I Need You

di Anna Wanderer Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Problemi ***
Capitolo 2: *** Dov'è? ***
Capitolo 3: *** Non è abbastanza ***
Capitolo 4: *** Chi sei? ***
Capitolo 5: *** Mi lasci! ***
Capitolo 6: *** Non me ne frega niente ***
Capitolo 7: *** Pioggia ***
Capitolo 8: *** Rabbia ***
Capitolo 9: *** Draco ***
Capitolo 10: *** SOLUZIONE ***



Capitolo 1
*** Problemi ***


I Need You:
Problemi.



 

Era calata la notte da un pezzo, ad Hogwarts. Le stelle brillavano in cielo, oscurate a tratti da leggere nubi grigiastre. Quasi tutti, eccetto gli insegnanti e pochi alunni, dormivano profondamente. Lunghe ombre dipingevano sinistramente il castello e il parco, mentre versi di gufi e civette provenivano dalla guferia. I minuti scorrevano lentamente; a testimoniare il passare del tempo soltanto la luna, che si alzava nel cielo sempre di più.
Quando la torre suonò la mezzanotte, successe.
Il professor Piton era nell'aula di pozioni. Lievi cerchi scuri sotto ai suoi occhi neri testimoniavano le poche ore di sonno che in quegli ultimi giorni si era concesso. Il calderone, sul fuoco acceso, bolliva spargendo per l'aula vuota un odore pungente, ma non spiacevole. Il professore si era tolto il mantello e si era arrotolato le maniche della casacca, e ora le sue braccia pallide erano scoperte. Le sue mani si muovevano sapienti, tagliando, misurando, mescolando con una precisione e, soprattutto, un amore che in classe, davanti ai suoi studenti, non esprimeva mai.
All'improvviso la porta si spalancò, e Piton, sorpreso, si girò di scatto verso la figura minuta che era apparsa sull'uscio. I suoi occhi scuri si incupirono quando riconobbe una delle studentesse del sesto anno.
-Clarkson!- Ringhiò, afferrando la bacchetta dalla cattedra dove l'aveva posata e stringendola con forza mentre si avvicinava a grandi passi verso la studentessa. -Che diamine ci fai qui a quest'ora?
La Corvonero arretrò vedendo il pugno del professore tendersi automaticamente in avanti per impedirle di sbattergli la porta in faccia e correre via a perdifiato, come aveva appena pensato di fare. La mano di Piton si schiantò sul legno di fianco alla testa della ragazza, che lo fissava tremando, senza riuscire a pronunciare una singola parola.
Dopo qualche secondo l'adulto, che torreggiava su di lei, si accorse dello stato in cui era ridotta e aggrottò le sopracciglia. I grandi occhi grigi della ragazza, incastonati in un viso a cuore dolce e sempre sorridente, erano pieni di panico. Le sue guance erano arrossate al punto che il professore si chiese sarcasticamente se non fosse appena scoppiato un incendio con lei in mezzo. Il suo petto si abbassava e alzava velocemente, anche troppo.
-P... professore, venga... l... la prego! Non so... l'ho t...trovata lì... non l'ho m... mai vista prima- balbettò Selene, guardando supplichevole l'uomo che la fissava con occhi indecifrabili, cercando nel frattempo di capirci qualcosa.
Piton socchiuse le palpebre, osservando serio la ragazza, che lo stava guardando sconvolta. Decise in un secondo. Gettò un'occhiata di rimpianto al calderone alle sue spalle, pensando che gli sarebbe costato un'altra notte in bianco rifare la pozione per Madama Chips, e spense il fuoco con un gesto rapido della bacchetta. Tornò a guardare Selene, che intanto stava lentamente riprendendo il controllo, e la guardò severamente.
-Clarkson, se questa cosa per cui sei piombata nel mio ufficio a mezzanotte non vale la pena della mia attenzione, ti giuro che fino alla fine dell'anno verrai ogni giorno a pulire i calderoni senza magia alle dieci di sera. Intesi?- Ringhiò.
-Sì professore- mormorò agitata la ragazza, rabbrividendo al solo pensiero.
-Bene. E ora muoviti. Cosa c'è?- Chiese arcigno il professore.
Per tutta risposta Selene si voltò e cominciò a camminare lungo il corridoio, non quello che portava alle scale, bensì quello che conduceva al dormitorio dei Serpeverde. Il professore si lasciò quasi sfuggire un sospiro irritato e cominciò a seguirla, maledicendo tutte le ragazzine che si mettevano in testa di aver bisogno dell'aiuto degli insegnanti per qualsiasi cosa. La Clarkson girò l'angolo di un corridoio, e Piton la vide rallentare il passo fino a fermarsi di botto. Anzi, la sentì, visto che per poco non le andò a sbattere contro.
-Dannazione, Clarkson, che...
Severus venne zittito dallo scatto dell'allieva, che indietreggiò fin quasi a toccare il suo professore con la schiena, senza nemmeno rendersene conto. Lui la fissò accigliato, sentendo già l'irritazione irrigidirgli i muscoli.
-E... era qui- sussurrò Selene, e Piton alzò gli occhi sul corridoio davanti a loro. Era vuoto. Buio, in penombra. Soltanto piccole candele in alcune, poche lanterne illuminavano fiocamente le pietre delle pareti, creando ombre scure tra i bordi dei sassi levigati.
-Non vedo niente, Clarkson- disse in tono neutrale, tornando a guardare la ragazza, che si stringeva nervosamente le braccia al corpo. Un breve pensiero interrogativo attraversò la mente dell'uomo. Come mai lei aveva freddo e lui stava morendo dal caldo?
-Signore, er...- la "a" della parola della Clarkson si trasformò da un'innocua lettera a uno strillo di paura che destabilizzò i poveri timpani del professore. Con un ringhio Severus afferrò la spalla della ragazza e la spinse dietro di sé, alzando repentinamente la bacchetta.
-NO!!- Lo strillo della Clarkson irritò ancora di più il professore, se possibile.
-Clarkson!- Sbottò, distraendosi per un secondo. -Taci, per una buona volta!- Tornando a guardare l'ombra che percorreva barcollando il corridoio, Severus si preparò a schiantarla, ma Selene lo fermò. Si liberò dalla sua presa e corse in avanti, sorpassando l'insegnante, che trattenne un sospiro esasperato. Merlino, ma quanto è incosciente? Perfino più di Potter!
Ma, correndo in avanti, Severus si rese conto che per una volta Selene aveva fatto una cosa giusta.
L'ombra misteriosa era una ragazza. Una semplice ragazza che appena li vide sgranò gli occhi e cadde al suolo. Fortunatamente le mani di Selene corsero a sorreggerle la testa in modo da non fargliela battere per terra.
Piton si inginocchiò accanto a loro, e appena i suoi occhi neri si posarono sul viso terreo della ragazza, ebbe un tuffo al cuore. Gli ricordava enormemente Lily. Lo stesso colore dei capelli, rosso fuoco, soltanto che quelli della sconosciuta erano ricci. Il volto a cuore era pallido e sul naso e sulle guance la pelle candida era cosparsa di lentiggini. Le labbra carnose erano schiuse. Abbassando lo sguardo, Severus vide che era vestita come una Babbana, con una maglia a maniche lunghe color muschio, jeans che sembravano essere stati bucherellati da numerose forchette e lame di coltello e colorati con i pennarelli e un paio di stivali marroni.
-Ehi- Selene stava scuotendo dolcemente il volto della ragazza, che dopo un paio di istanti socchiuse gli occhi, stordita.
Erano verdi. Di un bellissimo verde smeraldo. Come quelli di Lily, pensò Severus.
-Come ti chiami?- Chiese ansiosamente la Clarkson. Per un attimo, l'insegnante alzò lo sguardo su di lei e vide che era pallida, forse per lo spavento appena preso. Teneva i suoi grandi occhi grigi sulla sconosciuta, e così non si accorse dello sguardo dell'insegnante.
-Rachel- la voce roca della ragazza distolse l'attenzione di Severus dalla sua studentessa, riportandolo a guardare la rossa, che lo guardava. -Rachel Elizabeth Dare- ripeté. Dopo aver osservato Severus per un altro istante, socchiuse gli occhi. -Profetessa, Oracolo di Febo Apollo- aggiunse, prima di svenire.
Selene sgranò gli occhi e guardò il professore, che guardava Rachel come se fosse stato davanti a un mucchio di caramelle per bambini, confuso e sdegnato allo stesso tempo.
-E ora?- Chiese con voce tremante.
 

Severus sospirò, maledicendo sé stesso, la Clarkson e Poppy.
L’infermiera li aveva cacciati fuori dalla sala appena Severus aveva posato la ragazza svenuta sul letto. E lui non era riuscito a schiodarsi la Clarkson di dosso nemmeno con la minaccia di farle passare ogni notte a riordinare le scorte delle pozioni. A quel pensiero il volto della ragazza era impallidito un po’, ma aveva continuato a seguirlo, prima mentre portava la sconosciuta in infermeria e poi mentre aspettava un verdetto da Poppy. Si era seduta su una sedia e lì si era appisolata dopo qualche minuto.
Severus stava aspettando in piedi accanto a lei, la bacchetta nella mano. Ormai erano passati più di dieci minuti da quando Madama Chips li aveva cacciati fuori e cominciava a spazientirsi.
Gettò, tanto per controllare, un’occhiata alla Clarkson. I lunghi capelli di un biondo cenere davvero singolare le ricadevano sul volto, nascondendo la sua espressione. Non che fosse interessato, ovvio.
Finalmente la porta si aprì e Madama Chips fece la sua comparsa. Selene si svegliò di soprassalto e si strofinò gli occhi mentre la medimaga la guardava dolcemente.
-Non dovresti essere qui- la rimbrottò. -E’ l’una passata, domani hai lezione! Vai a letto!
Severus vide le guance della Clarkson diventare di un lieve rosso mentre si alzava, ancora un po’ intontita. I lineamenti dolci del volto esprimevano il desiderio di ascoltare il consiglio della donna, ma scosse la testa.
-No, voglio sapere come sta- mormorò accennando con un gesto del capo all’infermeria, vuota tranne che per la sconosciuta.
Madama Chips storse il naso, ma non obbiettò, aspettandosi che l’avrebbe fatto Severus. Il professore, però, non disse nulla, e si limitò a scoccare alla studentessa un’occhiataccia per la sua ostinazione. Poi il suo sguardo di ghiaccio corse a Poppy.
-Allora?- Domandò impaziente.
Lei sbatté le palpebre, sorpresa non tanto per le parole scorbutiche, ma per il comportamento strano del suo collega. Di norma avrebbe spedito via Selene senza farsi problemi a togliere qualche centinaio di punto a Corvonero. Ma, be’, evidentemente non ne aveva voglia. Cosa strana, anche questa.
-Sta bene- esordì. -La ragazza sta bene. Non ha ferite varie né graffi, è in perfetta salute. Nel sonno continuava a borbottare cose senza senso, però. E chiamava anche un certo Percy, o Perseus. Molto spesso.
Il silenzio calò tra i tre. La prima a spezzarlo fu Selene, parlando senza pensare.
-Perseus... Perseo... non era un eroe della mitologia greca?
Madama Chips le scoccò un’occhiata interrogativa e Severus si voltò a guardarla. Sotto ai loro sguardi la ragazza arrossì vistosamente e si scostò nervosamente una ciocca di capelli dalla guancia.
-Sì- disse Severus, sorpreso, ma senza darlo a vedere. Madama Chips lo guardò inarcando un sopracciglio. -Ma non vedo come questo possa c’entrare.
Selene si strinse nelle spalle, affondando i pugni nelle tasche del maglione.
-Forse è meglio che vada a chiamare Minerva- sentì dire dal professor Piton, e Madama Chips rispose qualcosa che lei non ascoltò. La sua mente stava correndo. Rachel aveva nominato un certo Percy, Perseo, e aveva detto di essere “Profetessa, Oracolo di Febo Apollo”. Ora, Selene era una mezzosangue. Suo padre era Babbano, e insegnava storia antica. Le aveva insegnato tutto sui vecchi miti greci e romani. Non poteva essere una coincidenza. O quella ragazza era davvero fissata con la storia antica, oppure era impazzita.  
Però non era sembrata pazza.
Selene accantonò la questione, spingendola in un angolino della sua mente, sentendosi chiamare dal professore. Batté le palpebre e vide Piton che la fissava freddo e severo come sempre.
Madama Chips era sparita.
-Clarkson- ripeté -per stavolta non ti toglierò punti e non ti punirò. Ma se ti becco un’altra volta a girovagare per la scuola dopo il coprifuoco non la passerai liscia. Ora fila a dormire.
Selene abbassò la testa, ma senza abbassare lo sguardo.
-Sì signore- borbottò.
Poi si voltò e cominciò a camminare nella direzione del dormitorio. Ebbe l’impressione di sentire lo sguardo pungente del professore puntato sulla schiena finché non voltò l’angolo e scomparve.
 

    ♦
 

Selene stava uscendo dall’aula di storia della magia per ultima, a causa di un Tassorosso che aveva fatto cadere la metà dei suoi libri a terra, riuscendo a inciampare nella cartella sotto al banco, quando andò a sbattere contro qualcosa di nero.
Barcollò all’indietro, sveglia all’improvviso, e vide il professor Piton fissarla con un’aria più incupita del solito.
-Oh.. mi scusi, professore...- tentò, la lui la interruppe con un brusco gesto della mano.
-Clarkson- esordì fissandola torvo. -Se non la finisci di sbattermi addosso ogni qualvolta che ci incrociamo sappi che ti toglierò un migliaio di punti entro la fine dell’anno.
Infatti, nelle ultime settimane il professore sembrava una calamita. Selene non lo faceva apposta, ma lo urtava ogni volta che gli passava accanto, per colpa della folla, o di una stringa allacciata male o uno sgambetto scherzoso delle sue amiche.
-Sì signore- farfugliò arrossendo e inclinando il volto in avanti così che i suoi lunghi capelli biondi le coprissero le guance.
Severus la osservò per un attimo, notando come le sue dita si stringessero nervosamente attorno al ciondolo della collana che portava al collo, a forma di cuore. Si addolcì un po’.
-Volevo avvisarti che... Minerva mi ha ordinato di avvisarti- si corresse notando l’occhiata sorpresa della studentessa -che la ragazza si è svegliata.
-Rachel?- Saltò su Selene.
Il professore alzò un sopracciglio.
-Ti risulta che siano state trovate altre ragazze, Clarkson?
Lei arrossì immediatamente, abbassando lo sguardo.
-No signore.
-Bene.- Concluse Severus, facendo per voltarsi e scivolare via nel corridoio, ma lei lo fermò.
-Professore?- Si voltò seccato e incrociò i suoi occhi grigi, che lo guardavano speranzosi. -Posso andare ora a trovarla?
Severus restò sorpreso da quella richiesta. Sapeva benissimo che lei adesso aveva altre lezioni, ma non rispose subito di no. Si limitò a fissarla, a lungo e insistemente, ma la Clarkson non abbassò gli occhi. Continuò a guardarlo, anche se dopo qualche manciata di secondi avvertì la necessità di abbassare lo sguardo.
-Non dovresti nemmeno chiedermelo- disse infine Severus, aggrottando le sopracciglia. -Fila. A lezione- aggiunse, tanto per non essere frainteso.
Selene sentì un moto di delusione assalirle il petto, ma non protestò. Sapeva che era inutile, con lui. Fece una smorfia di fastidio, tanto per esprimere il concetto, ma si arrese subito.
Voltò la schiena al professore e iniziò a camminare tranquilla verso il fondo del corridoio di pietra, oramai vuoto.
-Ah, signorina Clarkson?
Selene si voltò, guardando curiosa il professore, che emanava un’aura di freddezza.

-Ha richiesto espressamente di vederti.
Non aggiunse altro. Si voltò e sparì dietro l’angolo opposto a quello di lei, sentendo il suo sguardo sulla schiena coperta dal lungo mantello nero.
 

Quando Selene entrò nell’infermeria rischiò di essere travolta da un’alquanto indaffarato elfo domestico. Sgranò gli occhi, cercando di evitare l’impatto e riuscendoci solo grazie alla mano che l’afferrò e la tirò via dalla traettoria della piccola creatura.
In pochi secondi si ritrovò pressata contro il fianco muscoloso di un Serpeverde del settimo anno, James Watson. Arrossì istintivamente mentre gli occhi azzurri di lui luccicarono nel vedere il rossore spargersi sulle guance della sua amica.
-Giorno Sel!
-Ciao James- borbottò lei, liberandosi della presa del ragazzo e camminando perplessa verso i professori che erano radunati attorno al letto della ragazza... di Rachel.
-Ma che succede?- Mormorò, rivolta all’amico. Lui le cinse le spalle con un braccio, senza preoccuparsi di farla irrigidire.
-Non ne ho idea, ma sono lì da un po’- ammise, passandosi una mano tra i capelli ricci e castani.
In quel momento Piton si voltò e li vede. Assottigliò le labbra, riducendole a una linea sottile, e si avvicinò. Il suo volto apparentemente calmo e gelido era turbato da una strana irritazione.
Si fermò davanti a loro e fissò la Clarkson negli occhi, come se il Serpeverde non esistesse.
-Hai visto anche un’altra ragazza l’altro ieri?
Selene sgranò gli occhi, stupita. Ci impiegò qualche secondo per rispondere, confusa, qualche secondo in cui le sopracciglia nere del professore si corrugarono ancora di più.
-No, certo che n...- le si strozzò la voce in gola, mentre la sua mente cominciava a galoppare. -Dice che c’era un’altra ragazza? Io non l’ho vista nei sotterranei, ma Mikaela aveva detto che aveva visto qualcosa ai margini della Foresta Oscura...- aggiunse mentre la sua mano cercava istintivamente quella di James, che gliela strinse.
Piton ebbe un moto di fastidio nel vederli scambiare quella piccola effusione, ma vide che la ragazza non era concentrata su quel contatto. Anzi, stava pensando.
-Clarkson?- La chiamò la preside, raggiungendoli. Evidentemente Minerva aveva sentito tutto.
La ragazza sbatté le palpebre e puntò i suoi grandi occhi grigi sulla professoressa.
-Sì, preside?
-Sapresti trovare il posto dove la tua amica ha detto di aver visto quel “qualcosa”?
Selene deglutì.
-Sì.
 

-Mikaela ha detto di averlo visto lì... tra degli alberi- Minerva e Severus seguirono la direzione del dito della loro allieva, aggiustando la presa sulle bacchette.
In effetti, tra le ombre degli alberi della foresta, c’era un’ombra strana, deforme...
Entrambi i professori sentivano perfettamente il respiro tremante di Selene, forse per il freddo, forse per la paura. Minerva scoccò un’occhiata a Severus, comunicandogli con il suo sguardo grigio e scintillante di restare a proteggerla.
Poi la donna iniziò ad avvicinarsi all’allavamento tra le radici nodose e contorte degli alberi.
-Clarkson- mormorò Severus, avvicinandosi alla ragazza di qualche passo, mettendosi davanti a lei.
-Sì, professore?
-Fuori la bacchetta.
Selene trattenne un gemito. Odiava combattere. Odiava pensare di far male a qualcuno, anche soltanto metterlo al tappeto temporaneamente. Comunque, obbedì. Le sue dita sudate si strinsero attorno alla sua arma, tirandola fuori dalla tasca del maglione e puntandola verso il basso, e non verso la schiena del professore.
Minerva sparì dietro un tronco di un albero, sotto i loro occhi, spaventati e tremanti di una e gelidi e razionali dell’altro.
Per qualche breve attimo a tensione attraversò l’aria e i loro cuori presero a battere forte.
Poi sentirono un urlo.
-E’ una ragazza!- Severus e Selene tirarono un sospiro di sollievo e si avvicinarono quasi correndo a Minerva. Appena il tronco non ostacolò più la loro vista, la videro inginocchiata a fianco a una ragazza sdraiata per terra. Severus si inginocchiò dall’altro lato, posando due dita sulla gola della sconosciuta, inerme e svenuta. Aveva lunghi capelli castani, un viso dolce, a cuore, e enormemente pallido.
-E’ viva- sentenziò -ma per poco, se non ci sbrighiamo a portarla a Poppy- aggiunse, rivolgendosi velocemente alla preside.
Minerva annuì, agitando la bacchetta e sollevando la ragazza in aria. Fece apparire una coperta con cui avvolse il corpo inerte e poi Severus la prese in braccio.
-Selene, svelta-  la incoraggiò la preside, vedendola ancora immobile sopra l’ammasso di radici. La Corvonero sbatté le palpebre, ma senza riuscire a distogliere lo sguardo dal fagotto immobile tra le braccia del professore, che la fissava palesemente irritato.
-Sì preside- mormorò Selene, girandosi meccanicamente e seguendo la McGranitt, che procedeva svelta. Erano tutti e tre ansiosi di uscire dalla Foresta Proibita... e capirci qualcosa di più.


 

  •


Angolino Timido Dell'Autrice:
Ehm.. zao! ^^
Voglio ringraziare tutti quelli che sono riusciti a leggere quest'obbrobrio...
Questa ff è il seguito di "Shadows", dove è raccontata la storia di Celeste, figlia di Morfeo (e ragazza di Nico tra tante altre cose XD)
Non penso sia necessario leggera per capirci qualcosa, qui... a parte che saranno presenti nuovi personaggi (eh sì: torneranno tutti, dal primo all'ultimo: Laura, Joanna, i mitici fratelli Stoll (SAREBBE IMPENSABILE NON SCRIVERE DI LORO ANCHE QUI!), Hector, Ajax, Yoru... ok, la pianto :D)
Come avrete visto, cìè una new entry: Selene Clarkson, sbadatissima Corvonero con l'hobby di andare a sbattere contro il nostro tenerissimo cuccioloso professor Piton/Snape!
*Piton spunta dal nulla e mi avadakedavrizza*
Sono ancora qui, sì (ma il mio cervollo no, quello non l'ho mai avuto XD) grazie a Nicuccio!! Che farà la sua comparsa nel prox chapty!
Bien, ora vado che ho freddo alle mani e devo fare la pasta per il mio gemello che se arriva a casa e non trova nulla mi stacca la testa! >.<
e....
RECENSITEEE, voglio sapere se continuare!!
Bacioni,
Anna

P.S: L'immagine di Nico è della strastupenda Viria! Vi prego, non copiatela, non sono sicura di poterla usare! Ma visto che è bellissima...

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Capitolo 2
*** Dov'è? ***


I Need You:

Dov’è?

krkrandcat:

The Lonely King
Nico di Angelo. I feel so much for this kid. I’m not done with The House of Hades yet, but man, he needs some love. That book made me cry the other day. Please stop picking on my favorite character.
(Hopefully the contrast here is okay. My monitor is apparently very bright, but I did try to check this on a couple different screens.)
(krkrandcat su tumblr)
 

Campo Mezzosangue, 9 Marzo.

Annabeth alzò la mano, esitante, mordendosi le labbra. Poi la riabbassò, sospirando. Con un sospiro si portò la mano alla fronte, chiudendo gli occhi.
Com’era possibile che non riuscisse nemmeno a entrare nella casa di Nico e chiedergli come stava?
Perché sapeva bene la risposta: perché stava peggio di quanto fosse mai stato.
Lo sapeva bene lei, dopo che Percy era scomparso. Per fortuna era tutto a posto, e dopo varie battaglie era tornato al Campo. Ma Celeste era sparita da una settimana, e di lei neanche una traccia.
E Nico sembrava uno zombie.
Annabeth alzò lo sguardo sulla porta nera, di ossidiana, e con uno sbuffo nervoso si girò di scatto, infilando le mani nei capelli biondi, sciolti sulle spalle. Fece un paio di passi avanti e indietro, cercando di trovare il coraggio di entrare.
Le faceva male guardare quello che ormai considerava suo fratello ridotto in quello stato.
Si fermò, prendendo un grande respiro.
-Okay, Annabeth- si disse -adesso vai là dentro e lo prendi a sberle.


La Casa di Ade era buia, in penombra. Le poche finestre erano oscurate da spesse tende color argento. Annabeth si richiuse la pesante porta alle spalle, mentre i suoi occhi grigi guizzavano da un’angolo all’altro della stanza. Aveva appena fatto un paio di passi, quando una voce gelida la bloccò sul posto.
-Che ci fai qui?
Lo sguardo della figlia di Atena fu attirato alla sua sinistra.
Sul letto addossato alla parete, seduto sulle coperte nere, col cuscino dietro la schiena per non incontrare la superficie dura del muro, c’era Nico.
La guardava. I suoi occhi neri, di ossidiana, che fino a pochi giorni prima erano pieni di vita e amore, adesso erano due pozzi scuri, freddi e vuoti. Avvicinandosi lentamente, Annabeth vide che un'ombra scura, un accenno di barba, gli copriva le guance. Indossava jeans neri e una canottiera bianca. La pelle delle sue braccia scoperte era tesa, i muscoli sotto ad essa contratti. Il figlio di Ade stringeva con forza l'elsa della sua spada nera.
-Nico...- mormorò la ragazza, sentendosi stringere il cuore e sedendosi sul bordo del letto, accanto a lui.
Il ragazzo voltò lo sguardo quando sentì le dita di Annabeth, calde, al contrario delle sue, gelide, stringersi sulla sua spalla.
-Nico, devi lottare- disse Annabeth, la voce piena di rimprovero, compassione e comprensione.
Lui non disse niente, ma si irrigidì impercettibilmente.
-A cosa serve?- Chiese con voce spenta, una voce che fece rabbrividire la ragazza. -L'ho persa. Come ho perso Bianca. Come ho perso mia madre. Come ho perso tutti.
Lo sguardo grigio di Annabeth si indurì, diventando dello stesso colore delle nuvole temporalesche.
-Ah, è così? E allora cosa dovrei dire io? Ho passato mesi a cercare Percy! E ti sembra che non l’abbia ritrovato? Ti pare che mi sia arresa, come stai facendo tu adesso. Senti Nico, io ti capisco. Hai perso tua madre, tua sorella, non sei in buoni rapporti con tuo padre. E adesso è scomparsa pure Celeste. Ma non devi lasciarti andare! Hai Percy, hai Hazel, hai Jo, Laura, Connor e Travis, e hai me! Ti sembra poco? La stiamo cercando dappertutto! Vuo tornare a essere quello di prima? Il ragazzo ombra che non prova sentimenti, che non fa vedere le sue emozioni? Dannazione, Nico, non ce la facciamo a vederti così! Sei nostro amico, sei nostro fratello! Celeste è lì da qualche parte, ti sta aspettando! Credi che Morfeo* si sia arreso? No! Continua a scandagliare tutti gli anfratti possibili e immaginabile per trovar...
-Ed è questo il punto!- Urlò Nico, all’improvviso, facendo sobbalzare Annabeth.
Si voltò verso di lei, stringendo talmente tanto forte la presa sull’elsa della sua spada che le nocche gli divennero bianche. Rivolse uno sguardo feroce alla ragazza, pieno di rabbia, di dolore e di un fuoco ardente.
Ecco, Annabeth, sei contenta? Volevi farlo reagire, ed eccoti qui!, Pensò sarcastica la figlia di Atena, fissando amaramente il ragazzo. Non era questo che voleva ottenere. Voleva spingerlo a uscire da quel buco, voleva farlo vivere di nuovo, farlo vivere come ci era riuscita soltanto Celeste.
-E’ questo il punto, Annabeth! Se perfino un dio non riesce a trovarla, credi che io abbia la minima possibilità di farcela? Se suo padre non ci riesce, lui che ha mille poteri, che può insinuarsi nella mente delle persone, pensi davvero che potrei riuscirci io? No, no, certo che no. Non posso farlo. E io uscirei anche da questa dannata casa, ma sai cosa mi trattiene? Qui l’ho baciata per l’ultima volta, qui abbiamo dormito insieme infrangendo le regole. Uscirei da questa casa, se non appena chiudo gli occhi la vede piangere mentre qualcuno la tortura o mentre è sola in un posto dimenticato dagli dei! Pensaci, Annabeth! Io non posso farcela, senza di lei. L’hai detto anche tu! Non mi resta più nessuno! Lei era l’unica, l’ultima che mi era rimasta e che amavo e che amo tutt’ora. Perché gli dei se la prendono tanto con me? Ho perso tutti, tutti quanti!
Nico guardò il viso sconvolto di Annabeth, sentendo una morsa di dispiacere serrargli il cuore. Le guance della sua amica erano incredibilmente pallide, così come le sue mani strette una all’altra, posate sul suo grembo. I suoi occhi grigi erano immensamente tristi. Aveva insinuato che lei, lei e gli altri, non contassero nulla per lui. E vedendo lo sguardo sanguinante di dolore della figlia di Atena Nico fu tentato di abbracciarla e dare sfogo alle lacrime che si teneva dentro da una settimana. Ma non lo fece, e Annabeth si alzò, annuendo piano.
-Va bene- sospirò. -Se hai bisogno, sai dove trovarmi.
Si sporse in avanti e appoggiando le mani sul collo del ragazzo, gli baciò la fronte, piano. Nico chiuse li occhi, con un groppo in gola che gli impediva di parlare.
-Ti aspettiamo, Nico- sussurrò Annabeth, con un velo di lacrime che le appannava gli occhi mentre le mani del ragazzo le andavano a cingere la vita, aggrappandosi a lei come se fosse l’unica cosa che potesse salvarlo dal baratro. -Ti stiamo aspettando tutti quanti.


Appena Annabeth entrò nella sala riunioni del Campo tutti quanti alzarono gli occhi.
-Allora?- Chiese ansioso Percy, guardando la sua ragazza con una tale apprensione nelle sue splendide iridi verdi che lei si sentì sciogliere il cuore.
Per tutta risposta si spostò e tutti restarono a bocca aperta.
La prima a muoversi fu Joanna, scattando in piedi e saltandogli addosso, stringendolo così forte da rischiare di ucciderlo seduta stante.
-Nico!- Strillò, sorridendo. Lui fece un accenno di sorriso e ricambiò l’abbraccio, posando esitante le mani sulla schiena della figlia di Ecate. Appena lei si scostò, la osservò bene. Erano da giorni che non la vedeva, e due occhiaie blu le circondavano gli occhi chiari e brillanti, in contrasto con la pelle pallida del viso. I suoi lunghi capelli ricci e neri erano raccolti in una coda. Se la ricordava più alta.
-Tesoro, ci hai fatto preoccupare- lo rimbrottò Jo, posando le mani piccole e fresche sulle guance del figlio di Ade, che si sentì rincuorato. Joanna non era cambiata per niente, nonostante Celeste fosse la sua migliore amica... non era cambiata, al contrario di lui.
Poi Joanna fu brutalmente spinta via da Laura, che si gettò tra le braccia di Nico, che sgranò gli occhi, sorpreso da tutto quell’affetto. Dopo mezzo secondo, Laura si scostò e senza dare possibilità a Nico di dire mezza sillaba, gli tirò uno schiaffo.
Il silenzio calò prepotentemente nella stanza, mentre tutti fissavano attoniti la figlia di Apollo, che guardava con i suoi splendidi occhi verdi il figlio di Ade. Il suo volto ribolliva di rabbia mista a preoccupazione e sollievo.
-Ma sei cretino?! Farci preoccupare in questo modo! Deficiente! Ti vogliamo bene, non farci MAI PIÙ preoccupare così, idiota!- E scoppiando a piangere tornò a stringersi a Nico, che l’accolse tra le braccia senza problemi, stringendola al suo petto.
-Mi dispiace- sussurrò tra i capelli biondi della ragazza.
Dopo qualche istante, Connor Stoll si avvicinò e con dolcezza prese la mano della sua ragazza e la tirò via da Nico, rivolgendogli un sorriso amichevole.
-Siamo contenti che tu sia tornato, Nico- gli sorrise Travis, circondando con un braccio le spalle di Jo, che posò la testa sulla spalla del ragazzo.
Nico annuì brevemente e si avvicinò al tavolo, dove erano spiegate diverse cartine. Numerosi luoghi erano cerchiati in rosso, altri in nero o in blu. Aggrottò le sopracciglia, mentre Annabeth gli si avvicinava.
-I luoghi neri sono quelli che abbiamo già perquisito da cima a fondo- gli spiegò, indicando le coste e i territori vicini al Campo -quelli in rosso dove abbiamo cercato, ma siamo stati intralciati da mostri, e quelli blu dove Morfeo ha già dato un’occhiata.
-Sono tantissimi- mormorò stupito il figlio di Ade, mentre Annabeth gli indirizzava un sorriso dolce.
-Morfeo si è dato da fare- concordò, posando una mano sul braccio del ragazzo.
A quel punto Percy prese la parola, alzandosi dalla sedia dov’era rimasto fino ad allora e sporgendosi sulla cartina.
-Nico- lo chiamò. Il ragazzo alzò i suoi occhi neri e si sentì stringere lo stomaco in una morsa nel vedere quanto fossero preoccupati quelli verdi di Percy.
-Ho... delle conoscenze... a Brooklyn. Posso chiedere a... ehm... alle mie conoscenze di cercare anche lì.
Le sue parole provocarono un silenzio interdetto. Annabeth affilò lo sguardo, ma Percy, nonostante sudasse freddo nel pensare a come avrebbe dovuto affrontarla in seguito, continuò a tenere lo sguardo fisso su Nico, che dopo una breve esitazione annuì.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, rincuorati, ma Percy irrigidì le spalle.
Adesso si trovava tra due fuochi. Annabeth e Carter.

 

Campo Mezzosangue, 1 Marzo.

Perseus Jackson.

Apollo le sbatté davanti al naso quel misero foglietto e Rachel sussultò. Alzò gli occhi verde smeraldo in quelli dorati di lui... dorati e brucianti di rabbia.
-Ma cos...- mormorò, posando il quaderno degli schizzi sul cuscino al suo fianco.
Alzandosi in piedi, aggrottò le sottili sopracciglia rosse, osservando attentamente il volto del dio. Era distorto dall’irritazione, le labbra strette in una linea sottile.
-Come sei entrato?- Chiese, prima di ricordarsi che stava parlando con un dio.
Apollo abbassò lo sguardo per un attimo, osservandola, e l’Oracolo arrossì vistosamente quando si ricordò di essere in shorts e felpa gigante blu.
Il dio riportò lo sguardo sul suo volto, scoccandole un’occhiata ostile e incrociando le braccia muscolose al petto, sempre rinchiuso in quel suo dannato mutismo. Rachel sospirò, allungando le mani e posandole sugli avambracci del dio, che strinse le labbra fino a ridurle a una sottile linea rosa.
Era geloso, sì. Sapere che Rachel pensava ancora a Jackson mentre stavano insieme faceva enormemente male. Sapere che la ragazza che stava davanti a lui, con i lunghi capelli ricci e rossi e i dolci occhi verdi che amava ammirare a qualsiasi ora del giorno e della notte, non era sua, lo faceva soffrire. E non importava cosa lei potesse dire, perché sarebbe stato sempre e comunque geloso.
Il dio sentì dei brividi percorrergli la schiena, mentre le mani piccole e fresche del SUO Oracolo gli risalivano dalle braccia fino alle spalle. Rachel allungò una mano e infilò due dita sotto al mento del dio, costringendolo dolcemente a guardarla negli occhi. Le iridi dorate e intense di Apollo si incatenarono a quelle serene della ragazza.
-Ehi- gli disse dolcemente, accarezzandogli la guancia morbida -non devi essere geloso. Io ti amo, amo solo e soltanto te.
L’espressione del dio si addolcì lievemente, mantenendosi comunque diffidente.
-E quello, allora?- Indicò sospettoso con un cenno del capo il foglietto, caduto sul letto dalle coperte azzurre e bianche. Rachel alzò le sopracciglia.
-Oh, dio!- Sospirò, e un sorriso strafottente sbocciò per un attimo sulle labbra del dio.
-Sì?- Rachel lo guardò di traverso, ma lottando per trattenere un sorriso.
-Ieri ho avuto una piccola visione su Percy, e temevo di dimenticarla, come sempre, così ho scritto il suo nome. Ma quando ho cercato di continuare a scrivere mi sono scordata ogni cosa- gli spiegò, dicendo l’assoluta verità.
Si fissarono negli occhi ancora per qualche secondo, poi Apollo capitolò. Abbassò la testa, sciogliendo le braccia dalla posa rigida in cui le aveva costrette e si morse il labbro inferiore.
-Va bene.
Rachel sorrise, vittoriosa, e Apollo le scoccò un’occhiata a metà tra l’irritato e il dispiacere.
L’Oracolo si perse nei suoi occhi dorati, caldi come solo lui poteva essere, tanto più che il dio dovette schioccarle le dita davanti al viso per risvegliarla dalla trance.
-Ehi, da quando in qua mi saluti senza baciarmi?
Apollo posò le mani -estremamente calde- sui fianchi della ragazza, che arrossì lievemente, guardandolo sdegnosamente con i suoi occhi verde smeraldo.
-Fino a prova contraria sei tu che sei entrato in casa mia senza nemmeno bussare per accusarmi di tradirti con un’altro ragazzo che, tra parentesi, è follemente innamorato della mia migliore am...
Le proteste di Rachel furono soffocate dalle labbra del dio, che, già esausto di sentirla parlare, le aveva infilato una mano tra i capelli, sciogliendoli dal nodo della matita infilata tra di essi, e poi aveva fatto scivolare la mano sulla nuca della sua fidanzata, chinandosi e mettendo a tacere il monologo dell’Oracolo.
Rachel si abbandonò completamente al tocco del dio, appoggiando le mani sul suo petto marmoreo, sciogliendosi come, appunto, neve al sole.
Apollo ridacchiò contro le sue labbra, e Rachel gli tirò uno scappellotto, provocando un gemito di protesta.
Si tirò indietro, aggrottando le sottili sopracciglia rosse, e incrociò le braccia, assumendo quell’espressione da cucciolo imbronciato che Apollo trovava bellissima.
-Non fare lo stronzo- si lamentò la ragazza, girandosi e cercando di raccattare il quadernino degli schizzi.
Fu prontamente fermata dalla ripicca di Apollo -non si dicono le parolacce!- e dalle braccia del dio che si avvolsero attorno alla sua vita.
Rachel scoppiò a ridere sentendo le dita del dio solleticarle la pancia e cercò di dimenarsi, ma lui rafforzò la presa, sorridendo come un bambino. Ora che aveva trovato il suo punto debole col cavolo che la lasciava andare.
Rachel tentò il tutto per tutto, spintoni, deboli pugni contro il torace del suo ragazzo, ma non servì a nulla. In poco tempo si ritrovò a contorcersi come un’anguilla, in preda al mal di pancia per le troppe risate.
Apollo fu abile: approfitto di quel suo inaspettato vantaggio e spinse con delicatezza la propria ragazza sul letto, continuando a torturarla e ad ammirare le sue guance rosse, mentre la sua risata cristallina gli risuonava nelle orecchie.
Poi a un certo punto smise e si ritrovò a fissare gli occhi verde smeraldo di Rachel, che lo guardavano incredibilmente grandi e lucidi.
-Sei uno stronzo- ripeté debolmente Rachel, provocando un ghigno da parte del dio.
L’Oracolo tirò dispettosamente un lembo della maglia di cotone del dio, comodamente sdraiato sopra di lei, scoprendo così un lembo di pelle ambrata.
Gli occhi dorati del dio scrutarono improvvisamente vigili le guance della ragazza, che andavano arrossandosi pian piano. Con un impercettibile sospiro, Apollo chinò la testa e posò la guancia sul petto dell’umana. Chiuse gli occhi, ascoltando incantato il suono del battito del cuore di Rachel, mentre accarezzava lentamente il fianco della ragazza, passando le dita sul pesante tessuto blu scuro della felpa.
Rachel immerse le dita nei capelli del dio, accarezzandoli, e posò la testa sul materasse, fissando il soffitto e godendosi il calore del corpo di Apollo premuto contro il suo.
-Sei mia, solo mia- mormorò Apollo, prima di addormentarsi.

 

Olimpo, 9 marzo.

Apollo fissava le fiamme del fuoco davanti a lui, seduto per terra, sul tappeto rosso. Le osservava con sguardo vuoto. Dietro di lui, una snella ed esile figura era in piedi da qualche minuto.
-Apollo...- disse Artemide, guardando con i suoi occhi argentei la schiena curva del fratello.
-Va’ via- rispose secco Apollo, mentre un’ombra calava sul suo viso bellissimo.
-Ma...- esitò Artemide, scostandosi una ciocca di capelli ramati dalla guancia.
Apollo scattò.
La dea trasalì quando il calice di vetro si schiantò contro la parete alle sue spalle, distante da lei solo pochi passi.
-Va’. Via!- Ruggì il dio, gli occhi che brillavano di rabbia e il volto contratto dalla furia.
Artemide lo guardò per un breve secondo, prima di girargli le spalle e sparire nell’ombra della notte.
Apollo rimase a fissare la soglia della sua casa dove era sparita sua sorella, con un crescente groppo in gola. Poi le gambe gli cedettero e cadde in ginocchio, mentre lacrime di dolore e frustazione cominciavano a scorrergli sulle guance.
Rachel.



*Morfeo: dio dei sogni, padre di Celeste.

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Capitolo 3
*** Non è abbastanza ***


I Need You:
Non è abbastanza.




 

Hogwarts, 10 marzo.

Selene era seduta sulle pietre della Torre di Astronomia. Aveva la schiena curva e le spalle abbandonate alla forza di gravità. Un alito di vento scuoteva i suoi lunghi capelli color biondo cenere.
Il suo volto, solitamente così dolce e sorridente, era serio. Gli occhi grigi erano vuoti, spenti, e non sorrideva. Stringeva tra le dita la bacchetta, rigirandosela tra le mani, mentre alcune scintille blu sprizzavano dalla punta.
Fissava assente i prati sotto di lei, dondolando le gambe nel vuoto. Il suo sguardo era sospeso tra il cielo chiaro e il profilo verde scuro della Foresta Proibita.
Un sospirò lasciò le sue labbra morbide, mentre tirava su col naso e si asciugava una lacrima che le imperlava le lunghe ciglia nere.
Selene sbatté le palpebre e, come sempre, puntò lo sguardo sulla maestosa tomba bianca del Preside Silente. Era stata spezzata da Voldemort, poi l’attuale Preside, Piton, l’aveva riparata con un complicato incantesimo.
La guerra aveva segnato tutti, ma Selene pensava che Piton fosse stato così oppresso dalla sua situazione di falsa spia che non sarebbe mai più tornato quello di prima. Se c’era una vaga possibilità di tornare ad essere quello di prima, chiaro.
Tutti sapevano che Hermione Granger era riuscita a salvare il suo professore. E tutti sapevano della cicatrice sul collo del professore che era sempre nascosta dal colletto nero della tunica.
Era passato appena un anno dalla fine della guerra, e Hogwarts recava ancora i suoi segni. Numerose lapidi nere erano state innalzate per commemorare i caduti nel prato vicino alla tomba di Silente. E da lassù quelle lapidi sembravano semplici macchie nere, innocenti, senza storia.
-Signorina Clarkson, per quando debba ammettere che non mi dispiacerebbe vedere qualche testa di legno abbandonare temporaneamente le mie lezioni, non credo che Madama Chips la prenderebbe molto bene se tu precipitassi e io non facessi niente per salvarti.
Selene sussultò, girandosi di scatto e arpionando con forza il muretto di pietra su cui era seduta. I capelli le finirono in faccia, ma si affrettò a scostarli per riuscire a vedere il volto torvo di Piton fissarla dalle scale che portavano giù.
Era vestito di nero, come sempre, e i suoi capelli corvini svolazzavano attorno al suo volto maturo e segnato dalle sofferenze.
-Ha appena detto che vorrebbe che io morissi- riuscì a dire Selene con un filo di voce, sorridendo appena. Piton sbuffò sdegnosamente, salendo gli ultimi gradini che lo separavano dal pianerottolo della torre.
-Hai frainteso, Clarkson. Piuttosto, non dovresti essere in Sala Comune a spettegolare con le tua amiche?
Le labbra della ragazza si arcuarono di qualche centimetro verso l’alto, ma non abbastanza da formare un vero sorriso. Severus ne rimase colpito, fissando quei malinconici occhi grigi.
-Sinceramente, signore- obiettò la Corvonero, fissandolo negli occhi -non mi piace spettegolare con le mie amiche. Non tutte le ragazze sono come quelle oche di Serpeverde della Parkinson e le sue amiche.
Severus alzò un sopracciglio, avvicinandosi alla ragazza, che intanto aveva spostato una gamba all’interno della torre, restando a cavalcioni del muretto.
-Hai appena offeso la mia Casa, Clarkson. Trenta punti in meno a Corvonero.
Selene scrollò le spalle, voltando di nuovo la testa verso il paesaggio attorno a Hogwarts.
-Sarà, ma resta comunque un’oca- borbottò piano, in modo che il Preside non la sentisse.
-Come?- Severus fece finta di non aver sentito.
-Niente- mormorò Selene, tornando a guardare soprappensiero le dolci curve del lago. L'acqua brillava grazie alla luce del tardo sole pomeridiano, che si nascondeva timido dietro a un paio di soffici nuvole bianche.
Severus assottigliò le palpebre, perplesso. Come mai la Clarkson era così triste?
-La ragazza si è svegliata- la informò.
Selene sgranò gli occhi e si voltò di scatto, rischiando di scivolare e cadere di sotto, ma non se ne curò. Piton, al contrario suo, sentì un brutto vuoto allo stomaco quando lei barcollò sulla pietra, e strinse le labbra sottili in una smorfia di distrazione.
-Celeste?- Chiese Selene, impaziente.
Piton annuì, studiando attentamente la scintilla di interesse negli occhi grigi della studentessa.
-Posso...
-La Preside mi ha chiesto di accompagnarti da lei- replicò asciutto il professore, incrociando le braccia.
Le sopracciglia nere di Severus si aggrottarono ancora di più quando sul volto della Clarkson si aprì un sorriso spontaneo. Un sorriso vero.
Con agilità Selene saltò a terra, ficcandosi poi la bacchetta nella tasca della felpa che, notò Piton, era aperta. Se la Clarkson avesse continuato così si sarebbe presa presto un bel febbrone da cavallo.
-Andiamo allora- mormorò Selene, arrossendo un poco sotto allo sguardo penetrante del professore e sentendosi enormemente in imbarazzo. Senza nemmeno saperne il motivo.
Piton grugnì e si voltò, seguendo la figura minuta della Corvonero. Scendeva cauta le scale, probabilmente memore di quella volta in cui era scivolata e si era rotta una caviglia, al secondo anno. Severus ricordava che non l’aveva vista piangere, allora. Anche lui si era trovato in infermeria per accompagnare un Serpeverde che si era tagliato il braccio così profondamente che, se non fosse intervenuto, la manica della sua camicia sarebbe diventata grondante di sangue in pochi minuti.
Il professore e l’alunna percorsero in silenzio i corridoi vuoti. Tutti erano a Hogsmeade, eccetto pochi studenti, compresa Selene. Non se la sentiva di andare al villaggio.
Quando Selene fece per svoltare verso le scale che li avrebbero portati in infermeria, Severus allungò una mano a sfiorarle la spalla e rimase perplesso nel sentirla sussultare, ma non disse nulla, limitandosi a ritrarre la mano.
Selene si voltò e i suoi occhi grigi incrociarono quelli neri e plumbei del professore di Pozioni.
Severus ebbe l’impressione di intravedere in quelle iridi grigie un violento senso di colpa, ma non ne fu certo, visto che la ragazza abbassò immediatamente lo sguardo a terra.
Ma certo, si disse Severus, non vuole che legga la sua mente.
-Di qua- disse freddamente, svoltando dalla parte opposta.
Selene si morse il labbro inferiore, annuendo appena, e si ritrovò a seguire il mantello svolazzante e la schiena nera del suo professore. Era confusa; non capiva dove stessero andando, ma, dopo qualche angolo e una rampe di scale, le fu tutto chiaro.
Piton la stava portando dalla Preside McGranitt.
Giunsero in silenzio davanti ai gargoyle di pietra che sorvegliavano l’ufficio della Preside. Selene ci era stata una sola volta, quando era stata coinvolta senza volerlo in una piccola rissa.
-Carpe diem- borbottò Piton in direzione del brutto muso di pietra, sentendo la risatina soffocata di Selene punzecchiarlo alle sue spalle.
-Cinque punti in meno a Corvonero- ringhiò irritato, provando l’immediata reazione della ragazza.
-Che cosa?!- Protestò scioccata Selene, provocando un ghigno da parte del professore.
-Hai sentito, Clarkson. E ora muoviti- sbuffò annoiato il professore, iniziando a salire sulla scala.
La Corvonero lo seguì di fretta, incrociando le braccia sotto al seno, corrucciata.
Vedere Piton dire carpe diem era una cosa assurda, sapendo il significato delle parole. Ma una risata non valeva cinque punti in meno!
Selene continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé senza dire una parola, anche se avvertiva chiaramente che Piton la stava fissando. Sperò vivamente che la smettesse di guardarla, mentre si sentiva arrossire, ma lui non lo fece.
Ben presto Selene si accorse con enorme vergogna di avere il volto caldo, anzi bollente, e deglutì, stringendo nervosamente la bacchetta nella tasca. Si passò una mano tra i lunghi capelli color biondo cenere, districando con delicatezza un paio di nodi, mentre il silenzio tra loro si faceva sempre più opprimente.
Finalmente apparve la porta della preside, e Selene fu ben lieta di guardare il professore voltarsi e spingere la porta di legno lucido, per poi seguirlo.

 

Campo Mezzosangue, 10 marzo.
 

Nico si aggrappò ansante alla spalla di Percy, che gli diede un paio di pacche sulla schiena, sorridendo soddisfatto con i suoi meravigliosi occhi color del mare.
-Fantastico, Nico! Hai battuto anche il mio record!
Il figlio di Ade sorrise appena a quell’affermazione, cercando di riprendere fiato.
-C’è sempre una prima volta- sfotté il figlio di Poseidone, ricevendo una spinta che per poco non lo mandò al tappeto. Si lasciò sfuggire un sorriso, piegandosi e posando le mani sulle ginocchia mentre riprendeva fiato. I lunghi capelli corvini gli ricaddero davanti agli occhi, ma lui non fece nulla per scostarli. Il sorriso scomparve, sostituito da una smorfia seria e amara.
Era tornato il re dei fantasmi che fino a qualche anno prima si aggirava per il Campo solitario.
Appena si raddrizzò, Percy lo capì alla prima occhiata. Non c’era una scintilla di dolore negli occhi scuri del suo migliore amico, si accorse con amarezza.
In silenzio, il figlio del mare gli porse un asciugamano, mentre Nico rinfoderava la sua spada. Era completamente nera, forgiata nelle acque dello Stige, il fiume dell’Aldilà. Riflessi gelidi e neri si riflettevano sulla lama che sembrava fatta di ossidiana.
-Ma ha un nome?- Chiese Percy all’improvviso, mentre Nico si asciugava il collo e le spalle.
Lui gettò un’occhiata distratta al suo fianco.
-Mmh.
-Sai che una spada senza nome porta sfortuna, vero?
Nico gli gettò un’occhiataccia, e Percy ebbe l’istinto di mordersi la lingua a sangue. Perché non riusciva a tenere la bocca chiusa?
-Ha un nome- disse seccamente il figlio di Ade.
Percy inarcò un sopracciglio scuro, i suoi luminosi occhi verdi sorpresi.
-Davvero?
Gli rispose un grugnito infastidito, mentre Nico si voltava e con l’asciugamano intorno al collo cominciava a camminare verso l’uscita dell’arena.
-E come si chiama?
-Morte.
Percy, dopo un attimo di smarrimento, storse il naso, disapprovando completamente il nome di quell’arma. Però rinunciò a qualsiasi protesta, conoscendo bene il carattere dell’amico. Si limitò a seguirlo, trotterellandogli dietro.
-Annabeth dice che sull’Olimpo sta succedendo qualcosa di strano.
-Ma davvero? Come sempre, del resto- ribatté acidamente il figlio di Ade, e Percy sbuffò sonoramente, senza dar peso alle sue parole.
-Anche io ho questa sensazione, a dire il vero. I miei sogni ultimamente sono stati inquieti... anche Piper, Leo, Jo e gli altri hanno detto che hanno fatto incubi in queste ultime notti... tu?
A quel punto Nico si fermò di botto, così all’improvviso che Percy rischiò quasi di andargli a sbattere contro.
-Ehi, ma che...
Percy ammutolì quando Nico si voltò, vedendo il suo sguardo scuro improvvisamente glaciale.
-Io faccio incubi ogni notte, Percy.

 

-Nico! Nico! NICO!
Celeste.
Il figlio di Ade scattò, correndo a perdifiato per i corridoi di pietra calcarea, in quel dannatissimo intrico di gallerie.
-NICO!
Finalmente, col cuore in gola, arrivò nella grotta, rischiando di scivolare sulla pietra umida. I suoi occhi individuarono subito la sua ragazza, piangente.
-Nico- anche da quella distanza, Nico riuscì a vedere il panico negli occhi verdi della figlia di Morfeo oltre la spalla massiccia di quel maledetto fantasma. La teneva per i polsi così forte che presto si sarebbero formati segni rossi sulla sua pelle candida e perfetta. Lacrime luccicanti brillavano sulle sue guance pallide.
La risata di Agamennone si diffuse nella sala.
-Quindi... divertiamoci.
Con un gesto violento, quel bastardo l’afferrò per la vita e lei urlò di dolore mentre la trascinava verso suo padre, che impotente assisteva alla scena dimenandosi e facendosi ancora più male con le catene che gli legavano i polsi.
-LASCIALA ANDARE!!- Ruggì.
Agamennone rise, folle, gettando Celeste a terra. La semidea cercò di strisciare via, ma lui le tirò un calcio nel fianco, mozzandole il respiro. Nico cercò di saltare sulle rocce per arrivare da loro, ma una barriera d’energia pura si increspò nell’aria e lo scaraventò contro la roccia. Un ringhio sfuggì dalle labbra del Re degli Spettri.
-E cosa pensi di fare tu, Morfeo? Non puoi niente, niente! Guarda tua figlia soffrire!- Sibilò Agamennone, prima di chinarsi a terra, sopra a Celeste, dolorante e terrorizzata.
Mentre Nico urlava cercando inutilmente di superare la barriera, lei gli tirò un calcio nello stomaco, ora libera dalle catene delle mani del fantasma, con il solo risultato di fargli male e farlo incazzare ancora di più.
-Continua e farò in modo che sia il più doloroso possibile!

-NICO!
Il figlio di Ade scattò a sedere, ansimando, e allungò una mano nel buio, afferrando la spalla della sagoma in ombra accanto al suo letto. Un gemito seguì la presa ferrea del ragazzo, e Nico si ritrovò gli occhi dorati di Hazel a pochi centimetri dal volto.
Inorridito, non riuscì nemmeno a mollare la presa. Fissò il viso dolce di sua sorella, ansimando, ancora in preda ai brividi per quel sogno.
-Scusa- mormorò, tirandosi indietro di scatto dopo qualche secondo.
Hazel si massaggiò la spalla, scrollando la testa. Si sedette sul bordo del letto del figlio di Ade, osservandolo con i suoi occhi indagatori. Lui distolse lo sguardo, senza riuscire a reggere quello della sorella.
Sussultò quando sentì le dita morbide e fresche della ragazza accarezzargli la spalla, scendendo poi alla base del collo. Nico si ritrovò avvolto nell’abbraccio della figlia di Plutone senza nemmeno esserne consapevole. Chinandosi per raggiungere la sua spalla appoggiò la guancia al petto di lei, respirando affannosamente, mentre Hazel gli accarezzava i lunghi capelli spettinati. Nico inspirò profondamente il profumo caldo e familiare della sorella.
-L’hai sognato di nuovo?- Mormorò lei, ma quelle parole, nel silenzio della Casa di Ade, sembrarono urlate.
-Sì- annuì Nico, e Hazel serrò la presa.
-Non ti preoccupare. Non le è successo nulla. L’hanno salvato. L’hai salvata.
-Ma...
-Nico, hai fatto un patto con nostro padre e con gli dei per salvare loro la vita. Non è abbastanza?
No, avrebbe voluto rispondere, no, affatto. Celeste è sparita, io sto morendo un po’ alla volta e gli dei si stanno incazzando. A quanto pare la mia vita non è abbastanza preziosa per loro.
 

♦ ♦ ♦

 
ANGOLINO DELLE CIAMBELLE CARNIVORE BLU:
Zaaalve. ^^
Lo so che non mi faccio sentire da un po' ma ho avuto dei problemi.
Ringrazio infinitamente chi ha recensito, è stato davvero apprezzato, e chi ha messo tra seguito/preferito/nonmiricordocomesidice la storia ;)
Passiamo alle spiegazioni:
In Shadows (questo è il SEGUITO CROSSOVER, non scordatelo!) Agamennone è fuggito dall'Ade per vendicarsi di Morfeo (papà di Celeste, che chi non la conosce conoscerà nel prossimo capitolo).
E ha quasi violentato Celeste, ma tralasciando, Nico era morto ferito, e non ha assistito alla scena. E' un incubo mischiato a ciò che è successo davvero, il suo sogno.
Che cosa vuol dire che ha fatto un patto con gli dei? Vi ricordo che qualcuno non era convinto della guarigione di Nico, così improvvisa, e a ragione!
Che vuol dire che sta morendo, il nostro cucciolo?
Eeeeeee vedremo! XD
Ditemi che pensate (Nico è un po' rompiballe, ma poi pregherete perché continui a essere così, visto che far... AAAH NON DEVO FARE SPOILER!!)
Un bacio!
Anna ;)

 

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Capitolo 4
*** Chi sei? ***


I Need You:

Chi sei?
 

Rachel



 

Hogwarts, 10 marzo

L'ufficio della Preside McGranitt non era cambiato dall'unica volta in cui Selene ci era stata. Era un'ampia stanza, con una grande vetrata che dava sui prati. Scaffali pieni di libri disposti ordinatamente correvano lungo le pareti. La scala di legno che portava al piano di sopra, nascosto da un muro, tracciava un corridoio vuoto tra i numerosissimi quadri dei vecchi presidi della scuola.
Seduta dietro al tavolo, le mani intrecciate sul legno, la Preside McGranitt guardava le due figure esili davanti a lei. Tutte e tre si voltarono non appena sentirono entrare Selene e Severus.
Selene concentrò la propria attenzione su Celeste. La ragazza aveva lunghi capelli mossi di color castano scuro, ma con qualche ciocca più chiara tra le punte. Il volto era a cuore, un po' pallido, con grandi occhi verdi colmi di malinconia. La sua mano era stretta a quella di Rachel, la ragazza che Selene aveva già conosciuto.
Rachel aveva lunghi capelli ricci fiammeggianti, un sorriso caldo e le iridi color smeraldo che nascondevano una grande tristezza. Il silenzio calò nella stanza, mentre le tre si osservavano.
Per qualche secondo nessuno parlò, poi la Preside si alzò. Indossava una lunga tunica verde, con delle maniche nere che spuntavano da sotto il tessuto. I capelli grigi erano raccolti in una crocchia. -Selene, siediti- la invitò, agitando la bacchetta e facendo apparire una sedia al fianco di quella di Celeste. La studentessa obbedì, sedendosi con un po' di di nervosismo.
-Severus- il professore si affiancò alla Preside quando lei lo chiamò, incrociando le braccia.
I due si misero a fissare le tre ragazze, che sembravano tutte e tre nervose, anche se lo esprimevano in modi diversi.
Rachel continuava a far guizzare lo sguardo dal volto della Preside a quello di Severus, tormentandosi un nastro di stoffa che aveva legato al polso; Selene teneva lo sguardo puntato sulle proprie ginocchia, a braccia incrociate, e Celeste guardava con sguardo assente solo e soltanto il professore, osservando con attenzione mista a timidezza con le labbra serrate.
Dopo qualche momento di silenzio, Rachel iniziò a parlare.
-Come stavamo dicendo, Preside... noi non abbiamo la più pallida idea di dove ci troviamo ora. Non sappiamo nemmeno come ci siamo finite, qui, e...
-Perché non fa parlare la sua amica?- Intervenne Severus.
Rachel si interruppe e lo guardò aggrottando le sopracciglia.
-Mi scusi, ma prima di tutto stavo parland...
-Rachel.
Il rimprovero non veniva né da Minerva né da Severus. Era stata Celeste a parlare.
Per la prima volta Selene sentì la sua voce. Era dolce, calda, ma in quel momento sembrava estremamente stanca. Così come gli occhi della ragazza, che tuttavia scintillavano di decisione e di una forza d’animo che impressionò la Corvonero.
-Rachel, non essere maleducata- Celeste posò la mano sul braccio chiaro dell’amica e le rivolse un sorriso debole. Poi spostò lo sguardo su Severus, che aveva osservato la scena con la fronte corrugata e una scintilla negli occhi di ossidiana.
-Sono perfettamente in grado di parlare, signore- gli rivolse un sorriso che non ebbe la minima reazione, ma la ragazza non si lasciò deprimere.
-Come stava dicendo Rachel... io, e penso anche lei, non mi ricordo nulla. So solo che ieri sera... la sera precedente al giorno in cui ci avete trovate- si corresse -mi sono addormentata, e quando ho riaperto gli occhi ero in infermeria.
Purtroppo non quella del Campo, aggiunse mentalmente, e sentì una fitta al petto rammentando il volto di Nico che rideva, qualche ora prima della sua scomparsa. Un sospirò la riportò al presente, e sbatté le palpebre, guardando la Preside sedersi nuovamente sulla sedia.
-Va bene... allora potreste dirmi da dove venite?
-New York- disse Rachel prima che Celeste potesse fermarla.
Le scoccò un’occhiataccia, ma la rossa non le badò, abituata com’era. Se ne accorse invece Severus, che continuava a tenere d’occhio Celeste.
-New York?- Chiese sorpresa Minerva, aggrottando le sopracciglia.
-E’ lontano da qui...
-Signora, non non sappiamo neppure se siamo ancora in America- la interruppe Rachel, e un’ombra di un sorriso balenò sul volto segnato della Preside.
-Siamo in Inghilterra.
A quelle parole Rachel si irrigidì e Celeste sussultò.
Severus, Minerva e Selene notarono la cosa, ma non commentarono.
Sinceramente Selene non aveva la più pallida idea del motivo per cui si trovava in quell’ufficio, non riusciva proprio a capirlo. Sapeva solo che non avrebbe mai avuto il coraggio di disobbedire al professore, quindi si era ritrovata costretta a seguirlo. E a sopportare il suo lungo sguardo. Già, anche quello.
Severus intervenne nella conversazione dopo qualche secondo.
-Signorina Clarkson- disse lugubremente, con un’espressione adatta a un funerale -nei prossimi giorni dovrà mostrare il castello alle signorine, che dormiranno con lei nel dormitorio di Corvonero. L’abbiamo spostata in un’altra stanza.
Selene si trattenne dal storcere le labbra, contrariata, ma fece buon viso a cattivo gioco. Annuì, cercando di non mostrarsi troppo infastidita, ma il suo tentativo fu pessimo, a giudicare dal piccolo ghigno che increspò le
labbra sottili del professore.

-Perfetto- disse la Preside, sorridendo dolcemente a Selene e scoccando un’occhiata meditabonda alle altre due -andate, allora.
Selene si alzò e si avviò verso la porta senza dire nulla; tenne aperta la porta per far passare le ragazze e prima di richiuderla esitò un istante, sentendo su di sé gli sguardi dei due professori.
Poi la porta si chiuse.
Severus e Minerva aspettarono qualche minuto per sicurezza, poi Severus agitò la bacchetta e con due eleganti movimenti della mano fece sparire le tre sedie e apparire un’altra ben più comoda.
Si sedette e fissò Minerva per qualche istante, mentre lei versava del Whisky Incendiario in due bicchieri. Ne fece galleggiare uno in aria verso di lui, che lo afferrò con uno sguardo torvo.
-Ci nascondono qualcosa- sospirò Minerva, guardando pensosamente il liquido ambrato girare lentamente nel bicchiere, tra le sue dita.
Severus non rispose, ma bevve un sorso della bevanda. Sentì il sapore forte del whisky scorrergli in gola e scaldargli lo stomaco.
-La ragazza... Celeste- disse lentamente, catturando la curiosità della collega -vuole nascondere qualcosa con tutte le sue forze.
-Severus!- Esclamò la Preside in tono di rimprovero -Le hai guardato nella mente?
Severus si limitò a lanciarle un’occhiata inespressiva.
-La sua mente è così...- cercò qualche aggettivo che potesse descriverla al meglio, ma non ne trovò nessuno -è molto... forte. Espansiva. Mi sono limitato a sfiorarla e ho visto subito che voleva nasconderlo.
Minerva assottigliò le labbra, sentendosi in parte contrariata e in parte incuriosita.
-D’accordo- sospirò stancamente -ma per favore, non farlo più.
Severus annuì, ma dopo qualche minuto di silenzio sentì il bisogno impellente di rivolgerle una domanda.
-Adesso? Che facciamo? E’ ovvio che hanno un segreto... e non vedo come sia possibile non ricordarsi nulla della magia. Non sembrano nemmeno streghe.
-Potrebbero essere delle Magono... però è strano in effetti. Non hanno mai sentito parlare di magia, almeno della magia che intendiamo noi. Be’- sospirò la Preside -intanto aspettiamo. Non possiamo fare nient’altro.
Severus vuotò tutto d’un fiato il bicchiere, e si alzò, ma Minerva lo trattenne mentre stava per voltarsi.
-Severus.
Il professore alzò gli occhi sul viso dell’amica e lo vide attraversato da numerose rughe di preoccupazione. Minerva era forte, ma lo stress era molto in quell’ultimo periodo.
-Il... il padre di Selene è appena morto.
Severus la fissò inespressivo, ma dentro di lui si accese una scintilla. Ecco perché la Clarkson era tanto malinconica in quell’ultimo periodo; però non aveva reagito come si sarebbe aspettato. Tante ragazze sarebbero scoppiate in pianti irrefrenabili nei momenti peggiori e più inopportuni, ma lei no.
-Per favore, sii delicato con lei. So che non ti sta particolarmente simpatica, ma cerca di essere più gentile- l’espressione di Minerva aveva assunto una sfumatura decisa, e lo scintillio dei suoi occhi grigi era più intenso del solito.
Severus quasi si lasciò sfuggire un sorriso.
Minerva sembrava proprio una mamma... esattamente quello che era stata per lui per molti anni.
-D’accordo- disse solamente, poi si voltò e lasciò l’ufficio.
Una volta che la porta si chiuse dietro alle sue spalle, Minerva sospirò profondamente e si lasciò cadere sulla sedia.
-Sarà un periodo difficile- mormorò sconsolata.
 

Selene non sapeva cosa dire, cosa fare e come comportarsi, perciò si limitò a far strada alle ragazze verso il dormitorio, indicando loro anche la Sala Grande e le diverse strade per l'infermeria e spiegando in breve dov'erano le aule.
Celeste e Rachel ascoltavano tutto in silenzio, osservando rapite i muri di pietra e i quadri variopinti, dove le figure dipinte le fissavano curiose. Un bambino con delle guance più rosse di una fragola le rincorse anche per un breve periodo, prima di inciampare in una gamba di un tavolo dove quattro uomini stavano giocando a carte.
Incrociarono un po’ di studenti, e alcuni le fissarono con tanta insistenza e curiosità da risultare fastidiosi.
Quando arrivarono alla Sala Comune tutte e tre tirarono un sospiro di sollievo.
Rachel e Celeste, però, appena misero piede nella stanza, rimasero a fissare a bocca aperta la Sala Comune, incantate dal suo splendore. I loro occhi correvano sugli arazzi blu e neri con lo stemma di Corvonero, sulle scale dalle ringhiere di ferro battuto alle poltrone colorate accanto al fuoco, che scoppiettava allegro nel camino.
-È... bellissimo- mormorò Celeste, mentre un piccolo sorriso increspava le sue labbra piene.
Selene sorrise e posò una mano sulla sua spalla.
-Venite- la seguirono su per le scale e sbucarono nello stretto corridoio che curvava dolcemente su sé stesso.
Selene salì le scale fino all'ultima stanza, quella che era sempre rimasta vuota. Sul legno lucido c'erano tre targhette laminate d'oro, che riportavano i loro nomi:
Selene Clarkson.
Rachel Elizabeth Dare.

Celeste Guerra.
Rachel aspettò prima di entrare nella stanza, dopo le due ragazze. Gettò un'occhiata alle targhette e lesse il cognome di Celeste aggrottando le sopracciglia rosse.
Non aveva mai detto a nessuno qual'era il suo cognome, al Campo, e sentì un moto di turbamento nel vedere che invece l’aveva detto ai professori. Sbatté le palpebre, e dopo qualche istante la scintilla di irritazione scomparve dai suoi occhi smeraldini. Si affacciò sulla stanza, rischiando anche di inciampare nel gradino della soglia, e rimase nuovamente a bocca aperta.
La stanza era fantastica. C’erano tre letti a baldacchino con le coperte blu, ognuno  sistemato in un angolo della stanza. Il pavimento era di legno, con vari tappeti dai ricami d’oro o d’argento che lo coprivano in gran parte.
Le pareti erano di pietra, ma dei grandi finestroni le bucavano regolarmente.
Senza aspettare Rachel si diresse alla vetrata più vicina e osservò meravigliata il panorama. Erano in una torre, e da lì, oltre a sentire l’aria fresca soffiarle sulle guance arrossate, vedeva gran parte dei prati e una piccola parte del lago.
-Ma è fantastico!
Rachel la pensava allo stesso modo di Celeste. Sentì la risatina di Selene seguire alle sue parole, e si voltò.
La ragazza era in piedi in mezzo alla stanza e faceva guizzare lo sguardo da una all’altra. Un sorriso le illuminava le labbra, ma non contagiava i suoi stupendi occhi grigi, che rimanevano tristi.
-Già- annuì, stringendosi nelle spalle.
Rachel saltellò verso di lei, e le si parò di fronte. Tese una mano in avanti, sorridendole.
-Non ci siamo presentate a dovere. Io sono Rachel.
-Selene- la Corvonero le strinse la mano, un po' sorpresa.
-E lei è Celeste- aggiunse Rachel voltandosi verso l'amica, che la guardava male.
-Oh, dai, non fare quella faccia!- Sbuffò la rossa, poi si diresse verso l'unico letto libero.
Celeste si era seduta su quello davanti alla porta, attaccato alla parete di pietra, e su quello a destra della porta era posata una valigia. Selene si diresse verso il suo letto e spostò la borsa per terra, incerta sul da farsi. Per fortuna ci pensò Celeste a spezzare il silenzio con la sua voce dolce.
-Chi erano? Voglio dire... la donna e l'uomo.
Selene le rivolse un' occhiata interrogativa.
-Quando ti sei svegliata?
La ragazza abbassò lo sguardo sulle proprie caviglie, imbarazzata.
-Non so... un' ora fa?
-Oh, povera te! In un' ora sola ti sei ritrovata sballottolata da tutte le parti- sospirò Selene, provocando le risate delle altre due.
-Allora... la donna è la Preside della scuola, Minerva McGranitt. Insegnava Trasfigurazione,  prima e durante la guerra... ma questo non importa- si affrettò a concludere. -L'uomo invece è il professor Piton, insegnante di Pozioni. Era Preside l'anno scorso.
-Che ha fatto al collo?- Chiese curiosa Rachel, e Selene si sentì seccare la gola.
Sospirò.
-Ho capito... vi devo raccontare tutta la guerra. Be', mettetevi comode.



 

Campo Mezzosangue, 11 marzo.
 

Nico si morse il labbro inferiore, sospirando. Si sedette sul gradino più basso degli spalti di pietra, facendo una smorfia nel sentire i muscoli della spalla tendersi nuovamente. Appoggiò ii gomiti sulle ginocchia, curvando la schiena, e guardò intensamente le figure minute di Joanna e Laura mentre combattevano.
Laura gli aveva intimato di andare  sedersi e non muoversi per altri quindici minuti, e Nico non aveva osato disobbedire vedendo la scintilla di ferocia brillare negli occhi chiari della figlia di Apollo.
A detta sua, Nico era diventato più spericolato e meno attendo a non ferirsi negli allenamenti, da quando Celeste era sparita nel nulla. Celeste e Rachel.
In quel momento avrebbe dovuto essere alla Clarion Academy, ma Percy e Annabeth avevano scoperto che era scomparsa anche lei quando erano andati alla scuola per farle una visita a sorpresa.
Il figlio di Ade si passò una mano sul volto sudato, chiudendo gli occhi. Immediatamente avvertì ciò che gli stava intorno. La terra sotto i suoi piedi, l’aria fredda che gli pungeva la pelle delle braccia e gli rinfrescava il volto, le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, il bruciore del taglio che si era appena fatto combattendo con un figlio di Ares.
Sussultò quando una mano si posò sulla sua spalla, e si voltò di scatto, guardando con occhi incupiti il ragazzino che lo guardava con un’ombra di rabbia nascosta negli occhi blu.
A giudicare dai ricci biondi e i lineamenti uguali ai suoi fratelli doveva essere un figlio di Apollo. Nico si alzò in piedi e lo sovrastò con tutta la testa. Il ragazzo gli arrivava appena alla spalla. Doveva essere appena arrivato dato che non l’aveva mai visto prima.
-Sei tu Nico Di Angelo?
La voce del ragazzino sembrava matura per la sua età. Nico ebbe l’impressione di averla già sentita, ma anche sforzandosi non rammentava dove.
-Sì- annuì.
-Chirone ti vuole vedere. Vieni con me.
Il ragazzo si voltò e Nico si ritrovò a seguirlo, perplesso. I campi di pallavolo e idi esercitazione per gli arcieri erano dall’altra parte del Campo. La Casa Grande era a destra. Perché lo stava portando vicino alla foresta?
Istintivamente, una mano del figlio di Ade corse al proprio petto. Lì, attraverso il tessuto leggero e leggermente umido della maglia di cotone, sentì il profilo spesso e irregolare della cicatrice che gli attraversava il petto. Riportava alla mente brutti ricordi. Lui, Connor e Travis Stoll erano stati attaccati da un segugio. I fratelli erano sprofondati in coma, e lui si era sentito in colpa per settimane, anche dopo aver appurato che non poteva fare nulla per Travis: si sarebbe svegliato solo quando Morfeo sarebbe stato liberato dalla prigionia dello spettro di Agamennone.
Quella cicatrice gli ricordò, come sempre, la sua impotenza. Celeste, la sera, quando dormivano insieme nella loro casa ai margini della valle, la percorreva con le dita e lo guardava con i suoi dolci occhi verdi, ricordandogli che non era mai stata colpa sua.
Nico si riscosse dai propri pensieri quando vide il ragazzino voltarsi.
Erano arrivati al limitare degli alberi. L’ombra degli arbusti si protendeva sopra le loro teste, proteggendoli dal sole e da sguardi indiscreti. Nico si sentì inquieto, quando si accorse di come il figlio di Apollo lo guardava.
Il suo sguardo si era completamente tramutato. Da sereno e irrequieto che era, ora sembrava un mare in tempesta, pieno di rabbia e furia, inquietudine, dolore.
Passò qualche secondo, poi una luce abbagliante costrinse il figlio di Ade a chiudere gli occhi, riparandosi il volto con un braccio. Non appena avvertì la luce scemare scostò il braccio e rimase spiazzato.
I suoi occhi di ossidiana corsero ad osservare il ragazzo che gli stava davanti.
I ricci erano gli stessi, solo molto più corti. I suoi occhi erano dorati, ed emanavano una forza incredibile. Era alto quanto lui, con una corporatura asciutta e muscolosa, ma slanciata. Indossava dei jeans e una maglietta a maniche corte, che lasciava intravedere la pelle ambrata delle braccia. Il suo viso era bellissimo, con lineamenti regolari e un po’affilati, accentuati dalle occhiaie e dalla preoccupazione che trasudava dal suo sguardo.
-Apollo- mormorò Nico, confuso.
Il dio alzò un angolo della bocca in un sorrisino obliquo, che apparve più come una smorfia triste.
-In persona.
-A che devo questo onore?
Nico non avrebbe voluto suonare sarcastico, ma evidentemente la sua voce voleva il contrario. Apollo inarcò un sopracciglio, un po’ seccato.
-Il mio Oracolo è sparito- disse asciutto, e a quelle parole il suo volto si contrasse in una smorfia di rabbia -e anche la tua ragazza, a quanto ne so.
Nico serrò la mascella, mentre il suo petto veniva invaso da una scossa di dolore. Il suo volto, però, restò impassibile.
-Esatto.
Apollo incrociò le braccia, corrugando la fronte. Il figlio di Ade notò che attorno a lui stava cominciando a formarsi una specie di aura dorata, e cominciò a preoccuparsi.
-La loro sparizione non è casuale. Sono collegate.
-Per quale motivo? Cos’hanno in comune? Nulla- protestò Nico, ma sentiva che il dio aveva ragione.
Apollo lo guardò in silenzio, con gli occhi dorati che sembravano perforare l’anima del ragazzo, metterla a nudo, leggendo ogni suo pensiero e ogni suo segreto.-Hai dato la tua vita per salvare quella di tre semidei- disse all’improvviso, e Nico sbatté le palpebre, confuso nel sentire una scintilla di rispetto e ammirazione nella sua voce.
-A quanto pare- la sua voce suonò strozzata, e una sfumatura di dolcezza colorò lo sguardo addolorato del dio.
-Sei stato coraggioso. Mi chiedo se...- Apollo si interruppe all’improvviso, conscio di aver rischiato di rivelare al ragazzo il suo più grande segreto. Sospirò, affrettandosi a cambiare argomento nel vedere lo sguardo scuro del figlio di Ade incuriosirsi.
-Insieme a Morfeo e a mia sorella ho cercato di capire dove diamine possano essere finite.
Prese un respiro profondo, deglutendo nervoso.
-Cos’hai scoperto?- Nico impallidì.
Temeva già il peggio. Celeste poteva essere morta... o torturata, tenuta in ostaggio, dispersa.
-Non sono in questo mondo.

 

Nico:
 

Guardai il volto di Apollo per vari secondi senza dire nulla. Sapevo che probabilmente il dio stava aspettando una mia risposta, ma in quel momento la mia mascella e la mia lingua sembravano incollate con cemento armato.
In testa avevo un caos infernale. Pensieri su pensieri, parole, immagini si accalcavano una sull’altra senza nessun collegamento logico e soprattutto senza nessun senso.
In che senso non sono in questo mondo? Non è possibile. A meno che...
La mia faccia doveva tradire i miei pensieri, visto che Apollo si affrettò a parlare.
-Non fraintendermi, non sono nell’Ade. Sono ancora vive... o almeno lo spero- le ultime parole gli si strozzarono in gola, e mi ritrovai a guardarlo intensamente.
-Sei innamorato di Rachel- soffiai, quando quella consapevolezza mi colpì come un schiaffo.
Il viso del dio impallidì all’istante, per poi diventare di uno strano colore tendente al verde chiaro e poi arrossarsi all’improvviso.
Aprì la bocca, mentre l’aura dorata aumentava d’intensità attorno al suo corpo e faceva un passo verso di me, irrigidendosi, ma lo precedetti.
-No dirò niente a nessuno- mi affrettai a dire. -E poi a chi dovrei dirlo, e per quale motivo? Non sono fatti miei.
Lui mi studiò per qualche lungo istante, assottigliando le labbra in una linea sottile. Probabilmente lo convinsi, poiché distolse lo sguardo.
-D’accordo- mormorò, ma vedevo benissimo che era nervoso.
Poi puntò di nuovo lo sguardo nel mio, mentre l’intensità di quegli occhi dorati mi faceva girare la testa.
-Non una parola. Decideremo quando intervenire. Per ora non possiamo fare nulla.
E poi sparì, così, all’improvviso, accecandomi con la sua luce abbagliante e lasciandomi confuso e solo tra gli alberi.
 

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Capitolo 5
*** Mi lasci! ***


I Need You:

Mi lasci!
 

   

Hogwarts, 11 marzo.


Selene proprio non riusciva a concentrarsi. Sapeva perfettamente di dover fare attenzione, ma la sua testa era da tutt’altra parte. Continuava a tormentarsi ansiosamente su Rachel e Celeste.
E se si fossero perse? E se non riuscissero a capire dove andare? E se qualcuno le prendesse in giro? In quel caso ci penserebbe Rachel a spedirlo al tappeto, ma se incontrassero dei Serpeverde? E se...
La sua sfilza di e se venne interrotta da un dolore acuto al palmo della mano.
La Corvonero sussultò, facendo una smorfia con le labbra morbide, ma non si lasciò scappare nemmeno un piccolo sospiro. Abbassò lo sguardo e si accorse del sangue che le inondava il palmo e che gocciolava sulla superficie liscia del piano da lavoro, dove fino a pochi secondi fa stava cercando di tagliare delle radici di una pianta dal nome latino impossibile da pronunciare.
Sbatté le palpebre, fissando il liquido scuro gocciolare sopra alle radici tagliate a metà, di un originario verde smeraldo. Guardò anche il coltello. La punta era bagnata da una sottile sca di sangue.
La sua compagna, al banco di fianco a lei, le gettò un’occhiata e si bloccò, il coltello a mezz’aria.
-Merda- imprecò, gettando il coltello sul tavolo e avvicinandosi a Selene, afferrandole il polso. Guardò per un secondo la mano della Corvonero, poi alzò lo sguardo color cioccolato e individuò il professor Piton gironzolare nei banchi anteriori.
-Professore!- Chiamò, e lui alzò la testa, puntando lo sguardo su di lei.
Poi il suo sguardo passò a Selene, che continuava a fissare come ipnotizzata il proprio sangue sgocciolarle lungo il polso e l’avambraccio.
Non sentiva dolore, solo fastidio al taglio, ma mentre sentiva il sangue gocciolare lentamente una vaga sensazione di nausea cominciava a stringerle lo stomaco. La vista del liquido rosso scuro le riportava alla mente un brutto ricordo.
Selene trasalì violentemente quando si sentì afferrare il braccio e alzò lo sguardo, incrociando quello nero e furioso dell’insegnante. Le parole che le stavano per uscire istintivamente dalla bocca rimasero strozzate in gola quando vide il gelo nelle iridi scure del professore.
Poteva significare solo una cosa: aveva capito.
Selene si sentì girare la testa, e quasi non prestò attenzione alle parole di Piton.
-Clarkson, maledizione! Non sai nemmeno tenere un coltello in mano?- Sbottò irritato, ma intanto guardava gli occhi grigi della ragazza iniziare a riempirsi di lacrime, e certamente non per il dolore.
Tralasciando momentaneamente quel dettaglio, abbassò gli occhi e guardò il sangue che colmava dal palmo concavo della ragazza. Un senso di nausea gli strinse lo stomaco, ma si affrettò a scacciarlo.
Afferrò la propria bacchetta e con un un incantesimo si affrettò a curare velocemente il taglio, lungo e profondo. Non lavò nemmeno la pelle rossa della ragazza. Si limitò a guardarla negli occhi e a indicarle la porta.
-Va’ da Madama Chips e dille di darti qualcosa per evitare che ti resti una cicatrice. Resta lì- aggiunse a bassa voce, e il cuore di Selene prese a battere molto più velocemente del normale.
Piton serrò la presa sul braccio della ragazza, affondando le dita nella sua carne. Selene fece una smorfia, ma lui non se ne curò.
-Capito?
-Sì professore- mormorò la Corvonero, ma senza guardarlo negli occhi, tenendo lo sguardo puntato sulla spalla ricoperta di nero dell’insegnante.
Piton la lasciò andare e Selene si sentì improvvisamente scossa dai brividi mentre faceva un passo indietro e si voltava, andando verso la porta, sentendosi sulla schiena gli sguardi di tutta la classe. Ma era solo uno che sentiva pesare come un macigno sulle scapole.
Continuò ad avere l’impressione che Piton la osservasse anche dopo che ebbe chiuso la porta e messo due piani di distanza tra loro. Numerosi ritratti la rincorsero e le chiesero che cosa fosse successo alla vista della sua mano insanguinata, ma lei non badò loro. Camminava lentamente con un grande caos nella mente. Ricordava la prima volta che si era tagliata volontariamente. Alla vista del sangue che scorreva sul braccio aveva vomitato ed era svenuta. Sua madre trovandola incosciente sul pavimento del bagno si era quasi presa un infarto.
Selene si era vergognata profondamente di quello che aveva fatto, così aveva mentito. Aveva detto che si era tagliata con un coltello e che era andata in bagno per medicarsi. Sua mamma non le aveva creduto, ma non aveva insistito. Da quel giorno non la faceva nemmeno avvicinare a qualcosa di affilato senza che ci fosse lei a sorvegliarla, ma Selene non aveva avuto bisogno di armi. Aveva la sua bacchetta.
Appena entrò in infermeria Madama Chips le venne incontro e sgranò gli occhi alla vista della mano insanguinata.
-Santo cielo, che hai fatto?-Esclamò conducendola verso il letto più vicino. La fece sedere e con un incantesimo sottovoce fece scomparire il sangue.
-Mi sono tagliata a Pozioni- disse semplicemente Selene. -Il professor Piton ha detto di darmi qualcosa per evitare che resti la cicatrice.
Madama Chips annuì e sparì da qualche parte nel suo ufficio.
Selene obbedì all’ordine di Piton di restare in infermeria, anche se avrebbe voluto nascondersi e non farsi mai più vedere da lui.
Rimase seduta a gambe incrociate sul letto. Madama Chips le tenne una silenziosa compagnia per qualche minuto, poi arrivò un ragazzino che si era praticamente rotto una gamba e sbriciolato il ginocchio cadendo dalla scopa, a lezione di volo, e fu costretta a rimanere dall’altro lato della stanza.
Selene non aveva problemi con la solitudine e il silenzio, anzi, le piacevano. Non aveva molti amici e li vedeva poco, probabilmente perché era troppo silenziosa e timida. Così rimase a osservare le mosse veloci ed esperte della Medimaga mentre sgridava e consolava il ragazzino e allo stesso tempo gli curava il lungo taglio sulla fronte.
Si voltò quando sentì le porte dell’infermeria spalancarsi e il suo cuore saltò qualche battito per poi riprendere a battere furiosamente alla vista di un torvo professore di Pozioni che camminava a grandi passi verso di lei, tenendo il suo sguardo nero fisso sul suo viso.
La Corvonero deglutì e scese lentamente dal letto.
Piton si avvicinò e non si fermò finché non fu a un paio di passi di distanza da lei.
La osservò prima in viso, che era pallido come il marmo, poi il suo sguardo scivolò sul braccio. Estrasse la bacchetta dalla tasca e mormorò un incantesimo.
Selene abbassò lo sguardo e si accorse che il sangue che incrostava la manica della sua camicia era sparito.
-Grazie- mormorò, senza guardarlo negli occhi. La risposta di lui non si fece attendere: arrivò secca e fredda come uno schiaffo.
-Siediti- ordinò Piton.
Selene obbedì. Si sedette sul bordo del letto, fissando il pavimento chiaro.
Piton rimase in piedi di fianco a lei. Incrociò le braccia e la osservò.
I capelli castani, lunghi e leggermente mossi, le scendevano oltre le spalle e le nascondevano in buona parte il viso. La schiena era curva e si tormentava le mani, posate sulle gambe.
Il professore si ritrovò infastidito dal fatto di non poterla vedere in faccia.
-Guardami.
Selene strinse la labbra, ma alzò il volto verso di lui. L’insegnante vide la paura nei suoi occhi. Non sapeva cosa aspettarsi da lui.
-Dammi il tuo braccio.
Il cuore di Selene cominciò a battere al doppio della velocità normale.
Gli porse il braccio destro, ma lui scosse la testa.
-L’altro braccio- specificò con calma, guardandola con i suoi occhi freddi e scuri.
-No- la voce della Corvonero era strozzata. Piton aggrottò le sopracciglia, facendo un passo avanti.
-Clarkson, dammi. Il. Tuo. Braccio- scandì le parole come se stesse parlando con una bambina, e vide le lacrime affiorare negli occhi della studentessa.
-Professore, la prego- Selene in quel momento si odiò. Non voleva mettersi a piangere davanti a lui, ma le lacrime premevano con troppa insistenza. Una rotolò sulla sua guancia, e si affrettò ad asciugarla con la mano.
Piton ne approfittò. Le afferrò il braccio sollevato a mezz’aria e lo tirò bruscamente a sé, tirando in piedi la ragazza, che gli premette una mano aperta sul torace per allontanarsi.
-Professore!
Non l’ascoltò. La sua presa era troppo forte perché lei riuscisse ad allontanarsi. Con un rapido movimento della bacchetta rimosse l’incantesimo che le copriva il braccio facendolo sembrare liscio e intaccato, e strinse le labbra alla vista di quello che gli si presentò davanti agli occhi.
Quattro cicatrici percorrevano l’avambraccio della ragazza. Quattro linee rosa, irregolari, più visibili dove la carne era stata tagliata più in profondità, di lunghezza variabile.
Appena quel segreto fu violato dallo sguardo del professore Selene smise di lottare. Lasciò ricadere la mano stretta agli abiti del professore lungo il fianco e si mise a fissare il proprio braccio.
Severus invece fissava lei. Il suo viso era una maschera di turbamento, dolore e rabbia. I suoi occhi grigi sembravano un mare in tempesta. Parlò senza guardarlo.
-Va bene così, professore? Non è contento? Ha ottenuto quello che vuole. Ora se ne vada. E non provi a dirlo a mia madre. Le spezzerebbe il cuore più della morte di mio padre- la voce di Selene era tremendamente fredda, ma nascondeva il dolore.
Fece per voltarsi, ma Piton serrò ancora di più la presa sul suo braccio, facendola gemere di dolore. La guardò impassibile mentre i suoi lineamenti si tenevano in preda a una smorfia.
-Mi fa male!- Protestò Selene.
-Non più di quanto te ne sia fatto tu da sola.
Severus alzò la bacchetta e per un attimo la ragazza temette il peggio, ma Piton non voleva farle male. Puntò la bacchetta sul braccio della ragazza e cominciò a mormorare un incantesimo. Selene abbassò lo sguardo e il suo cuore si fermò per qualche secondo.
Le cicatrici stavano pian piano scomparendo. La pelle pizzicava e tirava, mentre i segni rosa sparivano e la pelle tornava liscia come quando era bambina.
Restò in silenzio. Il suo petto si riempì di gratitudine, ma non la espresse. Sentiva gli occhi neri del professore sul suo volto, e sentiva anche le proprie guance andare lentamente a fuoco.
Quando il braccio tornò bianco e immacolato Severus lasciò la presa.
-Una sola volta, Clarkson- la ammonì -un’altra sola volta e giuro che lo dico a tua madre e ti metto in punizione per tutto l’anno, sia questo che il prossimo. Ora fila nella tua Sala Comune e restaci. Sei sospesa dalle lezioni per una settimana.
-Che cosa? Ma non può farlo!- Si ribellò Selene, guardandolo arrabbiata.
Severus alzò un anglo della bocca in un ghigno.
-Posso eccome. Sono il tuo insegnante e ho il diritto di farlo. Muoviti.
Lo sguardo di Piton aveva una scintilla vagamente preoccupante, perciò Selene decise che non valeva la pena di rischiare la vita e lo sorpassò senza dire una parola.
Era arrabbiata con il professore, di cui peraltro sentiva lo sguardo puntato sulla schiena mentre usciva dall’infermeria.
Non avrebbe dovuto insistere così tanto per sapere il suo segreto, usando anche le maniere forti. Nessuno avrebbe dovuto saperlo, eccetto lei. Selene s vergognava profondamente di quello che aveva causato a sé stessa, e si vergognava ancora di più del motivo per cui l’aveva fatto. Immediatamente il viso che aveva causato tutto le tornò in mente, con quel suo ghigno sarcastico e freddo. Si affrettò a scacciarlo dai propri pensieri e tornò a rimuginare su Piton mentre camminava per i corridoi, stringendosi le braccia al corpo per cercare di scaldarsi. Aveva freddo, e si era dimenticata il sobrio maglione nero nell’aula di Pozioni.
Selene sentì un’ondata di nausea al pensiero di dover trovarsi per forza faccia a faccia con il professore di Pozioni. Non voleva vederlo più fino alla lezione della settimana dopo, e possibilmente anche oltre.
Si sentiva... come se fosse nuda, davanti a lui, ora. Sapeva cose che nessun altro sapeva. Nessuno tranne... lui. Di nuovo, si ribellò alla propria mente. Non voleva ricordare chi le aveva causato tanto dolore.
Sospirando la ragazza si passò una mano sul volto. Sentì le proprie guance bollenti, e fece una smorfia infastidita. Sapeva di essere ancora rossa come un pomodoro.
Arrivò davanti all’entrata della Sala Comune di Corvonero, e risolto l’indovinello entrò.
Lo spazio ampio e familiare della sua casa le lenì i sentimenti negativi che aveva in petto. Selene stava per andare nella camera che ora divideva con Rachel quando qualcuno la chiamò dalla sua destra.
Si voltò e vide Rachel e Celeste sedute su un divanetto poco lontano dal camino, dove scoppiettava il fuoco. In quei giorni pioveva sempre, ed era piacevole starsene al calduccio raggomitolate lì vicino.
Le labbra di Selene si curvarono di qualche centimetro verso l’alto, mentre si dirigeva verso di loro. Si sedette in silenzio su un cuscinone sul tappeto, e osservò gli occhi color smeraldo di Rachel brillare nella sua direzione.
-Ma non dovresti essere a lezione?
Selene sospirò, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa Celeste la anticipò sorridendole dolcemente.
-Mi sa proprio che è successo qualcosa. Ti va di parlarne?
La Corvonero le osservò per qualche istante, poi abbassò le spalle e curvò la schien fissando il tappeto con ricami neri e blu.
-Be’... è un po’ complicato. In sostanza mi sono tagliata a Pozioni e ho avuto un... un piccolo diverbio con il professor Piton. Niente di che, comunque- scrollo le spalle, sorridendo.
Le due ragazze non erano affatto convinte dalla sua spiegazione. Vedevano perfettamente il dolore e la tristezza nascoste nelle iridi grigie della ragazza, ma non insistettero.
Ci pensò Rachel a scongelare la situazione.
-Be’... noi siamo andate un po’ in giro per il parco, però poi abbiamo rischiato di finire in pasto a un cavallo nero anoressico e...
-Un Thestral? Riuscite a vederlo?- Esclamò sorpresa Selene.
Rachel si interruppe e la guardò incerta.
-Be’, sì... perché?
-Solo chi ha visto morire qualcuno può  vederli- spiegò loro la Corvonero, notando immeditamente come si irrigidirono non appena assimilarono le sue parole.
-Ah- disse secca Celeste, cercando di nascondere il proprio nervosismo con un sorriso tirato.
Selene non chiese nulla.
Loro avevano dei segreti, e non aveva il diritto di curiosare nelle loro faccende. E viceversa.
-Comunque... vi piace Hogwarts?- Cambiò argomento, e gli occhi delle due ragazze brillarono.
-Oltre al fatto che è troppo immensa per i miei gusti, sì- sorrise Rachel.
Chiacchierarono un altro po’, ma dopo qualche minuto Celeste si alzò e si congedò dicendo di aver dimenticato un braccialetto su un muro dell’entrata della scuola. Le altre si offrirono di accompagnarla, ma lei si rifiutò sorridendo.
Una volta uscita dalla Sala Comune, però, non si diresse verso l’entrata.
Dopo aver percorso il corridoio si voltò verso un quadro dove c’era uno strano omino ce beveva vino da un calice, con il cappello di traverso e le guance rosse.
A Celeste ricordò tanto il signor D, e al pensiero una morsa di nostalgia le strinse il cuore.
-Scusatemi- chiamò, e l’uomo abbassò i vivaci occhi castani verso di lei. -Potreste gentilmente indicarmi dove sono di laboratori di Pozioni?
Così Celeste si ritrovò a seguire quel buffo omino che inciampava e seminava caos in tutti i quadri, mentre le raccontava della vecchia Guerra e del preside Silente. La ragazza si ritrovò ad annuire e sorridere senza capire nulla, a dopo qualche minuto arrivò a delle scale che portavano a dei sotterranei.
-Di lì, signorina- esclamò la sua guida, facendole un mancato inchino e ruzzolando a terra, facendole sfuggire una risatina. Rialzatosi, le strizzò l’occhio.
Celeste lo salutò cercando goffamente di fare una riverenza, poi si voltò e col sorriso sulle labbra scese le scale. I sotterranei erano bui e umidi, ma delle fiaccole illuminavano i corridoi di pietra a poca distanza l’una dall’altra.
Celeste camminava lentamente, cercando di scaldarsi strofinandosi le braccia con le mani.
Finalmente, dopo poco, intravide la sagoma di una porta.
Accelerò il passo, sollevata, ma una voce sorpresa la fermò.
-Che ci fa qui?
Celeste si voltò e vide l’alto professore di Pozioni avvicinarsi a lei. Si strinse nelle spalle, osservando il volto austero e severo dell’uomo fissarla in attesa di una spiegazione.
-Selene ha dimenticato la sua felpa e sono venuta a riprenderla. Se non è un problema- si affrettò ad aggiungere educatamente.
Gli occhi neri del professore la fissavano imperscrutabile e col passare dei secondi e del silenzio Celeste iniziò a sentirsi in ansia. Abbassò velocemente lo sguardo, un poco turbata.
I suoi occhi somigliavano tanto a quelli di...
Non pensarci, si rimproverò, non pensarci o starai ancora più male.
Tuttavia gli occhi d ossidiana di Nico le si ripresentarono in mente, e la semidea sentì una voragine scavarsi nel suo petto. I suoi occhi si inumidirono, ma si morse con forza le labbra per non lasciarsi scappare nemmeno un lamento.
-Va bene.
Il professore la riportò alla realtà, e la ragazza si ritrovò a entrare nella sua classe seguendo la sua schiena. Con un gesto della bacchetta -Celeste ancora non capiva come riuscisse a usare la magia in quel modo, ma se lei poteva creare i sogni*, allora perché no?- e un maglioncino nero volò verso di lui, sollevandosi da un banco.
Piton lo afferrò e poi lo porse alla ragazza, osservandola.
Era a disagio, ma vedeva il dolore trasparire dalle sue iridi verdi.
Celeste afferrò il maglione, poi ringraziò debolmente il professore, si voltò e corse via prima di scoppiare a piangere.



* Celeste riesce a creare e modificare i sogni, potere ereditato dal padre Morfeo.
 

🔼  🔺  🔼

 

ANGOLO DELLE CIAMBELLE CARNIVORE BLU:
Okay, premettiamo una cosa.
Amo giascali. Ma non continuerò la storia se nessuno recensisce, tanto posso mandarle i capitoli per messaggio.
Sono rimasta molto delusa dall'assensa di recensioni, insomma, ci ho messo tutta me stessa nello scorso capitolo e anche di più in questo, perciò per favore, per favore, ditemi che ne pensate.
Bastono solo anche 15 parole, non dico una roba lunga 300!
Anche perché siete in 36 che seguite questa storia.
Comunque, tralasciando il mio umore pessimo :D quiiiiii succede qualcosa.
Scopriamo qualcosa su Selene, e di molto pesante, ma badate, niente è quello che sembra. Vi ho dato un indizio, ora indovinate voi ;)
Filo via!
Un bacio!
Wanderer

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Capitolo 6
*** Non me ne frega niente ***


I Need You:

Non me ne frega niente
 


 

Campo Mezzosangue, 12 marzo.
 

Nico non aveva la più pallida idea di dove si trovasse, ma sentiva una strana morsa allo stomaco mentre guardava i prati color smeraldo estendersi davanti ai suoi occhi, sotto e attorno a un castello imponente, costruito con grosse pietre grigie.
Numerosi ragazzi -che erano in divisa, notò il semidio- passeggiavano tranquilli, chiacchierando e ridendo.
Nico si sentiva estremamente a disagio, anche se capiva perfettamente che si trovava in un sogno. Ma, si sa, i sogni dei semidei sono sempre veritieri.
Serrò la mano sull’elsa della spada, e sussultò quando il braccio di una ragazza che gli passò di fianco gli attraversò il fianco come niente fosse.
Poi, prima che potesse girarsi a guardarla, si ritrovò completamente da un’altra parte.
Era in un corridoio, probabilmente sempre all’interno di quel castello che sembrava adatto ai film horror. Stava seguendo due persone, un uomo e una donna, mentre camminavano.
L’uomo era vestito di nero, con un grande mantello che svolazzava ad ogni suo passo, e aveva anche lunghi capelli corvini. Era di spalle, perciò Nico non poteva vedere il suo volto. Era più alto di tutta la testa della donna, che era vestita con una lunga tunica color verde smeraldo. Aveva i capelli grigi raccolti in una crocchia sulla nuca e un buffo cappello a punta, nero, come quello delle streghe nei fumetti.
-...farlo- stava dicendo la donna. La sua voce era severa, ma il figlio di Ade notò una nota preoccupata in essa.
-Minerva, dobbiamo capire se rappresentano un pericolo- controbatté l’uomo. La sua voce era profonda, fredda, ma con una punta di irritazione.
A quelle parole la donna -Minerva- sbuffò sonoramente, mentre svoltavano in un corridoio.
-Severus, non sanno nemmeno come trasfigurare un accendino!
Come cosa?, Nico non aveva capito un bel nulla di quello che la donna aveva appena detto. Che voleva dire trasfigurare un accendino?
-Potrebbero essere pericolose- ribadì Severus.
I due si fermarono e l’uomo aprì la porta di quella che sembrava una classe, tenendola spalancata per far passare la donna.
Entrarono, e quando l'uomo si girò per chiudere la porta Nico vide i suoi lineamenti affilati pallidi e severi, che accompagnavano due occhi di un nero assoluto.
-Severus, dobbiamo ospitarle.
-Non sto dicendo di cacciarle, Minerva. Dobbiamo scoprire solo qualcosa in più sul loro passato. Se Celeste e Rachel...
Nico sgranò gli occhi, mentre il suo cuore perdeva un colpo. Allungò una mano verso l’uomo, facendo un passo avanti, ma all’improvviso fu costretto a chiudere gli occhi da una luce abbagliante.
 

-No!
Nico scattò a sedere, con il cuore che martellava in petto. I suoi occhi distinsero solo il buio della casa di Ade.
Niente uomo, niente donna, niente castello.
-No. No. No, ti prego. No- mormorò Nico, alzandosi di scatto.
Cercò qualche segno nella stanza. Era vuota e fredda come al solito.
Una violenta delusione gli strinse lo stomaco, mentre il dolore gli inondava il cuore.
Alzò la testa verso il soffitto, deglutendo e respirando a fondo.
Celeste. Rachel.
Nico sussultò quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Si voltò di scatto, guardando gli occhi dorati davanti a lui. Si fissarono per qualche secondo.
Entrambi erano pallidi e stupefatti.
-L’hai... visto anche tu?- Chiese Nico in un sussurro roco.
Il dio del sole annuì.
-Cosa facciamo?- La domanda di Nico cadde nel vuoto.
-Niente. Non possiamo fare niente- rispose Apollo.
Il figlio di Ade si sedette di scatto sul letto, prendendosi la testa tra le mani. Respirò a fondo, mentre il dio si sedeva accanto a lui.
-Siamo impotenti- disse con voce spenta il dio.

 

Hogwarts, 12 marzo.


Selene gemette quando le arrivò un cuscino in faccia. Aprì le palpebre, afferrandolo e spedendolo di nuovo sul letto di Rachel. A giudicare dal lamento che seguì, doveva aver centrato la ragazza in pieno.
Ridacchiò, strofinandosi gli occhi e sbadigliando. Da destra le arrivò la voce assonnata di Celeste.
-Ma che ore sono?
Sbadigliando di nuovo la Corvonero voltò la testa e vide l’orologio sul suo comodino. Strizzò le palpebre, cercando di leggere.
-Le... nove e un quarto- mormorò, passandosi una mano tra i capelli.
-Ma tu non devi andare alle lezioni?- Selene scoppiò a ridere nel vedere Rachel sedersi di scatto, i ricci aggrovigliati in una matassa color fuoco che le cadeva davanti agli occhi verdi, sgranati.
-Piton mi ha sospesa per una settimana- mormorò, sbadigliando.
La sera prima erano andate a dormire davvero tardi, e tutte quante erano ancora assonnate.
-Che cosa?!- Celeste si mise seduta, incrociando le gambe e fissandola con gli occhi sgranati.
-E perché?
Selene si sentì stringere il cuore, ma si limitò a scrollare le spalle.
-Gli ho risposto male, ieri. Molto male- inventò, e Rachel la guardò inarcando un sopracciglio color fuoco, prima di sbadigliare.
-Ah be’- biascicò, saltando giù dal letto -contenta tu.
Con un sospiro, anche Selene e Celeste si sottrassero di malavoglia alle coperte calde.
Si vestirono in fretta, prima di scendere nella Sala Comune, deserta.
Anche la Sala Grande lo era, ma quando provarono ad affacciarsi al suo interno videro un’elfa domestica affaccendarsi attorno a un angolo del tavolo dei Corvonero. Selene sorrise, bussando lievemente sul pesante portone in legno, e l’elfa si voltò.
-Signorina Selene- trillò, sgranando i suoi occhioni chiari.
-Ciao Gabby- sorrise la ragazza, sgusciando nella Sala. Vederla così vuota era molto strano.
-Gabby ha preparato la colazione alle signorine- cinguettò l’elfa, sorridendo in risposta alla risatina di Selene.
Grazie mille, Gabby.
-Se signorine hanno bisogno di qualcosa, chiamano Gabby- rispose la piccola elfa, inchinandosi profondamente in direzione delle tre e sparendo con uno schiocco.
-Accidenti- disse Rachel, impressionata, dopo qualche secondo.
-Che... chi era?- Si corresse Celeste, sedendosi di fianco all’amica.
Selene si accomodò davanti a loro, versandosi nel bicchiere il succo di zucca.
-Si chiama Gabby, ed è una degli elfi che puliscono e cucinano qui- spiegò loro.
Rachel sgranò i suoi occhi color smeraldo, addentando una fetta di torta al cioccolato. Le sue lentiggini davano un’aria allegra al suo viso perplesso.
-Ma gli elfi non erano tizi alti, belli, con orecchie a punta, che tirano con l’arco come quello del Signore degli anelli? Che poi non è che sia così carino.
Celeste le tirò una gomitata, scoccandole un’occhiataccia fulminante.
-Taci!- Esclamò, offesa -Guarda che Legolas è strafigo.
-Più di una certa mia conoscenza?- Ridacchiò Rachel.
Selene alzò le sopracciglia, mentre un sorriso malinconico spuntava sulle labbra di Celeste.
-Hai un ragazzo?
Celeste la guardò con i suoi splendidi occhi verdi, pieni di incertezza e nostalgia. Selene si sentì stringere lo stomaco dal dolore che scorse in quei pochi secondi in quelle iridi smeraldine.
-Sì- mormorò esitante. -O almeno ce l’avevo prima di finire qui.
Rachel abbassò gli occhi sul suo piatto, pieno di torta e crostate di tutti i tipi. Selene invece aveva solo preso due muffin.
-Come si chiama? Cioé, se non vuoi parlarne...
-No, no- la interruppe la ragazza, sforzandosi di sorridere -va bene. Si chiama Nico, Nico Di Angelo- aggiunse dopo qualche istante.
-Quanti anni ha?- Selene detestava la propria bocca, che aveva deciso di parlare senza permesso.
-Uhm... dic... diciotto, giusto? O diciannove?- Celeste si girò verso Rachel, che mimò con le dita diciotto, dato che aveva la bocca piena e assomigliava incredibilmente a uno scoiattolo.
-E tu quanti ne hai?- Chiese curiosa Selene.
Celeste arrossì lievemente, inzuppando nel caffellatte una brioches alla crema.
-Diciassette compiuti da poco- mormorò. Poi la guardò curiosa, spostandosi una ciocca castana dietro all’orecchio. -Tu?
-Diciassette da qualche mese. Come te- Selene sorrise lievemente, poi spostò l’attenzione su Rachel.
Rispose prima che potesse aprire bocca.
-Non ti dico quanti anni ho, scordatelo- le fece la linguaccia e la Corvonero scoppiò a ridere, seguita a ruota dalle altre.
Tuttavia quell’attacco di ilarità, che sanciva una neonata amicizia, venne interrotto dal rumore della porta della Sala Grande che sbatteva. Le tre ragazze sussultarono, voltandosi di scatto.
Piton le fissava più arcigno del solito, una ruga che gli solcava la fronte.
Dopo qualche istante concentrò la sua attenzione sulla Corvonero.
-Clarkson, vieni con me immediatamente- disse con la sua solita voce gelida, osservando il viso della studentessa sbiancare all’improvviso.
Senza nemmeno usare la Legilimanzia capì che aveva paura che avesse rivelato dei tagli a sua madre. In nemmeno dieci secondi Selene fu accanto a lui, pallida come non l’aveva mai vista. Gli occhi di Severus corsero per un attimo all’avambraccio della ragazza, protetto però dal suo sguardo dal maglione grigio.
Senza dire nulla si voltò e uscì dalla Sala Grande. Lei lo seguì, cercando di nascondere il tremore delle mani allo sguardo acuto del professore, ma senza riuscirci. La Corvonero aveva cominciato a sudare freddo, il suo cuore batteva a mille. Piton le aveva promesso che non avrebbe detto nulla a sua madre. Non poteva averlo fatto.
Aveva superato l’autolesionismo, anche se in realtà non era mai stato “auto”. C’era sempre lui che la costringeva...
Come sempre, Selene si affrettò a scacciare il ricordo della sua faccia. Non voleva ricordarlo mai più, non dopo tutto quello che le aveva fatto.
Quando furono al secondo piano, al riparo da orecchie indiscrete, Piton si fermò così di scatto che Selene rischiò quasi di andare a sbattere contro la sua schiena. Incespicò nei propri piedi, e quando rialzò lo sguardo vide il professore che la fissava.
-Dammi il braccio- le ordinò con voce fredda.Selene si morse il labbro, aggrottando le sopracciglia, mentre l’irritazione affiorava nel suo petto.
-Non mi sono tagliata- replicò, stringendosi il braccio contro lo stomaco.
Piton assottigliò le palpebre, fissandola minaccioso.
-Clarkson, venti punti in meno a Corvonero. Se non mi fai vedere quel dannato braccio ne tolgo altri cento e ti metto in punizione. Senza contare, ovviamente, che dirò a tua madre quello che hai fatto.
Selene sentì le guance arrossarsi e lacrime amare pizzicarle gli occhi, ma riuscì a ricacciarle indietro. Piton non si fidava, ma non era questo il punto. Non voleva che l’insegnante entrasse nella sua vita, nemmeno preoccupandosi per la sua salute. Stava benissimo, e voleva che lui rimanesse soltanto il cinico, bastardo professore di Pozioni.
Severus aveva visto quelle lacrime nascere timidamente negli occhi della studentessa, ma non aveva battuto ciglio. Stava ancora aspettando con la mano tesa in avanti e l’altra stretta alla bacchetta, nella tasca della tunica nera.
Lentamente Selene gli tese il braccio.
Il professore lo afferrò e con un gesto veloce scostò il tessuto che ricopriva la pelle. I suoi occhi esaminarono il braccio con estrema accuratezza, ma non trovarono nulla, e non sentiva nessun incantesimo sotto alle dita che stringevano la pelle calda della ragazza.
Intimamente sollevato, la lasciò andare, osservandola tirare giù la manica in tutta fretta.
-L’altro- Selene sollevò lo sguardo verso di lui, sorpresa. Per un attimo Severus si immerse in quello sguardo cupo e tempestoso.
Con gesti veloci, meccanici, Selene si tirò su l’altra manica del maglione e inclinò il braccio i avanti, in modo che la luce colpisse bene la pelle, evidenziando il suo candore e la compattezza. Niente cicatrici, niente cerotti né tagli.
-Va bene, così, professore?- Le parole di Selene erano più taglienti e fredde di schegge di ghiaccio, ma Severus non ne fu turbato. Si limitò a scoccarle un’occhiata di ammonimento.
-Cinque punti in meno a Corvonero- borbottò, voltandosi e bloccando sul nascere le proteste della studentessa -chiudi il becco e muoviti, Clarkson.
Selene si morse a sangue il labbro per non rispondergli, conscia che così avrebbe perso gli ultimi cinque punti che aveva guadagnato ad Erbologia l’ultima lezione, e lo seguì. Non capiva dove stessero andando, ma cominciò a preoccuparsi quando capì che la stava portando in infermeria. Perché? Cos’era successo? Non si arrischiò a fare domande, sapeva che le avrebbe risposto malamente, e poi non era sicura di volerlo sapere.
Fissava insistemente la schiena nera del professore, che avvertiva chiaramente il peso del suo sguardo assente.
Dopo qualche minuto giunsero davanti alla porta dell’infermeria.
Piton la spalancò con un gesto repentino della bacchetta, rallentando. Si voltò e osservò la Corvonero, che fece saettare lo sguardo su di lui, perplessa.
-Non...
Selene si zittì quando Severus alzò un braccio, e seguì la direzione della sua mano. Impallidì quando vide Madama Chips e la preside McGranitt in piedi di fianco a un letto. Un letto dove era disteso il battitore della squadra dei Serpeverde, alias James Watson, migliore amico di Selene.
Quasi intuendo la sua presenza, il ragazzo voltò la testa, e la studentessa si sentì assalire dalla nausea.
James aveva il volto gonfio, rosso, un livido viola appena sotto allo zigomo. Sembrava essere appena uscito da un incontro di wrestling con un lottatore di duecento chili.
-Cos’è successo?- La voce che uscì dalle labbra della ragazza non sembrava affatto la sua.
-Te lo spiegherà lui- le rispose il professore, osservando attentamente la sua espressione.
Senza più degnarlo di uno sguardo Selene si avvicinò rapidamente al letto. Non appena la vide la McGranitt le sorrise debolmente, lasciandole il posto accanto al Serpeverde.
James provò a sorridere, ma il suo sorriso si tramutò presto in una smorfia di dolore.
-Che hai fatto?- Mormorò Selene, guardando con le sopracciglia corrugate il volto pesto dell’amico.
Lui fece una smorfia.
-Sai, non è così che dovresti ringraziarmi- scherzò.
-Per cosa?- Selene sentiva gli sguardi di Piton, della McGranitt e di Madama Chips sulla sua  schiena.
-Sai che ero dai miei, giusto?
La ragazza annuì, incrociando le braccia.
-Be’, sono andato in giro a chiedere del tuo vecchio amico, Jason Brown- la Corvonero sentì il sangue gelare nelle vene. Immediatamente il suo cuore accelerò le pulsazioni, mentre un velo di ricordi si frapponeva tra i suoi occhi e il viso di James.
 

-Avanti. Fallo.
La lama premeva sulla sua pelle. Il suo cuore batteva a mille nel sentirne il gelo.
-Fallo.
I suoi occhi erano orribili. Freddi, cupi, ghignanti.
-Fallo!
L’aveva fatto. Aveva avuto paura. Il dolore era esploso. Il sangue aveva cominciato a scorrere.
Era svenuta. Aveva fatto in tempo a sentire la sua risata vittoriosa e le sue mani che l’afferravano prima di accasciarsi sul pavimento freddo del bagno.
Si era chiesta, prima che l’oblio la catturasse, perché.

 

-Jason non è mio amico. E non dovevi andare a cercarlo- disse dura.
James inarcò un sopracciglio, pentendosene subito dopo con una smorfia.
-Ah, volevo solo dei chiarimenti, non sono stato io quello che ha cominciato a fare a botte. Comunque, voleva che ti portassi un messaggio.
-Puoi benissimo tenertelo, non m’interessa- ribatté Selene, facendo un passo indietro, ma la mano di James si  strinse sul suo polso. Selene si fermò, stringendo le labbra. Per quanto fosse incazzata con lui, non avrebbe mai potuto tenergli il broncio se era in quelle condizioni. Soprattutto quando si era fatto pestare per lei.
-Mi ha detto di dirti che gli dispiace.
Il cuore di Selene si fermò per qualche secondo. Sentì delle lacrime appannarle gli occhi ma si costrinse a ricacciarle indietro, notando che Piton la stava fissando intensamente.
-Non me ne frega niente- disse con calma.
Si liberò dalla presa di James e uscì dall’infermeria.
 

Hogwarts, 13 marzo.
 

-Tu hai capito qualcosa?
Minerva sembrava esausta, molto più del solito. Severus strinse le labbra, ben sapendo che se avesse detto di no lei si sarebbe insospettita, e se avesse detto di sì avrebbe di sicuro capito qualcosa.
Ma la sua espressione, solitamente così gelida e impassibile, dovette tradirlo, poiché le sopracciglia di Minerva si corrugarono così tanto che quasi si toccavano.
La preside si sporse sul tavolo, appoggiando i gomiti sul legno. Le maniche nere le ricaddero attorno ai gomiti.
-Severus.
Il professore di Pozioni sospirò, afferrando la bacchetta dalla tasca e facendo apparire una bottiglia di whisky incendiario.
-Ho guardato nella mente della ragazza- disse controvoglia. Dallo sguardo dell’amica trapelava la disapprovazione più totale, ma non lo interruppe. Come lui, era stanca di quella storia -Celeste, Rachel, e la storia misteriosa di Selene- e voleva farla finita con tutti i segreti che la Corvonero e le sue amiche si portavano addosso.
-Sapevi che era autolesionista?
Gli occhi di Minerva si spalancarono così tanto che, se la situazione non fosse stata così seria, Severus sarebbe perfino stato tentato di ridere.
-Ma c’era il ragazzo... quello che ha fatto a botte con Watson che la incoraggiava. Non so per quale motivo.
Sospirando, Minerva inghiottì quasi tutto il bicchiere di whisky, poi guardò il fondo del bicchiere.
-Sto per chiederti un favore enorme, Severus- disse lentamente.
L’insegnante si mise seduto più dritto, sospettoso.
-Devi riuscire a far fidare la signorina Clarkson di te.
Se non l’avesse conosciuto bene, Minerva non sarebbe affatto stata così certa che Severus non avrebbe preso la bacchetta e le avrebbe lanciato contro una delle Maledizioni Senza Perdono. Bastò il suo sguardo, però, a farla vacillare per qualche attimo.
-Voglio capire la sua storia, voglio capire quella ragazza. Non voglio rischiare di dire a sua madre che sua figlia si è suicidata tagliandosi le vene.
E così, Severus si era ritrovato a tenere d’occhio quella dannata Corvonero. L’aveva osservata con Rachel e Celeste, quando andava a trovare James, aveva monitorato ogni suo passo e ogni suo respiro.
Un giorno, dopo la fine della lezione di Pozioni, Selene aveva aspettato ad uscire, raccogliendo le sue cose con tanta lentezza che alla fine era toccato a Severus sbottare e dirle di uscire
A quel punto lei aveva piantato gli occhi color tempesta in quelli di lui.
-Se non l’ha ancora capito, professore- disse con rabbia -non ho intenzione di uccidermi o di tagliarmi ancora. Se anche fossi tentata basterebbe il pensiero di mia madre a fermarmi. Perciò la smetta di controllarmi!
Severus aveva sentito un’ondata di rabbia scuoterlo da capo a piedi, e in pochi secondi si era ritrovato a torreggiare sopra a quell’impudente ragazzina, che si era ritratta senza perdere la scintilla di sfida nello sguardo.
-Se non ti fosse chiaro, Clarkson- sibilò l’insegnante, trattenendo a stento la voglia di lanciarle qualche maledizione -non sto controllando te. Per quanto ne sappiamo, quelle con cui vai in giro potrebbero essere tranquillamente delle criminali, e per quanto sembri ridicola l’idea, Minerva non vuole correre rischi. Perciò togliti dalla testa qualunque assurda idea che riguardi una mia morbosa attenzione verso di te ed esci da questa classe prima che ti lanci una fattura addosso.
Selene aveva scrutato l’insegnante negli occhi per qualche secondo, prima di afferrare la borsa e mettersela in spalla, dirigendosi verso la porta senza più pronunciare una parola.
-E comunque- disse, una volta giunta sull’uscio, mentre Severus si voltava accigliato verso di lei -avrebbe dovuto alzare il voto a Felix. L’altro giorno ha fatto una pozione perfetta.
Severus non ebbe nemmeno il tempo di togliere punti a Corvonero, perché subito dopo la studentessa sparì.


🔼  🔺  🔼

 
ANGOLO DELLE CIAMBELLE CARNIVORE BLU:
Buongiorno a tutti! ^^
Sì sì sì! Lo so, sono in ritardo :(
Ma ho scritto già anche il prossimo capitolo quindi aggiornerò regolarmente :) e poi lo sapete, ho avuto l'interrogazione di greco l'ultima ora dell'ultimo giorno... ma ditemi un po'!
Il lato positivo è che non mi darà il debito :D
Allora, che ve ne pare? Qui Sev inizia a tenere d'occhio Sel, cosa che lei sembra non gradire molto...
Ditemi che ne pensate, scusatemi ancora per il ritardo, chiedo umilmente perdono *si inginocchia e piange come una fontana*
Ora però vado! A scrivere, naturalmete ;D
Baci!
Anna
P.S: Anche da foi fa un caldo torridoo? Dei, non ce la faccio piùùùùùùùù!! O.O

 


 

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Capitolo 7
*** Pioggia ***


AVVISO:
In questo capitolo e nel prossimo saranno presenti scene dove ci sarà sangue. Se non volete leggere saltatele, ma dubito che poi capirete qualcosa.
Se offendo qualuno non è mia intenzione, davvero, ma penso che tutti possano leggere senza rimanere turbati.
Non metterò quest'avviso, non più, perché in questa storia c'è una ragazza con problemi di "autolesionismo" però non ci saranno scene esplicite.


 

I Need You:

Pioggia
 



 

Hogwarts, 18 marzo.
 

Severus era seduto davanti al camino, il volto pallido illuminato dal bagliore mutevole delle fiamme. Accanto a lui, sul tavolo in mogano del suo studio, c’era una bottiglia di whisky incendiario e un bicchiere mezzo pieno. Era da tempo che se ne stava lì, a fissare il fuoco, e i suoi occhi scuri cominciavano a risentire dell’effetto della luce troppo intensa.
In quei due giorni il suo umore era precipitato da normalmente cupo a disperatamente terrorizzante. Se avesse continuato così per tutta la settimana probabilmente avrebbe raggiunto il numero di punti sottratti alle case dell’anno prima. Per non parlare delle punizioni.
Severus si era vendicato sulla Clarkson, ma assegnarle compiti aggiuntivi o punizioni per qualsiasi e forse inesistente pretesto non l’aveva fatto sentire minimamente meglio. Da quando se n’era andata sbattendo la porta... be’, aveva sentito tutta la rabbia che aveva represso per anni tornare a galla. Solo per un semplice sguardo. Però quegli occhi grigi l’avevano ferito intimamente, anche se Severus non l’avrebbe mai ammesso.
All’improvviso un bagliore che non c’entrava nulla con quello delle fiamme lo accecò. Scattò in piedi, mentre istintivamente sfoderava la bacchetta, ma quando sbatté le palpebre vide solo il patronus argenteo di Minerva a poca distanza da lui.
Il gatto dondolava lentamente la coda nell’aria, fissandolo con quei suoi grandi occhi d’argento. Per un momento si fissarono in silenzio, poi l’animale aprì la bocca e la voce di Minerva raggiunse le orecchie del professore.
“Severus, nel dormitorio di Corvonero, presto! Nella stanza di Selene, Celeste e Rachel, ho bisogno di te ORA!”
Severus non aspettò nemmeno che la gatta finisse di parlare. Con un’imprecazione, senza nemmeno curarsi di afferrare il mantello, fece un giro su sé stesso e con un sonoro crack! sparì dalla stanza.
 

Quando apparve illeso nella stanza del dormitorio i suoi occhi registrarono un’immagine scioccante a dir poco, ma Severus aveva i nervi temprati dagli anni passati a fare il doppio gioco con Voldemort. Si concesse solo un secondo di sbigottimento, poi scattò verso il letto più vicino. Si ritrovò a fissare il volto esangue della Clarkson.
Con un ringhio afferrò le coperte e le lanciò ai piedi del letto. Non si curò del fatto che la studentessa indossasse soltanto una maglia che le arrivava alle ginocchia, ma i suoi occhi corsero alle sue braccia. Stavolta non era solo il sinistro: entrambi erano solcati da tagli rossi, profondi, da cui sgorgavano rivoletti di sangue che avevano già macchiato le lenzuola candide. Senza particolare pudore, imprecò pesantemente, anche se sentiva gli occhi chiari della ragazza su di lui. Un moto di rabbia gli stringeva lo stomaco, in un miscuglio di delusione, stupore e amarezza.
Reagendo quasi d’istinto afferrò le coperte che aveva gettato più in là e ne strappò un pezzo, premendolo poi sulle ferite con forza. Non si curò di essere delicato: la Clarkson meritava quel dolore. Aveva promesso che non si sarebbe più tagliata, ora invece era in un letto letteralmente bagnato di sangue.
-Professore...- la voce flebile e roca di Selene gli fece alzare gli occhi.
Quelli della Clarkson erano pieni di lacrime, le iridi grigie lo stavano pregando. Di cosa, non ne aveva idea. Abbassò lo sguardo e tolse le coperte dalla pelle della ragazza. Mormorò un incantesimo di guarigione, passando la punta della bacchetta sul braccio e seguendo il profilo dritto dei tagli. Non aveva avuto dubbi, a quanto pareva.
La pelle e la carne si ricucivano velocemente, ma intanto la Corvonero perdeva sangue anche dall’altro braccio. Non appena ebbe richiuso l’ultima ferita Severus afferrò il polso sinistro della studentessa. Ebbe un tuffo al cuore sentendo il battito debole nell’intrico di vene azzurrognole sotto alla pelle, ma non si distrasse. Ricordandosi di avere la bacchetta in mano fece sparire tutto il sangue, che ormai cominciava a seccarsi, dal braccio pallido di Selene, poi ripeté lo stesso procedimento di poco prima.
In poche manciate di secondi aveva finito.
-Professore- tornò a guardare Selene.
Stavolta piangeva davvero, ma la sua voce era ferma, seppur debole. Fissava le mani dell’insegnante con orrore.
Severus abbassò lo sguardo e le vide macchiati di quel liquido color rosso scuro. Anche le maniche della camicia bianca che indossava erano sporche, e impassibile le arrotolò fino ai gomiti.
Gettò un’ultima occhiata alla Corvonero, che lo fissava seduta sul letto. Era tremendamente pallida, e si stringeva le mani attorno alle cosce nude. Severus distolse immediatamente lo sguardo, rendendosi conto di star guardando una studentessa mezza nuda.
Con un gesto della bacchetta fece apparire dei jeans a mezz’aria, poi si voltò. Sentiva lo sguardo della studentessa sulla sua schiena, ma si sforzò di non farselo pesare.
I suoi occhi scuri individuarono Minerva. Era accanto al letto di Rachel... e accanto a lei c’era Celeste. Stavano discutendo, mentre la ragazza si parava davanti all’amica, sdraiata.
-SE NE VADA!- Severus si chiese come diamine aveva fatto a non sentire le grida di Celeste fino a quel momento.
Minerva guardava la ragazza irata, con uno scintillio pericoloso negli occhi e le labbra serrate.
-Sono la Preside...
-PER FAVORE, ANDATE VIA! USCITE TUTTI QUANTI!- Severus vide Celeste afferrare Minerva per un braccio, e per un attimo scorse la disperazione nei suoi occhi verdi.
-Per fav...- nessuno fece in tempo a dire o fare nient’altro.
Severus si rese conto che Selene gli si era affiancata, ma all’improvviso i suoi occhi e il suo cervello registrarono soltanto che Rachel si era sollevata in aria.
Celeste si voltò, cadendo in ginocchio e stringendosi le mani alla testa.
I ricci color fuoco della ragazza galleggiavano come se fossero immersi nell’acqua. Poi aprì le palpebre, e Severus afferrò Selene per il fianco, mettendole un braccio davanti e alzando la bacchetta.
Gli occhi della ragazza erano verdi, ma non del solito verde smeraldo.
Le iridi brillavano nella semioscurità, così come una luce spettrale fuoriusciva dalla bocca socchiusa. Quando parlò, era come se ci fossero tre o più Rachel che parlavano. I presenti sentirono la sua voce rimbombare nella loro mente, oltre che nell’aria.
“Ascoltate l’Oracolo di Delfi, portavoce di Febo Apollo:
Non avete scelta, combattere sarà il destino.
L’angelo nero morte e dolore patirà,
la figlia dei sogni far nulla potrà.
Se il mare e il fuoco si ribelleranno
il dio e il sole periranno.
Sofferenza eterna sarà
per chi, inerme, guardare dovrà.
Il lupo e l’aquila salvezza troveranno,
gli spettri del Re morte spargeranno.
Se il castello cadrà, rovina e massacro si compirà,

se sangue e magia si uniranno, tutti, forse, sopravvivranno.
Severus si sentì ghiacciare dentro. Ma Rachel... o quella cosa che aveva preso il suo corpo, non aveva finito. Spostò il volto, reso inquietante dalla luce spettrale che contrastava con i lineamenti dolci della ragazza. Severus capì che stava guardando Selene, e serrò i denti.
“Il tuo cammino non sarà facile, figlia della luce. Ma se ti fiderai potrai donare vita e calore, amore e dolcezza. Se odierai, condannerai te stessa e chi ti sarà vicino. Non sprecare l’occasione che le Parche ti hanno concesso. Non sei morta per la loro misericordia, ma non accadrà ancora. La tua vita è preziosa, ricordatene.”
Un silenzio assoluto calò nella stanza. Poi Rachel -il suo corpo- si accasciò sul letto, di nuovo.
Né Selene, né Severus e né Minerva si mossero. I loro occhi fissavano la ragazza dai capelli rossi, increduli, sbigottiti, confusi ma, soprattutto, impauriti.
Celeste invece era ben sveglia. Scattò in avanti, afferrando la ragazza per le spalle e scuotendola.
-Rachel! Oh dei, Rachel svegliati!
Minerva fu la prima a riprendersi dallo shock. Si avvicinò e con un’espressione più seria che mai scostò Celeste dal corpo svenuto dell’amica. Puntò la bacchetta sul suo petto e mormorò un incantesimo che Severus non sentì.
Subito dopo Rachel aprì gli occhi e urlò. Severus sussultò, mentre Celeste si impossessava prepotentemente del posto più vicino alla ragazza e la stringeva al petto mentre lei iniziava a piangere.
A quel punto, anche Severus si riprese abbastanza da notare che Selene non era più al suo fianco. Si voltò e la vide pochi passi più indietro che fissava il proprio letto macchiato di sangue, per poi abbassare lo sguardo sulle braccia.
-Non sono stata io- solo Severus sentì il suo sussurro. Aggrottò le sopracciglia, mentre la studentessa si girava verso di lui e lo guardava trattenendo a stento le lacrime.
-Non sono stata io- ripeté.
 

🔼  🔺  🔼
 

Selene era seduta sulla poltrona che solo qualche ora prima era occupata da Severus. Stava tremando violentemente, stringendosi le braccia al corpo. Il fuoco acceso e ardente nel caminetto non bastava per farle scivolare di dosso lo shock di quello che era successo poco prima.
Era da un’ora che stava aspettando che Piton tornasse nel suo studio, dove l’aveva confinata... non prima di aver fatto sparire tutti gli oggetti affilati presenti con un colpo di bacchetta e averle requisito la sua. A quel gesto Selene aveva sentito una voragine scavarsi nel petto.
Non era stata lei a tagliarsi. Aveva giurato che non l’avrebbe fatto mai più, e così era stato. Sapeva solo che si era svegliata con Piton chino su di lei, la familiare sensazione del sangue che sgorgava dai tagli, che bruciavano terribilmente.
Ma non era stato il sangue a terrorizzarla. Era stato Piton. Quando l’aveva visto così vicino... aveva sentito un brusco terrore farsi strada dentro di lei. Poi però lui aveva preso a guarirla. Forse non si era nemmeno accorto che era sveglia finché non aveva parlato.
Selene inspirò profondamente, stringendo le gambe al petto e appoggiando il mento sulle ginocchia. Non capiva. Anche quello che era successo a Rachel continuava a ritornarle in mente, a turbarla ogni volta che risentiva quella voce rimbombante e rivedeva gli occhi illuminati di verde.
Deglutendo si ripeté per la centesima volta di non ripensarci e concentrarsi sul calore del fuoco.
La maglia era decisamente troppo leggera, e man mano che i secondi passavano la Corvonero sentiva le proprie dita diventare ancora più fredde. Le strinse contro l’addome, chiudendo gli occhi e posando la fronte sulle ginocchia. Tra i vari sentimenti che le turbinavano nel petto c’era anche il senso di colpa. Si era rifiutata di parlare con chiunque, anche Vitious. Il mago l’aveva raggiunta presto saltellando come suo solito, ma guardando quegli occhi così gentili Selene aveva rischiato di scoppiare a piangere. Non sarebbe mai riuscita a raccontare di nuovo una parte della sua storia, dell’autolesionismo. Preferiva gli occhi d’ossidiana di Piton. Neri. Duri. Inflessibili. Astiosi.
Preferiva il disprezzo alla compassione. Non meritava altro.
Un singulto soffocato le fece tremare il petto mentre ricordava.
Dopo i baci era venuta la lama. Gliel’aveva messa in mano.
“Fallo” le aveva detto. L’aveva fatto.
Non aveva vomitato quella volta mentre lui la baciava, immergeva le dita nella piccola striscia di sangue.

Selene trasalì violentemente quando sentì qualcosa di morbido posarsi sulle sue spalle. Si tirò indietro di scatto, premendo la schiena contro lo schienale del divano. La paura le attanagliava il petto. Solo dopo qualche secondo si rese conto che erano gli occhi neri di Piton che la stavano fissando, non quelli chiari di Jason.
Abbassò lo sguardo e notò che Piton stringeva in mano il suo mantello nero. La manica della sua camicia candida era ancora macchiata di rosso. Senza parlare, il professore tese più lentamente la mano verso di lei, che afferrò esitante il mantello. Era nero e morbido. Se lo mise sulle spalle, avvolgendosi dentro alla stoffa. Profumava di muschio.
Piton si sedette accanto a lei, a debita distanza, senza fissarla. Selene gliene fu grata, dato che poté asciugarsi le lacrime che aveva pianto inconsapevolemente. Una volta finito strinse forte nei pugni il mantello, rannicchiandosi. Stava già cominciando a scaldarsi, e il profumo di muschio aveva un effetto rilassante.
-Spiegami.
Quell’unica parola le arrivò dritta al petto come un pugnale di ghiaccio. Sentì un dolore sordo risuonare in tutte le vene.
Deglutì.
-Non sono stata io a tagliarmi.
Avrebbe voluto parlare con più forza, ma i suoi polmoni non sembravano contenere abbastanza aria. Era solo poco più di un sussurro, ma sentì comunque Piton irrigidirsi.
-E chi sarebbe stato?
Selene scosse la testa, stringendo più forte il mantello.
-Non lo so- ebbe la disgraziata idea di guardarlo. Lui la stava già fissando.
-Io... io so solo che mi sono svegliata con lei sopra di me- distolse lo sguardo, guardando da tutt’altra parte, mentre arrossiva. -Mi stava curando le... i tagli, però... non so come... non sono stata io!- Sbottò alla fine.
Piton restava in silenzio. Forse era stata una pessima idea rifiutarsi di parlare con Vitious.
Dopo qualche secondo il professore si alzò e si diresse verso la scrivania. Selene lo guardò ansiosa, mentre con gesti lenti apriva un cassetto e ne tirava fuori un contenitore strano. Era come un vaso di pietra, ornato di rune.
Piton lo posò sulla scrivania, per poi voltarsi verso di lei e guardarla intensamente con i suoi occhi neri.
Si avvicinò lentamente, la bacchetta in mano. Selene cercò di non puntare lo sguardo sulle macchie di sangue che orlavano la sua camicia.
-Se ciò che mi stai dicendo è la verità- disse, perfettamente calmo -devi dimostrarmelo.
Lei alzò lo sguardo sul suo viso pallido, esaminando i tratti affilati ed eleganti del suo volto.
-Come?
L’insegnante alzò la bacchetta e istintivamente la Corvonero si ritrasse. Se Severus lo notò non sembrò darvi peso.
-Devi farmi vedere i tuoi ricordi.
Selene lo fissò per qualche secondo. Era imperturbabile, come al solito. Lei invece era sicura di essere piuttosto pallida. Se non le credeva... forse quella poteva essere la volta buona.
Annuì, alla fine, e si alzò in piedi. Piton si avvicinò finché non furono a pochi centimetri di distanza. Con delicatezza le posò la punta della bacchetta sulla tempia, rassicurandola senza parlare, con i suoi occhi scuri.
Dopo qualche istante ritirò la bacchetta... solo che un filamento argenteo, né solido né vaporoso, la seguì. In silenzio si voltò e lo immerse nel bacile.
Si voltò a fissare la studentessa.
-Vieni qui.
Obbedì e si affiancò a lui. Le afferrò la mano stretta ancora al mantello e la sollevò insieme alla propria. Una scossa percorse il braccio di Selene, mentre una sensazione pungente le stringeva lo stomaco. Senza dire nulla Piton immerse le loro mani unite nella sostanza all’interno del bacile, argentea. Pochi secondi dopo sentirono un violento strattone all’ombelico e vennero risucchiati dentro.
Selene cadde in piedi su una superficie ben conosciuta. Piton atterrò al suo fianco pochi istanti dopo.
-Ma che...- la ragazza si voltò verso Piton, ma lui si portò un indice alle labbra facendole cenno di tacere. Lei si morse la lingua per non insultarlo e si voltò nuovamente. Era nella sua camera.
Il letto era di fianco a lei... con lei dentro?
E’ una riproduzione, capì all’improvviso.
Più tranquilla incrociò le braccia sullo sterno e rimase a guardare. Cercò di non arrossire quando si rese conto che la lei che dormiva nel letto non era coperta dalle lenzuola e le si vedevano le gambe.
Piton è il tuo insegnante, stupida. Smettila di imbarazzarti. Sa perfettamente come comportarsi.
La Selene della riproduzione dormiva sul fianco, un braccio che cadeva oltre al bordo del letto. Passarono svariati secondi nei quali la sosia rimase immobile. Poi Selene intravide uno scintillio nell’aria sopra di lei, e all’improvviso il volto della ragazza finta si congelò. Smise perfino di respirare.
-Cosa...- cominciò a chiedere Selene, ma si interruppe mentre la punta di un coltello affondava nel braccio della sosia. Indietreggiò di scatto, tenendo premuta una mano sulla bocca, e andò a sbattere contro un petto. Sentì Piton che l’afferrava e le stringeva saldamente la spalla.
Si rifiutò di guardare ancora. Qualcuno le aveva fatto uno scherzo e con un incantesimo di disillusione le aveva tagliato le braccia. Le lacrime cominciarono a colare dagli occhi, ma all’improvviso un gemito proveniente da destra la distrasse.
Rachel -quella finta- aveva preso a tremare violentemente e a gemere.
Pochi secondi dopo Selene sentì la voce di Celeste imprecare violentemente. Si stupi. Non l’avrebbe mai detto. La Celeste dei ricordi saltò fuori dal letto, una maglia nera e i pantaloni della tuta come pigiama, e corse verso il letto di Rachel.
-Porca puttana- sibilò. Si guardò disperatamente attorno. -L’ambrosia, mi serve l’ambros...
Poi il suo volto si congelò, e pochi secondi dopo un grido allarmato le sfuggì dalle labbra.
-Selene!
La vera Corvonero fece in tempo a vedere che Celeste correva verso la lei che dormiva prima che l’immagine si dissolvesse.
Ma un’altra prese rapidamente forma, e si sentì morire.
Quello era il bagno di casa sua, e lei era sdraiata sul pavimento, in mano una lametta di ricambio per il rasoio che suo padre usava per farsi la barba. La Selene dell’immagine piangeva china su sé stessa, i polsi scarlatti.
Quella vera sentì la mano di Piton serrarsi sulla spalla e si voltò di scatto, lo stomaco in subbuglio. Non voleva vedere né sentire, ma i singhiozzi disperati le arrivavano alle orecchie anche se se le tappava.
-Basta!- Gridò la Selene vera. Afferrò con forza l’avambraccio dell’insegnante di Pozioni, stringendo le dita sulla pelle pallida. Piton allungò una mano, ma Selene era in panico.
-Basta! Per favore BASTA!- Urlava. Piton l’afferrò per entrambe le spalle, ma prima che potesse dire qualcosa la porta della stanza si spalancò e la madre di Selene entrò di corsa nel bagno.
-Sel... PER MERLINO! TRAVIS! TRAVIS, SELENE!- Strillò precipitandosi accanto alla figlia svenuta.
-Non voglio vedere!- Gridò la vera Selene.
Piton le afferrò l’avambraccio e un secondo dopo si ritrovarono nello studio del professore.
La Corvonero cadde in ginocchio, stringendosi le braccia alla pancia e rannicchiandosi a terra.
Piton si inginocchiò accanto a lei, temendo che stesse male. Le posò una mano sulla schiena, la bacchetta in pugno.
-Clarkson.
Lei tremava violentemente, scossa nel profondo. I richiami del professore erano lontani, deboli. Sentiva solo il dolore, il bruciore ai polsi.
-Calmati, Clarkson!- Tuonò Piton.
Con un singhiozzo soffocato lei si lanciò verso di lui. Piton pensava che l’avrebbe preso a pugni per la rabbia... ed era anche pronto a bloccarla. Dopo che si fosse sfogata.Ma non era pronto a sentire la testa della ragazza premuta sul torace, le sue mani aggrappate disperatamente alla camicia, il suo profumo di vaniglia che gli riempiva i polmoni.
Anni e anni di insegnamento lo avevano temprato a scenate varie e situazioni particolari come quella, però la consapevolezza che era Selene che piangeva aggrappandosi a lui come se fosse la sua unica ancora di salvezza lo destabilizzò.
Lentamente, mordendosi a sangue le labbra, posò incerto una mano sulla schiena della studentessa, mentre con l’altra le accarezzava fugacemente i capelli.
Abbassò lo sguardo su di lei e qualcosa gli si strinse dentro nel vederla così fragile. Lei, che non aveva mai tremato nel guardarlo negli occhi. Lei, che era sempre stata calma e obbediente.
Con una strana e nascente emozione strinse la braccia attorno a lei, cullandola piano.
Non l’avrebbe lasciata andare. Non se aveva bisogno di aiuto per risalire dal baratro in cui era sprofondata.
 

Selene si risvegliò con una terribile sensazione di caldo appiccicoso. Ancora prima di aprire gli occhi cercò l’orlo delle lenzuola che la coprivano per togliersele di dosso, ma la prima cosa che incontrò fu una mano. Una mano grande, con dita lunghe e affusolate.
Una mano che al contatto con le sue dita si ritrasse appena.
Aprì gli occhi e voltò la testa.
La prima cosa che notò fu che non erano coperte, quelle che la coprivano. Era un mantello nero.
La seconda era che era nello studio di Piton, sdraiata supina sul divanetto.
La terza, era che lui la stava fissando. La mano che aveva toccato -e che continuava a toccare- era la sua.
La quarta cosa di cui si rese conto, con terrore, era che lui non era solo.
Sua madre la guardava seduta su una sedia accanto al divano, le gambe accavallate, i ricci color carminio sciolti sulle spalle e gli occhi castani puntati sul suo volto.
Selene guardò Piton, che la fissava impassibile.
Merda.

🔼  🔺  🔼
 

-Tu mi stai dicendo che ti hanno tagliata nel sonno e mi dici di stare calma?!- Strillò la signora Clarkson, lo sguardo in fiamme puntato sulla figlia.
-Mamma, smettila! Sto bene!- Protestò Selene, seduta sul diavanetto.
La signora Clarkson si mise le mani sui fianchi, i lineamenti dolci del volto tesi in una smorfia di rabbia e preoccupazione.
-Ah, certo, stai bene. Quindi non dovrei preoccuparmi dopo tutto quello che è successo? E se tornassi a tagliarti di nuovo, Selene? Se ti ritrovassi di nuovo svenuta sul pavimento in un lago di sangue? Non voglio rischiare di nuovo! Sono quasi morta di preoccupazione la prima volta, non voglio che succeda mai più!- I toni di madre e figlia stavano raggiungendo un livello decisamente alto per le orecchie di Severus, ma si sforzò di rimanere impassibile di fronte a quello scontro titanico.
Da una parte c’era la signora Clarkson, preoccupata e isterica come ogni madre che viene a sapere che sua figlia è stata aggredita nel sonno e che potrebbe avere una ricaduta possibilmente mortale.
Dall’altra Selene, la figlia, altrettanto determinata a spuntarla e a venire lasciata in pace, con una ferrea convinzione di stare bene senza l’aiuto di nessuno.
-Ossignore, mamma! Te l’ho già spiegato, non ero in me! Non voglio morire, e non voglio uccidermi con le mie stesse mani!- Gridò la piccola Clarkson, saltando in piedi e guardando la madre con una bufera al posto delle iridi grigie.
-Ma non puoi essere sicura di riuscire a non ricascarci più! Selene...
-No, mamma, basta! Mi stanno controllando tutti quanti, ogni professore di questa maledettissima scuola mi segue per ogni corridoio per controllare che non stia andando a farla finita, sono stufa! Ho finito con l’autolesionismo, perché diamine non volete capirlo?- Strillò Selene.
La madre alzò le braccia al cielo, esasperata, e Severus si sforzò di trattenere la propria mano dal prendere la bacchetta e schiantarle tutte e due. Forse in quel modo avrebbe avuto un po’ di silenzio.
-Perché non voglio vederti in una bara, ecco perché! Questo è un periodo difficile, Selene- disse con improvvisa calma la signora Clarkson -ora, dimmi sinceramente se non hai mai, e dico mai, pensato di farlo di nuovo.
Selene abbassò lo sguardo a terra, mentre le sue guance prendevano lentamente fuoco. La madre incrociò le braccia, fissandola stancamente.
-Vedi, tesoro? Io mi fido di te, però ho troppa paura per lasciarti andare così. Vorrei che tu venissi a casa per... per un paio di settimane. Solo per rimettere a posto le cose.
Selene non rispose per vari minuti. Severus continuava ad alternare lo sguardo da lei alla madre, senza sapere cosa fare e rassegnandosi infine a rimanere in silenzio, seduto sulla sedia addossata alla parete.
-Io... mamma, no. Non posso lasciare Celeste e Rachel da sole. Sono l’unica con cui hanno fatto amicizia... ma- si affrettò ad aggiungere, vedendo l’espressione contrariata di Diane Clarkson -posso... potete controllare la stanza. Prendete tutto quello con cui potrei ferirmi. Se... se necessario mi farò controllare da un insegnante tutti i giorni per assicurarvi che non mi sono tagliata.
Diane rimase in silenzio per un po’, mentre la figlia la fissava supplichevole.
-D’accordo- sospirò infine, e allargò le braccia. Selene vi si rifugiò subito, stringendosi al petto della madre, molto più alta di lei. Diane le accarezzò i capelli, serrando la presa su di lei, e per la prima volta Severus vide nell’espressione calma del suo viso una crepa che mostrava tutta la stanchezza che la donna stava provando.
-Ma voglio che sia il professor Piton a controllarti- disse all’improvviso Diane.
Sia Severus che Selene si irrigidirono come due blocchi di marmo.
-Ma mamma...- cominciò a obiettare Selene, ma la signora Clarkson la bloccò alzando una mano. -O così o niente- disse calma.
Selene serrò le labbra contrariata, ma si arrese. Poi Diane si voltò verso l’insegnante.
-Professore...
Fu lui a interromperla.
-Per me va bene.
Selene sgranò gli occhi, sorpresa, mentre la sua bocca si schiudeva lievemente.
-Ma per il bene di sua figlia... vi avviso entrambe: se tu, signorina Clarkson, ci proverai- disse freddo Severus -l’incantesimo che scaglierò su di te mi avviserà tempestivamente, in modo che possa intervenire prima che sia troppo tardi. E, signora Clarkson, se sua figlia si taglierà di nuovo sarà espulsa.
Dopo una manciata di secondi entrambe annuirono.
Poi Diane ringraziò Severus e diede un bacio alla figlia.
-Devo andare a parlare con la Preside- mormorò, scostando una ciocca di capelli della figlia e spostandola dietro al suo orecchio -tu va’ a dormire.
-Sì mamma.
Diane afferrò la borsa e uscì dopo aver salutato cortesemente il professore.
Anche Selene stava per seguirla quando lui la fermò.
-Voltati, Clarkson- disse impassibile, osservando l’occhiata torva che lei gli lanciò.
Alzò la bacchetta e mormorò un incantesimo lungo e complesso. Man mano che le parole in latino fluivano nell’aria vibrando con la voce profonda di Severus, Selene sentì il proprio corpo ribollire in preda ad uno strano calore. Cercando di restare indifferente si spostò i capelli dietro alle spalle.
Dopo qualche minuto in cui la sua temperatura corporea era salita bruscamente ed era ridiscesa a quella normale altrettanto velocemente, la Corvonero ottenne il permesso di andare.
Aprì la porta e si infilò nello spiraglio aperto. Prima che la penombra del corridoio la inghiottisse, però, si voltò. Piton era girato di spalle e a giudicare dai movimenti delle braccia si stava sbottonando la camicia. Per un secondo Selene provò l’irrazionale impulso di rimanere a guardare, poi si diede una scossa mentale.
-Signore.
Severus si irrigidì, voltandosi. Perché diamine era ancora lì? Ma gli occhi color diamante della ragazza gli impedirono di parlare. La voce gli si bloccò in gola. In quelle iridi non c’era il rancore che aveva visto negli ultimi giorni, ma solo dolcezza... una dolcezza sconfinata.
-Grazie.
Dopo qualche istante fece un cenno con la testa, capendo che lei aspettava una risposta.
La Corvonero sorrise piano e gli scoccò un’ultima occhiata curiosa, che diventò perplessa e infine inorridita quando il suo sguardo scese più in basso. Seguendo il suo esempio Severus si rese conto che le cicatrici sul suo petto erano ben visibili alla luce del fuoco.
Con la gola improvvisamente secca alzò di nuovo lo sguardo, ma la soglia era vuota. Lei era sparita.
Come sempre.

🔼  🔺  🔼
 

ANGOLO DELLE CIAMBELLE CARNIVORE BLU:
Okay, ora però basta, neh.
Mi sono rotta. Io posso continuare a scrivere per me stessa, se non recensite o non vi piace o non ne avete voglia non è affar mio, ma mi sono scervellata per settimane per quel capitolo e per i prossimi che ho già pronti, perciò... bah.
Se non vi interessa ditelo che cancello immediatamente la storia. ^^ E' inutile che scriva.
Bene, ora, passiamo alla parte più leggera :D
Ehm, come avete visto ci sono un po' di complicazioni... che vorrà dire la profezia? E i prof? Come reagiranno?
Come avrete visto il rapporto tra Sel e Piton comincia a diventare più stretto, un po' perché lei comincia a fidarsi e un po' anche lui.
Ora devo andare a far da mangiare... ditelo a mio fratello! :/
Baciiiiiiiiiiiii!
Anna

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Capitolo 8
*** Rabbia ***


I Need You:

Rabbia
 


Olimpo, 19 marzo.
 

Le fiaccole illuminavano debolmente la casa sulla collina dell’Olimpo, discostata dal corpo centrale dei templi degli dei. Era una casa piccola, in stile classicheggiante, con colonne e fregi in marmo scintillante e spazi ariosi. Era vicina al margine del bosco.
Un uomo era disteso su un triclinio greco e fissava il soffitto a volta  della stanza. Indossava solo dei jeans e i suoi occhi azzurri erano persi in pensieri remoti. Le sue dita si muovevano lentamente, mentre una polvere dorata le seguiva tracciando una debole scia nell’aria.
Morfeo respirava lentamente. Era così assorto che non si accorse della polvere colorata che si fermò a mezz’aria accanto al triclinio, e nemmeno che lentamente si mescolò andando a formare la sagoma di un lupo arcobaleno.
Yoru sbuffò, saltando agilmente sopra al triclinio. Morfeo sussultò, ritornando alla realtà, e girò la testa. Accarezzò con un sorriso malinconico la testa del cucciolo.
-Ehi, bello- si mise seduto, mentre il lupo gli leccava il polso.
-Mia figlia?- Gli occhi viola del lupo si intristirono, e Morfeo serrò le labbra. Annuì e baciò il pelo morbido del cucciolo, accarezzandolo per confortarlo.
-Stai facendo un ottimo lavoro. Non è colpa tua se non riusciamo a trovarla.
Nonostante le sue parole Yoru non sembrò molto convinto. Sollevando le zampe anteriori e posandole sulle ginocchia del dio riuscì a dare una musata al suo creatore, facendolo sdraiare di nuovo. Subito da lupo diventò un gatto e si appallottolò sul petto nudo del dio, che si lasciò scappare un sorriso.
-Che furbo che sei... hai imparato qualcosa da mia figlia, non è vero?- Ironizzò Morfeo, mentre il gatto gli leccava dispettosamente il petto, facendolo trasalire. Immerse una mano nel pelo argentato del gatto. -Anche lei adorava essere abbracciata. Ma immagino questo tu lo sappia, dato che sfrattavi Nico dal letto per dormirle accanto.
Yoru emise un guaito ben poco adatto a un gatto e si strofinò una zampa sul muso come per nascondersi. Morfeo sorrise intenerito, ma prima che potesse dire qualunque cosa una voce possente chiamò il suo nome dal corridoio. Alzò lo sguardo e vide Apollo venire a grandi passi verso di lui. Il volto era livido, gli occhi ambrati pieni di rabbia e i muscoli del corpo contratti.
Morfeo aggrottò le sopracciglia, alzandosi in piedi. Yoru si ritrasformò in lupo, solo del doppio delle dimensioni normali. Appiattì le orecchie e ringhiò verso il dio del sole, mettendo in mostra  i denti bianchi e affilati. Morfeo lo calmò posandogli una mano sulla spalla.
-Apollo- disse con voce affabile, perplesso -cosa succede?
-Cosa succede?- Da bianco com’era, il viso del dio diventò scarlatto mentre puntava un dito contro di lui -Succede che tu sai perfettamente dov’è finita Rachel!
-Rachel e Celeste- puntualizzò Morfeo, aggrottando la fronte, mentre il colore delle sue iridi cominciava a mutare, trasformandosi in viola acceso -è scomparsa anche mia figlia, Apollo. E comunque no, non lo so. Pensi che non sarei già andato a prenderle se fosse stato così?
Apollo irrigidì la mascella, serrando i pugni e lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. Morfeo si accorse che aveva indosso la sua armatura d’oro e la spada al fianco. Come aveva fatto a non notarlo?
-Chi ti ha riferito questa... cosa?- Mormorò Morfeo.
Apollo sospirò, ancora rabbioso.
-Ares- sibilò. Morfeo inarcò un sopracciglio, mentre un’ondata di furia cominciava a montare dentro il suo petto. Il viola dei suoi occhi diventò più intenso.
-Ma davvero?- La sua voce ora era affilata come una scheggia di ghiaccio. -Ares vuole togliermi di mezzo da quando mi sono schierato con Crono e l’ho passata liscia. Vuole ammazzarmi da chissà quanti secoli perché gli ho soffiato una donna al tempo dell’Antica Grecia. Apollo, sta cercando di metterci uno contro l’altro. Se non l’ha già fatto. Dubito seriamente che riusciremmo a trovare le nostre ragazze se unissimo gli sforzi, e da soli è impossibile. Perciò vedi tu cosa conviene fare. Se darci addosso o collaborare. Sinceramente sto impazzendo. Celeste potrebbe essere morta, ferita o torturata e io non lo so, non posso farci niente. Se riuscissimo a lavorare insieme, e non parlo solo di me e te, ma anche dei semidei, di Nico, di tutti coloro da cui possiamo ricevere aiuto, forse riusciremmo a trovarle.
Apollo rimase in silenzio a lungo, fissando Morfeo con i suoi intensi occhi ambrati. Il dio dei sogni sostenne quello sguardo senza timore. Sentiva che Apollo lo stava esaminando e stava riflettendo.
Il silenzio si protrasse per alcuni minuti che a Morfeo sembrarono eterni. Al suo fianco Yoru non aveva smesso di agitarsi, ma si limitava a camminare nervoso a destra e a sinistra senza ringhiare, sempre tenendoli d’occhio.
Infine Apollo sospirò e con uno schiocco di dita fece scomparire la propria armatura, sostituendola con jeans e maglietta.
-Va bene- la sua voce tradiva un certo disagio, ma il dio dei sogni decise di non darvene conto. -Cosa dobbiamo fare?
Morfeo si voltò e si diresse a passi veloci verso il tavolo a lato della stanza.
-Sai anche tu che Celeste e Rachel non sono in questo mondo, immagino, o se lo sono la loro presenza è occultata da qualcosa di estremamente potente. L’hai scoperto e non mi hai riferito niente, ma l’avevo capito prima di te.
Apollo annuì, passandosi stancamente una mano tra i capelli biondi. Morfeo fece una pausa, raccogliendo le idee e i pensieri che gli turbinavano in testa.
-Non ci sono molti posti al di là dell’influenza degli dei, a parte l’Alaska, e lì ho degli... informatori- un ghigno apparve sulle labbra di Morfeo, e Apollo aggrottò le sopracciglia. Aveva l’impressione che non gli sarebbe piaciuto incontrare questi “informatori”. -Mi hanno informato che non hanno trovato nessuna traccia.
-Possiamo fidarci?- Le parole sfuggirono dalle labbra del dio del sole senza che riuscisse a impedirlo. Morfeo affilò lo sguardo.
-Direi di sì- rispose -perciò potremmo cercare un po’ più vicino a noi.
-Quando dici più vicino...- cominciò Apollo, titubante, infilando le mani nelle tasche dei jeans.
-Intendo che potremmo andare a controllare dai nostri amici romani- confermò Morfeo. -Percy non riesce a contattarli, e nemmeno Nico. Penso che abbiano rafforzato le difese del campo  ma non so il perché.
-Zeus dice che hanno dei problemi con dei mostri- lo informò Apollo, inclinando la testa e allungando un dito per sfiorare una nuvoletta di polvere azzurrina che gli si era fermata davanti al naso. Quando ci immerse il dito dentro trasalì. Era gelata, ma la polvere gli si arrampicò su per il braccio arrivando all’incavo della spalla e trasformandosi in una palla di pelo.
Morfeo scoppiò a ridere, mentre Apollo guardava stralunato il cucciolo di criceto che stava cercando di infilarsi dentro alla sua maglietta.
-Stai fermo- borbottò contrariato il dio del sole, afferrando il criceto e depositandolo delicatamente sul palmo della mano. Era minuscolo, grande la metà del suo palmo, e aveva degli occhi giganteschi.
-Puoi tenerlo se vuoi.
Apollo lanciò un’occhiataccia a Morfeo, che stava facendo di tutto per non ridergli in faccia. Senza grandi risultati.
-Umpf- borbottò, mentre un vago rossore gli colorava le guance sotto agli occhi divertiti del dio -allora per me va bene. Andremo al Campo Giove. Ma quando? Domani?
Morfeo serrò le labbra, cercando di evitare di sorridere, ma Apollo capì all’istante l’idea che si stava formando nella mente del dio e un sorriso feroce gli si dipinse sulle labbra.
Così avrebbe potuto vendicarsi su Ottaviano. Guardava un po’ troppo Rachel, per i suoi gusti.


Il Campo Giove era in subbuglio. Semidei su semidei correvano da una parte all’altra, strilla e voci di bambini si mescolavano nella notte. Alcuni anziani erano ancora in pigiama, altri avevano addosso una parte dell’armatura sopra mentre correvano gridando il nome del pretore.
I due dei invece erano perfettamente calmi e si guardavano intorno sorridendo soddisfatti e divertiti. Morfeo si era rivestito e aveva addosso una maglia con su scritto KEEP CALM AND LOVE MORFEO! di un bel viola acceso. Apollo invece aveva deciso di andare sul tradizionale: indossava una lunga tunica bianca che lasciava scoperte le braccia muscolose, incrociate sul petto.
-Zeus ce la farà pagare- mormorò il dio del sole, osservando una madre cercare di far scendere il figlio di sei anni scarsi da un ramo di un albero, dove si era piazzato per guardare gli sconosciuti.
-Già- confermò allegro Morfeo -Yoru, va’ ad aiutare quella povera donna.
Con uno strillo acuto Yoru si trasformò in un’aquila e si sollevò in aria, volando veloce verso la donna, che gridò terrorizzata vedendo l’animale volare a velocità supersonica verso il figlio. Il piccolo invece strillò entusiasto quando Yoru lo afferrò e lo sollevò in aria, facendogli fare un cerchio lungo tutta la piazza prima di planare e affidarlo alla donna, rimasta di stucco.
Un rumore diverso dagli altri distolse l’attenzione dei due dei dal piccolo che accarezzava la testolina piumata di Yoru, appollaiato sulla spalla della donna.
Un varco si aprì tra la folla, mostrando una ragazza dai lineamenti regali e in armatura completa procedere a cavallo verso di loro, seguita da due levrieri, uno d’oro e l’altro d’argento.
Aveva un’espressione dura, sospettosa, che non sparì nemmeno quando, guardando Apollo, il suo sguardo si accese di una scintilla di comprensione. Aveva capito chi erano.
Scese dal cavallo e si avvicinò ai due dei, seguita a ruota da un centurione con le labbra troppo rosse per essere un colore naturale.
Si fermò a qualche passo di distanza, con la mano posata sull’elsa della spada che portava al fianco. A quel punto era calato il silenzio.
-Sono Reyna, il pretore del Campo, ma penso che voi lo sappiate già.
Morfeo e Apollo annuirono all’unisono. Fu il secondo a prendere parola.
-Io sono Apollo, il dio del sole. Lui è Morfeo...
-Il dio dei sogni- completò Reyna, osservandoli così intensamente che i suoi occhi sembravano due lame affilate.
-Giusto. Vorremmo parlare con te in privato, senza tutta questa... gente- continuò Apollo, abbozzando un sorriso che non fece nessun effetto alla romana.
Il centurione dietro di lei avanzò di un passo.
-Reyna...
Il pretore alzò la mano e il ragazzo tacque di colpo.
-Penso che si possa fare- disse piano, scandendo ogni parola, poco convinta lei stessa. Poi annuì, sbattendo le palpebre. -D’accordo- raddrizzò la schiena e si voltò verso la folla, che si aprì di nuovo. Cominciò a camminare senza indugio, e i due dei la seguirono.
 

-Non capisco il motivo per cui siate venuti qui, sinceramente- confessò Reyna, intrecciando le dita sul tavolo. Erano nella sala delle riunioni, e Aurum continuava a guardare torvo Yoru. Morfeo doveva continuare a tenere una mano sul collo del proprio lupo per tenerlo fermo e impedirgli di saltare addosso a quel levriero antipatico.
-Come dicevo prima- iniziò Apollo -due ragazze del Campo Mezzosangue sono scomparse. Siccome le abbiamo cercate dappertutto con ogni mezzo possibile immaginabile sono rimaste due possibilità: o sono occultate da una magia molto potente o... non importa- si interruppe notando l’occhiataccia di Morfeo. Le sopracciglia di Reyna si aggrottarono ancora di più. -Quest’ipotesi è la più probabile. Ci sono pochissimi luoghi in cui potrebbero essere nascoste, compreso questo campo. Ci risulta che avete aumentato la potenza delle barriere che difendono il campo. Volevamo controllare che queste ragazze non c’entrassero nulla.
Reyna li fissò a lungo con i suoi occhi scuri, posando la schiena contro la sedia.
-Noi non c’entriamo nulla- dichiarò. -L’unico motivo per cui abbiamo aumentato la forza delle barriere è che abbiamo ricevuto un attacco da alcune arpie pochi giorni fa e volevamo essere sicuri...
-Reyna!- Un urlo ben poco virile interruppe le parole del pretore, che sospirò, voltandosi.
Un ragazzo biondo, vestito con una toga bianca e con degli orsacchiotti di peluche appesi alla cintura, procedeva a grandi passi verso di loro, il viso paonazzo. -Reyna, si può sapere che diavolo...
-Attento a come parli, ragazzo.
All’improvviso la voce di Apollo era diventata roca e matura, non era più quella di un ragazzo. Si era alzato in piedi e fissava torvo Octavian, che si era impietrito. Il dio aveva le braccia contratte e le mani strette al bordo del tavolo. I suoi occhi erano pozze d’oro colato che ribolliva.
-Sicuramente non hai idea di chi siamo, e non me ne può fregare nulla. Ma taci e lascia parlare il tuo pretore.
Morfeo posò una mano sulla spalla di Apollo, che aveva cominciato a risplendere di un’aura dorata.
Qui c’entra la gelosia.
Morfeo si alzò in piedi e sorrise dolcemente a Reyna, che guardava ansiosa il dio del sole.
-Grazie mille, pretore. Siamo stati fortunati a conoscerti. Stai facendo un ottimo lavoro. Manderò dei miei aiutanti per darvi una mano a rimettere in sesto il campo.
E, detto questo, sparirono.
Reyna si voltò verso Octavian, rimasto immobile. Si diresse verso di lui e, provando un po’ di compassione, gli posò una mano sulla spalla. Lui sbatté le palpebre e la guardò con aria persa.
Reyna lasciò ricadere la mano.
-Va’ a dormire, Octavian- mormorò con dolcezza, prima di uscire dalla sala con lo sguardo di lui sulla schiena.
 

Hogwarts, 19 marzo.
 

Celeste non aveva mai visto Rachel più pallida di com’era in quel momento. Erano sedute entrambe su un letto dell’infermeria, dove era stata portata Rachel quella notte, dopo che aveva pronunciato la profezia. Rachel aveva la schiena curva e i suoi occhi verdi erano fissi sul volto di Celeste, seduta ai piedi del letto con un taccuino e una matita tra le gambe.
-Come facciamo a spiegarlo?- Chiese Celeste, guardando le parole che aveva scritto sul foglio.
Le si erano impresse nella mente come se fossero state marchiate a fuoco.
Rachel si strofinò il volto con le mani, sospirando stanca.
-Non ne ho la più pallida idea- ammise da dietro le mani, coprendo uno sbadiglio. -Non possiamo dire tutto. Ci prenderebbero per pazze, a meno che non l’abbiano già fatto.
-Già.
Per qualche minuto Celeste lasciò andare i propri pensieri a briglia sciolta. Non aveva la minima idea di come tirarsi fuori da quella situazione.
-Ci vorrebbe Percy... o quantomeno Annabeth- sospirò passandosi una mano tra i capelli.
-E se ci rifiutassimo di rispondere?- Chiese semplicemente Rachel, guardando l’amica.
Celeste fece una smorfia poco convinta.
-Piton può leggere nel pensiero, ce l’ha detto Selene. Te lo sei dimenticata? Di sicuro non sarebbe piacevole.
-Giusto- mormorò Rachel, incrociando le gambe. Posò i gomiti sulle ginocchia e quando premette i pugni sulle guance assunse un’espressione così buffa che Celeste scoppiò a ridere. Davvero, questa volta. Non era una delle risate forzate degli ultimi giorni, ma una risata semplice, pura.
Rachel ne rimase stupita, ma un sorriso contento illuminò le sue labbra. Finalmente era riuscita a farla sorridere! Di scatto afferrò il cuscino a cui aveva appoggiato la schiena e glielo tirò addosso.
Celeste strillò sorpresa, ricevendolo in piena faccia, e l’amica riccioluta cominciò a ridere a crepapelle.
Ma un rumore interruppe quel momento di serenità, mentre la porta dell’infermeria sbatteva e un alquanto torvo professor Piton, seguito da un’ancora più cupa preside McGranitt e una mogia Selene si avvicinava al letto dov’erano sedute.
Celeste scorse una scintilla di terrore negli occhi verdi dell’amica e si voltò, perdendo il sorriso. I tre si fermarono davanti alle ragazze.
Calò un silenzio imbarazzato e incupito, mentre Selene si mordeva le labbra. Alla fine fu Rachel a parlare per prima.
-Sel, vieni qui.- batté la mano sul materasso accanto a sé e Selene obbedì, sedendosi sul bordo del letto. Le rivolse un sorriso incerto prima di tornare a fissare le proprie mani.
-Allora- esordì Minerva, osservando le tre ragazze, che sollevarono lo sguardo su di lei.
-Affrontiamo per prima la questione più urgente. Rachel, vorresti spiegarci cosa diamine è successo stanotte?- Mentre parlava, Minerva aveva fatto apparire due sedie dove lei e Severus si erano accomodati.
Gli insegnanti osservarono il volto dolce della ragazza diventare da un familiare rosso a bianco latte. Siccome rispondeva solo il silenzio, Minerva spostò lo sguardo su Celeste, che stringeva nervosamente il taccuino. Anche lei rimase in un silenzio ostinato, fissando le proprie caviglie.
-Oh, avanti!- Scattò Minerva, alzandosi bruscamente in piedi. Le tre ragazze trasalirono, mentre Severus le squadrava a fondo.
-Mi sono svegliata in piena notte con un’elfa domestica che mi diceva che Selene stava morendo dissanguata, Rachel aveva le convulsioni e Celeste era sull’orlo di una crisi isterica! Il minimo che potete fare è dirci cosa sta succedendo, se siamo in pericolo o meno! Ci siamo fidati a portarvi e accogliervi in questa scuola, ora ripagate la nostra fiducia!
Le parole dure della professoressa fecero scoppiare Rachel.
Si sentiva una stupida, irresponsabile ragazzina. Era passato del tempo da quando aveva accettato di essere l’Oracolo e avrebbe dovuto essere in grado di controllarsi. Ma non ci era riuscita, e ora lei e Celeste erano nei guai.
Strinse le labbra, trattenendosi dal piangere, e guardò negli occhi la professoressa. Quando parlò, la sua voce era perfettamente normale, ma più roca e inquietante del solito. A Minerva -e anche a Severus- vennero i brividi nel sentire le sue parole.
-Se ve lo dicessimo non ci credereste. Noi ci fidiamo e vi siamo grate, ma ci sono cose che è meglio non sapere, penso che questo lo comprendiate benissimo. Non sto parlando solo del passato di un uomo, ma del suo essere, di quello che è. Se vi raccontassimo tutto, ammesso che non ci sbattereste in un manicomio, sareste in pericolo. Non siamo mai state sicure di nulla: solo quello che siamo è certo, in quelli come noi. Siete sicuri di voler rischiare la vita dei vostri studenti, degli insegnanti, per sapere una cosa a cui non riuscireste nemmeno a credere? Io non penso.
Le parole di Rachel gravarono come macigni sulle spalle di tutti i presenti. Celeste aveva le mani serrate e le labbra tirate come se si stesse trattenendo dall’urlare. Rachel aveva raddrizzato la schiena e guardava negli occhi i due professori, che erano rimasti stupiti e inquietati dal suo discorso. Selene era l’unica che era rimasta impassibile, anche se dentro sentiva uno strano turbamento.
Severus si alzò in piedi, attirando lo sguardo di tutti i presenti.
-Ci sta minacciando, per caso?- La voce e lo sguardo del professore sarebbero bastati a far tremare anche Conan il barbaro, ma Rachel sostenne la sua lunga occhiata.
-No, signore- replicò, perfettamente calma e con un accenno di sorriso sulle labbra -affatto. Sto solo dicendo la verità.
Selene la guardò letteralmente a bocca aperta. Nessuno, nessuno aveva mai osato rispondere così all’insegnante di Pozioni.
Severus affilò lo sguardo, ma prima che potesse ribattere intervenne Minerva, con un tono più calmo e dolce.
-Vogliamo sapere lo stesso- posò una mano sul braccio di Severus per blandirlo, e stranamente lui non la scacciò. Fissava ancora torvo la rossa.
Fu Celeste a placare gli animi, con la voce dolce.
-Professori, sinceramente non ce la sentiamo di dirvi tutto... non ancora- calcò la voce su quell’ancora, vedendo il volto già torvo del professore di Pozioni incupirsi ancora di più. -Però- aggiunse subito -dateci qualche giorno per... parlare tra noi e vi racconteremo tutto. Anche se resto dell’idea che sarebbe meglio per tutti se voi rimaneste all’oscuro di tutto.
Severus era dell’idea di tirare fuori la bacchetta, immobilizzare le ragazze e tirare fuori i ricordi a forza dalle loro teste, ma Minerva non era dello stesso parere. Dopo averle fissate per qualche secondo, un po’ meno irritata, annuì seccamente.
-D’accordo. Tra due giorni nel mio ufficio, alle otto di sera. Severus, vieni con me, ho bisogno del tuo aiuto.
Facendo una delicata pressione sul braccio dell’amico la professoressa lo condusse fuori dall’infermeria. Non appena si furono allontanati di qualche metro Rachel e Celeste cominciarono a parlare a bassa voce con Selene, pensando che i due fossero fuori portata.
Severus colse delle parole preoccupate da parte della Corvonero, e si sarebbe volentieri fermato ad ascoltare se Minerva non l’avesse trascinato via con più insistenza.
 

🔼  🔺  🔼
 

Quella stessa sera Selene decise di andare sulla torre nord per appollaiarsi sulle pietre gelide e guardare i prati e il lago alla luce delle stelle. Il suo nome significava luminosa, ma lei preferiva la notte al giorno. Di giorno doveva fingere di essere felice se era triste, mentre di notte poteva piangere ed essere quello che era in solitudine.
Ed era ciò che stava facendo in quel momento, seduta sulle pietre fredde e scivolose della torre. Era rannicchiata contro il parapetto, le gambe raccolte al petto e il mento sulle ginocchia.
Faceva freddo, ma stranamente stava bene così com’era.
Si morse le labbra, asciugandosi le guance umide, e prese un respiro profondo.
Dei passi la fecero trasalire, ma quando si voltò verso l’imboccatura delle scale era troppo tardi per applicare su sé stessa un incantesimo di disillusione.
James la fissava.
Selene si tirò in piedi, senza nemmeno preoccuparsi di asciugarsi le lacrime. Il suo volto era migliorato molto, grazie agli incantesimi e alle pomate di Madama Chips. Non era più violaceo, gli occhi non erano gonfi. Solo la guancia era un po’ più rossa e gonfia del normale, e il labbro spaccato non era dei migliori, ma Selene l’aveva visto conciato peggio nella partita contro i Grifondoro l’anno prima.
-Ciao- le parole le uscirono strozzate dalle labbra, ma lui non ci fece caso.
Sorrise, avvicinandosi.
-Ciao- mormorò.
Selene lasciò che si fermasse davanti a lei, a solo pochi centimetri di distanza. Con una dolcezza che riservava solo a lei James allungò le mani e le posò sulle sue guance. Le sollevò il mento, guardandola intensamente negli occhi.
Quelli azzurri di James scintillavano nella semioscurità. I suoi ricci castani erano scossi dal vento, e Selene sentiva le guance diventare calde man mano che le mani del Serpeverde scivolavano sul suo collo.
-Perché piangi?- Mormorò lui. Selene scosse la testa, alzando le spalle.
-Non importa- abbassò lo sguardo, ma lui la costrinse con dolcezza a guardarlo negli occhi. Un brivido attraversò la schiena della Corvonero mentre lui posava la fronte sulla sua e le accarezzava la guancia.
-A me importa, invece, Sel- disse con calma.
Lei fece un sorrisino triste, come a dire che era l’unico.
-Ero triste. Tutto qui.
-Per tuo papà?
Gli occhi di Selene si riempirono nuovamente di lacrime. Una sfuggì al suo controllo e scese sulla sua guancia, finendo sul dorso della mano del ragazzo.
-Anche- mormorò. James fece un sorriso mogio.
-Non ti ho ancora fatto le condoglianze.
Una risata gorgogliante uscì dalle labbra della Corvonero, ma s affrettò a tornare subito seria. I suoi occhi si posarono sulla guancia di James. Posò delicatamente le dita sulla pelle rossa e gonfia, e si accorse della smorfia di dolore del Serpeverde.
-Scusa- si affrettò a dire, ma lui scosse le spalle ampie.
La guardò per qualche istante, poi prese un respiro profondo. Il suo cuore batteva così forte che sperava che Selene non lo sentisse. Si chinò, e si ritrovò a baciare le labbra morbide della Corvonero.
Selene era rimasta stupita dal gesto improvviso del ragazzo, ma dopo un istante di panico i suoi muscoli si erano sciolti e si era accasciata contro il suo petto muscoloso, circondata da quelle braccia di ferro che la stringevano come se non volessero lasciarla andare mai più. Chiuse gli occhi, alzando la testa verso di lui, aggrappandosi al collo del ragazzo. Sentiva il cuore battere a mille, ma c’era uno strano eco. Dopo qualche secondo capì che era il cuore di James.
Il ragazzo si chinò e le afferrò le gambe, sollevandola. Selene gli circondò la vita con le gambe, immergendo una mano nei suoi capelli morbidi, giocando con alcuni ricci.
Non c’era più Jason, finalmente.
Non sentiva il suo odore di menta e sigarette, solo quello di cioccolato di James.
Non sentiva la cicatrice che Jason aveva sulla spalla, sotto alle dita c’era solo la pelle morbida di James.
Non vedeva i tatuaggi né gli occhi di Jason, vedeva solo l’amore sconfinato in quelli di James.
Si scostò di qualche centimetro, guardando a bocca aperta il Serpeverde, senza parole. Lui sorrise, accarezzandole la guancia, e lei si rannicchiò sul suo petto, mentre lui si appoggiava alle pietre e allungava le gambe, seduto a terra. Le circondò la schiena con un braccio e restarono così.







ANGOLO DELLE CIAMBELLE CARNIVORE BLU E DEGLI ABBRACCI ABBRACCIOSI:
Ce 'ho fattaaaaaaaaaaaa!
Allora, siccome ho il presentimento che metà di voi arriveranno a buttarmi giù la porta prima di correre a nascondermi sotto al letto vi dico una cosa, anzi, annuncio:
Se mi ammazzate non potrò continuare a scrivere :D *asce, pugnali e lance si bloccano a mezz'aria*
Penso che quelli di voi (o quelle, ovviamente) che shippano SelxSev adesso proveranno un feroce istinto di staccarmi la testa come fa la Signora O'Leary con i manichini :D
Ma spiacente, eheh, per adesso ho deciso di dare un po' di pace a questa povera Corvonero :D avete visto i nostri due cuccioli in azione? Intendo Morfeo e Apollo! E Yoru non è un amore? *occhi a cuore*
Uhm, una cosa mi ha fatto tantissimo piacere: sette recensioni nell'ultimo capitolo! Siete grandi ;) spero che mi direte cosa pensate anche di questo capitolo.... ci conto tanto, eh!
 Non deludetemi, lui apprezzerà:


Detto questo, vi mando un bacio!

Anna
 

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Capitolo 9
*** Draco ***


I Need You:

Draco



 

Hogwarts, 20 marzo.

Celeste era sdraiata a pancia in su sull’erba morbida del parco. Era infagottata in una felpa nera, di due taglie più grandi della sua, e i suoi capelli castani erano sparsi a terra. Era all’ombra di un grande albero vicino alla sponda del lago e guardava verso l’alto, verso il cielo macchiato dalle foglie colorate di un timido verde smeraldo che annunciava l’arrivo imminente della primavera.
Stava ripensando a quello che era successo il giorno prima, non alla “litigata” con Piton e la preside, ma alla profezia. Che significato aveva? Perché non potevano essere lasciati tranquillamente in pace, per una dannata volta?
Perché lei e Nico non potevano stare tranquilli, dopo tutto quello che era successo appena un mese prima?
Sospirò, posando le mani sulla pancia, e inspirò profondamente.
Quella felpa era di Nico. Era arrivata al castello con quella indosso, e sebbene gli elfi l’avessero lavata conservava ancora una traccia del profumo del semidio. -Non è un po’ grande per te, quella felpa?
Celeste si voltò nella direzione in cui proveniva quella voce timida, e vide una ragazzina che la fissava. Si mise seduta, osservandola con un sorriso gentile.
Aveva la pelle color ebano, e i suoi ricci formavano una massa ordinata che le cadeva sulle spalle, ma i suoi occhi erano azzurri. Le labbra carnose erano sollevate in un sorriso timido.
-Ciao- la salutò Celeste. -Vieni qui.
La ragazza, che non poteva avere più dell’età della semidea, obbedì e si sedette di fianco a lei. Il mantello dell’uniforme indicava dallo stemma e dal colore dei risvolti che apparteneva a Tassorosso.
-Ciao.
Celeste le sorrise, provando un po’ di tenerezza nel vederla così chiusa.
-Comunque, per risponderti... questa felpa non è mia- sospirò, infilando le mani nelle tasche.
La ragazzina la guardò con i grandi occhi curiosi.
-Allora è del tuo ragazzo? Oh, scusa... n-non volevo...- cominciò a scusarsi, arrossendo.
-No, figurati. Sì, è del mio ragazzo. Come ti chiami?
-Shaunee.
-Piacere, Shaunee- Celeste tese la mano e la ragazzina l’afferrò. Aveva la pelle calda e morbida. -Io sono Celeste.
-Lo so- annuì la Tassorosso, sorridendole. Celeste rimase un po’ spiazzata, ma l’altra non ci fece caso. Una volta superata la timidezza iniziale diventava allegra e chiacchierona.
-Ero in infermeria quando i professori ti hanno portata da Madama Chips. Uno del mio anno mi ha spinta e sono caduta dalle scale.
Celeste inarcò un sopracciglio, sistemandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
-Apposta?
Il sorriso incerto della ragazza si spense, mentre curvava le spalle.
-Già.
-Come si chiama?
Shaunee la guardò incerta, come per decidere se valesse la pena raccontarle tutto o meno.
-Austin Spungen*. Serpeverde, ovviamente.
Una domanda sfuggì dalle labbra di Celeste prima che potesse fermarla.
-Perché odiate tutti i Serpeverde?
Shaunee la fissò come se all’improvviso avesse avuto tre teste. Anche Selene aveva accennato all’astio che girava nella scuola per i Serpeverde, assieme al racconto della guerra dell’anno prima, ma non avevano mai avuto modo di affrontare l’argomento più a fondo.
-Perché sono dei bastardi- rispose Shaunee, la voce improvvisamente aspra -o almeno la maggior parte. Sostenevano Voldemort e ancora adesso si credono il meglio della scuola. Prendono di mira quelli nati babbani o i mezzosangue e non li lasciano in pace....- la Tassorosso si interruppe improvvisamente, abbassando gli occhi sulle proprie caviglie, giocando nervosamente con il laccio della cartella.
-Come te?- Chiese con dolcezza Celeste. Lei annuì, stringendo le labbra.
-Non vedo quale sia il problema se tu sei una mezzosangue- disse sorridendo, facendo sparire la smorfia mogia dal viso dell’altra.
Shaunee la guardò con interesse.
-Ti va se andiamo nelle cucine a recuperare del tè e parliamo un po’?
 

🔼  🔺  🔼
 

-Dannazione!- Esclamò isterica Selene. Sbuffò, passandosi una mano nei capelli, e si girò di nuovo, mordendosi a sangue il labbro. Il suo cuore batteva a mille, ed era consapevole che ben presto Piton sarebbe arrivato per il suo controllo quotidiano.
Sua madre aveva insistito molto perché fosse lui a seguirla, controllando che le sue braccia fossero integre, ma la Corvonero non aveva la più pallida idea del motivo.
-Porca puttana- imprecò, portandosi una mano alla fronte, salvo poi ricordarsi che era macchiata di sangue e che ormai la sua fronte era macchiata di rosso.
Sentì dei passi veloci nel corridoio e trasalì. Finalmente intravide la bacchetta posata sul letto, ma prima che potesse scattare e prenderla la porta si aprì e la ragazza vide gli occhi di Piton posarsi subito sul suo palmo.
-N-non è come sembra!- Esclamò, in panico nel vedere il ghiaccio bollente in quelle iridi scure -Io... sono andata a sbattere contro un elfo che aveva delle forbici in mano! Non mi sono tagliata! Lo chiami, glielo chieda!
Piton la fissò per qualche istante, poi emise un lungo sospiro e si avvicinò rapido. Le prese il braccio e con un semplice colpo della bacchetta richiuse la piccola ferita e fece sparire il sangue. Poi alzò lo sguardo e mormorò un incantesimo, così che il liquido denso sparisse dalla fronte della ragazza.
-Sei un disastro, Clarkson- mormorò lugubre, mentre la Corvonero si tirava su le maniche del maglione color oltremare e controllava le braccia.
-Quindi mi crede?- Chiese sbalordita la ragazza.
Piton le lanciò un’occhiata fulminante, ma che non ebbe nessun effetto sull’allegria della studentessa. Perplesso, si chiese che diamine potesse essere successo per farla sorridere in quel modo. Ma poi si disse che non erano affari suoi.
-So riconoscere una bugia quando la vedo, Clarkson- rispose tagliente, mettendo via la bacchetta e facendo finta di non accorgersi del brivido che attraversò il corpo minuto della studentessa a quelle parole. Trattenne un ghigno.
Ha paura che usi la Legilimanzia.
-Oh.
Piton si voltò e fece per uscire dalla stanza, ma Selene lo trattene.
-S-signore.
Severus si girò, seccato, e vide che ora la Clarkson era tremendamente seria. I suoi occhi grigi avevano assunto il colore di una tempesta e si tormentava le mani.
-Forse... posso dirle una cosa? Non credo che le importerà, però...
Severus fece un cenno secco col capo, voltandosi di più verso la ragazza.
-Ecco io... ho visto Malfoy** l’altro giorno e non sembrava che stesse affatto bene. Era seduto in un corridoio, e piangeva... ma quando mi sono avvicinata, ecco, mi ha scagliato contro uno Schiantesimo- l’espressione della Clarkson era incerta, e Severus serrò la mascella. -Penso che... magari potrebbe controllare come sta.
Severus annuì, ma la studentessa lo fermò ancora una volta.
-E per favore, signore. Ieri Shaunee, di Tassorosso, stava per rompersi un braccio perché Spungen l’ha spinta giù dalle scale.
Severus si immobilizzò, serrando le labbra e assottigliando le palpebre. Per qualche secondo il suo sguardo di ghiaccio si fermò sulla ragazza, in piedi in mezzo alla stanza, col fiato sospeso in attesa di sentire il suo verdetto.
Non disse niente. Se ne andò, ma stava già pensando alla lettera da scrivere per convocare Spungen e alle parole da dire a Draco.

 

🔼  🔺  🔼


Rachel stava camminando per i corridoi del castello. Era pomeriggio, circa le quattro, e la luce del sole entrava dalle grandi finestre illuminando il corridoio dove stava camminando. Non aveva la più pallida idea di dove le sue gambe la stessero portando, ma le stava bene così. Un’altra piccola avventura.
Non c’era nessuno in giro, erano tutti fuori a godersi il sole primaverile, così come Celeste, ma lei voleva esplorare la scuola, possibilmente tentando di non perdersi e fallendo miseramente.
Era arrivata davanti alle scale a chiocciola che portavano verso la torre, ma non sapeva se fosse nell’ala nord, est, sud od ovest del castello. Il suo senso dell’orientamento era pari a zero. Percy gliel’aveva ripetuto miliardi di volte.
Con un’occhiata curiosa Rachel afferrò il corrimano che si attorcigliava su sé stesso e cominciò a salire gli scalini di pietra. C’erano piccole finestrelle ogni cinque gradini. Dopo qualche manciata di secondi Rachel arrivò alla cima delle scale, e restò a bocca aperta.
-Wow- sussurrò, sgranando gli occhi.
Dalla cima della torre si vedeva tutto, ma proprio tutto: il castello, il parco, il lago, un ammasso di case che poteva essere un villaggio distante qualche chilometro dalla scuola, le colline e le montagne.
Rachel rimase incantata. Sarebbe stato un paesaggio perfetto per dipingere.
Tenendo gli occhi fissi sul profilo dolce e frastagliato delle montagne lontane si avvicinò a passi lenti al bordo del parapetto. Appoggiò lo stomaco al metallo freddo, rabbrividendo mentre il vento le soffiava in faccia, accarezzandole il busto. Strinse le dita sulla pietra, inspirando l’aria fresca. I suoi occhi verdi catturavano ogni sfumatura, ogni istante, il modo in cui la luce e le ombre dipingevano i contorni delle colline e del castello.
Poi sentì un rumore, e si voltò.
Le sue labbra si schiusero mentre i suoi occhi trovavano la fonte di quel rumore. Sentì un’ondata di imbarazzo assalirla, mentre le guance le diventavano rosse. Deglutì.
-Oh, io... m-mi dispiace, non volevo... v-vado...
Fece per correre via, ma la trattenne.
-No... aspetta.
Rachel si fermò. Infilò le mani nelle tasche dei jeans prima di girarsi e dirigersi con passo incerto verso di lui.
Era seduto sui gradini di pietra che portavano ancora più su. Il mantello era abbandonato sulla pietra ai suoi piedi, ma non sembrava importargli. I risvolti erano verdi, così come lo stemma appuntato sul petto e la cravatta che indossava, allentata.
Le maniche della camicia erano arrotolate fino ai gomiti, poggiati sulle ginocchia.
I suoi occhi erano di un colore indefinito tra l’azzurro e l’argento, ma erano rossi per il pianto. I suoi capelli, invece, erano di un biondo chiarissimo. Il viso era affilato, regale, ma pallido.
Il ragazzo si strofinò il braccio sulle guance per asciugare le lacrime e si schiarì la gola, mentre lei lo fissava incerta.
-Scommetto che andrai a raccontarlo in giro- disse a bassa voce, con un tono così amaro che Rachel si sentì male solo a pensare a cosa poteva averlo ridotto in quelle condizioni.
Con passi veloci si avvicinò e si sedette sul gradino sotto quello dov’era lui. Il ragazzo la fissò sorpreso, anche se il suo volto era impassibile.
-Perché dovrei?- Ribatté con dolcezza.
Lui la guardò aggrottando le sopracciglia bionde.
-Perché così mi rovineresti ancora di più l’esistenza. Draco Malfoy, il Serpeverde, il traditore, il Mangiamorte, che piange.
Rachel schiuse la bocca in una O perfetta. Era lui Draco Malfoy? Selene ne aveva accennato, sia a lui che ai Mangiamorte, ma non sapeva molto su di loro, se non che erano al servizio di un folle pazzo crudele di nome Voldemort con manie di grandezza che avevano ammazzato centinaia di persone.
-Non potrei mai farlo- mormorò, sentendo una viva compassione farsi strada nel suo petto. -Non dovrebbe farlo nessuno- aggiunse, più decisa.
Draco si strofinò la fronte con le lunghe dita pallide, sospirando. La guardava confuso, senza capire chi fosse quella strana ragazza.
-Non ti ho mai vista prima.
Lei fece un sorriso per cercare di alleggerire l’atmosfera. -Infatti sono qui da qualche giorno. Mi chiamo Rachel. Rachel Elizabeth Dare
Gli tese la mano, e lui l’afferrò. La sua pelle era calda, morbida, anche se leggermente umida.  Vide una scintilla di comprensione nei suoi occhi chiari, di ghiaccio.
-Sei una delle ragazze che hanno trovato nella Foresta Oscura?
Rachel storse un angolo della bocca in una strana smorfia.
-In realtà nei sotterranei. Celeste nella foresta. Io nei sotterranei, mentre stavo morendo di freddo.
Un sorriso debole spuntò sulle labbra di Draco Malfoy.
-Già, lì non fa molto caldo, in effetti.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Rachel sospirò e si girò verso di lui.
-Senti, ti va se mi mostri questa parte del castello... e parliamo un po’?

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Montana, 20 maggio.
 

Hector stava finendo di pulire la spada dalla striscia di sangue di mostro che era rimasta sulla lama. Era stata una giornata stancante per lui e Ajax, ma alla fine erano riusciti a scovare l’arpia che stava terrorizzando il piccolo paesino nel nord del Montana.
Co un sospiro posò l’arma e si stese sul letto della stanza che avevano affittato quella mattina. Suo fratello si stava facendo la doccia. Era tardi, ma Hector non riusciva a dormire.
Si passò una mano tra i capelli e con una smorfia si alzò. Afferrò il pugnale che teneva nascosto sotto il letto e prese la giacca.
-AJAX! Io vado a fare un giro!- Urlò verso il bagno.
Sentì la rispostaccia del fratello e ridacchiò. Aprì la porta e spuntò nel corridoio verde pistacchio. Si mise il cappotto, controllando bene che non si vedesse l’elsa del pugnale spuntare dalla tasca, e si diresse verso le lucide scale in mogano che giravano su sé stesse, portando alla hall.
Dietro al bancone non c’era nessuno, così Hector scrollò le spalle e uscì.
L’aria fredda lo colpì come uno schiaffo. Faceva un freddo cane.
Le vie del paese non erano affollate, solo un paio di persone camminavano di fretta. Era mezzanotte, o poco più, e Hector decise di andare a fare quella passeggiata verso le montagne. Seguì la via principale, svoltando in un paio di vicoli bui e angusti. Dopo una decina di minuti spuntò al limitare del sentiero che costeggiava il bosco.
Con un sospiro profondo rilassò le spalle. Ora che la città era alle sue spalle ed era presumibilmente solo si sentiva meglio.
Era una sua caratteristica, quella di stare sempre in guardia. Ma la mascherava bene, col sorriso spontaneo e gli occhi allegri. Ajax invece non si curava di apparire quello che non era. Aveva la caparbietà e l’orgoglio dei figli di Ares, ma la furbizia di Ermes, che probabilmente derivava dalla loro madre. Che poi non avevano nemmeno conosciuto.
Hector si slacciò i bottoni della giacca e se la sfilò. Rabbrividì, mentre l’aria gli attraversava il tessuto sottile del maglione e gli pungeva la pelle.
I suoi ricci color miele sembravano splendere alla luce tenue della luna, circondata da una spolverata di stelle. Il semidio alzò la testa al cielo. Amava la notte.
Respirò riempiendosi i polmoni di fresca aria di montagna.
Un pensiero malinconico passò per la sua mente, seguito da molti altri. Ricordi, parole e frasi cominciarono ad ammassarsi nella sua testa, con un unico filo conduttore: Laura.
Hector rammentava perfettamente la sensazione delle loro labbra unite, quella notte a Stromboli, poco dopo la tragedia scampata di Nico.
Era andata da lui, sul promontorio, e aveva rischiato di cadere venti metri più sotto, nel mare. L’aveva presa al volo, per un vero miracolo divino. E poi l’aveva baciata.
E lei era scappata via piangendo.
Quando erano tornati al Campo l’aveva vista gettarsi tra le braccia di un ragazzo corvino, e allora aveva capito tutto. Stava con un altro.
Come sempre, Hector aveva ingoiato la delusione, l’amarezza e la rabbia ed era andato avanti. Laura aveva provato a parlargli, ma le era sempre sfuggito. Ajax aveva capito tutto e aveva fatto in modo di partire il più presto possibile, senza fare domande. Di quello Hector gli era grato.
Il figlio di Ares si morse il labbro, passandosi una mano tra i capelli color miele.
Doveva smetterla di pensare a lei, si sarebbe fatto solo più male.
Un rumore improvviso lo fece trasalire, e in un secondo solo Hector aveva in mano il pugnale, voltato verso le tenebre del bosco. C’era un silenzio inquietante, ma non aveva paura. C’erano solo cinque cose di cui aveva paura.
Aspettò, paziente. Lentamente una figura emerse dagli alberi. Hector ci mise qualche istante a riconoscerla. Aveva i capelli più lunghi dell’ultima volta che l’aveva visto, gli occhi molto più cupi. Indossava i jeans neri e gli anfibi e un maglione nero.
-Nico?
Hector raddrizzò la schiena, portando la mano che impugnava il pugnale lungo il fianco. Sorrise nel vedere il sorriso incerto dell’amico.
-Hector- mormorò il figlio di Ade.
-Che bello rivederti! Però hai un aspetto orribile, sinceramente. Cos’è successo?
Il sorriso di Nico si era trasformato in una smorfia stentata.
-Ho bisogno del tuo aiuto.

 

*Spungen = primo cognome scelto dalla Rowling per Draco Malfoy (eheheh ho piani anche per Draco, tranquilli :D)
** in questa storia Draco rifà l’anno come Hermione, perché non ha preso il diploma per aver saltato buona parte delle lezioni per rimanere con la sua famiglia al servizio di Voldemort.




ANGOLINO DEGLI SCUDI PER DIFENDERSI DAGLI AVADA KEDAVRA DELLE LETTRICI:
NON è colpa mia se mio padre ha aggiustato il pc dopo DUE mesi!!!!!! Scuuuusaaatemi T.T farò da martire quando avrò finito la storia, okay? :D
La cosa buona è che ho scritto un po' di capitoli in questo tempo, la cosa brutta è che è cominciata la scuola e dipenderà dalla mia mummia... prof, ehm, di greco la frequenza con cui aggiornerò :D
Questo è una specie di capitolo di passaggio, quando l'ho scritto, un po' di tempo fa non avevo molta ispirazione, ma è fondamentale per due cose: l'ingresso di Hector (AMOOOOREEEE :3) e Ajax e la conoscenza di Draco e Rachel. La parte in cui Hector parla di Laura è tuuuutta descritta, raccontata nella mia oneshot Mi dispiace, incentrata appunto su loro due e su quel bacio. Si svolge dopo la presunta morte di Nico in Shadows. Mi sa che sto spoilerando alla grande -.- ahah.
Ora vi lascio, graaaazzie mille per le recensioni, sono pazzesche!! Mi diverto troppo a leggervi mentresclerate eheh!
Un bacione!
Anna

 

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Capitolo 10
*** SOLUZIONE ***


Okay, mi odierete MA NON E' COLPA MIA T.T
Non sapete quanto vorrei aggiornare, davvero, ma ho il pc andato agli Inferi e non riesco ad aggiornare sul portatile, o sul cellulare- NON SAPETE QUANTO CI HO PROVATO!
Perciò, devo aspettare che qualcuno aggiusti il computer -cosa difficile dato che mio padre è fuori in settimata e ritorna il weekend, e ha miliardi di altre cose da fare. Sì, so che state aspettando da mesi e mi dispiace tantissimo, davvero, mi sento un.. un... un qualcosa di orribile.
Perciò, ho una soluzione.
Sono iscritta anche su Wattpad e ho l'app sul cellulare; potrei postare questa storia lì, se volete, in modo da poterla continuare.
Decidete voi se va bene questa "soluzione".
Ancora una volta, mi scuso con tutte voi; recensite, mi basta un sì o un no come risposta.
Un bacione,
Anna

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