Mildriend- La gemma dei Regni

di The_Grace_of_Undomiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Cospirazioni e ricerche ***
Capitolo 2: *** Morte sfiorata ***
Capitolo 3: *** Il piano ***
Capitolo 4: *** Le prigioni ***
Capitolo 5: *** Fughe e incontri imprevisti ***
Capitolo 6: *** Tre in viaggio ***
Capitolo 7: *** Il nemico alle porte ***
Capitolo 8: *** Ait Hiding ***
Capitolo 9: *** Verità dal passato ***
Capitolo 10: *** Il sorriso del traditore ***
Capitolo 11: *** Partenze e punizioni ***
Capitolo 12: *** Tra vie, spezie ed indovine ***
Capitolo 13: *** Il tremore dell'anima ***
Capitolo 14: *** Miradis ***
Capitolo 15: *** Il falco bianco ***
Capitolo 16: *** Glas Faraoise ***
Capitolo 17: *** Spie che osservano, lame che cadono ***
Capitolo 18: *** Nebbia sui ricordi ***
Capitolo 19: *** Smarriti nella notte ***
Capitolo 20: *** Luce rubata ***
Capitolo 21: *** Incontri e separazioni ***
Capitolo 22: *** Scontro nelle profondità ***
Capitolo 23: *** Di serpi e di stelle ***
Capitolo 24: *** I ribelli di Neamh ***
Capitolo 25: *** Presente e passato ***
Capitolo 26: *** Scentialhan, la città lucente ***
Capitolo 27: *** L'alleanza dei rinnegati ***



Capitolo 1
*** Prologo- Cospirazioni e ricerche ***


°Dedico questa storia alla
mia migliore amica Mary,
la prima persona ad averla letta quando
era solamente un abbozzo e colei che
mi ha spinto infine a trasformarla in
qualcosa di più°

 
°§ Mildriend- La gemma dei Regni §°



 
 

Prologo- Cospirazioni e ricerche

Un rumore di passi affrettati riecheggiava per le pareti della dura roccia. Per qualcuno con poco senso dell’orientamento e poco avvezzo di quel luogo, sarebbe stato impossibile poter avanzare con andatura così spedita e sicura. Non era però il suo caso. La ragazza si muoveva rapida per i cunicoli di pietra, certa della direzione, nonostante la poca visibilità; la strada infatti, era illuminata solo da qualche sporadica torcia.
Più la giovane si addentrava nella profondità del cunicolo, e più l’aria si faceva densa e soffocante. Non amava scendere in quel posto, lo trovava opprimente, ma, per ironia della sorte, negli ultimi tempi ci si era ritrovata molto spesso. Prese a scendere un paio di gradini in pietra e aumentò l’andatura. Digrignò i denti. Nessuno l’aveva avvertita della Riunione, l’aveva scoperto così, per caso; si erano dimenticati di informarla. La trovava una cosa inconcepibile. Lei, mancare ad una riunione e non ad una qualsiasi, ma alla Riunione, quella che avrebbe deciso se il piano sarebbe stato portato a termine, e soprattutto, se sarebbe stata lei ad attuarlo.
Arrivò davanti ad un’enorme porta, aprì uno spiraglio e fece il suo ingresso nella sala. Ben tredici sguardi si posarono su di lei. Tutti erano presenti.
“Sei in ritardo” le sorrise pacato un uomo.
“Se qualcuno mi avesse informata della Riunione, non lo sarei” ribatté seccamente la ragazza.
“Come? Avevo espressamente chiesto a Myran di fartelo sapere!” l’uomo si voltò verso la figura che si trovava alle sue spalle.
Una donna dai voluminosi capelli ricci e gli occhi blu pallido, piegò le labbra in un’espressione affranta.
“Oh, perdonami Linus, temo di essermene scordata”
“Non ha importanza, ciò che conta è che adesso sia qui” minimizzò l’uomo “Cerca di stare più attenta la prossima volta”
“Certamente” annuì quella, poi si rivolse alla ragazza e sorrise sensuale “Scusa, Keìra”
Ella fece un gesto evasivo con la mano e, senza che lei se ne accorgesse, gli occhi di Myran scintillarono di una luce scaltra. 
“Molto bene, adesso che ci siamo tutti, direi che potremmo iniziare” disse una voce severa. A parlare era stato uno dei 7 Saggi, il Terzo Saggio, conosciuto per la sua rigidezza e severità.
“Sono d’accordo. Allora, come ben saprete, in questi ultimi tempi ci siamo riuniti qui per discutere di un argomento molto delicato. Varie sono state le opinioni, ma alla fine, il verdetto finale è spettato, giustamente, ai 7 Saggi e alla Saggia Quisaadi”
La Saggia Quisaadi era una donna vecchissima, le voci dicevano che avesse almeno un centinaio di anni.  Il suo viso era segnato da innumerevoli rughe, era molto bassa e camminava ricurva, aiutandosi con un bastone.  Era muta e comunicava a gesti, solo i Saggi e Linus erano in grado di capirla. Dopo i 7, era la figura più importante e rispettata.
“Ed è stato deciso...Che il piano verrà attuato”
Vari mormorii riempirono la sala. L’ombra di un sorriso comparve sul viso di Keìra, che annuì appena con il capo; Quisaadi scosse la testa sconfortata.
“No, non potete farlo!” proruppe la voce limpida di una ragazza.
Tutti si voltarono verso di lei. Era una giovane di esile corporatura, snella e slanciata. I suoi occhi erano dello stesso colore della giada, piuttosto grandi, che le conferivano un’espressione di perenne curiosità. I capelli erano sistemati in un’acconciatura particolarissima: due ciuffi ai lati del viso, legati in due codini,  si poggiavano appena sopra al petto, mentre  il resto dei capelli era raccolto in un morbido chignon. Infine, dal fondo della nuca partivano tre lunghe trecce sottili, che le arrivavano fino alla schiena.
 “La decisione ormai è stata presa. Sei pregata di non intrometterti” l’apostrofò il Terzo Saggio gelidamente.
“Linus, questa è una follia, lo sai anche tu!” si voltò con uno scatto verso l’uomo, che sospirò, ma non disse nulla.
“Cara, è ancora così giovane, non riesce a capire” ridacchiò bonario un signore, il Sesto Saggio.
“Non è vero, io...” fece per protestare, ma la Saggia Quisaadi le posò una mano rugosa sul braccio, fermandola e facendole segno di tacere.
La ragazza, con sguardo triste, non proferì più parola.
“Fantastico,  a questo punto non resta che decidere chi compirà l’atto e entrare subito in azione” sbottò duramente un ragazzo.
“Calma, la fretta è una cattiva consigliera”
“Non me ne importa niente, come avete detto le decisione è stata presa, quindi facciamola finita. Mi offro io”
“Scordatelo”
Keìra, che per tutto il tempo era rimasta in silenzio, avanzò di qualche passo.
“Sarò io ad andare, ho la precedenza, l’ho chiesto molto tempo fa, prima ancora che si sapesse l’esito della Riunione”
Il Quarto Saggio la guardò per un attimo perplesso, poi disse “Non saprei, Keìra. La missione è molto pericolosa e forse non proprio adatta per una...per una...”
“...donna?” completò lei “Beh, mi permetto di dissentire. Credo che questo incarico sia fatto apposta per me. Ci vuole agilità, scaltrezza, destrezza, esperienza e una mano ferma, doti che io posseggo ampiamente” sorrise enigmatica “Sono abile a combattere e non ho paura dello scontro diretto. E voi lo sapete” fece scorrere il dito lungo la cicatrice che le partiva dal sopracciglio sinistro e giungeva fino allo zigomo; il segno della sua battaglia più dura. L’occhio si era miracolosamente salvato. 
Nella sala calò il silenzio e nessuno ebbe altro da controbattere.
“Così sia, sarà Keìra ad andare”
“Quando posso partire?”
“Quando lo desideri”
“Allora partirò subito” e senza aspettare risposta si diresse alla porta.
“Keìra” la chiamò il Primo Saggio.
La ragazza si fermò, ma non si voltò.
“Non accetteremo fallimenti”
Sentendosi sulle spalle lo sguardo preoccupato di Linus, quello severo dei 7 Saggi, più una grossa responsabilità gravarle addosso, Keìra se ne andò.
Non avrebbe fallito, avrebbe compiuto il suo dovere. La principessa, sarebbe morta per mano sua.

°°°

Un salto nel vuoto. Dalla torre più alta del castello, la ragazza saltò, spinta da qualcuno molto più forte di lei, che le aveva impedito di ribellarsi. Il mondo sfrecciò veloce verso il basso insieme a lei e l’impatto con l’acqua fu così forte da mozzarle il respiro di netto. Una fitta gelida le attraversò le ossa, mentre sprofondava inesorabilmente nel buio. Provò ad urlare, ma non uscì un solo suono.
Era finita, non sarebbe mai riuscita a riemergere. E mentre affondava, un rumore scrosciante le giunse alle orecchie. Il rumore di una cascata. Una cascata?

Astril aprì di scatto gli occhi e ciò che vide fu il soffitto della sua camera da letto. Sbatté le palpebre un paio di volte, ancora intontita, poi, ripresa lucidità, si mise seduta.
La luce abbacinante del sole filtrava da una finestra spalancata e per un attimo la giovane ne rimase abbagliata, mentre il rumore scrosciante continuava a rimbombarle nelle orecchie. Si passò una mano sugli occhi. Non stava affatto affogando, si era trattato solo di un sogno, o meglio, di un incubo.
“Buongiorno, Altezza” una voce cordiale la richiamò alla realtà.
“Oh, buongiorno anche te, Felixia” sbadigliò la ragazza.
Felixia era diventata la sua cameriera personale da circa sei mesi. Astril conosceva ben poco sul suo conto, sapeva solo che avessero all’incirca la stessa età e che fosse stata adottata dalla cuoca del palazzo. Le sue origini erano totalmente sconosciute. Era una tipa piuttosto timida e modesta, quasi sempre sorridente, alquanto impacciata e maldestra, ma di grande compagnia per Astril.
Portava i capelli perennemente legati in un crocchia. Il loro colore, per qualche strano motivo, aveva sempre portato grande scalpore: erano di blu cobalto, così come gli occhi.
La cameriera spalancò anche l’altra finestra e il rumore scrosciante e serpeggiante divenne ancora più forte. Il castello si trovava infatti addossato su un’enorme altura e dalle cavità di questa sgorgavano in totale ben cinque cascate, che andavano a infrangersi nel fiume sottostante, dove ogni giorno vi ormeggiavano numerose navi. Un gigantesco ponte collegava il castello alla città, Desponia.
Per la sfortuna di Astril, una delle cascate spumeggiava proprio poco più in basso della sua finestra, spesso le arrivava persino qualche schizzo.
“Non vi voglio assolutamente mettere fretta, Altezza” disse Felixia “Tuttavia credo che dovreste alzarvi e fare colazione, così poi vi aiuterò a prepararvi. Il Signor Hatch vi sta aspettando”
“Cosa?” sobbalzò la ragazza, trangugiando una crostata di mora-lampone “Ma questa mattina non avrei dovuto avere lezione di pianoforte?”
“No, è stata spostata. Ve l’ho detto ieri sera, ma forse non mi avete sentita...”
“Maledizione!” in fretta e furia Astril scaraventò le coperte da un lato e saltò giù dal letto “Hatch di solito vuole che arrivi nella Biblioteca con almeno un quarto d’ora di anticipo! Felixia, prendi un vestito a caso dal mio guardaroba, io intanto mi sciacquo il viso! Presto!” la riscosse, vendo che era rimasta lì in piedi imbambolata.
“Oh sì sì, certo!” trillò la cameriera. Mentre Astril in fretta e furia si riassettava, Felixia eseguì.
“Quale colore, Altezza? Azzurro o lilla?”
“Ve benissimo azzurro, ti ringrazio”
“Di quale sfumatura lo preferite?”
“Non ha importanza, quello che vuoi!”
Felixia, che si era fatta trascinare dall’ansia di Astril, arrivò trafelata con undici vestiti tra le braccia.
“Guardate, c’è color carta zucchero, o celeste, o ciano, turchese, fiordaliso, pastello...!”
“Felixia, sceglilo tu!” proruppe disperata. Non poteva permettersi di arrivare in ritardo. L’unica volta che era accaduto il professore le aveva dato da studiare in più cinquanta pagine, per la mattina seguente.
La cameriera scelse quello celeste e aiutò la ragazza ad indossarlo, mentre questa si spazzolava i capelli. In poco tempo fu pronta.
Astril afferrò un enorme tomo antico dalla scrivania e fece per uscire dalla stanza, ma Felixia la fermò.
“Altezza, il diadema!”
Le porse una coroncina d’argento, su cui erano incastonate tre pietre bianche, lucenti come stelle. Astril guardò titubante l’oggetto tra le mani della cameriera, oggetto che odiava più di ogni altra cosa al mondo. Esso le ricordava ogni giorno i suoi doveri, le sue origini e il suo rango, il suo essere una principessa Desideria...
Vedendo la ragazza persa nei suoi pensieri, Felixia prese iniziativa, le posò il diadema sul capo e la esortò a raggiungere l’insegnante.
Pochi minuti dopo, Astril stava già scendendo le scale che l’avrebbero portata ai piani inferiori e poi in biblioteca. Lungo il tragitto fu costretta a salutare cordialmente ogni singola persona che incontrò, facendole perdere una considerevole quantità di tempo.
Infine, arrivò finalmente nella biblioteca. Il professor Hatch la stava aspettando in piedi vicino ad un lungo tavolo di legno, visibilmente irritato.
“Buongiorno, Professor Hatch” lo salutò Astril, la sua voce affannata riecheggiò per la sala.
“Buongiorno anche a voi, Principessa. Sempre e comunque in ritardo, dico bene? Oggi, ieri, l’altro ieri, il giorno prima ancora...Potrei continuare all’infinito. Siete recidiva”
“Vi chiedo scusa...”
“Bando alla ciance e sedetevi”
Astril ubbidì immediatamente.
L’uomo prese posto, aprì un tomo molto simile a quello della ragazza e disse “Direi di iniziare senza indugio dall’interrogazione, come ben sapevate, dovevate prepararvi per oggi” piantò un paio di occhietti freddi come il ghiaccio sul viso di Astril “Potete iniziare”
La principessa prese un bel respiro e, schiaritasi la voce, prese a parlare:
“Il mondo in cui viviamo, chiamato Erendithum, è suddiviso in una moltitudine di Regni. Ognuno di essi è abitato rispettivamente da razze diverse; ogni razza da nome al Regno in cui vive. È possibile distinguere una razza da un'altra in base al colore dei capelli della popolazione, marchio indelebile che non permette fraintendimenti o dubbi di alcun genere. I Regni più conosciuti ed importanti sono il nostro regno, il Regno dei Desideria, la cui popolazione ha la chioma nera, dove il re e la regina sono i sovrani indiscussi di tutta Erendithum. Segue poi il Regno confinante con il nostro, il Regno dei Nureyel, chioma verde; poi il Regno dei Syrma, bionda capigliatura. Seguono poi tutti gli altri Regni. Quelli collocati all’estremo nord di Erendithum vengono chiamati Nevicristalli, poiché lì le nevi e i ghiacci sono perenni, mentre quelli all’estremo Sud, come il nostro, sono chiamati Soliluce, dove risplende un’eterna estate”
Fece una pausa e cercò con lo sguardo una qualche approvazione da parte del professore, ma egli rimase impassibile.
“Sulla Geografia in generale ci siamo abbastanza. Proseguite con la Storia”
Astril prese un altro respiro. Con la Storia faceva sempre un enorme confusione.
“Nei secoli passati,  in Erendithum  non prosperava la pace, ma era soggetta a numerose guerre. I Regni più in contrasto in assoluto, erano Il Regno dei Desideria e il Regno dei Mildriend, chioma rossa. Per molto tempo tra queste due popolazioni ci fu furono guerre e battaglie sanguinose, fino a quando non si giunse ad una faticosa pace, suggellata dal matrimonio del principe Desideria Dawmanos e la principessa Mildriend Fhanys” nel pronunciare quei nomi, la voce di Astril vacillò. Quell’uomo e quella donna erano i suoi genitori.
“Vennero fatti sposare giovanissimi e  per un po’ di anni la tranquillità regnò su Erendithum. Purtroppo, questa pace non fu destinata a durare a lungo. Infatti una nuova minaccia sorse dal Regno degli Alkres, che tentò di usurpare il Regno dei Desideria e dei Mildriend, per ottenere la supremazia massima. Ma dopo una guerra lunga e violenta, il Regno degli Alkres fu sconfitto e confinato in una dimensione a noi sconosciuta per opera della Maga Ailenia. Sventata anche questa minaccia, si visse nuovamente in pace e armonia. Alla...alla tragica e misteriosa morte dei due sovrani, salirono al trono il fratello del Re, Moron, e la sua consorte, Alidiana. In seguito a ciò, si scatenò nuovamente un conflitto con i Mildriend, popolo divenuto ribelle e pericoloso. La popolazione venne a lungo perseguitata fino a quando la razza dei Mildriend non scomparve per sempre”
Astril tacque e attese che il professore dicesse qualcosa. L’uomo chiuse con gesto secco il libro e si rivolse alla ragazza “Esposizione discreta, come primo approccio alla storia più recente direi che avete fatto un buon lavoro. Ovviamente questa è solamente un’infarinatura generale, per gradi scenderemo poi più nei dettagli”
Astril annuì, poi mormorò, leggermente titubante “Professore, ormai tutti i Mildriend sono scomparsi, eppure, io sono sicura di aver letto una leggenda in cui veniva detto esattamente il contrario, e cioè che ci sia ancora qualcuno di loro là fuori”
“Avete detto bene, “leggenda”, ciò che avete letto è solo una leggenda. Nessuno ha più avvistato un Mildriend da anni e se anche ne venisse riconosciuto uno, cosa del tutto impossibile, verrebbe immediatamente imprigionato a vita, oppure eliminato. Adesso passiamo a Lingue Antiche, prestate attenzione”
Liquidò la faccenda con rapidità, lasciando Astril nuovamente confusa. Ogni volta che provava ad avere qualche informazione in più, l’argomento veniva archiviato in poche parole. Molte delle cose che aveva studiato su quei tomi polverosi non la convincevano, mancavano dei pezzi: ad esempio, sul Regno degli Alkres non veniva specificato pressoché niente, tutto su di loro era avvolto da un alone di mistero e oscurità, allo stesso modo tutto ciò che riguardava i Mildriend. Sui libri non vi erano accenni sulle loro tradizioni, pochissime informazioni, come se qualcuno avesse voluto cancellarli del tutto. Astril non era convinta un intera stirpe fosse scomparsa nel nulla, né che i Mildriend fossero stati un popolo così pericoloso e ribelle. Forse la ribellione era stata determinata da qualcosa, come il fatto che il nuovo sovrano, suo zio Moron, detestasse a morte i Mildriend. Astril lo sapeva bene, tutti lo sapevano. Perciò, molto probabilmente quello della ribellione era stato solo un pretesto.
Scosse la testa cercando di scacciare via quei pensieri. Rimuginare su quelle cose non sarebbe servito a nulla.

Quando la lezione con il professor Hatch fu terminata, Astril passò le successive tre ora in compagnia dell’insegnate di bon ton, una donna estremamente esigente e attenta ad ogni singolo e minuzioso particolare.
La principessa odiava quelle lezioni. Per quanti sforzi facesse, non riusciva mai a tenere sul capo cinque libri per più di tre secondi, né riusciva a scendere le scale con il portamento adeguato, né a impedire ai ciuffi di capelli di sfuggire dalle elaborate acconciature che spesso doveva portare. Lei non si considerava degna del nome di “principessa”, non era elegante, non era brava in tutte le materie, non sapeva ballare e non era di  una bellezza sconvolgente.
Dopo le tre ore di bon ton, fece un’ora di lezione di pianoforte e poi un’altra di ballo. In entrambe fu un disastro totale come al solito, mediocre e impacciata.
Infine, con grande sollievo di Astril, giunse l’ora di pranzo. Aveva giusto il tempo di ritornare alle sue stanze per riassettarsi, prima di dover scendere per consumare un pasto e ricominciare altre lezioni.
Prima di rientrare nella sua camera, si fermò davanti allo specchio posto in uno dei corridoi. Ciò che vide riflesso fu un viso pallido, due occhi che, per quanto sua zia sostenesse che fossero color ametista, per Astril in realtà erano semplicemente neri, così come i suoi lunghi capelli lisci. Una figura a cui la ragazza era abituata, tuttavia in quel momento un particolare stonava. Una ciocca di capelli, invece di essere nera, era di un rosso accesso.
Astril, a quella vista, boccheggiò e le sfuggì un gemito. In uno stato di puro terrore si rifugiò nella sua stanza, corse fino al comodino dove si trovava ancora il vassoio d’argento di quella mattina e una tazza che aveva stupidamente dimenticato di bere. Prese la tazzina e trangugiò l’infuso porpora tutto d’un fiato. Attese qualche secondo, poi corse a specchiarsi. La ciocca era ritornata nera.
Astril sospirò sollevata e si lasciò cadere sul letto. Quel giorno aveva rischiato davvero grosso. Per una stupida dimenticanza, aveva rischiato che il segreto che da anni cercava di nascondere, venisse scoperto.
Contrariamente a quello a cui tutti pensavano, lei non era totalmente una Desideria. Nata da padre Desideria e da madre Mildriend, aveva ereditato i caratteri sia di uno sia dell’altra. I suoi capelli ne erano una prova tangibile. Le uniche ad esserne a conoscenza erano Felixia e sua zia, la regina Alidiana, che ogni giorno, all’insaputa di tutti, le preparava l’infuso che le permetteva di celare la sua vera natura. Se mai Moron avesse scoperto la verità, l’avrebbe uccisa senza indugio, di questo la principessa era più che certa, così come sua zia.
Moron non aveva mai dimostrato affetto nei confronti di Astril, era un uomo freddo e spietato, e se mai fosse venuto a conoscenza della realtà dei fatti, avrebbe trovato un ulteriore pretesto per eliminarla. Che avesse una parte di sangue Desideria e che fosse sua nipote per lui non avrebbe avuto alcuna importanza.

Nei tre giorni seguenti Astril esaminò scrupolosamente ogni libro antico della biblioteca alla ricerca di informazioni sia sui Mildriend sia sugli Alkres, ma ciò che lesse fu solo quello che ormai sapeva già memoria. Non riuscì a trovare nemmeno notizie sulla Maga Ailenia, personaggio che aveva sempre trovato incredibilmente affascinante.
“Temo che rileggere nuovamente il libro dall’inizio non servirà a farle avere più informazioni, Altezza” le fece notare un sera Felixia.
Astril chiuse il tomo sconsolata, sollevando una nuvoletta di polvere “Hai ragione, è tutto inutile” posò il libro sul comodino e si sfilò il diadema dal capo. Frustrata lo gettò sul letto. Dopo un’altra giornata di fallimenti nelle lezioni di bon ton e di ballo, quello era l’ultima cosa che voleva vedere.
Era stufa di tantissime cose. Stanca di essere una buona a nulla totale, stanca di essere come una prigioniera nella sua stessa dimora.
Si alzò dal letto e spalancò una finestra. Un’arietta piacevole la avvolse, rinfrancandole le spirito. Nel cielo brillavano piccole ed infinite stelle lucenti, ma non vi era traccia della luna, nascosta da due spesse nuvole nere.
Astril si perse ad ammirare il paesaggio circostante e a godersi gli spruzzi della cascata, lasciando che il venticello le scompigliasse i capelli.
E mentre la principessa si rilassava con lo sguardo rivolto verso la città, qualcun’altro, nascosto nell’ombra, teneva lo sguardo fisso sulla sua finestra.




°Note dell’Autrice°

Ciao a tutti, vi do il benvenuto  in questa storia!
La scrissi molto tempo fa, e dopo averla rivista, corretta ecc. ho deciso di pubblicarla qui…
Cosa ne pensate come inizio? Mi piacerebbe sapere la vostra opinione, perciò se volete scrivermi qualche commento, considerazione, critica, o altro, ne sarei davvero molto felice!
Anticipo già che la storia sarà molto lunga, forse persino divisa in serie 
Ora vi lascio, sperando che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che abbia suscitato il vostro interesse!
A presto! ;D


The_Grace_of_Undomiel

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Capitolo 2
*** Morte sfiorata ***






Morte sfiorata
Nel cuore della notte, un’ombra si mosse scattante, così rapida da sembrare un sospiro di vento. Aveva atteso pazientemente tutta la sera, accortamente nascosta, senza perdere di vista un attimo la finestra della camera della principessa. Per un breve istante l’aveva anche intravista, una piccola figura che si sporgeva.
Per l’ombra raggiungere le mura del castello fu un’impresa piuttosto ardua, costretta ad attraversare a nuoto il fossato che separava il punto in cui era rimasta nascosta dalla fortezza. Ma infine, riuscì nel suo intento. Si appiattì contro una delle pareti e iniziò la sua lunga scalata. Fortunatamente, il castello aveva una conformazione tale che le permise di arrampicarsi con facilità; era pieno di appigli sui cui aggrapparsi e, per un esperta come lei, fu relativamente molto semplice.
Dopo un po’ di tempo arrivò a pochi metri, in diagonale, dalla finestra della stanza. A quel punto estrasse da una sacca che aveva provveduto a portarsi dietro una corda molto resistente, legò un cappio ad un’estremità e  la lanciò verso uno degli speroni posti proprio sotto al davanzale. La sua infallibile mira non l’abbandonò neppure in quell’occasione. Dovette stare attenta alla cascata che spumeggiava incessante, ma  infine giunse finalmente proprio sul davanzale.
Con un sorriso, constatò che la finestra fosse appena socchiusa. La principessa era davvero un sciocca, considerò.
Diede una rapida occhiata dentro, la camera era avvolta nel buio più totale, si riusciva a distinguere solo l’ombra di qualche oggetto, tra cui quella del letto.
Keìra aprì lentamente la finestra ed entrò nella stanza. Avrebbe dovuto avanzare a tentoni, creare un sfera di luce non sarebbe stato prudente, avrebbe rischiato di svegliare la principessa.
Silenziosa e sinuosa come un felino si avvicinò al letto e, per quanto l’oscurità fosse spessa, riuscì benissimo ad individuare la sagoma della principessa, che, ignara di quello che sarebbe accaduto a breve, dormiva profondamente.
Sfilò il pugnale affilato che portava al fianco dalla fodera, producendo un rumore sibilante. La lama dell’arma quasi parve ghignare.
La ragazza lo alzò verso l’alto, pronta a completare la sua missione. La sue labbra si curvarono in un sorriso, constatando quanto tutto fosse stato facile, forse quasi noioso.
Ma proprio quando Keìra fece per calare il pugnale, la luna fece capolino da dietro le due nuvole nere che per tutto il tempo le avevano impedito di risplendere. Una luce bianca illuminò l’intera stanza, il pugnale scintillò, e Astril si mosse nel letto. Alcune ciocche dei suoi lunghi capelli si sparpagliarono sul cuscino. Ciocche di capelli rosso porpora.
Keìra, con ancora il pugnale tenuto a mezz’aria, fissò sconcertata la chioma della principessa. In uno stato di puro sbigottimento indietreggiò di qualche passo, ma non si accorse del comodino che si trovava proprio lì vicino. Il fracasso fu terribile. Un enorme tomo cadde a terra seguito da numerosi vasetti in porcellana che si frantumarono e da un vassoio d’argento che trillò contro il suolo.
A quel frastuono, Astril si svegliò immediatamente. Si mise di scatto a sedere e nel vedere quella figura sconosciuta e il pugnale, urlò con tutte le sue forze, terrorizzata.
Keìra imprecò e decise di darsi alla fuga, l’unica cosa che le fosse rimasta da fare. La missione era fallita.
Non riuscì però ad andare lontano. All’urlo di Astril le guardie reali, che si trovavano fuori dalla stanza della principessa, si precipitarono dentro. Ben due riuscirono ad afferrarla per le braccia, ma ella riuscì a divincolarsi e colpì uno di loro con un portentoso calcio. Fece per scavalcare la finestra, ma altri le afferrarono le gambe e la tirarono indietro, facendola cadere a terra. Cercò di resistere con tutte le sue forze, ma finì sopraffatta. Qualcuno la colpì alla tempia con qualcosa di solido, stordendola. Cadde a terra priva di sensi.
Le guardie, imprecando a mezza voce, specialmente quello che era stato colpito, la sollevarono di peso e la portarono fuori dalla stanza.
Astril venne scortata fuori in uno stato di shock. Felixia insieme ad altre donne del castello la raggiunsero, anche loro terrorizzate. Ma la principessa non sentiva più nulla, né comprese più ciò che le accadde intorno. L’unica cosa che sapeva era che quella sera avesse sfiorato la morte.
°°°

La Sala dei Processi pullulava di persone, Astril non l’aveva mai vista così affollata. La mattina seguente al tentato omicidio, quasi tutti gli abitanti del castello si erano riversati lì, persino ai domestici era stato accordato di parteciparvi, per ordine stesso del sovrano. Era presente anche quasi metà della città.
Astril si sentiva terribilmente a disagio. La paura della notte appena trascorsa le albergava ancora nell’animo e se non se ne sarebbe andata via presto. Qualcuno aveva tentato di ucciderla, ma, per qualche misterioso motivo, non era riuscito nel suo intento. Le ritornò alla memoria l’immagine di quella sagoma nell’ombra e di quel pugnale, la lama che quasi brillava. Non era riuscita a scorgere altro, sia per via del buio, sia per via del terrore che le aveva praticamente alterato le percezioni. Era certa però che lo sconosciuto attentatore fosse una donna. Aveva riconosciuto il suo fisico femminile.
Venne scossa da un brivido freddo al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere, mentre continuava a chiedersi chi fosse colei che voleva a tutti costi la sua morte.
Da quando si era seduta sulla panca del Tribunale, per tutto il tempo aveva tenuto lo sguardo fisso sulle sue ginocchia e le dita strette spasmodicamente al vestito pervinca. Ma il motivo non era solo il processo e il ricordo della notte. Al suo fianco, sedeva suo zio Moron.
Egli era un uomo di corporatura piuttosto massiccia, i suoi occhi, come i capelli, erano neri come la pece, paragonabili a due oscuri pozzi profondi. Osservava l’ambiente circostante altero e composto, con una tale severità e freddezza che avrebbe messo in soggezione anche il guerriero più coraggioso. Sul capo portava una corona incastonata di preziose gemme verdi contornate da argento splendente, simbolo del suo potere e della sua autorità.
Alla sinistra di Astril, sedeva invece la zia, la Regina Alidiana. Così esile che anche un leggero soffio di vento avrebbe potuto portasela via, ma di una bellezza sconvolgente. I capelli neri erano legati in un elegante chignon, alcune ciocche mosse le ricadevano lungo il viso perfetto; due occhi color grigio perla, contornati da un velo di tristezza e privi di emozione, guardavano nel vuoto e le labbra rosa che non sorridevano più da anni erano piegate in una smorfia malinconica.
Tutti nella sala parlavano, chi era stato presente quella notte raccontava la sua versione dei fatti arricchendola di particolari, mentre gli altri ascoltavano affascinati e allo stesso tempo intimoriti.
I due sovrani e Astril invece tacevano. In entrambi la principessa aveva notato qualcosa di strano, suo zio era più incattivito del solito, mentre sua zia più preoccupata.
Poco tempo dopo arrivò tutto trafelato il giudice, un ometto grassoccio e di una bassezza anormale, figura abbastanza inutile a dire il vero, dal momento che l’ultima parola spettava sempre e comunque al re.
A quel punto il chiacchiericcio cessò di colpo e la sala venne avvolta dal silenzio.
Il giudice si schiarì la voce e prese a parlare. Iniziò con la solita tiritera tipica di ogni processo, poi introdusse quello che ormai tutti sapevano a memoria, e cioè che la sera precedente fosse accaduto un terribile fatto. Venne poi fatta chiamare Astril a raccontare l’accaduto, cosicché tutti sapessero nei dettagli. Per lei ripercorrere ogni cosa fu una vera e propria violenza su se stessa.
“A questo punto, direi di far entrare la prigioniera” disse il giudice e la sua voce tremò.
Se possibile, nella sala si fece ancora più silenzio. Tutti si sporsero verso il portone d’ingresso. Astril aumentò la presa sul suo vestito, Alidiana si fece attenta, Moron digrignò i denti.
Scortata da ben otto guardie, la processata fece il suo ingresso nella sala.
Esclamazioni di stupore si levarono da tutti i presenti. Alcune donne svennero, mentre ad altre sfuggirono gridolini. Moron ringhiò sommessamente, mentre Astril rimase senza parole.
Si trattava di una ragazza, forse con qualche anno in più di lei. Alta e snella, con un fisico nervoso, indossava un paio di pantaloni marroni e un corpetto dello stesso colore. I capelli, lisci e corposi, le arrivavano sino alla schiena, rossi porpora; sulla parte sinistra del volto spiccava una cicatrice, mentre sulla tempia era ben visibile un livido violaceo, procuratoselo sicuramente durante  la colluttazione. Era una Mildriend, non c’era ombra di dubbio, una Mildriend a tutti gli effetti.
Aveva i polsi legati e una guardia la tirava per mezzo di una catena di ferro. Altri soldati la circondavano, monitorando attentamente ogni sua mossa.
Le intimarono di muoversi e lei avanzò tenendo lo sguardo dritto davanti a sé, senza considerare nessuno. Solo quando giunse in prossimità di Astril, si voltò a guardarla. La principessa si sentì perforata da quegli occhi enigmatici, di cui non riusciva a scorgere il colore a causa della lontananza,  quasi volessero leggerle l’anima. Tentò di sorreggere lo sguardo con quello della Mildriend, ma alla fine fu costretta a cedere. Venire analizzata in quel modo l’aveva trasmesso troppa inquietudine.
La prigioniera venne portata al loro cospetto e a quello del giudice, che aveva preso a sudare freddo per la paura.
“Questa notte sei stata fermata mentre tentavi di attentare alla vita della principessa. Per quale motivo volevi compiere un simile gesto?” chiese l’uomo, cercando rimanere risoluto.
La ragazza non rispose, né accennò alcun tipo di reazione. Rimase immobile, con uno sguardo di sfida fisso in quello del giudice.
Quest’ultimo ripeté la domanda ma ottenne lo stesso risultato. Dopo di ciò, seguirono altre innumerevoli domande.
“Chi sei?”
“Da dove provieni?”
“Sei da sola o qualcun altro era organizzato nella cospirazione?”
“Se sì, di chi tratta?”
“Ci sono altri come te?”
“Sai parlare?”
Ma la ragazza rimase sempre in silenzio. A quel punto il giudice disse “Se parlerai, prometteremo che non ti faremo del male”
La prigioniera lo guardò quasi divertita, canzonatoria. Poi si voltò verso la direzione di Moron e dopo avergli rivolto un’occhiata carica di disprezzo sputò.
La gente mormorò sconcertata e le guardie strattonarono la catena che la teneva legata. Gli occhi del sovrano scintillarono di collera e per un attimo Astril credette che lo zio l’avrebbe uccisa seduta stante.
“E’ evidente che tu non voglia proferire parola. Sappi che ti sei macchiata di una grave colpa. Verrai rinchiusa nelle segrete del castello e interrogata. In seguito a ciò, sarai giustiziata immediatamente. Questo è tutto” proferì duramente il giudice. Il processo venne chiuso e la ragazza riportata indietro, mentre nella sala proruppero insulti e maledizioni di ogni tipo nei confronti della Mildriend. Sorse così tanto scompiglio che le guardie dovettero riportare l’ordine con la forza.
Astril venne ricondotta nelle sue stanze, mentre Moron, straripante di ira, e Alidiana si affrettarono verso un’ala del castello.

La principessa sbatté violentemente  la porta della sua stanza. Si mise le mani fra i capelli e prese a camminare avanti indietro, con il cuore che le batteva all’impazzata e la testa che pareva volesse scoppiarle.
Lo sapevo, l’ho sempre saputo. I Mildriend...i Mildriend non sono scomparsi, sono ancora vivi. Ciò che credono gli altri sono solo menzogne. Quella ragazza era una di loro, ne sono più che certa. I suoi capelli ne sono la prova. Moron era furioso, la gente scioccata. Cosa succederà adesso? Le persone sono state messe davanti ad una realtà che nemmeno sospettavano. Il re farà setacciare l’intero Regno, adesso. Non può essere l’unica Mildriend, devono essercene altri, lei sa dove sono, ma io non lo saprò mai perché Moron...la ucciderà!” pensò.
Si fermò di botto in mezzo alla stanza, mentre pensieri simili e altri molto più pericolosi le vorticavano in testa.
No, Astril, ragiona. Quella ragazza ha cercato di ucciderti, è una criminale, un’assassina, è pericolosa. Forse gli altri hanno ragione, forse i Mildriend sono davvero malvagi. Frena, ricorda chi era tua madre, lei era una Mildriend, ed è stata una delle sovrane più giuste e sagge di tutta Erendithum. Ricorda chi sei tu, ma chi sono io?
Riprese a camminare. Sembrava tarantolata.
Sono la principessa Astril, figlia di Dawmanos, Desideria, e di Fhanys, Mildriend. Nelle mie vene scorre il sangue di entrambe le stirpi. Questa notte ho rischiato di venire uccisa da una Mildriend
Si fermò nuovamente di colpo. Lei la vita la rischiava tutti i giorni. Ogni giorno rischiava di essere uccisa per mano di quel tiranno e crudele di suo zio, se mai avesse scoperto la verità. Dopotutto non c’era poi molta differenza.
Con questa nuova consapevolezza la sua mente prese a ragionare febbrilmente. Aveva due possibilità: poteva lasciare che quella ragazza venisse giustiziata, che i suoi dubbi rimanessero per sempre tali, poteva continuare a vivere come una prigioniera in attesa che un giorno Moron scoprisse infine la verità e la uccidesse; oppure, poteva scoprire finalmente qualcosa di più, conoscere la verità sui Mildriend e, se le cose fossero andate come lei sperava, magari andarsene per sempre da quel castello. Ma, se invece tutto fosse andato storto, lei ci avrebbe rimesso la vita.
Non sapeva quale delle due opzioni la terrorizzasse di più. Forse in entrambi i casi sarebbe morta, ma se per qualche assurdo motivo invece le cose si fossero evolute per il verso giusto, la sua esistenza sarebbe cambiata radicalmente.
Era certa, però, che avrebbe fallito ancora prima di incominciare. Lei non era tagliata per quelle cose, si era sempre considerata un disastro totale su tutto, era un’incapace ad essere una principessa, perciò su una cosa come quella sarebbe stata anche peggio. Si avvilì totalmente.
Per  ben due giorni pensò, organizzò, si autocommiserò, macchinò, ragionò e non fece che chiedere notizie sulla prigioniera, vendendo a sapere che, nonostante l’avessero torturata, ella si rifiutava tuttora di confessare. Questo aiutò la principessa a prendere infine una decisione, per quanto interiormente fosse ancora divisa a metà.
Cercando di non ascoltare le sue ansie e i suoi ripensamenti che le urlavano incessanti quanto tutto quello fosse sbagliato ed avventato, all’alba del terzo giorno mandò a chiamare Felixia.
“Mi avete chiamata, Altezza?” domandò la cameriera.
“Sì, ho bisogno che tu faccia una cosa per me”
“Tutto quello che desiderate”
“Devi andare in città, subito”
Felixia sgranò i suoi occhi blu “Per quale motivo, Altezza?”
Astril esitò un attimo, poi rispose “Devi comprarmi dei vestiti”
“Vestiti? Oh, ma non sarà necessario che vada in città, basterà chiamare il sarto di corte o...”
“Non quei tipi di vestiti, mi servono un paio di pantaloni, un corpetto e degli stivali. Come tu ben sai ne sono sprovvista. Queste cose le puoi trovare solo al mercato di Desponia”
Felixia sussultò “Ma a cosa vi servirebbero degli abiti del genere?”
Astril spostò lo sguardo altrove “Queste non sono cose che ti riguardano” ribatté sulla difensiva.
Ma la cameriera insistette imperterrita temendo, giustamente, che la principessa si stesse mettendo nei guai “Vi prego, ve lo leggo negli occhi, state escogitando qualcosa! Sono certa che abbia a che fare con la prigioniera, non fatelo!”
“Ti imploro Felixia, non mi chiedere niente. Fai solo ciò che ti ho chiesto” mormorò. Non voleva mentire alla ragazza, ma non poteva nemmeno confidarle il suo piano, di cui tuttora si sentiva terribilmente insicura.
“Farò come mi avete ordinato, ma voglio sapere ciò che avete intenzione di fare!” ribatté con forza la ragazza. Astril non l’aveva mai vista così determinata, una strana luce le brillava negli occhi. Sospirò, non sapendo che cosa risponderle. Infine, si vide costretta ad arrendersi. Felixia stava diventando una sua complice ed aveva tutti i diritti di sapere, per cui rispose “Al tuo ritorno avrai le dovute spiegazioni...Ora vai, presto! E mi raccomando, nessuno...nessuno deve sapere dell’incarico che ti ho affidato”
Felixia annuì, prese le monete che le porse Astri e corse via.
La principessa sospirò. Una parte del suo piano aveva avuto inizio, non poteva più tirarsi indietro. Ora, non le restava altro che andare a cercare sua zia, l’unica che potesse aiutarla.


°Note dell'Autrice°

Salve a tutti! Come vi è sembrato questo secondo capitolo? Spero sia stato di vostro gradimento :)
In alto ho messo il banner di Astril, era come ve la immaginavate? A me come immagine sembrava adattissima ^^


A presto!

The_grace_of_Undomiel


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Capitolo 3
*** Il piano ***





Il piano

 


La città di Desponia sin dalla prima mattina era in attività. Il chiacchiericcio della gente e lo schiamazzare allegro dei bambini rendeva l’ atmosfera allegra e frizzante, profumi di ogni genere riempivano e coloravano l’aria. Al mercato della città si poteva trovare  tutto ciò di cui si avesse avuto bisogno, dallo stretto necessario agli articoli più astrusi e particolari.
I raggi mattutini di quel caldo sole estivo illuminavano le strade di Desponia, rincuorando e trasmettendo benessere ad ogni passante.
Felixia aveva sempre amato recarsi al mercato. Lì si sentiva tranquilla, spensierata, lontana per un attimo dalla vita frenetica del castello. Tuttavia quel mattino il suo stato d’animo era tutt’altro che sereno e rilassato. Si sentiva estremamente in ansia e desiderava sbrigare al più presto le commissioni che le aveva affidato Astril,  per ritornare poi il più in fretta possibile al castello e ottenere delle spiegazioni. Tutta quella situazione non le piaceva per niente. Era certa che la principessa stesse macchinando qualcosa, qualcosa di pericoloso, che aveva senza dubbio a che fare con la prigioniera. Anche lei era rimasta molto colpita, oltre che intimorita, nello scoprire che i Mildriend non fossero ormai del tutto scomparsi; la principessa invece lo aveva sospettato fin da subito.
Urtò per sbaglio una donna piuttosto in carne e l’enorme vaso in terracotta che teneva tra le braccia. Le borbottò qualcosa infastidita e Felixia si riscosse. Doveva smetterla di rimuginare, tornare coi piedi per terra e mettersi a cercare i vestiti per Astril. Un corpetto, un paio di pantaloni e degli stivali, se non ricordava male.
Sospirò sconfortata. Trovarli non sarebbe stato difficile, era la taglia ciò che più la preoccupava. Era abbastanza sicura che la principessa avesse all’incirca le sue stesse misure, ma poteva anche sbagliarsi.
Si aggirò a lungo intorno alle bancarelle del mercato finché una in particolare non attirò la sua attenzione. Si avvicinò e per sua immensa fortuna vendeva  proprio quello di cui aveva bisogno. Era stata davvero fortunata!
Si mise a frugare tra le vesti, sotto l’occhio vigile della proprietaria della merce. Spesso infatti in quei paraggi bazzicavano numerosi ladruncoli e mascalzoni.
Felixia riuscì a rinvenire un corpetto e un paio di pantaloni di ottima fattura, di un bel color terra, ma degli stivali non vi era traccia. Chiese aiuto alla proprietaria il cui viso, che per tutto il tempo era stato corrucciato e diffidente, si rilassò. In men che non si dica porse alla cameriera le scarpe, perfettamente abbinate agli abiti.
“Stai partendo per un viaggio?” le chiese la donna, sporgendosi verso di lei con aria complice, scrutandola con enigmatici occhi smeraldini.
“Cosa? No, no, questi vestiti non sono per me, sto semplicemente facendo una commissione” si affrettò a specificare. Osservò incuriosita l’interlocutrice, ora che ci faceva caso era davvero una bella donna, i suoi capelli erano mossi, neri, legati in una lunga coda laterale, mentre qualche riccio ribelle le ricadeva lungo le tempie. Indossava una casacca leggera verde, con una scollatura a V non troppo profonda e un paio di orecchini grossi e rotondi, dorati.
“Capisco, immagino allora che tu sia un tipo sedentario”
“Assolutamente, non ho mai messo un piede fuori da Desponia!”
“Un vero peccato, non hai idea delle meraviglie che ci siano là fuori. Vedi qualsiasi cosa quando fai un lavoro come il mio, mi sposto in continuazione. Dovresti provare”
Felixia porse le monete che le aveva dato Astril alla donna “Ti ringrazio del consiglio, ma non sono propensa ai viaggi o spostamenti, senza contare che il mio lavoro non me lo permetterebbe. Credo che il mio destino sarà quello di rimanere per sempre qui” sorrise.
“Il fato...Quale cosa misteriosa, non trovi? Non  sai mai cosa ti presenterà. Ebbene, ora ti saluto” sorrise di rimando “Domani io non sarò più qui, al prossimo incontro allora”
Felixia la salutò cordialmente e poi se ne andò.
“Che strana donna” si ritrovò a pensare. Probabilmente non l’avrebbe mai più rivista.
Si affrettò a dirigersi verso il castello. La strada ora percorreva in salita ed era straripante di gente, per cui la ragazza fu costretta a sgomitare per riuscire a passare. Era impaziente di avere finalmente le sue spiegazioni, non pensava ad altro, e forse fu proprio per quel motivo che, distratta per la seconda volta, si scontrò violentemente contro qualcuno.
“Oh, ti chiedo scusa io...” fece per iniziare, ma si bloccò alla vista della figura incappucciata che le si trovava di fronte. Il volto non era visibile, si intravedevano solo gli occhi, blu come la notte e freddi, che la squadravano micidiali.
Felixia si sentì percuotere e trapassare da dentro a fuori da quello sguardo e improvvisamente le parve di essere piccola ed insignificante, con una grande voglia di fuggire.
“Ecco...non...non” balbettò, ma la figura misteriosa le voltò le spalle e sparì in mezzo alla folla, lasciandola sola.
La cameriera rimase per un attimo ferma, confusa e spaesata, poi riprese il cammino.


La figura incappucciata, nascosta tra la moltitudine di gente, osservò Felixia allontanarsi, poi riprese il cammino, adirata. Quella sciocca ragazzina le aveva fatto solo perdere del tempo.
Arrivò sino in fondo alla via, avvolta nel suo mantello color terra, cercando di rendersi il più invisibile possibile agli occhi dei passanti, sgusciando via rapida. Solo quando si fu allontanata dal brusio e dalla confusione del mercato si sentì più tranquilla. Più avanzava, più la massa di gente diminuiva, fino a quando non rimase solo qualche passante.
Si guardò intorno febbrilmente, poi si infilò in un vicolo in ombra, stretto e angusto. Il silenzio regnava sovrano, non vi era anima viva, tranne lei. Quella via era poco praticata, probabilmente la maggior parte delle persone non la conoscevano.
Pazientemente attese lì per qualche tempo, fino a quando non vide arrivare qualcuno in lontananza e, per velocizzare i tempi, gli andò incontro.
“Non c’era bisogno che ti scomodassi, potevo benissimo venire io” disse il nuovo arrivato con tono beffardo, anch’egli avvolto in un mantello, il cappuccio calato sul volto.
“Smettila di fare il galantuomo, Dread. Non ho voglia delle tue pagliacciate”
“Oh oh, siamo più nervosette del solito oggi, vero?
La figura grugnì, stava iniziando a perdere la pazienza. L’altro se ne accorse.
“D’accordo, ho capito l’antifona, andrò dritto al punto. Ascolta, mentre mi trovavo in giro per la città ho sentito alcune donne parlare di un fatto molto particolare, che credo potrebbe interessarti...”
“Di che si tratta?”
“Pare che qualche giorno fa ci sia stato un attentato alla principessa Desideria Astril, ma che l’assalitore sia stato fermato in tempo e catturato”
“E con questo? Cosa ci dovrebbe essere di importante?”
“Questo, cioè che l’assalitore sia un Mildriend!”
“Cosa!?” esclamò incredula.
“Proprio così, anch’io ci sono rimasto di stucco quando l’ho saputo, mi sembrava impossibile! Da quando i Mildriend si arrischiano così tanto?”
L’altra si sfiorò il labbro con un dito, pensierosa “Non ne ho idea, quello stolto di Linus deve aver macchinato qualcos’altro, qualcosa che però è fallito miseramente. Chi era l’attentatore, ne sai niente?
“Hanno detto che si trattava di una ragazza, non ho sentito altro”
La figura stette un attimo in silenzio“Credo di aver capito l’identità del misterioso Mildriend”disse.
“Chi?” chiese curioso.
“Keira”
L’altro sussultò “Keira? Ne sei sicura?”
“Non ne sono sicura, ne sono certa. A quanto pare quella maledetta non possiede più la sua proverbiale agilità e scaltrezza, dal momento che si è fatta scoprire e mettere dietro le sbarre come una pivella alle prime armi”
“Se ciò che dici è vero allora di lei non avremo più notizie, nessuno esce da quelle prigioni, se non per essere giustiziato” considerò Dread.
“Un vero peccato, non mi sarebbe dispiaciuto ucciderla io stessa” fece un pausa “Tuttavia, questa situazione cade proprio a nostro vantaggio, meno ostacoli avremo e meglio sarà”
“Concordo con te, anche se continuo a chiedermi come mai volessero a tutti i costi assassinare la Desideria...Comunque sia, tu invece hai scoperto qualcosa di interessante?”
“Nulla, poco fa però mi sono scontrata con una ragazzetta e per un attimo mi è sembrato quasi che...”
“Che?” la incitò a continuare.
L’altra scrollò le spalle seccamente “Niente, non ha importanza”
“Cosa facciamo adesso?” volle sapere il compagno.
“Mi pare ovvio, rientriamo, e informiamo gli altri di ciò che abbiamo scoperto. Qui non abbiamo nient’altro da fare”
Detto questo si voltò, dandogli le spalle, e tese un braccio, rivelando da sotto la manica del mantello un bracciale, i cui fili dorati si avviluppavano intorno al polso. Al centro pulsava e sfavillava una pietra nera come la pece, da cui scaturivano bagliori violacei. Chiuse gli occhi per un breve istante, concentrandosi,  poi li riaprì di scatto e poco dopo dalla pietra eruppe un lampo nero, che squarciò l’aria, creando un sottile varco verso il vuoto.
I due lo attraversarono e l’apertura si richiuse così come si era aperta, inghiottendoli nell’ombra.


                                                                                 °°°

Nello stesso momento in cui la cameriera frugava tra la vesti della bancarella, qualcun altro, dalla parte opposta della città, si apprestava ad entrare nella biblioteca personale della regina Alidiana.
Astril prese un bel respiro e si decise ad aprire la porta. La sala non era eccessivamente grande, ma raccolta e molto intima, ricca di scaffali colmi di libri e con al centro un tavolo su cui era disposta una cartina di Erendithum. Verso il fondo si trovava una comoda poltrona e un tavolino bianco con sopra il servizio da the.
La zia, in piedi vicino alla finestra, aveva le spalle rivolte alla porta, per cui non si accorse subito della presenza della nipote, che si schiarì la voce per manifestare la sua presenza.
Alidiana si voltò e le sorrise cordialmente.
“Buongiorno Astril, posso fare qualcosa per te?”
La principessa avanzò, iniziando a tormentarsi le mani “In effetti sì, ma se sei indaffarata posso ritornare più tardi...”
“Assolutamente, accomodati pure su quella poltrona! Avevo appena finito di controllare alcune cose sulla cartina” 
Astril ubbidì e non mancò di lanciare un rapida occhiata alla mappa di Erendithum, notando in essa qualcosa di diverso, ma non ebbe il tempo di osservare oltre poiché Alidiana la raggiunse e la principessa fu costretta a sedersi. La regina fece altrettanto, prese una tazzina e le versò del the alla rosa canina.
“Cosa stavi facendo di preciso, se posso chiedere?” domandò Astril, sorseggiando.
“Nulla di particolare, le solite scartoffie regali” sorrise la regina, uno di quei  consueti sorrisi spenti e affaticati a cui la principessa si era ormai abituata da tempo.
“Problemi con gli altri Regni?” volle subito sapere, mostrandosi incuriosita. Aveva deciso di prendere il discorso molto alla lontana per cercare di prendere tempo e di formulare bene ciò che aveva intenzione di dire.
Ma la farsa non ingannò Alidiana, che posò la tazzina e guardò la nipote dritta negli occhi. L’altra ricambiò lo sguardo, perplessa.
“Astril, ti conosco da quando sei una bambina, ti ho vista nascere, so che vuoi dirmi qualcosa di importante” disse con serietà “Perciò non tergiversare, parlami subito di tutto”
La schiettezza e l’intuizione della zia avevano lasciato di stucco la ragazza. Aveva riflettuto a lungo su cosa dirle, ma ora che era arrivato il momento le frasi preparate le parevano più inadeguate che mai. Riprese a torturarsi le mani e dopo un attimo di silenzio si decise a parlare:
“Ecco, io, ci ho pensato per molto tempo e ho capito che l’unica in grado di aiutarmi sia proprio tu...”
“Di che cosa si tratta?”
Astril respirò a fondo “Ha a che fare con la prigioniera” parlò tutto d’un fiato.
Alidiana non disse nulla, si limitò ad abbassare lo sguardo e a riprendere la tazzina. In cuor suo aveva già capito tutto.
“Vai avanti...” la incitò.
“Immagino già ciò che mi dirai e anche io stessa non ne sono molto convinta, ma sento che sia la cosa più giusta da fare. Hai visto anche tu quella ragazza, zia! È una Mildriend, una Mildriend in carne ed ossa! Mi avete fatto credere che la loro stirpe, la mia stirpe, fosse scomparsa per sempre ed ora...ora voglio sapere! Ha cercato di uccidermi, questo è vero, ma ho bisogno di spiegazioni, devo parlarle, è necessario!” spiegò la principessa con foga, cercando di convincere non solo la regina, ma anche lei stessa ulteriormente.
“Vuoi scendere nelle prigioni, quindi? Segretamente?” Alidiana interruppe quel fiume di parole pacatamente, come se fosse stata la frase più naturale del mondo.
“Sì...”
“E vuoi anche liberarla e partire con lei?”
Astril sobbalzò sulla poltrona “In realtà, questo non lo so ancora. Dopotutto lei è e riamane la mia assalitrice, ma se  con la prospettiva della libertà riuscissi a convincerla ad aiutarmi le cose per me cambierebbero radicalmente”
“Astril...”
“Pensaci! In questo castello sono come una prigioniera, una prigioniera che vive nel costante terrore di essere scoperta. Lo sai anche tu che non potremo nascondere la verità a Moron ancora a lungo. L’effetto della pozione dura sempre di meno negli ultimi tempi, l’altra volta ci è mancato davvero pochissimo! Non posso più vivere in questo castello, devo andarmene, e questa è la mia unica occasione!”
“Astril...”
“Ho bisogno di sapere!”
“Astril!” la regina alzò la voce facendo sussultare la ragazza, che tacque immediatamente.
Alidiana si alzò, sotto lo sguardo confuso della principessa, e ritornò alla finestra. Riprese a parlare “Non ho alcuna intenzione di fermarti”
“Come?”
“Avevo già intuito tutto, nel momento stesso in cui hai visto la prigioniera al processo. Ciò di cui non ero sicura era se infine avresti davvero preso coraggio e se saresti venuta a chiedere il mio aiuto, oppure se avresti agito tenendomi all’oscuro”
“Perciò...mi stai dicendo che approvi?” domandò Astril sorpresa.
“Non sto dicendo questo, dico solo che capisco le tue motivazioni, per quanto sia terribilmente rischioso ciò che hai intenzione di fare”
“Quindi...”iniziò Astril cauta “Mi aiuterai?”
Alidiana sospirò e il suo sguardo si fece triste “Sì, ti aiuterò” mormorò.
La principessa si alzò e raggiunse la zia. Le mise una mano sulla spalla e la donna la sfiorò con la sua. Astril sapeva che sarebbe stato un duro colpo per entrambe. Per lei stessa, che avrebbe dovuto lasciare l’unica figura di riferimento che le fosse rimasta al mondo, e per Alidiana, che si sarebbe dovuta separare dall’unica persona a cui si fosse affezionata dopo la scomparsa di suo figlio.
Di un anno più piccolo di Astril, era scomparso misteriosamente dalla sua culla, quando era ancora in fasce, probabilmente rapito. Per quanto avessero fatto setacciare il regno, i due sovrani non erano riusciti ritrovarlo e Alidiana aveva cercato di sanare  il dolore insopportabile  dedicandosi con tutta sé stessa alla piccola Astril, di solo un anno, rimasta orfana a pochi mesi, ma, da quel terribile evento, la regina non era più riuscita a sorridere, né ad essere felice.
Ed ora doveva dire addio anche ad Astril; sarebbero state costrette, se tutto fosse andato nel verso giusto, a separarsi.
La regina cercò di ricacciare indietro le lacrime. Doveva essere forte e fare del suo meglio per aiutare la nipote.
“Spiegami ciò che hai intenzione di fare” disse risoluta.
“Ci ho riflettuto a lungo, e penso che agire di notte inoltrata sia la cosa più sensata da fare. Contavo di infiltrarmi nelle prigioni e di parlare con la Mildriend, se vorrà ascoltarmi e se sarò in grado di fare tutto questo” spiegò, sentendo già nel cuore quella dannata insicurezza e paura.
“Sull’agire di notte sono d’accordo con te, ma ricorda che le prigioni sono sotto la massima sorveglianza, non riuscirai mai a passare senza farti notare”
“Lo so, ed è proprio per questo che ho bisogno del tuo aiuto, devi darmi qualcosa che mi permetta di distrarle, una delle tue erbe o pozioni che siano pratiche da utilizzare”
Alidiana ci ragionò un attimo su, poi rispose “Credo di avere la cosa adatta, la preparerò subito e te la farò avere entro stasera. Sarà efficace. Vorrei fare qualcosa di più per aiutarti, ma è tutto sotto il controllo di tuo zio, non posso interferire in alcun modo. Qualcun altro sa di questo?”
“In parte Felixia, l’ho mandata a comprarmi dei vestiti adatti”
“Hai agito bene, ho piena fiducia in quella ragazza, non ti tradirà. Inoltre non deve temere nulla, la terrò sotto la mia protezione”
Alidiana raggiunse uno degli scaffali e dopo aver cercato a lungo riuscì a trovare ciò che cercava.
“Questa è una mappa delle prigioni” disse mostrandola ad Astril “Ti sarà fondamentale, le prigioni del castello sono come un labirinto intricato  per chi non vi si è mai recato, non perderla”
La ragazza la prese e se la strinse al petto. Trovandosi in prossimità del tavolo vide nuovamente la carta geografica di Erendithum.
“Zia, questa mappa ha qualcosa di diverso, non è così? L’ho notato anche prima”
“E’ la verità, ormai tenertelo nascosto non ha più alcun senso. Avvicinati”
Astril ubbidì e poté finalmente osservarla bene. Rispetto alle cartine da lei studiate su quella erano segnati due Regni in più, il Regno dei Mildriend e il Regno degli Alkres.
“Questa è una delle più antiche che ci siano rimaste. Tuo zio ha voluto che questi due Regni venissero del tutto eliminati nelle nuove mappe. Ora il Regno dei Mildriend non esiste più, come puoi vedere qui è stato assimilato dal nostro Regno, con cui confinava. Quello dei  Mildriend era piuttosto piccolo ed è stato relativamente breve per Moron distruggere ogni cosa e ricostruire”
Astril seguì assorta il dito della zia muoversi lungo tutta la cartina.
“Del Regno degli Alkres invece non è rimasto più nulla”
“Nulla?”
“Nulla” rispose grave Alidiana “Se non una distesa desolata”


Astril ritornò, dopo aver definito gli ultimi dettagli con sua zia, nelle sue stanze e lì trovò in piedi, di fianco al letto, Felixia.
In un primo momento la principessa si spaventò, poi, chiusa rapidamente la porta a chiave, si precipitò dalla cameriera.
“Hai trovato tutto?” le domandò con foga.
La ragazza le porse i vestiti “Tutto, come mi avete chiesto di fa...”
“Ci sono state delle complicazioni?” aggiunse subito agitata, senza neanche lasciarle il tempo di finire.
“Nessuna, ho solo incontrato un’altra cameriera che mi ha chiesto cosa stessi facendo, ma sono riuscita a seminarla” rispose Felixia. Non le parlò della strana figura incappucciata, essendosene per il momento dimenticata.
Astril diede un’occhiata ai vestiti e poi li indossò. Le stavano a pennello, oltre ad essere anche molto comodi.
“Ottimo lavoro Felixia, sono perfetti!” esclamò con un sorriso.
La cameriera si limitò a fare un piccolo cenno col capo, senza dire una parola.
“Hai anche azzeccato la taglia, non so davvero come ringraziarti” proseguì la principessa, aggiustandosi meglio il corpetto.
“Servivi è mio dovere, non ho fatto nulla di speciale” la voce della ragazza si era ridotta ad un sussurro.
Astril si voltò a guardarla. Il suo viso era stranamente pallido, rivolto verso il basso, e teneva le labbra strette, così come le mani.
“Qualcosa non va, Felixia?” domandò, avvicinandosi alla giovane.
La cameriera rimase un attimo in silenzio, non sapendo bene come comportarsi. Poi, preso coraggio, disse titubante “Mi avete detto di fare questa commissione per voi ed io ho eseguito, ma prima che uscissi mi avete anche promesso che al mio ritorno mi avreste dato delle spiegazioni, ricordate?”
Astril se lo ricordava eccome ed era giunto il momento di dirle tutta la verità, poiché il compito di Felixia non si sarebbe limitato ad una semplice commissione.




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Capitolo 4
*** Le prigioni ***





Le prigioni


Non potete dire sul serio!”
La cameriera, con gli occhi spalancati e  il viso contratto in un’espressione di puro sconcerto, impallidì e indietreggiò di qualche passo “Questa è follia!”
“Lo so, ma non mi è rimasta altra scelta. Ho bisogno di risposte, e non posso più rimanere in questo castello. Parlarle e liberarla è la mia unica possibilità”
“Ma...ma cercate di ragionare! Quella donna ha cercato di uccidervi, è un’assassina, inoltre chi vi assicura che una volta liberata non vi tradisca e  non vi elimini? Se quella era la sua missione sfrutterà ogni occasione per portarla a termine” 
“E’ probabile, ma ormai ho deciso. Devo almeno tentare” rispose Astril con un sospiro.
Tuttavia la cameriera sembrava per nulla intenzionata a cedere, infatti ribatté subito “Ve lo ripeto, è troppo pericoloso! Non riuscirete mai ad attraversare le prigioni senza essere vista! Per non parlare del dolore che procurerete a vostra zia, la regina Alidiana!”
“Mia zia è già al corrente di tutto e ha detto che mi aiuterà, preparerà qualcosa che mi permetterà di aggirare le guardie senza problemi”
La giovane si passò una mano sul viso “Persino la regina...” mormorò affranta “Se penso che comprandovi quei vestiti sono stata complice di questo assurdo e terribile piano!” si coprì il volto.
Astril le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla “E di questo ti sono grata, senza di te non sarei mai potuta entrare in possesso di quegli abiti, ma il tuo compito non è finito, ho ancora bisogno del tuo aiuto”
“No, vi scongiuro Altezza, non voglio più avere niente a che fare con questa storia!”
“Per favore Felixia, non dovrai fare altro che distrarre i soldati che sorveglieranno la mia stanza, così potrò uscire”
“Vi supplico di non obbligarmi, se ubbidissi e vi capitasse qualcosa non me lo perdonerei mai, inoltre se riusciste a fuggire la prima persona che il re Moron interrogherebbe sarei io e...”
Era terrorizzata, e Astril cominciava a non saper più che cosa fare per convincerla.
“Mia zia mi assicurato che sarai sotto la sua protezione, non avrai nulla da temere” disse con tono rassicurante.
Questa frase parve tranquillizzare un po’ Felixia, ma non la convinse.
“Scusatemi Altezza,  ma dimenticate una cosa molto importante: se accettassi di aiutarvi ma non riuscissi a distrarre le guardie? Dopo ciò che è successo la sorveglianza si sarà fatta strettissima” le fece osservare.
“Hai ragione, ma ti assicuro che sarà facile gabbarli, saranno solo in due, basterà utilizzare le tue doti persuasive!”
“Doti persuasive?” la cameriera la guardò con tanto d’occhi.
“O sfoggiare  il tuo fascino!”
“Il mio fascino!?”
Astril era disperata, non sapeva più che altro inventarsi e Felixia pareva del tutto irremovibile. Si adagiò sul letto e appoggiò il capo sul cuscino, chiudendo gli occhi.
“Ti supplico, solo tu puoi aiutarmi, non ho altri a cui rivolgermi” sussurrò poco dopo debolmente, sconfitta.
Felixia rimase in piedi in mezzo alla stanza, in preda ad un’enorme crisi interiore. In cuor suo respingeva l’idea di essere di nuovo la complice principale di quel piano, ma allo stesso tempo non sopportava di vedere la principessa in quelle condizioni. Il suo compito di cameriera era sempre stato quello di servirla, aiutarla, e di esaudire ogni suo desiderio. Perciò, non avrebbe mancato neppure in quell’occasione.
“Va bene, mi avete convinta, anche se so già che me ne pentirò!” esclamò infine.
Astril si alzò dal letto e piena di gratitudine abbracciò di slancio la cameriera, che rimase pietrificata da quel gesto di affetto improvviso, e a cui rispose con rigidi e imbarazzati colpetti sulla schiena della principessa.
Astril sciolse l’abbraccio “Siamo d’accordo allora, adesso mettiti comoda: ti spiegherò ogni cosa nei minimi dettagli”
                                                                          °°°

Quella notte la luna era alta in cielo e risplendeva come una gemma preziosa. Era una serata mite, un piacevole venticello rinfrescava l’intero Regno dei Desideria e per molti quella notte sarebbe stata ottima per farsi una sana e riposante dormita. Ma non per Astril.
La principessa, accucciata davanti alla porta della sua stanza e con il cuore in gola, osservava dalla serratura ciò che accadeva fuori. Il corridoio esterno era avvolto nell’oscurità, tranne per alcune zone, illuminate da candelabri a muro. Astril  riusciva appena ad intravedere i due soldati di spalle che, svogliati, facevano la guardia 
Deglutì, imponendosi la calma. Aveva pianificato tutto nei minimi dettagli, perciò doveva stare tranquilla, e per quanto la paura le sussurrasse di ripensarci ormai non poteva più tornare indietro, sarebbe andata fino in fondo.
Proprio in quel momento, apparve nel corridoio Felixia. La cameriera si avvicinò a due soldati quasi correndo, con aria affannata e molto preoccupata, e iniziò a parlare, dicendo  che dalla sua stanza aveva sentito provenire strani rumori dal corridoio opposto e che temeva potesse esserci qualche intruso. Utilizzò il tono di voce più spaventato ed innocente che riuscì a formulare e ogni tanto, per quanto si sentisse sciocca, sbatté addirittura le ciglia.
Dapprima i due furono restii poi, dopo essersi scambiati qualche occhiata, accettarono di seguire la cameriera e sparirono, borbottando, nell’oscurità insieme alla ragazza, che, prima di voltarsi, aveva indirizzato uno sguardo apprensivo verso la porta, sguardo che Astril aveva recepito chiaramente.
La principessa attese ancora qualche istante, poi, circospetta, si decise ad uscire. Il corridoio era deserto, le voci dei soldati e di Felixia non si udivano più. Rapida e silenziosa scese le scale che l’avrebbero portata ai pieni inferiori, fino a raggiungere poi le prigioni. Arrivarvi non sarebbe stato molto difficile, sarebbe stato sufficiente nascondersi tra le ombre del castello per non essere scorta. La parte più ardua sarebbe giunta dopo.
Con una stretta al cuore, disse addio intimante a sua zia, a Felixia, e, anche se forse  era troppo presto per dirlo, alla sua vecchia vita.


Le prigioni della fortezza di Moron erano le più intricate e le più vaste di tutto il Regno dei Desideria e, forse, dell’intera Erendithum. I suoi passaggi, i suoi cunicoli e le sue celle erano infiniti, solo chi vi lavorava e vi passava la maggior parte del tempo, o chi possedeva una cartina dettagliata, aveva la possibilità di raccapezzarsi in quel luogo.
Astril scese un paio di gradini in pietra e finalmente vi arrivò. L’ambiente era carico di una fastidiosa umidità e  l’aria era impregnata da un odore così sgradevole che la principessa fu costretta a portarsi una mano sul viso. La prigione era discretamente illuminata da numerose torce appese lungo le pareti.
La ragazza si rese ben presto conto di essere in una zona completamente deserta, tutte le celle erano vuote e non c’erano guardie. Adocchiò poco lontano un’altra scala realizzata nel pavimento, che portava ai piani inferiori, e approfittò di quel fortuito momento di quiete per controllare ancora la cartina. Sua zia le aveva detto che i prigionieri più pericolosi venivano rinchiusi nel cuore della prigione, punto contrassegnato da un cerchio d’inchiostro nero sulla mappa, perciò prima di raggiungere la sue meta  avrebbe dovuto scendere di ben venti livelli. Si sentì male al solo pensiero. Sapeva inoltre che ogni tot di metri ci sarebbero stati dei cancelli di ferro a sbarrarle la strada e che sarebbe stato necessario rubare un solo mazzo di chiavi ad una delle guardie, poiché ognuno conteneva tutte le chiavi di ogni singolo cancello e cella. Arrotolò la cartina e la infilò nella cintura dei pantaloni, poi, con le gambe tramanti, proseguì.
Al contrario del precedente, al piano inferiore c’erano tre guardie. Astril trattenne il fiato, temendo che anche solo il rumore del suo respiro potesse farle insospettire, e fece del suo meglio per nascondersi. Sganciò dalla cintura un sacchettino di velluto ed estrasse una piccola sfera color verde palude. Se la rigirò tra le mani, cercando di ricordarsi come utilizzarle:
Quando sarai nei pressi di qualche guardia, sarà sufficiente lanciarla nelle loro vicinanze, al resto penserà la sfera” le aveva detto Alidiana.
Tutto qui?” si era sorpresa lei.
Fidati di me, non fallirà. Ma mi raccomando, ricordati di trattenere il fiato
Mentre goccioline di sudore freddo le imperlavano la fronte, Astril si sporse quel poco per lanciarla e poi si nascose nuovamente, trattenendo il respiro. In poco tempo una piccola nube verde riempì l’aria e i soldati e i detenuti nelle celle, confusi, presero a tossire, prima di crollare a terra privi di sensi.
La ragazza uscì allo scoperto, stupita. Non riusciva a credere che quella piccola sfera avesse dato quel risultato. Ringraziò con tutto il cuore la zia, armata di quelle sfere tutto sarebbe stato molto più facile. Ancora sulla difensiva e molto impacciata perquisì le tre guardie e riuscì a trovare il mazzo di chiavi. Era pesantissimo, oltre che terribilmente rumoroso. Avrebbe dovuto fare ancora più attenzione da quel momento in poi.
Avanzò e in quel livello fu costretta ad utilizzare le sfere ben tre volte, ma in tutti i casi le cose andarono a buon fine. Perse però una grande quantità di tempo a cercare la chiave del cancello, dovette  provarle tutte, operazione rallentata anche dall’ansia e dal nervosismo, fino a quando non la trovò. Lasciò il cancello aperto per il ritorno e staccò la chiave dal mazzo, mettendola nella sacca che aveva provveduto a portarsi dietro.
Per i successivi due livelli poté proseguire senza intoppi, ma al quarto livello la situazione si complicò a causa del notevole aumento delle guardie. Più si scendeva, più i prigionieri erano pericolosi e più necessitava la sorveglianza. Per ben due volte rischiò di essere scoperta.
Le sue percezioni e la sua attenzione diminuirono al sesto livello. Cominciava a sentirsi a pezzi per via del cammino e dell’aria soffocante, oltre che sull’orlo di un collasso nervoso a causa della continua ansia e terrore di essere scoperta. Distratta, non si accorse di una catena di ferro adagiata in un angolo e vi si inciampò, producendo un rumore metallico. Le guardie poco lontano subito lo udirono.
“Che cosa è stato?” chiese uno di loro.
Astril sentì il cuore ostruirle la gola, mentre cercava invano di liberare la caviglia dalla catena.
“Di che stai parlando?”
“Di un rumore, un rumore tintinnante”
“Tsk, io non ho sentito niente. Te lo sarai immaginato”
“Non è affatto vero, l’ho sentito, ti dico!” protestò indignato.
“Ha ragione, l’ho udito anche io” concordò un terzo.
La catena non ne voleva sapere di lasciare la caviglia.
“Shh, fate silenzio” ordinò un quarto. Tutti tacquero. Astril si cristallizzò sul posto.
“Vado a controllare” dichiarò il primo che aveva parlato. La ragazza in preda al panico cercò di nuovo di liberarsi. Se la scoprivano sarebbe stata la fine.
Il soldato si guadò attentamente intorno. Astril smise di respirare. La guardia fece spallucce e ritornò dai suoi compagni “Strano, non c’è niente”
“Te l’avevo detto io!”
La ragazza, nascosta dietro ad una parete, si permise il lusso di respirare. Aveva rischiato grosso. Aspettò che le guardie non fossero più insospettite ed utilizzò una sfera.
Ottavo livello, decimo livello, dodicesimo, quindicesimo; Astril cominciava ad essere allo stremo delle forze. Dopo aver stordito le guardie del quattordicesimo livello si accasciò su una scalcinata sedia di legno. Non si sentiva più le gambe, era distrutta. Prese dalla sacca una borraccia e bevve un sorso d’acqua. Era come disidratata, ormai si trovava là sotto da almeno quattro ore ed era solo a metà. La parte più complicata doveva ancora arrivare. Aveva paura e si sentiva terribilmente sola, avrebbe voluto che sua zia o Felixia fossero state lì con lei; all’improvviso venne colta dai ripensamenti. Era stata una sciocca, quello non era un posto adatto a lei, non era in grado di fare tutto quello. Era debole, e affaticata. Scosse la testa con vigore, non era il momento di crollare, non poteva permetterselo, non ancora. Si alzò dalla sedia e riprese a camminare, non poteva indugiare, l’effetto delle sfere non era illimitato e doveva sbrigarsi.
Stava giusto cercando di aprire il cancello del sedicesimo livello quando una guardia, sbucata da chissà dove, la sorprese. Astril sobbalzò, credeva di averle stordite tutte quelle di quel livello.
“Tu, che stai facendo? Chi sei?” esclamò il soldato. La giovane in fretta e furia aprì il cancello e se la diede a gambe. Era fondamentale che la guardia non la vedesse in volto e non la riconoscesse. L’uomo la inseguì e Astril lasciò cadere dietro di sé una delle sue adorate sfere, che tramortirono la sentinella in men che non si dica. Ma non ebbe il tempo di riprendere fiato che finì in bocca alle guardie del diciassettesimo livello. La ragazza riprese a correre, con dietro i soldati che le urlavano e la chiamavano. Seminò una quantità indefinita di sfere, anche più del necessario, ed ogni guardia si accasciò a terra.
La principessa inciampò e a carponi, incurante della sporcizia accumulata sul pavimento, raggiunse il muro più vicino per riposarsi un attimo. Il cuore le pulsava nelle orecchie e in bocca sentiva un nauseante sapore metallico. Si massaggiò la spalla, la sacca era diventata molto pesante a causa delle chiavi, e ancora col fiatone controllò il sacchetto delle sfere. Le venne un colpo nel vederne così poche, appena dieci. Ne aveva sprecate troppe nella fuga dai soldati, presa dal panico era stata sciocca e poco accorta. Per i successivi e, per fortuna, ultimi tre livelli se le sarebbe dovuta far bastare.
Bevve dell’altra acqua e, dopo essersi riposata e ripresa dallo spavento, proseguì.
Rimase oltre modo sorpresa quando vide il diciottesimo livello completamente deserto. Di fronte ad una delle tante diramazioni che aveva già incontrato non si preoccupò e prese la mappa, convinta che l’avrebbe aiutata anche in quell’occasione. Si sbagliava. Sulla cartina quei due bivi non erano segnati ed Astril non aveva la più pallida idea di dove dovesse andare. Le provò tutte, mise addirittura la mappa di fronte ad una torcia, in controluce, per vedere se ci fosse stato qualche trabocchetto. Nessun risultato.
Si mise la testa fra le mani.
"Che cosa faccio adesso?"
“E’ il bivio a sinistra”
Astril scattò come una molla e si voltò indietro, brandendo la cartina arrotolata come arma.
“Chi...chi ha parlato? Dov...dove sei?” balbettò.
“Sono qui” rispose la voce con ovvietà.
“Qui...qui dove?”
“Nella cella proprio alla tua destra; e abbassa quella cartina, sei patetica!”
La ragazza guardò verso la prigione, ma non vide nulla a causa del buio che l’avvolgeva, a parte un piede.
“Dici che devo andare a sinistra?” domandò incerta.
“Proprio così”
“Come fai a dirlo? Tu...tu non sai qual è la mia meta”
“Infatti, non lo so”
“Allora perché hai detto ‘sinistra’?”
“Perché la sinistra mi ispira” rispose. A parlare era una voce maschile, giovane,  e  palesemente beffarda, quasi canzonatoria.
“Devo andare al ventesimo livello” la buttò lì la ragazza. Aveva paura, ma forse quello strano tipo avrebbe potuto aiutarla.
“E allora?”
“Tu sai da che parte si trova?”
“Sulla tua bella mappa non è segnato?”
Astril scosse la testa.
“Allora hai una cartina inutile. Comunque sì, so dov’è”
“Me lo puoi dire?”
“Certamente, devi imboccare il bivio di sinistra”
“Oh” la ragazza rimase un attimo ferma, indecisa sul da farsi, poi lo ringraziò flebilmente e fece per proseguire.
“O forse no” disse la voce sempre con quel tono beffardo.
Astril tornò indietro.
“Potrebbe anche essere a destra, non mi ricordo tanto bene!”
La ragazza cominciava a sentirsi girare la testa, quel tizio la confondeva, senza contare che era esausta e iniziava a non farcela davvero più. Si appoggiò alla parete, affaticata.
“Andiamo, non mi vorrai collassare proprio adesso!” la rimbrottò la voce maliziosa.
“Chi sei tu?” mormorò Astril debolmente.
“Il prigioniero del diciottesimo livello”
“E perché non c’è nessun altro qui a parte te?”
“Al momento solo io occupo una celle nel diciottesimo e le guardie hanno preferito ammassarsi nel ventesimo per sorvegliare una tipa che è arrivata da poco. Vuoi farle una visitina?”
Astril ignorò la domanda e chiese se ci fossero dei soldati nel diciannovesimo livello.
“E io che ne so? Mica sono un veggente. Ora se non ti dispiace mi faccio una dormitina, divertiti”
“No, no un attimo! Per favore, ho bisogno di sapere quale strada prendere!” lo supplicò lei disperata.
“Mh, mamma mia quanto sei lagnosa. Comunque devi andare a sinistra, mi sono ricordato, credo”
“Sei...sei sicuro?”
La voce non rispose.
La principessa, frastornata , rimase ferma per un po’, indecisa sul da farsi, ma infine  scelse di seguire il consiglio di quel tizio. Forse non avrebbe dovuto fidarsi, si trattava pur sempre di un detenuto del diciottesimo livello, sicuramente doveva essere un pericoloso criminale, ma ormai non aveva più niente da perdere.
Nel vedere la sorveglianza del diciannovesimo sentì il cuore staccarsi e caderle nello stomaco. C’erano tantissime guardie, il doppio rispetto agli altri livelli. Si nascose in angolino in ombra e si mise a riflettere. Per mettere fuori gioco tutti quei soldati le sarebbero servite almeno quattro sfere in un colpo solo, perciò per il ventesimo gliene sarebbero rimaste solamente sei. Non era sicura se le sarebbero state sufficienti dal momento che la sorveglianza sarebbe stata ancora maggiore rispetto a quel livello, ma non aveva altra scelta.
Agì come al solito, lanciò le sfere e le guardie presero a tossire e a spostarsi da una parte all’altra della zona, confuse, mentre lei si nascose ancora di più per evitare di essere scorta. Ci volle del tempo, ma alla fine crollarono tutte. Astril aprì l’ennesimo cancello e mise la chiave nella sacca
Scese le scale in pietra verso l’ultimo livello, ma si bloccò all’improvviso, ancora sui gradini, e si appiattì contro la parete. Quella volta due guardie si trovavano proprio poco più in là, perciò Astril come unica possibilità aveva quella di lanciare le sfere solo dal quel scomodo e fin troppo visibile punto. Era certa che poco lontano ci fossero altre innumerevoli sentinelle, perciò avrebbe dovuto attirarle tutte lì.
Pregò che la sua buona stella l’aiutasse anche in quell’ultima difficile prova e lanciò una sfera.  Le guardie presero a tossire e ben presto le altre, richiamate dai loro compagni, li raggiunsero, venendo coinvolti anche loro. Alcuni iniziarono ad accasciarsi come mosche, mentre altri trattenevano il fiato e cercavano di opporre resistenza.
Astril fece per lanciarne un’altra, ma venne intercettata da un soldato.
“Tu!” urlò questi, scagliandosi verso di lei inferocito.
La ragazza salì le scale e fuggì, ma l’uomo la rincorse e riuscì ad afferrarla. Lei urlò e si dimenò, ma la presa del soldato era troppo salda. Disperata gli sferrò un calcio contro lo stinco ed egli, in bilico su un gradino, rotolò giù. Provò ad aggrapparsi ad Astril, ma finì solo per strapparle la cintura e con essa il sacchetto con le sfere. Ne seguì l’esplosione di un’enorme nube verde, poi il silenzio.
La principessa aspettò che la nube si dissolvesse, poi riscese cautamente. Nessuno era rimasto in piedi, erano a terra, tramortiti. L’esplosione di quelle cinque sfere insieme aveva prodotto quello.
Dalla quantità di corpi inermi distesi appurò che non ci fossero altre guardie. A quella vista tremò tutta. Anche se sapeva che non erano morti ma solo privi di sensi quell’immagine la turbava lo stesso, senza contare che la causa di tutto era stata proprio lei. Però, ce l’aveva fatta. Ancora non le sembrava vero.
Raccolse da terra la mappa, divenuta verde per l’esplosione e del tutto illeggibile. Si fermò, paralizzata dalla paura. Solo adesso si era resa conto che il tanto temuto momento fosse infine arrivato: parlare con la Mildriend. La sua assalitrice. Colei che aveva tentato di eliminarla.
Arrivò nell’altro corridoio. Prese un bel respiro e guardò nella prima cella, vuota e buia.
Iniziò a controllare le altre,  cominciando a credere che la prigioniera non ci fosse, senza sapere di star passando proprio davanti alla prigione della Mildriend, che, abilmente nascosta nelle tenebre, osserva ogni mossa della principessa.
Colta da un presentimento, Astril si voltò verso la prigione e fu allora che scorse due occhi scintillare nel buio.




 

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Capitolo 5
*** Fughe e incontri imprevisti ***



Fughe e incotri imprevisti

Alla vista di quegli occhi luminosi ogni parte del corpo di Astril prese a tremare; l’immagine del pugnale, della lama ghignante illuminata dalla luna, le si insinuò prepotentemente in testa, insieme al ricordo di quello sguardo spietato, facendole rivivere per un istante il terrore provato quella notte.
Si osservarono per quelli che alla principessa parvero minuti, ore, poi, preso coraggio, tentò di formulare una frase di senso compiuto, ma le parole parvero non voler uscire, come se si fossero tramutate in rigidi blocchi di ghiaccio.
“Mi t...trovo di fronte al...alla Mi...Mildriend?”
La prigioniera non rispose, né accennò a muoversi, ma continuò a tenere gli occhi fissi sul volto intimorito della giovane.
“So...sono la principessa...”
“So chi sei”
Astril ammutolì all’istante, mentre la ragazza al di là delle sbarre si mosse, emergendo dall’angolo di oscurità, e si avvicinò alla grata. La luce della torcia le illuminò il viso, contratto in un’espressione seria e severa, gli occhi acquamarina che la scrutavano con un misto di sfida e diffidenza.
Al suo cospetto, la principessa si sentì all’improvviso infima ed insignificante, come cristallizzata a causa della paura e della soggezione. Era inoltre meravigliata, stupita del fatto che la prigioniera non mostrasse un minimo di sorpresa nel vederla.
“Non...non sembri sorpresa di vedermi”  mormorò infatti Astril.
“Ciò che mi sorprende oramai sono altri generi di cose, di certo non la presenza di una principessa in una prigione”
“ Ca...capisco, ma è anche vero che non sia solo una principessa, sono soprattutto la persona che hai cercato di uccidere” la voce di Astril fu quasi un sussurro.
La ragazza si appoggiò alle sbarre, facendo con quel gesto indietreggiare d’istinto la principessa, e la guardò torva.
 “Che cosa sei venuta a fare qui?”
“Ho bisogno di informazioni, risposte a domande”
La Mildriend inarcò le sopracciglia con scetticismo “Dalle mi labbra non è uscita una sola parola durante l’interrogatorio, credi forse che con te sarà diverso? Pretesa audace, Desideria” ribatté, rimarcando con un evidente disprezzo l’ultima parola.
“Sono...sono anche qui per liberarti!”si affrettò a specificare Astril.
La prigioniera batté le palpebre confusa, manifestando per un attimo sincero stupore, ma, nonostante  la sorpresa iniziale, il  suo volto ritornò quasi subito severo e ostile. “Dimentichi forse il motivo per cui sono qui? Eppure lo hai detto tu stessa poco fa, ho cercato di ucciderti. Perciò, perché mai vorresti liberarmi?”
“Sto facendo tutto questo per un motivo ben preciso” rispose Astril cercando di non far tramare la voce. Quella era la parte più importante e delicata del suo piano e doveva apparire il più determinata e decisa possibile “Come avrai notato, nelle mie vene scorre sia sangue di Desideria che sangue di Mildriend...” si passò una mano sui lunghi capelli.
“Certo, e con questo?”
“In parte sono come te”
La ragazza si lasciò andare ad una risata amara e sardonica, prima di stringere le sbarre con rabbia, gli occhi che parevano erompere fiamme.
“Ti sbagli, tu ed io non siamo simili. Potrai anche vere una goccia di sangue Mildriend, ma sei cresciuta come una Desideria e come tale sei esattamente come tutti gli altri, come Moron”
Quelle parole ferirono profondamente Astril,  che sentì il cuore come trafitto da infinite stille di vetro tagliente. Per lei essere paragonata a suo zio era uno degli insulti più grandi che le si potessero rivolgere. Lei non era come Moron, non era un’assassina, una tiranna spietata e senza scrupoli, pronta a fare qualsiasi cosa pur di ottenere i suoi scopi, e non lo sarebbe mai stata.
 “Se fossi come tutti gli altri, non mi troverei qui, in una prigione, a parlare e a proporre la libertà alla persona che ha cercato di eliminarmi, mettendo a rischio la mia vita e andando contro l’autorità di Moron!”
“Non mi fido di te, i Desideria sono per natura dei bugiardi e degli ipocriti. Non conosco la ragione che ti ha spinto a venire fin qui, forse è un piano di Moron per  scoprire il nostro nascondiglio usando te come mezzo, oppure sei solo pazza o qualcosa del genere”
“Non sono pazza, e la ragione per cui voglio liberarti è per avere delle risposte, per conoscere la verità su quello che è l’altro mio popolo! Il mio desiderio è unirmi ai Mildriend, sono venuta fin quaggiù per fuggire, per sapendo di mettere comunque a repentaglio la mia vita” replicò, un moto di disperazione ad animare quelle parole.
“Come posso credere che tu non stia mentendo, che tu non sia una doppiogiochista? E cosa ti fa pensare che voglia avere a che fare con te?”
“Qu...questa è una mia scelta, nessun tranello è celato dietro a tutto questo! Senza contare che Moron non  rischierebbe mai la tua fuga per delle informazioni”
Astril tacque, il viso rosso per la foga e l’emozione e gli occhi lucidi, lacrime desiderose di venir fuori per la pressione e la paura che non voleva abbandonarla “In fondo, non hai niente da perdere...L’unica che, in un modo o nell’altro, potrebbe rimetterci sono io...” concluse flebilmente, sentendo quello strano coraggio e determinazione di poco prima abbandonarla lentamente.
 
Scesero minuti di totale silenzio. Mentre la principessa si sentiva già sconfitta dentro, Keira pensava, rifletteva attentamente. Quella strana ragazza Desideria l’aveva, per quanto odiasse doverlo ammettere, lasciata sorpresa; mai si sarebbe aspettata una cosa del genere, ricevere la proposta di libertà proprio dalla sua vittima mancata. La proposta era allentante, ma allo stesso tempo non sapeva nemmeno lei se fuggire fosse la cosa migliore, dopotutto aveva fallito la sua missione, aveva deluso Linus, I Saggi, il suo popolo...Non era stata in grado di portare a termine il suo compito, lo scoprire la vera natura della principessa Astril l’aveva sbigottita troppo, distraendola e facendole mandare a monte il piano. Non avrebbe  retto lo sguardo deluso e amareggiato degli altri, sarebbe stato troppo umiliante da sopportare. Non aveva mai fallito prima di allora, ed ora il disonore era grande. Tuttavia, anche se avesse mantenuto la lucidità, era certa che non avrebbe comunque ucciso la principessa. Era una Desideria, il suo era un popolo di crudeli assassini, ma era anche una Mildriend, e,  nonostante avesse subito sottolineato la differenza fra loro due, il sangue della principessa rimaneva in parte quello di una Mildriend. Troppo ne era stato versato, e di certo non sarebbe stata lei ad aumentare il numero. Si sentiva dilaniata dentro. Non era certa di quale fosse la cosa migliore da fare,  non si fidava per nulla di Astril, portarla dagli altri avrebbe scatenato l’inferno e non voleva rischiare che il suo popolo venisse messo in pericolo.
Infine decise. Nonostante le possibili conseguenze doveva far ritorno, la sua presenza era fondamentale. Avrebbe controllato scrupolosamente la condotta della principessa e poi avrebbe deciso, avendo già in mente come agire in caso di complicazioni.
“Accetto”
Per un attimo Astril, che per poco non aveva deciso di battere in ritirata, credette di non aver udito davvero quelle parole. Guardò stralunata  la prigioniera.
“Co...come?” tartagliò.
“Ho detto che accetto” ripeté duramente “Ma ad una condizione: ti condurrò al nostro nascondiglio, ma avrai le tue spiegazioni solo una volta giunta là. Non prima”
“Va bene...”
“Adesso liberami”
Astril annuì, ancora incredula di avercela fatta, e cercò la chiave della cella dal mazzo, molto ridotto, ma pur sempre ricco di chiavi. Infine riuscì a trovare quella giusta. Ancora con le mani che tremavano aprì la prigione, facendo uscire la Mildriend. Si accorse di essere più bassa di lei solo di qualche centimetro, ma rimaneva tuttora impossibile darle un’età.
“Dobbiamo muoverci” la riscosse freddamente la ragazza.
“Sì, andiam...Oh maledizione!” proruppe. Si era ricordata solo in quel momento della cartina della prigione divenuta illeggibile. La prese e la osservò sconfortata. L’altra gliela prese di mano rudemente e la studiò a sua volta.
“E’ rovinata, ma è ancora comprensibile” decretò “Seguimi, non c’è tempo da perdere” e si incamminò speditamente. Astril ubbidì,  sbalordita che la Mildriend riuscisse a leggere su quella chiazza informe verde.
Arrivarono dove giacevano i numerosi soldati storditi precedentemente da Astril.
“Come mai sono ridotti così?” volle sapere la giovane.
“Ho utilizzato delle particolari sfere, ho fatto così in tutti i livelli” spiegò la principessa. Sperava in una qualche considerazione, ma Mildriend non disse nulla.
Ripresero a correre. L’atmosfera era surreale, i loro passi rimbombavano per tutta la prigione e ovunque regnava il totale silenzio.
Al diciottesimo livello ad Astril venne naturale voltarsi verso la cella del detenuto che, nonostante i suoi modi ambigui, l’aveva aiutata. Ma non riuscì a scorgere nulla, solo il buio.
Più veloci del vento ripercorsero tutti i livelli. Le sfere preparate dalla regina Alidiana non avevano ancora terminato il loro effetto e tutte le guardie erano stese a terra, prive di sensi.
Astril non aveva la più pallida idea di come sarebbero riuscite a fuggire dal castello, ma, per quanto quella frase paresse assurda, vicino alla Mildriend si sentiva in un certo senso sicura, poiché sapeva che un’esperta come lei avrebbe trovato una soluzione. Rapide stavano salendo le scale in pietra del secondo livello, quando Astril si scontrò contro qualcuno sbucato improvvisamente dal nulla, che stava percorrendo la scala in senso opposto. Sia la principessa che la figura urlarono di riflesso a causa dello spavento e la sconosciuta cadde a terra per l’impatto. Keira la bloccò subito a terra con un piede, pronta ad affrontare qualsiasi minaccia, ma ciò che si ritrovò davanti fu solo una cameriera dal volto pallido e dagli occhi blu spalancati, pieni di terrore.
“Felixia!” esclamò Astril incredula, riconoscendo la ragazza.
All’espressione spaventata della cameriera se ne aggiunse una colpevole.
“Altezza...” mormorò, senza tuttavia staccare lo sguardo dal piede che la teneva bloccata a terra.
“Che cosa ci fai tu qui!?” proseguì sbigottita la principessa.
Felixia guardò la ragazza “Vi prego di perdonarmi, ma è stato più forte di me! Non sopportavo l’idea di abbandonarvi e  il pensiero di rimanere al castello senza di voi mi terrorizzava. Avevo paura di quello che Moron mi avrebbe fatto e di quale mansione mi sarebbe stata affidata non avendo più voi da servire”
“Ma...mia zia si sarebbe occupata di te!”
“Lo so, eppure ho avuto comunque paura! Compatitemi Altezza, ma non mi rimandate indietro, lasciatemi venire con voi!”
Frattanto Keira, comprendendo che la cameriera era innocua, aveva allontanato il piede, ma non  aveva  smesso di fissare la giovane con ostilità. Non capiva cosa stesse succedendo e la cosa la infastidiva non poco.
“Chi è costei?” chiese con diffidenza, inserendosi nella conversazione e attirando l’attenzione di Felixia, che prese a tremare come un foglia mossa dal vento.
“E’ la mia cameriera personale, mi ha aiutata ad aggirare le guardie del palazzo” rispose Astril, poi si rivolse alla ragazza “A proposito, come hai fatto a liberartene?”
“Le ho condotte sino in fondo al corridoio e con uno stratagemma le ho chiuse a chiave in una stanza” confessò, mordendosi il labbro inferiore “Perciò, con questa mia azione, adesso sono nei guai anche io”
Astril si passò una mano sul viso, sconfortata. Tutto quello non l’aveva previsto.
“Felixia, come hai potuto? Non posso portarti con me!”
“Perché no? La mia non è solo paura, ho anche bisogno di risposte, e questa è la mia unica occasione, proprio come per voi! Ho agito di impulso e me ne vergogno, ma non posso rimediare a ciò che ho fatto, perciò vi prego, vi supplico, lasciate che mi unisca a voi! Non sarò un peso”
“Con queste tue patetiche implorazioni risulti già un peso” la ammonì Keira, innervosita.
Felixia deglutì ma non osò controbattere.
Astril era combattuta, non sapeva cosa rispondere. Non voleva abbandonare la cameriera, dopo ciò che aveva fatto sarebbe sicuramente finita in prigione o peggio, ma non poteva chiedere alla Mildriend di portarla con loro, non avrebbe mai accettato. Rimase in silenzio a riflettere.
I secondi passavano, il tempo scorreva, e Keira era stufa marcia di quella situazione, detestava già le indecisioni e la debolezza di Astril e non sopportava le suppliche di quella cameriera. Non potevano permettersi il lusso di perdere tempo e quelle due stavano consumando secondi preziosi.
“Tu e la cameriera dirigetevi alla torre più alta del castello, rivolta verso il fiume, io vi raggiungerò” disse risoluta.
Astril si voltò verso di lei, sbigottita, e la stessa reazione ebbe Felixia.
“Vuoi...vuoi dire che...” farfugliò Astril.
“Non mi ripeterò una seconda volta” rispose duramente e riprese a salire le scale. Le due ragazze si scambiarono un’occhiata e poi la seguirono.
“Come mai non vieni con noi?” domandò la principessa incerta, temendo già qualche tradimento.
“Le guardie hanno sequestrato tutta la mia roba, le mie armi, e devo riprenderle. Sospetto che le tengano da qualche parte nel primo livello. Voi intanto andate, ma una volta giunte là non fate niente senza di me” detto questo le voltò le spalle e sparì tra le mura della prigione.
Astril restò per un attimo stralunata, prima di proseguire con al seguito Felixia, che domandò “Siamo certe di poterci fidare di lei, Altezza?”
“Non so darti una risposta, in ogni caso non abbiamo altra scelta...”
“Tra breve però sorgerà l’alba, sarà difficile raggiungere la torre senza il buio a proteggerci”
“Hai ragione, ma dobbiamo almeno tentare” sospirò la giovane “Speriamo che la fortuna sia dalla nostra parte”
 
La torre Cascata, chiamata così a causa dell’enorme getto d’acqua che spumeggiava poco più in basso, era in assoluto la più alta e slanciata dell’intero castello. Dentro non vi era niente, se non qualche vecchia cianfrusaglia mai utilizzata in attesa di essere distrutta, e nessuno vi metteva mai piede per via dell’umidità e per la grande quantità di acqua che entrava dalla finestra, divenuta una voragine contornata da mattoni deformati.
Dopo un po’ di peripezie le due ragazze, che ringraziarono la loro buona stella, riuscirono a raggiungerla. Per Astril fu un vero sollievo poter respirare di nuovo dell’aria pulita e senza perdere tempo corse ad affacciarsi a quello che era rimasto della finestra, per godersi gli spruzzi della cascata sottostante. Il cielo in buona parte era ancora blu, mentre qualche sfumatura azzurro polvere e oro cercava timidamente di farsi spazio, in attesa del sorgere del sole.
“E’ bellissimo” sussurrò stupefatta Felixia, al suo fianco.
“Sono d’accordo, non sono mai salita fin quassù...Non credevo  si potesse assistere ad uno spettacolo del genere”
Attesero l’arrivo della Mildriend. Felixia dopo un po’ di tempo si era seduta su un tavolo spezzato a riposarsi, mentre Astril era rimasta in piedi, non riuscendo a darsi pace, impaziente.
“Coma mai non arriva? Non possiamo rischiare che il sole sorga completamente, potremmo essere viste!” disse inquieta.
“Può darsi che nel cercare le sue cose abbia avuto delle complicazioni, tra poco arriverà” tentò di rassicurarla Felixia, nonostante dubitasse lei per prima delle sue stesse parole.
Dopo pochi minuti sentirono un vociare provenire dalle scale, un sommesso borbottare. Si trattava di una guardia, venuta a recuperare qualcosa sotto richiesta.
La cameriera scattò in piedi e Astril la guardò terrorizzata. Erano in trappola, non avevamo possibilità di fuggire. Con uno sguardo Felixia comunicò alla principessa di nascondersi dietro un grosso armadio dal legno deteriorato. Era fondamentale che nessuno la vedesse. La cameriera invece non aveva idea di dove nascondersi e, con sguardo perduto,  rimase ferma in mezzo alla stanza. Al suo arrivo il soldato la notò subito.
“Ehy tu!” esclamò, portando d’istinto una mano sulla spada “Che ci fai q...” non ebbe tempo di finire la frase. Qualcosa alle sue spalle lo colpì alla nuca e, stordito, cadde a terra. Dalla soglia emerse la Mildriend, che rimise la spada con cui l’aveva colpito nel fodero. Sia Astril, uscita allo scoperto, che Felixia guardarono il corpo sbigottite.
“Non l’ho ucciso se è questo che vi state chiedendo” le informò cupamente la ragazza “L’ho solo messo fuori gioco con il piatto della spada”
Era riuscita a recuperare moltissime delle sue armi, due spade, il pugnale prediletto, la cintura a cui erano appese le fodere più altre cose utili. La sacca era sparita e con essa, purtroppo, la corda che aveva usato per arrampicarsi lungo le mura del castello.
“Che cosa facciamo, adesso?” domandò Astril.
L’altra non rispose, si mise a frugare tra le cianfrusaglie con una certa impazienza.
“Che stai facendo?”
“Invece di fare domande datevi una mossa e vedete se c’è una corda da qualche parte”
Le due giovani, pur non capendo a cosa potesse servire, ubbidirono, ma le ricerche si rivelarono vane. Keira emise un ringhio infastidito e gettò malamente a terra dei pezzi di legno marci, capendo che lì non avrebbero trovato nulla. Sarebbe dovuta passare ai metodi estremi. Si avvicinò a Felixia, che stava ancora cercando la corda vicino alla finestra, e, senza dire una parola, spinse la cameriera giù dalla torre. Felixia urlò, ma la sua voce venne presto coperta dal rumore gorgogliante della cascata.
A quell’urlo Astril aveva tirato su la testa di scatto e si era voltata, trovando però solo la Mildriend.
“Dov’è Felixia?” esclamò, dardeggiando gli occhi lungo la stanza “Cosa le hai fatto?” gridò, non avendo ottenuto risposta. Corse sino alla finestra e guardò giù, gli occhi velati di lacrime.
“Dovrai farci l’abitudine a queste cose, principessina” disse la ragazza alle sue spalle “Ora, trattieni il fiato...”
Astril non ebbe il tempo di reagire che venne spinta anche lei. Strillò terrorizzata e dopo un volo che le parve durare anni atterrò in acqua con un sonoro tonfo. Dovette lottare con le acque che cercarono di trascinarla giù, mentre qualcosa di pesante le gravava sulle spalle impedendole i movimenti, e in quell’istante ricordò dell’incubo avuto giorni prima, quello in cui affondava inesorabilmente nel buio, un sogno premonitore. E sarebbe inabissata davvero, se una mano non l’avesse afferrata per un braccio e fatta riemergere. Sputacchiò un po’ d’acqua e riprese fiato, trovandosi faccia a faccia con una Felixia infradiciata, dalle labbra tremanti e con la cuffietta da cameriera appiccicata al volto.
“Nuotate sino alla riva!” urlò loro la Mildriend poco lontano. Così fecero e, stremate, crollarono sulla sponda opposta. Quella più distrutta di tutte era Astril. La Mildriend, già in piedi, domandò “Che cos’hai dentro quella sacca?”
La principessa se ne ricordò solo in quel momento. La svuotò e insieme alle provviste, zuppe, tintinnarono a terra delle chiavi. Capì solo allora cosa le avesse impedito i movimenti in acqua e si diede della sciocca.
“Stupida, saresti potuta affogare” proruppe la Mildriend e con due calci buttò tutte le chiavi in acqua “Forza, andiamo”
Astril e Felixia si rimisero a fatica in piedi e, fradice e inzaccherate, la seguirono.
“Per prima cosa dobbiamo allontanarci il più possibile da Desponia, solo allora potremo fermarci per riposare. Sosteremo poi un attimo al villaggio più vicino per comprare dei mantelli con cui celare la nostra identità, e delle armi”
“Armi?” gorgogliò Felixia.
“Sì, armi. Non mi aspetto che le sappiate usare, ma è bene che le abbiate ugualmente. Non sappiamo cosa...o chi, potremmo incontrare durante il viaggio ed è meglio che non facciate affidamento esclusivamente su di me per la vostra incolumità”
Astril era talmente stanca e frastornata da non avere la forza per porre alcuna domanda, tuttavia, dal momento che avrebbero affrontato un viaggio insieme, una cosa era desiderosa di saperla.
“Qual è il tuo nome?”
La ragazza rimase un attimo in silenzio, non sapendo se rispondere o meno.
“Keira” disse infine “Il mio nome è Keira”




°Note dell'Autrice°

Salve! Annuncio ufficialmente che con questo capitolo si chiude la parte "introduttiva" della storia e che da adesso in poi si entrerà sempre di più nel vivo (:
Alla prossima allora, sperando che il capitolo sia stato di vostro gradimento! E se per caso mi voleste lasciare un commentino, positivo o negativo che sia, ne sarei felice  ^  .  ^


The_Grace_of_Undomiel
 
 

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Capitolo 6
*** Tre in viaggio ***


 




Tre in viaggio

Un vento caldo e afoso soffiava incessante da qualche ora e i capelli di Astril, mossi dal suo soffio, si erano trasformati in un informe groviglio nero e porpora. Il sole, sorto completamente, risplendeva nel limpido cielo azzurro, riscaldando ulteriormente l’ambiente.
Da quando si erano messe in marcia, nonostante le parole di Keira, le tre viaggiatrici non si erano fermate nemmeno una volta per riposare, ma la principessa aveva preferito non far notare questo particolare alla loro guida e così cercava di sopportare la stanchezza e il caldo distraendosi. Non era mai uscita una volta in vita sua da Desponia ed ora poter osservare i campi incontaminati e i colori della natura in tutto il loro splendore era per lei un’esperienza del tutto nuova. Lo stesso valeva per Felixia, che, insieme alla principessa, si era persa in commenti pieni di meraviglia riguardo il paesaggio circostante.
Continuarono a camminare, con la Mildriend più avanti di loro di qualche metro. Non aveva più proferito parola da quando era sorta l’alba e non si era mai voltata indietro. Astril arrancava dietro di lei, con solo il rumore dei suoi passi e  quelli di Felixia a farle compagnia. Poco dopo però, udì solamente i propri. L’altra era rimasta indietro, rivolta verso la strada appena percorsa. Si riuscivano ancora ad intravedere le torri del castello, più qualche palazzo della città, e Felixia, assorta, era rimasta un attimo a contemplarli.
La cameriera poteva considerare la sua esistenza, fino ad allora, felice. La vita al castello era faticosa, ma lei vi si era sempre trovata bene, aveva le sue amicizie, il suo lavoro e aveva chi si occupasse di lei: Màthar, la capo cuoca delle cucine, che senza esitare l’aveva presa sotto la sua ala, essendo stata abbandonata quando era ancora una neonata. Màthar era una donna burbera e scontrosa, ma possedeva una forza di volontà ed una determinazione invidiabile e aveva dato a Felixia tutto ciò di cui avesse avuto bisogno. La cameriera sospirò, rammaricata; non l’aveva nemmeno salutata.
 “Tutto bene?” le domandò Astril che, avendo intravisto il castello, si affrettò a spostare lo sguardo altrove.
“Certamente Altezza, mi sono solo un attimo persa nei miei pensieri. Vi chiedo scusa”
“Non devi scusarti” ripresero a camminare “Immagino che ti abbia colta la nostalgia”
“E’ così, ma ormai ho preso la mia decisione e non posso più tornare indietro. Anche se non so se questa sia effettivamente la strada giusta” rispose, lo stesso quesito che durante il tragitto si era posta anche Astril.
La principessa sospirò “Lo scopriremo col tempo...”
“Avete ragione...”
Stettero un attimo in silenzio, poi Astril riprese a parlare.
“Felixia?”
“Ditemi pure, Altezza”
“Non è più necessario che tu mia dia del ‘voi’, e che mi chiami ‘Altezza’. Da adesso in poi tu non sarai più la mia cameriera, qui i privilegi di sangue non contano niente”
“Cercherò di fare come mi avete detto, Altezza...volevo dire...Cercherò di fare come mi hai detto” e pronunciare questa frase fece a Felixia uno stranissimo effetto. Poi affrettarono il passo dal momento che la Mildriend era quasi sparita dalla loro vista.

Proseguirono il cammino ancora a lungo, finché non intravidero stagliarsi le prime casupole del villaggio più vicino, Hovel. Keira si guardò intorno, poi si spostò in un punto lontano da occhi e orecchie indiscreti, cosicché nessuno le sentisse parlare.
“Questo è un piccolo villaggio, ma sicuramente ha quello che ci serve. Per prima cosa dobbiamo comprare dei mantelli” guardò Felixia “E questo sarà tua incombenza”
“Mia?” fece la cameriera perplessa.
“Sì, tua. È impensabile che ci andiamo io o la Desideria, verremmo subito riconosciute. Il tuo volto invece è completamente sconosciuto e non ci saranno problemi. Avete delle monete con voi?”
Astril si sganciò un sacchettino rosso dalla cintura “Ne ho io”
“Quante sono?”
“Ho portato cinquanta monete d’oro”
Keira dovette trattenersi dall’allargare gli occhi, pensando a quanta fatica facessero i Mildriend per ottenerne anche solo due. Prese il sacchetto dalle mani della principessa e pose una moneta nella mano di Felixia.
“Ti basterà, i tessuti qui non sono particolarmente pregiati. Prendi tre mantelli con il cappuccio color terra, nulla di più, e se ti fanno domande non rispondere. Dopodiché io andrò a comprare le armi, mentre voi resterete qui nascoste a riposarvi”
Felixia annuì e andò. Astril si lasciò scivolare a terra esausta e chiuse gli occhi. Anche Keira si sedette, ma mantenne costantemente lo sguardo vigile. 
La principessa di tanto in tanto la guardava, senza sapere se dire o meno qualcosa. Aveva tantissime domande da porle, ma sapeva che quello non era né il luogo né il momento adatto, così decise di rimanere in silenzio.
Felixia ritornò quasi subito con quanto richiesto. Keira indossò il mantello, si calò il cappuccio sul volto e le lasciò sole. Purtroppo per Astril e Felixia, che si sarebbero volentieri rilassate ancora, ritornò fin troppo presto.
“I più economici erano questi, non sono il massimo, ma basteranno per difendere la vostra vita. Vi insegnerò un po’ ad usarli non appena avremo trovato un posto dove sostare più a lungo” porse alle ragazze due pugnali rudimentali, uno dal manico giallo ocra e l’altro verdognolo “Ho preso anche qualche provvista e ho chiesto dove si trovi il ruscello più vicino, così potremo riempire la fiasca”
Astril mise nella sacca  le scorte e assicurò il pugnale alla cintura. Non aveva mai posseduto un arma prima di allora. Felixia invece, che indossava ancora l’abito da cameriera, ebbe qualche difficoltà.
“Per il momento terrò io il tuo pugnale, purtroppo qui non vendono abiti adatti, li comprerai al prossimo villaggio”
Attraversarono il paese indisturbate e dopo una ventina di minuti circa trovarono il ruscello da cui poterono bere acqua limpida e pulita e riempire la fiasca.
Si lasciarono così alle spalle il villaggio di Hovel, affidandosi alla guida di Keira.
Astril aveva notato quanta fretta avesse la Mildriend, per lei fare delle soste era come un sacrilegio, aveva addirittura voluto che mangiassero nel cammino.
“Non dovremo fermarci per mangiare?” aveva azzardato.
“Dobbiamo sfruttare il più possibile la luce del sole, ci fermeremo al calar della sera” le aveva risposto, con un tono che non aveva ammesso alcun tipo di replica.
E fu così che, dopo ore di cammino e di brevi e sospirate soste, giunse l’imbrunire. Il caldo afoso del giorno lasciò spazio ad una piacevole arietta che ritemprò le membra stanche e affaticate di Astril e Felixia. Avevano la fronte imperlata di sudore ed i vestiti incollati alla pelle, si sentivano tremendamente accaldate anche a causa del mantello, che però  le aveva riparate dai potenti raggi solari.
Keira si fermò un attimo ed acuì la vista,  cercando di rammentare qualcosa.
“Qui nelle vicinanze si trova una cavità rocciosa in cui ho sostato anche io tempo fa, direi che potremmo accamparci lì”
Le due ragazze annuirono senza preoccuparsi di moderare l’entusiasmo e la Mildriend, dopo aver rivolto loro uno sguardo di sufficienza, avanzò.
Quando arrivarono, ad Astril parve di sognare. Si trattava di una piccola grotta, nascosta tra gli alberi, totalmente sperduta in mezzo alla natura, e soprattutto fresca, arieggiata. Sia lei che la cameriera vi si precipitarono, si tolsero i mantelli madidi di sudore e si distesero contro la fresca parete rocciosa.
Keira le guardò con biasimo. Sembravano delle bambine, considerò.
“Vado a cercare della legna per accedere il fuoco” sentenziò “Torno subito”
“Sicura? Non rischiamo di essere viste?” chiese Astril.
“Lo terremo basso, inoltre questa grotta è ben protetta e nascosta, nessuno ci noterà” rispose, poi aprì  la mano destra da cui scaturì una sfera di luce bianca, che rimase sospesa nel suo palmo “Mangiate pure, se volete” e sparì.
Astril e Felixia erano talmente stupite che per un attimo nessuna di loro due si mosse.
“Avete visto?” fece la cameriera, non ancora abituata ad usare il ‘tu’, anche se era riuscita ad abbandonare l’epiteto di ‘Altezza’.
“Sì...Non riesco a crederci! Non avevo mai visto qualcuno utilizzare la magia!” esclamò la principessa. Nel Regno dei Desideria, da secoli, quasi nessuno aveva capacità magiche, solo qualche raro eletto che si guardava bene dal manifestare le sue capacità, dal momento che sarebbe stato immediatamente sottomesso e messo al servizio di Moron, che più di ogni cosa bramava la magia.
“Quella ragazza è piena di sorprese, sa combattere, è un’esperta viaggiatrice e ha pure capacità magiche! Mi chiedo cos’altro nasconda...”
“Non lo so, Felixia...” venne interrotta da un fruscio, Keira era ritornata, con la legna stretta tra le braccia. La posò a terra e vi avvicinò la sfera di luce,  che, dopo un attimo di concentrazione ed un evidente sforzo da parte della ragazza, scintillò, e la legna prese fuoco, iniziando a scoppiettare allegramente.
“La Magia da noi non è una cosa inusuale come per voi, ma sappiamo solo fare piccoli incantesimi di questo genere, nulla di più” aveva iniziato a parlare, avendo notato i visi stupiti delle due giovani.
“Come hai imparato?”
Keira frugò nella borsa delle provviste e prese un piccolo pezzo di pane e formaggio, poi passò la sacca “Da sola, è successo e basta, solo in seguito mi hanno insegnato ad ampliare e potenziare il mio potere e ad usufruirne a mio piacere”
“Chi ti ha insegnato?”
“E’ meglio che mangiate e vi riposiate, domani ci alzeremo all’alba e dovete recuperare le forze” 
“Tu non dormi?” domandò Felixia.
“Per stanotte farò io la guardia, ci sono abituata...Per i prossimi giorni vedremo. Non ho intenzione di eliminarvi mentre riposate se è questo che temete” soggiunse subito dopo, cogliendo i loro sguardi. Le due sobbalzarono, e Astril pensò che fosse meglio stendersi. La roccia era fredda e rigida, ma era talmente stanca che avrebbe dormito ovunque. Felixia si sfilò la cuffietta da cameriera e si sciolse i capelli, che le ricaddero lisci lungo le spalle,  suscitando una lieve invidia in Astril, che, a livello estetico, non amava particolarmente i suoi capelli bicolore.
Una reazione ben diversa ebbe la Mildriend. Con uno scatto bloccò la giovane alla parete, gli occhi sottili e ostili. Felixia gemette spaventata e Astril si tirò su di colpo, la mano sul pugnale.
“Che stai facendo?” quasi urlò.
Keira non rispose, ma continuò a studiare la chioma della ragazza. Dopo poco il suo viso si rilassò e la ragazza ritornò al suo posto.
“Metti via il pugnale, non c’è motivo di essere così allarmate. Volevo solo accertarmi di una cosa...”
“Perché hai avuto quella reazione? Che cos’hanno i miei capelli?” disse Felixia ancora spaventata, riacquistando però un po’ di colore.
“Nulla di cui ti debba preoccupare”
“Ma...”
“Ve lo ripeto, adesso riposate” il tono più rigido del solito di Keira indusse le due ragazze ad ascoltarla. Si distesero ed Astril, non appena chiuse gli occhi, scivolò in un profondo sonno senza sogni.

Esattamente come Keira aveva stabilito, all’alba la principessa e la cameriera vennero svegliate, senza troppa delicatezza, e fatte rimettere in marcia.
Seppure l’aria fosse ancora calda e soffocante, quel giorno del sole non vi era neppure l’ombra, nascosto da innumerevoli strati di nuvole grigie.
Sin dalle prime ore uno strano presentimento aveva avvolto il cuore di Keira, una fastidiosa consapevolezza, che le intimava di mantenersi vigile e attenta. Avvertiva l’imminenza di una qualche minaccia, ma non sapeva né di che cosa si trattasse né quando, e se, sarebbe giunta. D’istinto guardò il cielo, divenuto cereo e opalescente. 
“E’ meglio che vi diate una mossa...” disse  assorta alle due ragazze, senza allontanare le iridi acquamarina dall’alto “Manca poco al prossimo villaggio, ma dobbiamo ancora comprare dei vestiti, perciò perderemo una considerevole quantità di tempo”
“Come mai questa fretta improvvisa?” chiese Astril affiancandola, perplessa.
“Non so perché, ma qualcosa mi dice di allontanarci il prima possibile da luoghi scoperti. Prendiamo quello che ci occorre e poi troviamo riparo da qualche parte” rispose Keira, senza smettere di dardeggiare gli occhi lungo il cielo.
Ripresero il cammino a passo più spedito, per giungere infine alle porte di Doirse, un villaggio decisamente molto più grande di Hovel e in cui transitavano numerosi viaggiatori. Persone poco raccomandabili solcavano quella zona e la sorveglianza era praticamente inesistente. Le abitazioni  scure e squallide contribuivano a dare al luogo un senso di oppressione e tristezza, la sporcizia era accumulata ovunque, con i conseguenti sgradevoli odori. Le strade ricoperte di fango erano affollate da ogni genere di individui, persone avvolte in mantelli come loro oppure col volto scoperto, truce e incattivito.
Astril non si sentiva affatto tranquilla. Non sapeva dell’esistenza di luoghi degradati come quelli ed ora trovarcisi in mezzo le metteva non poca agitazione.
“Comincio a pensare che forse non troveremo degli abiti, qui...” sussurrò Felixia, stringendosi nel mantello.
“Temo anch’io...” concordò, e proprio allora qualcosa le cadde sulla mano, facendole bruciare terribilmente la pelle. Mugolò di dolore, senza capire cosa fosse successo, quando avvertì nuovamente lo stesso bruciore. Una goccia di pioggia le era atterrata sul polso. Con gli occhi sgranati si voltò verso Felixia, anch’essa sbigottita.
Keira imprecò fuor dai denti, mentre la pioggia iniziava a cadere fitta e la gente correva a ripararsi.
“Baistech tis...”
Così veniva chiamata la famosa pioggia rovente del Regno dei Desideria, una pioggia che non intaccava gli oggetti o la natura, ma che non lasciava scampo agli esseri umani. Nessuno sapeva da che cosa fosse determinata, accadeva e basta, periodicamente, e non lasciava scampo: chi non faceva in tempo a ripararsi ci rimetteva la vita, ustionato da quelle micidiali gocce incandescenti. Ciò che preannunciava la pioggia era da sempre il colore lattiginoso del cielo, che Keira aveva notato, senza però riuscire a rammentare.
“Presto, seguitemi!” urlò. Presero a correre e in fretta e furia si rifugiarono nella locanda più vicina. Nessuno parve accorsi della loro presenza, ognuno assorto nelle proprie attività: chi mangiava in silenzio, chi parlottava allegramente, chi beveva senza sosta al bancone e chi, già ubriaco, si era accasciato in fondo al locale.
Ancora scosse dall’accaduto, le tre viaggiatrici si sedettero in un tavolo in ombra.
“Avevo studiato qualcosa a proposito di questa pioggia, ma non avrei mai creduto che fosse così devastante” mormorò Astril.
Felixia si sfiorò la parte della mano colpita, arrossata“Anch’io ne avevo sentito parlare, ma era da anni che non capitava e si diceva che non sarebbe successo per molto tempo ancora...” emise un sibilo sofferente.
“Non toccarla, per fortuna l’ustione non è grave, ma brucerà per un po’, e al momento non ho erbe con cui alleviare il dolore  ” rispose Keira, prima che un ringhio frustato  le salisse spontaneo dalla gola “Avevo percepito qualcosa di strano, maledizione...Finché questa dannata pioggia non cesserà saremo costrette a rimanere qui”
“Quanto tempo ci vorrà?”
“Dipende, potrebbe durare un’ora come un’intera giornata” rispose cupamente la Mildriend.
Astril sospirò sconfortata, mentre l’altra riprese a parlare “Ordiniamo qualcosa e cerchiamo di non dare troppo nell’occhio, poi si vedrà”
Come se dal bancone avesse sentito tutto, l’oste, un omone corpulento e dai grossi baffi neri, apparve magicamente alle spalle di Felixia.
“Cosa vi porto, ragazzi?” domandò con voce bassa e profonda.
Keira impercettibilmente si calò ancora di più il cappuccio sul volto e, schiaritasi la voce, rispose “Tre Luibhe, senza alcol”
L’oste parve sorpreso da quella richiesta.
“Sei sicuro? Non sarebbe meglio una birra?”
“Sicurissimo, tre Luibhe”
L’uomo non aggiunse altro e andò prendere quanto richiesto.
“Che cos’è un ‘Luibhe’?” chiese Felixia.
“Una sorta di infuso ricco di erbe, riscalda e ritempra le membra senza offuscare la mente come farebbe un boccale di birra”
L’oste ritornò quasi subito e, oltre ai bicchieri, posò sul tavolo di legno un piccolo barattolo di vetro, contenente uno strano impasto rosato.
“E’ utile contro le bruciature, basterà una sola applicazione sulla zona arrossata perché questa ritorni del suo colore naturale”
“Perché la stai offrendo a noi?” volle sapere Keira, squadrando malevolmente l’oste da sotto il cappuccio “Non ho visto altri del locale usufruirne”
“Vero, e il motivo è molto semplice: avevo avvertito questi zotici del pericolo imminente, ma nessuno di loro ha voluto credermi, anzi, mi hanno deriso. Ed ora hanno quello che si meritano. Voi invece siete stranieri, dei viaggiatori, non potevate saperlo. Per questo voglio aiutarvi”
La spiegazione parve convincere Keira, che, sebbene ancora sulla difensiva, decise di accettare il dono.
Per Astril quell’impacco fu un vero sollievo e, dopo un sorso di quello strano infuso, si sentì completamente rinascere, sebbene il disagio non fosse ancora svanito. Da quando erano entrate non aveva fatto altro che guardarsi intorno, con la sensazione che ogni persona del locale fissasse il loro tavolo e che complottasse qualcosa alle loro spalle. Felixia aveva invece deciso di tenere lo sguardo fisso sul bicchiere, immersa nei suoi pensieri, e lo stesso aveva fatto Keira, fino a quando la conversazione del tavolo dietro di lei non aveva colto il suo interesse:
“Sei sicuro di non aver capito male?”
A parlare era stato un uomo in carne, impegnato a torturare un pezzo di pane con il coltello.
“Sicurissimo, vi ripeto! Vi ho riportato le esatte parole di Scoundrel!”
“Scoundrel, eh? Tsk, quello lì è buono solo a raccontare fandonie, non c’è da fidarsi” ribatté un altro, arricciando le labbra in una smorfia.
“Questa volta, no! Non l’ho mai visto così serio, era sconvolto mentre mi raccontava: diceva di trovarsi a Desponia qualche giorno fa, nei pressi di un vicolo, e di aver sentito delle voci. Così si è avvicinato, mi ha detto, per capire cosa stesse succedendo e… ha visto due figure svanire in un varco nero! Un varco nero, capite!?”
Per risposta i due scoppiarono a ridere.
“Sì, ce lo hai già ripetuto almeno un centinaio di volte! Scoundrel è un bugiardo, e tu sei un sciocco se dai retta alle sue farneticazioni! Beviti una birra, e dimenticati di questa storia!”
Keira smise di ascoltare la conversazione, improvvisamente turbata  e meditabonda. In un unico sorso finì la bevanda, sbatté il bicchiere sul tavolo e si alzò per vedere le condizioni esterne dalla vetrata della locanda. Aveva smesso di piovere.
“Baistech tis è terminata”
“Di già?” si sorprese Astril.
“Sì, paghiamo e andiamocene subito”
“Va bene, ma...c’è qualcosa che non va?”
La ragazza si avviò senza rispondere e la principessa e la cameriera si scambiarono la ormai solita occhiata sconsolata.
In breve furono in strada, con la Mildriend che pareva aver messo le ali ai piedi.
“Evitate le pozzanghere, sono incandescenti, e non rimanete indietro, se vi perdete non tornerò indietro a cercarvi. Per i vestiti non se ne fa nulla, oggi non possiamo permetterci di fare altre soste. Adesso andiamo!”
“Cosa le è preso all’improvviso? Non riusciremo a reggere il suo ritmo a lungo, prevedo!” mugugnò Felixia, costretta praticamente a correre.
“Mi sa che dovremo fare del nostro meglio, allora! L’hai sentita, no? Non ha alcuna intenzione di fermarsi o di rallentare per le prossime ore! Sembra quasi che di colpo  le sia venuto il timore di qualcosa...”
La cameriera sospirò sconfortata.
“Le avete...le hai chiesto quanto manchi al loro rifugio?”
“No, non mi è permesso, abbiamo fatto un patto: non posso domandarle niente fino a quando non saremo arrivate...Anche se, sinceramente, non mi dispiacerebbe sapere almeno dove ci stia conducendo, adesso”

Astril ebbe la sua risposta all’imbrunire e non le piacque per niente. Keira le aveva condotte in un limaccioso pantano. La Mildriend prima di imboccare quella strada aveva riflettuto un attimo, indecisa se proseguire sul sentiero o meno, e poi aveva tagliato per quella intricata zona fangosa, definendola una ‘scorciatoia’. Di primo impatto poteva apparire come un piccolo groviglio di alberi e cespugli, ma, proseguendo, ci si accorgeva di che cosa si trattasse in realtà.
La principessa si stava sforzando al massimo per evitare di pensare a cosa potesse esserci nascosto in mezzo a quella vegetazione e a quel torbido terriccio, ma soprattutto voleva scacciare l’idea di una possibile trappola da parte di Keira. Frattanto quest’ultima aveva rallentato un po’ il passo e aveva creato un sfera di luce per illuminare la strada.
“Camminate solo dove cammino io, sulla parte rigida di terreno!” aveva raccomandato, e adesso avanzavano così, con Keira davanti, Astril in mezzo e per ultima Felixia.
“Come mai qui è tutto fangoso?” domandò la principessa, alzandosi il mantello fino alla vita per evitare di imbrattarlo.
“Di solito non lo è così tanto...Credo che la poggia di prima abbia aumentato notevolmente la fanghiglia. Decisamente non è il massimo, ma è una via molto più rapida e anche protetta” rispose la Mildriend, sebbene cominciasse a pensare che, avendo due impiastri come compagne di viaggio, passare per quella zona limosa non fosse poi un’ idea geniale.
“Per quanto ancora dovremo camminare in questo pantano?” chiese dal fondo Felixia, la voce ridotta in un flebile sussurro affaticato.
“Poco, questa è una strada molto breve, non è nemmeno una palude vera e propria. Tra meno di dieci minuti saremo di nuovo sull’asciutto”
La cameriera non ebbe neppure la forza per rispondere, da quanto era stanca. Aveva sempre trovato faticoso dover lavare tutte le finestre del castello, ma,  rispetto a quello che stava passando adesso, era un passeggiata. Esausta lasciò cadere il mantello, senza preoccuparsi che si sporcasse, ma distratta, vi si inciampò e con uno strillo acuto cadde nella fanghiglia.
“Felixia!” urlò spaventata Astril. Immediatamente ritornò indietro per aiutare l’amica, che, inspiegabilmente, non riusciva più ad uscire. 
Keira le gridò qualcosa, ma la principessa la ignorò. Afferrò il polso di Felixia, ma invece di tirarla fuori cadde pure lei. La Mildriend, masticando  un’infinità di imprecazioni fra i denti, le raggiunse in tre falcate.
“Ti prego, aiutaci, siamo bloccate!” strillò Astril. Non appena era caduta, il fango le si era come dilatato intorno per poi bloccarle il corpo e, lentamente, aveva iniziato ad affondare. La melma le era colata sugli occhi e le impediva di vedere.
“Mantenete la calma, adesso cerco un modo per tirarvi fuori!”
Keira si guardò febbrilmente intorno, alla ricerca di un bastone o qualunque altra cosa per aiutarle ad uscire. Aumentò anche la potenza della sfera per illuminare meglio l’ambiente, poiché era ormai calata la notte.
Le due giovani erano terrorizzate. Una forza invisibile cercava di trascinarle definitivamente giù e il  loro corpo era tormentato da un bruciore lancinante.
“C’è qualcosa che cerca di trascinarmi per le gambe...e sento bruciare dappertutto!” farfugliò esasperata  la principessa.
“Ciò che vi trascina è il fango stesso ed è la sua particolare consistenza a procuravi quel dolore, è urticante! Adesso ascoltatemi...ascoltatemi maledizione!” tuonò, e le due ragazze, pietrificate, cessarono di strillare.
“Se vi dimenate non farete altro che peggiorare la situazione. Provate a muovere le gambe e darvi una forte spinta”
“Non ci riesco, sono come immobilizzate”
“Provate ugualmente, io vedo di trovare qualcosa per liberarvi” fece per spostarsi, ma scivolò su una pozza di melma, comparsa all’improvviso. Non poteva muoversi troppo. Per tirare fuori Astril e Felixia avrebbe dovuto contare solo sulle sue forze. Con uno sforzo riuscì a rimettersi in piedi e tese una mano alla principessa, dal momento che non era affondata ancora troppo e sarebbe stato più facile tirarla fuori, così insieme avrebbero potuto aiutare la cameriera.
“Afferrala!”
Astril ubbidì e cercò di fare forza sulle gambe come le aveva detto Keira. Ce l’aveva quasi fatta, quando un urlo di Felixia non la distrasse. La giovane era affondata completamente.
“No!” gridò la principessa disperata, cercando di recuperarla con l’altra mano.
“Non distrarti, Astril! Non puoi aiutarla adesso, concentrati su quello che stai facendo!”
Ricacciate indietro le lacrime, la ragazza riprese a darsi la spinta con le gambe e dopo qualche spossante tentativo riuscì a riemergere.
“Tienimi ferma per la vita, io intanto cerco di riprendere Felixia!”
Keira si gettò a terra e immerse le braccia nella melma. Annaspò per un po’ a vuoto finché non riuscì ad afferrare le spalle della cameriera.
“Tirami!”ordinò e dopo uno sforzo da parte di entrambe riuscirono a far riemergere la giovane, priva di sensi.
Keira la prese in braccio e iniziò a correre, con Astril alle sue spalle. Scapparono alla cieca, ma alla fine uscirono da quel luogo sventurato e si ritrovarono all’aria aperta.
Esausta, la principessa crollò a terra e il buio l’avvolse.

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Capitolo 7
*** Il nemico alle porte ***


 

Il nemico alle porte

Una donna percorreva un lungo e silenzioso corridoio, avvolta in un mantello nero come la notte. Fiamme libere color ghiaccio illuminavano le pareti e il pavimento di ossidiana con una luce fredda e pallida, creando un’atmosfera lugubre e malinconica. Allo stesso modo si sentiva l’animo della figura, cupo e inquieto. Non riusciva a capire il motivo per cui l’avessero convocata, ma, dal tono che le era stato rivolto, aveva intuito che si trattasse di qualcosa di grave.
Giunse di fronte ad una porta nera lucente e con la mano nivea bussò tre decisi colpetti. Una forza misteriosa spalancò subito dopo l’uscio, rivelando una stanza totalmente nera, con dentro un’enorme scrivania su cui erano srotolate numerose carte. Poco più avanti vi era un uomo, in piedi, rivolto verso la finestra, il cui paesaggio mostrava un cielo avvolto nelle tenebre.
“Vieni avanti” le intimò l’uomo con voce severa.
La donna ubbidì, fece qualche passo e si fermò poco dietro di lui. La porta le si chiuse alle spalle con un sonoro tonfo.
“Hai fatto presto...”
“Sono accorsa appena mi hanno informato. Di cosa volevi parlami?”
L’altro non rispose subito, ma rimase ad osservare l’ambiente esterno ancora per qualche istante.
“Se non ricordo male, tu e Dread vi siete recati a Desponia, qualche giorno fa” iniziò.
“Sì, è corretto”
“E al vostro ritorno, mi avete comunicato qualcosa riguardante la Mildriend Keira”
“Esattamente. Keira è stata sorpresa nelle stanze della principessa Desideria ed è stata rinchiusa nelle segrete del castello da Moron in persona. Questo è quello che ha appreso Dread da alcune donne. Ma...cosa c’entra questo adesso?”
L’uomo digrignò un attimo i denti, prima di  distendersi  nuovamente, piegando le labbra in un sorriso sarcastico.
“Le informazioni che mi avete dato si sono rivelate false”
La donna spalancò gli occhi, incredula.
“False? Come? Dread mi assicurato che...!”
“Dread si sbagliava!” tuonò quello senza voltarsi, facendola ammutolire all’istante “Poco fa ho avuto una visione” riprese, ora con tono più calmo, ma ancora più gelido “Keira è libera, si trova a qualche miglia di distanza dal villaggio di Doirse in questo momento, in compagnia di due ragazzine”
“Chi sono?” volle sapere la donna con foga, ancora sconvolta dalla notizia.
“Non ne ho idea, la visione mi ha solo mostrato la Mildriend e il luogo in cui si trova. Sospetto che si stia dirigendo verso la loro base…”
“Vuoi che la raggiunga?”
“Precisamente, seguila fino a quando non sarà giunta in prossimità del loro nascondiglio, sarà la nostra occasione per scoprire dove si trova, e poi attaccala”
“Per ucciderla?” domandò, e a quelle parole una strana luce le illuminò lo sguardo.
“No, riducila in fin di vita e poi portala qui. Sarà una buona fonte di informazioni, attendibili magari...” non mancò di sottolineare, facendo tremare impercettibilmente la donna “Le ragazzine che sono con lei non mi interessano, uccidile pure. Ora va e vedi di sbrigarti. Sappi che non E’ ancora a conoscenza di questa storia, ma non ci metterà molto a scoprirlo, perciò è meglio che rimedi subito alla tua mancanza. Se fallisci non sarà molto lungimirante, e nemmeno io lo sarò”
“Ho capito. Eseguirò subito i tuoi ordini. Prendo Doiléire e parto”
Si voltò e fece per uscire, ma l’uomo la chiamò nuovamente.
“Night Mare”
La donna si fermò.
“C’è un’altra cosa che devi fare, prima. Mentre vi trovavate a Desponia, un uomo ha visto te e Dread scomparire nel passaggio. Scoundrel è il suo nome, è di quelle zone, chiedi di lui in giro, sarà facile per te scovarlo. Trovalo e uccidilo. Non dobbiamo lasciare testimoni”
Night Mare annuì ed uscì dalla stanza a passo celere. Si sentiva un’autentica sciocca, debole ed incapace. Aveva fatto una pessima figura, tutto a causa della stupidità di Dread e della propria disattenzione. Imprecò a mezza voce. Adesso non poteva permettersi di fallire, avrebbe trovato Keira e l’avrebbe portata lì, per quanto il desiderio di eliminarla premesse per essere realizzato.
Era certa di farcela, lei era invincibile, e tutti gli altri l’avrebbero invidiata e ammirata. E al suo ritorno l’avrebbe fatta pagare a Dread per il guaio in cui l’aveva cacciata. Quello sciocco, che aveva creduto a delle semplice voci popolane invece di accertarsi lui stesso della situazione. E sciocca anche lei, che si era fidata di lui.
Uscì all’aria aperta e in breve giunse di fronte ad un cancello di ferro nero, massiccio e appuntito. Night Mare posò la mano sulla serratura e dopo un piccolo bagliore violaceo questa scattò.
La donna aprì uno spiraglio ed ad accoglierla trovò un paio di famigliari occhi ametista, che la scrutavano scintillando nell’ombra, insieme ad un sommesso ringhiare.
“Mio adorato Doiléire, ti sono mancata?”
Come risposta ottenne un ringhio di conferma.
“Anche tu mi sei mancato. Vieni ora, non possiamo indugiare. Abbiamo una missione da compiere”
La donna sfiorò la superficie dell’essere e strani simboli violacei apparvero e sfavillarono sul corpo della creatura, illuminando la gabbia.
Night Mare salì in groppa e lo sfiorò ancora una volta con dolcezza.
“Andiamo allora” ordinò ed un boato esplose a risposta delle sue parole.

                                                                                     °°°


Un dorato raggio di sole colpì il viso di Astril e la ragazza, dopo qualche mugolio, ritornò alla realtà. Si schermò l’occhio sinistro con una mano per evitare di essere abbagliata e, dolorante, cercò di rimettersi seduta.
Stranita si guardò un po’ intorno, senza riconoscere tuttavia il luogo in cui si trovava, poi si stiracchiò pigramente e qualche filo d’erba le scivolò dai capelli. Ancora intontita si appoggiò al sottile albero che aveva di fianco e fece per rimettersi in piedi, ma un dolore lancinante alle gambe e al braccio la costrinse a rimanere seduta.
Si accorse in quel momento di avere parte dei pantaloni e delle maniche strappate, lasciando scoperta la pelle stranamente arrossata e con qualche piccola vescica rimarginata.
La principessa guardò un po’ perplessa e un po’ disgustata quello sgradevole spettacolo e cercò di ricordare cosa fosse successo.
“Bentornata alla realtà”
Keira le si era materializzata vicino all’improvviso e la sovrastava osservandola neutra.
“Dove...dove siamo? Cos’è successo?” chiese Astril con la voce impastata, portandosi una mano alla fronte.
“Abbiamo attraversato una specie di palude e tu e la cameriera siete cadute nel fango. Sono riuscita a tirarvi fuori e siamo scappate, ma siete crollate prive di sensi quasi subito, così una alla volta vi ho portate sin qui. Non siamo troppo lontane, comunque”
“Giusto, ora ricordo...” asserì la principessa, poi alzò la testa di scatto ed esclamò “Felixia! Come sta Felixia?”
La Mildriend indicò una figura poco lontano, che riposava tranquillamente.
“Dorme, non si ancora svegliata da allora. Puoi stare tranquilla, si riprenderà presto”
Astril tirò un sospiro di sollievo, ma la sua espressione tramutò presto in una di dolore. Le gambe e le braccia avevano ripreso a bruciare.
Keira se ne accorse e andò a frugare nella sacca della principessa, poi si sedette di fronte a lei, con in mano il vasetto di vetro che aveva dato loro l’oste di Doirse.
“Principalmente è contro le ustioni, ma anche in questo caso si è rivelata utile, l’ho utilizzata mentre eravate prive di sensi e la vostra condizione è migliorata notevolmente” spiegò “Basterà un secondo impacco e sarete come nuove”
Immerse le dita nell’impasto rosato e lo passò sulla pelle provata di Astril. Dapprima la ragazza percepì un ulteriore bruciore, poi un incommensurabile sollievo.
“Sì, decisamente questo unguento fa miracoli...” sorrise beata.
“Anch’io sono rimasta molto sorpresa. Quell’oste è stato davvero gentile a regalarcelo, sebbene si trattasse di un Desideria”
Astril soprassedé su quest’ultima frase e le ragazze stettero in silenzio, a godersi il piacevole e rinfrancante  rumore della natura.
“Che ore sono?” domandò la principessa rompendo il silenzio.
“Mezzodì”
“Abbiamo dormito moltissimo...” si sorprese Astril.
“Considerando la nostra disavventura nemmeno tanto, avevate bisogno di riposo, anche per...riprendere le forze in seguito agli altri giorni di viaggio” rispose Keira, e alla principessa per un attimo parve che fosse leggermente imbarazzata. Forse si era resa conto di averle strapazzate molto negli ultimi tempi.
“Anche tu hai dormito?”
“Sì, vi ho medicate poi mi sono addormentata, anche se avrei dovuto restare a fare la guardia” disse, per quanto ammetterlo la infastidisse. Era crollata a dormire senza riflettere a quello che sarebbe potuto succedere se qualcuno le avesse attaccate.
“Hai fatto benissimo, anche tu avevi bisogno di riposare. Hai sempre fatto tu la guardia...”
“Abbiamo rischiato però, avremmo potuto essere in pericolo”
“Ma fortunatamente non è successo nulla!” sorrise Astril e per tutta risposta Keira le lanciò uno sguardo freddo, prima di ricominciare a medicarla.
La principessa non la capiva. Si addossava sempre tantissime responsabilità, era continuamente in allerta e piena di pensieri. Quella ragazza era un vero mistero. La osservò un attimo. Persino in un momento di quiete aveva quell’aria severa e concentrata.
Astril continuò ad osservarla e il suo sguardo ricadde più volte sulla cicatrice che Keira aveva sull’occhio. Si era sempre chiesta come se la fosse procurata, in quale occasione, ma tutte le volte non aveva avuto il coraggio di chiederglielo. Fino a quel momento.
“La cicatrice che hai sull’occhio...”
Keira ebbe un sussulto.
“...come te la sei fatta?”
La Mildriend non rispose e Astril pensò, tristemente, che la sua domanda non avrebbe mai trovato una risposta, volutamente ignorata.
“Stavo combattendo” iniziò invece Keira, dopo un silenzio ostentato “Ero uscita dalla nostra base per fare un giro di ricognizione quando...Mi sono ritrovata davanti una persona. Non scenderò nei dettagli, ma posso dirti che è stato uno scontro mostruoso e che non lo dimenticherò facilmente. Ho rischiato grosso quel giorno, lo stesso vale per il mio avversario, ma non era ridotto male come me. Ero piena di ferite e quella in prossimità dell’occhio era la più grave. Sono riusciti a salvarmelo appena in tempo...”
Astril ascoltava rapita, come se le stessero narrando un’antica leggenda di guerrieri.
“Ma sono contenta che il segno sia rimasto”
La principessa la guardò sbigottita.
“Contenta?”
“Proprio così. Perché è il marchio che ogni giorno mi ricorda ciò che è successo e il segno che ha suggellato il mio obbiettivo: quando sarò di nuovo di fronte a quella persona, io da sola, senza nessun’altro, allora la ucciderò e, prima di dare il colpo di grazia, le lascerò la stessa cicatrice, proprio qui” si sfiorò il segno con l’indice e sorrise, un sorriso determinato e combattivo, pieno di aspettative, un sorriso che colpì profondamente Astril. Era la prima volta che glielo vedeva fare ed era anche la prima volta che Keira le raccontava qualcosa di così personale.
Non fece altre domande, soddisfatta della risposta, e profondamente meravigliata. Quella ragazza doveva aver affrontato moltissime avventure e anche nemici, era una guerriera, non una semplice Mildriend, e chissà cos’altro le era capitato in passato...
 Frattanto Keira aveva finito di medicarla e si era alzata.
“Sarà meglio svegliare Felixia, prima non sono riuscita a disinfettarla bene ed è meglio provvedere. Come ti senti adesso?”
“Molto meglio, il dolore è praticamente passato” rispose allegra “Ti ringrazio...”
“Non ho fatto niente, ho solo messo un impacco”
“Non solo per quello” si affrettò ad aggiungere “Ma anche per tutto il resto, per averci salvate...”
“Ah...” Keira le diede le spalle “Beh, anche in quel caso non ho fatto niente di speciale”
“Avresti potuto lasciarci affondare...” sussurrò quasi impercettibilmente.
La Mildriend l’aveva udita,  ma non le rispose. Nemmeno lei sapeva dirsi perché le avesse aiutate. All’inizio il suo piano era stato un altro, ovvero quello di non condurle davvero al loro nascondiglio, ma alla prima occasione abbandonarle da qualche parte, così non si sarebbe macchiata di alcun crimine. Le avrebbe lasciate vagare, al loro destino. Poi però, per quanto le occasioni si fossero presentante, non l’aveva mai fatto, nemmeno lì nella palude, il momento più propizio. Non si fidava ancora di loro, per niente, le reputava delle imbranate, deboli, sciocche e sprovvedute, ma non le avrebbe abbandonate. Solo se avessero fatto qualcosa di davvero eclatante, allora le avrebbe lasciate al fato. Solo in quel caso.

Così come Keira, anche Astril rifletteva. Non poteva dire di fidarsi della Mildriend, ma ora aveva un po’ meno timore di lei. Quella costante sensazione di trappola o agguato si era praticamente dissolta.  Avrebbe continuato a mantenersi attenta, ma con meno preoccupazione. Dopotutto, le aveva salvate.

Si rimisero in viaggio un po’ di tempo dopo. Keira medicò Felixia e diede loro tempo per riprendersi e per mangiare con più calma.
Ora procedevano avvolte nei loro mantelli a passo sostenuto, ma non sfiancante come i giorni precedenti. Ormai erano uscite dal sentiero e camminavano in mezzo alla lucente erba alta.
Non mancava molto per raggiungere la loro destinazione, se non si fossero fermate sarebbero arrivate verso il crepuscolo, e  la notizia aveva risollevato molto il morale di Felixia ed Astril, sebbene l’entusiasmo di quest’ultima fosse sceso quando si era accorta di aver perso il sacchetto con le monete nella palude. Non avrebbero più sostato nei villaggi, ma avere qualche soldo dietro la faceva sentire comunque più sicura, mentre ora non le era rimasto niente.
Non appena avevano ripreso il cammino Keira era ritornata quella di sempre, scontrosa e scostante, a dirigere la fila senza proferire parola. Fortunatamente Astril e Felixia si rallegravano a vicenda e parlottavano.
La cameriera era ancora molto scossa dall’accaduto e si sentiva terribilmente debole e imbranata. Aveva messo tutti in pericolo a causa della sua stoltezza e del suo essere goffa. Allo stesso modo ovviamente si sentiva Astril, che invece di aiutare l’amica era finita nei pasticci lei stessa. Perciò, cercavano di non crogiolarsi nei loro dispiaceri distraendosi inconsapevolmente l’un l’altra.
Avevano ritrovato interesse a commentare ciò che la natura mostrava loro, come un bellissimo uccellino dalle piume dorate e rosse scarlatte, con una strana crestina sul capo che somigliava ad una stella, appollaiato su un ramo. Ci erano rimaste però molto male quando avevano visto quella meraviglia divorarsi l’altro uccellino più piccolo che si era messo vicino a lui.
“Quello è un Toradh, è carnivoro, si ciba dei suoi simili più piccoli” aveva spiegato Keira sbrigativa, spazientita per l’ignoranza delle due giovani, che erano arrossite a causa dell’imbarazzo.
Di tanto in tanto strapparono anche qualche fiore, meravigliate del loro colore. Quello Astril avrebbe voluto studiare insieme alla storia e alla geografia; si era resa conto di non sapere pressoché nulla del mondo in cui viveva, tranne le divisione dei Regni: non sapeva niente sulle piante, curative e non, sui villaggi, le foreste, le creature! Era sicura che ce ne fossero tantissime, da qualche parte.
Keira sopportava stoicamente gli entusiasmi delle due compagne di viaggio. Per loro tutto ciò era qualcosa di completamente nuovo, ma potevano anche trovare un minimo di contegno, si ritrovava spesso a pensare.
Tempo dopo, la Mildriend si fermò di colpo di fronte ad un piccolo ruscello gorgogliante, facilmente scavalcabile.
“Qualcosa non va?” domandò Astril, incerta.
“Avvicinatevi”
Le due si scambiarono un’occhiata ed ubbidirono, affiancando la loro guida.
“Guardate bene, non notate nulla di diverso?”
Entrambe acuirono la vista, senza fare domande, ma Astril non riusciva a notare niente di particolarmente eclatante.
“Il paesaggio, il paesaggio è diverso!” esclamò infine Felixia.
“Esattamente. Oltre questo ruscello, inizia quella che un tempo era la mia terra, prima che venisse inglobata dal Regno dei Desideria”
“Quindi...Da qui iniziava il Regno dei Mildriend!?”
“E’ così. Desponia si trovava  al confine con il nostro Regno, perciò eccoci qui. Moron è riuscito facilmente ad impadronirsene, l’unica cosa che non ha potuto cambiare è la natura, quella non la si può controllare. E l’unico confine che è rimasto è questo ruscello. Lo chiamiamo la Linea D’Acqua”
Astril abbassò lo sguardo rammaricata, pensando quanta sofferenza avesse procurato Moron, e di riflesso pensò al castello e a sua zia. Stava bene? Il sovrano aveva già mobilitato le ricerche? Questo pensiero le fece tremare il cuore.
Poi superarono la Linea e ripresero il cammino.

Il tardo pomeriggio giunse rapidamente e l’aria iniziò a divenire più fresca e piacevole. Avevano camminato tutto il giorno senza fermarsi, ma la cameriera e la principessa non avevano osato lamentarsi. Si sentivano ancora in colpa per ciò che era accaduto nella palude e volevano evitare di essere nuovamente un peso, inoltre mancava poco alla meta, presto le loro fatiche sarebbero state ripagate.
Keira aveva ripreso ad imporre un ritmo più celere. Qualcosa l’aveva fatta preoccupare, aveva sentito uno strano brivido correrle gelido lungo la spina dorsale e l’aveva preso come una sorta di cattivo presagio.
Astril se n’era accorta e aveva chiesto se qualche altra calamità naturale stesse per arrivare, ma la ragazza si era limitata a scrollare il capo.
Si fermarono infine in una distesa erbosa, contornata da qualche albero. Oltre vi era la desolazione più assoluta, solo erba, un’immensa distesa di prati e vegetazione, nessun riparo. In lontananza si intravedeva una rilievo roccioso.
Keira era rimasta in piedi a riflettere, mentre le altre due si erano sedute per riposare e la guardavano tastare il terreno perplesse. Poi la Mildriend si alzò, si scrollò la terra dal mantello con aria soddisfatta e si voltò verso Astril e Felixia.
“Devo bendarvi”
“Cosa?”
“Perché mai?”
“Vi è un passaggio qui, sotterraneo, che conduce direttamente al nostro nascondiglio. Lo abbiamo costruito per evitare di passare per di là” indicò la distesa “Poiché  troppo scoperta e priva di ripari. Una volta uscite di qui ancora pochi passi e arriveremo. Dovete però coprirvi gli occhi almeno per un po’. Non potete vedere dove si trovi il passaggio” e detto questo strappò due lembi del mantello con cui bendarle.
Le due ragazze non erano affatto entusiaste né convinte dell’idea, ma furono costrette ad accettare le condizioni di Keira.  Ella si accertò che fossero ben bendate, poi sollevò una botola dal terreno, rivelando il passaggio. Le fece scendere con cautela, richiuse la botola da dentro e fece comparire una sfera di luce per illuminare il tutto. Prese per un braccio Astril e ordinò a Felixia di accostarsi alla principessa.
“Avanzeremo per un po’, poi potrete togliere le bende. Le rimetterete nuovamente quando saremo arrivate in prossimità del nascondiglio”
Le due giovani annuirono e presero a camminare. Astril percepiva un forte odore di terriccio, di umido,  e di tanto in tanto avvertiva qualche zolla e qualche radice caderle  in testa. Keira le aveva però persuase della sicurezza del passaggio e che non sarebbe crollato. Avanzare era difficile a causa del buio, ma il suolo pareva ben stabile, come rivestito con qualcosa. Infatti era proprio così. Sulla terra erano state posizione lisce mattonelle in pietra ed Astril poté accertarsene quando le venne  sfilata la benda.
Non riusciva a vedere nulla, oltre al terriccio tutt’intorno e alle sue compagne di viaggio; sperava di ritornare alla luce al più presto, trovando quel luogo terribilmente soffocante e opprimente.
“Vi siete organizzati molto bene” constatò Felixia, riferendosi al suolo rivestito.
“Utilizziamo molto spesso questa via, quasi sempre, per questo ci siamo impegnati per renderla il più agevole e sicura possibile”
“Quanto ci vorrà per giungere dall’altra parte?” chiese Astril.
“Circa un’ora. Ancora quest’ultimo tratto e saremo finalmente arrivate”

E mentre le tre viaggiatrici attraversavano la galleria sotterranea, una donna sorrideva scaltra, in piedi sulla botola segreta. Era stato sufficiente un semplice incantesimo di occultamento per impedire a lei e a Doiléire di essere scorti. Le aveva individuate molto facilmente ed altrettanto velocemente era riuscita a raggiungerle, ed ora che sapeva dove fossero dirette aveva deciso di sorprenderle proprio all’uscita.
Montò in groppo alla creatura. Avrebbe attraversato la distesa in un semplice battito di ciglia.

La principessa tossicchiò dolorosamente, la terra le aveva impregnato la gola, le narici, e cominciava non sopportare più l’odore del terreno umettato.
Per quanto cercasse di mostrarsi impassibile, anche Keira cominciava a sentirsi affaticata. Mantenere la sfera di luce così a lungo l’aveva provata non poco.
Felixia invece era troppo ansiosa per concentrarsi sulla propria stanchezza. Aveva avuto paura di quel posto sin da subito e in ogni momento si voltava indietro, temendo che qualcosa le aggredisse spuntando dall’oscurità alle loro spalle.
“Ormai manca poco” la voce della Mildriend uscì ovattata, come impregnata dalla terra. Bendò nuovamente loro gli occhi e poco dopo le aiutò ad uscire dal passaggio, facendole arrampicare su una scala addossata sulla parete.
L’aria piacevole del crepuscolo annullò come d’incanto il senso di soffocamento che avevano provato Astril e Felixia per tutto quel tempo e vedere poi il cielo e il sole in procinto di tramontare contribuì a sollevare il loro animo. Il paesaggio non era praticamente mutato, tranne per il fatto che ora il rilievo roccioso fosse molto più vicino e assai imponente e che l’erba si fosse fatta notevolmente più rada, lasciando posto a ciottoli e sassi.
La principessa rimase incanta, iniziando a comprendere dove si trovasse il nascondiglio, anche se non avrebbe mai saputo nemmeno immaginare dove fosse l’entrata.
“Ancora un po’ di strada e poi vi benderò di nuovo. Per l’ultima volta” disse Keira, stanca di quel rituale e impaziente di ritornare a quella che era la sua casa.
Ripresero il cammino, mentre il cuore di Astril vibrava per l’emozione. Ancora non riusciva a credere di essere arrivata, avrebbe finalmente visto con i suoi occhi il posto su cui aveva fantasticato tutto quel tempo e avrebbe conosciuto altri Mildriend, sempre se questi si fossero mostrati amichevoli. Avvertì un groppo alla gola. Non doveva comunque dimenticare di essere anche parte Desideria e, soprattutto, la nipote di Moron! E se il resto del popolo si fosse mostrato ostile nei suoi confronti? In fondo avevano mandato Keira ad ucciderla. Scosse la testa, imponendosi la calma. Non era il momento dei ripensamenti e dei timori, ci avrebbe pensato in seguito. Non era sola, c’era Felixia con lei, e Keira, che magari avrebbe potuto parlare in favore suo. Forse.
Decise di godersi il vento e i rumori della natura che...erano improvvisamente cessati.
Le giovani si fermarono di colpo. Ogni suono era svanito, il vento aveva smesso di soffiare e la temperatura era divenuta improvvisamente più rigida, un freddo quasi tagliente, un freddo capace di bloccare loro il cuore. Una strana angoscia aveva avvolto l’animo della cameriera e della principessa, che guardavano inquietate Keira. Ella si era come cristallizzata sul posto, in ascolto del silenzio.
“Che...che succede?” balbettò Felixia, ma la Mildriend le fece segno di tacere.
E all’improvviso udirono come un mormorio, strane parole dal significato misterioso, e senza avere neppure il tempo di reagire vennero sbalzate qualche metro lontano. Non poterono neppure rialzarsi, poiché una sfera nera d’energia si schiantò al suolo, cercando di colpirle.
Astril e Felixia urlarono e Keira fece appena in tempo a scostarle prima che venissero centrate in pieno. Ma non era finita. Ne arrivarono altre.
“Ma...cosa, cosa sono?” strillò disperata Astril.
Keira non le rispose, gli occhi sgranati e la labbra schiuse.
Numerose sfere nere si abbatterono su di loro e con uno strillo la cameriera si liberò del mantello, poiché fiamme nere lo avevano incendiato.
Astril urlò qualcosa all’amica e Keira le si gettò sopra, salvandola da un attacco.
“Maledizione! Stai attenta, questo non è un gioco!” le sbraitò e afferratala per il cappuccio del mantello le fece schivare un'altra sfera. Astril ruzzolò poco lontano, finendo vicino alla cameriera.
“Chi è che ci fa questo?” gridò Felixia in procinto delle lacrime e come risposta ottenne altre parole incomprensibili.
“LAGGIU’!” urlò Keira. Aveva individuato qualcuno nascosto dietro una roccia “Vieni fuori maledetta!” ed astratto il pugnale dalla cintura lo lanciò in quella direzione, ma la figura si scansò in tempo.
Le sfere nere cessarono d’un tratto e un ringhio riempì l’aria. Astril e Felixia, strette l’una all’altra, fissavano sgomente la roccia, mentre a Keira, già con la mano sulla spada,  fiammeggiavano gli occhi.
La figura uscì lentamente allo scoperto e le pupille di Astril si dilatarono per lo stupore e il terrore.
Si trattava di una donna, avvolta in un mantello nero come la notte, con il capo coperto dal cappuccio. Solo il viso era scoperto, dove un paio di occhi blu sfavillavano micidiali e spietati. Sulla guancia sinistra strani simboli ed intrecci sottili le si arrampicavano, insieme ad uno sullo fronte.
Al suo fianco si ergeva una strana e spaventosa creatura alata, il corpo ricoperto da segni violacei, molto simili per la forma a quelli della sua padrona.
“Tu...” ringhiò Keira.
 “E’ così allora che ti riduci, Keira? Non ti bastava essere finita in prigione? Ti accompagni con queste due sempliciotte?” esordì sprezzante e i suoi occhi si posarono sulla principessa e la cameriera. Il suo sguardo divenne però colmo di stupore, quando incontrò quello già agghiacciato di Felixia. Non era la prima volta che si incontravano, ed entrambe lo sapevano.
“Ciò che faccio non è affar tuo. Adesso vattene”
“Stupida. Non sei nella posizione per impartire ordini. È meglio che ti arrenda subito, se non vuoi trovare la morte”
Keira sguainò la spada, producendo un rumore sibilante. La nemica rimase impassibile.
“Molto bene, allora. Se questo è ciò che vuoi” anch’ella sfoderò una spada affilata da sotto il mantello, che vibrò di un bagliore oscuro e che si espanse intorno alla donna.
“La tua spada contro la mia, i tuoi semplici trucchi magici contro i miei poteri. Vedremo come andrà a finire questa volta. Ma prima...” tornò a guardare Astril e Felixia, che per tutto il tempo erano rimaste immobili, troppo angosciate e stupefatte per poter muovere un solo muscolo.
“Ferma, loro non hanno nulla a che fare con questa storia, non avrai giovamento uccidendole”
“Meglio eliminare ciò che è inutile e debole”
Un lampo di energia scaturì dalla sua mano. Keira tentò di fermarla, ma senza successo, e la saetta  colpì in pieno petto Astril.
La principessa strillò di dolore e dopo qualche convulsione si accasciò al suolo.
“ASTRIL!” urlano sia Felixia che Keira e la Mildriend, colma di odio, si avventò contro la nemica.
Night Mare si spostò agilmente e parò un altro affondo con la sua spada. Tentò poi di attaccare Keira, ma ella riuscì ad evitarlo.
Mentre la Mildriend e la donna combattevano, Felixia cercava di rianimare Astril.
“Ti prego, ti scongiuro rispondimi!” non faceva altro che strillare, ma invano. La principessa non si muoveva.
“Cosa le hai fatto? Dimmelo!” urlò Keira. Mirò al fianco di Night Mare, ma la spada rimbalzò indietro, sospinta da una forza oscura.
“Non è morta, se è questo che vuoi sapere. Ma ci vorranno pochi attimi prima che il mio incantesimo le offuschi i sensi, per portarla poi alla morte”
“Doiléire!” chiamò, e la creatura giunse con un balzo al suo fianco, facendo indietreggiare Keira.
“Lascio a te il compito di distruggere l’altra. Vai!”
Con una velocità impressionante l’essere si lanciò contro Felixia e la ragazza riuscì ad evitarlo per un pelo. Si nascose dietro ad un masso, ansimando e tremando. Sapeva di non avere speranze contro quella creatura. Astril era in fin di vita e Keira stava combattendo contro quella maga. Sarebbe morta, di questo era sicura, ma, per quanto fosse la paura, avrebbe cercato almeno di prendere tempo, tempo da dare a Keira. Deglutì e si lanciò di lato quando l’essere frantumò la roccia con un bagliore viola prodotto dalla sua gola.
Felixia corse da Astril e prese il proprio pugnale dalla sacca, pur non sapendolo usare.

“Lasciala strare. È solo una cameriera, non rappresenta alcuna minaccia!”
“Taci, Mildriend. Le tue sono solo parole al vento”
Keira le indirizzò una palla di luce, ma la sfera si dissolse prima di giungere a destinazione.
“Questo combattimento è inutile” decretò Night Mare fredda “E’ da tempo che non ci affrontiamo, ma noto che le tue capacità in combattimento non sono affatto migliorate. Cosa che non si può dire di me”
Serrò la mano in un pugno e Keira si immobilizzò. La spada le cadde di mano e le sue membra presero a contorcersi. Non sapeva cosa stesse accadendo, ma era micidiale. E non poteva fare niente per impedirlo.
Nella stessa situazione si trovava Felixia.
Il suo pugnale aveva mancato sin da subito il bersaglio ed era volato lontano. La cameriera, appoggiata contro una roccia, il viso rigato di lacrime, si rispecchiava negli occhi ametista della creatura, che stava preparando il colpo finale. Ma questo non arrivò mai.
Una freccia si conficcò alla perfezione nel collo dell’essere che ringhiò di dolore. Altre frecce si confissero nel suo corpo, scoccate abilmente dall’arco di una giovane ragazza. Ella schivò con leggerezza impressionante ogni colpo che la creatura cercò di infliggerle e prontamente scagliò altre due frecce.
Così come la bestia, anche Night Mare emise un grido e Keira ne approfittò per liberarsi dall’incantesimo e colpirla al braccio con la sua spada.
La donna barcollò imprecando e prontamente si portò vicino alla creatura. Vi salì in groppa e dopo aver lanciato altre sfere spiccò il volo e sparì.
La giovane arciera provò a colpirla con altre frecce, ma ormai la nemica era troppo lontana.
“E’ inutile, è fuggita!” disse Keira raggiungendola.
“Keira! Cos’è successo? Sei ferita?”
“Non preoccuparti per me, dobbiamo aiutare loro piuttosto”
Si avvicinarono ad Astril e Felixia. La cameriera era svenuta per la fatica e lo spavento e la principessa non aveva
più accennato a muoversi.
“Ma loro...” fece l’arciera. 
“Dobbiamo portarle al nascondiglio” Keira sollevò Felixia “Hanno bisogno di cure, soprattutto Astril, che è stata colpita da un lampo di Night Mare. Ti spiegherò tutto dopo, adesso dobbiamo sbrigarci”
La ragazza annuì e senza dire altro prese la principessa in braccio.
Le porte del nascondiglio erano ormai vicine.


 

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Capitolo 8
*** Ait Hiding ***




Ait Hiding

Quando il fulmine nero aveva attraversato il corpo di Astril, la prima cosa che la principessa aveva

percepito, dopo il dolore atroce, era stato il buio, un buio oscuro, profondo e soffocante. Non era durata a lungo però, quella sensazione, poiché dopo poco tempo le tenebre si erano diffuse lievemente, mostrandole ciò che stava accadendo come nascosto da un sottile velo grigiastro. Aveva scorto l’ombra di Felixia sovrastarla e muoversi agitata, nel tentativo di rianimarla; allora Astril aveva provato ad urlare e a chiamarla, ma non un suono era uscito dalle sue labbra. Così aveva capito. Nella realtà lei era priva di sensi e quello era solo il suo inconscio, la sua mente; seppur confuso riusciva a vedere tutto, ma Keira e Felixia non lo potevano sapere.
Così come loro, anche la principessa aveva lottato, combattuto contro quella spessa cortina grigia che le impediva di uscire da quel nulla, ma i suoi sforzi erano stati vani, e l’oscurità aveva iniziato a calare su di lei con ancora più forza e violenza. Le tenebre l’avevano inghiottita, insieme a parte della sua regione e della sua consapevolezza. Poi però, un’improvvisa luce turchese l’aveva avvolta, disperdendo il buio sino a farlo dissolvere, e insieme ad essa un’inebriante profumo l’aveva come destata.
Era sobbalzata e le sue pupille si erano rispecchiate di nuovo nel turchese, ma questa volta non si trattava di luce, bensì di due iridi, due occhi turchesi gentili, che l’avevano guardata con cordialità e incoraggiamento. Dopo di ciò, era sprofondata di nuovo nel sonno, ma dell’ombra non vi era stata più traccia.
Ed ora, si trovava dentro ad una stanza, adagiata in una branda, con delle vere coperte ed un cuscino, su cui poggiavano disordinati i suoi capelli bicolore. Alcuni fori creati nel soffitto permettevano ai sottili raggi solari di passare e di illuminare l’ambiente: pochi mobili decoravano quel luogo, un semplice tavolo di legno e una sedia affiancavano la branda e poco lontano si ergeva uno scaffale ricolmo di provette, alambicchi, coppette e strane erbe.
Astril si stropicciò gli occhi confusa. Non riusciva a ricordare cosa fosse successo e non aveva idea di dove si trovasse. Fece per mettersi seduta, ma una stilettata di dolore le attraversò il petto e con un sibilo sofferente la ragazza fu costretta a rimanere supina.
Recentemente situazioni del genere le capitavano spesso, considerò, esattamente come nella palude e quando Keira l’aveva dovuta medicare.
Keira!
Bastò il nome della Mildriend perché le tornasse ogni cosa alla memoria. Una misteriosa ed inquietante maga aveva teso loro un’imboscata e le aveva attaccate, per poi colpirla con quel fulmine nero. Ma dopo? Cos’era successo dopo?
“Non dovresti muoverti troppo nelle tue condizioni, sei ancora convalescente” una voce pacata e melodiosa le giunse alle orecchie e sull’uscio apparve la figura di una donna.
Due luminosi occhi turchesi spiccavano sui lineamenti delicati del viso, gli stessi occhi che Astril aveva scorto al suo primo risveglio; i capelli, più rossi del fuoco,  erano stretti all’indietro in una treccia, mentre le labbra sottili  erano distese in un sorriso mite.
La principessa non riuscì a pronunciare una sola parola. Il suo sguardo si era fissato sin da subito sul viso di quella donna e sui suoi capelli rossi porpora, segno inconfutabile della sua stirpe, e si era come cristallizzata sul posto. Un Mildriend, a pochi passi da lei si trovava una Mildriend, e questo voleva dire solo una cosa...
“Provi dolore al petto?” la voce della ragazza interruppe i suoi pensieri.
“Un po’, si...”
La Mildriend si portò vicino allo scaffale, prese una boccetta dalla forma insolita, e poi si avvicinò ad Astril, che aveva seguito come ipnotizzata ogni suo movimento.
“Sbottonati la veste, per favore”
Astril ubbidì, rendendosi conto di stare indossando un semplice abito color terra. La donna immerse  la punta dell’indice nella boccetta , poi sfiorò tracciando piccoli movimenti circolari il petto della giovane, il cui dolore diminuì all’istante.
“Va meglio?”
“Sì, decisamente meglio, grazie” rispose Astril sorpresa, riallacciandosi la veste. Si sentiva terribilmente confusa e spaesata.  Tante domande le vorticavano per la mente, ma non sapeva né come né da dove incominciare. Fortunatamente per lei, ci pensò la misteriosa donna a tirarla fuori da quell’impiccio.
“Immagino che tu voglia sapere dove ti trovi”
“Sì è così, in effetti. I miei ricordi sono frammentati e non ho idea di come sia giunta qui”
“Bene, sono lieta allora di darti il benvenuto a Ait Hiding! O, se ti suona più famigliare, al nascondiglio dei Mildriend. Il mio nome è Ireth”.
La principessa fece per presentarsi, ma l’altra la interruppe “Non c’è bisogno che tu mi dica il tuo, tu sei Astril, la principessa Desideria”
“Sì, esatto... Ma come fai a saperlo?”
“E’ stata Keira a dirmelo, non appena tu e la tua amica siete arrivate qui”
Astril sobbalzò.
“Felixia! Come sta? È salva? E Keira?”
“Stanno entrambe bene, non preoccuparti. La ragazza dai capelli blu era molto impensierita per te, è venuta a trovarti spesso. Keira in questi giorni è stata molto occupata, ma sono convinta che presto verrà a farti visita” sorrise.
“Un momento...’in questi giorni’, hai detto?” Astril sbatté le palpebre perplessa “Per quanto tempo sono rimasta priva di sensi?”
“Quattro giorni”
Astril non credette alle sue orecchie. Aveva dormito davvero così tanto?
“Non esserne sorpresa” disse Ireth, notando il suo viso sconvolto “Hai subito un duro colpo, molti altri al posto tuo non sarebbero riusciti a sopravvivere. Hai mostrato una grande resistenza al potere malefico di quel fulmine nero, oltre ad essere stata incredibilmente fortunata. Sono riuscita a salvarti appena in tempo”
La principessa non rispose, profondamente turbata. Non aveva mai provato prima di allora un dolore così micidiale  e difficilmente se lo sarebbe scordata. D’istinto si portò una mano al petto.  Chi era la donna che l’aveva attaccata? Cosa voleva e da dove veniva?
“Quando potrò rimettermi in piedi?” domandò.
“Questo dipende da te, ma ti consiglio di restare a letto ancora qualche ora e riposare. Devi recuperare appieno le forze per evitare una ricaduta” con un fruscio si avvicinò all’uscio della stanza e sorrise “Nel frattempo, però, potrei dire alla tua amica di venire qui, le farà piacere vederti in salute”

Felixia fu così sollevata che per poco non si mise a piangere dalla gioia. Quei giorni erano stati per lei all’insegna dell’angoscia, aveva  seriamente temuto per la vita di Astril, ed ora, nel vederla sana e salva, quel blocco di inquietudine e ansia che le aveva attanagliato il cuore per tutto il tempo si era finalmente sciolto.
Si strinsero in un forte abbraccio. Come lei, anche la principessa era felicissima di rivederla, oltre che ansiosa di sapere di più sulle sue vicissitudini. Perciò, dopo essersi separate, Felixia non perse tempo e iniziò subito il suo racconto, non mancando di scendere nei particolari; le narrò del suo scontro contro la feroce bestia alata, della potenza della maga e del tempestivo intervento di una misteriosa arciera.
“Dopo di ciò non ricordo molto, a dire il vero, anche perché credo di aver perso i sensi. Mi sono infatti risvegliata in un branda, in una stanza al piano terra di questo edificio”
“Capisco, direi che tutto sommato le nostre storie sono piuttosto simili” sospirò Astril “Rammentiamo ben poco di quello che ci è accaduto, e non sappiamo nulla sulla donna che ci ha attaccate” represse un brivido gelido. Il solo pensiero di quella maga le riempiva il cuore di terrore.
“Non avevo mai visto qualcuno di così potente! Avreste...avresti dovuto vederla combattere contro Keira! Era micidiale, una spietata macchina da guerra! L’ha addirittura messa in difficoltà!”
Il solo raccontare aveva fatto aumentare il battito cardiaco della cameriera, ancora scossa e segnata dall’accaduto. Prima di allora nessuna delle due aveva mai visto qualcuno praticare la magia oscura, anzi, a parte Keira non avevano mai visto nessuno utilizzare la magia in generale, e l’esperienza non aveva lasciato loro belle sensazioni. In realtà, nella loro ingenuità, non avevano nemmeno ponderato la possibilità che esistesse qualcuno in grado di padroneggiare incantesimi così malvagi e letali. Ed ora, aver scoperto questa verità, non le rendeva affatto tranquille.
“Secondo te perché ha attaccato proprio noi?” mormorò inquieta Astril.
“Non saprei dire,  anche se credo che l’obbiettivo non fossimo noi, ma piuttosto Keira. La...la maga prima di fare qualsiasi cosa ha cercato di eliminarci, perché ci considerava d’intralcio. “Meglio eliminare ciò che è inutile e debole”, così...così a detto. Inoltre, lei e Keira sembravano conoscersi...”
Astril annuì pensierosa.
“Già, questo l’ho notato anche io”
Di sicuro il momento non era dei più opportuni, ma non poté a fare a meno di pensare a quanto lei e Felixia sembrassero delle cospiratrici, con quell’aria impensierita e il tono di voce basso. Avrebbe ridacchiato, se la situazione non fosse stata così critica.
“Quando mi sono ripresa, Keira è subito venuta da me. Avrei voluto chiederle qualcosa, ma...mi vergogno a dirlo, ma ero troppo impaurita e a disagio per farle domande. E in ogni modo non avrei avuto il tempo perché mi ha portato fuori immediatamente”
“Cosa?” Astril sgranò gli occhi e d’impeto le afferrò una manica, facendola sussultare “Ti ha fatto visitare Ait Hiding!?” 
“Non esattamente, mi ha portato in una strana sala, poco lontano da qui. Dentro c’erano delle persone, tutti Mildriend ovviamente. Mi hanno fatto qualche domanda e poi...poi uno di quelli più anziani –lo hanno chiamato Primo Saggio- mi ha controllato i capelli, non so per quale motivo, ma anche una vecchietta subito dopo di lui l’ha fatto. A quanto pare però non ho confermato i loro dubbi, sembravano abbastanza tranquilli. Hanno aggiunto che mi avrebbero fatto delle altre domande insieme a te, poi Keira mi ha riportata qui e non sono più uscita. È dall’ora che non la vedo”
Astril non se ne sorprese. Non doveva dimenticare che Keira era stata mandata a Desponia per ucciderla; lei era anche una Desideria, nonché la maledetta nipote di Moron ai loro occhi! Sicuramente non dovevano aver preso bene il suo arrivo al loro covo. E se Keira si fosse trovata nei guai a causa sua? In fondo, aveva fallito la missione!
“Devo trovarla e parlare con lei!”
Si alzò di scatto dal letto e si infilò un paio di scarpe basse.
“Ma...non credo che possiamo uscire!” esclamò Felixia.
“Sono d’accordo, vi perdereste subito”
A parlare era stata una gioviale voce sconosciuta, alla loro sinistra. Sorprese si voltarono e,  appollaiata sulla finestra, scorsero una ragazza, che con fluidità entrò nella stanza.  Il suo abbigliamento, costituito da morbidi e pratici abiti, seguiva i colori della natura: una maglia verde palude terminava con uno stretto corpetto in vita, da cui partiva della leggera stoffa a coda di rondine verde oliva. Il resto degli abiti, come i pantaloni, seguivano invece i colori della terra. Poco più in su del corpetto vi era infine una spilla dorata, su cui riluceva una piccola pietra bianca splendente. L’insieme era a dir poco particolare, ma ciò che colpì di più Astril fu la singolare ed elaborata acconciatura della giovane, che le scrutava ridente con un paio di limpidi occhi verde giada.
“Ecco perché, sarò lieta di farvi strada” riprese.
“Chi sei tu?” domandò la principessa.
“Il mio nome è Idril, ho già avuto l’occasione di vederti, mentre eri priva di sensi. Lo stesso vale per te” si rivolse a Felixia.
“Sì, mi ricordo! Sei l’arciera che ci ha salvate, e ci siamo anche riviste in quella sala!”
“Esattamente” si avvicinò alla porta “Coraggio, non volevate uscire?” e si avviò.
Senza perdere tempo, Astril e Felixia la raggiunsero.
“Dove siamo dirette?”
“Alla Sala della Voci, un’altra rispetto a quella in cui sei stata portata se te lo stai chiedendo, Felixia. Minacciosamente parlando è anche chiamata la Sala degli Interrogatori, ma non fatevi spaventare”
Scesero vari gradini per poi giungere all’aperto. Ed Astril non poté impedire alla sua bocca di spalancarsi.
Si trovano dentro la montagna. L’edificio da cui erano uscite e tutte le altri innumerevoli abitazioni che si diramavano si trovano nella roccia. Da fori sul soffitto alto innumerevoli metri filtravano  infiniti raggi solari che rischiaravano per quanto possibile l’ambiente, ulteriormente  illuminato da torce. La città proseguiva oltre, alcune zone scendevano ancora più nel cuore della montagna, ma l’unica cosa che Astril riusciva a vedere da quel punto erano sagome di case che si inoltravano nell’ombra e le torce ridotti a puntini luminosi che fluttuavano nel buio. La parete rocciosa in quel momento pareva brillare, creando uno spettacolo a dir poco suggestivo. Ma non era solo la montagna ad emozionare la giovane, bensì la popolazione che tranquillamente stava transitando; uomini, donne, ragazzini, anziani, ognuno di loro era un Mildriend, chi di stirpe pura chi mezzosangue, ma su ogni capo risaltava almeno una ciocca rosso porpora.
Astril sarebbe rimasta lì in eterno a contemplare, ma fu costretta a proseguire. Le persone parevano non accorgersi del loro passaggio, talvolta qualcuno la indicava, sorpresi di trovare una mezza Desideria, ma ignari di camminare al fianco della nipote di Moron.
Percorsero una via molto lunga, fino a giungere di fronte ad un’enorme spaccatura nella roccia. Da lì si proseguiva scendendo su una scalinata di gradini in roccia duri e lisci, illuminati di qualche torcia, il cui fuoco, si accorse Astril, dava l’impressione di non essere una fiamma comune.
La Mildriend fece loro il gesto di seguirla e le ragazze, facendo attenzione a non scivolare, ubbidirono. Non scesero troppo in profondità, comunque, e si fermarono dopo una quarantina di gradini di fronte ad un enorme portone. Più avanti, gli scalini scendevano ancora nel buio, verso una destinazione completamente sconosciuta alle due straniere.
L’aria, sebbene fosse più spessa rispetto a prima, era ancora perfettamente respirabile.
Idril bussò due decisi colpetti, dopodiché aprì il portone, invitando le altre a seguirla.
La stanza all’interno era enorme, di nuda roccia, ma completamente priva di qualsivoglia arredamento; solo due piedistalli dalla forma insolita, di un materiale argento scuro, su cui sfavillavano due enormi fiamme di luce bianca, decoravano quel luogo e lo rischiaravano.
Quando entrarono, numerosi sguardi si posarono su di loro, per lo più ostili e taglienti, ed Astril si sentì tremendamente a disagio. Lo stesso valeva per Felixia, sebbene non si trattasse per lei di un’esperienza del tutto nuova.
La prima persona che Astril individuò fu Keira, alta e statuaria, le braccia strette al petto e l’espressione severa, ma -forse- una delle meno astiose della sala. Al sua fianco stava Ireth, che sorrideva mite e pacata, gli occhi turchesi che parevano mandare una carezza. Dall’altro lato stavano  altre due figure, una donna, dai voluminosi capelli rossi mossi e gli occhi scuri, che la scrutavano beffardi e maliziosi, e, poco lontano, un ragazzo. Egli se ne stava appoggiato contro la parete, il capo leggermente inclinato. Qualche ciuffo dei capelli corti rosso castani –chiaro segno del legame con la stirpe dei Naihm, chioma castana- gli ricadevano sugli occhi color ambra, irosi e combattivi.
Infine, sul fondo, stavano nove persone; un uomo distinto dai capelli rossi leggermente brizzolati, con un accenno di barba e dal sorriso gentile, sette anziani ed una vecchietta tutta ricurva, appoggiata ad un bastone di noce.
Astril e Felixia si fermarono proprio al centro della sala e si scambiarono una fugace occhiata di incoraggiamento.
“E così, giunge di fronte a noi la tanto nominata Astril, nipote di Moron e mezza Mildriend” esordì uno degli anziani, il Primo Saggio, scrutandola attentamente. La ragazza annuì lentamente.
“I giri di parole non sono mai stati nella nostra indole, perciò andremo direttamente al dunque senza esitazioni. Non c’è bisogno che ti esponiamo quale fosse il compito di Keira...” la indicò con un rigido gesto della mano “...nei tuoi confronti. Allo stesso modo siamo certi che ti sia chiara la nostra posizione nei confronti dei Desideria e in particolare del tiranno Moron, causa di morti e sofferenze tra la nostra gente ma non solo, di conseguenza comprenderai che la tua presenza qui non sia affatto gradita. In base a quanto deciso dalle persone qui presenti, il tuo destino a nostro avviso, inizialmente, doveva essere diverso, ma, in seguito ad alcune scoperte, le cose si sono orientate verso altri orizzonti. Sei pregata, or dunque, di raccontare ai presenti ciò che dicesti a Keira nelle prigioni del castello”
Astril prese un bel respiro e, cercando di non far tremare la voce, prese parola, narrando ogni singola cosa. Alla fine del monologo, il Primo Saggio le fece altre innumerevoli domande, a cui Astril rispose con assoluta sincerità; informazioni riguardanti ad esempio la sua vita precedente, il ruolo di Alidiana in tutto quello e la sua condotta durante il viaggio. Spiegò anche del suo travaglio per tenere nascosta a Moron la propria natura e del suo terrore per lo zio.
A fine racconto, il silenzio calò nella sala. I Saggi cominciarono a parlare tra di loro, intervallati dai gesti concitati della vecchietta, che pareva non riuscire a star ferma. Poco dopo, anche l’uomo si inserì nella conversazione. Per il resto, tutti tacevano. Keira pareva voler comunicare qualcosa con lo sguardo ad Astril –approvazione, forse? Incoraggiamento?- , la principessa non avrebbe saputo dirlo.
Fu poi il turno di Felixia parlare, senza che fosse stato ancora detto niente su Astril. Le vennero posti molti quesiti, alcuni anche molto personali. La ragazza rispose quasi a tutti, le uniche cose che non disse furono quelle che nemmeno lei stessa sapeva. Informazioni sul suo passato, sulle sue origini.
“Abbiamo ponderato attentamente le vostre testimonianze” esordì il Primo Saggio “Noi tutti rimaniamo non del tutto persuasi dalle vostre parole, alcune cose ci sfuggono e non ci convincono appieno. Rimanete sempre una Desideria e una giovane dalla stirpe sconosciuta; tuttavia...”
“Tuttavia!?”
Una voce rabbiosa riecheggiò interrompendo il Saggio. Tutti si voltarono verso il ragazzo che aveva parlato.
“Forse sarò irrispettoso, ma questo è un Consiglio e mi permetto di esprimere la mia opinione. Ero d’accordo su ogni tua affermazione, fino a quando non hai aggiunto quel ‘tuttavia’ che, immagino, presupponga una valutazione a loro favore. O mi sbaglio?”
Il Primo Saggio si limitò a tenere lo sguardo fisso sul suo volto rabbioso senza proferire parola.
“Come temevo, allora” riprese il ragazzo. Si allontanò dal muro e avanzò di qualche passo.
“Ero presente alla Riunione riguardante l’argomento, e mi pareva che la decisione fosse stata presa senza esitazione: eliminare l’erede di Moron! Quasi tutti eravamo d’accordo ed ora mi state dicendo che sareste disposti ad accogliere qui la stessa persona che avevamo deciso di assassinare? Non lo posso accettare!”
L’uomo più giovane  si posò un mano sul viso con fare sconsolato e arrendevole, mormorando qualcosa,  ma il ragazzo lo ignorò volutamente.
“Da quando in qua ci fidiamo così facilmente? Chi ci assicura che stiano dicendo il vero? Non basteranno di certo le testimonianze –sicuramente false- di due perfette estranee, tra cui  quella di una Desideria, stirpe bugiarda e ipocrita” quasi sibilò le ultime due parole “Ad assuefarmi! Potrebbero essere benissimo delle spie, mandate qui direttamente da Moron!”
“Taci un po’, Khaled”
Keira, lo sguardo più freddo e duro della roccia, lo interruppe perentoria. Il ragazzo si voltò verso di lei, ricambiando l’occhiata con un’espressione di sfida.
“Ciò che dici non ha senso, non hai ascoltato le loro parole? L’ipotesi che ci possa essere un complotto è del tutto scartabile. Io ero presente, ho assistito ad alcune dinamiche che tu non ha visto, e, come ho già detto precedentemente, garantisco per loro”
Astril sussultò e si girò verso di lei, colma di stupore. Keira...le aveva difese?
“Garantisci per loro? Allora sei una sciocca, perché ti sei fatta abbindolare. O forse ora sei dalla parte del Consiglio per rimediare ad una mancanza?”
“Cosa vorresti dire?”
“Mi riferisco alla missione, avevi un solo compito da fare, eliminarla. Ma hai fallito. Se l’ incarico fosse stato affidato a me, le cose sarebbero andate in maniera diversa e a quest’ora non dovremmo preoccuparci di nulla”
“Se fossi andato tu, avresti commesso solo sbagli, più gravi di miei. Io so quello che ho visto, quello che ho appreso, e rimarrò fedele alle mie opinioni. Ho riflettuto a lungo, le miei conclusioni sono state pensate e ponderate attentamente. Io ragiono prima di parlare, al contrario di qualcun altro”
“Sarà come dici” si intromise la donna dai capelli ricci con un sorrisetto “Ma io sono totalmente d’accordo con Khaled”
“Nessuno ha chiesto il tuo intervento”
“Ti infervori molto, vedo. Hai forse la coda paglia?”
“Si può ragionare quanto si vuole, ma alla fine se le conclusioni sono sbagliate come la mettiamo?”
“SILENZIO”
Il dibattito venne all’improvviso interrotto dalla voce rigida e autoritaria del Primo Saggio. Le fiamme dei bracieri quasi tremolarono, e tutti tacquero.
“Questi diverbi sono disonorevoli, non vi abbiamo riuniti qui per assistere a questo. La questione è seria, dobbiamo decidere il destino di queste due giovani, e la decisione non deve essere presa con leggerezza. Gli eventi hanno intrapreso un corso diverso ed ognuno di noi deve farsene una ragione”
“Potete dire quello che volete, ma io continuo a non fidarmi. Devono essere allontanate dalla comunità, e subito”
“La situazione deve essere affrontata con criterio” s’intromise il Terzo Saggio.
“Io credo invece che la situazione debba essere trattata con più...leggerezza”
A parlare era stato un altro anziano, con il tono di voce basso e quieto. Astril lo osservò. Era vecchio, molto vecchio, i capelli e la barba erano quasi completamente bianchi, ad eccezione di qualche striatura rossa. I suoi occhi castani, rispetto a quelli del Primo e del Terzo Saggio, erano molto più distesi e tranquilli.
“Sono convinto che stiamo dando troppo peso a tutta questa storia. Non abbiamo forse strapazzato abbastanza queste due giovani già provate? Non potremo sapere in ogni caso quale sia la verità e non credo comunque che sia una cosa saggia abbandonarle al loro destino. Se come dici, Khaled, sono davvero delle spie, non è forse meglio tenerle qui, sotto il nostro sguardo?”
Il ragazzo non rispose e abbassò gli occhi con riluttanza.
“Con queste mie parole non voglio certo dire che venga data loro fiducia immediata, perciò, ho pensato ad un compromesso: alcuni di voi si occuperanno di supervisionarle e di mostrare loro Ait Hiding, almeno per i primi periodi. Se si mostreranno degne della nostra fiducia, allora verranno integrate pienamente nella nostra comunità, in caso contrario...beh, penseremo a dei provvedimenti. Cosa ne dite?”
“Io trovo che sia un’ottima idea” approvò il Sesto Saggio entusiasta.
“Forse un po’ azzardato, ma credo che si possa fare” disse il Primo. Gli altri Saggi si mostrano d’accordo, eccetto il Terzo Saggio, non totalmente convinto.
“Linus, tu cosa ne pensi?”
“Non avrei trovato compromesso migliore” sorrise l’uomo.
“Quisaadi?”
La vecchietta annuì contenta e anche Keira, Idril e Ireth approvarono, mentre la donna dai capelli ricci scosse la testa con espressione stizzita.
Khaled sbuffò contrariato e senza rivolgere la parola a nessuno voltò le spalle e se ne andò.
Astril e Felixia poterono invece sospirare sollevate. Fortunatamente la situazione, grazie soprattutto all’intervento di Keira e del Saggio, si era volta in loro favore, sebbene per un attimo avessero davvero temuto il peggio.
L’assemblea venne sciolta e mentre i Saggi, Linus e Quisaadi rimasero nella stanza, Astril e Felixia vennero ricondotte fuori. Tuttavia, prima di proseguire, alla principessa sorse spontaneo voltarsi per un attimo verso l’oscurità alle sue spalle, misteriosamente attratta. Non poté indugiare troppo comunque, poiché Keira la esortò a muoversi.
Giunsero infine in superficie e si fermarono proprio davanti all’uscita del varco che avevano attraversato.
“E adesso...che cosa facciamo?” domandò Felixia. Sia lei che Astril si voltarono verso Keira in attesa di una risposta, ma la Mildriend non diede segno di aver udito e rimase per qualche istante immobile con lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava immersa in chissà quali pensieri.
“Il vostro destino ormai non mi riguarda più. Da questo momento le nostre si dividono” parlò poi.
“Come?” esclamò Astril incredula “Io...io credevo che ci avresti mostrato Ait Hiding! Insomma, che...”
“La mia presenza è richiesta altrove, ho cose molto importanti di cui occuparmi, perciò vi saluto. Vi auguro buona fortuna, e vi chiedo di non cercarmi”
Con queste parole, la Mildriend si allontanò, lasciandole sole. Astril la guardò andare via rammaricata e leggermente risentita. Non riusciva a credere che, dopo tutte le avventure e i pericoli affrontati, Keira le abbandonasse così. Non che si aspettasse particolari riguardi, ma nemmeno un addio così freddo e distaccato. L’avrebbero mai rivista? Dopotutto Ait Hiding era enorme.
Le due ragazze si guardarono smarrite, non avendo idea di cosa dovessero fare. Si sentivano totalmente perse e spaesate.
“Non preoccupatevi per Keira. È sempre stata così, e credo che continuerà ad esserlo”
Idril apparve alle loro spalle, le labbra distese in un sorriso spensierato.
“Suvvia, via quei visi sconsolati” riprese ottimista “Avete retto perfettamente l’interrogatorio, dovreste essere felici, senza contare che avete un’intera città da vedere! Ti andrebbe di iniziare subito, Astril?”
La principessa sorrise, improvvisamente rincuorata. Era chiaro che il compito di sorvegliarla fosse stato affidato a quella ragazza e, per qualche strano motivo, la cosa non le dispiaceva affatto. Quella giovane le trasmetteva allegria e le infondeva sicurezza. La sua persona rimaneva ancora un mistero, eppure  qualcosa le diceva che sarebbe stata bene in sua compagnia.
Frattanto Felixia aveva iniziato a guardarsi freneticamente intorno. E lei? Cosa avrebbe fatto lei?
“Nessuno si è dimenticato di te, se è questo che ti stai domandando” le disse la  voce dolce di Ireth. 
“Al momento non posso mostrarti la città,  perché devo  mettere appunto alcune erbe e medicinali. Perciò, ti andrebbe di aiutarmi? Potrei insegnarti qualcosa nel frattempo. È sempre buona cosa avere qualche conoscenza medica, non si sa mai cosa potrebbe accadere”
“Assolutamente, ne sarei felice” esclamò la cameriera, traendo intimamente un sospiro di sollievo.
Così, Astril e Felixia, la prima desiderosa di esplorare e la seconda di imparare, si incamminarono in due direzioni opposte, al seguito della loro guida.
E mentre Idril e la principessa si inoltravano in Ait Hiding, in un luogo sconosciuto, nascosta nelle tenebre, una tenue luce porpora cominciava lentamente a brillare.




 

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Capitolo 9
*** Verità dal passato ***


 





Verità dal passato

 

Idril si era rivelata una guida particolarmente vitale, assai agile e dal passo così svelto da mettere a dura prova la resistenza e la velocità di Astril. La principessa era stata condotta ovunque, in tutti gli angoli di Ait Hiding, aveva attraversato ogni crepa e fessura, aveva camminato su pendii e strapiombi di roccia, era scesa e salita di livello in livello innumerevoli volte, e tuttora la visita sembrava non essere ancora giunta al termine.
“Dimmi Astril, come ti è sembrata la nostra casa fino ad ora?” domandò la giovane Mildriend allegramente.
Stavano percorrendo una scalinata di dura e scivolosa roccia addossata alla parete, che le avrebbe portate in uno degli strati più bassi della struttura. Sebbene i gradini serpeggiassero ripidi verso il basso, Idril pareva avanzarci con facilità, senza neppure bisogno di aggrapparsi, al contrario di Astril che, le dita serrate alle protuberanze della pietra, avanzava tentennante un passetto per volta.
“La trovo spettacolare, nemmeno paragonabile a ciò che avevo immaginato” rispose con un sorriso, il primo da quando aveva messo piede su quella gradinata “Anche se...gnh, non molto facile da visitare e...alquanto pericolosa” gettò un’occhiata allo strapiombo sottostante e deglutì.
Idril ridacchiò e con un balzo atterrò su un’altra scalinata.
“In effetti Ait Hiding non vanta per la sicurezza dei suoi passaggi” ammise, aiutando un’Astril tramante a scendere “Ma si tratta comunque di un ottimo rifugio, lontano da occhi indiscreti, ed è anche un posto tutto sommato accogliente, perciò non ci lamentiamo!”
“Senza dubbio avete fatto un magnifico lavoro, considerando che prima non c’era nulla se non la nuda roccia”
“Non esattamente, vi era già qualcosa, quando siamo arrivati qui”
“Sul serio?”
“Sì, credo che nelle ere passate sia stato il nascondiglio di qualcun altro, forse di un altro popolo o l’accampamento di un esercito. Le strutture dei palazzi erano ancora intatte e a noi è bastato ristrutturarli da cima a fondo e procurarci il resto necessario per vivere”
“Come lo avete trovato? Non ho visto l’entrata, ma sembra ben nascosto...” osservò Astril.
“È stato Linus!” esclamò contenta “Stavamo vagando alla ricerca di un nuovo rifugio quando si è imbattuto in questa montagna”
“Un nuovo rifugio? Vuoi dire che non vi siete stabiliti subito qui?”
“Proprio così. Per lungo tempo abbiamo vissuto sotto terra, lontano da dove ci troviamo ora. Era un po’ opprimente, senza la luce del sole, e non consentiva grande libertà di movimento, ma era pur sempre una casa. Ero una bambina all’epoca, e facevo disperare un po’ tutti. Sai, non sono per i luoghi chiusi, e cercavo sempre di sgattaiolare via” ridacchiò imbarazzata “A dire il vero, le cose non sono cambiate molto, ma sto divagando. Dicevo, ci eravamo stabiliti in gallerie sotterrane, ma fummo costretti a fuggire a causa di una violenta esplosione”
“Un...un’esplosione!?” balbettò la principessa.
Idril annuì.
“Accadde tutto all’improvviso. Riuscimmo a recuperare poche cose, il resto venne divorato dalle fiamme, e non tutti riuscirono a salvarsi...Tuttora non sappiamo cosa l’abbia causata, ma fu devastante. Non so dirti altro, ricordo poco” si sfiorò la nuca con un piccolo sorriso, quasi a scusarsi per il suo vuoto di memoria.
“Ma non parliamo di queste cose, abbatte lo spirito, e ci servirà grande energia per ciò che stiamo per fare!” esclamò, scoccandole un’occhiata furbesca.
Astril non ebbe il tempo di chiedere alcunché, che venne afferrata per il polso e fatta saltare da alcuni metri. Terrorizzata lanciò uno strillo e, con le gambe malferme, atterrò poco elegantemente su un cumolo si oggetti spezzati. Una scheggia le si conficcò nella mano.
“Non male, è stato divertente!” esclamò la giovane al suo fianco, rallegrata.
“Divertente? Ho rischiato di morire, potevo spezzarmi qualcosa!” strepitò la ragazza sconvolta.
 La passione per le attività emozionanti era un’altra caratteristica di Idril. Amava arrampicarsi e attraversare percorsi tortuosi e impervi, oltre ad essere estremamente curiosa e amante dell’esplorazione. Guardava perplessa chiunque si mostrasse poco incline all’avventura e non comprendeva coloro che la definivano troppo attiva. Semplicemente, adorava perlustrare i territori e divertirsi.
“Esagerata! In ogni modo, te la sei cavata, giusto? Mi apparivi troppo insicura su quella scalinata. In un posto come questo è bene imparare alla svelta come muoversi ed acquisire sicurezza”
“Forse hai ragione...” mormorò Astril, sollevando lo sguardo verso l’alto. Aveva fatto un bel salto.
“Dove ci troviamo?” chiese poi. L’ambiente, illuminato dalle solite torce, presentava oggetti di ogni tipo accatastati alle pareti. Vi era odore di legno e l’aria era divenuta molto più rarefatta.
“Qui accumuliamo gli oggetti rotti, pezzi di legno, mobilia e altro. Se si ha bisogno di materiale, è possibile reperirlo quaggiù”
Con leggiadria saltò su una pila di assi.
“Ti serve un ciocco di legno?” chiese, tirandone fuori uno e porgendolo alla principessa.
“Grazie, ma credo di essere a posto” sorrise stranita. La vide stringersi nelle spalle e gettare via il pezzo.
“Nel caso ti servisse, sai dove trovarlo. Adesso muoviamoci, ho una cosa da mostrarti”
“Ancora?” fece sinceramente stupita “Cosa può esserci d’altro? Mi hai fatto vedere ogni angolo di Ait Hiding, tutte le vie, le grotte, le sorgenti sotterranee, il deposito...”
“Non tutto, manca la mia casa” precisò pacata “Dovrebbe piacerti. Seguimi!”
Arrampicatesi sulla roccia ripercorsero, Astril con un po’ di aiuto, la scalinata a ritroso e finalmente giunsero di nuovo su una superficie ampia e piana. Camminarono per un lungo tratto in silenzio, accompagnate dal vociare allegro dei passanti.
La principessa aveva molte domande da porre ad Idril, ma non sapeva da che parte cominciare. Non voleva rischiare di sembrare troppo invadente e vogliosa di informazioni, data la sua posizione.
“Perciò, fai parte di un Consiglio...”
“Esattamente. I membri si occupano delle missioni più importanti e del mantenimento di Ait Hiding, mentre le decisioni amministrative spettano alla Saggia Quisaadi, ai Sette Saggi e talvolta a Linus. Il mio compito è quello di procurare parte dei viveri e di andare in avanscoperta”
“È  una grande responsabilità, ed è inoltre molto rischioso. Non temi che qualcuno possa scoprirti?”
“Frequento  raramente i luoghi abitati, per la maggior parte solco territori incontaminati, come boschi e foreste, dove caccio e procuro erbe commestibili e medicinali”
“Credevo che di questo si occupasse Ireth” disse perplessa Astril.
“Non è necessario. Ireth è esperta di medicine e incantesimi curativi, ma ho appreso da lei tutte le sue conoscenze, perciò, quando è impegnata altrove, penso io ad ogni cosa”
“Capisco! Quindi del Consiglio fate parte tu, Ireth, Keira e...vi erano anche altre due persone, una donna dai capelli ricci e un ragazzo...”
“Oh, ti riferisci a Myran e a Khaled. Sì, anche loro ne fanno parte”
“Non...non sembrano molto amichevoli”
“Myran è giunta qui tre anni fa e, a dire il vero,  a tutti risulta difficile capirla. Keira non la sopporta”
Astril represse un sorrisetto “Sì, me ne sono accorta, e credo di concordare con lei” aggiunse con uno sbuffo.
L’arciera ridacchiò sommessamente.
“Khaled invece è con noi sin da bambino e, ti sembrerà strano, era peggio di adesso. Era sempre scontroso con tutti e parlava pochissimo. È il suo carattere, come hai potuto vedere questa mattina...”
“Sì, rammento bene...” rispose, ripensando alle parole di quel ragazzo.
“Tra lui e Keira c’è una fortissima rivalità!”
“Vero, ho visto anche questo. Hanno opinioni nettamente opposte”
“Non sono mai d’accordo! E con loro semplici allentamenti diventano veri e propri duelli, sebbene alla fine Keira riesca sempre a disarmarlo, e  da lui questa cosa non è affatto gradita! Vorrebbe riuscire a batterla, ma credo sia impossibile!”
“Anche tu sei un’abile combattente, mi hanno detto...”
“Diciamo che la mia specialità è l’arco. So usare un po’ i pugnali, ma se mi dai una spada non saprò neppure da che parte impugnarla!”
Astril abbassò lo sguardo a terra, abbattuta. Tutte le persone incontrate fino ad ora parevano esperti dell’arte del combattere, al contrario di lei, che non era nemmeno sicura di riuscire a sollevarla, una spada. Sospirò, cercando di rincuorarsi. Dopotutto, che le importava di non saper combattere? Non si sarebbero mai più presentate occasioni di scontro.
“Siamo arrivate!” la riscosse la voce limpida di Idril.
Innanzi a loro giganteggiava un edificio addossato alla parete rocciosa. La superficie in legno presentava numerosi pertugi, e un ampio raggio di sole entrava direttamente nella finestra più alta.
La Mildriend la condusse dentro ed Astril rimase meravigliata.
L’interno, nonostante la mobilia scarna, era estremamente caratteristico e trasmetteva una piacevole sensazione di calore. Le stanze si sviluppavano su più piani e in ogni angolo era possibile notare singolari oggettini, raccolti da Idril durante le sue esplorazioni. Pietre, piccole gemme, piante, fiorellini essiccati e tanto altro. 
Salirono vari gradini fino a giungere all’ultimo piano, dove si trovava la stanza della giovane. Dentro vi era solo una branda, una cassapanca di legno e un piccolo mobile verticale, su cui vi era appoggiata una bacinella e una brocca d’acqua. Poco più in alto stava un frammento di specchio.
“Dove stai andando?” domandò Astril. Idril stava infatti scavalcando la finestra.
“Seguimi!”
Confusa, la principessa si avvicinò al pertugio e un’esclamazione di sorpresa le sfuggì dalle labbra. Una lastra di pietra spuntava dalla parete di roccia e passava sotto alla finestra orizzontalmente. Idril, in piedi sul ciglio, osservava il panorama. Da lì era possibile ammirare buona parte di Ait Hiding.
“Non sembra molto sicuro...” commentò Astril.
“Sì che lo è, più di quanto immagini! Coraggio, raggiungimi. La vista è stupenda!”
Un po’ tentennante, la ragazza si fece forza e avanzò, ma si rifiutò di giungere sin sul ciglio. Idril aveva ragione. Le tremavano le gambe al pensiero dell’altezza esorbitante, ma lo scenario ripagava di ogni cosa.
“Che ti dicevo? Suggestivo, non trovi?”
Astril annuì come ipnotizzata.
“Mi sono accaparrata questa casetta per la vista e per il sole. Sai, mi è difficile starci lontano”
“È stupenda...”
“Mi fa piacere sentirtelo dire. Se ti va, puoi vivere qui per qualche tempo”
Astril sussultò e guardò con tanto d’occhi l’arciera.
“Parli...parli sul serio!?”
“Certamente. Dato che sono la tua custode, credo che questa sia la scelta migliore. Quando avrai ottenuto piena fiducia, perché sono sicura che accadrà,  provvederemo a procurarti una casetta tutta per te”
Astril sorrise commossa, il cuore straripante di gioia. Non si era mi sentita così felice e, in quel momento, Moron, l’interrogatorio e la maga oscura parevano solo un lontano ricordo.

La conoscenza e l’abilità di Ireth avevano lasciato senza parole Felixia.
Ritornate a casa della Mildriend, quest’ultima si era subito rimessa al lavoro, imbottigliando, analizzando e catalogando tutte le erbe. Talvolta sfogliava assorta un piccolo libro dalle pagine ingiallite e consunte, per poi ricominciare a preparare medicinali, le dita diafane e affusolate che sminuzzavano e sbriciolavano rapide.
Felixia al suo fianco la osservava colpita, traendo beneficio ad ogni respiro. L’aria infatti era carica di aromi freschi e salubri, che la facevano sentire energica e in piena salute.
“Per oggi ho finito” disse rasserenata Ireth, appoggiandosi con la schiena alla sedia “A questo punto, posso iniziare a mostrarti qualche erba”
“Sicura? Non dovresti riposare un po’?” fece Felixia.
“Mi sento benissimo, puoi stare serena. Dedicarmi alle erbe e alla medicina non mi stanca affatto, anzi, mi rilassa, e gli aromi mi risollevano lo spirito. Perciò, incominciamo. Sempre se ti fa piacere...”
“Ovviamente!”
“Magnifico!”
Con un sorriso si alzò e si avvicinò allo scaffale, poi, recuperata qualche erba e qualche barattolo, riprese posto.
“Guarda bene, questa è una Leighas*” disse, afferrando un piccolo ramoscello ricoperto di foglioline verdi e minuti fiori azzurri “Può essere definita la madre delle erbe curative. È in grado di curare molti generi di ferite e malattie e viene utilizzata sia da sola sia sciolta in infusi come questo” le mostrò un alambicco tondeggiante contenente un liquido celeste “Purtroppo è molto rara ed è quasi possibile entrarne in possesso. Mi sono rimasti pochissimi ramoscelli e solo questo infuso...”
“Questa invece è Erba Persega, o più comunemente, Maggiorana. Viene utilizzata in caso di indigestioni. Queste sono foglie di Rovo, e vengono impiegate per fare impacchi volti a lenire il dolore di tagli e cicatrici. La Calendula è utile per affievolire le irritazioni della pelle. Il Cren è efficace contro il raffreddore, ma il suo aroma così intenso può provocare lacrimazione e spossatezza a chi lo maneggia per troppo tempo e dosi troppo eccessive potrebbero causare irritazioni”
Mostrò alla cameriera infinità di erbe di cui descrisse tutte le capacità e dove fosse possibile reperirle. Felixia si era rivelata un’ottima allieva e piena di interrese aveva iniziato a segnarsi tutte le informazioni su un piccolo taccuino datole dalla Mildriend. Erano poi passate allo studio degli idroliti e di alcuni infusi semplici da preparare.
“Adesso ascolta attentamente, Felixia”
Ireth parlò con voce seria ed intensa, che fece presagire alla ragazza l’arrivo di un’informazione importante.
“Questa pianta si chiama Curàmach*” disse, mostrandole un erba dalle foglie nere e dai fiori blu scuro “Viene impiegata contro i veleni, ma devi stare attenta! Solo i fiori devono essere utilizzati, e non le foglie. Esse finirebbero solo per velocizzare il processo di avvelenamento e portare rapidamente la vittima alla morte. Molti veleni vengono preparati usando queste...”
Felixia sussultò.
“Perciò...questa pianta può sia curare sia provocare la morte!?”
“Proprio così. Bene, direi che possa bastare. Sei stata brava” si complimentò e riordinando intanto le erbe.
“Ti ringrazio, ma non ho fatto nulla di speciale, ho solo ascoltato”
“Ed hai anche capito, questa è la cosa importante”
“Solo perché ho un’ottima maestra”
Ireth non rispose, ma la guardò dolcemente. Poi continuò a riordinare, sotto l’occhiata riflessiva della cameriera. La prima impressione che aveva avuto su Ireth si era rivelata veritiera: era una bellissima persona, in tutti i sensi. Era dolce e pacata, paziente, e l’aveva trattata come una sorella. Eppure, in quegli occhi turchesi apparentemente sereni, vi era nascosta una strana tristezza, che rendeva talvolta  il suo sguardo distante, perso in chissà quali pensieri.
Felixia le osservò poi i capelli. Così luminosi, legati in una stretta ed elaborata treccia, rossi porpora, simbolo del popolo a cui apparteneva. Quanto avrebbe voluto sapere anche lei quale fosse la sua stirpe, ed eliminare così la sensazione di non appartenere mai a niente.
“Se vuoi, posso legare così anche i tuoi capelli” disse la Mildriend, che si era voltata.
Felixia sobbalzò imbarazzata, colta di sorpresa.
“Mi...mi piacerebbe molto. Grazie!”
Ireth le si portò alle spalle e, con delicatezza, iniziò ad intrecciare la lunga chioma blu. Per la Mildriend, quei capelli erano davvero un mistero. Quando li aveva visti la prima volta, anch’ella aveva pensato ciò che tutti gli altri avevano temuto, ma i loro sospetti erano stati presto confutati. La ragazza però pareva non rispecchiare nessuna delle stirpi esistenti. Quisaadi era parsa molto turbata da questo, l’aveva notato dalla sua espressione, ma non si era espressa.
Felixia intanto si lasciava acconciare la chioma in totale silenzio. Era una situazione nuova per lei, solitamente il compito di sistemare gli altri, in quanto cameriera, era suo.
“Il tuo è un incarico molto impegnativo, comunque” disse dopo un po’ “Nel senso, dal momento che te ne occupi tu sola...”
“A dire la verità, non sono da sola. Idril mi da un enorme aiuto, in quanto in conoscenze mediche mi ha praticamente raggiunto. Inoltre, non sono l’unico medico, qui. Vi sono Linus, i Saggi e Quisaadi, soprattutto l’anziana. E anche molti cittadini si sanno destreggiare con alcuni infusi e impacchi”
Felixia annuì piano, poi chiese “E tu...vivi da sola?”
Le dita di Ireth si irrigidirono all’improvviso, e la cameriera comprese di aver toccato un tasto dolente.
“No, condivido la casa con mia sorella” rispose neutra, non pareva infastidita o arrabbiata per la domanda.
Felixia sbatté le palpebre perplessa. Ireth aveva una sorella? Allora perché non l’aveva ancora vista?
“È in missione. Da un mese...”
“Molto tempo...”
“Già...” mormorò, poi si riscosse “Ma sono certa che tornerà a breve. Non c’è da preoccuparsi!”
La cameriera annuì nuovamente, ma non rispose. Aveva appena scoperto un altro aspetto di Ireth.
Quella donna non sapeva mentire.

                                                                               °°°

I giorni trascorrevano rapidi e lieti. Vivere ad Ait Hiding era come trovarsi in un sogno, un sogno pacifico e ricco di meraviglie; in ogni momento sbucavano fuori nuovi luoghi da visitare, nuove erbe da conoscere e nuove attività in cui accingersi.
Astril e Felixia, non avendo sufficiente libertà, facevano del loro meglio per rendersi utili, l’una aiutando Idril nelle mansioni interne, l’altra catalogando e preparando semplici infusi per conto di Ireth. 
La principessa amava la sua nuova vita, finalmente quel terrore che aveva caratterizzato le sue giornate per anni interi si era finalmente dissipato, tuttavia, non poteva negare di sentir la mancanza di ciò a cui era sempre stata abituata: la natura. In quel luogo, tutto si riduceva a rocce, grotte e pietre. Aveva nostalgia dei colori, dei profumi, della sensazione del vento sul viso e del sole sulla pelle, la rattristava non poter ammirare l’alba e il tramonto, la luna e le stelle. Le mancava il mondo esterno, e il piccolo raggio di luce personale di Idril non sarebbe mai stato sufficiente per colmare quel vuoto.
La situazione però  aveva fatto comprendere ad Astril ancora di più il dolore e la sofferenza che avevano sopportato, e che tuttora provavano, i Mildriend. Vivevano nascosti, lontano da ogni cosa, perenni fuggiaschi, con la paura, per quanto Ait Hiding fosse sicura, di essere scoperti.
A causa del fallimento di Keira, il loro segreto era stato svelato, e con la fuga della principessa la questione era divenuta ancora più grave. E rischiosa.
Astril, seduta a gambe incrociate sulla lastra di pietra a casa di Idril, ebbe un brivido. Nel momento della sua fuga, non si era soffermata a riflettere su tutto ciò, e non aveva neppure compreso totalmente la gravità del fallimento di Keira.
Come aveva reagito Moron alla sua fuga? Come aveva intenzione di agire, aveva forse mobilitato truppe di ricerche? E cos’era successo a sua zia Alidiana?
Queste, seppure grandi, non erano le uniche preoccupazioni a tediare la nuova e lieta esistenza di Astril: una strana sensazione albergava infatti nel suo animo da qualche tempo, il bisogno impellente di dirigersi da qualche parte, pur non sapendo dove. Recentemente, le era capitato spesso di incamminarsi verso una direzione, e di essere fermata da Idril, che, tra il divertito e il perplesso, le chiedeva dove stesse andando. La principessa, puntualmente, non sapeva darle una risposta. Non sapeva spiegarle perché i suoi piedi la spingessero ogni volta verso la spaccatura che portava alla Sala delle Voci.
Aveva notato poi  strani cambiamenti in Idril. Era sempre la solita vivace ed avventurosa Mildriend, ma molto più assente rispetto a prima. Usciva spesso di casa, senza dire dove fosse diretta, e spariva intere mattinate, per poi ritornare al pomeriggio e scomparire di nuovo la sera.
Per questo motivo, Astril aveva passato la maggior parte degli ultimi giorni in casa, non potendo aggirarsi liberamente per Ait Hiding senza la sua custode.
Nella stessa situazione si era ritrovata Felixia. Seppur di meno rispetto ad Idril, anche Ireth aveva iniziato ad uscire spesso, per motivi e destinazioni a lei ignoti.
“Non avete timore di restare in quella posizione, Astril? Sembra rischioso...”
La cameriera, appoggiata alla finestra, lanciò un’occhiata esitante verso il basso.
“Oh, buongiorno Felixia!” esclamò la principessa voltandosi sorpresa “Non aspettavo una tua visita! Da quanto sei lì?”
“Sono appena arrivata. Ireth doveva sbrigare delle faccende e allora, per non lasciarmi da sola a casa, mi ha portata sin qui, visto che per Idril non ci sono problemi”
“Capisco. Vuoi sederti? Si sta benissimo, il sole è molto piacevole!”
“Beh, ecco, preferirei restare qui” rispose imbarazzata.
Astril sorrise tra sé e sé. Anche lei all’inizio aveva avuto paura di sedersi lì, ed Idril, per fargliela superare, l’aveva spinta sulla lastra e richiuso la finestra, lasciandola fuori. Un metodo molto poco ortodosso, ma almeno era servito allo scopo, sebbene Astril, per i primi momenti, si fosse fatta prendere dal panico tanto da non riuscire a reggersi in piedi. 
“Idril è uscita, molto presto” disse dopo un po’ “Secondo te lei e Ireth sono coinvolte nella stessa faccenda?”
“Me lo sono domandata anch’io, e credo sia possibile. Non ne sono certa, però penso possa trattarsi di qualcosa legato al Consiglio, visto che entrambe ne fanno parte...”
La principessa annuì.
“Hai ragione. Ci ho riflettuto fino allo sfinimento, ma ignoro cosa stia succedendo. Qualche volta ho provato a chiedere ad Idril, ma ha sviato sempre il discorso”
“Io ho chiesto solo una volta a Ireth, ma ho capito subito che non potesse rispondermi. Così ho lasciato perdere...” sospirò. Nervosa, prese a tormentarsi le mani “Possibile che...centri in qualche modo la maga oscura?”
Al ricordo, entrambe tremarono. Sembrava quasi che la temperatura si fosse improvvisamente irrigidita.
“Non lo so, e non ci voglio pensare” rispose Astril frettolosamente, con un gesto evasivo.
Felixia annuì mesta, dandosi della sciocca. Era chiaro che non volesse parlarne, dopo ciò che era accaduto. Decise di cambiare argomento.
“Invece, hai più avuto notizie di Keira? È dal giorno dell’interrogatorio che non la vedo”
“Nulla, mai più vista” rispose un po’ abbacchiata la ragazza “E non ho più visto nemmeno I Saggi e gli altri membri del Consiglio! So che non sono cose che ci riguardano e che non dovrebbero interessarci però...in nome di Ailenia, che succede?” esclamò e, con la testa piena di pensieri, rivolse lo sguardo di fronte a sé.


Sebbene la misteriosa sensazione  provata da Astril da qualche tempo si presentasse in maniera del tutto irregolare, la principessa aveva presto capito, o almeno così aveva creduto, che essa la cogliesse sostanzialmente durante il giorno, in particolare verso la prima mattinata.
Fu per questo che, quella notte, quando si svegliò di soprassalto a causa di un motivo a lei ben noto, si spaventò non poco.
Con il respiro mozzato e il cuore che palpitava all’impazzata, scivolò giù dalla branda, le mani serrate spasmodicamente al pavimento in legno. Cercò di imporsi la calma, ma la sua mente, totalmente assente, parve non voler sentire.
Non capiva cosa le stesse succedendo e, soprattutto, perché fosse così devastante. Non era la sensazione, strana ma comunque piuttosto lieve, a cui aveva fatto ormai l’abitudine. Era molto di più. Al bisogno impellente di dirigersi da qualche parte si era aggiunta una nuova emozione, così incomprensibile da essere impossibile da definire. Soffriva ma, paradossalmente, allo stesso tempo non si era mai sentita così bene.
Cercando di non perdere l’equilibrio si alzò in piedi e lentamente uscì dalla sua stanza. Aveva bisogno di aiuto. Fece per entrare nella camera di Idril, ma con sgomento,la scoprì completamente deserta. Della Mildriend non vi era traccia.
Un calore improvviso le si propagò nel petto ed Astril vi posò sopra una mano, gli occhi spalancati. Stava forse bruciando? Fece per avanzare, quando accadde qualcosa che la destabilizzò completamente. Davanti alle sue pupille, si materializzò una strada, quella che conduceva alla Sala delle Voci. Rapida, la visione percorse spazio, si immerse nell’oscurità, lungo una serpeggiante e sconosciuta scalinata, sempre più in basso, per giungere infine di fronte ad un enorme portone.
Poi, la visione si interruppe bruscamente, come squarciata da una lama.
Astril sbatté le palpebre un paio di volte, riacquistando la percezione, ma, con sua grande sorpresa, scoprì di non essere più in casa di Idril.
Si trovava invece in pieno centro di Ait Hiding, completamente scalza.
I palazzi risultavano solo sagome indistinte, illuminati leggermente dalla fiamma magica e tremolante delle torce. Nessun suono riempiva l’aria e in giro non vi era anima viva, tranne lei.
Gli occhi le si spalancarono ancora di più, quando si accorse dell’enorme spaccatura che le si ergeva di fronte. Senza rendersene conto era giunta alla via che portava alla Sala delle Voci.
Non sapeva come fosse accaduto ma, ora che la sensazione pareva essere sparita, doveva assolutamente ritornare indietro.  Le ci volle qualche istante per accorgersi di aver invece attraversato il varco e di stare avanzando sempre più in profondità.
I suoi passi riecheggiavano lungo le pareti della roccia, i piedi intirizziti per via del contatto con gli scalini gelidi.
Giunse di fronte alla Sala delle Voci ma non vi entrò, bensì proseguì, lungo la misteriosa scala che, un po’ di giorni fa, aveva richiamato la sua attenzione.
Man mano, l’aria divenne densa e soffocante, appena respirabile, mentre il cuore di Astril riprese a palpitare incontrollato.
Nonostante gli infiniti ed intricati cunicoli, la principessa sapeva esattamente dove andare. Il suo corpo la conduceva dove esso voleva, mentre la mente protestava per ritornare indietro.
Si fermò solo una volta arrivata davanti al portone che, imponente, giganteggiava di fronte ai suoi occhi.
Ricco di grovigli e rilievi scolpiti, pareva un tutt’uno con la roccia e, cosa ancor più sconvolgente, era identico a quello che  la visone le aveva mostrato poco prima.
Una voce improvvisa la fece sussultare ed Astril avvicinò il viso allo spiraglio del portone.
“Sono sinceramente preoccupato, effetti del genere non sono normali...” parlò il Terzo Saggio gravemente.
“Concordo. Sono giorni che va avanti così, senza nessun motivo”
“Nessun motivo?” fece sinceramente perplesso il Secondo Saggio “Da tempo ripetete queste parole, ma siete davvero certi che non ci sia una causa? Non credo che tutto questo stia avvenendo per puro caso. Sono profondamente convinto che ci sia una ragione, e vi ho già detto di  che cosa si potrebbe trattare”
“Lo rammento bene, Gamall. Tutti lo ricordiamo, ma ciò che dici, purtroppo, temo sia impossibile” disse il Settimo Saggio.
“Perché sostieni questo? Non essere troppo frettoloso ad elargire conclusioni” sorrise il Sesto.
“Linus, e tutti gli altri. Cosa pensate a riguardo?” domandò il Primo Saggio.
“Il mio cuore è diviso a metà, da una parte i segnali mi convincono che ci sia una speranza, dall’altra sono dubbioso...”
“In certi momenti pulsa e sfavilla più del sole, in altri si spegne completamente. È irregolare. Non sembra molto affidabile” commentò Khaled, scoccando un’occhiata malevola verso qualcosa che Astril non riusciva ad intravedere.
“Forse  è rotta!” suggerì Myran.
“E da quando gemme leggendarie si rompono stando immobili incastonate nelle rocce?” ribatté Keira.
“La mia era solo un’ipotesi” replicò la donna, gli occhi ridotti in due fessure.
“Un’ipotesi priva di senso”
“Basta voi due, non iniziate” intervenne pacata Ireth.
“Quisaadi, tu cosa ne dici?” chiese Idril.
La vecchietta rimase in silenzio, appoggiata al suo bastone completamente assorta.
“Mettiamo pure il caso che Gamall abbia ragione. Chi...chi mai potrebbe?” un improvviso quanto accecante bagliore troncò le parole del Quinto Saggio.
Una luce rosso porpora invase la stanza, e Astril si allontanò con uno scatto dalla porta. La sensazione adesso era divenuta devastante, la ragione e il corpo non rispondevano più ai suoi comandi.
Con un colpo secco aprì il portone, facendo voltare increduli tutti presenti.
“A...Astril!?” balbettò Idril.
Ma la principessa non poteva udirla. Incurante di tutto e di tutti, riprese ad avanzare verso il fulgore.
“Cosa ci fa lei qui?” gridò Myran.
“Fermatela, presto!” tuonò Linus.
Khaled, Keira e Idril si precipitarono verso la ragazza, ma furono costretti a retrocedere.
“È incandescente, non possiamo toccarla!”
“Quisaadi!” il Primo Saggio chiamò l’anziana, ma ella non fece nulla.
Astril era arrivata davanti all’origine della luce. Una piccola gemma rossa, incastonata nella pietra, riluceva e brillava più del fuoco. Senza esitazione, la principessa se ne impossessò. La pietra esplose di luce nella sua mano, e suoi occhi si riempirono totalmente di quel bagliore.
Un urlo disumano si levò dalla ragazza, che con un tonfo cadde a terra, la gemma ancora stretta nella sua mano. E tutto cessò.

Astril...
Una voce.
Astril
Qualcuno, da lontano, stava chiamando il suo nome. Ma lei non voleva alzarsi, non voleva aprire gli occhi. Desiderava solo restare lì, in quel quieto nulla.
Astril!
La voce, per quanto dolce, si era fatta più forte.
La principessa ebbe la netta sensazione di esser risucchiata da una voragine, una voragine rossa, che con un balzo la riportò alla realtà, davanti a due occhi turchesi.
Ora ricordava. Era stata colpita dal fulmine nero, ed Ireth la stava curando. No, non era corretto. Tutto quello ero già successo. Ma allora cosa stava accadendo?

“Astril!”
Ireth alzò la voce, ma la principessa era ancora inerme tra le sue braccia, gli occhi vitrei volti verso il vuoto.
“Cosa...cosa diamine è successo?” domandò Khaled, che era stato scaraventato poco più in là.
“Astril ha afferrato le gemma” mormorò Keira come impietrita.
“Cosa...? La Desideria!?”
“Allora è morta” dichiarò Myran, facendo sfuggire un verso di sgomento ad Idril “Nessuno può toccare la gemma”
“Vero, ma a quest’ora avrebbe dovuto disintegrarsi in polvere, invece è ancora tutta intera” fece notare Keira.
“Possibile che...?”
Tutti i presenti presero a parlare concitati, i Saggi tra di loro e lo stesso i più giovani, tranne Ireth, che cercava di rianimare senza successo la principessa. Con tutto quel rumore, però, non riusciva a concentrarsi. Una vena le pulsò sulla tempia.
“Per favore, potreste parlare un po’ più piano?” chiese gentilmente.
“Vi prego, è import...” venne interrotta “Davv...” sospirò cercando la calma.
“FATE SILENZIO!” tuonò, e un lampo azzurro passò nelle sue iridi. Nessuno osò più parlare.
Si chinò sulla principessa, posandole due dita sulla tempia, e prese a mormorare qualche parola.
Astril sussultò e i suoi occhi saettarono rapidi per la stanza, fino ad incontrarsi con quelli di Ireth.
“Stai tranquilla, Astril. Va tutto bene...”
“Dove sono?” biascicò.
“Sei in una delle Sale di Ait Hiding. Hai fatto qualcosa di straordinario, Astril, non puoi nemmeno immaginare”
“Straordinario?”
“Sì, ma non temere, adesso ti spiegheremo tutto. Riesci a metterti seduta?”
Ancora inebetita, la principessa si tirò su lentamente, il braccio di Ireth a sorreggerla. Ognuno dei presenti la fissava sconvolto, ad eccezione dello sguardo serio di Keira e quello indagatore e guardingo di Khaled.
Si portò una mano alla testa. Com’era finita lì, e perché non ricordava nulla di ciò che era successo?
Destatosi dal suo stato di sbigottimento, Linus le si avvicinò con un sorriso rassicurante.
“Astril, saresti così gentile da sederti qui?” disse, indicandole una rudimentale sedia “Dobbiamo parlarti di alcune cose molto importanti, perciò è meglio se ti metti comoda e, soprattutto, che ascolti con estrema attenzione”
La ragazza, sorretta dalla Mildriend, annuì frastornata e prese posto. Notò Quisaadi in piedi al suo fianco, che la squadrava incuriosita e palesemente entusiasta con un paio di enormi occhi tondi.
Astril, un po’ a disagio, spostò lo sguardo su Keira, seduta anch’ella su una sedia poco lontano da lei. Il suo sguardo altero e perforante era quasi peggio di quello di Quisaadi. Decisamente, avrebbe preferito incontrare la sua vecchia guida in un altro modo.
“Dicci Astril” parlò il Primo Saggio “Cosa conosci della storia antica?”
“Non molto a dire il vero, ecco...solo quello che ho imparato durante le mie lezioni private al castello. So dell’iniziale contrasto tra Mildriend e Desideria, della pace raggiunta grazie al matrimonio dei miei genitori e del tentativo del Regno degli Alkres di impossessarsi di tutta  la terra di Erendithum...”
“E sai forse chi era Ailenia?”
“Sì, era una maga, una maga potentissima. Fu...fu lei a sconfiggere definitivamente gli Alkres, confinandoli in una dimensione sconosciuta, se non erro...”
“Ciò che dici è esatto. Continua”
“Non so altro...” ammise flebilmente.
“Come?” si lasciò sfuggire il Sesto Saggio “Tutto qui? Vuoi dire che non sai nulla a proposito degli Alkres, di chi fossero e che cosa abbiano fatto? E  non hai altre informazioni su Ailenia?”
“Temo di no...i libri ne parlano appena, e gli Alkres vengono menzionati solo una volta” rispose. Tutte quelle domande sulla storia stavano iniziando a confonderla.
“Peggio di quanto pensassimo! I Desideria si sono ridotti a questo punto?”
“È evidente allora che dovremo spiegare ogni cosa come si deve” sorrise Gamall “Devi sapere Astril, che gli Alkres non erano un popolo qualunque, no, la loro era una stirpe antica e oscura, devota alle tenebre. Praticavano la magia nera ed erano allevatori di strane creature. Molti li temevano, ma, nonostante tutto, gli Alkres non parevano interessati alle questioni di Erendithum, perciò il mondo viveva tranquillo. Purtroppo però, le cose furono destinate a cambiare. Gli Alkres tentarono di conquistare tutti i Regni, a partire dal Regno dei Desideria e il nostro Regno. Si susseguirono numerose guerre, ma nessuno pareva in grado di arrestare la loro avanzata, non esistevano magie sufficientemente potenti.
A ribaltare la situazione fu l’intervento di Ailenia. I suoi enormi poteri erano ben noti, ma ella preferiva vivere in solitudine ed estraniarsi dai problemi di Erendithum. Perciò, venni incaricato io stesso di partire alla sua ricerca...”
“Cosa!? Significa...Che tu l’hai incontrata?” esclamò Astril sbigottita.
Il Secondo Saggio annuì.
“Precisamente. Fu difficile per me convincerla, ma alla fine riuscii a persuaderla della gravità della situazione. La portai all’accampamento di guerra, dove, insieme ai sovrani dei Regni alleati, elaborò illuminanti strategie. Grazie a lei vincemmo molte battaglie, ma la resa dei conti avvenne solo nell’ultima grande battaglia: Ailenia utilizzò tutti i suoi poteri per creare la dimensione in cui bandì gli Alkres, e causa di ciò, soccombette”
Astril si portò una mano alle labbra, sconvolta.
“Tuttavia, prima che ciò accadesse, ci mise in guardia di due fatti funesti” intervenne il Primo Saggio “Ci predisse la sua morte, sapendo che l’impiego totale dei suoi poteri avrebbe portato a quello, e ci rivelò che la barriera delimitante dell’altra dimensione non sarebbe, se mai ci fosse riuscita, rimasta intatta per sempre”
“Che... che significa?”
“Che prima poi essa avrebbe perso un po’ della sua forza. Ma le rivelazioni non si concludono qui. Alla sua morte, accadde un fatto sconvolgente, di cui Ailenia stessa ci aveva informato: quando cadde, dal suo corpo si librarono due fasci di luce opposti; uno totalmente bianco, lucente più di infinite stelle, l’altro nero come la notte e avvolto da un’aura maligna. Questi erano i poteri della maga. Essi abbandonarono il suo corpo e si dispersero, errando per il tempo e lo spazio”
“Come mai accadde ciò? Perché non scomparvero con lei?” farfugliò la ragazza, coinvolta dal racconto.
“Essi dovevano congiungere in un’altra persona, affinché questa, chiamata Neish, potesse ripristinare la barriera definitivamente in caso di necessità e completare così l’opera di Ailenia. Le cose però non andarono come previsto. I due poteri si separarono, dando così origine a due Neish, la Neish Bàn, in possesso della magia bianca, e la Neish Dorkadas, in possesso della magia delle tenebre. I poteri erano dimezzati”
“Questo significava che la Neish Bàn non avrebbe potuto mai ripristinare la barriera, non avendo potere a sufficienza” intervenne il Quarto Saggio.
“Intraprendemmo numerosi studi e ricerche, nel tentativo di trovare una soluzione. Così, venimmo a conoscenza delle Gemme dei Regni. Pietre magiche potentissime, presenti sin dalla nascita di Erendithum. Esse, se raccolte tutte, avrebbero dato origine a qualcosa, in grado di aggiustare la barriera, se manovrato dalla Neish Bàn...”
“…o di distruggerla completamente, se manovrato dalla Neish Dorkadas”
I Saggi tacquero all’improvviso e puntarono i loro occhi sul viso impressionato e confuso di Astril.
“Non avevo idea di tutte queste cose” mormorò “Eppure, c’è ancora un particolare che mi sfugge. In che modo tutto questo è legato a me?”
“Quella che tuttora stringi in mano è una delle gemme” disse Keira.
Astril osservò incredula la pietra, ora non più lucente ma di un rosso opaco.
“Queste gemme sono leggendarie, e nessuno di noi è in grado di toccarle, nessuno di questo mondo. Tranne le Neish”
Un silenzio glaciale e costernato piombò sulla stanza come un pugnale affilato.
La parole del Saggio rimbombarono nella testa di Astril come impazzite, e alla ragazza servirono alcuni secondi per comprendere il loro significato. Spalancò gli occhi sgomenta, le labbra che tremavano incontrollate.
“Me...?” pigolò infine con difficoltà “Mi state dicendo che...che io? Non è possibile, è assurdo, mi rifiuto di crederlo!”
“Astril...”
“Non posso essere io la Neish! Vi state sbagliando!” urlò.
“Le prove sono inconfutabili, hai toccato la gemma e non sei morta. Solo le Neish possono farlo, perciò non vi sono dubbi” ribatté Keira duramente.
“Ma...”
“Keira ha ragione, così stanno le cose” interloquì Ireth.
La principessa si nascose il volto fra le mani e scosse veemente la testa.
“Tutto questo è una follia! Sono la persona meno indicata per questo incarico, deve esserci per forza un errore! Inoltre non ho mai manifestato capacità magiche, non ho alcun potere!”
“Questo perché i tuoi poteri sono stati quieti e sopiti nel tuo animo fino ad ora, sciocca” disse Myran sprezzante “Per risvegliarli era necessaria una spinta, qualcosa che li destasse. Ora che hai toccato la gemma cominceranno a venire alla luce”
“Esattamente. Ma ora lasciamo parlare i Saggi, ci sono altre cose che Astril deve sapere” ordinò Linus.
“Sappiamo che è difficile da comprendere, ma devi accettare il tuo incarico, questo è il tuo destino” disse Gamall, mentre Astril continuava a scuotere la testa “Ti abbiamo cercata a lungo ed ora non possiamo permetterci di indugiare. Il compito della Neish è quello di rinvenire tutte le gemme, una nascosta in ogni Regno di Erendithum, ed unirle”
“Non capisco...Perché proprio adesso? Nessun Alkres è stato avvistato!”
“Ancora non ci arrivi?” la riprese aspramente Khaled.
“La barriera è da tempo indebolita, già da qualche anno. Alcuni Alkres sono già riusciti ad uscire” spiegò il Terzo Saggio “Una di loro l’hai incontrata, non molto lontano da qui”
Come un fulmine, l’immagine della maga oscura invase la mente di Astril. D’istinto si portò una mano al petto.
“Sì Astril, la donna con cui mi sono battuta e che ti ha ferita è un’Alkres. Night Mare è il suo nome. Opera per conto di qualcuno, ed è una degli emissari più forti e spietati” disse Keira.
“Come noi, anche gli Alkres stanno cercando una Neish, la Neish Dorkadas. Sono fatti della stessa oscurità e sono certi che, una volta trovata, ella non esiterà ad unirsi a loro. Solo allora potranno iniziare la ricerca delle gemme. Sono maledetti, e pieni di odio. Non desiderano altro che ritornare ad Erendithum e ritentare una presa su tutti i Regni. Per lungo tempo sono stati quieti, ora pare che una nuova forza li guidi, a noi sconosciuta. Non si fermeranno davanti a nulla. Noi però siamo in vantaggio, abbiamo trovato una Neish prima di loro, e una gemma”
La principessa non rispose, i lunghi capelli a coprirle il volto. Per qualche tempo nessuno parlò.
“Ora conosci tutta la storia. Sei libera di fare ogni domanda che riterrai necessaria. Ne hai il pieno diritto”
“Avrei da chiedervi tre cose...”
“Parla pure”
“Cosa fu a provocare nuove ostilità tra Desideria e Mildriend? Perché venite perseguitati?”
“Moron aveva sempre provato ostilità verso il nostro popolo, ma la situazione precipitò quando, scoperte queste scioccanti verità, provammo ad avvertirlo. Non ci credette, e ci accusò di star cospirando verso la corona”
La principessa sospirò. I pezzi cominciavano lentamente a combaciare.
“Perché avete mandato Keira ad uccidermi?” parlò rapidamente.
“Essendo cresciuta sotto l’educazione di Moron, temevamo che i suoi principi meschini e crudeli avessero intaccato pure te, legittima erede al trono. Non volevamo rischiare che il successore avesse la stessa indole del sovrano attuale. Un piano che, lo ammetto, sono lieto sia fallito” rispose Gamall.
“Se penso che per poco non eliminavo la Neish...” ringhiò Keira rabbiosa.
“Non biasimarti. La decisione è stata presa in Consiglio, perciò la colpa è di ognuno di noi”
“Qual è la terza domanda, Astril?” s’inserì Idril.
“Riguarda Felixia...ricordo che quando ci siamo accampate la prima notte di viaggio, hai avuto una strana reazione vedendo i suoi capelli” disse rivolta a Keira “Anche quando siamo giunte qui tutti voi avete voluto accertarvi di qualcosa. Come mai?”
“Come tu ben sai, ogni popolo si distingue dal colore della sua chioma. Perciò, allo stesso modo anche gli Alkres hanno un colore proprio: il blu. Sì, come i capelli di Felixia, o almeno, così abbiamo creduto all’inizio, per questo mi sono comportata così quella sera. Guardando con più attenzione ci siamo resi conto che il colore non combacia completamente. Non sappiamo quale sia la sua stirpe”
Astril annuì appena col capo, sollevata che la sua amica non appartenesse a quel popolo malvagio, ma al contempo dispiaciuta che le sue origini non fossero ancora venute alla luce.
“Stando così le cose, direi di metterci subito all’opera. Abbiamo la Neish, perciò possiamo finalmente iniziare la ricerca delle Gemme dei Regni. Gli Alkres stanno cercando assiduamente l’altra Neish, ma non l’hanno ancora trovata!” disse Khaled.
“Pazienza, ragazzo! Diamo ad Astril il tempo di assimilare e comprendere la questione”
“E poi non è in grado di combattere, non ha un minimo di esperienza. Se partiamo ora la manderemo a morire” commentò freddamente Keira.
“Concordo. Direi di fare così: per i prossimi due giorni, Astril, avrai il tempo di riflettere su tutto ciò e, se non ci saranno particolari complicazioni, Keira, Idril e Khaled ti insegneranno a combattere” disse Linus.
“Non fare affidamento su di me” ribatté burberamente il ragazzo. L’uomo lo guardò dubbioso.
“Sarà pure la Neish, ma non cambierò le mie opinioni per questo. E’ una Desideria, ed è la nipote di Moron. Tanto basta per non fidarmi. Non voglio avere a che fare con questa storia, voglio solo trovare le gemme”
Astril abbassò gli occhi tristemente.
“Il tuo scetticismo è fuori luogo a questo punto. Comunque, sei libero di non aiutare” rispose duro Linus “Prenderà Myran il tuo posto”
“Devo proprio?” fece quella roteando gli occhi.
“Temi di non essere all’altezza del compito?” Keira le lanciò un’occhiata.
“Cosa stai dicendo? Certo che sono all’altezza, sicuramente molto di più di te”
“Bene, la decisione è stata presa. La riunione per questa notte si può concludere qui” dichiarò il Primo Saggio.
“Andiamo Astril, hai bisogno di riposare. E sembri anche infreddolita, così vestita!” esclamò Idril.
La principessa, effettivamente intirizzita,  arrossì un poco, notando i capelli scompigliati, la semplice veste troppo larga e i piedi nudi.
Ancora scossa si avviò insieme all’arciera fuori di lì. La grandezza di quelle informazioni l’aveva sconvolta nel profondo. Aveva bisogno di tempo, tempo per capire, e una dormita le avrebbe fatto bene, sempre se ci fosse riuscita.
Come poteva essere la Neish, colei che il Consiglio aspettava da così tanto tempo? Colei che aveva il compito portare a termine missioni così importanti? Avrebbe dovuto compiere un viaggio, affrontare nemici e pericoli. Come avrebbe fatto? Non era una maga, né una guerriera. Era debole, non sapeva combattere e mai avrebbe imparato. Non poteva, e non voleva, concepirlo.
Quella notte, nonostante la stanchezza, non chiuse occhio.








*le piante segnate con l’asterisco sono di mia completa invenzione, sia il nome che le loro proprietà. Le altre invece sono tutte esistenti, così come sono veritiere le loro capacità mediche; ho tratto le informazioni su una fonte autorevole, l’Enciclopedia delle Erbe, un libro che ho a casa.
Ci tenevo a specificarlo ^.^
 

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Capitolo 10
*** Il sorriso del traditore ***




Il sorriso del traditore

Appoggiata con la schiena alla parete, Keira attendeva impaziente da una buona manciata di minuti, in mano il pugnale prediletto, che rigirava svogliatamente tra le sue dita.
Con un movimento fulmineo l’arma vibrò nell’aria come una freccia e si andò a conficcare contro un sacco marroncino accasciato alla roccia, alcuni metri più lontano. La lama lacerò profondamente la stoffa, e una sabbietta fine prese a disperdersi al suolo sibilando appena.
Sfoderata poi una delle sue affilate spade, Keira si portò al centro dell’arena e con movimenti fluidi e agili cominciò a fendere l’aria.
Fin da bambina, aveva sempre odiato l’attesa e non tollerava i ritardatari. Era giunta nell’arena di Ait Hiding verso l’alba per un allenamento individuale e, una volta terminata la sua sessione giornaliera di esercizi, aveva aspettato l’arrivo di Astril.
La principessa aveva infatti comunicato il giorno precedente di aver ragionato attentamente sulla questione e di essere pronta per iniziare gli allenamenti.
Keira si fermò bruscamente, la spada in posizione verticale a pochi centimetri dal viso.
Sebbene avesse riflettuto giorni interi, ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che la principessa fosse in realtà la Neish così a lungo cercata. 
Al contrario di alcuni, la Mildriend non si era mai lasciata travolgere da assurde fantasticherie a proposito della Neish, e non aveva  pensato per un attimo ad ella come un’invincibile paladina, né come una guida e un pilastro in grado di cogliere e dissolvere tutte le preoccupazioni. Tuttavia, aveva segretamente sperato in una persona degna del ruolo, in grado di combattere. Invece, il fato aveva voluto che la Neish fosse Astril.
Keira digrignò i denti e con rabbia roteò la spada.
Nella situazione in cui si trovavano, la debolezza era l’ultima cosa di cui avevano bisogno.
Ripensò alla reazione della principessa al racconto di qualche sera fa: tutto quello che ricordava era una ragazzina spaurita, con gli occhi spalancati per lo sbigottimento e il viso pallido. Se la spaventavano i racconti, come avrebbe fatto a fronteggiare i veri nemici? A sopportare quello che aveva sopportato lei?
Così come Keira, anche la mente di qualcun altro era in preda ad un turbinio di pensieri.
Al seguito di un’entusiasta Idril, Astril avanzava mogiamente, il capo rivolto verso il basso e il cuore che pareva voler uscire dal petto.
Durante i giorni precedenti, aveva ripensato e ripensato alle parole dei Saggi, ad Ailenia, alla gemma, agli Alkres e a Night Mare, ed era arrivata alla conclusione di trovarsi nella storia sbagliata.
Lei non era una maga, non era una guerriera, semplicemente era una buona a nulla, così incapace da non essere stata neppure in grado di  meritarsi il nome di ‘principessa’. Sospirò tristemente. Il nome di ‘Neish’ le si addiceva ancora meno.
Nonostante ciò, si era trovata costretta ad accettare. I Saggi lo avevano detto: era impensabile tirarsi indietro di fronte ad una responsabilità così grande.
“Basta rimuginare, Astril!” la voce squillante dell’arciera la riportò alla realtà. La principessa sollevò gli occhi, incontrando quelli verdi giada della giovane, che le sorrideva con complicità.
“Capisco il tuo stato d’animo, ma non devi trarre conclusioni prima del tempo, non sentire di aver fallito senza nemmeno aver cominciato!”
“Lo so, però tutto questo mi pare così assurdo! Come farò ad imparare a combattere? Non sono portata per queste cose!”
“Proprio per questo ci siamo Keira ed io! Non devi temere nulla, grazie a noi imparerai in pochissimo tempo, puoi starne certa”
La principessa annuì, anche se per nulla convinta.
Dopo esser scese lungo quelli che ad Astril parvero un’infinita di gradini rocciosi, le due ragazze giunsero in prossimità di quella che era l’arena di Ait Hiding, un enorme e profondo spiazzo roccioso.
In lontananza la principessa intravide Keira brandire la spada contro un fantoccio di stoffa, che in pochi secondi si tramutò in un ammasso informe di tessuto, squarciato in due.
Keira era una delle migliori combattenti di Ait Hiding, forte, coraggiosa, determinata, una spietata macchina da guerra, ed Astril era certa che non si sarebbe risparmiata neppure quel giorno.
“Buon giorno, Keira!” la salutò allegramente Idril.
“Siamo già in ritardo con la tabella di marcia, perciò sarà meglio iniziare immediatamente” cominciò seria e pragmatica come sempre “La prima sessione di allenamento la affronterai con me, Astri. In seguito, Idril prenderà al mio posto, per poi esser sostituita da Myran. Seguimi ora”
La principessa ubbidì senza fiatare e in pochi passi raggiunse il centro dell’arena. Keira si diresse invece verso una struttura in legno di media grandezza, su cui erano appese una moltitudine di armi: spade, pugnali, mazze, asce, archi, balestre ed altro ancora. Soppesò con lo sguardo l’intera armeria ed infine optò per un piccolo pugnale dalla punta smussata.
“Per il momento utilizzerai questo” disse lanciando l’arma ad Astril, che però non riuscì ad afferrare. Imbarazzata, lo raccolse rapidamente da terra e gettò un’occhiata apprensiva alla Mildriend. Keira però pareva non essersi accorta di nulla. Con uno scatto si voltò verso la principessa, il pugnale stretto nel palmo e gli occhi lucenti di sfida.
“Adesso attaccami”
“Come, prego?” esclamò sconvolta, strabuzzando gli occhi.
“Hai udito bene, devi attaccarmi”
“Ma non ne sono in grado. Non so da che parte iniziare!”
“Non discutere, fallo e basta!”
Al tono severo e perentorio di Keira, Astril si vide costretta ad ubbidire. Con uno scatto si portò addosso alla Mildriend, ma ella si spostò con un’agilità impressionante. La principessa si sentì afferrare per il braccio e scaraventare malamente a terra, mentre il pugnale sfuggiva dalla sua presa.
Dolorante alzò lo sguardo. Keira la sovrastava, gli occhi taglienti fissi nei suoi e un piede sopra la sua spalla.
“Hai attaccato senza nemmeno guardare cosa stessi facendo io, e tieni poco saldamente il pugnale. Alzati e recuperalo” disse, allontanando il piede.
Astril rotolò su un fianco e si alzò goffamente, poi andò a riprendere il pugnale. Come previsto, le cose erano iniziate in maniera disastrosa.
“Riprova!” ordinò Keira.
La ragazza ritentò, ma il risultato fu ancora peggiore: corse alla cieca verso l’avversaria, il pugnale che fendeva l’aria in maniera sconclusionata.
Keira sospirò scocciata e con un solo colpo spedì l’arma in aria, che roteò per poi atterrare nella sua mano. Bruscamente schiaffò il pugnale addosso ad Astril.
“Occhi su di me. Non alle mie spalle, né chiusi. Chiaro? Per l’ennesima volta, impugna quest’arma come si deve e non come se fosse un mestolo”
Astril annuì con forza, seppur in già in procinto delle lacrime. Doveva farsi coraggio.
Riprovò ad attaccare seguendo le indicazioni di Keira, che parò abilmente l’affondo.
“Non fermarti! Devi continuare a colpire!”
Le lame presero a stridere l’una contro l’altra, la Mildriend colpì con forza il pugnale di Astril, che riuscì a tenerlo saldo in mano. Tuttavia Keira non diede segno di voler arrestare l’attacco. Continuò a brandire colpi verso la principessa, che, fattasi prendere dal panico, aveva cominciato ad agitare l’arma davanti al volto e ad indietreggiare. Inciampò nei propri piedi e con un tonfo cadde seduta, le braccia incrociate davanti al viso e gli occhi serrati.
“Quando ti trovi in queste situazioni devi cercare di rialzarti, di schivare o attaccare per recuperare tempo. Reazioni patetiche come queste non impietosiranno i nemici” la rimproverò Keira duramente.
La principessa riaprì un occhio e fece per rialzarsi, quando sentì qualcosa sibilare a pochi centimetri dal suo orecchio. Riuscì a spostarsi appena in tempo, notando una spada conficcata nel punto in cui si trovava lei prima.
Sconvolta guardò Keira, che imperturbabile riprese la spada, prima di puntarla in direzione di Astril.
“Gli avversari non perderanno tempo vedendoti indecisa, e non esiteranno a tirar fuori armi segrete”
“Ho capito, solo che ero...”
“SCHIVA!”
In preda al panico Astril ubbidì, spostandosi di qualche passo. La spada che le aveva lanciato contro Keira si schiantò contro la roccia, cadendo al suolo con un rumore tintinnante. Con il cuore che le esplodeva nel petto e il fiato corto, la principessa si accorse di alcune ciocche dei suoi capelli che fluttuavano poco lontano, tagliate di netto dalla lama.
“Non stare lì come impagliata, prendi la mia spada!”
La ragazza corse stralunata verso l’arma e dopo averla raccolta l’impugnò con entrambe le mani puntandola verso Keira, i polsi tramanti.
“Eccellente, cambio d’arma” disse la guerriera, rinfoderando il pugnale e sfilando l’altra spada.
“Aspetta un momento! Questa è affilata, rischio di ferirmi!” protestò l’altra.
Ma Keira non la ascoltò. Scattò come un sinuoso felino verso la povera ragazza, che riuscì a malapena a parare.
Il resto dell’allenamento proseguì con un susseguirsi di cadute, armi volanti, sospiri seccati e lievi piagnucolii.
“Per oggi con me concludi qui” sentenziò ad un certo punto Keira, senza celare il suo disappunto e la sua amarezza per il risultato ottenuto da Astril quel giorno “Ci vediamo domani, alla stessa ora. Ci alleneremo tutto il giorno fino a sera. Solo con me”
Detto questo, voltò le spalle e se ne andò. La principessa la guardò allontanarsi con occhi feriti, un doloroso groppo al petto che premeva di risalire lungo la gola e sfociare  in pianto. Era stata terribile, un vero disastro. Non aveva mai visto Keira così  delusa e disgustata.
Con uno slancio, Idril scese dal rilievo roccioso su cui era stata seduta tutto il tempo.
“Se può rallegrarti, non sei stata così penosa come pensi!” la consolò vivacemente “Coraggio, ora ti allenerai con me, e ti assicuro che sarà molto più divertente! Amerai il tiro con l’arco, ne sono sicura!”
La giovane arciera senza dubbio era, rispetto a Keira, una maestra molto più dolce e accondiscendente, ma questo non bastò per far colpire un solo bersaglio alla principessa, che aveva già avuto numerose difficoltà ad impugnare correttamente l’arco e a sistemare le frecce. Queste si conficcavano ovunque, tranne contro i fantocci di stoffa. Per poco Astril non aveva trafitto il piede di Idril, che si era sposata con un saltello e un sorrisetto tra il divertito e lo stranito.
“Non serve accanirsi, non sono in grado!” mugugnò infine la principessa, sedendosi al suolo affranta “Sono solo una buona a nulla!”
La Mildriend la raggiunse immediatamente, posandosi le mani sulle ginocchia e ruotando il capo perplessa.
“Perché dici così? Siamo solo agli inizi!”
Astril non le rispose, troppo impegnata a paragonare la sconvolgente abilità di Idril alla sua incapacità.
“Il tiro con l’arco non fa per me, anzi, niente fa per me! Non imparerò mai a combattere!”
Idril strabuzzò gli occhi, incredula alle parole che aveva appena udito. Per una persona come lei, la cui filosofia si basava sulla determinazione e il desiderio di superare ogni sfida che la sorte le ponesse davanti, quelle parole erano prive di senso. Fece per controbattere qualcosa, ma una voce alle sue spalle la interruppe.
“Una Neish prostrata a terra con aria abbattuta e gli occhi lucidi di pianto come una mocciosa. Non è certo questa l’immagine che speravo di vedere”
Myran si avvicinò con passo altezzoso, le labbra incurvate in un sorriso sarcastico.
Nel comprendere a chi appartenesse quella voce, Astril tirò su col naso e raddrizzò la schiena, nel tentativo di ricomporsi.
“Se non ti dispiace, ora ci penso io qui, Idril” riprese a parlare, scoccando un’altra occhiata di  pura commiserazione verso la principessa.
“Certo che no, la affido a te! Adesso devo sbrigare alcune faccende, ritornerò a prenderti più tardi, Astril! Ci vediamo dopo!”
La ragazza la guardò a malincuore allontanarsi, conscia di quello che avrebbe dovuto affrontare da un momento all’altro.
“Molto bene. A questo punto, se hai finito di frignare, direi che potremmo incominciare l’allenamento. Immagino che in quanto agilità tu sia alquanto scarsina, o sbaglio?”
Astril si limitò ad annuire appena con il capo, lievemente rossa in volto. Sapeva di essere tremendamente goffa, ed era certa che Myran non avrebbe perso l’occasione per farglielo notare.
La parte più frustrante di quella giornata doveva ancora avere inizio.
“Il mondo esterno è irto di pericoli ed ostacoli. Non basta saper combattere per sopravvivere, devi essere in grado anche di saperti destreggiare nei luoghi più insidiosi ed intricati. Poniamo il caso che una creatura maligna ti stia inseguendo e che tu ti trovi in un posto come questo. Come fuggire? Devi sfruttare ciò che la natura ti presenta...in questo modo”
Con una velocità impressionante, la donna si portò vicino alla parete rocciosa, che prese a scalare rapidamente, aggrappandosi alle sporgenze ed utilizzando a suo favore ogni minimo spazio.
Astril la osservava stupefatta, gli occhi che non si perdevano un solo movimento. Myran non era una donna, era un felino.
“Da un’altezza come questa, sarai avvantaggiata. Anche se, ovviamente, dovrai essere in grado di arrivarci” puntualizzò con un sorrisetto, fissandola sardonica. In pochi agili gesti discese lungo la parete, atterrando con grazia al suolo.
“Forza, piccola magica paladina. Mostrami quello che sai fare. Mi auguro che tu non soffra di vertigini...”
Astril fremette appena, cercando in tutti i modi di celare il nervosismo. Lo scopo di Myran era quello di deriderla e provocarla; non poteva permettersi di mostrarsi vulnerabile, non di fronte a lei.
Si portò davanti alla parete, per poi sondarla dal fondo alla cima con sguardo terrorizzato. Una goccia di sudore le scivolò gelida lungo la tempia. Sospirò rumorosamente, poi, fattasi coraggio, si aggrappò con tutte le sue forze alle protuberanze rocciose; cercò di darsi la spinta con le gambe e di trovare loro un appiglio, ma finì solo per strisciarle contro la roccia in un movimento ridicolo quanto controproducente.
Ansimando posò i piedi a terra, il suono di una risatina sommessa alle sue spalle. Decise di ritentare. Era riuscita ad avanzare di mezzo metro, quando la presa sgusciò via dalle sue dita. Senza un appiglio, la principessa volò a terra seduta, la scatola cranica che le parve vibrare nell’impatto.
Myran scoppiò in una fragorosa risata.
“Davvero patetico. Non sei neppure in grado di scalare una misera parete! Fossi in te mi vergognerei. Credo che Ailenia da lassù si stia coprendo gli occhi. Non la biasimo, sapere di aver affidato uno dei poteri più grandi della storia ad una sciocca deve dolere molto”
Astril rimase silente, senza neppure la forza di rialzarsi.
“Che delusione, sarà meglio che me ne vada. Domani passerai l’intera giornata con Keira, vuol dire che ci vedremo il giorno seguente”
Con queste ultime parole, Myran se andò, il suono del suo sghignazzare che rimbalzava ancora tra le pareti.
Astril rimase da sola, una lacrima silenziosa a solcarle la guancia.


Nei giorni che seguirono, l’allenamento divenne ancora più intensivo. Keira pareva non voler mostrare un minimo di pietà; non concedeva pause, non si lasciava sfuggire mai un complimento o una frase di incoraggiamento e, se notava Astril affliggersi  o essere sul punto delle lacrime, si infastidiva ancora di più.
Per quanto l’incapacità di Astril la innervosisse, ancor meno tollerava veder trasparire la sua debolezza.
Perché non prendeva il fallimento come una sfida, si ritrovò a chiedersi la Mildriend il quarto giorno. Dov’era la determinazione, la voglia di superare, anzi, di disintegrare i suoi limiti?
Keira viveva la sua vita secondo questo principio, nettamente in contrasto con la visione della principessa. Astril si crogiolava nella sua debolezza, e questo, per la Mildriend, era uno dei disonori più grandi.
“Non basta utilizzare le braccia in un duello, devi spostarti, muovere le gambe, confondere l’avversario! La tua difesa poi, è inesistente! Credi forse che il nemico aspetterà di farsi colpire? Cercherà di ferirti, di ucciderti, e questo...” brandì il pugnale “...non devi...” mirò un affondo “...permetterlo!” la lama si impigliò nella manica della principessa, squarciandola, ed Astril, di riflesso, fece cadere a terra la piccola spada, spaventata.
“Oggi hai solo perso un pezzo di stoffa” Keira puntò il pugnale verso la manica lacerata, il tono di voce serio e profondo “Domani...” repentinamente, spostò la lama verso il suo occhio “... potresti perdere qualcosa di più importante”
Astril, scossa da quelle parole, raccolse la sua spada, pronta a ricominciare.

Frattanto, numerosi metri più in alto, qualcuno osservava l’andamento dei duelli.
Khaled, in piedi sulla punta di uno sperone roccioso, le braccia incrociate, contrasse il viso, precedentemente indifferente, in una smorfia di rimprovero e scetticismo.
Esattamente come aveva previsto, la presunta Neish si era rivelata un’inetta, impaurita persino dalla sua stessa ombra.
Se solo quella Desideria si fosse mostrata all’altezza del compito, avrebbero potuto finalmente, dopo anni di attesa, partire alla ricerca delle Gemme e sfidare apertamente gli Alkres. Invece erano bloccati lì. Forse, mentre perdevano tempo per insegnare a quella stolta come tenere in mano un arco, i loro nemici avevano già trovato la Neish Dorkadas, sicuramente molto più adatta al ruolo, e si erano messi in cerca delle Gemme.
Strinse il pugno lungo il fianco, fremendo. Esattamente come Keira, anch’egli odiava dover attendere.
“Anche tu qui, Khaled?”
La voce di Linus lo strappò dalle sue elucubrazioni. L’uomo gli era giunto alle spalle silenziosamente, ed ora gli sorrideva disteso, gli occhi che parevano sorridere con lui. Nonostante i suoi trentacinque anni di età, pareva ancora un ragazzino.
Il giovane nemmeno si voltò.
“Avevi detto di non essere interessato agli allenamenti” disse ancora Linus.
“Infatti è così”
“Allora perché sei venuto?”
Khaled si strinse nelle spalle.
“Per veder confermate le mie supposizioni. Come previsto, Keira sta massacrando la Desideria”
Linus affiancò il ragazzo e si sporse un poco per vedere meglio.
“Concordo, però, malgrado tutto, direi che Astril se la stia cavando abbastanza bene”
In quel momento, la Mildriend disarmò per l’ennesima volta la ragazza. Khaled inarcò un sopracciglio e Linus sogghignò.
“Inutile che tu faccia quell’espressione, ragazzo, una scena del genere mi pare di averla già vista molte volte, ed anche tu”
“Ero solo un moccioso all’epoca, sono anni che non riesce a disarmarmi in quel modo”
“Ma ancora adesso ti risulta difficile batterla. Inoltre, anche Keira all’epoca era una ‘mocciosa’, perciò la tua giustificazione non è molto valida” il ragazzo gli scoccò un’occhiata malevola, ma Linus continuò a parlare indifferente “Guarda come sta indietreggiando Astril, ora. Così come lei,  un tempo anche tu indietreggiavi, messo alle strette”
“Mi stai forse paragonando a quella principiante?”
“In un certo senso. Così come te, anche lei riuscirà a migliorare. Basta solo darle fiducia”
Khaled tacque nuovamente, la solita smorfia impressa sul volto.
“Eccellente, credo che adesso scenderò anch’io in campo” esclamò soddisfatto Linus poco dopo, sfregandosi le mani.
“Cosa? Tu? Vuoi forse farla a pezzi?”
“Certo che no, voglio solo vedere da vicino i suoi progressi, e divertirmi un po’. Anche se Keira non gradirà affatto”
“Invece di andare a perdere tempo lì, perché non ti batti con me?”
“Finirei per disarmarti in un nanosecondo, ferendo il tuo orgoglio e mettendo a rischio la mia salute mentale, dal momento che prevedo perfettamente la reazione che potresti avere. Se riuscirai a battere Keira, allora potrai duellare con me”
Khaled gli indirizzò un’occhiata di fuoco, ma non proferì parola, decidendo di rivolgere lo sguardo ancora verso l’arena. Era certo che subito dopo aver testato le inesistenti capacità di Astril, Linus avrebbe voluto dare una dimostrazione duellando contro Keira, che non era mai riuscita a tenergli testa. 
Perciò, perdersi una sua sconfitta sarebbe stato imperdonabile.

“Vi dispiace se mi unisco anch’io al combattimento?”
Linus, la spada già stretta in mano, si avvicinò pacato alle due ragazze. Sebbene si fosse rivolto ad entrambe, era evidente che la domanda fosse stata posta principalmente a Keira, il cui sguardo divenne ancora più gelido.
“Me ne sto occupando io, non credo sia necessario il tuo intervento” replicò, gli occhi puntati verso quelli dell’uomo, per nulla intimorito dal tono tagliente delle ragazza.
“Stai facendo un magnifico lavoro, e mi complimento. Tuttavia, vorrei provare a duellare con la nostra Neish”
“Non è pronta per un combattimento contro di te, sa a malapena tenere in mano un pugnale”
“Temo di dover concordare” mormorò la principessa a disagio.
“Comprendo” sospirò Linus “In questo caso, perché non assisti ad un duello tra me e Keira?” la Mildriend in questione fremette appena, ma nessuno parve accorgersene “Potrebbe essere istruttivo per te!”
“Mi piacerebbe molto!” approvò Astril piuttosto entusiasta.
“Molto bene!”
Linus e Keira si portarono al centro dello spiazzo, l’uno dinanzi all’altra, pochi metri a separarli.
Si studiarono per brevi istanti, l’aria colma di tensione ed aspettativa. 
Fu la ragazza ad attaccare per prima, ma il suo colpo non trovò mai bersaglio: Linus si spostò abilmente, ribaltando la situazione.
Il combattimento proseguiva da molto tempo, ed entrambi non davano sentore di voler cedere. Astril era sbalordita. Non aveva mai veduto duellare qualcuno con così tanta bravura e tecnica.
Gli occhi di Keira brillavano di sfida e il suo viso era contratto in un’espressione determinata. Le storie che si dicevano su di lei erano vere: un semplice duello per ella si trasformava in una battaglia.
L’incanto si ruppe quando il suo pugnale stridette violentemente contro la spada di Linus. La ragazza perse appena l’equilibrio e la punta della lama avversaria si posò lieve sulla sua spalla.
“Duello concluso” dichiarò Linus con un sorriso.
Keira abbassò lo sguardo senza rispondere, e rinfoderò il pugnale nella cintura.
“Duello concluso” asserì.
Proprio in quell’istante, senza che nessuno se ne accorgesse, Khaled scivolò rapido dalla roccia e scomparve.
“Dicci Astril, che impressione hai avuto?” domandò Linus.
“Sono senza parole” rispose la principessa “La vostra abilità non ha eguali, dubito che riuscirò a raggiungere mai il vostro livello!”
“Non è detto! E la stessa cosa vale per il tiro con l’arco!”
Idril, vivace come al solito, li raggiunse con qualche saltello.
“Oggi ho in serbo un allenamento speciale! Dopo di oggi, arco e frecce non avranno più segreti per te, puoi starne sicura” ammiccò l’arciera.
Le predizioni della giovane si rivelarono inesatte. Dopo che Linus e Keira se ne furono andati, le due ragazze incominciarono senza esitazione l’addestramento tanto elogiato da Idril, la quale, con rammarico, dovette riconoscerne il fallimento.
Era ormai evidente che Astril non avesse una particolare predisposizione verso le armi in generale, e ancor meno verso l’arco.
Idril raccolse una ad una le frecce conficcate lungo l’intera arena e le rimise nella faretra.
“Per Ailenia. Dov’è che ho sbagliato?” borbottò tra sé e sé, le sopracciglia corrugate  “Eppure ero così sicura che oggi ci saresti riuscita!”
“La colpa non è del tuo allenamento, ma mia. Forse l’arco non fa proprio per me” rispose Astril con un sospiro.
“Credo sia troppo presto da dire, e sappi che comunque non mi darò mai per vinta! Vorrei poter restare di più oggi, ma devo andare in avanscoperta e non tornerò fino a sera. Perciò, adesso devo andare. Ma non temere! Tra poco arriverà Myran!”
“Che fortuna” pensò ironicamente Astril, ma non lo disse. 
Le due ragazze si salutarono ed Idril uscì dall’arena con passo saltellante, felice di poter finalmente andare in ricognizione,  e con la speranza di trovare qualcosa che fosse degno di essere raccolto.
“Buon giorno, Myran!” esclamò allegra, fermandosi di fronte alla donna “Astril è nell’arena, ti sta aspettando da un po’!”
“Ho avuto un contrattempo, sono desolata, ma mi farò perdonare: ho in serbo un allenamento speciale”
“A quanto pare oggi è il giorno degli addestramenti speciali, anche io prima ne ho preparato uno!”
“Una vera coincidenza. Ti auguro un buon giro di perlustrazione”
“E a te un buon allenamento!”
“Certo” sussurrò e proseguì, superandola “Lo sarà”
“Bene..?” confusa, Idril sbatté le palpebre un paio di volte. Ancora immobile, si voltò appena verso Myran, prima di riportare lo sguardo a terra di fronte a sé, lievemente accigliata. Increspò un poco la fronte, poi, ancora pensosa, riprese il suo cammino.

Incredibile come la sola vista di Myran bastasse per far attorcigliare lo stomaco di Astril.
La principessa le andò incontro, un groppo di irritazione ad ostruirle la gola, che rese il suo saluto roco e forzato.
Quella donna sapeva essere insopportabile, era arrogante, saccente e presuntuosa; ogni sua  frase veniva arricchita con aggettivi volti a ferire e il suo tono era perennemente sarcastico, così come il suo sorriso, malizioso e derisorio. Amava prendere in giro i fallimenti altrui, e sfruttava ogni occasione per mettere in mostra le sue capacità.
Astril non era sorpresa che Keira la detestasse, e si trovava perfettamente d’accordo con lei.
Da quando avevano iniziato, Myran non aveva fatto altro che riderle alle spalle. La principessa, distratta da quel ridacchiare, scivolò dalla roccia e cadde a terra, provocando l’ilarità della donna.
“Lo trovi così divertente?” Astril si voltò di scatto, il tono tagliente.
Myran smise di ridere, senza però perdere quel suo sorriso. La guardò con accentuata commiserazione.
“Molto, ad essere sincera. Te l’ho detto qualche giorno fa e continuerò a ripeterlo: sei penosa”
“Sarò anche penosa” disse Astril rimettendosi in piedi “Ma non si può dire che tu ti stia impegnando ad insegnarmi”
Myran continuò a sorridere, e la principessa, ribollendo, tentò ancora di arrampicarsi. Cadde, e la donna sghignazzò. Per Astril fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“Finiscila di ridere in quel modo! Forse per te sarà anche esilarante, ma per me non lo è! Sono giorni che mi alleno senza sosta, in attesa del  momento in cui avrà inizio la mia missione! Potresti mostrare un minimo di rispetto nei miei confronti, ed aiutarmi! Questo non è un gioco!”
Astril, a corto di fiato e rossa in viso, smise di parlare, stupita del suo stesso sfogo. Forse si era lasciata trasportare un po’ troppo. Guardò Myran, che non aveva detto una sola parola, il volto imperturbabile.
“Gioco?” fece, e le sue labbra si tirarono in uno strano sorriso “So perfettamente che questo non  è un gioco” ridacchiò sommessamente “Cerchi così disperatamente di mostrare un atteggiamento risoluto. Stai forse tentando di  far tuo il ruolo di Neish?”
“Co...come?”
“Patetica. Parlavi di ‘giochi’, prima, giusto? Ebbene, tutto questo allenamento a lungo andare affatica. Che ne dici se giochiamo un po’, adesso?”
Astril indietreggiò d’istinto, e la donna abbassò il capo, i voluminosi capelli ricci a coprile il volto, tranne le labbra, ostinatamente sorridenti. La risatina sommessa si fece poco più forte, ed un strana aura violacea comparve lungo la figura di Myran, che, lentamente, cominciò a mutare: attorno al suo braccio si materializzò un bracciale, di tre sottili fili d’oro, dove al centro pulsava una minuta pietra nera. I capelli, fino a pochi istanti prima rossi porpora, si scurirono, fino a raggiungere una tonalità blu. Infine, sotto i suoi occhi, apparvero singolari simboli, tre piccole sfere nere in ordine di grandezza, che le conferivano uno sguardo minaccioso ed inquietante.
Myran, sempre sorridente, saettò le pupille sul volto sconvolto di Astril.
“Adesso dimmi, piccola Neish, dov’è finita la tua risolutezza?”
 
La principessa, completamente irrigidita, rimase a fissare Myran per quelle che le parvero ore, senza riuscire ad articolare una sola parola sensata.
“Sei...sei un’Alkres!” farfugliò infine terrorizzata.
“Quanta perspicacia. Sono colpita”
“Non...non riesco a capire! Com’è possibile tutto ciò?”
“Naturale che tu te lo chieda. Sono giunta qui tre anni fa, con lo scopo di infiltrarmi e di conquistare piena fiducia dai Mildriend, in particolare quella del Consiglio. È stato un compito impegnativo, ma alla fine sono riuscita a diventarne un membro effettivo. Il potere di cui dispongo è talmente forte da essere stato in grado di occultare quella che è la mia vera natura. Persino i Saggi e Quisaadi sono stati ingannati”
“Il tuo...potere?” disse Astril esitante.
“Posso mutare, almeno apparentemente, la mia stirpe. Posso essere una Desideria, una Mildriend, una Nureyel, una Syrma...”
Con un semplice movimento delle dita, i capelli della donna, ad ogni nome, cambiavano colore. Corvini, rossi porpora, verdi menta, biondi oro...
Astril si portò una mano alle labbra, sgomenta.
“Hai ingannato ognuno di loro...per tutto questo tempo!?” urlò.
“Precisamente. È bastato farmi trovare in un campo martoriata dalla ferite e fargli credere di essere una fuggitiva, scampata a lungo dai Desideria. Banale forse, ma deliziosamente efficace. Ma ora basta parlare. Ho aspettato a lungo questo giorno, ed ora non posso lasciarmi sfuggire l’occasione. Avrei agito giorni fa, ma il momento non era ancora propizio. Cambiare stirpe non è il mio unico potere, e te lo dimostrerò”
Repentina, si scagliò contro Astril, che si ritrovò inchiodata alla parete per la gola, stretta con forza dalla mano destra di Myran. Sul palmo della sinistra comparve una sfera fremente, molto simile a quella di Night Mare, ma incolore. La scagliò violenta contro il viso di Astril. A quel gesto seguì una forte esplosione, che creò una profonda crepa nella roccia. Del corpo della principessa, però, non vi era traccia.
Con un solo gesto del braccio, la donna bloccò a mezz’aria la spada che le era stata lanciata, per poi disintegrarla in finissima polvere nera.
Astril, sgusciata via dalla presa della maga per pura fortuna, le indirizzò contro un pugnale,  prima di fuggire fuori dall’arena.
Corse a perdifiato senza curarsi della direzione, svoltando spuntoni rocciosi e attraversando varchi nella pietra, fino ad arrivare in un luogo a lei sconosciuto, ricco di stalagmiti e stalattiti e illuminato da una considerevole quantità di luce, proveniente dall’alto.
“Mai distrarsi durante un duello”
Myran, alle sue spalle, le sfoderò un poderoso colpo con il braccio, scaraventandola a terra. Boccheggiando, Astril si rialzò e si nascose rapida dietro ad un alta sporgenza rocciosa, una delle tante.
“Non puoi nasconderti per sempre, vieni fuori!”
La principessa si appiattì ancora di più contro la roccia, in assoluto silenzio. Non aveva speranza di battere quella donna, ne era consapevole. Se qualcuno non fosse giunto presto ad aiutarla, ci avrebbe lasciato la vita. Ma chi mai l’avrebbe raggiunta in quel luogo?
Il cuore le batteva furiosamente mentre le lacrime le solcavano silenziose le guance. Era sola.
“Trovata!”
La roccia esplose alle sue spalle e la ragazza si girò di scatto, incontrando lo sguardo minaccioso di Myran, i simboli neri sotto i suoi occhi che brillavano di una luce oscura.
Senza avere il tempo di reagire, Astril finì nuovamente inchiodata a terra, sovrastata dall’Alkres.
“Il nostro gioco finisce qui, temo. E tu hai perso. Buon viaggio nel dolore, piccola Neish!”
Accadde tutto in una frazione di secondo.
Con un urlo di disperazione, Astril afferrò con forza il braccio di Myran. Da sotto la sua mano scintillò una luce rossa, abbagliante ed incandescente.
La donna strillò di dolore e la principessa si allontanò sconvolta. Sul braccio della maga, nel punto in cui l’aveva stretta, era ben visibile la sagoma ardente della mano di Astril.
La pelle di Myran sfrigolava e bruciava ed ella si accasciò in ginocchio, il braccio stretto al ventre.
Con un urlo di rabbia e sofferenza, scalò con celerità la parete, per poi fuggire da un stretto ed angusto passaggio nella roccia. Probabilmente, una delle uscite segrete di Ait Hiding. Scese il silenzio.
Sbigottita, Astril osservò tremante il palmo della sua mano, incredula di quello che era appena accaduto. Poi iniziò a correre, fuori da quello strano labirinto roccioso.
Anche a costo di perdersi centinaia di volte, doveva raggiungere la sede del Consiglio.
  

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Capitolo 11
*** Partenze e punizioni ***


 


Partenze e punizioni
Nella sala regnava da qualche tempo un silenzio grave e carico di tensione. Ognuno dei presenti era ammutolito, sconvolti dalle parole da poco udite.
Astril, in piedi vicino ad Idril, li osservava uno ad uno preoccupata , in attesa di una risposta.
“Mai mi sarei aspettato una cosa del genere...” parlò infine Gamall con un sospiro, portandosi una mano alla fronte, inquieto ed impensierito.
“Per tutto questo tempo siamo stati ciechi...”
“Chi l’avrebbe detto...proprio Myran, dopo aver vissuto con noi per tre anni” mormorò Linus “Ha sempre avuto un temperamento particolare,  ma non ho pensato nemmeno per un istante che potesse esserci qualcosa di oscuro sotto”
“Comunque sia, la questione è molto seria. Myran è riuscita a fuggire, racconterà ogni informazione appresa al Consiglio ai nostri nemici, riferirà loro che abbiamo trovato la Neish Bàn! Sapendo quanto ancora siano acerbi i poteri di Astril, gli Alkres ne approfitteranno per ucciderla!”
“La prima cosa da fare, innanzitutto, è sigillare una delle entrate. Non possiamo permetterci di ricevere visite indesiderate” disse il Primo Saggio.
“Ci penserò io” lo rassicurò Ireth “Chiamerò alcuni cittadini perché blocchino il passaggio”
“Quella maledetta...Ci ha ingannati tutti. Avevo ragione, non avremmo mai dovuto accoglierla” ringhiò Khaled.
“Per una volta mi trovo d’accordo con te, ho sempre avuto dei sospetti su di lei, ma credevo che le mie valutazioni fossero alterate dall’astio che provo nei suoi confronti. Invece la sua natura si è rivelata davvero malvagia. Ora direi che si spiegano molte cose” interloquì Keira con una lieve smorfia.
Idril abbassò lo sguardo pensosa. Era stata richiamata subito indietro dal suo giro di perlustrazione e, non appena le avevano detto cose fosse accaduto, le era subito tornata alla memoria quella strana sensazione che aveva provato vicino a Myran. Era stata forse una sorta di premonizione? Di allarme?
“Nonostante la gravità della situazione, possiamo trovare un lato positivo in questa storia: per difendersi, Astril ha utilizzato per la prima volta i suoi poteri!” esclamò il Sesto Saggio.
“Giusto, me ne ero quasi dimenticato! Dimmi Astril, che cosa hai provato?” volle sapere Gamall.
“Io...non ricordo bene. Ero disperata, non è stato intenzionale. Ho afferrato il braccio di Myran e le ho procurato un’ustione”
“Interessante, una sorta di magia legata al fuoco” rifletté il Settimo Saggio.
“E adesso che cosa facciamo?” sbottò Khaled.
“A questo punto penso che sia il caso interrompere gli allenamenti. Non ci è più permesso indugiare, dobbiamo sfruttare il vantaggio che abbiamo. Dovete partire per la ricerca delle Gemme”
“Cosa!?” si lasciò sfuggire Astril terrorizzata “Ma io...non sono ancora pronta!”
“Purtroppo lo so, ragazza. I piani iniziali erano diversi, ma ora dobbiamo adeguarci agli avvenimenti. Non possiamo aspettare oltre. Dovrai fare affidamento su ciò che hai imparato fino ad ora, con la speranza che i tuoi poteri vengano presto alla luce”
“Non devi temere nulla, Astril! Ci saremo anche noi!” ammiccò Idril.
“Non sarai sola” concordò Keira decisa, posando una mano sul pugnale.
“In questo momento sarebbe necessario un consiglio di Quisaadi, ma la Saggia sembra svanita nel nulla” mormorò il Terzo Saggio. La vecchietta infatti non si era vista per l’intera giornata.
L’arciera fece per rispondere qualcosa, quando l’enorme portone in pietra venne improvvisamente schiuso.
Appoggiata al suo bastone di noce, Quisaadi avanzava a piccoli passetti rapidi, gli occhi tondi puntati davanti a sé e la labbra sorridenti. Alle sue spalle, con aria persa ed intimorita, avanzava una giovane.
“Felixia!?” esclamò Astril sbigottita, alla vista della cameriera. Erano giorni che non si parlavano, da quando la principessa aveva scoperto di essere la Neish. Aveva preferito tenere l’amica all’oscuro di ogni cosa, sfuggendo, seppur con molto dolore, tutte le sue visite.
“Quisaadi! Che significa ciò? Come mai hai portato qui la ragazza?” sobbalzò il Primo Saggio, sbalordito.
Per risposta, la vecchietta gesticolò vivacemente, senza perdere quel suo cipiglio allegro.
“Come? Le hai narrato tutto?” fece perplesso il Terzo Saggio, facendo sì che gli altri guardassero ancora più sbigottiti la Saggia e la cameriera, che sfuggiva continuamente ogni sguardo, specialmente quello di Astril.
Gamall, seppur un poco divertito, si portò una mano alla fronte, non riuscendo a capacitarsi di quello che Quisaadi gli aveva appena detto.
“Dice che desidera la presenza di Felixia nella missione, sostenendo che, durante il viaggio, la ragazza potrebbe scoprire le proprie origini, dal momento che attraverserete ogni regno di Erendithum”
“Che gesto nobile da parte tua, Quisaadi” osservò Ireth sorridente, sinceramente colpita.
“Certo, ma anche, permettetemi, molto avventato!” esclamò il Primo Saggio, che per la prima volta pareva non riuscire a mantenere la solita imperturbabilità “Avresti potuto metterci al corrente tempo prima della tua decisione, Saggia! Senza contare che Astril in questo periodo si è allenata duramente, mentre l’altra giovane no! Non è pronta per uscire da Ait Hiding, in ogni caso”
“Non esattamente...” s’intromise Idril, l’espressione colpevole. Gli sguardi vennero rapidamente puntati sulla giovane, che si affrettò a spiegare.
“Quisaadi mi informò immediatamente delle sue intenzioni, ed  affidò a me il compito di prepararla, segretamente. Un allenamento clandestino, per così dire” si portò un mano alla nuca con un piccolo sorriso imbarazzato.
“Idril!”
“Sono desolata, ma la Saggia mi aveva dato istruzioni precise, non avrei dovuto farne parola con nessuno” rivolse un’occhiata a Quisaadi, in cerca di una qualche conferma. La vecchietta annuì compiaciuta.
“Ma...perché mai tenerlo segreto?” fece perplesso Linus.
“Aveva timore che voi altri membri del Consiglio non approvaste, in quanto vige la maggioranza”
“Perciò, Quisaadi, hai preferito svelarci  l’arcano solo adesso”
La Saggia annuì nuovamente.
“Stando le cose in questo modo, non credo che potremo opporci. Così come desiderato dall’Anziana, ti unirai alla missione, Felixia”
La cameriera, senza alzare lo sguardo, avanzò di qualche passo, portandosi vicino ad Ireth.
Astril frattanto continuava a fissarla, impaziente di parlarle e desiderosa di sapere cosa pensasse riguardo all’intera faccenda.
“A che punto è la sua preparazione, Idril? Gli allenamenti hanno portato qualche giovamento?”
“Il suo livello corrisponde pressoché a quello di Astril”
“Siamo messi bene...” sbottò privo di entusiasmo Khaled.
“Ora che molti quesiti sono stati chiariti vi chiedo di congedarvi, poiché dobbiamo discutere di alcune questioni. Ci ritroveremo tutti nell’uscita Est all’alba di domani, poco prima della vostra partenza, per fornirvi alcuni dettagli. Potete andare”
Così, uno ad uno i membri più giovani lasciarono la sala. In fretta e furia la principessa superò in grandi falcate i gradini del cunicolo per raggiungere Felixia, la prima ad essere uscita.
“Felixia, aspettami!”
La cameriera si fermò in cima alla gradinata, l’espressione mesta.
“È da quando sei arrivata con Quisaadi che desidero parlarti! Questi giorni sono stati un turbinio per me e...”
“Vi chiedo perdono” la interruppe la ragazza tristemente.
Astril sbatté le palpebre, sinceramente stupita.
“Perdono? Per cosa?”
“Per averti tenuto nascosto il mio allenamento e il resto. Non amo i segreti, ma ho dovuto seguire la volontà della Saggia”
Astril la guardò intenerita “Non devi scusarti di nulla, hai solo eseguito ciò che ti è stato chiesto. Inoltre, siamo nella stessa situazione. Anch’io ti ho celato molte cose”
“Sembra uno scherzo del destino...in un modo nell’altro ti ritrovi sempre con me al seguito, anche in questa occasione” mormorò.
“Scoprire la tua stirpe è molto importante per te, non è così?” le domandò la principessa.
“Sì, ma questo non giustifica il fatto che...”
“Hai pieno diritto allora di unirti al viaggio. Nessuno può privartene, e sicuramente non io. E poi, l’idea di averti al mio fianco in questa dura e spaventosa prova mi rende più serena, mi fa sentire un po’ meno sola” sorrise.
Felixia la osservò un attimo confusa, poi sollevò le labbra in un sorriso commosso, gli occhi appena lucidi. La gentilezza e la comprensione di Astril la sorprendevano piacevolmente ogni giorno di più.
“Vi ringrazio, le vostre parole mi hanno risollevata”
“Ne sono felice. Ora andiamo, ci sono molte cose di cui desidero conferire con te, e credo che freddi gradini rocciosi non siano il luogo più adatto per farlo!”

Il mattino seguente giunse con fin troppa celerità.
Astril, in compagnia di Idril, Ireth e Felixia, vagava lo sguardo lungo le pareti rocciose in maniera quasi ossessiva, intenta ad osservare ogni minuzioso particolare di quella zona a lei ignota, con la speranza di distrarsi un poco e rallentare il battito furioso del suo cuore.
Quella notte, ansiosi e continui pensieri le avevano impedito di addormentarsi; la sua mente non aveva fatto altro che rimuginare sugli ultimi avvenimenti, il ricordo dello scontro con Myran impresso a fuoco nella memoria.
Indirizzò uno sguardo a Felixia, anch’ella impegnata nella contemplazione della roccia. Sebbene i loro ruoli fossero completamente diversi, entrambe provavano le medesime emozioni: agitazione, paura, aspettativa. 
Il giorno precedente si erano confidate sino a sera i rispettivi timori, ed Astril aveva chiesto alla cameriera se la ritenesse degna del ruolo di Neish, pregandola di rispondere con sincerità. La giovane aveva sussultato, colta alla sprovvista, e aveva mormorato imbarazzata qualche parola di incoraggiamento. Era chiaro come il sole che nemmeno Felixia la vedeva come una paladina, ed Astril, purtroppo, si riteneva perfettamente d’accordo.
Come sarebbe andata a finire quella missione non lo sapeva neppure lei stessa.
Fece un profondo respiro e drizzò le spalle per ritrovare coraggio. Non poteva permettere di lasciarsi abbattere.
Affrettò il passo fino a raggiungere Idril, allegra come sempre.
Si inoltrarono in una fitta e soffocante oscurità. Ogni luce pareva esser stata inghiottita, ad eccezione del vivido scintillio proveniente dalla gemma bianca che Idril indossava come spilla.
“Oggettino interessante, non trovi? Ho rinvenuto questa pietra in un ruscello, mentre ero in avanscoperta. Mi ha colpita immediatamente, perciò me la sono presa. In situazioni come queste può tornare estremamente utile”
Astril annuì, ipnotizzata dalla pura luce bianca.
“Lo considero il mio porta fortuna, e in un certo qual modo il mio segno di riconoscimento!”
Guidate dall’arciera, le giovani giunsero infine in una piccola conca rocciosa.
La luce del sole fu così abbacinante che Astril dovette schermarsi gli occhi con un mano. Una volta che i suoi occhi si furono abituati, poté notare un’infinità di fori nel soffitto roccioso.
Linus, giunto da poco insieme agli altri, andò loro incontro.
“Molto bene, ci siamo tutti. Il Primo Saggio deve parlarvi...”
“Ci siamo riuniti tutti qui per darvi il nostro saluto ed augurarvi un buon viaggio, lontano il più possibile da ogni pericolo. Confidiamo in voi. Non abbiate timore dell’oscurità, terrete il male a bada, finché potrete contare sull’appoggio dei vostri cari”
Astril abbassò lo sguardo.
“Giovane Neish...” la chiamò dolcemente Gamall e la principessa alzò il capo “So cosa turba il tuo cuore. Il tuo percorso è appena cominciato, troverai il coraggio e la forza necessari, anche se per il momento ti sembra impossibile crederlo. Dovrai superare molte prove ed ostacoli, ma sono sicuro che riuscirai ad affrontare qualsiasi cosa che il fato porrà dinnanzi al tuo cammino”
La ragazza annuì piano, e sentì una mano rugosa stringerle con decisione il braccio. Quisaadi le sorrideva fiduciosa ed Astril, rincuorata, ricambiò il sorriso.
“Ogni gemma è nascosta in un Regno di Erendithum. Il vostro compito consiste in quello di trovarle e riunirle. Non sappiamo dove si trovino, ma la Neish sarà in grado di percepirne la presenza”
“In che modo?” domandò la ragazza.
“Attraverso brevi visioni, come quella che hai avuto la sera in cui ti sei impossessata della Gemma dei Mildriend”
“A tal proposito, hai la gemma con te, Astril?”
La principessa annuì. Slacciò appena la giubba in cuoio che indossava, mostrando al suo interno un piccolo sacchetto rosso, dove aveva riposto la pietra.
Il Primo Saggio approvò, poi egli e gli altri Saggi invitarono la ragazza ad avvicinarsi, per comunicarle ancora qualche informazione.
Felixia, rimasta in disparte, sentì una mano posarsi lieve sulla sua spalla.
“Volevo darti questo” disse dolcemente Ireth, porgendole un piccolo ramoscello di fiori lilla essiccati “Un piccolo omaggio da parte mia, l’aroma di questa pianta dovrebbe essere in grado di ritemprare lo spirito”
La cameriera prese l’omaggio senza allontanare gli occhi da quelli di Ireth, mentre una dolorosa consapevolezza di faceva largo nel suo cuore.
“Tu...non verrai, quindi?”
Ireth scosse il capo.
“La mia presenza è richiesta qui. Devo occuparmi della medicina di Ait Hiding, il mio contributo è fondamentale”
“Capisco...” mormorò la cameriera. Indugiò un poco, poi si gettò tra le braccia della Mildriend, che la strinse a sé in un silenzioso abbraccio. Molto tempo sarebbe passato prima del loro prossimo incontro.
“Ascolta Felixia, io... avrei un favore da chiederti”
“Tutto ciò che desideri!”
“Giorni fa ti accennai qualcosa riguardo a mia sorella. È più piccola di me di un anno, ha i capelli corti e gli occhi del mio stesso colore. Se la incontrassi, dille che sei una mia amica e...insomma, vedi se ti capita di scorgerla, solo questo. Il suo nome è Irienys”
“Farò il possibile, non preoccuparti” la rassicurò.
Nel frattempo, poco lontano, Keira le osservava parlare. Per lei, intollerante degli abbracci e delle lacrime, un piccolo saluto era sufficiente.
“Non verrai neppure tu, vero?” disse rivolta a Linus.
“Purtroppo no. Vorrei potervi dare il mio contributo, ma devo restare per proteggere Ait Hiding. Inoltre, i Saggi mi hanno comunicato di avere in serbo un compito da affidarmi”
“Di che si tratta?” domandò Khaled abbarbicato su una sporgenza.
“Non mi hanno ancora detto nulla e, anche se lo sapessi, non te lo direi comunque”
“Vuoi forse ritirarti? Potresti restare con Linus e andare in missione con lui ” propose Keira lanciandogli un’occhiata.
“Giammai. Sono anni che aspetto, di certo non mi tirerò indietro ora!”
“Vedo che siete entrambi agguerriti, è un buon segno, il coraggio non vi manca. Cercate solo di non farvi ammazzare”
“Lo stesso vale per te” replicò Keira.
Linus osservò entrambi dolcemente, un piccolo sorriso ad increspargli le labbra. Tante cose avrebbe voluto dire loro, ma sapeva che le parole sarebbero state superflue.
Sebbene li conoscesse sin da bambini, quei due risultavano per lui ancora un mistero. Combattivi, testardi e con una volontà di ferro.
Li ricordava entrambi alla perfezione,  ricordava una ragazzina dallo sguardo vispo e determinato, capace di allenarsi pomeriggi interi con spade grosse il doppio rispetto al suo corpicino. Rivedeva poi  un ragazzino, scostante e ribelle, divenuto col tempo ancora più intrattabile.
Quante ore aveva trascorso con loro, tempo passato a duellare, ad insegnare, a placare le loro risse e i loro litigi. Erano cresciuti, maturati, eppure molte cose erano rimaste le stesse.
Si stavano dirigendo verso mete ignote e pericolose, ma era certo che li avrebbe rivisti. Aveva fiducia in loro, l’aveva sempre avuta.

Molti altri saluti vennero scambiati ed, infine, il gruppo si accinse a partire.
Con l’aiuto di Idril, Astril scalò la parete rocciosa, il suono degli incoraggiamenti dei Saggi e di Linus che man mano venivano inghiottiti dalla pietra.
Con fatica  attraversò uno stretto spiraglio, illuminato interamente dalla calda luce del sole, la finestra sul mondo esterno.
Fu come rinascere.
L’aria frizzante del primo mattino le sfiorava piacevolmente la pelle, un lieve venticello si insinuava tra i capelli rinfrescandola, mentre i raggi le scaldavano appena il viso. I colori dell’alba limpida splendevano vivi nel cielo, infranti in alcuni punti dalla pallida, ma luminosa, luce del sole.
Si trovavano piuttosto in alto, su di un sentiero che scendeva ripido e  serpeggiante lungo il profilo della montagna sino al suolo.
La principessa scrutò l’orizzonte riparandosi dal riverbero con una mano. Di fronte a sé riusciva ad intravedere il territorio roccioso immergersi poco a poco nel verde, sagome di alberi le cui foglie rilucevano al sole ed infine i contorni foschi di alcune alture.
“Per iniziare proseguiamo lungo il sentiero sino a terra”
Keira si incamminò sicura, fiancheggiata da Khaled. Seguivano poi Felixia ed Astril, mentre Idril stava alla retroguardia.
Da principio il gruppo avanzò agevolmente, presto però la via divenne  scoscesa ed accidentata, talvolta ostruita da alcuni massi e ciottoli, franati dalla cima.
Giunsero alla fine del ciottolato e Keira, senza fermarsi, cominciò ad informare i compagni della direzione che avrebbero intrapreso.
“Al momento ci troviamo al confine di quello che era il Regno dei Mildriend; il nostro obbiettivo è raggiungere il Regno dei Nureyel. Saranno necessari quattro giorni di viaggio. Quest’oggi sfrutteremo anche la notte, e così anche domani. Gli ultimi due giorni potremo invece sostare per dormire un’intera nottata, ovviamente stabiliremo dei turni di guardia. Per un po’ proseguiremo sul sentiero, poi prenderemo una via alternativa, più sicura. Per ora non saranno necessari i cappucci, questa zona è poco praticata”
“Cosa faremo quando saremo arrivati del territorio dei Nureyel?” domandò Idril.
“Ci dirigeremo verso la capitale, Duilliur. Questo è il percorso più logico se vogliamo percorrere l’intera Erendithum, anche se non sappiamo dove si trovi la gemma. Potrebbe trovarsi nella città, come in un villaggio sperduto o in un qualsiasi altro posto. Magari in questi giorni Astril potrebbe avere una visione e darci un indizio, nel frattempo faremo così”
Astril la guardò con ammirazione. Quella ragazza possedeva un senso pratico invidiabile. Era evidente che sarebbe stata lei la loro guida in quell’avventura.
Camminarono per l’intera mattina senza fermarsi. Il sole si era spostato alto nel cielo e i suoi raggi erano divenuti roventi. I viaggiatori si erano calati i cappucci sul volto, con la speranza si schermarsi un poco. La temperatura si era notevolmente alzata e l’aria pareva quasi vibrare per via del calore.
Astril sentiva la bocca completamente prosciugata. Avrebbe voluto bere un sorso d’acqua, ma Keira era stata irremovibile: le provviste andavano razionate. Un boccone ed un sorso ciascuno in determinati momenti della giornata, nulla di più.
Nonostante il clima spossante, Idril pareva aver mantenuto la sua vitalità. Parlottava felicemente con Felixia, lieta di avere qualcuno che la distraesse dai suoi pensieri, senza però essere obbligata a rispondere. Bastavano qualche commento e pochi cenni con il capo, e l’arciera ricominciava con le sue chiacchiere.
Astril camminava vicino a loro silente, ed osservava pensierosa la ragazza. Da quando erano partiti non aveva fatto altro che riflettere su una cosa: Idril aveva detto di aver ricevuto istruzioni direttamente da Quisaadi, ma come aveva fatto a comprendere la sue parole, se l’Anziana si esprimeva unicamente a gesti? Da quel che sapeva, solo Linus e i Saggi capivano il suo linguaggio.
Avrebbe voluto chiedere all’arciera, ma per qualche motivo si sentiva bloccata. Forse il caldo le aveva prosciugato persino le parole.
Il giorno passò senza particolari avvenimenti. Giunse il crepuscolo e poi la notte, ed  il vento riprese a soffiare dolcemente. La via, illuminata dalla luna, si era inoltrata tra gli alberi, le cui fronde scintillavano argentate mentre i tronchi nodosi  parevano sagome scure.
Il bagliore della pietra di Idril faceva invidia alla luna; la ragazza ora procedeva in assoluto silenzio, un’espressione serena sul volto.
Nessuno parlava, ciascuno immerso nei propri pensieri, vi era chi ripensava al passato e guardava al futuro con timore e chi invece teneva la mente fissa sulla prossima meta e rifletteva su come agire una volta arrivati.
La notte trascorse tranquilla e piacevole e per Astri, dopo le ultime notti passate nell’agitazione, fu una delle nottate più riposanti.
Ad ogni passo, il Regno dei Nureyel si faceva sempre più vicino.

                                                                                  °°°
Le bestie alate, rinchiuse nelle loro gabbie di ferro nero, ringhiavano e ruggivano rabbiose, mentre sporadici fulmini bluastri squarciavano il cielo d’ombra.
Tuttavia, quell’insonne  malanimo pareva non disturbare minimamente coloro che si trovavano all’interno dell’enorme  fortezza di ossidiana; i suoni esterni, inghiottiti dalle spesse e resistenti mura acuminate, non erano altro che un lontano e soffuso rumore.
Myran, inginocchiata a terra col capo rivolto verso il basso, percepiva su di sé lo sguardo di tutti i presenti. Sguardi imperturbabili ma che di sicuro celavano biasimo e delusione, o sguardi divertiti.
La donna cercava di ignorare ognuno di essi, eccetto uno in particolare che, per quanti sforzi facesse, proprio non riusciva a non temere: uno sguardo gelido e micidiale.
Sebbene le fosse impossibile vederlo era certa che l’uomo in piedi innanzi a lei la stesse osservando in quella precisa maniera.
“Sei una maga potente, Myran...” cominciò egli dopo un lungo silenzio, avanzando di qualche passo.
“Sei astuta, abile ingannatrice e pronta a tutto pur di ottenere i tuoi scopi. Ottime caratteristiche per un’Alkres, devo dire. Eppure...” si fermò “Hai fallito”
“Lo so, e ti chiedo perdono, io...”
“Fai silenzio!” urlò l’uomo, e la donna s’interrupe sussultando.
“Ti ho affidato un compito, ho riposto fiducia nelle tua capacità, ed è così che mi ripaghi? Come ha potuto un’Alkres lasciarsi sconfiggere da una sciocca e debole ragazzina!?” riprese, il tono carico d’ira.
“Sono rammaricata, l’avevo in pugno, ma i suoi poteri mi hanno sorpresa!”
“I suoi poteri? Come puoi definire ‘potere’, quello?” rispose sprezzante, indicando il braccio di Myran, l’impronta della mano di Astril che ancora scintillava ardente.
“Questi non sono che miseri trucchetti, un’infima parte dei reali e completi poteri della Neish, per questa ragione avresti dovuto eliminarla subito, ma non sei stata in grado di portare a termine la missione per la quale, con tanta superbia, ti eri offerta volontaria”
La donna strinse i denti, sia per la frustrazione sia per il dolore prodotto dalla ferita.
“A causa della tua incompetenza, i Mildriend si sono impossessati di una delle gemme e hanno trovato la Neish Bàn, che ora è viva e vegeta”
“Mi rendo conto di aver fatto un errore imperdonabile, ma, ti prego, dammi una seconda possibilità, questa volta non fallirò, non abbasserò la guardia!” lo pregò lei, alzando di scatto la testa. Una forza invisibile gliela fece immediatamente chinare.
“Mi hai deluso, Myran. Ed io non sono mai clemente con coloro che mi deludono”
Celere si avvicinò alla donna e con forza le afferrò il braccio ferito. La maga urlò di dolore, ma l’uomo, impassibile, strinse ancora più forte, mentre un’aura nera si disperdeva intorno al suo mano.
Con un gesto brusco lasciò la presa e si allontanò, mentre Myran, ansimante, si portò al petto il braccio. La sagoma della mano di Astril da rossa incandescente era divenuta nera.
“Questo per ricordarti il tuo fallimento. Hai ancora una possibilità, non la sprecare. Se mi deluderai di nuovo, subirai le atroci conseguenze. Ora sparisci, quando avrò bisogno di te ti chiamerò”
Rapida, Myran si alzò in piedi e scomparve tra le colonne del palazzo.
Avvolta nel suo mantello nero, Night Mare, che aveva assistito all’intera scena con volto imperturbabile, nemmeno si mosse quando l’altra le sfrecciò vicino.
Non aveva provato pietà per quella sciocca nemmeno per un istante. Chi falliva meritava una punizione esemplare, che gli rammentasse fino alla fine dei suoi giorni la sconfitta subita.
Lanciò un fugace sguardo al profondo cerchio nero sul suo polso destro, simbolo impresso il giorno in cui era stata messa in fuga da Keira e dalle sue compagne. Aveva ricevuto la punizione senza emettere un suono, determinata a riscattarsi il più presto possibile.
Fremette appena. La mezza Desideria era riuscita a sopravvivere al suo fulmine nero, e si era rivelata la tanto leggendaria Neish. Ucciderla sarebbe stato un doppio piacere.
“Che questo serva da lezione a tutti voi. Il nemico non va sottovalutato, mai. Abbiamo indugiato troppo a lungo, dobbiamo recuperare terreno ed elaborare una strategia. Dove sono Eclipse e Aoghaire? “
“Aoghaire non è ancora rientrato dalla missione, mentre Eclipse...non ho idea di dove si trovi in questo momento” rispose Dread.
“Mai presente quando è richiesta la sua presenza” commentò l’Alkres seccamente.
“Come hai intenzione di agire adesso, Waldak?” domandò una figura in penombra, le labbra rosse lucide distese in un sorriso enigmatico.
“Ssscoviamo i Mildriend e li attacchiamo? Sssicuramente a breve ssi metteranno in viaggio per cercare le gemme, potremmo coglierli di sssorpresa!” propose una ragazza, la piccola lingua biforcuta che vibrava frenetica e  gli ipnotici occhi gialli che scintillavano eccitati.
“No, per prima cosa ho bisogno di consiglio. Quando avrò ascoltato la Sua volontà vi convocherò nuovamente e vi informerò su come avremo intenzione di agire. Adesso andatevene”
Silenziosi come ombre, ognuno di essi lasciò la sala.
A passo svelto e con la mente carica di riflessioni, Night Mare si incamminò verso la sua stanza, quando una voce maliziosa richiamò la sua attenzione, costringendola a fermarsi.
“Ho la sensazione che la prossima missione verrà affidata a me. La situazione si sta rendendo complicata, e credo che il mio intervento porterebbe dei giovamenti” disse la ragazza dalle labbra rosse, un sorriso appena accennato.
“Vuoi davvero renderti utile alla causa, o vuoi solo incrementare il tuo potere?” replicò l’altra senza neppure voltarsi.
“Mh, entrambi direi” ridacchiò sommessamente “Ma è quello che vogliamo tutti, dico bene?”
“Ognuno ha le sue motivazioni. E se Waldak ti riterrà degna, allora ti attribuirà un incarico. In caso contrario...”
“Non sottovalutarmi. Credo di avere la stoffa necessaria per la missione imminente...”
Con queste ultime parole si allontanò, fino a scomparire nell’oscurità del corridoio.
Night Mare riprese a camminare. In seguito al suo ultimo fallimento, desiderio di gloria e potere erano passati in secondo piano. Le priorità erano divenute altre: portare a compimento il volere di Waldak; in futuro non l’avrebbe mai più deluso.
L’immagine della principessa trafitta dal suo incantesimo riapparve nitida nella sua memoria. Al loro prossimo incontro, la Neish avrebbe rimpianto il fulmine nero.


°Note dell'Autrice°
Ciao a tutti! Ditemi, come vi è sembrato il capitolo e la storia fino ad ora? Mi farebbe piacere sentire il vostro parere ^.^ Dal prossimo capitolo in poi si entrerà proprio nel vivo, con l'inizio della loro missione la trama si svillupperà sempre di più. Ne succederanno di tutti i colori ;)
A presto!

The_Grace_of_Undomiel


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Capitolo 12
*** Tra vie, spezie ed indovine ***




Tra vie, spezie ed indovine

 

Arrampicata sulla cima di un alto e nodoso albero, Idril osservava con occhi socchiusi l’orizzonte innanzi a lei, la mano davanti agli occhi per schermirsi dall’accecante riverbero.
Il sole brillava ardente di una luce piena e dorata,  illuminava le soffici nuvole bianche redendole tondeggianti sagome oro, e si infrangeva sull’intero territorio, rischiarato da calde sfumature.
La giovane arciera sbatté un paio di volte le palpebre, prima di spalancare i grandi occhi verdi, entusiasta.
Nascoste da dolci colline, poteva intravedere i contorni sbiaditi di alcune torri sottili e le sagome di spessi edifici.
Finalmente, dopo innumerevoli arrampicate e perlustrazioni, i suoi occhi avevano visto qualcosa di diverso rispetto agli alberi e alle alture a cui aveva ormai fatto abitudine: Duilliur, la capitale del Regno dei Nureyel.
Con rapidità discese lungo il tronco dell’albero ed atterrò con leggerezza al suolo.
“Allora?” domandò Keira, che insieme agli altri aveva atteso il ritorno della ragazza.
“Ormai ci siamo! Sono riuscita ad intravedere i contorni della città, Duilliur dista poche miglia da qui”
“Perfetto, cominciavo ad averne abbastanza di cespugli e rada boscaglia” borbottò Khaled, rialzandosi in piedi e pulendosi il mantello da qualche foglia e ciuffo d’erba.
“A questo punto direi di rimetterci in cammino, se ci sbrighiamo arriveremo in città verso il pomeriggio. Sebbene Astril non abbia ancora avuto alcuna visione, potremo intanto visitare la città in cerca di qualche indizio e fare scorte di viveri. Andiamo”
Keira voltò le spalle e riprese ad avanzare con il suo solito passo celere e spedito. Senza perdere tempo Khaled l’affiancò, per nulla intenzionato a lasciarla in testa al gruppo.
La principessa, poco più indietro, sospirò abbattuta. Durante quei giorni, per quanto si fosse concentrata, non era riuscita a trarre alcuna informazione sulla posizione della gemma. Le visioni parevano essere sparite nel nulla. La premonizione che aveva avuto ad Ait Hiding era stata improvvisa e per nulla intenzionale. I Saggi l’avevano assicurata che avrebbe trovato senza troppe difficoltà la posizione della pietra, ma se così non fosse stato? Dopotutto le sue capacità di Neish erano ancora pressoché inesistenti.
“Non vi abbattete, sono certa che prima o poi avrete una visione!” sorrise Felixia.
“Spero che tu abbia ragione! Sono giorni che ci provo, ma i miei tentativi sono stati tutti vani”
“Evidentemente non ti trovi abbastanza vicino alla gemma. Ricordi quando hai preso la Gemma dei Mildriend? Per qualche tempo hai provato una strana sensazione, e solo in seguito ti è stato mostrato dove si trovasse. Credo che tu debba avere pazienza” interloquì Idril.
Astril annuì. Probabilmente avevano ragione, doveva solo attendere.
Da quando erano entrati nel Regno dei Nureyel, sette giorni prima, l’aria si era fatta meno torrida e soffocante, talvolta qualche fresco sospiro di vento risollevava i viaggiatori e li rinfrescava.
I Regni Soliluce, in cui sfavillava un eterna estate, erano complessivamente tre: il Regno dei Desideria, il Regno dei Nureyel e il Regno dei Syrma. Il territorio più caldo era quello dei Desideria, seguiva poi quello dei Nureyel, dalle temperature molto calde ma sopportabili, ed infine il Regno dei Syrma, il cui clima era piacevolmente mite.  Le condizioni atmosferiche delle altre terre erano invece indubbiamente più variabili, si alternavano piogge, forti venti, nebbia e freddo a temperature primaverili, fino a giungere nei Regni Nevicristalli, in balia dell’inverno.
Dopo i quattro giorni  necessari per giungere nei territori dei Nureyel, i giovani avevano camminato poi altri tre giorni per avvicinarsi alla capitale. Il viaggio era stato tranquillo e privo di pericoli, alquanto faticoso per via delle calde temperature, ma povero di rilevanti avvenimenti.
Astril, Felixia ed Idril avevano chiacchierato tra loro per tutta la durata del viaggio. La principessa e la cameriera avevano ascoltato colpite le avventure dell’arciera, le sue perlustrazioni e i luoghi da lei scoperti.
Keira era intervenuta nei loro discorsi sporadiche volte, intenta principalmente a controllare la direzione e a dirigere il gruppo, o a scontrarsi con Khaled sulla direzione da prendere.
Il ragazzo si era sempre mantenuto in silenzio, tranne le volte in cui aveva contestato le decisioni di Keira o quando aveva commentato  i racconti di Idril con poco interesse. Non aveva però ancora rivolto la parola ad Astril e Felixia, da lui osservate molto spesso con diffidenza e scetticismo.
Nonostante la principessa si fosse rivelata la Neish, unica speranza contro gli Alkres, Khaled non aveva dimenticato le sue origini e a quale stirpe appartenesse. Non sarebbe bastata una stilla di sangue Mildriend per purificarla dalla crudeltà dei Desideria, popolo per il quale provava un odio scellerato.
La cameriera per egli risultava ancora un mistero. Viste le sue scarse capacità non la riteneva una particolare minaccia, bensì un fastidioso peso, l’elemento debole, insieme ad Astril, della compagnia.
Era certo che quelle due avrebbero dato non pochi grattacapi.

Proseguendo il cammino, gli alberi nodosi cominciarono poco a poco a scomparire, e il cielo  azzurro, squarciato in alcuni punti da striature dorate, ritornò visibile ai viaggiatori.
Attraversate con facilità le colline, si ritrovarono in un ampia valle, una distesa di fine erba lucente. Duilliur era ora ben visibile, le torri che, colpite dai raggi del sole, rilucevano di una luce verde smeraldo.
Incuriosita, Astril si portò vicino a Keira, alla quale chiese il perché di quel particolare bagliore.
“I Nureyel sono abili nell’utilizzare un particolare materiale, rinvenibile soltanto nelle loro grotte e miniere. Al momento non rammento il suo nome, ma so che si tratta di un metallo verde molto luminoso. Pare che in queste terre se ne trovi in grande quantità, per questo viene largamente utilizzato”
Riflettendoci con maggior attenzione, Astril ricordò di averne già sentito parlare. Da molto tempo pareva infatti che Moron stesse cercando  di persuadere il sovrano dei Nureyel perché questi offrisse il materiale ai Desideria, con scarsi risultati.
La principessa conosceva poco a proposito dei Nureyel, anzi, ignorava molti dettagli su tutte le stirpi, in quanto non aveva  ancora affrontato l’argomento con il professor Hatch; perciò, non sapeva dire se il rifiuto del sovrano fosse determinato da qualche motivo particolare o da semplice avidità.
“Una volta arrivati in città ci divideremo in gruppi, dal momento che cinque persone incappucciate potrebbero risultare un po’ sospette. Per prima cosa credo sia il caso rifornirci di viveri, poi visiteremo la città in cerca di qualche indizio utile” disse Keira.
“Mi sembra un ottimo piano! Astril e Felixia verranno con me! Sono già stata qualche volta qui, ci sono tantissime belle cose da vedere ed ammirare, ve le mostrerò tutte!” esclamò allegramente Idril, circondando le spalle delle due ragazze con un braccio.
“Non siamo qui per divertirci” le fece presente Khaled.
“Vero, tuttavia, visto che dovremo comunque visitare la città, questa potrebbe essere una buona occasione per distrarsi un po’...” ragionò Keira ad alta voce, stringendosi nelle spalle.
Astril si voltò a guardarla, un sorriso stranito ad incresparle le labbra. Da quando Keira conosceva il termine ‘distrarsi’? Allora anche a lei faceva piacere svagarsi, ogni tanto.
“Io visiterò la città da solo, magari trovo qualcosa di utile”
Keira tirò intimamente un sospiro di sollievo. Meglio, così avrebbe avuto qualche attimo di pace.
“D’accordo, io mi occuperò dei viveri. Una volta arrivati decideremo  il punto adatto in cui rincontrarci”
“Dove dormiremo?” domandò Felixia.
“Conosco un posticino abbastanza tranquillo in cui passare la notte. Un piccolo spiazzo erboso, nascosto dalla vegetazione, poco lontano dalla città, ma ben riparato. Nessuno verrà a disturbarci” rispose la Mildriend più giovane.
Accordatisi sugli ultimi dettagli, il gruppo proseguì in silenzio. In lontananza Astril poté intravedere il sentiero principale posto qualche metro più ad Est rispetto alla loro posizione. Ricordava bene la disputa che Khaled e Keira avevano avuto giorni prima, chi convinto che si dovesse proseguire sul sentiero, e chi convinto del contrario.
Così presa dagli ultimi avvenimenti, la principessa non aveva pensato che durante quel viaggio avrebbe potuto visitare tantissimi luoghi nuovi, a partire dalla capitale dei Nureyel. Da quando era nata non era mai uscita da Desponia, perciò ora si sentiva estremamente emozionata.
“Cosa sai a proposito dei Nureyel?” chiese a Keira.
La guerriera le lanciò un’occhiata.
“Tu cosa conosci?”
“Nulla, a dire il vero. A parte il colore della loro chioma” mormorò imbarazzata.
“I Nureyel sono una stirpe molto particolare, li definirei...enigmatici, e anche abbastanza dei farabutti”
“Farabutti?”
“Sì, non tutti, ma la maggior parte. Sono abili con i giri di parole e hanno un indole dispettosa, si divertono nel prendere in giro, in modo particolare i forestieri. A questo proposito, cerca di fare attenzione in città, non allontanatevi da Idril” disse rivolta anche a Felixia “E’ probabile che qualcuno degli abitanti tenti di derubarvi”
“Che  solo ci provino” intervenne Khaled a denti stretti.
“Vedi di non combinare qualche disastro mentre non ci siamo, come improvvisare combattimenti o altro. Dobbiamo essere pressoché invisibili”
“Lo so, non c’è bisogno che tu me lo dica!”
Astril abbozzò un sorriso divertito. Stavano ricominciando.
“Invece in quanto capacità magiche?” chiese ancora, interrompendo l’imminente litigio “I Nureyel sanno destreggiarsi con gli incantesimi oppure non li padroneggiano?” 
La guerriera inarcò un sopracciglio dubbiosa.
“Credevo che almeno avessi conoscenze su questo” commentò, facendo arrossire appena la principessa di imbarazzo “In ogni popolo di Erendithum scorre la magia, ci sono coloro che la padroneggiano ed altri che non possiedo capacità magiche, ma non esiste una stirpe che ne sia completamente priva. Ed ogni individuo possiede una particolare magia, non ci sono magie identiche tra loro. Forse simili, ma non identiche” 
Astril annuì piano, consapevole di aver mostrato per l’ennesima volta quanto poco conoscesse a proposito di Erendithum e dei suoi Regni. Rispetto alle interminabili ore di lezione al castello, quei pochi minuti erano stati decisamente più utili, ed anche più interessanti.
Rapido ed improvviso, uno strano fruscio le giunse alle orecchie, strappandola dai suoi pensieri.
La principessa si fermò di colpo, voltando la testa da una parte all’altra e alle sue spalle, senza trovare però alcunché di sospetto. Che se lo fosse immaginata? 
Fece per riprendere il cammino, quando udì nuovamente quel rumore singolare.
“Chi va là?” domandò al vuoto, gli occhi sgranati.
Portò lo sguardo al suolo e, quando vide la fonte del rumore, lanciò uno strillo.
A quel grido, Keira la raggiunse insieme agli altri in poche falcate.
“Che diamine succede? Perché ti sei fermata?” le domandò.
Astril non le rispose, si limitò ad indicarle qualcosa ai suoi piedi, le labbra tremanti e il viso pallido.
Semi nascosto dall’erba, era possibile intravedere un minuto essere verde dai piccoli occhi rossi, il corpo attraversato da sottili strisce nere.
“Un...serpente?” fece Felixia perplessa, dando voce ai pensieri di tutti.
Keira continuò ad osservare il rettile, prima di sollevare lo sguardo su un’ atterrita Astril.
“Ebbene? Non vedo perché allarmarsi”
“I...io, io ho il terrore dei...dei serpenti” balbettò la ragazza, tremando leggermente e senza allontanare gli occhi dalla creatura, che sibilò appena, facendole fare un balzo indietro.
“Vi prego, fate qualcosa!”
Khaled roteò gli occhi scocciato, prima di avvicinarsi ed afferrare il serpente per la coda. Questi soffio rabbioso ma, prima che potesse far nulla, venne scaraventato lontano.
Astril sospirò, sollevata.
“Era innocuo, comunque” ci tenne a sottolineare il ragazzo, prima di voltarle le spalle e rimettersi in cammino.
La principessa, ancora scossa, non disse nulla. Che fossero innocui o meno, aveva sempre temuto quella creature, le facevano venire i brividi.
Sperò intimamente di non averci mai più a che fare.


Torri ed enormi palazzi si susseguivano a piccole abitazioni modeste e a botteghe caratteristiche. La via principale era sommersa dalla moltitudine di cittadini e forestieri, il cui vociare risuonava allegro per le strade di Duilliur. Tra le infinite chiome verde menta spiccavano talvolta zazzere bionde oro, viola o azzurre, rispettivamente la stirpe dei Syrma, dei Veìdlin e degli Uishglan.
Non appena Felixia ed Astril avevano visto quel fatto così singolare, avevano strabuzzato gli occhi per lo stupore. Era infatti strano per loro veder così tante razze camminare fianco a fianco, poiché, nel Regno dei Desideria, ciò accadeva molto raramente. Ma nella città di Duilliur, luogo di passaggio, veniva considerato normale l’andirivieni di stirpi diverse, principalmente dei Regni più vicini a quello dei Nureyel.
Tra tutte quelle chiome, però, le due ragazze non avevano visto nemmeno una che comprendesse due razze diverse. I mezzosangue, infatti, erano divenuti ormai rari.
Da quando erano giunte nella città, Idril non era stata ferma un attimo. Con passo saltellante le aveva condotte ovunque, in ogni vicolo e in ogni via, e aveva raccontato loro tutto ciò che sapeva su Duilliur, dalle notizie storiche alle curiosità più recenti.
Astril ascoltava con piacere, la mente tranquilla, sebbene talvolta si guardasse intorno circospetta. Non aveva infatti dimenticato ciò che le aveva detto Keira a proposito dei farabutti. Non che avesse con sé qualcosa di particolarmente prezioso, eccetto il pugnale, che non sapeva utilizzare, nascosto sotto il mantello.
I viveri rimasti e le monete erano sotto la custodia della guerriera, perciò non ci sarebbe stato pericolo che potessero venir rubati.
Chissà come stavano procedendo le ricerche di Khaled e Keira. Quest’ultima aveva incaricato tutti di visitare in lungo e in largo la città, in attesa di una qualche visione da parte di Astril. Se la gemma si trovava lì, la principessa avrebbe dovuto provare qualche particolare sensazione, o almeno così ella sperava, dal momento che le sue capacità di Neish parevano estremamente  acerbe e ancora impossibili da controllare.
Così come stabilito, si sarebbero incontrati nuovamente  al tramonto, nel primo vicolo all’entrata della città. Avrebbero proseguito le ricerche l’indomani e, se non ci fosse stato ancora nessun segno, avrebbero ripreso il viaggio verso altre mete.
“Percepisci qualcosa di strano, Astril?” le chiese ad un certo punto Idril.
Da sotto il cappuccio, la ragazza scosse tristemente il capo.
“Nulla”
Qualcuno le urtò il braccio, facendola barcollare appena. La strada stava divenendo ancora più affollata.
“Non preoccuparti, forse non ci troviamo nel punto adatto. Abbiamo appena incominciato, se la gemma si trova affettivamente qui, presto avrai una visione” sorrise la Mildriend.
Questa volte ad essere colpita fu Felixia, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che sistemarsi il mantello, terrorizzata che qualcuno le potesse scoprire. Cominciava ad esserci un po’ troppa gente, e la cosa la metteva a disagio. Accelerò il passo. La folla la stava allontanando dalle compagne.
“A questo punto direi che potremmo dirigerci a Nord della città. Ci sono ancora molte cose da vedere, vi piacerà, e magari troveremo qualcosa in grado di mettere in allerta in sensi di Astril! Cosa ne dite?”
Non le giunse risposta.
“Ragazze, mi avete sentito?”
Si voltò.
“Ragaz...ze?”
Ad Idril, ferma in mezzo alla via, incurante dei passanti che infastiditi le giravano intorno, ci volle poco per realizzare la catastrofe.
Astril e Felixia erano scomparse.


Due figure, seminascoste in un stretto ed angusto vicolo in penombra, si osservavano da qualche tempo, l’una dinnanzi all’altra.
La prima, una minuta sagoma tremante, si trovava appoggiata al muro, in mano quella che doveva essere un’arma corta ed affilata.
La seconda, avvolta in uno scuro mantello, teneva le braccia incrociante al petto ed osservava l’individuo di fronte con calma glaciale.
“Non mi sono mai piaciuti giochi come questi” riprese a parlare.
“Io non...non sto giocando!” replicò l’altro a denti stretti, puntando l’arma davanti a sé con i polsi tremolanti.
“Hai meno di un istante per restituirmi ciò che mi appartiene”
“Me ne sono impossessato correttamente, perciò adesso è di mia proprietà!” affermò ostinato.
“Correttamente, dici?”
 La figura fece per avvicinarsi, ma la sua avanzata venne fermata dalla punta della lama, posatasi lieve sul suo petto.
“Se ti avvicini, ti uccido” sibilò la sagoma più piccola.
“Vuoi duellare?” la figura incappucciata inarcò un sopracciglio “Non ho tempo da perdere, in ogni caso sarà un combattimento veloce”
“Non sottovalutarmi! E poi con quali armi vorresti batterti? Non hai nulla con te!”
“Non ti sto sottovalutando, io non sottovaluto mai i miei avversarsi” rispose, slacciandosi il mantello.
“Che...che stai facendo?” balbettò l’altro.
A rispondergli fu lo stridore di due lunghe e lucenti lame che venivano sfilate, e che vennero puntate rapidamente proprio davanti al suo naso.
“Mi preparo alla battaglia” rispose “Non mi fermerò davanti a niente. Sei pronto?” e a quella domanda un paio di occhi scintillarono determinati da sotto il cappuccio.
Il temerario avversario, però, pareva essersi volatilizzato, unico ricordo della sua presenza l’arma che impugnava poco prima, gettata a terra.
La figura incappucciata si guardò un po’ intorno, poi raccolse la lama e la rinfoderò nella cintura.
“Ragazzini, tutti uguali. Tanto fumo, niente arrosto. E dire che sembrava determinato”
Con una lieve smorfia di disapprovazione sul volto, Keira uscì dal vicolo e riprese a camminare nel mezzo della folla.
Da quando era arrivata, avevano provato a derubarla già tre volte. Prima un ragazzo sui quattordici anni a capo di una piccola banda di ragazzini aveva tentato, fallendo miseramente, di rubarle il sacco con le provviste. Poi era stato il turno di una donna, che aveva provato ad impossessarsi del sacchetto con le  monete, ed infine il ragazzino di poco prima, che silenzioso e scaltro era riuscito a sfilarle il pugnale prediletto, per poi scappare a gambe levate. La Mildriend lo aveva raggiunto quasi subito e lo aveva trascinato per il colletto in quel vicolo.
Keira sbuffò, contrariata. Eccetto ladruncoli, non aveva ancora visto nulla di interessante, né indizi utili per la missione, né qualcosa che rientrasse nei suoi gusti personali.
Forse gli altri avevano trovato qualche indizio, o ancor meglio Astril aveva avuto una visione. Avrebbe avuto notizie solo al calar del sole e, purtroppo,  sapeva che non sarebbero state liete.
“Ragazzo? Ehy, ragazzo, sto parlando con te!” una voce le giunse alle orecchie e Keira, di riflesso, si calò ancora di più il cappuccio sul volto, prima di avvicinarsi.
Un Nureyel bassoccio le sorrideva ammiccante, mentre le indicava affabile la bancarella di cui era proprietario.
“Immagino che ad un forestiero come te capiti spesso di ritrovarsi in situazioni pericolose...”
“Non mi interessa. Arrivederci”
“No, aspetta! Questa è un’offerta imperdibile!”
Keira si fermò nuovamente ed il negoziante, sollevato, riprese a parlare.
“Vedi queste sfere?” disse “Sono di un materiale molto particolare, pressoché indistruttibile! Se le lanci addosso ad un malintenzionato, questi verrà immediatamente messo fuori combattimento da una di queste utilissime sferette!”
Con volto imperturbabile, Keira soppesò con lo sguardo l’infinità di globi, rilucenti ai raggi del sole.
“Indistruttibili?”
La ragazza ne prese una in mano, la osservò un istante, e poi la strinse con forza tra le dita. La sfera si sbriciolò in una moltitudine di schegge lucenti, sotto lo sguardo sconvolto del negoziante.
“Non mi paiono molto resistenti” osservò Keira. L’uomo pareva aver perso la parola, gli occhi fissi suoi resti della sua adorata sfera.
“Comunque, ne prendo una. Qual è il suo prezzo?”
“Te...te la regalo. Un...un omaggio” balbettò egli, porgendole tremante la sferetta.
“La ringrazio. Addio”
Keira riprese a camminare, la sfera che rigirava tra le sue dita. Forse, in futuro le sarebbe tornata utile.

La situazione in cui si trovava era veramente critica.
Felixia, gli occhi che da sotto il cappuccio saettavano inquieti da una parte all’altra, camminava da quelle che le parevano ore.
Aveva perso un attimo di vista Astril ed Idril ed in un battito di ciglia si era ritrovata sola e sperduta tra le vie sconosciute di Duilliur.
Tra meno di un’ora si sarebbe dovuta rincontrare con gli altri nel vicolo all’inizio della città, purtroppo però, la cameriera non aveva idea di come raggiungerlo, esattamente come non aveva idea di dove si trovasse lei in quel momento.
Probabilmente doveva essere finita in una delle zone secondarie della città. Le botteghe caratteristiche avevano lasciato spazio a semplici bancarelle, alle quali comunque non mancava la clientela.
Qualcuno le sfiorò il braccio e Felixia si ritrasse indietro con uno scatto, spaventata. Il cuore le batteva furioso nel petto, mentre la mente macchinava frenetica in cerca di una soluzione. Come avrebbe fatto a ritrovare gli altri? 
Si riscosse, imponendosi la calma. Lasciarsi travolgere dal panico avrebbe solo peggiorato la situazione. Avrebbe voluto chiedere indicazioni, ma nella sua posizione sarebbe stato troppo rischioso, perciò, l’unica cosa da fare, era proseguire lungo la strada, con la speranza di arrivare prima o poi in un luogo conosciuto.
Fece scorrere lo sguardo sulle numerose bancarelle, cercando di distrarsi un poco, finché una in particolare non attirò la sua attenzione.
Spezie dalle infinite forme e dimensioni erano poste con cura all’interno di tondeggianti vasetti e coppette di vetro, dai quali proveniva un inebriante miscuglio di fragranze.
Felixia si avvicinò incuriosita, facendosi timidamente largo tra la gente che osservava interessata.
La cameriera chiuse gli occhi, inspirando a fondo le essenze benefiche.
“Affascinanti  le spezie, nevvero?”
La ragazza sussultò, sollevando lo sguardo. Oltre la bancarella, una donna le sorrideva complice, i lunghi e mossi capelli neri raccolti in una morbida coda laterale e gli occhi smeraldini che scintillavano astuti.
Il respiro della cameriera si bloccò di colpo, ed ella rimase senza fiato ad osservare la figura dinnanzi a lei. Quella donna l’aveva già incontrata. L’aveva incontrata a Desponia, il giorno in cui aveva comprato i vestiti per Astril. Quella donna era la venditrice.
“Molto affascinati, sì, davvero molto” rispose in un sussurro.
“Il loro profumo, poi, è delizioso” aggiunse la negoziante, travasando una finissima polvere ocra in un vasetto. Felixia la osservò fare come ipnotizzata.
“In ogni modo” riprese la donna con disinteresse, mentre travasava un’altra spezia “Non avevi detto che viaggi e spostamenti non facevano per te?”
La cameriera spalancò gli occhi sconvolta. Lei...l’aveva riconosciuta! Ma come era possibile, se aveva addosso il mantello? Fece per rispondere, ma la venditrice la precedette.
“Esatto, mi ricordo di te. Ci siamo viste a Desponia”
“Ma come...come?”
“La tua voce; ma non è questo l’importante. Dimmi, che ci fai qua, così lontana da casa? Credevo non amassi allontanarti”
“Ecco... eventi non previsti hanno scombinato i miei piani iniziali, se così si può dire” rispose impacciata.
“Te l’avevo detto. Non puoi sapere cosa il fato ti presenterà!” esclamò la donna compiaciuta.
“Temo di dover concordare con te” asserì Felixia, ripensando agli ultimi avvenimenti. Quando aveva incontrato quella venditrice era ancora una semplice cameriera, inconsapevole di quello che sarebbe accaduto la notte di quel giorno, di come la sua vita sarebbe cambiata.
“Credevo che vendessi vestiti, e non spezie” osservò perplessa.
“Ho cambiato attività, penso che arrivati ad un certo punto faccia bene provare qualcosa di nuovo” le rispose “Anche tu hai cambiato mestiere, direi. Cosa ti porta a Duilliur?”
“Non...non posso parlarne, a dire il vero. Informazioni riservate...”
“Comprendo. A proposito, tieni. Offre la casa!” sorrise, porgendole un sacchettino con all’interno una fine polverina dorata.
“Grazie...” indugiò.
“Amalea, il mio nome è Amalea”
“Amalea...ti ringrazio davvero. Vorrei chiederti un favore...per caso sai come ritornare all’inizio della città? Nel primo vicolo...”
La donna rifletté un istante, l’indice sulle labbra, poi scosse la testa.
“Sono desolata, ma sono giunta anch’io qui da poco, non sarei in grado di darti indicazioni precise”
Felixia annuì mestamente.
“Capisco, fa lo stesso. Adesso credo che mi rimetterò in cammino, in un modo o nell’altro devo riuscire a raggiungere la mia meta. Addio!”
“No, questo non è un addio, ma un arrivederci” ammiccò Amalea “Potremo incontrarci di nuovo in futuro, così come ci siamo riviste questa volta. Buona fortuna!”
Salutata la venditrice, Felixia si rimise in cammino. Vagò per la città ancora lungo, sempre più sconsolata e timorosa di rimanere bloccata in quelle vie per sempre, fino a quando non scorse una figura a lei famigliare, una sagoma incappucciata con in mano una piccola sfera, sulle spalle una sacca color rosso sbiadito.
Speranzosa, la cameriera affrettò il passo fino ad arrivare alle spalle dell’individuo.
“Keira? Keira, aspettami!”
Sulla difensiva, la ragazza si girò con uno scatto, la fronte contratta, ma, quando vide da vicino gli occhi blu limpido della cameriera, l’ostilità divenne sorpresa.
“Felixia? Che ci fai qui? E dove sono Idril ed Astril!?” domandò.
“Le ho perse di vista qualche tempo fa, e mi sono persa. Non ho idea di dove si trovino”
“Forse in questo momento si stanno dirigendo al punto di incontro...” ipotizzò, rivolgendo lo sguardo verso il sole “Spero solo che neppure loro si siano separate. A breve sarà il tramonto. Dobbiamo sbrigarci, seguimi!”

Vicoli, vicoli ed ancora vicoli. Piccole stradine buie e strette, insinuate tra i muri di case e palazzi.
Per quanti sforzi facesse, Astril non riusciva a giungere in luogo più ampio, a ritornare nella strada principale. Ogni volta che arrivava al termine di un vicolo era costretta ad imboccarne un altro, intrappolata in un infinito groviglio di viuzze contorte.
La moltitudine di gente l’aveva separata dalle sue compagne e la principessa, in breve tempo, si era persa.
Alla vista della fine dell’ennesimo vicolo in cui si era imbattuta, Astril si mise a correre, smaniosa di allontanarsi da quel luogo che le trasmetteva tanto timore e disagio.
Con immenso sollievo, la ragazza si ritrovò nel mezzo di un enorme e popolata via, illuminata dal sole in procinto di tramontare e animata dal chiacchiericcio dei passanti.
Con il respiro affannoso a causa della lunga corsa, Astril si guardò febbrilmente intorno, completamente ignara della direzione da prendere.
Infine, con la mente carica di pensieri e preoccupazioni, si incamminò verso nord. Al pensiero di essere probabilmente l’unica a non essere arrivata al punto di ritrovo, il cuore prese a batterle veloce. Da sola, da quel labirinto che si era rivelato la città di Duilliur, non avrebbe avuto alcuna possibilità di uscire. Poteva solo sperare nell’aiuto di Keira e gli altri, ma come avrebbero fatto loro a ritrovarla?
Inoltre, durante tutto quel tempo, alcuna particolare sensazione l’aveva messa in allerta, e la ragazza non sapeva come interpretare quel fatto: la gemma effettivamente non si trovava lì, oppure i suoi sensi di Neish non funzionavano più?
Un improvviso ed accecante bagliore verde all’orizzonte la riscosse. Perplessa, Astril aumentò l’andatura, curiosa di scoprire l’origine di quella luce.
Una volta giunta, i suoi occhi si spalancarono per lo stupore. Al centro di un’enorme piazza giganteggiava un edificio, il cui tetto era completamente rivestito da un materiale verde, che riluceva splendente ed abbagliante.
Dalla porta principale numerosi Nureyel entravano ed uscivano in continuazione, sorrisi di pura ammirazione sul volto.
Astril rimase per qualche istante a contemplare l’edificio, inconsapevole di trovarsi innanzi al monumento più importante di Duilliur e dell’intero Regno dei Nureyel, eretto molte ere precedenti.
Esso era il simbolo del popolo e la leggenda narrava che nei tempi antichi una creatura benevola e splendente  avesse abitato in quel palazzo e  che avesse vegliato con amore e saggezza sull’intera città.
Decisa ad entrare per visitarlo, Astril fece per avviarsi verso il monumento, quando si ritrovò la strada sbarrata da quattro soldati Nureyel, apparsi dal nulla.
“Gli unici ad avere il permesso di entrare sono i Nureyel, nessuna altra stirpe può mettervi piede. Sei pregato di abbassare il cappuccio, così da mostrarci il tuo volto e la tua chioma” parlò uno di loro, puntandole addosso uno sguardo indagatore.
Astril fremette appena, le dita serrate intorno al colletto del mantello.
“Non sono interessata a visitare il palazzo...” mormorò solo, prima di voltarsi e ritornare indietro, le occhiate dubbiose delle guardie sulla schiena. Aveva rischiato grosso.
“Vuoi che legga la tua anima?”
Una voce  trasognata e proveniente da sinistra la chiamò, costringendola a fermarsi.
Seduta a terra con la spalle adagiate al muro vi era una ragazza. Teneva il viso rivolto verso la principessa, gli occhi coperti dalla frangetta liscia. I lunghi capelli verdi le giungevano fino alla schiena, posandosi  lievi sulla semplice e consunta veste lilla che indossava.
Al silenzio stupito di Astril, la giovane ripeté la domanda, il tono di voce immutato.
“Vuoi che legga la tua anima?”
“Saresti...saresti in grado di farlo?”  chiese la ragazza.
“Certamente, questa è la mia occupazione” le rivolse un lieve sorriso “Se vuoi che legga la tua anima, siedi qui” disse, indicandole con un gesto incerto il piccolo tappeto ocra steso al suolo.
“Non ho di che pagarti” l’avvertì Astril.
“Non ha importanza. Coraggio, siedi pure” proseguì imperterrita la giovane.
Dopo aver riflettuto qualche istante, la principessa decise di ubbidire. Si sedette a terra ed osservò con sguardo dubbioso la misteriosa interlocutrice.
“Dammi la mano”
Astril eseguì nuovamente. La ragazza prese la mano tra le sue, nivee e terribilmente fredde.
“La tua anima trema” sussurrò dopo qualche istante l’indovina “Hai timore di qualcosa, timore di non essere all’altezza di un compito...un compito importante...”
La principessa schiuse appena le labbra, sorpresa.
“Sei...confusa. La tua anima è colma di incertezze. Stai cercando un oggetto...trovandolo parte delle tue preoccupazioni si dissolverebbe”
Astril sussultò. Quella ragazza si stava rilevando eccessivamente abile. Se proseguiva vi era il rischio che potesse scoprire dettagli di cui non doveva venire a conoscenza.
“Un oggetto? Io non sto cercando nulla di ciò, davvero” intervenne con un sorriso tirato.
“Un oggetto, sì... Sai già dove si trova, ma la tua anima non riesce a mostrarti dove. Qualcosa le impedisce di mostrarti con chiarezza”
“Ti chiedo scusa, ma adesso devo proprio andare” fece per ritirare la mano, ma la ragazza glielo impedì.
“La vedo, riesco a percepirla” l’indovina alzò il capo verso l’alto, facendo spostare di poco la frangetta. Gli occhi, di un pallido e trasparente azzurro, vagavano verso il vuoto. Era cieca.
“Ciò che cerchi...si trova là” concluse infine, mostrandole con un gesto tremante l’edificio verde.
“Nel palazzo!?” esclamò senza riuscire a celare la sua sorpresa.
La giovane annuì piano.
“Sì, in un luogo nascosto. Non vedo altro” e con queste parole lasciò andare la mano di Astril, che scattò in piedi, sconvolta.
“Ho forse detto qualcosa che ti ha turbata?” chiese lieve la giovane, gli occhi vuoti fissi davanti a sé.
“Se quello che dici è vero, sei stata la mia salvezza. Dimmi, per caso sai dove si trova l’inizio della città? Vi sono lontana?”
“No, se imbocchi quella strada” indicò una via poco lontano “Arriverai in poco tempo. È una scorciatoia. Perché vuoi recarti là, principessa? Non recuperi ciò che cerchi?”
“Non in questo momento, non ancora! Adesso devo andare, grazie, grazie di cuore!”
E con rapidità prese a correre, ansiosa di raggiungere gli altri.
“Di nulla...Astril…”


“Come sarebbe a dire ‘scomparsa’!?”
Keira, gli occhi sbarrati e il tono di voce alterato, si voltò di scatto verso Idril.
“Non so come sia potuto accadere, ma in un istante si sono volatilizzate sia lei, sia Felixia!” rispose agitata la giovane arciera “Tuttavia credevo che almeno loro due fossero rimaste insieme”
“No, io mi sono ritrovata sin da subito da sola, non ho idea di dove si trovi Astril” mormorò dispiaciuta la cameriera.
Con rabbia e frustrazione, Keira sbatté un pugno contro la parete di fronte “Maledizione”
“Tsk, non mi sorprende che si sia persa” sbottò Khaled con una smorfia “In questo momento potrebbe star vagando chissà dove, magari si è fatta pure scoprire e catturare...”
“Non dirlo neppure per scherzo” ringhiò fuor dai denti la guerriera “Dobbiamo dividerci e metterci alla sua ricerca, prima che sia troppo tardi”
Aveva appena finito di  pronunciare quelle parole, che una figura indistinta apparve alla fine del vicolo. Trafelata stava correndo verso la loro direzione.
Non sapendo di chi potesse trattarsi, tutti loro posarono le mani sulle armi, in allerta.
“Ragazzi!” li chiamò la figura, agitando un braccio.
Riconoscendola, Keira abbassò immediatamente le spade.
Astril, ansimante e con gli occhi sgranati, li raggiunse.
“Astril, grazie al cielo. Si può sapere dov...” ma la guerriera venne prontamente interrotta.
“So dov’è le gemma”
 
 

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Capitolo 13
*** Il tremore dell'anima ***




Il tremore dell'anima
 
Le vie di Duilliur, vivaci e popolate di giorno, parevano essere cadute, al sopraggiungere della notte, in quieto ed assoluto silenzio. Non un rumore si udiva, eccetto il lieve sibilo del vento, una brezza accennata che rinfrescava appena l’aria calda ed umida.
I frammenti di cristallo verde, che sino a poche ore prima rilucevano e sfavillavano ardenti ai raggi del sole, erano divenuti freddi ed opachi, persino l’enorme edificio centrale aveva perduto la sua luce abbagliante. Nelle notti di luna il suo scintillio avrebbe assunto tonalità argentate, ma, quella sera, nessun astro era visibile in cielo.
Come previsto, numerosi soldati si trovavano nei pressi del monumento a fare la guardia, chi vigile ad attento, chi svogliato e con espressione sonnacchiosa.
Keira, nascosta in un vicolo poco lontano, osservò ancora per qualche istante l’ambiente circostante, prima di voltarsi verso i compagni, alle sue  spalle.
“Non vi è modo di entrare senza essere notati, l’edificio pullula di soldati”
“Potremmo creare un diversivo”  sussurrò Idril “Attirarli da qualche parte, in modo tale che gli altri possano accedere senza difficoltà”
“Ce ne sono troppi, solo un gruppo si avvicinerebbe per controllare, l’altro rimarrebbe lì dove si trova” ribatté prontamente Khaled.
“Sarà come dici, ma potrebbe funzionare. Forse non potremo passare inosservati, ma almeno alcuni di noi si troverebbero meno in difficoltà se gli avversarsi fossero dimezzati” rifletté Keira.
“Perciò...dovremo combattere?” fece Astril.
“Noi sì, ma non tu. Il tuo compito è quello di entrare e trovare la gemma. Sei davvero sicura che si trovi lì?”
La principessa annuì decisa.
“Sì, l’indovina mi ha svelato dettagli fondamentali, sono convinta che ciò che ha detto corrisponda al vero”
“Potrebbe anche aver mentito, senza contare che è stato rischioso esporsi così tanto con una sconosciuta. Potrebbe essere venuta a conoscenza di cose che non doveva sapere...” osservò aspramente il ragazzo.
“Abbiamo già discusso abbastanza su questo punto” intervenne Keira, scoccandogli un’occhiata severa “Non avevamo una pista, ora ce l’abbiamo, a discapito delle conseguenze”
“Perciò qual è il piano?” domandò Felixia.
Per qualche istante nessuno parlò, assorto su come agire. Infine Keira, dopo qualche attenta riflessione, l’indice sulle labbra, disse:
“Li distrarrò io, con la mia sfera di luce” strinse la mano in un pugno “Voi altri uscite allo scoperto e tentate di aprire un varco per Astril. Cerca di non farti notare, disperditi nella confusione, così nessuno ti seguirà” aggiunse rivolta alla principessa.
La guerriera, stabiliti gli ultimi dettagli, sgusciò via rapida e silenziosa tra le ombre della città, sino a scomparire.
Felixia sguainò lentamente il pugnale da sotto il mantello e soppesò la lama con sguardo inquieto. Come se la sarebbe cavata in quell’occasione non lo sapeva neppure lei, non era in grado di combattere, inoltre,  l’idea di ferire, o peggio, uccidere qualcuno, le procurava gelidi brividi lungo la schiena.
“Non temere!” la incoraggiò allegramente Idril “Non faremo loro del male, ci difenderemo e basta”
La cameriera sospirò, cercando di trovare coraggio. Allo stesso modo si sentiva Astril; non avrebbe dovuto scontrarsi, se tutto fosse andato come previsto, con nessuno, ma il peso della grande responsabilità che aveva gravava come un macigno sulle sue spalle.
La ragazza cieca le aveva detto che la gemma si trovava nel palazzo, ma non in un luogo visibile. Forse era nascosto da qualche parte...ma dove?
Un’improvvisa luce bianca prese a sfavillare nell’oscurità e tutti spostarono la loro attenzione verso quel punto. La sfera di Keira.
Alcune guardie si accigliarono, confuse.
“Cos’è quel bagliore?” domandò uno, assottigliando lo sguardo con fare perplesso.
“Non lo so” sbadigliò per risposta quello che aveva di fianco.
La luce prese a sfavillare in intermittenza.
“Qualunque cosa sia pare non voglia smettere”
Un terzo uomo si alzò in piedi guardingo, la mano sulla spada “Non mi convince, vado a controllare. Venite con me, anche voi altri” aggiunse, facendo un cenno con il capo verso due compagni.
“Devo proprio? E’ solo una luce!” sbuffò il secondo che aveva parlato.
“Non discutere, Temak. Ho bisogno di tutti e quattro. Quella che tu chiami ‘luce’ potrebbe rivelarsi qualcosa di sospetto, meglio agire con prudenza. Forza, andiamo”
E così, i soldati si inoltrarono in una delle strade, lasciando gli altri a guardia del palazzo.
Il piano di Keira, dovette riconoscere Khaled, aveva funzionato, ma dovevano sbrigarsi, poiché non sapevano quanto sarebbe riuscita a tenerli occupati.
Il gruppo avanzò, Astril nascosta dietro Idril, finché non giunsero in prossimità dell’edificio.
“Chi va là?” scattò uno dei soldati, che riusciva ad intravedere solamente quattro  indistinte figure incappucciate “Chi siete?”
Non essendo giunta alcuna risposta, anche le altre guardie si accigliarono. Rapide, si avvicinarono agli sconosciuti, le prime due avevano già sguainato le spade, ma loro avanzata venne fermata dalla lama della spada corta di Khaled, puntata proprio davanti sé.
“Posate le armi. Subito” ordinò.
In seguito a quelle parole, uno stridore acuto riempì l’aria. Una delle guardie lo aveva attaccato e Khaled aveva parato il colpo, indietreggiando di qualche passo.
“Non prendo ordini da te” ringhiò minaccioso il soldato “Chi diavolo sei?”
Improvvisamente, altri due uomini si avventarono contro Idril, che con estrema velocità afferrò l’arco ed incoccò una freccia.
Pur  ritrovandosi  una freccia puntata addosso, le guardie non si lasciarono intimorire. Sguainate le spade, tentarono di attaccare, ma la giovane si spostò con agilità, schivando i numerosi fendenti.
Il combattimento aveva avuto inizio.
I soldati tentavano in ogni modo di disarmare gli avversarsi, ponendo loro tra un fendete e l’altro domande sulla loro identità e su che cosa volessero. Nessuno di loro rispondeva, impegnati nel combattimento.
Felixia ed Astril, intanto, approfittarono della colluttazione per avvicinarsi al palazzo. Giunta sul portone, la principessa si voltò verso i compagni, impegnati nella battaglia.
“Non indugiare, Astril! Trova la gemma!” la riscosse Felixia, rimasta più indietro.
La principessa annuì e dopo un ultimo sguardo si decise ad entrare. La riuscita della missione dipendeva da lei, dalla Neish, e non poteva fallire.
Felixia frattanto si guardava intorno spaesata ed intimorita, non sapendo come agire. Un urlo la fece sobbalzare; una delle guardie contro cui stava combattendo Khaled era stata ferita alla mano.
Presa alla sprovvista, si sentì strattonare per il mantello, ritrovandosi poi la lama di una spada puntata al petto. Si dimenò in preda al panico, con scarsi risultati.
“È inutile che ti agiti, ti ho in pugno” disse rabbioso un soldato “ Adesso rispondi, chi siete!? Da dove venite!?” stava per abbassarle con uno strattone il cappuccio, quando una freccia sibilò a pochi centimetri dal suo orecchio.
Idril,  poco lontano e con l’arco in mano, sorrideva verso di loro apertamente. Senza perdere tempo, la cameriera sferrò un poderoso calcio alla guardia, che, colta di sorpresa allentò appena la stretta, permettendo così a Felixia di allontanarsi.
“Coraggio, è come nei nostri allenamenti!” disse allegramente l’arciera.
La cameriera la guardò con tanto d’occhi.
“Non direi affatto, senza contare che non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi a te!”
Il sorriso di Idril assunse un’aria furbesca.
“Ma io ora sono qui, al tuo fianco, giusto?”

Una luce continuava a fluttuare nel buio, affievolendosi ed aumentando  intensità di tanto in tanto,  scomparendo fra i vicoli per poi riapparire all’improvviso.
Se la situazione non fosse stata così grave e delicata, Keira si sarebbe concessa una breve risata. La sua sfera aveva attirato con enorme facilità le guardie, che da una buona manciata di minuti vagavano tra le stradine di Duilliur, attirati come falene dalla pura luce bianca.
La guerriera ancora non sapeva quanto il suo piano sarebbe durato, perciò sperava ardentemente che Astril fosse riuscita a penetrare all’interno del palazzo, e che il resto dei suoi compagni non si trovasse troppo in difficoltà.
Silenziosa si appiattì contro il freddo e liscio muro in pietra di una casa e, guardinga, attese. Dopo pochi attimi, udì il suono di flebili passi affrettati divenire sempre più forte, finché non intravide le guardie giungere nella stessa via in cui si trovava lei.
I soldati, concitati,  iniziarono a discutere sulla direzione da prendere e si scambiarono, con altrettanta foga,  sfuggevoli opinioni sull’origine di quel misterioso bagliore.
Quando alcuni di essi proposero di lasciar perdere e di tornare indietro, Keira si accigliò, pronta ad allontanarsi e creare nuovamente una sfera di luce.
Non fu però necessario.
Colui che si era rivelato essere la personalità più autorevole, ordinò di proseguire ancora un poco le ricerche, proponendo di avanzare verso nord. I soldati, costretti ad accettare, si rimisero in marcia sfrecciando celeri, ignari che ciò che stavano cercando si trovasse proprio vicino a loro, protetta dall’ombra.
Sicura che si fossero allontanati abbastanza, Keira uscì allo scoperto ed incominciò a correre nella direzione opposta. Non sapeva spiegarselo, ma in cuor suo albergava una strana inquietudine, un brutto presentimento.  Era certa che stesse accadendo qualcosa.
Improvvisa, una sottile figura sbucò da un vicolo laterale, apparendo  pochi metri innanzi alla Mildriend, che senza indugio sfilò il pugnale affilato dalla cintola. Tuttavia, la sagoma non si mosse, e Keira dovette giungerle pressoché di fronte per  poter distinguerne la fisionomia: si trattava di una giovane, esile e sottile, dai lunghi capelli verdi e gli occhi coperti dalla frangetta. Indossava una semplice e consunta veste lilla, che le giungeva alle ginocchia. Non calzava scarpe.
“Sei un’amica di Astril?” domandò con voce persa, lasciando vagare lo sguardo vitreo coperto dalle ciocche di capelli.
Dubbiosa, Keira la osservò pochi attimi, prima di comprendere la sua identità: doveva trattarsi dell’indovina di cui le aveva parlato la principessa.
“Precisamente” asserì, rinfoderando il pugnale “Tu invece devi essere l’indovina. Che cosa ci fai qui?”
“Ho sentito dei rumori, dal giaciglio in cui riposavo, che provenivano da qua. Parevano il suono di passi leggeri e il tintinnio di armature. I passi presumo appartenessero a te, mentre le armature ai soldati. Ti stanno inseguendo?”
“Al momento mi trovo in una situazione delicata. Ti chiedo di non pormi domande e di ritornare da dove sei venuta” fece per proseguire, quando udì  in lontananza il vociare dei soldati. Stavano ritornando.
Lanciò uno sguardo all’indovina, rimasta ferma sul posto, l’aria trasognata. Senza pensarci ulteriormente le afferrò il polso sottile e iniziò a correre. Non poteva rischiare che quella giovane, alle domande dei soldati, raccontasse qualcosa.
La ragazza la seguì senza proferire parola.
Una volta giunte, lo scenario che Keira si ritrovò innanzi non le piacque per niente.
Il numero delle guardie di fronte al palazzo era raddoppiato, ed i suoi compagni stavano tentando l’impossibile per non soccombere.
Khaled si trovava accerchiato da tre soldati, ai suoi piedi alcuni uomini feriti e privi di sensi.
Poco lontano stavano Idril, impegnata a disarmare un avversario dopo l’altro, e Felixia, con il pugnale stretto tra le mani tremanti. Tirò un sospiro di sollievo nel constatare l’assenza di Astril, entrata probabilmente nell’edificio.
“Resta qui, intesi?” disse rivolta all’indovina, per poi gettarsi nella battaglia.
Si liberò facilmente dei soldati che, vedendola, le si erano scagliati contro. Giunse alle spalle dei due uomini vicino a Khaled e, con il piatto della spada, li stordì entrambi.
Il ragazzo intanto aveva messo fuori combattimento l’altro avversario.
“Non avevo bisogno del tuo aiuto” le disse aspramente, gli occhi ambra che scintillavano irosi.
“Che sta succedendo qui, da dove saltano fuori tutti questi uomini?”
“Sono i rinforzi, qualcuno deve essere riuscito a fuggire e a radunarli. Gli altri?”
“Li ho attirati con la mia sfera, ma torneranno a breve. Il clangore delle armi deve averli insospettiti, più della luce”
“Splendido” commentò tetro.
“Astril invece? È riuscita ad entrare?”
“Sì, ma qualcuno l’ha seguita, è entrato poco dopo”
“Cosa!?”
“Abbiamo provato a fermarlo, ma è stato più veloce di noi” rispose Khaled.
“Dannazione. Spero che Astril trovi in fretta la gemma”
E con queste ultime parole si gettarono nuovamente nella mischia.
Frattanto, la giovane indovina stava immobile poco lontano, l’espressione assente. Fu a causa delle sue condizioni che non si accorse del soldato, un omone dal volto truce ed incattivito, che stava avanzando verso di lei, inconsapevole, per via della notte e della foga, di avere di fronte una Nureyel.
“Idril!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola Keira “Aiutala!”
Agile e scattate, l’arciera non se lo fece ripetere due volte. Imbracciato l’arco scoccò una freccia, che si andò a conficcare nella gamba del soldato.
“Stai bene?” domandò poi,  avvicinandosi alla ragazza, fortunatamente illesa. Al suo silenzio incantato Idril reclinò la testa, perplessa.
“Certamente” replicò trasognata poco dopo, destandosi “Tu come ti senti?”
“Scattante e dinamica come una freccia! Sai combattere?”
L’indovina scosse la testa.
“In ogni caso non temere, ti aiuterò io!” ammiccò “Ma dimmi, qual è il tuo nome?”
Si voltò verso la ragazza e, guardandola, il suo sorriso scomparve lentamente.
L’indovina aveva preso a tremare visibilmente; con un gesto secco si era portata la mano destra alla veste ed ora stringeva con forza. Chinò il capo, spalancando gli occhi pallidi verso il suolo e trattenendo a stento gemiti soffocati.
“Ehy, che ti succede!?”  esclamò agitata Idril, guardandola con apprensione.
“Non...”
Le sue parole vennero interrotte dall’urlo atroce che, spontaneo,  sorse dalla gola della ragazza.
Idril, spaventata, si allontanò con un balzo, gli occhi fissi sull’indovina, che, all’improvviso, aveva smesso di tremare, il volto oscurato da una strana ombra. Lungo il profilo del suo corpo era apparsa una tenue aura gialla.
Senza dire una parola, la ragazza prese ad avanzare, sino a portarsi al centro dello scontro.
Keira, accortasi della sua presenza, la raggiunse di corsa, infastidita per quella mancanza di prudenza.
“Che diamine stai facendo?” sbraitò “Non sei al sicuro qui, devi ritornare da Idril!”
Un soldato si scagliò di corsa verso di loro e Keira sguainò entrambe le spade pronta a difendere sia lei stessa, sia l’indovina al suo fianco. Tuttavia, contro ogni sua aspettativa, l’uomo, ormai giunto innanzi a loro, si bloccò di colpo.
Sul suo viso si era dipinta un’espressione incerta, che presto si tramutò in una di puro terrore. Tentando di indietreggiare con passo malfermo, abbassò lo sguardo, gemendo intanto qualche mugolio impaurito. Infine, si accasciò al suolo, privo di sensi.
Keira osservò con espressione sbigottita il corpo per qualche istante, prima di voltare il capo verso l’indovina.
Con velocità impressionante, ella avanzò, i soldati che, al suo passaggio, subivano lo stesso trattamento della guardia.
Alla vista di quella furia, Keira spalancò gli occhi sconvolta.
Che cosa stava accadendo?

I suoi passi, unico rumore in quel luogo, riecheggiavano all’infinito lungo le pareti in pietra e cristallo. Una strana pace regnava all’interno del palazzo, contrapposta alla caotica battaglia che si stava svolgendo fuori.
Per Astril era come essere scivolata in un sogno. Con aria persa vagava per quell’immenso e splendido palazzo, il fiato bloccato in gola, gli occhi pieni di meraviglia e la sensazione di trovarsi sospesa nel tempo.
Numerose colonne verde smeraldo si susseguivano lisce e slanciate, sino a giungere nei pressi di un’enorme e magnifica statua, raffigurante una giovane donna dallo sguardo dolce e benevolo, ma allo stesso tempo impensierito, fisso davanti a sé. 
Alle sue spalle, si ergeva un’enorme vetrata circolare, di un verde opaco. Poco lontano, sulla sinistra, si trovava un varco.
Astril, giunta dinnanzi alla statua, rimase ad osservarla incantata per qualche istante; probabilmente doveva trattarsi della creatura che un tempo aveva abitato in quel luogo. 
Sfere color oro sospese nell’aria illuminavano la superficie della scultura, facendola rilucere: i capelli della donna erano raccolti in un’elaborata acconciatura, che le scendeva morbida lungo le spalle; sul capo indossava un diadema, il cui gioiello, di cristallo verde a forma di goccia, le si poggiava sulla fronte. 
La principessa la osservò più attentamente, assottigliando appena le palpebre. Non sapeva spiegarsi il motivo, eppure aveva l’impressione di aver già veduto quella figura prima di allora, da qualche parte. Il suo viso aveva l’ombra di qualcosa di famigliare.  Tuttavia, per quanto si sforzasse, non riusciva a rammentare.
Sentendosi trafitta da quei freddi e vitrei occhi verdi, la principessa abbassò lo sguardo sull’iscrizione che si trovava impressa sulla veste della dama:

Emeraldh, il suo sguardo veglierà per sempre 
sulla città di Duilliur e su ogni Nureyel

 Scosse appena il capo, nel tentativo di riscuotersi e di riprendere consapevolezza. Ogni secondo era prezioso e lei non poteva permettersi di sprecarne nemmeno uno.
Si concentrò, riepilogando mentalmente i luoghi da lei già ispezionati. Appena entrata aveva controllato in ogni angolo la prima sala, senza aver ritrovato nulla in particolare, in seguito aveva poi proseguito attraverso gli altri saloni, finché non era sopraggiunta quella singolare sensazione di cristallina tranquillità, probabilmente determinata dall’avvicinarsi di Astril alla statua, che l’aveva momentaneamente allontana dal suo vero scopo.
Scorgendo il varco nella pietra, la principessa si avvicinò cautamente, e piena di speranza si affacciò dentro. Provò grande delusione, quando si accorse che si trattava di una semplice stanza, il cui soffitto e le pareti presentavano in più punti frammenti di cristallo incastonato. Malgrado lo splendore, della gemma, purtroppo, neppure l’ombra.
Con sempre maggior sconforto, Astril si aggirò ancora per l’immenso salone, mentre la serena sensazione di poco prima lasciava spazio all’inquietudine e alla preoccupazione.
Dopo aver girovagato, si ritrovò nuovamente al cospetto della statua, al punto di partenza.
Inspirò profondamente e chiuse gli occhi, alla disperata ricerca della visione  di cui aveva tanto bisogno. Non scorse nulla, se non il buio.
Riaprì le palpebre, incontrando ancora gli occhi della statua, ed espirò abbattuta.
“Che cosa devo fare?” domandò, e la sua voce si perse nell’immensità del palazzo.
Un lontano rumore di passi la fece sussultare, strappandola dai suoi pensieri. Affannata si guardò freneticamente intorno, senza però scorgere nessuno. Il suono intanto era divenuto più forte e, soprattutto, molto più vicino.
Senza esitare, la principessa si allontanò, rifugiandosi in una stretta ed angusta cavità immersa nell’ombra, il cuore che le batteva forsennato nelle orecchie. Non poteva saperlo con certezza, ma qualcosa le diceva che la persona che si stava avvicinando non fosse Keira o qualcuno dei suoi compagni.
A confermare le sue ipotesi, una guardia apparve pochi istanti dopo nella sala. Con aria persa si osservava intorno, la spada stretta tra le mani che tremava impercettibilmente. Doveva essere molto giovane.
Con occhi rapiti si fermò davanti alla statua, la stessa espressione che Astril aveva avuto poco prima sul volto, per poi allontanarsi e scomparire dalla visuale con passo timoroso.
La principessa, sollevata, fece per appoggiarsi al muro alle sue spalle, accorgendosi troppo tardi del vuoto dietro di lei. Cadde, e qualcosa le si conficcò nella schiena, provocandole un acuto dolore.
Si portò una mano davanti alle labbra, cercando di reprimere un urlo.
Dolorante, si rialzò in piedi e, una volta che i suoi occhi si furono abituati all’oscurità, scorse una stretta scala a chiocciola. Ecco allora contro cosa aveva battuto!
Alla vista di quei gradini, una famigliare sensazione le si propagò in petto, mentre davanti ai suoi occhi apparve un vivido bagliore verde.
Senza esitare, incominciò a salire la scala. Nonostante il buio, sapeva esattamente dove andare.

Keira aveva visto tante cose nella sua vita, orrori, sangue e tenebre. Aveva affrontato le numerosi sfide che il fato le aveva posto innanzi con severità e freddezza, senza esitazione o timore. Le occasioni in cui il suo stupore e il suo sbigottimento si manifestavano erano poche, sapeva presto riprendere il controllo delle proprie emozioni ed agire.
Quella, fu una delle poche volte in cui il suo corpo non ubbidì immediatamente al suo volere. Stavano passando solo pochi attimi, eppure aveva l’impressione che le sue membra si fossero impietrite e rimaste in quella condizione di immobilità da secoli.
Non riusciva a fare altro, se non guardare la giovane cieca, sino a pochi istanti prima trasognata e fragile, sgominare un soldato dietro l’altro. Questi, già provati dallo scontro e feriti, crollavano a terra come svuotati, il volto contratto in una smorfia di paura e timore.
Come una furia, l’indovina scattava prima da uno e poi da un altro, osservandoli acutamente sino a farli tremare.
Una strana aura gialla era apparsa attorno al suo corpo, dandole un aspetto etereo.
Il primo a riscuotersi fu Khaled. Con ira si scagliò contro l’indovina, la spada corta stretta con forza in mano. Non aveva intenzione di farle del male, anche perché, in un certo senso, stava dando loro un aiuto, tuttavia doveva trovare un modo per placarla. La situazione stava degenerando.
Ignorò l’ordine di Keira alle sue spalle, che gli intimava di non fare pazzie e di tornare indietro. Stava per attaccare la giovane alla spalle, quando ella si voltò.
La frangia sulla sua fronte si era postata, lasciando visibili gli occhi pallidi e azzurri, completamente assenti e persi nel vuoto. Intorno al suo occhio destro era apparso un singolare simbolo: due quadrati, un dentro l’altro, leggermente inclinati. Il primo, quello più grande, brillava di un giallo ardente, mentre l’altro, il più piccolo, era nero.
Il ragazzo si bloccò all’istante, proprio dinnanzi a lei. Non riusciva, e non voleva, capacitarsene, ma qualcosa gli impediva di avanzare. Improvvisamente, uno strano sentimento iniziò a smuoversi dentro di lui, qualcosa di freddo ed ardente allo stesso tempo. Paura.
Khaled strinse i denti e scosse veemente il capo, per nulla intenzionato a soccombere. Pieno di rabbia continuò a fissare l’indovina, che lo scrutava con la fronte contratta.
Il giovane fece per muovere la spada, ma il braccio pareva non volere rispondere ai suoi comandi.
Un’immagine iniziò a materializzarsi nella sua mente e Khaled spalancò gli occhi ambra, confuso ed incerto. Senza rendersene conto aveva cominciato a tremare.
L’incanto si bloccò quando una freccia sibilò a pochi centimetri dall’indovina.
Khaled, riacquistata percezione di sé, si allontanò immediatamente.
“Come ti senti?” domandò Idril.
“Sto bene” rispose seccamente il ragazzo “Non so di quale natura sia il suo potere, ma è micidiale. Dobbiamo fermala. Ora che i soldati sono esauriti il suo obbiettivo siamo noi”
“Ha messo fuori gioco tutte quelle guardie da sola, è impossibile avere qualche speranza contro di lei” esclamò agiata Felixia, tremante come una foglia. 
“Dobbiamo tentare, o ci annienterà. Solo la gemma potrebbe interrompere il potere che la controlla. O Astril fa qualcosa...” Keira lanciò un’occhiata all’indovina che si stava avvicinando “...oppure, se vogliamo vivere, saremo costretti ad ucciderla”

Da quel punto le era possibile vedere l’intera Duilliur. Ogni casa, torre e palazzo era visibile ai suoi occhi, insieme all’enorme distesa blu cobalto del cielo.
Si trovava sul tetto dell’edificio. L’infinita e contorta scala a chiocciola l’aveva infine condotta lì.
La sensazione si era ormai impadronita di ogni senso di Astril, che frenetica si guardava intorno alla ricerca della gemma, certa che si trovasse da qualche parte poco lontano.
Lentamente, si portò sul ciglio della struttura e, esitante, lanciò uno sguardo verso il basso, sebbene, da quell’altezza, riuscisse ad intravedere ben poco. Le parve di scorgere numerosi corpi distesi a terra e cinque figure in piedi, quattro vicine e la quinta, avvolta in uno strano scintillio giallo, innanzi a loro.
Le quattro sagome, si disse Astril, probabilmente dovevano essere i suoi compagni. Ma la quinta invece? Chi era?
Astril non ebbe il tempo di formulare ipotesi, che un pensiero invase la sua mente, mentre il cuore palpitava forsennato. Qualcosa le bruciava all’altezza del petto. La gemma dei Mildriend pulsava e ardeva.
 Un lucente bagliore verde attirò la sua attenzione e la principessa si avvicinò come ipnotizzata. Meccanicamente si inginocchiò a terra e serrò le dita intorno ad una lastra di cristallo verde, che, già venato, si sollevò e si staccò dal tetto. La luce di venne ancora più forte, accecandola per un istante.
La gemma dei Nureyel, in tutto il suo splendore, si trovava sotto quella lastra. La ragazza la osservò ancora un attimo rapita, prima di afferrarla con foga.
La luce verde menta la avvolse totalmente, propagandosi ovunque e diventando ancora più intensa.
Proprio in quel momento, un’altra persona giunse sul tetto.
La guardia che l’aveva seguita si avvicinò di qualche passo, guardando perplesso e spaventato lo spettacolo che aveva di fronte. Il suolo, che aveva preso a tremare, brillava di una luce abbacinante.
“Tu...” balbettò, alzando la spada verso la ragazza e schermandosi con una mano gli occhi “Sei pregata di non opporre resistenza! Ora ti scorterò sino al comando, dove verrai interrogata insieme ai tuo compagn...”
Si interruppe con un gemito terrorizzato, quando Astril si voltò di scatto verso di lui. I suoi occhi, pieni della luce verde, lo fissavano penetranti. Circondata da quel bagliore, pareva una creatura eterea.
Le vetrate esplosero in un’infinità di frammenti, mentre piante e rampicanti si avviluppavano intorno ad ogni sporgenza presente. La principessa urlò, ed uno scoppio di luce travolse ogni cosa.

Khaled, intontito e spaesato, si mise piano sedere. Dolorante si portò una mano alla fronte e strinse i denti, notando l’intero polso insanguinato. Si guardò intorno e scorse vicino a lui  Felixia, distesa a terra priva di sensi.
Il ragazzo la scosse bruscamente per una spalla e la cameriera aprì gli occhi.
“Cos’è successo?” mormorò con voce fioca.
“Una luce verde ci ha investiti in pieno” le rispose Idril apparsa dal nulla, in piedi su un enorme lastra di cristallo.
“E non solo noi. Il palazzo ha subito notevoli danni” aggiunse Keira, gli occhi volti verso l’enorme struttura. Numerosi pezzi di cristallo erano crollati dall’edificio, lasciando visibili grosse spaccature e crepe. Le vetrate erano esplose tutte ed ovunque vi erano piante e radici.
“Quanto abbiamo dormito?” domandò Felixia, alzandosi in piedi.
“Poco. Non sarà passato nemmeno un minuto” rispose la Mildriend senza voltarsi “A breve piomberanno qui tutti i cittadini di Duilliur. Dobbiamo andarcene immediatamente”
“Ed Astril!?” farfugliò la ragazza dagli occhi blu in preda al panico “Dov’è Astril?”
“Proprio qui”
Distesa a terra di fronte a Keira si trovava la principessa, immersa in un sonno profondo. La guerriera se la issò in spalle, voltandosi poi verso gli altri. Un rivolo di sangue le scendeva dalla guancia sino al collo. Un vetro l’aveva colpita.
“Khaled, prendi l’indovina”
Con un cenno del capo indicò la giovane, priva di sensi poco lontano. Il marchio sopra il suo occhio era scomparso.
“Che!? Vorrai scherzare, spero!”
“Non discutere”
 “Non possiamo portarla con noi, visto quello che è successo prima! Non sappiamo se succederà di nuovo e a quel punto ci ritroveremo in guai seri!”
Ma la guerriera non lo ascoltò, incamminandosi.
“La prendo io!” si offrì Idril, sollevando la ragazza e raggiungendo Keira.
“Dove andremo, adesso?” chiese Felixia preoccupata.
“Ovunque, basta che sia il più lontano da qui”

Pochi attimi dopo, i cittadini di Duilliur si sarebbero riversati davanti al palazzo concitati, e si sarebbero resi conto con orrore e sgomento di quello che era accaduto.
I soldati si sarebbero ripresi tutti il giorno seguente, intontiti, ma soprattutto estremamente turbati, dai ricordi confusi.
L’ultima a riprendersi sarebbe stata la giovane guardia che, con volto sereno, avrebbe osservato le persone davanti a sé lieto e sorridente.
Alle domande da parte dei suoi compagni, avrebbe risposto di sentirsi in pace e felice, sostenendo convinto di aver veduto Emeraldh in persona.

°Note dell'Autrice°

Ciao a tutti! Capitolo un po' lungo, siete riusciti ad arrivare sino in fondo? Spero che sia stato di vostro gradimento!
Ci si vede al prossimo capitolo!


The_Grace_of_Undomiel



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Capitolo 14
*** Miradis ***


 

Miradis
La luce pallida del sole si rifletteva sulle gorgoglianti e limpide acque di un piccolo ruscello, illuminato da un bagliore argenteo.
Con gli occhi volti verso quel vivido scintillio, Felixia sedeva immobile sulla riva a godersi il dolce rumore dell’acqua che scorreva.
L’alba era giunta da poco e l’aria, che presto sarebbe divenuta calda e soffocante, era piacevolmente fresca.
Un lieve fruscio alle sue spalle la fece appena sussultare, ma ella non si voltò, certa che si trattasse di Idril. La giovane arciera era infatti venuta più e più volte a invitare la cameriera ad unirsi a lei per mettersi alla ricerca di qualche erba medica o qualche oggettino interessante da collezionare.
Felixia però aveva sempre rifiutato gentilmente l’invito, preferendo restare in quel piccolo luogo pacifico.
“Sto bene Idril, non ti preoccupare” disse la ragazza “Per il momento resterò ancora un po’ qui, ti raggiungerò più tardi”
“Dovresti mangiare qualcosa”
A risponderle fu una voce decisamente meno limpida e squillate di quella di Idril. La cameriera si voltò di scatto, incontrando i freddi occhi acquamarina di Keira. Quest’ultima si avvicinò di qualche passo, sino a portarsi in procinto della riva.
Provando un lieve disagio, la cameriera si scostò un poco per farle spazio, ma la guerriera non accennò a volersi sedere accanto a lei.
“Sono a posto così, non ho fame” disse Felixia, distendendo le labbra in un piccolo sorriso.
“Ieri sera non hai toccato cibo, se salterai anche la colazione presto ti mancheranno le forze”
La ragazza non rispose, lo sguardo ancora volto verso il ruscello. Per qualche tempo entrambe rimasero in silenzio, riempito unicamente dal suono dell’acqua che scorreva fluida.
Felixia, con le ginocchia strette al petto, appoggiò la testa sulle braccia incrociate in un mero tentativo di rilassarsi, sebbene la situazione in cui si trovavano e la presenza di Keira non aiutassero.
“Non essere in pena per Astril, sono sicura che a breve si riprenderà” parlò d’un tratto la Mildriend.
La ragazza sospirò tristemente.
“Sono ormai due giorni che è priva di sensi, non ha accennato neppure a muoversi un poco”
“Ha affrontato una dura prova, la gemma deve averle prosciugato molte energie”
“Però, quando si è impossessata della gemma dei Mildriend,  mi ha detto di essersi ripresa dopo qualche minuto!”
“Questo grazie all’ intervento di Ireth. Inoltre, non è detto che ogni volta le gemme trasmettano gli stessi effetti. Sono una diversa dall’altra, non sappiamo come potrebbe reagire Astril in futuro”
Felixia mormorò qualche parola di assenso. Sapeva che Keira aveva ragione, ma questo non la confortava.
“So bene cosa significhi voler stare in solitudine, anch’io la preferisco di gran lunga alla compagnia. Tuttavia, non vedo in che modo saltare la colazione potrebbe esserti d’aiuto”
Detto questo le porse un pezzo di pagnotta, dall’aria decisamente molto più invitante rispetto al pane duro di cui si erano cibati i giorni precedenti al loro arrivo a Duilliur.
Felixia guardò la pagnotta, poi il volto di Keira, sorprendendosi nel trovarlo sorridente. Certo, si trattava di un abbozzo di sorriso, ma in confronto al solito temperamento della guerriera quella era una novità. I suoi occhi poi erano distesi, animati da qualcosa che Felixia non le aveva mai visto. Comprensione? 
Infine, la cameriera afferrò la pagnotta e sa la divorò con voracità. Subito dopo bevve un lunga sorsata d’acqua dal ruscello e si sentì rinascere.
Lembi di nuvole attraversarono piano il cielo, oscurando  il sole e ombreggiando l’ambiente circostante. L’acqua cessò di brillare.
“Il tempo non si prospetta dei migliori. Sarà meglio tornare alla grotta” disse Keira, il volto nuovamente severo e concentrato.
Le due ragazze si incamminarono verso ciò che era stato il loro rifugio negli ultimi due giorni, una spaccatura rocciosa seminascosta dalla vegetazione.
Un improvviso fruscio le fece arrestare. Keira posò di riflesso la mano sul  pugnale mentre Felixia rimase alle spalle della Mildriend.
Dai cespugli sbucò Khaled, dal volto serio e ancor più corrucciato del solito.
“Cosa succede?” domandò Keira aggrottando la fronte.
“L’indovina. Si è svegliata. Credo che dobbiate venire”
Senza aggiungere altro, i tre accelerarono il passo sino ad arrivare nei pressi della grotta.
Distesa al suolo adagiata su un cumolo di foglie si trovava Astril, ancora profondamente addormentata; poco lontano vi erano Idril, seduta a gambe incrociate con volto perplesso, e la giovane cieca, appoggiata con le schiena alla parete.
All’arrivo degli altri, voltò piano la testa verso la loro direzione. Gli occhi pallidi vagarono persi sulle loro figure per qualche tempo.
“Siamo in una... grotta?” domandò trasognata.
“Esattamente, a due giorni da Duilliur” rispose Keira “Probabilmente ti domanderai come mai ti trovi qui e cosa ti sia accaduto”
“Oh no, lo ricordo bene” la interruppe l’indovina, lasciando per un attimo la guerriera senza parole.
“Rammento ogni cosa, sebbene in maniera incompleta, e vi chiedo perdono. Devo avervi causato non pochi problemi”
“Molti, in effetti” borbottò aspramente Khaled, sedendosi su una sporgenza rocciosa, il più lontano possibile dalla ragazza.
“Come sta Astril? Percepisco la sua presenza, qui vicino a me, ma a quanto sembra non è cosciente” disse l’indovina.
“Proprio così, al momento è priva di sensi”
“A causa mia? Le ho per caso fatto del male?” chiese, e la sua voce divenne  ansiosa.
“No, nulla del genere, le sue forze devono essere state prosciugate dalla...”
Idril lasciò cadere le parole, non sapendo come proseguire. Incerta spostò le iridi verdi giada su Keira, che annuì.
“Sappiamo che conosci molto riguardo a noi” incominciò la guerriera, rivolta alla giovane cieca “Sai chi è Astril, sai delle gemme e  che le cerchiamo. Non vorremmo farti domande ora che ti sei appena ripresa, ma credo che sia nostro diritto avere delle spiegazioni”
L’indovina non rispose subito, e Keira approfittò di quel tempo per osservarla attentamente. Ancora non riusciva a credere che quella giovane così pallida, esile, dalle vesti consunte e stracciate e dai capelli scompigliati, nascondesse un potere ed una personalità così malvagi. Chi era in realtà? Da dove veniva?
“Vero, so molte cose riguardo a voi, soprattutto riguardo ad Astril. Mi è bastato leggere la sua anima per comprendere chi sia: una principessa, metà Desideria e metà Mildriend, popolo creduto scomparso, ed una Neish Bàn, avente in sé parte dei poteri della maga Ailenia, in cerca di gemme leggendarie”
“Cosa sai a proposito di questo?” chiese Idril.
“Non molto, ad essere sincera non avevo mai sentito parlare di queste gemme, o della Neish. Ho ottenuto informazioni solo attraverso la principessa, non so cosa siano né perché le cerchiate. Se avessi avuto più tempo, probabilmente lo avrei scoperto”
“Hai detto di saper leggere le anime. Che cosa significa?” disse Keira.
“Grazie a questo potere, mi è permesso percepire la presenza delle persone grazie alla loro aura. La loro anima per me equivale ad un libro aperto. Senza la loro volontà, riesco a scoprire solo poche informazioni, se invece sono consapevoli  di quello che sto facendo, posso leggere i loro segreti più remoti, cose ignote persino a loro stessi. Sono priva della vista, ma vedo più di chiunque altro”
A quelle parole, un freddo singolare parve serpeggiare lungo le pareti rocciose della grotta, ed ognuno di loro per un attimo ebbe la spiacevole impressione di sentirsi  inerme e vulnerabile. Sino ad allora non avevano mai creduto che al mondo esistesse qualcuno in possesso di simili poteri, poteri assolutamente da non sottovalutare.
“Questo significa che sai chi siamo?”
 “Il tuo nome è Keira, e la tua stirpe è Mildriend. Tu sei Idril, una Mildriend. Tu sei Khaled, e la tua stirpe è in parte Mildriend ed in parte Naihm. Tu invece sei Felixia e la tua stirpe...”
La cameriera trattenne il fiato in attesa della risposta, ma l’indovina si interruppe incerta.
“Io non...non riesco a capire. Mi dispiace ma... non so quale sia il tuo popolo. Molto strano”
“In realtà nemmeno io so a quale razza appartenga. Ad essere sincera, speravo potessi dirmelo tu...” mormorò la giovane rattristata.
Khaled, divenuto impaziente, strinse le braccia al petto con stizza e roteò gli occhi innervosito.
“Basta con questi discorsi. Piuttosto, dicci chi sei tu e soprattutto...” la sua voce si rabbuiò “...che cosa mai è accaduto due notti fa. Quella non mi sembrava una semplice lettura delle anime”
Ignorò la gelida occhiata appena scoccatagli da Keira e continuò a fissare imperterrito l’indovina con sguardo fiammeggiante.
“Il mio nome è Miradis, vengo dal villaggio di Esoden. Comprendo perché desideriate sapere, dal momento che vi ho causato così tante difficoltà. Forse potrà sorprenderti, Khaled, ma le anime hanno una parte fondamentale in ciò che è successo. Il potere cui avete assistito consiste in questo”
“Hai ridotto le guardie Nureyel in quello stato utilizzando le loro anime?” domandò Keira.
“Le ho...torturate” sussurrò flebilmente, stringendo tra le dita bianche la tunica, nervosa.
“Torturate?”
Miradis annuì “Rievocando in loro ricordi volutamente nascosti poiché troppo dolorosi, o creandone per terrorizzarli ed annientarli”
Un silenzio inquieto scivolò nella grotta. Per qualche tempo nessuno di loro proferì parola, intenti ad elaborare la sconvolgente informazione.
Keira ricordò uno ad uno i volti dei soldati, deformati in una maschera di puro terrore. Chissà cosa aveva mostrato loro Miradis, per renderli così sgomenti.
“Sul tuo viso...vi era un simbolo. Due quadrati di differenti dimensioni, uno nero ed uno giallo, circondavano il tuo occhio. Che cosa significa quel segno?”
“È un marchio. Da quando ce l’ho impresso, questo micidiale potere prende il sopravvento senza che io possa impedirlo”
Parole simili potevano voler significare solo una cosa.
“Una maledizione...” sussurrò Idril spalancando gli occhi, dando voce ai pensieri di tutti “Come è accaduto?”
Miradis parve tremare impercettibilmente, lasciò andare la presa dalla tunica e si abbandonò totalmente contro la parete, gli occhi persi verso l’alto. Poi iniziò a raccontare.

 
Esoden, un anno precedente

Quel giorno, nelle strade si riversava un allegro chiacchiericcio. Le persone vagavano entusiaste tra le bancarelle del mercato, i bambini correvano e giocavano tra loro, ed uno stuzzicate odorino di cibo si disperdeva per le vie del villaggio.
Esoden, solitamente quieta e silenziosa, nel giorno di mercato, allestito due volte al mese, diventava frizzante e vitale, ricca di suoni ed odori.
Di certo le semplici bancarelle del villaggio non potevano essere paragonate a quelle del grande mercato di Duilliur, la capitale del Regno e  centro di scambi e commerci, tuttavia, per gli abitanti, i loro piccoli banchetti rappresentavano un immenso  tesoro, fonte di gioia e di novità.
Miradis amava i giorni di mercato. Quasi tutti i cittadini uscivano in strada lieti e disposti a spendere qualche soldo e, talvolta, capitava addirittura che si presentassero al villaggio stranieri e viaggiatori Nureyel provenienti da altre parti del Regno.
Con mani malferme lisciò il tappetino giallo ocra steso davanti a lei. Sui polpastrelli delle dita percepì qualcosa di freddo e tondeggiante, la superficie ricca di rilievi. Con un piccolo sorriso prese le monete che le erano sfuggite e le fece scivolare nella tasca della sua veste.
Quella mattina aveva letto l’anima a ben tre persone, guadagnando così qualche soldo. Se avesse continuato così sino a sera, avrebbe ottenuto un pasto assicurato.
Percepì l’arrivo di qualcuno, una donna, e non appena ella le giunse davanti disse, con voce persa e trasognata:
“Vuoi che legga la tua anima?”
Il primo sentimento della donna in questione fu perplessità ed un poco di inquietudine, come tutti coloro a cui Miradis rivolgeva la parola. Ritrovarsi una giovane cieca seduta a terra con aria vacua e con una simile domanda fra le labbra lasciava sempre incerti e sospettosi.
La donna restò qualche istante ferma sul posto indecisa, finché non si sedette sul tappetino, persuasa.
Miradis trovò il suo animo estremamente gentile, forse leggermente ingenuo, ma pulito. Molti dovevano volerle bene per questo. Glielo disse, e la donna parve molto felice. Aveva un figlio di sette anni, che accudiva con amore insieme al marito. Erano una bella famiglia.
La donna se ne andò sollevata, lasciando ben quattro monete sul tappeto ocra.
Miradis per il villaggio era come un’esile ombra. Rimasta orfana, viveva in completa solitudine. Il suo giaciglio si trovava verso la fine del villaggio, in una piccola zona riparata. Per ottenere qualche soldo si spostava nelle vie più solcate del villaggio, sperando che qualche passante si incuriosisse e decidesse di mostrarle la propria anima.
I cittadini sapevano della sua esistenza e della sua condizione, ma pochi si interessavano a lei, troppo presi dalla propria vita o un po’ intimoriti da quella giovane così strana.
Seppur a fatica, riusciva sempre ad avere un pasto durante la giornata, grazie ai soldi guadagnati o a qualche abitante gentile che le donava qualcosa.
Per il resto della giornata nessuno si avvicinò all’indovina. Le persone le passavano davanti ignorandola o rispondendo con un rifiuto alla sua solita domanda, finché, nel pomeriggio, un rumore di passi non attirò l’attenzione di Miradis.
Qualcuno stava avanzando verso la sua direzione. Si concentrò per capirne il sesso e l’età, ma con sorpresa si rese conto di non esserne in grado. Nonostante i suoi tentativi, le informazioni parevano non voler giungere.
“Vuoi che legga la tua anima?”
Lo sconosciuto si fermò. Ora avrebbe risposto e Miradis sarebbe riuscita a capire qualcosa.
“La mia anima, dici?”
L’indovina sbatté le palpebre, lievemente confusa. Era certa che la persona avesse parlato, tuttavia non riuscì a percepire nulla dalla sua voce. Era singolarmente neutra. Non comprendeva se fosse stata maschile o femminile, giovane o vecchia.
“Proprio così. Vuoi che legga la tua anima?”
“Sono convinto che non ci riusciresti!”
“Posso sempre provare. Avanti, siedi qui” disse, invitandolo ad accomodarsi sul tappeto con mano tramante. Senza esitazione, l’estraneo eseguì.
Miradis si sporse in avanti ed osservò attentamente l’individuo di fronte a sé, gli occhi pallidi che cercavano di sfondare l’oscurità che l’accompagnava da una vita intera, in cerca della sua anima. Il vuoto. Contrariamente a tutte le precedenti volte, nulla apparve. L’oscurità rimase oscurità.
L’indovina aumentò la concentrazione, ma invano.
“Allora?” chiese l’altro in un misto di impazienza ed uno strano divertimento “Hai fatto?”
“Un istante, per favore”
Miradis ritentò ancora una volta, finché non si appoggiò alla parete, affaticata.
“Ebbene?”
“Niente, non sono riuscita a vedere la tua anima. Che situazione bizzarra, solitamente vi riesco senza problemi”
“Te l’avevo detto”
Sebbene non potesse vederlo, Miradis era certa che si fosse aperto in un ghigno.
“In ogni caso, visto che mi sono annoiato, devi rimediare. Dimmi dove posso trovare qualcosa di divertente”
“Divertente?” l’indovina trovò quella domanda ancora più bizzarra, ma non vi diede alcun tipo di peso “Se non ricordo male dovrebbe esserci una bancarella di pietrine ed altri oggettini qui vicino. I cittadini li definiscono ‘scintillanti’. Non so però quanto possano essere diverten...”
“Eccellente. Adoro le cose luccicanti” ed il suo ghignò si allargò ancora di più.
“Ne sono felice”
Miradis lo sentì rimettersi in piedi ed udì poi qualcosa atterrare sul tappetino.
“Non devi pagarmi, non sono riuscita a leggere la tua anima”
“Oh, ma questi non sono soldi”
L’indovina tastò il tappeto, finché non raccolse tra le mani qualcosa di liscio e freddo. Lo toccò in ogni punto, riconoscendone la forma: due quadrati uno dentro l’altro, di differenti dimensioni.
“Di che si tratta?”
“Di un ciondolo.  Trovo che il tuo potere sia molto interessante” aggiunse subito dopo, mentre Miradis, curiosa, indossava la collana “Tuttavia, credo anche che sia ancora troppo debole”
“Troppo...debole?”
“Sì. I tuoi poteri sono decisamente più ampi, e grazie al mio ciondolo sarai in grado di manifestarli tutti. Ma questo lo scoprirai da te”
“Non capisco...”
“Non ha importanza”
Il ghigno pareva non voler sparire dalle sua labbra.
“Penso che tu ti stia sbagliando, io sono una semplice indovina. Ma ti ringrazio comunque, la collana sembra molto bella”
L’altro scoppiò a ridere, una risata che Miradis non riuscì a definire.
“Ora devo andare. Voglio comprare tante cose luccicanti!” batté le mani e ridacchiò, questa volta un risolino sinceramente divertito ed anche emozionato.
E in men che non si dica si allontanò, lasciandola sola.


“Perciò...non sei riuscita a scoprire nulla su quell’individuo misterioso? Niente di niente?”
Con accentuato stupore, Idril fu la prima a proferire parola in seguito al racconto di Miradis.
Ella scosse mestamente il capo.
“Ignoro qualsiasi cosa lo riguardi. Ancora oggi mi interrogo su come la mia capacità abbia fallito quel giorno. La mia mente associa quella persona al vuoto”
Con l’indice appoggiato sulle labbra, Keira rimase in un silenzio riflessivo. Per quanto si sforzasse, non riusciva a farsi neppure una misera idea su chi potesse essere quell’enigmatico personaggio. Doveva trattarsi sicuramente di una personalità malvagia, per aver inflitto una maledizione così potente all’indovina.
Tuttavia, prima di poter formulare qualsiasi altra ipotesi, aveva bisogno di possedere altre informazioni.
“Cosa capitò in seguito, Miradis?” chiese meditabonda.
“Accadde tutto quella sera stessa” rispose la ragazza, il viso sempre rivolto verso l’alto “Verso il crepuscolo, ritornai al mio giaciglio per passare la notte. Mi ero appena distesa, quando la collana donatami prese ad ardere sul mio petto. Frastornata mi alzai immediatamente e feci per sfilarmi il ciondolo, ma esso bruciava troppo perché potessi anche solo sfiorarlo. Repentino, il dolore passò poi dal petto all’occhio, qualcosa di incredibilmente caldo ma allo stesso tempo inconsistente  cominciò a confluirvi. Tentai anche solo di sbattere le pupille, ma i miei occhi rimasero ostinatamente spalancati.
Ciò che accadde dopo, lo rammento poco. Percepii anime quella notte, voci tramutate poi in urla, ma nonostante questo non mi fermai. Quando ripresi consapevolezza di me, le anime che fino a poco tempo prima percepivo parevano esser scomparse. Non le udivo più, sebbene fossi certa che sino a poco tempo prima vi fossero. Terrorizzata, fuggii via, consapevole di aver compiuto qualcosa di terribile ed irrimediabile.
Nel corso del mio viaggio accadde altre volte. Ignoro quanto tempo ci misi, so solo che un giorno, infine, arrivai a Duilliur”
Sussultò appena e fece una pausa.
“Dopo quella notte, non vi fu più traccia del ciondolo. Capì in seguito, sfiorandomi, che esso era divenuto un simbolo. Il segno della mia condanna. Ancora non comprendo perché quella persona abbia fatto questo. Forse era destino che accadesse”
“Se ho ben compreso, quel micidiale potere è sempre stato sopito dentro di te. Quel’individuo non ha fatto altro che farlo emergere per mezzo di quello strano medaglione” disse la guerriera.
“Ho guardato nella mia anima, una volta, tempo fa” rivelò all’improvviso come ipnotizzata “Eppure...non ho mai scorto quel potere”
“Doveva essere molto ben nascosto per essere sfuggito al tuo sguardo!” esclamò l’arciera “ Allora sorge spontaneo domandarsi...”
“...come abbia fatto invece quella persona ad accorgersene” completò per lei Keira. E soprattutto, chi fosse in realtà e quanto fosse la vastità del suo potere. Era stato in grado di  maledire, o meglio,  di sollecitare i poteri di Miradis, abilità non da poco. Inoltre, solo l’intervento della gemma, uno degli oggetti più puri e potenti al mondo, era stato in grado  di placare l’incantesimo.
“Non so perché proprio due notti fa il mio potere si sia manifestato. Da molto tempo non accadeva. Credevo finalmente di aver trovato una casa, a quanto pare non è così” lo disse senza ombra di tristezza o demoralizzazione nella voce. Al contrario, parlò con estrema tranquillità, una semplice constatazione, come chi, ormai rassegnato ed abituato, si prepara a fare ciò che per lui rappresenta la quotidianità. La sua vita.
Keira constatò che per quel giorno i racconti potessero bastare, quindi invitò Miradis a stendersi e riposare ancora; la ragazza eseguì senza un suono.
Al contrario, per Keira e gli altri era necessaria una lunga discussione.

                                                                              °°°

Una fine pioggerellina aveva preso a cadere, le gocce rimbalzavano sulle foglie verdi, producendo un vago e sottile rumore. L’aria era divenuta ancora più umida ed un leggero strato di foschia aleggiava sull’ambiente circostante.
Il freddo e spesso soffitto roccioso della grotta giganteggiò innanzi ad Astril, quando ella aprì gli occhi. Per un breve e fugace attimo la principessa fu convinta di trovarsi ancora ad Ait Hiding. Forse durante una delle tante esplorazioni con Idril era caduta ed aveva picchiato la fronte contro qualche sporgenza rocciosa. Ed ora stava riprendendo conoscenza. Sicuramente doveva essere andata così, a confermare il viso un poco lentigginoso e i due occhi grandi e verdi che si infiltrarono nel suo campo visivo.
“Astril si è ripresa!” esclamò entusiasta la voce limpida dell’arciera.
“Non urlare in questo modo. Non mi pare proprio il momento di svegliare Miradis” la rimbrottò una voce, probabilmente quella di Khaled.
Un paio di iridi blu si unirono a quelle verdi.
“Grazie al cielo, ero così preoccupata! Come ti senti, Astril?”
Ancora una voce, particolarmente risollevata e quasi emozionata, si aggiunse alle altre due.
“Allontanatevi. Fatela respirare”
Astril sbatté le palpebre un paio di volte, riacquistò totalmente la percezione, e si ritrovò sovrastata da una Keira con le braccia strette al petto ed un’espressione di rimprovero sul viso.
“Finalmente sei ritornata tra noi. Mi domandavo quanto ancora dovessimo attendere”
La principessa si rimise seduta e si guardò intorno spaesata. Inginocchiate innanzi a lei vi erano Idril e Felixia, che la osservavano sorridenti, in piedi stava invece Keira e poco lontano, abbarbicato su una sporgenza, stava Khaled, che squadrava tutti con la sua solita aria ostile. Infine, in un angolo a riposare, vi era una ragazza dai lunghi capelli verdi. L’indovina di Duilliur.
Fece per chiedere spiegazioni, ma si interruppe quando si accorse di stringere con forza in un pugno la Gemma dei Nureyel, divenuta di un verde opaco. Con un gesto veloce e meccanico, la principessa la ripose nella tasca interna della giubba in cuoio insieme all’altra Gemma.
Dall’apertura della grotta scorse una luce e della vegetazione. Decisamente, non si trovava ad Ait Hiding.
Ogni cosa le venne raccontata esaurientemente. Le narrarono del loro incontro con l’indovina, di quello che fosse accaduto, di quanto avesse dormito e della storia di Miradis.
Astril ascoltò attentamente, mentre la sua preoccupazione ed il suo stupore aumentavano con il proseguire del racconto.
“Stavamo discutendo proprio di Miradis, quando ti sei svegliata” le spiegò Idril.
“Non pensavo che quella ragazza si portasse alle spalle una storia simile, anche se ho percepito sin da subito qualcosa di singolare in lei. Credete che l’individuo che le ha fatto ciò possa essere un Alkres?”
“Non ne siamo certi, ma potrebbe essere una validissima ipotesi. Esistono  esseri malvagi in questo mondo oltre agli Alkres, ma dubito che girino per città e villaggi. Alcuni Alkres invece si spingono sin nei centri abitati, da quando la barriera si è indebolita”
“Potrebbe trattarsi di Night Mare...” ipotizzò Felixia, e a quel nome una spiacevole sensazione li pervase.
“Non ne sono certa, ma non mi pare che possieda una simile arte”
“Un altro Alkres allora, qualcuno che non conosciamo?” disse Astril. Il quesito pareva non voler trovare risposta.
“Possibile, in effetti anche io ignoro gli altri membri, a parte Night Mare, Myran e qualche altro. Tu, Idril? Hai qualche idea in proposito?” soggiunse.
L’arciera, rimasta fino ad allora silenziosa, sfoggiò un sorriso spensierato e si grattò imbarazzata la nuca.
“A dire vero no! Brancolo proprio nel buio!”
“Certo, capisco...” asserì Keira.
“Non c’è modo di saperlo, quindi è inutile continuare a ragionarci, lo abbiamo fatto fin troppo” si intromise Khaled “Quello che mi interessa è ritornare al discorso di prima”
“Ovvero?” fece Astril perplessa.
“Decidere come comportarsi con Miradis. In effetti, si stava pensando di portarla con noi...” rispose Felixia.
“Proprio una mossa geniale!” sbottò Khaled piccato “Così non appena il suo potere prende il sopravvento siamo morti”
“Considera che oramai conosce troppe informazioni su di noi. Non possiamo lasciarla andare”
“E poi non ha più un posto dove tornare, è sola” osservò Idril lanciando un’occhiata alla ragazza “La porteremo con noi!” esclamò allegra.
“Col cavolo! Troppo rischioso” si imputò Khaled.
Keira inarcò un sopracciglio, guardandolo di sbieco.
“Tu hai paura”
“Non ho paura!” scattò prontamente il ragazzo, i pugni stretti davanti al corpo e gli occhi ambra che scintillavano combattivi.
“Eccome, invece”
“Ti dico di no! Sono solo ragionevole, e prudente! Come dovreste essere voi tutti!”
“Disse quello che si lanciò contro un potere micidiale senza riflettere un attimo”
I due si fissarono, Keira fredda e severa come sempre, Khaled fremente e furibondo. Le altre tacevano, mentre Astril si rendeva conto di quanto il ragazzo sembrasse piccolo e quasi infantile rispetto alla guerriera. Come se davanti a lei non vi fossero stati due coetanei, ma una madre ed un figlio, la prima intenta a rimproverare il secondo per una bravata.
Khaled strinse i denti ed imprecò. Superò Keira ed uscì dalla grotta.
“Io con quella” dichiarò riferito a Miradis “ Non ci viaggio”
E queste furono le sue ultime parole prima di sparire.
La guerriera scosse piano la testa, un sibilo seccato stretto fra i denti. Nonostante gli anni passati, Khaled era rimasto sempre lo stesso, determinato a contestare qualsiasi decisione ed incline a fomentare litigi nei momenti meno opportuni.
“Non siete obbligati a portarmi con voi”
Miradis, alzatasi in piedi, apparve alle loro spalle.
“Non desidero sapere i dettagli di ciò che vi riguarda, sono convinta che questo non sia il mio posto. Inoltre, se mi unissi al viaggio la vostra vita sarebbe in costante pericolo”
“Non te lo proporremmo se non lo ritenessimo necessario”
In un’altra occasione Keira non avrebbe mai permesso ad una sconosciuta di unirsi alla missione, ma non quella volta. Quella Miradis era una giovane strana, lasciarla sola in possesso di simili poteri con gli Alkres in giro non sarebbe stato saggio.
“Non essere in pensiero per noi, e non sentirti fuori posto. Non ne hai motivo!” esclamò Idril con un sorriso.
Miradis spostò gli occhi ciechi su Astril, che a disagio abbassò lo sguardo. Ancora frastornata, non aveva idea di quale fosse la scelta migliore. La presenza dell’indovina, in base anche a quello appena scoperto, la inquietava un poco, ma non avrebbe saputo dire se farla unire a loro o meno avrebbe comportato dei rischi. In quel momento, la sua testa era troppo affollata per riflettere con la lucidità necessaria. I suoi pensieri erano rivolti alla gemma e al potere, secondo quanto raccontato dagli altri, che aveva manifestato. Piante e rampicanti con una forza tale da essere in grado di distruggere un intero palazzo, quello aveva avocato. Ma allora perché nessuna energia si manifestava per suo volere?
Infine, sia lei che Felixia si mostrarono d’accordo con Keira.

Quella missione era decisamente partita per il verso sbagliato. Khaled era ormai certo che quel pensiero formulato tempo fa nella sua mente corrispondesse all’effettiva realtà.
Keira doveva aver perduto il senno. Far unire quell’indovina al viaggio era un’assurdità, un suicidio, ma la guerriera, così ferrea e sicura di sé, era convinta del contrario, che fosse meglio portarla con loro. Non aveva forse assistito anch’ella alla furia di Miradis?
Il ragazzo sbuffò. Soltanto perché Keira si era proclamata la capo spedizione non voleva dire che le sue scelte fossero le più sagge e che gli altri dovessero mostrarsi obbligatoriamente d’accordo. Eppure, questo concetto pareva esser chiaro solo a lui. Le altre ascoltavano Keira come diligenti discepole innanzi alla loro Maestra, e questo non lo stupiva affatto:
Astril non sarebbe mai stata in grado di prendere decisioni o di proporre qualcosa di efficace al gruppo. Lo stesso discorso comprendeva Felixia, della quale, tra l’altro, doveva ancora capirne l’utilità. Idril era semplicemente troppo distratta per prestare attenzione a simili questioni, ad ella era sufficiente avere qualcosa che la tenesse occupata, non per niente di offriva sempre per andare in avanscoperta.
Ancora pensieroso, si sistemò meglio sul grosso masso su cui si era abbarbicato. Possedeva quest’abitudine sin da bambino, non appena intravedeva qualcosa che lo permettesse ci si sedeva sopra, che  si fosse trattato di rocce, massi o radici. Condivideva questa caratteristica con Idril, sebbene l’arciera preferisse scovare luoghi ancor più improbabili ed ardui da raggiungere. Solo se si trovava in alto si sedeva, altrimenti utilizzava il resto come rialzo, stando in piedi, per osservare meglio ciò che era lontano.
“Ti stavo cercando”
Una voce lo strappò dalle sue elucubrazioni. Il ragazzo lanciò un’occhiata alle sue spalle, intravedendo così l’esile figura di Miradis.
“Che cosa vuoi da me?” disse senza voltarsi “Se sei venuta per persuadermi sappi che non funzionerà. Non sono d’accordo che tu ti unisca a noi, ma a quanto pare la maggioranza è contro di me”
“Non sono venuta per questo” rispose, con una voce che ogni volta faceva presagire che l’indovina avesse la mente completamente altrove e le parole fluissero da sole.
“Allora per cosa?”
“Per porgerti le mie scuse”
Khaled aggrottò le sopracciglia, e al suo silenzio confuso Miradis riprese a parlare.
“Quando ci siamo affrontanti, quelle che ti ho mostrato non sono belle cose. Ho rievocato solo un’immagine, ma ti ha turbato enormemente”
“Non ha importanza” minimizzò il ragazzo stringendosi nelle spalle ed agitando seccamente una mano “Ognuno  deve convivere con la propria storia, ciò ormai appartiene al passato”
Miradis non disse nulla. Le sue parole suonavano indubbiamente molto convincenti, molti gli avrebbero creduto senza esitazione. Tuttavia, l’anima non poteva mentire. L’aveva sentita durante lo scontro e la poteva sentire anche allora. Quell’anima era ancora legata al passato e nascondeva qualcosa, qualcosa che però le era impossibile decifrare.
Khaled sentì l’indovina andarsene e sospirò sollevato. Quella ragazza metteva i brividi. Attese ancora per pochi minuti e poi decise di ritornare alla grotta.
Aveva smesso di piovigginare e il sole si stava facendo nuovamente largo tra i lembi di nuvole. Le temperature erano divenute umide. L’acqua non aveva rinfrescato.
Non appena fu entrato Idril si avvicinò.
“Ci stiamo preparando a riprendere il viaggio” lo informò allegra. Con aria curiosa iniziò a guardare alle spalle del ragazzo.
“Dov’è Miradis?” chiese perplessa.
“Come sarebbe a dire?”
“Beh, era insieme a te, giusto? Ha detto che ti avrebbe raggiunto per parlarti”
Khaled si accigliò “Lo ha fatto, ma è andata via prima di me. Credevo che fosse tornata alla grotta”
“No, non è mai rientrata! Ragazze! Miradis... è sparita!”
“Sparita!?” esclamò Astril.
“Così all’improvviso?” rincarò Felixia.
Keira non emise un suono,   si limitò a fissare con sguardo di ghiaccio il volto di Khaled, che ricambiò l’occhiata infastidito.
“Cosa le hai detto?” domandò la guerriera avvicinandosi.
“Cosa stai insinuando?”
“Rispondi”
“Niente, non le ho detto niente”
“Dimmi la verità!” Keira si avvicinò ancora di più, il tono di voce alterato.
“L’ho appena fatto. Non le ho detto nulla di particolare!”
La Mildriend imprecò. Possibile che avesse deciso di andarsene di nascosto? Dovevano ritrovarla al più presto, non poteva essere andata lontano. La cercarono nei paraggi della grotta ed Idril si spinse sin dal ruscello, ma di Miradis non vi era traccia, neppure un debole segno del suo passaggio.
L’indovina pareva esser svanita nel nulla.

Nascosta fra la vegetazione, Miradis poteva udire chiare a distinte le voci di Astril e gli altri chiamarla.
Sarebbe uscita allo scoperto solo una volta che avessero abbandonato la ricerca e si fossero allontanati.
Sospirò tra sé e sé. Andarsene di nascosto era stata la scelta migliore. Era grata a quei giovani per ciò che avevano fatto per lei, ma sapeva anche quanto l’idea di partire con loro fosse assurda. Aveva provato numerose volte a persuadere la Mildriend Keira, ma ella non aveva voluto sentire ragioni.
Distese le sottili labbra rosee in un mite sorriso. Sebbene fossero stati insieme per poco tempo non li avrebbe dimenticati. Erano persone di buon cuore ed i loro intenti erano nobili. Pur non avendo voluto conoscere tutti i dettagli, era certa che la loro missione fosse rischiosa quanto importante.
Neish Bàn. Gemme. Ailenia. Alkres. Argomenti antichi e pericolosi.
Se le circostanze fossero state diverse sarebbe stata felice di poter dare loro un aiuto. Ma non poteva, il suo posto non era con loro. Inoltre, da quel momento avrebbe avuto inizio la sua missione.
Per qualche inspiegabile motivo, le era parso di percepire la presenza della persona che le aveva inflitto la maledizione. Una vaga e soffusa sensazione, un bruciore nel punto in cui di solito si palesava il simbolo. Quell’individuo doveva trovarsi molto lontano, ma lei lo avrebbe trovato ugualmente. Non sapeva il perché, ma nella sua anima  qualcosa le diceva di doverlo fare.
Chiuse gli occhi e giunse le mani in una silenziosa preghiera. Forse Emeraldh l’avrebbe aiutata in quell’arduo cammino.




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Capitolo 15
*** Il falco bianco ***




Il falco bianco
 
Era sempre stato abituato ad avere ogni cosa sotto controllo. Ciò che gli apparteneva esisteva secondo un determinato ordine, scelto e rigidamente imposto da lui stesso.
 La sua terra poteva essere paragonata ad una dettagliata cartina, stretta con forza tra le sue mani. Bastava che tracciasse qualcosa a suo piacimento su quella carta consunta ed ingiallita dal tempo, che  essa diveniva realtà. Poteva disporre il territorio come desiderava, poteva renderlo più forte e funzionale, oppure in brevi e semplici mosse poteva distruggerlo, come si brucia e polverizza la carta se gettata nel fuoco.
Sulla cartina vi stavano delle pedine, piccole pedine intagliate. Solente Moron ne prendeva qualcuna, con gesto deciso le faceva vorticare in aria e poi le riprendeva al volo. Compiaciuto se le rigirava tra le dita innumerevoli volte, le spostava sulla mappa secondo suo volere.
Quelle pedine erano il suo popolo. Poche pedine rappresentavano infinità di Desideria, ognuno di essi sotto al suo controllo.
Rispetto alla sua grandezza, una terra ed un popolo interi non erano altro che una mappa e poche pedine.
Eppure, contro ogni sua previsione, una pedina era fuori posto. Una di esse, piccola e debole, era sfuggita al suo controllo.
Dalla grande vetrata del suo studio, il sovrano osservava con sguardo colmo d’ira i contorni di Desponia, la sua imponente e fiorente città. Le iridi nere come la pece, paragonabili a due oscuri pozzi profondi, si rispecchiavano nel vetro limpido. Furenti, parevano quasi scintillare.
Dalla città spostò lo sguardo verso gli alberi e gli arbusti che arginavano il fossato ricolmo d’acqua gorgogliante, in perenne movimento a causa delle cascate che incessanti spumeggiavano dalle torri del castello.
Molto probabilmente tra quegli alberi, sui quei sentieri ed ancora oltre, qualcosa si era mosso, furtivo e colpevole, sino a scomparire. Lungo quella strada sua nipote aveva trovato una via di fuga.
Come fosse riuscita a scappare ancora non riusciva a spiegarselo. Non ne era certo, ma qualcosa gli suggeriva che fosse stata proprio Astril a liberare quella Mildriend.
Mildriend
Altro elemento di disturbo, altra spina nel fianco. Sinceramente convinto di essere riuscito a cancellarli dalla faccia della terra, era rimasto sconvolto nello scoprire l’esistenza di una di loro.
Il Regno dei Mildriend era sempre stato un regno piccolo, uno dei più minuti, per questo motivo non aveva pensato nemmeno per un minuto alla sua impresa come qualcosa di arduo da compiere. Nel giro di qualche anno erano scomparsi tutti ed il loro territorio era diventato parte del Regno dei Desideria.
Mai si sarebbe aspettato di rivederne uno. Quella ragazza non doveva essere l’unica superstite, ce n’erano altri, sicuramente, nascosti da qualche parte.
Non credeva affatto che la chioma rossa fosse riuscita a fuggire da sola e avesse rapito la nipote, impossibile. Anche le guardie confermavano che qualcuno fosse sceso nelle prigioni, sebbene non fossero riusciti a vederlo in volto.
Doveva trattarsi sicuramente di lei. Ma perché Astril aveva seguito quella dannata Mildriend? Desiderava forse farsi uccidere? Chissà, magari era morta e neppure lo sapeva.
No, si disse, non era possibile.
Ma allora il perché tutto quello? Progettava forse insieme ai Mildriend di rovesciare il suo Regno? Quella ingrata.
Tuttavia, comunque stessero le cose, doveva assolutamente ritrovarla.
“Ho mobilitato un intero esercito perché la rintracciassero, il Regno sta venendo completamente setacciato, eppure di lei non vi è nessuna traccia. Com’è possibile? Come!?” esclamò con rabbia, i vetri che, alla sua voce alterata, vibrarono.
Seduta immobile su un divanetto poco lontano, Alidiana non si scompose, la tazzina di porcellana intarsiata d’oro tenuta delicatamente fra le dita.
“Anch’io non riesco a capacitarmene. Non comprendo come un esercito addestrato non sia in grado di ritrovarla. Sembra proprio essere svanita nel nulla” sorseggiò piano un liquido rosato.
“Inaudito. Sono tutti degli inetti” ringhiò “Mi stanno facendo fare una pessima figura. Diventerò lo zimbello di Erendithum, sarò etichettato come il sovrano che non è stato in grado di rintracciare la nipote. Maledizione!”
“Mantieni la calma. Perdere il controllo non servirà a niente”
Ancora furibondo, Moron si avvicinò alla scrivania, sui cui spiccavano la cartina del Regno dei Desideria e alcune pedine. Ne prese una, che iniziò a soppesare sulla mano, nel vano tentativo di ritrovare controllo.
Dopo qualche istante spostò lo sguardo su Alidiana, che teneva gli occhi rivolti verso la tazzina.
“Tu cosa pensi di tutto questo?” le domandò.
La regina posò la porcellana su un tavolino tondeggiante, dopodiché guardò con palese stupore il marito.
“Che cosa vuoi dire?”
“Non c’è bisogno che te lo spieghi, la domanda è semplice. Che cosa pensi della situazione?” ripeté il re bruscamente.
“Ad essere sincera, non so davvero trovare una spiegazione. Il comportamento di Astril è stato a dir poco deplorevole, fuggire via in questo modo”
“Eppure ti sei mostrata molto addolorata non appena hai saputo della sua scomparsa. Perché mai adesso la stai rimproverando così duramente? Insolito da parte tua”
Moron la osservò acutamente, il volto contratto dalla solita rabbia che da sempre lo pervadeva.
Alidiana sussultò impercettibilmente, ma il sovrano non se ne accorse. Esternamente Alidiana era la stessa donna composta e dai tristi occhi grigi.
“Sono rimasta sconvolta non appena ho saputo la notizia. Sono affezionata ad Astril, per questo ho avuto una simile reazione, quando ancora non sapevo le circostanze. Ma ora che ho saputo che la sua fuga era stata premeditata sono senza parole. Non mi sarei mai aspettata una tale ingratitudine”
“Da tempo ti dicevo come vedessi quella ragazza, ma tu non mi hai mai voluto dare ascolto...”
La regina tirò un sospiro di sollievo tra sé e sé. Quelle domande continue stavano iniziando a preoccuparla.
Con uno sbuffo infastidito, il re si passò una mano sulla fronte.
“Questa storia sta iniziando a consumarmi”
“Sei molto provato, si vede. Stai dedicando troppo tempo alla sparizione di nostra nipote. Non sarebbe meglio per te stesso se, almeno temporaneamente, sospendessi le ricerche?”
Il rumore di un sonoro e violento schiaffo riecheggiò nello studio.
Alidiana, con ancora il capo rivolto verso destra a causa dell’impatto, rimase come sempre immobile ed impassibile, le ciocche dell’elaborata acconciatura a coprirle il viso.
“Mi credi forse così debole?” sibilò Moron a pochi passi da lei “Sospendere le ricerche equivarrebbe dire arrendersi. Ed io non lo farò mai. Non permetterò a quella sciocca di vincere. Se i miei soldati non sono in grado di scovarla, allora... troverò un altro modo”
Finalmente un’idea efficace gli era balenata nella mente. Per attuare il suo piano, aveva però bisogno di una persona. I soldati avrebbero temporaneamente cambiato il loro obbiettivo. Sogghignò soddisfatto. Come poteva non essergli venuta in mente prima un’idea così geniale?
In quell’istante qualcuno bussò freneticamente alla porta. Con voce scocciata Moron invitò ad entrare.
Una guardia trafelata e dal volto sconvolto si inchinò appena, tremando visibilmente. Prima di parlare si bloccò un attimo nel vedere la guancia nivea della regina divenuta rosso fuoco. Con evidente sforzo spostò lo sguardo da Alidiana a Moron, che chiese spazientito:
“Ebbene, che cosa è successo?”
“Si tratta di Shriwd, Mio Signore”
“Shriwd? Che cosa centra quel dannato farabutto adesso?”
Ma a Moron fu sufficiente guardare il volto sbigottito del soldato per comprendere.
“Dannazione, non mi vorrai dire che...!”
“È successo tutto all’improvviso, non siamo riusciti ad impedirlo”
“Muoviti, fammi strada!” urlò il sovrano, che prontamente venne scortato dal soldato fuori dalla stanza.
Alidiana, rimasta sola, si sfiorò appena la guancia arrossata, poi prese la tazzina e in assoluto silenzio ricominciò a bere il suo infuso.


                                                                                °°°

Occhi negli occhi. I due avversarsi si osservavano acutamente, si studiavano, tentavano di comprendere quale sarebbe stata la prima mossa dell’altro.
Uno di loro abbassò per un istante le palpebre e prese un respiro, mentre le tecniche di attacco si delineavano limpide nella sua mente.
L’altro, approfittando di quello che credeva essere un attimo di distrazione, si decise ad attaccare. Si lanciò in avanti, con il pugnale stretto nella mano destra puntato verso il braccio dell’avversario.
Quest’ultimo udì distintamente il suono gracchiante della terra sotto le suole.
Troppo rumore.
Aprì di colpo gli occhi e con rapidità si schermì con la lama della sua arma. I due pugnali stridettero con forza l’uno contro l’altro. Il primo che aveva attaccato si sbilanciò appena, mentre sul suo volto si faceva strada una consapevolezza: la consapevolezza di aver commesso un errore fatale.
In poche e studiate mosse il secondo allontanò da sé il pugnale avversario, che volò vorticando poco lontano, tintinnando a terra.
Il suo proprietario indietreggiò lentamente, mentre colui che si era rivelato essere il vincitore avanzava deciso con la propria lama, rilucente ai raggi del sole, puntata in direzione dell’altro, che impaurito alzò le mani in segno di resa.
Improvvisa, una freccia sibilò a pochi centimetri dal viso del vincitore, che incredulo si tirò indietro con il busto. Si voltò di scatto verso la fonte, gli occhi colmi di rimprovero.
“Idril!”
La giovane arciera, in piedi su una roccia e con ancora l’arco in mano, ridacchiò divertita.
“Mi dispiace, ma non ho saputo resistere! Consideralo un intervento tempestivo in favore del tuo avversario!”
Astril continuò ad osservare sgomenta la ragazza ridere. Per un attimo aveva davvero temuto che Keira venisse trafitta in pieno, la punta le era passata incredibilmente vicino, quasi l’aveva sfiorata.
“Questo era un duello, ormai già concluso”rispose Keira duramente rinfoderando il pugnale. Poi, le sua labbra di distesero in un sorriso “Se volevi combattere anche tu, bastava chiedere!”
La Mildriend dagli occhi verdi scivolò giù dalla roccia ed atterrò al suolo con un balzo.
“In realtà no, volevo soltanto interrompere il momento epico con una delle mie care frecce” rispose, raccogliendo quella che aveva scoccato poco prima e accarezzandola rallegrata.
Astril sospirò tra sé e sé. L’unico elemento epico in quello scontro era stata Keira, come al solito, mentre lei aveva mantenuto il suo ruolo di imbranata.
“Sei troppo rumorosa, Astril” disse Keira “Ti avrei udita persino a miglia di distanza, devi essere leggera, non devi lasciare dei solchi nel terreno quando ti muovi!”
“Hai ragione, farò più attenzione la prossima volta”
La principessa andò a recuperare il pugnale, dopodiché si  sedette vicino a Felixia. Si sentiva davvero a pezzi, gli allenamenti con Keira risultavano sempre estenuanti. Se solo fosse riuscita ad usare parte dei suoi poteri forse avrebbe potuto tenere testa alla Mildriend almeno per qualche secondo. Purtroppo l’unica volta in cui aveva utilizzato una sua abilità senza la Gemma era stata contro Myran, e da allora era già passato un po’ di tempo.
Ancora pochi giorni di viaggio e presto sarebbero entrati nel Regno dei Syrma, l’ultimo Regno Soliluce. Chissà dove si trovava la Gemma e soprattutto come avrebbe fatto a rintracciarla. Nel momento di bisogno i suoi poteri di Neish si erano manifestati troppo tardi e solo grazie all’aiuto di Miradis aveva scoperto la sua posizione.
Ripensò all’indovina, domandandosi dove si trovasse in quel preciso istante. Erano passati undici giorni da allora, giorni in cui avevano viaggiato senza sosta ed attraversato buona parte del territorio dei Nureyel.
Esattamente due giorni precedenti Keira le aveva mostrato i contorni di alcune casette poste lungo il profilo di un colle, diverse miglia lontano da loro. Quello, le aveva spiegato, era il villaggio di Esoden, luogo natio di Miradis.
Alla vista di quel posto una strana sensazione di inquietudine aveva pervaso il cuore della principessa, alla quale era tornata alla memoria la triste vicenda della ragazza cieca.
Ancora non riusciva a capire perché Miradis se ne fosse andata, per timore di far loro del male? O c’era qualche altro motivo del quale aveva preferito non parlare?
“Quindi a breve raggiungeremo il Regno dei Syrma?” domandò Felixia, richiamandola alla realtà.
Astril annuì.
“Già, questione di pochi giorni”
“Dicono che quel Regno ed i suoi abitanti siano completamenti diversi da questo. Mi sono resa conto che i Nureyel sono persone molto scaltre ed anche ingannevoli, quando ci trovavamo a Duilliur molti di loro hanno cercato di metterci nel sacco. I Syrma invece sono...ecco...” indugiò, non riuscendo a trovare il termine adatto.
“...altezzosi?”
“Esattamente!”
“Non ho mai parlato con uno di loro” rifletté Astril “Però è risaputo che siano ambiziosi, perfezionisti e molto sofisticati. Soprattutto la loro regina”
“Regina...?”
“Tsolais, la regina dei Syrma. La regnante più giovane di tutta Erendithum” intervenne Keira.
“Davvero non hai mai sentito parlare di lei? Eppure è molto conosciuta!” si stupì Idril osservandola con sorpresa.
Felixia scosse piano la testa, imbarazzata.
“È risaputo che Tsolais sia una donna superba, altezzosa ed anche egoista, estremamente convinta che il suo regno sia il migliore. È divenuta regina tempo fa ed ora ha appena ventisette anni. Si dice che abbia rifiutato qualsiasi pretendente e che non voglia assolutamente sposarsi; pare che non sia interessata al matrimonio e che non voglia correre il rischio di essere messa da parte. Molti hanno già provato ad allontanarla dal trono, ma non vi è stato modo”
“Dal momento che il suo è un territorio così colmo di ricchezze, Moron ha tentato numerose volte di invitarla al nostro castello per ingraziarsela ed ottenere favori, ma ella ha sempre declinato qualsiasi invito” aggiunse Astril.
“Io i Syrma non li sopporto” sbottò Khaled, seduto sul masso su cui si trovava in piedi Idril poco prima.
“Ma Khaled, tu non sopporti nessuno” sorrise Idril. Il ragazzo si strinse nelle spalle borbottando qualcosa, mentre Astril trattenne a stento una risata.
“Non prendertela, sai che ha ragione” disse Keira rivolta al ragazzo, anch’ella particolarmente divertita.
“Tsk, non vorrai farmi credere che a te stiano simpatici!”
“Non ho detto questo. Effettivamente molti popoli provano ostilità verso quella stirpe, ma questo non deve interessarci”
La Mildriend alzò lo sguardo verso il cielo. Il sole brillava ardente in quella distesa azzurra, nessun lembo di nuvola era visibile. Una giornata meravigliosa.
“Sarà meglio mangiare qualcosa e poi metterci in viaggio”
Iniziò a frugare nella sacca rossa in cerca di viveri. Prese un pagnotta di pane, comprata a Duilliur, e la divise in parti uguali per ciascuno di loro.  Tirò poi fuori la fiasca, colma fino all’orlo di acqua. Quella avrebbero dovuto razionarla molto attentamente, poiché era l’ultima rimasta. Aveva già provato a cercare un ruscello nelle vicinanze, ma non ne aveva trovato alcuno. In quello spiazzo c’era solo terra e qualche albero, nulla di più.
Mentre cercava, sfiorò accidentalmente qualcosa di freddo e liscio con le dita. Con stupore soppesò con lo sguardo la sferetta verde che aveva acquistato, o meglio, che le avevano regalato, a Duilliur. Se ne era totalmente dimenticata.
Se la rigirò tra le mani, i raggi del sole colpivano la superficie di vetro facendolo scintillare di una luce abbacinante.
“Che cos’è quel globo?” domandò incuriosita Idril, nessun oggettino singolare sfuggiva al suo occhio attento.
“L’ho presa ad una bancarella. Il negoziante mi ha detto che dovrebbe sgominare i nemici con facilità, ma non è affatto vero, infatti mi è bastato poco per distruggerne una”
Astril le lanciò un’occhiata perplessa, preferendo non chiedersi perché mai la ragazza se ne fosse andata in giro a sbriciolare sfere.
“Allora se è inutile perché l’hai comprata?” domandò Khaled.
Keira scrollò le spalle.
“Mi ispirava. Di sicuro non sarà come l’ha descritta il negoziante, ma potrei comunque farne uso in qualche modo”
La ripose nella tasca interna del mantello, archiviando l’argomento.
Consumarono il loro pasto in assoluto silenzio, approfittando di quel tempo per riposare ancora per un po’. Erano infatti consapevoli dell’estenuante marcia che li attendeva.
Khaled si ritrovò dopo pochi secondi con la sua pagnotta e la sua sorsata d’acqua nello stomaco, ma ancora non si sentiva per nulla soddisfatto.
“Ad essere sincero comincio ad averne un po’ abbastanza di pezzi di pane. Quand’è che mangeremo qualcosa di più sostanzioso?”
Keira finì  in tutta tranquillità di sbocconcellare il suo pranzo prima di rispondergli.
“Sai bene anche tu che sono giorni che proviamo a cacciare qualcosa, ma non siamo ancora riusciti a catturare nulla. Siamo già fortunati ad avere questo pane”
“Lo so” la interruppe “Stavo solo constatando. Beh, comunque abbiamo una preda a pochi passi da noi. Proprio lì” e indicò qualcosa verso un albero.
Appollaiato saldamente con gli artigli ad un ramo, si trovava una creatura. Di dimensioni contenute, era ricoperto da un candido piumaggio bianco. Il becco, come le zambe, era nero, mentre gli occhi, fissi sui viaggiatori, erano di un profondo e limpido azzurro.
“Che cos’è?” domandò sorpresa la cameriera, che non aveva mai visto un essere del genere.
“Sembrerebbe...un falchetto. Non ne avevo mai visti da queste parti” rispose Keira.
“Qualunque cosa sia è carne e il suo modo di fissare mi infastidisce. Idril, prendi l’arco e scoccagli una freccia” ordinò Khaled.
L’arciera si voltò verso di lui, un’espressione di puro sgomento sul viso.
“Come potrei uccidere una creatura perfetta come quella? Sarebbe un sacrilegio! Non ho alcuna intenzione di fargli del male!”
Un battito d’ali richiamò la loro attenzione. Il falchetto li osservò ancora una volta e poi si alzò in volo. In men che non si dica era già scomparso.
“Ormai se ne è andato, quindi il problema non si pone neppure. Coraggio, è arrivato il momento di rimettersi in cammino”
Khaled sbuffò ripensando alla sua preda mancata e poi si apprestò a seguire Keira. Idril invece restò ad osservare ancora un attimo il cielo, pensierosa.
Falchetti del genere vivono solo in un posto. Possibile che da così lontano sia giunto sin qui? No  sorrise Sicuramente mi sto sbagliando.
Scosse la testa e con pochi saltelli raggiunse i compagni.
Pochi istanti dopo, lo stesso falchetto si riposò sul ramo.

Man mano che proseguivano, ogni passo si faceva sempre più faticoso. Nonostante tre giorni di estenuante cammino la meta pareva non voler giungere. 
L’infinita via di erba bassa e morbida si perdeva a vista d’occhio innanzi a loro, all’estremità del sentiero era possibile intravedere sagome  di dolce colli, che risalivano in una cresta ondulata e poi ridiscendevano sino al livello del terreno.
Erano certi che una volta superate quelle colline sarebbero finalmente giunti nel Regno dei Syrma, purtroppo però quelle pendici paravano rimanere immutate, fosche e distanti, come se la marcia dei viaggiatori si fosse rivelata un cammino a vuoto.
Talvolta, ai loro occhi stanchi, sembrava quasi che i colli si allontanassero ogni giorno di più.
La situazione era  precipitata ulteriormente all’esaurirsi delle loro scorte d’acqua. Avevano fatto il possibile per razionare e risparmiare la più piccola goccia, ma ciò non era stato sufficiente, e la mattina del terzo giorno si erano ritrovati senza più acqua.
Idril aveva esplorato instancabile l’intera zona circostante in cerca di un ruscello, ma le ricerche si erano rivelate vane.
Stanchi e spossati, i compagni attendevano il suo ritorno pazientemente, il loro viso si illuminava di una fugace speranza non appena l’arciera rispuntava, per poi incupirsi alla vista della sua espressione demoralizzata.
Astril e Felixia si trascinavano senza forze, Khaled avanzava davanti a loro, anch’egli, sebbene cercasse di dimostrare il contrario, provato. Keira aveva lasciato in testa al gruppo Idril, colei che si era rivelata essere la più resistente.
Era da tempo che la guerriera non si sentiva così debole. Le doleva la testa a causa del caldo e ogni passo le pareva uno sforzo enorme, aveva la bocca prosciugata e il mantello incollato al corpo era come una trappola.
Quando giunse la sera le temperature si abbassarono un poco, ma ciò non bastò per risollevarli.
La cameriera e la principessa si lasciarono cadere sull’erba morbida senza un suono. Sfinite si addormentarono immediatamente.
 Il primo a montare la guardia fu Khaled, che a metà notte venne sostituito da Keira, sorda alle proteste del ragazzo. L’arciera si offrì per un terzo turno di guardia, ma Keira decise di non svegliarla. Sebbene non sembrasse, anche Idril aveva bisogno di riposare.
Appoggiata con la schiena ad un sottile e nodoso albero, Keira passò la notte a cercare di trovare una soluzione. Se non fosse riuscita a pensare a qualcosa presto non sarebbero stati in grado nemmeno di alzarsi.
Si voltò a guardare i compagni, gli occhi socchiusi e la testa adagiata al tronco. Non un suono si udiva, se non il respiro secco e faticoso di ognuno di loro.
La pietra di Idril brillava incessante, insieme ad un piccolo frammento di luna argentea era l’unica fonte di luce quella notte. La ragazza dormiva tranquillamente, il suo volto era sereno e disteso come sempre. Poco lontano si trovava Khaled, steso su un fianco e con la mano destra appoggiata alla fodera della spada corta. Anche da addormentato aveva sul viso quella solita espressione ostile.
I suoi sforzi non valsero a nulla, i pensieri e le riflessioni scivolarono via dalla mente di Keira senza che ella riuscisse ad afferrarli. Alle prime luci dell’alba di ritrovò al punto di partenza.
Si rimisero in viaggio a fatica. Camminarono per l’intera mattinata e proprio quando le forze parvero abbandonarli del tutto, finalmente riuscirono a trovare un piccolo ruscello.
Era più da definirsi un rigagnolo, ma si trattava pur sempre di acqua. Non aveva un buon sapore, aveva un retrogusto amarognolo ed era calda, tuttavia ognuno di loro cercò di berne il più possibile. Era l’unica soluzione se non volevano morire di sete. Riempirono le fiasche e ricominciarono la marcia.
Nel primo pomeriggio si arrampicarono lungo una verde collina. Quando giunsero alla sommità, il paesaggio apparve loro limpido ed ampio. L’aria era scintillante ed il sole risplendeva vivo, il sentiero scendeva verso il basso e si tuffava in un ampia radura di tenera erbetta verde, punteggiata in alcuni punti da chiazze dorate, che colpite dai raggi parevano oro puro.
Poco lontano si intravedeva un piccolo bosco di fitti alberi dalle foglie chiare e brillanti.
Innanzi ai loro occhi aveva inizio il Regno dei Syrma, in tutto il suo splendore.
Astril rimase per qualche istante con la bocca aperta e gli occhi spalancati. Si respirava un’aria diversa lì, ogni cosa sembrava avvolta nella perfezione, non un ciuffo d’erba era fuori posto. Era come essere finiti in un bellissimo dipinto.
“Finalmente, ce l’abbiamo fatta!” esultò Idril, schermandosi gli occhi per osservare il paesaggio.
“È stato davvero faticoso, credevo che non saremmo mai riusciti ad arrivare” Felixia si sedette a terra,  inspirò profondamente e poi espirò. Sorrise. All’improvviso, tutto le pareva più bello e la fatica sembrava esser sparita.
“Riposiamo ancora un po’ e poi dirigiamoci verso di là” disse Keira indicando il bosco.
Khaled non espresse commenti, anche se la vista di un luogo nuovo aveva risollevato anche lui.
All’improvviso scorse qualcosa di bianco e lucente sfrecciare nel cielo azzurro.
Il ragazzo strizzò gli occhi accigliato e poi riguardò, ma questa volta non vide nulla.
“Che cos’era?”
“Cosa?” domandò Idril girandosi verso di lui.
“Prima è passato in cielo un volatile, per un attimo mi è sembrato lo stesso falchetto di qualche giorno fa”
Keira mosse la mano in un gesto disinteressato “Impossibile, te lo sarai immaginato”
“E invece ti dico che l’ho visto!” replicò, ma nessuno vi diede peso. Rimasero per qualche tempo seduti sull’erba e poi ricominciarono la marcia, rasserenati. Tutti tranne Khaled, che di tanto intanto cominciò a scoccare occhiate verso il cielo, la strana sensazione di essere osservato.

Il bosco era decisamente più ampio e fitto del previsto, vi camminavano da molto tempo, tuttavia le chiome verdi degli alberi lasciavano filtrare liberamente i raggi del sole, che infrangendosi contro le foglie creavano giochi di luce sul terreno. L’aria era piacevole e, contrariamente a quello che si erano aspettati, non vi era la presenza di quella tipica cappa soffocante.
Keira si sentiva particolarmente rilassata. Dopo quei giorni di caldo estenuante, quel venticello tepido che le sfiorava il viso aveva un affetto davvero benefico. Fortunatamente nessuno parlava, lasciando come unico suono il rumore scricchiolante dei pezzi di corteccia e ramoscelli sotto ai loro piedi.
Stavano procedendo bene, senza inutili distrazioni od altro. Khaled camminava quasi al suo fianco, ma per qualche motivo se ne stava in silenzio, lasciandosi guidare. Sembrava troppo concentrato su qualcosa per poter contestare.
Un’esclamazione piacevolmente sorpresa la strappò dalle sue riflessioni. Idril si era fiondata con rapidità verso un basso e scuro cespuglio ed ora, inginocchiata, stava trafficando con qualcosa all’altezza del terreno.
“Che succede, Idril?” chiese la guerriera.
“Ho trovato ramoscelli di erbe curative!” rispose rallegrata, continuando a strappare.
“Si tratta di Leighas?” azzardò Felixia avvicinandosi.
L’arciera di lasciò sfuggire una risata “Ah, sarebbe magnifico. Purtroppo però non è quella, troppo rara per poterla trovare in un semplice bosco come questo!”
La cameriera annuì, leggermente imbarazzata. Riflettendoci con più attenzione Ireth le aveva detto che la Leighas era un’erba molto ardua da trovare.
“Oh!” con un balzo la Mildriend si portò vicino ad un altro arbusto “Ma qui sotto vi sono altre erbette! Ed anche lì!”
“Idril, nella sacca abbiamo sufficienti scorte di erbe, non ne abbiamo bisogno di altre” le fece notare Keira.
La ragazza non si voltò nemmeno, troppo impegnata ad armeggiare con ramoscelli e gambi di vario tipo.
“Di piante mediche non se ne hanno mai abbastanza, meglio fare un po’ di scorte! In futuro potremmo averne bisogno in quantità!”
Speriamo di no, si ritrovò a pensare Astril.
“Propongo di fare una sosta! Ne raccolgo un po’ e poi ci mettiamo in viaggio”
“Non è passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo fermati, penso che dovremmo proseguire finché c’è la luce del sole...” disse Keira. Idril si voltò a guardarla, gli occhi verdi fissi nei suoi e colmi di aspettativa. La guerriera ricambiò impassibile l’occhiata, poi sospirò.
“Riflettendoci con più attenzione, qui intorno potrebbe anche esserci un ruscello, potremmo riempire le fiasche con acqua più fresca. E sia. Faremo una breve sosta” sguainò il pugnale ed incise un simbolo stilizzato su un tronco “Ci ritroveremo qui, non allontanatevi troppo. E tenete i cappucci sul volto, per precauzione”
Idril sorrise, poi si rivolse a Felixia chiedendole se volesse unirsi a lei nella ricerca. Le due si incamminarono verso un strada mentre Keira si diresse dalla parte opposta.
Rimasero solo Khaled ed Astril. Quest’ultima fece per aprir bocca, ma il ragazzo le indirizzò una delle sue solite occhiate ostili troncandole qualsiasi parola e in pochi istanti scomparve tra gli alberi.
La principessa si sedette a terra ed appoggiò la schiena contro il tronco sfregiato da Keira. A quanto pareva, lei avrebbe atteso lì.
Distante svariati metri, Keira si era già immersa nella ricerca. Svoltò intorno a numerosi alberi, cercò dietro ai cespugli, tese l’orecchio in cerca del suono gorgogliante dell’acqua. A furia di esplorare si ritrovò in un ampio spazio, circondato totalmente da alti e fitti alberi. La luce filtrava tenue e a fatica tra le foglie spesse e scure, l’intero territorio era divenuto più ombreggiato. Forse si era allontanata troppo, proprio lei che aveva raccomandato agli altri di restare nelle vicinanze.
Si guardò un po’ intorno,  delineando mentalmente la strada percorsa. Per fortuna ricordava nitidamente il percorso. Avrebbe cercato ancora un po’ lì intorno e poi sarebbe ritornata indietro.
Avanzò di appena un passo, quando udì un sottile rumore gracchiante, come se qualcosa fosse stato appena grattato contro la corteccia di un albero.
Si immobilizzò di colpo e  dardeggiò lo sguardo lungo l’intero ambiente circostante. Per quanto i suoi occhi fossero attenti, non si accorse dell’ombra perfettamente nascosta fra i rami degli alberi.
Keira si voltò ed indifferente riprese a cercare, gli occhi tenuti fissi sul terreno, i passi lenti e silenziosi.
Fu questione di un attimo.
Al suono di un sibilo nell’aria, si girò con un rapido scatto, il braccio alzato e il pugnale stretto nella mano destra. La lama si scontrò con uno stridio acuto contro un altro pugnale. Con notevole sforzo la ragazza allontanò l’arma nemica da sé e velocemente indietreggiò.
Davanti a lei vi era una misteriosa figura avvolta in un mantello verde bosco che gli giungeva fino alle ginocchia, lasciando scoperti un paio di stivali di cuoio scuri e consunti. Il volto non era visibile, coperto dal cappuccio.
“Chi diamine sei?” domandò Keira fuor dai denti, gli occhi sottili nel tentativo di scorgere qualcosa. L’individuo non rispose e con uno scatto ripartì all’attacco. Keira riuscì a parare numerosi colpi, ma l’avversario non le lasciava respiro. La ragazza si spostò agilmente di lato, sottraendosi per un attimo dalla lama del nemico.
Col fiato corto la Mildriend rinfoderò il pugnale e sguainò le due spade. Le doleva ammetterlo, ma quello sconosciuto le stava dando del filo da torcere, doveva impegnarsi seriamente se voleva metterlo fuori combattimento.
Si calò ancora di più il cappuccio sul volto. Durante la colluttazione si era spostato e per poco non aveva rischiato di rivelare il suo volto e la sua chioma porpora.
“Affannarsi non servirà nulla” parlò lo sconosciuto “Oramai conosco la tua stirpe, quel mantello ti è inutile. Se deporrai le armi cesserò di attaccarti. Ho delle domande da farti”
“Se questo è un tuo subdolo modo per convincermi a rivelarti la mia identità, sappi che non funzionerà mai. Non scendo a compromessi. Attaccami pure, te ne pentirai amaramente” replicò la ragazza, facendo roteare le sue fidate spade.
Riposto il pugnale, l’individuo sguainò una lucente ed affilata spada dall’impugnatura lavorata, al cui centro era incastonata una minuta pietrina bianca. Poi si lanciò nuovamente contro di lei.
La Mildriend  schivò, ma non fu abbastanza rapida: la lama avversaria la colpì di striscio, sfregiando la stoffa della spalla.
Keira si portò una mano sul taglio, qualcosa di vischioso e caldo le impregnò le dita. Represse un ringhio rabbioso tra i denti. Quel tizio possedeva una velocità incredibile, tuttavia non gli avrebbe permesso di batterla. Non sapeva quali fossero le sue intenzioni, ma sembrava che non volesse ucciderla, piuttosto renderla inoffensiva in modo tale da catturarla ed interrogarla.
“Immagino sia doloroso” intervenne l’altro, indicando con un gesto del capo la ferita.
“Ho sopportato cose peggiori” rispose Keira. Doveva inventarsi qualcosa, e alla svelta. Non era in splendida forma,  lo sapeva. Quei giorni di viaggio l’avevano sfiancata. In un altro momento sarebbe riuscita a batterlo senza problemi. Era abile, molto, ma al pieno delle energie non avrebbe avuto alcuna difficoltà a tenergli testa.
Improvvisa e folle, un’idea le balenò alla mente. Rinfoderò una spada, nascondendo una mano all’interno del mantello.
Con uno scatto l’avversario tentò un altro affondo. Non gli fu permesso avvicinarsi.
Una bianca luce abbacinante proveniente della mano della Mildriend lo investì in pieno. Con un urlo si portò una mano agli occhi, accecato.
Keira non si lasciò sfuggire l’occasione. Gli si scagliò contro, facendolo cadere a terra con un tonfo. Lo disarmò con un calcio e lo costrinse al suolo, puntandogli una spada alla gola.
“Fai un movimento, ed io ti trapasso con questa lama. È affilata, presta attenzione” lo mise in guardia lei, lo sguardo che spruzzava scintille d’ira.
L’altro non rispose, fermo immobile.
“KEIRA!”
Una voce che conosceva bene la chiamò. Idril, insieme a Felixia e a Khaled, le giunse alle spalle.
“Stavamo ritornando al punto di incontro, quando abbiamo visto una luce provenire da qui. Chi è costui? E sei ferita!” esclamò l’arciera.
“Sto bene, non temere. Non ho idea di chi sia, ma lo stavo giusto per scoprire”
Puntò nuovamente lo sguardo sullo straniero.
Era arrivato il momento di scoprire chi si nascondesse lì sotto.
 Con un gesto deciso gli abbassò il cappuccio, e gli occhi di ognuno di loro, a quella vista, si spalancarono per lo stupore e l’incredulità.
I capelli, corti e con alcuni ciuffi mossi che gli ricadevano sul volto, erano bianchi come la neve, simbolo inconfondibile della sua appartenenza alla stirpe dei Sneachta. Gli occhi, vigili e svegli, erano fissi su di loro, azzurro polvere. Altri tratti del volto non erano visibili, coperti da tessuto celeste. Era giovane, un ragazzo.
“Uno Sneachta? Uno Sneachta, qui!?” esclamò sconvolta Idril.
“Che ci fa un abitante dell’estremo Regno Nevicristallo nelle terre dei Syrma?” fece Khaled con malcelato astio. Anch’egli aveva sguainato la spada corta, ora puntata in direzione dell’estraneo.
Felixia, alle spalle di Idril, era talmente sorpresa da non riuscire a pronunciare una sola parola.
“Chi sei, da dove provieni? Vedi di rispondere con sincerità” gli intimò Keira.
Il ragazzo continuò ad osservare acutamente le figure incappucciate che lo sovrastavano, poi rispose:
“Il mio nome è Nicklesh, vengo da  Earrch, la capitale del Regno dei Sneachta. Voi invece siete due Mildriend, un Mildriend in parte Naihm, una Desideria con sangue Mildriend ed infine una donna dalla stirpe sconosciuta. Dico bene?”
Keira digrignò denti ed avvicinò ancora di più la spada al collo del ragazzo, che sussultò visibilmente.
“Ti sbagli. I Mildriend sono scomparsi da tempo, ciò che dici sono solo farneticazioni”
“Gli occhi non mentono so...quello che ho visto. Vi osservo da giorni” replicò Nicklesh, cauto.
“Questo vuol dire che ci stavi seguendo?”
“In un certo senso”
“Che significa?” scattò Khaled. Nicklesh spostò lo sguardo dalla guerriera al ragazzo, ma non rispose.
“Cosa  vuoi da noi, Sneachta? Per quale motivo mi hai attaccata?” riprese Keira duramente.
“Sono un viaggiatore, proprio come voi. La prima volta che vi ho visti sono rimasto a dir poco sorpreso nello scorgere una compagnia come la vostra, non solo per la vostra natura Mildriend –non negate, so che è così- ma anche per la presenza di mezzosangue ed abili combattenti. Mi sono insospettito, e ho preferito osservarvi. Contavo di cogliervi di sorpresa per farvi delle domande”
“Fallendo miseramente. Le tue spiegazioni non sono esaurienti. Togli quella stoffa che hai sul viso, per iniziare. Voglio vedere il tuo volto interamente”
Nicklesh si irrigidì impercettibilmente.
“Sono desolato, ma non ho intenzione di farlo”
Keira allora gli portò una mano al viso e fece per strappargliela con la forza, ma la stoffa non volle abbassarsi, lasciandola sbigottita per un momento.
“È incantata, non vi è modo di toglierla, a meno che non sia io a desiderarlo” le rivelò il giovane.
In un moto di rabbia la guerriera lo afferrò per il colletto del mantello e lo sollevò, schiacciandolo contro un tronco ed elevandolo alla sua altezza. Se necessario, lo avrebbe costretto.
“Mi sto ancora domandando perché non ti abbia ucciso appena ti ho sconfitto e non sto trovando alcun valido motivo. Perciò, vedi di ubbidire se ci tieni alla vita”
Il ragazzo ricambiò lo sguardo, a tradirlo il respiro palesemente accelerato. Aveva paura, era evidente.
“Mi dispiace interrompere, ma credo che dovremmo tornare... dall’altra persona. Siamo spariti da troppo tempo” si intromise con un filo di voce Felixia, evitando di pronunciare il nome della principessa.
Keira si allontanò da Nicklesh, poi aprì la sacca rossa da cui tirò fuori una corda per legargli i polsi. Lui non oppose resistenza, lo sguardo e il capo rivolti verso terra.
La Mildriend prese ad avanzare decisa, con il prigioniero e gli altri al seguito. Khaled recuperò la spada dello Sneachta e poi li raggiunse.
Molte domande attendevano una risposta.

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Capitolo 16
*** Glas Faraoise ***



Glas Faraoise
 
Il sole stava scomparendo tra le fronde degli alberi, i suoi raggi ormai bassi avvolgevano il bosco in una luce calda e dorata. A breve sarebbe giunto l’imbrunire, in lontananza sprazzi bluastri incombevano nel cielo, in attesa di avvolgere tutto nel buio della notte.
Seduta ai piedi dell’albero, Astril attendeva con crescente inquietudine e preoccupazione il ritorno dei compagni, allontanatisi da tempo.
In un primo momento la principessa aveva aspettato paziente, convinta che molto probabilmente gli altri sarebbero ritornati presto. Non vedendoli riapparire aveva iniziato poi ad agitarsi un poco ed ora, alla vista del crepuscolo incombente, si guardava intorno con foga, nella speranza di scorgerli tra gli alberi.
Non riusciva a comprendere come mai ci stessero mettendo così tanto: Idril e Felixia erano andate in cerca di erbe, mentre Keira in cerca di un ruscello. Khaled si era allontanato senza un parola, diretto verso mete sconosciute. In ogni caso, nessuna delle tre cose avrebbe dovuto impiegare loro così tanto tempo.
E se fosse successo qualcosa?
Astril sussultò. Forse in quel momento i suoi compagni si trovavano in difficoltà, intrappolati da qualche parte o, peggio, attaccati da un nemico, sopraffatti e addirittura...
Il solo pensiero la fece tremare. Scrollò il capo cercando di rimanere risoluta; non doveva giungere a conclusioni affrettate, sia Keira che Khaled erano abilissimi combattenti. Felixia era in compagnia di Idril, anch’ella ottima guerriera, perciò non vi era nulla da temere.
Guardò nuovamente gli alberi di fronte a sé, sagome scure debolmente illuminate dal sole quasi morente. Rapidi e improvvisi, altrettanti tronchi apparvero innanzi ai suoi occhi, lasciandola esterrefatta per un istante. Sbatté le palpebre un paio di volte, mentre alberi mastodontici, piante, radici, arbusti, viticci e cespugli crescevano a vista d’occhio, senza sosta.
In brevi istanti la principessa vi si ritrovò circondata. Il cielo non era più visibile, coperto dalle spesse e scure chiome di quegli alberi così alti. L’aria tremò nuovamente, mostrando per un fugace attimo la foresta com’era in precedenza, prima di ritornare enorme e sconosciuta, infinita.
Sempre più sconvolta, Astril si portò una mano alla testa, che aveva preso a dolerle terribilmente. Con il respiro affannato si appoggiò alla corteccia dell’albero alle sue spalle, un tempo sottile e slanciato ora ampio e ricoperto da verde e morbido muschio brillante.
Terrorizzata si accasciò totalmente contro il tronco, il viso nascosto tra le braccia, mentre deboli mugolii le sfuggivano dalle labbra.
Solo quando percepì sulle dita la corteccia liscia e nuovamente sottile dell’albero si decise ad aprire gli occhi. Allontanò cautamente il viso dalle braccia, scoccando un’occhiata all’ambiente circostante. Inspiegabilmente, ogni cosa era ritornata alla normalità. L’imponente foresta aveva lasciato posto al semplice boschetto di poco prima.
Una visione, questo fu il primo pensiero che Astril riuscì a formulare una volta riacquistata la lucidità. Non vi erano altre spiegazioni, le era stato appena stato mostrato il luogo in cui doveva trovarsi la Gemma dei Syrma.
Un fruscio richiamò la sua attenzione. Dai cespugli alla sua sinistra apparvero due figure incappucciate, che tenevano in mano ciuffi e gambi di tenere erbette verdi.
Con un sorriso la principessa scattò in piedi e corse loro incontro, risollevata.
“Idril, Felixia!” esclamò, gettandosi tra le braccia di una delle due “Sono così contenta di rivedervi, temevo che vi fosse successo qualcosa!”
L’arciera ridacchiò divertita e ricambiò l’abbraccio.
“Non ti preoccupare, stiamo tutti bene. Più o meno…” voltò lo sguardo all’indietro. Alle sue spalle erano apparsi Keira, con la stoffa della spalla stracciata e sanguinante, e al suo seguito uno straniero, i polsi legati con una corda e pochi tratti del volto visibili. Alla retroguardia vi era infine Khaled, che stringeva tra le mani una spada lucente ed elaborata, non sua, e si guardava intorno infastidito.
Astril osservò con gli occhi spalancati lo sconosciuto, soffermandosi in particolar modo sul colore niveo dei suoi capelli.
“Chi è questo ragazzo?” chiese, incredula che a pochi passi da lei vi fosse uno Sneachta.
Ogni cosa le venne spiegata da Keira, che durante il racconto non mancò, insieme a Khaled, di lanciare occhiate malevole a Nicklesh, silente.
“Pare che sia a conoscenza di cose che non dovrebbe sapere. Lo abbiamo portato qui per porgli altre domande. E, ovviamente, per tenerlo d’occhio”
Astril scrutò ancora Nicklesh in un misto di curiosità e sospetto. Non le era mai capitato di incontrare un persona di quella stirpe remota e lontana, immersa nel freddo e nei gelidi venti, così da vicino.
Probabilmente in futuro si sarebbero spinti sino in quel Regno pe recuperare una delle Gemme. A quel pensiero il ricordo della visione, di quell’imponente ed infinita foresta, riaffiorò prepotentemente nella sua testa.
“Vi devo parlare…” indugiò, ricordandosi della presenza dell’estraneo “...di una cosa importante”
A Keira fu sufficiente un solo sguardo per comprendere. Affidò il compito di sorvegliare Nicklesh a Khaled e insieme ad Idril e a Felixia si avvicinò alla principessa.
“Hai avuto una visione?” domandò Keira a mezza voce.
Astril annuì.
“Proprio così, poco prima del vostro ritorno”
“Ebbene? Che cosa hai visto?”
“È stato tutto molto...strano, e inquietante. Fino ad un momento prima mi trovavo in questo boschetto, quando all’improvviso mi sono ritrovata in un luogo totalmente diverso; una foresta, enorme, non penso di aver mai veduto alberi così grandi ed alti in vita mia”
“E dopo? Dopo che è successo? Hai visto altro?” riprese la guerriera, sul viso l’ombra di uno strano ed insolito timore.
“Nient’altro, ho chiuso gli occhi e quando li ho riaperti ero di nuovo qui”
Keira indietreggiò di qualche passo, l’indice posato sulle labbra e la fronte aggrottata.
“Hai detto che gli alberi erano mastodontici?”
“Sì, giganteschi. I tronchi erano altissimi e le chiome coprivano quasi interamente il cielo”
La guerriera si passò una mano sul viso, non riuscendo a trattenere un’imprecazione.
“Questa non ci voleva...”
“Che significa? Sai dove si trova quel posto?”
Glas Faraoise...” mormorò Idril, più tra sé e sé che rivolta a qualcuno.
“Che cosa avete detto?”
Con tono quasi accusatorio Khaled si era sporto verso di loro incredulo.
“Glas Faraoise, la foresta. Brutto posto, senza dubbio”
A rispondere era stato Nicklesh, gli occhi azzurri volti verso un punto indefinito. Nonostante la lontananza e i sussurri, era riuscito ad ascoltare tutto.
Keira voltò bruscamente il capo verso la sua direzione.
“Fa’ silenzio, Sneachta. La questione non ti riguarda”
“Ho solo detto che è un brutto posto” replicò il ragazzo stringendosi nelle spalle, senza voltarsi “Alberi enormi, piante, rampicanti, vegetazione strana ed infinita, creature. Un luogo pericoloso”
“Parli come se ci fossi già stato” osservò l’arciera, avvicinandosi incuriosita di qualche passo.
“Non dargli confidenza, Idril” la mise in guardia Khaled, ma la giovane non gli prestò ascolto, in piedi innanzi a Nicklesh in attesa di una risposta.
Il ragazzo stette in silenzio qualche istante, pensieroso, poi annuì.
“Ci sono capitato, in effetti. Tempo fa...”
“Avete sentito? Se vi è già stato e ne è addirittura uscito incolume potrebbe farci da guida, dal momento che dobbiamo recarci lì!” esclamò con un sorriso la Mildriend, i grandi occhi verdi che scintillavano di aspettativa e voglia di avventura.
“Hai forse perso il senno?” controbatté Khaled “Quest’individuo è nostro nemico. Ha cercato di attaccarci, e di sicuro lo rifarebbe se soltanto ne avesse la possibilità. Non credi anche tu, Keira?”
Ma la Mildriend non gli rispose, intenta a ragionare sulle parole di Idril in un silenzio riflessivo. In un primo momento aveva sussultato nel sentire la sua proposta folle ed avventata, tuttavia, pensandoci con più attenzione, la sua idea poteva non essere così insensata.
Quel Nicklesh aveva fatto sorgere su di sé numerosi interrogativi, era pericoloso sotto molti punti di vista e non aveva risposto in maniera esauriente alle domande che gli erano state poste. Ma se effettivamente si era già recato nella foresta, allora sarebbe stato di non poco aiuto dal momento che nessuno di loro vi era mai stato prima, nemmeno lei. Le erano giunte voci su quel posto e nessuna era positiva. Chi si avventurava al suo interno non ne usciva più. Inoltre, cercare la Gemma sarebbe stata un’impresa davvero molto difficile, perciò non potevano correre il rischio di girare inutilmente intorno o perdersi. Forse quello Sneachta poteva rivelarsi sul serio una risorsa utile, ma prima di tutto dovevano essere chiariti alcuni dettagli.
“Non c’è bisogno di scaldarsi” intervenne Nicklesh “Perché intanto non avrei alcuna intenzione di farvi da guida”
“Neppure in cambio della tua libertà?”
Il ragazzo spostò lo sguardo su Keira.
“Ho un patto da proporti. Se ci farai attraversare la foresta e ci condurrai fuori sani e salvi, allora ti lasceremo andare...”
“Me che follie vai farneticando?” si intromise Khaled, ma la Mildriend lo zittì con un semplice gesto della mano.
“Ascolta attentamente le mie parole, Nicklesh, se questo è davvero il tuo nome: se non farai passi falsi, se non ti intrometterai nelle nostre questioni, se ci aiuterai e risponderai sinceramente alle nostre domande, una volta usciti dalla foresta potrai andartene. Devi solo accettare”
“E se rifiutassi?”
Fu questione di un attimo. In pochi istanti il ragazzo si ritrovò una mano della Mildriend stretta intorno al collo e il pugnale lucente puntato alla gola.
“Se rispondessi di no, ti costringerei ugualmente, al minimo indizio di tradimento da parte tua ti pianterei il pugnale da qualche parte come avvertimento, una volta usciti ti trapasserei con le mie spade e ti lascerei ad un passo dagli dei ma ancora abbastanza cosciente cosicché tu possa vedere le creature di Erendhitum fare un banchetto con i tuoi resti”
Ad ogni parola il suo tono si era fatto ancora più gelido e la lama sempre più vicina.
“Se fossi in te sceglierei la prima opzione, ma puoi star certo che sarei lieta di portare a compimento la seconda”
Seguì il silenzio. Nicklesh la guardava con gli occhi spalancati, Keira non accennava ad allontanarsi e Khaled, alle sue spalle, picchiettava impaziente l’indice sul manico della spada. Fosse stato per lui non avrebbe neppure proposto le due opzioni.
“Non per deludere le aspettative delle bestie di Erendhitum, ma credo non mi avranno molto presto come pasto. E sia, Mildriend. Vi guiderò nella foresta” rispose infine Nicklesh.
“Saggia decisione” annuì la ragazza, rinfoderando il pugnale ed indietreggiando “Prima di partire voglio che però tu risponda ad altre domande”
“Ti ascolto...”
“Perché sei in viaggio, così lontano dal tuo Regno?”
“Mi pare di aver già risposto a questo, no? Sono un semplice viaggiatore, desideroso di esplorare luoghi nuovi”
“Possiedi armi pregiate, per essere un semplice viaggiatore” fece presente Khaled aspramente, mostrandogli la spada confiscatagli.
“Mio padre è un eccellente fabbro, molto famoso ed apprezzato nel mio Regno, lo stesso sovrano commissiona lavori da lui. Ha forgiato questa spada apposta per me, utilizzando i materiali che il re gli aveva inviato in dono” replicò il ragazzo.
Le risposte non convinsero Keira del tutto, ma per il momento la guerriera si mostrò soddisfatta. Per ulteriori domande ci sarebbe stato tempo, ora bisognava assolutamente rimettersi in viaggio. Si fece medicare la spalla da Idril e poi si incamminò, con la corda che teneva legato Nicklesh ben stretta in una mano. 
Keira lasciò scivolare l’altra all’interno del mantello, sfiorando con le dita la superficie liscia e fredda della sferetta verde. Ancora stentava a crederlo, ma alla fine in combattimento le era davvero tornata utile: la sua sfera di luce, riflettendosi contro il vetro, era divenuta ancora più abbagliante, accecando momentaneamente lo Sneachta e assicurandole la vittoria.
Da quel momento in poi, la sua magia non sarebbe servita solo come semplice fonte di luce.

                                                                                      °°°

Abituata alle calde e soffocanti sere del Regno dei Desideria, Astril non riusciva a credere quanto fossero fresche e riposanti le notti nel territorio dei Syrma. Un piacevole venticello frizzante soffiava fra l’erba morbida e i fiori dorati caratteristici di quel luogo.
Distesa in mezzo ad essi, la principessa se ne rigirava svogliatamente uno fra le dita, in attesa che il sonno arrivasse finalmente anche per lei.
Sfiorò lievemente i petali e al suo tocco una fine spolverina dorata si disperse nell’aria, scintillando alla luce della luna.
Ora le era più facile comprendere come mai i Syrma venissero definiti così raffinati, la stessa natura era un’esplosione di bellezza ed eleganza. Era risaputo quanto la regina Tsolais cercasse in ogni modo di rendere meraviglioso il suo regno, ogni più piccolo dettaglio veniva curato secondo i suoi canoni di perfezione. Quella donna non ammetteva pecche o difetti nel suo territorio, esattamente come Moron. Potevano quasi essere definiti simili, e questo spiegava perché tra loro vi fosse un’accesa rivalità.
Tuttavia, nonostante tutto quello splendore, uno spiacevole elemento rendeva impossibile l’aspirazione della regina: l’enorme foresta, una chiazza verdastra in quel territorio di tenera erba verde circondata dall’oro. 
Tsolais, come molti prima di lei, secondo quanto raccontatole da Idril, aveva tentato numerose volte di sistemare la situazione, cercando di eliminare la foresta. Ma i suoi sforzi non avevano portato a nulla, chiunque vi si fosse avventurato, determinato a polverizzare ogni singolo albero, non era mai più tornato, e Tsolais infine si era vista costretta a cedere.
La foresta.
Quella notte il pensiero di dove si sarebbero dovuti avventurare non abbandonava la mente di Astril, impedendole di addormentarsi.
Avevano viaggiato per cinque giorni e ce ne sarebbero voluti soltanto tre per giungere nei pressi di quel luogo da tutti definito spaventoso. Era certa che numerosi pericoli li attendessero, creature, natura ostile, e, non meno importante, mancanza di provviste. Le loro scorte di cibo si erano quasi esaurite, nei dintorni non si trovava nulla di commestibile, e comprare qualcosa in un villaggio era impensabile: in ogni cittadina erano presenti guardie che alla vista anche solo di una figura incappucciata non avrebbero esitato a fare domande. Lì non era come nel Regno dei Nureyel, la sorveglianza era decisamente più stretta.
Presto si sarebbero dovuti accontentare di bacche e radici.
La principessa volse gli occhi verso l’alto , nel tentativo di rilassarsi un poco. Quella notte le stelle non erano altro che lontani puntini velati, pressoché invisibili nel cielo scuro.
Sospirò. Il pensiero della Gemma non voleva abbandonare la sua mente, quasi la perseguitasse. Oltre a questo, un cattivo presentimento albergava nel suo cuore, la minaccia di un pericolo incombeva su di lei, sebbene non ne conoscesse la fonte e neppure la sua reale esistenza.
Si mise a sedere. Intorno a lei tutti dormivano, eccetto Idril, rimasta a fare la guardia. Se ne stava poco lontano, con le braccia strette alle ginocchia e il viso rivolto all’insù.
 Silenziosa la principessa le si avvicinò per poi sedersi al suo fianco.
“Non riesci a dormire, Astril?” sussurrò con un sorriso l’arciera, allontanando lo sguardo dal cielo.
La ragazza scosse la testa.
“La foresta, la Gemma...non fanno altro che tormentarmi. Continuo a pensare a quello che succederà una volta entrati in quel luogo” rispose con un filo di voce. Non voleva rischiare di svegliare lo Sneachta, disteso poco lontano. Durante quei giorni quasi non aveva parlato, limitandosi a seguirli in silenzio, probabilmente intimorito dalla minaccia di Keira. Astril sapeva che la guerriera non avrebbe mai inflitto –forse- una punizione così grave, ma quel Nicklesh non poteva saperlo. Il suo arrivo aveva portato notevole scompiglio. Conoscevano poco e nulla sul suo conto, mentre lui pareva possedere molte informazioni. Avevano infine deciso di rivelargli la loro chioma, nonostante il disappunto di Keira, e nessun segno di sorpresa aveva tradito il volto del ragazzo. Semplicemente aveva affermato di aver avuto ragione. Non aveva avuto neppure particolari reazioni nel vederla. Che non l’avesse riconosciuta?
 “Non lasciarti spaventare da quello che il futuro potrebbe portare, Astril” la voce allegra dell’arciera la strappò dalle nuove riflessioni in cui era caduta “Temere ciò che accadrà non ti aiuterà ad affrontarlo meglio. Guarda me! Io non penso mai al domani, perciò vivo meglio!”
“Ma...come si può non pensare mai al futuro? A non farsi supposizioni, riflessioni su quello che succederà? Mi sembra così impossibile non farlo”
“Può apparire strano, ma ti assicuro che io non lo faccio mai! Crucciarsi su cose che intanto potrebbero anche non accadere è uno spreco tempo, meglio lasciare che il futuro diventi presente da solo. Trovo così noioso fare i veggenti! Si perdono di vista le cose più interessanti come...questo!” infervorata affondò le mani in mezzo all’erba per poi mostrare quello che aveva trovato con particolare entusiasmo. Si trattava di un semplice pezzo di metallo, che ricordava vagamente la forma di un triangolo.
“Guarda un po’ che ho trovato! Potrebbe tornare utile! Forma singolare, non credi?”
“Certo, affascinante...” rispose la principessa, non trovando nulla di speciale in un rottame.
Un fruscio la fece sussultare.
“Hai sentito anche tu?” domandò con foga, poggiando una mano sul braccio di Idril, intenta a lucidare il pezzo di metallo con il fondo del mantello.
“Di che parli, Astril?”
“Un rumore, lì in mezzo all’erba”
Perplessa la Mildriend tese l’orecchio. Non udì nulla.
“Sarà stato qualche animaletto notturno, non c’è nulla da temere” sorrise, ritornando a concentrarsi sulla sua scoperta.
Astril annuì poco convinta, volgendo lo sguardo davanti a sé. Si era quasi tranquillizzata, quando scorse qualcosa luccicare in lontananza; due piccoli puntini gialli luminosi, seminascosti dall’erba.
Chiese ad Idril di guardare, ma nuovamente l’arciera non notò nulla di strano. In effetti, ora lo scintillio era sparito. Eppure Astril era certa che fino a poco fa ci fosse stato qualcosa, lì nascosto. Per un attimo aveva addirittura pensato che si fossero trattati di occhi. Minuti e scaltri occhi di un serpente.

                                                                                   °°°

Fulmini bluastri e violacei squarciavano ripetutamente cielo, la loro fredda ed abbacinante luce giungeva sino alle enormi finestre del palazzo, riflettendosi sulle pareti e sul liscio pavimento di ossidiana all’interno della sala.
Nei momenti di solitudine e di attesa, Waldak era solito perdersi ad osservare quell’infinito spettacolo. Per i fulmini non vi era mai tregua, saettavano in continuazione, senza sosta, unica fonte di luce in quell’immensa tenebra.
Sebbene fosse intrappolato lì da anni, quei bagliori non lo stancavano mai. Distese le labbra in un sorriso amaro appena abbozzato. Ailenia aveva avuto almeno l’accortezza di non lasciarli totalmente nell’ombra, dando vita con i suoi poteri a quello che per lui era diventato un intrattenimento quotidiano.
Un sottile sibilo riecheggiò nella stanza, ma a Waldak non fu necessario neppure voltarsi per riconoscerne la fonte.
“Sei tornata, Shipsail. Attendevamo tutti con impazienza tue notizie, credevo saresti riapparsa giorni fa”
“La misssione ha rischiesssto più tempo del previsssto, ho preferito attendere l’arrivo di informazioni sssalienti, prima di far ritorno”
“Dunque deduco che tu abbia scoperto qualcosa”
“Sssono accaduti molti fatti intressanti in quesssti ultimi due giorni e, più importante, nessuno di quegli ssstolti si è accorto della mia presenza”
“Fatti interessanti? Questo spetterà a me giudicarlo”
L’uomo si voltò, incontrando la figura della giovane ragazza. Come sempre le sue labbra erano distese in un ampio e feroce ghigno, la lingua biforcuta che sibilava sfiorando i canini aguzzi. Gli occhi, sottili e gialli dalla pupilla verticale, sfavillavano di una luce soddisfatta. Infine i capelli, mossi e blu, le giungevano sino al collo, che teneva appena reclinato verso sinistra.
Quando le fu giunto innanzi, Waldak appoggiò due dita sulla fronte della ragazza, che non accennò alcun movimento. Chiuse gli occhi, ed una strana aura bluastra cominciò a delinearsi intorno alla sua figura. 
Shipsail l’osservò fare trepidante, l’espressione immutata, sibilando di tanto in tanto.
“Interessante...” mormorò l’uomo “Sono dunque diretti lì?”
“Proprio così, ssssecondo la Neish Bàn la Gemma dei Sssyrma dovrebbe trovarsssi da qualche parte all’interno di quel luogo. Dovrebbero giungervi tra circa tre giorni” rispose la ragazza con esaltazione.
L’uomo annuì meditabondo, poi allontanò la mano ed indietreggiò. Ciò che la mente dell’Alkres gli aveva mostrato erano informazioni non da poco.
“Hai fatto un discreto lavoro, Shipsail. Queste notizie ci saranno preziose. Tuttavia voglio che tu esegua nuovamente un mio volere”
“Sarò lieta di ssservirti, Waldak” sogghignò la ragazza, inclinando il capo verso destra.
“Segui ancora i Mildriend, soprattutto fai in modo di non perdere di vista nemmeno per un istante...”
“Credo di aver capito” lo interruppe Shipsail “Come penso di comprendere bene i tuoi dubbi”
“Eccellente. Torna alla roccaforte quando avrai scoperto sufficienti informazioni” 
“Sarà fatto, con il tuo permesso, parto immediatamente!”
“Aspetta” ordinò l’Alkres “Prima di andare, cerca Lunmoon. Dille di venire qui”
“Non sarà necessario, Waldak...”
Una slanciata e seducente figura femminile apparve come un’ombra alle spalle di Shipsail.
“Come puoi vedere” distese le lucide labbra rosse in un sorriso “Sono già arrivata”

                                                                                °°°

Astril aveva compreso quanto fossero oramai vicini alla foresta quando aveva notato la bassa e folta erba verde farsi sempre più rada e i fiori dorati scomparire uno dopo l’altro. Il gruppo camminava ora su un terreno polveroso ed arido,  l’ unico ricordo della splendente distesa verde era qualche sporadico ciuffo di erba scura.
Si inerpicarono lungo un pendio ed una volta giunti in cima, all’orizzonte un’ampia ed infinita macchia verdastra apparve innanzi ai loro occhi.
A quella vista il cuore della principessa ebbe un tremito. In un istante lo splendore del Regno dei Syrma che giorni addietro l’aveva risollevata pareva esser scomparso, sostituito da una selvaggia desolazione. Il sole si era fatto fosco e pallido, il cielo velato era attraversato da lembi di nuvole spente.
 Nessuno pronunciò una sola parola, silenziosi e immersi nei propri pensieri proseguirono il loro cammino fino a quando, nella tarda mattinata, non giunsero infine dinnanzi alla loro meta.
Di fronte a loro si ergevano alti ed imponenti tronchi d’alberi di infinite varietà e dimensioni: dritti, ricurvi, contorti, ruvidi, lisci, tozzi e slanciati. Ognuno di essi era ricoperto da uno spesso strato di muschio verde scuro ed altre piante viscide dalla provenienza sconosciuta, che facevano contrasto con il legno grigio e cupo degli alberi. Oltre non era possibile vedere, solo altre piante e rami aggrovigliati proseguivano lungo quell’intricato percorso.
“Così, questa è la foresta”
La prima ad interrompere il silenzio fu Keira, che con espressione accigliata aveva squadrato tutto ciò che da quel punto le era concesso vedere.
“Ciò che si sente in giro non rende assolutamente giustizia a questo posto. Guardate quanto è grande! Avete idea delle cose che potremo trovare al suo interno?” esclamò Idril meravigliata.
“Un’ipotesi su quello che potrebbe trovarsi lì dentro ce l’ho e non mi entusiasma affatto” sbottò Khaled cupamente.
“Il pensiero non rallegra nessuno di noi, tuttavia dobbiamo proseguire. Facci strada, Nicklesh” disse Keira.
Ma il ragazzo non accennò a muoversi, segno che non aveva sentito. Da quando si erano fermati non aveva fatto altro che osservare la foresta impensierito, sul viso una strana ombra.
La voce spazientita della guerriera sembrò destarlo da cupi pensieri e lo Sneachta si avviò verso il bosco in assoluto silenzio, gli altri dietro di lui.
Si aprirono un varco tra gli alberi; la luce del sole era scomparsa definitivamente, eccetto qualche tenute raggio sottile. All’interno gli alberi parevano se possibile ancora più alti e fitti, dal terreno irregolare sbucavano innumerevoli radici contorte e intrecciate seminascoste da strati di foglie morte. Non si udivano né suoni,  né sospiri, né  mormorii, il tutto era avvolto in uno spesso ed ovattato silenzio.
Avanzavano lentamente al seguito di Nicklesh, mentre una domanda  sorgeva prepotentemente nei loro cuori: dove erano diretti in realtà? Nessuno lo sapeva. L’obbiettivo era la gemma, ma finché Astril non avesse percepito qualcosa si sarebbero limitati a vagare senza meta in attesa di un segnale. Prospettiva poco confortante. 
Proseguendo, l’aria si fece sempre più densa e soffocante. Una sottile foschia aveva preso a serpeggiare tra gli alberi e le piante, impedendo loro di vedere le cose lontane.
Nicklesh avanzava cauto sul sentiero, facendo attenzione a dove poggiava i piedi. Gli altri lo imitavano, timorosi di calpestare qualcosa che non avrebbero dovuto.
Le radici si erano rivelate un notevole ostacolo per Astril e Felixia, alle quali era capitato di tanto in tanto di inciamparvi.
La principessa non faceva altro che voltarsi alle sue spalle con la costante paura che qualcosa li attaccasse, non  prestando attenzione a dove metteva in piedi. Keira l’aveva già ripresa qualche volta, infastidita dall’ansia che non voleva abbandonare la ragazza. Sapere che la permanenza in quel posto dipendeva unicamente da lei le trasmetteva un’agitazione terribile. Si sentiva come avvolta da uno strano malessere, accentuato dalla mancanza d’aria.
Da ogni angolo sbucavano piante, alberi, radici, arbusti e rovi, man mano che avanzavano parevano stringersi sempre di più addosso ai viaggiatori.
Stavano scendendo con difficoltà e lentezza un ripido sentiero ricoperto di vegetazione, quando udirono d’un tratto un tonfo sordo.
“Cosa è stato?” domandò Khaled, arrestandosi di colpo.
“Pareva il rumore di qualcosa che cade...” aggiunse Keira accigliata.
Si guardarono intorno allarmati e in assoluto silenzio, in attesa di un altro suono.
“Ho visto qualcosa laggiù!” esclamò improvvisamene Idril con gli occhi spalancati, indicando davanti a loro. Senza dare agli altri il tempo di rispondere cominciò a correre rapida lungo il sentiero. Giunse nei pressi di un’enorme radice ricurva, su cui si arrampicò con agilità, e una volta in cima scrutò l’ambiente circostante.
Cercando di non inciampare gli altri la raggiunsero immediatamente.
“Vedi qualcosa, Idril?” le urlò Keira.
“Niente...Non c’è niente, se non altri alberi e piante” rispose la ragazza dopo un po’, continuando a guardarsi intorno con attenzione. Dopo poco ritornò dai compagni, piuttosto perplessa.
“Che strano, eppure ero convinta di aver intravisto una macchia scura in movimento, non molto lontano da qui”
“Forse si è trattato di un pezzo di corteccia che si è staccato, o di un ramo che è caduto” ipotizzò 
Felixia.
“Non ci conterei” sbottò per risposta Khaled tetro “Sarebbe troppo normale”
“In realtà... non è raro udire tonfi di questo genere” rifletté Nicklesh con tono assente e facendo vagare lo sguardo in giro “Se fossi in voi non mi preoccuperei più di tanto. Seguitemi, svoltiamo per di là” e riprese ad avanzare.
Proseguirono per un paio d’ore in silenzio, mentre il percorso diveniva sempre più accidentato, caratterizzato da profonde fessure ed ampie strade sprofondate nel terreno.
Nicklesh per qualche tempo aveva proseguito dritto, poi aveva svoltato bruscamente a sinistra. Gli altri si lasciavano guidare; sebbene avessero cercato di tenere a mente la strada percorsa, dopo poco si erano ritrovati completamente disorientati.
In seguito a quello strano tonfo ognuno di loro era diventato ancor più vigile ed attento di prima, soprattutto Nicklesh, che continuava a gettare occhiate nei dintorni. Sembrava vittima di una strana inquietudine, come se avesse vissuto nel costante timore di imbattersi in qualcosa di spiacevole e pericoloso a loro ignoto.
Un simile comportamento non era sfuggito all’occhio attento di Keira, insospettita da quell’evidente malessere. Appena poco più indietro dello Sneachta non si perdeva un solo movimento.
“Nasconde qualcosa, sicuro come la luce del sole” le sussurrò impercettibilmente Khaled, affiancandola.
“Me ne sono accorta” rispose Keira “Si comporta come se dovessimo essere attaccati da un momento all’altro”
“Credi che ci stia conducendo verso una trappola?”
“Non ne sono certa. In ogni caso sarà meglio tenerlo d’occhio” tacque un istante “Una cosa però è sicura: quello Sneachta non ci ha detto tutta la verità su questo posto”
“Che vuoi dire?” domandò Khaled con la fronte aggrottata.
“Giorni fa Idril gli pose domande su Glas Faraoise; lui la definì un luogo selvaggio e pericoloso, incontrollabile ed imprevedibile. Ebbene, io sono convinta che ci sia altro. Qualcosa di strano è all’opera qui, qualcosa di maligno ed ostile, di cui Nicklesh non ci ha parlato”
Il ragazzo digrignò i denti “Se è così blocchiamolo contro un albero e sistemiamo la questione!”
“Non dire sciocchezze, Khaled. Adesso non servirebbe a nulla, se le nostre minacce non lo hanno intimorito prima non so quanto effetto avranno adesso. Aspettiamo e vediamo che succede. E non abbassiamo la guardia”

Dopo aver camminato a lungo e senza essersi imbattuti in nulla di singolare, nel primo pomeriggio si ritrovarono di fronte ad un ostacolo imprevisto: davanti ai loro piedi il terreno si interrompeva, sprofondando buio verso il basso in uno scuro ammasso intricato di radici e pezzi di corteccia.  Più avanti il sentiero riprendeva. Appoggiato alle due estremità vi era un grosso e tozzo tronco grigio ricoperto da viscido muschio.
A quella vista Nicklesh aveva sgranato gli occhi, non riuscendo a celare il suo stupore.
“Non...non ho affatto memoria di questo! Ricordo di essere passato una volta di qui, ma sono sicuro che la strada continuasse senza problemi” 
“Evidentemente deve essersi formato recentemente” ipotizzò Khaled, osservando con una smorfia l’ostile vegetazione sotto di sé
Leggera e con attenzione Idril poggiò un piede sul tronco.
“Sembra resistente, anche se scivoloso. Potremmo utilizzarlo come ponte”
Nessuno ebbe nulla da obbiettare. In fila uno dopo l’altro salirono sul tronco, avanzando lentamente e senza guardare giù. Il muschio era incredibilmente scivoloso ed ogni passo risultava incerto e traballante. I primi a giungere dall’altra parte furono Khaled, Keira e Nicklesh.
Con grande lentezza seguivano Felixia ed Astril, alle cui spalle era rimasta Idril, che controllava la situazione.
Erano quasi arrivate, quando il piede della cameriera scivolò sul muschio. Con uno strillo perse l’equilibrio, aggrappandosi all’ultimo istante con tutto il corpo al tronco.
“FELIXIA!” spaventata la principessa fece per correre in suo aiuto, ma si bloccò all’istante, memore della precedente avventura nella paludi. Nel tentativo di salvarla aveva peggiorato la situazione, mettendosi lei stessa nei guai. Se non fosse stato per Keira, probabilmente sarebbero affondate.
Paralizzata rimase ad osservare Felixia, ancora aggrappata con braccia e gambe al tronco viscido e con lo sguardo spaventato rivolto verso quella buia e contorta vegetazione.
Idril chiese alla principessa di farla passare per aiutare la cameriera, ma la ragazza si era come pietrificata.
“Astril!” vociò Keira “Non stare lì impalata! Se vuoi aiutare Felixia raggiungimi!”
La ragazza annuì tremante, prese un respiro e incerta riprese a camminare sino ad arrivare dalla guerriera, che trasse un sospiro di sollievo.
Frattanto Idril cercava di convincere Felixia a staccarsi dal tronco. Ci volle qualche tempo, ma infine la cameriera, dal viso e i capelli completamente imbrattati di muschio, si decise ad allontanare le dita dalla corteccia e ad aggrapparsi alla giovane Mildriend. Insieme giunsero all’altra estremità.
Imbarazzata ed ancora un po’ scossa Felixia ringraziò l’arciera, che minimizzò la questione con uno dei suoi soliti sorrisi. 
Khaled scrollò il capo infastidito e si rimise in marcia, sbottando tra sé e sé un aspro “incapaci”, che giunse chiaro alle orecchie della principessa, conscia di aver fatto ancora un volta la figura della sciocca.
Esortò Felixia e riprendere la marcia. La cameriera la raggiunse, gettando di tanto in tanto qualche occhiata indietro, fino a quando il tronco e il baratro non scomparvero alle loro spalle.

Si erano appena allontanati, quando qualcosa sbucò dal terreno, sollevando polvere e pezzi di radice. Poi sparì di nuovo.

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Capitolo 17
*** Spie che osservano, lame che cadono ***



Spie che osservano, lame che cadono
 
Se nel corso dell’intera giornata non si era udito alcun suono, mormorio o sospiro, ed il tutto pareva esser intrappolato in un denso ed opprimente silenzio, con il calare delle ombre e il sopraggiungere del crepuscolo l’intera Glas Faraoise si era come destata dal torpore in cui era caduta.
Il vento sibilava fresco fra i rami degli alberi, strani fruscii, gocciolii ed indefiniti suoni lontani animavano l’intera foresta.
Se quella notte vi fossero state stelle nessuno sapeva dirlo, il cielo scuro era totalmente coperto dalle fronde ombrose degli alberi, solo l’argentea e luminosa luce lunare talvolta filtrava fra gli sporadici squarci di quella moltitudine di foglie, arbusti e piante, facendo scintillare le grigie cortecce degli alberi.
Il gruppo camminava ormai da quasi l’intera notte, tra poche ore sarebbe giunta l’alba, momento in cui avrebbero potuto finalmente riposarsi. All’incombere del crepuscolo Keira aveva proposto di fermarsi per mangiare qualcosa ed accamparsi ai piedi di un gigantesco albero. Nessuno di loro aveva avuto qualcosa da obbiettare, eccetto Nicklesh, che aveva vivamente consigliato di proseguire anche durante la notte e di fermarsi una volta sorto il sole.
Non tutti in principio si erano mostrati d’accordo con la sua idea, soprattutto la guerriera e Khaled, ma alla fine, dopo una breve discussione, si era deciso di seguire il suo suggerimento.
Si facevano largo fra i rami, mentre la solita foschia pallida serpeggiava lungo il terreno ed intorno alle cortecce degli alberi.
Per facilitare il cammino Keira aveva creato una sfera di luce, illuminando, insieme alla luna, l’ambiente circostante.
Nicklesh aveva osservato con occhi particolarmente attenti ed incuriositi il globo bianco fluttuare sul palmo della ragazza.
“Dunque sei in grado di utilizzare la magia” aveva constatato.
“Credevo che di questo ti fossi già accorto durante il nostro scontro. Nel duello questa mi è stata estremamente utile” gli aveva risposto duramente lei.
“Certo, ricordo bene, ma non sapevo che avessi il completo controllo dei tuoi poteri. Riesci a crearne più di una contemporaneamente?”
“Invece di pormi domande faresti meglio a seguire la giusta direzione”
Con questa ultima frase Keira aveva messo fine al discorso e Nicklesh era tornato a guardare avanti, facendo vagare nuovamente lo sguardo in giro come aveva fatto per tutto il giorno.
Dietro di loro camminavano Astril e Felixia, la prima particolarmente attenta ad ogni rumore sospetto che sentiva, la seconda immersa nei suoi pensieri. In seguito alla disavventura del tronco era diventata molto silenziosa, i suoi occhi erano sempre rivolti verso il basso, velati da una strana preoccupazione.
“Qualcosa non va, Felixia?” si decise a chiedere la principessa, che già da qualche ora aveva notato lo strano comportamento dell’amica.
La cameriera si voltò verso di lei, come ridestata, incontrando lo sguardo perplesso di Astril.
“Stavo pensando a ciò che è successo dal tronco” rispose dopo un po’.
“Ti riferisci a quando sei caduta? Non devi rimproverarti, sarebbe potuto capitare a tutti, senza contare che, insomma, anche io non ho fatto proprio una bella figura...”
“Non mi riferivo a questo” la interruppe, scuotendo la testa “Voglio dire, in parte anche a quello, ma in particolare a...qualcosa che ho visto” la sua voce divenne un flebile sussurro.
Astril sbatté le palpebre, interrogativa.
“Che significa?”
“Quando sono scivolata e mi sono aggrappata, ho guardato giù, e per un attimo ho scorto distintamente delle luci. Piccole e fioche luci dorate, appena visibili in quell’ammasso di rovi e arbusti”
“Ne sei sicura?” esclamò incredula la principessa, cominciando ad inquietarsi leggermente “Perché non ne hai parlato prima?”
“Avrei voluto farlo, ma per qualche motivo non sono riuscita, non me la sentivo. Sono ore che ci rifletto sopra, ma ancora non so dire se me lo sia immaginata o meno. Questo posto è così strano, mi confonde terribilmente!”
“Su questo hai ragione” concordò Astril, gettando una fugace occhiata  alle sagome scure e contorte che li sovrastavano. Non sapeva dire se Felixia avesse davvero visto quelle luci o se fossero state semplicemente frutto della sua immaginazione, qualche particolare fenomeno di Glas Faraoise, ma ancor meno avrebbe saputo dire, se effettivamente quei bagliori fossero stati reali, cosa significassero e da dove provenissero.
Doveva forse farlo presente agli altri? La cameriera al momento non sembrava molto predisposta a rivelarlo, perciò avrebbe rispettato la sua volontà. Inoltre, magari si stavano preoccupando inutilmente e quei bagliori non erano stati altro che strani insetti o giochi di luce ingannevoli. Archiviarono così l’argomento. Proseguirono le ore rimanenti in assoluto silenzio, finché non si fermarono a riposare non appena giunta l’alba. Anche quel giorno il sole era terribilmente pallido e la sua luce fioca e distante. Dopo aver sostato ed aver consumato un pasto frugale i viaggiatori ripresero il cammino.
La foresta era nuovamente scivolata in un sordo ed ovattato silenzio ed ogni minimo suono da loro prodotto pareva rimbombare e rimbalzare contro i tronchi degli alberi: il rumore dei pezzi di corteccia e dei ramoscelli secchi sotto gli stivali, le loro voci nei rari momenti in cui parlavano, gli stessi respiri.
Nicklesh li guidava lungo sentieri stretti, ampi, ricurvi, lisci, accidentati, ricoperti di vegetazione, svoltava intorno ad alberi di tutte le forme e dimensioni, scendeva lungo pendii e fossi per poi risalire, si fermava a volte, si guardava intorno e poi riprendeva il cammino, mentre la sua espressione diveniva sempre più accigliata e pensierosa.
Erano appena giunti in fondo ad una profonda fenditura, quando si ritrovarono innanzi un enorme groviglio di rovi ed erbacce, paragonabile ed un muro solido e resistente. Proseguire in avanti era impensabile, erano giunti dinanzi ad un vicolo cieco. L’unica possibilità era ripercorrere a ritroso la via.
Nicklesh osservava con un’evidente traccia di stupore negli occhi azzurri quel nuovo ostacolo. Gli altri dietro di lui avevano sul viso la stessa espressione, alcuni particolarmente spazientiti.
“A quanto sembra ci hai condotti in un vicolo cieco. Per l’ennesima volta” esordì Keira con rimprovero, una vaga nota di accusa nella voce.
Il ragazzo non si voltò neppure, fermo immobile.
“Continui a condurci di fronte ad ostacoli, molto spesso siamo stati costretti a tornare indietro, tutte le strade in cui ci hai portato si sono rivelate prive di uscita. Comincio a pensare che tu non abbia idea di dove stia andando, Nicklesh”
“Ti sbagli, sto seguendo una direzione precisa” replicò lo Sneachta.
“Davvero?” intervenne Khaled scettico “A me sembra l’esatto contrario. Credo che tu abbia perso l’orientamento sin dal primo momento in cui siamo giunti qui e che ci stia guidando verso una direzione completamente casuale. O forse sai esattamente dove ci troviamo e il tuo obbiettivo è condurci in una trappola!”
“Non è affatto vero!”
“Dunque, se è così, spiegaci per quale motivo continui a portarci in strade come queste” disse Keira.
A quella frase lo sguardo del ragazzo vacillò un istante,  non sapendo cosa rispondere. Gli occhi ambra di Khaled scintillarono irosi.
“Lo sapevo, questo maledetto ci ha ingannati!” ringhiò fuor dai denti. Con un rapido movimento impugnò la spada di Nicklesh, puntandola verso di lui. Il ragazzo indietreggiò appena d’istinto.
“Puntare la mia stessa arma contro di me non ti fa molto onore...” gli fece presente mesto.
Non appena il Mildriend aveva sguainato l’arma anche le altre si erano improvvisamente irrigidite. Un clima di accesa tensione gravava ora su di loro.
Idril si era avvicinata, provando a placare gli animi con lo sguardo nella silenziosa richiesta di porre fine al conflitto, ma senza risultato.
“Già da qualche tempo il tuo comportamento aveva iniziato ad insospettirmi. Ti conviene dirmi immediatamente quello che avevi intenzione di fare. Ne va della tua incolumità” lo mise in guardia la guerriera, strattonando la corda che ancora lo teneva legato.
“Le vostre accuse non hanno alcun senso. Non ho mai pensato di condurvi in una trappola!” esclamò Nicklesh.
Keira sguainò il pugnale. Ora ben due lame erano puntate verso di lui.
“Ci credi forse così ingenui da non accorgerci di un agire sospetto come il tuo? Adesso basta con questi enigmi e questi giochetti. È giunto il momento di mettere in chiaro la situazione, e questa volta seriament…”
Un tonfo sordo poco lontano la interruppe all’improvviso. Allarmati, ognuno di loro si guardò intorno, avendo riconosciuto lo stesso rumore che avevano sentito il giorno prima. Passò un istante in cui non accadde nulla. Poi, dopo quel secondo di immobilità, qualcosa si mosse appena sotto terra, sollevando un piccolo cumolo di spesso terriccio. Fu questione di un attimo.
Con uno scatto repentino Nicklesh si fiondò sul terreno, mentre a Keira, colta del tutto alla sprovvista, sfuggì la presa sulla corda.
Il ragazzo, completamente disteso al suolo, affondò le mani legate dentro la terra, riuscendo ad afferrare con non poca fatica qualcosa, che con strani borbottii e ringhi cominciò a dimenarsi contro di lui. L’essere riuscì a sfuggire dalla sua impacciata presa e veloce riprovò a rituffarsi nella terra.
“Khaled, prendilo!” urlò lo Sneachta. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Appena poco prima che la creatura riuscisse a fuggire, il Mildriend lo afferrò saldamente con entrambe le braccia, stringendolo con forza contro il suo petto, in modo tale da impedire all’essere ringhiante e scalciante di liberarsi.
Si trattava di una creatura dalle dimensioni contenute, tozzo e bitorzoluto, totalmente costituito da terra compatta e brandelli di fango secco. Aveva un naso tondo ed enorme, da cui spuntavano sottili ramoscelli secchi, ed ai piedi calzava scarpe fatte di corteccia. Sul capo portava infine uno strano cappello deforme, formato da contorte radici. Gli occhi piccoli e neri scintillavano combattivi, dardeggiando su ognuno dei presenti.
“Che diamine è questo coso?” esclamò Khaled infastidito, cercando di non farlo scappare.
“Non ne avevo mai visto uno prima” osservò Idril tra l’incuriosito ed il perplesso, gli occhi verdi fissi sulla creatura che imperterrita non faceva altro che dimenarsi.
“Non mi sorprende” parlò Nicklesh “Questo è l’unico esemplare esistente al mondo, e non puoi averlo veduto altrove, dal momento che vive soltanto in questa foresta”
La creatura, che si era di colpo immobilizzata, lo squadrò occhi cattivi, per poi sibilare il suo nome ed iniziare a parlare in una lingua che loro non compresero, frasi dure e concise.
Se gli altri erano rimasti sopresi nel sentire il nome di Nicklesh pronunciato dalla creatura, rimasero del tutto sbigottiti, quando il ragazzo cominciò a rispondergli nella sua lingua.

Poco prima di cominciare a parlare, l’essere aveva assottigliato lo sguardo, in una smorfia maligna ed allo stesso tempo colma d’ira.
“Nicklesh” sibilò “Quale onore. È passato un po’ di tempo, direi. Qual buon vento ti porta qui?”
“Domanda inutile, poiché conosci già la risposta, Talun” replicò duramente il ragazzo.
“In effetti ho avuto modo di apprendere notizie interessanti, ascoltando i vostri discorsi. Sei stato ingaggiato come guida da questo gruppo di vagabondi, dunque? Immagino debba esser stata la condizione per aver salva la vita, data la corda che ti tiene legato”
“Ciò che faccio non ti riguarda. Piuttosto, fastidiosissima creatura, per quale motivo ci stai pedinando?”
“Da me non otterrai alcuna risposta, finché sono tenuto in questo modo!” sbraitò, poi voltò di scatto la testa verso Khaled, ringhiando minaccioso.
Lo Sneachta sospirò, poi si rivolse al ragazzo.
“Per favore, posalo a terra”
Khaled, ancora sconvolto da ciò che stava succedendo, scosse il capo contrariato.
“Sei forse impazzito? Non ho alcuna intenzione di farlo! Se lo lasciassi andare questo non ci penserebbe due volte a fuggire!”
“Non lo farà, te lo posso assicurare. Te lo chiedo per cortesia” ripeté Nicklesh conciliante. Il ragazzo stette fermo qualche secondo, lanciando un’occhiata alle altre, che annuirono lentamente. Così, sebbene di malavoglia, posò al suolo Talun, che brontolò ancora una volta.
“Bene, hai ottenuto quello che volevi. Adesso rispondimi” riprese Nicklesh.
“Non ti ho mai visto così serio, parli con voce troppo perentoria. Si può sapere perché diavolo usi questo tono?” sbottò.
“Mi rivolgo così ai miei nemici”
“Non mi interessa, cambia modo di porti. Mi hanno sempre dato fastidio i tipi come te!”
“Immagino sia per questo che tu abbia tentato di ammazzarmi”
“Vero, eppure sei riuscito a salvarti, dannazione a te. La prossima volta ti farò sprofondare in un crepaccio ancora più infossato!” strepitò.
“Smettila di urlare e dammi ascolto. Perché ci stai seguendo?”
“Mi sembra ovvio, mi comporto come mio solito con gli intrusi! Voi, che mettete sempre piede in luoghi che non dovreste! Faccio semplicemente il mio dovere di abitante di Glas Faraoise!”
Nicklesh scosse piano la testa.
“Ormai è diventato facile smascherare le tue menzogne. Se davvero volessi eliminare degli intrusi ti saresti già attivato, esattamente come facesti con me!”
Talun rimase un attimo in silenzio, per poi scoprire i denti verde muschio in un sorrisetto malevolo.
“Sei una persona sveglia, Nicklesh. Forse è per questo che è stato così difficile cercare di eliminarti. Presumo ti sarai accorto dei cambiamenti avvenuti qui. Li trovo perfetti, danno un’aria ostile e selvaggia a questo posto, com’è giusto che sia. Ha fatto proprio un ottimo lavoro”
Nicklesh lo guardò senza capire.
“Di chi stai parlando?” domandò smarrito.
“Dell’unica persona in grado di fare un’opera grande come questa. Sai a chi mi riferisco”
Nicklesh spalancò sconvolto gli occhi, cominciando a capire quello a cui si riveriva la creatura.
“Non può essere! Non ha mai disposto di poteri così grandi!” esclamò incredulo.
“Forse sì, una volta. Ma adesso non più. Buona parte della foresta è sotto la sua guida, mentre coloro che provano ostilità nei suoi confronti ottengono quello che si meritano. Da quando ha preso il controllo di Glas Faraoise nessuno ha più cercato di distruggerci.  Niente e nessuno esce di qui senza il suo consenso” tacque un istante, vedendo che Nicklesh aveva perso la parola.
“Dopotutto è passato un po’ di tempo da quando sei  stato qui, molte cose sono cambiate”
Lo Sneachta non diede ancora risposta, immerso in un silenzio grave e meditabondo, mentre una pericolosa consapevolezza cominciava a farsi strada nella sua mente.
“Sei diventato una sua spia...” mormorò infine, quasi rivolto a sé stesso.
“Dirigendovi qui avete condannato voi stessi. Non uscirete mai più da questa foresta. Puoi starne certo”
Sogghignò un ultima volta, poi con uno scatto fulmineo si rituffò nella terra e scomparì, senza che gli altri o Nicklesh potessero impedirlo.
Il giovane dai capelli bianchi rimase ad osservare per un attimo la buca in cui era sparito, poi si voltò verso il resto dei compagni, incontrando i loro volti sbigottiti e lo sguardo freddo di Keira.
“Credo che tu ci debba delle spiegazioni. Ma non qui. Ritorniamo indietro, per cominciare”
Ripercorsero con qualche difficoltà la strada a ritroso, uscendo da quello spiazzo profondo ed ombreggiato. Giunsero innanzi alle enormi e contorte radici di due mastodontici alberi, sulle quali, con aria altamente abbattuta, si sedette Nicklesh. Lo stesso fecero Idril, che si accomodò su una sporgenza poco più in alto, e Khaled. Keira rimase in piedi di fronte allo Sneachta con le braccia strette al petto e l’espressione indagatrice, in attesa di una spiegazione.
“Non sono stato del tutto sincero con voi riguardo questa foresta, e in un certo senso anche riguardo a me...” cominciò Nicklesh.
“Di questo ci siamo accorti anche noi” fece Khaled con una smorfia.
“Come ho già avuto modo di notare, Keira è in grado di utilizzare la magia. Ebbene, anche io in un certo senso dispongo di una particolare capacità, che non penso possa esser  classificato come potere: comprendo e sono in grado di parlare il linguaggio di qualsiasi creatura, eccetto gli animali comuni. Possiedo questa abilità sin da bambino. Per questo poco fa mi avete visto rispondere a quell’essere”
Seppur non lasciando trapelare nulla, Keira rimase sorpresa da quella rivelazione. Un’abilità del genere di certo non giovava in combattimento, ma poteva essere estremamente utile.
“Incredibile!” esclamò Idril, che non mancò di manifestare la sua meraviglia.
“Questo spiega alcune cose, ma non tutto. Sembrava conoscessi quella creatura. Che cosa ti ha detto?”
“È così, lo conosco. Il suo nome è Talun e vive in questa foresta ormai da molto tempo. Lo conobbi circa un anno fa, quando capitai qui durante uno dei miei viaggi. Rimasi dentro Glas Faraoise per un settimana, tempo durante il quale continuai a percepire una strana presenza alla mie spalle, che pareva non volermi dare pace. Un giorno lo sorpresi e parlai con lui, ma mi lasciai ingannare, finendo stupidamente in una trappola. Da allora non lo rividi più, sino ad oggi” tacque un attimo, guardando con circospezione tutt’intorno, mentre la sua voce diveniva ansiosa.
“Ci stava seguendo, questo ho scoperto! Ci stava pedinando per conto di...” indugiò “Non ricordo il suo nome, ma si tratta di un altro individuo, che al momento pare avere il controllo dell’intera Glas Faraoise”
“Governa questo posto?” fece Keira incredula.
Nicklesh annuì.
“Così mi ha detto Talun. Non è una presenza che mi è nuova, lo incontrai durante la mia permanenza, poco prima che me ne andassi. Mi attaccò, ma non era molto potente, perciò riuscii a sfuggirgli per pura fortuna. Tuttavia adesso sembra aver acquisito potere, non una zona della foresta sfugge al suo controllo. Ora che ho appreso questo mi è più facile capire certe cose: non ho mai avuto intenzione di condurvi in una trappola, in realtà non riconoscevo più gran parte di Glas Faraoise. Quella creatura deve aver modificato secondo suo volere questo posto”
“Se è così perché non ce ne hai parlato prima?” domandò aspramente Khaled.
“Non volevo allarmarvi inutilmente, non ero certo se ci fossero stati davvero dei cambiamenti o se fossi io a non rammentare, adesso però ho avuto la conferma. In quanto sua spia Talun sarà andato ad informare chi controlla la foresta. Io...temo che non riusciremo ad uscire incolumi da questo posto. L’intera Glas Faraoise sarà contro di noi” mormorò.
Da quando si era unito al gruppo, nessuno di loro lo aveva mai visto così atterrato. Fino a quel momento si era sempre mostrato silenzioso e pacato, senza far trasparire alcunché del suo carattere. Ora invece sembrava sinceramente preoccupato.
Con viso impassibile Keira rimase un attimo in silenzio, poi voltò le spalle.
“Forza, proseguiamo”
Nicklesh rimase di stucco.
“Non hai sentito quello che vi ho detto?” esclamò “Quell’essere rivelerà la nostra presenza! Le percentuali di riuscire a fronteggiare la foresta sono molto scarse”
“Sì, ti ho sentito, e posso dire che per me le percentuali non hanno alcuna importanza. Non mi interessa se questo posto sia controllato da una creatura maligna, non è la prima volta che ne incontriamo una e non sarà nemmeno l’ultima. Abbiamo un compito da portare a termine, e non ho alcuna intenzione di farmi scoraggiare dall’idea di ciò che dovremo affrontare. In un modo o nell’altro riusciremo ad ottenere quello per cui siamo venuti qui. Date le circostanze non sapremo neppure in quale direzione ci muoveremo, ma rimanere fermi è comunque inutile. Perciò, tanto vale riprendere il cammino”
“Sono pienamente d’accordo!” esclamò Idril allegra, scendendo con agilità “Penseremo a come agire quando si presenterà il momento”
Nicklesh li guardò uno ad uno, chi determinato, chi nonostante tutto rallegrato, e chi intimorito e spaventato ma che in un modo o nell’altro cercava di farsi forza.
Sospirò ed un sorriso, malgrado la situazione in cui si trovavano e la stoffa sul suo volto, illuminò il  suo sguardo.
“Certo, ho detto che le percentuali sono scarse, ma non inesistenti. Forse avremo davvero qualche possibilità!”
“Così si parla! Che ne pensi, Keira? Lo sleghiamo?” domandò Idril.
“A questo punto direi di sì. Visto ciò che dovremo affrontare non mi sembra il caso che qualcuno di noi debba portarsi dietro un peso morto”
“Questo vuol dire che potrò riavere la mia spada?” chiese vagamente speranzoso lo Sneachta.
“Assolutamente no” sbottò malevolo Khaled, superandolo.
Nicklesh sorrise tra sé e sé, alzò lo sguardo verso i pochi frammenti di cielo visibili  ed infine si rimise in marcia.

                                                                           °°°

Con la costante sensazione che occhi maligni seguissero ed osservassero ogni loro movimento, il gruppo ricominciò il suo infinito girovagare nella soffocante immensità della foresta. Avanzando, il paesaggio cominciò lentamente a trasformarsi, i grossi e tozzi alberi lasciarono spazio a fitte cortecce sottili e slanciate, ingrigite, dalle spesse chiome verde scuro. A causa di un nuvola passeggera l’ambiente circostante era stato avvolto da una vaga ombra cinerea, rendendo il paesaggio lugubre e spento.
Senza preoccuparsi di seguire una direzione precisa, i viaggiatori si lasciavano condurre da Keira, che aveva assunto il ruolo di guida, attenendosi principalmente alla conformità della foresta e dirigendosi in sentieri a prima vista meno insidiosi, in attesa che ad Astril giungesse qualche segnale. Ma da quel giorno del boschetto in cui Nicklesh li aveva attaccati, la ragazza non aveva avuto più alcuna visione, né aveva provato nulla di strano, se non inquietudine.
Sebbene nessuno osasse o volesse ammetterlo, anche a causa della presenza dello Sneachta, la speranza nei loro cuori aveva cominciato progressivamente ad affievolirsi. Si chiedevano se quel marciare li avrebbe mai condotti a qualcosa di concreto, se non incontro a qualche strana creatura ostile.
Non avrebbero saputo dire se si fosse trattata di suggestione o di qualche incantesimo, ma l’aria pareva essersi raffreddata lievemente.
Su proposta di Nicklesh, che cercava di trovare tratti famigliari nella foresta e di consigliare -consigli non molto apprezzati- Keira, si fermarono per mangiare qualcosa. O meglio, ciò che era rimasto.
“Stai dicendo seriamente?”
Alla vista del misero pezzetto di pane secco e stantio che Keira aveva tirato fuori dalla sacca, Khaled aveva spalancato gli occhi.
“Questo è tutto ciò che di commestibile ci è rimasto. Ed anche con le scorte d’acqua non siamo messi affatto bene. Mezza fiasca, poi l’abbiamo esaurita”
Il ragazzo trattenne a stento un’imprecazione.
“Questo è un vero problema” fece Felixia preoccupata “Presto resteremo senza cibo, e dubito che qui troveremo provviste. Nicklesh, per caso tu hai qualcosa da mangiare?”
Lo Sneachta, che aveva già frugato nella sua piccola sacca marroncina, scossa la testa.
“Solo un pezzo di crosta, forse ancora più duro e vecchio di quello di Keira. Però ho ancora una fiasca d’acqua intera. Prendetela pure”
Khaled si rigirò contrariato tra le mani la sua porzione di pane, che ingoiò a fatica, ma come previsto fu come non aver mangiato nulla.
Si alzò dal tronco su cui era seduto e cominciò a cercare in giro.
“Che stai facendo?” domandò incuriosita Idril.
“Cerco qualcosa da mangiare, mi sembra ovvio”
“Non troverai nulla qui” commentò Keira.
Il ragazzo imperterrito continuò a cercare dietro ai tronchi e fra gli ispidi cespugli nei dintorni, quando finalmente intravide delle piccole e sottili radici.
“Ho trovate queste” sbottò mostrandole “Saranno commestibili o vi è il rischio che siano state avvelenate da qualche creatura maligna? Come quell’insopportabile essere ringhiante?”
“Non penso, credo si possano mangiare. Anche se forse non avranno un buon sapore. Proviamo!” esclamò Idril.
Ne addentarono alcune, ma come previsto il gusto si rivelò secco e stopposo. Immangiabile, ma in un certo senso nutriente.
“Assolutamente terribile. Non c’è un modo per renderlo un po’ più decente?”
“Non lamentarti. Questo è tutto ciò che abbiamo”
“In realtà io non la trovo così male!”
Felixia mordicchiava silenziosa la sua radice. In effetti era davvero disgustosa,  meglio di niente comunque, anche se sarebbe bastato davvero poco per migliorarla leggermente, aggiustare il sapore con qualcosa.
Rapido come una freccia, un ricordo le balenò improvviso in mente. Frugò nella tasca interna del mantello, non potendo credere di essersi completamente dimenticata per tutto quel tempo: il sacchettino di spezie dorate che le aveva dato Amalea a Duilliur.
“Di che si tratta, Felixia?” domandò Astril perplessa, notando l’amica armeggiare.
“Mi è stato donato quando ci trovavamo nel Regno dei Nureyel, nella capitale. Me ne ero scordata! È una spezia, magari può migliorare il sapore”
Cosparse una finissima manciatina di polvere dorata sulla radice, poi la mise in bocca. E la trovò semplicemente deliziosa.
“Dunque? Come ti sembra?”
“Non...non posso ci credere! È buonissima!”
La fece provare anche agli altri, tranne Nicklesh che rifiutò, e ne rimasero totalmente conquistati. Idril chiese a Felixia di passarle il sacchettino, immerse la punta dell’indice nella polverina e poi la assaggiò. Arricciò un attimo il naso come se avesse assaggiato qualcosa di terribilmente aspro, poi sorrise allegra.
“Ho capito di cosa si tratta, e posso dire che sei stata immensamente fortunata! Questa spezia si chiama Bolàd ed è piuttosto rara. Può trasformare il cibo più disgustoso in qualcosa di ottimo, ma da sola ha un pessimo sapore. Chi te l’ha data è stato proprio generoso!”
“Perciò basterà raccogliere un bel po’ di quelle radici e cospargerle di spezia. Non saranno sostanziose, ma almeno fino a quando non troveremo altro saremo a posto” annuì Khaled. Scoccò un’occhiata a Nicklesh, che non aveva toccato cibo. Riflettendoci meglio, da quando lo avevano incontrato non lo aveva mai visto mangiare qualcosa.
“Tu non mangi?” chiese.
“Da qualche tempo ho sviluppato orari diversi per i pasti” rispose l’altro con un sorriso, o almeno così parve dai suoi occhi.
Khaled inarcò un sopracciglio ma non aggiunse altro. Forse mangiava quando loro non potevano vederlo, mentre dormivano magari, così da non mostrare il suo volto. Quel tipo era veramente assurdo, e sospetto. Cos’aveva mai da nascondere sotto quella stoffa?
Una volta finito il pasto ripresero ad avanzare. Quel breve attimo di distrazione che avevano provato durante la sosta finì subito e la spiacevole sensazione di essere osservati tornò a farsi presente.
“Credete che pioverà?” domandò Astril guardando verso  le chiazze di cielo grigio.
Idril la imitò.
“Solitamente nei Regni Soliluce le piogge non sono molto frequenti, anche se la possibilità non è da escludere. Potrebbe accadere in effetti”
“Preferirei non trovarmi sotto la pioggia battente nella foresta. Già questa strana foschia che ci perseguita e che sembra inspessirsi non mi piace...” rispose Keira.
“Se non ricordo male anche quando sono venuto io c’era, non così densa però” rifletté Nicklesh.
Un improvviso gemito sofferente a stento soffocato li fece voltare di scatto.
Rimasto più indietro, Khaled si teneva dolorante la spalla, la manica che frattanto si inzuppava di rosso.
“Oh, no!”
Alla vista della ferita Idril si fiondò indietro, seguita a ruota dagli altri, che lo raggiunsero allarmati.
“Che è successo!?”  esclamò Keira, mentre l’arciera cercava inutilmente di farsi mostrare il braccio.
 “Sto bene…”
Il ragazzo si allontanò seccato, continuando a stringersi la spalla, mentre il sangue cominciava a gocciolare lungo tutto il braccio. Sibilò fuor dai denti, sofferente. Qualcosa di affilato e tagliente come una lama lo aveva colpito dritto alla spalla. Continuò tastare con la mano, fino a quando non toccò un rigido e minuto oggetto sottile, conficcato con la punta nella carne. Cercando di ignorare il dolore, con un energico strattone tolse via quello strano oggetto, sotto gli occhi ansiosi degli altri.
“Che cos’è?” domandò Felixia spaventata.
“Sembrerebbe...una foglia, rigida ed appuntita” rispose sconcertato Nicklesh.
Keira non ebbe neppure il tempo di chiedersi da dove provenisse, che un’altra foglia si scagliò come un dardo davanti ai suoi piedi, seguita subito da un’altra e da un’altra ancora.
Alzò lo sguardo e fu allora che capì. Quelle minuscole lame non erano altro che le foglie degli alberi sotto i quali stavano camminando.
La guerriera aveva appena urlato agli altri di scappare, quando esplose il caos. Infinità di foglie verdi scuro cominciarono a cadere dai rami come schegge impazzite, con il solo scopo di trafiggere coloro che vi erano sotto.
Fulminei i viaggiatori cominciarono a correre al seguito di Keira, cercando di non farsi colpire da quelle foglie micidiali.
Il cuore di Astril palpitava all’impazzata. Quella situazione le ricordava tremendamente Baistech Tis, con l’unica differenza che in quell’occasione non ci sarebbero state locande in cui trovare rifugio.
Sentì qualcosa conficcarsi nel polpaccio e per poco non incespicò; disperata aumentò poi l’andatura.
Chi aveva il controllo della foresta aveva deciso infine di fare la sua prima mossa.
Inconsapevoli della condizioni l’uno dell’altro giunsero alla termine di quella via di alberi. Fecero per proseguire lungo una discesa, quando spesse e tozze radici sbucarono improvvise dal terreno. Presi dalla foga e dalla corsa nessuno di loro riuscì ad evitarle. Vi inciamparono, rovinando a terra lungo la breve discesa, fino a giungere sul fondo.
Non era passato nemmeno un istante, che qualcuno urlò il nome di Khaled.
Un tonfo assordante sconquassò la terra, facendola tremare e sollevando una spessa nube di polvere e terriccio, che avvolse momentaneamente l’ambiente circostante.
A seguire, vi fu il silenzio.

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Capitolo 18
*** Nebbia sui ricordi ***




Nebbia sui ricordi
 
Polvere e terriccio si sollevarono in una nube soffocante, impregnando l’aria e impedendo per qualche attimo agli altri di vedere cosa fosse accaduto.
Uno di loro aveva urlato il nome di Khaled e subito dopo qualcosa di enorme era crollato all’improvviso al suolo con un tonfo sordo, facendo tremare la terra.
La cortina di polvere cominciò lentamente a dissolversi e Felixia si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa nello scorgere davanti a lei un gigantesco e robusto ramo ingrigito, da cui partivano altrettanti sottili ramoscelli.
Keira si rialzò da terra guardinga spolverandosi il mantello, poi si guardò intorno.
“State tutti bene?”
“Diciamo di sì...” a risponderle fu la voce di Nicklesh, che sbucò da dietro al ramo aggrappandovisi con le braccia, il viso ed i capelli interamente ricoperti di polvere. Insieme a lui riapparve Khaled, che si appoggiò al ramo sofferente.
Con evidente preoccupazione Idril non esitò a raggiungerli, allarmata per le condizioni in cui li avrebbe trovati.
“Non temere, per fortuna non siamo rimasti schiacciati” disse Nicklesh rimettendosi in piedi “Scusa se mi sono gettato su di te, spero di non averti fatto male” riprese, rivolto a Khaled. Quest’ultimo non rispose nulla, cercando di rimettersi in piedi facendo forza sulle braccia malferme.
Alle parole dello Sneachta, Keira rimase per un attimo stupita. Nicklesh era intervenuto tempestivamente ed aveva salvato Khaled?
Spostò lo sguardo verso l’alto, cercando il punto da cui doveva essersi spezzato il ramo, ma non lo trovò. Nessuno degli alberi che li circondava era così grosso.
“Questo ramo non è caduto qui casualmente. E non fa parte neppure di queste piante”
“Deve essere stata la dannata creatura che controlla questo posto” Khaled represse un sibilo, mentre Idril cercava di medicargli il braccio “Anche quelle foglie affilate sono opera sua, questo poco ma sicuro!”
“Alla fine quell’essere ha deciso di mostrarsi, e credo che questo sia solo un assaggio di ciò che ha in serbo per noi”
La guerriera si tolse la sacca rossa dalle spalle, notando almeno una decina delle foglie di prima conficcate nella stoffa. Se non avesse indossato quella probabilmente a quest’ora si sarebbero trovate piantate nella sua schiena. Ne tolse con attenzione una, cercando di non strappare il tessuto. Si rigirò fra le mani la foglia fredda ed affilata, prima che quella si dissolvesse in una fine polverina nera, insieme a tutte le altre.
Astril si avvicinò zoppicante alla ragazza.
“Uno strano incantesimo...” mormorò, osservando il pulviscolo annerito.
“Non ho mai visto una cosa simile. Ma questa è Glas Faraoise, e non penso che sia così temuta per motivi non validi” si accigliò “Sei ferita?”
“Nulla di grave, penso. Anche se è abbastanza doloroso” rispose la principessa, sfiorandosi il taglio al polpaccio e stringendo le palpebre d’stinto.
“Fatti medicare da Idril, fra poco dovrebbe aver finito con Khaled”
“Posso provare a dare un’occhiata io” si offrì Felixia, raggiungendole “Ad Ait Hiding ho imparato qualcosina da Ireth. Di certo non sono ai suoi livelli o a quelli di Idril, però dovrei essere in grado di disinfettare quel taglio”
Astril accettò di buon di grado. Si fidava della sua amica ed era certa che il suo intervento le avrebbe fatto solo del bene. Esattamente come si era aspettata, Felixia fu perfettamente in grado di curarle la ferita ed alleviarle il dolore, grazie ad un rudimentale impacco fatto di erbe mediche ed un po’ di saliva.
“Hai un futuro come medico, Felixia!” esclamò Astril.
“Definirmi medico mi sembra esagerato, so solo cavarmela un po’ con le erbe”
“E non mi sembra poco, in situazioni come queste possono rivelarsi davvero utili. Piuttosto, ad essere sinceri, sono io quella non molto affine con piante e quant’altro”
“Ma se non ricordo male proprio attraverso la vegetazione hai distrutto un intero palazzo” le fece presente la cameriera.
Astril sospirò “Questo è vero, ma si è trattato solo di un caso, una reazione al potere della gemma. Dopo allora, non ho manifestato più alcun potere. Avrei dovuto sviluppare anche capacità con il fuoco, invece nulla”
“Forse ti occorre solo ancora un po’ di tempo. Sono convinta che a breve riuscirai ad avocarli di tua volontà. Dopotutto sei la Neish, giusto?”
Astril la guardò per un istante, poi sorrise. Parlare con lei le risollevava sempre il morale e, soprattutto, la faceva sentire un po’ meno sola. La situazione di Felixia poteva esser definita in un certo senso analoga alla sua: capiva ancora poco di sé stessa ed esattamente come a lei capitava di sentirsi fuori posto. Anzi, forse alla cameriera succedeva ancora di più. Si rese conto per la prima volta quanto fortunata fosse ad avere Felixia insieme a lei, in quell’avventura. Erano simili, ed era l’unica persona rimasta di quella che era la sua “famiglia”. Sì, si disse, finché erano insieme sarebbe andato tutto per il meglio.

Dopo essersi riposati un po’, il gruppo riprese il cammino. Keira era diventa più impaziente del solito, camminava spedita, come se dietro di lei vi fosse stato qualcuno di maligno ad inseguirla.
Si faceva strada fra i rami scostandoli bruscamente, talvolta tagliandone addirittura alcuni con la lama della sua spada.
“In ogni caso verremo attaccati comunque, anche se lasciassi intatta ogni singola radice. Tanto vale facilitarci il percorso” aveva risposto, quando Idril glielo aveva fatto notare.
Gli altri arrancavano dietro di lei, ma nessuno di loro aveva alcuna intenzione di lamentarsi o chiederle di rallentare. Persino Khaled stava in silenzio, limitandosi ad imprecare tra sé e sé sulla foresta, sulla fitta che spesso attraversava la sua spalla e formulando pensieri piuttosto infastiditi su Astril, che “in quanto incapace non era ancora riuscita a captare la posizione della gemma”. Dopotutto, era per quello che stavano vagando come disperati.
Altro elemento di disturbo era la foschia che li perseguitava da quando erano giunti lì. Adesso poi era ancora più fastidiosa, grigia e pallida fluttuava sul terreno e si espandeva lungo i tronchi degli alberi. Più che foschia era nebbia, ed insieme agli squarci di cielo cinereo e nuvoloso dava un aspetto ombreggiato e triste all’intera foresta.
“Questa cortina sta iniziando a darmi sui nervi” sbottò, senza riuscire più a trattenersi “Non si riesce neppure a vedere quello che c’è al suolo”
“Si è inspessita, senza dubbio. Cercate di fare attenzione a dove mettete i piedi, così da evitare di passar sopra a qualcosa di strano” consigliò Nicklesh.
“Più facile a dirsi che a farsi”
“Restate vicini, non dobbiamo separarci” la voce di Keira uscì bassa ed ovattata, come se la nebbia l’avesse inghiottita.
Avanzarono ancora facendo il più attenzione possibile, ma qualcosa sotto alle loro suole scricchiò ugualmente, come se fossero appena passati su un tappeto di foglie secche.
“Chissà su cosa stiamo camminando” disse Astril, sussultando lievemente ad ogni scricchiolio.
“Non lo so e non voglio saperlo” sbottò Khaled.
“Non so voi” disse l’arciera dopo un po’, spensierata “Ma questo clima mi sta facendo venire stranamente voglia di dormire”
“Voglia di dormire tu, Idril?” rispose dubbiosa Keira “Sarebbe la prima volta”
In seguito alle sue parole vi fu un tonfo. La giovane Mildriend era improvvisamente crollata al suolo, davanti agli occhi esterrefatti di Astril.
“Idril! Cosa…” scosse appena la testa, sentendosi leggermente stordita “Cosa ti succede!?”
Keira si inginocchiò a fianco del corpo dell’arciera.
“Sta dormendo” dichiarò spalancando gli occhi. Provò a scuoterla, ma non accadde nulla.
“È...inutile. Non penso sia naturale una cosa…del genere” Nicklesh parlò a fatica. La testa aveva preso a vorticargli e le palpebre non facevano che abbassarsi.
“Felixia!”
La principessa afferrò l’amica prima che cadesse al suolo, per poi crollare anche lei in ginocchio.
“Si è addormentata!”
“Che diamine sta succedendo qui?” ringhiò Khaled voltando la testa da un parte all’altra.
“Non ne ho la più pallida idea”
“Temo che sia di nuovo opera di quell’essere” rispose Nicklesh, appoggiato con la schiena contro il tronco di un albero nel disperato tentativo di non addormentarsi.
“Accidenti…Astril, prendi Felixia!” ordinò Keira, ma fu come parlare al vento: anche la principessa era distesa al suolo.
La guerriera cercò di rimettersi in piedi, ma il suo tentativo risultò vano. Le gambe si rifiutavano di reggerla e senza neppure rendersene conto si ritrovò a terra pure lei. Riuscì appena a scorgere Nicklesh, addormentato vicino all’albero, prima di scivolare nel buio.
“Dannazione, non anche tu, Keira!”
Khaled, l’ultimo rimasto in piedi, la scosse con forza ma la Mildriend non accennò neppure ad aprire gli occhi.
Si guardò intorno. Dormivano tutti, immobili, come se la vita li avesse all’improvviso abbandonati. Si raggelò per un attimo. Stavano davvero solo dormendo, giusto?
Non ebbe il tempo di accertarsene. Cadde al suolo e la tenebra piombò su di lui.

                                                                      °°°


In tutta la sua vita, non le era mai capitato di vedere così tante persone correre indaffarate da una parte all’altra dei corridoi, chi con in mano carte e pergamene, lettere ed inviti, altri che stringevano invece tra le braccia tessuti pregiati dai colori caldi e brillanti, impreziositi da sottili ricami dorati.
Le persone frecciavano concitate, si fermavano talvolta in mezzo ai corridoi per discutere degli ultimi dettagli, e poi si riemergevano in quel caotico via vai.
Una bambina osservava con occhi spaesati la moltitudine di cameriere e funzionari infervorati. Alcuni di essi le passavano rapidi di fianco senza degnarla di uno sguardo, troppo presi dalle loro mansioni, altri le scoccavano un’occhiata piuttosto infastidita mentre cercavano di superarla senza calpestarla e senza incespicarsi, mentre altri ancora talvolta si fermavano e la salutavano con una breve riverenza o un inchino affrettato.
Per quanto si sforzasse, Astril proprio non riusciva a ricordare il motivo di tanto trambusto. Forse riguardava la venuta in visita di qualche personaggio illustre od altro, ma non ne era affatto sicura. Quella mattina aveva provato a chiedere a sua zia qualche spiegazione, ma Alidiana non aveva avuto il tempo di risponderle e l’aveva esortata ad esplorare l’intero castello senza esser di alcun intralcio ai misteriosi preparativi.
La principessa aveva ubbidito, ma la sua sola presenza risultava ingombrante ad ognuno dei passanti.
Proprio in quel momento una cameriera la urtò e due delle quattro porcellane lavorate che teneva in equilibrio su un vassoio caddero a terra frantumandosi in cocci.
Imbarazzatissima, Astril cercò di scusarsi per poi fuggire a gambe levate. A causa del vestito vinaccia e ricoperto di ricami che indossava rischiò di inciamparsi svariate volte, ma alla fine riuscì ad allontanarsi dal fiume di gente, ritrovandosi in un corridoio semi deserto.
Dopo aver ripreso fiato, la principessa emise un sospiro sconsolato. Doveva assolutamente trovare un posto in cui stare fino a quando la situazione non si fosse placata, in modo tale da evitare di combinare altri disastri.
Ritornare nelle sue stanze era impensabile dato che sarebbe dovuta passare nel corridoio centrale, punto di massimo transito.
Dove andare, dunque?
Un’idea le balzò improvvisa alla mente, ma Astril la scartò all’istante. L’unico posto in cui avrebbe potuto trovare un po’ di pace erano le torri del castello, quasi sempre desolate, ma il solo pensiero di andare fin lassù le aveva procurato un brivido.
Rifletté ancora un po’ in cerca di una soluzione migliore, ma non ne trovò.
Udì alle sue spalle un indistinto vociare, segno che qualcuno di stava avvicinando, e senza indugiare la principessina si allontanò velocemente. Forse davvero la sua unica salvezza erano le torri, ma fortunatamente per lei non tutte erano alte ed imponenti come la Torre Cascata, la più slanciata e diroccata dell’intero castello, da cui sgorgava incessante una cascata, che si gettava spumeggiante e gorgogliante nello strapiombo.
Ve ne era un’altra senza nome, piuttosto piccola e bassa rivolta verso il fiume, in cui erano tenuti gli oggetti ormai rotti, vecchi o inutilizzabili.
Decise infine di dirigersi lì. Non nascondeva il fatto che quei posti le mettessero paura ed anche uno spiacevole senso di oppressione, ma piuttosto che combinare altri guai, o peggio, incontrare Moron sul suo cammino, sarebbe rimasta nella torre tutto il pomeriggio, se necessario.
Con l’elaborata gonna del vestito che la ingombrava, fu un’impresa piuttosto ardua per Astril raggiungere la sua meta, ma dopo qualche difficoltà, soprattutto nel percorrere le scricchiolanti scale a chiocciola, riuscì ad arrivare innanzi alla  porta di legno scuro e scheggiato, sul fondo persino marcito. La maniglia, poco più in alto di lei, era ricoperta da uno spesso strato di ruggine. Raramente qualcuno saliva nelle torri e per questo venivano totalmente trascurate.
I raggi del sole filtravano dalle monofore rettangolari ricavate dalle pareti, illuminando l’ambiente con un luce calda, forse fin troppo calda, e dorata, donando così alla torre un aspetto meno squallido ed abbandonato.
Una considerevole quantità di polvere ricopriva il pavimento ed aleggiava nell’aria. La principessina arricciò il naso infastidita e starnutì, mentre con una mano cercava di tenersi sollevata la gonna per evitare di impolverarla. A ben pensarci dirigersi alla torre forse non era stata un’idea così brillante, ma ormai era arrivata sin lì, perciò tanto valeva aprire la porta ed entrare.
Si guardò intorno intimorita, come se stesse per commettere qualcosa di tremendamente sbagliato, poi si alzò in  punta di piedi e con una manina si aggrappò alla maniglia. Le ci volle un notevole sforzo, ma dopo qualche tentativo riuscì a sbloccarla.
Come previsto, dinnanzi ai suoi occhi si ritrovò un’infinità di oggetti, per lo più rotti o rovinati: tavoli spaccati in due, armadi, cassapanche antiche, lampadari, librerie, specchiere dal vetro frammentato e tanto altro. Sul fondo vi era un enorme finestra rivolta verso il canale sottostante, da cui si intravedeva un notevole squarcio di limpido cielo azzurro. In lontananza si udiva persino lo scrosciare delle cascate.
Astril si era appena concessa un sospiro di sollievo nell’appurare che il posto, eccetto per la polvere, non era così terribile e spaventoso, quando udì qualcuno starnutire, uno starnuto trattenuto senza successo.
La principessina si raggelò sul posto, mentre il suo sguardo dardeggiava sul tavolo dietro il quale pareva esser provenuto il rumore. Passò qualche istante in cui non si udì alcun suono. Astril continuò a guardarsi intorno, terrorizzata. C’era qualcuno nascosto da qualche parte, ne era sicura.
Con il cuore che batteva a mille e gli occhi spalancati raccolse da terra un pezzo di asse marcita, stringendola come se fosse stata un’arma. Indugiò un attimo, ed infine, tra le varie possibilità che aveva ipotizzato, scelse la più sbagliata: lanciò la trave dritta contro il tavolo, che a causa dell’equilibrio precario in cui già si trovava, crollò con un tonfo sordo.
“Ma che diamine!”
Fu in quel momento che una figura minuta, proprio poco prima che il tavolo crollasse, balzò fuori agilmente dal suo nascondiglio.
Alla vista dell’estraneo Astril si impietrì sconvolta, per poi emettere un terrorizzato strillo acuto, strillo che venne prontamente tappato da una mano.
Un paio di occhi azzurro pallido le si stagliarono innanzi furenti, ma nonostante questo la bambina continuò ad urlare, sebbene le sua voce uscisse attutita.
“Vuoi stare un po’ zitta, maledizione?” sibilò l’altro con cattiveria, al che Astril ubbidì subito. Con il respiro affannato a causa dello spavento, osservò meglio chi aveva di fronte: si trattava di un ragazzino, poco più grande di lei. I capelli viola ricoperti di polvere gli ricadevano lisci lungo il volto, dai tratti dolci ma al tempo stesso corrucciati e con un’impronta strafottente. Indossava una casacca marroncina scollata a V decisamente più grande di lui e un paio di pantaloni della medesima fattura e colore.
“Stammi a sentire. Adesso io allontano la mano, ma tu devi promettermi che non fiaterai, hai capito?” parlò il ragazzino.
La principessa annuì con forza.
Così come aveva promesso, l’estraneo la lasciò andare, poi incrociò le braccia senza smettere di squadrarla.
“Sei impazzita forse, mocciosa? Potevi uccidermi”
“Mi...mi dispiace. Ho avuto paura ed ho reagito così, perdonami” mormorò Astril con lo sguardo rivolto verso il basso.
Il ragazzino minimizzò la situazione con un gesto della mano.
“Lasciamo stare. Spero solo che non ti abbia sentita nessuno”
Le diede le spalle e si allontanò, iniziando poi a frugare in mezzo alla catasta di roba come se nulla fosse.
“Chi sei tu?” ebbe il coraggio di domandare la bambina dopo averlo osservato con evidente disagio.
“Rhiin” rispose semplicemente l’altro, senza neppure voltarsi.
“Il mio nome invece è Astril e sono la principessa del Regno dei Desideria” si esibì in una scarsa e traballante riverenza.
Il ragazzino voltò appena il capo, sollevando un sopracciglio per nulla impressionato, poi si rigirò.
“Che stai facendo?” riprese Astril.
“Cerco degli oggetti”
“E perché proprio qui?”
“Perché ce ne sono molti, inutilizzati” rispose, continuando a spostare travi ed altre cianfrusaglie.
“E dopo che hai trovato quello che stai cercando cosa te ne fai?”
“Lo porto via”
La principessina sobbalzò “Quindi li rubi? Se non sono tuoi non li puoi prendere. Appartengono al mio castello”
“Non lo definirei ‘rubare’. Ad essere precisi prendo in prestito. In incognito”
“Ma se prendi le cose senza che nessuno lo sappia e senza il loro permesso non è rubare?”
“No, se intanto non servono a nessuno” prese un ornamento a goccia di un lampadario e se lo fece scivolare in tasca.
Astril continuò ad osservarlo incuriosita ed al tempo stesso intimorita, mentre Rhiin recuperava una sacca sgualcita e rattoppata, in cui infilò qualche pezzo di legno e frammenti di vetro.
“Quanti anni hai?” domandò la bimba.
“Ho dieci anni”
“Io invece ne ho sette...” rivelò timida. Rhiin non le rispose, disinteressato, ed Astril abbassò il capo, mortificata. Voleva provare a fare amicizia con quello strano bambino, ma non ci stava riuscendo per nulla.
Spalancò gli occhi, quando lo vide mettersi la sacca in spalla ed avvicinarsi alla finestra.
“Dove stai andando?” esclamò, forse con fin troppa foga.
“Non ho intenzione di dirtelo. Me ne vado e basta”
“Ma...io non voglio” ammise  Astril, il labbro inferiore che cominciava a tremare visibilmente e gli occhi che si inumidivano.
Rhiin corrugò la fronte, guardandola dall’alto in basso.
“Come sarebbe a dire? Poco fa appena mi hai visto ti sei messa ad urlare ed ora vuoi che resti. Voi reali siete proprio strani. Non posso rimanere, ho delle cose da fare, senza contare che non mi va di stare qui con te, a far cosa poi?”
“Ho pensato che...che parlando magari potessi diventare mio amico. Io non ho molti amici qui, anzi, a dire il vero non ne ho nessuno. E di solito le persone diventano amiche quando si parlano, giusto?”
Astril aveva formulato il suo discorso con la voce lacrimosa e tirando su col naso di tanto in tanto.
Rhiin la osservò con un sopracciglio inarcato ed un’espressione di sufficienza sul volto.
“Amico?” ripeté retoricamente.
Si avvicinò alla principessa con le braccia incrociate, continuando ad osservarla con superiorità ed una punta di biasimo. Astril fece per domandare cosa stesse succedendo, quando il ragazzino la colpì alla fronte con un semplice gesto dell’indice.
“Ahi!”
La bimba si portò una mano alla testa, piagnucolando “Perché mi hai colpita?”
“Perché sei tonta” replicò nervosamente Rhiin “Io sono una femmina, non un maschio!”
Astril rimase per un attimo di sasso, poi le sue guance si imporporarono sino a diventare viola. Quanto era stata stupida? Avrebbe tanto voluto sparire in quel momento. Forse non era stata particolarmente attenta, eppure Rhiin di primo impatto sembrava realmente un maschio!
Si prodigò in infinite scuse, balbettando, ma questo non fece che irritare l’altra ancora di più.
“Ho capito, puoi smetterla. Sempre la solita storia: se porti i capelli corti vieni subito etichettata come maschio, è la regola”
“A te non piacciono i capelli lunghi?”
“No, sono ingombranti e tengono caldo. Proprio li detesto”
Astril guardò impensierita la sua lunga e liscia chioma nera, poi osservò i capelli di Rhiin.
“Non farti crucci. Ad una come te si addicono” disse incurvando le labbra in un ampio ghigno.
La bimba la ringraziò, senza capire che quello dell’altra non era stato proprio un complimento.
 “Tu…non sei di questi parti, vero? La tua chioma... Sei una Veìdlin ”
“Esatto. Sono solo di passaggio con i miei genitori. Staremo qui ancora per un po’ e poi andremo lontano. Ci spostiamo spesso”
“E i tuoi genitori lo sanno che rubi le cose rotte?”
La ragazzina la fulminò con lo sguardo “Questi non sono affari che ti riguardino. E poi io non rubo, te l’ho già detto, prendo in prestito. Ma non mi aspetto che una mocciosa capisca” sorrise arrogante. Si sistemò meglio il sacco in spalla e poi si voltò verso la finestra “Adesso devo andare, è tardi”
“Ma fuori ora fa troppo caldo!” si affrettò ad esclamare Astril, agitata.
“Quindi?”
“Quindi...quindi è rischioso andare in giro per Desponia con questo sole, anche scalare la torre è pericoloso, potresti svenire per il caldo e cadere giù. Sarebbe terribile! Meglio… che resti qui ed aspetti che diventi un pochino più fresco”
“Sono abituata a questo genere di cose, mocciosetta, ho sviluppato resistenza al caldo” affermò convinta. Si arrampicò sul davanzale della finestra, mentre Astril la osservava andare via delusa.
“Le cose rotte del mio castello sono belle, vero?” aggiunse con un fil di voce.
“Abbastanza. Peccato solo che nella mia sacca non ci sia stato tutto quello che volevo” e detto questo Rhiin scomparve.
La bambina rimase ferma immobile per qualche secondo, poi le sue labbra si distesero in un piccolo sorriso. Rhiin aveva detto che non era riuscita a prendere tutto, perciò...domani sarebbe ritornata nella torre! E lei sarebbe stata lì, ad aspettarla. Quella strana ragazzina la faceva sentire un po’ a disagio e la intimoriva, però aveva qualcosa che la affascinava in modo incredibile! Desiderava parlarle ancora,  magari diventare sua amica, anche se l’impresa sembrava troppo difficile per una come lei.
Però, presentarsi alla torre l’indomani non sarebbe costato nulla. Non doveva essere d’ingombro ai preparativi, giusto?


Sussultò lievemente ed i suoi occhi si aprirono di colpo. La prima cosa che vide furono sagome cupe che si intrecciavano in intricate figure, cornici di un brandello di cielo blu scuro.
Stranita Astril si mise piano a sedere, poi si guardò intorno confusa, tenendosi la testa con un mano.
Intorno a lei si trovavano un’infinità di bassi e spessi cespugli illuminati dalla argentea luce lunare, che filtrava attraverso le fronde degli alberi da qualche direzione indefinita.
Una pallida nebbiolina si disperdeva lungo tutta la zona, serpeggiando sul terreno e sollevandosi verso l’alto.
Astril aggrottò la fronte, spesata. Che ci faceva in quel luogo? Perché all’improvviso era diventata notte? Ma soprattutto –spalancò gli occhi, voltando la testa da una parte all’altra- dove erano finiti tutti gli altri?
Si alzò in piedi agitata, ma ad accoglierla non trovò che una tetra desolazione e come unico suono un indistinto e fosco frusciare.
Cercando di mantenersi lucida, sebbene il suo cuore avesse già iniziato a galoppare impaurito, provò a concentrarsi sul brandello di ricordo in cui fino a poco fa era stata immersa. Per aver avuto una visione così limpida e chiara di un avvenimento tanto lontano, doveva per forza aver sognato, di conseguenza doveva anche aver dormito.
Un’immagine improvvisa le si impresse nella mente come una fiamma incandescente: rivide Idril e Felixia cadere addormentate e tutti gli altri cercare di restare in piedi per non lasciarsi sopraffare. Anche lei aveva provato ad opporsi, ma i suoi sforzi non erano valsi a nulla ed il buio alla fine l’aveva avvolta.
Ora si trovava dispersa in luogo che non conosceva, sola, sotto lo sguardo di una misteriosa creatura malvagia pronta a farla finire in qualche trappola.
E adesso che cosa faccio?
Un brivido gelido le attraversò la schiena nel momento in cui si rese conto di essersi separata dagli altri per la prima volta, da quando avevano intrapreso il viaggio.
Pensò a Keira, a Felixia e a tutti gli altri. Chissà se anche loro erano stati divisi e chissà dove si trovavano. Glas Faraoise era un posto enorme e pericoloso, sarebbero riusciti a rincontrarsi?
E lei sarebbe riuscita a cavarsela con le sue sole forze, incapace di brandire armi e dalle pressoché inesistenti capacità magiche? Ne dubitava.
Timorosa spostò lo sguardo sulla strada dinnanzi a lei. Vagamente illuminata si tuffava nell’oscurità e l’ignoto. Astril prese un bel respirò e cercò di infondersi coraggio. Restare ferma era fuori discussione, perciò non poteva fare altro che proseguire e andare verso...qualche parte.
Si incamminò esitante, ripensando per un attimo allo strano sogno che aveva fatto, così vivido da sembrare reale. Strinse appena le labbra in una piega malinconica. Era passato davvero tanto tempo.
                                                             
                                                                     °°°

Con la mano appoggiata alla fodera della spada fece per tirarsi su di scatto, pronto alla battaglia, ma contro ogni previsione non riuscì neppure a mettersi seduto: qualcosa di solido e massiccio lo colpì alla fronte, costringendolo di nuovo a terra.
Fermo immobile ma con lo sguardo che sprizzava maledizioni, Khaled osservò la contorta radice contro cui aveva sbattuto il capo. Gli ci volle poco tempo per rendersi conto di essere bloccato in quello che sembrava essere uno scheletro di radici, alcune di esse fastidiosamente vicine al suo volto. Dalle fenditure di quell’assurda struttura poteva intravedere una buona parte di luna, che gli fece intuire di trovarsi nel pieno della notte.
Completamente immerso in un terriccio polveroso, provò a muovere il braccio per estrarre la spada e, nonostante lo spazio angusto in cui era bloccato, riuscì ad impugnarla. Sbottando seccato brandì un paio di consecutivi colpi contro la struttura, fino a quando le radici non cominciarono a spezzarsi con un sonoro scrocchio.
Con un ultimo e violento colpo la trappola cedette del tutto, permettendo al ragazzo di rimettersi in piedi. Con movimenti stizziti si tolse di dosso la polvere che lo ricopriva, poi spostò guardingo ed ostile lo sguardo lungo l’ambiente circostante. A parte i soliti alberi, fronde, arbusti e l’odiosa nebbiolina che non faceva altro che perseguitarlo, non vi era nulla di diverso, eccetto una distesa di erba stranamente morbida e di un verde tenue, che si inoltrava verso una via di alberi.
Khaled ricordava nitidamente ogni cosa, l’improvviso assopimento dei compagni e, a quanto pareva, anche suo. Non aveva idea di come fosse giunto in quella zona sconosciuta, né che ci facesse in quella dannata crisalide di radici, sebbene fosse piuttosto sicuro di chi ce lo avesse intrappolato dentro.
Di Keira e gli altri non vi era l’ombra, probabilmente dispersi da qualche parte. Sbuffò scocciato. Finire separati in un posto del genere era una delle ultime cose che dovevano accadere, ed invece tutto era andato storto.
Sin da subito aveva detto che Glas Faraoise non avrebbe portato altro che guai, ma ovviamente nessuno aveva voluto dargli ascolto.
Una tosse secca lo assalì all’improvviso, a causa della terra che gli era finita in gola e nelle narici. Aveva assolutamente bisogno di bere un sorso d’acqua, ma purtroppo in quel momento non ne aveva neppure una goccia con sé; la fiasca era rimasta infatti a Nicklesh, esattamente come la sacca con le scorte di cibo, rimasta a Keira.
Al nome dello Sneachta, il ragazzo ricordò d’un tratto di essere ancora in possesso della sua spada, che gli aveva confiscato giorni prima e che non aveva più restituito. In caso di pericolo, Nicklesh non avrebbe avuto modo di difendersi. Dovette riconoscere di sentirsi un po’ in difetto nel possedere ben due armi rispetto all’altro, completamente sprovvisto, ma mai più avrebbe immaginato di finire tutti quanti in una situazione simile. Nicklesh avrebbe dovuto trovare un’arma alternativa.
Dopo aver rimuginato un po’, decise di incamminarsi verso il punto in cui cresceva l’erbetta verde. Forse proseguendo verso quella via avrebbe trovato dell’acqua e qualcosa di commestibile. Avanzò per un po’ tempo, attento ad ogni singolo rumore e scoccando continue occhiate in giro. Al rumore di quello che pareva esser lo scorrere e il gorgogliare dell’acqua il ragazzo aumentò l’andatura fino a ritrovarsi davanti ad un inaspettato ruscello.
Khaled osservò l’acqua scorrere fresca ed invitante con espressione scettica. Di primo impatto sembrava una fonte come un’altra, ma se invece fosse stata avvelenata?
Tuttavia a quella vista la sete tornò a tormentarlo più di prima, quasi lo faceva soffocare, ed alla fine, se non voleva rischiare di impazzire, fu costretto a bere, inginocchiandosi e unendo le mani a conca.
L’acqua scivolò piacevole e buona lungo la sua gola, ritemprandolo all’istante. Si sciacquò il viso, liberandosi dalla terra e dal pulviscolo, poi con fare distratto osservò il suo riflesso nello specchio d’acqua.
Un’espressione totalmente sbigottita apparve sul suo volto e per poco non balzò indietro, alla vista dell’immagine che i flutti gli restituivano.
Un ragazzino intorno ai dieci anni ricambiava il suo sguardo con aria altrettanto sconvolta. Ciuffi di capelli rosso-castani gli ricadevano sugli occhi color ambra, irosi e combattivi nonostante il momento di paura. 
Non vi era ombra di dubbio. Quel bambino era lui.


°Note dell'Autrice°
Ciao a tutti! :D Allora, come vi è sembrato il capitolo? Da questo momento in poi direi che ci stiamo avviando  verso il vivo di quella che può essere definita, sì dai, la Saga di Glas Faraoise x)
Che succederà al resto del gruppo, ora che sono divisi? E Khaled, sarà davero accaduto quello che sembra? u_u *zan zan!* 
Ringrazio tutti coloro che leggono, che mettono tra le seguite/preferite e chi recensisce
<3 Tutte le vostre considerazioni sono molto importanti per me ^^
A presto! :3


The_Grace_of_Undomiel

 

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Capitolo 19
*** Smarriti nella notte ***



Smarriti nella notte
 
Titubante ed insicura, avanzava immersa nei colori notturni di Glas Faraoise, gli occhi blu che scrutavano fugaci e con inquietudine ogni albero scuro e contorto che la circondava. La pallida luce lunare illuminava debolmente il sentiero davanti ai suoi piedi, di dura e gelida terra compatta. Non vi erano ciuffi d’erba, cespugli od altri tipi di piante, solo un tetro viale di alberi. Nell’aria non si udiva alcun suono, mormorio o sospiro, solo cupa immobilità, della quale la cameriera non sapeva se esserne sollevata o meno.
Da quando aveva lasciato la città di Desponia ed era partita con la principessa e Keira, i suoi risvegli  avevano cominciato ad essere un susseguirsi di soprese spiacevoli: ridestarsi con la prospettiva di un lungo e faticoso cammino, ritrovarsi in un piccolo boschetto sperduto dopo aver rischiato di sprofondare in paludi urticanti ed ancora rendersi conto di essere all’interno di un’ enorme struttura rocciosa, in seguito ad uno scontro quasi mortale.
Ma nessuno di quei risvegli poteva essere paragonato a quello di poco tempo fa. Le era già capitato di risvegliarsi in un luogo a lei sconosciuto e talvolta anche di notte, ma mai prima di allora era stata sola. Si era ritrovata sovrastata dal blu della notte e da uno squarcio di luna, da alberi e rami, ma oltre a quello il nulla assoluto.
In preda all’angoscia Felixia si era alzata subito in piedi ed aveva chiamato a gran voce il nome di Astril e degli altri, ma non aveva ottenuto alcuna risposta. Cercando di non farsi pervadere dal terrore aveva fatto mente locale degli ultimi avvenimenti e l’ultima cosa che riusciva a ricordare era Idril cadere a terra addormentata e, a quanto sembrava, non era stata l’unica.
Si era poi messa in cammino, senza alcun piano o meta. Si era imposta la calma, ma la paura non le aveva lasciato un attimo di respiro, esattamente come in quel momento. Era sperduta in una foresta infinita, sola, senza viveri, e non aveva idea di che cosa fosse accaduto agli altri.
Un fruscio improvviso ruppe l’immobilità ed il cuore di Felixia perse un battito. Non era in cammino da neppure un’ora ma quella notte la stava già provando, ogni suo senso era in allerta e si sentiva rigida come il ghiaccio.
Si lasciò sfuggire un sospiro. Non poteva andare avanti così, o sarebbe impazzita; l’unica soluzione era quella di fermarsi e di riprendere il cammino il giorno dopo. Alla luce del sole forse le cose avrebbero assunto un aspetto diverso. Gettò un’occhiata intorno alla ricerca di un punto in cui poter sostare, finché non intravide in lontananza un grosso albero dal tronco incurvato ad arco.
Si affrettò a raggiungerlo, poi vi si appoggiò con la schiena e si rannicchiò. Non era il massimo, ma in qualche modo si sentiva più al sicuro. Alzò lo sguardo verso i corti ramoscelli che sbucavano dal tronco e dopo averli contanti annoiata si voltò verso la via che proseguiva nella notte, avvolta dalla cerea foschia. Aveva fatto bene a fermarsi. Osservò di nuovo il tronco, sobbalzando spaventata alla vista di quello che era apparso.
Un minuto serpente si trovava attorcigliato ad uno dei rami, gli occhi gialli scintillanti che la scrutavano astuti. Felixia non aveva mai avuto particolare paura per quelle creature, al contrario di Astril. Quello, per fortuna, sembrava innocuo.
Si rilassò di nuovo, senza però smettere di ricambiare il suo sguardo. Dopotutto si trovava a Glas Faraoise, e lì la prudenza non era mai troppa.
Il serpente sibilò, poi si inclinò leggermente verso sinistra. Felixia imitò il suo comportamento, piegando il collo prima verso sinistra, poi verso destra, confusa. 
Questo posto mi sta dando alla testa pensò riscuotendosi.
Per un attimo le era addirittura sembrato che il serpente le avesse rivolto un ghigno. Decisamente impossibile.


Un ramo cadde a terra con uno scrocchio, seguito da un altro e poi da un altro ancora. Stessa fine fecero i rovi, tagliati di netto senza alcuna pietà o riguardo.
Con la spada stretta in una mano e la sfera di luce che biancheggiava sul palmo dell’altra, Keira si faceva largo in quel sentiero impervio brandendo colpi continui. Nessun ostacolo resisteva alla sua lama affilata, si spezzava e la lasciava avanzare. Se qualcuno le si fosse presentato davanti in quel momento, probabilmente avrebbe fatto la stessa fine.
Quella foresta si era rivelata un intralcio più grande del previsto. La creatura che la governava era riuscita a capire ciò che avrebbe potuto danneggiarli sul serio, al di là di qualsiasi foglia affilata o esseri della terra: separarli, ovvero l’ultima cosa che sarebbe dovuta accadere. 
Glas Faraoise era un luogo enorme ed ingannevole, in cui era pressoché impossibile fissare un punto di riferimento per orientarsi, dunque, le probabilità di imbattersi in qualcuno dei compagni erano minime, ed ancor più piccola era la speranza di incontrarli tutti. Ma non era quello l’unico problema, ciò che la preoccupava di più erano le attuali condizioni dei suoi compagni di viaggio, specialmente di alcuni in particolare.
Non che non fosse impensierita per loro, ma era ben consapevole delle abilità di Idril e Khaled, la prima forse eccessivamente spericolata ed il secondo troppo impulsivo, ma entrambi perfettamente in grado di difendersi. Anche Nicklesh aveva qualità non da poco da quel punto di vista, sebbene la sua situazione ora come ora fosse l’ultima ad interessarla. Il vero problema erano Astril e Felixia, prive di ogni esperienza e capacità in combattimento. Non erano assolutamente in grado di difendersi, la principessa possedeva qualità magiche, ma non essendo ancora capace di evocarle di sua volontà era allo stesso livello di Felixia.
Infine, ultimo ma non meno importante, la questione dei viveri. La sacca rossa era infatti rimasta a lei, con dentro non solo le radici e la spezia dorata affidatale da Felixia, ma anche la maggior parte delle erbe mediche che avevano raccolto e la corda.
Avrebbe dovuto pensare prima a distribuire equamente tutti quegli oggetti proprio in previsione di una situazione simile. Ora però era troppo tardi. Rimaneva comunque il problema dell’ acqua, ma forse era meglio così: possedere pure quella l’avrebbe fatta sentire ingiustamente agevolata, rispetto ai compagni privi di tutto.
Continuò a colpire i rovi e ad aprirsi la strada, con un nuovo obbiettivo in mente. Se le probabilità di incontrare i compagni per mera fortuna erano pressoché inesistenti, allora la soluzione era una sola: trovare il covo di quella creatura –da qualche parte doveva pur nascondersi- sconfiggerla ed ordinarle di farla ricongiungere ai compagni, o ancor più semplice, se il tutto dipendeva dalla sua sola presenza, ucciderla.
Un obbiettivo difficile da raggiungere e soprattutto da portare a termine, ma quale alternativa aveva, se non almeno tentare?
Calò la spada sull’ennesimo rovo, senza però riuscire a spezzarlo. Keira fece per allontanare l’arma, ma con sua grande sorpresa questa fece resistenza, come se una forza sconosciuta la stesse tirando verso di sé dalla parte della lama. Aggrottò la fronte sbigottita, quando notò diversi rovi aggrovigliati saldamente intorno alla spada.
Keira strinse saldamente l’impugnatura e cominciò a tirare con più energia, quando i rovi lasciarono all’improvviso la presa, facendola sbilanciare all’indietro.
Fu questione di un attimo.
Così rapido da essere quasi impossibile da scorgere, un lungo e sottile ramo di spine le cinse la coscia, stringendola in una morsa di ferro e facendola cadere a terra. La ragazza trattenne a stento un urlo, sentendo le punte delle spine conficcarsi nella carne.
Un altro ramo saettò verso di lei, ma questa volta Keira fu pronta, tagliandolo con un solo colpo. Quello che le stringeva la gamba si allontanò all’improvviso, ma al suo posto tanti altri si lanciarono contro la guerriera. Ne tagliò quanti più poté, schivando di continuo per non farsi agguantare. La stoffa lacerata dei pantaloni si stava inzuppando di sangue e le ferite, seppur piccole, bruciavano terribilmente, facendola sibilare per il dolore. Doveva scappare immediatamente, o non sarebbe riuscita a reggere ancora a lungo.
Tentò di allontanarsi, ma un rovo si attorcigliò con uno schiocco alla sua caviglia, facendola cadere al suolo ancora una volta. Il ramo prese trascinarla verso il cuore dell’intero groviglio, intento ad intrappolarcela dentro.
La Mildriend piantò con forza la spada nel terreno e si aggrappò ad essa, cercando di impedire alla pianta di continuare a trascinarla.
Stringendo i denti Keira sguainò l’altra spada, tagliò il rovo che la teneva legata, per poi rialzarsi in piedi e fuggire sulle gambe malferme. I rami si protesero all’estremo nel tentativo di raggiungerla e riafferrarla, ma alla fine si videro costretti lentamente a ritrarsi. Ormai la Mildriend era troppo lontana.
Sicura di essersi allontanata abbastanza da quel micidiale groviglio di spine, Keira arrestò la sua corsa, il respiro accelerato ed i tagli sanguinanti, poi si  sedette sul tronco di un albero caduto.
Illuminò le ferite con la luce della sua sfera, piccoli squarci le ricoprivano la coscia e la caviglia, ma nonostante quello ed il dolore non era nulla di troppo grave. Trattenendo sibili sofferenti fra i denti si medicò le ferite utilizzando un rudimentale impacco di erbe, poi si strappò un pezzo di mantello, utilizzando la stoffa come benda da legare intorno alla coscia.
Il dolore era sopportabile, ma quell’incidente l’avrebbe penalizzata non poco dal punto di vista dell’agilità.
Si guardò attentamente intorno, rendendosi conto di aver perso ancora un volta l’orientamento. Ignorava quanto avesse corso, ogni traccia di rovo era sparita, lasciando alberi che si perdevano a vista d’occhio ed altro genere di piante ad occupare l’ambiente.
Lenta ed ardente, percepì la rabbia diffondersi dalla bocca dello stomaco sino al petto. Si era appena imposta l’obbiettivo di sconfiggere la creatura, ed invece una delle sue trappole l’aveva subito colta alla sprovvista, ferita e, per la prima volta dopo tanto tempo, costretta a fuggire.
Al contrario di Khaled, aveva imparato a concentrarsi su altro che non fosse l’orgoglio, ma in quel momento i tagli non erano l’unica cosa a bruciarle terribilmente. Eppure non si sarebbe mai arresa, non voleva e non poteva permetterselo, sebbene Glas Faraoise avesse dimostrato ancora una volta la sua forza.
Sono certo che ce la farai!
Un’improvvisa voce fiduciosa e con una punta di allegria riempì l’aria., al che Keira sguainò immediatamente il pugnale e scattò in piedi, ignorando la fitta che ne seguì. Guardinga e pronta ad agire rimase in attesa, ma non udì altro. Fece per rinfoderare il pugnale, quando la voce parlò di nuovo, alle sue spalle.
Penso che tu sia la persona più adatta per un simile compito
Si voltò rapida e quello che vide di fronte a sé la lasciò senza parole. Lì a pochi passi da lei vi era Linus, con le braccia incrociate ed un sorriso incoraggiante sulle labbra.
Dopo l’istante di puro sbigottimento, Keira capì che quello non poteva essere il vero Linus. Una debole aura pallida seguiva i contorni del suo corpo ed il suo viso era più giovane di qualche anno.
Una visione?
“Sei migliorata notevolmente in questi ultimi mesi, hai acquisito esperienza, per questo sono convinto che tu possa riuscirci” l’immagine dell’uomo riprese a parlare, mentre i suoi occhi si fissavano in quelli di lei. E fu allora che Keira capì.
Questa non è una visione.
Involontariamente, le sue mani preso a tremare.
È un ricordo.
Linus continuava a parlare, dispensando incoraggiamenti e controbattendo come se qualcuno stesse parlando con lui, sebbene non ci fosse nessun altro. Eppure Keira poteva sentire le risposte, poteva ricordarle, una per una, tutto ciò che lei stessa, due anni prima, aveva detto a quel Linus.
Non serviva voce perché lei gli rispondeva, riviveva, quelle parole nella sua mente. Per la seconda volta.
“Sono certo che ce la farai!”
“Non è questo il punto. Non ho intenzione di accettare”
“Per quale motivo, Keira? Penso che tu sia la persona più adatta per un simile compito”
“È inutile che tu continui a ripetermelo. Io svolgo le missioni in un certo modo e non voglio cambiare nulla”
“Potrebbe essere estremamente costruttivo e se te lo sto chiedendo significa che so quello che faccio. Sei migliorata notevolmente in questi ultimi mesi, hai acquisito esperienza, per questo sono convinto che tu possa riuscirsi. Si fidano di te!”

Strinse i pugni con forza, distaccandosi bruscamente dal ricordo e ritornando con la testa al presente.
Ma Linus non se n’era andato, parlava e continuava ad osservarla come allora, nonostante adesso la Mildriend avesse smesso di rispondere. Guardò verso un punto indefinito, fredda e severa.
“Speri di sviarmi in questo modo?” disse rivolta alla creatura “Se invece di mostrarti ed affrontare uno di noi devi ricorrere a simili trucchi, significa che in realtà non sei così potente come vuoi dimostrare. Questo mi spinge ancora di più a trovare dove ti nascondi. Vedremo allora che accadrà”
Mantenendosi irremovibile come sempre ma con il cuore che aveva preso a palpitare sempre più forte, voltò le spalle a quell’immagine eterea, la cui voce divenne sempre più lontana.
Keira strinse i denti fremente, i pugni ancora serrati. L’unica cosa che aveva fatto era stata quella di allontanarsi, quando invece avrebbe dovuto passare di fianco a Linus, attraversarlo se necessario, ed invece non ci era riuscita. 
Per quanti fossero gli anni passati e quanti ancora dovessero passarne, non avrebbe potuto mai dimenticare.


Nicklesh non ne era del tutto sicuro, ma qualcosa gli diceva che il luogo in cui si era risvegliato potesse definirsi uno dei peggiori che avesse mai visto.
Inzuppato dalla testa ai piedi e lievemente tramante, lo Sneachta si sfilò il mantello di dosso e lo strinse forte tra le mani, liberandolo dall’acqua da cui era impregnato.
Non appena aveva riaperto gli occhi azzurri, una spiacevole sensazione lo aveva attraversato e subito dopo si era reso conto di trovarsi steso  in un basso e melmoso stagno. Ripresa la sufficiente lucidità si era alzato di scatto e con fatica, a causa dei vestiti infradiciati e del mantello avvinghiato attorno al suo corpo, aveva raggiunto la riva camminando in grosse falcate.
Il giovane rabbrividì ancora una volta. Abitando nel Regno degli Sneachta, l’estremo Regno Nevicristallo, era abituato a sopportare temperature rigide e talvolta glaciali, ma essere gocciolante dalla testa ai piedi  stava risultando spiacevole anche per lui.
Rifletté un istante sul da farsi, poi per prima cosa decise di arrampicarsi lungo la discesa che lo aveva allontanato dalla parte superiore della foresta. Il terreno scivoloso ricoperto di vegetazione ed i vestiti fradici non aiutarono l’impresa, ma dopo svariati tentativi il ragazzo riuscì a riemergere dalla fenditura.
Strani alberi grigiastri dai lunghi e ciondolanti rami mossi appena dal vento lo accolsero insieme alla solita foschia.
Si guardò attorno, incerto sul da farsi. Aveva bisogno di scaldarsi, ma non era sicuro che accendere il fuoco fosse una buona idea, oltre a non sapere assolutamente da che parte dovesse andare. In realtà, questo dilemma lo assaliva da quando era entrato con quel gruppo di Mildriend nella foresta per far loro da guida, compito che aveva fallito totalmente.
Aggrottò la fronte, pensieroso.
Ora che si trovava in solitudine, gli era sorto spontaneo chiedersi come dovesse comportarsi. Qual era il suo ruolo in tutta quella storia? Doveva ritrovare gli altri, che non sapeva se definire ‘compagni’, o provare a cercare un’uscita e andarsene? A ben pensarci, non aveva alcun genere di rapporto con loro, in un certo senso era un prigioniero, aveva provato ad essere la loro guida ma non vi era riuscito, rivelandosi sostanzialmente di poco aiuto. Di Keira, Khaled e le altre non sapeva nulla, neppure cosa li avesse spinti sino in quel posto impossibile né quale fosse il loro vero obbiettivo.
Scosse la testa, cercando di frenare quella confusione di pensieri. Non li avrebbe abbandonati così, non in quel momento, avrebbe comunque provato a cercali, o forse era lui quello che doveva essere trovato? Probabilmente entrambe le cose.
Sospirò, prendendo consapevolezza di un fatto non poco problematico. Era senza armi, senza la sua spada, in possesso di Khaled. Non appena, e se, lo avesse incontrato gliela avrebbe richiesta indietro, senza accettare un rifiuto. Nel frattempo doveva assolutamente rimediare un’arma alternativa.
Camminò per qualche tempo e si guardò un po’ attorno alla ricerca di qualcosa da poter utilizzare, finché non trovò un pezzo di ramo accatastato contro una corteccia. Lo impugnò con forza in una mano e provò ad usarlo, fendendo l’aria. Probabilmente non sarebbe servito a un granché, ma era meglio di nulla.
Riprese ad avanzare, tremando di tanto in tanto. Sperò di asciugarsi il più in fretta possibile, altrimenti si sarebbe sicuramente preso un malanno.
Stava giusto riflettendo su come trovare una soluzione, quando qualcosa gli balzò alla mente, facendolo fermare di colpo. Fortunatamente se n’era accorto in tempo, in caso contrario l’impatto non sarebbe stato per nulla piacevole.
Protese una mano davanti a sé, ma al contrario del nulla appoggiò il palmo su una superficie invisibile ed inconsistente, che al suo tocco vibrò appena di una luce grigiastra. Stessa cosa accadde ai lati, alle sue spalle e verso l’alto: era rinchiuso.
“Sei in trappola” sentenziò all’improvviso una vocetta acuta, in una lingua scattante e rapida. Nicklesh sussultò e fece vagare lo sguardo, notando infine un piccolo esserino seduto con le gambe a ciondoloni sul ramo di un albero poco lontano. La sua pelle e le sue vesti erano totalmente grigie, un grigio intenso, così come i capelli mossi ed i suoi occhi, all’apparenza  senza pupille e leggermente a mandorla.
“Chi sei tu?” rispose il ragazzo nel sua lingua, osservandolo.
“Girien, conosciuto anche come il Tessitore di barriere. Tu sei Nicklesh, giusto?”
“Esatto, è il mio nome. Sai chi sono, ma non penso di averti mai visto”
“Infatti non ci conosciamo. Mi manda Ferimorn”
Alla vista della sua espressione confusa, l’essere si spiegò meglio.
 “La creatura che tutto conosce, colui che controlla Glas Faraoise”
Niclesh spalancò gli occhi per lo stupore. Ferimorn. Dunque era quello il nome della fonte dei loro guai. Lo aveva totalmente rimosso.
“Perché starebbe cercando proprio me? Che cosa vuole?” domandò.
“Sei riuscito a sfuggirgli una volta, ora vuole rivederti. Penso che abbia qualcosa da dirti” Nicklesh lo guardò ancora più spaesato, ma l’essere continuò a parlare “Mi chiedo come tu sia riuscito ad andartene da qui, in passato. Per pura fortuna, o grazie a qualche abilità, umano? Come hai fatto a percepire la mia barriera?”
“Riguardo al fuggire, penso si tratti della prima. Per l’altra domanda, non è stato troppo difficile riconoscere la presenza della tua trappola. Al suo interno ho percepito un aumento della temperatura e da quel momento non ho più sentito freddo. Impossibile perché si trattasse di una cosa naturale, per questo ho capito di trovarmi all’interno di qualcosa”
“Interessante. Ed hai percepito altre proprietà della mia barriera?”
Nicklesh scosse la testa, accigliato “No, non direi”
“Meglio così” replicò Girien, neutro.
Il ragazzo non ebbe neppure il tempo di riflettere sulle sue parole, che un dolore lancinante lo scosse da capo a piedi, facendolo gridare. Le pareti della barriera vibrarono con intensità. Quando la scarica cessò, Nicklesh crollò in ginocchio, senza più fiato.
“La mia barriera non solo intrappola l’individuo che vi è all’interno, ma agisce direttamente su di esso” dichiarò Girien, e nuovamente lo Sneachta fu vittima di quella energia, se possibile ancora più devastante di prima, che gli impedì di muovere anche solo una parte del corpo.
“Fe...fermo...” mormorò a fatica, cercando di rimettersi in piedi. Girien non lo ascoltò, indirizzandogli un’altra scarica e facendolo accasciare a terra.
Nicklesh non ricordava di aver mai provato un simile dolore, quasi impossibile da definire; non aveva alcuna possibilità di reagire, bloccato in balia di quell’essere.
Stringendo i denti si rialzò facendo forza sulle braccia malferme, poi voltò il capo a sinistra e sollevò lo sguardo verso il cielo, all’interno del quale brillava un argenteo spicchio luna.
D’un tratto, una piccola ed indistinta ombra apparve in quella luce, diventando man mano sempre più grande e parandosi davanti al suo campo visivo.
Veloce come una scheggia, un candido falchetto bianco si fiondò direttamente contro Girien, afferrandolo con il becco e strappandolo dal ramo. L’esserino gridò e la barriera svanì all’improvviso.
Dopo aver ripreso fiato, Nicklesh si rialzò in piedi e corse dal falchetto, appoggiato a terra e con l’estremità del minuto abito di Girien stretto nel becco. La creatura si dimenava nel tentativo di fuggire, ma senza risultato.
Elathain” sussurrò il giovane incredulo. Il falchetto ricambiò il suo sguardo con altrettanta intensità, poi Nicklesh spostò nuovamente l’attenzione su Girien, che continuava a provare a liberarsi dalla salda presa del volatile.
“È inutile che tu continui a muoverti. Non ti lascerà mai libero, rischi solo di sprecare energie inutilmente” parlò Nicklesh, inginocchiandosi per poterlo osservare meglio. Girien si immobilizzò all’istante, come se all’improvviso si fosse trasformato in pietra; in quel momento pareva persino innocuo ed indifeso.
“Adesso ascoltami, non ho alcuna intenzione di farti del male, a patto che tu mi riveli tutto ciò che conosci su Ferimorn e dove si nasconda”
Fu come non aver detto nulla. Girien non rispose, gli occhi grigi completamente assenti.
“Le tue parole non hanno significato” mormorò infine “Sparirò comunque”
“Cosa?” fece perplesso. 
“Mi...distruggerà”
“Di che stai parlando!?” insistette lo Sneachta, ma l’altro pareva rivolgersi solo a sé stesso.
“Ho fallito”
E seguito a quell’ultima frase, una luce grigiastra avvolse il corpicino di Girien, prima che egli si frantumasse come cristallo contro la pietra.
Il falchetto agitò le ali, mentre Nicklesh balzò all’indietro d’istinto. Dell’essere non vi era più alcuna traccia, come se non fosse mai esistito.
Dopo il primo attimo di sbigottimento il ragazzo si rimise in piedi, poi si rivolse al falchetto.
“Ti ringrazio molto per essere intervenuto, me la stavo vedendo davvero brutta. Sei sparito per molti giorni, questa volta. Dov’eri finito?” domandò, ma privo di qualsiasi rimprovero.
Elathain emise un verso acuto, poi con frullo d’ali si andò a posare sul braccio che Nicklesh aveva teso.
“Non devi scusarti, capisco perfettamente” sorrise il giovane, accarezzandolo “Ora che sei tornato avrei un favore da chiederti. Ricordi quel gruppo di Mildriend? Anche loro si trovano a Glas Faraoise, in questo preciso momento. Vola sopra la foresta e se riesci a trovare almeno uno di loro conducilo qui. Io nel frattempo rimarrò nei paraggi, così forse potremo ricongiungerci. Ti spiegherò il resto dopo, non temere. Ci rivedremo più tardi”
E così, il falchetto si alzò in volo e rapido come una freccia svanì nell’immensità del cielo notturno.


Con un piccolo saltello la giovane arciera balzò sul ramo successivo, poi su un altro ancora, in una corsa agile e leggera. Le fronde enormi ed intrecciate di quegli alberi imponenti le permettevano di avanzare con facilità, senza interruzioni, come se si fosse trovata in un’immensa strada sospesa nel vuoto, sui cui si spostava da quasi tutta la notte.
Al suo risveglio si era ritrovata sovrastata da un’infinità di alberi dai tronchi tozzi e mastodontici, che giganteggiavano scuri sull’intero ambiente circostante. Sentendosi oppressa dalla loro grandezza, Idril si era arrampicata lungo uno dei tronchi senza esitazione ed una volta giunta in una posizione sufficientemente sopraelevata aveva sospirato confortata. Dopodiché, aveva proseguito il suo cammino spostandosi veloce da un ramo all’altro.
Non aveva idea di dove quella via la stesse conducendo, ma era certa che proseguire verso quella direzione fosse stata la scelta più giusta. Quegli alberi le ricordavano incredibilmente quelli descritti da Astril nella sua visione, dunque doveva trovarsi molto vicino a ciò che era apparso nella mente della principessa e di conseguenza alla Gemma che tanto cercavano.
Le prime luci dell’alba cominciarono a stagliarsi all’orizzonte ed il cielo assunse una pallida tonalità dorata. Al suolo la nebbia grigiastra continuava tuttavia a serpeggiare incessante, motivo in più per cui Idril aveva scelto di inerpicarsi.
Si era appena spostata su un altro ramo, quando un rumore famigliare proveniente da terra le giunse improvviso alle orecchie, facendole arrestare la sua corsa. La giovane gettò uno sguardo al suolo incuriosita e con sua immensa sorpresa scorse qualcosa sollevarsi dal terreno in un cumulo di polvere e pezzi di radice.
L’essere che era appena apparso si guardò un po’ intorno, prima di rigettarsi nuovamente sotto terra e riprendere a spostarsi, lasciando dietro di sé uno spesso sentiero di terriccio.
Non vi erano dubbi, quella creatura era Talun. Senza perdere altro tempo Idril riprese ad avanzare, aumentando la velocità per non lasciarselo sfuggire. Da quanto aveva detto loro Nicklesh, Talun era uno dei servitori della misteriosa creatura a capo della foresta, perciò, se si stava dirigendo da lui, seguendolo avrebbe potuto trovare il suo nascondiglio.
L’impresa si rivelò presto più difficile del previsto. Talun si muoveva ad una velocità sconvolgente e più di una volta Idril aveva rischiato di perderlo di vista. L’arciera saltava, si arrampicava, scendeva e risaliva, spostando continuamente lo sguardo prima sull’essere, poi sulla via davanti a sé e viceversa.
Stava correndo ormai da un bel po’ di tempo, quando fu costretta a fermarsi bruscamente: una notevole distanza vi era questa volta tra una ramo e l’altro, distanza che Idril non era certa di poter superare.
Scoccò un’occhiata a Talun, sempre più lontano. Doveva trovare immediatamente una soluzione, o non sarebbe più riuscita a raggiungerlo. Ponderò attentamente il vuoto che la superava dal resto dei rami, rendendosi presto che conto che l’unica soluzione, per non smarrire del tutto la creatura, era quella di saltare.
Decisa e con il cuore che le martellava nel petto a causa dell’emozione mista ad aspettativa che da sempre provava in quelle situazioni, indietreggiò di qualche passo per poi scattare in avanti e spiccare un balzo. Riuscì con entrambe le braccia ad aggrapparsi al ramo e dopo essersi risollevata con un po’ di sforzo riprese la sua corsa.
Temette per un attimo di aver perso troppo terreno, ma fortunatamente Talun si era allontanato meno di quanto avesse previsto l’arciera, che riuscì ad accorciare di un poco le distanze.
D’un tratto, dopo aver corso ancora per qualche tempo, qualcosa cominciò ad intravedersi oltre il verde della vegetazione.
Sempre più curiosa ed impaziente di scoprire di che cosa si trattasse, le bastarono solo pochi saltelli per avere finalmente una visione completa.
Un’enorme ed inquietante groviglio di rami verde scuro si stagliò dinnanzi a lei, in tutta la sua imponenza.
Idril si fermò, non potendo fare a meno di osservare con espressione sbigottita la struttura, le cui estremità si tuffavano nella terra, proseguendo verso mete sconosciute. In tutta la sua vita non aveva mai visto nulla del genere, terribile ma spettacolare al tempo stesso.
Che fosse stato quello in luogo in cui si nascondeva la creatura? 
Distratta e completamente rapita dalla sua vista, si accorse troppo tardi della cosa che con estrema precisione le si era scagliata contro.
Colta alla sprovvista l’arciera perse l’equilibrio e precipitò , aggrappandosi a qualsiasi sporgenza pur di rallentare la caduta. Riuscì ad afferrare ancora un ramo prima di atterrare al suolo rotolando. Indolenzita ma per fortuna senza nulla di rotto si rialzò in piedi, trovandosi di fronte la figura di Talun.
L’essere le rivolse parole che Idril non comprese, tuttavia perfettamente intuibili dal suo sguardo furente e carico di odio.
Le si scagliò di nuovo contro pronto a colpirla, mentre Idril, con altrettanta rapidità, imbracciò l’arco ed incoccò una freccia.
Solo uno dei due colpi andò a segno.

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Capitolo 20
*** Luce rubata ***



Luce rubata
Immersa nella pallida foschia, una figura minuta avanzava faticosamente, trascinando con sé un oggetto decisamente troppo pesante per il suo corpo e lasciandosi alle spalle un sottile solco nel terreno.
L’individuo alzò lo sguardo verso l’alto, sibilando infastidito. Oltre le fronde degli alberi, poteva intravedere uno sprazzo di cielo azzurro attraversato da uno stralcio di nuvola cinerea, segno che, dopo quell’interminabile notte, era infine giunto il mattino.
Convinto che probabilmente quel giorno sarebbe stato anche peggiore della nottata appena passata, Khaled lasciò cadere malamente la spada che stava trasportando e si sedette a terra per riposare un poco.
Sebbene si fosse ripromesso più volte di non farlo, scoccò un’occhiata alle sue mani, dannatamente piccole, alle sue gambe, eccessivamente corte, ed infine scrutò  il suo riflesso nella lama della spada, ritrovandosi davanti un viso odiosamente infantile.
Strinse i denti, in un misto di rabbia e frustrazione, ed ancora una volta si maledisse per aver bevuto da quella fonte, che in meno di un istante lo aveva tramutato in un moccioso di dieci anni.
Quando aveva visto il suo riflesso per la prima volta, aveva creduto di essere caduto nuovamente addormentato e di star facendo un incubo. Con suo immenso orrore si era invece reso conto che quella era purtroppo la realtà e che il suo corpo non era più quello di un ragazzo, ma quello di un bambino.
Per qualche ragione i suoi vestiti e la spada che aveva nel fodero erano rimpiccioliti con lui, eccetto l’arma di Nicklesh, rimasta stranamente immutata. In un primo momento Khaled, essendosi accorto con fastidio quanto fosse pesante, aveva deciso di abbandonarla lì e di andarsene. La sua coscienza tuttavia aveva cominciato ad assillarlo senza lasciargli tregua e tra un’imprecazione e l’altra era tornato a riprenderla.
Il Mildriend sbatté un pugno a terra, stizzito. Quella era senza dubbio la situazione peggiore in cui fosse mai capitato, sperduto dentro Glas Faraoise, senza viveri e costretto in un corpo che lo faceva sentire debole e ridicolo. Con la forza inesistente che possedeva in quel momento, probabilmente non sarebbe neppure stato in grado di difendersi in caso di attacco nemico.
Aveva dimenticato quanto fosse odioso e frustrante essere un bambino. Al solo pensiero che Keira, Idril e gli altri potessero vederlo in quello stato, gli si rivoltò lo stomaco. Dubitava che sarebbe riuscito a sopportare le risate di Idril e le occhiate divertite ed allo stesso tempo di biasimo della guerriera, il suo orgoglio ne avrebbe risentito troppo.
Maledizione.
Un frullo d’ali lo distolse bruscamente dai suoi pensieri. Khaled saettò gli occhi ambra sull’albero che si trovava proprio alla sua sinistra, notando aggrappato ad uno dei rami più bassi un falchetto bianco dai limpidi occhi azzurri, che aveva preso ad osservarlo insistentemente.
Il ragazzino rimase per un istante interdetto, poi ricambiò l’occhiata con aria di sfida.
“Che hai da guardare?” sbottò sulla difensiva, trovando la sua stessa voce terribilmente fastidiosa.
Il volatile rimase perfettamente immobile, al che Khaled inclinò leggermente il capo, studiandolo con attenzione.
“Un momento...ma non ti ho già visto da qualche parte?” mormorò poco convinto. Rifletté qualche istante, poi sobbalzò. Eccome, se lo aveva già visto!
“Ora ricordo!” esclamò con tono quasi accusatorio “Tu sei il pennuto di tempo fa, quello che Idril mi impedì di catturare. Mi domando cosa tu ci sia venuto a fare in un posto come questo. Faresti meglio ad andartene”
Il falchetto nuovamente non accennò a muoversi e Khaled, con una smorfia, distolse lo sguardo. Per un attimo aveva ponderato l’idea di provare a catturarlo, ma viste le sue attuali condizioni non ci sarebbe riuscito.
Un verso acuto richiamò ancora una volta la sua attenzione e con un semplice battito d’ ali il falco si alzò in volo, rimanendo però sospeso, in apparente attesa.
“Mi stai forse chiedendo di seguirti?” domandò Khaled.
Trovava già abbastanza umiliate essere un bambino, non avrebbe disintegrato la dignità che gli era rimasta mettendosi a seguire un falco, del quale, tra l’altro, non si fidava affatto. A ben pensarci, non era da escludere il fatto che quel volatile in realtà fosse al servizio della creatura.
Come se avesse appena letto nella sua mente, il falco scese in volo verso di lui e si andò a posare proprio vicino alla spada Nicklesh.
Khaled inarcò un sopracciglio interrogativo, mentre l’uccello cominciò a picchiettare il becco contro l’elsa, producendo un rumore tintinnante. Si alzò  poi nuovamente in volo, iniziando ad allontanarsi.
Il Mildriend guardò la spada, poi la direzione che aveva preso il falco, cominciando a chiedersi se ,davvero non fosse stato il caso di seguirlo.
Alla fine, tra un borbottio e l’altro, sollevò la spada da terra con entrambe le mani e iniziò a dirigersi verso la via che aveva preso il volatile.
Non sapeva spiegarselo, eppure, per qualche strano motivo, quel falco gli ricordava Nicklesh.
 
 
Talun si arrestò di colpo, osservò per un attimo la freccia che con estrema precisione si era conficcata nel suo capello di radice, poi ritornò all’attacco.
Rapidamente Idril mise via l’arco, consapevole che in quello scontro le sarebbe stato poco utile, in seguito schivò il colpo spostandosi lateralmente. Sguainò il pugnale con un stridio metallico e lo brandì davanti a sé. Non amava gli scontri corpo a corpo e non prediligeva armi di quel genere, tuttavia in quel caso avrebbe dovuto fare un’eccezione.
Scattò in avanti pronta a colpire l’essere, ma con velocità disarmante questi sparì sottoterra, sottraendosi dalla lama della ragazza. Risbucò poi alle sue spalle, a cui la creatura si aggrappò con un energico balzo.
La giovane cercò nonostante tutto di trafiggerlo con il pugnale, ma Talun le bloccò le braccia con le proprie, divenute incredibilmente lunghe ed intrecciate come liane.
Idril prese a dimenarsi nel tentavo di liberarsene, dopodiché, non riuscendo ad ottenere alcun risultato, sbatté la schiena contro il tronco mastodontico di un albero. Talun soffocò un ringhio, poi lasciò andare la presa dalle braccia di Idril scivolando a terra leggermente stordito, ma non abbastanza perché la giovane riuscisse a coglierlo impreparato e colpirlo.
La creatura schivò l’affondo, mentre le sue gambe prendevano lentamente ad allungarsi e a crescere, sotto lo sguardo stupito di Idril.
Dinnanzi ad ella ora non vi era più la creatura tozza e di fango compatto di qualche istante fa, ma un essere sottile e slanciato, che quasi raggiungeva la sua altezza.
Un mutaforma?
Idril lo guardò in un misto di sconcerto e profonda curiosità, incredula che un simile essere potesse rivelarsi così tanto potente.
Talun avanzò di qualche passo verso di lei tentando di colpirla con le proprie braccia lunghe e resistenti. L’essere da certi punti di vista ora era più forte, tuttavia, a causa della sua stazza eccessivamente alta ed imponente, la sua rapidità era calata notevolmente se paragonata a quella dell’arciera.
A quel pensiero, un’idea balzò improvvisa nella mente di Idril. Rinfoderò il pugnale, dopodiché corse verso uno dei tronchi e cominciò ad arrampicarsi con agilità. Percepì una della braccia di Talun colpirle la schiena come una frustata, ma nonostante questo la giovane ignorò il dolore e si portò sempre più in alto, aggrappandosi ai rami. Giunta alla giusta altezza gettò un’occhiata all’essere, che, come previsto, non riusciva a raggiungerla per via della sua attuale stazza.
Doveva fare in fretta, prima che Talun avesse il tempo di ritrasformarsi.
Idril imbracciò ancora il suo fidato arcò e scoccò immediatamente una freccia, che con un sibilo si conficcò proprio al centro del petto della creatura.  Barcollando incerto, Talun emise un basso e gorgogliante rantolo di dolore, per poi cadere in ginocchio. Alzò gli occhietti neri e furenti verso Idril, ma l’ultima cosa che poté vedere fu un’altra freccia, che si piantò esattamente nella sua fronte.  Dopo un istante di immobilità, si accasciò al suolo senza un suono.
Ancora ansimante per la fatica e con il cuore palpitante d’agitazione, l’arciera ridiscese lungo la corteccia, raggiungendo in una breve corsa Talun. Lo osservò attentamente per essere sicura di averlo eliminato sul serio, poi si concesse un sospiro. Era stata un’impresa impegnativa, ma alla fine ne era uscita vittoriosa.
Sollevò lo sguardo verso la misteriosa struttura che giganteggiava poco lontano. La sua parte istintiva e desiderosa di avventura che da sempre la caratterizzava, le suggeriva di gettarsi a capofitto all’esplorazione di quel luogo, per scoprire a discapito di tutto chi e cosa vi fosse all’interno.
Tuttavia, allo stesso tempo,  il suo lato più realista e profondo la rendeva consapevole di non poterlo fare. Se Talun, un semplice servitore, si era rivelato così forte, la creatura a capo di tutto quello doveva possedere sicuramente un potere ancora maggiore. Fronteggiarlo da sola era impensabile, doveva ritrovare gli altri, in un modo o nell’altro.
Uno strano rumore scricchiolante proveniente dal corpo di Talun attirò lo sguardo di Idril. Scuri fori crepitanti ricoprivano ora il corpo dell’essere, segno che  le sue parti avevano cominciato lentamente a disgregarsi. Sbalordita, la ragazza guardò Talun dissolversi in un pallida luce gialla, finché di lui non rimase solo un agglomerato polvere.
Con un sussulto l’arciera sbatté le palpebre, per poi contrarre il viso in un’espressione di puro sconcerto, alla vista di ciò che era apparso al suolo.
Non può essere!
Indietreggiò di un passo, come sei si fosse trovata all’improvviso di fronte ad una trappola.
Senza indugiare si voltò dalla parte opposta e ricominciò a correre, cercando di resistere alle stilettate di bruciore che la ferita sulla schiena le infliggeva. In un altro momento si sarebbe fermata a controllare l’entità della lesione, ma ora il tempo non glielo permetteva.
Doveva ritrovare gli altri al più presto e dire loro cosa aveva scoperto.
Un simile risvolto complicava notevolmente la situazione. Peggio di così le cose non potevano andare.
 
                                                                      °°°
“Dunque, questa è Glas Faraoise”
Una figura interamente avvolta in un lungo mantello nero scrutò da sotto il cappuccio il groviglio grigio-verde  di rami, tronchi, fronde e cespugli che formava l’ingresso dell’intricata foresta.
“Sei certa di quello che hai riferito alla roccaforte, Shipsail?” volle accertarsi.
“Sssicurissima” rispose con un ampio ed appuntito ghigno la ragazza alle sue spalle, gli occhi gialli che scintillavano trepidanti “Lo stesso Waldak ha controllato nella mia mente le informazioni. Non vi sssono dubbi, la seguo da giorni, anche dentro la foresssta non l’ho persa di visssta un attimo”
“Eccellente, allora non ci resta altro che addentrarci e trovarla”
“I Mildriend sono separati in questo momento, se non erro” notò una terza figura.
La donna incappucciata saettò lo sguardo verso la sua direzione.
“Certo. E con questo?”
“Riflettevo soltanto sul fatto che se ne incontrassimo uno la cosa potrebbe rivelarsi estremamente vantaggiosa. Dubito che uno di loro avrebbe speranze contro anche una sola di noi e Waldak sarebbe doppiante fiero se riuscissimo a mettere fuori combattimento qualche componente del gruppetto” rispose, incurvando le labbra rosse in un sorriso.
“Spiegati meglio”
“Pensavo che il compito di trovare la ragazza potresti svolgerlo tu, Night Mare, mentre Shipsail ed io cerchiamo i Mildriend. Potrebbe essere un’ottima occasione, questa, per liberarci di loro. Nel frattempo potremmo anche trovare il nostro obbiettivo, ma credo sia meglio dividerci i compiti”
“La trovo un’ottima idea!” esclamò esaltata Shipsail “Non mi dispiacerebbe entrare in azione sul serio, fino ad ora mi sssono sssolo limitata ad agire nell’ombra!”
Night Mare rifletté qualche istante prima di rispondere, poi annuì.
“Potrebbe funzionare, grazie ai miei poteri dovrei trovarla facilmente. Affido allora a voi il compito di occuparvi del resto, ma ricordatevi qual è il nostro obbiettivo. Non dobbiamo perdere tempo inutilmente”
“Non preoccuparti, sarà solo molto divertente!” e con una risata Shipsail si addentrò nella foresta per prima.
“Strano per te parlare in questo modo, il pensiero dei Mildriend soli e sperduti non sembra smuoverti. Questa potrebbe essere l’occasione giusta per fronteggiare una vecchia rivale” osservò Lunmoon, avvicinandosi di qualche passo.
“Ciò che conta è seguire la volontà di Waldak e non i nostri desideri. Avere successo nella missione e dare prestigio alla nostra roccaforte è la cosa più importante, adesso” rispose l’Alkres.
“Certo, ma a volte realizzare i propri desideri può portare beneficio non solo a noi stessi. Incrementare il proprio potere quando se ne ha l’occasione non è mai uno sbaglio, perciò ho deciso di sfruttare questa situazione a mio vantaggio”
Si incamminò decisa verso la foresta, poi voltò appena il capo in direzione Night Mare, guardandola con la coda dell’occhio “Come avevo predetto, Waldak mi ha ritenuto un valido elemento per la missione. Conosce i miei poteri e non mi avrebbe mandata qui senza una ragione. Concluderemo il tutto per il meglio, non temere”
E con queste ultime parole scomparve come un’ombra.
Night Mare, rimasta sola, fece scivolare la manica nera del mantello, scoprendo il polso su cui era ben visibile un cerchio nero. Il simbolo del suo ultimo fallimento.
Avanzò verso Glas Faraoise, nascondendo nuovamente il marchio sotto il tessuto. A conclusione di quella giornata, quel segno sarebbe scomparso, rimosso dalla stessa persona che glielo aveva inflitto. Ne era certa.
Si fece largo tra le fronde, lasciando alle sue spalle un sentiero di erba scura.
 
 
                                                                         °°°
Seduto sul tronco di un albero caduto, Nicklesh alzò di scatto il capo ed i suoi occhi vagarono verso l’alto speranzosi. Sorrise, quando alle sue orecchie giunse ancora una volta il fioco suono di un battito d’ali, preannuncio di ciò che stava per giungere.
Una candida sagoma bianca apparve tra i rami, rapida sfrecciò tra le fronde finché con un frullo d’ali non rallentò la sua andatura e si andò a posare delicatamente sul braccio dello Sneachta.
“Bentornato, Elathain” lo salutò, accarezzandolo “Sei riuscito a trovare qualcuno dei Mildriend?”
Lo scalpiccio di piccoli passi  strascicati ed il rumore di qualcosa che a fatica veniva trascinato furono la sua risposta. Poco lontano, una minuta figura dai capelli rosso-castani e dagli ostili occhi ambra cominciò a delinearsi in mezzo agli alberi.
Pietrificato sul posto e con gli occhi sgranati per lo sconcerto, Nicklesh osservò senza parole il bambino che lentamente si stava avvicinando a lui. Persino quando il ragazzino gli giunse ad un passo non disse nulla, limitandosi ad abbassare lo sguardo per vederlo meglio.
“Questa tua spada è odiosamente pesante, lo sai? Tieni, riprenditela” esordì seccamente Khaled, spingendola con sforzo verso lo Sneachta.
Nicklesh non rispose né accennò alcun movimento, completamente imbambolato.
“Mi hai sentito? Non ne posso più di trasportarla!”
Quasi meccanicamente, il ragazzo afferrò la spada e la rimise nel fodero, senza però smettere di fissare il Mildriend, che in meno di un istante si era appollaiato sul tronco con aria infastidita.
“Tu sei... veramente Khaled?” riuscì infine a parlare il giovane.
“Che razza di domande, certo che sono io!”
“Ma...ma sei...sei diverso! Sei...”
“Più basso?”
“Eccome! Per i ghiacci di Errach, sei un bambino!” esclamò, sconvolto “Cosa ti è successo?”
“Penso sia tutta colpa di quella maledetta fonte” sbottò rabbuiandosi “Non so dirti di preciso dove mi trovassi, ricordo solo che avevo un assoluto bisogno di bere e l’unica acqua che ho trovato è stata quella. Ne ho bevuta un po’ e in meno di un secondo mi sono ritrovato così”
“Capisco. È risaputo che fonti di quel genere siano incantate, ma non credevo che potessero portare simili effetti!”
“Per la precisione anch’io sospettavo che quell’acqua avesse qualcosa di strano, ma ostacoli come la sete sono difficili per tutti da superare” replicò con astio.
“Ce...certamente. Non era mia intenzione infierire...”
“Lascia perdere. Piuttosto, così quel pennuto è tuo” disse Khaled, indicando Elathain con un cenno del capo “Ora alcune cose sono più chiare. Scommetto che hai ottenuto tutte quelle informazioni su di noi attraverso lui”
“Sì, gli ho chiesto di seguirvi per un po’ e di riferirmi tutto ciò che riusciva a scoprire”
“Riferire?” ripeté dubbioso il Mildriend.
“Ricordi cosa vi ho detto qualche giorno fa? Sono in grado di capire il linguaggio di tutte le creature non-camuni di Erendhitum. Elathain non è un semplice falchetto, è un Imrael, abitante dei ghiacci del Regno degli Sneachta, abituato a vivere immerso nel gelo. All’interno dell’ala destra ha un simbolo, una vaga sfumatura azzurra sulle piume, che lo distingue dai falchi comuni. Per questo comprendo tutto ciò che dice”
Il volatile emise un verso acuto, come a conferma delle sue parole.
“Che ha detto adesso?” volle sapere Khaled.
Lo Sneachta esitò un attimo “Ha detto che ti trova estremamente irritante e che non ti perdonerà mai per aver pensato di mangiarlo”
“Non è da escludere il fatto che possa riprendere l’idea in considerazione” sbottò per risposta, voltando il capo altrove.
Nicklesh lo osservò un attimo, poi si rivolse al falchetto.
“Hai fatto un attimo lavoro. Ora dovresti rimetterti in cerca delle altre e portarle qui”
In men che non si dica, Elathain si rialzò in volo e con frullo d’ali scomparve ancora una volta.
Lo Sneachta osservò il volatile allontanarsi, poi si voltò verso Khaled, un ginocchio stretto al petto e il viso contratto in una smorfia.
Sebbene lo conoscesse da poco, aveva inquadrato subito che genere di carattere avesse il Mildriend: ostile, facilmente irritabile, chiuso, per nulla incline a fidarsi e pronto a contestare qualsiasi cosa dicessero gli altri. Il suo viso, proprio come in quel momento, era perennemente corrucciato o stizzito, eppure Nicklesh era convinto che ora in lui vi fosse qualcosa di diverso, oltre al solito astio che ogni giorno continuava tenacemente a mostrare.
“Qualcosa non va?” domandò dopo qualche istante di silenzio, incerto.
“No, sto benissimo. In fondo, esser tramutati in bambini è l’obbiettivo primario di tutti”
“Ammetto che in situazioni come queste non è il massimo del desiderabile. Ma, se guardiamo il lato positivo, sarebbe potuto capitare di peggio”
“Di peggio?” replicò Khaled “Cosa può esserci di peggio? Tornare un bambino è la cosa più odiosa ed orribile che possa mai capitare. Sei piccolo, basso, debole, imbarazzante. Un moccioso, nient’altro”
“Andiamo, non stai un po’ esagerando?”
“Niente affatto” si voltò di scatto ed una strana luce attraversò i suoi occhi “I bambini non sono in grado di disporre delle loro capacità, dipendono dagli altri, non sanno controllare nulla. E commettono degli errori.”
“Tutti i bambini sbagliano, è una cosa assolutamente normale” rispose Nicklesh, per poi emettere un sospiro “E’ quando sei più grande invece, che gli errori acquistano maggior peso”
“I bambini sono solo capaci di fare danni, per questo li detesto, ed essere tornato uno di loro è una disgrazia. Ma tanto tu non puoi capire, quindi è inutile che sprechi altro tempo a parlarne”
Con balzo ritornò a terra e si portò proprio di fronte allo Sneachta.
“Cambiando discorso, sappi che ci sono molte cose di te che non mi convincono. Ad esempio, la tua spada. Quando ho bevuto alla fonte tutto quanto è rimpicciolito con me, eccetto quella. Perché?”
“Non saprei dire, forse perché l’incantesimo ha colpito solo ciò che appartiene a te. La spada è mia, quindi non ha subito effetti” rifletté lo Sneachta.
“Potrebbe essere una possibilità, ma non sono convinto. Se nascondi qualcosa, puoi starne certo che lo scoprirò” dichiarò con forza e alla vista dell’espressione così decisa ma allo stesso tempo infantile di Khaled, Nicklesh trattenne a stento una risata.
“Ti prendi gioco di me, maledetto?” scattò subito il Mildriend.
“Non mi permetterei mai” rispose, ritornando serio “In ogni modo, spero che le altre stiano bene. Ho la sensazione che qui stia per accadere qualcosa, e preferirei che ci riunissimo tutti il prima possibile. Spero che Elathain faccia in fretta”
 
 
Alle sue spalle, il rumore acuto e stridente che credeva di aver sfuggito si fece via via sempre più forte, in un’inquietante e pericolosa sinfonia.
Con le gambe che le dolevano per lo sforzo ed il fiato corto, Astril gettò una fugace occhiata dietro di sé, constatando terrorizzata che le piccole creature verdastre dai denti acuminanti come lame incontrate tempo prima la stavano ancora inseguendo.
Si era ritrovata, dopo aver girovagato a lungo, in un ombroso sottobosco ricoperto da strati di fango spesso e vegetazione morta, così fitta che le aveva impedito di vedere con attenzione dove mettesse i piedi. Nel tentativo di arrampicarsi per uscire da quella sventurata zona, aveva calpestato lungo la salita qualcosa di secco e scricchiolante, che in men che non si dica le aveva morso con forza la punta dello stivale.
Trattenendo a stento uno strillo la principessa si era affrettata a ricominciare ad arrampicarsi, rendendosi presto conto di avere alle calcagna una decina di minuscole creature lucide e piatte, simili ad insetti.
Aveva rinunciato subito all’idea di combattere, considerando la sua incapacità a brandire un pugnale ed il foro che solo uno di quegli esseri le aveva procurato sulla scarpa.
Il rumore che le fauci di quelle bestie producevano incitarono Astril ad aumentare l’andatura. Stava per cedere dallo sfinimento, ma se si fosse fermata non avrebbe avuto alcuno scampo. Svoltò ansimando attorno a qualche corteccia alla ricerca di una via, ma con suo grande orrore fu costretta a fermarsi: una catasta di tronchi caduti giganteggiava dinanzi a lei, sbarrandole la strada ed impedendole di proseguire.
Non avrebbe saputo dire se quegli alberi si fossero trovati lì per puro caso oppure no, l’unica cosa di cui era certa era che non sarebbe mai riuscita a scalarli. Colta dal panico si voltò indietro, notando gli esseri che con grande rapidità si avvicinavano sempre di più. Il corpo pareva non voler più rispondere ai suoi comandi, completamente impietrito di fronte alla minaccia incombente.
Una delle creatura raggiunse per prima la ragazza, gettandosi addosso a lei con un energico salto e affondando i piccoli denti aguzzi nella sua mano destra.
Astril lanciò un grido, mentre cercava di scrollarsi di dosso l’essere, saldamente aggrappato con le fauci. Frattanto, il resto del gruppo si trovava ormai  solo ad un passo dalla principessa.
Terrorizzata Astril serrò le palpebre e scrollò ancora una volta la mano, pronta al peggio. L’avrebbero divorata, strappandole e sfregiandole le carni con quei denti affilatissimi, in una lenta agonia.
Tutto questo però non accadde mai.
Il rumore era all’improvviso cessato e tutt’intorno regnava il silenzio assoluto, eccetto un lieve crepitio.
Ansimante e tremando leggermente, la principessa aprì piano gli occhi, accorgendosi con immenso stupore del tappeto di corpi inceneriti davanti ai suoi piedi. La sua sorpresa fu ancora più grande, non appena vide la fiamma rossa ed ardente che riluceva nella sua mano, aperta.
Osservò la lingua di fuoco completamente ipnotizzata, poi d’istinto serrò la mano in un pugno. La fiamma si spense in un istante ed altrettanto velocemente ricomparve, quando la giovane riaprì le dita.
Un sorriso meravigliato increspò le labbra della principessa. Aveva appena usato uno dei suoi poteri e a quanto sembrava ora riusciva addirittura a rievocarlo, al contrario delle altre volte.
È...incredibile.
Fece cessare le fiamme, ancora un po’ frastornata. Quella era senza dubbio una buona notizia, dopo tanto tempo finalmente i suoi poteri avevano deciso di mostrarsi, ma vi era poco da rallegrarsi. Era riuscita a sconfiggere una minaccia, ma altrettante la attendevano dietro l’angolo.
Glas Faraoise era infinita e pericolosa ed aver perduto i compagni peggiorava nettamente la situazione. Erano tutti divisi, con ancora il problema della Gemma da trovare ed una creatura misteriosa con cui fare i conti.
Astril si rimise in cammino, sospirando. In realtà, non c’era proprio nulla da rallegrarsi. Si era salvata per un soffio e si era comportata nel modo più sciocco che potesse esistere.
Chiudere gli occhi non neutralizzerà i tuoi avversari!
Ricordava bene le parole dure e severe di Keira al suo primo allenamento, quasi le poteva sentire. Eppure, era più forte di lei. Non riusciva a impedirselo.
Un rumore scricchiolante la strappò bruscamente dai suoi pensieri ed Astril si arrestò di colpo, in allerta. Se si trattava ancora di quelle bestie, questa volta le avrebbe distrutte senza esitare.
Il suono sempre più sinistro attirò lo sguardo della principessa verso il basso. Spalancò gli occhi, per poi mettersi a correre più veloce che poté, mentre alle sue spalle il terreno cominciava a spaccarsi.
Fuggire non servì a nulla. La terra sotto i piedi di Astril sprofondò e la ragazza cadde insieme ad esso, senza poterlo impedire.
Con uno strillo, precipitò nel buio.
 
°°°
 
Al centro di un arcuato ponte roccioso scheggiato, Keira ridiscese lungo i dossi di roccia, per poi atterrare in piedi nel basso ruscello che dolcemente vi scorreva sotto.
Al posto di proseguire dritta e di immergersi nuovamente in una via di alberi fitti e soffocanti, aveva scelto di dirigersi verso ovest e di seguire il modesto fiumiciattolo che costeggiava le rive ricoperte di vegetazione.
Camminando spedita e sollevando schizzi d’acqua ad ogni passo superò la parete muschiosa da cui sgorgava una minuta cascata limpida e spumeggiante, rilucente ai raggi dorati del sole che a fatica filtravano attraverso le foglie ed i lembi di nuvola.
Keira serrò le labbra, facendosi forza per non voltarsi indietro e lasciarsi tentare. La sete che da qualche tempo l’aveva colta le faceva bruciare la gola terribilmente, ma non poteva correre il rischio di cadere sotto qualche incanto, dissetandosi con quell’acqua.
Passò di fianco a grossi massi disseminati lungo il torrente e dopo aver camminato ancora per un po’ si diresse verso la riva, svoltando a sinistra. Forse era una sua impressione, eppure quella via che si apriva in mezzo alla tenue nebbia assomigliava vagamente ad una traccia di sentiero. Senza lasciarsi pervadere dalla speranza e mantenendosi in allerta costante, Keira cominciò a percorrerlo, lasciandosi alle spalle il ruscello.
Non passò molto tempo, prima che la strada cominciasse ad inoltrarsi nella vegetazione, costituita da cespugli folti e strane piante intrecciate in viticci. Keira si fece largo fra le fronde, per poi inerpicarsi lungo l’ennesima salita e ritrovarsi innanzi lo stesso identico paesaggio.
La guerriera si fermò, scrutò con attenzione l’ambiente circostante, constatando di aver sbagliato ancora una volta strada. Aveva cercato come prima cosa di fuggire da alberi e natura opprimente ed alla fine, dopo tanto girovagare, vi era finita in mezzo comunque.
Glas Faraoise sapeva esattamente come portare allo sfinimento una persona, presentandole davanti ciò che meglio poteva danneggiarla, sia che si trattasse di illusioni o sentieri impossibili.
Tutto quello però non aveva importanza. Non si sarebbe mai arresa, di certo non per degli inganni come quelli. Si era imposta un obbiettivo e lo avrebbe raggiunto, a qualunque costo.
Un rumore in lontananza la face irrigidire all’improvviso, mettendo in allerta ogni suo senso.
Keira rimase completamente immobile, aguzzando l’udito per capire da dove provenisse il suono e dardeggiando lo sguardo da una parte all’altra.
“Ti sei perduta, Mildriend?”
Una voce piuttosto divertita proveniente da dietro le sue spalle la fece voltare di scatto, ma contro ogni sua aspettativa non trovò nessuno, se non la foschia e la solita flora.
Il suono di una risatina sommessa accompagnata dal fruscio dei cespugli riempì l’aria e a quel punto la guerriera di voltò nuovamente, ritrovandosi davanti una figura che mai si sarebbe aspettata di vedere.
“Non pensavo che avrei trovato così rapidamente uno di voi, ma a quanto sembra Glas Faraoise ha dimostrato di avere degli aspetti positivi” disse una ragazza slanciata e prosperosa con un sorriso, riemergendo dai cespugli ed avvicinandosi con sicurezza.
Sul viso chiaro un paio di occhi grigi dalle folte ciglia nere brillavano di un guizzo scaltro, sfiorati leggermente dalla frangetta che le ricadeva sulla fronte in ciocche leggermente scomposte. I capelli, blu cobalto, le giungevano sino alla schiena e le  labbra, rosse e lucide, erano distese in un sorriso compiaciuto.
Indossava una maglia accollata, un corpetto al cui centro vi era incastonata una gemma ad ellisse grigia e pallida, un paio di pantaloni e degli stivali a mezzo polpaccio. Attorno  il polso sinistro aveva avviluppato un bracciale impreziosito  da una pietra nera.
Keria rimase ad osservala per un istante, incredula che davanti a lei si trovasse davvero un’Alkres
“A quanto vedo non ho trovato una Mildriend qualsiasi, ma proprio Keira la guerriera. Sapevo che questa missione avrebbe portato incredibili vantaggi” riprese la donna, enigmatica.
“Chi sei tu e che cosa ci fai qui?” domandò la Mildriend fuor dai denti, sfiorando con le dita il manico del suo fidato pugnale.
“In effetti penso che questa sia la prima volta che ci incontriamo. Il mio nome è Lunmoon, molto piacere” rispose la donna, un’impronta di ironia nella voce.
Keira serrò le labbra, senza smettere di osservarla. Ancora non riusciva a credere che un’Alkres si trovasse proprio dinanzi a lei, in una situazione critica come quella in cui si trovavano. Non sapeva di preciso quale fosse il suo vero obbiettivo, ma se si trovava lì doveva esserci un motivo ben preciso e soprattutto, con molte probabilità, non doveva esser sola.
“Sei giunta qui per ostacolarmi? Sappi che non ho alcuna intenzione di perdere tempo prezioso, né a causa tua né a quella di chiunque altro” replicò, sguainando il pugnale.
“Ora capisco perché il tuo nome è così conosciuto, a quanto pare non ti lasci intimorire da nulla” osservò Lunmoon, senza smettere di sorridere “Dunque, siamo arrivati a quello che speravo”
“Avresti potuto attaccarmi subito, senza perdere tempo”
“Potrei dire la stessa cosa di te. Nel mio caso dipende dalle situazioni, anche se solitamente tendo ad interagire con i mei avversari. Vedere quanto facilmente si facciano manipolare è impagabile e tu non sei esclusa”
Keira non volle udire altro. Scattò verso la ragazza, pronta a trafiggerla con la lama del pugnale. L’Alkres non accennò alcun movimento, l’arma la colpì in pieno petto, ma al posto di rimanervi conficcata vi passò attraverso, sbilanciando in avanti la Mildriend.
La donna era scomparsa come una nuvola di fumo.
Un’illusione?
Keira si voltò rapida, giusto in tempo per parare l’affondo di un altro pugnale, in un suono acuto e stridente.
Lunmoon si liberò facilmente dalla situazione di stallo, per poi scagliare contro la nemica due fasci sottili e luminescenti blu elettrico, che Keira riuscì a schivare all’ultimo istante. Gli attacchi però non cessarono lì. Con un semplice gesto della mano una lama di pura energia venne indirizzata addosso alla Mildriend, che una volta attraversata dalla magia barcollò leggermente, come se l’equilibrio l’avesse all’improvviso abbandonata.
Un ginocchio a terra e la mano appoggiata ad un albero nel tentativo di non cadere al suolo, Keira guardò incredula l’Alkres, completamente incolume.
Dai rari scontri avuti con Night Mare credeva ormai di aver compreso di che genere fosse la magia degli Alkres, manifestata in maniere differenti da individuo a individuo ma comunque basata su energia oscura e potente, eppure, oltre ai tipici incantesimi, quella ragazza padroneggiava capacità magiche estremamente varie, cosa quasi impossibile da vedere, come quel singolare attacco che le aveva sottratto l’equilibrio.
“Siamo già giunte alla resa dei conti?” domandò Lunmoon, rigirandosi fra le dita il pugnale nero ed affilato.
Stringendo i denti Keira provò a rialzarsi in piedi, quando una pioggia di schegge di vetro rosso le giunse addosso. Nuovamente in grado di controllare il suo equilibrio riuscì a schivarne il più possibile, eccetto qualcuna che finì per trafiggerla superficialmente, riaprendo le precedenti ferite causate dalle spine.
Di nuovo un altro genere di potere.
Da tempo non le capitava di trovarsi così in difficoltà in un duello. Certo, si trovava da principio in condizioni svantaggiate, visto ciò che era successo in quei giorni a Glas Faraoise, ma Lunmoon era senza dubbio una maga davvero potente.
Doveva trovare una soluzione per fronteggiarla, possedeva ancora energie per combattere ma doveva valutare con cura le proprie mosse.
Lunmoon fece per scagliarsi contro la Mildriend, ma fu costretta a retrocedere quando una luce bianca ed abbacinante la colpì in pieno viso, accecandola per qualche istante. Keira tentò un affondo, per poi sottrarsi rapidamente dalla lama nemica.
Impassibile l’Alkres sfiorò con la punta delle dita il sottile taglio sulla propria guancia, poi si fece attenta.
“Guarda un po’, non avevo idea che sapessi padroneggiare la magia. Una sfera di luce, mh?” commentò interessata.
Ansimante e con la sferetta di Duilliur stretta in mano, Keira prese consapevolezza del fallimento del suo attacco. Aveva sperato in un effetto decisamente maggiore, dato il vantaggio che il suo potere le aveva portato durante lo scontro con Nicklesh, ma questa volta le era stato pressoché inutile.
Rinfoderò il pugnale per poi sguainare le due spade. Lunmoon non si scompose.
Una strana luce animava il suo sguardo grigio, una luce spietata ed enigmatica al tempo stesso.
“Sapevo che prima o poi questo scontro si sarebbe rivelato utile! La tua sfera di luce è un potere piuttosto mediocre, tuttavia interessante. In qualche modo si potrebbe ampliare. Mi piace”
Con le spade strette in pugno, Keira ritornò all’attacco. Lo scontro durò qualche tempo, in un continuo cozzare di lame, fino a quando Lunoon non riuscì ad infrangere la difesa della Mildriend.
Senza perdere tempo si portò vicina a Keira, che senza alcuna spiegazione si ritrovò inginocchiata, come spinta da una forza invisibile. Le spade erano ancora strette fra le sue mani, ma all’improvviso non riusciva neppure a sollevarle.
“Ho visto dell’ombra di sorpresa in te, durante il nostro scontro, ogniqualvolta che ho utilizzato poteri che teoricamente non dovrei poter padroneggiare. Anche adesso ti chiedi cosa sia questa forza che ti impedisce di muoverti. La verità, Mildriend, è che ciò che hai visto sino ad ora non corrisponde al mio potere” sorrise.
Keira non rispose, cercando di fare resistenza.
“Talvolta le magie più deboli possono rivelarsi in realtà le più potenti, se hai le capacità di sfruttarli al meglio. Ruberò la tua sfera di luce, così come ho fatto con altri prima di te”
Un’aura blu opalescente cominciò a delinearsi lungo il corpo di entrambe, sino ad avvolgerle. Nonostante cercasse di impedirlo, una strana stanchezza invase Keira, che sussultò non appena Lunmoon puntò una mano davanti a lei.
Da in ginocchio la Mildriend si ritrovò bocconi, sempre più debole e spossata. Cadde completamente ma tentò comunque di reggersi con le braccia, suscitando in Lunmoon una risata acuta e ricca di soddisfazione.
“Opporre resistenza non servirà nulla, ti renderà ancora più debole, e più sei debole, più la mia presa su di te sarà forte”
L’intensità aumentò, finché dal corpo della Mildriend non apparve un tenue bagliore bianco, che attraversò l’aura bluastra fino a confluire nel corpo dell’Alkres.
L’incantesimo a quel punto cessò. Una sfera bianca apparve sul palmo della mano di Lunmoon, che guardò con ironia.
“Una luce decisamente poco adatta a ciò che sono io” disse, ed in seguito alle sue parole la sfera cominciò a cambiare, tramutandosi in una luce blu-violacea sotto l’occhio semiaperto di Keira, inerme nel corpo, ardente di rabbia nell’anima.
Quella fu l’ultima cosa che riuscì a scorgere, prima di scivolare nel buio.
Soddisfatta del nuovo potere ottenuto, Lunmoon scoccò un’occhiata alla Mildriend, sconfitta.
Spero che Night Mare non se la prenda troppo pensò con una scrollata di spalle Avrà un’altra occasione per sistemarla, peccato solo che difficilmente la ritroverà in futuro in questo stato di iniziale debolezza.
Sorrise, poi si incamminò fra i cespugli, mentre la sua espressione diveniva seria. Chissà come stava procedendo la missione principale.
Forse Night Mare aveva già trovato la cameriera.


°Note dell'Autrice°
Buona serata (o buona mattinata, visto che sono le 00:25) a tutti voi lettori ^^ Pubblico un po' più tardi del solito, ma vari problemi tecnici mi hanno impedito di attuare i miei piani. Perciò, dato che è mezzanotte e siamo al 24, teoricamente è passato 1 mese ed 1 giorno dall'ultimo aggiornamento. Uff, volevo essere super puntuale, ma per stavolta va così x)
Non ho nulla di particolare da dire, a parte deliri temporali e comunicarvi che fra brevissimo tempo la "saga" di Glas Faraoise avrà termine,  2 o 3 capitoli massimo, non so bene ancora, e proseguiremo con nuove ambientazioni, arrivo di personaggi, casini, ritorno di gente  e molto altro.
Detto questo, un abbraccio e al prossimo aggiornamento! ^.^


The_Grace_of_Undomiel

 

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Capitolo 21
*** Incontri e separazioni ***



Incontri e separazioni
 
Felixia sbatté le palpebre un paio di volte, confusa, poi rivolse nuovamente lo sguardo verso l’alto, lungo le chiome verde scuro degli alberi. Forse si trattava di una sua impressione, eppure per un istante le era parso di aver visto un bagliore bianco illuminare quella zona lontana di foresta, una luce che tanto le ricordava quella padroneggiata da Keira.
Non voleva essere troppo ottimista, tuttavia qualcosa le suggeriva che quel fascio luminescente si fosse manifestato davvero, che non si fosse trattato di una sua illusione, e che appartenesse proprio alla Mildriend.
Con il cuore che batteva per l’aspettativa e cercando allo stesso tempo di scacciare l’idea di una possibile trappola, Felixia cominciò a correre verso quella direzione. Si inoltrò tra la vegetazione, alzando lo sguardo svariate volte nella speranza di scorgere ancora il bagliore, come punto di riferimento.
Esso tuttavia non si ripresentò nuovamente e più Felixia avanzava, più il dubbio di star sbagliando completamente strada si faceva assillante.
Dopo aver corso a lungo, rallentato, ripreso a correre, cambiato direzione e svoltato intorno ad ogni genere di pianta, Felixia ebbe la conferma di essersi davvero persa, quando un paesaggio del tutto nuovo si presentò dinanzi ai suoi occhi.
Grossi alberi scuri giganteggiavano imponenti, debolmente illuminati da innumerevoli globi giallo oro, stretti fra i sottili rami attorcigliati.
La ragazza osservò con meraviglia quell’incredibile fenomeno naturale, il primo che non avesse in sé tracce di inquietudine o di terrore.
Uno dei globi palpitante d’oro, poco lontano dai suoi piedi, la attrasse. Incerta Felixia si avvicinò e provò a sfiorare con la punta dell’indice la superficie della sfera, che si infranse in un lucente scintillio dorato, prima di ricomporsi nuovamente nel globo.
La giovane cameriera si lasciò sfuggire un’esclamazione emozionata ed in seguito ricominciò a spostarsi, sfiorando ogni sfera che riusciva a raggiungere, circondandosi di luce.
Si rendeva conto di star tenendo un comportamento decisamente infantile, ma uno spettacolo del genere non le sarebbe ricapitato mai più. Di sicuro Idril non avrebbe esitato ad unirsi a lei, anzi, si sarebbe inventata qualcosa di ancora più strano, e forse anche Astril. Non osava immaginare che espressioni avrebbero fatto Khaled o Keira, nel vederla.
Keira!
Felixia si arrestò all’improvviso, come ridestata da un bellissimo sogno. Persa in quel paesaggio si era quasi dimenticata del suo vero obbiettivo. Riacquisita consapevolezza di sé ricominciò ad avanzare, lasciandosi alle spalle, a malincuore, gli alberi e le sfere dorate.
Non riuscì però ad andare lontano.
Una forza invisibile le impedì di proseguire, respingendola indietro. Perplessa la cameriera riprovò altre volte, ma ogni suo tentativo fu inutile. Non riusciva ad avanzare, come se una barriera le stesse ostruendo la strada.
Capì presto che continuare ad insistere non avrebbe portato a nulla, perciò, data la situazione, non le restava altro che tentare dall’altro lato.
“Tornare indietro non servirà a niente, neppure provare ai lati. Ambedue le zone sono bloccate” la informò una voce, fredda come il marmo.
Felixia si ghiacciò sul posto, mentre il rumore di passi alle sue spalle si faceva più vicino. Si voltò impaurita, sgranando gli occhi quando il suo sguardo si andò a posare su una figura incappucciata di nero.
“T...tu?” balbettò, tremando leggermente.
“Ti ricordi di me, dunque, nonostante sia passato un bel po’ di tempo dal nostro ultimo incontro” rispose Night Mare.
Felixia non preferì parola, rigida e in allerta. Passò qualche istante di immobile e denso silenzio.
“Non serve che tu stia sulla difensiva in questo modo. Non sono qui per farti del male” la informò l’Alkres, ma la sua voce non trasmise altro che l’effetto opposto, infrangendo lo strano equilibrio che si era venuto a creare.
Felixia tentò di fuggire verso destra, ma ben presto un’altra forza la respinse indietro. Si spostò  poi da altre parti presa dal panico, sotto lo sguardo impassibile di Night Mare, che ancora non aveva accennato alcun movimento.
“Te l’ho già detto, l’intera zona è circondata da campi di forza. Non puoi uscire da quest’area”
Ansimante e terrorizzata, la cameriera si arrestò e la guardò nuovamente.
“Per...perché sei venuta in questo posto?”
“Per un unico obbiettivo: trovare te”
“Me!?” esclamò la ragazza, sbigottita. Cosa mai poteva volere da una come lei quell’Alkres e, soprattutto, perché non la stava attaccando come la volta precedente?
“Proprio così. Potrà sembrarti strano, ma ciò che desidero adesso è solo parlarti e pretendo che tu mi stia a sentire senza fiatare e senza muoverti. Sono stata chiara?”
Felixia, confusa, si limitò ad annuire. Night Mare la sondò attentamente per qualche istante, poi scosse il capo.
“Così evidente, ma allo stesso modo impossibile da credere...” mormorò tra sé e sé.
“La tua famiglia... dove si trova in questo momento?” domandò d’un tratto, lasciando l’altra di stucco.
“Io...io non ho una famiglia. Sono stata abbandonata da piccola, altri mi hanno accudita”
L’Alkres assentì, come se già avesse conosciuto la risposta.
“La a tua stirpe, invece. Sai a quale appartieni?”
“Non...non ne ho idea. La mia capigliatura presenta un colore sconosciuto, non sono riconducibile a nulla” rispose, sempre più confusa da quelle strane domande.
“Perciò, proprio come pensavo. Come ha ingannato noi e i Mildriend, ha ingannato pure te”
“Di cosa stai parlando?”
“Quello che tu chiami ‘colore’ non è altro che un incantesimo di occultamento, applicato su di te da qualcuno, affinché venisse celata la tua vera natura. La tua stirpe è nascosta, ciò che vedi è solo un’illusione”
“Illusione!? Non capisco, che stai…”
Ma Night Mare non la lasciò finire. Protese due dita verso di lei, mormorando qualche parola sconosciuta ed incomprensibile.
Il corpo di Felixia si irrigidì di colpo, poi, quando Night Mare spostò bruscamente la mano di lato, una forza sconosciuta si propagò intorno a lei, estendendosi sino a frantumarsi in innumerevoli schegge invisibili. Quasi le parve di udire i cocci cadere.
“Un incantesimo facilmente removibile, ma efficace per il suo scopo. Guardati, ora”
Felixia rimase immobile, titubante. Lo aveva desiderato per lungo tempo, ma ora che ne aveva l’ occasione aveva paura di scoprire la verità, timorosa di rimanerne delusa, o peggio, terrorizzata.
 La curiosità tuttavia era troppa e la ragazza non riuscì a impedire al suo sguardo di andarsi a posare sui suoi lunghi capelli.
Fu come cadere in un baratro.
“No...” boccheggiò, spalancando gli occhi sconvolta “NO!”
“È così” replicò Night Mare, mentre Felixia si sfiorava con dita tremanti i capelli blu cobalto.
“No, no, no! Non è vero! Non è vero!” continuava a scuotere la testa, indietreggiando.
“Il colore è un simbolo, lo è sempre stato. La tua chioma, come puoi ben vedere, è blu, il colore degli Alkres”
“Stai mentendo!” urlò Felixia, in procinto delle lacrime.
Tutto quello era solo un incubo, un atroce incubo. Lei non era un’Alkres, si trattava di una menzogna, una mera crudeltà nei suoi confronti.
“Non sto mentendo. Guardami”
Night Mare si abbassò il cappuccio nero, mostrando la chioma blu cobalto, stretta in una lunga coda alta.
“Il colore corrisponde. Sei un’Alkres, questo è evidente”
“Non ci credo, non ci crederò mai!” continuò ad urlare Felixia “Non sono un’Alkres, non posso esserlo. Non ho mai mostrato capacità magiche, io non sono come te!”
“No, tu non sei come me” ribatté l’altra, gelida  “Tu sei solo una povera sciocca, una sciocca che pretende ancora di vivere in un’illusione, nonostante la verità si trovi proprio davanti ai tuoi occhi. Il potere in questo caso non c’entra. Non tutti gli Alkres hanno padronanza della magia, così come le altre stirpi. Potresti non padroneggiarla mai o apprenderla con il tempo. Essendo rimasta in luoghi così opposti a quello che sei il tuo potere potrebbe essersi cristallizzato dentro di te. Questo è ancora da scoprire”
“Non mi interessa! Io non voglio nulla, non desidero il potere o cose simili!”
“Dicono tutti così, all’inizio. Ma l’oscurità fa parte di te e presto o tardi dovrai farci i conti. Hai avuto la fortuna di nascere dalla parte dei più potenti, dovresti esserne grata” si avvicinò ad una sfera dorata, su cui appoggiò la mano. Il globo cominciò pian piano a scurirsi, vibrando leggermente.
“Osserva, guarda quanto rapidamente il buio divora la luce. Non le lascia scampo, la soffoca, finché non la uccide”
Con un ultimo sussulto la sfera, divenuta nera, si staccò come morta, dissolvendosi poi  in una polvere scura.
“Che cosa vuoi da me? Perché sei venuta a dirmi queste cose!?”  gridò Felixia, ancora sconvolta.
“Perché in quanto Alkres, sebbene si tratti di una come te, il tuo posto è con noi, non con i Mildriend. Sono venuta a prenderti”
“Scordatelo, io non ti seguirò mai! Mai!”
Riprese a scappare, mentre le lacrime cominciavano a solcarle il viso. Doveva tornare da Astril, Keira, Idril e tutti gli altri. Quelli erano i suoi amici, e non ci avrebbe rinunciato per le menzogne di una maga.
Qualcosa la colpì alla schiena come un dardo, impedendole di proseguire. Felixia sussultò, prima di accasciarsi a terra senza un suono.
Night Mare si avvicinò al corpo privo di sensi, guardandolo con sufficienza.
Stupida. Non sarebbe andata lontano, con la barriera che circonda questo luogo.
Sfiorò appena la pietra nera del bracciale che aveva intorno al braccio, facendola rilucere per un istante di blu, bagliore che sia Lunmoon che Shipsail avrebbero ricevuto, come segnale della riuscita della missione.
Era giunto il momento di tornare alla roccaforte.
La ragazza si calò nuovamente il cappuccio sul capo, poi un lampo nero scaturì dalla pietra del suo bracciale, creando uno squarcio nell’aria.
Sollevò Felixia dal terreno poi varcò il portale, che subito dopo scomparve come se non fosse mai esistito.
Destinazione: Istakor.
 
 
 
Una freccia di un bianco candido volava fra gli alberi elegante e precisa, senza mai arrestarsi. Diversi metri più indietro, la giovane arciera la seguiva correndo e saltellando, cercando di non perderla di vista.
Non appena le si era presentato davanti, appollaiato su un ramo, Idril aveva sorriso rallegrata, avendo riconosciuto nel volatile lo stesso falco che aveva incontrato tempo prima.
Con semplici segnali le aveva fatto intendere di doverlo seguire e lei, sia per la sua curiosità sia perché in qualche modo sentiva di potersi fidare, non aveva esitato.
Non sapeva spiegarsi  il motivo, eppure qualcosa le suggeriva che quel falchetto non si trovasse in quel luogo per puro caso, ma che fosse giunto sin lì proprio per fornirle aiuto.
Una fitta le attraversò le spalle, facendole stringere i denti per il bruciore. La ferita provocatole da Talun si era rivelata più dolorosa del previsto, ma prima di concedersi una sosta e medicarsi era di vitale importanza ritrovare gli altri e rivelare loro la sua terribile scoperta.
In un’altra occasione non avrebbe esitato a dedicarsi subito alle cure mediche, come era solita fare sia con sé stessa che con i suoi compagni, ma per quella volta avrebbe dovuto fare un’eccezione.
Sgranò gli occhi e si arrestò di colpo, quando si ritrovò dinanzi al viso il falchetto, che volava intorno al suo capo come impazzito.
“Che succede? Cosa vuoi mostrarmi?” esclamò.
Riprese a seguirlo, inoltrandosi negli ultimi sprazzi di foschia, scostando cespugli e viticci per farsi strada.
Giunse infine vicino al volatile e ciò che vide la lasciò totalmente senza fiato. Una figura dai lunghi capelli rossi si trovava distesa a terra, priva di sensi, le spade debolmente strette fra le mani ed il corpo ricoperto di tagli.
“KEIRA!”
Si precipitò dalla Mildriend, raggiungendola in poche falcate e gettandosi in ginocchio al suo fianco.
“Keira! Keira, rispondi!” chiamò, scuotendola leggermente. La ragazza non accennò alcun movimento.
 “Cosa è accaduto? Riprenditi, per favore! Keira!” la scosse ancora una volta e d’un tratto un lieve tremito attraversò il corpo della Mildriend, che spalancò gli occhi acquamarina. Sbatté le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco il viso dell’arciera.
“Idril...” mormorò.
“Grazie ad Ailenia, che spavento” disse la giovane, tirando un sospiro di sollievo.
“Dove siamo?” domandò, spostando lo sguardo da una parte all’altra.
“Da qualche parte dentro Glas Faraoise” rispose, mentre la guerriera si rimetteva piano a sedere.
“Come ti senti? Sei ricoperta di ferite”
“Non ti preoccupare, sto bene. Si tratta solo di tagli superficiali” rispose brevemente, posandosi una mano sulla fronte “Ciò di cui ci dobbiamo preoccupare è ben altro, Idril. Gli Alkres si trovano qui”
“Cosa?” sobbalzò incredula.
“Una di loro mi ha attaccata e non sono riuscita a fronteggiarla. Abbiamo duellato per un po’, ma le sue capacità magiche mi hanno colta impreparata” represse un sibilo seccato, cercando di rimettersi in piedi con l’aiuto dell’arciera “Possedeva un vasta quantità di incantesimi diversi e penso che me ne abbia mostrato appena una parte, poteri non tipici di un’Alkres”
“Che vuoi dire?”
“Credo che li abbia sottratti a precedenti avversari, in qualche modo. Ha...fatto la stessa cosa con me, rubandomi la sfera di luce. Perciò mi hai trovata in questo stato, ed anche adesso mi sento stranamente debole”
“Stai dicendo...che non possiedi più magia nel tuo corpo? Ha rubato il tuo potere!?” esclamò sconcertata.
“Sì, ma adesso non c’è tempo per questo, ti spiegherò più tardi. Dobbiamo ritrovare gli altri al più presto. Andiamo...” fece per avanzare, ma le ginocchia cedettero sotto il suo peso e la ragazza fu costretta ad appoggiarsi ad Idril, che la sorresse.
“Non andrai molto lontano in queste condizioni. Prima di tutto devo medicare le tue ferite” affermò con un sorriso.
“Non è questo il problema, Idril. La mia è solo spossatezza causata dalla perdita di potere. Mi rimetterò presto”
“Forse, ma è meglio non rischiare. Ci metterò poco, vedrai!”
Keira sostenne il suo sguardo, poi sospirò, capendo che continuare ad opporsi non avrebbe portato a nulla. Nel tentativo di tornare seduta appoggiò una mano sulla spalla dell’arciera, a cui sfuggì un piccolo lamento,  insospettendo di conseguenza la Mildriend.
“La tua schiena...sei ferita!”
Ritrasse le dita, per poi guardarla severamente “Dunque sarei io a rischiare in continuazione? Che cosa ti è accaduto?” domandò, mentre l’arciera cominciava a medicarle i tagli.
“Mi trovavo in una delle tante zone di Glas Faraoise quando d’un tratto ho scorto Talun, l’essere con cui aveva parlato Nicklesh non appena siamo entrati qui. Data la situazione ho deciso di seguirlo, ma mi ha vista e subito dopo mi ha attaccata.  Lo scontro è stato molto impegnativo, soprattutto perché Talun si è rivelato essere un muta-forma”
“Un muta-forma?”
“Sì, tuttavia sono riuscita ad eliminarlo e...” si bloccò all’istante, colta all’improvviso da una consapevolezza.
“Per Ailenia! Come ho potuto dimenticarmene?” si sbatté il palmo della mano sulla fronte “Keira, ho scoperto delle cose, durante lo scontro. Questo posto, Talun...non sono quello che sembra!”
“Cosa? Che vuoi dire?”
“Quando ho sconfitto quell’essere, le parti del suo corpo hanno cominciato lentamente a disgregarsi finché di lui non è rimasto altro che cenere. Incuriosita ho guardato meglio a terra e così facendo mi sono accorta che...la polvere rappresentava un disegno, due quadrati leggermente inclinati di differenti dimensioni, uno dentro l’altro. Lo stesso simbolo di Miradis!”
A quelle parole, un brivido attraversò la schiena di Keira, sbigottita.
 “Questo significa che quella creatura… era maledetta? Della stessa maledizione dell’indovina?”
“Non saprei rispondere, l’unica cosa di cui sono certa è la perfetta somiglianza dei simboli”
Se le parole di Idril corrispondevano alla realtà, la situazione era divenuta ancora più catastrofica: la creatura, gli Alkres e l’oscura maledizione si trovavano al momento tutti riunti all’interno dell’impossibile Glas Faraoise.
Idril narrò poi della misteriosa struttura che aveva scoperto, mentre Keira cercava di medicarle la ferita. A fine racconto ambedue si rialzarono in piedi, quando il falchetto bianco ricomparve nel loro campo visivo.
“Questo volatile...non è lo stesso che abbiamo visto tempo fa?” domandò Keira.
“Esattamente. Non so perché si trovi qui, ma è stato lui a condurmi da te. Penso che in qualche modo possa aiutarci a ritrovare gli altri!” sorrise.
“Forse. Ricorda che non dobbiamo essere troppo avventati nel riporre la nostra fiducia” rifletté “Ma se davvero è stato questo falco a fare in modo che ci ritrovassimo, allora lo seguiremo. Non ci resta altra scelta”
°°°
 
Non avrebbero saputo dire di preciso quante ore fossero passate, ma la luce dorata che filtrava leggermente fra le chiome degli alberi suggeriva loro di trovarsi attualmente nel primo pomeriggio.
Nicklesh, seduto sul tronco di un albero caduto, osservava distrattamente i dettagli della propria spada, nonostante li conoscesse ormai a memoria, mentre Khaled non faceva altro che spostarsi ed abbarbicarsi da una parte all’altra, impaziente.
“Il tuo pennuto è sparito da ore. Comincio a pensare che non lo rivedremo mai più” disse, in piedi sul tronco e con le braccia strette al petto.
“Ho fiducia in Elathain, non mi ha mai deluso. Sono certo che prima o poi farà ritorno” tentò di rassicurare, sebbene anch’egli cominciasse a sentirsi preoccupato. In effetti era già trascorso del tempo da quando il falco si era allontanato.
“Aspetteremo ancora per un po’, ma dopodiché, se non sarà tornato, dovremo assolutamente elaborare un piano. Non ho intenzione di attendere qui delle ere, c’è ancora quell’essere, Ferimorn o come hai detto che si chiama, con cui fare i conti e non voglio rimanere in questo stato un minuto di più!”
“Lo comprendo bene, però...”
Un verso limpido e squillante lo interruppe, facendo immediatamente voltare sia lui che Khaled.
Elathain apparve ancora una volta come una nuvola bianca e lucente, ma al contrario di sfrecciare rapido raggiunse il suo padrone in pochi e semplici battiti d’ali, per poi appoggiarsi con le zampe al suo braccio. Subito dopo di lui, altre due figure cominciarono ad avvicinarsi, l’una sorretta all’altra.
Entrambi riconobbero all’istante le due Mildriend, inconfondibile l’arciera che aveva iniziato ad agiare un braccio, e senza esitare le raggiunsero, con Khaled poco più indietro.
“Idril, Keira! Come state, che cosa vi è accaduto?” domandò Nicklesh, sgranando gli occhi alla vista delle condizioni delle due ragazze e avvicinandosi per aiutarle.
“È una lunga storia. Dobbiamo parlare con gli altri, si trovano qui?” tagliò corto la guerriera, scostando lo Sneachta e lasciando andare il braccio dalle spalle dell’arciera.
Nicklesh fece per rispondere, quando al suo fianco giunse Khaled.
“Si può sapere che è successo?” sbottò  “Vi abbiamo aspettato per tantissimo tempo. E le altre due che fine hanno fatto?”
Con gli occhi spalancati e la bocca schiusa, le Mildriend non diedero alcuna risposta, pietrificate sul posto. Passò qualche istante di sconcertato silenzio, prima che Idril si lasciasse andare ad una limpida risata.
“Cieli stellati! Ditemi che non me lo sto immaginando!” continuò a ridere, provocando l’immediata reazione di Khaled.
“Stai zitta, Idril. Non c’è nulla di divertente!” sfuriò, stringendo i pugni.
Keira, ancora stranita, non disse nulla, per poi sbattere le palpebre nel tentativo di ritrovare la ragione, che per un attimo sembrava averle giocato un brutto scherzo.
“Ma che diamine sta succedendo qui? Khaled, che significa tutto questo? Perché sei un…un bambino!?”
“Ha detto di aver bevuto ad una fonte. Presumo fosse incantata” rifletté Nicklesh.
La Mildriend si posò una mano sulla fronte, sospirando seccamente “Dovevo immaginarlo. Ci mancava solo questa. Non avresti potuto cercare di essere più attento?”
“È stato un incidente, sarebbe potuto capitare anche a voi, se è per questo!” scattò il ragazzino.
“Quanta acqua hai bevuto, all’incirca?”
“Non ne ho la più pallida idea, avevo sete e ne ho bevuta un po’. L’unica cosa che so è che sono bloccato in questo stupido corpo da stanotte, maledizione!”
“Andiamo, non te la prendere così tanto!” ridacchiò Idril, inginocchiandosi per giungere alla sua altezza e sporgendosi in avanti con un sorriso divertito “Ma guarda un po’, non ricordavo che avessi questo visino da piccolo, anche se non sei cambiato tanto devo dire. Forse all’epoca avevi la faccia più paffuta” proseguì incuriosita, pungolandogli la guancia con l’indice.
“Piantala subito, Idril!” sbraitò con voce infantile, schiaffeggiandole la mano.
Decisamente quell’inconveniente era l’ultima cosa di cui avessero avuto bisogno, tuttavia, doveva riconoscere Keira, con quella voce e quell’aspetto Khaled stava risultando piuttosto divertente.
“Questo complica la situazione, ma almeno la prossima volta eviterai di cedere” disse con biasimo.
“Non ti ci mettere anche tu, Keira! Non trattarmi come se fossi un moccioso”
“Perché, adesso cosa saresti?” replicò la ragazza seria, scoccandogli però un’occhiata  vagamente divertita, che fece fremere Khaled di rabbia.
Come aveva predetto, Idril e Keira non avevano mancato a modo loro di infierire. Sbottò imprecazioni rivolte al nulla, ma non aggiunse altro.
“In seguito vedremo di risolvere anche questo problema. Al momento ci sono questioni molto più urgenti di cui parlare” riprese Keira con voce grave.
Raccontò tutto ciò che lei ed Idril avevano scoperto, dell’arrivo degli Alkres, della posizione dell’enigmatica struttura e del simbolo di Talun, senza tralasciare nulla. Mentre l’espressione di Khaled diveniva sempre più sbigottita ed attenta, quella di Nicklesh mutava da confusa e spaesata ad incredula.
Nel giro di pochi istanti si era ritrovato come spettatore esterno e più parole udiva meno riusciva a comprendere quale significato o legame avessero con i Mildriend. Ora che ci rifletteva con attenzione, nessuno gli aveva mai rivelato il loro vero obbiettivo, perché mai si fossero fatti condurre in quella foresta.
“La situazione dunque è questa. Le cose si sono complicate notevolmente, ma ora che conosciamo la posizione del covo di questo essere penso che sia giunto il momento di agire, prima di subire altri attacchi. Dobbiamo risolvere almeno parte di questa storia” sintetizzò Keira a fine racconto.
“Per una volta mi trovo d’accordo” annuì Khaled “Dannazione, tutto questo proprio non ci voleva” strinse i denti.
“Aspettate un momento!” intervenne allarmato Nicklesh, interrompendo la discussione e attirando gli sguardi su di sé “Sinceramente mi sento molto confuso! Alkres, simboli, maledizioni... che significa tutto questo? Cosa sta succedendo? Non capisco!”
“Nulla che debba riguardati, a dire il vero. Tuttavia, dato che per una serie di avvenimenti sei finito in mezzo a questa storia, se riusciremo ad uscire vivi da qui ti verrà data qualche spiegazione. Fino ad allora, non porci domande” replicò Keira duramente.
La situazione aveva preso all’improvviso una piega del tutto inaspettata, confermando i dubbi che aveva sempre avuto Nicklesh riguardo alla loro missione. Non per nulla aveva detto ad Elathain di seguirli, quando li aveva visti per la prima volta.
Sebbene desideroso conoscere di più, il ragazzo si limitò ad annuire.
“Che cosa facciamo, adesso?”  domandò Idril “Di Astril e Felixia non vi è traccia!”
“Nemmeno noi le abbiamo più viste e neppure Elathain durante le sue esplorazioni” rispose Nicklesh rivolto a falco, appollaiato su un ramo lì vicino.
“Elathain, mh? La tua fonte di informazioni” commentò Keira.
“Vi avrei parlato anche di questo, in seguito...” abbassò lo sguardo.
“Ha poca importanza, adesso. Riguardo ad Astril e Felixia non possiamo attendere oltre. Se riusciremo ad eliminare questo essere...”
“Ferimorn, così si chiama”
“Ferimorn” calcò bene le parole, imprimendosi il nome nella mente come fuoco “Se lo sconfiggeremo, allora forse riusciremo a ritrovarle. Nel frattempo speriamo che non sia accaduto nulla di male. Allora Idril, ti ricordi dove si trova quel posto?”
L’arciera se lo rammentava alla perfezione, dunque non restava altro che mettersi in marcia ancora una volta. Dopo aver bevuto ciascuno un sorso d’acqua dalla fiasca di Nicklesh, i quattro cominciarono ad avanzare sotto la guida di Idril, mentre Elathain si rialzò in volo, per continuare a cercare la principessa e la cameriera.
Attraversarono la foresta senza incontrare alcun ostacolo. Idril li guidava sicura, certa della via che dovevano percorrere. Giunsero nella zona costeggiata dagli alberi mastodontici e da lì proseguirono, finché la struttura, un’inquietante groviglio di rami verde scuro, non cominciò ad apparire all’orizzonte.
Continuarono a camminare, sbalorditi per quell’immagine, ed infine, attraversati gli ultimi cespugli, arrivarono a pochi passi da quello che sembrava essere l’accesso.
Diversi rami incurvati ad arco si susseguivano ritmicamente, concludendosi davanti a due profonde e scure voragini all’interno della dimora di rami.
Nell’aria regnava un fitto ed immobile silenzio, come se lì non vi fosse stato nessuno, mentre l’ambiente era avvolto da una strana sfumatura verdastra, sicuramente un’illusione magica.
Alla fine, dopo tanto girovagare e dopo una serie infinita di peripezie, erano arrivati alla resa dei conti. Erano giunti sin lì con facilità, senza essere ulteriormente ostacolati, forse perché persino lo stesso Ferimorn desiderava adesso avere un vero e proprio confronto.
La prima ad infrangere lo strano equilibrio fu Keira, che avanzò decisa verso i due passaggi, attraversando gli archi con il resto del gruppo alle sue spalle.
“Siamo arrivati sino a qui, ma adesso quale strada dobbiamo prendere, secondo voi?” chiese Idril. Entrambe le gallerie, illuminate debolmente da vaghi bagliori dorati lungo le pareti di rami intrecciati, proseguivano verso l’ignoto, perfettamente uguali.
“Ecco, lo dicevo io. Tutto troppo facile e adesso siamo bloccati ad un passo” sbottò Khaled.
“A questo punto non ci resta altro che una soluzione, anche se avrei preferito evitarla” parlò Keira, dopo qualche riflessione “Dobbiamo dividerci”
“Cosa!? Di nuovo?” esclamò con seccata esasperazione il Mildriend “Ma ci siamo appena riuniti!”
“Lo so, non lo proporrei se avessimo altre possibilità. Però non ci sono. Sarebbe meglio essere insieme nel caso di uno scontro con Ferimorn, ma anche affidarci ad un’unica strada lo trovo un rischio”
“Sono pienamente d’accordo, dividerci è l’unica soluzione, anche se non delle migliori” concordò Nicklesh, che aggiunse con un sorriso “Se per voi va bene, io prenderei quello di sinistra, mentre voi tre quello di destra”
“Che? Tre ed uno? Ma che razza di divisione è mai quest...” cominciò a protestare Khaled, ma venne prontamente interrotto da Keira, che accettò la proposta dello Sneachta.
 “Bene, allora sarà meglio incamminarci. Forse i due passaggi potrebbero persino riunirsi da qualche parte, considerando la struttura. Vi auguro buona fortuna”
Con queste ultime parole, il ragazzo si addentrò nel passaggio. Grazie ai bagliori, la via che si inoltrava nell’oscurità era in parte illuminata, permettendo così di vedere dove mettere i piedi.
Le pareti e il soffitto erano costituiti interamente da ramoscelli, mentre il suolo non era altro che uno strato di terra compatta e fango.
Proseguendo lungo la strada, Nicklesh si rese presto conto che il passaggio lo stava conducendo in profondità, verso il sottosuolo, perciò la struttura doveva svilupparsi interamente verso il basso, al contrario di come appariva all’esterno. Un altro degli enigmi di Ferimorn.
Sospirò, ripensando a ciò su cui avevano discusso i Mildriend. Talun era stato ucciso e a quanto sembrava aveva su di sé uno strano simbolo riconducibile alla maledizione di una certa ‘Miradis’, nome appena accennato ma che aveva scatenato in loro grande preoccupazione. E riguardo agli Alkres…
Un sottile scricchiolio lo strappò dai suoi pensieri, arrestando il suo cammino. Lo Sneachta posò concentrato una mano sull’elsa della spada, poi, dopo un’istante di immobilità, si voltò di scatto, brandendola di fronte a sé.
Rimase del tutto stupito quando si ritrovò dinanzi il viso serio di Keira, a un millimetro dalla punta della lama.
“Keira!” esclamò, abbassando l’arma “Che cosa ci fai tu qui? Non avevamo detto di dividerci?”
“Ed infatti è così. Khaled ed Idril stanno attraversando l’altra galleria”
“Sì, ma se non sbaglio ci eravamo accordati in un altro modo” rispose cauto.
“L’accordo è cambiato, anzi, non l’ho accettato sin dall’inizio”
“Come? Allora perché non l’hai detto subito?” domandò, spalancando gli occhi azzurri.
“Per evitare inutili discussioni, dato il poco tempo a nostra disposizione. Dividerci due a due è molto più sensato, perciò ho deciso di seguirti. Ma adesso basta parlare. Dobbiamo trovare Ferimorn”
Così lo superò, incamminandosi.
Ancora lievemente frastornato Nicklesh si apprestò a seguirla. Dopotutto, avrebbe dovuto immaginarlo: avevano accettato le sue singolari condizioni senza contrastarlo, anzi, la stessa Keira era intervenuta in suo favore, cosa decisamente strana ed impossibile, a ben pensarci.
Le scoccò un’occhiata, mentre la Mildriend proseguiva imperterrita. Il suo corpo slanciato e nervoso era ricoperto da piccoli tagli medicati in maniera decisamente rudimentale ed il suo passo pareva più affaticato rispetto alle sue solite andature rapide.
A quanto aveva udito, era stata una di quelle Alkres, popolo malvagio confinato, teoricamente, dalla maga Ailenia, a ridurre in quello stato Keira e ad averle persino sottratto il potere. Non osava immaginare quanto dovesse esser forte la sua avversaria, per essere riuscita a sconfiggere la stessa Keira che giorni prima lo aveva disarmato in poche mosse.
“Hai detto di esserti scontrato con un certo Girien, mentre ci trovavamo separati” parlò d’un tratto Keira.
“Esatto, si trattava di uno degli emissari di Ferimorn” rispose, per poi aggiungere “In ogni modo, non è apparso nessun simbolo particolare quando l’ho sconfitto, se te lo stai chiedendo”
Keira si irrigidì impercettibilmente, infastidita da quell’intervento.
“Non mi stavo riferendo a quello, ma al fatto che Ferimorn, secondo le parole di quella creatura, sia così desideroso di incontrarti. Hai idea del perché?”
“A dire il vero, no” rispose Nicklesh stringendosi nelle spalle “Il Tessitore sosteneva che il motivo si limitasse semplicemente al fatto di averlo già incontrato e di essere riuscito per pura fortuna a sfuggirlo. Forse vorrebbe avere un ultimo confronto con me, prima di farmela pagare”
“Tutto qui? Non ha detto nient’altro?” continuò Keira, mentre il cunicolo li conduceva sempre più in profondità.
“No, non mi pare” replicò lo Sneachta, accigliandosi lievemente.
“Strano che un essere come Ferimorn si interessi ad incontrare nuovamente un viandante di passaggio per motivi così futili. Ci si aspetterebbe una ragione molto più seria, qualcosa per cui valga la pena discutere”
A quelle parole, Nicklesh si fermò.
“Di che cosa mi stai accusando, Keira?”
La ragazza non proseguì oltre e si voltò verso di lui, seria.
“Accusare non è il termine corretto. Cercare di comprendere è più appropriato”
Lo Sneachta la guardò sinceramente perplesso “Comprendere? Non so a cosa tu ti stia riferendo”
“Non provare a prenderti gioco di me, o degli altri. Non ho idea di chi tu sia, ma mi non sembri il tipo da avventurarti da solo in cunicolo misterioso senza una valida ragione”
“Ora capisco. E  la valida ragione... dovrebbe essere incontrare Ferimorn per riferirgli qualcosa?”
Dunque, ecco così svelato il vero motivo per cui Keira aveva deciso di seguirlo:  non per fornire supporto o per dividere il gruppo in maniera più ragionevole, come aveva sostenuto, ma per tenerlo sotto controllo.
“Forse, l’opzione non è da escludere”
“Non sono un suo emissario e neppure un traditore!” esclamò, incredulo per quell’insinuazione  “A quale scopo aiutarvi e accompagnarvi sino a qui? Non avrebbe alcun senso!”
“Non ho mosso alcuna accusa nei tuoi confronti, sto solo facendo delle supposizioni. Se effettivamente non vi è nulla da dover nascondere, allora potrai spiegarmi perché tu abbia deciso di dirigerti qua da solo”
A quelle parole, un’ombra di esitazione attraversò lo sguardo di Nicklesh, che tacque.
“Allora?” incalzò Keira dopo qualche istante di silenzio.
“Ecco, in verità...”
Un violento scossone attraversò le pareti di rami, impedendogli di proseguire. Sia Keira che il ragazzo barcollarono vistosamente, in balia di quella forza improvvisa e devastante.
“Cosa sta succedendo?” urlò Nicklesh, cercando di sovrastare il boato e di non perdere allo stesso tempo l’equilibrio.
Keira non rispose, dardeggiando lo sguardo da una parte all’altra del cunicolo, nel tentativo di comprendere da dove si stesse propagando quella scossa.
Accadde tutto così rapidamente che quasi fu impossibile accorgersene: con un ultimo sobbalzo il terreno cedette sotto i loro piedi, aprendosi in una voragine profonda ed oscura.
Tempo un istante, la terra li trascinò con sé.
 
°°°
Un odore fresco e pungente le giunse alle narici, facendole arricciare appena il naso. Improvvisamente ridestata Astril sollevò di colpo le palpebre, trovandosi dinanzi ai suoi occhi un immagine che la lasciò del tutto sbigottita.
Rami spessi e resistenti si chiudevano intorno a lei in una crisalide di liane e viticci verde scuro, addossata in alto alla parete di secca vegetazione.
Riacquisita sufficiente lucidità, la principessa si sporse in avanti, appoggiando la mani su quelle che parevano essere le sbarre della sua prigione e gettando un’occhiata fra i rami robusti.
Le pareti ed il soffitto della stanza circolare in cui si trovava non erano altro che un groviglio di tralci e radici, da cui si diramava un’infinita varietà di piante, alcune dai colori spenti e opachi ed altre di un verde brillante.
Stretti fra la vegetazione contorta, numerosi bagliori dorati disseminati lungo l’intera stanza illuminavano l’ambiente di una luce calda e vivida.
Tuttavia, oltre a ciò non vi era nient’altro.
Astril continuò ad osservare la stanza, nel tentativo di capire in che luogo si trovasse e come ci fosse finita. Passò lo sguardo su una delle pareti, quando i suoi occhi vennero nuovamente attratti nello stesso punto.
La principessa aggrottò la fronte, stringendo irrequieta le dita intorno ai rami. Forse si era trattato di una sua impressione, eppure per un istante le era parso che due bagliori in particolare avessero vibrato di una luce ancora più intensa.
Con il cuore palpitante per la preoccupazione, Astril cominciò a scrollare con foga i rami  nel tentativo di spezzarli, con scarsi risultati. Spinse contro tutto il suo peso, sferrò calci, diede spallate ma ogni suo sforzo fu vano.
Schiuse le dita della mano ed una piccola sfera di fuoco apparve ardente e crepitante nel palmo. La scagliò contro, ma i rami, invece di incenerirsi, assorbirono l’incantesimo senza subire il minimo danno.
Un mormorio sconsolato sfuggì dalle labbra della ragazza. Inutile, era bloccata.
“Pensavi forse che una semplice sferetta di fuoco potesse disintegrare quella crisalide?”
Una voce stridente proveniente dal nulla la fece sobbalzare spaventata. Colta da un presentimento la principessa saettò lo sguardo verso la parete di poco prima, su cui ora sfavillavano un paio di occhi gialli e micidiali.
La vegetazione intorno ad essi ebbe un tremito, mentre uno scricchiolio, come il suono di infinite foglie autunnali spezzate sotto le suole, cominciò a diffondersi.
I tratti di un figura sottile e slanciata si delinearono nella parete, da cui si allontanò con un semplice movimento, sotto lo sguardo sbigottito di Astril.
Il corpo di un verde vivido, screziato talvolta in sfumature verde muschio, era avvolto in una stretta veste di liane lisce e larghe, che risalivano sino a creare un elaborato intreccio attorno al collo. Dal capo un intricato intreccio di radici si sviluppava verso l’alto nel forma di una corona, punteggiata da frammenti di vetro chiaro.
Sul viso dai tratti affilati vi era infine un ghigno aguzzo e maligno, così come la luce che animava lo sguardo dell’essere.
Alla sua vista, Astril rimase completamente priva di parole. La creatura apparsa possedeva tratti incredibilmente umani, rispetto a tutti gli altri esseri che le era capitato di incrociare nel suo cammino.
Ma soprattutto, aveva appena parlato nella sua lingua.
“Ti stupisce il fatto che io conosca il tuo linguaggio, umana?” parlò d’un tratto, quasi le avesse letto i pensieri dalla sua espressione “Quelli come me hanno conoscenze decisamente più vaste rispetto alle semplici creature che popolano questo posto”
“Chi...chi sei tu?” balbettò la principessa “Dove mi trovo?”
“Gli umani, così stupidi ed ottusi da non riconoscere neppure chi hanno di fronte. Eppure, visto sin dove sei arrivata, pensavo di poterti considerare un essere quasi intelligente. A quanto pare non è così. Il mio nome è Ferimorn, conosciuto anche come il padrone di Glas Faroise”
La principessa sgranò gli occhi, incredula di trovarsi dinanzi alla creatura artefice dei tormenti che lei e tutti gli altri avevano subito in quei lunghi giorni.
“Riguardo all’altra domanda, ci troviamo nella mia dimora sotterranea. E tu, più precisamente, in una gabbia incantata”
Con un semplice gesto delle dita, la crisalide in cui era intrappolata la ragazza cominciò a vibrare, mentre le liane che la tenevano ancorata alla parete presero ad allungarsi, portandola sempre di più verso terra, sino a renderla alla stessa altezza di Ferimorn.
“Decisamente meglio” sibilò avvicinandosi alla principessa, solo i rami della gabbia a separarli.
“Dimmi, umana. Qual è il tuo nome?”
“A...Astril” balbettò lei terrorizzata, gli occhi fissi in quelli luminosi dell’essere.
“Astril, uhm? Un nome estremamente insignificante, come vi era da aspettarsi da una piccola ed inetta creaturina come te. Mi sorprende che in questi giorni tu non abbia trovato la morte, ero certo che con l’ultimo attacco saresti stata dilaniata, eppure hai saputo cavartela, segno che nonostante tutto in te vi è qualcosa, anche se debole come quelle vampate di fuoco. Ma non è questo ciò che conta. L’unico motivo per cui ti trovi qui, è perché ho bisogno che tu risponda a delle domande”
“Quali... quali domande?”
“Sei giunta qui con diverse persone, tra cui un ragazzo con i capelli bianchi, Nicklesh, se non erro” nel pronunciare quel nome, la sua voce divenne ancora più stridente “Ebbene, voglio che tu mi dica tutto quello che conosci su di lui”
La principessa sobbalzò impercettibilmente, colta alla sprovvista. Perché quell’essere le stava chiedendo proprio dello Sneachta? Forse per i precedenti che il ragazzo aveva raccontato loro?
“Io... non so nulla” mormorò.
“Non mentire” i suoi occhi sfavillarono nuovamente  “Non sei nella posizione per farlo, adesso. Se si trova in questa foresta con te e con il resto degli umani, significa che lo conosci”
“In realtà non è proprio così. Si è unito al nostro gruppo da poco tempo”
“Potrà anche essere vero, ma nei giorni in cui siete stati qui hai avuto modo di osservarlo, questo è ovvio. Considerati inoltre facilitata, non vi è disonore nel tradire qualcuno di cui conosciamo così poco” sogghignò con ferocia.
Astril si morse nervosa il labbro inferiore. Si sentiva terrorizzata da Ferimorn, tuttavia non avrebbe fornito alcun genere di informazioni su Nicklesh. Forse non poteva ancora definirsi loro amico, ma in quei giorni era stato di prezioso aiuto, spesso salvandoli da qualche trappola e mettendo a repentaglio persino la sua stessa vita pur di impedire che Khaled venisse schiacciato da quel ramo mastodontico.
Per questi motivi, non poteva permettersi di tradirlo.
“Te l’ho già detto, davvero non conosco nul...”
Una mano si serrò intorno alla sua gola, mozzandole il fiato e impedendole di proseguire. Senza che se ne fosse resa conto, il braccio sinistro di Ferimorn si era tramutato in una liana, che sottile aveva attraversato le sbarre di rami sino a giungere da lei.
“Mi stai davvero sfidando, umana? Sei così desiderosa di incontrare la morte?” i suoi occhi ora parevano due braci ardenti “La mia pazienza ha un limite. Uh?”
Ferimorn si accigliò lievemente, sollevando lo sguardo verso l’alto, poi sorrise.
“Bene, vedo che alla fine anche il resto della tua compagnia è giunto qui. Si trovano ancora piuttosto in alto e direi che sono separati. Forse è giunto il momento di dare una svolta alla situazione”
Un boato attraversò la struttura, che prese a tremare violentemente. Astril si aggrappò ai rami e mugugnò qualcosa, la voce soffocata dalla mano di Ferimorn.
“A questo punto, dovrebbero trovarsi tutti nell’ultima stanza sotterranea” rivelò la creatura, cessata la scossa, poi allontanò la mano dal volto di Astril.
“Sarà meglio che li raggiunga, mentre tu attenderai qui. Non provare a forzare i rami, poiché più lo farai più si stringeranno intorno a te. Visto che hai avuto l’ardire di sfidarmi, quando tornerò qui metterò gli altri umani in queste gabbie, che li stritoleranno uno ad uno sino a soffocarli, davanti ai tuoi occhi. Perciò, cerca di non morire adesso. Prima vorrai rivederli, immagino”
Con un gesto della mano, la prigione ritornò in alto al proprio posto, mentre Astril gridava inutilmente di fermarsi.
Ferimorn la ignorò, mentre il suo corpo sprofondava lentamente nel terreno.
Tempo un istante era già scomparso.

*Note dell'Autrice*
Buona sera a tutti voi lettori ^^ Questa volta pubblico qualche giorno prima del solito poiché esattamente un anno fa, più o meno visto che tra un minuto è mezzanotte accidenti, ho pubblicato il 1° capitolo di Mildriend e, insomma, volevo festeggiare l'anniversario x) Devo dire che mi provoca una sensazione davvero strana, non riesco a credere che sia già passato così tanto tempo. Mi sento molto diversa rispetto all'anno scorso, su tantissimi aspetti, sento di essere migliorata in quanto stile e tecnica e questo lo devo in buona parte a voi, grazie ai vostri preziosi consigli e al vostro sostegno, che ogni giorno mi da quello sprint in più per immergermi nella scrittura :3 Grazie di cuore, davvero.
Spero che il capitolo -un po' più lungo lo ammetto, ma spezzare mi sembrava davvero superfluo- vi sia piaciuto, siamo alla resa dei conti di Glas Faroise ;D e spero che la storia continui a piacervi. Data la lunghezza, sarà un viaggio lungo e se vorrete continuarlo insieme a me io ne sarò davvero felice <3
Che dire, alla prossima!


The_Grace_of_Undomiel


 

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Capitolo 22
*** Scontro nelle profondità ***



Scontro nelle profondità
 
Alla vista della profonda e oscura voragine che ampia giganteggiava nel soffitto di rami, la prima domanda che Keira si pose fu quanto in fondo la terra li avesse trascinati.
Distesa al suolo e lievemente stordita, la guerriera si rimise piano a sedere, scrollandosi di dosso frammenti di radici e i residui di fine terriccio. Poco lontano alla sua destra vi era Nicklesh, ancora privo di sensi ma all’apparenza totalmente incolume, ad eccezione di qualche graffio rossastro.
Si sporse verso di lui, scuotendolo bruscamente per una spalla. Il giovane riaprì gli occhi azzurri immediatamente, ritrovandosi dinanzi il viso serio di Keira e, sopra la sua testa, l’enorme voragine da cui erano precipitati.
“Dove siamo finiti?” domandò, aggrottando la fronte nello sforzo di ricordare.
“Non ne ho la più pallida idea, ma presumo piuttosto in profondità. Il boato di prima deve aver frantumato il suolo, conducendoci sin quaggiù. Riesci a muoverti?”
“Sì, direi di sì” rispose, rimettendosi anch’egli seduto e scoccando un’occhiata all’ambiente circostante. Si trovano all’interno di una sala ampia e spaziosa,  costituita interamente da secca vegetazione, come sempre illuminata da infinite sfere dorate disseminate lungo tutte le pareti.
Verso il fondo, ai lati opposti della stanza, vi erano due gallerie, probabilmente la conclusione dei passaggi che avevano precedentemente intrapreso.
Sobbalzò, quando scorse due figure distese non molto lontano da uno degli accessi.
“Keira, guarda!” esclamò, indicando qualcosa alle sue spalle e facendola voltare di scatto. Riconoscendo immediatamente Idril e Khaled, la Mildriend si rialzò in piedi e in poche falcate li raggiunse; fortunatamente anche loro non parevano mostrare particolari ferite. Cominciò a scuoterli ed infine, dopo qualche tentativo, entrambi si ripresero.
“Dunque ci troviamo nelle profondità della struttura?” commentò Khaled poco tempo dopo, scoccando occhiate malevole lungo l’intero ambiente.
“Così sembrerebbe, non vi sono altre vie o cunicoli che conducano ancora più in basso” rispose Idril, che aveva già provveduto ad esplorare in lungo e in largo la singolare sala in cui si trovavano.
Con la fronte contratta e lo sguardo rivolto verso l’alto, Keira osservava indecifrabile la profonda voragine scura. Era certa che il boato di poco prima non fosse stato semplicemente un fenomeno naturale, ma che dietro vi fossero forze ben più potenti, quasi sicuramente ad opera di Ferimorn. Doveva averli condotti lì per un motivo, forse per uno scontro diretto, eppure nulla si era ancora mostrato.
Continuò ad osservare per qualche istante l’ambiente circostante, poi distolse lo sguardo, un sibilo seccato stretto fra i denti. Non sapeva spiegarsi il motivo, eppure quello strano luogo aveva in sé qualcosa di fastidiosamente famigliare.
“Magnifico, quindi adesso siamo in trappola” sbottò il Mildriend, roteando gli occhi innervosito “Proprio l’ultima cosa che sarebbe dovuta capitare”
“Siamo stati colti di sorpresa e non abbiamo potuto fare nulla per impedirlo. Vedremo di trovare una soluzione, per il momento cerchiamo di riflettere con lucidità e di mantenerci vigili. Non sappiamo quando e come il nemico potrebbe attaccarci” rispose Keira.
“Ciò di cui sono certo è che per l’ennesima volta ci troviamo in balia di Ferimorn e dei suoi maledetti giochetti. Restare qui con le mani in mano non ci aiuterà a risolvere la situazione!”
“Non vi è altro posto in cui andare, lo hai detto tu stesso. Siamo in trappola” replicò Keira, indirizzandogli un’occhiata tagliente “Perciò, l’unica cosa che adesso possiamo fare è attendere, a meno che tu non abbia in mente qualche idea migliore”
Un lampo d’ira attraversò gli occhi di Khaled, fissi in quelli gelidi di Keira. Insieme all’atmosfera di incertezza ed irrequieta aspettativa vi era ora un evidente clima di tensione, che poco giovava alla situazione già critica in cui si trovavano.
Poco lontano, Nicklesh li osservava in silenzio. Non li aveva mai visti così tesi prima di allora, non solo Khaled, che spesso era incline a scatti di rabbia di quel genere considerando poi la spiacevole condizione in cui si trovava attualmente, ma anche Keira pareva più irrequieta, quasi non fossero stati gli eventi o l’essere bloccati la causa, ma proprio l’intero luogo. 
Anche Idril si era fermata ad osservarli e dal modo in cui il suo sguardo di spostava ora su Keira, ora su Khaled, lo Sneachta era piuttosto certo che dietro vi fosse ben altro di un semplice confronto.
Ancora una volta, era bastato un istante per renderlo spettatore di qualcosa a lui sconosciuto.
Un fosco rumore scricchiolante catturò  la sua attenzione, strappandolo bruscamente dai suoi pensieri.
Appena in tempo riuscì ad accorgersi della lunga e spessa liana che rapida come un dardo era scattata verso di lui, pronta a colpirlo.
Il ragazzo schivò lateralmente, sottraendosi per un soffio da quell’attacco a sorpresa. Gli altri non ebbero neppure il tempo di realizzare che cosa stesse accedendo, che altre liane apparvero improvvisamente, scagliandosi verso di loro.
Altrettanto repentina Keira evitò la pianta, per poi sguainare in un rumore stridente le sue due fidate spade e tagliare di netto una delle tante liane.
Così, il loro nemico aveva deciso infine di fare la sua mossa. La ragazza scoccò velocemente un’occhiata intorno nel tentativo di individuarlo, ma di Ferimorn non vi era ombra, forse nascosto da qualche parte nelle vicinanze.
Altre liane si scagliarono contro di lei e nuovamente Keira le falciò con la sua lama, nello stesso modo in cui, qualche giorno prima, aveva tagliato i rami di spine. Alla sua sinistra, non avendo le armi adatte per spezzarle, Idril schivava con agilità impressionante, sottraendosi ad ogni attacco.
Lievemente più indietro, dopo aver faticosamente evitato qualcuna delle liane, Khaled sguainò la spada corta, impugnandola saldamente tra le mani. Una pianta scattò verso la sua direzione ed il Mildriend si preparò a tagliarla di netto, quando Nicklesh si frappose rapido fra lui e la liana, spezzandola con un solo colpo di lama.
“Perché lo hai fatto? Non mi serve il tuo aiuto!” esclamò Khaled con rabbia, il volto contratto in un’espressione di accesa determinazione.
“Quella spada non è in grado di spezzare liane resistenti come queste, ora è troppo piccola!” rispose Nicklesh, voltando appena il capo verso di lui “Finirebbe solo per frantumarsi”
“Cosa? Non è vero! La mia spada va benissimo!” controbatté fuor dai denti.
L’arrivo di ulteriori piante li interruppe. Nicklesh ne tagliò qualcuna, mentre Khaled fu costretto all’ultimo istante ad evitarle. Barcollò goffamente verso sinistra e per poco non cadde a terra, instabile sulle sue gambe da bambino.
Represse un sibilo  seccato, ritrovando l’equilibrio. Accidenti al giorno in cui aveva bevuto da quella fonte, anzi, al giorno in cui erano entrati nella foresta, tutto per trovare un gemma di cui ancora non avevano visto neppure l’ombra, a causa di Astril, che pareva esser scomparsa nel nulla.
Chissà dove accidenti era andata a finire.
 
 
Con le dita nervosamente serrate ai rami della crisalide in cui era imprigionata, la principessa sobbalzò agli indistinti rumori provenienti da un punto non ben definito, suoni che tanto le ricordavano quelli di una battaglia.
Probabilmente Ferimorn aveva deciso infine di sferrare il suo attacco, dando inizio ad un acceso scontro. Il solo pensiero bastò perché il suo cuore cominciasse a galoppare forsennato nel petto ed i suoi occhi saettassero irrequieti lungo tutti i lati della gabbia, in cerca di una soluzione all’apparenza insistente.
Non poteva forzare i rami o sferrare calci per provare spezzarli, poiché la gabbia, secondo quanto dettole dalla creatura, si sarebbe ristretta intorno al suo corpo sino a soffocarla. Persino le sue sfere di fuoco si erano rivelate inutili contro quella crisalide.
La ragazza prese un profondo respiro, cercando di ritrovare la calma. Lasciarsi pervadere dal panico non avrebbe risolto in alcun modo la situazione, anzi, l’avrebbe peggiorata ulteriormente.
Un altro rumore le giunse alle orecchie ed Astril serrò le palpebre nel tentativo, almeno per un istante, di estraniarsi da ciò che poco più in basso stava accadendo e di riflettere con lucidità.
Nonostante i suoni poco rassicuranti non vi era nulla di cui preoccuparsi, certa che Keira e gli altri stessero riuscendo a tenere testa a Ferimorn, solo, per quanto potente, contro ben cinque di loro. Sicuramente anche Felixia stava cercando a modo suo di fornire il suo contributo in quella battaglia, e come lei la principessa non sarebbe stata da meno.
Fu allora che un improvviso ed abbacinante bagliore dorato si stagliò nell’oscurità delle palpebre chiuse, accecandola paradossalmente per un istante.
Confusa e con un gemito spaventato fra le labbra, la giovane riaprì di scatto gli occhi e ciò che si ritrovò dinanzi la lasciò totalmente senza fiato.
Rami e viticci luminescenti si stagliavano in tutta loro imponenza, fittamente attorcigliati intorno ad un oggetto, pulsante di pura luce aurea.
Ferita da quelle lame rilucenti, Astril si schermì gli occhi con un braccio, appena in tempo prima che il bagliore la investisse in pieno.
Passò qualche istante prima che la principessa si decidesse a sollevare lo sguardo, ansimante e con il cuore che rimbombava nelle orecchie da quanto palpitava veloce.
Si trovava di nuovo nella prigione di Ferimorn, la luce e la parete sembravano esser sparite, sebbene nella sua mente un vago puntino dorato continuasse a fiammeggiare vivo ed instancabile, in attesa di essere raggiunto.
Quasi in un gesto meccanico, la ragazza poggiò lievemente le mani sui rami della crisalide. Dalle sue dita, una sottile scia di fuoco si propagò lungo l’intera trappola, i cui contorni cominciarono a brillare di un rosso ardente.
La crisalide rilucé con ancora più intensità, prima di frantumarsi in polvere scura, come se mai fosse esistita. Perduto il sostegno la principessa cadde giù, ma il suo corpo non precipitò mai a terra, sostenuto da due morbide e larghe liane che d’un tratto erano spuntate dalle pareti, richiamate dalla sua volontà.
La posarono dolcemente al suolo per poi ritrarsi, mentre Astril avanzava fuori dalla stanza, attraverso la piccola spaccatura che si era venuta a creare fra la vegetazione.
Consapevole di quale fosse la giusta direzione e con i rumori della battaglia che si facevano sempre più lontani, la ragazza proseguì nelle tortuose gallerie della struttura, aggirando la vegetazione debole o frantumata in seguito allo scossone.
Più avanzava, più la grandezza del bagliore aumentava, fisso nella sua mente. Ormai mancava ancora poca strada.
Le sue gambe si muovevano da sole e la sua mente errava verso la luce, unico elemento che i suoi occhi riuscivano a scorgere, esattamente come era accaduto tempo prima ad Ait Hiding e nel Regno dei Nureyel.
Comprese di essere arrivata quando l’oro sostituì ogni colore esistente. La luce brillava intensa, avviluppata intorno a rami e viticci.
Astril si avvicinò, distinguendo ad ogni passo nuovi dettagli, riconoscendo, per quanto piccoli, gli scheggiati contorni di un cristallo.
La gemma dei Syrma.
Una volta giunta dinanzi, Astril si arrestò, per poi allungare la mano ed afferrare in un unico gesto la gemma, mentre le altre due pietre brillavano a loro volta di rosso e verde, filtrando attraverso la tasca del corpetto in cui le teneva nascoste.
Gli occhi della ragazza si riempirono totalmente di luce, prima di venirne travolta.
 
 
In uno scatto repentino, Keira ruotò il busto verso sinistra, tagliando in un solo colpo di spade l’ennesima liana che le si era scagliata contro. Le membra indolenzite e la fronte imperlata di sudore, portò nuovamente lo sguardo dinanzi a sé, pronta a distruggere senza tregua le prossime piante, ma a dispetto di ogni aspettativa non trovò nulla, se non il vuoto.
Si arrestò di colpo, le spade a mezz’aria strette in mano ed il fiato corto. Allo stesso modo i compagni al suo fianco si fermarono, confusi da quell’improvvisa quiete.
Le liane ed i viticci che sino ad un istante prima li stavano attaccando erano scomparsi.
Rigidi e in allerta, il gruppo continuò a guardarsi intorno, in attesa della prossima mossa.
“Ebbene? Si può sapere che sta succedendo?” sbottò aspro Khaled, stringendo nervosamente l’elsa della spada corta, sebbene gli fosse stata per tutto il tempo completamente inutile.
“Quanta impazienza ragazzino, è così ardente il tuo desiderio di incontrare la morte?”
Una voce stridente riempì l’aria, proveniente da un punto a loro sconosciuto.
Keira saettò immediatamente lo sguardo verso le pareti di vegetazione, in cerca di una qualunque protuberanza fra i rami.
“È inutile che ti ostini a provare ad individuarmi, guerriera. I tuoi occhi da umana non sono in grado di captare i miei movimenti”
La voce ora pareva essersi spostata, riecheggiante da ogni lato.
“Mostrati alla luce, Ferimorn” ordinò la Mildriend, guardinga “Non puoi continuare a nasconderti”
“Oh, e cosa di dice che io lo sia?” replicò la voce, ora più vicina.
Rapidi si voltarono alle loro spalle, ritrovandosi così dinanzi, pochi passi a separarli, la figura di Ferimorn. Slanciato e sottile, se ne stava completamente immobile, le braccia di rami strette al petto e i piccoli occhi rilucenti di un bagliore giallo. Sogghignò, leggendo nei loro volti lo stesso stupore che aveva colto precedentemente Astril.
“Siete forse sorpresi di sentirmi utilizzare il vostro linguaggio, o di vedermi con questo aspetto, umani?”
“Con tutto quello che abbiamo affrontato da quando siamo qui, oramai abbiamo imparato ad aspettarci qualsiasi cosa” replicò la Mildriend, tagliente.
A quelle parole, il sorriso della creatura assunse un’impronta di divertito compatimento.
“Dunque, vediamo se riesco ad indovinare. Tu devi essere la temeraria Keira, dico bene? La più ansiosa di incontrarmi, dati i moniti che non hai fatto altro che rivolgermi quando ti trovavi in solitudine. Spero che il ricordo che ti ho mostrato sia stato di tuo gradimento”
La giovane fremette appena, l’espressione gelida, ma Ferimorn neppure la considerò, l’attenzione rivolta a qualcun altro.
“Tu invece… Idril. Devo averti sottovalutato, non immaginavo che saresti riuscita addirittura a sconfiggere Talun, piccola scalatrice di alberi”
Ignorò totalmente Khaled, rivolgendosi infine allo Sneachta.
“Ne è passato di tempo, Nicklesh. Hai fatto di tutto per non ascoltare i miei richiami, ma alla fine ci siamo incontrati nuovamente. Per quale motivo sei ritornato nella mia foresta, in compagnia di queste persone?”
“Dovresti saperlo già, Ferimorn. Dopotutto, non sei il padrone di Glas Faroise?” replicò il ragazzo, il tono duro come mai prima di allora.
“Quanta ostilità, non è nella tua indole”
“Mi rivolgo così ai miei nemici” rispose, le stesse identiche parole che, giorni prima, aveva utilizzando contro Talun.
“Basta con questi discorsi, creatura maledetta” li interruppe Khaled, puntando la spada verso l’essere “Ci hai condotti sin qui per uno scontro diretto, allora mostraci ciò di cui sei capace. Oppure ora che sei sprovvisto di servitori e che le tue liane si sono rivelate inutili la situazione per te si è fatta critica?”
“Giusto, mi ero completamente dimenticato della tua presenza” disse fintamente accorato “Hai un bel coraggio a definire le mie liane inutili, quando altri hanno pensato a difenderti. Non mi pare che con quella ridicola spada tu abbia fronteggiato anche uno solo dei miei attacchi, moccioso”
“Sei stato tu a tramutarmi in un ragazzino!” rispose fuori dai denti, una scintilla d’ira ad attraversargli lo sguardo.
“Qui ti sbagli, e su due aspetti differenti. Tu stesso hai bevuto da quella fonte, perciò la causa principale della tua condizione non sono io, ma la tua mancanza di resistenza, di cui, rispetto al resto del gruppetto, tu sembri il meno provvisto. Inoltre, la proprietà di quell’acqua non consiste nel trasformare colui che si disseta in un bambino, no. Le sue caratteristiche sono molto più sottili ed interessanti, ma questo forse persino tu stai iniziando a capirlo”
Un inquietante sorriso compiaciuto increspò il suo volto, gli occhi scintillanti di un bagliore maligno. Fremente di rabbia, Khaled abbassò suo malgrado lo sguardo e serrò con ancora più forza le dita intorno all’elsa della spada, in cerca dell’autocontrollo che via via stava cominciando ad abbandonarlo.
“Smettila di prenderti gioco di noi, Ferimorn” riprese severamente parola Keira, stanca di quella situazione “Che cosa vuoi veramente?”
“Da voi? Assolutamente nulla, inutili creature. L’unico che mi interessa è lui” indicò con un cenno del capo Nicklesh.
 “Ho un patto da proporti, ragazzo. Non so se sia stata per reale abilità o per pura fortuna, tuttavia in passato sei riuscito ad uscire da qui incolume, sfuggendo addirittura dalla mia presa. Questo significa che in te vi è qualcosa in più rispetto a quegli stolti della tua specie, qualcosa che solo con il mio aiuto potresti riuscire a sviluppare adeguatamente. Perciò, ti offro il privilegio di unirti a me. Abbandona questi inetti e diventa un mio emissario. Puoi starne certo, non te ne pentirai”
Calò il silenzio. Ognuno di loro si voltò a guardare Nicklesh, rimasto immobile e silente, un ombra ad oscurargli il viso. Dopo qualche secondo, il ragazzo si incamminò verso la creatura, che con un ghigno aveva teso nella sua direzione la mano secca e sottile.
Impassibile, Keira udì mormorare Idril un ‘no’ incredulo, mentre Khaled sibilò con odio ‘traditore’.
Nicklesh giunse dinanzi a Ferimorn, che annuì soddisfatto.
Ciò che ne seguì accadde tanto rapidamente che quasi fu impossibile da scorgere.
La spada che lo Sneachta aveva sguainato calò rapida verso l’essere, che con un solo gesto afferrò la lama affilata in un pugno, per poi scaraventarla insieme al ragazzo contro la parete più vicina.
Polvere e terriccio si sollevarono nell’impatto.
“Nicklesh!” urlò Idril.
“Dunque hai scelto. Povero sciocco” commentò Ferimorn sprezzante, prima di indirizzare una liana verso Keira, che repentina si era scagliata contro di lui. Colta di sorpresa, la ragazza non riuscì a tagliarla e fu costretta ad evitare lateralmente la pianta, che riprese subito ad attaccarla, impedendole così di fare nulla se non continuare a schivare.
Poco distante Idril imbracciò l’arco pronta a colpire il nemico, quando una spina acuminata indirizzatale dalla creatura si andò a conficcare nel suo braccio sinistro. Un gemito sofferente le sfuggì dalle labbra e la freccia che aveva scoccato mancò completamente il bersaglio.
Sia l’arciera che Keira si trovavano in difficoltà, la seconda ancora impegnata a schivare l’attacco della pianta, e Khaled, nonostante la sua condizione, non aveva alcuna intenzione di restare in disparte. Scattò verso Ferimorn, ma non riuscì neppure ad avvicinarsi: una liana, più sottile delle precedenti, schioccò contro le sue caviglie come una frusta, facendolo cadere a terra.
Una pioggia di spine lo raggiunse a gran velocità ed il Mildriend ne sarebbe rimasto trafitto se qualcuno non lo avesse afferrato per un braccio all’ultimo istante, sottraendolo così dall’attacco.
“Stai bene?” domandò preoccupato Nicklesh, i vestiti in più punti strappati e macchiati da qualche goccia rossastra.
“Sì, ma dobbiamo aiutare Keira!” replicò per tutta risposta Khaled, sottraendosi bruscamente dalla sua presa.
“Lo so” scoccò un’occhiata alla ragazza, che per l’ennesima volta schivò con una capriola “Quella liana è terribilmente veloce. Ci penso io, tu nel frattempo rimani un attimo qui”
“Cosa? Vorrai scherzare!”
“Abbiamo avuto modo di vederlo entrambi, la tua spada non è in grado di scalfire quelle piante. Da qui Ferimorn non dovrebbe curarsi della tua presenza, osservalo e cerca di individuare il suo punto debole, deve essercene per forza uno”
Il Mildriend era già sul punto di contestare nuovamente, ma infine, suo malgrado, si ritrovò ad annuire.
Tranquillizzato, lo Sneachta si rigettò nella battaglia. Non sapeva che cosa fosse accaduto, ma era certo che Ferimorn fosse ora molto più potente rispetto alla prima volta in cui, nascosto nell’ombra, lo aveva attaccato. In che modo, durante quel tempo, aveva acquisito così tanta forza?
Ancora non riusciva a capacitarsi della folle proposta che gli aveva rivolto. Non si sarebbe unito a lui neppure se si fosse trovato da solo e di certo non lo avrebbe fatto ora che si trovava in compagnia di persone con cui aveva affrontato pericoli ed avversità, persone con le quali aveva instaurato un legame. Forse il sentimento non era ricambiato, ma avrebbe fatto comunque qualsiasi tentativo per aiutarli.
Raggiunse la liana che stava braccando Keira e sollevò la spada per tagliarla, ma la pianta si aprì in due prima che potesse anche solo brandire il colpo: la Mildriend, ansimante e ricoperta di polvere, lo aveva anticipato.
“Non riusciremo ad andare avanti così per molto...” disse allarmato Nicklesh.
“Questo è poco ma sicuro. Continuare ad attaccarlo singolarmente non porterà a nulla. Dobbiamo colpirlo tutti insieme, solo così potremo riuscire ad infrangere la sua difesa” rispose la guerriera.
Urlò il nome di Idril, che frattanto era stata costretta a mettere da parte l’arco, al momento inutile, e a sguainare il pugnale. La giovane schivò con la solita rapidità uno degli attacchi e poi li raggiunse.
“State finalmente pensando ad una strategia, umani? Sarebbe anche ora” ironizzò Ferimorn, poco lontano “In ogni caso sarà inutile. Vi renderò inermi, tutti voi, dopodiché vi metterò in trappola, insieme alla vostra amica dalla chioma bicolore”
“Sta parlando di Astril!” esclamò ansiosa Idril.
“Allora è per questo che Elathain non è riuscito a trovarla. Si trovava già qui” mormorò il ragazzo.
“Dite che anche Felixia sia da qualche parte in questo posto?”
“Non lo so e al momento non possiamo occuparci di questo” li interruppe Keira. Notando il braccio ferito dell’arciera, sguainò il pugnale prediletto dalla cintola e glielo porse. Dato che non poteva utilizzare l’arco, forse in quel modo sarebbe stata meno svantaggiata.
“Nicklesh ed io lo attaccheremo per primi e mentre lui sarà impegnato con noi, tu ti occuperai del resto” sussurrò.
Idril annuì con un sorriso determinato e a quel punto la Mildriend e lo Sneachta si lanciarono contro Ferimorn, che indirizzò loro una contorta diramazione di radici. Entrambi riuscirono a spezzarle e la creatura si preparò con un sogghigno a crearne altre. Solo allora un presentimento lo colse e notò appena con la coda dell’occhio l’arciera, spostatasi lateralmente, lanciare nella sua direzione i due pugnali. Quello di Keira si andò a conficcare nella sua spalla, mentre quello di Idril nel costato.
Uno stridio acuto proruppe dalla sua gola e la creatura,  stupita dalla precisione dell’arciera, barcollò appena. Sfilò con uno strattone entrambe le armi e le scaraventò da parte.
“Maledetti umani...” disse, senza però perdere traccia del ghigno, lo sguardo ancora più acceso di prima.
Fece per avanzare, ma si bloccò quando percepì qualcosa di appuntito colpirlo nella schiena.
Dietro di lui, Khaled imprecò. La sua piccola spada si era conficcata ma non lo aveva trapassato ed era rimasta incastrata nel corpo della creatura.
Ferimorn voltò il capo verso di lui, mentre il Mildriend cercava inutilmente di riprendere la spada strattonandola verso di sé.
“Piccolo stupido” lo sollevò per il colletto della maglia, per poi scaraventarlo poco più in là.  Le sue dita si tramutarono in liane e con un semplice gesto le indirizzò verso Khaled, dolorante per l’impatto e costretto a terra.
Sia Keira, che Idril che Nicklesh erano troppo lontani per intervenire in tempo e lui si trovava senza spada che, in ogni caso, gli sarebbe stata inutile.
Si impose di non serrare le palpebre e rimase ad osservare con collera e frustrazione le piante che, inaspettatamente, non riuscirono mai a raggiungerlo.
 
Con gli occhi spalancati per lo sconcerto e l’incredulità, Khaled fissò la figura tremante e dai lunghi capelli neri-rossi che in un istante si era parata dinanzi a lui, una mano protesa in avanti totalmente circondata dalle fiamme, disposte in una sorta di barriera.
“Astril!” fu la prima ad esclamare Idril, sorridendo radiosa.
La principessa, lo sguardo concentrato ma palesemente impaurito, fece cessare le fiamme mentre Ferimorn sibilava di dolore, impegnato a spegnere il fuoco dalle proprie dita.
Com’era riuscita quell’inetta a liberarsi dalla crisalide ma soprattutto perché adesso le sue ridicole fiamme erano divenute così potenti? Di certo non erano in grado di incenerirlo, ma se prima sembravano quasi inesistenti, ora gli avevano provocato non poco dolore.
Con un ringhio strattonò via la spada di Khaled dalla propria schiena. La situazione stava cominciando a disturbarlo fortemente.
Frattanto, Astril e Khaled avevano approfittato del suo attimo di vulnerabilità per ricongiungersi agli altri, piuttosto sorpresi dall’intervento della principessa, soprattutto Nicklesh, completamente all’oscuro, sino a quel momento, dei poteri della ragazza.
Tuttavia non vi era tempo per le spiegazioni, né per loro, né per Astril, incredula dello stato in cui si trovava Khaled, che aveva a malapena sbottato un ringraziamento, e preoccupata della mancanza di Felixia all’appello.
“Giunti a questo punto, forse ti conviene arrenderti, Ferimorn” disse Keira.
La creatura alzò lo sguardo su di loro. Le armi dei suoi avversari si trovavano ora tutte puntate verso di lui: la spada di Nicklesh, le due spade di Keira, il pugnale di Idril in mano a Khaled, quello di Keira stretto dall’arciera ed infine Astril con i palmi della mani circondati da due piccole sfere fiammeggianti.
“Arrendermi?” ripeté il nemico, uno strano divertimento nella voce “Ancora pensate di poter fare qualcosa contro di me? Con due coltelli ed un piccolo focolare?”
Si elevò in tutta la sua statura e reclinò appena il capo, lo sguardo che sprizzava scintille.
Una strana tensione riempiva ora l’aria, segno che stava per accadere qualcosa.
Una tenue aura gialla cominciò a delinearsi lungo il corpo della creatura, mentre un simbolo, luminoso e micidiale, apparve intorno al suo occhio destro: due quadrati di differenti dimensioni lievemente inclinati, uno dentro l’altro, giallo e nero.
Il simbolo di Miradis.
A quella vista, Keira boccheggiò. In un attimo, Ferimorn si lanciò verso di loro a velocità impressionante, costringendoli a sciogliere lo schieramento.
Una simile rapidità la guerriera l’aveva vista solo in Miradis ed il simbolo ne era la prova tangibile: quella era la stessa maledizione. Tuttavia, al contrario dell’indovina, la creatura non pareva sotto il controllo di qualcosa, ma pianamente consapevole di ciò che stava accadendo. Che fosse lui la vera causa della maledizione? Non ne era certa, ma Keira ne dubitava.
In ogni caso, la situazione si era ancora una volta complicata.
Ferimorn scattava prima da uno e poi da un altro senza lasciar tregua al gruppo, che provava in tutti i modi a difendersi. Idril aveva immediatamente fiancheggiato Astril, le cui sfere di fuoco si spegnevano non appena giungevano in prossimità del nemico, mentre Keira dava supporto a Khaled.
Nicklesh dal canto suo non riusciva a credere a ciò che stava vedendo. Una simile forza, un simile potere...che cosa era accaduto a Ferimorn? Se aveva capito bene, quel simbolo che si trovava sul suo occhio era lo stesso di cui avevano parlato i Mildriend, quello della fantomatica indovina Miradis.
Ancora una volta si chiese in che razza di contorta ed oscura situazione fosse coinvolto quel gruppo.
“Che cosa facciamo, Keira?” domandò, quando finalmente riuscì a raggiungerla “Ferimorn ci sta indirizzando tutti i suoi attacchi, che sembrano raddoppiati di potenza da quando quello strano simbolo è apparso sul suo occhio”
La ragazza non rispose subito, un rivolo di sangue che scivolava dal sopracciglio lungo la tempia.
“Il suo potere è micidiale e quasi inarrestabile. Tuttavia, lui è da solo mentre noi siamo in cinque. Prima, con l’attacco combinato, siamo riusciti a scalfirlo. Bene, proviamoci ancora una volta” rispose, decisa.
Nicklesh annuì, un sorriso ad illuminargli lo sguardo, e agli altri non servirono parole per comprendere.
Astril si concentrò al massimo, tentando di aumentare l’intensità delle sfere di fuoco. Aveva una paura terribile e ancora si sentiva confusa da quello che stava accadendo, tuttavia, per quanto il campo di battaglia continuasse a non essere adatto a lei, ora che ne aveva la possibilità non poteva deludere il resto dei suoi compagni.
Lanciò le sfere di fuoco ed inaspettatamente si tramutarono entrambe in una breve vampata, che riuscì a giungere sin dalla creatura. Essa ringhiò di dolore e si preparò ad attaccare la principessa, ma si ritrovò dinanzi Idril, che lo sfregiò superficialmente con il pugnale. Ferimorn provò allora ad indirizzare un groviglio di radici contro l’arciera, ma l’arrivo del pugnale lanciato da Khaled fu sufficiente per distrarlo.
Un'altra sfera di fuoco lo raggiunse ed insieme ad essa Keira; le spade riuscirono a colpire in pieno l’essere, che disorientato aveva perso per un attimo il pieno controllo del suo potere.
Finì con la schiena alla parete, infuriato, e fu allora che Nicklesh si lanciò verso di lui, deciso a porre fine a quella storia una volta per tutte.
Con entrambe le mani piantò la lama della spada nel petto di Ferimorn, urlante di rabbia e di dolore. L’aura gialla sempre più luminosa si propagò intorno anche al ragazzo, abbagliato dal simbolo maledetto, lucente e pulsante da sembrare quasi vivo.
Allo stremo delle forze, Nicklesh urlò ed affondò con ancora più energia la spada, che trapassò da parte a parte il corpo di Ferimorn.
Questi si bloccò all’improvviso, i piccoli occhi spalancati, prima che il simbolo sul suo occhio si spezzasse e l’aura di potere si espandesse fuori dal suo corpo.
Con la mente in completa confusione, Nicklesh venne sbalzato via e crollò all’indietro, mentre il marchio, privo di consistenza, giganteggiò verso l’alto sino a giungere al soffitto che oltrepassò filtrandoci attraverso.
Il corpo di Ferimorn, rigido e privo di vita, si accasciò al suolo totalmente nero, eccetto alcune screziature giallo vivo.
Sconfitto.
Tutti loro, con il fiato corto e sconvolti da ciò che era appena accaduto, rimasero per pochi istanti immobili come svuotati, poi corsero da Nicklesh.
Con l’aiuto di Idril, il giovane si rimise piano a sedere; confuso, ma per fortuna incolume.
“È stato...indescrivibile” si limitò a dire, ed un brivido lo attraversò.
Lasciandosi finalmente andare ad sospiro di sollievo, tutti loro rinfoderarono le armi. Sembrava incredibile, eppure alla fine ce l’avevano davvero fatta.
“Non ho mai visto nulla del genere” mormorò Astril al fianco di Keira, osservando ciò che rimaneva di Ferimorn.
“Neppure io...” concordò l’altra. Ripensò al simbolo, scomparso come una nuvola di fumo.
“Credo sia stata la battaglia più accesa che abbiamo mai affrontato, però alla fine ci siamo riusciti!” esultò Idril, tornata allegra e vitale come sempre “Astril ha usato per la prima volta i suoi poteri ed è stato incredibile. E tu Nicklesh hai dato il colpo di grazia!”
“In realtà è stato merito di tutti. Solo unendo le forze ne siamo usciti vittoriosi” rispose felice, e Keira si ritrovò ad ammettere con sé stessa una cosa: di certo quel ragazzo aveva su di sé numerosi interrogativi, ancora non aveva spiegato perché avesse deciso di attraversare la galleria da solo, ma lei era caduta in pieno errore accusandolo ingiustamente. Li aveva aiutati rischiando addirittura la sua stessa vita –l’ombra di un accenno di sorriso apparve sulle sue labbra- e questo era qualcosa di cui tenere conto.
“Certo, abbiamo distrutto Ferimorn” con uno strattone, Khaled rimise nel fodero la spada che aveva recuperato “Ma allora... perché sono ancora un bambino!?”
Effettivamente, Khaled era rimasto tale e quale a prima.
“Forse l’effetto non è legato alla presenza di Ferimorn...” rifletté Nicklesh.
“Vero. Non è da escludere che l’incantesimo possa essere permanente!”
“Non dirlo neanche per scherzo, Idril!”
Un improvviso scossone lo fece sobbalzare. La terra aveva preso a tremare, pezzi di terriccio e radici crollavano al suolo e la polvere svolazzava giù dalle pareti e dal soffitto.
“Che sta succedendo, adesso?” domandò Khaled, tetro.
“La struttura sta crollando, evidentemente a mantenerla in piedi era l’influenza di Ferimorn. Dobbiamo andarcene. Subito!”
“Laggiù ci sono due gallerie, se le percorriamo dovremo ritornare all’esterno, però dobbiamo fare in fretta. Andiamo!”
Si misero a correre e raggiusero uno dei passaggi. Come vi era da aspettarsi, diversi pezzi di terra e rami erano crollati all’interno e il percorso, per buona parte in salita, era ancora più accidentato.
Cominciarono ad arrampicarsi, con Idril in testa e Astril alla retroguardia.
Provati dallo scontro e infastiditi dalla polvere, il gruppo ripercorse il passaggio il più velocemente possibile, correndo quando ne avevano la possibilità ed arrampicandosi quando non potevano fare altrimenti.
Il rumore di pezzi che crollavano li incitava ad aumentare l’andatura. Erano riusciti ad uccidere Ferimorn, non sarebbero finiti sepolti vivi in un posto come quello.
Dopo un tempo che parve infinito, giunsero finalmente nella parte piana della galleria, l’ultimo tratto.
Fu allora che un ulteriore scossa più forte delle precedenti sconquassò la terra, che prese a crollare come una valanga.
“Correte!” sbraitò Keira. Gli altri non se lo fecero ripetere due volte.
Più difficile risultò invece per Khaled, che finì distanziato dai compagni davanti a lui. Le sue gambe da bambino non gli permettevano di tenere il passo e lo penalizzavano anche dal punto di vista dell’equilibrio.
Non si accorse della radice sbucata dal terreno e vi inciampò, rovinando a terra proprio davanti ai piedi di Astril, che senza pensarci su due volte lo sollevò e lo prese in braccio.
Totalmente sorda alle accese proteste di Khaled, continuò a correre finché non scorse una tenue luce dorata: l’uscita della galleria.
Tornò all’aria aperta ma non si arrestò e con un ultimo slancio raggiunse gli altri, mentre dietro di lei l’intera struttura crollava.
Solo quando affiancò Keira si voltò a guardare: dell’enorme dimora di Ferimorn non era rimasto altro che uno scheletro scomposto di rami e terra.
L’avevano scampata per un soffio.
“Mettimi giù! Astril, dannazione, mettimi giù ho detto!”
La voce strepitante di Khaled la riscosse dallo stato di trance. Ancora aggrappato a lei, il Mildriend si dimenava scocciato ed anche vagamente umiliato; dissimulando l’imbarazzo, la principessa si affrettò a rimetterlo a terra.
Un silenzio vuoto e leggero avvolgeva Glas Faraoise, libera dall’influenza negativa del suo padrone; persino l’aria sembrava più limpida e fresca, senza traccia della cappa soffocante che li aveva perseguitati durante quei giorni. Da allora in avanti, quel luogo avrebbe vissuto solo per se stesso.
“Che cosa facciamo, adesso?” fu il primo a parlare Khaled, infrangendo la singolare quiete sospesa. Avevano sconfitto Ferimorn, ma ancora non avevano ottenuto ciò per cui si erano spinti sin dentro quella foresta, attraversata pressoché nella sua interezza.
“Presumo non ci resti altro che ricominciare le ricerche, adesso che ci siamo liberati di quella creatura dovremmo avere meno difficoltà” rispose Keira.
“In realtà non sarà necessario” con un sorriso, Astril si voltò verso di loro, posando una mano sulla tasca del corpetto “Mentre ci trovavamo separati ho trovato...” esitò, ricordandosi della presenza di Nicklesh “...ciò che ci serviva”
Un’ombra di stupore attraversò il volto di Keira.
“Stai dicendo sul serio?”
La principessa annuì, poi scoccò un’occhiata allo Sneachta, ancora rivolto verso la struttura e la testa apparentemente in altri pensieri, e soggiunse con un fil di voce “L’ho trovata in una delle stanze della dimora di Ferimorn. Ho percepito chiaramente il suo richiamo e senza neppure rendermene conto sono riuscita a liberarmi dalla crisalide nella quale ero imprigionata. Non ricordo molto, solo una luce dorata abbacinante, e dopo aver preso la Gemma mi sono ritrovata in una galleria della struttura. Ho seguito i rumori del combattimento per raggiungervi”
“Strano, non ci siamo accorti di nessuna luce” sbottò Khaled.
“Perciò questa volta non hai perso i sensi. È un buon segnale, vuol dire che stai cominciando a reagire correttamente alla forza delle Gemme” annuì Keira meditabonda “Se le cose stanno in questo modo, allora non abbiamo più motivo di restare qui”
“Laggiù!” una voce allegra e squillante richiamò la loro attenzione.
Idril, arrampicatasi chissà quando sulla cima di un albero lì vicino, indicò sorridendo raggiante l’orizzonte dinnanzi a sé “Se gli occhi non mi ingannano, ancora un po’ di cammino e dovremo ritrovarci ad un passo dall’uscita!”
“Molto bene. Allora scendi giù e facci strada, Idril!” la richiamò Keira.
“Un momento!” esclamò con allarmata enfasi Astril “Io...l’ho notato anche prima. Dov’è Felixia? Perché non si trova insieme a voi?”
A quella domanda, l’atmosfera di leggerezza che sino ad un istante prima aveva risollevato gli animi scomparve bruscamente, lasciando posto ad un silenzio rigido e nervoso.
Ulteriormente preoccupata dalle espressioni inquiete dei compagni, la principessa cominciò a dardeggiare lo sguardo prima su uno e poi su un altro, in attesa di una risposta.
“In verità Astril...noi eravamo convinti che si trovasse insieme a te” mormorò Nicklesh.
“Cosa?” balbettò.
“Non sappiamo dove sia, non l’abbiamo più vista” spiegò bruscamente Khaled.
“Capisco” asserì Astril, dopo qualche secondo di silenzio “Allora non ci resta altro da fare che trovarla!” le sue labbra si distesero in un sorriso tirato “Basterà tornare indietro e metterci a cercarla! Idril potrebbe arrampicarsi e guardare dall’alto, mentre noi ci divideremo in coppie e setacceremo la foresta. L’hai detto anche tu, no, Keira? Ora che Ferimorn è scomparso non dovremmo incontrare ostacoli!”
“Astril” la chiamò severamente la guerriera “Non possiamo tornare indietro”
Il sorriso della principessa ebbe un tremito.
“Come sarebbe a dire, perché non possiamo?”
 “Ora che abbiamo ottenuto il nostro obbiettivo tornare indietro sarebbe un suicidio. Non sappiamo se adesso la foresta sia realmente un posto sicuro, senza contare che rischieremmo ancora una volta di perderci. Non possiamo permetterci una cosa del genere, non ora che l’uscita è così vicina”
“Non...non stai dicendo seriamente, vero?” domandò, ma l’espressione imperturbabile della Mildriend le fece comprendere la serietà delle sue parole.
Spalancò gli occhi sconvolta, scuotendo lievemente la testa.
“Volete abbandonarla?” mormorò incredula.
“Astril...” cominciò tristemente Idril.
“Vuoi abbandonarla, Keira!?” urlò la principessa. Keira emise un sospiro, ma la sua espressione non vacillò.
“Mi dispiace, Astril. Non abbiamo altra scelta”
Calò il silenzio. La principessa abbassò il capo, le spalle lievemente tremanti.
“La verità è che non vi è mai importato nulla di lei!” esclamò fuor dai denti “Se non volete aiutarmi a ritrovarla, allora ci penserò da sola!”
Con queste ultime parole scappò via, sfrecciando in avanti senza una meta precisa, sorda ai richiami di Idril.
“Razza di stupida” ringhiò fra se e se Khaled.
Frattanto la principessa continuava a correre, scostando rami ed arbusti, mentre qualche lacrima le scivolava dalle ciglia lungo le guance. Non poteva ancora credere a quello che aveva sentito, abbandonare Felixia in quell’orribile posto, sola. Aveva ragione dunque, nessuno aveva mai avuto a cuore il suo destino. E Keira si era rivelata essere la più insensibile.
Cominciando a sentirsi affaticata pensò di rallentare, quando scorse in lontananza una figura snella e slanciata, i capelli blu appena illuminati dalla luce del tramonto.
Con sorriso sollevato, Astril aumentò la velocità, agitando un braccio per farsi riconoscere. Fece per urlare il nome di Felixia, ma la voce le morì in gola non appena la figura iniziò a delinearsi meglio davanti ai suoi occhi.
La ragazza si arrestò di colpo, il corpo rigido come un pezzo di ghiaccio, gli occhi e la bocca spalancati.
“Astril!”
Alle sue spalle gli altri la raggiunsero di corsa, ma non ebbero neppure il tempo di chiederle spiegazioni che si accorsero della figura poco lontano.
“Vi ho trovati, vi ho trovati, vi ho trovati” aveva preso a ripetere ella con evidente esaltazione. Inclinò il capo verso sinistra, gli occhi gialli scintillanti di una luce trepidante e le labbra distese in un ampio ghigno appuntito.
“Sapevo che aspettare sarebbe stata la scelta giusta, Mildriend!”
Shipsail ghignazzò e la sottile lingua biforcuta sibilò fra i denti.
 
 
                                                                                    °°°
 
Nel cielo verdeazzurro attraversato da qualche lembo di nuvola bianca, il sole brillava vivo e luminoso.
In un luogo lontano e sconosciuto, un individuo, avvolto dalle spalle in giù da un mantello color terra, se ne stava seduto su un ampio masso grigiastro, sul volto un sorrisetto sinceramente divertito.
Ancora una volta fece roteare fra le dita l’oggettino di cristallo violaceo, che rilucente ai raggi del sole scintillò vivido.
“Mh?”
Cessò all’improvviso di muovere la pietrina, lievemente accigliato. Poi, dopo qualche istante, il sorrisetto tornò ad increspare le sue labbra.
Una scia inconsistente gialla e nera giunse serpeggiando vicino al masso, per poi venire totalmente assorbita dal ciondolo che l’individuo indossava nascosto sotto il mantello.
“E così, Ferimorn è stato davvero annientato…” osservò fra se e se.
Con una piccola spinta scese dal masso, poi si spolverò le vesti ed infine voltò il capo verso destra.
Un angolo della bocca si sollevò in un ghigno.
Finalmente le cose stavano cominciando a rendersi interessanti.


*Note dell'Autrice*
Buona sera a tutti! ^^ eccoci quindi giunti allo scontro finale con Ferimorn. La questione si è fatta un po' lunghetta, ma far uscire di scena un nemico comunque potente troppo presto non mi sembrava il caso u.u Spero vi sia piaciuto! Questo penso possa esser definito l'ultimo capitolo della saga di Glas Faraoise, nel prossimo i protagonisti dovranno affrontare il disperato scontro contro Shipsail e poi...chissà che accadrà! Mi sento un po' scema a parlare in questo modo stile 'finale d'episodio', però è anche  divertente xD

Grazie di cuore e a presto! :3

The_Grace_of_Undomiel


 

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Capitolo 23
*** Di serpi e di stelle ***



Di serpi e di stelle

Lo stridore acuto di due lame che venivano scontrate riempì nuovamente l’aria, prima che una delle avversarie indietreggiasse di qualche passo, respinta ancora una volta dall’imprevedibile forza posseduta dalla nemica.
Con le spade impugnate saldamente fra le mani ed un’imprecazione stretta tra i denti, Keira ritentò un rapido affondo, che con un semplice e fluido movimento del braccio di Shipsail venne reso del tutto vano.
Il ghigno sbilenco che non aveva abbandonato neppure per un istante il volto dell’Alkres si accentuò ancora di più, quando ella voltò il busto per parare l’attacco giunto da sinistra da parte di Nicklesh. La spada lucente tra le mani dello Sneachta oscillò pericolosamente mentre altri stridii si propagavano tutt’intorno.
Con il fiato corto e un taglio sanguinate sulla spalla destra, il giovane dai capelli bianchi si portò poco più indietro rispetto a Keira, ferma immobile e lo sguardo imperscrutabile fisso in quello febbricitante di Shipsail.
La ragazza inclinò il capo verso sinistra, le labbra distese nel solito ampio ghigno appuntito, e roteò il polso della mano in cui impugnava l’affilata e corta spada nera a doppio taglio.
“Non allontanatevi da me, Mildriend. Lo ssscontro è appena iniziato! La vostra forza si limita davvero sssolo a questo?” sibilò, una nota di trepidante divertimento nella voce.
Due sfere di ardente fuoco rosso vennero allora scagliate verso la sua direzione, ma prima di riuscire ad avvicinarsi all’obbiettivo si dissolsero con un fioco tremolio, come se mai fossero esistite. Shipsail scoccò una rapida occhiata sul volto atterrito di Astril, i palmi ancora aperti avvolti da una vampata di fiamme sempre più debole.
“Tutto qui? Delle bolle di calore? Cosssì mi deludi, piccola Neish” sogghignò, inclinando il capo ed il busto totalmente verso destra, mentre una freccia attraversava rapida il vuoto e si andava a conficcare nel centro di un albero lì vicino.
Shipsail ritornò fluida in posizione eretta, saettando le iridi gialli in direzione di Idril, l’arco ancora in mano e gli occhi verdi spalancati per lo stupore.
Keira strinse i denti, trattenendo a stento un sibilo seccato. Tutto era accaduto con così tanta velocità che ancora stentava a credere di trovarsi realmente in quella situazione. Colti completamente alla sprovvista si erano ritrovati dinnanzi quell’Alkres, che dopo averli studiati si era scagliata contro di loro senza dire una sola parola, in pochi e sinuosi movimenti.
Per poco Astril, totalmente imbambolata di fronte a quella minaccia e con la mente ancora in subbuglio per via di Felixia, non era stata colpita dalla lama che la nemica aveva chissà quando sfilato dalla cintola. Appena in tempo la guerriera si era frapposta tra la principessa e la spada con le sue lame, ma contro ogni aspettativa il suo attacco quasi non aveva allontanato l’arma dell’avversaria. Da allora, con qualsiasi cosa l’attaccassero, l’Alkres si limitava ad agitare il braccio per respingere ogni attacco senza neppure muovere il resto del corpo.
Stanchi e provati, tutti loro stavano combattendo con le ultime forze rimaste non per vincere, bensì per non soccombere. L’Alkres non faceva altro che osservarli con malsano divertimento, come se dinanzi non avesse avuto degli avversari ma delle mere ed infime pedine mosse per inerzia. Non si stava impegnando davvero, quasi si limitava a giocare, e questo preoccupava ed infastidiva Keira al tempo stesso.
Della precedente Alkres contro cui aveva combattuto non vi era alcuna traccia, perciò la compagna doveva essersi trattenuta lì per completare l’opera. Eppure, per qualche strano motivo, ancora non aveva fatto nessuna mossa decisiva, eccetto schivare e parare colpi con la spada. Dovevano sfruttare quel momento finché ne avevano la possibilità, ma nulla pareva efficace.
L’urlo di un ragazzino la strappò bruscamente dalle sue riflessioni. In una rapida corsa Khaled si scagliò contro la nemica, la spada puntata davanti a sé ed il viso contratto in un’espressione irata. Shipsail si spostò in una flessuosa piroetta, sottraendosi così dal Mildriend che si vide sfuggire il bersaglio in un battito di ciglia. Si fermò appena in tempo prima di finire in mezzo a dei cespugli.
“È troppo veloce, quasi non riusciamo a vedere i suoi movimenti!” esclamò Nicklesh tra un respiro corto e l’altro. Ancora più degli altri si sentiva estremante confuso e disorientato, un attimo prima stavano per uscire dalla foresta incolumi ed un attimo dopo era apparsa quella ragazza -quell’Alkres!- che aveva iniziato a combattere senza lasciar tregua. Il coinvolgimento di quel gruppo in qualcosa di pericoloso ed oscuro era ormai più che evidente, ma adesso non vi era tempo per le domande. Dovevano prima restare in vita.
“Dobbiamo elaborare un piano e in fretta!” riprese, rivolto alla guerriera. La situazione era per certi aspetti analoga allo scontro con Ferimorn; sembrava un ricordo remoto ed invece erano passate appena poche ore.
Keira non rispose subito, una lieve piega in mezzo alla fronte a tradire l’espressione imperturbabile.
“Possiamo solo tentare un altro attacco combinato, forse così riusciremo a placar...”
“Non ci si isola nel bel mezzo di uno ssscontro!”
Repentina Keira si voltò alle proprie spalle, parando appena in tempo il colpo di Shipsail, apparsa all’improvviso. Ghignante si liberò dalla situazione di stallo e con un’altra giravolta ritornò al centro dello scontro. Rinfoderò poi la spada nera, sotto lo sguardo sbigottito degli altri, e si rimise nella stessa posizione di quando l’avevano scorta per la prima volta.
Uno stato di inverosimile quiete scese sull’ambiente circostante, saturo di tensione ed ostilità.
“Ora che ti sei placata, Alkres, ti deciderai a dirci chi sei?” domandò Keira tagliente, senza abbassare le lame.
“I nomi non sssono importanti quando ci si trova in uno scontro. A che ssserve sssaperli ssse intanto andranno perduti al sopraggiungere della morte?” disse inclinandosi un poco, in quell’abitudine che, insieme a tutto il resto, stava iniziando a confondere e a sfinire ognuno di loro.
“Sopraggiungere della morte? Puoi scordartelo” sbottò ostile Khaled, al centro fra Idril e Astril. Tuttavia il suo corpo di bambino, con i vestiti in diversi punti strappati, ricoperto di polvere e di tagli, incuteva tutt’altro che timore.
“Sssei risoluto, Mildriend in miniatura. Vedere sul  tuo viso paffuto un’espressione così tanto astiosa mi fa venire quasi voglia di...mangiarti” un lampo giallo illuminò lo sguardo della ragazza e Khaled, suo malgrado, si sentì attraversare da un brivido.
“Da tempo immaginavo il giorno in cui ci sssaremmo ssscontrati e mai avrei creduto che sarebbe ssstata una tale delusione. Sssiete così lenti, goffi e così poco sssinuosi. E tu, Neish, sul serio ti fai attribuire questo titolo? Sssei così debole” sorrise.
Con un ombra di incertezza sul viso, Nicklesh si voltò verso la principessa, ma Astril neppure trovò la forza per controbattere da quanto era spaventata, non solo dall’abilità dell’Alkres, ma anche dal suo stesso aspetto, che tanto le ricordava quello di un infido serpente.
Shipsail emise un breve sospiro, piegando il capo in avanti e lasciando che il capelli mossi le ricadessero sul viso, semi-nascosto da una strana ombra. I raggi vermigli del tramonto vibravano lungo la sua figura mentre un’atmosfera poco rassicurante metteva in guardia il cuore già in allerta di ognuno di loro.
“Deludenti, davvero deludenti. Mi aspettavo da voi qualche mossa vincente, ma dato che sssembrate non esserne in possesso vorrà dire che ci penserò io” sollevò la testa, le iridi immerse in una folle scintilla gialla “E’ giunto il momento che la ssserpe divori le prede!”
Fu allora che il suo corpo cominciò a mutare. Sussultò appena mentre i tratti femminili del viso si distendevano nella maschera di un rettile e gli arti scomparivano unendosi in tutt’uno con il corpo. Le scaglie di una lunga coda blu rilucerono alla luce del sole, per i giovani oscurato dall’imponente sagoma di un serpente.
Idril si portò una mano alle labbra, mentre Nicklesh, gli occhi azzurri spalancati per lo sconcerto, quasi non perse la presa sulla spada. Astril invece non muoveva un solo muscolo, lo sguardo vuoto totalmente fisso sulla mastodontica figura del rettile blu che un tempo era Shipsail.
La creatura sibilò, poi si gettò con rapidità contro la principessa a fauci spalancate. Pervasa dal panico che l’aveva immobilizzata, sarebbe stata colpita in pieno se Nicklesh non fosse intervenuto, spingendola con tutte le sue forze verso un lato. Astril cadde in un tonfo, per poi rialzarsi e nascondersi in fretta e furia dietro il tronco di un albero caduto, davanti ad un attonito Nicklesh, che tuttavia non ebbe il tempo di analizzare quel comportamento.
Repentino tornò vicino agli altri, già ripresisi dallo stato di incredulità e pronti a combattere. Schivarono per un soffio un colpo di coda, che quasi sradicò un intero albero. Se non stavano attenti, quella fine avrebbe potuto farla la loro testa.
“Che cosa sta succedendo ad Astril?” urlò lo Sneachta, per sovrastare il frastuono di legno spezzato.
“Ha il terrore dei serpenti” replicò Keira.
“Come!?”
“Proprio così...” confermò Idril tristemente.
“È una fortuna che abbia avuto perlomeno l’intelligenza di nascondersi” aggiunse a denti stretti Khaled, che per poco non era stato spazzato via “Così eviterà di esserci d’intralcio”
Aveva appena finito di pronunciare quelle parole che il serpente li attaccò di nuovo.
Keira schivò con una capriola frattanto che la sua mente lavorava alla ricerca disperata di un piano. La testa le doleva, le gambe quasi non la reggevano in piedi e così dovevano sentirsi anche gli altri. La Neish era al momento troppo sconvolta anche solo per uscire dal suo nascondiglio ed uno scontro corpo a corpo, con le loro armi rese ridicole di fronte a quell’imponenza, sarebbe stato inutile. Tuttavia, forse vi era ancora qualcosa che potevano fare.
Urlò il nome di Idril e l’arciera, che già aveva compreso l’ordine di Keira, imbracciò l’arco, prese la mira e scoccò una freccia in direzione di uno degli occhi del serpente. La sua coda tuttavia si frappose in tempo e la freccia venne rispedita con un colpo verso la proprietaria, che si spostò per un soffio.
Keira imprecò e fece per schivare un altro attacco, ma non ebbe il tempo di evitare i rami contorti che erano crollati a terra dagli alberi in seguito ai colpi andati a vuoto di Shipsail. La guerriera rovinò al suolo, rotolando poco più in là. Si puntellò sui gomiti, ma con rabbia si rese conto di non riuscire a rimettersi completamente in piedi. La spossatezza dovuta alla perdita di potere e le ferite procuratasi nei precedenti scontri cominciavano a farsi sentire.
Qualche metro distante Khaled osservava impotente e colmo d’ira la scena. Keira per il momento non poteva rialzarsi, le frecce di Idril erano inefficaci, Nicklesh non aveva il tempo di avvicinarsi e lui quasi non riusciva neppure a schivare a causa del suo corpo piccolo e debole. Strinse un pugno con così tanta forza sino a farsi sbiancare le nocche. Odiava quella situazione, odiava quell’Alkres e detestava anche se stesso poiché, sebbene non lo avrebbe ammesso ad alta voce neppure sotto minaccia di morte, si sentiva impaurito e lui non poteva tollerare l’idea di provare anche solo una stilla di paura. Rendeva sciocchi ed inermi e solo gli incapaci si lasciavano abbindolare da tale emozione.
Maledizione.
Se solo avesse avuto il suo vero corpo, quello stato d’animo così da deboli non lo avrebbe neppure sfiorato. Tuttavia, oltre che impaurito, era anche tremendamente infuriato. Dunque, non doveva fare altro che lasciare che quella rabbia si sostituisse a tutto il resto.
O quasi, si impose.
Si lanciò a tutta velocità contro il serpente, sordo ai richiami di Idril e agli ordini di Keira, che lo sollecitavano a non commettere idiozie. Shipsail lo intercettò in un istante e con le fauci spalancate si fiondò contro il ragazzino, sollevando una nube di polvere e terriccio all’impatto.
Khaled, che aveva chiuso gli occhi d’istinto, li riaprì di scatto quando percepì qualcosa spingere con forza la sua spada. Il dente aguzzo dell’Alkres si era scontrato contro la lama, che continuava a respingere la pressione del serpente. Ciò che sorprese di più tutti loro, e soprattutto Khaled, fu però un altro elemento: il corpo da bambino era scomparso, lasciando al suo posto quello di un giovane.
Khaled era ritornato alle sue dimensioni originali.
Superato il momento di stupore, una scintilla combattiva attraversò lo sguardo del Mildriend, che sollevò le labbra in un sorriso amaro.
“Adesso duelleremo ad armi pari, maledetta”
Il serpente ridusse gli occhi a due sottili fessure, poi riprese a spingere con più forza. Per quanto cercasse di resistere, le suole degli stivali del ragazzo cominciarono a gracchiare contro il terreno, sospinte all’indietro dalla potenza della nemica.
All’improvviso però, un’ulteriore forza si unì a Khaled, confermata dallo stridio metallico di una lama. Alla sua sinistra, Nicklesh brandiva la spada contro l’altro dente del rettile, le braccia scosse da tremiti per la fatica e la tensione.
“Sono felice di vedere che l’effetto dell’incantesimo sia esaurito , tuttavia questo non è un buon motivo per perdere la vita in maniera così avventata” disse, il tono di voce, nonostante l’intera situazione, gentile come sempre.
Khaled non rispose e tornò a guardare il serpente, che spalancò ancora di più la bocca mentre un gorgoglio sospetto fuoriusciva dalla sua gola.
La consapevolezza colpì come un’acuta randellata il petto dei due ragazzi. Seppur umanoide, quello che avevano dinanzi rimaneva comunque un serpente e nulla escludeva che potesse disporre di un'altra micidiale arma.
Veleno.
 
 
Ad ogni colpo, rumore, frastuono, sibilo o caduta, le spalle della principessa sussultavano con un tremolio impaurito e così le braccia, strette con forza intorno alle ginocchia. Si rendeva conto di quanto quella posizione fosse patetica e simbolo della sua immensa codardia, tuttavia quella consapevolezza non era sufficiente per farla spostare anche solo di un millimetro: la paura che le attanagliava il cuore e le offuscava la mente era troppo grande rispetto a qualsiasi senso di vergogna o di disonore. Perciò se ne stava lì, nascosta e tremante come una preda braccata in attesa di essere divorata dalla bestia feroce.
Della singolare risolutezza che aveva provato durante lo scontro con Ferimorn sembrava non esserne rimasta neppure una goccia, spazzata via da quella sibilante lingua biforcuta e da quegli occhi gialli dalla pupilla verticale. Sin dal primo momento in cui la sua figura era apparsa Astril aveva percepito in lei qualcosa di pericoloso ed inquietante, qualcosa che aveva avuto il potere di pietrificarla sul posto e di trasmetterle un disagio stranamente familiare, ma mai si sarebbe aspettata un risvolto del genere. Uno dei suoi peggior incubi posto dinnanzi a lei in proporzioni immense, le scaglie blu cobalto a ricordarle che quello inoltre non era un semplice serpente, bensì una delle emissarie degli Alkres, nuovo incubo e principale minaccia.
Quella vista l’aveva completamente paralizzata e, se non fosse stato per l’intervento di Nicklesh, ci avrebbe rimesso la vita. Tuttavia, nemmeno quel pensiero era in grado di riscuoterla dallo stato emotivo in cui era scivolata. Tutto ciò che era riuscita a fare era stato rifugiarsi con foga dietro quel tronco e rimanervi.
Sobbalzò alle voci di Idril e di Keira che chiamavano il nome di Khaled, l’una implorando e l’altra ordinando di non commettere follie. In seguito, un colpo sordo risuonò nell’aria.
La principessa incassò la testa nelle braccia, stringendo i denti per la paura e la frustrazione. Avrebbe voluto voltarsi, vedere cosa stesse accadendo, ma non ci riusciva. Pur sapendo quanto vigliacco ed inutile –non avrebbe potuto scamparla a lungo- fosse il suo comportamento, i suoi muscoli non accennavano a muoversi.
In quanto Neish avrebbe dovuto combattere in prima linea, mettere a disposizione i suoi poteri –quali poteri?- a beneficio dell’intero gruppo. Invece si nascondeva, senza neppure avere la forza di vedere in che condizioni si trovassero i suoi compagni.
Senza quasi rendersene conto, la mente si proiettò al pensiero di Felixia. Dove si trovava in quel momento? Stava bene? E soprattutto, cosa avrebbe fatto in una situazione simile? Probabilmente si sarebbe rifugiata insieme a lei, ma le parole che le avrebbe rivolto non sarebbero state semplicemente di puro terrore.
Forse ti occorre solo ancora un po’ di tempo. Sono convinta che a breve riuscirai ad avocarli di tua volontà. Dopotutto sei la Neish, giusto?
Astril sollevò di scatto la testa, mentre le parole che la cameriera le aveva rivolto pochi giorni prima le riaffioravano in testa così vivide da poterle quasi risentire. Quell’unica frase, che aveva avuto il potere di risollevarle lo spirito, era stata una delle ultime che le aveva rivolto prima che si separassero.
Dopotutto sei la Neish.
Ancora non si sentiva tale e forse non lo sarebbe mai stata, tuttavia da quel giorno aveva sviluppato, seppur deboli, dei nuovi poteri, era riuscita a trovare la gemma e aveva sconfitto la calamità di quella foresta, grazie soprattutto all’aiuto dei suoi compagni. Poteva davvero permettersi il lusso di scappare dopo tutto il loro impegno? Poteva permettersi di tradire la fiducia che Felixia aveva riposto in lei con così tanta semplicità e sicurezza?
Un improvviso bruciore le attraversò ardente il petto, strappandola da ogni elucubrazione e facendola boccheggiare in un misto di dolore ed incredulità. La pietra dei Syrma aveva preso a brillare e la luce dorata filtrava abbacinante dalla taschina del corpetto nella quale la riponeva nascosta.
Con la fronte aggrottata per lo sconcerto sfiorò quel punto con le dita poco prima che il bagliore la avvolgesse completamente, propagandosi tutt’intorno.
 
 
Come uno zampillo d’acqua, un’accecante bagliore si innalzò lucente da dietro il tronco, divenuto una figura pressoché indistinguibile da quanto era l’oro che l’avvolgeva.
Sia Khaled che Nicklesh , sbigottiti, voltarono rapidi il capo verso quella direzione, tuttavia non ebbero neppure il tempo di comprendere la situazione, poiché il raggio abbacinante li costrinse a schermirsi la vista con un braccio.
Emettendo un agghiacciante sibilo acuto, Shipsail si ritrasse bruscamente dai due giovani, ripiegando il capo e ostinandosi a puntare gli occhi gialli nella direzione della luce, nel tentativo di scorgere qualcosa.
Passarono pochi istanti prima che una snella figura emergesse da dietro il tronco, il corpo attraversato da sottili bagliore dorati, così come i lunghi capelli e gli occhi privi di pupille ripieni di luce.
Shipsail spalancò le fauci, emettendo altri innumerevoli sibili, nell’inutile tentativo di avventarsi contro la figura, che in pochi passi si avvicinò al rettile, un mano protesa in avanti.
Frattanto Keira, rialzatasi in piedi, ed Idril tentavano di osservare la scena incredibile e del tutto surreale che si stava verificando, la prima con la mano sul viso, le dita a creare qualche spiraglio sugli occhi e l’altra con le palpebre faticosamente socchiuse.
Ciò che accadde in seguito quasi fu impossibile da descrivere. Un ulteriore bagliore accecante si propagò dalla mano di Astril ad un semplice movimento, diffondendosi come un’onda aurea che travolse ogni cosa attorno a sé, illuminando alberi, fronde, terra e inghiottendo in un istante la sagoma del serpente, soffiante come impazzito.
Quando la luce cessò e tutti loro abbassarono cautamente le braccia per vedere, ciò che si ritrovarono davanti furono semplicemente due figure: la prima, tremante, dai lunghi capelli neri-rossi e dal viso ripiegato in un’espressione incredula non era altro che Astril, a stento in piedi sulle proprie gambe e con il respiro affannoso. L’altra, poco distante ed inginocchiata con il capo rivolto verso il basso era invece l’Alkres, ritornata alle sua forma originaria, le dita serrate al suolo ed un vago tremolio ad attraversarle il corpo.
Senza perdere ulteriore tempo, Idril si precipitò dalla principessa, seguita immediatamente dal resto del gruppo. L’arciera posò cauta una mano sulla spalla di Astril, che si voltò verso di lei con aria confusa, prima di oscillare un poco. La Mildriend subito le posò l’altra mano sulla schiena, aiutandola a recuperare l’equilibrio e rivolgendole uno dei suoi soliti sorrisi entusiasti.
Tutt’altra espressione aveva invece Keira, lo sguardo gelido fisso sulla figura ancora ripiegata a terra. Al suo fianco, Khaled aveva sguainato nuovamente la spada, puntata contro l’Alkres.
Ciò che si era appena verificato aveva scatenato numerosi interrogativi e stupore in ognuno di loro, tuttavia, prima di domandare qualsiasi cosa, era necessario sistemare la questione una volta per tutte.
“Adesso ascoltami, Alkres” cominciò Keira, scandendo con voce severa e una sottile punta di disprezzo le parole “Non ti uccideremo, non ancora almeno, se è questo che ti stai chiedendo. In ogni modo, ti consiglio vivamente di non azzardare movimenti strani. Ho diverse domande da porti, perciò vedi di parlare sinceramente. Innanzitutto, rivela il tuo nome”
Tacque, in attesa di una risposta che non giunse mai. L’Alkres se ne stava ancora accovacciata a terra, il capo ostinatamente abbassato e le spalle scosse talvolta da lievi sussulti.
Ridotta in quello stato pareva quasi una creatura vuota ed esile, totalmente diversa dalla ragazza che era apparsa davanti a loro poco tempo prima, ma non per questo meno inquietante. Anzi, quell’atteggiamento di adombrata sottomissione forse era anche peggio.
“Hai capito quello che ti ho detto, Alkres? Rispondimi, qual è il tuo nome?” ripeté Keira con la stessa decisione. Al suo fianco, Khaled stava iniziando a perdere la pazienza.
Passò qualche altro istante di assoluto silenzio, poi un’improvvisa e acuta risatina sommessa proruppe dalle labbra della ragazza, le cui spalle cominciarono a sobbalzare con sempre maggior evidenza, fino a quando, con una risata più forte delle altre, non sollevò finalmente il viso verso di loro. Il ghigno era riapparso, o forse non era mai svanito, ed i suoi occhi se possibile parevano ancora più divertiti e animati da una luce esaltata del tutto inspiegabile, vista la situazione in cui si trovava.
Keira aggrottò la fronte, interdetta e sbigottita al contempo. Dunque quei tremolii da cui l’Alkres era scossa sin dall’inizio non erano simbolo paura, bensì il risultato di una risata silenziosa.
“Ah, lo sssapevo, sssapevo che prima o poi avreste mostrato una delle vostre armi vincenti. Ho fatto bene a confidare sssu questo!” esclamò, la voce talvolta spezzata da qualche risata. Seppur faticosamente si rimise in piedi in un fluido movimento del corpo. Stringendo i denti, i due Mildriend arretrarono di un passo, ma non abbassarono le spade.
“Mi ricordo ogni preciso dettaglio. Devo ringraziarvi” inclinò il capo e in quell’istante un bagliore nero scaturì dalla pietra incastonata nel bracciale che portava avviluppato intorno al polso. Una sottile voragine di energia si aprì alle sue spalle, scatenando un’improvvisa corrente d’aria.
“Verso la fine la questione ha preso una piega decisamente più interessante. Il mio nome comunque è Shipsail, tenetelo bene a mente” sogghignò “A presto, Mildriend!”
“Non andrai da nessuna parte, maledetta!” urlò Khaled. Si lanciò verso di lei e sollevò la spada, ma l’unica cosa che riuscì a fendere fu il vuoto. Il passaggio si era richiuso, inghiottendo con sé l’Alkres.
Il silenzio scese nuovamente su di loro, eccetto qualche imprecazione di Khaled, che colmo di rabbia e irritazione continuava ad agitare inutilmente la spada, come a voler tagliare in due l’aria.
Keira non disse nulla e si limitò a rinfoderare le armi. Quell’Alkres alla fine non aveva fatto altro che prenderli in giro per tutto il tempo. Erano riusciti a metterla in difficoltà ed era stata costretta alla ritirata, tuttavia per aver subito un attacco del genere senza rimanerne totalmente sopraffatta doveva possedere una forza ancora maggiore rispetto a quella che si aspettavano. Probabilmente sarebbe ritornata nel covo di quell’oscura dimensione a riferire nuove informazioni sul loro conto, così da organizzare al meglio il prossimo attacco.
Ora però non era il momento e il luogo adatto per riflettere su certe questioni. Si voltò verso Astril, ancora appoggiata ad Idril.
“Ti senti bene?” volle accertarsi.
La principessa, anche se frastornata, asserì. La guerriera non aggiunse altro, conscia che il tempo per le domande non fosse quello, così come per le risposte: percepiva infatti le iridi azzurre di Nicklesh spostarsi continuamente su ognuno di loro, ma non aveva alcuna di intenzione di fornirgli spiegazioni.
I raggi del tramonto tremolavano fiochi e bassi, mentre i colori della sera erano già apparsi a tratti nel cielo.
“Penso sia giunto il momento di andarcene da questo posto” dichiarò.
Astril, che ben comprese l’allusione, abbassò lo sguardo con sofferta rassegnazione e non proferì parola.
Il gruppo si rimise così in cammino, attraversando l’ultimo tratto della foresta finché, quando ormai la notte si era sostituita a tutto il resto, si ritrovarono fuori da Glas Faroise.
Ad accoglierli, una piacevole e leggera brezza notturna scompigliò appena i capelli e rinfrescò loro il volto. Sospirarono socchiudendo gli occhi, lasciandosi per un attimo cullare da quelle dolci sensazioni, dopo tutti quei giorni passati nell’angoscia e immersi in un’aria densa e soffocante.
Davanti ai loro piedi un pendio scendeva placido verso il basso, la morbida erbetta verde illuminata dai raggi argentei della luna. All’orizzonte il mondo si apriva vasto e infinito, contorni e sagome scure immerse nella notte.
In assoluto silenzio cominciarono a scendere lungo il pendio, ognuno immerso nei propri pensieri, intenti a riflettere su tutto ciò che era capitato in quei giorni e a quali cambiamenti questo avesse portato.
Avanzarono per un po’ di tempo in cerca di un qualsiasi riparo; fu Idril ad accorgersene per prima, attratta dal luccichio argenteo della luna sulle acque cristalline di un ruscello, seminascosto dalla vegetazione.
La compagnia si avviò verso quella zona, ritrovandosi dinanzi una fortuita sorpresa: una spaccatura rocciosa ben riparata, dalle giuste dimensioni affinché tutti loro potessero entrarvi ed avere il proprio spazio.
Mentre Keira riempiva le fiasche con l’acqua fresca e spumeggiante del ruscello, Astril si diresse all’interno del riparo senza guardare in volto nessuno né proferendo alcuna parola. Si lasciò scivolare sul freddo pavimento di pietra, troppo esausta sia nel corpo sia nella mente per procurarsi un giaciglio più confortevole, e in pochi istanti si addormentò, il cuore avvolto in un’ombra di preoccupazione.
 
 
Correva a perdifiato nel vuoto, in un nulla di inconsistente nero, i contorni sfumati e intangibili. Continuava ad avanzare, eppure il paesaggio rimaneva immutato, scuro e denso, un’ombra da cui pareva impossibile uscire. Non vi erano direzioni o vie, tutto si avviluppava su se stesso, un indistricabile e soffocante baratro.
Improvviso e fioco, un bagliore rosso porpora si infranse vibrando nella parete di oscurità, illuminando parzialmente l’intero ambiente circostante prima di svanire esattamente come era apparso.
La principessa si fermò confusa, voltando il capo intorno a sé, il respiro spezzato nella gola. Pochi istanti dopo, un ulteriore lampo verde si propagò seguito a sua volta da un’onda aurea, che in un solo fluido movimento spazzò via ogni residuo di oscurità.
Astril spalancò gli occhi, totalmente in balia di quelle sfumature raggianti. Si rese presto conto di fluttuare su mare d’oro, mentre sopra il suo capo si innalzava un soffitto rosso porpora e ai suoi lati riluceva placido il verde.
Un lieve sorriso apparve sul suo viso frattanto che gli occhi si spostavano meravigliati da una sfumatura all’altra, soffermandosi su nulla ed ogni cosa. Avrebbe continuato così se una figura in particolare non avesse infine attirato il suo sguardo. La sagoma, l’unico frammento nero rimasto, seguiva fluide e snelle linee femminili, i capelli lunghi che scivolavano sulle spalle sin giù dai fianchi.
Se ne stava immobile, eccetto il viso che continuava a voltarsi da una parte all’altra, come se cercasse di capire in quale luogo si trovasse. Qualche tremito le attraversava talvolta le spalle.
Dopo il primo attimo di stupore, Astril cominciò ad agitare il braccio per richiamare la sua attenzione. Non sapeva spiegarsi il motivo, eppure quella figura aveva qualcosa di famigliare, il cui ricordo faticava a venire alla luce.
Nonostante il richiamo, la sagoma non interruppe quello che stava facendo. Anzi, sembrava non averla neanche notata. La principessa fece allora per fluttuare sin da lei, ma un’altra forza le afferrò salda il polso, impedendole di proseguire.
Alle sue spalle, una figura minuta dalle fattezze di bambina e anch’ella totalmente nera fluttuava disinvolta. Con l’impressione di averla già vista da qualche parte, Astril la guardò perplessa e allora uno spiraglio a mezza luna argenteo si aprì sul volto della bambina, in un sogghigno furbesco. Restarono così pochi istanti, poi l’ombra lasciò d’un tratto la presa sulla ragazza, cominciando a fluttuare all’indietro, in balia di una forza che la richiamava a sé.
Astril tentò di riafferrarla ma la bambina era ormai ridotta ad un puntino nero lontano, inghiottito dai colori sfavillanti.
In fretta e furia si voltò verso l’altra sagoma, ma con stupore si rese conto che anch’ella era scomparsa.
 
Con un lieve sussulto i suoi occhi si riaprirono di colpo, ma tutto ciò che si trovarono dinanzi fu il grigiore fiocamente illuminato d’argento della parete rocciosa. Ancora lievemente stranita la principessa si passò un braccio sul viso, poi si rimise piano a sedere. Poco distante rispetto a lei giaceva Keira profondamente addormentata, o così pareva, sul proprio mantello, le spade depositate al fianco. Verso l’uscita, la luce lunare ad illuminargli i capelli nivei, riposava Nicklesh ed infine, sul fondo della grotta e con il viso rivolto alla parete, stava Khaled.
L’unica mancante all’appello era Idril, probabilmente la prima ad essersi offerta per il turno di guardia.
La principessa si alzò in piedi, rendendosi conto in quel momento di aver giaciuto su un mantello per metà ridotto a brandelli, probabilmente di proprietà dell’arciera visto che il proprio lo aveva perduto, e di avere la maggior parte dei tagli che si era procurata medicati. Evidentemente mentre dormiva Idril doveva essersi presa cura di lei, come si era preoccupata di medicare gli altri, con i mezzi che aveva a disposizione.
Uscì piano dalla fenditura rocciosa, aggirando Nicklesh per evitare di schiacciarlo. Il ruscello spumeggiava tranquillo, argenteo nelle increspature della lieve corrente. La luna continuava a sfavillare alta, segno che non doveva esser passato troppo tempo da quando si era addormentata. Era stato un vero colpo di fortuna dopo una serie di disgrazie trovare quel piccolo posticino riparato, che ai suoi occhi sembrava un autentico splendore in seguito al ripetitivo paesaggio di Glas Faroise. L’aria poi era così fresca da risollevare l’animo ad ogni brezza.
“Ehi, Astril!”
Un sussurro allegro proveniente dall’alto richiamò la sua attenzione. Appoggiata con la schiena al tronco di un albero lì vicino, una gamba intorno ad un ramo e l’altra lasciata a penzoloni, Idril le rivolse un sorriso. Come al solito non aveva perso occasione per arrampicarsi il più in alto possibile.
“Come mai sei sveglia?” riprese, curiosa.
“Non riuscivo a dormire; sogni un po’ particolari” rispose la principessa, avvicinatasi ai piedi del tronco.
“Capisco! In questo caso, che ne dici di raggiungermi qui? Vorrei farti vedere una cosa!”
La ragazza indietreggiò d’istinto, agitando le mani.
“No grazie, credo che resterò quaggiù. La visuale è stupenda anche da questi piani”
Idril tuttavia non diede segno di aver ascoltato un sola parola. In pochi agili movimenti scese di qualche ramo, sino a rimanere in piedi su quello più basso, un mano stretta ad un altro ramo e l’altra tesa verso Astril.
“Non hai nulla da temere, ti aiuterò io! In alto poi c’è spazio sufficiente per entrambe, non correrai alcun rischio”
La ragazza la guardò esitante, ma infine gli occhi colmi di aspettativa di Idril bastarono a convincerla. Ci volle qualche tempo, ma dopo qualche piccola scivolata della principessa raggiunsero entrambe sane e salve la sommità dall’albero. Rigida come un frammento di ghiaccio Astril si sedette su un ampio ramo, attorcigliando le gambe intorno e serrando le mani al tronco. Estremamente tranquilla se ne stava invece Idril, in piedi e aggrappata con le dita a due rami alle sue spalle.
“Allora...cosa volevi mostrarmi?” chiese la principessa in un lieve sorriso teso, ancora in cerca della posizione più sicura.
L’arciera si lasciò andare ad un limpida risata “Innanzitutto cerca di rilassarti, non cadrai mai da qui a meno che tu non decida di gettarti con un salto, anche se non nego che potrebbe essere un’esperienza emozionante! In secondo luogo, guarda!”
In quel momento la giovane Mildriend scostò un fronda, lasciando così vedere un ampio frammento di cielo blu intenso.
Astril spalancò gli occhi, così come le labbra si schiusero per lo stupore. Innumerevoli stelle lucenti sfavillavano pure e preziose, gemme bianche in un’infinita distesa cobalto. Non ne aveva mai vedute di così belle in vita sua.
“Scommetto che attirata dalla luna non avevi neppure fatto caso a loro, vero?” sorrise, la pietra della sua spilla che, se possibile, riluceva più degli stessi astri.
“È così” ammise “Ma immagino che, anche se avessi osservato dal punto in cui mi trovavo prima, l’effetto non sarebbe stato lo stesso”
“Proprio così!” esclamò la Mildriend, sedendosi a cavalcioni sullo stesso ramo di Astril, l’una di fronte all’altra.
“Questa notte sono meravigliose, ma uno spettacolo ancor più bello lo puoi ammirare nel Regno degli Uishglan e nel Regno degli Sneachta. Nel primo ogni duecento anni si può assistere ad un meraviglioso fenomeno, il cielo si tinge di un particolarissimo verde-azzurro e le stelle brillano come perle lucenti. Se hai la fortuna di capitare nel posto giusto al momento giusto sarà un’esperienza indimenticabile. Chissà, magari riusciremo a vederlo quando ci troveremo in quel Regno, questo è l’anno in cui dovrebbe verificarsi. Dovremo dirigerci al lago Twilosh se davvero vorremo assistervi, solo lì e possibile osservare l’avvenimento. Sarebbe stupendo, non trovi?” esclamò emozionata.
“Senza dubbio” annuì colpita la ragazza, l’immaginazione che aveva preso a vibrare lontana in seguito a quelle parole “E nel Regno degli Sneachta?”
“Se ricordo bene non vi è una vera e propria ricorrenza, ma lì le stelle si possono ammirare ancora meglio ed una in particolare è più visibile delle altre, anche se al momento non ne ricordo il nome. Dovresti chiedere a Nicklesh comunque, di sicuro lui saprà molto di più!”
La principessa sorrise lievemente e poco dopo il silenzio scivolò fra di loro. La meraviglia suscitata dai racconti di Idril andò pian piano scemando, lasciando al suo posto l’inquietudine e la preoccupazione. Era giusto per lei sorridere e sognare su stelle e paesi lontani quando Felixia si trovava sperduta chissà dove? Ora che ragionava a mente lucida, era certa che la figura del sogno di poco prima fosse proprio la sua amica, smarrita e confusa, mentre l’altra sagoma, quella di bambina…
Astril aggrottò la fronte, morendosi appena il labbro con nervosismo. Non ne era sicura, ma qualcosa le diceva di conoscere bene anche quella figura, appartenente ad un passato ormai lontano.
Si trovava circondata da persone, eppure non si era mai sentita così sola. L’idea di aver perduto in quel modo l’unico membro rimasto della sua ‘famiglia’ era troppo dolorosa da sopportare. E ancora di più era stata l’indifferenza sui volti dei suoi compagni.
“Forse in questo momento ti è difficile vederlo, ma la perdita di Felixia ha ferito ognuno di noi. Anche Keira, sebbene fatichi a dimostrarlo” la richiamò la voce di Idril, lieve.
“Lo credi davvero?” mormorò.
“Ne sono sicura. Non avrebbe voluto lasciarla indietro, ma la situazione si era aggravata eccessivamente. Dopo aver sconfitto Ferimorn temeva l’attacco di un’altra Alkres, cosa che poi è avvenuta”
“Come hai detto!? Un’altra Alkres?” sobbalzò la principessa.
Negli occhi verdi della giovane passò un lampo di stupore.
“Ero convinta che Keira te ne avesse fatto parola. Mentre ci trovavamo separati una donna Alkres, Lunmoon, l’ha attaccata e le ha sottratto la sfera di luce, per poi svanire”
Astril quasi si sentì boccheggiare. Keira era stata sconfitta ed ora...non aveva più i suoi poteri? Un brivido la attraversò, al pensiero di ciò che la guerriera aveva dovuto sopportare.
“Non...non avevo idea di questo”
“Ha agito in via preventiva e ha pensato alla salvezza complessiva del gruppo, perciò deve esserti apparsa egoista”
La principessa non rispose, lo sguardo rivolto altrove.
“Era l’ultimo frammento di famiglia che mi fosse rimasto e l’ho perduta…” sussurrò poco dopo, una nota amara ad incrinarle la voce.
“Non devi sentirti in colpa per ciò che è successo, nessuno avrebbe potuto prevederlo” sorrise comprensiva “Inoltre anche io ho avuto modo di conoscere meglio Felixia e ciò che ho capito è che possiede in realtà molta più forza di quanto non sembri. Sono certa che stia bene e che prima o poi vi ricongiungerete. Magari in questo istante sta guardando proprio le stesse stelle da un’altra parte e sta pensando a quando vi ritroverete” sospirò, posando il capo su una spalla “Il vostro non è un addio”
A quelle parole, la principessa sollevò rapida lo sguardo sulla giovane, che aveva preso a giocherellare distrattamente con la propria spilla, il solito sorriso ad incresparle le labbra.
Per la prima volta dopo diverso tempo si ritrovò a chiedersi nuovamente quanto conoscesse a proposito dell’arciera o di tutti gli altri. Si potevano definire compagni in quella pericolosa ed ignota missione, avevano già condiviso diverse avventure, ma oltre a questo il loro rapporto non aveva mai mostrato altro genere di sfumature. Con soggetti come Keira e Khaled pareva impossibile poter conoscere dettagli sulla loro vita passata, anche se dal canto suo non si era neppure mai posta quel genere di interrogativi né aveva sentito particolare interesse a scoprire qualcosa di più, troppo coinvolta dalla situazione attuale e dai propri problemi.
Le tornò in mente allora la domanda che aveva sempre evitato di porre ad Idril per la mancanza di confidenza e l’imbarazzo. Forse adesso era giunto il momento adatto per chiederle qualcosa di più personale, sicuramente non avrebbe ricevuto una risposta gelida e l’atmosfera pacata che si era venuta a creare intorno a loro la incoraggiò a parlare.
“Idril...potrei farti una domanda?” cominciò, e la curiosità nello sguardo dell’arciera la incitò a proseguire “Ricordo che quando ci trovavamo ad Ait Hiding, durante una delle riunioni dei Saggi, tu dicesti che Quisaadi ti aveva chiesto di non rivelare le sue intenzioni riguardo Felixia. Ecco, ho sempre pensato che fossero in grado di comprendere il suo linguaggio solo Linus e gli altri Saggi...”
“Ho capito ciò che intendi” sorrise allegra la ragazza “E la riposta è molto semplice: è stata la Saggia a prendersi cura di me quando ero bambina, a crescermi, perciò ho appreso il significato dei suoi gesti nel corso degli anni”
La risposta lasciò Astril per un attimo stupita. Per quanto semplice fosse non aveva mai preso in considerazione quell’ipotesi; in effetti non aveva mai sentito parlare Idril dei propri genitori, così come Keira e Khaled, perciò era evidente che fossero stati cresciuti da qualcuno vicino a loro ad Ait Hiding.
“In un certo senso ci assomigliamo. Sono rimasta orfana in tenera età, non rammento assolutamente nulla dei miei genitori, nei miei ricordi vi è sempre Quisaadi, sin dai tempi in cui vivevamo Doskein” continuò a raccontare la Mildriend.
“Doskein?” ripeté perplessa Astril.
“Il nostro nascondiglio prima che trovassimo Ait Hiding. Te ne parlai quando ti feci da custode, ricordi?”
La principessa annuì con il capo “Sì, ora rammento. Si trattava di un nascondiglio sotterraneo, ma foste costretti ad abbandonarlo in seguito ad una misteriosa esplosione, giusto?” chiese cauta, consapevole di quanto delicato fosse l’argomento.
“Proprio così, per diversi anni abbiamo vissuto sottoterra. Ora che ci penso, per certi aspetti il covo di Ferimorn ce lo ha un po’ ricordato” ridacchiò e Astril la guardò apprensiva.
“Comunque, quella storia rimane ancora un mistero. Quel giorno vi furono diverse vittime purtroppo e gli eventi successivi si susseguirono in maniera estremamente caotica!”
“In ogni modo la vostra capacità organizzativa è ammirevole. Trovare in così poco tempo un altro luogo e mantenere l’intero gruppo dei Mildriend unito non dev’essere stata un’impresa semplice”
A quelle parole, il corpo dell’arciera si irrigidì d’un tratto, così come quello della figura che, nascosta nell’ombra, stava ascoltando l’intera conversazione.
Una spiacevole sensazione di disagio avvolse il cuore di Astril, conscia di aver appena toccato inconsapevolmente un tasto dolente. Idril tuttavia si rilassò quasi subito, dondolandosi appena sul ramo con fare giocoso.
“Come ti dissi tempo fa, tutto merito di Linus” rispose serena, il momento di improvvisa tensione spazzato via dalla sua espressione spensierata.
Ancora lievemente perplessa la principessa asserì, poi sollevò il viso verso le fronde degli alberi.
“Resterò qui ancora un pochino, dopodiché penso che ritornerò nella grotta”
“È comprensibile, in fondo è stata un giornata estremamente stancante, soprattutto per te. Domani come sai ti aspetteranno un bel po’ di domande. A breve dovrebbe giungere Khaled a darmi il cambio, non appena arriverà scenderò insieme a te”
Astril socchiuse gli occhi, cercando di rilassarsi e di liberare la testa dai cupi pensieri. Confidarsi con Idril era stato di grande aiuto. Non sapeva quali spiegazioni avrebbe potuto fornire dal momento che pure lei stessa era all’oscuro, nuovamente, di che cosa le fosse accaduto nello scontro con l’Alkres. In ogni modo, ci avrebbe riflettuto l’indomani.
 
Silenziosa e leggera, la figura si allontanò nell’ombra della notte attenta a non farsi scorgere, la mente occupata da profonde elucubrazioni. Fece per rientrare nella fenditura rocciosa quando scorse una sagoma, debolmente illuminata dalla luna, appoggiata alla parete esterna e paio di occhi ambra scintillare attenti.
“Di che cosa stavano parlando Idril e Astril?” sbottò, il tono di voce indagatore.
“Nulla di particolare” replicò sintetica la guerriera, per poi soggiungere “Se te lo stai chiedendo, Idril non ha detto nulla”
“Vorrei sperare” commentò aspro Khaled.
“Comunque sia, sappi che presto o tardi anche Astril dovrà venirne a conoscenza”
“Perché?” scattò immediatamente l’altro “Appartiene al passato e inoltre non la riguarda”
“Ti sbagli, anche lei ha sangue Mildriend e in quanto tale trovo sia giusto metterla al corrente. È stato lo stesso Linus a dirlo, ricordi? Al momento opportuno e a nostra discrezione, ma dovremo raccontarglielo. Perciò, visto che è stato proprio lui ad esprimere questa richiesta, un giorno le diremo la verità”
Il volto del Mildriend si piegò in una smorfia, ma non aggiunse altro. Con una scrollata di spalle si allontanò dalla parete e si avviò verso l’albero poco lontano, pronto per dare il cambio a Idril, mentre Keira rientrò nella fenditura rocciosa avvolta nel silenzio.
 
 
I caldi raggi dorati della tarda mattinata illuminavano dolcemente la grotta, creando morbidi giochi di ombra e di luce lungo i contorni rocciosi.
La compagnia mangiava silenziosa le ultime porzioni di radici rimaste, insaporite da una leggera spruzzatina della spezia appartenente a Felixia. Per quanto piacevole fosse il pasto, ogni boccone trasmetteva alla principessa una stilettata di malinconia e tristezza, che le impedivano di proferire qualsiasi parola.
L’unico a non mangiare era Nicklesh, appoggiato alla parete rocciosa in una posizione rilassata, sebbene il suo cuore palpitasse per l’aspettativa crescente, certo che da un momento all’altro sarebbero finalmente giunte le tanto sospirate spiegazioni.
Keira prese un ultimo e dissetante sorso d’acqua, prima di passare le fiasca a Idril e presentare un quadro della situazione.
“Come avrete notato anche voi, le nostre provviste sono pressoché esaurite e oltre all’acqua e alla spezia non ci è rimasto più nulla. Oltre a questo molti di noi hanno perduto il proprio mantello all’interno di Glas Faroise e i nostri vestiti sono in più punti lacerati. Di conseguenza saremo costretti a recarci in un villaggio per procurarci i rifornimenti”
Khaled, abbarbicato come al solito poco lontano, quasi si soffocò con una delle radici.
“In un villaggio? Di Syrma? Questo è un autentico suicidio!” replicò contrariato “La sorveglianza in questo Regno è estremamente elevata, sarà impossibile evitare le guardie senza imbracciare le armi”
Non che l’idea gli dispiacesse, comunque.
“Lo so anche io, ma non abbiamo altra scelta. Proseguire il viaggio in queste condizioni è impensabile. Idril ed io siamo le uniche a cui sia rimasto il mantello, anche se mezzo a brandelli, perciò ce ne occuperemo noi due”
“E dopo che avremo preso ciò che ci serve come ci muoveremo?” domandò Astril.
“Ho pensato anche a questo e a breve ve ne parlerò, però prima ci sono altre questioni di cui discutere” prese un respiro, poi voltò il capo in direzione di Nicklesh, che sentendosi richiamato raddrizzò immediatamente la schiena, pieno di aspettative. Finalmente era giunto il momento delle spiegazioni.
“Anche se la situazione ha preso delle svolte inaspettate ci hai guidato attraverso la foresta, come avevi promesso, perciò anche noi non saremo da meno e rispetteremo i patti. Sei libero di partire e di continuare per la tua strada”
Fu come se una lama ghiacciata fosse appena calata all’interno della grotta. Idril e Astril guardavano con espressione esterrefatta la guerriera, imperturbabile, mentre Nicklesh sembrava essersi immobilizzato sul posto, gli occhi azzurri spalancati per la sorpresa. Si riprese subito però e socchiuse le palpebre mentre un mite sorriso nascosto dalla stoffa attraversava il suo volto.
Si era totalmente dimenticato del fatto che oltre a quell’avventura non avesse nulla da spartire con quel gruppo e dalle espressioni di Astril e di Idril anche loro dovevano averlo realizzato solo allora.
Non era tenuto a sapere nulla dato che le loro strade sembravano esser destinate a dividersi.
Si alzò in piedi e si avvicinò all’uscita della grotta, lo sguardo rivolto verso il placido ruscello.
“Mi sono reso conto di diverse cose in questi giorni che ho passato con voi” iniziò dopo pochi attimi di silenzio “Nonostante siate un gruppo totalmente opposto in quanto carattere e molto spesso in contrasto, di fronte alle avversità diventate estremamente uniti e combattete sino allo stremo pur di proteggervi l’un l’altro. Ho capito che siete coinvolti in qualcosa di molto pericoloso e che il vostro viaggio ha la prospettiva di essere lungo e con un obbiettivo ben preciso, sicuramente più nobile del mio. La vostra è una missione che si prospetta esser ardua e ho raggiunto la conclusione che...” li guardò da sopra una spalla, gli occhi distesi e i capelli che, illuminati dal sole, sembravano quasi brillare “…mi piacerebbe restare con voi e aiutarvi a portarla a termine”
Quell’improvvisa ed inaspettata rivelazione li lasciò senza parole, persino l’espressione imperscrutabile di Keira era mutata in stupore.
Il primo a riscuotersi fu Khaled, che scosse la testa infastidito.
“Non sai neppure in che genere di situazione siamo coinvolti e ci stai offrendo il tuo aiuto ad occhi chiusi. Non ha alcun senso”
“È vero, non so nulla, né di voi né della missione, ma questi giorni sono stati sufficienti a farmi capire che avete nobili intenti e che mi posso fidare. Per questo vorrei unirmi a voi”
“E perché noi dovremmo fidarci di te?” sbottò con sfida.
“Pensavo che questo punto l’avessimo ormai superato. Inoltre la mia è una semplice richiesta, vi sto chiedendo di accettare il mio aiuto. Metto la mia spada e le mie abilità al servizio di questa missione, la decisione se accoglierle o meno spetta a voi” rispose gentilmente.
“In questo caso grazie per l’offerta ma rifiutiamo. Non è così, Keira?” incrociò le braccia, cercando il supporto della Mildriend.
“A decidere sarà Astril” rispose invece l’altra, neutra.
“Che cosa?” esclamò sconcertato il ragazzo, mentre la principessa la guardava senza capire.
“Per ovvie ragioni penso che spetti a lei la decisione. Io mi adeguerò di conseguenza”
Gli sguardi si spostarono allora tutti sulla ragazza, quello sereno ma curioso di Nicklesh, quello esaltato di Idril e quello traboccante scintille di Khaled.
Le spettava decidere in quanto Neish, questo aveva realizzato la principessa. Ben sapeva la posizione di Idril, come quella di Khaled, mentre Keira, sebbene di sicuro avesse già deciso, aveva preferito lasciare a lei la scelta. E per un volta, non aveva dubbi a riguardo.
“A nome di tutti accetto molto volentieri il tuo aiuto!”
Nicklesh sorrise felice, mentre Khaled roteò gli occhi con una smorfia, trattenendo a stento un sibilo. Il giovane dai capelli bianchi ritornò poi a sedersi nella stessa posizione di prima, in attesa, e infine Astril cominciò finalmente a narrare.
La prima cosa di cui parlò furono le sue origini reali ma a quella informazione Nicklesh annuì semplicemente con il capo, dicendo di aver compreso sin da subito chi fosse in realtà, ma che avesse preferito mantenere il silenzio. Sorse spontaneo alla principessa domandarsi quali genere di opinioni avesse Nicklesh a proposito dei Desideria e di Moron, tuttavia si impose di proseguire con il racconto, destinato a diventare sempre più intricato. Narrò della sua fuga dal castello con Keira e Felixia, dei suoi giorni ad Ait Hiding, della sua natura di Neish e delle Gemme, dello scontro con Myran, della partenza dal nascondiglio Mildriend sino a giungere al momento in cui Miradis era scomparsa senza lasciar traccia.
Durante l’intero racconto l’espressione di Nicklesh era mutata innumerevoli volte, passando da incredula, affascinata, interdetta ad estremamente interessata, come dimostrava il bagliore incuriosito nei suoi occhi azzurri.
Una volta concluso, la gola di Astril ardeva bisognosa d’acqua e le mani erano scosse da impercettibili tremiti; narrare a lungo non era mai stata la sua passione, specie se ricordi oscuri e colmi di terrore erano parte integrante del racconto.
Non una volta era stata interrotta, neppure da Idril o da Khaled –ancora eccessivamente irritato da altri motivi per poter modificare parti del racconto- e ora che le parole della principessa erano cessate tutti gli sguardi erano puntati su Nicklesh. Il ragazzo non disse nulla per qualche tempo, poi si portò una mano alla nuca, lievemente frastornato.
“Incredibile, io...non avevo assolutamente idea di questo. Avevo sentito parlare degli Alkres e di Ailenia ma credevo che ormai appartenessero totalmente al passato. Nessun altro eccetto i Mildriend è a conoscenza di ciò?”
“Non siamo certi di questo, ma è probabile che sia così” replicò Keira.
“E il simbolo di quell’indovina...collegato in qualche modo a Ferimorn” mormorò tra sé e sé “La questione sembra esser estremamente complicata”
“Sei ancora convinto che unirti a noi sia stata una buona idea? Non che tu ti possa tirare indietro, ora che hai ascoltato l’intera storia” disse Khaled, una punta di aspra saccenteria nella voce.
“Certo che no, le mie convinzioni non sono affatto cambiante. Come ho detto, farò tutto ciò che posso per rendermi utile. Il vostro obbiettivo è attraversare tutti i Regni di Erendhitum, dunque il prossimo sarà il Regno dei Veìdlin?”
Keira asserì, sollevata di potersi esprimere liberamente senza troppi enigmi.
“Attraversando Glas Faroise non solo abbiamo recuperato una Gemma, ma abbiamo anche evitato la capitale, Scentialhan, e di conseguenza Tsolais. Difficilmente saremmo passati inosservati nel pieno centro del suo territorio. Ora non ci resta altro da fare che attraversare l’ultimo breve tratto di Regno rimanente, trovare un villaggio nel confine e dirigerci verso le terre dei Veìdlin”
 “L’ultimo tratto, ovvero Cré Ear. Non è zona dei ribelli di Neamh, quella?” commentò Nicklesh, lievemente preoccupato.
La fronte di Astril si increspò a quelle parole. I ribelli di Neamh. Aveva sentito parlare a lungo di quella faccenda, uno dei maggiori problemi che aveva scosso l’apparente quiete cristallina dei territori di Tsolais. Si trattava di un gruppo piuttosto numeroso che, esattamente un anno prima, aveva tentato di rendere indipendente la piccola terra di Cré Ear, dando inizio a sommosse e saccheggi che si erano perpetuati diversi mesi al solo scopo di destare l’attenzione della capitale. La questione era stata risolta relativamente in breve tempo: la maggior parte dei ribelli era stata catturata e rinchiusa nella segrete, mentre i pochi fuggitivi avevano fatto perdere le loro tracce. La rivolta era stata un fallimento e la questione dei ribelli era stata archiviata con rapidità. Un problema da poco dopotutto, ma che aveva suscitato in Tsolais una profonda indignazione, incredula che il suo stesso popolo potesse pensare di disobbedire alle sue leggi e volesse infrangere il meraviglioso equilibrio di ricchezza e prosperità in cui vivano i Syrma, o meglio la maggior parte di essi. Cré Ear infatti non vantava degli stessi lussi della capitale e dei suoi dintorni.
In ogni modo, Astril era convinta che ormai quei ribelli fossero soltanto un ricordo.
“Ma la rivolta è stata placata un anno fa” mormorò, confusa.
“Questa è l’opinione comune, ma alcuni vociferano che in realtà i ribelli si stiano riorganizzando, nascosti da qualche parte. Non so se si tratti o meno di semplici voci o se ci sia un fondo di verità” spiegò Nicklesh.
“Per me possono tranquillamente riorganizzarsi, basta che non si intromettano nel nostro cammino” Khaled saltò giù dalla sporgenza rocciosa e scrollò le spalle.
“Direi che non abbiamo nient’altro da dire, perciò possiamo benissimo rimetterci in cammino”
Lo sguardo di Astril incontrò quello di Keira come la principessa sollevò gli occhi.
“Immagino che nemmeno tu abbia una spiegazione per ciò che accaduto contro l’Alkres, perciò non ti chiederemo nulla”
E nessuno infatti ne parlò, sebbene tutti fossero giunti ad un’unica conclusione: in quel momento, Astril stessa era parsa di pura luce.
 
°°°
Dopo tre giorni di estenuante cammino, alla mattina del quarto giorno Khaled riuscì finalmente a racchiudere in una sola parola lo stato d’animo che neppure per un istante aveva avuto intenzione di abbandonarlo: irritazione, profonda ed innegabile irritazione. I motivi erano così numerosi da essere impossibili da contare o da definire con chiarezza e tutto questo, in qualche modo, contribuiva a renderlo ancora più innervosito.
Sin dal primo momento in cui avevano rincominciato il viaggio aveva compreso che quei giorni di cammino sarebbero stati incredibilmente estenuanti; ammetterlo era fastidioso e il suo orgoglio protestava a riguardo, ma i precedenti scontri e il tempo trascorso a Glas Faraoise lo avevano indebolito più di quanto avesse creduto. Si sentiva affaticato, ferite di cui solitamente non si sarebbe neppure accorto pizzicavano contro i vestiti e le gambe non gli permettevano di tenere il passo di Keira, sebbene pure la velocità della guerriera si fosse notevolmente ridotta.
Altra fonte di irritazione era la presenza dagli occhi azzurri alle sue spalle, che al momento stava chiacchierando amabilmente con Idril, intento a descriverle le proprietà di questa fantomatica ‘neve’.
Lo Sneachta era stato sopportabile a Glas Faraoise e, poteva concederglielo, aveva contribuito alla sconfitta di Ferimorn; lo avrebbero ricordato come il ragazzo dai capelli bianchi che aveva fornito il suo contribuito e che poi era ripartito per la sua strada. Ovviamente, le previsioni del Mildriend si erano rivelate errate in pieno, Nicklesh si era unito a loro a tempo indeterminato, sebbene nessuno avesse richiesto espressamente la sua partecipazione.
Khaled era senza dubbio l’individuo meno propenso a fidarsi degli altri e pochi giorni condivisi con un estraneo non sarebbero bastati per fargli ottenere la sua fiducia, nemmeno dopo essersi salvati la vita a vicenda. Lo irritava il fatto che sapesse della loro missione, lo irritavano i suoi atteggiamenti ancora misteriosi e lo innervosiva quella dannata fascia di stoffa che si ostinava a portare sempre sul volto. Non se l’era mai abbassata, neppure durante i pasti, infatti mangiava quando nessuno lo guardava, mentre riposavano. Qualche volta era stato tentato di tenere un occhio aperto e di osservarlo di nascosto, ma poi aveva seccatamente lasciato perdere, rendendosi conto di dar troppa importanza a sciocchezze come quelle, nonostante fosse tuttora curioso. Cosa aveva da nascondere? Aveva forse il volto sfigurato?
Khaled si strinse nelle spalle a riflesso dei suoi pensieri. In ogni caso, non si fidava e mai lo avrebbe fatto. Idril continuava a ripetergli quanto questo aspetto del suo carattere fosse un difetto da combattere, ma lui al contrario la vedeva come una salvezza: fidandosi si correva il rischio di rimanere traditi, non dando fiducia a nessuno il problema neppure si poneva. Inoltre, fidarsi era fastidioso.
Insieme all’irritazione, vi era in lui una sfumatura di indifferenza per quanto riguardava Felixia. Non che fosse contento che si fosse perduta, ma allo stesso tempo quasi non notava la sua assenza. Stessa cosa non si poteva dire per Astril, che avanzava a stento e con un’ombra di costante stanchezza sul viso, che la rendeva ancora più distratta e intontita di quanto già non fosse. Se una piccola parte di lui era dispiaciuta per ciò che le principessa stava passando, l’altra era innervosita: Astril faticava ad essere un Neish normalmente, figurarsi adesso. Doveva cercare di riprendersi, ma passava il tempo a sospirare.
Infine, ciò che lo rendeva irritato, furioso e con il desiderio impellente di tagliare tutto con la sua spada erano le parole enigmatiche di Ferimorn. L’essere aveva detto che la fonte da cui aveva bevuto non si limitasse a trasformare le persone in mocciosi, ma che avesse effetti molto più ‘interessanti’ e un’odiosa conclusione raggiunta dal Mildriend era che quell’acqua rispecchiasse in realtà le paure delle persone. Khaled aveva subito scartato quell’ipotesi, interdetto. Se le cose stavano così significava che aveva paura dei bambini? O meglio, di essere uno di loro? Ridicolo. Certo, era stato orribile e frustrante ma di certo non aveva avuto paura. Lui non aveva paura di nulla, figurarsi di una stupidaggine simile. Inoltre, il passato apparteneva al passato. Doveva per forza esserci una risposta e lui l’avrebbe trovata.
Calciò un sassolino che finì con un rimbalzo in un basso cespuglio di morbida erba verde. Stavano attraversano un piccolo sentiero immerso nella vegetazione, ben diversa da quella di Glas Faraoise. I colori di questa erano così vivaci che quasi gli occhi ne rimanevano feriti, la luce del sole vibrava allegra lungo i contorni delle foglie e dei fiori dorati tipici del Regno, che quasi richiamavano il colore della chioma del suo popolo.
Come sempre, in testa al gruppo stava Keira mentre alle sue spalle camminavano Idril, Nicklesh e poi Astril, immersa nel silenzio e un po’ più in disparte.
Khaled si accigliò. Quand’è che era finito ultimo? Doveva assolutamente recuperare.
Fece per accelerare, quando una morsa di ferro si serrò intorno alle sue spalle, inchiodandolo sul posto.
“Ti conviene stare fermo, piccolo lurido inetto, o ti staccherò entrambe le braccia dal corpo”


°Note dell'Autrice°

Salve a tutti! I'm back! xD Anzitutto volevo scusarmi per esser sparita per ben 2 mesi, ma la scuola mi aveva totalmente risucchiata, non riuscivo più a far nulla. Ora ho concluso tutte le verifiche e interrogazioni, il 9 chiudono le scuole perciò potrò tornare a dedicarmi alla scrittura e ad aggiornare regolarmente ^^ Comunque, siete riusciti a giungere sino in fondo al capitolo? Ammetto che questa volta era davvero lungo, ma non potevo separarlo in due parti, non avrebbe avuto senso, e in un certo modo...spero che la lunghezza abbia ripagato la mia assenza x)
Dal prossimo capitolo avrà inizio il "nuovo arco", questo è stato più un passaggio.
Bene, spero che il tutto sia stato di vostro gradimento! Ah, stavo per dimenticarmi! *si tira un botta in testa* Ho deciso di inserire nella storia diverse cosine slash. Saranno degli accenni, per questo per ora non ho aggiunto l'avvertimento Slash, perché appunto saranno accenni. Però ce ne saranno diversi in futuro u.u
Perfetto, adesso ho davvero concluso -spero-
Alla prossima e grazie di tutto! <3


The_Grace_of_Undomiel
 

 

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Capitolo 24
*** I ribelli di Neamh ***



I ribelli di Neamh

Ti conviene stare fermo, piccolo lurido inetto, o ti staccherò entrambe le braccia dal corpo”
 
La voce alle sue spalle risuonò bassa e rabbiosa, parole sputate a stento da quell’ira impulsiva tipica di una persona che degli istinti aveva fatto una ragione di vita. Due enormi mani ruvide e ricoperte di calli si trovavano strette intorno alle spalle del Mildriend, bloccato in una presa ferrea e dolorosa. Tentò di protestare e di voltare il capo verso lo sconosciuto, ma un sospetto scricchiolio proveniente dalla sua scapola lo costrinse a tacere.
“Azzardati a prenderti gioco di me e ti ammazzo, moccioso”
“Non ucciderai proprio nessuno, invece”
A pochi metri dall’individuo Keira sguainò le sue fidate spade, lo sguardo gelido e il tono di voce severo. Lo sconosciuto che teneva immobilizzato Khaled era forse l’uomo più grosso e robusto che la guerriera avesse mai visto in tutta la sua vita; il volto non era visibile, nascosto dal cappuccio, e il corpo era avvolto in uno striminzito mantello verde bosco che a stento riusciva a coprire la sua stazza, così imponente rispetto a quella snella e slanciata del Mildriend tra le sue grinfie.
Un ampio e storto ghigno emerse sul viso seminascosto dell’individuo, in risposta all’ammonimento di Keira e alla posizione d’attacco e guardinga –nel caso di Astril, intimorita- dei restanti membri del gruppo.
“Chiudi la bocca, femmina. Non sei nelle condizioni per intervenire, nessuno di voi lo è, perciò fareste meglio a tacere e ad abbassare le armi, a meno che non vogliate perdere una parte del corpo o due”
La guerriera non accennò neppure un lieve sobbalzo quando la fredda punta di una spada si andò ad appoggiare lieve sul suo collo, limitandosi semplicemente a dardeggiare un’occhiata sui misteriosi individui, otto in totale, apparsi in un lieve fruscio di cespugli. Indossavano anche loro un mantello color verde bosco e il viso era celato dall’ombra del cappuccio. Calzavano stivali di cuoio usurati e in mano stringevano spade di fattura non particolarmente pregiata ma comunque affilate, tutte puntate verso i loro volti.
“Forza, lasciate cadere le armi a terra” grugnì l’individuo che teneva prigioniero Khaled.
Idril, Astril e Nicklesh scambiarono fra loro una rapida occhiata per poi spostare lo sguardo su Keira, la quale, dopo qualche istante, ubbidì suo malgrado agli ordini dell’uomo. Le armi caddero al suolo una dopo l’altra e le figure avvolte nei mantelli se ne impossessarono immediatamente.
Khaled fremette di rabbia quando uno di questi gli sfilò la spada corta dalla cintola, ma la presa dell’uomo lo costrinse ancora una volta a contenere la sua ira. Dietro di lui l’individuo sogghignò malevolo, poi ordinò ai suoi sottoposti di bendare i prigionieri e di legare loro i polsi.
Sicuro che non potesse in alcun modo scappare l’uomo abbandonò la presa su Khaled, afferrò la corda che lo teneva legato e poi cominciò ad avanzare, strattonandolo. Tra una maledizione e  l’altra il giovane incespicò diverse volte tanta era la forza con cui l’uomo lo tirava, e solo dopo diverso tempo riuscì ad abituarsi all’andatura sostenuta.
Marciarono a lungo, avvolti nell’assoluto silenzio, talvolta interrotto dal fruscio dei cespugli e dallo scricchiolio di rami che venivano scostati. Non vi furono tentativi di ribellione durante il cammino, a eccezione di qualche movimento eccessivamente irrequieto di Khaled, quasi subito represso da uno strattone che per poco non lo aveva fatto cadere a terra. La rabbia e la frustrazione bruciavano nel petto come tizzoni ardenti insieme alla stessa odiosa sensazione di impotenza che aveva provato quando era stato tramutato in bambino. Non poteva fare nulla eccetto continuare ad avanzare, il suo destino e quello dei suoi compagni in mano a quei maledetti individui incappucciati. Strinse i denti con ira, immaginando di poterli infilzare uno dopo l’altro con la punta della sua spada.
Mentre la mente di Khaled ponderava massacri e vendette di ogni genere, quella di Nicklesh, così come quella di Keira, rifletteva e macchinava nel tentativo di elaborare un piano. Nulla tuttavia sembrava abbastanza efficace ed entrambi avevano raggiunto la conclusione che solamente Astril forse sarebbe stata in grado con le sue fiamme di infliggere dei danni o perlomeno di liberarsi, ma erano anche consapevoli che la principessa non avrebbe mai potuto agire in maniera così violenta.
Perciò, non avevano altra scelta che continuare ad avanzare.
Compresero di esser entrati in una zona differente quando brusii e mormorii concitati giunsero alle loro orecchie, segno che dovevano trovarsi circondati da persone, più precisamente in un accampamento, come suggerivano lo sfrigolare lontano di un focolare e il tenue odore di cibo.
Erano forse stati catturati da dei banditi? Ma allora perché non derubarli e ucciderli subito?
Khaled rincominciò a muoversi, voltando il capo da una parte all’altra irrequieto, quando un violento strattone quasi non gli staccò i polsi di netto, seguito a sua volta dal grugnito minaccioso dell’uomo, fermatosi all’improvviso.
“Mi hai proprio stancato, pidocchio. Dato che non vuoi star fermo ti darò io un motivo per dimenarti, così vedrai cosa si ottiene a disobbedire ai miei ordini” mollò bruscamente la corda a uno dei sottoposti, poi si schioccò le dita, il ghigno nella voce.
“Adesso ti spacco un braccio”
Khaled sobbalzò mentre l’energumeno si avvicinava, Astril e Idril proruppero in un gemito sconcertato e Nicklesh provò a intervenire, ma venne tirato indietro all’istante.
Nonostante i tentativi di sfuggirgli l’uomo era riuscito ad afferrare il braccio del Mildriend, pronto a torcerglielo, quando la voce scontrosa e palesemente infastidita di un ragazzo interruppe l’intero trambusto.
“Che accidenti sta succedendo qui, Uglòr?”
L’uomo chiamato Uglòr sibilò appena tra i denti, prima di voltarsi verso colui che aveva parlato, senza però abbandonare la stretta sul braccio di Khaled.
“Questi stranieri si stavano addentrando indisturbati nel nostro territorio, perciò ho pensato che fosse opportuno catturarli e...”
“…rompere un braccio a uno di loro, quando sai meglio di me che Jeal è totalmente contrario a questo genere di approcci, visti i suoi continui discorsi” proseguì, irritato “Comunque sia, ora che li hai portati sin qui dobbiamo risolvere la questione”
Si avvicinò al gruppo e, non tanto più gentilmente rispetto a Uglòr, afferrò la corda che teneva legato Khaled, il quale si concesse un breve sospiro di sollievo nel sentire che l’energumeno aveva lasciato la presa sul suo braccio, per poi ostentare immediatamente ostilità, questa volta nei confronti del nuovo individuo.
Egli ordinò agli altri di seguirlo, compreso Uglòr- ringhiante e borbottante- dopodiché si incamminò, mentre mormorii e sussurri vibravano incessanti nell’aria.
 
Dopo aver proseguito per qualche tempo, superando bisbigli, rumori cozzanti di spade e stuzzicanti aromi di cibo, si fermarono nuovamente e l’individuo che aveva in apparenza preso il comando affidò la sorveglianza di Khaled a uno dei sottoposti, dopodiché sparì dietro al rumore battente di una porta di legno, segno che doveva esser entrato in un edificio.
Il gruppo prigioniero attese fuori diversi istanti, con un Khaled ai limiti dell’impazienza e una Idril sempre più insofferente di quelle corde che le impedivano di muoversi liberamente e di quella benda che le celava il mondo.
Trascorsero ancora pochi minuti, poi udirono il cigolio della porta che veniva riaperta e con essa la voce del misterioso individuo.
“Lasciateli entrare uno per volta, poi potrete andarvene. Eccetto te, Uglòr” disse, ottenendo in risposta un grugnito quasi animalesco.
Come la compagnia venne condotta dentro un persistente aroma di legno unito al tipico odore di chiuso li avvolse con una calda vampata, dopodiché,  in seguito allo scalpiccio di passi e al rumore della porta che veniva ancora una volta chiusa, scese sull’ambiente un singolare silenzio carico di tensione e aspettativa.
“Scioglili le bende, ma se puoi evita di staccargli la testa”
“Non prometto nulla” ringhiò in risposta l’uomo, avvicinando le mani grosse e callose al volto di Khaled, che per un attimo si ritrasse irritato, una smorfia a piegargli le labbra, prima di lasciarsi liberare.
La cortina d’ombra che lo aveva avvolto per tutto quel tempo sparì d’un tratto e la luce proveniente da un punto indefinito quasi lo accecò, costringendolo a serrare le palpebre, così come tutti gli altri.
Non appena si furono riabituati compresero di trovarsi all’interno di una rudimentale baracca di legno rettangolare, le pareti e il soffitto mangiati in più punti dal tempo e dall’umidità. La mobilia era pressoché inesistente, alla loro sinistra vi era una piccola libreria di legno rovinata, con sopra meno di una dozzina di libri, dall’altro lato si trovava una struttura di media grandezza su cui erano appesa tre spade, due pugnali, un arco, una faretra con all’interno delle frecce e un’ascia.
Infine, dinanzi a loro, si ergeva un rudimentale tavolo di legno e intorno ad esso tre figure, due in piedi e una seduta.
La stazza mastodontica del primo e lo sguardo rabbioso fece loro intuire che dovesse trattarsi di Uglòr.
I capelli biondo sporco gli ricadevano stopposi sugli occhi neri e sul volto arcigno, sfigurato da una spessa cicatrice che partiva diagonalmente da uno zigomo sino a ricongiungersi con l’altro. Indossava una camicia bianco sporco aperta sul petto e un paio di brache color terra infilate negli stivali logori. Al cintola portava una spessa spada a doppio taglio.
L’espressione del secondo individuo, probabilmente il ragazzo che era intervenuto tempo prima, era decisamente meno torva di quella dell’uomo ma comunque severa e con un’impronta irritata. Le ciocche dei capelli corti e biondi erano sistemate verso l’alto e gli occhi castano scuro studiavano con attenzione i prigionieri. Indossava una maglia bluastra, sopra ad essa una cotta di cuoio e un paio di pantaloni color terra. Calzava degli stivali sporchi di terriccio e usurati sulla punta e dietro alle spalle spuntava il manico appena lavorato di una spada a due mani.
L’individuo seduto sarà stato all’incirca coetaneo del secondo ed era l’unico in tutta la stanza ad aver le labbra sollevate in un sorriso rilassato. Un ciuffo appena mosso di capelli biondi gli ricadeva sul viso, ove brillavano un paio di occhi grigi animati da una luce quasi infantile ma allo stesso tempo penetrante.
Indossava una maglia accollata, il colletto orlato da un sottilissimo bordo dorato, e una cotta di cuoio. Teneva le mani appoggiate sul tavolo, su cui si trovava aperta una mappa e vicino ad essa un pugnale in ferro. Sopra fluttuavano cinque sfere di luce calda e dorata.
Tutti e tre gli individui erano Syrma, e questo poteva significare solo una cosa…
“Ammetto che il luogo non sia dei più accoglienti, ma visti i tempi e la situazione in cui ci troviamo questo è il meglio che siamo riusciti a ricavare”
La voce del ragazzo al tavolo risuonò allegra e squillante e come una freccia si infranse in quello scudo di silenzio che si era venuto a creare.
“Anche le modalità di benvenuto non sono state molto calorose a onor del vero. Ripeto, visti i tempi e gli individui che circolano non si sa mai, ma tentare di staccare un braccio non è uno degli approcci migliori” si voltò verso Uglòr, che aggrottò istintivamente le sopracciglia.
“Ricordi il discorso di qualche tempo fa, la violenza gratuita non è mai la soluzione”
L’uomo piegò il volto in una smorfia.
“L’insetto si muoveva troppo per i miei gusti, era giusto secondo me dargli una lezione” replicò, indicando con un cenno del capo Khaled, il cui sguardo sprizzava scintille di fuoco.
“Dopo avresti comunque avuto le sue urla di dolore da gestire. Non sarebbe stato più fastidioso?” proseguì il ragazzo, il solito sorriso sulle labbra.
“Grida e strilli non sono mai un problema per me, lo sai”
“Certo che lo so, e tu allo stesso modo conosci le regole su cui fonda il nostro gruppo”
L’uomo si bloccò un istante, poi si aprì in un ampio ghigno prima di scoppiare in una risata bassa e sguaiata.
“Ovviamente, Jeal; mai disobbedire agli antichi ordini” disse questo mentre continuava a ridere, e lo strano bagliore che attraversò il suo sguardo fu troppo rapido per venire notato.
“In ogni modo, visto che siamo partiti decisamente con il piede sbagliato, lasciate che mi presenti” riprese il ragazzo “Il mio nome è Jeal, lui è Uglòr, e quel ragazzo amante dell’ombra e dall’aria intrattabile è Iwarioth”
“Amante dell’ombra? Non iniziare a dire cavolate come al solito” rimbrottò l’altro in risposta.
“Che crudeltà. Comunque sia, sebbene immagino lo abbiate capito da soli, vi trovate all’interno dell’accampamento dei ribelli di Neamh, più precisamente nel capannone principale, se così possiamo chiamarlo. Qui però i più sorpresi dovremmo esser noi. Mildriend, proprio davanti ai miei occhi! Allora le voci erano vere, quelle riguardanti la vostra ricomparsa. Chi siete voi?”
Lo sguardo grigio di Jeal si andò a posare su Keira, rimasta in un silenzio riflessivo per tutto quel tempo. La guerriera ricambiò l’occhiata con la sua tipica espressione severa, che spesso riservava verso individui sconosciuti e di cui non si fidava, poi fece per rispondere, ma venne interrotta da Jeal.
“Tuttavia non siete solo Mildriend, vi è anche uno Sneachta fra di voi, abitante dell’estremo Regno Nevicristallo. La questione si fa sempre più curiosa”
Keira a quel punto si accinse nuovamente a prender parola, ma Jeal la interruppe ancora una volta.
“Il vostro aspetto poi mi fa comprendere che avete attraversato diverse disavventure prima di giunger nel nostro territorio, che vi è accaduto?”
“Invece di continuare a porre domande a raffica come un moccioso forse dovresti tacere e ascoltare le risposte” lo riprese Iwarioth, il sopracciglio destro che aveva preso a tremare impercettibilmente per il nervosismo.
“Giusto, le mie scuse. Iniziate pure” sorrise.
“Il mio nome è Keira e, come è ben visibile a tutti, la mia stirpe è Mildriend. Ci siamo ritrovati nel vostro territorio per pura casualità, non era nostra intenzione raggiungere il vostro accampamento o infiltrarci nelle vostre questioni. Siamo stati sorpresi e catturati mentre eravamo intenti a dirigerci verso il confine”
“Certo, come se potessimo credere a questo genere di fandonie” sputò fuor dai denti l’uomo.
“Buono, Uglòr” lo ammonì Jeal, il tono di voce sereno e senza allontanare lo sguardo da Keira, che continuò.
“Questo ragazzo alla mia destra si chiama Khaled,” il diretto interessato voltò il capo dall’altra parte con aria ostile “poi alla mia sinistra vi sono Nicklesh, Idril e Orlin” disse il primo nome che le venne in mente, per celare la vera identità della principessa “Siamo una compagnia di viaggiatori, poco prima di entrare nel vostro territorio siamo stati attaccati da un gruppo di banditi e anche se siamo riusciti a fronteggiarli abbiamo riportato delle ferite”
“Vuoi davvero berti delle baggianate simili?” abbaiò nuovamente Uglòr.
“A buona parte delle informazioni che ci stanno rivelando credo, anche se ci sono diversi aspetti che ritengo impossibili” rifletté, senza perdere quel solito sorriso fanciullesco “Ad esempio, perché mai un gruppo di Mildriend, popolo da anni perseguitato, dovrebbe mettersi in viaggio senza motivazioni sufficientemente importanti? Inoltre trovo singolare la presenza di uno Sneachta in tutto questo, senza contare che mi sembrate un po’ troppo mal ridotti per esservi semplicemente scontrati con un gruppo di banditi. Mi hanno anche detto che eravate ben armati prima che vi confiscassero tutto, perciò dovete esser piuttosto bravi a combattere”
Seppur impercettibilmente, Keira si irrigidì sul posto. Doveva subito trovare una risposta adeguata e che non gli permettesse di indagare oltre. Fu allora che udirono in lontananza lo scalpiccio di passi in corsa, prima che la porta venisse spalancata di colpo e sbattesse con un rumore sordo contro la parete, sull’uscio una ragazza con il fiato corto.
Sul viso contratto in un’espressione determinata e arrossato per la corsa spiccavano un paio di grandi occhi castani su cui ricadevano ciocche di capelli biondi, legati in due corposi codini alti che le giungevano appena sopra le spalle. Di corporatura non eccessivamente alta ma snella, indossava una maglia maniche lunghe rosso sbiadito, un corpetto di cuoio lungo sino alle cosce, una cintura marroncina dalla fibbia in ferro appena lavorata e un paio pantaloni infilati negli stivali.
“Perché…non mi avete...chiamata?” domandò tra un ansimo e l’altro, il tono di voce in una nota di rimprovero a tratti accusatoria.
“Sapevo che ti stavi occupando delle reclute, quindi non mi sembrava il caso di interrompere. E poi queste questioni teoricamente non sarebbero di tua competenza” rispose Jeal, tranquillo “Come procede con le matricole, Mighdar?”
“Faticano a rispettare gli ordini e tendono a rompere continuamente la formazione” scosse la testa, seccata “Comunque, questi sono i prigionieri Mildriend? Che cosa sta accadendo?”
“Ci stavamo giusto occupando delle presentazioni, prima che tu entrassi con tutto quel trambusto” rispose Jeal.
La giovane parve imbarazzata e si affrettò a mettersi in una posizione composta, di rispetto, ma non accennò a scusarsi.
“Non sono riuscita a trattenermi quando l’ho saputo e sono subito corsa qui” disse, avviandosi verso il tavolo.
“Dunque, dove eravamo rimasti?” riprese serafico Jeal e, notando la linea sottile che avevano assunto le labbra di Keira e la sua espressione guardinga, si aprì in un sorriso più ampio.
“In queste situazioni mentire non è mai la scelta giusta. Alcuni dettagli sono troppo evidenti per esser celati da delle menzogne”
“Come il nome della vostra compagna in parte Mildriend e in parte Desideria. È sufficiente avere qualche informazione sulla situazione corrente per capire che quella non è una semplice ragazza, ma la principessa Astril, la scomparsa nipote di Moron” intervenne Iwarioth.
Il silenziò calò sulla stanza come una lama gelata. Espressioni di ostilità e di stupore mal celato non si trovavano solo sul volto della compagnia, ma anche sullo stesso Jeal, che guardava l’altro Syrma a dir poco sbigottito. Al che, Iwarioth inarcò un sopracciglio, dapprima confuso e poi visibilmente infastidito.
“Non dirmi che non c’eri arrivato”
“Assolutamente no!”
“Lo avresti capito anche tu se avessi taciuto un attimo e avessi osservato con più attenzione”
“Quella di prima è stata un’intuizione a dir poco brillante, non me lo sarei mai aspettato da te! Oppure è stato solo il caso?”
“ ’Sta zitto”
Jeal riportò l’attenzione sulla compagnia, interdetta -nel caso di Astril spaventata, come suggeriva la sua espressione braccata e il fatto che si fosse avvicinata d’istinto a Idril-. Keira aveva fatto per afferrare le sue fidate spade, prima di rendersi conto di aver ancora i polsi legati e che le sue armi erano state confiscate. Mentire ora sarebbe stato ancora più arduo, se non impossibile.
Jeal sospirò, mentre le sue dita tracciavano arabeschi immaginari sulla mappa.
“Posso capire la vostra posizione. Vi abbiamo catturati, legati e trascinati qui con la forza. Il vostro amico per poco non ha perso il braccio” indirizzò un’occhiata a Uglòr, che non ebbe reazione “Vi sentite in territorio nemico ed è comprensibile, ma anche noi non sappiamo nulla sul vostro conto. Potreste esser degli assassini, dei ladri, o chissà cosa. Un po’ sono curioso, lo ammetto, ma adesso non vi chiedo dettagli sui vostri obbiettivi, o da dove proveniate, né perché la principessa Desideria sia con voi. Perché mai dovreste rispondermi? Quello che mi serve è qualcosa che mi convinca che non siete dei farabutti, in poche parole” concluse sorridente.
L’ennesimo silenzio seguì il suo discorso, la tensione così viva da esser quasi tangibile.
Preoccupato, Nicklesh dardeggiò un’occhiata sui volti dei compagni: Astril era intimorita, Idril impegnata a rassicurarla in silenzio, Khaled pareva volesse incendiare con un solo sguardo la baracca intera con i suoi occupanti e Keira aveva assunto una posizione estremamente difensiva.
Alla fine, a prender parola fu lui.
“Per quanto riguarda me, mi sono unito a questo gruppo da pochissimo tempo. Per motivi che non ho il diritto e non intendo rivelare ho tentato di far loro da guida all’interno della foresta di Glas Faraoise, fallendo però nella mia promessa. Abbiamo trascorso giorni terribili, affrontando ogni genere di nemico e creatura, mettendo più volte a rischio la vita. Ne siamo usciti incolumi, ma abbiamo… smarrito una compagna e forze esterne ci hanno impedito di poterla recuperare. Siamo feriti per le battaglie che abbiamo intrapreso qualche giorno fa e il nostro obbiettivo è raggiungere il Regno dei Veìdlin senza che Tsolais o i suoi alleati possano accorgersi della nostra presenza. Mi sono unito a loro proprio per i loro ideali e il loro valore. Forse potrete considerare me un farabutto, ma questo è ciò che penso”
Non si curò delle occhiate degli altri, l’attenzione fissa sui Syrma dinanzi a lui. Parevano colpiti, anche Iwarioth aveva allargato gli occhi alla menzione di Glas Faroise, prima di incupirsi notevolmente al nome di Tsolais.
Jeal tamburellò più velocemente le dita sulla mappa, poi si alzò in piedi, un sorriso di maliziosa e allegra soddisfazione  a illuminare i suoi occhi grigi.
“Risposta esauriente, Sneachta Nicklesh. Le battaglie che avete intrapreso sono segnate sulla vostra pelle e quello che vi occorre sono cibo, cure mediche e riposo. Fermatevi qualche giorno al nostro accampamento, ne avete bisogno”
La sorpresa non tardò a manifestarsi.
“Cosa?” fece Iwarioth, seguito dall’esclamazione di Mighdar.
“Che significa tutto questo?” sbraitò invece l’uomo.
“Inutile che ti scaldi tanto, Uglòr. Ormai ho deciso” disse candidamente Jeal “Allora, cosa mi rispondete? Vi mostreremo la base e se ci darete il tempo di sistemare qualche questione vi daremo noi varie informazioni, come è giusto che avvenga”
“Vista la situazione non sembra abbiamo molta altra scelta” rispose imperscrutabile Keira, superato il primo attimo di sorpresa.
“Saggia decisione” esclamò briosamente  Jeal. Fece per rivolgersi a Uglòr, ma il ringhio dell’uomo troncò sul nascere ogni parola.
“Ridicolo. Cosa siamo diventati, una specie di taverna? Dar ospitalità a questi forestieri. Me ne vado”
“Fermo! Jeal non ti ha dato l’autorizzazione per uscire!” protestò Mighdar, ma l’uomo non la ascoltò e a grandi passi uscì dalla baracca.
Con un sorrisetto il ragazzo sospirò scuotendo il capo, accondiscendente.
“Lascia perdere, Mighdar, piuttosto slega loro i polsi e poi mostragli l’accampamento. Devono esser curiosi”
“Vuoi liberarli?” inarcò un sopracciglio Iwarioth.
“Non c’è motivo di tenerli ancora legati. Sono disarmati, in cinque contro un accampamento di ribelli. E poi hanno in parte conquistato la mia fiducia”
“Perché?” parlò d’un tratto Keira “Perché ci stai aiutando?”
“Siete stravolti, sia esternamente che interiormente, e siete Mildriend; un popolo perseguitato, una piccola stirpe che cerca di sopravvivere contro poteri più forti e schiaccianti di loro. Direi che
abbiamo molto in comune e chi si trova in situazioni simili tende a darsi una mano, no?” un guizzo d’intesa illuminò i suoi occhi e Keira non aggiunse altro.
Mighdar slegò i prigionieri, poi li condusse fuori, chiudendosi la porta alle spalle. Jeal si risedette al tavolo, iniziando a giocherellare con il pugnale di ferro.
“Non sappiamo niente di loro” disse Iwarioth.
“Lo so!”
Il sopracciglio dell’altro tremò di nervosismo per la seconda volta “Se lo sai allora perché agisci in maniera così stupida?”
“Mi hanno ispirato sin dal primo momento in cui ho visto il loro sguardo. Inoltre” sollevò gli occhi verso l’alto, come perso in un ricordo” “Mi sto semplicemente attenendo ai principi di Breof”
 
 
La prima cosa che scorsero appena usciti furono chiome bionde spostarsi qua e là trafelate sotto i raggi dorati del sole. Si trattava principalmente di uomini o ragazzi, ma tra di loro era possibile riconoscere anche diverse donne e giovani, la maggior parte in tenuta da battaglia e con una spada o un pugnale appeso alla cintola.
L’accampamento, disseminato di tende, giacigli e focolari, non era tanto vasto e principalmente soleggiato, eccetto alcune zone ombreggiate dalle chiome degli alberi, che lo circondavano.
“Vi mostrerò l’intero accampamento, dopodiché vi condurrò dal nostro medico e poi vedrò di trovarvi un luogo in cui potrete sistemarvi. Non allontanatevi e cercate di non perdervi” istruì Mighdar, prima di incamminarsi con la compagnia al seguito.
Gli eventi si erano susseguiti così rapidamente che Astril ancora faticava a rendersi conto della situazione. Erano stati catturati, scortati in un posto sconosciuto, la sua identità era stata scoperta ma questo pareva non aver portato particolari conseguenze e ora stavano attraversando l’accampamento dei ribelli di Neahm, gruppo che credeva sciolto ma in realtà, nonostante il numero piuttosto ridotto, ancora in funzione e con una organizzazione e una gerarchia ben precisa.
Quel ragazzo chiamato Jeal doveva esser il capo della rivolta o qualcosa del genere, Iwarioth forse era il secondo in quanto autorità mentre Mighdar e l’uomo mastodontico sembravano occuparsi di piccole squadre e sicuramente sottostavano ai comandi di Jeal.
Ancora non si sentiva al sicuro e non aveva idea che di genere di piega avrebbe preso la situazione da quel momento in poi, tuttavia poteva dire di esser stati fortunati. Khaled avrebbe potuto perdere un braccio, o i Syrma rivoltosi avrebbero potuto decidere di trucidarli senza neppur ascoltare le loro parole. Non solo avevano deciso di risparmiarli, anche se invero non avevano commesso alcun crimine, ma Jeal si era offerto di aiutarli.
“Da quanto tempo siete stanziati in questo territorio?” domandò Nicklesh, guardandosi attorno incuriosito.
“Diversi mesi, ovvero da quando il nostro gruppo ha ripreso forma” rispose Mighdar.
“E siete sempre restati qui, all’aperto e con il rischio di farvi scoprire?” sbottò Khaled.
La ragazza lo guardò da sopra una spalla, le sopracciglia corrugate in un’espressione piuttosto infuriata “Non siamo degli sprovveduti, perciò non parlare di cose che non sai!”
Khaled continuò a borbottare tra sé e sé commenti e imprecazioni, mentre Idril ridacchiò sommessamente, già a proprio agio, come suggerivano i suoi occhi verdi colmi di meraviglia e il sorriso allegro a incresparle le labbra.
Passarono davanti a un focolare su cui rosolava carne di selvaggina dall’odore e dall’aspetto invitanti. A quella vista lo stomaco di Khaled si strinse in una morsa, memore delle secche e stoppose radici di cui si era cibato in quei giorni, migliorate dalla spezia di Felixia ma non per questo molto nutrienti. Voltò il capo con una smorfia stizzita e si impose per orgoglio di non avere alcuna fame.
“Siete in possesso di numerose provviste! Immagino che diversi di voi si occupino della caccia e dall’avanscoperta!” esclamò Idril con esaltazione.
Mighdar le lanciò un’occhiata, forse non comprendendo quell’entusiasmo così vivace.
“Esattamente, vi è una squadra specifica per la caccia e un’altra dedita all’esplorazione. In questa zona si può facilmente procacciare il cibo, anche se recentemente la selvaggina ha cominciato a scarseggiare”
“Quelli sono archi e frecce!” la voce dall’arciera risuonò limpida come indicò in lontananza un gruppetto di ragazzi intenti a centrare con scarsi successi dei sacchi di tela.
“Quella è la zona riservata agli allenamenti, una parte è dedicata alle lame, quindi spade, pugnali e asce, mentre l’altra...ehi, dove stai andando!?” esclamò spalancando gli occhi. Idril si era avviata rapida e vitale verso il gruppo di ragazzi con l’arco, la curiosità alle stelle.
Mighdar la raggiunse a grandi passi visibilmente infastidita, alle sue spalle il resto della compagnia.
Non appena giunsero la Syrma fece presente alla giovane Mildriend di non potersi allontanare, mentre quest’ultima si scusava sfiorandosi la nuca con un sorriso imbarazzato, lo sguardo dopo pochi istanti già rivolto verso gli archi.
Astril aveva sempre ammirato la capacità di Idril di adeguarsi con la sua spontaneità, anche se talvolta in maniera esagerata, a ogni situazione. Questo aspetto dell’arciera, insieme alla sua disponibilità e alla sua allegria contagiosa, spesso la rassicurava, dal momento che a lei occorreva molto più tempo per trovarsi a proprio agio in un luogo o in una situazione nuova e non di rado si sentiva fuori posto. Anche Nicklesh, sebbene lo conoscesse da pochissimo tempo e avesse appena interagito con lui, le trasmetteva questa sensazione. Da quando erano giunti all’accampamento si era mantenuto per lo più in silenzio, eccetto qualche domanda interessata, ma poteva intuire dal suo sguardo sereno che si sentisse sufficientemente sicuro, come dimostrato nel momento in cui aveva risposto alla domanda di Jeal. Al contrario, Khaled si era come sempre chiuso in uno scudo di ostilità e sembrava per nulla intenzionato a uscirne. Keira non aveva più proferito parola, ma i suoi occhi analizzavano con attenzione ogni particolare e di sicuro la sua mente stava macchinando riflessioni e conclusioni.
La principessa avrebbe voluto chiederle cosa pensasse dell’intera situazione, ma ancora non vi era stato il tempo per parlarle con tranquillità. A dire il vero, da quando era scomparsa Felixia le loro interazioni si erano piuttosto ridotte, e già normalmente non comunicavano molto.
“Quei ragazzi però non sembrano tanto abili nell’uso dell’arco” constatò genuinamente Idril.
“Si tratta per la maggior parte di reclute, per questo motivo non sanno destreggiarsi ancora bene” ci tenne a precisare Mighdar, in qualche modo colpita nell’orgoglio.
“Ti occupi tu del loro addestramento, giusto?” domandò Nicklesh.
“Sì, anche se io principalmente mi dedico alle spade, soprattutto alle asce. Il tiro con l’arco diciamo che non è la mia specialità e così altri pensano a insegnargli. A volte persino Jeal, quando non è impegnato in questioni più importanti”
“Posso tirare qualche freccia?” chiese l’arciera, puntando l’attenzione su un arco abbastanza malridotto, abbandonato in un angolo.
“Assolutamente no! Solo perché avete il permesso di stare nella nostra base questo non vi autorizza a maneggiare delle armi!” affermò con vigore la ragazza “Inoltre vi devo ancora portare da Luibhor, perciò seguitemi” si voltò e sul suo viso precedentemente infervorato passò un lampo di stupore “Dov’è finito l’altro ragazzo?”
All’appello mancava infatti Khaled, scomparso senza che nessuno se ne fosse accorto.
“Deve averci perso di vista mentre raggiungevamo Idril. Credevo fosse dietro di noi” disse Nicklesh.
Mighdar scosse la testa infastidita, mormorando qualcosa che aveva tutta l’aria di essere un epiteto poco gentile nei confronti del Mildriend.
“Dobbiamo cercalo. L’accampamento non è tanto grande perciò dovremmo ritrovarlo abbastanza velocemente”
Si misero in cammino mentre Idril si avvicinava ad Astril, un sorriso divertito sulle labbra.
“Probabilmente in questo momento starà imprecando verso tutte le divinità esistenti!”
“Mi auguro che almeno non compia azioni avventate” parlò Keira.
Astril si ritrovò mentalmente a concordare con lei. Tra tutti il ragazzo sembrava il più infastidito dalla situazione e pronto a scattare in qualsiasi momento. Potevano solo sperare che non si ritrovasse nuovamente faccia a faccia con Uglòr.
 
 
 
Era bastata una semplice e stupida distrazione e ovviamente la colpa era tutta di quel Syrma dallo sguardo poco sveglio, che aveva preso a fissarlo con un’insistenza a dir poco fastidiosa.
Khaled aveva fatto del suo meglio per ignorarlo e ostentare indifferenza, resistendo per ben una manciata di secondi. Alla fine il fastidio e l’irritazione avevano preso il sopravvento. Sopportare le rapide occhiate curiose degli altri ribelli era già stata un’impresa e anche se a fatica era riuscito a superarla, ma tollerare quello sguardo incalzante si era rivelato impossibile.
Al colmo del nervosismo si era voltato verso il Syrma e gli aveva scoccato un’occhiata carica di scintille e di astio, così ostile che aveva avuto il potere di far abbassare istantaneamente lo sguardo all’individuo e di farlo sparire fra la folla.
Khaled aveva annuito fra sé e sé, soddisfatto per l’operato, poi si era voltato e con orrore si era reso conto che degli altri non vi era l’ombra e che lui non stava nemmeno più camminando. Probabilmente per squadrare il Syrma si era fermato senza rendersene conto. Si era guardato un po’ intorno, poi, mentre alla sorpresa iniziale si era sostituita la famigliare sensazione di fastidio, aveva ripreso il cammino verso una direzione casuale, sperando fosse quella intrapresa dai suoi compagni.
Nuovamente le sue predizioni si erano rivelate inesatte, dal momento che stava ancora girovagando per quel maledetto accampamento di Syrma senza riconoscere alcun volto fra la folla. Eppure la base era così piccola!
Si guardò attorno sospettosamente. Quei Syrma ribelli parevano molto differenti rispetto a quelli di cui aveva sentito parlare, superbi e arroganti, tuttavia questo non li faceva apparire affatto più simpatici ai suoi occhi e non credeva per nulla che fossero persone di cui ci si potesse fidare.
Jeal aveva offerto con apparente allegria il suo aiuto, ma il Mildriend era sicuro che in realtà stesse macchinando qualcosa. Chi mai avrebbe dato una mano a degli stranieri senza aver secondi fini in mente? Era impossibile.
Immerso in questi pensieri aveva smesso di curarsi di ciò che gli accedeva attorno, quando un doloroso colpo alla spalla lo riportò bruscamente alla realtà. Khaled incespicò appena, per poi voltarsi di scatto verso la causa, l’espressione irosa.
“Ehi, vuoi stare attento!? Mi hai quasi fatto cadere!”
L’individuo che lo aveva urtato si fermò, girandosi appena verso il Mildriend. Si trattava di un ragazzo, probabilmente suo coetaneo. I capelli biondi erano corti e un poco disordinati e gli occhi castano-dorati lo osservavano in un misto di noia e fastidio. Indossava una maglia blu scuro dalle maniche lunghe e sopra a essa una cotta di cuoio leggera, una paio di pantaloni marroni e gli stivali. Alla cintola teneva appese due fodere, contenenti due spade corte, e in mano stringeva un libro dalla copertina rovinata. Alto e slanciato, superava di qualche centimetro il Mildriend.
“Potrei dirti la stessa identica cosa” replicò duramente.
“Come sarebbe? Mi hai colpito alla spalla!”
“Sei tu quello che stava camminando senza guardarsi intorno, perciò sei stato tu a scontrarti con me”
“Non è vero, mi sei venuto addosso!” controbatté con forza Khaled.
A quel punto l’altro ragazzo si voltò completamente verso di lui, la traccia di noia del tutto scomparsa e al suo posto solo irritazione.
“Quante volte te lo devo ripetere? Ti sei scontrato con me perché non prestavi attenzione alla strada. Impara a guardare dove metti i piedi prima di andare in giro!”
“Sei tu quello che deve imparare! Alto come sei non ti sarai accorto di me, maledetto albero che non sei altro!”
“Come hai detto, dannato?”
I due si squadrarono, Khaled visibilmente arrabbiato, i denti stretti e i pugni serrati in posizione da combattimento; l’altro si era mosso appena di qualche passo, forse tentando di mantenere un contegno, ma dalla sua espressione era visibile che fosse al limite della pazienza. Poi improvvisamente il suo viso ritornò serio, sebbene con ancora una punta di irritazione nello sguardo.
“Tch, lasciamo perdere. Non vale la pena perdere tempo con un nuovo arrivato, tra l’altro idiota come te. Inoltre,” Khaled fremette d’ira, giurando di aver visto apparire sul volto del ragazzo un sorrisetto “sei già notevolmente messo male, basta guardare i tuoi vestiti, perciò non avrebbe senso tirarti un pugno, anche se te lo meriteresti”
“Tu...” ringhiò Khaled pronto a scattare, ma la voce del ragazzo lo fermò.
“Un’altra cosa. Nel caso non te ne fossi accorto ci stanno osservando molte persone e se tu provassi a colpirmi -ovviamente non esiterei a restituirti il favore- gli altri interverrebbero subito contro di te, dato che ti trovi nel nostro accampamento e sei uno straniero. A quel punto saresti in notevole svantaggio”
E con queste ultime parole si allontanò, lasciando solo un Khaled furioso e frustrato.
Maledetto Syrma.
Represse un sibilo seccato fra i denti, poi ricominciò a camminare, mentre gli altri Syrma distoglievano lo sguardo ritornando a occuparsi delle loro faccende.
Da quando erano entrati in contatto con quei ribelli tutti gli individui più odiosi e sgradevoli erano capitati a lui, prima quel colosso di Uglòr e ora quell’insopportabile ragazzo. Sperò vivamente che potessero ripartire per la loro strada al più presto.
Proseguì la sua esplorazione nell’accampamento, senza notar nulla di particolarmente interessante, finché una voce proveniente dal basso non lo costrinse a fermarsi.
“Che sguardo ostile e insofferente, ragazzo. Cosa ti turba tanto?”
A parlare era stato un uomo sulla quarantina, seduto a terra vicino a una tenda. I capelli erano tirati in una corta coda bassa e gli occhi di un verde scuro sostavano su Khaled con fare distratto. Sul volto vi era un accenno di barba bionda e tra le mani stringeva un pezzo di corteccia e un coltellino.
“Nulla che ti riguardi” replicò  subito sulla difensiva. La risposta aspra non scompose minimamente l’uomo, che si limitò a riportare lo sguardo sugli oggetti e ad armeggiare con il coltellino.
Khaled rimase qualche istante in attesa, anche se per l’uomo sembrava esser diventato invisibile. Provò a scoccare un’occhiata all’interno della tenda, ma dal morbido spiraglio al centro non scorse nulla se non il buio.
“Non vi è nulla di esaltante lì dentro se te lo stai chiedendo. Solo poche boccette, barattoli, erbe e qualche libro” disse nuovamente l’uomo con tono disinteressato, senza alzare lo sguardo.
 “Chi sei tu?” cambiò discorso Khaled, stizzito per essersi fatto beccare.
“L’erborista di questo accampamento, o se preferisci Luibhor”
“Quindi sei una sorta di medico?”
Il Syrma si strinse nelle spalle “Una specie. Non hai affatto un bell’aspetto, lo sai? Aspetta qui”
Khaled non ebbe neppure il tempo di replicare che l’uomo era già sparito dentro la tenda. Ritornò poco dopo, in mano quello che sembrava esser un unguento e delle fasciature, e indicò a Khaled di sedersi.
“Non è necessario, sto bene così!”
“Piantala di fare il testardo. Sotto quel ridicolo pezzo di mantello usato come fasciatura hai una ferita da non sottovalutare, perciò siediti” rispose laconico. Khaled sospirò seccato scoccandogli un’occhiata di fuoco, ma alla fine ubbidì.
Luibhor tolse la fasciatura che aveva sulla spalla ed esaminò la ferita.
“A quanto pare non sei nelle mani di un completo sprovveduto, se ha impedito al taglio di infettarsi. È abbastanza profondo, che ti è capitato?” domandò, ma dalla sua voce svogliata sarebbe stato impossibile capire se fosse davvero interessato o meno.
“Una foglia, tagliente come una lama. È caduta da un albero e mi ha trafitto” rispose malvolentieri.
“Oh? Ma non mi dire”
“Non mi credi?” sbottò piccato.
“È una storia singolare da sentire. Un po’ ridicola, in effetti”
“Mi stai dando del bugiardo?”
“Ho solo fatto una constatazione, non ti ho mai definito così, mi pare”
“Però era implic...” Khaled non finì la frase, soffocando un gemito di dolore quando l’uomo passò sulla ferita l’unguento.
“Non c’è bisogno di scaldarsi tanto. Ti credo. In effetti questa non è la prima stranezza che sento. Di questi tempi anche le cose più assurde si rivelano esser vere, alle fine. Ad esempio qualcuno potrebbe definire una follia l’idea della ricomparsa dei Mildriend, ed invece eccone uno proprio davanti a me. Ah beh, potresti anche mentirmi, in effetti. Ma non mi interessa”
Avvolse la benda pulita intorno alla ferita. I suoi movimenti erano rapidi e un po’ ruvidi ma non per questo incauti. Eccetto all’inizio, il ragazzo non aveva sentito alcun dolore.
“Ecco fatto, come nuovo. Massimo due giorni e la tua spalla non ti procurerà più il minimo fastidio. Ora ho del lavoro da sbrigare, perciò levati di torno” disse, esortandolo ad andarsene con un gesto annoiato della mano.
Khaled si rialzò in piedi e si sfiorò appena la fasciatura, indeciso se bofonchiare o meno un ringraziamento. Quell’uomo aveva in sé qualcosa di indolente e irritante, ma era anche vero che lo aveva...
“Sei ancora qui?”
Al diavolo i ringraziamenti.
“Me ne stavo giusto andando” sbottò piccato, quando qualcuno gli passò accanto senza neppure accorgersi della sua presenza. Khaled si immobilizzò sul posto incredulo, mentre una fiamma di orgoglio e crescente fastidio cominciava ad ardergli nel petto.
“Ti ho portato i libri di cui avevi bisogno” disse il ragazzo con cui si era scontrato poco prima, porgendo tre manoscritti rovinati verso Luibhor.
“Ah sì, fammi dare un’occhiata” sfogliò rapidamente qualche pagina, poi annuì “Mh, sono proprio questi”
“Ottimo. Posso rimettermi al lavoro, adesso?”
“Come ti pare, prima però scorta questo individuo lontano dalla mia tenda. Gli ho già detto di andarsene ma è rimasto lì impalato”
Il Syrma si voltò con aria appena interrogativa, prima che i suoi occhi si allargassero per la sorpresa alla vista di Khaled.
“Tu?” mormorò tra l’incredulo e il seccato “Cosa ci fai tu qui?”
“Sono arrivato per caso e questo tipo mi ha obbligato a mostrargli una ferita. Tu piuttosto?”
“Mi occupo insieme a Luibhor dello studio delle erbe mediche”
“Tch, devo ringraziare allora che non sia stato tu a sistemare la mia ferita”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia “Che vorresti insinuare?”
“Se proprio dovete discutere almeno allontanatevi da qui e lasciatemi leggere in pace” fu il laconico commento di Luibhor.
Come sempre tra i due l’ira  più evidente era quella di Khaled, che mai si preoccupava di dissimulare i suoi atteggiamenti bellicosi. L’altro aveva nuovamente mantenuto una postura composta e questo, insieme al suo sguardo ricolmo di avversione, infastidiva il Mildriend ancora di più.
La tensione venne spezzata dalla voce squillante di Idril, che chiamò il nome del compagno. Agitò il braccio in un saluto e in pochi saltelli lo raggiunse.
“Eccoti qui, finalmente!” esclamò allegra “Ti abbiamo cercato ovunque!”
“Siete voi a esser spariti all’improvviso, ho setacciato ogni angolo di questo stupido accampamento per ritrovarvi! Dove eravate finiti?”
“Avevo detto di prestare attenzione e di non allontanarvi per nessun motivo! A causa tua abbiamo perso tantissimo tempo prezioso!” fece presente Mighdar, spazientita “Perlomeno sei giunto qui e ti sei già fatto medicare le ferite”
“Questi dunque sono gli altri Mildriend?” disse il ragazzo, osservando la compagnia.
“Esattamente. A questo proposito, perché prima non ti sei presentato alla baracca? Jeal ha parlato lì con i prigionieri”
“Quel genere di questioni non sono di mia competenza, come del resto non lo sono per te. La mia presenza sarebbe stata di troppo, perciò mi sono dedicato ad altre occupazioni” replicò.
“È evidente che oggi non sia possibile leggersi un libro in tranquillità” sospirò rumorosamente Luibhor, appoggiando a terra il manuale “Hai portato tutta questa gente da me per un motivo, no?”
Mighdar annuì “Necessitano di cure”
“Ottimo, allora lascia fare a me. Dovrai rimandare i tuoi esperimenti a dopo, Dùtrashine”
“Possiamo dividerci il lavoro” si offrì il giovane.
“Non sarà necessario. Piuttosto se vuoi renderti utile recati da Renet, sembra abbia bisogno di una mano”
Il ragazzo assentì con un cenno del capo e si allontanò, non prima di aver osservato astiosamente con la coda dell’occhio Khaled, che rispose nello stesso modo.
Anche Mighdar se ne andò, informandoli che avrebbe cercato loro una sistemazione e che sarebbe tornata a prenderli in seguito.
Luibhor osservò uno ad uno i giovani che aveva di fronte. Una Mildriend dallo sguardo severo con una notevole cicatrice sull’occhio, un ragazzo dai capelli bianchi con parte del viso fasciata, una ragazza visibilmente esaltata per qualcosa a lui sconosciuto, un’altra dall’aria spaesata e infine l’irritante moccioso di prima.
Decisamente la gente più scomoda capitava sempre a lui.
 
                                                                                                                                                        °°°
Quando sopraggiunse la notte, i suoni che avevano avvolto per l’intera giornata l’accampamento si affievolirono pian piano, divenendo deboli rumori appena suggeritori della presenza di qualcuno. Passi, parole a mezza voce, lame che venivano affilate e impercettibili sfrigolii. Sfere dorate danzavano scintillanti nell’aria, sostitute di una luna assente.
I giacigli della compagnia erano stati sistemati in una zona piuttosto appartata, lontano dagli occhi curiosi dei Syrma ma non da quelli attenti di chi teneva la guardia.
La coperta su cui sedeva Astril era ruvida e strappata sul fondo, ma il sollievo di poter riposare su qualcosa che non fosse la nuda roccia o il terreno oscurava ogni dettaglio.
Nel corso della giornata il timore e la diffidenza erano lentamente scemati, lasciando al loro posto curiosità e interrogativi. Avevano passato diverso tempo presso la tenda di quell’individuo dall’aria perennemente annoiata e poco socievole, Luibhor, che si era occupato di tutte le loro ferite.
La maggior parte del gruppo si era mantenuta in silenzio, eccetto Idril che con la sua immancabile vivacità aveva tempestato di domande l’erborista, chiedendoli ogni tipo di informazione sulle erbe e sugli unguenti utilizzati.
Luibhor per un po’ si era limitato a ignorarla roteando gli occhi, poi aveva iniziato a risponderle monosillabico, visibilmente infastidito da quella presenza saltellante.
Idril era fatta così. Quando un argomento coglieva il suo interesse non vi era modo di placare i suoi entusiasmi. Alla fine Luibhor l’aveva praticamente cacciata dalla tenda e lei aveva ripromesso sorridente che sarebbe ritornata l’indomani.
Mighdar li aveva poi condotti ai loro giacigli e aveva detto che avrebbe fatto modo di racimolare qualche mantello e dei vestiti di ricambio. I corpetti e le cotte che indossavano erano ancora in buone condizioni, mentre le maglie erano ridotte in brandelli. Nel caso di Keira anche i pantaloni.
“Tutto sommato devo dire che siamo stati incredibilmente fortunati” parlò Nicklesh a bassa voce “Abbiamo ottenuto cure, cibo, vestiti e un posto in cui poter recuperare le forze. Non pensavo che i ribelli si sarebbero potuti rivelare un tale risorsa. Si stanno comportando davvero gentilmente con noi”
“Vero, e il merito è soprattutto di Jeal, il loro capo” sorrise l’arciera, le ginocchia strette al petto.
“Come al solito salti alle conclusioni troppo velocemente, Idril. Ti ricordo che non ci hanno ancora dato nessun tipo di informazione. Non sappiamo nulla di loro” replicò Khaled.
“Nemmeno loro sanno nulla di noi, eppure ci stanno aiutando”
“Questo è quello che credi tu, nessuno ci assicura che in realtà non abbiano un secondo fine. Magari hanno intenzione di tenerci prigionieri all’infinito”
“Più che prigionieri a me sembra che ci stiano trattando come ospiti” continuò tranquilla la ragazza.
“Per non parlare del fatto che hanno scoperto l’identità di Astril. Potrebbero benissimo esser in accordi con Moron e aver in qualche modo informato i suoi soldati della nostra posizione, mentre noi ce ne stiamo qui a osservare sfere fluttuanti e a mangiare”
“Ne dubito fortemente, Khaled. Non penso che questi ribelli siano in accordi con il sovrano. Da quello che so Moron è un uomo malvagio e senza scrupoli e credo non esiterebbe a tradirli per ottenere favori o ricattare Tsolais. Solo un pazzo potrebbe allearsi con un individuo  del genere” rispose Nicklesh. Si rese conto subito dopo delle parole non proprio piacevoli che aveva utilizzato e si voltò leggermente verso Astril, temendo di averla turbata in qualche modo. La principessa però sembrava non essersene neppure accorta.
“Nicklesh ha ragione, e poi non dovresti usare quel tono aspro verso il cibo che ci hanno offerto. Ti sei divorato in un sol boccone quella piccola porzione di selvaggina” ridacchiò Idril.
“E questo cosa c’entra?” sbottò Khaled.
“Anche tu risenti dei benefici dello stare qui” affermò con ovvietà.
“Certo, infatti perdere quasi un braccio e incontrare soggetti odiosi uno dopo l’altro è esattamente ciò di cui avevo bisogno”
“Che siano odiosi o meno, tu non sopporti nessuno a prescindere” proseguì allegra.
“Prova a scambiare qualche parola con quel Dùtrashine, poi vedremo”
“Resteremo qui massimo quattro giorni”
La voce seria di Keira interruppe di colpo il chiacchiericcio e tutti si voltarono verso la sua direzione.
“Si stanno mostrando ospitali nei nostri confronti, ma questo non basta per assicurarmi che possa fidarmi di loro. Ancora non comprendo appieno tutta la fiducia che Jeal sta riponendo in noi e dalla mia parte non sento l’obbligo di dovergliela restituire. Perlomeno non ancora, siamo qui da appena un giorno e vi sono troppi interrogativi da chiarire. Non sappiamo quale sia lo scopo o la vera organizzazione di questi ribelli, cosa abbiano in serbo per noi e, soprattutto, trovo la posizione dell’accampamento estremamente sospetta”
“Che vuoi dire?” domandò piano Astril.
“Me ne sono accorto anche io. Non abbiamo camminato troppo prima di giungere qui, perciò significa che la base non si trova eccessivamente lontano dalla via. Per quanto la vegetazione possa nascondere non è sufficiente a celare un accampamento simile. I rumori, le luci, gli odori…si comportano come se fosse impossibile venir trovati. Credo che il posto in cui ci troviamo non sia quello che sembra” rispose Nicklesh.
“Forse in questi giorni scopriremo qualcosa di più” rifletté Idril.
“In ogni modo, rimarremo non più di quattro giorni. Se per allora non ci avranno ancora restituito le armi...” la sua voce si ridusse a un sussurro “...faremo in modo di recuperarle e di andarcene comunque”
“Fosse per me, me ne andrei sin da domani” disse brusco Khaled e queste furono le sue ultime parole prima di stendersi. Nessuno sapeva se avesse intenzione di addormentarsi o meno. Probabilmente si sarebbe ostinato a rimanere sveglio tutta la notte.
Astril seguì il suo esempio poco dopo, accoccolandosi nella coperta. Si sentiva stanca e la giornata era stata caotica e ricca di novità. Si addormentò velocemente, mentre nel buio lo spumeggiante e famigliare rumore di una cascata si faceva sempre più vivo.


°Note dell'Autrice°
Salve a tutti quanti! Spero che la vostra estate stia procedendo al meglio e che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Come avrete notato sono apparsi diversi nuovi personaggi, molto molto importanti  e che nel corso della storia vedremo spesso <(^.^)> Quali sono le vostre primissime impressioni?
Come sempre grazie a chi recensisce, a chi ha inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate e chi semplicemente legge nell'ombra
<3
A presto!
The_Grace_of_Undomiel

 

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Capitolo 25
*** Presente e passato ***



Presente e passato

Un pezzo di legno, due piccole statuette a forma di dama a cui una mancava il braccio sinistro e all’altra il destro, tre frammenti di vetro lucente, un piatto scheggiato. Tutto scivolava nella sacca malridotta e rattoppata di Rhiin, che rapida si spostava da una parte all’altra della torretta in cerca di oggetti. Nulla sfuggiva al suo occhio attento, qualsiasi cosa sembrasse appetibile veniva captato, afferrato e fatto sparire nella sacca.
Astril osservava con interesse i movimenti veloci della ragazzina, come se dinanzi avesse avuto una qualche creatura mistica.
Un mese era passato dal loro primo incontro e da quel giorno Rhiin si era sempre presentata nella torre, pronta a fare piazza pulita di tutti gli oggettini possibili.
Astril l’attendeva, in piedi e sorridente. Giungeva lì con almeno un quarto d’ora d’anticipo e aspettava con impazienza che la chioma viola della ragazzina sbucasse finalmente dal davanzale del finestrone. Prima i capelli, poi un paio di occhi azzurro pallido e infine l’intero viso, arrossato per lo sforzo dell’arrampicata e aggrottato in un’espressione determinata. Una volta salita saltava nella torre con un energico balzo, assumeva un sorriso furbesco come a complimentarsi con se stessa, lanciava un breve sguardo di sufficienza ad Astril, la ignorava per il resto del tempo, prendeva tutto ciò che riusciva a trasportare e poi se ne andava.
La sequenza si era ripetuta per i primi dieci giorni, finché all’undicesimo si era finalmente rivolta alla principessa di sua spontanea volontà, domandandole se non temesse che il re o la regina potessero scoprirla. Gli occhi di Astril si erano illuminati –dopo giorni passati praticamente a chiacchierare da sola dato che Rhiin non la considerava, le aveva parlato!- e aveva risposto che in quel periodo i sovrani erano estremamente impegnati e che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza. Anzi, più si defilava e meglio era.
Dopo quel giorno Rhiin si era fatta progressivamente più loquace, anche se il suo atteggiamento era piuttosto arrogante e non mancava di rispondere saccentemente o di indirizzarle occhiate di sufficienza, accompagnate da sorrisetti furbeschi dei quali Astril non coglieva il significato.
Tuttavia questo non le importava minimante. Rhiin conosceva tantissime storie e aneddoti e ogni giorno gliene raccontava uno diverso, facendola sorridere meravigliata. Spesso le sue storie erano divertenti e talvolta anche Rhiin ridacchiava, anche se non sapeva se fosse realmente divertita o se le piacesse più che altro prenderla in giro.
Rhiin era una finestra sul mondo esterno e la sua presenza le impediva di sentirsi sola. La paura della solitudine e la curiosità di conoscere sempre di più quella misteriosa ragazzina spingevano Astril a salire ogni giorno scale impolverate e a rintanarsi per almeno due ore in una torre calda e piena di ragnatele. Doveva scrollarsene tantissime di dosso prima di ritornare ai piani inferiori.
Dal ventesimo giorno la ragazzina aveva addirittura smesso di cercare continuamente oggetti. Dopo un po’ si sedeva a terra  e cominciava a parlare, dedicando tutta la sua attenzione alla principessina. O almeno quasi tutta, quando non era impegnata a osservare con cura ciò che aveva preso.
Un rumore di cocci in frantumi fece sobbalzare la principessa, strappandola dalle sue riflessioni. Rhiin aveva rigettato una tazzina da the nel mucchio di oggetti, probabilmente perché rotta. Agiva sempre così quando qualcosa non si rivelava come si era aspettata o non le piaceva: lo ributtava con noncuranza nella catasta, sbriciolandolo.
“A che punto sei con la raccolta di oggetti?” domandò Astril, giocherellando distrattamente con la gonna di un caldo arancio, orlata sul fondo da perline dorate.
“La sacca non pesa  troppo, perciò ci sta ancora qualche oggetto. Non mettermi fretta” la liquidò senza neppure voltarsi.
“Oggi mi piacerebbe ascoltare una storia avventurosa” proseguì Astril come se nulla fosse. Ormai aveva imparato a non soffermarsi troppo sulle rispostine piccate di Rhiin e a non prendere molto sul serio le frecciate che le indirizzava di tanto in tanto.
“Ti racconto ogni volta aneddoti avventurosi, anche perché conosco solo quelli” sollevò gli occhi.
“Allora vorrei nello specifico le avventure di Hateria. Eravamo arrivate al punto in cui la bambina era quasi giunta alle porte della città”
Astril adorava quella storia. Narrava di una ragazzina che, dopo aver perduto entrambi i genitori, veniva adottata da una famiglia egoista e sprezzante, per nulla amorevole nei suoi confronti e pronta a sfruttarla per qualsiasi lavoretto. Un giorno però Hateria aveva deciso di ribellarsi a quel trattamento ed era scappata in piena notte, alla ricerca di una vita migliore. Aveva attraversato ben due Regni, sopravvivendo a tantissime avventure, e ora aveva quasi raggiunto la sua meta.
La principessa era ansiosa di conoscere il seguito.
“Non ricordo, da quando avrei assunto il ruolo di tuo cantastorie personale?” domandò retoricamente Rhiin.
“Non dire così, tanto lo so che ti piace raccontare!” esclamò Astril. Rhiin assumeva spesso un portamento orgoglioso, arricchendo il racconto con espressioni e gesticolando vivacemente, tutto al fine di impressionare la sua ascoltatrice.
“Oggi non ho tempo di raccontarti una storia. Finisco di raccogliere quello che mi serve e poi me ne vado, ma dalla prossima volta non tornerò più. Gli oggetti interessanti stanno esaurendo e tu sei noiosa”
“Lo dici continuamente, ma poi torni sempre!” replicò con un sorrisetto vittorioso. Era la verità, ogni giorno Rhiin le diceva che quello sarebbe stato un addio, eppure, dopo un mese, era ancora lì, a raccontarle storie e a “prendere in prestito” gli oggetti rotti.
Il sorriso di Astril tuttavia scomparve quando la ragazzina richiuse la sacca e se la mise in spalle, avvicinandosi al finestrone senza degnarla di uno sguardo. Un nodo pesante e metallico serrò la gola di Astril, mentre gli occhi lucidi osservavano la figura di spalle dell’altra, l’espressione ansiosa e smarrita. Tentò di iniziare una balbettante richiesta di spiegazioni, ma Rhiin la interruppe prima che potesse proferir parola.
“Stavo dicendo che oggi non ho intenzione di raccontarti una storia, poiché in realtà avrei in mente un’idea diversa” prese una pausa, come se proseguire le costasse enorme fatica e, in un certo senso, la irritasse. Astril non rispose, il fiato trattenuto nei polmoni in attesa che Rhiin riprendesse il discorso.
“Devo esser del tutto impazzita per proporti una cosa del genere, comunque sia, che mi risponderesti se ti chiedessi di venire a visitare la mia casa?”
Passarono alcuni istanti di silenzio. Astril sbatté un paio di volte le palpebre, non certa di aver capito bene, poi le sue labbra si aprirono in un enorme sorriso stupefatto, gli occhi ricolmi di gioia e di aspettativa.
“Stai dicendo...stai dicendo sul serio?”
Rhiin annuì, il viso voltato verso sinistra contratto in una sorta di broncio imbarazzato.
“Vuoi davvero che venga a casa tua!?”
“È quello che ho appena detto. Allora? Ti piace l’idea oppure no?”
“Assolutamente sì, mi piace tantissimo!” si affrettò a rispondere trillante di contentezza “Credi sia possibile?”
“Se non fosse fattibile pensi che te l’avrei proposto? Abbiamo tutto il tempo che ci occorre per agire con calma, sarai di nuovo al castello prima del tramonto senza che nessuno possa accorgersi di nulla. La riuscita del piano dipenderà soprattutto da te, perciò cerca di collaborare e di non combinare disastri”
Astril non si era mai sentita tanto emozionata, e anche un po’ intimorita, come in quel momento. Accettare la proposta di Rhiin non avrebbe comportato semplicemente visitare la sua casa, che già rappresentava un’ottima prospettiva, ma significava anche uscire per la prima volta dalle mura del castello e camminare per le strade di Desponia! Una piccola parte di lei era impensierita e si sentiva a disagio all’idea di infrangere le regole che le erano state imposte, ma la curiosità e l’esaltazione erano troppo vivide per poter rinunciare e le offuscavano persino la paura. Inoltre sapeva che in compagnia di Rhiin non avrebbe avuto nulla da temere. La ragazzina era furba e scaltra, avrebbe protetto entrambe e l’avrebbe guidata con sicurezza per le vie della capitale.
“Ubbidirò a tutto ciò che mi dirai” affermò decisa la bambina “Da dove passiamo per uscire dal castello?”
“Dalla finestra, mi pare ovvio”
Fu così che tutta la sicurezza di Astril  si spense come una fiamma a un soffio di vento. Con timore crescente osservò il finestrone, il cui davanzale la superava non di poco. Avrebbe dovuto arrampicarsi sin lì e poi… scendere lungo la torre!? Il suo piccolo corpicino prese a tremare, cosa che non sfuggì a Rhiin.
“Credevi forse che avremmo usato la porta principale? Quella è l’unica via se vogliamo sperare di passare del tutto inosservate. Non hai nulla di cui aver paura, questa è la torre più bassa dell’intero castello, è ricca di sporgenze a cui aggrapparsi e se dovessi cadere il massimo che potrebbe capitarti sarebbe quello di farti un tuffo in acqua. Da qui non sgorgano nemmeno le cascate, perciò sarà una passeggiata”
Astril non rispose, ferma alla parte in cui cadeva in acqua.
“Non...non posso riuscire in un’impresa del genere! Non sono capace, non mi sono mai arrampicata da nessuna parte! Cadrò e mi spiaccicherò, di me resterà solo un mucchietto di ossa!” piagnucolò con voce liquida.
“Piantala con queste scene, non ti sopporto quando fai così” la rimbrottò innervosita “Se continui guarda che ti colpisco” la minacciò, posizionando il pollice e l’indice vicino alla fronte di Astril, come la volta del loro primo incontro, quando era stata scambiata per un maschio.
L’altra si schermì istintivamente con le mani, tirando su col naso. Rhiin metteva sempre tanta forza nelle dita e quella mossa la lasciava dolorante diversi minuti quando si decideva a usarla. Ricacciò indietro le lacrime.
“Bene, ti sei decisa a calmarti. Ti assicuro che non è difficile come sembra. Un passo per volta e l’avrai superata in un lampo, senza contare che ci sarò io a darti una mano, non ti lascerò cadere”
Queste parole la tranquillizzarono un poco. Era vero, finché ci fosse stata Rhiin non avrebbe avuto nulla da temere.
“Però...non posso arrampicarmi con questo vestito” stropicciò nervosamente la stoffa della gonna fra le mani.
Rhiin si strinse nelle spalle “Allora spogliati”
Astril si congelò sul posto, prima che sul suo viso cominciasse a diffondersi un notevole rossore.
“Come?” balbettò.
“Toglitelo. Sono sicura che sotto quel vestito ingombrante tu abbia una sottoveste o qualcosa del genere, tutte le dame ricche la portano sotto” affermò con convinzione.
“Sì, anche io la indosso. Però...”
“Però cosa?”
La principessa abbassò lo sguardo.
“Ti imbarazza?” inarcò un sopracciglio. Astril annuì a disagio.
“Ma sei hai appena detto che porti una sottoveste! Sarà come avere un vestito ma molto più pratico e leggero. Non capisco perché voi reali dobbiate indossare vestiti così scomodi. E poi non c’è nulla di cui vergognarsi, siamo entrambe femmine. Perché io sono una femmina, ti ricordo” sottolineò stizzita.
Astril ci pensò su ancora un attimo, poi si decise a sfilarsi l’abito. Sotto indossava una veste bianca e leggera, che le giungeva appena sopra le ginocchia. Effettivamente si sentiva molto più comoda e soprattutto meno accaldata.
“Grazie agli dei, finalmente” roteò gli occhi Rhiin. Si arrampicò sul davanzale e aiutò Astril a fare lo stesso. La bambina gettò un’occhiata in basso e subito dopo si aggrappò all’altra con tutta la forza di cui disponeva. Rhiin si trattenne dallo spintonarla via giusto perché si trovavano in piedi a un passo dal vuoto.
Sarebbe stata una lunga discesa.
 
 
Il sole risplendeva caldo e luminoso sulle vie della capitale, accarezzando lussuosi palazzi, edifici modesti e sfiorando le vesti dei cittadini. Proseguendo dal castello verso il centro di Desponia, Astril aveva visto ogni genere di individuo: dame abbigliate con abiti semplici ma raffinati intente nella loro passeggiata quotidiana, giovani impegnati in discussioni, cittadini comuni che frenetici svolgevano le loro occupazioni e mendicanti appoggiati contro i muri degli edifici. Aveva adocchiato anche diversi soldati Desideria, che nelle loro armature lucenti pattugliavano le strade con sguardo attento e un cipiglio annoiato sul viso.
Il loro occhio tuttavia non poteva captare i movimenti silenziosi delle due piccole figure, che come ombre si nascondevano fra la folla. Rhiin avanzava leggera e rapida, passando fra gli spirali delle case e scivolando dietro le persone senza mai un attimo di esitazione. Astril arrancava poco più indietro, impegnata a imitare ogni sua mossa.
Ancora non riusciva a credere di trovarsi davvero per le vie di Desponia, fuori dal castello! Il cuore le palpitava forsennato nel petto sia per l’emozione sia per il timore e l’adrenalina che le veniva trasmessa dall’idea di star facendo qualcosa di sbagliato e di proibito.
Scendere dalla torre era stata un’impresa ardua. Per i primi attimi era stata totalmente pervasa dal panico e Rhiin aveva dovuto impiegare tutta la sua pazienza, che era ben poca, per tranquillizzarla. Astril aveva ritrovato la calma, ma la sua proverbiale goffaggine le aveva impedito di seguire come si conveniva le indicazioni della ragazzina. Alla fine Rhiin si era praticamente occupata di entrambe e Astril aveva dovuto fare il minimo indispensabile, giusto mantenere l’equilibrio ed evitare di cadere. Una volta giunte a terra la Veìdlin non aveva mancato di commentare irritata sulla sua mancanza di agilità e Astril aveva incassato dispiaciuta.
In ogni modo, tutte le novità a cui stava assistendo ripagavano appieno la paura e la ramanzina.
Rhiin le fece un rapido gesto e le due svoltarono un angolo, addentrandosi in un vicolo ombroso. Quella doveva esser la zona più fatiscente di Desponia, come suggerito dalle mura sporche e crepate.
Camminarono ancora per un po’, sino a quando Rhiin non si fermò di fronte a una botola rettangolare di legno, appoggiata contro il muro. Si guardò attorno dopodiché la sollevò, rivelando un passaggio buio che emanava odore di chiuso. Dal basso sporgeva un gancio di ferro a cui era legata una corda.
La principessa scese per prima e subito dopo Rhiin, che richiuse la botola.
Astril toccò terra quasi subito e rimase immobile, l’oscurità che le impediva di vedere l’ambiente circostante. Udì i passi di Rhiin e il rumore di qualcosa che veniva spostato, prima che la luce illuminasse la stanza, abbagliandola per un istante. La fonte era un’enorme sfera soffice e dorata che fluttuava al centro dello spazio, proprio sopra la testa di Rhiin, in attesa di qualche commento.
Astril però aveva perso la parola. La stanza era piena zeppa di oggetti di ogni genere, perlopiù vecchi o rovinati, tra i quali riconobbe alcuni della sua torre. Vi era anche una piccola libreria mezza rotta- non aveva idea di come Rhiin fosse riuscita a portarcela- qualche libro, un tavolino e sul fondo un giaciglio.
“Allora?” la richiamò l’altra, indispettita per il suo silenzio “Che te ne pare?”
“È…a dir poco incredibile!” esclamò Astril, che non riusciva a decidere dove posare lo sguardo tante erano le cose che l’attiravano.
Sul viso della ragazzina si dipinse un sorrisetto fra l’astuto e l’altezzoso.
“Sapevo che avresti avuto questa reazione”
“Sono tutti oggetti che hai preso in prestito?”
“Naturalmente”
“Anche la sfera?”
Rhiin gonfiò appena il petto, mentre gli occhi di Astril luccicavano meravigliati.
“Sì, anche quella. Un incantatore di passaggio non ne aveva più bisogno, perciò l’ha data a me. È pura magia, quella all’interno. Ma non startene lì impalata, siediti mentre prendo qualcosa da bere. Ho solo acqua, perciò dovrai accontentarti”
La principessa si sedette su uno sgabello divorato dai tarli e Rhiin le porse una tazzina di ceramica senza manico, decorata con delle violette sgranate. Bevve un sorso d’acqua, buona anche se calda.
Quel posto le piaceva, rappresentava alla perfezione Rhiin ed era ricco di cosine interessanti. Tuttavia, c’era qualcosa che le sfuggiva in tutto quello, qualcosa che la rendeva incerta.
“Dove sono i tuoi genitori?” domandò.
Rhiin, seduta a gambe incrociate nel suo giaciglio, bevve tranquilla un sorso d’acqua prima di rispondere.
“In giro. Ritorneranno stasera”
“Sei sicura?”
Lo sguardo di Rhiin si fece improvvisamente duro “Certo che sono sicura. Perché me lo chiedi?”
“C’è solo un giaciglio, lì. Non tre” rispose Astril con vocina esitante.
“Lo condividiamo. Non tutti possono permettersi un soffice letto a baldacchino, anche se non penso che una principessina servita e riverita come te possa capire, perciò non sforzarti”
Le risposte di Rhiin erano per la maggior parte arroganti, saccenti e con una perenne punta di sarcasmo. Si divertiva a prendere in giro e ad atteggiarsi con frecciatine e battute.
Talvolta però diventava cattiva. Buttava risposte velenose senza preavviso e spesso centravano il bersaglio con abilità disarmante.
Astril non era ancora riuscita a farsi scivolare addosso quelle frasi, forse perché era impossibile solo provarci. Quel giorno però, la sensazione che l’aveva colta sin da quando era entrata non la lasciò soffermarsi sul significato e la fece andare oltre.
“Io...credo di aver capito, invece” mormorò “Quel giaciglio serve solo a te, non è vero?”
L’espressione di Rhiin divenne per la prima volta sorpresa, prima di rabbuiarsi.
“Da cosa l’hai intuito?” domandò dopo un po’.
“Diverse cose mi hanno fatta accorgere. Hai detto una bugia...tu non hai i genitori. Vivi da sola, qui, e sopravvivi grazie alle cose che prendi in prestito”
“A quanto pare sei più sveglia di quanto pensassi, Astril” posò la tazzina, sollevando le labbra in un sorrisetto sbilenco.
La principessa accennò un sorriso mesto di rimando, non sapendo se prenderlo come un complimento o meno.
“Mi dispiace…” aggiunse poi.
Rhiin si strinse nella spalle “Cose che capitano. Inoltre immagino di non esser l’unica ad aver perso i genitori”
“Anche io non ho più la mamma e il papà...”
Gli occhi della Veìdlin si spalancarono leggermene. Astril non l’aveva mai vista così sorpresa come quel giorno.
“Aspetta...vuoi dire che tu non sei la figlia di Moron?”
Scosse la testa “Moron è mio zio. Io sono la figlia dei precedenti sovrani. Non li ho mai conosciuti, sono morti quando ero appena nata. In realtà anche Moron ha un figlio, ma è scomparso quando era in fasce”
“Queste sì che sono rivelazioni interessanti, non ne avevo idea. Sarà perché mi trovo nel Regno dei Desideria da poco”
“Dove sei stata prima?” domandò curiosa Astril. Rhiin non rispose subito, nuovamente irrigidita.. Roteò gli occhi, poi sospirò.
“Non so perché stia raccontando queste cose proprio a te. Sono nata nel Regno dei Veìdlin, nella capitale, e i miei genitori sono mancati quando avevo cinque anni, a causa di un’incidente. Rimasta orfana sono stata adottata da una famiglia di Syrma che si trovava da quelle parti per un viaggio d’affari e sono stata condotta nel loro Regno” strinse con forza i pugni “Quei maledetti. Non avevano mai avuto intenzione di occuparsi di me, semplicemente mi avevano presa per utilizzarmi come serva, affidandomi qualsiasi genere di incombenza senza mai darmi nulla in cambio. A malapena avevo un posto per dormire e spesso mi facevano saltare i pasti. Ho vissuto con loro quattro anni, lavorando e sopportando quelli che si definivano i miei genitori. Non mi sarei dovuta aspettare di meno da dei Syrma, ma all’epoca ero troppo piccola per rendermi pienamente conto di queste cose. All’età di nove anni sono fuggita, ho attraversato il Regno dei Nureyel , dove ho vissuto per un po’, e ora eccomi qui”
Astril aveva perso la parola, gli occhi sbarrati per l’incredulità. Quella quantità improvvisa di informazioni riguardanti la sua misteriosa amica l’aveva stordita e non riusciva a capacitarsi di tutte le peripezie che doveva aver affrontato nei suoi anni di vita, che erano ben pochi. A volte si dimenticava che Rhiin aveva appena tre anni in più di lei.
“La tua storia è molto simile a quella di Hateria” fu l’unica cosa che riuscì a dire dopo un breve silenzio.
“Già, diciamo di sì”
Una curiosa espressione decisa apparve sul viso di Astril, che si alzò di scatto in piedi, rischiando di rovesciare lo sgabello. Rhiin inarcò un sopracciglio.
“Mi hai raccontato delle vicende molto personali, dei segreti, perciò ora devo ricambiare e dirti qualcosa io”
L’altra guardò il nanerottolo dall’improvviso atteggiamento fiero con un’occhiata scettica.
“Non mi interessa sapere le tue questioni, puoi tenertele per te” agitò la mano con un gesto vago. Chissà quali grandi segreti poteva custodire una principessina di sette anni, poi.
“Ci tengo, è importante per me. Voglio...voglio condividerlo insieme a te”
Le iridi di Astril brillavano. Rhiin emise un sospiro seccato, poi le fece cenno di parlare.
La principessa trattenne il fiato e poi gettò l’aria tutto in una volta, come se si stesse preparando a recitare un importante discorso. Per la tensione le era persino apparso un vago rossore sulle guance.
“Non sono una Desideria” sputò infine fuori, così veloce che le parole si accavallarono l’una all’altra.
Dapprima Rhiin tacque, poi le sue sopracciglia si aggrottarono sino a formare un’increspatura in mezzo alla fronte, mentre i suoi occhi la squadravano dubbiosi.
“Che hai detto, scusa?”
“Non sono una Desideria”
“Che vai farneticando? Certo che sei una Desideria. Basta guardare i tuoi capelli”
“Sto dicendo la verità. O meglio, sono una Desideria ma non del tutto. Sono anche una Mildriend, come lo era la regina mia madre”
“Aspetta...quindi sei una mezzosangue? Io sapevo che Moron detestasse i Mildriend, non ha fatto in modo in questi anni di farli sparire? Ti ha risparmiata perché sei sua nipote?”
Astril scosse la testa “Lui non lo sa. Mia zia mi prepara quasi ogni giorno un infuso in grado di nascondere le ciocche rosse. .Non sempre quando due stirpi si uniscono il risultato è visibile sui capelli, perciò Moron crede che io sia principalmente Desideria. Se mai vedesse del rosso sulla mia chioma probabilmente impazzirebbe”
“Quante persone lo sanno?”
“L’unica è mia zia e ora...tu” rispose, abbassando timida lo sguardo. Lo stupore era sparito rapidamente dal viso di Rhiin, ma all’interno non poteva negare di esser sbigottita. Questa proprio non se la sarebbe aspettata.
Si alzò in piedi in silenzio e sparì dietro un cumolo di oggetti. Riapparve poco dopo, in mano qualcosa dalla punta affilata, scintillante alla luce della sfera. Un pugnale.
“R-Rhiin?” balbettò Astril, che quasi si era strozzata con la propria saliva alla vista dell’arma. I bambini non dovevano maneggiarle.
“Non aver paura, non voglio infilzarti. Solo…” si passò appena la lama sul palmo, dove si aprì un piccolo taglio. Un rivolo rosso prese a sgorgare e la ragazzina mostrò la mano alla principessa.
“Ora tu ti farai la stessa cosa. E’ una promessa, la promessa di non rivelare a nessuno i nostri segreti. Io non dirò ad anima viva la tua vera natura e tu non rivelerai mai dove si trova il mio nascondiglio, o chi io sia” spiegò, con così tanta determinazione da incutere quasi timore. Il sangue intanto gocciolava a terra.
“Ma-ma, non c’era bisogno di arrivare a tanto! Avrei mantenuto comunque il segreto! Guarda la tua mano, morirai dissanguata!” gemette terrorizzata. Rhiin sbuffò innervosita.
“Non essere ridicola, è solo un taglietto. Avanti, anche tu” le porse il pugnale, ancora sporco di sangue. Astril sbiancò, le gambe molli.
Allungò la mano tremante verso il pugnale e poi posò la lama sul palmo. Solo un taglietto piccolo, da far uscire il minimo di sangue  e non lasciare segni eviden…Ci vedeva doppio.
Spazientita Rhiin prese iniziativa. Astril gemette più per la sorpresa che per il dolore e senza neppur aver il tempo di capire cosa fosse successo si ritrovò la mano di Rhiin stretta saldamente alla sua.
“Questo è un patto. Prometto di non rivelare a nessuno il tuo segreto. Ripeti”
Astril obbedì.
“Se per qualsiasi ragione Moron dovesse farti delle domande tu mentirai, anche a costo di rischiare un suo castigo o qualsiasi altra cosa. Mentirai per me, in nome del nostro patto?”
“Lo farò” rispose la principessa. Le tremava la voce, ma la sua convinzione era sincera.
Si sciacquarono la ferita con l’acqua dopodiché Rhiin bendò entrambe con delle fasciature che aveva “preso in prestito”. Rassicurò Astril dicendole che per il ritorno al castello avrebbe potuto toglierle.
La loro conversazione ritornò come al solito, con Astril in adorazione e Rhiin sardonica e con la sua solita aria di superiorità.
“Di cosa parla?”
Un’ora e mezza dopo, la principessa indicò un libro rovinato sullo scaffale della libreria.
“Si intitola ‘Vento e Polvere’. È un manuale sulle usanze e le caratteristiche del Regno dei Veìdlin”
“Lo leggiamo!?” esclamò trepidante.
Rhiin si strinse nelle spalle con noncuranza “Se proprio ci tieni”
Fu così che si misero a leggere. Astril sembrava esser scivolata in un limbo incantato, la mente che cercava di immaginare tutto ciò che il libro rivelava. Si erano sistemate entrambe nel giaciglio di Rhiin, che leggeva, anche se non molto fluidamente, ad alta voce.
La principessa stava ferma a fatica, spesso la sua testolina si frapponeva fra le pagine e gli occhi della Veìdlin, che la rispediva al suo posto con la sua solita mossa o qualche commento cattivello.
Il tempo passò rapido come un soffio e a metà libro le due furono costrette a lasciare la casa di Rhiin per ritornare al castello. L’arrampicata fu paradossalmente più semplice per Astril, nonostante il taglietto sulla mano. Anzi, era proprio quello a infonderle sicurezza e a non farla tremare: sapere di aver sugellato un legame così profondo con Rhiin la faceva sentire coraggiosa. Non vi era nulla di cui preoccuparsi, lei era lì ad aiutarla e d’ora in avanti ci sarebbe sempre stata.
Poco prima del tramonto, i piedini di Astril toccarono il pavimento della torre. Si rivestì in fretta, chiedendo a Rhiin se fosse presentabile.
“Tch, presentabile è una parola grossa...diciamo che non sembra che tu abbia passato il pomeriggio a vagabondare”
“Sei cattiva!” mise su un finto broncio.
“Ti sbagli, dico le cose come stanno” sogghignò “Bene, ora devo proprio tornarmene a casa”
“Tornerai domani?”
Rhiin, in piedi sul davanzale, le rivolse un’occhiata furbesca “Sì, tornerò”
E lo fece, per ben tre giorni. Si ripresentò puntuale e tutte le volte prima di separarsi Astril le rivolse quella domanda, felice della nuova risposta. Glielo chiese anche il terzo giorno e la ragazzina, il solito sorrisetto sfrontato, rispose di sì.
Quella fu l’ultima cosa che Astril le sentì dire. Non si presentò il quarto giorno, né il quinto, né il sesto, né gli altri a venire.
Rhiin non tornò mai più.
 
 
“Astril”
Una voce ferma e un brusco scossone al braccio la riportarono istantaneamente alla realtà. La figura severa e ombrosa di Keira incombeva su di lei, le spalle che infrangevano l’abbagliante luce solare.
Astril ci mise qualche attimo a ritornare totalmente lucida, la mente confusa e la bocca impastata.
“Che ore sono?” domandò a bassa voce, passandosi una mano sul viso. In lontananza si udiva un caotico brusio di voci e il rumore cozzante di armi.
“Mezzodì. Ti ho lasciata dormire più a lungo oggi, sembrava ne avessi bisogno”
“Ti ringrazio” rispose la principessa, mettendosi a sedere. Effettivamente con tutto ciò che era successo negli ultimi tempi non era più riuscita a trascorrere una notte di sonno senza svegliarsi, anche se il sogno da cui era appena stata richiamata non era stato uno dei più riposanti. Recentemente una certa ragazzina dai capelli viola non faceva altro che apparirle dietro le palpebre nelle ore notturne.
Una fitta malinconica e dolorosa le attraversò il petto. Quel sogno –o meglio, quel ricordo- era stato così vivido che quasi le era sembrato di rivivere tutto una seconda volta.
Frattanto gli occhi acquamarina di Keira la fissavano con intensità, ma la principessa neppure se ne accorse.
“Dove sono gli altri?” domandò, gettando un’occhiata ai giacigli vuoti.
“Idril si è fiondata dall’erborista non appena ha aperto gli occhi, Nicklesh è andato nella zona allenamenti mentre Khaled non ho idea di dove sia finito”
Astril si rese conto che avrebbe voluto dirle tante cose ora che si trovavano sole, ma le parole le si erano come congelate in gola. Voleva chiederle come si sentisse dopo lo scontro con quella Lunmoon, dirle che era rammaricata per la sua perdita della sfera di luce e soprattutto scusarsi per la reazione infantile che aveva avuto quando Felixia era scomparsa. Aveva sbagliato ad addossare la colpa a Keira, giudicandola insensibile e menefreghista. Era vero che i modi di Keira erano gelidi e tutt’altro che gentili, ma non poteva definirla un’egoista, non con tutto quello che aveva fatto –e stava facendo- per lei, per l’intero gruppo.
Avrebbe voluto dirle tutto quello, ma l’imbarazzo e il carattere complicato di Keira le impedivano di proferir parola. Non sapeva come avrebbe reagito alla menzione dell’Alkres o al suo dispiacere; avrebbe potuto sentirsi compatita e magari infastidirsi alle sue scuse.
Perciò, decise di restare in silenzio. Sorprendentemente fu proprio Keira a infrangerlo.
“Tieni” disse, porgendole un lucente oggettino verde. La sferetta di Duilliur. Astril la guardò senza comprendere.
“Per me ormai non è di alcuna utilità. Forse neanche a te servirà ora che hai sviluppato un forte potere legato alla luce, tuttavia non possiamo sapere cosa accadrà, dato che i tuoi poteri sono ancora molto instabili. Potrebbe occorrerti un aiuto in futuro, perciò ecco” spiegò, fredda come sempre.
Astril sfiorò la superficie cristallina con le dita, mentre un piacevole calore le si irradiava nel petto. Un regalo, un regalo da parte di Keira.
“Grazie” disse rivolgendole un sorriso. La guerriera non aggiunse altro e si alzò in piedi.
“Vieni. A quanto pare Jeal ci ha concesso la libertà di muoverci a piacimento per l’accampamento. Voglio ripercorrerlo con calma e farmi un’idea più chiara di quello che sta succedendo, almeno finché non ci verranno date le dovute spiegazioni. Lo farei da sola, ma preferisco non lasciarti sotto sguardi indiscreti. La tua presenza ha già sollevato parecchi commenti”
Astril si apprestò a seguirla senza fiatare. A essere sinceri neppure lei aspirava a restare sola circondata da sconosciuti.
 
 
Diversi metri più in là Jeal osservava la scena, sulle labbra un sorrisetto disteso e l’espressione compiaciuta.
“Che cos’è quella faccia?” domandò Iwarioth alla sua sinistra, inarcando un sopracciglio con aria dubbiosa.
“Perché? Che ha la mia faccia?” chiese di rimando sinceramente stupito.
“Mi urta. È la classica espressione che assumi quando macchini qualcosa e puntualmente non è mai nulla di buono”
“Non è vero, le mie idee sono sempre ottime! E poi non stavo pensando a nulla in particolare, sono solo contento che quella compagnia stia cominciando ad ambientarsi nel nostro accampamento” rispose allegro.
Iwarioth strinse i denti, scuotendo la testa “Non sono qui per integrarsi, tempo pochi giorni e poi se ne andranno. Non capisco perché tu ti sia fissato con quel gruppo. Deduco per le tue solite manie di protagonismo”
“Confondi le manie di protagonismo con il semplice desiderio di voler aiutare, Iwarioth” lo corresse con serafica ovvietà il capo dei ribelli.
Una vena pulsò sulla fronte del Syrma mentre cercava di combattere con la tentazione di sfilare la spada a due mani dalla fodera e di infilzare senza troppi preamboli l’individuo tutto sorrisi al suo fianco.
Se c’era una cosa che aveva imparato in sette anni di conoscenza era che a Jeal piaceva non poco stare al centro dell’attenzione e che la maggior parte dei suoi atteggiamenti e delle sue moine erano una calamita per il prossimo. Era così a quindici anni e tale e quale era rimasto ora che ne aveva compiuti ventidue. Le cose non erano cambiate troppo in quell’arco di anni, tranne per il fatto che l’Iwarioth quindicenne minacciava di riempire l’altro di pugni, mentre ora di trapassarlo con uno spadone affilato. Avrebbero dovuto quantomeno dedicargli un tempio in una qualche capitale per non averlo ancora scuoiato.
“Ho visto che lo Sneachta Nicklesh si è recato alla zona degli allenamenti. Penso lo raggiungerò per scambiare due parole”
“Se avesse avuto voglia di parlarti non credi che si sarebbe presentato da te?”
Jeal parve esitare qualche istante “Dici?”
“Se non è venuto qui deduco che non gli andasse. Io se fossi in lui non avrei voglia di parlare con te”
“Uhm no, sono convinto invece che sia un tipo propenso ai discorsi, ma che per educazione e rispetto non si sia avvicinato. In fin dei conti è uno straniero nel nostro territorio. Visto il modo in cui è intervenuto ieri direi che disponga di diversi racconti interessanti, o che abbia altrettante domande” affermò, incamminandosi con un sorrisetto.
“Vedi di non dar troppo fiato alla bocca se ti riesce!”
Negli scambi che non erano interrogatori Jeal aveva spesso il vizio di rivelare dettagli e informazioni che avrebbe dovuto tenersi per sé. Jeal pensò di tranquillizzarlo a modo suo, agitando la mano in un vago cenno che di rassicurante e affidabile aveva ben poco.
Raggiunse la zona allenamenti e trovò Nicklesh impegnato a osservare due matricole che duellavano con una spada.
“Che ne pensi?” domandò Jeal al suo fianco. Nicklesh sussultò lievemente, sorpreso dalla presenza del Syrma, poi rispose con gentile modestia:
“Non sono un esperto perciò non posso dirlo con sicurezza, però trovo i loro movimenti troppo rigidi e la difesa pressoché inesistente”
“Hai assolutamente ragione. Questi ragazzi si sono uniti da poco al nostro gruppo e non hanno mai imbracciato un’arma prima d’ora. Hanno un bel po’ di strada da fare!”
“Da dove provengono?” chiese Nicklesh, curioso.
“Quasi tutti da villaggi limitrofi alla capitale, mentre altri da semplici casupole sparse per il Regno. La maggior parte li abbiamo trovati per strada durante le nostre ricognizioni. Si sono spinti da soli sin qui”
“Immagino sia una cosa positiva. Per cause di questo genere è importante che nei membri vi sia la determinazione, e se questi ragazzi sono giunti qui di loro spontanea volontà vuol dire che credono fermamente in ciò per cui lottano”
 “Ne sei davvero sicuro?”
Nicklesh spostò lo sguardo su Jeal, il viso sorridente come sempre e per questo indecifrabile.
“Ciò che dici non è sbagliato, ma vedi, questo purtroppo non è il caso di quei ragazzi. Tanti di loro sono giunti qua o perché orfani o perché esasperati dalla vita che trascorrevano. Se gli chiedessi il motivo per cui sono venuti qui, in pochi ti risponderebbero in nome della causa. La risposta più diffusa sarebbe ‘non sapevo dove altro andare’, ed è qui che ha inizio la parte difficile: instillare determinazione in chi non ha quasi più obbiettivi è un lavoro che richiede tempo e impegno”
Aveva parlato senza smettere di guardare le due matricole combattere, gli occhi grigi animati da una luce fiduciosa.
Fu in quell’istante che Nicklesh realizzò il motivo per cui era Jeal a essere il capo della ribellione. Sin dal primo momento in cui l’aveva visto, nonostante i suoi atteggiamenti fanciulleschi, aveva intuito in lui lo spirito della guida, ma non era riuscito a comprendere come una personalità in apparenza tranquilla e spensierata come la sua potesse addirittura condurre un intero gruppo di ribelli, quando altri –come Iwarioth- davano l’impressione di esser più portati alla guerra.
Ora aveva finalmente compreso. Jeal era il collante, colui che supervisionava e si accertava che tutto funzionasse a dovere, a cominciare dai sentimenti dei propri compagni. Quello era l’unico modo affinché un gruppo caotico e bellicoso come i ribelli di Neahm non si sfaldasse.
Non lo conosceva ancora e non era sicuro di potersi fidare completamente, ma il fatto di condividere lo stesso tipo di pensiero lo rendeva ai suoi occhi più vicino.
“Immagino che però parlare di queste questioni non sia ciò che ti interessi davvero sapere” commentò Jeal incurvando le labbra in un sorrisetto spigliato “Ti propongo una sfida, Sneachta Nicklesh!”
Gli occhi azzurro polvere del ragazzo divennero attenti, oltre che vagamente perplessi.
“Che genere di sfida?”
“Duellerai con me, e se riuscirai a disarmarmi allora ti rivelerò tutto ciò che vorrai conoscere sul nostro accampamento”
Nicklesh rimase qualche istante in silenzio, non certo di cosa rispondere. Ricevere informazioni era quello che lui e gli altri Mildriend aspettavano da diverso tempo e quella sarebbe stata l’occasione perfetta per scoprire finalmente qualcosa, tuttavia doveva ricordarsi di non abbassare la guardia. Per quanto i suoi modi fossero gioviali e spensierati Jeal non doveva esser uno sprovveduto e in quanto capo dei ribelli sicuramente sapeva maneggiare con abilità le armi.
“Che genere di ripercussioni ci sarebbero se dovessi perdere?”
“Nessuna, al massimo dovresti sopportare il bruciante fastidio della sconfitta, nulla di più. Allora, che ne dici?”
Lo Sneachta rifletté ancora pochi attimi, poi, consapevole di non potersi permettere di sprecare un’occasione simile, decise di accettare.
“Perfetto!” esclamò briosamente “Ho saputo che possiedi una spada come arma, dunque utilizzeremo quelle. Non temere, ne abbiamo alcune di legno create apposta per i nuovi arrivati, non voglio certo che scorra sangue nel nostro duello amichevole!”
Fu così che il Syrma e Nicklesh si portarono al centro della zona allenamenti, uno dinanzi all’altro, le armi finte strette in mano. Le matricole si erano spostate rapidamente tra mormorii concitati e sussurri e ora osservavano la scena da bordo campo, curiosi di vedere il loro capo e quello straniero all’opera.
Il brusio e l’ammassarsi di chiome bionde aveva intanto richiamato l’attenzione di Iwarioth, che raggiunse con il solito cipiglio scontroso la zona allenamenti e che con nervosa esasperazione e un’imprecazione tra i denti si posò una mano sul volto. Sapeva a quello che avrebbe assistito e una volta concluso il duello avrebbe afferrato per la collottola quell’idiota e infilzato una volta per tutte.
Nel frattempo, Nicklesh realizzò che forse accettare la proposta non era poi stata una grande idea. Oltre a sentirsi lievemente sottopressione a causa di tutti quegli occhi sconosciuti che lo osservavano, lo sguardo determinato e attraversato da scintille trepidanti di Jeal gli suggeriva che non sarebbe stato un avversario semplice. In ogni modo ormai si trovava lì e tutto ciò che poteva fare era impegnarsi con tutte le sue forze.
Ogni sospiro e sussurro cessò d’un tratto quando Jeal scattò rapido come una lama di vento verso l’avversario. Nicklesh spalancò appena gli occhi, stupito da quell’incredibile velocità, ma con un’abile movimento riuscì a evitare l’attacco, dopodiché  tentò un affondo verso la presa del Syrma, così da disarmarlo. Con un sorrisetto Jeal schivò, poi rapido si tuffò verso lo Sneachta e…si sbilanciò in avanti.
In pochi buffi saltelli riuscì a mantenere l’equilibrio, un silenzio desolato scese nell’accampamento, Nicklesh batté le palpebre non convinto di vederci bene mentre in lontananza si udì un indistinto  mormorio omicida.
“Accidenti, è successo di nuovo” constatò sorridente Jeal, come se stesse parlando del tempo, poi si rimise in posizione d’attacco, dichiarando di esser pronto a ricominciare.
Il duello proseguiva da qualche tempo senza interruzioni e nessuno dei due aveva intenzione di cedere. Tuttavia Nicklesh, per quanto il Syrma riuscisse a tenergli testa, aveva creduto che Jeal fosse molto più abile, quando in realtà maneggiava la spada senza eccezionale destrezza, commettendo diversi errori e lasciando spesso aperture nella sua difesa. Si era convinto che in uno scontro avrebbe perso dopo pochi minuti e invece era proprio lui quello che sembrava avere il controllo della situazione.
Fu così che con un ultimo preciso colpo la spada di legno di Jeal roteò in aria, schiantandosi poi a terra alle sue spalle in un tonfo secco.
Dopo pochi istanti di immobilità Jeal scoccò un’occhiata stupita all’arma, dopodiché riportò lo l’attenzione sull’altro ragazzo, il volto sereno.
“Complimenti Sneachta Nicklesh. La vittoria è tua!”
Il giovane ricambiò lo sguardo con aria frastornata e rispose un cordiale e incerto ‘grazie’.
Gli spettatori nel frattempo si erano sparpagliati, chi deluso, soprattutto le matricole, chi per nulla sorpreso.
“Avevo visto giusto, te la cavi davvero bene con la spada. Chi ti ha insegnato?” proseguì il capo dei ribelli, avvicinandosi.
“Merito di mio padre, ha sempre avuto un’abilità innata a manovrare le armi, oltre a essere un ottimo fabbro”
“Deduco sia stato lui ha forgiare la lama che avevi con te. Impugnatura lavorata, abbellita da una pietrina bianca incastonata. Magnifica fattura”
“Grazie. Si, è opera di mio padre” rispose gentile Nicklesh, sebbene parlare della sua fidata arma da poco confiscata non fosse il massimo.
“Capisco. Ed, ecco, a proposito di quella spada…Ehi!”
Qualcuno lo strattonò indietro per una manica e per poco non incespicò a terra. Al suo fianco gli occhi di Iwarioth sprizzavano scintille.
“Oh, Iwarioth! Capiti giusto a proposito, hai assistito al duello? Ho fatto progressi, eh?”
“Affatto, è stato a dir poco pietoso”
“Che crudeltà! Si è trattata di una battaglia impegnativa!”
“Impegnativa quanto inutile” sbottò duramente “Scommetto che quest’idea stupida è stata tua”
“Esatto! Non vedo il motivo di scaldarsi tanto, è stato solo un semplice duello amichevole” spiegò tranquillo.
“Avresti potuto almeno cercare di vincere. Ad assistere c’erano anche i nuovi arrivati che di certo si sarebbero aspettati qualcosa di meglio dal capo dei ribelli di Neahm, e non quelle mosse a vuoto”
“Non temere, prima o poi avrebbero dovuto assistere comunque”
Nel frattempo Nicklesh tentava di seguire il filo logico del discorso senza molto successo. Jeal dovette accorgersene, poiché disse:
“La spada non è propriamente la mia arma favorita. Preferisco di gran lunga l’arco, ma dato che anche destreggiarsi in uno scontro corpo a corpo è importante, Iwarioth mi sta insegnando”
Ora tutto aveva molto più senso, perché il livello di Jeal non fosse così elevato, ma questo non spiegava perché il Syrma avesse scelto per il duello proprio l’arma con cui era meno avvezzo, considerando poi il patto che avevano fatto. Sarebbe stato più ragionevole l’arco.
“Comunque sia, Iwarioth, non definirei questo duello inutile. Devi sapere che lo Sneachta Nicklesh e io abbiamo fatto una sorta di scommessa”
“Che scommessa?”
Jeal gli spiegò rapidamente e più andava avanti più l’espressione dell’altro si faceva minacciosa.
“L’ho sempre detto che sei un emerito idiota. Hai davvero intenzione di fornirgli delle informazioni?” ringhiò.
“Certo, e non solo a lui, ma a tutto il resto del gruppo. Una scommessa è una scommessa e io ho perso” rispose serafico e il Syrma desiderò ardentemente poterlo schiacciare una volta per tutte.
“Forza, andiamo a recuperare il resto dei Mildriend e dirigiamoci alla baracca”
Si avviò tranquillo e non appena passò di fianco a Nicklesh si fermò un istante, le labbra vicine al suo orecchio e la voce ridotta a un sussurro.
“Se te lo stai chiedendo, so anche io che avrei potuto proporti l’arco, ma così facendo avresti perso subito. Mi sono impegnato seriamente, ma sapevo già quale sarebbe stato l’esito di questo duello. Almeno adesso ho una ragione agli occhi degli altri per dirvi ciò che volete sapere”
Detto questo proseguì, con Iwarioth al seguito che gli rivolgeva insulti. Nicklesh non li raggiunse subito, fermo immobile e gli occhi leggermente sbarrati, certo che anche in una vita intera non sarebbe riuscito a comprendere quel mistero che era Jeal.
 
 
 
Nella stanza quattro sferette dorate e luminose volteggiavano sospese nell’aria, rischiarando l’ambiente scuro e appena odorante di chiuso e legno. Sia la porta che le finestre erano state sbarrate, impedendo ai caldi raggi del pomeriggio di filtrare, ad eccezione di qualche piccolo foro sulle pareti causato dal tempo e dall’umidità.
Il gruppetto sostava dinanzi al tavolo di legno in completo silenzio, tranne Idril che a mezza voce continuava a dispensare complimenti entusiasmati a Nicklesh, il quale si limitava a ringraziarla e a dirle di non aver fatto nulla di eccezionale. Poco distante Khaled scoccava occhiate astiose allo Sneachta, sbottando piccato che anche lui sarebbe stato in grado di fare lo stesso e chiedendo al nulla perché mai quella stupida baracca fosse così buia.
Astril si sentiva appena a disagio, constatando quanta tensione aleggiasse nell’aria, mentre Keira, al suo fianco, osservava in attesa e con espressione severa Jeal, seduto dietro il tavolo e sorridente come sempre.
“Molto bene, direi che siamo tutti qui” cominciò, allegro “So che sin dal momento in cui siete arrivati qui desiderate avere informazioni riguardanti il nostro gruppo, perciò adesso, in seguito alla chiara vittoria dello Sneachta Nicklesh, siete liberi di chiedere tutto ciò che volete. Tuttavia, prima lasciate che sia io a porvi una domanda: esattamente, cosa sapete a proposito dei ribelli di Neahm?”
Le sue parole parvero per un istante spiazzare la compagnia a eccezione di Keira, la cui espressione non mutò minimamente. Fece per rispondere, quando la porta di legno venne spalancata in un rumore sordo e una lama di luce invase la stanza, abbagliando gli occupanti.
Sulla soglia sostava una Mighdar con il fiato corto, le sopracciglia corrugate e gli occhi determinati.
“Allora eravate tutti qui, ero certa che stesse accadendo qualcosa. Si può sapere perché, di nuovo, non mi avete chiamata?” chiese spazientita, avvicinandosi.
“I tuoi modi diventano più irruenti ogni giorno che passa, prima o poi entrerai sfondando la porta” replicò briosamente Jeal “Comunque, come ben sai il tuo compito è occuparti delle matricole, le questioni ‘politiche’ spettano a noi”
“Ho sentito dire che hai intenzione di parlare ai Mildirend del nostro accampamento, perciò, dato che anche io ne faccio parte, ho pensato fosse mio diritto assistere. Perché è tutto buio?”
“Ovviamente per creare atmosfera. A proposito, chiudi la porta, sono mezzo accecato” disse, schermandosi gli occhi con una mano. Aveva appena finito di parlare quando un’altra sagoma apparve sulla soglia, oscurando l’abbacinante luce del sole.
“Oh, guarda un po’, Dùtrashine! Hai deciso di unirti anche tu?”
“Ero solo venuto per cercare di impedire a Mighdar di intromettersi in questioni che non la riguardano, ma a quanto pare ha ottenuto il permesso” rispose il ragazzo, composto.
“Il permesso avrei dovuto averlo sin dall’inizio” controbatté la Syrma, incrociando le braccia al petto.
“A questo punto posso tornare alle mie occupazioni” aveva già voltato le spalle pronto ad andarsene, ma Jeal lo fermò.
“A dire il vero preferisco che rimanga anche tu, meglio avere un’altra voce in questi casi”
Il ragazzo annuì, anche se era evidente che avrebbe preferito dedicarsi ad altro, e dopo aver chiuso la porta raggiunse gli altri, non prima di aver scoccato la consueta occhiata irritata a Khaled, che non esitò a restituirgli.
Il breve attimo di interruzione cessò così com’era giunto e l’attenzione si riposò nuovamente sul gruppetto, in particolare su Keira.
“Non conosciamo molto a proposito di voi ribelli, le uniche vaghe informazioni che abbiamo risalgono a un anno fa, quando avete tentato di invadere una delle zone limitrofe alla capitale, fallendo nell’impresa. Molti di voi sono stati fatti prigionieri e rinchiusi nelle segrete del palazzo reale, ma a parte questo non sappiamo altro”
“Quindi non avete idea di come sia nato il nostro gruppo”
Keira scosse la testa e Jeal sorrise, un piccolo sorriso tra il comprensivo e il rassegnato.
“Hai usato la parola ‘invadere’ e riferito a ciò che è successo un anno fa è giusto, ma per farvi capire bene la nostra situazione attuale è importante che cominci sin dal principio. Avete mai sentito parlare di un certo Breof?”
“Sì, era uno dei capi dell’esercito del Regno dei Naihm, prima che decidesse di abbandonare il suo ruolo e sparire senza lasciar traccia, se non sbaglio”
“Esattamente, Sneachta Nicklesh, ed è stato proprio quell’uomo, sette anni fa, a dare origine ai ribelli di Neahm!”
Il ragazzo dai capelli bianchi spalancò appena gli occhi stupito, mentre dietro di lui Khaled piegò le labbra in una smorfia.
“Neahm, Naihm…è per questo che vi chiamate ribelli di Neahm? Immagino sia stato quel tipo a scegliere il nome” sbottò.
“Ottima deduzione, Mildirend Khaled. Breof ha scelto apposta quel nome proprio in richiamo alla sua stirpe. Da quel punto di vista non ha mai avuto molta inventiva” ridacchiò “In ogni caso sette anni fa nacque tutto questo, che solo in seguito divenne una compagnia di ribelli. In verità lo scopo iniziale di Breof fu quello di creare un gruppo in cui accogliere persone meno fortunate. Poveri, mendicanti e orfani e aiutarli grazie alle sue capacità e ai suoi mezzi a ricostruirsi una vita.
Sin da prima che salisse al trono Tsolais il Regno dei Syrma è sempre stato incredibilmente sbilanciato nella distribuzione delle ricchezze. La capitale non è ricca e prospera come sembra, così come tante altre zone. Da generazioni i governati si sono preoccupati di garantire il loro benessere e quello della loro cerchia, senza tener conto dei meno abbienti. Quando però, cinque anni fa, la regina Tsolais salì al trono, la situazione precipitò notevolmente, non solo a pari di ricchezze, ma anche nelle modalità di governo. Immagino che non sia la prima volta che sentiate definire la regina come una donna ambiziosa e crudele, pronta a tutto pur di garantire la perfezione assoluta del suo Regno, anche a costo di ridurre al minimo la libertà individuale dei suoi sudditi.
Fu proprio per questo che Breof, due anni fa, decise di trasformare la semplice compagnia in un gruppo di ribelli molto numeroso. Dovete infatti sapere che quasi tutti coloro che Breof aveva accolto nel tempo avevano deciso di restare sotto la sua guida, dando origine a una piccola comunità con sede qui a Cré Ear, vittima degli spadroneggi dell’esercito Syrma e costretta a pagare una tassa salata. Stanco della situazione, Breof si adoperò per riuscire a ottenere l’indipendenza di Cré Ear e cominciò ad allenare i membri grazie alle sue abilità, oltre che a procurarsi le armi e reclutare nuovi componenti, occultando persino la stretta sorveglianza della regina”
Tacque qualche istante, dando il tempo ai suoi ascoltatori di assimilare le informazioni -oltre che a compiacersi della loro estrema attenzione- dopodiché riprese a parlare.
“Una volta sicuro che il gruppo fosse pronto, Breof diede inizio alla spedizione” il solito sorriso allegro divenne un poco amaro “Non so ancora se si trattò di imprudenza o eccesiva fiducia, sta di fatto che l’impresa fallì completamente. Sia Iwarioth che io eravamo presenti quel giorno, e ricordo i nostri compagni infilzati dalle spade e quelli catturati. Lo stesso Breof rimase ucciso nel campo di battaglia e da quel che so Tsolais ne fu furiosa, perché avrebbe voluto interrogarlo. Scoprii inoltre che quel pazzo aveva pensato proprio a tutto, difatti al mio ritorno trovai una lettera dove mi spiegava che in caso di fallimento la guida del gruppo sarebbe spettata a me.
Non fu facile. Non potendo più restare alla nostra base fummo costretti a nasconderci a lungo, confusi e disorientati, senza sapere cosa fare, fino a quando l’obbiettivo non mi apparve chiaro in testa: portare avanti le volontà di Breof”
“Nonostante tutto ciò che era successo?” disse Keira e Jeal annuì.
“Sapevo chiaramente che sarebbe stata un’impresa difficile, ma riuscii a convincere coloro che erano rimasti a seguirmi” scoccò un’occhiata a Iwarioth e Mighdar “E così cominciammo la ricerca di nuovi membri, molti dei quali potete vederli allenarsi qui fuori, insieme agli uomini e alle donne che hanno deciso semplicemente di sostenerci dietro alle quinte.
Tornando a quello che hai detto prima, Mildriend Keira, invadere è la parola giusta. Breof cercò di conquistare e ottenere la libertà con la distruzione. Ebbene, io ho intenzione di agire diversamente. Il mio obbiettivo infatti è quello di  seguire la diplomazia, per questo quando saremo pronti raggiungeremo la capitale e proveremo a parlare con Tsolais”
Cinque volti, persino Keira, lo guardarono a dir poco sbigottiti.
“Vorresti trattare con la regina!?” esclamò Nicklesh incredulo.
 “L’idea è quella” rispose serenamente il capo dei ribelli “So bene che sarà un’impresa ardua, ma voglio almeno provarci. Raggiungere sotto copertura la capitale, riuscire a ottenere un’udienza dalla regina e metterla al corrente della situazione. Solo nel caso in cui dovesse rifiutare scenderemmo in battaglia, ma per allora avrò fatto in modo di reclutare così tanti alleati che dovrà riflettere attentamente prima di prendere decisioni avventate”
“Stai parlando troppo, Jeal” disse Iwaritoh innervosito.
 “Davvero? A me non sembra, mi sto solo attenendo al patto” replicò brioso Jeal, ritornando a osservare il gruppetto.
“Ecco, questo è tutto ciò che c’è da sapere su di noi. Che ne pensate?”
Non ottenne subito risposta, sino a quando Keira non disse:
“Non mi reputo un’esperta di ribellioni, ma trovo il vostro piano molto avventato”
“Stai forse dubitando del nostro gruppo?” scattò Mighdar, l’espressione furente e i pugni tremanti per quanta era la forza con cui li stringeva. La guerriera restò imperturbabile.
“Calmati, Mighdar, non c’è bisogno di scaldarsi tanto” rispose tranquillo Jeal, poi si rivolse di nuovo a Keira “Riconosco che ciò che dici è vero, ma senza l’avventatezza, insieme a una forte determinazione e coraggio, i ribelli di Neahm non esisterebbero neppure”
L’ennesimo silenzio scese sulla baracca, ognuno di loro impegnato ad assimilare la storia di Jeal.
“Ho compreso perfettamente tutto ciò che hai raccontato, ma ancora non mi è chiara una cosa: hai detto che per molto tempo siete rimasti nascosti, mentre adesso il vostro accampamento mi sembra fin troppo scoperto. Non avete timore di essere individuati?” notò Nicklesh.
“Adesso chiedi troppo” replicò Iwarioth.
“Esatto, vi abbiamo già  messo al corrente di informazioni estremamente riservate e non siamo tenuti a dirvi altro!” aggiunse Mighdar spazientita.
“La spiegazione è molto semplice” cominciò serafico Jeal “Il merito è tutto di Dùtrashine!”
“Razza di idiota, ma sei in grado di tacere?” esclamò tra l’incredulo e il furioso Iwaritoh, seguito a ruota da Mighdar. Dùtrashine si passò una mano sul viso, mormorando fra i denti parole molto simili a insulti.
“Ormai sanno tutto, non vedo perché nasconderglielo” si giustificò Jeal “Vedete, sino a non molto tempo fa il nostro accampamento era nascosto in una zona non molto ospitale e problematica, senza contare che con l’aumento dei membri era diventata anche troppo piccola. Con l’arrivo di Dùtrashine, diversi mesi fa, abbiamo trovato la soluzione perfetta. A prima vista l’accampamento può sembrare privo di protezione, ma in realtà tutt’intorno vi è una barriera di occultamento proprio creata da Dùtrashine”
“Una barriera?” ripeté stupito Nicklesh.
“Esatto, ma sono certo che lui saprà spiegarvelo meglio” disse, voltandosi verso l’altro Syrma, non molto propenso all’idea.
“È proprio necessario?” domandò, e il sorrisetto di Jeal bastò come risposta. Dùtrashine a quel punto si portò al centro della stanza e avvicinò la mano a una delle sferette dorate che fluttuavano.
“Il mio potere consiste nello scrivere rune che impongono determinate condizioni ed effetti, anche se limitati. Questo vuol dire che ho la capacità di applicare solo alcuni tipi di rune, quelle che offuscano la vista,” tracciò nell’aria alcuni simboli dorati e la sferetta sparì “quelle che annullano i suoni,” disegnò altri simboli bianchi e luminosi “e quelle che eliminano la consistenza” mosse il dito in un cerchio arancio, dopodiché aggiunse “Poi posso scegliere chi rendere vittima dell’effetto delle rune e chi no” tracciò altri segni dagli svariati colori e quando ebbe finito la sferetta ritornò visibile solo per Keira, Nicklesh e Jeal.
“L’effetto non dura per sempre e più un corpo è grande più necessita di venir riscritto. Per quanto riguarda l’accampamento devo ritracciare le rune ogni due settimane”
“Pensavo molto più frequentemente” osservò Nicklesh.
“Dipende dal tipo di effetto che imprimo nelle rune. Considera che è necessario quasi un intero giorno per tracciare quelle che ho scelto, ovvero le più durature e difficili che conosco. Volendo potrei tracciarne di un tipo più semplice e metterci meno tempo, ma l’effetto durerebbe di conseguenza appena pochi giorni”
“Ha effetto anche con le persone?” chiese curiosa l’arciera. Dùtrashine parve irrigidirsi e in un deciso movimento della mano cancellò tutte le rune intorno alla sfera, che ritornò per tutti visibile.
“No, non funziona”
“Ci hai mai provato, almeno?” sbottò Khaled. Il Syrma gli rivolse un’occhiata infastidita.
“Certo, e non ha avuto effetto”
“Avrai sbagliato qualcosa nel processo”
“Che hai detto?”
“Che sicuramente hai fatto qualche errore”
“Da quando saresti diventato un esperto di rune?”
Khaled aveva di nuovo assunto la sua solita posizione bellicosa, gli occhi che sprizzavano scintille, mentre Dùtrashine sembrava vicino a tirargli un pugno.
“Se proprio dovete dar inizio a una rissa fatelo fuori di qui” li invitò cortesemente “Ho bisogno di scambiare da solo alcune parole con la Mildriend Keira e la principessa Astril”
Nel sentire il suo nome la ragazza sussultò, ritrovandosi per la prima volta gli occhi grigi di Jeal fissi nei suoi.
“Resto anche io” affermò decisa Mighdar. Una mano si posò sulla sua schiena e con una forte spinta per nulla gentile la ragazza venne mandata verso la porta.
“Hai sentito anche tu Jeal, ha detto che vuole parlare con loro da solo” spiegò Dùtrashine subito dietro di lei, come se si stesse rivolgendo a uno stolto duro di comprendonio.
“Non sei tu a dovermi rispondere” replicò la Syrma con espressione rabbiosa.
“Mighdar, è meglio che vada anche tu. Le reclute staranno aspettando la loro allenatrice” disse pacato Jeal.
La ragazza borbottò qualcosa ma ubbidì senza contestare. La stanza si svuotò presto e dentro rimasero solo Keira, Astril e Jeal, i cui occhi, nonostante l’espressione spensierata e il sorriso, presagivano l’importanza di ciò che aveva da dire.


°Note dell'Autrice°
Ben ritrovati lettori! Sì, come avrete notato questo capitolo era estremamente lungo e forse  molti di voi avranno dovuto leggerlo in due volte, ma come sempre trovavo assurdo dividere il capitolo, anche perché nella mia testa era destinato a concludersi esattamente così. Vi chiedo perdono già adesso per il futuro perché so anche altri capitoli potrebbero essere così lunghi, non posso proprio farci nulla ^^" Spero che comunque il tutto sia stato di vostro gradimento!
Il prossimo capitolo sarà incentrato principalmente su altri personaggi, rivedremo vecchie conoscenze e nuovi arrivi...ma non dico altro x)
A presto e grazie dei vostri commenti e del vostro sostegno! 
<3

The_Grace_of_Undomiel

 

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Capitolo 26
*** Scentialhan, la città lucente ***




Scentialhan, la città lucente

Nel momento in cui il gruppo dei Mildriend si apprestava ad addentrarsi nel covo di Ferimorn, in tutt’altro luogo un carro trainato da un vecchio e pezzato ronzino cigolava e rimbalzava sulla strada ampia e lastricata, serpeggiante verso l’alto e costeggiata da verde e tenera vegetazione.
Se si scoccava un’occhiata verso il basso era possibile scorgere le acque del fiume scintillanti alla luce del sole e pontili di legno ai quali erano attraccate barche dalle diverse dimensioni e fatture.
Sul molo transitavano Syrma indaffarati e qualche Nureyel, intenti a trasportare casse ricolme di merci, mentre alcune guardie abbigliate con armature leggere e cotte di maglia rilucenti ai raggi come specchi argentati sorvegliavano il tutto, lo sguardo attento e le braccia strette al petto.
Il vecchio Syrma riportò l’attenzione sulla strada e con uno schiocco di redini esortò il cavallo ad aumentare l’andatura, le casse vuote sul retro che si scontravano tra loro in un rumore sordo.
Il carro proseguì in salita a ritmo costante per diverso tempo, sino a quando non si fermò dinanzi a un bivio: una strada serpeggiava a sinistra ancora più in alto, mentre un’altra, leggermente più piana, proseguiva verso destra.
“Siamo arrivati. Da qui io devo girare a destra, perciò dovresti scendere” bofonchiò il vecchio, scoccando un’occhiata all’esile figura al suo fianco, che per tutto il tempo si era mantenuta in un mite silenzio.
In un fruscio di vesti la giovane posò i piedi nudi sulla strada lastricata e si voltò verso il Syrma, che non poté celare un brivido nel ritrovarsi quegli occhi pallidi e inespressivi fissi nei suoi.
“La ringrazio per il passaggio, è stato molto gentile da parte sua” lo ringraziò la Nureyel, la voce ridotta a un basso e calmo mormorio.
“Nessun problema, dopotutto mi hai pagato” replicò il contadino, senza riuscire a smettere di osservare con aria dubbiosa la ragazza dai lunghi capelli verdi, la frangetta a coprirle la fronte.
Quando, quasi sei ore prima, l’aveva scorta camminare lenta sul ciglio della strada, vestita semplicemente con un abito lilla che le arrivava appena sopra le ginocchia e con in spalla una sacca rattoppata, si era fermato, anche se malvolentieri, e le aveva chiesto se andasse tutto bene.
La ragazza aveva alzato il viso dall’espressione vuota verso di lui e nel momento in cui gli aveva risposto di sì, aggiungendo se volesse che gli venisse letta l’anima, l’uomo era stato tentato di dare un colpo di redini e di partire a tutta velocità, inquietato da quello sguardo vacuo e da quella voce trasognata.
Non aveva però nemmeno avuto il tempo di ripartire che con il braccio tremante lei gli aveva teso una moneta d’oro lucente, chiedendogli se per favore potesse darle un passaggio sino alla capitale.
Di primo impatto il vecchio aveva pensato di risponderle di no, per nulla propenso all’idea di ospitare quella strana sconosciuta sul suo carro. Poi però, convincendosi che fosse per il semplice desiderio di guadagnare una moneta -oltre al fatto che fosse suo dovere di Syrma non lasciar gironzolare  individui strampalati per il Regno- e non perché l’evidente cecità della ragazza lo avesse impietosito, aveva deciso di permetterle di salire.
Sorprendentemente la ragazza non aveva avuto bisogno di alcun aiuto e così erano partiti, mantenendosi in silenzio per quasi tutta la durata del viaggio. L’unica cosa che l’uomo le aveva chiesto era stata il suo nome e la sua provenienza: Miradis, un nome che non gli diceva niente, partita da Duilliur.
“Senti un po’, sei proprio sicura di voler andare a Scentialhan?” aggiunse borbottando il Syrma.
“Certo, perché?” domandò di rimando Miradis, sinceramente stupita.
“Non mi sembra la città adatta a una come te, a dire il vero non so neanche se ti lasceranno entrare. Ci sono le guardie al cancello principale e sarai costretta a pagare una tassa”
“Oh, per questo non vi è problema, ho delle monete con me” sorrise appena l’indovina, indicando la sacca.
L’uomo le rivolse un’occhiata scettica. Non è solo una questione di denaro, pensò, riferendosi all’aspetto trasandato della ragazza. La possibilità che i soldati le permettessero di entrare nella lucente e ricca capitale era pressoché inesistente ma questo, si rammentò, non lo riguardava.
“Come vuoi, allora cerca di prestare attenzione, salendo verso l’alto la strada diventa più accidentata” disse e agitando la mano in un breve cenno di saluto ripartì.
“Certo, starò attenta. Grazie ancora, Robio”
Il cigolio della ruota e gli zoccoli del cavallo sul lastricato si erano portati via parte della voce della ragazza, ma l’uomo sentì chiaramente il suo nome sulle labbra di lei, nome che lui era certo di non averle mai rivelato, e non poté impedirsi di sussultare.
Si lasciò andare a un sospiro simile a un brontolio, lieto finalmente di esser rimasto da solo, visto quanto la questione era divenuta bizzarra. Dunque sparì all’orizzonte, pregustandosi già la cena di quella sera.
Nel frattempo Miradis si era incamminata e con passo incerto proseguiva lungo la salita. Non percepiva alcuna forma vivente, la strada doveva esser deserta, e per questo orientarsi le risultava più difficile del solito.
Erano ormai passati diversi giorni da quando aveva lasciato il gruppo dei Mildriend e in quell’arco di tempo aveva viaggiato principalmente a piedi o rimediando passaggi su alcuni carri. Aveva camminato per intere giornate, fermandosi a dormire all’aperto o in qualche fienile abbandonato, mentre talvolta le era capitato di viaggiare anche di notte, quando era riuscita a trovare qualcuno disposto a ospitarla sul suo carro.
I raggi caldi del sole sulla pelle chiara le suggerivano che dovesse esser circa primo pomeriggio, mentre un leggero venticello fiorito le scompigliava i capelli e la rinfrescava dalla calura.
Avanzò prestando la massima attenzione e facendo del suo meglio per orientarsi sino a quando, mezz’ora dopo, non percepì la presenza di persone e indistinti brusii, segno che doveva esser praticamente giunta.
Sul fondo della strada giganteggiava infatti, a conclusione delle bianche mura fortificate, un enorme cancello scuro, al centro una grossa porta dove passavano carri e transitavano Syrma. Lì davanti sostavano tre guardie, che scrupolose controllavano le merci, registravano su un archivio i nomi dei passanti e riscuotevano la tassa, ma tutto ciò che Miradis poteva vedere era un’ombra scura punteggiata da piccole sagome più chiare, sulla testa alcuni puntini luminosi che per lei avevano assunto un significato ben preciso ma che in termini di colori non avrebbe saputo definire.
Proseguì e quando giunse presso il cancello il rumore cozzante di armature la costrinse a fermarsi. Gli uomini si erano allontanati dalle mura e si erano avvicinati, tutti e tre con un’espressione ostile e dubbiosa sul viso.
“Ferma. Il tuo nome e la tua provenienza”
“Miradis. Provengo dalla città di Duilliur e sono nata nel villaggio di Esoden”
Una delle guardie scribacchiò il tutto sul registro, dopodiché aggiunse “Dichiara la tua occupazione”
“Sono una semplice visitatrice” rispose Miradis, trasognata come sempre. Le tre guardie si scambiarono fra loro un’occhiata.
“Come hai detto, prego?” domandò uno, scettico. La ragazza ripeté e quel punto due delle guardie ridacchiarono appena, mentre quello che le stava parlando sollevò le labbra in un sorriso obliquo.
“Questa città non è aperta ai vagabondi curiosi, se non sei qui per un motivo ben preciso allora sei pregata di sparire”
Miradis batté le palpebre, raggiunta in quell’istante da alcune sporadiche informazioni. Quella guardia era piuttosto giovane, sui trentacinque anni, il suo nome era Eroset, era nato nella capitale  e solitamente non era troppo scrupoloso nei controlli. Per qualche ragione con lei invece non pareva aver alcuna intenzione di sorvolare sui dettagli.
“Ho i soldi per pagare la tassa” rispose l’indovina. Tutte e tre le guardie erano accumunate dal desiderio di ricchezza e speravano di guadagnare abbastanza per poter presto abbandonare quella occupazione, dunque il denaro poteva essere una soluzione per permetterle di passare.
Difatti alla menzione dei soldi gli occhi di Eroset scintillarono, così come quelli degli altri due.
“Davvero? Se effettivamente hai con te tutti soldi necessari allora potrei persino chiudere un occhio: sono venti monete d’oro”
Miradis percepì chiaramente il proprio cuore precipitare con un tonfo sordo nello stomaco, mentre il leggero sorriso sul suo viso spariva e la sua espressione ritornava completamente vuota. Di monete nella sacca ne aveva appena sette e altre due erano in argento.
“Non ho con me tutto quel denaro” ammise, e lo sguardo dei soldati divenne duro, così come il sogghigno si tramutò in una smorfia tagliente.
“Allora non abbiamo altro di cui parlare”
“Ma, ecco…”
“Gira i tacchi, prima che sguaini la spada” la intimidì dunque Eroset, avvicinando le dita all’elsa.
Miradis tacque, avvertendo chiaramente le intenzioni ostili della guardia e  capendo che se fosse rimasta lì ancora a lungo non avrebbe esitato ad attaccarla, sebbene di per sé una ragazza cieca non fosse poi una tale minaccia. O almeno, teoricamente.
Fu in quel momento che un rumore di zoccoli alle sue spalle e il cigolio di un carro attirarono l’attenzione dei soldati, che scrutarono con un cipiglio tra l’altezzoso e l’infastidito il nuovo arrivato, dimenticandosi così momentaneamente di Miradis, ferma immobile. Non aveva neppure avuto la necessità di voltarsi, le informazioni erano già giunte rapide come un fascio di luce: una donna, Desideria, intorno ai trent’anni, di nome…
“Nome e provenienza” chiese autoritaria una delle guardie, riaprendo il registro.
“Amalea. Giungo dalla città di Duilliur e sono qui per affari” rispose la commerciante, la voce spigliata e colorita da una singolare punta di sicurezza. La guardia scribacchiò rapidamente.
“Per l’ingresso in città sono venti monete d’oro. Dobbiamo inoltre controllare il tuo carro, dunque sei pregata di scendere e di lasciarci ispezionare a dovere”
“Prego, guardate pure, ma vi anticipo già che in quel carrettino di spezie non troverete altro se non erbe e barattoli” replicò disinvolta, scendendo dal calesse con un balzo. Lanciò un sacchetto tintinnante di monete a una delle guardie, che stranito riuscì a prendere al volo, e si portò al fianco di Miradis, le mani sui fianchi e il viso all’insù, rivolto verso la parte superiore del cancello.
Un portamento che esprime disinvoltura e rilassata noncuranza rifletté la giovane indovina, che ancora non aveva accennato un solo movimento, lo sguardo vuoto volto dinanzi a sé, dove la porta ricavata nel cancello le lasciava intravedere ombre, quasi tutti Syrma, che frenetici si muovevano all’interno della città.
Frattanto, in completa opposizione all’espressione imperturbabile di Miradis, gli occhi smeraldini di Amalea brillavano di interesse e le sue labbra erano distese in un ampio sorriso compiaciuto.
“Una struttura gigantesca, ne avevo sentito parlare ma non avrei mai creduto che il cancello fosse così imponente. È chiaro che non abbiano badato a spese in fatto di sicurezza, ma considerato le ricchezze che vi sono in quella città non ne sono stupita” cominciò a parlare, il timbro estremamente confidenziale. L’indovina non rispose subito, al che la donna le scoccò un’occhiata, senza però perdere il sorriso spigliato.
“Vero. Dicono che i tetti di alcuni palazzi siano costituiti da puro oro” commentò poco dopo.
Amalea non poté impedirsi di ridacchiare, una breve risata bassa.
“Quelle sono solo semplici voci, leggende costruite intorno alla città. Se così fosse dell’oro non ne sarebbe rimasto neppure un frammento, qualche pazzo si sarebbe già arrampicato per scalpellarlo e riempirsene le tasche”
“Oh” mormorò trasognata Miradis “A questo non avevo proprio pensato. Non sono molto informata a proposito di Scentialhan”
“Anche tu qui per la prima volta?”
Miradis annuì piano.
“Lo stesso vale per me, anche se ormai ne ho sentito così tanto parlare che è come se ci fossi già stata. Le spezie non sono troppo diffuse in luoghi come questi, perciò confido che guadagnerò un bel po’ di denaro qui. Tu, invece? Quali affari ti portano alla scintillante capitale del Regno dei Syrma?”
“Niente di particolare, sono solo una visitatrice” rispose piano l’indovina, anche se esser sulle tracce di un misterioso individuo in grado di lanciare maledizioni non fosse proprio da definirsi nulla, ma questo ovviamente non poteva dirlo.
Amalea dovette lanciarle uno sguardo appena dubbioso nonostante l’evidente sorriso, poiché un lieve tremito attraversò il collo chiaro della giovane, come sempre accadeva quando riceveva occhiate di quel tipo.
“Capisco, allora avrai tutto il tempo di visitare la città come si deve” rispose la commerciante.
“In verità non ho il permesso di entrare, non ho abbastanza denaro per pagare la tassa”
“Davvero? Questo è un bel problema”
L’indovina non poteva esser più d’accordo, sebbene avesse già pensato a una soluzione: si sarebbe messa sul ciglio della strada a chiedere se qualcuno volesse che gli venisse letta l’anima e così facendo avrebbe guadagnato i soldi necessari, anche se non aveva idea di quanto tempo le sarebbe potuto servire, senza contrare che le provviste nella sacca stavano cominciando a scarseggiare.
“Abbiamo finito, il carro è a posto, puoi proseguire” la informò una delle guardie.
“Molto bene. Conoscete per caso qualche locanda in cui potrei alloggiare?” chiese, frattanto che risaliva sul calesse.
“Ce ne sono diverse, ma ti consiglio di recarti al ‘Calderone d’Argento’, è la più economica e l’unica che penso tu possa permetterti” rispose Eroset, le labbra sollevate in un sogghigno mal celato.
“Eccellente, che il Calderone d’Argento sia!” approvò la donna come al solito spigliata, affatto toccata dall’allusione poco gentile della guardia, che si vide arrivare fra le mani un altro sacchetto di monete.
“Hai già pagato la tassa” le ricordò, aggrottando la fronte senza comprendere.
“Lo so, questo è per l’ingresso della ragazza”
Miradis sussultò impercettibilmente, voltandosi d’istinto verso la donna e cercando disperatamente di sfondare l’oscurità che le impediva di vederne la figura.
Perché? tentavano di esprimere i suoi occhi pallidi, sebbene non fosse certa che la donna riuscisse a decifrare la sua espressione.
Eroset nel frattempo aveva dardeggiato un’occhiata sospettosa sull’indovina.
“Hai per caso qualche legame d’affari con lei?”
“Nessuno, a dire il vero, ma dal momento che ho saputo che in mancanza di denaro non può entrare ho pensato di pagare io al posto suo. Qualche problema a riguardo?”
La guardia, che già stava soppesando il sacchettino con le monete, scosse la testa.
“No, nessun problema” si schiarì la voce, cercando di ritrovare contegno “Non spetta a me decidere come tu voglia spendere il tuo denaro”
“Su questo siamo perfettamente d’accordo. Tu, avanti, sali a bordo” la invitò con un’amichevole cenno del capo Amalea.
Miradis rimase ferma qualche istante, stranita ed esitante, dopodiché si avvicinò e con qualche movimento tremulo si issò sul carro, che in uno schiocco di redini prese placido ad avanzare, lasciandosi alle spalle le tre guardie, compiaciute di aver ottenuto in un colpo solo ben quaranta monete d’oro.
 
 
Sotto i raggi abbacinanti del sole i palazzi, le vetrate delle finestre e le strade serpeggianti rilucevano come puro argento vivo. L’intera città si sviluppava verso l’alto tramite vie acciottolate e ampi gradini in pietra bianca, dinanzi ai quali si aprivano minuti giardini circolari, al centro dei quali vi era sempre un albero dalle scure foglie verdi e di fianco ad esso una panchina su cui sedevano donne elegantemente abbigliate.
La parte inferiore della capitale era alquanto sobria e ospitava le case popolari, le botteghe ed empori di vario genere, tra cui il magazzino dove giungevano le merci provenienti dal porto. Sulla strada era infatti possibile veder transitare diversi carri e carretti contenenti prodotti di ogni tipo.
Proseguendo verso l’alto gli edifici divenivano più grandi e raffinati sino a raggiungere il massimo splendore nell’area appena sottostante il palazzo reale, che imponente e scintillante giganteggiava sull’intera città. Pinnacoli e torri slanciate dalle punte bronzee spiccavano nel cielo cobalto mentre gli stendardi della famiglia reale vibravano al vento tiepido. Un’enorme e larga scalinata conduceva all’ampio cortile in pietra che anticipava il portone d’ingresso principale del castello. Diverse guardie sostavano ai lati e osservavano chiunque si aggirasse in quelle zone.
Infine altre vie, vicoli e stradine si sviluppavano intricati, completando quella che era la scintillante capitale del Regno dei Syrma, Scentialhan.
Gli occhi smeraldo di Amalea brillavano di interesse e compiacimento, mentre quelli pallidi di Miradis guardavano fissi in avanti, pieni di ombre e recettivi spostamenti e presenze di ogni genere.
Il carro della venditrice proseguì dritto per un po’, sino a quando non intraprese una via sulla sinistra che conduceva in una spaziosa piazza circolare, dove già sostavano diversi carri. I commercianti, principalmente Syrma insieme a diversi Nureyel e qualche Desideria, invitavano i cittadini ad avvicinarsi ai loro banchetti, le merci esposte con cura e invitanti.
Amalea fermò il carro in uno degli spazi ancora liberi, dopodiché balzò giù e cominciò a posizionare le varie spezie e barattoli sul banchetto di legno vuoto a disposizione dei commercianti.
Ve ne erano infinità, sparsi per l’intera capitale e di fattura più elaborata man mano che si proseguiva verso la sezione alta. Nei quartieri sopraelevati potevano accedere solo determinati commercianti, come quelli di pietre preziose, sete e vesti raffinate, e per sostare nei banchetti dovevano possedere un permesso speciale ottenibile solo nel secondo magazzino, quello posizionato appena due livelli sotto al castello.
Miradis scese lentamente dal carro e si avvicinò ad Amalea, indaffarata con l’allestimento della bancarella.
“La ringrazio molto per ciò che ha fatto per me. Non dimenticherò mai il suo gesto” sussurrò gentile, chinando appena il capo.
La venditrice inarcò un sopracciglio e sorrise.
“Certo, ne sono sicura. Ma per quanto mi sia stato gradito aiutarti credo che un piccolo pagamento da parte tua sia d’obbligo”
L’indovina sussultò impercettibilmente e schiuse appena le labbra, stranita. A quello non aveva proprio pensato.
“Capirai anche tu che la mia richiesta sia legittima, la reciprocità viene prima di tutto. Inoltre, ricorda che rimango comunque una venditrice, il massimo che posso concedere gratuitamente è un sacchettino di spezie” ammiccò, incrociando le braccia al petto. Miradis annuì piano.
“Non so se ho abbastanza denaro per ripagarti della tua gentilezza, però”
“Questo lo so bene, altrimenti non avresti avuto bisogno del mio aiuto per entrare in città. Tutto quello che ti chiedo è di lavorare l’intero pomeriggio al banchetto con me e aiutarmi in alcune faccende”
Miradis rimase qualche istante in un silenzio trasognato, dopodiché rispose che lo avrebbe fatto volentieri. Poteva permettersi di passare mezzo pomeriggio in compagnia di quella donna, poiché sicuramente avrebbe avuto il tempo di spostarsi per l’intera città nei giorni seguenti. L’aura di colui che le aveva lanciato la maledizione era debole e fioca, ma questo bastava a suggerirle che fosse almeno passato per quella città e magari, girovagando, sarebbe riuscita a trovare una pista un po’ più nitida. Nel frattempo ne avrebbe approfittato per guadagnare qualche soldo con la sua abilità.
“Perfetto, non appena scenderà la notte le nostre strade si divideranno e potrai dedicarti a ciò per cui sei venuta qui. Visitare la città, hai detto” disse Amalea, sebbene non comprendesse pienamente come una giovane cieca desiderasse una cosa simile, dal momento che non poteva vedere ciò che Scentialhan aveva da offrire. La venditrice però non si era mai reputata una persona con l’ardire di poter giudicare le scelte e le azioni altrui, dunque sentiva che la questione non dovesse riguardarle.
“Non molto lontano da qui si trova una stalla dove commercianti e viaggiatori possono lasciare il loro cavallo. Porterò Tanya lì e la riprenderò stasera. Tu nel frattempo finisci di sistemare le spezie sul banco. Attenta a non sparpagliarle e a non respirare quella rossa, potresti non smettere più di starnutire. Ci vediamo dopo” staccò la cavalla dal carretto e prese a tirarla per le redini, prima di soggiungere, guardando l’indovina da sopra la spalla “Un’ultima cosa. Non mi sembri affatto il tipo di persona, ma in ogni modo non provare a rubare la mia merce perché potresti pentirtene. Non mi sono mai piaciuti i ladri”
Le rivolse un sorriso sia d’intesa che di avvertimento, poi scomparve in una via. Miradis rimase qualche secondo imbambolata sul posto, dopodiché si mise a continuare il lavoro della venditrice, sistemando i barattoli e i sacchettini sul banco in legno. Si rendeva conto di non essere molto veloce, ma non poteva fare altrimenti, senza contare che tendeva a distrarsi facilmente.
Aveva appena concluso di sistemare i prodotti quando percepì qualcuno avvicinarsi. Come al solito le informazioni non tardarono ad arrivare: giovane Syrma, probabilmente sui diciannove anni, nata a Scentialhan nella seconda parte inferiore, lavorava al servizio di una famiglia piuttosto benestante al quarto distretto. Il suo nome era Prusys.
“Qual è il prezzo di questa spezia?” domandò, con voce tra l’incalzante e il seccato.
Miradis capì che la ragazza stava indicando un sacchettino sulla sinistra, ma non aveva idea di cosa contenesse né tantomeno quanto costasse.
“Non lo so” mormorò semplicemente.
“Come sarebbe a dire che non lo sai?”
“Il banchetto non è mio, sono qui un attimo in sostituzione”
“Allora controlla il libro dei prezzi, tutti i venditori ne hanno aggiornato una copia, dovrebbe essere sul carro, anche se non dovrei essere io a doverti spiegare certe pratiche”
Miradis annuì nel suo solito modo, come se i suoi pensieri si trovassero in quel momento da tutt’altra parte, e cercò nel retro del carro il fantomatico registro, mentre Prusys attendeva muovendo ritmicamente un piede, scocciata.
Effettivamente l’indovina riuscì a trovare il libro e lo posò goffamente sul banco, rischiando di far cadere qualche barattolo.
“Ecco qua” disse Miradis, iniziando a sfogliare le pagine “Potresti cercare quello che ti serve?”
“Come? Perché dovrei farlo io? È il tuo lavoro” replicò, incrociando le braccia e tamburellando nervosamente le dita sul gomito.
“In realtà non sarebbe il mio lavoro, sto solo…”
“Non mi interessa, adesso sei qui a un banchetto di spezie perciò sei pregata di eseguire quello che ti ho chiesto”
“Non posso” sussurrò di rimando. Pruys aggrottò le sopracciglia.
“Devi solo cercare il nome della spezia sul libro. Non ti hanno insegnato a leggere, per caso?”
“Chiedo scusa per i modi impacciati della mia assistente”
Amalea apparve al fianco dell’indovina, il solito sorriso spigliato e confidenziale sulle labbra.
“Ha appena iniziato, perciò non possiede molta dimestichezza con il mestiere”
“Sono qui da dieci minuti e le ho semplicemente chiesto di leggere su quel libro, ma sembra non esserne in grado”
“Infatti è così” con un semplice gesto la donna posò il palmo sulla fronte di Miradis e le sollevò la frangetta verde, rivelando gli occhi pallidi “Non può vedere”
Prusys batté un istante le palpebre.
“Non me l’ha detto” rispose stringendosi nelle spalle.
“Se avessi prestato più attenzione invece di aver fretta di finire e andartene te ne saresti accorta da sola”
La ragazza restrinse appena lo sguardo e Amalea si concesse qualche attimo per osservarla meglio. I capelli biondi e lisci le giungevano pari appena a metà del collo ed erano tirati indietro da una sottile fascia bianca, lasciandole scoperta la fronte. Gli occhi avevano il colore della bassa boscaglia e sul suo viso, spruzzato da piccole lentiggini sul naso e sotto gli occhi, sostava un cipiglio incalzante e in un certo senso annoiato. Indossava una veste dal corpetto e le maniche bianche, arrotolate sino all’avambraccio, e la gonna marroncina.
“Posso sapere il prezzo di quella spezia, allora?” chiese di nuovo, roteando gli occhi.
“Sono cinque monete d’oro” rispose affabile la venditrice.
“Ne prendo venti sacchetti. La tua assistente può aiutarmi a portarli sino all’abitazione in cui lavoro? Se ne è capace”
“Certamente. Ho due piccole casse che potrete utilizzare per trasportare il tutto. Avanti, ragazza. Aiutami” disse rivolta a Miradis, e le due si accovacciarono ai piedi del bancone.
“Se fossi stata una Syrma e non una Nureyel probabilmente non ti avrebbe chiesto di aiutarla, ma da queste parti è così e se si vuole guadagnare bisogna adeguarsi alle usanze” le spiegò in un basso sussurro, prendendo una cassa mentre l’indovina afferrava l’altra.
“Ho capito” mormorò la giovane.
“Quando avrai finito prima di tornare potrai pure farti un giretto. Sei in grado di ritornare, giusto, Miradis?”
L’indovina si bloccò un attimo, prima di sollevare il viso verso la donna.
“Come sa il mio nome?” chiese, la voce non più atona ma incuriosita. Amalea si limitò a sorridere furbescamente.
“Intuito” rispose e si rialzò in piedi, iniziando a buttare i sacchettini di spezie nei contenitori per poi schiaffare il suo tra le braccia di Prusys, non molto contenta del gesto rude.
Così le due ragazze si misero in cammino, con la Syrma in testa e dietro Miradis, che si voltò un’ultima volta alle sue spalle, verso Amalea.
La venditrice conosceva il suo nome, eppure era certa di non averglielo mai rivelato. Che avesse in realtà un potere simile al suo?
Prusys camminava spedita fra il fiume di gente, incurante se Miradis riuscisse o meno a tenere il passo. Dal canto suo l’indovina non aveva alcun problema a riguardo, poiché percepiva nitida la presenza della ragazza. Seguì ogni sua mossa, svoltando per le vie e salendo gli ampi gradini non appena percepiva Prusys fare altrettanto.
Nel corso del tragitto venne urtata diverse volte da alcuni passanti che mai le chiesero scusa e, anzi, le rivolsero diverse occhiate sprezzanti.
Quando giunsero nella quarta parte della città Miradis avvertì immediatamente la differenza, percependo nelle persone un portamento dall’impronta aristocratica e, allo stesso modo, atteggiamenti ancora più altezzosi.
Si fermarono dinanzi a un’elegante dimora dalle dimensioni contenute, il portone preceduto da una breve rampa di scale in pietra.
“Posa pure la cassa su quel gradino. Mi ci vorrà diverso tempo per scaricare i sacchettini e riporli nella dispensa, perciò ti conviene tornare al banchetto. Qualcuno ve le riporterà” spiegò, il solito atteggiamento scostante e seccato.
“D’accordo” annuì Miradis, che soggiunse “Prima di andare, vuoi che legga la tua anima?”
Prusys le scoccò un’occhiata.
“Come hai detto, prego?”
“Se vuoi che legga la tua anima”
La Syrma contrasse il viso in una smorfia e le voltò bruscamente le spalle.
“Mmpf, avevo avuto il sospetto che non ci fossi tutta di testa e questa è la conferma finale. Non cercare di propinarmi le tue baggianate e torna al lavoro, qualunque esso sia”
Con queste ultime parole sparì dentro la casa e richiuse il portone. Miradis rimase qualche secondo lì davanti, poi si rimise in cammino. Amalea aveva detto che prima di tornare avrebbe potuto girovagare un po’ per conto suo, dunque ne avrebbe approfittato per curiosare, senza però attardarsi troppo.
Un pagamento era un pagamento e Miradis aveva intenzione di restituire il favore a quella donna così disinvolta e misteriosa che l’aveva aiutata.
 
 
L’indovina era in grado di avvertire praticamente quasi ogni cosa, anime, persone, la loro indole e alcuni dettagli della loro vera natura. Sebbene i suoi occhi le mostrassero il vuoto la ragazza poteva forse vedere e comprendere più di chiunque altro, grazie anche agli altri sensi affinati con il tempo. Dunque, percepiva chiaramente di essersi persa.
Miriadi di sensazioni la attraversavano e nessuna di esse assomigliava vagamente a quelle avvertite nelle strade percorse con Prusys. Non sapeva con esattezza quando avesse sbagliato direzione, fatto stava che la zona in cui si trovava in quel momento le era completamente sconosciuta, non solo per i suoni, gli odori e la differente consistenza della strada sotto i piedi nudi, ma soprattutto per le anime delle persone per la via: malinconiche, rassegnate, alcune deboli e altre sin troppo in movimento.
Le ricordava la zona di Duilliur in cui era solita dormire e che mai avrebbe pensato di ricordare nella preziosa capitale Scentialhan. La sensazione della miseria, triste e opprimente.
Non aveva idea di che ore fossero ma i raggi del sole sulla sua pelle erano meno caldi e appena tiepidi, segno che non dovesse mancare molto al tramonto. Doveva trovare il modo di ritornare da Amalea, ma non poteva permettersi di ripresentarsi a mani vuote. Dal momento che l’aiuto lavorativo promesso era ormai fallito avrebbe guadagnato i soldi necessari a ripagarla in maniera alternativa, mettendosi a leggere le anime.
Tirò fuori dalla sacca il tappetino ocra, si accomodò vicino al muro di un’abitazione e poi cominciò a porre la sua solita domanda trasognata, in attesa che qualcuno si fermasse. Un problema frequente del suo lavoro era che non tutti si mostravano molto propensi a lasciarsi avvicinare da una ragazza con simile espressione e aspetto e con quella domanda sulle labbra, ma viste le sue condizioni sfruttare l’abilità che possedeva in dono era l’unico modo che aveva per guadagnarsi qualche soldo. Aveva tentato tempo addietro a trovare altre occupazioni, ma i proprietari delle botteghe non l’avevano accettata, influenzati dal suo aspetto e dalla sua condizione. Non le avevano neppure concesso una possibilità o qualche giorno di pratica, nulla, considerandola da principio inadatta.
Nessuno pareva interessato e i passanti indaffarati si limitavano a scoccarle qualche occhiata perplessa, probabilmente chiedendosi da dove fosse sbucata quella nuova mendicante, quando dei deboli e leggeri passi attirarono l’attenzione dell’indovina.
“Vuoi che legga la tua anima?” chiese lei. L’individuo, un ragazzo, si fermò e si voltò verso Miradis.
“Mi piacerebbe molto, ma non ho nulla da poterti offrire in cambio, mi dispiace” rispose lui, un lieve sorriso nella voce quieta e dolce.
“Non importa, siedi pure” lo invitò la giovane. Aveva bisogno di guadagnare, ma era anche vero che diverso tempo era passato dall’ultima lettura vera e propria, perciò un po’ di pratica le avrebbe senz’altro giovato.
Il ragazzo esitò qualche istante, poi lentamente si accomodò sul tappetino.
“Cosa intendi di preciso per ‘leggere le anime?’” chiese, il sorriso gentile  ancora sulle labbra e una leggera nota incuriosita nelle parole.
“Posso rivelarti diverse informazioni su ciò che si trova dentro di te, cose e sentimenti nascosti che forse neppure tu conosci. Non posso leggere tutto, poiché inconsapevolmente o meno le persone tendono a celare la loro parte più profonda e i segreti importanti. Posso percepire anche alcune informazioni se solo mi passi a fianco”
“Davvero? Ad esempio, senza avermi ancora letto, quanto conosci di me?”
“Il tuo nome è Horian, hai ventitré anni, sei nato nel villaggio di Noriver, hai un fratello minore e…sei cagionevole di salute”
“Sì, l’ultima parte è proprio evidente, vero?” sorrise, debole ma pivo di tristezza “Per il resto sono davvero colpito”
“Possiamo cominciare quando desideri”
“Va bene. Cosa devo fare?”
“Nulla, semplicemente guardarmi”
Fissò gli occhi pallidi in quelli di Horian, la via per Miradis verso la sua anima. Passarono diversi istanti di silenzio e immobilità, poi l’indovina si allontanò.
“Allora?” chiese il ragazzo, pacato.
“Hai un’anima tranquilla e cordiale, una delle più gentili che mi sia mai capitato di leggere. Ti affezioni facilmente agli altri, così come riponi in loro fiducia. Hai ideali fermi e attualmente non tolleri alcun tipo di scontro, anche se, paradossalmente, il tuo passato è macchiato da diversi episodi di violenza”
“Sono belle parole quelle che mi dici, e, purtroppo, l’ultima parte è vera”
“Provi vergogna per questo, e rimorso”
“Non lo nego. Se potessi tornare indietro lo farei senza esitare e avrei agito in maniera differente”
“Tendi spesso a ripercorrere il passato e a chiederti se le tue scelte siano state giuste o meno”
Horian sussultò lievemente e poi rise, una risata bassa e in un certo senso nostalgica.
“È vero anche questo, sono solito arrovellarmi su certe questioni”
“Vuoi molto bene a tuo fratello e non puoi fare a meno  di sentirti responsabile per una certa situazione in cui vi trovate, che però non riesco a vedere”
“Sei davvero abile, mi sorprende che tu ti trovi qui, in questo angolo povero della città, e non nei vari lussuosi palazzi a condividere la tua stupefacente capacità” disse, sincero.
“Le persone tendono a essere diffidenti nei miei confronti e in ogni caso non potrei condurre una vita simile”
“Come mai no?”
Miradis non rispose, l’espressione nuovamente trasognata, e il ragazzo rise ancora, piano.
“Scusami, sono stato invadente”
“Nessun problema” rispose, come ritornò, o almeno in parte, alla realtà “Hai detto che questa è la sezione povera della città?”
“Proprio così, lo spicchio di capitale per i mendicanti e reietti come noi”
“Non ne avevo idea, non credevo che anche Scentialhan fosse vittima della miseria” mormorò.
“La povertà è ovunque, non vi è luogo che ne sia graziato. Esiste dalla notte dei tempi e continuerà a perdurare, per quanto ci si opponga. L’unica differenza dalle altre capitali sta nel fatto che i nostri regnanti hanno deciso di ritagliare una sezione apposita per la gente come noi e nasconderci così dagli sguardi dei nobili e degli stranieri. Se hai prestato attenzione avrai di certo notato…anzi, percepito, l’assenza di mendicanti nelle strade principali. Dalle tue parole deduco che anche nella tua città vi fossero condizioni di miseria, da dove provieni?”
“Sono nata nel villaggio di Esoden, ma negli ultimi tempi ho vissuto nella capitale Duilliur. La povertà non manca lì, ma i cittadini si sono sempre mostrati comprensivi con la nostra categoria”
“Qui è diverso, i nobili e il resto degli abitanti ci evitano mentre altri non sanno neppure della nostra esistenza. Il nostro regno viene definito come ‘la terra del dorato splendore’, anche se forse preferirei un Regno meno florido ma più equo nel tenore di vita. Se non sono indiscreto, cosa ti ha spinta ha venire sin qui?”
“Il desiderio di viaggiare e visitare luoghi nuovi” rispose come sempre distratta l’indovina, la cui indole trasognata impediva agli altri di comprendere se stesse mentendo “Al momento sto aiutando una commerciante nel suo lavoro, anche se mi sono persa e non riesco più a raggiungerla”
“Dove si trova?”
“Nella piazza circolare in cui ci sono i vari banchetti, nel settore più basso della città”
“Ho capito, anche questo è il primo settore, ma l’estrema parte destra” il ragazzo sorrise, poi Miradis lo sentì lentamente alzarsi.
“Come dicevo non ho denaro con cui ripagarti, però posso guidarti sin nella piazza”
Miradis esitò nel rispondere. Quel ragazzo gentile si stava offrendo di aiutarla, tuttavia se fosse ritornata adesso non avrebbe avuto nulla da dare in cambio ad Amalea. Era anche vero però che difficilmente qualcun altro sarebbe stato disposto a mostrarle la strada e non poteva correre il rischio di non riuscire più a ritornare dalla venditrice e darle l’impressione di essere fuggita.
Forse era una stralunata indovina maledetta ma aveva ancora dei principi.
“Lo faresti davvero? Non vorrei…”
“Non preoccuparti per la mia salute, dovrei riuscire a portarti sino in piazza e tornare indietro senza problemi” la interruppe il ragazzo, rassicurandola pacato.
Così Miradis accettò e rimesso il tappetino nella sacca si apprestò a seguire Horian. Il passo del Syrma era lento e strascicato tuttavia sicuro per le strade della città e più in fretta di quanto si sarebbe aspettata l’indovina percepì presto la famigliare atmosfera della piazza. Non molto lontano avvertiva chiaramente la presenza di Amalea.
“Devo fermarmi qui, è meglio che uno come me non si faccia vedere troppo nelle vie principali” disse Horian, fermandosi.
“Ti ringrazio per ciò che hai fatto per me” mormorò Miradis, chinando appena il capo.
“Sono io a dover ringraziarti. Era da tempo che non uscivo e proprio oggi ho avuto l’occasione di assistere alla tua abilità” sorrise, per poi soggiungere “E’ davvero ammirevole ciò che fai”
“Che vuoi dire?” chiese Miradis, senza comprendere.
“Potresti sfruttare il tuo potere in modo diverso, ricattando le persone al fine di ottenere favori e guadagnare denaro sporco ma facile, eppure non lo fai. Sono lieto che un’abilità simile sia in mano tua e non in quelle di coloro che ci governano. Qual è il tuo nome?”
“Miradis” rispose l’indovina.
“Bene, è stato un piacere conoscerti, Miradis. Ti auguro buona fortuna” sorrise un’ultima volta, poi voltò le spalle e si incamminò, confondendosi fra gli altri passanti, sebbene la sua anime gentile risplendesse ancora vivida e inconfondibile.
L’indovina riprese a camminare e infine ritornò al banchetto di Amalea, intenta a vendere diversi sacchettini di spezie a due Syrma. Una volta concluso l’affare salutò nel suo solito modo affabile i clienti e come spostò lo sguardo si accorse subito della minuta figura non molto lontano dal banchetto. Un rapido bagliore compiaciuto attraversò gli occhi smeraldini.
“Sei tornata, Miradis” la salutò posandosi le mani sui fianchi, mentre la ragazza la raggiungeva dietro il banco.
“Chiedo scusa, mi ero persa”
“Non preoccuparti, sentivo che saresti tornata e sono lieta di aver vinto la scommessa” ammiccò.
“Una scommessa sul mio ritorno? Con chi?”
“Con me stessa, ovviamente. Una parte di me credeva che saresti tornata e ha deciso che se fosse andata così mi sarei concessa un bicchiere di vino, l’altra parte, più dubbiosa, non era convinta e nel caso non fossi ritornata non avrei potuto prendermi nulla. Sono felice che abbia vinto la parte fiduciosa, così posso concedermi un bicchiere. Teoricamente non potrei bere perché anche solo una goccia mi rende brilla, ma una scommessa è una scommessa”
Un po’ perché non ne trovava il senso, un po’ perché di nuovo si era smarrita nella sua testa, Miradis non comprese ma non chiese spiegazioni.
“È quasi il tramonto, mi dispiace non averla potuta aiutare come promesso. Se ha intenzione di fermarsi qui anche domani la aiuterò”
“Non ha importanza, grazie a te ho una scusa per bere un goccio ed è più che sufficiente, senza contare che hai portato la cassa di spezie all’abitazione in cui lavora quella Syrma. Mi aiuterai ancora a sbaraccare tutto e a rimetterlo sul carro, dopodiché mi reputerò soddisfatta. Domani trascorrilo a visitare la città come avevi in mente, altrimenti pagarti il pedaggio non sarà servito a nulla”
Miradis le rivolse un piccolo sorriso, dopodiché le due cominciarono a rimettere tutto sul carro. L’indovina spiegò poi ad Amalea che Prusys o qualche altro dipendente della villa avrebbe riportato le casse, probabilmente il giorno dopo.
“Lo spero proprio, non si trovano da tutte le parti contenitori di quelle dimensioni e mi infastidirebbe parecchio non rivederli più” bofonchiò, caricando i prodotti sul retro del carro.
Il sole era ormai basso e morente e i raggi obliqui carezzavano lievi le vie e i palazzi, avvolti in una riposante luce dorata, molto diversa da quella abbacinante del giorno. La piazza era pressoché deserta, tutti gli altri commercianti erano già andati via da diverso tempo, diretti a qualche taverna.
“Pigri e svogliati, tsk. Questi Syrma non conoscono proprio il vero spirito del commercio. Si arriva per primi e si va via per ultimi. Domani all’alba sarò già qui e mi accaparrerò i clienti migliori” affermò soddisfatta Amalea, per poi voltarsi verso Miradis “Torno un attimo alla stalla a riprendermi Tanya, tu aspettami qui. Al mio ritorno ci saluteremo”
La venditrice si avviò e Miradis si mise ad aspettarla, i palmi delle mani che carezzavano le braccia nel tentativo di scaldarle. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma all’improvviso un leggero e fastidioso brivido le si era posato addosso, anche sulle gambe magre. Forse non era abituata al clima? Aveva bisogno di un abito più lungo, quella veste era troppo corta e leggera, in vista anche degli altri Regni che avrebbe attraversato.
Amalea ritornò in fretta, gli zoccoli del cavallo che risuonavano nella strada deserta. Attaccò la puledra al carretto e poi si avvicinò a Miradis.
“Anche se per breve tempo è stato piacevole stare in tua compagnia”
“Lo stesso vale per me, e la ringrazio ancora per avermi pagato l’ingresso in città”
“Ah, basta con queste formalità, mi fai sentire vecchia e ho appena trent’anni! Almeno nel nostro addio parliamoci in modo confidenziale. Tieni, una cosina per ricordarti di me” sorrise complice, porgendole un sacchettino di spezie, che la giovane accettò un poco sorpresa. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei un regalo era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata.
“Grazie mille. Allora ti auguro buona fortuna, Amalea…” mormorò, trasognata. La donna ridacchiò.
“Sempre con questa tua strana voce, sei proprio una ragazza particolare. Dal canto mio ti dirò arrivederci, perché in futuro potremmo anche…” si interruppe come il sacchettino di spezie scivolò dalle dita dell’indovina e cadde a terra in un tonfo morbido.
Un tremito, breve ma intenso, scosse da capo a piedi il corpo di Miradis, gli occhi spalancati e le labbra schiuse. Poi, si accasciò al suolo senza un mormorio.
 
°°°
Sale immense e scintillanti alternate a corridoi sobri ma eleganti si susseguivano in un labirinto di splendore, interrotto talvolta da rampe di scale abbellite da tappeti porpora che conducevano ad altrettanti piani e labirinti. Stanze, sale, biblioteche, giardini, cortili, nulla mancava nel lussuoso palazzo reale di Scentialhan. Preziose lampade dorate alternate a bagliori di luce magica illuminavano il tutto e pavimenti di marmo lisci come pura ossidiana ne riflettevano ulteriormente i bagliori. Nei lunghi corridoi sorgevano statue, mobili in mogano, vasi di vetro soffiato e ceramica, sulle pareti si susseguivano invece incorniciati i volti di personalità importanti del passato, suggestivi paesaggi o immense vetrate che si affacciavano su ogni angolo della capitale, bella quasi quanto lo stesso palazzo reale.
E tutta quella meraviglia apparteneva a lei. Seduta su una morbida poltrona nella sua stanza, Tsolais osservava la capitale dal vetro della grande finestra, l’angolo destro delle labbra, colorate dal rossetto rosa carico, arricciato verso l’alto in una smorfia compiaciuta. I capelli biondi si posavano lisci sul petto, le ultime due ciocche appena incurvate in una morbida onda, e le coprivano il lato sinistro del viso. L’occhio scoperto, castano scuro, scrutava la città, in un misto di durezza e soddisfazione. Sul capo scintillava un diadema intrecciato di fili d’oro, al centro un topazio lucente, abbinato al ciondolo che portava al collo.
Indossava un lungo vestito dalle tonalità calde impreziosito da alcune perle sulla scollatura e sulle maniche, che terminavano a triangolo all’inizio delle dita.
Tutto quello, ciò che indossava, il castello, la capitale illuminata dal bagliore argenteo della luna, era suo. Lo aveva ereditato e, cosa più importante, lo aveva trasformato in pochi anni in ciò che era ora e in futuro lo avrebbe tramutato in qualcosa di ancora più grande e prezioso. Il Regno dei Syrma avrebbe brillato incandescente e terribile sull’intera Erendithum, così intoccabile che persino Moron sarebbe stato costretto a piegare la testa dinanzi a lei e alla sua potenza. Ancora poco e gli avrebbe strappato il titolo di Regno più influente.
Qualcuno bussò alla porta, strappandola bruscamente dalle sue aspirazioni di gloria, e la regina si voltò, il viso contratto in un’espressione di pura irritazione.
“Avanti” disse, il tono di voce duro e dalla sfumatura innervosita. Uno dei servitori di palazzo, un giovane ragazzo, fece capolino dallo spiraglio della porta.
“M-mia signora, mi è stato detto di chiamarla per la cena” balbettò con timore riverenziale.
“Molto bene. Conducimi nella sala, dunque”
Si alzò e insieme al ragazzo, tremante al suo fianco, si avviò nei corridoi del castello. Presto si aggiunsero a loro donne di tutte le età, che a seguito di un rispettoso inchino affiancarono la regina, il cui sguardo, dopo essersi appena posato sulle sue dame di compagnia, ritorno fiero e compiaciuto dinanzi a sé, l’angolo delle labbra ripiegato come sempre verso l’alto.
Nel tragitto incontrarono numerosi servi intenti a lucidare i corridori e che in un sobbalzo si affrettarono ad abbassare il capo, chi impaurito, chi pieno di meraviglia, chi entrambi, ma Tsolais non li degnò di una sola occhiata.
Quando giunsero nella sala, un enorme banchetto imbandito li accolse e insieme ad esso diversi nobili e dame intenti a conversare tra loro. Qualcuno annunciò l’arrivo della regina e il silenziò calò rapido nel salone, prima che, dopo il saluto di Tsolais, una melodia cominciasse a diffondersi piacevole.
La donna prese posto a tavola e subito dopo il resto dei nobili fecero lo stesso, le dame che avevano ottenuto l’onore di sedersi al suo fianco già a prodigarsi in complimenti sul suo abito, complimenti che Tsolais accettava di buon grado, accentuando il sorriso in una smorfia compiaciuta.
“Sono lieta che questa sera la cena si limiti a pochi intimi” commentò una donna dal vestito blu acceso, riferendosi ai quaranta commensali riuniti “Recentemente vi sono stati molti banchetti e il tutto stava iniziando a essere faticoso”
“Sono d’accordo, troppe discussioni e personaggi non richiesti” annuì un'altra dalla sfarzosa collana di perle.
“Per questo ho pensato di ridurre i banchetti per i prossimi giorni, anche io ho necessito di una pausa” disse Tsolais.
“Non vi hanno lasciata tranquilla un istante, nella cena di ieri sera siete stata continuamente accerchiata da nobili di tutte le età!”
“Esatto, come sempre eravate molto contesa” esclamò entusiasta un’altra dal pronunciato naso aquilino.
“La situazione in effetti è sempre più problematica, soprattutto perché spesso tendono a essere insistenti” rispose Tsolais, sebbene la soddisfazione e il pizzico di arroganza fosse bene evidente.
“Dopotutto è plausibile, una splendida donna come voi, ancora senza marito. È evidente che i pretendenti non esitino a farsi avanti”
“Ma avranno da aspettare, dico bene, mia signora?” commentò la donna con la collana di perle, scoccando un’occhiata di intesa alla regina.
“Proprio così. Non necessito di un compagno che provi a imporsi nel mio modo di governare. Preferisco gestire il mio Regno come meglio credo e senza gli interventi di nessuno” affermò con convinzione.
Le altre dame concordarono con lei e il banchetto ebbe inizio. Squisite pietanze vennero portate in tavola dai servi, accompagnate da pregiato vino rosso in brocche lavorate. La cena proseguì a lungo, intervallata dalle chiacchiere dei commensali e dalla melodia in sottofondo, dopodiché, mentre la servitù si prodigava a sparecchiare rapidamente la tavola onde evitare le ire della regina, che non tollerava disordine nemmeno per un istante, gli altri nobili e Tsolais si diressero verso uno dei grandi salotti da conversazione.
La regina non interveniva troppo frequentemente nei discorsi, ma attendeva il momento opportuno e non appena parlava l’attenzione di ognuno era subito rivolta a lei, con sua immensa soddisfazione.
A fine serata la maggior parte dei nobili lasciò il castello reale per ritornare alle proprie tenute mentre altri, gli appartenenti alla stretta cerchia della regina, rimasero e palazzo e si ritirarono nelle stanze degli ospiti. Quando Tsolais ordinava, più o meno velatamente, la conclusione del banchetto, tutti erano tenuti a congedarsi. La donna organizzava spesso ricevimenti, ma non voleva assolutamente che le venissero sottratti i suoi momenti di solitudine perciò, una volta stanca degli ospiti, poneva fine alla serata.
Il salotto si era poco svuotato e Tsolais sedeva su una poltrona, un calice di vino in mano, quando qualcuno entrò nella stanza. La regina si voltò furiosa, pronta ad allontanare chiunque fosse arrivato, ma quando vide di chi si trattava trattenne le scortesie e si limitò a un’espressione infastidita.
“Gli ospiti sono già andati via?” domandò il vecchietto basso e composto, dai morbidi e corposi baffi bianchi striati di biondo e gli occhi scuri dal taglio pacato ma in cui brillava una scintilla acuta.
Indossava una morbida giacca verde scuro sobria tuttavia elegante e teneva le mani dietro la schiena, l’una stretta all’altra.
“Sì, li ho congedati. Questa sera non ero in vena”
“Capisco” annuì l’uomo, avvicinandosi “Dunque, dato che deduco non avrai altri impegni, potresti recarti nello studio principale insieme a me. Vi sono diverse questioni delle quali sarebbe il caso iniziare a discutere, oltre che numerose lettere e documenti da leggere, in vista anche degli imminenti incontri con i nobili più influenti del Regno dei Syrma”
Una smorfia tra il costipato e il tagliente apparve sul viso della regina.
“Non ho alcuna intenzione di occuparmi adesso di cose del genere, avrò tutto il tempo necessario nei prossimi giorni” disse, agitando la mano in un gesto di noncuranza.
“Lo so, ma sono davvero molte lettere, potrebbero volerci giornate intere e sarebbe bene darci almeno un’occhiata approssimativa prima di cominciare” spiegò, gentile e sereno. Qualunque fossero le circostanze, il vecchietto si mostrava sempre tranquillo, un lieve sorriso sulle labbra e il volto disteso. Non si adirava praticamente mai ed era armato di incredibile pazienza e lungimiranza.
“Ho detto di no, Roen” ripeté, stringendo gli occhi e serrando poi le labbra in una piega seccata.
Il vecchio sospirò, per poi annuire.
“Come desideri, mia cara. Sono consapevole che spesso posso risultare incalzante, ma è mio dovere di tuo consigliere e funzionario informarti”
“Non ricordo di averti mai assegnato il titolo di consigliere” sbottò aspramente ma anche allora l’uomo non si scompose affatto, rimanendo sorridente. L’irritazione scomparve dal viso di Tsolais, che riprese il solito portamento sicurò di sé.
“In ogni modo ho intenzione di ritornare nelle mie stanze. Accompagnami”
 Roen accettò di buon grado e così i due uscirono dal salottino, iniziando a percorrere i lussuosi corridoi. Come sempre diversi servi e cameriere si aggiravano indaffarati, intenti a riassettare e lucidare alla perfezione ogni dettaglio.
Tsolais e Roen camminarono per diverso tempo, la regina impegnata a commentare spazientita ciò che la contraddiceva e il vecchio pacifico e tutto orecchi, sino a quando la donna non si fermò non molto lontano da una vaso decorato.
“Tu” disse, chiamando un ometto impegnato a spolverare il soprammobile “Vieni qui”
Questi batté le palpebre a dir poco stupito e tremante deglutì, prima di avvicinarsi.
“In-in che cosa posso esservi utile, mia signora?”
“Ho bisogno di dissetarmi, vai nelle cucine e portami un infuso fresco alla mora”
L’uomo rimase un attimo immobile, mentre il suo sguardo diveniva ancora più confuso e la voce ridotta a un sussurro.
“Ma…mia signora, in teoria non sarebbe mio compito, mi è stato detto di occuparmi di questa ala del castello e di pulire”
Bastarono quelle parole perché il volto di Tsolais mutasse rapido come un lampo. Restrinse gli occhi a due fessure mentre una scintilla spietata e ricolma d’ira gelida le attraversava lo sguardo. La bocca era stretta e l’angolo delle labbra ripiegato verso il basso.
“Che cosa hai detto?” sibilò, frattanto che un’aura rabbiosa cominciava lenta a formarsi. L’uomo deglutì ancora e dovette trattenersi dallo squittire spaventato.
“Non c’è bisogno di adirarsi, mia cara” intervenne Roen, smorzando subito la tensione “Se non ricordo male quest’uomo è stato assunto da poco al castello e ha semplicemente seguito alla lettera le regole che gli sono state date”
“Dunque significa che è stato preso un incompetente. Quando do un ordine esigo che venga eseguito senza contestare. Ora recati in cucina e poi bussa alla porta della mia stanza”
In quell’istante si udirono dei passi e come una figura apparve sul fondo al corridoio la bocca di Tsolais si distese in un sottile sorriso obliquo, ma il suo sguardo rimase tale e quale a quello di prima.
Ordinò all’uomo di aspettare e tutti e tre attesero che l’individuo arrivasse a pochi passi da loro.
“Rekgaer! concluso il tuo giro di ronda?”  lo salutò allegro il funzionario.
Si trattava di un ragazzo, probabilmente sui diciotto anni. I capelli biondi scendevano appena mossi in ciocche ribelli lungo la fine del collo mentre alcuni ciuffi gli ricadevano sul viso. Indossava un’uniforme bianca su cui era appuntata una stella dorata, un paio di pantaloni scuri infilati negli stivali e una cintura lavorata a cui era appesa la fodera di una spada.
Gli occhi blu limpido dal taglio allungato sostavano seri e imperturbabili sul gruppetto.
“Sì, il mio turno è durato dalla notte precedente sino ad ora, come era stato stabilito. Ho affidato il comando a uno dei miei uomini” rispose.
“Ottimo lavoro. Sarai stanco dopo tutte queste ore, vai a riposarti, ne hai bisogno”
“Mia signora” parlò impaurito il servo “Vado a prendervi l’infuso che mi avevate chiesto?”
“Non sarà necessario, torna pure alle tue mansioni. Ci penserà Rekgaer, a farlo” rispose la regina, frattanto che un bagliore crudele attraversava i suoi occhi. Il ragazzo spostò lo sguardo immutato su di lei.
“Come desiderate” disse, privo di alcuna inflessione.
“Raggiungi le cucine e fatti preparare un infuso alle more, dopodiché portamelo nelle mie stanze. E un’altra cosa, quando avrai finito recati da Draudor, dovete discutere di una questione che quest’oggi ho già pensato ad accennargli. Ci penserà lui a informarti su tutto”
Gli occhi di Rekgaer si restrinsero appena, ma per il resto non manifestò nulla e si limitò ad annuire.
“Se non c’è altro, mi congedo”
“Vai pure. Se avessi ancora bisogno verrai informato”
Il ragazzo voltò le spalle e se ne andò, mentre l’ometto si era già defilato. Come rimasero soli, Tsolais incontrò lo sguardo di Roen, quel tipico sguardo che ormai da mesi le rivolgeva. Privo di rabbia o rimprovero e ancora con una punta serena, tuttavia intenso.
La regina semplicemente si voltò in avanti e riprese a camminare. Il suo modo di agire era lecito e corretto, la giusta punizione per chi se la meritava. Lei era le regina, il Regno dei Syrma era suo, ogni cosa era sua, e con ciò che le apparteneva si comportava come meglio credeva, fossero oggetti…o persone.
La curva delle labbra si fece appena sadica.



°Note dell'Autrice°
Ben ritrovati, lettori! Archivando per un attimo il gruppetto dei Mildriend, in questo capitolo sono riapparse, dopo diverso tempo, sia l'indovina Miradis che la venditrice Amalea e hanno fatto la loro comparsa nuovi personaggi, tra cui la tanto nominata e temuta Tsolais :3 Come vi è sembrata la sua prima apparizione? Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, nel prossimo rivedremo altre conoscenze, una forse più gradita e l'altra decisamente no XD Forse avete capito di chi parlo, kukuku.
Grazie come sempre a voi che leggete e a voi che recensite! <3
Alla prossima,


The_Grace_of_Undomiel

 

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Capitolo 27
*** L'alleanza dei rinnegati ***




L'alleanza dei rinnegati
La voragine di pura energia nera si restrinse in una baluginate linea sottile prima di richiudersi e spegnersi alle sue spalle come se mai fosse esistita. In piedi su un elevato promontorio scuro, Night Mare volse lo sguardo dinanzi a sé, mentre un vento vuoto, privo di gelo o calore, le scuoteva il manto che indossava: una distesa d’ombra si apriva ampia e inesorabile, delineata da alture ancora più scure e illuminata da fiochi bagliori arancio pallido sulla via e dal cielo nero e bluastro attraversato da voragini a spirale inconsistenti. Talvolta qualche saetta dai colori freddi squarciava l’oscurità, schiantandosi in bracieri che luminosi punteggiavano il buio.
Il corpo tra le sue braccia cominciò a muoversi leggermente e l’Alkres, certa che la sua ‘ospite’ stesse per risvegliarsi, la lasciò cadere a terra in un tonfo sordo. Un gemito di sorpresa e indolenzimento sfuggì dalle labbra di Felixia, che, sbattute le palpebre un paio di volte e tiratasi su a sedere facendo forza sulle braccia, mise a fuoco ciò che la circondava, gli occhi blu dilatati e l’espressione smarrita, oltre che ancora intorpidita.
“Dove…dove sono?” domandò debolmente, cercando di vedere oltre la foschia grigia che sembrava non volerle abbandonare le pupille.
“Ti trovi a Istakor, dimensione nel vuoto nonché attuale Regno degli Alkres” le rispose Night Mare, gelida e imperturbabile. Al suono di quella voce Felixia saettò rapida lo sguardo sulla maga, mentre dal suo viso spariva ogni traccia di confusione o stordimento, sostituita da pura agitazione e terrorizzata consapevolezza.
Come i suoi occhi ripresero a vedere nitidamente ogni cosa, i ricordi la travolsero uno dopo l’altro: si trovava nella foresta di Glas Faraoise e stava tentando di ricongiungersi agli altri quando Night Mare era apparsa all’improvviso, bloccandole ogni via di fuga e rivelandole una sconvolgente realtà, prima di intorpidirla con un incantesimo e portarla via.
Aveva creduto, o sperato ardentemente, che si fosse trattato solo di un incubo e che presto si sarebbe risvegliata, ma invece eccola lì, a terra su un promontorio scuro avvolto nella tenebra, una tenebra da cui pareva non esserci via di uscita.
Felixia voltò il capo alle sue spalle, in cerca di un qualsiasi passaggio, ma tutto ciò che trovò fu il buio, punteggiato da fosche voragini di luce blu.
“È inutile che ti guardi attorno, ho richiuso il passaggio pochi istanti fa. Non vi è alcuna via di uscita, se la stai cercando. Ora alzati in piedi, dobbiamo andare” ordinò l’Alkres, incamminandosi verso degli scalini in pietra costeggianti il promontorio sino a terra. Seppur tremante come una foglia e con le membra ancora anchilosate, Felixia si affrettò a seguirla, il cuore che palpitava a mille per l’agitazione e la paura mentre infinite domande le vorticavano in testa: che cosa stava accadendo? Ciò che le aveva raccontato Night Mare era la verità? Che ne sarebbe stato di lei? E Astril, oh, Astril e gli altri…dove si trovavano? Erano ancora nella foresta? Quanto tempo era passato? Si sarebbero accorti della sua assenza? Sarebbe riuscita a ricongiungersi a loro?
Immersa nei suoi pensieri aveva ridisceso l’intera scalinata e stava proseguendo al seguito di Night Mare su un sentiero, quando una saetta si schiantò in un braciere non molto lontano, strappandola dai suoi pensieri e facendola sobbalzare angosciata. La fiamma accecante e bluastra divampò riflessa nello sguardo di Felixia, che iniziò finalmente a guardarsi intorno. Osservò la via, la tenebra, i contorni dei promontori, il cielo, quel cielo freddo e vorticoso e, in lontananza, la sagoma di un enorme fortezza buia punteggiata da luci.
Mai in vita sua aveva visto qualcosa di simile e ancora non poteva credere di esser davvero sveglia. Forse fra un momento all’altro si sarebbe risvegliata e si sarebbe trovata nella foresta, nel luogo dove volteggiavano calde e luminose le sfere dorate che tanto si era divertita ad ammirare. Eppure, nel profondo del suo animo, una fastidiosa consapevolezze le suggeriva che non fosse così, irradiandole un bruciore preoccupato e malsano al centro del petto.
Un altro fulmine colpì un braciere e Felixia saltò nuovamente sul posto, le mani intrecciate l’una all’altra e la testa incassata fra le spalle.
“Muoviti” la esortò Night Mare, avendo percepito i passi della ragazza rallentare impauriti. Felixia ubbidì e annullò la distanza, in allerta e timore costante.
“Dove stiamo andando?” riuscì nonostante tutto a mormorare. La maga sollevò una mano, indicando il castello che aveva intravisto la cameriera poco prima.
“Lì, nella Fortezza di Ossidiana”
Quella fu l’unica spiegazione che le diede e Felixia non si azzardò a chiedere altro. Perché Night Mare, la stessa ragazza che aveva tentato di uccidere Astril e lei in passato, ora  la stava guidando in quella dimensione orribile e remota? Avere la chioma blu -non la chioma di un’Alkres, la chioma blu- stava già comportando situazioni assurde come quella?
Proseguirono il cammino, mentre l’attenzione di Felixia, in parte ottenebrata dalla paura, veniva attirata da forme lontane pressoché invisibili, simili a banchi di nebbia più chiari, e minuscoli puntini luccicanti. La giovane distolse lo sguardo, scrollando il capo, ma ovunque guardasse la sensazione era sempre la stessa: timore e angoscia.
Dopo un tempo che parve infinito, giunsero finalmente in prossimità della fortezza, preceduta da un ampio e ricurvo ponte in pietra. Il castello era, se possibile, il doppio della misura di quello dei Desideria. Torri, alcune spesse e rettangolari, altre sottili, mura spaziose e pinnacoli si alternavano in una struttura dalla parte inferiore massiccia e quella superiore snella e aguzza. Una torre in particolare svettava slanciata verso l’alto, la punta immersa in una delle voragini inconsistenti, che sostava tutt’intorno come una nube spessa e in movimento.
Davanti alla facciata principale della fortezza si apriva uno spazioso cortile in pietra, tetro e desolato a eccezione di qualche rampicante secco che si avviluppava intorno a statue di liscia ossidiana, riflettenti i fulmini bluastri.
Felixia quasi boccheggiò, gli occhi spalancati dinnanzi all’imponenza del palazzo giganteggiante.
Attraversarono il ponte in pietra, sospeso su delle acque scure e gorgoglianti, sicuramente ricolme di creature che la cameriera era certa di non voler mai incontrare, e raggiunsero il cortile.
L’intero luogo trasmetteva cupa desolazione ma allo stesso tempo vita nascosta nelle ombre e Felixia non sapeva se avvicinarsi ancora di più a Night Mare per scrollarsi di dosso quegli sguardi invisibili o mantenersi a distanza da lei. Entrambe le opzioni la facevano tremare.
Il portone dall’aspetto massiccio e pesante venne spalancato con un solo gesto della mano di Night Mare, forzato ad aprirsi da un’energia invisibile.
Un lungo corridoio dal pavimento in ossidiana si apriva dinanzi a loro, tuffandosi nell’oscurità. Alcune fiammelle azzurro pallido fluttuavano immobili, illuminando con una luce fredda l’intero ambiente, ulteriormente rischiarato da ampi finestroni posti sulla parete sinistra, dai quali si scorgevano i soliti fulmini bluastri.
Camminarono ancora in silenzio, l’unico rumore udibile il suono delle suole sul pavimento, e dopo qualche tempo cominciarono a svoltare diversi corridoi. L’arredamento era pressoché inesistente, tranne per qualche mobile in ebano e alcune armi nere appese alle pareti.
Le sferette di luce azzurra tremolarono tutte insieme e quasi si spensero, per poi riprendere a sfavillare ardenti di un altro colore, oro. L’intera tonalità del castello mutò, passando da una sfumatura fredda come il ghiaccio a una dorata tenebra.
Proprio quando Felixia aveva cominciato a pensare che non sarebbe mai più uscita da quel dedalo di corridoi, si ritrovò in un’immensa sala, ove al centro si apriva un’ampia scalinata che conduceva verso un portone nero lavorato da simboli intrecciati e ai piani superiori.
Diversi bracieri in cui ardevano fiamme azzurrognole illuminavano l’ambiente circostante, riflettendosi su alcune porte e distinguendo quelli che erano gli altri corridoi.
Da svariati angoli e direzioni Felixia era certa di udir provenire delle voci, tuttavia semplici brusii concitati che non sarebbe stata in alcun modo capace di distinguere o comprendere.
Salirono i gradini e di nuovo con un semplice gesto del braccio la maga spalancò il portone, rivelando un’altra sala spaziosa suddivisa da spesse colonne nere. Bastoni sottili d’ebano fluttuavano sospesi leggermente da terra e sulla punta vorticava un piccolo concentrato di energia bluastra, che dava luce alla stanza.
Felixia, piena di timore, lasciò dardeggiare lo sguardo su ogni particolare sino a quando non si accorse della presenza di alcune persone.
Un ragazzo snello e slanciato sostava disinvolto vicino a una colonna, l’espressione tra il sinceramente rallegrato e il maligno. I capelli blu gli giungevano in ciocche a metà del collo, mentre due ciuffi gli ricadevano sul lato sinistro del viso. Gli occhi grigi si guardavano attorno con divertimento e le labbra erano sollevate in un sorrisetto. Indossava una giacca nera e larga dal colletto alto aperta su una maglia violacea e un paio di pantaloni scuri infilati negli stivali.
Al fianco, appesa alla cintola, portava una spada dall’elsa appena illuminata da un bagliore blu.
Dal lato opposto della stanza, vicino a un’altra colonna, sostava una giovane ragazzina, forse di tredici anni. Minuta e di statura non molto alta portava le ciocche sulla fronte dei lisci capelli blu, che le giungevano appena sulle spalle, tirate all’indietro. Gli occhi, castano scuro, la osservavano appena ristretti, come se la stessero studiando, mentre le labbra erano tenute serrate in una linea sottile. Indossava una semplice veste maniche lunghe color vinaccia legata in vita da una cintura in cuoio, a cui era appeso un pugnale di ferro.
A pochi metri da lei vi era un uomo anziano magro e leggermente ricurvo in avanti, appoggiato con la mano destra a un bastone simile a quelli che fluttuavano per la stanza, tuttavia privo di sfera. Sul viso segnato sostavano un paio di piccoli occhi grigio chiaro che nulla esprimevano se non assoluta indifferenza, fissi su un punto non ben definito. Completamente calvo, la barba bianca striata da fili blu gli giungeva ampia e vaporosa sul petto, posandosi su una giacca nera ornata da bottoni triangolari.
Sulla fronte era infine visibile un sottile simbolo intrecciato, molto simile a quelli che percorrevano la guancia sinistra di Night Mare.
Fu quando incontrò un volto a lei conosciuto che Felixia sussultò impercettibilmente, battendo le palpebre in un misto di timore e incredulità. Lo sguardo di Myran, seminascosta da un pilastro e con le mani poggiate sulle braccia incrociate, la osservava insistentemente, il viso avvolto da un’ombra cupa e torva.
L’unica e ultima volta che Felixia aveva visto quella donna era stata il giorno del suo arrivo ad Ait Hiding, quando i Sette Saggi avevano interrogato sia lei che Astril nella Sala delle Voci. In seguito ad allora non l’aveva mai più incontrata e le ultime notizie che la riguardavano provenivano dalla principessa, che le aveva raccontato  il suo tradimento e come ella l’avesse attaccata, prima di fuggire, ferita involontariamente dalla principessa. Astril l’aveva sempre definita come una donna meschina e sprezzante, sempre pronta a deriderla per i suoi fallimenti durante  l’allenamento.
Anche quel giorno nella Sala, ricordava Felixia, gli occhi di Myran le erano parsi maliziosi e ricolmi di scherno, tutte caratteristiche che sembravano essersi dissolte. La figura presuntuosa e beffarda si era tramutata ora in una schiva ombra, o almeno così appariva.
Sul fondo della sala si ergeva infine un uomo e non appena Felixia ne incrociò lo sguardo il respiro le si mozzò in gola e fu come se le sue membra si fossero tramutate in pietra. Sul viso con un accenno di barba finemente curata un paio di occhi scuri la scrutavano penetranti, illuminati da un bagliore gelido e micidiale; i capelli blu legati in una coda bassa ricadevano vicino all’incavo del collo, sfiorando il colletto alto della giacca nera, decorata con motivi azzurro ghiaccio. Appeso alla cintola portava uno spadone dall’impugnatura nera elaborata, impreziosita da frammenti di ossidiana incastonati.
Felixia, attraversata da tremolii in tutto il corpo, venne condotta da Night Mare sin dinanzi a lui, dopodiché la maga si allontanò, portandosi anch’ella vicino a uno dei tanti pilastri.
“Dunque, ecco finalmente ricondotta dalla sua stirpe l’Alkres smarrita. A darti il benvenuto avrebbero dovuto essere qui con noi altre persone, ma poiché sono al momento impegnate altrove ho pensato di chiamare anche coloro la cui presenza solitamente non sarebbe contemplata, così da rendere meno desolata l’accoglienza” disse, dardeggiando una vaga occhiata sulla ragazzina e sul vecchio, prima di ritornare a osservare la cameriera, più rigida di prima. Le parole dell’uomo avrebbero dovuto esprimere gentilezza, ma la voce severa le aveva trasformate in gelide sentenze.
“Immagino ti sentirai confusa, perciò lascia che mi presenti: il mio nome è Waldak e questa è la Fortezza di Ossidiana. Night Mare ti ha detto in che luogo ci troviamo?”
“I-in una dimensione creata nel vuoto nonché a-attuale Regno degli Alkres, Istakor” rispose balbettante la giovane, citando le stesse parole della maga.
“Esattamente, vedo che sai ascoltare e memorizzare velocemente e questo è un bene. Sai chi fu a creare questo luogo?”
“Ailenia” rispose la cameriera, sebbene il suo unico desiderio fosse quello di sparire all’istante.
“Proprio lei, la maga leggendaria, quarant’anni fa quella donna confinò l’intera razza degli Alkres in questa dimensione. Ero solo un moccioso all’epoca, ma ricordo il giorno in cui venni bandito qui, luogo che nostro malgrado è diventato un Regno in cui vivere. Quasi tutto ciò che vedi è stato creato dai poteri della Neish originale, quando ancora erano un tutt’uno e non scissi. Deduco tu sappia bene chi siano le Neish, dal momento che la Neish Bàn è stata a lungo in tua compagnia”
La cameriera si limitò ad annuire.
“Il nostro compito è trovare la Neish Dorkadas, la sua controparte oscura, colei che, una volta raccolte tutte le Gemme dei Regni, sarà in grado distruggere definitivamente la barriera che ci separa dal resto del mondo e ci consentirà di proseguire ciò che i nostri avi avevano iniziato. In quanto Alkres il tuo obbiettivo sarà d’ora in avanti quello di contribuire nella ricerca, tuttavia” fece una breve pausa, mentre il suo sguardo diveniva, se possibile, ancora più gelido “Prima che possa giungere quel momento dovrai dimostrare di essere un elemento valido, perciò, al fine di sviluppare appieno il tuo potenziale e scoprire quale sia la tua vocazione, verrai iniziata qui nella fortezza, da cui non ti sarà permesso uscire, almeno sino a quando non avrai dimostrato di essere utile. In caso contrario agirò di conseguenza, ma adesso non è il momento di parlarne. Piuttosto, ti istruirò su quella che è Istakor e la nostra fortezza”
Felixia assentì nuovamente in un movimento meccanico, troppo terrorizzata e ancora incredula per poter fare altro.
“La Fortezza di Ossidiana è il fulcro di Istakor, il suo cuore e la sua mente. Data la sua vastità è fondamentale la presenza di un nucleo e questi siamo noi, coloro che combattono affinché la nostra stirpe ritorni quella di un tempo. Non vi è solo il vuoto in questa dimensione, vi sono foreste, grotte e alture. Sono certo tu abbia visto una fosca figura in lontananza e piccoli bagliori, lungo la strada”
“Sì” pigolò con sforzo immane Felixia, temendo che, a furia di limitarsi ad annuire, l’Alkres potesse adirarsi con lei in qualche modo. E la cameriera, ancora, voleva soltanto sparire.
“Le prima è un’altra torre, non correlata alla nostra e di cui non dovrai mai interessarti, mentre il secondo è il villaggio”
Felixia spalancò gli occhi, non riuscendo a impedirsi di boccheggiare. Aveva sentito bene? Un villaggio? In quel luogo maligno, possibile? Non osava immaginare quale genere di malvagità pullulasse lì e non voleva assolutamente saperlo.
“Sarai libera da questo momento di muoverti a tuo piacimento nella Fortezza, ad eccezione di alcune stanze in cui non ti sarà permesso entrare. Per il resto, agisci come meglio credi, ambientati, parla con chi desideri, ma non provare a fuggire in alcun modo. Falliresti al primo tentativo e la punizione sarebbe esemplare”
Il rumore di una porta che veniva aperta ruppe momentaneamente l’inquietudine sospesa e Felixia si voltò di scatto alle sue spalle, scorgendo sulla soglia della stanza una provocante figura femminile, gli occhi grigi e le labbra rosse e lucide distese in un sorriso enigmatico.
“Lunmoon, perché tutto questo tempo per tornare? Dove si trova Shipsail?” parlò sorvolando su ogni convenevole Waldak, gelido e tagliente.
“Sono desolata per il mio ritardo, ma ho avuto necessità di deviare un poco il mio percorso, prima di far ritorno. Shipsail?” ripeté la ragazza, come la sua espressione divenne lievemente dubbiosa, per poi rispondere “Credevo fosse già qui”
“Ci sono state forse complicazioni con i Mildriend?”
“Non esattamente, mi sono scontrata con una di loro ma l’ho resa inoffensiva con rapidità, rimediando anche una piccola nuova capacità magica” rispose compiaciuta, aprendo appena le dita e creando una vibrante sfera luminosa di luce oscura. Da sotto il cappuccio, un bagliore accigliato attraversò gli occhi gelidi di Night Mare.
“Se te lo stai domandando, non l’ho uccisa, solo resa debolissima e rubato il suo potere, come sono solita agire” disse Lunmmon, voltandosi appena verso la maga “Inoltre, so bene quanto tu voglia distruggere con le tue mani quella Mildriend, perciò non temere, non le ho torto un capello, o quasi”
Nell’udire quelle parole la fronte di Felixia si aggrottò in un’espressione allucinata. Stava forse parlando di Keira? Quell’Alkres…aveva davvero sconfitto la guerriera? Com’era possibile? Che diamine stava accadendo in quella foresta?
L’unica cosa che le impedì di lasciarsi andare ad un attacco di agitazione fu la presenza di Waldak e, di nuovo, il timore che questi decidesse di trucidarla alla prima mossa sbagliata. Il suo stato d’animo oscillava da quello inesistente della pietra e quello di una lucciola inquieta e sfarfallante rinchiusa in uno stretto barattolo di vetro senz’aria.
“Quindi questa è l’Alkres smarrita?” disse Lunmoon, incontrando per un breve attimo gli occhi della cameriera “Interessante”
“Il suo nome è Felixia e da questo momento in poi risederà qui nella Torre di Ossidiana”
“Felixia? Che nome divertente” ridacchiò Dread.
“In ogni modo, questo è quanto” disse Waldak, tornando a rivolgersi alla cameriera “Il tuo posto adesso è qui, non con quegli sporchi Mildriend. Il tuo mondo non ha mai avuto nulla in comune con il loro, dimentica in fretta chi ha tentato di allontanarti da quella che è la tua natura, ovvero quella di un’Alkres. Ora che sei tra i tuoi simili tutto andrà per il meglio. In quanto nuovo componente, per il momento, della Torre di Ossidiana, dovrai ubbidire alle leggi che governano questo luogo: noi tutti dipendiamo dalla volontà di ciò che definiamo “Entità”; non sei tenuta a conoscere nulla a tal proposito, così come gli altri membri della Torre ad eccezione di me. Sappi solo che Entità è la nostra guida, i suoi desideri rispecchiano i nostri e solo a me spetta l’onore di ricevere le sue parole. Dunque, eseguire i miei ordini corrisponde nell’ubbidire alla sua volontà. Spero non sarà necessario ripeterlo una seconda volta”
“No. Ho compreso ogni c-cosa” si affrettò a mormorare la giovane, sebbene in realtà l’intero discorso l’avesse lasciata totalmente confusa.
“Molto bene. Per adesso non ho altro da aggiungere a riguardo. Night Mare ti mostrerà la tua stanza e ti fornirà qualche altro dettaglio”
“L-la mia s-stanza?” balbettò incredula Felixia, convinta che avrebbe passato giorni e giorni rinchiusa in qualche buio antro.
“Ovviamente. Ti ricordo che questa non è una prigione, ma la tua nuova casa” concluse Waldak.
In un fruscio di vesti Night Mare fu al fianco della cameriera e senza un cenno si avviò verso l’uscita. La ragazza comprese di doverla seguire e in un istante la tallonò, smaniosa di allontanarsi da quella sala e da quell’uomo. Persino Night Mare, comunque gelida e spaventosa, pareva nulla in confronto a Waldak.  In un certo modo quell’uomo le ricordava Moron, ma se il sovrano Desideria manifestava apertamente la sua natura rabbiosa e folle, l’Alkres era invece un’imperturbabile e incompressibile statua, il cui interno, sotto strati gelidi, pullulava crudeltà e chissà quale malvagità, che nel caso di una fuoriuscita avrebbero portato una devastazione inarrestabile. Di questo Felixia era più che certa e ne era terrorizzata.
Come uscirono dalla sala il portone si richiuse alle loro spalle in un sordo tonfo, dopodiché Night Mare cominciò a percorrere la scalinata che proseguiva a sinistra, verso i piani superiori. Conclusi i gradini, si ritrovarono in un lungo corridoio dal lucente pavimento in marmo nero, illuminato dalle consuete fiamme di luce sospese, ritornate al precedente bagliore azzurro pallido.
In assoluto silenzio percorsero parte del corridoio, superando innumerevoli porte e portoni. Se non fosse stato per i lumi sospesi, Felixia era quasi certa che sarebbe stato impossibile per lei distinguere Night Mare dalle tenebre circostanti, così affini al manto scuro da cui era avvolta. Proseguirono ancora per qualche tempo, sino a quando la maga non si fermò dinnanzi a una bassa porta scura, avvolta da cuspidi e simboli blu appena vibranti. Non era presente alcuna maniglia e per attraversala sarebbe stato sicuramente necessario piegarsi un poco.
“Osserva bene questa porta” parlò Night Mare, posando una mano sulla superficie, che reagì al tocco con una vivida scintilla abbacinante “Per nessuna ragione al mondo dovrai mai attraversarla, ti è proibito. Se disubbidirai ti ritroverai a dover affrontare gravi conseguenze, sono stata chiara?”
“Me ne ricorderò” annuì tremante la cameriera, che non avrebbe aperto la porta neppure se costretta, considerato a quali orrori dovesse condurre quel pertugio dall’aspetto così poco rassicurante.
La maga riprese a camminare e dopo ancora qualche metro si fermò a un passo da un’alta porta a due ante, che spalancò con il semplice movimento del braccio sinistro.
“Questa sarà la tua stanza d’ora in avanti” disse Night Mare, spostandosi appena, così che Felixia potesse avvicinarsi. All’interno della camera, in fondo a sinistra, si trovava un piccolo letto, mentre dalla parte opposta si ergevano un armadio in legno, un cassettone e una scrivania, su cui erano riversate diverse pergamene vuote e una boccetta di inchiostro, insieme a qualche tomo impolverato dalla copertina spessa e rigida. Poco lontano vi era uno specchio circolare e un piccolo lavabo, dentro al quale si trovavano una brocca di ceramica ricolma d’acqua.
Infine un grande finestrone dalle tende scure legate al centro si affacciava sulla vuota dimensione e il cielo vorticante, da cui inarrestabili scaturivano i fulmini, riflessi sulle vetrate della finestra.
Tondi di fredda luce fluttuavano tutt’intorno, sfiorando delicati la superficie di ogni oggetto presente.
Felixia rimase immobile a scoccare occhiate da una parte all’altra della sua futura stanza per quello che le parve un tempo infinito, sino a quando la voce imperturbabile di Night Mare alle sue spalle non la richiamò alla realtà.
“All’interno dell’armadio troverai diversi vestiti che potrai indossare, insieme alla biancheria e qualche altro effetto. Più tardi qualcuno verrà a chiamarti e ti condurrà nelle cucine, dove potrai farti dare qualcosa da mangiare. Non vi sono orari prestabiliti per i pasti, ma potrai ottenerne solo due al giorno, perciò vedi di saperti regolare in base alle tue esigenze, poiché non ne otterrai altri.
La persona incaricata ti mostrerà poi altre zone della Fortezza e domani mattina sarai tenuta a incontrala ancora, tuttavia sarà lei a spiegarti ulteriori dettagli” girò le spalle in procinto di avviarsi, poi si fermò, voltando appena il capo verso la cameriera e scoccandole una gelida occhiata.
“Rammenta bene le parole di Waldak. Ogni genere di disobbedienza o tentativo di fuga difficilmente verrà tollerato. Non sei ancora un membro effettivo della Torre, la tua condotta e le tue capacità d’ora in poi verranno studiate e ponderate. Se non ti rivelerai all’altezza o percepiremo qualcosa di strano subirai gravi conseguenze. Per ora sei considerata la sporca alleata dei Mildriend, un’Alkres corrotta, perciò non credere di poterti definire al sicuro”
Con queste ultime parole richiuse la porta e se ne andò, lasciando Felixia impietrita sul posto, gli occhi spalancati dallo sgomento.
Sola in quella stanza sin troppo grande per lei, le labbra della giovane iniziarono a tremare, frattanto che il groppo liquido che le aveva ostruito la gola e il respiro sin dal momento in cui era arrivata si scioglieva in lacrime, che una dopo l’altra iniziarono a sgorgare dai lucidi occhi blu, percorrendo le guance e il mento, sino a cadere a terra in piccole gocce. Il cuore le batteva forsennato nella cassa toracica, quasi fosse in procinto di sfondarla, e Felixia si portò una mano al petto, serrando le dita intorno alla stoffa e lasciandosi scivolare sul pavimento.
Fra i singhiozzi soffocati fuoriuscirono in mormorii spezzati i nomi di Astril, l’unica vera amica che avesse mai avuto, e degli altri Mildriend, con i quali, se solo ne avesse avuto il tempo e la possibilità, forse avrebbe potuto stringere un legame profondo, simile a quello che condivideva con la principessa.
Si era unita al loro viaggio proprio con lo scopo di scoprire le sue origini, ma ora che aveva appreso quali fossero voleva soltanto ritornare indietro e rimangiarsi quel desiderio, che altro non le aveva portato se non guai e sofferenza.
Lei non era un’Alkres e mai lo sarebbe stata, tuttavia i suoi capelli, che lunghi e lisci ricadevano in avanti coprendole il viso, continuavano a urlarle il contrario, ricordandole che la sua vita ora si sarebbe svolta in quel luogo vuoto, costruito nel buio e nella paura, lontano dai caldi raggi solari, dalle stelle scintillanti e dai suoi amici, che mai più avrebbe rivisto.
Se quella si era infine rivelata essere la sua futura esistenza, avrebbe preferito restare avvolta nel nulla per sempre.
 
 
°°°
 
L’indice robusto adornato da un anello d’oro e rubino picchiettava ripetutamente sul bracciolo rigido della morbida poltrona in velluto rosso, con impazienza e nervosismo sempre più crescenti.
Moron, la fronte aggrottata e i piccoli occhi scuri ristretti, osservava incattivito il calice d’oro, posto su un tavolino di vetro lavorato a pochi centimetri da lui. Continuò a scrutarlo, quasi come se il suo sguardo avesse avuto la possibilità di perforarlo, e mentre la sua bocca si ripiegava in una curva incollerita tutte le dita della mano destra si unirono in quel movimento seccato.
Dirimpetto a lui, seduta sa un’altra poltrona, Alidiana teneva il viso nascosto tra le pagine del romanzo che stava leggendo. Un silenzio teso regnava nello studio, interrotto soltanto dal rumore tamburellante e dalle pagine che venivano sfogliate.
Da anni ormai i rari momenti che trascorrevano in compagnia erano caratterizzati da quella quiete rigida e per nulla confortevole, che la regina di gran lunga preferiva rispetto alle discussioni e agli scatti d’ira del marito, i quali si riversavano come dardi elettrici su di lei, bersaglio nonché sfogo favorito del sovrano. E Alidiana altro non poteva se non assorbirli e lasciare che si dissolvessero sino al prossimo attacco.
Il calice si mosse appena e l’acqua al suo interno ondeggiò, frattanto che una lieve foschia vorticante e inconsistente iniziava a innalzarsi dal bordo, attirando su di sé sia gli occhi ristretti del re sia quella inquieti di Alidiana.
Moron cessò di muovere le dita e drizzò il capo composto, la solita luce dura a un passo dalla collera a imbevergli lo sguardo.
“Alidiana, sei congedata” ordinò brusco.
La regina  si affrettò a spostare l’attenzione dal calice al marito e dopo aver annuito silenziosa in un fruscio di vesti abbandonò lo studio, richiudendo piano la porta.
La foschia terminò di formarsi e al centro una figura cominciò pian piano ad apparire, sino a delinearsi nell’immagine evanescente di un uomo. I lisci capelli neri erano tirati all’indietro e sul volto dagli zigomi scavati sostavano un paio di occhi castano scuro dal taglio severo. Indossava un’armatura scura accollata, rinforzata sulle spalle da lucente metallo.
“Le porgo i miei saluti, mio unico signore e sovrano-“
“Risparmia i convenevoli, Voloskr” lo interruppe adirato Moron “Sono giorni che attendo di essere contattato e io non sopporto dover aspettare, perciò aggiornami sulla situazione. Spero che tu abbia buone notizie”
“Chiedo perdono per questi giorni di silenzio, ma ho voluto accertarmi che il tutto fosse orchestrato alla perfezione prima di mettermi in comunicazione con voi. Non appena avete ritirato l’incarico in cui ero impegnato mi sono subito prodigato nella vostra richiesta e posso assicurarvi che il piano è ormai ultimato” rispose, serio.
“Come è giusto che sia. Dunque, hai coinvolto i collaboratori che ho richiesto? Siete sulle tracce di mia nipote? È stata ritrovata?”
“Purtroppo non ancora, mio signore. Il piano data la sua meticolosità richiederà diverso tempo, ma vi assicuro che avrà successo, senza dispiegamento di uomini o spreco inutile di energie. So che pretendo molto, ma vi chiedo di pazientare. Vi spiegherò in cosa consista il-“
“Non mi interessano i dettagli o altre futilità, tutto ciò che voglio è che mia nipote venga riportata qui al più presto. Confido nel fatto che il piano da te elaborato dia i suoi frutti e, se così non dovesse essere, conosci già le conseguenze, non è vero?” lo interruppe ancora, seccato.
“Certamente, ma vi assicuro che non dovrete prendere alcuna contromisura. Considerate la principessa Astril già al castello”
“Bene, non tollererò alcun genere di fallimento. In secondo luogo, esigo che oltre a mia nipote venga rintracciato anche Shriwd”
“Shriwd, mio signore?” ripeté l’uomo, il cui volto duro non mostrò però alcuna sorpresa “Credevo che l’esercito rimasto nel Regno si stesse occupando della sua ricerca”
“Quegli stupidi inetti non sono stati in grado di trovarlo da nessuna parte, né lui né mia nipote!” sfuriò adirato e i vetri dei finestroni quasi vibrarono alla sua voce tuonante di rabbia “La loro incompetenza è stata ripagata con esemplari punizioni, ma questo non ha affatto risolto il problema principale. Vi è un motivo per cui ho deciso di revocare il precedente incarico che ti avevo affidato e ordinarti di intervenire! Non lo ripeterò una seconda volta, portami qui la ragazza e quel dannatissimo farabutto! Vivi
Allo scatto d’ira del sovrano, Voloskr si mantenne imperturbabile e composto annuii con il capo.
“Sarà fatto, mio signore. Presto non dovrete più angustiarvi per tali scomode seccature, lo giuro sul mio titolo. L’ordine naturale delle cose verrà ristabilito e ogni pedina tornerà al suo posto”
A seguito di quelle parole la figura dell’uomo sbiadì in un breve lampo opalescente, dopodiché la pallida foschia si disperse come una nuvola di vapore, lasciando Moron solo dinnanzi al calice d’oro.
Il sovrano si appoggiò infastidito allo schienale della poltrona, i denti serrati e la vena sulla tempia sinistra che pulsava furiosamente per il nervosismo. Da quando quella maledetta Mildriend era apparsa, le pedine del suo gioco favorito avevano iniziato a sparpagliarsi contro la sua volontà: Astril era fuggita dal castello, liberando la chioma rossa per un motivo ancora sconosciuto e coinvolgendo in quell’intollerabile evasione anche una delle sue cameriere personali, una certa Felixia, nonché la figlia adottiva della capo cuoca, Màthar. Nonostante l’interrogatorio costei si era ostinata ad affermare di non sapere nulla in proposito, perciò il sovrano non aveva esitato a richiuderla in prigione, così da punirla per la poca collaborazione.
Non troppo tempo dopo, in un modo tuttora inspiegabile, anche il prigioniero del diciottesimo livello Shriwd era evaso, eludendo le guardie e fuggendo dal castello senza lasciare tracce. La notizia lo aveva adirato quasi quanto la fuga della Mildriend e della nipote e subito aveva mobilitato l’esercito affinché quelle tre dannate calamità venissero rintracciate, senza alcun successo.
Da quel momento in avanti, le cose però sarebbero state diverse. Nuovi risvolti attendevano di stravolgere l’intero scenario in suo favore, tramite l’operato del fidato comandante Voloskr e dei collaboratori che aveva richiesto.
Le pedine sotto il suo controllo erano allineate, pronte ad agire, e presto avrebbero riportato nel corretto ordine quelle ribelli, al momento sparpagliate alla rinfusa sulla mappa, prive di una collocazione definita.
Un ghigno storto incurvò le labbra del sovrano, che poco agilmente si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla scrivania in pregiato legno scuro, sul quale vi era srotolata la mappa di Erendithum e sopra ad essa innumerevoli piccole pedine.
Presto la nipote e il prigioniero sarebbero stati nelle sue mani e quelle statuine vacanti avrebbero finalmente riavuto la giusta collocazione.
 
 
°°°
 
“Hai detto di aver qualcosa di importante da comunicarci, perciò ti chiedo di andare dritto al punto. Ti ascoltiamo” parlò Keira non appena la stanza fu vuota e le voci lontane, incrociando le braccia al petto e scrutando tra l’imperturbabile e il guardingo gli occhi luminosi di Jeal.
“Immaginavo avresti parlato così, perciò non mi perderò in futili preamboli” disse sorridente, iniziando a camminare a passo lento per la baracca “Ho sempre pensato, tramite anche gli insegnamenti di Breof, che aiutare coloro che si trovano in difficoltà fosse un bene, dunque sono stato lieto, e lo sono tuttora, di avervi fornito supporto, condividendo con voi le nostre provviste e dandovi un posto in cui poter riposare. Non conosco pressoché nulla di voi, ma come ho già detto il solo vedervi mi suggerisce che i vostri intenti siano nobili e la causa per cui state combattendo giusta e questo mi rende ancora più felice di starvi dando una mano. Tuttavia, affinché un rapporto sia equilibrato, è necessario che tra le due parti vi sia reciprocità. Per questo motivo, avrei due favori da chiedervi” comunicò allegro, fermandosi.
Keira aggrottò appena la fronte e Astril al suo fianco la percepì divenire ancora più attenta, come pronta a difendersi da un tranello imminente.
“Ovvero?”
“La prima richiesta la rivolgo a te, in quanto mi sembri rappresentare l’intera compagnia: nel proseguimento del vostro viaggio, vorrei che rintracciaste una persona e le consegnaste una cosa da parte mia…”
Spostò appena con le dita il colletto dal bordo dorato della maglia che indossava, rivelando intorno al collo un cordoncino nero alla cui estremità era appesa una sottile chiave lucente. La sfilò dal capo, dopodiché inizio ad armeggiare con uno dei cassetti della scrivania, sino a quando non si udì il rumore scattante di una serratura. Jeal prese ciò che si trovava all’interno e in un morbido gesto lo lasciò cadere sulla scrivania, come se fosse stato un mercante che con atteggiamento affabile invitava la clientela ad avvinarsi ai suoi prodotti.
Astril batté le palpebre, perplessa nel vedere tre secchetti di stoffa verde scuro legati in cima da un pezzetto di corda e una busta. Keira inarcò un sopracciglio con blando scetticismo e fece per sfiorarli con la punta delle dita.
“Che cosa contengono?”
“Veleno”
La guerriera fermò d’istinto la mano, saettando lo sguardo verso il viso serafico di Jeal, in cerca immediata di spiegazioni.
“Non è mia intenzione avvelenarvi o trarvi in inganno, su questo avete la mia parola” disse il capo dei ribelli, posando nella sua solita teatralità una mano sul cuore “Semplicemente, vorrei che lo riportaste al legittimo proprietario”
“Quindi la persona che dovremmo trovare è un commerciante di veleni. Da quel che so i prezzi delle piante velenose non sono mai favorevoli, dunque deduco che tu abbia speso non poco per ottenerle. Perché riportarle indietro? Il risultato non è stato soddisfacente e vuoi un risarcimento?” domandò Keira, poco convinta.
“Oh, no, non si tratta di denaro. Tempo fa questa persona aiutò una delle mie reclute a trarsi fuori da un impiccio in cui si era incastrato, dunque, per ripagarlo del suo intervento, gli chiesi se avesse qualche richiesta in particolare e che io l’avrei soddisfatta volentieri. Mi disse solo se potesse affidarmi questi tre sacchetti, contenenti teoricamente un veleno paralizzante da lui elaborato, un suo esperimento, di provarlo su un mio nemico e di vederne gli effetti. In caso di malfunzionamento avrei dovuto fargli riavere il veleno e scrivergli in una lettera le problematiche riscontrate”
“Cosa è andato storto?”
“Il veleno ha ucciso la vittima in meno tre secondi”
Astril sussultò sgomenta, mentre Keira non mutò neppure espressione.
“Se potessi manderei qualcuno dei ribelli a rintracciarlo, ma come avete potuto vedere la situazione qui è critica, siamo in pochi, e non posso permettermi di organizzare una spedizione e sottrarre uomini all’accampamento, mentre voi da quel che ho compreso siete in viaggio per l’intera Erendithum, dunque non dovrebbe essere un problema, dovreste solo deviare un pochino il percorso” spiegò pacato.
“Forse, tuttavia nell’intera questione non mi è chiara una cosa: perché questa persona non ha provato lui stesso il veleno su qualcun altro? E perché dovreste esser voi a rintracciarlo? Dopotutto è conoscenza della vostra posizione, mentre voi se ho ben intuito non avete idea di dove si trovi” replicò Keira.
“La risposta alla seconda domanda è molto semplice, le attività del nostro uomo sono altamente illegali e tornare più volte in un posto per lui potrebbe essere problematico, quindi capisco perché abbia chiesto a noi di ritrovarlo. Per la prima domanda, non ho la più pallida idea” rispose, allargando le braccia.
Taciturna, la Mildriend posò l’indice sulle labbra, nella sua tipica posizione riflessiva, e per qualche istante nella baracca non si udì alcun suono, ad eccezione dei passi di Jeal, che disinvolto aveva ripreso a camminare avanti e indietro, in attesa.
“Hai offerto il tuo aiuto, senza che fossimo noi a chiedertelo, solo per ottenere questo cambio, non è vero?” parlò d’un tratto la guerriera, la voce fredda e vibrante note di accusa. Un clima teso e carico di tensione calò come una lama sulla stanza e Astril, il cuore colmo di disagio per la piega che stava prendendo la situazione e sempre più convinta di essere una spettatrice di troppo, iniziò a spostare preoccupata lo sguardo da Keira e Jeal, che nonostante il sorriso sulle labbra aveva preso a osservarle con intensità, quasi le stesse studiando.
Poi, gli occhi grigi parvero rilucere e il capo dei ribelli scoppiò a ridere, una risata argentina e briosa, sinceramente esilarata.
Astril strabuzzò gli occhi e Keira inarcò le sopracciglia a dir poco interdetta per la situazione surreale, frattanto che il giovane continuava a ridere, appoggiando persino un braccio sulla scrivania e piegandosi in avanti, quasi non riuscisse a contenersi.
“Scusate…ora mi riprendo, è solo che…mi sono immaginato l’espressione che avrebbe fatto Iwaritoh nel sentirvi e…non ce la faccio” ridacchiò ancora, dopodiché prese un respiro e tornò in posizione eretta, gli occhi ancora illuminati dal divertimento.
“Apprezzo le capacità di stratega che mi hai attribuito, Mildriend Keira, ma purtroppo non possiedo tali qualità, come è solito ripetermi Iwarioth. In effetti sarebbe stata un’ottima strategia, però l’idea di chiedervi questo favore mi è venuta poco fa. Come ho detto, ho sentito di potermi fidare e quindi mi siete venuti in mente voi, tutto qui. Ora mi è ancor più chiaro perché sia tu a possedere le redini del gruppo, una mente così brillante non può che portare beneficio!”
“Non sono una stratega, ho solo pensato all’interpretazione più plausibile” replicò imperturbabile la ragazza, sebbene la reazione di Jeal l’avesse senza dubbio colta alla sprovvista.
“Ah, quindi l’interpretazione mi vedeva come uno spietato calcolatore. Che mancanza di fiducia! Anche se in effetti visto il mondo in cui ci troviamo non posso biasimarti. Deduco perciò che tu stia rifiutando, peccato” sospirò affranto.
“Non ho detto questo” lo corresse la guerriera “Nonostante tutto, ci hai comunque aiutato e  ciò significa che, anche se contro la nostra volontà, ci troviamo in debito con voi. Non assicuro nulla, ma cercheremo di rintracciare questa persona. Hai qualche informazione a riguardo? Puoi descriverlo?” domandò, frattanto che al suo fianco Astril tirava un’impercettibile sospiro di sollievo. Per un attimo aveva temuto il peggio.
“Purtroppo non conosco molto a riguardo, senza dubbio si tratta di uno degli individui più misteriosi che abbia mai incontrato. Ha indossato per tutto il tempo un cappuccio perciò non ho idea di come sia il suo viso. So per certo che sia un ragazzo giovane, alto, che sostiene di chiamarsi Nagarial. Potrebbe non essere il suo vero nome, ma ha detto di utilizzare quello per rintracciarlo”
“Sono un po’ poche informazioni. Non conosci altro?”
“Vediamo…” guardò verso l’alto, tentando di ricordare “Parlando mi è sembrato un individuo calmo e controllato, estremamente intelligente e con le idee molto chiare su ciò su cui sta lavorando. Oltre al mantello scuro e al cappuccio indossava anche un anello d’argento con una pietrina verde incastonata, ma per il resto non sono riuscito a cogliere altro”
“Per quanto ne sappiamo potrebbe essere impossibile trovarlo, in ogni modo cercheremo di scoprire qualcosa”
“Lo apprezzo, Mildriend Keira” disse Jeal, per poi battere brioso le mani “Bene, ora mi rivolgo a te, principessa Astril”
La giovane, convinta che si fossero totalmente dimenticati di lei, sobbalzò quando si ritrovò sia lo sguardo di Keira che di Jeal addosso.
“Non ho idea di come i fatti si svolgeranno in futuro, né quale esito avrà la nostra ribellione, né se ci rincontreremo mai di nuovo. In ogni modo, ti chiedo se posso considerarti, insieme alla vostra compagnia, un’alleata dei ribelli di Neahm” disse il Syrma.
“U-un’alleata?” ripeté la ragazza, smarrita.
“Sì. Guardando i tuoi capelli comprendo in parte perché tu sia in compagnia dei Mildriend e perché tu abbia deciso di fuggire dal castello di Moron. Ti trovi in una posizione critica, ma comunque sia sei e rimani una principessa, una principessa Desideria, e dato che il futuro è incerto e imprevedibile penso sia importante avere una persona come te alleata. Per motivi diversi ma forse più simili di quanto non appaia, entrambi i nostri gruppi stanno combattendo una battaglia, soli e rinnegati nel nostro stesso mondo.
Ovviamente non voglio costringerti, la decisione spetta a te e sei libera di rifiutare. Ricorda però che se ti dichiarerai nostra alleata anche tu, tutti voi, lo sarete per noi, e per gli avvenimenti futuri potresti contare sul nostro appoggio, nei limiti del possibile”
Astril rimase in silenzio, totalmente smarrita e senza aver la minima idea di come fosse meglio agire. Lì intorno non scorgeva contratti magici da dover firmare o altro genere di vincoli, ciò che avrebbe sugellato l’alleanza sarebbero state le sue semplici parole, una promessa, e questo la turbava ancora di più. Li conosceva da poco, eppure sentiva di potersi fidare dei ribelli e di Jeal, dunque una parte del suo cuore le suggeriva che accettare fosse la scelta migliore. Dall’altro lato, proprio come aveva detto il capo dei ribelli, il futuro era imprevedibile e non aveva idea di che cosa sarebbe accaduto, o quali conseguenze le sue scelte avrebbero comportato.
Si voltò a guardare Keira, in cerca di aiuto, ma ad accoglierla trovò solo il suo viso imperscrutabile, celante quale fosse la sua posizione a riguardo.
La domanda era stata rivolta a lei e solo a lei spettava decidere. Jeal la osservava in attesa, le labbra sollevate in un sorriso spigliato e fiducioso, e la principessa si sentì avvolgere da un’improvvisa sicurezza, oltre che da un’irrazionale sensazione.
Abbacinante come un cristallo sfaccettato, la luce calda di Jeal si riversava come una potente cascata, quasi impossibile era potersene sottrarre e dopo averti travolto ti cullava piano, trasformando le acque in apparenza burrascose in un luogo in cui voler restare per sempre.
Seppur per un motivo diverso da quello di Nicklesh, anche Astril si ritrovò a comprendere perché quel ragazzo fosse una guida.
Nonostante l’incertezza che da sempre la caratterizzava, diede così la sua risposta.
“Accetto. D-diventerò vostra alleata”
“Molto bene, speravo di sentirtelo dire” chiocciò il capo dei ribelli stringendole la mano, come se si fossero trovati d’accordo sul loro dolce preferito e non avessero appena accordato un’alleanza. Astril ricambiò la stretta frastornata e ancora una volta guardò Keira, senza però trovare alcun appiglio.
“Direi che abbiamo finito, possiamo pure ricongiungerci con gli altri. Dirò a Mighdar di andare a riprendere le vostre armi, immagino che, giunti a questo punto, siate desiderosi di continuare il vostro viaggio” disse Jeal, incamminandosi verso l’uscita con al seguito Keira, che meditabonda osservava la busta e i sacchetti tra le sue mani. Questo però non le impedì di accorgersi che la principessa fosse rimasta al centro della baracca, ferma immobile.
“Astril?” la chiamò, inarcando un sopracciglio.
“I-io avrei da chiedere un’ultima cosa a Jeal” mormorò poco dopo, i pugni tremanti per la tensione “Nel caso…nel caso doveste incappare in una giovane ragazza dagli occhi blu e dal colore della chioma particolare, per favore aiutatela e ditele che stiamo bene. Il suo nome è Felixia, era una nostra compagna, ma l’abbiamo smarrita all’interno di Glas Faroise e per motivi esterni non abbiamo potuto recuperarla. Se dovesse arrivare qui, vi chiedo come alleata d-di avere cura di lei!” esclamò forse con sin troppa enfasi, tentando di impedire alla sua voce di spezzarsi.
Il ragazzo la osservò per qualche attimo in silenzio, poi annuì con un sorriso d’intesa.
“Ma certamente! Se dovessimo incontrarla non esiteremo ad aiutarla, hai la mia parola su questo”
Gli occhi della ragazza brillarono di speranza e d’istinto cercò ancora il viso di Keira, trovando questa volta un abbozzo di sorriso a incresparle le labbra.
 
 
Avevano appena messo piede fuori dalla baracca, quando dalla bocca di Jeal sfuggì un’esclamazione tra il sorpreso e l’incantato, gli occhi fissi sulla figura bianco lucente aggrappata con le zampe al braccio di Nicklesh.
Accerchiato da una moltitudine di ribelli meravigliati e sussurranti, il giovane stava accarezzando lieve con le dita il morbido piumaggio di un falchetto, frullante le ali di tanto in tanto, accentuando così ancor di più l’espressione stupefatta sui volti dei ribelli.
Fra il gruppetto di Syrma spiccava l’originale acconciatura porpora di Idril, che briosa e divertita indicava la creatura a un’interdetta Mighdar e a uno scettico Iwarioth, a quanto sembrava indecisi se avvicinarsi maggiormente o meno.
Fuori dal cerchio sostava invece Khaled, passante lo sguardo ostile dalla folla al falchetto.
“Ma quel falchetto è un Imrael!?”
Gli occhi grigi scintillanti curiosità e la voce limpida, Jeal irruppe nel cerchio scostando senza troppe cerimonie uno dopo l’altro i ribelli -che all’arrivo del loro capo presero a sparpagliarsi, comprendendo di dover tornare alle loro occupazioni- per poi sbracciare in avanti, colpendo Iwaritoh che si trovava proprio al suo fianco, e giungere a un passo da Nicklesh.
“Esatto, proprio così. Come sei riuscito a capirlo?” chiese il ragazzo battendo le palpebre, stupito sia per l’intuizione del capo del ribelli sia per il suo arrivo di certo non passato inosservato.
“Breof mi aveva spesso narrato di queste affascinanti creature, dichiarando di averne visto un esemplare una volta. Le sue descrizioni a riguardo erano così dettagliate che è stato semplice per me riconoscerlo all’istante! Appartiene a te?” chiese Jeal, sporgendosi in avanti verso il falchetto, che in risposta inclinò appena il capo.
“Sì, è un mio amico. Il suo nome è Elathain” rispose Nicklesh frattanto che proseguiva nell’accarezzarlo, il sorriso nella voce.
“Incredibile! E come è arrivato sino a q-“
Jeal si interruppe non appena Iwarioth lo afferrò per il colletto della maglia e lo strattonò indietro, una vena pulsante sulla tempia e i denti serrati in un’espressione visibilmente irritata, come se si stesse trattenendo dal sfoderare lo spadone e trapassarlo da parte a parte.
“Non ti hanno insegnato a non invadere lo spazio altrui, idiota?” lo rimproverò spazientito.
“Oh, scusami, non mi ero accorto fossi qui” replicò sereno senza mostrarsi troppo dispiaciuto e tempo un istante riportò l’attenzione sul falchetto.
“Dicevamo, come è riuscito a giungere sino a qui?”
“Mi sono separato da lui qualche giorno fa, l’ultima volta che l’ho visto è stato a Glas Faraoise, dove grazie al suo aiuto siamo riusciti a trarci fuori da una situazione problematica. Siamo legati ma è un volatile indipendente, non di rado restiamo separati a lungo” spiegò il giovane.
“Come riuscite a comprendervi? Pare incredibile da dire, ma tu e quella creatura sembrate molto affiatati” osservò Iwarioth, poco convinto.
Le dita di Nicklesh smisero per un attimo di accarezzare il piumaggio di Elathain e una lieve ombra di indecisione attraversò le sue iridi azzurro polvere, prima che il suo viso ritornasse sereno.
“Sono dotato dell’abilità di comprendere il linguaggio di tutte le creature non-comuni di Erendhitum ed Elathain, in quanto Imrael, rientra nella categoria” rivelò e in risposta il falchetto frullò con energia le lucenti ali bianche.
Iwaritoh aggrottò le sopracciglia e spalancò gli occhi a dir poco interdetto mentre Jeal si lasciò andare ad un’altra esclamazione deliziata.
“Questa sì che è una sorpresa! Mi domando quali altri misteri costituiscano la tua persona, Snachta Nicklesh!”
In risposta il ragazzo gli avrebbe detto di trovar Jeal stesso una delle persone più misteriose mai incontrate – e dire che nel corso del suo viaggio in personalità originali era incappato- tuttavia si limitò a sorridere da dietro la fascia di stoffa e non disse nulla. Gli occhi chiari di Elathain lo studiarono per pochi istanti, dopodiché proruppe in un breve verso acuto, facendo sobbalzare sia lui che i Syrma.
“Ha detto qualcosa in particolare, adesso?” chiese curioso il capo di ribelli.
“Sostiene di trovarvi delle persone interessanti, anche se…” esitò “Non è sicuro di potersi fidare di voi”
“Possiamo affermare la stessa cosa” replicò Iwarioth, incrociando le braccia.
“Esatto” concordò spazientita Mighdar.
“Calmi, calmi, tutti e due. Abbiamo già risolto la questione” intervenne gioioso Jeal. L’altro Syrma increspò la fronte inclinando appena il capo, frattanto che una vocina gli suggeriva di tenersi pronto la ramanzina da infliggere a quell’idiota dalla bocca sempre troppo larga.
“Ossia?” chiese, tetro.
“Ho finito di parlare sia con la Mildriend Keira che con la principessa Astril pochi minuti fa e senza indugi possiamo dichiararci alleati” disse allegro.
Idril parve gioiosa quanto lui, mentre Nicklesh, non convinto di averci sentito bene, batté le palpebre per poi cercare con lo sguardo Keira, incredulo che la guerriera avesse preso una decisione simile. Trovò sia lei che Astril vicino a Khaled e da come il ragazzo si era posizionato sul piede di guerra doveva appena aver scoperto la novità.
“Alleati? E di questo quando ne avremmo parlato!?” esclamò Iwarioth, troppo sbigottito dalla rivelazione per tirargli in testa il piatto della spada e stordirlo sul colpo. Delle varie previsioni formulate, quella era decisamente l’ultima che si sarebbe aspettato.
“In effetti non lo abbiamo fatto, questa meravigliosa idea mi ha colto all’improvviso e non potevo permettermi di sprecarla, dunque non ho esitato. Per fortuna hanno deciso di accettare”
“Lo sapevo, sapevo di dover sospettare qualcosa quando hai chiesto di rimanere da solo con la Mildriend e la principessa” ringhiò, passandosi con esausta esasperazione una mano sul volto.
“Semplicemente ancora non vedi i benefici di un’alleanza con persone incredibili e ricche di risorse quali il nostro gruppetto di Mildriend, ma non importa, per fortuna ci sono io a prendere le iniziative” si compiacque il capo dei ribelli “Dunque, è arrivato il momento di attivarci. Mighdar, vai a prendere le armi dei nostri amici e riportale qui, poiché a breve riprenderanno il loro viaggio.
“Ma-!“ provò a contestare la Syrma, subito interrotta da Jeal che brioso la incitò a sbrigarsi.
“Tu invece Iwarioth procurati dei mantelli e un po’ di viveri. Oh, e già che ci sei vai a chiamare Dutràshine e Luibhor e di’ loro di portare qualche erba medica”
“Da quando sarei diventato il tuo messaggero personale?” inarcò un sopracciglio il ragazzo.
“Dai, per favore” tentò di convincerlo Jeal congiungendo le mani, sul viso un sorrisetto che pareva rubato al ritratto dell’innocenza. Iwarioth lo squadrò irremovibile.
“Scordatelo”
“Che crudeltà!” sospirò addolorato il capo dei ribelli, posandosi la mano sul cuore in una delle sue consuete pose teatrali, dopodiché sorrise disinteressato, stringendosi nelle spalle “Poco importa, vuol dire che mi occuperò io di informarli”
“Apprezzo molto l’aiuto che ancora volete fornirci, tuttavia non penso sia necessario” tentò di persuaderlo Nicklesh agitando appena una mano, perplesso e un poco imbarazzato dalle premurose attenzioni che Jeal stava rivolgendo all’intero gruppo.
“Non preoccuparti, Sneachta Nicklesh, in quanto alleati assicurarmi che il vostro viaggio riprenda al meglio e che abbiate con voi il necessario è il minimo che possa fare. Inoltre, se non potessi permettermi di condividere i nostri averi non vi starei offrendo il mio aiuto, perciò non vi è nulla per cui sentirsi in difetto”
Con queste ultime e gioviali parole si congedò, senza neppure dare il tempo al ragazzo di controbattere. Lo Sneachta rimase immobile qualche istante, ancora frastornato dal fiume di parole con cui lo aveva travolto il capo dei ribelli, sino a quando un verso limpido e squillante non lo richiamò alla realtà, facendogli sbattere le palpebre e voltare verso Elathain, il quale, dopo aver osservato il suo padrone, spiegò le ali e in un frullo di piume spiccò il volo, scomparendo presto nel cielo azzurro.
Nicklesh spostò poi l’attenzione su Idril, sprizzante vitalità e con lo sguardo rivolto verso la direzione in cui era sparito il volatile, nella sua solita allegria che da quando erano giunti nell’accampamento non l’aveva abbandonata un solo in istante e, anzi, pareva essersi accentuata ancora di più dal momento in cui i ribelli si erano mostrati privi di intenzioni negative. Tra tutti loro, si poteva tranquillamente identificare come la più entusiasta dell’improvvisa e non ben  definita alleanza.
Stessa cosa non si poteva certo affermare per Khaled, la cui voce sbottante e contrariata non aveva fatto altro che risuonare tutt’intorno, intervallata di tanto in tanto dal tono imperturbabile di Keira, che sempre meno tollerante aveva tentato di spiegargli la situazione. Erano ancora là, poco distante, con il Mildriend che sprizzante ostilità continuava a esprimere il proprio disappunto, probabilmente a sé stesso, poiché la guerriera aveva cessato di ascoltarlo e Astril, come suggerito dalla sua espressione assente, si era perduta a pensare ad altro.
Non conosceva pressoché nulla del Mildriend, ma di una cosa era certa: avrebbe contestato la questione alleanza per almeno i prossimi tre giorni.
 
 
 
Se avesse dovuto stilare un elenco delle cose che non sopportava, molto probabilmente avrebbe riempito un libro intero in poche ore. Al primo posto avrebbe senza dubbio pizzato i Desideria, cerchiati più volte sino a formare un solco con l’inchiostro, e al secondo posto avrebbe messo, facendo scalare il resto della gerarchia, la situazione a cui stava assistendo in quel momento.
Abbarbicato sul tronco di un albero caduto e con lo sguardo ambra ricolmo disapprovazione, Khaled osservava i suoi compagni discutere in tutta tranquillità con i Syrma.
Poco lontano, Luibhor, l’erborista dei ribelli, stava porgendo tre barattoli di legno contenenti degli unguenti a Idril, che vitale come al solito gli stava rivolgendo domande a raffica a proposito di erbe mediche e altri intrugli, domande a cui l’uomo  rispondeva a stento, visibilmente irritato -oltre che frastornato- da quelle chiacchiere irrefrenabili.
Non molto distanti da loro, Keira, Nicklesh e Astril parlavano con Mighdar, Iwarioth e Jeal. O meglio, principalmente a muovere la bocca era lo Sneachta, mentre la guerriera li osservava e la principessa se ne stava in silenzio ad ascoltare.
Khaled in quel momento non seppe chi detestare di più, se quell’inutile di Astril per aver accettato l’alleanza di quell’esaltato del capo dei ribelli, se Keira per non averla fermata e aver accettato la richiesta di ritrovare un vagabondo incappucciato, o Nicklesh per…perché sì, perché come al solito si atteggiava da buon conversatore.
Strinse i denti, voltando il capo con una smorfia. A quanto pareva nessuno lì mezzo era più in grado di ragionare, oltre che ad aver perduto l’udito, dal momento che per quanto sbottasse le sue parole non venivano mai prese in considerazione. In fondo, era sempre e solo lui ad avere a che fare con i lati peggiori delle persone con cui puntualmente entravano in contatto: lui per un infimo secondo si era sentito rovistare l’anima da un’indovina maledetta e sempre lui aveva quasi perso un braccio a causa di un colosso che per fortuna non aveva più visto lì in giro. Per concludere il quadretto, si era pure ritrovato a discutere con un odioso e spocchioso Syrma.
Stizzito, posò una mano sulla spada corta appesa al fianco. L’unico elemento positivo di quella giornata era l’aver riottenuto la sua fidata arma. Doveva solo resistere, ancora poco e finalmente avrebbero ripreso il viaggio.
“Ehi, tu” lo richiamò una voce, tra il distaccato e l’infastidito. Khaled tirò su di scatto il capo, trovandosi a un passo Dutrashìne, come sempre dalla postura composta ma con l’espressione di uno che avrebbe preferito di gran lunga ricevere un calcio piuttosto che avvicinarsi a lui.
“Che sei venuto a fare?” sbottò subito ostile il Mildriend, già sul punto di balzare in piedi.
“Rilassati, non ho la minima intenzione di iniziare uno scontro con te, sarebbe solo una perdita tempo” tagliò corto il Syrma e prima che l’altro potesse controbattere gli porse un piccolo barattolo di legno chiaro “Tieni, prendi”
Khaled inarcò un sopracciglio, il viso ripiegato in un’espressione tra lo sdegnoso e il guardingo, come se si fosse appena ritrovato innanzi un essere informe.
“E perché dovrei?”
“Prendilo e basta”
Khaled restrinse lo sguardo poco convinto, poi, sempre con diffidenza, afferrò il piccolo contenitore e iniziò a rigirarselo tra le mani.
“Che cosa contiene?”
“Un unguento. Ha un effetto rinvigorente e in caso di affaticamento basterà applicarne un poco per ripristinare le energie”
Il Mildriend arricciò le labbra in una leggera smorfia e voltando appena il capo stizzito gli ritese il barattolo.
“Di questo genere di cose si occupa Idril, perciò se proprio è necessario consegnalo a lei”
“Devi tenerlo tu, l’unguento è stato preparato per te, dunque i suoi benefici avranno effetto solo sul tuo corpo”
“Eh? Come sarebbe a dire “per me”? Cosa staresti insinuando, maledetto?” sibilò aspro, lo sguardo sprizzante scintille astiose.
“Assolutamente nulla, sto solo eseguendo il compito che mi ha affidato Luibhor, e non credere che approcciarmi a uno come te mi stia divertendo, preferirei di gran lunga sradicare un cespuglio di rovi a mani nude, tuttavia mi è stato detto di consegnarti questo ed è quello che sto facendo”
“Non ne ho affatto bisogno, perciò puoi pure tenertelo e dire al vostro erborista che i suoi intrugli non sono graditi” controbatté piccato, incrociando le braccia al petto.
“Evita per una volta di comportarti come un idiota quale sei e accettalo, Luibhor ha speso buona parte del suo tempo per preparartelo e il minimo che tu possa fare è accettare il suo dono” rispose, tra l’annoiato e l’infastidito.
“Non mi pare di aver chiesto nulla” sbottò acido “Inoltre, secondo quale criterio è convinto che sia io ad averne bisogno? Tch, è evidente che il vostro presunto medico non sia abile come sostiene nel suo lavoro”
“Non esiste nessuno esperto come lui in ambito di erbe curative, perciò evita di parlare di cose che non sai, Mildriend” rispose gelido Dutràshine, gli occhi dorati avvolti da un’ombra severa “Luibhor sostiene di aver compreso che avresti potuto averne bisogno subito dopo che ti ha curato quella ferita, dicendo inoltre che un taglio di quel genere avrebbe dovuto cicatrizzarsi con molta più rapidità e senza aver necessità di ulteriori medicazioni. Dunque, smettila di opporti e prendi questo barattolo, così che possa finalmente andarmene”
“Se ti infastidisco così tanto perché invece di continuare con le tue inutili prediche non ti levi di torno e basta?”
“Perché sono un aspirante erborista, mi sto dedicando agli studi delle erbe e sono diventato apprendista di Luibhor proprio per poter apprendere più conoscenze possibili, perciò non tollero che una persona rifiuti cocciutamente un rimedio preparato proprio al fine di salvaguardare la sua salute, pur trattandosi di uno stolto come te”
“Non mi occorrono i vostri rimedi Syrma e ancor meno i vostri consigli, grazie” ribatté ostile, storcendo testardo la bocca in una smorfia intollerante, dichiarando così conclusa l’intera questione.
Lo sguardo duro di Dutrashìne sostò sulla figura del ragazzo per qualche istante, dopodiché il Syrma socchiuse gli occhi, emettendo uno sprezzante sibilo tra i denti.
“Tsk, sei proprio un imbecille. Molto bene allora, agisci come credi. Fosse stato per me non ti avrei donato neppure una radice”
Con queste ultime parole se ne andò, non prima di aver gettato ai piedi dell’altro il contenitore.
Ricolmo di avversione, il giovane voltò di nuovo il capo altrove e così rimase sino a quando non giunse il momento della partenza.
In fila uno di fianco all’altro, il gruppo dei Mildriend sostava dirimpetto ai Syrma, al cui centro vi era Jeal, le labbra sollevate nel consueto sorriso raggiante.
“E così, è giunto il momento di salutarci. Mi sarebbe piaciuto poter trascorrere più tempo in vostra compagnia, ma i vostri compiti vi attendono e trattenervi ancora qui non sarebbe stato corretto” esordì con voce serena, sebbene vibrante di un lieve dispiacere.
“A nome dell’intero gruppo, vi siamo grati per tutto l’aiuto che ci avete dato” parlò Nicklesh, riferendosi soprattutto alle provviste, alle erbe mediche e ai mantelli che avevano procurato loro.
“Come spero abbiate compreso, per me è stato un piacere. Qualunque sia il vostro obbiettivo, mi auguro che riusciate a portarlo a termine e che il vostro cammino sia privo di ostacoli”
“Allo stesso modo, speriamo che la causa dei ribelli giunga a buon fine, senza bisogno di lotte o scontri”
“Tsolais è una donna pericolosa e senza scrupoli, l’azione diplomatica potrebbe non esser sufficiente” parlò a sorpresa di tutti Keira, imperturbabile.
“Lo sappiamo, tuttavia percorreremo questa via sino a che sarà possibile e, quando avremo ottenuto la giustizia che ci spetta, potremo contare sull’alleanza di una principessa, e questo mi rende ancora più fiducioso” disse allegramente rivolgendosi ad Astril, che appena imbarazzata annuì, le labbra distese in un piccolo sorriso.
“Sono certa che realizzerete ogni vostro intento!” esclamò vivace l’arciera e Jeal ridacchiò.
“Ti ringraziamo per la fiducia, Mildriend Idril. Ora, se non vi è altro da dire, penso sia giunto il momento di salutarci. È stato un piacere per me incontrarvi, sono convinto che un giorno ci rivedremo di nuovo e forse potremo festeggiare l’inizio di un mondo migliore. Mighdar vi scorterà fuori dall’accampamento, facendovi risparmiare un notevole pezzo di strada”
Fosse stato per lui si sarebbe gettato a braccia aperte verso i Mildriend e li avrebbe stretti in un abbraccio di saluto uno per uno, tuttavia l’occhiata omicida di Iwarioth al suo fianco lo convinse a desistere e a limitare il tutto in un semplice sorriso genuino.
Così, al seguito del passo di marcia di Mighdar, il gruppo si incamminò, sino a quando Nicklesh non si fermò all’improvviso, come attraversato da una consapevolezza.
“Vorrei solo dirti un’ultima cosa, Jeal” disse, voltandosi verso il capo dei ribelli, che come gli altri lo guardò con blanda sorpresa, oltre che una chiara scintilla di curiosità.
“Non so se stia facendo bene a parlarvene dato che la questione non mi riguarda appieno, in ogni modo…se doveste imbattervi un particolare simbolo, due quadrati inclinati, giallo e nero, l’uno dentro l’altro, vi chiedo di stare attenti. Qualcosa di pericoloso e potente è legato è quel segno e… non è da sottovalutare”
Jeal parve per un attimo perplesso, dopodiché sorrise, annuendo con il capo.
“Va bene, terremo gli occhi aperti” gli assicurò.
Nicklesh gli rivolse un ultimo cenno di saluto, poi raggiunse il resto del gruppo, che riprese il cammino alla guida della Syrma, impegnata a parlare con Idril.
“Ti è dato di volta il cervello?” farfugliò in un sibilo Khaled, affiancandolo.
“Non capisco cosa tu voglia dire”
“Come sarebbe!? Mi riferisco al simbolo! Perché diamine ne hai parlato a quelli di tua iniziativa? La questione non ti riguarda, non avevi alcun diritto di…!”
“Va bene così” intervenne Keira, senza neppure voltarsi e prima che le venissero chieste spiegazioni riprese a parlare “Anche Nicklesh ha assistito direttamente agli effetti di quella maledizione e non penso abbia sbagliato a parlarne ai ribelli. Non ha rivelato informazioni su di noi o suoi nostri obbiettivi, perciò non mi interessa”
La questione venne così considerata chiusa e mentre Khaled borbottava fra sé e sé mormorii contrariati, i Mildriend iniziarono a lasciarsi alle spalle l’accampamento, quel luogo fonte di innumerevoli screzi ma al tempo stesso un porto sicuro, separato da quello che era il mondo al di fuori, dove pericoli, avversità, una gemma da recuperare e l’ignoto li attendevano, inconsapevoli che ciò che avrebbero trovato avrebbe segnato un solco indelebile in ognuno di loro.
 
 
 
“Alleati, eh?” fu la prima cosa che disse Iwarioth non appena il gruppo dei Mildriend sparì dalla loro vista, il tono carico disapprovazione “Come al solito hai agito di testa tua senza chiedere il parere di nessuno”
“Oh, andiamo, ancora? Pensavo avessimo già risolto la questione, prima” rispose con leggerezza Jeal, incamminandosi spensierato.
“No idiota, non abbiamo risolto un bel nulla. Hai sentito la novità che lo Sneachta ha pensato di riservarci come saluto finale, no? Un misterioso simbolo pericoloso e micidiale, di certo legato a loro in qualche modo  e che dopo aver stretto quell’alleanza è quasi certo ci piomberà addos-“
“Non portare sventura, cieli divini!” lo interruppe rallegrato.
“Non sto facendo questo, ti sto semplicemente mettendo di fronte l’ennesima tua idea da maniaco del protagonismo e salvatore dei viandanti”
 “Viandanti? Quali viandanti?” Jeal parve sinceramente smarrito.
“Il tipo incappucciato”
“Ti riferisci a Nagarial? Ma lui non era un semplice viandante, bensì un esperto di veleni, nonché colui che ha aiutato la nostra matricola a…”
“Non serve che mi racconti la storia. Ero presente” replicò spazientito.
“Quindi qual è il problema?” chiese tranquillo.
“Gli hai mostrato il nostro accampamento, dopo averlo appena incontrato e senza neppure averlo obbligato a mostrare il suo volto”
“Lo abbiamo bendato entrambe le volte, dunque non conosce la strada, non hai nulla da temere, mentre per i Mildriend non ve n’era bisogno. E poi so quello che faccio, puoi stare tranquillo” dichiarò con infantile compiacimento.
“È proprio quando mi dici così che non lo sono affatto, cretino”
Per tutta risposta Jeal ridacchiò allegro, fermandosi e alzando lo sguardo verso l’alto, in direzione del sole che brillava vivido.
“Questo mondo è troppo ostile e richiuso nelle sue difese, gli uomini si temono gli uni con gli altri e i rapporti si sfaldano. La fiducia è crollata, sepolta dal peso delle macerie e dal colore del sangue, e non avrà modo di risorgere sino a quando qualcuno non farà la prima mossa. Io sto provando a donare il mio piccolo contributo”
Iwaritoh non rispose, fermo alle sue spalle a fissarlo con un sopracciglio inarcato, poi scosse la testa, esalando un sospiro di irritata rassegnazione.
“Tsk, sei senza speranza. Un giorno o l’altro finirai ammazzato da uno dei tuoi fantomatici viandanti degni di fiducia e io scoppierò a ridere guardando il tuo cadavere”
“Tu sei una persona davvero spaventosa, Iwarioth, la pura insensibilità” disse, il timbro esageratamente cupo e catastrofico “Comunque sia, bando agli indugi! Abbiamo del lavoro da fare! Per caso, hai più visto Uglòr qui in giro? Avrei bisogno di parlargli!”



;Note dell'Autrice°

Salve a tutti, sono riemersa dalle tenebre! Questa volta è passato un po' più tempo del solito dall'ultimo aggiornamento e mi dispiace molto per questo, avrei voluto pubblicare prima perché preferisco esser puntuale quando riesco e non far attendere troppo , ma la scuola e il resto degli impegni mi hanno totalmente risucchiata. Dannata V Liceo >.>
Inoltre, ho iniziato anche a scrivere altre due storie completamente differenti, che probabilmente posterò (ma prima voglio portarmi abbastanza avanti con tutto) e dunque mi hanno portato via un po' di tempo, già ridotto al minimo. Insomma, lanciarsi in nuovi progetti quando già ne si è sommersi, la mia logica infallibile. Ma pazienza, LOL. Spero che il capitolo, lunghissimissimo, questa volta mi sono superata, sia stato di vostro gradimento. Il gruppo dei Mildriend si è separato dai ribelli -che rivedremo tra un po' di tempo- e si incammina verso il prossimo Regno, quello dei Veìdlin, nonché imminente nuovo 'arco'. Lo anticipo, succederà davvero di tutto e le cose inizieranno a farsi decisamente più oscure e Angst *gioisce crudele*.
Oh, prima di dileguarmi, l'immagine sopra è l'aesthetic di Felixia che ho creato io (per chi non lo sapesse, gli aesthetic sono collage di immagini che dovrebbero rappresentare in breve l'essenza di un personaggio :3). Oltre alle immagini di paesaggi etc inizierò mano a mano anche a mettere i vari aesthetic dei personaggi. Spero che quello di Felixia sia fedele a come la immaginate XD
Bene, capitolo lungo, note kilometriche. Sarà la lungaggine aleggiante o le festività imminenti che oggi mi fanno scrivere sproloqui a caso, boh. Ora sparisco davvero! x)

A presto e buone feste!

The_Grace_of_Undomiel

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