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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto 0: Big Bang. ***
Capitolo 2: *** Atto I: Malleabilità. ***
Capitolo 3: *** SHOUTOUT!! ***
Capitolo 1 *** Atto 0: Big Bang. ***
Titolo:
Le proprietà della materia
Serie:
Pandora Hearts
Rating:
Verde (potrebbe alzarsi in seguito).
WARNINGS:
ALTERNATIVE
UNIVERSE! School!Verse.
Pairing:
Tanti. Troppi.
Credits: Pandora Hearts appartiene a
Jun Mochizuki; non è intesa violazione
di copyright. L’Alternative Universe è banale e
non credo sia da
credits.
Capitolo:
Atto 0: Big Bang.
Note:
In
fondo!
Atto
0: Big Bang.
Il
mattino è limpido e azzurro, punteggiato da nuvole bianche.
Un cielo
quasi fuori luogo, nell’ottobre pungente e fresco di
Cambridge. Uno
si aspetta le nuvole grigie e cariche di pioggia dell’autunno
alle
porte, in Inghilterra, a Ottobre, e invece c’è il
sole.
Elliot
Nightray arriccia il naso, il viso alzato verso il cielo
innaturalmente azzurro e luminoso, e si sistema lo zaino in spalla,
controllando poi l’orario sul cellulare. Le sette e
cinquantotto.
Oz
sarebbe dovuto essere lì da almeno dieci minuti —
e di questo
passo, come al solito, faranno tardi a scuola — e lui se ne
sta lì,
impalato come uno stoccafisso, ad aspettarlo. Potrebbe
tranquillamente girare i tacchi e andarsene da solo, a scuola, ma Oz
l’ha costretto a promettergli che l’avrebbe
aspettato, usando
come debole scusa ‘ma domani è il primo giorno,
per favore’. Ed
Oz sa essere pesante quando ci si mette, perciò Elliot ha
capitolato
dopo diverse proteste, convincendosi ad arrivare all’angolo
tra il
forno e la libreria, punto d’incontro privilegiato per la sua
esatta equidistanza tra casa Vessalius e casa Nightray, alle otto
meno venti. Di solito Oz tarda di cinque, sei minuti –
è una
routine il lasciarsi convincere ad aspettarlo, in realtà,
non un
evento sporadico limitato all’apertura dell’anno
– ma stavolta
si sta mettendo d’impegno per fargli fare una brutta figura
con i
professori. Dovrebbero essere in classe esattamente tra due minuti.
Guarda
insistentemente l’orologio, fissando la lancetta ticchettare
lungo
il quadrante, e proprio mentre scattano le sette e cinquantanove,
quando sta per chiamare Oz per sbraitare come solo un cane rabbioso
può fare, il suo cellulare squilla, costringendolo a
rimandare l’ira
e la strage a qualche secondo più tardi.
«Pronto?»
«Elliot,
ma che stai facendo? Sono dieci minuti che io e Ada ti chiamiamo,
perché te ne stai lì come una statua?»
«Oz.
Oz io ti ammazzo». Si guarda intorno nervosamente, cercando
lungo la
strada trafficata l’auto di Ada. «Siete venuti in
macchina? Io ti
ammazzo, Oz».
«Sì,
su questo punto sei stato abbastanza chiaro. Stai fermo, ora ci
avviciniamo».
«Non
ho fatto altro che stare fermo per dieci minuti, cazzone!»
Sente
la risata
cristallina di Oz all’altro capo, e poi il segnale di
chiamata
libera. Sta per avere una crisi isterica peggiore di quelle che ha
Vanessa durante il ciclo, quando l’auto di Ada si accosta al
marciapiede, e la testa bionda di Oz Vessalius sbuca dal finestrino
del sedile del passeggero, con un’espressione talmente
candida e
innocente da sembrare quasi credibile.
«Ada
non trovava le
chiavi», è la giustificazione che celia prima di
scrollare le
spalle con leggerezza.
Ada,
al sedile del
guidatore, emette una risatina nervosa, chiocciando un
«Scusa,
Elliot!».
Elliot
Nightray si
domanda quante altre volte dovrà reprimere
l’istinto di mettere le
mani addosso ad una donna per colpa della superficialità di
Ada, ma,
per una volta, evita scenate primadonnesche e si limita ad entrare
nell’auto, lanciando lo zaino dritto contro l’altro
sportello e
sbattendo il proprio non appena accomodato.
«Siamo
in ritardo».
Oz
annuisce,
tranquillo, cercando una stazione alla radio. «Me ne rendo
conto».
«Sappi
che non mi
prenderò responsabilità».
L’altro
alza il
volume e si stravacca sul sedile, con grande irritazione di Elliot,
mentre gli risponde «Lo so bene».
«Cosa
intendi fare a
riguardo?»
«Andiamo
Elli, è un
ritardo il primo giorno di scuola, capirai che tragedia! Dovresti
smetterla di preoccuparti così tanto. Non intendo fare
assolutamente
nulla, perché non c’è assolutamente
nulla da fare».
La
pragmaticità della
risposta mette Elliot fuori gioco per diversi secondi, e, con qualche
borbottio, lo costringe al silenzio. «Non chiamarmi Elli. E
potevi
almeno avvertirmi», mugugna, prima di guardare nuovamente
l’orario
sul cellulare. Le otto e due minuti.
Alza
gli occhi fuori
dal finestrino, cercando di isolare la voce sgraziata di Oz ed
eliminarla, perché sta canticchiando canzoni già
di per sé poco
gradevoli, figurarsi se cantate con la sua voce, e prova invece a
concentrarsi sui passanti, la maggior parte studenti, e quasi tutti
diretti verso la scuola.
«Sai,
ho saputo da mio
zio che quest’anno ci saranno due studenti nuovi nella nostra
classe».
Questo
accende la
curiosità di Elliot, che sposta lo sguardo davanti a
sé, dove
ipoteticamente ci sarebbero gli occhi di Oz. «Ah
davvero?»
«Già.
Ha detto che i
genitori sono tipo... ricercatori? Non ne ho idea. Comunque,
studiano chimica all’Università».
Elliot
storce il naso a
sentire la parola ‘chimica’, e si agita sul sedile,
incrociando
le braccia al petto.
«Wow.
Impiego
interessante», bercia, con tono saccente, interrotto dal
‘Siamo
arrivati!’ squillante di Ada, che parcheggia poco lontano
dall’entrata con una manovra poco convenzionale e sicuramente
scomoda per chiunque, poi, vorrà passare dalla strada
stretta che
costeggia l’edificio.
«Oz,
non per farmi i
fatti vostri, ma come ha passato l’esame di guida tua
sorella? Ha
parcheggiato da schifo».
Oz
gli lancia
un’occhiata di fuoco da sopra il poggiatesta del sedile,
inalberandosi subito. «Mia sorella guida benissimo, pensa a
tuo
fratello».
Elliot
sta per
domandare ‘A quale dei tanti devo pensare’, ma
capisce quasi
subito dopo che si tratta di Gilbert (che, a onor del vero,
parcheggia anche peggio di Ada e riesce a grattare la frizione anche
su un rettilineo).
Ada
replica alla
critica acida di Elliot con uno sorriso mortificato e sfila le chiavi
dal quadro, sistemandole nella borsa. «Scusa, devo ancora
prenderci
la mano».
Elliot
sbuffa ma tronca
la conversazione, e sbatte nuovamente la portiera dietro di
sé una
volta sceso dall’auto, controllando – per
l’ennesima volta –
l’orario. Le otto e cinque. Quasi scatta in una corsa da
velocista
verso l’ingresso, ma Oz lo ferma stringendogli il gomito e
alzando
gli occhi al cielo. «Elliot, per la bontà di Dio,
c’è ancora un
sacco di gente che sta arrivando, piantala di fare la gazzella
irrequieta e calmati».
«Ma-»
«Ma
niente, non è la
prima volta che arriviamo in ritardo e, credimi sulla parola, non
sarà l’ultima».
Non
gli ci vuole un
grande sforzo di immaginazione per credergli, considerata la lentezza
proverbiale dei Vessalius al mattino.
Si
incamminano –
Elliot davanti, Oz ed Ada a pochi passi di ditanza – verso
l’ingresso, superando la folla di matricole sovreccitate e il
gruppetto dell’ultimo anno cui Ada prontamente si unisce,
lasciandoli soli all’entrata dell’edificio.
Oz
guarda l’altro con
divertimento, per poi passarsi una mano tra i capelli e mettere su il
sorriso più disgustosamente attraente che riesce a fare.
«Beh,
a caccia».
C’è
una prassi che
dura da almeno quattro anni – da quando facevano le medie ed
Elliot
era ancora totalmente insofferente ad Oz –: inizia il primo
giorno
di scuola con la ‘caccia’ di Oz alla studentessa
più carina
dell’anno e termina al ballo di Primavera, con
l’invito alla
suddetta a partecipare con Vessalius – per essere, poi,
prontamente
scaricata al ritorno dalle vacanze pasquali per dargli la
possibilità
di invitare almeno – almeno, perché
c’erano stati casi in cui le
invitate erano più di una – una nuova ragazza al
ballo di fine
anno.
E
visto che Oz è
perfettamente coerente con le sue abitudini, inizia a scandagliare la
folla di studenti nell’atrio cercando di individuare il
‘viso più
bello dell’anno’.
Elliot,
di solito, non
gli presta troppa attenzione, e si limita ad avviarsi verso il
proprio armadietto da solo e fermamente intenzionato a non ascoltare
le ciance di Oz per le seguenti sette ore e mezzo, ma, suo malgrado,
la preda puntata da Oz per quest’anno si trova esattamente
accanto
al suddetto armadietto. Non se ne accorge fino a quando, raggiunto il
lucchetto, non si ritrova Oz di nuovo a fianco, con un sorriso a
trentadue denti, che intrappola la preda tra il muro e le proprie
braccia.
Elliot
si prende un po’
di tempo per osservare la malcapitata, prima di far calare il sipario
sulla penosa scenetta riparandosi dietro l’anta
dell’armadietto.
È una ragazzina abbastanza graziosa, occhi grandi e castano
scuro,
quasi rossi, e lunghi capelli color cioccolato acconciati in una coda
che lascia cadere alcune ciocche disordinate lungo le guance e la
fronte.
«Hey,
cretino,
levati».
Elliot
apre l’anta
dell’armadietto, infilandoci i libri che ancora non gli
servono e
prendendo un quaderno, e si sofferma ancora un po’ a fissare
l’interno, su cui ha attaccato solamente una fotografia di
famiglia
– in cui, a dirla tutta, sembrano tutti abbastanza rigidi,
compreso
suo fratello Ernest, completamente ingessato in un completo un
po’
troppo elegante per il suo stile – ed una fotografia scattata
da
Gilbert, che ritrae lui ed Oz in una risata quantomeno rara. In tutta
franchezza, quella fotografia l’ha attaccata Oz, ma lui, per
qualche motivo, non ha mai avuto il cuore di toglierla.
Sente
un certo brusio
dall’altra parte dell’armadietto, e quando lo
chiude vede Oz, da
solo, con una mano sulla guancia – rossa e improvvisamente
gonfia –
e gli occhi sgranati e lucidi.
«Mi
sono innamorato».
Elliot
inserisce il
lucchetto alla serratura e poi sistema lo zaino in spalla, inarcando
le sopracciglia e arricciando il naso.
«Chi
è?»
«Non
ne ho idea, ma mi
ha sfondato lo zigomo. È la preda, Elliot!»
Quest’ultimo
alza gli
occhi al cielo e lo spinge verso la classe, ignorando il suo
chiacchiericcio sconnesso sulla straordinaria ragazza.
Oz
si interrompe solo
quando Sharon Rainsworth, capelli biondo miele legati in una treccia
e maglioncino di un giallo improbabile, li raggiunge, stringendo una
cartellina al petto.
«Hey,
ragazzi!»,
cinguetta, aprendo la cartellina, «Ho gli orari! Anche
quest’anno
abbiamo il professor Regnard come insegnante di chimica!»
C’è
una sorta di
euforia nel tono, ed Elliot si ritrova un po’ combattuto,
perché
adora il professor Regnard, per carità, ma detesta la
materia che
insegna – nonostante abbia cercato in tutti i modi di
eccellere per
colpirlo e non farsi guardare con quello sguardo di divertita
sufficienza che hanno i professori quando sanno che ti impegni ma,
ahimè, sei un asino.
Perciò
replica con un
neutro «Che bello».
«E
di letteratura chi
c’è?», chiede Oz. L’anno prima
avevano un professore
estremamente preparato ma terribilmente pedante, Arthur Barma, cugino
del professore di storia – la parentela è solo
supposta, ma visto
lo stesso cognome, gli stessi capelli rosso fuoco e la stessa
irritante pretenziosità, devono per forza essere parenti.
«Un
tale Oswald
Baskerville. È nuovo», commenta Sharon, scorrendo
la lista dei
professori. «Per il resto, tutto regolare. Barma per storia e
filosofia, Lunettes per matematica, Regnard per chimica e fisica, e
tuo zio per scienze motorie».
Oz
ridacchia,
ricordando il giovane zio dai lunghi – troppo lunghi
– capelli
biondi intento a far fare salti in lungo e corse forzate ai primini.
«Che
materie
alternative sceglierete quest’anno?», chiede
Sharon, aprendo la
porta dell’aula di letteratura, ed entrando per prima.
«Io
credo che
sceglierò teatro ed economia», cinguetta Oz.
«Musica
e teatro, come
al solito», aggiunge Elliot, lanciando i libri sul banco
prediletto
– al quale nessuno si avvicina dal secondo anno quando in un
impeto
di rabbia aveva urlato contro ad una tale Echo perché aveva
cercato
di sedersi lì – a destra dell’aula,
vicino alla finestra.
Oz
gli si siede
accanto, e Sharon alle spalle, beandosi della totale copertura che le
offrono per dedicarsi a inviare messaggi e scarabocchiare sul uso
blocco per gli appunti.
Alla
spicciolata,
entrano anche gli altri studenti, con le solite facce sbattute da
inizio anno, ancora animate da una scintilla di vitalità,
strascico
delle vacanze estive, e forse rischiarate dal bel tempo.
Echo
– la ragazzina
contro cui aveva urlato Elliot – si siede in prima fila,
esattamente davanti alla cattedra, e lancia uno sguardo indecifrabile
al suddetto, che, con un po’ di vergogna, distoglie il
proprio.
Non
appena la porta
sbatte per l’ultima volta, la figura slanciata del professor
Rufus
Barma – faccia di cazzo, capelli rossi legati sulla spalla
sinistra, un panciotto decisamente fuori moda ed un doppiopetto nero
in stile ‘maniaco da parco pubblico’ - si avvicina
a lenti passi
alla cattedra.
«Buongiorno».
Un
coro di ragazzi
svogliati gli risponde, mollemente in piedi per una forma di rispetto
assolutamente superflua, considerato l’astio evidente che il
professor Barma prova nei confronti delle loro ‘grette e
limitate
menti’.
«Sono
assolutamente
mortificato di dovervi vedere anche quest’anno, ma la mia
richiesta
di ottenere la cattedra all’Università
è stata – inettamente –
rifiutata anche quest’anno. Perciò temo che saremo
costretti a
collaborare un altro anno».
Ogni
anno la prima lezione di letteratura si apre, da manuale, con questa
frase ritrita, che Oz ascolta quasi con interesse, visto che diventa
più lunga ed ostile di anno in anno.
La
massa di studenti si risiede, mentre Barma rimane in piedi,
circumnavigando la cattedra per porsi di fronte alla classe.
«E
sono ancor più mortificato di annunciarvi che avremo tre
altre teste
vuote da riempire, quest’anno. Perciò accogliete
con la dovuta
cortesia i nostri nuovi acquisti».
La
porta della classe si apre, e, con somma gioia di Oz, entrano tre
figure praticamente identiche, anche se cromaticamente differenti.
La
ragazza che aveva puntato – e che l’ha prontamente
pestato per
questo – si trova in mezzo a due altre figure: una femminile
(identica a lei con la sola differenza che è tutta
bianca,
tutta completamente bianca, dai capelli – argentei e sciolti
sulle
spalle – alla pelle, allo scamiciato che indossa), ed una
maschile.
E
se Oz spasima per la ragazza dai capelli scuri, ad attirare
l’immediata attenzione di Elliot è la figura a
sinistra, un po’
nascosta dietro alle ragazze, vestita male e pettinata peggio, col
viso mezzo coperto da un paio di occhiali spessi e una massa di
capelli disordinati, neri e ribelli.
«Vi
presento Alyss, Alice e Leo Baskerville. Tre al prezzo di uno.
Accomodatevi, signori».
Ad
uno ad uno, i tre si siedono nei posti liberi rimasti. Alyss, quella
tutta bianca, si siede dietro Sharon, mentre Alice, evidentemente sua
sorella, le si siede accanto, e alle spalle di Elliot subito inizia a
levarsi un brusio di vocine femminili e presentazioni. Il tipo
strano, invece, si siede due banchi avanti ad Oz, lasciando cadere la
sacca sdrucita sul banco e sedendosi scompostamente sulla sedia,
scomparendo quasi dietro al banco.
Elliot
riceve diverse gomitate da Oz, che smania per illustrargli come
farà
breccia nel tenero cuore di Alice, ma Elliot è distratto.
«Molto
bene, iniziamo. Aprite ‘Il Grande Gatsby’ a pagina
uno.
Baskerville uomo, leggi».
Il
tizio apre la sacca e ne tira fuori una copia un po’
maltrattata
del Grande Gatsby, si sistema un po’ più dritto
sulla sedia, e
poi, con voce espressiva e un po’ raschiante, inizia a
leggere.
Elliot
lo fissa. E non la smette per tutta la lezione.
«Quel
tipo mi sembra un cretino», esordisce non appena usciti
dall’aula
di letteratura, guardando allontanarsi Leo Baskerville, tampinato a
breve distanza da Alyss, Alice e Sharon, che ha già iniziato
a
civettare con la sorella bruna, prendendola a braccetto ed
illustrandole le dinamiche della scuola.
«Ma
dai, legge davvero bene e sembra un tipo a posto. Cosa abbiamo
adesso?»
Elliot
guarda l’orario, borbottando «Non mi convince.
Comunque,
Matematica con Lunettes».
«Non
fare il bullo, è nuovo. Lascialo ambientare».
«Sì,
sì, certo. Andiamo, o facciamo tardi».
Dopo
un’ora di matematica passata nuovamente a fissare il nuovo
arrivato
alle prese con la disarmante disponibilità di Reim Lunettes,
e
un’ora di educazione fisica in cui non ha avuto la
possibilità di
studiare più a fondo il soggetto perché Jack
Vessalius è un mostro
e li ha costretti a fare flessioni per una mezz’ora
abbondante,
Elliot Nightray è convinto che il tipo sia una sagoma da
evitare.
Tanto
per incominciare, è scontroso. A metà della
lezione di matematica,
Oz ha cercato di presentarsi e tutto ciò che ha ricevuto
è stata
un’occhiata astiosa – o almeno, la sensazione
è stata quella,
considerato che gli occhi del tipo sono completamente coperti
– e
durante educazione fisica non ha parlato con nessuno, arrancando
durante la corsa e rifiutandosi categoricamente di fare le flessioni
adducendo come scusa ‘Non sono un militare e questo non
è un corso
preparatorio. Me ne vado a leggere’, e andando ad accomodarsi
sugli
spalti del campo da baseball. Inoltre, negli spogliatoi, ha respinto
ogni tentativo di avvicinamento di qualsiasi studente.
Perciò,
a pranzo, è abbastanza sorpreso di ritrovarselo seduto
praticamente
accanto.
Oz
alza gli occhi dal piatto e fissa il viso di Elliot, congestionato e
pronto all’esplosione, mentre Leo Baskerville si accomoda a
pochi
centimetri da lui e gli scaglia praticamente la sacca sui piedi.
«Scusami,
cretinetti, ma chi ti credi di essere? Non ti abbiamo invitato a
questo tavolo».
Leo
Baskerville, con una calma sconcertante, si volta a guardarlo e gli
risponde «Scusami, principessa, ma il tavolo non ha il tuo
nome
scritto sopra, perciò mi siedo dove voglio. E poi
è stata Sharon ad
invitarci».
«Cos-».
Pochi
millesimi di secondi dopo, una mano delicata ma incredibilmente
violenta gli piove sulla nuca, ed una voce che denota rabbia a stento
trattenuta chioccia «Elliot, che maleducato che sei. Sono
ragazzi
nuovi, dobbiamo comportarci bene. Ho invitato Leo, Alice ed Alyss a
stare con noi a pranzo per la prossima settimana, così da
farli
ambientare».
Oz
non potrebbe essere più felice, vista
l’espressione che mette su
quando si ritrova seduto tra Sharon ed Alice.
«Infatti,
Elliot, non fare il cafone», bercia, facendo cenni
decisamente poco
discreti del capo per indicare Alice e lanciandogli
un’occhiata
implorante.
Elliot
si volta verso Leo, che gli fa un sorriso inquietante ed inizia a
mangiare la sua zuppa dal colore indecifrabile.
E,
ritrovandosi costretto a capitolare, abbassa il capo e accetta le
nuove, invadenti presenze.
«Sarà
un anno fantastico!», celia Oz, provando a mettere un braccio
intorno alle spalle di Alice e ricevendo una gomitata nello stomaco
che gli provoca una ridarella irritante.
«Sì»,
mugugna Elliot, «da paura».
Note:
Avevo
in mente questa fanfiction da secoli, e finalmente ha preso forma. E
la sto postando senza aver riletto o corretto, perché Neko
No Yume
ha detto che mi picchierà con un sedano se non posto entro
oggi a
pranzo, cosa che sto facendo. I won.
Dunque,
la situazione è questa: è la prima longfic che
pubblico da... non
lo so, da quando mi sono iscritta col nuovo account, perciò
siate
clementi se sarò lenta. Considerato che questo è
solo il prologo,
poi, aspettatevi capitoli belli lunghi, quindi ne varrà la
pena di
aspettare.
Beh,
un bacione a chiunque leggerà e recensirà. Spero
che vi piaccia, e
che continui a piacervi in seguito.
(Ah,
lo so che il titolo fa schifo, ma diciamo che tutto
l’impianto
della storia è basato sulla fisica e la termodinamica. La
scuola fa
male. E boh, il titolo mi faceva ridere, perciò ciaux)
A.
|
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Capitolo 2 *** Atto I: Malleabilità. ***
Titolo:
Le proprietà della materia
Serie:
Pandora Hearts
Rating:
Verde (potrebbe alzarsi in seguito).
WARNINGS:
ALTERNATIVE
UNIVERSE! School!Verse.
Pairing:
Tanti. Troppi.
Credits: Pandora Hearts appartiene a
Jun Mochizuki; non è intesa violazione
di copyright. L’Alternative Universe è banale e
non credo sia da
credits.
Capitolo:
Parte I | Atto I: Malleabilità.
Note:
In
fondo!
Atto
I: Malleabilità.
Non c’è
nulla di più noioso di un ritorno a casa da soli, sostiene
Oz.
Perciò, puntualmente, si accoda ad Elliot – che
invece preferisce
di gran lunga mettere gli auricolari e camminare da solo. Alla
–
ragionevole – domanda ‘Ma tua sorella non aveva la
macchina?’,
Oz risponde, candidamente:
«Sì, ma
preferisco tornare con te. Sei una compagnia più
divertente».
Il che è un
paradosso, considerato che, durante le passeggiate con Oz, Elliot
mette su una smorfia irritata per tutto il percorso e cerca di
rispondere il più seccamente possibile alle sue ciance a
vanvera.
Però considerando che Oz è perseverante, cosa che
in generale è un
pregio ma nel modo in cui è perseverante Oz risulta quasi
odioso,
Elliot non può fare altro che chinare la testa, borbottare
qualche
insulto a mezza voce e indossare un solo auricolare, in modo da,
almeno, ascoltare solo la metà delle cretinate che Oz riesce
a
sparare nell’arco di venti minuti.
«Sono
contento che ci siano degli studenti nuovi. Avevo bisogno di una
ventata d’aria fresca!», cinguetta Oz, sistemando
gli spallacci
dello zaino e trotterellando accanto ad Elliot, cercando di stargli
al passo.
«Io no».
«Come sei
caustico! Potresti dargli una possibilità invece di
bocciarli in
tronco», mugugna Oz, infastidito ma non sorpreso dal rifiuto
totale
di Elliot per le novità. «A me sembrano persone a
posto».
Elliot
arriccia il naso e sistema meglio l’auricolare, tentando di
concentrarsi solo sulla voce di Chris Martin che gli vocalizza
nell’unico timpano cui è consentito ascoltare
qualcosa di
piacevole.
«A me
sembrano un branco di rincretiniti. Specialmente il tizio».
Oz ghigna,
dandogli una gomitata.
«Ammettilo,
ti viene a noia solo perché ti tiene testa».
Elliot inarca
le sopracciglia, preso in contropiede, liquidando poi la questione
spinosa con un gesto stizzito delle spalle.
«In ogni
caso», continua Oz, arricciando le labbra,
«Dovremmo davvero
pensare a cosa mettere su con il teatro
quest’inverno».
L’altro
alza gli occhi al cielo e si rassegna a togliere anche
l’altro
auricolare, riponendo il telefono e le cuffie nella tasca della
giacca, sbuffando.
«Non è
neanche iniziata la scuola e tu già pensi allo spettacolo?
Non è un
po’ presto? E poi, come al solito, faremo Shakespeare.
Facciamo
solo Shakespeare da tre anni», bercia
Elliot, ma prima che Oz
possa replicare con una risposta poco intelligente, vengono travolti
da un paio di braccia sottili.
«Ciao,
fessacchiotti!», cinguetta una voce femminile, con un tono
talmente
alto che sembra trapanare i timpani di entrambi. Non fanno in tempo a
voltarsi, che la ragazza si è già staccata, e li
fissa con un
sorriso ferino.
«Charlotte»,
sbotta secco Elliot, le guance appena arrossate perché gli
occhi si
posano automaticamente sulle due prominenze che
sembrano
lottare contro la gravità e contro ogni legge della fisica
che le
tenga strette nella maglia aderente che Charlotte si è messa
addosso. Charlotte frequenta l’ultimo anno da almeno due
anni, e
sembra si faccia bocciare quasi per sport, perché al terzo
anno
vinse il primo premio ad un concorso di calcolo, indice di una certa
capacità logica. Come al solito, i suoi capelli sono tinti
di una
vivace tonalità di rosa, e gli occhi, di una sfumatura
innaturalmente chiara di marrone che li fa sembrare rosati quasi come
i capelli, sono puntati su di loro con divertimento.
«Ho saputo
che avete conosciuto i miei numerosi cugini», celia, posando
una
mano su un fianco e ammirandosi le unghie dell’altra,
smaltate di
verde smeraldo. Quando vede che né Elliot né Oz
sembrano dare segni
di vita sbuffa, e con un gesto annoiato della mano elenca:
«Le
sorelle Dolly e il topo di biblioteca». Alza gli occhi al
cielo in
risposta al verso d’intendimento che emette Oz e inarca le
sopracciglia a quello irritato di Elliot.
«Effettivamente
c’è una certa somiglianza», ammette Oz,
esaminando il viso di
Lottie con occhio critico.
«No. Loro
vengono dalla parte sbagliata della famiglia», smentisce
l’altra,
arricciando le labbra. «Specialmente il piccoletto. Comunque
siete
dei tardoni, sapete? Non è difficile fare il collegamento,
non ci
sono molti Baskerville in circolazione», aggiunge, ammiccando
appena.
«Comunque
sia, grazie per l’informazione, ci vediamo», taglia
corto Elliot,
voltandosi prima ancora che Lottie possa replicare in maniera acida e
camminando velocemente verso il semaforo, suo malgrado rosso. Oz lo
segue a ruota, e così fa Lottie, che, per tutta risposta al
suo
astio proverbiale nei suoi confronti – come anche nei
confronti di
metà della popolazione femminile di Cambridge – lo
prende a
braccetto, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
«Dicevi,
Lottie? Quindi sono tuoi cugini?», riprende Oz, ben contento
di
acquisire informazioni importanti sui nuovi arrivati – e in
particolare, su Alice.
«Esatto. Mia
madre è cugina di Levi, il padre delle sorelle Dolly, mentre
la
madre del sorcio era in qualche modo imparentata con Lacie, la moglie
di Levi, perciò ha preso il loro cognome», spiega,
con diligenza.
«Non ho idea di quale fosse quello effettivo. Comunque, pare
che
abbiano ricevuto parecchi inviti da Cambridge per fare una ricerca
su... non ne ho idea, ha a che fare con l’elettrochimica o
qualcosa
del genere. Gli zii sono ricercatori».
«Sì, sì,
questo lo sapevamo», mugugna Elliot, ben poco contento di
questa
conversazione, che si trascina dall’altra parte della strada,
con
Lottie che gli trotterella al seguito mentre chiacchiera amabilmente
con Oz.
«Adesso
vivono proprio di fronte al The Old Spring».
Un mattone in
testa avrebbe stordito di meno Elliot. Alza gli occhi
dall’asfalto
e guarda Oz, che nel frattempo ha messo su un’espressione
estatica.
«Vivono a
meno di un isolato da te!»
Oz lo
pronuncia in tono gioioso, mentre Elliot lo sussurra con aria
abbattuta. Non solo sarà costretto a sorbirsi le ciarle di
Oz per la
strada, adesso, ma anche quelle di questi tre tizi inutili.
Perché
conosce Oz da abbastanza tempo da poter prevedere due cose: prima
cosa, che li inviterà puntualmente a tornare a casa con loro
per poi
accollarli ad Elliot; seconda cosa, che si pianterà a casa
propria –
con grande disappunto dei propri genitori – pur di attaccarsi
alla
finestra e sperare di vedere passare Alice.
«Ma
davvero?», celia Lottie, sibillina.
«Sì, lui
abita sulla Chesterton, non lo-»
Oz si
interrompe, perché Elliot gli tira un calcio sugli stinchi,
le
guance rosse. Lottie ride, sguaiata, balbettando qualcosa come
«Abita
sulla Chesterton? Pensavo che i tuoi fossero ricchi sfondati,
Nightray!»
Elliot lancia
un’occhiata di fuoco ad Oz - che, per una volta, abbassa gli
occhi
e arrossisce di vergogna – e poi raddrizza le spalle, quasi
allungandosi per superare Charlotte.
«Non sono
affari che ti riguardano, Charlotte. Ora, se non ti dispiace,
gradirei andare a casa».
Non li
aspetta, non si ferma, e non sta a sentire né le risate
sguaiate di
Charlotte, né i deboli richiami di Oz. Non appena il
semaforo scatta
al verde, inizia a camminare a grandi falcate verso Chesterton Road,
le spalle un po’ più curve e il viso un
po’ meno altezzoso.
«Hey,
Elliot?»
Elliot alza
gli occhi dallo spartito che sta esaminando, spostandoli sul viso di
sua sorella, Vanessa, che fa capolino dalla porta, quasi chiedendo il
permesso di entrare. Strano, considerato che Vanessa entra ed esce
dalla sua stanza senza neanche salutarlo – e se prova a
rimproverarla per ‘violazione della privacy’,
generalmente lei lo
picchia.
«Che c’è?»
Sua sorella
si fa avanti, chiudendosi la porta alle spalle e sedendosi accanto a
lui, al pianoforte.
«Disturbo?»
«Hey, che ne
hai fatto di mia sorella?», chiede Elliot, scioccato,
ritraendosi
fulmineamente con una debole risata quando Vanessa fa per tirargli un
pugno dritto in mezzo agli occhi.
«La prossima
volta non sarò altrettanto gentile, Elly».
«Sai che
non-»
«Sì, so che
non devo chiamarti Elly, ma continuerò a farlo a
prescindere, perciò
puoi risparmiarti la predica», lo interrompe Vanessa, alzando
gli
occhi verso il soffitto, annoiata. Si mette più comoda sul
seggiolino e arriccia le labbra, per poi voltarsi a guardarlo.
«Va tutto
bene, fratellino?», chiede, premendo un tasto a caso del
pianoforte
e facendo risuonare un mi minore. «Sei stato poco lamentoso a
tavola, e c’erano i cavoli. Di solito quando ci sono i cavoli
combini il finimondo».
Elliot inarca
le sopracciglia e posa gli spartiti sul leggio del pianoforte,
voltandosi a guardarla e scandendo lentamente, «Sei davvero
venuta a
chiedermi perché non ho fatto casino per i cavoli?»
Vanessa gli
pesta un piede ed Elliot sobbalza, mugugnando un ‘E questo
per che
cos’era?’ in un falsetto da ragazzina. Lei si
imbroncia e inizia
ad squadrare gli spartiti quasi con astio, ed Elliot non ha nessun
dubbio che, se davvero lo volesse, Vanessa, con quello sguardo,
potrebbe farli incendiare.
«No, sono
venuta a chiederti se è successo qualcosa a scuola. Hai una
faccia
un po’ sbattuta, di solito stai ore a lamentarti del figlio
dei
Vessalius».
Un sorriso
minuscolo appare per un secondo ai lati della bocca di Elliot, per
poi scomparire, sostituito da uno sbuffo.
«Oggi non mi
ha dato particolarmente fastidio. E comunque non è successo
nulla a
scuola, a parte tre studenti nuovi», borbotta Elliot,
ricordando la
faccia saccente di Leo Baskerville e i visi identici di Alice ed
Alyss Baskerville.
«Sei sicuro?
Ti vedo strano».
«Non
trattarmi come un bambino, Nessa. Non è successo nulla, stai
tranquilla», sbotta lui, quasi strappandole di mano gli
spartiti.
Vanessa lo
guarda dritto negli occhi, e gli rivolge quello sguardo quasi materno
che gli fa salire il sangue al cervello, perché detesta
quando sua
sorella lo tratta come un marmocchio di sei anni, e, in
quest’ultimo
periodo, lo fa abbastanza spesso.
«Sei
assolutamente-»
«Diavolo,
Vanessa, sì! Ma che diavolo ti prende?»
Vanessa
abbassa lo sguardo e si mordicchia le labbra, per poi rispondere,
senza guardarlo più, «Ernest mi ha detto che
Charlotte Baskerville
gli ha inviato un messaggio abbastanza derisorio sul fatto che
viviamo sulla Chesterton. Tu ne sai qualcosa?»
Per un
momento Elliot arrossisce appena al ricordo dell’aria
divertita che
ha assunto Charlotte qualche ora prima nel venire a conoscenza del
quartiere in cui vive, ma recupera quasi subito la sua compostezza,
e, tornando a fissare gli spartiti, mente. «No, niente. Deve
avermi
visto tornare a casa oggi. Non è che io possa nascondermi
sempre.»
Vanessa
ridacchia, alzandosi in piedi e scompigliandogli i capelli biondi.
«Quanto sei stupido, Elly. Quando fai così sembri
Ernest».
«Che sembra
papà».
«Appunto».
Entrambi
ridono, e per un momento Elliot non si sente più oppresso
dal fatto
che suo padre sta perdendo tutti i suoi soci e che sua madre sia
diventata praticamente schiava degli antidepressivi. Lui e sua
sorella stanno ridendo, e magari la loro famiglia non è
così
disastrata come pensa.
La famiglia
Nightray possedeva una delle più importanti case
farmaceutiche di
tutta l’Inghilterra, fino a qualche mese prima. Poi un tale
Isla
Yura era entrato a far parte del consiglio direttivo, e aveva
iniziato a fare pressioni perché si affiliassero con una
casa
farmaceutica semisconosciuta che, a suo dire, era davvero promettente
e aveva brevettato da poco alcuni vaccini straordinari. Si
scoprì
che questi straordinari vaccini erano droghe sintetiche vendute
sottobanco nelle filiali periferiche della casa rappresentata da
Yura, e ovviamente, pur non essendo direttamente coinvolta, la
Nightray Pharmaceuticals ne era uscita danneggiata. Niente
più soci,
niente più finanziamenti, la pressione finanziaria al suo
massimo
storico, tutti fattori di perdita che avevano costretto la famiglia
di Bernard Nightray a trasferirsi in un quartiere di Cambridge
conosciuto più che altro per le villette a schiera
dall’aria
economica. Bérenice Nightray entrò in depressione
dal momento in
cui mise piede nella nuova, piccola dimora, mentre Bernard Nightray
divenne sempre più assente.
E per uno per
cui l’onore di famiglia è importante quasi quanto
la propria vita,
se non di più, vedersi deriso per il quartiere in cui vive
è un
colpo basso all’orgoglio.
«Comunque, a
parte questo...», svia Vanessa, riprendendosi
dall’accesso di
risa. «Hai trovato qualche giovane damigella in
difficoltà su cui
fare colpo, quest’anno? È un peccato vedere come
ti sprechi»,
continua, tirandogli appena una ciocca di capelli.
«Non ti
bastano le giovani damigelle che rimorchia Ernest? Fa per
due»,
borbotta Elliot, agitandosi sullo sgabello per liberarsi dalla presa
della sorella.
«Non
rimorchia damigelle, rimorchia spazzatura. E comunque, dovresti
davvero trovarti una ragazza». Vanessa scrolla le spalle,
allontanandosi verso la porta e rivolgendogli un sorriso smagliante.
«Magari ti placherebbe un po’ l’ondata di
ormoni e saresti meno
primadonna».
Prima che
Elliot possa ribattere, Vanessa esce dalla stanza con una risata
sommessa. Abbassa gli occhi, e sorride appena. Poi, con un sospiro,
riprende la penna in mano, e scribacchia un paio di note sullo
spartito, cercando di non pensare né Charlotte Baskerville,
né agli
occhi vacui di sua madre che lo osservano dall’altra parte
del
tavolo, intimandogli debolmente di mangiare i suoi cavoli.
«Ada,
fermati!»
Ada inchioda
proprio al limitare dell’incrocio, allarmata, guardando nella
direzione in cui suo fratello si sta sporgendo, cercando di scorgere
cosa Oz abbia visto di tanto straordinario da farla fermare
praticamente a due secondi da un probabile incidente mortale.
«Che è
successo, Oz? Sei impazzito?», pigola, e si porta una mano al
petto,
giusto per assicurarsi che il cuore sia ancora lì e non sia
schizzato fuori, vista la velocità a cui sta battendo.
«Aspetta un
attimo, accosta!», continua Oz, in tono urgente, ed Ada
esegue gli
ordini, ancora troppo scossa per mettere su una debole protesta
–
che Oz non ascolterebbe comunque, visto che sembra totalmente
assorbito da qualcosa sul marciapiede.
Suo fratello
scende, e, lasciando la portiera aperta, schizza proprio davanti
all’entrata di un forno lì davanti. Ada si sporge,
cercando di
capire con chi stia parlando, ma la folla di passanti le impedisce di
capirlo.
«Alice?»,
chiama Oz, speranzoso.
E, gioia
cadimi addosso, è proprio Alice la ragazzina che sta
sostando
davanti alla vetrina del forno, le mani premute contro il vetro e il
naso spiaccicato contro quello che sembra un waffle particolarmente
attraente. Di malavoglia, Alice alza gli occhi, incontrando lo
sguardo acceso e gioioso di Oz.
«Che vuoi,
cretinetto? Sono impegnata», sbotta, ritornando a cercare di
diventare un tutt’uno con la vetrina del negozio.
«Sei da
sola?»
Alice scuote
il capo– per quanto può, effettivamente, visto che
l’attrito col
vetro le sta deformando la faccia – ed indica, senza alzare
gli
occhi, un punto all’interno del forno. Oz aguzza lo sguardo,
cercando qualcuno di familiare, e, bam, trova ben tre persone
familiari, assieme ad altre due che invece non riconosce affatto.
Individua la forma longilinea di Alyss, tutta bianca in mezzo a
quella calca di persone, e i capelli innaturalmente arruffati di Leo,
che sembra essere impegnato in un’accesa discussione con un
uomo
alto, e visibilmente più vecchio, coi capelli chiari quasi
quanto
quelli di Alyss e gli occhi violetti. La discussione viene fermata da
una donna, che, con grande stupore di Oz, sembra essere la versione
adulta di Alice, con un viso elegante e un paio di occhi che
fulminano l’uomo coi capelli bianchi. A darle man forte,
arriva il
suo nuovo professore di storia, Oswald Baskerville.
«Quelli sono
tutti i tuoi parenti?», chiede Oz stupito, tornando a
voltarsi verso
Alice e staccandosi dal vetro, cui si è attaccato per
esaminare un
po’ più chiaramente la famiglia.
«No, ne
abbiamo altri, ma vivo con tutti loro».
Oz ride,
incredulo, immaginando tutte quelle sei persone, insieme in una casa
minuscola – come sono le villette a schiera che si susseguono
davanti all’Old Spring. «Stai scherzando».
«No. Ma è
una sistemazione provvisoria, fino a quando zio Oswald non si
trasferirà altrove».
«E’ tuo
zio?»
Alice alza
gli occhi al cielo e si rimette dritta, elencando: «Oswald
è il
fratello di Lacie, mia madre, e quello lì coi capelli
bianchi è
Levi, mio padre. Gli altri li conosci».
«E sei anche
cugina di Lottie?»
Alice
annuisce, arricciando il naso, e prima che possa fare qualche
commento acido su Charlotte Baskerville la campanella del negozio
suona, e l’allegra famigliola spunta sulla soglia. Levi e Leo
hanno
due musi talmente lunghi da toccare terra, Lacie sembra
straordinariamente irritata e Alyss e Oswald completamente apatici
alla scena.
Lacie, però,
nel vedere Oz accanto ad Alice, si rischiara, facendo risplendere un
sorriso a trentadue denti.
«Oh, ciao»,
cinguetta, porgendogli la mano, e guardando Alice come per dirle
‘Non
mi avevi detto che avevi fatto amicizia’. «Io sono
la mamma di
Alice, Lacie. Tu devi essere un suo compagno di scuola».
Oz si
riprende dallo sbandamento provocato dal sorriso di Lacie e le
stringe debolmente la mano, con un’espressione beota.
«Sì,
piacere mio, sono Oz».
Levi abbassa
gli occhi su di lui, esaminandolo con occhio clinico.
«Oz come?».
«Oz
Vessalius».
Oswald e Levi
si scambiano uno sguardo che Oz non riesce ad interpretare, mentre
Alice bercia «Mamma! Che hai comprato?»
«E’ il
nipote di Jack Vessalius, quindi?», chiede Levi, ma non ad
Oz, bensì
ad Oswald. Questi lo fissa per qualche secondo con uno sguardo che fa
rabbrividire Oz, e poi annuisce.
«Sì, Jack
me ne ha parlato oggi, a scuola, ma non ho ancora avuto il piacere di
conoscerlo di persona».
Poi Oswald
sorride, ed Oz capisce da dove si può evincere che sono
tutti
imparentati: hanno un sorriso che scalda e raggela insieme. Levi,
invece, non sorride, ma si limita a continuare a fissarlo come se sia
una cavia da laboratorio che non reagisce agli stimoli come dovrebbe.
«Ehm...»,
mugugna Oz, a disagio, ma viene distratto dal clacson di Ada, che lo
richiama. Sospira quasi di sollievo, e indica la macchina di sua
sorella, che lo guarda attraverso il finestrino, vagamente
impaziente. «Mia sorella mi sta aspettando, dovrei
andare...»
«Oh, certo,
capisco», replica Lacie, con voce di velluto. «Sono
felice che mia
figlia abbia fatto qualche nuova conoscenza».
«In realtà,
lo conosciamo anche noi, zia», interviene Leo, con una
smorfia.
Lacie gli scompiglia i capelli e ride, come se abbia appena fatto una
battuta estremamente divertente.
«Certo,
certo. In ogni caso, spero che tu voglia accettare un tè,
prima o
poi», continua lei, mentre Alice alza gli occhi al cielo,
esclamando
un ‘Mammaaa!’ lamentoso.
«Con
piacere!», sorride Oz, per poi guardare Alice.
«Allora ci vediamo
domani a scuola. È stato un onore!»
Il clacson di
Ada strombazza di nuovo, ed Oz si slancia verso la macchina,
continuando a salutare con la mano come un idiota fino a quando non
chiude lo sportello.
«Chi erano?
Faremo tardi!». Il tono di Ada è urgente, e poi
aggiunge: «Metti
la cintura, per favore».
Oz la guarda,
come inebetito, e allaccia la cintura, tornando poi a fissare i sei
Baskerville che si allontanano, in un chiacchiericcio animato.
«I
Baskerville. Comunque andiamo, siamo in ritardo!»
«E quindi
vivono tutti in una casa più piccola della mia?»,
chiede Elliot,
affogando una patatina in un lago di ketchup e poi sgranocchiandola
con un rumore sordo. «Wow. E dire che sono ricercatori
famosi».
Oz alza gli
occhi dal suo hamburger, borbottando un «Ah,
sì?»
Elliot
annuisce, allungandosi verso Oz con aria vagamente cospiratoria e
sussurrando, «Ho chiesto a mio fratello, Claude. Ha fatto un
paio di
domande nell’Università, e mi ha detto che un suo
amico gli ha
detto che il suo professore gli ha detto che sono venuti qui per
studiare le proprietà elettrochimiche della materia esposta
all’energia pura».
Oz gli ride
clamorosamente in faccia, sputacchiando briciole di hamburger sul
piatto. «E tu ci credi? Tra l’altro, non mi sembra
una cosa tanto
losca».
Le orecchie
di Elliot si arrossano per l’irritazione, e ritorna dritto
come un
fuso, sorseggiando silenziosamente il suo frullato.
«Sì, ci credo,
e la cosa diventa losca quando, negli archivi di mio padre, ho
trovato un fascicolo sui Baskerville. Era ben nascosto, quindi
immagino che non volesse che finisse in mani poco affidabili».
Stavolta Oz
diventa più serio, e mentre si gratta la guancia chiede,
«E cosa
c’era scritto?»
Elliot tace
per qualche secondo, fissando Oz intensamente, e l’altro si
agita,
incuriosito e sulle spine. Poi, dopo aver bevuto un altro sorso di
frullato, Elliot posa con lentezza il bicchiere sul tavolo e
risponde, in tono solenne, «Non ne ho idea. Mio padre stava
per
scoprirmi ed ho dovuto mettere tutto in ordine».
Oz mette su
un’espressione delusa, ma prima che possa replicare, Elliot
continua: «Però era nell’archivio
dedicato alla Fianna
Pharmaceuticals. Questi Baskerville hanno qualcosa a che fare con
Isla Yura».
L’altro ci
mette qualche secondo a collegare la Fianna, Isla Yura, i Baskerville
e i Nightray, e comprende il motivo della somma irritazione di
Elliot. «Credi che abbiano a che fare con quel fattaccio? A
me sono
sembrate persone così perbene», protesta,
imbronciandosi, quasi
deluso dalle sue scarse doti di investigatore.
«Potranno
anche essere perbene, ma ci hanno quasi mandati in
bancarotta»,
sibila Elliot.
Il cellulare
di Oz vibra sul tavolo, ed il suono di notifica lo avverte di un
messaggio in arrivo. Il viso di Oz si illumina non appena lo legge, e
cinguetta ad Elliot, «Stanno arrivando Sharon, Alice e
Leo!»
«Tu sei un
cretino. Dì che ce ne stiamo andando!», sbotta,
cercando di
afferrare il telefono per prendere il controllo della scomoda
situazione.
C’è una
breve lotta per il possesso del cellulare, ma viene vinta da Oz, che,
con poca onestà, tira un calcio sui piedi di Elliot, che
lascia
andare le sue mani con un lamento.
Il debole «Ma
allora sei stronzo» lamentoso di Elliot viene sovrastato dal
festoso
«Inviato! Stanno arrivando!» di Oz.
«Ti ho
appena detto che questi qui hanno rischiato di mandarmi a mendicare
per strada e li inviti a mangiare con noi? Cos’hai che non va
nel
cervello?», sbotta Elliot, con una smorfia addolorata,
chinandosi
per massaggiare i piedi offesi.
Oz alza gli
occhi al cielo, rubando una patatina dal piatto di Elliot mentre
è
distratto, mormorando «Lo sai che i genitori non sono come i
figli».
Elliot
arriccia il naso, borbottando «Il tuo caso è
diverso. Tuo padre non
ci ha mandati sul lastrico, ci ha solo fatto perdere una causa da
niente».
«Una causa
da niente che vi è costata due milioni e mezzo di
indennizzo».
«Se non la
pianti ti prendo a pugni in faccia, Vessalius. Uomo
avvisato...».
Oz mette su
la propria migliore espressione da cane bastonato, e supplica
«Ti
prego, Elliot, ti prego ti prego ti prego! Magari ti piaceranno! Sii
più malleabile!»
«Che
scocciatura. E va bene, come ti pare». Elliot si allunga sul
sedile
del tavolo, cercando di non ascoltare il grugnito di vittoria di Oz.
Nel momento
in cui si arrende, dalla porta del bar fa capolino Sharon Rainsworth,
che sonda con lo sguardo la sala e sorride quando incontra la faccia
scura di Elliot e il viso festante di Oz. Al seguito, entrano Leo e
poi Alice, che stanno parlottando tra di loro in tono sommesso.
Attraversano la stanza, e Sharon, con uno slancio, si siede accanto
ad Elliot.
«Ciao,
ragazzi!»
Oz,
cavallerescamente, si alza, facendo passare Leo, che si siede proprio
di fronte ad Elliot, ed Alice, piazzandosi al suo fianco.
«Ciao»,
esclama Alice, lanciando la borsa nel posto vuoto accanto a Sharon.
«Hey». Il
saluto di Leo è meno entusiastico, e, rivolgendosi ad
Elliot,
aggiunge, «Ciao, faccia di culo».
Elliot
avvampa, e stringe le labbra in una linea sottile, lanciandogli uno
sguardo di fuoco. «Cerchi rogna, Baskerville?»
«Assolutamente
no, Nightray. Però è innegabile che tu abbia una
faccia di culo.
Tra l’altro, sei sporco di ketchup». Si indica la
guancia, ed
Elliot si affretta a sfregarsi nel punto indicato, togliendo di mezzo
l’imbarazzante macchia rossa.
«Allora,
ragazzi, vi siete ambientati?»
Alice scrolla
le spalle, mentre Leo risponde un secco «Cambridge
è meno
movimentata di New York. Tanto meglio».
«Li ho
portati i giardini», interviene Sharon, con un sorriso
educato. «Poi
abbiamo fatto un po’ di spesa in libreria».
«Oh, cosa
avete comprato?», chiede Oz, con eccessivo interesse.
«Alice non
ha comprato nulla perché mangerebbe il libro, e non nel modo
convenzionale», replica Leo, «Io ho comprato il
nono volume di Holy
Knight».
Alice
risponde alla provocazione con una scrollata di spalle
disinteressata, ma Elliot sembra improvvisamente attento.
«Leggi Holy
Knight?»
Leo lo guarda
quasi stupito. «E tu sai leggere?»
«Guarda che
ti spacco-»
«Sì, sì,
mi spacchi la faccia. Comunque, leggo Holy Knight da parecchio
tempo».
«Wow!»,
esclama Oz, alzando un braccio per chiamare la cameriera. «A
quanto
pare abbiamo parecchie cose in comune. Io ed Elliot seguiamo quella
saga dalla prima ristampa!»
La cameriera
si avvicina al tavolo masticando una gomma con aria annoiata, e
prende le ordinazioni di Alice, Leo e Sharon con una flemma che
sembra quasi inumana. L’ordinazione di Alice la stupisce
abbastanza, e provoca diversi versi stupiti tra i commensali.
«Come
diavolo fai a ingurgitare tutta quella roba?», chiede Elliot,
sbalordito.
«Due doppi
cheeseburger, una porzione di patatine King Size ed un frullato al
triplo cioccolato», elenca Oz, con ammirazione. «Ti
tieni in
forma!»
«Non è
niente, non ho molta fame», commenta Alice, con una scrollata
di
spalle.
«E’ un
caso clinico di ipertiroidismo», aggiunge Leo, che invece ha
ordinato solo una porzione di patatine, esattamente come Elliot.
«Non
fateci caso».
Ci sono
ancora un paio di commenti sulla dimensione dello stomaco di Alice,
ma Sharon vi pone fine con un leggero schiarirsi della gola, mentre
si mette ben dritta, intrecciando le dita sul tavolo.
«Che
attività extra avete scelto?».
«Io ho
deciso di provare il corso di cucina», esclama Alice,
entusiasta.
«Almeno mia madre la smetterà di lamentarsi del
fatto che mangio
senza preparare mai niente.
«Musica e
teatro».
La risposta
di Leo provoca un vago disagio in Oz, che sonda la reazione di
Elliot. Le materie extra vengono scelte con grande cura dai vari
compagni, perché incrociare conoscenze scomode anche al di
fuori
dall’orario obbligatorio spesso provoca risse e scontri che
portano
alla chiusura senza appello dell’attività
– successe un paio
d’anni prima, a causa di Ernest, il fratello maggiore di
Elliot,
che era al suo ultimo anno e non sopportava di dover dividere il
seggiolino del pianoforte con Jean Aberdeen, una tale che aveva
definito ‘un’incompetente provinciale’.
«Perfetto»,
borbotta Elliot, ripulendo la chiazza di ketchup con l’ultima
patatina rimasta.
«Oh, per
l’amor del cielo, non dirmi che--» Inizia Leo, in
tono abbattuto,
e continua con un tagliente «Fantastico, non sto nella
pelle» in
risposta al ‘sì’ sussurrato di Oz.
Alice, nel frattempo, sembra
completamente immune alla discussione, visto che trangugia il secondo
cheesburger senza sforzo, coronando il silenzio imbarazzante che
segue con un rutto tanto forte da far tremare i vetri.
«Beh, vorrà
dire che dovrò tenervi d’occhio io, a
teatro», sibila Sharon, che
sta torturando il piede di Elliot col tacco della scarpa,
costringendolo a non emettere suono per protestare. Leo le rivolge
uno sguardo indecifrabile – indecifrabile soprattutto
perché
effettivamente non gli si vedono gli occhi, e
commenta «Io so
controllarmi».
«No, non è
vero, l’ultima volta che ti sei arrabbiato mi hai quasi
staccato la
testa», bercia Alice, lanciandogli uno sguardo astioso.
«Mi stavi
disturbando».
«E ti sembra
una ragione valida per minacciarmi con un coltello?»
Elliot alza
gli occhi al cielo. «Fantastico, uno psicopatico. Ti prego,
dimmi
che suoni il contrabbasso o qualcosa del genere».
Leo scuote la
testa. «Suono il pianoforte, cretinetti».
«Bene.
Benissimo. Vado ad impiccarmi con una corda elettrificata, se non vi
dispiace», mugola Elliot, lasciandosi cadere sullo schienale
con un
lamento.
«Che, il
tizio suona il piano?», chiede Leo, rivolgendosi a Sharon ed
Oz.
«E’ al
decimo anno di conservatorio», risponde Sharon, in tono
cauto.
Leo arriccia
il naso ed imita la sua nemesi, lasciandosi cadere sullo schienale e
ammutolendo.
La
conversazione cambia direzione e inizia a vertere sui capelli di
Alice, acconciati in due trecce morbide, lasciando Sharon e Oz liberi
di complimentare la ragazza e di riempire il silenzio imbarazzante
formatosi tra Elliot e Leo, che continuano a guardarsi di sottecchi
con occhi che promettono schermaglia.
Elliot
continua a pensare a quanto enorme sarà la scocciatura di
dover
dividere il pianoforte con questo tizio, e cerca di convincersi che
forse Oz ha ragione e i genitori non sono come i figli. Ma questo non
gli impedisce di avere profonda antipatia per Leo di per sé,
perché
Lacie e Levi Baskerville non sono suoi genitori, e perciò
dev’essere
odioso per sua propria natura. Sbuffa, e incrocia le braccia al
petto, ascoltando la frivola chiacchierata tra Alice ed Oz, e lancia
uno sguardo nella loro direzione, notando come il braccio di Oz sia
scivolato lentamente dietro alle spalle di Alice e come questa non
stia protestando come ha già fatto al mattino, ma stia
sopportando
la sua presenza con un viso un po’ meno annoiato di prima. Ma
all’ennesima adulazione, Elliot ne ha piene le scatole, e
dopo aver
dato un rapido sguardo all’orologio si alza in piedi.
«Sono le
dieci, è il caso che andiamo».
Oz lo guarda
con sguardo implorante, mentre Alice protesta «No,
è presto, non ho
voglia di tornare a casa».
Sharon lo
guarda e poi guarda Alice, quasi scusandosi per il suo chiaro rifiuto
di alzarsi. Elliot si chiede se Sharon Rainsworth non sia diventata
improvvisamente lesbica per colpa di Alice Baskerville.
«Io rimango
qui», afferma Oz, seguito a ruota da Sharon. «Anche
io, vorrei
riaccompagnare a casa Alice, non vorrei che questo qui la
molestasse».
Oz fa una
faccia quasi oltraggiata, ma Sharon si sporge e gli scompiglia i
capelli, ridacchiando.
Straordinariamente,
è Leo ad alzarsi.
«Io invece
me ne vado. Vorrei iniziare a leggere Holy Knight».
Oz, con
sguardo mefistofelico, si allunga verso Leo, toccandogli un braccio
per attirare la sua attenzione.
«Se non sai
bene la strada, Elliot può accompagnarti, abitate nello
stesso
quartiere, praticamente».
Lo sguardo
che Elliot lancia a Oz promette tutte le torture umanamente
immaginabili. Però Leo esamina Elliot, e raccoglie la busta
della
libreria. «Sì, forse è il caso. Lui
sembra minaccioso, al massimo
cercheranno di picchiare lui e io potrò defilarmi».
«A meno che
l’aggressore non sia io, idiota», ipotizza Elliot,
ma Leo non
sembra dargli ascolto, perché si volta con un
‘Ciao’ e si avvia
verso la porta. «Aspetta, Baskerville!»
Elliot
raccoglie la sua giacca, e si slancia dietro di lui, senza osservare
la stessa cortesia nei confronti di Sharon, Alice e Oz,
perché si
allontana senza salutare. Si scontra con l’aria fresca fuori
dal
locale, e si guarda intorno per individuare Leo, che è
già a metà
strada verso l’incrocio, e cammina velocemente per
raggiungerlo.
«Se devo
accompagnarti è il caso che tu mi aspetti, non
credi?»
Leo alza gli
occhi al cielo, attraversando la strada senza neanche guardare a
destra e a sinistra. Elliot fa un verso stupito, e dopo essersi
assicurato che la strada sia sgombra lo rincorre, afferrandogli una
manica della camicia.
«Mi stai
ascoltando?»
«Sì, ti
ascolto, ma sei noioso e perciò non ti rispondo. So
cavarmela da
solo».
Elliot
aggrotta le sopracciglia.
«Allora
perché dovrei accompagnarti?»
Leo lo guarda
di sottecchi, ed Elliot riesce a cogliere uno sprazzo
dell’immagine
dei suoi occhi, grandi e scuri, attraverso le lenti e la coltre di
capelli neri che gli copre il viso, e ne rimane quasi spiazzato,
perché sembrano rilucere di luce propria, tanto sono
brillanti.
«Perché mi
fai ridere con le tue ciance, perciò accorci la strada. Se
proprio
devo andare a casa, almeno il tragitto lo faccio divertendomi, non
credi?»
Elliot, in
tutta franchezza, non sa come rispondergli. Però Leo gli fa
un
sorriso che non è saccente, e non è neanche
derisorio. È solo un
sorriso. E in qualche modo, lo imbarazza.
«Andiamo,
cretinetti, la strada è lunga e tu hai tante stronzate da
sparare».
Elliot fa per
protestare, ma Leo gli afferra il bavero della giacca e inizia a
trascinarlo, provocando una reazione scomposta di imprecazioni a cui
risponde con una risata cristallina. Ed Elliot deve ammettere che
forse Oz ha ragione, effettivamente. Che forse dovrebbe essere un
po’
più malleabile. Dopotutto, la risata di Leo non è
neanche tanto
male.
Note:
Dopo quasi un
mese, arriva il capitolo. Non odiatemi, ma sono lentissima ad
aggiornare, e scrivo tutto nel rush del momento, perciò tra
un
capitolo e l’altro passano settimane, visto che anche tra una
botta
d’ispirazione e l’altra passano settimane. Tra
l’altro ho
iniziato a vedere Doctor Who e mi ha, come dire, un po’
distratta.
/nasconde mole di fazzoletti imbevuti di lacrime e dolore.
In ogni caso,
vorrei ringraziare calorosamente chi ha inserito la storia tra i
seguiti, i preferiti e chi ha recensito. Mi rendete felicissima!
Risponderò presto a tutte le recensioni, non temete, non vi
abbandono ;v; Grazie ancora! E spero che il capitolo sia piaciuto.
<33 A presto (spero)!
A.
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Capitolo 3 *** SHOUTOUT!! ***
LA FANFICTION È DI NUOVO IN CANTIERE!! STAY TUNED!!!!
EDIT - 20/07/2017
Come credo sia ormai ovvio, purtroppo questa storia è caduta in depressione ed ha deciso di abbandonare per sempre la mia inventiva - non ricordo ormai neanche più la trama, quindi suppongo sia inutile tenerla appesa.
Sono mortificata che sia rimasta così, incompleta e un po' gobba, però purtroppo la mia incostanza nelle longfic si è dimostrata più fondata di sempre. Dopo quattro anni, direi che è il caso di staccare la spina.
Mi dispiace immensamente, anche perché all'epoca della stesura dei primi capitoli ero euforica per questa fanfiction e avevo ogni punto ed ogni virgola ed ogni puntino sulle i programmato e pronto per la scrittura. Dopo anni e anni e fandom e passioni passate e tornate, purtroppo questa non rientra tra quelle.
Perciò sono dispiaciuta di informare lo - scarno - pubblico di questa ff che è ormai definitivamente incompleta, e che purtroppo non sarà più riportata in vita. Sono pronta al meritato linciaggio, ma spero che, dovessi pubblicare ancora, sarete dispost@ a leggere ancora qualcosa di mio.
Con affetto,
A. |
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