The Enemy

di SynesthesiA
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (Syr) La ragazza in metropolitana ***
Capitolo 2: *** (Ginger) Pioggia, birra e berretti rossi ***
Capitolo 3: *** (Sniper) Rosso e Blu ***
Capitolo 4: *** (Trevor) Asociali ***
Capitolo 5: *** (Syr) Tuoni, fulmini e imprevisti imbarazzanti ***
Capitolo 6: *** (Ginger) Vari validi utilizzi di un gatto blu ***
Capitolo 7: *** (Sniper) Discussioni e scontri ***
Capitolo 8: *** (Trevor) Assassino ***
Capitolo 9: *** (Syr) La psichedelia di un incontro casuale ***



Capitolo 1
*** (Syr) La ragazza in metropolitana ***


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~Syr~
La ragazza in metropolitana
 
La metropolitana parte sbuffando e traballando. Matt si guarda intorno. Il vagone è praticamente vuoto. Ci sono solo una vecchietta con la borsa della spesa, due ragazzi che confabulano tra loro e un’altra ragazza in disparte. Matt si lascia cadere su un sedile sbiadito con un sospiro stanco.
Il lavoro non sta andando bene. Il capo se l’è di nuovo presa con lui, e di nuovo per uno dei casini di Edward. Quell’uomo è un idiota patentato, fa solo danni. Ma è raccomandato, e per quanto lui si fosse battuto, il capo non l’avrebbe mai licenziato. E così lui come al solito si deve prendere la responsabilità.
E ogni maledettissima volta è sempre peggio.
Se il capo si sveglia una mattina e decide di licenziarlo, che cosa farà? Sua moglie non può mantenere l’intera famiglia solo con il suo misero stipendio, e già così è difficile andare avanti... e tra poco è anche il compleanno della sua bellissima bambina, e non potrà organizzarle una festa decente...
Matt cerca di non pensarci guardandosi intorno e cercando di distrarsi. I neon danno al piccolo vagone un’aria metallica, squallida. Sulla parete sporca del vagone c’è una vecchia scritta, ormai quasi del tutto cancellata: due nomi circondati da un cuore. Una a maiuscola inscritta in un cerchio sta incisa sullo schienale del sedile di fronte. I due ragazzi, qualche fila di sedili più in là, sghignazzano tra loro con in mano gli smartphones. Capelli tirati su con il gel, dilatatori esagerati alle orecchie e jeans troppo larghi. Il rumore di fondo della metropolitana copre le loro conversazioni sussurrate. La vecchia dev’essere scesa la fermata prima, perché non c’è. La ragazza è ancora seduta al suo posto, con le cuffie nelle orecchie e gli occhi chiusi.
Il treno si ferma e riparte altre due volte. Matt è quasi a casa: ancora tre stazioni e potrà finalmente tornare. La ragazza davanti a lui si alza e si muove verso la porta. È molto giovane, probabilmente non ha più di sedici o diciassette anni. È tutta vestita di nero, e le sue braccia sembrano ancora più bianche dove escono dalle maniche. Indossa un bracciale di pelle nera, semplice, con un disegno contorto inciso sopra. Passandogli di fianco, si accorge che lui la sta fissando e ricambia lo sguardo. I suoi occhi sono dorati, grandi, sereni. Sembrano un mare straripante di tranquillità. La calma che lei emana sembra uscire da quegli strani occhi dorati ed entrare nei suoi, invaderlo, calmarlo.
Il contatto visivo dura appena un istante. La ragazza distoglie lo sguardo, si risistema la borsa a tracolla. La metropolitana si ferma, le porte si aprono con uno sbuffo e lei esce.
Matt chiude gli occhi, improvvisamente sereno.
*
Anfibi di pelle nera che fasciano due gambe sottili fanno solo un lieve rumore sulle piastrelle grigiastre del pavimento della stazione. La ragazza cammina lentamente, le mani nelle grandi tasche del giubbotto nero, gli occhi dorati fissi a terra. Ha i capelli lunghi una decina di centimetri, più neri del cielo, sparati in tutte le direzioni. Sul viso pallido spiccano gli occhi grandi, circondati da troppa matita sfumata su tutta la palpebra. Gli Avenged Sevenfold gridano “It’s your fuckin’ nightmare!” a un volume troppo alto dalle cuffiette.
Raggiunge le scale e le sale lentamente, riemergendo all’aria aperta. Il cielo è grigio e la luce è poca, anche se sono le quattro e mezza del pomeriggio. Cade una pioggia sottile; due gocce le scivolano sugli zigomi come lacrime.
Si ferma e tira su l’ampio cappuccio del giubbotto. Un paio di ciocche nere le ricadono sul viso, celandolo in parte. Riprende a camminare tra l’asfalto grigio e i palazzi grigi, mentre tutto intorno a lei le persone vanno e vengono.
È un fantasma nero in mezzo a un mondo grigio. Nelle sue orecchie risuona l’intro sottile di Fade to Black, e James Hetfield canta con una voce stranamente sottile.
La ragazza osserva le persone che le passano accanto quasi senza vederla, osserva i loro volti, i loro movimenti.
Persone normali. Che non sanno niente.
Si chiede come dev’essere vivere normalmente, senza sapere niente di niente. Come il tizio sulla metropolitana. Lui non avrebbe mai saputo cosa lei gli aveva fatto. Non avrebbe dovuto, certo, aveva disobbedito alle regole. Ma la sua preoccupazione permeava l’aria e lei non aveva potuto fare a meno di sentirla.
La ragazza si dirige verso casa, le mani in tasca, guardando in basso.
*
«Dove diamine sei stata tutto questo tempo?»
Tamara, l’istruttrice, la aggredisce quasi ringhiando appena mette piede nel quartier generale. La squadra da capo a piedi con occhio critico, soffermandosi sul giubbotto bagnato e gli occhi seminascosti dai capelli.
«In nessun posto particolare» risponde lei, evitando il suo sguardo e andando avanti.
«Non mi inganni, Syr» ribatte l’istruttrice sbarrandole nuovamente il passo.
«Le sai le regole. Hai già due richiami.»
«Lo so» sospira Syr, scansando Tamara e i suoi occhi inquisitori. Non reggerebbe un altro confronto con la donna. Finirebbe con una punizione pesante, e Syr vuole assolutamente evitarla. Ha compiuto diciassette anni da quasi cinque mesi, gli altri della sua età vanno già in missione. Perché lei no? Aveva provato a chiedere spiegazioni, con il solo risultato di innervosire Tamara. Che non è mai una buona cosa.
Syr richiama Ahlyn con un fischio modulato, continuando lungo il corridoio bianco fino all’ascensore. Il suo Sprite le svolazza accanto, scuotendo i dorati capelli evanescenti. Le porte si aprono silenziosamente, e la ragazza entra e preme il pulsante per il terzo piano.
Esce in un ampio corridoio bianco, con la parete di sinistra che è un’unica lunga vetrata che dà sulla strada. Sulla parete di destra, invece, ci sono a intervalli regolari delle porte grigie.
Syr percorre il corridoio fino alla porta contrassegnata dal numero 305. Entra e chiude a chiave la porta dietro di sé.
È una stanza piccola, quadrata, dipinta di azzurro tenue. Come il corridoio, la parete opposta alla porta è un’unica vetrata coperta da tende blu. Addossati al muro di sinistra ci sono due letti a castello, a destra un grosso armadio e due scrivanie. Mobili e pavimento sono di legno, di un colore caldo.
Syr toglie gli anfibi e si butta sul letto sotto, con Ahlyn raggomitolata sul cuscino in un mucchietto dorato e spettrale. La ragazza riprende le cuffie e chiude gli occhi, perdendosi in un delicato e malinconico arpeggio di chitarra.
*
Un rumore secco e fuori tempo rispetto alla batteria perfora il muro di suono attorno alla mente di Syr. La ragazza sospira. Valuta se sia il caso di ignorare chiunque stia bussando alla porta. Ma poi il qualcuno grida qualcosa che lei non sente, coperto dal suono vibrante e compatto di Master of Puppets.
Syr mormora qualcosa, interrompe la canzone e va ad aprire.
«Maledizione, quante volte ti ho detto di non chiudere?» la assalta subito una ragazza che probabilmente non arriva al metro e sessanta in altezza, fissandola in cagnesco e con le mani sui fianchi.
«Non è certo colpa mia se non ti porti mai le chiavi» risponde Syr, mentre quella entra come un tornado nella camera in un fruscio di minigonna e capelli piastrati. Lei non risponde, appoggia una borsa enorme sulla scrivania più ordinata delle due e si toglie le scarpe con il tacco – ecco perché le sembrava più alta del solito – mentre si controlla minuziosamente il trucco davanti allo specchio.
Syr si butta poco elegantemente sul letto, osservando con aria sconvolta le scarpe fucsia che si è appena tolta, altissime e molto probabilmente anche assurdamente scomode.
«Non posso credere che tu sia andata a combattere con quelle» le dice.
«Non sono andata a combattere» risponde l’altra, «Era solo una ronda.»
«Durante una ronda può capitare di combattere, sai?»
«Ne sono convinta» La ragazza sembra aver finito di risistemarsi una linea di eyeliner già perfetta. «Ma se anche fosse, sono certa di potermela cavare bene... sono comodissime, sai?»
Syr scoppia a ridere.
«Sei impossibile, Ashley»
«Mai quanto te, Syr» le risponde l’altra, strizzandole l’occhio.
*
Ashley si sporge dal letto sopra in una ventata di odore di smalto e dice qualcosa. Syr toglie una cuffia e la guarda con un’espressione eloquente. L’amica sospira e alza gli occhi al cielo, fingendo esasperazione.
«Ti stavo dicendo che c’è un’esercitazione domani mattina» Syr mugugna qualcosa di incomprensibile. «E se tieni la musica a un volume così alto diventerai sorda»
«Non sei mia madre» ribatte la ragazza dagli occhi dorati con un mezzo sorriso.
«Esercitazione di...?»
«Boh, non ne ho la minima idea. So solo che andiamo al parco. Probabilmente sarà una Caccia»
Syr annuisce, soddisfatta.
«La Caccia è la mia preferita»
«In teoria siamo noi e l’altra classe. Spero di non essere in gruppo con Gabriel. Non lo sopporto»
«Nessuno lo sopporta, Ash. A parte i due idioti che si trascina dietro ovunque»
«E speriamo che non piova! Voglio mettere le scarpe nuove»
È il turno di Syr di alzare gli occhi al cielo, ridendo.
«Che poi non ho capito perché ci fanno ancora fare ‘ste cavolo di esercitazioni» riprende la ragazza castana «Abbiamo tutti diciassette anni, no? Dovremmo ormai avere finito con l’addestramento»
Syr fulmina l’amica con gli occhi.
«Lo sai qual è il problema»
«Non è una cosa che puoi controllare...»
Si interrompe quando sente voci e risate sguaiate in corridoio. Anche Ahlyn se ne accorge, perché improvvisamente si alza in volo. Si mette a girare in aria emettendo il suo solito fischio modulato, e quando qualcuno bussa alla porta si blocca a mezz’aria, i capelli sparati da tutte le parti e fulmini indaco dalle mani.
Syr sa cosa significa questo e sta in guardia. Ashley scende dal letto fluttuando per dare manforte all’amica. La ragazza dagli occhi dorati apre la porta, affiancata dallo Sprite alla sua sinistra e dall’altra ragazza alla sua destra.
Nel riquadro della porta appare un ragazzo. È biondo, con gli occhi azzurrissimi, gli occhiali da sole tra i capelli – anche se fuori piove a dirotto, nota Syr – ed è abbronzato. Lo stereotipo del surfista californiano, insomma. Sulla sua spalla sta appollaiato uno Sprite più giallo che dorato, a forma di rapace. Dietro al tizio stanno altri due ragazzi, più alti e dall’aria feroce.
«Gabriel Tempest» Syr sputa il suo nome come fosse un insulto. «Che cosa vuoi?»
Il ragazzo sorride mostrando una sfilza di denti bianchissimi.
«Siamo acidi oggi, Syr Collins» le risponde per le rime.
Lei non risponde e lo fissa con sguardo torvo, le braccia incrociate.
«Venivo solo ad augurarti buona fortuna per la Caccia di domani» sghignazza Gabriel.
«Cerca di non far esplodere niente, stavolta, ok? Così forse si fideranno di te e ti manderanno in missione»
«Almeno io faccio qualcosa, non me ne sto nascosta come una codarda con la scusa del potere dell’invisibilità mentre i miei mastini fanno tutto il lavoro sporco»
Il sogghigno si spegne sul viso di Gabriel.
«Vedremo» ringhia, andandosene. «Non ti conveniva metterti contro di me, sei solo una misera Esterna» grida, ormai in fondo al corridoio.
«Una misera Esterna più potente di te!» ribatte lei. Non avrebbe dovuto. Ma non è riuscita a controllarsi.
Chiude la porta della stanza sbuffando.
«Stronzo di un Erede» borbotta sottovoce, per poi immergersi nuovamente nella sua musica, con Ahlyn, finalmente tranquilla, accanto a lei.




 
*******
Ciao, sono Vyolet e sono quella che scrive i capitoli dispari di questa storia, così sapete con chi prendervela se fa schifo :P
Questa storia è un esperimento, spero vi piaccia... Se lasciate una recensione ne sono felice ;)
Questi sono due disegni che ho fatto io di Syr, scusate la mia scarsa abilità nel disegno... è decisamente meglio se scrivo, invece di disegnare, ma mi andava, e la lezione di latino era particolarmente noiosa :P
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Capitolo 2
*** (Ginger) Pioggia, birra e berretti rossi ***



 

~Ginger~
Pioggia, birra e berretti rossi

Non è tanto l'acqua che cade lentamente, fievolmente, forse stancamente dal cielo grigio scuro, né l'aria fredda e umida, statica, inerte, né le pozzanghere che coprono i marciapiedi e i lati della strada; non sono i rari passanti che si aggirano sotto ombrelli grigi o neri, non sono le automobili ferme imbottigliate in mezzo alle strade cittadine i cui tergicristalli si muovono lenti con ritmi tutti diversi l'uno dall'altro, e i cui motori ribollono in attesa di spingersi mezzo metro in avanti attraverso il traffico impaludato. Non sono le gocce che scivolano lungo le vetrine appannate dei negozi, lungo le finestre dei piani superiori, sulle pensiline delle fermate, sui segnali stradali, sui cartelloni pubblicitari. Non è nulla di tutto ciò a renderla tanto triste quanto la luce, questa luce in sordina, soffocata, soffocante, luce grigia che si nutre dei colori già scarsi della città e li impasta in un unico squallido grigiore bagnato. Quella luce che ha il potere di farla diventare completamente apatica e depressa, di farla rimuginare sul passato, rassegnarsi per il futuro, e odiare ciò che sta accadendo ora. Persino lei che è sempre in grado di controllare le emozioni, che nonostante tutto ciò che le passa per la testa riesce ad apparire allegra e sorridente, nei momenti come questo perde la propria maschera e non può che mostrarsi per ciò che è, senza edulcorazioni.

*

Dling dling. La ragazza apre una porta a vetri e ci si infila dentro con lo sguardo basso.
«Ehy, Ginger!»
«No, non oggi Dan»
Dietro il bancone del bar un omone con i capelli crespi castano chiaro e una barba da boscaiolo non perde un grammo del proprio entusiasmo nonostante la risposta così lapidaria.
«Uff, che noia, cosa ti piglia?»
«Dai Dan, non è giornata» La ragazza, di solito così serena e socievole, attraversa il piccolo locale in silenzio e va ad appollaiarsi in cima a un alto sgabello davanti a un tavolino nell'angolo più distante dalla porta. Appoggia i gomiti sul tavolo, e il mento sulle palme delle mani, e da questa posizione osserva tutto ciò che le sta intorno.
Il bancone in legno occupa tre quarti della parete di destra, ritagliando la stanza rettangolare in una sorta di L. Di fronte al bancone stanno quattro o cinque tavolini identici ricavati da vecchie botti, con sgabelli altissimi e paraventi in legno e vetro smerigliato con il logo di Jack Daniel's tra l'uno e l'altro. Sul braccio corto della L, vicino alla ragazza, si trova il frigo delle bibite, che con la sua luce azzurra al neon stona con l'ambiente come un'astronave in un film western. Alle pareti in legno sono appesi a intervalli regolari degli specchi con stampe di vecchi volantini pubblicitari di superalcolici, mentre dietro al bancone su quattro mensole sovrapposte fanno mostra di sé bottiglie e fiasche di ogni misura e forma, oltre a due piccole botti di legno e una spina per le birre. Perfettamente in sintonia con l'ambiente è il barista, il perennemente sorridente Dan. Con la camicia sformata di flanella a quadroni e la traversa bianchiccia macchiata qui e là con chissà che superalcolico, è il perfetto cliché del barman, di quelli con la risata fragorosa e una parola gentile o una battuta spiritosa per qualsiasi occasione.
«Hai davvero intenzione di startene là seduta da sola senza farmi un po' di compagnia?» Dentro al pub non c'è nessun'altro, e Dan non può stare tutto quel tempo in silenzio per conto suo con un'altra persona nella stessa stanza.
«Oggi davvero non sono in vena…»
«Ehi? Chi sei, e che ne hai fatto di Allyson Doyle?» Domanda Dan, sporgendosi dal banco in direzione della ragazza con una faccia teatralmente perplessa, come se stesse studiando un forestiero. Sul volto della ragazza si insinua una sorta di ombra di sorriso.
«Dai, lo sai che con questo tempo divento insopportabile.. E non chiamarmi Allyson, che mi suona stranissimo»
«Bah. E sai cosa facciamo a questo tempo?» Chiede l'omone girandole le spalle e mettendosi a frugare in basso, sotto alle mensole con le bottiglie.
«Sinceramente no». Dan riemerge dalla sua ricerca impugnando un cavo jack che infila nel suo Ipod.
«Che hai in testa, Dan?»
«Non in testa, in mano ormai.» Un paio di attimi in cui rovista nella libreria musicale del lettore, e dalle casse agli angoli del soffitto parte una melodia di cornamusa e piano, all'inizio molto tranquilla. Ginger solleva un poco la testa, spalancando gli occhi, poi torna nella sua posizione con l'espressione da cane bastonato.
«L'ho visto che hai drizzato le orecchie, sai?»
«Macché, è stata una tua impressione»
«Sei abbastanza ridicola quando fai la sostenuta in questo modo» Dice con un sogghigno, mentre la melodia si è appena trasformata in una battaglia di chitarre elettriche e batteria. Involontariamente Ginger comincia a scuotere, in maniera quasi impercettibile, la testa al ritmo della musica. Dan scoppia in una risata profonda e sincera. «Guardala la depressa meteoropatica!»
«Tu giochi sporco, però»
«Come vuoi, intanto stai sorridendo»
«Uffa, sei insopportabile»
«Ho capito, una bionda col limone» Dicendolo, avvicina al rubinetto della spina la pinta che stava asciugando con la traversa.
«Ahahah, sai che stai offrendo tu, vero?»
«Ovvio che offro io, che domande!»
«"And through it all, and through it all your spirit's alive"» canticchia la ragazza dal proprio tavolino seguendo la canzone.
«Come va con Jenny?» domanda il barman, sedendosi al tavolo di Ginger con due pinte in mano, una bionda con limone e una Guinness per sé.
«Non nominarla nemmeno, per favore»
«Così male?»
«L'ho vista al Lincoln, ieri»
«Beh, che c'è di terribile?»
«Con un ragazzo»
«Ah. Beh, potrebbe non essere così...»
«Si stavano baciando»
«Oddio»
«Lasciamo stare, ok?» taglia corto Ginger, dando un sorso alla birra.
«Già, forse è meglio di sì. Comunque, poco prima che arrivassi tu è passata una ragazza niente male, proprio per nulla. Avrà la tua età, forse un qualcosa di più…»
«Ho scoperto da nemmeno ventiquattr'ore che la mia ragazza si stava baciando con un maschio e tu già mi costruisci appuntamenti al buio?» Sogghigna Ginger.
«Ma chi ha parlato di appuntamenti!» Esclama Dan, grattandosi la nuca con il palmo della mano e esibendo tutta la dentatura con un sorriso innocente e teatrale. «E poi era accompagnata, era venuta con un ragazzo»
«Ah ecco, infatti»
«Però ho notato che la tipa aveva un berretto di lana e una felpa rossi, e tu di solito mi chiedi di avvertirti quando vedo...»
«Rosso? Aveva simboli disegnati da qualche parte?» Lo interrompe preoccupata la ragazza.
«Uh, non mi pare. O forse sì, una specie di spirale sulla maglietta, con delle punte in cima... Non ho visto bene, aveva la felpa che copriva»
«E lui?»
«Nulla, lui aveva un giubbotto militare, niente di strano»
«Ah.» si stropiccia la fronte con la mano. «Cazzo. Perché continuano a venire per di qua?»
«Cosa? Non ho sentito…»
«Nulla, parlavo tra me e me»
«Oh, come vuoi»
«Hai detto che erano qua poco prima che arrivassi io?»
«Sì, saranno passati dieci minuti, o un quarto d'ora...»
«Non hai visto dove andavano quando sono usciti, vero?»
«Non spio i miei clienti di solito.» Di nuovo l'espressione innocente con la mano in mezzo alle scapole.
«Accidenti. Beh, grazie della birra.. E della musica.» Fa per smontare dallo sgabello.
«Vuoi già andartene?» Chiede Dan, il sorriso sul suo volto sembra sgonfiarsi, affievolirsi.
«Scusami, ma devo scappare»
«Ah.. Beh, ok. Ci vediamo, allora»
«D'accordo, magari passo domani e resto qua di più, va bene?»
«Ottimo, la prendo come una promessa!»
«Ahahah, come vuoi.» Infila una mano nella tasca dei jeans, estrae un paio di monete e le lancia sul bancone mentre attraversa il locale.
«Ti avevo offerto io, porta sfiga rifiutare quando qualcuno ti offre da bere!»
«E io ti offro la Guinness, ok?»
«Ma non…»
«Ehy, porta sfiga»
«Uffa, hai vinto tu»
«Lo so!» La ragazza apre la porta, e un refolo d'aria fresca si spande nel pub.
«Ginger, lo vuoi un ombrello?»
«Macché»
«Come vuoi»

*

Guardandola uscire dal pub, Dan si alza e torna al suo posto dietro il bancone per sistemare le due pinte. Attraverso le stampe sulla vetrina la osserva andarsene con il suo passo precipitoso e ondeggiante, non propriamente aggraziato. È una ragazza davvero carina, anche se è così poco femminile. I suoi capelli ramati, ovviamente tagliati corti, sono perennemente pieni di una quantità industriale di lacca, sparati verso l'alto in pieno stile scossa elettrica. Gli occhi sono grandi e tondi, quasi come se fossero stati disegnati da un mangaka giapponese, e il loro colore è una mezza via indefinibile tra il verde e il marrone. La pelle chiara, cosparsa sul viso di lentiggini non marcate, il naso piccolo e appuntito, la bocca sottile e rossa. Porta sempre magliette aderenti, per evidenziare il seno non così pronunciato come vorrebbe, e anche adesso che comincia il primo freddo gira con la felpa tutta aperta. È davvero un peccato che una ragazza con un carattere così solare debba vivere tutto ciò che ha vissuto lei, pensa il barman con amarezza, davvero un peccato. Eppure, in un modo o nell'altro riesce sempre a sfoggiare uno dei sorrisi più allegri del quartiere, ed è sempre pronta ad accogliere una battuta con una risata cristallina o a dare risposte spiritose alle stupidaggini che le dice quando capita per il suo bar.

*

Dling. Il campanello appeso sullo stipite della porta distrae Dan da questi pensieri, riportandolo alla realtà.
«Uno Scotch, per favore» esordisce burbero un uomo alto e muscoloso con gli avambracci coperti di tatuaggi e i capelli a spazzola.
«Oh, buongiorno anche a lei». Quanto odia le persone che non salutano.

 

*******

Ave. Io sono Matrix, ovverosia il cromosoma Y della situazione. Sono una persona seria, precisa, ordinata, coerente, ineccepibile, fantasiosa, di bell'aspetto, gentile, generosa, abile, ma soprattutto modesta, e questo fa di me la parte mona della squadra. Beh, come era già stato detto io ho i capitoli pari, tanto perché sappiate chi bastonare per aver rubato il vostro tempo a leggere deliri oppure a chi spedire la proposta formale di matrimonio in caso di estasi mistica.
Per parte mia, mi sento in dovere di ringraziare Take a breath (the chosens) per aver dato, se non un'ispirazione, almeno un input iniziale all'idea di base.
 - Appello ai gentili lettori - 
(penso di parlare a nome di entrambi ^^ ).. Insomma sì, a noi fanno piacere le visualizzazioni e tutto, ed è anche vero che non si scriviamo per il riscontro ma perché ci piace.. Però ogni tanto saremmo lieti di sapere il vostro giudizio, come dire ^^' EFP ci donò le recensioni, perché sprecare questo dono? U.U
Ultima cosa (dopo vi lascio andare a leggere manga, promesso) ..un paio di disegni di Allyson-Ginger, giusto per rendere l'idea ;)


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Capitolo 3
*** (Sniper) Rosso e Blu ***


 
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~Sniper~
Rosso e Blu

Per la benedizione di una qualche divinità, la campanella finalmente suona. Il brusio leggero di fondo che accompagnava la lezione di storia diventa un boato mentre venticinque tra ragazzi e ragazze raccolgono penne e quaderni disseminati per i banchi e si fiondano fuori dalla porta gridando un "arrivederci" frettoloso al professore.
«Ehi, Snip» dice un ragazzo, cercando di sovrastare il frastuono generale di sedie spostate e conversazioni sparse.
«Ti va un salto allo Starless Night questo pomeriggio?»
Il diretto interessato, Snip, scuote la testa, facendo volteggiare una treccina sottile che gli scende di lato, dietro un orecchio, fermata con due perline dorate.
«Non posso oggi, Jon» risponde. «È il mio turno di ronda»
«Peccato. Sei con Maryanne, vero? Salutala da parte mia». Solleva la mano in una specie di saluto militare distorto, sorridendo.
«Ci si vede, Snip»
Il ragazzo con la treccia ricambia il saluto. Aspetta che se ne vadano tutti ed esce dalla classe con calma, passando nel corridoio praticamente deserto. È sabato, la scuola si è già svuotata.
Fuori piove. Snip sbuffa, mentre Glithre saltella qua e là schizzando vapore dalle pozzanghere. Il ragazzo si è sempre chiesto perché diamine uno Sprite di fuoco dovesse divertirsi così tanto con la pioggia. Glithre si scuote energicamente in una nuvola di vapore, fiammeggiando la criniera infuocata in giro ovunque. Il ragazzo con la treccina sospira e tira su il bavero del giubbotto militare. A lui la pioggia non piace per niente, invece.
Casa sua sarebbe a un paio di stazioni della metropolitana, ma lui non ha nessuna voglia di andarci. Snip odia quel posto, e tutto quello che sta a significare.
Decide di passare le due ore seguenti girando per le strade grigie, sotto un cielo grigio, perdendosi nei pensieri e tra le strade senza pensare a una destinazione. Glithre lo segue da vicino, scodinzolando allegro e sbuffando fiammette che fanno evaporare all’istante la pioggia. Chissà cosa vedono gli altri… vapore che compare all’improvviso dal nulla? Oppure proprio niente? Snip non lo sa. Non è mai stato una persona normale.
*
La pioggerellina sottile non accenna a smettere. Ormai Snip ha il giubbotto mimetico interamente bagnato, e comincia ad avere freddo.
Si ritrova quasi senza volerlo nel bar dove Maryanne gli ha dato appuntamento. È in anticipo, ma decide di entrare lo stesso.
Un campanello suona mentre il ragazzo apre la porta, ma nessuno degli altri clienti sembra farci caso. Il locale è piccolo, ma ha un’aria calda e accogliente. Ci sono gli Aerosmith in sottofondo, e l’enorme barista canticchia stonato il ritornello di Livin’ on the Edge mentre versa del liquore rosso fuoco in un bicchiere.
Il bar è quasi vuoto, tranne che per due tizi seduti a uno dei tavoli, che ridacchiano tra loro davanti a due boccali di birra. Maryanne ancora non c'è.
Snip toglie il giubbotto bagnato e si siede al tavolo più lontano dalla porta, aspettando la compagna. Come al solito, si perde nei pensieri, mentre il tempo passa. Forse poteva anche fare un salto allo Starless con Jon e gli altri, ma non ne ha voglia. Non è decisamente dell'umore.
Il barista finisce di sghignazzare con i due uomini dell'altro tavolo e gli si avvicina con un mezzo sorriso.
«Non ti ho mai visto da queste parti» attacca. Snip spera che non sia di quei tizi che non sono capaci di stare zitti. Ha voglia di solitudine.
«Infatti, è la prima volta che vengo. Sto aspettando una mia amica»
«Io sono Daniel» Il barista tende una mano gigantesca al ragazzo, che la stringe. «Ma tutti mi chiamano Dan»
«Io invece sono Duncan» si presenta il ragazzo «ma tutti mi chiamano Snip»
«Soprannome davvero strano. Ha un significato?»
«Diciamo che è una storia lunga» sorride Snip, tentando di sviare il discorso. Sarebbe una storia davvero lunga e complicata da spiegare a una persona normale.
«Ehi, Snip!»
Una ragazza compare sulla porta chiudendo un ombrello bordeaux e si dirige decisa verso i due. Indossa un cappotto lungo sopra una gonna rosso acceso. Anche berretto e sciarpa sono rossi, e anche la felpa che si intravede sotto il cappotto. Ha i capelli castano chiaro sciolti in un milione di ricci, che cadono sulle sue spalle e rimbalzano qua e là mentre cammina.
La ragazza si toglie il cappotto, appoggiandolo allo schienale di una sedia. Glithre le corre incontro tutto felice, e lei fa finta di non vederlo, perché c’è ancora Dan lì con loro. Snip ogni volta si stupisce di quanto le persone siano cieche. Il barista infatti non degna di uno sguardo lo Sprite a forma di cane rosso fuoco che corre avanti e indietro di fianco a lui.
«Ciao, Dan» saluta la ragazza, sorridendo.
«Ehi, Maryanne. È un pezzo che non ci si vede»
«Vedo che vi siete già conosciuti» dice la ragazza, accennando a Snip. Il barista annuisce e sorride.
«È il tuo ragazzo?»
Maryanne arrossisce, e Snip scoppia a ridere.
«Ma certo che no! Siamo amici d’infanzia»
«Eh, ma non si sa mai che l’amicizia non diventi qualcos’altro…» Dan strizza l’occhio a Maryanne, e se ne va, tornando poco dopo con due birre per i ragazzi.
La ragazza squadra Snip con aria critica.
«Niente di rosso nemmeno stavolta» sospira infine.
«Quando comincerai a vestirti in maniera sensata?»
Snip scorre lo sguardo prima sulla sua felpa degli Arch Enemy e sui jeans neri strappati, poi sulla maglia della ragazza, rossa con una specie di spirale appuntita nera che occhieggia dalla felpa semiaperta.
«Io mi chiedo quando inizierai tu a vestirti in maniera sensata. Sei assurda. Nessuna persona normale si vestirebbe di rosso fuoco e bordeaux!»
«Non sono una persona normale, maledizione. Appartengo alla fazione rossa, e come tale mi vesto in maniera adeguata. Lo sai che dovresti farlo anche tu, anche più di me»
«L’appartenenza allo schieramento non si giudica su quanti centimetri quadrati di vestiti rossi hai addosso, Maryanne»
«Se appartieni allo schieramento dovresti dimostrarlo anche così»
Snip sospira, abbandonando la discussione. Maryanne è una ragazza così dolce e gentile e lui le vuole davvero bene, ma è maledettamente chiusa. È da tanto tempo ormai che vanno avanti con quella discussione, e non arrivano mai da nessuna parte.
«Jon ti saluta»
La ragazza sbuffa, esasperata.
«Ma non può proprio starmi lontano per più di dieci minuti, quel ragazzo?»
Snip ride. Anche questa è una cosa che non cambierà mai. Jon che ci prova spudoratamente con Maryanne, e lei che rifiuta sdegnosa ogni volta. Ma Snip è convinto che prima o poi si metteranno insieme, si vede da come si comportano.
*
Sono ormai le tre quando i due ragazzi chiudono la porta a vetri del bar e si rituffano sotto la sottile pioggerellina autunnale. Snip lascia i pensieri liberi di scorrere nel nulla, mentre la ragazza lo guida lungo le strade grigie della città.
Ad un tratto si blocca di colpo. Prende l’amica per un braccio, fermandola in mezzo al marciapiede.
«Maryanne» scandisce, con tono di rimprovero.
«Siamo nella zona dei Blu»
Ha riconosciuto la strada. E sa che non dovrebbero essere lì.
La ragazza sbuffa.
«Sì, siamo solo a due isolati dal confine... e poi chissenefrega, se vogliono combattere, meglio»
«Maryanne, maledizione! Lo sai che odio queste cose...»
«Conoscevo questo posto da molto prima di entrare nei Rossi. Se un paio di stronzi Blu vogliono impedirmi di andarci, li accoglierò con i miei pugnali»
Il ragazzo sospira. Riprende a seguire l’amica, rassegnato a sperare soltanto che nessun Blu faccia la sua comparsa nelle tre ore seguenti.




 
*******
Ciao! Sono tornata, sono Vyolet, alias il 50% serio della squadra ;)
Grazie a tutti quelli che leggono... E se vi si sta annodando il cervello perchè non capite un'acca della storia non preoccupatevi, è il nostro anzi soprattutto mio obbiettivo, e sarà sempre peggio, muahahah!! *risata malefica* (sì, sono io quella che costruisce i due terzi buoni della trama, e adoro i complotti)
Ovviamente rinnovo l'invito a recensire, se vi va... Ma anche se non vi va *estrae uno spadone a due mani da dietro la schiena e comincia a rotearlo in aria con un'espressione angelica*
Ops, cos'è che dicevo? Seria???
Lasciamo perdere che è meglio, come al solito metto un paio di disegni, perdonate la mia imbarazzante incapacità colossale...

Sniper (by Matrix & me)
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Maryanne (by me)
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Dan (by Matrix)
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Capitolo 4
*** (Trevor) Asociali ***


~Trevor~
Asociali

 
-Cris!

Gorgoglio incomprensibile.  

-Cris, svegliati, su.- le sta battendo sulla spalla da cinque minuti almeno.  

-Ma che ore sono?- domanda quella, ancora completamente immersa nel sonno.  

-Le cinque e mezza.  

-Allora è troppo presto per alzarsi.  

-Dai, non fare l'idiota.  

La ragazza si gira dall'altra parte, e si tira la coperta fino alle orecchie.  

-Come vuoi..- il ragazzo si volta, fa per allontanarsi dal letto, ma dopo mezzo passo gira sui tacchi, afferra il lembo della coperta e con uno strattone la manda ad afflosciarsi ai piedi del letto. La ragazza torna a girarsi verso di lui, lo guarda in cagnesco e tende tutti i muscoli.  

In un istante scatta come una molla verso il suo volto, lo afferra sull'incavo della spalla e affonda il pugno destro nel suo stomaco. Lui si piega appena in avanti per il dolore e la sorpresa, ma prima che l'altra possa mollare il rovescio diretto al volto che sta caricando le afferra i polsi, solleva le braccia sopra alla testa e con una giravolta fulminea trasforma la situazione in una a lui favorevole. Un movimento verso il basso e la ragazza è perfettamente immobilizzata, incapace di qualsiasi azione. Nonostante tutto il suo furioso scalciare e dimenarsi, il suo braccio è bloccato a terra dalla sua stretta, in realtà neppure esageratamente forte, e lei è lunga distesa senza possibilità di raggiungere il fratello in nessun modo. 

Dopo qualche momento, Cris scoppia a ridere. 

-Adesso mollami, però! 

-E tu vieni a mangiare qualcosa, che tra un quarto d'ora dobbiamo andare- risponde lui con impazienza, liberando il polso della ragazza. 

-Ma dobbiamo proprio andarci?- Domanda Cris rialzandosi da terra. Poi, prima di ricevere una risposta, il suo sguardo cade su due piccoli esserini che si azzuffano giocosamente sul pavimento. -Shirley, Ace, smettetela!- li richiama, con un sorriso divertito sulle labbra. Al che, le due creaturine interrompono il loro gioco e la fissano con aria supplichevole, sbattendo più volte gli occhioni rotondi e lucidi. 

-Lasciali giocare, poveracci! Qual è il problema? 

La ragazza si limita a stringersi nelle spalle, con un'espressione innocente stampata in volto. 

*

Odio profondo verso il maestro. Anche questa volta lo ha costretto ad affrontare Leonard, quella specie di armadio a quattro ante lobotomizzato senza volontà. Ace, al bordo del tatami, mostra i pugni aguzzi, con un'aria che vorrebbe essere minacciosa, ma che mette piuttosto allegria che spavento. Peccato che quasi nessuno, lì dentro, possa vederlo. 

-Wells! Smettila di fare la checca, e fai qualcosa! 

Schiva l'ennesimo pugno diretto al volto. Lo scimmione è riuscito a colpirlo solo una volta, e stanno combattendo da cinque minuti. 

-Non è possibile che tu non sappia fare altro che startene lì a danzare! La prossima volta vieni in tutù, i capelli lunghi li hai già. 

Perché quell'uomo è così stupido? Stupido e sadico, un'accoppiata vincente. Però non vuole rischiare, sa che se facesse quello che gli ordina ci rimetterebbe una nocca. È uno stronzo, quel Leonard. 

Fino a quando il primate non supera il limite. -Il tuo padre moscio non ha avuto abbastanza palle da restare a vedere che razza di fallito ha messo al mondo, eh? 

Neanderthal, te la sei cercata. Spicca un balzo, questa volta però in direzione dell'avversario. Quello gli lancia uno sguardo che dimostra tutta la sua profonda intelligenza. quando gli è addosso, con un movimento piccolissimo e preciso si volta poggiandogli i polsi ai lati del collo, le palme delle mani rivolte all'esterno. Con uno slancio verso l'alto, spingendo tutto il proprio peso in obliquo su quei due unici punti e sfruttando l'energia proveniente dal balzo, sbilancia Leonard fin quasi a farlo cadere all'indietro, ai propri piedi. L'armadio mantiene miracolosamente l'equilibrio puntellandosi all'indietro su una mano e ruotando attorno a quella. Quando però riesce a rialzarsi, l'altro è già lì ad aspettarlo, e con tutta la tranquillità del mondo gli assesta un colpo  con il palmo in centro al torace che, per quanto non contenga la minima forza, è talmente preciso e ben piazzato da mandarlo a terra lungo disteso. Con la coda dell'occhio nota lo sguardo inondato di sangue e fiamme del maestro. Ma chissenefrega, non sarebbe la prima volta che usa tecniche "inopportune". Come si fa ad essere così idioti. Prima che l'intelligenza sovrumana del piccolo Leonard gli permetta di ragionare su quanto sia per lui conveniente rialzarsi e non starsene lì a terra, lui ha già il ginocchio sollevato, e con un -Fallito, dolcezza?- sferra un calcione in verticale su quel dolce visino da angioletto, un calcio degno del miglior fallito della storia. Quello è talmente esterrefatto da non rendersi conto di possedere un potere sovrannaturale, e così un sonoro CRACK accompagna l'impatto tra tallone e setto nasale. Estasi mistica. 

*

Lo spogliatoio è uno stanzino piuttosto piccolo, e lo spazio è ancora più ridotto per le panche ammassate alle pareti. Dagli appendiabiti sopra di esse pendono giacche e felpe e jeans e magliette di qualsiasi colore. Su tutta la panca a destra, quella più distante dalla piccola finestra in alto in alto, sfoggiano abiti delle varie tonalità di verde, dalle magliette verde acido, ai pantaloni mimetici, alle felpe color pino. Quello è l'angolo dove anche lui dovrebbe appendere le proprie cose. Quello è l'angolo della famigerata e gloriosa Fazione Verde. Quante cazzate. È a causa di quegli esaltati che lui e sua sorella non possono avere un minimo di pace.  

A quanto pare tutti sono convinti che questa storia delle fazioni duri da sempre. Nessuno si chiede quando sono nate, per che motivo, o a causa di chi. Sono tutti troppo occupati ad odiarsi a vicenda e cercare di danneggiare più possibile gli altri. Non si rendono conto di quanto sia stupido e inutile. Ma a loro va bene così, evidentemente. Gli unici ad averlo capito sono stati i suoi genitori, e forse è proprio per questo che hanno dovuto andarsene. 

A interrompere i suoi pensieri arriva Cristina, sua sorella, con il proprio Sprite a forma di scimmia sulla spalla. Perché è nello spogliatoio dei maschi? 

-Trevor, per favore, evita la prossima volta. 

-Che ci fai qua? 

-Me ne sono andata, non potevo reggere quell'idiota che sbraitava e minacciava di morte tutti quanti. E poi sai che quando il maestro si incazza con te dopo ci vado di mezzo anch'io. 

-Hai ragione... Scusami. Ha fatto altre storie dopo che mi ha cacciato? 

-No, in realtà. Ha portato in infermeria l'idiota di Leonard, e poi è tornato quasi subito perché se ne è occupata Magdalene. Mi ha detto che siamo proprio due selvatici, ma si vedeva quanto fosse soddisfatto per avere avuto un buon pretesto per cacciarti. Cerca di trattenerti la prossima volta. 

-Neanderthal non può permettersi di insultare il papà ogni volta che gli pare, ok? 

-Lo sai che se quello si incazza è capacissimo di sfondarti il cranio, vero?- è una ragazza così dolce, quando vuole. Le vuole un bene dell'anima. Però lui è fatto così, quando toccano corde che non dovrebbero toccare non risponde più delle proprie azioni. 

-Torna là dentro, tu- le consiglia. Il piccolo ometto verde seduto ai suoi piedi gli fissa addosso due occhioni enormi che si inumidiscono improvvisamente, dopodiché si lancia in avanti abbracciandogli le ginocchia e scoppiando in lacrime disperate. Trevor scioglie la propria espressione accigliata e si lascia andare a una risata divertita. -No Ace, non parlavo con te, ma con la testa dura di mia sorella!-. Lo Sprite solleva la testolina, fissando il ragazzo come per chiedere conferma di aver capito bene le ultime parole. Quando quello annuisce sorridente, i suoi occhi già umidi per il pianto si inondano di nuovo per la commozione, e la creaturina si arrampica sulla panchina per sedersi a fianco a lui, accoccolandosi addosso alla sua gamba. -Sei un pazzo, Ace- esclama Trevor con una risata. 

-Non ha senso che torni dentro. Vado a cambiarmi, poi ce ne andiamo a mangiare qualcosa, ok? 

-Come vuoi. 

*

-Secondo te dovremmo adeguarci? 

Il locale è piccolo, ma è caldo e in qualche modo intimo. Perfetto per avere un po' di tranquillità, dato che tra un tavolino e l'altro ci sono dei separé di vetro opaco. Il barista è solare come sempre, nonostante la pioggerellina autunnale che potrebbe spegnere l'entusiasmo di un bimbo sulle giostre. 

-Adeguarci in che senso?- chiede Trevor, dando un morso al proprio toast. 

-Non so, fare buon viso a cattivo gioco. Intendo, siamo sempre per conto nostro... Se facessimo finta di non essere del tutto ostili magari potremmo stare anche un po' con gli altri, no? 

-Ehi, non ti ho obbligata a troncare ogni rapporto col mondo sai?- il suo tono non è sarcastico, ma piuttosto malinconico. -Non sei costretta a isolarti come faccio io... 

-Si, e io ti lascio fare il lupo solitario, ovvio. 

-E comunque non ha senso come discorso... Non penserai davvero che facciano così solo perché siamo asociali e non ci vestiamo di verde, o sì? 

Cris lo guarda con gli occhi sbarrati, continuando a masticare. 

-Secondo te perché ci mandano ogni santa volta a fare la perlustrazione al primo turno della giornata? Secondo te perché ogni volta che succede qualcosa di strano siamo i primi che controllano? 

-Non lo so... 

-Uffa, cerca di fare la matura... Cos'è che odiano di più al mondo, quegli esaltati? 

-Non so, le altre fazioni? 

-Precisamente. E qual è la loro paura maggiore? 

-Non ho idea. Che arrivino i Gialli a sfasciare il quartier generale? 

-No. La loro paura è che noi non odiamo abbastanza. E con noi intendo tutti noi. Le reclute, i gradi bassi. Pensaci, Cris. I capi fazione, o gli alti graduati, delle famiglie che sono Verdi da decine di generazioni, Eredi si fanno chiamare quegli idioti. È nel loro interesse che noi continuiamo a cercare in tutti i modi di danneggiare le altre fazioni. È il loro unico modo di controllarci. E son certo che hanno un bisogno infame di controllarci. 

-E questo che c'entra? 

-Tu non sai perché i nostri genitori se ne sono andati.

=========O=========

Hi. Premetto che Vyolet mi ucciderà perché ho messo i trattini al posto delle virgolette e lei è una maniaca del controllo che vuole la formattazione sempre uguale, ma alla finfine amen, penso che a nessun altro oltre a lei ciò possa dare fastidio. Ovviamente ti voglio bene, Vy. 
Comunque, venendo a cose più interessanti. Se qualcuno fosse in grado di spiegarmi come far sparire quella spaziatura tra paragrafi con l'html ve ne sarei alquanto grato. Ho passato un bel po' di tempo per cercare di capire come diavolo fare, e tuttora non ne son venuto a capo.
Chiedo perdono se ho ritardato di un giorno (tendenzialmente stiamo cercando di tenere cinque giorni tra un capitolo e l'altro.. vi avverto che se ci saranno altri ritardi saranno tutti a causa mia, e non di Vyolet, lei è troppo precisina).
Ho fatto un paio di scarabocchi anche per questo capitolo, ma li caricherò domani perché ora non ho lo scanner a disposizione. Chiedo perdono inginocchiandomi sui ceci.
Rileggendo queste righe mi rendo conto che Vyolet senz'altro mi spaccherà qualche osso appena mi vede, povero me ^^'
Beh, al prossimo capitolo (
se sopravvivo), o meglio a domani che dovrei inserire le immagini.
Matrix.

 

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Capitolo 5
*** (Syr) Tuoni, fulmini e imprevisti imbarazzanti ***


~Syr~
Tuoni, fulmini e imprevisti imbarazzanti

«Le regole le sapete»
Tamara, con addosso un ridicolo cappotto giallo scuro, sta dritta in piedi davanti a una cinquantina di ragazzi tra i diciassette e i diciotto anni, le mai sui fianchi e lo sguardo duro.
«Ma ve le ripeterò, perché non si sa mai. Vi dividete in gruppi di due o tre persone. Un solo fucile a vernice a testa. Non sono ammesse armi di nessun tipo oltre ai fucili a vernice, e con nessun tipo intendo proprio nessuno, chiaro, Tempest?» Gabriel annuisce, cupo.
«Potete usare i poteri. Come al solito, chi non viene colpito vince. Non potete sparare prima di quindici minuti dal fischio. Non potete uscire dal parco per più di venti minuti di seguito. Avete tre ore di tempo»
L’istruttrice fa per andarsene mentre i ragazzi si tuffano sulle borse dei fucili. Poi però sembra ricordarsi di qualcos’altro, si ferma e si gira.
«Collins!»
Syr alza lo sguardo dalle munizioni che si sta infilando nelle tasche interne del giubbotto.
«Vedi di non combinare guai anche stavolta, intesi?»
La ragazza la fissa con sguardo torvo mentre si allontana. Ashley le compare a fianco con una piroetta.
«Non badare a Tamara, lo sai com’è fatta»
«Saperlo non mi impedisce di volerla strozzare, sai com’è»
La ragazza castana scrolla le spalle. Syr è riuscita a convincerla a indossare dei jeans invece della minigonna striminzita che aveva in programma, e delle All Star al posto dei soliti stivali con il tacco a spillo. Ora le sembra quasi strana, vestita così normale.
«Forza, Collins, adiamo a cercarci un buon posto da cui trovare gli altri»
«Agli ordini, generale Kyle!» scherza la ragazza dagli occhi dorati, mettendosi sull’attenti. Ashley le tira un pugno, e in quel momento sentono il fischio di Tamara.
La prova è cominciata.
*
Quando Syr è entrata nello schieramento Giallo, Ashley Kyle lo era già da cinque mesi. Entrambe Esterne, entrambe dodicenni, entrambe avevano scoperto i propri poteri piuttosto tardi, era quasi ovvio che sarebbero subito diventate amiche.
Eppure, prima di avvicinarsi così tanto, Syr e Ashley erano state ferocemente in competizione l’una contro l’altra, in parte per i caratteri diametralmente opposti, in parte anche per il fatto che Ashley aveva trovato finalmente qualcuno più “nuovo” di lei da tormentare senza pietà.
Poi, lentamente, forse a causa della convivenza forzata nella stanza in comune, un po’ anche perché erano entrambe Esterne e non conoscevano nessuno, si erano rese conto di quanto fosse stupido continuare a gareggiare, e avevano formato quella che chiamano, scherzandoci sopra, un’alleanza per sopravvivere. Da allora erano inseparabili.
Syr riemerge dai suoi pensieri quando Ahlyn, invisibile cinque metri più avanti, le entra nella testa con la sua voce tintinnante da Sprite.
Sono in tre, vengono verso di voi. Di’ ad Ashley di stare attenta, o la vedranno.
La ragazza dagli occhi dorati solleva lo sguardo. In effetti l’amica spicca non poco con la sua maglia giallo fluo e le scarpe a stelline. Syr sospira,poi fischia due volte in un modo particolare.
Ashley fa una capriola in aria e poi si tuffa a nascondersi tra i rami di una quercia poco distante.
La ragazza dagli occhi dorati getta di sfuggita un’occhiata di sotto, oltre le foglie arancioni dell’acero su cui è appostata.
Sono tre idioti dell’altra classe, vestiti di giallo. Stupidi Eredi. Ma perché diamine vestirsi di giallo durante una Caccia? Bah. Fanatici esaltati.
Syr carica il fucile. Solleva gli occhi su Ashley, che le risponde con un cenno, il fucile già puntato.
Due capsule di vernice gialla, seguite a breve distanza da una terza, vanno ad aggiungersi al troppo giallo dei vestiti dei ragazzi a terra.
Si sentono imprecazioni furiose.
Syr rotea gli occhi, insofferente.
Però si rilassa con un respiro profondo, e si concentra sui suoi poteri.
Si sporge dall’albero, fuori dal riparo delle foglie. I tre ragazzi sono sorpresi, all’inizio, poi furiosi. Uno di loro le grida addosso insulti davvero fantasiosi per un idiota del genere, e imbraccia il fucile.
Voi non volete colpirmi.
Si bloccano, esitanti, confusi. Sembrano non capire niente, la guardano negli occhi con sguardo perso. Le verrebbe da ridere, se non dovesse restare concentrata: tre scemi vestiti di giallo con il fucile in mano ormai dimenticato, che la fissano con occhi da trota al cartoccio grondando vernice color maionese.
Voi adesso andate da Tamara.
I tre la guardano ancora per qualche secondo. Poi si girano tutti insieme come robot e marciano verso l’istruttrice.
Bel lavoro, Syr, le dice Ahlyn, ricomparendo raggiante al suo fianco.
Ashley, Syr e lo Sprite si scambiano un’occhiata.
Poi scoppiano a ridere.
*
«In quanti siamo rimasti?»
Ashley fa un breve conto sulle dita.
«Se Ahlyn ha contato giusto quando è andata a vedere, siamo rimaste noi, Tempest con i suoi mastini e altre cinque persone.»
La ragazza annuisce. Si sporge appena dall’albero dietro cui si è rifugiata, e sente un sibilo.
Si ritrae imprecando, e una macchia gialla si spiaccica sul tronco subito dietro di lei.
«Syr!» grida Ashley alla sua destra.
«Controlla i loro pensieri!»
Altro fischio, altra macchia gialla da qualche parte dietro di lei.
«Non posso, maledizione. Ci metterei troppo!»
La ragazza allora salta e vola, cercando di prendere alle spalle gli assalitori. Syr intanto si sporge dal riparo del tronco d’albero e spara alla cieca due colpi. Sente un’imprecazione, e sa di aver fatto centro.
Vede Ahlyn vagare qua e là per l’aria, apparendo e sparendo da tutte le parti e cercando di distrarre gli avversari con i suoi fulmini indaco. Uno Sprite a forma di pipistrello evanescente la insegue strillando.
Sente i colpi di fucile di Ashley da qualche parte in mezzo a tutta quella confusione, e qualcuno ordina di ritirarsi. Spara un altro paio di colpi senza risultato.
Poi è di nuovo silenzio.
Ashley e Ahlyn raggiungono Syr. L’erba secca è costellata di galassie giallognole.
«Ne hai preso uno. Di questo passo vinceremo noi la Caccia, stavolta!»
La ragazza castana è esaltata. E anche Syr è abbastanza soddisfatta. Non è mai arrivata a quel punto di un’esercitazione senza far saltare in aria qualcosa.
«Collins!»
La ragazza alza gli occhi al cielo. E adesso cosa vuole? Non ha fatto niente di male, stavolta.
«Oh oh» fa Ashley, preoccupata.
«La Distruttrice è in arrivo!»
Tamara irrompe a passo di marcia da dietro due querce ricoperte di vernice, con il suo frusciante cappotto giallo. È molto contrariata. E questo a Syr non piace.
«Si può sapere cosa diamine hai fatto a Johnson, Tyler e Storm?»
Syr sbuffa.
«Non si preoccupi, non hanno un cervello che può essere danneggiato.»
«Collins
«Torneranno normali, fra un paio d’ore... credo.»
La Distruttrice le si avvicina, truce.
«Stai attenta, ragazzina» ringhia.
«Non sei qui per giocare. E il tuo comportamento irriverente avrà delle conseguenze.»
E se ne va tra gli alberi a passo svelto come è arrivata.
Syr fa un respiro profondo, stringendo i pugni. La rabbia che le è salita però fatica a esaurirsi.
Sempre con lei se la prende, quella stronza. Perché è un’esterna, perché è diversa. Syr non la sopporta più.
«Dai, lasciala perdere. È solo una stronza. Non merita le energie che sprechi ad arrabbiarti.»
La ragazza dagli occhi dorati sospira.
«Hai ragione. Forza, vinciamo questa Caccia.»
Syr è cupa, anche più del solito. Gli occhi cerchiati di nero saettano da tutte le parti, cercando avversari. La ragazza si muove circospetta, preceduta da Ahlyn e seguita da Ashley.
Sembrano tutti spariti. Probabilmente sono rimasti in pochi ancora in gioco. Devono prestare il doppio dell’attenzione.
Nel frattempo ha anche iniziato a piovere. Il suono leggero delle gocce sul terreno e sulle chiome degli alberi confonde le ragazze.
Per questo non si accorgono di niente finché un sibilo da dietro non fa trasalire Syr.
«I. Miei. Capelli!»
La ragazza si volta verso l’amica. È girata, e ha una parte della treccia coperta di vernice. Qualcuno deve averla colpita di striscio.
Ashley imbraccia il fucile e spara a raffica.
Si sente una risata, e una specie di surfista californiano vestito di giallo canarino con un falco evanescente che gli svolazza intorno compare a destra della ragazza infuriata.
«Piccola stupida Esterna...»
Poi spara, ma Ashley si alza in volo e schiva il colpo.
La pioggia sta aumentando d’intensità. Lava via la vernice dalle piante del parco, e incolla capelli e vestiti addosso a Syr.
La ragazza non riesce più a trattenere la sua rabbia.
«Tu» ringhia, indirizzandosi al ragazzo.
«Chi ti dà il diritto a trattarla in questa maniera? I tuoi illustri antenati Gialli? Beh, senti la novità, razza di inetto insulso e esaltato: non me ne può importare di meno del tuo papino ricco e potente, né lui né il tuo abnorme orgoglio mi impediranno di imbottirti di vernice da non riuscire a togliertela più di dosso.»
Punta il fucile e gli scarica il caricatore addosso.
Gabriel inciampa e cade all’indietro in una pozza gialla. La vernice gli cola dal viso furioso insieme alla pioggia sempre più incessante. Ora non è più così pieno di sé, immerso nella vernice gialla, con i capelli incollati al viso furioso e gli abiti alla moda macchiati.
«Stupida puttana di un’Esterna... non ti conveniva metterti contro di me. Lo sai chi sono io? Sono il figlio di uno dei più potenti Gialli... e te la farò pagare. Tu, chi sei tu? Una misera Esterna, traditrice, merda di cane spiaccicata sull’asfalto... non vali niente, non avresti nemmeno il diritto di rivolgermi i tuoi sporchi occhi di insulsa Esterna.»
A quel punto, Syr esplode. Lui continua a sputare insulti grondanti veleno, ma lei non lo sta più ascoltando. La rabbia cresce.
Chi si crede di essere lui per trattarla così?
Ormai la pioggia è torrenziale, più intensa di quella dei temporali estivi.
Ashley si avvicina all’amica, gli occhi spalancati, e la scuote per una spalla.
«Syr, dannazione, no!»
Ma la ragazza è fuori di sé.
Un tuono esplode cupo e agghiacciante sopra di loro.
Le nuvole si contorcono velocemente in cielo, nere, livide. È quasi buio, tanto il cielo è scuro. Ashley, terrorizzata, tenta di riscuotere l’amica furiosa, senza successo.
La ragazza apre gli occhi, feroci, colmi di uno sdegno senza limiti.
«Mi fai schifo, Gabriel Tempest» sputa, una parola alla volta, con tutta la rabbia che le brucia dentro.
Il ragazzo la guarda con puro disprezzo.
In quel momento un fulmine cade con tutta la sua furia accanto a loro.
*
Tamara la trascina per i corridoi bianchi del Quartier Generale fino alla stanza 305. È furibonda, si vede. Syr non protesta, la segue e basta, gocciolando acqua di tempesta per tutto il pavimento, i capelli sugli occhi, il trucco sbavato che la fa assomigliare al protagonista de “Il Corvo”, gli occhi dorati ancora pieni di quell’indignata rabbia furiosa che l’aveva invasa.
«Te ne starai lì dentro. Non potrai uscire finché lo deciderò io, è chiaro?»
La ragazza scocca un’occhiata fulminante all’istruttrice, mettendoci dentro tutto il veleno di cui è capace. Sputa sul pavimento, davanti alla donna.
«Ma vaffanculo» dice, la voce vibrante di rabbia e disprezzo.
Poi entra in camera, sbattendo la porta dietro di sé.



 
*****
*puff* Eccomi di nuovo! Stavolta niente disegni, mi sono venuti troppo male... allora, che ne pensate di Syr? Fatemelo sapere, è un personaggio a cui tengo molto ;) ovviamente rinnovo la minaccia... ehm, invito a recensire e ringrazio un sacco Python perchè è l'unico finora... prendete esempio!!
Ciao, al prossimo capitolo dispari ;)
Quella pazza di Vy

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Capitolo 6
*** (Ginger) Vari validi utilizzi di un gatto blu ***



~Ginger~
Vari validi utilizzi di un gatto blu
 
Non ha idea di dove possano essersi cacciati. In effetti, come al solito, ha agito d’impulso. Che razza di senso potesse avere lanciarsi così di corsa verso gente che non ha mai visto, per giunta con venti minuti di distacco, questo lo sa solo qualche divinità sperduta. In ogni caso, ora è fuori e da qualche parte deve pur andare.
Ha smesso di piovere, per fortuna. Le nuvole ci sono ancora, ma sembra che anche quelle stiano per andarsene. Le vie di questa parte della città sono più tranquille di quelle del centro. Non ci sono i grattaceli e i palazzi di vetro degli istituti di credito, non c’è la macchia gialla stile sciame di api dei taxi nelle corsie esterne, le fiumane di signori grigi sui marciapiedi larghissimi. Qui le villette bianche rivestite di legno, le strade a due corsie con gli isolati disposti a scacchiera, l’asfalto sbiadito e le siepi ben curate danno al quartiere un'aria accogliente, quasi domestica. Ginger si ritiene fortunata a vivere da queste parti. Non ci sono troppi malintenzionati, non c'è troppo casino, e negli orari di lavoro si può uscire a piedi senza essere travolti dalle auto o dalla folla. I vicini non sono malvagi. C'è il signor Raymond, cioè, il Maggiore Raymond, che è lo stereotipo del Marine in pensione. Manca solo che assuma un ragazzo per suonargli la sveglia militare ogni mattina alle sei e che faccia piazzare delle torrette perimetrali per difendere la sua proprietà, però se gli si bussa all'orario giusto una lattina di birra e un po' di storie sugli anni nell'esercito le ha per chiunque. Poi la signora Gallagher, irlandese come lei, che ha divorziato un anno fa da un marito aggressivo e rumoroso, una specie di disastro umano. Ora che è sola è del tutto cambiata pure lei, sembra un'altra donna. È costantemente alla ricerca di compagnia, basta entrare da lei per stamparle un sorrisone in faccia, e soprattutto ha dei gusti musicali semplicemente favolosi.
E poi sì, ok, c'è la gente della sua età. C'è Jenny.
*
È da un po’ che il suo Sprite non si fa vedere. Da quando gli ha dato il permesso di andarsene a giocare per conto suo, Schrödinger non si è più fatto vivo. Chissà dove si è ficcato.
Richmond Avenue. Carlton Street. Derrick Street. Theodore Road. Franklin Street. Lincoln Square. Independence Boulevard. Newton Street. Cherries Boulevard. Pines Boulevard. Lincoln Park.
Dietro alla siepe, nascosto dalle foglie più basse, se ne sta un gatto blu elettrico, il pelo della schiena ritto come gli aculei di un riccio, la coda che oscilla a scatti, con movimenti rigidi. È rivolto verso l'interno del parco, oltre la siepe, dove una combriccola di ragazzi scherza e ride allegramente in compagnia di una cassetta di birre in lattina.
«Schrödinger, ecco dov'eri finito!»  esclama Ginger, sorpresa.
Non parlare, o ci sentono!, risponde il gatto, concentrato.
Che nervoso quando fai così, sospira lei mentalmente. Chi non deve sentirci?
Vieni tu a vedere, ma fai silenzio. Ora che è arrivata anche lei, il suo aspetto è meno aggressivo.
La ragazza si avvicina cercando di non fare troppo rumore, un po' perplessa per la richiesta del proprio Sprite. Si accuccia al suo fianco, nascondendosi dietro la siepe, e sbircia al di là.
Schrödinger, tu sei un genio. Poche volte ha adorato il collegamento mentale con il suo Sprite come ora.
Lo so, ma cherie, lo so, risponde lui, dandosi delle arie.
Ora non darti troppa importanza, però, sghignazza lei, pur senza pronunciare una parola. Ho un'idea.
*
«Perché non andiamo da qualche parte tutti insieme stasera?»
«È ovvio che usciamo insieme, che domande!»
Kelly appoggia la lattina di birra sulla panchina di legno su cui è seduta.
«Dov'è che andiamo?» domanda Paul, una specie di attaccapanni umano alto un metro e novantacinque per sessantacinque chili coi capelli biondo platino.
«Mah, pensavo al Rise come al solito...» risponde lei, lanciando il capo all'indietro oltre lo schienale della panchina. Non è bellissima, ma ha dei capelli invidiabili.
«E se andassimo al Bijou per una volta? Così, per cambiare...» propone Jenny, con la mano ampia di Tobias che le cinge la spalla destra.
Lui si gira a guardarla. «Potrebbe non essere un'idea malvagia» la sostiene.
Lo sguardo di Jenny però non ricambia, e cade su un angolo del parco, dietro i giochi dei bambini, dove sta succedendo qualcosa che non dovrebbe succedere.
«Non avevo dubbi che tu saresti stato d'accordo, Tobias!» ridacchia Kelly, portando la lattina alla bocca.
Tra l'altalena e lo scivolo, a un metro da terra, una sorta di vapore azzurro-viola si va condensando in un globo luminoso perfettamente sferico che galleggia a mezz'aria ruotando su se stesso in tutte le direzioni.
«Io sono d'accordo con loro» dichiara l'Attaccapanni.
Il globo cresce poco a poco fino a raggiungere le dimensioni di un pallone da calcio, e rallenta mano a mano la propria rotazione. Quando si ferma ha un sussulto e cade a terra, frantumandosi in mille schegge dai riflessi di un diamante color fiordaliso con il suono di mille campanellini d'argento che si spargono a terra.
«Ok, evidentemente non mi resta che adeguarmi. Ehi, Jenny?!»
Dai frammenti della sfera è comparsa una figura affusolata tutta arrotolata su se stessa, una specie di serpentello con un paio di alette membranose e di corna appuntite sulla testa. Da sotto le scaglie azzurre emana una sorta di vapore blu-violetto, che sembra quasi luminoso.
«Jenny, che diavolo succede?»
La figura si svolge, si distende, e a mano a mano che lo fa comincia ad ingrandirsi, ad allungarsi. Le ali diventano più ampie, spuntano delle zampe da rettile che prima lei non aveva notato.
Lo sguardo della ragazza è fisso e vuoto, quasi spiritato, e la fronte le si imperla di sudore in un attimo. Tobias la guarda preoccupato, e la scuote per la spalla. «Ehi tesoro, che ti prende?»
«Sta... guardando... me...» risponde lei con un filo di voce, lo sguardo fisso immobile nella direzione dell'altalena.
«Cosa sta guardando te?» Kelly, pur essendo un po' preoccupata anche lei, non riesce ad abbandonare il suo tono secco e sprezzante.
La cosa è appena diventata grande almeno come lo scivolo, le ali ampie come una coperta matrimoniale. E le punta addosso il suo sguardo malefico, del colore del fuoco che brucia dietro una lastra spessa di ghiaccio. E la cosa non ha ancora finito di crescere.
Lei alza un dito, con un movimento lentissimo e tremolante di tutto il braccio, verso un punto indefinito tra i giochi dei bambini. «Lì non c'è nessuno che ti guarda, dolcezza, non c'è nessuno e basta...»
Kelly si gira verso Paul, scattando in piedi e afferrandolo per il bavero del giacchino in jeans. «Ti sei divertito di nuovo con l'Lsd eh?» gli sbraita a due centimetri dalla faccia, smorzando il tono in fine di frase giusto per non mettere nella merda tutti e quattro ancora di più. Chi può dire che non passi uno sbirro proprio ora.
La cosa, il drago, che ora ha raggiunto e superato l'altezza degli alberelli da frutto coperti di rosso e di giallo, solleva le ali verso il cielo, e con una vogata verso il basso e uno scatto delle zampone scagliose e robuste si lancia in tutta la sua lunghezza verso l'azzurro cupo della fine del pomeriggio.
«Ehi, ti giuro che stavolta non ho fatto nulla! Non ne ho neppure per me, di certo non vado a regalarlo in questa maniera!»
Tutto diventa confuso, la realtà si mescola come i colori sulla tavolozza di un pittore e comincia a girarle vorticosamente attorno. Le voci dei suoi amici diventano sempre più lontane e indefinite, lei viene invasa da un atroce senso di nausea.
Il drago, tuttavia, resta nitido e delineato quando tutto è diventato un dipinto ad acquerello con troppa acqua. È fermo a mezz'aria, là dove lo aveva sospinto il balzo, e i suoi occhi malvagi la stanno ancora studiando attentamente. Batte le ali con movimenti ampi e forti, che fanno ondeggiare le cime degli alberi e cadere alcune delle foglie più secche, e resta sospeso in quel punto, con il lungo collo da rettile teso verso di lei, a divorarla con lo sguardo.
I muscoli di Jenny sono del tutto tesi, i tendini induriti come l'acciaio, la schiena e la fronte allagate di sudore gelido. Sente una goccia scivolare rapida lungo il fianco, sotto la canottiera larga sformata.
Il drago, senza increspare le labbra di un minimo, emette un suono gutturale, forse una frase in qualche linguaggio arcano, dopodiché spalanca le fauci e con una fiammata violetta che erutta dalla gola, uno scatto energico delle ali e un ruggito terrorizzante si scaglia verso il basso, verso di lei, ali e zampe distese lungo il corpo da lucertolone, collo teso in avanti e dritto come un giavellotto, la coda serpeggiante come quella di un'anguilla che nuota.
Terrore puro. Il parco scompare. Gli amici scompaiono nell'oblio dell'indefinitezza e delle lacrime che annebbiano la vista. Un urlo soffocato, singhiozzi spasmodici, una corsa disperata e caracollante più lontano possibile dal mostro che la insegue, inciampa su qualcosa che non aveva visto, accecata dal terrore e dalle lacrime. I suoi amici stanno urlando qualcosa, o bisbigliando, chi può dirlo, si rialza, inciampa di nuovo, qualche passo a quattro zampe e poi via di corsa di nuovo, corre, tutto nero, un colpo alla testa improvviso, le bruciano i polsi, cazzo, ha tutti i palmi delle mani sbucciati e insanguinati, ed un bernoccolo sulla fronte, chissà su cosa ha sbattuto. È a terra, seduta contro il tronco di un albero, si gira. Si gira verso la propria fine, verso il drago che vuole senz'altro divorarla o arrostirla o...
Il drago l'ha praticamente raggiunta, pochi metri di volo nervoso, a scatti, e le è addosso. Esattamente a quel punto, però, partendo dal muso e progredendo come un'onda d'urto fino alla coda, il suo corpo azzurro-viola si disgrega, si sfalda, diventa uno sciame di scintille azzurrine e lilla e violetto nella forma precisa di un drago, e poi, dopo un attimo di esitazione, esplodono con il rumore dei campanellini d'argento di prima, schizzando in tutte le direzioni e inondando di luce il parco che con tutta la calma del mondo riemerge dalla confusione delle forme e dei colori.
Fuochi d'artificio nel cielo che sta cominciando a tingersi di rosso per l'ora tarda.
Dove si trovava il drago prima di esplodere compare una grossa luce gialla informe che si ingrandisce e si ingrandisce, e dal centro di questa luce scaturiscono dei puntini rossi che gonfiandosi come palloncini diventano mano a mano delle lettere tondeggianti e lucide, e vanno a disporsi secondo una frase precisa, guarnita dalle scintille gialle e arancioni che piovono dai fuochi d'artificio.
Subito, Jenny è troppo intontita per poterla decifrare, ma poco alla volta le parole assumono un senso nel suo cervello. E il senso è un misto tra vergogna, senso di colpa, stizza, derisione, e disprezzo.
A lettere giganti e rimbalzanti a mezz'aria, davanti a lei sta scritta una frase semplicissima.
LOVE YOU SO MUCH,
 
GINGER.
 
*
Ma... Ma...
«Lo so, lo so, autografi solo al giovedì sera, ti ho detto.»
Intendo... Cosa diavolo...?
I passi della ragazza risuonano rapidi lungo l’asfalto della carreggiata. La linea bianca tratteggiata separa la zona di competenza dell’uno e dell’altro piede, e la luce dei lampioni già proietta l’ombra della sua testa sullo spigolo del marciapiede. Presto sarà notte, e non hanno ancora messo nulla sotto i denti.
«Shrö, non posso sempre fare attenzione a come mi comporto. Tu sai come si è comportata lei con me. E quindi, a un certo punto, quello che dico io è: fanculo, anche se mi metto in pericolo, a quella persona stava bene un trattamento del genere. E sua fortuna che posso creare illusioni e non lanciare fuoco. E forse anche mia, arrostire persone nei parchi pubblici non è troppo benvisto della maggior parte delle persone civili. Ora troviamo qualche posto dove ingurgitare qualche porcheria, meglio se a sbafo. Tra un attimo è buio e il mio pancino reclama.»
Come vuoi.
Il gatto blu si lancia in una corsa a mezz’aria, lasciando una scia di impronte celesti evanescenti dovunque le sue zampe si fermano, e in breve esce dalla visuale. Seguendo le impronte con calma, nel giro di quattro svolte ad angolo retto la ragazza giunge di fronte alla vetrina di una tavola calda, davanti a cui una folta coda blu in perfetta posizione verticale segnala allerta.
Shrö, che hai di nuovo?
Il gatto stacca il muso dalla vetrina, si gira verso di lei con gli occhi sbarrati, dopodiché torna a spalmare il naso a triangolo sul vetro.
A metà tra il divertito per l'azione in sé e il seccato per la testardaggine dello Sprite, Ginger si avvicina per gettare un'occhiata furtiva all'interno del locale.
Si ritira con una faccia sbalordita, afferra il gatto sotto le zampe anteriori e comincia a centrifugarlo in un girotondo frenetico al centro della strada deserta.
Ammettilo che sei un gatto portafortuna, esclama tra le risate.




 
*******
 
Buonasera, mondo ;)
Sì, sorpresina, sono Vyolet... il mio sovraccaricato compagno di squadra aveva impegni, and so pubblico io, ma il capitolo l'ha scritto lui... quindi i pomodori marci o le standing ovation vanno esclusivamente a lui XD
Vi preghiamo di perdonarci se ci abbiamo messo così tanto ad aggiornare, Matrix era in Francia e non poteva scrivere molto :P
Io ora mi dileguo, non prima di avervi dato un'ultima, nefasta notizia: causa mio (finalmente!!) viaggio in Inghilterra, non avrete il prossimo capitolo almeno per due settimane... No dai, lo so che state festeggiando tutti, non mentite :P
Chiudo il mio consueto sproloquio di cazzate, a fra due settimane!!
*Vy svanisce nel nulla con uno sbuffo di scintilline viola*

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Capitolo 7
*** (Sniper) Discussioni e scontri ***




~Sniper~
Discussioni e scontri
 
La pioggia che li assilla da tre giorni sembra aver concesso una tregua. Nuvole appena più chiare coprono il sole, come una pallida speranza. Glithre, poco più avanti di loro, si guarda intorno, all’erta.
Snip riporta lo sguardo a terra, sui suoi anfibi slacciati che ripercorrono per l'ennesima volta la strada.
«In un certo senso le odio, le ronde» sbuffa. Maryanne lo guarda in maniera strana. «Le ronde sono necessarie per il controllo del nemico» sentenzia.
«Le altre fazioni non le fanno, perché dobbiamo noi?»
«Hai parlato con i nemici delle altre fazioni?» La ragazza lo fissa, improvvisamente sconvolta e un po' arrabbiata.
«Certo che no!» si affretta a rispondere lui. Tira un calcio a una lattina, che vola lontano con un suono sferragliante. «Ma ti è mai capitato di vederli? Io no, e sono due anni e mezzo che faccio ronde.»
Maryanne scrolla le spalle indifferente.
«Beh, rallegrati. Così sarà più facile sconfiggerli quando verrà il momento.»
Snip deve trattenere un sospiro.
«Non mi interessa di tutta questa roba. Non mi interessa della guerra. E delle altre fazioni. Lo faccio solo per mio padre.»
Vede con la coda dell'occhio la ragazza vestita di rosso affrettare il passo a fatica nelle sue ballerine di vernice per seguirlo nella sua andatura improvvisamente rabbiosa, e scoccargli un'occhiata piena di dispiacere. Lei è la sua migliore amica, sa tutto.
Anche di suo padre.
«Ma sei bravo. Hai ereditato il potere dalla tua famiglia, sei persino più forte di lui. Hai sempre portato a termine le missioni, per quanto difficili fossero, ti hanno soprannominato Sniper per questo. Ti hanno fatto iniziare a combattere un anno e mezzo prima degli altri... Non vedi che è la guerra la tua strada?»
«No.» Si volta, la fissa. La sua voce è piena di rabbia, di frustrazione. «La guerra è la sua strada. Non la mia.»
«Ti prego, Snip. Cerca di capire! Io ti voglio molto bene, sei... il mio migliore amico, fidati. Lo fa per il tuo bene...»
«Lo fa per il suo bene! Come tutto, del resto. Perché credi abbia premuto per farmi iniziare a combattere prima? Non per me, non perché sono bravo – calca sull’ultima parola, come ha fatto la ragazza un paio di minuti prima – ... lo fa per il suo prestigio! Non sono un figlio, per lui, sono un cazzo di trofeo
Sta quasi urlando, ora. L’uomo di mezz’età dal ciuffo incollato col gel che cammina di fretta dall’altro lato della strada deserta con una ventiquattrore in mano li fissa con aria di riprovazione. Snip vorrebbe urlare a lui e alla sua superiorità di andarsene a fanculo insieme, ma con un grande sforzo di autocontrollo si limita a deviare la luce dai suoi occhi con un gesto poco gentile della mano. Lo guarda con grande soddisfazione ignorare l’esistenza del palo di un cartello stradale e camminarci di gran carriera addosso, rimbalzare e cadere poco elegantemente seduto su una pozzanghera d’acqua sporca. Lo Sprite gli gira intorno un paio di volte ridacchiando, poi corre avanti, a caccia di Blu.
«Snip, non dovresti rivolgere i tuoi poteri contro i semplici umani.»
«E tu dovresti piantarla di parlare come un manuale per reclute, Maryanne» ribatte lui.
Qualche segno di Blu? chiede a Glithre.
Niente di niente, risponde lo Sprite.
Perfetto, avvisami se dovessi vedere qualcosa di strano. Non è davvero giornata, oggi.
«Sai una cosa?» riprende. La ragazza è rimasta in silenzio fino a quel momento, torcendosi un ricciolo biondo e guardando in basso. Non avrebbe dovuto parlarle così. Erano parole da Erede, e dannazione, quanto odia essere un Erede. È che a volte davvero non sopporta questo suo modo di fare. Sembra che debba far vedere in tutti i modi che è una vera Rossa. Ma forse sono gli Esterni che si comportano così.
«Dimmi» risponde dopo qualche secondo.
«Mio padre ieri mi ha parlato di te. Ha detto che un’Esterna come te non è la compagna più adatta per un Fiery. Ha sproloquiato per mezz’ora sul lignaggio, sul prestigio, sulla guerra... si è vantato perché un qualche nostro antenato ha massacrato sette Verdi e quattro Gialli da solo durante uno scontro...» Il ragazzo scuote la testa. «Vuole che non ci vediamo più, ma a me non importa. Vuole anche che mi vesta di rosso, “come si confà a un Fiery quale tu sei”» dice, imitando il tono borioso di suo padre.
Maryanne sembra improvvisamente triste. «E tu cosa hai intenzione di fare?»
«Te l’ho detto, non mi importa.»
Lei annuisce.
«Lo odio, Maryanne. Ogni volta che lo vedo mi fa saltare tutti i nervi. Ma ci credi che mi chiama con il mio nome completo, ogni volta? È mio padre, e si rivolge a me come se fossi un estraneo. Duncan Ewan Fiery, sono veramente molto, molto deluso.» Si sbizzarrisce in una caricatura di suo padre che fa sorridere la ragazza.
«Dovresti ribellarti» dice, ad un certo punto.
Snip spalanca gli occhi in un’esagerata espressione di sorpresa, e finge di essere terrorizzato.
«Oddio! Cosa sta succedendo, Maryanne? Tu, proprio tu, che parli di ribellione? Che fine hanno fatto tutti quei discorsi sul “rispetto dei superiori” che ami così tanto? Hai finalmente smesso di ragionare come un Erede fanatico? Ma sei davvero tu?»
La ragazza gli mostra la linguaccia, in risposta all’ennesima battuta. Però è arrossita, come Snip non può fare a meno di notare. A quanto pare, questo suo improvviso istinto anarchico la mette parecchio in imbarazzo.
«Sono seria, Snip. Se davvero non sopporti tutto questo, dovresti andartene.»
Anche lui torna serio. Guarda di sfuggita il viso arrossato dell’amica.
Sospira.
«Forse hai ragione, ma non posso farlo. Non posso andarmene, lui troverebbe il modo di riprendermi e farmela pagare. È ovunque, non posso sfuggirgli.»
«Non puoi neanche stare così male a causa sua.»
«Devo ignorarlo, ma è difficile. Non sempre riesco... come oggi.»
Lei annuisce.
«Beh... se ti servirà una mano, io ci sarò.»
«Grazie» dice lui, commosso.
*
Il sole è tramontato da un po’. Fuori comincia a fare freddino, ma dentro alla tavola calda si sta bene.
Snip è felice di avere un’amica come Maryanne, sa sempre come dargli una mano.
«Forse è ora di andare» dice la ragazza. «Dovevamo fare rapporto due ore fa.»
«Ecco che riemerge la Maryanne ligia alle regole» sospira Sniper, afflitto per gioco. «Dovresti lasciare più spazio al tuo lato oscuro, la Maryanne ribelle è davvero simpatica» sogghigna il ragazzo.
«Smettila di fare l’idiota.» Lei gli tira un pugno, rapidissimo, sulla spalla.
«Ok, hai ragione, dai. Andiamo, non voglio una punizione.»
I due ragazzi si alzano, pagano e si avviano alla porta.
Snip è sovrappensiero, e non si accorge di dove sta andando finché non sbatte contro qualcuno.
«Oh, mi scusi... cioè, volevo dire, scusa» si corregge dopo aver visto la persona contro cui è finito. È una ragazza sui quindici anni, minuta, non molto alta, con i capelli rossi da irlandese tirati su con quelli che sembrano quintali di lacca, e con due occhi verdi che lo fissano divertiti.
Sniper.
Glithre è entrato nei suoi pensieri distogliendolo dalla strana ragazza. E dalla sua voce sembra non essere tranquillo.
Dimmi. C’è qualche problema?
Ci sono dei Blu, da qualche parte. Li ho percepiti chiaramente.

Il ragazzo si guarda intorno. Una cinquantenne con un chihuahua ringhioso al guinzaglio. Un gruppetto di ragazzi ubriachi o quasi, che ridono sguaiati lungo la via. Una coppietta che cammina mano nella mano.
Nessun Blu.
Sei sicuro?
Sì... adesso però non sento più niente.

Se ne saranno andati.
Il ragazzo e lo Sprite si scambiano un’occhiata confusa.



 
*******
Ave, gente. Sì, ci ho messo molto più del previsto, mi dispiace :'( ho avuto un blocco pazzesco scrivendo questo capitolo, è stato parecchio difficile :P sono 1200 parole di dialogo, essenzialmente, e io con i dialoghi faccio casino :'(
Spero di essere riuscita a caratterizzare i personaggi lo stesso, in caso contrario, bastonatemi.
E con questo mi dileguo, alla prossima!!
*Vy evoca un Charizard e vola via*

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Capitolo 8
*** (Trevor) Assassino ***


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~​Trevor~
Assassino
-Wells. 
-Dimmi. 
-Tu non centri nulla, vero? 
-Con cosa?- Ryan è uno degli unici con cui si possa parlare, là dentro. Non che questo lo renda particolarmente simpatico, ma almeno è accettabile. Ace continua in ogni caso a fare l'iperprotettivo e se ne sta guardingo a pochi metri di distanza. 
-Con quello che è saltato fuori oggi nella gazzetta. 
-Ti dispiacerebbe essere più specifico?- Trevor spezza la piatta uniformità dei toni della conversazione con uno un minimo più seccato. 
-Il tizio, Dawson in teoria. L'hanno trovato sulla strada qui intorno. 
-Ma che..- Non capisce che diavolo voglia dire una frase del genere. 
-Cani, Wells. Lo sanno tutti quanto ti stanno simpatici gli eredi.- Ryan si alza dalla panca, e si calca sulla testa il berretto color trifoglio. -Ti auguro che sia una coincidenza, tutto sommato non sei male. 
-Lo prendo come un grosso complimento. 
-Loro sono per te, immagino.- Solleva un braccio per indicare due uomini sui ventott'anni in canottiera nera e pantaloni militari. 
-Già, in effetti guardano proprio me a quanto pare. Che palle. 
-Occhio, che non ci penso neppure ad immischiarmi per salvarti. 
-Già, lo so. Non che ci tenessi, grazie lo stesso. 
-Trevor Wells, ti vuole Wilbur. Abbastanza in fretta a quanto pare.- a parlare è quello più biondo tra i due scimmioni. D'ora in poi ti chiamerai Semola, mio caro.
*
Semola lo tiene per una spalla con una mano della dimensione di una padella, l'altro invece lo controlla da dietro seguendolo con passo da accademia militare. 

Prendi la mano che ti tiene la spalla, afferrando le ultime due dita. Gira verso l'alto. La tua altra mano spinge il gomito verso l'esterno e il basso, la gamba destra è ferma mentre la sinistra indietreggia creando il vuoto e una rotazione improvvisa. Cambio di gamba. La rotazione continua. Semola non può che essere protratto in avanti con la testa color frumento che corre pericolosamente verso il collega. Quello si è preparato, ma un cranio ad alta velocità collide con il suo ginocchio mandandolo a terra. Un colpo sullo sterno e per qualche secondo è sistemato. Un calcio a semola per la quiete, e poi un bel destro sui denti dovrebbe risolvere i problemi anche con l'altro. Come sono prevedibili questi scimmioni dei verdi. 

Beh, questa manovra evasiva sarebbe molto più semplice se entrambi non gli puntassero addosso una semiautomatica da poliziotto. Trevor decide che è più saggio adeguarsi alla situazione. 
In fondo al lungo corridoio scandito da porte su un lato e da panche e fioriere sull'altro, si trova un'ulteriore porta, più solida delle altre. "Wilbur Morris, Responsabile della Sicurezza Interna", scritto a lettere squadrate color pino. Perfetto, ora dovrà vedersela con uno dei livelli alti. Semola bussa marzialmente alla porta. Semola due, quello meno biondo, continua a tenerlo sotto tiro. Avete paura di me, vero belli? 
-Avanti-. La voce, per quanto attutita dalla porta rinforzata, non suona del tutto nuova alle orecchie di Trevor. 
Semola spalanca la porta, lo afferra per una spalla e lo trascina dentro all'ufficio. 
-Eccolo, non ha fatto nessuna resistenza-. Che idiota che sei, Semola. Hai una pistola in mano, che razza di resistenza dovrei fare? 
-Non è stupido, il ragazzo. 
Wilbur Morris, responsabile della sicurezza interna, è un uomo di quarant'anni o poco più. Volto marchiato da una cicatrice corta e larga, forse una vecchia bruciatura. Capelli castani a spazzola. Fronte ampia. Occhi piccoli e maligni. Spalle robuste ma secche. 
È seduto dietro una scrivania di legno verniciato di verde su una sedia dallo schienale altissimo e fronzoluto, dall'aspetto antico. Alle sue spalle, la parete esterna dell'edificio è un'unica grande vetrata da cui entrano i primi spiragli di luce della settimana. 
-Siediti-. Wilbur indica le due sedie davanti alla scrivania. Semola lo afferra per la spalla e fa per strattonarlo, ma Trevor, il cui livello di sopportazione sta per essere colmato, afferra le dita dello scimmione e si scrolla di dosso la manona facendolo arretrare di un passo. -So sedermi. 
-Ciao, Trevor. 
Silenzio. Uno sguardo carico di astio. È inutile, quella voce è seppellita in qualche angolo profondo della sua memoria, anche se non sa ancora dove. 
-Sai perché sei qui? 
Silenzio stampa. Se davvero ha già sentito quella voce, Trevor maledice il karma per avergliela fatta risentire. 
-Mi stai perforando con quegli occhi, Maliardo-. Maliardo? Anche questo l'ha già sentito. Tenta di non dare a vedere la curiosità dovuta al soprannome, ma la soddisfazione nello sguardo di Morris gli dimostra il fallimento. 
-Ti vedo confuso. Non domandi niente... eppure lo vorresti eccome. 
Lo sguardo di Trevor è fermo. Immobile. Forse un lampo fugace, un piccolo movimento delle pupille ha permesso all'ufficiale di intuire la sua situazione. Oppure è un bluff. Gli daremo filo da torcere. 
-Ti ricordavo selvatico, Trevor. Ma ora sei proprio una statua. 
Con un'espressione divertita, Semola due gli spinge la testa di lato, senza incontrare alcuna resistenza. -Beh, almeno non è rigido- ridacchia. 
Senza calcolare minimamente la battuta, Morris continua a tenere gli occhi fissi sul ragazzo. Tra i due sembra venirsi a creare un campo magnetico, tanto i loro sguardi sono fissi l'uno sull'altro. 
-Le due cose sono strettamente collegate, Trevor. Il tuo soprannome e il motivo per cui sei qui, intendo. 
Mutismo. Non ti darò la soddisfazione di rivolgerti la parola. 
-Come ben sai, ognuno di noi ha una capacità, un potere sovrannaturale. È per questo che ci uniamo a una delle quattro fazioni. Qualcuno eredita la capacità dai genitori, qualcuno la guadagna per caso alla nascita. È così dappertutto. Tu l'hai ereditata. 
Non sono stupido, l'hai detto tu. Conosco tutte le vostre stronzate. 
-La fazione di appartenenza dipende dal motivo per cui ci si unisce ad essa, Trevor. Chi nasce da genitori che fanno già parte di una fazione, non ha scelta. 
Si che ha scelta. Si ha sempre una scelta. È solo una questione di tempo. 
-Chi scopre i propri poteri per la prima volta, invece, viene in qualche modo attratto in una fazione da chi ne fa parte. La scelta non è comunque del tutto sua, come vedi. È la fazione che sceglie le persone, e non viceversa. 
Questo senza alcun dubbio. Ma la fazione non può trattenerle per sempre, se ciò non è quello che loro vogliono. 
-Eppure, Trevor, le persone all'interno di una stessa fazione concorrono allo stesso scopo, ossia primeggiare sulle altre. Ed evitano in tutti i modi di ostacolarsi a vicenda. 
Dove vuoi arrivare, di grazia? 
-Cambiamo discorso. 
Ma che diavolo.. 
-Non so se te ne sia giunta voce, ma hanno trovato un uomo morto a un isolato da qui. 
Trevor è confuso. 
-Ha i segni di morsi su tutto il corpo. Non serve aspettare l'autopsia per capire che è stato sbranato. 
Questa storia comincia a seccarlo. Perché l'ha fatto scortare qui come un criminale per fare questi discorsi generici? 
-Non è un segreto quanto ti stanno a cuore i tuoi compagni di fazione, Trevor. 
-Sono sempre stato con mia sorella sotto gli occhi di qualcuno di voi ufficiali, negli ultimi giorni- Trevor carica di disprezzo la parola "ufficiali", pronunciandola come se sputasse a terra. 
-Ah, finalmente sentiamo la tua voce!- risponde rapido Semola, con tono irritantemente divertito. 
-Che c'è Trevor, senti il bisogno di difenderti?- domanda Morris con un sorriso malizioso. 
La trappola è scattata. E lui ha agito esattamente come l'ufficiale desiderava. Era meglio che continuasse a tenere la bocca chiusa. 
-Un alibi del genere è del tutto superfluo, trattandosi di te. E lo sai bene.- Se gli occhi di Morris hanno fiammeggiato pronunciando quella frase, d'improvviso la sua espressione cambia radicalmente. -Sai perché tra gli strati alti sei chiamato Maliardo? 
-Lo posso supporre. 
-I maliardi, nella tradizione antica, erano quel tipo di incantatori che padroneggiavano l'arte della persuasione. Parlando, o suonando uno strumento, oppure servendosi semplicemente dello sguardo, convincevano le persone a seguirli e a compiere delle azioni contro la loro stessa volontà. I più esperti e dotati riuscivano ad espandere i propri poteri anche sugli animali, e in qualche caso isolato addirittura sugli oggetti. Come ben sai, questo potere appartiene alla famiglia Wells da generazioni.- Morris comincia a scaldarsi. -Il codardo di tuo padre poteva spostare una sedia chiedendoglielo gentilmente. 
-Mio padre non era un codardo.- ruggisce Trevor senza quasi rendersene conto. 
-Oh, sì che lo era- ghigna Morris con voce bassa e malevola. La luce proveniente dalla vetrata alle sue spalle sottolinea i contorni duri della figura, lasciando in ombra il suo volto, eppure i suoi occhi sembrano brillare di una luce quasi diabolica.
È troppo. Il ragazzo non ha neppure la cognizione del momento preciso in cui ciò avviene, ma un istante dopo, mentre il Responsabile della sicurezza interna sta pulendo la saliva dal proprio sopracciglio, la sua faccia impatta dolorosamente con la scrivania. 
-Ti sei condannato, ragazzo- sibila l'uomo da sotto le sopracciglia sottili. -Dave, mollalo pure. 
Semola allenta la presa dai lunghi capelli castani di Trevor, liberando la sua faccia dalla pressione selvaggia sul piano della scrivania. Sollevando gli occhi, nota Ace bloccato a terra da due Sprite dall'aspetto di agglomerati di sassi. 
Non riesco a darti una mano... Sospira mentalmente l'esserino. 
-Trevor Wells, recluta, è riconosciuto colpevole di aver assassinato Alan Dawson, tesoriere, in seguito all'offesa da lui ricevuta pochi giorni prima; e inoltre di aver vilipeso l'autorità del sottoscritto Wilbur Morris, responsabile della sicurezza interna, attraverso un'aggressione fisica. Per la sua evidente inadeguatezza alla convivenza civile, dispongo che sia costantemente controllato da un uomo armato, di giorno e di notte, fino a che non si ottenga il permesso di rinchiuderlo in una cella di sicurezza. Voglio tutto questo scritto sul verbale entro un quarto d'ora. Dave, il primo turno di sorveglianza è il tuo. Ora andatevene.
-Beh, questa volta sei nei casini sul serio. 
-Puoi dirlo forte. Ma la cosa migliore è che io, a Dawson, non ho fatto un bel niente. Non che l'idea mi sarebbe dispiaciuta... 
-Smettila, non è il caso di scherzare. 
Appoggiato con la schiena allo stipite della porta della camera, Semola li fissa con occhi vacui e acquosi, degni di una triglia lessa. Trevor raccoglie una pallina di carta dal pavimento e la lancia in faccia al gorilla. -Stai diventando brava con questi giochetti, Cris. 
-Tu fai attenzione a non stuzzicarlo troppo, chissà che io non sia meno brava di quanto credi. 
-Sai una cosa? 
-Dimmi. 
-Voglio vederci chiaro su questa storia. Voglio dire, non ci sono tanti cani randagi in libertà, in questa zona della città, non credi? 
- Che significa, sarà stato qualcuno delle altre fazioni. 
-In quel caso, voglio dimostrarlo. 
-Ci pensa la polizia a indagare su queste cose. 
-Conosci i capifazione. Riusciranno a mettere tutto sotto silenzio in un tempo ridicolo. 
-Ma cosa credi di poter scoprire di così sensazionale? 
-Chiamalo istinto, ma la faccenda mi puzza di bruciato. Penso che valga la pena di dare un'occhiata alla zona. 
Cris rotea gli occhi spazientita. -Senza contare che se alla fine del turno di questo idiota non ti troveranno qui, ti daranno la caccia. 
-Ed è così diverso dalla mia situazione attuale? 
-Argh, vinci sempre tu. 
-Per quanto ne avrà questo eroe?- taglia corto lui, indicando Semola. 
-Dieci minuti, un quarto d'ora forse. 
-Perfetto. Mi aiuteresti a legarlo? 



 
*****
Dopo un tempo geologico, rieccomi. Sì, sono Matrix vero, non una sua proiezione ologrammatica.
Ai quattro gatti che ancora ci leggono (e non recensiscono, vi possa venire un accidente) dedico un video riguardo alla mia assenza di tre mesi interi.

 
 
A breve ricomincia la scuola, quindi almeno nella prima parte dell'anno mi auguro che riprendere la routine mi aiuti ad essere un po' più regolare *Sì vabbé. Sappiamo benissimo entrambi che è un'idiozia* *Tu lasciami sperare*
Detto questo, non avendo una chiara idea di che altro dire, me ne vado (augurando a tutti coloro che leggono senza recensire una morte lenta e dolorosa. O almeno il cagotto.)

Adieu *inchino*.

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Capitolo 9
*** (Syr) La psichedelia di un incontro casuale ***


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~Syr~
La psichedelia di un incontro casuale

“Perfect by nature
Icons of self indulgence
Just what we all need
More lies about a world that
Never was and never will be
Have you no shame don’t you see me
You know you’ve got everybody fooled”
 
Tastiera, chitarra vibrante e voce femminile eterea e incazzata. Syr è seduta sul muretto, gli occhi chiusi. Da qualche parte in un quartiere residenziale, con le casette tutte uguali una accanto all’altra, lampioni gialli a intervalli regolari e strade dritte e deserte.
È seduta sul bordo di un muretto scomodo, a due passi dalla strada. Dietro di lei, il parco vuoto e buio, forse un po’ inquietante. Ahlyn è andata laggiù: ama i luoghi oscuri e silenziosi, come lei.
Non sa da quanto tempo è lì a fissare il vuoto con la musica sparata nei timpani. Le strade sono perfettamente immobili: sono passati soltanto una decina di auto e un gruppo di idioti ubriachi della sua età, probabilmente in cerca di avventure e ragazze sprovvedute, che lei ha messo in fuga quando si sono avvicinati troppo semplicemente mostrando con disinvoltura i due pugnali neri che tiene sotto il cappotto.
In questo momento dovrebbe essere rinchiusa nella sua camera in punizione, ma non gliene importa. È uscita dalla finestra durante il cambio dei turni di guardia.
Nessuno la tiene chiusa da qualche parte, non quando ha così tanta voglia di scappare.
Odia quel luogo, odia i Gialli e la loro maledetta presunzione. Odia gli Eredi che disprezzano così tanto chi è come lei.
Odia troppe cose, maledizione.
E forse odia anche se stessa, un pochino.
Sta divagando. Si concentra sulla rabbia sotto forma di onde che le arriva nei timpani.
«Salve!»
Si volta, sussultando sorpresa. Improvvisamente al suo fianco luccica il sorriso a trentadue denti di una ragazza che sembra comparsa dal nulla. Indossa un paio di pantaloni aderenti verde scuro abbinati secondo chissà quale criterio a degli scaldamuscoli lilla alle caviglie e a un cappotto nero con tre grandi bottoni dorati sul davanti, aperto su una felpa azzurro cielo tirata da un’evidente imbottitura.
«Ehm... ciao.»
«Non sei di questi quartieri, vero? Non credo di averti visto altre volte.» La ragazza salta sul muretto e si siede a poca distanza da lei. Ha i capelli arancione vivo, molto corti, ma più che sparati secondo uno stile sembra abbiano avuto una collisione con una flottiglia di barattoli di lacca.
«Effettivamente no.»
«Avenged, eh? Direi di si» sorride ancora, probabilmente alludendo alla maglia che occhieggia da sotto il giubbotto, quella con lo scheletro ghignante e la sciabola di City of Evil. Le tende una mano. «Io sono Ginger.»
«Syr» risponde, dopo una lieve esitazione, e le stringe la mano poco convinta.
Il sorriso della ragazza non si spegne nemmeno per un secondo. «Sembri socievole!»
Syr la fissa senza dire una parola. Ginger si è già voltata verso la strada deserta e fissa il vuoto, continuando a parlare. Probabilmente non si fermerebbe mai, se non dovesse respirare, mangiare e dormire.
«È bizzarro trovare qualcuno qui a quest'ora. Di solito resto qui da sola per delle ore senza che passi nessuno... è bello avere qualcuno così loquace con cui scambiare due parole.»
Syr sospira. Non è che c’è molto da fare, quella ragazza è decisamente strana. Tanto vale stare al gioco e sperare che se ne vada presto, così lei può tornarsene a Everybody’s Fool e ai pensieri cupi.
«... capito. Tu sei di qui?»
«Beh, non proprio. Vivo con mia zia in un quartiere non così distante... o almeno quando lei non è in giro per lavoro.»
«E ti lascia andare in giro da sola a quest'ora?»
«Diciamo che non lo sa, insomma... è a Udine, in Italia, e ne avrà per un'altra settimana, credo. Comunque non mi sembri troppo più vecchia di me, in franchezza.»
«So cavarmela. Conosci gli Avenged Sevenfold, dicevi?» Syr cambia discorso. L’ultima cosa che le serve per concludere una giornata che si merita il Nobel per la Sfiga è una mezza pazzoide che la manda in confusione con discorsi troppo vicini alla fazione.
«Yeah! Diciamo che non rientrano tra i miei gusti più ossessivi.» La ragazza si illumina e annuisce con vigore, sempre sorridendo come una bambina.
Ma cos’ha da sorridere sempre, questa? Certo che è veramente strana.
«Adoro So Far Away, quello è fuori da ogni dubbio ragionevole» conclude, con l’aria di chi ha appena sentenziato un assioma matematico.
La ragazza dagli occhi dorati solleva un sopracciglio, perplessa.
«È un singolo!»
«Eh già» risponde l’altra con un’espressione di attesa stampata in viso, chiaramente non cogliendo il significato della frase. Syr sospira.
«Non puoi dire di conoscere un gruppo se adori un loro singolo» spiega quasi stancamente.
«Un gruppo incide un singolo. Io adoro il singolo. Ergo, adoro il gruppo. O almeno, nella mia testa aveva un suo senso di esistere.» Ginger fissa la ragazza, sfidandola a contraddire un ragionamento che evidentemente ritiene ferreo e stringente.
Lei sospira di nuovo.
Ok, mi arrendo.
«... mi piace la tua logica.»
«Grashie» risponde storpiando la z, e di nuovo fraintendendo il velato sarcasmo di cui Syr ha riempito la frase. Deve averlo preso davvero per un complimento. La ragazza dagli occhi dorati deve frenarsi per non sbattere il palmo sulla fronte in modo teatrale.
«In ogni caso, preferisco altro. Mai sentito parlare di Dropkick Murphys?»
Syr annuisce.
«Qualche canzone. Ascolto cose più... depresse, in genere.»
«Uh. Ehm... Sigur Ros?»
«... chi? Sono metal?»
«Ahahah, quasi... no.» Sorrisetto ironico. «Post-rock. Vengono dall’Islanda, sai?»
«In realtà no.»
«Beh, adesso sì» conclude.
Quasi, ma solo quasi, le dispiace aver pensato male di lei. In fondo è simpatica, a modo suo.
Se non fosse così dannatamente invadente e se lei non fosse di un umore così cupo, si intende.
Syr.
La voce allarmata di Ahlyn nella sua mente la distoglie del tutto dall’ennesimo discorso astruso e contorto di Ginger. Syr quasi sussulta e si deve trattenere dall’alzarsi in piedi di scatto; non lo fa soltanto perché si ricorda all’ultimo istante di trovarsi in presenza di una non schierata che, per quanto fuori di zucca, non è abbastanza pazza da non essere allarmata da un movimento così brusco.
Dimmi, risponde alla Sprite.
Siamo nei guai, sentenzia all’istante Ahlyn. C’è un Blu da qualche parte nelle vicinanze, ho percepito uno Sprite.
La ragazza dagli occhi dorati si guarda intorno con discrezione. Ginger sta ancora blaterando a vanvera. Eppure il quartiere sembra deserto, tranne che per la presenza sua e della stramba al suo fianco.
Sicura? È un deserto, qui.
Sì, l’ho visto. È un gatto blu, a pochi metri da qui, sulla strada. Lo Sprite esita, ma poi tace.
Ok, Ahlyn, le dice Syr, sospirando lievemente. Dimmela, la cattiva notizia. Lo so che c’è.
Siamo fuori zona. Più precisamente, nel territorio dei Blu.
«Oh, merda» sibila la ragazza.
«Vero? Anche io ne sono rattristata, l’ultima cosa che vorrei è che si sciogliessero.»
Syr si volta verso Ginger. Non si era resa conto di aver parlato ad alta voce.
Merda al quadrato, impreca, mentalmente questa volta.
Dove, esattamente?
A due isolati dalla Berkshire.

Come ho fatto ad andare così in là? Sono un’idiota, dannazione. E ora come fa a scollarsi di dosso Ginger e andarsene in fretta prima di imbattersi nei Blu? Deve inventarsi una scusa.
Si alza in piedi, tentando di elaborare velocemente qualcosa.
Ahlyn, dobbiamo tagliare la corda, dice, allarmata.
Ci sono, sto arrivando.
Ginger la sta fissando, il viso teso in una delle sue espressioni pazzescamente enfatizzate. Probabilmente si sta chiedendo cosa c’è che non va nella sua mente per fissare il vuoto con tanto interesse.
La ragazza apre la bocca per parlare, inventarsi una scusa, arrampicarsi sugli specchi, qualunque cosa, ma non ne ha tempo. Qualunque cosa le stesse passando per la mente in quel momento si dissolve magicamente quando vede un gatto blu comparire dal nulla e strusciarsi sulle gambe di Ginger.
Ahlyn, ferma!, grida alla Sprite, ma è troppo tardi. Lo spirito giallo emerge dal buio del parco in quell’esatto momento, dritto di fronte alla ragazza dai capelli rossi.
L’istinto agisce per lei. Balza indietro, infila una mano nelle pieghe del cappotto e sguaina uno dei pugnali. Ginger è scattata in piedi e sta stringendo un’apparentemente innocua borsetta fucsia, ma lo sguardo che le rivolge non è più quello della ragazza stramba che parla a caso.
«Chi diavolo sei, veramente?» le ringhia.
Ginger piega la testa da un lato, fissandola attentamente. «Oh, indubbiamente non sono io quella che ha fatto puff oltre il limite di zona, non concordi con me?»
«È stato un errore. Non siamo state mandate qui.»
E dire che mi stava pure simpatica, nonostante tutto, pensa la ragazza con amarezza. Che sfortuna. Maledette fazioni del cazzo, voi e le vostre paranoie.
«Non ti avevo riconosciuta. Non sembri una Gialla» le dice. La sta guardando in modo strano, come se cercasse di analizzarla.
«E tu non sembri una Blu» replica stancamente. Non vuole proprio azzuffarsi, in quel momento. Se prima trovava stupide le convinzioni degli Eredi, ora ci avrebbe volentieri sputato sopra.
«Mi stavi anche simpatica, Syr. Tutta questa situazione è ingentemente psichedelica, vero?»
La ragazza dagli occhi dorati annuisce. «Freghiamocene. Io non ho nessuna voglia di combattere ora, fanculo anche le fazioni.»
Ginger non se lo fa ripetere. Fa un cenno con la mano e si volta per andarsene. «Sono spiacente che la conclusione sia stata questa. Addio, Syr.»
La ragazza risponde al saluto e la segue con lo sguardo mentre se ne va in un’andatura un po’ sbilenca. Stranamente, ora si sente vuota.






 
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Ok, lo so, nessuna scusante per tutto ciò. Non so neanche se a questo punto qualcuno segue ancora questa roba... comunque, avvertiamo chiunque abbia il coraggio di proseguire nella lettura che, per cause di forza maggiore (quinta liceo :/) aggiorneremo quando capita.
Un abbraccio e un muffin!!
Vy

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