The Family Business

di TheShippinator
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** • Capitolo 1 • ***
Capitolo 2: *** • Capitolo 2 • ***
Capitolo 3: *** • Capitolo 3 • ***



Capitolo 1
*** • Capitolo 1 • ***


Carissimi! Carissime! Quanto tempo! Avevo voglia di postare. Avevo voglia di farvi sapere che cosa passa per la mia testa. Questa fanfiction sarebbe dovuta appartenere al Glee Big Bang, ma non l'ho ancora conclusa e a causa della rottura del computer, ai tempi, ho dovuto metterla da parte e ritirarmi. Comunque faccio i miei complimenti all'organizzazione del Big Bang e vi invito a leggere le fanfiction pubblicate e scritte da numerosi autori ed autrici che meritano davvero tutte le visualizzazioni che riescono ad ottenere! 
Intanto, voglio avvisare tutti voi che in futuro, in questa fanfiction, verranno trattati lievemente i temi dell'abuso su minore. Non ci saranno descrizioni, non ci saranno discorsi espliciti, non ci saranno scene, solo è una parte della storia che non posso eliminare, quindi ve lo comunico da subito. Nulla, però, interesserà in prima persona i protagonisti. Non direttamente, ovvio.
Come avrete letto, cliccando sul titolo di questa ff, beh... avete davanti un Cross-over. Un Cross-over con SUPERNATURAL. Okay, LO SO. Glee e Spn??? Eppure, non ci posso fare niente, quand'ho iniziato a guardare Supernatural la mia testa ha deciso che dovevo immaginarmi i Klaine in quel frangente e... beh, vedrete, non vi anticipo nulla! Certo, potete leggere anche se non guardate Supernatural! Chi lo guarda, sarà solo più avvantaggiato nella risoluzione autonoma del caso ù__ù
Vi ringrazio di aver scelto di cominciare questo nuovo viaggio con me e vi chiedo di avere pazienza perchè non so quando aggiornerò >___<
Vi amo tutti <3 Buona lettura!



***


Le lezioni erano ricominciate da poco più di un mese, alla Dalton Academy, e tutto sembrava procedere nella normalità.

Come ogni anno c’erano stati un paio di nuovi professori, le matricole si perdevano per i corridoi sfarzosi ed i club riempivano le bacheche con i volantini per convincere gli studenti ad iscriversi.

Blaine non era intenzionato ad unirsi ad un altro club: il Glee gli bastava ed avanzava. Tutto il suo tempo libero, quello che non dedicava allo studio e ai compiti, veniva impiegato nelle prove con i Warblers, il nome del loro gruppo di Canto Corale Coreografato.

La sua vita scorreva tranquilla. Genitori un po’ apprensivi, ancora confusi dalle dichiarazioni riguardo alla sua sessualità, un fratello un po’ troppo sicuro e pieno di sé, ma che per lo meno non sembrava impressionato dalla sua più che convinta attrazione per lo stesso sesso, ed amici veri. Pochi, ma veri. Nonostante la pacatezza di quelle prime settimane, era già successo qualcosa che aveva fatto correre voci, lì alla Dalton. Perfino il giornalino scolastico ne aveva ampiamente discusso.

A Jeff questo ancora bruciava e Blaine lo sapeva, così tutti i Warblers, di comune accordo, avevano deciso di evitare di parlare di ciò che gli era successo.

Anche se era più di una settimana che nessuno nominava l’accaduto, lui poteva vedere che era ancora teso, seduto al posto davanti al suo, in seconda fila. Si guardava attorno, con discrezione, sorridendo a chi lo salutava, ma senza effettivamente intrattenere alcuna conversazione con chi non facesse parte del Glee Club. Loro lo trattavano normalmente. Loro non gli lanciavano quelle occhiate strane, non bisbigliavano e non lo indicavano con un piccolo cenno del capo, quasi lui non fosse in grado di vederli spettegolare.

Jeff Sterling non era un cattivo ragazzo, non lo era mai stato. Era una delle persone più simpatiche e gentili che Blaine avesse mai incontrato, un amico leale e sempre pronto a mandare al diavolo qualche regola, per un po’ di sano divertimento. Ogni tanto, quando era particolarmente ispirato, scendeva nelle cucine e s’intortava le inservienti ed i cuochi, per convincerli a lasciarlo cucinare qualche dolce o dei biscotti. Gli piaceva la pasticceria e gli addetti ai pasti l’avevano, ormai, preso in simpatia. Qualche volta, dava loro una mano anche a preparare la cena per tutti.

Nessuno gli voleva male, ma da quando aveva raccontato quello che gli era successo, in quel bagno… no, Blaine non voleva pensarci.

Sospirò e gli sorrise, muovendo piano la mano nella direzione di Jeff, provando a distrarlo. Il ragazzo si riscosse e spostò gli occhi da un gruppo di compagni in fondo all’aula, per posarli sul volto dell’amico.

«Scusa, mi ero incantato…» disse, abbozzando un sorriso.

«Già, me ne sono accorto…» rispose Blaine, girandosi a sua volta e lanciando un’occhiataccia a quei ragazzi. «Lasciali perdere, Jeff. Se lo dimenticheranno presto.»

Jeff annuì e guardò verso la cattedra, quando la professoressa si schiarì la gola.

Di fianco a lei, in piedi, c’era un ragazzo che prima Blaine non aveva notato. Sorrideva, ma era chiaramente un sorriso di circostanza. Era alto, magro, ma dall’aspetto tonico. Portava la divisa della Dalton, indossata con cura e precisione, e sembrava non trovarsi per nulla a disagio in quegli abiti che, molto spesso, un adolescente non era abituato a portare nella vita di tutti i giorni. Gli occhi erano di un azzurro abbagliante, indagatori. Sembravano scrutare tutto e tutti, in fretta, quasi cercassero qualcuno in particolare. Si posarono anche su di lui, per poco più di qualche secondo, prima di spostarsi verso Jeff… e da lì non si mossero più.

Blaine vide il ragazzo tendersi sulla sedia; probabilmente stava guardando da un’altra parte, per provare ad evitare quegli occhi che lo fissavano.

«Vi prego di dare il benvenuto a Kurt Hummel, ragazzi. Si è trasferito solo ora alla Dalton e questo è il suo primo giorno. Hummel, vuoi dirci qualcosa di te?» domandò la professoressa, dopo la breve introduzione, voltandosi speranzosa verso il ragazzo.

Lui spostò lo sguardo da Jeff e lo posò sulla docente, rivolgendole un timido sorriso, prima di fare un piccolo passo di lato e mettersi al suo posto, mentre lei arretrava e si appoggiava alla cattedra.

«Mi chiamo Kurt Hummel e vengo da Lima.»

La sua voce era alta e cristallina, pulita. Nonostante sembrasse troppo fragile per poter essere udita, aveva un che di fermo e risoluto: trasudava determinazione da ogni parola.

«Mio padre è un meccanico, mia madre è morta quando avevo otto anni. Prima frequentavo il Liceo McKinley, ma ho deciso di trasferirmi qui per motivi personali. Spero… di non aver fatto la scelta sbagliata.» concluse, annuendo lievemente e voltandosi verso la professoressa.

Lei gli sorrise e batté le mani un paio di volte, imitata da qualcuno dei loro compagni.

«Molto bene, grazie Hummel. Scegli un posto e siediti. Ah, Anderson, Hummel è stato assegnato alla camera 206, quindi mi aspetto che, al termine delle lezioni, gli farai da guida.» concluse l’insegnante, sollevando le sopracciglia ed osservandolo con sguardo eloquente. Blaine annuì e si voltò, per sorridere al nuovo compagno, che stava attraversando la classe proprio lungo lo spazio presente tra la sua fila e quella alla sua destra. Blaine si aspettava di vederlo ricambiare e sedersi al banco vuoto di fianco a Jeff, ma quello non degnò né lui né l’altro di uno sguardo e puntò dritto in fondo alla classe.

Blaine scrollò le spalle e tornò a badare alla lezione, anche se, per tutto il tempo, si sentì stranamente osservato.

Riuscì a malapena a svolgere le tre equazioni che la professoressa aveva richiesto loro di risolvere, entro la fine dell’ora, e quando ebbero finito di correggere tutti gli errori furono liberi di andare. Sembrava passata una settimana intera, altro che sessanta minuti.

«Hai inglese, adesso?» domandò Jeff, infilando la testa sotto alla tracolla della sua borsa.

«No, chimica. Inglese ce l’ho alla terza ora.» spiegò Blaine, dando un’occhiata all’orario. Era nuovo, dopotutto, e ancora non l’aveva memorizzato.

«Oh… allora ci vediamo a pranzo. Non abbiamo altre lezioni insieme, oggi.» mormorò Jeff, facendo un controllo incrociato con il suo.

«Già… e ricordati che abbiamo le prove del Glee, oggi pomeriggio.» aggiunse Blaine, mentre Jeff alzava gli occhi al cielo, sorridendo, ed annuiva.

Blaine rise tra sé e sé e si voltò, intenzionato a cercare uno smarrito Kurt con lo sguardo, per potergli fare da Cicerone. Lo smarrito Kurt, però, non era più in fondo alla classe e, a dire la verità, non era nemmeno così tanto smarrito. Se ne stava in piedi, in silenzio, proprio dietro di lui. Non appena si voltò, lo vide sorridere calorosamente.

«Ho anch’io chimica, adesso. Ma ho anche storia alla terza ora.» disse il ragazzo, con quella voce pulita che subito aveva fatto pensare a Blaine che probabilmente sarebbe stata perfetta sopra alle giuste note.

Il ragazzo diede di nuovo un’occhiata al proprio orario e a quello di Jeff, prima che l’altro lo ritirasse in fretta in borsa.

«Uhm… io non ho storia alla terza ora, ma Jeff sì… Magari posso accompagnarti lì dopo chimica.» propose Blaine e Jeff gli lanciò un’occhiataccia, ma non disse nulla.

«Sarebbe davvero gentile, da parte tua.» esclamò Kurt, cominciando a camminare verso l’uscita della classe, seguito da Blaine e Jeff.

Si separarono alla prima scalinata e Blaine e Kurt continuarono fino al laboratorio di chimica, dove Kurt fece la conoscenza di Sebastian.

Sebastian Smythe era un piccolo, sarcastico, tronfio figlio di puttana, ma era un figlio di puttana piuttosto simpatico. A Blaine andava abbastanza a genio, anche se mal sopportava il suo flirtare continuo ed insistente.

Era figlio di un Procuratore dello Stato, quindi faceva più o meno tutto quello che voleva. Si era trasferito alla Dalton all’inizio dell’anno precedente ed era entrato nei Warblers quasi fin da subito, incantando quasi tutti con le sue doti canore, nonostante il suo pessimo caratteraccio. Il suo passatempo preferito era cercare di convincere Thad Harwood, uno dei membri del Consiglio dei Warblers, ad andare a letto con lui. Inutile dire che Thad aveva sviluppato una vasta gamma di rispostacce che gli rifilava periodicamente.

Blaine era convinto che in realtà, a Thad, Sebastian piacesse parecchio, ma che semplicemente non aveva intenzione di cedere finché l’altro non avrebbe iniziato a comportarsi più come un ragazzo e meno come un coglione.

La prima cosa che fece Sebastian, una volta conosciuto Kurt, infatti, fu provarci. Vista la noiosa lezione che stavano per tenere, per alleggerire un po’ l’atmosfera seria del laboratorio, pensò che probabilmente sarebbe stato efficace l’utilizzo di qualche parolina detta in quella lingua che lui parlava come fosse stata la propria, avendo vissuto a Parigi gran parte della sua vita: il francese.

Kurt lo stupì rispondendogli a tono, con almeno cinque espressioni diverse che Blaine non conosceva e che lasciarono Sebastian a bocca aperta.

Di lì a quarantacinque minuti, Blaine poté affermare che probabilmente Kurt era appena diventato il nuovo miglior amico di Sebastian, per lo meno agli occhi di Smythe.

In effetti, Kurt sembrava piacere davvero a tutti. A pranzo, scoprì che durante storia aveva dato una mano a Jeff a comprendere alcune manovre politiche piuttosto complicate e che quindi si era guadagnato anche la sua simpatia.

Ben presto, Kurt Hummel divenne il solo argomento di conversazione del loro anno, ma era chiaro che a lui interessasse prevalentemente una ed una sola persona.

«Allora, Jeff… ho sentito delle voci su di te…» azzardò ad un certo punto, durante il pranzo. Fu abbastanza discreto, in effetti. Si era seduto di fianco al ragazzo e, approfittando del fatto che tutti stavano parlando dell’ultimo allenamento di lacrosse, aveva dato di gomito a Jeff e cercato d’intavolare una nuova conversazione. Blaine, che se ne stava di fronte a lui, gli lanciò uno sguardo imbronciato, molto simile a quello che aveva appena assunto l’amico stesso.

«E sei anche appena arrivato… girano in fretta, eh?» ribatté Jeff, mettendo giù la forchetta ed infilzando il cartone del latte al cioccolato con la sua cannuccia. Nessuno poteva togliere il latte al cioccolato a Jeff, nonostante la sua età. Le inservienti lo sapevano bene, visto che gliene mettevano un cartoncino sul vassoio ad ogni pasto, anche se non era propriamente permesso. Dopotutto, lo consideravano quasi uno di famiglia.

«Sembra di sì… mi hanno incuriosito e volevo sapere che cos’era successo veramente. Insomma, c’è chi dice che tu in realtà sia morto e che quello che ho davanti non sia altro che un cyborg.» azzardò Kurt, sollevando un sopracciglio.

Jeff fece una risata amara, scuotendo il capo.

«Addirittura? Non sanno proprio più cosa inventarsi… Senti, io… non ne voglio parlare…» borbottò Jeff, portando la cannuccia alla bocca e deglutendo.

«La temperatura si è abbassata? Hai avvertito la sensazione di essere osservato? Oppure ci sono stati strani fenomeni, come le luci che si accendevano e si spegnevano o…?»

Kurt non poté concludere la sua domanda perché Jeff sbatté forte il pugno sul tavolo, facendo sussultare Kurt, Blaine e Nick Duval, il suo migliore amico, seduto vicino a lui. Sul resto della tavolata cadde istantaneamente il silenzio.

«Ho detto che non ne voglio parlare, okay? Scusatemi.» ripeté a voce più alta, decisamente irritato, afferrando il suo cartoncino di latte ed alzandosi in piedi. Si appoggiò in fretta la tracolla sulla spalla, quindi si diresse fuori dalla mensa, scomparendo nei corridoi.

Kurt non provò nemmeno ad alzarsi e ad inseguirlo, così come non lo fece nessun altro. Adesso Jeff aveva bisogno di restare da solo.

«A Jeff non piace parlarne. Non avresti dovuto insistere. So che sei nuovo e non potevi saperlo, ma… adesso lo sai. È successo solo pochi giorni fa.» spiegò Blaine, sporgendosi in avanti, sul tavolo, per poter parlare a bassa voce, ma essere comunque udito dall’altro.

«Volevo solo… sapere cos’era successo nei dettagli…» disse Kurt, scrollando le spalle e giocherellando con le sue verdure.

«Vuoi i dettagli?» domandò Nick, voltandosi verso Kurt, con sguardo sofferente. «Sono stato io a trovarlo. Ha raccontato tutto a me e quando l’abbiamo detto ai professori non ci hanno creduto. Ma io credo a Jeff, quello che gli è successo non è stato uno scherzo tra studenti o un sogno ad occhi aperti. È stato verissimo e lui è stufo di chi lo prende in giro o gli dice che è pazzo. Quindi grazie, ma non ci serve che qualcun altro sputi fuori una qualche teoria per validare l’ipotesi che sia stata tutta una messinscena e che Jeff si sia inventato una storiella di sana pianta.»

Kurt scosse il capo e infilzò un broccolo, per poi portarselo alla bocca con tutta la tranquillità del mondo.

«Io non penso che sia tutta una storia o una messinscena. Io penso che lui stia dicendo la verità. Volevo solo che mi raccontasse esattamente che cos’ha visto.» disse nuovamente, fissando Nick con intensità, quasi stesse cercando di trafiggerlo con le sue parole.

Rimasero a fissarsi per qualche secondo, prima che il resto della tavolata tornasse a parlare di lacrosse.

Nick non aprì bocca ancora per un po’, poi, quando ormai Blaine pensava che non l’avrebbe più fatto, parlò.

«Avevamo finito di cenare da poco. Jeff era andato in bagno e non c’era quasi nessuno nei dormitori. Tutti erano ancora qui, io stesso stavo finendo il dolce. Lui però era già andato avanti, perché doveva studiare. Si era appena lavato i denti, quando all’improvviso, ha detto, l’aria si è fatta fredda. Tutti i rubinetti si sono aperti e le luci hanno iniziato a tremare. Jeff ha cominciato a stare male. Non riusciva a respirare e si sentiva soffocare, come se avesse avuto qualcosa attorno al collo che lo stringeva. Ha detto…» Nick si bloccò un istante, abbassando lo sguardo e leccandosi le labbra, incerto.

Kurt annuì, convincente.

«Cos’ha detto?» chiese.

«… Ha detto che si è sentito sollevare. Come se qualcuno lo stesse appendendo, con una corda, al lampadario sul soffitto. Ha detto anche di essere rimasto lì almeno per un minuto e che stava per perdere conoscenza quando ha sentito la mia voce. Io lo stavo chiamando, perché in camera non c’era quando sono tornato dalla cena. Dice di essere caduto, quando l’ho chiamato ed è così che l’ho trovato: per terra, mezzo svenuto. C’era acqua da tutte le parti, ma i rubinetti erano chiusi. Non ho visto nemmeno le luci tremolanti, però lui aveva dei segni sul collo.» continuò Nick, portandosi la mano alla gola.

«Che tipo di segni?» domandò Kurt. Il sorriso era scomparso, ed anche il ragazzo simpatico e dolce di quella mattina sembrava aver lasciato il posto ad un uomo determinato e serio.

«Sembrava come se qualcuno gli avesse stretto un pezzo di stoffa, o una cintura, intorno al collo. Come se qualcuno l’avesse…»

«… impiccato.» concluse Kurt per lui, distogliendo lo sguardo e posandolo sul proprio piatto.

«Già.» disse Nick, per poi avvicinare alla bocca la bottiglietta d’acqua e prendere un sorso. «Quando siamo arrivati in infermeria ed ho detto di controllargli la gola, però, quei segni non c’erano più.»

Kurt aggrottò le sopracciglia, tornando a guardare Nick. Rimase in silenzio qualche secondo, quindi portò la mano alla tasca della divisa.

«Scusatemi.» sussurrò, estraendo un cellulare e dirigendosi in fretta fuori dalla mensa, con la propria borsa stretta tra le mani.

Blaine lo seguì con lo sguardo. Quel ragazzo era strano. Troppo strano.

 

«Molto bene. Siete stati tutti davvero bravi. Voi ragazzi dovete ancora perfezionare i passi della seconda parte di coreografia. Jeff, vuoi pensarci tu?»

Wesley “Wes” Montgomery, il secondo dei membri del Consiglio dei Warblers, assieme a David Thompson, il terzo, si voltò verso un angolo della stanza, dove Sterling stava riprendendo fiato dopo le prove per l’esibizione mensile del Club, che si sarebbe svolta a fine ottobre. Per l’occasione, avevano deciso di portare proprio Halloween, di Matt Pond PA. Sebastian e Blaine l’avrebbero cantata assieme, mentre gli altri avrebbero sostenuto le loro voci con il canto a cappella che era tipico del loro gruppo.

Jeff annuì semplicemente, quindi Wes si voltò verso Blaine e Sebastian.

«Voi siete andati molto bene, cercate di continuare così e, per la fine della settimana, vedete di imparare anche la seconda parte della canzone. Non voglio vedervi con i fogli in mano, sabato pomeriggio. Okay?» disse di nuovo il ragazzo, mentre Blaine e Sebastian annuivano.

«Bene… Che ne dite di riprendere fiato qualche minuto e poi di riprovarla ancora una volta?» chiese David, mentre Thad recuperava i fogli con i testi delle canzoni, per evitare che andassero persi o si rovinassero.

«Scusate… ?» li interruppe un lieve bussare alla porta.

I Warblers al completo si voltarono verso l’ingresso, scorgendo un volto che sbirciava tra i due grandi portoni di legno. Sebastian lanciò un fischio.

«Ehm… salve. Sono Kurt Hummel, sono nuovo e… stamattina ho sentito Anderson che parlava di un Glee Club. È questo, vero? Eravate voi a cantare, giusto? Siete molto bravi.» disse il ragazzo, entrando nella stanza, ma rimanendo vicino alla porta, con la mano ben stretta alla tracolla della borsa.

David sorrise ed annuì in risposta alle sue domande.

«Ti ringrazio. Come mai sei venuto qui? Vuoi unirti al Club?» domandò, avanzando nella sua direzione e facendogli cenno, con una mano, di avvicinarsi.

«Mi piacerebbe molto, sì!» esclamò Kurt, sorridendo e soppesando le figure degli altri occupanti della stanza. Si soffermò per qualche istante su Jeff, che però guardava con insistenza il tappeto.

«Beh, io e gli altri Consiglieri dovremo consultarci per farti sapere quando potrai esibirti. Poi, la tua ammissione verrà valutata con voto unanime da parte di tutti i Warblers. Se otterrai la maggioranza dei consensi, farai anche tu parte del nostro gruppo.» spiegò Thad, facendosi avanti ed indicando David e Wes. «Dovrai anche preparare un pezzo a tua scelta e…»

«Va bene.» lo interruppe Kurt, ottenendo solo un lieve aggrottamento delle sopracciglia di Harwood, in segno di disapprovazione. «Posso restare qui ad ascoltarvi, per oggi?»

Thad si voltò verso Wes e David, che annuirono piano, quindi fece cenno al ragazzo di sedersi su una delle poltrone vicine alla cattedra del Consiglio.

Come se Kurt non esistesse nemmeno, i tre tornarono a parlare agli altri ragazzi. Non erano estranei alla sensazione di avere del pubblico, chiaramente, anche se era estremamente raro che questo fosse presente durante delle prove.

Kurt spostava di rado lo sguardo da Jeff, e Blaine se n’era accorto. Sterling, dal canto suo, evitava il più possibile di dar peso al fatto che lì ci fosse anche lui. Nick, ogni tanto, lanciava a Kurt qualche occhiata incerta, come a volerlo tenere d’occhio, mentre aiutava l’amico a mostrare i passi della seconda parte della coreografia a chi ancora non li aveva memorizzati.

«Allora, è il primo giorno e hai già fatto amicizia con tutti, indispettito Sterling con le tue domande, fatto cantare Duval e tentato di entrare nel Glee Club. Ti dai da fare, per essere uno nuovo.»

Blaine allungò l’orecchio, seduto sulla cattedra ed apparentemente intento ad osservare i ballerini, per captare la conversazione tra Kurt e Smythe.

Hummel non sembrò reagire di sorpresa, quando l’altro gli sgusciò alle spalle e gli si avvicinò all’orecchio per sussurrargli quelle parole.

«Faccio del mio meglio per integrarmi.» rispose semplicemente Kurt, con quello che era sicuramente un sorriso stampato sulle labbra. Lo sentiva dalla sua voce, nonostante non osasse voltarsi per accertarsene.

«E come mai tutto questo interesse per Barbie Ballerina? Non è certo il partito migliore di questa scuola… e penso anche che se la intenda con Justin Bieber lì…» continuò la voce di Sebastian, e Blaine increspò le labbra d’irritazione.

«Il mio interesse per Sterling non ha nulla che non sia prettamente professionale, in sé.» spiegò di nuovo Kurt.

Blaine sentì Sebastian ridere piano e, dal piccolo tonfo che ne seguì, ipotizzò che si fosse seduto sul bracciolo della poltrona di Kurt.

«Professionale, eh? Sei una specie di talent scout in incognito? Anche se mi sembri troppo giovane… O forse sei un genio della medicina e vuoi analizzare il cervellino visionario di Jeff, mh?»

Blaine non resistette oltre. Andava bene, fin quando flirtava con Kurt, ma se decideva di occupare il tempo insultando il suo amico allora era il caso d’intervenire.

«Ora smettila, Sebastian.» disse in tono risoluto, voltandosi verso di lui.

Effettivamente, era seduto sul bracciolo della poltrona, mentre Kurt se ne stava sporto dall’altra parte, con le gambe accavallate e la borsa posata al suo fianco, a fare da muro tra lui e l’altro.

Smythe sollevò lo sguardo su Blaine arcuando un sopracciglio, divertito.

«Oh, forse dovremmo aggiungere “far prendere una cotta a Blaine Anderson” all’elenco di prima. Che c’è, sei geloso del tuo nuovo amichetto?» domandò Sebastian.

«Smettila di parlare di Jeff in quel modo.» lo ignorò Blaine, abbassando la voce ed indicando l’altro con un cenno del capo. «Conosci le regole. In questa stanza non ne parliamo. Con Jeff non ne parliamo, men che meno alle sue spalle. E di sicuro, non per fare colpo.»

Sebastian rimase in silenzio e sorrise lievemente, alzando le mani in segno di resa.

«Agli ordini, “Primo Solista”. Se non ti dispiace, però, adesso avrei da fare…» continuò, allungando una delle mani verso la borsa di Kurt, probabilmente per spostarla e prendere il suo posto.

Quello che successe dopo fu così istantaneo che Blaine, per un attimo, credette di esserselo immaginato. Eppure era accaduto per forza, perché un secondo prima Kurt era seduto sulla poltrona e spostava lo sguardo da Blaine a Sebastian, seguendo il loro botta e risposta, mentre un attimo dopo Smythe aveva il petto premuto contro la scrivania, ed il braccio che aveva allungato per afferrare la borsa di Kurt era piegato dietro alla schiena. Hummel lo teneva ben fermo, con una forza che Blaine non si sarebbe mai immaginato di vederlo sprigionare.

Calò subito il silenzio, nella stanza, rotto solo dai gemiti di dolore e divertimento di Sebastian.

«Ti piace… violento… eh?» sussurrò, abbozzando anche una risatina. Kurt fece forza di nuovo, premendogli il braccio ancora un po’ di più tra le scapole. Smythe rilasciò un gemito di dolore.

«Non allungare le mani sulla mia borsa. Non toccare le mie cose, non pensarci nemmeno. Fallo, e ti rompo un braccio.» disse semplicemente Kurt, la voce solo lievemente pesante, come prova che stava compiendo uno sforzo fisico.

Smythe si limitò ad annuire, quindi Kurt lo lasciò andare. Si voltò ed afferrò la propria borsa, mentre Sebastian si rialzava e si massaggiava la spalla.

Nessuno parlò, tutti rimasero in silenzio, almeno fino a quando Thad prese in mano le redini della situazione.

«Credo… credo che sia il caso d’interrompere qui le prove, per oggi.» azzardò, mentre Wes e David annuivano in silenzio, lo sguardo di entrambi fisso sul nuovo arrivato. «Sebastian, vieni, ti accompagno in infermeria…»

Avanzò verso Smythe, afferrandolo per il braccio sano e lanciando un’occhiata di puro odio verso Kurt. Sempre in silenzio, si allontanarono ed uscirono dalla stanza.

«Ci vediamo mercoledì. Ehm… Hummel… ti cercheremo noi. Per… l’audizione, dico.» aggiunse David in fretta.

Kurt gli sorrise, incoraggiante, quindi si voltò verso Blaine.

Mentre tutti gli altri si affrettavano a recuperare le loro cartelle e a lasciare la sala, Hummel rimase immobile, come in attesa. Blaine non aveva intenzione di fare la fine di Sebastian, quindi si allontanò piano, per raggiungere la propria borsa, senza mai perderlo d’occhio.

Quando si fu sistemato la tracolla sulla spalla, fece per andare verso l’uscita e solo allora Kurt cominciò a camminare.

All’inizio, Blaine lo ignorò e fece per dirigersi ai dormitori, ma quando si accorse che Kurt lo stava ancora seguendo, decise di fermarsi.

Si voltò sospirando, e fronteggiò l’altro con il cuore in gola.

«Perché mi stai seguendo?» domandò con voce lievemente tremante.

Kurt fece spallucce.

«Sei tu che devi accompagnarmi alla stanza 206, no?» domandò Kurt, per poi sorridere. «Tranquillo, non ti farò niente.»

Blaine chiuse un istante gli occhi e si morse il labbro inferiore. Se n’era completamente dimenticato.

«Già, giusto… okay, allora seguimi. Cioè, continua a seguirmi…»

Tornarono entrambi a camminare e, questa volta, Kurt adeguò il proprio passo a quello di Blaine. Avanzarono fianco a fianco, salirono scale, superarono corridoi, quindi si fermarono di fronte ad una piccola porta. Era di legno, di un bel marrone rossiccio e con una targa d’ottone con sopra scritto un numero.

«Stanza 206.» disse semplicemente Blaine, afferrando la maniglia ed aprendo la porta.

Non era una stanza troppo grande, anzi. A sinistra e a destra, adagiati alla parete, c’erano due letti singoli. Quello a destra era chiaramente utilizzato. Si vedeva, anche se era perfettamente rifatto. C’erano dei poster e delle foto appesi alle pareti, sempre sulla parte destra della camera. Una grande finestra illuminava tutta la piccola stanza, parallela alla porta. Di fronte ad essa, stanziava una grande scrivania, dotata di due sedie. Su una di quelle erano posati dei vestiti ben ripiegati ed una felpa abbandonata sullo schienale. C’erano anche due piccoli comodini, vicino al letto, mentre ai piedi degli stessi erano posizionate delle larghe cassettiere. Su quella di sinistra era appoggiata una grande valigia blu scuro che sembrava scoppiare. C’era anche un solo armadio, non troppo grande, adagiato alla parete sinistra. Alla parete destra, invece, era appeso uno specchio stretto e lungo, in grado di riflettere una persona dalla testa ai piedi.

Kurt avanzò confuso nella stanza, guardandosi attorno e soffermandosi ad osservare il letto sulla destra.

«Dev’esserci un errore.» sentenziò, voltandosi verso Blaine, che se ne stava sulla porta.

«Nessun errore. Stanza 206.» disse Blaine, facendo spallucce.

«Avevo richiesto una stanza singola.» spiegò Kurt, stringendo le labbra.

«Non esistono camere singole alla Dalton. Abbiamo tutti un compagno di stanza.» rispose Blaine, avanzando e chiudendo la porta dietro di sé, per poi dirigersi verso il letto di destra ed abbandonarci sopra la tracolla.

«Che cosa fai?» chiese Kurt, imbronciato, arretrando verso il letto di sinistra.

«Mi cambio. Le lezioni e le prove sono finite, quindi posso finalmente levarmi questa camicia e mettermi dei vestiti più comodi.» disse Blaine, levandosi il blazer ed avvicinandosi all’armadio. Aprì una delle due ante e ne estrasse una gruccia di legno. Con cura, appese il blazer alla gruccia, agganciandola ad una delle maniglie delle ante, per poi passare a slacciarsi i bottoni della camicia.

«Sono il tuo compagno di stanza. Perché credevi che la prof avesse dato a me il compito di accompagnarti?» chiese Blaine, con un mezzo sorriso. Lo divertiva, la confusione che riusciva a scorgere in Kurt. Sembrava anche stizzito, forse addirittura arrabbiato.

Senza dire una parola, Kurt gettò la borsa sul letto, quindi la aprì. Senza farsi notare, continuando a spogliarsi, Blaine cerco di sbirciare per distinguerne il “prezioso” contenuto, che era quasi costato un braccio a Smythe.

La prima cosa che Kurt estrasse dalla borsa fu una bottiglietta d’acqua. L’appoggiò con cura sul comodino, quindi infilò di nuovo le mani nella borsa. Il secondo oggetto ad esserne cavato fu una sorta di astuccio lungo e marrone scuro. Kurt si piegò, dando le spalle a Blaine, ma lui lanciò un’occhiata allo specchio. Kurt non aveva fatto i conti con quello. Da lì, Blaine poté tranquillamente vedere che cosa stava facendo. Con calma, il ragazzo afferrò una delle due estremità dell’astuccio e tirò. Ne cavò fuori quello che aveva tutta l’aria di essere un pugnale. Blaine deglutì e sgranò le palpebre, mentre Kurt sistemava con cura il pugnale sotto al cuscino.

Quando si voltò di nuovo, lanciò un’occhiata interrogativa a Blaine. Il ragazzo si era immobilizzato in procinto di levarsi i pantaloni, quando aveva visto che cosa, effettivamente, Kurt stesse facendo.

Arrossendo appena, Blaine abbassò lo sguardo e continuò a spogliarsi, per poi ritirare i vestiti nell’armadio e dirigersi verso la sua cassapanca. Aprì alcuni cassetti e tirò fuori un paio di pantaloni che facevano parte, una volta, di una vecchia tuta, ed una maglietta a maniche corte, larga e rosso scuro.

Cercò di non badare ai tonfi che sentiva provenire dalla parte sinistra della camera, anche perché sembrava semplicemente che Kurt stesse aprendo la valigia. Non lo guardò, non indagò, rimase solo concentrato sull’operazione di infilare ogni arto nella fessura giusta, fino a ritrovarsi completamente vestito.

Quando finalmente alzò lo sguardo, Kurt era piegato davanti alla porta.

Teneva tra le braccia un grosso sacco di plastica bianca e stava rovesciando qualcosa sul pavimento, di fronte alla porta.

«Che cosa stai…?» chiese Blaine, senza nemmeno avere la forza di terminare la domanda. Kurt, comunque, non vi badò e non gli rispose.

Senza fare una piega, disegnò una lunga striscia di qualsiasi cosa uscisse da quel sacchetto. Era qualcosa di granuloso e bianco… sembrava sale.

Una volta terminata quell’operazione, la ripeté anche davanti alla finestra dall’altra parte della camera.

«Ci sono altre entrate? Condotti di aerazione, grate comunicanti…?» chiese, voltandosi verso Blaine, con il sacchetto in mano.

Attonito, Blaine fece un cenno di diniego.

«Molto bene.» disse semplicemente Kurt, posando il sacchetto sul suo comodino, vicino alla bottiglietta d’acqua, che poi afferrò ed aprì.

Invece di prenderne un sorso, si sedette sul letto, vicino al cuscino, e la porse a Blaine.

«Bevi.» disse, con tono autoritario.

Blaine non se la sentì proprio di disobbedire. Quel ragazzo, in un certo senso, lo spaventava. Non sembrava pazzo, ma era strano… E aveva messo un pugnale, sotto al cuscino vicino al quale era seduto…

Afferrò la bottiglietta e la portò alle labbra, senza bere, però.

«È… solo acqua, vero? Non c’è dentro niente di strano… no?» domandò, incerto.

«Solo acqua.» disse Kurt, sorridendo.

Blaine prese un profondo respiro e bevve un piccolo sorso. Sapeva di… beh, di acqua.

«Perfetto, grazie. Dovevo solo essere sicuro.» disse Kurt, alzandosi subito in piedi e levandogli la bottiglietta dalle mani. La chiuse di nuovo e la posò sul comodino, per poi fronteggiare il compagno.

«Ascoltami bene, perché lo dirò una volta sola. Avrei voluto una stanza singola, ma a quanto pare non è possibile, quindi dovrai farmi un piccolo favore. Ti devi fidare di me. Se lo farai, non correrai alcun pericolo. Capisci?» chiese, sollevando le sopracciglia.

Blaine pensò che probabilmente aspettava che lui gli facesse un cenno di conferma, quindi annuì. Kurt sembrò soddisfatto. Si voltò e frugò un po’ nella borsa, per poi estrarne una collana. Aveva un cordoncino nero ed un ciondolo marrone scuro appeso. Sembrava un sole, ma al centro aveva una stella.

«Indossa questa, sempre. A lezione, in camera, in bagno, quando ti fai la doccia, quando ti cambi… non togliertela mai, non voglio brutte sorprese, in camera mia. Non che ci siano dei segni, ma non si sa mai. Tu non dirai a nessuno quello che vedrai in questa stanza. Non farai entrare nessuno qui e non toccherai nulla di mio. Quando uscirai o entrerai dalla porta, farai attenzione a non rompere la striscia di sale che ho messo lì davanti. Stessa cosa vale per la finestra. Ah, e non toccare mai il pugnale che ho sotto il cuscino. Non per altro, ma potresti farti male. Sì, so che l’hai visto.» aggiunse, come ripensandoci, porgendo la collana a Blaine.

L’altro l’afferrò e fece come gli era stato detto. Se la infilò al collo e la lasciò cadere sulla stoffa rossa della maglietta. Rimase in attesa, perché sembrava che Kurt avesse altro da dire, ma lui iniziò a sua volta a disfarsi della divisa scolastica, per sostituire quei vestiti con qualcosa di più comodo. Blaine, senza fiatare, spostò la pila d’indumenti dalla sedia e li posò sul letto, per poi afferrare i propri libri ed iniziare a fare i compiti.

Forse, una volta finito con quelli ed andato a letto, il giorno dopo, avrebbe scoperto che era tutto stato un brutto sogno e quello strano ragazzo non sarebbe stato il suo compagno di stanza per il resto dell’anno. Uno che dormiva con un coltello sotto al cuscino. Un coltello!

«E, Anderson… stasera vorrei che mi accompagnassi nel bagno dove Sterling ha avuto l’incidente.» aggiunse la voce di Kurt.

Blaine si voltò e lo vide sorridergli con calore. Ricambiò un mezzo sorriso nervoso, prima di voltarsi e posare la testa sul quaderno di matematica.

Era così fottuto…


***


Ovviamente, come sapete, le recensioni sono sempre aperte per ogni critica, domanda o commento! A me fa solo piacere sapere che cosa ne pensate di quello che scrivo! E se non volete usare le recensioni, c
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Capitolo 2
*** • Capitolo 2 • ***


Grazie a tutti! Grazie di cuore per le visualizzazioni, per le recensioni e, accidenti a voi, per chi ha inserito la ff tra le preferite/ricordate/seguite. Mi avete stupita, non sapete quanto!! Non me l'aspettavo minimamente! Bando alle ciance, vi lascio al secondo capitolo! Mi scuso per averlo postato così tardi, ma come sapete... non so quando arriveranno i capitoli >___<

-

Blaine era stato attento a non rompere la striscia di sale grosso che Kurt aveva disegnato davanti alla porta della loro stanza. Era stato attento anche a non guardarlo troppo, anche se si era accorto che lui non faceva altro che sorridergli incoraggiante ogni volta che catturava il suo sguardo.

Non era certo di stargli simpatico. Probabilmente, faceva così solo per mantenere un buon rapporto tra loro due. Quale rapporto, poi, si conoscevano a malapena da un giorno e tutto quello che aveva fatto era stato dargli ordini… Non fare questo, non fare quello… portami a vedere il bagno…

«Di qua. Ti ci avrei dovuto accompagnare comunque, prima o dopo…» disse Blaine, indicandogli la porta con un cenno del capo.

Erano le undici e, tecnicamente, il coprifuoco era già scattato. Kurt aveva insistito per farsi accompagnare a quell’ora ed aveva detto che, se li avessero beccati, avrebbe finto un attacco di mal di stomaco, così non sarebbero finiti in punizione.

Si era portato dietro la borsa, che pendeva dalla sua spalla destra. Sembravano due stupidi: in pigiama, in ciabatte e con quella borsa. Chi si porta la borsa al bagno, a parte le ragazze che hanno il ciclo?

«Immagino di sì. In effetti devo fare pipì…» commentò semplicemente Kurt, lanciandogli un’occhiata, mentre entravano, ed analizzando, per la precisione, il suo collo. Sembrò soddisfatto, probabilmente perché parte del cordoncino della collana che gli aveva dato era visibile dal bordo della maglietta.

Senza aggiungere molto altro, Kurt lasciò cadere la borsa per terra, vicino ad uno degli orinatoi, e cominciò a trafficare con la parte davanti dei pantaloni del pigiama.

«In condizioni normali, ti avrei chiesto di andartene. Dovrei… restare nel personaggio, sai?» disse tranquillamente, mentre l’inconfondibile suono di lui che faceva pipì cominciava a propagarsi nel bagno silenzioso, facendo compagnia alla lieve eco della sua voce. Blaine gli diede le spalle, vagamente imbarazzato.

«Quindi non ti chiami veramente Kurt Hummel e tutto il resto?» domandò Blaine, sollevando lo sguardo al soffitto e posandolo sul lampadario.

«No, quello è vero. Tutto è vero. Solo, il vero Kurt Hummel non è poi così timido e delicato com’è meglio che tutti credano che io sia. D’altronde…» continuò, tirando l’acqua e dirigendosi al rubinetto, per lavarsi le mani. «… dividiamo la stanza, e non posso permettermi di mantenere la copertura nel luogo in cui devo essere certo di poter stare al sicuro. Non vale la pena di rischiare solo per non farti sapere che so fare… cose che generalmente i ragazzi della mia età non fanno.»

Blaine si voltò verso di lui e restò a fissarlo interrogativo. Kurt gli lanciò un ghigno compiaciuto, sollevando il sopracciglio quasi con sfida, quindi tornò a recuperare la borsa.

«Non fare nulla, non toccare nulla a meno che non te lo dica io e non lasciare questa stanza, sempre a meno che non te lo dica io. Se succede qualcosa e ti dico di andare, tu vai, corri fino in camera e ti chiudi dentro. Fai entrare solo me. Va bene? Niente professori, niente infermeria, diretto in camera e in silenzio finché non arrivo.» disse Kurt, guardandolo con sguardo serio, quasi apprensivo.

Blaine annuì, senza parole. Cosa si poteva dire a qualcuno che non faceva altro che darti ordini, che ti diceva di non fare cose, che ti faceva sentire… in pericolo? E il grosso problema non era che sembrava pericoloso… era che faceva sembrare pericoloso tutto il resto. Il mondo esterno sembrava essere una minaccia e l’unico luogo sicuro era quel buco di stanza che adesso era costretto a dividere con lui.

«Okay. Avvisami, se vedi qualcosa di strano.» aggiunse e, stranamente, questa volta Blaine non percepì le sue parole come un ordine, quanto più come una richiesta.

«Che tipo di… strano?» domandò Blaine allora, sollevando le spalle, incerto.

«Qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa non ti sembri normale.» rispose Kurt, ricambiando la scrollata ed estraendo dalla borsa un piccolo oggetto metallico rettangolare. Non era molto grande e, nonostante avesse tutta l’aria di essere stato costruito in casa, sembrava che l’avessero toccato le mani di un professionista.

Kurt armeggiò con un paio di piccole manopole e pulsanti, quindi l’aggeggio prese vita. Iniziò subito a fischiare piano, anche se l’intensità di quel suono cresceva e si abbassava ad intervalli imprevedibili.

Il ragazzo cominciò a camminare lungo la stanza, puntando la piccola antenna dell’apparecchio verso i rubinetti.

Come se qualcosa l’avesse punta, la macchina iniziò all’improvviso ad emettere un fischio lungo e prolungato. Kurt si allontanò e quella si calmò, anche se non fece silenzio nemmeno per un secondo. Quando il ragazzo puntò la sua antenna verso il lampadario, quello emise nuovamente quel fischio lungo e prolungato.

«Accidenti, bello mio, devi essere in giro da un bel po’…» borbottò Kurt, sempre molto serio, tenendo gli occhi fissi sulla macchinetta.

Dopo aver controllato anche i cubicoli, che però non diedero alcun segno di allarmare quell’aggeggio, Kurt lo spense e lo infilò in borsa.

«L’amico di Sterling ha detto che i rubinetti si sono aperti da soli, vero?» chiese Kurt, e, nonostante stesse esaminando i lavandini, era chiaro che ce l’avesse con Blaine. Blaine che se ne stava lì in piedi ed inutile, a ballare il ballo del mattone da solo.

«Ehm… sì, così dice Jeff.» rispose Blaine, sollevando un po’ le braccia e lasciandole ricadere lungo i fianchi.

A quel suono, Kurt si voltò e l’osservò.

«Tu non gli credi?» domandò, inclinando di poco il capo.

«Beh…» sospirò Blaine, a disagio. «Io voglio bene a Jeff, davvero… È uno dei miei migliori amici. Devi ammettere, però, che quella storia è pazzesca. Insomma, può davvero succedere qualcosa di simile? Cos’è, il bagno adesso è infestato dai fantasmi?»

Blaine si lasciò andare ad una mezza risata carica di tensione, aspettando che Kurt negasse le sue parole, magari che gli desse anche dello stupido, ma non lo fece. Rimase solo immobile, a guardarlo, sollevando piano le sopracciglia in un’espressione eloquente.

«Sei serio…?» domandò Blaine, mentre la risata gli moriva in gola ed il sorriso gli si congelava sulla faccia, perché era impossibile che fosse serio, dai, lo stava prendendo in giro. Era tutto uno scherzo.

Kurt non gli rispose, semplicemente spostò lo sguardo verso il lampadario. Sembrava allarmato.

Blaine lo imitò e le vide: le luci stavano tremando lievemente. Si strinse le mani attorno al corpo. Non sapeva se era per il freddo che l’aveva colpito improvvisamente, o se era per tutta quella storia, ma aveva i brividi.

«La temperatura si è abbassata. Dobbiamo andare. Ora.» disse Kurt, autoritario. Raccolse la borsa da terra e se la lanciò sulla spalla, dirigendosi alla porta.

Blaine non si mosse, gli occhi fissi sul lampadario che aveva iniziato lievemente ad oscillare, mentre le luci iniziavano a spegnersi ed accendersi con maggiore intensità.

«Blaine! Andiamo, adesso!» esclamò Kurt ad alta voce, allungando una mano ed afferrandolo per la manica del pigiama.

Il ragazzo si riscosse, muovendo finalmente le gambe ed iniziando ad uscire dal bagno. Di sicuro, non l’avrebbe più usato. Mai più. Non quello.

Camminarono in fretta, quasi corsero, fino a raggiungere la loro stanza. Kurt spalancò la porta e lo spinse dentro. Blaine si sentì inciampare sui propri piedi ed anche contro qualcosa di duro e granuloso.

«Oh, ma andiamo, proprio adesso dovevi romperla?!» esclamò Kurt, spingendolo ancora più forte e seguendolo.

Non si preoccupò nemmeno di chiudere la porta: cadde subito in ginocchio, affrettandosi a radunare il sale che Blaine aveva spostato per sbaglio, di modo da ricostruire la riga davanti all’ingresso. Solo allora, allungò una mano per afferrare la maniglia della porta e chiuderla per bene.

Blaine l’osservò, in piedi in mezzo alla stanza con ancora le dita congelate.

«Che succede? Che cosa stava succedendo e perché ti sei comportato… così?» domandò, lasciandosi cadere sul proprio letto e restando lì seduto, immobile.

«Succede che abbiamo ficcato un po’ troppo il naso e che non era il caso che restassimo lì ulteriormente. Mi sono comportato così perché ci tengo alla mia vita e vorrei che durasse ancora per molti, molti anni, grazie mille.» rispose Kurt, sorridendogli sarcastico, quindi frugò nella tracolla e ne estrasse il cellulare.

Senza degnare Blaine di un altro sguardo, armeggiò con i tasti e lo portò all’orecchio.

Rimasero entrambi in silenzio per diversi secondi, prima che una voce meccanica ed attutita accarezzasse l’udito di Blaine.

«Ciao, papà. Sì, l’ho fatto…» disse Kurt, sedendosi sul letto e levandosi le ciabatte. «Il rilevatore fischiava peggio di una locomotiva… No, ho controllato solo il bagno, per ora.»

La sua espressione si fece lievemente corrucciata e lui si lasciò andare contro il materasso, sollevando una delle mani verso l’alto, per poi farla ricadere al suo fianco.

«Dammi tregua, sono qui solo da poche ore! Non posso essere amico di tutti in un giorno! Per cominciare, il ragazzo mi odia. A quanto pare è ancora traumatizzato. Fortunatamente, il suo fidanzato, amico, o quello che è, mi ha raccontato tutto nei dettagli. Non c’è alcun dubbio, l’EMF l’ha confermato.» spiegò Kurt.

Blaine non smise di osservarlo. Parlava al telefono tenendo gli occhi chiusi e, ogni tanto, sollevava la mano libera e la muoveva, gesticolando, passandosela sugli occhi o tra i capelli.

«Proverò a portare il rilevatore anche in camera sua, appena riuscirò ad entrarci… Tu però devi farmi un favore. Fai qualche ricerca, ora che siamo certi di quale sia il problema. Non ho un computer, qui, a parte penso… aspetta un attimo.» disse, quindi si voltò verso Blaine ed aprì gli occhi. «La scuola ha dei computer che possono essere usati dagli studenti?»

Blaine sbatté le palpebre un paio di volte, prima di annuire. Kurt fece un cenno di ringraziamento, quindi provò a tornare a badare al cellulare.

«Però…» iniziò Blaine, e Kurt s’interruppe di nuovo. « … internet è controllato. Ci sono diversi siti bloccati e c’è chi si occupa di controllare che le uniche ricerche svolte con i computer scolastici siano di merito accademico. Potresti sfruttare il wi-fi, se avessi un portatile, però…»

Kurt scosse il capo.

«No, niente portatile… Figuriamoci se non dovevano controllare tutti i loro piccoli soldatini… Dividiamoci i compiti. Io faccio ricerche d’archivio, la scuola sarà piena zeppa di vecchi annuari e documenti scolastici. Tu cerca nei necrologi e nei vecchi giornali online. Si lo so che sai fare il tuo lavoro, stavo solo mettendo le cose in chiaro. Papà, non ti arrabbiare, ricordati che non ti fa bene al cuore. Stai mangiando secondo la dieta che ti ho lasciato? Guarda che se torno e vedo che ci sono schifezze nella dispensa mi arrabbio, davvero.»

Blaine non riuscì a trattenere un sorriso. D’improvviso, quel Kurt Hummel timido e allegro che aveva conosciuto quella mattina non gli sembrava poi un personaggio così improbabile. Se il serio ragazzo in cui quel Kurt si era trasformato, poteva diventare un premuroso figlio preoccupato per la salute del padre, perché non avrebbe potuto essere anche quel dolce ragazzino?

«Va bene… sì, starò attento. Non preoccuparti, le ho portate.» disse Kurt, con un sospiro, tirandosi a sedere ed aprendo la valigia con un calcio.

Blaine trasalì, alla vista del suo contenuto. Tra i vestiti ed i prodotti per il corpo, facevano bella mostra di loro una doppietta, una pistola e quelli che sembravano due contenitori per proiettili.

«Porca vacca, quella è una pistola!» esclamò Blaine, alzandosi in piedi e poi arrampicandosi di nuovo sul proprio letto. Si trascinò verso il cuscino, osservando la valigia con gli occhi spalancati, alternando lo sguardo da quella a Kurt.

«Eh? No, è il mio compagno di stanza… Anderson, per favore, abbassa la voce! Sì, lo so che avevamo chiesto una singola, ma a quanto pare non esistono camere singole, qui. Non importa, non gli da fastidio il resto, ma ovviamente ha dato di matto adesso che ho tirato fuori l’artiglieria… No, non voglio. Papà, no. Ci penso io. Vai a dormire. Ti voglio bene… sì. Sì… Sì, papà. Sì! Notte.»

Kurt schiacciò un pulsante e mise da parte il cellulare, quindi sollevò lo sguardo verso il compagno di stanza. Blaine se ne stava ancora rannicchiato sul letto mezzo disfatto, con il cuore che batteva a mille e gli occhi spalancati fissi su Kurt. Il ragazzo infilò una mano nella borsa, estraendone una terza pistola. Blaine non riuscì a trattenere un gemito, quando la vide.

Per tutto il tempo, quel ragazzo aveva avuto una pistola con sé? Alle lezioni e anche quand’erano in bagno da soli?

«No, no… Non voglio farti del male, davvero. Non voglio fare del male a nessuno. In effetti, sono qui proprio per il contrario. Io voglio aiutarvi, voglio aiutare Jeff. Queste sono armi vere, sì, ma puoi stare tranquillo: le maneggio da quando ho dieci anni e sono un tiratore eccellente.» disse Kurt, sorridendo vagamente, per poi dare un colpo in un modo particolare al calcio della pistola, facendo cadere il caricatore, che afferrò al volo con l’altra mano. «Se ti può far stare più tranquillo….»

Blaine si rilassò un po’, ma non smise di guardarlo con sospetto.

«Metà di quei proiettili sono caricati a sale. Sono praticamente innocui per le persone. Oddio, fanno abbastanza male, se si viene colpiti, ma generalmente non è nulla di grave. I proiettili veri non li armo mai, a meno di non avere la certezza che mi servano. Anche questa…» spiegò Kurt, agitando la pistola dal calcio vuoto. «… era caricata a sale.»

«Okay, fermo. Stop.» lo interruppe Blaine, chiudendo gli occhi e portandosi le mani al viso. «Credo… che siano troppe informazioni, tutte per un giorno solo. Arrivi dal nulla questa mattina, fai un sacco di domande su Jeff, chiedi di entrare nel nostro Club, ma quasi rompi un braccio a Sebastian. Poi… poi la camera e il sale davanti alla porta e l’acqua e… il pugnale sotto al cuscino e tutta quella cazzata in bagno. Adesso la telefonata con tuo padre, che è una delle telefonate più strane che io abbia mai ascoltato, te lo assicuro. Per finire, non solo possiedi un coltello, ma anche anche due pistole e un fucile!»

Blaine s’interruppe, per prendere fiato. Kurt lo fissava intensamente, attendendo con pazienza che Blaine continuasse. Sembrava capire che aveva bisogno di sfogarsi.

«Io… non so che cosa sta succedendo, non so chi sei e non so che cosa ci fai con quelle. Non voglio nemmeno saperne niente, okay? Domani andiamo in Segreteria e cambi stanza. O la cambio io. Non mi interessa, non voglio risultare complice di un pazzo adolescente assassino che introduce illegalmente armi in una scuola. Lo sai che è un reato gravissimo?? No, mi dispiace. Non voglio saperne nulla.» esclamò Blaine, quasi tutto d’un fiato, in fretta, finendo ansimante con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le ginocchia ancora strette al petto.

«No, questo è impossibile, non posso lasciartelo fare. Sono disposto a spiegarti tutto, ma non possiamo cambiare stanza. Sai troppe cose, adesso, e non posso permettermi che troppe persone sappiano di tutto questo, qui dentro.» disse Kurt con tono risoluto.

«Non puoi impedirmelo.» ribatté Blaine, a denti stretti, ma con una vaga incertezza.

«Posso eccome, ma preferirei non farlo. Anderson, mi stai simpatico, okay? In verità, mi dispiacerebbe se cambiassimo stanza, perché dovrei toglierti quell’amuleto e non mi va a genio questa idea.»

Blaine scosse il capo in fretta, mormorando tra sé e sé.

«Tu possiedi… delle armi. Tu sei pericoloso.» insistette Blaine.

«Non per te. Ti dico, con assoluta certezza, che questa stanza e la mia compagnia sono le due cose che ti garantiscono la più grande sicurezza che questa scuola possa offrirti. Ti prometto che mai e poi mai io ti farò del male. Tu, però, dovrai aiutarmi. C’è qualcosa che sta succedendo, qui, e l’hai visto anche tu. Se vuoi posso spiegarti, ma non mi crederai. Non subito.» disse Kurt, osservandolo con sguardo speranzoso.

«No, non… non voglio saperne niente. Voglio solo dormire… E… posso…?»

Non sapeva come dirlo, in effetti. Come chiedere a qualcuno di consegnare delle armi che, per altro, non sai nemmeno usare, perché hai paura che ti ammazzi durante il sonno?

«Vuoi che ti dia le munizioni e il mio coltello? Non mi servono delle armi per farti male, se voglio farlo. Non ti succederà nulla, non stasera. C’è il sale davanti alla porta e da lì, qualunque cosa ci sia lì fuori, non può passare.»

Blaine rimase a fissarlo serio per qualche secondo.

Chiunque pensasse che una manciata di sale fosse in grado di fermare una qualunque minaccia, non poteva essere del tutto sano di mente. Nonostante ciò, però, Blaine leggeva della sincerità nei suoi occhi. C’era poco da fare, nonostante gli facesse paura, non riusciva a costringersi a credere che gli stesse mentendo al solo scopo di fargli del male.

Annuì piano, quindi s’infilò sotto le coperte, tenendo sempre d’occhio Kurt.

«Non riuscirò comunque a dormire, stanotte.» disse Blaine, mentre l’altro sorrideva lievemente e lo imitava infilandosi sotto alle coperte, dopo aver spostato gli oggetti che aveva sparso sul letto e spento le luci.

«Per l’ansia che io mi alzi e ti tagli la gola? Pensi che sia matto? Non voglio sporcare il mio coltello, sai quanto ci si mette a pulirlo?» esclamò Kurt nel buio, con un evidente tono sarcastico.

Blaine non riuscì a trattenere un mezzo sorriso, anche se mentalmente si prese a pugni.

Nonostante le prospettive tutt’altro che rosee, comunque, alla fine Blaine cadde in un sonno abbastanza profondo e si risvegliò la mattina dopo, in perfetto orario.

Le sue speranze che si fosse tutto trattato di un sogno si fecero vane non appena, voltata la testa verso il letto di Kurt, vide l’altro già vestito e seduto sul materasso, intento a riempire la sua doppietta di proiettili.

«Buongiorno!» esclamò Kurt in tono allegro, agitando il fucile traballante in segno di saluto.

Blaine sospirò e si coprì di nuovo la testa con le lenzuola.

 

Kurt affondò i denti nella fetta di mela che aveva appena tagliato, osservando in silenzio i compagni di tavolo. Sembrava che essere il compagno di stanza di Blaine gli aprisse le porte dei Warblers anche non facendone ancora parte. Era con loro che aveva trascorso la pausa pranzo, anche se Jeff aveva avuto cura di sedersi dalla parte opposta del tavolo. Blaine, l’aveva seguito in fretta, approfittandone per allontanarsi un po’ da quel ragazzo così particolare. Continuavano a lanciargli strane occhiate e Kurt, oltre che sentirsi solo, stava anche provando un bel po’ di risentimento nei confronti dell’altro. Non aveva previsto che Blaine avrebbe potuto spifferare tutti i fatti suoi agli amici canterini.

Diede un altro feroce morso alla mela e masticò con rabbia, cercando di evitare di uscire dal personaggio.

«Che ti avrà fatto di male quella mela, per meritare di essere mangiata in quel modo?» domandò una voce conosciuta e Kurt si girò verso destra.

Sebastian stava sedendosi vicino a lui, trascinando sul tavolo un piccolo piattino contenente un budino al caramello.

Kurt non rispose, restò ad osservare i movimenti dell’altro. Sembrava tranquillo e sorrideva. Senza scomporsi troppo, prese il cucchiaino e staccò una piccola porzione di budino, che poi avvicinò alla bocca.

Lo mangiò lentamente, assaporandolo, senza nemmeno spostare lo sguardo dall’altro.

«Non vuoi dirmelo, eh?» disse alla fine, sollevando un sopracciglio.

«Perché mi stai parlando?» domandò alla fine Kurt, appoggiando la mela nel piatto ed osservandolo incuriosito.

«Perché non dovrei?» chiese Sebastian, facendo spallucce.

«Perché ti ho quasi rotto un braccio?» rispose sarcasticamente Kurt, imitando il suo gesto e sollevando le spalle a sua volta.

Sebastian fece una smorfia annoiata, piegando gli angoli delle labbra all’ingiù e facendo sporgere il labbro inferiore.

«Tecnicamente, in effetti, stavo toccando le tue cose senza il tuo permesso. Non vale un braccio rotto, ma un avvertimento sì. Ed è quello che ho ricevuto, no?» chiese Sebastian, prendendo un’altra porzione di budino, lasciandosela scivolare tra le labbra in maniera lasciva.

Kurt scosse lievemente il capo, quasi divertito dalle sue parole.

«E poi, mi sembrava che, nonostante la tua presenza a questo tavolo, tu stessi mangiando da solo…» aggiunse Sebastian, infilandosi di nuovo il cucchiaino in bocca e lasciandolo lì a penzolare tra le labbra, succhiandolo distrattamente. «Mi ricordo cosa vuol dire essere nuovo. La differenza tra me e te è che mio padre fa un lavoro importante e tutti vogliono essere miei “amici”.»

Sollevò le mani, tenendo il cucchiaino stretto tra i denti, quindi le chiuse a pugno eccetto che per indice e medio. Le mosse piano, mimando delle virgolette all’inizio ed alla fine dell’ultima parola.

«In realtà, ovviamente, non interessa quasi a nessuno di conoscere Sebastian. Vogliono tutti essere amici del figlio del Procuratore Smythe…» borbottò Sebastian e Kurt rimase in silenzio, ascoltandolo sfogarsi. «Non è che m’interessasse davvero tutta questa cosa del Canto Corale Coreografato, sai? Ma sono in cima alla catena alimentare, qui alla Dalton, quindi dovevo entrarci. Ho scoperto solo dopo che erano anche brave persone. Amici, come Anderson, Sterling, Duvall… Thad… Non dirglielo, però.»

«Non dirmi cosa?»

Kurt e Sebastian si voltarono verso la voce che aveva interrotto il monologo di Smythe.

Thad era lì in piedi dietro di loro, la cartella di cuoio appesa ad una spalla ed un sopracciglio sollevato. Lo sguardo, interrogativo, si posò prima su Kurt e poi su Sebastian, restando fisso su di lui.

«Che gli sto raccontando di tutte le cose sconce che ci siamo fatti quando siamo rimasti soli in infermeria!» esclamò allegramente Sebastian mascherando lo sprazzo di spontaneità, che aveva avuto con Kurt in quei pochi e veloci minuti, utilizzando le sue migliori armi: la faccia tosta ed il flirt.

«Abbassa la voce, qualcuno potrebbe sentire!» esclamò a sua volta Thad, arrossendo un pochino e colpendo lievemente la nuca di Sebastian con un piccolo schiaffo.

«Lo diceva anche ieri sera.» affermò Sebastian, facendo l’occhiolino a Kurt, che non riuscì a trattenersi dal sollevare un angolo delle labbra in un mezzo sorriso.

«Sebastian, se continui così…» azzardò Thad, aggrottando le sopracciglia, ma venne interrotto in fretta dall’altro.

«Diceva anche questo, prima di “mi farai veni-”…»

Questa volta lo schiaffo sulla nuca di Sebastian fu decisamente più forte, tanto da costringere il ragazzo a portarsi una mano alla testa e massaggiarla imbronciato.

«Sono venuto qui per parlare con Hummel, Smythe, quindi adesso stai zitto.» disse Thad con voce ferma, voltandosi lentamente verso Kurt. «Io e gli altri membri del Consiglio dei Warblers abbiamo parlato e siamo giunti alla conclusione che ti è ancora concesso svolgere il provino per entrare a far parte del nostro Glee Club… a meno che ovviamente Smythe non si opponga, in qual caso mi dispiace, ma non potrai farne parte.»

Kurt non poté evitare di notare come un angolino delle labbra di Thad era andato a sollevarsi lievemente, non appena aveva pronunciato le ultime parole. Probabilmente era convinto che l’altro avrebbe protestato e sfruttato la sua influenza per impedire ad Hummel di tentare di far parte del club.

«Nessun problema, per me. Puoi fare l’audizione.» disse però Sebastian, quasi subito, facendo scomparire del tutto il sorriso dal volto di Thad.

Harwood strinse le labbra, guardando da Smythe a Hummel, soffermandosi poi su quest’ultimo.

«Molto bene, allora. Preparati, tra una settimana -e quindi sabato pomeriggio- potrai fare il provino.» concluse velocemente, dando loro le spalle ed affrettandosi a lasciare la mensa.

«Credo che tu gli piaccia parecchio.» disse semplicemente Kurt, aprendo la bocca per la prima volta da quando Sebastian aveva iniziato a parlare di sé stesso.

Smythe scrollò le spalle, spazzolando velocemente i resti del suo budino.

«Ovvio. A tutti piace Sebastian Smythe.» commentò brevemente l’altro, senza tradirsi e mantenendo un tono di voce neutro.

«Intendo dire che… credo che tu gli piaccia parecchio.» ripeté Kurt, abbozzando un sorriso ed afferrando la mela posata sul suo piatto. Ne mancava una parte, che lui aveva precedentemente tagliato con il coltello. Senza preoccuparsene, se la portò alla bocca e la morse, tenendola stretta tra i denti mentre, con le mani ora libere, si affrettava a recuperare la tracolla e sistemarsi il blazer. Quando ebbe finito, portò la destra al frutto e lo afferrò di nuovo, lasciando nella polpa l’impronta di un morso, con un sonoro schiocco.

«Vado in Biblioteca, devo mettermi in pari con il programma. Ci vediamo.» salutò semplicemente Kurt, continuando a tenere la mela stretta tra le dita, ma passandosi prima il polso e poi la lingua sotto al labbro inferiore, dove un po’ di succo era colato.

Sebastian si limitò ad annuire e ad analizzare il movimento del didietro di Kurt mentre quello seguiva l’esempio di Thad e si allontanava.

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Come sapete, le recensioni sono sempre aperte per ogni critica, domanda o commento! A me fa solo piacere sapere che cosa ne pensate di quello che scrivo! E se non volete usare le recensioni, vi lascio i miei contatti!

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Baci, Andy <3

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Capitolo 3
*** • Capitolo 3 • ***


Ciao a tutti! Chiedo scusa per il ritardo, ma ragazzi, avevo avvisato T__T Lo sapete come funziona ultimamente per le mie storie, se vi impelagate in una di queste, sappiate che non so quando pubblico! Detto questo, ho deciso di pubblicare il capitolo nonostante volessi aggiungere un altro pezzo, semplicemente erchè poi sarebbe andato ad allungarsi troppo. Sono certa che troverete interessante la discussione tra Kurt e Blaine e vi posso anticipare che le cose si smuoveranno davvero davvero presto! Mi scuso in anticipo per Sebastian >__<

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La settimana passò piuttosto velocemente.

Nonostante le prospettive tutt’altro che rosee, Blaine dovette ricredersi sul suo compagno di stanza. Kurt non si era effettivamente rivelato granché pericoloso, nonostante le sue richieste di mostrargli questo e quello o di aiutarlo ad intrufolarsi in questo o quel posto. Sotto sua pressante richiesta, si era addirittura lasciato convincere a fargli esaminare la camera di Nick e Jeff. Con una scusa, li aveva attirati fuori dalla stanza mentre Kurt vi entrava e dava una controllata in giro con quell’aggeggio che fischiava. Una volta tornati alla camera 206, comunque, Kurt gli aveva confidato che stranamente il rivelatore non aveva captato alcuna attività spiritica.

Anche se continuava a credere che fosse pazzo, Blaine dovette ammettere a malincuore che Kurt s’impegnava davvero. Passava le sue giornate in Biblioteca, sfogliando vecchi annuari e documenti scolastici polverosi ed ingialliti, cercando qualcosa che, a quanto pareva, nemmeno lui sapeva cosa fosse.

Nonostante tutti gli impegni che aveva, riusciva comunque a trovare il tempo per l’audizione del club. Blaine credeva che non avrebbe portato avanti la richiesta, che fosse stato solo un tentativo di farsi amico Jeff, ma Kurt provava ogni sera, in camera, in piedi davanti allo specchio. L’aveva sentito cantare Mr Cellophane così tanto da aver imparato lui stesso ogni parola a memoria.

Doveva restare nel personaggio, gli aveva spiegato. Ecco perché aveva scelto quella canzone. È quello che il Kurt Hummel che gli altri conoscevano avrebbe deciso di cantare.

«Credi che andrà bene?» gli domandò durante il cambio dell’ora, il giorno prima del provino.

«Che cosa, la lezione di Chimica?» rispose Blaine, sollevando un sopracciglio interrogativamente.

«Ma no…» borbottò Kurt, lanciandogli un’occhiataccia. «Il provino per il club.»

«Oh…» rispose Blaine, restando a guardare Kurt qualche istante.

Hummel arcuò le sopracciglia e mosse piano la testa, in una muta richiesta che suonava molto come “Beh, ti decidi a parlare, invece di restare lì a fissarmi?”.

«Ehm… beh, è una settimana intera che provi e ormai quella canzone la sai a memoria, quindi… Andrà sicuramente bene!» affermò il ragazzo, aprendo la porta dell’aula e permettendo a Kurt di entrare per primo.

«Lo spero. Ho bisogno di passare più tempo con Jeff, magari convincerlo a tornare in quel bagno… Può essere che sia lui la chiave del mistero e forse c’è bisogno che torni dove tutto è iniziato.» borbottò distrattamente Hummel, dirigendosi ad uno dei banchi in seconda fila. Blaine gli si sedette di fianco, aggrottando le sopracciglia, confuso.

«Tu vorresti riportare Jeff lì dentro? Ma… non so che cosa stai cercando, eh, ma sei sempre sui libri. Cosa ci sarà mai di così interessante in quegli annuari…» borbottò Blaine, ma Kurt gli fece un piccolo cenno, portandosi un dito davanti alle labbra. Dietro di loro, un paio di studenti stavano passando un po’ troppo vicini. Blaine immaginò che Kurt non volesse che li udissero parlare.

«Dov’è Dennis?» stava chiedendo uno.

«In infermeria. Il suo compagno di stanza dice che ieri notte non ha chiuso occhio e che stamattina era uno straccio. Si è quasi addormentato con la faccia nel porridge, così l’hanno portato a riposarsi.»

«E non poteva tornarsene in camera??»

«Non ha voluto, diceva che c’era qualcuno che lo fissava, stanotte. Secondo me ieri sera lui e Chuck hanno fumato e lui non ha smaltito prima di andare a letto…»

«Possibile!»

Blaine lanciò un’occhiata interrogativa a Kurt, ma quello era ormai di nuovo perso nei suoi pensieri.

«Anderson… devi aiutarmi. Pensavo di farcela da solo, ma temo di aver bisogno di due occhi e due mani in più.» disse alla fine, mentre il Professore entrava in aula e salutava la classe.

«No. Ne abbiamo discusso: io faccio quello che vuoi, in camera, ma tu non mi coinvolgi in queste cose. Io non voglio saperne niente, non voglio sapere cosa stai cercando e non voglio…» ribatté in fretta Blaine, ma venne interrotto da un veemente Kurt.

«Sono in gioco delle vite, Blaine! Vite di persone che conosci! Puoi affrontare un trauma infantile, se è per salvarle, no?»

Hummel lo osservò imbronciato per alcuni secondi, prima che il docente riportasse l’ordine tra gli studenti e cominciasse la lezione.

 

«Oh, Blaine! Eccoti, finalmente! Ti abbiamo tenuto il posto!»

Thad si era alzato ed agitava un braccio in direzione di Blaine e Kurt, che erano appena usciti dalla fila alla mensa con i loro bei vassoi in mano.

«Oh, grazie!» esclamò Blaine in risposta, facendo lo slalom tra i compagni d’istituto ed avvicinandosi ogni passo di più al tavolo che ormai pareva essere riservato al Glee Club.

Kurt lo seguì, nonostante avesse notato il singolare utilizzato da Thad. Stava cominciando a guardarsi intorno, per cercare un posto al quale sistemarsi, quando un’altra mano si alzò dal nugolo di teste.

«Kurt, ne abbiamo tenuto uno anche per te!»

La voce di Nick si fece un po’ più alta, tra le altre, e Kurt si voltò verso di lui. Gli stava sorridendo e proprio non gli riuscì di non ricambiare. Si diresse verso di lui, sedendosi dove indicato, quindi si guardò attorno afferrando la forchetta e cominciando a rimestare la sua insalata.

«Grazie per il posto…» disse all’improvviso, voltandosi di scatto verso Nick e ricordandosi di essere educato.

«Figurati!» rispose Nick, sorridendogli a bocca chiusa con le guance piene di maccheroni al formaggio.

Dietro di lui, Kurt poteva vedere Jeff che rideva apertamente insieme a Blaine, seduto tra lui e Thad. Quest’ultimo sembrava scrutare, di tanto in tanto, l’entrata della mensa. Il posto davanti a lui era vuoto e nessuno sembrava badarvi più di tanto.

Kurt iniziò a mangiare, masticando con fare assorto la sua insalata. Nonostante tutto, nonostante il vociare e le risate, sembrava che mancasse qualcosa, che ci fosse troppo silenzio e troppa monotonia.

Senza partecipare alla conversazione, Kurt iniziò a passare in rassegna i volti dei compagni seduti alla tavolata. La maggior parte erano membri del Glee Club, ma c’erano anche estranei e sedie vuote. Oltre a quella di fronte a Thad, ce n’erano altre due libere alla sua sinistra.

Kurt si sporse verso Nick, soffocando l’istinto di dargli di gomito e limitandosi a picchiettare gentilmente sul suo braccio con il dorso delle dita.

«Scusa la domanda, ma… come mai Thad fa terra bruciata attorno a sé?» domandò Kurt, indicando con un cenno del mento le numerose sedie non occupate intorno al ragazzo.

Nick, che si era girato non appena chiamato, seguì il suo cenno ed osservò i posti vuoti.

«Oh, non è che non si vuole sedere nessuno vicino a lui… è che di solito quelli sono i posti di David e Wes. In effetti… è strano che non siano ancora arrivati, loro due e Sebastian… la lezione dovrebbe essere finita da un pezzo.» commentò Nick, prendendo un sorso d’acqua direttamente dalla bottiglietta di plastica.

Kurt aggrottò le sopracciglia, confuso.

«Sebastian fa lezione con Wes e David? Ma… loro non sono più grandi?» chiese Kurt, infilandosi distrattamente una forchettata di insalata in bocca.

«Sì, sono un anno più avanti, ma Sebastian ha un permesso speciale del Preside. Visto che è bilingue, ma non può essere esentato dalla lezione di francese, ha il permesso di frequentare il corso avanzato. Però di solito sono sempre puntuali…» spiegò Nick, tirando il collo e sbirciando verso le porte. Con la coda dell’occhio, Kurt vide Thad fare lo stesso.

«Capisco…» si limitò a rispondere, cominciando a scrutare l’entrata della mensa a sua volta.

Per diversi minuti nessuno si fece vivo, poi, all’improvviso, un piccolo drappello di studenti varcò le porte. Erano tutti raggruppati a tre o a quattro, alcuni in coppia, e parlavano fitto fitto tra loro tutti seri.

«Sembra che sia successo qualcosa…» disse piano Nick, costringendo Kurt a voltarsi in fretta verso le porte.

Scrutando bene tra i ragazzi, lui stesso riuscì a riconoscere David e Wes, che varcarono la soglia per ultimi. Avevano due facce da funerale e nessuno dei due spiccicava parola.

Quando arrivarono al tavolo del Club, la prima cosa che fecero fu aggirarlo per accasciarsi sulle sedie a loro riservate, poi, cautamente, Wes si sporse verso Thad. Era certamente maleducazione parlare all’orecchio, ma non sembrava che qualcuno di loro se lo ricordasse o se ne preoccupasse.

L’espressione in parte sollevata che aveva assunto il viso di Thad alla vista dei due amici, mutò in pura preoccupazione non appena Wes ebbe finito di bisbigliare. Senza nemmeno finire quello che gli era rimasto sul vassoio, e senza nemmeno preoccuparsi di liberarsi del vassoio stesso, Thad si alzò e si avviò in fretta verso le porte, intenzionato chiaramente ad uscire.

«Che succede?» domandò Kurt, senza riuscire a trattenersi, mentre un lieve sospetto cominciava ad insinuarsi nel suo cervello.

Era un Cacciatore, il suo sesto senso non lo tradiva mai e in questo momento gli stava dicendo che era successo qualcosa. Qualcosa di brutto.

Nick non gli rispose, ma si sporse verso Jeff, il quale stava parlottando con Blaine. Dopo circa un minuto, tornò a voltarsi verso Kurt.

«Sembra che Sebastian sia stato male durante la lezione e che adesso sia in infermeria…» spiegò il ragazzo, a sua volta visibilmente preoccupato.

Kurt strinse le labbra, tornando a badare al proprio pasto. Non poteva essere una coincidenza. Non con quello che stava succedendo in quella scuola.

S’infilò in fretta una grande forchettata d’insalata in bocca, masticando velocemente, quindi si sporse all’indietro, dondolando sulle gambe posteriori della sedia.

«Anderson…» chiamò, allungando anche una mano per poter raggiungere la sua spalla e picchiettarla con le dita.

Blaine si voltò, le sopracciglia visibilmente arcuate in un’espressione mortificata.

«Ho dimenticato il libro d’inglese, devi accompagnarmi in dormitorio a prenderlo.» disse Kurt, con veemenza.

«Perché, non puoi andarci da solo?» chiese Blaine, sollevando un sopracciglio mentre la sua espressione mutava da preoccupata ad interrogativa.

«Ho dimenticato anche le chiavi.» rispose Kurt, imitando la sua espressione e sollevando un sopracciglio.

«Ti do la mia co-…»

«Oh, Blaine, non fare storie!» esclamò alla fine Kurt, alzandosi in piedi ed afferrando la propria borsa. Si sporse verso il posto di Blaine, afferrando il suo panino con una mano ed il colletto del suo blazer con l’altra.

«Puoi finire mentre camminiamo.» affermò, costringendolo, con fermezza, ad alzarsi in piedi.

Blaine si mise a brontolare, ma lasciò che Kurt gli ficcasse in mano il panino, quindi cominciò a camminare dietro di lui, sistemandosi la borsa (che era riuscito a prendere il fretta e furia) sulla spalla.

«Non capisco perché non puoi andarci da solo, uno dei miei amici è in infermeria e io vorrei…»

«Dov’è l’aula di francese di Sebastian?» domandò Kurt, ignorando le sue proteste.

«Cosa? Ma non avevi dimenticato…? »

«Lascia perdere il libro! Devo analizzare quell’aula, non credo che sia una coincidenza che sia Jeff che Sebastian siano stati male. Due casi simili non sono mai una coincidenza.»

 

Kurt si era impegnato davvero a fondo perché Blaine provasse sul serio ad essergli utile. Una volta arrivati nell’aula di Francese di Sebastian, gli aveva insegnato ad utilizzare il rilevatore di attività spiritica.

Aveva perso il conto di quante volte Blaine gli avesse chiesto perchè il rilevatore di campi magnetici a volte fischiava e altre volte no e, nonostante tutte le spiegazioni del caso, nelle sue parole Kurt percepiva ancora dello scetticismo. Ormai, comunque, ci aveva fatto l’abitudine. Non era importante che Blaine credesse a quello che stava facendo, l’importante era che gli riferisse ciò che trovava.

«Il rilevatore dice che c’è qualcosa che non va. Credo.» lo informò Blaine, tenendo il congegno sollevato a mezz’aria, con l’antenna che puntava verso il lampadario appeso al soffitto.

Kurt si voltò, senza nemmeno sollevarsi dal banco di Sebastian, che stava esaminando minuziosamente alla ricerca di eventuali tracce di ectoplasma.

Come se non bastasse il suono assordante, a confermarlo, il ragazzo lanciò anche un’occhiata al rilevatore e sollevò le sopracciglia.

«Qualcosa che non va? Guardalo, è impazzito. Dovremmo interrogare Wes e David…» borbottò Kurt, raddrizzando la schiena e tirando le braccia verso l’alto, per sciogliere tutti i muscoli.

«Non coinvolgeremo David e Wes in questa storia.» rispose Blaine in tono risoluto.

Kurt lo ignorò, ma sbuffò lievemente.

«Blaine, ti ricordi che cosa ti dicevo questa mattina?» domandò quindi Kurt, con aria seria, avvicinandosi al ragazzo.

«Lo so. Lo so che tu dici che siamo in pericolo eccetera, ma… probabilmente Sebastian non è stato bene o forse non ha dormito abbastanza. Hai sentito quei ragazzi, stamattina. Forse ha avuto un calo di pressione.» azzardò Blaine, allungando il congegno verso Kurt che, per tutta risposta, lo afferrò avendo cura di prendere nella sua morsa anche la mano di Blaine.

Il ragazzo abbassò lo sguardo, osservando le loro mani una sopra all’altra che stringevano il rilevatore.

«Mi sono fidato di te non solo perché non avevo scelta, ma perché… ho visto che sei un ragazzo intelligente…» cominciò Kurt, con tutta l’intenzione di continuare. Blaine, comunque, lo bloccò subito con uno sbuffo e un commento sarcastico, quasi a smorzare la tensione.

«Parli come se tu fossi un quarantenne con una lunga vita vissuta da portare sulle spalle.» borbottò appunto Blaine, sollevando un sopracciglio.

Kurt sorrise, distogliendo lo sguardo, come imbarazzato.

«Sono cresciuto quando avevo otto anni. Il lavoro che faccio ti costringe a diventare adulto quanto prima. Quelli come me non vivono mai molto.» disse Kurt, senza più continuare il discorso interrotto.

«Perché non smetti? Potresti... licenziarti e vivere una vita normale.» disse Blaine, facendo spallucce in modo distratto. Nessuno dei due aveva ancora lasciato il rilevatore.

«Non posso licenziarmi, è una vita che ti perseguita. Che normalità potrei mai trovare, sapendo che gli infissi in ferro freddo delle finestre sono ripieni di sale? I pochi come me che riescono ad arrivare alla vecchiaia sono soli ed impazziscono in fretta. Quando uno di noi si sposa, generalmente lo fa con un altro che fa... lo stesso mestiere, o il marito o la moglie imparano di conseguenza. I figli stessi cominciano prima a maneggiare una pistola piuttosto che a tagliarsi la carne da soli.» spiegò Kurt, abbassando lo sguardo sulle loro mani unite. «Infrangiamo la legge ogni giorno, uccidiamo persone per salvarne altre, occultiamo i corpi, profaniamo tombe, ci fingiamo agenti federali… Mio padre ha almeno sette identità diverse.»

Kurt abbozzò un sorriso malinconico, quindi lasciò andare la mano di Blaine, portandosi via solo il rilevatore. Non badò molto alla sua espressione sconvolta, preferì evitare di guardarlo negli occhi e raggiungere la propria tracolla.

«Non potrò mai legarmi a nessuno, se voglio che sopravviva. Ma posso chiedere aiuto per ricerche manuali ed è per questo che sto chiedendo a te. Non sei così idiota da farti coinvolgere sul serio, ma allo stesso tempo ci tieni ai tuoi amici. Se solo riuscissi a darmi credito almeno per un po’, capiresti che quello che faccio lo faccio nel loro interesse e non nel mio. Salvare e aiutare le persone è il mio lavoro, è quello che faccio, per far sì che nessuno debba vedere la propria vita sconvolta come lo è stata la mia.»

Kurt ripose il rilevatore nella propria borsa, appendendola alla spalla e uscendo lentamente dalla classe. Qualche secondo dopo Blaine lo seguì, tenendosi a qualche passo di distanza, senza però perdere d’occhio quel ragazzo che solo adesso stava cominciando a conoscere davvero.

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