Le proprietà della materia

di Sion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto 0: Big Bang. ***
Capitolo 2: *** Atto I: Malleabilità. ***
Capitolo 3: *** SHOUTOUT!! ***



Capitolo 1
*** Atto 0: Big Bang. ***


Titolo: Le proprietà della materia
Serie: Pandora Hearts
Rating: Verde (potrebbe alzarsi in seguito).
WARNINGS: ALTERNATIVE UNIVERSE! School!Verse.
Pairing: Tanti. Troppi.
Credits: Pandora Hearts appartiene a Jun Mochizuki; non è intesa violazione di copyright. L’Alternative Universe è banale e non credo sia da credits.
Capitolo: Atto 0: Big Bang.
Note: In fondo!


Atto 0: Big Bang.


Il mattino è limpido e azzurro, punteggiato da nuvole bianche. Un cielo quasi fuori luogo, nell’ottobre pungente e fresco di Cambridge. Uno si aspetta le nuvole grigie e cariche di pioggia dell’autunno alle porte, in Inghilterra, a Ottobre, e invece c’è il sole.
Elliot Nightray arriccia il naso, il viso alzato verso il cielo innaturalmente azzurro e luminoso, e si sistema lo zaino in spalla, controllando poi l’orario sul cellulare. Le sette e cinquantotto.
Oz sarebbe dovuto essere lì da almeno dieci minuti — e di questo passo, come al solito, faranno tardi a scuola — e lui se ne sta lì, impalato come uno stoccafisso, ad aspettarlo. Potrebbe tranquillamente girare i tacchi e andarsene da solo, a scuola, ma Oz l’ha costretto a promettergli che l’avrebbe aspettato, usando come debole scusa ‘ma domani è il primo giorno, per favore’. Ed Oz sa essere pesante quando ci si mette, perciò Elliot ha capitolato dopo diverse proteste, convincendosi ad arrivare all’angolo tra il forno e la libreria, punto d’incontro privilegiato per la sua esatta equidistanza tra casa Vessalius e casa Nightray, alle otto meno venti. Di solito Oz tarda di cinque, sei minuti – è una routine il lasciarsi convincere ad aspettarlo, in realtà, non un evento sporadico limitato all’apertura dell’anno – ma stavolta si sta mettendo d’impegno per fargli fare una brutta figura con i professori. Dovrebbero essere in classe esattamente tra due minuti.
Guarda insistentemente l’orologio, fissando la lancetta ticchettare lungo il quadrante, e proprio mentre scattano le sette e cinquantanove, quando sta per chiamare Oz per sbraitare come solo un cane rabbioso può fare, il suo cellulare squilla, costringendolo a rimandare l’ira e la strage a qualche secondo più tardi.
«Pronto?»
«Elliot, ma che stai facendo? Sono dieci minuti che io e Ada ti chiamiamo, perché te ne stai lì come una statua?»
«Oz. Oz io ti ammazzo». Si guarda intorno nervosamente, cercando lungo la strada trafficata l’auto di Ada. «Siete venuti in macchina? Io ti ammazzo, Oz».
«Sì, su questo punto sei stato abbastanza chiaro. Stai fermo, ora ci avviciniamo».
«Non ho fatto altro che stare fermo per dieci minuti, cazzone!»
Sente la risata cristallina di Oz all’altro capo, e poi il segnale di chiamata libera. Sta per avere una crisi isterica peggiore di quelle che ha Vanessa durante il ciclo, quando l’auto di Ada si accosta al marciapiede, e la testa bionda di Oz Vessalius sbuca dal finestrino del sedile del passeggero, con un’espressione talmente candida e innocente da sembrare quasi credibile.
«Ada non trovava le chiavi», è la giustificazione che celia prima di scrollare le spalle con leggerezza.
Ada, al sedile del guidatore, emette una risatina nervosa, chiocciando un «Scusa, Elliot!».
Elliot Nightray si domanda quante altre volte dovrà reprimere l’istinto di mettere le mani addosso ad una donna per colpa della superficialità di Ada, ma, per una volta, evita scenate primadonnesche e si limita ad entrare nell’auto, lanciando lo zaino dritto contro l’altro sportello e sbattendo il proprio non appena accomodato.
«Siamo in ritardo».
Oz annuisce, tranquillo, cercando una stazione alla radio. «Me ne rendo conto».
«Sappi che non mi prenderò responsabilità».
L’altro alza il volume e si stravacca sul sedile, con grande irritazione di Elliot, mentre gli risponde «Lo so bene».
«Cosa intendi fare a riguardo?»
«Andiamo Elli, è un ritardo il primo giorno di scuola, capirai che tragedia! Dovresti smetterla di preoccuparti così tanto. Non intendo fare assolutamente nulla, perché non c’è assolutamente nulla da fare».
La pragmaticità della risposta mette Elliot fuori gioco per diversi secondi, e, con qualche borbottio, lo costringe al silenzio. «Non chiamarmi Elli. E potevi almeno avvertirmi», mugugna, prima di guardare nuovamente l’orario sul cellulare. Le otto e due minuti.
Alza gli occhi fuori dal finestrino, cercando di isolare la voce sgraziata di Oz ed eliminarla, perché sta canticchiando canzoni già di per sé poco gradevoli, figurarsi se cantate con la sua voce, e prova invece a concentrarsi sui passanti, la maggior parte studenti, e quasi tutti diretti verso la scuola.
«Sai, ho saputo da mio zio che quest’anno ci saranno due studenti nuovi nella nostra classe».
Questo accende la curiosità di Elliot, che sposta lo sguardo davanti a sé, dove ipoteticamente ci sarebbero gli occhi di Oz. «Ah davvero?»
«Già. Ha detto che i genitori sono tipo... ricercatori? Non ne ho idea. Comunque, studiano chimica all’Università».
Elliot storce il naso a sentire la parola ‘chimica’, e si agita sul sedile, incrociando le braccia al petto.
«Wow. Impiego interessante», bercia, con tono saccente, interrotto dal ‘Siamo arrivati!’ squillante di Ada, che parcheggia poco lontano dall’entrata con una manovra poco convenzionale e sicuramente scomoda per chiunque, poi, vorrà passare dalla strada stretta che costeggia l’edificio.
«Oz, non per farmi i fatti vostri, ma come ha passato l’esame di guida tua sorella? Ha parcheggiato da schifo».
Oz gli lancia un’occhiata di fuoco da sopra il poggiatesta del sedile, inalberandosi subito. «Mia sorella guida benissimo, pensa a tuo fratello».
Elliot sta per domandare ‘A quale dei tanti devo pensare’, ma capisce quasi subito dopo che si tratta di Gilbert (che, a onor del vero, parcheggia anche peggio di Ada e riesce a grattare la frizione anche su un rettilineo).
Ada replica alla critica acida di Elliot con uno sorriso mortificato e sfila le chiavi dal quadro, sistemandole nella borsa. «Scusa, devo ancora prenderci la mano».
Elliot sbuffa ma tronca la conversazione, e sbatte nuovamente la portiera dietro di sé una volta sceso dall’auto, controllando – per l’ennesima volta – l’orario. Le otto e cinque. Quasi scatta in una corsa da velocista verso l’ingresso, ma Oz lo ferma stringendogli il gomito e alzando gli occhi al cielo. «Elliot, per la bontà di Dio, c’è ancora un sacco di gente che sta arrivando, piantala di fare la gazzella irrequieta e calmati».
«Ma-»
«Ma niente, non è la prima volta che arriviamo in ritardo e, credimi sulla parola, non sarà l’ultima».
Non gli ci vuole un grande sforzo di immaginazione per credergli, considerata la lentezza proverbiale dei Vessalius al mattino.
Si incamminano – Elliot davanti, Oz ed Ada a pochi passi di ditanza – verso l’ingresso, superando la folla di matricole sovreccitate e il gruppetto dell’ultimo anno cui Ada prontamente si unisce, lasciandoli soli all’entrata dell’edificio.
Oz guarda l’altro con divertimento, per poi passarsi una mano tra i capelli e mettere su il sorriso più disgustosamente attraente che riesce a fare.
«Beh, a caccia».

C’è una prassi che dura da almeno quattro anni – da quando facevano le medie ed Elliot era ancora totalmente insofferente ad Oz –: inizia il primo giorno di scuola con la ‘caccia’ di Oz alla studentessa più carina dell’anno e termina al ballo di Primavera, con l’invito alla suddetta a partecipare con Vessalius – per essere, poi, prontamente scaricata al ritorno dalle vacanze pasquali per dargli la possibilità di invitare almeno – almeno, perché c’erano stati casi in cui le invitate erano più di una – una nuova ragazza al ballo di fine anno.
E visto che Oz è perfettamente coerente con le sue abitudini, inizia a scandagliare la folla di studenti nell’atrio cercando di individuare il ‘viso più bello dell’anno’.
Elliot, di solito, non gli presta troppa attenzione, e si limita ad avviarsi verso il proprio armadietto da solo e fermamente intenzionato a non ascoltare le ciance di Oz per le seguenti sette ore e mezzo, ma, suo malgrado, la preda puntata da Oz per quest’anno si trova esattamente accanto al suddetto armadietto. Non se ne accorge fino a quando, raggiunto il lucchetto, non si ritrova Oz di nuovo a fianco, con un sorriso a trentadue denti, che intrappola la preda tra il muro e le proprie braccia.
Elliot si prende un po’ di tempo per osservare la malcapitata, prima di far calare il sipario sulla penosa scenetta riparandosi dietro l’anta dell’armadietto. È una ragazzina abbastanza graziosa, occhi grandi e castano scuro, quasi rossi, e lunghi capelli color cioccolato acconciati in una coda che lascia cadere alcune ciocche disordinate lungo le guance e la fronte.
«Hey, cretino, levati».
Elliot apre l’anta dell’armadietto, infilandoci i libri che ancora non gli servono e prendendo un quaderno, e si sofferma ancora un po’ a fissare l’interno, su cui ha attaccato solamente una fotografia di famiglia – in cui, a dirla tutta, sembrano tutti abbastanza rigidi, compreso suo fratello Ernest, completamente ingessato in un completo un po’ troppo elegante per il suo stile – ed una fotografia scattata da Gilbert, che ritrae lui ed Oz in una risata quantomeno rara. In tutta franchezza, quella fotografia l’ha attaccata Oz, ma lui, per qualche motivo, non ha mai avuto il cuore di toglierla.
Sente un certo brusio dall’altra parte dell’armadietto, e quando lo chiude vede Oz, da solo, con una mano sulla guancia – rossa e improvvisamente gonfia – e gli occhi sgranati e lucidi.
«Mi sono innamorato».
Elliot inserisce il lucchetto alla serratura e poi sistema lo zaino in spalla, inarcando le sopracciglia e arricciando il naso.
«Chi è?»
«Non ne ho idea, ma mi ha sfondato lo zigomo. È la preda, Elliot!»
Quest’ultimo alza gli occhi al cielo e lo spinge verso la classe, ignorando il suo chiacchiericcio sconnesso sulla straordinaria ragazza.
Oz si interrompe solo quando Sharon Rainsworth, capelli biondo miele legati in una treccia e maglioncino di un giallo improbabile, li raggiunge, stringendo una cartellina al petto.
«Hey, ragazzi!», cinguetta, aprendo la cartellina, «Ho gli orari! Anche quest’anno abbiamo il professor Regnard come insegnante di chimica!»
C’è una sorta di euforia nel tono, ed Elliot si ritrova un po’ combattuto, perché adora il professor Regnard, per carità, ma detesta la materia che insegna – nonostante abbia cercato in tutti i modi di eccellere per colpirlo e non farsi guardare con quello sguardo di divertita sufficienza che hanno i professori quando sanno che ti impegni ma, ahimè, sei un asino.
Perciò replica con un neutro «Che bello».
«E di letteratura chi c’è?», chiede Oz. L’anno prima avevano un professore estremamente preparato ma terribilmente pedante, Arthur Barma, cugino del professore di storia – la parentela è solo supposta, ma visto lo stesso cognome, gli stessi capelli rosso fuoco e la stessa irritante pretenziosità, devono per forza essere parenti.
«Un tale Oswald Baskerville. È nuovo», commenta Sharon, scorrendo la lista dei professori. «Per il resto, tutto regolare. Barma per storia e filosofia, Lunettes per matematica, Regnard per chimica e fisica, e tuo zio per scienze motorie».
Oz ridacchia, ricordando il giovane zio dai lunghi – troppo lunghi – capelli biondi intento a far fare salti in lungo e corse forzate ai primini.
«Che materie alternative sceglierete quest’anno?», chiede Sharon, aprendo la porta dell’aula di letteratura, ed entrando per prima.
«Io credo che sceglierò teatro ed economia», cinguetta Oz.
«Musica e teatro, come al solito», aggiunge Elliot, lanciando i libri sul banco prediletto – al quale nessuno si avvicina dal secondo anno quando in un impeto di rabbia aveva urlato contro ad una tale Echo perché aveva cercato di sedersi lì – a destra dell’aula, vicino alla finestra.
Oz gli si siede accanto, e Sharon alle spalle, beandosi della totale copertura che le offrono per dedicarsi a inviare messaggi e scarabocchiare sul uso blocco per gli appunti.
Alla spicciolata, entrano anche gli altri studenti, con le solite facce sbattute da inizio anno, ancora animate da una scintilla di vitalità, strascico delle vacanze estive, e forse rischiarate dal bel tempo.
Echo – la ragazzina contro cui aveva urlato Elliot – si siede in prima fila, esattamente davanti alla cattedra, e lancia uno sguardo indecifrabile al suddetto, che, con un po’ di vergogna, distoglie il proprio.
Non appena la porta sbatte per l’ultima volta, la figura slanciata del professor Rufus Barma – faccia di cazzo, capelli rossi legati sulla spalla sinistra, un panciotto decisamente fuori moda ed un doppiopetto nero in stile ‘maniaco da parco pubblico’ - si avvicina a lenti passi alla cattedra.
«Buongiorno».
Un coro di ragazzi svogliati gli risponde, mollemente in piedi per una forma di rispetto assolutamente superflua, considerato l’astio evidente che il professor Barma prova nei confronti delle loro ‘grette e limitate menti’.
«Sono assolutamente mortificato di dovervi vedere anche quest’anno, ma la mia richiesta di ottenere la cattedra all’Università è stata – inettamente – rifiutata anche quest’anno. Perciò temo che saremo costretti a collaborare un altro anno».
Ogni anno la prima lezione di letteratura si apre, da manuale, con questa frase ritrita, che Oz ascolta quasi con interesse, visto che diventa più lunga ed ostile di anno in anno.
La massa di studenti si risiede, mentre Barma rimane in piedi, circumnavigando la cattedra per porsi di fronte alla classe.
«E sono ancor più mortificato di annunciarvi che avremo tre altre teste vuote da riempire, quest’anno. Perciò accogliete con la dovuta cortesia i nostri nuovi acquisti».
La porta della classe si apre, e, con somma gioia di Oz, entrano tre figure praticamente identiche, anche se cromaticamente differenti.
La ragazza che aveva puntato – e che l’ha prontamente pestato per questo – si trova in mezzo a due altre figure: una femminile (identica a lei con la sola differenza che è tutta bianca, tutta completamente bianca, dai capelli – argentei e sciolti sulle spalle – alla pelle, allo scamiciato che indossa), ed una maschile.
E se Oz spasima per la ragazza dai capelli scuri, ad attirare l’immediata attenzione di Elliot è la figura a sinistra, un po’ nascosta dietro alle ragazze, vestita male e pettinata peggio, col viso mezzo coperto da un paio di occhiali spessi e una massa di capelli disordinati, neri e ribelli.
«Vi presento Alyss, Alice e Leo Baskerville. Tre al prezzo di uno. Accomodatevi, signori».
Ad uno ad uno, i tre si siedono nei posti liberi rimasti. Alyss, quella tutta bianca, si siede dietro Sharon, mentre Alice, evidentemente sua sorella, le si siede accanto, e alle spalle di Elliot subito inizia a levarsi un brusio di vocine femminili e presentazioni. Il tipo strano, invece, si siede due banchi avanti ad Oz, lasciando cadere la sacca sdrucita sul banco e sedendosi scompostamente sulla sedia, scomparendo quasi dietro al banco.
Elliot riceve diverse gomitate da Oz, che smania per illustrargli come farà breccia nel tenero cuore di Alice, ma Elliot è distratto.
«Molto bene, iniziamo. Aprite ‘Il Grande Gatsby’ a pagina uno. Baskerville uomo, leggi».
Il tizio apre la sacca e ne tira fuori una copia un po’ maltrattata del Grande Gatsby, si sistema un po’ più dritto sulla sedia, e poi, con voce espressiva e un po’ raschiante, inizia a leggere.
Elliot lo fissa. E non la smette per tutta la lezione.

«Quel tipo mi sembra un cretino», esordisce non appena usciti dall’aula di letteratura, guardando allontanarsi Leo Baskerville, tampinato a breve distanza da Alyss, Alice e Sharon, che ha già iniziato a civettare con la sorella bruna, prendendola a braccetto ed illustrandole le dinamiche della scuola.
«Ma dai, legge davvero bene e sembra un tipo a posto. Cosa abbiamo adesso?»
Elliot guarda l’orario, borbottando «Non mi convince. Comunque, Matematica con Lunettes».
«Non fare il bullo, è nuovo. Lascialo ambientare».
«Sì, sì, certo. Andiamo, o facciamo tardi».

Dopo un’ora di matematica passata nuovamente a fissare il nuovo arrivato alle prese con la disarmante disponibilità di Reim Lunettes, e un’ora di educazione fisica in cui non ha avuto la possibilità di studiare più a fondo il soggetto perché Jack Vessalius è un mostro e li ha costretti a fare flessioni per una mezz’ora abbondante, Elliot Nightray è convinto che il tipo sia una sagoma da evitare.
Tanto per incominciare, è scontroso. A metà della lezione di matematica, Oz ha cercato di presentarsi e tutto ciò che ha ricevuto è stata un’occhiata astiosa – o almeno, la sensazione è stata quella, considerato che gli occhi del tipo sono completamente coperti – e durante educazione fisica non ha parlato con nessuno, arrancando durante la corsa e rifiutandosi categoricamente di fare le flessioni adducendo come scusa ‘Non sono un militare e questo non è un corso preparatorio. Me ne vado a leggere’, e andando ad accomodarsi sugli spalti del campo da baseball. Inoltre, negli spogliatoi, ha respinto ogni tentativo di avvicinamento di qualsiasi studente.
Perciò, a pranzo, è abbastanza sorpreso di ritrovarselo seduto praticamente accanto.
Oz alza gli occhi dal piatto e fissa il viso di Elliot, congestionato e pronto all’esplosione, mentre Leo Baskerville si accomoda a pochi centimetri da lui e gli scaglia praticamente la sacca sui piedi.
«Scusami, cretinetti, ma chi ti credi di essere? Non ti abbiamo invitato a questo tavolo».
Leo Baskerville, con una calma sconcertante, si volta a guardarlo e gli risponde «Scusami, principessa, ma il tavolo non ha il tuo nome scritto sopra, perciò mi siedo dove voglio. E poi è stata Sharon ad invitarci».
«Cos-».
Pochi millesimi di secondi dopo, una mano delicata ma incredibilmente violenta gli piove sulla nuca, ed una voce che denota rabbia a stento trattenuta chioccia «Elliot, che maleducato che sei. Sono ragazzi nuovi, dobbiamo comportarci bene. Ho invitato Leo, Alice ed Alyss a stare con noi a pranzo per la prossima settimana, così da farli ambientare».
Oz non potrebbe essere più felice, vista l’espressione che mette su quando si ritrova seduto tra Sharon ed Alice.
«Infatti, Elliot, non fare il cafone», bercia, facendo cenni decisamente poco discreti del capo per indicare Alice e lanciandogli un’occhiata implorante.
Elliot si volta verso Leo, che gli fa un sorriso inquietante ed inizia a mangiare la sua zuppa dal colore indecifrabile.
E, ritrovandosi costretto a capitolare, abbassa il capo e accetta le nuove, invadenti presenze.
«Sarà un anno fantastico!», celia Oz, provando a mettere un braccio intorno alle spalle di Alice e ricevendo una gomitata nello stomaco che gli provoca una ridarella irritante.
«Sì», mugugna Elliot, «da paura».



Note:
Avevo in mente questa fanfiction da secoli, e finalmente ha preso forma. E la sto postando senza aver riletto o corretto, perché Neko No Yume ha detto che mi picchierà con un sedano se non posto entro oggi a pranzo, cosa che sto facendo. I won.
Dunque, la situazione è questa: è la prima longfic che pubblico da... non lo so, da quando mi sono iscritta col nuovo account, perciò siate clementi se sarò lenta. Considerato che questo è solo il prologo, poi, aspettatevi capitoli belli lunghi, quindi ne varrà la pena di aspettare.
Beh, un bacione a chiunque leggerà e recensirà. Spero che vi piaccia, e che continui a piacervi in seguito.
(Ah, lo so che il titolo fa schifo, ma diciamo che tutto l’impianto della storia è basato sulla fisica e la termodinamica. La scuola fa male. E boh, il titolo mi faceva ridere, perciò ciaux)
A.


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Capitolo 2
*** Atto I: Malleabilità. ***


Titolo: Le proprietà della materia
Serie: Pandora Hearts
Rating: Verde (potrebbe alzarsi in seguito).
WARNINGS: ALTERNATIVE UNIVERSE! School!Verse.
Pairing: Tanti. Troppi.
Credits: Pandora Hearts appartiene a Jun Mochizuki; non è intesa violazione di copyright. L’Alternative Universe è banale e non credo sia da credits.
Capitolo: Parte I | Atto I: Malleabilità.
Note: In fondo!



Atto I: Malleabilità.




Non c’è nulla di più noioso di un ritorno a casa da soli, sostiene Oz. Perciò, puntualmente, si accoda ad Elliot – che invece preferisce di gran lunga mettere gli auricolari e camminare da solo. Alla – ragionevole – domanda ‘Ma tua sorella non aveva la macchina?’, Oz risponde, candidamente:
«Sì, ma preferisco tornare con te. Sei una compagnia più divertente».
Il che è un paradosso, considerato che, durante le passeggiate con Oz, Elliot mette su una smorfia irritata per tutto il percorso e cerca di rispondere il più seccamente possibile alle sue ciance a vanvera. Però considerando che Oz è perseverante, cosa che in generale è un pregio ma nel modo in cui è perseverante Oz risulta quasi odioso, Elliot non può fare altro che chinare la testa, borbottare qualche insulto a mezza voce e indossare un solo auricolare, in modo da, almeno, ascoltare solo la metà delle cretinate che Oz riesce a sparare nell’arco di venti minuti.
«Sono contento che ci siano degli studenti nuovi. Avevo bisogno di una ventata d’aria fresca!», cinguetta Oz, sistemando gli spallacci dello zaino e trotterellando accanto ad Elliot, cercando di stargli al passo.
«Io no».
«Come sei caustico! Potresti dargli una possibilità invece di bocciarli in tronco», mugugna Oz, infastidito ma non sorpreso dal rifiuto totale di Elliot per le novità. «A me sembrano persone a posto».
Elliot arriccia il naso e sistema meglio l’auricolare, tentando di concentrarsi solo sulla voce di Chris Martin che gli vocalizza nell’unico timpano cui è consentito ascoltare qualcosa di piacevole.
«A me sembrano un branco di rincretiniti. Specialmente il tizio».
Oz ghigna, dandogli una gomitata.
«Ammettilo, ti viene a noia solo perché ti tiene testa».
Elliot inarca le sopracciglia, preso in contropiede, liquidando poi la questione spinosa con un gesto stizzito delle spalle.
«In ogni caso», continua Oz, arricciando le labbra, «Dovremmo davvero pensare a cosa mettere su con il teatro quest’inverno».
L’altro alza gli occhi al cielo e si rassegna a togliere anche l’altro auricolare, riponendo il telefono e le cuffie nella tasca della giacca, sbuffando.
«Non è neanche iniziata la scuola e tu già pensi allo spettacolo? Non è un po’ presto? E poi, come al solito, faremo Shakespeare. Facciamo solo Shakespeare da tre anni», bercia Elliot, ma prima che Oz possa replicare con una risposta poco intelligente, vengono travolti da un paio di braccia sottili.
«Ciao, fessacchiotti!», cinguetta una voce femminile, con un tono talmente alto che sembra trapanare i timpani di entrambi. Non fanno in tempo a voltarsi, che la ragazza si è già staccata, e li fissa con un sorriso ferino.
«Charlotte», sbotta secco Elliot, le guance appena arrossate perché gli occhi si posano automaticamente sulle due prominenze che sembrano lottare contro la gravità e contro ogni legge della fisica che le tenga strette nella maglia aderente che Charlotte si è messa addosso. Charlotte frequenta l’ultimo anno da almeno due anni, e sembra si faccia bocciare quasi per sport, perché al terzo anno vinse il primo premio ad un concorso di calcolo, indice di una certa capacità logica. Come al solito, i suoi capelli sono tinti di una vivace tonalità di rosa, e gli occhi, di una sfumatura innaturalmente chiara di marrone che li fa sembrare rosati quasi come i capelli, sono puntati su di loro con divertimento.
«Ho saputo che avete conosciuto i miei numerosi cugini», celia, posando una mano su un fianco e ammirandosi le unghie dell’altra, smaltate di verde smeraldo. Quando vede che né Elliot né Oz sembrano dare segni di vita sbuffa, e con un gesto annoiato della mano elenca: «Le sorelle Dolly e il topo di biblioteca». Alza gli occhi al cielo in risposta al verso d’intendimento che emette Oz e inarca le sopracciglia a quello irritato di Elliot.
«Effettivamente c’è una certa somiglianza», ammette Oz, esaminando il viso di Lottie con occhio critico.
«No. Loro vengono dalla parte sbagliata della famiglia», smentisce l’altra, arricciando le labbra. «Specialmente il piccoletto. Comunque siete dei tardoni, sapete? Non è difficile fare il collegamento, non ci sono molti Baskerville in circolazione», aggiunge, ammiccando appena.
«Comunque sia, grazie per l’informazione, ci vediamo», taglia corto Elliot, voltandosi prima ancora che Lottie possa replicare in maniera acida e camminando velocemente verso il semaforo, suo malgrado rosso. Oz lo segue a ruota, e così fa Lottie, che, per tutta risposta al suo astio proverbiale nei suoi confronti – come anche nei confronti di metà della popolazione femminile di Cambridge – lo prende a braccetto, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
«Dicevi, Lottie? Quindi sono tuoi cugini?», riprende Oz, ben contento di acquisire informazioni importanti sui nuovi arrivati – e in particolare, su Alice.
«Esatto. Mia madre è cugina di Levi, il padre delle sorelle Dolly, mentre la madre del sorcio era in qualche modo imparentata con Lacie, la moglie di Levi, perciò ha preso il loro cognome», spiega, con diligenza. «Non ho idea di quale fosse quello effettivo. Comunque, pare che abbiano ricevuto parecchi inviti da Cambridge per fare una ricerca su... non ne ho idea, ha a che fare con l’elettrochimica o qualcosa del genere. Gli zii sono ricercatori».
«Sì, sì, questo lo sapevamo», mugugna Elliot, ben poco contento di questa conversazione, che si trascina dall’altra parte della strada, con Lottie che gli trotterella al seguito mentre chiacchiera amabilmente con Oz.
«Adesso vivono proprio di fronte al The Old Spring».
Un mattone in testa avrebbe stordito di meno Elliot. Alza gli occhi dall’asfalto e guarda Oz, che nel frattempo ha messo su un’espressione estatica.
«Vivono a meno di un isolato da te!»
Oz lo pronuncia in tono gioioso, mentre Elliot lo sussurra con aria abbattuta. Non solo sarà costretto a sorbirsi le ciarle di Oz per la strada, adesso, ma anche quelle di questi tre tizi inutili. Perché conosce Oz da abbastanza tempo da poter prevedere due cose: prima cosa, che li inviterà puntualmente a tornare a casa con loro per poi accollarli ad Elliot; seconda cosa, che si pianterà a casa propria – con grande disappunto dei propri genitori – pur di attaccarsi alla finestra e sperare di vedere passare Alice.
«Ma davvero?», celia Lottie, sibillina.
«Sì, lui abita sulla Chesterton, non lo-»
Oz si interrompe, perché Elliot gli tira un calcio sugli stinchi, le guance rosse. Lottie ride, sguaiata, balbettando qualcosa come «Abita sulla Chesterton? Pensavo che i tuoi fossero ricchi sfondati, Nightray!»
Elliot lancia un’occhiata di fuoco ad Oz - che, per una volta, abbassa gli occhi e arrossisce di vergogna – e poi raddrizza le spalle, quasi allungandosi per superare Charlotte.
«Non sono affari che ti riguardano, Charlotte. Ora, se non ti dispiace, gradirei andare a casa».
Non li aspetta, non si ferma, e non sta a sentire né le risate sguaiate di Charlotte, né i deboli richiami di Oz. Non appena il semaforo scatta al verde, inizia a camminare a grandi falcate verso Chesterton Road, le spalle un po’ più curve e il viso un po’ meno altezzoso.


«Hey, Elliot?»
Elliot alza gli occhi dallo spartito che sta esaminando, spostandoli sul viso di sua sorella, Vanessa, che fa capolino dalla porta, quasi chiedendo il permesso di entrare. Strano, considerato che Vanessa entra ed esce dalla sua stanza senza neanche salutarlo – e se prova a rimproverarla per ‘violazione della privacy’, generalmente lei lo picchia.
«Che c’è?»
Sua sorella si fa avanti, chiudendosi la porta alle spalle e sedendosi accanto a lui, al pianoforte.
«Disturbo?»
«Hey, che ne hai fatto di mia sorella?», chiede Elliot, scioccato, ritraendosi fulmineamente con una debole risata quando Vanessa fa per tirargli un pugno dritto in mezzo agli occhi.
«La prossima volta non sarò altrettanto gentile, Elly».
«Sai che non-»
«Sì, so che non devo chiamarti Elly, ma continuerò a farlo a prescindere, perciò puoi risparmiarti la predica», lo interrompe Vanessa, alzando gli occhi verso il soffitto, annoiata. Si mette più comoda sul seggiolino e arriccia le labbra, per poi voltarsi a guardarlo.
«Va tutto bene, fratellino?», chiede, premendo un tasto a caso del pianoforte e facendo risuonare un mi minore. «Sei stato poco lamentoso a tavola, e c’erano i cavoli. Di solito quando ci sono i cavoli combini il finimondo».
Elliot inarca le sopracciglia e posa gli spartiti sul leggio del pianoforte, voltandosi a guardarla e scandendo lentamente, «Sei davvero venuta a chiedermi perché non ho fatto casino per i cavoli?»
Vanessa gli pesta un piede ed Elliot sobbalza, mugugnando un ‘E questo per che cos’era?’ in un falsetto da ragazzina. Lei si imbroncia e inizia ad squadrare gli spartiti quasi con astio, ed Elliot non ha nessun dubbio che, se davvero lo volesse, Vanessa, con quello sguardo, potrebbe farli incendiare.
«No, sono venuta a chiederti se è successo qualcosa a scuola. Hai una faccia un po’ sbattuta, di solito stai ore a lamentarti del figlio dei Vessalius».
Un sorriso minuscolo appare per un secondo ai lati della bocca di Elliot, per poi scomparire, sostituito da uno sbuffo.
«Oggi non mi ha dato particolarmente fastidio. E comunque non è successo nulla a scuola, a parte tre studenti nuovi», borbotta Elliot, ricordando la faccia saccente di Leo Baskerville e i visi identici di Alice ed Alyss Baskerville.
«Sei sicuro? Ti vedo strano».
«Non trattarmi come un bambino, Nessa. Non è successo nulla, stai tranquilla», sbotta lui, quasi strappandole di mano gli spartiti.
Vanessa lo guarda dritto negli occhi, e gli rivolge quello sguardo quasi materno che gli fa salire il sangue al cervello, perché detesta quando sua sorella lo tratta come un marmocchio di sei anni, e, in quest’ultimo periodo, lo fa abbastanza spesso.
«Sei assolutamente-»
«Diavolo, Vanessa, sì! Ma che diavolo ti prende?»
Vanessa abbassa lo sguardo e si mordicchia le labbra, per poi rispondere, senza guardarlo più, «Ernest mi ha detto che Charlotte Baskerville gli ha inviato un messaggio abbastanza derisorio sul fatto che viviamo sulla Chesterton. Tu ne sai qualcosa?»
Per un momento Elliot arrossisce appena al ricordo dell’aria divertita che ha assunto Charlotte qualche ora prima nel venire a conoscenza del quartiere in cui vive, ma recupera quasi subito la sua compostezza, e, tornando a fissare gli spartiti, mente. «No, niente. Deve avermi visto tornare a casa oggi. Non è che io possa nascondermi sempre.»
Vanessa ridacchia, alzandosi in piedi e scompigliandogli i capelli biondi. «Quanto sei stupido, Elly. Quando fai così sembri Ernest».
«Che sembra papà».
«Appunto».
Entrambi ridono, e per un momento Elliot non si sente più oppresso dal fatto che suo padre sta perdendo tutti i suoi soci e che sua madre sia diventata praticamente schiava degli antidepressivi. Lui e sua sorella stanno ridendo, e magari la loro famiglia non è così disastrata come pensa.
La famiglia Nightray possedeva una delle più importanti case farmaceutiche di tutta l’Inghilterra, fino a qualche mese prima. Poi un tale Isla Yura era entrato a far parte del consiglio direttivo, e aveva iniziato a fare pressioni perché si affiliassero con una casa farmaceutica semisconosciuta che, a suo dire, era davvero promettente e aveva brevettato da poco alcuni vaccini straordinari. Si scoprì che questi straordinari vaccini erano droghe sintetiche vendute sottobanco nelle filiali periferiche della casa rappresentata da Yura, e ovviamente, pur non essendo direttamente coinvolta, la Nightray Pharmaceuticals ne era uscita danneggiata. Niente più soci, niente più finanziamenti, la pressione finanziaria al suo massimo storico, tutti fattori di perdita che avevano costretto la famiglia di Bernard Nightray a trasferirsi in un quartiere di Cambridge conosciuto più che altro per le villette a schiera dall’aria economica. Bérenice Nightray entrò in depressione dal momento in cui mise piede nella nuova, piccola dimora, mentre Bernard Nightray divenne sempre più assente.
E per uno per cui l’onore di famiglia è importante quasi quanto la propria vita, se non di più, vedersi deriso per il quartiere in cui vive è un colpo basso all’orgoglio.
«Comunque, a parte questo...», svia Vanessa, riprendendosi dall’accesso di risa. «Hai trovato qualche giovane damigella in difficoltà su cui fare colpo, quest’anno? È un peccato vedere come ti sprechi», continua, tirandogli appena una ciocca di capelli.
«Non ti bastano le giovani damigelle che rimorchia Ernest? Fa per due», borbotta Elliot, agitandosi sullo sgabello per liberarsi dalla presa della sorella.
«Non rimorchia damigelle, rimorchia spazzatura. E comunque, dovresti davvero trovarti una ragazza». Vanessa scrolla le spalle, allontanandosi verso la porta e rivolgendogli un sorriso smagliante. «Magari ti placherebbe un po’ l’ondata di ormoni e saresti meno primadonna».
Prima che Elliot possa ribattere, Vanessa esce dalla stanza con una risata sommessa. Abbassa gli occhi, e sorride appena. Poi, con un sospiro, riprende la penna in mano, e scribacchia un paio di note sullo spartito, cercando di non pensare né Charlotte Baskerville, né agli occhi vacui di sua madre che lo osservano dall’altra parte del tavolo, intimandogli debolmente di mangiare i suoi cavoli.

«Ada, fermati!»
Ada inchioda proprio al limitare dell’incrocio, allarmata, guardando nella direzione in cui suo fratello si sta sporgendo, cercando di scorgere cosa Oz abbia visto di tanto straordinario da farla fermare praticamente a due secondi da un probabile incidente mortale.
«Che è successo, Oz? Sei impazzito?», pigola, e si porta una mano al petto, giusto per assicurarsi che il cuore sia ancora lì e non sia schizzato fuori, vista la velocità a cui sta battendo.
«Aspetta un attimo, accosta!», continua Oz, in tono urgente, ed Ada esegue gli ordini, ancora troppo scossa per mettere su una debole protesta – che Oz non ascolterebbe comunque, visto che sembra totalmente assorbito da qualcosa sul marciapiede.
Suo fratello scende, e, lasciando la portiera aperta, schizza proprio davanti all’entrata di un forno lì davanti. Ada si sporge, cercando di capire con chi stia parlando, ma la folla di passanti le impedisce di capirlo.
«Alice?», chiama Oz, speranzoso.
E, gioia cadimi addosso, è proprio Alice la ragazzina che sta sostando davanti alla vetrina del forno, le mani premute contro il vetro e il naso spiaccicato contro quello che sembra un waffle particolarmente attraente. Di malavoglia, Alice alza gli occhi, incontrando lo sguardo acceso e gioioso di Oz.
«Che vuoi, cretinetto? Sono impegnata», sbotta, ritornando a cercare di diventare un tutt’uno con la vetrina del negozio.
«Sei da sola?»
Alice scuote il capo– per quanto può, effettivamente, visto che l’attrito col vetro le sta deformando la faccia – ed indica, senza alzare gli occhi, un punto all’interno del forno. Oz aguzza lo sguardo, cercando qualcuno di familiare, e, bam, trova ben tre persone familiari, assieme ad altre due che invece non riconosce affatto. Individua la forma longilinea di Alyss, tutta bianca in mezzo a quella calca di persone, e i capelli innaturalmente arruffati di Leo, che sembra essere impegnato in un’accesa discussione con un uomo alto, e visibilmente più vecchio, coi capelli chiari quasi quanto quelli di Alyss e gli occhi violetti. La discussione viene fermata da una donna, che, con grande stupore di Oz, sembra essere la versione adulta di Alice, con un viso elegante e un paio di occhi che fulminano l’uomo coi capelli bianchi. A darle man forte, arriva il suo nuovo professore di storia, Oswald Baskerville.
«Quelli sono tutti i tuoi parenti?», chiede Oz stupito, tornando a voltarsi verso Alice e staccandosi dal vetro, cui si è attaccato per esaminare un po’ più chiaramente la famiglia.
«No, ne abbiamo altri, ma vivo con tutti loro».
Oz ride, incredulo, immaginando tutte quelle sei persone, insieme in una casa minuscola – come sono le villette a schiera che si susseguono davanti all’Old Spring. «Stai scherzando».
«No. Ma è una sistemazione provvisoria, fino a quando zio Oswald non si trasferirà altrove».
«E’ tuo zio?»
Alice alza gli occhi al cielo e si rimette dritta, elencando: «Oswald è il fratello di Lacie, mia madre, e quello lì coi capelli bianchi è Levi, mio padre. Gli altri li conosci».
«E sei anche cugina di Lottie?»
Alice annuisce, arricciando il naso, e prima che possa fare qualche commento acido su Charlotte Baskerville la campanella del negozio suona, e l’allegra famigliola spunta sulla soglia. Levi e Leo hanno due musi talmente lunghi da toccare terra, Lacie sembra straordinariamente irritata e Alyss e Oswald completamente apatici alla scena.
Lacie, però, nel vedere Oz accanto ad Alice, si rischiara, facendo risplendere un sorriso a trentadue denti.
«Oh, ciao», cinguetta, porgendogli la mano, e guardando Alice come per dirle ‘Non mi avevi detto che avevi fatto amicizia’. «Io sono la mamma di Alice, Lacie. Tu devi essere un suo compagno di scuola».
Oz si riprende dallo sbandamento provocato dal sorriso di Lacie e le stringe debolmente la mano, con un’espressione beota. «Sì, piacere mio, sono Oz».
Levi abbassa gli occhi su di lui, esaminandolo con occhio clinico.
«Oz come?».
«Oz Vessalius».
Oswald e Levi si scambiano uno sguardo che Oz non riesce ad interpretare, mentre Alice bercia «Mamma! Che hai comprato?»
«E’ il nipote di Jack Vessalius, quindi?», chiede Levi, ma non ad Oz, bensì ad Oswald. Questi lo fissa per qualche secondo con uno sguardo che fa rabbrividire Oz, e poi annuisce.
«Sì, Jack me ne ha parlato oggi, a scuola, ma non ho ancora avuto il piacere di conoscerlo di persona».
Poi Oswald sorride, ed Oz capisce da dove si può evincere che sono tutti imparentati: hanno un sorriso che scalda e raggela insieme. Levi, invece, non sorride, ma si limita a continuare a fissarlo come se sia una cavia da laboratorio che non reagisce agli stimoli come dovrebbe.
«Ehm...», mugugna Oz, a disagio, ma viene distratto dal clacson di Ada, che lo richiama. Sospira quasi di sollievo, e indica la macchina di sua sorella, che lo guarda attraverso il finestrino, vagamente impaziente. «Mia sorella mi sta aspettando, dovrei andare...»
«Oh, certo, capisco», replica Lacie, con voce di velluto. «Sono felice che mia figlia abbia fatto qualche nuova conoscenza».
«In realtà, lo conosciamo anche noi, zia», interviene Leo, con una smorfia. Lacie gli scompiglia i capelli e ride, come se abbia appena fatto una battuta estremamente divertente.
«Certo, certo. In ogni caso, spero che tu voglia accettare un tè, prima o poi», continua lei, mentre Alice alza gli occhi al cielo, esclamando un ‘Mammaaa!’ lamentoso.
«Con piacere!», sorride Oz, per poi guardare Alice. «Allora ci vediamo domani a scuola. È stato un onore!»
Il clacson di Ada strombazza di nuovo, ed Oz si slancia verso la macchina, continuando a salutare con la mano come un idiota fino a quando non chiude lo sportello.
«Chi erano? Faremo tardi!». Il tono di Ada è urgente, e poi aggiunge: «Metti la cintura, per favore».
Oz la guarda, come inebetito, e allaccia la cintura, tornando poi a fissare i sei Baskerville che si allontanano, in un chiacchiericcio animato.
«I Baskerville. Comunque andiamo, siamo in ritardo!»

«E quindi vivono tutti in una casa più piccola della mia?», chiede Elliot, affogando una patatina in un lago di ketchup e poi sgranocchiandola con un rumore sordo. «Wow. E dire che sono ricercatori famosi».
Oz alza gli occhi dal suo hamburger, borbottando un «Ah, sì?»
Elliot annuisce, allungandosi verso Oz con aria vagamente cospiratoria e sussurrando, «Ho chiesto a mio fratello, Claude. Ha fatto un paio di domande nell’Università, e mi ha detto che un suo amico gli ha detto che il suo professore gli ha detto che sono venuti qui per studiare le proprietà elettrochimiche della materia esposta all’energia pura».
Oz gli ride clamorosamente in faccia, sputacchiando briciole di hamburger sul piatto. «E tu ci credi? Tra l’altro, non mi sembra una cosa tanto losca».
Le orecchie di Elliot si arrossano per l’irritazione, e ritorna dritto come un fuso, sorseggiando silenziosamente il suo frullato. «Sì, ci credo, e la cosa diventa losca quando, negli archivi di mio padre, ho trovato un fascicolo sui Baskerville. Era ben nascosto, quindi immagino che non volesse che finisse in mani poco affidabili».
Stavolta Oz diventa più serio, e mentre si gratta la guancia chiede, «E cosa c’era scritto?»
Elliot tace per qualche secondo, fissando Oz intensamente, e l’altro si agita, incuriosito e sulle spine. Poi, dopo aver bevuto un altro sorso di frullato, Elliot posa con lentezza il bicchiere sul tavolo e risponde, in tono solenne, «Non ne ho idea. Mio padre stava per scoprirmi ed ho dovuto mettere tutto in ordine».
Oz mette su un’espressione delusa, ma prima che possa replicare, Elliot continua: «Però era nell’archivio dedicato alla Fianna Pharmaceuticals. Questi Baskerville hanno qualcosa a che fare con Isla Yura».
L’altro ci mette qualche secondo a collegare la Fianna, Isla Yura, i Baskerville e i Nightray, e comprende il motivo della somma irritazione di Elliot. «Credi che abbiano a che fare con quel fattaccio? A me sono sembrate persone così perbene», protesta, imbronciandosi, quasi deluso dalle sue scarse doti di investigatore.
«Potranno anche essere perbene, ma ci hanno quasi mandati in bancarotta», sibila Elliot.
Il cellulare di Oz vibra sul tavolo, ed il suono di notifica lo avverte di un messaggio in arrivo. Il viso di Oz si illumina non appena lo legge, e cinguetta ad Elliot, «Stanno arrivando Sharon, Alice e Leo!»
«Tu sei un cretino. Dì che ce ne stiamo andando!», sbotta, cercando di afferrare il telefono per prendere il controllo della scomoda situazione.
C’è una breve lotta per il possesso del cellulare, ma viene vinta da Oz, che, con poca onestà, tira un calcio sui piedi di Elliot, che lascia andare le sue mani con un lamento.
Il debole «Ma allora sei stronzo» lamentoso di Elliot viene sovrastato dal festoso «Inviato! Stanno arrivando!» di Oz.
«Ti ho appena detto che questi qui hanno rischiato di mandarmi a mendicare per strada e li inviti a mangiare con noi? Cos’hai che non va nel cervello?», sbotta Elliot, con una smorfia addolorata, chinandosi per massaggiare i piedi offesi.
Oz alza gli occhi al cielo, rubando una patatina dal piatto di Elliot mentre è distratto, mormorando «Lo sai che i genitori non sono come i figli».
Elliot arriccia il naso, borbottando «Il tuo caso è diverso. Tuo padre non ci ha mandati sul lastrico, ci ha solo fatto perdere una causa da niente».
«Una causa da niente che vi è costata due milioni e mezzo di indennizzo».
«Se non la pianti ti prendo a pugni in faccia, Vessalius. Uomo avvisato...».
Oz mette su la propria migliore espressione da cane bastonato, e supplica «Ti prego, Elliot, ti prego ti prego ti prego! Magari ti piaceranno! Sii più malleabile!»
«Che scocciatura. E va bene, come ti pare». Elliot si allunga sul sedile del tavolo, cercando di non ascoltare il grugnito di vittoria di Oz.
Nel momento in cui si arrende, dalla porta del bar fa capolino Sharon Rainsworth, che sonda con lo sguardo la sala e sorride quando incontra la faccia scura di Elliot e il viso festante di Oz. Al seguito, entrano Leo e poi Alice, che stanno parlottando tra di loro in tono sommesso. Attraversano la stanza, e Sharon, con uno slancio, si siede accanto ad Elliot.
«Ciao, ragazzi!»
Oz, cavallerescamente, si alza, facendo passare Leo, che si siede proprio di fronte ad Elliot, ed Alice, piazzandosi al suo fianco.
«Ciao», esclama Alice, lanciando la borsa nel posto vuoto accanto a Sharon.
«Hey». Il saluto di Leo è meno entusiastico, e, rivolgendosi ad Elliot, aggiunge, «Ciao, faccia di culo».
Elliot avvampa, e stringe le labbra in una linea sottile, lanciandogli uno sguardo di fuoco. «Cerchi rogna, Baskerville?»
«Assolutamente no, Nightray. Però è innegabile che tu abbia una faccia di culo. Tra l’altro, sei sporco di ketchup». Si indica la guancia, ed Elliot si affretta a sfregarsi nel punto indicato, togliendo di mezzo l’imbarazzante macchia rossa.
«Allora, ragazzi, vi siete ambientati?»
Alice scrolla le spalle, mentre Leo risponde un secco «Cambridge è meno movimentata di New York. Tanto meglio».
«Li ho portati i giardini», interviene Sharon, con un sorriso educato. «Poi abbiamo fatto un po’ di spesa in libreria».
«Oh, cosa avete comprato?», chiede Oz, con eccessivo interesse.
«Alice non ha comprato nulla perché mangerebbe il libro, e non nel modo convenzionale», replica Leo, «Io ho comprato il nono volume di Holy Knight».
Alice risponde alla provocazione con una scrollata di spalle disinteressata, ma Elliot sembra improvvisamente attento.
«Leggi Holy Knight?»
Leo lo guarda quasi stupito. «E tu sai leggere?»
«Guarda che ti spacco-»
«Sì, sì, mi spacchi la faccia. Comunque, leggo Holy Knight da parecchio tempo».
«Wow!», esclama Oz, alzando un braccio per chiamare la cameriera. «A quanto pare abbiamo parecchie cose in comune. Io ed Elliot seguiamo quella saga dalla prima ristampa!»
La cameriera si avvicina al tavolo masticando una gomma con aria annoiata, e prende le ordinazioni di Alice, Leo e Sharon con una flemma che sembra quasi inumana. L’ordinazione di Alice la stupisce abbastanza, e provoca diversi versi stupiti tra i commensali.
«Come diavolo fai a ingurgitare tutta quella roba?», chiede Elliot, sbalordito.
«Due doppi cheeseburger, una porzione di patatine King Size ed un frullato al triplo cioccolato», elenca Oz, con ammirazione. «Ti tieni in forma!»
«Non è niente, non ho molta fame», commenta Alice, con una scrollata di spalle.
«E’ un caso clinico di ipertiroidismo», aggiunge Leo, che invece ha ordinato solo una porzione di patatine, esattamente come Elliot. «Non fateci caso».
Ci sono ancora un paio di commenti sulla dimensione dello stomaco di Alice, ma Sharon vi pone fine con un leggero schiarirsi della gola, mentre si mette ben dritta, intrecciando le dita sul tavolo.
«Che attività extra avete scelto?».
«Io ho deciso di provare il corso di cucina», esclama Alice, entusiasta. «Almeno mia madre la smetterà di lamentarsi del fatto che mangio senza preparare mai niente.
«Musica e teatro».
La risposta di Leo provoca un vago disagio in Oz, che sonda la reazione di Elliot. Le materie extra vengono scelte con grande cura dai vari compagni, perché incrociare conoscenze scomode anche al di fuori dall’orario obbligatorio spesso provoca risse e scontri che portano alla chiusura senza appello dell’attività – successe un paio d’anni prima, a causa di Ernest, il fratello maggiore di Elliot, che era al suo ultimo anno e non sopportava di dover dividere il seggiolino del pianoforte con Jean Aberdeen, una tale che aveva definito ‘un’incompetente provinciale’.
«Perfetto», borbotta Elliot, ripulendo la chiazza di ketchup con l’ultima patatina rimasta.
«Oh, per l’amor del cielo, non dirmi che--» Inizia Leo, in tono abbattuto, e continua con un tagliente «Fantastico, non sto nella pelle» in risposta al ‘sì’ sussurrato di Oz. Alice, nel frattempo, sembra completamente immune alla discussione, visto che trangugia il secondo cheesburger senza sforzo, coronando il silenzio imbarazzante che segue con un rutto tanto forte da far tremare i vetri.
«Beh, vorrà dire che dovrò tenervi d’occhio io, a teatro», sibila Sharon, che sta torturando il piede di Elliot col tacco della scarpa, costringendolo a non emettere suono per protestare. Leo le rivolge uno sguardo indecifrabile – indecifrabile soprattutto perché effettivamente non gli si vedono gli occhi, e commenta «Io so controllarmi».
«No, non è vero, l’ultima volta che ti sei arrabbiato mi hai quasi staccato la testa», bercia Alice, lanciandogli uno sguardo astioso.
«Mi stavi disturbando».
«E ti sembra una ragione valida per minacciarmi con un coltello?»
Elliot alza gli occhi al cielo. «Fantastico, uno psicopatico. Ti prego, dimmi che suoni il contrabbasso o qualcosa del genere».
Leo scuote la testa. «Suono il pianoforte, cretinetti».
«Bene. Benissimo. Vado ad impiccarmi con una corda elettrificata, se non vi dispiace», mugola Elliot, lasciandosi cadere sullo schienale con un lamento.
«Che, il tizio suona il piano?», chiede Leo, rivolgendosi a Sharon ed Oz.
«E’ al decimo anno di conservatorio», risponde Sharon, in tono cauto.
Leo arriccia il naso ed imita la sua nemesi, lasciandosi cadere sullo schienale e ammutolendo.
La conversazione cambia direzione e inizia a vertere sui capelli di Alice, acconciati in due trecce morbide, lasciando Sharon e Oz liberi di complimentare la ragazza e di riempire il silenzio imbarazzante formatosi tra Elliot e Leo, che continuano a guardarsi di sottecchi con occhi che promettono schermaglia.
Elliot continua a pensare a quanto enorme sarà la scocciatura di dover dividere il pianoforte con questo tizio, e cerca di convincersi che forse Oz ha ragione e i genitori non sono come i figli. Ma questo non gli impedisce di avere profonda antipatia per Leo di per sé, perché Lacie e Levi Baskerville non sono suoi genitori, e perciò dev’essere odioso per sua propria natura. Sbuffa, e incrocia le braccia al petto, ascoltando la frivola chiacchierata tra Alice ed Oz, e lancia uno sguardo nella loro direzione, notando come il braccio di Oz sia scivolato lentamente dietro alle spalle di Alice e come questa non stia protestando come ha già fatto al mattino, ma stia sopportando la sua presenza con un viso un po’ meno annoiato di prima. Ma all’ennesima adulazione, Elliot ne ha piene le scatole, e dopo aver dato un rapido sguardo all’orologio si alza in piedi.
«Sono le dieci, è il caso che andiamo».
Oz lo guarda con sguardo implorante, mentre Alice protesta «No, è presto, non ho voglia di tornare a casa».
Sharon lo guarda e poi guarda Alice, quasi scusandosi per il suo chiaro rifiuto di alzarsi. Elliot si chiede se Sharon Rainsworth non sia diventata improvvisamente lesbica per colpa di Alice Baskerville.
«Io rimango qui», afferma Oz, seguito a ruota da Sharon. «Anche io, vorrei riaccompagnare a casa Alice, non vorrei che questo qui la molestasse».
Oz fa una faccia quasi oltraggiata, ma Sharon si sporge e gli scompiglia i capelli, ridacchiando.
Straordinariamente, è Leo ad alzarsi.
«Io invece me ne vado. Vorrei iniziare a leggere Holy Knight».
Oz, con sguardo mefistofelico, si allunga verso Leo, toccandogli un braccio per attirare la sua attenzione.
«Se non sai bene la strada, Elliot può accompagnarti, abitate nello stesso quartiere, praticamente».
Lo sguardo che Elliot lancia a Oz promette tutte le torture umanamente immaginabili. Però Leo esamina Elliot, e raccoglie la busta della libreria. «Sì, forse è il caso. Lui sembra minaccioso, al massimo cercheranno di picchiare lui e io potrò defilarmi».
«A meno che l’aggressore non sia io, idiota», ipotizza Elliot, ma Leo non sembra dargli ascolto, perché si volta con un ‘Ciao’ e si avvia verso la porta. «Aspetta, Baskerville!»
Elliot raccoglie la sua giacca, e si slancia dietro di lui, senza osservare la stessa cortesia nei confronti di Sharon, Alice e Oz, perché si allontana senza salutare. Si scontra con l’aria fresca fuori dal locale, e si guarda intorno per individuare Leo, che è già a metà strada verso l’incrocio, e cammina velocemente per raggiungerlo.
«Se devo accompagnarti è il caso che tu mi aspetti, non credi?»
Leo alza gli occhi al cielo, attraversando la strada senza neanche guardare a destra e a sinistra. Elliot fa un verso stupito, e dopo essersi assicurato che la strada sia sgombra lo rincorre, afferrandogli una manica della camicia.
«Mi stai ascoltando?»
«Sì, ti ascolto, ma sei noioso e perciò non ti rispondo. So cavarmela da solo».
Elliot aggrotta le sopracciglia.
«Allora perché dovrei accompagnarti?»
Leo lo guarda di sottecchi, ed Elliot riesce a cogliere uno sprazzo dell’immagine dei suoi occhi, grandi e scuri, attraverso le lenti e la coltre di capelli neri che gli copre il viso, e ne rimane quasi spiazzato, perché sembrano rilucere di luce propria, tanto sono brillanti.
«Perché mi fai ridere con le tue ciance, perciò accorci la strada. Se proprio devo andare a casa, almeno il tragitto lo faccio divertendomi, non credi?»
Elliot, in tutta franchezza, non sa come rispondergli. Però Leo gli fa un sorriso che non è saccente, e non è neanche derisorio. È solo un sorriso. E in qualche modo, lo imbarazza.
«Andiamo, cretinetti, la strada è lunga e tu hai tante stronzate da sparare».
Elliot fa per protestare, ma Leo gli afferra il bavero della giacca e inizia a trascinarlo, provocando una reazione scomposta di imprecazioni a cui risponde con una risata cristallina. Ed Elliot deve ammettere che forse Oz ha ragione, effettivamente. Che forse dovrebbe essere un po’ più malleabile. Dopotutto, la risata di Leo non è neanche tanto male.


Note:
Dopo quasi un mese, arriva il capitolo. Non odiatemi, ma sono lentissima ad aggiornare, e scrivo tutto nel rush del momento, perciò tra un capitolo e l’altro passano settimane, visto che anche tra una botta d’ispirazione e l’altra passano settimane. Tra l’altro ho iniziato a vedere Doctor Who e mi ha, come dire, un po’ distratta. /nasconde mole di fazzoletti imbevuti di lacrime e dolore.
In ogni caso, vorrei ringraziare calorosamente chi ha inserito la storia tra i seguiti, i preferiti e chi ha recensito. Mi rendete felicissima! Risponderò presto a tutte le recensioni, non temete, non vi abbandono ;v; Grazie ancora! E spero che il capitolo sia piaciuto. <33 A presto (spero)!
A.


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Capitolo 3
*** SHOUTOUT!! ***


LA FANFICTION È DI NUOVO IN CANTIERE!! STAY TUNED!!!! EDIT - 20/07/2017 Come credo sia ormai ovvio, purtroppo questa storia è caduta in depressione ed ha deciso di abbandonare per sempre la mia inventiva - non ricordo ormai neanche più la trama, quindi suppongo sia inutile tenerla appesa. Sono mortificata che sia rimasta così, incompleta e un po' gobba, però purtroppo la mia incostanza nelle longfic si è dimostrata più fondata di sempre. Dopo quattro anni, direi che è il caso di staccare la spina. Mi dispiace immensamente, anche perché all'epoca della stesura dei primi capitoli ero euforica per questa fanfiction e avevo ogni punto ed ogni virgola ed ogni puntino sulle i programmato e pronto per la scrittura. Dopo anni e anni e fandom e passioni passate e tornate, purtroppo questa non rientra tra quelle. Perciò sono dispiaciuta di informare lo - scarno - pubblico di questa ff che è ormai definitivamente incompleta, e che purtroppo non sarà più riportata in vita. Sono pronta al meritato linciaggio, ma spero che, dovessi pubblicare ancora, sarete dispost@ a leggere ancora qualcosa di mio. Con affetto, A.

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