiusi.
Infine se ne andò, scansandosi da lei.
Ma al buio potrei
Al buio saprei
Illudermi di
Averti.
Note finali: yeeeeeeh! lentamente stiamo andando avanti, tra scontri e scontri, internet che c'è e non c'è, esami, vacanze e quant altro.
Che dire di questo capitolo? Niente, non ricordo neanche cosa avevo bevuto quando l'ho scritto ahahah
sinceramente trovo degli aspetti decisamente da tipica Fan Fiction adolescenziale, ma finchè sono ancora nei teen-years posso permettermelo ;)
La fantstica canzone si chiama Paura mi fai dei Blastema, un gruppo meno conosciuto della capitale del Turkmenistan, ma davvero meritevoli!
li consiglio calorosamente.
Chissà se meriteranno di accompagnare altri capitoli in futuro? Chi vivrà, vedrà, intanto io scrivo come se non ci fosse un domani e AAAH non vedo l'ora di farveli leggere perchè ci saranno dei risvolti inaspettati. Ma voi, tsk, siete solo al puro e semplice inizio, NO BUONO.
Se siete un minimo curiosi commentate, commentate, commentate perchè io ho bisogno di sentirmi dire se il capitolo era convincente o no
capito 70 e passa persone che leggete ma non mi cagate? ;)
xoxoxoxo a domani
|
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Capitolo 20 *** Capitolo 20. ***
Capitolo 20.
I want a girl with lips like
morphine…
Per
tutto il tragitto
verso casa, Kim si sentiva tristissima. Non umiliata per la rezione di
lui o
perchè non avesse accettato di baciarla, triste e basta.
Lui voleva farlo, erano
giorni che glielo leggeva negli occhi. Il problema era il suo orgoglio
e il suo
inutile buon senso, che aveva avuto la brillante idea di saltare fuori
proprio
sul più bello, non quando l'aveva fatto dormire con lei o
quando le aveva fatto
richiesta di rimanere con lui il pomeriggio, dato che ora aveva capito
che
l'aveva fatto di proposito, per passare del tempo con lei.
No! proprio quando lei
era decisa a fare il primo passo!
Se quel maledetto buon
senso si fosse degnato di svegliarsi un po' prima, Jared per Kim
sarebbe
rimasto il bellissimo ma stronzissimo professore di musica.
E invece? Ha permesso
loro di passare del tempo insieme, di conoscersi, di capirsi, di
piacersi.
E dopo tanto tempo
Kimberly si era sentita bene, davvero bene e a suo agio in compagnia di
qualcuno. E le sembrava parecchio ingiusto che questa meravigliosa
persona
dovesse essere il suo professore di 20 anni più vecchio. Per
tutto questo si
sentiva triste.
Per tutto il tempo
guardò fuori dal finestrino, parlavano solamente quando
Jared le chiedeva se il
navigatore stava dettando la direzione giusta, dato che non la
conosceva.
Nient'altro.
Quando le chiese dove
abitava, appena furono entrati in macchina, lei si rese conto di non
sapere
nemmeno dove si trovasse casa di Jared. Quindi anche volendo, non
sarebbe
potuta tornarci.
A momenti le venne lo
schizzo di farlo continuare ancora, ancora e ancora mentendogli
spudoratamente
magari fino a farli finire a qualche ora di fuso orario da
lì.
Sarebbe stato il
massimo e avrebbero passato dell'altro tempo insieme.
Purtroppo però
lui era
munito di quel cavolo di Tom Tom Go.
Quando la vita ti offre
certe occasioni, ma che poi si rivelano le più sbagliate di
questo mondo, è
orribile.
Kimberly, verso la fine
quando cominciò a riconoscere i luoghi, si mise a fissare di
sottecchi l'uomo
al volante, cercando di goderselo il più possibile e
stamparsi quella stupenda
visione in testa. Per quanto ne sapeva dal giorno dopo lui poteva anche
fargliela
sembrare tutta una lunga allucinazione. Lo avrebbe odiato, con tutta se
stessa.
-Perchè mi
guardi
così?- le chiese, infilandosi nella via che l'aggeggio
malefico indicava come
destinazione.
-Ecco, parcheggia qua
sulla sinistra. Casa mia è quella lì rosa.- disse
lei, evitando la sua domanda.
-Kim? Non mi hai
risposto.- fece lui, eseguendo gli ordini e inserendo il freno a mano.
-Perchè ho
l'orrenda
sensazione che una volta scesa da questa macchina sarà tutto
come se niente
fosse successo.- sentiva le lacrime agli occhi salire.
Lui sbuffò e
buttò la
testa sul sedile. -Ricordi cosa mi hai assicurato l'altro ieri? Che
avresti
fatto come se nulla fosse.-
-Sì ovvio che lo
ricordo.- annuì lei. -Ma ricordo anche di aver detto di non
pretendere affatto
che dimenticassi. Non lo sopporterei.- continuò,
scorticandosi un polpastrello
con le unghie.
-Perchè ci tieni
tanto?
Mi fai impazzire quando fai così.- mormorò col
tono tormentato, Jared.
Lei lo guardò
ferita.
Ma non poteva dargli torto.. lui era l'adulto, lui sapeva cosa fare e
una
ragazzina attaccata alla gamba non era per niente semplice da
gestire.
Fece uno scatto
nervoso, voltandosi verso di lui. Se proprio doveva lanciarsi in una
dichiarazione, preferiva essere convincente. -Perchè tu mi
fai sentire.. come
non sono mai stata. Stare con te mi fa sentire bene e mi fa sorridere.
Quando
mi guardi, quando i miei occhi incontrano i tuoi, mi sento finalmente
viva. E dimentico
tutti gli orridi pensieri
che mi turbano da mesi e mi vien voglia di essere me stessa.
Perché non so cosa
mi sta succedendo, ma è bellissimo. È per questo
che ci tengo tanto Jared, nient'altro.-
gesticolò animatamente, guardando fisso il suo profilo, dato
che lui non le
rivolse lo sguardo se non per pochi istanti.
Ma si accorse degli
occhi lucidi e comprese che quello che stava dicendo non erano fantasie
di una
adolescente capricciosa. Era Kim, la vera Kim. E nonostante questo
rimase
immobile a fissare davanti a se, con entrambe le mani sul volante a
ripetersi
le parole appena pronunciate da lei per assaporarle meglio.
Alla ragazza non fu
difficile capire che era assolutamente il momento di andare.
-Ok, allora.. ci
vediamo a scuola.- aprì la portiera, ma non fece a tempo a
posare un piede a
terra che si sentì tirare dentro con uno strattone tanto
forte che le fece
chiudere la portiera.
Due occhi di ghiaccio, duri
e infuriati la fissavano irati.
-Sai cosa mi fa
più
arrabbiare?- il tono era così tenebroso che le mise la pelle
d'oca. Non aveva
neanche il coraggio di parlare anche perchè era ovvio che
lui non attendesse
risposta. -Non arrabbiare, il termine che cerco è incazzare. Sì, incazzare. Tu
mi fai sempre più incazzare ogni
minuto che trascorriamo insieme.- la sua
mano era ancora stretta al
braccio di
Kimberly che si sentiva ipnotizzata da quello sguardo così
intenso, incapace di
distogliere il suo. Ma non si lasciò distrarre
dalla bellezza del suo viso
e
tentò di seguire il filo del discorso, sebbene non sembrava
essere un discorso
amorevole.
Jared sospirò,
tentanto
di trattenere la rabbia, sempre più evidente. -Tu, con le
tue straordinarie
parole, i tuoi strepitosi sorrisi e i tuoi bellissimi occhi, mi fai
incazzare
più di ogni altra cosa.
Perchè
più tento di
vedere l'irrealtà di una nostra possibile relazione,
più tu te ne esci con
certi atteggiamenti che mi mandano fuori di testa e mi rendono
più concreta di
quanto sia possibile quella irrealtà. Più cerco
difetti, più ti desidero. Più
tento di non pensarci, più mi accorgo di stare bene solo
perchè sono accanto a
te. Quindi non ti chiederei mai di dimenticare se neanche io
sarò in grado di
farlo.- e così dicendo, si avvicinò sempre di
più al volto impaurito di Kimberly
che lo guardava non sapendo bene come prenderlo, dal momento che
sembrava
realmente arrabbiato.
-Jared..-
sussurrò con
la voce incrinata a pochi centimetri dalle sue labbra.
-Dimmi.- rispose, ma
dal tono sembrava completamente assente e guardava semplicemente la sua
bocca.
-Dove sei?- gli chiese
tremante.
-Esattamente dove
vorrei essere.- rispose a fior di labbra per poi infrangere
completamente la
distanza tra di loro.
La baciò,
portandole
una mano fredda dietro il collo per tenerla ferma, quasi come se
temesse che
potesse anche solo avere la forza di andarsene.
O la voglia.
Lei rimase immobile,
incerta
se credere a quello che succedeva o se lo stava sognando. Ma era
lì, davvero.
Gli occhi aperti di Jared la fissavano di rimando, facendola sciogliere
ancora
di più. Le sue labbra sapevano di lui e di quel nettare che
mai aveva pensato
di poter assaggiare.
Decise di assecondare
le sue fantasie e chiuse gli occhi, toccandogli il mento con due dita
tremanti,
per poi far scorrere il palmo intero fin dietro il suo collo.
Inclinò il capo,
approfondendo il bacio, il bacio più bello della sua vita,
poteva affermarlo
con certezza. Quando le reciproche lingue si accarezzarono, una scossa
di
brividi percorse la spina dorsale della ragazza, creando una pelle
d’oca
potente, così forte da farle male il contatto tra la pelle e
i vestiti.
Da calmo, il bacio si
fece sempre più animato, portando i due ad avvicinarsi di
più, quasi volessero
entrare fisicamente l’una nel corpo dell’altro.
Mentre Kim teneva gli occhi
chiusi, lui li aveva lasciati aperti, per godersi ogni istante di
quella
bellezza così pura e ingenua.
Era
così… bella. Poche
cose in vita sua potevano godere appieno di questo aggettivo e lei era
uno di
questi.
Era così bella e
lui si
stava approfittando. In quel momento si risvegliò, come nuovamente dotato del
senso visivo. Si ritirò
dolcemente, con uno schiocco sonoro, lasciando la ragazza a
mezz’aria, ancora
insoddisfatta.
Mille domande ora
urlavano nella testa di Kimberly, completamente asfissiata e stordita
da tutta
l'elettricità che avevano creato. Perchè
gliel'aveva tolto così velocemente?
-Kim, ti prego di
scendere. Te ne devi assolutamente andare.- il suo tono non ammetteva
repliche.
-Jared, io..- tentava
di raccogliere la quantità necessaria di vocaboli per dire
qualcosa, ma tutto
in quel momento sembrava così difficile.
Optò per il
scendere
dall'auto, l'aria le avrebbe sicuramente fatto meglio. Quando si
voltò, lui le
sorrise rapidamente, per poi mettere in moto e sgommare verso casa.
Rista sola, Kim si
toccò le labbra. Era successo davvero? Il sapore che aveva
tanto agognato nella
bocca e le labbra gonfie e umide, le fecero spuntare un sorriso
raggiante sul
viso.
Corse a casa con
un'euforia e carica che si era completamente dimenticata di possedere,
tutta
scatenata da quel fantastico bacio,che sotto certi aspetti alcuni
potevano
interpretarlo come qualsiasi altra cosa. Segno d'amicizia? No, dal
momento che
c’era la lingua, come avrebbe testimoniato orgogliosa la sua
amica Ingrid,
l’amicizia era oltrepassata.
E poi il suo tono che
le ordinava di scendere dall'auto era un altro aspetto che avrebbe
assolutamente dovuto toglierle quell'orrido sorriso dalla faccia.
Ma non poteva e non se
ne fregava. In quel momento avrebbe potuto saltare il cancellino di
casa a pie'
pari senza il minimo sforzo.
-Tesoro, come è
andata?
Ti sei divertita?- le chiese la mamma dalla cucina, che raggiunse e
baciò sulla
guancia, come ormai non faceva da anni.
-Sì,
è andata
benissimo.- le sorrise a mille denti per poi correre in camera sua.
Non le importava se la
notte avrebbe sofferto come un cane, se avrebbe pianto per la settimana
seguente e così via. In quel momento stava benissimo e
nient'altro fuorché il
viso e il nome di Jared Leto occupavano la sua mente.
Lilian colpita dal
gesto della figlia non poté fare altro che sorridere di
gioia, pensando
felicemente
“E'
innamorata”.
Il problema era che
ancora non sapeva di chi.
…Knock
me out everytime they touch me.
Note finali:
sciogliamoci in un brodo di giuggiole tutte insieme, suvvia
3,2,1,
OOOOOOOOOHHHHHRRRRRR.
Allora,
cosa ne pensate? Avventata? Giusta? Romantica? Squallida?
Whatever,
fatemelo sapere!!!
La
canzone è Lips
like morphine dei
Kill Hannah, bella canzone, e cacchio, ci stava perfettamente con
questo capitolo!
Cosa
pensate succederà ora?
Fatemelo
sapere al più presto e in tante :)
xoxoxox
|
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Capitolo 21 *** Capitolo 21. ***
Capitolo 21.
La lacerante distanza
Tra fiducia e illudersi…
Inutile dire che la notte dormì poco. Quasi per niente, in effetti.
E non era l'unica.. dall'altra parte della provincia c'era un uomo che non aveva nemmeno la forza di trascinarsi in camera da letto.. e ormai era così dannatamente affezionato a quel divano che non aveva assolutamente voglia di alzarsi.
Quando era tornato a casa solo, trovarsi la sala vuota senza la vivace presenza di Kim, lo aveva devastato. Era come rientrare dalle vacanze.. un senso di malinconia, quando sei solo la notte ti assale e ti tormenta finché non perdi i sensi.
Gli era mancata l'abitudine di tornare a casa con la consapevolezza che c'era qualcuno ad aspettarlo, ormai non si ricordava neppure come fosse.
Il suo profumo caratteristico era impresso sul cuscino sulla quale aveva riposato per quasi 24 ore consecutive e non gli ci volle molto per capire che gli mancava
terribilmente.
Sorrise guardando il soffitto spoglio. Odiava non riuscire a prendere sonno, era una cosa che non riusciva a sopportare dato che già sapeva che il giorno dopo sarebbe stato devastante alzarsi.
Ma era tutto inutile, per quanto si rigirasse e tentasse di pensare a cose futili per prendere sonno, il pensiero di Kim continuava ad assalirlo.
Si era comportato da stupido incosciente.. come gli era saltato in mente di perdere il controllo?
L'aveva baciata. Non poteva commettere passo più falso.
Cosa avrebbe fatto ora? Lei avrebbe richiesto delle spiegazioni o al limite si sarebbe aspettata qualche cambiamento da parte sua. Ma non si rendeva conto della situazione vincolante in cui si trovavano? Tutto quello era altamente sbagliato, perverso e.. impossibile.
Non ci sarebbe mai stato universo in cui loro due avessero potuto avere una relazione, per quanto l'idea lo affascinasse. Ma, onestamente, valeva la pena perdere il lavoro per una storiella simile?
Dopotutto Kimberly non era neanche maggiorenne, quindi incapace di intendere e di volere.
Anzi di volere anche fin troppo, ma appunto, voleva solo l'impossibile. Era l'intendere quello su cui avrebbe dovuto lavorare.
E poi la differenza di età.. loro non la sentivano affatto, certo. Ma gli altri? Il mondo lo avrebbe additato e l'avrebbero potuto anche arrestare!
Valeva la pena rischiare la galera per una ragazzina?
Chiuse gli occhi e sbuffò sonoramente. Perferì non rispondere, perché la risposta che metà della sua testa dava non voleva neanche ascoltarla da quanto era impensabile.
Quando finalmente, tra un rotolamento e l'altro, riuscì a prensere sonno, era già mattina.
*
Kimberly si sentiva diversa, appena scesa dal letto, per la prima volta dopo un'infinità di tempo, aveva la carica e l'energia sufficenti per cominciare una nuova giornata.
Non aveva dormito affatto, ma era giunta ad una conclusione: non avrebbe lasciato che Jared la condizionasse e la facesse ricadere nel baratro dal quale era riuscito così velocemente a tirarla fuori.
Ci aveva passato mesi in quel buco nero come il catrame e stando con lui era riuscita a riemergere in pochissimi giorni. Ora che aveva riscoperto la luce non avrebbe permesso a quello stupido insegnante di ricacciarla dentro.
Gli avrebbe mostrato tutta la sua maturità, non sarebbe caduta ai suoi piedi implorandolo di mettersi con lei.
L'avrebbe ignorato se era quello che voleva. L'importante era che le permettesse almeno di vederlo..non chiedeva nient'altro. Non toccarlo, non parlargli, non pretendeva neanche che lui la guardasse. Solo vederlo anche un minuto al giorno. Se l'avesse avuto davanti avrebbe avuto il motivo concreto della fatica che stava
compiendo.
Aveva deciso di cambiare, di nuovo. Non sarebbe sicuramente stata la vecchia Kimberly, dopo un mutamento radicale, nonostante gli sforzi, niente può tornare come prima. Ma neanche continuare a vivere nei panni di qualcuno che non era, poteva essere dannoso.
Si sarebbe limitata ad essere se stessa, come voleva e si sentiva di essere.. La Kim che aveva tirato fuori Jared.
Non lisciò i capelli quella mattina e neanche si vestì troppo mondana, ma neanche troppo sciatta. Un misto dei due stili. E poi.. la ciliegina sulla torta: le sue amatissime All Star sarebbero tornate dove dovevano stare.
Quando uscì di casa anche l'aria che respirava era diversa, più leggera, più buona e fresca.
L'aria che respiri quando il tuo cuore è occupato da un singolo nome.
A scuola, in molti stentarono a riconoscerla. La guardavano come se non l'avessero mai vista e scostavano immediatamente lo sguardo quando i suoi occhi amichevoli si posavano sui visi di quelli che incontrava. Ma non ci faceva minimamente caso.
Gwen quando entrò in classe seguita da Juls, sussultò visibilmente.
-Kimberly?! Ma che diavolo ti sei messa oggi?- esclamò sconcertata, tirandole la magliettina semplice che indossava quel giorno.
Kim fece spallucce. -Quello che mi andava.- rispose con un sorriso, senza badarci troppo e tornò a parlare animatamente con un compagno di cui si era anche dimenticata l'esistenza per un periodo.
I suoi amici erano convinti che il giorno prima fosse stata assente perchè un gruppo di alieni curiosi l'aveva rapita per farle un lavaggio del cervello. O che comunque fosse stata contagiata da una malattia così drastica che, le aveva rivoluzionato il senso della vita e aveva deciso di godersi la vita senza più quel muso lungo che la caratterizzava da qualche mese.
All'intervallo camminava a braccetto accanto a Charlotte, una delle sue più care amiche di sempre.
Fino alla settimana precedente aveva tentato di schivarla in tutti i modi, dato che questa era dotata di un grande intuito e non le andava di essere psicoanalizzata da lei.
Era bassina ma con un carattere forte e combattivo e con un eccessivo senso critico. Doveva mettere sempre tutto in dubbio.. cosa che spesso poteva mandare fuori dai
gangheri le persone non abituate.
Proprio mentre chiacchieravano.. eccolo. A Kim si illuminarono gli occhi, nel vedere la figura asciutta dell'insegnante di musica scendere le scale con la custodia della
chitarra in spalla.
Aveva due occhiaie spaventose, grandi quasi quanto le sue. La ragazza sorrise tra sé e sé, abbassando lo sguardo. A Charlotte questo gesto non sfuggì, ma preferì fingere di non aver visto niente. Troppo bizzarro, magari se l'era solo immaginato. Incrociarono il professor Leto e lo salutarono in coro.
-Buongiorno Professore!- esclamarono con un sorriso vivace.
Jared a momenti non riconobbe Kimberly. Certo, l'aveva vista fino al giorno prima, ma nei corridoi non era più abituato a vederla camminare come se non fosse perennemente col culo su un piedistallo.
Rimase folgorato da quel sorriso, e non poté fare altro che rispondere ad entrambe con un semplice cenno, per non dare troppo nell'occhio. Ma a Charlotte neanche questo dettaglio sfuggì, però proseguì noncurante, dopo che Kim le aveva chiesto di andare avanti che l'avrebbe raggiunta subitissimo.
-Salve professore.- mormorò lei, con un tono indefinibile ma il sorrisetto stampato che aveva faceva intendere che era piuttosto di buon umore.
“cattivo segno..” pensò titubante Jared. Probabilmente si aspettava che adesso si abbassasse a baciarla come saluto tipico da coppia.
Invece lei, con suo grande stupore, indietreggiò e si appoggiò al muro con le braccia incrociate al petto. Posa tutt'altro che ammiccante.
Un po' accigliato posò la chitarra a terra. -Buongiorno a te, Kimberly.- sorrise appena.
-Senta, per quanto riguarda..- cominciò a dire lei.
Jared la fermò, dato che già immaginava dove stava andando a parare. -Non è il caso di parlarne qui e adesso..- la interruppe guardandosi attorno.
-Scusi?- fece lei confusa. -Volevo chiederle per i corsi pomeridiani.. se li ricorda vero?- lo guardava come se non capisse tutta la sua confusione.
Cosa stava succedendo? Il professore la guardava perplesso, come se avesse perso un passaggio.
Era la stessa persona? E poi era lui quello accusato di personalità multipla…
-Oh certo, certo..- decise di stare al gioco. -Cosa volevi dirmi?-
-Che io ho tutti i pomeriggi liberi tranne il giovedì, quindi mi faccia sapere.- il suo tono era prettamente professionale.
Lui annuì con la fronte corruciata e mordendosi il labbro inferiore, senza guardarla in faccia.
Guardava un punto indefinito, con una mano appoggiata alla cusodia della chitarra e una su un fianco, pensoso.
-Ok, allora.. a dopo.- sorrise Kim, con quel distacco che gli faceva male.
-Cosa fai il giovedì?- le domandò mentre lei era in procinto di raggiungere la sua amica. Si voltò a guardarlo, non si era mosso di un centimetro.
-Devo fare i corsi per l'esame della patente!- rispose elettrizzata. Lui sorrise, riconoscendola, finalmente. Alzò lo sguardo. -Sembri contenta.- notò.
-Non immagina quanto!-
-E perchè tanta fretta di crescere?- lui immaginava il motivo, cercava di incastrarla. Il suo atteggiamento distaccato lo faceva preoccupare della propria sanità mentale.
Si sedette su una panca del corridoio, immaginandosi che lei gli si sedesse accanto. Invece no, si sedette su quella in parte, non lontana certo ma pur sempre staccata.
-Voglio la mia indipendenza. La desidero praticamente da.. sempre!- riuscì a scampare quella domanda trabocchetto. Era ovvio che avesse voglia di crescere, diventare
maggiorenne e finalmente essere libera di fare quello che voleva e anche lui lo sarebbe stato, secondo lei. Magari se avesse visto che aveva raggiunto la maggiore età,
non si sarebbe più frenato tanto.
-Quando compi gli anni?- chiese lui, appoggiando il mento alla chitarra.
-A marzo, il 26.-
-Manca poco..- sorrise lui.
-Sì, molto poco.- ripeté fissandolo intensamente negli occhi blu. Quel giorno erano blu oceano.. uno spettacolo.
-Per quanto hai intenzione di far finta di niente?- fece, infine, la domanda che lo tormentava di più.
Lei sollevo le sopracciglia, sorpresa. -Non erano questi i patti?- fece, confusa.
-Sì è vero, ho sbagliato termine. Tu mi stai deviando.- disse un poco scontroso.
-Non la sto deviando!- esclamò stizzita. -Stiamo parlando.. l'abbiamo sempre fatto mi pare.-
-Abbiamo sempre discusso più che parlato io e te.- la corresse.
-Preferisce litigare? Sa che non mi viene difficile.- rise leggermente.
-Nono, non intendo questo..- sorrise anche lui. -solo che.. non mi aspettavo mi ascoltassi: non l'hai mai fatto.-
-Caro professor Leto.. c'è sempre una prima volta.-
Jared sospirò. -Un'ultima cosa.. non pensare che una volta che avrai 18 anni le cose potrebbero cambiare. Non cambieranno mai, Kim. Ricordatelo.- il tono divenne improvvisamente severo.
Mr Hyde stava tornando, ora che il distacco tra loro era assicurato, non c'era più bisogno che si trattenesse.
Kim si irrigidì. L'aveva capita, aveva viaggiato per troppo tempo sulla sua stessa frequenza negli ultimi giorni. -Non l'ho mai dubitato.- rispose secca, rigida, ghiacciata.
“Bingo” pensò Jared con un ghigno malvagio. Aveva fatto centro.
-Ciao ragazzina..- sussurrò alzandosi e andandosene, lasciandola lì sola come una cretina a respirare profondamente per non rischiare di perdere la calma.
È una porta aperta
E una che non sa chiudersi.
Note finali: Che persona malvagia è questo professor Leto.
Non è molto bello questa capitolo, deludente sicuramente per tutte voi che fino a una secondo fa eravate su una nuvola di zucchero filato rosa, già con gli occhioni lanciati in un romanticissima love story (E INVECE NO ohoh), non particolarmente ben strutturato e un pò palloso nel primo pezzo, diciamocelo.
E va beh, la calma piatta ci vuole ogni tanto.
Ciò nonostante io spero sempre in un qualche commentino :)
La canzone è La paura che... di T. Ferro, non esattamente il mio genere, ma un grande cantautore, mio preferito da piccola, a cui devo la mia passione sfrenata per la musica ;) e, diciamocelo, questo verso è pura poesia.
Chissenefotte? direte voi, e c'avete ragione; voi commentate e perdonate questo tremendo capitolo.
xoxoxo.
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Capitolo 22 *** Capitolo 22. ***
Capitolo 22.
There’s a burning in my pride
A nervous bleeding in my brain
An ounce of peace is all I want for you.
Will you ever call again?
And will you never say that you love me,
just to put it in my face?
Sentì
una testa
appoggiarsi alla sua schiena gobba, incurvata dal colpo che le era
appena stato
inferto. Jared Leto era uno stronzo ipocrita.
Kimberly si
girò
tentando di assumere un'aria del tutto indifferente, mentre gli occhi
di
Charlotte la scrutavano.
-Che
voleva il
professore di musica?- le domandò senza un tono preciso.
-Mh
niente. Tormentarmi
come al solito.- rispose facendo spallucce la mora. Si alzò
e camminò lungo il
corridoio, con l'amica al seguito.
Insieme,
tornarono
verso la loro classe, dove tutti i loro compagni gironzolavano fuori
senza una
meta precisa, ridendo e scherzando animatamente.
Solo
allora Kimberly
notò certi cambiamenti che fino al giorno prima non si era
minimamente
interessata di cogliere. Dettagli, molto futili e per niente
significativi, come
una taglio di capelli, uno aveva tolto gli occhiali da vista
cambiandoli con un
paio di lenti a contatto.. ma che in una classe si notano subito.
Specialmente
una classe piccola e unita come la loro.
Gli
insegnanti quando
erano incaricati di cambiare i posti erano sempre disperati, dato che
tutti
andavano così d'accordo che ovunque li spostassero, era
inevitabile che
facessero casino.
A Kim
piaceva quel
fatto, una classe unita era come una specie di famiglia. Era sicura che
non si
sarebbero mai traditi l'un l'altro, anche a discapito della media
scolastica.
Ad
esempio, notò che
Joe, il suo migliore amico, era visibilmente triste.
Stava
da solo su una
sedia verde di fronte alla porta della classe a bere da una lattina.
Kim non
riuscì a
trattenere un'ondata di compassione e gli si avvicinò,
seriamente preoccupata
di aiutarlo a risolvergli i problemi.
-Ehy
Joe..- mormorò
dandogli una leggera spintarella con la spalla e sendendosi in parte a
lui.
-Ehy..-
le sorrise
leggermente.
-Come
stai?-
-Uno
schifo, grazie.-
rispose senza cambiare espressione. Almeno non le avrebbe complicato il
lavoro
facendo il discreto.
-Che
succede?- gli
chiese poggiandogli una mano sulla schiena. Lui ebbe un sussulto.
Il loro
legame, per
quanto forte, non era affatto fisico. Si abbracciavano di rado e
stavano sempre
a debita distanza, senza neanche farlo di proposito.
Anche
per Kimberly fu
strano quel gesto affettuoso, in quanto non era mai stata espansiva in
quel
senso, consolare per lei era una grande fatica dato che la
metteva
in imbarazzo
non essere in grado di pensare bene a qualcosa da dire.
-Victoria..
mi ha lasciato.-
confessò il ragazzo guardando dritto davanti a lui.
A Kim
venne un colpo. Il
suo amico aveva la ragazza? Lei
non ne sapeva nulla.
Era
stata un'amica così
pessima?
Si
sentì
improvvisamente terribilmente in colpa per quello che doveva avergli
fatto
pesare non parlargli per tanto tempo e non fingere nemmeno di
interessarsi a
quello che aveva da dirle.
Probabilmente
lui le
aveva anche parlato di questa ragazza, le aveva raccontato tutto, nella
speranza di un sorriso di approvazione o qualche commento sinceramente
felice.
Invece
niente, lei non
l'aveva mai degnato di un ascolto; e se l’aseva fatto, non se
lo ricordava
affatto.
Però,
d'altra parte, lei
era proprio l'ultima persona con cui parlare di certe cose in quel
periodo.
Anche solo in quel momento, sentì una gran fitta al petto.
Cosa
doveva fare? Come
doveva comportarsi nei confronti del suo amico? Era in bilico tra
quello che
avrebbe fatto star meglio lui e quello che faceva star male lei.
Una
frase tipo “avevi
la ragazza?!” sicuramente era da evitare. Ma anche chiedere
dettagli non
sarebbe stato producente, almeno per lei.
Si
limitò a fare quello
che avrebbe voluto che avrebbero fatto con lei, quando si era trovata
nella sua
stessa situazione, forse un pelino più drammatica.
Dopo un
breve minuto di
silenzio, la mano di lei cominciò a sfregare sulla schiena
di Joe e, in seguito
ad un respiro profondo, gli si avvicinò e lo
abbracciò.
La
scena era alquanto
goffa, dato che lei lo stava facendo di lato e lui era molto spallato,
tanto
che la sua mano non riusciva a raggiungere l'altra spalla.
Quindi
lui la aiutò, voltandosi
appena in modo da avvolgerla meglio.
-Mi
dispiace, Joe.-
sussurrò lei, tra i suoi ricci neri. Aveva un buon profumo,
se ne rese conto
solo allora.
La
grande mano del
ragazzo passò dietro la testa di lei e, tentennando, le
accarezzò la nuca.
Era
bello sentirla così
vicina, nemmeno nei suoi sogni più intimi si era mai
permesso di immaginarla
così affettuosa nei suoi confronti.
Lei
aveva quel ragazzo
con cui stava da molto tempo e, sebbene fosse ovvio che non stessero
più
insieme, si era ormai arreso all'idea che dovevano essere semplici
amici.
Era
sicuro che anche
senza quel ragazzo, lei non l'avrebbe mai voluto come qualcosa di
più. Era
davvero troppo per lui, era fermamente convinto di non
meritare
tanto.
-i tuoi
capelli sanno
di quel profumo che porti sempre..- sussurrò lui, in seguito
a vari istanti di
silenzio.
Sentì
Kimberly
sorridere. -Ma va?- scherzò.
-E'
buono. Molto.-
disse, scostandola appena.
Lei lo
guardò negli
occhi, neri quasi quanto i suoi.
Ormai
trovava noiosi
gli occhi scuri, li vedeva da sempre! Riflettersi negli occhi chiari
faceva
tutto un altro effetto..
vide
una figura alle
spalle del suo amico, camminare nella loro direzione. Scostò
lo sguardo appena
per capire chi fosse: mr Leto. I suoi occhi erano grandi, sgranati da
quello a
cui stavano assistendo, sebbene non fosse niente di che. Azzurrissimi.
-Ragazzi,
non mi sembra
il caso. Siamo in pubblico.- li riprese, duro, una volta trovatosi di
fronte a
loro.
I due
si guardarono
confusi, senza muovere un muscolo.
-Scusi?-
chiese
educatamente ma scontroso Joe. Era il suo momento insieme a Kimeberly,
e
l'insegnante glielo stava rovinando.
-Hai
capito
perfettamente. Toglile le mani di dosso.- il tono protettivo che stava
usando
spaventò non poco Kim e nel contempo la infastidì.
Infatti,
mentre Joe
eseguiva, lei lo tenne più stretto, portando le gambe su
quelle del ragazzo e
poggiando la testa sulla sua spalla destra, tenendo gli occhi inquelli
del
professore con aria di sfida.
Joe
sentì che il cuore
non aveva mai battuto così forte in vita sua.
-siamo
amici professor
Leto, e facciamo quello che vogliamo. Non c'è scritto da
nessuna parte che due
persone non possano abbracciarsi.- rispose secca Kimberly.
-Oh..certo.-
chiuse il
discorso con una smorfia Jared, lanciando una fulminata con gli occhi
al
ragazzo, che intanto teneva le mani immobili e salde sulle gambe e
schiena di
lei.
Era
evidente che nello
sguardo dell'”amico” non ci fosse semplice
amicizia, ma Kimberly in quel momento
aveva altri sguardi a cui pensare.
L'uomo
con la chitarra
in spalla si avvicinò all'aula di musica alla fine del
corridoio e vi si chiuse
dentro, sbattendo la porta.
Nessuno
si era accorto
della breve discussione che c'era stata, ognuno continuava beatamente
la
ricreazione.
-Chissà
che gli è preso
a quello.. parlava come se fosse geloso.- mormorò sospettoso
Joe.
Kim si
levò di scatto
dalla morsa del suo amico e, senza degnarlo di un solo sguardo,
seguì il
professore, lasciandolo lì seduto, con una confusione
mentale al
limite.
Aprì
la porta e se la
chiuse contro le spalle. Jared le dava la schiena seduto su un banco
qualche
metro più avanti, circondato da strumenti musicali.
-Jared..-
lo chiamò.
Lui
alzò la testa al
cielo sbuffando, come se la ragazza fosse un fastidio asfissiante. Un
sassolino
nella scarpa, per intenderci.
-Cosa
vuoi Kimberly?-
non era nemmeno una domanda, dal suo tono annoiato e pienamente
consapevole di
quello che gli avrebbe detto.
Lei si
avvicinò
furiosa. -Sei un maleducato!- esclamò, guardandolo in faccia.
-Non
sono io quello che
fa cose poco ortodosse nel bel mezzo del corridoio!- rispose lui,
poggiando a
terra la chitarra.
-Cose
poco ortodosse?
Jared, per l'amor di Dio, ci stavamo abbracciando!- ribatté
lei, sconvolta.
-Evidentemente
non hai
visto con che occhi ti guardava.- disse lui assottigliando i suoi. -Ti
stava
spogliando, ragazzina, non fare tanto l'ingenua.-
-Ma tu
sei
completamente matto!- esclamò Kimberly non sapendo se ridere
o piangere. -Io e
Joe siamo amici.-
-Anche
con Christopher lo
eri, o sbaglio?- la
malvagità con cui
pronunciò la domanda fece intendere all’alunna che
il solo scopo era quello di
colpirla, pur slealmente. Non solo la colpì, ma
l’affondò copletamente, eppure
Jared non riusciva a provare orgoglio; al contrario, si sarebbe
volentieri
fracassato la testa contro lo spigolo della porta in ferro.
La
ragazza strinse la
mascella e per un istante si immobilzzò. Quello era davvero
un colpo gobbo.
-Come
osi tirare fuori
un argomento del genere?!- urlò al sconcertata, mettendosi
le mani sul volto e
facendo un giro su
se stessa, per
prendere fiato. -Tu non
sai
niente di niente! Dio!- la sua voce raggiunse note
altissime; gli diede le spalle e si avvicinò alla finestra,
trattenendo a
stenti le lacrime.
Jared
si sentiva terribilemente
in colpa, aveva davvero esagerato.
Le si
avvicinò, alzò
una mano e la portò esitante su un spalla.
Lei con
uno scatto
gliela tolse. -Non mi toccare!- disse tra i denti, con un tono che
faceva
sicuramente più paura delle solite urla.
Il
professore la
trattenne per un braccio, sebbene lei tentasse inutilmente di
divincolarsi. Ma
l'energia che il pianto le stava rubando, le fece perdere ogni
volontà di
sfuggire dalla presa dell'uomo. -Scusa, Kim. Sono stato uno stronzo.-
disse
mesto, stringendosela al petto.
Non
oppose resistenza.
-Avevi detto che potevo fidarmi.- gli ricordò lei
singhizzando. -Che non mi
avresti fatto del male.-
-Ed
è così, davvero
perdonami. Era la rabbia a farmi parlare, credimi.-
-Vorrei,
ma non ne
capisco il motivo!- ribatté scansandosi. -Prima mi baci, poi
mi tratti
malissimo.. Jared, io non so mai come prenderti. Con chi sto parlando
adesso?
Chi sei tu?- domandò guardandolo negli occhi.
Lui
sospirò. -Lo so che
questa situazione.. ci ha completamente scossi, entrambi. E volevo
chiederti
scusa per ieri, anche. Non dovevo.-
disse più calmo, riferendosi al bacio.
-Quella
forse è stata
l'unica cosa buona che hai fatto nelle ultime ore.- borbottò
Kim avvicinandosi.
-Perchè
devi fingere
che non provi niente? Che senso ha?-
-Dove
porterebbe, Kim?
Se anche ti dicessi che provo qualcosa per te, cosa cambierebbe?-
Lei si
avvicinò
ulteriormente, i loro corpi aderivano, ormai.
-Cambierebbe..
tutto.-
sorrise appena, alludendo ad un disegno tutto suo della cosa.
-Non
posso, Kimberly.-
ribadì lui, a malincuore. -Capiscimi.-
-Sì
che puoi..- mormorò
cercando di raggiungere le sue labbra. -Basta volerlo. Lo vuoi, Jared?-
lui la
trattenne
lontana qualche dita dal suo volto.
-No.-
rispose lui, a
gli istanti tra la domanda e la risposta resero il tutto poco credibile.
Lei si
distaccò. -Ok, allora
dimmi, guardandomi negli occhi, che non provi niente per me. Che la
scenata di
gelosia di prima era nei confronti di Joe. Dimmi, che non volevi
davvero
baciarmi ieri.. e ti giuro che ti lascio in pace.-
-Ragazzina,
stai
rendendo tutto troppo difficile. Quello che tu desideri non
avverrà mai.- le
sorrise tristemente.
-Perchè
te ne vuoi
convincere da solo?- lei davvero non capiva. -Cederai un giorno, lo sai
anche
tu.-
-E' la
verità Kim, una
cosa che non posso cambiare. Io provo qualcosa per te, questo
è chiaro. Sei tu
che non sai bene cosa senti.- disse, spiazzandola.
Kimberly
lo guardò
attentamente, confusa. -Che intendi dire?- metteva forse in discussione
i suoi
sentimenti per lui?
-Tu sei
così giovane..
e hai il cuore spezzato. Io ti ho dato attenzioni ed è ovvio
che tu ti sia
affezionata a me. Ma quello che io e te proviamo viaggiano su due
lunghezze
d'onda completamente diverse.- spiegò, infastidendola.
-Detesto
quando la
gente è convinta di sapere cosa penso. Tu come puoi dirlo?
Non sono la solita
ragazzina a cui insegni a disegnare un pentagramma, pensavo
l'avessi
capito.-
-Certo,
lo so
perfettamente. Ma guardiamo in faccia la realtà.. io ho 20
anni precisi più di
te, cerco stabilità. Tu non hai la minima idea di quanti
altri dovranno passare
nella tua lista prima che tu sia sicura di sapere quello che vuoi.-
disse
amaramente.
Kim
leggeva negli occhi
dell'uomo il vero terrore di essere usato e abbandonato quando meno se
lo
meritava, un po' quello che era successo a lei. Ma non poteva
parmettergli di
pensare una cosa del genere. Non l'avrebbe mai fatto, ne era certa.
-Non
è così Jared, puoi
fidarti!- ribatté avvicinandosi di nuovo pericolosamente
alle sue labbra. –Baciami
ancora, ti scongiuro.-
-Sebbene
la richiesta
sia allettante, no Kim. Basta, adesso.- disse solenne, scrollandosela
di dosso
e uscendo dalla classe, giusto nel momento in cui sentirono la
campanella
annunciare la fine della pausa.
Kimberly
rimase scossa
per un altro paio di minuti, con gli occhi fissi sulla porta, sperando
che si
riaprisse riportando una Jared lucido e conscio solo di volerla.
Ma non
accadde.
And with a sad
heart I say bye to you
And
wave
Note finali: Sempre
un pò stronzetto questo Jared, eh? Va beh, le migliori
storie sono nate cosi ;)
Non
ho niente da commentare col mio innato sarcasmo oggi, lascio a voi
poveri malcapitati questo creudele compito ;)
Oggi
è una di quelle giornate apatiche e piatte, e protagonisti
di oggi saranno il mio letto (con tanto di scaldaletto, fuck
yeah),
un
buon libro che mi sta molto prendendo e tazze interminabili di
caffè. Il mio paradiso.
Cosa
farete voi oggi? Cosa vi piace fare nelle giornate di calma
piatta?
Mi
piacerebbe conoscere meglio le persone che perdono minuti preziosi
della loro giornata su queste pagine ahah
La
canzone è Hate me dei Blue October, molto ispirante, penso
la userò ancora in futuro.
Buona
lettura, buon commento e buon sabato
baci&abbracci
|
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Capitolo 23 *** Capitolo 23. ***
Capitolo 23.
I don’t know how I feel when I’m around
you
Si girava una matita
tra le dita, con il mento appoggiato al palmo aperto e lo sguardo fisso
su una
scritta bianca sulla sua cartella.
Risaliva a quasi 2 anni
prima, e il “ti voglio bene” finale era stato
sbarrato e corretto con un “ti
amo”, molto più recente.
I suoi occhi, il suo
sorriso, il loro parco.. avrebbe assolutamente dovuto cambiare
cartella, solo
che ogni volta si sentiva troppo pigra e smetteva semplicemente di
pensarci.
Come in quel momento.
Infatti chiuse gli occhi e sospirò profondamente, sedendosi
composta.
-Kimberly, cosa ho
appena finito di dire?- le domandò l'odiosissima voce del
professor Leto.
Kim lasciò andare la
testa di lato, come per dire espressamente “Dio, che
palle”.
Lo guardò assente, come
se non lo vedesse neanche, come se stesse guardando un passante a caso.
Dall'ultima volta che
avevano avuto quella conversazione non si erano più parlati,
cosa che aveva
fatto soffrire lei e peggiorare il rapporto con lui.
Erano tornati cane e
gatto, come se la tregua non fosse mai esistita.
Forse un po' di meno.
Lei non aveva neanche più la forza di litigarci.. si sentiva
abbandonata, completamente.
Continuava a
desiderarlo con tutta se stessa, ovviamente.. ma l'uomo che aveva
davanti le
ricordava ogni giorno di meno quello che l'aveva in un certo senso
“salvata”. E
lentamente, stava ritornando nel baratro, esattamente quello si era
imposta di
non fare. Aveva bisogno di lui e lui c'era, ma non come avrebbe voluto
lei.
La osservava dalla
cattedra alla quale si era appoggiato per fare l'annuncio di cui aveva
appena
finito di parlare. Era ovvio che lei lo evitasse come la peste in quei
giorni, sarebbe
stato un cretino a dire che non se n'era accorto.
Non lo guardava più, ad
eccezione di qualche occhiata fugace completamente disinteressata.
Figuriamoci
parlargli.
Nella sua testa, la
ragazza fece un rapido riepilogo di quello che aveva appena sentito
dire
dall'insegnante, ma non c'erano parole concrete, solo un brusio di
sottofondo.
-Kimberly.. dove sei?-
la spronò lui, corrugando la fronte. Si sentiva in colpa, se
stava tornando ad
essere triste era tutto per causa sua.
Dal canto suo lei
tentava di tirarsi su, facendosi forza e dicendosi tra sé e
sé che le cose si
sarebbero sistemate nel giro di qualche giorno. Invece, niente.
E più andavano avanti
così, più le veniva difficile continuare a
sperare e ad incoraggiarsi.
Era uno spreco di
tempo.
E con quella domanda
rese il tutto più difficile. “Dove sei?”
nella sua mente lo
stava maledicendo in 4 lingue differenti. Strinse i denti e
indurì lo sguardo,
-Sono qui, ero
distratta. Mi scusi.- rispose col tono più gentile che
avesse mai usato.
Alche la metà delle
persone che la circondavano rimasero sbalorditi.. Jared compreso.
Evidentemente non aveva
più voglia di combattere, non c'era più niente
che le desse la carica, anche il
suo rancore era completamente prosciugato.
Ora nella sua testa
c'era solo il rifiuto di Jared. Le sue parole crude e spregevoli le
toglievano
ogni speranza e forza di credere.
-Non stai bene?- le
chiese, allibito. Lei scrollò le spalle. -No, sto
benissimo.- sorrise, senza
intenzione alcuna. “Stronzo, non far finta di interessarti a
me”.
Dopo essere rimasto un
attimo di troppo a fissarla intensamente, decise di lasciar perdere.
-Dato che quando parlo
io non le va di ascoltare, dille tu Joe cosa ho appena detto-
continuò mr Leto
senza un tono preciso.
Kimberly questa volta
optò per l'ascoltare il suo amico, così
voltò la testa nella sua direzione.
-Ha detto che ci farà
da accompagnatore in gita.- spiegò apatico Joe. Stava
beatamente in quello
stato di dormiveglia perenne in cui qualsiasi studente entra non appena
mette
piede nella scuola.
Kim sgranò gli occhi.
Si era completamente dimenticata che dovevano andare in gita, sebbene
negli
ultimi tempi in classe non si parlasse d'altro.
Di bene in meglio.
Jared li avrebbe accompagnati neanche si ricordava più dove
e sarebbero stati
insieme per 120 ore consecutive. Yeah.
-Sì, io l'ho fatta
molto più articolata e con un po' di suspance.. ma il succo
è questo.- finì lui
sorridendole amichevole. Lei ricambiò debolmente. -Oh.
Bello.-
commentò a mezza
voce, per poi abbassare la testa e tornare ai suoi scarabocchi.
-Che bello, Kim! Che
bello, che bello, che bello!- le si avvicinò saltellando
Julia.
Kimberly respirò
profondamente per placare gli istinti e alzò lo sguardo,
finalmente.
Per il resto del tempo
non aveva osato guardare neppure nella direzione dell'insegnante, ma
ora era
uscito di scena con un saluto generale.
-Cosa, Juls?- le
domandò solo per gentilezza, sebbene sapesse perfettamente
per cosa fosse tanto
entusiasta.
Gwen stava poco bene e
quindi non era venuta a scuola, solo per quello Julia le parlava. Di
solito non
avevano quel rapporto stretto e amichevole.
Anzi, sotto sotto Julia
non la poteva soffrire, dato che in un certo senso le aveva soffiato
l'interesse dell'amica del cuore. Gwen, vedendo che Kimberly si era
isolata
dalla classe aveva cominciato a girarle intorno, trovandola
interessante e
finendo così, per mettere in secondo piano Julia, il suo
cagnolino.
Kim era sicura che se
fosse stato per lei l'avrebbe massacrata di botte, ma grazie al cielo
non aveva
uno spirito combattivo né tantomeno un carattere
indipendente. Era una di
quelle tipiche ragazze che campano in simbiosi di un'altra,
più superba e
forte.
-Ma come cosa? Sei
sorda per caso?- le chiese la bionda esterrefatta. -Jared Leto viene in
gita
con noi!!- esclamò trattenendo un gridolino estasiato.
-Quando lo dirò a
Gwen..! sarà contentissima!-
-Oh, quello.. sì, davvero
bello.- disse lei sorridendo, cercando di imitarla. Le uscì
solo una smorfia
lontanissima dall'essere un sorriso.
-Kimmy che ti succede?
Sei così spenta in questi giorni.. e poi le tue scarpe! Ew.-
commentò
schizzinosamente, Kim alzò un sopracciglio, spazientita.
Si alzò senza dirle una
parola e uscì dall'aula, tanto la professoressa dell'ora
seguente non era
ancora arrivata.
Decise di andare nei
bagni più lontani, per perdere tempo. Sospirando si mise le
mani tra i capelli
e chiuse gli occhi, quei tre secondi che sembravano fatti apposta per
non farle
rendere conto che si stava per schiantare contro qualcuno.
Rimbalzò e alzò lo
sguardo spaventata. -Oddio, scus...!- era Jared ovviamente, che la
guardava
massaggiandosi l'addome.
-Ehy ragazzina attenta.
Mi hai conficcato un gomito nello stomaco.- sorrise lui.
Lei si immobilizzò, scissa
tra il rispondergli con una frase delle sue, o semplicemente scusarsi e
proseguire per la sua strada. Optò per la seconda, se
avessero litigato lui
avrebbe sicuramente avuto la meglio.
-Mi scusi, non l'avevo
vista. Starò più attenta.- si scusò
debolmente e si scansò continuando a
camminare dove era diretta.
Una volta in bagno, si
sentì afferrare per un braccio e chiudere sbrigativamente
dentro.
-Adesso tu mi dici che
diavolo ti prende.- le ordinò il professore, prendendole il
viso tra le mani, costringendola
così a guardarlo negli occhi.
Kim si sentì come
ravvivata, una scossa di adrenalina le fece aprire gli occhi realmente,
come se
fino a quel momento avesse avuto la vista offuscata da una pellicola
opaca.
Gli occhi di Jared quel
giorno erano.. spettacolari. Più del solito. Forse
è l'effetto luccicoso che
prendono tutte le cose che non puoi avere. Quando ti viene rifiutata
una cosa, la
vedi sempre più bella e luminosa. Probabilmente era quello
il motivo. Voleva
convincersi che fosse quello.
Azzurrissimi, come il
cielo limpido in una calda e ventosa giornata estiva.
Dovette raccogliere
tutte le forze che sapeva di possedere per tentare di toglierselo di
dosso.
-Mi lasci andare..-
disse a denti stretti, stringendogli le mani attorno ai polsi.
-Kimberly, ti prego.
Odio quando mi eviti, lo sai.-
-Come se se ne fosse
realmente reso conto..- sbuffò lei arrabbiata.
-Come se non potessi
accorgermene.- sorrise debolmente. -Come se esistesse qualcosa
più importante.-
-Piantala di dire certe
cose. Mi danno sui nervi.- continuò lei nervosamente,
cambiando automaticamente
persona. Quando parlavano di cose intime, le veniva spontaneo.
-Quali?- chiese
ingenuamente lui.
-Le bugie. Io non
sopporto chi mi mente, specie se il suo unico scopo è
abbindolarmi per tenermi
buona.-
-Io non ti sto
mentendo, credimi.- le sussurrò. Gli era mancata la sua
carica e quella luce di
vita negli occhi, si sentiva nuovamente se stesso, ora che lei sembrava
viva.
Lei non si rendeva
conto di quanto ormai il suo umore influisse su di lui.
-Allora non dirmi certe
cose perché non ci vedo nessuna finalità, dato
che poi torni ad ignorarmi
completamente.- continuò lei, scrollandoselo di dosso.
Jared non oppose
resistenza. -Infatti non c'è nessuna finalità nel
dirti quello che sento.-
disse stringendosi nelle spalle.
-Perchè mi fai questo?-
gli chiese Kim, con le mani sul viso. Stava per scoppiare in lacrime,
se lo
sentiva.
Lui si avvicinò e
gliele tolse. -Non coprirti gli occhi, non capisco cosa provi.- disse
dolcemente.
-Vuoi sapere cosa
provo? Io ti detesto Jared. Mi hai fatto provare le sensazioni
più belle che
abbia mai sentito, per poi strapparmele bruscamente. Come vuoi che mi
senta?!-
non fu difficile immaginare che le lacrime cominciarono a sgorgare e il
labbro
inferiore le tremava.
-Non piangere Kim, per
favore.- la pregò lui asciugandogliele. -Mi uccidi.-
-E' colpa tua. Mica mi
diverto.. io odio piangere.- borbottò, sinceramente
imbarazzata del fatto che
piangesse ogni volta che avevano una discussione. Si sentiva una
stupida
bambina, proprio quello che non voleva apparire ai suoi occhi adulti.
-E non immagini quanto
mi rincresce. Non devi stare male per me, non me lo merito.- la
rimproverò
senza distogliere gli occhi dai suoi. -Se c'è qualcosa che
posso fare..-
continuò premuroso, ricevendo in cambio uno sguardo
raggelante.
-Sì c'è. Vattene.-
disse, più fredda che mai. -Sparisci, dalla mia vista, dalla
mia testa..
vattene.-
Jared la guardò
intensamente negli occhi per capire quanto fosse seria. I suoi occhi
onice
sembravano liquidi, animati da un fuoco che le partiva dall'interno.
Optò per lasciarla, se
era quello che voleva, non l'avrebbe disturbata ulteriormente.
Si morse il labbro
inferiore e guardò alle sue spalle. -Ok, come vuoi. Se
questo è l'unico modo
per non farti più soffrire.. lo farò.- le sorrise
di un sorriso spento e
poi uscì
di scena, come gli aveva ordinato lei.
Probabilmente dentro
Kim c'era una lotta segreta, in cui combatteva tra il desiderio di
seguirlo e
il meccanismo rabbioso di autodifesa. Aveva imparato dalle esperienze
che più
ti allontani da ciò che ti fa soffrire, prima guarisci.
Respirò intensamente e
poi tornò in classe, dopo essersi accertata di non avere il
volto macchiato di
trucco colato.
I,
I know how I feel when I’m around you.
Note finali: ecco un
nuovo capitolozzo di questo intrallazzo. Prima torna lei ma lui non la
vuole, poi torna lui e lei non la vuole. Eh, quelle tristesse!
Ok sto diventando monotona in queste note finali che non so per quale
finalità sono state create (da me stessa, tra l'altro), ogni
tanto tengo a precisare alcuni punti, ma ad esempio in questo caso
penso che sia tutto chiaro, no?
Ecco, una cosa a cui ho pensato solo ora è che ho
assolutamente dato per scontato che le canzoncine apri-chiudi fila
fosse inutile tradurle, dato che ormai noi adolescenti comunichiamo
più con l'inglese che con l'italiano, chi ha un minimo
contatto con la musica tende a masticarla poi la lingua.
Ma è anche vero che siamo tutti diversi e magari alcuni di
noi disprezzano le altre lingue, non sono portati e non vogliono
saperne di passare l'esistenza su google translate, quindi riconosco di
essere stata un po' presuntuosa e vi chiedo scusa!
Ogni tanto saranno anche in altre lingue queste canzoni, ( a me
piacciono molto, ho fatto il linguistico e non credo di essere l'unica
qua dentro) indi per cui, sarà il prossimo compito del
postaggio :D
Non
so se è necessario tradurre queste due frasette, ma va beh
facciamolo questo sforzone!
Io non so come mi sento
quando ti sono vicino,
io lo so come mi sento
quando ti sono vicino
La canzone si chiama Roulette
ed è dei mitici System of a down, e no, non è
rincoglionito il cantante che prima dice di no e poi sì,
semplicemente descrive quella condizione di confusione che ti causa una
persona.
A me piace molto e anche a voi conviene ascoltarla, specialmente se
anche voi avete un amore folle per le voci particolari e in questa
canzone quella di Serj si sente tutta.
Ok, ho finito, ora CORRETE a commentare, sempre se vi va :))
bacibacibaci
|
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Capitolo 24 *** Capitolo 24. ***
Capitolo 24.
I
feel it everyday it’s all the same
It
brings me down but I’m the one to blame
I’ve
tried everything to get away
So
here I go again
Chasing
you down again
Why
do I do this?
Uscì
di casa più infastidito che mai. Accese una sigaretta,
cercando di darsi una
calmata.
Non
era ancora cominciata quella giornata ma già si prospettava
odiosa.
Avrebbe
dovuto fare due verifiche a due classi in sei ore, e nonostante non
fosse lui
ad essere sotto esame, si sentiva insopportabile da solo.
E
per di più aveva perso l'ispirazione. Ieri sera era stato
sveglio fino a
mezzanotte a strimpellare i soliti accordi e a scrivere parole senza
senso in
fogli di carta
che finivano appallottolati e lanciati in un angolo della
stanza. Detestava perdere l'ispirazione, era un po' come se non potesse
più
godersi il suo dono.
Scriveva,
ma quello che leggeva non lo soddisfaceva affatto. Suonava, ma quello
che
sentiva gli pareva solo stonato e monotono.
E
tutto per un motivo solo: Kimberly.
Non
riusciva più a fare altro se non pensare a lei. E si odiava
per questo, perchè
nonostante tutta la buona volontà e l'impegno non era
riuscito a rimanere
semplicemente un suo professore.
Non
sopportava essere messo in ginocchio da una femmina. Lui era superiore
a tutte
quelle persone che si sfinivano per amore, era andato oltre al periodo
della
vita in cui pensi di non riuscire a fare a meno di una persona. Eppure,
eccolo
di nuovo con quelle aspettative e speranze che gli davano la carica di
alzarsi
dal letto ogni mattina e al contempo lo facevano incazzare da morire,
perché
non sopportava ridursi in quello stato. Non era il tipo che si lasciava
intimidire e rovinare la giornata da una persone; eppure lei
c’era riuscita.
Poteva comandarlo a bacchetta con la sola forza della mente: se avesse
deciso
di perdonarlo la sua giornata avrebbe preso una piega completamente
diversa
rispetto al caso in cui non l’avesse fatto. E lo detestava.
Da
sempre, dal primo momento che i loro sguardi si erano incrociati,
avevano
sentito quell'affinità che inizialmente avevano scambiato
per disprezzo.
Per
lei era solo un meccanismo di difesa, era molto vulnerabile in quel
periodo e qualsiasi
sguardo troppo indiscreto la spaventava e la spingeva a rintanarsi
nella sua
corazza.
Per
lui invece, era stato uno sguardo colpito da una bellezza
così particolare, ambigua
e difettosa.
Non
era perfetta, ma ai suoi occhi era come una calamita. Quando entrava in
una
stanza non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, e quando lo faceva,
non
passava molto prima che tornassero a cercarla.
Solo
che non gli era mai successo, quindi non ci aveva fatto particolarmente
caso..
ma più passava il tempo, più notava aspetti di
lei che lo interessavano e non
come alunna, sicuramente.
Aveva
avuto la brillante idea di farla stare il pomeriggio con lui
utilizzando la
scusa del suo scarso studio, per conoscerla e levarsi finalmente il
dubbio che
da tempo lo assillava.
Ed
ora.. aveva finito col rovinare tutto. Ma cosa poteva farci? Era
così giovane e
inesperta..
e
poi era troppo rischioso. Non se la sentiva di mettere in pericolo il
suo
lavoro e Kimberly stessa, per un'infatuazione. Sarebbe stato
irresponsabile.
Quando
arrivò a scuola le ore passarono lentissimamente..
più del solito.
Approfittava
degli attimi di silenzio durante la prima verifica per concentrarsi
completamente sulla scrittura, magari se avesse ascoltato le sue
emozioni
avrebbe tirato fuori una bella canzone.
Invece,
tutto quello che gli usciva dalla mente erano parole di altre canzoni
già
conosciute.
So
many thoughts that I can’t get out of my head
I
try lo live without you, every time I do I feel dead
I
know what’s best for me
But
I want you instead
I’ll
keep on wasting all my time
Sicuramente
non avrebbe riscosso successo plagiando.
Stava
fermo, zitto e pensoso a fissare il vuoto come un paramecio senza vita.
Si era
sentito così poche volte in vita sua, e l'ultima volta era
stata un'eternità
prima, così tanto tempo che si era scordato come ci si
sentisse ad essere così
spenti.
Ma
del resto non poteva fare altrimenti dal momento che la ragazza che
occupava la
sua testa, erano settimane che non gli parlava né lo
guardava. Spesso non la
vedeva neanche più in corridoio, gli venne pure il dubbio
che lei si
nascondesse di proposito.
Sospirò
molto forte, quando arrivò la quinta ora: verifica nella
classe di Kimberly.
Detestava
l'effetto che avevano le verifiche sui suoi alunni. Quando
entrò tutti lo
guardavano terrorizzati, come fosse armato di un bazuka, ma sorrisero e
lo
salutarono educati.
Ipocriti.
Oggi lui per loro era solo un professore e il loro unico interesse era
di
riuscire ad avere una sufficienza nella sua materia.
Salutò
di rimando e si sedette alla cattedra, quando alzò la testa
subito lo sguardo
volò sul banco di Kim. Era lì, non in pienissima
forma, ma sorrideva e non c'era
niente di meglio per lui che vederla così serena.
Quando
ebbe finito di distribuire le schede, Kimberly abbassò lo
sguardo e cominciò a
concentrarsi sulla verifica. Aveva studiato tutto il pomeriggio
precedente, se
le fosse andata male la colpa era esclusivamente dell'orgoglio ferito
dell'insegnante.
Per
quello si era sprecata, solo per essere sicura che Leto non potesse
fare storie
nel metterle la sufficenza. In effetti fu strano per lei leggere le
domande e
rispondere di getto, sapendo di saperle.
Era
una sensazione nuova. Tutta soddisfatta, compilava le righe vuote,
svuotando la
mente di tutte le informazioni che aveva accumulato.
Finito,
appoggiò la penna al banco e con un sorriso
controllò quello che aveva scritto.
Perfetto, si sarebbe elogiata da sola.
Nel
sollevare lo sguardo, incrociò quello del professore, fisso
su di lei. La
osservava dalla cattedra, con grande interesse e una luce negli occhi
che non
sapeva ben definire.
Sapeva
solo che era tanto intenso che avrebbe volentieri distolto il suo, ma
purtroppo
era ipnotico, quindi non ce la faceva.
Stettero
una buona decina di minuti così, a comunicare con gli occhi.
Per Kimberly era
una sensazione bellissima.. quando intrecciava il suo sguardo
ghiacciato, si
sentiva completamente svuotata di tutto. Era come avere la testa in una
bolla
d'aria. Non sentiva niente, non sentiva nessuno. Nulla poteva
sfiorarla, non
c'era niente che potesse attirare la sua attenzione all'infuori di lui.
Ma,
ovviamente, durava solo finché lui non guardava altrove o,
peggio, spariva
dalla sua vista.
Come
in quel momento, tutti avevano consegnato e lui si era alzato per
uscire
dall'aula ed incamminarsi verso l'ora successiva, lasciando lei in
balia della
realtà e dei rumori più insignificanti, ma che,
alle sue orecchie otturate, parevano
come martellate.
Jared
camminava lungo il corridoio, soffermandosi davanti alla bacheca, dato
che si
era completamente scordato dove doveva andare.
Stupida
ragazzina. Ecco cosa gli combinava.. era un problema, era il demonio.
Solo il
demonio può essere scambiato per una cosa tanto bella e
proibita da
permettergli di prosciugarti e sgretolarti, finché non gli
cedi addirittura la
tua anima.
-Jared!
Come stai?- una voce allegra, dallo strano accento lo fece sobbalzare.
Voltò
il volto nella direzione della voce dall'accento spagnolo. -Lola..-
chinò
leggermente il capo salutandola. -Come te la passi?-
Lei
rimase un secondo a fissarlo, per poi guardare altrove. Sembrava non
riuscisse
a pensare se avesse sostenuto lo sguardo di lui. Ecco quella sensazione
di
fastidio che percepiva Jared ogni volta che succedeva.. detestava
parlare con
chi non lo guardava, e non era una questione di egocentrismo.. solo che
non si
sentiva ascoltato.
Ma
lei era una bella donna, e tutte le belle donne hanno diritto ad essere
comprese.
Lola
Rodriguez, sua collega, insegnante di Spagnolo. Tipica latina,
carnagione
olivastra e tratti mediterranei. Per non parlare del suo corpo tutto
forme..
Jared non poteva che apprezzare.
-Tutto
bene. Gli studenti mi fanno un po' delirare.. possibile che voi
americani
troviate lo spagnolo una lingua tanto complicata?- chiese lei divertita.
Lui
abbozzò un sorriso. -Non saprei.. prova a ripetermelo in
spagnolo e ti faccio
sapere!- rispose, facendo intendere che scherzasse. Non aveva il minimo
interesse nell'imparare una lingua tanto complessa, quando lui era
padrelingua
di quella detta anche “lingua mondiale”. Perdita di
tempo, e lui odiava perdere
tempo, come in quel momento.
Ma
notava dalla gonna sopra il ginocchio della donna che stava muovendo
convulsamente una gamba.
Era
nervosa, doveva sicuramente chiedergli qualcosa.. e immaginava cosa.
Decise
di aprirle la strada, così che non indugiasse ancora troppo
a lungo.
-..oppure,
non riescono a rimanere concentrati, distratti dalla bellezza della
loro
insegnante.- disse ammiccante. Per un secondo temette che Lola gli
svenisse
addosso.
-Sei
molto gentile Jared..-disse arrossendo e spostandosi una ciocca dietro
le
orecchie.
-Figurati
Lola. Ora se vuoi scusarmi..- fece per andarsene, intenzionato a finire
questa
sceneggiata.
Kim
gli avrebbe chiesto di uscire in una maniera molto più
diretta e dignitosa e
avrebbe sicuramente apprezzato di più. Scosse rapidamente il
capo per liberarsi
di questo pensiero, come poteva fare paragoni tra le due persone?!
Stava
impazzendo, era ufficiale.
Ovviamente,
lei lo fermò. -Aspetta! Ero venuta appunto a chiederti una
cosa..- continuò
insicura, con lo sguardo puntato a terra.
Lui
la guardò insistentemente, come se davvero non avesse la
più pallida idea di
cosa volesse.
-Ecco..
stavo pensando che tu sei molto simpatico e.. stiamo bene quando stiamo
insieme.. insomma, mi fai ridere.. quindi, che ne diresti di uscire
qualche
volta? Niente di serio, solo un pranzo..magari.- con molta fatica
concluse il
discorso.
Jared
sorrise affabile. -Con molto piacere. Ora davvero, sono in ritardo.. a
dopo.-
disse chinandosi e dandole un rapido bacio sulla guancia, in modo da
darle un
briciolo di sicurezza in più.
Era
una così bella donna, non doveva essere così
introversa. Le faceva perdere
fascino.
Sorridendo
la signorina Rodriguez si scansò, per andare alle sue spalle
e salire le scale,
leggera come una bolla di sapone. Poteva affermare di sentirsi
perfettamente in
quel momento.
Jared
la seguì con lo sguardo e quando lo riportò
davanti per raccogliere la sua
chitarra, si trovò il magnifico viso di Kimberly, storpiato
da un'espressione
ferita.
Aveva sentito
tutto.
Over
and over, over and over
I
fall for you
Over
and over, over and over
I
try not to
Note
finali: Stiamo galoppando regass, e state aumentando ogni
giorno di più, non potete imaginare la soddisfazione che mi
date!
Le visite salgono ogni volta che controllo e non importa se cliccate
per sbaglio o sono solo 3 persone che se li rileggono 10 volte al
giorno, io mi gaso che non ne avete un'idea ahaha.
Tornando al capitolo, che ne pensate di sta new entry? immagino
già gli insulti ;)
La canzone si chiama Over and over dei Three Days Grace, ed
è stata la canzone giusta al momento giusto. Vi spiego:
stavo rileggendo il capitolo per eventuali
modifiche/correzioni/allungamenti e BAM ecco che parte questa canzone
dalla mia playlist shuffle.
sinceramente non l'avevo mai cagata, sono andata a leggermi il testo e
OMMMIODDIO ci stavaabbestia (scusate il gergo colorito)
Lo
sento ogni giorno ed è sempre lo stesso
Mi deprime,
ma è colpa mia
Ho fatto il
possibile per scappar
Quindi eccomi di nuovo
Ti inseguo
di nuovo
Perchè
lo faccio?
Così tanti pensieri
che non riesco a levarmi dalla mente
Provo a vivere senza di
te, ogni volta che lo faccio mi sento morto
So cosa è
meglio per me
Ma io voglio te
Continuo a pederdere
tempo..
Continuamente
Mi innamoro di te
(OOOOHRRR ♥)
Continuamento
cerco di non farlo.
Quindi,
questo è il testo, ovviamente non sono laureata in
traduzione simultanea (che credo sia una lavoro difficilissimo e pagato
pochissimo), cerco di fare quello che posso.
tanti baci e tanti commenti prego :) ps: scusate le duecento scritture diverse nelle note ma non ho un buon rapporto con sti cacchio di codici! |
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Capitolo 25 *** Capitolo 25. ***
Capitolo 25.
So
if we all turn to dust
Better
to have loved and lost
Cos
everything has a cost.
Kimberly
lo guardava non capendo cosa pensare.
Sentiva
un misto di emozioni riempirle la testa: delusione, rabbia,
incredulità e un
briciolo di comprensione.
Da
una parte tentava di capirlo e giustificarlo, del resto era una bella
donna la
Rodriguez e lei l'aveva espressamente mandato a quel paese. Anzi
peggio, gli
aveva detto che stava benone senza di lui.
Ma
dall'altra provava una furia, causata dalla gelosia e dal nervosismo,
che non
aveva limiti. Lo avrebbe ucciso, se non avessero avuto la fortuna di
trovarsi a
scuola, avrebbe sicuramente attentato alla sua vita.
Lo
guardava fisso, leggendo negli occhi azzurri stupore, paura e sgomento.
Jared,
di conseguenza, non poteva che sentirsi in colpa.. ma facendo due
calcoli
veloci, di chi era la colpa? La domanda lo fece inciampare, dato che
era stato
lui a scatenare la reazione di Kim settimane prima. Ok, era colpa sua.
-Kimberly..-
pronunciò il suo nome con cautela, temendo che si potesse
spezzare proprio
davanti ai suoi occhi.
Lei
non mosse un muscolo, se non avesse visto le spalle salire e scendere
velocemente, avrebbe addirittura osato pensare che fosse morta. In
piedi?
Dettagli.. in certi casi anche l'impossibile può avvenire.
-..posso
spiegare.- bisbigliò, non sapendo come prenderla.
Lei
alzò una mano. -No, non devi spiegarmi niente.- e fece per
tornarsene da dove
era venuta, ma lui la arrestò prendendola per un braccio.
-Io
e te dobbiamo parlare.- disse con tono fermo, intento a chiarire alcuni
punti.
Kimberly
fece forza per liberarsi, ma era tutto inutile. Strinse ancora
più forte e la
trascinò su per i dieci gradini che li dividevano dalle
altre classi.
-Aspettami qui.- disse, facendola sedere su una panca in corridoio e
entrando
nella classe di fronte per tenerla d'occhio.
Le
sarebbe corso dietro, in caso avesse tentato la fuga.
-Ragazzi,
ho una questione da risolvere. Non fate troppo baccano se no i bidelli
si
accorgono che non ci sono e mi uccidono.- comunicò alla
classe, mentre firmava
frettolosamente il registro.
-Non
ballate sui banchi, non ridete troppo ad alta voce e, anche se so che
è
chiedervi troppo, trovate qualcosa di costruttivo da fare.- e detto
ciò uscì di
nuovo, sapendo che in caso lo avrebbero coperto.
I
suoi alunni lo adoravano.
Kim
era ancora lì fuori seduta con gambe e braccia incrociate,
che lo attendeva.
Le
fece segno di seguirlo, mentre lui puntava verso una classe che in
quelle ore
era sempre vuota.
Era
la più estrema del corridoio, quasi isolata da tutte le
altre che facevano
gruppetto e nelle ultime due ore del giovedì, erano in
palestra per educazione
fisica. Avrebbero potuto urlare senza essere interrotti.
Jared
prese sottobraccio una bidella che passava di lì e le chiese
cortesemente di
andare nell'aula di Kim e comunicare alla prof che Kimberly Bloomwood
sarebbe
stata impegnata con lui per risolvere una faccenda, durante l'ora. E se
non
tutta, una buona parte.
Dopodichè
spinse Kim dentro la classe e chiuse la porta.
-Kimberly,
posso spiegarti.- ripeté con lo stesso tono preoccupato di
prima.
-Sì,
dai. Ho proprio una gran voglia di sentire le belle palle che hai da
dirmi.-
disse lei sarcastica.
-Non
parlarmi con questo tono, io sono disposto a chiarire certi..
malintesi.-
-Malintesi?
Quali sarebbero i malintesi? Quello che c'è stato tra me e
te intendi?- alzò il
volume della voce, evidentemente ferita. -Quello è stato
tutto un malinteso? Me
lo sono sognato?-
-No
Kim, non hai sognato un bel niente. E non voglio mentirti dicendoti che
ti sei
presa un granchio, perchè siamo sulla stessa barca io e te.-
le disse, poggiando
le mani sulle spalle.
-Non
è vero, c'è una differenza. Tu non mi vuoi.-
precisò Kimberly, con occhi
rigidi.
-Cosa?!-
esclamò sorpreso Jared.
-Dimmi
una cosa.. ci uscirai, allora?- chiese, senza mascherare l'interesse,
ormai.
-Probabile.-
rispose lui secco. -E allora?- come se non sapesse di quello che
pensava la
ragazza che infatti,sgranò gli occhi allibita.
-E allora!?-
sbraitò. -Muori Jared, cazzo.- se lo
scrollò di dosso e si
appoggiò alla cattedra alle sue spalle.
-Kimberly,
io e te non possiamo stare insieme.- disse lui intenerito ma sfinito e
scandendo le parole. -Lo capisci?-
-Perchè
no?- domandò lei con voce rotta, al limite della tensione.
-Non
fare così..- bisbigliò lui avvicinandosi. -Lo
sai, tu sei ancora minorenne..-
-Tra
un mese non più!- gli ricordò.
-Sono
il tuo professore.- le
ricordò.
-Non
ti sto chiedendo di dirlo a tutti, infatti! Sarà una cosa
tra me e te, come è
giusto che sia..- tentò di nuovo. Sembrava implorarlo.
-E'
un rischio troppo grande, Kim.-
-E
io sono pronta a correrlo. Saremo insieme io e te Jared, non ti
lascerò
affondare da solo.- mormorò avvicinandosi ed accarezzandogli
una guancia ruvida
dalla barbetta appena accennata.
-Io..
non lo so.- sbuffò l'uomo portandosi le mani tra i capelli e
voltandole le
spalle.
Amareggiata,
lei poggiò una mano sul tavolo, come per reggersi dalle
continue pugnalate che
riceveva. -A me sembra che tu stia inventando scuse su scuse.. il
che mi
riporta alla prima ipotesi: tu non mi vuoi. O almeno, non quanto ti
desidero
io.- spiegò la ragazza con calma, in modo da trattenere i
lacrimoni che
spingevano per essere liberati.
Lui
si voltò, guardandola. Gli occhi erano spalancati. -Come
puoi credere questo?-
le chiese, frustrato.
-Non
prenderesti appuntamenti con altre, ad esempio.- disse lei, gelida.
-Sei
tu che mi hai detto di starti alla larga.- puntualizzò Leto,
indicandola.
-Jared,
mi spieghi che cosa c'entra?! Tu mi stavi evitando! Mi hai sbattuto il
rifiuto
in faccia senza neanche un minimo di tatto e io stavo male. Cosa
pretendevi, che
mi sciogliessi ai tuoi piedi con un battito dei tuoi folti ciglioni?
Sei
abituato male, caro. Io non sono così!-
-Ed
è proprio per questo che mi piaci. Io tengo davvero a te,
Kim, neanche immagini
cosa farei per te!-
-E
allora qual è il problema? Lo vedi che fai tutto da solo?-
-Sei
troppo giovane!- ripeté, sfinito.
-No,
è solo una scusa, perchè tu non la senti la
differenza di età, come non la
sento io quando stiamo insieme!- ribatté disperata. Non
riusciva proprio a
ficcarglielo in testa che era solo una convinzione che si era creato da
solo.
-A casa tua mi avevi detto che hai sempre invidiato tuo fratello
perchè ci
mette il cuore in quello che fa, segue solo quello che sente.
Perchè sembra che
invece che prendere il suo esempio, tenti solo di allontanarti sempre
di più?-
Jared
rimase colpito da quello che aveva tirato in ballo l’alunna
pur di
convincerlo.. ma aveva ragione.
Lui
si era sempre lamentato di quanto non fosse in grado di essere come suo
fratello.. ma era una lamentela a vuoto, in quanto non ci metteva
niente pur di
cambiare un po'.
-Ascolta
il tuo cuore Jared. Cosa dice?- continuò con un filo di
voce, avvicinandosi
ulteriormente.
Per
un istante lo sguardo del professore si posò sulle labbra
della ragazza e
trattenne un improvviso impulso di baciarla. E fu lì, che
finalmente si accorse
dove sbagliava.
-Io
sto troppo bene con te. Hai ragione Kim, su tutto.-
sussurrò, immergendo una
mano tra la cascata di morbidi capelli. -Scusa se ci ho messo tanto.-
Lei
sorrise, con le lacrime agli occhi che stavano per tornare da dove
erano
venute, senza alcuna voglia di sfogare la rabbia o la tristezza, dato
che in
quel momento non c'era traccia né di una né
dell'altra in lei. Solo tanto
sollievo.
Kimberly
alzò le due mani e le portò intorno al viso di
lui, incorniciandolo.
-Ricordi
quando, un minuto fa, hai detto che non immagino neanche cosa faresti
per me?-
gli ricordò maliziosa.
Lui
non trattenne il sorriso. -Cosa mi stai chiedendo?- domandò
a fior di labbra.
-Baciami,
Jared.- sentiva che se glielo avesse negato, sarebbe morta. Gira che
ti gira la richiesta era sempre quella e si vergognò un poco
per questo. Ma
quando era successo la scossa di adrenalina che le era arrivata era
stata talmente
forte e intensa che non vedeva l’ora di riprovare.
Lui
era la sua dipendenza personale, la sua scorta di felicità
istantanea.
L'insegnante
sospirò dubbioso, guardandola intensamente, sforzandosi il
più possibile di
immaginarsi di essere in un qualsiasi altro posto che non fosse la
scuola, in
quel momento.
Ma
non gli fu difficile, quando si concentrò sulle sue labbra,
perfette e ben
disegnate, capire che fossero ciò che più
desiderava in quel momento.
E
proprio mentre stava per compiere il gesto, ecco che Kim lo spinse
frettolosamente lontano da lei, per poi sedersi su un banco alle
proprie spalle.
Leto
per un istante rimase immobilizzato, non capendo cosa stesse
succedendo, finchè
non intravide la porta aprirsi. In uno scatto assunse una posa formale
nei
confronti della ragazza.
-Oh
scusate. Vi ho interrotti?- chiese pacata l'insegnante di matematica.
-Nono,
nessun problema.- rispose lui sorridendo, mentre dentro di
sé la odiava la
stava disprezzando profondamente.
-Ne
avete ancora per molto? Jared mi stai rubando l'alunna da ormai
mezz'ora. Ha
preso un brutto voto o c'è qualche problema grave in corso?-
indagò senza un
sospetto preciso.
Ovviamente
non aveva visto nulla, tutto grazie ai riflessi prontissimi di Kim.
-Perdonami
Sarah, ma c'è il diritto di privacy. Era sicuramente una
questione importante, se
no non l'avrei mai derubata di un'importantissima lezione algebrica.-
disse
lui, senza un tono preciso.
-Ma,
in ogni caso, abbiamo finito. Puoi andare Kimberly, grazie del tuo
tempo.- le
sorrise e fece cenno di seguire l'insegnante di matematica.
Kim
eseguì senza dire una parola, ma proprio mentre usciva e
stava per chiudersi la
porta alle spalle, la voce di Jared la richiamò. -E
ricordati di domani
pomeriggio. Resti, vero?-
-Certamente.-
gli sorrise timidamente lei, per poi sparire.
So
when it comes to us
I’ve
weighted up all the odds
I
bet that this is love.
Note finali:
AVANTI, AMATEMI DOPO QUESTO CAPITOLO ;)
Non
so se l'ho scritto bene, se quando lo finite avrete quella sensazione
di soddisfazione in corpo come quano leggete un capitolo o una pagina e
chiudendola pensate "oh, ha detto tutto quello che doveva, come l'avrei
detto io e nel migliore dei modi". Non credo questo sia il migliore dei
modi (non sono una falsa modesta o in cerca di complimenti/smentite: ci
sono dei capitoli che quando li finisco mi sento totalmente soddisfatta
e penso di non aver sbagliato nulla, ma ahimè, l'ispirazione
è una signora poco costante!) e ci sono alcune falle nei
ragionamenti dei personaggi su cui potremmo discuterne per ore. Questo
è il risultato originale e non mi sono sentita di cambiarlo
quindi pace&bene, spero che per voi sia stato piacevole.
Non voglio fare sempre la guastafeste, festeggiamo!! All'alba del
25simo capitolo il professore si è sciulato e ha detto un
bel WHY NOT a questa tresca! Non siamo felici?? Chissà
chissà.
La canzone si chiama Time
dei Ben's Brothers, e sebbene non mi piaccia tanto nel complesso,
quando l'altro giorno una mia amica mi ha chiesto di tradurgliela, ho
letto il testo e l'ho trovato perfetto.
Quindi,
se alla fine tutti diventiamo polvere
E' meglio avere amato e perso
perchè tutto ha un costo.
Così, quando si tratta
di noi
Ho ponderato tutte le
possibilità
E scommetto che questo
è amore.
Inguaribile
romantica? patetica incallita? Chissene, fatemi sapere cosa ne pensate
di tutto sto ambaradam perchè io ESIGO, PRETENDO mille mila
recensioni ;)
xoxoxoxoxox
|
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Capitolo 26 *** Capitolo 26. ***
Capitolo
26.
My
hands are searching for you
My
arms are outstretched towards you
I
feel you on my fingertips
My
tongue dances behind my lips for you
This
fire rising through my being
Burning
I’m not used to seeing you.
Kimberly
era semi distesa su un banco, mentre fissava assente le labbra del suo
interlocutore.
Non
capiva neanche una parola di quello che le stava dicendo, impegnata a
pensare a
tutt'altro.
-Kim?
Mi stai seguendo?- la mano di Jared le passò davanti agli
occhi, in modo di
svegliarla, dato che non chiudeva neanche le palpebre.
-Mh,
sìsì. Certo.- rispose lei annuendo animatamente.
Sinceramente
non capiva perchè mai fosse determinato a farle imparare la
lezione, ora che erano
finalmente da soli e potevano anche concentrarsi su loro stessi.
-No,
non è vero!- la riprese lui. -Sei stanca?- le chiese,
spostandole una ciocca
dietro l'orecchio.
Non
la guardava come un insegnante guarda il suo alunno. Era uno sguardo
più
intenso, affettuoso.
-No,
no.. è solo che con questi lavori in corso non riesco a
sentirti bene!- si
giustificò Kim indicando fuori dalla finestra, dove erano
state costruite dalla
mattina stessa delle impalacature su cui dei muratori in canottiera
passeggiavano tranquillamente.
Come
in quel momento, ad esempio. Kim irrigidì il volto in una
smorfia disgustata
nel vedere un flaccido 50enne camminare proprio davanti ai suoi occhi.
Jared
si voltò di scatto per capire cosa le prendesse e quando
riportò l'attenzione
su di lei, era piuttosto divertito.
-Ok,
qua pretendere la tua concentrazione è troppo. Andiamo a
casa mia.- le disse, cominciando
a farle la cartella.
-Oh..ok.-
concordò la ragazza, aiutandolo a sistemare.
Fecero
per uscire dalla classe, quando Kim andò a sbattere contro
la signorina
Rodriguez.
-Kimberly,
che ci fai qua?- le domandò confusa Lola, per poi alzare lo
sguardo e
incontrare il viso di Jared. Non capì ufficialmente
più nulla, quasi si
dimenticò dell’alunna, Kim glielo leggeva negli
occhi.
-Salve
ms Rodriguez.- la salutò in un ringhio trattenuto. -Ero qui
col prof. Leto per
i corsi che..- ma non finì neanche la frase che lei la
scansò per una spalla e
si avvicinò a Jared.
Kimberly
la fissava con occhi di fuoco. “Brutta stronza”
pensò tra sé e sé.
-Jared...-
sospirò sorridente Lola.
-Lola..-
la imitò lui, sapendo di essere sotto lo sguardo vigile di
Kim. -Kimberly, puoi
aspettarmi all'uscita?- chiese lui facendole segno di lasciarli soli.
Con
uno sbuffo la ragazza obbedì senza fare storie.
-Aspettavo
una tua chiamata ieri.- disse l'insegnante di spagnolo, scostando lo
sguardo.
-Ah
certo..- Jared non sapeva da che parte girarsi, ma alla fine decise che
essere
sincero era il minore dei mali.. o almeno una mezza verità
non l'avrebbe ferita
troppo.
-Senti
Lola, tu sei una bellissima donna..- cominciò, lei sorrise
storcendosi le mani
per il nervosismo. -Ma.. in questo momento non c'è spazio
per una relazione
nella mia vita. Mi sembrerebbe stupido uscire ed illuderti.- le
confessò, guardandola
accigliato.
-Oh..-
non aggiunse altro, sinceramente al momento non aveva parole.
-Scusami
tanto..- sussurrò, per poi schivarla e raggiungere Kimberly,
la quale nel
frattempo era diventata sempre più curiosa.
Lui
le portò una mano intorno alle spalle e uscirono in silenzio
dall'edificio.
Kim
lo guarda di sfuggita, mentre lui era perso con lo sguardo sul
marciapiede, nel
raggiungere il garage sotterraneo della scuola. Era silenzioso, troppo.
Magari
c'era qualcosa che non sapeva come dirle. Avevano preso appuntamento?
Aveva ripensato
a tutto? Dentro di sé giurò che se le avesse
fatto l'ennesimo torto l'avrebbe
buttato giù dal finestrone del suo appartamento. Eppure
continuava a stringerle
quel braccio intorno alle spalle.
-Perchè
mi guardi così?- le chiese quando la beccò a
fissarlo.
-Oh
no niente..- rispose evasiva, infilandosi in macchina.
Quando
uscirono dal parcheggio Jared le mise una mano dietro il collo e la
spinse giù.
-Che
stai facendo?!- gli domandò sconvolta.
-Evito
che ci vedano. Secondo gli stupidi regolamenti della scuola non posso
neanche
accompagnarti a casa. Se ci beccassero passerei il resto della mia vita
per
strada.- disse lui sorridendo. Dato che si sentiva scomoda si
accovacciò nel
buco dove di solito dovrebbero starci i piedi e si mise con la schiena
contro
la portiera
a
fissarlo.
-No
non succederebbe. Hai un gran talento Jared.- gli disse appoggiando una
guancia
al sedile.
Intento
a far manovra, gli uscì una smorfia. -Non sei la prima a
dirlo. Eppure non sto
facendo il lavoro che ho sempre sognato.- disse amareggiato.
-Non
ti piace il tuo lavoro?-
-Non
esattamente. Mi ci vedi?- chiese poi, lanciandole un'occhiata.
Effettivamente
no. Bastò l'espressione per farglielo intendere.
-Ecco,
infatti.- mormorò guardando dritto.
-Cosa
è successo? Insomma, perchè invece ti sei
ritrovato qui?-
-Puoi
uscire da lì sotto ora.- deviò la domanda con
non-chalance.
Lei
eseguì e si mise a fissarlo, come a mettergli pressione.
-Okok.
Sinceramente? Ero stanco di viaggiare a vuoto. Così ho
accettato il primo posto
di lavoro che mi hanno proposto e mi sono stabilito.- spiegò
stringendosi
nelle
spalle.
-Se
ti avessero offerto di fare il camionista avresti fatto quello?- gli
domandò
Kim appoggiando il braccio al finestrino.
-Avrei
avuto scelta?- era ovvio che la risposta fosse sott'intesa.
Passarono
alcuni minuti di silenzio, mentre Kimberly pensava a quanto Jared le
aveva
rivelato.
-Se
ti offrissero il posto di lavoro che hai sempre sognato, te ne
andresti?-
Lui
inchiodò parcheggiando l'auto fuori casa e
riportò gli occhi nei suoi. -Senza
dubbio.- e poi scese. Kim rimase dentro due secondi di più,
non sapendo bene
come interpretare la risposta secca di Jared. L'avrebbe mollata qui
come un
sacco della pastorina?
Per
il suo sogno, probabilmente.
Quando
scese, lui era davanti a lei ad aspettarla con un sorriso. -Devo dire
però, che
questa è stata una grande possibilità. Non avrei
mai sospettato di avere doti
da insegnante, se non ci avessi provato.-
-Se
te ne andassi immagina quanta gente ne soffrirebbe.- lei in primis, ma
evitò
questo punto.
Arricciò
le labbra. -Forse sì. Ma tanto non vado da nessuna parte,
ormai.- nel tono
aveva un che di deluso. A Kim dispiaceva vederlo così. -Non
devi essere giù..
mia nonna diceva sempre “il sole splenderà anche
nel tuo cortile”- gli sorrise
stringendogli un braccio.
Lui
rise flebilmente, estraendo le chiavi dalla tasca ed aprendo il portone
principale, in cui, per qualche istante, Kim intravide il loro
riflesso. Lui
era impeccabile. E lei stentò a credere di riconoscersi
nella figura accanto a quell'uomo
dalla bellezza statuaria.
-Chissà,
magari..- entrarono in ascensore, Kim sorrise nel ricordare quando ci
erano
stati la prima volta. -Per ora sono riconoscente per questo lavoro.-
-Ma
non è quello che ti rende felice!- esclamò lei
contrariata.
Jared
fece per uscire, ma si soffermò un secondo più a
lungo a guardarla negli occhi.
Gli faceva piacere che a lei venisse spontaneo pensare alla
felicità di lui, prima
di tutto.
-Probabilmente
ma.. mi ha portato a te.-
Kimberly
arrossì e sgusciò fuori dall'ascensore,
posizionandosi davanti all'entrata
dell'appartamento di lui, sentiva già il cane graffiare
sulla porta e cainare
dalla
gioia.
Infatti,
non appena il padrone di casa aprì, il lupo balzò
addosso ad entrambi, a turno,
scodinzolante.
-Judas,
a cuccia.- ordinò Jared accarezzandolo sulla testa. La
bestia obbedì, abbassando
le orecchie.
L'appartamento
era esattamente come se lo ricordava, sempre ordinato e pulito, con
quel tocco
eccentrico nell'arredamento che lo distingueva.
Un
paio di mani le si posizionarono sui fianchi, sciogliendola in un
sorriso.
-Togliamoci
questa cartella pesante..- sussurrò lui, risalendo con le
mani e togliendole
quel peso dalle spalle, per poi andare a sedersi sul divano, che ormai
era un po'
anche di Kim.
Sorridendo,
gli
si avvicinò e si sedette accanto a lui, accavallando le
gambe.
-Jared,
devo
chiederti una cosa.- annunciò chiudendo gli occhi. Voleva
levarsi quel fardello
della signorina Rodriguez, voleva essere sicura di non essere
impigliata
in un
triangolo amoroso, non l'avrebbe sopportato.
-Dimmi.-
fece lui curioso. Le portò una mano attorno alle spalle.
Kim
cercò di placare il batticuore e pensò bene alle
parole da dire. -Cosa vi siete
detti tu e quella di spagnolo, prima?-
Lui
sorrise. -Oh, si tratta di questo..- ridacchiò.
-Semplicemente mi ha detto che
si aspettava una chiamata per l'appuntamento, ma ho detto che non ero
intenzionato ad uscire con lei.- spiegò velocemente.
La
ragazza corrugò la fronte. -E che scusa hai usato?-
-Ho
detto la verità. Che nella mia vita non c'è
spazio per una relazione..-
Kim
si sentì colpita nel profondo e si scansò
leggermente da lui. Allora da lei
cosa voleva?
-Ehy,
ehy, fammi
finire!- esclamò lui sorridente, riportandosela stretta.
-Per
relazione, intendevo relazione normale.-
-Dovrebbe
farmi sentire meglio questo?- domandò confusa cercando i
suoi occhi. Non
riusciva assolutamente a vederci un complimento nella frase.
-Certamente.
La normalità mi annoia, è molto meglio quello che
siamo io e te.. quando troverò
la definizione appropriata, ti farò sapere.- concluse,
afferrandole una mano e
intrecciandola nella sua.
Kimberly
lo guardava senza parole. Era un mago nel trasformare le frasi, con
quel tono
poi, faceva apparire il tutto ancora più bello.
-Io
ce l'avrei.- azzardò lei. -Oserei con un
“bizzarri”.- lui sorrise, mentre le
sollevava il volto, portando gli occhi nei suoi.
-Giustissimo..-
sussurrò a fior di labbra, quando poi.. Accadde.
Quanto
tempo era che Kim sognava quel momento ad occhi aperti? Troppo.
E,
finalmente, il
bacio tanto aspettato, arrivò.
Un
bacio vero. .
Decise
di non pensarci e assecondò i movimenti delle sue labbra,
godendosi ogni minimo
istante. Inconsciamente non si rese conto di quanto stava stringendo la
camicia
dell'insegnante, e spontaneamente portò le gambe sulle sue,
facendo leva e
portandolo giù con lei, distendendoselo addosso.
Lui
si muoveva rapidamente, sapeva esattamente cosa fare e come farlo.
L'esperienza
era evidente.
Senza
staccare il viso dal suo, si sollevò abbastanza da far
passare la gamba destra
della ragazza dall'altra parte, in modo da torvarsi nel mezzo.
Si
separarono e nei loro occhi si leggeva solo un evidentisimo desiderio
fisico
l'uno dell'altra.
Tornando
su di lei, Jared portò una mano sull'allacciatura dei jeans
di lei, per poi
ristaccarsi e senza aspettare il permesso glieli strappò di
dosso, velocemente
ma non con violenza.
Kimberly
non si sentiva per niente forzata a fare nulla, era tutto fortemente
voluto, da
entrambe le parti.
Ma
il cuore le batteva come non mai. Poteva sentirlo pulsare perfino nelle
vene
dei polsi che Jared le stava stringendo, mentre la fissava intensamente
negli
occhi.
Sotto
quello sguardo, non poteva fare altro che cedere. Lasciò che
le sue mani
vagassero, lasciò che le sfilasse anche l'intimo, e tenne lo
sguardo fisso nei
suoi occhi, mentre intravedeva le mani che stavano slacciandosi cintura
e
cerniera. Jared sostenne quegli occhi onice per tutto il tempo, senza
pensare
minimamente a quello che stava facendo.
Se
il buon senso si fosse intrufolato nella sua mente proprio il quel
momento
poteva star certo che sarebbe rinsavito all'istante e la cosa sarebbe
finita
lì.
Invece,
senza
neanche spogliarsi dei pantaloni, si abbassò su di lei,
ricongiungendo le labbra
con quelle morbide di Kimberly. Era quasi sicuro che fossero tra le
più buone che
avesse mai assaggiato, erano dolci e sapevano di proibito e di peccato.
Niente
di meglio.
Quando
Kim sentì una lieve fitta di dolore in basso,
capì cosa stava realmente
accadendo, ma non per quello si sfilò urlando, anzi.
Entrambi
si lasciarono sfuggire un lieve gemito, mentre, lentamente, Jared stava
prendendo
il ritmo.
Lei
si strinse a lui, cercando di seguirlo nonostante lo spazio molto
ridotto del
divano. Ma le piaceva, il suo profumo, il suo respiro affannato, come
la teneva
stretta, dandole qualche bacio di tanto in tanto e reggendosi sui
gomiti per non
pesarle troppo addosso.. si sentiva bene.
Erano
fronte contro fronte, entrambi con gli occhi serrati.
Dal
canto suo, lui tentava di non pensare assolutamente, tenendo gli occhi
chiusi e
assaporando il piacere minuto dopo minuto, spinta dopo spinta.
Velocizzò
il movimento, fino ad arrivare al culmine. Quando sentì lei
affondare le unghie
nel giubbotto di pelle che ancora indossava, non gli ci volle molto a
capire che
non era un riflesso al dolore.
-Jared!-
si lasciò sfuggire ansimante, mentre lui, con un rantolo, si
rilassò affondando il
volto tra i suoi capelli, col fiato corto.
Restarono
entrambi immobili in quella posizione, incastrati, nel tentativo di
regolarizzare i battiti dei cuori sovraccaricati.
Kim
sollevò una gamba nuda e la portò stretta attorno
al bacino di lui, passandogli
anche entrambe le mani dietro la testa, per tenerselo più
vicino.
Jared
finalmente aprì gli occhi. Niente, non c'era traccia dei
sensi di colpa che
temeva lo avrebbero assalito. Le diede un bacio a fior di labbra e nel
sollevarsi fece leva con le braccia, sfilandosi da lei, che si
alzò in
contemporanea a lui. Quando si riallacciò i jeans, raccolse
anche gli indumenti
di Kimberly da terra, la quale lì
afferrò e se li portò in grembo senza
distogliere lo sguardo dal volto del professore.
-Io..-
cominciò lui, con un tono davvero a disagio. Non sapeva
neanche come
concludere. Indicò il corridoio e vi sparì per
qualche minuto, mentre Kim, una
volta ripresa la sensibilità delle gambe, si
infilò quello che le era stato
tolto. Non si erano nemmeno levati le scarpe, pensò come se
fosse quello il
punto focale della faccenda. L'atmosfera tesa era palpabile, poteva
essere
tagliata con un coltello.
Decise
che era il caso di andarsene, sicuramente l'imbarazzo avrebbe rovinato
quel
momento che per lei era stato uno dei più belli della sua
intera vita.
Raccolse
le sue cose e uscì dal'appartamento, il più
silenziosamente possibile.
I
can feel you all around me
Thickening
the air I’m breathing
Holding
onto what I’m feeling
Savoring
this heart that’s healing
Note finali:
OMMIODDIO innanzitutto scusate il tremendo ritardo ma
è il primo momento libero della giornata.
Seconda
cosa, chiedo umilmente scusa per il capitolo quivi postato. Davvero, io
faccio schifo in queste cose e mi vergogno estremamente per tutto
questo, ma ormai non potevo risparmiarvelo. Ho cercato di modificarlo,
purtroppo non sono stata in grado e questo è quasi del tutto
originale. Chiedo veeeeniiiiaaaaa!! Brrr, mi vengono i brividi, l'ho
riletto con un solo occhio, tanto mi sento disgustata ahahah.
Un pò antitetica questa coppia, nevvero? Passiamo dal "quasi
ci salutiamo" al "togliti i vestiti, stallone" nel giro di pochissimo!
Tendenzialmente non sono così sbrigativa, ma c'è
sempre una prima volta no?
Mi rendo conto di sembrare una santarellina, non è
così, ma non apprezzo neanche le romanzate stile "50
sfumature". Se descritte bene certe scene sencondo me possono mostrare
dolcezza e il sentimento che c'è dietro, quelle troppo
forzate non mi fanno impazzire e non sarò mai in grado di
scriverle. Ho un Super-io molto intransigente, non so cosa dirvi!
Non siete obbligate a recensire, anche perchè non
c'è nulla da recensire, spero che apprezzerete lo sforzo
immenso per lo meno ahah.
Parlando di cose belle, la bellissima canzone (che ci sta totalmente,
c'ho pensato sul treno oggi) si chiama All around me dei
Flyleaf, che se non conoscete, vi consiglio vivemente. Il fatto che
siano una band rock-cristiana da' da riflettere in questo capitolo XD
ok, la smetto.
Le mie mani ti stanno
cercando
le mi braccia sono tese
verso di te
Ti sento sulle mie dita
La mia lingua danza
dietro le labbra per te.
Questo fuoco cresce
attraverso il mio essere,
bruciando
Non ero abituata a
vederti.
Posso sentirti tutto
intorno a me
Inspessendo l'aria che
respiro
Trattenendo quello che
sento
godendo di questo cuore
che sta guarendo.
Grazie per l'attention,
lovelovelove
|
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Capitolo 27 *** Capitolo 27. ***
Capitolo 27.
A friend in need
Una volta in strada, non le fu difficile trovare la via per tornare a casa. La conosceva ormai la strada.
Mentre Jared, quando uscito dal bagno, non la trovò, si spaventò incredibilmente.
Temeva di aver sbagliato qualcosa, magari era stato troppo affrettato, magari era stato troppo violento.
Era una ragazza, per l'amor di Dio! Ma ci rifletté un secondo di più.
Magari le avrebbe dato il tempo di digerire la cosa, come avrebbe dovuto fare lui, chiamandola più tardi. Le aveva rubato il numero di telefono l'ultima volta che l'aveva tenuto in mano quando lei stava male, digitanto il proprio e poi facendolo squillare.
Si sedette sul divano, ancora caldo di loro, esausto e terribilmente confuso.
Era forse stato un errore?
Stette lì fermo e immobile per almeno un'ora prima di decidersi ad impegnare la testa in qualcos'altro. Corresse le verifiche nel suo studio, ma volente o nolente la mente volava ogni momento altrove.
Dopo l'ennesimo errore di correzione, decise che era il caso di piantarla di prendersi in giro.
Afferrò il giubbotto e uscì in strada, armato di portafoglio e sigarette. No, le sigarette le lasciò giù all'ultimo, deciso a smettere.
Scese in strada, e si diresse esattamente dove voleva andare.
Quando giunse davanti ad un edificio con la scritta in grande “PUB”, non poté che sospirare di sollievo, che non riuscì a godersi abbastanza, notando la scritta in rosso sul cartellino appeso con una ventosa dall'interno: CHIUSO.
Si mise a bussare, inizialmente con le nocche di una mano e pian piano con entrambi i pugni chiusi.
Il proprietario, sentendo quel bussare insistente si affacciò dal retro del bancone e si avvicinò alla porta.
-Siamo chiusi, che sei ubriaco?- disse a gran voce l'uomo che Jared non ebbe difficoltà a riconoscere.
-Tomo, sono io Jared! Fammi entrare, dai!- implorò dall'altro capo della porta l'amico.
Infatti non passarono molti secondi prima che Jared sentì le chiavi girare nella serratura e trovarsi una faccia amica ornata da una barba incolta, sorridergli ospitale.
-Jared! Come butta vecchio?- lo salutò battendogli il cinque seguito da un pugno contro pugno, saluto abituale da ormai... tutta la vita forse.
Senza neanche aspettare risposta gli diede le spalle e camminò verso il bancone dove si trovava a pulire i bicchieri poco prima.
Il professore prese uno sgabello e vi si sedette sopra con uno sbuffo pensoso, mentre osservava il proprietario del locale che passava una manata di straccio impregnato
di qualche detersivo sul legno del bancone.
Tomo era un davvero un personaggio. Si erano conosciuti quasi 30 anni prima, quando lui da ragazzino si era trasferito nella città di Jared e Shannon, allora due fratellini inseparabili.
Tomo era ignorato da tutti a causa del suo strano accento, dato che proveniva dall'Europa dell'est, tranne che dai due fratelli con la quale ebbe fin da subito un buon rapporto. Jared fu colpito innanzitutto dal suo talento di violinista. Era un sogno sentirlo suonare, in quei lineamenti spigolosi e quelle mani affusolate, Jared ci vide
immediatamente la strada per il successo.
Lo convinse a darsi alla chitarra, senza ovviamente lasciargli abbandonare il violino, sua passione più sfrenata. Ed infine, fondarono un gruppo.
Una di quelle band adolescenziali, che suonavano nel garage e che erano perennemente segnalati alla polizia comunale per “rumori molesti”.
Purtroppo dopo soli cinque anni, la famiglia Milicevic dovette trasferirsi di nuovo, con gran dispiacere dei due fratelli Leto, che però non si arresero e continuarono ad inseguire il loro sogno, facendo fare audizioni su audizioni ai ragazzi che avrebbero desiderato unirsi a loro. Niente da fare, come Tomo non c'era nessuno.
Jared era convinto che la loro disgrazia iniziò tutta dalla partenza di Tomo. Era stupido inseguire un sogno che era destinato a loro tre insieme, in due e, quando anche Shannon gettò la spugna, da solo.
Il mondo li voleva insieme, di questo era certo.
Fu solamente un caso che, trasferitosi in quella cittadina dimenticata dagli abitanti stessi per accettare la cattedra di professore, si incontrarono dopo così tanti anni.
Ora avevano ripreso i contatti e si erano ripromessi di mantenerli definitivamente.
Tomo aveva sviluppato una nuova passione per la cucina e da lì, lui e la sorella Ivana avevano deciso di aprire un locale. Non era il massimo del lusso, ma i clienti si
trovavano bene, i prezzi erano ragionevoli e per arrivare alla fine del mese, andava benissimo.
Ogni tanto assoldavano addirittura Jared come intrattenimento i sabato sera.
-Come sta quella carogna di tuo fratello?- gli domandò improvvisamente, porgendogli un bicchierino di un liquido alcolico. -E quand'è che si degnerà di riportare il suo culo americano in patria?-
-Bene, l'ho sentito qualche giorno fa. Dipende tutto da Jenah, lo sai.- rispose Jared corrugando la fronte e guardando con sospetto il contenuto dall'aspetto incerto. -Cos'è?- chiese a sua volta.
-Provalo, rigenera.. tutto d'un fiato.- disse sorridente l'amico, facendogli l'occhiolino.
-Sai che non bevo.- gli rammentò Jared, allontanando il bicchierino con una mano.
Tomo glielo riavvicinò. -Ogni tanto fa bene.- lo guardò intensamente negli occhi. -E tu hai la faccia di uno che ne ha fortemente bisogno.-
Leto abbassò lo sguardo accennando appena un sorriso, poi afferrò il bicchierino e lo svuotò in un sorso. Tenne gli occhi chiusi per non vedere la parete alla spalle dell'amico girare su se stessa e, una volta finito il bruciore amaro, li riaprì.
Era vero, ne aveva assolutamente bisogno.
-Ora di' cosa ti turba al cugino Tomo.- gli sorrise incoraggiante.
-Un altro.- ordinò, sbattendo leggermente il bicchierino sul tavolo. Tomo eseguì e aspettò che Jared terminasse anche quello.
-Ho fatto sesso.- annunciò, posando di nuovo il recipiente vuoto.
L'altro trattenne una risata, per poi guardarlo con un'espressione alquanto perplessa. -Jared, te ne ho dati solo due, sei lontano dall'essere anche solo brillo!- esclamò ridendo.
-Infatti non sono mai stato più lucido.- continuò lui, del tutto serio.
Tomo lo guardò attentamente, continuando a non capire cosa nascondesse quella facciata pensierosa. Ripensò alla frase appena detta, senza vederci niente di strano.
Erano amici, e non era assolutamente la prima volta che parlavano di quell'argomento.
Jared l'aveva perfino costretto ad ascoltarlo mentre si gasava del fatto che fosse stato con sua sorella! E la cosa l'aveva disgustato non poco. Insomma.. era sua sorella!
Ma quel Jared era completamente diverso da quello che era solito conoscere. Sembrava terribilmente tormentato da qualcosa.
-Scusa ma continuo a non vederci il problema..- commentò asciugandosi le mani in uno straccio.
-Oh, invece il problema c'è, ed è anche enorme.- disse lui, rigirandosi il bicchierino tra le mani.
-Ha fatto così schifo?- chiese interessato a capirci di più Tomo.
-No, purtroppo no. Anzi..- continuò senza svelare altro. Tomo stava impazzendo.
-Leto, mi dici sì o no perchè hai questa faccia esaurita, nonostante io continui a non vederci assolutamente niente di catastrofico?- esclamò infine esasperato il proprietario del locale.
-Semplice..- rispose con un sorrisino Jared. Un sorriso che non prometteva nulla di buono. -Ha 17 anni.- confessò infine, spiazzando completamente l'amico, il quale lo fissava sconcertato per capire se fosse serio o si stesse prendendo solamente gioco di lui.
Andiamo, Jared Leto era famoso per combinare certe cose.. ma questa gli era nuova.
-Non è vero.- disse apatico Tomo.
-oh sì che è vero.- fece più convincente, continuando a rigirarsi il bicchierino trasparente tra le dita.
Il talentuoso violinista sospirò nervosamente, non sapendo bene come reagire. Se l'ha fatto ci sarà stato un motivo, almeno.
-Senti Jared.. io non so proprio cosa dirti. Cioè dai.. può capitare.- tentò di vederci del buono, tentennando appena.
-Sì ma non sai tutto... è una mia alunna.- disse portandosi il bicchiere vuoto alle labbra, sebbene fosse consapevole che non poteva svuotarlo ulteriormente. Era solo un diversivo per non guardare l'espressione attonita di Tomo, sempre più convinto che avrebbe dovuto lasciarlo fuori sta volta.
-Pure!- esclamò esterrefatto portandosi le mani nei capelli. -Jared ma ti rendi conto della scemenza che hai fatto?! Neanche maggiorenne! Potrebbero arrestarti, scemo!- non gli piaceva sgridarlo, anche perchè l’altro in teoria era qualche anno più grande. Ma certe volte davvero, sembrava che il cervello lo lasciasse sul comodino
accanto al letto, troppo pigro per farlo lavorare.
-Pensi che non lo sappia? Ma Tomo.. tu non la conosci.- un piccolo sorriso fece intendere a Tomo che era più grave del previsto.
-Fammi indovinare: bionda e occhi azzurri, tanto per cambiare!- azzardò irritato, dandogli le spalle per sistemare un paio di bottiglie.
-Ti sbagli, l'esatto opposto.- continuò con quel sorriso, appoggiando la guancia ad un palmo aperto, come un ragazzino innamorato. Tomo si rifiutò di voltarsi per
guardarlo, però poteva intendere dal tono dolce che non era una ragazza qualsiasi.
Conosceva il suo amico, e c'erano state davvero pochissime ragazze in tutta la sua vita ad essere davvero riuscite a colpirlo. Se questa era addirittura vietata, doveva essere proprio interessante.
-Uh, e da quando capelli e occhi scuri ti piacciono? Non entravano nei canoni della “banalità”?- disse prendendolo in giro. Anni prima Jared gliel'aveva detto per beffarsi di lui, dato che Tomo possedeva quelle caratteristiche.
-E' proprio questo il punto! Può sembrarlo a descrizione, ma Tomo, credimi se ti dico che potrei anche star qui tutta la notte a raccontarti di lei, senza dirti essenzialmente nulla.- spiegò sgranando gli occhi, con uno sguardo che dava del tutto l'idea che fosse letteralmente svitato.
A quel punto Milicevic comprese: l'aveva perso. L'ultima volta che aveva detto una frase altrettanto insensata riguardo una ragazza ci era stato insieme per 4 anni.
E, dopotutto, gli mancava quel Jared spensierato e innamorato. Se quella ragazza era la chiave per riportarglielo indietro, ben venisse.
-Quando diventerà meno illegale?- Jared intuì che era una tipica domanda alla Tomo: un modo completamente assurdo per chiedere un'informazione. Una domanda che partiva dal fine.
-Tra meno di un mese.- rispose di getto, dopo essersi ricordato la data del giorno.
-Secondo me non c'è niente di male.- disse infine, sperando di non averlo davvero detto.
Intravide Jared tirarsi su di scatto, fissandolo pesantemente. -Davvero?- era incredulo.
Tomo sospirò. -Beh, allora amico.. questa ragazza sembra che ti dia proprio alla testa, e non mi sembra giusto togliertela.- sorrise amichevole. -Fai quello che credi, io ti supporto sempre, lo sai.-
Il professore, spinto da uno slancio puramente grato, si levò sullo sgabello per aderire al bancone col ventre e trovarsi con le braccia attorno al collo di Tomo. -Sapevo che potevo contare su di te.-
Ma tanto Tomo sapeva perfettamente che anche senza la sua benedizione avrebbe fatto esattamente quello che voleva.
-Anche perchè ora chi te la toglie più dalla testa?- scherzò, spingendolo via.
Un sorriso timido si disegnò appena sul volto di Leto, Tomo ebbe un flash improvviso. Quant'era che non lo vedeva sorridere così?
Le ultime ragazze che aveva avuto non erano durate più di due settimane e quel sorriso non avevano mai neanche avuto la fortuna di intravederlo.. figurarsi causarlo!
-Vero. Cosa dovrei fare per te?- chiese consiglio, guardandolo negli occhi di sbieco.
Senza suo fratello maggiore Jared si sentiva perso. Ovvio, era sempre in grado di stare in piedi, ma aveva bisogno di una figura costante che ogni tanto gli tenesse la mano per scavalcare i fossati.
Quella mano era solita essere quella di Shan, ma il caso aveva voluto che si trasferisse a mille miglia da lì. E ritrovare Tomo, per Jared era stato un po' come trovare un sostituto. Ecco perché ci teneva tanto all’opinione di Milicevic al riguardo; di certo non aveva bisogno del suo permesso, saperlo favorevole però, gli avrebbe reso il tutto più facile.
Anche per quello alla fine si era deciso a rimanere in quella città. Trovare lì il suo migliore amico perduto voleva pur dir qualcosa...
-Bah, che domande! Va' da lei!- sorrise convincente, alche il professore si alzò, per poi correre fuori dal locale, sbattendo la porta. Tornò indietro dopo dieci secondi, entrando giusto con la testa solo per dirgli -Ah, grazie Tomo! Sei un amico.- e poi se ne andò, definitivamente sta volta.
.. is a friend indeed.
Note finali: noto che non avevo torto, a parte un paio di consensi, il capitolo precedente non è stato chissà che!
Pace&bene, spero di essermi rifatta con questo che, meiner Meinung nach, è uscito bene; sì, penso che non avrei altro da aggiungere. Non so poi questo Tomo così pacifico e allegro... wa lo adoro ahah.
Ammettetelo che non ve lo aspettavate! Ho mille altri assi nella manica, don't panic ;)
La canzone è Morning pure dei Placebo e mi è sempre piaciuta sta frase, gettonatissima tra l'altro
Un amico nel bisogno
è davvero un amico
E niente, è tutto per oggi, noto che piace a molti questo mio aggiornamento giornaliero e piace anche a me,
ma sapete, tutto ha un prezzo e in cambio gradirei una MAREA di recensioni ;) neanche una recensione, vorrei solo che appena finito di leggere mi lasciate qualcosa, anche un "ciao sono cazzoneso e ti leggo sempre", sapete solo per vedere quante siete effettivamente e non mi monto la testa nel vedere così tante visite in così poco tempo (aumentano sempre di più)!!
Lo gradirei molto, mi darebbe la voglia di vivere per oggi, e non romperei più! Cosa volete di più?? ahah.
peace&love
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Capitolo 28 *** Capitolo 28. ***
Capitolo
28.
Oh,
kiss me
beneath the milky twilight
Lead me out on the moonlit floor, lift your open hand
Strike up the band and make the fireflies dance
Silver moon's sparkling
Kimberly
tornò a
casa senza problemi, ma era del tutto assente. Pensava e ripensava
all'accaduto,
cercando di immaginare come stesse ora Jared e alle varie conseguenze
possibili
da quel momento in poi.
Era molto
preoccupata.. lui era così perennemente indeciso.
A ripensare a come
stava là tra le sue braccia, sentiva una stretta soffocante
al cuore, una
stretta che portava ad un sorriso immediato e ad una improvvisa voglia
di
urlare tutta la sua gioia.
Ma pensando a lui,
ai suoi occhi quando si era sollevato da lei.. non aveva un buon
presentimento.
E se fosse andata
ancora una volta per il verso sbagliato, giurava su Dio, l'avrebbe
rovinato.
Chi se ne frega
del suo lavoro, se era solo quello che lo teneva lontano da lei,
avrebbe anche
mandato quello all'aria. Chi ha bisogno di musica del resto? A lui non
piace
neanche il suo lavoro, quindi non si sarebbe sentita neppure
più di tanto in
colpa. Forse proprio per niente.
Sorridente entrò
in casa fischiettando. Non c'era nessuno, sentiva l'eco dei suoi fischi
rimbombare sulle pareti mentre saliva le scale.
Era abbastanza
tardi, ma doveva assolutamente fare un tema per il giorno dopo che
sarebbero
tornati dalla gita, in cui sarebbero andati il giorno seguente, e
sapeva
perfettamente come erano fatte le gite: sarebbe tornata stanca e
stremata, e si
sarebbe maledetta un miliardo di volte per non aver già
fatto il testo. Odiava
scrivere temi, le mancava sempre la fantasia. Il titolo di questo era:
“Intervista impossibile.” praticamente doveva
scrivere un'intervista
immaginaria ad un personaggio storico.
Niente di più
impossibile. Non avrebbe mai e poi mai trovato un'idea prima di un'ora
a
fissare il foglio protocollo completamente bianco. Specialmente in quel
momento, in cui aveva tutt'altro per la testa.
E quel tutt'altro
era un uomo con un paio di occhi blu da mandarla fuori di testa,
così tanto da
essere in grado di farla distendere sul letto e pensare ad una miriade
di
domande, argomenti e ipotesi, contemporaneamente.
La sua mente
sembrava un collage di immagini in quel momento.
Fu risvegliata da
una vibrazione che la fece sobbalzare rumorosamente. Era sicura fosse
Gwen, per
raccontarle di cosa ancora non ne aveva idea, ma la chiamava
più o meno ogni
giorno.
Rispose senza
guardare lo schermo e portando lo sguardo sul foglio ancora vuoto.
-Pronto?- disse
svogliata.
-Ehy ragazzina..-
una stretta al cuore. Quella, stretta al cuore.
Sgranò gli occhi e
si portò una mano tremante sulle labbra, per non lasciarsi
scappare nessun
gridolino euforico.
-Jared? Come hai
il mio numero?- chiese esterrefatta, lanciando una rapida occhiata allo
schermo
del cellulare.
-Ho le mie
fonti..- rispose evasivo, dal tono era chiaro che fosse di buon umore.
-Volevo
sapere come stavi, sai.. sei scomparsa.- la voce era calda e limpida.
Kim si sdraiò
sulla schiena, poteva sentire il cuore rimbombarle nelle orecchie.
-Sto bene, grazie.
Tu?-
-Anch'io. Molto
bene.- sottolineò con un sorriso.
-Riguardo al fatto
che me ne sono andata..- disse scharendosi la voce. -Ho pensato che
sarebbe
stato meglio lasciarti un po' da solo a chiarirti le idee.. ti conosco
ormai, e
immaginavo già una reazione del tutto opposta a quella che
avrei voluto
vedere.- spiegò sospirando.
Sentì una risatina
provenire dal telefono. Jared adorava il fatto che con lui fosse sempre
perfettamente sincera, senza paura della sua reazione. -Probabilmente
hai fatto
bene. Grazie, sei stata molto prudente.- Kimberly si sentì
orgogliosa. La prima
cosa giusta da quando si erano conosciuti.
-Jared?- fece poi
lei, completamente insicura.
-Dimmi.- rispose, senza
un tono preciso.
-Cosa dovrei
aspettarmi adesso?- chiese, arrossendo appena. Ringraziò il
cielo che fosse una
conversazione telefonica, detestava arrossire.
-Cosa intendi?-
domandò lui sospirando. Ad essere sincero aveva capito
più o meno a cosa si
riferiva.. ma preferiva farla sfogare.
Kim si tirò su a
sedere, mordicchiandosi un'unghia. -Beh, riguardo a noi due.
Cioè, non so come
devo prendere quello che c'è stato.- spiegò,
chiudendo gli occhi, sperando che
lui non si arrabbiasse.
Lo sentì
sorridere. -Prendila come vuoi, sappi solo che avrei una gran voglia di
vederti.- disse con voce dolce.
Kimberly trattenne
i suoi polmoni dall'esplodere. -Anch'io..- rispose timidamente.
-Ah beh, allora
dovresti proprio uscire.- azzardò Jared, con un tono vago.
Un'espressione
confusa si disegnò in faccia alla ragazza. -Uscire dove?-
-Di casa. A meno
che tu abbia qualcosa di meglio da fare.- si accertò lui.
Kimberly guardò il
foglio di carta ancora intatto, e con una smorfia saltò
giù dal letto per poi
percorrere le scale, volando. Pur di stare con lui, avrebbe addirittura
rischiato la bocciatura, per quanto le importasse. -No no,niente di
niente.-
sorrise, uscendo dal cancellino in ferro, senza nemmeno essersi coperta
con il
piumino.
Si guardò attorno,
con il cellulare ancora incollato all'orecchio. -Dove sei?- chiese
guardandosi
intorno. Era molto buio, sebbene fossero state sì e no le 8.
-Eccomi.- fece
lui, lampeggiando con i fari dell'auto. Kim non aspettò un
istante solo per
correre verso quella macchina.
La raggirò e aprì
la porta per catapultarsi dentro. Casa.
Gli occhioni blu
del professore l'accolsero severi. -Tu sei pazza.- ringhiò,
levandosi la felpa
rosso scuro che aveva indosso per poi posargliela sulle spalle.
-Scusa..- arrossì
lievemente lei, scostando lo sguardo. -E' che nella fretta di vederti
mi sono
scordata anche di essere al mondo.- si giustificò,
stringendosi nella felpa.
Sentì le sue
grandi mani circondarle il volto, e senza che potesse rendersene conto,
percepì
il respiro di lui infrangersi sulle sue labbra.
La baciò, un bacio
soffice, lento, indescrivibile. Il cuore le batteva così
forte nel petto, era
sconvolta dalla rapidità con cui Jared era riuscito a
ricomporglielo, l'ultima
volta che ci aveva pensato era ridotto in granelli microscopici. Ora
come ora, cantava
l'inno nazionale.
Con suo grande
dispiacere, si separò da lei, per poi appoggiare la fronte
contro la sua.
Non riuscì a
trattenere un sorriso. Portò una mano incerta sul viso del
professore, accarezzandolo,
come per accertarsi che fosse reale, non una semplice immagine della
sua mente
deviata.
-Perchè sei qui?-
gli domandò poi, sottovoce.
-Avevo solo un
gran bisogno di vederti.- rispose tranquillamente Jared, col medesimo
tono di
voce.
I suoi palmi erano
stretti intorno al viso della ragazza, la quale lo fissava
intensamente. Le
mani dell'uomo erano calde, in netto contrasto con le gote ghiacciate
dal vento
gelido di fine febbraio di Kim.
Si sporse
ulteriormente, per raggiungere le labbra del suo professore, ci fu un
altro
bacio e un altro ancora.
-Ti va di cenare
con me?- le domandò con gli occhi ancora chiusi e la fronte
premuta contro la
sua.
-Sicuramente.. ma
purtroppo domani abbiamo la gita e io non ho preparato neppure
virtualmente la
valigia.- gli ricordò, staccando il volto dal suo.
Jared sgranò gli
occhi e si battè una mano sulla fronte. -Oh merda, la gita!-
esclamò sconvolto.
-Ci credi se ti dico che l'avevo completamente scordata?-
Kimberly sorrise
mordendosi il labbro inferiore. -Vedo che non sono l'unica.- lo prese
in giro.
-Va beh, poco
male, tanto soffro d'insonnia. La farò stanotte, mentre
penserò a te.- ghignò, portando
una mano dietro la testa della ragazza e baciandola.
-Beh, in questo
caso.. ti va di aiutare me?- propose esitante.
Lui la guardò
sbattendo ripetute volte le palpebre.
-I miei non ci
sono e non mi va di rimanere tutta la serata sola come un cane..-
spiegò.
-Certo, nessun
problema.- affermò, aprendo la portiera ed uscendo dal
veicolo.
Kimberly rimase un
secondo attonita per la serietà con cui l'aveva presa. Le
piaceva quel Jared, sembrava
più spensierato.
Scese anche lei e
lo raggiunse, il quale si accertò di aver chiuso la
macchina, prima di
allontanarsene. Portò un braccio attorno alle spalle di Kim
e la tenne stretta,
lasciandole di tanto in tanto un bacio in fronte.
Arrivati in casa,
lei presentò l’abitazione al professore in un
piccolo tour, mentre lui faceva
il finto interessato, guardandosi intorno.
Quando la vide
esitare davanti ad una porta, non gli fu difficile capire che si
trattava di
camera sua.
Per quanto si
sforzasse, Kim non riusciva a ricordare in che stato l'avesse lasciata
prima di
volare da Jared. Sentì lui che la prese da dietro e la
spinse dentro, quasi
entusiasta di quello che stava per vedere.
In effetti non era
esattamente l'emblema dell'ordine. Ma Jared la trovò
ugualmente adorabile.
Sorrise a Kim, addentrandovisi
e girando su se stesso, osservando ogni minimo dettaglio gli saltasse
all'occhio.
Era spaziosa, molto
spaziosa. Un letto ad una piazza e mezza regnava nel centro di quella
stanza
dalle pareti di un lillà molto chiaro. Il pavimento era
coperto da una moquette
a sua volta sovrastato da vestiti, cartacce e libri. Dal lato opposto
c'era una
porta finestra che dava su di un balconcino tondeggiante.
Si avvicinò al
letto, su cui notò il tema ancora non svolto.
-Finito di fare la
radiografia?- chiese leggermente imbarazzata l’alunna,
appoggiata allo stipite
della porta.
-Hai una bella
stanza, ed è tutta tua. Sei fortunata, io la dividevo con
mio fratello... quasi
sempre.- commentò sedendosi tranquillamente.
-Quasi?- fece lei,
avvicinandosi e accomodandosi accanto a lui.
-Sì, sai ci siamo
trasferiti svariate volte.. spesso eravamo in camera insieme.-
spiegò.
-Anche
all'estero?-
-Sì anche
all'estero. Hai presente il mappamondo magnetico nel mio studio? La
maggiorparte di quelle frecciette risalgono alla mia
infanzia/adolescenza.-
Kim sollevò le
sopracciglia. -Alla mia età avevi già visto mezzo
mondo praticamente.-
-Nah. Il mondo è
così vasto.. ce ne servirebbero almeno due o tre di vite per
godercelo
decentemente.-
-Oh beh.. io sono
già in ritardo.- sbuffò lei, stendendo anche la
schiena. -Il posto più lontano
in cui sono stata è stato a 30 miglia da qui.-
Jared sorrise.
-Non preoccuparti, sei giovane, hai tutto il tempo per rifarti.- disse,
raggiungendola.
Si distese accanto
a lei, voltandosi su un fianco prendendole una mano.
-Tu verrai con
me?- chiese avvicinandosi a lui.
-Se è quello che
vorrai, sicuramente.-
-Beh, stai certo
che io non vado da nessuna parte senza di te, ora che ti ho trovato.-
mormorò
Kimberly, con una genuinità che spiazzò il
professore, il quale, preso da un
impeto di affetto, riprese a baciarla come se non fosse venuto che per
questo.
…So
kiss me
Note finali: che
tenerezza!! Che dite, il professore si è fatto perdonare, a
modo suo? immaginatevi al posto di Kim e poi ditemi se
aveste reagito diversamente ;)
Solecuoreeamore in questo capitolo, valà ogni tanto ci sta!
A voi piace viaggiare? Avete avuto la fortuna di andare anche oltre
oceano? Mi interessa molto :)
Non ho sinceramente niente da dire o di cui lamentarmi credo, indi per
cui passo alla canzone
è ovviamente la famosissima Kiss me dei
Sixpence none the richer ♥
Oh, baciami
Sotto il latteo crepuscolo
Portami fuori, sul pavimento illuminato dalla luna
Solleva la tua mano aperta
Attacca con la banda e fai danzare le lucciole
La luna argentea scintilla
...Quindi, baciami.
Credo
di non avere altro da dire, le premesse sono sempre quelle, che piaccia
e soprattutto che non piaccia, fatemi sapere il vostro parere.
bacibacibaci
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Capitolo 29 *** Capitolo 29. ***
Capitolo 29.
-Jared
mi stai stropicciando
il tema.- mormorò Kim all'improvviso.
Lui senza troppa
fretta sollevò leggermente la schiena, quel poco per
permettere al suo stesso
braccio di passare sotto e afferrare il foglio spiegazzato. Lo
osservò.
-Bel tema.
Spiegami solo una cosa.- disse, sollevandosi su un gomito. -Se il
titolo è
“intervista impossibile” cosa c'entro io?- le
domandò con un ghigno.
Kimberly lo guardò
confusa, per poi sbiancare in volto quando realizzò. Mentre
pensava
completamente assorbita dalle nuvolette rosate, aveva riempito una
pagina col
nome di Jared Leto. E ogni tanto spuntava un cuoricino qua e
là.
Dire che arrossì
furiosamente era un eufemismo.
Strinse le labbra,
gli strappò il foglio dalle mani e si alzò di
scatto dal letto, nascondendoselo
dietro la schiena. Come se ciò potesse cambiare le cose.
E per di più Jared
non voleva saperne di levarsi quell'espressione vittoriosa dal viso.
-Smettila.- lo
sgridò lei, sempre più imbarazzata.
-Di fare cosa?-
fece lui innocentemente.
Kim gli diede le
spalle e strinse gli occhi, come sempre quando faceva una figuraccia
simile.
-Non.. non ho
proprio idee. Scrivere temi non è affatto il mio forte.-
Le braccia del
professore la avvolsero all'altezza del collo. -Dai, non devi
imbarazzarti.-
sussurrò con una tonalità di voce talmente bassa
che Kim cominciò a dimenticare
per cosa se la fosse presa. -E' una bella cosa.- la girò
verso di sé, sorridendole.
-E comunque vedrai che entro domani lo finirai.-
-La fai facile
tu.- borbottò lei, ancora immersa nell'imbarazzo. -Possibile
che quando sto con
te faccio sempre la figura della scema?- esclamò coprendosi
gli occhi con i
palmi aperti.
Jared trattenne
una risata. Lei non faceva assolutamente la figura della scema, lei era
impeccabile, sempre. Senza aspettare che si togliesse le mani dal
volto, la
baciò teneramente.
Quando finalmente
Kimberly era sufficientemente assuefatta dalla sua presenza tanto da
uscire da
quello stato di vergogna, lui riprese a parlarle. -Ma scusa, se domani
andiamo
in gita, perchè ti riduci a fare ora il tema?- per quanto
ricordasse, all'epoca
i temi li faceva la stessa mattina della consegna, tanto scrivere per
lui non
era affatto un problema, ma sicuramente non si rovinava il giorno
libero pre
gita.
Questa ragazza
aveva sicuramente qualcosa che funzionava alla rovescia.
Kim sospirò.
-Perchè la consegna è per il giorno dopo che
torniamo, e io so già che la mia
mente sarà ancora completamente persa nella gita per
scrivere questo dannato
tema.- spiegò, tenendo le mani attorno alle sue spalle.
Lui annuì. -E la
valigia?-
Di tutta risposta
ricevette un colpetto sul petto. -La smetti di assillarmi?!-
Si sentiva già
nervosa, come sempre quando sapeva che aveva una miriade di cose da
fare ma
perdeva tempo in tutt'altro e un uomo che continuasse a punzecchiarla
più di quanto
facesse la sua coscienza, era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.
-Mi metto al
lavoro, ok?- chiese stizzita, avvicinandosi al suo armadio. -Ora la
faccio, contento?-
Jared roteò gli
occhi e si accomodò sul letto, osservandola mentre decideva
cosa le sembrava
opportuno portare e cosa no.
L'armadio era
esattamente come se lo aspettava, almeno l'interno. Dal fuori sembrava
l'avesse
rubato alle “Cronache di Narnia” dato che era in
legno e aveva quell'aspetto
spettrale e antico che, tutto sommato, lo affascinava. Il pensiero che
lei entrandovici,
non ne sarebbe più uscita, lo inquietò
leggermente.
Dentro invece
era.. l'armadio più disordinato che avesse mai visto.
Neanche il suo, ai tempi
in cui lo condivideva con suo fratello, era mai stato così
caotico.
L'abbigliamento
era tutto incentrato su colori scuri, che potevano spaziare dal verde
al viola,
dal blu al rosso, ma erano comunque sul dark tone.
-Ripetimi dove
andiamo?- la voce concentrata della ragazza, indaffarata nello scovare
qualcosa
lo risvegliò.
Corrugò la fronte
pensando al fatto che solitamente una gita è la cosa che gli
studenti aspettano
tutto l'anno, che si sa fin dall'inizio. Lei, ovviamente, non se lo
ricordava.
-Manhattan?-
-A New York?-
esclamò Kim, voltandosi verso di lui, quasi sconcertata
quanto lui.
Jared assottigliò
gli occhi. -Kimberly, si può sapere in che universo
parallelo ti trovavi tu
nelle ultime settimane?- non avevano parlato d'altro.
L’alunna arrossì
appena e distolse lo sguardo, tornando all'armadio. -Sai quanti gradi
ci sono?-
deviò la domanda, dandosi -per l'ennesima volta- della
deficiente. Era
seriamente preoccupata per la sua stessa salute mentale. Possibile che
davvero
in queste ultime settimane stesse solamente a vegetare come un automa
in attesa
che qualsiasi cosa che implicasse Jared Leto la facesse tornare in vita?
Era davvero così
patetica? Lanciò un'occhiata all'uomo steso sul suo letto,
ancora immobile a
fissarla con un'espressione criptica, e non le ci volle molto a capire
che era
esattamente così.
A fare un riepilogo
delle ultime settimane tutto quello che le veniva in mente, oltre alle
luuuunghissime mezz'ore in cui sognava ad occhi aperti di stare con lui
nel
tragitto in autobus, erano sprazzi in cui lei pensava effettivamente a
lui e a
quanto ci stesse male.
Meledetto Jared
Leto.
-Ehy..- la
vicinanza della voce dell'uomo la fece voltare di scatto, inondandogli
il volto
con i capelli.
Lui aveva perfettamente
intuito quello a cui stava pensando. Cioè, non esattamente,
ma dalla sua
espressione sconsolata aveva capito che era per la gran parte colpa sua
se lei
era stata così assente per tutto quel tempo.
-Senti Kim.. mi
dispiace.-
-Tu hai la minima
idea se farà freddo?- lo interruppe, come se non avesse
detto niente. Non
voleva che si sentisse in colpa per una cosa simile. Era la sua mente
da
adolescente che quando si fissava con qualcosa, diventava irremovibile.
-No
perchè non sono mai stata fuori dall’Ontario e se
fa più caldo..-
-Seriamente.- la
interruppe il professore, costringendola a voltarsi verso di lui. -Mi
sento
tremendamente in colpa per la confusione che ti ho creato nell'ultimo
mese.-
disse guardandola il meno possibile negli occhi.
Non è mai facile
chiedere scusa, per lui poi, non lo era particolarmente.
-Sono stato un
egoista, ma l'ho fatto per te.- finì.
Kimberly si morse
il labbro inferiore e sorrise leggermente. Sapeva che se era stato
bloccato per
tutto quel tempo era stato solo per non metterla troppo nei casini, ma
purtroppo.. era servito a poco.
-Non fa niente, Jared.-
scrollò le spalle. -L'importante è che tu sia qui
ora.-
Lui ricambiò il
sorriso e rimasero così immobili per qualche istante senza
dire nulla.
-Comunque è un po'
più a sud rispetto a dove siamo ora noi, quindi non fa
più freddo di qua, ma
guai a te se porti indumenti leggeri.- la informò, dandole
un bacio in fronte, per
poi alzarsi e andare a risistemarsi sul letto.
Kim trattenne un
sorriso e tornò al lavoro, ora aveva un'informazione in
più per finire quello
che stava facendo. -Quant'è che stiamo?-
-5 giorni.-
rispose lui automaticamente, senza togliere gli occhi da lei.
-Tu ci sei già
stato, immagino.- non era neanche una domanda, era ovvio ci fosse
stato. Se
vuoi diventare famoso o vai a Los Angeles o a New York, di storie non
ce ne
sono.
-Sì, effettivamente
sì.- annuì, ripensandoci. -Neanche troppi anni
fa.-
-Come è?- chiese
lei piegando un lupetto a maniche lunghe.
-Ti potrai fare tu
stessa un'opinione domani.- rispose facendo spallucce.
-Io voglio sapere
tu cosa ne pensi.- continuò, interrompendo i suoi gesti per
guardarlo. Quando
era così evasivo c'era qualcosa che non voleva farle sapere,
o meglio, qualcosa
che lo disturbava ricordare. Come la storia del lavoro.
Jared sbuffò
guardandosi le mani. A quegli occhi non sapeva proprio resistere. -E'..
bella.
Molto bella. L'unico peccato è il Ground Zero.
Sì, è proprio un peccato che voi
non abbiate fatto in tempo a vedere le Torri.-
Kimberly
assottigliò gli occhi, infilando un paio di jeans nel
borsone. Aveva optato per
qualcosa di più comodo, erano solo 5 giorni. -Cosa ti
è successo lì?-
L'uomo si lasciò
sfuggire un sorriso poco stupito. Era ovvio che avesse capito.
-Sempre se ne vuoi
parlare.- tipica frase cortese ma inutile. Era scontato che lei non
l'avrebbe
lasciato uscire dalla stanza senza sapere la sua storia.
-Ma niente di
troppo importante.. semplicemente non ne ho un grande ricordo
perchè è lì che
ho ricevuto la prima delusione di lavoro.- sembrava chiaro che
non volesse
andare nei dettagli.
Kim rimase un po'
delusa dalla spiegazione scarna. Di solito era più prolisso.
Ma decise di
lasciar correre, magari col tempo gliel'avrebbe anche raccontato.
-Allora a che
punto sei?- cambiò discorso lui muovendo le gambe impaziente.
-Quasi finito!-
esclamò Kim con un sorriso allegro. Non le piaceva fare i
bagagli, specialmente
per il ritorno. Lo trovava noioso e la sensazione che potesse
dimenticare
qualcosa la assillava fino alla partenza, una cosa che non sopportava
perchè
poi, nonostante i controlli scrupolosi, lei dimenticava effettivamente
qualcosa.
Si alzò sulle
ginocchia e portò il peso sulle braccia per schiacciare il
tutto e poi chiudere
la cerniera, senza intoppi. Il lato positivo di avere un padre che
stava sempre
in giro era che l'aveva visto milioni di volte fare una valigia, quindi
era
diventata esperta. E si sa, a forza di vedere o immaginare di fare una
cosa, l'azione
diventa più fluida.
-Fattoo!- si alzò
in piedi e chiuse l'armadio, barcollando appena a causa del tempo che
era stata
inginocchiata.
-Che stai
facendo?- domandò Jared, sollevandosi dal materasso. Kim si
reggeva su un piede
e scrollava l'altra gamba.
-Lascio fluire il
sangue ai piedi, no?-
Lui scoppiò a
ridere, buttando la testa indietro e si lanciò contro di
lei, prendendola si
peso in spalla e poi buttarla sul letto.
Era bello vederlo
allegro, e cosa ci trovasse di tanto divertente non ne aveva idea, ma
di certo
non le importava affatto. Quando poi lui prese a baciarla, poteva anche
crollare il soffitto che lei non se ne sarebbe nemmeno accorta.
-Jared, devo fare
il tema.- disse ridendo, dato che mentre le baciava il collo, la
barbetta le
faceva il solletico.
-Ma che si fotta
anche il tema.- borbottò contrariato, facendola ridere
ancora più forte.
-Ma che scortese
che sono!- esclamò Kim all'improvviso. -Hai sete, fame, vuoi
qualcosa?-
-Sì, per favore.-
il professore alzò la testa, incrociando i suoi occhi. -Che
tu stia zitta.-
sussurrò riavvicinandosi alle sue labbra.
E sta volta Kim
non lo interruppe più.
Qualche
ora dopo
si svegliò, la stanza era completamente vuota e buia. Si
alzò per guardarsi
intorno e scese dal letto, per andare a vedere dove si fosse cacciato
Jared.
Aprì la porta e
notò che i cappotti dei suoi erano sull'attaccapanni, quindi
erano già tornati.
Sarà sgattaiolato
via quando si era addormentata, tra le sue braccia, o si
sarà buttato giù dalla
finestra quando avrà sentito i genitori tornare?
Kimberly
rise
divertita all'idea di lui che si calasse dalla finestra, cosa che
sarebbe stato
perfettamente in grado di fare.
Si cambiò i
vestiti e ritornò sotto le coperte, il letto era ancora
caldo, quindi non fece
troppa fatica ad abituare il corpo. Rigirandosi, udì un
rumore di carta,
come
se ci si fosse rotolata sopra.
-Merda, il tema.-
imprecò, afferrando il foglio e accendendo l'abat-jour sul
comodino accanto.
Sgranò gli occhi
nel notare che c'era qualcosa di diverso: sulla pagina iniziale non
c'erano più
i mille nomi di Jared Leto, bensì il tema che avrebbe dovuto
svolgere, in una
grafia che certamente non era la sua. Lo lesse e sorrise sommessamente
in
alcuni punti, era riuscito a rendere perfino un compito palloso
qualcosa di
carino.
Era un personaggio realmente storico che lei manco sapeva
fosse esistito, le domande sembravano pertinenti e anche le risposte.
Si era
pure preoccupato di scrivere tutto in matita così che lei
potesse poi scriverci
sopra.
Alla fine delle 3 pagine c'era un messaggio: “Te
l'avevo detto che l'avresti finito entro domani! Dormi
bene ragazzina, domani ti voglio attiva e scattante. (; J.”
Per trattenere il
sorriso esplosivo che le si stava
disegnando in volto dovette mordersi le guance.
“Al
diavolo.” pensò, per poi lasciarlo sfogare,
illuminandole
così il volto e tornando a dormire.
Per
quanto le fosse possibile.
Note finali:
lo so lo so lo so non è niente di particolare questo
capitolo tant'è che nonsono neanche riuscita a trovarci una
canzone di sottofondo... va benissimo qualcisasi melodia smielata,
diciamocelo ;)
Coooomuuuunquuueeee non siete tutte esaltate per la carrellata di
capitoli new yorkesi??? I am!
Sapete è un pò che mi girano nella testa delle
idee per delle nuove storie e ne ho in mente due per cui
avrò stra bisogno di fantasia... ma ieri sono riuscita a
scrivere i primi capitoli di quella più difficile!
Sarà davvero un'odissea, già me lo sento. E' il
genere di storie che ti trascina nel limbo della dispierazione non
pensi ad altro.
Aveva ragione chi diceva che "chi scrive, rimarrà solo"
perchè succede che l'irrealtà che è
nella tua testa ti divora e non puoi farci nulla, devi chiuderti in
camera per ore a mettere per iscritto tutte queste idee, e chi non si
trova nei tuoi panni non lo capirà mai; forse voi stessi
leggendo queste righe penserete che mi sia esploso il cervello!
Questa di storia è semplice, carina, fresca.. quella che sto
buttando giù è davvero complessa e spero
vivamente di riuscire ad arrivare al punto di esserne abbstanza
soddisfatta da farvela leggere.
Sarebbe un sogno perché tratterò di tematiche
serie. Spero che l'ispirazione non mi abbandoni.
Ok, basta crogiolarci, ora fatemi sapere cosa ne pensate di qualsiasi
cosa abbia trattato in questa pagina, capitolo e non.
Grazie a todos :)))
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Capitolo 30 *** Capitolo 30. ***
Capitolo 30.
It’s you, it’s you,
it’s all for you
La
mattina giunse più lentamente di quello che si aspettava.
Dopo il risveglio nel cuore della notte le veniva difficile
riprendere sonno, specialmente dopo il gesto di Jared. Quindi, mezz'ora
prima
che suonasse la sveglia del patrigno, decise di preparare il bagaglio a
mano, dato
che sapeva che se non l'avesse fatto subito l'avrebbe sicuramente
dimenticato.
James si stupì quando, bussando alla porta per svegliarla,
la
trovò già in piedi. Solitamente era un trauma per
lui svegliarla, specialmente
se gli orari precedevano le 9 di mattina.
In quel caso erano le 5.30, dato che dovevano trovarsi tutti
in aeroporto per le 6 e il volo sarebbe stato alle 8.
Lei gli rivolse un gran sorriso, non sembrava minimamente
stanca e, contrariamente al solito, gli occhi non erano piccoli e
doloranti dal
sonno che veniva loro strappato.
Come se non avesse proprio dormito. Pensò che fosse la
voglia
di andare in gita, quindi non ci diede affatto peso e
cominciò a prepararsi.
Kim sgattaiolò in camera della madre -che ancora dormiva
profondamente- per salutarla. Quella sarebbe stata la prima volta che
passavano
addirittura 5 giorni separate.
Non pensava sarebbe stato uno shock, ma conosceva Lilian e
sapeva che se non l'avesse salutata le avrebbe reso la gita un'inferno.
La mamma aprì gli occhi di scatto, come l'avesse percepita
nel sonno leggero. -Sei già pronta?- le chiese in un
sorriso, con la voce
stanca.
Kimberly annuì e si sedette accanto a lei nel letto.
-Sì, mi
sono svegliata un po' prima.-
-Ok. Kim sai che mi fido di te..- Lilian cominciò con la
tiritera che la figlia sapeva a memoria, dato che gliela faceva appena
ne
vedeva il bisogno.
-Sì mamma, cosa vuoi che combini? È una gita
scolastica..-
borbottò infatti, insofferente.
-Tesoro è Manhattan.- le ricordò lei. Kim
sbuffò. Perfino sua
madre sapeva la meta e lei non si ricordava neanche di averglielo detto.
-E quindi?-
Lilian sospirò e si tirò su a sedere, decisa a
far cadere
l'imminente discussione inutile. Erano perennemente in conflitto loro
due, come
capita sempre quando hai una figlia adolescente con una frustrazione
radicale
nei confronti del mondo intero.
Le prese una mano. -Solo promettimi che starai attenta.- le
sorrise con gli occhi velati di lacrime.
Quella ragazza era tutta la sua vita.. e se non tutta, una
buona parte era occupata da lei.
E sicuramente in quei giorni le sarebbe mancata la musica che
proveniva dal computer nella sua camera; le sue risposte impertinenti;
il suo
continuo sbuffare “che palle” quando le urlava dal
bagno di andare a rispondere
al telefono. Sì, l'atmosfera sarebbe stata diversa.
Kim dal canto suo non ci vedeva tutta questa tragedia.
Ovviamente, cercava di essere clemente e tentava di capirla, solo che
davvero
non comprendeva tutta questa eccessiva preoccupazione nei suoi
confronti...
probabilmente -sperava di no- l'avrebbe scoperto in un futuro
più anteriore.
-Sì mamma. Non preoccuparti, ti chiamerò tutti i
giorni.-
promise, sebbene l'idea non è che l'aggradasse
più di tanto. Ma pur di sentirla
tranquilla avrebbe fatto quello che poteva. La volta dopo magari le
avrebbe
dato più fiducia.
-Grazie. Divertiti tesoro.- allungò una mano e le
accarezzò
una guancia, con un debole sorriso.
Kimberly però, si scostò quasi subito. Una cosa
che detestava
di quando doveva partire era che tutti si facevano improvvisamente
gentili, quasi
a farlo apposta a toglierle la voglia e in modo da metterle la
malinconia una
volta lontana. Non che questo bastasse a farle saltare la gita, ma
sapeva che
era uno dei viscidi metodi della madre per imprigionarla.
Lo sapeva che non lo faceva di proposito, ma del resto è il
desiderio di tutte le madri che i figli sentano la mancanza della sua
costante
presenza.
Si alzò e uscì dalla stanza con un rapido
“ciao”.
Raccolse i bagagli e, aiutata da James caricò tutto in
macchina.
Passare il suo tempo con James invece, era estremamente
divertente. Probabilmente è vera quella storia che le figlie
legano di più col
padre e i figli con la madre, perchè loro due andavano
davvero d'accordo.
Non era il padre biologico, ma ovviamente lui avrebbe dato
anche la sua stessa vita per Kimberly, esattamente come per Gaya. Era
sua
figlia, almeno un po'. Il suo desiderio più grande per un
lungo periodo era che
lei lo chiamasse “papà” e non
più col nome di battesimo, ma si sa, non puoi
costringere una bambina a fare qualcosa che potrebbe irrimediabilmente
offendere il vero padre. E poi, per rispetto nei confronti dello stesso.
Ma l'aveva cresciuta lui, l'aveva sgridata ed educata lui, soffrendo
per ogni lacrima che le faceva versare da piccola e per ogni litigata
quando
era un po' più grande, quindi in un certo senso se lo
sarebbe anche meritato.
In ogni caso, Kim si sentiva davvero a suo agio a star con
lui, era una sorte di amico, quando erano fuori casa. Lui era sempre
disponibile
e le parlava di tutte le avventure che aveva vissuto da ragazzo,
dandole
consigli di vita. Lei non gli raccontava mai nulla, ma riuscivano lo
stesso a
condividere questo rapporto un po' speciale.
Di lui Kimberly adorava l'umorismo e come riusciva sempre a
rendere l'atmosfera piacevole, anche quando lei era di pessimo umore
per i
conti suoi.
Infatti, non gli ci volle molto per strapparle qualche
sorriso, mentre commentava certi tizi che vedevano per strada e il
viaggio in
macchina fu piuttosto piacevole e rapido.
Quando arrivarono davanti all'aeroporto, Kim intravide alcuni
dei suoi compagni raggruppati a qualche metro e dovette mordersi le
guancie per
non sorridere gioiosamente, nel vedere il professor Leto con le mani in
tasca
che scherzava con qualche alunno.
-Puoi fermarti qui.- disse a James, slacciandosi la cintura e
raccogliendo la borsa.
-Ci sono già persone che conosci?- le chiese guardandosi
intorno e posteggiando la macchina.
-Sì, là ci sono i miei compagni.- glieli
indicò e scese dalla
macchina.
Alzò lo sguardo e si accorse che Jared stava camminando
nella
sua direzione. Deglutì forte, mentre sentiva il cuore che le
accellerava nel
petto.
Kim si avvicinò a James, il quale stava aprendo il
bagagliaio. -Ebbene..- cominciò lei con un sorriso.
-Ebbene.. divertiti, ma non troppo.- le sorrise il patrigno
prendendola per un braccio e tirandola a sé.
-James.. non piangere però.- lo prese in giro lei, sapendo
della sua debolezza. Ogni tanto era troppo sentimentale quell'uomo. -Ma
figurati.- mormorò spintonandola.
Il loro scambio di battute fu interrotto da una voce
terribilmente vicina. -Posso aiutare?- domandò cortesemente
indicando il
borsone che James teneva in mano.
Kim sobbalzò. -Buongiorno professore.- lo salutò
raggiante.
-Oh, questo è lo spirito per cominciare la gita!-
esclamò
lui, seriamente contento che fosse di buon umore.
-Sì, penso che sia il primo giorno da quando è
nata che la
vedo così allegra a un'ora così tragica della
mattina.- scherzò James, dandole
una pacca in testa.
-Io sono Jared.- si presentò il professore porgendogli la
mano. -Il professore di musica.-
-Ah, è lei il professore detestabile! Finalmente ho un volto
a cui associarlo.- disse ridendo il patrigno, stringendogli la mano;
non gli
sembrava affatto antipatico, specialmente per come era gentile nei
confronti
della figlia. Ora capiva a cosa si riferisse Lilian quando era tornata
a casa
dal colloquio, disidratata da quanto aveva sbavato. Storse appena la
bocca, ma era
indubbiamente un ragazzo di bell'aspetto, quindi glielo concesse.
-Piacere, James.-
Ricevette una gomitata nel fianco da Kimberly, seguita da un
occhiataccia. Jared invece rise di gusto.
James le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse a
sé. -Ah questa ragazzina impertinente. Mi raccomando, me la
controlli.- si
assicurò rivolgendosi al professore, il quale rispose con un
sorriso
smagliante. -Non si preoccupi, non le toglierò gli occhi di
dosso un solo
istante, può stare tranquillo.- ed era sincero,
più di quanto il padre potesse
sospettare.
Porse la mano per prendere il bagaglio dalla mano di Kim e
cominciò a camminare verso il gruppo, con Kimberly al
seguito, che però fu
fermata da James, il quale le posò una mano sulla spalla,
pensieroso. -Siamo
sicuri che sia una compagnia affidabile?- le chiese mormorando
circospetto.
Lei roteò gli occhi. -Ciao James.- gli sorrise, dandogli un
bacio sulla guancia e correndo dietro al prof di musica, che si era
fermato a
qualche passo di distanza ad attenderla.
-Non dovevi Jared.- gli disse, una volta al suo fianco,f acendogli
gesto di darle il borsone.
-E' un piacere, non preoccuparti.- le sorrise appena.
-Quindi.. non vado a genio a tuo padre, eh?- aveva sentito quello che
le aveva
appena detto, cosa che lo aveva fatto abbastanza ridere.
Kim si morse il labbro. -Oh, lascialo perdere.. è un
avvocato: sospettare è più forte di lui.-
-Tranquilla..- la interruppe. -Deve aver notato come ti
guardo.- constatò, senza distogliere lo sguardo dal gruppo
che stavano
raggiungendo.
Kimberly lo guardò, rapita da ciò che le aveva
detto. Ma
ormai erano circondati dai compagni, era troppo tardi per aggiungere
qualsiasi
cosa. Fatto stava, che lei fosse arrossita.
Jared le lanciò un'occhiata ammiccante e posò il
borsone a
terra per poi allontanarsi di qualche metro.
Solo quando le fu vicino, Kim notò la presenza della
signorina Rodriguez. Maledizione, ecco chi era l'altro accompagnatore.
Strinse
i denti con forza, lei non era un tipo geloso, ma in quel frangente
avrebbe
tanto voluto che Jared le stesse a debita distanza.
-Ehy Kimmy!- si sentì scrollare una spalla: Gwen,
elettrizzata
come un palo della luce.
-Ciao Gwen, Julia.- salutò lei e la socia che le sorrise
appena, per poi tornare al suo telefono. Con chi poteva messaggiare a
quell’ora
del mattino?
-Allora sei pronta? Io sì!- esclamò. Kim non
poté fare a meno
di notare la valigia.. una vera valigia, di quelle rigide, e sembrava
molto
pesante, come se l'avesse riempita per una gita di 2-3 settimane.
-Gwen, non ti sembra un po' piena?- il bagaglio rosa
accecante sembrava sul punto di esplodere.
La bionda fece spallucce. -E' tutta apparenza, cara. Dentro
c'è ancora molto spazio per un po' di shopping.- sorrise
entusiasta. Kimberly
respirò profondamente all'idea di dover essere scarrozzata
in giro per tutta la
5th Avenue, negozio dopo negozio.
Ma
quando incrociò lo sguardo di Jared, che le sorrise, fu
come sentire una scossa capace di motivarla e quel pensiero non le
sembrò più
un gran sacrificio.
Ore:
7.00
si
trovavano tutti seduti al gate, in attesa che il loro volo
cominciasse ad imbarcare.
C'erano file e file di panchine, i quali seggiolini erano
quasi tutti occupati dalla classe di Kimberly + Profs. Ovviamente i due
professori era ovvio che dovessero stare sempre insieme, se no si
sarebbero
annoiati in un gruppo di ragazzi.. almeno Lola, sicuramente.
Jared ci stava anche fin troppo bene con la classe. In quel
momento ad esempio erano contornati dagli alunni mentre Leto era alle
prese dei
suoi racconti. Kim li osservava di tanto in tanto da lontano, su un
seggiolino
di fronte che dava verso di loro, ma c'era troppa confusione e la
stanchezza
cominciava a farsi sentire, quindi decise che andare a comprare un
libro era
l'ideale.
Mancava ancora un'ora, non si sarebbe di certo persa. Pensava
che avrebbe potuto chiedere a Gwen di controllare la sua borsa, ma
dall'espressione idiota che aveva in volto mentre fissava mr Leto le
fece
assolutamente rivalutare la cosa. Uno sconosciuto a caso avrebbe
perfettamente
potuto andare da lei e chiederle la carta di credito con codice in
prestito,
che l'avrebbe ottenuta senza un misero problema.
Si alzò e cominciò a vagare in quel piccolo
aeroporto alla
ricerca di una cartoleria o qualcosa di simile, che trovò
non molto tempo dopo.
Cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di un buon libro
che potesse tenerle compagnia mentre Jared era impegnato a far da
baby-sitter.
Non le dava assolutamente fastidio, voleva soltanto non essere troppo
appiccicosa nei suoi confronti. Aveva letto da qualche parte che il 76%
delle
relazioni finivano a causa del troppo accollamento di uno dei due al
partner.
Prese in mano un
bel po' di libri, prima di stringere il cerchio a due, tra i quali era
indecisissima.
Uno era un
romanzo, il nuovo romanzo, di Stephen King uno dei suoi scrittori
preferiti in
assoluto.
L'altro invece era
un libro non troppo famoso a cui lei era strettamente legata..dire che
lo
adorava era poco.
-Ragazzina, che ci
fai qui? Sai che non si lascia il gruppo!- ad intromettersi nei suoi
pensieri, ovviamente,
fu Jared. Sussultò, portandosi entrambi i libri al petto
dallo spavento.
-Ehy, cosa stai
leggendo, il Kamasutra?- scherzò, data la reazione.
Lei sorrise
appena. -Perchè sei qua?- gli domandò guardandolo
negli occhi. Non li aveva
ancora notati quel giorno, non erano luminosi come al solito, tendevano
al
grigio.
“Maledetto clima”
pensò Kim, mentre lo osservava.
-Te l'ho detto, non
si lascia il gruppo classe! Tutti per uno, uno per tutti.- disse
prendendole i
libri dalle mani e guardandone le copertine. Era evidente che fosse
alla prima
esperienza in fatto di gita scolastica.
-E se dovessi
andare al bagno? Dovrebbero venire tutti?- rispose abbastanza inacidita.
-No, in quel caso
ti dovrebbe accompagnare Lola.- frase che la fece rabbrividire dallo
sgomento.
Lui sapeva
perfettamente che Kim aveva una sorta di fastidio nei confronti di
quella
donna, lo faceva apposta, ne era certa. Gli diede le spalle, con una
smorfia.
-Non chiamarla così.-
-Così come? Lola?
È il suo nome, Kim!- si difese confuso.
-Sì lo so.. ma mi
sa di intimo, quindi per favore davanti a me non chiamarla in quel
modo.-
gesticolò come animata da frustrazione. Lui sorrise appena,
avvicinandosi
lentamente.
-Che poi che nome
è Lola?- domandò tra sé e
sé. -Cioè, sarai anche latina.. ma ti potevano
chiamare.. che ne so.. Carmen! Sofia! Alejandra! Ma.. Lola!-
esclamò
disgustata.
Sentì
Jared
vicinissimo, il respiro le smuoveva qualche ciuffo di capelli.
-Se non temessi
che qualcuno potesse vederci adesso ti bacerei.- le
sussurrò. -E' tutta mattina
che voglio farlo.-
Lei voltò il viso,
un soffio di vento li separava ora. -Già se ci vedessero
così sarebbe un enorme
problema..- mormorò in risposta lei.
Lo vide indugiare
e sollevarsi ritto, allontanando il viso da quello dell'alunna. -Allora
perchè
ti vedevo tanto pensierosa su due libri talmente diversi?- le
domandò
mostrandole i libri che reggeva fino a qualche minuto prima.
-Perchè..- si
voltò verso di lui. -Quando si tratta di libri sono la
persona più insicura
sulla faccia della terra. Ho sempre paura di pentirmene.-
-Beh io ho la
soluzione.- disse vincente. -Comprali entrambi.-
-Magari, ma no. I
miei mi hanno dato i soldi contati, sai “per
responsabilizzarmi” o qualcosa di
simile..- spiegò facendo le virgolette con le dita e alzando
gli occhi al
cielo. -In ogni caso, sbancarmi in libri non mi sembra il caso.-
-Ok.. allora.. a
te la scelta.- e glieli porse.
-Sai questo libro
era il preferito di mia nonna. Lo avrò letto almeno un
miliardo di volte, ma
non mi stanca mai. L'ho prestato ad una mia amica e..puff, è
scomparso. Lì
dentro avevo sottolineato anche in matita le parti che mi piacevano di
più. Era
forse il libro più spiegazzato che abbia mai avuto.- sorrise
al ricordo.
-Allora prendilo.-
suggerì l'uomo.
Lei scosse la
testa. -No. Prenderò il mio unico amore, Stephen.- disse
solenne, posando con
amarezza il libro a cui era tanto legata tanto, dirigendosi verso la
cassa.
Prese anche un
pacchetto di cicche, tanto per arrotondare il prezzo e pagò
tristemente.
Dopo poco Jared la
raggiunse con un paio di riviste in mano, sostanzialmente musicali.
Come si sarebbe
comportata se fosse stato un professore come un altro? si chiese
mentalmente.
Di certo non l'avrebbe aspettato, quindi optò per il tornare
al gate senza di
lui, se non fosse che lui la chiamò. -Kim aspettami, dai.-
chiese gentilmente.
Se fosse stato un
professore come un altro avrebbe rispettato la sua richiesta,
pensò. Non si
sentiva sotto accusa almeno e se qualcuno li avesse visti poteva dare
questa
spiegazione.
Fare la cosa
giusta in questa situazione si stava dimostrando un vero rompi capo.
Loro non
erano abituati a comportarsi come se fossero perennemente inseguiti, e
la cosa
la metteva a disagio.
Il cassiere infilò
le due riviste, un pacchetto di caramelle e un libro nella busta. Kim
strinse
gli occhi per poi sgranarli e si avvicinò velocemente a lui:
stava comprando il
libro che lei aveva lasciato giù.
-Jared che stai..
non dovevi comprarlo!- esclamò contrariata.
-Perchè no?- fece
lui confuso, prendendo la busta e cominciando ad incamminarsi.
-Cioè non
fraintendermi, è un gesto molto dolce ma.. non dovevi farlo
per me.-
-Infatti l'ho
comprato per me.- disse lui indifferente, prendendo la scatola di
caramelle.
-Voglio capire cosa ti piace tanto, avevi una faccia quando guardavi
questa
copertina.- le sorrise infilandosi in bocca una manciata di confetti.
-Se poi, quando
l'avrò finito, finirà casualmente nella tua
borsa.. è un altra storia.-
A Kimberly una
sensazione di commozione le attanagliò lo stomaco: nessuno
aveva mai fatto
niente di così carino per lei. Lo guardava profondamente
colpita, con un
sorriso che non riuscì a trattenere. Quindi, appena prima di
mettere piede
nella stanza del gate, si guardò bene intorno per
assicurarsi che non ci fosse
nessuno che li conoscesse e prese Jared per una manica, trascinandolo
con lei
in un angolo. Si
appoggiò con la schiena
al muro e lo avvicinò a sé.
-E' la cosa più
bella che potessi fare per me.- gli sorrise grata.
Lui portò una mano
accanto al suo volto e l'appoggiò al muro, mentre con
l'altra le prese il viso
e la baciò.
Uno di tanti modi
per dirle quanto fosse importante per lui.
Everything I do.
Note finali:
ma quanto siamo dolci?? Zio caro, mi sa che ero innamorata persa o ne
avevo un gran bisogno quando ho scritto questa serie di capitoli
cuoricinosi ♥
Ma va bene così, ci piace
l'ammmmòòòréé!
Fatene scorta perchè non si sa quanto durerà OHOHO
A voi piace leggere? Avete un genere? C'è stato un libro che
vi ha cambiato la vita?
Suvvia ogni tanto raccontatemi qualcosa di voi, si sa mai magari vi
sfrutto per un pò di ispirazione ;)
La canzone è Video
Games di Lana del Rey <3 canzone che mi ha
tormentata per mesi e mesi e mesi e dice delle cose tanto belle che non
mi sono sentita di usarla tutta per questo capitolo, la
utilizzerò un pò alla volta.
Questo tratto dice
E' per te, è per te, è tutto per te
qualsiasi cosa faccio.
E lo so in italiano non rende per un cazzo,
però il senso è ttttenero.
Buono io passo e chiudo, la palla passa a voi ;)
xoxoxoxoxo
|
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Capitolo 31 *** Capitolo 31. ***
Capitolo
31.
I got my headset on New York city
I’ll fly away tomorrow
Won’t even miss me
-L'aereo
34056A
per New York sta imbarcando al gate b4.- disse la signorina dalla voce
meccanica, interrompendo i loro “profondi pensieri”.
Jared si staccò da
lei con uno schiocco sonoro a malincuore, accompagnato da uno sbuffo
spazientito di Kim.
-Dai, qualche ora
siamo arrivati e poi avremo 5 giorni tutti per noi.- la
incoraggiò lui, accarezzandole
una guancia.
-Tutti per noi è
una parola. Non avremo uno straccio di tempo per noi Jared!-
borbottò
sconsolata.
-Troveremo il
modo.- le fece l'occhiolino per poi lasciarle un ultimo, rapido bacio.
Si separarono e
camminarono insieme verso la sala del gate, raggiungendo tutti gli
altri, i
quali non si accorsero minimamente che erano tornati insieme.
Forse non si erano
accorti neanche della loro assenza esaltati com'erano dal viaggio che
li
attendeva.
Kimberly si
allontanò da lui, raggiuingendo i suoi compagni che
continuavano a spintonare, ridere
e immaginarsi cosa avrebbero visto. Qualche saputello che ci era
già stato non
tardava ad ammutolirli con delle risposte da persona vissuta, della
serie -Non
è sto granchè, nei film la rendono spettacolare,
ma è una città come un'altra.-
spegnendo un'ondata di entusiasmo in pochi secondi.
Jared intanto era in
fondo alla fila che teneva discretamente d'occhio Kim.
Era stato tutta la
mattina con un occhio puntato su di lei, a controllare che stesse bene
e che
non avesse problemi al check-in o ai controlli.
Si sentiva un
cretino, ma era più forte di lui. Quella ragazza gli stava
terribilmente a
cuore e non riusciva a passare istante senza lanciarle un'occhiata
apprensiva.
-Sai, sono stata contenta
di sapere che eri tu incaricato insieme a me di potare questa classe.-
gli
sorrise l'insegnante di spagnolo, intenta a cominciare una
conversazione.
-Grazie, anch'io
sono contento di essere qua.- rispose riconoscente lui. Era una cara
donna e
sicuramente lui non aveva motivo di avercela con lei. Se mai il
contrario!
Infatti gli sembrò
strano che l’avesse presa così bene. Insomma,
l'aveva illusa come non aveva mai
illuso nessuno in tutta la sua vita e lei non si era minimamente
alterata.
Sarà stata anche
male, ma di certo non gliel’aveva fatto pesare, anzi. Negli
occhi poteva
perfettamente leggerle “hai fatto la tua scelta? Bene,
l'accetto e ci convivo”.
Perfino Kimberly
diventava nevrotica se le faceva un torto, non che fosse una ragazza
dotata di
uno spiccato senso della calma, anzi a ripensare ai battibecchi vari
durante le
sue lezioni non riusciva ancora a capacitarsi di quanto invece stessero
bene
insieme, combaciavano quasi.
-Potremo
conoscerci meglio almeno..- gli sorrise di sfuggita.
Jared inarcò le
sopracciglia. Oh. Si era sbagliato, tanto per cambiare, lui e quel suo
maledetto vizio di credere
ciecamente
nell'esistenza del lato positivo in ogni individuo.
-Lola, io pensavo
fosse chiaro..- cominciò cercando le parole adatte per dirle
di cambiare rotta,
ma lei lo interruppe. -No Jared, non hai capito tu.- accennò
una risata.
-Intendevo dire che siamo colleghi da ormai 6 mesi e non ci conosciamo
neanche!
Sai ci sono certi insegnanti che ti trovano losco..-
intensificò lo
sguardo, rendendo
il significato della parola.
-Tipico.- sbuffò
il professore, distogliendo lo sguardo. Era da sempre stato
così: solamente
perchè lui era una persona alquanto discreta, che non
rivelava mai troppo di
sé, cominciavano a girare le “leggende di
corridoio”. Era alquanto fastidioso, ma
darci peso li avrebbe sicuramente fatti gioire in un certo senso e
avrebbero
vinto loro, quindi non si scomponeva più di tanto, in modo
da mantenere
quell'alone di mistero e la sua personalità. Che si
fottessero pure.
Attirava le masse
in questo modo.
-Diciamo che mi
piace mantenere la mia privacy.- spiegò in sua difesa.
-Certo, non ti
biasimo. Solo che sai.. sembri una persona interessante, secondo me
dovresti
mostrarlo a tutti e non lasciare che dicano certe cattiverie su di te,
sbattendogli
allegramente quello che sei in faccia.-
Jared inarcò le
sopracciglia, osservandola stupito: quella era senz'altro la frase
più lunga
che le aveva mai sentito dire.
-Nah, non mi interessa!
Che pensino quello che vogliono.- fece spallucce. -Decido io chi voglio
che mi
conosca per quello che sono.-
-Sì, lo so.- annuì
leggermente sconsolata. -E trovo che quelle persone siano estremamente
fortunate.-
-Ti assicuro che
non ti perdi niente.- scherzò lui, facendole sollevare lo
sguardo da terra.
Per qualche
istante incrociarono gli occhi e li tennero così, incatenati.
-Eppure io sono
sicura che ti sbagli. Se mi aprissi al tuo mondo sarebbe una grande
conquista
per me.- gli occhi le scintillavano.
Leto notò che
dietro le lenti degli occhiali della donna si nascondevano due grandi
occhi
neri e profondi, quanto quelli di Kim. Ne rimase affascinato per
qualche
secondo, prima di essere risvegliato dall'hostess che gli chiedeva di
vedere la
carta d'imbarco.
Sull'aereo i
posti
furono assegnati un po' a caso. Ma ovviamente, la perenne sfortuna di
Kim volle
che fosse seduta assolutamente opposta a Jared.
E per di più
accanto ad uno sconosciuto, un uomo sulla 50ina, vestito di tutto punto
con la
ventiquattr'ore in pelle nera e cravatta di un colore non troppo
acceso.
“Fantastico” pensò
“questo è il mio primo volo e non potrò
condividere l'emozione con nessuno.”
contemplare il suicidio non le fu difficile in quel momento.
Fortunatamente, il
suo entusiasmo si riaccese quando sentì il motore dell'aereo
prendere vita e
cominciare a muoversi.
Era una sensazione
stranissima, si sentiva tutta vibrare e quando prese
velocità per decollare, si
sentiva elettrizzata come una bambina. Lo stomaco le
sobbalzò seguendo ogni movimento
o turbolenza, le sembrava di essere sulle giostre e fu tanto presa nel
guardare
dall'oblò che il volo durò meno del previsto.
Mentre l'aereo
stava discendendo dalle nuvole, il panorama si faceva sempre
più vivo. I
grattacieli erano così immensi che era sicura se le avessero
permesso di
allungare la mano sarebbe riuscita a sfiorarne una vetrata.
Nessuno di loro
ebbe problemi di alcun genere, i bagagli arrivarono tutti e il pullmino
che
avevano prenotato si era presentato puntualissimo.
Ovviamente, Jared
le era stato accanto per tutto il tempo con la scusa del bagaglio
troppo
pesante, così ebbero anche occasione per scambiare due
chiacchere.
Nonostante tutti
gli sforzi però, Kimberly si sentiva prepotentemente
infastidita
dall'affiatamento che mostravano i due professori. Quasi come se Lola
fosse
riuscita a trovare la combinazione per far scattare la molla dentro
Jared, una
molla capace di attivare un meccanismo automatico in lui: Kim lo
chiamava il
“rapimento”. Non lo faceva apposta, ma quando in un
qualche modo riuscivi a
conquistare la sua attenzione, lui trovava il modo di rapirti e tutto
quello
che facevi o pensavi girava attorno a lui. Questo lo rendeva ancora
più amabile
e attrente -già, poteva anche esserlo più di quel
che era normalmente, purtroppo-
e lo stargli lontano diventava quasi impossibile.
Era una cosa che
avevano in comune: tendevano a “fagocitare” chi
stava loro intorno.
Per esempio, quando
Kim aveva un compagno di banco diverso, specialmente se era uno di
quelli con
cui conviveva, senza aver mai avuto un gran rapporto, bastava starci
qualche
ora, perché per i mesi successivi diventassero molto uniti.
Le era successo
così con Gwen.
In questo momento
ad esempio, Kimberly notò che Jared guardava la signorina
Rodriguez e stava
sorridendo. Uno di quei sorrisi che le faceva sempre una certa
impressione, in
grado di ammutolire o ravvivare una folla.
Si sentiva
declassata e questo le faceva terribilmente male.
Ma era a New York,
non poteva permettersi di rovinarsi la vacanza per colpa
dell'incredibile
fascino dell'uomo che le piaceva e dell'effetto che questo aveva a chi
gli
stava intorno.
Sul furgoncino
stette per i cavoli suoi, con l amusica nelle orecchie e lo sguardo
perso nel
paesaggio che le si presentava davanti. Era magnifico.
Specialmente
quando arrivarono nell'isola di Manhattan. Le si spalancò la
bocca: i
“grattacieli” che era solita vedere nella sua
piccola città, in confronto erano
casette di campagna.
Dire che era tutto
enorme era un eufemismo. Per poco si scordò anche del
problema-Rodriguez, ma
purtroppo fu proprio lei a picchiettarle nella spalla per dirle che
erano
arrivati all'albergo.
Con un sospiro, si
fece coraggio e scese, accompagnata dalle urla e dalle risate dei suoi
compagni
in estasi.
Entrarono nella
hall, sembrava un gran bell'albergo. Anch'esso si limitava intorno ad
una
centinaia di piani, ma andava bene così.
Si avvicinò a
Jared che, con l'aiuto di altri compagni maschi, svuotavano il
bagagliaio. Il suo
glielo porse proprio lui, con un sorriso.
Quando tutti
entrarono, i due professori si avvicinarono al bancone della reception
e
cominciarono a distribuire le chiavi delle camere.
Kim era rassegnata
al dover condividere la camera con Gwen e Julia, ma non ci diede troppo
peso.
La receptionist
era una donna sui 30 ed era completamente rapita dagli occhi limpidi
del suo
professore, tanto che spesso non riusciva a non lanciargli
un'occhiatina anche
quando non era per niente necessaria.
-Ecco, questa è
per voi.- disse con un sorriso sciolto, porgendo a Jared la chiave
della
camera.
Lui ricambiò
confuso. -Perchè una sola?- lanciò un'occhiata a
Lola.
-Deve esserci un
errore.- constatò non troppo contrariata quella di spagnolo
all'idea di poter
condividere la camera con Jared Leto.
-Noi non siamo una
coppia, siamo colleghi.- precisò lui piccato, la donna ne fu
immediatamente
mortificata, ma Kimberly poteva giurare di averle visto una luce di
sollievo
negli occhi.
-Oh, perdonatemi
pensavo..- si scusò, cercando un'altra chiave.
-Che stessimo
insieme?- azzardò Jared. -E magari questi sarebbero i nostri
25 gemelli
completamente diversi.- esclamò indicando gli alunni che
guardavano la scena
divertiti.
In effetti quella
doveva essere parecchio fusa, pensò Kim, avvicinandosi a
prendere la chiave
della loro camera.
Gwen e Juls si
erano avvicinate all'ascensore, quindi fece per raggiungerle, ma subito
Jared
la fermò per un braccio, facendo segno a tutti di aspettare
un istante.
-Ok, ragazzi. Sono
le..- si guardò l'orologio da polso. -2 pm. Vi diamo un'ora
e mezza di riposo?-
disse a mo' di domanda guardando verso miss Rodriguez, la quale
acconsentì con
una scrollatina di spalle. -Ok, quindi alle 3.30 ci troviamo qua.-
sorrise, dando
il via alla corsa verso le camere.
Nella confusione
nessuno notò che lui si girò verso Kimberly e le
sussurrò ad un orecchio -694.-
accompagnato da un sorriso.
La ragazza non
fece neanche a tempo a realizzare che fu trascinata a forza dentro una
cabina
in cui erano contenuti 2000 kg, tra studenti e bagagli. Stavano davvero
stretti, stentava a credere che l'ascensore riuscisse lo stesso ad
adempiere al
suo lavoro.
Le mancava
l'ossigeno che scorresse fino al cervello lì dentro,
infatti, solo quando
uscirono comprese: era il numero della sua stanza.
And
I’ll get a big boyfriend
Just to piss you
off
Note finali: hello
hello hello people! eccoci con l'aggiornamento giornaliero, rendetevi
conto, ci abbiamo messo due mesi spaccati per arrivare
a questo punto!! Quelle merveille!
Bontà divina non ho detto un cacchio in questo capitolo
ahah, mi rendo conto che dovrete pazientare un pò
però ne varrà la pena, ne vedrete delle belle ;)
La canzone è
Headset di Avril Lavigne e, avete presente quelle canzoni
che quando le ascoltate vi viene da pensare che sono state scritte
appositamente per voi?
Ecco, questo è il mio caso! Amo questa canzone che, lo so,
non centra un beneamato cavolo col capitolo ma pensando alla parola New
York è l'unica che mi è venuta in mente ahaha
tornando a bolla, è proprio bella, leggera, sa di
libertà e di sogni irrealizzabili.
Ho la testa a New York
volerò via
domani
non sentirete neanche la
mia mancanza
e mi troverò
un gran ragazzo
solo per farvi incazzare.
Eeeeeeh
quanti ricordi!ok,
il mio tempo è scaduto, mi raccomando fatemi sapere
qualsiasi cosa ne pensiate, vostre sensazioni, pensieri, opinioni,
previsioni.
tutto è perfettamente accetto!
besitos
♥
|
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Capitolo 32 *** Capitolo 32. ***
Capitolo
32.
Walked
into the room, you know
You made my eyes burn
You so fresh to death and sick as ca-cancer
Improvvisamente
sentì una scarica di emozione attraversarla dalla testa ai
piedi. Velocemente
guidò le sue compagne di stanza lungo gli interminabili
corridoi, seguendo i
numeri in ordine crescente. Sul lato destro di uno trovarono la stanza
indicata
dalla loro chiave-tessera e vi entrarono.
Aperta la porta, rimasero
a bocca aperta. Almeno Kim; non sapeva se le altre due fossero abituate
al
lusso più sfrenato.
Era dalla forma
oblunga, nel centro regnavano 3 Queen Beds con le lenzuola di un colore
che
sfociava nell'oro, intonato alle tende e alla tappezzeria. C'era un
tavolino
vicino al finestrone su cui poggiava una macchinetta per il
caffè e di fronte
ai letti un televisore al plasma, situato sopra al minibar.
Appoggiarono i
rispettivi bagagli a terra e si lanciarono sui letti.
-Oddio, venite a
vedere qua!- strillo Julia da una stanzetta accanto che doveva proprio
essere
il bagno.
Ridendo lei e Gwen
si avvicinarono alla voce dell'amica: si trovava nel centro della
toilette, guardandosi
attorno, meravigliata. -Ci sono anche gli accappatoi!-
esclamò entusiasta.
Kimberly sospirò, sollevata.
Almeno non si sentiva l'unica a non aver mai visto niente di simile.
Tornarono nel
punto centrale della stanza, e quando Kim constatò che erano
entrambe occupate
a far qualcosa di decisamente concentrante, decise di imboccare la
porta.
-Ehy, dove vai?-
le chiese Gwen, spuntando con la testa da dietro la sua immane valigia.
-Non
vuoi cambiarti?-
“No, Gwen, io non
mi cambio 16 volte al giorno.” voleva dirle, ma si trattenne
e diede una
semplice scrollata di spalle.
-Prima voglio
andare un attimo a esplorare l'albergo. Sembra molto... intrigante.- e
senza
aspettare risposta ne uscì, chiudendosi la porta alle
spalle. Con una certa
fretta si mise alla ricerca dell'ascensore, sia mai che una delle due o
entrambe, decidessero di unirsi a lei.
Una volta in
ascensore, azzardò al piano che per lei poteva essere quello
di Jared, ma
dovette riprovare due volte, quando si accorse che le cifre delle
camere erano
ancora troppo basse.
Al terzo tentativo
si ritrovò davanti alla camera 680, quindi uscì.
“< 681-689 -
690-700 >” dicevano le indicazioni, così
voltò a destra e quando si trovò davanti alla
694, fece un respiro profondo, dandosi
una sistemata ai capelli, e bussò.
Subito udì dei
passi felpati avvicinarsi e la porta si spalancò, mostrando
un Jared Leto a
torso nudo.
Dato che Kim non
sembrava volersi muovere dallo stato catatonico, lui allungò
un braccio e la
tirò dentro a forza, sbattendo la porta.
-Ehy ma che
modi..- brontolò la ragazza, guardandosi intorno per
distrarsi. Se la sua
stanza l'aveva trovata bellissima, in confronto a quella di Jared era
niente.
Che invidia.
-Scusa, ma non ti
muovevi!- si difese lui alle sue spalle.
-Non è colpa mia
se tu vaghi allegramente senza la maglia.- disse camminando verso il
finestrone
centrale che dava su un palazzo egualmente immenso.
Poteva scorgere degli
uffici dai vetri delle finestre e distingueva nettamente le persone al
suo
interno. -Insomma, metti che fosse arrivata la cameriera.. o magari la
tua
amica Lola.- borbottò con una smorfia.
Guardando in basso
vedeva le macchine e taxi gialli sfrecciare avanti e indietro, piccole
come
macchinine giocattolo per bambini.
-Ok, se tanto ci
tieni mi rivesto. Mi stavo solo cambiando Kim, non farla tanto lunga.-
sospirò
prendendo una maglietta a caso dalla valigia aperta e facendo come per
indossarla.
Lei si voltò
confusa, colpita. Le sembrava un po' seccato. Gli si
avvicinò e gli circondò il
collo con le braccia, prima che potesse vestirsi. -Jared, stai bene?-
gli
domandò preoccupata.
Lui non esitò a
portarle le mani sui fianchi e a stringerla a sé, con un
lieve sorriso. -Sì, ora
sì.- e si chinò a baciarla, buttando sia lei che
se stesso sul letto.
-Solo che sai..
questa città mi mette una sorta di angoscia.- disse cupo,
guardando fuori dalla
finestra.
-Io la trovo
bellissima.- sospirò Kim a pancia in su,vguardando nella sua
stessa direzione.
-Ne sono
contento.- sorrise,vportando il viso sul suo collo dove prese a
baciarla e a
inspirare profondamente. -Come è andato il viaggio?- le
chiese poi.
-Meglio di quanto
pensassi. Era la mia prima volta!- esclamò entusiasta.
-Davvero? Ed eri in
parte a quel vecchio marpione!-
Lei corrugo la
fronte, non si era lasciato scappare quel piccolo dettaglio. -Ma quale
marpione, non ci siamo neanche rivolti il saluto.-
-Se, tu non hai
visto le occhiate che lanciava alla scollatura della tua maglietta.-
disse
guardandola negli occhi.
-Perchè, tu sì?-
gli chiese divertita.
-Certo, io noto
tutto. Sono un buon osservatore, ricorda.- le sorrise gongolante.
Kim non trattenne
una piccola risata e gli portò le mani nei capelli,
scostandoglieli.
-A te invece? Come
è andato il volo?- alludeva al suo rapporto con la sign.na
Rodriguez e di
quanto si fossero avvicinati.
Lui non se ne
accorse, ovviamente. Fece spallucce -Un volo come un altro. Un'altra
ora della
mia vita lontano da te.-
-C'era Lola, dai.-
lo punzecchiò lei.
Jared si lasciò
scappare un sorriso e roteò gli occhi. -Non sarai gelosa?-
-Chi io? Mai stata
gelosa nella mia intera esistenza. È solo che.. sai, non sei
l'unico che sa
osservare.-
-Cosa intendi?-
chiese, sollevandosi su un gomito.
Lei si alzò dal
letto. -Ricordi quando ti ho detto che tu sembri il diavolo? Che sei in
grado
di far fare tutto quello che vuoi alle altre persone?- lui
annuì. -Ecco, lei ne
è totalmente succube. Più di tutte le altre,
forse perfino più di me! Sono
sicura che se le chiedessi con quel sorriso smagliante di buttarsi
fuori dalla
finestra della sua camera d'albergo, lo farebbe senza rimorso.-
incrociò le
braccia al petto. La infastidiva parecchio quel che aveva appena detto,
ma del
resto con Jared era così: non dirgli quello che pensava
sembrava impossibile e
lui lo sapeva e ne traeva vantaggio, il più possibile.
L'uomo si sporse e
le prese le mani, per poi portarla di nuovo, dolcemente, sul letto
accanto a
lui.
-Tu sei succube di
questa mia capacità?- sorrise sornione, fingendo innocenza.
-Solo un po'.-
fece il segno della misura con l'indice e il pollice, distogliendo lo
sguardo.
Un moto di
tenerezza si espanse in lui che, infatti, portò una mano sul
viso dell'alunna
in modo da riportare gli occhi nei suoi e perdercisi dentro. Niente da
fare, quelli
di Lola non gli avrebbero mai e poi mai fatto lo stesso effetto.
Seguirono una
serie di minuti in cui tutto quello che si poteva udire in quella
stanza erano
i loro baci, i loro sorrisi e sospiri mescolati.
-Sarà meglio che
vada..- sussurrò Kim a malincuore, lanciando un'occhiata
all'orologio da polso
di Jared.
-Di già?- si
lamentò, tenendola più stretta.
Lei poggiò la
testa sul suo petto nudo, le sembrava così pesante in quel
momento e quello era
l'unico posto in cui poteva sentirsi protetta dai mille dubbi e dai
mille
pensieri.
-Le mie compagne
mi daranno per dispersa..- constatò, dato che era in giro da
3 quarti d'ora.
-Eddai, che ti
importa. Resta ancora un po'.- non gli servì stringerla
ancora più forte a lui,
perchè il suo tono di voce aveva già fatto centro
nella debolezza di Kim. Non
che se ne volesse andare davvero, ma ci teneva sul serio a non
rompergli troppo
l'anima con la sua costante presenza, quindi non voleva farsi vedere
troppo
presa. Gli afferrò una mano e cominciò a
rigirarsela tra le dita, osservandone
ogni più piccolo dettaglio.
Chissà quante col
quale era stato si erano dimostrate totalmente abbindolate da questo
suo
ascendente, standogli perennemente incollate addosso.
Lei già non poteva
sopportare che lo facessero a lei, figuarsi essere lei stessa a farlo
ad altri.
La sua personalità
aveva questo problema, tra le varie cose: quando si rompeva di
qualcuno, tagliava
i ponti e il motivo principale era proprio il fatto che le persone le
stessero
appiccicate.
Che poi era tutto
un controsenso. Lei sapeva di monopolizzare le persone, sapeva di avere
questo
carisma, o qualità che non sapeva definire, che attraeva la
gente, rendendola
interessata a lei e le piaceva anche. Sapere che le persone
diventassero come
dipendenti da lei le faceva piacere, le dava importanza. In aggiunta
pensava
che probabilmente questo suo fare solitario, questo suo costante
bisogno di
starsene per i cavoli suoi di tanto in tanto, attirasse ancora di
più l’attenzione.
Era pronta a scommettere che era grazie a quello stesso motivo che ora
si
trovava lì nel letto accanto a Jared, era sicuramente
così che l'aveva
accalappiato.
E poi, quando si
rendeva conto che la persona tale ci teneva eccessivamente, o
cominciava a imitarle
i modi, le abitudini o anche solo il gergo, chiamarla tutti i giorni o
a
pretendere che parlasse solo con lei, si stufava e cominciava ad
ignorarlo.
Sapeva che era un
atteggiamento davvero poco responsabile e sensato, ma era
più forte di lei.
Preferiva chiuderci piuttosto che arrivare ad odiare quella persona.
Potevano toccarle
tutto, ma non la libertà. Era sua e almeno in quel piccolo
spazio non voleva
intoppi. La libertà, la giustizia e l'onestà
erano le uniche tre cose per cui
valeva la pena di combattere e mandare avanti un'esistenza. Sarebbe
stata
pronta a morire in loro nome, chi era in grado di togliertele aveva di
conseguenza
il potere di condannarti a morte. Almeno, questo era il suo parere.
Un sospiro al suo
fianco la risvegliò da quel prolisso filo di pensieri e
quando incrociò gli
occhi finalmente azzurri di Jared, capì una cosa molto
semplice ma allo stesso
tempo estremamente illuminante: improvvisamente le cose per la quale
sarebbe
morta anche subito erano quattro, non più tre.
Il volto del suo
professore si ammorbidì in un sorriso. -A cosa stai
pensando?- le chiese in un
sussurro. Era stato tutto il tempo a fissarla persa nei suoi deliri
interiori, senza
lasciarsi sfuggire un singolo istante, un semplice battito di ciglia,
un
leggero movimento facciale.
Quella ragazza era
semplicemente uno spettacolo per le sue iridi celesti.
Chissà in quale diamine
di pensiero stava arrovellandosi la sua mente per prenderla
così tanto da non
accorgersi minimamente di essere osservata a un palmo dal suo stesso
naso.
Certe volte lui
desiderava di possedere una concentrazione/distrazione simile. Non ne
era di
certo in grado.
Ma proprio quando
lei cominciò a pensare a cosa rispondergli, bussarono alla
porta.
Entrambi si
sollevarono di scatto, guardando in direzione dell'ingresso. -Vado ad
aprire.-
disse velocemente Jared, senza neanche pensare di nascondere Kim, del
resto se
fosse stata la cameriera cosa mai gli avrebbe potuto dire? E
perchè avrebbe per
forza dovuto entrare in stanza?
Neanche Kimberly
diede più di tanto peso alla cosa, se non per un piccolo
dettaglio. -Jared! La
maglietta!- gli rammentò, lanciandogliela in piena faccia.
Con un sorriso lui
se la infilò velocemente per poi aprire. La signorina
Rodriguez che lo guardava
sorridente lo colse di sorpresa. -Lola!- esclamò per poi
chiuderle la porta in
faccia.
Fece un
rapidissimo gesto a Kim di nascondersi, la quale eseguì
senza ribattere, nascondendosi
dietro al letto. Fortuna che gli aveva ordinato di indossare la
maglietta, se
no era sicura che quella sarebbe svenuta.
Sentì Jared aprire
la porta, di nuovo. Lola era ancora lì, sconcertata dal
comportamento del
collega.
-Jared? Tutto
bene?- chiese, leggermente turbata.
Lui si appoggiò
con un braccio allo stipite senza far svanire quel sorriso
indifferente. -No, scusa
è un tic nervoso.- inventò su due piedi, senza
preoccuparsi che la balla
reggesse.
-Certo.. allora, facciamo
il piano della giornata?- domandò entusiasta, estraendo una
cartina e vari
opuscoli di luoghi che potevano andare a visitare.
-Non ci serve
quella roba.- disse lui sicuro. -Io qua c'ho vissuto anni, so io dove
portarvi.-
Kim drizzò le
orecchie. C'era stato così tanto?
-Sì, ma sarebbe
opportuno che facessimo per lo meno una scaletta, con gli orari, le
pause per i
ragazzi, che chiamassimo per vedere se sono aperti, dove, come e
quando..-
cominciò a sbrodolare parole senza freno.
L'uomo mise le
mani in avanti, prendendola per le spalle, dato che questa mentre
parlava
faceva del suo meglio per farsi largo e entrare.
-Senti Lola, la
mia camera non è nelle condizioni giuste. Facciamo in camera
tua tra un minuto,
ok?- visto l'imminente pericolo, gli
era sembrato giusto
cedere.
Lei sorrise tutta
soddisfatta e si allontanò, per tornare da dove era venuta.
-685!- gli urlò.
Leto si chiuse la
porta alle spalle con un sospiro. -Uff, l'abbiamo scampata.-
Kimberly riemerse.
-Già, c'è andata bene.- disse avvicinandosi a
lui. -ci vediamo tra circa
mezz'ora, allora.- gli sorrise e gli diede un semplice bacio a stampo,
imboccando
la porta.
Jared fu sorpreso
che non gli avesse fatto alcuna storia per il fatto che ora sarebbe
andato in
camera della collega, da solo. Diceva la verità quando si
definiva non gelosa.
-Ah, e tieni le
mani a posto, chiaro?- rise, facendogli l'occhiolino, per poi sparire.
And I know that love is mean
And love hurts
But I still
remember the day we met
in december
Note
finali: eccoci col nuovo capitolo!
Non ho niente da dire oggi! Sarete tutte basite ma davvero è
stata un giornata.. prosciugante e non mi perderò in
chiacchiere per vostra immensa fortuna ;)
La canzone non c'entra una cippa di
niente col tutto, lo so, ma mi piace molto e avevo voglia di questo
tono un pò provocante e malinconico.
E' Blue Jeans
di Lana del Rey
Sei
entrato nella stanza
E hai fatto infiamare i
miei occhi
Così
dannatamente bello
e pericoloso come il
cancro (non saprei come altro tradurla per rendere il
senso)
So
che l'amore è meschino
e fa male
ma ricordo ancora il
giorno in cui ci siamo incontrati
E
niente, that's it! Fatemi sapere, spero abbiate gradito :)
|
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Capitolo 33 *** Capitolo 33. ***
Capitolo 33.
So let me know
just how to take this
cos you're way too cold.
Now show me before it breaks me.
Did you come here to watch me,watch me
burn?
Alle
3.30 precise, Kim fu costretta a trascinare le altre per non permetter
loro di
far troppo tardi.
Le
conosceva e il ritardo per loro era di norma.
Sarebbe
scesa da sola in caso, non le importava poi molto di stare in loro
perenne
compagnia, quindi raggiunsero gli altri e Gwen le diede una pacca,
facendole
notare che mancava ancora metà della classe e le aveva messo
fretta per niente.
Kimberly
scrollò le spalle e si avvicinò a Joe e amici,
tutti maschi, quindi il paradiso
per lei.
Preferiva
di gran lunga gli amici maschi,non ti facevano star male inutilmente e
se
avevano qualcosa da dirti lo dicevano, senza troppi problemi.
In
più non erano stronze puttanelle pettegole, il che era solo
un vantaggio.
-Kim!-
la abbracciò Joe, facendo partire un abbraccio di gruppo.
Sì,
ci stava proprio bene con loro.
Quando
i professori si furono accertati che non mancava nessuno, uscirono
dall'edificio.
Come
prima cosa, decisero di far dare una rapida occhiata alla
città ai ragazzi, prendendo
il “New York Sight Seeing”, il pullmino rosso a due
piani che avrebbe permesso
ai ragazzi di scoprire e vedere velocemente le strade più
importanti, in caso
si fossero smarriti nel tempo libero.
Esatto,
ci sarebbe stato un tempo libero e, dato che la metà di loro
era ormai
maggiorenne, i professori li avrebbero fatti circolare senza problemi.
La
lingua la sapevano, ognuno aveva un biglietto da visita dell'albergo e
una
cartina, perdersi non era esattamente così facile in una
città in cui si danno
indicazioni come a battaglia navale.
Si
misero tutti in coda, una coda che dopo poco diventò
lunghissima, come se
avessero lanciato una moda. Kimberly notò la presenza di un
immenso omone nero
con un cappello altrettanto grande argenteo sulla testa, che faceva da
intrattenitore.
Andava da ognuno delle persone in fila chiedendo il proprio nome e
intonando un
pezzo rap con quel nome.
Fortunatamente
non fece a tempo a raggiungerli e salirono sul pullman, riempito quasi
completamente da loro.
Joe
le propose di andare a sedersi allo scoperto, nonostante il freddo e
Kim
accettò, non le importava quanto freddo poteva esserci, era
sicura che una cosa
del genere non le sarebbe ricapitata troppo presto.
Quasi
tutti i compagni presero il loro esempio e si sedettero tutti nel piano
superiore,
professori compresi.
C'era
una guida che stava in piedi davanti a tutti e distribuiva le cuffiette
per
sentire bene quello che diceva, mentre indicava e spiegava i vari
edifici.
Era
un uomo simpatico, di mezza età, dalla battuta sempre pronta.
Ogni
tanto, mentre il mezzo era in movimento, era costretto ad abbassarsi,
dato che
rischiava di essere colpito da un semaforo proprio sulla nuca.
Alla
fine del giro i professori furono molto soddisfatti di vedere che era
stata una
gran scelta quella del pullman, dato che ora ciascuno degli alunni li
implorava
di andare a vedere qualcosa.
Jared
improvvisamente capì che la scelta di Lola di fare una
scaletta delle giornate
era stata un'ottima idea, se no a questo punto neanche lui avrebbe
saputo dove
sarebbe stato meglio condurli.
Fecero
una breve pausa, dato che i ragazzi agognavano del cibo e poi si
rimisero in
marcia, camminando in direzione dell'Empire State Building, dove li
avrebbero
fatti salire e vedere bene la città dall'alto.
Tutti
erano a conoscenza dell'Empire per essere l'edificio su cui saliva e
moriva
King Kong, ma nessuno aveva mai pensato che ci sarebbe andato un
giorno, salvo
alcuni.
Erano
molto elettrizzati all'idea, Kim compresa. Stava perennemente a naso in
su a
guardare tutti quei palazzi infiniti. Se non ci fosse stato Joe al suo
fianco, sarebbe
andata a sbattere ripetute volte contro i passanti e abitanti.
Il
cielo era abbastanza limpido, ma la temperatura davvero troppo bassa
per
pensare di avere caldo.
Si
strinse nel cappotto nero respirando a fondo: una nuvoletta di respiro
condensato le uscì dalle labbra. -Ehy, hai freddo?- le
chiese gentilmente Joe, allargando
un braccio e stringendola a sé.
-Solo
un pochino.- rispose timidamente lei. -Allora, come ti vanno le cose,
Joe?-
domandò
per muovere un po' la faccia che rischiava di gelarsi.
-Tutto
bene, grazie.-
-Ti
senti meglio riguardo a..?- ad essere sincera non si ricordava neanche
il nome
della ragazza che l'aveva lasciato, non ricordava neanche che
gliel'avesse detto.
Fortunatamente
lui comprese. -Oh, sì, sì. Purtroppo la mia
richiesta di ripensarci è stata
bocciata, ma ormai è passata. Nonostante quella ragazza per
me fosse molto, ho
capito che non era tutto.-
Kimberly
rimase affascinata dalla risposta. -Non ti facevo così
poetico.- lo prese in
giro, ridacchiando.
-Beh,
ogni tanto lo sono anch'io.- rispose con un sorriso.
-Ragazzi
tutto bene?- in quel momento nella loro conversazione si intromise il
professore di musica, il quale, vedendo Kimberly così
incollata al suo amico, pensò
fosse troppo stanca o non stesse bene.
-Sì,
professore.- dissero in coro i due. Oh, stavano semplicemente comodi
così.
Un
moto di rabbia gli scaldò lo stomaco.
-Avevo
semplicemente un po' di freddo.- gli spiegò Kim, dato che
aveva intuito cosa ci
fosse dietro a quello sguardo ghiacciato.
Lui
annuì senza dir niente e tornò agli affari suoi.
Quando fu abbastanza lontano
Joe lo guardò storto. -Tu piaci a quel professore.-
sibilò.
Kimberly
sgranò gli occhi levando la testa per guardarlo in faccia.
-Ma cosa dici?- esclamò
stizzita.
-Ogni
volta che mi volto a guardarlo il suo sguardo è puntato
nella tua direzione; è
sempre così apprensivo nei tuoi confronti e quando ci vede
insieme sembra che
abbia qualcosa in contrario. Cioè, sembra un pedofilo!-
spiegò rabbioso.
Lei
lo guardò infastidita. -Joe, smettila. È un
nostro professore, non puoi
parlarne in questo modo. Solo è un po' protettivo nei miei
confronti perché
sono tra i pochi non ancora maggiorenni e quindi penso sia ovvio mi
tenga
sott'occhio, come farà di certo con tutti gli altri. Ogni
tanto sembri
paranoico..- lo difese Kim a spada tratta, raggirando la cosa mettendo
in
questo modo Joe sotto accusa.
-E
tu lo difendi un po' troppo per essere il professore che detesti.-
commentò
guardandola di sottecchi.
Kimberly
sbuffò pesantemente. Doveva trovare il modo di uscirne. -Ho
passato più tempo
con lui ultimamente, per farmi recuperare la sua materia. E sono giunta
alla
conclusione che non è così male una volta che lo
conosci.- disse fingendo
indifferenza.
-Sarà..-
sospirò lui, deciso a chiudere l'argomento ma non a lasciar
perdere.
Di
poche cose era stato sicuro nella sua vita, e che quei due avessero
sotto
qualcosa era una di quelle.
*
La
visita finì intorno alle 6 e gli studenti scesero tutti in
fila da
quell'immenso grattacielo con la testa pesante dalle troppe
informazioni
raccolte sulla cima.
Incredibile
a dirsi ma all'ultimo piano c'era una stanza -completamente aperta
dalle
finestrone- in cui davano in prestito quella sorta di telefono da cui
avevano
ascoltato tutta la storia dell'edificio, di Manhattan e non solo.
La
voce registrata che parlava era una donna che viveva lì da
tutta la vita e nel
spiegare le varie cose, metteva anche un po' del suo, ad esempio
parlando del
Central Park disse che era solita portarci i figli da piccoli, e sempre
uno di
questi figli doveva essere un pompiere o qualcosa di simile,
perchè
nell'attentato alle torri fu uno dei primi ad essere accorso.
Quante
cose di potevano imparare in una sola giornata? Kimberly si sentiva
piena per
il momento.
Tutti
insieme decisero di passare per l'hotel a darsi una sistemata prima di
uscire a
cena. Quella sera sarebbero tutti andati a cenare insieme, poi
avrebbero avuto
il tempo libero per andare a folleggiare per locali.
Gwen
e Juls sembravano in perfetta forma, si vestirono il più
elegante che poterono,
pur rimanendo consce di essere in compagnia dei professori, quindi
senza
sfociare nell'esagerato. Mentre Kimberly optò per rimanere
sul casual, cioè
quindi maglietta a collo alto, jeans stretti e stivali alti.
Niente
che non avrebbe messo in qualsiasi occasione e quando raggiunsero gli
altri, la
maggioranza sembrava della sua stessa idea. Il comfort veniva prima.
Andarono
all'Hard Rock Cafè, sotto precisa richiesta dei maschi
vogliosi di schifezze.
Kimberly
non era mai stata in un Hard Rock, quindi non sapeva neanche cosa fosse
di
preciso, semplicemente l'aveva sentito nominare o visto scritto sulle
magliette
dei suoi coetanei.
Quindi
non c'era da stupirsi se quando entrò ne rimase affascinata.
C'erano
teche appese alle pareti con dischi, chitarre e mise autografate dai
grandi del
rock, c'era una macchina appesa al soffitto, schermi giganti
sintonizzati su
canali prettamente di musica rock e camerieri abbastanza squinternati
che
viaggiavano tra i tavoli servendo piatti pieni di roba.
Tutti
si fiondarono a trovare posto, mentre i professori li guardavano
sorridenti.
Sembravano
i genitori, sinceramente contenti per l’entusiasmo che gli
alunni ostentavano.
Sembrava li stessero guardando con orgoglio e soddisfazione.
-Sei
sicura di voler mangiare qui?- domandò tranquillamente Jared
alla sign.na
Rodriguez. -Se vuoi ti posso portare da un'altra parte, non
c'è problema.-
Magari
non si sentiva a suo agio a mangiare certe porcherie, essendo una donna.
-Ma
stai scherzando?- gli rivolse un'occhiata sconvolta. -Era un secolo che
non
venivo in un Hard Rock!- lo prese per mano e presero posto in un tavolo
per
due,
circondati dai ragazzi.
Lui
la guardò colpito. Stava scoprendo molti aspetti
inaspettatamente positivi
della personalità di Lola. Le serviva un rifiuto per
aprirsi? Decisamente
bizzarro.
Quando
ordinarono lei gli rivolse un sorriso allegro. -Mi fa sentire giovane
tornare
in questo posto!-
Lui
la guardò storto. -Parli come se avessi 87 anni!-
-Più
o meno. Ne ho 35!- scherzò lei, facendolo ridere. -No, solo
che ogni volta che
ci sono venuta ero con amici e so solo che non ricordo come si sono
concluse le
varie serate.-
Jared
inarcò le sopracciglia. Non ce la vedeva proprio fare certe
follie quella
donna. Aveva tutta l'aria dell'innocente che non si azzardava mai a
bere un
bicchiere di alcol. E invece..
Cominciarono
a parlare del più e del meno, specialmente di fatti che
riguardavano lei. Lui
sembrava parecchio interessato, infatti, la riempiva di domande alle
quali
rispondeva quasi posseduta dalla logorrea.
Quando
portarono i piatti che avevano ordinato, lei si stupì nel
notare che lui era
riuscito a trovare la cosa più salutare che poteva esserci
sul menù.
-Dimmi
di te, invece.- azzardò infilzando un pezzo di carne con la
forchetta.
-Insomma, chi è Jared Leto?- intensificò lo
sguardo.
-Sei
sicura di volerlo sapere?- chiese lui, assottigliando gli occhi come
lei, con
quel fare misterioso.
-Senza
dubbio.. ad esempio, mi stavo chiedendo come fai a sembrare esattamente
l'opposto di quello che sei?-
la
guardò confuso. -Cosa intendi?-
lei
indicò il suo piatto con la forchetta. -Ti facevo un
carnivoro. O almeno un
uomo con un po' di gusto!- scherzò.
Jared
sorrise. -E invece no. Sono vegetariano, non fumo e non bevo.-
spiegò brevemente.
-Ovviamente non lo sono sempre stato, ma un giorno ho aperto gli occhi
e.. ho
pensato che la vita fosse troppo breve per godersela solamente grazie a
certi
vizi e la maniera più facile per apprezzarla il
più a fondo possibile fosse
vivere più a lungo. E per far questo serve la salute.-
Lola
lo osservò attentamente, colpita. -Ecco svelato il segreto
dell'eterna
giovinezza.- disse squadrandolo. Insomma, aveva qualche anno in
più di lei ma
ne dimostrava 10 di meno. Era alquanto fastidioso, dato che essendo
donna un
minimo di vanità voleva averla. Lui le toglieva anche quello.
-Sì,
e non è proprio un segreto dato che i genitori ce lo dicono
fin dalla nascita.
Solo che noi siamo troppo caparbi per dar loro retta.- bevve un sorso
d'acqua.
-Se i nostri alunni avessero una tale illuminazione probabilmene
sì che il
futuro sarebbe un posto migliore.-
-Invece
è così che va la vita. Quando te ne rendi conto,
sei troppo vecchio.- sorrise
la collega. -Quindi è questo che nascondi a tutti? In
realtà sei un brav'uomo
che tiene alla vita e all'ambiente.-
Jared
scrollò le spalle. -Sì, probabilmente
sì.-
Kimberly
intanto guardava la scena da lontano, con un moto di tristezza che
sguazzava
allegramente al suo interno. Più i due prendevano
confidenza, più sembrava che
il tavolino si stringesse. Si avvicinavano l'uno all'altra, spesso
facevano gli
stessi movimenti senza rendersene conto e Jared le sembrava veramente
sereno.
Tutti
segni di due persone che vanno estremamente d'accordo tra loro, mentre
invece
quando lui stava con lei, sembrava perennemente assalito dall'ansia che
qualcuno potesse scoprirli o comunque come se ci fosse un intoppo tra
di loro.
Era
davvero giusto tenerlo prigioniero così? Magari sarebbe
stato meglio lasciarlo
andare.
Che
poi lasciarlo andare dove? Loro non erano una coppia ufficiale, anzi.
Sembravano più una cosa da scappatella nei bagni pubblici.
Ora
un senso di disgusto la assalì. Stavano addirittura
canticchiando insieme una
canzone che passava al momento sul canale.
E
lui sorrideva, sorrideva come neanche con lei faceva.
Deglutì, voltandosi verso
il suo compagno.
-Joe,
ragazzi, andiamo?- propose, infilandosi il cappotto.
All'istante
tutti la imitarono, pronti per andare a far un po' di baldoria.
E
così, Kim uscì di scena, non dicendo
assolutamente nulla perfino quando vide
Lola prendergli la mano.
Come all the way down
and watch me burn.
Note finali: sono
alquanto perplessa.
Non capisco se il capitolo vi ha fatto schifo per qualche motivo o se
ci siete rimaste male che non ho sparato un pò delle mie
stronzate nell note ahah.
Nel primo caso, gradirei più di qualsiasi altra cosa qualche
delucidazione, nel senso, il perchè vi abbia fatto tanto
cagare almeno cambio qualcosa, o in futuro provvedo.. boh davvero,
avrei seriamente bisogno di critiche, non credo di essere
chissà cosa!
Nel secondo caso invece, non allarmatevi! sono sempre qua e
sparerò sempre le mie 4 stronzate XD
Ovviamente sto scherzando, non mi aspettavo sinceramente 0 commenti su
60 visite, ma pace&amen spero di invogliarvi con questo magari
:)
Attenderò qualche risposta nel mentre mi sfonderò
di chiacchiere (zio caro che buone) (ma tra poco vomito quindi meglio
smetterla) e mi eserciterò per quel BIP di esame di
informatica.
ps: a voi da fastidio se ogni tanto scappa qualche parolaccia?
Confesso, sono una persona abbastanza scurrile, anzi al limite del
disumano a dirla tutta, mentre per iscritto cerco di contenermi senza
troppo successo x)
La
canzone è dei nostri amatissimi Three days grace, Burn e non so
perché ho inserito questa canzone, ma ho preferito lasciarla
come nell'original version
Fammi
sapere come devo prenderla
perchè sei fin troppo freddo
mostramelo adesso, prima che mi distrugga
Sei venuto qua per guardarmi, guardarmi bruciare?
Vieni fino in fondo e
guardami bruciare.
Ok,
questo è, spero almeno oggi di ricevere un minimo di
considerazione :)
xoxoxox
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Capitolo 34 *** Capitolo 34. ***
Capitolo
34.
She is
everything and more
The solemn hypnotic
My doll you're bathed in possession
She is home to me.
Lola
Rogriguez stava stringendo il palmo aperto del collega tra le sue,
scrutandone
le linee della mano. -Ecco, vedi? Questa è la linea della
vita.- disse
indicandogliela col polpastrello. -E' molto lunga, mi sa tanto che ci
seppellirai tutti, vecchio mio!- esclamò divertita la donna.
Jared
nel frattempo la osservava interessato. Passare il tempo con questa
persona si
stava rivelando meglio del previsto. -Fai anche la chiromante?- chiese
deliziato. Era la prima persona che glil'avesse mai proposto e per di
più
poteva predisporre del servizio gratis.
Fece
spalluccie. -Solo come hobby. No, neanche sinceramente. Una volta mi
sono
informata così, per curiosità e ora leggo le
mani.- rispose allegra. -Questa
invece è la linea del cuore. Devia sul medio, vuol dire che
sei una persona
molto altruista Jared.- spiegò concentrata. -Questa invece
è la linea della
mente. Mh, è staccata da quella della vita, vuol dire che
sei scemo!- rise di
gusto, trascinando anche Leto.
-Oh,
ma guarda!- indicò proprio sotto all'anulare. -Questa
piccola linea viene detta
“dell'artista”. Non tutti la possiedono e non
sempre è perfettamente disegnata,
ma la tua sì.- gli sorrise quasi più entusiasta
di lui.
Poi
gli chiuse la mano a pugno, osservandogli il lato. -Queste linee
indicano gli
affetti. Quelli che stanno sopra la linea del cuore sono gli affetti
più
importanti della tua vita, sia passati che presenti. Guarda ce
n'è uno che è
molto profondo.. passato o presente?- gli domandò con quella
luce ammiccante
negli occhi.
Immediatamente
gli venne da pensare a Shannon. Era l'unico che valesse una ruga tanto
profonda
nella sua mano.
-E
sotto ce ne sono altre due, una più marcata dell'altra.
Sotto la linea del
cuore ci sono i figli!-
Ok,
gli stava rivelando un po' troppo della sua vita, si sentiva sotto un
riflettore; quindi estrasse la mano dalla sua, prima che potesse
contarne le
linee che sarebbero stati i suoi ipotetici figli.
-Ecco,
i figli anche no!- ribatté provocandole una risata accesa.
Alzò
lo sguardo pensando di trovarci Kimberly, insomma l'ultima volta che
aveva
guardato era proprio in quel punto e invece ora il tavolo era vuoto.
Prese a
guardarsi intorno, preso da un moto di preoccupazione. -Cerchi
qualcuno?- gli
chiese Lola imitandolo, sull'attenti.
-No,
no.- le sorrise scrollando la testa. -Andiamo?- cominciò a
mettere il cappotto
e andò alla cassa, pagando immediatamente per entrambi,
senza darle il tempo di
ribattere. Gli aveva fatto passare una buona serata e si era rivelata
una bella
persona, interessante e spiritosa.
-Jared!-
si lamentò lei, ma l'uomo prontamente le portò
una mano dietro la schiena e la
guidò verso l'uscita. Lola sentì immediatamente
il cuore balzarle in gola.
Quello forse era il primo contatto diretto che lui aveva mai avuto con
lei di sua
spontanea volontà.
Una
volta fuori infilò le mani nelle tasche del giubbino. -Bene,
ora dove si va?-
chiese, sperando che la cosa non finisse lì. Già
si immaginava loro due
passeggiare insieme a Central Park, o in un locale a bere qualcosa -di
analcolico
se necessario- e magari non dover dormire separati.
Ma
tutto ciò si rivelò semplicemente una fantasia,
perchè Jared le rivolse uno
sguardo assonnato. -Scusa, ma mi sento davvero devastato. Ti ho mai
detto che
soffro d'insonnia?- le disse, iniziando un discorso, mentre li
indirizzava
verso l'hotel.
Miss
Rodriguez cercò di fingere che non le importasse affatto di
questa opportunità
che le aveva negato e lo seguì, facendosi interessata
all'argomento. Qualsiasi
cosa usciva da quella bocca valeva la pena di essere ascoltata.
-No,
davvero?- disse seria, fissandolo completamente inebriata dal racconto
di
Jared. Non lo conosceva troppo bene, ma per quanto ne sapesse c'era
qualcosa
che lo tormentava, come se il parlare di una stupidaggine a caso
potesse
distrarlo dalla preoccupazione.
Ogni
volta che un gruppo di ragazze gli passavano accanto, lui le squadrava
tutte,
ma non in modo volgare -per l'amor di Dio, erano adolescenti.-
semplicemente
come se stesse cercando qualcuno.
Il
tragitto fu troppo breve per i gusti della donna, in men che non si
dica si
trovavano già nella hall dell'albergo di fronte
all'ascensore. -Tu non sali?-
gli chiese notando che si stava dirigendo alla reception. -No, voglio
controllare chi dei nostri è già salito e far
mettere la sveglia, dato che non
abbiamo nemmeno fatto a tempo a dire loro a che ora ci si ritrova
domani, che
si sono defilati senza una parola.- cosa che, tecnicamente, era vera ma
non era
l'unico motivo.
Era
il volto di Kim che gli martellava nella testa, e lo spettro della
preoccupazione
gli stava addosso come fosse una ventosa. Voleva semplicemente
accertarsi che
stesse bene.
Lei
acconsentì e chiamò l'ascensore. -Allora.. a
domani.- sorrise.
-Buonanotte,
Lola.- ricambiò con un sorriso grato per la giornata
piacevole. La guardò
finché le porte non si chiusero e il mezzo non se la
portò via.
Si
avvicinò al bancone della reception ed eseguì le
azioni che aveva detto avrebbe
fatto. Solo una camera era stata occupata di nuovo, gli altri 23 alunni
erano
ancora per le vie della città.
Sperava
sinceramente che non si stessero realmente divertendo troppo, ok che i
controlli a New York erano degni di lode e sotto i 21 anni non
permettavano a
nessuno di bere, ma si sa che non si era mai troppo attenti.
Fece
mettere la sveglia telefonica in ciascuna delle stanze dei ragazzi e
poi si
sedette su una poltroncina vicino all'ingresso, attendendo colmo di
ansia di
scorgere il viso di Kimberly, soddisfatta e pronta a sorridergli.
Kimberly
e i suoi amici stavano camminando per le strade buie della
città.. oddio, più
che camminare stavano barcollando.
Avevano
trovato un locale, probabilmente dove le persone lavoravano in nero,
perché non
si fecero troppi scrupoli riguardo l'effettiva età dei
giovani e offrirono loro
tutto quello che chiedevano.
In
principio Kim stava in disparte, troppo presa a piangersi addosso per
la sua
immane sfortuna di avere una professoressa così bella e un
professore
altrettanto attraente che si attirassero a vicenda.
E
per di più, lei era cotta persa di quest'ultimo. Una sfiga
immensa.
Ma,
quando le immagini nella sua testa si fecero sempre più
prepotenti e la sua
immaginazione cominciò a vagare in troppi dettagli, decise
di lasciarsi
trasportare dagli inviti dei suoi compagni e buttar giù
qualche bicchiere.
-Vieni
Kim, prova questo, ti sentirai subito meglio.- gli offrì
Chase, un compagno
biondo, il migliore amico di Joe.
-Sì,
affoga i pensieri nell'alcol, per stasera non vogliamo vedere
despressione!-
rise Brian, il quale era già un po' brillo e continuava a
porgerle bicchieri su
bicchieri.
Lei
diede loro retta e cominciò a dissetarsi, ingoiando a forza
quelle bevande
misteriose e tanto forti da lasciarle un'espressione disgustata in
volto. Ma
passò presto, perchè più beveva,
più si rendeva conto che si sentiva meglio e
tutto quello che la circondava era solo divertimento e alcol.
I
suoi pensieri si confondevano nella mente, non riusciva neanche
più a dare un
nome agli oggetti che vedeva, i colori divennero sfocati e
più accesi, i tavoli
e le persone presero le stesse sembianze, e nella sua testa non c'era
niente
che potesse richiedere troppa della sua concentrazione.
Perciò capì che non
desiderava altro: sentirsi di nuovo così.
-Kim,
forse è meglio se ti dai una calmata.- asserì
Joe, levandole di mano l'ennesimo
bicchiere.
-Oh,
piantala di rompere.- si lamentò, spingendolo via. Ne
passarono ancora molti di
bicchieri colmi, prima che si decidessero ad uscire da quel locale.
Quindi
ora erano in 4 a vagabondare per le strade sconosciute di New York City.
I
suoi tre amici erano abbastanza allenati con l'alcol, per cui erano
semplicemente alticci, mentre Kimberly era quella messa peggio.
Rideva
come un'ossessa e doveva essere costantemente retta da qualcuno, onde
evitare
di finire a gambe all'aria.
-Cristo
ragazzi, ve l'avevo detto di andarci piano!- li rimproverò
Joe reggendola per
la vita.
-Ma
smettila Joe, non vedi come si diverte?- risero gli altri, lanciando
qualche
battutina per farla ridere ancora di più. Era
così fuori che stava in apnea fin
troppo, a furia di ridere.
-Kimberly,
come ti senti?- le chiese, temendo che potesse sentirsi male. Conosceva
i
sintomi delle sbronze e sapeva che dopo il divertimento iniziale c'era
il
malessere, specialmente se non eri abituato e per quanto ne sapesse,
lei non
era una gran bevitrice.
-Sto
una favola, smettila di tastarmi!- lo spinse via, con fare molto
precario e ,infatti,
dopo qualche passo incespicò e cadde dritta in terra.
Scoppiarono
tutti a ridere, lei compresa e si affrettarono a raccoglierla dal
marciapiede
come una buccia di banana.
-Quanto
hai detto che manca?- domandò Brian a Joe.
Quest'ultimo
si guardò intorno. -Solo un isolato, avanti Kim.- la prese
tra le braccia e la
tenne stretta, deciso a non farla cadere per almeno i prossimi 100
metri.
-Dici
che ho esagerato?- gli chiese, circondandogli il collo con le braccia e
appoggiando la testa sul suo petto con gli occhi chiusi, mentre muoveva
le
gambe automaticamente.
-Diciamo
così..- rispose sorridendo lui. Gli faceva sempre un certo
effetto sentirla
vicina, così tanto vicina.
-E'
che.. lui e lei.. il modo in cui si guardano.. lui starebbe dieci mila
volte
meglio con una come lei, io sono troppo, boh, che ne so..strana..
ahahahah. O
piccola. No, non sono troppo giovane, è lui che è
fissato. Io sto così bene con
lui.. ma lui no, lo so, cazzo. E poi sono anche ubriaca.. mi
prenderà in giro
perchè dirà che
sono una ragazzina stupida.- borbottò, alternando risate e
mugolii.
Joe
non diede troppo peso a quello che stava blaterando, la missione da
compiere
era di arrivare interi a domani mattina, possibilmente senza far
accorgere i
professori di niente.
Fece
proprio a tempo a chiudere questo pensiero, che entrarono nella hall
dell'albergo.
La
porta d'ingresso era girevole, quindi ce ne misero un po' prima di
riuscire a
capire da che parte girase e come si potesse uscirne.
Ma
quando, tra le risate e le urla, ne uscirono, si ritrovarono faccia a
faccia
con Jared Leto, che sembrava appostato lì proprio ad
aspettarli.
Joe
e Chase, ancora piegati dal ridere, si ripresero all'istante e nello
spavento
lasciarono andare Kimberly, la quale, cadde piatta come se le gambe le
fossero
diventata improvvisamente molli.
-Professore!
C-che ci fa qua?- gli domandò Chase balbettando.
Lui
si alzò dalla postazione e camminò senza fretta
verso di loro. -Proprio per
controllare che non succedesse qualcosa di simile.- disse severo e si
chinò
sull’alunna, ancora accasciata a terra che rideva
sommessamente.
Le
scostò i capelli dal viso accarezzandole una guancia, con
una delicatezza spaventosa.
Joseph,
ovviamente non si lasciò scappare questo dettaglio, e
cominciò a guardarlo in
cagnesco, serrando la mandibola.
-Kimberly,
stai bene?- le chiese dolcemente. -Sono io.-
-Gesù?-
chiese sollevando il capo.
-Qualcosa
di simile..- sorrise Jared, prendendola per un braccio e aiutandola ad
alzarsi.
-Jared
mi fa male tutto..- mormorò appoggiandosi a lui con la
fronte davanti agli
occhi ancora spaventati dei compagni. Loro erano troppo terrorizzati di
finire
nei guai e sapevano perfettamente che era completamente fuori, per
questo
motivo non fecero minimamente caso a tutta questa confidenza.
-Tranquilla
ragazzina, tra poco starai meglio.- la rassicurò per poi
lanciare
un'occhiataccia ai ragazzi -Cosa avete combinato?-
“Ragazzina?”
pensò distrattamente Joe, ricordandosi le parole confuse che
gli aveva detto
poco prima la sua migliore amica. Strinse gli occhi e lo
guardò attentamente, controllando
bene come si comportasse nei suoi confronti.
-Niente,
ha alzato un po' il gomito! Per favore, non ci spedisca a casa!-
piagnucolò
Brian, congiungendo le mani in segno di supplica.
-Andate
nella vostre camere. Ci penso io a lei.-
-No,
ci penso io.- si avvicinò Joe, preso da un'improvvisa paura.
Quello era pazzo, aveva
21 anni in più di lei e la guardava come se fosse la sua
promessa sposa. Non
gli piaceva per niente come si comportava con lei. Fece un passo
avanti,
provando a prenderla, ma Jared la ritrasse.
-Hai
fatto abbastanza. Tutti in camera vostra, per sta volta
chiuderò un occhio.- il
suo tono non ammetteva repliche, infatti, tutti tranne Joe, si
avvicinarono
all'ascensore con la testa bassa.
Joe
e il professore restarono un lungo momento a fissarsi. L'uomo avrebbe
dato
molto volentieri una fracca di calci a quell'irresponsabile di un
ragazzo che
ora lo stava polverizzando con lo sguardo.
-Joe,
muoviti!- lo chiamarono dall'ascensore i compari, facendogli segno di
camminare. Se avesse fatto girare i 5 minuti a Leto ne avrebbero
risposto tutti
e a loro non andava proprio di terminare la gita così
presto. Il ragazzo
cedette per primo, e si allontanò entrando nell'ascensore in
cui rimuginò nella
sua testa le parole senza senso che gli aveva detto Kim mentre la
trasportava.
Non le aveva meorizzate tutte, ma quelle che ricordava potevano
perfettamente
essere ricollegate a Jared Leto.
Sperò
con tutto se stesso di sbagliare.
I get nervous, perversed when I see her , to
worse.
But
the stress is outstanding.
Note finali:
Bonjours mes amies :)
Noto con grande piacere che lamentarsi per una volta ha riscosso
successo ahah!
Anyway, quanto mi piace aver scritto questo capitolo, non so mi
diverte. Sinceramente non sono mai stata conciata tanto male in vita
mia e spero neanche voi
ma va beh, sono le stronzate che si fanno e va benissimo
così.
Allora, cosa ne pensate? Chi sarà il primo degli
"antagonisti" che capirà di questa tresca? Joe?
Lola? Gwen? James? La preside? Nessuno?
Chi indovina riceverà tanti cuoricini ♥ :)
Allora, tornando a bolla, la canzone è degli Splipknot e si
chiama Vermillion.
Per me sono TROPPO come band, cioè seriamente urlano,
saltano, sclerano, si incazzano, indossano quelle maschere terrificanti
(ahah) ma questa canzone (sia la part 1 che la part 2) è LA
MORTE mia.
(Ovviamente sono gusti, non sto in nessun modo cercando di insultarli o influenzare le vostre menti.)
Davvero, la citerei tutta perchè racchiude quel connubio di
romanticismo/incazzatura che mi piace tanto. Quell'amore che
diventa ossessione e possessione, quando non pensi ad altro e nel
frattempo ti girano i coglioni perchè non vuoi che questa
persona sia così onnipresente dentro di te. Eh.
Non
fateci caso ;)
Lei
è tutto e di più
Solenne e ipnotica
La mia bambola bagnata di possessioni
E' casa mia.
Divento perverso, nervoso
e quando la vedo
è peggio
Ma lo stress è
sbalorditivo.
Ok,
direi che è tutto e vorrei tantitantitanti giudizi sia
positivi che NEGATIVI. Grazie cento :)
xoxoxoxo
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Capitolo 35 *** Capitolo 35. ***
Capitolo
35.
I never
meant to start a war
You know, I never want to hurt you.
Don't even know what we're fighting for.
Jared
prese di peso la ragazza e la trasportò verso l'ascensore.
-Jared..
mi sa che non mi sento molto bene.- mormorò Kimberly con
voce soffocata.
Sentiva un dolore lancinante allo stomaco e sapeva che non avrebbe
retto troppo
a lungo.
-Non
preoccuparti Kim, ci siamo quasi.- le fece coraggio entrando nella
cabina e
premendo il tasto che indicava il suo piano. -Resisti.-
finalmente
raggiunsero la meta e una volta dentro lei si distese sul letto
stringendosi le
gambe al busto.
-Oh.
Giuro che non toccherò mai più un bicchiere di
gin tonic in vita mia.- si
lamentò abbracciandosi al cuscino e nascondendovi il volto.
Si sentiva come su
una barca a remi nel bel mezzo di una tempesta, sofferente di mal di
mare.
Una
sensazione peggiore non poteva di certo esistere. Forse era un metodo
di
tortura nel medioevo, per far pentire dei loro peccati quelli che
venivano
considerati eretici. Li ubriacavano e poi gli ridevano addosso quando
la
sbornia doveva smaltirsi.
La testa sembrava
volesse esplodere da un
secondo all'altro facendo schizzare gli occhi fuori dalle orbite e lo
stomaco
continuava a contorcersi come se si volesse ribellare e farle sputare
fuori
tutto quello che aveva mangiato nell'ultima settimana.
-Fallo
smettere ti prego.- lo implorò, senza sollevare a testa.
Lui
le si sedette accanto, sfilandole il cappotto, mentre lei si contorceva
dal mal
di pancia. Sapeva come ci si sentiva, e in questi casi o doveva dormire
o
vomitare, ce n'erano poche di scappatoie.
-Ah
no, tu sul letto in cui dovrò dormire io non ci stai.-
disse, prendendola per
un braccio ed accompagnandola verso il bagno. Quando accese la luce,
lei si
separò da lui bruscamente, quasi finendo nella vasca. Era
troppo bianco quel
bagno, era accecante e le recava solo dolore in più.
-Jared,
sono morta?- gli domandò con un tono allucinato, quando la
afferrò, aiutandola
a recuperare l'equilibrio.
-Cosa?-
le rispose divertito. Adorava far parlare le persone quando erano in
questo
stato, non rispondevano più di quello che dicevano.
-E'
tutto così bianco e tu sei qui... e hai quei maledetti occhi
d’angelo di
sempre.- spiegò con un sorriso stupido Kim, mentre Jared la
scortava vicino al
water.
Quando
la poggiò a terra lei buttò di nuovo la testa tra
le gambe, rincagnandosi nel
suo dolore.
-Ma
si può sapere cosa ti è saltato in mente? Ma io
non lo so..- brontolò il
professore sommessamente, scostandole i capelli dal viso.
-Ti
prego almeno tu non ti ci mettere. Mi sto già pentendo a
sufficenza, mi sto
pentendo così tanto che ne basta per tutte le mie 9 vite.-
borbottò.
-Sei
un gatto?-
-Mi
piacerebbe.-
-E
perchè?-
-Perchè
i gatti sono così morbidi, indipendenti...e non bevono
alcol.- disse, stringendosi
le mani attorno alle tempie. -Preferiscono il latte.-
Jared
rise, quasi deciso a scrivere tutte le stupidate che stava dicendo su
un
foglietto e prenderla in giro per il resto della sua vita.
-Brutto
stronzo.- esclamò poi, come se gli avesse letto nel pensiero.
Lui
sussultò. -Che ho fatto?-
-Io
sto così per te!-
-Me?
Io non ho fatto niente! Non c'ero neanche, se no fidati che ora
staresti
dormendo beatamente non sul punto di sboccarmi sul pavimento.-
-No,
è colpa tua. Tua e di quella razza di immigrata..- ma non
fece a tempo a finire
la frase che un conato la fece alzare da terra e attaccarsi con le
unghie alla
tazza.
Fortuna
che aveva i capelli raccolti in una coda, disordinata, ma pur sempre
una coda.
Il
sollievo che provò l'istante successivo alla scarica,fu
davvero come se si
fosse trovata in paradiso. Jared le accarezzò la schiena,
portandola a sé.
-Meglio?-
-Oh
sì. Non stavo così bene da.. l'ultima volta a
casa tua.- confessò, arrossendo
un po'.
L'uomo
sorrise facendole appoggiare la schiena contro il suo petto e le
lasciò un
bacio tra i capelli.
-Sei
tornata più lucida di quanto mi aspettassi.-
scherzò.
-Non
ci giurerei.- ora si sentiva solamente molto stanca. -Che ore sono,
Jared?-
Lanciò
la solita occhiata al fido orologio da polso. -Le 4 meno un quarto. Ti
consiglierei di attendere ancora almeno un'ora prima di andare a
dormire, però.
Sai, questa calma non dura troppo.-
-Ti
odio, mi stai rovinando il momento.- disse, appoggiandosi meglio contro
di lui
e chiudendo gli occhi. La testa le girava terribilmente.
-Mi
stai riempiendo di parole dolci stasera ,eh?- notò
sarcastico. -Allora mi vuoi
spiegare cosa intendevi prima? Davvero ti sei ridotta in questo stato
per causa
mia?- fece un po' di pressione per scostarla da lui in modo da
guardarla in
faccia. Kimberly non oppose resistenza.
-Beh,
no. È colpa mia se sto così, tu non c'entri
nulla.- rimangiò in un secondo
tutto quello che aveva maledetto l'intera serata.
Jared
le lanciò un'occhiata eloquente, deciso a capire cosa si
celasse dietro quel
gesto assurdo, perchè sapeva che era sincera. Come si dice?
In vino veritas.
La
ragazza fece spalluccie. -Sono solo una stupida ragazzina, Jared.
Lasciami
perdere.- mormorò disgustata da se stessa, scostandosi da
lui.
-Perchè
dici così?- la trattenne deciso.
-Perchè..
vi ho osservati oggi, te e miss Rodriguez. E ho notato come sei sereno
quando
c'è lei nei paraggi.- spiegò brevemente.
Lui
roteò gli occhi. -Kim, tu sei solamente..-
cominciò, nell'intento di
rassicurarla.
-...sicurissima
di quello che dico.- finì per lui. -Ok, magari non
saprò cosa circola nella tua
testa, anche in questo preciso momento tu mi sembri solo un grande
punto di
domanda!
Ma
ti conosco, Jared e riconosco certe tue reazioni. Stai bene con lei.-
Il
professore sbuffò. -Sì, ok, ci sto bene. E con
questo?- era un crimine, forse?
-E
ti piace..-
-..sì.-
confermò, sebbene questo creasse un varco di dolore nel
petto di Kim.
-Ecco,
non vi serve altro.- sorrise tristemente.
-Tutto
questo è assurdo.- sbottò lui, non capendo dove
volesse arrivare.
-No
che non lo è! Tu e lei potreste.. sì, ecco, hai
capito.- concluse, senza dire
niente di preciso. Il solo pensare alle parole che le circolavano
vagabondanti
nella testa le faceva male, pronunciarle sarebbe stato sicuramente
peggio.
L'uomo
sorrise scuotendo la testa. -Ascoltami ragazzina. Lola è una
brava donna, ok, mi
piace e mi piace star con lei, sarò franco con te. Ma questo
non toglie che con
te ci stia meglio e tu mi piaccia di più.- le
spiegò lentamente, in modo che
non potesse perdersi dei passaggi.
Già
Kimberly lo guardava con occhi socchiusi e vedeva sfuocato di suo,
parlarle
animatamente non avrebbe sicuramente migliorato la situazione.
-Tu
non mi segui..- mormorò lei desolata. -Non ti rendi conto di
quanto sarebbe più
salutare e sicuro se tu frequentassi una come lei?-
Jared
sospirò, stringendo i denti. -Kimberly, rimandiamo questo
discorso a quando
sarai lucida. Hai sparato abbastanza stupidaggini per stasera.- il tono
era
duro e tendente all'irato.
Si
stava arrabbiando, seriamente.
-No,
Jared io voglio farlo adesso questo discorso, perchè quando
sarò lucida non
riuscirò ad affrontare una cosa simile.-
-Perchè
mi stai dicendo tutto questo, Kim?- alzò la voce.
-Perchè
ci tengo troppo a te!- esclamò, quasi sull'orlo delle
lacrime. -Forse avevi
ragione riguardo alla troppa differenza di età.- la voce le
tremava.
La
guardò con occhi colmi di scetticismo. -E tu vieni adesso a dirmi una cosa simile?-
sibilò scattando in piedi e
allontanandosi dalla stanza da bagno. -Adesso vieni a dirmi che avevo
ragione
quando ti dicevo che era meglio non cominciare questa cosa?-
Alla
ragazza diede fastidio come aveva definito così volgarmente
quello che erano.. cosa.
Si
alzò da terra, decisa a seguirlo, ma le gambe non ne
volevano sapere di
collaborare, quindi dovette farsi forza e con le braccia aggrapparsi a
tutto
quello che le era possibile per raggiungerlo.
In
cuor suo non voleva perderlo ma... forse era meglio così.
Il
professore era di spalle, guardava fuori dalla finestra con le braccia
appoggiate sui fianchi.
-Sai,
non ho mai osato pensare che questa storia sarebbe stata semplice, ma
non mi
aspettavo che saresti stata tu a creare problemi. Così
presto, per giunta!-
sembrava più un monologo interiore.
-Jared,
cerca di capire.- lo implorò appoggiandosi al muro, a debita
distanza da lui.
Non le aveva mai storto un capello, ma sembrava parecchio girato in
quel
momento.
Lui
si voltò, per guardarla in faccia. -Spiegami Kimberly, forse
è meglio.- disse
appoggiandosi furiosamente al piccolo davanzale che precedeva l'immensa
finestra, la quale comprendeva l'intera parete.
-Mi
dispiace di essermi svegliata solo ora, ma ho aperto gli occhi. Non
intendo
lasciarti, o il termine giusto per troncare questa cosa..
so che fino a
ieri ero incentrata su quello che desideravo io, non quello che vuoi
davvero
tu. E io non voglio che tu sia infelice.- confessò
accasciandosi al suolo e
portando le mani a
circondare le tempie che le pulsavano incredibilmente.
-E
cosa ti fa pensare che io mi senta infelice?- chiese, ora
più calmo.
-Il
fatto che in pubblico non puoi mai essere te stesso. E mi infastidisce.-
-Oh,
ti assicuro che quello non è proprio un problema. Non sono
mai stato espansivo
sentimentalmente se è quello a cui ti riferisci.
Piuttosto,
sei tu che ci stai ripensando?- la guardò di traverso.
-Cosa?
Come puoi pensarlo?- alzò la testa giusto per parlare, per
poi riportarla sulle
ginocchia, tenendo gli occhi chiusi.
-Magari
mi stai raggirando per dar la colpa a me.- spiegò.
-Non
sono così, mi conosci.- sta volta non si sprecò
neppure a sollevare il cranio, troppo
pesante e dolente.
-Sappi
che se invece è così, non devi disturbarti a fare
tutta sta scena. Io non ti
tengo prigioniera.- sospirò per poi portarsi sul letto,
pesantemente. Il suo
tono cupo arrivò alle orecchie di Kim come un vento gelido.
Era
contenta in un certo senso, le stava garantendo la libertà,
la sua preziosa
libertà. -Ok, buono a sapersi.- stava per svenire, alcol e
sonno eccessivo
erano un cocktail perfetto. Erano qualcosa come 24 ore che non chiudeva
occhio.
Se Jared dormiva sempre così poco si domandò
mentalmente come facesse a
mantenersi così bene. Magari dormiva appositamente poco per
fare dei
trattamenti alla pelle o farsi dei frullati magici.
Ok,
era davvero troppo stanca, stava attraversando la soglia del mondo dei
sogni, immaginandosi
lui fare il patto col Diavolo come Dorian Gray. Forse nascondeva anchre
lui un
dipinto marcio in soffitta.
I
suoi deliri interiori furono interrotti dalla voce finalmente tornata
nelle
tonalità normali di Leto.
-Ma
allora, perchè proprio adesso? È cominciata..due
giorni fa!- erano successe
così tante cose che gli venne difficile ricollegare il senso
del tempo.
-Meglio
adesso che tardi, sai?- mugugnò lei, senza sollevare il capo
così che le parole
arrivarono al professore attutite dalla posizione accucciata. Meglio
ora che
era appena cominciata che quando ormai si fossero dichiarati il loro
amore
davanti al parroco. Sarebbe stato fastidioso interrompere la cerimonia
così in
malo modo.
Pazzesco,
già si stava immaginando di sposarselo. Doveva assolutamente
dormire.
-Per
quanto mi riguarda, è già troppo tardi.- disse
tranquillamente, scrollando le
spalle.
Bastò
questa frase a far spalancare gli occhi di Kimberly, come riposatissima
e
improvvisamente lucida. Sollevò la testa e guardò
il professore, il quale
teneva gli occhi puntati sul pavimento.
-Che
c'è?- le domandò spaventato, accorgendosi di come
lo fissava.
Lei
non fece a tempo a ribattere che dovette correre in bagno, per la
seconda
volta.
Maledetto
vomito, proprio adesso? Proprio adesso che le aveva detto la frase
più bella
della giornata? Respirò profondamente, alzandosi dalle
piastrelle del bagno e
tirando lo sciacquone, con una smorfia schifata. Jared le era accanto,
lo sentì
cingerle i fianchi con le dita affusolate ma forti.
-Cosa
hai detto?- improvvisamente sentì una gran carica dentro di
sé. Si voltò verso
di lui, appoggiandosi al lavello alle proprie spalle.
-Non
so di cosa tu stia parlando..- sorrise facendo il finto tonto,
porgendole lo
spazzolino impacchettato offerto dall'albergo nel corredo da bagno, il
quale
includeva due saponette, crema corpo e cuffietta di plastica.
-Prima..
che corressi qui.- gli ricordò cominciando a pulirsi. La
menta finalmente
cominciò a prendere il posto del disgustoso mix
alcol+vomito. -Ah, quando
sembravi in coma etilico?- la prese in giro osservandola. Anche mentre
compieva
la azione più umana possibile, gli sembrava proveniente da
un altro pianeta.
Tornò a guardarlo, girandosi completamente verso di lui,
mostrandogli la
linguaccia.
-Spiritoso..-
sussurrò, mentre lo guardava avvicinarsi. Lui
appoggiò le mani al lavandino
dietro di lei, come ad intrappolarla. -Ero sul punto di crollare, ma
stai certo
che non me lo sono immaginata.- non ne era pienamente sicura, ma di
certo non
aveva una fantasia tanto vivace.
-E
allora che bisogno c'è che te lo ripeta?-
Alzò
le spalle. -Ne ho bisogno.. ti prego.- gli diede un bacio, senza
togliere gli
occhi dai suoi.
Sospirò.
-Io ci sono dentro, Kim. Ormai è troppo tardi,
perciò non venire a farmi
discorsi futili riguardo al fatto che non ti senti sicura di quello che
voglio
io o di quello che vuoi tu, perchè io voglio solo te.
Mi
spiace per te, ma non scappi.-
A
quel punto, Kimberly non ebbe più dubbi su niente e
rinsavì completamente. Gli
portò le braccia al collo e lo baciò. Si sentiva
come se fosse passata una vita
dall'ultima volta ed era a corto di riserve. Lui sentendo che gli stava
praticamente aggrappata al collo, comprese che le gambe stavano andando
fuori
uso, così, senza staccarsi, la mise seduta sul lavandino,
stringendola più a sé
e approfondendo il bacio.
Why does love always feel like
a
battlefield?
Note finali:
holaaaaaaaaaaaa!
Allora come state? Domani c'è vacanza giusto (ovviamente per
chi di voi va a scuola)? Pensate un pò, io invece domani
ricomincio le lezioni, che due palle.
So che non ve ne frega una beata mazza, ma velo dico proprio per
avvertirvi di non passare il pomeriggio in attesa di un aggiornamento
(ahahah); perchè conciliare uni-lavoro mi porta a tornare a
casa alle 6.30, quindi da lì in avanti state certe che
arriverà il capitolo, non temete, non vi abbandono
♥ XD
Ok, cazzate a parte, un pò controverso questo capitolo, me
ne rendo conto, ma che ce volete fa', io sono controversa e antitetica
e questa cosa deve essere evidente in qualsiasi cosa mi riguardi! proprio
per questo motivo mi auguto che non siate lettrici attente in quanto
questa storia è piena di incongruenze, ma cazzocene, non
sono laureata in romanzologia, mea culpa, faccamocene una ragione. E
comunque l'amore stesso è un controsenso unico, giusto?
Quindi rimaniamo in tema, fuck yeah.
In ogni caso abbiamo il lieto fine no? Volete il diabete? E diabete sia!
Spero vi abbia tenute col fiato sospeso fino alla fine (!!!)
La canzone è Battlefield
di Jordin Sparks (se non erro) e non mi esprimo più di tanto
dato che non me la ricordo neanche, so solo che esprime in pieno questa
incongruenza che è il sentimento, che ci spinge a fare cose
che non vorremmo fare, litigare per cose che non ricordiamo neanche
alla fine e arrabbiarsi inutilmente.
Non avevo intenzione di
cominciare una guerra
Sai che non ti farei mai
del male
Non sappiamo neanche
perché stiamo combattendo!
Perché l'amore
sembra sempre
un campo di battaglia?
Ok, si vede che è domenica mattina e che io sono
completamente rincoglionita e assuefatta dal tutto, ne ho sparate fin
troppe per oggi quindi vi lascio ai fantastici commenti che SICURAMENTE
mi lascerete, nevvero? ;)
LOTSOFLOVE
|
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Capitolo 36 *** Capitolo 36. ***
Capitolo
36.
Notte
prima fino a mattina
Inginocchiato a liberarmi
Dallo stato in cui sono stato e che
mi è costato
La memoria
Sonno e bile, amaro soffrire
Il sole è tornato e già si vendica
Dopo
non troppo capì che era meglio smetterla, dato che non gli
ci volle molto per
intuire che Kimberly voleva altro. In una situazione diversa l'avrebbe
accontentata, ma non all'alba delle 5 del mattino, sapendo che entro
due ore e
mezza sarebbero dovuti essere tutti presenti svegli e attivi, pronti
per la
super giornata in cui li aspettava una super camminata.
Stancarla
eccessivamente non gli sembrò proprio il caso. E poi non era
ancora miss
lucidità, non si sarebbe sorpreso se il giorno dopo
-cioè a ore- si fosse
spaventata ritrovandosi insieme a lui.
Si
separò da lei, con un ultimo piccolo bacio a stampo. Prese
un bicchiere poggiato
sul ripiano del mobiletto lì accanto e lo riempì
d'acqua, per poi porgerglielo.
Lei lo bevve senza esitazioni, finendolo in un sorso. Incredibile la
sete che
aveva accumulato. Lo ridiede a Jared che lo riempì una
seconda volta e glielo
riporse. Lei lo guardò confusa. -Mi vuoi ingolfare d'acqua
per distrarmi?-
-Fidati,
ti aiuterà domani mattina.- le assicurò. -Idrata
l'organismo da tutta l'acqua
che hai perduto riempiendoti d'alcol.- Kim non fece più
obiezioni e ingurgitò
completamente anche questo.
-Andiamo,
devi riposare ragazzina.- mormorò prendendola per mano.
-No
che non devo.- negò l'evidenza, seguendolo lo stesso,
strascicando i piedi. La
trascinò sul letto e la fece finalmente sdraiare. Il quel
momento Kim si sentì
paragonata alla marmellata, spalmata su un toast. I nervi si
allentarono improvvisamente
e si sentiva così pesante che pensava di star sprofondando
nel materasso. -Tu
come fai a non essere stanco?- gli domandò con una cadenza
che fece intendere
che ormai era più di là che di qua.
-Ho
anni di pratica. I bambini hanno bisogno di almeno 8 ore di sonno.-
sussurrò, baciandole
il collo e sistemandosi alle sue spalle, le passò un braccio
sotto la testa, così
che ce la appoggiasse.
-Anche
i nonni devono riposarsi, sai? Succhiare il brodo di pollo e rompere le
palle, è
faticoso.- scherzò stringendosi a lui, il quale sorrise.
Nonostante fosse mezza
morta, il suo sarcasmo non si spegneva proprio.
-Solo..
almeno stavolta non te ne andare.- mugugnò, riferendosi alla
volta precedente.
Le
lasciò un bacio in fronte e l'avvolse con le braccia,
coprendola con il piumone
inserito in un lenzuolo dorato. -Dormi e fai tanti bei sogni. Al tuo
risveglio
sarò qui.- promise per poi sporsi e spegnere la lampada sul
comodino.
Non
servì a molto, dato che ormai il cielo si stava schiarendo,
e quella camera
essendo composta in buona parte dalla finestrona, era illuminata da una
luce
fioca, ma abbastanza chiara da poter distinguere tutti gli oggetti
presenti.
Al
contrario di Kimberly, che crollò letteralmente in un mondo
composto da nuvole
di panna, unicorni alati e Jared Leto a torso nudo; lui fu come
travolto da una
specie di frenesia, dovuta alla eccessiva vicinanza della ragazza.
E
pensare che stavano per troncare a causa di una stupida idea di lei,
secondo la
quale lui avesse bisogno di qualcosa di meglio. Come se dopo l'ondata
che
l'aveva travolto potesse trovare qualcosa altrettanto forte da
togliergliela
dalla testa. Assurdo anche solo pensarlo.
Era
difficile dire cosa lo avesse attratto di lei, ma era una attrazione
afida e, come
ormai le aveva già detto, non poteva tornare indietro. Non
dopo la fatica che
aveva fatto per lasciarsi andare veramente.
Non
dormì praticamente nulla, ma c'era abituato. Lo trovava
semplicemente uno
spreco di tempo, e poi, detto francamente, perchè doveva
dormire se poteva
passare quel poco tempo che gli era concesso con Kim? Avrebbe
desiderato dare
sia lei che se stesso per malati il giorno dopo così per
recuperare i momenti
rubati.
Sarebbe
stato bello e lei ci sarebbe stata sicuramente.
Invece
gli sarebbe toccato scarrozzarsi per tutta la giornata una povera
ragazza, reduce
da una sbronza e con due occhiaie equivalenti ad un montacarichi, dato
che sia
Lola che quel furfante del suo amico si sarebbero insospettiti.
Entrambi
avevano notato questo attaccamento eccessivo, pur essendo alunna e
insegnante.
Passavano davvero troppo tempo insieme, senza neppure farlo di
proposito, sebbene
a entrambi pareva valesse meno di zero. Probabilmente il giorno dopo
avrebbero
dovuto inscenare un litigio futile dei loro, tanto per non dare troppo
nell'occhio.
Kimberly
si mosse nel sonno, voltandosi verso di lui e poggiandogli la testa sul
petto, abbracciandolo
come fosse il suo cuscino. Lui prese a passarle le dita tra i capelli,
pensando
e ripensando a una serie di collegamenti senza senso, senza capo
né coda, giungendo
ad un punto in cui non sarebbe riuscito a ricostruire il filo del
discorso al
rovescio.
Fu
la sveglia impostata sul cellulare a riportarlo sulla terra. Erano già
passate due ore. Tante se le valuti
in base ad uno scioglilingua di pensieri, ma davvero troppo poche se le
vedi
dal punto di vista di un'adolescente con 24 ore di arretrati.
Si
fece coraggio e con calma, cominciò a svegliarla. -Kim..- la
scrollò appena.
Quando
si accorse che dava segni di vita andò a prenderle un altro
bicchiere d'acqua.
Immaginava la sete immensa che doveva avere, e aiutarla era il minimo
che
poteva fare.
Non
fece a tempo ad aprire il rubinetto che sentì un urlo
micidiale provenire dalla
camera da letto, più precisamente da Kim.
Sorrise,
scuotendo la testa e tornò da lei, la quale era ranicchiata
su se stessa, tenendosi
la testa tra le braccia. Le si sedette accanto, poggiando il bicchiere
sul
tavolo. -Toglimi questa fottuta combriccola di muratori armati di
trapano elettrico
dalla testa!- sbraitò, senza cambiare posizione.
-Va
così male?- le domandò a bassa voce,
accarezzandole i capelli.
-Da
morire. Anzi, la morte sembra un invito allettante e liberatorio.-
bofonchiò
tirandosi su a sedere. -Dimmi che hai una vagonata di aulin o qualsiasi
cosa, ti
prego, ti supplico, ti scongiuro.- continuava a non aprire gli occhi e
a
massaggiarsi le tempie con un espressione dolorante.
-Mi
dispiace, per ora posso offrirti solo questo.- e le porse il bicchiere.
Il
viso le si illuminò, per quanto possibile. -Dio ti
benedica!- esclamò
strappandoglielo dalla mano e scolandolo fino all'ultima goccia. La
gola era
secca e ruvida come la parte verde delle spugne che si utilizzano per
scrostare
le pentole.
Senza
aggiungere altro corse in bagno e al posto che riempire il bicchiere,
si
attaccò direttamente con la bocca al rubinetto, riempiendosi
d'acqua finché
riusciva a tenere il respiro.
Tornò
da Jared, il quale la aspettava tranquillamente, nella stessa
posizione. Si
risedette davanti a lui, incrociando le gambe. -Meglio?- le chiese.
La
sua occhiata disperata gli fece comprendere abbastanza. -Ok. Quindi, tu
ora vai
in camera tua, ti prepari e ci vediamo tra un quarto d'ora a far
colazione.
Farò tutto quello che posso per fartela passare, giuro.-
sorrise.
Kimberly
gli si avvicinò e gli diede un rapido bacio, grata dello
sforzo. Lei aveva
fatto la cretina e lui si comportava come se fosse stata davvero causa
sua.
Adorabile.
Raccolse
le sue cose e uscì dalla stanza, lasciandogli il bicchiere
vuoto sul comodino.
Raggiunse
camera sua, sulla cui porta bussò appoggiandovisi con tutta
la pesantezza del
suo essere.
Stupida
e cretina erano le poche parole sensate che le circolavano nella testa,
mentre
si malediceva per come si era comportata la sera precedente.
Juls
prontamente aprì la porta, con un sorriso smagliate, quasi
rischiando di farla
crollare in terra.
-Kim!
Ma che fine hai fatto?- esclamò, con quella voce trillante e
affilata che
equivaleva ad una serie di pugnalate nei timpani.
Si
portò le mani alle orecchie. -Ti prego non urlare.- la
implorò, dirigendosi
verso la valigia per estrarre dei capi nuovi.
In
quel momento Gwen uscì dal bagno e le si sedette accanto.
-Kim, che ti è
successo ieri? Ti abbiamo persa di vista!- teneva la voce volutamente
bassa, sapeva
cosa volevano dire i postumi di una sbornia. Insopportabili.
-Sono
andata con Joe, Chase e Brian in un locale ma mi sa che ho bevuto un
po'
troppo. Poi non ricordo bene.- confessò dubbiosa.
Sì, ricordava praticamente
tutto, ma erano immagini sfocate, voci lontane che andavano e venivano
e
l'ordine degli avvenimenti era confuso.
-E
dove hai passato la notte?- le chiese sgranando gli occhi. -Non sarai
mica
stata con loro!- dagli occhi celesti traspariva letteralmente quello
che stava
pensando. Kim poteva vedere le immagini che le si muovevano nelle
retine come
un filmato.
-Ma
non dire scemenze!- le diede un piccolo colpo, risvegliandola dai suoi
intrighi
mentali. -Il professor Leto era all'entrata quando siamo tornati, e
vedendomi
in quell'orrido stato è intervenuto.-
A
quel punto sia Gwen che Juls spalancarono la bocca, incredule. -Ma che
culo
immenso che hai Kim!!- esclamò la prima, prendendola per le
mani. -Julia, siamo
due sceme! Quando l'abbiamo visto dovevamo anche noi fingerci ubriache,
al posto
che augurargli la buonanotte!-
-Ma
cosa hai capito..- si alzò da terra, arrossendo
furiosamente. Forse aveva
sbagliato a smentire della notte passata in un rito orgiastico con i
tre amici.
Meglio essere accusata di essere andata con tre consecutivi che mettere
Jared
nei casini.
-Sta'
calma Kim, sappiamo che non è successo niente, dai ha 38
anni! Però solo quello
dev'essere stato da sballo!- Juls sembrava più entusiasta di
Kimberly stessa.
Neanche ci fosse stata lei una notte con Jared.
-Sììì
e poi deve avere un fisico pazzesco! L'hai visto, per caso?- le
domandò Gwen, interessata.
Kim
trattenne un sorriso. Era un bene che quelle due lo ritenessero
“troppo serio”
e che non fossero tanto sveglie. -No, sfortunatamente mi sa che sono
crollata
sul colpo.- inventò, per poi chiudersi in bagno. Woh. Aveva
un aspetto
orripilante, neanche se l'avessero investita sarebbe stata ridotta
così male:
aveva il volto
stravolto, le si poteva chiaramente leggere in faccia che non
aveva dormito e che invece aveva passato una serata piacevole; i
capelli erano
tutti schiacciati sul lato sinistro del cranio e per di più
aveva l'impressione
che il suo stomaco fosse stato posseduto da un mostro (per non
aggiungere
niente riguardo alla sua testa).
Si
lavò il più in fretta possibile, cercando di
ridonare una forma ai capelli e
idratando bene la pelle del viso. Possibile che l'alcol fosse
così devastante?
Una volta e ti rovina.
Tornò
dalle compagne, ancora sedute sul letto a confabulare un piano per
scoprire la
camera del professore di musica e sorprenderlo senza maglietta. Quei
cinguettii
sovraeccitati le mettevano il nervoso, le mettevano una gran voglia di
urlare.
-Kim,
vuoi partecipare a.. oh signore santissimo, ma che ti sei messa?-
esclamò Gwen,
disgustata. La maglietta e il maglioncino stonavano troppo per i suoi
gusti.
La
zittì con un gesto spazientito. -Gwen, al momento sarei
pronta ad uccidere per
una scatola d'aulin e una scorta di bicarbonato, o una macchina del
tempo in
modo da poter tornare indietro e cancellare le mega stronzate che ho
fatto; ho
un mostro che sta giocando a flipper nella mia pancia e ho dormito
sì e no due
ore. Non mi provocate.- le minacciò con l'idice alzato.
Le
due si guardarono tendenti all'impaurito, poi tornarono a lei e
decisero di
prendere in mano la situazione: in men che non si dica erano riuscite a
cambiarla -a piacimento di Gwen- e a coprirle quelle occhiaie
spaventose, grazie
alle mani abili di Juls.
Ora
potevano anche presentarsi in salone per fare una buona colazione.
Kim
le guardò colma di gratitudine. -E voi, che avete fatto
ieri?-
Nel
frattempo Jared era sceso da qualche minuto, unendosi ai ragazzi
più
mattinieri. Non erano molti, ma erano più di quanti si
aspettasse. E, in ogni
caso, la faccia stravolta l'avevano tutti.
Quella
sera era quasi certo che la metà avrebbe preferito fermarsi
in camera a
guardare la televisione, invece di andare a folleggiare. Specialmente
dopo la
scarpinata programmata per la giornata.
-Jared!-
sentì chiamare alle spalle, con quell'adorabile accento
latino. Si voltò e Lola
più pimpante del dovuto lo salutava con la mano,
allegramente.
-Lola!
Dormito bene?- le domandò indicandole il tavolone del
buffet, da cui potevano
pretendere tutte le cibarie.
-Sì
grazie, tu?- rispose cordialmente la donna.
Lui
fece spalluccie e si buttò sul cibo. Innanzitutto aveva un
gran bisogno di
caffè, non sarebbe mai riuscito ad arrivare al termine della
giornata senza, e
poi fece una grande scorta di frutta fresca, yogurt e bicchieri colmi
d'acqua.
-Jared
ma che cavolo..? sei così tanto affamato?- gli chiese,
quando si sedettero a
tavola. Lei aveva solo un piatto di uova e bacon e lui sembrava avesse
fatto
rifornimento per un esercito.
-Vedi..-
optò per lo spiegarle perchè quella mattina
avrebbe invitato Kimberly a sedersi
a mangiare con loro senza che lei lo ritenesse un pervertito. -ieri
sera mi
sono imbattuto in alcuni dei nostri ragazzi, ovviamente un po' brilli.
E tra
questi c'era Kimberly, solo che lei era messa decisamente peggio,
quindi me ne
sono occupato io e sono deciso a farle passare questa brutta sbronza.-
-Oh,
povera cara. Ora come sta?- sembrava davvero preoccupata e per nulla
contraria
a quello che le aveva raccontato. Meglio di quanto sperasse. -Non pensi
sia più
sicuro lasciarla riposare per oggi?- il tono era quasi materno.
-Quando
si è svegliata aveva il tipico mal di testa ma non credo ci
sia bisogno di
lasciarla in hotel, più si muove meglio è.-
affermò, sembrava uno che la sapeva
lunga.
-Oh,
eccola!- lo avvisò poi miss Rodriguez, vedendola arrivare
dalle scale. Jared
voltò immediatamente lo sguardo nella sua direzione,
intercettando i suoi occhi
e facendole segno di unirsi a loro. Le tre ragazze raggiunsero il
tavolo e si
accomodarono, salutando molto educatamente. Il tavolo era rotondo,
quindi ci
stavano perfettamente tutti e 5.
-Ciao
Kimberly, come ti senti?- le chiese dolcemente l'insegnante di
spagnolo, sorseggiando
una tazza di tè.
La
ragazza non sorrise, sistemandosi accanto a Jared. -Come dopo una
vivisezione.-
si lagnò, portando una mano in grembo.
Lola
sollevò le sopracciglia. -Mh, il paragone rende.-
sussurrò a Jared, il quale
rise di gusto, senza distogliere l'attenzione dalla diciassettenne.
-Kim,
vado a prendere la mia colazione, vuoi qualcosa?- domandò
gentilmente Juls.
-Oh,
sì ti prego, una brocca di caffè.-
-Nononono,
grazie Julia a Kimberly ci penso io.- s'intromise quello di musica
sorridendole, tant'è che Juls se ne andò con un
aspetto completamente
imbambolato.
-Perchè?
Cos'ha contro il caffè?- sbottò brusca Kim.
-Io
nulla, tu invece per stamattina sei pregata di ingurgitare quello che
ti do
senza storie.- disse porgendole una ciotola di frutta fresca, per
quanto fosse
possibile che a New York ci fosse dell'ananas fresco a marzo.
Lei
sbuffò, cominciando a piluccare un po' di fragole. Avrebbe
preferito di gran
lunga una bisteccona al sangue, ma non erano male e se lui gliele
consigliava
ci doveva essere un motivo.
Notò
che l’insegnante teneva in mano una tazza di caffè
fumante e se la portò alle
labbra. -Lei è una disgrazia.- brontolò
cominciando a bere un bicchierone di
acqua fredda.
-Fidati
ragazzina, ti sentirai meglio.- disse convinto con un sorriso.
Lei
lo fulminò con gli occhi. -Quando sverrò in piena
crisi di astinenza da
caffeina, non si disturbi nemmeno di venire a raccogliermi da terra.-
-Ci
pensavi prima di fare la cretina con le bottiglie di gin!- si difese
continuando a sorseggiare davanti ai suoi occhi pietrificati.
-E
quando mi trascineranno via in barella per poi conficcarmi in una tomba
buia e
soffocante, si ricordi che sarà lei il responsabile di tutto
questo e mentre
leggerà davanti ai miei amici e parenti la sua lettera di
condoglianze pretendo
che citi le seguenti parole “Era così giovane... e
mi aveva chiesto solo una
tazza di caffè”- mentre sbrodolava parole a caso
in modo da confonderlo gli si
avvicinava sempre di più, con un fare tutt'altro che
amorevole, anzi. Sembrava
piuttosto misaccioso, brandendo nella mano destra quel cucchiaino per
mangiare
lo yogurt; Leto era convinto che sarebbe stata capace di cavargli un
occhio. -E la mia
immagine le circolerà
per il resto della vita davanti agli occhi ogni volta
che scioglierà lo zucchero nel suo
caffè!-
sbuffò isterica per poi portarsi le braccia al petto.
I
due insegnanti rimasero sconvolti nel notare che non aveva mai
interrotto lo sproloquio
per prendere aria. -Ok, ok!- si arrese spazientito, porgendole la sua
stessa
tazza di caffè, gli aveva messo la nausea.
-Ma
tu non respiri mai?- le domandò Lola, ancora stupita.
-Non
quando mi si nega qualcosa di tale importanza.- sorrise vittoriosa
sorseggiando
la bevanda calda che le scorreva lungo la gola.
-Sappi
che non voglio sentire storie se non ti passa!- esclamò
contrariato Jared, mostrandole
qualcosa che avrebbe fatto più al caso suo.
-Mh,
mamma che palle che è prof. Sto bene, ora sto decisamente
molto bene.- gli
sorrise, mettendo in mostra tutti i denti perfettamente allineati.
“Vorrei
solo strapparmi gli occhi e gettarli in un catino d'acqua gelata, ma
pace.”
pensò tra sé e sé la ragazza, notando
che si sentiva come se qualcuno le avesse
sbriciolato del vetro negli occhi.
-Io
mi sono portata qualcosa simile all'aulin, se può farti star
meglio.- disse la
signorina Rodriguez, mentre frugava nella borsetta.
Meglio
tardi che mai, Kim quando udì la parola magica si
issò immediatamente, con uno
sguardo assatanato. -Davvero? Oh mio Dio, lei è la
provvidenza!- esultò
allungando una mano, quando Lola le mostrò una bustina.
La
afferrò e ne sciolse il contenuto in un bicchiere per poi
scolarla in un colpo.
-Non
eri tu quella che non prendeva medicine?- osservò sarcastico
Jared.
-Signorina,
il suo collega mi disturba!- esclamò capricciosa Kim,
indicandoglielo
imbronciata.
-Eddai
Jared, lasciala stare!- la difese immediatamente la donna, dando un
colpetto
sul braccio dell'insegnante, il quale non fece a tempo a reagire che
entrarono
in sala i tre compari di Kim.
-Ehilà,
guarda chi c'è!- esclamò Chase, venendole in
contro. -La nostra vecchia
spugna!-
-Ciao
Chase.- rispose apatica, continuando a sorseggiare. -Brian, Joe.-
continuò, rivolgendo
loro un semplice sguardo.
-Ehy
pazzoide, come ti senti?- chiese dolcemente l'ultimo, chinandosi su di
lei per
lasciarle un bacio in fronte. Non si lasciò sfuggire
l'irrigidirsi del
professore accanto a lei, e ghignò sommessamente.
-Meglio
grazie. E tutto il merito va al professore.- disse guardandolo di
sottecchi.
Joe
gli lanciò un'occhiata che Jared ricambiò,
rimanendo così a fissarsi
intensamente per dici secondi buoni, come la sera prima.
I
due amici, i quali avevano già assistito alla medesima
scena, decisero di interromperla
immediatamente, dato che avrebbe tanto potuto urtare l'umore del
professore
questo atteggiamento del loro compagno nei suoi confronti. -Buongiorno,
professori!-
esclamarono, prendendo Joe per le braccia e trascinandolo ad
un tavolo, lontano
dal loro.
Caffeina,
nera regina
Salva i tuoi sudditi fedeli
Santo Brufen prega per tutti quelli
che hanno bisogno di
Una superficie dove sacrificare
senza rimorsi
un giorno fatto di
sudori freddi,
occhiali
da sole e monosillabi.
Note finali: mi
ricordo id avervi detto che avrei aggiornato stasera ma causa neve
c'è stato un cambio di programma!
Anyway, mi rendo conto che questo capitolo faccia abbastanza cagare e
non sia scritto nel migliore dei modi, troppe cose, troppe insieme, ma
siate clementi!
Ho scelto una canzone azzeccatissima almeno! Mi piace moltissimo e
quando l'ho sentita la prima volta mesi fa mi è venuto
spontaneo collegarla a sto capitolo. almeno non ho messo Hangover,
guardiamo i lati positivi ahaha.
E' Synthami
dei Blastema, sempre quel gruppetto poco conosciuto.
Non ho molto da dire, dato che prevedo poche se non zero recensioni, ci
vediamo Morgen con un nuovo aggiornamento, yoh!
xoxoxoxoxox
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Capitolo 37 *** Capitolo 37. ***
Capitolo
37.
I
tell you all the time
Heaven
is a place on earth with you
La
giornata iniziò quindi, nel migliore dei modi. Da quel
momento in poi Jared
cercò di evitare Kim come la peste, specialmente se nei
paraggi del suo
compagno.
Aveva
intuito dagli sguardi minatori che quel ragazzo aveva qualcosa che gli
frullava
nella testa e non era niente di buono. Sicuramente qualcosa di
compromettente
e, dato non sembrava particolarmente propenso a perdere Kimberly
d'occhio, era
meglio tenersi a debita distanza.
Un'occhiata
troppo lunga o eloquente, una carezza troppo vistosa o un sorriso di
troppo sarebbe
stato un enorme sbaglio.
Kim
si accorse di questa chiara freddezza nei suoi confronti e non capiva
proprio
cosa gli fosse capitato di punto in bianco. Dalla colazione non avevano
avuto
neanche un secondo per scambiare due parole e lui non sembrava volerle
concedere neanche il tempo per porgli la domanda.
Ma
decise di non pensarci e, del resto, sapeva perfettamente che l'umore
di Jared
non aveva nulla da invidiare a quello di una comune donna.
Camminava
accanto ai suoi compagni sul marciapiede, destinazione Ground Zero,
ovvero il
luogo dove si trovavano ai tempi le Twin Towers.
Kim
sentiva dentro una grande angoscia, e non solo per il trattamento
scontroso che
Jared le riservava, ma anche perché si conosceva
perfettamente e sapeva che
quello che le sarebbe toccato vedere avrebbe avuto un impatto emotivo
devastante sulla sua vulnerabilità.
Ok,
detta così poteva sembrare un'immensa stupidaggine, ma i
luoghi malinconici per
lei erano come la criptonite per Superman: l'assorbivano e la
demolivano
dall'interno.
E
di sentirsi fragile proprio non ne aveva voglia, anche se dato lo stato
catatonico in cui si ritrovava, non pensava di potersi ritenere poi
così tanto
influenzabile.
Quando
arrivarono a destinazione rimase alquanto stupita. Si aspettava un
ampio spiazzone
coperto di ceneri e macerie non ancora rimosse per il lutto generale
-nonostante ormai lo scorrere degli anni- ritenuto un po' come il
simbolo di
qualcosa che era andato perso per sempre.
Invece
non riusciva a vedere.. niente.
A
parte le folle di turisti che spintonavano, da quello che riusciva a
scorgere
dalla sua bassezza/altezza era un vero e proprio cantiere, con le
tipiche reti
rosse che arrivavano ai 3 m di altezza.
Si
avvicinarono in gruppo ad un'insenatura per scorgere l'interno, mentre
Kimberly
preferì rimanere sul fondo. Dato che la sua fortuna per una
volta l'aveva
assistita mettendole quell'intoppo alla visuale drastica della
faccenda, non le
avrebbe fatto questo torto, per una volta.
Godiamocela,
pensò.
Purtroppo
però i suoi compagni la presero per le spalle e
l'avvicinarono di peso, descrivendole
lo scenario che avrebbe visto “da panico”. Ed
effettivamente, era proprio vero.
La
tremenda curiosità che in quel momento la persuase non le
fece chiudere gli
occhi o distogliere lo sguardo, ma anzi, la fece guardare all'interno
di quella
rete rossa e osservare il tutto, dandole il tempo di imprimere nella
memoria e
immagazzinare le informazioni.
Il
risultato fu seriamente da panico. Non si buttò a terra in
seguito ad una crisi
isterica, ma, come aveva temuto, quel luogo disfatto, devastato e
diroccato la
assorbì completamente facendola sentire parte del paesaggio.
Era
come si immaginava, come aveva visto nelle immagini sui libri o in
internet, un
vasto, immenso, sconcertante buco che stonava, specialmente se
attorniato da
quei palazzoni massicci ma che improvvisamente le apparvero ricurvi,
ripiegati
su loro stessi nell'angoscia dell'aver assistito alla strage avvenuta
davanti
ai loro occhi di vetro.
Quel
luogo era peggio di qualsiasi altro cantiere che avesse mai visto.
Pareva più
un cimitero, sebbene non ci fossero ladipi o amici dolenti vestiti di
nero e in
lacrime.
Ma,
e qua poteva metterci entrambe le mani sul fuoco, attorno ad esso
aleggiava la
medesima atmosfera di morte e malinconia di un cimitero; sotto tutta
quella
cenere e quelle macerie, poteva scorgere le basi su cui una volta si
innalzavano le famose Torri.
Fu
scossa da un brivido e delle mani la levarono con prepotenza da
lì. -Ehy Kim, ti
sei addormentata?- le domandò Joe scherzando prima di
poterla realmente
guardare.
Sembrava
spaventata a morte da quello che aveva appena visto. –Ti
senti male?- magari le
stava tornando la nausea.
E
in effetti sì, si sentiva un po' nauseata dalla sua mente
contorta e dalla sua
emotività così corruttiva.
-Dio,
Joe.. è così spaventoso questo posto.-
mormorò guardandosi alle spalle.
-E'
solo un cantiere Kim, non può farti del male.- la
rassicurò allontanandola.
Era
evidente che lui non avesse colto quello che aveva colto lei. Quelle
ceneri non
erano solo dovute alle esplosioni o ai rimasugli di cemento, no. Tra
quella
cenere giacevano anche i resti delle vittime.
Ma
la mente di quel ragazzo era completamente annebbiata da altro,
probabilmente
era convinto che lei fosse affetta da crisi mistiche e allucinazioni da
alcol.
Niente
di più sbagliato, dato che improvvisamente si sentiva
talmente amareggiata che
il mal di testa e la stanchezza si fecero così flebili da
non esistere, così
nulle rispetto a quello che era accaduto in quel luogo anni prima, dei
fuochi
così vani rispetto a quelli che avevano letteralmente
distrutto delle vite.
In
silenzio si divincolò dalla presa e si unì al
resto del gruppo, composto da
ragazzi che parlavano tra di loro per ammazzare il tempo e professori
che
attendevano impazienti la guida ingaggiata per far sì che i
ragazzi ci
capissero di più.
Kimberly
si avvicinò cautamente a Jared, strattonandogli la giacca.
L'uomo le rivolse
una semplice occhiata, tra il curioso e l'indifferente, quasi scocciato.
-Jared
non voglio stare qui.- sussurrò Kim guardandosi attorno.
-Mi
dispiace ma il piano della giornata comprende questo.- disse con tono
apatico, senza
incrociare mai, neanche una volta, neanche per sbaglio lo sguardo della
ragazza.
-Jared,
per favore. Portami via da qui.- il tono si fece implorante e solo a
quel punto
lui si decise ad abbassare la testa e a rivolgerle
un’occhiata che inizialmente
sfociò nell'apprensivo. -Non ti senti bene?-
domandò, estraendo dall'ampia
tasca della giacca una bottiglietta d'acqua, per poi porgergliela. Kim
la respinse
con un gesto brusco, stizzita.
-Non
sto male, voglio solo che tu mi porti via!- esclamò,
mantenendo pur sempre un
tono di voce moderato, essendo fin troppo vicina ai compagni e amici.
-Kimberly
lo capisci che non posso? Piantala di essere insistente. La risposta
è no; no,
non posso portarti via e non posso passare il tempo qui a discutere con
te di
queste cose improbabili!- rispose continuando a guardare da tutt'altra
parte
per poi allontanarsi. L’alunna rimase basita da quella
reazione spropositata, osservandolo
mentre si avvicinava alla collega, la quale nel frattempo era stata al
telefono
ad avvisare la compagnia che la loro guida non si era ancora fatta
viva.
Con
lei sorrideva, per lo meno.
Quando
voltò la testa sconsolata da un'altra parte si accorse che
Joseph li aveva
osservati tutto il tempo e ora la guardava con un'espressione criptica,
studiandola.
Lei gli rivolse un'occhiata acida e poi si allontanò di
qualche passo, guardandosi
intorno.
Dopo
qualcosa come 10 minuti, la guida finalmente si degnò di
unirsi al branco di
ragazzi annoiati e sbadiglianti, scusandosi per il ritardo dovuto al
traffico.
Era
un uomo di bell'aspetto -a milioni se ne trovavano in quel periodo-
infatti non
fu difficile attirare più di tanto l'attenzione dei membri
femminili, specialmente
della Rodriguez, la quale sorrideva per ogni battuta tentata da parte
dell'uomo
di nome Mason.
Era
sicuramente molto carismatico e preparato, spiegava bene tutta la
storia nei
minimi dettagli quasi fosse stato presente, ma Kimberly non gli
prestava più
della concentrazione che metteva per immaginare cosa avesse contro di
lei Jared
quella mattina.
Era
un aspetto davvero frustrante che nella loro situazione non potessero
chiarirsi
neppure liberamente. Sempre controllati, lui isterico e lei nervosa -o
viceversa- e rivali ovunque.
Per
non parlare dei spaventosi cambiamenti d'umore dell'insegnante. Era
invivibile,
desiderava quasi tornare a casa.
Mentre
Mason stava quindi mostrando ai ragazzi il plastico del futuro palazzo
che
erano intenzionati a costruirci -opera che richiederà anni e
anni date le
mastodontiche misure-, Kim guardò tutti i palazzi attorno al
buco. Aveva
avvertito Mason informare i presenti che tutti questi grattacieli
circostanti, a
causa dell'esplosione, erano stati danneggiati o proprio distrutti e
quindi
risistemati. Proprio mentre un pensiero che somigliava
“Però, non l'avrei mai
detto. Hanno fatto proprio un gran lavoro!” il suo sguardo fu
catturato da un
piccolo edificio non troppo lontano.
Controllò
che fossero tutti attenti ai discorsi della guida e cominciò
ad avvicinarvisi a
grandi passi.
Era
una chiesetta in mattoni rossi, visibilmente molto vecchia, tanto che
alle
spalle di quel piccolo campanile c'era un piccolo cimitero dove le
lapidi erano
tipicamente anglicane e in pietra, non come adesso che le fanno in
granito o
pietre comunque di un certo spessore.
La
cosa che la colpì principalmente fu che non sembrava affatto
ristrutturata, dato
che appariva spoglia proprio come le chiese del nord Europa. Ma data la
tremenda vicinanza con il “cantiere” le
sembrò una cosa pressoché impossibile.
Dei giganti di grattacieli erano stati tremendamente colpiti
dall'accaduto e
come era possibile che invece un piccoletto così non fosse
stato minimamente
sfiorato?
Il
suo flusso di pensieri accompagnato dai suoi passi che non accennavano
a
fermarsi, furono invece interrotti da una voce che le bloccò
i polmoni. Il
professore, con quegli occhi così freddi e spettrali
l'avevano pedinata.
-Dove
credi di andare?- le chiese con un sorriso che gli increspava le labbra
sottili, ma belle.
Possibile
che fosse così? Era dotato di una bellezza quasi sfacciata e
ne era totalmente
consapevole.
La
mano era stretta attorno al suo braccio all'altezza del gomito e, come
se
emanasse un'energia solare, come se si illuminasse di luce propria, Kim
sentì
da quel punto di contatto un calore espandersi in tutto il corpo.
Improvvisamente il suo sguardo non sembrava tanto rigido, non
più così freddo e
severo come se ce l'avesse con lei. Sembrava sereno.
-Potrebbero
vederci.- gli rammentò la ragazza, scrollandoselo di dosso
senza distogliere
gli occhi dai suoi.
Lui
alzò le spalle con sufficienza e infilandosi le mani in
tasca sentenziò
-Un'alunna mi stava scappando. Io, insegnante, ho tutto il dovere di
inseguirti.-
-Sei
un tesoro quando fai il tuo lavoro.- disse sarcastica, incrociando le
braccia
al petto.
Lui
sorrise di rimando e fece un cenno con la testa in direzione del
gruppo. -Non
sarebbe meglio tornare?- con quel tono suadente e quel sorriso che
sapeva
l'avrebbero persuasa.
Kim
indicò la piccola chiesetta. -Portami là dentro.-
era più una richiesta che un
ordine. Quando lui la trattava in quel modo era davvero difficile
rimanere
fedele alla sua stessa volontà e aggrapparcisi.
Jared
le lanciò una breve occhiata, in fondo a quel cielo Kim ci
vide un barlume di
curiosità. -Perchè ci tieni tanto?- le
domandò confuso.
-Meglio
che star in quella trincea di guerra. Quel posto mi terrorizza.-
confessò
finalmente.
La
guardò intensamente negli occhi per capire a cosa si
riferisse. -Cosa c'è che
non va Kim?- lo sguardo si corrugò in un aspetto un poco
preoccupato, avendo
colto la sua frustrazione.
Kimberly
deglutì, sentendosi stupidamente debole per quella barriera
che aveva messo tra
loro due, così, deliberatamente. -Tu, Jared! Sei tu che non
vai. Con questi
cambi di umore degni di una ragazzina, mi fai diventare deficiente!-
sbottò, presa
dalla collera.
Il
professore le si avvicinò con un mezzo sorriso. -Kimberly
non volevo trattarti
male, mi dispiace. Devi sapere che il tuo caro amico ci sta tenendo
d'occhio.
Ha fatto 2+2 molto più velocemente di qualsiasi altro.-
scherzò, poggiandole le
mani sulle spalle.
Lei
si sentì improvvisamente una grande idiota. Chiuse gli occhi
con il fare di chi
si vorrebbe sotterrare nel giro di pochi secondi. -Oh, ma quanto sono
scema.-
borbottò, coprendosi il volto con una mano. Tutto quell'odio
nei confronti
dell'uomo che pensava al suo bene, sfumato inutilmente
nell'inutilità.
-No,
non scema. Solo.. un po' svampita.- la prese in giro, beffandosi della
grande
fortuna di Kim di non accorgersi assolutamente di quello che le accade
intorno.
Poi alzò lo sguardo, controllando alle sue spalle e,
accertatosi che i
conoscenti fossero a debita distanza e ancora persi nelle spiegazioni
di Mason,
si chinò per baciarla, tenendola stretta.
-Ora,
dimmi cosa c'è che ti turba. Non penso di essere stato io ad
averti fatto
scappare.- constatò circondandola con un braccio, mentre si
dirigevano verso la
chiesetta.
-Ho
il brutto difetto di immedesimarmi in quello che vedo. E quel posto, la
dimora di
tutti gli spettri e i fallimenti di New York, mi ha messa profondamente
a
disagio.- spiegò stringendosi al suo petto.
Salirono
le scale d'ingresso e vi entrarono. Jared, appena si accorse di cosa si
trattava in realtà quella chiesa, decise che era davvero il
caso di portarla
fuori, se era davvero così sensibile.
-Kim,
io direi che è meglio raggiungere gli altri.-
deglutì, facendo per portarla
fuori, ma lei glielo impedì, con gli occhi fissi davanti a
lei.
Quella
chiesa -definita da alcuni miracolosa- era interamente dedicata alla
strage
dell'11 settembre.
C'erano
altarini su cui giacevano fotografie, dediche, regali, fiori e offerte
in onore
di quelle povere vittime innocenti. Kimberly, sebbene appunto fosse
anche fin
troppo suscettibile per queste cose, si sentiva in dovere di rimanere e
spendere un po' del suo tempo in quella realtà.
Lanciò
un'occhiata a Jared e poi si incamminò tra la folla di
persone che in quel
momento non le sembravano neanche estranei: in un ambiente simile ci si
rende
davvero conto di quanto siamo uguali, in realtà.
Tutti
i presenti avevano almeno gli occhi lucidi -non che ci badassero
più di tanto a
guardarsi l'un l'altro- e per la ragazza era praticamente impossibile
che
fossero tutti parenti venuti per far visita. Quindi erano turisti, come
lei, e esseri
umani, come lei, come quei poveretti. Kimberly lesse innumerevoli
testamenti e
lettere strappalacrime di persone che avevano subito realmente la
perdita.
Molti
di quei visi, lo sapeva, le sarebbero rimasti impressi come uno
stampino.
Una
foto la colpì particolarmente: una foto raffigurante due
sposi. Qual era la
loro storia? Quale dei due era rimasto vittima della strage? Tutti e
due forse?
Sapeva solo che quella fotografia risaliva solamente ad un mese prima
dell'attentato.
Ciò
significava solo che i due non avevano fatto a tempo a godersi fino in
fondo la
loro storia. Non avranno litigato fino a rischiare un divorzio che poi
non
sarebbe avvenuto, non avevano fatto a tempo a capire di essere pronti
per avere
dei figli, non avevano potuto assaporare la sensazione di noia che si
prova
dopo 50 anni di matrimonio.
Sotto
c'era scritto in bella calligrafia tondeggiante
“Non
smetterò di amarti un solo istante della mia vita. Mi
dispiace di non averti
mai saputo dimostrare quanto realmente fossi importante per me”
Gli
occhi, che fino ad adesso erano stati incredibilmente appannati, si
sfogarono
silenziosamente. Sarebbe stato irrispettoso dare spettacolo piangendo
tutta la
tristezza che questo le causava. Irrispettoso e decisamente di cattivo
gusto.
Sentì la mano calda di Jared stringere la sua, avendola
vista così abbattuta.
La strinse a sé e le diede un bacio sulla tempia, cercando
di consolarla, per
quanto gli fosse possibile.
Cosa
puoi dire a una ragazza che piange per un lutto che non le appartiene
neppure?
Kim
gli sorrise tristemente tornando a guardare insieme a lui altri volti,
altri
fiori, altre parole; senza togliere un intante la mano dalla sua.
Alla
fine decisero che sarebbe stato meglio tornare dagli altri che li
stavano
certamente dati per dispersi, sempre se si erano accorti della loro
mancanza.
Avrebbero
potuto dire che l’alunna si era sentita male e lui
l’avesse accompagnata in un
bagno pubblico.
All'uscita il
professore estrasse dalla tasca
dei pantaloni una manciata di monete che infilò nella
scatola delle offerte per
quella chiesa così antica e importante per l'isola di
Manhattan, gesto che
colpì piacevolmente Kim. Lui in parte lo fece sicuramente
per lei.
-Jared?-
lo chiamò improvvisamente con voce provata.
-Dimmi,
Kim.- si fece attento, tenendo lo sguardo fisso sul marciapiede.
Lo
precedette e gli si piantò davanti. -Sei importante per me.
Sei più importante
di qualsiasi altra cosa al mondo, sei la più importante
delle importantezze che
mi sia mai capitata.- disse fissandolo intensamente. Cogliendo la
scintilla nei
suoi occhi profondi e scuri, così scuri da non riuscire a
scrogerne la pupilla,
si chinò per raggiungere le sue labbra, con una
serietà disarmante.
Sapeva
che era sincera, e quelle rientravano nella scala delle parole
più belle che
gli fossero mai state rivolte. -Voglio solo che tu lo sappia.-
continuò,
separandosi dalla bocca dell'uomo. –Significhi davvero molto
per me.-
It’s
better than I ever even knew
They
say that the world was built for two
Only
worth living if somedody is loving you.
Note finali: in
questo spazietto ci terrei a chiarire 3 cose.
1)questo capitolo è molto importante per me, forse
perchè per la prima volta tratto un argomento serio
o forse perchè sono stata molto autobiografica.
Ora so che c'è quella magnifica costruzione, ma quando ho
avuto io la (s)fortuna di visitare Ground Zero era un immenso cantiere
e, forse sono io molto romantica (nel senso letterario del termine) o
probabilmente è una cosa normalissima, ma mi sono sentita
così.. male.
Sono molto empatica e mi immedesimo nelle persone e nei posti; di
fronte a certe stragi non posso rimanere indifferente, sebbene mi
riguardino in terza persona plurale.
Chi di voi è come me può capire, e spero davvero
molto che questo aspetto sia passato attraverso quello che ho scritto.
Se qualcosa ve l'ho smosso, posso considerarmi la persona
più soddisfatta della terra, come avessi vinto un premio
Pulitzer.
2)La
chiesetta (per chi c'è stato lo sa) esiste davvero, ora non
ricordo il nome esatto, ma il "miracolo" c'è stato davvero.
Al contrario di tutti i palazzi attorno alle Torri che hanno risentito
dell'esplosione, questo piccolo edificio è rimasto intatto.
Miracolo, culo, mistero di Fatima, chiamatelo come volete, ma rimane
una cosa davvero pazzesca.
All'interno c'è o per lo meno, c'era davvero un memoriale
dedicato alle vittime, e preferisco non rivelarvi se quella foto l'ho
vista davvero o si tratta di pura invenzione. (Sicuramente quelle non erano le parole esatte, non ho una buona memoria)
Mi appello alla mia licenza poetica (qualora ne avessi una) e vi lascio
nel dubbio, sebbene non sia questo il punto della faccenda.
3)
Non sono impazzita e so che "importantezze"
non esiste, mi riappello alla mia licenza poetica e mi autoconcedo il
potere di coniarla oggi stesso (ahah)
Volevo trasparisse la genuinità e l'euforia romantica (nel
senso moderno del termine) del momento, quando vuoi assolutamente far
capire qualcosa di così importante ad una persona, ma
l'agitazione non ti fa trovare le parole, allora capita (a me
spessissimo, poi non so voi) che ne inventi di nuovi.
Cerco
sempre di inserire parole auliche o ricercate, e non vorrei insegnarvi
qualche strafalcione ahaha.
In
ogni caso, la morale del capitolo credo si colga in pieno: dite alle
persone a cui volete bene quanto sono importanti per voi. Non aspettate
di perderle. (Non necessariamente così tragicamente!!) Mi
è capitato recentemente, e rileggendo cosa ho scritto qui
sopra, mi sono resa conto di quanto sono stata cogliona, ma pace, non
si torna indietro.
Ok,
la canzone l'abbiamo già incontrata e non sono sicura che
fosse giusta per questo capitolo perchè il tema centrale non
è la relazione tra i due dell'ave Maria, però
regass c'ho messo un'ora per modificare e scrivere sto papiro, quindi
pietà ;)
Videogames di Lana
del Rey.
Te
lo dico sempre
Il paradiso è un posto sulla Terra (quando sono) con te
E'
meglio di quanto mi aspettassi
Dicono che il mondo fosse costruito per due
Vale la pena vivere, solo se qualcuno ti ama.
Anzi, ora traducendola mi rendo conto di quanto fosse inconsciamente
azzeccata ahaha.
Ok, scrollatevi di dosso questo senso di
angoscia/irrequietudine/tristezza che sono consapevole di aver
fomentato finora, MEA CULPA e fate un bel sorrisone, che non
è successo nulla di grave da piangere oggi. La
tragicità è parte della mia
personalità, ve ne renderete conto più avanti (se
non l'avete fatto con i capitoli iniziali) che quando tratto di cose
spiacevoli, diventano tragedie greche!
Gradirei molto mi diceste se avete sentito qualcosa, se vi è
piaciuta o meno, se mi odiate per qualsiasi cosa o no ahaha.
Grazie dell'attenzione, baci&abbracci.
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Capitolo 38 *** Capitolo 38. ***
Capitolo 38.
It's about you
and the sun
A morning run
The story of my maker
What I have and what I ache for
Kimberly
rotolò su un fianco, assaporando il profumo fresco di
lenzuola appena lavate.
Si trovava in uno stato di dormiveglia da cui non voleva quasi
assolutamente uscire. Il tipico dormiveglia dato dall'orologio
biologico, che ti rende consapevole del fatto che c'è tua
madre in bagno e sta per venire a svegliarti.
Quel dormiveglia che non vorresti mai interrompere, da cui non vorresti
mai svegliarti perchè improvvisamente quella in cui ti trovi
è la posizione più comoda del mondo, quelle
coperte sono più calde del solito e sbaglio o il cuscino
è più soffice del normale?
Kim riordinò le idee senza aprire gli occhi, cercando di
prolungare il momento. Non riusciva assolutamente a ricordarsi che
giorno fosse o cosa avrebbe dovuto fare, se avesse interrogazioni o
compiti di qualche genere.
Fin quando un sospiro non suo la riportò alla
realtà dei fatti.
Grazie al cielo era ancora in gita e ora capiva cosa era quella
sensazione che le premeva sul petto quasi a ricordarle che c'era
qualcosa di cui gioire, che se avesse aperto gli occhi non si sarebbe
trovata semplicemente di fronte ad una giornata qualunque, fatta di
autobus, sbadigli e nervosismo.
Allungò alla cieca una mano incredibilmente gelida rispetto
alla sua temperatura corporea e si trovò a tastare davanti a
sé, alla ricerca di ciò che lei sperava ci fosse.
Inizialmente solo coperte che avvolgevano un piumone soffice contenente
piume d'oca, al quale doveva il tepore da cui non voleva destarsi, ma
poi arrivò a percepire sui polpastrelli lisci
qualcosa di altrettanto liscio; vi posò il palmo intero e,
contenta di non deludere le sue aspettative, il piano su cui era
appoggiata si alzava e abbassava, scandendo il passare dei secondi.
Sempre tenendo gli occhi chiusi cominciò percorrere con la
punta delle dita la superficie verso l'alto, figurandosi nella mente
quello che si sarebbe trovata davanti se solo avesse aperto una
palpebra. Non aveva mai fatto caso a quanto la pelle di Jared fosse
morbida.
I polpastrelli arrivarono al petto nudo dell'uomo, poi al collo,
toccò al mento spigoloso e pungente dove si
soffermò qualche secondo di troppo per accarezzare le
labbra, delinearne i contorni con l'indice e ripassarle col pollice;
passò al naso per poi arrivare agli occhi che guizzavano
sotto le palpebre -significava che era sveglio e li aveva chiusi
proprio per evitare che lo accecasse- e infine appoggiò il
palmo aperto su quella che doveva essere la guancia, accarezzandone la
superficie ruvida a causa della barbetta.
Una mano estranea raggiunse la sua e gliela appoggiò sopra
con una delicatezza quasi spaventosa e poi la portò dritta
sulle labbra lasciandole un bacio lieve.
Sul viso di Kim si formò un sorriso, carico di gioia e
soddisfazione data dal fatto che non fosse tutta una sua illusione, ma
c'era davvero qualcosa per cui valesse la pena svegliarsi.
A quel punto trattenersi dall'aprire gli occhi fu impossibile. Decise
di assecondare quell'irrefrenabile impulso e diede una sbirciata alla
realtà che era praticamente identica a come se l'era
immaginata al buio. Jared era lì, non distante dal suo corpo
prono, in una posizione semi seduta che le teneva la mano tra le sue e
continuava a strofinarsela con dolcezza sulle labbra socchiuse.
Gli occhi, ovviamente, erano puntati fissi su di lei, come incantato.
-Buongiorno.- sussurrò senza cambiare espressione. Era
riposata, seria ma non cupa, più pensierosa. Kim
pensò che finalmente quel povero uomo era riuscito a
concedersi un po' di sonno, le occhiaie non erano più
così evidenti.
-Buongiorno.- gracchiò lei in risposta, lasciandosi sfuggire
un sorriso di troppo. -Dormito bene?- domandò, sperando di
aver colto nel modo giusto i segni sul suo viso.
Jared annuì soltanto, come fosse in catalessi, come fosse
lui quello a non volersi svegliare da un sogno. Quell'espressione
tormentata non sembrava intenzionata a togliersi dalla sua faccia, e
Kim si preoccupò leggermente per questo.
Aveva forse parlato nel sonno? Capitava di rado ma capitava e non
poteva assolutamente immaginare cosa avrebbe potuto dire. O magari era
stata troppo agitata e gli aveva mollato qualche calcione senza
rendersene conto, effettivamente la cena della sera prima non era stata
così leggera.
Erano stati assolutamente liberi il giorno prima, infatti ne avevano
tutti approfittato per andare a fare shopping o a comprare qualche
souvenirs; sfortunatamente però loro due non avevano proprio
avuto modo per passare un po' di tempo
“casualmente” isolati.
Le occhiate di Joe erano diventate troppo insistenti e sembrava che
volesse diventare un surrogato della sua ombra. Quando verso l'ora di
pranzo i professori avevano dato il via alla mezza giornata di
libertà lui le aveva chiesto se volessero andare da qualche
parte insieme, ma lei declinò cordialmente l'offerta, dato
che Gwen le aveva ripetuto costantemente per tutta la mattina che il
pomeriggio sarebbero andate in giro per negozi, con un'espressione a
cui Kim non poté assolutamente dire di no, suo malgrado.
Come se fosse stato invitato, Joe le seguì per tutto il
pomeriggio, quasi come se volesse accertarsi che non gli avesse
mentito, camminandole letteralmente addosso per tutto il tempo, alle
loro spalle senza proferir parola. Chi camminava loro intorno
avrà sicuramente pensato che fosse o un maniaco o la loro
guardia del corpo.
La sera, come avevano predetto i professori, erano tutti troppo stanchi
per uscire a folleggiare e alla fin fine ebbero tutti la stessa idea e
si trovarono nell'atrio dell'albergo a usufruire del salotto con tanto
di tv, senza neanche mettersi d'accordo.
Tra le litigate dei ragazzi e delle ragazze per la supremazia del
telecomando, Kim comprese che la resistenza che poteva fare al suo
bisogno naturale di dormire era giunta ad un limite e si
abbioccò sulla spalla di Gwen, la quale la
coccolò materna. Quell'aspetto di Gwen si era totalmente
oscurato fino a quel momento, tanto che quando Kimberly si
svegliò a causa delle risate troppo elevate dei suoi
compagni intenti a seguire un Talk Show, rimase spiazzata nel vedere
che l'amica non era affatto schifata della troppa vicinanza -spesso non
era assolutamente espansiva, e nelle dimostrazioni d'affetto era
negata, quasi temesse che abbracciare una persona le procurasse la
malaria- anzi l'aveva fatta adagiare sulle sue gambe e le faceva le
treccie ai capelli mentre seguiva con attenzione la trasmissione.
Quando si accorse che Kim la stava fissando con un'espressione del
tutto incredula, le sorrise semplicemente. Forse non era quella specie
di alieno della moda che Kimberly aveva sempre pensato fosse.. fino ad
allora aveva celato un lato molto più umano.
Con la coda dell'occhio vide Leto che parlava vicino all'entrata con
Lola e si rese conto che quel giorno non si erano quasi rivolti la
parola. Conveniva rifarsi, dal momento che non appena lo vide la voglia
che aveva di stare con lui si fece incontenibile.
Lanciò un'occhiata a Joe, e fu contenta di vederlo dormire
beatamente. Sogghignò tra sé e sé : la
camminata sostenuta delle ragazze l'aveva stroncato.
Quindi decise di alzarsi fingendo di andare al bagno, mentre invece si
avvicinò facendosi vedere da Jared e andò verso
l'ascensore; Lola non la vide dato che le dava le spalle e 10 minuti
dopo salirono anche i due professori. Jared sembrava molto impaziente
di andare a dormire e Lola decise di assecondarlo in quanto non le
sembrava il caso di privarlo del sonno di cui aveva evidentemente
bisogno.
Quindi, una volta liberatosi della collega, l'uomo si
precipitò in camera, davanti alla cui porta trovò
una Kim assonnata e desiderosa di passare del tempo con lui.
Non fece neppure in tempo a sorriderle che se la ritrovò tra
le braccia; le labbra che cercavano le sue; gli occhi nei suoi e senza
esitare la strinse a sé; ed entrarono in camera incespicando.
Ora Kim fissava il volto del professore senza vederci quella scintilla
di passione, ma solo preoccupazione, turbamento e tanta concentrazione,
come se stesse calibrando le parole da usare per iniziare un discorso.
Improvvisamente la consapevolezza nel corpo della ragazza si fece
più intensa, come una fiammella al centro del petto che
cominciava a divampare e ad espandersi, accendendo il cuore che sentiva
pompare nel petto quasi rimbalzando sul materasso su cui era distesa.
Jared non aveva cambiato espressione, il tocco delle sue mani che
percorrevano tutta la lunghezza del suo braccio nudo
fino al gomito, da dolce e delicato, che le provocava una piacevole
pelle d'oca, divenne d'un tratto intenso come se lasciasse una scia di
fuoco.
Ma era solo una sua sensazione, perchè lui non aveva
assolutamente cambiato nulla. Sembrava incredibilmente triste adesso e
un barlume di sgomento gli saettò negli occhi.
Senza neanche rendersene conto, Kimberly cercò di sfilare il
braccio dalle sue mani, purtroppo però la presa era forte e
decisa a non lasciarla andare. Lo sguardo finalmente si
spostò dagli occhi di lei, per finire sull'interno
dell'avambraccio, dove una decina di cicatrici rosate risplendevano,
neanche fossero illuminate dal sole.
La stanza era nella penombra, le tapparelle erano abbassate, ma non era
abbastanza buio perché Jared non si accorgesse di quei tagli
palesemente non casuali.
Improvvisamente Kim si sentì sprofondare nella vergogna di
quel gesto, come volesse seppellirsi all'istante nel materasso del
letto; si sentiva una fallita, sporca e perfettamente cosciente del
fatto che avrebbe potuto inventarsi tutte le scuse di questo mondo, ma
non avrebbero mai e poi mai retto.
Era scontato che Jared non fosse un completo idiota e avesse capito
tutto. Ce l'aveva scritto in faccia.
Vide il suo petto gonfiarsi e gli occhi chiudersi, quasi con dolore,
quasi come se non volesse assolutamente cominciare un discorso che
avrebbe recato ad entrambi una pena infinita.
-Kim.. cosa hai.. cosa è successo al tuo braccio?-
domandò senza distogliere l'attenzione da quei segni
indelebili.
La ragazza si maledisse stringendo gli occhi. Le dita di Jared che
percorrevano il braccio soffermandosi sul rilievo che ogni taglio
procurava era una visione che non poteva sopportare.
-Niente. E' stato il mio cane, per gioco ovviamente.- si
scoprì dire. Non era stata lei a pronunciare quelle
parole,ma una parte della sua ragione che tentava in ogni modo di farlo
passare come un malinteso, in modo da uscirne indenne e smettere di
vedere quell'espressione sull'uomo che sembrava sentirsi in colpa.
Il professore affilò gli occhi, sospirando a pieni polmoni.
-Perchè l'hai fatto?-
-Io non ho fatto niente.- affermò decisa, nonostante fosse
sicura di star facendo la figura della demente.
-Per favore Kim, non trattarmi come un ingenuo.- l'aspetto che le fece
più male era il tono: sembrava senza vita.
-Non guardarmi così!- disse lei, estraendo il braccio a
forza dalla presa dell'altro, ranicchiandosi su se stessa.
Scoppiò a piangere non sapendo se per il fatto che l'avesse
scoperta o per quello che sarebbe successo in seguito a questa
discussione.
-Kim..- tentò di calmarla Jared ma lei lo interruppe con un
gesto isterico delle mani.
-Lo so Jared!- esclamò -Lo so che ho sbagliato, lo so che ti
ho deluso, che ti faccio schifo/pena/ribrezzo e so esattamente che
pensi che sia una stupida incosciente, debole e malata. Lo so come so
che tu adesso mi stai rivalutando e che preferiresti uscire dalla mia
vita come hanno fatto tutte le persone che mi hanno fatto fare questo!-
disse sgomenta, indicandosi il braccio rosso da tanto se lo grattava,
nella speranza che fossero solo delle illusioni. Ogni tanto prudevano
da morire.
Sentì le braccia dell'uomo avvolgerla all'altezza della vita
e far forza per tirarla su a sedere da sotto le coperte. Con foga e
impazienza le cercava il viso tra la massa di capelli, intento a
trovare i suoi occhi. Ma la ragazza non ce la faceva, non voleva
assolutamente guardarlo in faccia mentre le avrebbe detto che era una
psicopatica e avrebbe dovuto farsi vedere, quindi per ogni tentativo di
lui di trattenerla, si
beccava uno spintone e subito gli sfuggiva dalle mani.
-Kimberly calmati..- disse con voce soffice stringendosela al petto.
Sentiva le lacrime della ragazza bagnarglielo; la cullò per
qualche istante finché gli spintoni si fecero più
deboli.
Le strinse le mani attorno all'ovale del viso e la costrinse a
guardarlo. -Io non ho nessuna intenzione di lasciarti, chiaro? Non
trovo che tu sia malata, Kim voglio solamente aiutarti. Non ti
lascerò, non potrei mai farlo.- Kimberly
colse che nel suo tono non c'era disprezzo o disgusto. Jared desiderava
semplicemente capirla, e questo le riempì gli occhi ancora
più di lacrime.
L'uomo se la strinse al petto e la trascinò con
sé, distendendola sul materasso, mentre pazientemente
attendeva che si calmasse. Ascoltando i suoi sussulta farsi meno
insistenti, cominciò a tranquillizzarla con voce calma,
sussurrandole parole rassicuranti e cariche d'affetto.
-Sai, stamattina quando mi sono svegliato mi sono sentito
così riposato e felice quando ti ho trovata al mio fianco.
Come sempre quando sei nelle vicinanze.
Quando mi è scappato l'occhio e ho visto quelle cicatrici
sul tuo braccio che risaltavano in confronto alla tua carnagione
pallida, ho perso qualche anno.- spiegò.
Kim si sentì mortificata. In effetti aveva smesso da un po'
di provocarsi dolore, ma ciò nonostante i segni sembravano
non volersene andar via, costringendola ad indossare sempre magliette a
maniche lunghe e a portare tanti braccialetti e manicotti durante
educazione fisica.
Era una specie di condanna, ma era inevitabile dato che alcune erano
davvero profonde. Ancora riusciva a ricordarsi il dolore acuto che
aveva percepito quando si spingeva così in
profondità e quanto sangue le usciva quando recideva una
parte del braccio composta da molta carne, ogni tanto non riusciva a
fermarlo per diversi minuti.
Razionalmente lei sapeva che non aveva intenzione di uccidersi, se no
non avrebbe fatto assolutamente attenzione a dove appoggiava la lama.
Era più un modo per sfogarsi, come se il dolore e il vuoto
nell'anima fossero troppi da sostenere. Si sentiva piena di tutto quel
vuoto e sfiancata ogni misero minuto della sua esistenza e non riusciva
più a vivere pensando continuamente a quanto le costasse
farlo.
E questo era un modo come un altro, molto estremo lo sapeva, per
liberarsene almeno in parte. Per un minuto della giornata riusciva a
non pensare assolutamente a niente, se non al dolore e al colore
intenso del sangue che le usciva dalla ferita. A volte non faceva
neanche male.
-Mi dispiace..- sussurrò lei, gli occhi ancora gonfi. -Non
immaginavo potessi scoprirlo.-
-Promettimi che non lo farai mai più, Kimberly. Per favore,
se mai ti dovessi trascurare o causare una pena tanto grande, piuttosto
sfogati, picchiami, urla quanto vuoi; se è necessario fallo
a me, ma non farti mai più del male, Kim.- la sua voce era
tanto intensa e seria che l’alunna rabbrividì
all'idea di far del male a lui. Maltrattare se stessa era fattibile,
provocare dolore a Jared era un’azione nemmeno lontanamente
contemplabile.
Le mise due dita sotto il mento, portando gli occhi della ragazza nei
suoi. -Me lo prometti?- gli occhi azzurri erano sinceramente imploranti.
Kim annuì energicamente con la testa, torturandosi il labbro
inferiore con i denti. L’uomo le strinse una mano
intrecciandola con la sua e le avvicinò il capo, arrivando a
far combaciare le loro bocche.
I
don't know what more to ask for
I was given just one wish
Note
finali: Eccoci
qua, again.
Allora,
innanzi tutto ci terrei a ringraziarvi una per una dal profondo del
cuore per i duecentomilioni di complimenti che mi sono stati fatti.
Davvero, se tutte ste lusinghe potessero essere tramutate in
pasticcini, non passerei dalle porte. Quindi grazie a tutte per fare
ingrassare in questo modo mostruoso il mio ego, diventerò
molto arrogante per colpa vostra ;)
So che mi odierete per farvi ingurgitare (scusate i mille riferimenti
al cibo, non so che cazzo mi sta succedendo ma ho mega fame, ieri notte
non ho fatto altro che sognare di mangiare. Starò morendo?
NON VI AZZARDATE NEANCHE PER SBAGLIO A PENSARE ALLA PAROLA BAMBINO O
INCINTA PERCHè VI MANDO A CAGARE VIRTUALMENTE ♥)
tutti sti capitoli pesanti, ma credo che sia importante
trattare di cose serie (ogni tanto).
E' un argomento molto delicato che recenemente ha spopolato diventando
una moda, e chi non è mai entrato in contatto con questo
tipo di sofferenza so che non può capirlo, si sofferma
all'apparenza e non perde 5 secondi di tempo per tentare di guardare al
di là; che tipo di dolore si cela dietro questi gesti.
So che voi non siete così, lo sento da quello che mi dite e
ripongo molta fiducia in voi. So che apprezzerete anche questo capitolo
e capirete il mio personaggio..
Sapete,
anni fa, quando ho pubblicato questa storia la prima volta in un altro
sito, una ragazzina mi ha contattata ringraziandomi come fossi il
messia, perchè la mia storia la stava aiutando, aveva
passato momenti difficili, e il fatto che mi degnassi di parlarne per
lei era stato di grande aiuto.
Non dico che grazie a me abbia smesso di farsi del male (sia mai, non
sono un cazzo di nessuno), ma siamo state a contatto per un
pò e so che il parlarne con una persona completamente
estranea l'aveva risollevata.
L'ho risentita più recentemente e stava meglio. Ci penso
spesso, e spero con ogni centimetro della mia persona che abbia trovato
la sua pace e che stia bene e se, non si sa mai, è tra le
fantastiche (♥) persone che mi stanno seguendo qui su EFP,
le mando un bacionissimo.
Tornando
a bolla, quello che sto cercando di dirvi è se
c'è qualcuno tra voi che ha qualche problema, bisogno di
sfogarsi, parlare di queste tematiche un pò delicate,
sappiate che io ci sono e sono prontissima a darvi tutto il mio
supporto e tempo. So che non mi conoscete e potrei essere un maniaco
sessuale di 67 anni (eheh), ma mi auguro che dopo 38 capitoli in cui vi
racconto anche i beneamati cazzi miei, ormai abbiate capito che persona
sono e, come ho detto prima, sono pronta ad ascoltarci e a darvi tutto
l'ascolto di questo mondo, perchè so che alla fine
è questo che le persone con questo tipo di problemi cercano:
qualcuno disposto ad ascoltarle.
Davvero
non sono nessuno, ma io voglio capire e soprattutto posso perfettamente
capire. Senza pregiudizi, mano sul cuore.
Tornando
al capitolo, questa è solo una storia, ma spero davvero di
trattarla in modo che qualcosa vi resti.
La canzone credo che davvero stavolta non c'entri DAVVERO un cazzo, ma
è la prima a cui ho pensato grazie ai suoi toni un
pò dark e cupi (il video è angosciante a mio
dire) ma sono sicura che il capitolo sarà così
tragicomico che non ve ne renderete neanche conto ;)
Si chiama What else is there ed
è dei Royskoop
Si
tratta di te e del sole
una corsa mattutina
la storia del mio creatore
Quello che ho e quello per cui soffro
Io non so cos'altro chiedere
Mi è stato
dato un solo desiderio.
Ok,
Ho finito anche con questa pergamena. Spero sia piaciuto e mi prendiate
in parola.
Tante coccole a tutte ♥
|
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Capitolo 39 *** Capitolo 39. ***
Capitolo 39.
Your eyes, your eyes
I can see in your eyes, your eyes
Everything in your eyes, your eyes..
Nonostante
l'inizio non molto tranquillo della giornata, il resto
proseguì egregiamente.
I professori di
comune accordo decisero di lasciar decidere agli alunni cosa andare a
vedere,
le mete più gettonate erano i musei come Mme Toussaut, le
quali vennere
volentieri accolte da tutti.
Era l'ultimo
giorno, il mattino dopo avrebbero dovuto tutti prepararsi per andare in
aeroporto, direzione casa.
La situazione tra
Jared e Kimberly non risultava essere deteriorata, anzi, con gran
sorpresa
della seconda, sembravano più affiatati, anche in pubblico.
Come se lo
scoprire qualcosa di più su di lei l'avesse avvicinato
ulteriormente, in un
certo senso questo la fece sentire sollevata.
Certo, non
facevano come se niente fosse dando libero sfogo ai loro sentimenti, ma
non era
più così raro trovarli insieme a chiaccherare
riguardo al clima o ad un monumento,
senza preoccuparsi delle occhiate fulminanti di alcuni presenti -2 in
particolare-.
Jared non era
ancora riuscito a superare la scoperta fatta la mattina, ma non per
questo era
intenzionato a lasciar perdere la ragazza. Al contrario, questo lo
convinse a
starle ancor più vicino.
Le persone che
avevano quel tipo di problemi solitamente era per cause affettive, e
lui
conosceva perfettamente la situazione di Kim. Non necessariamente la
delusione
amorosa, ma più probabilmente l'assenza prolungata del padre
fin da piccola
doveva aver creato in lei quel costante senso d’inadeguatezza
e solitudine che
spesso le leggeva negli occhi neri.
A guardarla ora,
allegra e sorridente mentre con le sue amiche si faceva la foto accanto
alla
statua di cera di Johnny Depp, non l'avrebbe mai detto.
Sospirando si
avvicinò alla statua di Britney Spears in una posizione
tutto meno che normale,
in cui la scollatura era la parte più evidente; Kimberly si
avvicinò a lui,
vedendolo piuttosto concentrato.
-Professore cosa
sta guardando?- lo rimproverò sarcastica.
Lui sobbalzò e
immediatamente sorrise. -Niente, stavo constatando che sono fatti
proprio
bene!-
Kim rise di gusto,
facendo ridere con lei anche l'uomo.
Non c'è niente di meglio di una risata sguaiata ogni tanto,
Kimberly lo aveva
sempre sostenuto.
-Pensa, magari un
giorno ci sarai anche tu qua dentro..- sospirò lei rilassata.
-Sì, nel mondo dei
poi..- ribatté lui sarcastico. Non sarebbe mai successo, lo
sapeva e ormai ci
conviveva con questa idea. Anche perchè avere una statua a
dimensioni naturali
di se stesso chiusa in un museo lo faceva sentire alquanto inquieto.
Anzi da una
parte era piuttosto sollevato non esistesse.
L'unico aspetto
che lo fece desistere dal diventare un artista di fama era il lato
negativo
dell'essere conosciuto da tutti. Tutti l'avrebbero additato, fermato
per
strada, avrebbero voluto conoscere sua madre, il suo indirizzo, il suo
cane..
ciò che era suo e basta non lo sarebbe più stato,
e ogni volta che il prurito
alle mani causato dalla consapevolezza di qualcosa che non poteva mai
avere si
faceva largo nei suoi pensieri, cercava in tutti i modi di convincersi
che dopotutto,
fosse sicuramente meglio così.
-Sono seria Jared,
ti ci vedo benissimo.- sorrise Kim guardandolo negli occhi. -E sappi
quando mi
immagino troppo bene una cosa, accade.- disse lei, si vedeva che ci
credeva
seriamente in quello che diceva.
Lui non fece a
tempo a rispondere che la conversazione fu interrotta da una persona in
più che
si intromise nella visuale dei due.
-Kimberly, dai
andiamo!- la andò a prendere Gwen, afferrandola per un polso
e trascinandola
verso l'uscita. -Ho una fame!- continuò la bionda unendosi
alla truppa di
compagni che si era impilata davanti al fast food di fronte all'uscita
dell'edificio.
-Che noia sempre
hamburger..- borbottò la Kim a mezza voce, pensando che una
volta tornata a
casa non avrebbe più sfiorato nemmeno con il pensiero l'idea
di andare a
mangiare in un Mc.
-Siamo in America,
Kim che ti aspetti?- scherzò Joe alle sue spalle. Lei si
stupì, come aveva fatto
a sentirla? Ma poi sospirò rassegnata, non c'era niente che
quel ragazzo non
cogliesse, niente che gli potesse sfuggire. Almeno per quanto
riguardasse lei.
Ogni tanto lo
trovava fastidioso, dato che quando si trovava a parlare degli affari
suoi con
qualche sua amica lo intravedeva con la coda dell'occhio che stava a
fissarla a
distanza, intento ad ascoltare cosa aveva da dire riguardo
all'argomento.
E per di più lui
era una delle persone più intelligenti che conoscesse, una
di quelle a cui si
spiega un concetto complicatissimo di biologia che lei stessa aveva
impiegato
ore ad assimilare, e lui un'ora dopo era ancora in grado di ripeterlo,
forse
anche meglio.
Spesso Kim non
poteva soffrire questo aspetto dell'amico. Lei passava ore e ore a
studiare un
paragrafo di storia, mentre a lui bastava un'occhiatina per prendere il
suo
stesso voto.
Eppure un ragazzo
con tali abilità intellettive e potenzialità si
intestardiva a sprecarle per
lei e con lei. Quando si rese conto di essere rimasta a fissarlo un
pelino di
più, si scosse e distolse lo sguardo, tornando alla solita
indecisione quando
si trattava di scegliere il pranzo.
Intravide qualcosa
che faceva al caso suo e gli occhi le si illuminarono, prese il take
away come
tutti e poi andarono di comune accordo al Central Park, decisi a
passare un
altro pomeriggio rilassante.
Si divisero in
gruppi, avventurandosi nell'immenso parco e decisero dove piazzarsi.
Kimberly
era irrequieta,
doveva trovare un modo
per unirsi al suo insegnante di musica, che aveva visto allontanarsi da
solo;
senza dare troppo nell'occhio e senza far pesare la sua assenza agli
amici che
si aspettavano di vederla unirsi a loro per il pranzo.
Quando una piccola
bugia le venne in mente, decise che era il caso di agire in fretta.
-Gwen, devo andare
da Joe, ho promesso loro che avremmo pranzato insieme oggi!- sorrise
fingendo
dispiacere, sapendo che tanto i due non potevano soffrirsi e che quindi
non si
sarebbe auto invitata. Come previsto l'amica scrollò le
spalle con un sorriso
neutro.
-Non preoccuparti.-
rispose. -Ci vediamo più tardi, noi ci sistemiamo
là al sole, magari prendiamo
un po' di colore.- ammiccò e poi proseguì insieme
a Juls.
Soddisfatta della
risposta, Kimberly si affrettò verso dove aveva visto
scomparire Jared.
-Hey Kim!- si sentì
chiamare da destra, quindi si voltò sussultando, come fosse
stata colta sul
fatto.
-Joe!- esclamò,
sentendosi in trappola. Quegli occhi che coglievano qualsiasi dettaglio
la
mettevano estemamente a disagio, quindi non c'era da stupirsi che non
si sentì
minimamente sollevata nel riconoscere il suo interlocutore.
-Chi stai cercando
così furtivamente?- domandò lui sorridente,
seduto in uno spiazzo d'erba
insieme agli altri del gruppo delle bevute. Quando se ne accorse Kim li
salutò
con un lieve cenno, al quale ricambiarono tutti distrattamente, troppo
concentrati nella mole di panini che erano lì lì
per addentare.
Nonostante una
parte della sua attenzione fosse precipitata sugli altri, non si era
lasciata
sfuggire il suo tono retorico, come se sapesse già la
risposta ma la volesse
sentire con le sue orecchie.
Ciò la mise ancora
più a disagio, ma cercò di non darlo a vedere,
sebbene fosse sicura che tutto
quello che pensava in ogni singolo istante di attesa per lui era come
se le
fosse chiaramente scritto in fronte. Era come un dannatissimo libro
elementare
per lui quella ragazza e ciò la faceva sentire tremendamente
a disagio, come se
improvvisamente si fosse resa conto di essere senza vestiti.
-Perchè furtivamente?-
chiese Kim d’un tratto, mentre tentava di raggirarlo.
-Boh, sembri in
incognito.- sorrise affabile Joe, affilando gli occhi.
-Perchè non ti unisci a
noi?- le propose picchiettando sull'erba proprio accanto a
sé.
Kimberly respirò
con cautela, guardandolo meglio non c'era niente di losco nei suoi
occhi, non
era la voglia di non farla stare con Jared a farlo parlare, ma la
voglia di
farla stare con lui.
-Oh.. spiacente ma
Gwen mi obbliga a prenzare con loro. Dice che dovrei prendere un po' di
colore,
perchè così sembro un cadavere.-
chiosò, condendo con dettagli completamente
inventati.
Non completamente
inventati, dato che una frase del genere gliel'aveva sentita dire un
giorno di
quelli, ma sinceramente, neanche le importava. Il suo pensiero fisso
era
liberarsi senza sollevare troppi polveroni di mistero, per passare
tranquillamente il suo tempo con chi davvero desiderava.
-Ancora non mi
capacito di come tu possa ancora passare il tuo tempo con una come
lei.-
mormorò il suo amico, ravanando nel suo sacchetto del pranzo.
Il commento le
tolse il sorriso dal volto, ma decise di non dargli troppo ascolto e
optò per
il proseguire, dato che stava solamente perdendo tempo.
-Prima di sparare
sentenze dovresti conoscerla.- disse prima di continuare. -Buon
appetito,
comunque; a più tardi!-
Accidenti, quel
parco era davvero enorme. Era quasi convinta di essersi persa quando,
dopo aver
camminato per 10 minuti consecutivi nella direzione in cui era sicura
fosse
andato Jared, ancora non riusciva a vederlo.
Per lo meno il
luogo era di una bellezza evidente: con quel sole tipico dei giorni
ancora
freddi che precedevano la primavera, l'aria era molto leggera e
respirabile, il
cielo era splendente e ogni dettaglio della natura risplendeva sotto i
raggi
lucenti. I prati erano di un verde intenso, nelle aiuole i germogli
apparivano
con colori così intensi che sembrava stessero per sbocciare
da un istante
all'altro e il laghetto centrale risultava accecante.
Decise di
avvicinarvisi, vedendo un gruppo di volatili, tra cigni e papere che vi
sguazzavano tranquillamente. Anche vicino a casa sua c'era un parco con
un lago
simile, con Christopher ci andava spesso.
Prendevano i
sacchetti del pane secco e andavano a sedersi in riva al lago e
lanciavano gli
avanzi ai cigni, divertendosi nel vederli scuotere la coda piumata o
litigare
con gli altri animali per la supremazia di qualche briciola.
Quasi subito però,
le si strinse il cuore. Ormai quanti erano, 4 mesi che non lo
vedeva/sentiva?
Come se non fosse mai esistito, neanche per sbaglio, neanche per caso,
neanche
in lontananza.
E ciò le provocava
fitte a non finire. Era esasperante a pensarci bene, dato che stava
rischiando
moltissimo con la sua relazione segreta col professore, del quale era
completamente succube, ma ciò non aveva modificato
assolutamente tutto quello
che l'altro le provocava.
E fu in quel
momento che raggiunse un'amara certezza.
Lui, con tutta la
sua stronzaggine e perversione acuta, era interamente presente in lei.
Nonostante l'odio che provava per lui, nonostante il dolore che le
provocava
solo il pensare ai suoi occhi; lui c'era, era dentro di lei e la sua
presenza
non accennava a voler sparire.
Non bastava non
pensarci per dimenticare, non pensarci è anni luce distante
dal dimenticare.
Si accorse anche
che era per quello che in quella città si sentiva
così a suo agio e rilassata,
fin dalla prima volta che era sbarcata: lì non c'era niente
di lui che potesse
ferirla, tranne che i suoi incubi. Perchè sì, le
duoleva ammetterlo, ma non
aveva smesso di sognarlo una sola volta da quando erano arrivati. Lo
sognava e,
sebbene ciò le facesse assolutamente ribrezzo, il rivederlo
così vicino per un
secondo le faceva battere il cuore e si vergognava infinitamente nel
provare
sollievo nel pensare che fosse realmente tornato, che non fosse
semplicemente
un sogno.
Ma era così. Sebbene
non l'avesse mai e poi mai ammesso ad alta voce era ovvio che quando
passeggiava per strada scrutando tra i passanti, quando il telefono
vibrava,
quando si svegliava la mattina.. c'era un solo nome fisso a cui
ricorreva il
pensiero.
E c'era
costantemente una domanda che le rotolava nella mente: se per puro
scherzo dell'immaginazione
divina Chris fosse tornato, che ne sarebbe stato di Jared?
-Ehy, non si dà da
mangiare agli animali!- esclamò una voce dura alle sue
spalle, che la risvegliò
dai suoi infantili e degradanti pensieri di adolescente impedita.
Si sarebbe
annegata da sola nel laghetto gelido, se solo non avesse avuto uno
spirito di
sopravvivenza testardo.
Si voltò di scatto
sobbalzando leggermente, non appena si rese conto di aver dato
inconsciamente
una spiluccata di pane dolce all'animale a poca distanza da lei, che
ora la
fissava ancora più insistentemente, affinchè
gliene desse ancora un po'.
Arrossì
furiosamente, quando nella voce vi riconobbe Jared Leto in persona, che
la
scrutava con la schiena appoggiata al tronco di un albero poco distante.
-Jared!- esclamò,
sentendosi sollevata dal peso delle sue stupide azioni e ancor
più stupidi
pensieri.
L'uomo aveva
cominciato ad avvicinarsi e oramai si trovava a pochi passi da lei.
-Sbaglio o
qualcuno mi pedina?- scherzò, prendendola per mano e
conducendola verso una
panchina a qualche metro dal laghetto.
-Taci che ho
dovuto mentire spudoratamente per trovarmi qui adesso. E poi
è stata una
faticaccia raggiungerti, quanto cammini veloce!- si lagnò la
ragazza,
cominciando ad addentare le sue crocchette di pollo. Tutto
ciò le aveva messo
una gran fame.
-Vuoi gradire?-
domandò gentilmente, porgendo il sacchetto all'uomo, il
quale stava beatamente
ad osservarla con un braccio attorno alle spalle.
-Sono vegetariano,
Kim.- le ricordò, con un sorriso calmo.
-Oh, davvero?-
fece lei con aria da svampita. -Che disdetta. Guarda caso, ho un Veggie
Burger
che mi avanza.- sorrise astraendo la scatoletta dalla busta.
La scintilla che
colse negli occhi azzurrissimi -grazie al clima fortunato- di Jared, la
convinse che per una volta aveva fatto la cosa giusta.
-Non ci credo..-
sussurrò colpito lui, prendendogliela dalle mani. -E' un
gesto molto bello, Kimberly.-
era serio, con una serietà così adulta che Kim si
sentì quasi a disagio; ma il
sorriso che le rifilò nell'istante dopo seguito da un bacio
sonoro, le riportò
quel rossore sulle gote che caratterizzavano il loro tempo insieme.
-Te l'avevo detto
che ti avrei offerto qualcosa un giorno!- gli ricordò con un
sorriso timido.
Jared sbuffò e
cominciarono a pranzare, chiaccherando del più e del meno e
condividendo le
patatine. Kim lo trovava molto rilassato, si vedeva che quello era il
suo
ambiente. Ogni tanto le risate e i baci erano intervallati da silenzi
di
contemplazione della natura o dei reciproci visi.
Era strabiliante
come un solo suo sguardo azzurro potesse scacciare tutto ciò
che era in grado
di turbare o ferire la ragazza.
-Sai Kim stavo
pensando..- cominciò lui prendendole una mano e
rigirandosela tra le sue. Il tono
era incredibilmente sciolto, Kimberly sarebbe stata disposta ad
ascoltarlo
parlare di storia della musica quel giorno. Quando era di
così buon umore si
sentiva come a un passo dal paradiso.
-Sì?- fece lei
curiosa.
-..stasera vorrei
portarti a cena.- un lieve sorriso gli si disegnò in volto.
-Ti va?- chiese
poi, riportando gli occhi celesti nei suoi, nei quali la ragazza ci
lesse un
pizzico di imploro immeritato. Come se in un qualsiasi universo
parallelo lei
potesse rifiutare.
-Come?- si scoprì
dire, non completamente sicura di quello che le era stato chiesto.
-Perchè ti
sconvolge tanto?- rise appena lui divertito.
-E' che.. sei
sicuro?-
-Certo. Non hai
paura di stare qua alla luce del sole incollata a me coi tuoi compagni
a 200
metri di distanza, ma temi che ci scoprano a cena insieme?- la
stuzzicò con un
sorriso furbo.
-Questo può anche
essere spiegato con un raggiro, ma una cena è una cena.
Saremmo spacciati.- lo
rimbeccò.
-Questo tu
riusciresti a spiegarlo come?- domandò riferendosi al fatto
che lei fosse
praticamente seduta in braccio a lui.
-Mh..- riflettè
Kimberly, assolttigliando gli occhi. -Sono inciampata, mi sono slogata
una
caviglia e tu mi hai soccorsa. Non è geniale?- rispose poco
convinta.
-Ok, stasera
ceniamo insieme.- decise stringendola a sé, causandole un
batticuore talmente
potente da farglielo percepire dalla sua schiena direttamente sul petto.
Dopo un
piacevole
pomeriggio passato a passeggiare tranquillamente in quell'immenso
parco,
finalmente tornarono tutti in albergo pronti per prepararsi e uscire a
divertirsi, per l'ultima serata che era loro concessa.
Quando Kim e Jared
si congedarono sussurrandosi di trovarsi pronti alle 8 nella hall, alla
ragazza
venne un improvviso attacco di panico.
Non aveva la
minima idea di dove sarebbero andati e di conseguenza cosa mettersi e
per di
più, non sapeva come sfuggire a Gwen per l'ennesima volta
senza dare
nell'occhio.
Proprio in quel
momento la porta alle sue spalle si aprì, da cui fecero
entrata le due sue
compagne di stanza, allegre e con ancora alcune buste sulle quali era
disegnato
il logo di qualche negozio del centro.
-Kimmy, dove sei
stata?- le domandò indifferente Juls, mentre poggiava le
buste sul letto.
-Con Joe e gli
altri te l'ho detto oggi.- rispose senza guardarla Kimberly, che invece
fissava
pallida in volto dentro il borsone, sperando che comparisse da un
momento
all'altro qualcosa di abbastanza elegante.
Quando fece per
ribattere qualcosa, Juls fu interrotta da Gwen che le chiese
improvvisamente di
andare a farsi la doccia in quanto lei si sarebbe dovuta anche lavare i
capelli, quindi ci avrebbe messo di più. Inutile dire che la
cosa causò un
battibecco tra le due che non volevano assolutamente offrirsi di andare
per
prima sotto la doccia.
Kimberly non le
ascoltò nemmeno, persa com'era nei suoi dubbi che se non
fossero stati suoi le
sarebbero apparsi una sciocchezza, ma in realtà erano atroci.
Era una serata
importante, non era mai uscita a cena con un ragazzo, e il fatto di
uscire con
niente popò di meno che Jared Leto, la terrorizzava un po'.
Senza dire una
parola uscì dalla stanza, il baccano che facevano quelle due
la innervosiva
ulteriormente, e decise di andare a rivolgersi all'unica persona che
sarebbe
stata in grado di placarle quell'orribile sensazione di inadeguatezza
con un
solo sguardo: Jared stesso.
Raggiunse
rapidamente la sua camera, bussandovici abbastanza forte
affinchè sentisse.
Sperò con tutta se stessa che non fosse già sotto
la doccia.
Fortunatamente
invece subito dopo aver bussato percepì dei passi rapidi
attutiti dalla
moquette e la porta si aprì davanti a lei. Jared la
fissò per un secondo e
nell'istante seguente impallidì di colpo, per poi sbatterle
la porta in faccia.
Nel brevissimo lasso di tempo lei non si era lasciata sfuggire il suono
della
voce di
una donna proveniente dall'interno della stanza che cortesemente
domandava di chi si trattasse.
Kimberly capì
subito il gesto dell'uomo e si nascose dietro l'angolo subito dopo la
porta
della camera.
-Jared!- esclamò
la voce di Lola, divertita. -Dovresti fare qualcosa per questo tic
nervoso!-
disse ridendo di gusto.
Lui respirò
profondamente sollevato dal fatto che non avrebbe dovuto inventarsi una
scusa,
dato che la collega gliene aveva offerta una perfetta su un piatto
dorato.
-Hai ragione..-
sospirò l'uomo, ma il sorriso che gli si creò in
volto non coprì completamente
l'espressione da “c'èmancatounsoffio” e
uscì, facendo intendere che si
trattasse della cameriera.
Si chiuse la porta
alle spalle guardandosi intorno. -Kim?- gridò sottovoce,
facendo uscire la ragazza
dal suo nascondiglio, la quale si rivelò con aria colpevole.
-Che diavolo ci
fai qui? Volevi farci scoprire?- la rimproverò il
professore, forse un po'
troppo duro.
-Mi dispiace, Jared.-
sussurrò lei. -Ma come potevo sapere che c'era lei in camera
tua? Non avete
finito con i programmi della gita?- domandò alquanto
infastidita.
-Cosa c'entra, ti
ho detto espressamente alle 8 , cosa ci fai qua?- niente, quel tono non
sembrava volersene andare.
-Smettila di
urlare, se no sei tu che finisci per farci scoprire!- lo
rimbeccò la ragazza,
incrociando le braccia al petto. -Lascia stare, me ne vado.- disse,
rassegnata,
accennando due passi, ma lui la bloccò.
La strinse per
entrambi i polsi e la riportò dove si era nascosta,
così che potessero parlare
normalmente senza alcun timore.
-Scusami, è solo
che davvero abbiamo rischiato.- disse prendedole le mani nelle sue e
baciandone
il dorso. -Lola è venuta per sapere come stavo, è
tutto il giorno che ci siamo
persi di vista. Cosa c'è Kimberly?- ripetè,
cercando i suoi occhi.
Lei si sentì
improvvisamente così stupida che le venne voglia di
sotterrarsi. Si stava
dimostrando solo una ragazzina insicura e pavida, esattamente quello
che un
uomo preferirebbe aver superato.
-Mi sentivo un po'
in ansia... e avevo bisogno di vederti.- spiegò con voce
bassa. -Scusami, ho
sbagliato.- disse sentendosi molto in colpa. Negli occhi di Jared c'era
vera
preoccupazione, era stato troppo rischioso sta volta.
-Ma figurati..- le
sorrise ora più rilassato, portandole le mani sui fianchi.
-Sono contento che
sei passata. Ora però direi che è meglio che
rientri, ok?- disse chinandosi
appena per lasciarle un bacio a fior di labbra.
Lei annuì
impercettibilmente, nonostante la situazione di tensione, la sua
presenza
l'aveva decisamente risollevata. Era un bene che le facesse questo
effetto,
sebbene fosse meglio che non lo rendesse partecipe dato che non avrebbe
fatto
altro che aumentare il suo ego.
Cominciò a
camminare con calma, come se fosse avvolta da una nuvola di vapore,
senza
fretta. Si sentì chiamare dalle spalle, la voce di Jared era
il solito
sussurro, ora si trovava proprio di fronte alla porta della sua camera.
-Se sei
venuta per chiedermi cosa dovresti metterti, non preoccuparti, niente
di troppo
tirato, sii semplicemente te stessa.- le sorrise facendole
l'occhiolino, per
poi rientrare.
Il sorriso che
quella frase le provocò, l'accompagnò per tutto
il tragitto fino alla sua
camera. Si sentiva sollevata, decisamente.
Si chiuse la porta
alle spalle con un sospiro deliziato e si buttò sul letto,
nella stanza c'era
solo Gwen, evidentemente aveva vinto ed era riuscita a convincere
l'altra a
buttarsi per prima sotto la doccia.
-Dove sei stata?-
improvvisamente si accorse che la stava fissando con aria seria.
-Da nessuna
parte.- rispose scrollando le spalle.
-Oh davvero? Beh, sembra
un bel posto, tu e il professor Leto ci passate molto tempo.- disse con
tono
eloquente e di un maligno particolare, da far accapponare la pelle a
Kim senza
che neanche se ne accorgesse.
Si sollevò in uno
scatto. -Ma che stai dicendo Gwen?- domandò falsamente, non
si sarebbe creduta
da sola.
-Oh, non fare
tanto la santarellina con me, Kim. So che tu e Leto avete una tresca,
quindi
piantala.-
D'oh. Fine dei
giochi.
…You
make me wanna die.
Note finali:
TATADAN! TATADAAAAAAN!!! Colpo di scena, signore e signori.
Congratulazioni a chi avesse indovinato, se nelle recensioni me lo
dite, vi lascio il vostro premio ;)
Allora?? Che ne pensate?? E' una cosa bella o brutta?
Manterrà il segreto? Ci saranno condizioni? Quanto
durerà??
Ho trattato quattrocento argomenti in questo capitolo, me ne rendo
conto, ma vabbbè, possiamo sempre spaziare.
Ad esempio siete mai state innamorate
così tanto? Facendo sfociare tutto quell'affetto nella
malattia e nell'ossessione? Spero tanto per voi di no, o forse
sì. Del resto è sempre un'esperienza, no?
Io
forse sì. E forse credo si possa chiaramente sentire. Forse
nei prossimi capitoli vi parlerò un pò di
più di questo argomento, VEDREMO.
Scusate l'assenza, ma il 14 ho dovuto fare il mio dovere da brava
fidanzatina (Auguroni a tutti in ritardo, by the way) (e anche a quelle
che mi malediranno "sono
single, stronza" "è una festa inutile" "io sono
anticonformista e lo festeggio il 7 luglio", io vi
rispondo riferendovi quello che mi disse la mia collega la mattina di
giovedì "Oggi è la festa di tutti,
perché ognuno di noi è innamorato di qualcosa"
cosa che mi è piaciuta tantissimo, e mi farà
apprezzare davvero questa festa [del cazzo, tra l'altro ahahah] anche
in futuro.)
Mentre ieri è stata un di quelle giornate terribili, che si
annunciano per la loro merdosità da quando incontri i tuoi
stessi occhi allo specchio. Ti vedi uno schifo, qualsiasi indumento ti
sta da schifo, ed è solo il minimo della giornata ma
già il fatto che dovrai affrontarla sapendo di essere
inguardabile è di una trsitezza unica.
Una di quelle giornate in cui può succedere di tutto,
dall'essere ferito da una meteorite (pensa te) all'essere rapito dagli
alieni (stanno seriamente succedendo cose strane a casa mia), all'
ingozzarsi con una lisca di pesce, all'avere la certezza di vivere con
persone psicologicamente instabili.
Ebbene, da me c'è stata un'esplosione nucleare (metaforica,
s'intende!) e ora vivo con questa sensazione di lutto allucinante,
sebbene non sia morto nessuno.
Non so se l'avete mai provato, ma è quando sei
così triste/avvilito/abbattuto/sconcertato/allucinato da
avere un estremo bisogno di cazzoneso,
piangere, parlare, correre sotto la pioggia, fumare ottocento sigarette
nonostante il mal di gola, insomma, sfogare tutta sta merda, ma non ci
riesci, le lacrime sono talmente abbattute di loro che non
hanno voglia di mostrarsi.
Sarà sempre sta stronza di un'empatia, però
regass, tra poco mi suicido di docce calde ahaha.
Non riesco neanche a scrivere e questo mi manda all'ostia,
perchè non è quel dolore ispirante, è
solo tristezza inspiegabile. CHEPALLE.
Speriamo sia sindrome premestruale e ridiamoci su ;)
Rileggendo questo capitolo ho notato di aver scritto 400 volte occhi
quindi ho optato per la canzone You
make me wanna die dei Pretty Reckless, e tra l'altro la
frase finale ci sta bene con quello che è successo. Tipo da
urlare un bel FUCK!
I tuoi occhi, i tuoi occhi
Posso vedere nei tuoi
occhi
Qualsiasi cosa nei tuoi
occhi.
Mi fai venir voglia di
morire.
Cazzo quanto si addice al mio stato d'animo questa canzone! ahah. Ok,
ho finito e perdonatemi al solito delle mille cose che mi perdo via a
dirvi sebbene sono a conoscenza che la metà non ve ne frega
per un cazzo, ma sono fatta così. Quando ho una tastiera
sotto le dita, parlano da sole x)
Vorrei chiudere con una pillola di pura saggezza: avere un cervello difettoso
è dieci milioni di volte peggio che essere brutti.
Ve lo dico qualora viveste con una persona che non spreca un secondo
del suo tempo a dirvelo e tutta la vita a dimostrarvi il contrario.
Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Spero abbiate gradito, e mi lasciate un pensierino. Tanti baci.
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Capitolo 40 *** Capitolo 40. ***
Capitolo
40.
Chiunque
può simpatizzare col dolore di un amico…
Kimberly si
immobilizzò sentendosi divampare un fuoco dal ventre, che,
lentamente, si
sprigionava in tutto il corpo. Senza rendersene conto i sensi le si
erano
improvvisamente raffinati, fatti più acuti; poteva percepire
il profumo del
bagnoschiuma di Juls provenire dal bagno; sentì il lieve
ronzio del
condizionatore che sprigionava calore e il cuore che nel petto le
pompava
sangue all'impazzata; le faceva pulsare tutte le vene. Inconsciamente
si
ritrovò a pensare che forse fosse così che si
sentivano gli animali quando
fiutavano il pericolo, come a prepararsi alla difesa.
Gwen invece, era
lì di fronte a lei, stoica, severa, immobile che non
accennava a lasciar
trasparire assolutamente quello che pensava.
Deglutire
rumorosamente le venne spontaneo, e non sapendo bene cosa si sarebbero
dette
nei minuti più prossimi, pensò mentalmente ad una
via di fuga o, ancora meglio,
come ricattarla per farle tenere la bocca chiusa e riuscire ad
avvertire Jared
del pericolo imminente.
Non
riusciva a
crederci che lei fosse riuscita a scoprirli, proprio lei, la bionda
ochetta che
oltre al suo naso non vede, aveva capito tutto molto più
velocemente degli
altri.
Quasi
più di Joe.
Al solo pensiero che forse i due stessero complottando alle sue spalle
da tempo
senza che lei se ne rendesse conto, troppo impegnata a scioglersi per
ogni
movimento del professore, le venne la pelle d'oca e nell'immediato
istante
cominciò ad autoinsultarsi. Come aveva fatto ad essere
così ingenua? Così
sciocca? Così poco attenta?
Quando
li aveva
visti? In che ambito? Erano stati seguiti forse? Oppure era tutta una
tattica
di Gwen, tessere una tela di parole affinchè Kim si
impigliasse e ci
inciampasse completamente?
-Cioè,
io non ci
posso credere..- esclamò Gwen all'improvviso, distogliendola
dalla sua valanga
di domande interiori.
-Gwen..
T-ti posso
spiegare..- azzardò Kimberly nella piena incertezza.
Possibile che fino a 5
minuti prima si sentisse a un soffio dal paradiso mentre ora si trovava
quasi
faccia a faccia con Lucifero? Era profondamente ingiusto e in cuor suo
Kim
sapeva che se questo -come probabilmente sarebbe successo- le avesse
portato
via Jared, non se lo sarebbe mai e poi mai perdonata.
-..tu te
la fai
con l'uomo più sexy d'America e non me lo dici?!-
continuò la bionda, cambiando
radicalmente espressione, alche Kimberly rimase per qualche secondo in
apnea.
Uno
sguardo molto
confuso le si disegnò in volto quando la sensazione che la
faccia maligna di
prima dell'amica fosse solo una presa in giro, una recita, un'opera
fatta e
finita.
Ma solo
quando sul
viso dell'altra si aprì un ampio sorriso, si permise
finalmente di respirare,
ancora incredula e con il cuore che non accennava a rallentare.
-Mi stai
dicendo
che non sei arrabbiata?- chiese per esserne certa.
Gwen
corrugò la
fronte, guardandola di sbieco. -Arrabbiata? E perchè
dovrei?- domandò sorpresa,
come se non ci fosse domanda più stupida al mondo. -Certo,
ho una cotta per quell'uomo
da quando è arrivato; come ogni essere femminile in quella
scuola del resto, ma
figurati essere addirittura arrabbiata!-
Kim
scosse la
testa, cercando di bloccare quel fiume di parole, non ancora pienamente
sicura
di quello che stava succedendo. -No, intendevo.. non hai intenzione di
andare a
dirlo?- strise la mandibola e incrociò le dita, nella
speranza che non la
minacciasse troppo pensantemente, e che magari potesse in un qualche
modo
“comprarsi” il suo silenzio.
-Cosa? E
a chi?- a
confondere ulteriormente Kimberly non erano tanto le parole o
l'espressione
angelica e seriamente sincera, ma il fatto che sembrasse
così convinta che non
ci fosse niente di sbagliato.
Se Jared
per
qualche colpo in testa avesse trovato un grande interesse nei suoi
confronti,
sarebbe stato molto più difficile dirle di no. Si
sentì quasi invidiosa di
quell’ingenuità
sbalorditiva che Gwen sembrava possedere.
-Alla
preside, ai
compagni, alla Rodriguez, non lo so! Per favore Gwen, non farlo.- come
se si
fosse resa conto di averle appena dato una grande idea si
ritrovò ad
implorarla. Uno degli implori più veritieri che avesse mai
eseguito, per di
più.
Un
sorriso
luminoso si sprigionò sul volto di Gwen. -Ma stai
scherzando? Non mi passa
nemmeno per l'anticamera del cervello!- esclamò, andandole
incontro e facendola
sedere sul letto alle sue spalle. -Ora però, raccontami
tutto!- disse,
inginocchiandosi accanto a lei.
Kimberly
le lesse
negli occhi vero interesse, un interesse che non aveva mai conosciuto.
Quel
genere di interesse che leggi negli occhi di una grande amica quando le
dici di
essere appena tornata da un appuntamento. Si sentì strana
nel pensare che anche
questa fosse una situazione nuova per lei.
-Aspetta,
prima
dimmi come hai fatto a capirlo..- rispose, decisa a placare la miriade
di
domande che le pulsavano nelle tempie.
L'espressione
di
Gwen cambiò un'altra volta. Sta volta la guardava come se
fosse lei quella
appena svegliatasi dal mondo delle favole, come se le avesse chiesto la
più
ovvia delle ovvietà. -Kimberly cara, ti rendi conto per caso
delle posizioni
che assumono i vostri corpi quando vi parlate? O di come stranamente
dove c'è
lui, ci sei tu? O anche solo di come vi guardate di nascosto?-
chiosò
gesticolando animatamente. Chi l'avrebbe mai detto che Gwen fosse una
così
grande osservatrice?
-Non
è vero che lo
seguo ovunque..- borbottò lei in risposta, più a
se stessa che alla sua
interlocutrice, la quale le rifilò un'occhiata scettica. -Ma
fammi il piacere!
Ti sei ubriacata? Lui c'era! Sei scomparsa l'altra mattina? Siete
tornati
insieme! Facciamo un pic nic? E tu dov'è che vai? Da lui!-
le ricordò, più per
prenderla in giro che per altro.
-Ah,
quindi
l'avevi capito che non stavo andando da Joe.- dedusse Kim, ricordandosi
quanto
invece le fosse sembrata convinta quando le aveva inventato quella
bugia su due
piedi.
-Inizialmente
no,
anche se il dubbio già da un po' mi stava logorando.
Insomma, tu non hai idea
di come vi sorridete quando parlate di una qualsiasi cosa! Non ve ne
rendete
neanche conto!- ridacchiò punzecchiandola su una spalla con
l'indice.
-Non
è vero..-
mormorò Kim, pensando a tutte le sante volte che si erano
parlati e
accorgendosi di non ricordarsi assolutamente di sorridere come una
demente.
Gwen
alzò gli
occhi al cielo e continuò. -Insomma, dopo pranzo stavo
cercando un benedetto
bagno in quel parco enorme e chi mi ritrovo? Joe e combriccola che
passeggiavano tranquillamente, ma di te neanche l'ombra. Quindi mi sono
avvicinata chiedendogli dove fossi, pensando che ti fossi staccata da
loro per
fare non so cosa, ma quando lui mi ha risposto con sospetto che pensava
fossi
con me mi si è gelato il sangue. Ho anche pensato
“adesso vedi che
quell'impiastro si fa scoprire e ci vado di mezzo anch'io”
quindi gli ho
campato una scusa, tipo che stavi cercando il bagno anche tu e ho
proseguito,
quando poi.. tombola!- esclamò battendo le mani una sola
volta. -Ecco i due
piccioncini avvinghiati seduti sopra una panchina. E lì, o
il professore ti
stava spiegando vita, morte e miracoli di Mozart ad una vicinanza
indecente o
la situazione non poteva essere intesa in una maniera pudica. Ti
è andata
davvero bene che sia capitata io e non quella di spagnolo, se no potevi
sicuramente dire addio a quegli occhioni blu.- terminò con
un ampio sorriso
scherzoso.
Kim si
accorse di
essere arrossita vistosamente e cercò di distogliere
l'attenzione da se stessa.
- Caspita Gwen, come fai ad essere così attenta alle
persone?-
L'amica
sospirò.
-Mia madre è psicologa e sono cresciuta con lei che cercava
costantemente di
psicoanalizzarmi e una raccolta impressionante di libri
sull’antropologia.
Mentre mio padre è appassionato di libri gialli o
polizieschi, quindi diciamo
che conoscere l'animo umano e cogliere i dettagli più
insignificanti è una dote
naturale. Solo che io l'ho messa in pratica sullo shopping e stile
personale!-
spiegò rapidamente ammiccando, poi si mise più
comoda e le scosse un braccio.
-Allora, sbrigati prima che esca Julia dal bagno, da quanto va avanti
questa
storia?- domandò quasi elettrizzata, come se si trattasse
dell'avvincente
puntata finale del suo telefilm preferito.
Kimberly
ingenuamente si sentì quasi commossa. Aveva custodito
così a lungo quella
situazione dentro di sé gelosamente, ma solo allora si rese
conto di quanto in
realtà volesse sfogarsi, parlare, raccontarsi, spiegare
dall'inizio com'era
andata, che non era stata lei ad istigarlo, ma che invece era stato lui
ad
ipnotizzarla fin da subito, purtroppo però era stata
così diffidente da non
rendersene conto.
Un po'
come si era
comportata con Gwen. Fino a quel momento, mentre le raccontava tutto
quello che
era successo negli ultimi mesi così minuziosamente che
sembrava stesse leggendo
ad alta voce dal suo stesso diario mentale, si rese conto di quanto in
realtà
l'avesse giudicata male pensando di sapere tutto di lei, mentre in
realtà non
la conosceva affatto.
Era
stata
estremamente egoista e superficiale, solo ora se ne era accorta e si
sentiva
terribilmente in colpa per ciò. Lei che aveva sempre
detestato i pregiudizi ne
era stata l'emblema per un bel pezzo, nascondendosi dietro alla
facciata che
Gwen le offriva solo perchè sembrava non essere
assolutamente interessata a lei
e non le facesse troppe domande; quando invece Gwen aveva capito meglio
di
chiunque altro come si sentisse davvero Kimberly, era per quello che la
teneva
sempre impegnata e le stava molto appiccicata, solo che aveva preferito
lasciarle il suo tempo per somatizzare il tutto.
Gwen
ascoltava
tutto il racconto assolutamente concentrata, infilando ogni tanto un
commentino
che a Kim faceva piacere, ma senza mai interromperla; facendole di
tanto in
tanto domande mirate ad approfondire il suo stesso interesse. Un
particolare
che colpì Kim era che ogni volta le chiedesse anche come si
era sentita lei in
quella situazione: l'influsso della madre psicologa si faceva sentire.
Incredibile
ma
vero, Kimberly aveva trovato una persona di sesso femminile in grado di
ascoltare senza sbadigliare o distrarla.
-E
quindi.. eccoci
qui.- finì la ragazza, sospirando con un mezzo sorriso.
-Oh-oh.-
mormorò
subito Gwen, facendo preoccupare Kim. -Ma Kim!- esclamò poi,
sul viso
un'espressione carica di panico.
-Che
c'è?- chiese
l'altra guardandosi intorno. Magari Juls era uscita dal bagno senza che
se ne
accorgessero e aveva sentito tutto, ma immediatamente sentì
il rumore del phon
proveniente dalla porta ancora chiusa, quindi si rigirò
verso Gwen.
-Non hai
niente da
metterti!!- sembrava più agitata di Kim stessa quando Jared
l'aveva portata a
casa sua la prima volta.
Non le
diede tempo
di rispondere neanche con un cenno che balzò giù
dal letto portandosela dietro
e si avvicinarono alla sua valigia laccata di rosa, dalla quale
estrasse un
sacchetto di cartoncino blu con delle scritte sopra. In quel poco che
era
riuscita a vedere del bagaglio aperto, a Kimberly più che
una valigia sembrava
un magazzino stesso. Si chiese se il suo armadio intero ci sarebbe
stato lì
dentro; poi tornò a concentrarsi di nuovo sulla bionda, la
quale aveva tolto
dal sacchetto un pezzo di stoffa blu elettrico.
-Non
vorrai farmi
mettere quel costume da bagno, spero.- borbottò Kim con
un'aria abbastanza
imbarazzata e spaventata. Non l'aveva ancora spiegato, ma sembrava
davvero
molto corto, stretto e piccolo.
-Dai non
fare la
difficile! Pensa che l'ho comprato pensando a te.- le sorrise
distendendoglielo
sotto agli occhi sul letto. -Il blu sta meglio a una più
scura come te che a
una bionda. Però mi piaceva troppo e non ho resistito.-
-Gwen,
è una
maglietta!- si lamentò Kimberly posizionandoselo davanti,
notando che le
arrivava a malapena sotto il sedere.
-Ma lo
vedi che
non capisci proprio niente di stile? Eh, chissà come hai
fatto prima di
incontrare me.- sorrise lei tutta soddisfatta, tornando alla sua
valigia dalla
quale tornò con un altro pezzo di stoffa ancora
più stretto, e solo dopo averlo
preso in mano Kimberly capì perché: erano dei
pantacollant.
-Di
solito si
indossa senza, ma conoscendoti è meglio darti una mano.-
ammiccò Gwen,
facendole segno di cominciare a provarseli.
Quando
ebbe finito
e si diede una breve occhiata allo specchio capì che non era
poi così male, e
sinceramente nel corso di quei pochi mesi di amicizia, Gwen le aveva
fatto
indossare cosa ancora peggiori se possibile.
-Ehy,
come mai
così elegante Kim?- le chiese una vocetta stridula alle
spalle. Juls era
riemersa dal bagno e la fissava dallo stipite della porta ancora in
accappatoio.
-Deve
uscire con
uno.- rispose al suo posto Gwen, facendola sedere e cominciando a
truccarla.
Juls le
si
avvicinò con la solita smorfia bizzarra. Un vizio che aveva
sempre quella
ragazza era che muoveva la bocca in continuazione come se avesse del
cibo tra i
denti e stesse cercando di levarlo senza dare troppo nell'occhio,
mentre invece
si trattava solo di nervosismo e continuava a torturarsi l'interno
della bocca
con i
denti, come a deconcentrarsi.
-E dove l'hai conosciuto?-
domandò con
indifferenza, dirigendosi verso la sua valigia e portando la completa
attenzione al suo guardaroba.
-Oggi a
Central
Park.- rispose veloce Kim, con il consenso di Gwen che le sorrise
debolmente,
intenta a metterle un tocco di eye liner. Cercava di pensare cosa
sarebbe
piaciuto a mr Leto e cosa le avrebbe permesso di farle Kimberly.
Pensò
a suo padre
-che aveva più o meno l'età del professore- e a
quante volte l'aveva sentito
fare apprezzamenti a sua madre quando non si tirava troppo per uscire a
cena, a
come la preferisse casual. Ma dato che quella non era una cena proprio
da
coppia ormai sposata da tempo, optò per una via di mezzo:
non esagerò troppo
come se stesse andando in discoteca, ma cercò di mantenerla
sul sofisticato,
accentuanto l'intensità dello sguardo, rendendo gli occhi
più grandi con qualche
sfumata di blu che richiamava la maglietta -che, per la cronaca, le era
perfetta, proprio come se l'era immaginata-.
A opera
conclusa
passò ai capelli, ma pensava che andasse bene
così raccolti con una molletta in
modo che qualche ciocca le ricadesse sul viso. Qualche accessorio
abbinato e la
bionda si sentì fiera della sua opera.
Kimberly
le fu
enormemente riconoscente quando, dopo essersi studiata un pelo di
più allo
specchio, si piacque, all'altezza della situazione, sicura che a Jared
non
sarebbe dispiaciuta.
-A che
ora dovete
trovarvi?- le chiese Gwen sistemandole ancora qualche ciuffo qua e
là.
-Alle
8.- rispose
Kim sgranando gli occhi dopo essersi accorta che erano le 8 passate da
qualche
minuto. Senza aggiungere altro si scagliò fuori dalla stanza
con borsa e
cappotto ancora in mano e Gwen al seguito. Dato che l'ascensore non
sembrava
volersi muovere, Kim si gettò per le scale cercando di non
inciampare. Sapeva
che Jared non approvava troppo i ritardi e per di più
muoversi le avrebbe fatto
smaltire un po' di nervosismo accumulato.
Arrivata
al piano
terra fece un respiro profondo e andò verso l'ingresso dove
un Jared di spalle
l'aspettava fissando le porta girevole che continuava a ruotare.
Come se
l'avesse
chiamato, si voltò nella sua esatta direzione e rimase con
un'espressione
indecifrabile per qualche istante, mentre la osservava avvicinarsi
lentamente,
senza distogliere gli occhi dai suoi.
-Ciao..-
sussurrò
lei a mezzo metro da lui, talmente a bassa voce che per capire le
dovette
leggere il labiale.
-Ciao.-
rispose
con un sorrisetto, le passò una mano gelida sotto alla
mandibola e la avvicinò
al suo volto lasciandole un bacio a fior di labbra.
Solo
quando
percepì il suo tocco ghiacciato Kim si rese conto di quanto
scottasse la sua
pelle e fu scossa da un brivido che la portò ad allontanarsi
con un flebile
scatto. Improvvisamente vide la sua espressione cambiare in un lampo,
sbiancò e
si irrigidì come se alle sue spalle ci fosse un fantasma.
Non
capendo,
Kimberly si voltò cercando di capire quale fosse il
problema, e quando vide
Gwen a qualche metro che li osservava appoggiata ad un muro con le
braccia
incrociate ed un sorriso che poteva risultare ambiguo,
realizzò di colpo. Si
era completamente dimenticata dell'amica nel frattempo, l'effetto che
quell'uomo
giocava su di lei era impressionante.
Jared
non si era
ancora mosso, rigido e terrorizzato dal sorrisetto che Gwen aveva in
faccia
che, Kimberly se ne accorse, poteva sembrare stesse per “ah,
beccati!” mentre
invece lei ci lesse puro orgoglio personale. Probabilmente Gwen aveva
osservato
bene Jared e gli era piaciuto quello che aveva capito dal suo
linguaggio del
corpo.
Cominciò
a
muoversi verso di loro, mentre Jared stava stringendo Kim per un polso,
come se
fosse stato pronto a prendere il volo da un momento all'altro e a
portarla con
sé.
Quando
Kimberly si
accorse che il suo sguardo stava cominciando a diventare aggrassivo,
decise di
calmarlo prima che saltasse addosso all'amica. -Jared, non
preoccuparti.- lo
tranquillizzò posandogli le mani sul petto. -Lei sta dalla
nostra parte.-
spiegò cercando i suoi occhi azzurri.
-Tu
gliel'hai
detto?- chiese l'uomo incredulo assottigliando gli occhi.
-No,
l'ho scoperto
da me professore.- sorrise Gwen appena li ebbe raggiunti. -Del resto
è
difficile non notare certe occhiate di fuoco.- disse facendo
l'occhiolino a
Kim, la quale ricambiò tornando a fissare Jared con sguardo
apprensivo.
Sembrava sotto shock, come vittima di uno scherzo a cui non riusciva
ancora a
credere.
-Non hai
intenzione di smascherarci, vero Gwen?- le chiese lui un po' titubante.
Kim non
l'aveva mai visto così, la teneva stretta contro il suo
fianco, cingendola con
una mano dietro la schiena, come
se
gliela potessero portare via da un momento all'altro. L'eccessiva
vicinanza, le
duoleva ammetterlo, intestardiva il suo cuore a non voler rallentare
assolutamente, neanche per prendere un po' di fiato. Aveva un buon
profumo,
appena di più accennato sul collo e il tipico aroma di
dopobarba sembrava
seguirlo ovunque.
-Certo
che no. Se
no stia pur certo che non gliel'avrei preparata così bene
apposta!- scherzò
Gwen con quella voce acuta, ma piacevolmente acuta, come se gli angoli
striduli
fossero smussati da un po' di miele.
Kimberly
sentì la
stretta di Jared farsi meno intensa, come il suo sguardo e si riconobbe
stupita
nel notare che Gwen per la prima volta nella sua intera carriera
scolastica,
riusciva a sostenere lo sguardo del professore, cosa che non l'aveva
mai vista
fare. Probabilmente vederlo nelle vesti di uomo impegnato lo rendeva
più terreno
e simile a un qualunque essere umano.
-Grazie.-
rispose
ora lui, con un sorriso appena accennato. -Di tutto.- aggiunse poi
lanciando
un'occhiata eloquente a Kim, facendo scoppiare a ridere Gwen.
-Me la
tratti
bene, che quel vestito l'ho pagato con la carta dei miei!-
scherzò, per poi
avvicinarsi all'orecchio di Kimberly e sussurrare -Questo ti mangia con
gli
occhi, guai a te se torni in camera stanotte!- e poi si
avviò verso gli
ascensori, con uno spintone da parte dell'amica che avvampò
vergognosamente,
facendo palesemente intuire a Jared più o meno che cosa le
avesse detto.
…ma
solo chi ha un animo nobile riesce a simpatizzare col
successo di un amico.
Note
finali: Allora??
Contente che Gwen pare abbia questo lato umano? So che vi aspettavate
fulmini e saette, ma sono spiacente, vorrei che questa storiella
durasse ancora un pò ahaha.
Questa
non è una canzone (qualora non l'aveste ancora capito) ma si
tratta di una citazione di altissimo livello: il mio Oscar Wilde in
persona è stato citato (al momento si rivolterà
nella tomba, povera anima in pena che viene menzionata in una stronzata
come questa ahah) dopo un lunghisssssssimo dibattito interiore.
Ne ho lette a dozzine di ste quotation andando ad animare il mio lato
cinico (sono proprio una persona strana, abbiate pazienza) e credeteci
o no, nonostante la fantastica e adorabile persona che sono (ahaha) non
credo molto nell'amicizia. Sì, mi affeziono e do tanto; ma
c'è un limite all'affetto che posso dispendiare, spesso
succede che gli altri tengano di più a me di quanto io tenga
a loro.
Faccio il possibile per loro nel momento in cui hanno bisogno, ma col
tempo ho imparato che più dai fiducia ad una persona
più questa ti delude. Non voglio sperperare lezioni di bassa
lega, anche perchè ormai siete tutte "grandi" e avrete una
vostra personalissima opinione data da educazione ed esperienze,
proprio per questo mi sento liberissima di esprimere tutto il mio
cinismo al riguardo.
Questa frase tra tutte (la conoscevo già da tempo, pensate
che ho un file sul pc in cui ho scritto tutte le citazioni di Oscar
♥ [ahaha]) secondo me, esprime l'essenza dell'amicizia e al
contempo la corruzione dell'animo umano: fin troppo egoista per
dispendiare un pò di buoni sentimenti per la
felicità altrui.
Forse c'è un motivo pratico (intendo per la trama) per cui
l'ho scelta? Forse è tutta una farsa? Gwen non vuole davvero
il suo bene e sta recitando! O forse è davvero
così, solo che il suo orgoglio le ha sempre impedito di
mostrare questo lato disponibile?
Speratele tutte se volete, tanto non l'ho deciso neanche io ahahah. E'
ancora un vasetto di creta da plasmare questo personaggio, vedremo come
sarà il mio umore quando deciderò di affrontare
l'argomento ;)
Mi
interesserebbe molto conoscere il vostro POV al riguardo. Sono l'ultima
delle stronze esistenti, o c'è chi come me ha imparato a
difendersi coi denti nel tempo?
Volevo
dirvi un'ultima cosa: vi ho abituate bene finora XD purtroppo non credo
potrò continuare ad aggiornare tutti i giorni, sapete, non
me ne restano molti di capitoli e prima di lasciarvi proprio a secco
per lungo tempo, preferisco preservarvi e darvene uno ogni 2/3 giorni :)
E' anche vero che ho 800 idee per 34 storie tutte diverse e
può sembrare che non ci metta un cazzo a scrivere (il che
è una semi-minchiata, dato che ci metto un dalle 3 ore al
giorno intero per partorirne uno decente, pensato e revisionato, tutto
dipende dal grado dell'ispirazione, predisposizione psico-fisica mia e
quanto ho voglia di scrivere quel determinato capitolo) ma ci vuole
tempo per i miliardi di cose che voglio avvengano ancora in questa FF e
voglio prendermi tutto il tempo di gestazione possibile per farli
uscire bene :) Spero mi comprendiate.
Ok,
anche per oggi è tutto spero abbiate gradito la reazione
dell'amica e tutto quello che potrebbe derivarne.
Fate scorrere la fantasia a fiotti e riferitemi tutto quello che ne
pensate :D
XOXOXOX
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Capitolo 41 *** Capitolo 41. ***
- Capitolo
41.
-
- Ich
weiss was ich will und ich will es nur mit dir
Komm ich habe keine Angst
Ich weiss was ich will und ich will es jetzt und hier
Wir warten schon so lang
- Una
volta soli, Jared
non sembrava essere tornato davvero sereno.
- Le
portò una mano
alla base della schiena e la scortò fuori dall'albergo,
nell'attesa di un taxi.
- -Questa
me la devi
spiegare.- disse lui con un tono confuso, ovviamente riferendosi a Gwen.
- Kimberly
sentiva
una strana energia provenire da parte sua, era ancora un po' scosso. Il
terrore
di essere stati scoperti l'aveva assalito e non sembrava decidersi a
sparire.
- Effettivamente,
sebbene tentasse in tutti i modi di mascherarlo, a lui era venuto un
mezzo infarto.
Se al posto dell'amica della ragazza ci fosse stato chiunque altro
poteva
definirsi fottuto, senza cadere in galanterie.
- A
Kim preoccupava
un po' l'espressione che Jared manteneva, nonostante si sforzasse di
non darlo
a vedere, era ovvio che dopo quell'episodio in lui si era fatta largo
l'idea di
troncare tutto.
- Sperò
vivamente in
cuor suo che non fosse così e che fosse solo una sua
sensazione, ma ultimamente
le sue sensazioni riguardo alla personalità multipla del
professore avevano
cominciato a rivelarsi esatte, come se cominciassero a contennettersi.
- Cercò
quindi di
spiegarglielo nella maniera più innocente possibile, nel
tentativo di far
risaltare Gwen come un'amica, un'alleata e non una strega sfascia
relazioni.
- -Lei...
l'ha
capito da sola. E mi ha coperta oggi pomeriggio, quando le avevo detto
che
sarei andata da Joe e invece sono venuta da te.. Avrebbe potuto
rivelarlo agli
altri o anche solo a Julia, invece ha mantenuto il segreto.-
optò con il
raccontargli quell'aneddoto: il fatto che Gwen tifasse per lui e non
per Joe
gli avrebbe sicuramente fatto piacere e lei avrebbe guadagnato qualche
punto.
- Infatti
sul volto
dell'uomo un accenno di sorriso fece capolino, mentre sporse il braccio
dal
marciapiede per invitare un taxi a scortarli.
- Il
fatto che
tentasse di evitare il suo sguardo la metteva a disagio. Voleva dire
che le
stava nascondendo quello che pensava realmente.
- Quando
la macchina
gialla si arrestò accanto a loro, lui le aprì la
portiera e lei entrò
aspettandolo nell'abitacolo.
- Una
volta che
Jared ebbe detto l'indirizzo al taxista, Kim decise di prendere in mano
la
situazione. Non poteva permettere che lui continuasse a farsi
condizionare da
queste sue paturnie, non era salutare e avrebbe finito per rovinare la
loro
serata. La loro prima serata.
- -Jared,
per favore
non essere nervoso. Non è il caso di allarmarsi,
è solo Gwen!- lo implorò,
tenendo lo sguardo basso.
- Lui
rimase
immobile. -Tsk, è solo Gwen. Certo, poi sarà
solamente Julia, poi Tom, Eric,
Christian, Lola...- cominciò a elencare chiaramente scettico.
- -Perchè
devi
sempre essere così disfattista?- chiese lei leggermente
alterata.
- -Non
sono
disfattista tesoro, ho qualche anno in più di te e lascia
che abbia qualche
esperienza di più sul come gira il mondo.-
- Kim
non sapeva
cosa le dava più fastidio, se il tono arrogante che aveva
usato o il modo in
cui si era autoelevato. Come se lei fosse una povera ragazzina scema.
- -Non
trattarmi
come un'ingenua, lo so anch'io come funziona di solito, ma
ciò non toglie che
dovremmo avere fede. Non essere diffidente, è una brava
persona.- continuò a
portare argomentazioni valide per sostenere la sua tesi.
- -Kimberly
non è
questione di diffidare, è che proprio quella ragazza non mi
va giù.- lui invece
sembrava testardo a remare contro di lei.
- -Non
sei diffidente,
non sei disfattista, e allora cosa sei? E che fine ha fatto l'uomo
allegro che
una volta mi ha detto di fidarsi anche fin troppo delle persone, quasi
pronto a
porgere loro il suo portafoglio? Ogni tanto quell'uomo sembra essere
scomparso.- sputò amareggiata.
- Lo
sentì sospirare
accanto a sé, poi il suo braccio le passò dietro
la schiena per cingerla al
livello della vita e portarla contro il suo petto.
- -Io
sono
preoccupato Kim. Questa volta non è il mio portafoglio ad
essere a rischio ma è
qualcosa di gran lunga più prezioso e che se perdessi non ci
sarebbe lotteria o
documento nuovo di zecca in grado di riportarmela indietro. So che ogni
tanto
ti posso sembrare pesante, ma io sono semplicemente troppo spaventato
di
perderti.- spiegò con un giro di parole che solo lui
riusciva a rendere
affascinante. Una qualità che Kimberly apprezzava
particolarmente in Jared era
il suo essere così maledettamente poetico in qualsiasi cosa
dicesse.
- -Il
che mi
riconduce a quello che ho detto prima: fin dall'inizio sapevamo quali
pericoli
avremmo corso, ma questo non ci ha tolto la voglia di avere fede e
provarci.
- Se
proprio deve
finire questa storia, voglio che siamo noi a sceglierlo. Noi due Jared,
nessun
altro. Siamo in due in questa situazione, quindi per favore smettila di
affibbiarti tutte le colpe.- sorrise più rilassata la
ragazza scostando il viso
dal torace del professore e portando una mano sulla sua guancia.
- -Nonostante
io sia
di gran lunga più... maturo di te, riesci sempre a
stupirmi.- sussurrò portando
le labbra vicino alle sue.
- -Vecchio
Jared, è
vecchio la parola che stavi cercando.- scherzò Kim per poi
baciarlo.
- Era
il primo bacio
della serata e solo in quel momento lei si rese conto di quanto stesse
aspettando quel momento. Infatti nel giro di pochi secondi si
liberò della
borsa per riuscire a circondare la testa di lui con entrambe le mani,
le sue
dita si intrecciarono nei capelli e fece forza sulle gambe per mettersi
quasi
in braccio a lui e farsi più vicina.
- Jared
non stava
assolutamente facendo nulla per placarla o per lo meno per ricordarle
che c'era
qualcun altro nel sedile anteriore, ma anzi, la assecondava
intensificando il
bacio e desiderando con tutto se stesso di essere in un qualsiasi altro
luogo
al momento.
- Entrambi
sentivano
l'adrenalina e l'eccitazione crescere in loro mentre i cuori
aumentavano la
quantità di sangue da pompare, vista la scarsità
di utilizzo dell'ossigeno.
- -Ehm,
mi dispiace
interrompervi ma saremmo arrivati.- udirono dire dall'autista, il quale
si era
limitato a dare un'occhiata allo specchietto retrovisore, arrossendo
appena.
- I
due si trovarono
improvvisamente a fare i conti con la realtà effettiva e
dovettero separarsi a
malincuore. Jared dovette obbligarsi con tutte le sue forze a pagare
questo
viaggio e a scendere, piuttosto che ordinare al tassista di fare
dietrofront e
portarli in albergo.
- Non
gli andava di
spaventare Kimberly, dandole l'impressione di essere un pervertito.
- Quella
sera la
ragazza era incredibilmente bella e già era un sacrificio
starle accanto senza
approfittarne, se faceva così poi entro fine serata gli
sarebbe venuto un
arresto cardiaco.
- Kimberly
avvampò
lievemente cercando di darsi un tono, vergognandosi paurosamente.
- La
sua vena
insicura tentava di venire fuori, facendola pentire di quello che aveva
appena
fatto, forse dimostrandosi per l'adolescente immatura per cui poteva
apparire.
- Osservò
Jared
pagare l'uomo e uscire dalla macchina, così lo
imitò e, una volta fuori, si
portò subito accanto a lui.
- -Scusami,
non so
che mi è preso.- sorrise arrossendo appena, e il sorriso che
poi il professore
le rifilò, fece aumentare il suo rossore.
- Era
indecifrabile,
non riusciva a capire se fosse malizioso o indifferente. L'uomo le
portò ancora
la mano alla base della schiena scortandola verso l'ingresso del
ristorante. Un
ristorante cinese o giapponese, quale fosse la differenza tra le due
etnie, Kim
non riusciva proprio a capirlo.
- -Non
sei mai stata
al giapponese, giusto?- le chiese Jared per accertarsene.
- Lei
scosse la
testa. -No, mia madre è intollerante a tutte le cucine che
non rientrino nel
gusto europeo.- rispose aggrottando le ciglia.
- -Una
particolare
forma di xenofobia?- notò divertito.
- -Sì,
definiamola
così.- lo appoggiò ridendo leggermente.
- -Mh,
ricordavo
bene..- disse lui tra sé e sé nel momento in cui
Kimberly stava formulando una
domanda.
- I
suoi pensieri
vennero interrotti da una cameriera asiatica che li portò al
tavolo, proprio
accanto allo striscione su cui passavano tutti i piattini colorati
contenenti
le pietanze.
- -Tu
non eri
vegetariano?- domandò infine lei, guardandosi intorno.
- Gli
era grata per
averla portata in un posto semi informale, non si sentiva a disagio e
non c'era
nessuno vestito come se fosse l’ultima occasione per apparire
al mondo in tutta
la sua eleganza.
- Lo
vide esitare,
calibrando bene che risposta usare. -Nessuno può dire di no
al sushi.- rispose
infine, optando per l'essere il più sincero possibile.
- -Cos'è,
i pesci
non meritano la tua compassione?- lo provocò sarcasticamente.
- -Tu
mangi carne,
quindi sei pregata di non commentare.- ribadì con un
sopracciglio alzato,
mentre guardava i piattini passargli davanti.
- -Io
sono
coerente.- lo corresse, prendendo una porzione di maiale in agrodolce.
- -Senti,
essere
vegetariano in America ti toglie già troppa scelta, il sushi
è l'unico sgarro
che posso concedermi essendo molto salutare. Potresti mangiarne in
quantità
industriale e il tuo organismo non ne risentirebbe minimamente.-
spiegò,
prendendo un piatto di sushi, appunto.
- A
quel punto la
ragazza non ebbe da obbiettare e cominciò a riempirsi la
metà di tavolo di cibi
bizzarri che non aveva mai avuto occasione di mangiare.
- Jared
sorrise
osservandola di sottecchi. Aveva il tavolo così colmo che
sembrava venire da
tre mesi di volontariato in Africa.
- -Hai
appetito?-
commentò ironico senza sollevare lo sguardo.
- -Vuoi
che apra i
miei gusti culinari ad altre cucine? Devo farlo come si deve.-
scherzò con
sguardo serio, tentando in qualche modo di impugnare le bacchette.
- Il
professore
apprezzava il ragionamento, e per la seguente mezz'ora le
insegnò ad utilizzare
le “posate asiatiche” dato che se fosse stato per
lei, avrebbe usato le mani.
- Infatti,
dopo un
bel po' di litigi con un piatto di sashimi, abbandonò la sua
tentata classe e
utilizzò le bacchette come stuzzicadenti, infilzando
brutalmente il cibo e
portandoselo alla bocca con espressione vittoriosa, il tutto sotto lo
sguardo
attento e divertito dell'uomo.
- -Non
commentare.-
disse tra i denti lei, provocando una leggera risata a Jared.
-
- *
-
- Quando
uscirono
dal ristorante, Kimberly si poteva ritenere sazia e soddisfatta. Il
cibo non
era stato niente male e la compagnia di Jared era sempre il massimo.
- Avevano
parlato
per tutto il tempo, mentenendo il contatto visivo costante.. almeno da
parte di
lui.
- Lei
quando lo
guardava negli occhi non riusciva a fare una frase di senso compiuto.
Ciò le
dava maledettamente fastidio, pensava di averla superata la fase da
farfalle
nello stomaco appena lui la sfiorava! Invece continuava costantemente a
sentirsi scema al suo fianco ed era una sensazione terribile. A meno
che non
aprisse bocca per insultarlo o rispondergli a tono, ogni volta che
tentava di
intrattenere un discorso finiva per incepparsi e fare versacci.
- La
capacità di
farle perdere la facoltà di parola non rientrava nelle
caratteristiche del suo
uomo ideale.
- Sollevò
lo sguardo
trovando il professore a fissarla.
- Arrossì
all'istante immaginando che lui stesse aspettando una risposta alla
domanda che
non aveva assolutamente sentito formulargli.
- -S-scusa,
mi sono
persa nei miei pensieri.- disse.
- Notò
che la stava
squadrando e si chiese cosa gli passasse per la testa. -Ho
semplicemente
chiesto se ti andava di tornare in albergo.- ripeté lui
sorridendo. Un sorriso
che Kimberly non poté non riconoscere o categorizzare.
- Le
venne il
batticuore, un po' per l'ansia improvvisa e un po' per la gioia.
- Annuì
rigida con
il capo seguendolo verso il posteggio dove avrebbero trovato un taxi.
Per tutto
il tragitto lei non proferì parola, agitatissima.
- Si
ricordò delle parole
di Gwen prima che la lasciasse andare “questo
ti mangia con gli occhi”, “me
la
tratti bene che l'ho pagato con la carta dei miei”
e ancora “guai a te se torni in
camera stanotte”.
- Non
era la prima
volta che dormivano insieme, la mattina stessa si erano svegliati
insieme, non
era quello il punto, e neanche il fatto che dormissero in mutande o
nessun tipo
di imbarazzo sotto quel punto di vista.
- Ma
era ovvio che
nelle intenzioni di Jared non ci fosse semplicemente il dormire.
- Solo
una volta gli
aveva visto quello sguardo malizioso che sfociava nel serio,
così serio da
spaventarla quasi: sul divano a casa Leto.
- Poteva
definirla
“ansia da prestazione” forse? Avrebbe fatto cambio
con chiunque al momento.
- Si
sentiva così
insicura ed inesperta da essere a disagio con se stessa. Lui invece era
un uomo
maturo e vissuto e non sapeva come girarsi, come comportarsi per dargli
un'idea
di ragazza esperta che sapeva il fatto suo.
- -Ehm
Kim?- la voce
di Jared la risvegliò, facendola catapultare nella
realtà. Si trovava nella
camera d'albergo del professore, era stata così presa nelle
sue torture mentali
che non si era nemmeno accorta di essere scesa dal taxi ed aver
camminato fino
a lì. Per quanto la riguardava potevano anche essere
arrivati tramite il
teletrasporto.
- Sussultò,
voltandosi verso di lui, con il cuore che non sembrava intenzionato a
darle
tregua e mettendole un'ansia tremenda.
- -Sicura
di star
bene?- continuò lui avvicinandosi a lei. Le posò
una mano sulla gota arrossata.
- -Qualcosa
non va?-
le chiese guardandola intensamente negli occhi, i quali erano lucidi e
trasmettevano un'insicurezza lampante.
- Solo
un idiota
poteva non capirlo, e per come la conosceva lui. Kim era certa che
glielo
leggesse in faccia. Decise quindi di optare per quello che sicuramente
Gwen le
avrebbe consigliato di fare: buttarsi e fingere di sapere
ciò che faceva. Agli
uomini piacciono le ragazze decise, no?
- Chiuse
gli occhi e
si fiondò al suo collo cominciando a baciarlo con passione,
senza nemmeno
lasciargli il tempo di capire o di pensare, e gli slacciò la
camicia senza
troppa delicatezza, strappandogli qualche bottone.
- Preferiva
non
aprire gli occhi per rendersi conto di quanto imbarazzante poteva
apparire e
guidava le mani di Jared lungo il suo corpo, le quali erano
sì decise, ma
tentennanti, come se non fosse poi così certo di quello che
doveva fare.
- Quando
gli tolse
la camicia alzò le braccia in modo che lui le levasse il
vestitino blu. L'uomo
prestò addirittura attenzione a non stropicciarlo, ma non
fece a tempo a poggiarlo
sul comodino che Kimberly gli circondò il collo con le
braccia e lo trascinò
con sé al centro del letto con una foga che non era di certo
della ragazza che
era abituato a conoscere.
- Quando
non gli
arrivava quasi più ossigeno da fargli capire cosa stesse
facendo Kim con la sua
cintura, se la staccò di dosso con forza, col fiato corto.
- -Mamma
mia Kim, se
fai così però mi dovranno portare via con una
flebo!- scherzò cercando di
tenerle strette le mani che tentavano di riportarlo a sé.
- Kimberly
finalmente aprì gli occhi e sentendosi gli occhi di Jared
puntati addosso in
un'espressione tra lo sconvolto e il compiaciuto non seppe a quale dare
retta e
si sentì terribilmente a disagio.
- Lui
era sopra di
lei che si teneva a distanza stendendo le braccia, mentre lei lo teneva
vicino
con le gambe strette attorno al suo bacino.
- -Scusa...-
mormorò
liberandosi una mano per afferrargli la cintura e riportarlo
completamente su
di lei.
- Non
fece a tempo a
baciarlo di nuovo che lui scoppiò a riderle in faccia.
- -Cosa
c'è adesso?-
brontolò lei scocciata.
- -Mi
spieghi cosa stai
facendo?- le domandò sorridendo e appoggiandosi sui gomiti.
- -Sto
cercando...
non so di piacerti, penso.- rispose deviando lo sguardo.
- -Kim
non devi fare
la gattina arrapata per piacermi! Chi ti ha messo in testa questa idea?
Quando
avevo 20 anni forse, ma adesso non mi sembra il caso!-
ironizzò, ma vedendo che
il suo volto non si rilassava assolutamente e anzi, rimaneva immobile
rigida
come pietra, decise di calmarla. -Ascolta Kimberly, non voglio che tu
cambi il
tuo modo di essere solo per “piacermi di
più”. Scusa se ti ho messo ansia, ma
se non te la senti rimandiamo.- le disse con voce bassa, baciandole la
punta
del naso.
- Lei
sorrise
appena, aggrottando la fronte. -Perchè mi hai invitata a
cena, Jared?-
- Lui
corrugò le
sopracciglia, confuso. -Se è quello che pensi, levati dalla
testa che era per
questo!- rispose abbastanza scocciato riferendosi alla situazione.
-Oggi è il 4
marzo. Un mese fa non ci parlavamo neanche e ricordo quanto questo mi
facesse
star male. Mi ero ripromesso che se le cose si fossero aggiustate mi
sarei
fatto perdonare per tutta la confusione che ti ho causato. Tutto qui,
non
pensare che volessi approfittare di te.- disse alzandosi e sdraiandosi
accanto
a lei. Anche perché, ormai non si poteva più dire
che approfittasse di lei.
- -Non
lo pensavo
assolutamente. Volevo semplicemente che questa volta fosse perfetta.-
ammise la
ragazza voltandosi su un fianco per guardarlo.
- Lui
sorrise e le
accarezzò il collo per poi far scorrere la mano lungo il suo
corpo semi nudo.
- -Riproviamo?-
le
chiese ammiccante.
- Lei
arrossì
furiosamente ma non lo fermò una volta che fu sopra di lei.
Ich weiss was
ich will das
was ich will bist du
Ich freu mich
schon auf dich
Ich weisswas
ich will und ich greife heute zu
Ich bin
für dich gefährlich
Küss
mich - Küss mich
Note finali: Occi ziamo teteshki.
Ok, scherzi a parte, come state? Come avete preso questo
distacco improvviso? Riuscite a non divorarvi più un
capitolo al giorno?
Siete stati prese da attacchi di puro panico, vi siete sentite
smarrite, svegliate intontite, sudando freddo e tremando in preda ad
una crisi d'astinenza? Non mi sono arrivate laentele, quindi deduco di
no ;)
Sapete mi girano i
maroni in sti giorni, ma non mi va di creare scompigli inutili, dato
che ormai ho quasi 20 anni e di fare la bambina non mi va.
Ci tengo solo a dire una cosa, quello che mi piace di questa storia
sono le idee "pure" che la costituiscono. E' nata da mie esperienze,
miei pensieri, sogni, fantasie e mi sta davvero tanto sul cazzo che
qualcuno se le prenda deliberatamente e le faccia proprie senza
chiedermi niente.
Ma d'altra parte significa che sono state apprezzate e innovative, e si
sa, tutte le idee innovative vengono recuperate, quindi va bene
così :)
E poi davvero, sono vecchia per mettermi a fare la bambina possessiva,
quindi facciamo finta di nulla e passiamo al capitolo.
L'ultima parte la trovo esilarante, mi piacciono tanto questi due
pipotti immaginari insieme, mi sento un Cupido taaaanto orgoglioso!
I capitoli della gita sono giunti agli sgoccioli e mi ritengo
soddisfatta (c'ho impiegato mesi a scriverli ahah), avete dato sfogo al
vostro lato sentimentale nelle mie doti di scrittrice (♥)
quindi direi che mi merito un pat-pat sulla testa ahahah.
Voi vi meritate un casino di coccole invece, dato che siamo al capitolo
41 e ancora mi sopportate :D
La canzone è di Lafee, una cantante tedesca (MA VA?!) che
non so quante di vuoi conoscono.
si chiama Kuss mich
, scusate la banalità (ho usato un altro kiss me in capitoli
precedenti) e cazzo in tedesco rende benissimissimo ahah.
Io so cosa voglio
e lo voglio soltanto con
te
vieni, non ho paura
So cosa voglio e lo
voglio qui e adesso
Abbiamo aspettato
così a lungo
So quello che voglio, e
ciò che voglio sei tu
Non vedo l'ora
So cosa voglio e me lo
prendo subito
Sono pericolosa per te
Baciami - baciami
Rende 2086 volte meglio in tedesco (avete presente dire ad
una persona Ich bin fur
dich gefarlich che effettone che fa rispetto allo
smidollato sono pericolosa? Tsk)
e ci stava l'immagine di una Kim vogliosa/pericolosa/imbranata ahahah
ametto che nelle ultime righe ho dato sfogo alla mia gelosia per lei
(rendiamoci conto a che livelli sono messa).
Bene, spero siate soddisfatte, mi amiate per essere arrivata a
quest'ora del giorno e mi lasciate qualche commentino.
BACIOTTI.
n.b: scusate se davvero ho superato il confine della decenza nelle
note, non mi controllo da una certa ora in avanti.
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Capitolo 42 *** Capitolo 42. ***
Capitolo 42.
Whenever I fall at your feet
Do you let your tears
Rain down on me?
Whenever I touch your slow turning
pain
Si
svegliò di
soprassalto, sentendo il suono di quella insopportabile sveglia
provenire dal
cellulare del professore. Sarà stato pure il fatto che il
suo cervello
l'associava al risveglio, ma quel suono stava cominciando a non
sopportarlo, il
che rendeva lo svegliarsi ancora più traumatico.
Avrebbe dovuto
dire a Jared di cambiare suoneria, pensò, quando si
allungò sopra di lui per
raggiungere il comodino, in modo da porre fine a quella tortura, visto
che lui
non accennava a volersi muovere.
Tornò al petto
dell'uomo, appoggiandovi la testa.
Quando fece mente
locale e si ricordò di tutti gli avvenimenti nell'arco delle
ultime 12 ore,
arrossì appena, sollevando il volto e raggiungendo il viso
di Jared facendo un
percorso di baci lungo il suo collo.
Lo sentì sorridere
appena, senza però aprire gli occhi e poi le
portò le mani attorno ai fianchi
nudi.
-Eddai Kim, è
ancora presto.- sussurrò spostandosi sul fianco destro,
senza togliere le mani
dal corpo della ragazza.
Lei però non si
sentiva più stanca. In ogni caso le faceva piacere che il
professore invece
avesse voglia di riposarsi ulteriormente e cominciò ad
accarezzargli i capelli,
sorridendo tra sé e sé.
Immagini della
notte trascorsa le abbagliavano la mente di tanto in tanto. Era stato
bello
stare così con lui, in quella complicità che non
aveva mai sperimentato con
nessuno.
Lui era stato più
dolce e delicato della volta precedente, ma nonostante ciò
si sentiva
indolenzita un po' ovunque. Niente di irreparabile o per cui
lamentarsi,
comunque.
Ricordandosi che
quello sarebbe stato il giorno della partenza e sapendo dell'ansia che
le
sarebbe immancabilmente venuta, nella speranza di non aver dimenticato
nulla,
decise che era il momento buono per alzarsi e andare a fare i bagagli.
Diede un ultimo
bacio sulle labbra del professore e poi si alzò,
raccogliendo le sue cose.
-Te ne stai
andando?- disse la voce rauca alle sue spalle, mentre la osservava
rimettersi i
vestiti.
Kimberly annuì sorridendogli.
-Devo ancora mettere a posto tutte le mie cianfrusaglie. Le valigie mi
mettono
un sacco di pressione, meglio essere preparata.- spiegò
concisa. -A che ora
abbiamo il volo?- chiese poi, mettendosi le scarpe.
-Mhhh.. all'una.
Il che vuol dire che tra un'ora dobbiamo incontrarci tutti.- disse
Jared
stiracchiandosi appena e sbadigliando, facendosi forza per affrontare
la nuova
intensa giornata.
Prendere gli aerei
poteva sembrare cosa da poco, mentre invece era più
stancante e impegnativo di
quello che appariva, specialmente quando si aveva una classe di ragazzi
sotto
la propria responsabilità.
-Ok, è meglio che
scappo allora. Gwen mi farà il terzo grado!-
scherzò allungandosi sul letto per
dare un ultimo bacio all'uomo, il quale ricambiò con un
sorriso rilassato.
In seguito la
ragazza schizzò fuori dalla stanza, sempre attenta che non
ci fosse nessuno che
potesse vederla.
*
Qualche
ora dopo
erano in aeroporto, tutti stanchi e affaticati.
Kimberly si guardò
intorno. Erano tutti così diversi rispetto a quando erano
partiti! Non avevano
più quei sorrisi intrepidi e quegli sguardi carichi di
entusiasmo.
Invece erano tutti
nella tipica fase della depressione pre-ritorno. Tutti esausti per
l'intensità
delle giornate e amareggiati per l'imminente ritorno alla routine
quotidiana
che caratterizzava le vite di tutti loro.
L'unica a non
esserne poi tanto dispiaciuta era Kimberly. Certo la voglia di tornare
a casa
non c'era proprio... ma cosa le importava di dove si trovava quando
Jared era
con lei?
Erano tutti al
gate nell'attesa di essere chiamati per salire a bordo. Tutti
stravaccati sulle
seggioline, dormienti o almeno non completamente coscienti.
Kim e Gwen stavano
parlottando tra loro, ovviamente la bionda l'aveva placcata e aveva
cominciato
a bombardarla di domande sulla serata passata, alle quale Kimbelry
rispondeva
nei dettagli, troppo contenta di avere qualcuno con cui condividere
quello che
non poteva raccontare a nessuno.
Le parole le
uscivano di bocca come un fiume in piena, parole traboccanti di
particolari che
sbrodolava senza ritegno o senza pensare cosa fosse opportuno o meno
dire.
Si fidava e per la
prima volta dopo tanto tempo non si soffermava a pensare se fosse
effettivamente giusto o sarebbe stato meglio essere diffidente.
Le mancava così
tanto avere un'amica con cui confidarsi, da chiamare a tarda notte o
davanti
alla quale piangere senza rimorsi.
Lei aveva un'amica
simile, ma in quel momento si trovava in America Latina, in un paesino
dove
probabilmente non c'era neanche la connessione internet.
Ne aveva parlato
moltissimo a Jared, dicendogli che gli sarebbe piaciuta sicuramente
essendo
eccentrica, vivace e abbastanza pazzoide. Ogni tanto le mancava tanto
da
sognare il suo ritorno. Nei sogni le correva incontro e l'abbracciava
così
forte da temere di spezzarla, ma non le importava proprio come non le
importava
di trattenere le lacrime di gioia.
Non mancava tanto
al suo ritorno e sinceramente non vedeva proprio l'ora di presentarla a
Jared.
In quel momento si
voltò in direzione dell'uomo, chiedendosi cosa stesse
facendo.
Era incantato a
fissare un cartellone pubblicitario di dimensioni monumentali, mentre
Lola
sembrava tutta intenta a parlargli di qualcosa o a interloquire con lui
che
invece pareva in catalessi.
Il cartellone
rappresentava una stanza da letto nel quale si vedeva solo uno spicchio
di
materasso coperto da un piumone bianco e una finestra molto grande alle
spalle
di una ragazza incredibilmente bella.
Probabilmente era
per lei che Jared non sembrava intenzionato a togliere gli occhi da
quella
pubblicità. La ragazza si trovava al centro del letto, in
una posizione semi
sdraiata, “coperta” solo da un completo intimo
composto da
corpetto-slip-reggicalze nero che risaltava sulla pelle diafana, bianca
come
porcellana.
Aveva una chioma
di capelli color mogano lunghi fino alle spalle, non troppo lisci
né troppo
ricci, e un paio di occhi verdi intenso che guardavano dritto lo
spettatore,
con uno sguardo così ammiccante da non poter lasciar
indifferente neanche i
maschietti più schivi.
Un moto di gelosia
colpì Kim in pieno stomaco, mentre desiderava con tutta se
stessa incenerire il
suo professore con lo sguardo. Ma pensandoci con appena più
calma, era anche
giusto che si concedesse di guardarla... sicuramente lei non si sarebbe
fatta
troppi problemi al suo posto, se ci fosse stato un modello altrettanto
bello.
Ciò nonostante
decise di alzarsi e di andar loro incontro, pensando a che domanda
porgere ai
professori per togliere a Jared quell'espressione da pesce lesso... che
guardando meglio non era affatto da pesce lesso.
La guardava come
se in realtà non la vedesse poi così bene, come
se quella bellezza prorompente
quasi lo accecasse e gli facesse addirittura male.
Sembrava l'uomo
più triste che avesse messo piede in un aeroporto.
Lo vedeva di profilo
corruciato in una smorfia indecifrabile, che deglutiva a fatica, con
gli occhi
che celavano un dolore che non le sembrava poi così
distante; al contrario era
piuttosto familiare.
Era sgomento,
fisso, uno sguardo che, lo promise a se stessa, non gli avrebbe mai
procurato
di sua mano.
Cosa stava
pensando? Cosa gli comunicava la modella nella foto?
Guardarlo così le
costava una gran fatica. Aveva solamente voglia di stare con lui,
rassicurarlo,
amarlo.
Ma non poteva,
dovette costringersi con tutte le sue forze a lasciar perdere e tornare
sui
propri passi, optando per affrontarlo un'altra volta.
*
L'espressione
di
Jared la tormentò per giorni al loro ritorno a casa. Era un
pensiero saltuario
che tornava a stuzzicarle la curiosità quando pensava di
esserselo dimenticato.
Non sapeva perchè,
ma aveva la sensazione che porgergli quella domanda avrebbe spezzato
Jared.
L'avrebbe aperto e smembrato, rivoltato come un calzino.
E non sapeva se
fosse stata abbastanza forte da sopportare una visione simile. Se lui
che
rappresentava la sua guarigione, la sua ripresa, il suo sforzo per
migliorare
si fosse lasciato andare davanti a lei.. come avrebbe retto alla vista
del
crollo di tutte le sue certezze?
Non lo poteva
immaginare, ma era questo che significava “stare
insieme”: sostenere l'altro
quando la sua personale scorta di demoni sembrava essere piena fino
all'orlo.
Ma dato che il
professore aveva questa innata capacità di creare sotterfugi
o chiudersi a
riccio quando la sua discrezione rischiava di essere intaccata,
Kimberly decise
di affrontarlo come un argomento normale, come chiedergli cosa avesse
voglia di
spiegare il giorno dopo alla classe del terzo anno.
Erano passati
pochi giorni dal ritorno dalla gita e gli studenti erano totalmente
esausti,
come se l'uscita insieme al posto che averli rinvigoriti, li avesse
prosciugati
totalmente.
Era sempre così da
che la ragazza ricordasse. I giorni scolastici post gita erano
terribili.
Lei almeno
recuperava tutte le ore di sonno perse a fare casino nelle altre stanze
fino a
mattina presto, quindi capitava che non cenasse per diverse sere
consecutive.
Questa volta non
era da meno, ma si sforzò per lo meno ad addormentarsi a
casa di Jared, così
che il suo subconscio non la tenesse troppo in coma.
Passava quasi
tutti i pomeriggi da lui, almeno la sua coscienza era a posto. Dormiva
sempre,
ma almeno erano insieme, secondo il suo ragionamento malato.
L'uomo
inizialmente era abbastanza preoccupato. Cioè, quanto poteva
essere stanca
un'adolescente? Quando lui aveva la sua età riusciva a fare
orari
inimmaginabili e ad essere sempre fresco come una rosa, aspetto che gli
veniva
meno con l'avanzare dell'età.
Invece ora era
abbastanza abituato a quella specie di routine che si era creata: dopo
scuola
spesso lui aveva assemblee o doveva restare più del previsto
a sistemare certe
questioni, così dava direttamente a lei la chiave
dell’appartamento, la quale
non avendo nessuno a casa per pranzo, trovava molto più
utile passarlo insieme
a lui.
Inoltre aveva
sempre un po' di tempo per preparargli qualcosa e aiutarlo in qualche
faccenda,
prima che fosse lui stesso a preoccuparsene.
Si sentiva lusingata
che si fidasse di lei. Lo apprezzava molto, e da quella relazione stava
imparando tanto.
Kimberly era
abituata a rapporti tipici da ragazzi, uscire insieme, passare un tot
di tempo
a fare qualcosa e poi ognuno a casa propria a scriversi o chiamarsi.
Questo era molto
più profondo. Passavano quasi tutta la giornata insieme,
ogni tanto anche la
notte quando non aveva assolutamente voglia di separarsi da lui.. era
una sorta
di convivenza e Kim ne stava ricavando molto.
In ogni caso, in
quei giorni quando Jared tornava a casa si era abituato a trovarla
svenuta sul
divano ad aspettarlo, nonostante in cucina fosse tutto pronto. Quella
vista gli
faceva talmente tenerezza da sdraiarsi e riposare insieme a lei per un
po'.
Poi prendeva le
sue cose e si ritirava nel suo studio per correggere i compiti. Aveva
valanghe
e valanghe di arretrati.
Dopo una dormita
di quasi 3 ore, Kim si ritrovò nella realtà,
scombinata e frustrata per quella
stanchezza insopportabile. Si era ripromessa che almeno questa volta
l'avrebbe
trovata sveglia!
Si alzò con i
capogiri di chi ha dormito troppo e diede un'occhiata in cucina: tutto
intatto,
sarebbe stata la loro cena. Decise di sistemare prima che la roba
andasse a
male e raggiunse il professore nello studio, dove lo trovò
sommerso da fogli.
-Ehy bella
addormentata!- la salutò quando si accorse che gli si stava
avvicinando.
-Ehy..- rispose
lei dandogli un bacio a stampo, e sedendosi sulle sue ginocchia, quando
lui si
scostò appena dalla scrivania. -Come sei messo?-
domandò poi.
-Sono in
rimonta!.- chiosò con fare ottimista. -Mi mancano solo
quelli di oggi e quelli
da preparare per domani.-
-Caspita, non ti
interrompo.- disse contenta che non fosse più il Jared
stressato di pochi
giorni prima. Si alzò dalle sue gambe e si
allontanò, andando a sedersi su una
poltroncina rossa in pelle, dove aveva passato metà dei
pomeriggi in sua
compagnia, ogni tanto facendo i compiti, ogni tanto semplicemente
facendogli da
spalla.
Lui tornò subito
al lavoro, intento a finire il prima possibile. -Insomma, finito questo
letargo?- le chiese senza guardarla.
Lei sbadigliò,
rendendosi conto di essere terribilmente intontita. -New York mi ha
distrutta!
Anzi tu mi hai distrutta!- disse sorridendo e tirandosi indietro i
capelli come
per farsi una coda alta.
Poi come un lampo,
le balenò in mente lo sguardo vuoto di Jared il giorno della
partenza e decise
di tentare l'approcio.
Lasciò scorrere
qualche minuto di silenzio pensando a che parole usare, ma era talmente
intontita da scegliere le più banali.
-Jared, posso farti
una domanda?-
-Certo.- assentì
lui alzando lo sguardo soddisfatto da un plico di fogli. Aveva
finalmente
finito gli arretrati, ora gli mancavano solamente quelli per il giorno
dopo. La
scheda era già pronta, doveva stamparla e fotocopiarla.
-Ti ricordi il
giorno del ritorno dalla gita, quando eravamo in aeroporto?-
continuò, seguendo
i suoi movimenti con lo sguardo.
Lui era tutto
concentrato ad impacchettare e catalogare i compiti per le varie
sezioni.
Nonostante ciò, sapeva che la stava perfettamente seguendo,
era forse l'unico
esemplare maschio in grado di fare due cose allo stesso momento. Un
ottimo
pregio.
-Sì, è stato solo
pochi giorni fa..- rispose indifferente, lanciandole un'occhiata
confusa.
Ecco, era il
momento di far esplodere la sacca dei demoni di Jared. -Ho notato che
al gate
tu eri davanti ad un'insegna pubblicitaria... e avevi una faccia che mi
ha
turbata.- spiegò tenendo gli occhi concentrati sui suoi
capelli, lanciandogli
solo una breve occhiata per vedere se ci fosse una reazione.
Se si fosse
accorto che lo stava controllando, si sarebbe sentito attaccato. Lei
voleva
semplicemente che gliene parlasse.
-Mh.. non ricordo
a che insegna tu ti riferisca.- disse pensoso. Il suo viso non tradiva
emozioni.
-La pubblicità
dell'intimo. Quello della modella dai capelli rossi semi sdraiata sul
letto.-
la ragazza cercava di riportarglielo alla memoria. Era ovvio che se lo
ricordasse, non era possibile che avesse speso così tanta
energia negativa e
tempo a fissare qualcosa che non aveva significato.
Lo vide
concentrarsi per ricordare. -Oh, sì! Ora ricordo.- ma non
era un'esclamazione,
era una frase piatta senza tono.
-Chi è quella donna?-
gli domandò alla fine. Pronunciare quella frase era
più difficile di quanto
pensasse, dato che l'effetto nella sua immaginazione sarebbe stato
devastante.
Jared si bloccò e
mosse la testa in modo macchinoso verso di lei, negli occhi un barlume
di
stupore. Ma non durò più di 3 secondi, infatti il
volto tornò rigido e
impassibile, come prima.
-Non lo so.-
rispose, con un tono davvero sincero, tanto che Kimberly si
stupì di non aver
colto neanche un segno di insicurezza.
-Jared, ho visto
l'espressione stravolta che avevi. O quella ragazza la conosci, o hai
una
strana reazione quando vedi una bella donna.- rispose scettica.
-Era bella?- la
sua voce era ferma e mostrava pura ingenuità. Come se non si
ricordasse
seriamente i lineamenti di quel volto tanto bello. Si alzò e
uscì dalla stanza
con i pacchetti di fogli in mano.
Kim piegò la testa
indietro in modo che la sua voce potesse raggiungerlo. -Strepitosa!-.
Si alzò dalla
poltroncina e lo seguì, decisa a non arrendersi. -Neanche un
cieco non avrebbe
potuto notarla!- lo raggiunse e lo trovò chino a stampare i
suoi compiti.
-Quindi non fare il furbo e dimmi chi è.- concluse,
appoggiandosi allo stipite
della porta della stanza.
-Ti ho già
risposto.- puntualizzò l'uomo voltandosi verso di lei. -Io
non lo so.- ripeté
calmo.
-Non mentirmi.-
Kim assottigliò gli occhi e gli puntò l'indice
contro.
-Si può sapere di
cosa mi stai incolpando? Solo perchè stavo guardando la foto
di una ragazza mi
fai il terzo grado?- cominciava ad agitarsi, la tipica impazienza di
chi non ha
niente da nascondere, ma si sente accusato.
Se stava fingendo,
lo faceva talmente bene che Kimberly si sentì quasi in
imbarazzo. Quasi.
-Il tuo volto...-
cominciò ma lui la interruppe alzando la voce di un tono
più alto.
-Il mio volto non
aveva niente! Ti sarai sbagliata Kimberly, ognuno ha le sue espressioni
quando
sono stanchi, spossati e incantati a fissare il vuoto!-
-Sì certo, ora
sono pure pazza.- ribatté lei, tornando sui suoi passi e
buttandosi sulla
poltroncina rossa, piuttosto infastidita. Poteva anche sbagliarsi e lui
sarà
stato enigmatico quanto voleva, ma quell'espressione era troppo
lampante ai
suoi occhi per trattarsi di niente.
Quando lui la
raggiunse sospirando e le si inginocchiò davanti
però, cominciò a sentire la
sua testardaggine sciogliersi lentamente in un lago fluido.
-Dimmi che non sai
chi sia..- gli disse guardandolo attentamente. -E io chiudo la
questione.-
Lui le prese una
mano e le baciò il dorso. -Non so chi sia quella ragazza.-
ripeté per
l'ennesima volta.
Alche Kim decise
di credergli. Che delusione che la sua sacca di demoni fosse
così poco
profonda.
-Ok, scusami.-
mormorò indecisa.
Lui accennò ad un sorriso
e si alzò in piedi. -Dai che mi è venuta fame,
sono 24 h che non mangiamo!- si
lamentò trascinandola verso la cucina con sé.
The
finger of blame has turned upon
itself
And I’m more than willing to offer myself
Do you want my presence or need my help?
Who knows where
that might lead
Note finali: oh, che
gran bene siamo tornati in patria con questo capitolo.
Sapete, il capitolo 41 è stato l'ultimo capitolo per una
marea di tempo. Ero bloccata, non avevo idee, non sapevo più
che cacchio inventarmi.. e poi è arrivata l'illuminazione :)
anzi LE
illuminazioni, che questa storia è piena di cose che devono
succedere ahah
Credo sia evidente in senso positivo che era da un pò che
non scivevo e avevo avuto tempo per ricaricare le batterie,
(tranquille, ci saranno esempi anche in senso negativo di capitoli
scritti malissimo proprio perchè era un pò che
non lo facevo); infatti questo rientra in uno di quei capitoli che a me
personalmente piacciono molto per la fluidità con cui l'ho
scritto e i termini poco ripetitivi che ho usato (cose tipo plico di fogli,
normalmente, non i verrebbe mai automatico scriverle ahaha) ma le pause
vanno bene anche per questo.
Spero di non averne più, ora che so cosa voglio che succeda
fino alla fine ;) ma come ho già detto una volta,
l'ispirazione è una signora molto fuggente e non si
può mai sapere. magari vi mollo per sei mesi tra 10 capitoli
o forse no ahah.
Allora, che ne pensate? Jared è un grande attore, o
è sincero e Kimberly si è presa un granchio? (si
dice così? perchè poi?! bah)
Chissà chissà chissà cosa ci avete
letto in questo capitolo e cosa non, cosa ne pensate e cosa non e
soprattutto, chissà cosa ho progettato io e cosa non ;)
La
canzone è di James Blunt,
Fall at your feet [per chi di voi guardava OC era nella
puntata in cui l'amico di Marissa (non ricordo il nome) cade dalla
scogliera :((( ]
E mi piace molto, mentre rileggevo or ora mi è venuta come
un flash!
Qualora cadessi ai tuoi
piedi
Lasceresti cadere le tue
lacrime su di me?
Qualora toccassi il tuo
dolore che torna lentamente
Il dito della colpa si
è rigirato su se stesso
E io sono più
che disposto a offrire me stesso
Vuoi la mia presenza o
hai bisogno del mio aiuto?
Chissà tutto
questo dove ci porterà.
Eccoci, anche per oggi ho fatto il mio dovere e voi pazze
scriteriate non dimenticate di compiere il vostro ;)
baci&abbracci
|
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Capitolo 43 *** Capitolo 43. ***
Capitolo 43.
Love
will tear us apart
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN.
La campanella del
cambio dell'ora in certi casi assumeva le sembianze di una sinfonia
venuta
direttamente dai cieli.
Kimberly, che
riusciva a stento a tenere gli occhi aperti quella mattina, si
congratulò con
se stessa per essere riuscita a resistere un'intera ora di diritto,
nonostante
il timbro monotono della voce dell'insegnante, tedioso più
della materia stessa,
se possibile.
Il suo nome di
battesimo era Jean Baptiste, il che fece pensare a tutti che fosse di
origine
francese, le prime volte. Invece, sorpresa, si chiamava semplicemente
così.
Quando qualcuno glielo chiedeva così per conversare, lui
giustificava con
un'alzata di spalle “aveva un bel suono secondo mia
madre”.
Come scardinare
tutto l'entusiasmo di una persona in un secondo. Ma quell'uomo era
così e gli
alunni ormai si erano abituati a quell'alone di noia e apatia da cui
era
perennemente avvolto.
-Kim, devo
raccontarti una cosa.- le disse una voce all'improvviso.
Sollevò lo sguardo e
si trovò Charlotte davanti agli occhi.
-Ti ascolto.- le
disse voltandosi verso di lei tutta concentrata.
-Però non dirlo a
Joe.- quel premesso non aveva nulla di buono. Kimberly
aggrottò la fronte
guardandola di sottecchi. -Certo che no.. tutto bene?-
-Sìsì, è solo che
sai com'è siete così amici, non vorrei mai che ti
scappasse dal nulla.- spiegò
appoggiandosi al suo banco.
-Fidati, lo sai.
Allora?- e prima che l'amica prendesse fiato controllarono entrambe che
il
ragazzo fosse a debita distanza.
Si trovava infatti
dall'altra parte della stanza a scherzare con un paio di compagni.
Indossava
una camicia a quadri neri e turchese e Kim sorrise mentalmente
ricordando tutte
le volte che l'aveva preso in giro per quell'indumento.
Tutte gli facevano
i complimenti per come gli stesse, mentre lei quasi non se ne accorgeva
e lui
stava sempre a punzecchiarla al riguardo. Ma lei era fatta
così, non era
ragazza da complimenti, e così come non sapeva farli, non
sapeva apprezzarli.
Quindi ogni volta
che lo vedeva con quella camicia addosso gli si avvicinava e cominciava
ad
esaltarlo e ad affibbiargli appellativi come “sexy”
o “affascinante”, con un
tono leggero e lui stava al gioco. In effetti a guardarlo bene, non gli
stava
affatto male.
Proprio in quel
momento Joe guardò verso di lei e i loro occhi si
incrociarono per un attimo.
Maledizione, lui e il suo feeling con lei.
Kim quindi
convenne che fosse molto meglio se avessero affrontato l'argomento
fuori da
quella classe, date le sue precedenti esperienze.
Invitò la sua
compagna a discuterne in corridoio. -Meglio se andiamo in bagno, lui ha
le
antenne per certe cose.- e uscirono insieme dalla stanza. -Quindi?-
La biondina prese
la parola, valutando bene cosa e come dirlo. -Vedi, ieri io e lui siamo
andati
insieme alla scuola vicino alla stazione per aspettare una mia amica,
così che
anche lui aspettasse la sua ragazza che frequenta lì...-
Kim rimase
interdetta. -Aspetta.. ha già la ragazza? Non si
è appena lasciato con una
certa V qualcosa?- ma appena finì la frase si
sentì sciocca. Lo conosceva bene
e sapeva che lui era fatto così. Sarà stato anche
il suo modo per affrontare il
“dolore” della rottura, ma alla svelta come si
riprendeva lui non lo faceva nessuno
di sua conoscenza.
Era un aspetto che
l'aveva sempre infastidita: lei non sarebbe mai stata con una persona
sapendo
che appena si fossero lasciati, lui l’avrebbe immediatament
rimpiazzata. Dava
l'idea di uno che si accontentasse di qualsiasi cosa respirasse.
-Sì, ma sai com'è
fatto.- continuò Charlotte.
I loro pensieri
furono interrotti da Jared, munito di chitarra che si dirigeva verso la
loro
classe. -Ragazze, vi siete perse?- scherzò facendo gesto di
entrare.
-Un attimo prof.
Leto andiamo in bagno.- gli sorrise Kim, mettendo una mano sulla
schiena della
sua amica e proseguendo sul loro percorso.
Lui la guardò
severo, ma decise di lasciarle andare e continuò per la sua
strada. -Ok, ma
solo 5 minuti!- urlò loro dietro, alche Kim gli fece un
gesto frettoloso con la
mano che stava a significare “sìsì,
rompi poco e cammina”.
-Che ansia
Charlotte, dicevi?- la ragazza ormai era al limite della
curiosità.
-Sì, stavamo
parlando del più e del meno, e poi dal nulla mi ha detto
“perchè a me Kimberly
piace da sempre. Però mi sono rassegnato al suo
disinteresse, e io non starò ad
aspettarla in eterno”. Cioè, non che la cosa mi
stupisca, ma il fatto che me
l'abbia detto lui, di sua spontanea volontà, da un discorso
che non c'entrava
nulla, mi ha sorpresa...-
Kimberly era
attonita. Fissava la ragazza bassina davanti a lei incredula e
meravigliata e
basita tutto insieme. Avrebbe di gran lunga preferito che non
gliel'avesse mai
confessato.
Si sentiva
umiliata, imbarazzata e in un certo senso tradita. Aspettarla in
eterno? E come
poteva immaginare che lui chiamandola “la sua migliore
amica” in realtà
sperasse in qualcosa di più?
Era come se il
mondo le fosse crollato addosso, l'ennesima certezza smontata
totalmente. Ed
era una sensazione insopportabile.
Loro due erano la prova
che l'amicizia tra i due sessi era possibile... invece lui aveva
tutt'altro per
la testa. Lei sapeva che dal momento che uno dei due amici prova
qualcosa di
più profondo nei confronti dell'altro, l'amicizia svanisce e
si entra in un
turbinio di emozioni contrastanti e sofferenza.
Quanto doveva
esserci stato male quando lei era tutta allegra e gli raccontava delle
sue
storie con i ragazzi? Quanto doveva averci sofferto, vedendola
deprimersi per
Christopher senza minimamente accorgersi di lui e degli sforzi che
stava
facendo -invano- per farla sentire meglio?
Milioni di idee e
ricordi le ruotavano nella testa, ma fu un pensiero tra tutti che la
colpì in
assoluto: lei non aveva mai avuto un migliore amico, ma solo una
ragazzo che
vedendola come una potenziale macchina eccitante, cercava di starle
vicino.
Dall'altra parte
però cominciò a sentirsi tremendamente in colpa.
Era combattuta tra due fuochi
e fu costretta a sedersi un attimo, non sapendo come affrontare la
situazione.
Ora cominciava a
passare rapidamente in rassegna di tutti i ricordi insieme a lui,
chiedendosi
come avesse potuto essere così cieca. Come quella volta che
erano a teatro con
la scuola, loro erano seduti vicini e cominciarono a parlare
normalmente.
Era dicembre, così
lei gli chiese “Allora, cosa vuoi per Natale?”
aspettandosi che le rispondesse
qualcosa come una Ferrari o un viaggio in Australia. Joe invece,
girò la testa
nella sua direzione e la guardò dritta negli occhi.
“Te.” rispose, con un tono
che non tradiva sarcasmo.
Lì per lì lei la
prese sul ridere e gli diede una spallata, nonostante i continui
raggiri di lui
mentre le spiegava come “casualmente” si sarebbero
trovati insieme sotto un
agrifoglio.
Inutile dire che
Kimberly cominciò sommessamente ad imprecare e ad insultarsi.
-Kim, mi dici cosa
ti prende?- le chiese Charlotte in piedi davanti a lei, dato che questa
reagiva
come se fosse in atto una catastrofe. Lei non ci vedeva niente di
catastrofico.
-Non dirmi che ti stupisce sul serio, perchè saresti da
ricovero!-
-Sì invece!- ringhiò
Kim presa dalla disperazione. -Pensavo fossero solamente dicerie, che
lui
quando mi diceva di tenerci a me come amico, fosse sincero!-
-Ahi ahi cara, sei
messa proprio male...- commentò la bionda.
-Charlie tu non
capisci. E adesso come faccio? Come lo affronto? Come posso far finta
di niente
e parlare con lui sapendo che lui magari sta pensando a come
“provarci”?
Come ha potuto non
dirmelo?!?- era fuori di sé, non riusciva a ragionare.
-Kim, non vorrei
dire che sono dalla sua parte, ma vedendoti adesso, tu stessa ti
fideresti a
confidarti qualcosa di così intimo? Se se l'è
tenuto dentro ci sarà un motivo!-
la sgridò tenendole le spalle ferme, dato che sembrava una
tarantolata da tanto
si agitava.
Kimberly tacque.
Charlotte aveva ragione, stava reagendo in modo spropositato, e
scoprì anche
come definire l'ennesima sensazione che le intorpidiva i sensi in quel
momento:
gratitudine.
Joe era stato
abbastanza riservato da non averci mai provato esplicitamente con lei,
salvo
qualche battutina innocua, tutto per salvaguardare il loro rapporto,
temendo
che lei si spaventasse o lo rifiutasse con la diretta conseguenza del
definitivo crollo della loro amicizia.
-Sono stata una
pessima amica. Cieca e opportunista, mi sono sempre approfittata
dell'eccessivo
affetto e delle attenzioni che mi riservava.- si lagnò,
sulla soglia della
tipica fase “sensi di colpa”.
Charlie era
abbastanza sconvolta. L'amica passava da un estremo all'altro in troppo
poco
tempo!
-Kimberly, sei
sicura di non soffrire di schizofrenia?-
Lei rise
sommessamente, rendendosene conto. -Scusa, è che davvero non
me l'aspettavo.-
si scusò cercando di ritrovare il centro del suo equilibrio,
poi alzò lo
sguardo trovando i suoi occhi nocciola e con un'espressione sconsolata
domandò
-Cosa devo fare, Charlotte?-
Charlie valutò
bene come risponderle. Ora sembrava stabile, quindi tanto valeva
terminare
quella discussione. -Lui dice che se non te ne sei accorta tutti questi
anni,
la vede dura che ti svegli proprio ora. Però è
ovvio che ci speri ancora...
anche Chase ogni tanto lo rassicura dicendogli che prima o poi te ne
renderai
conto.- spiegò.
Kim si imbronciò.
-Quanti lo sanno, scusa?-
-Madonna Kim, lo
sanno tutti, non è che parliamo a caso!- ribatté
Charlotte. -E' talmente
evidente che anche l'ultimo degli imbecilli se ne accorgerebbe!-
-Quindi io sarei
peggio dell'ultimo degli imbecilli?-
-No, tu sei
proprio una categoria a parte. L'ingenua persa!- rispose ridendo,
ricevendo in
cambio una spinta. -Comunque, se vuoi la mia opinione, dovresti starci
Kimberly.-
Kim drizzò le
orecchie e la guardò incredula. -Scusami?-
-Sì, tu non l'hai
visto mentre ne parlavamo ieri. È moralmente distrutto per
questo, ci tiene sul
serio a te e ti tratterebbe bene. Voglio dire, sarebbe pronto a tutto
pur di
renderti felice. E sono sicura che lo saresti come non ti vedo da un
po'.-
continuò con un tono talmente convinto che Kimberly dovette
prenderla sul
serio.
-Sì, e intanto va
con tutte..- ironizzò distogliendo lo sguardo.
-Cosa pretendi
scusa, che resti come un ebete ad aspettare te?- la ragazza riprese a
gesticolare.
-No, ma che almeno
mi avesse dimostrato che può essere serio, non so!-
ribatté
-Ti ricordo:
INGENUA PERSA.- scandì bene le due parole. -Probabilmente
l'ha anche fatto.-
Kimberly si
arrese, ma dentro di lei le parole dell'amica vorticavano in una
spirale
fastidiosa che le fece solo venire voglia di chiudersi in se stessa a
riflettere per almeno 3 giorni.
-Ma io non provo
niente per lui...- bofonchiò nervosa.
-Questo lo dici
tu. Kim, tu sei stata ferita e adesso qualsiasi tentativo di
avvicinamento ti
rende diffidente. Non riconosceresti il principe azzurro nemmeno se ti
crollasse addosso!- ironizzò Charlotte, sicura di quello che
diceva. Lei aveva
sempre sospettato che l'altra ricambiasse i sentimenti di Joe, ma le
credeva
quando
sosteneva di non rendersene conto.
Per Kimberly
invece non c'era niente che potesse darle di più sui nervi.
Non solo la sua
amica era convinta di sapere meglio di lei stessa come si sentisse, per
di più
la stava spingendo tra le braccia del suo “migliore amico
cotto di lei”, solo
perchè sarebbe stata un'ottima terapia.
Come diceva quel
poeta francese? Bisogna
amare quello che si ha.
La frase più triste del mondo.
E Kim non
sopportava proprio l'idea di sfruttarlo per i suoi comodi. Inoltre
questo
significava accontentarsi, impedirsi di sognare e cercare
ciò che è davvero
meglio per lei, anche a costo di sbatterci la faccia più e
più volte... e lei
non si sarebbe più permessa di accontentarsi.
Charlotte non
sapeva proprio di cosa stesse parlando, quello era un ottimo periodo e
il
principe azzurro ce l'aveva e se lo teneva già stretto, tra
l'altro.
-Charlie, ti
sbagli. Puoi insinuare tutto quello che vuoi, ma capisco quando sono
innamorata
di qualcuno, fidati. Non sono neanche gelosa di questa sua ragazza, non
lo sono
mai stata di nessuna.- chiarì, e malgrado le loro idee
fossero diverse, non ce
l'aveva con Charlotte. Pensava di fare solo il suo bene.
L'altra sospirò e
annuì, lanciando un'occhiata all'orologio appeso di fronte a
loro. -Leto ci
darà per disperse, sarà meglio tornare!- convenne
e mentre stavano tornando
chiese all'amica -Non ci sono problemi, vero?- non le andava di
rovinare la
loro amicizia per un discorso simile.
-Assolutamente
no.- rispose Kim con un sorriso, stringendole un braccio attorno alle
spalle,
ma per tutto il tempo anche quando rientrarono in classe non
poté fare a meno
di mantenere quell'espressione pensierosa sul volto, un'espressione che
neppure
Jared si fece scappare.
Again.
Note finali: Hi
guys! Wazzappp??
Scusate se ho tardato tanto, ma sono stata impegnata e a dir la
verità, sia ieri che stamattina ero sul punto di
aggiornare... ma non so c'era qualcosa che mi frenava, come se non
avessi voglia. Imploriamo tutti in coro che non mi stia passando la
voglia di finirla anche sta volta! XD
Ebbene sì, come voi non avete voglia di recensire, anche a
me capita di non aver voglia di postare! Facciamocene una ragione.
Sì, non è una vostra impressione, oggi sono
più acida del solito. Ho l'angoscia kierkegaardiana che mi
perseguita, troppe scelte importanti in troppo poco tempo.
But whatever! L'importante che siamo arrivate anche a oggi!
Allora, siete sconcertate come Kim da questa notizia?? Ahahah lo so, ma
credo ci siamo passate tutte in un rapporto di amicizia simile, e in
certi casi più che non accorgersene, esiste il non voler
rendersene conto. Spero capiate la reazione spropositata della ragazza.
Anche se, devo ammettere, che ho dovuto cancellare più volte
per non scrivere COGLIONA al posto di ingenua persa. Non volevo cadere
in galanterie simili ;)
E ora?! Che succederà?! Dopo questa scoperta illuminante,
cambierà qualcosa?! Kimberly prenderà in mano la
situazione e gli parlerà, o preferirà far finta
di niente e lui la sorprenderà con un bacio a istintivo???
Bah, vedrete, vedrete ;)))
La
canzone (va de retro a chiunque non la conosca) è dei Joy
Division e non l'ho scelta perchè c'entrasse molto,
più che altro ce l'ho in mente da tutto il giorno
ed è una di quelle frasi che boh. Se avete anche voi dei
lampi di filosofia nascosti in voi stesse, potete capire di cosa parlo.
Quando ne leggete una e sentite uno pseudo colpo allo stomaco, sebbene
non ci sia niente di concreto per cui sentirsi così. Eppure,
trovo che questa frase sia eccezionale: in 5 parole esprime 300
concetti ed è di una bellezza sconvolgente. Davvero, resto
stupefatta di fronte a questa capacità delle parole.
L'amore ci
farà a pezzi, ancora.
Credo
di averla scelta perchè è vera, e in questo
capitolo credo si possa cogliere una possibile distruzione di tutti i
legami:
Un amore non ricambiato; un amore non desiderato (da parte di Joe che
probabilmente vorrebbe con tutto se stesso non essere innamorato di
Kim, ma purtroppo è più forte di lui [non osate
dirmi che non vi siete mai sentite così, perchè
non ci credo]); un amore messo a rischio; un rapporto di amicizia che
potrebbe trasformarsi in qualsiasi cosa...
Insomma,
credo molto in questa frase e credo molto nella vostra fantasia e
intuito e sono sicura possiate capire di cosa parlo.
Vorrei
che mi diceste cosa ne pensate DI QUALSIASI COSA ABBIA TRATTATO IN
QUESTA PAGINA.
Buono, vi abbandono.
Scusate se sono dislessica più del solito in queste note
(non ho detto un cazzo di concreto, andrete molto a interpretazione
leggendo ahah) ma sono molto provata stasera.
Ho avuto degli incontri ravvicinati del 4 tipo e non è mai
una bella esperienza ;)
Tiratemi
su voi :) ♥♥♥
|
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Capitolo 44 *** Capitolo 44. ***
Capitolo
44.
Appena
l'ora terminò e tutti uscirono dall'aula per godersi la
pausa, Jared ne
approfittò per avvicinarsi alla sua ragazza, la quale non si
era mossa di un centimetro
per tutto il tempo, talmente presa da dei suoi pensieri interni che non
sbadigliò nemmeno una volta in tutta l'ora, il che fu
davvero strano da parte
sua.
-Ehy
tesoro, cosa c'è?- le domandò una volta che si fu
avvicinato abbastanza da
sedersi nel banco accanto al suo, stampandole un bacio sulla tempia
sinistra.
Lei
sospirò senza distogliere lo sguardo incantato sulle sue
mani, mentre se le
torturava a sangue. Quella visione fece impressione al professore, lo
faceva
sempre quando c'era qualcosa che la turbava, innervosiva, annoiava. Si
scorticava la pelle dei polpastrelli in un modo alquanto brutale.
Pertanto
quando si stava per portare alla bocca l'ennesima ferita aperta, le
bloccò le
mani e le tenne strette tra le sue. -Sai che non sopporto quando lo
fai.- la
rimproverò poi.
Kim
gli lanciò un'occhiata e in quel breve momento di contatto
lui si accorse che
la ragazza aveva gli occhi lucidi. Le lasciò le mani per
prenderle il viso tra
i palmi, costringendola a guardarlo.
-Kimberly,
di cosa ti ha parlato Charlotte? Cosa c'è che ti preoccupa?-
le chiese, con un
tono talmente intenso da farle sciogliere il cuore.
Si
schiarì la voce. -Lei.. mi ha detto che Joe le ha confidato
di essere
innamorato di me.- ammise, sperando che Jared non se la prendesse
troppo, il
quale, dal canto suo, sollevò le sopracciglia in
un'espressione sorpresa. -Ma
va?- gli uscì in tono finto stupito, da presa in giro.
Lei
gli rivolse un'occhiataccia offesa e se lo scrollò di dosso
violentemente,
alche a lui uscì una risata flebile. -Beh Kim, io te l'ho
sempre detto.
Piuttosto sono io sconvolto dal tuo stupore! Davvero non c'eri
arrivata?-
Kimberly
sbuffò impaziente. Era così difficile da credere?
-Io
credo nell'amicizia, ok?- ribatté alzandosi in piedi e
dirigendosi verso le
finestre, piuttosto inacidita.
L'uomo
scosse la testa ancora un po' perplesso, ma poi si rese conto che,
malgrado
tutte le sue particolarità, Kim rimaneva una ragazza, una
femmina, e come tutte
le ragazze, una volta che si convincevano di qualcosa, era difficile
far
cambiare loro idea. A meno che saltasse fuori la prova che potesse
confutare il
loro sbaglio.
Questo
era successo a Kimberly, e ora non sapeva come affrontarlo.
Le
si avvicinò di nuovo, deciso a sostenerla. A lui non andava
assolutamente a
genio quel ragazzo, ormai era ovvio a chiunque li avesse visti insieme
in una
stanza, ma sapeva quanto lei ci tenesse e, nonostante non approvasse,
voleva
che la situazione si aggiustasse.
Joe
per lei significava molto, aveva una sorta di forte ascendente su Kim e
non
passava giorno senza che lei gliene parlasse, anche senza rendersene
conto.
Kim
non era brava a dimostrare l'affetto che provava nei confronti degli
altri,
aveva sicuramente moltissimi pregi certo, ma aveva da sempre avuto un
atteggiamento alquanto distaccato e freddo, anche nei rapporti
più stretti.
Le
si posizionò davanti e le riprese il volto tra le mani. Non
sopportava vederla
così giù, proprio non ci riusciva.
-Ascolta
Kim, so che probabilmente sarai preoccupata perchè che tu
gli stia troppo
vicina o troppo lontana ne risentireste entrambi e il vostro rapporto
potrebbe
cambiare.. ma la stai prendendo peggio di quello che è.-
disse con voce lenta e
calma. Ci teneva che capisse.
Il
volto della ragazza si increspò. -Cosa vuoi saperne tu?- per
quanto ne sapesse
lei, Jared non tollerava Joe e sarebbe stato solo che contento se la
loro
amicizia si fosse sfaldata. -Io non voglio perderlo.-
Lui
sorrise appena. -Quello che sto cercando di dirti è che non
è così grave. Tu
hai vissuto fino ad oggi ignara di tutto e lo stesso lui è
sopravvissuto anche
solo come tuo amico. So che genere di amicizia vi lega, e se
è forte come penso
non sarà questo a dividervi.- le spiegò, cercando
sempre di trovare le parole
giuste. Lei lo guardava come se il suo destino pendesse dalle sue
labbra.
-Quindi hai due cose da fare: continuare a fare come se niente fosse, o
affrontarlo e mettere in chiaro la situazione.- concluse.
Kimberly
rimase immobile, non sapendo bene come reagire. Uno scontro aperto
sarebbe
stato sicuramente insostenibile, non pensava di essere abbastanza
forte. Ma era
sicura che fosse la scelta giusta da fare.
-Hai
ragione, Jared.- sorrise dolcemente, avvicinandosi al suo volto per
baciarlo.
Quel giorno era particolarmente luminoso, i capelli scuri gli
ricadevano sul
volto incorniciandolo, la barbetta era leggermente accennata dato che
erano un
paio di giorni che non
si radeva, e inoltre
i suoi occhi erano di un colore blu talmente intenso da ipnotizzarla.
Non
vedeva l'ora di stare un po' da sola con lui, dopo scuola.
-Va
meglio?- le chiese, una volta separati.
-Sì,
grazie alla tua saggezza.- rise, staccandosi completamente da lui, il
quale
indietreggiò di un metro. Erano stati troppo poco prudenti
finora, era meglio
non giocare troppo col destino.
-Oggi
passa verso sera, ok? Voglio farti conoscere delle persone.- le disse,
superandola, raccogliendo le sue cose e uscendo dalla stanza
nell'esatto
istante in cui suonò la campanella che annunciava la fine
della ricreazione.
Per
tutto il pomeriggio, Kimberly fu un mix di nervosismo, eccitazione ed
entusiasmo.
Era
seriamente euforica per il fatto che Jared volesse presentarla a
qualcuno, finora
erano stati solo loro due, e all'infuori di Gwen nessuno di sua
conoscenza
sapeva di questa relazione.
Questo
evento avrebbe ufficializzato la loro storia, quindi era normale che
fosse
leggermente nervosa.
Cercò
di concentrarsi sui compiti e lo studio, e nel pomeriggio tardo avrebbe
dovuto
andare a Scuolaguida distante 5 minuti a piedi da casa sua.
Sua
nonna le aveva fatto questo regalo anticipato per i suoi 18 anni, che
si
stavano avvicinando lenti ma inesorabili.
Il
giorno dopo avrebbe avuto l'esame teorico, ma non era assolutamente
spaventata
o agitata, dato che si era esercitata costantemente per un mese e aveva
frequentato tutte le lezioni.
L'uomo
che insegnava sarà stato sulla cinquantina, forse. Era uno
di quelle persone a
cui per quanto ti sforzi, non riesci a dare un'età precisa.
Era
bassino, di corporatura media e capelli molto radi -specialmente sul
davanti- e
brizzolati. Aveva una voce calma, piatta, inespressiva quasi quanto il
suo
volto, che si sfregava con entrambe le mani aperte ogni cambio di
diapositiva.
Mentre spiegava non si dilungava tanto in chiacchiere e, dopo un breve
saluto
generale, cominciava con la lezione del giorno.
Sorrideva
raramente, ma Kimberly apprezzava lo sforzo che faceva nell'infilare
una
battutina di tanto in tanto. Inoltre, non faceva mai passare i vari
volti dei
presenti mentre parlava, ma ne guardava uno fisso, per tutta l'ora.
Inizialmente
Kim si sentiva un po' a disagio ogni volta che doveva andarci, dato che
essendo
alle prime armi, era un po' imbranata e i quiz li sbagliava spesso, e
il fatto
che non conoscesse nessuno dei presenti rendeva l'intera esperienza
ancora più
dura da affrontare.
Quindi
non c’era da stupirsi che fosse contenta di essere giunta
alla fine. Questa
cosa le rubava moltissimo tempo prezioso per studiare, ormai non
sbagliava più
le risposte e per di più non le avrebbe portato nessun
credito a scuola.
C'era
di buono che un paio di settimane fa era arrivato un novellino di 16
anni che
attaccò da subito bottone con lei.
Nonostante
la prima volta che la vide le avesse lanciato una lunghissima, evidente
e
insistente occhiata, le stava simpatico e aveva ravvivato un po' quei
pomeriggi. Era ovvio che ci provasse con lei, che ne fosse attratto e
non
c'ercava minimamente di nasconderlo, ma ad ogni suo tentativo, lei lo
liquidava
con ironia facendo riferimento alla differenza di età.
Lui
non si offendeva mai, ma anzi le sorrideva e insisteva dicendo -Ma sono
solo 2
anni!-
E
lei ogni volta rispondeva -Se io ne avessi 28 e tu 26 ok, ma siamo 18 e
16 e
non mi sembra proprio il caso!- inoltre era più basso di lei
e aveva la S
sibilante.
Pensandoci
era proprio l'ironia della sorte ad averla messa in quella situazione.
In un
certo senso rispecchiava la sua relazione con Jared, e in quei casi
riusciva a
capire come potesse sentirsi lui con non 2 ma bensì 20 anni
di più.
Anche
a Jared era simpatico questo pischellino di cui gli aveva parlato e
ogni volta
le chiedeva di lui. Lo trovava audace. Avrebbe fatto strada nella vita.
A
fine lezione questo Micheal la accompagnò a casa come tutte
le volte,
nonostante fosse una deviazione parecchio lunga rispetto a casa sua, ma
se lui
ci teneva tanto allora ok.
La
terza volta le aveva chiesto il numero di cellulare, e dopo molta
resistenza
l'aveva ottenuto. Però non l'aveva mai contattata. Il
“bacino” invece, non lo
ottenne mai.
Una
volta a casa, Kim dovette solo darsi una sistemata rapida e poi volare
alla
fermata dell'auobus, dato che i suoi non erano ancora rientrati.
Il
viaggio non fu molto lungo, e una volta raggiunto il centro della
città, decise
di raggiungere casa Leto a piedi; l'orologio segnava le 7.30, era
perfettamente
in orario.
Mentre
camminava un'ondata di panico la travolse: era sempre così,
una volta che
riusciva a distrarsi per abbastanza tempo trovava la calma, ma quando
si
rendeva conto del pericolo, la pancia cominciava a contrarsi e a farle
davvero
male.
Sapeva
che le sarebbe successa la stessa cosa domani all'esame.
Tutto
ciò che pensava adesso era al problema imminente: e se i
suoi amici o quelle
persone non l'avrebbero accettata? Jared sarebbe stato abbastanza
deciso da
fregarsene o sarebbe stato pronto a chiudere con lei?
Conoscendo
la lealtà di quell'uomo e quanto fosse legato alle persone
importanti di cui le
parlava, probabilmente sarebbe stata una bella lotta, dato che ormai
non poteva
più dire di non significare niente per lui.
Ma
rinunciare ad una storia di qualche mese non poteva neanche nella
migliore
delle ipotesi competere con un'amicizia di anni e anni, lo sapeva bene.
I
suoi pensieri furono improvvisamente interrotti da uno stridio
assordante di freni
che non riuscivano a compiere la loro funzione, o comunque lei non se
ne
intendeva, sapeva solo che provenisse da una macchina.
Fece
a tempo a girarsi per vedere l'auto venire dritta verso di lei e se ne
rese
lucidamente conto, dato che l'ultima cosa che pensò fu
“sono morta”.
I
riflessi agirono prima ancora che potesse capacitarsene e
indietreggiò, ma era
come paralizzata nell'incertezza di quello che stava per accadere.
Fortuna
volle che nell'indietreggiare aveva fatto un movimento talmente brusco
da
destabilizzare il suo equilibrio sulle scarpe alte che portava,
facendola
cadere
rovinosamente a terra, picchiando il fondo schiena sul prato adiacente
a
quel minuscolo marciapiede.
La
macchina arrivò a 20 centimentri di distanza da lei,
facendole capire che se
non fosse crollata portandola a stringersi le gambe al petto, sarebbe
stata
sicuramente travolta.
Il
cuore le batteva all'impazzata, lo sentiva tuonare nel suo petto e in
ogni
frammento di se stessa. Avrebbe incorniciato queste scarpe, le avrebbe
battezzate “lucky shoes”.
L’auto
riuscì finalmente a inchiodare a 3 metri di distanza,
sbilenca, date le due
ruote di destra sul marciapiede.
Quando
Kim scorse il conducente scendere affannato per controllare che la
ragazza
stesse bene, provò una collera e una furia che poche volte
in vita sua aveva
provato. -Per l'amor di Johnny Depp, mi hai quasi ammazzato, stronzo!-
imprecò
vedendolo avvicinarsi velocemente.
L'uomo
le si avvicinò e si inginocchiò accanto a lei.
-Mi dispiace talmente tanto!- si
scusò con enfasi. Aveva il fiato corto dato lo spavento ed
era probabile che il
suo cuore battesse alla stessa velocità di quello di Kim.
-Sai
cosa me ne sarei fatta delle tue scuse se mi avessi falciata? Ma chi te
l'ha
data la patente, Topolino??- lei continuava ad inveire contro di lui, e
ciò
nonostante lo sconosciuto manteneva una calma sconvolgente.
-Stai
bene? Devo portarti al pronto soccorso?- le chiese esaminandola e
tastandola un
po' ovunque.
Aveva
uno strano accento, si rese conto Kim, e va bene che fosse preoccupato,
ma le
mani doveva tenerle a posto!
-Non
mi toccare, disgraziato!- cominciò ad assalirlo, colpendolo
con la borsetta.
Era in questi casi che servivano i mattoni nella borsa, si
pentì di non
essersene procurata. -Comunque sto bene, smettila di assillarmi.- lo
informò,
una volta che aveva smesso di menarlo.
Lui
si alzò velocemente e le porse la mano a sua volta. -Meno
male. Mi dispiace
così tanto!-
-Questo
l'hai già detto.- bofonchiò acida, rimettendosi
in piedi con il suo aiuto, Kim.
Le gambe le tremavano senza che lei potesse porvi rimedio. Fece alcuni
movimenti e fu sollevata di sapere che stava effettivamente bene.
Le
doleva un po' il didietro certo, ma finché stava in piedi
l'avrebbe sopportato.
-Si può sapere che cacchio ti è preso?-
inveì nuovamente contro di lui, così
all'improvviso che lui sussultò vistosamente e si fece scudo
con le braccia,
temendo un altro attacco di borsate. -Ma non lo so, ci sarà
stata una macchia
d'olio per terra e ho perso il controllo dell'auto!-
-Questo
perchè andavi troppo veloce, assassino!-
L'uomo
dai capelli neri non cercò neanche di difendersi da quelle
accuse, sebbene non
fosse completamente colpa sua. Aveva un tremendo senso di colpa, quello
che
aveva scampato era un miracolo.
Protese
una mano verso di lei. -Io sono..- ma non finì la frase che
una valanga di
insulti lo travolse di nuovo.
-Non
mi interessa, ora sparisci!- urlò con voce tremante lei e
ricominciò a
camminare. La consapevolezza di quello che le sarebbe successo la
inondò
improvvisamente, facendole provare un turbinio di emozioni quali gioia,
sgomento, terrore, sollievo, euforia, collera e terrore.
Respirò profondamente
e riprese la sua strada.
-Se
hai bisogno di qualsiasi cosa...- riprovò lo sfortunato
conducente.
-Tranquillo,
non verrò sicuramente da te!- esclamò lei per poi
alzare il dito medio della
mano sinistra.
Dal
canto suo, l'uomo non poté fare altro che rimontare in
macchina, tirare un
profondo sospiro di sollievo e rimettere in moto, stavolta stando il
più attento
possibile.
Dopo
10 minuti buoni Kimberly si trovava davanti alla porta
dell'appartamento di
Jared, non più così scossa. Aveva smesso di
tremare e stava vedendo il lato
positivo di tutta quella situazione: adesso avrebbe potuto trovarsi
spiaccicata
su quel marciapiede invece che pronta ad essere accolta dalle braccia
del suo
uomo.
Entrò
senza bussare, dato che immaginava che la porta fosse aperta, e
sistemando le
sue cose all'appendiabiti si accorse che gli ospiti erano
già arrivati.
Sentendo
il portone sbattere, il padrone di casa le andò incontro
dalla cucina con un
sorriso rilassato. -Ragazzina, che fine hai fatto? Ti stavo per
chiamare!-
disse prendendola tra le braccia e schioccandole un bacio sulle labbra.
Lei
sbuffò indignata. -Non sai cosa è successo,
Jared! Un pazzo furioso con l'auto
mi stava per tirare sotto!- esclamò fuori di sé,
stringendolo un po' di più.
-Jared,
dove lo metto questo?- chiese una voce alle sue spalle che la fece
rabbrividire. Quell'accento.
Kimberly
si voltò con un braccio di Jared ancora stretto in vita. Lui
le sorrise e le
indicò l'uomo che la stava per uccidere poco prima in strada
e che lei aveva
insultato senza ritegno. -Kimberly, ti presento il mio vecchio amico
Tomo.-
“Perfetto.”
pensò lei sbigottita davanti a quella figura.
Note finali:
Buondì! Come state? Scusate il ritardo, in teoria avrei
dovuto farmi viva ieri o l'altro, ma sto tornando a casa solo per
dormire ultimamente.
Alloraaaaa??? Che ne pensate di un Tomo pseudo-assassino?? Ahaha,
voglio raccontarvi un aneddoto.
Sinceramente non ricordo molte cose di questa FF, come ad esempio il
titolo. Cioè, cazzo vuol dire perfect? Perchè ho
scelto una parola del genere come titolo di una fan fic (del genere)?
Sarà per le 200 canzoni che lo portano come titolo e mi sono
unita per solidarietà? Bah, resterà un mistero a
meno che mi sottopongano a sedute di ipnosi regressiva, e non credo
avverrà mai per un motivo tanto idiota.
(qualora ve lo stiate chiedendo, non mi sogno di notte cosa inserire
nelle note, ho solo la grande dote di sparare minchiate ad una
velocità supersonica ;) e immagino ormai ve ne siate accorte)
DICEVO, per la parte del quasi omicidio (XD) mi è stata
d'aiuto (assolutamente senza saperlo) una ragazza che una volta su
twitter (quando lo avevo) aveva scritto di questa ragazza sua amica
che, rischiando di essere investita, ha inveito al conducente "per
l'amor di Jared Leto, mi stavi quasi uccidendo!" (non ricordo le esatte
parole e poi era americana, quindi men che meno) ed era stata una scena
esilarantissima nella mia testa e, why not, ho deciso di rendere grazie
a queste persone meravigliose che traboccano d'ispirazione ahahah.
Ovviamente, non potevo mettere Jared Leto in questo caso, ho usato il
primo nome di attore figo che mi è venuto in mente.
Inoltre la cit. "Chi ti ha dato la patente, Topolino?" la dobbiamo al
mio istruttore di scuolaguida che quando lo scarrozzavo in giro per le
guide e beccava guidatori al telefono o che sbagliavano qualcosa,
esclamava questa frase molto esilarante (-.-) però va beh,
si traggono idee da quello che si può, no? ahah.
Detto ciò, solitamente sono una persona molto abitudinaria e
non mi piace si spostino i parametri, purtroppo però non
avevo idea di che canzone mettere come background
per la quantità di argomenti trattati (salto di pal'in
frasca con una velocità disarmante, me ne rendo conto ahah)
e per la qualità!
Non mi pare di aver mai sentito canzoni parlare di certe cose, e
qualora a voi venga in mente qualcosa ditemelo e rimedio subito ;)
Grazie per l'attenzione donzelle, spero il capitolo sia stato di vostro
gradimento.
Quasiasi sia la vostra risposta, sapete cosa fare ;)
xoxoxoxoxox
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Capitolo 45 *** Capitolo 45. ***
Capitolo
45.
(Cause) I'm feeling nervous
Trying to be so perfect
Cause I know you're worth it
You're worth it
Ebbene
ora il serial killer dall'accento insolito aveva un nome. Lo sguardo di
Kimberly nell'arco di 5 secondi mutò da sorpreso, a
sconvolto, a minaccioso.
Lui ricambiava invece con un'espressione più limpida,
insicura sì, ma comunque
molto gentile ed educata.
Quando
Tomo azzardò ad avvicinarsi con una mano protesa, Kim
scattò indietro,
aggrappandosi a Jared. -Oddio è lui il maniaco che mi stava
per ammazzare
Jared!- piagnucolò nascondendo il volto contro il suo petto.
L'uomo
la guardò confuso, per poi far ballare gli occhi da lei a
quelli dell'amico, il
quale lo guardava estremamente mortificato. -Tu hai fatto cosa?- gli
chiese,
pensando di aver capito male.
La
ragazza sollevò la testa e voltò il viso verso di
lui, in volto un ghigno le si
disegnò compiaciuto.
Il
tono di Jared non era stato aggressivo, ma protettivo e sconcertato
sì.
Tomo
alzò le mani sulla difensiva. -ti ho già chiesto
scusa 70 volte!- esclamò
impettito, rivolto a Kimberly. -E' stato un incidente, Jared. Mentre
stavo
venendo qua ho perso il controllo dell'auto e mi sono fatto un tratto
di strada
metà sul marciapiede..-
-..Dove
stavi camminando tu?- terminò Leto guardando spaventato
Kimberly. -Ma stai
bene, no?- le chiese poi esaminandola rapidamente.
Tomo
sbuffò roteando gli occhi. Argh, Jared Leto innamorato era
una cosa
insopportabile in certi aspetti. -Dicevo, non l'ho nemmeno sfiorata.
Concedimelo questo almeno!- disse rivolto a lei, la quale fece un lieve
cenno
affermativo con la testa.
-Meno
male!- sospirò Jared stringendola a sé. -Beh,
citando Macbeth “quel che è fatto
è fatto”, è inutile rimugiraci su a
lungo, no?- sorrise ad entrambi e spinse la
ragazza con una mano sulla schiena verso il suo amico, che l'accolse
con un
sorriso amichevole.
-Allora,
ricominciamo? E così tu sei Kimberly, è un
piacere conoscerti!- le porse la
mano, che lei afferrò piuttosto schifata. -Il piacere
è tutto tuo, Milosevic.-
rispose.
-Il
mio nome è Milicevic.- la corresse, mantenendo un tono
cordiale.
-E'
lo stesso.- disse sbrigativa, con un gesto fugace della mano.
Jared
si strinse nelle spalle, quando l'amico gli rivolse un'occhiata
infastidita.
-Fa sempre così all'inizio. Le stai simpatico!-
cercò di scusarsi, prendendola
per le spalle e conducendola verso la cucina. Kim commentò
con un sonoro sbuffo
che somigliava ad una risata trattenuta.
-Quindi
finirà col prendersi una cotta per me?- rispose sarcastico
con un'occhiata
scettica.
Jared
lo fulminò con gli occhi, mentre stava trattenendo Kim con
la forza, voltatasi
per dirgliene 4.
Proprio
in quel momento entrò in scena un'altra figura. Kimberly si
girò sussultando,
non essendosi accorta di quest'altra persona.
Era
una ragazza alta, mora, dai lineamenti spigolosi, ma l'espressione
dolce che
aveva negli occhi le sciolse il cuore, facendogliela subito piacere.
Jared
alle sue spalle sorrise senza trattenere l'entusiasmo. -Ecco,
finalmente.- si
scansò da lei e si avvicinò alla donna davanti ai
suoi occhi, era altissima, aveva
tutte le misure per fare la modella pensò distrattamente
Kim. -Kimberly, lei è
Ivana, la sorella di Tomo. Ti troverai benissimo con lei, è
una donna fantastica!-
disse visibilmente contento di presentargliela, come se già
si prospettasse un
gran futuro di amicizia per loro due.
Un
lieve sentore di gelosia si fece spazio nelle viscere di Kim: cos'era
successo
tra quei due? Era troppo strano che Jared avesse un rapporto talmente
stretto
con una donna. Lui non era fatto per essere amico del gentil sesso, lui
era la
macchina per far sbavare il mondo femminile.
Mai
nella vita avrebbe conosciuto una donna, che, dopo aver visto la foto
di Jared
Leto, avrebbe sicuramente risposto “ottima persona con cui
fare 4 chiacchere”.
Non
era possibile.
Nonostante
ciò, vedeva come si guardavano e se mai ci fosse stato
qualcosa, ormai era
passato. Negli occhi di Ivana non ci leggeva astio, rancore o
invidia... ma
autentica gioia nel conoscere la nuova fiamma del suo amico.
Decise
di reprimere quella sensazione di timore che aveva nei suoi confronti e
rispose
al saluto, con un ampio sorriso. -E' un piacere, Ivana.-
Sentì
un borbottio provenire dalle sue spalle, ma non si sprecò
neppure a controllare
chi fosse. Ovviamente era Tomo, invidioso della differenza con la quale
si era
approciata Kimberly nei confronti della sorella.
-Ma
che bella ragazza che sei!- esclamò poi Ivana, girandole
intorno per studiarla
bene. Aveva un che di materno nei modi che la mise in soggezione. -Hai
dei bei
capelli.- continuò prendendole una ciocca da davanti agli
occhi. Anche lei
aveva lo stesso strano accento del fratello.
Sentiva
su di sé lo sguardo di tutti e tre, due che la squadravano
commentandone
mentalmente tutti i dettagli per tenerli a mente, e uno che le pareva
davvero
insistente.
Lanciò
un'occhiata a Jared e subito si rilassò incrociando i suoi
occhi ammiccanti.
Non la fissava in modo severo; piuttosto gli vide una scintilla di
orgoglio e
fierezza personale. Come se stesse mostrando uno dei trofei
più importanti
della sua vita.
-Grazie..-
rispose imbarazzata Kim, cominciando a torturarsi i polpastrelli. -Da
dov'è che
venite voi due?- chiese poi scostandosi per rivolgere la domanda anche
a Tomo,
tanto per distogliere l'attenzione da sé, anche se, lo
sapeva perfettamente,
lei sarebbe stata il punto focale della serata.
-Europa
dell'est.- ripose rapido Tomo, con un sorriso che Kimberly non
notò neanche.
Gli rivolse uno sguardo scarno, per poi ritornare con gli occhi su
Ivana.
-Europa dell'est.- ripeté lei con un accenno di sorriso
divertito. Le piaceva
il gioco che stava facendo Kim, anche lei quando erano entrambi
ragazzini,
adorava burlarsi del fratello in quel modo. Lui odiava sentirsi
ignorato, era
un trattamento che non reggeva proprio.
Kimberly
si avvicinò di qualche passo a Jared, sentendosi come una
bambina per un
secondo e lui in un certo senso rappresentava la sua ancora. Accanto a
lui si
sentiva davvero sicura, ma ciò nonostante per tutto il corso
della serata, la
ragazza tentò il più possibile di atteggiarsi da
ragazza matura, responsabile
ed intellettuale, stando sempre attenta ai discorsi che facevano e
rispondendo
alle domande che le venivano rivolte, pensadoci il più
possibile onde evitare
di sbrodolare una stupidaggine delle sue.
Sebbene
con Tomo non andasse d'accordissimo, tentava lo stesso di farselo
andare a
genio, dato che lui e la sorella avrebbero rappresentato una sfida
importante
per la sua relazione col professore. Se lei non avesse corrisposto ai
parametri
di gradimento dei suoi amici, non poteva essere certa che lui sarebbe
stato
disposto a continuare a frequentarla.
Purtroppo
però, malgrado tutti i suoi sforzi di apparire
“adulta”, negli occhi degli
amici di Jared continuava a leggerci preoccupazione.
Era
ovvio che loro pensassero che fosse troppo giovane per lui, ma l'uomo
non
sembrava accorgersene affatto. Aveva passato tutta la serata con il
corpo
rivolto verso di lei, le aveva tenuto la mano sotto il tavolo oppure un
braccio
intorno alle sue spalle, appoggiato allo schienale della sedia di lei.
E la
fissava con quegli occhi capaci di stregarla, nei quali leggeva tutto
tranne
che disapprovazione.
Jared
sembrava seriamente convinto della sua scelta e lei gli credeva a tal
punto da
rilassarsi, verso la fine della serata.
Quando
finirono di sparecchiare e dare una veloce sistemata Kimberly
andò un attimo al
bagno, congedandosi con un sorriso generale. A Jared non
bastò e l’attirò a sé per
lasciarle un lieve bacio, gesto che normalmente avrebbe provocato le
vertigini
alla ragazza, ma quella sera doveva recitare la parte della persona
composta e
cercò di non uscire di scena con le gambe chiaramente molli.
Non
appena voltò l’angolo, Ivana tolse dalla borsa un
pacchetto di sigarette,
facendo un cenno col capo ad entrambi di andare in terrazzo.
Così
uscirono, e quando fece per offrirne una al suo vecchio amico di
fumate, rimase
sorpresa da come lui avesse rifiutato
senza indugio. -Da quando non fumi, Jared?- gli chiese spaesata.
-A
Kim non piace..- confessò con un sospiro, guardando fisso in
un punto lontano
ed impreciso, i gomiti appoggiati alla ringhiera del balcone. Il clima
quella
sera sembrava essere pronto ad accogliere la primavera. Non era freddo,
tranne
che per quel leggero venticello che scompigliava i capelli ai ragazzi.
I
due fratelli si scambiarono un'occhiata stupita. -Però..-
commentò Tomo con un
sorriso colpito, Jared gli rivolse un'occhiata incerta.
-Cosa
ne pensate?- domandò finalmente, svuotando il petto dai suoi
dubbi. Non gli
piaceva essere inquieto davanti ai suoi amici, ma questa situazione lo
stressava abbastanza.
Ivana
fece spallucce. -E' molto carina, Jared.- gli sorrise amichevole,
prendendo un
tiro profondo dalla stizza. -Sembra sveglia, sicura ed è
indubbiamente
innamorata di te.- continuò, mentre parlava, Jared osservava
il fumo uscirle
fluttuante dalle labbra sottili.
Proprio
in quel momento Kimberly tornò dal bagno e, avendo sentito
le loro voci, si
stava dirigendo in terrazzo. Purtroppo i commenti le arrivarono alle
orecchie
prima che loro potessero vederla, e la sua curiosità morbosa
si impossessò di
lei, costringendola ad inchiodarsi lì ad origliare, senza
che gli altri se ne
accorgessero. Dopotutto stavano parlando di lei, non era
così grave no?
-Ma..?-
sentì la voce di Jared arrivarle incerta. Lui aveva
percepito che Ivana non
aveva detto tutto.
-Ma..-
riprese lei, nella mente stava formulando la frase più
esatta. Jared si era
improvvisamente fatto attento, vigile. -E' così giovane!- la
interruppe il
fratello, la cui cadenza aveva particolarmente calcato la seconda
parola.
-Lo
so...- rispose il professore, il suo tono sembrava ormai rassegnato,
arreso.
Questo smosse una brutta sensazione nello stomaco di Kim, le si chiuse
improvvisamente il cardias, facendole venire una grande angoscia.
“Ti
prego” pensò Kimberly congiungendo lentamente le
mani a mo' d'imploro “Ti
prego, Jared, fagli capire che questo non cambia niente”.
Si
sentì immediatamente stupida. Aveva puntato soprattutto ad
atteggiarsi da
persona matura, dimenticando totalmente il suo aspetto. Poteva recitare
quanto
voleva, ma quel volto immacolato non glielo avrebbe tolto nessuno.
Cominciò
a sentirsi nauseata da tutta quella situazione.
-Tuttavia,
vi ho osservati stasera e i vostri atteggiamenti sembrano essere il
prodotto di
un rapporto causa-effetto. Quando lei si muove tu ti muovi; quando tu
parli lei
ti guarda; quando vi guardate sorridete senza rendervene conto.- Tomo
stava
cercando il più possibile di essere chiaro e di utilizzare
le parole giuste,
dato che rendere i concetti presenti nella sua mente non era
esattamente il suo
punto di forza. Era Jared quello con questa innata capacità,
lui
sfortunatamente invece no, e l'ultima cosa che voleva era che il suo
amico
intendesse male quello che aveva da dirgli. -Diciamo che ho capito
perchè ti
stai mettendo nei guai.- gli sorrise infine, in segno di approvazione.
Nonostante alla ragazza lui non stesse molto simpatico, lei invece su
di lui
aveva da subito fatto una certa impressione. Quel caratterino tutto
pepe
l'aveva ammaliato.
Jared
non riuscì a smorzare un sorriso compiaciuto e sollevato. -E
ne vale
completamente la pena.- affermò convinto e deciso. Il
rischio ormai non era più
fonte di stress per il professore.
Il
fine giustifica i mezzi, e il quel caso il fine giustificava e
minimizzava
qualsiasi aspetto che potesse ostacolare la loro relazione.
Lanciò
un rapido sguardo alla donna che stava annuendo energicamente,
totalmente
d'accordo col fratello. -Mi piace Kimberly, è una ragazza
che sa quello che
vuole. E quello che vuole sei tu, Jared.- spiegò spegnendo
la sigaretta e
buttandola alle sue spalle, giù dal terrazzo. -L'unica cosa
che non mi convince
è il perchè.- concluse, distogliendo lo sguardo
da quegli occhi glaciali che
improvvisamente si impietrirono.
Kim
trattenne il respiro, sebbene per un secondo fosse stata sul punto di
rilassarsi. Le critiche che le erano state mosse non erano per niente
negative,
tranne che per quell'ultima frase che le fece portare una mano sulla
bocca, per
impedirsi di emettere gemiti contrariati.
-Cosa
intendi?- sentì la voce del suo professore farsi dura,
poteva immaginare il suo
sguardo carico di tensione.
Il
tono di Ivana ora era diventato più calmo, come se non
volesse scatenare l'ira
dell'amico. -Nel senso che, non prendertela perchè
è solo una mia ipotesi, ma
magari tutta questa passione da parte sua potrebbe essere solo una...-
esitò,
cercando nella mente i vocaboli per definire quello che stava pensando.
-Trasgressione
adolescenziale.- finì per lei Tomo, che aveva perfettamente
intuito a cosa si
stesse riferendo. Magari per lei era una cotta causata dalla voglia di
rischiare.
Kimberly,
dietro alle tende, deglutì sconvolta. Come potevano pensare
una cosa simile?
Che se ne stesse solamente approfittando? Che fosse tutto determinato
dalla sua
voglia di “avventura”?
-La
conosco, so che non è così.- chiosò
Jared, la sua voce era rigida, cupa. Non
sopportava l'idea dei suoi amici, ma non aveva neppure le parole per
smentirla.
Se avesse parlato al momento sarebbe stato aggressivo, quindi si
limitò a
difenderla con queste brevi parole. -C'è qualcosa di
profondo tra di noi.-
-Ne
sono certo.- rispose freddo Tomo. Era ovvio che aveva risposto
così solo per
non creare una lite. In cuor suo sapeva addirittura che era
così, cioè vedere
il suo migliore amico finalmente felice e spensierato era qualcosa che
aspettava da anni, ma aveva lo stesso una brutta sensazione.
-Però
sta' attento.- disse impovvisamente Ivana, avvicinandosi a lui, la voce
carica
di tensione. Kimberly si fece attenta, perchè il suo tono
era cambiato e con
esso, anche il discorso. Si stava riferendo a qualcos'altro che non
sembrava
essere intenzionata ad esplicitare.
-Ivana,
ti ricordo che stiamo parlando di una diciottenne.- la
rassicurò con voce
grave.
-Lo
so, ma quando tu ti perdi, il tuo cervello va a mille km/h e non
rispondi più
delle tue azioni.- gli rammentò con voce dolce, portandogli
una mano sulla
spalla. -Non sopporterei di vederti soffrire ancora.-
-Non
preoccuparti per me.- le sorrise. -So quello che faccio.- disse poi
mettendo la
mano su quella di lei.
Kimberly
ritenne di aver sentito troppo, così tante informazioni per
un periodo di tempo
così ridotto le sembrava davvero una violenza per la sua
povera testa.
Non
sapeva se potersi ritenere approvata o se dovesse restare in allerta
ancora per
un po'. Una volta che si svelò agli altri con un sorriso
timido, gli sguardi
dei due fratelli glielo fecero intendere subito: doveva mostrar loro
che con
Jared faceva sul serio, che ci teneva a lui incondizionatamente.
Il
professore l'accolse con un sorriso dal quale traspariva tutto il
sollievo
della sua presenza. Si scostò subito da Ivana e
aprì un braccio, come ad
accoglierla, dove lei ci si fiondò immediatamente.
Solo
allora le venne l'idea perfetta.
What's
on my mind?
If ain't coming out
We're not going anywhere
So why can't I just
tell you that I care?
Note finali: Quale
sarà quest'idea per far capire loro che lei tiene davvero al
professore?
Mah chissà chi di voi indovinerà!
Spero vi sia piaciuto, spero di aver delineato decentemente i
personaggi trattati e spero di essere stata chiara.
Scusate ma non ho molto da dire, sono in una fase artistico-depressiva
e non lo so, sento di non riuscire più a scrivere. Fa tutto
schifo, oGGesù che disgusto.
Ho mille motivi per essere contenta però, quindi keep calm
e non rompiamo i coglioni :)
La canzone è
Things I'll never say di Avril Lavigne, e non lo so, mi da
quella sensazione di infatuazione pura, quando all'inizio di una storia
non riesci neanche ad incrociare i suoi occhi e subito arrossisci come
una scema. Eh, bei tempi. Per la seconda strofa invece mi metto nei
panni di Kim che vorrebbe semplicemente dire "ci tengo a lui" e sperare
che i due le credano sulla fiducia. Purtroppo non è sempre
così facile!
Perche
mi sento nervosa
cercando di essere così perfetta
Perchè so che ne vali la pena,
ne vali la pena.
Cosa c'è nella
mia testa?
Se non viene fuori
Non andremo da nessuna
parte
Quindi perchè
non posso seplicemente dirti che m'importa?
Bene, scusate lo scazzamento che trasmetto ma spero comunque che il
capitolo sia piaciuto e per qualsiasi cosa me lo diciate
Grazie a tutte
Baci&Abbracci
|
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Capitolo 46 *** Capitolo 46. ***
Capitolo
46.
The worst is over now and we can
breathe again
I wanna hold you high, you steal my
pain away
La
sera terminò in
un modo come un altro, con saluti cordiali e promesse di rivedersi
presto.
Sembravano sinceri, nonostante tutto.. Kim lo apprezzava molto.
In seguito, dopo
che ebbero sistemato insieme la cucina, Jared l'accompagnò a
casa, però non
fece neanche un cenno al discorso che lei aveva segretamente origliato.
Non le
comunicò neppure i loro commenti positivi o quelli negativi
trasformandoli in
qualcosa di positivo.
Ciò turbò
abbastanza Kimberly, portandola a domandarsi se lui ci stesse in un
qualche
modo ripensando. O magari, semplicemente non gli andava di farla
preoccupare
per niente.
Sapeva che la
ragazza era un soggetto alquanto suscettibile e certe cose era meglio
non
fargliele sapere, perchè per quanto belle, alle sue orecchie
sarebbero apparse
difetti enormi.
Il professore si
atteggiava normalmente, senza farle pesare il suo silenzio, senza farle
pensare
che avessero parlato di lei mentre non c'era. O forse, sperava che
fosse lei a
chiederglielo.
Ma a Kimberly non
piaceva chiedere agli altri cosa ne pensassero di lei. Non voleva mai
essere
influenzata dal pensiero altrui, era una cosa che proprio non
sopportava.
Preferiva basarsi
su quello che sentiva lei stessa quando passava il suo tempo con questi.
Quindi non si
sbilanciò affatto e lo salutò normalmente, un
bacio, un sorriso e un “ci
vediamo domani, buonanotte”, dicevano già tutto.
Il
giorno dopo fu
un trauma per la ragazza. Dal punto di vista scolastico la resa non era
ottima,
non lo era mai stata, ma non poteva permetterselo proprio all'ultimo
anno.
Avrebbe avuto gli
esami e, una volta che la scuola fosse finita, avrebbe dovuto decidere
cosa
fare della sua vita.
Benché la
questione fosse già di per sé complicata, gli
insegnanti si intestardivano ad
appiopparle compiti e argomenti che mai, ma proprio mai nella vita
l'avrebbero
portata da qualche parte.
Il giorno che
conoscere la formula della parabola le avesse salvato la vita, lo
sapeva, si
sarebbe iscritta alla facoltà di ingegneria nucleare, per
fortuna non era
ancora successo.
Giusto il minimo
per raggiungere la sufficienza, del resto le materie scientifiche non
sarebbero
sicuramente state la sua vocazione. Non lo erano stato per tutta la
vita,
figuriamoci se a settembre le cose fossero cambiate.
Ma quando la
professoressa le consegnò l'ultimo compito, rimase quasi
sconvolta dal voto.
Non ne vedeva uno così basso da un bel pezzo, e in
matematica non ci voleva
proprio.
Fosse stata
letteratura, biologia, arte non si sarebbe assolutamente preoccupata e,
con
un'alzata di spalle avrebbe sbuffato delusa. In questo caso, invece,
quando
ricevette la verifica, rimase a bocca aperta e improvvisamente la frase
che le
occupò la mente fu: non mi diplomerò.
Già una volta per
recuperare un'insufficienza così grave in geometria le
costò moltissimo, ma in
quel caso sarebbe semplicemente stata rimandata ai corsi estivi.. che
non si
sarebbe perdonata comunque, dato il suo orgoglio stoico, ma per lo meno
non si
sarebbe giocata l'anno.
Mentre all'ultimo
anno non puoi sbagliare, non puoi proprio e per recuperare quello
schifo di
voto sarebbe stata pronta a vendere il sangue, pulire il pavimento di
casa
della professoressa con la lingua e studiare una settimana consecutiva
senza
mai chiudere occhio. Improvvisamente tutto quello che aveva importanza
divenne
quel voto e il suo umore mutò totalmente. La delusione verso
se stessa la
deprimeva, in un certo senso.
Evidentemente
però, non era proprio giornata, perchè una volta
uscita dall'edificio
intenzionata a prendere l'autobus per andare a casa e immergersi nelle
coperte
per riposare e fare il punto della situazione, il pullman le
passò davanti agli
occhi increduli. Erano mesi che non le capitava e oggi non era proprio
in grado
di affrontare un torto simile.
Decise di non
abbattersi, dato che era orario di punta, a quell'ora c'era spesso
traffico,
quindi se avesse corso fino alla fermata dopo sarebbe riuscita a
imbrogliare
quel maledetto autista e ad arrivare a casa in orario.
Tra l'altro nel
giro di poche ore aveva l'esame della patente, e se avesse fallito
anche in
quello non se lo sarebbe proprio perdonato. Era categoricamente escluso.
Casualmente quel
giorno il traffico non era così intenso e, sebbene avesse
corso investendo
chiunque le capitasse davanti senza rimorso, quando raggiunse la
fermata
dell'autobus era troppo tardi. Ne sarebbe passato uno nel giro di poco,
ma
sfortunata come si sentiva quel giorno, probabilmente era
già passato, con
l'apposita intenzione di farla aspettare per un'ora. Eh no! Stavolta
avrebbe
giocato d'anticipo, quindi si incamminò verso la stazione,
dove sarebbe passato
un
pullman diverso che avrebbe posticipato il suo ritorno solo di
mezz'ora.
Niente di trascendentale.
Si incamminò
quindi, decisa e bestemmiante come non mai. Nel tragitto
incrociò vari volti di
vecchie conoscenze che cercò di evitare il più
possibile, rivolgendo lo sguardo
verso il basso oppure guardando dritta davanti a sé,
fingendo di non essersi
assolutamente accorta.
Dunque era per
questo che il destino le stava giocando questo brutto scherzo? Per
farle
rivedere tutti i personaggi del passato che non sono riusciti a starle
dietro?
Per dimostrarle
che per quanto quella giornata fosse stata pessima, non ci fosse limite
alla
sfiga? Ne fu quasi certa quando, sollevando gli occhi, vide passare
l'autobus
che era convinta di aver già perso.
Ma non si
scoraggiò nemmeno questa volta, ormai la sua strada era
segnata e decise di
rimanere fedele a se stessa... anche perchè neanche correndo
fino a consumarsi
i polmoni sarebbe riuscita a salire su quel dannato mezzo che l'aveva
appena
superata.
Raggiunta la meta,
il livello di incazzamento che Kimbelry aveva accumulato era ai massimi
storici. Allora, che diamine voleva il destino da lei?
Ultimamente l'idea
che tutto quello che conoscesse e facesse avesse in un certo senso
sempre un
motivo nell'immediato futuro, l'aveva travolta, quindi ogni volta che
capitava
qualcosa si scopriva pensare “non era destino”
oppure come in quel caso “sarà
destino”.
Dunque cosa
avrebbe scoperto quel giorno? Che nonostante tutti gli intrighi lei
avrebbe
abbattuto i limiti del possibile per catapultarsi in una
realtà parallela e
arrivare all'esame in tempo? Che non era proprio giornata per sostenere
un
esame? O che era semplicemente -opzione più probabile- nata
sfigata?
Non lo sapeva e
questo le dava sui nervi. Appoggiata alla vetrata di un bar, faceva
continuamente dondolare una gamba, come forma di stress e fretta.
Non le piaceva
quel posto, rientrava nella lista dei luoghi da non frequentare per
almeno un anno,
e lei aveva stupidamente infranto la regola.
Se ne infischiò, tanto peggio di
così...
Arrivò finalmente
l'autobus e si rese conto di quanto non fosse più abituata a
salire su mezzi
così stracarichi di gente. Una massa di ragazzi la
superò rapida e andarono a
formare delle sorte di muraglie cinesi davanti alle porte d'accesso,
enormi,
robusti, impenetrabili.
Ok, si sarebbe
fatta un bel viaggetto in piedi. Tanto
peggio di così...
Spintonando e
ricevendo spintoni si fece largo tra la folla e riuscì a
mettere piede sul
pullman, dove camminò finchè le fu possibile, per
trovare dove posizionarsi
senza essere di troppo e stare abbastanza comoda. Una volta bloccata
nella
parte anteriore, non potendo più né proseguire
né retrocedere, cominciò a
guardarsi intorno.
I ragazzi
entravano come dei predatori dalle porte, si addentravano quasi fossero
un
tutt'uno, a ondate di individui, forti e prepotenti come uno tzunami
che invade
luoghi che non gli appartengono.
Impressionante, fu
l'ultimo avverbio che pensò Kim, prima del black-out. Solo
così riuscì a
definirlo il periodo seguente, dato che tutto quello che ricordava, lo
ricordava
estremamente al rallentatore, ma allo stesso tempo molto confusionario,
come
negli incubi.
Guardandosi
intorno Kimberly rivolse lo sguardo alla sua destra, cercando tra la
folla non
sapendo bene chi o che cosa, ma se lo sentiva che stava ispezionando
ogni
angolo per controllare chi ci fosse, o meglio per accertarsi chi non ci fosse.
E invece, eccolo lì.
Lo vide entrare
anche lui trasportato da quell'ondata di figure umane, lo vide farsi
largo e
fare a botte scherzosamente con qualche amico affinché
questo gli lasciasse il
posto, lo vide sedersi e sorridere, sorridere, sorridere.
Dio, quel sorriso.
In un istante la
mente di Kim si annebbiò e i pensieri che ne seguirono
furono completamente
confusi e incerti. Si accorse di star pensando di sentirsi come se
se la fosse
fatta sotto dato che improvvisamente un calore la attanagliò
nel basso ventre.
Si accorse anche
di star pensando “accidenti come gli sono cresciuti i
capelli”, notando i
ricciolini che si muovevano quando lui annuiva.
Si accorse di
essere in apnea nel pensare ecco che cacchio voleva da lei il destino,
ecco
perchè si ritrovava lì, ecco qual'era la missione
del giorno, ecco qual'era il
peggio di “tanto peggio di così”.
Christopher, a
meno di 2 metri da lei, si dimenava e parlava come al suo solito e no,
stavolta
non era un fantasma. Era lì, dopo così tanto
tempo, così tante speranze, così
tante lacrime.
Infine si accorse
di pensare “e adesso che cazzo faccio?”. Lo shock
momentaneo lasciò spazio allo
spirito di sopravvivenza. Come quando ti provochi una ferita profonda,
dopo
l'annebbiamento provocato dal dolore acuto, segue il momento di
lucità. Lei
stava spaventosamente sanguinando, ma non poteva permettersi
di farlo davanti a
lui.
Cosa avrebbe
dovuto fare? Cominciò a guardarsi intorno, si trovava
esattamente a metà strada
tra la porta anteriore e quella centrale. Uscire da quella davanti e
fregarsene
di calpestare/sgomitare/causare lamenti a non finire; tentare di
raggiungere
quella centrale col rischio che potesse vederla; o rimanere a bordo
nella
speranza che fosse una delle tante volte in cui lui le appariva, ma per
una
qualche strana ragione Chris non la notava?
L'indecisione
davanti a quel bivio le metteva un'angoscia tremenda e prima di
scegliere si
voltò un'ultima volta, forse per accettarsi che finora lui
continuasse a non
fare caso a lei. Del resto era uno spazio talmente affollato!
E invece,
meraviglia delle meraviglie, quando voltò la testa, si
immobilizzò nel vedere
che i suoi occhi erano puntati su di lei. Sgamata.
Erano grandi, e
vicini, così vicini che poteva distinguere le pagliuzze ocra
da quelle
vedreggianti e stavano guardando lei, ne era sicura tanto quanto fosse
sicura
che quel giorno avrebbe fatto meglio a starsene a casa.
Il tempo
ricominciò a scorrere davanti ai suoi occhi, vorticante, e
lei non ebbe più
dubbi, non ci pensò due volte e non se lo fece ripetere
altrettante dal suo
istinto. Raramente lo ascoltava, e questa sarebbe stata una di quelle
volte:
doveva scendere da lì.
Facendosi cogliere
da una frenesia del momento, cominciò a sgomitare a destra e
a manca, a pestare
cartelle e piedi, e a mormorare dei sommessi “scusate,
permesso” fino ad
arrivare all'entrata anteriore, le cui porte si chiusero proprio quando
fece
per sporgere un braccio.
-No!- fu tutto
quello che le uscì dalla bocca. Era una supplica che sapeva
di disperazione e
di sgomento. Probabilmente la voce roca lo trasudò da ogni
lettera, dato che la
guardarono tutti sconcertati.
Subito chiese
all'autista di aprire le porte, doveva avere un aspetto particolarmente
pallido
perchè il signore non se lo fece ripetere e la
lasciò andare. Meglio
evitarle
quelle vomitanti, poi toccava a lui pulire.
Libera.
Appena scesa,
l'autobus alle sue spalle si mise in movimento, lasciando lei e il suo
cuore
spezzato a terra. Le faceva male tutto, si sentiva nauseata e
completamente
priva dei cinque sensi. Sembrava sotto shock.
Doveva sbollire la
tensione e darsi una calmata, perchè il cuore sembrava sul
punto di esplodere.
Aspettò
pazientemente il prossimo, e sta volta la sua mente era così
carica di pensieri
e sensazioni che il tempo passò in un attimo. Cercava di
analizzare quello che
provava in quel momento, voleva sentire se ci fosse qualche differenza
dal
“periodo depressione” al presente, e non riusciva
proprio a giungere ad una
conclusione dato che tutto ciò che pensava era: ti prego,
non cercarmi.
Una visione
l'avrebbe sopportata.
Un ritorno
l'avrebbe messa in seria difficoltà.
Quando arrivò alla
fermata di casa sua, decise di andare direttamente in motorizzazione
dove
avrebbe sostenuto l'esame.
Per tutto il tempo
rimase con un'espressione impassibile e piatta in volto, totalmente
assente ed
estranea a quell'ambiente concentrato. Si impegnò quel
minimo per capire le
domande, lasciò perdere le vibrazioni provenienti dal
cellulare nella tasca dei
suoi pantaloni, controllò un paio di volte le risposte al
test proprio per
sicurezza ed uscì velocemente, quasi sicura di non essere
passata, dato che una
volta fuori non si ricordava neanche una risposta che aveva dato.
Invece si sorprese
di vedere di essere passata con 0 errori. Neppure una volta durante le
esercitazioni aveva fatto 0 errori.
Ancora più
sconvolta tornò a casa, e finalmente si mise sotto le
coperte, sentendo uno
strano groppo alla gola che le voleva ricordare qualcosa, ma che fino a
quel
momento aveva lasciato perdere.
Improvvisamente si
ricordò: nella tasca dei suoi pantaloni c'era un
pesantissimo fardello. In quel
rimbambimento generale, si era scordata anche di informare i suoi che i
150$
che avevano sborsato per l'esame, non erano stati sprecati.
Ma ricordandosi
della vibrazione durante il quiz, aveva una paura terribile di
controllare.
Facendo un respiro
profondo, estrasse l'aggeggio dalla tasca e, prendendo il coraggio a
due mani,
controllò il mittente del messaggio, pregando con tutte le
sue forze che non
fosse Lui.
Come aveva sempre
sostenuto, pregare era una perdita di tempo.
Cos I’m broken when I’m open
And I don’t feel like I am strong
enough
Cos I’m broken when I’m lonesome
And I
don’t feel right when you’re
gone away.
Note finali: mi
sento tremendamente in colpa per il ritardo, ma ho avuto da fare e
d'altra parte ho l'impressione che non siate più interessate
come prima, quindi mi abbatto e mi passa la voglia di aggiornare ahah
Certo mi dispiace perchè vorrei renderla più
interessante di quello che è ma purtroppo non posso fare
miracoli, non sono una poetessa e sicuramente non ho lo stile
più ricercato del mondo, vorrei scrivere come molte altre
persone su EFP, così articolate e pompose, uno stile
arzigogolato e talmente ricco da sembrare degno di un professionista,
purtroppo però sono così e il modo in cui scrivo
posso migliorarlo o peggiorarlo, ma sono arrivata ad un punto in cui
non posso proprio mutarlo.
Questo è e questo rimarrà :) E poi fi basta con
sti castelli, sono in una fase troppo paranoica (perdonatemi) e
comunque life goes on and so this ff does, quindi bando alle ciance e
cerchiamo di finirla che questo è l'importante!
Aaaaaallooooooraaaaaaaa
alzi la mano chi NON si aspettava un ritorno di Chris!! Ahahah immagino
che nessuno la alzerà, so che è un risvolto un
pò mainstream ma credo ci volesse, per forza di cose.
Scusate se è trattato molto superficialmente, ma avevo
fretta di pubblicarlo data l'ora almeno non ci pensavo più
per un pò!
Sapete (è arrivato il momento parabola, quindi se siete
scoglionate andate direttamente a fondo pagina XD) è un
capitolo sento molto dato che il 90% è tratto da una storia
vera.. la mia.
Ricordo bene quel giorno e ricordo bene che sono salita su
quell'autobus incazzata come una iena per motivi molto ovvi ahaha e poi
BAM tutto si è dissolto: il ritardo, il brutto voto, il
fatto che potevo essere rimandata a settembre per colpa di una materia
che odiavo(non ero all'ultimo anno), tutto lo scazzamento generale
è evaporato alla vista di quella persona con cui non avevo
contatti da mesi.
Credo di essermi smaterializzata nell'istante in cui ho incontrato
quegli occhi, occhi che vengono spesso a trovarmi tutt'ora.
Quanto
avrò parlato e scritto di quel ragazzo? Quanto
l'avrò sognato, pensato, immaginato, desiderato? Quante
maledette canzoni gli avrò dedicato?
Quante di voi possono capirmi?
Per chi non l'avesse capito, questa storia è partita dalla
mia esperienza diretta. Non è andata esattamente come nella
FF, ho preso spunto praticamente sulle sensazioni che ricordo di aver
provato e basta, aneddoti davvero autobiografici sono gran pochi se
escludiamo questo capitolo.
Penso sia la persona che più ho amato/odiato in vita mia, la
tipica persona che tutti incrociano prima o poi e che finisce per
cambiarci. PErchè dopo di lei, niente avrà lo
stesso sapore.
Io ho giurato a me stessa che non avrei mai più permesso a
nessuno di entrarmi così dentro, non mi ridurrò
mai più come un'ameba per qualcuno. MAI.
So che sembra la tipica frase da cinema, ma chi l'ha provato (quindi
immagino ognuna di voi, ci scommetto il pancreas) può
concordare con me quando dico che è una conseguenza
inevitabile.
Quando
tutta quella pena insopportabile finisce, non senti nulla, o meglio
senti ancora, ma il tutto pare ovattato come se ormai fossi
impenetrabile e inconsciamente hai eretto questa barriera che nessuno
potrà disintegrare, nemmeno LUI e un suo improbabile ritorno.
Nel
mio caso questo ritorno è stato molto scenico, come potete
vedere ;)
Certo,
all'epoca stavo iniziando ad essere sentimentalmente coinvolta con
un'altra persona (tant'è che dopo questa visione mi sono
mega incazzata: possibile che il destino non volesse farmi andare
avanti?!) (che poi anche con quest'altra persona è stata
un'esperienza surreale ahahaha cazzo non ne conosco uno di individuo
normale, un giorno scriverò una storia anche su di lui) ma
per le persone come me il "chiodo scaccia chiodo" non ha mai funzionato.
Come
è andata a finire?
Lo vedrete con il proseguire della storia ;)
Non
sarà tutta vera, ovviamente! Solo che questa esperienza
è stata particolarmente ispirante per questa FF che
all'epoca si trovava in una fase di paralisi gestazionale ahah
Ci saranno accenni autobiografici ed elementi di pura invenzione, come
per ogni storia che meriti di essere letta ;)
Magari approfondirò anche il lato personale, vedremo come
reagirete a questo ahaha.
La
MERAVIGLIOSA canzone è Broken
di Seether, una canzone che può ammazzare, se ascoltata nel
momento sbagliato.
Il peggio ora
è passato e possiamo tornare a respirare
Voglio renderti felice, tu spazzi via il mio dolore
Perchè sono spezzato
quando sono aperto
E sento di non essere
abbastanza forte
Perchè sono
spezzato quando sono solo
E non sto bene da quando
te ne sei andata.
Bona,
anche questa è andata, apprezzerei che mi rendiate partecipe
di cosa ne pensate, delle vostre impressioni presenti e sul futuro
svolgersi della storia
e perchè no, se avete voglia di non farmi sentire un'emerita
cogliona e dirmi che anche voi avete un vostro Christopher, sappiate
che non vedo l'ora :) (non per farmi i cazzi vostri, sia mai!!)
Grazie a tutte, posto presto :)
xoxoxoxoxox
|
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Capitolo 47 *** Capitolo 47. ***
Capitolo
47.
Slipping
down a slide
I
did enjoy the ride
Don’t
know what to decide
You
lied to me
Leggere
il nome di Christopher sullo schermo del cellulare le creò
quel misto di
emozioni che non sentiva da tantissimo tempo. Quel dolore misto gioia
dato
dalla presenza di ciò che amava di più in
assoluto, ma che era conscia di non
potere avere.
Però,
essendo una ragazza, e quindi fatta di carne, sangue e sentimenti, era
ovvio
che in lei avesse sempre covato la pura e ingenua speranza che lui
cambiasse
idea e tornasse da lei.
Chris
non aveva la minima idea di quanto le costasse smaltire tutta
quell'adrenalina,
di quanto le sarebbe costato accettare gli incubi che ne sarebbero
sicuramente
derivati e così via.
Che
poi non erano incubi veri e propri, anzi dal punto di vista tecnico non
erano
neanche malaccio: Lui tornava da lei, la abbracciava, le chiedeva scusa
e le
diceva che “l'altra” non valeva niente. C'erano
delle volte in cui riusciva a
rendersi conto che era solo una fantasia ed era prossima al risveglio
che
quando giungeva, lo accoglieva a cuor leggero, alzandosi e
promettendosi che
non avrebbe più dormito per giorni. Le volte peggiori
invece, erano quando non
riusciva a capirlo e in quei casi, il risveglio era paragonabile ad
un'accoltellata in pieno petto.
Svegliarsi
col sorriso e rendersi conto che fosse completamente immotivato, era il
vero e
proprio incubo.
Ancora
si ricordava con un grandissima angoscia il periodo che aveva seguito
la loro
“rottura”, durante il quale lei, pur di sentirlo al
suo fianco, sopportava che
la trattasse come una macchina fotografica usa e getta, in mancanza
della
Reflex.
Il
cuore le batteva in gola così forte da riuscire a
deconcentrarla per un attimo.
Si ricordò improvvisamente le varie discussioni che aveva
avuto con Joe proprio
in quel periodo di finta amicizia con Christopher, in cui lui le diceva
semplicemente di lasciarlo perdere, che sapeva che era lui a cercarla,
e quando
lo faceva di cancellare il messaggio senza nemmeno aprirlo.
“-Vedrai
che inizialmente ti sentirai male, ma nel giro di un mese
sarà molto più tenue
e nel giro di qualche altro mese quando riceverai un suo messaggio
penserai “e
questo chi cacchio è?”-”
Se
c'aveva provato? Neanche per sogno. Era pura pazzia per lei pensare di
riuscire
a fare una cosa simile. Ignorarlo? Magari! Arrivare addirittura a
leggere il
suo nome sullo schermo e pensare “e questo chi cacchio
è?” sarebbe successo
solo in seguito ad un miracolo, lo sapeva perfettamente.
Come
in quel momento. Ormai erano mesi che non lo sentiva più,
eppura quel “e questo
chi cacchio è?” non le era saltato in mente
neppure per un secondo, neanche
sforzandosi, neanche volendolo.
Aprì
il messaggio con dita tremanti, consapevole che se ne sarebbe pentita a
vita.
“Mi
odi così tanto da non salutarmi neanche?” chiedeva. Sembrava amareggiato, ma
il problema dei messaggi era
proprio il tono sempre fraintendibile.
Rimase
lunghi istanti a fissare lo schermo, non sapendo bene cosa rispondere.
Una cosa
tipo “che cazzo vuoi!” sarebbe stata
controproducente, ma al momento era
terribilmente fragile per essere scontrosa, talmente fragile che
bastava un
soffio per disperderla come polvere.
“Scusa.” scrisse
alla fine e premette invio. Si sentì immediatamente sciocca
e infantile, cioè,
cosa diamine aveva lei da farsi perdonare? Lei non aveva nessunissima
colpa,
avrebbe dovuto ficcarselo in testa.
“Tranquilla.” ricevette
dopo qualche minuto. Esattamente quello che sperava, non c'era domanda,
il che
significava che non era tenuta a mantenere viva la conversazione.
Bloccò
il cellulare e lo posizionò sotto il cuscino, sul quale
appoggiò la testa che
sembrava così pesante.. Lasciò scorrere due
lacrime lungo le guance, non
capendo se derivanti dalla delusione per il fatto che ancora qualcosa
glielo
smuoveva sentire il suo ex, oppure per l'imbarazzo di aver reagito
così da
vigliacca.
Era
scappata con la coda tra le gambe e si era addirittura inginocchiata
chiedendogli
scusa. Patetica, questo era dieci mila volte peggio che restare sul
pullman e
scambarsi un saluto veloce.
Una
vibrazione lieve e breve le fece sollevare la testa di scatto.
Controllò di
nuovo lo schermo: ovvio che si trattasse di Chris. Cosa voleva ancora?
“Come
stai?”
chiedeva,
come se realmente gli interessasse.
“Cosa
te ne frega?”
rispose,
inacidita. Aveva raggiunto un livello di pace interiore
tale che non ci pensasse più così spesso e lui?
Eccolo di nuovo nella sua vita,
come un promemoria, come per ricordarle che non poteva andare avanti,
non senza
di lui.
Non
gliene era mai importato nulla di lei, non aveva fatto una piega quando
gli
aveva chiesto di lasciarla in pace, come poteva pretendere che gli
credesse
ora?
“Non
cominciare Kim. Lo sai che ci tengo a te.”
rispose, poco dopo, ma il messaggio non le provocò nessuna
tachicardia o
iperventilazione.
Era
totalmente scettica, eppure sapeva l'affetto per quella persona che un
tempo
conosceva così bene non si era spento. Forse affievolito,
però a lui ci pensava
ancora tanto.
“Come puoi
pensare che ti creda?” Invio. a causa sua non riusciva
più a fidarsi di nessuno, aveva
totalmente perso ogni barlume di positività nei confronti
del genere umano. Per
fidarsi di Jared ci aveva messo un po’.
“Perché
dici così?” domandò, e a Kimberly
per poco non cadde la mandibola.
“Non
lo so, forse perché mi hai tradita, lasciata, umiliata,
abbandonata e te ne sei andato appena te l'ho chiesto, invece di
provare a
capirmi. Non hai nemmeno fatto un minimo sforzo per dimostrarmi che ti
dispiaceva o che davvero mi amavi. Sono stata solo un passatempo per
te.”
Invio. Non
sapeva perché si continuava a piegare per fargli capire
certe cose, cose che aveva fatto lui attivamente e che quindi, se non
aveva
ancora capito, il motivo era solo uno.
Però
dopo tanto tempo, quelle parole trovavano uno sfogo. Kim si sentiva le
guance
bollenti e le mani ghiacciate come mesi prima.
Non
temeva la sua reazione, non temeva che non le avrebbe più
risposto lasciandola
in bilico per giorni, fino a farla sentire in colpa.
Lui
era tremendamente permaloso e ogni volta che lei esagerava o si
sbottonava
appena di più, finiva per non risponderle più e
sparire per qualche giorno, coa
che per lei costituivano ore e ore di tortura. Quando gli argomenti si
facevano
un po' più intimi e lei voleva parlare di quello che era
successo, guarda caso
lui
doveva “andare”.
Come
quando, in seguito ad aver scoperto che lui si era ufficialmente
impegnato con
l'altra, gli aveva detto di non cercarla più, che non
avrebbe più risposto e
tante care parole per ricevere in cambio un messaggio che si
ricorderà per
sempre: “devo andare a studiare, ciao bacio.”
Se
lo ricordava ancora quel giorno, e si ricordava come in quel momento
avesse
capito che non c’erano più speranze, era una
battaglia che stava combattendo da
sola, un muro di cemento armato che neanche una bomba poteva smuovere.
Si
ricordava perfettamente come ci fosse rimasta malissimo, come avesse
preso la
scatola chiusa nell’armadio contenente i loro ricordi e come
avesse gettato
tutto nel camino acceso.
Aveva
preso oggetto dopo oggetto e aveva guardato ogni lettera, cartolina,
fotografia
piegarsi sotto il calore del fuoco, trasformandosi in cenere.
Le
si strinse il cuore, mentre il cellulare vibrò nella sua
mano. “Kimberly
non eri un passatempo e non riesco a capire come tu
possa pensarlo. E' semplicemente andata così, e ti chiedo
scusa.”
Era
la prima volta che le chiedeva scusa. Tutte le altre volte che era
riuscita a
strappargli un “mi dispiace” pareva tanto una presa
in giro, un modo per
liquidarla senza tanti giri di parole.
Eppure,
non bastava e riuscì a rendersene conto solo in quel momento.
“Tu
hai rovinato tutto.” Invio. Lo scrisse senza pensarci,
lasciando scorrere quel flusso
di coscienza e quel flusso di lacrime.
Perchè
era tornato? Perchè proprio adesso? Proprio ora che era
riuscita a far andare
bene la relazione con Jared, proprio adesso che riusciva a vedere un
futuro
migliore con lui accanto, proprio adesso il destino aveva deciso di
fare questa
magica riapparizione dal passato?!
Era
furiosa. Voleva metterla alla prova forse?
“Mi
dispiace veramente. Credimi se ti dico che mi sento in colpa.” aveva un retrogusto di
verità quel messaggio, se fossero stati
faccia a faccia Kimberly era sicura che sarebbe scoppiata a piangere.
Ma
non lo fece. Davanti a lui era sempre riuscita ad ingoiare tutte le
lacrime e a
sopportare, sebbene l’impulso fosse talmente forte da
strapparle il respiro.
“Perchè
sei tornato?” gli
domandò poi, non sapendo sinceramente cosa le avrebbe
risposto. Sicuramente non sarebbe stata una risposta alla Jared Leto,
un
aforisma che le avrebbe sciolto e ricomposto il cuore nel giro di pochi
secondi. Aveva sempre avuto una grande capacità linguistica
Chris,
probabilmente era una qualità che l'attraeva in generale nei
ragazzi, ma non
reggeva assolutamente il confronto col suo professore.
“Perchè
mi è venuto un colpo quando ti ho vista oggi, e volevo
sapere come stavi. Ti ho pensata spesso, ho sempre chiesto di te e mi
sono
sempre augurato che fossi felice.”
Erano
due semplici frasi, ma bastarono per allietarle un po' il temperamento.
Era
moltissimo che non lo sentiva così gentile con lei, le
ultime volte sembrava
più scazzato e bastardo che altro. Probabilmente, e ne era
certa, l'aveva
portato allo sfinimento con tutte le sue paturnie e ricerche di
attenzioni.
Per
quanto l'avesse fatta star male, la sua colpa riusciva a riconoscerla:
non puoi
costringere qualcuno a ricambiarti. Lo sapeva bene, e allora
perchè aveva
insistito tanto?
Era
proprio vero che l’amore era qualcosa di folle.
“Anch'io
ti ho pensato tanto. Forse così tanto che adesso
è solo
grazie a me se stai bene.” in
fin dei conti, lei aveva sempre desiderato che lui fosse felice, punto.
Che
questo non includesse lei era stato difficile da accettare, ma col
tempo se ne
era fatta una ragione.
“Provi
rancore nei miei confronti?”
le chiese
poi.
Normalemente
avrebbe risposto di sì, sì, sì e
ancora sì. Sì, perchè era stato la sua
ossessione per così tanti mesi; sì,
perchè le aveva fatto tanto male e si era
approfittato deliberatamente di lei e sì, perchè
sembrava perseguitarla anche
quando era decisa a voltare pagina.
Ma
in quel momento si sentì come liberata finalmente: tra le
varie sensazioni,
riuscì a riconoscere il cambiamento.
Non
era più angosciata a sentirlo, a differenza di prima. Non
contava più i minuti
che ci metteva a risponderle, non si struggeva nel pensare che fosse al
telefono con la biondona, o che forse ne stava sentendo altre mille.
Si
sentiva normale. Sentiva che le era mancato, ma che sarebbe
sopravvissuta una
volta che l'avrebbe salutata con una scusa idiota.
“No,
Chris.. anzi ti dirò, non stavo così bene da un
po'.”
confessò,
sorridendo tra sé e sé.
“Vedo,
ti trovo meglio devo dire!” rispose dopo poco. “Anzi, sei una
gnocca (;”
riuscì addirittura a farla ridere sommessamente.
Sarà
stato che non era più depressa. L'ultima volta che avevano
passato del tempo
insieme era stato tragico e al momento se ne vergognava profondamente.
“Posso
chiederti una cosa?” gli scrisse subito dopo.
“Spara.”
“Ti sei mai pentito della scelta che hai fatto?” premette il tasto invio mordendosi
un labbro. Questa domanda la
metteva moltissimo a disagio, dato che era sempre stato il confronto ad
ammazzarle l'autostima.
“Sì,
spesso ho dovuto costringermi a non cercarti, pensando che lo
stavo facendo per te.”
Mh,
quindi la bionda non era riuscita proprio a compiacerlo del tutto, eh?
Un
ghigno le si aprì in volto, dato che ormai era consapevole
che mai, ma proprio
mai nella vita sarebbe tornata ad essere
lo zombie di 6 mesi prima. Per nessuno, non più.
Non
fece a tempo a rispondere che lui le scrisse un altro messaggio.
“Adesso
tocca a me: cosa hai pensato quando mi hai visto?”
Eh,
bella domanda. Cosa aveva pensato? Scrisse la cosa più vera
che le venne in
mente: “Ecco
perchè ho perso l'autobus.”
Nel
scriverlo era certa che lui le avrebbe risposto dicendo di non capire.
“In
che senso?”
appunto.
“Nel
senso che tu Chrisopher, sei il mio discorso a parte. Ogni
tanto ritorni e prima quando ti ho visto ho capito perchè
avevo dovuto perdere
due autobus. Come per chiudere questo nostro capitolo lasciato in
sospeso per
così tanto tempo.”
“Cosa intendi con discorso a parte?”
“Non so se hai notato, ma tu ogni tot ricompari come per
magia.”
scrisse
ironica lei.
“Tu
invece non ricompari mai...” le fece notare con un filo di
amarezza.
“Non
te lo sei mai meritato,forse.” scrisse veloce, senza confessargli
che in verità lei lo aveva
visto più spesso di quanto lui pensasse, ed era lui a non
accorgersi mai di
lei.
Il
messaggio dopo ovviamente, era un congedo. Un tempo leggendo “Devo andare che
Barbara si incavola se non le mando
neanche un messaggio.” sarebbe morta di crepa cuore,
invece ora non le interessava
assolutamente.
Quella
sera, quando andò a coricarsi, si addormentò di
colpo, non appena la guancia
sfiorò il cuscino, fece però a tempo a rendersi
conto di avere un sorrisetto
stampato in volto. Sapeva che gli incubi non sarebbero più
venuti a
tormentarla, era cominciata una nuova era, finalmente.
L'adrenalina
si era dissolta come niente, non pulsava più nelle tempie.
La
libertà aveva proprio un buon sapore.
Don’t
turn around, cos you will get punched in the face
Don’t
make this worse, you’ve already gone and it got me mad.
It's too
bad, I’m not sad, it’s casting over
It’s
just one of those things you have to get over it.
Note finali:
Eccoci con l'aggiornamento!
Grazie per i bei commenti e pensieri che avete condiviso con me lo
scorso capitolo, e sono sinceramente imbarazzata per lo stato in cui vi
ho risposto ahah, non ero completamente in aria solo molto sciolta XD
Perdonatemi!
Scusate se il capitolo è un pò confusionario, ma in certe
situazioni il cervello va a mille km/h e provi 500 emozioni insieme e
non riesci a sviluppare tutti i pensieri che ti bombardano la testa.
Ovviamente non l'ho scritto quando mi ci sono trovata ma ripensandoci
mi mette un pò in confusione, ad essere sincera.
La morale di questo capitolo spero sia comprensibile, ovviamente
è quel processo stranissimo che fa la nostra mente quando
veniamo rifiutati o non siamo ricambiati: succede che ci fissiamo con
questa persona sebbene sappiamo che non è quella giusta per
noi, ci rendiamo conto del male che ci ha fatto stare e seppur andando
avanti con le nostre vite questa persona resta un'ossessione, un "conto
in sospeso", che io trovo la cosa PEGGIORE in assoluto.
Personalmente, in qualsiasi tipo di rapporto, se questo si chiude in
malo modo, senza essersi detti molte cose, continuo a sognare queste
persone, sebbene alla fine non è che mi importi
così tanto. Credo sia la curiosità, le
motivazioni, o il fatto che abbiano preferito non affrontarmi face to
face a farmi fissare così.
Possiamo dire che la nostra Kimberly è stata vittima di
questo processo, certo abbastanza giustificato.
E ora che ha "risolto" si sente come liberata, e credo che liberarti di
una persona sia una delle cose più belle che possano
succederti.
Ovviamente questa non è stata la vera conversazione che io e
coso abbiamo avuto, ma ho chiaramente preso spunto.
E voi avete presente questo senso di "persecuzione" o "liberazione"?
Cosa ne pensate? Implicherà qualche cambiamento questo
ritorno?
Fateme sape' ;)
La canzone è Get
over it di Avril Ramona Lavigne, canzone che mi piace
tanto tanto tanto.
Scendendo da uno scivolo
Mi è piaciuta
la corsa
non so cosa decidere
Tu mi hai mentito
Non voltarti
perchè
riceverai un pugno in faccia
non peggiorare le cose
te ne sei andato e
(questo) mi ha fatta impazzire
Peccato, ma non sono
triste
sta passando
è una di
quelle cose che devi superare.
Questa canzone mi ha aiutata un paio di volte. Credo che le canzoni
abbiano un grande potere, dicono quello che già sai ma che
non hai mai voluto realizzare.
Ti aprono gli occhi, forse è questa una delle tante magie della musica che continuiamo ad osannare senza definirne i motivi.
Fatemi sapere whatcha think ;)
Grazie a tutte
Besitos ♥
|
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Capitolo 48 *** Capitolo 48. ***
Capitolo
48
There's
truth in you lies
doubt
in your faith
all
I've got is what you didn't take.
Da
quella volta, Chris cominciò a farsi sentire regolarmente,
anche quando meno
Kimberly se l'aspettava, ecco un messaggio da parte sua.
E
più il tempo passava, più la ragazza si stupiva
di se stessa. Fino a pochi mesi
prima tutto ciò le avrebbe causato adrenalina, batticuore,
lacrime a non
finire... invece ora niente.
Nei
rari giorni in cui non si sentivano lei era talmente presa da altre
cose che
quando per puro caso le veniva in mente lui, era troppo tardi e non
aveva
nessuna voglia di sentirlo.
Capitava
addirittura che lui si faceva sentire il pomeriggio dicendole che aveva
solo 10
messaggi per lei, dato che poi avrebbe superato il limite dei messaggi
gratis.
Solitamente Kim odiava che lui le desse un limite di messaggi
-cioè, piuttosto
non farti sentire!- e anche questa volta non era diversamente, ma lo
affrontava
senza pensarci, e sorpresona, la sera tornava a farsi sentire
nonostante ormai
ogni messaggio avesse un costo.
Questo
invece colpì abbastanza Kim, dato che prima non avrebbe mai
sprecato dei
messaggi per lei, figuriamoci per comunicarle certe sciocchezze!
Che
fosse realmente cambiato? Nah.
La
ragazza era sicura che il motivo fosse un altro: la
curiosità cronica di
Christopher.
Se
lei poteva definirsi curiosa, lui esasperava questa caratteristica
all'estremo.
E la ragazza aveva pane per i suoi denti affamati, avendogli detto che
ora era
impegnata con un altro.
Pur
di scoprire qualcosa su questo “tizio misterioso”,
lui si autoponeva dei
diritti di ex, secondo i quali Kimberly avrebbe dovuto confidarsi con
lui, come
se fosse possibile che fosse tanto sciocca.
Come
quella sera, lei era stata per quasi 3 ore impegnata con il libro di
biologia e
lui continuava a tartassarla con domande riguardanti Jared.
Al
momento era solo riuscito a scoprire il suo nome di battesimo e che si
erano
conosciuti a scuola, nient'altro. Kim sapeva essere una tomba se
voleva, e
inoltre conosceva bene Chris e sapeva come stuzzicarlo.
Non
si poteva dire diversamente di lui, tant'è che dopo una
ventina di “dai, dimmi
chi è”, passò a domande più
infide, sapendo perfettamente dove colpire l'amica
di vecchia data.
“Gli
hai detto che ci sentiamo ancora?”. Beccata.
“No.” rispose
sincera.
In
effetti, non era riuscita ancora a parlare a Jared di questa comparsa
dal
passato, non sapeva bene perché.
Ogni
tanto le scappava proprio di mente quando era in compagnia del
professore,
altre volte non se la sentiva di cominciare discussioni per dei motivi
tanto
stupidi e altre sentiva che Jared, per quanto buono e comprensivo, non
avrebbe
capito e le avrebbe chiesto di rinunciare a lui.
E
lei non avrebbe retto, abbandonarlo dopo averlo ritrovato pensando di
averlo perso
per sempre sarebbe stata una violenza davvero insopportabile.
“Lo
immaginavo. E perché no?”
Perchè,
le duoleva ammetterlo e soprattutto non l'avrebbe mai detto a Chris, da
quando
lui era tornato nella sua vita, si sentiva finalmente completa,
come se nonostante tutti gli sforzi per essere felice, ci
fosse sempre quel dettaglio che mancava e a cui ricorreva quando meno
se ne
accorgeva.
Era
come incorniciare un puzzle da mille pezzi a cui però
mancava un tassello:
ammirevole, ma senza senso. Vantarsi di una felicità
incompleta è insensato.
Da
quando lui era tornato invece poteva esibirlo questo puzzle. Andava a
dormire
senza temere più nulla, si sentiva bene, non ci pensava
più con quel sentore di
angoscia e nemmeno i suoi sogni erano pericolosi, non più.
Se
Jared le avesse tolto questo, non sapeva come avrebbe fatto.
Quindi
per il momento preferiva rimandare... e in ogni caso, riusciva ancora a
tenere
testa alle provocazioni del suo ex.
“Perché
è irrilevante.” e, come immaginava, non le rispose
più, fino alla sera seguente.
Digerire
una cosa simile, di essere irrilevanti, di non avere significato, non
era
facile, specialmente per un ragazzo orgoglioso come Christopher, che
infatti
non perdeva occasione per rinfacciarle certe sue risposte acide.
Ma
del resto si sa, togli a un ragazzo l'egemonia su di te e non te lo
perdonerà
mai.
A
parte questi piccoli battibecchi però, tra di loro c'era
sempre quel feeling
tipico di chi si conosce da tanto tempo, nel quale riesci a prevedere
anche i
gesti e le risposte dell'altro, in un modo che fa quasi tenerezza.
*
-Kim,
mi fai un favore?- sentì la voce di Jared venirle dalle
spalle.
Lei
era nel salotto di casa Leto con un libro aperto sulle gambe, intenta
ad
analizzare una poesia di John Keats, mentre lui era in cucina munito di
chiodi
e martello per sistemare una credenza che il giorno prima aveva ceduto,
rovinando così le deliziose ceramiche a forma di papere.
Era
successo proprio mentre i due erano in cucina e dire che si erano
spaventati
moltissimo è davvero poco, fatto stava che le cause del
crollo fossero ancora
incerte.
-Dimmi,
Jared.- rispose lei senza distogliere gli occhi dal libro,
aggrovigliando la
matita tra i capelli, andando a formare uno chignon quasi perfetto.
Ormai era
allenata.
-Andresti
in camera mia a prendermi il metro? Lo trovi nel 3 cassetto del
comodino
accanto al letto.- spiegò mentre controllava che i fori
della mensola non si
fossero rovinati.
-Da
quale lato?- chiese la ragazza, indirizzatasi verso la sua camera.
-Il
tuo.-
A
sentire quelle parole, Kimberly sorrise sorniona. Si era aggiudicata un
“lato
del letto”. Questo era un aspetto da convivenza.
Aprì
le porte in vetro opaco della camera facendole scorrere dolcemente, e
vi entrò.
Ogni volta che ci entrava, rimaneva sempre più affascinata.
Adorava
quella stanza, così orientale e raffinata da metterle il
buonumore.
Fece
il giro del letto e si avvicinò al comodino in ebano
indicato da Jared, aprì il
3 cassetto e non dovette neppure frugare tra le cianfrusaglie
perché l'oggetto
era proprio lì.
Quando
era così facile trovare le cose, Kim si sentiva soddisfatta.
Non come quando
era piccola che doveva fare certe commissioni per sua madre
trasformandole in
vere e proprie ricerche, la cui morale era sempre quella: chiamava sua
mamma
ormai disperata, la quale appena la raggiungeva con un pai
di mosse magiche,
trovava quello che aveva incaricato la figlia di portarle, sbuffando
spazientita.
Invece
questa volta non sarebbe servito l'aiuto di Jared, e ciò la
rallegrò molto.
Non
appena fece per alzarsi però, l'acconciatura improvvisata
cedette facendole
cadere la matita, che, a causa di un riflesso involontario della
ragazza, fu
calciata
sotto il letto.
Kimberly
emise dei gemiti contrariati, ma appoggiò il metro sul
comodino e si accucciò
accanto al letto, il quale essendo japan style era davvero basso, e
sotto
riusciva a passarci soltanto il suo braccio fino al gomito, oltre non
ce la
faceva.
Con
una guancia premuta contro il pavimento e il sedere all'aria tipo
posizione
fetale, cercava di allungarsi per tastare meglio.
Quando
le sue dita afferrarono qualcosa che era un po' più grosso
di una matita, anzi
sembrava una scatola, non riuscì a resistere ed estrasse la
mano.
Si
mise sulle ginocchia ad osservare quella scatoletta sottile a forma di
cuore
rosso e l'aprì corrugando le labbra.
Quello
che vi trovò all'interno la lasciò dapprima
confusa, ma quando realizzò la
rabbia e la frustrazione la invasero e la accecarono completamente.
Il
contenuto costituiva sostanzialmente di fotografie e biglietti. In una,
nella
primissima che trovò era raffigurato Jared qualche anno
prima, che avvolgeva
dal dietro una ragazza, vedeva le mani che si intrecciavano all'altezza
del
bacino di lei, il mento appoggiato alla sua spalla e il volto inclinato
di 45
gradi col naso
che andava a sfiorarle i capelli, ma nonostante questo gli occhi
guardavano nell'obbiettivo.
Lei
aveva la testa piegata per essere più in contatto con quella
del professore, e
tra le mani teneva la macchina fotografica all'altezza del seno, come
se se la
fossero scattata davanti ad uno specchio.
Ma
la rabbia scatenata in Kim non era data dalla gelosia di uno scatto
così
intimo, perché sebbene fossero entrambi vestiti,
l'atteggiamento era molto
privato; bensì dal viso di quella donna, della stessa
bellezza che l'aveva
stupita quando l'aveva vista sul cartellone dell'aeroporto.
Gli
stessi occhi scintillanti, le stesse ciocche color mogano. La stessa
che Jared
le aveva giurato di non conoscere.
Mille
pensieri cominciarono a vorticarle nella testa in quel momento, e
piano, piano
si facevano talmente pressanti da toglierle il respiro.
Perchè
le aveva mentito? Perchè aveva addirittura preferito farla
passare per pazza?
Perchè le aveva garantito che non l'aveva mai vista se
evidentemente con lei
aveva testato anche gli altri 4 sensi?
-Kim,
ti sei persa?- disse l'uomo scherzoso affacciandosi nella stanza e
accendendole
la luce.
Vedendola
lì per terra immobile si preoccupò appena, e le
si avvicinò. -Tesoro, cosa
succ..?- le parole gli morirono in gola quando vide cosa fissava
così
insistentemente la ragazza.
-K-Kim...
ti posso spiegare.- pensò distrattamente che ogni volta che
pronunciava queste
parole era quando lei lo “beccava” con un'altra.
Lei
con tutta calma chiuse la scatola e la ripose dove l'aveva trovata, poi
si alzò
lentamente aiutandosi facendo leva col letto.
-Sì,
dai spiegami.- il suo tono era innaturalmente calmo. A Jared venne
sinceramente
paura, non l'aveva mai vista a quel livello d'ira. Sembrava che volesse
trattenersi proprio perchè consapevole che esplodendo,
avrebbe estirpato
l'intero continente. -Ho proprio voglia di sentire quello che hai da
dirmi.
Come mi convincerai che sono pazza quesa volta?-
Lui
deglutì ruomorosamente, prendendo tempo. -Io non volevo...
complicare le cose.-
-Mentendomi?-
-Non
ti ho...- stava per contraddirla, ma preferì fermarsi.
-Non
provarci neanche!- urlò spingendolo da davanti a
sé. -Vuoi per caso dirmi che
senza vestiti non l'hai riconosciuta?!- continuò uscendo
dalla stanza con passo
pesante ma spedito.
L'uomo
la seguì velocemente. -Kimberly ascolta, non ho scuse
davvero. Sono un certino,
è vero ti ho mentito.-
Kim
cominciò a sentire le lacrime scorrerle lungo le guance e
aveva un enorme
groppo in gola che non riusciva a levarsi. Odiava Jared, lo odiava,
aveva
bruciato tutta la sua fiducia in lui nel giro di pochi secondi e senza
rimorso.
-Kim,
ti prego dì qualcosa...- si avvicinò lui,
sporgendo una mano per toccarla, ma
lei lo allontanò con violenza e furia.
-Cosa
ti aspetti che dica, Jared?!- sbraitò raccogliendo la borsa
e riempiendola
delle sue cose. -Non toccarmi e non parlarmi perchè brucia,
fa male, mi hai
mentito e non te ne sei neanche pentito!-
-Questo
non è vero, mi sono sentito una merda subito dopo che ti ho
risposto..- disse,
cercando di afferrarla, ma lei si allontanava per ogni sforzo che lui
facesse.
-Allora
perchè l'hai fatto?-
-E'...
complicato..-
-Non
è affatto complicato Jared, sei tu che complichi tutto!
Potevamo parlarne e
risolvere insieme, perchè è così che
fanno le persone che si vogliono bene!
Tu
invece al tuo solito hai dovuto farmi passare per l'idiota della
situazione,
l'allucinata. E ora mi sento così inadatta, Jared, mi fai
sentire così
sbagliata.-
Se
non si era sentito di dirle la verità doveva essere colpa
sua, no? Non ispirava
abbastanza fiducia.
Rimase
immobile a piangere per qualche secondo, portandosi una mano davanti
agli
occhi. Assistere a quel momento per il professore equivaleva a giorni
di agonia
alla gogna. Non sopportava vederla piangere in quel modo, specialmente
se era
per causa sua.
Kim
era una di quelle persone che piangono raramente e solo
perchè proprio se lo
sentono; quando avviene è un evento davvero disarmante, come
assistere ad un
bambino imprecare in chiesa.
Nessuno
piange come le persone come lei, Kimberly piangeva con tutto il cuore,
senza tenersi
dentro nulla.
Un
pianto che era la fine dell'esistenza.
Le
si avvicinò cauto sinceramente dispiaciuto e pronto a
qualsiasi cosa purché lei
la smettesse. Con suo stupore Kimberly si lasciò fare, e
sentirla sfogarsi un
po' addosso a lui lo faceva sentire meno in colpa, come se stesse
scontando una
briciola della sua pena.
Sarebbe
stata una perfetta pena del contrappasso dantesco, dato che per lui le
lacrime
della ragazza valevano quanto tutta la sua anima.
Dopo
pochissimo però lei si separò da lui,
singhiozzante e visibilmente provata e se
lo scrollò di dosso, dirigendosi in fretta verso la porta.
-Kim,
ti prego!- la implorò lui, c'era disperazione nella sua
voce, per un momento
Kimberly ne fu quasi certa, ma ormai nella sua mente lui era catalogato
come un
bravo attore, e gli attori sono degli ottimi manipolatori.
-Lasciami
in pace, Jared. Per quanto mi riguarda puoi anche ammazzarti.-
esagerata forse,
ma in quel momento era esattamente quello che voleva dire.
Ed
era esattamente ciò che Jared voleva fare.
And
you, you will be alone
alone
with all your secrets,
and
regrets, don't lie.
Note finali:
We we we we we we we we we people!!
Alura??? Cacchio avete sentito il nuovo singolo dei Mars? Cosa ne
pensate?!
Io sono sinceramente combattuta.. da una parte credo di essere
""""delusa"""", certo nella mia testa sono la band alternative-rock (se
così possiamo definirli) che mi hanno sempre messo un sacco
di energia e che avevano uno stile unico e Up in the air mi
sembra molto lontana da quello che mi aspettavo.
Mi viene anche difficile definirlo rock a questo punto (anche se, se ci
avvalessimo del concetto di rock di Virgin Radio saremmo in una botte
di ferro) (ahahah) mi viene difficile!
Però d'altra parte giustamente tutto si evolve e anche loro
devono sperimentare, specialmente in un ambito come la musica! E
comunque saranno 8h che l'ascolto non-stop XD questo è amore.
Va beh, fatemi sapere se sono l'unica a pensarla così, sono
pronta a rimangiarmi tutto!
Tornando a bolla, ovvero al motivo per cui siamo qui: il capitolo!
MMMMMMMH avete visto il colpo di scena numero 3??
Chi se lo aspettava? (tutte immagino) ahaha un capitolo un
pò cattivo, un pò esagerato alla fine (lo so)
però la drammaticità come già dissi,
CISTA e un capitolo che mostra i lati bugiardi di entrambi i personaggi.
Voi se foste Kim lo direste a Jared che vi sentite ancora con l'ex? Perchè sì/no?
Perchè lei non lo fa?
E perchè Jared non le ha detto chiaro e tondo chi fosse la
modella? MAH!
Un'altra cosa fighissima che volevo condividere con voi che sole potete
capirmi (non c'entra un cazzo col capitolo) è che ieri ho
letto che era stato "proclamato" da non ho capito chi Il Thirty seconds to Mars day!
Ovvero il giorno del mio compleanno! (sì ieri ho compiuto 20
anni secchi ma mi considero una twenteen
almeno posso permettermi ancora stronzate adolescenziali per un anno
ahaha) CHE MERAVIGLIA!
Saremo legati forever and ever *-----* ahahahah ok fangirl
moment finito.
La canzone è In
Pieces dei Linkin Park (fuck yeah) che personalmente amo.
C'è
verità nelle tue bugie
dubbio nella tua fede
Quello che ho
è ciò che tu non hai preso
E tu, tu rimarrai solo
solo con i tuoi segreti
e rimpianti
non mentire.
Insomma tutto incentrato sulla menzogna.
Yeah, un altro argomentino su cui potremmo discutere ore, vorrei
chiedervi 500 cose tipo se voi credete nelle "bugie bianche", vi
sentite in colpa se le dite o non ve ne frega un cazzo, lo fate spesso
o mai, ma evitiamo perchè so che già vi trituro
fin troppo i maroni e forse è per questo che mi cagano
sempre le solite 5 (fantastiche) povere ragazze e gli altri si sono
smaterializzati ahahaha.
Fatemi sapere se ho fatto centro
LOTS OF LOVE
|
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Capitolo 49 *** Capitolo 49. ***
Capitolo
49.
We’re
like fire and rain
You
can drive me insane
But
I can’t stay mad at you for anything
Kimberly
tornò a casa stravolta, confusa e amareggiata. Si sentiva
piena di risentimento
nei confronti di Jared, l'uomo che le aveva garantito
sincerità assicurata e
che invece le aveva mentito guardandola dritta negli occhi.
Non
riusciva a crederci, era come risvegliarsi da un sogno lungo e confuso.
Non
riusciva a distinguire la finzione dalla realtà.
E
il bello era che fosse lei quella passata per la scema di turno che si
spacciava tanto per una chiara lettrice di anime, quando invece non era
per
niente riuscita a cogliere il sentore di menzogna che aleggiava intorno
a
quella lontana discussione, riguardo la donna dai capelli rossi.
Era
troppo, non sapeva se fosse riuscita ad affrontare un torto simile.
Il
giorno dopo e i giorni seguenti fece di tutto per evitare il professore
di
musica, pur di non incrociarlo o rimanere
“casualmente” da sola con lui nella
stessa stanza, si sarebbe fatta venire il vomito.
Dal
canto suo, Jared tentava invano di avere la sua attenzione, di
lanciarle
frecciatine o di cominciare un qualsiasi discorso purché lei
gli rivolgesse un
briciolo di attenzione.
Aveva
sbagliato, ne era conscio, quanto ancora gliel'avrebbe fatta pesare?
Stava
passeggiando per i corridoi durante una sua ora buca, domandandosi come
poter
fare per far sì che Kim gli desse anche solo un'occasione
per spiegarsi.
Sembrava
lo stesse evitando come la peste e lui poteva giurare su quanto gli
fosse più
caro al mondo che non sopportava essere ignorato.
Piuttosto
poteva prenderlo e sbraitare, urlare, picchiarlo, scalciarlo, ma non il
silenzio, l'indifferenza era l'arma più affilata da
utilizzare durante un
litigio.
Finché
si trattava di dimostrargli tutto il suo odio e rancore, avrebbe anche
sopportato
sicché voleva dire che ci fosse rimasta male ma per lo meno
significava che lui
aveva una sua rilevanza per lei.
Il
fatto che lo evitasse lo faceva sentire importante quanto la sabbia nel
costume
dopo che esci dal mare, lo faceva sentire miserabile e inutile, non
degno di
attenzione.
Voleva
dire che non le importava veramente nulla di lui, sebbene in cuor suo
non
poteva esserne tanto certo.
Kimberly
era sì una ragazza fredda e distaccata, ma quando amava,
amava con tutto il
cuore, senza rimpianti e senza insicurezze.
Un
amore che poteva riempirlo completamente e farlo sentire sazio delle
sue
attenzioni; o svuotarlo totalmente fino a sciuparlo e renderlo
paragonabile ad
una medusa lasciata ad essiccare sulla spiaggia.
Era
un amore che non poteva lasciarti indifferente, non era mite, non era
grigio.
Era travolgente, carico, pieno e lui ne sentiva terribilmente la
mancanza,
sentiva di averla persa irrimediabilmente per uno stupido sbaglio... ma
cosa
poteva fare?
Quando
gli aveva rivolto quella domanda era stato più forte di lui
negare l'evidenza,
mentire, rinnegare quella donna che al solo pensiero gli apriva un
varco nello
sterno.
Quella
era l'incarnazione della sofferenza, lei era tutto quello che si
avvicinava
alla felicità per Jared, ma che, una volta sparita, si era
portata via tutto.
Non
voleva nemmeno pensarci, non voleva più sprecare del tempo a
sentirsi così
tradito e rifiutato, non all'altezza.
Avrebbe
preferito sbattere la testa mille volte contro al muro, piuttosto.
I
suoi pensieri svanirono, nel momento in cui lo spazio in cui il suo
sguardo
vacuo puntava senza un briciolo di vita, si riempì di una
figura che camminava
rapidamente nella direzione opposta. Quella era la camminata che
avrebbe
riconosciuto tra mille, era fiera, elegante, precisa e gli fece
acquistare
immediata speranza, tanto che lasciò perdere i suoi effetti
e le corse dietro.
Si
dirigeva in bagno, quindi l'aspettò fuori e una volta uscita
la colse di
sorpresa, prendendola per un polso e trascinandola verso l'aula
d'informatica,
al momento vuota.
-Jared,
ma che cacchio stai facendo?- gli chiese Kimberly colta alla sprovvista
e
spaventata a morte da quella comparsa improvvisa.
-Dammi
un momento, Kim, ti scongiuro. Permettimi di spiegarti.- disse lui,
posizionandosi davanti alla porta, in modo che lei non uscisse dalla
stanza.
-Ho
lezione, non puoi rapirmi così ogni volta che abbiamo una
discussione!- sbuffò
la ragazza, incrociando le braccia al petto.
-Quale
discussione? Tu non mi permetti di starti a meno di 50 metri!-
ribatté lui
agitando le mani, senza abbandonare la sua postazione.
-Sia
mai che te ne approfitti per pugnalarmi alle spalle!- il risentimento
nei
confronti del professore era palpabile, al momento.
-Kimberly,
come ti devo dire che mi dispiace?- disse l'uomo facendo un passo verso
di lei,
con tono esasperato.
-In
tutte le lingue che vuoi, Jared, io ormai non ti credo più.-
sentenziò senza
muovere un muscolo. Per quanto ce l'avesse con lui, non poteva negare
che le
mancasse moltissimo.
Leto
sospirò portando le braccia lungo i fianchi, già
stanco. -Ok Kim, puoi dirmi
tutto quello che vuoi, insultarmi come meglio credi, non mi interessa,
io ho
sbagliato e sono pronto a pagare, ma ti prego non ignorarmi
così...-
Non
tanto per lui, quanto per il fatto che l'esperienza gli aveva insegnato
che
quando una ragazza ti ignora, può solamente voler dire che
è davvero ferita, è
stanca e non sente neanche più la voglia per combattere. E
la Kimberly che era
abituato a conoscere ce l'aveva eccome la voglia di combattere per
loro, ne
aveva riserve intere e lei da sola sarebbe stata pronta a ribaltare il
mondo.
-Non
voglio darti la soddisfazione.- asserì più per
orgoglio che per altro. -Non te
la meriti.- e dato che lui si era spostato abbastanza dalla porta
d'accesso,
fece uno scatto come per sorpassarlo e andarsene, ma lui fu
più veloce e la
trattenne per le spalle.
-Ho
sbagliato, ok? Lo so, sono pronto ad ammetterlo pur di avere un'altra
occasione, ma lascia che ti spieghi!- la implorò guardandola
negli occhi.
-No,
non mi interessa più niente.- rispose con una freddezza che
non le apparteneva.
Dentro intanto le piangeva il cuore, ma non voleva dimostrarglielo.
-Ti
ho già chiesto scusa...- sospirò l'uomo affranto,
allentando la presa perché
lei potesse andarsene.
Infatti
si scostò. -Sì, ma non basta.- chiosò,
uscendo dalla porta alle sue spalle,
lasciandolo solo.
Una
volta tornata in classe mancava davvero poco all'inizio dell'intervallo
e,
quando suonò la campanella, si precipitò da Gwen
per parlarle anche di queste
ultime news, essendo l'unica ad esserne al corrente.
Un
aspetto che faceva imbestialire Kim, era che Gwen si presentava troppo
neutrale
per essere sua amica, sembrava stesse dalla parte dell'uomo e non da
quella
della ragazza.
-Se
ti senti così, evidentemente nei suoi confronti non provi
più le stesse
cose...- le disse seduta al suo posto con le gambe accavallate mentre
si limava
le unghie.
A
forza di fare la ricostruzione col gel erano diventate debolissime, e
le si
sfogliavano come la buccia della cipolla.
Kimberly
invece era seduta sul banco dell'amica, sclerando mentre muoveva
nervosamente
le gambe avanti e indietro.
-Non
è questo il punto, Gwen!- esclamò
improvvisamente, spazientita dai continui
raggiri della bionda.
-E
allora quale sarebbe?- chiese di rimando lei, spostando uno sguardo
scettico
dalle sue mani per portarlo al volto infuriato di Kim.
-Il
punto è che... mi ha mentito! Come farò a fidarmi
di lui se gli do un'altra
chance?-
-Se
posso permettermi Kim, neanche tu sei stata pienamente sincera con
lui...- le
fece notare senza distogliere l'attenzione dalla sua operazione.
Kimberly
sbuffò buttando il capo all'indietro. -Mi spieghi che cosa
c'entra? Lui non me
l'ha mai chiesto e comunque non sto facendo niente di male sentendo
Christopher!-
-Ok,
allora perchè non gliel'hai detto?- domandò
seguendo un filo logico tutto suo,
ma che sicuramente avrebbe portato da qualche parte nella sua testa.
-Perchè
è irrilevante!- ripeté Kim, ricordandosi come
aveva fatto effetto su Chris.
Magari anche con Gwen sarebbe servito a farla stare zitta una volta
tanto.
Ma
l'occhiata fugace che le rivolse le fece intendere che no, non l'aveva
convinta.
E non aveva tutti i torti in effetti...
-Appunto,
se è così “irrilevante”,
perchè non gliel'hai detto?- per Kim tutto ciò
era
incredibile. Si era confidata con Gwen pensando di riuscire a trovare
un'alleata traboccante di conforto, e invece sembrava lei quella messa
al
patibolo!
-Gwen,
puoi fingere solo per un secondo di stare dalla mia parte?-
-Non
se questo ti servirà solo ad aiutarti a darti la zappa sui
piedi da sola.
Fidati, ho una conclusione.- chiosò con una sicurezza
disarmante, che riuscì ad
intimidire addirittura Kimberly.
-Sarebbe?-
le rivolse uno sguardo accigliato.
-Sinceramente,
perchè non l'hai detto a Jared?- ripeté, stavolta
guardandola negli occhi.
Kim
ansimò buttando la testa tra le mani, vittima di quel
rompicapo senza uscita
ideato dalla sua improvvisata psicanalista. -Ti ho già
risposto.-
-No,
quella è la risposta tappabuchi che ti ripeti nella tua
stessa testa per
aiutarti a diminuire il senso di colpa. Tu usi quella risposta come
arma di
difesa, perché sai che se ti sottoponessi ad un minimo di
autocoscienza anche
tu ti renderesti di quanto sei ipocrita a prendertela così
tanto con lui.-
sentenziò Gwen calma ma allo stesso tempo agitandole davanti
alla faccia il suo
lima unghie.
Effettivamente
Kimberly si sentì colpita nel profondo.
Non
era riuscita ad ammettere neppure a se stessa che comunque stava
sbagliando.
Chris l'aveva trattata come uno zerbino e lei sembrava sempre pronta a
distendersi davanti a lui non appena desiderasse pulirsi le scarpe.
E
nonostante ciò a lui le possibilità non erano mai
mancate, neanche quando la
fiducia in lui sarebbe stata più producente se utilizzata
come soprammobile.
-Ora
pensaci bene, e rispondi.- terminò la biondina.
Kim
non dovette rifletterci per molto, dato che la verità venne
allo scoperto
automaticamente, duolendo la ragazza nell'orgoglio.
-Perché
temo che..- prima di terminare la frase serrò gli occhi,
sentendosi una
completa idiota; e ad aggravare la situazione, sembrava che Gwen ci
fosse
arrivata molto prima di lei. -...non capirebbe.-
E
il gesto che fece l'amica per sottolineare ciò che aveva
detto, le fece capire
che sì, per tutto il tempo era stata un passo avanti e
sapeva esattamente dove
andare a parare.
-Quindi,
ricapitolando, secondo te perché non ti ha voluto dire la
verità?-
-Perché
temeva che non l'avrei capito.- affermò guardando un punto
nel vuoto, dandosi
subito dopo un colpo di palmo sulla fronte. Aveva sbagliato tutto.
Lo
sguardo compiaciuto di Gwen la fece sentire una vera schifezza. -Sei
davvero
brava, sai?- ammise portando gli occhi ai suoi piedi dondolanti.
-Lo
so, tesoro.- ammiccò. -Ora levati dal mio banco che mi
interroga in letteratura
e non mi hai dato il tempo di ripassare!-
Sorridendo
Kim si alzò e tornò al suo posto, giusto in tempo
per sentire la campanella
annunciante la fine della ricreazione, squillare.
Per
le ore successive Kimberly non riusciva a stare ferma, ed avrebbe dato
di tutto
pur di correre da Jared e scusarsi per averlo trattato male e capito
solo
adesso: lui desiderava solo condividerla con qualcuno che se lo
meritasse
davvero la sua scorta di demoni e lei non si era mostrata all'altezza,
era
fuggita a gambe levate, dimostrandosi invece per la codarda che era,
esattamente quello che Jared voleva evitare mentendole..
Perché in tutta
sincerità la storia che quella donna nascondeva le metteva
paura, doveva essere
una storia profonda ed importante, le avrebbe svelato un Jared diverso,
più
giovane, più spensierato, innamorato perdutamente di una con
cui non avrebbe
potuto competere, per quanto tentasse di sforzarsi.
Quando
scuola finì cercò Jared ovunque, con scarsi
risultati. Avrebbe voluto passare
da lui quel pomeriggio, ma avrebbe avuto la sua prima guida e non
poteva
mancare.
Il
giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno, finalmente sarebbe
diventata
maggiorenne e la sua relazione col professore sarebbe diventata legale,
non
dovevano più nascondersi almeno fuori da scuola. Nella sua
immaginazione Kim aveva
sempre immaginato di trascorrere questo giorno accanto a Jared, come
una specie
di count down, in attesa di celebrare ufficialmente la loro storia.
Tentò
anche di chiamarlo, ma rispondeva sempre la segreteria telefonica e si
sentì
persa all'idea di esserselo giocato irrimediabilemente per colpa del
suo
stupido orgoglio.
*
-Pronto?-
dopo l'ennesimo tentativo, finalmente la voce del professore la
rianimò.
-Jared!
È tutto il giorno che ti cerco!- cominciò lei,
non riuscendo a trattenere la
gioia.
-Stavo
lavorando..- la interruppe lui, con uno sbadiglio. -Mi dispiace.-
-No,
dispiace a me. Ho bisogno di vederti.-
Lo
sentì sorridere. -Cambi idea con una velocità
impressionante.- scherzò. -Ora
Kim sono troppo stanco, ma domani mattina presto vieni a scuola,
è sempre
deserta fino all'inizio delle lezioni.-
-Ok.-
rispose più felice che mai. -Ma Jared.. che lavoro stavi
facendo alle 11 di
sera?- chiese poi, confusa. Ok che i compiti richiedevano tempo per
essere
corretti,
ma che lui si riducesse fino a quell'ora assurda le sembrava
eccessivo.
-Stavo..
intrattenendo nel bar di Tomo. Sai, ogni tanto mi ingaggia per portare
un po'
più di clientela.-
Su
due piedi non riuscì a trattenere la propria immaginazione e
si vide
chiaramente il professore ballare sul bancone del locale
dell’amico, con tanto
di palo da strip tease. La clientela sarebbe stata super affollata da
figure
femminili o al più, omosessuali.
Scosse
il capo strabuzzando gli occhi. Aveva assolutamente bisogno di dormire,
perché lui
era un cantautore, un musicista ed era ovvio che fosse quello
l’oggetto dell’intrattenimento,
ma i suoi ormoni l’avevano anche questa volta soggiogata.
-Un
giorno voglio sentirti.- affermò lei, sentendosi
improvvisamente in pace con
tutto il mondo, camuffando il tono imbarazzato.
-Senz'altro.
Ora vado a dormire, se no domani faccio tardi.- la sua voce, anche da
stanco,
era così bella e rilassante che Kim l'avrebbe ascoltato per
tutta la notte.
-Buonanotte, ragazzina e... tanti auguri.- sospirò. -Non
posso essere più
felice di farteli.-
Non
capendo lei guardò il telefono e si rese conto che ormai era
mezzanotte
spaccata.
We’re
like Venus and Mars
We’re
like different stars
But
you’re the harmony to every song I sing
And
I wouldn’t change a thing.
Note finali: bene
bene bene tutto è bene quel che finisce bene :)
Non c'è molto da dire, non è niente di strepitoso
purtroppo ma è un capitolo ok, e poi è a lieto
fine quindi THUMBS UP.
Per vostra fortuna non mi dilungo più del dovuto :)
La canzone non ricordo neanche come faccia ad averla in playlist, in
ogni caso è di Camp Rock 2 (amata adolescenza, quante ore
avrò speso su disney channel? ahaha)
In ogni caso trovo che ci stia molto bene con gli argomenti quindi
eccovela.
Wouldn't change a thing
Siamo come pioggia e fuoco
riesci a farmi
impazzire (ci starebbe meglio mi tiri deficiente, ma il contegno deve
stare alla base)
ma non riesco a rimanere
arrabbiata con te per niente
siamo come Venere e Marte
(YEAH)
siamo come stelle diverse
ma tu sei l'armonia di
ogni canzone che canto
E non cambierei nulla.
Buono, detto ciò spero vi sia piaciuto, vi abbia
intrattenute amabilmente e spero che mi lasciate qualche impressione
personale.
XOXOXOXOX
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Capitolo 50 *** Capitolo 50. ***
Capitolo
50.
Waking
up I see everything is okay
the
first time in my life and now it's so great
Slowing
down and look around and I am so amazed
I
think about the little things that make life great.
La
notte la passò tranquillamente, assopita in quel sonno
tipico dell'inverno.
La
sera non aveva mai voglia di dormire nonostante il sonno che le pesava
sulle
palpebre, ma una volta addormentata, la mattina svegliarsi sembrava un
trauma
perchè l'accoglienza di cui era capace il piumone pareva
irripetibile.
Quella
mattina però, era speciale. Lei aveva sempre adorato il
giorno del suo
compleanno, c'era chi non lo sopportava per motivi del tutto ignari
tipo “non
adorano essere al centro dell'attenzione” o come sua madre
“significa che sta
invecchiando”, ma per lei era un giorno davvero unico,
paragonabile ad un
evento raro, sebbene si ripetesse ogni anno.
Era
il suo giorno, e quell'anno era ancora più bello dato che
finalmente aveva
raggiunto la maggiore età.
Per
gli adolescenti normali significava avere più
possibilità, più libertà,
più
responsabilità, per altri solo essere perseguibili
legalmente, ma per Kim
significava anche essere libera di amare l'uomo dei suoi sogni senza
ripensamenti.
La
differenza restava, ok, ma per Jared magari non sarebbe più
stata un'esperienza
pericolosa passare il suo tempo con lei.
Si
svegliò tirandosi su a sedere di scatto, senza alcuna
difficoltà, come se si
fosse appena sdraiata e stesse andando a rispondere al telefono.
Con
un sorriso, prese il cellulare e si diresse in bagno, dove si diede una
rinfrescata veloce. Mentre dormiva le erano arrivati una marea di
messaggi,
molti di persone che le ricordavano di quanto era stato difficile per
loro
reggere fino alla mezza; altri che gridavano al miracolo per esserselo
ricordati; altri che le ricordavano che ora poteva essere arrestata e
altri che
non si sprecavano molto e le scrissero un semplice augurio.
Anche
per questo le piaceva il suo compleanno: si rendeva conto
dell'effettiva
quantità di persone che la pensavano.
Ciò
non significava necessariamente che ci tenessero a lei, ma il fatto che
se lo
fossero ricordato significava già molto per lei.
Sempre
sorridendo, uscì dal bagno e tornò in camera,
dove trovò una sorpresa sul
letto: era una scatola rossa rettangolare e un biglietto accanto.
Lo
lesse velocemente, sentendo le lacrime salirle. Era da parte di sua
madre, la
quale aveva spremuto tutta se stessa in una lettera che scrivi una sola
volta
nella vita, proprio in occasione di una figlia che diventa maggiorenne.
Per i
genitori doveva essere un evento importante quanto lo era per i figli.
Sapere di
avere un elemento in meno a cui appellarsi per far valere la propria
autorità
probabilmente li faceva rendere conto dell’inevitabile
crescere dei propri
figli e di conseguenza sempre meno dispensabili. Una realtà
davvero dura da
accettare per loro.
Trasudava
amore, imbarazzo ma allo stesso tempo orgoglio per la ragazza che era
riuscita
a crescere.
La
scatola conteneva una catenina con brillantino che si mise subito al
collo.
Ora
era impaziente di andare a scuola.
Si
preparò velocemente e prima di uscire di casa
salutò con molto affetto entrambi
i genitori, i quali si sciolsero in abbracci e auguri a
volontà.
Sinceramente
non erano tanto i regali quello che aspettava di più durante
il suo giorno
speciale, bensì i messaggi che le scrivevano le persone
davvero importanti.
Come
quello che le inviò James mentre stava camminando verso
scuola. Le parole erano
ciò che più la colpivano, il modo in cui le
persone riuscivano ad asprimere le
loro sensazioni semplicemente parlandone, l'affascinavano.
Ed
erano capace di commuoverla; i biglietti e i messaggi erano decisamente
la
parte migliore di tutto il compleanno.
Lo
ringraziò velocemente e finalmente entrò
nell'edificio ancora sgombro.
Solamente la bidella incaricata di aprire era presente, tutti gli altri
sembravano ancora essere addormentati, decisi a rimandare la voglia di
andare a
scuola.
Non
appena entrò in classe, vi trovò Jared
accucciato, intento a smanettare col suo
banco.
-Buongiorno.-
lo salutò, facendolo sobbalzare.
-Kim!-
si alzò rapidamente, venendole incontro. -Tantissimi auguri,
ancora.- sorrise,
di un sorriso che riusciva ad esprimere tutta la sua gioia e affetto.
-Grazie.-
rispose timida, mentre lui le prendeva entrambe le mani intrecciandole
con le
sue.
Ecco
cosa le era mancato durante quel periodo di pausa: le sue mani,
così ampie e
calde, erano capace di catturare pienamente la sua attenzione per ore
intere.
Come
in quel momento, la visione delle loro mani congiunte la
mandò in uno stato di
adorazione, manco fosse la prima volta.
Quando
si rese conto che lui si stava avvicinando per baciarla, si
scansò leggermente,
indietreggiando. -Allora..- cominciò, intenta ad iniziare un
discorso.
-Allora..-
continuò lui confuso.
-C'è
niente che devi dirmi?-
-Oltre
gli auguri? No, direi di no.- fece il professore, guardandosi intorno.
-Jared!
Ok che ieri ti ho chiamato, ma ciò non significa che sia
totalmente idiota e
abbia dimenticato!-
l'uomo
sbuffò spazientito, portandosi le mani sui fianchi e
leccandosi rapidamente le
labbra.
-Ti
ho già chiesto scusa mille volte, Kim, pensavo avessimo
chiuso questa storia.-
-Sì,
io sono disposta a passarci sopra, ma voglio anche sapere a cosa devo
tutto
questo mistero.-
-Non
credo sia necessario...- disse lui, facendo come per uscire dalla
stanza.
-Congratulazioni, hai rovinato anche questo giorno.-
-No,
sei tu che me lo stai rovinando! Perchè non possiamo
finalmente chiarire?-
domandò, andandogli dietro.
-Perchè
non c'è niente da dire!- il tono di voce era rotto, ma di
qualche nota più
alta. Stava quasi urlando, rischiando così di attirare
l'attenzione di
sconosciuti magari.
Perchè
faceva così? Kimberly voleva ascoltarlo, voleva che si
fidasse di lei e invece?
Non faceva altro che voltarle le spalle quando lei gli mostrava tutta
la sua
comprensione.
-Jared,
io voglio solo che tu ti fidi di me. Vorrei che tu ti sfogassi e ti
confidassi,
non posso sempre essere io quella problematica.- se c'era un aspetto di
lui che
non sopportava, era proprio il fatto che lui fosse sempre quello calmo
dei due,
quello stoico, quello che nonostante fosse lampante quando si trovava
in
situazioni difficili, non perdeva mai il controllo, facendo
così sentire la ragazza
la donzella bisognosa.
Perchè
non si apriva?
-Io
non... non me la sento Kim. Mi dispiace.- disse con voce sommessa,
uscendo
dall'aula.
Wow,
7 minuti erano bastati per farlo scappare a gambe levate, un nuovo
record.
Ma
Jared era così, faceva parte della cerchia di persone che
anche quando
vorrebbero spezzarsi, possono solo piegarsi.
Poco
dopo l'aula cominciò a riempirsi e per quanto Kim fosse
afflitta, cercò di non
darlo a vedere e di ringraziare i compagni per tutte le attenzioni che
le
dedicavano.
-Ehy
Kim, chi te l'ha portata questa?- chiese Juls dalle sue spalle,
indicando una
rosa sul banco.
Lei
diede un'occhiata e il cuore le si sciolse in un brodo di giuggiole.
Bastò
questo per farla sentire in colpa. Come al solito era stata troppo
brusca.
-Io..
non lo so.- rispose incantata a fissare il fiore. Le rose erano i suoi
fiori
preferiti, volevano sempre dire qualcosa di bello.
Quando
la campanella di inizio lezione richiamò l'attenzione dei
ragazzi e gli impose
di sedersi ai propri posti, Kimberly portò automaticamente,
senza pensarci le
mani verso il sotto banco come per prendere dei libri, dove invece vi
trovò un
foglio di carta spessa.
Corrugando
la fronte lo estrasse, e rimase a bocca aperta.
Era
un disegno a matita che ritraeva lei in un primo piano. Era un ritratto
bellissimo, tanto accurato da sembrare una fotografia, e ingenuamente
la
ragazza si domandò quando poteva averglielo fatto senza che
lei se ne rendesse
conto.
Probabilmente
lui l'aveva anche abbellita, in quanto fosse certa di non essere
così graziosa.
Era incantevole in quel ritratto, e i suoi occhi scuri erano talmente
perfetti
che sembrava parlassero a chi li guardava.
In
basso a destra splendeva la firma di Jared, in uno scarabocchio degno
di un
artista.
Si
ricordò improvvisamente quando, quella volta che lui l'aveva
tenuta in ostaggio
a casa sua per malattia, era stata lei a chiedergli di ritrarla, un
giorno.
(vedi cap. 19)
Era
uno dei regali più belli che avesse potuto desiderare.
Per
tutto il resto delle lezioni pensò a come convincerlo, non
tanto ad aprirsi con
lei, ma per lo meno a fare la pace dato che quel giorno poteva essere
reso
ancora più speciale solamente dalla presenza pacifica del
professore.
Doveva
semplicemente cercare di non aggredirlo e andarci cauta, come quando
gli aveva
posto la domanda che era l'origine di tutto questo macello.
Sperò di ottenere
un risultato differente, questa volta.
All'intervallo
lo cercò ovunque, trovandolo finalmente nell'aula lingue
infondo al corridoio a
sinistra. Si rifugiava sempre là quando c'ercava di
evitarla, molto ingenuamente
tra l'altro, dato che ormai lei lo aveva imparato.
-Professore?-
lo chiamò, una volta che fu dentro.
Lui
si voltò lentamente, senza espressioni in volto, sembrava
solo molto stanco.
-Grazie
per il disegno. È meraviglioso, è la cosa
più bella che tu potessi fare per
me.- disse timida. -So di averti aggredito prima, non volevo,
è che la mia sete
di sapere ogni tanto è paragonabile ad un fiume in piena e
beh, sai com'è.
Devasta tutto quello che ha intorno, fregandosene del resto.
Però
sono pronta a redimermi e sono qui per ascoltarti qualora ne avessi
bisogno. Sappi
che sono disposta ad offrirti tutta me stessa.-
Jared
la fissava senza muovere un muscolo, il volto sofferente e provato.
Stava forse
per esplodere?
Visto
che sembrava deciso a continuare nel suo silenzio, Kim fece
dietrofront. ---…mentre
tu a quanto pare.. niente.-
Proprio
mentre aprì la porta, si sentì chiamare.
-Kimberly,
ti prego. Non andartene.- la voce era rotta, e lui le era addosso
improvvisamente, senza che lei se ne fosse accorta.
La
abbracciava e la teneva stretta, come se temesse che potesse
smaterializzarsi
da un momento all’altro.
Mentre
infilava con foga e disperazione il volto tra i suoi capelli lo
sentì
sussurrare vagamente
-Scusami.-
ripetuto all'infinito.
La
ragazza spaventata gli prese il volto tra le mani e si rese conto degli
occhi
lucidi. Doveva aver toccato dei tasti davvero dolenti.
-Jared,
cosa succede?- chiese allarmata, stringendolo a sé.
-Non
lasciarmi, Kim. Per favore, non lasciarmi.- il tono era una chiara
richiesta di
aiuto.
L'aveva
spezzato, ed ora il suo cuore pulsante era nelle mani di Kim.
Quest'idea
la fece sentire malissimo, ma improvvisamente si rese conto che non era
il
momento di mostrarsi deboli; Jared aveva finalmente bisogno di lei, era
pronto
a lasciarsi andare e lei l’avrebbe afferrato prontamente.
-Non
vado da nessuna parte, non ci penso neanche.- gli rispose, con un
sorriso.
Era
esattamente come temeva, vedere l'uomo che significava la sua
felicità in
quello stato, era esattamente come l'aveva immaginato.
Ora
pendeva inerme dalle sue labbra, poteva orchestrarselo come meglio
preferiva e
non esisteva situazione più disarmante.
Ma
non lo fece e anzi, lo accompagnò su un banco e lo tenne
stretto a sé finché
lui non decise di prendere la parola.
-La
ragazza del tabellone di chiama Anya, e l'ho conosciuta a New York 10
anni fa,
ormai.
Lei
faceva la modella da poco, era giunta nella Grande Mela, come me, nel
tentativo
di sfondare nella carriera che più amava.
Ci
siamo incontrati per puro caso, inciampando per strada, un
caffè riparatore e
poi, bam 5 anni a convivere con la stessa ragazza. Non mi era mai
successo di
provare niente di simile per nessuna, ma non mi interessava
perchè non ero
stato ancora ferito e non riuscivo neppure ad immaginare di passare del
tempo
insieme ad una ragazza che non fosse lei.
È
stato uno dei periodi più belli della mia vita.-
raccontò, con gli occhi persi
nel vuoto.
La
voce era calma, pacifica, come se ricordare non potesse più
fargli male.
-Dopo
un paio di anni dal nostro incontro, lei cominciò ad avere
successo ed io
incontrai un manager di successo pronto a lanciarmi nel mondo della
musica.
Mi
aveva scoperto mentre mi esibivo in un pub, e mi ingaggiò,
proponendomi a delle
case discografiche di un certo livello.
Io
e questo manager diventammo amici, eravamo coetanei più o
meno, e passavamo
molto tempo a stretto contatto per ovvi motivi.
Gli
feci conoscere anche Anya, e, quando finalmente anche la mia di
carriera
sembrava essere in procinto di svilupparsi, presi una decisione molto
importante.-
Kimberly
era tutta concentrata in quel racconto, non riusciva a distogliere gli
occhi da
quelli di Jared, il quale improvvisamente si fermò per
lanciarle una
rapida
occhiata, ma intensa.
Immaginò
a cosa potesse riferirsi con “decisione
importante”, ma impedì al suo stomaco
di produrre quell’acidità tipica data dalla
gelosia.
-Le
feci la proposta una sera di inizio estate.
Tutto
era così perfetto che a momenti mi venne il dubbio di essere
in uno squallido
film. La portai fuori a cena, avevamo riservato una saletta per restare
da soli,
e... lei rispose di sì.
Voleva
sposarmi, diceva di amarmi quanto la amavo io.
Il
tempo passò e, sebbene i nostri rispettivi lavori
richiedessero molto tempo e
concentrazione, riuscivamo lo stesso a trovare lo spazio per impegnarci
nei
preparativi della cerimonia e per partecipare ai corsi di preparazione.
Non ne
mancammo nemmeno una, ad essere sinceri.-
Tutto
il racconto pareva essere destinato ad un lieto fine, allora
perchè ora Jared
appariva così devastato a ripensarci?
-Cosa
è andato storto, allora?- chiese Kim, quasi convinta che il
mistero fosse che
in realtà il suo professore fosse tutt’ora
sposato.
Una
situazione alla Jare Eyre sarebbe stata la ciliegina sulla torta di
quella
relazione impossibile.
-Chiesi
al manager di cui ti ho parlato prima di essere il mio testimone, era
la
persona che sentivo più vicina in quel momento.
Ma..
ad un mese dal matrimonio, tornando prima dal lavoro trovai lui e Anya
insieme.. a letto.- concluse, deglutendo a fatica.
Kimberly
spalancò gli occhi, pietrificata. Non era sicura di voler
sentire il resto,
perchè sarebbe sicuramente stato solamente pura sofferenza
per l’uomo.
-Mi...
mi dissero che quella storia andava avanti da un pò. E... so
che potrei
sembrarti uno smidollato, ma ero addirittura disposto a passarci sopra,
a
perdonare e dimenticare.
Ero
innamorato Kim, e quando lo sei a quei livelli la lucidità
non è esattamente la
qualità che più ti caratterizza. Io l'amavo ed
ero disposto a mandare a rotoli
il mio lavoro e la mia carriera, pur di stare con lei il resto della
mia vita.-
La
ragazza riuscì perfettamente a rispecchiarsi nelle parole
del professore. Quando
ami, lo fai senza ritegno e senza chiedere nulla in cambio, ami e
basta, come
una fonte d'acqua inesauribile, devi riversarla su qualcuno o
finirà per
annullarti completamente.
-Ma
Anya era innamorata di lui e non se la sentiva più di
sposarmi.
Annullammo
tutto, me ne fregai delle spese e di ritirare tutti gli inviti, di
chiamare io
stesso il catering, la chiesa e il resto. Non mi interessava nulla,
volevo solo
andarmene da quel posto per non tornarci mai più.-
terminò la storia con una
smorfia che fece intravedere a Kimberly il puro dolore che doveva
avergli
provocato.
-Ecco
perchè eri così nervoso quando eravamo a New
York. Sembravi perennemente
inseguito da qualcosa.- commentò lei, parlando
più a se stessa.
Lo
intravide annuire.
-Ormai
sono più di 4 anni che non vedo né lui
né lei, ma per quanto ne so si sono
lasciati pochi mesi dopo che io mi sono trasferito.
Da
allora non ho fatto altro che girare e girare senza una meta, ormai
convinto
che non ci fosse più pace per me, ero stato troppo ambizioso
e avevo perso
tutto, per questo dovevo pagare.
Poi
mi sono trasferito in questa piccola città, dove, caso volle
che ritrovai Tomo.
Questo
dettaglio mi fece capire che mi ero incanalato nella direzione giusta.
C’era
ancora speranza per me.-
-Mi
dispiace così tanto, Jared. Capisco come devi esserti
sentito, e mi sento in
colpa per averti messo così tanta pressione.-
mormorò Kim con la voce tremante.
Non
sopportava quello che gli avevano fatto passare, lui non si meritava
neanche un
grammo di tutta quella sofferenza.
-In
colpa per cosa, Kim? Venendo qui ho incontrato te.- le rispose con una
luce
diversa negli occhi e la genuinità che le trasmetteva, la
portò automaticamente
a credergli senza riserve. -E' grazie a te se il mondo ha ricominciato
a
girare; è grazie a te se ho ritrovato la pace; è
grazie a te e alla tua voglia
di vivere che ho
finalmente capito che il mio destino sei tu.- la tonalità
con
cui pronunciava quelle parole era disumana per Kim, era quasi certa che
fosse
un angelo a pronunciarle e non l'uomo davanti a lei.
Aveva
finalmente svelato la sua vera natura. -Probabilmente penserai che sia
abbastanza squallido dato che io sono così vecchio e tu
ancora così fiorente,
ma mai come ora ho sentito di essere effettivamente dove dovrei
essere.-
mormorò in fine, rendendo le gambe dell'allieva molli come
pongo.
Stava
letteralmente svenendogli addosso, ma furono i suoi occhi a tenerla
attaccata a
terra. Era sincero, erano le parole più sincere che avesse
mai udito in tutta
la sua vita e bastò questo per farle ingoiare il cuore.
Nonostante
gli sforzi però, non trovò la forza di
rispondere, annaspando tra le lacrime
date solo dall’immensa gioia di quel momento perfetto.
This
moment is perfect
please,
don't go away
I
need you now
And
I'll hold onto it,
don't
you let it pass you by.
Note finali:
WHOOOOOOOOOOOOO OOOOOOOOOOOOOOOOOH cazzissimo ragazze, dopo 50
capitoli Kimberly è diventata maggiorenne ahahahahahhaha
e voi siete ancora qui che nonostante tutto mi sopportate e supportate?
Ohi, mi vida!
Allora abbiamo risolto un paio di misteri?? Siete soddisfatte di questo
flashback doloroso del professore? Che ne pensate?
Tra l'altro volevo farvi notare una cosa fichissima che ho pensato
mentre correggevo vari strafalcioni.... se andate indietro al capitolo
21 quando i due erano in semi lite (cioè più che
altro lui si sentiva in colpa perchè l'aveva baciata) salta
fuori che lei gli dice di compiere gli anni a marzo... IL 26! E oggi
che giorno è?
IL
VENTISEI! Cioè ditemi se non è il destino questo!
in questo momento è giusto che noi siamo qui e stiamo
facendo questa cosa ahahaha. Non prendetemi per pazza (in questo
piccolo esempio ovviamente sto esagerando) è una cosa a cui
credo davvero, l'ho notato anche ieri (stavo studiando psicologia
sociale, una materia interessantissima perchè mi fa rendere
conto di quanto siamo sfigati e prevedibili noi esseri umani)
quando il topic era il LOCUS OF CONTROL ossia quella variabile
psicologica che ci permette di "misurare" quanto riteniamo di
controllare il nostro destino. Ok che poi leggendo era come se fossi un
pò di parte (sapendo il risultato, il pensiero non
è più così genuino e si sa)
però io credo che il destino sia parte fondamentale di
quello che succede. SPesso mi viene da pensare "non
sarà destino" o "pensa te dove mi ha portata il destino" (e
qualche capitolo fa è stato abbastanza palese se ricordate
XD)
Certo poi riconosco che possiamo pilotare gli eventi, siamo dotati
della libertà di scelta e possiamo sempre cambiare la
situazione in cui ci troviamo qualora non ci vada bene.
Però credo che tutto succeda per un motivo.
e voi credete di avere il controllo sulla vostra vita o imputate quello
che succede a cause esterne?
(CHIUSA MODALITà FILOSOFIA e chiedo venia per chiunque
finora avesse trovato i miei sporadici (ahah) sproloqui spassosi, So
essere più divertente di così, credetemi!!)
Inoltre,
anche a voi piace il vostro compleanno, o lo trovate un giorno palloso
come un altro?
A me piace da morire se non si fosse capito ahahahaha
Ok, chiudo qui se no non la smetto più. Però
almeno adesso sapete che questi sprazzi (piccoli proprio) di
curiosità atavica che mi spinge a farvi dodicimila domande
ogni volta o di spronarvi a raccontarmi qualcosa di voi è
data dalla mia vocazione psicologica XD non tento di
psicoanalizzarvi, tranquille!
Ok,
la chanson è
Innocence di Avril Lavigne (sta accompagnando una marea di
capitoli sta tizia ma trovavo che ci stesse bene una melodia dolce e
ottimista)
Svegliandomi
vedo che tutto è ok
la prima volta in vita mia ed è grandioso
Rallentando e guardandomi intorno mi stupisco
penso alle piccole cose che rendono la vita bella
Questo momento è
perfetto
per favore non andartene
ho bisogno di te adesso
E lo terrò con
me (il momento)
non lasciare che ti
sorpassi.
Ok,
qui mi fermo davvero. Spero vi sia piaciuto e mi lasciate un pensierino
;))
Grazie a tutte!
Cuoricino.
|
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Capitolo 51 *** Capitolo 51. ***
Capitolo
51.
I
could follow you to the beginning
And
just relive the start
And
maybe then we’ll remember to slow down
At
all of our favourite parts
-Stasera
ti passo a prendere?- le chiese appoggiando la fronte contro la sua.
I
loro nasi si sfioravano, e i loro occhi erano talmente vicini che
sembrava ne
avessero uno solo.
Lei
sorrise appena. -Passa verso le 9, che prima ho una cena con mio padre
e mia
madre.- mormorò.
Lui
acconsentì e appena udirono la campanella di fine
ricreazione interromperli,
sbuffarono all'unisono e si separarono, per poi tornare ognuno nelle
rispettive
aule.
Il
resto delle lezioni passò incredibilmente veloce, e la tasca
destra dei
pantaloni di Kim non smise per un istante di vibrare.
Erano
vibrazioni brevi, rapide, che portavano messaggi d'auguri.
Quando
gli insegnanti non se ne accorgevano e tra un cambio di ora e l'altro,
li
controllava per verificare da chi fossero mandati.
Si
stupì della miriade di persone che conosceva. Alcune non le
vedeva da anni,
altre le incrociava per strada ogni tanto, ma si erano ricordati del
suo giorno
speciale.
Una
in particolare glieli faceva tutti gli anni perchè il giorno
dopo sarebbe stato
il suo, quindi per lei era difficile sbagliare.
Quando
finalmente la mattinata terminò ed era ora di tornare a
casa, Kimberly si
precipitò giù per la tromba delle scale, conscia
di chi avrebbe trovato una
volta attraversata la porta.
E
infatti, eccolo lì.
Alto
qualche spanna in più di lei, con gli occhi neri quanto i
suoi, i capelli neri
e corti che cominciavano a farsi più radi sulla nuca e i
lineamenti così simili
ai suoi.
Max,
suo padre biologico, era in piedi contro un muretto esattamente di
fronte a lei
che le sorrideva.
L’aveva
visto indossare di tutto. Quando era più piccola spesso
indossava gli anfibi e
l'orecchino; altre volte metteva una giacca di pelle lunga e occhiali
da sole
sottile stile Matrix; crescendo invece l'aveva visto mettersi abiti
più comodi
e casual, scarpe da ginnastica o addirittura mocassini, come in quel
caso,
aspetto che la destabilizzò per un attimo.
Suo
padre coi mocassini era il mix più improbabile che si
sarebbe mai aspettata, un
po' come porchetta e café zero.. non c'entrano un accidente.
Nonostante
ciò, vederlo davanti a lei le dava sempre quella sensazione
di protezione e
sicurezza tipico delle bambine affezionatissime al padre. Suo
papà era una
specie di eroe dei fumetti, per lei.
Avevano
un gran bel rapporto nonostante la distanza, lui le faceva sempre
percepire la
sua presenza, era come avere un angelo custode senza ali.
Con
un sorriso immenso, la ragazza gli si gettò tra le braccia,
ricevendo in cambio
un super abbraccio tipico solo di lui.
Era
sempre stata orgogliosa del suo papà, ed era fiera che fosse
solo suo.
Non
che lui avesse mai presentato la voglia di accasarsi e costruire una
nuova
famiglia, grazie al cielo, ma ogni tanto a Kim non sarebbe dispiaciuto
vederlo
per una volta accanto ad una donna fissa.
Gliene
aveva presentate nel corso degli anni, ma nessuna era stata
all'altezza,
evidentemente.
I
suoi genitori erano entrambi morti di cancro, non aveva fratelli, men
che meno
zii e parenti, quindi Kimberly rappresentava tutto ciò che
gli desse motivo di
esistere e questo, dava un gran senso di responsabilità alla
ragazza.
Andare
bene a scuola, non cadere in depressione cronica o non cominciare a
drogarsi
più che per chiunque altro o per se stessa, lo faceva per
lui, perché sapeva
che l'avrebbe ucciso, e deluderlo era l'ultima delle sue intenzioni.
Certo,
non era del tutto priva di morale, e anzi la sua ambizione,
testardaggine e
orgoglio non le avrebbero mai concesso di fallire in un qualunque
ambito,
comunque ogni volta che si sentiva debole o pensava che non sarebbe
riuscita a
raggiungere un determinato obbiettivo, le bastava pensare a Max, al
fatto che
lui credeva ciecamente in lei per darle la forza necessaria.
-Auuuguuurii
cucciolotta di papà!- sebbene quel giorno compiesse 18 anni,
per lui rimaneva
sempre la sua “cucciolotta”. Eh, si parla tanto di
madri sdolcinate, ma anche i
padri non scherzano quando si tratta delle figlie.
E
lei, sebbene ormai fossero passati anni, non si stancava mai di
sentirselo
dire.
La
sua famiglia era piuttosto fredda nei modi, sua mamma aveva smesso di
abbracciarla
o di chiamarla con nomignoli imbarazzanti da ormai 14 anni, e tutte le
attenzioni dei suoi genitori erano sempre rivolte a Gaya, la sorellina
minore.
Essere
l'unica per almeno una persona, aveva davvero molto significato per lei.
-Come
stai?- le chiese poi, allentando la presa.
-Benone
pa', tu? Come è andato il viaggio?- domandò di
rimando, separadosi da lui e
cominciando a passeggiare per le vie del centro.
Lui
viaggiava sempre moltissimo per lavoro, e aveva l’immensa
fortuna di conoscere
e imparare sempre nuove cose.
L'uomo
rispose come sempre “solito” e cominciarono a
discorrere di tutto quello che si
erano persi l'uno dell'altro nel corso di questi mesi che non si erano
visti.
Non
si vedevano dalle vacanze di Natale, ma ormai Kim era abituata a non
vederlo
per così tanto tempo.
Gli
raccontò delle lodi scolastiche, della scuolaguida, della
gita e così via;
mentre lui le parlò dell'Europa, del suo acquario che ha
dovuto buttare perchè
non riusciva più a tenere a causa delle lunghe assenze e
della batteria
elettrica che si era comprato.
Lui
era un bambinone, sotto certi punti di vista: adorava giocare alla
playstation,
da giovane faceva parte di una band e il suo sogno più
grande era proprio
quello di suona la batteria come un professionista, mentre invece
quando lo
chiese ai suoi, loro gli regalarono una chitarra, infrangendo i suoi
piani.
Nonostante
ciò, mantenne questa insana passione per la musica e
infatti, il suo lavoro
aveva a che fare con questa. Era un produttore di fama del settore
musicale o
qualcosa di simile, lui non le parlava mai del suo lavoro se non per
chiederle
il suo parere su alcune band promettenti.
Ogni
tanto le portava dei CD non ancora usciti nel mercato per farglieli
ascoltare.
Lei rappresentava la gioventù di quella generazione, se
fosse piaciuto a lei
era possibile che piacessero anche a tutti gli altri.
Quando
aveva qualcosa da dire o qualche commento da fare, lui prendeva sempre
nota e
apportava le determinate modifiche da lei indicate, se ritenute
opportune.
E
questo fece accendere la lampadina nella mente di Kimberly.
-Pa',
quanto ti fermi?- gli domandò dando un morso al suo panino
imbottito.
Si
erano seduti sul bordo di una fontana in pietra, proprio di fronte a
quel
negozietto che era più piccolo del bagno di Kim, ma che
producevano dei panini
davvero eccellenti.
E
lo sapevano tutti dato che ogni volta bisognava fare la coda per
ordinare.
-Domani
sera riparto.- rispose gustandosi il pranzo, lui. -Perchè?-
chiese poi,
voltandosi a guardarla.
-Perché..
vorrei farti conoscere una persona.- disse lei, sforzandosi di non
incrociare i
suoi occhi, il che, fece intendere a lui di cosa si trattasse.
Infatti
sorrise, furbetto. -Ti sei fatta il fidanzatino, eh?- non era il tipo
da essere
possessivo o geloso, ma si trattava comunque di sua figlia. E in ogni
caso,
sarebbe stata la prima volta che gli presentava il ragazzo, e
ciò sotto un
certo punto di vista, lo entusiasmava parecchio.
-In
un certo senso..- rispose lei evasiva, dato che
“fidanzatino” le pareva il
termine più lontano da quello che Jared effettivamente era.
-Si
chiama Jared ed è un musicista. Per questo vorrei che lo
conoscessi, ha davvero
talento, è bravissimo ed è il suo sogno da
sempre.-
-Ne
sei sicura?- domandò il padre, lanciandole un'occhiata
scettica. Magari era
l'amore ad accecarla, e non era seriamente bravura.
-Da
quando metti in dubbio il mio intuito?- fece lei ironica, pulendosi
dalle
briciole che le si erano impigliate nei capelli.
-Da
quando questo ragazzo ti piace..- rispose conciso.
-Papà,
non sono fusa, lui se lo meriterebbe davvero.- pareva sicura di quello
che
diceva.
-Allora
perchè non c'è ancora riuscito?- se aveva davvero
così tanto talento, era
strano che non avesse ancora sentito il suo nome.
-Diciamo
che non ha avuto fortuna..- giustificò lei, con un'alzata di
spalle. -Per
questo voglio che tu lo ascoltassi, potresti aiutarlo!-
-Mi
garantisci che non sia un idiota? Ha almeno cambiato la voce?-
ridacchiò lui,
facendo allusioni al periodo di pubertà attraverso cui la
figlia e amici erano
passati da poco.
Lei
gli rivolse un'occhiata infastidita, che diceva tutto. -Per la cronaca,
è più
grande di me ed è proprio la sua voce che mi ha colpita!-
-Mh,
ok di solito tu ci prendi quando si tratta di doti canore.- ammise il
padre,
facendole segno di avviarsi verso il parcheggio sotterraneo dove aveva
lasciato
la macchina.
-Sì
pa', fidati. E' un artista.- e gli occhi con cui lo disse lo convinsero
al
100%.
Quando
entrarono nel parcheggio e lui si accinse a pagare, lei fece un paio di
calcoli. -Ma sei venuto fino a qua in macchina?- gli chiese stupita.
C'erano
almeno 6 ore di distanza tra casa sua e casa di lei.
-No,
l'ho noleggiata in aeroporto come al solito.- mentì rapido,
pagando e scendendo
le scale.
Lei
lo seguì, guardandosi intorno.
-Oggi
si festeggia il tuo compleanno...- aggiunse, camminando davanti a lei.
-Quindi,
buon compleannoooo!!- esclamò, indicandole una macchina
davanti a lui.
Il
cuore le si fermò in gola mentre rimase a bocca aperta. Era
piccolina, nera con
dettagli rosa e tanti fiocchetti rosa incollati sul vetro e sul cofano.
Kimberly
pensò che fosse la cosa più bella che avesse mai
visto, probabilmente data dal
fatto che era solo sua.
-Stai
scherzando?!- domandò correndo verso quella meraviglia e
rigirandosela tutta.
-E'
una Citroen C1, in Francia è molto conosciuta. Qui si usano
più fuori strada,
quindi questa sarà pressoché unica nel suo
genere. E' di seconda mano, così se
la picchi via non ti sentirai troppo in colpa e ho fatto cambiare certi
dettagli che erano ormai consumati, come tappetini e tergicristalli..
ma in sé
era tenuta
abbastanza bene.- disse, ma lei quasi non lo ascoltava.
Era
in estasi, non aveva neanche la patente ma già una
macchina.. Bel tentativo da
parte sua di farla intestardire sulla patente. Quando le porse le
chiavi, si
fiondò ad aprirla per controllare gli interni, in classica
pelle chiara.
Era
davvero bellissima e Kim si sentiva entusiasta. -Domani facciamo un po'
di
guide, ok?- le propose avvicinandosi.
La
ragazza con la stessa espressione da ormai 5 minuti, lo
abbracciò di slancio,
ringraziandolo ancora e ancora. Rischiava una paresi facciale da tanto
sorrideva.
Il
resto del pomeriggio ne approfittarono per andare al cinema e passare
un po' di
tempo insieme a chiaccherare e per cena, lui sarebbe stato a casa sua.
Quando
arrivarono Lilian li accolse con un sorriso, e Kimberly vi lesse subito
che
sapeva perfettamente del suo regalo, ma non aveva mai lasciato
trapelare
niente. Quella donna quando voleva diventava una tomba.
-Ciao
Lilian.- la salutò Max cordialmente, saluto che
ricambiò con due baci sulle
guance, saluti di diplomazia, alquanto imbarazzati, non degni di due
persone
che una volta si sono amate al punto da mettere al mondo un bambino.
Strana
ogni tanto la vita; ogni volta che li vedeva insieme Kim, si chiedeva
sempre
che cosa ci avessero trovato l'uno nell'altra, dato che avevano
decisamente
poco in comune, a prenderli separatamente.
James
e Gaya erano andati a trovare dei parenti quella sera, quindi sarebbero
stati
solo loro tre, il che emozionò profondamente Kimberly.
Era
stata un'idea di sua madre, James non era esattamente entusiasta, ma
gli
effettivi genitori ritenevano che sarebbe stato un gran bel regalo per
la
figlia.
Effettivamente
c'avevano preso. Per quanto si sforzasse, Kim, non riusciva
assolutamente a
ricordare il periodo in cui i suoi erano insieme, in cui lei aveva
avuto una
vera famiglia. Era troppo piccola, ma un ricordo di quel genere le
avrebbe
risparmiato molta pena per parecchio tempo.
Per
quanto James le piacesse, quando era più giovane, non
riusciva a non desiderare
ogni notte che i suoi tornassero insieme, che formassero una famiglia
normale,
che suo padre tornasse a casa ogni sera e che potesse vedere da cosa
fosse
venuta fuori.
Spesso
si sentiva senza origini, dato che l'amore da cui era nata, non c'era
più. Per
un bambino non c'è niente di più destabilizzante
e difficile da accettare.
Ed
ora, loro le stavano facendo il regalo più bello che potesse
aver mai
desiderato.
Vederli
in cucina a parlare normalmente, mentre sua madre preparava i piatti e
lui
spiluccava con le dita alcuni pomodorini, congratulandosi per
l'eccezionale
cuoca che era, le pareva talmente surreale ma al contempo talmente
fantastico
da farla commuovere in silenzio.
Sedersi
a tavola solo loro tre a cenare, tra chiacchiere e risate, la fece
sentire al
settimo cielo e, ne era certa, non li avrebbe mai ringraziati
abbastanza per
quello
che stavano facendo, sapendo quanto effettivamente costasse loro.
Perché
un po' d'imbarazzo si coglieva, le frasi ogni tanto apparivano
sconnesse, e gli
sguardi parevano impacciati e non si soffermavano per più di
tot secondi.
Solo
allora Kimberly realizzò che, dopo tutto, era sicuramente
meglio così, loro non
si appartenevano e probabilmente era proprio la distanza a rendere il
rapporto
con suo padre tanto speciale.
Però
quel momento non l'avrebbe scambiato con nient'altro, nemmeno per tutto
l'oro
del mondo.
All
I wanted was you.
Note
finali: AAAAALLLLEEEEEEEEEEE'!!!
Come si dice "chi non muore si rivede" e io non faccio che confermare
questa regola, fuck yeah.
Lo so lo so lo so che è stata una mega assenza la mia
(almeno credo, era ancora marzo quando ho postato l'ultima volta?) e mi
dispiace non sono scomparsa perchè ero
morta/depressa/stronza, ma ho avuto il mio grandissimo da fare e sono
contenta di annunciarvi che una nuova era della mia vita sta
cominciando :D
Non vi annoierò con dettagli futili, e passiamo al piccante
della questione: il capitolo!
Mi rendo conto che fa abbastanza cagare, immagino le vostre espressioni
affamate dopo esservi succhiate in un batter d'occhio queste ben 3
pagine e mezzo di Word e arrivate in fondo avrete alzato un
sopracciglio della seria "ma
che, davero?" e purtroppo devo rispondere di
sì, non lo ricordavo neanche io così corto,
è stato un puro caso che io sia mancata proprio prima di un
capitolo così deludente!
Ma
cerchiamo di rianimarlo noi, no??
Allora, il topic di oggi è: quali sono stati i momenti
più belli della vostra vita? Ve li ricordate? Descrivetemeli
orsù :)
La canzone è All
I wanted dei Paramore, canzone indescrivibile, una di
quelle che ti entrano dentro un minuto e ci restano per i 4 mesi
seguenti. Ho passato non so quanto tempo a cantare questa canzone! So
che è un pò triste, ma se la si ascolta bene
secondo me è in tono con i capitolo :)
Potrei seguirti al
principio
e rivivere l'inizio
Poi magari ci ricorderemo
di rallentare
ad ogni nostra parte
preferita.
Tutto quello che volevo
eri tu.
Ok, bando le ciance, credo di avervi annoiate più che a
sufficienza :) ma dato che il capitolo era un pò
così, non volevo che le note finali fossero altrettanto
deludenti ahahah.
chiedo venia, e ricordatevi di lasciarmi i vostri momenti migliori, se
proprio non riuscite a commentare questa sottospecie di capitolo. Non
abbiate paura di dilungarvi, mi piace molto quello che mi scrivete e
nel caso in cui non volete che cazzoneso li legga o avete qualche
remora in più di me nello sputtanarvi allegramente nel web
(ahahah), rispondetemi pure in privato :)
LOTSOFLOVE.
|
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Capitolo 52 *** Capitolo 52. ***
Capitolo
52.
La
serata passò molto alla svelta, forse anche
perché la cena si era tenuta molto
presto, quindi arrivati intorno alle 20, già avevano
terminato anche di
sparecchiare e pulire.
-E'
meglio che vada..- sbadigliò Max, guardando sua figlia, la
quale si sentiva
ancora stranita dalla sua presenza in quella casa che apparteneva a
qualcun
altro. -Il viaggio mi ha sfiancato.-
-Ok,
tranquillo.- sorrise lei di rimando. -Ci vediamo domani, tanto!-
-Certo,
ti chiamo quando mi sveglio e ti raggiungo con tutta la calma.- disse
il padre
avviandosi verso la porta, accompagnato sia da Kim che da Lilian.
Si
augurarono la buona notte e lo guardarono andare via.
In
seguito Kimberly controllò il cellulare, che presentava
ancora dei messaggi di
auguri, pochi, ma continuavano a indurla a domandarsi quanta gente
effettivamente conoscesse.
Mancava
solo una persona all'appello, cosa che l'aveva innervosita parecchio:
Joseph,
il suo migliore amico non si era presentato neanche a scuola.
E
sarà stata anche una sciocchezza, ma nel giorno
così importante che lui non si
facesse minimente vivo la infastidiva.
Era
tutto il giorno che ci pensava, e non riusciva a capire che diavolo
avesse in
mente. Magari era stato male e non era riuscito a venire e continuava a
non
scriverle perché ci teneva a farglieli di persona.
Non
importava, lo avrebbe massacrato se entro la mezzanotte non si fosse
fatto
vivo.
Scrisse
velocemente a Jared per avvisarlo che era libera e che poteva venire a
prenderla
quando voleva, per poi cominciare a prepararsi.
Era
emozionata all'idea di dargli la notizia che il giorno dopo gli avrebbe
presentato suo padre. Questo avrebbe potuto aiutarlo, gli avrebbe fatto
realizzare i suoi sogni, l'avrebbe reso qualcuno. Se lo sentiva,
avrebbe fatto
il possibile perchè accadesse.
Proprio
mentre si stava mettendo un po' di mascara sulle ciglia,
sentì il telefono
suonare e si voltò rapidamente esclamando tra sé
e sé -Questo sì che si chiama
tempismo!-
Ma
quando vide che il mittente era Joe rimase di stucco e per un paio di
secondi
stette immobile, appesa in quello stato di indecisione che andava dal
non
rispondergli o il rispondergli con voce scorbutica.
Ma
in definitiva si stava facendo sentire, no? E poi era un giornata
troppo bella
per essere arrabbiati.
-Pronto?-
nonostante i buoni propositi, la sua voce non aveva mascherato proprio
bene il
“non essere arrabbiata”.
-Dove
sei?- chiese la sua voce tipicamente nasale.
-In
casa, dove vuoi che sia?- rispose abbastanza brusca Kimberly.
-Allora
affacciati.- e fu la decisione nel tono che le fece subito cambiare
l'umore.
Scese rapidamente le scale ed entrò nella camera di sua
sorella, che dava
direttamente sulla strada.
Davanti
al cancello d'ingresso infatti c'era Joe che si guardava in giro, tra
le mani
teneva una rosa rossa.
Non
era mai stato a casa sua e non era neanche sicura di avergli mai detto
la sua
via né di avergli mostrato la strada per arrivarci, ma ce
l'aveva fatta, a modo
suo, aveva contribuito a renderle questo giorno speciale.
Si
fece il resto delle rampe di scale rimanenti nel giro di pochi secondi,
e senza
mettersi nulla di caldo addosso, andò incontro al suo amico.
-Come
cavolo ci sei arrivato qui?- chiese con un tono allegro ma vagamente
confuso.
-Ehm..
buon compleanno.- le sorrise, ignorando completamente la domanda, e
donandole
quella rosa a cui era attaccata una lettera.
-Grazie.-
rispose, leggermente commossa e a disagio. Era una situazione davvero
imbarazzante e optò per deviare l’attenzione su
altro.
-Non
sai quanto mi hai fatta arrabbiare oggi, cretino!- esclamò
poco dopo, dandogli
un colpetto sullo sterno.
Lui
si piegò emettendo un gemito di dolore, anche se ovvio che
fosse un po'
forzato. Più che la forza, lei utilizzava la tecnica e
riusciva sempre a
beccare un punto imprecisato nei dinorni dello stomaco.
-Ecco,
lo sapevo che mi avresti menato!- brontolò lui. -Ma ti pare
che non ti avrei
fatto gli auguri?
Anche
se mi fossi trovato sul letto di morte, avrei fatto il possibile per
venire.-
chiarì guardando altrove.
-Bastava
anche solo un messaggio, non dovevi farti i kilometri, comunque..-
bisbigliò
timida Kim, osservando la rosa.
Era
proprio bella, grossa e piena, il profumo la faceva impazzire.
Le
rose vogliono sempre dire qualcosa di buono.
-Ne
vale la pena, Kimberly.- sospirò il suo amico, infilando le
mani in tasca e
facendo un passo avanti.
L’imbarazzo
crebbe inevitabilmente dentro di lei, si sentiva a disagio con Joe che
la
fissava in quel modo inequivocabile, e distrattamente si chiese anche
quante
altre volte doveva averla palesemente fissata così senza che
lei lo
metabolizzasse fino a capire cosa ci fosse realmente dietro.
Sapeva
che non era il momento più opportuno, ma ci teneva a
chiarire la questione,
dato che non se la sentiva di aprire la lettera immaginando che fosse
una
dichiarazione aperta.
-Joe,
vorrei farti una domanda..- disse poi, guardandolo. Lui la osservava di
rimando,
intensamente.
-Ti
ascolto..- e non si sa come, ma Kim aveva la sensazione che
più o meno lui
avesse capito l'argomento.
-Ma
tu.. cioè, io.. oddio, non so come dirlo.- sbuffò
chiudendo gli occhi per un
secondo. Il ragazzo la guardava con una smorfia che sfociava nel
diverito,
vista la
sua evidente difficoltà.
-Insomma,
io ti piaccio?- domandò infine, con il terrore di guardarlo
in faccia.
La
risposta le arrivò secca e diretta, come quando si risponde
alla domanda più
ovvia del mondo.
-Certo.
Non lo sapevi?-
-Ehm,
no. Mai sospettato.- confessò, probabilmente imbarazzata
all'estremo.
-Ma
tu ovviamente..- cominciò a dire lui, cercando negli occhi
di Kim una scintilla
che lo facesse fermare.
-No,
Joe, mi dispiace.- fece lei scuotendo la testa, desolata.
-Posso
sapere perchè?- ma nella sua voce non c'era disperazione o
tristezza, al che
Kim si sentì sollevata e sorrise nel pensare a come
rispondere decentemente
alla domanda.
-Siamo
troppo amici e prima di perdere un amico come te, Joseph, mi staccherei
una
gamba a morsi.- ammise.
-E..
c'è un altro, vero?- da come lo chiese, Kimberly
capì che sarebbe stato davvero
stupido negare, dato che più che una domanda sembrava
un'affermazione, talmente
sicura da sapere anche con chi.
Annuì
debolmente, deviando lo sguardo.
-Posso
chiederti quanti anni ha?- indagò il ragazzo, con uno
sguardo che le fece
chiaramente intendere che non serviva neppure rispondere.
-L'hai
capito..- commentò tra sé e sé, non
trovando il coraggio di alzare lo sguardo. Le
guance divamparono in un incendio colpevole.
-Probabilmente
l'ho sempre saputo, solo che non riuscivo ad accettarlo.-
Lei
sospirò. -Senti, è troppo presuntuoso chiederti
di non dire niente a nessuno?-
-Non
puoi immaginare quanto questa situazione mi disgusti, Kimberly. Tu sei
così
giovane, e lui è solamente un depravato! Non riesco a capire
come tu sia così
cieca e cocciuta!-
-Cieca?-
le sembrava un termine troppo forzato e a dirla tutta, come se lui
potesse conoscerlo
meglio di lei! In queste situazioni si usava un aggettivo simile
quando la
ragazza non si rendeva conto che il partner la stava tradendo o usando.
Ed
era certissima che Jared non fosse immischiato in nessuna della due
cose.
-Sì,
cieca per capire che lui non è giusto per te. Che ci
sarebbero altre mille
persone che potrebbero renderti felice, mentre tu invece vai a ficcarti
in
queste situazioni assurde!- sembrava abbastanza alterato, infatti il
suo tono
era mutato.
Ecco
a cosa si riferiva. Spontaneamente le scappò una smorfia
incredula. –E tu
saresti una di queste, eh?- domandò non riuscendo a
controllare il suo
fastidio; ma se ne pentì subito.
Sembrava
un animale rabbioso, non l'aveva mai visto davvero irato e la cosa la
spaventava un pochino.
Dopo
la risposta secca che aveva dato, lo vide stringere entrambi i pugni
con
talmente tanta intensità da fargli vibrare le braccia.
Poteva distinguere le
vene verdastre sui dorsi delle mani, gonfiarsi sempre di più.
Sicuramente
insultarlo o urlare a sua volta non sarebbe stata una buona idea,
quindi non le
restava che fare leva sulla comprensione del ragazzo, cercando di
essere il più
sincera possibile e facendogli capire cosa provava.
-Scusami,
non intendevo offenderti. So che tu saresti una bellissima soluzione
per me..
purtroppo però, Joe, lui mi rende felice. Capisco che ti
venga difficile
crederlo, e forse è davvero bizzarra come situazione, ma
è l'unica cosa di cui
sono certa. Io voglio stare con lui.- più chiaro di
così non poteva dirglielo.
A
quel punto gli occhi di Joseph non erano più puntati nei
suoi, bensì guardavano
in un punto fisso dietro di lei, con talmente tanta concentrazione da
costringerla a voltarsi a sua volta.
A
pochi metri da loro, c'era la macchina nera di Jared parcheggiata.
Subito
Kim portò gli occhi sul volto dell'amico, emanando una
speranza evidente.
-Tranquilla.-
disse lui senza distogliere gli occhi dal conducente dell'auto che,
anche se
nella notte non si vedeva, era ovvio stesse facendo la stessa cosa.
-Sebbene
non condivida, io voglio solo la tua felicità.. e se
è lui la tua scelta, la
rispetto.- c'era disprezzo nei suoi occhi, ma per lo meno le aveva
garantito
che
non avrebbe rovinato tutto.
In
uno slancio di gratitudine, si levò sulle punte e gli
strinse le braccia
attorno al collo. Lui ricambiò facendola sentire avvolta
dalle lunghe e forti
braccia, che sembravano uno scudo di calore. Poi sollevò la
testa e,
stampandogli un bacio casto sulle labbra, lo salutò. -Grazie
di tutto Joe,
anche per la sorpresa.- gli sorrise, e poi si diresse verso l'auto.
Quando
vi entrò sapeva che avrebbe dovuto affrontare un altro
animale rabbioso.
-Ciao,
Jared.-
-Che
cosa ci fa lui qui?- appunto.
-E'
passato a portarmi il regalo.- spiegò poggiando la rosa e la
lettera sul
cruscotto. -E sì, sa chi c'è in macchina con me.-
La
tensione era totalmente espressa nel modo in cui il professore serrava
la
mascella.
Nel
frattempo Joe si era finalmente deciso ad andarsene, entrambi lo
fissarono
mentre saliva a bordo dell’utilitaria grigia parcheggiata
davanti al cancello
di casa di Kimberly e mettere in moto per andare via. Probabilmente era
la
macchina dei suoi genitori, le sembrava troppo grande e troppo vecchia
perché
l’avesse
scelta l’amico.
-Ti
vuoi rilassare?- esclamò scocciata Kim notando che il
professore non aveva
mosso un muscolo per tutto il tempo. -Sarà una tomba, non
devi sempre irrigidirti
così! Ci sono persone che sanno farsi gli affari loro.-
Lo
sentì sospirare. -Lo spero per lui, perché se no
fidati, sarà lui a finire dentro
una tomba.- commentò, voltandosi verso di lei dandole un
bacio, per poi
partire.
Nel
tragitto, dato che Jared era molto silenzioso, Kim ne
approfittò per leggere la
lettera di Joseph.
Probabilmente
il professore lo faceva apposta, aveva capito che lei non stava nella
pelle per
aprire la busta. Era un aspetto molto gradevole dell'uomo: sapeva
esattamente
che c'erano dei momenti in cui stare zitti, spesso le parole risultano
solo
molto fastidiose.
Sua
nonna avrebbe dovuto apprendere questa lezione ad esempio. Solitamente,
forse
per la tensione che sentiva addosso, si autoproclamava la regina delle
conversazioni e non riuscivi a farla smettere neppure rispondendo a
monosillabi
o dicendoglielo chiaramente.
Kimberly
allungò una mano ed afferrò la busta, la
aprì e prima della lettera le finì in
mano un piccolo ciondolo a forma di tribale nero.
Confusa
di cosa si trattasse, estrasse il foglio a quadretti ripiegato in 4,
strappato
palesemente da un quaderno e cominciò a leggere il
contenuto, scritta
rigorosamente a mano.. infatti in quella calligrafia disordinata e
disarticolata vi riconobbe lo stile di Joe. Solo lui al posto del punto
a fine
frase metteva sempre tre puntini di sospensione.
“Hola,
Da
quest'anno si cambia! Sono solito a
scriverti messaggi sdolcinati il giorno del tuo compleanno, ma dato che
non sai
apprezzarli, in questa lettera scriverò solamente insulti.
Sei
stupida, scema, idiota, puzzolente, mi
fai schifo, mi stai sulle palle... ok, meglio che mi fermi dato che
questa
lettera la leggerai mentre io sarò lì e a casa
voglio tornarci tutto intero.
Caspita
oggi compi 18 anni! Finalmente sei
grande, gioia! Allegria! Felicità!
Sei
una donna... no detto a te sembra
strano (ok, davvero la smetto ahaha)
Mi
ricordo quando mi hai detto che le
lettere scritte a mano ti mancano, perchè avevano qualcosa
ti terribilmente
romantico che ormai è stato usurpato e distrutto dai
cellulari…e quindi eccomi
qua…
Lo so
che nonostante i buoni propositi di
insultarti e basta, questa lettera vorrei che tu la tenessi, quindi ora
passiamo alla parte delicata.
Tu sei
una grande amica, mi sopporti, mi
ascolti e mi sei sempre stata accanto quindi ti faccio un piccolo
regalo per
ringraziarti.
A
parte la rosa, dentro la busta troverai
un ciondolo che possiedo da quando avevo 5 anni, e non dico che sia
magico o
cosa, ma da quando ce l'ho mi accadono cose belle…
È
il mio portafortuna personale e, credici
o no, quando ti ho conosciuta l'avevo attaccato al
portachiavi…e ok, è stupido,
però voglio che sia tu a tenerlo perchè tu sei
una delle cose più belle che mi
siano mai capitate, non so chi devo ringraziare per la fortuna che ho
avuto a
conoscerti, ma appena lo trovo gli faccio una statua!
Quindi
ora è tuo, e ti auguro che porti
fortuna come l'ha portato a me…
Auguri
♥ ti voglio bene.
Joe”
Per
tutta la lettura Kimberly sorrise come una scema, ma non poteva farne a
meno..
era sinceramente uno dei più belli regali che avesse mai
ricevuto e quel
ciondolo non sarebbe stato niente in confronto alle parole scritte su
quel
pezzo di carta.
Mordendosi
il labbro inferiore pensierosa, rimise al suo posto il foglio a
quadretti e
poggiò la busta accanto alla rosa.
-Ti
è piaciuta?- le chiese la voce calda alla sua sinistra.
-Sì.-
rispose con un sussurro, che bastò a fargli intendere che
sta volta il ragazzo
si era davvero dato da fare.
-Ok..
allora spero ti piaccia anche quello che ho preparato io per te.-
mormorò
slacciandosi la cintura e uscendo dalla macchina.
Lei
in un lampò uscì dalla macchina e lo raggiunse,
il quale intrecciò la mano
nella sua e la condusse dentro l'ascensore.
-Ma
Jared, il ritratto è stato già un regalo
meraviglioso, non dovevi disturbarti
oltre!- disse contrariata, ma non nascondendo il filo di eccitazione
che
traspariva dal suo volto.
Lui
l'attirò a sé e le lasciò un bacio a
fior di labbra, e, non appena la porta
dell'ascensore si aprì la trascinò davanti
all'ingresso dell'appartamento.
-Ora
chiudi gli occhi..- sussurrò posizionandosi alle sue spalle
e guidandola
all'interno.
Sentendo
il cuore in gola, la ragazza ubbidì non riuscendo a spegnere
il sorriso che le
era divampato in volto.
Percepì
le mani dell'uomo avvolgerla all'altezza della vita e fare leggermente
pressione per condurla dove voleva lui.
Arrivati
in una stanza, la fece sedere su una poltrona. -Ma.. Jared, siamo nel
tuo
studio?- chiese lei, riconoscendo il tessuto della sedia che lui
utilizzava
sempre davanti al computer.
-Ancora
un attimo, mantienili chiusi.- le ripeté agitato.
Lo
sentì premere qualche tasto e il continuo click del mouse la
indusse quasi ad
aprire gli occhi. Ma poi... sentì una voce che fece fatica a
ricondurre ad un
volto, e nonostante questo si rese conto di sorridere senza volerlo.
Era
di una ragazza che intonava una nenia in una lingua che non riusciva a
riconoscere, ma che si rifaceva chiaramente a “happy bday to
you”.
Il
suo cervello lavorò ad una velocità supersonica
in quel lasso di tempo, facendo
passare nella mente le innagini dei volti di tutte le persone che
conosceva e
che potevano parlare una lingua così strana. Che lingua era
poi? Cinese? Arabo?
Russo? Italiano? Francese?
-Ok,
puoi aprire gli occhi.- mormorò all'altezza del suo orecchio
Jared e lei non se
lo fece ripetere due volte.
Nello
schermo vide un volto che non poteva non riconoscere.
Si
trattava di Ingrid, la sua migliore amica partita per il Sud America
per il
programma dell’anno di studio all'estero.
Era
spagnolo la lingua che non riusciva a riconoscere.
-Hola
querida!- dissero quelle labbra, e Kimberly era talmente senza parole
che non
riusciva nemmeno a respirare.
In
uno spasmo di gioia guardò Jared che la fissava sorridente
di rimando, poi di
nuovo la sua amica ed esplose in un pianto incontenibile.
Note
finali: Eccoci con un nuovo capitolo. Questo è
stato un altro ultimo capitolo per un botto di tempo, non sapevo
più che cazzo scrivere e come scriverlo.
Purtroppo devo avvisarvi che mi sta succedendo anche ora :( spero sia
dovuto al fatto che ho altre cose a cui pensare e ogni volta che penso
a scrivere ho stra voglia, mi piazzo lì davanti e mi sento
INCAPACE di produrre qualcosa e inoltre si aggiunge uno spropositato
senso di colpa che mi ricorda dello studio, dei panni da lavare o delle
altre 200 cose che potrei fare al posto di perdere tempo davanti al
black mirror.
Maledetto Super-Io.
Ma non pensiamo cose negative soprattutto dopo un capitolo
così gioioso!!! Cosa ne pensate? Di Joe? Della reazione alla
relazione col professore? Sarà sincero o no? E la lettera
che ve ne pare? E la sorpresa di Jared è tenera o no?
Oooohr io mi sarei sciolta in un brodo di giggiole (cosa che ho
realmente fatto ahaha).
La canzone non sapevo proprio che cacchio mettere, ho fatto passare i
1600 brani sull'ipod e non ne sono venuta a una quindi fuck anche alla
canzone, mi sebrava un capitolo carino anche così. Scritto
un pò di merda, ma il contenuto è tenero :)
Ok, è tutto vorrei chiedervi di raccontarmi se a voi sono
mai successe cose simili ma non vorrei sembrare troppo impicciona.
Mi raccomando fatemi sentire amata e lasciatemi qualche pensierino!!
Anche negativo se necessario :)
Baci baciotti
|
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Capitolo 53 *** Capitolo 53. ***
Capitolo
53.
Le pido
al cielo, solo un deseo
Que in tus ojos yo pueda vivir
He recorrido ya el mundo entero
Y una cosa te vengo a decir :
Nonostante
il moto di commozione che tentava di storpiare il volto della giovane,
Kimberly
si costrinse a mantere gli occhi aperti, non sapendo per quanto le
sarebbe
stato concesso guardare Ingrid dritta in faccia, dopo ormai 7/8 mesi.
-Ingrid!!-
esclamò portandosi le mani davanti alla bocca per la
sorpresa.
La
ricciolina dall’altra parte dello schermo sorrideva quasi
rischiando una paresi
facciale. –Kim!! Come ci si sente ad essere maggiorenni?- le
domandò cercando
di creare una conversazione.
Intanto
Kim intravide Jared uscire con discrezione dalla stanza, in modo da
permettere
loro di avere un po’ di privacy.
Avrebbe
tanto voluto fermarlo e condividere questo momento con lui, ma capiva
il suo
disagio ed era giusto che lei si godesse questo momento tanto prezioso.
-Per
ora procede tutto alla perfezione. Tu sei la ciliegina sulla torta.-
rispose di
riamando. –A te come prosegue nel sud? Perché non
siamo mai riuscite a
contattarci?- le chiese poi, con un briciolo di rancore.
Ancora
si ricordava le ore passate davanti ad una mail, scrivendola
più volte in modo
da correggere i toni che potevano essere fraintesi ma pur sempre
cercando di
mantenere quell’umanità e unicità che
Ingrid avrebbe trovato in Kimberly, se si
fossero parlate face-to-face.
Tutte
queste e-mail però erano risultate vane, in quanto Ingrid
non le aveva mai
risposto.
-E’
vero Kim, mi spiace
tanto ma ho avuto
seri problemi di connessione, ho addirittura dovuto cambiare i miei
indirizzi
di posta elettronica perdendo tutti quelli che avevo salvato..insomma
un
casino.
Non
ho scuse dato che avrei potuto trovare mille modi per contattarti ma
non ho mai
avuto modo, perdonami.- le spiegò mortificata.
Kimberly
sospirò alzando le spalle, non le andava di discutere per un
motivo simile
rovinandole quindi l’esperienza.
L’importante
era che si stesse divertendo e solitamente quando non ti fai molto
sentire,
anche in vacanza, il motivo di fondo è che obiettivamente di
stai divertendo
troppo per pensare a farti vivo con i parenti e conoscenti a casa.
-Non
fa niente, basta che adesso mi dai l’indirizzo nuovo e
possiamo sentirci per i
prossimi mesi.- sorrise, portandosi dietro l’orecchio una
ciocca sbarazzina.
–Sono molto contenta di vedere che stai bene.-
-Anch’io.
Ti trovo bene. Sarà grazie a quell’ometto dagli
occhi azzurri?- chiese Ingrid
con fare malizioso.
Kim
scoppiò a ridere. Questo genere di battute era tipico
dell’amica. Faceva
battute penose a pensarci bene, ma le mancavano davvero tanto.
-“quell’ometto”
come l’hai definito tu, cara Ingrid, è il mio
nonché tuo professore di musica.-
le annunciò, aspettandosi la reazione drammatica tipica
dell’altra, che
infatti, non tardò ad arrivare.
-Cosa?!
Credo ci siano state delle interferenze Kimberly, mi è
sembrato di capire che
TU TE LA STESSI FACENDO CON IL NOSTRO PROF.
DI MUSICA!- era chiaramente scioccata.
-Gioia
mia, se avessi cagato le mie mail avresti saputo tutto
nell’immediato!- la
rimproverò Kim con aria di sufficienza.
-Tu
sei pazza! Ma come? Quando? Perché?- continuò nel
suo raving l’amica in diretta
dal Sud America.
-E’...
semplicemente successo Ingrid. Piano, piano ci siamo avvicinati fino a
renderci
conto che separati non funzionavamo più.- spiegò
brevemente Kimberly, alzando
le spalle con un’aria tra l’imbarazzato e
l’emozionato.
Percepire
come le batteva il cuore nel petto le fece capire quanto quello che
aveva detto
fosse seriamente sentito.
-Cavoli..-
borbottò l’altra imbronciata. –Sembra tu
ti stia divertendo molto senza di me.-
commentò, poi spalancò gli occhi come spiritata.
–Ma non lo sanno a scuola
giusto? Sarebbe licenziato all’istante!-
Kim
scosse energicamente la testa. –No, l’hanno
scoperto solo Gwen e Joe. - le
confessò, pronta per dirle i dettagli che aveva tralasciato.
–Tra l’altro ha 20
anni più di noi.- lanciò la frase
all’amica e poi chiuse gli occhi presa dal
panico, come se l’altra potesse darle uno scappellotto.
Il
troppo silenzio però le fece aprire gli occhi, confusa.
Ingrid
era immobile, con un sopracciglio sollevato. –Stai
scherzando, vero?-
-No.-
affermò Kimberly mordendosi il labbro inferiore.
–Sono serissima.-
-Va
beh, va beh, l’amore non ha età!-
esclamò Ingrid, sorprendendola completamente.
Kim
sapeva quanto l’amica fosse libertina e di quanto in
realtà lei si stesse
preoccupando per niente a confidarle questi segreti.
La
lontananza però sembrava averla resa più
spensierata del solito.
-Ingrid,
c’è qualcosa che hai combinato da farti apparire
così tranquilla?- le domandò
con fare circospetto come se fosse a conoscenza che la risposta fosse
affermativa.
-Diciamo
che mi sto divertendo.- asserì l’amica, con un
sorriso che Kimberly conosceva
fin troppo bene.
-Sei
incorreggibile.- mormorò tra lo sconvolto e il cinico.
–Quanti?- le chiese
immaginando la quantità.
-Per
ora 20.- rispose con soddisfazione, alche Kim sgranò gli
occhi e la mandibola
le cadde senza ritegno.
-COME?
Poi sono io la disgraziata.- commentò acida.
Ingrid
era una vera e propria mangia uomini. Saranno stati i suoi occhioni
azzurri ed
espressivi, ma tutti i ragazzi rimanevano scottati in un certo senso
dalla
ragazza.
Dentro
di sé Kim ringraziò il cielo che Jared non
l’avesse mai conosciuta prima di
conoscere Kim, il paragone purtroppo per lei, non avrebbe retto.
-Eddai
Kimmy, capiscimi qua non c’è niente da fare.
E’ tutto verde. Ci sono pochi
negozi. La lingua però l’ho imparata molto bene!-
si vantò soddisfatta.
-Non
ne dubito.- borbottò Kimberly, disgustata. Quella in 8 mesi
aveva avuto più
ragazzi che lei in 18 anni di vita, contando anche i fidanzatini
dell’asilo.
Ingrid
scoppiò a ridere per la reazione della mora, reazione alla
quale Kim non riuscì
a resistere e cominciò a ridere a sua volta.
Cominciarono
a parlare di quello che si erano perse l’una
dell’altra, Kimberly l’aggiornava
degli ultimi gossip che si stava perdendo e Ingrid a sua volta le
raccontò
delle avventure e difficoltà che aveva dovuto affrontare in
quei mesi di
lontananza.
Kim
si sentì come non si sentiva da davvero molto tempo. Le
mancava così tanto la
sua amica e non passava giorno senza che le rivolgesse almeno un
pensiero,
sperando con tutta se stessa che si stesse divertendo, ma che non
vedesse l’ora
quanto lei di riabbracciarla.
-Adesso
devo andare.- sospirò Ingrid imbronciando le labbra
lasciando trasparire quanto
questo le dispiacesse.
Anche
a Kim dispiaceva, ma d’altro canto stavano strillando da
mezz’ora come delle
ochette e Jared probabilmente la stava aspettando.
A
pensare all’uomo, la ragazza sentì lo stomaco
balzarle in gola come sulle
montagne russe.
-Va
bene, fai la brava.- le sorrise affettuosamente Kim.
-Anche
tu. Ah Kim!- la richiamò poi, riportando
l’attenzione dell’amica su di sé.
–Sono molto contenta per te e Jared.- le disse poi, quando
Kimberly la guardò. –Cioè,
per Mr Leto. Ehm.- si corresse ammiccando.
-Grazie,
Ingrid.-
Si
salutarono e Kim cercò meglio che poteva di spegnere
quell’affare maledetto.
Uscì
dalla stanza per raggiungere Jared, il quale se ne stava sul divano con
un
bicchiere di coca-cola in mano e il cellulare nell’altra,
intento a battere il
suo record ad un gioco per passatempo.
Quando
si accorse della presenza della ragazza, le rivolse un sorriso
compiaciuto.
Lei
si fiondò tra le sue braccia e nell’abbracciarlo
gli ripeté infinite volte un
–Grazie.- che sapeva di pura riconoscenza.
-Ma
figurati.- rispose. –Speravo ti avrebbe resa felice avere sue
notizie il giorno
del tuo compleanno.-
Finalmente
lei si separò e portò gli occhi nei suoi.
–Come hai fatto?- gli chiese poi
contemplandone il colore intenso.
Quella
sera, forse per il clima un po’ uggioso o per le luci
offuscate della stanza,
sembravano tendenti al verde acqua.
-E’
stato facile.- rispose lui scrollando le spalle. –Sono andato
in aula
professori, mi sono informato su chi fosse la sua referente.. sapevi
avesse un
referente?- le domandò corrugando la fronte.
-No,
non so neanche cosa sia.- rispose lei aspettando la sua spiegazione.
-E’
uno dei nostri professori che le fa da tramite in modo da tenerla
aggiornata
sul programma scolastico e, certo, per assicurarsi che tutto proceda al
meglio.-
disse in breve.
-Oh.-
si lasciò sfuggire Kimberly nella sua delusione.
Rintracciarla sarebbe stato
più facile del previsto, aveva avuto poca fantasia.
-In
ogni caso, è la professoressa di scienze, se ti interessa
saperlo. Le ho
chiesto l’indirizzo con la scusa che una mia alunna la stava
cercando e l’ho
contattata su skype. Ta-dan.- concluse con un battito di mani.
-Io
non sono così tecnologica, non immaginavo neanche ci fosse
questo programma.-
si lagnò incrociando le braccia al petto.
Il
professore rise buttando all’indietro la testa, sconvolto da
quanto questa
ragazza potesse essere più primitiva di lui, con 20 anni in
meno.
Facendo
forza sulle gambe si sollevò in piedi trascinandola con lui,
la quale, grazie
alla spinta che le aveva dato, si trovò il busto coincidere
con quello
dell’uomo.
Jared
inclinò leggermente il capo e si avvicinò a lei,
congiungendo le labbra con le
sue. Kimberly presa dall’emozione derivante da quello slancio
di romanticismo,
gli circondò il collo con entrambe le braccia, stringendolo
a sé.
Lui
intanto portò le mani sui fianchi della ragazza, rendendo lo
spazio tra loro da
invisibile a nullo.
Kim
si separò delicatamente da quel bacio per guardare i
bellissimi occhi
dell’uomo. -Comunque grazie.- ripeté, la voce
colma di gratitudine. –Hai reso
questa giornata da eccellente a perfetta.-
-E
il meglio deve ancora venire.- rispose lui ammiccante, portando una
mano dietro
al collo di Kimberly per far sì che le due bocche si
ritrovassero.
Poi
la prese per mano e senza distogliere gli occhi dai suoi, andarono
insieme in
camera da letto.
viajé
de Bahrein hasta Beirut
fuí desde el norte hasta el polo
sur
y
no encontré ojos así
como
los que tienes tú
Note finali: Oggi
sono moooolto annoiata e incoerente come al solito nel frattempo non ho
oglia di fare un Kaiser, quindi mi porto avanti e chiudiamo la
carrellata di capitoli melensi sul compleanno di Kim
allèèèèèè.
Come
potete notare questo è stato il primo che ho scritto
quest'anno (esatto, i capitoli di riserva stanno per finire, teniamoci
forte) e credo si veda molto bene che non scrivevo da un botto
perchè è fatto male, machecazzocenefotteanoi
siamo nei capitoli di transizione prima del botto e tenetevi forte
perchè non oglio anticipare nulla, ma il prossimo capitolo
sarà l'ennesimo asso nella manica ;))
Bene,
evito aneddoti imbarazzanti e passo alla canzone, per la prima volta en
Espanol, muchachas!
E'
di Shakira credo si chiami Ojos asì e non lo so in tinta con l'America Latina mi sono
sbizzarrita in questa nuova prova.
Lo
chiedo al cielo, solo un desiderio
che possa vivere nei tuoi occhi
ho girato tutto il mondo
e vengo a virti una cosa:
Viaggiai
da Barhein fino a Beirut
sono stata dal nord fino al Polo sud
e non ho mai incontrato occhi così
come quelli che hai tu
Bueno, ho finito anche per oggi e spero che siate clementi al vostro
solito.
Adios bonitas ;)
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Capitolo 54 *** Capitolo 54. ***
Capitolo
54.
Shove me under
you again
I can't wait for this to end
Sober, empty in the head
I know I can never win
-Carino il tuo amico.-
Kimberly sentì questa
frase provenire dalla bocca amara del padre, con un tono decisamente
sarcastico.
-Peccato non sia qui.-
continuò nella sua lamentela.
La ragazza roteò gli
occhi con uno sbuffo spazientito. Voltò lo sguardo nella
direzione di suo papà,
il quale se ne stava con le braccia incrociate al petto, appoggiato
alla fontanella
di marmo sulla quale avevano pranzato insieme il giorno prima.
Si guardava intorno con
quel fare stizzito; labbra increspate in una smorfia annoiata e la
gamba
sinistra che non la smetteva di martellare contro il suolo.
Se fossero stati su una
superficie di gomma, al momento Kim starebbe tremando.
-E’ leggermente in
ritardo!- lo riprese, contrariata.
Pareva che al suo
vecchio non andasse di trovarsi lì.
Si guardò
l’orologio,
carica di agitazione. Non aveva mai presentato nessuno a suo padre,
questa novità
la rendeva non poco nervosa.
Dove si era cacciato
Jared?
La sera prima, quando
lei gli aveva comunicato la sua iniziativa riguardo a fargli conoscere
un
famoso produttore, nonché suo padre, il professore si era
istantaneamente
irrigidito.
Si trovavano nel letto
matrimoniale di lui; Jared era supino e fissava il soffitto in uno
stato quasi
di estasi, mentre la ragazza era poggiata sopra il suo petto,
lasciandosi
cullare dal dolce sali-scendi che esso compieva.
Sentiva battere il suo
cuore proprio sotto l’orecchio, un suono incredibilmente
rilassante.
Lui la circondava con
il braccio sinistro, con la cui mano le accarezzava il capo,
togliendole
qualche ciocca sbarazzina da davanti agli occhi e lasciandole un bacio
occasionale tra i capelli.
Non riusciva a staccare
gli occhi dal soffitto, era incantato in un torpore decisamente
piacevole.
Quando decise di dargli
la notizia si tirò su un gomito per guardarlo negli occhi.
Solo una notizia simile
gli avrebbe fatto distogliere lo sguardo insistente dal soffitto. Il
silenzio
che si creò fu a dir poco imbarazzante, silenzio che lui
interruppe con un
secco -Sei pazza?-
-Cosa c’è di
male?-
domandò lei stringendosi nelle spalle, in modo da farsi
più piccola.
Jared si era sollevato
su entrambi i gomiti, quello sguardo folle insisteva su di lei.
–Come ti è venuta in
mente una cosa simile?-
sembrava fuori di sé.
-Non capisco quale sia
il problema.- fece spallucce Kim, corrugando la fronte.
Di tutta risposta
ricevette un -Sei seria?- talmente
sentito che portò Jared dallo stare semi-disteso al seduto.
Il fatto che ora fosse
più alto di lei la mise in soggezione.
-Ti schiarisco le idee,
cara Kimberly.- fece lui con un sorrisetto forzato, ma quella follia
perennemente negli occhi. –Di che anno è tuo
padre?-
-Del ’69- rispose lei,
scrollando la testa.
-Perfetto, di che anno
sono io?- ribatté lui, sgranando più del dovuto
gli occhi.
-Oh.- fece lei di tutta
risposta, mordendosi forte il labbro inferiore. Come aveva fatto a non
rendersi
conto di quanto fosse un problema questo? –Pessima idea.
– si disse da sola.
-Ma per me è diventato
talmente normale che al momento non mi è nemmeno passato per
l’anticamera del
cervello che fosse una pazzia.- si difese subito, prima che lui potesse
iniziare ad inveire contro di lei.
L’uomo si
piegò su se
stesso in un rantolo contrariato. –E adesso?- la voce le
arrivò attutita dalle
mani, passando però attraverso le fessure delle dita.
-Non importa, Jared.-
gli disse portandogli una mano sulla spalla. Il contatto tra le sue
dita gelide
e la sua pelle accaldata –forse dallo schock- creò
un contrasto a cui Jared non
poté fare a meno di rabbrividire.
Di tutta risposta portò
gli occhi in quelli ingenui e innocenti, si fa per dire, della ragazza.
Lei vi lesse sarcasmo e
incredulità.
-Davvero?- rispose lui,
amareggiato.
-Certo, è inutile che
mi guardi così. È una mia scelta, e poi non ho
mai specificato che stessimo
insieme io e te. - spiegò, stringendosi il piumone al petto.
Il suo sguardo non era
mutato di una virgola, facendola sentire immediatamente in colpa della
falsità
appena detta.
-Davvero?- ripeté lui,
con lo stesso tono, solo leggermente più scettico.
-Siamo rovinati.- fece
lei, abbandonando le braccia tra le gambe incrociate. –Mi
spedirà in collegio e
ti denuncerà.- disse con la tragicità in gola.
-Va bene, non
esageriamo. Ormai sei maggiorenne, e basta non sappia che sono il tuo
professore. Almeno questo l’hai tenuto per te, vero?- le
chiese, un barlume di
speranza gli ravvivò la voce.
Lei annuì col capo,
incapace di guardarlo negli occhi.
Con un sospiro
rassegnato il professore si distese nuovamente, conscio del fatto che
quella
notte non avrebbe chiuso occhio.
Con il passare dei
minuti Kim si fece sempre più nervosa. Possibile non
l’avesse avvisata che non
sarebbe venuto?
Proprio quando sentì
Max prendere aria per continuare la sua lamentela, Kimberly lo
intravide in
lontananza.
Avrebbe riconosciuto
quella camminata tra un milione.
-Eccolo!- esclamò
frettolosa, andandogli incontro.
Suo padre rese gli
occhi già piccoli, due fessure, in modo da mettere a fuoco e
capire di chi
stesse parlando.
C’erano
all’incirca una
ventina di ragazzi che passeggiavano nella sua direzione; essendo
domenica, a
quell’ora del pomeriggio il sentierone del centro era colmo
per lo più di
adolescenti mano nella mano che passeggiavano guardando le vetrine, e
famigliole dirette alle giostre appena allestite in occasione
dell’arrivo della
primavera.
Quando però si rese
conto che la persona verso cui andava sua figlia non era un comune
ragazzo ma
un uomo un po’ più cresciutello, il volto si
contrasse in una smorfia rabbiosa.
Non c’erano dubbi fosse
lui, dal momento che si era appositamente fermato per salutarla e ora
camminavano fianco a fianco nella sua direzione.
Nel mentre si
avvicinavano però Max sentì una sensazione
terribile farsi strada dentro di
lui, partendo dallo stomaco e diramandosi in vari punti del suo corpo.
Trasalì in questa
sensazione che gli fece sgranare gli occhi e spalancare la bocca, gli
raggelò
le mani e gli fece percepire una scossa alla base della nuca per poi
scorrergli
lungo tutta la spina dorsale, la quale lo fece vibrare in uno spasmo.
Quell’uomo
stava sorridendo a sua figlia, con un calore particolare negli occhi.
La gola si seccò,
impedendogli di deglutire o emettere qualsiasi suono; le gambe erano
più
pesanti del solito e non riusciva nemmeno a sollevarle.
Lui
conosceva quell’uomo.
E fu proprio quando
quest’ultimo sollevò lo sguardo verso di lui che
riconobbe nei suoi occhi
esattamente la stessa espressione sconvolta, che lo fece fermare a 6
metri di
distanza.
Kimberly fece qualche
passo in più del dovuto, ma rendendosi conto che Jared non
stava più camminando
accanto a lei, si girò velocemente.
Il professore era
immobile dietro di lei, congelato, ibernato in una smorfia incredula.
-Jared?- lo chiamò
preoccupata, per poi voltarsi di scatto verso suo padre, sul cui volto
lesse la
medesima espressione colma d’incredulità.
Il professore si sfilò
lentamente gli occhiali da sole, gli occhi fissi in quelli
dell’uomo che si
trovava di fronte.
-Tu..- mimarono le sue
labbra, Kimberly vi lesse una smorfia di dolore.
Suo padre invece era ancora
contrito nella stessa espressione, la figlia vi lesse mortificazione.
Subito vide Jared
serrare la mandibola e percorrere il resto dello spazio con passi
grandi e
pesanti fino a trovarsi finalmente faccia a faccia con l’uomo
che, quasi 5 anni
prima, gli aveva portato via la donna che amava.
We
left this land of shiny lights
I wish I may, I wish I
might
When all these dreams
have come to end
You wish you were,
you're not my friend
Note finali:
Tatatataaaaaaaaaan!!! Tatatataaaaaaan!!! Ops questa sigletta l'ho usata
con il colpo di scena precedente..
Allora andiamo con gli archi UIII UII UIII UII (se non avete visto
psycho non potete capire e mi prenderete per scema, ma tranquille,
è tutto programmato)
Alloraaaa????? E' una sorpresa o c'avevate già pensato
voi??? Sono stata scaltra come una lince o state sbadigliando dalla
noia???
Mi rendo conto sia una situazione un pò surreale, ma ogni
tanto la vita stessa è surreale quindi ho detto why not e vi
ho scataffiato questa novità assoluta.
Avete dubbi, domande, quesiti? Cosa pensate succederà? Il
padre come prenderà questa relazione? E moooo'????
Sbizzarritevi ;)
Ps: si ho lasciato gli spazi per illudervi che il capitolo non fosse
così deludentemente breve XD Spero che il contenuto vinca
sulla lunghezza :)
La canzone è Wish
I may dei Breaking Benjamin, canzone che era nei titoli di
coda del film "Wrong turn" e che ho impiegato secoli per trovare (ero
tecnologica come un..un..un.. non mi viene un termine di paragone
appropriato, ma sappiate che ho speso inutilmente un fottio di soldi
con l'account iTunes per trovarla anni fa XD)
Sovrastami di nuovo
non vedo l'ora che finisca
Sobrio, vuoto nella testa
So che non
vincerò mai
Abbiamo lasciato questa
terra dalle luci scintillanti
Vorrei potere, vorrei
aver potuto
Quando tutti questi sogni
saranno giunti ad una fine
Vorresti essere, ma non
sei mio amico.
Non saprei, così incazzata ho pensato fosse
perfetta. Come se J si rivolgesse al suo ex amicone... bah, potete
anche non apprezzare non è questo il punto ahah.
Ok, io ho terminato, spero vi sia piaciuto e vi abbia prese in contro
piede e ovviamente fatemi sapere tutto quello che ne pensateeeeeeeee!!!
bisoux
|
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Capitolo 55 *** Capitolo 55. ***
Capitolo
55.
Cos
we lost it all
Nothing
lasts forever
Il
tempo sembrava
essersi completamente fermato, e Kimberly si riteneva ufficialmente
confusa.
I due uomini si
guardavano in un modo davvero strano, non riusciva neanche a
categorizzare le
loro espressioni essendo un misto tra lo scandalizzato, il confuso,
l’incredulo,
l’amareggiato, l’adirato, il rancoroso.. cercava di
leggere sui volti di
entrambi un segno, un indizio di quello che stava passando nelle loro
teste.
Con uno scatto
rabbioso, Jared si voltò verso Kim. –Avevi detto
che il tuo cognome era
Bloomwood.- le ringhiò contro.
-Cosa c’entra adesso il
mio cognome!- esclamò la ragazza, sussultando per
l’aggressività con cui le si
era rivolto.
-Perché mi hai
mentito?- le chiese, con la stessa furia.
-E’ la verità, ho il
cognome di mia madre!- rispose cercando di imitare lo stesso tono del
suo
interlocutore. Cosa gli prende? Pensò tra
sé e sé.
Era vero, da quanto ne
sapesse lei il motivo per cui non portava il nome di suo padre era dato
dal
fatto che lui fosse una personalità molto nota e i suoi
genitori avevano deciso
unanimemente che non volevano la figlia fosse coinvolta in un qualche
modo.
Era stata riconosciuta
da Max ed era legittimamente sua figlia, semplicemente non portava il
suo
stesso cognome.
-Jared.- pronunciò
finalmente suo padre. La voce aveva un che di ironico. –Ho
faticato a
riconoscerti, l’ultima volta che ti ho visto avevi
quell’assurda pettinatura
asimmetrica bionda.- si giustificò, le labbra piegate in una
smorfia
disgustata.
Kim era sicura di non
aver mai visto suo padre guardare una persona in quel modo. Come se si
stesse
trattenendo dal sfondargli il cranio contro il muretto di marmo della
fontana.
Il professore non poté
trattenersi dal sorridergli, ma non nel modo genuino e amorevole che
conosceva
Kim, quell’espressione si avvicinava più alla
desolazione, alla rassegnazione
dell’aver perso, ancora una volta.
Kimberly era convinta di
aver già visto quell’espressione sconsolata, ma le
cose stavano accadendo in
modo talmente repentino che non riusciva a ricongiungere la memoria
-Max Danes.. quanto
tempo.- disse infine Jared, gli occhi persi nei ricordi. –Ho
sempre pensato al
giorno in cui ci saremmo rincontrati, ma mai avrei immaginato un
contesto
simile.-
Suo padre sbuffò,
scuotendo incredulo il capo. –Sapevo che eri una persona
eccentrica, è per
questo che ho creduto tanto in te. Ma vendicarti con mia
figlia.- il modo in cui pronunciò le ultime parole
fece
sinceramente paura a Kim, la quale sgranò gli occhi e
portò lo sguardo attonito
sul professore.
-Jared.. di cosa sta
parlando?- chiese con voce spezzata la ragazza.
Lui vedendo come gli
occhi di lei si fossero rapidamente velati di lacrime, scosse
lievemente più
volte la testa e velocemente le circondò il volto con
entrambi i palmi aperti.
Lei sentiva i pollici forti
dell’uomo accarezzarle le guancie. –Non credergli
Kim, per favore non dargli
retta.- negli occhi limpidi vi lesse affanno e sincera paura.
-Kimberly, non
permettergli di toccarti.- ordinò poi suo padre con un tono
talmente brusco che
le fece automaticamente portare lo sguardo sul suo volto paonazzo.
Spaventata la ragazza
guardò un’altra volta Jared, come per trovarvi
sostegno.
-Lo sai che non ti
farei mai e poi mai del male.- continuò l’uomo di
fronte a lei, con quella voce
vellutata e rassicurante. –Lo sai.- ripeté in un
bisbiglio.
Per un secondo si
ricordò quando il suo professore di filosofia, in una delle
solite divagazioni,
aveva spiegato alla classe del perché tra innamorati si
tende a guardarsi negli
occhi tutto il tempo.
Quando mentiamo,
involontariamente le nostre pupille si restringono; vedendo quindi le
pupille
del proprio partner continuamente dilatate o per lo meno stabili,
dovrebbe
essere segno di completa e totale sincerità.
A dire il vero Kimberly
non credeva affatto a questa stupida spiegazione, forse
perché non amava
particolarmente filosofia o forse perché qualora il partner
avesse gli occhi scuri
come nel suo caso, ci si troverebbe perennemente nel dubbio; ma in
quella
circostanza non poté fare a meno di assicurarsi che le
pupille di Jared non lo
tradissero.
Non era insicura a
causa dell’unica volta in cui il professore le aveva mentito,
si era ripromessa
che non avrebbe mai e poi mai basato i suoi criteri di giudizio su quel
particolare caso in tutta la loro storia.
Dovette accertarsene
perché quello che c’era in ballo era molto
più importante di una lite tra
fidanzati.
Non aveva capito ancora
bene quale fosse il problema tra i due uomini, ma si rese conto di
trovarsi di
fronte ad una scelta che non prevedeva premi, solo una pena: scegliere
uno, le
avrebbe irrimediabilmente fatto perdere l’altro.
Il cuore le si strinse,
mentre col respiro affannato e gli occhi lucidi, cercò con
tutte le sue forze
di non essere debole per una volta e affrontare questa situazione
mantenendo i
suoi principi.
Guardò un’ultima volta
suo padre con la coda dell’occhio e infine riportò
la completa attenzione sul
magnifico viso del professor Leto. Nell’esatto momento in cui
i loro occhi si
ritrovarono, non ebbe più dubbi.
-Sì.- annuì lei,
portando una mano su quella di lui, ancora appoggiata al suo volto. Si
fidava
ciecamente di quegli occhi celesti, e quel giorno erano talmente chiari
che
sembrava riflettessero l’animo trasparente di Jared.
Quest’ultimo le sorrise
dolcemente, sinceramente rincuorato e facendo ballare lo sguardo dalle
labbra
agli occhi profondi dell’alunna.
Avrebbe trascorso
l’intera giornata fissando quei due pozzi senza fondo, e
sembrava che il
petrolio fluido con cui lo stava osservando non stesse aspettando altri
che
lui.
-Kimberly!- urlò carico
di angoscia Max.
La ragazza spaventata
si tolse le grandi mani di Jared dal volto. –Cosa sta
succedendo?- chiese poi,
domanda riferita ad entrambi.
-Avanti Max, lascio a
te l’onore.- disse con un sorrisetto ironico l’uomo
accanto a lei.
-Non sono affari che la
riguardano.- grugnì il padre, gli occhi pece come quelli di
Kim, carichi di
fuoco.
-Neanche Anya era un
affare tuo, ma tu te la sei deliberatamente presa!- sibilò
poi Jared, col cuore
che gli martellava nel petto.
Kim sussultò
vistosamente, puntando lo sguardo sconcertato sul padre.
Automaticamente portò
le mani a coprirsi bocca e naso, mentre il suo cervello lavorava e
riavvolgeva
tutti gli avvenimenti al contrario.
Finalmente, evviva la
scaltrezza, riusciva a spiegarsi molte cose.
Dove aveva visto lo
sguardo lacerato di Jared; perché si conoscevano e
sembravano non andarne
contenti; quella stranissima domanda che il professore le aveva rivolto
riguardo il suo cognome; l’assurda storia della vendetta
prima citata da suo
padre.
Lei era la figlia del
famoso e detestabile produttore, quasi testimone ed ex-amico che aveva
fatto sì
che l’artista emergente perdesse tutto.
Colma di incredulità,
Kimberly giunse alla conclusione che nessuno, nemmeno il suo adorato
papà,
fosse perfetto.
Max, vedendo come lo
stava fissando sua figlia, abbassò il capo non riuscendo a
mantenere il
contatto visivo.
-L’hai fatto davvero,
papà?- domandò ingenuamente la ragazza. La voce
tradiva un nodo alla gola
talmente grosso che avrebbe potuto essere la chiusura di un cappio con
cui si
sarebbe volentieri impiccato.
-Non ne vado fiero, ma
sì Kim. Ci sono tante stupidaggini che fanno gli adulti,
pensando che queste
non influiscano mai sulla vita dei propri figli.
Probabilmente questo
caso del destino è stato un modo per farmela pagare.- ripose
lui, indicandoli
entrambi, facendo riferimento alla casualità con la quale
tutto quello fosse
successo.
Quante possibilità
c’erano che l’uomo che più lo odiava e
sua figlia si trovassero e
s’innamorassero, nonostante l’incredibile
differenza d’età e le dimensioni del
Globo?
Il fato gli aveva giocato
proprio un bello scherzetto, non c’è che dire.
-Questo non significa
che il vostro rapporto non sia deplorevole e.. malato.-
continuò poi, col volto raccapricciato. Solo a pensarci
per più di un secondo gli veniva una nausea immediata e una
gran voglia di
ficcare la testa di quel Leto nell’acqua gelata della
fontana, finché non
smettesse di dimenarsi e respirare.
Purtroppo però, aveva
notato come i due si guardavano prima e con sconcerto e disperazione
aveva
capito che non ci sarebbe stato niente da fare; se non avesse
accettato questa
storia, avrebbe perso senza neanche un ripensamento Kimberly.
Calò un silenzio
assordante. Uno di quei silenzi che valgono più di parole,
grida, liti e gesti.
C’era solo uno scambio
di sguardi, molto espressivi, sguardi che parlavano chiaramente.
-E’ meglio che vada.-
concluse infine Max Danes, guardando la figlia con occhi tristi, la
quale
ricambiò con lo sgomento nel cuore.
-Aspetta.- lo fermò
Jared sull’attenti. –Quindi non hai intenzione di
intrometterti? Di farmi arrestare?
Di spedire Kim a milioni di miglia lontano da me?-
Il produttore sospirò
con una tale intensità che il proprio corpo si
gonfiò e sgonfiò visibilmente.
-No. Dopotutto ti devo
una ragazza, giusto?- cercò di sdrammatizzare, ma tutti e
tre la trovarono una
battuta fuori luogo. – Tranquillo non sono un padre degenere,
se non avessi la
certezza di come tratti le ragazze mi sarei mobilitato
all’istante.- diede una
rapida occhiata a Kim, prima di proseguire. –Anya mi
diceva sempre di quanto
fantastico e dolce fossi.. Per questo non è mai riuscita a
rifiutarti.- ghignò
a mo’ di presa in giro. Era chiaro che fosse mirato a farlo
star male.
Jared però non reagì,
stette immobile analizzando il suo dolore in modo da renderlo
estremamente
superficiale. Stava vincendo questa volta e non si sarebbe mai piegato
al
cospetto di quel despota, non gli avrebbe permesso di rovinare tutto
un’altra
volta.
-Papà smettila.- lo
difese Kimberly, immaginando come questo potesse farlo stare.
Il volto di Max si
irrigidì. –La tua fortuna Kim, è che
sei anche molto giovane, sono sicuro ti
renderai conto di essere dentro una follia e ne uscirai prima del
previsto.-
-Ti sbagli.- lo
contraddisse con prontezza e decisione. Per tutto il tempo non si era
mossa dal
fianco di Jared, come per fargli capire che gli sarebbe rimasta
accanto, no matter what.
La faccia con cui suo
padre la fissava però, le stava lentamente rompendo qualcosa
dentro. Era uno
sguardo amaro, deluso.
Uno di quegli sguardi
che ti pesano a vita sulla coscienza.
Ciò che non si sarebbe
mai perdonata era causargli una delusione, e invece eccola
lì, stoica nella sua
decisione; determinata a continuare a deluderlo.
-Non vuoi dare un
ultimo abbraccione al tuo vecchio?- le chiese poi, aprendo le braccia e
indicandole il proprio petto.
Con un groppo enorme in
gola e le lacrime che spingevano per poter essere liberate, Kimberly
scosse la
testa e fece un ulteriore passo indietro, sempre più vicina
invece al suo
insegnante.
Quella decisione le
avrebbe spezzato il cuore non appena se ne fosse resa conto a mente
lucida, lo
sapeva bene.
Aveva un profumo unico,
che sapeva di casa, amore, calore. Sarebbe stato il suo rifugio ideale
a vita e
in quel momento era esattamente quello che voleva fare con tutto il suo
essere.
Suo malgrado, continuò
nella sua determinazione, scuotendo la testa. -No.- sussurrò
flebilmente, il
tono di voce talmente basso che il padre non lo sentì
neppure.
Aveva messo i suoi
principi prima di tutto, suo padre aveva sbagliato come persona e lei
stava
moralmente dalla parte del professore.
Jared accanto a lei non
era fiero di quello che aveva causato, sebbene la rabbia nei confronti
di
quell’uomo non gli sarebbe mai passata.
Non era di certo uno
spettacolo piacevole assistere ad un padre e una figlia che si separano.
Max, rassegnato, chiuse
gli occhi e sospirò. –Stai certo Jared che questa
me la paghi. Se c’è anche
solo una minuscola possibilità che tu diventi qualcuno, te
lo giuro sulla mia
bambina, io la polverizzerò.- lo minacciò.
Sebbene quella fosse la
peggiore minaccia che potessero fargli, il musicista riuscì
a sostenere lo
sguardo del suo rivale per tutto il tempo, senza lasciar trasparire
nessuna
fragilità al riguardo.
La ragazza invece,
spalancò gli occhi, carica di sgomento e dispiacere nel
rendersi conto che
l’unico, vero motivo di esistere per l’uomo che
amava, fosse appena stato
dissolto nel nulla.
Diede un’occhiata a
Jared e tornò sul padre, il quale si era di nuovo
incamminato verso la
macchina.
-Papà!- lo chiamò poi,
presa da un impulso viscerale.
Crescendo aveva
imparato a controllare molte emozioni e impulsi. Aveva imparato a
trattenere le
risate dopo essersi accertata che la persona caduta rovinosamente
davanti ai
suoi occhi stesse bene.
Aveva imparato a
controllare la rabbia e il tono di voce quando qualcuno
l’aggrediva
verbalmente.
Purtroppo però,
continuava ad essere la stessa bambina fragile che si sentiva mancare
la terra
sotto i piedi vedendo l’uomo che l’aveva generata,
andarsene.
Era qualcosa a cui non
si sarebbe mai abituata, era una cosa innaturale. I figli dovrebbero
allontanarsi dai genitori, non il contrario.
Lui si voltò e la
guardò.
Uno sguardo spento,
davvero poche volte in vita sua aveva visto così poca vita
negli occhi di Max.
Durò anche molto poco a
dir la verità.
In quel breve contatto
visivo però, Kimberly ebbe la crudele sensazione che quella
fosse l’ultima
volta che l’avrebbe visto.
I’m
sorry,
I
can’t be perfect.
Note finali:
eheheheh allora?? Cosa ne pensate?
La immaginavate così? Obiettivamente anche io me la
immaginavo più drastica e drammatica, capelli strappati,
occhi cavati e colli sgozzati ma non so per quale motivo invece mi sia
uscita questa via di mezzo non completamente indolore, ma neanche
tragicissima.
Forse ero troppo indecisa su quale legame spezzare e alla fine ho
optato per "mantenerli" entrambi. Boh, in ogni caso questo è
il risultato e spero che vi convinca.. per qualsiasi cosa invece, se
aveste preferito qualcosa di diverso fatemelo sapere.. non lo
cambierò ma mi farebbe piacere immaginare finali alternativi
:)
La
canzone è Perfect
(en pendant con la storia, insomma) dei Simple Plan. Credo di averla
inconsciamente scelta perchè nella canzone è
trattato il rapporto col padre.
Va beh, vedetela come volete dovrei smetterla di spiegare tutto quello
che faccio, sta diventando irritante ahaha.
Perchè
abbiamo perso tutto
niente dura per sempre
Mi
spiace
ma non riesco ad essere perfetto.
Ahi, mi vida risollevatemi voi che oggi è una giornata da
scazzamento totale!!!
Spero abbiate gradito e vi sarei gratissima se mi facciate sapere cosa
ne pensate :)
xxoxoxoxoxoxo
|
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Capitolo 56 *** Capitolo 56. ***
Capitolo
56.
The love for what you hide
The bitterness inside
Is growing like the new born
Estrasse le chiavi di
casa dalla tasca dei jeans scuri, vecchi e sdruciti sul fondo a forza
di
camminarci sopra con le scarpe.
Era affezionato a quei
pantaloni, non c’era una ragione in particolare, del resto
era molto legato a
qualsiasi capo che andava a creare il suo eccentrico guardaroba.
Aveva cominciato a
vestirsi in maniera più consona da quando ottenne la
cattedra da insegnante di
musica, e quel paio di pantaloni facevano parte della categoria di
vestiti
sobri che aveva posseduto da sempre.
E inoltre a Kim
piacevano molto.
Le infilò nella
serratura e le girò mezza volta: significava che qualcuno vi
si era già
intrufolato dentro.
Non ne fu colpito, era
stato lui stesso a dirle di trovarsi direttamente a casa sua.
Infatti, non appena
accese la luce del soggiorno, vide la ragazza distesa sul divano, tanto
per
cambiare.
Era sdraiata sul fianco
destro, il braccio destro a farle da cuscino le premeva contro la
guancia, mentre
il sinistro era disteso sopra la testa.
Aveva spogliato le
scarpe, le quali al momento giacevano inermi esattamente sotto di lei,
sul
tappeto tra il divano e il tavolino in vetro.
Le gambe erano piegate,
mantenute strette il più possibile al ventre, probabilmente
per trattenersi il
calore addosso, che tendenzialmente comincia a scemare quando stai
sdraiato in
quel modo.
I lunghi capelli che le
coprivano il volto, erano stesi in direzione opposta rispetto al suo
corpo,
facendo quindi capolino dal bordo del divano più vicino alla
sua testa.
Il fatto che fosse così
distesa, con la luce e televisione spenta poteva lasciar immaginare che
stesse
dormendo.
Ciononostante, il modo
in cui l’indice della mano sinistra si attorcigliava una
ciocca di capelli già
ondulata, gli fece intendere che fosse sveglia.
Senza dire niente,
l’uomo sorrise rumorosamente, appoggiando i suoi effetti
contro la parete
subito accanto alla porta, e si incamminò verso il divano.
Una volta raggiunto, si
sedette sul tappeto, proprio di fronte al viso della giovane.
Il respiro flebile le
smuoveva le ciocche di capelli davanti al viso. Jared si
avvicinò fino ad
appoggiarsi con un gomito sulla superficie del divano, e con
l’altra mano prese
a liberarle il volto.
Quando questo emerse,
lui non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso
affettuoso.
-Ehi..- disse in un
sussurro.
Gli occhi pece
incontrarono subito i suoi, nella quale però Jared vi
riconobbe quell’aria
tormentata che era solito trovarvi nelle ultime settimane.
Erano passati 15 giorni
ormai dall’incontro a sei occhi con Max Danes… per
qualche motivo però Kim non
riusciva a darsi pace, malgrado tutti gli sforzi del professore per
farle
capire di non avere colpe.
L’occhiata che gli
rivolse, gli fece intendere che si trovasse ancora in piena pena per
quanto
riguardava la minaccia del padre nei confronti di Jared.
-Per quanto tempo vuoi
continuare con questa storia?- le domandò, il tono per
niente alterato. Era
intenerito da questo atteggiamento.
-E tu per quanto
fingerai che non ti interessa?- disse di rimando la ragazza, la voce
esprimeva
chiaramente il suo stato d’animo.
-Non sto fingendo
Kimberly.- rispose il professore, cominciando a giocare a sua volta con
i
capelli folti della ragazza, facendoseli passare tra le dita a
mo’ di pettine.
–Certo sono dispiaciuto, ma non ero davvero convinto di poter
diventare
qualcuno a ormai 40 erotti anni. –
Lei chiuse gli occhi,
sospirando. –Sono mortificata, Jared.-
-Lo so.- alzò gli occhi
al cielo. –Sono due settimane che me lo ripeti.-
-Avrei potuto fare
qualcosa!- disse lei, col tono di voce leggermente più alto.
La responsabilità
di tutto l’accaduto era totalmente sua, ne era consapevole.
-Kim, ho 20 anni più di
te, davvero, credimi, non ho bisogno che tu mi difenda.-
chiosò con un ché di
presuntuoso. Non comprendeva tutto questo lagnarsi della giovane, per
quanto
gli suscitasse tenerezza, dall’altra parte non riusciva a
capire: il SUO sogno
era stato infranto e lei si comportava come se la vittima fosse lei.
-Piuttosto, l’hai più
sentito?- le chiese poi, continuando a passare le dita tra i capelli di
Kim.
Erano davvero setosi, per un momento gli venne in mente quando il solo
pensare
di toccarglieli lo faceva rabbrividire.
Lei scosse piano la
testa. – Mi ha chiamato per i due giovedì
seguenti, ma non gli ho risposto.-
confessò mordendosi il labbro inferiore.
Jared strabuzzò gli
occhi. –E perché? Se non erro eri terrorizzata
dall’idea di non sentirlo più!-
-E’ vero.- confermò
Kimberly. –Il problema adesso è che non voglio
sentirlo io. Ho scoperto un lato
di lui che mi ha fatto malissimo, non avrei mai sospettato potesse
essere una
persona tanto crudele.
C’ho provato, Jared,
credimi. Quando ho visto che il mittente era lui però, non
sono riuscita a
rispondere, proprio non ce l’ho fatta.-
Il professore si
inumidì le labbra, gli occhi carichi di comprensione.
–Posso immaginare come ti
senti Kim e capisco tu possa essere arrabbiata con lui.. ma
è tuo padre e tu
devi giudicarlo solo in quanto essere padre.
So che al momento non
riesci a separare l’immagine dell’uomo che mi ha
fatto star male dal padre
affettuoso di cui mi hai sempre parlato.. ma è questo che
devono fare i figli.
Questo lato di lui non
ti riguarda, e non è giusto nei suoi confronti tenergli il
muso.-
Obiettivamente, aveva
ragione. Questo aspetto ragionevole della sua personalità
cominciava ad
infastidire l’alunna, la quale capì immediatamente
di essersi comportata male
nei confronti di suo padre.
Però ripensandoci, se
adesso la chiamasse, non esiterebbe ad ignorare il cellulare. Il lato
orgoglioso
del suo carattere non riusciva a placarsi e finché era
così, non ci sarebbe
stato modo per affrontare la situazione lucidamente.
-Hai ragione.- ammise
subito però, convinta di quello che diceva.
-So che è difficile, e
non dico di chiamarlo seduta stante.. solo la prossima volta, quando
sarai
pronta, non evitarlo. Sono
convinto che
gli stai causando un dolore che non riusciamo neppure ad immaginare.-
Touchée
pensò
colpevole Kim. Questo uomo aveva
un potere straordinario.
-Com’è che sei bravo in
tutto?- gli chiese poi, nel volto si aprì un sorriso carico
di riconoscimento.
Lui scrollò le spalle.
–Sei tu che mi ispiri.- si giustificò.
–Tu mi fai venire voglia di essere un
uomo buono, un uomo migliore.-
Kimberly sporse il
labbro inferiore. –Che bella cosa mi hai detto.- si
alzò su un gomito e si
chinò sul volto del professore, lasciandogli un dolce bacio.
–Grazie, Jared.-
-Domani è Pasqua, tutti
devono essere più buoni.- spiegò lui con un
sorriso ammiccante.
-Quello è il Natale,
Jared. A Natale si è più buoni, a Pasqua ci si
riempie di uova di cioccolato e
basta!- disse lei ridendo di gusto.
La suoneria del
cellulare di Kim, purtroppo, interruppe quell’atmosfera
magica.
La ragazza si lanciò
sull’oggetto. Lo schermo non presentava nome, solo un numero
che Kimberly non
tardò a riconoscere.
Presa dal panico si
sollevò dal divano e raccolse il telefono interrompendo la
chiamata.
-Ho già visto da
qualche parte quel numero.- sentì dire da un Jared pensoso,
alle sue spalle.
–Solo che non ricordo dove.-
Presa alla sprovvista
si sentì dire –E’ il numero
dell’operatore incaricato di sottoporti al
questionario per quanto riguarda il servizio degli autobus. Ti chiede
di
giudicare in una scala da 1 a 7 come trovi gli orari, la pulizia, il
personale.. è tutta settimana che mi chiamano.-
spiegò molto velocemente Kim,
aggiungendo
più dettagli possibile.
Appena vide che Jared
stava per contraddirla, con quell’aria confusa negli occhi,
si picchiò un palmo
sulla fronte. –No! Che sbadata! Mi sono appena ricordata di
avere una guida
importantissima tra un’ora! Sai manca poco
all’esame finale.- esclamò,
avvicinandosi a lui e raccogliendo le scarpe, per poi infilarsele.
-Tu invece hai quelle
commissioni da fare, giusto?- continuò rivolgendosi a lui,
mentre si stava
infilando la giacca, il tutto sotto gli occhi dubbiosi del professore.
-S-sì.- confermò lui,
incerto. La ragazza si stava comportando in modo strano, come se stesse
macchinando qualcosa a sua insaputa. –Tutto bene?- le
domandò quindi, gli occhi
apprensivi.
Quelle “commissioni”
come le definiva lei, avevano detto che le avrebbero fatte insieme.
Possibile che se lo
fosse dimenticata? Non che la sua presenza fosse necessaria per
comprare delle
tende nuove o degli aggeggi elettronici di cui non si interessava
minimamente,
e anzi, trovasse assolutamente “pallosi”;
però ritenne strano come sembrava
convinta di non ricordarselo.
Probabilmente però
erano tutte sue paturnie e stava lasciando correre un po’
troppo la fantasia.
-Certo.- rispose lei
sicura. Si avvicinò a lui, gli prese il volto tra le mani e
avvicinandolo al
proprio, in modo che i due nasi si toccassero. –Tu?-
Decise di fidarsi, e
con una scrollata di capo fece uscire quelle idee bizzarre dalla mente.
–Sì,
tutto bene.- affermò con un sorriso.
Accarezzandogli il naso
col proprio, Kimberly uscì dall’appartamento, con
un sonoro –Ci vediamo
stasera!-
Rimasto solo, l’uomo
sorrise nella penombra della stanza.
Senza perdersi d’animo,
andò in camera sua a cambiarsi, indossando una vecchia e
consunta t-shirt al
posto della camicia che aveva tenuto tutta mattina. Sapeva troppo di
scuola,
non la poteva reggere per il resto della giornata.
Solo quando ormai si
trovava fuori dall’appartamento, Jared si rese conto che la
ragazza gli aveva
mentito.
When
you’ve seen, seen too much
Too
young, too young
Soulless is everywhere
Note
finali: Aaaaaaallooooraaa
amatemi innanzitutto perchè stasera parto e non ci
sarò per una quasi settimana,
e nonostante sia tirata coi tempi e i capitoli di riserva stiano
finendo, ho deciso di lasciarvi questo pensierino. E' corto, ma ha un
suo senso ;)
Trovo molto bello il discorso che Jared ha fatto a Kim riguardo al
padre; è una lezione che è stata insegnata anche
a me anni fa, perchè si sa, i genitori non si scelgono.
Sbaglio?
Vorrei condividere con voi questa lezione di vita quindi,
può non riguardarvi per niente o può esservi
utilissimo: bisogna giudicarli solo per il loro essere genitori. Il
resto non è affare nostro, per quanto sia difficile farsene
una ragione. Quando si scoprono determinate cose riguardo a loro magari
si arriva a vederli sotto un'ottica completamente diversa, arrivando ad
ignorare la cosa fondamentale: ci vogliono più bene del bene
che noi potremmo mai immaginare (o potremo solo in futuro).
Forse per voi sarà una cosa banale e siete maturate 100 anni
prima di me. Forse ora come ora mi direte "cazzonevuoisaperetu" ma poi
col tempo, quando vi si presenterà l'occasione, capirete.
Forse sto solo cercando di autoconvincermene, per l'ennesima volta ;)
Eh.
Alloooora, cosa nasconde Kim??? Da cosa ha capito Jared della menzogna?
Chi era al telefono??
Cosa ha architettato questa volta, il mio neurone? (A proposito, si
chiama Petronilla, non starò a raccontarvi perchè
e per come abbia un nome tanto idiota; sappiate solo che è
fierissima di fare la vostra conoscenza XD)
Se state attente potreste chiudere qualche cerchio, per altri,
ahimè, solo io posso saperlo ahaha. Ripensate a tutte le
questioni in sospeso che ci sono e ci arriverete ;)
La canzone è MERAVIGLIOSA ed è New born dei Muse
quando ancora spaccavano i culi (jk ;))
Non c'entra nulla ma boh, tanto a voi non interessa che sia in tema col
capitolo, cosa sto a scervellarmi ogni volta, lo so solo io :)
L'amore per quello che
nascondi
l'amarezza che hai dentro
sta crescendo come un
neonato.
Quando hai visto, hai
visto troppo
troppo giovane, troppo
giovane
i senza cuore sono ovunque
Ok,
datemi un pò di amore e di opinioni
<3<3<3<3<3<3<3<3<3
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Capitolo 57 *** Capitolo 57. ***
Capitolo
57.
Sospirò a pieni polmoni
nel tentativo di calmarsi.
Si portò una mano al
petto, percepiva sensibilmente il cuore palpitarle sui polpastrelli.
Poche
volte in vita sua era stata così nervosa, forse mai
così tanto.
Inspirava dal naso per
espirare rumorosamente dalla bocca. Le stava venendo un attacco di
panico, ne
era quasi certa.
Si trovava davanti
all’aeroporto, era fortunata fosse facilmente raggiungibile
dal momento che si
trovasse proprio di fronte ad un grande centro commerciale, quindi
molti
autobus passavano di lì, senza per forza aver bisogno di un
taxi.
Si guardò intorno. Quel
luogo era colmo di persone opposte. C’erano quelli stremati
che uscivano dalle
porte automatiche, e quelli invece super elettrizzati per
l’imminente partenza;
persone impazienti e gioiose e persone tristi e occhi carichi di
lacrime;
persone che partivano e persone che restavano.
Quel luogo la
spazientiva: lei faceva sempre parte della seconda categoria. Lei
restava, lei
rimaneva, immobile, statica, sempre pronta ad aspettare.
Ok, doveva ammettere che
non si era svegliata nevrotica, semplicemente il periodo non era certo
dei più
tranquilli. Oltre al casino con suo padre e Jared ci si metteva Ingrid,
la
quale ora sì, si faceva sentire più spesso, ma in
certi casi Kim avrebbe
preferito se avesse evitato.
L’amica si stava
rendendo conto che il tempo Sud Americano stava per scadere e si
sfogava con
Kimberly, raccontandole di quanto lì la gente fosse
meravigliosa, di quanto
tutti si volessero bene e si abbracciassero di continuo; le raccontava
anche
della “sorella” acquisita, con la quale aveva non
pochi diverbi, ma del resto
si volevano bene come fossero vere parenti.
Proprio il giorno prima
le aveva scritto una mail in cui le raccontava di quanto si comportasse
male
quella ragazza, la quale, pur sapendo che lei partisse a luglio, aveva
prenotato una vacanza proprio pochi giorni prima della partenza di
Ingrid.
Quando poi si era resa
conto della carognata era andata da lei in lacrime a chiederle scusa,
dicendole
che non sarebbe più partita e Ingrid, sentimentalona come
diceva di essere è
scoppiata a piangere con lei, pianto a cui si aggiunsero anche madre,
padre e
fratello.
Insomma si
abbracciarono tutti insieme riversando più acqua delle
cascate del Niagara e
Ingrid era così colma di disperazione da averle comunicato
la sua infelicità
nel dover tornare! Come si vogliono bene loro, nessuno; i
“genitori” non
prenderanno più nessun ragazzo perché si sono
troppo affezionati a lei e così
via.
Kimberly davanti a
quella mail non poté trattenere il nervoso che
irrimediabilmente si scaturì in
lei e dal centro del petto si riversò sulle falangi,
facendole rispondere con
un’e-mail carica di energia negativa.
Va bene tutto, pensava,
ma quando le due si erano salutate sapendo che non si sarebbero viste
per un
anno, Ingrid non aveva pianto né si era rotolata per terra
strappandosi i
capelli a ciocche, ma un semplice messaggio “Stammi
bene” era bastato; alcuni
dei suoi amici non avevano avuto neppure questa fortuna e non la
sentivano da
più di un anno.
Ma chi se ne frega no?
A lei tutto era dovuto, quello era un Paese orribile e non importava se
lì ci
fosse la sua famiglia, i suoi amici, la sua vita o persone idiote come
Kim che
l’aspettavano da un anno, nonostante un pidocchioso
“stammi bene”.
Sbuffò ancora
più
energicamente, di nuovo carica di nervosismo. Però aveva
fatto bene a pensarci,
distrarsi da quell’agitazione immensa le aveva fatto
dimenticare per un secondo
cosa, o meglio, chi stava aspettando.
Improvvisamente dalle
porta scorrevoli davanti ai suoi occhi si presentarono tre persone, un
uomo e
due donne per la precisione.
La ragazza li riconobbe
per forza di cose, era stata ore a fissare le loro foto. Solitamente
scordava i
volti, specialmente di persone che non aveva mai visto dal vivo.
In quel caso però era
talmente spaventata di dimenticarli che non fece assolutamente fatica a
riconoscerli, come se in realtà si trattassero di vecchi
amici.
Questi si guardavano
intorno, alla ricerca di qualcuno che potesse assomigliare alla
descrizione
data da Kim di se stessa, la quale si diede uno scappellotto virtuale
per non
aver pensato a scrivere un cartello con il
nome degli interessati.
Le gambe non
rispondevano ai comandi, tuttavia si fece forza e con una camminata
decisamente
incerta si diresse verso il gruppetto, guardandoli fissi, in modo si
accorgessero
che la ragazza ce l’avesse con loro.
Man mano si avvicinava,
le figure si facevano più grandi, i volti più
chiari, i dettagli più nitidi.
All’estrema sinistra
c’era una donna dai capelli rosso aranciato, piccolina, bassa
statura,
mingherlina.
Le gote erano coperte
di lentiggini, al di sopra delle quali due occhi verdi intenso la
puntarono. Da
quegli smeraldi Kimberly percepì una grande energia, come se
nonostante le
dimensioni ridotte della donna, in questa giacesse una forza di spirito
impressionante, capace di spostare le montagne.
All’estrema destra
un’altra
donna dai capelli lunghi e biondi e gli occhi azzurri,
lasciò perplessa Kim, la
quale però non riuscì a spiegare su due piedi il
motivo di tale sensazione.
Al centro, l’uomo era
di altezza media, capelli molto corti, niente barba. A giudicare da
come la
felpa gli stesse attillata sulle spalle, la ragazza capì che
si trattava di una
persona piuttosto muscolosa.
Ma ciò che la
colpì
particolarmente furono gli occhi.
Erano dal taglio lungo,
le ciglia folte rendevano lo sguardo ancora più intenso e il
colore
attraversava varie tonalità cromatiche dal verde al
nocciola. Erano degli occhi
davvero interessanti.
Com’era possibile che
due fratelli potessero essere così diversi ma al contempo
avere una
caratteristica strabiliante in comune?
-Buonasera.- salutò
Kimberly, cercando di mostrarsi il meno intimidita possibile.
Il primo a porgerle la
mano fu l’uomo. –Io sono Shannon, molto piacere. Tu
devi essere la ragazza
misteriosa..- intuì
lui con un ghigno
divertito.
Gli occhi si erano
assottigliati in uno sguardo talmente seducente che la ragazza si
costrinse a
distogliere lo sguardo. Era possibile che anche lui avesse lo stesso
potere di
Jared e come lui si divertisse alle spalle degli altri?
-Questa è la mia
compagna, Jenah.- disse presentando la donna dai capelli rossi,
facendole fare
un passo in avanti con una mano dietro la schiena.
-Molto piacere,
Kimberly.- l’accento era diverso dal suo, del resto era
scozzese, ma il timbro
di voce era soffice, pareva rimbombarle nelle orecchie al momento.
Shannon fece finta di
nulla, ma in quel momento fu altamente riconoscente a Jenah per avergli
involontariamente ricordato il nome della ragazza. Non se lo ricordava
proprio,
anzi, lui tendeva a dimenticare qualsiasi nome nel giro di 3 minuti.
Cominciò a ripeterselo
mentalmente infinite volte, dipingendosi una faccia da poker sul volto.
Quando davanti a Kim si
parò una persona che doveva per forza di cose essere la
madre di Jared, capì
perché prima si sentiva così perplessa nel
guardarla.
Era troppo giovane,
eppure, a meno che avesse partorito quando era decisamente minorenne,
doveva
avere sessant’anni!
La ragazza cercò di non
lasciar trapelare tutti questi dubbi, aspettando semplicemente che la
signora
si presentasse.
Quando questa le porse
la mano e le disse –Ciao Kimberly, io sono Constance.- per
poco non le cadde la
mandibola.
Incredula, cominciò a
pensare che si trattasse di uno scherzo di pessimo gusto,
finché i loro occhi non
si incontrarono.
Solo allora non ebbe
più dubbi.
Era come riflettersi in
quelli di Jared; era come tuffarsi in quell’oceano in
tempesta, date le tonalità
scure causate dal tempo che ormai si era rannuvolato in vista della
sera.
Gli occhi del suo
professore, grandi, tondi, limpidi, solo leggermente più
rugosi ai lati, la
stavano fissando di rimando.
Erano uguali a quelli
dell’uomo che le faceva venire le palpitazioni, per questo
motivo per un nano
secondo si estraniò da quel contesto immaginandosi di
trovarsi di fronte a lui.
Un sorriso decisamente
ebete le si disegnò in faccia, mentre cercò con
tutte le sue forze di
riportarsi coi piedi per terra.
-Molto piacere.-
rispose con un tono soave, il tipico che usava quando si perdeva negli
occhi di
Jared.
A malincuore dovette
separarsene, o la madre avrebbe pensato che stesse flirtando con lei.
Svelta si infilò le
mani in tasca, portando lo sguardo a terra, nel tentativo di
riprendersi.
Non era normale che
anche il solo pensiero di essere col professore di musica la
rimbambisse in
quel modo.
-Vi accompagno
all’albergo?- chiese poi sorridente, indicando loro un taxi.
Si sentiva
estremamente a disagio, estremamente in soggezione di fronte a quelle
tre paia
di occhi curiosi che la scrutavano.
Poteva sentire nelle
loro menti le domande, le normalissime e comunissime domande, che si
stavano
silenziosamente ponendo. Ma a lei arrivavano chiare come degli schiaffi
in
pieno volto.
Quanti
anni avrà? Che genere di rapporto è il loro?
Sarà così tanta la differenza di
età? Jared si era bevuto il cervello? Sarà
maggiorenne?!
Loro annuirono
all’unisono, raccolsero i proprio bagagli e si diressero
verso una delle
macchine posteggiate lì di fronte.
La tensione era
palpabile, ma la caparbietà di Kimberly era solida e avrebbe
compiuto questa
missione fino in fondo; voleva sinceramente dimostrare a Jared e a
chiunque
fosse presente quella sera, quanto in realtà ci tenesse a
lui e quanto fosse
seria nei suoi confronti.
Quella macchina era
terribilmente stretta, però dovette ammettere che in quanto
a discrezione e
gentilezza, la famiglia del suo professore fosse davvero ferrata.
Le porgevano delle
domande generiche, senza intaccare –per il momento- il suo
rapporto con Jared,
e creando dei dialoghi pacifici e ironici, per alleggerire
quell’atmosfera
cupa.
Fortunatamente
l’albergo si trovava nelle vicinanze
dell’appartamento di Leto. Nonostante le
varie carinerie, Kim non vedeva l’ora che entrasse in gioco
anche lui, non
avrebbe retto per troppo tempo la pressione.
Era
impaziente che
scoprisse la sorpresa, lei amava sorprendere gli altri, soprattutto
quando
sapeva che l’idea era proprio azzeccata e la reazione sarebbe
stata solo che
positiva.
note finali: TAAADAAAAAN!!!
MMMbèèè c'eravate arrivate? Avevate
pensato a questa chicca?
Eheheh
finalmente anche Shannon è entrato nel vivo della storia,
facciamo una HOLA tutte insieme :)
Scusate se è molto corto e molto scritto male ma non sono
particolarmente in vena... non sono nemmeno riuscita a trovare una
canzone appropriata :(
Spero mi vogliate bene lo stesso e mi diciate cosa ne pensate di questa
nuova entrata!!
Grazie a tutte :)
|
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Capitolo 58 *** Capitolo 58. ***
Capitolo
58.
Cos we belong together now
Forever united here, somehow
You got a piece of me
And honeslty
Dopo averli scortati
all’hotel, Kimberly li aiutò a fare check-in, dato
che era stato tutto
prenotato a nome suo.
Le era obiettivamente
costato una fortuna, ma il Signore volle che lei fosse da sempre una
gran
risparmiatrice e in aggiunta il compleanno recente, aveva fatto
ammontare il
suo gruzzoletto ad una bella somma.
Inoltre aveva una
tessera appartenente a suo padre – ne aveva svariate- la
quale accumulava punti
con i viaggi che questo faceva, quindi i biglietti le erano venuti a
costare
davvero poco.
Le era bastato rubare i
numeri dei parenti di Jared dal cellulare quando era poco attento, e il
gioco
era fatto.
Una volta consegnate le
chiavi, la ragazza decise che era il momento opportuno per andarsene.
-Se non c’è
altro che
posso fare per voi, io andrei. Passo tra un paio d’ore,
l’appartamento di Jared
si trova a 5 minuti da qui.- spiegò indicando col pollice la
porta scorrevole
alle sue spalle, con un sorriso insicuro rivolto agli ospiti.
Questi le sorrisero di
rimando, congedandola, quell’espressione curiosa faceva
sempre da sfondo.
Poteva sentire i loro
occhi puntati sulla schiena, mentre si incamminava per raggiungere
velocemente
l’uscita.
-Kimberly, aspetta!-
sentì poi una voce maschile riportarla indietro, proprio
quando appoggiò una
mano sulla porta per spingerla e finalmente uscire da quel clima di
tensione.
Shannon l’aveva
raggiunta e ora si trovava di fronte a lei a fissarla con
quell’espressione
seducente. Voleva chiaramente qualcosa.
-Sì?- fece la ragazza
intimidita. Possibile che qualsiasi membro della famiglia del professor
Leto
fosse in grado di metterla così a disagio?
A pensarci bene, era
sempre così con le famiglie dei suoi ragazzi: non riusciva
mai a sentirsi a suo
agio in loro presenza, facendoli quindi sentire come se avessero fatto
qualcosa
di male, o dandogli l’impressione di non starle
particolarmente simpatici,
quando in realtà a lei piacevano moltissimo.
Non riusciva a
spiegarsela questa reazione spontanea, come fosse un meccanismo di
difesa. Sì,
ma da cosa ?
Non avevano mai tentato
di mangiarsela e sicuramente non erano
mai stati avversi alla sua relazione col figlio.
Forse questa era
l’unica vera volta in cui questo istinto aveva motivo di
esistere.
-Vorrei venire con te.-
disse senza molti giri di parole, frase che la lasciò per un
momento di stucco,
portandola automaticamente a guardare alle spalle dell’uomo.
Le due donne non
c’erano, doveva essersene liberato molto velocemente.
Distrattamente pensò
addirittura che potesse essere un modo per controllarla, per capire
cosa fosse
lei per Jared, cosa avessero di così importante per
spingerla ad organizzare
tutto questo a sua insaputa.
Ma lo sguardo che
Shannon le dedicava, per un qualche motivo, le sciolse immediatamente
questa
idea e la fece annuire con un sorriso.
Una volta fuori glielo
chiese, il perché di questa decisione così
affrettata.
-Vedi, volevo passare
un po’ di tempo in tua compagnia. Vorrei mi raccontassi come
sta mio fratello.-
spiegò l’uomo, guardandosi attorno.
Non era mai stato in
Canada, ma gliene avevano da sempre parlato come un posto tranquillo,
pulito.
Kimberly prese fiato.
–Jared.. Jared sta molto bene. Cioè, forse molto
no, però sta bene.
Il lavoro va bene, per
quanto essere professore di musica possa creare problemi.-
-Allora qual era il
motivo urgente per farci venire qui?- domandò guardandola di
sottecchi.
Lei scrollò le spalle.
–Gli manca molto la sua famiglia, è una delle
poche cose che lascia trapelare
nonostante gli sforzi per trattenersi.-
-Sempre molto
riservato, eh? È sempre stato questo alone di mistero che
mandava in
fibrillazione le ragazze.- ghignò l’uomo al suo
fianco, come se questo non
potesse in un qualsiasi modo toccare la ragazza.
La quale infatti si
irrigidì appena, quell’appena che non
sfuggì allo sguardo vigile di Shannon, il
quale colse la palla al balzo.
-Come vi conoscete tu e
lui?- chiese con finto disinteresse.
Eccola, la domanda che
più temeva ma che sarebbe sicuramente arrivata. Mordendosi
il labbro inferiore,
Kim cercò le parole giuste per affrontare un argomento
simile, aveva fatto male
a fidarsi del suo sguardo.
-Sono una sua alunna.
Una di quelle che ha accalappiato proprio con quell’alone di
mistero.- confessò
per poi bloccarsi in mezzo al marciapiede, accigliata. –Anzi,
a dire il vero
non è stato quello. Al contrario, è stata la sua
trasparenza, a colpirmi. Come
si era preso cura di me quando ero malata, la dedizione con cui
è sempre stato
attento ai miei sentimenti, e il suo lato oscuro. Sì, per
quanto mi facesse
innervosire, d’altra parte sono sempre stata affascinata
dalla doppia
personalità che mi mostrava.-
Non ci volle un molto
perché Shannon capisse che genere di rapporto ci fosse tra i
due.
Improvvisamente ricordò
dove aveva già sentito quel nome. Jared gli parlava sempre
di quell’alunna permalosa
e impertinente che gli faceva fare
figuracce davanti alla sua classe.
Tuttavia, sentiva che
c’era qualcosa di diverso nel tono del fratello, come se non
lo colpisse
davvero il fatto che lui facesse la figura del cretino davanti agli
alunni,
bensì l’alunna stessa. Era una sfumatura della
voce che però era molto bravo a
coprire, come se volesse reprimerla in eterno dentro se stesso.
Evidentemente, Jay in
teoria era molto più forte che in pratica, e la prova se ne
stava in silenzio a
fissarlo, proprio di fronte a lui.
Kimberly aveva
un’espressione eroica in volto, come se il suo discorso fosse
qualcosa a cui
aveva sempre pensato ma che non si era mai permessa di sviscerare.
Sembrava molto
soddisfatta, ma al contempo leggermente spaventata dalla possibile
reazione di
Shannon.
Il quale invece,
sospirò e con un sorriso le chiese –Allora, quali
sono i tuoi programmi?-
*
Kimberly era
intenzionata a fare la spesa, a preparare qualcosa di speciale per
quella
serata tutti insieme. Probabilmente era una pretesa sciocca, dato che a
Jared
non sarebbe fregato niente del cibo dal momento che avrebbe rivisto la
sua
famiglia.
-Ti hanno mandato loro
a chiedermi quale fosse la situazione tra me e tuo fratello?-
domandò poi lei,
trovandosi davanti al reparto ortaggi.
Il professore ne
mangiava tanti, quindi provvide a fare una scorta.
-A cena abbiamo un
esercito di conigli?- rise Shannon, divertito dal carrello mezzo
riempito da
verdure. E anche un po’ schifato a dirla tutta.
Lui odiava le verdure,
era un carnivoro nato, avrebbe addentato qualsiasi pezzo di carne gli
si fosse
parato davanti.
-Jared è vegetariano,
non lo sapevi?- la ragazza distolse l’attenzione per portarla
sull’uomo alle
sue spalle.
Ogni volta che i loro
occhi si incrociavano, qualcosa dentro di lei fremeva. Aveva un fascino
spropositato, non le era mai successo di sentirsi così
davanti ad un uomo che
non fosse Jared.
Si sa, buon
sangue..
-Deve essermi
sfuggito.- chiosò lui sbuffando. Poteva esserselo
sicuramente dimenticato, ma
dentro di sé sentì come se il fratello
l’avesse tradito, lui e il suo orgoglio
carnivoro. Improvvisamente una bruttissima idea gli balenò
in mente. –Quindi
non ci sarà carne stasera??- disse inorridito.
Kim fece spallucce. –Se
ci tieni puoi prendere qualcosa tu. E comunque non mi hai risposto.-
sospirò,
indicandogli il bancone della carne.
-No, avevo solo bisogno
di stare un po’ lontano da Jenah.- confessò
dirigendovisi.
La ragazza strabuzzò
gli occhi, fissandolo. Tutto avrebbe detto, tranne che vi fosse una
crisi tra i
due.
Ma non le sembrò il
momento per scendere in un argomento simile, con una persona che
conosceva da
un’ora scarsa e che era niente di meno che il fratello del
suo ragazzo.
Le fece una certa
impressione pensare a Jared come il suo “ragazzo”.
Non lo era già da un pezzo,
ma definirlo fidanzato le sembrava davvero esagerato.
A pensarci bene non
avevano mai trattato l’argomento, avrebbero dovuto farlo al
più presto.
-Oh, capisco..- mormorò
Kimberly, proseguendo verso le altre corsie.
Dal canto suo, Shannon
apprezzò questa discrezione da parte della giovane. A dirla
tutta era molto più
matura di quanto avesse immaginato e anzi, ogni tanto riusciva a capire
cosa
potesse vederci suo fratello di tanto speciale da mettere a rischio il
posto.
Gli sarebbe piaciuto
avere un po’ del suo coraggio. Era qualcosa che gli aveva
sempre invidiato, un
po’ come adesso gli stava invidiando la conquista.
Si riscoprì geloso di
un rapporto come quello. Era tanto che non sentiva i brividi pensando
ad una
donna, e le famigerate farfalle nello stomaco ormai si erano tutte
estinte.
La storia con Jenah era
ormai un’abitudine, se non peggio, era giunta al capolinea.
Quanto avrebbero
finto ancora?
Vedendo l’espressione
criptica di Kimberly mentre osservava scrupolosamente due tipi di sushi
già
pronto, decise di darle una mano.
-A Jared piace il salmone.-
le sorrise, per poi sobbalzare su se stesso. –Un momento, che
vegetariano è uno
che mangia il sushi?!- esclamò, causando una risata di cuore
da parte di Kim.
-Te l’ho detto che ha
un lato oscuro.- ironizzò, cercando di ricomporsi.
*
-E ora?- le chiese
entusiasta come un bambino, appena fuori dal supermercato.
Si era divertito,
quella ragazza tirava fuori il suo lato adolescenziale ormai sepolto da
un
pezzo.
Lei gli rivolse
un’occhiata divertita: non si sarebbe mai e poi mai aspettata
di trovarsi così
a suo agio con Shannon. Che la sua anima fosse già intorno
alla quarantina? Non
riusciva a spiegarsi come potesse legare rapidamente solo con gente così adulta.
D’altro canto, non si
poteva non adorare Shannon Leto. Era molto meno problematico e
tormentato di
Jared; più genuino, fresco, sicuro, libero.
Avevano passato il
tempo nel supermercato ridendo come due folli, come se avessero la
sindrome
della iena ridens, come se non si fossero conosciuti in giornata.
Alla fine si era
addirittura proposto per pagare lui questa spesa, riconoscente degli
sforzi Kim
aveva fatto.
-Ora ti porto da una
persona.- disse sorridendogli misteriosamente.
Fuori dal locale,
cominciò a bussare forte alla porta, finché non
sentì dei passi contrariati
avvicinarsi.
-Ma per l’amor del
cielo, proprio vi è difficile leggere la scritta
“chius..?- Tomo aprì la porta
sbraitando, trovandosi col cuore in gola quando vi riconobbe Kimberly e
Shannon. Soprattutto Shannon.
-Tomo!- esclamò
quest’ultimo prendendogli con forza la testa e salutarlo in
un modo che Kim
avrebbe definito “scimmiesco”. Gli saltò
letteralmente addosso, cosa che non
infastidì per niente l’amico, emozionato al punto
da ricambiare con lo stesso
tipo di foga.
Era la prima volta che
la ragazza assisteva ad un esempio di violenza amorevole. Era una
situazione
bizzarra.
-Che diavolo ci fai tu
qui?!- chiese Tomo incredulo. –Ivana! Ivana! Guarda chi
è venuto a trovarci!-
chiamò poi la sorella a gran voce.
Shannon sorrise di
cuore a quella notizia: tutti volevano molto bene alla sorella
Milicevic.
Quando questa fece
capolino nella stanza, cacciò un urlo e si gettò
tra le braccia di Leto,
elettrizzata e incredula. –Come mai sei qui?!
Perché non ci hai avvertito?!-
Di tutta risposta, lui si
scostò riportando l’attenzione sulla giovane.
–E’ merito della ragazza, con una
telefonata ha chiamato all’appello me, Jenah
e la mamma.- spiegò lui indicandola con
la mano, facendole segno di avvicinarsi.
Lei timidamente si mise
al suo fianco, incrociando gli sguardi sbigottiti dei due amici
d’infanzia di
Shannon. Negli occhi di Ivana vi lesse una luce che le fece chiaramente
intendere quanto si fosse sbagliata a giudicarla avventata.
Era riuscita nel suo
intento e lo constatò con una fitta d’orgoglio.
My
life would suck without you
Note finali: lo so
lo so lo so la canzone in background non c'entra davvero un cazzo ma
è passata un'ora ormai e tutte le 2000 della mia playlist
non si addicono, indi per cui facciamocela piacere :)
Capitoletto
di transizione tra una cosa e l'altra, in cui si approfondisce la
figura di Shannon. A me piace molto come è venuto fuori
questo personaggio, lo immagino giovane inside, un "mattacchione",
smemorato e soprattutto CARNIVORO.
Scusate
se invece ogni tanto può sembrare che ci sia una specie di
flirt tra lui e Kim, non era mia intenzione, ma credo sia dato dal
fatto che quando l'ho scritto Jared era scheletricissimissimo (tutt'ora
secondo me deve recuperare qualcosa) e inconsciamente ho lasciato che
questa poca attrazione nei suoi confronti si riversasse in Kim ma non
ho in mente ménage à trois, a meno che siate voi
a chiedermelo.
ahahahahahahaahahahhahahahaahahhahahaahahahhaah.
Tornando serie, alloraaaa??? Che vi sembra????
La canzone è di Kelly Clarkson, My life would suck without you
e come ho già detto non c'entra un'emerita ceppa, ma
pace&bene, è andata così.
Perchè ora noi
ci apparteniamo
uniti per sempre, qui, in
un qualche modo
hai preso un pezzo di me
e, onestamente,
la mia vita farebbe
schifo senza te
Bene, that's it. A voi la linea ;)
bacibacibacibacibacibacibacibacibaci
|
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Capitolo 59 *** Capitolo 59. ***
Capitolo
59.
Life is
bigger
It's bigger than you
And you are not me
The lengths that I will go to
The distance in your eyes
Oh no Ìve said too much
I
set it up
-Ok, lui vive qui, ce
la fai ad andare all’albergo e poi tornare qui senza
perderti?- gli chiese Kim,
indicandogli il campanello da suonare.
-Mi hai preso per un
cretino? È tutta dritta!- rispose lui, pieno di
sé. –Tu piuttosto, sei sicura
di riuscire a portare su tutto?- erano quattro sacchetti colmi di roba.
-Ovvio.- disse lei
incerta, rendendosi conto di non riuscire a tenere in mano anche le
bottiglie.
-Dai, queste le porto
io.- si propose l’uomo, sollevando una confezione di 6
bottiglie da un litro,
con un’agilità spaventosa, come se si trattasse di
un mucchio di foglie secche.
-Ci vediamo dopo.- lo
salutò, soffermandosi forse un po’ troppo a lungo
sul suo volto.
Una volta in ascensore,
Kimberly chiuse gli occhi e si appoggiò contro una parete,
cercando di trovare
il controllo. Non era possibile che fosse così affascinata
dal fratello di
Jared, era una situazione di pessimo gusto.
Una volta raggiunto
l’appartamento
organizzò mentalmente il da farsi: cominciò a
cuocere ciò che doveva essere
cotto, lasciando però in disparte le bistecche di Shannon.
Sembrava molto
affezionato ai suoi acquisti, era meglio non intralciargli
l’opera.
Quando udì il
citofono
era già riuscita ad apparecchiare il lungo tavolo e a
riporvi delle bielle di
verdure condite.
Gli ospiti entrarono
nell’appartamento, c’erano anche Tomo e Ivana. Non
si sarebbero persi quella
serata per nulla al mondo, avrebbero lasciato il locale chiuso
quella sera, a
costo di perdere qualche cliente.
-Che meraviglia,
Kimberly!- esclamò Costance, ammirando la tavola imbandita.
Notò con piacere
che era tutto salutare, le fu evidente che la ragazza conosceva bene i
gusti di
suo figlio minore.
La ragazza le rivolse
un sorriso grato, colma di imbarazzo.
-Dove sono le mie
bistecche?- chiese Shannon a gran voce, distraendola.
-Le ho lasciate
lì, non
volevo far danni.- disse lei, scortandolo in cucina e mostrandogli dove
poteva trovare
l’occorrente.
Ne aveva prese
veramente tante, ma guardandolo meglio doveva essere una persona molto
bisognosa di proteine. E comunque non credeva che tutti avrebbero
mangiato solo
le pietanze favorite da Jared, quindi aveva fatto bene a spaziare un
po’.
Proprio in quel momento
sentì il campanello: doveva essere Lui.
Fece segno a tutti di
rintanarsi in cucina, in modo da fargli una sorpresa.
–Svelti!-
Quando aprì la
porta,
il professore le mostrò uno sguardo fiammante. Non era
esattaente di buon umore…
-Ciao!- lo
salutò lei,
con un sorriso che lui non ricambiò assolutamente.
-Ciao.- rispose,
superandola e dirigendosi verso la camera, dove buttò le
tende nuove e i
sacchetti degli aggeggi che aveva comprato.
-Trovato tutto quello
che ti serviva?- continuò Kim, invariando il tono energico
della voce.
Lui la guardò
per la
prima volta, negli occhi quello sguardo acceso non accennava a
calmarsi. –Sì, e
sicuramente non grazie a te.-
-Jared, è
successo
qualcosa?- domandò lei preoccupata, avvicinandosi per
prendergli il volto.
L’uomo si
scostò. –Devi
dirmi niente?- ribatté eloquente.
-A che proposito?- il
tono brusco e il modo con cui si era scansato da lei,
l’avevano davvero ferita
e ora cercava di pensare a cosa avesse potuto fare di sbagliato, ma in
quella giornata
tutto si poteva dire fuorché si fosse comportata male nei
suoi confronti.
-Sai, fino ad oggi
quando sei uscita da casa mia, non avrei mai dubitato di te. Mai, in
niente,
per nessun motivo. Ho sempre creduto fossi sincera con me, io credo
ciecamente
a qualsiasi cosa tu dica.- spiegò, indirizzandosi di nuovo
verso la sala, con
la ragazza al seguito. –E invece, improvvisamente mi
è balenato in
mente un
dettaglio, un piccolo dettaglio che sicuramente nella tua invenzione
non era
presente: io non prendo il pullman.- concluse voltandosi ad effetto
verso di
lei, come se potesse capire di cosa stesse parlando.
-Sono confusa.- ammise
l’alunna, corrugando la fronte e distogliendo lo sguardo dal
suo.
-Oh, davvero? Allora
dimmi, di chi era il numero che ti ha chiamato oggi?- le
ricordò, gli occhi
diabolici puntati su di lei.
Improvvisamente, come
quando un battito di ciglia ti ricorda un pezzo di sogno fatto nella
notte che
non riuscivi assolutamente a ricostruire, si ricordò la
palla colossale che gli
aveva raccontato quando aveva riconosciuto il numero di Shannon: il
segnale per
dirle che erano arrivati in aeroporto, e lei avrebbe avuto il tempo di
raggiungerli mentre loro avrebbero aspettato le valigie e fatto la fila
per
mostrare il passaporto alla dogana.
Kim nel panico aveva
inventato che erano le interviste riguardanti i servizi
dell’autobus, ma solo
ora si era resa conto del passo falso che aveva fatto, dal momento che
il
professore non poteva conoscere quel numero se non era un cliente
fisso, al
contrario suo che da ormai 6 anni aveva l’abbonamento annuale.
-Oh.- rispose
semplicemente, non sapendo cosa aggiungere.
-Esatto, oh.-
ripeté
Jared, continuando il suo tragitto verso la sala.
-Jared, lascia che ti
spieghi!- lo seguì lei, agitando le mani. Stava rovinando
tutto, come al
solito, qualcosa doveva andare per il verso sbagliato.
-No, ora mi dai il
cellulare e sentiamo chi è!- era davvero furioso, il tono di
voce non era mai
stato così alto. Le si avvicinò per strapparle
l’apparecchio dalle tasche dei
pantaloni.
-Ahi, mi fai male!- si
difese l’alunna, spingendolo via. Non aveva tasche, il
telefono era nella
borsa, in cucina.
-Dimmi
dov’è!- sbraitò,
ancora una volta.
-La smetti di urlare?!-
disse agitata lei, portandosi le mani attorno alla testa.
Era nero, non
l’aveva
mai visto così arrabbiato e non riusciva a capire tutta
questa foga improvvisa,
solitamente lui si dimostrava calmo anche davanti alle situazioni
più urgenti!
-Dimmi dove cazzo
è!- continuò
l’uomo come se non la sentisse.
Con un sospiro rassegnato,
gli indicò la cucina. –Sul tavolo, di
là.- si sentiva così mortificata che non
le interessava più che la sorpresa fosse scoperta in un modo
diverso da come se
l’era immaginato.
Deglutì,
guardandola
un’ultima volta più intensamente, con gli spettri
del senso di colpa che
cominciavano ad eccheggiare dentro di lui.
Subito però si
scosse,
ripensando che gli avesse mentito e ora si trovava nel torto. Risoluto,
la
lasciò lì, dirigendosi verso la cucina.
Una volta aperta la
porta si trovò di fronte i cinque ospiti, tre dei quali
erano quelli che meno
si aspettava di vedere.
Il respiro gli si
smorzò in gola.
*
-Buh.-
fece Costance,
sfilandosi le unghie di entrambi i pollici dai denti, intenta a
mordicchiarli.
Era nervosa e preoccupata per la sfuriata che la ragazza aveva
ricevuto, e ora
gli mostrava un sorriso pallido; chissà come
l’avrebbe presa. A questo punto,
tutto era possibile.
Jared di fronte a loro
non riusciva a muoversi né a pensare qualcosa di sensato. Si
sentiva così
confuso, come se si trovasse davanti ad una visione.
Con un sussulto si
voltò, incrociando lo sguardo di Kimberly, visibilmente
scossa dalla reazione
per niente controllata del professore. Spaesato davanti a quella vista,
cadde
totalmente vittima del senso di colpa, che ormai lo artigliava
dall’interno, riversandosi
completamente su di lui.
-Kimberly.. – mormorò
lui, cercando un modo credibile per chiederle scusa.
Rendendosene conto, lei
gli dedicò un flebile sorriso, cercando di essere il
più convincente possibile.
-Lo so Jared, va’
tranquillo.- non voleva si rovinasse questo momento, a costo di fingere
che non
fosse successo niente; in quel momento però non sapeva
quanto sarebbe riuscita
a sostenere il suo sguardo.
Fortunatamente Jared
tornò a guardare gli ospiti, i quali cominciarono ad
avvicinarsi, percorrendo
lentamente il tavolo rotondo in mezzo alla stanza che li divideva da
lui.
La prima ad
abbracciarlo fu proprio sua madre, che in cambio ricevette una forte
stretta.
–Il mio bambino!- mormorò, procurando uno
scioglimento generale.
Lui era il piccolo
della famiglia e per lei sarebbe sempre rimasto tale.
Kimberly abbassò lo
sguardo, come a non sentirsi all’altezza di partecipare a
quella dimostrazione
di estremo amore e rispetto, non aveva mai visto l’uomo
indugiare tanto dal
separarsi da un abbraccio. Sembrava vi ci fosse abbandonato.
Finalmente toccò al
fratello, il quale lo strinse così forte che Kim per un
secondo temette potesse
spezzarglielo davanti agli occhi: era così magro rispetto al
maggiore!
-Era mio il numero,
Jay.- rivelò, guardando Kim negli occhi, la quale gli
sorrise riconoscente.
-Lo so, fratello.-
disse l’ultimo, che se ne era reso conto proprio nel momento
in cui aveva
varcato la soglia della cucina.
Il momento si sedersi a
tavola era giunto, e ormai la tensione non era più
così palpabile. Lo era
solamente tra Kim e Jared, gli altri ridevano e scherzavano per
smorzare un po’
l’atmosfera e i ricordi delle urla dell’uomo.
In realtà la ragazza
era ancora mortificata, e non riusciva a capacitarsi del fatto che lui
ora
fingesse così bene che fosse tutto finito. Erano seduti
lontani, in modo che
non potessero incrociarsi gli sguardi, se non volendolo.
Lui era a capotavola,
lei lateralmente, dopo Ivana e Tomo. Accanto a lei, di fronte a Jared
quindi,
c’era la madre e davanti a Kim, Shannon e Jenah.
Lei si rallegrò, avendo
così la possibilità di osservarli e rendersi
conto che obiettivamente non
sembravano neanche una coppia. La rossa non era poi così
simpatica, anzi era
praticamente chiaro che tra lei e Jared non scorresse buon sangue.
Probabilmente perché
lei era la causa del fallimento dei sogni dei due fratelli, in ogni
caso era
evidente che Shannon ora come ora rimpiangeva la sua scelta.
Ebbe l’occasione di
osservare Constance e cogliere tutti i piccoli aspetti che la legassero
ai due
fratelli. Il naso, ad esempio, era di Shannon e così anche
il modo in cui
strizzava gli occhi.
La parlata soave e
incantevole, i modi eleganti che la rendevano regale anche mentre
masticava,
erano sicuramente riconducibili a Jared. Ne ebbe la conferma
anche da come il
maggiore si avventava sulle costolette, e lo sguardo schifato della
compagna
infastidì Kimberly.
Se ti piace una persona
e ci stai insieme da così tanto tempo, non puoi guardarlo in
quel modo, come se
fosse la prima volta che lo vedi mangiare e non potessi aspettartelo.
Per tutta la durata del
pasto –molto abbondante, tra l’altro- gli altri
parlarono e ricordarono insieme
degli aneddoti molto divertenti che portarono tutti a ridere molto
vivacemente.
La giovane invece, per
quanto trovasse interessanti le loro discussioni e le loro risate
accese, non
riusciva a sentirsi parte di quel tavolo, come se in realtà
lei fosse in un
angolino remoto della stanza.
Silenziosamente se ne
accorsero tutti, ma preferivano non intervenire per non creare
ulteriore
scompiglio tra i due, lasciandola così tra i suoi pensieri.
Cercava di partecipare
sorridendo e guardando chi stava parlando, con l’eccezione di
Jared, ma senza
mai aprire bocca.
Era delusa e amareggiata
dal comportamento del professore. Non si era preoccupato di farla
sedere vicino
a lui; quando si alzava per sparecchiare e andare a lavare i piatti,
non ne
approfittava per raggiungerla, invece le lanciava solo delle lunghe
occhiate.
Si sentiva come una
serva, se ne rese conto mentre lei era in cucina con una pila di piatti
sporchi
da strofinare e gli altri se ne stavano tutti seduti a scherzare.
Sbuffò, scacciando quei
pensieri, risoluta. Era giusto si divertissero, del resto non avevano
molti
giorni a disposizione.
Solo Ivana si era degnata
di darle una mano, anche in quel momento la raggiunse, portandole anche
gli
ultimi bicchieri.
-Ti serve aiuto?-
domandò gentilmente.
-No, grazie.- sorrise
cordiale Kim, lanciandole uno sguardo di sfuggita.
-Sai, sei stata molto
carina. Ti confesso che inizialmente ero restia riguardo al tuo
rapporto con
Jared.. lui è stato molto ferito in passato e tu sei molto
più giovane di lui.
Ho pensato che per te non fosse così importante, solo
un’avventura
adolescenziale.- spiegò, prendendo un panno e asciugando i
piatti e stoviglie
già lavate.
Kimberly le rivolse uno
sguardo assente. Ma và? Pensò tra
sé e sé, ma decise di scuotere la
testa facendole intendere che non fosse importante.
-Ti porgo le mie
scuse.- concluse la vecchia amica di Jared.
-Non importa, davvero.
Ci tenevo a vederlo felice.- si giustificò la ragazza,
imbarazzata.
In quel momento le
arrivò alle orecchie una scarica di risate accese.
–Vado a vedere cosa
combinano!- disse Ivana, sparendo dalla sua vista e portando il dolce
con sé.
Rimasta nuovamente
sola, Kim pensò con malinconia a suo padre e a come si fosse
comportata male
con lui. Avrebbe avuto bisogno di una faccia amica in questo momento,
perché
nonostante l’uomo dei suoi sogni fosse dall’altro
lato del muro e che il suo
orgoglio fosse stato bene ripagato per il successo che la
sua idea aveva
riscosso, si sentiva tremendamente
sola.
Finito il lavoro, ne
approfittò della distrazione generale per recarsi
nell’ufficio di Jared: lì
avrebbe trovato un telefono e non le importava di fargli spendere
qualcosa in
più di bolletta. Ben gli stava.
Il professore la vide
passare davanti al tavolo per poi allontanarsi. La seguì con
gli occhi per
tutto il tragitto e poi abbassò lo sguardo, ancora
attanagliato dai sensi di
colpa persistenti. Si era comportato da vero cane con lei, non
c’era dubbio;
eppure non aveva ancora il coraggio di recarsi da lei e chiederle
scusa. Si
vergognava immensamente per come l’aveva trattata e non
sapeva come avrebbe
potuto farsi perdonare.
Quando alzò di nuovo
gli occhi dal tavolo, tutti erano in silenzio a fissarlo con
espressione
scocciata e apprensiva. –Che aspetti?- gli chiese Shannon,
facendo cenno in
direzione di Kim.
Il fratello, di tutta
risposta, sospirò insicuro.
*
Si
sedette sulla
poltrona di Jared, sempre molto comoda.
Prese
il telefono fisso
e si portò la cornetta all’orecchio, componendo il
numero che conosceva a
memoria. Una voce maschile le rispose quasi subito, sembrava sorpresa.
-Kim?-
chiese, il tono
non si preoccupava minimamente di nascondere questa sorpresa mista a
confusione.
Un
brivido le corse
lungo la schiena, il cuore le palpitava nel petto e la gola si
seccò tutta d’un
tratto.
-Ciao,
Chris.-
That's
me in the corner
That's
me in the spotlight
Losing
my religion
Trying
to keep up with you
And
I don't know if I can do it
Oh
no I've said too much
I
haven't said enough
I
thought that I heard you laughing
I
thought that I heard you sing
I
think I thought I saw you try
Note finali: oh,
ragazze quanto sto male. Forse è per questo che mi trovo qui
invece che essere da tutt'altra parte dove dovrei essere. Avete
presente quando si dice che la vita non è un film? Ecco, nel
mio caso la mia sembra un film molto spesso, con tutte le tragiche
conseguenze che ne derivano.
Quant'è difficile dire addio ad una persona? Forse solo oggi
me ne sono resa davvero conto. Ma è stata una scelta giusta,
se non avessi addiato questo, avrei person l'altro e l'altro non potevo
perderlo. Non era sopportabile.
Credo
che la differenza tra l'amicizia e l'amore sia direttamente
proporzionale alla differenza tra un gigantesco groppo in gola e il non
riuscire a smettere di piangere.
Sì,
ho un modo tutto mio per prendere le decisioni, lo so. Cosa
è più sopportabile? Col risultato che ora ho
questo groppo che non riesco a smaltire. Spero solo che mi dia un paio
di giorni per metabolizzare la cosa, quando finalmente me ne
dimenticherò (ho una memoria molto corta, ed
è una fortuna enorme spesso e volentieri) e posso tornare a
crogiolarmi nel mio senso di colpa, finché non mi
perdonerà completamente.
Sta di fatto che perdere le persone non fa parte della mia natura. Non
sono proprio in grado, è una mia disabilità che
t'aggia dì?
MA
VA BEH tornando a bolla, allora??? Vi aspettavate una reazione
così?? E tutto il resto?!! Credo che questo capitolo sia
molto particolare, me piasce ;)
Spero
che la lunghezza e i contenuti vi permettano di perdonare il mio
orribile ritardo.
Sono
molto curiosa di quello che avete da dire, davvero davvero
molto!
La canzone l'ho scelta epr due motivi, Loosing my religion
dei R.E.M: 1) CI STAVA 2) era nel CD che mi aveva fatto la persona che
ho addiato, e boh, mi fa sentire meno triste questa sua inconsapevole e
involontaria presenza.
La
vita è più grande
È
più grande di te
E
tu non sei me
Le
lunghezze che percorrerò
La
distanza dai tuoi occhi
Oh
no, ho detto fin troppo
L'ho
voluto io
Sono
io quello nell'angolo
Sono
io quello alla ribalta
Che
perdo la mia pazienza
Cercando
di sostenermi con te
E
non so se posso farlo
Oh
no, ho detto fin troppo
Non
ho detto abbastanza
Pensavo
di averti sentito ridere
Pensavo
di averti sentito cantare
Credo
che pensassi di averti visto tentare
Inoltre un'altra chicca del giorno è che secondo me esiste
tanta, TROPPA gente TROPPO rincoglionita. Ma di questo ne parliamo
un'altra volta ;-P ahaha
Fatemi sapere fanciulle, spero sia di vostro gradimento
♥♥♥
|
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Capitolo 60 *** Capitolo 60. ***
Capitolo 60.
And I
Still don’t know how to tell
The things I can’t explain
You make me feel I’m not so bad
Certe
volte capita che
siamo noi a cercare le persone. Magari nei momenti grigi e di pausa,
quando
l’unica cosa che riusciamo a fare è fissare un
muro e tutto il resto comporta
indifferenza. Allora usciamo da quella casa spoglia, conosciamo
qualcuno e
succede che ci attacchiamo a questo come l’aria, come se
fosse la nostra ultima
fonte di sussistenza; fino a che anche lui non si affeziona a noi.
Altre volte no. Altre
volte invece accade che sono gli altri a cercarci.
Questi ci prendono e ci
invadono, ci aprono e si infilano nelle nostre vite così
velocemente da farci
dimenticare come era prima, senza di loro.
E a quel punto noi non
lo sappiamo, ma non siamo più gli stessi.
Quanto tempo era che
non sentiva la sua voce? Le sembrava cresciuta, maturata.
Non le era mai
particolarmente piaciuto il suo timbro, era decisamente nasale.. ma si
sa,
l’amore è cieco, sordo, muto e pure tetraplegico,
ogni tanto.
Si ricordò quando,
ancora stava con la ragazza prima di lei ma già
c’era un tira e molla in ballo
tra i due, che lui le chiedeva sempre di chiamarlo, anche quasi a
mezzanotte e
lei non gliel’aveva negato neanche una volta.
Si andava a chiudere
nel bagno in cantina per non disturbare i suoi genitori e componeva
quel numero
col cuore che batteva all’impazzata.
Come in quel momento.
Sembravano trascorsi
secoli da quei tempi e, anche se ci pensava con imbarazzo, non riusciva
a
reprimere quei moti di malinconia infinita.
Lui era stato il suo
primo amore, e tutti sanno quanto valore si attribuisce a questo. Non
significa
necessariamente che sia l’unico; non sminuisce certo quelli
seguenti e questo
non fa del primo amore anche il vero amore; però
è il primo, e qualsiasi prima
cosa ha qualcosa che ti rimarrà dentro in eterno; tutte le
volte che ripeterai
quell’azione, lo sai, ormai sarà troppo tardi,
perderà di genuinità.
Kimberly se ne rese
conto con un impeto di amarezza. Ogni tanto, con Jared, desiderava con
tutta se
stessa che fosse stato lui il primo a farle battere il cuore
così, avrebbe di
gran lunga preferito concedersi per la prima volta all’uomo
piuttosto che allo
spacca cuori dall’altro capo del telefono.
Ma ormai era passato, e
non c’era nulla che potesse riavvolgere il nastro.
*
-Kimberly?
Tutto
apposto?- insistette quella voce, che ancora non riusciva a capacitarsi
di
quello a cui stava assistendo.
-Sì, ti rilassi?-
rispose irritata la ragazza. Le domande ripetute all’infinito
la rendevano
nevrotica.
-Scusami, è solo che
non mi aspettavo di sentirti.- si giustificò sulla difensiva
Christopher. –Cosa
posso fare per te?-
-Sembri un cameriere.-
rise leggermente lei, le gambe accavallate e il busto sporto, puntando
i gomiti
sulle cosce.
-Spiritosa. Allora, che
mi racconti?- era una domanda che le poneva sempre, come a non voler
farsi
carico della piega che la conversazione avrebbe preso.
Kim ci rifletté un po’.
–Tra un paio di settimane ho l’esame della patente!-
-Si salvi chi può!- scherzò
lui, fingendo puro panico.
-Smettila, guarda che
sono bravissima!- smentì imbronciata.
-Non lo dubito. Come quella
volta da piccoli, che con il monopattino ti sei sfracellata al suolo. O
con lo
skateboard, che non riuscivi a fare un metro senza volare in terra. O
con la
motoretta a quattro ruote con cui centravi tutti i cespugli!- le
elencò, ricordando
la sua disabilità cronica nel condurre un mezzo.
Kimberly arrossì di
vergogna. Era tutto vero, ancora oggi riportava i segni di quei piccoli
e
insignificanti incidenti di percorso, ma questo non significava per
forza che
lui dovesse rinfacciarglieli ogni volta.
-Mh, vogliamo parlare
della tua passione per il ballo da sala, allora?- lo
minacciò le sarcastica,
riferendosi alle lezioni che aveva preso fino a poco tempo prima, con
sua
madre.
-Sei una vigliacca, lo
sai che era mia mamma a trascinarmici!!- esclamò, fingendosi
offeso. Ciò
provocò ilarità generale, che li fece ridere
insieme.
Trascorsero istanti di
silenzio in cui entrambi ascoltarono il reciproco respiro infrangersi
contro il
microfono. Erano istanti piacevoli, che li riportavano indietro nel
tempo.
-Perché mi hai
chiamato?- chiese improvvisamente Chris, con un tono così
dolce che Kim stentò
a riconoscerlo, un tono che la commosse, o forse era tutta la
frustrazione
accumulata, che infatti le fece rispondere con voce spezzata
–È che non mi hai
ancora fatto gli auguri di buona Pasqua.-
Non ci voleva un genio
per capire che fosse una scusa campata per aria e che in quel momento
lei
stesse piangendo, e lui se ne accorse.
Una sensazione simile a
dispiacere si fece largo nel suo petto, e si trattenne dal ricordarle
che
Pasqua sarebbe stata il giorno dopo ed era un po’ presto per
gli auguri, per
quanto fosse davvero necessario farsi gli auguri per una
festività simile.
-Che sbadato.- ammise.
-Ti prego, raccontami
qualcosa che mi possa distrarre.- pareva lo implorasse, cercando di
trattenere
le lacrime che spingevano per uscire finalmente, dopo tutto quello che
aveva
ingoiato.
-Mh, ok, pensa, pensa,
Chris..- si sforzò improvvisamente sotto pressione. Non
aveva la minima idea di
cosa potesse dirle per distrarla. –Io e Barbara ci stiamo
lasciando.-
Fu un colpo allo
stomaco per Kimberly.
Perché? Perché glielo
stava raccontando, con così non-chalance?
-Oh.- fu tutto quello
che riuscì a commentare. Del resto era davvero riuscito a
distrarla. Anzi,
l’aveva letteralmente lasciata senza parole. –Cosa
è successo?- chiese poi,
raccogliendo il coraggio a due mani.
Nei suoi
indimenticabili incubi e deliri questa era una frase incredibilmente
ricorrente. Una frase semplice e interpretata con tono neutro, come se
non
fosse poi così importante; ma per Kim lo era, eccome.
Quante volte aveva
sognato le rivolgesse queste parole? Le confessasse che non poteva
continuare
con l’altra, perché nel suo cuore c’era
solo spazio per lei?
Strinse gli occhi,
immergendo dentro di sé questa agitazione improvvisa, che la
fece drizzare e
stringere i braccioli della poltrona da scrivania del professor Leto,
con le
unghie.
Se erano le parole che
aspettava da sempre, perché ora le faceva così
paura la prospettiva che lui
tornasse?
-Perché mi sto
stancando.- rivelò. La ragazza riusciva ad immaginarselo,
con una mano in
tasca, una sigaretta nell’altra e i pantaloni calati
posteriormente, come la
moda dettava.
Avrebbe scrollato le
spalle, dando una lunga aspirata alla sigaretta, per poi espirare tutto
il fumo dal naso.
–Il fatto è che.. è troppo gelosa.
Da quando il suo ex l’ha tradita, non si fida più
di nessun ragazzo e io non lo
sopporto. Anzi questo mi induce solo a farlo.-
Le sue parole le fecero
automaticamente pensare a Jared. Illuso, tradito e abbandonato, ora
dava i
numeri ogni qual volta in lui si insinuasse il dubbio di un presunto
tradimento.
Qualcosa dentro le si
incrinò leggermente: povava un’immensa empatia nei
suoi confronti, l’aveva
sempre provata ed in fondo sapeva che era per questo che non riusciva a
prendersela tanto con lui per la sfuriata che le aveva vomitato
addosso.
Inoltre, Kim si sentì
colpevole nei confronti di quella povera ragazza, quando si rese conto
che
altro non era che una bambola come lo era stata lei, un giocattolo di
cui lui
si era stancato e che aveva poi gettato via.
Lei aveva passato tutto
questo tempo a detestarla, a sperare di incontrarla per strada solo per
spingerla sotto ad un’auto; aveva rigettato tutta la colpa su
di lei, quando
questa Barbara invece era una vittima, proprio come lo era stata Kim.
Eh, l’ironia della
sorte.
-Sei tremendo.-
commentò, dura.
-E’ carattere,
Kimberly. A dir la verità lei sarebbe perfetta per me, se
non fosse che è
venuta nel momento sbagliato.. ora non sono pronto per fissarmi in una
storia
seria.-
La ragazza annuì
silenziosamente. Sebbene non fosse più così
amareggiata nei confronti della sua
attuale fidanzata, non avrebbe mai e poi mai tifato a suo favore,
quindi non
poté che sbuffare e con un’alzata di spalle, dire
–Troverai qualcuno che saprà
farti cambiare idea.- e non seppe sinceramente se fosse
l’esperienza a farle
pronunciare quelle parole, o il profondo affetto che comunque riversava
e
avrebbe continuato a riversare nei suoi confronti, quella parte di lei
che
continuava a sperare ci fosse ancora qualcosa da salvare in Chris, il
lato di
cui si era perdutamente innamorata, tempo addietro.
Con gli occhi lucidi,
concluse che quella persona non sarebbe stata lei. Non più.
-Sei sempre molto
saggia, piccola.- disse Christopher e bastò questo per
illuminarle il volto,
pur molto vergognosamente.
-Ora è meglio che
vada..- tagliò corto Kim, spaventata da
quell’improvvisa ondata di affetto e
calore.
Non voleva abituare il
suo cuore alla presenza del ragazzo, sapeva che non l’avrebbe
sopportato
qualora non ci fosse più stato. Alla sua assenza col tempo
si abituava, era il
suo tornare per poi andarsene di nuovo che non avrebbe mai retto.
-Va bene.- disse lui
con un sorriso sentito. –Mi prometti che ci sentiremo
presto?- sembrava una
richiesta seria, come se ci tenesse davvero che gli promettesse di
farsi viva.
-Certo. Ciao, Chris.-
lo salutò, ma proprio mentre stava per abbassare la
cornetta, si sentì
richiamare. –Ah Kim..- indugiò un secondo di
più lui. –Sì?- lo spronò la
ragazza.
-Buona Pasqua.- e
riattaccò senza lasciarle il tempo di rispondere.
Rimase così, in
silenzio, a fissare la cornetta muta, con un sorriso colmo di gioia.
*
-Io
ho bisogno di una
sigaretta.- annunciò Ivana, facendo leva con le mani sul
tavolo per sollevarsi,
come per enfatizzare quanto il suo stomaco fosse pieno. Aveva mangiato
davvero
tanto, erano anni che non si consentiva di sforare così.
Rimpiangeva i tempi in
cui poteva permettersi di ingerire un carico industriale di cibo
spazzatura
senza risentirne, sia fisicamente che salutarmente.
Quando si dava a quei
livelli, ora, ne avrebbe risentito per tutto il giorno seguente, non
essendo
più in grado di digerire portate simili di cibo.
Era uno degli aspetti
che invidiava a Kimberly, la ragazza del suo storico amico. Tsk, il
pensiero di
loro due insieme le fece venire una fitta di acidità allo
stomaco, dato dal suo
lato che riteneva tutta quella situazione ridicola.
Jared si era fatto una
fidanzatina, neanche fosse tornato ai tempi del liceo e non solo questa
bambina
era riuscita a fargli perdere la testa come mai nessuna era stata in
grado,
poteva pure vantarsi di un metabolismo trita-sassi invidiabile.
La vita era proprio
ingiusta, pensò sbuffando tra sé e sé,
mentre si dirigeva verso il terrazzo.
Non aveva niente contro
Kim, specialmente dopo quello che si era data la pena di organizzare
per quella
sera, solo per rendere Leto felice. Era stato un gesto stupendo,
sebbene al
momento lui non potesse goderselo completamente, dopo il loro litigio
furioso.
Era riuscita a guadagnare
punti, probabilmente era quella la differenza tra il sentimento che
provavano
le due per l’uomo: Kimberly si era veramente dimostrata
disposta a renderlo
felice, Ivana no. Anche se lui non le aveva mai dato la
possibilità…
-Vengo anch’io.- sentì
dire a pochi passi dietro di lei. Si girò per accertarsi del
proprietario della
voce e non si stupì nel cogliere gli occhi glaciali di Jared.
Il cuore sussultò,
mentre si sforzò di sorridergli. Lui le portò una
mano sulla schiena e
l’accompagnò fino a che non si trovarono entrambi
vittime dell’aria non troppo
mite di inizio aprile.
Sotto gli occhi vigili
di lui, Ivana si accese una sigaretta, inspirando a pieni polmoni la
nicotina
mista a catrame, unica ricetta in grado di rilassarla, anche se
momentaneamente.
-Ti ho insegnato
proprio bene.- sogghignò l’uomo, riferendosi al
fatto che prima di “stare” con
lui, la donna non aveva mai osato toccarne una.
Capiva perfettamente a
cosa si riferisse. I due erano stati “amici con
benefici” da tutta la vita,
all’incirca. Non le aveva mai concesso di più, e
lei non aveva mai osato
chiederglielo.
Lui la riteneva la sua
amica più stretta e fidata; non lo avrebbe mai tradito,
nonostante quel ruolo
le fosse stato sempre troppo stretto.
-E sono rimasta
l’unica.- disse lei, dopo avergli espirato tutto il fumo in
faccia. Pure questo
le aveva tolto quella bambina, ora non potevano più
condividere le loro fumate
di coppia.
Si sorrisero.
Lui allungò una mano,
le prese la sigaretta dalle labbra e la portò alle sue.
Prese una boccata profonda,
sentendosi immediatamente meglio.
Aveva combinato un
casino, e non importava quello che avrebbe deciso di fare, non sarebbe
mai
riuscito a rimediare.
-Ho paura, Ivana.- confessò
poi, guardando un punto fisso sulla
sua gonna, senza rendersene conto. -Ho rovinato tutto.- la voce
lasciava
trasparire tutto il rammarico e la rassegnazione che l’uomo
provava.
Ma come aveva fatto?
Quella era entrata nella sua vita da 6 mesi; lei c’era da
tutta la vita, e non
solo l’aveva superata, l’aveva addirittura doppiata
e mancava
davvero poco
perché raggiungesse il traguardo.
In cuor suo l’illusione
che lui potesse rendersi conto di non riuscire a vivere senza di lei
pulsava
ancora vivida, ma quando le parlava in quel modo doveva seriamente
separare il
cuore dalla ragione. Non poteva permettere che il primo prendesse il
sopravvento, avrebbe significato perdere irrimediabilmente Jared,
ed era
l’ultima cosa al mondo che voleva.
Finchè sarebbe stata
abbastanza forte da sopportare questo rapporto –che da quanto
era subentrata
Kimberly, era diventato totalmente platonico- avrebbe dato il meglio
che
poteva.
-Dimmi cosa senti.-
disse lei, armandosi di coraggio e inspirando a pieni polmoni altra
nicotina.
Era una richiesta che
comportava una serie di risposte che, lo sapeva, l’avrebbero
uccisa. Doveva
stordirsi più che poteva, rimpianse di non aver portato un
po’ di psicofarmaci.
Dopo istanti
interminabili persi a guardare il vuoto, Jared le rivolse un lungo
sguardo, uno
dei più intensi che aveva mai visto. Il lato sentimentale
della donna
si
sarebbe buttato dal terrazzo, sapendo di non essere il diretto
interessato, ma
fortunatamente era quello razionale a prevalere al momento.
-Sento che..- prese un
profondo respiro. –Che da quando Kimberly è
entrata nella mia vita, tutto ha ripreso
a funzionare. Sai, si parla tanto di quella fantomatica ruota che
quando tocca
a te sembra non girare mai. Beh, da quando c’è
lei, la mia vita è stata
rivoluzionata completamente: ho sentito la ruota girare ogni secondo
trascorso
insieme, e me la sono goduta.
Sento che tutto quello
che ho vissuto, sopportato e attraversato sia valso la pena, se la
ricompensa è
stata incontrare una ragazza come lei.
Da quando c’è lei,
tutto sembra più bello. Dentro ai suoi occhi, io vedo un
mondo diverso e
l’onore di farne parte, è la cosa più
gratificante che potesse succedermi. Non
potrei mai perdonarmi se rovinassi quest’occasione per essere
felice. Mai.-
Gli occhi di Ivana si
riempirono di lacrime; il suo muro razionale era stato abbattuto. Fu
costretta
a distogliere lo sguardo da quel volto incantevole, quando si rese
conto
dell’amara realtà che quelle parole celavano: la
corsa era stata stra vinta e
non c’era spazio per lei, nemmeno sul podio. Il primo, il
secondo, il terzo,
pure il quarto, e perché no, tutti i posti seguenti erano di
Kim; li aveva
conquistati e non glieli avrebbe tolti nessuno.
Con le mani tremanti
prese il pacchetto di sigarette, da cui ne estrasse un’altra
che, colma di
agitazione, si infilò tra le labbra pronta per aspirarla.
Jared notò che solo con
il primo tiro era riuscita a bruciarne metà. Gli faceva male
vederla così, era
consapevole della sua cotta per lui, ma non era mai stato un problema;
si era
sempre rivelata superiore a quelle cose chiamate
“sentimenti”.
Al momento però
sembrava proprio sul punto di crollare. –Ivana?-
mormorò preoccupato,
sollevandosi dal corrimano e prendendole il viso con un intero palmo
della
mano.
Velocemente la donna si
asciugò una lacrima. –Scusami Jared, era proprio
un bel discorso. Scommetto che
anche lei non vede l’ora di sentirlo.- la voce le tremava
mentre tentava di
mantenere un contegno. Gli indicò l’interno
dell’edificio, facendogli intendere
di andare dalla ragazza.
Gli occhi di Jared si
riempirono di pena. Spostò la mano dal viso al coppino di
lei, facendo così
forza per avvicinarla. –Grazie Iva. Sei sempre fantastica.-
le sussurrò
all’orecchio, provocando così un rilascio di
lacrime da parte dell’amica, che
avrebbe segnato i massimi storici.
-Ma non sono
abbastanza.- constatò colma di disperazione, sfogandosi
sulla sua camicia.
Non ebbe il coraggio di
ribattere niente, anche perché non sarebbe stato credibile
nel caso in cui
avesse negato. Lei era una donna meravigliosa… ma non
avrebbe mai funzionato,
di questo era sicurissimo.
-Vai ora.- disse lei,
con un tono tra l’affranto e il deluso, separandosi da
quell’abbraccio che
somigliava più ad una Vergine di Norimberga e tentando di
ricomporsi –Per
favore.- insistette quando lo vide indugiare oltre. –Dille
quello che hai detto
a me.. poi se non funziona mandamela che la faccio rinsavire io.-
Lui sorrise dolcemente,
provocandole un piccolo terremoto interiore, per poi lasciarla
lì, diretto
sotto suo consiglio, dalla ragazza che amava.
You
rocked my life
I’ve
never been so close
Like
a punch straight in the nose
Note finali: yoh
raga whazzzaaap?? Eccomi a rallegrarvi questo freddo lunedi di
metà maggio (Global Warming dicevano? STICAZZI!)
Allora cosa ne pensate? Spero sia scritto decentemente,
pietà, non ho neanche ricontrollato, sono in mega fretta
perchè devo studiare ma non ce la faccio! Non mi ricordo
più come si fa, come si approcia la lettura di un libro, non
mi viene neanche l'ansia sapendo che tra un mese ho l'esame. cazzo.
Cosa
ne pensate? Vi piace come si sta svilluppando? Cosa credete
succederà? Avete aspettative??
Eh,
parlando di cose serie
OMMIODDIONONSIETEELETTRIZZATEANCHEVOICHEDOMANIESCEILCD????? Per chi non
avesse voglia di cimentarsi nella lettura a fraddo traduco, DOMANI.
ESCE. IL. CD. (ma và?) santalamadonnaetuttiisantiincolonna!! Siete elettrizzate?
Galvanizzate? Non state nella pelle? Siete tra gli stronzi che hanno
già il CD?
Facciamo che al prossimo aggiornamento ci scambiamo le opinions,
ok?
Eeeeeee
la canzone è sconosciutissima, avrei voglia di raccontarvi
il perchè e il per come l'ho conosciuta e l'ho cercata colma
di ossessione, ma mi state sopportando anche troppo per oggi, indi per
cui: Can't
Explain di non so chi
E
continuo a non sapere come dire
le cose che non riesco a spiegare
Mi fai sentire come se non fossi così male.
Mi
hai stravolto la vita,
non sono mai stato così vicio
come un pugno dritto sul naso.
Quindi anche per oggi è tutto, spero leggiate, commentiate e
ci sentiamo presto
BACIATUTTE ♥
|
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Capitolo 61 *** Capitolo 61. ***
Capitolo
61.
I’ve been up in the air
Out of my head
Stuck in a moment of emotion I destroyed
Is this the end I feel?
Una scia di luce
investì la stanza, quando la porta si aprì di
fronte a lei.
-Si può?- chiese Jared,
affacciandosi al buio. Dovette sforzare le pupille più del
dovuto per scorgere
la ragazza, rintanata in un angolo dello studio.
-Sì.- disse Kim secca,
senza neppure sollevare lo sguardo. Quando era davvero molto scossa o
umiliata
a causa di una discussione le veniva difficilissimo guardare
l’altra persona
negli occhi. Forse perché il suo viso troppo espressivo
l’avrebbe tradita
nonostante cercasse di far finta di nulla; o forse perché le
faceva
semplicemente ricordare
come si era sentita prima e il rancore nei suoi
confronti era talmente tanto che temeva le sarebbe fuoriuscito dalle
cavità
oculari.
L’uomo si
sentì
leggermente sollevato sentendola rispondere, il silenzio delle donne
era sempre
la cosa più spaventosa che un uomo dovesse affrontare.
Si chiuse la porta alle
spalle, in modo che il buio potesse inghiottirlo e si diresse verso la
poltrona
davanti alla scrivania.
Lei giaceva inerte, la
schiena lasciata contro lo schienale e le braccia abbandonate lungo i
braccioli
la facevano sembrare una bambola senza vita, e il bagliore della luna
piena
fuori dalla finestra ad illuminarle il volto diafano, di certo non
aiutava.
Si inginocchiò
ai suoi
piedi, arreso a quello che ormai avrebbe dovuto essere la sua punizione.
Sentiva gli occhi scuri
scrutarlo, ma al contempo evitare il contatto diretto. Era contento
fossero al
buio, sicuramente avrebbe aiutato di più.
-Cosa ci fai qui?- le
chiese toccando un calorifero e rendendosi conto di quanto fosse freddo
lì
dentro, eppure lei si mostrava immobile e insensibile a tutto.
-Avevo bisogno di..
starmene per conto mio.- spiegò con un sospiro. Il tono era
mantenuto molto
basso, quasi non volesse dall’altra parte della porta
potessero sentire cosa si
dicevano.
-Ascolta Kim, ti chiedo
scusa.- iniziò, portando una mano attorno alla caviglia
ossuta della ragazza e
cominciando ad accarezzarle la lunghezza delle gamba dal polpaccio in
giù. Erano
così sottili che in quei tratti se la accarezzava con
entrambe le mani, le sue
dita potevano toccarsi. Si sentì uno schifo ripensando a
quello che aveva
fatto, era così piccola..
-Sono stato
un vero stronzo, ho alzato la voce e ti ho addirittura messo le mani
addosso..
davvero perdonami, non so cosa mi sia preso.- era seriamente
mortificato, continuava
a scuotere lentamente il capo, come se non potesse capacitarsi di
quello che
aveva fatto e volesse scacciare le immagini che gli piombavano in testa.
Kimberly lo
guardò con
gli occhi colmi di tristezza, era così pentito che aveva
deciso di sedersi per
terra in modo che lei avesse potuto sovrastarlo nel caso in cui avesse
voluto.
-Hai dubitato di me.-
mormorò, con quella parvenza di risolutezza che sorprese lei
stessa. Quando
solitamente la guardava così, di tutta questa risolutezza
non c’era neppure
l’ombra.
Lui annuì.
–Lo so, lo
so, e mi dispiace ma ti assicuro che non succederà
più.- le disse cercando di
intrappolarle gli occhi con i suoi, ma nel buio non riusciva proprio a
coglierli. –Quando ho capito che mi avevi mentito riguardo al
numero, sono
impazzito. Non riuscivo a pensare ad altro, mi scervellavo per capire
chi
fosse, perché me l’avessi nascosto. Volevo
trovarti e scuoterti finché non mi
avessi rivelato tutto!-
Dalla sua posizione
invece Kim riusciva perfettamente a distinguere gli occhi lucenti del
professore. Grazie alla luna poi, avevano un aspetto magico, sfociavano
nell’argentato
e brillavano, brillavano come diamanti e le si strinse il cuore nel
pensare che
fosse perché velati dalle lacrime.
-E tu invece!-
esclamò
poi, preso da un’impeto improvviso. –Tu sei stata
così buona e dolce, hai
organizzato questa sorpresa, hai consumato i tuoi risparmi… per me!- sembrava meravigliato e
stupefatto nel pronunciare le ultime due parole.
-L’ho fatto con
piacere.- sussurrò lei, afferrandogli una mano che aveva
osato spingersi fin
quasi al ginocchio. –Non fa niente, Jared. Ho capito
perché l’hai fatto e
probabilmente avrei reagito anche io nello stesso modo.-
continuò, sollevando
le spalle e rivolgendogli un tono di voce più rilassato.
-Sono stato un mostro.-
lui invece sembrava categorico.
-E’ vero, ma
questo
spetta a me dirlo. E spetta a me anche il compito di assolverti dalle
tue
colpe, quindi smettila di crogiolarti.- gli ordinò,
alzandosi e facendo leva
per sollevare anche lui, il quale, con un sorriso accennato, la
aiutò e la
raggiunse, superandola in altezza.
-Come fai ad essere
così? Piaci anche a mia madre.- le confessò,
poggiando la fronte contro la sua.
-Eh, non sei
l’unico ad
avere uno charme incontenibile.- sorrise, mentre lui le avvolse il
volto con i
palmi aperti per far sparire quella misera distanza tra i loro volti.
Quando le labbra
dell’uomo si unirono a quelle dell’alunna, questa
quasi si dimenticò del tempo,
del luogo e del motivo per cui si trovavano lì, dal momento
che tutto ciò che
sentiva, respirava e percepiva era solo
Jared
Leto.
Automaticamente e
rapita da un nuovo istinto, gli circondò il collo con i
gomiti, alzandosi sulle
punte per essere più agevolata nel ricambiarlo.
Si sentì subito
meglio,
nuova, migliore, rinata, come se le ultime ore non fossero state le
peggiori
della sua vita; come se baciarlo fosse il motivo della sua stessa
esistenza.
Non seppe indicare
quanto tempo erano rimasti in quella posizione, in silenzio, ad
ascoltare i
reciproci respiri infrangersi sui volti altrui, persi in un mondo tutto
loro;
forse un minuto, dieci, forse un’ora o forse addirittura
tutta la notte;
l’unica cosa certa per Kimberly quando si separarono, furono
gli occhi carichi
di amore di Jared. Era convinta che non avrebbe mai letto
così tanto affetto e
felicità contemporaneamente in nessunissimo altro paio di
occhi stupendi.
*
Dopo
un po’ uscirono
dallo studio, ripresentandosi agli ospiti, felicemente riuniti.
Entrambi sfoggiavano un
sorriso sereno, lui le circondava le spalle con un braccio e prima di
accomodarsi la tirò a sé dandole un bacio sulla
tempia, per poi sedersi al suo
posto, facendola sedere sulle sue ginocchia.
-Ohr, fate quasi
schifo.- commentò divertito Shannon, unendo i due indici e i
due pollici,
andando a formare un cuore, sarcastico.
Jared gli diede un
pugno sulla spalla più vicina, mentre Kim rise lievemente,
rossa di vergogna.
-Dov’è Ivana?- chiese
poi Jared, rendendosi conto che la sorella di Tomo non era
più rientrata.
-E’ andata via poco
fa.- disse il fratello. –Era molto stanca.- ma anche lui
sembrava dubbioso al
riguardo.
Jared sentì un peso nel
petto quasi insostenibile. Ciò che più lo fece
sentire in colpa era il fatto
che non gli importasse poi molto, dal momento che lui e Kimberly
avevano fatto
pace.
Si sforzò di non
pensarci e strinse più a sé la ragazza.
La serata si riprese
velocemente, come se la prima parte fosse stata una lunga allucinazione
di
gruppo. Scherzavano e ridevano, riportando a galla aneddoti divertenti
e
imbarazzantissimi soprattutto per quanto riguardava i due fratelli Leto.
-Sei sempre stato
testardo, Jared.- disse a mo’ di falso rimprovero la madre.
–Dovevi vederlo
Kimberly: quando aveva cominciato a gattonare era un disastro. Pensa
che
vivevamo in una casetta su due piani, all’inizio delle cui
scale avevo messo un
cancellino per far sì che non si facessero male.-
spiegò Constance, trattenendo
l’attenzione di tutti, meno quella del professore, che
l’aveva sentita 200
volte e giocherellava con un tappo, rigirandoselo tra le dita sulla
tovaglia,
nel tentativo di nascondere il suo imbarazzo, seppur flebile.
–Jared gattonante
raggiungeva questo benedetto cancellino, vi si attaccava con entrambi i
pugnetti e poi, all’improvviso, si lasciava cadere,
picchiando continuamente la
nuca sul pavimento.-
Kimberly sgranò gli
occhi preoccupata con un sorriso accennato. L’uomo stava bene
e questo le dava
conforto, ma non riusciva a distogliere l’attenzione dai
splendidi occhi di
Constance, così abile e magnetica quando parlava.
–Piangeva, si lagnava per
qualche minuto, per poi ripartire alla carica, contro quel benedetto
cancellino, ripetendo la stessa scena, finché non lo
spostavo in un’altra
stanza.-
-Da qui si spiegano
molte cose, Jared.- bofonchiò Tomo, riferendosi al fatto che
tutte quelle
cadute dovevano per forza essere la causa di qualche difetto mentale
dell’amico. Battuta che provocò un po’
di ilarità generale.
Il professore lo
fulminò con lo sguardo, Tomo distolse il contatto visivo
andando a fissare il
tavolo come se volesse per magia nascondercisi all’interno.
Provava da sempre
un po’ di timore nei confronti di Jared, lo metteva in
soggezione nonostante
ormai si conoscessero da una vita.
L’unica che non parlava
affatto, era Jenah. Kim se ne rese conto un po’
sovrappensiero e andò a
guardare il punto in cui l’aveva vista seduta
l’ultima volta, temendo di non
vederla più e di non essersi neppure accorta che se ne fosse
andata.
La donna dai capelli
rossi era seduta dietro Shannon, il quale le dava pienamente le spalle,
ma questo
non sembrava infastidirla, stava bene nella sua esclusione.
La gola di Kimberly si
riempì di pena, pensando che non si trovasse a suo agio e
che forse non avrebbe
dovuto includerla.
Sembrava tremendamente
triste. Anche lei non era completamente tranquilla, e avrebbe tanto
voluto
avvicinarsi per sdrammatizzare con lei e tirarle su il morale: era lei
quella
messa alla prova quel giorno, il suo rapporto con Jared sembrava
rappresentare
un tabù, e come se non bastasse, era stata umiliata
pubblicamente nel tentativo
di fare una buona impressione! Avrebbe voluto fare cambio?
Cosa celavano quegli
occhi?
Sentendo pronunciare il
suo nome, tornò nel mondo reale, con un sussulto.
–Di cosa ti occupi,
Kimberly?- le chiese poi la madre di Jared, congelando
l’atmosfera.
Probabilmente aveva
immaginato che fosse una studentessa universitaria. Voleva davvero una
risposta? Cosa avrebbe dovuto rispondere? Qual era la risposta che
voleva
sentire la signora?
Percependo il
professore alle sue spalle, rigido come un sasso, Kim
precipitò nell’ansia.
–Io..- gli lanciò una rapida occhiata e in
quell’istante lui le fece cenno di
stare tranquilla. Tanto l’avrebbero saputo in un modo o
nell’altro. –Studio.-
intercettò lo sguardo teso di Tomo, il quale teneva le
labbra serrate e
lanciava occhiate fugaci all’orologio appeso alla parete
sopra la tv, come se
sperasse di vedere arrivare la fata madrina, pronta a trasformarlo in
zucca e
farlo sparire da
quel contesto.
Si sentì leggermente
meglio, rendendosi conto di non essere quella messa peggio.
–Sono all’ultimo
anno di liceo.- confessò alla copia degli occhi azzurri del
professore,
leggermente più sbiaditi dal tempo.
-Ed è anche molto
brava!- aggiunse Jared dalle sue spalle, come se il suo commento
potesse
distogliere l’attenzione da quello che era appena stato detto.
Le rughe di espressione
sul volto di Constance si infittirono quando rivolse
un’occhiata raggelante a
lui. –Dove?-
-Cosa?- chiese Kim non
capendo.
-Sì, mamma. Dove lavoro
io, è la stessa scuola.- rivelò lui come se non
l’avesse già capito. Non poteva
essere solo una coincidenza il fatto che lui fosse un insegnante e lei
ancora
al liceo.
Un silenzio assordante
calò nella stanza, andando ad aumentare il volume dei
pensieri di ognuno di
loro.
Gli occhi raggelanti la
fissavano immobili, come se non avessero colto l’informazione.
Quando poi alle orecchie
di Kim arrivò quella che sembrava una risata sguaiata,
credette seriamente che
i suoi neuroni si stessero suicidando e fosse in balia di
un’allucinazione.
Una risata così
fragorosa era l’ultima cosa che si aspettava di sentire dopo
LA rielazione alla
madre di Jared.
Ciononostante si guardò
intorno e vide gli sguardi di tutti i presenti scioccati quanto i suoi,
spostarsi all’estremo opposto del tavolo.
Jenah, dal suo
angolino, era stesa sulla sedia con il volto rivolto verso il soffitto,
lasciando quella risata liberarsi senza alcun freno.
Tutti gli occhi erano
puntati su di lei ora, curiosi e confusi.
-Jenah, non mi sembrava
così divertente.- disse burbero Shannon, guardandola di
sottecchi.
-Tu non ti rendi
conto..- rispose lei, col fiato corto dalle troppe risate. Sembrava
divertirsi
un mondo, Kimberly l’avrebbe ammazzata. Si chiese quanto
avrebbe continuato a
ridere con il volto tumefatto.
–Per anni ho dovuto
sentirmi una schifezza. Mai all’altezza di stare con te,
Shannon, e adesso..!-
non concluse la frase perché scoppiò nuovamente a
ridere, portandosi entrambe
le mani davanti al viso.
-E adesso cosa?- chiese
Jared, come se sapesse dove stesse andando a parare la cognata. Kim
appoggiata
al suo petto sentì un gorgoglio che parve un ringhio.
Avrebbe cominciato ad
abbaiare?
-E adesso mi sento
talmente sollevata! Cazzo, Shannon tu te ne sei trovata una
dall’altra parte
del mondo, ma tuo fratello l’ha combinata di gran lunga
più grossa!
Un’adolescente!- continuò per poi ricominciare a
ridere a crepapelle, come se
avesse appena terminato la barzelletta più esilarante della
storia, e
aspettasse che tutti si lasciassero andare in fragorose risate.
Kim la guardò colma
d’incredulità. Quanta pressione doveva aver subito
questa donna, per essere
così contenta di sfogare tutta la sua frustrazione su una
povera ragazza?
Lanciò una rapida
occhiata a Constance e si rese conto che la donna era come ibernata,
immobile
in uno stato di shock a livelli troppo elevati. La ragazza temette che
se
avesse tentato di sfiorarla, il minimo contatto fisico avrebbe
sbriciolato la
madre di Jared.
Sembrava che la forza
d’animo l’avesse abbandonata e quegli occhi celesti
avrebbero tanto preferito
esplodere, piuttosto che posarsi sul figlio e la nuova ragazza, insieme.
Kimberly in quel momento
si pentì con tutta se stessa di aver organizzato quella
rimpatriata di
famiglia. Aveva sempre disprezzato le riunioni familiari, il Natale ad
esempio,
per lei costituiva una sincera tortura gratuita.
Come poteva essere
stata tanto ingenua? Inserirsi così spontaneamente, senza
prevedere le conseguenze
che si sarebbero ripercosse sulla sua relazione col professore?
Sentì la mano calda
dell’uomo stringerla per i fianchi, avvicinandosi al suo
orecchio dal dietro.
-Non ascoltarla, non sa
quello che dice.- sussurrò, con la voce profonda, che subito
le iniettò una
dose di tranquillità istantanea. Lui le era vicino, lo
sentiva dalla sua parte
e ci sarebbe rimasto.
-Stai zitta, Jenah, non
ti permettere.- continuò poi, diretto alla fidanzata di suo
fratello.
-Si può sapere qual è
il tuo problema, Jared? Non è colpa mia se Shannon ha
preferito venire a vivere
da me e di certo non puoi attribuire a me la rottura di tutti i vostri
sogni!
Eppure cosa ho ricevuto
da te? Sempre e solo disprezzo.- esprimeva una rabbia respressa di
anni, aveva
da sempre aspettato questo momento per dire chiaramente quello che
pensava. E
ora che il fratello del suo uomo se n’era uscito con quella
novità assurda,
poteva finalmente considerarsi libera da tutti quei dissidi familiari.
-Jenah, calmati!- la
riprese duro Shannon, voltandosi completamente verso di lei.
-No, Shannon, tu sai
che ho ragione ma non ti sei mai azzardato a difendermi una sola
volta!- ora la
voce della donna, raggiungeva note aspre e alte, pronta a non guardare
più in
faccia nessuno.
-Sono venuto a vivere
con te, non ti è bastato?!- chiese sconcertato. Lui era un
uomo di fatti, le
parole le lasciava alle persone più intellettuali.
-Non è questo il
punto!- esclamò lei, agitando le braccine magre.
-Io ti amavo, Jenah!
Perché non ti basta questo?- le chiese poi l’uomo
più calmo.
Il volto della donna
dai capelli rossi finalmente si placò, lo sguardo fiammante
divenne
improvvisamente umido, colmo di lacrime. –Hai usato il verbo
al passato, Shan.
Ecco perché non mi basta.. come può bastarmi un
sentimento appassito?-
Quello che disse in
qualche modo parve toccare Shannon, il quale distolse lo sguardo dal
volto
sofferente della compagna.
Quelle parole lo
colpivano come schiaffi in faccia, ma non poteva dire niente in sua
discolpa,
dal momento che Jenah aveva ragione.
La sentì gemere nel suo
dolore, intenta a trattenersi mentre raccoglieva tutte le sue cose.
Colma di sorpresa di
fronte a quello cui stava assistendo, Kimberly si voltò a
guardare Jared, non
del tutto certa che fosse una scena reale.
Lui le strinse una
mano, scuotendo lievemente il capo.
Ciò che più colpì la
ragazza fu il fatto che Shannon non avesse fatto una piega, non la
seguì nemmeno
quando, ormai vestita e con un –Scappa Kimberly,
finché sei in tempo!-, si era
chiusa la porta alle spalle.
Sembrava fosse una scena o
vista più volte, o
sognata da tempo.
*
Poco
dopo Tomo si
rianimò, come se fino a quel momento si fosse chiuso nel suo
letargo, e
bofonchiando una scusa se ne andò, ovviamente dopo aver
ringraziato Kimberly
della serata “particolare”.
Lei era profondamente
abbattuta, nel constatare che la sua idea si era trasformata in un
autentico
disastro.
Rimasta ormai con i
parenti più stretti del professore, dopo la piega che
avevano preso le cose, si
sentiva ancora più a disagio.
-Ragazzi, vi chiedo
scusa per quello a cui avete assistito, soprattutto tu Kimberly. Era
davvero
una relazione con i giorni contati. Eravamo destinati a finire.- disse
poi
Shannon, guardandoli nella speranza che capissero.
Lei annuì, ancora un
po’ sconvolta. Si era ormai alzata dalle ginocchia di Jared e
si era seduta su
una sedia accanto a lui, convinta che da un momento all’altro
lui potesse
cambiare idea, dopo aver assistito alla scena di un loro ipotetico
futuro.
-Mi dispiace.. non
avrei dovuto organizzare niente. Ha portato solo problemi questa
sorpresa.-
disse sconsolata.
Subito sentì le mani
calde di Jared circondarle il volto. –Non dire
così, ragazzina. Non è stata
colpa tua, hai avuto la sfortuna di avere a che fare con persone
più incasinate
del dovuto.- le sorrise, confortante.
-Sì, Kimberly. Devi
scusare anche la mia reazione di prima, devo solo abituarmi alla
situazione..
Tu mi piaci, mi piace la tua determinazione ma non posso dire di essere
concorde alla vostra relazione.- disse poi Constance.
–Però non mi opporrò. Anche
perché mio figlio è più che grande
abbastanza. E come ho detto prima è troppo
testardo, le mie lamentele gli scivolerebbero addosso come acqua
sull’olio.-
La donna dovette
costringersi a non lasciar trapelare altro dal tono o dal suo sguardo.
Come avrebbe
potuto dire che trovava tutta quella situazione allucinante? Non poteva
perché
comunque Kimberly le piaceva davvero molto, e Jared aveva sempre saputo
quale
fosse la cosa giusta da fare.
Era stato maturo fin
dall’età di 12 anni e lei si era sempre fidata
ciecamente del suo bambino. Non
l’aveva delusa mai, neanche una volta e anche ora sentiva che
lui stava insieme
a quella ragazza perché era quello che voleva.
E anche volendo,
Constance abitava dall’altra parte dello Stato, come avrebbe
potuto impedire al
figlio quarantenne di avere una relazione con chi voleva?
L’animo puro della
ragazza era troppo evidente, era ovvio che Jared si fosse legato a lei.
Kim la guardò. Aveva un
sorriso rassicurante in volto e sembrava essere sincera.
I’ll
wrap my hands around your neck
So
tight with love,
Love
Note finali: Allora
scusatemi infinitamente, so di aver messo a dura prova la vostra
pazienza con questo capitolo perché
A- è
scritto male
B- succedono un casino di cose
C- è confusionario all'inverosimile.
So che la parte
finale è un pò troppo artificiosa, ed
è anche molto artificioso il fatto che i genitori sapendo di
questa relazione non intendano intralciarla, ma mi sono sinceramente
chiesta come potesse una madre di un figlio quarantenne inpedirgli di
fare quello che vuole. Per questo motivo credo che la mia visione in
parte ci stia.
D'altra parte però so che sembra che voglia fare tutto
facile per non complicare la situa, o meglio, che la complico in tutti
i modi tranne che in quelli """ovvi""".
Sarà meglio, sarà peggio? Bah, ai posteri l'ardua
sentenza!
Tornando a noi, ALLORA?? Che ne pensate?? Avete dubbi, commenti,
domande, qualsiasi cosa??? Sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate
di tutto questo ambaradam e se avete delle supposizioni per il futuro :)
_______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Passando
al lato divertente dell'aggiornamento: CHI DI VOI HA LOVE LUST FAITH +
DREAMS????? Cosa ne pensate? Vi piace o no? Canzoni preferite?
Sbizzarritevi e lasciate che il vostro lato fangirlesco galoppi
allegramente sulla tastiera!!!
A me piace da morire. Davvero, un bel THUMBS UP per i ragazzi, stavolta
mi hanno sorpresa. Ammetto che a prima impressione pensavo fosse una
minchiata di album, ma mi sono ricreduta dalla primissima traccia.
Credo anzi che quest'album sia meglio (per certi versi) di ABL e di
gran lunga lo preferisco a TIW!
Cioè davvero non riesco a dire che c'è una
traccia che preferisco, sono belle e sorprendenti tutte! E
più le ascolti più ti piacciono!
Personalmente però adoro Birth
(cioè davvero ragazze io STO MALE per sta canzone da quando
l'ho sentita nel video di UITA); End
of all days che è l'apoteosi dei miei sogni
erotici con la voce di Mr Leto (sono in apnea dalla prima all'ultima
nota della canzone) e Northern
Lights che è LA MORTE MIA, serio proprio. La
amo, amo la musica, la melodia, l'introduzione, la voce straziata
quando dice SING A SONG TO SAVE US ALL (poi vogliamo parlare del verso
arabeggiante di Jared? Volete davvero farmene parlare?)(che tra l'altro
sa Dio che cazzo dice)
Ma ripeto, tra tutte siamo dentro che anneghiamo, perché A.
M. O. questo cd.
♥♥♥♥♥♥♥♥♥
La
canzone-accompagna-capitolo non sto neanche a specificarla per ovvie
ragioni. Vedetela come un tributo alla mia fonte d'ispirazione ahaha.
Ok
raga, io direi che mi sono sputtanata fin troppo allegramente per oggi.
Spero vi siate divertite, vi divertiate nel recensire perchè
CARE MIE questa volta vi tocca[ ; - ) ], vi sia piaciuto il capitolo
(passato in mega secondo piano ahahaha) e mi scriviate tutto quello che
pensate.
Stream of consciousness totale, vi chiedo solo questo.
A presto :-*
|
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Capitolo 62 *** Capitolo 62. ***
Capitolo
62.
La
felicità si racconta male
Perché
non ha parole
Jared
si mise supino,
perso a contemplare il soffitto nell’oscurità.
Una luce fioca faceva
capolino dalle fessure delle tapparelle, illuminando la stanza quel che
bastava
affinché ci vedesse.
Adorava i momenti che
seguivano il sesso con Kimberly. O forse era meglio definirlo amore?
In ogni caso, gli
piacevano quasi più di tutto l’amplesso. Si
sentiva svuotato di tutto, non
aveva pensieri, non aveva dubbi, non pensava assolutamente a dei
possibili
problemi o eventuali complicazioni della vita.
In quegli istanti lui
era lì e basta, perso nell’infinità di
sfumature che il piacere potesse avere;
lì con lei e forse era proprio questa la parte migliore.
Condividersi con la
persona giusta per se stessi, precludeva milioni di sentimenti solo
piacevoli.
Ascoltando i battiti
del proprio cuore rallentare e percependo il movimento del petto
regolarizzarsi, le lanciò una rapida occhiata.
Erano entrambi completamente
silenziosi ogni volta e lui adorava il fatto che avessero questo
aspetto in
comune. Per qualche secondo lui aveva bisogno di staccarsi ed isolarsi
completamente, in modo da assaporare con ancora più
intensità ogni dettaglio di
quell’esperienza magnifica.
Era così ispirante.
A quanto pareva anche per
lei doveva essere così, tant’era che gli dava
addirittura le spalle, attendendo
il momento che lui si riprendesse e la riportasse sulla Terra.
Perché in quei momenti
per lei era come fluttuare. Non era in quella casa, chiusa in quelle
quattro
mura bensì da tutt’altra parte, in un mondo dove
non era necessario urlare per
esprimere la propria gioia; un mondo fatto di sogni irrealizzabili. Era
un’esperienza quasi mistica per lei, ed era profondamente
convinta che tutto
questo fosse dato dal fatto che fosse intensamente, inesorabilmente
innamorata
di Jared Leto.
Non la spaventavano
certi pensieri, ma non se la sentiva di rivelarglielo. Preferiva
aspettare il momento
opportuno, per adesso ritenne fosse meglio tenerlo per sé.
Erano successe troppe
cose in quei giorni, e non pensava che il professore fosse pronto ad
affrontare
anche quel passo.
Aveva dovuto consolare
il fratello mollato, dopo aver assistito alla scena spacca cuore di
Jenah che
prendeva le sue cose e salutava tutti con un bel sayonara, dicendo
esplicitamente
a Shannon di non farsi più vedere in Scozia. Gli avrebbe
spedito tutti i tuoi
effetti nel tempo.
Non fu quello a
sconvolgerlo, quanto l’idea di essere tornato solo, dopo
così tanto tempo di
convivenza con una sola persona.
Il fatto che non le avesse
mai chiesto di sposarlo era stato chiaramente un segno della sua
insicurezza
riguardo quel rapporto.
Probabilmente non
sarebbe mai stato contento di sposare una persona che non andasse
d’accordo col
resto della sua famiglia, e Kim lo comprese più che mai.
Quindi ora i due
fratelli condividevano l’appartamento, nell’attesa
che Shannon riuscisse a
trovarne uno tutto per sé.
Quella vicinanza aveva
reso Jared un uomo nuovo, l’alunna credeva di non averlo mai
visto così sereno,
e già di per sé non era un persona troppo
problematica.
Suo fratello era
tornato e sta volta, era tornato per restare e non poteva desiderare
niente di
meglio. Certo, aveva i suoi lati negativi la convivenza, ad esempio
trovare dei
momenti di intimità con Kimberly era più
difficile, ma pareva che Shannon se ne
rendesse conto prima di loro stessi e con una scusa lasciava
l’appartamento per
qualche ora.
Con
un sospirò
estasiato, lui voltò lo sguardo nella sua direzione,
contemplando senza ritegno
tutti i lati positivi che la differenza di età comportava.
Era sdraiata
obliquamente, con le gambe ancora intrecciate alle sue e le braccia
aggrappate
ad un cuscino molto spesso.
Da quella posizione
Jared vide la cascata di capelli che di solito le occupavano
metà schiena,
sparpagliarsi e andare ad invadere anche parte del cuscino e delle
lenzuola.
La pelle candida,
morbida, vellutata, copriva la corporatura esile, da cui potevano
intravedersi
parte della cassa toracica e la linea della spina dorsale.
Il lenzuolo l’avvolgeva
giusto all’inizio del fondoschiena, lasciando però
intravedere leggermente il
solco delle natiche, che il professore non poté fare a meno
di notare. Un
barlume di eccitazione gli illuminò gli occhi, mentre si
chiedeva come fosse
possibile che una tale fortuna fosse toccata proprio a lui.
Era bellissima e glielo
avrebbe ripetuto finché avesse avuto fiato in corpo, sebbene
lei non ci avrebbe
mai creduto.
Questa nuova convivenza
li aveva catapultati di nuovo nel passato, facendogli riprendere in
considerazione l’idea di tornare ad essere una band, sempre
con lo stesso
sogno.
Ogni sera si riunivano
i tre membri più Kimberly e Constance; e facevano insieme
nuovi progetti,
leggevano quello che aveva scritto Jared e magari improvvisavano
un’ipotetico
arrangiamento e quando la combinazione li convinceva, volavano nella
stanza
artistica del proprietario di casa, imbracciavano i vari strumenti e
strimpellavano
qualche pezzo.
Sembravano un branco di
ragazzini, ma l’entusiasmo che Kim leggeva negli occhi del
professore, era
qualcosa di impareggiabile e le dava sempre una scossa di vita.
Allungò un braccio e
con la punta dei polpastrelli cominciò a percorrere la
lunghezza della sua
schiena nuda, provocandole una pelle d’oca istantanea.
I punti in cui le dita
andavano ad accarezzare la pelle increspata erano estremamente
sensibili, colmi
di terminazioni nevose, causando così dei movimenti convulsi
e spontanei da
parte della ragazza, la quale inarcava la schiena lentamente e in modo
insopportabilmente sensuale.
Proprio qualche sera
prima, approfittando dell’ultima serata che anche la madre
avrebbe trascorso
con loro, organizzarono un piccolo concerto a scopo intrattenitivo nel
locale
di Tomo.
Erano galvanizzati come
poche volte in vita loro, ma quell’adrenalina fece loro
tornare in mente il
motivo per cui avessero tanto lottato in passato.
Kimberly si era
presentata con un paio di pantaloni di eco-pelle (Jared non mangiava
gli
animali, lei non li avrebbe mai indossati) che le fasciavano alla
perfezione le
gambe, andando ad attirare anche l’attenzione di Shannon, il
quale rivolse
un’occhiata maliziosa al fratello. –Ora
è chiaro perché te la fai con le
adolescenti.- aveva commentato, ricevendo in cambio un calcio non
troppo
divertito. –Stai guardando la mia ragazza!- aveva inveito
Jared, geloso fino al
midollo, provocando in Kim una scarica d’emozione che
andò a stringerle la
bocca dello stomaco.
L’esibizione fu
grandiosa. Piacque a tutti e i protagonisti promisero di organizzarne
una con
cadenza mensile, in modo da conciliare anche la vita quotidiana con
quegli
sprazzi di irrealtà.
Il giorno dopo
Constance era tornata a casa, ribadendo più e più
volte quanto fosse orgogliosa
dei suoi bambini e salutando Kimberly riempiendola d’affetto.
Era entrata nella
famiglia, era stata accettata, e non c’era niente che potesse
renderla più
felice.
Improvvisamente Jared
si fermò, portando la mano col palmo aperto rivolto verso
l’alto sul fianco
della ragazza, la quale la afferrò per poi sentirsi tirare
verso di lui.
Lo aiutò,
indietreggiando senza mai voltarsi, andando a coincidere con la schiena
contro
il suo petto muscoloso.
Lui passò un gomito
piegato sotto testa di lei in modo che potesse poggiarvisi e la
circondò
all’altezza della vita col braccio sinistro. Le diede un
bacio sopra la spalla
per poi immergere il volto nella cascata di capelli.
-Jared?- lo chiamò,
mantenendo il volume di voce basso, come se tornare ai toni normali
potesse
implicare la rottura di quella ragnatela di beatitudine e piacere in
cui erano
avvolti.
-Dimmi.- rispose
prontamente. La voce calda le avrebbe sempre fatto lo stesso effetto
che le
aveva fatto la prima volta in cui avevano passato la notte insieme, sul
divano.
Da quel momento, lo
sapeva, niente sarebbe più tornato come prima, e i tentativi
di Jared di far finta
di niente erano risultati completamente, totalmente vani.
-Cosa stai pensando?-
gli chiese beandosi di sentire il respiro dell’uomo batterle
contro la spalla.
Il professore emise un
sussulto che le fece intendere stesse sorridendo.
-Perché questa
domanda?- domandò a sua volta con un che di divertito nella
voce.
-Mi incuriosisce questo
tuo silenzio ogni volta.-
-Non che tu sia presa
da un attacco di logorrea.- disse lui ironico.
-Va beh, ma io sono una
ragazza, è normale! Quello che sentite voi, noi lo sentiamo
10 volte più
amplificato!- mormorò orgogliosa. Una delle poche cose
positive dell’essere
femmine, pensò. –E in ogni caso, per me sono
sempre esperienze nuove, tu
l’avrai fatto mille miliardi di volte in più.- non
riuscì a trattenere quel
briciolo di gelosia spontanea, ma non avrebbe comunque potuto
rimproverarlo.
Ogni tanto le faceva
impressione l’idea che quando lui aveva 20 anni, quindi ormai
aveva avuto da
parecchio tempo le prime esperienze sessuali, lei era solo una poppante.
Aveva un mucchio di
tempo da recuperare, constatò pensierosa.
-Ti prego smettila di
pensare quello che stai pensando!- esclamò lui, sapendo che
ogni volta che
facevano questi discorsi, automaticamente lei portava
l’attenzione sul
ragionamento dei 20 anni di differenza e di quanto tempo avesse avuto
il
professore più di lei, non rendendosi conto di quanto fosse
più avvantaggiata,
invece. Aveva ancora tutto da vivere.
-Perché ti imbarazza
tanto? Pensa che Micheal Douglas e Catherine Zeta-Jones hanno 35 anni
di
differenza!-
-Kimberly!- la riprese
lui.
-Cosa ho detto?- fece
la ragazza imbronciata, provocando una risata spontanea
all’uomo. –E comunque
non hai risposto, è inutile che devii!-
-Caspita, sei attenta
come una faina.- brontolò lui ironico.
Kimberly non si fece
sfuggire tutta quella riluttanza nel risponderle, come se non fosse
sicuro di
quello che volesse dirle, come se fosse una cosa difficile da esporre e
che
sicuramente avrebbe portato un dibattito tra i due.
-Vorrei che dopo il
diploma restassi con me.- mormorò, portandola a trattenere
un immenso sorriso.
In quei giorni avevano
addirittura affrontato la fatidica domanda
che Kimberly si poneva indirettamente da ormai 6 mesi.
Cosa ne sarebbe
stato della sua vita?
Mancava poco alla fine
della scuola, quindi agli esami, quindi al suo futuro che al momento
coincideva
ad un enorme punto di domanda.
La cosa le metteva
molta ansia, e avrebbe preferito con tutta se stessa non trovarsi
già a quel
punto della sua vita.
Per quanto non
sopportasse la scuola, era costretta ad ammettere che fino a quel
momento si
era presentata come una costante nella sua vita, che volente o nolente,
era
sempre pronta ad aspettarla dopo ogni vacanza e pausa estiva.
Uscendo da quell’edificio
sapeva che l’avrebbe rivisto insieme a tutte le persone che
ne facevano parte
qualche settimana o mese seguente.
Adesso invece, avrebbe
dovuto dirle addio, pronta per il salto nel vuoto a cui
l’avevano preparata
così duramente fino a quel giorno.
A parte la normalissima
e scontatissima paura che questo comportasse, Kimberly dovette
scontrarsi con
una dura realtà da accettare: non aveva la minima idea di
cosa avrebbe voluto
fare.
Era brava in tutte le
materie allo stesso modo, non ce n’era una in cui eccellesse
e non ce n’era una
in cui avrebbe desiderato specializzarsi o approfondire.
Aveva diversi
interessi, ma nessuno di questi voleva fossero la sua professione.
E, sfortunatamente, da
quando nella sua vita era subentrato Jared Leto, niente
l’assorbiva di più.
Avrebbe dato qualsiasi cosa affinché potesse essere lui il
suo futuro, pur di
avere la certezza di passare accanto a lui ogni istante della sua vita,
avrebbe
rinunciato a qualsiasi cosa.
C’era chi desiderava da
tutta la vita la possibilità di frequentare una facoltosa
università o di
intraprendere una certa carriera o di trasferirsi nella
città dei suoi sogni..
lei no, lei voleva solo lui e, lo sapeva, non ci sarebbe stato niente e
nessuno
che l’avrebbe resa più felice e realizzata. Se lo
sentiva, era stato il destino
a
farli incontrare e sempre il destino, li voleva insieme.
Il problema era
sicuramente i suoi genitori, e sicuramente lui che avrebbero spinto il
più
possibile affinché si costruisse la sua vita da sola con le
sue forze.
Avevano totalmente
ragione, peccato che a lei sarebbe bastato anche fare la cameriera nel
bar
sotto casa e vivere una pacifica esistenza accanto all’uomo
dei suoi sogni.
Kim si girò
completamente verso di lui e gli prese il volto tra le mani,
avvicinandolo al
suo.
-Te l’ho già detto,
Jared. Io senza di te non vado da nessuna parte.-
Ma
si consuma
E nessuno se ne accorge.
Note
finali: NON è L'AMORE QUESTO CAPITOLO? Cioè no,
ditemi voi come è possibile che io abbia scritto una cosa
così mielosa e melensa. Ero in preciclo? Iniezione di
insulina a gogo? Bisogno di cioccolato? Il mio ragazzo mi aveva
regalato un pony?
Mah non lo sapremo mai, il dato di fatto è che IO ho scritto
questo capitolo che ti fa venire da vomitare arcobaleni. Lo state
facendo, n'evvero?
Chissà i vostri occhietti come luccicano in questo momento.
Parlando di cose serie, scusate eventuali errori ma sono TALMENTE
svogliata oggi che non ho neanche lo sbatti di rileggerlo, esattamente
quindi niente acobaleni per me.
Ci tengo a sottolineare una cosa, prima che mi diciate che sono una
pessima dispensatrice di consigli: ad un certo punto, verso la fine
c'è lei che dice "chissenefotte della mia vita, io voglio
stare con lui" bene, questo NON SI FA.
Certo fossimo al posto di Kim, se qualsiasi di voi mi scrivesse "cazzo
vuoi, io ho Jared che mi ha chiesto proprio questo" ovviamente
risponderei "STICAZZI
tienitelostrettoenonlasciarteloscapparepernientealmondo" ma fino ad
allora, non dovete MAI postporre i vostri obiettivi ad un ragazzo. Mai.
Nel modo più asssoluto. Eliminate questa malsana idea dalla
vostra mente.
Poi ovviamente sono la figlia delle variabili ed è
più forte di me pensare "ci sono casi e casi", ho una parte
di me terribilmente romantica (e ve l'ho palesemente vomitata qua sopra
e più volte nel corso di questi 62 capitoli) (ossignoreiddio
siamo già a 62 capitoli??) e sono probabilmente la prima che
se si innamorasse della persona che ritiene giusta ogni signola cellula
del suo corpo, si ritroverebbe a Las Vegas travestita da Marylin Monroe
accanto al suo Elvis; ma fino ad allora combatterò
affinché l'altra mia parte estremamente femminista continui
a predicare e dimostrare che gli uomini sono inferiori e noi femmine
possiamo diventare quello che vogliamo nella vita :D
Ok,
anche per oggi il mio ruolo da moralista è stato giocato, ho
solo messo le mani avanti prima che mi diciate che mi sono bevuta il
cervello :) Poi ognuno vive la sua vita come vuole e può
dedicarla a chi vuole!
La
frase invece la trovo molto realistica e trovo che ci stia col
contesto. Proviene dal film Jules et Jim, mai visto ma sono molto
curiosa.
Vi consiglio di rileggerla più volte finchè il
signoficato non diventa vostro: trovo che sia vero, molto spesso capita
che siamo felici ma siamo talmente presi dal momento, talmente presi ad
assaporarla che non stiamo neanche a rifletterci su, rischiando di non
accorgercene. Siamo felici e neanche ce ne rensiamo conto.
Quante volte studiando i poeti ci siamo dette "MA FATTELA UNA RISATA" ?
Io mille. Ma aete mai pensato perchè sono sempre depresse le
loro opere (salvo poche eccezioni)?
Credo che questa frase lo spieghi. La felicità non ha
parole. Pensate a quanti sinonimi di felicità conoscete. Ce
ne sono gran pochi e questo proprio perchè quando la viviamo
non stiamo a pensarci, siamo felici e non c'è bisogno di
analizzarlo o scriverlo. La felicità si consuma, ed
è per questo che si racconta male; quando
l'intensità svanisce e tentiamo di ricordarci e descriverlo
è troppo tardi e finiamo per usare parole ridontanti e
scontate.
I sentimenti tristi invece hanno mille sinonimi e sono quelli descritti
meglio. Quando sei felice non perdi tempo a metterlo per iscritto,
quando sei infelice invece è quasi un obbligo stare in
silenzio al buio ad analizzare quello che senti.
Boh
mi piace molto.
Fatemi sapere cosa pensate di tutto ciò, se il capitolo vi
è piaciuto o meno, se rinuncereste a qualsiasi prospettiva
di vita per l'ammòòòre o siete il
genere di ragazze ambiziose, e se la frase vi tocca in qualche modo o
l'avreste intuita diversamente.
Sono molto curiosa :)
A
presto chicas ;)
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Capitolo 63 *** Capitolo 63. ***
Capitolo 63.
-Ci
sono assenti oggi?- chiese il professore alla classe, scrutando bene
tra quegli occhi attenti.
Certo che c’erano e se n’era accorto, ma avrebbe
dovuto fingere di non esserne al corrente.
-Sì, Bloomwood.. Kimberly è assente.- dissero
alcuni alunni all’unisono.
Lui annuì e segnò il nome dell’alunna
sul registro personale, chiedendosi pieno di dubbi quale potesse essere
il motivo dell’assenza della ragazza. Solitamente gli
riferiva sempre tutto, specialmente le sue assenze ingiustificate.
Si sentiva abbastanza turbato, ma la parte difficile era non darlo a
vedere.
Incrociò gli occhi di Gwen, la quale lo fissava con una luce
strana negli occhi. Gli stavano per caso nascondendo qualcosa?
Sorrise alla classe, appena finito di firmare i vari registri.
-Bene gente, oggi vi introdurrò un personaggio
importantissimo nella storia della musica.- disse, iniziando a spiegare
quella che sarebbe stata la lezione più pallosa della
giornata.
Era l’ultima ora del giovedì, e non tanto
perché fosse giovedì, ma perché fosse
l’ultima di una serie di ore lunghissime e
insopportabilissime sia per lui che per gli alunni.
Lo poteva leggere nei loro sguardi insofferenti, che avrebbero dato
qualsiasi cosa per tornare indietro di una settimana e trovarsi nel
periodo di pausa.
E poi, l’ultima ora era sempre devastante, sia
volontariamente che involontariamente. Era come essere in pieno
purgatorio, e il professore non solo doveva reggere la propria
stanchezza, ma anche quella degli alunni.
Doveva sostenere la loro attenzione per più tempo possibile,
sebbene quello che gli veniva rivolto erano per lo più
sbadigli e occhiate assonnate.
Era orribile, si sentiva noioso ed era ancora peggio che provare noia.
Infondere noia negli altri era infinitamente frustrante.
Specialmente se il suo compito era quello di far imparare ai ragazzi la
vita e le opere di un uomo morto una marea di tempo prima.
E, come se non bastasse, non poteva neppure perdersi qualche minuto
negli occhi sognanti di Kimberly.
Dove diamine era? Perché non gli aveva detto niente?
Dovette mordersi la lingua più volte per non porre la
domanda ai ragazzi, che lo fissavano senza minimamente vederlo.
Tenevano gli occhi sgranati, imbambolati, senza mai sbattere le
palpebre.
Abbattuto ogni minuto di più, tirò un sospiro di
sollievo quando udì la campanella annunciare la fine di quel
supplizio.
Vide la propria espressione rinata, riflessa sui volti degli alunni i
quali, senza aspettare che concluse la frase, presero e uscirono
dall’aula, spintonandosi tra di loro.
Con uno sbuffo pienamente sentito, si sedette dietro la cattedra e
lasciò andare il capo tra le mani aperte. Voleva
prendere il telefono e rintracciare Kim, ma finché si
trovava all’interno dell’edificio scolastico era
meglio evitare.
-Jared?- si sentì chiamare da una voce femminile
estremamente vicina.
Ciò che lo portò ad alzare lo sguardo con
un’espressione inorridita non era la vicinanza,
bensì il fatto che non avesse riconosciuto quella voce; o
meglio, l’aveva riconosciuta ma non riusciva a credere che
quella voce avesse espresso cotanta intimità
sfacciata.
-Gwen?- il tono non voleva formulare una domanda, ma fu più
forte di lui. –T-tu.. tu mi hai..- stava balbettando e ne era
consapevole. Quell’uscita dell’alunna
l’aveva lasciato letteralmente esterrefatto.
Perché gli aveva dato del “tu”?
Cos’era quel tono così confidenziale?
Il fatto che fosse l’amica della sua ragazza non le dava
alcun diritto di entrare così nel personale.
Loro due non avevano nulla da spartire, non l’avevano mai
fatto, e di certo non avrebbe cominciato ora.
-Volevo dirti di non preoccuparti, Kim è..-
cominciò la ragazza con un gran sorriso, ma lui non le fece
terminare la frase.
-Gwen, non dovresti darmi del “tu”. Tu sei una mia
alunna e non è corretto nei confronti di tutti gli altri.-
Lei sbatté le palpebre ripetutamente, confusa.
–Non siamo al lezione al momento.- rispose, guardandosi
intorno.
-Non c’entra nulla, per favore non farlo.- ripeté
l’uomo, guardandola attentamente.
Una luce maligna le luccicò negli occhi. –Hai
opposto tutta questa resistenza anche con Kimberly?-
Lui assottigliò gli occhi, rivolgendole lo sguardo
più serio che potesse. –Cosa hai detto?-
-Anche lei è una tua alunna, o sbaglio? Eppure questo non vi
ha impedito di legarvi.-
Jared rimase impassibile, valutando le opzioni che questo comportamento
inspiegabile comportasse. –Avete litigato, Gwen? E’
per questo che ti stai
comportando così?-
-No!- esclamò lei, confusa. –Pensavo solo che, in
quanto ormai sia a conoscenza di questa relazione, potessimo avere un
rapporto un po’ pi..- ma anche qua, il professore non la fece
finire.
-No, Gwen! Assolutamente no, sto già rischiando il mondo con
Kimberly, ti prego, non aggiungere carta a questo fuoco che non posso
spegnere.-
Lei gli rivolse un’occhiata schifata. Doveva per forza essere
incredibilmente perfetto in qualsiasi cosa? Anche per dirle di
andarsene a quel paese lo stava facendo in un modo terribilmente
poetico e.. affascinante. Si costrinse a togliersi questi pensieri
dalla mente, sentendo il suo orgoglio ferito.
-Jared, io..- riprovò, ma il suo ennesimo tentativo fece
esplodere il professore.
-Cazzo, Gwen! No ti ho detto! Il fatto che tu sia l’amica
della ragazza che frequento non implica niente di niente, quindi ora
sei pregata di andartene.- aveva alzato la voce, facendo indietreggiare
la ragazza di un passo incerto. Non sbottava così
velocemente, di solito. –Farò
come se questa conversazione non fosse mai avvenuta, se torni a
comportarti solo come una mia alunna.-
Lui stesso non si riconobbe in quell’ansia che esprimeva ogni
parola appena pronunciata.
La giovane, dal canto suo, sollevò un sopracciglio, sapendo
perfettamente quali carte aveva a sua disposizione e come poteva
giocarle.
-Professore, non le conviene fare così, lo sa?- disse poi,
poggiandosi con i palmi aperti sulla superficie della cattedra, con
aria di sfida.
Sentendo l’intonazione della voce cambiare, Jared si
allarmò, cogliendo all’istante quello che
intendesse l’alunna. –Non ti conviene minacciarmi.-
ribatté, rivolgendole lo sguardo più sicuro che
potesse, sebbene fosse pienamente al corrente di quanto precaria fosse
questa condizione.
Lei sorrise. –A dir la verità, credo che non
convenga a lei.- rispose, risoluta.
Aveva ragione, ma nonostante questo lui, sentendosi attaccato, si
sollevò andando a sovrastarla in altezza, e sporgendosi
verso di lei, chiaramente furioso.
-Saresti tu a perderci, Gwen.- e sicuramente, in parte aveva ragione.
Avrebbe perso lui come insegnante, Kim come amica e qualsiasi opinione
positiva di se stessa.
Proprio in quel momento si aprì la porta, mostrando a
entrambi una Kimberly sorridente, la quale però,
ritrovandosi davanti ad una scena simile rimase di carta.
Quelli che si scambiavano erano sguardi appassionati o minacciosi?
Spesso il confine odio/amore è talmente sottile…
-Kimberly!- esclamò Jared, solare come non lo era stato
tutta la giornata.
Gwen se ne accorse e gli rivolse un’occhiata ferita,
osservandolo mentre si avvicinava all’amica, con
un’espressione che non le aveva assolutamente visto dedicare.
Qualsiasi tipo di sicurezza l’abbandonò, quando
lui portò le mani attorno ai fianchi della ragazza e si
scambiarono un bacio a stampo.
-Ho interrotto qualcosa?- chiese poi Kim, guardandoli entrambi,
insicura.
-Nono, ho solo chiesto al professore un chiarimento riguardo alla
lezione di oggi..- inventò Gwen su due piedi, sfoggiando il
sorriso più veritiero che potesse e avvicinandosi alla
coppia.
-Ci vediamo domani.- disse a entrambi, lasciando un bacio sulla guancia
di Kimberly, senza degnare Jared di uno sguardo e chiudendosi la porta
alle spalle.
Rimasti soli, lei lo guardò criptica. –Cosa le hai
fatto?- chiese, portando l’uomo a sbuffare sonoramente.
-Perché dai per scontato che io le abbia fatto qualcosa?-
ribatté lui, scocciato.
-Non saprei, forse perché tu sei il demone di turno?-
scherzò, facendolo sorridere. –Aveva una faccia
abbastanza provata e vedendo le occhiate di fuoco che vi lanciavate, mi
viene qualche dubbio.- spiegò poi, sedendosi su uno dei
banchi in prima fila.
Jared rivolse gli occhi al soffitto. Erano sempre le femmine quelle che
passavano per poverine, e non si parlava di maschilismo, era la pura,
ingiusta realtà.
-Non erano occhiate di fuoco, Kim. Abbiamo avuto un piccolo dibattito,
niente di serio.- le
sorrise, avvicinandosi a lei. –Tu piuttosto, mi spieghi che
fine hai fatto?-
-Di cosa parli?- rispose lei divertita, facendo la finta tonta.
-Sai, di solito si viene a scuola quando ci sono le lezioni, non quando
finiscono.- sorrise. –Cosa ci fai qua, ora? E
perché non mi hai detto che non ci saresti stata?-
-Scaramanzia!- esclamò la ragazza, come se lui potesse
capire a cosa cavolo si riferisse.
-Scaramanzia?-
-Sì! Ho fatto una cosa oggi, e appena ho avuto
l’esito sono corsa a dirtelo!-
Il professore affilò gli occhi. –Ma si
può sapere di cosa stai parlando?-
-Tieniti forte, allora!- disse carica, allontanandolo a sufficienza
perché potesse saltellare senza fargli del male.
–Ho fatto l’esame della patente! Sono petentata,
sono patentata!- sembrava una molla, non si fermava più
neanche per lasciare che Jared l’afferrasse.
Dal canto suo, lui non poteva che esserne orgoglioso e contento, come
se fosse stato lui a raggiungere quel traguardo –ancora-.
-Kim, ma è meraviglioso!- esultò, soddisfatto,
cercando di riportarla a sé.
-Vero??- era elettrizzata, non vedeva l’ora di tornare a casa
e finalmente sfruttare il suo regalo di compleanno e portare in giro
tutte le persone che l’avevano scarrozzata a destra e a manca
fino a quel momento.
-Sì, sono fiero di te.- disse, con quel tono abbastanza
caldo da bloccarla finalmente e farle portare l’attenzione su
di lui.
-Grazie.- rispose, guardandolo negli occhi.
-Quindi…vuoi andare da qualche parte questo week-end?- era
seduto su un banco e portando entrambe le mani sui fianchi della
ragazza, la portò tra le gambe aperte, avvicinandola il
più possibile a sé.
-Al momento sono al verde.- ammise lei, facendoli scoppiare entrambi a
ridere, dato gli ovvi motivi per cui si trovava senza soldi.
–Però posso contribuire in benzina.-
Suo padre le aveva fatto il pieno, carburante che non aspettava altro
che essere smaltito.
-Perfetto allora, dopo decidiamo quale meta fa al caso nostro.- sorrise
l’uomo, avvicinando il volto a quello della giovane, la quale
portò le mani attorno al suo viso, più felice che
mai.
Proprio in quel momento, Jared si
accorse della porta che si spalancava portando una figura a presentarsi
di fronte a quella scena di un tipo d’affetto che non sarebbe
dovuto esistere tra insegnante e alunna.
Ma ormai era troppo tardi, per quanto si fossero separati rapidamente,
quegli occhi castani li avevano colti in fallo.
Riconoscendo la
preside, Kimberly desiderò in quel momento più
che mai di potersi smaterializzare.
Note
finali: ALLORA!
Scusatemi infinitissiamamente per questa merdata di capitolo che non ho
riletto/corretto e sono talmente di fretta che non vi allego neanche
uno straccio di canzoncina ç_______ç sono
orribile lo so, ma mi sento in colpa per 345 cose ultimamente e almeno
questo volevo placarlo.
E
inoltre non volevo postare questo capitolo :( Sono stati sgamati al
63esimo capitolo purtroppo!!
Fatemi
sapere cosa ne pensate, cosa pensate che accadrà e riversate
un pò del vostro amore nelle vostre recensioni che tanto amo
♥
Scusatemi
la fretta, non voglio davvero liquidarvi così e mi perderei
a raccontarvi un sacco di stronzate ma ahimè il dovere
chiama!
Ci
sentiamo presto, mi auguro di avervi lasciato un pò di
suspance anche con questo!
xxoxoxoxoxoxoxoxoxox
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Capitolo 64 *** Capitolo 64. ***
Capitolo
64.
Don’t make me sad
Don’t make me cry
Sometimes love is not enough and the road
gets tough
I don’t know why.
Trascorsero
istanti di
profondo silenzio.
Tutti e tre erano
fossilizzati, immobili, congelati nell’impotenza di quel
momento. Non era
possibile, non era assolutamente possibile.
Avevano preso tutte le
precauzioni del mondo e l’unica volta in cui avevano
abbassato la guardia, il
loro peggiore incubo si era avverato.
Kimberly non riusciva a
capacitarsi di come si sentisse atterrita e imbarazzata in quel
momento. Se
fino a 5 minuti prima avesse scalato il monte Everest senza
l’aiuto delle
braccia dalla gioia, adesso si sarebbe volentieri polverizzata.
Quella donna al momento
e in quell’edificio soprattutto, ricopriva una carica di
potere assoluto e la
cosa la rendeva più inquietante di quello che già
non fosse.
Kim aveva avuto modo di
conoscerla meglio nei pomeriggi del mercoledì nel corso
degli anni, quando
c’era recupero di matematica. Si era dimostrata una donna
allegra, affabile,
alla mano e molto capace nel suo lavoro. I calcoli per lei non avevano
più
segreti e riusciva a trasmettere questa passione allucinante anche in
persone
totalmente negate come la ragazza.
Però rimaneva pur
sempre la preside della scuola e, per quanto potesse essere carina nei
modi,
era un grandissimo rischio farla incazzare. Era lei che comandava,
volente o
nolente.
Era alta, rossa tinta e
con gli occhi castani. Aveva una voce profonda, l’alunna
aveva sempre pensato
che fosse perfetta per ricoprire il suo ruolo.
Una persona “al
comando” doveva avere una voce così, calda e
severa ma anche rassicurante e
dolce, all’occorrenza. A Kim piaceva molto come persona e si
sentì male
pensando di averle mancato di rispetto in questo modo; ma era entrata
in
contatto con un sentimento ingestibile, più grande di loro e
di tutte le regole
burocratiche del mondo.
Dal canto suo, la
preside invece si sentiva profondamente avvilita. Era proprietaria
della scuola,
tutte le decisioni erano prese da lei, nessuno muoveva un muscolo
lì dentro
senza il suo consenso; una scuola che aveva costruito con le sue forze,
dentro
la quale aveva messo l’anima. Era la sua vita e in quel
momento si sentì una
fallita totale.
Era stata lei ad
assegnare quel ruolo all’insegnante di musica.
Come aveva potuto
pensare di assumere un uomo del genere, affascinante e giovanile, in
una scuola
così piccola e composta per lo più da ragazze? Le
aveva fatto un’ottima
impressione, sembrava così serio e responsabile e aveva quel
lato così umano
che sarebbe sicuramente piaciuto agli alunni.
Era consapevole dei
rischi che questa scelta avrebbe comportato, ma si era fidata del suo
intuito.
Sbagliando, evidentemente.
Sospirò a fondo.
–Jared, devo chiederti di venire con me. Dobbiamo compilare
il modulo per le
dimissioni.- nessuno dei due poteva immaginare quanto le facesse male
pronunciare quelle parole, ma era la regola.
Il professore annuì
lentamente, non avendo del tutto realizzato la situazione: per lui era
semplicemente impossibile che fosse successo.
Kimberly sgranò gli
occhi, e si posizionò davanti all’uomo, pronta a
tutto pur di difenderlo. Lei
avrebbe accettato qualsiasi tipo di conseguenza, in quanto non sarebbe
mai
stata permanente.
Poteva espellerla,
bocciarla, farle sudare il diploma quanto voleva. Ma Jared non poteva
perdere
la sua unica fonte di sussistenza, non poteva permetterselo.
-Professoressa, è tutta
colpa mia. Ho sedotto il prof. Leto ed è giusto che sia io a
pagare, non lui.-
si rivolse a lei con una decisione che spiazzò la preside.
Di certo non si
aspettava una risolutezza simile da parte della ragazza. Da quanto
andava
avanti quella storia? Il volto si accartocciò,
raccapricciato dall’idea che
potessero essere insieme da più di qualche settimana.
-Kimberly..- deglutì,
amareggiata. –E’ la regola, mi dispiace. Non posso
essere concorde con questa
storia, e sai bene che non posso cacciarti dalla scuola per un motivo
del
genere.- Come l’avrebbe giustificato a chiunque
gliel’avesse chiesto?
-La prego.- implorò
Kim, ricongiungendo le mani.
Il professore la guardò
stranito, sentendo il cuore soffocare. Perché insisteva
tanto? Già erano nella
merda fino al collo, non doveva fare così leva sul volere
della preside.
-Kim..- mormorò Jared,
toccandole una spalla. –E’ giusto così.-
disse rassegnato, cercando di placare
tutta la combattività della ragazza. Non avrebbe portato da
nessuna parte
questa volta.
Lei si voltò a
guardarlo, incrociando i suoi occhi pallidi. Non erano azzurri, quel
giorno
erano più tendenti al grigino.
Avrebbe tanto voluto
stringerlo a sé e dirgli che le dispiaceva da morire.
Avrebbe tanto desiderato
tornare indietro e non averlo convinto ad intraprendere
quell’impresa, si rese
conto solo in quel momento di aver sottovalutato il rischio di cui lui
parlava
tanto all’inizio.
La preside, di fronte a
quel contatto visivo così intimo, dovette distogliere lo
sguardo. Ebbe la
certezza in quel momento del fatto che non fosse una storiella
passeggera, ma
che i due avessero condiviso molto. Si trovava davanti ad
un’infatuazione bella
grossa.
Si morse il labbro
inferiore, cercando di respirare profondamente nel tentativo di calmare
i
battiti violenti del suo cuore.
Questo era un bel
casino.
Ma quale bel, questo
era un dannato casino.
O meglio ancora, questo
era un cazzo di casino.
Per qualche secondo si
estraniò immaginando come avrebbe risposto alle lamentele
degli alunni, quando
avrebbero saputo che il loro professore adorato era stato licenziato
agli
sgoccioli dell’anno scolastico soprattutto.
Dove avrebbe trovato un
valido sostituto? I ragazzi l’avrebbero apprezzato? Se fosse
saltata fuori la
storia, avrebbero cominciato a reputarla una pessima preside e avrebbe
perso
credibilità? Le iscrizioni sarebbero diminuite?
Non ci poteva pensare,
chiuse gli occhi e si portò una mano sullo stomaco. Le stava
venendo la nausea.
Se non fosse stato
illegale li avrebbe impiccati entrambi, non si erano resi conto di
tutto quello
che questa storia avrebbe implicato?!
Lo stream of
consciousness della donna dai capelli rossi fu interrotto
dall’ennesimo
tentativo di difesa dell’alunna.
-No!- esclamò questa
prendendo il registro personale del professore dalla cattedra.
–Professoressa, mi
ascolti. Lui è sempre stato molto professionale, guardi la
mia media! Questa
relazione non ha intaccato in nessun modo il nostro rapporto
scolastico.- disse
poi, mostrando alla donna la serie di alti e bassi nella materia
insegnata da
Leto.
“Ah beh allora,
proseguite pure.” Pensò in un lampo di sarcaso la
preside, prendendo il
registro in mano.
Per quanto ne sapesse
Kim, era questo l’importante. I genitori-insegnanti non
potevano fare da
maestri ai figli e parenti perché c’era il rischio
che fossero di
parte.
Alla preside oltre a
questo non sarebbe dovuto importare nulla, dal momento che la loro era
sempre
stata una relazione “segreta”. Gli alunni non li
avevano mai visti –salvo Gwen-
in atteggiamenti troppo intimi, quindi a meno che si appellasse alla
cosi detta
“morale”, non aveva motivi per licenziare Jared.
D’altro canto il
professore si meravigliò di tutta quella
caparbietà nel tentare di mantenergli
il lavoro, pur sapendo che ci sarebbe stato il rovescio della
medaglia.
Teneva così poco alla
loro relazione?
Improvvisamente sentì
una vampata di calore nelle viscere, scaturita da un contrasto di
sentimenti
dal quale ne sorgeva uno: risentimento. Si sentiva sinceramente
risentito nei
confronti della ragazza, non capendo perché si stesse
comportando così.
Effettivamente, la
ragazza non stava bluffando. Vide voti recenti (cercò di
sforzarsi a non
guardare più indietro per non pensare che fossero in una
relazione da più di un
mese) anche sotto la sufficienza e dovette ammettere che, per lo meno,
Leto
aveva continuato a fare il suo lavoro.
Ma non avrebbe potuto
fare finta di niente, avrebbe voluto sicuramente ma non poteva.
Cosa doveva fare?
Riempì i pomoni,
sperando che la cosa andasse a buon fine. -Va bene, allora a voi la
scelta. O
la chiudete qui, o lui se ne va.- disse indicando l’uomo, con
quella poca forza
rimastale.
La soffiata, il fatto
che non volesse crederci, la scoperta sconvolgente, la delusione, la
tristezza
con cui aveva dovuto pensare che Leto se ne andasse e
l’insistenza della
giovane, l’avevano davvero stremata. Non le piaceva
ricattare, era una persona
semplice e non le piacevano i giochetti.
Per la sua sanità
mentale però, riteneva necessario che i due fossero
trasparenti. Non avrebbe
tollerato la relazione segreta qualora fosse continuata sotto i suoi
occhi
ignari.
I due si guardarono
smarriti, cogliendo l’ultimatum e leggendo nei reciproci
occhi quale fosse la
cosa giusta da fare.
Allungarono
istintivamente una mano, come per sostenersi a vicenda di fronte a
quella
decisione così difficile. I loro occhi si osservavano
intensamente e si
scambiavano silenziosamente idee ed opinioni.
Kim non avrebbe
permesso che lui venisse sbattuto fuori, non così
improvvisamente e senza
preavviso. Era vero, non era sicuramente il lavoro dei suoi sogni, ma
significava
davvero tanto per lui. Era la sua soddisfazione quotidiana e ci aveva
preso
gusto in questa professione, finendo per appassionarcisi
involontariamente.
Gliel’aveva letto sul
volto, giorno dopo giorno, nelle settimane e nei mesi trascorsi.
C’era una luce
sempre più luminosa nei suoi occhi quando si trovava di
fronte alla classe. Non
era sicuramente come stare su un palco davanti ad una folla scalmanata,
ma era
lo stesso entusiasmante vedere come quello che diceva venisse preso in
considerazione, annotato, ascoltato e dibattuto.
Mentre Jared, ancora
preda del suo risentimento, decise di essere superiore, non mostrarsi
debole e
assecondare i desideri della ragazza.
Voleva chiudere?
Perfetto.
Per l’ennesima volta,
Kimberly avrebbe ottenuto quello che voleva.
Inoltre dopo quello che
era appena accaduto, non sapeva come sarebbero riusciti a continuare.
Forse
entro una settimana sarebbe finito quel terremoto interiore, ma al
momento
sentiva che se fossero rimasti insieme e lui si fosse licenziato,
avrebbero
passato momenti difficili, caratterizzati da sensi di colpa a non
finire e
rancore inconscio.
Prima Max gli aveva
garantito che non avrebbe mai trovato successo, poi la preside che non
lo voleva
più in quella scuola.. c’era un limite alla
sfortuna che una persona poteva
sopportare.
Con il cuore in
frantumi, Leto osservò la ragazza sorridergli debolmente,
come per
incoraggiarlo a prendere quella decisione dolorosa.
Si intendevano proprio
bene, loro due.
Lui comprese e annuì
automaticamente; poi rivolse lo sguardo più deciso che
poteva, per quanto
quella decisione gli sarebbe costata molto cara in un futuro prossimo.
-Va bene. La chiudiamo
qua.- le parole si susseguirono velocemente, e il tono freddo resero
molto
veritiera la scena. In realtà si sentiva minuscolo e si
vergognava di essere
stato portato a preferire il lavoro ai suoi sentimenti.
Kimberly si morse il
labbro inferiore, guardando in terra. Poi si rivolse anche lei alla
preside e
concordò con quello che le aveva appena riferito Jared.
-Mi dispiace ragazzi..-
disse in seguito la preside. –Tengo a precisare
però, che se non rispettate
questo patto, io licenzio in tronco te, Jared, e ci saranno conseguenze
pesanti
anche per te, Kimberly.- si sarebbe fidata, ma non avrebbe lasciato che
si
prendessero gioco di lei, di nuovo.
I due annuirono
all’unisono, ritenendo che fosse più che
legittimo.
Essere presi per i
fondelli una volta ci stava, la seconda molto meno; specialmente per
una donna seria
come lo era lei.
-Bene. Ora vi lascio 10
minuti.. poi ti aspetto in sala professori per l’assemblea
pomeridiana, Jared.-
fece per andarsene quando però, l’uomo la
richiamò.
-Come sapevi che
eravamo qui, Eleonor?- chiese, pronunciando per la prima volta il nome
della
donna. Kimberly non aveva mai saputo quale fosse il nome di battesimo
della
preside della sua scuola e se ne accorse solo in quel momento,
sentendosi così
sorpresa nell’udire quel nome che, a suo modesto parere, non
le
si addiceva
affatto.
Lei si voltò,
guardandolo eloquente, avendo intuito quale fosse la domanda di fondo.
–Siete
stati traditi.- disse poi, guardando intensamente Kimberly, cosa che
lì per lì,
la ragazza non seppe spiegarsi.
La osservarono aprire
la porta e uscire dalla stanza, lasciando che si godessero la fine
della loro
relazione per quegli ultimi, brevissimi 10 minuti.
*
Per quanto non avesse
mai cercato di immaginarsi la fine di quella storia, a Kim era capitato
di
buttarci il pensiero.
Erano raving insensati,
sprazzi di possibilità che non si sarebbero mai avverate,
lampi di momenti che
sarebbero stati parte solo ed esclusivamente della sua immaginazione.
Sicuramente però, non
aveva assolutamente immaginato potesse finire tutto così,
con i minuti contati
e per motivi che non avevano niente a che vedere con delle loro
divergenze
personali.
Si voltò verso l’uomo
che sapeva, le sarebbe mancato come l’aria non appena fosse
uscita da
quell’edificio e le sarebbe mancato ancora di più
quando ci fosse tornata.
Lo guardò, trovando i
suoi occhi fissarla intensamente di rimando. Le portò una
mano su una gota,
facendo scorrere le dita lungo quella superficie così
morbida.
-Mi dispiace..-
sussurrò lui, avvicinandosela e avvolgendola con entrambe le
braccia.
Dal canto suo, lei non
riuscì ad opporre troppa resistenza al gigantesco groppo che
aveva in gola e
permise alle lacrime di scorrerle lungo le guance.
Non era un pianto
disperato, non sussultava e non singhiozzava ripetutamente. Era
passivo, le
gocce salate fuoriuscivano di loro spontanea volontà.
Era un tristezza così
profonda che non le avrebbe dato pace per molto tempo, non appena lo
avesse
realizzato. Sentiva la consapevolezza pizzicarla, ma preferiva
rimandare il
momento del crollo.
Lo avrebbe capito
tornando a casa, nel tragitto in macchina, mentre con le cuffiette
nelle
orecchie, una canzone che le ricordava loro due fosse capitata in
playlist.
Solo allora l’avrebbe
capito e lì si sarebbe lasciata andare.
Per ora, si
accontentava di godersi quell’abbraccio e sfogare un
po’ di quella
frustrazione.
-E’ tutto così ingiusto.-
mormorò la ragazza, la voce non voleva uscirle.
-Arriverà il momento
giusto anche per noi.- le disse lui, cercando di consolarla. Doveva
mostrarsi
forte, lo doveva essere per entrambi, sebbene dentro si stesse
sgretolando
lentamente.
-No.- ribatté lei,
sconsolatissima. –Era questo il momento giusto, Jared.
È adesso che io e te
dovremmo stare insieme e decidere ogni giorno se continuare. -
L’uomo sapeva che
Kimberly aveva ragione, ma d’altra parte non poteva ignorare
tutto il
risentimento che provava in quel momento.
-Gwen ha parlato.-
rivelò poi con voce bassa, continuando ad accarezzarle la
nuca mentre lei era
con la fronte poggiata sulla sua spalla.
La ragazza sgranò gli
occhi, pensando di aver capito male. Si scostò per guardarlo
in faccia. –Cosa?-
Lui diede finalmente
aria a tutti i giri di pensiero che aveva avuto dal momento che
l’amica era
uscita dall’aula. –Oggi era strana. Si era messa in
testa strane idee, si è
rivolta a me con un tono troppo confidenziale. Le ho detto che non
volevo e lei
evidentemente si è arrabbiata.-
Kim scosse
ripetutamente il capo. –No, non è possibile.- ne
era certa, Gwen non l’avrebbe
mai tradita. Le aveva giurato complicità e rispetto; si
erano rivelate molte
confidenze; era convinta che il suo affetto fosse reale. Ne era certa.
Non era stata lei, non
era assolutamente possibile. –Ce l’hai sempre avuta
con lei, non utilizzarla
come capro espiatorio ogni volta!- lo riprese Kimberly, abbastanza
alterata.
-Tu non hai visto come
mi guardava!- ribatté lui, sulla difensiva.
–Sapeva di avere il coltello dalla
parte del manico e me l’ha fatto chiaramente intendere.-
-Questo non significa
nulla! Tutti in un momento di rabbia possono dire certe cose!-
-Pensala come vuoi,
fatto sta che quando la TUA amica è uscita, la preside
è entrata!- sottolineò
lui, con un tono di voce più alto. –E forse
finalmente ora aprirai gli occhi,
cazzo.-
La cattiveria con cui
marcò l’ultima frase, impietrì
Kimberly. –Cioè?-
-Che tu vivi sempre nel
tuo mondo delle favole, dove tutti sono buoni e non ci vogliono fare
del male!
Beh, ho una notizia per te cara: è in parte colpa tua quello
che è successo.-
-Mia? Io ho impedito
che ti licenziasse!- esclamò lei, basita. Non capiva da dove
provenisse tutta
questa rabbia improvvisa.
–Perché hai insistito tanto,
Kim?- chiese poi, improvvisamente serio.
Il tono leggermente più
amaro fece drizzare le orecchie della ragazza, la quale lo
guardò interdetta.
-E’ una decisione che
era giusto prendere…- cominciò a dire, confusa.
Era talmente spiazzata da non
riuscire a trovare le parole.
-No.- la interruppe il
professore. –L’hai voluto tu, hai scelto tu che
finisse oggi.-
-Jared cosa stai
dicendo? Io l’ho fatto per te!- esclamò lei,
allontanandosi di un passo.
-Oh, grazie! È
confortante il tuo altruismo Kimberly, ma potevo farne a meno per
questa
volta.- ribattè lui, colmo di sarcasmo.
-Si può sapere cosa ti
prende?- era basita.
-Se tu mi avessi
ascoltato, non sarebbe mai successo! Non sarebbe successo niente di
tutto
questo! Invece no, tu devi sempre fare di testa tua!- urlò
Jared, picchiando un
pugno su di un banco e voltandosi, dandole le spalle.
Sospirò profondamente,
chiudendo gli occhi. Sapeva che quello che stava dicendo avrebbe
comportato
delle brutte conseguenze, ma ormai non c’era più
niente da perdere.
Aveva perso lei, tanto
valeva convincerla definitivamente.
Sconvolta, lei si sentì
costretta a fargli una domanda. –Ti riferisci ancora a Gwen?
Non sarebbe
successo che la preside ci scovasse?-
-No.- sibilò lui,
fissandola negli occhi. –Parlo di tempo fa, quando cercavo di
convincerti a non
iniziare questa storia.-
La ragazza non riusciva
a capire se fosse il tono così serio o il fatto che la
rinnegasse senza ripensamenti
a distruggerla in quel modo. La stava incolpando di tutto, come se
fosse stata
tutta una sua iniziativa e lui si fosse ritrovato dentro quella valanga
precipitosa che era la sua testardaggine, così, di punto in
bianco.
Come se lui non
l’avesse mai voluta.
Avrebbe avuto mille
cose da dirgli effettivamente. Mille cattiverie o frasi da film con
tanto di
uscita scenica con la porta che sbatteva.
Ma non aveva
assolutamente la forza. Probabilmente era solo molto arrabbiato e
frustrato e
non intendeva dire quelle cose; però l’aveva fatto
e aveva rovinato i
loro
ultimi minuti insieme.
Silenziosamente, si
avvicinò e gli portò una mano sul volto. Quanto
gli sarebbe mancato quello
sguardo celeste fisso su di lei? E la pelle ruvida contro i
polpastrelli? E
quelle labbra sottili ma estremamente belle? La sua voce, la sua voce
forse era
ciò che le sarebbe mancato più di tutto.
Senza dire una parola,
gli sorrise tristemente e uscì dall’aula,
lasciando il professore solo con i
suoi rimorsi.
*
Rimase in quella stanza
silenziosa per altri minuti, in attesa non sapeva esattamente di cosa.
Che lei tornasse? Che
chiunque venisse a riportarlo nel mondo reale?
Sinceramente, si
accorse che non gli interessava affatto. Non c’era niente per
cui valesse la
pena di dare un senso alla giornata o alla sua esistenza in generale.
Non ci
sarebbe più stata, lo realizzò cupamente solo in
quel momento.
Niente e soprattutto
nessuno.
Chiuse gli occhi e si
portò una mano sul volto, raccogliendo tutte le riserve di
energia che
possedeva in angoli remoti del suo corpo, per casi proprio come quello.
Respirò profondamente
più volte, pensando che doveva resistere, doveva presentarsi
davanti alla
preside e colleghi come sempre, come se fosse la solita giornata
allegra e
solare e non come se gli fosse crollato il pavimento da sotto i piedi.
Deglutì più volte,
sentendo le labbra deboli. Optò per portarsi una
bottiglietta d’acqua, lo
aiutava a combattere l’imminente momento di estrema debolezza.
Non piangeva mai,
l’ultima volta che era capitato anni prima. Purtroppo il suo
record oggi si
sarebbe concluso.
Raccolse le sue cose e
si diresse verso la sala professori, dove si sistemò al
solito posto con un
sorriso di circostanza, sotto lo sguardo attento e finto indifferente
della
preside.
Tra un sorso e l’altro,
quell’assemblea che solitamente trovava lunghissima,
terminò piuttosto
rapidamente; mentre lui per tutto il tempo aveva pensato solo ad una
cosa:
La spia avrebbe pagato.
Choose
your last words
This
is the last time
Cos
you and I
We
were born to die.
Note finali: WELLA
PIPOL! Come andate? Todo bien?
Io oggi sono in modalità "I regret nothing"
più del solito e credo sia lapalissiano dopo aver scritto e
pubblicato questo capitolo molto poco coerente. Ci sono sprazzi di
incongruenza un pò ovunque e nei vari ragionamenti dei
personaggi ma fottesega,
nel complesso l'ho torvato leggibile ed è stato un processo
troppo doloroso scriverlo (ç______________ç i
miei bambini si sono lasciati!! SIGH) quindi già averlo
scritto in tempi diversi, ritoccato, modificato, tagliato o allungato
ha reso quest'esperienza ancora più dolorosa. Non potevo
ripeterla daccccapo mi capite? :(
Eh.
Sono
curiosa di sapere cosa ne pensate di tutto e se vi aspettavate questa
cosa. Tipo ma Kim che cazzo insiste? E Jared che si è
fumato? E la preside un bel vaffanculo no eh??
Qualcosa di simile insomma ♥
E
poi
vogliamo
parlare di Gwen? PARLIAMONE. Sarei curiosa di leggere tutte le offese
che siete in grado di sproloquiare ahaha.
La
lunghezza questa volta mi sembra piùcheaccettabile no? L'ho
fatto apposta almeno mi faccio perdonare
-il
ritardo
-e
il futuro sicuro ritardo
La
canzone è Born
to die della bellissima bravissima miaamatissima Lana del
Rey
Non
rendermi triste
non farmi piangere
ogni tanto l'amore non basta e la strada si fa dura
non so perchè.
Scegli
le tue ultime parole
questa è l'ultima volta
perchè io e te
siamo nati per morire.
Non
trovate che ci siano dei passaggi merpendibili
nella canzone?? (Merpendibili aka meravigliosi+stupendi+incredibili)
(lo so, sono un piccolo genio) CIOé avrei così
tante considerazioni sulla semplice frase "Ogni tanto l'amore non
basta" da scrivere un FF a parte! E poi "Nati per morire" non sembra
perfetto per la nostra giovane e adultera (cazzo c'entra) coppia?
Cioè davvero io ogni tanto non riesco a spiegarmi
perchè per ventordici capitoli non trovo niente di adeguato
e poi SBAM ecco la canzone perrrrrfetta! Mi commuovo da sola!
Ho seriamente finito, mi raccomando leggete, pensate, piangete e
sfogatevi che mi fa sempre piacere condividere qualche bestemmia con
qualcuno :)♥
A bientot
Vi lovvo.
|
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Capitolo 65 *** Capitolo 65. ***
Capitolo
65.
All the things
she said
All the things she said
Running through my head
Running through my head
All the things she said
This is not enough
Era sconvolta.
Stravolta. Straziata. Allibita. Confusa. Incredula. Stupefatta.
Furiosa.
Disperata.
Non si era mai sentita
così. Erano delle sensazioni talmente estreme e
contemporanee, che non riusciva
a realizzarle. L’informazione non le arrivava al cervello,
facendola sentire
come in una bolla di vetro.
E temeva come la peste
il momento in cui se ne fosse resa conto, sapeva che sarebbe stato un
momento
di crollo completo.
Proprio per questo
motivo aveva deciso di distrarsi in un unico modo: si diresse verso
casa di
Gwen.
Guidò la sua
meravigliosa macchinetta, che sfortunatamente, non poté
godersi a fondo,
incazzata com’era. Non teneva conto dei semafori che
diventavano gialli,
passava anche se a pelo coi rossi, infrangendo ogni limite di
velocità
consentito su suolo del centro urbano, ma se ne fregava.
Se ne fregava come se
ne fregava di risultare sgarbata con i pedoni, non lasciando loro la
precedenza
di attraversare; se ne fregava degli altri clacson che la riprendevano
severi;
se ne fregava di rischiare il ritiro della patente a poche ore della
sua
nascita; c’era una sola cosa che pensava:
l’avrebbe ammazzata,
quanto era vero il cielo, avrebbe investito Gwen non appena se la fosse
trovata
davanti.
Come aveva potuto farle
una cosa del genere? Uno smacco simile? Un torto così
imperdonabile? Un tale tradimento?
Non riusciva a
crederci, eppure tutta la rabbia che le consentiva di mantenere la
mente lucida
e distaccata dal dolore, era indirizzata a quella che si era definita
più volte
sua amica.
Eppure si era così
stupidamente fidata.
Le avrebbe perdonato
qualsiasi cosa, le avrebbe concesso qualsiasi sgarro.
Ma non questo, non
l’avrebbe mai scusata per averle portato via l’uomo
di cui era innamorata.
Con un’ira in corpo che
non aveva precedenti svoltò rischiando di far ribaltare la
macchina, nella via
riportante il nome dell’indirizzo di Gwen.
Nel corso delle lezioni
di guida aveva imparato molte cose: le partenze; le frenate non troppo
brusche;
quando/dove/come inserire le marce; fare inversione di marcia; partire
in
salita; guidare per dei pezzi in retro e parcheggi ad L e ad S.
Eppure, si rese conto
solo in quel momento, trovandosi una serie lunghissima di macchine
perfettamente (o quasi) parcheggiate, che non le era stato insegnato
come
inserirsi dal davanti.
Si trattenne dal
compiere un primo tentativo, sapendo che agitata come era, avrebbe
sicuramente
rigato quelle adiacenti.
La lasciò accanto in
una posizione poco comune, di fronte alla villetta di Gwen, dove si
diresse con
una furia che non credeva appartenerle.
Suonò al citofono e
quando la voce della compagna le rispose, cominciò ad
aggredirla verbalmente,
ribadendo quanto la odiasse.
-Kimberly?? Che ti
prende?- chiese l’interlocutrice, alquanto spaventata.
-A me niente, ma se
scendi succede che ti prendo a pugni!- inveì
l’altra, quasi attaccandosi
all’apparecchio da cui proveniva la voce.
La sentì riappendere e
intuì che la stesse raggiungendo. Bene.
Un ghigno si aprì sul
volto di Kim, mentre intrepida si raccoglieva la maniche.
L’avrebbe sfigurata,
martoriata, spappolata, disintegrata.
Vide la bionda uscire
dalla porta d’accesso e raggiungerla, con un passo davvero
deciso, cosa che Kim
trovò ammirevole dal momento fosse consapevole dei
presupposti con cui sarebbe
stata accolta.
Eppure, una volta che
se la trovò davanti, tutta l’energia distruttiva
di cui si era avvalsa fino a
quel momento, parve abbandonarla.
-Allora, si può sapere
cosa succede?- le chiese Gwen con un’espressione tra lo
sconvolto e il confuso.
Kimberly passò dal
tenere le braccia sollevate alle cui estremità si ergevano
le due mani strette
a pugni, all’abbassarle completamente, inerme.
Il cuore che prima
batteva molto velocemente, scandendo i millesimi di secondo a causa
della
rabbia; ora aveva rallentato, amplificando il rimbombo dei battiti.
Scandevano lenti ed
inesorabili il passare dei secondi, era un battito prepotente e
profondo, da
farla tentennare fino alle unghie dei piedi con quella calma e
quell’ardore
disarmanti.
Era un battito funebre,
prossimo ad appassire. Lo ascoltò mentre si sentiva mancare.
Era il tipico battito
che precedeva la rottura, il suo decadimento.
Lo sentiva espandersi
nel petto assieme all’unica consapevolezza che poteva farla
crollare in quello
stato comatoso: l’aveva perso.
Aveva perso la persona
a cui più teneva in quel momento sulla faccia della Terra,
fino ad un’ora prima
poteva chiamarlo, stringerlo, guardarlo, toccarlo, abbracciarlo,
baciarlo; ora
il solo pensiero di pronunciare il suo nome le straziava il cuore.
Aveva permesso che
accadesse, era stata ingenua, frivola e troppo fiduciosa.
Fu più forte di lei
scoppiare in lacrime in quel momento. Non le interessava che ci fosse
Gwen, non
le interessava più di ucciderla. Avrebbe fatto leva sul suo
senso di colpa,
forse così avrebbe raggiunto lo stesso il suo scopo.
-Kimberly!- le prese le
spalle e la scosse. –Mi spieghi cos’hai?- la sua
voce tradiva una certa
angoscia.
Che attrice, pensò colma
di rancore Kim, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia minute, non
riuscendo
ad opporre resistenza.
-Hai distrutto tutto.-
le rispose con una tonalità molto debole. –Hai
distrutto tutto.-
Gwen sgranò gli occhi.
–N-non capisco di cosa parli.- tentennò,
aggrottando la fronte.
-Sì che lo sai.- la
contraddì l’altra, singhiozzando. –Non
vedevi l’ora di farmela pagare, vero?-
A questo punto era
ovvio che fosse una questione di gelosia. Gwen si era seriamente persa
una
sbandata per il professore all’inizio dell’anno?
Tutte le scenette in cui si
imbatteva venendo a scuola su quanto fosse figo/bravo/buono
l’insegnante non
erano una farsa?
-Farti pagare che
cosa?-
-Oh, smettila di fare
la finta tonta!- esclamò poi Kim, furiosa. –Tu non
hai mai accettato che io e
Jared ci frequentassimo! Come ho fatto ad essere così
cieca!- disse poi tra sé
e sé.
-Cieca? Kimberly non
riesco a seguirti!- il tono di Gwen aveva un che di sconcertato, ma uno
sconcertato pacato, tipico di chi vuole rimanere calmo anche in una
situazione
di estremo panico.
-E’ successo qualcosa
con il professor Leto?- osò poi chiedere, e Kimberly si
accorse del suo sforzo
per mantenere un’espressione neutra. Lesse un barlume di
coscienza sul suo
volto, come se lo sapesse già e con quello scintillio stesse
confessando il
misfatto.
A quel punto non ebbe
più dubbi, e le venne l’impulso di metterle le
mani addosso.
-Sì.- la
guardò negli
occhi. –Ci siamo lasciati.- il volto si rattrappì
in una smorfia di puro dolore
incondizionato.
-C-che cosa?- sussurrò
Gwen,
la voce talmente bassa che Kim la sentì a stenti.
-Oh, maledizione Gwen!
Come puoi continuare a fingere così?!- era davvero brava, e
in quel momento
capì perché si fosse lasciata abbindolare
così facilmente: era troppo
convincente, nessuno neanche Jared stesso era mai riuscito a
persuaderla dal
fidarsi si lei.
L’espressione che le
stava mostrando ad esempio era puramente sconvolta. Per un secondo le
riscordò
di quando a casa Leto, gli aveva chiesto della modella in aeroporto e
di come
lui aveva negato, con una sincerità nello sguardo da indurla
per forza di cose
a credergli.
Una delle cose più
stupide che avesse mai fatto, e non era sicuramente intenzionata a
ripetersi.
-Per lo meno avete
questo in comune.- si lasciò sfuggire, in un ringhio feroce.
Già se li
immaginava, anche se sapeva che non avrebbe mai permesso ai suoi occhi
di
vederli insieme. Nessun organo del suo corpo avrebbe retto ad una
visione del
genere, molto probabilmente si sarebbero indotti al suicidio smettendo
di
funzionare.
-Kimberly, ti prego..-
tentò invano, ostentando un passo avanti alla quale
conseguì un passo indietro
automatico di Kim. –Va bene! Ho sbagliato ok? Non credevo che
vi sareste
addirittura lasciati!- esclamò alla fine esasperata.
Lo sguardo che le
rivolse la mora, le fece palesemente intendere che se si fosse
risparmiata le
ultime parole pronunciate avrebbe fatto la genialata del secolo.
-Tu non credevi?! Come
hai potuto pensare di fare una cosa del genere e pensare che io e lui
non ne
risentissimo? Io mi fidavo di te!- inveì questa con un tono
di voce più alto
del dovuto.
Se non si fosse sentita
la persona più umiliata a tradita sulla faccia della Terra,
avrebbe sicuramente
pensato a quanto fosse ingiusto per il vicinato udire le sue urla
isteriche. Ma
ad essere sincera, non le interessava proprio per niente, lei stava
male e il
mondo intero avrebbe dovuto fermarsi e soffrire con lei.
Evitò il pensiero
dolore e si concentrò sulla rabbia che provava, mentre
osservava Gwen paonazza
farle segno di calmarsi.
-Mi dispiace Kim!-
-Non me ne frega un
accidente che ti dispiaccia! Non riesco a credere che tu ti sia
permessa di
fare una cosa del genere! Ma che diritto ne avevi?- non erano domande
interessate ad una risposta, erano una serie di sentenze che dal
cervello
uscivano direttamente dalla bocca per puro e semplice sfogo.
-Mi sentivo messa da
parte e volevo solo..- provò per l’ennesima volta
ad esprimere il suo punto di
vista Gwen, senza però riuscire a concludere una singola
frase.
Kimberly fece uno
scatto isterico, agitando le mani e portandosele in volto, tremanti.
Non
riusciva a sentire il suono della sua voce, non lo sopportava, era come
se i
timpani bruciassero ogni volta che la tonalità dispiaciuta e
soave della
ragazza le arrivava alle orecchie.
Non riusciva a
sopportarla, ancora un paio di parole e le avrebbe fatto del male
fisico.
-Ti prego Gwen, non
dire niente.- le disse quindi, un pelino più calma. La
ragazza sembrò intuire
il pericolo dietro quella calma apparente e tacque, abbassando lo
sguardo.
Sentiva gli occhi e il
naso pizzicarle, chiaro segno che la debolezza stava cominciando a
farsi
sentire. Tutte quelle accuse e, doveva ammetterlo, il senso di colpa la
stavano
per fagocitare. Avrebbe tanto voluto che l’amica le
permettesse di spiegarle le
sue intenzioni e che probabilmente si trattava di un enorme malinteso..
se
fosse riuscita a parlare con i diretti interessati avrebbe potuto
risolvere
tutto, ne era sicura.
Al momento purtroppo
però, aveva a che fare con una persona che non aveva
nessunissima intenzione di
ascoltarla.
-Al di là del rispetto
nei miei confronti, che sono tua amica e mi sono ciecamente fidata di
te, come
hai potuto mancare di rispetto anche a lui e al fatto che lui ci campa
con quel
lavoro? Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere!-
-Ma veramente io..-
tentò nuovamente, ma lo sguardo feroce di Kim le fece
inghiottire le sue stesse
parole. –Perché non vuoi ascoltarmi?-
-Perché non posso farlo
senza pensare che per tutto questo tempo tu mi abbia raggirata! Non
posso
pensare a tutto quello che ti ho confidato e come tu in
realtà pensassi a farmi
lasciare con Jared!
Non voglio ascoltarti
perché non te lo meriti, Gwen.- le rispose la mora, con le
labbra tremanti.
-Scordati della mia
esistenza.- disse infine, per poi voltarsi e incamminarsi verso la
macchina.
Gwen, dal canto suo,
avrebbe voluto con tutta se stessa correrle dietro e spiegarle come era
andata
in realtà e come aveva sbagliato, ma che quello non era
assolutamente il suo
scopo.
Però la conosceva ed
era consapevole del fatto che non era esattamente il momento giusto per
affrontarla. Troppo passionale Kimberly, nessuno era in grado di domare
tutto
quel fuoco.
Avrebbe voluto pensare
di avere un’altra occasione per riprovare, ma dato il danno
che aveva causato
le venne spontaneo pensare che non l’avrebbe mai perdonata.
I’m
in serious shit, I feel totally lost
If I’m asking for help it’s only because
Being with you has opened my eyes
Could I ever believe such a perfect surprise?
I
keep asking
myself, wondering how
I
keep closing my eyes but I can’t block you out
Note finali: ciao
amiche!
Scusatemi ma sono in una fretta dannata, spero che stiate bene e vada
tutto ok.
Il capitolo è un grande MAH, ce ne saranno alcuni di
transizione in cui Kimberly si crogiola nella rabbia/disperazione
quindi mettetevi l'anima in pace cos that's the way it goes ahaha.
Scherzi a parte, fatemi sapere cosa ne pensate, se avete dubbi o se
questo capitolo (che non ho riletto quindi potrebbe essere la culla di
800 errori, scusatemi) vi ha generato qualche tipo di... non so.
Riflessione? Ok, avete capito a cosa mi riferisco e se siete rapide
avete capito già cosa accadrà nei prossimi
capitoli ;)
In caso contrario molto meglio per me! OHOHO.
La
canzone è All
the things she said delle T.A.T.U e so che tendenzialmente
parlerebbe di due lesbiche ma possiamo adattarla a diverse situazioni
ahaha.
Tutte
le cose che ha detto mi girano nella testa
e non è mai abbastanza.
Sono
totalmente nella merda, mi sento completamente persa
se chiedo aiuto è solo perchè
stare con te mi ha aperto gli occhi
Potevo mai credere ad una sorpresa così perfetta? (Eheh il
titolo c'è sempre)
Continuo a chiedermi,
domandarmi come
Continuo a chiudere gli
occhi ma non riesco a
toglierti dalla mente.
Ooookkk guuurlzzzz, fatemi sapere i vostri pareri, se siete favorevoli
o contrarie a questo chapter, all'atteggiamento di Kim e se voi
perdonereste Gwen o l'avreste affrontata diversamente.
kisskisskiss ♥
|
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Capitolo 66 *** Capitolo 66. ***
Capitolo
66.
Tornò a casa
più
depressa di quanto avesse pensato.
Aveva perso anche lei.
Olè. Due in un colpo solo.
“Che bella giocata”
pensò la ragazza tra sé e sé, con una
delusione addosso che toccava i massimi
storici.
Certo, si suoleva dire
che certe persone era meglio perderle che trovarle, però
questo senso di
abbandono sembrava intenzionato a nutrirsi di lei e del suo dolore per
parecchio tempo.
Aveva perso l’uomo che
amava, era condannata a vederlo girare tutti i giorni per la scuola e,
come se
non bastasse, non aveva nessun’amica con cui confidarsi e
condividere questa sofferenza
immonda.
Eppure ancora non
riusciva a cadere in ginocchio, vittima del dolore.
C’era qualcosa che le
impediva di elaborare quella tremenda sensazione ancora, e non riusciva
a
capire cosa fosse.
Probabilmente non
riusciva ancora a crederci, fissata nella prima fase del lutto: la
negazione.
Non era logicamente
possibile che fino ad un paio d’ore prima potesse essere la
persona più realizzata
al mondo, mentre ora era la più sola esistente.
Non poteva essere,
avrebbe dovuto fare quattro chiacchiere col suo karma. Eppure cosa
aveva fatto
di male recentemente?
Spense il cellulare
onde evitare di stare troppo tempo a fissarlo invano e trascorse la
serata come
se fosse una qualsiasi.
Cenò con la sua
famiglia, parlando del più e del meno; lesse qualche pagina
che avrebbe dovuto
sapere per il giorno seguente; fece una rilassante sessione di zapping
e
preparò perfino la cartella. Le sembrò di aver
fatto un salto indietro di
qualche anno, dal momento che la borsa di scuola non la preparava il
giorno
prima da tempo immemore, proprio come i vestiti che avrebbe indossato.
Si sentì come alle
elementari, ritrovandosi in piedi di fronte all’armadio in
legno, nel tentativo
di cercare qualche infido indumento che non voleva farsi scovare in
mezzo a
tutto quel caos.
Mentre era tutta
intenta a frugare quasi completamente all’interno della
cabina in legno, sentì
bussare alla porta.
-Sì?- rispose
scocciata.
-Kim, c’è tuo padre al
telefono.- dalla porta fece capolino il volto di Lilian, la quale
mostrò
un’espressione sorpresa e divertita, vedendo la figlia
litigare con le grucce
che si impigliavano tra loro. Sembrava che il vecchio armadio stesse in
agguato
con le ante spalancate come fauci, in attesa del momento più
opportuno per
divorarsela.
Si avvicinò e le porse
il cordless, coprendo con l’altra mano la parte inferiore del
ricevitore. -Dice
che hai il cellulare spento.- continuò con una vaga
tonalità di rimprovero
nella voce.
La madre trovò alquanto
strano questo dettaglio, dato che per quanto ne sapesse Kimberly era
tutta presa
da un ragazzo e sembrava proteggere quell’oggetto a costo
della vita.
Lilian era estremamente
curiosa e avrebbe tanto desiderato che la figlia le raccontasse di
questa
persona, ma preferiva aspettare i suoi tempi e darle modo di superare
quella
sorta di imbarazzo.
La ragazza si diede una
pacca in fronte. –Ah già!- esclamò,
rendendosi improvvisamente conto di quanto
fosse distratta. Si era dimenticata che era giovedì e Max si
sarebbe fatto
vivo.
-Ciao pa’.- disse
fingendo enfasi, facendo segno alla madre di lasciarla sola, la quale
obbedì
con una smorfia indispettita.
-Ehi Kim, allora?! Come
è andata??- chiese dall’altra parte Max, con un
tono estremamente entusiasta.
Da qualche settimana i
due avevano ricominciato a sentirsi, Kim aveva battuto il suo orgoglio
e si era
decisa a rispondergli, dopo quasi 3 settimane di silenzio.
Il padre non si era
dimostrato per niente arrabbiato con lei, anzi a dirla tutta le era
parso
sollevato, come se si fosse tolto un macigno insostenibile dallo
stomaco.
Parlarono a lungo
quella sera, aggiornandosi riguardo tutto quello che si erano persi
l’uno
dell’altra in quelle settimane. Parlarono perfino di Jared.
Ovviamente non erano
scesi in dettagli, e la conversazione a quel punto era diventata molto
stentata, però Kimberly aveva trovato molto dolce il suo
tentativo di interesse
nei confronti di questa sfera della figlia.
Erano tornati ad essere
come un tempo, molto affiatati.
Eppure, in quel momento
la ragazza non riuscì proprio a capire a cosa dovesse tutta
quell’allegria e
anzi, le diede anche fastidio.
Perché sembravano tutti
così contenti quando lei era entrata nella prima fase del
lutto?
-Di cosa parli?- gli
chiese, rivangando nella memoria cosa potesse causargli tanto
entusiasmo.
-Come di cosa parlo? È
da secoli che aspettiamo di festeggiare questo momento e tu lo ignori
così?! La
patente!- esclamò lui, in un secondo tentativo di
travolgerla.
-Ah!- sussultò poi lei,
come aveva fatto a scordarselo?? –E’ stato
emozionantissimo pa’, dovevi
esserci! Insomma, io ero tutta agitata mentre quel vecchiaccio
dell’esaminatore…- cominciò a far leva
sulla sua logorrea misto a retorica che
potesse da una parte distrarla dai brutti pensieri, e
dall’altra distrarre lui
dal porgerle domande scomode.
Parlò a vanvera,
raccontando ogni minimo dettaglio in modo che lui si figurasse
perfettamente la
scena, per almeno 10 minuti, durante i quali lui era contentissimo
sì, di
sentirla così carica per il grande passo che aveva compiuto,
ma dall’altra
parte percepiva benissimo la presenza di una cadenza diversa nella voce
della
figlia, come se non fosse del tutto presente.
-…quindi mi ha guardata
e con un sorriso mi ha consegnato la tesserina con la mia foto!!!-
esclamò alla
fine di quel monologo intervallato da sporadici commenti e risate
riempitive da
parte del padre.
-Oh, la mia cucciolotta
sta crescendo!- si lagnò lui, fingendo di avere la voce
spezzata. –Ricordo
ancora quando ti ho fatto provare a guidare per la prima volta la mia
macchina
nel parcheggio deserto del centro commerciale...-
Kim roteò gli occhi
sbuffando. -..e io stavo per schiantarmi contro un muro nel tentativo
di fare
un parcheggio.-
Ogni volta le ricordava
quell’aneddoto, esperienza che non avrebbe mai dimenticato.
Rare volte in vita
sua si era sentita così eccitata e allo stesso tempo
terrorizzata.
L’esito di quella prima
prova però era stato talmente scadente da farle prendere in
considerazione
l’idea di non prendere mai la patente e muoversi a vita
tramite passaggi a
scrocco e mezzi pubblici.
Si sentì sollevata in
quel momento invece nel rendersi conto che, tiè, alla faccia
di tutti, invece
ce l’aveva fatta, sebbene nessuno ci avrebbe (avesse?) mai
scommesso.
-E anche questa
l’abbiamo fatta.- disse lui emozionato.
–Ricordatelo però che è stato il tuo
papà ad insegnartelo!- le rammentò per
l’ennesima volta, sempre con
quell’angoscia tipica dei genitori di non sentirsi mai
abbastanza considerati.
Certo che se lo sarebbe
ricordato. Era stato lui ad insegnarle praticamente tutto quello che
sapeva
fare. Tranne leggere e scrivere, quello era merito di Lilian.
O fare l’occhiolino
alternativamente con entrambi gli occhi. Quello era stato James.
Ma azioni come leggere
l’orologio analogico, usare il suo primo cellulare, nuotare,
andare in
bicicletta, fare sci di discesa erano tutte cose in cui lui aveva
impegnato il
suo tempo e la sua dedizione.
-Grazie papino.- disse
lei semplicemente, con un sorriso nostalgico. Probabilmente
“guidare” sarebbe
stata l’ultima cosa sulla lista, perché non le
veniva in mente altro.
-Figurati, cucciola.
Dai è tardi, vai a dormire e fai la brava che tra qualche
mese hai gli esami!-
Lei mugolò contrariata.
–Non mettermi pressione, che i professori se la stanno
già cavando più che
egregiamente.- rispose sarcastica. –Buonanotte pa’.-
-Notte e ricordati che
il tuo vecchio qui è molto orgoglioso.- non c’era
frase che la rendeva più
felice. La soddisfazione di suo padre era anche la sua.
*
Con
il cuore
martellante, dopo ormai un paio d’ore trascorse di fronte a
quell’armadio che
non le diceva nulla, si rese conto che era ora di andare a dormire.
Si infilò sotto le
coperte e, col petto colmo d’angoscia, decise di accendere il
cellulare, così,
tanto per. Finse tra sé e sé di non aspettarsi
che una certa persona l’avesse
cercata più volte, finse di avere necessità di
accenderlo solo per vedere che
ore fossero o magari qualcuno le avesse scritto solo per dirle che la
scuola
era stata bombardata da un meteorite e non c’era
più bisogno che si
presentasse.
Finalmente l’aggeggio
si accese, vibrandole più volte nella mano, mostrandole i
messaggi delle
chiamate perse di suo padre.
Nient altro.
Rimase a lungo in
quella posizione, al buio, nel letto, col cellulare ad un palmo dal
naso ad
illuminarle il viso, nella vaga speranza che lui
si facesse vivo.
Ma fu del tutto invano.
Note finali:
SO CHE è IL CAPITOLO PIù DELUDENTE NEL CORSO
DELLA STORIA ma abbiate pietà, sono tempi duri questi.
Sono stata molto combattuta se postarlo o passare direttamente al
prossimo, ma alla fine la parte di me che vuole che le cose siano fatte
bene (AHAHA che parolone, "bene") ha prevalso. C'erano un paio di cose
in questo capitolo che se fossero mancate nei prossimi magari ci
sarebbe stata una qualche lacuna.
MA visto e considerato che non sono così stronza,
domani o comunque a giorni metterò il prossimo che
è già più lungo e più
completo.
Non mi aspetto neppure che commentiate, povere anime anche voi.
Leggete, così, quando non avete una ceppa da fare,
consideratelo come un capitolo "appendice".
Grazie per l'attenzione e grazie per essere passate, a moooolto presto
♥
xoxoxoxox
|
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Capitolo 67 *** Capitolo 67. ***
Capitolo
67.
Why do we sit around and
Break each others hearts tonight,
Why do we dance around
The issues till the morning light,
When we sit and talk and
Tear each others lives apart,
You were the one to tell me go,
But you were the one for me
And now youre going through the door
When you take that step
I love you baby more and more
We need to laugh and sing and cry
And warm each others hearts tonight
Svegliarsi
per lei fu
come non aver mai chiuso occhio. Non era sicura se fosse per via della
lacrime
che le avevano reso gli occhi come due palle da golf, o
perché effettivamente
non aveva chiuso occhio per due notti consecutive.
Non ce l’avrebbe fatta,
non avrebbe retto una giornata inutile come quella che avrebbe
sicuramente
passato.
La vita non aveva più
un senso, il sole non aveva motivo di splendere e la scuola era tornata
a far
schifo come ai vecchi tempi.
Il giorno prima,
sebbene non avesse dormito molto per via di quel cellulare
insopportabilmente
silenzioso, si era svegliata carica, animata da una forza adrenalinica
che la
portò ad essere attiva e pimpante sebbene i presupposti
riguardo all’esito
della giornata non fossero dei migliori.
Pensò che probabilmente
fosse per via dell’eccitazione causata dalla privazione di
sonno; o per quella
interminabile prima fase del lutto.
La vera motivazione le
era arrivata come un razzo, non appena aveva varcato la soglia
dell’ingresso
scolastico: l’avrebbe visto. Già si immaginava la
scena.
Il professore di musica
sarebbe entrato totalmente e completamente sconsolato in aula, con la
tristezza
viva negli occhi. Avrebbe iniziato a spiegare una delle sue asfissianti
lezioni
ma, nell’istante in cui i loro occhi si fossero incrociati,
sarebbe scoppiato
nuovamente l’amore tra i due; per poi approfittare
dell’intervallo per
scambiarsi le reciproche scuse e tornare ad essere la coppietta segreta
del
giorno prima. Non c’erano dubbi, lei gli mancava esattamente
come lui mancava a
lei, e Jared non avrebbe mai e poi mai opposto resistenza ad una loro
riappacificazione.
E invece.
Ripensando a come fosse
effettivamente andata, a Kim si contorsero le budella.
Aveva aspettato la
terza ora di quella giornata in ansia, impaziente di rivederlo e
guardarlo
mentre si innamorava di nuovo dei suoi occhi.
Quando invece lui fece
la sua entrata in classe, tutto si poteva dire fuochè si
fosse appena lasciato
con la sua ragazza.
Sembrava un’altra
persona, fresco, bello più del dovuto e sorridente come non
mai. Il cuore di
Kimberly mancò un battito nel vederlo così..
contento?
Si sentì immediatamente
tradita, umiliata e mortificata. Eppure, per tutta la lezione non aveva
distolto l’attenzione da lui, dedicandogli infiniti sorrisi e
sguardi intensi
ai quali non aveva mai, neanche una misera volta, prestato attenzione.
La sorvolava
completamente, come se non fosse presente quel giorno. Lo osservava far
passare
sotto lo sguardo vigile ogni alunno, e quando finalmente giungeva il
suo turno,
eccolo che la evitava con una naturalezza che Kim avrebbe definito a
dir poco
sconvolgente.
Era forse invisibile?
Si guardò rapidamente le mani, quasi aspettandosi di posare
lo sguardo sul
banco sotto i suoi gomiti.
Se era tutta una
recita, Jared si meritava il premio Oscar come miglior attore
protagonista.
Sempre più sconvolta
l’aveva osservato calarsi nella parte del sadico
doppiogiochista: davanti agli
occhi dei poveri alunni, aveva deciso di improvvisare
un’interrogazione a
sorpresa.
La vittima di questa terribile
uscita fu Gwen, sebbene Kim constatò che il professore
avesse escogitato bene
il modo per chiamarla. Come se fosse stato tutto un piano della sorte.
Aveva guardato
attentamente il registro, poi aveva afferrato il barattolino contenente
i
numeri a cui corrispondeva l’ordine dell’elenco
alfabetico e aveva casualmente
estratto il 15, di Gwen Kingston.
Probabilmente gli era
uscito un numero a caso, come il 3. Non sarebbe mai importato, per lui
era un
15 e lo sarebbe stato in ogni caso.
L’aveva osservato bene
per poi guardare dritto verso l’alunna bionda. Un ghigno
compiaciuto si aprì
sul suo volto nel pronunciare il suo nome. –Accomodati pure.-
indicò la sedia
nel banchetto deserto accanto alla cattedra, apposito per le
interrogazioni.
Era questo il suo
subdolo modo per sfogarsi? Per esternare la sua frustrazione?
Kimberly non poteva
negare di essere d’accordo, ma c’erano dei limiti
oltre ai quali la vendetta
diventava pura tortura.
Aveva guardato Gwen
avvicinarsi alla cattedra come se fosse un patibolo, con il terrore che
le
scalpitava nello sguardo. Era ovvio quale fosse il fine di quella messa
in
scena, però purtroppo la ragazza non avrebbe avuto le prove
a disposizione per
denunciarlo alla preside.
Per quanto male le
potesse volere, Kim non era in grado di sopportare la vista di
quell’umiliazione pubblica. Era ovvio che l’alunna
non fosse preparata e anzi, ad un certo punto era arrivata addirittura
ad implorare il professore di
lasciarla tornare al posto con la sua meritata insufficienza.
Ciononostante,
Leto sembrava godere di fronte alla vista della ragazza in
difficoltà,
balbettante, le guance che le erano andate a fuoco e quella luce ferita
negli
occhi alla quale lui rispondeva con uno sguardo affilato “Fa
abbastanza male, ora?”
-Cosa vogliamo fare,
Gwen?- aveva detto infine con un recitatissimo sospiro sconsolato. Come
se
fosse dispiaciuto per quello a cui aveva appena assistito.
Lei aveva scrollato le
spalle con gli occhi lucidi. Si era costretta a non guardarlo,
perché il
contatto visivo col suo carnefice l’avrebbe irrimediabilmente
distrutta.
Il professore aveva
avvicinato il registro a e con la penna nera in mano aveva seguito la
fila dei
nomi fino ad arrivare a quello di Gwen, per poi scorrere in orizzontale
fino
alla data del giorno. Vi fece un puntino e poi era tornato a fissarla
intensamente.
-E’ evidente che tu non
abbia studiato. Cosa avevi d’importante da fare ieri?- le
aveva chiesto,
stendendosi contro lo schienale.
Umiliata, la ragazza l’aveva
guardato per un secondo solo. –Niente.- la sua voce era molto
bassa, Kim
immaginò fosse per via del groppo che aveva in gola.
-Mi dispiace ma non
credo di poterti dare neppure un voto. Dovrei metterti un
“non classificato”
per una interrogazione del genere.- continuò, senza
toglierle gli occhi di dosso.
Gli piaceva quello che vedeva, il suo rancore ne stava gioendo e non
riusciva a
farsene una colpa.
L’alunna dal canto suo
non riusciva a credere a quello di cui era caduta vittima. Un Non
classificato?
Era pesante da portare all’esame della maturità.
Avrebbe influito? La sua media
totale ne avrebbe sicuramente risentito, ma anche l’esame di
per sé?
Come l’avrebbe spiegato
ai suoi, nel caso non fosse stata ammessa?
-No, la prego un NC no.
La supplico, mi interroghi la prossima settimana o anche domani stesso,
le
garantisco che..-
-Gwen, Gwen, Gwen..-
aveva sbuffato mr Leto, invariando quel tono costernato. –Non
è possibile mi
spiace. La vita è complicata e ti prende in contropiede ogni
tanto. Devi
accettarne le conseguenze. Se ti aiuto, sarei un cattivo educatore. Io
ti sto
regalando un’esperienza di vita.-
-E dovrei anche
ringraziarla?- aveva domandato lei di rimando, a denti stretti.
Lui sorrise, sollevando
le spalle. –Già che ci siamo, perché
no.-
Le guance della ragazza
divamparono mentre sentì una lacrima scorrerle lungo il
volto. Il professore
non si lasciò scappare quel dettaglio e anzi se lo godette,
osservandone il
percorso fino alla sua caduta sul colletto della camicetta di Gwen.
–Sto
aspettando.- la incitò, non vedendo sinceramente
l’ora che il ringraziamento
fuoriuscisse da quelle labbra.
La lingua le sarebbe
servita a qualcosa per lo meno.
Gwen provò con tutta se
stessa a trovare la forza dentro di lei per emettere un suono che
somigliasse
ad un “Grazie”, ma le sembrava impossibile. Era
come se la gola si fosse
otturata da tutte le lacrime e gli insulti che avrebbe voluto
esternare, e un
ringraziamento era sicuramente l’ultima delle parole che
avrebbe rivolto a quel
mostro.
Era la tipica persona
che non riesciuva a dire certe cose se non le pensava. Non riusciva a
chiedere
scusa se non si sentiva realmente pentita o non riusciva a scrivere le
faccine
sorridenti nei messaggi, se era arrabbiata con la persona con cui stava
parlando.
-Gweeen..?- il
professore le passò una mano davanti agli occhi, ancora in
attesa di fronte a
quel viso inespressivo.
-La smetta.- una voce
finalmente si era innalzata dalla classe statica e silenziosa fino a
quel
secondo. Erano rimasti tutti immobili e basiti di fronte a quella
novità
assoluta e a quel comportamento del signor Leto, che fino ad allora era
conosciuto per essere il più buono e il preferito tra tutti
i professori. Tra i
banchi girava l’idea che una volta finito con la compagna,
potesse prendersela
con qualcun altro e sicuramente lamentandosi non avrebbero migliorato
le cose.
Kimberly però, ritenne
che il limite fosse stato sufficientemente superato e che il professore
stesse
davvero esagerando. Le era uscita spontanea quella sorta di comando.
Non le importava che le
si ritorcesse contro, non era giusto quello che stava succedendo e
inoltre,
forse così Jared l’avrebbe degnata di una minima
attenzione.
Tutti gli occhi ora
erano puntati su di lei, anche quelli azzurri del professore.
–Non credo di
aver capito, Bloomwood.- aveva detto questo, con il tono più
neutro che le
avesse mai rivolto.
Il fiato le si smorzò
in gola. L’aveva chiamata per cognome. Non l’aveva
mai fatto, mai, neanche una
singola e sporadica volta. Con nessuno.
Cercò di non darsi per
vinta: la stava guardando, o per lo meno, lo sguardo puntava nella sua
direzione e questo la faceva esistere. Dava un senso a quella giornata.
-La smetta.- aveva
ripetuto lei, in preda al batticuore.
-Di fare cosa?- d’altra
parte lui stava solo facendo il suo lavoro.
-Il despota.- rispose
Kim risoluta. Non aveva fatto così in 7 mesi, non
c’era motivo che cominciasse
da oggi.
-Sto solo dandole
quello che si merita.- chiosò il professore fissando
l’alunna negli occhi neri.
Kim fu scossa da un brivido: non si riferiva più al voto, e
lo stava ammettendo
apertamente.
Anche Gwen l’aveva
capito, sollevò lo sguardo su di lui incredula, per poi
tornare a fissarsi le
mani.
-Non è questo il modo,
professore.-
-Non dirmi come devo
fare il mio lavoro, Kimberly.- il tono divenne fermo, duro come il
marmo, gli
occhi si velarono di rabbia.
La ragazza l’aveva
guardato bene: che ne era del suo Jared? Sembrava che non la
riconoscesse più.
Cominciò a pensare di essersi immaginata tutta la relazione:
quegli occhi la
guardavano come se fosse seriamente solo un’alunna.
Le guance le divamparono.
–Se lo fa di merda, è giusto che glielo si dica.-
Si erano guardati per
un lungo istante, durante il quale gli occhi di Jared avevano subito
una
metamorfosi. Divennero freddi, di ghiaccio, velati da uno strato di
arroganza.
Era come se non la stesse guardando lui, ma lo spettro del suo rancore.
Sentiva il peso di
quegli occhi sul suo volto e dovette concentrarsi per non cedere e
abbassare lo
sguardo. Era un’occhiata insostenibile, che non le aveva mai
rivolto.
Pensò tra sé e sé che
probabilmente sarebbe stata un’occhiata più volte
vista se non fosse che lui
aveva sempre provato qualcosa per lei. C’era quel freno a
difenderla, i suoi
sentimenti avevano sempre attutito e modellato la rabbia nei suoi
confronti.
Il fatto che adesso non
ci fosse più significava una cosa sola: per lui era davvero
finita.
Il professore distolse
per primo lo sguardo. –Bene, Gwen vai a posto. Per questa
volta sei salva.-
disse poi, allontanando il registro e chiudendolo.
Gwen lo guardò
interdetta, ma si alzò e se ne andò velocemente
onde evitare che quel
sociopatico cambiasse idea.
Kimberly non riuscì a
sollevare lo sguardo, aveva aiutato la persona che aveva distrutto la
sua
relazione a non rovinarsi la media scolastica e Jared le aveva
ampiamente
dimostrato che di lei non gliene fregava più niente. Si
sarebbe cavata gli
occhi pur di non guardare Gwen che tornava a posto sollevata.
-Bloombwood, vieni con
me.- la voce fredda l’aveva chiamata. Veloce lei aveva alzato
lo sguardo,
portandolo verso l’ingresso. Jared era in piedi che teneva la
porta aperta,
facendole segno di raggiungerlo.
Il suo cuore spiccò il
volo. Voleva che uscissero dall’aula per parlare? Quella
scuola era piena di
luoghi dove loro avevano chiarito, sperò silenziosamente che
la portasse nella
classe dove lui aveva accettato di cominciare una relazione con lei.
Era stato un giorno
meraviglioso e quella stanza avrebbe per sempre mantenuto
un’atmosfera magica
nella sua memoria.
-Dove?- chiese però
involontariamente. Lo sguardo freddo non si spegneva e anzi
sembrò infittirsi
dopo quella domanda.
-Nell’ufficio della
preside.- il tono che utilizzò le fece venire la pelle
d’oca. In che senso
dalla preside? Aveva un orribile presentimento e tutti i compagni che
la
circondavano col fiato sospeso, le facevano solo aumentare
l’angoscia.
-Perché?- aveva chiesto
titubante, mentre si alzava.
–Mi sono stancato di
questo atteggiamento. Vai a fare la paladina della giustizia davanti a
lei, ci
penserà lei a trovare una punizione per te.-
spiegò lui, facendole segno di
uscire.
-Arrivo subito.- disse
poi agli occhi spaventati degli alunni, i quali annuirono
all’unisono,
silenziosamente.
Non l’avevano mai visto
così, perfino Joe e Gwen, consapevoli della loro relazione,
erano rimasti
pietrificati. A Joe sorse una domanda che gli gonfiò il
petto come un
palloncino, ma dovette ingoiarla nell’attesa di un momento
più propizio.
Gwen invece avrebbe
tanto voluto fare qualcosa, impedire che Kim finisse nei guai proprio
come
aveva fatto lei. Ma l’umiliazione appena subita
l’aveva spompata, e, d’altra
parte in cuor suo sapeva che Leto non sarebbe mai andato fino in fondo.
*
-Cosa
sta succedendo?-
chiese Kimberly al professore, una volta fuori.
Aveva notato che non
l’aveva nemmeno sfiorata e anzi, si teneva a debita distanza
camminandole davanti.
Lui la ignorò
completamente, avanzando deciso.
-Jared!- lo
chiamò
fermandosi in mezzo al corridoio.
Lui si voltò, in
viso
emerse un’espressione indemoniata. –Non chiamarmi
per nome.- le aveva ordinato,
facendo un passo verso di lei.
-Ma J.. professore,
possiamo parlarne! Perché sta facendo tutto questo?-
continuò lei, con un
groppo in gola insormontabile.
-Te l’ho
già detto, non
è rispettoso il modo in cui ti rivolgi a me.-
-No, tu vuoi solo
dimostrare alla preside che non c’è più
un legame tra noi!- era ovvio che fosse
per quello.
-Ti ho detto di non
darmi del tu.- le ringhiò. –Vedila come vuoi, ma
mi hai seriamente stancato
Kimberly.- disse per poi voltarsi e ricominciare a camminare,
con lei al
seguito, mortificata fino al midollo.
Deglutì
rumorosamente,
cercando di trattenere il magone che spingeva per uscire.
Erano arrivati al
bancone della segretaria in mezzo al corridoio, la quale non appena
aveva visto
Jared, si era sciolta in un sorriso. Kim lo guardò mentre
ricambiava
amorevolmente.
-Che posso fare per
te?- gli chiese quella vecchia megera. In condizioni normali il sangue
le
sarebbe ribollito dinnanzi a quella scena. Ma era talmente incredula e
distrutta moralmente che non riusciva a reagire.
-Puoi controllare che
la preside sia libera?- un pezzo del cuore della ragazza si
dilaniò. Era serio,
la stava seriamente mandando a morire.
-Sì lo
è, l’ho vista
poco fa.- gli sorrise ancora la segretaria.
Jared aveva preso per
una spalla Kimberly e l’aveva avvicinata al bancone.
–So che è molto impegnata
Janet, ma non potrebbe accompagnarci la signorina Bloomwood?-
-Per quale motivo?-
-Mi ha mancato di
rispetto e ne ho abbastanza. Vedrà la preside come
provvedere, se con una nota,
un colloquio con i genitori o una sospensione.-
Kim aveva abbassato lo
sguardo. Non riusciva a crederci, era una situazione a dir poco
surreale.
La segretaria le
rivolse un’occhiata impressionata e schifata.
–Questa ragazza impertinente. Non
è il primo che si lamenta di te sai, Kimberly?- lei dovette
trattenersi per non
sputarle in faccia.
-Non le dica
però che
la mando io, le dica semplicemente quello che le ho riferito.-
ciò che più
colpì Kim era la sua risolutezza nel mandarla al patibolo.
Si era tirato
perfino fuori, in modo da non essere coinvolto e dimostrare alla
ragazza che
non aveva niente a che vedere con la loro rottura, semplicemente voleva
punirla.
Non poteva crederci.
-Senz’altro.- gli
aveva
sorriso, per l’ennesima volta.
Quando Jared aveva
fatto come per allontanarsi si era sentito strattonare la maglietta.
Gli occhi neri
come il carbone dell’alunna lo fissavano increduli.
-Possiamo parlarne..-
disse lei con la voce rotta.
Non lo vide tentennare
nemmeno per un istante. Aveva semplicemente scosso il capo.
-Non oggi, Kimberly.- aveva
sussurrato, per poi andarsene.
L’aveva lasciata
lì,
indifesa, a scontare il suo triste destino.
Tearing
us, you’re tearing us,
You’re
breaking us, you’re breaking us,
You’re
killing us, killing us,
You’re
saving us, you’re saving us,
You’re
tearing us, you’re tearing us,
You’re
breaking us, breaking us,
You’re
killing us, killing us,
You’re
saving us
Note
finali: Ecco, come promesso sono tornata per farmi perdonare la
cortezza e l'assenza di contenuto nel capitolo precedente.
ALLORA che ne pensate?? Di tutto in generale, sono curiosa di sapere le
vostre opinioni riguardo alla piega che sta prendendo la situazione.
Cosa ne pensate del comportamento di Jared? E quello di Kim?
Tra l'altro se non l'aveste capito (non credo di averlo fatto capire
molto bene) è tutto un lungo flashback questo capitolo, si
comincia parlando di due mattine dopo la sera con cui è
terminato il capitolo di ieri.
?????????????
Credo di avervi confuse il triplo, quindi faccio affidamento sul vostro
intuito e logica e spero di aver descritto il tutto il meglio possibile.
VOGLIO ANGOSCIA, voglio quella sensazione opprimentissima che
parte dal petto e annebbia il cervello tipica di quando ci si rende
conto che la persona che vogliamo non ci vuole più e ANZI ci
sta bellamente mettendo nei cazzi.
La sentite? Se sì ORO, se no farò del mio meglio
nelle prossime occasioni.
Per quanto riguarda la canzone L'HO FATTO DI NUOVO, HA! Ho trovato la
canzone peerrrrrfetta per il capitolo perrrfetto!!!
Amo Saving us
di Serj Tankian (era un pò che non saltava fuori
nè?)
Perchè ce ne
stiamo con le mani in mano e
ci spezziamo il cuore a
vicenda, stanotte?
Perchè giriamo
attorno ai problemi fino a che viene giorno?
Quando ci sediamo e
parliamo e separiamo le nostre vite
Eri tu quello/a che mi ha
detto di andare
Ma tu eri quella giusto/a
per me e adesso sei fuori dalla porta
Quando fai quel passo, ti
amo sempre di più
Abbiamo bisogno di ridere
e cantare e piangere
e scaldarci il cuore a
vicenda, stanotte
Ci stai demolendo, ci
stai demolendo
Ci stai distruggendo, ci
stai distruggendo
ci stai uccidendo, ci
stai uccidendo
Ci stai salvando, ci stai
salvando.
Eccoci qua quindi, spero vi sia piaciuto anche se non esattamente
allegro, e spero che mi caghiate almeno per l'impegno ♥
xoxoxoxox
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Capitolo 68 *** Capitolo 68. ***
Capitolo
68.
Hang me down
By the river bed
With the other dead
I will die without a sound
Aveva
aspettato per 15
minuti buoni che la preside la chiamasse nel suo ufficio, la quale
quando la
vide, le mostrò un’espressione stupita.
-Kimberly, quanto
tempo.- la salutò sarcastica. –Avanti cosa hai
combinato sta volta?-
Le aveva porto la
domanda come se fosse un’abitudine averla lì e
ciò le aveva dato molto
fastidio. Era vero, nell’ultimo anno si era mostrata un
po’ indisciplinata, ma
di recente il suo comportamento era stato impeccabile.
Non si preoccupò di
farlo notare alla donna, dal momento che probabilmente era un passo
avanti a
lei e aveva immaginato il motivo.
-Niente.- rispose
apatica. Si sentiva un’adolescente ribelle, nella fase in cui
odi tutto il
mondo e qualsiasi forma di autorità ti fa venire
l’orticaria. Aveva detestato
quella fase, ma in quell’istante non poté fare a
meno di sentirsi concorde con
quel suo lato trasgressivo.
-A me hanno riferito
che sei stata maleducata con un insegnante.- la contraddì
con un sospiro.
La ragazza scrollò le
spalle, senza emmettere un suono. Se lo sapeva allora cosa diamine
glielo
chiedeva a fare?
Si era tenuta
quell’uscita per sé, sapendo che già
era nei casini, era meglio evitare
un’espulsione all’ormai ultimo anno.
-Cosa hai detto?-
-Che insegna di merda.-
aveva risposto schietta, guardandola negli occhi.
Sapeva di non essere
nella posizione per fare la spavalda, ma era più forte di
lei. Dentro di lei
intanto, continuava a pulsare l’illusa speranza che Leto
potesse entrare dalla
porta alle sue spalle e rimangiarsi quell’accusa, difenderla,
comportarsi come
il Jared per cui aveva perso la testa.
Niente di tutto ciò
ovviamente, solo una donna molto arrabbiata con lei. Per la seconda
volta in 24
ore e come se non bastasse era la persona con maggiore
autorità nell’edificio.
Tombola.
-Posso sapere perché?-
domandò la preside, lasciandosi sfuggire un sorriso. Le
piaceva molto Kimberly,
le era piaciuta da subito.
Era una di quelle
ragazze che attirano la tua attenzione e il tuo affetto,
inconsciamente. In una
scuola così poco numerosa la donna conosceva nome e cognome
di tutti gli alunni
e si ricordava anche la gran parte di quelli ormai diplomati.
Era più forte di lei
voler loro bene. Poi si sa, ce ne sono alcuni con cui si trovava
più in
sintonia e c’era più complicità.
Kimberly con la
testardaggine che le aveva dimostrato, presentandosi tutti i
mercoledì
pomeriggio ai recuperi di matematica per tre anni consecutivi,
l’aveva
conquistata.
…Probabilmente era lo
stesso modo in cui era riuscita a far breccia nel professore di
musica…
Cercò di bloccare
questo pensiero sul nascere, concentrandosi su quello che stava per
riferirle
Kim.
-Stava umiliando una
compagna.. e non era giusto.- aveva spiegato brevemente la ragazza,
guardandosi
le mani.
Era altrettanto
ingiusto che per questo motivo fosse finita lei nei guai, ma aveva
cercato di
non pensarci sebbene le fosse tremata più volte la voce nel
dire la frase.
-Non dovresti
impicciarti negli affari degli altri, lo sai Kimberly?- era risaputo:
chi si fa
gli affari propri, campa cent’anni. Ma aveva dovuto ammettere
che dopo tutto
fosse stato un gesto nobile.
-Lo so, professoressa.
Ma vede, in certi casi è più forte di me.. lui
era troppo crudele, passi la
vendetta anche se non la condivido, ma Gwen non si meritava addirittura
un NC.-
aveva detto poi agitando le braccia.
La preside la guardò un
attimo stranita pensando di essersi persa un paio di passaggi.
–Vendetta?- ci
aveva messo una manciata di secondi più del dovuto per
realizzare cosa stesse
cercando di dirle l’alunna. –Un momento,
è stato il professor Leto a mandarti
qui? E stava mettendo un NC a Gwen per vendicarsi di c..?- chiese per
poi
annuire quando aveva realizzato.
Kim sgranò gli occhi,
rendendosi conto che in questo modo sarebbe finito Jared nei casini.
Aveva
comunque messo il personale davanti al professionale e non andava
assolutamente
bene.
-No, aspetti, aspetti
professoressa non se la prenda con Jar.. ehm, col professore.-
Ma la preside sembrava
essere rimasta qualche battuta indietro. Era fossilizzata,
inespressiva, muta.
Alla giovane era
passata tutta la vita davanti. Si era sacrificata il giorno prima per
mantenere
il posto al suo ex, e ora lo avrebbe fatto licenziare comunque.
-Prof, per favore non
lo licenzi.-
-E’ incredibile come
nonostante ti abbia mandato qui, tu continui a difenderlo a spada
tratta.- si
era sentita dire dalla donna che la guardava con gli occhi fissi.
Alche Kim si strinse
nelle spalle, non sapendo come rispondere. Era probabile che Jared
potesse
essere più avanti di lei, trovandosi nel pieno della rabbia,
la seconda fase
del lutto.
Invece perché Kim
continuava a sentirsi così stupidamente in
costante negazione? Perché non riusciva ad affrontare il
fatto che fosse finita
e a sentirsi, una volta per tutte, sganciata dalla sua relazione con
l’uomo?
Ok che era passato poco
tempo, ma in teoria in quel momento avrebbe dovuto trovarsi a casa a
rotolare
tra le coperte e a disperarsi; invece si trovava di fronte alla preside
a
difendere un amore che ormai non esisteva più, come se fosse
vivo e vegeto.
-Ok Kimberly, puoi
andare.- aveva detto la preside, così, di punto in bianco.
Kim l’aveva guardata
estremamente perplessa. –Scusi?-
-Diciamo che Leto è un
uomo e come ogni uomo, non riesce ad accettare una sconfitta. Deve
esserci
rimasto male per ieri e oggi ha riversato questa frustrazione su di te.
Non
temere, non lo licenzierò, tutti hanno i loro giorni
“no”. Io stessa ce li ho.-
le aveva esposto la sua teoria. –Peccato, ero sicura fosse
diverso.- l’aveva
sentita dire poi, con un sospiro deluso.
L’alunna aveva dovuto
tapparsi la bocca virtualmente con entrambe le mani per non smentirla,
per non
dirle che effettivamente, lui era diverso dagli altri. Ma non era
importante,
non era necessario che lei lo sapesse e aveva già sopportato
troppo la preside
per quei giorni, era meglio lasciarla in pace per un po’.
-Ovviamente però, una
lavata di capo non gliela eviterà nessuno. Nemmeno tu.-
sorrise lievemente.
-Fa parte del mio
lavoro, le scorrettezze devono essere rimproverate.- e qualcosa nel suo
sguardo
fece pensare a Kimberly che, dopotutto, non vedesse l’ora di
farlo.
In ogni caso aveva
detto che non ci sarebbero state conseguenze per lui, e non
c’era notizia che
potesse renderla
più contenta.
-E per quanto riguarda
me?-
-Stai tranquilla, la
tua reazione è stata più che lecita in questo
caso. Ma non dovrà mai più
ripetersi, devi imparare a stare al tuo posto. Sono stata chiara?-
-Limpida.- come gli
occhi di Jared Leto, aveva concluso tra sé e sé
la ragazza, annuendo convinta.
Si alzò dalla sedia e
uscì da quell’ufficio, sperando di non farvi
più ritorno.
Era ormai l’intervallo,
e lei si trovava in una dimensione talmente a parte che le sembrava di
fluttuare in una bolla di sapone. Era riuscita a farsi mandare dalla
preside e
ad uscirne indenne!
Non ci avrebbe mai
creduto se glielo avessero raccontato. E invece le era accaduto e
avrebbe così
tanto voluto condividere questa esperienza con qualcuno, che si
precipitò nella
sua classe alla ricerca di Gwen o di Jared, sovrappensiero.
Incrociò il professore
nel corridoio, ma quando aveva fatto per rivolgergli qualsiasi tipo di
attenzione, dallo sguardo alla parola, lui l’aveva sorpassata
senza degnarla di
un’occhiata. Come se non fosse stata nemmeno lì,
come una stupida in mezzo al
corridoio.
Ovvio non si aspettava
che le sorridesse o che le chiedesse scusa, ma dopo che
l’aveva mandata dalla
preside per una cavolata, avrebbe dovuto per lo meno guardarla o..
calcolarla?
Lo guardò allontanarsi
e scherzare con un paio di alunne –tutte perse a divorarselo
con lo sguardo-
mentre parlottavano e ridevano insieme.
Lui rideva.
Lui l’aveva spedita
dalla preside con una stupida scusa e ora rideva, come se non ci fosse
motivo
per sentirsi colpevole.
Esterrefatta e
incredula, Kim lo osservò bene.
Portava la stessa
camicia che aveva indossato quando l’aveva recuperata
dall’angolo della strada
ormai mesi prima; solo che quella volta era tutta inzuppata e gli stava
incollata al busto. Si ricordò improvvisamente la voce calda
e gli occhi
azzurro-blu che l’avevano salvata e le gocce di pioggia che
dalle punte dei
capelli, piovevano dirette sul viso di lei, da tanto le stava addosso,
avvolto
nella preoccupazione.
Tutto d’un tratto le
sembrò così tanto tempo prima da non essere mai
successo.
Fu in quell’istante che
la consapevolezza le piombò addosso come un’ancora
legata alla caviglia e la
trascinò giù, verso il baratro del non-ritorno.
Si rese conto di aver
lottato tutto il tempo per una coppia che non esisteva più,
era rimasta solo
lei e ogni cellula del corpo di Jared aveva cercato di farglielo capire
da
tutto il giorno, perfino quell’istante, mentre lo osservava
più sorridente che
mai, glielo stava urlando.
Loro due non erano più
niente insieme.
Era finita.
*
Si
riprese da quel
lunghissimo flashback con una terribile fitta allo stomaco.
La prima fase era stata
ampiamente superata e nel giro di un batter d’occhio era
saltata direttamente
alla quarta, terribile e tremenda
fase del lutto: la depressione.
Era nel pieno del
dolore, ci navigava dentro come una scialuppa senza remi naviga in
mezzo
all’oceano Pacifico, senza controllo, senza freni, senza
aspettative.
Lasciava che le onde le
si infrangessero addosso, sballottandola da una parte
all’altra, entrandole in
ogni orifizio possibile, fino a toglierle il respiro.
Si poteva morire di
dolore?
Era convinta che se
avesse continuato così, avrebbe conosciuto personalmente la
risposta. Già una
volta si era trovata in una situazione del genere, e si rese conto di
come lo
spirito di autoconservazione le avesse permesso di dimenticarselo e
fingere che
non fosse mai successo e quelle fossero tutte esperienze nuovissime.
Si voltò di lato,
stringendosi il piumone contro il viso, nel tentativo di coprire i
singhiozzi.
Le sembrava che la sua anima stesse sanguinando così
rovinosamente da
costringerla a spremere tutte le lacrime che avesse in corpo.
E, purtroppo, pareva ne
avesse una riserva illimitata.
Lanciò una rapida e
appannata occhiata alla sveglia da comodino, rendendosi conto che
mancava
ancora mezz’ora prima che dovesse cominciare a prepararsi per
andare a scuola.
Tra l’altro era sabato,
quindi non l’avrebbe visto.
Non riusciva a capire
se dovesse esserne contenta o meno. Quello che odiava dello stare
così, era la
perenne indecisione che qualsiasi azione assumeva.
Era meglio o peggio che
nessuno si facesse sentire? Avrebbe dovuto nutrirsi, così
che la sua miserabile
vita sarebbe continuata o smettere per porre fine alle sue sofferenze?
Era
meglio o peggio morire?
E per di più neanche il
sonno poteva concederle quei rari sprazzi di respiro, visto che o non
si
presentava, o comportava dei sogni misto a ricordi che era meglio non
fare.
Sarebbe stato meglio se
fosse stata a casa a compiangersi come una povera isterica o sarebbe
dovuta
andare a scuola dove sì, si sarebbe distratta per qualche
ora ma per lo meno a
casa avrebbe potuto piangere liberamente, mentre a scuola con che
coraggio si
sarebbe messa a frignare?
Tuttavia era convinta
che il suo orgoglio glielo avrebbe impedito, per questo motivo, dopo
essersi
sfogata per l’ultima mezz’ora rimanente, decise di
andare a prepararsi.
Un’avvincente giornata
l’aspettava, alè.
Una volta a scuola,
nell’esatto istante in cui ebbe messo piede dentro
l’edificio, se ne pentì con
tutta se stessa e sentì un’improvvisa mancanza del
suo letto.
Ormai non poteva farci
niente, purtroppo.
Si trascinò come uno
zombie verso la classe, dove molti dei suoi compagni
l’accolsero riempiendola
di domande riguardo all’incontro con la preside del giorno
prima, pensando che
quel suo aspetto devastato fosse per i provvedimenti troppo severi
presi dalla
suddetta.
La ragazza si riscoprì
pensare un immenso “MAGARI”, ma non
rivelò niente di preciso, disse solo che la
preside era molto impegnata e che non le aveva ancora
comunicato le sue
intenzioni.
In un modo o nell’altro
capirono che voleva essere lasciata sola ed eseguirono.
Per tutto il tempo si
sentì uno strofinaccio e neanche il suo amato orgoglio le
aveva impedito di
lasciarsi andare in pianti sconsolati.
La prima volta era
successo durante la verifica di spagnolo, la quale consisteva nello
scrivere un
tema riguardo all’amore nella letteratura che avevano
studiato quell’anno.
Fortunatamente si
trovava in uno dei posti in fondo alla classe e per di più
si trovava attaccata
al muro. Fatto stava, che trascorse le seguenti due ore a scrivere con
la
destra e a sciupare il pacchetto di fazzoletti con la sinistra, mentre
con gli
occhi orribilmente appannati cercava di comporre qualcosa in quella
lingua
straniera.
Sarebbe andata
sicuramente di merda, dal momento che scriveva tutto quello che le
passava per
la testa –pertinente, ovvio- senza fermarsi mai,
né per controllare le regole
grammaticali né per cercare le parole che non conosceva sul
dizionario.
Se le inventava,
seguendo la regola del aggiungi-una-S-alla-fine-della-parola.
Mai si era aspettata di
trovarsi in una situazione del genere. Non le era mai successo di
piangere in
classe, era sempre riuscita a trattenersi.
Quasi nessuno se ne
accorse comunque e questo era un bene.
La seconda volta
accadde durante la lezione di diritto, con il tedioso professore
Jean-Baptiste.
Stava spiegando la sua
fantastica lezione quando, nello sfogliare il libro, Kim aveva notato
un
cuoricino con scritta una J al suo interno, risalente al periodo
post-gita.
Una serie di ricordi si
susseguirono nella sua mente portandola a stendersi sul banco con un
gemito di
dolore che Gwen, alla sua destra, non poté fare a meno di
notare.
Si sentiva malissimo
per quello che doveva provare al momento la sua amica e il fatto di
essere così
impotente la faceva stare peggio.
Era terribile vederla
così ed essere costretti a far finta di niente.
La terza volta accadde
durante l’intervallo, quando, seduta su delle sedie verdi
fuori dalla classe,
degli alunni con una chitarra a spalla le passarono davanti per
rifugiarsi
nell’aula di musica, più volte luogo di
incontro/scontro tra Jared e lei.
Si piegò su se stessa,
portandosi le mani sul volto, nel tentativo di fermare questa cosa sul
nascere.
Poi una mano si
appoggiò sulla sua spalla, facendola sussultare e portandola
ad asciugarsi
velolce le poche lacrime che erano riuscite ad espatriare.
-Joe..- esclamò con un
tono morto nel notare il ragazzo accanto a lei. Si accorse
improvvisamente che
i capelli gli erano cresciuti in un modo spaventoso.
Si asciugò più in
frettà che poté i cadaveri delle lacrime rimaste
a rigarle le guance.
-Cosa ti succede, Kim?-
domandò lui, sfregandole una grande mano contro la schiena a
mo’ di conforto.
Lei scosse la testa,
non avrebbe capito.
-Dai Kimberly, sono io.
Puoi dirmi qualsiasi cosa, lo sai.- la spronò lui,
mostrandole un sorriso
incoraggiante.
La ragazza lo guardò
bene. Non c’era un secondo fine nelle sue domande, sembrava
solo seriamente
preoccupato ed interessato a lei e al suo problema.
Tirò su col naso, portandosi
una ciocca di capelli dietro alle orecchie. –Qual
è la cosa che sai far peggio,
Joseph?- gli chiese poi lei, guardandolo negli occhi scuri quasi quanto
i suoi.
Lo vide sollevare gli
occhi al cielo per rifletterci, sebbene non capisse cosa potesse
c’entrare col
suo problema. Le sue disabilità non gli sembravano proprio
un motivo per cui
piangere ininterrottamente da ore.
Perché sì, l’aveva
notata ma si sentiva incapace di
fare
qualsiasi cosa.
-Mhhh vediamo, la lista
è talmente lunga..- sospirò, provocando una
risata di cuore da parte di Kim. Lo
ringraziò mentalmente per quello sprazzo di buonumore.
-Ah sì!- esclamò poi. –Sorridere.-
Tutto si aspettava Kim
fuorché questa risposta. –Scusami?- gli chiese,
che poi non era neanche
credibile dal momento che spesso e volentieri l’aveva visto
sorridere.
-Ci sono persone, come
te, che quando sorridono sono delle opere d’arte. E poi ci
sono io, che sembro
un fenicottero con un ictus.-
Kimberly rise
coprendosi la bocca con una mano, sebbene il paragone non
c’entrasse
assolutamente niente. Era la seconda volta nel giro di due minuti che
la faceva
ridere, gli sarebbe stata grata a vita.
-Tu? In cosa non sei
brava?- le domandò lui di rimando.
Tornando seria, prese
il respiro. Distolse lo sguardo dalle proprie mani e lo rivolse al
ragazzo.
-A perdere le persone.
Non sono proprio capace.. anzi faccio letteralmente schifo. E nel giro
di un
giorno ne ho perse irrimediabilmente due.- sospirò,
riportando l’attenzione
sulle sue mani.
-Ti riferisci al
professore?-
Lei annuì sconsolata.
–E a Gwen.-
-Gwen?- cosa c’entrava
la biondina? –Non dirmi che ti ha soffiato il rag..!-
Ma non terminò la frase
che lei gli diede una pacca sulla coscia accanto alla sua.
–Non urlare!
Comunque no, ci mancava solo questo e avremmo fatto 13.-
sbuffò, accavallando
le gambe.
-E quindi cosa c’entra
Gwen?-
-Non ha tenuto la bocca
chiusa.- le parole le uscirono stentate, probabilmente dettato dal
fatto che
non riusciva ancora a capacitarsene. –E quindi ora non solo
sono single, non ho
neppure la mia amica a consolarmi.- deglutì sentendo la gola
e gli occhi
gonfiarsi di nuovo. –Oh Joe, mi sento talmente sola..-
Sentendo la voce
tremarle, lui tentò di stringerla a sé, con
risultati molto scarsi. Era un
blocco di ghiaccio. –Hai me.- le disse poi, con un sorriso
sentito.
Kim lo guardò
ricambiando, senza però mostrare i denti, un sorriso tirato.
–Grazie, Joseph.-
mormorò.
Tornò a puntare con lo
sguardo il pavimento, notando la notevole differenza di dimensione che
c’era
tra le sue scarpe e quelle dell’amico. Avrebbe potuto
portarle come cappello,
pensò lei distratta, mentre lo sentì sbuffare.
–Accidenti però, è un vero
peccato che la preside vi abbia scoperti, da
quant’è che stavate insieme?
Uno-due mesi?-
-Quasi quattro.-
rispose lei automaticamente, pensando distrattamente a quando, ormai
quasi
quattro mesi prima si era presentata la situazione ribaltata, con lei
che
consolava Joe perché la sua ex con la V l’aveva
lasc…
Ma non fece a tempo a
terminare il pensiero che un’informazione sconvolgente le
rivoltò lo stomaco.
Si voltò lentamente
verso Joseph, chiedendosi come facesse a sapere della preside dal
momento che
lei non gliene avesse mai parlato.
Save me, save
me, save..
oh Lord
Save me, save me
again
Note finali:
non so come cominciare ad introdurre
questo mirabolante (XD) ennesimo colpo di scena. Ho finito
tutte le sigle da film :(
Diciamo che non è stato molto mirabolante dato che qualcuno
l'aveva già capito (si Mary, mi riferisco a te, maledetta)
(haha) deduco quindi che sto diventando prevedibile e devo cambiare il
mio modus operandi
ahaha.
In ogni caso, COSA NE PENSATE? Ammetto che il primo pezzo è
abbastanza confusionario e anche un pò inverosimile che la
preside faccia la parte della clemente, ma immaginiamocela presa da
altri 800 mila impegni e scadenze e non ha voglia di perdersi in questi
comportamenti ridicoli da parte di un suo sottoposto.
Ce la fate o la trovate un'uscita troppo scontata?
E il resto del capitolo fino a raggiungere il climax? Come lo vedete?
Voi altre che non mi avete detto niente ci avevate pensato? Vi ho
sconvolto? Per la mia sanità soddisfazionale ditemi di
sì :(
Ahahah scherzo, siate sincere e lasciatemi tutte le impressioni che
avete avuto.
Non so, non mi convince molto, ma mi fido di voi esterne e dei vostri
pareri.
Non abbiate timore di insultare il colpevole, sapete che i raving folli
mi piacciono da morire ♥
----------------------------------------------------------------------------------------------------
Inoltre
volevo chiedere a chi è andata ai concerti, COME
è ANDATA? Sono curiosa di sapere come li avete trovati :)
Avrei
mille aneddoti/impressioni/emozioni/sensazioni e chi più ne
ha più ne metta da raccontare al riguardo (alla fine sono
riuscita anche io ad andarci), ma evito di farlo qua perchè
immagino il male che possa fare a chi voleva assolutamente esserci e
non ce l'ha fatta. Non mi piace pensare di infastidire qualcuna di voi,
quindi mi astengo dal commentare.
Però
voglio i racconti DETTAGLIATI di chi c'è stato :)
Condivideteli con me, ve ne prego!
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
La
canzone la sto ascoltando fino a che i neuroni cominceranno ad
associarla a qualcosa di nauseante e non ce la farò
più, ma adesso come adesso non posso farne a meno.
Save me dei
Mars ♥ dedicata al dolore soffocante di Kimberly che chi ha
mai provato in vita sua, sa cosa significa.
Fammi
discendere
lungo il letto del fiume
con gli altri morti
Morirò senza emettere un suono.
Salvami, salvami
oh, Signore
Salvami, salvami
amico
I
brividi.
Credo
che sia tutto per oggi, spero che abbiate apprezzato lunghezza e
contenuto, di essere riuscita a sorprendervi ancora e che mi diciate
tutto quello che pensate :)
Ricordatevi di raccontarmi le vostre esperienze marziane ;)
Grazie a tutte ♥
|
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Capitolo 69 *** Capitolo 69. ***
Capitolo
69.
Gli
rivolse uno sguardo
completamente spaesato. Sperava di aver capito male. Doveva aver capito
male.
Con gli occhi lucidi
provò ad emettere qualsiasi sillaba, ma il groppone il gola
glielo impediva.
-Kim? Cosa ti prende?-
chiese lui con l’aria corrucciata, nel vederla
così in panico.
-S-sei..- ce la metteva
tutta –..sei stato..- ma una parte di lei sapeva che dal
momento che avrebbe
pronunciato quella frase, sarebbe cambiato tutto. Tutto. -..oh mio
dio..-
Il cielo non sarebbe
stato più azzurro, la Terra avrebbe smesso di girare, il
mare si sarebbe
ghiacciato dal momento che ora niente avrebbe più avuto
senso.
Quello che stava
pensando non aveva senso.
-Come fai a sapere
della preside, Joe?- gli chiese finalmente.
Lo vide trasalire e
cercare nei suoi occhi un qualsiasi appiglio che gli permettesse di
arrampicarsi sugli specchi, anche se in questo caso gli sarebbe servita
un’immensa vetrata.
-Ma come Kim.. me l’hai
detto tu.- disse con un filo di voce, sulla difensiva.
-Non è vero.- smentì
lei con una certezza più che empirica. Di poche cose era
stata tanto certa
nella sua vita.
-Massì.. prima..
quando..- lo vide, stentare nel pronunciare quelle poche parole ma
quello che
sentì furono solo gli stridii assordanti delle dita umide
che cercavano di issarsi
sulla lastra dello specchio.
-Sei stato tu.-
sussurrò con un barlume di voce lei, come ipnotizzata da
quella notizia così..
brutta.
Lo guardò scuotere il
capo, mentre la campanella che avevano di fronte li informò
della fine della
ricreazione.
Come aveva fatto?
La ragazza si avviò
spedita verso l’aula. Doveva pensare, doveva immagazzinare le
informazioni. Doveva
perderlo.
Si conosceva troppo
bene, se non avesse pensato a come potesse essere successo, non avrebbe
realizzato e avrebbe finito col perdonarlo dato che ormai il capro
espiatorio
era stata Gwen.
Povera
Gwen..
Respirò a fondo
una
volta seduta al banco e cercò di fare mente locale.
Giovedì.
Giovedì aveva avuto
l’esame pratico della patente. Guidare. Parcheggio a S.
Parti. Frena. Stop.
Patente. Jared! Doveva dirlo a Jared. Macchina. Scuola. Parcheggio. Era
l’una
passata. Jared. Jared. Jared. No, doveva tornare indietro. Jared che
parlava
con Gwen. Gwen era dispiaciuta e le aveva dato un bacio sulla guancia
–che poi
avrebbe definito di Giuda-. Jared. Jared. Jared. No, ancora
più indietro.
Scuola. Bidella che la notò ma che probabilmente non sapeva
della sua assenza.
Jared e Gwen. Jared. Doveva raccontare tutto a Jared!
Maledizione!
Sbuffò profondamente
portando le mani a circondarle le tempie mentre riavvolgeva e riviveva
le scene
del primo pomeriggio di giovedì.
Tutto quello che
pensava era sempre Jared, però.
-Pensa Kim, pensa.-
sussurrò poi, ripercorrendo la strada verso la sua aula per
l’ennesima volta.
Parcheggio. Scendi.
Cancello. Rampa. Corridoio. Atrio. Scale. Segretaria.
Niente.
-Chi hai incontrato nel
tragitto?- si chiese, ancora con la voce ridotta ad un bisbiglio. Come
poteva
ricordarselo? Era arrivata nell’esatto momento in cui tutti
uscivano, quindi
fondamentalmente aveva incontrato tutti ma aveva dato troppo conto al
fatto che
quando esci da scuola sei annebbiato, quindi immaginava che nessuno
l’avesse notata.
Improvvisamente un
lampo.
Aveva incontrato Joseph
sulle scale, in uno di quei momenti che non realizzi chi hai davanti e
lo
metabolizzi solo più tardi, quando ormai la persona
è bella che superata. Lui
aveva anche cercato di attirare la sua attenzione e salutarla, ma lei
era
talmente presa dal suo scopo da non averlo minimamente degnato di uno
sguardo.
Si sentì in colpa per
un istante. Un misero istante: ora aveva la prova, poteva cominciare a
riversare tutto il suo odio su di lui.
Il problema era che non
sapeva come affrontarlo a fine scuola. Come avrebbe fatto a guardarlo
in faccia
senza lasciargli un manrovescio?
Tutta la disperazione
provata in quei due giorni era causa sua! Gwen aveva rischiato la vita
e la
media scolastica, per colpa sua! Jared aveva rischiato il posto per
colpa sua!
La sua relazione era
finita per colpa sua.
Respirava profondamente
cercando di non perdere i sensi. Le veniva la nausea, non era possibile
provare
così tante emozioni in così poche ore!
La lezione passò
incredibilmente lenta, ma grazie al cielo era sabato e la scuola durava
un’ora
di meno. Niente di esaltante, ma era pur sempre un’ora di
meno e lei aveva
estremente bisogno di uscire da lì e fare una strage.
Sventrare persone.
Spezzare colli. Spargere sangue.
Colma di rabbia, prese
la campanella come un’invocazione divina e preparò
la borsa in fretta e furia.
Doveva raccontarlo a Jared!
Si stupì di questo
pensiero idiota, prima doveva chiedere scusa per tutte le cattiverie
dette a
Gwen!
Prese al volo la borsa
e si precipitò fuori dall’edificio, cercando di
raggiungere Gwen, la quale era
dieci mila passi avanti.
Ma una voce la fermò,
la riconobbe e per questo motivo non si voltò neppure per
accertarsene.
-Kim, possiamo
parlarne?- Joe l’aveva superata e le si era piazzato davanti.
-Sono tutta orecchie.-
ribattè lei calma, portando le braccia strette al petto.
-Giovedì.. io.. sono
impazzito, Kim. Quando ho visto che non mi hai neppure degnato di un
saluto
perché dovevi andare da lui,
io.. non
c’ho più visto. Ti stavo per seguire, quando ho
casualmente incrociato la preside
sulle scale.- spiegò. La ragazza notò che stava
istericamente agitando una
gamba ossuta.
Cosa avrebbe potuto
rispondere ad una confessione del genere? Cosa avrebbe potuto dire per
sentirsi
meglio? Niente, non c’era niente che potesse megliorare le
cose al momento.
-Devo andare.- disse
inespressiva, raggirandolo e cominciando a camminare; lui
però l’afferrò.
-E dove? Da lui?-
l’astio che esprimeva ogni parola fu lampante per Kim.
-Non sono affari tuoi.-
-Non sono affari miei?
Kimberly, io ti ho aspettato per 3 anni! Sono tre lunghissimi anni che
attendo
che tu ti accorga di me e dopo neanche 4 mesi ti metti con un
vecchio?!- c’era
disperazione nella sua voce, o era una sua impressione?
-Ma tu eri mio amico,
Joe!- si giustificò lei, sconvolta. Quello gliene stava
facendo una colpa! Come
se fosse stata lei a chiedergli di preservarsi tutti quegli anni
nell’attesa
che lei si svegliasse.
-Io posso darti tutto
quello di cui hai bisogno.- chiosò il ragazzo, tenendola
ancora più stretta e
con uno sguardo che non gli aveva mai visto rivolgerle. –Ti
scongiuro, Kim. Scegli me.-
Lei inorridita cercò di
ritrarsi. Come poteva quello squinternato pretendere che lei scegliesse
lui,
dopo che le aveva rovinato la vita? Nonono, non si erano capiti.
-Io non ho bisogno di
scegliere, Joe. Non c’è scelta per me, non
c’è paragone di scelta né motivo di
scelta. Io voglio lui.- e, se non errava, non era la prima volta che
gli diceva
certe cose. Quante volte ancora avrebbe dovuto sentirsi rifiutare?
-No..- mormorò Joseph,
con voce spezzata. –Come puoi? Hai visto come ti ha trattata
ieri? Lui non ti
vuole Kimberly, come fai a non rendertene conto?!- stava alzando la
voce, e lei si
accorse solo in quel momento di non
averlo mai sentito urlare.
Per di più, quello che
stava dicendo aveva un fondo di verità e quelle parole, una
dopo l’altra, non
fecero che infilzarsi in profondità nella sua carne.
Lui
non ti vuole.
-Mi stai facendo male.-
disse tra i denti, ma non specificò in che senso.
Ciononostante lui non la
lasciò.
-Non posso.- rispose
lui colmo di tristezza. –Se ti lascio andare so che
dovrò cominciare a
dimenticarti.-
A Kimberly si strinse
sinceramente il cuore nel vederlo in quello stato. Avrebbe dovuto dire
qualcosa
di simile a Jared il giorno prima, perché non
l’aveva fatto? Perché aveva
lasciato che tutto finisse così?
Avrebbe dovuto dire
qualcosa.
Stava per esplodere in
singhiozzi. Era il caso che se ne andasse, assolutamente.
-Non osare più
rivolgerti a me.- ordinò poi, senza fiato, strattonando
finché lui non la
lasciò.
La guardò allontanarsi,
senza fermarla questa volta.
*
Era
andata in pullman
quella mattina a scuola, di conseguenza dovette aspettare secoli prima
di
raggiungere casa, prendere la macchina e guidare da Gwen.
Non sapeva neanche lei
cosa le avrebbe detto, si sentiva così in colpa che
probabilmente avrebbe
lasciato che le cose venissero da loro.
Sperando che lei la
perdonasse.
Una volta fuori casa
dell’amica, suonò al citofono. Sentiva il cuore
rimbombarle nelle orecchie
dall’ansia. Non vedeva l’ora di chiarire, almeno
con lei, quell’enorme malinteso.
-Chi è?- la voce
meccanizzata di Gwen la fece sussultare di gioia, ma si accorse di far
fatica a
rispondere.
Senza rendersene conto
stava singhiozzando come un ossessa, compulsivamente da praticamente
tutto il
tragitto. Se ne accorse dalle guance bagnate e da quella sensazione nel
petto di
aver pianto abbastanza, ma di poter dare di più.
-..s-sono i-o..-
-Kim?? Cos’è successo?-
sentì nel tono l’angoscia pura di nuovi guai in
corso. Probabilmente si stava
chiedendo cosa avesse fatto di male questa volta.
-Volevo chiederti
scusa.- rispose Kimberly tutto d’un fiato per non tentennare
come prima.
-Sali.- le ordinò,
aprendole il cancello d’ingresso.
Quando la raggiunse in
camera, Kim si sentì una grandissima stupida, nel notare che
Gwen si stava
preparando per uscire.
-Oddio scusa Gwen, non
voglio trattenerti per molto.- era stata già una fortuna che
l’avesse trovata.
Se fosse arrivata 5 minuti dopo, sarebbe stato peggio.
La bionda aveva già le
chiavi della macchina strette in un pungo e la borsa
sull’avambraccio.
Le fece segno di
accomodarsi, indicandole il letto. –Non preoccuparti, non
c’è fretta.- si
sedette sulla seggiolina nell’“angolo
cosmetica” nella sua stanza. Kim glielo
aveva sempre invidiato, ne avrebbe voluto uno anche lei.
–Dicevi?-
-Ti devo delle scuse,
Gwen. L’altro giorno sono stata.. non te lo meritavi. Ti
prego, perdonami.- la
voce rotta insieme ai continui singhiozzi le impedivano di spiccicare
una frase
di senso compiuto.
-Mi sarebbe piaciuto
essere venuta lucida per farti un discorso decente, ma sono sconvolta
perché
Jared.. e poi Joe.. tu.. ho creduto di averti persa, Gwen.-
singhiozzò,
portando il viso tra le mani e ricominciando a piangere, disperata.
L’amica, incapace di
vederla in quello stato, le si avvicinò, sedendosi accanto a
lei. La prese per
le spalle e se la buttò addosso, mentre le accarezzava i
capelli.
-Eh, Kim, Kim.. sono
più le volte che ti ho vista stare male per un ragazzo che
altre, sai?- buttò
lì per sdrammatizzare, riferendosi al fatto che quando
avevano cominciato a
frequentarsi, lei era uno zombie a causa di Chris. La fece ridere
leggermente,
per qualche secondo.
-Adesso raccontami di
Joe.-
Per l’ora seguente
Kimberly riassunse quello che era successo negli ultimi tre giorni, da
quando
la preside li aveva scoperti.
Più volte si era
interrotta per dire a Gwen che le stava rovinando il pomeriggio e che
avrebbe
fatto meglio ad andarsene. Ogni volta che ci provava, si prendeva
uno
scappellotto, seguito da un
–Smettila di dire
scemenze.-
Alla fine di tutto il
racconto, aveva formato una macchia gigante di lacrime sui jeans della
bionda.
Le chiese scusa e anche per questo le arrivò un colpetto
sulla spalla.
-Perché non mi vuole,
Gwen?- chiese poi, tirando più volte su col naso.
-Non essere ridicola.-
chiosò la ragazza, con una decisione che diede un barlume di
speranza a Kim.
-Dovevi vedere com’era
ansioso giovedì, quando aveva visto che tu non
c’eri e non sapeva perché. Alla
fine della lezione mi sono avvicinata apposta per rassicurarlo e dirgli
che
stavi bene, ma che avevi quell’impegno.-
-E’ per quello che
l’hai fatto arrabbiare?-
-No, quello sono stata
stupida io. Non so cosa mi sia preso Kim, volevo avere un briciolo del
rapporto
speciale che avete voi, capisci? Spero che tu riesca a perdonarmi.- la
cosa
normalmente l’avrebbe sicuramente infastidita, e a dirla
tutta un po’ lo era,
ma rispetto a quello che aveva combinato Joseph, questo passava di gran
lunga
in secondo piano.
-Certo Gwen. Non è
causa tua la nostra rottura, non ho motivo per non perdonarti.-
-Non te l’avrei mai
fatto. Lo sai vero, Kimberly? Tu lo sapevi, che non ti avrei mai fatto
una cosa
del genere.- d’un tratto divenne ansiosa e a Kim dispiacque
per lei.
Annuì semplicemente,
dedicandole un piccolo sorriso. –Devi stare tranquilla.-
-Secondo me dovresti
dirglielo.- esordì, dopo un’altra oretta passata a
cullarla tra le sue braccia.
-Dirgli cosa?- Kimberly
non capì né di chi né di cosa stesse
parlando. Dato che non poteva essere
Jared, la cosa le interessava molto poco, in effetti.
Sentì poi Gwen
raccoglierla per le spalle e metterla in posizione seduta.
–Va’ da lui.- le
ordinò, guardandola negli occhi.
-Come da lui?- si sentì
letteralmente deficiente ma non poteva credere le stesse dicendo di
andare da
Jared. O da Joe. Non sapeva quale delle due ipotesi poteva essere
più
impossibile.
-Sono due giorni che ti
crogioli nelle tue lacrime. Devi dirglielo.- le sorrise e le
asciugò gli occhi
e le guance, le ravvivò i capelli e la fece alzare.
-Va’ da lui.- ripeté,
con gli occhi che sorridevano.
Forse fu proprio quel
lampo di positività che le lesse negli occhi a farle
afferrare le borsa e
chiavi e farla scappare fuori di casa. Ovviamente non prima averla
stritolata e
ringraziata.
-Non chiamarmi prima di
domani!- le urlò dietro Gwen, sorridendo tra sé e
sé.
*
Sentì
Judas guaire e
subito dopo le chiavi nella serratura girare un paio di mandate.
Si
aspettava di
trovarla lì? Immaginava fosse lei? La stava aspettando?
L’avrebbe
cacciata?
Col cuore
che
rimbombava furiosamente nelle orecchie, osservò il
proprietario aprire il
portone e, non troppo incredulo, rivolgerle un sorriso imbarazzato.
Notò
che aveva gli
occhi lucidi, e tirava su col naso. Si sentirono entrambi sollevati nel
notare
che tra i due, non si sapeva chi fosse messo peggio.
Lui aveva
l’aria di uno
che da 24h non vedeva la luce del sole. Lei incorporava il remake de
“L’alba
dei morti viventi”.
Non disse
nulla, si
appoggiò allo stipite e attese la prossima mossa della
ragazza, inerme.
-Ormai
è chiaro. Questo
è un dolore insopportabile, e non ne voglio più
nemmeno un grammo.- esordì Kim,
con la voce che le usciva a stenti da tanto tremava.
Vedendolo
inclinare il
capo, si accorse di non riuscire a sostenere il suo sguardo e lo
puntò sulle
sue stesse mani. -Sono tornata da te sconfitta, arresa, disposta a
farmi
infilzare fino alla totale incoscienza.
Sarò
una foresta da
tagliare, un villaggio da incendiare, una nave da affondare.- era
pronta a
qualsiasi comportamento da parte sua, purché si trattasse di
lui e fosse lui ad
infliggerglielo.
Non
c’era tortura più
piacevole.
Sollevò
il volto,
portando gli occhi dritti in quelli chiari e celestiali del professore.
-Riducimi
in rovine, te
ne prego.-
Lo vide
indugiare un secondo
solo, ma non ne passò un altro che le fu subito addosso.
-Oh,
Kimberly..-
sussurrò, prendendole il volto tra le mani e portando la
bocca a coincidere con
la propria, baciandola con una sorta di disperazione che la
lasciò
senza
fiato.
Era
esattamente il tipo
di amore che aveva sempre desiderato.
Note finali:
Cioè ragazze mi prenderete per scema e magari a voi non
piacerà tanto, ma io sto male per aver scritto la parte
finale di questo capitolo. Pensate che è una delle prime
scene che mi sono venute in mente quando ho cominciato a scrivere
questa storia, anni orsono.
Poi come sempre le scene sono più belle nella mia testa che
quando le metto per iscritto, ma spero di avervi trasmesso quello che
volevo, un tipo di sentimento che sta alla base dei sogni di tutte le
romantiche che si rispettino. Eh.
Cosa ne pensate?
Questa volta non ho messo volutamente la canzone proprio
perché in un capitolo così volevo risuonassero a
mille le mie parole e non quelle di una canzone di cui non ho nessun
merito. Volevo catapultarvi dentro e basta.
Al limite sarebbe accompagnabile da una base solo musicale, tipo
pianoforte. Perchè mi sto perdendo in tutte sti dettagli? Ho
solo notato che a molte di voi è piaciuta l'idea che i
capitoli fossero accompagnati da una canzone e non vorrei farvi un
torto troppo grande ahaha.
Tornando a bolla, ve l'aspettavate così il tutto? Pensavate
che la riappacificazione fosse a questo livello?
E mmmo'?? Che succederà?? Datemi tutte le vostre congetture,
ne ho BISOGNO perchè il momento tanto temuto è
arrivato: Ho finito i capitoli che avevo da parte (questi ultimi 3 sono
recentissimi, li ho scritti in un weekend mentre annaspavo
nell'ispirazione) quindi per il prossimo non posso garantirvi neppure
ci sia questa settimana circa di distacco.
Il 2 ho un esame, quindi prima penso a quello, poi farò del
mio meglio per richiamare le idee e partorire altre decine di capitoli
ahahah.
Spero che come "ultimo" per il momento sia all'altezza.
Fatemi sapere fanciulle, ci tengo molto :)
A presto xoxoxoxox ♥
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Capitolo 70 *** Capitolo 70. ***
Capitolo
70.
When it’s you and me
We don’t need no-one to tell us to be
Aprì
gli occhi e il
buio le riempì le iridi di quel medesimo non-colore.
Sforzò le pupille,
guardandosi attorno nell’oscurità, nel tentativo
di scorgere qualsiasi cosa.
Dove si trovava?
Era come quelle volte
in cui si era svegliata al contrario nel suo stesso letto e non
riusciva a
riconoscere il luogo in cui si trovava.
In quei casi per lo
meno c’era la luce, adesso invece non c’era niente
di niente, non un rumore,
non un colore, una puntina di luce che le potesse dare dei punti di
riferimento.
Solo il buio. Era così
intenso da sembrare addirittura spesso. Le venne da pensare di poterlo
toccare,
afferrare; che in questo momento potesse divorarla o impossessarsi del
suo
corpo, entrando da ogni parte possibile e come una valanga, riempirla.
Quando nella sua follia
notturna stava cominciando a sentire l’oscurità
addirittura dentro ai polmoni,
udì un sospiro profondo al suo fianco.
Sussultò, le pupille
dilatate, il sistema simpatico attivo. Assottigliò gli occhi
per acuire la
vista ma non c’era niente che risaltasse ai suoi occhi.
Era incredibile come
quel sospiro fosse vicino ma lei non riuscisse a vedere ad un palmo dal
suo
stesso naso.
Non era sola per lo meno,
e con questo pensiero sorrise mentre con gioia, sentì il
cuore velocizzare i
battiti quando la memoria le tornò e finalmente si
ricordò di dove si trovasse.
Si issò sul gomito
sinistro, mentre allungò il braccio opposto andando a
tastare tra le lenzuola
alla ricerca della provenienza di quel respiro che ora era
così magnificamente
udibile.
I suoi polpastrelli
entrarono infine in contatto con qualcosa che somigliava ad un braccio
e arrivò
alla punta, fino a toccarne le dita.
Afferrò il polso e si
portò quella mano estranea al volto.
Le dita profumavano
dell’acqua di colonia che lui indossava ogni giorno, Kim se
n’era accorta fin
dal primo momento in cui era entrata in contatto con lui, tra i
corridoi del
liceo.
Ogni tanto ripensava
alla prima volta che l’aveva visto, a come si erano
conosciuti e ogni volta le
sembrava incredibile pensare che fossero finiti in una situazione
completamente
diversa.
Era un mercoledì di
inizio settembre, la seconda settimana ad essere precisi.
Kimberly ci aveva
pensato molto intensamente più e più volte, in
modo da ricollegare tutti i
dettagli che riuscisse a ricordare così da ricostruire quel
giorno più
perfettamente che potesse.
Era da poco finito
l’intervallo e lei si era attardata appositamente in bagno
per perdere i cinque
minuti della lezione seguente.
Ehi, chi non l’aveva
mai fatto?
Non aveva ancora subito
la sua metamorfosi da sindrome-del-cuore-spezzato, anzi era molto
diligente a
scuola e il suo look era ancora basico, semplice.
La diligenza però non
era sinonimo di passione, e non si poteva proprio dire che Kim fosse
un’appassionata studiosa, semplicemente faceva il suo dovere
con degli sprazzi
di svogliatezza.
Quel giorno lo era più
del solito a causa del comportamento di Christopher: era scostante,
disattento,
le era più volte capitato di avere la sensazione di parlare
da sola quando
erano insieme.
Aveva la tremenda
sensazione che lui non volesse sinceramente quello che stava accadendo
tra di
loro, come se in realtà si stesse cominciando ad interessare
a lei semplicemente
perché non ci fosse nient’altro di più
produttivo da fare.
Scacciò quel pensiero,
costringendosi a tornare con i piedi per terra.
Insomma, il ragazzo che
le piaceva da così tanto tempo finalmente stava cambiando
atteggiamento nei
suoi confronti e la sua paranoia doveva già metterla in
allerta?
“No” aveva pensato tra
sé e sé “Va tutto benissimo. Noi ci
amiamo.”
E sebbene sentisse che
gran parte delle sue sensazioni non assecondavano questo pensiero,
decise che
era così e che avrebbe dovuto andare in classe.
Uscì quindi dal bagno
senza far caso a quanto continuasse ad essere inquieta riguardo alle
sue
emozioni contrastanti riguardo alla relazione con Chris.
Da una parte c’erano i
suoi sentimenti, così forti e determinati a non farsi
abbattere da semplici
insicurezze determinate da un po’ di malumore da parte del
ragazzo.
Dall’altra invece era
convinta dello spassionato disinteresse di Christopher, il quale non
credeva
fino in fondo di voler uscire dalla “friend zone”.
Sentì un tuffo al cuore
nel metabolizzare quel pensiero, ma non fece a tempo ad accorgersene
perché sentì
una voce rimbobare per il corridoio fino ad arrivare alle sue orecchie.
Nell’esatto istante in
cui si voltò, si rese conto di non averla mai sentita e
probabilmente il suo
proprietario non era qualcuno che conosceva.
Infatti, l’uomo
(ragazzo?) che le si stava avvicinando con passo blando, non
assomigliava a
nessuno che la sua memoria a lungo e breve termine potesse riconoscere.
-Scusami!- aveva
esclamato lui per attirare la sua attenzione.
-Sì?- aveva risposto
lei di rimando, incuriosita. Cominciò a squadrarlo, man mano
lo sconosciuto si
avvicinava.
Aveva il volto magro, i
capelli scuri di media lunghezza e un paio di occhi angelici.
-Non è che per caso
potresti dirmi dove si trovano le macchinette?- sorrise mostrando una
fila di
denti bianchi.
-Oh, lei è il tecnico? Sono
là in fondo.- si affrettò a dire la ragazza,
indicandogli con la mano il lato
opposto del corridoio. –Era ora che arrivasse, quella
maledetta cosa mi ha
mangiato l’intero portafoglio!- si lagnò Kim,
rivolgendo un’occhiata irata alle
suddette ladre.
Con gran sorpresa da
parte della studentessa, l’uomo scoppiò a ridere.
–Mi dispiace, ma devi esserti
confusa. Non sono qui per aggiustare niente, avevo solo bisogno di un
caffè..
sai oggi è stato il mio primo giorno e gli orari sono
così stretti qui. Non ho
fatto a tempo a percorrere il corridoio che la pausa è
terminata e tutti si
sono volatilizzati in classe!-
-Oh.- mormorò Kimberly,
guardando al suolo. –Che imbarazzo.-
-Tranquilla. Niente caffè,
quindi?- sbuffò lui, chiudendo anche gli occhi dallo
sconforto. Niente a cui
aggrapparsi per arrivare al termine di quella giornata infinita e
sfiancante.
Non che insegnare fosse
così difficile, ma essere alunni lasciava il tempo di
distrarsi o far finta di
essere attenti mentre in realtà si dormiva ad occhi aperti..
trovarsi dall’altra
parte della cattedra invece era tutto l’opposto.
Si rese conto solo in
quel momento di quanto avesse sottovalutato quell’aspetto
quando aveva
accettato il lavoro. A lui in quanto insegnante, non era concesso di
annoiarsi,
sbadigliare, sbuffare o distrarsi. Era necessario che fosse vivo e
attivo tutto
il tempo e che si impegnasse fino alla fine.
Doveva essere in grado
di attirare la loro attenzione e al contempo di insegnar loro qualcosa
di
educativo e pertinente.. quindi la maggior parte delle volte
estremamente
noioso.
Abbassò lo sguardo sul
volto della ragazza, dove lesse la sua stessa amarezza.
-Purtroppo no.- chiosò
infatti lei, scuotendo il capo.
Dopo qualche secondo di
silenzio durante il quale l’insegnante stava pensando a come
evadere da quell’edificio
sprovvisto di caffeina per procurarsene, con la morte nel cuore
concluse che
non avrebbe mai fatto in tempo per la prossima lezione.
Anzi, era già in
ritardo!
Prima che potesse
andarsene però, la ragazza lo bloccò.
–Sei nuovo quindi?-
Il tono colloquiale e
amichevole che aveva utilizzato, gli fece strabuzzare gli occhi.
Pensava fossero
coetanei?
Dal canto suo Kimberly
aveva trascorso tutto il tempo a squadrarlo, cercando di capire cosa
non la
convincesse in quell’individuo.
Alla fine riuscì a
comprendere quale fosse il problema: non riusciva a ricollegarlo a
nessuna
fascia di età precisa. Certo, non poteva essere
minorenne… ma dedusse che fosse
uno studente pluribocciato che tentava di finire il liceo per
l’ennesima volta.
-S-sì.- rispose lui
incerto, con un tono imprecisato. Gli era già capitato di
essere scambiato per
uno più giovane rispetto alla sua vera età, ma
solitamente erano adulti o suoi
coetanei che gli davano qualche anno di meno.
Questa ragazza pensava
che fosse un suo compagno.
Cominciò a sorridere
per la botta di vanità che si concesse il suo ego.
-E come ti trovi?-
continuò Kimberly, con un sorriso gentile. Era un bel
ragazzo, e in una scuola
così povera di portatori di testosterone, era sempre
positivo godere di una
novità del genere.
Una gran bella novità,
tra l’altro.
-Bene, ma è solo il
primo giorno.- continuò lui, con quel sorriso sfacciato.
-Credimi, nel giro di
poco ti verrà una gran voglia di scappare.- disse lei,
sentendo pienamente ogni
sillaba di quella frase.
-E dove?-
-Ovunque, qualsiasi
posto sarebbe sicuramente meglio di questa piccola Alcatraz. Non sei di
qua,
vero? Ci sono un sacco di luoghi che potrei mostrarti.- e
condì la frase con un
pizzico di involontaria ma chiara malizia. Anche perché non
c’era assolutamente
nessun posto degno di essere visto in quella piccola città!
La parte di sé introspettiva
e timida stava per prendendo a testate il muro, ma lui non ne sembrava
infastidito, anzi.
Il sorriso che aveva
presentato in volto fino a pochi istanti prima si ampliò
ulteriormente.
-E’ vero, non sono di
queste parti. Ti piace vivere qui?- chiese poi lui, assottigliando gli
occhi. Quell’espressione
ammaliatrice non faceva cenno di volersene andare e la cosa la metteva
al
quanto su di giri. Era una situazione surreale.
Sbuffò, spostandosi i
capelli da davanti al volto. -Non particolarmente, ma
c’è chi lo definirebbe un
paradiso. Mi piace crederlo.- incrociò le braccia al petto e
si appoggiò con
una spalla al muro accanto al quale si trovava.
Lui la imitò,
fissandola intensamente negli occhi. Tutta quella situazione, quel
gioco di
sguardi, la agitavano molto. Ma era un agitato bello, eccitante, che
non le
facevano pensare ai suoi problemi col suo presunto ragazzo.
Si sentì anche un po’ in
colpa nei confronti di Christopher, in quel momento. Aveva incontrato
quella
persona da 5 minuti e ci stava flirtando come se fosse questo che le
insegnavano
a scuola.. ma poi lui parlò e lei si dimenticò
dell’esistenza di Chris.
-Non credo nel
paradiso. Ma se tu rappresenti ciò che è il
paradiso, allora portami con te.-
sussurrò, con un tono talmente seducente che nemmeno tutto
l’autocontrollo del
mondo riuscì a distoglierle lo sguardo dalle labbra di lui.
-Oh, beh..- bofonchiò
al limite dell’imbarazzo allontanandosi di qualche centimetro
dal ragazzo, stentando
una risatina completamente deficiente.
Lanciò inavvertitamente
un’occhiata all’orologio sopra la testa dello
sconosciuto, appeso al muro in
fondo al corridoio e sussultò –Devo andare!-
cominciando affrettarsi verso la
sua classe. Era in ritardo di 15 minuti, non le era mai successo e
l’insegnante
l’avrebbe ammazzata.
Era quello nuovo tra l’altro,
quello di musica!
-Ehi dove scappi?- l’espressione
di lui si tramutò da affascinante a preoccupata. Aveva forse
esagerato? Si stava
solo divertendo a prenderla in giro!
Le corse dietro; lei
gli rivolse un’occhiata dispiaciuta. –Chiunque tu
sia, è stato bello conoscerti
e se potessi rimarrei ancora ore con te, ma sono in super ritardo e
quello di
musica mi decapiterà non appena varcherò quella
soglia.-
L’uomo dovette trattenersi
dallo scoppiare a ridere. –Quello di musica?-
-Sì, il professore
nuovo! Mi pare si chiami Lieto, o qualcosa di altrettanto palloso. Non
ho mai
avuto musica nella mia esistenza e scommetto già che
sarà un suicidio.-
brontolò Kim, arrivata finalmente di fronte alla porta
chiusa della sua classe.
Proveniva un gran
baccano dal suo interno, come se i suoi compagni fossero ancora privi
di
supervisione.
Rinviò le domande a
qualche secondo dopo, decisa a dedicarsi completamente al ragazzo.
Si voltò verso di lui e
vide che ridacchiava in seguito alle sue parole. –Se
è così allora dobbiamo
salutarci. Spero che sopravvivrai.- disse avvicinandosi.
Kim deglutì, la sua
acqua di colonia la inebriò, appannandole i pensieri.
–Così potremo rivederci.-
-E tu potrai portarmi
in quei famosi posti.- le fissava le labbra con un’insistenza
quasi
imbarazzante.
-Non vedo l’ora- annuì,
immobile.
Lui sorrise, facendole
segno di andare.
Kim indietreggiò fino
ad arrivare alla porta. –Io sono Kimberly, comunque.- ma dato
che lui non
sembrava volersi presentare né tantomeno allontanarsi, le
venne spontaneo
chiedersi se non avesse una certa fretta anche lui.
-Tu non vai in classe?-
gli chiese poi, rendendosi conto di non essere l’unica in
ritardo ma come a lui
sembrava non importare.
-Sono arrivato.- le
rispose con un’espressione nuova, che la ragazza non seppe
catalogare sul
momento.
Sgranò gli occhi,
quando lo vide afferrare la porta in ferro che lei aveva appena aperto,
e
spingerla dentro con cautela.
Tutti gli occhi si
puntarono su di loro, ma Kimberly non se ne rese conto, aveva una
scoperta di
gran lunga più spaventosa davanti a sé.
Il suo cuore si sgonfiò
come un palloncino quando lo vide farle segno di andare a posto e
proseguire
verso la cattedra.
-Buongiorno a tutti e
scusate il ritardo. Io sono Jared Leto..- i suoi occhi si puntarono in
quelli
di Kim. –Il vostro nuovo, palloso, insegnante di musica.- e
un ghigno si fece
spazio sul suo volto, mirato proprio a colpire lei.
Si era preso gioco di
Kim fin dall’inizio e lo sconcerto che provava in quel
momento la ragazza non
era e non sarebbe mai stato paragonabile a nessun’altra
esperienza in tutta la
sua vita.
Fu quella la ragione
scatenante di tutte le loro diatribe, di come mai il professore si era
preso
così tanto in simpatia l’alunna e del
perché lei invece non lo potesse
soffrire.
Il suo orgoglio aveva
subito uno smacco impareggiabile, non avrebbe più tollerato
la presenza di
quell’uomo di buon grado. Se lo era garantito, il suo compito
d’ora in avanti,
sarebbe stato solo detestarlo.
*
Si
portò quel grande
palmo contro la guancia. Aveva le mani così profumate,
così calde, così buone.
Avrebbe passato ore intere
con le sue mani addosso, avrebbe lasciato che l’accarezzasse
finché non gli
fossero venuti i crampi.
Lo amava, e lo avrebbe
volentieri gridato al mondo.
La mano prese vita nel
buio e la strinse leggermente, avvicinandola all’origine del
corpo. Una volta
raggiunto il petto di Jared, Kim vi si accoccolò contro,
baciandolo più volte.
Non si era mai sentita
così, il sollievo che aveva provato quando aveva aperto la
porta dell’appartamento
e la leggerezza di cui si nutriva adesso il suo cuore erano delle
sensazioni
talmente appaganti, da far sembrare tutta la sofferenza provata fino a
qualche
ora prima, un semplice solletico in un punto del corpo neanche troppo
sensibile.
Amava sentirsi così,
amava quell’uomo e non le importava se lui non ricambiava. Si
sarebbe fatta
bastare queste sensazioni, era come sentirsi drogati.
-Kim.- sussurrò la voce
che proveniva dal buio.
-Sì, Jared?-
-Mi sei mancata così
tanto.- sussurrò lui, stringendole entrambe le braccia
invisibili attorno al
corpo.
Il calore dei loro
corpi in contatto le fecero danzare le farfalle nello stomaco.
-Ripensi mai al giorno
in cui ci siamo conosciuti?- chiese lei. Tutto in lei trasmetteva
gioia,
felicità, amore. Perfino la sua gola nel pronunciare quelle
parole si stringeva
in una morsa piacevole, quasi non fossero quelle le parole che avrebbe
voluto
pronunciare, ma ben altre.
-Tutti i giorni. È da
lì che la mia ossessione per te ha avuto inizio.-
l’uomo sollevò il capo e andò
a baciarle la testa, tra i capelli.
-Io ti odiavo.- ribatté
lei divertita.
-E’ comprensibile.- ridacchiò
il professore. –Ma solo perché non
potevi avermi.-
Lei si sollevò, andando
a fissare nel buio il punto in cui avrebbe dovuto esserci il suo volto.
–Perché
ti sei comportato così?-
-Eri stupenda, Kim. Eri
spontanea, giovane, fresca, libera. C’era qualcosa in te di
tremendamente
intrigante e non ho resistito.-
-Ti sei approfittato di
me.- si lamentò, fingendo di essere offesa.
Lui si sollevò su
entrambi i gomiti, arrivando presumibilmente alla sua altezza. La
ragazza sentì
il suo corpo fremere nel percepire il suo profumo leggermente
più intenso e il
respiro che le faceva smuovere i capelli.
-Visto il risultato,
non riuscirai mai a farmene pentire.- il sussurro seducente che le
aveva
smorzato il cuore la prima volta, si ripropose facendola sciogliere in
brodo di
giuggiole.
Lo sentì esplodere nel
petto, quel “ti amo”.
Ma invece di
assecondarlo, si sporse trovando le sue labbra, lasciando che il buio
ingoiasse
anche la distanza che c’era tra loro.
Let’em
know that we still rock&roll
Note
finali: com'è quel detto? Ah già,
chi non muore si rivede.
Sono un'enorme, gigantesca, grandiosa e colossale merda me ne rendo
conto e vi chiedo umilmente scusa con tutto il mio cuore, MA prima che
possiate dire tutte in coro "sì, è vero",
lasciate che provi, dalla mia bassezza e umiliante schifezza, provare a
giustificarmi.
1. non avevo assolutamente nessunissima idea per questo capitolo. O
meglio, ce l'avevo, ma si sarebbe conclusa nel giro di 10 righe e per
il resto ci sarei stata io che avrei cominciato a sproloquiare parole
senza senso ma incredibilmente intellettuali solo per arrivare ad una
discreta lunghezza di ben 4 pagine di Word.
E credetemi, mi avreste odiata.
2. purtroppo anche io ho una vita, e in quanto tale bisogna coltivarla
se no, se mi chiudessi in casa come uno stilita a non fare altro che
contemplare il soffitto nel tentativo di approfondire tutte le mie
passioni, non saprei rapportarmi con le persone, mi odierebbero tutti
(cosa che gran parte delle persone fanno, anzi stavo proprio pensando
l'altro giorno che ci sono più persone che mi odiano di
quante mi amano, a questo mondo) (giuro che non è colpa
mia!) e credo che morirei dato che non andrei al lavoro (quindi niente
soldi, quindi niente cibo e niente alloggio) e niente
università (quindi niente esami, quindi mio padre mi
ammazzerebbe).
3. non avete idea della miriade delle cose che ho fatto nel corso di
questi mesi (era agosto l'ultima volta che ci siamo sentite??) e starei
ore a raccontarvele tutte, ma torniamo al punto 2 e aggiungiamoci che
dovrei lavarmi tra le varie cose che concernono l'esistere, e urge una
seria doccia.
Vi sono mancate le mie note finali, vero?
Alla fine però mi sono seduta, ho raccolto coraggio e PC e
mi sono costretta a scrivere. Non sapevo cosa, non sapevo come sarebbe
uscito e ho deciso che non me ne sarebbe fregato un beneamatocazzo,
volevo solo farvi sapere che ci sono ancora e che giuro sulla mia
esistenza, io finirò questa storia.
Nel giro di breve, tra l'altro.
Ho scritto su un foglio ormai un mese fa (tant'è che non
ricordo nemmeno cosa ci sia scritto) cosa voglio che accada nei vari
capitoli che seguiranno questo e ce ne restano una decina circa.
Prima di stringervi nel lutto (o di organizzare un Oktoberfest, punti
di vista) sappiate o forse sapete già, che quando scrivo
perdo la concezione di quello che sto scrivendo, e divento
incredibilmente lunga. Quasi troppo (ahaha).
E può succedere che mentre voglio far succedere una cosa, i
giri di parole mi facciano raccontare tutt'altro, quindi per esprimere
il concetto principale mi ci vogliono 4 capitoli.
Come in questo caso: questo capitolo non doveva ASSOLUTAMENTE
essere così o finire così. Volevo che
succedessero altre cose ma Petronilla (ve lo ricordate il mio neurone?)
ha partorito l'idea lampante di raccontare la prima volta che si sono
conosciuti COSA CHE NON AVEVO MAI PENSATO DI FARE.
Per farvi capire i miei livelli di follia.
Quindi non agitiamoci e vediamo cosa succederà. Sappiate
solo che questa storia ha un termine ed è tutto dentro la
mia testa :)
TORNANDO A NOI cosa ne pensate? Fa schifo vero? Come ho già
detto non sapevo cosa dire, come dirlo e perchè dirlo,
quindi sono andata mooooolto a sentimento e se molto probabilmente
trovate degli errori, fate finta di niente perchè non l'ho
neanche riletto.
Lo so, è estremamente demenziale come incontro ma facciamoci
una risata, io volevo solo farvi sapere che sono ancora qui, nella
speranza che non vi siate stancate di aspettare e non mi abbiate
abbandonata.
Fatemi sapere qualsiasi cosa, voglio sapere se ci siete ancora, se
avete qualche news and so on!
La canzone è Rock&Roll
di Avril, mi è piaciuta troppo specialmente l'idea del
lyrics video con tutti i fan su instragram!
(?) non ha senso la frase sopra, ma sono sicura che abbiate capito di
cosa sto parlando.
Quando siamo io e te non
abbiamo bisogno
di qualcuno che ci dica
come essere
Facciamogli sapere che
spacchiamo ancora (traduzione molto personalizzata :D)
Ok, come al solito le note finali sono più lunghe del
capitolo (che delusione)
Non vi garantisco la prontezza del prossimo, ma aspettatemi che torno.
Spero di sentirvi, spero che abbiate apprezzato lo sforzo, spero che il
messaggio sia arrivato.
Per chi è mezza addormentata e non ha capito, lo ripeto:
io sono qua e non mollo. Dovranno amputarmi le dita per non farmi
finire questa storia.
xoxoxoxoxoxxo
|
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Capitolo 71 *** Capitolo 71. ***
Capitolo
71.
Quale
amore..
Era
ancora lì nel suo
dilemma.
Erano trascorse alcune
ore e ormai, la stanza era inondata da un fioca luce, tipica di
giornate
uggiose di inizio maggio, quando ormai la primavera dovrebbe esplodere
senza
farsi troppi scrupoli.
Chissà perché invece,
quell’anno pareva essere un po’ troppo timida e
assonnata, e di farsi vedere
sembrava non averne alcuna voglia.
Ovvio, sebbene le
temperature non volessero aumentare poi di molto, la natura lo sentiva
che era
il suo tempo ormai e lo faceva senza vergognarsene minimamente.
Kimberly adorava come
in quel periodo dell’anno gli alberi tornassero a fiorire con
una maestosità
che ogni volta la lasciava senza fiato.
Era una specie di
magia. Sebbene il clima non volesse saperne di essere favorevole, ecco
che le
piccole gemme imperterrite si facevano largo e da minuscoli
puntini verdi si
trasformavano in stupendi fiori colorati.
Era come se lo
sentissero. Loro sapevano che era arrivato il momento giusto, e non
riuscivano
a trattenersi, più forti delle condizioni climatiche.
Anche Kim se lo
sentiva. Lei lo amava e come le gemme dei fiori, avrebbe dovuto aprirsi
a lui
senza alcuna esitazione.
Dopo tutto erano
diversi mesi che si frequentavano, no? Ed era palese che entrambi non
potessero
resistere l’uno senza l’altra, giusto?
Allora perché aveva
tutta quella paura?
Ogni volta che riempiva
i polmoni per pronunciare quelle tre parole, ecco che la voce le
mancava e esse
tornavano a precipitarle in fondo alla gola.
Erano entrambi in
cucina, lei seduta al tavolo mentre fissava la schiena
dell’uomo alle prese con
i fornelli, intento a preparare la colazione.
Lo osservava muoversi e
si rese conto di quante altre volte doveva averlo fatto,
perché ormai conosceva
tutte le sue mosse alla perfezione, al punto di riuscire a prevedere
quello che
avrebbe fatto.
Lo ascoltava mentre il
suono del suo fischiettio riempiva quelle mura, e si lasciò
sfuggire un sorriso
nel pensare che fosse un suono pieno di soddisfazione.
Era un uomo contento,
appagato.. innamorato?
Il sorriso scomparve di
nuovo dal volto della giovane, ancora alle prese con le proprie angosce.
Eppure cosa aveva da
temere?
Jared si era dimostrato
disperato e leggermente impazzito
nel
breve periodo di distacco. Cosa poteva andare storto?
-Kim?- il tono
divertito del professore le rubò tutta
l’attenzione. –Ti senti bene?-
La ragazza si scrollò
leggermente e gli mostrò il suo sorriso migliore.
–Certo, perché?-
-Ti stai torturando le
labbra.. c’è qualcosa che ti preoccupa?- la
conosceva così bene da sapere che
quando era nervosa o aveva dei pensieri importanti per la mente, si
sfogava
tramite i denti, mordicchiandodi labbra e guance.
Le avrebbe risposto
“anche io?”
-No, solo… dov’è
Shannon? E’ un po’ che non lo vedo gironzolare per
casa.- rispose lei evasiva,
cominciando a guardarsi intorno.
Gli occhi di Jared la
guardarono leggermente sospettosi, ma poi le diede di nuovo le spalle.
-E’ con
Tomo. Volevano portarmi fuori un weekend per passare del tempo
“tra uomini”
sai… non ero esattamente in forma e avevano organizzato una
vacanza fuori
porta.- quando si rivoltò, cominciò a distribuire
sul tavolo di fronte a lei
una serie di piatti pieni di ogni tipo di leccornia.
Le aveva preparate
apposta per lei, lui era uno attento a cui il cibo spazzatura non
piaceva poi
molto.. ma per lei si sforzava di fare qualche sgarro.
Una persona che
cambiava le sue abitudini per un’altra non era un lampante
segno di amore? Era
la regola numero uno, no? Se ami qualcuno, tendi a cambiare per lui.
Tendi a
diventare la sua parte complementare, e Jared sembrava esattamente fare
questo.
Avrebbe sicuramente
risposto “anche io”.
-Oh, e cosa c’era in
programma?- chiese Kimberly, avventandosi su di un krapfen che sembrava
ululare
il suo nome.
L’esplosione di crema
che provò in bocca dopo il primo morso, le fece perdere un
attimo i sensi.
-Mh.. nulla. Qualche
strip club e una nottata fuori città.-
Per lo sconcerto, Kim
emise un verso che le fece andare lo zucchero a velo di traverso.
Abbandonò il
dolce e cominciò a tossire con forza, nell’intento
di riuscire a recuperare la
voce per dire qualcosa.
A questo punto non
sapeva se era meglio morire soffocata o riacqusire le forze per
picchiare
Jared; il quale dal canto suo, aveva cominciato a ridere e a darle
qualche
manata sulla schiena.
-Come?!- pigolò la
ragazza, con voce strozzata.
-Conosci un modo
migliore per tirare su una persona?- ammiccò lui, alzandosi
per prendere la
teiera che aveva infilato nel microonde.
L’occhiata raggelante
che gli rivolse, fece chiaramente intendere quello che al momento
pensava di
lui. –Sei uno schifoso.-
Jared buttò la testa
indietro lasciando fuoriuscire una risata. –Addirittura.-
-L’avresti fatto?-
chiese poi lei con gli occhi resi una fessura. Era il tipico sguardo
“radar”,
talmente intenso che avrebbe captato qualsiasi parvenza di bugia.
L’uomo le rivolse
un’occhiata annoiata. –Kim, ti prego.-
E se avesse risposto
“io no”? Cosa avrebbe fatto?
Come sarebbe riuscita a
far fronte ad una delusione del genere?
Sarebbe stato come
stare in fila per ore e ore al bancone dei biglietti per la prima del
film che
si aspetta da una vita; litigare con tutti i furboni che cercano di
superare;
passare ore interminabili in piedi, sotto il sole cocente o
l’acqua
scrosciante; senza mangiare né bere onde evitare di dover
allontanarsi
inaspettatamente; arrivare finalmente davanti alla cassiera, con arti,
schiena,
stomaco che urlano di dolore e sentirsi dire “sold
out”.
Come si sopravvive dopo
tutto quello sbattimento e quelle ore di vita sprecate?
In questo caso poi
sarebbe stato anche peggio: non si parlava di un film, ma del suo cuore
e non
si parlava di ore, ma di mesi persi appresso ad una persona.
A farle male non
sarebbero state gambe e schiena ma la sua esistenza.
Dopo un rifiuto di quel
calibro non avrebbe più sopportato la sua immagine riflessa
nello specchio.
Una delusione sarebbe
stata inaffrontabile, inaccettabile. Sarebbe stata la fine del mondo e
la fine
di qualsiasi parvenza di occasione che il suo cuore avrebbe dato a
qualcuno in
un ipotetico futuro in cui non si sarebbe suicidata.
-Non dirmi “Kim, ti
prego”! Voi uomini siete tutti uguali, mentre noi femmine ci
consoliamo
guardandoci film strappalacrime e comprando libri di auto-aiuto, ecco
che voi
vi riunite a sbavare da qualche ballerina senza pudore!- si
lamentò quindi
Kimberly, con un tono di voce abbastanza inalberato.
Lei stava per dire una
cosa così importante ad una persona del genere?
Esattamente uguale a
Christopher e a qualsiasi altro essere maschile che avrebbe avuto
opportunità
di incontrare?
Valeva così poco un suo
“ti amo”?
Jared vedendo che si
stava chiaramente alterando, decise di prendere in mano la situazione.
Prese un profondo
respiro e le si avvicinò, placcandole le braccia al livello
dei polsi onde
evitare di prendere un cazzotto sul naso, agitata com’era.
Era chiaro che lui
stesse scherzando, eppure lei l’aveva presa come un fatto
personale, come un
tradimento a livello cosmico.
Cosa le frullava nella
testa? Qual era il vero problema, al momento?
La Kimberly che
conosceva sapeva essere molto divertente e aveva un ottimo senso
dell’umorismo,
come mai invece si trovava di fronte a questa ragazzina spiritata e
quasi ferita?
-Kimberly, adesso
calmati e ascoltami.- disse lui ad un tratto, serio in volto.
Lei ricambiò subito,
rapita. Deglutì sonoramente, quello sguardo così
intenso le faceva perdere il
senso della realtà.
-So che al momento sei
presa dalla tua vena femminista secondo cui gli uomini sono esseri
spregevoli;
e sono quasi sicuro che dentro di te stai anche programmando di
diventare
lesbica.. ma prima che tu cambi ufficialmente sponda, vorrei solo
ricordarti
una cosa.- la voce era resa un sussurro e per tutto il
tempo la ragazza dovette
trattenersi dallo sciogliersi al suolo.
Quella voce avrebbe
provocato l’allineamento dei pianeti.
Si rendeva conto di
quanto fosse pericoloso?
Quella voce era tutto
per lei e non riusciva ad immaginarsela, così calda e
sensuale, dirle un freddo
e secco “io no”.
-Cosa?- mormorò lei,
timorosa.
-Sono io che ti ho
aperto la porta ieri sera. Tu mi hai trovato qua, da solo, dopo aver
rifiutato
l’allettantissima proposta di mio fratello e del nostro
migliore amico di
passare un fine settimana all’insegna del “non
pensare a Kimberly”.
Tu mi hai trovato qua,
a pensare a te.
Io, anche nel male,
anche se non mi faceva stare per niente bene, ho scelto te.-
Ma in fin dei conti, a
lei interessava che lui ricambiasse il suo “ti
amo”? Era davvero necessario
nella loro relazione che entrambi fossero allo stesso livello di
sentimento?
Cosa le sarebbe costato
aspettare ancora un po’? Lei avrebbe potuto dirglielo lo
stesso, così, tanto
per renderlo partecipe.
Anzi sarebbe stato
doveroso.
Era suo dovere
informarlo che le cose per lei si stavano facendo decisamente serie e
che lui
avrebbe dovuto fare qualcosa se l’avesse ritenuto necessario.
E anche se la sua fosse
stata un “io no”, l’avrebbe superato
perché è questo che fa un animo
innamorato: aspetta, proprio come aveva fatto Jared quel sabato sera.
Non era necessario, se
lo ripeté con una carica di sicurezza in più che
la portò a sorridere.
Vide gli occhi del
professore, ad una spanna di distanza dai suoi, illuminarsi
nell’aver
interpretato quel sorriso come un segno di resa. Si era calmata, e
adesso
avrebbero continuato la loro colazione in santa pace per poi
trascorrere quella
domenica insieme, esattamente come prima che la situazione tra loro si
interrompesse.
Ma poi Kim prese fiato.
-Jared.. io ti amo.-
*
Cosa aveva
pensato lei
fino a qualche minuto prima?
Era come essere in fila
alla prima del film che aspettavi da un secolo?
Che cosa si era fumata
per pensare ad un paragone così.. stupido?
E cosa aveva fatto lei
per essere così stupida?
Non era affatto come
sentire la parola “sold out”, non era affatto la
stessa cosa e neanche il
dolore dell’attesa e del tempo sprecato potevano minimamente
renderla
paragonabile a quello che sentiva lei adesso.
Pensò a quali parole
potessero regalarle le stesse sensazioni che provava al momento.
Forse “abbiamo fatto il
possibile.. mi dispiace”? la frase tipica detta dai dottori
nei momenti più
strazianti di un film, forse solo quella le avrebbe causato una
sensazione di
nausea del genere.
Ma, pensandoci a fondo,
invece no. Quella era una frase, erano parole, qualcuno le aveva
pronunciate
per definire una situazione, una situazione in cui qualcuno non
c’è più, ha
preso una posizione, se n’è andato.
Era una certezza e ora
lei non provava nessun tipo di certezza.
Tra quella frase e la
risposta di Jared, la differenza stava nell’aver pronunciato
una parola.
Lui non aveva aperto
bocca, se n’era rimasto lì fisso con gli occhi
sgranati e la bocca schiusa come
se si fosse interrotto nel mezzo di un discorso.
Dopo qualche decina di
secondi, durante i quali Kimberly aveva desiderato prendere una pala e
cominciare a scavare nel punto esatto in cui si trovava; si era
distanziato ed
era tornato a mangiare, come se nulla fosse successo.
-Allora, oggi cosa vuoi
fare?- le domandò poi, con un tono talmente neutro da far
venire la pelle d’oca
a Kim.
-Jared?- sussurrò lei.
Sentiva il cuore battere così forte da rimbombarle nelle
orecchie, nella testa,
sotto le mani strette al petto.
-Non c’è bel tempo,
però se ti va potremmo fare un giro in centro.- e di fronte
a tutto lo
sconcerto della ragazza, lui continuava a far finta di niente.
-Jared..- ci riprovò,
con voce un po’ più alta.
-Oppure se preferisci
possiamo andare al centro commerciale, c’è un
negozio che sta chiudendo e per
questo motivo svendono tutto. Ho visto molte cose che potrebbero
piacerti.-
Kim pensò di star
sognando, ma sapeva di non essere tanto fortunata. Sentiva un dolore
imprecisato troppo vivido per essere finto e quel groppo in gola era
troppo
grosso per essere solo frutto della sua immaginazione.
Si sforzò di non
perdere la calma, ma questa volta alzò la voce ancora un
po’ nel pronunciare il
nome dell’uomo che continuava a fingere.
-Ok, io.. devo andare.-
convenne infine ritrovandosi ancora senza una risposta, e si diresse
velocemente verso la camera da letto per vestirsi e raccogliere le sue
cose.
L’aveva sentito
seguirla e se lo trovò alle spalle, che la osservava mentre
si muoveva
fulminea, di modo che tutto quello strazio finisse il prima possibile.
-Kim,
aspetta. Non prenderla così, è solo che..-
-Che cosa, Jared?-
chiese poi lei, bloccandosi in un attimo di rabbia. –Che io
ti amo e tu no?-
-Ehi, io non ho detto
questo.- ribatté lui, mostrandole le mani a mo’ di
difesa.
-Ah, certo scusa.
Dimenticavo che non dire niente a casa tua significa “anche
io”.- borbottò lei,
tornando a sistemarsi.
-Eddai, Kim. E’ successo
tutto così in fretta che io non so..-
-Tu non sai cosa? Non
sai se mi ricambi o no? Come puoi non saperlo, sei stato male in queste
settimane e l’hai detto prima, hai scelto me anche nel male.
Vorrà pur dire
qualcosa, accidenti!- sembrava fuori di sé.
Ecco perché una parte
di lei continuava ad essere restia nei confronti di quel momento:
evidentemente, non era quello giusto e lei nel profondo se lo sentiva.
-Vuole semplicemente
dire quello che ho detto, non stiamo a parafrasare per cortesia.-
Il sorriso che gli
rivolse era assolutamente forzato. –Non sei nella posizione
per fare il sostenuto.-
disse offesa, per poi avviarsi verso la porta della stanza.
Jared le si parò
davanti. –Non andartene, per favore.- glielo chiedeva
sinceramente.
La ragazza ricordò
tutte le volte in cui aveva pensato che se solo glielo avesse chiesto
lui, con
l’esatta espressione e stesso tono di voce che aveva in quel
momento, avrebbe
eseguito senza pensarci due volte.
Ma non in questo caso.
Non riusciva a guardarlo in faccia senza temere di esplodere in un
pianto
deprimente e non voleva farlo davanti a lui.
-Devo andare.- chiosò
semplicemente, senza sollevare lo sguardo.
-No, non devi. Possiamo
stare qui e risolvere questo malinteso, basta parlarne.-
allungò una mano,
scostandole i capelli da davanti agli occhi.
-Malinteso? Jared, per
creare un malinteso qualcuno deve dire qualcosa. Tu non hai detto
niente!-
ribadì irata, tornando verso il letto e buttando di peso la
sua borsa.
-Ma perché mi hai colto
impreparato, non me lo aspettavo minimamente!-
-Vuol dire che tu non
ci hai mai pensato?- lo sguardo che gli rifilò, lo fece
immediatamente pentire
di quello che aveva detto.
Era impossibile
discutere con una ragazza in queste situazioni. Diventavano cieche e
sorde e
non c’era niente che riuscisse a distoglierle dal loro punto
fisso della
discussione.
-Certo che ci ho
pensato! Insomma stiamo insieme da mesi, è ovvio che qualche
pensiero ce
l’abbia buttato.- non sapeva come districarsi da questa
complicazione.
Dannazione, tutte a lui
capitavano.
-E cosa ne pensi? Sarai
arrivato a una specie di conclusione.- ne dedusse lei, scettica.
Lui sbuffò
appoggiandosi con la schiena allo stipite della porta. –Forse
ti amo anche io,
ma ancora non lo so per certo.-
-Forse?- lo sconcerto
con cui sviscerò quella parola la fece sembrare quasi una
bestemmia. –Io me ne vado.-
disse praticamente in lacrime, riprovando ad uscire dalla porta.
Ovviamente, l’uomo la
bloccò. La prese per le spalle e la strinse contro il suo
petto, sentendola
sussultare sotto le sue mani.
Si odiò in quel
momento. Erano di nuovo insieme da tipo 10h ed era già
riuscito a ferirla.
-Kim ascolta..- mormorò
accarezzandole la nuca. –Probabilmente è
così, anche io provo le stesse cose
per te. Ma vedi, è difficile per me.-
-Credi che per me sia
facile?- ribatté lei scostandosi abbastanza per guardarlo in
faccia.
-Non dico questo, solo
che adesso come adesso non sono in grado di risponderti in modo
assoluto.-
disse dolce, accarezzandole una guancia.
La ragazza ripensò a
quando qualche minuto prima aveva deciso che non sarebbe stato
importante che
lui ricambiasse. Lei l’avrebbe accettato e aspettato.
Bella dimostrazione
Kim, sbuffò tra sé e sé.
-Dammi solo ancora un
po’ per capirlo, ti va?- quel tono così premuroso
le fece venire voglia di
piangere ancora un po’, ma se lo vietò.
Invece annuì con la
testa, rassegnata. –Va bene. Scusa, hai ragione, non avrei
dovuto reagire
così.. sono proprio una stupida.-
-Non dire così.. anche
io ci sarei rimasto male. Hai tutte le ragioni, e ti chiedo scusa.-
c’era un risvolto
positivo o era una sua impressione?
Kimberly si staccò da
lui e si asciugò i residui di lacrime dal volto.
–Ora è meglio che vada.- disse
poi, sforzando un piccolo sorriso.
Sapeva che non sarebbe
stata una bella giornata se fossero stati insieme. Il suo umore ormai
era a
terra e non c’era niente da fare.
-Ma dai..- provò a
farle cambiare idea. –Dai abbiamo ancora tutta la giornata
davanti, non deve
per forza finire così.-
Lei scrollò le spalle.
–Devo preparare una relazione per domani e non l’ho
neppure iniziata.-
Il professore annuì e
si scostò, facendola passare e seguendola fino alla porta
d’ingresso.
-Mi chiami stasera?- le
chiese poi quando la aprì.
Kim uscì e gli rivolse
un lieve sorriso. –Certo.- poi fece per andarsene, ma si
sentì afferrare per un
polso e si ritrovò faccia a faccia con Jared.
-Ciao.- sussurrò per
poi darle un bacio lungo e intenso, un bacio che in una qualunque altra
situazione le avrebbe tolto il respiro.
*
È
buffo come un giorno
le cose sembrano andare alla perfezione e come il giorno seguente la
situazione
sembra precipitare, come se non potesse andare peggio.
E invece possono. Spesso,
complice il destino, le cose assumono una piega che non avresti mai
immaginato.
Sentì il cellulare
vibrare e un messaggio le accesse lo schermo.
-Sei
libera oggi? Ti va un giro in centro?
Chris.
Prese
un profondo
respiro e con il cuore martellante nel petto, rispose senza nemmeno
pensarci.
-Volentieri.
..potrà
mai
Tenerti
con me?
Note finali:
rieccomi qua con un nuovo mirabolante capitolo! Non ci credo di essere
finalmente riuscita a scriverlo, era tanto che sentivo di doverlo fare
ma tra una cosa e l'altra avevo sempre paura di non riuscire a
scriverlo come volevo.
Infatti non era quello che mi immaginavo, ma va bene così
poteva andare moooolto peggio, potevo essere colta dalla solita afasia
o meglio conosciuta come
"so-che-esiste-una-perfetta-parola-per-descrivere-questa-cosa-ma-al-momento-mi-sfugge"
ma non è andata così. Anzi non è stato
un capitolo troppo problematico, abbastanza scorrevole e perfino
tranquillo. Sono molto fiera :D
Bando
alle ciance, che ne pensate voi?
Lo sapete che da questo in poi mi odierete, vero? Lo sospettavate
eh?
Ma se mi seguite da un pò avreste dovuto aspettarvelo, con
me e con Petronilla non si sta tranquilli un attimo!
Fatemi sapere ce que vous en pensez! (Si dice/scrive così??
Ohiboi non ricordo più una beata mazza di francese)
-------------------
Quello che volevo sapere questa volta è: Chi di voi
è stata al concerto?? Io sono ancora tra le prime fasi della
DPC e non riesco ancora ad ascoltare delle loro canzoni senza mettermi
a frignare. La mia personalissima opinione è che abbiamo
spaccato i culi.
Se non tornano e non ne fanno di più li ammazzo,
perchè dopo tre sold out devono muoversi e farsi un bel
giretto d'Italia, di modo che tutte tutte tutte abbiate la
possibilità di assitere ad una cosa del genere.
Spintoni e teste di cazzo a parte (il mondo ne è pieno e in
certe occasioni sembrano tutti perdere qualche miliardo di neuroni)
è stata una serata meravigliosa.
Ho ancora il mal di gola ed è bellissimo :D
Ok, chiudo qui che posso risultare più antipatica del solito.
----------------------
La canzone è Quale amore, ancora degli sconosciutissimi Blastema (ma ve
l'ho mai detto che una volta mi hanno risposto su twitter???) (volevo
implodere ahaha) e mi piace tanto tanto tanto, ve la stra consiglio
perchè per chi è amante delle belle voci, si
troverà stra soddisfatto. Il cantante di questo gruppo
è bravissimo, un pò strano, ma bravissimo.
mmmmmmmmmmmmmmmmmhhhhhhhhh ok, direi che non c'è altro da
aggiungere, come al solito spero che abbiate gradito il capitolo e non
mancate dal farmi sapere che ne pensate :)
A prestissimooooo xoxoxoxox
|
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Capitolo 72 *** Capitolo 72. ***
Capitolo 72.
But
somewhere we were wrong
We
were once so strong
Per
tutto il viaggio in
autobus, diretto verso il centro della città,
provò una tremenda ansia.
Ansia di cosa? Se lo
chiese più volte e non trovava mai una risposta precisa.
Ogni volta nella sua
mente si susseguivano una serie di immagini di lei e Chris, di come
sarebbe
stato tracorrere del tempo con lui dopo così tanto tempo, di
cosa avrebbero
fatto, di con che coraggio l’avrebbe guardato negli occhi
mentre le parlava.
Non riusciva ad avere
un’idea precisa di cosa avrebbe provato e sentito, stando di
nuovo con lui.
Era passato così tanto
tempo, così tante lacrime, così tante esperienze
che le sembrava una vita fa.
In effetti, era una vita fa.
Scoprì di provare anche
una certa paura. Di cosa, ancora non riusciva a figurarselo.
Nelle orecchie nel
frattempo, le tracce casuali che stava ascoltando si susseguivano,
senza che
lei vi prestasse abbastanza attenzione da riconoscerne i brani.
Quando si rendeva conto
della confusione che sentiva nella mente, abbassava lo sguardo sullo
schermo
del telefono e, sorpresa, si accorgeva di conoscere quella canzone da
secoli,
ma era talmente sconvolta dalla piega che gli eventi avevano preso, da
non
riuscire a concentrarsi neppure sulla musica.
Per lo meno, pensò
distrattamente, tutto quello la distoglieva dalla lite con Jared.
Si pentì immediatamente
di quel pensiero, dal momento che percepì una fitta
lancinante allo stomaco.
Subito cominciò a chiedersi cosa avesse sbagliato,
perché lei fosse arrivata al
punto da sentirsi sicura di esporsi tanto e lui no.
Eppure avevano alle
spalle un’esperienza simile, un raggiro con tanto di
tradimento.. perché lei
era riuscita a superarlo e a rimettersi in gioco e lui invece era
ancora così
dannatamente attaccato a quella delusione del passato, al punto di non
avere
nemmeno il coraggio di dirle quello che provava per lei?
Con una punta di
amarezza si rese conto dell’ipocrita che era dal momento che,
se si trovava lì,
anche lei non era ancora riuscita a chiudere con il passato.
Fortunatamente a
distoglierla da quel pensiero incriminante, furono le porte
dell’autobus che si
aprirono facendole capire di essere arrivata a destinazione.
Prese un profondo
respiro e scese, camminando con decisione verso il punto
d’incontro prefissato.
Sapeva che se avesse dubitato, se avesse lasciato che i sensi di colpa
si
insinuassero in lei proprio in quel momento, avrebbe dato forfait e se
ne
sarebbe tornata a casa.
Era determinata. Quale
fosse il motivo, ancora non le era chiaro.
Si chiese come sarebbe
stato mentre, un passo dopo l’altro, raggiungeva Chris. Come
sarebbe stato
essere di nuovo con lui? Cosa le avrebbe detto? Quali sarebbero state
le
sensazioni?
Era forse per questo
che ci teneva ad essere lì? Per vedere cosa sarebbe successo?
Scrollò il capo, tirandosi
indietro i capelli spinti davanti al viso da un leggero vento. Era una
giornata
grigia ma piacevole. Non faceva troppo freddo, sebbene del sole non ci
fosse
neanche l’ombra.
Pensò a quanto fosse
strano che, sebbene non se lo fossero confermati, lei sapeva
esattamente dove
l’avrebbe trovato.
Probabilmente era
questo conoscere una persona per tanto tempo, erano questi i rischi e i
risultati. Si arrivava a prevedere e a battezzare involontariamente e
inconsapevolmente dei luoghi come “propri”. Luoghi
che sarebbero stati suoi
solo se con quella persona accanto e se mai ce ne avesse portata
un’altra, lo
sapeva, non sarebbe mai stata la stessa cosa.
Il posto in cui aveva
speso tempo e liti, carico di emozioni e di ricordi, insieme ad un
altro
sarebbe stato solo un luogo neutro e grigio.
Il loro ad esempio, era
il retro di una costruzione storica ma abbandonata da tempo, che si
trovava in
pieno centro città. Era il loro luogo d’incontro
ogni mattina, prima di andare
a scuola. Passavano circa 10 minuti ogni giorno, per iniziare con
positività la
giornata. Se Kim avesse dovuto riassumere gli eventi sotto quella
tettoia,
sarebbe arrossita.
Si sa, il comportamento
degli innamorati alla luce della loro relazione, è di pura
ossessione,
passione, pura voglia di stare insieme e quella tipica
incapacità di esprimerlo
a parole ma solo attraverso i baci.
Tanti, troppi,
un’infinità di baci, spesso unici protagonisti di
un incontro. Spesso si
salutavano e per minuti interi regnava solo il silenzio. Spesso non si
salutavano
nemmeno, convenne rossa in volto la ragazza.
Scrollò per l’ennesima
volta il capo, e svoltò l’angolo. Il cuore le si
fermò quando, sollevando lo
sguardo su per i gradini, ecco Christopher nell’identica
posizione in cui era
abituata a trovarlo, ogni santa mattina di mesi e mesi fa.
Pensò a tutte quelle
volte, in seguito alla loro rottura, passando per questo posto per
andare verso
scuola, avesse rivolto uno sguardo speranzoso, aspettandosi di trovarlo
lì,
come ora, ad attenderla per chiederle scusa e farsi perdonare con
un’intensa
dichiarazione d’amore.
Si era immaginata di
fare la sostenuta per un po’, lamentarsi in modo teatrale e
infine dirgli che
per questa volta l’avrebbe perdonato.
Lui non si era mai
presentato, però.
Quante volte l’aveva
fatto? E quante volte si era rivoltata con il cuore vuoto e gli occhi
pieni di
lacrime?
Sospirò, scacciando
l’ennesimo ricordo amaro. Ora era lì, il ragazzo
dei suoi sogni, il ragazzo che
tanto aveva amato e che tanto le aveva strappato.
Chris si accorse di lei
e le sorrise, con quel fare arrogante e misterioso che le era sempre
piaciuto.
Dopo l’ennesimo
sospiro, Kimberly salì i pochi gradini che li separavano per
raggiungerlo.
Il ragazzo si staccò
dal muro e le andò incontro, con le mani nella tasche dei
jeans sdruciti.
–Ciao.- la salutò, con una voce che
suonò tremendamente familiare a Kim e in
quel momento si rese conto del colmo di tutta quella situazione.
Si era tanto
preoccupata di come sarebbe stato trovarsi con lui di nuovo, e
stupidamente
capì solo adesso di quanto fosse stata una domanda da
ignorante: si sentiva
esattamente come si era sempre sentita accanto a lui.
Lui era lo stesso, i
suoi occhi la guardavano nello stesso modo che tempo prima
l’avrebbe fatta
volare, la sua voce era sempre della stessa tonalità
leggermente rauca e i suoi
modi nei confronti di lei erano sempre sicuri e gentili come
l’ultima volta.
Sorrise, finalmente col
cuore rilassato. –Ciao Chris.-
*
-Allora,
che progetti
hai per l’anno prossimo?- gli chiese Kim, sorridendo
distrattamente al
cameriere che aveva portato loro le ordinazioni.
Lei aveva preso un
caffè, lui una crepe alla nutella. Quel ragazzo aveva sempre
fame, e a Kimberly
scappò un sorriso, notando che neppure questo era cambiato
in lui.
Lui sospirò per poi
guardarla negli occhi. Alla ragazza non erano mai piaciuti
particolarmente gli
occhi di Chris, erano un verde misto a marrone difficilmente
definibile, un
colore insapore. E poi erano decisamente troppo grandi.
Ma si sa, quando ami
una persona, tutto di lei tende a brillare come un diamante. Fu
contenta però
di non pensare che fossero belli.
Un po’ di quella magia
era sparita.
-Me ne vado, Kim. Mi
hanno accettato al college a Montreal e non posso esserne
più felice.- spiegò
rifilandole un occhiolino malizioso. –Ho sempre trovato
l’accento francese
estremamente eccitante.-
Kimberly scoppiò a
ridere, portandosi una mano davanti alla bocca per non far attirare
troppo
l’attenzione su di loro, sebbene il locale fosse colmo e di
certo non sarebbero
stati a guardare proprio loro.
Era domenica
pomeriggio, e come tutte le domeniche primaverili che ci fosse o meno
il sole,
la città si riempiva. Sembrava sempre una festa in centro,
per un motivo o per
l’altro c’erano giostre, fiere, mercatini o parate.
-Non sto scherzando!-
insisté il ragazzo, sgranando più del dovuto
quegli occhi enormi. Ma quanto
erano grandi?
Kim alzò i palmi, per
dargli corda. –Non lo dubito Chris, lo so perfettamente.
Anche se, non credo ci
siano ragazze non in grado di farlo.- constatò con
sarcasmo.
Christopher sollevò un
sopracciglio. –Mi stai dando del tipico “basta che
respiri”?-
La ragazza si morse le
labbra, cercando di restare seria. Sollevò le spalle,
fingendo un’espressione
innocente. –Lo stai dicendo tu.-
Lui sorrise appena,
facendo il finto offeso e strappò un morso del dolce.
–E tu?- chiese poi con la
bocca piena. –Quali sono i tuoi progetti?-
“Jared” fu tutto quello
che la mente di Kim partorì. “Restare con
Jared”.
Si rese conto di non
poter dire una cosa del genere per diversi motivi tra cui lo sguardo
scettico
che questa affermazione avrebbe portato il ragazzo a rivolgerle, le
mille
domande, il come avrebbe potuto difendersi lei, i rimproveri che
avrebbe
ricevuto come “non ti facevo una ragazza così
remissiva” “pensavo avessi dei
sogni” a cui lei avrebbe potuto giustificarsi solo con
“E’ lui il mio sogno. Io
lo amo”.
Già, il problema
fondamentale era che Jared invece non amava lei.
Tutta la depressione
che quel pensiero comportava, le si scaraventò addosso,
portandola ad
abbandonarsi contro lo schienale della sedia con uno sconsolato
–Non ne ho
idea.-
Lui parve leggere
qualcosa nella sua espressione, infatti si allungò sul
tavolo e le prese una
mano. –Ehi, tutto bene?-
Lei annuì cercando di
auto convincersi. –E’ solo che sta succedendo tutto
così in fretta. Fino a ieri
eravamo bambini e potevamo permetterci di sognare più in
grande possibile.. ma
adesso? Tutti i pensieri e le azioni che compiamo hanno un loro peso e
dobbiamo
sorbirci le conseguenze.
Nella vita reale è così
facile fallire.- sospirò tristemente.
-Lo so bene, Kim. Ma
questo non significa che devi arrenderti dal principio. La paura di
fallire non
può fermarti da subito, dove sarebbe il divertimento? Se non
ti metti in gioco,
dove sarebbe il bello della vita?-
La ragazza sollevò gli
occhi in quelli di lui. Si ricordò solo in quel momento di
quanto Chris fosse
una persona positiva. Una delle tipiche persone che cadendo si rialzano
senza
un singolo lamento, che vedono sempre il bicchiere mezzo pieno, che
combattevano per la propria felicità a discapito degli altri.
Una di quelle persone
che le persone come Kim necessitavano.
Lei aveva bisogno di
quella positività, un aspetto che in Jared spesso veniva a
mancare.
-Non lo so, Chris. Ho
così tanta pressione addosso ultimamente che mi si potrebbe
accende come un
fiammifero solo parlandomi.- la sua storia con Jared, i problemi con
Joseph e
Gwen, la preside, i professori che richiedevano concentrazione massima
e studio
continuo agli alunni dal momento che mancava
davvero poco agli esami finali ed
infine, gli esami imminenti che premevano su di lei come un macigno.
Per non
parlare appunto della scelta dopo gli esami. Come faceva a sapere cosa
voleva
fare?
Negli occhi del ragazzo
lesse comprensione totale. Lui la capiva, del resto erano nella stessa
situazione,
ma in un certo modo sembrava comprendere come per lei fosse un
po’ più
difficile.
Lui era sempre stato
così risoluto e deciso! Per lui era tutta una scommessa, e
sembrava non temere
di perdere anche se in ballo ci fosse la sua vita.
-Ce la farai, Kimberly.
Io lo so che tu ce la puoi fare. Posso capire la tua confusione, ma ti
assicuro
che un giorno la risposta ti si presenterà chiara, e ti
chiederai come hai
fatto ad ignorarla per tutto quel tempo.- era di una sicurezza
disarmante.
-Qual è stata la tua
risposta?-
-Mi interessano i soldi
e le ragazze. Se vado a studiare economia posso ottenerle entrambe.-
disse con
un’ingenuità che la fece scoppiare
nell’ennesima risata.
-Come se fosse così
semplice!- ribatté scettica ma divertita.
Lui scrollò le spalle.
–La vita è semplice, siamo noi che la complichiamo
con problemi inutili. Quando
ti libererai da tutti gli inghippi superficiali che ti stanno
affliggendo ora e
li riconoscerai come tali, capirai le tue passioni e i tuoi obiettivi.-
-Continuo a non capire
la connessione tra economia-soldi-ragazze.- continuò Kim,
prendendo un sorso di
caffè bollente.
-Studiando economia si
impara tutto ciò che sta attorno ai soldi, quindi
imparerò a farli e la
ricchezza chiama ragazze, quindi in definitiva.. diventerò
un uomo molto
felice.- concluse ammiccando per l’ennesima volta.
Kimberly corrugò la
fronte. –Lo sai che non è così facile,
vero?-
Chris le rivolse
un’occhiata indifferente. –Cercherò di
renderlo tale. In ogni caso io ho un
obiettivo.-
Ed era vero, cosa che
Kim non aveva assolutamente.
O meglio.. uno l’aveva
ma più passava più si rendeva conto di quanto
fosse una meta irrealistica dal
momento che la meta stessa non la voleva.
-E dimmi, Barbara?
C’è
ancora?- gli chiese, per cambiare un po’ discorso da un
argomento così
stressante come il futuro.
Christopher prese una
sorsata dalla bibita gassata che aveva ordinato. Dal modo in cui lo
fece sembrava
deluso che non fosse alcolica.
-No. Andata.-
-Oh.- mormorò
imbarazzata Kim. –Mi dispiace.-
-Non devi.- le fece
Chris con un gesto della mano che le facesse capire che non gli
interessasse
poi molto. –E’ giusto così, siamo
arrivati al capolinea. Non avevamo
sufficienti motivi per continuare.-
La positività di quel
ragazzo si faceva viva anche in un argomento del genere. Era
affascinante e in
un certo senso nauseante come atteggiamento, sembrava che nulla lo
ferisse ma
che al contempo non ci fosse nulla che riuscisse a prendere sul serio.
Anche la sua sofferenza
l’aveva presa così poco seriamente? E tutte le
lacrime che aveva versato, o la
sua voce disperata quando l’aveva chiamato tutte le volte che
la sua
sopportazione arrivava al limite di rottura?
-E tu? Col tuo com’è
che si chiamava.. Jeremy?-
Era evidente che lui
sapesse perfettamente come si chiamasse la fiamma di Kim, ma non
volesse
pronunciare quel nome per qualche motivo. Che gli desse fastidio?
-Jared.- lo corresse la
ragazza, sentendosi ancora peggio. Era come se dire il nome del
professore ad
alta voce le riversasse addosso tutto il carico emotivo che
l’ultima esperienza
aveva prodotto.
Si sentiva talmente
inadeguata con se stessa che temeva non sarebbe più riuscita
a guardarlo in
faccia.
-Va tutto bene.- disse
con un tono poco credibile.
Chris le rifilò uno
sguardo dispiaciuto. –Ehi Kim, ho detto qualcosa di
sbagliato? Non volevo
sollevare argomenti scomodi.-
Lei scrollò la testa.
–No, niente di scomodo solo che.. preferisco non parlarne.-
sorrise debolmente,
senza guardarlo.
-Ti sta rendendo
infelice? Sai che se lo incontro per strada lo picchio, vero?-
La ragazza trattenne
una risata. –Non sai neanche com’è
fatto!-
-A questo non devi
preoccuparti.- fece lui sicuro. –In un modo o
nell’altro lo trovo e lo faccio
pentire.-
Questa volta la risata
non la trattenne Kim e lo guardò con una calma in corpo che
non sentiva da un
po’. –Smettila di fare il cretino.- lo
ammonì.
Christopher si sollevò
e si infilò la giacca.
-Te ne vai?- gli chiese
la ragazza, confusa da quell’iniziativa improvvisa.
-Certo, e tu vieni con
me.- disse risoluto.
-E dove?-
-C’è un solo posto che
cura tutte le ferite del cuore.- mormorò il ragazzo,
chinandosi su di lei.
Kimberly assottigliò
gli occhi, cercando di cogliere quali fossero le sue intenzioni celate.
Non
colse niente, non sembrava nascondere niente di losco. Era solo Chris,
e stava
solo facendo se stesso.
Le porse la mano.
–Allora, andiamo?-
Lei osservò quella mano
ossuta ma grande con tutti contorni delle unghie torturati e
screpolati. Chris
era una persona apparentemente molto sicura ma
Kimberly sapeva che aveva anche
lui le sue difficoltà. Infatti tutto il nervosismo lo
accumulava e lo scaricava
sulle dita, rompendosi le unghie e strappandosi la pelle coi denti.
Quel
piccolo difetto rassicurò Kim, facendole sentire il calore
familiare di quel
ragazzo.
Afferrò la sua mano e,
con la giacchetta nell’altra, lo seguì fuori dal
bar.
*
-Non posso credere che
tu mi abbia portata qui!- esclamò Kim contrariata, mentre
lui testardo, la
trainava all’interno del palazzetto dello sport.
-Su, non fare la
scorbutica! Vedrai che ti divertirai!- insisté Chris con un
sorriso convinto.
-No! L’ultima volta che
ho pattinato sono caduta così tante volte che non ho
camminato per una
settimana, tanto mi faceva male il sedere!- ribatté
spingendo nel senso
opposto.
-Fidati di me, Kim. Ti
tengo io.- le disse improvvisamente serio l’altro,
guardandola con un’intensità
disarmante.
Kimberly deglutì,
decidendo improvvisamente di cedere e di assecondarlo. Cosa poteva
succedere di
male?
Finalmente entrarono
accompagnati dal sorriso soddisfatto di lui, il quale pagò
l’entrata per
entrambi e andarono a cambiarsi le scarpe.
Chris si assicurò più
volte che lei si trovasse comoda e a suo agio con i pattini che aveva
addosso e
poi le diede tutto il tempo di cui aveva bisogno per sentirsi pronta.
Quando raccolse
coraggio a sufficienza si aggrappò a lui, il quale la
reggeva saldamente e
insieme andarono verso l’entrata della pista.
La ragazza si attaccò
alla ringhiera guardando tutti i presenti che pattinavano sereni e
allegri.
Sembrava così facile per loro! Si chiese più
volte per quale motivo fosse così
disabile in qualsiasi forma di sport e specialmente perché
fosse così tanto
negata nel pattinaggio.
Sembrava come fluttuare
da come lo facevano gli altri.
-Qual è il problema?-
la voce di Chris la riportò alla realtà.
Lei si guardò le mani e
le nascose. –Ho paura di perdere le dita.- disse,
vergognosamente.
-Cosa?- esclamò il
ragazzo, confuso.
-Hai capito.- Kim si
voltò verso di lui, guardandolo sconfortata. –Mia
nonna mi ha sempre detto di
stare attenta qualora fossi andata a pattinare perché se
cadi e qualcuno ti
viene addosso, i pattini possono tranciarti le dita.-
La risata che sfuggì a
Chris la fece sentire più idiota del dovuto.
–Davvero ti ha detto una cosa del
genere?-
-E’ vero Chris!-
-Basta fare
attenzione!- ribattè lui. –Ti terrò io
le mani, ok? Anche quando cadrai, le
mani te le terrò bene in alto io.- tentò di
confortarla, ma non servì a molto.
Vedendo che
l’espressione spaventata non voleva andarsene dal suo volto,
si allontanò un
attimo dicendole di aspettarlo e che sarebbe tornato subito.
Dopo qualche minuto
Kimberly lo vide tornare con un paio di guanti da sci, belli spessi.
–Credi di
convincermi con questi pezzi di tessuto?-
Se quelle lame potevano
tagliare le ossa, come avrebbero fatto i guanti a proteggerla?
-Meglio di niente, no?-
la sua positività non si diede per vita e con risoluzione,
le infilò i guanti.
–Fidati di me, ok?-
Era impossibile dire di
no. Non con quegli occhi giganti che la puntavano colmi di speranza.
Non
sarebbe mai e poi mai riuscita a opporre ancora più
resistenza e alla fine, con
un cenno del capo, gli prese la mano e lo seguì in pista.
Pattinare era peggio di
quanto ricordasse. Non riusciva a reggersi in piedi senza che le gambe
si
separassero per conto proprio, andando una da una parte e
l’altra dall’altra.
L’unica ancora di salvezza era Christopher, il quale con una
pazienza
innegabile, continuava ad aiutarla e a spiegarle come doveva
comportarsi.
-Kimberly, non mi stai
ascoltando.- le disse divertito, dopo qualche tentativo.
–Aggrappati alle mie
spalle e mettiti con i piedi paralleli.- sembrava semplice da come lo
diceva
lui, e
sorprendentemente con un po’ di
volontà, riuscì ad eseguire.
-Ooooolàà.- esclamò il
ragazzo, cingendole la vita e girandole attorno. –Adesso
piattiniamo.-
-Vuoi dire, tu pattini
e io mi faccio trainare, giusto?- lo corresse Kim.
-Nono, ora noi
pattiniamo.- ribadì senza perdere quella facciata sicura lui.
-Noi cosa?- era stata
una faticaccia stare ferma, cosa gli faceva pensare che la sua
coordinazione le
permettesse di muovere i piedi senza che si uccidesse da sola?
-Ora ti mostro. Tu devi
stare tranquilla, e in ogni caso resta sporta in avanti. Se cadi di
schiena
rischi di farti male, in avanti per lo meno puoi proteggerti. I
guanti come
vanno?-
Kimberly glieli mostrò
con un sorriso fiero. Le tenevano caldo, per lo meno.
Christopher ricambiò,
posizionandosi dietro di lei, senza staccarle le mani dai fianchi.
–Ok, ora una
piede alla volta, devi farlo scivolare in avanti e verso
l’esterno.-
Eseguire fu più
difficile del previsto. Si sentiva troppo impedita, ed era di una
scoordinazione imbarazzante.
-Visto che non ci
riesco!- si lagnò la ragazza, presa dallo sconforto.
-Per forza, sei rigida
come un palo! Devi rilassarti e rendere il tutto più.. non
so, fluido.- Chris
trovò difficile spiegare a parole una cosa che a lui veniva
così naturale. Non
doveva rifletterci tanto, doveva semplicemente farlo.
-E se cado?-
-Non cadi.- le disse
sicuro. –O in caso, cadiamo insieme e ci facciamo una risata.-
Kim respirò a fondo,
cercando di fare come le aveva detto lui rendendosi improvvisamente
conto che
non le sarebbe importato niente di cadere, si fidava ciecamente di
quelle mani
e se lui diceva che non l’avrebbe fatta cadere, ci credeva.
Cominciò a muovere i
primi passi, con una calma che divenne sempre più sicura e
stabile. Cercò di
concentrarsi il più possibile, un pattino dopo
l’altro, Chris accanto a lei e
le sue mani stabili sul suo corpo.
Le sembrò
improvvisamente di essere diventata capace. Le sembrò
improvvisamente di non essere
più così disabile, ma anche lei in grado di
fluttuare come tutti gli altri.
-Chris..- mormorò con
un velo di entusiasmo. –Sto pattinando! Non ci posso credere,
ce la faccio!-
-Sei bravissima.- la
assicurò lui, cominciando a lasciarla andare per poi
prenderle una mano e
cominciare a volteggiare insieme.
-E tu quando hai
imparato?- le chiese contrariata, notanto che lui fosse anche capace di
pattinare al contrario.
Christopher fece
spallucce. –Con i pattini a rotelle. Questi non sono molto
diversi.-
-Ok, però tu non
lasciarmi.- ribadì Kim, notando che si facesse sempre
più distante.
Le mostrò un sorriso
sicuro, un sorriso che le ricordò tutte le volte in cui
gliene aveva mostrato
uno simile. Un sorriso che voleva dire mille cose, ma che taceva sempre.
Il suo tipico sorriso,
che per un solo attimo le fece perdere la concentrazione..
posizionò il pattino
sinistro male e nel giro di qualche secondo erano entrambi a terra.
-Kim!- esclamò lui.
–Stai bene?-
Notò che la ragazza
aveva chiuso le mani a pugno e se le era strette al petto.
–Ho ancora le dita?-
chiese lei, senza aprire gli occhi come se temesse di trovarsi
ricoperta di
sangue.
Christopher provò un
impulso di puro affetto, era un’emozione che non provava da
diverso tempo e per
un attimo gli sembrò come di essersi risvegliato. Le luci
soffuse colorate
creavano un’atmosfera magica, e lei era così bella
e adorabile che fu più forte
di lui prenderle il viso poco distante dal suo, e baciarla.
Sentì una scarica di
adrenalina manifestarsi in tutto il corpo, rendendosi conto che era una
cosa
che aveva voluto fare dal primo momento in cui i loro occhi si erano
incrociati
quel giorno, se non da prima.
Kimberly dal canto suo
non poté fare altro che restare immobile e ricambiare.
Voleva ricambiarlo,
voleva che lui la baciasse, ed era bello esattamente come lo era nei
suoi
ricordi.
L’aveva desiderato per
così tanto tempo, aveva bramato un suo ritorno,
l’aveva sognato per notti
intere e l’aveva rimpianto per mesi.
A malincuore, Chris si
separò da lei prima del previsto, lasciandola di stucco.
-Kim, scusami.. non so
cosa mi sia preso.- disse mesto, ma non fece a tempo a terminare la
frase che
si trovò la ragazza addosso, con le mani a cingergli il viso
e a continuare
quello scambio di baci.
Kim si sentiva in un
certo senso meglio e per un verso era come e sapesse fin dal principio
che
sarebbe successo. A dir la verità era proprio per questo che
aveva accettato l’invito,
lei lo desiderava e dopo essere stata mortificata da Jared, sentiva che
sarebbe
stato l’unico modo per farla smettere di pensare.
Era davvero diventata
una persona del genere?
Un moto di nausea le
attanagliò lo stomaco, portandola a posare un palmo sul
busto di Chris, nel
tentativo di staccarselo dal volto, il quale nel frattempo sembrava
estremamente contento di quella sorta di consenso e le stava baciando
ogni centimetro
della bocca e del viso.
-Chris!!- esclamò
infine lei, vedendo che non sembrava voler mollare.
-Cosa c’è?- domandò lui
di rimando, tenendola per le spalle. –Ti ho fatto male?-
Kimberly si tolse un
guanto e si asciugò il volto, rendendosi conto solo in quel
momento di star
piangendo. Scosse il capo e deglutì a fatica. –No,
devo andare.- mormorò, nel
tentativo di sollevarsi.
Quei dannati pattini le
resero il tutto più difficile, ma fortunatamente si
trovavano poco distanti
dall’uscita.
-Ma Kim, aspetta..
io..-
La ragazza lo zittì con
un gesto rapido. –Non dire niente, ti prego.- qualsiasi cosa
fosse uscita da
quella bocca, l’avrebbe distrutta ancora di più.
Si sentiva malissimo,
un connubio tra nausea e disgusto le attanagliavano lo stomaco e tutto
quello
che desiderava fare in quel momento era catapultarsi di Jared, e
chiedergli
scusa.
-Kim!- insisté il poveretto,
non capendo cosa le fosse preso. Era lei che aveva ricambiato e
prolungato il
bacio, e ora si comportava come se gli avesse fatto schifo.
-Chris, lasciami
andare! Non sarei dovuta venire, ti prego.. lasciami andare.- disse a
voce
decisamente più alta, una volta aggrappatasi al corrimano.
Questa volta il ragazzo
smise di seguirla e le tolse le mani di dosso, osservandola mentre, con
foga
usciva dalla pista e goffamente si rimetteva le scarpe.
Quando finalmente fu
fuori di lì, Kimberly era decisa a correre da Jared ma
qualcosa la bloccò.
Lui non l’avrebbe mai
perdonata, ne era certa. Non l’avrebbe perdonata neppure se
avesse cercato di
spiegargli le sue motivazioni, perché in realtà
non c’erano motivazioni, niente
avrebbe potuto giustificare le sue azioni.
Si avviò verso casa,
con le lacrime che non smettevano di rigarle il volto e i sensi di
colpa che le
attanagliavano la testa.
Cosa doveva fare?
Our
love is like a song
You
can’t forget it.
Note
finali: Boo! Esatto rieccomi per l'ennesima volta in un
ritardo tremendo.
Tra l'altro, ironia della sorte, questo schifo di capitolo mi
è uscito più lungo del previsto, quindi la
tortura per voi è tipo triplicata. Vi chiedo scusa davvero,
per i tempi di attesa e per il capitolo davvero scritto male. Ne ho
scritti abbastanza per sapere quando faccio schifo e questa volta credo
di essermi battuta.
Il lato positivo però è che sono tornata no? Non
voglio giustificarmi, ma ho avuto tante cose da fare e inoltre la mia
vena scrittrice è presa da un'altra storiella e quindi per
un periodo ho speso tutte le energie in quell'altra. Quella famosa,
ricordate? Quella difficile di cui vi ho accennato tempo addietro, che
si sta rivelando sinceramente un'impresa titanica MA questo non mi deve
distogliere da questa che ha la precedenza. Devo mettermelo in testa,
questa ha la precedenza.
Non manca molto, purtroppo o per fortuna.
E' stata una faticaccia scriverlo! Alla fine è uscito molto
elementare, ma credetemi per mesi non sapevo che cosa inventarmi!
Anyway, credo fosse un pò prevedibile o per lo meno credo
proprio che tutte vi foste fatte un'idea del genere! Chi di voi
può immaginare cosa succederà?
Proverò a postarne uno a settimana come ai bei tempi,
cercate di perdonarmi e portare pazienza per favore.
Nel frattempo vi prego di farmi sapere qualcosa, anche se magari vi
siete rotte, sta diventando troppo paturniosa e prevedibile e magari
non so, l'accantono.
Ragazze, non so scrivere oggi, non ho proprio il cervello connesso. Che
palle quando è così. Avete capito il succo del
discorso.
La
canzone è un vecchio tributo a Demi Lovato (beati quindici
anni) con Don't forget.
Ma da qualche parte
abbiamo sbagliato
una volta eravamo
così forti
il nostro amore
è come una canzone
non puoi dimenticarla.
Ok, mi dileguo. Chiedo umilmente perdono per l'ennesima volta e spero
di sentire qualche parere.
Love y'all
|
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Capitolo 73 *** Capitolo 73. ***
Capitolo 73.
Sì
che la fine arrivò
Leggera
e distratta come una stagione
Drogata
di nuvole
Ed
ora mi accorgo che niente è quello che è
-Ehi Kim, sono Jared. Ho
provato a chiamarti ma pare che il tuo telefono sia spento. Immagino tu
sia
stanca per la lunga giornata di studio.
Ci vediamo domani,
sogni d’oro.-
-Ciao, sono
Jared. So
che mi hai scritto un messaggio e non voglio assillarti, ma vorrei
sentire la
tua voce. Non ti senti ancora bene? Fammi sapere, prima che cominci a
preoccuparmi.
Spero di vederti
domani, anche solo di sfuggita. E.. niente. Richiamami.-
-Kim,
sono sempre io.
Va tutto bene? Mi sembra di non vederti da un secolo anche se sono
passate a
dir tanto 48h. Ti va di passare da
me
stasera? Mi manchi.-
-Come
è possibile che
non riesca mai a rintracciarti? Mi dispiace che tu stia ancora un
po’ male,
riposa pure e spero di vederti domani a scuola.
Buonanotte ragazzina.-
-Ehm Kim.. sono io,
Jared, di nuovo. Oggi non ti ho quasi vista e una volta finita la
scuola sei scappata.
Ho anche visto che hai cancellato il “corso di
recupero” che avevamo fissato
per domani pomeriggio.
Direi che c’è qualcosa
che non va. Possiamo parlare di questa situazione, per favore? Avrei un
paio di
cose da dirti, se solo mi dessi la possibilità.
Richiamami.-
Con
un sbuffo
disperato, Kimberly buttò il telefono davanti a
sé, sul letto.
Si strinse le ginocchia
al petto e riprese a piangere. Erano giorni che non faceva altro e si
malediva
in continuazione.
Come poteva essere
stata così stupida? Aveva rovinato tutto, e
l’aveva fatto consapevolmente, che
è peggio rispetto a farlo per sbaglio.
Ascoltare la voce quasi
disperata di Jared che la implorava di farsi viva e di richiamarlo, la
uccideva
e la faceva sentire malissimo.
Ma con che coraggio l’avrebbe
affrontato? Con quale forza l’avrebbe guardato negli occhi
nel dirgli tutte le
bugie che gli aveva raccontato fino a quel momento? Con che faccia gli
avrebbe
giustificato l’avvenimento come “uno stupido
errore”?
Non era stato un’errore,
lei se l’era cercata. E si sentiva uno schifo per questo.
Doveva dirglielo ma non
sapeva come fare. Così non poteva continuare a lungo, nella
voce dell’uomo
aveva percepito la sua testardaggine tipica di Jared, la quale le aveva
fatto
intendere che non sarebbe passato molto tempo prima che se lo
ritrovasse fuori
casa.
E poi non avrebbe
potuto continuare a vivere con se stessa, trascinandosi appresso un
peso del
genere.
Distrattamente si chiese
come facessero le persone sposate a condurre una doppia vita con un
amante. Bisognava
decisamente essere arrivati al capolinea per sopportare la propria
immagine
allo specchio, dopo quello che si stava facendo al compagno.
Chiuse gli occhi con un
moto di disperazione in corpo, quando udì il cellulare
emettere una breve
vibrazione.
Allungò una mano e
osservò lo schermo che, nell’oscurità
della sua stanza, le illuminava il viso
come un raggio di sole.
“Kimberly,
per favore rispondimi. Mi dispiace per quello che è successo
l’altro giorno, e
capisco che tu ne sia sconvolta, ma ho bisogno di parlarti.”
Questa volta era
Christopher, il quale, chiaramente, la stava assillando da giorni
proprio come
il professore.
La differenza in questo
caso era che lei non voleva assolutamente vederlo. Il solo pensiero del
suo
viso la induceva al vomito.
Era la personificazione
della sua colpa e finchè non fosse stata capace di
perdonarsi, non sarebbe più
riuscita a tollerare la sua presenza.
Inoltre da quello che
il ragazzo continuava a scriverle, pareva che in seguito a quel bacio,
in lui
si fossero risvegliati i sentimenti romantici nei suoi confronti. Della
serie “non
poteva andare peggio”.
Abbandonò il telefono
di ogni attenzione e si accasciò lateralmente, trovando un
piccolo conforto nel
morbido cuscino.
Non sarebbe uscita viva
da questa situazione, ne era certa.
*
La
campanella che
indicava la fine della lezione di musica, la risvegliò dai
suoi loschi pensieri
suicidi.
Jared sembrava così
contento di vederla fisicamente presente, che era stato quasi incapace
di
staccarle gli occhi di dosso per tutta la lezione, come se una volta
terminato
il contatto, lei potesse scomparire.
L’aveva sperato
sinceramente, Kim avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di smettere di
esistere.
-Kimberly, vieni in
bagno?- trillò la voce di Gwen al suo fianco.
L’amica sapeva già tutto,
aveva intuito già da prima che qualcosa gravasse sulle
spalle di Kim, ma aveva
atteso che questo peso la schiacciasse e fosse lei stessa a
rivelarglielo. L’aveva
chiamata il giorno prima quando, nel pieno dei sensi di colpa, aveva
bisogno di
un parere esterno.
L’aveva definita una “tragedia”,
e ogni volta che ci ripensava, Kim constatava che non avrebbe potuto
trovare
termine migliore.
Ovviamente Gwen non
aveva potuto consigliarle niente di cui Kimberly non fosse a conoscenza
da
sola.
Certo, essendo comunque
un’amica, non era stata cattiva e aveva sempre cercato di
dissuaderla dalle
proposte di morte che le poneva Kim. Anzi, le aveva ripetuto
più volte che un
bacio non era mica la fine del mondo, ma vedendo come la ragazza
l’aveva presa
così personalmente, aveva intuito che il senso di colpa
l’avrebbe uccisa, se
non se ne fosse liberata.
-Cosa sarebbe peggio-
le aveva domandato. –Odiarti con la persona che ami o farti
odiare dalla
persona che ami?-
Era stato un
indovinello abbastanza tosto per Kim, ma la risposta le era arrivata
quasi
immediatamente.
In quel momento Gwen le
stava mostrando uno sguardo dispiaciuto come se la disperazione che
l’attanagliava
dall’interno le si riversasse sul volto e lei fosse in grado
di leggerglielo
chiaramente.
Kimberly si alzò e fece
per seguire l’amica più in fretta che
poté, ma una voce la fermò prima che
potesse sperare di essere salva.
Il professore, alle sue
spalle, le aveva chiesto cortesemente di fermarsi un secondo, per
discutere di
quali fossero i motivi che le impedissero di fermarsi il pomeriggio.
Gwen le rivolse un’occhiata
incoraggiante, per poi uscire dall’aula ormai sgombra.
Col cuore che batteva
alla velocità della luce, Kim si voltò verso il
professore rendendosi conto solo
in quel momento di quanto fosse difficile anche solo guardarlo in
faccia.
-Allora.. come stai?-
le chiese con un accenno di sorriso, rimanendo appoggiato alla
cattedra. C’era
un imbarazzo bizzarro nell’aria, distrattamente lui
pensò che non si parlavano
così a stento neanche all’inizio
dell’anno quando tra loro non scorreva buon
sangue.
Lei si strinse nelle
spalle. –Un po’ meglio. Sarà stata colpa
dell’allergia.- si giustificò,
credendoci appena lei stessa. Non era mai stata allergica a niente in
tutta la
sua esistenza, ma grazie al cielo Jared non la conosceva da abbastanza
tempo
per saperlo.
L’uomo finalmente fece
un passo avanti, quasi trattenendo il respiro. Si sentiva avvolto
nell’incertezza
ed era insicuro di qualsiasi gesto compiesse.
Peggio che ai primi
appuntamenti.
La ragazza si allarmò
immediatamente. Cosa doveva fare? Era pronta per affrontare la
realtà o doveva
fingere? Come si fa finta di essere innocenti?
Sentiva che se gli avesse
permesso di toccarla, sarebbe stata la fine. Si sarebbe aperta come una
pesca
davanti a lui e gli avrebbe sviscerato tutte le sue colpe, ma non era
ancora il
momento.
-Devo andare.- disse
frettolosa, indietreggiando verso la porta.
-Kim, per favore,
aspetta.- c’era qualcosa in quella voce meravigliosa che la
indusse a fermarsi
sebbene si trovasse in una situazione di
“pericolo”. Ritenne che fosse quella
nota di imploro a convincerla. Non capiva come una persona cattiva come
lei,
potesse portare uno come lui ad implorarla di restare.
Lo guardò appena mentre
le chiedeva. -Cosa c’è che non va?-
“Io”. Urlò una voce
dentro di lei. “C’è che sono una persona
terribile e ti ho tradito” che sopperì
con un falsissimo –Niente.- portando il professore a sbuffare
e scuotere il
capo.
-Ok, se non c’è niente
allora perché mi stai evitando?-
-Non ti sto affatto
evitando!- esclamò l’alunna, con un tono fin
troppo veritiero per star
mentendo.
-Ah no? Le chiamate, la
scuola, oggi pomeriggio.. non riesci neanche a guardarmi in faccia!-
ribatté
Jared, dando un mezzo pugno alla cattedra.
Kimberly, per quanto le
costasse fatica, si impose di guardarlo fisso. Forse le
riuscì un po’ più
semplice per il fatto che lui ora non la guardasse più.
-So che l’altro giorno
ti ho ferita..- le disse con tono sconsolato. –Permettimi
solo di rimediare. Dammi
occasione di parlarne meglio insieme, non ti chiedo altro.-
Kim pensò di star
sognando; quello cui stava assistendo era sinceramente incredibile. Il
senso di
colpa di Jared lo stava seriamente accecando, al punto da non fargli
minimamente dubitare di lei, ma di prendersi tutta la
responsabilità per le
azioni della ragazza.
Quanto poco lo amava in
realtà rispetto a quanto la amava lui, se ne rese conto solo
in quel momento.
-Va bene.- mormorò lei
con le lacrime agli occhi.
-Oggi pomeriggio?-
propose il professore, con gli occhi nuovamente luccicanti di speranza.
Kimberly annuì, e si
sorprese nel realizzare che quelli fossero gli ultimi attimi in cui lui
l’avrebbe
guardata con quel calore. Era strano essere consapevole di quanto
manchi prima
che le cose finiscano, prima ancora che succeda.
Erano gli ultimi attimi
in cui sarebbero stati insieme. Dopo il pomeriggio, lui non
l’avrebbe più
voluta.
Ci volle tutta la forza
di volontà che aveva in corpo, ad indurla ad avanzare verso
l’uomo. Sporse una
mano e gli accarezzò il volto.
La guancia era ruvida a
causa della barba ispida che ormai da qualche giorno cresceva
indisturbata; la
pelle del viso era calda; i scuri capelli stavano crescendo, andando
quasi a
nasconderle la vista degli occhi, azzurri e limpidi come il cielo nelle
cartoline.
Quello spesso era finto
e modificato al computer, i suoi occhi invece erano veri e profondi. Se
avesse
potuto esprimere un ultimo desiderio, sarebbe stato quello di annegarci
dentro.
Jared le rivolse un
sorriso di cuore, e le afferrò la mano per portarla alle
labbra. Dopo averle
lasciato un bacio lieve, lasciò anche lei sola
nell’aula dicendole di vedersi
alle 2 puntuali nello stesso posto.
*
Mentre
lo attendeva,
pensò alla prima volta in cui si era trovata in quella
situazione, a guardare
fuori dalla finestra, lo stomaco in subbuglio e il morale a terra in
attesa che
il professore di musica facesse capolino dalla porta per trascorrere
con lei un
intero pomeriggio di noia.
Quanto avrebbe voluto
tornare indietro.
La pesantezza di un’altra
presenza nella stanza si fece spazio in lei, portandola a voltarsi di
scatto.
Jared dalla porta, la
stava fissando in quel modo enigmatico e compiaciuto di tanto tempo
prima.
Era così bello, fin
dalla prima volta che l’aveva visto aveva pensato che fosse
l’uomo più bello
che avesse mai visto.
Inoltre conoscendolo,
aveva appurato anche di quanto fosse buono, come se quella bellezza
interiore
fosse troppa e si fosse riversata anche sul suo aspetto. La sua
bellezza eterea
lo avvolgeva come uno strato di glassa.
Lei non si sarebbe mai
meritata un suo perdono.
In un impeto di
coraggio, gli si avvicinò a lunghi passi, fino a trovarsi
davanti a lui. –Jared,
dobbiamo parlare di una cosa importante.-
L’uomo sospirò, come
quando un momento tanto temuto, ti si presenta davanti. Si tolse la
borsa a
tracolla e la posò sul banco più vicino, per poi
posare entrambe le mani sulle
spalle della giovane.
-Lo so Kim, sono giorni
che ci penso e ho capito cosa ti sta succedendo.-
Lei lo guardò
impaurita, pensando di essere stata scoperta prima ancora che potesse
confessare i suoi peccati.
-Di cosa parli?- gli
chiese, il cuore che le pulsava in gola.
-Tu non riesci a
perdonarmi per l’altro giorno.- rivelò lui con
un’assolutezza che lasciò l’alunna
a bocca aperta.
-Cosa?!- esclamò lei,
non sapendo se sollevata o frustrata per il fatto che lui in
realtà non avesse
capito un accidenti.
-E’ per questo che mi
stai evitando, non fingere. E ne hai tutte le ragioni, mi sono
comportato da
stupido.-
Kimberly prese a
scuotere la testa, incredula di fronte a quelle parole autoaccusatorie:
questo
rendeva il tutto decisamente più complicato.
Portandosi le mani
sulle tempie si allontanò da lui di qualche passo.
–No, tu non capisci..-
-Sì che capisco Kim. So
che ti aspettavi una reazione decisamente diversa, una risposta che
meritassi
sul serio.- sembrava convinto di quello che diceva, e questo
distruggeva ancora
di più la ragazza.
-Jared, per favore
lasciami parlare..-
-Ho pensato molto in
questi giorni: avevi ragione a dire che non potessi avere una minima
idea di
cosa provassi per te e mi dispiace per non averti dato quello che
volevi..
dovevo solo rifletterci un po’ di più.- lui,
imperterrito, continuava senza badare
minimamente a Kimberly.
-Jared, per favore! No,
non dire niente!- insisté lei, portandosi anche le mani
davanti alle orecchie,
come se questo potesse fermarla dal sentire le sue parole.
Quello che stava
tentando di dirle era stato chiaro fin dalla prima parola. Il modo in
cui la
guardava, il modo in cui le parole scorressero fluide da quelle labbra,
lasciavano chiaramente intendere che fosse un discorso a cui aveva
pensato più
e più volte.
-Calmati e ascoltami un
attimo.- le ordinò con dolcezza il professore, prendendole
il volto tra le
mani. –L’ho capito nonostante fosse chiaro da molto
tempo ormai. Ti amo anch’io,
Kim. Ti amo con tutto me stesso.-
Non avrebbe potuto dire
altro, non avrebbe potuto dire nient’altro di così
perfetto da straziarle il cuore
in quel modo.
-No..- mormorò
Kimberly, con la voce spezzata dalle lacrime che cominciarono a rigarle
il viso
con una tale potenza da toglierle il respiro. –No!-
esclamò infine, con
sgomento più che con rabbia. –Non puoi dirmelo
così! Non puoi dirmelo adesso,
Jared, accidenti!-
Lo sguardo che le
rivolse fece chiaramente intendere quanto si aspettasse una reazione
del tutto
diversa. –Cosa vuoi dire?-
-Che tu non puoi
amarmi!- era sconvolta e ogni parte di lei lo esprimeva molto bene.
–Non dopo
quello che ho fatto!-
-Ma cosa stai dicendo?-
lui sembrava non cogliere minimamente il senso che stava dietro quelle
parole,
sembrava non ascoltarla affatto. –Stai forse insinuando che
stia fingendo? Che i
miei sentimenti non siano sinceri?-
-Jared no! Vuoi
ascoltarmi per un momento?-
-No, se non la smetti
di dire cose senza senso.- rispose, dandole perfino le spalle, stupito
di
fronte al comportamento della ragazza. Finalmente si era aperto e lei
stava
dando i numeri. Niente avrebbe potuto stupirlo di più.
-Domenica non ho
studiato, ho visto Christopher.-
La voce disperata
arrivò alle orecchie del professore come una sassata sui
denti. Si era sbagliato:
ora niente avrebbe potuto stupirlo di più.
Si voltò lentamente,
sperando di non aver capito bene. –Cosa?-
Il viso rosso e
inondato di lacrime di Kim lo fece desistere dal pensare che si
trattasse di
uno scherzo.
Senza che potesse
rendersene conto, la faccia gli si contorse in un’espressione
carica di dolore
e si portò una mano davanti alla bocca come quando non sai
cosa fare, non sai
cosa ti sta succedendo e hai come l’impressione di non
riuscire a controllare i
tuoi movimenti.
Se non si fosse controllato,
avrebbe sfondato le pareti in cartongesso dell’aula.
-E cosa è successo?-
chiese con voce più neutra possibile, come per darle
un’altra possibilità prima
di giungere a conclusioni affrettate.
L’aveva già fatto in
passato e aveva sempre sbagliato. Doveva darle solo un’altra
possibilità e le
cose si sarebbero chiarite.
Eppure non riusciva a
guardarla in faccia.
Kimberly pensò più
volte a cosa dire, e sebbene avesse pensato un milione di volte alle
parole da
usare, improvvisamente si sentì come presa in contropiede.
Del resto, quali erano
le parole giuste da usare per rendere qualcuno consapevole di essere
stato
tradito?
Optò per tralasciare
gli inutili preamboli e andare direttamente al sodo. –Ci
siamo baciati.-
Il professore non mosse
un muscolo e rimase in silezio per diversi minuti, come a ponderare le
parole
usate dalla ragazza o che avrebbe voluto usare lui.
Gli venne in mente,
ironia della sorte, quando si era trovato in una situazione analoga con
Anya, e
di come lei gli avesse confessato i suoi ripetuti tradimenti tra le
lacrime.
Allo stesso modo, di
fronte a Kim, si trovò a domandarsi perché
diamine fossero loro a piangere,
sebbene in entrambi i casi il cuore spezzato e calpestato fosse il
suo.
-E’ ricomparso
casualmente domenica?- la sua voce sembrava provenire da un luogo privo
di
luce.
Questa sarebbe stata la
parte più difficile, ed era anche quella che Kimberly temeva
di più.
Scosse il capo. –No. Ci
sentiamo da qualche mese.-
Intravide gli occhi di
Jared chiudersi in una smorfia di dolore insopportabile.
–Da.. qualche mese?-
ripeté. –Esattamente da quanto Kim? Da prima o
dopo che scoprissi di Anya? Da prima
o dopo che mi facessi sentire un mostro per aver dubitato di te?- erano
domande
retoriche, ma per qualche motivo l’alunna decise di
confermare le sue ipotesi.
-Da prima.-
L’uomo sollevò il capo,
come se avesse appena realizzato il colmo di tutta quella situazione.
–E non me
l’hai detto.-
Gli scappò un mezzo
sorriso non ben identificato, tra l’incredulo e lo
soncertato. –Mi hai fatto
sentire un verme per averti nascosto certe cose.. mentre tu mi stavi
mentendo
spudoratamente.-
Non poteva crederci. Avrebbe
creduto a tutto, perfino che a notti alterne si potesse trasformare in
un
unicorno; ma non che la sua pura, adorata e perfetta Kimberly gli
stesse nascondendo
che si sentisse col suo ex.
Lei era pienamente
consapevole di tutta quella serie di cose, ma sentirle ora ad alta voce
per la
prima volta, le fece apparire quelle azioni come estranee e spaventose.
-Lo so, Jared!- non
sapeva chi glielo avesse dato, ma aveva trovato il coraggio di
avvicinarsi a
lui. -Ho sbagliato e non l’ho mai davvero capito.-
-Dimmi solo perché.-
disse lui improvvisamente. -Perché non me ne hai parlato?-
-Perché non avresti
capito.- rispose prontamente la ragazza. –E me
l’avresti impedito.-
Le rifilò un’occhiata
affilata. –E dimmi, col senno di poi, avrei anche avuto
torto?-
Lei scosse
semplicemente la testa, trovandosi completamente sprovvista di voce.
Aveva sbagliato
tutto.
Il silenzio fu interrotto
da un profondo sospiro del professore. –Devo andare.-
Il panico si fece
rapidamente spazio in Kimberly, nel rendersi conto che avrebbe voluto
fermarlo,
dirgli qualsiasi cosa, ma dal momento che gli avesse mentito, niente
sarebbe
stato veritiero alle sue orecchie.
-Jared..!- esclamò semplicemente,
sporgendo le mani come a toccarlo, ma si fermò appena prima.
–So che non potrai
mai credermi, ma cerca di capire.. Domenica io ero sconvolta e non
capivo
neppure cosa stessi facendo!- si rendeva perfettamente conto di come
quelle
parole risultassero banali e false alle sue
stesse orecchie, ma in quel momento
avrebbe detto qualsiasi cosa.
Lo vide scuotere il
capo e voltarsi lentamente nella sua direzione. Quella fu la prima
volta da
diversi minuti che si guardarono negli occhi e un flashbak
attraversò la mente
della ragazza.
Le venne in mente l’ultimo
giorno di gita, quando aveva scoperto Jared fissare il cartellone della
modella
con quello sguardo vuoto e sgomento.
L’uomo più triste che
avesse mai messo piede in un aeroporto.
Lo stesso sguardo che
si era ripromessa non gli avrebbe mai causato.
-Non è per domenica. Tu
mi hai mentito per mesi, proprio come Anya. Non è il
tradimento in sé ad
ammazzarmi, ma come tu mi abbia preso in giro.
Come io non avevo
capito niente, per l’ennesima volta, di una persona. E di
come, per l’ennesima
volta, io mi sia innamorato della persona sbagliata.-
Cosa poteva dire? Qualsiasi
cosa in quel momento, sarebbe stata fuori luogo e priva di significato.
-Mi dispiace.- lo disse
con un tono talmente basso che lei stessa fece fatica a sentirlo.
-Anche a me.- la decisione
che aveva nel tono, le fece perdere qualsiasi speranza. Sapeva quello
che stava
per sentirgli dire e non ne era pronta. Non lo sarebbe mai stata.
-E’ finita, Kimberly.-
La fine
del mondo sta
Vibrando nel fiato corto di un
respiro
Stuprando ogni battito
Brucio
in silenzio.
Note finali: Et
voilaaaaa!
So che sono in ritardo di qualche giorno, ma meglio del solito no? In
ogni caso questo è un capitolo tanto aspettato e tanto
agognato, spero si aver risolto alcuni dubbi che mi erano stati posti,
tipo per quale motivo non avevo ancora fatto dire la verità
alla cara Kim che era sempre passata per la santarellina di turno.
Eccovi la risposta, signore. Questo era il motivo che la mi amente
malata aveva partorito, dovevo dargli un serio motivo per lasciarsi
(ççççççççç_____________çççççççç)
Che tristezza quando scrivi di due persone che si lasciano. Ti odi da
solo ed è una situazione bizzarra. A metà
capitolo ero tentata di cambiare idea e cancellare questa idea, ma poi
mi sono detta NO, ho un piano e devo rispettarlo.
Allora, che ne pensate? Abbastanza tragico? Deludente? Speravate in
qualcosa di più cattivo?
Vedrete che avrò modo di rifarmi LOL
La
canzone è sempre dei Blastema (dovrebbero amarmi per tutta
la pubblicità che gli faccio) avrei potuto cambiarla,
è vero, ma è tanto che pensavo di abbinarla a
questo capitolo e dato che mi piace
tantissimissimissimissimissimissimissimisssimissimo, ecco a voi La fine del mondo.
Abbastanza tragica no?
Bene,
io ho finito, ho scritto anche abbastanza per oggi (il capitolo l'ho
scritto questo pomeriggio e mi è uscito più lungo
del previsto) (quale novità) fatemi sapere come al solito e
ricordate che critiche/commenti/consigli/bestemmie sono sempre
accetti
xoxoxoxoxo
|
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Capitolo 74 *** Capitolo 74. ***
Capitolo
74.
And I’d give up forever to touch you
Cos I know that you feel me somehow
You’re the closest to heaven that I’ll
ever be
And I don’t wanna go home right now
Sentii
un tonfo di
fronte a lei e sollevò il capo senza troppa fretta,
incrociando gli occhi
indispettiti di Gwen.
-Kiiiim? Ci sei?-
La ragazza scosse la
testa. –Non ho sentito, scusami.- rispose con tono
piattissimo, richiamando a
sé tutta la concentrazione necessaria per prestare
sufficiente attenzione alla
compagna per almeno la prossima frase.
Questa sbuffò con
un’espressione desolata. –Kim, io posso capire come
ti senti e mi scoccia
essere proprio io a ricordarti che tra un mese o poco più
abbiamo gli esami
finali.- si era allungata sul tavolo, afferrando
l’avambraccio di Kimberly, con
fare comprensivo. –Ma serve un po’ più
di sforzo da parte tua se vogliamo
ripassare tutta storia.-
La mora dal canto suo
fu costretta a chiudere gli occhi e portare entrambe le mani a reggerle
la testa.
–Non ce la faccio, Gwen.-
L’altra si lasciò
sfuggire un verso divertito. –E chi ci riesce a studiare il
programma di tutto
l’anno di tutte le materie? Non sentirti sola.-
ribatté nel tentativo di
sdrammatizzare.
Stare in compagnia di
Kimberly ultimamente era come passarlo con un cadavere. O peggio, era
come
trascorrerlo con qualcuno reduce da un tristissimo funerale. Per quanto
si
sforzasse di non parlarne o di distogliere l’attenzione da
quel fortissimo
lutto, sembrava tutto inutile. Era una cosa che non si poteva non
sentire, con
l’amica in quello stato catatonico era impossibile non
percepire l’urgenza di
quell’incredibile tristezza e voltente o nolente, il fantasma
pareva
continuamente aleggiare su di loro.
Kim non si era
scomposta da quella posizione chiusa. –Non è
quello.- brontolò finalmente, il
tono incrinato fece intendere alla bionda che si sarebbe rimessa a
piangere nel
giro di poco. Non faceva altro da una settimana circa. –Non
riesco a
concentrarmi su niente, Gwen. È una situazione stranissima,
non importa quello
che sto facendo o con chi sono, che stia leggendo un libro, guardando
un film,
parlando con mia madre.. all’improvviso mi blocco e torno in
quell’aula con
Jared.- spiegò togliendosi infine le mani da davanti il
volto. –Ripenso a quello
che ci siamo detti. A quello che avrei potuto dirgli. Al suo sguardo.
L’avessi visto Gwen..-
concluse con un sospiro, poggiando la schiena contro la sedia in legno.
Per lo meno non stava
piangendo, pensò con un cenno di conforto la compagna. Se
solo l’avesse
ascoltata, se lo era ripetuto nella testa un miliardo di volte, se solo
Kimberly l’avesse ascoltata quando avevano già
discusso sul perché stesse
tenendo nascosto a Jared il suo contatto con Christopher. Se solo le avesse dato
retta.
Ogni volta, sebbene il
tipico “te l’avevo detto” le si era
poggiato sulla punta della lingua, Gwen era
sempre stata capace di ingoiarlo. Infilzare la punta di una lama in una
piaga
già aperta e dolorante non sarebbe stato gentile in nessun
caso.
-Kim, smettila di
torturarti così.-
-Come?- le chiese
subito l’altra, quasi si aspettasse una formula magica in
risposta.
Eh. Bella domanda. Come
smettere di dannarsi dopo aver ferito una persona? L’unica
risposta plausibile
era essere mentalmente instabili, ma non era un’opzione
attuabile.
Si strinse nelle
spalle. –Devi pensarci il meno possibile e lasciare che il
tempo faccia il suo
lavoro.-
-Non riesco a pensare ad altro!-
ribadì
Kimberly, lentamente e con gli occhi bene aperti, quasi a voler far
arrivare a
Gwen il meglio possibile quello che volesse intendere. –Non
so neanche come
spiegartelo. Non è come quando litighi con una persona e per
tutto il giorno
seguente pensi a come avresti potuto gestire meglio a tuo favore lo
scontro. È
come se Jared si fosse impossessato della mia anima o qualcosa del
genere, e
ogni volta che gli pare, sia che sia impegnata o concentrata, sia che
non stia
pensando a niente, torna a infierire.-
Il modo deprimente in
cui parlava senza lasciare che la tristezza prendesse il sopravvento,
fecero
seriamente tentennare Gwen. Era tremendo consolare le persone,
soprattutto
quando avevi terminato la scorta di pillole di saggezza e i casi erano
estremamente disperati.
Kimberly era un caso
perso, aveva riconosciuto la sua colpa e probabilmente era questo a
tormentarla.
Quante volte nel giro
di quella settimana avrebbe voluto parlare con Jared, fermarlo per i
corridoi,
chiamarlo a casa solo per dirgli per l’ennesima volta che le
dispiaceva! Non le
interessava che lui la volesse di nuovo, avrebbe semplicemente
desiderato che
la perdonasse. O che smettesse di odiarla.
Il problema era molto
più profondo di tutte le volte in cui si era trovata a
chiedere scusa, però.
Questa volta le sue parole alle sue stesse orecchie rimbombavano come
grosse,
enormi, stratosferiche bugie. E se era così per lei, non
poteva immaginare come
fosse per Jared.
Aveva tradito la sua
fiducia e se c’era una sola cosa che aveva imparato da che si
trovava al mondo,
era che in un persona si poteva distruggere tutto senza avere
più o meno
ripercussione, tranne la fiducia.
Era l’unica
cosa che non si sarebbe mai più ricostruita.
Le era successo più
volte con altre persone, le quali le avevano fatto torti più
o meno grandi e
sebbene poi i rapporti si fossero riallacciati fu più forte
di lei notare come
le cose non fossero più le stesse e non ci fosse niente che
potesse fare.
Ogni volta che queste
parlavano, era come se le sentisse ma non le ascoltasse. Sentiva,
percepiva e
capiva quello che le veniva detto, ma era come se lo filtrasse e
credesse ad
1/3 del contenuto.
E le era venuto naturale,
un meccanismo che nel giro di poco tempo aveva cominciato a non notare
nemmeno
più; come se quella determinata persona non meritasse di
essere ascoltata anche
per quei 2/3 di contenuto rimanenti. Non si fidava più,
punto.
-E poi nei litigi in
generale puoi recuperare. Io ho perso tutto e non posso più
rimediare.-
probabilmente era il fatto di dover convivere con questo pensiero a
frustrarla più
di tutto. Non avrebbe mai potuto chiarire con lui, scusarsi,
riappacificarsi.
Era andato tutto perso.
Gwen sentì un’estrema
urgenza di tirare un profondissimo e lunghissimo sospiro. Tutta quella tensione
l’avrebbe fatta
invecchiare a vista d’occhio.
In uno slancio di
egoismo constatò di essere felicissima di non trovarsi al
posto dell’amica, ma
lo ricacciò subito indietro. Che pensiero idiota per una
situzione del genere.
-Devi solo dargli
tempo, Kim. Vedrai che piano, piano le cose si aggiusteranno e tu
riuscirai a
rimediare in un modo o nell’altro.- non era chissà
che credibile come frase, ma
la ragazza aveva seriamente perso le sue capacità. Kimberly
le aveva esaurite.
L’amica le lanciò un’occhiata
scettica. -Ma se non riesce neppure a guardarmi! L’altro
giorno a lezione si
stava facendo venire il torcicollo per non distogliere lo sguardo dalla
sua
cattedra, quando l’ho trattenuto con una stupida scusa
durante l’intervallo.-
Gwen corrugò la fronte,
dubbiosa. –Aspetta. Quindi ci hai parlato.- questa non la
sapeva.
Kim si strinse nelle
spalle. –C’ho provato.- disse sottovoce, esprimendo
tutta la delusione che
sentiva nel pensarci. –Qualsiasi cosa tentassi di dire non ne
voleva sapere di
uscirmi dalla bocca. Cosa potevo dire? Mi dispiace? Non volevo? Io ti
amo,
credimi?- elencò le possibili frasi con un evidente disgusto
nel tono, per poi
abbassare lo sguardo sulle proprie mani. –Niente aveva senso.
Come se non
conoscessi il significato di quelle frasi, suonavano finte e artefatte
senza
nemmeno che mi prendessi la briga di pronunciarle.-
-Quindi? Cosa vi siete
detti?- domandò la compagna, impaziente.
-Gli ho semplicemente
detto che ero consapevole del fatto che non credesse ad una parola che
uscisse
dalla mia bocca, ma che dei miei sentimenti non doveva dubitare. Io lo
amavo e
gliel’avevo dimostrato in più occasioni.-
Gwen si sentì
soddisfatta per il passo avanti che aveva compiuto Kimberly. Dal
piangersi
addosso all’azione era un grande progresso. Avrebbe quasi
esultato, sentendosi
così tanto in colpa Kim pensava di non poter fare nulla per
farsi perdonare,
diventando quindi una vittima delle sue azioni estremamente passiva.
Ogni tanto
Gwen avrebbe voluto spronarla, urlarle “fa qualcosa,
maledizione!”; solo che non
spettava a lei e poi era troppo depressa per ascoltarla. Il fatto che
lo avesse
affrontato, le diede di nuovo speranza.
–Hai visto che ce l’hai
fatta? E lui?-
Kim prese un grande
respiro, prendendo a mordersi le labbra. Le parole di Jared se le
ricordava
perfettamente e anche in quel momento le risuonavano nella mente,
ripeterle ad
alta voce però avrebbe sicuramente comportato un impatto
emotivo che non
sentiva di riuscire affrontare.
Tuttavia trovò la
forza. –Ha detto..- deglutì. –Ha chiesto
come poteva credermi. Ha detto che se
i miei sentimenti fossero stati veri, se davvero lo avessi amato, non
lo avrei
mai demolito.- fece
una breve pausa per
controllarsi dal piangere. -Ha detto che lui si sente rovinato,
distrutto,
smantellato, devastato. L’amore
non fa questo, chi ama non fa
questo.-
-Accidenti.- fu tutto
quello che Gwen riuscì a sussurrare. Aveva ufficialmente
finito le buone parole
per farla sentire meglio. Un discorso del genere non avrebbe mai
trovato un
rivale in grado di rincuorarla.
Kimberly annuì
lentamente. –E’ meglio che vada, non ti faccio
studiare così.- e prese le sue
cose con una tale rapidità che portò Gwen al
desistere dal chiederle di
rimanere.
*
Jared
camminava assente
per i corridoi della scuola, con il fare distratto caratteristico degli
ultimi
giorni.
Si chiese vago come si
potesse pretendere il contrario da lui, quando le persone che gli
stavano
accanto glielo facevano notare. “Sei troppo
distratto” avevano l’eccessiva e
non necessaria accortezza di sottolineare tutti: colleghi, alunni, suo
fratello.
Vorrei vedere voi,
avrebbe voluto rispondere ogni volta. Invece si scusava sommessamente e
cambiava discorso.
Fare il suo lavoro era
diventato il principale motivo di distrazione. Come poteva, quando
entrava nell’aula
di Kimberly, condurre una lezione senza perdere pezzi?
L’umiliazione che
sentiva ogni minuto della sua esistenza lo portava ad essere distratto.
Distraendosi
riusciva a ricomporsi ogni volta che un ricordo veniva a trovarlo nel
bel mezzo
del nulla, facendolo sentire ancora più stupido di quanto si
era sentito
ultimamente.
Era sempre stato il suo
modo per affrontare il dolore: non pensarci. Cercare, ogni volta che
questo
imperterrito tentava di farsi spazio in lui, di glissare; di cambiare
idea,
pensiero, frase, discorso, casa, lavoro, vita.
Era una specie di
meccanismo di difesa. Evitare il motivo di strazio era
l’unico modo per lui di
continuare con la sua esistenza, di sopravvivere.
O si distraeva o si
uccideva. Probabilmente no, ma vedendola così almeno aveva
una scusa in più per
rifugiarsi ulteriormente nella sua distrazione.
Si scontrò con una
persona e quasi non se ne accorse, se non fosse che questa gli rivolse
uno
sguardo contrariato. –Ehi, attento a dove vai amico.-
borbottò il ragazzo con
fare distaccato. Jared bofonchiò uno –Scusa.- e
proseguì per qualche passo
prima di voltarsi con espressione criptica.
E questo da dove
saltava fuori?
-Posso esserti d’aiuto?-
gli chiese quindi, notando che davanti a lui ci fosse o un alunno nuovo
(strano, calcolando che la scuola era praticamente finita) o un ragazzo
che si
era perso, dal momento che non l’avesse mai visto nella sua
vita.
E quella scuola era fin
troppo piccola per dimenticarsi delle facce.
-No grazie, la vecchia
dietro il bancone ha detto che mi raggiunge subito.- rispose questo con
fare
ironico, indicando la postazione in cui di solito si poteva vedere la
segretaria.
Jared lanciò un’occhiata
non troppo sorpresa nel vedere che la donna non fosse dove ci si
aspettasse di
trovarla. –Fa sempre così, specialmente quando ci
sono delle urgenze. Scompare.-
Lo sconosciuto sorrise
assecondandolo. –Però immagino che quando non
serve ve la troviate spuntare
alle spalle come un fungo!-
-Proprio così.- rise il
professore. Sembrava simpatico il ragazzo. –In ogni caso,
cosa ti serve?-
-E’ così evidente che
non studio qui?- chiese l’altro scherzando.
Jared fece spallucce. –Ci
sono talmente pochi ragazzi in questa scuola che si tende a
socializzare per
solidarietà. Ti avrei già visto.- sorrise di
rimando allo sconosciuto, il quale
alzò le mani in segno di resa. –Ok, sono stato
scoperto. Anche se un po’ mi
dispiace non frequentare qui.- continuò eloquentemente,
indicando un paio di
alunne che in quel momento gli passarono accanto tra una chiacchera e
l’altra.
Il professore ghignò. –Non
è così bello come si pensa, credimi. Le donne ti
fanno uscire di testa.-
Il ragazzo annuì con un’espressione
colpevole. –Vero.-
-Perché sei qui?-
Lui si strofinò le
mani, imbarazzato. –Per una ragazza. Ho fatto un casino e
vorrei parlarle per
vedere se possiamo darci un’altra possibilità.-
Leto lo guardò colpito.
Erano discorsi importanti per quell’età.
–Wow, devi tenerci molto.-
-In effetti sì.- quel
sorriso imbarazzato non voleva andarsene. –Io e Kimberly ci
conosciamo da così
tanto che sarebbe un grandissimo errore se non tentassi di sistemare le
cose.-
ma Jared non lo stava più ascoltando dalla terza parola.
Tra tutti i nomi che
poteva sentirgli dire, Kimberly era proprio l’ultimo.
Pensò di esserselo
immaginato dal momento che quella ragazza era tutto quello che aveva
per la
testa da 6 mesi a questa parte. –Scu.. scusa, puoi ripetermi
il nome?-
-Il suo nome Kimberly.-
L’uomo appoggiò la
chitarra al suolo contro la parete, cominciando ad accarezzarsi i lati
del
volto dove la barba stava crescendo senza problemi da un po’.
Oh cazzo, pensò. Oh,
cazzo cazzo.
E adesso?
-Posso sapere chi la
cerca?- gli domandò, sprecando l’ultimo centimetro
di calma aveva conservato quasi
in vista di un momento come quello.
Il ragazzo gli rivolse
un’occhiata infastidita e curiosa. Sembrò
percepire qualcosa cambiare nel
professore e si mise sulla difesa. –Perché scusi?
La conosce? Comunque mi
chiamo Christopher.-
Si
era immaginato
diverse volte di trovarselo davanti. La personificazione del tradimento
di
Kimberly, il ragazzo che aveva amato al punto da rinnegarsi per mesi.
L’aveva
vista soffrire, piangere, disperarsi, spegnersi a causa
dell’omuncolo che si
trovava ora di fronte a lui, a fissarlo di rimando con
un’espressione criptica.
L’aveva amato così
tanto da non essere mai riuscita a mettere una pietra sulla loro
relazione e
appena ne aveva avuto l’occasione l’aveva
riassaporata.
-Porca miseria.-
sussurrò l’uomo senza riuscire a togliergli gli
occhi di dosso.
Se l’era aspettato
diverso, ad essere sincero. Era più alto di lui di parecchi
centimetri, i
capelli erano tenuti corti e in mezzo al volto c’era questo
paio di occhi
immensi e di un colore neutro nei quali poteva scorgere la sua immagine.
-Cosa?- chiese
Christopher sconcertato dalla reazione che l’uomo stava
avendo, solo dopo aver
sentito il suo nome. –Cosa c’è? Chi
è lei?-
Il professore si morse
il labbro inferiore, distogliendo finalmente lo sguardo da lui. Era
sicuro come
poche cose che il ragazzo aveva saputo della sua esistenza mentre si
era tenuto
in contatto con Kim in quei mesi. Chissà se anche quella
famosa domenica lui
era a conoscenza del fatto che stavano ancora insieme? Non si era mai
chiesto,
tra le varie cose, e per motivi abbastanza ovvi, chi dei due avesse
preso l’iniziativa.
Tornò a puntare gli
occhi ghiacciati nei suoi. –Io sono Jared.-
La reazione che lesse
negli occhi del ragazzo gli fece perfettamente intendere che sapesse
chi fosse “Jared”;
per questo fu più forte di lui sollevare il gomito e
affondare un pugno secco
contro lo zigomo di quello stangone che credeva di poter fare di
Kimberly
quello che desiderava.
Se l’avesse rivoluta
avrebbe prima di tutto dovuto passare sul suo cadavere.
And
I don’t want the world to see me
Cos
I know think that they’d understand
When
everything’s make to be broken
I
just want you to know who I am
Note
finali: ce l'ho fatta.
Non avete idea della fatica che ho fatto per scrivere questo capitolo
che per inciso -non doveva uscire così, ma va bene, vediamo
cosa succede da questa nuova sparata
- finisco per ripetere sempre le stesse cose.
E' un periodo in cui non sono (tocchiamo ferro, corna a manetta,
accendiamo un cerino) triste, e per me è fondamentale
sentire il sentimento che voglio esprimere per essere ispirata. Se
nella mia testa c'è solo "oh che bello, posso dormire quanto
voglio perchè tanto non devo più studiare" non
riesco ad espirmere niente di tragico e credo che i risultati si vedano.
Chiedo venia e spero possiate apprezzare lo stesso, a parte la mancanza
di sinonimi e giri di parole sempre uguali, ho fatto del mio meglio.
Sono in estremo ritardo, qualora non ve ne siate accorte. (Sono stra
divertente, eh?) E mi dispiace tantissimo, ma ringrazio la vostra
impazienza che mi sprona a scrivere.
Ogni tanto ho bisogno di essere messa sotto pressione, se no finisco
per rimandare...... come tutto quello che faccio.
Oh, sono un essere umano medio anch'io!
Tornando a noi, che depressione scrivere questi capitoli. Davvero, i
personaggi mi fanno di una pena che non sto neanche a descrivervi.
Spero di avervi prese in contropiede con l'ultima uscita (Evvai Jared,
sfonda il muso a quello sfigato!!) perchè sapete quanto mi
piacciono i colpi di scena.
La canzone non sono soddisfattissima, e so che nel secondo esatto in
cui posterò questo capitolo me ne verranno in mente un
migliaio migliori di questa per il tipo di capitolo, ma come al solito
sono nata sfigata e poi è una bellissima canzone, quindi
fuck la canzone del capitolo è Iris dei Goo Goo
Dolls ♥
E ho rinunciato per
sempre a toccarti
perchè so che
tu mi senti in qualche modo
tu sei più
vicino al paradiso di quel che io sia mai stato
e non voglio andare a
casa ora.
Non voglio che il mondo
mi veda
perché non
penso che capirebbe
quando tutto è
stato fatto per essere distrutto
io voglio solo che tu
sappia chi sono.
Ok, ho fatto il mio dovere. Pat pat. Fatemi sapere, fatevi
vive, mortificatemi, insultatemi, fate quello che volete ma voglio
risposte.
Ah, per chiunque non sia sicuro che la sua opinione sia importante o
vuole rimanere nell'ombra per cacchioneso, vi svelo un segreto:
più mi fate sapere che ne pensate, più mi date la
voglia di continuare.
Chissà, magari la prossima se vedo richiesta non
sarò così in ritardo.... ;)
Scherzi a parte, ho avuto i miei impegni non c'entrate voi.
Sappiate che una recensione in più (positiva o
negativa/lunga o corta che sia) è un bell'aiuto. Anche
perchè io scrivo per voi, se fosse una cosa che mi diletto a
fare e basta le sognerei o le scriverei e le terrei nel mio pc ahaha.
Passo e chiudo
xoxoxoxo
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Capitolo 75 *** Capitolo 75 ***
Capitolo 75.
All this time I was wasting hoping you would come around
I’ve been giving out chances everytime and all you do is let me down
And it’s taking me this long , baby
But I figured you out
And you think it will be fine again but not this time around.
La campanella dell’intervallo era suonata da un minuto e Kim già non ce la faceva più. Era un giorno come un altro, in cui non tollerava quasi nulla che le facesse rendere conto che il suo petto continuava imperterrito a riempirsi di ossigeno, contro la sua volontà.
Ogni volta che qualcosa del mondo dei vivi la faceva uscire dalla sua bolla di vetro, era più forte di lei esalare un sospiro impaziente.
Voleva solo tornare a casa, infilarsi sotto le coperte e tentare di escogitare un piano per sopravvivere quell’ultimo mese di scuola. Nient’altro le importava, non più.
Ricordò di essersi già sentita così, molti mesi prima, e pensò che fosse proprio buffo che la colpa fosse sempre quella di un ragazzo.
Nella sua immaginazione non pensava di essere così patetica, si riteneva una ragazza forte, con la spina dorsale e in più occasioni l’aveva dimostrato.
Quando però si trattava del sesso maschile, non c’era niente che potesse fare: era, evidentemente, il suo punto debole.
C’era chi ci metteva una pietra sopra e ne cercava subito un altro; e poi c’erano quelle come lei che semplicemente smettevano di vivere.
Sopravviveva. C’era reazione più patetica al dolore?
Non poteva neanche essere considerata una “reazione”, il solo termine implicava un’azione, un cambiamento. Qualcosa, insomma.
Lei si lasciava morire lentamente, pur continuando a vivere. Continuava a fare tutto ciò che era comunemente ritenuto buono e giusto fare, come lavarsi, andare a scuola, chiedere scusa se si calpestavano i piedi di qualcuno. Tutto qui.
C’era sinceramente, cosa più patetica?
Non lo sapeva e neanche le interessava, concluse con la testa appoggiata sulle braccia incrociate, stesa sul banco.
Contava i secondi che creavano i minuti che costituivano le ore che la separavano dall’uscita da quell’edificio. Era l’unica azione costruttiva che si impegnava a fare: del resto nel giro di poco avrebbe avuto gli esami finali e non poteva certo presentarsi con il cervello atrofizzato.
Mentre scandiva i secondi tramite il battito delle tempie contro i polsi, un tonfo molto vicino la riportò nel mondo dei vivi per l’ennesima volta.
La bolla esplose in modo alquanto fastidioso e con insofferenza portò lo sguardo all’origine di quel distrurbo. Cosa osava interrompere la sua lenta agonia?
Riconobbe prima su tutto i capelli dorati e lunghi. Gwen.
La ragazza aveva sbattuto i palmi sul banco di Kimberly, e l’agitazione che aveva negli occhi le fece intendere che aveva provato più volte a riportarla alla realtà, e quello che Kim aveva percepito come un tonfo ovattato, in realtà era stata una bella botta.
La mora sbuffò con indifferenza, decisa a tornare nella sua bolla. –Sto bene, non preoccuparti.- si limitò a dirle per rassicurarla: Gwen si sprecava in almeno un tentativo giornaliero di interrompere il lento declino patetico dell’amica, spesso solo per accertarsi che fosse viva, più sporadicamente per informarla di qualche pettegolezzo di cui Kimberly poteva perfettamente fare a meno; ma il codice comportamentale dell’essere umano diceva che per essere tale bisognava che ci fosse uno scambio verbale con un proprio simile. Quindi Kim solitamente si concentrava il minimo per ascoltarla, dimostrarle che non era impazzita e tornare nella sua dimensione apatica.
Ma questa volta il disturbo di Gwen sembrava avere uno scopo. Kim non fece a tempo a riposizionare la testa sulle braccia incrociate che la bionda la interruppe subito. –Kim è importante, devi venire.-
Come se le stessero chiedendo di fare un’acrobazia un secondo dopo averla svegliata dalla fase REM, Kimberly la guardò scocciata e senza troppo impegno. –Gwen, non mi interessa se Shelley e Logan sono stati sorpresi per l’ottantesima volta nei bagni. Io non vengo da nessuna parte e lo sai bene. Fino alla fine dell’anno il mio scopo è di rimanere zitta e immobile al mio posto e non c’è niente che mi possa..-
-E’ per Jared.- la interruppe con negli occhi una gravità tale, da non farle neppure prendere in considerazione per un istante che la stesse burlando.
Improvvisamente sveglissima, si ritrovò fuori dalla porta dell’aula in un batter d’occhio.
*
La confusione che trovò nei corridoi la spaventò e la confuse.
C’era una massa di ragazzi e ragazze accalcati e disposti in cerchio, intenti ad osservare qualcosa che ancora sfuggiva alla vista di Kimberly.
Se non fosse stato per la certezza che lo spettacolo di turno coinvolgesse Jared, in quel mucchio non ci si sarebbe infilata nemmeno per tutto l’oro del mondo, anzi se ne sarebbe tenuta il più alla larga possibile.
Certe cose non erano da lei, lei era per i margini, per gli angoli; non per il palcoscenico, l’attenzione e i riflettori.
C’erano urla, tifo, e applausi.
Si voltò verso Gwen. –Ma cosa sta succedendo?- chiese con sgomento, senza essere tanto sicura del motivo.
La ragazza in risposta si morse il labbro inferiore. Provò ad aprire la bocca, a dire qualcosa, ma era come se fosse troppo scioccata per spiegarsi.
Kimberly non aspettò neppure che si riprendesse e si infilò in quella massa, spintonando tra i corpi dei suoi compagni, cercando di farsi strada fino al centro del ciclone.
Quello che vide le tolse qualche anno di vita.
Due persone, accerchiate dagli alunni agitati, si stavano prendendo a pugni. Due portatori sani di testosterone, per essere più esatti.
In uno riconobbe immediatamente Jared, il quale sembrava avere la meglio sull’altro, ma Kim non fece a tempo a tirare un sospiro di sollievo che la situazione si capovolse, portando il rivale in vantaggio a cavalcioni sul professore e a tirargli qualche gancio destro ben ponderato.
E quello era Christopher.
La ragazza si portò le mani alla bocca, in preda allo stupore che però non durò troppo. Doveva assolutamente intervenire.
-Chris, no!!- esclamò immediatamente, lanciandosi verso di loro.
Dal canto suo il ragazzo, sentendosi chiamare, distolse l’attenzione da Jared, il quale ne approfittò per ribaltare nuovamente la situazione sferrandogli un ultimo e diretto pugno che gli spaccò un sopracciglio.
Prima che potesse duplicare la mossa, il professore si sentì afferrare con forza da dietro il gomito e si voltò. Riconoscendo gli occhi terrorizzati di Kimberly si placò immediatamente.
-Kim..- mormorò forse nel lieve tentativo di scusarsi. La ragazza rabbrividì nell’osservare il volto tumefatto dell’uomo: Chris l’aveva pestato per bene.
Le salirono le lacrime agli occhi ma non fece a tempo a rispondere nulla che Christopher si sollevò e gli sferrò una ginocchiata nello stomaco.
-No!- urlò la ragazza con panico puro nella voce. –Chris, smettila!- continuò mettendosi in mezzo e piegandosi sul professore, il quale si era accasciato su se stesso con un rantolo sofferto.
Improvvisamente, come se vedere Kimberly intenta a fermare la rissa gli avesse ricordato cosa fosse giusto fare, intervennero altri compagni maschi a trattenere Christopher, nel tentativo di sventare una ripresa della rissa.
Kim si trattenne dal esclamare un “Finalmente” trovandoli spiacevoli e ridicoli.
Tornò a concentrarsi su Jared, il quale era stato per mezzo minuto con la bocca spalancata nel tentativo di riprendere aria che però sembrava a non riuscire ad inalare.
-Jared, Jared mi senti? Riesci a respirare?- gli chiese lei con gravità non essendo preparata in caso di una risposta negativa.
Fortunatamente non ce ne fu bisogno perché entro la fine del minuto il professore aveva preso a produrre profondi respiri.
-Ma si può sapere che problema hai?!- sbraitò la ragazza all’indirizzo di Chris, sollevata che l’uomo stesse bene.
Il ragazzo si divincolò dalla presa di altri due alunni che cercavano di placarlo, sebbene avesse smesso di fare a botte da un minuto pieno.
-E’ lui che ha cominciato!- si difese subito, scovolto.
Aveva il labbro inferiore e il sopracciglio sinistro spaccati, e lei se la stava prendendo con lui? Che schifo.
Quando altre persone più qualificate cominciarono ad occuparsi di controllare che il professore stesse bene, Kim ne approfittò per avvicinarsi a Christopher. –Cosa sei venuto a fare qui??- domandò quasi urlando.
-Volevo parlarti, sono settimane che mi eviti!-
-Perché non avevo nessuna voglia di vederti! È così che funziona quando non vuoi discutere con una persona di cose inutili, la si evita il più possibile.- spiegò lei sarcastica. –Me lo hai insegnato tu.-
Christopher alzò gli occhi al cielo. –Ancora con questa storia?- chiese esasperato. –Per quanto tempo mi torturerai per quello che è successo mesi fa?-
Kimberly sgranò gli occhi per lo stupore di fronte a tutta quell’arroganza. –Non smetterò mai, Chris. Ti sei approfittato di me, mi hai spezzato il cuore e poi mi hai ancora ridicolizzata non prendendomi sul serio. L’hai gestita talmente di merda che non sono più stata capace di mettere una pietra sopra a quello che c’è stato tra di noi! Hai idea dell’inferno che è stato per me? Hai la minima idea di quanto è stato doloroso imparare a vivere senza di te? Eri tutto per me, Chris. Tutto.-
Il ragazzo scosse il capo, quasi non si rendesse conto di cosa lei si stesse riferendo. –Stavamo insieme Kimberly, ma non ha funzionato! Succede, e riconosco che sia stata mia la colpa. Sono venuto qui oggi per chiederti di riprovarci. Dammi un’altra chance.-
Si avvicinò a lei e le prese le mani. Kim guardò la scena come se non la riguardasse, vedeva le mani che toccavano le sue, ma quasi non le sentiva.
-Tu non ti rendi conto..- mormorò con le lacrime agli occhi. –Hai idea di quante volte ho sognato questa scena? Hai la minima idea?- c’era una nota di disperazione in quella domanda che intimorì Chris.
-Sono qui ora.- disse lui, tutto d’un pezzo. Come se bastasse, convinto che bastasse.
Lei si lasciò scappare una lieve risata. –Rinunciare a te è stato come rinunciare ad una parte del mio corpo, ma non una parte qualsiasi come l’apprendice o un pezzo di fegato, senza il quale è faticoso ma piano, piano torni a vivere come se niente fosse successo e il ricovero diventa solo un ricordo lontano.
Ho rinunciato a te come se avessi rinunciato ad un arto.
Come puoi fare qualsiasi cosa senza che il pensiero voli lì, dove adesso non c’è più nulla?
Perdere te è stato come perdere un braccio intero: l’amputazione mi ha lasciata pietrificata, incredula, confusa e mi ha colta impreparata.
Per un periodo molto lungo ho creduto che la mia vita non sarebbe mai più tornata ad essere la stessa, che io non sarei mai più stata la stessa.
Inizialmente sembrava impossibile sopportare il prurito che sentivo pulsare lì, dove c’era quella mano fantasma, e qualsiasi cosa facessi mi ricordava quella mancanza, che ora non potevo più farla, che mi mancava qualcosa.
Ma nella vita ci si abitua a tutto, ci si adatta e si tira avanti.
Io mi sono adattata, con un arto in meno, senza di te.
Ho imparato a vivere senza quella parte di me e ho accettato che mi mettessero una protesi che ho imparato a conoscere e ad amare.
Sebbene una protesi non potesse rimpiazzare le sensazioni che ti da la sensibilità di un braccio vero e proprio, non c’era più la totale assenza e senso di incompletezza che mi torturava.
Rinunciare a te è stata la cosa più difficile che potessi fare, ma ormai è passata, non ho più un braccio e, ora lo so, non lo rivorrei indietro neanche se me lo offrissero, neanche se me lo pagassero, neanche se me lo ricucissero.
Vivrei sempre nella costante angoscia di riperderlo.-
Christopher seguì il discorso capendo, parola dopo parola, quanto il suo tentativo si trovasse di fronte ad un muro. Quel discorso era un arzigogolato e poetico modo di rifiutarlo, e l’impegno che ci aveva messo per formularlo, gli aveva fatto intendere quanto sarebbe stata inutile qualsiasi richiesta di ripensamento. L’aveva paragonato ad un’amputazione.
Ci rimase male, le lasciò le mani e i suoi occhi finirono dritti in quelli di Jared, il quale era seduto su un gradino poco distante.
Erano solo loro tre nel corridoio, ora. Nonostante le proteste, gli alunni erano stati rispediti nelle classi e a loro era stato dato il permesso di chiarirsi, solo perché dopo il professore e l’alunna sarebbero stati ricevuti per l’ennesima volta dalla preside.
L’uomo aveva uno zigomo rosso, un occhio gonfio e si stava tenendo un fazzoletto per fermare il sangue dal naso. Gli tornò improvvisamente in mente la rissa e il dolore sparso in tutto il volto lo sorprese, d’un tratto.
Gliele aveva suonate di santa ragione, ma doveva ammettere che anche il vecchietto si era dato da fare. Non osava immaginare come fosse ridotta la sua di faccia, non avendo ancora avuto possibilità di specchiarsi.
Mantenne lo sguardo su Jared, fermo a fissarli. Sembrava pronto al secondo round, era sicuro che se avesse anche solo sfiorato Kimberly nel modo sbagliato, se lo sarebbe ritrovato addosso nel giro di un secondo, col gomito alto, pronto a infierire su di lui.
No, grazie.
Poteva tenersela.
-E quindi..- sospirò, dopo quel breve silenzio. –Ora preferisci una protesi.-
Kim sorrise debolmente. –E’ una gran bella protesi. Io la amo e non la cambierei per niente al mondo.- si voltò rapidamente verso il professore, per poi tornare su di lui. –Ora vattene e non cercarmi più, Chris. Non tornare, questa volta.-
Pronunciare quelle parole fu più facile di quanto si aspettasse. Lui era il suo conto in sospeso, ed era tornato ogni volta, probabilmente perché in fondo neanche lei si sentiva pronta.
Ora lo sapeva, doveva lasciarlo andare.
Sconfitto, il ragazzo annuì. –Sii felice, Kim.- disse accarezzandole il volto e facendo un gesto di saluto col capo a Jared, il quale ricambiò suo malgrado.
Che tipo, quel Christopher.
*
-Mi sembrava di essere stata chiara.- disse la donna con un tono contenuto ma chiaramente sconvolta da quello che aveva permesso accadesse all’interno della sua scuola.
-Quel ragazzo mi importunava.- si affrettò subito a giustificare Kimberly, in difesa delle azioni sconsiderate del professore, il quale le era seduto accanto, abbandonato indifferentemente al suo destino.
Dava l’idea di aver compiuto il suo scopo nella vita e ora non gli sarebbe interessato nulla delle conseguenze; si sentiva realizzato, il resto non contava più.
-Non mi importa il motivo, il professor Leto non doveva agire così, anzi SOPRATTUTTO il professor Leto non era per niente tenuto a.. malmenare un adolescente!- la preside non sapeva se era più scioccata per la rissa o per i protagonisti della rissa. –E se ci denunciasse? Hai pensato per un solo secondo a questa eventualità?- esclamò lei inorridita, all’indirizzo di Jared.
L’uomo, dal canto suo, si limitò a fare spallucce. –Non lo farà.-
Kimberly cercava di apparire il più distaccata possibile, ma avrebbe disperatamente voluto toccarlo, difenderlo fino a che non avesse più fiato in corpo, assicurarsi che stesse bene e medicarlo lei stessa.
Non era stato un gesto eroico, ma era stata lei a spingerlo a farlo e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di prendersi tutta la responsabilità.
Purtroppo però, non sapeva davvero cosa inventarsi per salvargli il posto per la terza volta.
-No, non lo farà.- confermò la ragazza, dando una rapida occhiata al professore.
La preside la captò. –Non vi avevo detto di chiudere qualsiasi cosa ci fosse tra voi due?-
Entrambi annuirono con decisione. –Non c’è niente tra noi, infatti.- fece Leto annoiato. Sembrava davvero che non gli importasse nulla della ragazza, sebbene fino a prova contraria lui era appena uscito da una scazzotata in suo nome.
-Allora questa urgenza di proteggerla da dove ti è uscita?- chiese la donna assottigliando gli occhi, credendo poco a quella facciata indifferente. –Anzi, sapete cosa?- cambiò rapidamente idea. –Non lo voglio sapere. Jared, hai dimostrato di non essere fatto per stare a contatto con i ragazzi, sarà che sei giovane dentro, sarà che ti rispecchi in loro.. in ogni caso questa sarà la tua ultima settimana.-
-No!- esclamò Kimberly, presa dal panico. –La prego professoressa, non lo licenzi. È un uomo istintivo, sa come sono primitivi!-
-Kimberly..- mormorò il professore, con calma.
-No!- Ripeté lei, come se fosse stata data a lei la notizia. –Non può farlo!-
La preside le lanciò un’occhiata di sufficienza. –Veramente, posso.- chissà perché ci tenne a precisarlo.
-Kim..- riprovò Jared, dato che questa non accennava a contenersi.
-No, Jared, no! Non permetterò che tu perda il posto a causa mia.- gli disse con uno sguardo pieno di sentimento negli occhi al punto che la preside distolse lo sguardo, rassegnata.
Era la cosa giusta da fare. Espellere lei ormai non avrebbe avuto senso, non l’ultimo mese di scuola.
E poi era stato lui ad esagerare, ed era tempo che lei trattasse la situazione come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio.
-Kimberly, mi dispiace ma è quello che ritengo giusto fare.-
-La prego, professoressa.- la implorò. –Non gli faccia questo.-
-Kim..- l’uomo allungò un braccio afferrando quello di lei, mostrando finalmente quell’interesse che l’aveva spinto a compiere quella serie di sciocchezze, ma che aveva represso davanti alla ragazza per non darle false speranze di una possibile ripresa.
Lei fissò quel contatto fisico, calmandosi finalmente. Quando portò gli occhi in quelli celesti di lui, si rise conto da quanto tempo non lo faceva e quanto le mancava farlo.
Jared la fissava trasmettendole tutto l’amore che provava per lei e che non era scemato neppure un po’. –Va tutto bene.- le disse infondendole quella calma che soltanto la sua voce sapeva darle. –Va tutto bene, è giusto così. La preside è stata fin troppo clemente con me, è ora che mi prenda la responsabilità delle mie azioni.-
Le lacrime le appannarono completamente la vista, ma si aggrappò alla sensazione del contatto fisico che persisteva tra loro, per non lasciarsi andare in pianti.
Annuì debolmente, assaporando il gusto amaro del fallimento. Aveva tentato di salvarlo fino alla fine, gli aveva dimostrato qualcosa fino alla fine e avrebbe sopportato tutto il dolore del mondo, per quel piccolo momento di considerazione che le stava mostrando.
La preside nel frattempo cercava di tenere gli occhi puntati sulla cattedra. Assistere a questa scena senza dire niente in qualsiasi altro contesto avrebbe significato appoggiarli.
Ma era una donna molto empatica e ormai aveva capito che tra i due ci fosse o c’era stato qualcosa di serio. Sospirò, catturando finalmente l’attenzione di entrambi.
-Grazie per la comprensione, Jared. E per quello che vale, mi dispiace.- concluse, rivolta ad entrambi per poi fargli segno di aver finito.
I due si alzarono all’unisono e si avviarono lentamente verso la rispettiva meta, in silenzio.
-Sei stata carina là dentro.. io l’ho picchiato, non dovevi difendermi.- proruppe l’uomo a metà strada.
Lei fece spallucce. –E’ stata mia la colpa, Jared. Qualsiasi stupidaggine tu abbia fatto qua dentro, la colpa è sempre stata mia.-
-Vero.- constatò lui, senza aggiungere altro.
-E così.. cosa farai?-
Il professore inspirò profondamente. –Mi arrangerò come ho sempre fatto. Troverò altro, magari ne approfitterò per trasferirmi di nuovo, cambiare aria.-
Il cuore di Kimberly si bloccò e così fecero anche i suoi piedi.
Jared si voltò dopo qualche passo per vedere cosa le prendesse, e trovandola immobile a fissarlo con quegli occhi pieni di lacrime, intese perfettamente.
-Non ti vedrò più.- la voce spezzata le tolse il fiato in fondo alla frase. Era tutto quello che riusciva a pensare. Fino a dieci minuti fa le rimaneva ancora un mese, ora le rimanevano sette giorni.
-Kim..- sbuffò lui. –Pensavo che l’avessi immaginato da sola. Del resto non è mai stato il lavoro dei miei sogni. Era destino che non rimanessi qua a lungo.-
La ragazza non aveva la capacità di rispondere, pensare e articolare un pensiero apparivano azioni troppo complesse.
Lo guardò con la speranza che capisse. Che capisse che se fosse riuscita ad aprir bocca gli avrebbe detto di aspettarla per quel mese, che insieme avrebbero ricominciato da capo in un altro posto, si sarebbero fatti una nuova vita; lui era tutto quello che desiderava, di non lasciarla e che lo amava più di qualsiasi altro sogno avesse mai amato in tutta la sua vita.
L’uomo le sorrise debolmente, il cuore di Kim si alleggerì appena vedendo che stava prendendo aria per dire qualcosa. Che avesse capito?
-E’ ora che ti trovi un’altra protesi.- disse semplicemente per poi darle le spalle e proseguire.
You don’t have to call anymore
I won’t pick up the phone
This is the last straw
Don’t wanna hurt anymore
And you can tell me that you’re sorry
But I don’t believe you baby like I did before
You’re not sorry, no more.
Note finali: Sono viva, sono viva!
Perdonate l'incredibile ritardo, ogni volta sembro voler battere il mio record precedente, ma credetemi non è mia intenzione.
Grazie per la pazienza e grazie per richiamarmi al rapporto.
Spero vi sia piaciuto, e anche se no fatemi sapere che ne pensate.
Alla prossima (se tutto va bene)
xoxo |
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Capitolo 76 *** Capitolo 76. ***
Capitolo
76.
If everything was everything
But everything is over
Everything could be everything
If only we were older
I
giorni seguenti per
Kimberly furono un vero e proprio trauma. Ormai la sua bolla di vetro
era esplosa,
esponendola a tutta la cattiveria che il mondo stava riservando per lei.
Non solo avrebbe dovuto
imparare a convivere con la notizia che Jared Leto sarebbe sparito
dalla
circolazione nel giro di breve tempo; in seguito alla scazzottata del
giorno
precedente, ora in tutta la scuola si era diffusa la diceria
–ormai
praticamente appurata- che tra i due ci fosse o ci fosse stata una
relazione.
Cosa avrebbe potuto
animare di più un pettegolezzo che una presunta tresca tra
professore e alunna?
Quando camminava nei
corridoi sentiva tutti gli occhi accusatori puntati su di lei e nemmeno
in
classe riusciva ad avere un briciolo di pace.
Sentiva domande aperte,
domande con risposta implicita, accuse che la vedevano come una manovra
da
parte della ragazza per evitare di studiare e prendere bei voti senza
sprecarsi
troppo; altri che davano a priori la colpa a lui, dal momento che
essendo
l’adulto non avrebbe dovuto farsi sedurre e avrebbe dovuto
fermare la cosa sul
nascere.
O meglio, non avrebbe
mai dovuto permettere che accadesse.
Lei poteva anche essere
giustificata in un certo senso, l’uomo era estremamente
affascinante e l’alunna
avrebbe comunque trovato un modo per ricavarci qualcosa da una
relazione.
Ma lui? Tutto ciò che
era visibile da parte sua era una perversione. Jared Leto era il
pervertito
della scuola e avrebbe dovuto andarsene al più presto.
Solo in quel momento
Kimberly si rese conto di quanto sarebbe stato impossibile per lui
rimanere, a
prescindere della decisione della preside.
Ormai per lui mancava
meno di una settimana e per lei meno di un mese.
Ce l’avrebbe fatta,
avrebbe affrontato gli sguardi acidi, le risposte saccenti e i
pettegolezzi, si
trattava solo di un mese in definitiva!
Entrò nella sua classe
e immediatamente tutti gli occhi le furono addosso, colmi di domande
implicite.
Per tutti era
praticamente chiaro: per quale motivo un professore avrebbe dovuto fare
a botte
con l’ex di un’alunna, se tra i due non ci fosse
stato del tenero?
Il resto della scuola
l’aveva dato per scontato; i suoi compagni invece erano
ancora allibiti e
indecisi sul cosa pensare.
Veniva spontaneo anche
a loro immaginarlo, ma non avrebbero voluto giungere a conclusioni
affrettate.
E d’altra parte
l’amarezza per non averlo capito prima, dal momento che il
tutto si stava
svolgendo sotto i loro occhi ingenui, si poteva leggere chiaramente sul
volto
di ognuno.
Questa parte di tutta
la faccenda, Kim l’aveva tremendamente sottovalutata.
Cosa aveva pensato
prima? Che ce l’avrebbe fatta con le sue forze?
Ma a chi cacchio voleva
darla a bere? Non sarebbe mai stata in grado di sopravvivere
quell’ultimo mese
di scuola senza entrare nel vortice di qualche droga o psicofarmaco.
Sarebbe stata un’altra
storia se il professore fosse stato al suo fianco, a proteggerla e
sostenerla,
ma il caso volle che lei l’avesse fatto incazzare da morire,
al punto da
rendergli impossibile anche solo l’incrociare gli sguardi
senza che lui
distogliesse immediatamente il suo.
Si affrettò al suo
banco, dove vi trovò Gwen tutta carica di
positività e comprensione, la quale
la trainò al bagno di modo che i compagni non potessero
assalirla con le
domande.
-Ho saputo..- proruppe
l’amica dispiaciuta. Non sapeva neppure se le fosse permesso
precisare di cosa
stava parlando. Kim da depressa era talmente imprevedibile.
La ragazza annuì in risposta.
–E’ la sua ultima settimana. Se non fosse per gli
esami, avrei fatto carte
false pur di cambiare scuola.-
Gwen cercò invano
qualcosa da dirle per non farle ritenere la situazione tragica come
purtroppo
effettivamente era.
-Ma dai, tanto non
hanno prove..!- disse stupidamente, l’amica le
rifilò un’occhiata scettica in
risposta.
-Non avranno prove, ma
quello che è successo ieri basta e avanza per incriminarci.-
sbuffò, sedendosi
tristemente sulla tavoletta di un WC chiuso. –Quello che mi
fa più rabbia è ciò
che verrà spontaneo a tutti pensare di Jared. Che sia un
maniaco, che mi abbia
costretta o cose del genere.- buttò il volto tra i palmi.
–Mi sento talemente
in colpa, Gwen.-
La bionda le si
inginocchiò di fronte. –Ascolta, so che ti viene
difficile capirlo, ma questa
volta non è davvero colpa tua. Chi poteva immaginarsi che
Christopher si
presentasse qui e che lo ricevesse guarda caso proprio il professor
Leto il
quale, assetato di sangue, perdesse la testa in quel modo?-
Le accarezzò un
ginocchio per sostenerla. –Nessuno poteva prevederlo, Kim.
Questa volta è stato
il professore ad esagerare.- e a farli smascherare, ma non lo aggiunse
per non
aggravare la situazione.
Kimberly sospirò forte,
sentendosi estremamente nervosa.
Si ricordò
improvvisamente che alla terza ora avrebbero avuto proprio musica.
Il terrore di quello
che sarebbe potuto succedere le fece venire la pelle d’oca.
*
* *
Quando
il professore
entrò in aula, il silenzio che calò sugli
alunni era a dir poco spettrale. La tensione era quasi
palpabile e il
cuore di Kimberly non ne voleva sapere di darsi una calmata, battendole
così
forte da farle perdere quasi la concezione dei rumori esterni.
Leto dal canto suo, si
mostrò irrealmente calmo e calato nella sua parte di
professore. Era davvero
convinto di potersi prendere gioco di tutti? Era convinto che fossero
tutti
così scemi?
Sebbene Kim lo sperasse
con tutta se stessa, trovò sinceramente inutile provare ad
illudersi.
Il professore di musica
cominciò a spiegare l’ultimo capitolo del libro
che avevano in programma, con
fare apparentemente tranquillo.
Evidentemente era
seriamente convinto che fossero un branco di imbecilli.
Infatti i ragazzi non
tardarono a farsi sentire.
-Professore..- proruppe
improvvisamente una compagna, lasciandolo con la frase a
mezz’aria. –Abbiamo
sentito che questa è la sua ultima settimana.- il dispiacere
che questa aveva
nel tono, sorprese Kimberly: aveva completamente sottovalutato quanto
gli
alunni adorassero mr Leto, quanto effettivamente loro lo ritenessero il
loro
professore preferito.
E questo non era
accaduto semplicemente per il suo fascino, bensì per la sua
bravura. Era questo
il dono di Jared Leto, era capace di entrarti nel cuore come niente,
proprio
come una canzone.
L’uomo osservò per
qualche secondo l’alunna che si era esposta, provando un moto
di tenerezza. Non
poteva essere così insensibile da lasciarli dopo un anno
intero trascorso
insieme, come se questo non avesse significato niente.
Avrebbe dovuto
affrontare l’argomento. Prese un forte respiro e si
posizionò davanti alla
cattedra sedendovisi sopra.
-Riguardo a quello a
cui avete assistito ieri.. vi porgo le mie più sincere
scuse. Ho commesso un
errore, ma voi mi conoscete.- sorrise malinconico.
–E’ un anno che trascorriamo
due ore a settimana insieme, sapete che sono un “finto
adulto”, che in realtà
sono uno di voi.
Sono una persona
esattamente come voi, e come tutte le persone anche io sbaglio.
Questo non significa
che sono perdonato o che picchiare qualcuno può essere
giustificato come semplice
errore.-
Si guardò intorno e tra
i presenti lesse comprensione e pura empatia. La simpatia che aveva
generato in
loro si rivelò una vera e propria fortuna.
-In ogni caso, anche se
non capiste quello che voglio dire è più che
comprensibile. La preside stessa
non ha potuto farlo, anche volendo.
E quindi, rispondendo
alla tua domanda Lucy, sì questa è la mia ultima
settimana di insegnamento.-
concluse, con un tono che Kimberly ritenne piuttosto stonato per quello
che
stava dicendo.
Sembrava tranquillo,
rassegnato al suo destino, come se l’avesse atteso da tanto e
avesse colto la
palla al balzo per filarsela.
La ragazza si portò una
mano al petto, puntando gli occhi sul banco ripetendosi nella testa di
non
piangere, che già avevano creato troppo scompiglio e farsi
vedere demoralizzata
per il suo licenziamento avrebbe solo aumentato l’attenzione
su di una cosa che
ormai non esisteva più.
Era quasi sicuramente
lei il motivo per cui Jared era sollevato di potersene andare,
probabilmente la
sola idea di passare più tempo del dovuto nello stesso
edificio in cui si
trovava lei, gli faceva preferire il morire di fame.
Questo semplice
pensiero le fece mancare il respiro per diversi secondi, fino a che fu
proprio
necessario che reintroducesse aria nei polmoni.
Tornò a guardarlo,
c’erano state altre domande e altre risposte in seguito, ma
le sue orecchie
ovattate le impedirono di ascoltare.
-Perché l’ha fatto?- la
domanda le arrivò come una testata, risvegliandola. Chi
poteva porre un
interrogativo del genere? Con che coraggio?
Aveva ritenuto i suoi
compagni abbastanza cresciuti per capire quando era necessario
diventare
discreti, ma probabilemente si era sbagliata.
Leto sorrise
debolmente, glissando completamente l’argomento.
–Per quanto riguarda l’esame
finale, dato che è questo che vi interessa realmente,
sarà fatto nella prossima
lezione.-
-Ma è tra 3 giorni!-
una compagna si lamentò. –Come prepareremo tutto
il programma dell’anno in soli
tre giorni?- del resto si trattava di un libro intero.
-Hai perfettamente
ragione Fiona, per questo sarà concentrato solo su
quest’ultimo capitolo.- un
sospiro di sollievo si levò all’unisono da tutti
gli alunni, i quali si
affrettarono a vedere di quante pagine fosse composto
quell’ultimo fatidico
capitolo.
-Si tratta di una
trentina di pagine e non voglio scuse.- terminò il
professore, riprendendo il
libro tra le mani per continuare la lezione. –Se avete delle
domande al
riguardo, non esitate.-
Un’altra compagna sollevò
la mano, attirando l’attenzione dell’uomo, il quale
portò gli occhi su di lei e
con il mento le diede la parola. –Si vociferano cose su di
lei da ieri.. è vero
che ha una relazione con una sua alunna?-
L’ennesima prova della
sfacciataggine dei presenti lasciò Kim esterrefatta. Per
poco non cadde dalla
sedia e si trattenne dal guardare la compagna in cagnesco, per non
attirare
sguardi indiscreti.
Era ovvio che tutti la
stessero tenendo sott’occhio, era chiaro che tutti fossero al
corrente del
fatto che fosse lei l’oggetto della domanda, lo stesso si era
imposta di non
reagire, di non muovere un singolo muscolo per l’intera ora.
Leto dal canto suo si
limitò a fissare per qualche secondo l’alunna,
mordendosi le labbra indeciso
sul da farsi.
La curiosità dei
giovani d’oggi, pensò, è impossibile da
tenere a freno. Mai si sarebbe
aspettato una domanda tanto diretta.
Lanciò una rapida
occhiata a Kimberly, notando solo in quel momento di quanto fosse
rigida,
seduta come pietrificata al suo posto.
I gomiti erano tenuti
saldamente sul banco e le mani intrecciate tanto forte da far diventare
le dita
bianche a causa della scarsa circolazione. Il volto era pallido e lo
sguardo
che aveva gli trasmetteva tutta la preoccupazione e il senso di colpa
che
provava in quel momento.. non aveva esattamente una bella cera.
Avrebbe dovuto
toglierle immediatamente gli occhi di dosso, eppure qualcosa lo spinse
a
prendersi un secondo in più per osservarla meglio.
Ne avevano passate
tante insieme, si erano conosciuti in un modo estremamente particolare,
in un
periodo in cui lui non sentiva di avere né speranze
né aspettative né tantomeno
un futuro, e lei come un asteroide gli era piombata addosso,
portandogli
improvvisamente un gran caos e una gran luce.
Tutto quel buio era
svanito dal momento in cui lei aveva messo piede nella sua vita.
Le cose ormai erano
cambiate e la Kimberly che pensava di conoscere, l’idea della
persona persona
che credeva fosse era scomparsa, mostrandone una diversa, una variante
decisamente deludente per il professore, fin troppo stanco di
sopportare tutto
il dolore che la vita pareva riservargli.
Si era lasciato
abbindolare, le aveva permesso di entrargli dentro, di portare tutta
quella
luce ad invadere ogni angolo della sua persona. E aveva sbagliato.
Eppure in quel momento,
il modo in cui teneva inclinato il capo, i capelli che le
incorniciavano il
volto, ricadendole sulle spalle, le labbra carnose e invitanti, rese
insopportabilmente rosse dal continuo mordicchiarle con cui si sfogava
ogni
volta che era vittima di tensioni, e gli occhi neri che gli rivolgeva,
quegli
occhi in cui più e più volte si era riflesso e
che aveva ammirato per infiniti
attimi, gli diedero improvvisamente una scossa di adrenalina.
Quegli occhi
rappresentavano tutto ciò che aveva desiderato di vedere nel
suo futuro.
In quell’attimo, senza
che potesse governare il pensiero, rivide in quella ragazza la sua
Kimberly, la
giovane che gli aveva rubato il cuore e che aveva invaso i suoi
pensieri con un
solo sguardo e un semplice sorriso.
La Kimberly che aveva
infinitamente lottato per salvare la loro relazione, che
l’aveva più volte
protetto con una forza invidiabile, preferendolo addirittura al suo
stesso
padre, andando contro ogni convenzione e ogni ostacolo con cui si erano
scontrati.
La Kimberly di cui si
era perdutamente innamorato, tanto bella da lasciarlo interdetto, come
se fosse
la prima volta che i suoi occhi si posavano sul suo volto.
Si era costretto più
volte a denigrare quel sentimento, a nasconderlo, a negarlo. Quello che
provava
per lei era un amore profondo, più di quanto avrebbe
sospettato, praticamente
impossibile da reprimere e da affogare.
Sbuffò svuotando il
petto, mentre constatava che sarebbe stato davvero inutile da parte sua
smentire un sentimento così forte.
Kim dal canto suo, come
se gli avesse letto nel pensiero, annuì dandogli un tacito
consenso e quell’affinità
che li aveva accomunati fin da subito, che aveva permesso loro di
vivere la
loro relazione in un modo così affiatato, tornò a
galla prendendolo in
contropiede.
Sarebbe stato davvero
un’idiozia tentare di nascondere agli altri un sentimento che
non riusciva a
nascondere neppure a se stesso.
Finalmente interruppe
il contatto visivo e tornò sull’audace alunna che
gli aveva posto la fatidica
domanda.
-Dal momento che non
sono affari vostri probabilmente dovrei smentire, ma purtroppo so che
non ci
sarebbe modo più rapido di rovinare il rapporto che abbiamo
creato nel tempo. Dal
momento che questa sarà l’ultima lezione insieme,
facciamo che sia il momento
delle confidenze.- sospirò, cercando le parole adatte.
–E’ vero. È successo, e
non ho scusanti, sono pronto a prendermi tutta la colpa di un errore
talmente
madornale. Un errore che non è assolutamente perdonabile, di
gran lunga
peggiore e più umiliante del picchiare un ragazzo.-
Kimberly abbassò
nuovamente lo sguardo, puntandolo sulle sue nocche bianche e congelate.
Con una
frase del genere avrebbe tranquillamente potuto ucciderla.
Fece appello a tutta la
sua forza d’animo, si costrinse con tutta se stessa a non
lasciarsi andare in
pianti e commiserazioni proprio lì, di fronte a tutti.
Cercava di non pensare
al fatto che l’avesse chiaramente definita un errore, che
avesse demolito a
parole quello che c’era stato tra loro. Una relazione in cui
lei aveva creduto
ciecamente.
-Però..- continuò la
voce di Leto. –Dato che di una confidenza si tratta, non
voglio ingannarvi
troppo.- spostò lo sguardo su Kimberly, la quale
portò istintivamente gli occhi
nei suoi. –Credetemi se vi dico che non
c’è stato un solo momento in cui me ne
sia pentito. Anzi, se dovessi tornare indietro infinite volte, lo
ripeterei completamente
altrettante infinite volte, perché sebbene ormai sia tutto
finito, per me è
stato perfetto.-
Questa volta la ragazza
non poté impedire ai suoi occhi di velarsi di lacrime. Il
tono e il modo in cui
l’aveva detto e in cui l’aveva guardata le fece
intuire che si trattava di una
dichiarazione assolutamente sincera.
Tutti i compagni
ammutolirono di fronte ad una frase così forte e
così inaspettata. Con quelle
parole capirono finalmente che quello che c’era stato tra
loro non era una
semplice tresca e passò in loro improvvisamente qualsiasi
voglia di giudicarli.
Si volevano un bene
profondo, e ai loro occhi tutta quella situazione apparve
d’un tratto con sfumature
diverse e romantiche, come qualcosa che si doveva rispettare e non
schernire.
Si emozionarono a
sentire quelle parole. Il fatto che fossero per gran parte ragazze fu
decisamente d’aiuto al professore.
I pochi ragazzi infatti
non compresero del tutto, specialmente Joe, continuando imperterriti a
ritenerla una disgustosa perversione.
Gwen guardò con gli
occhi lucidi in direzione di Kimberly, pensando che fosse fortunata
dopotutto. L’aveva
perso, ma lui era rimasto lo stesso a sostenere la loro relazione. Lo
trovò un
gesto molto romantico.
Kim nel frattempo rimase
fossilizzata in quella posizione, con lo sguardo fisso nello stesso
punto, con
la voce di Jared che le rieccheggiava nella mente, ripetendole
ciò che aveva
detto per molto tempo, anche dopo che se ne era andato.
Il visto le si illuminò
di un sorriso che cercava a stento di trattenere.
Forse c’era ancora una
speranza.
*
* *
Bussò
alla porta dell’appartamento
che conosceva fin troppo bene, trafelata e con il cuore che batteva a
mille nel
petto.
Era colma di adrenalina
e carica di speranza.
Nella testa continuava
a vorticare l’ultima frase che gli aveva sentito pronunciare
quella mattina,
frase che non l’aveva lasciata in pace per tutto il resto
della giornata.
Le era parsa talmente
carica di amore da sembrarle addirittura in grado di cancellare tutto
il
risentimento che lui provava nei suoi confronti.
Lui l’amava ancora, ne
era certa e probabilmente se lei gli avesse detto che lo amava ancora
anche
lei, l’avrebbe ripresa come era successo l’ultima
volta.
Ricordava perfettamente
lo sguardo che le aveva rivolto quando aveva aperto la porta la sera di
qualche
settimana prima, ricordava perfettamente come si era fiondato sulla sua
bocca,
l’aveva accolta come aria fresca dopo infiniti momenti di
apnea.
Poteva perfettamente
rievocare il sapore di lui tra le labbra, pronte ed elettrizzate di
accoglierlo.
Quando però la porta si
aprì, il sorriso le morì in volto.
Era Shannon, il quale
la fissava con occhi dispiaciuti mentre scuoteva la testa
silenziosamente.
-Mi dispiace.- sillabò
sottovoce. –Non vuole vederti.-
Le sbatté la porta in
faccia, e non seppe se il tonfo che udì fosse
l’uscio o il suo cuore che
esplodeva in mille frantumi.
Guess
its just a silly song about you
And
how i lost you
And
your brown eyes
Note finali: ed
eccoci di nuovo qui! Sono in un ritardo imperdonabile, ho promesso che
ci avrei messo poco e invece? siamo a 3 mesi dall'ultimo aggiornamento,
evvai così!
Vi chiedo come al solito scusa, ma purtroppo è stata dura.
Chi di voi scrive può capirmi quando dico che se manca
"l'ispirazione" è difficile. Perchè le idee le ho
e anche ben definite, ma se non hai molta voglia di mettere
giù quelle idee, non sai come farlo e come contornarle,
scrivere un intero capitolo diventa impossibile.
Come questo ad esempio, non mi piace granché, lo trovo
scritto malissimo tranne che in qualche passaggio. E' ridondante, con
troppi giri di parole e credo che non prenda abbastanza. Anche i
dialoghi non mi entusiasmano per niente, ma trovavo necessario buttar
giù qualcosa per diversi motivi.
Era innanzitutto davvero troppo tempo, sono ormai 2 anni che ho
pubblicato questa FF che ho cominciato quando avevo 17 anni e contando
che ora ne ho 21, sta diventando abbastanza imbarazzante per una come
me che ne finiva una in un paio di mesi! Sempre composte da tanti
capitoli (sono sempre stata molto prolissa nelle idee). Ok il tempo che
è diminuito, ok gli impegni che sono aumentati, ok la
monotonia di scrivere sempre degli stessi personaggi, ma ormai dovrei
smetterla di temporeggiare.
Il secondo motivo è che (come ho detto in passato) ne sto
scrivendo un'altra che è ancora più prolissa di
questa e ho paura ad immaginare quanto ci metterò. Ma la
voglio condividere perchè sento che potrebbe piacere. Quindi
prima finisco questa, prima pubblico l'altra, prima finisco anche
l'altra.
Ci sarebbe anche la possibilità di pubblicarne due insieme,
ma non è da me, già sono disorganizzata con una,
figuriamoci con due!
La terza è che ho ricevuto diversi richiami, vi adoro tutte
e avete ragionissima a riprendermi. Ho promesso troppe volte che avrei
continuato "presto", e va bene il soon di Jared, ma qui si sta
decisamente esagerando.
E poi diciamocelo, lui può permetterselo di tenere sulle
spine le persone, io invece che diritto ne ho?
Quindi tutto ciò per dire che mi dispiace del ritardo e mi
dispiace se il capitolo fa abbastanza pena, ma dovevo scrivere qualcosa
sperando di riprendere il via e sviaggiarmela un pò meglio.
Detto
ciò: che ne pensate? E' tristissimo vero? Del resto, dopo 60
più o meno capitoli di storia d'amore più o meno
liscia, è necessario che ci sia un pò di
dramma. La conclusione sarà incerta fino alla
fine, non garantisco nessun happy ending ;)
Scusate anche se la volta scorsa ho scritto due righe di numero nelle
note, ma ho avuto preblemi di pc e ho pubblicato da un computer non mio
e non i sembrava il caso di stare 60 ore a ciaccolare (ed è
anche il motivo per cui l'edit non mi è esattamente
riuscito.. mi sono accorta dopo che serviva una lente d'ingrandimento
per leggere). So che non vi mancava, ma è tanto che non ci
"sentiamo" e volevo comunque prendermi la possibilità di
spiegarmi.
La
canzone di oggi è Brown
Eyes di Lady Gaga, e boh ho pensato che ci stesse. Ho
l'impressione di averla già usata, e se così
fosse chiedo scusa per la monotonia.
Se
tutto fosse tutto
ma tutto è finito
tutto potrebbe essere tutto
se solo fossimo più grandi
Credo sia solo una
stupida canzone su di te
e su come ho perso te
e i tuoi occhi scuri.
Credo sia tutto, come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, idee,
consigli e opinioni che non fanno mai male. Mi piacciono i pareri
discordanti e anche quando ci sono pensieri negativi sono molto
apprezzati.
Noi ci rivediamo ormai l'anno prossimo e se siamo abbastanza miracolati
vi dico direttamente che prima di febbraio la vedo dura causa studio..
però non si sa mai, vi garantisco che mi
impegnerò e forse a metà gennaio avrete qualcosa.
Io
vi saluto, vi mando un bacione e vi auguro buone feste e un felice anno
nuovo.
xoxoxo
|
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Capitolo 77 *** Capitolo 77. ***
Capitolo
77.
Ich weiß nich' mehr, wer ich bin -
und was
noch wichtig ist
Das ist alles irgendwo, wo du bist
Ohne dich durch die Nacht - ich kann
nichts mehr in mir finden
Was hast du mit mir gemacht - Ich seh mich
immer mehr verschwinden
I
due uomini si
scambiarono un’occhiata spazientita, mentre il terzo
sbuffò un’imprecazione per
poi bofonchiare un paio di scuse.
-Jared e che cazzo!-
sbottò il fratello, rigirandosi le bacchette tra le mani
preso dal nervosismo.
Stavano ormai provando
da tre quarti d’ora la stessa canzone, non riuscendo a
terminarla neppure una
volta e la causa era sempre il cantante.
O andava fuori tempo, o
dimenticava le parole o si bloccava nel mezzo del ritornello.
Era impossibile
mantenere la calma, soprattutto per uno come Shannon che aveva la
tendenza a
scaldarsi rapidamente.
Tomo gli fece segno di
prendere un profondo respiro e dargli tempo, per poi avvicinarsi al
Leto più
giovane. –Amico, se non te la senti rimandiamo..-
L’altro si scansò,
mentre Shannon disse acidamente –E quando? La serata al tuo
locale è domani!-
Jared scosse la testa,
prendendo profondi respiri. –Scusate ragazzi, sono solo un
po’ distratto.-
-Un po’?!- esclamò
aspro il fratello.
Tomo lanciò a
quest’ultimo un’occhiata minacciosa, facendogli
gesto di rompergli la chitarra
in testa.
-Sappiamo che stai
passando un momento duro, Jay. Ma cerca di capire, se non suoni non
riuscirò a
pagarti e..-
-E mi ritroverò col
culo per terra, sì Tomo, lo so.- concluse Jared, facendo
riferimento al fatto
che in breve sarebbe stato un disoccupato. –Non ci voleva
proprio.- borbottò,
portandosi una mano in tasca e avvicinandosi ad una finestra per
accendere una
sigaretta.
Un lato positivo di
essermi lasciato con Kimberly, pensò tra sé e
sé, mentre inspirava un po’ di
nicotina.
La dose di sigarette
era triplicata in quel periodo.
-Il problema è che
questa canzone l’avevo scritta pensando a lei.- si
giustificò, puntando lo
sguardo fuori dalla finestra.
-Perfetto! Cambiamola!-
propose rapido Shannon, facendo una breve rullata di tamburi.
Il fratello minore
sbuffò, lasciando fuoriuscire tutto il fumo. –Non
è questo Shan, non è così
facile.-
I due amici si
guardarono rassegnati. Jared col cuore infranto era insostenibile.
Fortuna che era
successo raramente, constatò Tomo. –Qual
è il problema, allora?- chiese poi.
-Il problema è che è
ovunque! Ragazzi, io la vedo ovunque!- rispose spazientito.
–Vedo i suoi occhi
brillare ogni volta che suono la chitarra, la vedo quando mi faccio una
tazza
di caffè latte, sento il suo profumo quando mi siedo sul
divano, la vedo in
ogni ragazza che incrocio quando porto Judas a spasso, sento la sua
risata
quando vado a dormire. È ovunque.-
-Che problema.- sospirò
Shannon, incrociandosi beatamente le braccia al petto. –Anche
se.. magari se ti
disfacessi degli oggetti che te la ricordano, faresti un po’
di progressi.-
Jared gli lanciò
un’occhiata scettica. –Ci sono cose astratte che
non ti mollano, sai?-
Il fratello alzò gli
occhi al cielo, annoiato. Ma cosa gli poteva essere saltato in mente di
proporre a suo fratello di mettersi a suonare per arrotondare nel
mentre si
cercava un altro lavoro?
Aveva decisamente
sottovalutato quanto Jared fosse lunatico.
Tomo gli andò in aiuto,
fortunatamente. –Beh devo dire che Shannon non ha tutti i
torti, Jared. Se
magari cominciassi a togliere gli oggetti fisici che te la ricordano,
unendoci
il fatto che tra poco non sarai più costretto a vederla,
dovresti riuscire a
riprenderti.-
Jared lo guardò,
inclinando il capo all’indietro.
-Ci vorrà del tempo, ma
secondo me tanto vale tentare.- continuò l’amico,
cercando di mantenere un tono
gentile e incoraggiante.
Il cantante espirò
tutto il fumo dal naso, dando un’ultima occhiata fuori dalla
finestra. L’idea
di sbarazzarsi di Kimberly gli metteva un’infinita tristezza,
si sentiva
mancare solo all’idea di tutte le cose che avrebbe dovuto
cestinare.
Ma sarebbe decisamente
stata una cosa che avrebbe dovuto prendere in considerazione di fare.
Non poteva continuare a
vivere in quella condizione di costante malinconia, stava diventando
insopportabile perfino entrare nella sua stessa casa.
Quella ragazzina aveva
rovinato tutto.
E del resto, dal
momento che tornare con lei non era assolutamente un’opzione
attuabile, non aveva
neppure senso che si aggrappasse così morbosamente a quello
che si era lasciata
dietro.
Si voltò in direzione
degli altri. –D’accordo, lo farò.-
alché i due optarono per lasciargli il suo
spazio velocemente onde evitare che cambiasse improvvisamente idea,
immaginando
che l’uomo preferisse stare da solo.
E poi, non sarebbero
riusciti a sostenerlo. Era quasi un mese che era così a
terra e non si era mai
sfogato con loro –non che tendesse a fare scenate- ma non ci
tenevano
particolarmente ad essere presenti nel caso gli fosse venuta una crisi
mentre
faceva pulizia.
Non appena se ne furono
andati, Jared scoprì di non avere una scatola in cui riporre
tutto quello che
doveva mettere via. Non voleva sbarazzarsene completamente, voleva
semplicemente averli fuori dalla visuale quotidiana fino a che non
fosse stato
pronto ad andare avanti.
Perciò prese un
sacchetto di media dimensione e cominciò a riempirlo con
tutto quello che gli
ricordasse Kimberly: la tazza che usava sempre a forma di gatto, le
posate col
manico rosa che erano state comprate apposta per lei, alcuni regalini
sparsi
che gli aveva fatto, le loro foto insieme, le mille bozze del ritratto
che
aveva deciso di regalarle per il compleanno, il portachiavi a forma di
cuore
spezzato che gli aveva comprato ad una fiera nel paese lì
vicino, il suo
profumo preferito che aveva lasciato lì apposta
perché a lui piaceva da morire
e così via.
A fine dell’opera
alcuni spazi come la sala e lo studio si erano letteralmente svuotati,
ma
cominciò già a sentirsi meglio.
C’erano altre cose che
avrebbe dovuto togliersi di torno ma che, a differenza delle altre, non
avrebbe
dovuto tenersi.. quindi restava solo una cosa da fare:
Ora toccava alla parte
peggiore.
*
* *
Kimberly
sbatté forte
la testa contro il libro di musica aperto. –Ci rinuncio.-
bofonchiò abbattuta,
lanciando un’occhiata depressa verso l’orologio
rendendosi conto che erano
ormai due ore che tentava invano di memorizzare le stesse 3 pagine.
Doveva togliersi tutti
i pensieri dalla testa, ma era davvero complesso se si considerava che
il
professore di quella materia era Jared, il suo offesissimo ex.
Tanto offeso da
ordinare addirittura al fratello maggiore di non farla entrare in casa,
da non
venire neppure ad aprirle la porta, sia mai vederla al di fuori degli
orari
stabiliti.
O era diventato uno
smidollato o ce l’aveva ancora talmente a morte con lei da
essere disgustato
dall’idea di vederla più del dovuto.
Aveva sempre sostenuto
che il fatto che fosse il suo professore fosse proprio una fortuna,
così in un
modo o nell’altro poteva vederlo anche di sfuggita ogni
giorno.
Ultimamente aveva
capito quanto invece fosse una maledizione completa. Ed era convinta
che lo
pensasse anche lui.
Era mercoledì, ancora
un paio di giorni e poi sarebbe finito tutto.
Non seppe sinceramente
dire quanto quest’idea le piacesse e quanto le dispiacesse.
Era sicura solo di
una cosa: sarebbe stato fottutamente difficile.
Non intravederlo più
tra un’ora e l’altra, non riconoscere
più la sua camminata ciondolante nei
corridoi, non averlo più a 2 metri dal proprio banco un paio
di volte alla
settimana, sarebbe stata davvero una novità ardua a cui
abituarsi.
Provò a ripetere i
concetti del libro per distrarsi da tutti quei pensieri e
incredibilmente
realizzò di aver memorizzato finalmente il tutto.
Sorpresa, si decise a
riprendere e continuò senza problemi per l’ora
successiva, arrivando a metà del
capitolo prestabilito, oggetto dell’imminente compito in
classe.
La voglia le mancava
come per tutte le altre materie, ma l’idea di togliersene una
prima del
previsto le dava un certo senso di sollievo.
Quando stava per
cominciare la ventesima pagina però, qualcosa la distrasse.
Un ronzio
insistente e inizialmente di dubbia provenienza, la portò a
guardarsi intorno,
fino ad indiviaduare la causa del disturbo: il cellulare sul letto.
Corrugò la fronte,
domandandosi chi potesse essere. Non era più abituata a
ricevere telefonate,
oramai.
Quando lo sollevò e
vide chi era il mittente, quasi non le cedettero le ginocchia facendola
stramazzare al suolo.
Perché la chiamava? Un
suono assordante le azzerò l’udito, mentre senza
pensarci su troppo, rispose al
telefono.
-Pronto?- si sforzò di
non sembrare elettrizzata. Ok essere disperate, ma si era dismostrata
fin
troppo patetica di recente.
La voce sublime che
aveva agognato di sentirsi rivolgere spontaneamente da tempo, si
rivelò ancora
più sublime di quanto ricordasse. –Ciao Kimberly,
disturbo?-
-No, non preoccuparti.
Stavo solo studiando una materia inutile.- scherzò. Cosa
cavolo stava facendo?
Non era più il suo ragazzo, che cosa le saltava in mente di
parlargli come se
si aspettasse una sua chiamata, come se fosse stata una cosa da routine?
Sorprendentemente, lui
le diede corda. –Oh davvero?- rise. –Non ti
conviene prenderla troppo sotto
gamba, guarda che ti boccio.-
Kim ridacchiò
lievemente, facendo cadere il discorso. –Ti serviva
qualcosa?- voleva per caso
scusarsi per la maleducazione della sera precedente?
-Pensavo di passare io,
ma non so com’è la situazione in casa tua.
Perciò ti va di fare un salto da
me?- la tranquillità con cui lo chiese, le fece mancare un
battito. –E’ una
cosa veloce, te lo assicuro. Così poi potrai tornare a
studiare quella materia
meravigliosa.-
Era di buon umore?
Kimberly non sapeva
come prendere tutta quella cordialità, come poteva essere la
stessa persona che
il giorno prima si era rifiutata di aprirle la porta?
Credendo di essere
vittima di allucinazioni, decise di controllare lo schermo per essere
sicura
che fosse proprio Jared.
Il nome sullo schermo
era il suo, e perfino la voce era la sua. La voce, per quanto la
amasse, il suo
cervello malato non sarebbe mai stato in grado di replicarla
così bene e di
sovrapporla a quella di un’altra persona.
-Va bene, arrivo.-
disse trattenendo a stento un singhiozzo di gioia.
Voleva vederla per
scusarsi? Per dirle che aveva cambiato idea? Cosa poteva fare da
metterci così
poco?
Quasi dimenticandosi di
mettersi le scarpe, prese borsa e chiavi e si precipitò in
macchina.
Per quanto cercasse di
contenersi e di non lasciare che la sua mente si costruisse i castelli
di
fantasie, era davvero più forte di lei non vedere cattive
intenzioni in quella
richiesta.
Probabilmente gli
mancava chiamarla? Voleva vederla solo per vederla?
Non sarebbe stato poi
molto, ma in cuor suo Kimberly sapeva che le sarebbe bastato,
perché anche a
lei lui mancava più di quanto potesse sopportare.
Era sicura che stava
per accadere qualcosa di magico.
Sorrise per
praticamente tutto il tragitto, trovando il traffico estremamente
lento, non
vedendo l’ora di arrivare a destinazione.
Una volta sotto casa
sua, suonò il citofono e si apprestò a salire la
scale quattro a quattro,
trovandosi di fronte alla porta dell’appartamento di Jared
tutta trafelata.
Si costrinse a
trattenere un sorriso entusiasta e si ricordò solo in quel
momento di non
essersi neppure specchiata prima di uscire di casa. Sperò
con tutta se stessa
di avere un aspetto decente, degno di qualsiasi cosa sarebbe successa.
Il professore aprì la
porta e la invitò ad entrare, dove Judas scodinzolante la
accolse con guaiti gioiosi.
-Hai fatto veloce.-
constatò Jared, per poi chiderle se potesse offrirle
qualcosa.
Lei rifiutò. –Prima
vado, prima mi rimetto a studiare.- fece ironica, facendo chiaramente
intendere
che non avesse poi tutta questa fretta.
-Ok, allora..- si
avvicinò al divano dal quale afferrò una cosa che
poi le porse.
Una scatola per le
scarpe.
La ragazza lo guardò
senza capire, per poi aprirla. Che le avesse fatto un regalo? Cosa
stava
succedendo?
Quando l’aprì, il suo
contenuto la lasciò dapprima incerta per poi svuotarla
completamente di
qualsiasi buona aspettativa avesse al riguardo. Il cuore che fino ad un
secondo
prima batteva tanto forte da rimbombarle nelle orecchie, ora sembrava
si fosse
improvvisamente spento ed una profonda tristezza le calò
sugli occhi. Tentò di
non darlo a vedere, ma era sinceramente rimasta senza parole.
-Ho pensato che dovessi
ridartele.. del resto sono cose tue.- il professore ruppe il silenzio,
riferendosi al contenuto.
Kim si prese più tempo
del dovuto per osservare l’interno: tutto pur di non
sollevare lo sguardo su
Jared per fargli intendere che si fosse illusa in un modo vergognoso.
C’erano tutte le cose
che aveva lasciato lì dal momento che era iniziata la loro
relazione: uno
spazzolino che aveva portato apposta per lasciarlo in bagno, una
camicia da
notte per non dover sempre utilizzare i vestiti di Jared, un paio di CD
che
aveva dimenticato, dei braccialetti ed elastici per capelli e dei
libri. Tra
cui quello che il professore aveva comprato in aeroporto il giorno
della gita.
Il suo libro preferito.
Pensò a quanto fosse stata
sciocca. Il giorno prima non aveva neppure voluto aprirle la porta di
persona e
oggi come aveva potuto pensare che fosse addirittura tornato sui suoi
passi
decidendo di farla venire lì per perdonarla?
Che cacchio si era
fumata? Come aveva potuto andare lì con il cuore pulsante di
speranza, senza
prevedere tutto ciò?
Finalmente alzò lo
sguardo su di lui, rendendosi conto per l’ennesima volta di
quanto fosse
effettivamente tranquillo al riguardo. Una persona in una situazione
del genere
poteva essere tranquilla solamente per due motivi: non
l’aveva mai amata o aveva
completamente smesso di amarla.
Eppure glielo aveva
dimostrato e ripetuto più e più volte quanto per
lui la loro relazione fosse
finita.
Quella scatola era
decisamente l’ultima prova. Se non l’avesse capito
così, non l’avrebbe mai
capito.
A Kimberly non
restavano che due strade: o fare la parte della ex ossessiva e incapace
di
lasciarlo andare, o della ragazza comprensiva che si sarebbe
definitivamente
messa il cuore in pace.
Eppure non riusciva a
credere che per lui fosse stato così semplice. Come aveva
potuto mettere tutti
gli oggetti cardine della loro relazione in una misera scatola e
restituirglieli?
Significava solo una
cosa: lui voleva andare avanti, e le stava schiettamente suggerendo di
fare lo
stesso. Non ci sarebbe mai e poi mai stata una ripresa per la loro
coppia, il
messaggio urlava forte e chiaro.
Un groppo gigante le
intasò la gola. Fece per parlare, ma non le uscì
niente.
Jared comprese
perfettamente il suo stato d’animo e avrebbe tanto voluto
dirle che neanche per
lui era stato facile, ma l’aveva trovato necessario o non se
la sarebbe più
scrollata di dosso.
-Dal momento che non ci
vedremo più mi è sembrato d’obbligo.
Farlo a scuola sarebbe stato di pessimo
gusto, del resto abbiamo già..-
-..Attirato troppa
attenzione..- concluse lei al posto suo. –Sì, hai
fatto bene. Grazie.- il tono
piatto e le gambe incapaci di muoversi.
Come si poteva
sopravvivere ad una situazione del genere?
-Bene..- sospirò il
professore, avvicinandosi alla porta d’ingresso e aprendola.
–Credo sia tutto.-
Il magone che aveva Kim
alla gola le impedì di dire qualsiasi altra cosa, ma
d’altra parte cosa avrebbe
potuto dire? Cosa valeva la pena dire? Avrebbe avuto senso parlare?
Si limitò a fissarlo
per poi avvicinarsi alla porta molto lentamente, sotto lo sguardo di
Jared.
Anche lui le dava l’impressione di voler dire qualcosa, ma
probabilmente
avrebbe reso tutto più difficile.
L’aveva perfino
ringraziato. Se non si fosse sentita così triste
l’avrebbe trovato addirittura
buffo.
L’aveva ringraziato per
averle restituito le ultime cose che lo legavano a lui, come per
evitare che
lei un giorno in futuro gli piombasse in casa con una scusa del tipo
–Mi
ridaresti lo spazzolino? Sai, quello a casa si è rotto.-
Improvvisamente la sua
presenza in quella casa le sembrò assurda, ridicola e meno
voluta di un vampiro
in chiesa. Era necessario che se ne andasse il prima possibile.
Non si salutarono
nemmeno e, una volta fuori, aspettò che la porta le
sbattesse alle spalle per
poi poggiarvisi con la schiena e scorrere fino a sedersi sullo zerbino.
Lo sguardo vacuo,
l’espressione pietrificata, incapace di muoversi o di fare
qualsiasi cosa.
Dall’altra parte, una
volta chiusa la porta, anche il professore vi si poggiò
contro scivolando fino
a finire in ginocchio sul pavimento intento a riprendere aria, col
petto
dolorante e la testa che avrebbe voluto esplodere.
Si era preparato per
diverse ore a quanto sarebbe successo ma solo in quel momento si era
reso conto
che non sarebbero mai bastate tutte le ore del mondo per affrontare a
cuor
leggero una cosa del genere.
Non sarebbe mai stato
pronto a dirle addio.
Ich
bin nich' ich wenn du nich' bei mir bist - bin ich allein
Und
das was jetzt noch von mir übrig ist - will ich nich' sein
Draußen
hängt der Himmel schief
Und
an der Wand dein Abschiedbrief
Ich
bin nich' ich wenn du nich' bei mir bist - bin ich allein
Note
finali: no, non avete un'allucinazione, ho
davvero aggiornato prima dei miei tipici sei mesi!
Mi piacerebe sapere cosa ne pensate della piega che sta prendendo
questa storia e cosa secondo voi succederà. Finale positivo
o negativo? Sto valutando anche io e forse, ripeto FORSE il prossimo
sarà l'ultimo. Era del tutto imprevisto ma quando l'ho
scritto ho pensato che potesse essere un modo abbastanza buono per
terminare questa storia
Vediamo in che mood mi troverò io e quello che
possibilmente direte voi ;)
In ogni caso se non è il prossimo ce ne saranno
altri.............. 3/4.
Per la canzone avevo voglia di riprendere le mie amate lingue straniere
e mi sono imbattuta in questa deutsch Lied dei Tokio Hotel
(ahah)
Ich bin nicht ich.
Non so più chi
sono,
e cosa è
importante.
E' tutto da qualche
parte, dove sei tu.
Senza te la notte
non mi ritrovo
più in me stesso
Cosa ne hai fatto di me?
Mi vedo sempre di
più scomparire.
Io non sono
più io quando tu non sei con me
sono solo
E ciò che di
me è rimasto, non voglio esserlo
Lì fuori il
cielo è appeso storto
e alla parete la tua
lettera d'addio.
Non sono più
io se non sei con me
non voglio più
esserlo.
E dopo questa botta di allegria vi auguro una buona serata.
Spero mi facciate sapere qualcosa, e vi comunico che ho già
scritto il prossimo capitolo quindi anche questa volta non dovrete
aspettare un'infinità.
baci&abbracci
|
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Capitolo 78 *** Capitolo 78. ***
Capitolo
78.
Quando
mise piede in
macchina, si trovò in uno stato quasi catatonico, di totale
assenza.
Guidò per diverso
tempo, fece più volte la stessa strada, percorrendo paesini
lontani che però
conosceva, concentrata sulla guida più che sul pensare.
In un certo senso,
guidare la distraeva da tutta la tristezza che aveva dentro, un modo
come un
altro per non rivivere il momento appena trascorso, tanto brutto da
poter
rientrare nel primi posti della top ten dei momenti da dimenticare.
Non poteva crederci.
Non poteva semplicemente crederci, forse perché non se lo
sarebbe mai e poi mai
aspettato.
Teneva lo sguardo
fisso, il piede cambiava agevolmente pedale, misurando adeguatamente
l’intensità con cui premente. Metteva la freccia,
si fermava ai semafori,
prendeva le curve con un’agevolezza che solitamente tendeva a
trascurare per la
fretta.
La migliore guida da
quando aveva preso la patente.
Più volte arrivò al
bivio che le permetteva di imboccare l’autostrada, e se non
fosse stato il
pensiero costante di non avere abbastanza soldi con sé,
sarebbe fuggita senza
neppure guardarsi indietro.
Probabilmente sarebbe
poi tornata nel giro di qualche giorno, ma l’idea di evadere
da quel posto, di
allontanarsi per un po’ e cambiare aria, le sembrava
l’unica alternativa che
l’avrebbe fatta sopravvivere a tutto quel buio che si sarebbe
ben presto
impossessato di lei.
Perché sebbene ancora
non l’avesse assalita, sentiva che il dolore era in agguato,
pronto che lei si
distraesse per saltarle alla gola e dilaniarla fino a che non le si
fossero
prosciugate le lacrime.
Sapeva che non sarebbe
riuscita ed evitare di pensare e ripensare infinite volte a quello che
era
accaduto, che quella scatola l’avrebbe tormentata per diverso
tempo e non aveva
alcuna voglia di ridursi nuovamente una scorza senza vita.
Un cadavere capace solo
di piangere e limitarsi ad esistere.
Doveva essere lucida,
avrebbe avuto gli esami nel giro di breve e non riusciva ad immaginarsi
come li
avrebbe affrontati, come si sarebbe presentata davanti ai professori
dimostrandosi sicura di sé e di quello che sapeva, se in
quel momento si
sentiva come del pattume da buttare.
A risvegliarla dai
pensieri fu la spia della benzina che la fece accorgere di aver
bruciato ben
due tacche da quando era partita da casa di Jared.
Era in riserva e senza
soldi al momento, quindi trovò necessario tornare a casa.
Quando vi giunse,
rimase ancora un periodo di tempo indeterminato in macchina a fissare
il vuoto.
Non era pronta ad
entrare in casa e ad affrontare di nuovo tutto il dolore, ancora una
volta,
tutto da capo. L’anno prima ne era uscita devastata, aveva
dovuto
cambiare gran
parte di sé per riuscire ad uscirne, per essere nuovamente
in grado di
sopportare la sua vita.
Cosa avrebbe fatto
questa volta? Come avrebbe superato e soprattutto in quanto tempo?
Dopo non seppe
precisamente quanto, si
accorse che il
cielo era diventato ormai nero e i denti avevano cominciato ad emettere
un
suono decisamente fastidioso, dato dal freddo.
I suoi si sarebbero
preoccupati se non fosse rincasata per cena senza che li avesse
avvisati,
quindi con un profondo respiro, prese la decisione di rientrare.
Tanto sarebbe dovuto
succedere prima o poi, no?
Quella notte non chiuse
occhio un istante e per tutto il tempo e tutto il giorno seguente
pianse a
dirotto, singhiozzando così forte da temere di farsi venire
le convulsioni.
Continuava a pensare a
quella scatola, che si era accurata di nascondere sotto al letto per
averla
fuori dalla vista, al modo sereno con cui Jared gliel’aveva
data, come se si
fosse trattata solo di una scatola.
C’era tutto lì dentro,
Kimberly l’aveva constatato profondamente afflitta.
C’era il loro passato insieme,
i momenti del corteggiamento, quei momenti che le avevano strappato
mille sospiri
e mille sorrisi, i momenti in cui si erano dichiarati, le
difficoltà, i gesti
d’amore che si erano dimostrati.
Restituendogliela, lui
stava in un certo senso rinnegando tutto. Le stava restituendo tutto,
tutti i
ricordi, come se fossero qualcosa che non valesse nemmeno la pena di
conservare, e neanche lo volesse fare. Come se nulla fosse successo.
Come a
dire “è stato bello, ma puoi pure ripenderti
tutto”.
Ormai aveva capito che
le cose non si sarebbero mai sistemate, ma che addirittura lui si
comportasse
così crudelmente, non l’avrebbe mai sospettato.
Pianse con tutto il
cuore, tentando di soffocare tutta la tristezza sui cuscini. Non era
semplicemente triste, non era come le altre volte in cui avevano
litigato e
Jared era arrabbiato.
Si sentiva come in
lutto. Si sentiva come se le avessero strappato e distrutto qualcosa,
una parte
importante di sé, un pezzo del puzzle che aveva gelosamente
abbracciato per
tutto quel tempo, in cui aveva riposto vagonate di speranza e sogni.
Nella sua visione, il
professore ormai era diventato una parte fondamentale del suo futuro,
quasi
l’elemento cardine e dal momento che questo si era
spontaneamente tirato
indietro, cosa le rimaneva ora?
Stava assistendo al
funerale della vita come se la era immaginata accanto a Jared, e quel
feretro
era una visione che non riusciva a tollerare.
L’aveva perso e ora
doveva lasciarlo andare, ma era come se si sentisse completamente
incapace.
Ci aveva creduto
ciecamente, avrebbe dato qualsiasi cosa perché si avverasse
e l’idea che fosse
proprio lei la causa di quello sfacelo la faceva gemere ancora di
più dal
dolore.
Aveva pianto senza
sosta, senza riprendere fiato, entrando spesso in un’apnea
momentanea; fino a
consumare pacchetti interi di fazzoletti, scorticarsi la pelle a forza
di
asciugarsi le lacrime e far perdere il sonno addirittura ai suoi
genitori.
I due avevano capito
che per un periodo la figlia era stata in una relazione, non erano
proprio
deficienti e il fatto che andasse così spesso a dormire da
Gwen dopo un po’ era
parso anche a loro eccessivo.
Ok che le due fossero
legate, ma la storia non stava in piedi.
Da qualche tempo
invece, la loro Kim era tornata ad essere uno spettro. Poco sonno, poco
appetito,
poche parole e in generale si faceva vedere di rado.
Lei sapeva che
avrebbero capito, si sarebbero preoccupati e avrebbero fatto tantissime
domande
e quella relazione era stata un vero e proprio segreto fino a quel
momento, non
sarebbero riusciti a cavarle una parola neanche impegnandosi come matti.
Per quanto si
sforzassero di starne fuori, Lilian e James non riuscivano a vederla
ridursi in
quello stato. Va bene che l’adolescenza portava i ragazzi a
reagire in modo
spropositato, ma questo era davvero troppo.
Avrebbero voluto aiutarla,
ma sapevano che non ci fosse niente da fare.
La madre non chiuse
occhio tutta notte, ascoltando i suoi singhiozzi sommessi, sperando che
ognuno
fosse l’ultimo. Chi poteva averla ferita tanto? Cosa poteva
essere successo?
Erano così tante le
domande che avrebbe voluto porle, ma conosceva Kimberly e sapeva quanto
fosse
gelosa della sua privacy.
Eppure Lilian avrebbe
voluto far qualcosa.
Il giorno seguente però
la ragazza non si sprecò neppure a nascondere il motivo per
cui non sarebbe
andata a scuola, a parte il volto devastato e stanco, non aveva ancora
la forza
di smetterla di versare lacrime su lacrime.
La madre non le porse
domande, nonostante la voglia, e si limitò a farle una
carezza prima di andare
al lavoro. Si sforzò di non mostrarle quanto il vederla in
quello stato la
distruggesse, nascondendole gli occhi lucidi, ma inutilmente dato che
Kim era
talmente afflitta dal suo tormento da non accorgersene
minimamente.
Alla ragazza venne in
mente solo per un secondo che probabilmente non avrebbe dovuto
comportarsi
così, che avrebbe dovuto sollevarsi dal letto e far vedere
loro che avevano
cresciuto una persona forte e indipendente, che non si lasciava
abbattere dalle
delusioni d’amore.
Cancellò sul nascere
quel pensiero, non le fregava sinceramente un cazzo in quel momento di
quello
che potessero o non potessero pensare i suoi genitori.
Faceva già fatica a
stare dietro a se stessa, non poteva che affrontare una questione alla
volta.
Se mai fosse sopravvissuta.
Per sua fortuna la
stanchezza prese il sopravvento e a metà mattina si
appisolò per diverse ore,
permettendo ai suoi dotti lacrimali di ricaricarsi e al suo viso di
distendersi. Quante rughe le sarebbero venute solo ed esclusivamente
per quella
notte?
Si svegliò dopo diverso
tempo, quando qualcuno bussò alla porta della sua camera.
Lilian entrò senza
aspettare il permesso, trovando la figlia esattamente nella stessa
posizione in
cui l’aveva lasciata la mattina. Senza dire una parola, le
lasciò sul comodino
dei biscotti e una vaschetta di gelato a due gusti, mentre sul letto
poggiò un
paio di film strappa lacrime.
Kimberly la guardò
dispiaciuta. –Grazie, mamma.- mormorò con la voce
impastata.
La donna le rivolse uno
sguardo incoraggiante, per poi andarsene di nuovo.
Il
resto del pomeriggio
la tiritera sembrò non voler finire. Aveva visto i film e si
era riempita di
quelle schifezze, andando a cibare la sua anima e per quello che poteva
il suo
umore, anche se non durò per troppo tempo.
Gwen l’aveva chiamata,
immaginando che la sua assenza fosse dovuta a Leto, e la
spronò a raccontarle
cosa fosse successo.
-Mi ha cancellata,
Gwen. Come nel film “Se mi lasci ti cancello”, hai
presente? Ecco io sono
Joseph e lui è Clementine. Mi ha cancellata esattamente con
la stessa facilità
con cui lei cambia colore di capelli.- si lagnò, soffiandosi
il naso tra una
frase e l’altra.
L’amica non sapeva
proprio cosa dire, non poteva dire che il professore si fosse
comportato bene,
ma d’altra parte era una cosa abbastanza normale quando una
relazione finiva.
-Io vorrei solo capire
come sia stato così facile per lui!- continuò tra
le lacrime.
-Non credo lo sia
stato, Kim.. è solo che è un uomo, probabilmente
nasconde bene le sue
emozioni.-
-No, vuole
semplicemente lasciarsi questa storia alle spalle il prima possibile.
Sono
solamente una virgola nella sua vita, entro un mese non si
ricorderà neppure il
mio nome.-
-Non dire fesserie.- si
affrettò Gwen, sebbene sapesse che fosse del tutto inutile
darle qualsiasi
barlume di speranza che lei fosse ancora importante per il professore.
Ormai
lui aveva decisamente messo le cose in chiaro.
-Non mi ama più, Gwen.
Non so nemmeno se mi abbia mai amata, ma so per certo che non mi ama
già più.-
Kimberly dal canto suo, era inconsolabile. –Perché
per lui è stato così rapido?
Io lo amo ancora così tanto, lui mi ha cambiata. Solo
l’idea di togliermelo
dalla testa mi fa preferire il suicidio, e lui invece? Mi ha
scardinata dalla
sua vita.-
-Io non sarei così
affrettata. Sarà pure arrabbiato, ma se fino a 3 settimane
fa andavate d’amore
e d’accordo non è umanamente possibile che il
sentimento si sia già spento.-
-Forse non si è spento,
ma lui sta facendo il possibile per far sì che succeda
rapidamente. Non vede
proprio l’ora, come quando non vedi l’ora di
toglierti una terribile
irritazione cutanea.- si soffiò nuovamente il naso.
-Kimberly, io non so
sinceramente cosa dirti. Mi dispiace tantissimo, ma devi cercare di
stare su e
non abbatterti così.- del resto quando una relazione finiva,
era questo che si
faceva. Si faceva un bel sospirone e poi si ricominciava a camminare
con le
proprie gambe, ricordandosi com’era prima che quella persona
fosse nella nostra
vita.
La ragazza annuì
silenziosamente. –Devi darmi qualche giorno.-
l’amica aveva ragione, e si
rendeva conto di essere fin troppo pesante, perciò si era
sforzata di cambiare
“’qualche mese” in quel
“qualche giorno”.
Dopo un breve scambio
di battute, Gwen le ricordò che si sarebbe dovuta mettere a
studiare, dato che
il giorno seguente le aspettava la verifica imminente. Per quanto Kim
le avesse
dato ragione e le avesse promesso di esserci, non uscì mai
dal letto per finire
il capitolo che aveva lasciato a metà.
*
* *
Il
professore entrò in
aula. –Separate i banchi.- ordinò a gran voce di
modo che tutti gli alunni
potessero udirlo senza scusanti.
Infatti eseguirono con
una sonora sbuffata. Era l’ultimo giorno di insegnamento di
Leto, era davvero
stupido pensare che potesse esserne dimenticato.
Quando la distribuzione
dei banchi lo soddisfò, cominciò a far passare le
schede tra i ragazzi.
-Avete mezz’ora.-
disse, aspettando che tutti avessero il foglio per poi dare il via.
Gwen quando ricevette
il suo, si apprestò a leggerne le domande.
Strabuzzò gli occhi.
Lei non era mai stata
una grande studentessa, studiare in generale non la faceva impazzire ed
erano
stati davvero rari i compiti in cui aveva eccelso.
E la gran parte si
potevano accumulare tra le elementari e le medie.
Eppure, il compito che
si trovava sotto il naso era di una semplicità sconvolgente.
Notò anche come il
professore fingesse di essere tutto concentrato nel leggere qualcosa,
dando in
questo modo agli sfaticati che non avevano avuto voglia di studiare, la
possibilità di copiare.
La ragazza sorrise
debolmente. Probabilmente era l’ultimo regalo che desiderava
far loro.
Erano una trentina di
quesiti a scelta multipla, posti in una maniera estremamente
elementare.
Sembrava strutturato in modo che anche chi non avesse neppure aperto
libro,
fosse in grado di azzeccare la risposta corretta.
Lei aveva studiato e
per questo motivo, nel giro di un quarto d’ora, si
ritrovò a posare la penna e
a rimirare la verifica tra le mani, con un gran sorriso. Forse la
migliore
della sua carriera, osò pensare.
Soddisfatta, voltò lo
sguardo su Kimberly, chiedendosi come se la stesse cavando
l’amica.
Si accorse solo in quel
momento che la ragazza a meno di un metro da lei, non aveva neppure
toccato la
verifica, forse non l’aveva manco letta, intenta a fissare
fuori dalla finestra
mentre si rigirava una biro tra le dita.
Non aveva lo sguardo
triste: di tutta la depressione del giorno precedente non
c’era la minima traccia.
Sembrava semplicemente assorta, persa in un altro mondo fuori da quelle
quattro
mura.
A Gwen venne un colpo:
non avrebbe permesso che si facesse bocciare in quella materia
solamente perché
aveva avuto dei problemi col professore.
La loro relazione non
aveva mai influito sul rendimento di lei, era davvero una mossa stupida
farlo
succedere ora, quando si trattava del voto decisivo.
Si apprestò ad attirare
la sua attenzione. –Kim!- sibilò. –Che
cavolo stai facendo?-
La ragazza la guardò
completamente rassegnata, facendo spallucce. –Non ho
studiato.- giustificò
tranquilla.
-E’ a prova di
imbecilli questo compito!- prova ne era che stavano serenamente
conversando a
due passi dal prof.
Kimberly le rivolse uno
sguardo completamente disinteressato. –Sono stanca.- e
tornò a fissare fuori
dalla finestra. Il clima si stava scaldando rapidamente, e se fino a
qualche
settimana prima la primavera sembrava non volerne sapere di venir
fuori, ora
l’estate sembrava avere fin troppa fretta di presentarsi.
Kimberly non vedeva
l’ora. Sarebbe stata l’estate più lunga
della sua vita e senza neppure il
pensiero di avere dei compiti.
L’idea la rallegrava.
Avrebbe passato tutte le altre materie, se anche una le fosse andata
male, non
sarebbe poi stata la fine del mondo.
A Jared non importava
più un accidente di lei? Perfetto, per lei ora non esisteva
più neppure un
professor Leto.
Portandosi le mani nei
capelli, Gwen puntò gli occhi sul professore, il quale
sollevò lo sguardo su di
lei dopo poco. Evidentemente si sentiva osservato.
Lei gli indicò con un
cenno la sua compagna, e a vedere Kim bruciare così
l’opportunità di ricevere
un ottimo voto, in lui si aprì un varco di apprensione.
Fece cenno a Gwen di
avvicinarsi, la quale eseguì. –Che cosa sta
facendo?- le chiese.
La ragazza gli rivolse
uno sguardo irritato. –La prossima volta magari provi ad
essere più cauto.-
chiosò, facendo riferimento a qualcosa che lui
capì
immediatamente.
-Non ho fatto niente di
male.- lo sguardo si indurì.
-Ne sono sicura, ma il
messaggio che le è arrivato non è esattamente
carino.- sapeva che non avrebbe
dovuto, ma fu più forte di lei prodigarsi per difendere la
sua amica. Sarebbe
stata dalla sua parte nel bene e nel male, per quanto magari a volte si
dimostrasse dura nei consigli.
-Le ho solo restituito
le sue cose.- ribatté sottovoce.
-Professore, non deve
giustificarsi con me. Solo che io penso che quando non si ama
più una persona,
va bene farglielo capire, ma illuderla così per spezzarle il
cuore, mi sembra
un’azione un po’ bassa.. perfino per un uomo.-
Leto sbatté più volte
le palpebre. –E’ questo che ha capito?- doveva
aspettarselo.
Le femmine erano più
complesse e in un basico gesto ci vedevano una tragedia romantica,
mentre per
le menti semplici dei maschi, restituire una scatola significava solo
ed
esclusivamente restituire una scatola. Niente di più, niente
di meno.
Sbuffò, appoggiandosi
allo schienale, facendo poi segno a Gwen di tornare al suo posto.
Osservò il volto
immobile di Kimberly per il resto del tempo concesso per la verifica,
alla fine
del quale chiese che gli fossero restituiti i fogli.
-E ora cosa facciamo?-
chiese un alunno sorridente per il compito che era sicuramente andato
bene, ma
rendendosi conto che mancava ancora una mezz’ora piena.
Il professore ricambiò
il sorriso, estraendo da dietro la sedia la sua fida chitarra.
Tutti ne furono subito
felici. Era tanto che mr Leto non suonava per loro.
Dal canto suo Jared, la
sera prima aveva davvero fatto schifo al locale di Tomo e
l’idea di ripetere
l’opera non lo aggradava poi molto, ma voleva condividere
un’ultima volta con i
suoi alunni questa passione. Erano loro il suo pubblico più
appassionato, e del
resto, voleva cogliere l’occasione per suonare qualcosa a
Kimberly.
Le avrebbe lasciato
qualcosa di diverso, rispetto a quel codardo “non ti amo
più” che si era
portata a casa l’altro giorno.
I ragazzi richiesero a
turno una canzone che potessero cantare tutti insieme, e sebbene non
fossero le
sue, l’uomo si divertì molto vedendo come stavano
a tempo e si appassionavano a
sentirlo.
Leggeva sui loro volti
la gioia di quell’ultima condivisione, porgendogli tra una
strimpellata e
l’altra, alcune domande sul suo conto.
Cosa avrebbe fatto ora,
se gli sarebbero mancati, se si potessero rivedere un giorno, se fosse
tornato
a trovarli… non era ancora uscito da
quell’edificio e già sentiva
un’incredibile nostalgia dei suoi alunni.
Kimberly nel frattempo
era rimasta immobile ad osservare qualcosa fuori dal vetro. Non muoveva
neppure
un muscolo, neanche le palpebre, al punto da
apparire quasi finta.
Perciò, stanco di
vederla così, desideroso di vedersi rivolgere almeno uno
sguardo, fu il
professore a scegliere l’ultima canzone.
Ti
ho deluso o abbandonato?
dovrei
sentirmi in colpa o lasciare che
i
giudici mi guardino male?
Perchè
ho visto la fine prima che iniziassimo
sì,
ho visto che tu eri cieca
ed
io sapevo di aver vinto.
Quindi
ho preso quel che era mio per diritto divino
Ho
preso la tua anima durante la notte
potrebbe
essere finita ma non finirà qui,
sono
qui per te, se solo te ne importasse.
Le
note invasero la
stanza, mentre i ragazzi uno ad uno cominciarono a riconoscere di che
canzone
si trattasse.
Gwen, da come il
professore guardava insistentemente in direzione dell’amica,
capì che fosse
appositamente dedicata a lei e si sentì sollevata nel notare
che finalmente
Kimberly non era più un ologramma, ma fosse finalmente
resuscitata e
improvvisamente si fosse fatta attenta.
Hai
toccato il mio cuore, hai toccato la mia anima
hai
cambiato la mia vita e tutti i miei obiettivi
e
l'amore è cieco e l'ho saputo quando
il
mio cuore era accecato da te.
Ho
baciato le tue labbra e tenuto la fronte
ho
condiviso con te i tuoi sogni e il tuo letto
Ti
conosco bene, conosco il tuo odore
Sono
stato dipendente da te.
Il
sentimento con cui
intonava quelle parole, fece presto comprendere a tutti di cosa si
trattasse e
improvvisamente i compagni cominciarono a sentirsi di troppo ma al
contempo
onorati di poter assistere ad una scena del genere.
Non era una bella
canzone, spensierata e felice, ma era una canzone capace di toccare il
cuore.
E quelle parole stavano
toccando quello di Kim al punto che per lei fu improvvisamente
impossibile
nascondere cosa provasse e il suo viso d’un tratto, da quasi
plastificato, mutò
in una maschera di dolore.
Non sapeva bene dire da
cosa potesse essere spinto Jared in quella follia, ma
l’accettò e decise di
seguire fino in fondo come sarebbe andata.
Addio
amore mio, addio amica mia
sei
stata quella giusta, quella giusta per me
Sentirgli
pronunciare
quelle parole, fece più male di quanto potesse mai
aspettarsi.
Si sapeva, Jared non
era un gran chiacchierone per certe cose, per questo motivo non si
sarebbe mai
immaginata di sentirle proprio dire dalla sua bocca.
Ma era lì, e per quanto
tentasse di non starlo a sentire, le orecchie non potevano che tendersi
alla sua
voce e gli occhi non potevano che bramare di essere guardati dai suoi.
Sono
un sognatore ma quando mi sveglio,
non
puoi spezzare il mio spirito
sono
i miei sogni che prendi.
E
ora che stai andando avanti, ricordati di me
ricordati
di noi e di quello che eravamo.
Probabilmente aveva
avuto ragione Gwen a dirle che se la era presa troppo. Quella scatola
non
significava necessariamente che non volesse più niente che
la ricordasse nella
sua vita, ma che desiderava solamente un po’ di spazio per
poter andare avanti.
Per quanto fosse un
messaggio un po’ più gestibile rispetto a quello
con cui si era flagellata
notte e giorno la ragazza, per lei costituì lo stesso una
gigantesca pillola da
ingoiare.
Lei non voleva
lasciarlo andare, per quanto si sforzasse.
Ti
ho vista piangere, ti ho visto sorridere
ti
ho guardata dormire per un po’
Sarei
stato il padre dei tuoi figli,
avrei
passato il resto della vita con te.
Conosco
le tue paure e tu conosci le mie
abbiamo
avuto i nostri dubbi
ma
adesso stiamo bene,
e
ti amo, giuro che è vero.
Non
posso vivere senza di te.
Perfino
per Jared
cantare quelle parole fu estremamente difficile. Se fosse stato in
un’altra
situazione si sarebbe messo a piangere come un bambino.
Lui l’amava sul serio,
l’amava solo come un uomo che non era mai stato ferito poteva
amare e sarebbe
stato un sentimento davvero difficile da seppellire.
Le varie circostanze
però gli avevano dimostrato che non sarebbero potuti stare
insieme, che per
quanto si fossero sforzati di avvicinarsi, le varie divergenze alla
fine li
avevano allontanati.
Lo stesso lui era grato
per tutto ciò che gli aveva concesso, per quello che gli
aveva permesso di
vivere e ci teneva che lei lo sapesse.
Sempre che il messaggio
ora arrivasse giusto.
Addio
amore mio, addio amica mia
sei
stata l'unica, l'unica per me
Ed
io continuo a stringere la tua mano nella mia
nella
mia quando mi addormento.
E
sopporterò la mia anima nel tempo
mentre
mi inginocchierò ai tuoi piedi
E quindi era un addio.
Si sarebbe mai aspettata una conclusione del genere?
Avrebbe mai sospettato
che la sua travagliata storia d’amore proibita terminasse
così, con una
serenata strappalacrime in piena lezione in orario scolastico?
Del resto, tutto era
nato con una canzone e come conclusione sembrava davvero la
più azzeccata.
Quando terminò la
canzone, i compagni ci misero un po’ a riprendersi, per poi
guardarsi intorno e
accorgersi che quella nenia non aveva solo toccato i diretti
interessati, ma
fossero tutti reduci da una strofinata di occhi atta a bloccare le
possibili
lacrime.
Gwen stessa aveva occhi
e naso che pizzicavano e ritardò il più possibile
il momento in cui avrebbe
dovuto voltarsi verso Kimberly.
Quando accadde, la
trovò nuovamente immobile a fissare il professore, questa
volta. Per quanto si
fosse impegnata a mantenere il viso inespressivo, delle lacrime
silenziose
avevano lasciato traccia sulle gote appena, appena bagnate.
Teneva gli occhi saldi
su Jared, il quale ricambiava con tutto l’affetto che fosse
in grado di lasciar
trasparire.
E le stava arrivando
tutto. Kim non riusciva più a sentirsi arrabbiata nei suoi
confronti o delusa.
Affranta e sgomenta sì, ma l’uomo era riuscito
finalmente a dimostarle per
l’ultima volta che aveva a disposizione la sua vera natura e
tutto l’amore che
aveva serbato per lei.
Non si sarebbe mai
aspettata niente di simile e stentava a credere che quelle parole
fossero
uscite dalla sua bocca.
Eppure era successo. La
stava davvero lasciando con una canzone, le stava dicendo che
l’amava ma che
questo amore non era abbastanza per tenerli insieme.
Forse un giorno se ne
sarebbe fatta una ragione.
Note
finali: eh. Rileggendolo non mi soddisfa moltissimo e
soprattutto la prima parte, immagino quanto sia tedioso e odioso per
voi leggere di sta ragazza che si trafigge nel dolore.
Ognuno reagisce a modo suo, io ho voluto renderla più
disperata possibile, perché credo che sia così
che si reagisce quando una persona che ami, non ti corrisponde
più. Almeno, sarò una piattola, ma io quando sto
male sto davvero malissimo, quindi diciamo che è proprio il
trauma che proverei io che volevo far uscire in questo testo.
Spero di non essere troppo esagerata o di non avervi annoiate troppo,
ma posso dire che dovrebbe essere l'ultima volta che trovate una
Kimberly così distrutta. O dei sentimenti così
negativi. Non spoilero niente, semplicemente mi sono un pò
rotta anche io di questa situazione xD
Non c'è una canzone di contorno, dato che il capitolo in
sé è concentrato su una canzone, che
è, se non l'avete ancora colta, Goodbye my lover di
James Blunt, che ho direttamente tradotto (le inglesofile mi odieranno)
perché volevo far arrivare direttamente il significato, e se
non riesce a farlo la nostra lingua madre, non ci riesce nient'altro.
Perdonatemi questa scorciatoia x)
E' quindi un addio?
L'idea più recete che ho avuto era di farlo terminare
così, con la triste morale che le cose anche belle, se non
sono giuste per noi, dobbiamo essere in grado di capire quando devono
essere lasciate andare. E' una lezione dura, ma deve essere imparata e
lo sappiamo bene.
Un finale degno per una relazione tra teste e persone così
diverse, no?
D'altra parte però questa FF è nata quando avevo
17 anni e l'idea originale non era di finirla così, quindi
con il vostro permesso, io avrei ancora un paio di idee nella manica.
Spero di avere il vostro appoggio e vi auguro buona lettura.
Fatemi sapere come sempre, e scusatemi eventuali errori che mi sono
sfuggiti, al momento sono un ciclope e si fa quel che si può
ahaha.
xoxoxo
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