From Strangers to Brothers

di silvermoongirl10
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Meeting - 1623 ***
Capitolo 2: *** 2. Friendship Formed - 1623 ***
Capitolo 3: *** 3. Seamstress' hand - 1624 ***
Capitolo 4: *** 4. Skirmish - 1624 ***
Capitolo 5: *** Two Becomes Three- 1625 ***
Capitolo 6: *** 6. Savoy - 1625 ***
Capitolo 7: *** 7. Still Looking for Life - 1625 ***
Capitolo 8: *** 8. Home At Last - 1625 ***
Capitolo 9: *** 9. Siege of La Rochelle-Sep 1627- Sep 1628 ***
Capitolo 10: *** 10. Siege of la Rovhelle – Sep 1628-Nov 1628 ***



Capitolo 1
*** 1. Meeting - 1623 ***


From Strangers to Brothers

Questa storia è la traduzione di "From Strangers to Brothers" scritta da silvermoongirl10; questo è il link alla storia originale  https://www.fanfiction.net/s/10182430/1/From-Strangers-to-Brothers. L'autrice mi ha dato gentilmente il permesso di tradurla. Buona lettura a tutti!

Porthos vagava senza meta per le strade. Recentemente passava sempre più tempo lontano da Flea e Charon. Non era che non si preoccupava più dei suoi amici, al contrario, li amava con tutto il cuore. Era la famiglia che non aveva avuto fin da quando aveva cinque anni. Ma lui voleva qualcosa di più rispetto a quanto la Corte offriva. Voleva poter camminare per le strade di Parigi a testa alta e voleva che la gente lo rispettasse, e non essere giudicato per i suoi vestiti logori. Sospirò, sapeva di essere bloccato dov’era; non sarebbe giunto a nulla. Era destinato ad essere uno di quelli della Corte dei Miracoli.

Trovò un buon posto dove appoggiarsi contro un muro e si accontentò di guardare le strade movimentate. Di solito, lui, Charon e Flea facevano ciò per scegliere un bersaglio, ma oggi voleva solo osservare le persone a cui lui non avrebbe mai assomigliato. Fu scosso dai suoi pensieri da uno forte grido. Girò la testa per vedere un’anziana signora sdraiata a terra senza fiato con un Moschettiere accovacciato accanto a lei, vide quando un altro Moschettieri tentava di tenere il passo di un terzo che stava inseguendo un giovane uomo che ovviamente aveva spinto la signora tentando di derubarla. Porthos conosceva quel trucco, ma non lo avrebbe mai fatto su qualcuno che era vecchio e incapace di lavorare, avevano bisogno di soldi tanto quanto lui e i suoi compagni della Corte. Così Porthos decise di seguire i due Moschettieri e aiutarli a catturare il ladro. Ma prese delle strade secondarie, poco dopo quando il ladro iniziò a correre verso il fondo del viale principale, c’era anche lui.

Porthos restò nell’ombra e guardò mentre solo uno dei Moschettieri correva nel viale. Il Moschettiere dai capelli scuri disse al ladro di fermarsi e smise lui stesso di correre.

“Non lo farò! Se lo facessi mi porteresti a Chataelet!” gridò il ladro.

Porthos non poté che essere d’accordo con il ladro, aveva imparato da tempo ad evitare il distintivo mantello blu indossato dai Moschettieri del Re, nonostante il Reggimento era stato fondato solo l’anno prima.

Il Moschettiere con i capelli scuri scosse la testa mentre faceva qualche passo verso il ladro, “Se mi riconsegni la borsa della signora ora, ti lascerò andare.”

Porthos restò a bocca aperta per lo shock; non si sarebbe mai aspettato di udire quelle parole uscire dalla bocca di un Moschettiere. Guardando il ladro, Porthos poté vedere che stavano pensando la stessa cosa.

“Come faccio a sapere che non stai mentendo!” Sbraitò il ladro mentre fissava con ostilità il Moschettiere.

Il Moschettiere alzò le mani e si tolse il cappello mentre replicava con calma, “Solo lanciami la borsa e potrai andare per la tua strada.”

Porthos vide il ladro afferrare la sciarpa che aveva attorno al collo, tradendo la sua ansia. Si stava chiaramente chiedendo se poteva fidarsi del Moschettiere. Porthos guardò l’uomo dai capelli scuri e vide che nei suoi occhi non c’era menzogna. Il Moschettiere avrebbe davvero lasciato andare il ladro se gli avesse consegnato la borsa.

Porthos poté vedere il ladro agitarsi come se fosse sul punto di riconsegnare la borsetta al Moschettiere quando una voce distante gridò, “Aramis!”

Il Moschettiere volse leggermente la testa mostrando che era suo il nome che era stato urlato. Il ladro credette che era tutto un trucco, balzò in avanti strappandosi la sciarpa dal collo e avvolgendola attorno alla gola del Moschettiere e strinse forte.

Porthos rimase nell’ombra riflettendo su cosa avrebbe dovuto fare, una cosa essere sicuri che un ladro venisse catturato dai Moschettieri. Una cosa completamente diversa era salvarne uno.

Il Moschettiere spalancò gli occhi per la sorpresa e cercò di liberarsi dalla stretta presa attorno al suo collo. Ma il ladro fu preso dalla disperazione e nella lotta del Moschettiere la stretta della sciarpa si fece solo più stretta. Porthos rabbrividì sentendo il disperato respiro affannoso dell’uomo che stava per essere strangolato. Il ladro fece cadere entrambi sul terreno fangoso e strinse ancora la sciarpa. Il Moschettiere con una mano tirava disperatamente la sciarpa per avere un po’ di respiro e l’altra mano giaceva accanto a lui stringendo il fango sporco come se ciò lo avrebbe aiutato contro il dolore. Il suo cappello cadde sulla strada sporca dimenticato durante lo scontro.

Porthos era ancora fermo immobile nell’ombra, questa non era la prima volta che sarebbe rimasto fermo mentre qualcuno veniva ucciso di fronte a lui. Si era nascosto molte volte per restare vivo. Guardò mentre la lotta del Moschettiere iniziava ad indebolirsi e la tensione ad abbandonarlo. Le sue mani non tiravano più la sciarpa forte come prima e non calciava più per quando cercava di scappare disperatamente. Porthos era pronto a restare nascosto. Ma ricordando lo sguardo onesto negli occhi del Moschettiere mentre prometteva al ladro che lo avrebbe lasciato andare, realizzò che Parigi necessitava di più Moschettieri come lui, così la mossa successiva di Porthos fu decisa.

Saltò fuori dall’ombra e sorprese il ladro a sufficienza da essere in grado di allontanarlo dal Moschettiere e mentre il malvivente tentava di reagire, Porthos lo colpì con un pugno così forte da farlo svenire. Aveva predisposto di fuggire ma i rauchi, ansimanti respiri del Moschettiere lo immobilizzarono. Si girò e vide che il Moschettiere cercava ancora di far entrare sufficiente aria nei polmoni attraverso la trachea maltrattata. Porthos avanzò lentamente verso l’uomo, che più da vicino sembrava avere più o meno la sua stessa età. Qualunque essa fosse.

Mise una mano sul petto dell’uomo e disse tranquillamente: “Con calma. Respira più piano; non stai facendo alcun favore a te stesso respirando in modo così violento.” Due occhi marroni scuri sbarrati si fisarono su di lui e Porthos fissò ininterrottamente lo sguardo di rimando, realizzando che il Moschettiere stava cercando di focalizzarsi su di lui per aiutarsi a regolarizzare il respiro.

“Così, molto lentamente.” Lo incoraggiò Porthos. Si mosse per togliere la sciarpa da collo del Moschettiere, ma una mano scattò e immobilizzò la sua. Guardò negli occhi marroni e vide il malcelato panico.

“Sto solo togliendo la sciarpa. Non la tirerò promesso.” Disse Porthos gentilmente. La mano attorno al suo polso si abbassò e il Moschettiere guardò attentamente mentre la sciarpa veniva rimossa con gentilezza dal collo. Porthos buttò la sciarpa al suo fianco e fece una smorfia vedendo il segno rosso intenso attorno alla gola dell’uomo. Vedendolo sul collo di un uomo onesto fece venire voglia a Porthos di colpire ancora il ladro (tuttora privo di sensi). Una mano lo fermò ancora e guardò in basso per vedere il Moschettiere scuotere la testa.

“Lavoro rischioso. Abituato a situazioni del genere.” Gracchiò il Moschettiere in modo appena udibile. Prima che Porthos potesse dire altro si voltò sentendo dei passi risalire il viale.

“Aramis!” Chiamò un uomo, che Porthos immaginò essere di mezz’età, e indovinò con uno sguardo ai suoi vestiti che era il comandante dei Moschettieri. Guardò spaventato il suo Moschettiere sdraiato nella strada fangosa. Si rilassò un poco quando il Moschettiere, Aramis, alzò un po’ la mano e lo salutò.

“Cos’è successo?!” domandò l’uomo mentre incombeva sopra Aramis e Porthos. Aramis aprì la bocca per rispondere ma tutto ciò che ne uscì fu un sibilo rauco. L’uomo alzò un sopracciglio confuso.

Allora Porthos parlò “Ha tentato di fermare il ladro, quello sdraiato laggiù” fece un gesto in direzione del malvivente, dove due Moschettieri, quelli che aveva visto prima, lo stavano alzando e lo stavano trascinando via. “Il ladro ha provato a strangolare il Mosche-Aramis… e allora l’ho fermato.”

L’uomo più vecchio rimase un momento in silenzio e poi sorrise “E io ti ringrazio per aver salvato la vita di un mio Moschettiere.”

Porthos annuì per accettare, e poi insieme lui e l’uomo più vecchio sollevarono Aramis in piedi. L’uomo più anziano mise un braccio di Aramis sulle sue spalle e guardò disperato il più giovane “So di aver detto di volere un po’ di pace e di tranquillità. Ma dovevi proprio arrivare a questo punto per darmi una tregua dalla tua voce che non finisce mai?”

Aramis si strinse nelle spalle con aria mortificata. Poi strattonò la manica di Porthos, tuttavia Aramis non poteva essere in grado di dire nulla. Porthos sapeva che lo stava ringraziando.

Porthos annuì e fece una pausa prima di dire “Forse sarebbe meglio che trovassi amici più veloci, così da non doverti mai trovare in situazione di questo genere ancora.”

Le spalle di Aramis si mossero in una risata silenziosa, ma annuì d’accordo con lui.

L’uomo più vecchio mormorò e commentò “Devo fare due chiacchere con Gilbert e Tristan circa questo. So che Tristan stava aiutando la donna, ma Gilbert avrebbe dovuto restare con te. Avrebbe dovuto sapere che sarebbe stato meglio che lasciarti catturare un uomo da solo. Questo vuol dire andare a caccia di guai.”

Porthos annuì, silenziosamente felice che avrebbe fatto qualcosa a riguardo, non gli piaceva il pensiero che questo Aramis dal cuore buono venisse ucciso a causa dell’incompetenza dei suoi compagni Moschettieri. L’uomo più vecchio e Aramis sventolarono una mano per salutare e tornare alla guarnigione. Mentre Porthos era sul punto di andarsene notò il cappello di Aramis ancora abbandonato sulla strada. Si piegò, lo raccolse e tolse il fango prima di andare via.

 
 
Due giorni dopo Porthos si ritrovò a camminare nervosamente avanti e indietro di fronte alla guarnigione dei Moschettieri. Stringeva con ansia tra le mani il cappello di Aramis. Ci erano voluti due giorni a Porthos per trovare il coraggio di andare al presidio. Le persone come lui non andavano lì di buon grado. Mentre stava per andarsene e provare il giorno dopo riconobbe Aramis che camminava verso di lui e gli sorrideva.

“Hai trovato il mio cappello!” Esclamò allegramente.

“Er…sì…ecco.” Replicò Porthos mentre gli porgeva il cappello, non avrebbe mai confessato che ce l’aveva da due giorni.

Non appena Aramis si fu messo fermamente il cappello in testa, rivolse un sorriso luminoso a Porthos. “Ora che mi è tornata la voce posso ringraziarti adeguatamente. E non per avermi riportato il cappello sano e salvo.”

“Non era niente.” Disse Porthos alzando le spalle.

“Oh no! Non puoi liquidarlo così!” Protestò Aramis “È stata una cosa gentile ciò che hai fatto. La maggior parte delle persone avrebbe continuato a camminare. Dunque ti ringrazio molto per avermi aiutato…er…?”

Porthos si strofinò nervosamente la base del collo “Porhos…um… è tutto a posto.”

Prima che Aramis potesse dire altro, o prima che Porthos potesse inventare una scusa e andarsene, una voce lo chiamò e si ritrovò faccia a faccia con l’uomo più vecchio.

“Speravo di rivederti ancora, il mio nome è Capitano Treville.” Treville fece una pausa e guardò di traverso un sorridente Aramis e sollevò le sopracciglia “Non hai qualche compito da portare a termine?”

Aramis fece un ampio sorriso “Ma Capitano è una giornata così splendida e pensavo che potrei-“ Si fermò all’improvviso vedendo lo sguardo che gli stava lanciando Treville. “Er… sì le mie mansioni. Grazie ancora Porthos. Arrivederci.”

Porthos sorrise mentre guardava Aramis andare via, tornò ancora con gli occhi su Treville giusto in tempo per vederlo alzare gli occhi al cielo.

“Come stavo dicendo.” Continuò Treville “Ti spiacerebbe fare un giro con me? Mi piacerebbe chiederti una cosa.”

Porthos non seppe cosa lo aveva spinto ad acconsentire a passeggiare con Treville. Però fu solo grato di averlo fatto, la chiacchierata lo spinse a lasciare la Corte e i suoi amici. Fu anche in grado di camminare per le strade di Parigi a testa alta, gli mostravano rispetto e poteva assicurassi che Aramis non venisse ucciso a causa dell’incompetenza di qualcuno. Per questo miglior capitolo della sua vita doveva solo ringraziare il suo essere stato coraggioso abbastanza da intervenire e aiutare qualcuno e non continuare a nascondersi più nell’ombra.

TBC

Note dell'autrice: 
Questa è la prima fanfiction sui Moschettieri che scrivo, mi scuso se i personaggi sembrino un po' OOC.

Note della Traduttrice:
Scusate se ci sono degli errori sia di traduzione che di grammatica: non sono molto ferrata con l'inglese e l'ho riletto in fretta. Spero che la storia vi piaccia come è piaciuta a me. Al prossimo capitolo, ciao!
Loki 94.

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Capitolo 2
*** 2. Friendship Formed - 1623 ***


From Strangers to Brothers

Questa storia è la traduzione di "From Strangers to Brothers" scritta da silvermoongirl10; questo è il link alla storia originale  https://www.fanfiction.net/s/10182430/1/From-Strangers-to-Brothers. L'autrice mi ha dato gentilmente il permesso di tradurla. Buona lettura a tutti!
 

Porthos faceva parte dei Moschettieri ormai da un mese, Treville e Aramis erano gli unici a cui aveva confessato dove era cresciuto. Poiché non aveva ancora una sistemazione Aramis aveva insistito che l’amico venisse a stare con lui fino a quando avesse risparmiato abbastanza soldi per pagare un suo alloggio. Porthos aveva ovviamente discusso dicendo all’amico che non aveva alcun motivo di farlo.

“No, non ascolterò queste tue polemiche. Verrai a stare con me. È il minimo che possa fare dopo che mi hai salvato la vita.” Contestò Aramis.

Porthos si accigliò, “Mi hai dato una nuova vita, una vita migliore, con i Moschettieri. Non ho bisogno di ulteriori ringraziamenti che questo.”

Aramis sogghignò “Tecnicamente è stato Treville a darti una nuova vita, non io. Così questo è il mio modo di ringraziarti. Ora vieni, non ho intenzione di stare qui fuori al freddo a litigare con te, quando entrambi sappiamo che hai perso questa discussione.”

E così Porthos aveva ammesso la sconfitta e aveva passato l’ultimo mese a vivere con Aramis. Aveva imparato presto che l’amico ci metteva un po’ a svegliarsi completamente, ma una volta alzato poteva essere uno di quelle persone che di mattina erano tanto irritanti quanto lungo era stato il loro sonno ininterrotto. Se un ubriaco rumoroso avesse svegliato Aramis durante la notte, la mattina Porthos stava il più lontano possibile da lui finché l’altro non si fosse svegliato un po’ e fosse tornato alla normalità.

A lui piaceva far parte dei Moschettieri ma non riusciva a capire perché si fidassero già di lui. Poteva capire Aramis, ma gli altri? Non aveva fatto nulla per guadagnarsi la loro fiducia così velocemente. Stava spazzolando il cavallo che gli era stato affidato quando Raoul lo salutò, mentre gli passava davanti.

“Porthos! Più tardi andiamo alla taverna, unisciti a noi!” e poi se ne andò, lasciando un Porthos confuso al suo passaggio.

“Perché sembri così confuso?” chiese una voce; Porthos si girò per vedere Marsac, con braccia e gambe incrociate, appoggiato a un palo che lo stava guardando. Da quando si era unito ai Moschettieri, Porthos aveva capito che Aramis e Marsac erano tra la prima manciata di soldati che avevano preso parte al Reggimento. Porthos andava d’accordo con Aramis, ma se da una parte a lui Marsac piaceva, non sembrava avere lo stesso rapporto che aveva con l’uomo a cui aveva salvato la vita.

Porthos scrollò le spalle, “Non ho fatto niente per guadagnare la loro fiducia, e loro me l’hanno affidata già apertamente. Di sicuro non è ciò che di solito accade quando qualcuno si unisce al Reggimento. Di certo devono mettersi alla prova e guadagnare la fiducia del resto degli uomini.” Porthos accarezzò la giumenta e, dopo aver riposto la spazzola nella scatola, fece i pochi passi che lo separavano da Marsac.

L’altro annuì, “È vero gli uomini devono guadagnarsi la fiducia del Reggimento. E non te l’abbiamo concessa liberamente, perché tu l’hai già guadagnata.”

“Come? Quando?” Farfugliò Porthos, non gli era ancora stato affidato alcun incarico che gli aveva dato la possibilità di mostrare il suo valore. Non aveva nemmeno pattugliato le strade; era rimasto nella guarnigione imparando cosa volesse dire essere un Moschettiere del Re.

Marsac sorrise gentilmente capendo la confusione di Porthos. “L’hai guadagnata il giorno in cui hai salvato Aramis dall’essere strangolato; non lo conoscevi nemmeno e tu eri già pronto ad aiutarlo. Per questo gli uomini sanno di poter contare sul tuo aiuto. Hai guadagnato la loro fiducia addirittura prima di unirti ai Moschettieri. Inoltre Aramis è eccezionale nel giudicare le persone e se lui si fida di te chiunque altro sa che può farlo.”

Marsac diede una pacca sulla spalla di Porthos, per poi girarsi e andarsene. Porthos lo guardò allontanarsi, le parole dell’altro Moschettiere vorticavano nella sua testa. Poi si ritrovò a sorridere; si sentiva meglio sapendo che la fiducia non gli era stata data gratuitamente, che se l’era davvero guadagnata. E ciò che rendeva tutto ciò migliore era che era qualcosa che aveva ottenuto senza rubare.

 
 
Porthos si era unito al Reggimento da cinque mesi e gli erano stati dati il suo personale cappello e il mantello blu. Era un Moschettiere. Era stato nominato ufficialmente il giorno del suo compleanno, la data che aveva scelto in ogni caso. E sentiva che non avrebbe potuto ricevere un regalo migliore.

Tutti erano nel cortile celebrando sia il suo compleanno sia il suo essere diventato un Moschettiere. Porthos stava bevendo con soddisfazione il suo vino quando Aramis si lasciò cadere pesantemente sulla sedia accanto a lui.

“Questo sembra essere un grande giorno per te amico mio.” sogghignò Aramis, Porthos aveva perso il numero di bicchieri che gli aveva visto bere ed era sorpreso di vedere che il suo amico ondeggiava solo leggermente e che non aveva ancora perso i sensi.

Porthos ghignò “E lo è. Sono sempre così le feste?” chiese facendo un gesto verso i Moschettieri che erano tutti in vari stadi di ubriachezza.

“Sempre!” esclamò Aramis allegramente mentre si sporgeva per dare una pacca sulla spalla a Porthos, e finì disteso sul pavimento con una serie di imprecazioni in spagnolo.

Porthos rise mentre aiutava il suo amico a risedersi al suo posto “Non sapevo parlassi lo spagnolo.”

Aramis sorrise, “Mia madre era spagnola e mio padre francese, si sono incontrati e lei conosceva abbastanza francese da chiedergli di insegnarle come parlarlo fluentemente. Allo stesso tempo mia madre imparò il francese, mio padre apprese lo spagnolo e si innamorarono. Si sposarono e quando crebbi mi furono insegnate entrambe le lingue.” Aramis poi trangugiò il resto del vino e si volse verso Porthos “Quindi quanti anni compi oggi?”

Porthos scrollò le spalle “Ne so quanto te. Non so quand’è realmente il giorno in cui sono nato, così ho scelto a caso questo giorno. Quanti anni hai?”

“Al mio compleanno ne ho compiuti ventitré.” rispose Aramis che non aveva idea di cosa dire circa il fatto che Porthos non conoscesse nemmeno quanti anni avesse.

Porthos fece una pausa e poi sorrise commentando “Bene sembriamo più o meno della stessa età, così oggi ne compio ventitré.”

Aramis fece un largo sorriso e riempì il suo bicchiere e quello di Porthos “Ai magnifici ventitré anni!” brindò.

 
 
La mattina dopo Treville era in piedi sul ballatoio e sospirò vedendo lo stato dei suoi Moschettieri mentre si allineavano i formazione. Molti si lamentavano o erano appoggiati ai pali o si addossavano tra loro così da sorreggersi a vicenda. Gilbert stava svuotando il suo stomaco nell’angolo del cortile; Marsac stava abbracciando un palo per sostenersi, Raul si sporse in avanti e cadde con la faccia nel fango portando con sé Tristan che stava usando l’altro come sostegno. E nel centro di tutto questo c’erano Aramis e Porthos che stavano perfettamente fermi e dritti ridendo sommessamente alla vista dei loro commilitoni.

Treville gemette, aveva il pessimo presentimento che quei due sarebbero stati la causa di numerosi mal di testa in futuro. Non sapeva se era pronto per la tempesta a cui somigliavano, non sapeva nemmeno se la Francia era pronta per loro. Sospirò ancora e camminò giù per le scale per tentare di mettere i suoi uomini in una qualche parvenza di ordine.

TBC.

Note della traduttrice:

Eccomi qui con il nuovo capitolo, spero vi piaccia!! Ringrazio le persone che hanno recensito il primo capitolo, farò avere i vostri commenti all'autrice al più presto.
Non mi resta altro che augurarvi buona lettura e anche questa volta chiedo scusa in caso di errori o ripetizioni ^^''
A presto, ciao!!
Loki94.
 

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Capitolo 3
*** 3. Seamstress' hand - 1624 ***


From Strangers to Brothers

Questa storia è la traduzione di "From Strangers to Brothers" scritta da silvermoongirl10; questo è il link alla storia originale  https://www.fanfiction.net/s/10182430/1/From-Strangers-to-Brothers. L'autrice mi ha dato gentilmente il permesso di tradurla. Buona lettura a tutti!
 
Porthos ora stava per completare la sua terza missione con i Moschettieri. A lui e ad Aramis era stato assegnato il compito di cavalcare a Rouen per ricevere una lettera che solo gli occhi di Treville avrebbero dovuto leggere. Non sapevano chi l’avesse spedita o di cosa parlasse, a loro era stato detto di andare da un prete in una chiesa nel centro di Rouen e poi cavalcare verso Parigi il più velocemente possibile. La lettera era nascosta al sicuro in una borsa che Aramis aveva a tracolla. Vedendo lo sguardo serio negli occhi dell’amico Porthos sapeva che, se fosse stato necessario, avrebbe dato la vita per assicurarne la sicurezza. Porthos non sapeva cosa pensare a riguardo, morire in battaglia o difendendo il Re era una cosa, ma morire per una lettera? Ma era diventato un buon soldato e sapeva di non dover mettere in discussione gli ordini. Spinse il pensiero nel fondo della sua mente, solo l’idea della morte di Aramis fece aumentare il suo battito cardiaco. Negli anni erano diventati amici, l’altro soldato era diventato come un fratello per lui e non gli piaceva il pensiero della sua morte. Mentre Porthos era bloccato alla guarnigione per imparare le vie per essere un Moschettiere, Aramis usciva di pattuglia e in missione come al solito e tutte le volte che tornava con qualche graffio o piccole ferite Porthos aveva gli incubi sulla volta che lo aveva salvato dallo strangolamento. Allora non conosceva Aramis, ma ora, se mai avesse trovato qualcuno che tentava di uccidere suo fratello, lo avrebbe ammazzato prima lui. Non c’era da discutere.

Erano a metà strada e stavano attraversando alcuni boschi, quando si mosse scomodamente sulla sella; erano a meno di un giorno a cavallo da Parigi, ma mancavano ancora poche ore all’arrivo. Aramis vide lo spostamento di Porthos e ghignò.

“Scomodo?” Aramis fece un sorrisetto mentre si voltava sulla sella per guardare Porthos.

Porthos strinse gli occhi, si accigliò e rispose ad Aramis con un grugnito.

Aramis rise e poi provando compassione per il suo amico si fermò e sorrise rassicurante, “Non preoccuparti ti abituerai presto a cavalcare per ore e ore.”

“Come fai tu?” Si lamentò Porthos.

Aramis rise sommessamente e fece rallentare il suo cavallo finché non fu accanto a Porthos, “Sono praticamente cresciuto in sella. Non mi ha mai dato fastidio cavalcare per ore.”

“Fortunato te.” Borbottò Porthos.

Aramis scoppio di nuovo a ridere; si fermò quando vide lo sguardo diretto a lui, “Mi dispiace.”

“No, non è vero.” Borbottò Porthos muovendosi ancora cercando di trovare un modo comodo per sedersi sulla sua sella.

“È vero non sono dispiaciuto.” Sogghignò Aramis, “Ma pensavo che avresti apprezzato se ti avessi detto che mi dispiace.”

Porthos era sul punto di protestare quando il cavallo di Aramis diede un nervoso strattone con la testa e il Moschettiere alzò una mano per evitare che l’altro parlasse. Tutte le risate svanirono dal viso di Aramis solo per essere sostituite dall’espressione seria di un soldato esperto, afferrò le redini con una mano e con l’altra strinse la borsa che conteneva la lettera. Malgrado avessero solo fatto pattuglie e altre due missioni, Porthos aveva imparato a diventare circospetto quando Aramis entrava nella sua modalità seria.

“Cosa c’è che non va?” Sussurrò Porthos mentre i suoi occhi guizzavano intorno tentando di individuare qualche potenziale pericolo tra gli alberi.

“Non ne sono sicuro, ma qualcosa non quadra.” Rispose Aramis a bassa voce.

Porthos si accigliò confuso “Così sei in allerta perché il tuo cavallo è diventato nervoso?”

Aramis rivolse a Porthos un’occhiata veloce, “È vero che i cavalli si spaventano facilmente, ma possono anche percepire cose che noi non possiamo. Una cosa che devi imparare è che se tu non puoi vedere nulla che potrebbe essere la ragione che sta spaventando il tuo cavallo allora c’è qualcosa di sbagliato per cui devi stare in guardia.”

Porthos annuì e prima che potesse dire qualsiasi cosa poté sentire uno sparo e dagli alberi emerse un gruppo di cinque giovani uomini con spada sguainate: se Porthos avesse dovuto essere onesto erano in realtà solo ragazzi. Appena usciti dall’infanzia.

“Consegnateci i vostri soldi e non vi faremo del male!” Disse uno dei ragazzi che sembrava essere il capo.

Aramis e Porthos si scambiarono un’occhiata, Aramis roteò gli occhi e smontò da cavallo. Fece qualche passo in avanti finché fu a circa dieci passi dai ragazzi. “Allontanati ragazzo, non vuoi farlo davvero.” Commentò tranquillamente.

“Non mi hai sentito?! Consegnateci i vostri soldi!” Pretese il capo mentre puntava la spada contro Aramis.

Aramis sospirò, “Io ti ho avvertito.” E poi sguainò la sua spada.

Porthos smontò e iniziò a combattere gli altri ragazzi così che non avrebbero completamente circondato Aramis. Porthos fu in grado di spingerne via due e stava combattendo contro un altro che, se gli fosse stato insegnato in modo adeguato, sarebbe diventato un brillante spadaccino. Parò i colpi del suo avversario abilmente ma il ragazzo ebbe un’apertura fortunata e tagliò il braccio armato di Porthos. Questi sibilò per il dolore e vedendo il ragazzo sorridere trionfante strinse gli occhi e lo spinse a terra con forza puntandogli la spada alla gola.

“Non essere troppo sicuro di te. Potrei ucciderti se lo volessi.” Ringhiò Porthos. Poi lo sollevò sui piedi con il braccio sano. Controllò Aramis e vide il suo amico combattere i due ragazzi rimanenti allo stesso tempo e non sembrava che si stesse impegnando. L’amico si girò brevemente verso di lui e sbadigliò.

“Sta diventando noioso.” sospirò Aramis, e quindi con un movimento della spada fece cadere a terra le armi dei due ragazzi dalle mani. “Non sottovalutare mai chiunque vesta mantelli blu come i nostri. Se avreste sfidato qualcun altro, avrebbe potuto essere l’ultima cosa che avreste fatto. I Moschettieri sono spadaccini esperti.” Li avvertì Aramis seriamente.

Il capo del gruppo di ragazzi restò a bocca aperta per lo shock, “Voi siete Moschettieri?!” Porthos e Aramis annuirono, i ragazzi li guardarono ancora una volta e poi fuggirono.

Aramis afferrò il leader e gli diede dei soldi, “Prendi un pasto adeguato per te e i tuoi giovani amici. Sembrate affamati.” Il ragazzo sorrise grato e il Moschettiere gli diede una pacca sulla spalla prima di lasciarlo andare via.

Dopo aver guardato il ragazzo andarsene, Aramis si volse verso l’amico e scoprì il sangue che macchiava la manica della sua maglia. “Sei ferito!” Esclamò mentre camminava velocemente verso Porthos.

“È a malapena un graffio.” Minimizzò, ma sibilò quando Aramis iniziò esaminare la ferita.

“Ciò nonostante richiede qualche punto. Forza ti porto alla locanda più vicina.” Commentò Aramis mentre tornava al suo cavallo e si issò in sella.

“Non permetterò a qualche stupido oste di cucirmi il braccio!” Protestò Porthos mentre si arrampicava sul suo destriero.

Aramis sembrava offeso, “Certo che no!” Porthos si rilassò, ma si irrigidì quando l’altro continuò, “Ti cucirò io la ferita.” E subito dopo stava trottando sulla strada lasciando un Porthos a bocca aperta indietro.

“Preferirei che lo facesse l’oste!” Urlò Porthos. Quando non gli giunse alcuna risposta seguì con riluttanza Aramis con un ritmo più lento, ma tenne d’occhio il suo amico in caso fossero caduti in ulteriori guai.
 


Porthos era seduto su una sedia nella locanda e guardava nervosamente mentre Aramis andava a prendere il suo kit da cucito e una bottiglia di vino. Il Moschettiere colse lo sguardo nervoso dell’amico e rise sommessamente.

“Non c’è bisogno di essere così preoccupato Porthos. So cosa sto facendo, l’ho fatto centinaia di volte.” Replicò Aramis.

“E qualcuno di questi uomini è sopravvissuto per raccontarlo?” Lo rimbeccò Porthos mentre teneva il braccio ferito stretto al petto.

Aramis si portò drammaticamente il dorso della mano alla fronte, “Mi ferisci Porthos!”

“Lo farei se questo significasse non farmi ricucire il braccio da te!” Commentò Porthos.

Aramis roteò gli occhi, “Smettila di essere così melodrammatico e rilassati.” Gli tese la bottiglia di vino, “Ora il trattamento del metà e metà.”

“Metà e metà cosa?” Chiese Porthos cautamente mentre afferrava la bottiglia.

“Trattamento.” Dichiarò Aramis, “Metà nel tuo stomaco e metà sulla tua ferita.” E inclinò la bottiglia così che metà bottiglia si svuotasse nella bocca di Porthos. Mentre l’altro era troppo impegnato a provare a ingerire il vino, Aramis svuotò il resto sulla ferita. Porthos deglutì il vino e lasciò uscire una serie di imprecazioni.

“Ora questo non è stato molto educato.” Lo rimproverò Aramis con un piccolo sorriso mentre infilava l’ago e subito iniziò a cucire la ferita. Cinque punti dopo tagliò il filo e sorrise all’amico “Ecco non è stato così brutto vero?”

Porthos lanciò un’occhiata truce a Aramis, “Non è stato brutto? Fa male! Stavi ficcando un ago nella mia pelle!”

“Se la metti in questo modo.” Scherzò Aramis alzando gli occhi al cielo mentre iniziava a mettere il suo kit di cucito nella borsa.

Porthos lanciò un’occhiataccia alla schiena del suo amico, poi gettò uno sguardo al suo braccio con rabbia e spalancò gli occhi. Rimase a bocca aperta alla vista di ciò che incontrò. Cinque punti in una fila ordinata chiudevano la ferita.

“Sembra essere stato fatto da una sarta.” Tirò un sospiro di sollievo Porthos.

Aramis si girò e sorrise inchinandosi verso Porthos, “Grazie per il complimento amico mio.”

“Come?” Disse Porthos guardando prima l’uomo poi la sua ferita.

“Ti avevo detto che sapevo cosa stavo facendo.” Aramis fece un ampio sorriso, “Ora forza abbiamo ritardato abbastanza a lungo, dobbiamo tornare a Parigi.” E quindi uscì dalla camera per pagare l’oste per il vino.

“Ma…” Balbettò Porthos ancora con lo sguardo fisso sulla schiena di Aramis che si allontanava. Non riusciva a capire come l’amico potesse cucire così bene. Ma ancora una volta, era di Aramis che stava parlando; quell’uomo era pieno di sorprese. Così Porthos realizzò che nulla avrebbe potuto sorprenderlo quando si trattava dell’altro Moschettiere. Scuotendo la testa con un sorriso Porthos seguì il suo amico e si lamentò quando si sedette di nuovo in sella. Tutta la riconoscenza che provava nei confronti di Aramis si dissolse in irritazione quando l’amico iniziò a ridere all’espressione di disagio quando rimontò in sella. Sarebbe stato un lungo ritorno verso Parigi.

Note della Traduttrice:
Eccomi finalmente sono riuscita a pubblicare il terzo capitolo! So che ho una settimana di ritardo e mi dispiace moltissimo: nonstante la settimana di rientro all'università avrei dovuto trovare un po' di tempo per questo. Mi spiace molto, davvero.
Silvermoongirl100 vi ringrazia per i commenti del primo capitolo ed è felice che la storia vi piaccia. Se volete dirle qualcosa con le recensioni, sappiate che gliele invio ad ogni capitolo, quindi non siate timidi =D
Non mi resta altro che darvi appuntamento a settimana prossima. Ciao!
Loki94.

 

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Capitolo 4
*** 4. Skirmish - 1624 ***


From Strangers to Brothers

Questa storia è la traduzione di "From Strangers to Brothers" scritta da silvermoongirl10; questo è il link alla storia originale  https://www.fanfiction.net/s/10182430/1/From-Strangers-to-Brothers. L'autrice mi ha dato gentilmente il permesso di tradurla. Buona lettura a tutti!
 
 Porthos e Aramis si stavano dirigendo ad Arras con una truppa di Moschettieri; c’erano state delle notizie di attacchi di banditi alla città che avevano rubato soldi e cibo. Porthos era pieno di entusiasmo; questa sarebbe stata la prima grande battaglia in cui sarebbe stato coinvolto. Non aveva mai fatto nulla di simile finora come membro della truppa. Aramis, che stava cavalcando accanto a lui, gli lanciò un’occhiata di traverso e fece un sorrisetto, sapeva a cosa stava pensando Porthos. Negli anni, da quando lo aveva salvato, erano diventati più che amici, persino più che veri amici. Erano fratelli in tutto eccetto che nel sangue. Non c’era niente che non avrebbero fatto l’uno per l’altro. Porthos lanciò ad Aramis un sorriso a trentadue denti e l’altro divenne serio per un momento.

“So che sei eccitato all’idea di combattere. Ma stai molto attento. Le cose possono diventare caotiche in una battaglia come quella che stiamo per affrontare. Pensi che, essendo circondato dai tuoi compagni Moschettieri, sarai al sicuro. Ma le cose cambiano velocemente. Un minuto prima hai due amici ai tuoi fianchi e quello dopo ti ritrovi da solo.” Aramis lo guardò con uno sguardo fisso, enfatizzando il senso.

Porthos fece una riflessione e pensò a come non gli piacesse l’attuale sguardo negli occhi di Aramis. “Questo è la voce dell’esperienza.” Commentò.

Aramis annuì e sospirò, “Ho partecipato alla mia giusta quota di battaglie, puoi pianificare qualcosa contro ogni eventualità, ma accade sempre qualcosa. Qualcosa che non hai considerato e su cui i tuoi piani non possono nulla. Questo è il motivo per cui pensare e reagire velocemente è un dovere in battaglia. Da quando sono diventato Moschettiere le mie vicende in conflitto hanno subito un notevole miglioramento.”

Porthos si accigliò alle ultime parole di Aramis. L’amico gli aveva raccontato molto poco a sulla sua vita prima di unirsi ai Moschettieri. Porthos sapeva che la madre di Aramis e il padre, Rosaline e Colbert, vivevano ancora in un villaggio vicino a Le Mans dove era cresciuto. Aramis gli aveva anche promesso di portarlo lì la prima volta che gli sarebbe stata concessa una lunga licenza. Ma a parte i genitori e i suoi anni nei Moschettieri senza di lui, Porthos sapeva molto poco di Aramis.

“Quindi eri un soldato prima di unirti ai Moschettieri?” Chiese Porthos, si piegò leggermente in avanti sulla sella, sperando davvero che Aramis non avrebbe cambiato discorso come era incline a fare.

“Sì.” Ammise Aramis; sbatté le palpebre e volse la testa così da guardare dritto davanti a sé. “Sono diventato un soldato nel 1620. Il primo anno è stato incredibile, lo amavo ed è stato, cioè, quando iniziai a lavorare sulla mia abilità nello sparare.”

“E il secondo anno?” Chiese piano Porthos, guardando mentre Aramis chiudeva gli occhi per un momento.

“Non andò così bene.” Sussurrò Aramis. I suoi occhi guizzarono verso Porthos e poi di nuovo di fronte a lui.

“Aramis?” Porthos spronò il suo cavallo così da essere un po’ più avanti di Aramis e poter guardare negli occhi di suo fratello.

Aramis sospirò. “Riuscii ad unirmi allo stesso Reggimento del mio cugino più grande, Victor. Non era contento di vedermi; è sempre stato come se fosse un fratello maggiore e non voleva per me una vita da soldato. Ma io non ero mai stato soddisfatto di vivere solo la vita di un semplice contadino. È stato lui che mi ha insegnato come usare un moschetto.” Aramis sorrise dolcemente al ricordo del gentile insegnamento di Victor e il sorriso del cugino quando colpiva continuamente il centro del bersaglio. “Ma nel 1621 abbiamo partecipato nell’Assedio di Montauban. Io sono stato ferito e Victor mi ha protetto. È stato ucciso.” Aramis chinò la testa e tentò di scacciare il ricordo.

Porthos rimase seduto con gli occhi spalancati e fissò il suo amico. Aveva sentito le storie di quella battaglia, nella Corte vivevano dei soldati feriti che gli avevano raccontato gli orrori della battaglia e come gli Ugonotti gli avessero sconfitti. Vedendo l’espressione sul viso di Aramis seppe a cosa stava pensando e disse, “Non è stata colpa tua.”

Aramis sollevò lentamente lo sguardo e incontrò quello fisso di Porthos, “Dopo ciò che è accaduto non mi importava nemmeno di vivere o morire. All’Assedio di Royan mi sono imbattuto in Treville e mi ha offerto un posto in un nuovo Reggimento, i Moschettieri. Ho accettato perché avevo perso Victor e la maggior parte dei miei amici e quindi non avevo motivo di restare nella mia prima Unità Militare. Sono tornato a casa e l’ho detto ai miei genitori. Mia madre tentò di convincermi di abbandonare la vita da soldato, penso che vedere le cicatrici delle mie ferite la spaventi. Specialmente quando capì che Victor era morto per salvarmi, che senza di lui io sarei morto. Ma mio padre, mi guardò dritto negli occhi e mi chiese se questo era quello che volevo davvero. Dissi di sì e mi permise di andare. Quella è stata l’ultima volta che tornai a casa.”

Porthos mise una mano sul braccio di Aramis, “Ti mancano.” Non era neanche una domanda.

“Sì.” Soffiò Aramis, “Mi piacerebbe che vivessero più vicino così da poterli vedere più spesso, le occasionali lettere possono fare ben poco. Ma non chiederei mai loro di lasciare il villaggio. Mio padre ha passato la sua intera vita lì e mia madre non vorrebbe percorrere ancora lunghe distanza.”

“Non lo farebbero per te?” Chiese Porthos confuso.

“Oh, certo che lo farebbero.” Assicurò Aramis, “Ma so che non sarebbero felici e così non glielo chiederei. E il pensiero di loro che vivono in qualsiasi altro posto non sembra giusto.”

Prima che Porthos potesse commentare uno dei Moschettieri in prima linea gridò un allarme mentre un gran numero di banditi si riversò sulla strada da entrambe le direzioni.

“E così ha inizio.” Commentò Aramis mentre faceva voltare bruscamente il suo cavallo per incontrare la metà dei banditi che stavano arrivando dietro di loro. Porthos lo seguì; il pensiero che senza Victor non avrebbe mai incontrato Aramis lo turbò. Voleva stargli vicino, il pensiero di vivere senza suo fratello era semplicemente sbagliato. Aramis spinse il cavallo al piccolo galoppo finché non fu davanti alla truppa e urlò ordini alla metà di Moschettieri che erano vicini ai banditi che arrivavano da dietro.

Il tempo si fermò per Porthos; era turbato dal suono stridente del metallo, dei moschetti che sparavano e uomini che urlavano. Tentò di tenere un occhio su Aramis, ma stava diventando difficile. Muoveva la spada a destra e a sinistra oltre il collo del suo cavallo per uccidere qualsiasi bandito che arrivasse troppo vicino. Faceva costantemente guizzare lo sguardo su Aramis che stava ancora urlando sporadici ordini. I banditi sembrarono capire che era il capo di questo gruppo di Moschettieri e la maggior parte di essi si diressero verso di lui, disarcionandolo.

“Aramis!” Gridò Porthos mentre tentava di spingere il suo cavallo attraverso la folla di banditi. Ma non si avvicinò per niente al suo fratello caduto.

Puoi pianificare qualcosa contro ogni eventualità, ma accade sempre qualcosa. Qualcosa che non hai considerato e su cui i tuoi piani non possono nulla
Porthos sussultò al ricordo delle parole di Aramis di non molto tempo prima. Aveva ragione. Porthos aveva progettato di stargli vicino, ma questo piano era completamente fallito. Allora si ricordò di cos’altro Aramis avesse detto.
 
Questo è il motivo per cui pensare e reagire velocemente è un dovere in battaglia.

Allora a Porthos venne un’idea. Calciò il suo cavallo in modo da farlo impennare. La ricaduta degli zoccoli anteriori fece in modo che i banditi o si ritirassero o affrontassero il fatto di essere colpiti in testa ed essere uccisi. Si aprì un varco e Porthos fece muovere il suo cavallo attraverso esso. Fu allora che fu in grado di vedere di sfuggita Aramis.

Stava combattendo a fianco di Alexandre, che era stato anch’egli fatto cadere da cavallo. Aramis aveva del sangue sulla fronte dove la testa aveva colpito il suolo, il suo cappello gli era caduto dalla testa e il suo viso era scuro per il fango ma per il resto era incolume.

Porthos rilasciò un sospiro di sollievo e poi fu preso di nuovo nella lotta; cercò Aramis ancora ma non riuscì a trovarlo da nessuna parte. Questo non significa nulla. Questo non vuol dire che è sdraiato a terra ferito o peggio. Lui sta bene. 
 


Una volta che la battaglia finì, la maggior parte dei banditi era stata uccisa e gli altri presi per essere interrogati. Seppero che non c’erano altri banditi così dopo essersi presi cura dei feriti, i Moschettieri avrebbero potuto fare ritorno a Parigi.

Porthos stava cercando Aramis dappertutto e più tempo passava senza vedere il suo amico più si preoccupava. Solo quando iniziò a disperare di trovarlo vivo, lo trovò a prendersi cura dei feriti. La tensione se ne andò da Porthos e si appoggiò contro un palo grato di aver trovato Aramis vivo. Ma poi lo osservò più attentamente e vide che stava zoppicando. Lo guardò con uno sguardo ancora più attento e vide che si era stretto la fascia blu attorno alla gamba sinistra appena sopra al ginocchio. Porthos rimase in piedi, aspettò e guardò. Aramis continuò ad ignorare la sua ferita e ad occuparsi degli altri Moschettieri feriti. Alexandre tentò di farlo almeno sedere ma fu ignorato. Allora Porthos si mosse in avanti e afferrò il braccio di Aramis. Questi si volse preoccupato; sarebbe caduto se Porthos non avesse avuto la stretta attorno al suo braccio.

“Porthos? Sei ferito?” Chiese Aramis mentre tentava di valutare lo stato di Porthos.

“No.” Replicò Porthos, “Ma tu sì”

“Starò bene.” Minimizzò Aramis mentre cercava di togliere il braccio dalla stretta di Porthos.

“Aramis.” Ringhiò Porthos “Hai bisogno di sederti e permettere ad Alexandre di guardare la tua gamba.”

“No, sto bene.” Protestò Aramis, si voltò bruscamente e il movimento fece in modo che il dolore divampasse nella gamba. Il colore lasciò il suo viso e iniziò a cadere. Porthos prese Aramis e lo stese gentilmente a terra su una barella di scorta che era situata vicino a loro.

Porthos pose una mano sulla fronte di Aramis e la tolse velocemente turbato. Con esitazione rimise la mano e fu sgomento ti sentire che aveva la febbre.

“Alexandre!” Chiamò Porthos, “Aramis ha la febbre!”

Alexandre si precipitò da loro e tolse la fascia dalla gamba di Aramis. Porthos sussultò, gli avevano sparato alla gamba e il proiettile del moschetto era ancora nella ferita, che era anche circondata dallo sporco. Porthos bestemmiò, poteva non essere bravo come Aramis con le ferite, ma persino lui sapeva che lo sporco in una ferita poteva portare a infezioni, che avrebbe causato la febbre. Che in alcuni casi portava alla morte.

Alexandre alzò lo sguardo su Porthos gravemente, “Dobbiamo portarlo dentro ora e rimuovere il proiettile del moschetto e pulire questa ferita prima che la cosa peggiori.”

Porthos annuì e tra di loro trascinarono Aramis ad un carro che stato portato da un villaggio vicino. Porthos salì accanto all’amico quando Alexandre montò sul suo cavallo e condusse insieme a lui il cavallo dell’altro Moschettiere. Porthos si sedette vicino alla testa di Aramis e fu sgomento di vedere già il sudore formarsi sulla sua fronte.

“Perché hai lasciato questa ferita così a lungo senza pulirla Aramis?” Sussurrò Porthos, non si aspettava una risposta, ma ne ricevette una.

“Non era così brutta.” Mormorò Aramis “Le altre erano peggio.”

“La tua è peggiorata! Perché non hai fatto nulla!” Scattò Porthos. Aramis trasalì e Porthos lo confortò facendo scorrere le dita tra i suoi capelli, “È tutto
a posto fratello, andrà tutto bene.”

“Mi spiac Portho ma non vole che gli altri Moschett...ieri morissero perc io non mi sono preoccupato di loro.” Biascicò Aramis.

Porthos strinse una delle mani di Aramis e lo zittì. Tentò di non soffermarsi su come l’altro avesse farfugliato perché sapeva che non era un bene. Aramis allora cadde in un sonno inquieto, si agitava e si lamentava e mormorava terrorizzato parole in spagnolo. Tutto ciò che Porthos poteva fare era confortarlo come meglio poteva, tutto questo mentre batteva gli occhi per ricacciare indietro le lacrime.

 
 
Poco dopo Alexandre, Porthos e Aramis erano nella sala al piano superiore nella Locanda più vicina. Il medico locale era arrivato e stava aiutando Alexandre con la ferita alla gamba. Porthos era ancora seduto vicino alla testa del suo amico dandogli conforto quando Aramis iniziava ad essere angosciato a causa dei sogni febbrili.

Alexandre controllò Porthos e annuì, dicendogli che loro stavano per togliere il proiettile del moschetto e che avrebbero pulito la ferita. Qualcosa che sarebbe stato molto doloroso per Aramis, specialmente poiché non era rimasto cosciente abbastanza a lungo per bere del vino che lo avrebbe fatto rilassare.

Se da un lato Porthos era preparato alla reazione di Aramis, niente lo avrebbe mai reso pronto al grido che questi lanciò. Porthos serrò gli occhi e tenne ferme le spalle dell’amico. Lo odiava, era parte di qualcosa che stava causando al suo migliore amico e fratello dolore e voleva che tutto ciò finisse. Presto le urla di Aramis si fusero con parole.

“Fallo smettere! Per favore Victor! Fallo smettere!

Porthos si ripiegò ancora di più su se stesso, Aramis stava chiamando il suo cugino morto che era stato come un fratello maggiore per lui. Questo era troppo.

“Basta! Smettetela!” Ordinò, ma Alexandre e il medico continuarono il loro lavoro. “Non vedete che è troppo doloroso per lui?! Almeno lasciategli un po’ di riposo! Fermatevi!

Allora Alexandre scambiò un’occhiata con il medico e si mosse a fianco a Porthos. Lo spinse via.

“Cosa stai facendo?!” Ruggì Porthos,

“Non sei di aiuto Porthos!” Ribatté Alexandre “Vorrei dare una tregua a Aramis ma non possiamo! Se non ci occupiamo della sua ferita il più velocemente possibile lui potrebbe morire!”

Porthos guardò in basso verso il suo amico. Aramis stava sudando, stingeva e rilassava le mani mentre supplicava Victor e Porthos di far smettere il dolore. Porthos strinse gli occhi, indeciso: da una parte conosceva la necessità di fare tutto questo per salvare la vita di Aramis, ma dall’altra l’amico lo stava implorando di fermarlo.

“Vai Porthos.” Ordinò Alexandre,

“Ma-“ Iniziò Porthos con gli occhi spalancati,

“So che vuoi stare qui per lui, ma dobbiamo andare avanti e di questo passo, con te che continuerai a fermarci, non faremo nulla di buono. Vai.” Commentò Alexandre “Verrò a cercarti una volta che avremo finito.”

Porthos tornò a guardare Aramis e poi permise ad Alexandre di spingerlo fuori dalla porta. Barcollò fuori dalla Locanda, scivolò lungo il muro e appoggiò la testa sulle ginocchia con le braccia avvolte attorno alle gambe. Rimase così per un po’, tentando di lasciare le urla di Aramis fuori dalla sua testa. Quando un cappello fu lasciato cadere ai suoi piedi. Sbirciò oltre le sue ginocchia per vedere il cappello di Aramis posato sui suoi piedi; guardò in alto per vedere Marsac guardare in basso verso di lui.

“Quando ho trovato questo nel mezzo della strada ho capito che qualcosa non andava. E vedendo te in questo stato prova solo ciò che penso.” Commentò Marsac. La domanda non espresso lui è ancora vivo? Venne udita lo stesso da Porthos.

“Alexandre si sta occupando di lui. Dice che starà bene alla fine. Ma non potevo starmene là a sentire le urla di pura agonia di Aramis più a lungo.” Disse piano Porthos.

“Urla?” chiese Marsac diventando più allarmato, “Ogni volta che Aramis è stato ferito in passato non ha mai urlato.”

“Aveva la febbre ed era a malapena cosciente, non abbiamo potuto dargli del vino per la paura di soffocarlo.” Replicò Porthos.

Marsac annuì e poi diede una pacca sulla spalla a Porthos prima di girarsi per andare ad aiutare gli altri feriti. Poco dopo Alexandre venne a chiamarlo, sorrise e annuì. Porthos scattò in piedi, raccolse il cappello e si precipitò di corsa sulle scale fino alla camera di Aramis.

Entrò lentamente nella stanza e si diresse verso il letto. Aramis era ancora pallido con il sudore incollato sulla fronte, le sue mani stringevano ancora con forza le lenzuola del letto e mormorava sottovoce.

Porthos prese una sedia così da essere seduto vicino al suo volto, mise il cappello sul comodino dove c’era una brocca d’acqua e uno straccio. Porthos immerse lo straccio nell’acqua e poi lo mise sulla fronte di Aramis.

L’altro Moschettiere batté gli occhi aprendoli e guardò in alto verso Porthos meravigliandosi. “Sei qui.”

“Dove altro dovrei essere?” Chiese Porthos mentre cercava di non piangere per il sollievo di vedere Aramis sveglio e che parlava.

“Tutti quelli che mi aiutano finiscono per farsi male.” Mormorò Aramis “Non voglio che tu ti faccia male. È per questo che non ho detto niente della mia
ferita.”

“Oh Aramis.” Sospirò Porthos, “Ciò che è accaduto a Victor non è stata colpa tua. Non è stata la tua ferita che ha causato la sua morte.” Aramis chiuse gli occhi, “Non è stata colpa tua. Promettimi una cosa.”

Aramis annuì, non fidandosi molto a parlare.

Mai nascondere o lasciare una ferita senza averla controllata. Chiaro?” Ordinò Porthos. Aramis annuì ancora e Porthos si rilassò, non voleva vedere mai più suo fratello in quello stato. Vedendo che gli occhi dell’altro iniziavano a chiudersi, Porthos sorrise e disse, “Dormi, hai bisogno di riposare.”

Porthos continuò nella sua veglia accanto a quel letto per tre giorni prima che la febbre di Aramis scendesse; Porthos era sollevato perché l’altro Moschettiere non sarebbe stato forzato ancora a lungo a rivivere la morte di Victor nei suoi sogni febbrili. Sapeva che qualche volta lui sostituiva Victor e ci metteva più tempo a calmare Aramis e provare che il sogno non era reale. Due giorni dopo ciò Alexandre giudicò il Moschettiere abbastanza in forze da poter tornare a Parigi, ma su un carro. Aramis non ne fu molto felice.

Così Porthos legò il suo cavallo e quello dell’amico al retro del carro e rimase seduto al suo fianco per tutto il viaggio verso Parigi per fargli compagnia.
Una volta a Parigi, Porthos rimase con Aramis finché non fu sicuro che il suo amico non avrebbe provato a scendere le scale prima di essere guarito, rischiando di cadere e di rompersi il collo. Rimase anche per essere sicuro che Aramis non avrebbe tentato di camminare alla guarnigione, perché l’altro aveva una settimana di licenza per riposarsi e guarire.

“Se io ho una licenza perché sono stato ferito.” Si corrucciò frustrato Aramis “Allora perché anche tu hai un permesso di una settimana?”

Porthos si appoggiò allo schienale della sua sedia e sorrise, “Tecnicamente io non ho una licenza di una settimana.”

“Allora perché sei qui?” Reagì Aramis bruscamente, Porthos non prese sul personale il suo cattivo umore, Aramis odiava essere rinchiuso e nella sua frustrazione attaccava la persona più vicina.

“Treville mi ha affidato un compito chiamato ‘assicurati che Aramis non si uccida tentando di fare qualcosa mentre la sua gamba sta ancora guarendo’.” Dichiarò Porthos. Scoppiò a ridere quando Aramis ringhiò frustrato e si lasciò scivolare più giù nella sedia, spingendosi il cappello sugli occhi e incrociando le braccia al petto. Aramis non aveva bisogno di chiedere se Treville avesse davvero chiamato il “compito” di Porthos con quel nome, perché conosceva l’uomo abbastanza bene da sapere che lo avrebbe fatto. E aveva intenzione di fargliela pagare.

Note delle traduttrice:
Eccoci qui con il terzo capitolo!! Credo sia un po' più lungo rispetto agli altri... Godetevelo tutto!!! Indovinate chi fa la sua comparsa nel prossimo capitolo?? =) Ancora una volta vi chiedo di perdonare errori di grammatica o traduzione... Se volete lasciare qualche commento, giusto per far sapere all'autrice cosa ne pensate del capitolo, la renderebbe molto felice!!!
Comunque ringrazio tutti quelli che stanno seguendo la storia capitolo dopo capitolo.
Buona lettura e al prossimo capitolo! Ciao!

Loki94.

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Capitolo 5
*** Two Becomes Three- 1625 ***


From Strangers to Brothers

Questa storia è la traduzione di "From Strangers to Brothers" scritta da silvermoongirl10; questo è il link alla storia originale  https://www.fanfiction.net/s/10182430/1/From-Strangers-to-Brothers. L'autrice mi ha dato gentilmente il permesso di tradurla. Buona lettura a tutti!

Porthos era seduto al tavolo del cortile della guarnigione e stava fissando il nuovo membro dei Moschettieri. Lui e Aramis avevano provato di tutto per diventare amici di Athos, ma erano stati continuamente rifiutati. Lo avevano portato a fare il giro della guarnigione e delle migliori taverne, ma il nuovo Moschettiere era rimasto indifferente ai loro tentativi di offrirgli la loro amicizia. Dopo una settimana Porthos si era arreso, pensando che se Athos voleva essere lasciato solo, allora a lui andava bene così. Sebbene non gli piacesse giudicare una persona finché non l’aveva conosciuta, era infastidito da quell’uomo. Athos aveva rifiutato qualsiasi tentativo di amicizia di Porthos, di Aramis e dell’intero Reggimento, ma tutti gravitavano attorno a lui nonostante fosse un loro commilitone da un solo mese. In passato i Moschettieri avevano guardato ad Aramis per farsi guidare e ora tutti loro seguivano il nuovo arrivato. Aramis non era infastidito da tutto questo, ma Porthos non poteva perdonarlo anche se non era completamente colpa di Athos. Suppose che era successo perché proveniva evidentemente da una famiglia nobile e tutt'intorno a lui vi era un’aura di autorità. Mentre Porthos aveva rinunciato a diventare amico di Athos, Aramis d’altro canto continuava nell’impresa di ottenere la sua amicizia.

Porthos si spaventò un po’ quando Aramis, all’improvviso, si lasciò cadere sulla sedia accanto a lui, “Sai che stai fissando Athos in modo tale che tutti potrebbero pensare che lui non ti piace.”

“A me non piace.” Borbottò Porthos mentre continuava a guardare Athos che faceva pratica con la spada da solo. Come al solito.

Aramis sospirò, “Dagli solo una possibilità Porthos. Tu ci hai messo un po’ per trovare il tuo posto qui.”

Porthos spostò lo sguardo su Aramis e ringhiò, “Io non mi comportavo come se possedessi tutto questo!”

Aramis si sporse in avanti così da appoggiare i gomiti sul tavolo con il viso tra le mani e girò un po’ la testa così da poter guardare l’amico, “Non si comporta così Porthos.”

“Tutti strisciano davanti a lui!” Esclamò Porthos con rabbia, sebbene non abbastanza forte da farsi sentire da Athos.

Aramis gemette tra le mani, “Perché ti comporti in modo così iroso?”

“Perché tu sei così calmo?!” Lo rimbeccò Porthos,

“Non c’è nulla per cui essere arrabbiati.” Dichiarò Aramis, il viso ancora nascosto tra le mani.

Tu eri quello a cui tutti venivano per dei consigli o per farsi guidare. Poi si è presentato lui e all’improvviso è più bravo di te! Con le sue condizioni sociali non avrebbe mai fatto questa vita, è qu solo da un mese e all’improvviso questo è meglio dei cinque anni che hai passato tu, come sodato!” sibilò Porthos mentre si sporgeva più vicino ad Aramis.

“Da un canto ti ringrazio per la fede che hai in me Porthos, ma non puoi essere arrabbiato con Athos per questo.” Disse Aramis, poi sbirciò Porthos da dietro le dita e vedendo la faccia dell’altro continuò, “A quanto pare puoi.”

“Perché non dici nulla o non fai qualcosa?” Chiese Porthos spostando lo sguardo da Aramis ad Athos e di nuovo ad Aramis.

“E dire cosa esattamente? Gli uomini scelgono chi seguire Porthos, non posso costringerli a seguirmi.” Replicò Aramis, “Athos ha un’origine che noi possiamo solo sognarci. Proviene senza dubbio dall’alta nobiltà e di conseguenza ha una posizione adatta per il comando. Ovviamente gli uomini apprezzano e stimano questo fatto.”

“Allora sono pazzi.” Discusse Porthos, “Sono pazzi se stimano più l’autorità dell’esperienza.”

“Porthos lascia perdere.” Sospirò Aramis mentre si strofinava gli occhi, “Non c’è nulla che tu o io possiamo fare a riguardo.”

“Una volta che avrà guadagnato qualche anno di esperienza come soldato allora considererò ciò che hai detto. Ma non prima di allora. Sono un soldato da due anni e nemmeno io do consigli, vengo da te perché so di potermi fidare del tuo giudizio. Lui è un Moschettiere da un mese.”

“Se la pensi così.” Commentò Aramis seccamente mentre abbassava il viso fino ad appoggiarlo sul tavolo.

“È un po’ presto per essere ubriachi Aramis! Dovresti essere come Athos e aspettare fino a notte per bere finché non ne puoi più!” Disse Gilbert mentre attraversava il cortile.

Aramis sentì Porthos irrigidirsi e senza alzare la testa lo avvertì, “Porthos.”

“Ha detto che dovresti essere più come Athos.” Sputò fuori Porthos mentre guardava male la schiena di Gilbert.

“Lascia perdere.” Dichiarò Aramis “Prima che tu esploda a causa della tua rabbia a mala pena contenuta.”

Porthos soffiò infastidito e torno a fissare prima Athos e poi Aramis. Quest’ultimo lasciò la testa sul tavolo non volendo avere più a lungo a che fare con il malumore di Porthos, ma non volendo muoversi altrove.

“Athos!” Porthos e Aramis alzarono lo sguardo per vedere Treville che stava in piedi sul ballatoio e che guardava in basso nel cortile. Athos smise di fare ciò che stava facendo e guardò il Capitano, “Raoul è malato e non può venire in pattuglia con te.”

“Bene, andrò da solo.” Rispose Athos

Porthos stava mormoeandi qualcosa sottovoce circa il pessimo modo che aveva di essere un soldato fino a quando Aramis (che aveva ancora una volta appoggiato la testa sul tavolo) gli diede una gomitata al fianco.

Treville scosse la testa, “Nessuno va in pattuglia da solo.” Poi diede un’occhiata ai Moschettieri nel cortile e vide che Porthos e Aramis erano i soli senza mansioni. Vedendo lo sguardo torvo sul viso di Porthos gridò, “Aramis! Vai in pattuglia con Athos. Controllerete i giardini del Palazzo.” Poi Treville scomparve nel suo ufficio.

Aramis si tirò a sedere e fissò intensamente Athos, quest’ultimo poi si volse per raccogliere il suo mantello e la spada. Aramis raccolse la sua cappa blu dalla sedia accanto a lui e si mosse per alzarsi, ma fu fermato dalla stretta di Porthos sul braccio.

“Porthos devo andare.” Commentò Aramis, mentre tentava di liberare il braccio dalla stretta del suo amico.

“Non mi piace. Non mi fido di lui. Cosa succederebbe se accadesse qualcosa?” Chiese Porthos.

“Allora io, da esperto Moschettiere qual sono, lo affronterò. Onestamente Porthos uno potrebbe pensare che stai insultando le mie capacità combattive.” Scherzò Aramis in un tentativo di rasserenare il suo umore.

Porthos lo guardò ancora con rimprovero, “Solo una cosa: stai attento.” Mormorò mentre alla fine rilasciava il braccio di Aramis.

“Sono sempre attento.” Sorrise Aramis rassicurante; passò dietro l’altro Moschettiere e gli diede una pacca sulla spalla.

 Porthos guardò mentre il suo amico usciva con Athos e poi si chiese cosa avrebbe fatto nelle prossime tre ore. Molto probabilmente si sarebbe preoccupato.

 
 
Porthos stava camminando su e giù nel cortile come un animale in gabbia. Aramis e Athos avrebbero dovuto essere tornti da dieci minuti e nel frattempo si era ripromesso che, se il nuovo Moschettiere avesse permesso che accadesse qualcosa a suo fratello, allora lo avrebbe picchiato fino a ridurlo in poltiglia.
Mentre si girava fissando l’entrata del cortile, riconobbe i due Moschettieri che camminavano verso di lui. Non ne fu sollevato: Aramis era bagnato dalla testa ai piedi e stava tentando di scrollare l’acqua dal suo cappello. Allora qualcosa era accaduto, ma solo al suo amico, perché Athos era asciutto. E sembrava che avesse la bocca contratta come se stesse per sorridere. Questo fece solo aumentare la rabbia di Porthos.

“Cosa è successo?” Chiese mentre attraversava a grandi passi il cortile finché non fu direttamente di fronte agli altri due. Aramis lo guardò attraverso i capelli bagnati che erano incollati al suo viso.

“C’erano due intrusi e li abbiamo inseguiti.” Iniziò Aramis mentre afferrava il suo mantello ancora sulle sue spalle e lo strizzava. “Quello che stavo inseguendo io mi ha spinto in una fontana. Poi ha iniziato a cercare di colpirmi alla testa con un sasso.”

“Tu dov’eri?” Ringhiò Porthos, l’immagine di Aramis che veniva colpito alla testa con un sasso ora era incastrata nella sua mente e rabbrividì al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere.

“Porthos.” Lo avvertì Aramis mentre scuoteva la testa così da spostare i capelli da davanti gli occhi.

Athos mise una mano sulla spalla di Aramis facendogli sapere che andava tutto bene, capiva la domanda di Porthos. “Stavo affidando il secondo intruso alle Guardie Rosse. Poi sono corso indietro, ho preso il primo e l’ho consegnato alle guardie del Cardinale.”

Porthos annuì, ma continuò ad essere accigliato.

“Porthos puoi perlomeno smetterla di essere corrucciato!” esclamò Aramis “Persino Athos ha accennato ad un sorriso! Sì era a mie spese, ma penso che il modo in cui mi sbracciavo nella fontana per evitare il sasso debba essere stata una scena interessante. Sono solo grato che il Re e la Regina non erano in vista. Sarebbe stata una spiegazione curiosa da dare”

Porthos sorrise e annuì per ringraziare Athos. Questi inclinò la testa per accettare i ringraziamenti e poi se ne andò, dicendo che doveva andare a fare rapporto a Treville. Porthos tornò a guardare Aramis e sospirò scuotendo la testa.

“Per cos’era questo sospiro?!” Brontolò Aramis mentre scuoteva la testa per liberarsi dalle gocce di acqua rimaste sulla punta dei capelli.

“Cosa devo fare con te?” Chiese Porthos “Ti succede sempre qualcosa.”

Non è così!” Protestò Aramis corrucciandosi.

“Va bene, non sempre. Ma la maggior parte delle volte.” Si corresse Porthos sogghignando. Aramis alzò gli occhi al cielo, cosa che ebbe solo l’effetto di far ridere Porthos, “Forza torniamo ai tuoi alloggi, non ho bisogno che ti prenda un raffreddore per poi diventare lunatico per il fatto che non puoi uscire.”

“Lunatico? Io non divento lunatico!” Sbraitò Aramis e si mise il cappello in testa, ma poiché lo aveva seguito nella fontana, si piegò su un lato suscitando solo altre risate da Porthos.

Aramis sospirò e roteò gli occhi mentre si voltava e camminava fuori dalla guarnigione. Porthos sorrise e scosse la testa con affetto, poi seguì il suo inzuppato fratello per assicurarsi che si prendesse cura di sè in modo adeguato. Se Aramis era il migliore a prendersi cura dei malati o feriti, non lo era per quanto riguardava se stesso. Ma a Porthos non dispiaceva prendersi cura di lui, il suo amico faceva già molto per tutti gli altri, ed era felice di essere l’unico che faceva restare Aramis tutto intero. E forse aveva ottenuto l’aiuto di Athos per guardare le spalle di suo fratello; bè, tre era meglio che due.

Note dell’autrice:
Sebbene ora Athos si è unito ai Moschettieri verrà data ancora maggior importanza all’amicizia tre Aramis e Porthos. Un grazie a chi ha messo la storia nelle preferite, nelle seguite e a coloro che hanno recensito, significa molto per me!

Note della traduttrice:
Eccoci qui con il quinto capitolo! Allora cosa ne pensate di Athos e del primo incontro tra i nostri Moschettieri preferiti? Personalmente mi sarebbe piaciuto vedere nelle serie come si sono incontrati e approfondire meglio il loro ingresso nei Moschettieri =) Non vi svelo niente sul prossimo capitolo e fatemi sapere anche se trovate errori nella grammatica o di traduzione;) Buona lettura a tutti e ringrazio tutti coloro che si prendono del tempo per leggere questa storia! Grazie infinite, davvero.
A settimana prossima, ciao!
Loki94

 

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Capitolo 6
*** 6. Savoy - 1625 ***


From Strangers to Brothers

Nota dell'autrice
In questo capitolo faccio riferimento ai ranghi dei Moschettieri, siccome non conosco la suddivisione precisamente ho posto Treville come Capitano del Reggimento e i Tenenti a capo delle singole truppe. Mi spiace se questo è sbagliato, ma sto solo ipotizzando come potrebbe essere e se qualcuno sa come avviene la divisione in ranghi, per favore me lo faccia sapere e lo sistemerò. Farò di questo capitolo un multiple POV.

 

Porthos era appoggiato ad un palo accanto alla stalla dove era tenuto il cavallo di Aramis che, al momento, era impegnato a sellarlo. La giumenta diede un colpetto al braccio del suo padrone e gli annusò la tasca; ridendo sommessamente Aramis le accarezzò il muso e lo allontanò gentilmente.

“Mi spiace Bella, ma non ho nessun dolcetto.” Disse Aramis mentre accarezzava con affetto il collo di Bella. Bella, o Isabella com’era il suo nome completo, era uno dei cavalli della fattoria della sua famiglia. Era stato un regalo per Aramis da parte del padre l’ultima volta che era stato a casa e aveva annunciato che si sarebbe unito ai Moschettieri. Colbert l’aveva data a Aramis affermando che un grande soldato aveva bisogno di un grande cavallo e lui aveva preso le redini del puledro di due anni, promettendo che sarebbe stato all’altezza delle aspettative del padre. Aramis era con Colbert quando Isabella era nata e l’aveva aiutato a prendersi cura del puledro prima di seguire Victor nel suo primo Reggimento. L’aveva chiamato Isabella (il nome spagnolo che avrebbe avuto se fosse nato femmina) per placare la madre nella speranza di farsi perdonare per il fatto di essere diventato un soldato. Quando ritornò a casa nel 1622 Isabella si ricordava ancora del suo giovane padrone e velocemente avevano stretto il loro profondo legame ancora una volta: questa era la ragione per cui Colbert aveva scelto di affidarla ad Aramis.

Porthos sorrise vedendo il dialogo tra il Moschettiere e Isabella, lo stupiva sempre come il suo amico potesse essere un efficace spadaccino, e in un certo senso un assassino, ma come allo stesso tempo potesse essere così gentile e premuroso nei confronti di uomini o animali. Ma il suo sorriso scomparve quando si ricordò perché Aramis stava sellando Bella.

Aramis colse l’espressione sul volto dell’amico, “Al momento non c’è alcun bisogno di essere triste, Porthos. Starò via solo per due settimane ed è una semplice esercitazione.” Sorrise Aramis rassicurante.

“Ma non dovresti neppure andare!” Protestò Porthos, odiava quando veniva separato da Aramis. Era più o meno suo fratello e di conseguenza la sua sola famiglia (Athos era quasi considerato un fratello) così voleva stargli accanto in modo tale da non perderlo.

“Porthos.” Sospirò Aramis, finì di sellare Bella e poi rimase in piedi di fronte all’amico, “Sai che con Erneste assegnato all’improvviso ad un altro incarico qualcuno doveva condurre questa esercitazione. E con nessun altro tenente disponibile, io e Marsac siamo subito dopo nell’ordine perché siamo con il Reggimento da quando è stato fondato.”

“So tutto questo.” Si accigliò Porthos, “Ma non significa che debba piacermi.” Aramis lo guardò con comprensione, capiva perché il suo amico odiava quando venivano separati ma non aveva avuto scelta a riguardo. Treville era stato irremovibile sul fatto che la truppa di Erneste doveva fare un’esercitazione vicino a Mâcon, al confine con la Savoia, e con il tenente della truppa affidato ad un’altra importante mansione qualcuno doveva pur guidarla, così il loro Capitano lo aveva ordinato a Aramis e Marsac. Porthos aveva persino tentato di farsi assegnare all’esercitazione, ma Treville lo aveva rifiutato affermando che lui non faceva parte della truppa di Erneste e quindi non aveva ragione di andare.

“Andrà tutto bene Porthos, sono solo due settimane.” Sorrise Aramis, poi si voltò e iniziò a portare Bella all’uscita del cortile dove Marsac era già in sella e il resto della truppa stava iniziando a montare i propri cavalli.

Esaminando i Moschettieri riuniti Aramis individuò Francis e sorridendo lo chiamò, “Come stanno Susanne e la tua piccola bambina di quattro mesi Francis?”

“Stanno bene grazie, Aramis.” Rispose Francis, “Susanne ha imparato presto a fare la madre e Elisabeth è semplicemente perfetta.”

Aramis sorrise in risposta, Porthos rivolse un ampio sorriso a Francis. Non molti Moschettieri erano sposati e avevano famiglia così quando qualcuno lo era, al resto del Reggimento piaceva essere tenuti informati con le novità su moglie e figli.

Apparve Treville e chiamò Francis, “Non c’è bisogno che tu vada Francis, con una bambina così piccola sono sicuro che tu preferisca passare il tempo con tua figlia e tua moglie.”

Francis sorrise, ma scosse la testa, “Susanne non ha detto nulla ma so di essere sempre tra i piedi, così penso di darle due settimane di pausa del mio essere sempre di intralcio.”

Treville annuì, “Molto bene.” Poi gettò lo sguardo al resto della truppa e tornò nel suo ufficio. Porthos suppose che avesse delle importanti carte che necessitavano la sua attenzione, molto probabilmente a causa di qualcuno tra i Moschettieri che aveva duellato con le Guardie Rosse; di certo né lui né Aramis avevano nulla a che fare con questo se Treville avesse chiesto qualcosa a riguardo.

Athos si avvicinò e si mise accanto a Porthos, alzando lo sguardo su Aramis, “Confido che ti prenderai cura di te.” Come Porthos, Athos aveva velocemente capito che l’amico trascurava sé stesso per essere sicuro che tutti gli altri stessero bene.

Aramis roteò gli occhi, “Sì, mamma. Mi pettinerò i capelli prima di andare a dormire.”

Di solito Porthos rideva quando Aramis scherzava, ma questa volta non lo fece. Invece gli strattonò un piede e lanciò un’occhiataccia al suo amico “Hey, sii serio per una volta nella tua vita!”

“Io sono serio!” Lo rimbeccò Aramis, ma vedendo ancora lo sguardo pressoché abbattuto sul viso dei suoi amici, rivolse loro un piccolo sorriso e disse: “Non preoccupatevi. Sono stato un soldato più a lungo di entrambe, persino con la durata dei vostri servizi combinate. So cosa sto facendo, vi fidate di me?”

“Sempre.” Rispose Porthos senza esitazione, Athos si limitò a sorridere, ma in ogni caso non parlava mai molto.

“Aramis!” Chiamò Marsac, “Sono tutti pronti per andare.”

Aramis annuì e fece un cenno all’altro Moschettiere dicendogli di andare. Si girò verso i suoi amici sorridendo e sventolò una mano verso di loro prima di far voltare Bella e iniziare a uscire dal cortile. Scorse Treville che li guardava dalla finestra, si volse un po’ sulla sella e lo salutò sorridendo, poi spinse Bella al trotto per raggiungere Marsac che era davanti alla truppa.

Porthos e Athos rimasero fianco a fianco nel cortile finché la truppa non fu più in vista, sospirarono e realizzarono quanto la guarnigione fosse già silenziosa senza le battute di Aramis e i suoi commenti sarcastici e le risate che causava in entrambi. Avrebbero passato due settimane molto tranquille. Per Porthos sarebbe stato il periodo più lungo che avrebbe passato separato da Aramis da quando si era unito ai Moschettieri e sperava che non sarebbe accaduto ancora.
 


Treville afferrò il davanzale della finestra per vedere la truppa lasciare il cortile, e dovette ricacciare le lacrime mentre guardava i suoi Moschettieri ridere e parlare allegramente non sapendo che erano stati mandati per affrontare un’imboscata. Come agnelli al macello.

Rifletté su quanto Erneste fosse stato fortunato ad essere cercato per un’altra missione. Ma le lacrime minacciarono di cadere quando guardò Francis, aveva provato a dissuaderlo dalla partenza per amore di sua moglie e della giovane figlia, e quando guardò Aramis.

Quando il giovane si era voltato per salutarlo sorridendo ampiamente aveva chinato la testa: sebbene tutti i suoi uomini avevano un posto nel suo cuore, quel Moschettiere ne occupava uno un po’ più grande. Ricordò come si era imbattuto in Aramis a Royan: aveva 22 anni e aveva uno sguardo vuoto, ma pieno di dolore negli occhi. Treville aveva appreso come Aramis avesse perso prima suo cugino e poi i suoi amici, aveva anche visto come al ragazzo non importasse di vivere o morire. Così Treville si era sforzato di aiutare quel giovane uomo e vedendo le sue abilità con il moschetto e la spada gli aveva velocemente offerto un posto nel nuovo Reggimento, i Moschettieri del Re. Era stato un processo lento ma alla fine lo sguardo vuoto era sparito dagli occhi di Aramis per essere sostituito da un luccichio malizioso, uno sguardo che gli si addiceva meglio.

Così vedere Aramis cavalcare via per affrontare un’imboscata che sarebbe stata guidata dal Duca di Savoia, provocò una rottura nel cuore di Treville. Rivolse in basso lo sguardo per osservare Porthos e Athos che guardavano Aramis andarsene e sussultò: aveva paura di vedere la loro reazione alla notizia dell’imboscata quando sarebbe giunta. Nonostante fosse nel Reggimento solo da pochi mesi, Athos si era un po’ rilassato e questo grazie all’amicizia di Aramis: Treville sapeva che Athos teneva l’altro Moschettiere in grande considerazione. Gli occhi del Capitano restarono su Porthos: se suo fratello fosse morto, sapeva che il Reggimento avrebbe probabilmente perso anche lui o per la rabbia o per il dolore. Sapeva che Porthos avrebbe cercato una lotta e molto probabilmente si sarebbe fatto uccidere.

Quando la truppa non fu più in vista Treville alzò lo sguardo verso il cielo e pregò Dio di risparmiare almeno la vita di Francis e Aramis, i due che si stavano lasciando qualcosa di più alle spalle. Uno aveva una moglie e una figlia che doveva veder crescere e l’altro amici e parenti che contavano sul suo ritorno.
 


Aramis incespicava attraverso gli alberi e la neve verso l’accampamento dopo aver visto Marsac andarsene. Tutti i cavalli erano fuggiti, ma l’altro Moschettiere era riuscito a chiamare il suo e ad andarsene. Aramis rabbrividì mentre il freddo penetrava nelle ossa e minacciava di farlo cadere in ginocchio. Si appoggiò agli alberi, facendosi lentamente e dolorosamente largo verso il centro del campo. I suoi amici erano sparsi tutto attorno a lui: alcuni sembravano ancora addormentati se non fosse stato per il sangue attorno al collo e altri avevano ancora le spade strette in mano.

Venti erano caduti. Venti dei suoi amici, della sua famiglia adottiva. In silenzio si voltò e guardò i volti degli otto Moschettieri più vicini a lui.

Antoine, Onon, Jean, Bernard, Alexandre, Gilbert, Raoul e… Francis.

Gli occhi di Aramis si spalancarono quando vide quest’ultimo fissare il cielo con sguardo cieco. Chiuse di scatto gli occhi e desiderò che tutto questo fosse un orribile incubo, ma quando li riaprì si ritrovò ancora in piedi al centro del campo circondato dai suoi amici morti. Tornò a guardare Francis e si immaginò una piccola bambina con gli occhi verdi che sarebbe cresciuta senza il padre. Iniziò a incespicare indietro, ma i suoi occhi erano ancora fissi sul corpo immobile del giovane padre.

No. Per favore Dio no. Non Francis, non lui. Susanne e Elisabeth hanno bisogno di lui. Perché proprio lui? Avresti dovuto prendere me e risparmiare Francis. Avresti dovuto salvare lui, non me!

Quando raggiunse il margine del campo, ancora camminando all’indietro, inciampò in un ramo spezzato e cadde sulla schiena. Fissò il cielo, come molti dei suoi amici avevano fatto nel loro ultimo respiro. Le spalle iniziarono a tremare e non per il freddo. Lacrime silenziose scesero sulle guance: erano come un fiume di ghiaccio che scendeva sul suo viso. Sentì lo scricchiolio della neve e non gli importò se era un aggressore venuto ad assicurarsi che tutti i Moschettieri fossero stati uccisi. I passi si fermarono accanto a lui e sentì uno sbuffo di aria calda sul suo volto. Spostò lo sguardo dal cielo e trovò Bella che lo guardava. Il suo amato cavallo era tornato indietro da lui, ma non aveva neanche l’energia di alzare un braccio. Sapeva che tutto ciò che doveva fare era afferrare le sue redini e trascinarsi in qualche modo sulla groppa di Bella e poi avrebbe potuto cavalcare a Mâcon per chiedere aiuto e inviare un messaggio a Treville. Ma era così stanco. Nere macchie danzarono ai margini del campo visivo, Bella nitrì verso di lui e colpì gentilmente la sua testa, ma lui continuò a restare sdraiato sulla fredda neve che copriva il suolo.

Guardò di nuovo il cielo e sentì che gli occhi iniziavano a chiudersi tremolando e pensò che era felice di avere almeno Bella al suo fianco mentre moriva; avrebbe voluto Porthos e Athos con lui. Ma sapeva che se loro fossero stati lì, sarebbero stati uccisi anche loro. No, era meglio così, con loro al sicuro a Parigi. Almeno aveva ancora un amico vivo lì con lui.

 
 
Porthos fissò Treville scioccato; questo non poteva essere successo, semplicemente non poteva; il messaggio nelle mani di Treville doveva essere un errore. La truppa di Moschettieri in esercitazione non era stata attaccata. Aramis era al sicuro.

“Mi spiace Porthos, ma non c’è alcun errore.” Disse Treville.

“Lui non è morto. Non lo è. Il messaggio non dice quanti sono stati uccisi, potrebbe essere- è ancora vivo!” Ringhiò Porthos.

Treville sospirò, “Anche se Aramis fosse sopravvissuto al massacro, il clima di quell’area è abbastanza freddo per uccidere qualsiasi superstite. Mi spiace Porthos ma non ho molte speranze in un ritorno di Aramis.”

“No! Sta sbagliando!” Urlò Porthos, “Perché il messaggio venisse inviato qualcuno deve essere stato ! Avrebbero aiutato qualsiasi sopravvissuto!” Si rifiutava di chiamare l’attacco ‘massacro’ perché così avrebbe solo provato quanto fosse piccola la possibilità che Aramis fosse ancora vivo dopo l’imboscata.

Treville scosse la testa, “Il messaggero ha detto che uno straniero gli ha a malapena riferito del massacro e che un messaggio doveva essere consegnato a me, messaggio che doveva affermare che c’era stato un massacro di Moschettieri. Lo straniero non era un soldato del Reggimento e lo straniero non ha aiutato nessun ferito.”

No.” Gemette Porthos mentre si afferrava i capelli.

“Porthos.” Parlò Athos, “Dobbiamo affrontare la realtà. Aramis è morto o ferito, e con la neve non sarà vivo a lungo.”

“Perché dici questo?!” Domandò con rabbia Porthos, “Non ti importa?”

“Certo che mi importa!” Scattò Athos, “Ma sto tentando di essere realista. Non voglio mettere speranze dove non ci sono!”

Porthos e Athos iniziarono a urlarsi l’uno contro l’altro e si fermarono solo quando Treville ordinò loro di cavalcare nel luogo del massacro, di fare la guardia ai loro fratelli caduti e di aspettare i carri che sarebbero stati mandati.

Una volta che Porthos e Athos ebbero lasciato il suo ufficio, Treville crollò sulla sedia e si prese il volto tra le mani. Tutti i volti degli uomini che erano stati mandati a Mâcon passarono davanti ai suoi occhi e pianse per la perdita. Parte di lui pregava per un miracolo, per la sopravvivenza di Aramis. Ma un’altra parte di lui pensò che se l’intera truppa, eccetto Aramis, era morta, non sarebbe stato meglio per lui morire accanto a loro?
 
Porthos e Athos fermarono i cavalli e restarono senza fiato alla vista di ciò che avevano davanti. I loro amici erano dispersi in giro per il campo, tutti perfettamente sdraiati con un velo di polvere che li copriva e con la neve macchiata di rosso attorno a loro.

“Aramis.” Sussurrò Porthos sconvolto, come era accaduto?

Smontò da cavallo e si precipitò attraverso il campo guardando i suoi amici caduti, il tutto mentre cercava disperatamente Aramis. Athos fu più lento a smontare e con calma si diresse verso tutti quei Moschettieri che giacevano immobili per chiudere a tutti loro gli occhi. Non aveva molte speranze di trovare Aramis vivo e sapeva che se Porthos lo avesse trovato morto allora avrebbe voluto un po’ di tempo da solo con il migliore amico.

“Aramis? Aramis?! ARAMIS!” Gridò Porthos freneticamente. Disperato, volse la testa in ogni direzione per trovare un segno del suo fratello. Fu allora che vide una grossa figura, e guardando meglio riconobbe il cavallo di Aramis, Isabella. Camminò lentamente verso di lei e realizzò che stava facendo la guardia a qualcosa ai suoi piedi. Porthos fece un verso soffocato dal retro della gola quando vide che vicino agli zoccoli di Isabella non c’era qualcosa, ma qualcuno. E questo qualcuno era Aramis.

“Aramis!” Si soffocò Porthos mentre fece correndo gli ultimi passi verso suo fratello. Isabella grugnì sorpresa, ma quando riconobbe l’uomo si calmò. Porthos scivolò per fermarsi in ginocchio accanto ad Aramis. Guardò attentamente suo fratello che era mortalmente pallido e non stava nemmeno tremando; persino Porthos sapeva che questo era un male. Aramis aveva del sangue secco al lato del viso e uno straccio gli circondava la testa.

Porthos alzò una mano tremante e esitò, aveva paura di toccare il suo amico e trovare che fosse senza dubbio morto nell’attacco. Chiuse di scatto gli occhi e prese un profondo respiro; li riaprì per scoprire che le lacrime pungevano per uscire. Isabella nitrì e colpì la sua mano.

Porthos le rivolse un piccolo sorriso e mormorò, “Va tutto bene piccola.” E poi abbassò la sua mano libera dal guanto sul collo di Aramis. Sussultò sentendo la pelle fredda sotto le dita e premette un poco, fermandosi sentì il lento ma regolare battito del cuore: “Aramis?” Sussurrò, si piegò più vicino e mise la testa vicino alla bocca dell’altro Moschettiere e sorrise per il sollievo al suono del respiro dell’amico. “Sei vivo. Sei vivo.” Porthos sussurrò per la sorpresa mentre alzava la testa, fece scorrere una mano tra i capelli di Aramis e con l’altra gli strinse gentilmente la spalla.

“Athos!” Urlò Porthos, ma non distolse lo sguardo da Aramis, “Athos! È vivo! È vivo!”

Athos arrivò correndo, si fermò con una scivolata e con gli occhi spalancati disse: “Come?”

“Ha importanza?” Rispose Porthos alzando lo sguardo su Athos che scosse la testa e fissò Aramis sorpreso.

In quel momento questi iniziò a svegliarsi e i suoi occhi si aprirono tremolando, Porthos si sporse più vicino e gli sorrise, i suoi occhi luccicavano. Gli occhi di Aramis si spalancarono e guizzarono tutt’intorno prima di fissarsi su Porthos.

Questi gli strinse una mano “Siamo qui Aramis, siamo qui.” A queste parole l’altro Moschettiere si rilassò e alzò lo sguardo su suo fratello.

Pochi minuti dopo Aramis era seduto appoggiato contro un albero con il mantello dell’amico avvolto stretto attorno a lui. Porthos era seduto accanto ad lui e lo aveva circondato con le sue braccia tentando di riportare un po’ di calore in Aramis.

Athos finì di controllare i Moschettieri caduti e, guardando Aramis, si accovacciò per essere alla stessa altezza dei suoi occhi, “Non voglio chiedertelo Aramis. Ma devo farlo, dov’è Marsac?”

Porthos abbassò lo sguardo sul viso di suo fratello che era premuto contro la sua spalla; Aramis non disse nulla ma i suoi occhi guizzarono su un’uniforme da Moschettiere abbandonata. Athos si alzò e recuperò l’uniforme capendo perché non aveva trovato Marsac tra i cadaveri.

Anche Porthos capì e imprecò: “Ha disertato?!”

Aramis trasalì e Porthos si affrettò a confortarlo. Fu allora che decisero che Porthos avrebbe riportato Aramis a Parigi con Isabella e Athos sarebbe rimasto con i loro fratelli caduti e avrebbe aspettato i carri.
In breve tempo Aramis fu legato su Isabella seduto davanti a Porthos, si appoggiò al petto dell’amico e alzò lo sguardo al cielo per evitare di guardare le conseguenze del massacro. Porthos annuì ad Athos e iniziò a trottare via e una volta che il luogo dell’attacco fu lontano dalla vista fece rallentare Isabella per assicurarsi che Aramis non scivolasse dalla groppa del cavallo.
 


Era passata una settimana da quando Porthos era tornato con l’amico a Parigi e Aramis non aveva ancora detto una parola. Comunicava con Porthos attraverso lo sguardo e basta. Le uniche volte che Porthos sentiva la sua voce era quando gridava mentre soffriva per gli incubi del massacro. Porthos rimaneva seduto contro la testiera del letto di Aramis e tentava di confortare il suo amico facendogli riprendere sonno rassicurandolo che era tutto finito, che era salvo. Aramis passava i giorni seduto su una sedia vicino al caminetto con lo sguardo perso tra le fiamme ed evitava di guardare Porthos per quanto poteva.
Un giorno Treville era arrivato e aveva tentato di far parlare Aramis, ma dopo due ore il Capitano aveva ammesso la sua sconfitta. Mentre Treville usciva Porthos seppe di aver visto delle lacrime negli occhi dell’uomo più vecchio, sapeva che doveva essere difficile per lui. Aramis e Treville avevano uno stretto legame che si era formato quando il Capitano aveva dato ad Aramis la volontà di vivere ancora una volta quando si era unito ai Moschettieri. Porthos pensò che il suo silenzio riportava alla memoria di Treville i brutti ricordi del periodo oscuro nella vita di Aramis.

Porthos iniziò anche ad odiare Marsac. Sapeva come chiunque altro che aveva disertato, ma questo non era ciò che fece sì che Porthos lo odiasse, non poteva incolpare Marsac dopo la testimonianza delle conseguenze del massacro. Ciò per cui odiava quel disertore era il fatto che loro avevano capito che era stato lui ad inviare il messaggio a Treville, ma non aveva portato Aramis al villaggio in cerca di aiuto. Lo aveva lasciato nella foresta coperta di neve, ferito e a morire lentamente per il freddo. Questo era qualcosa che Porthos non gli avrebbe mai perdonato.

Venne il giorno del funerale dei Moschettieri caduti, e Porthos aveva dei dubbi se Aramis avesse dovuto andare. Ma il giorno del funerale Aramis si alzò tremando dalla sedia e in silenzio camminò fuori dalla porta dei suoi alloggi con Porthos che lo seguiva rispettosamente.

Alla vista di Susanne, la moglie di Francis, ora vedova, e della figlia Elisabeth, Aramis si paralizzò e poi si allontanò da loro a testa bassa. Una volta che il funerale fu finito, sembrava che Aramis fosse uscito dallo stato di shock, camminò verso Susanne e con voce rauca per il non uso, le promise di aiutarla in tutto ciò di cui aveva bisogno.

Susanne ringraziò Aramis e gli baciò la guancia prima di stringere Elisabeth a sé e allontanarsi dalle venti tombe. Allora Aramis si volse verso le fosse e presto rimasero solo lui e Porthos nel piccolo cimitero. Porthos andò verso di lui e gli si mise accanto, guardando attentamente il suo amico.

Aramis continuò a fissare le tombe e mormorò con voce rauca: “Avrei dovuto essere sepolto qui con loro.”
Porthos scosse la testa disperatamente, “Non dirlo neanche.”

Aramis fece scattare lo sguardo in alto per fissarlo e con una voce debole, ma ferma, con sdegno disse: “Perché no? È la verità.”

Poi Aramis si volse e marciò via non guardandosi indietro, lasciandosi un Porthos con gli occhi spalancati dietro. Porthos guardò le tombe rabbrividendo e poi seguì Aramis; sapeva che non sarebbe stato il benvenuto agli alloggi dell’amico, così fece ritorno ai suoi che guarda caso erano sulla stessa strada di quelli di Aramis. Almeno sarebbe stato vicino se suo fratello avesse avuto bisogno di lui.

Note della traduttrice:
Con un ritardo di una settimana vi chiedo come sempre di perdonare errori grammaticali e ripetizioni. Vi lascio augurandovi buona lettura e una buona Pasqua a tutti!!


Nota della traduttrice:
Ci sarà un altro capitolo sul periodo successivo al massacro di Savoia.

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Capitolo 7
*** 7. Still Looking for Life - 1625 ***


From Strangers to Brothers

Nota dell'autrice:
Questo capitolo parla dello scompiglio di emozioni di Aramis dopo il massacro di Savoia. Il titolo del capitolo è stato preso dalla canzone Broken dei Lifehouse poiché penso che calzi a pennello con quello che penso che Aramis stia attraversando. Le canzoni che ho ascoltato per entrare nell’umore per il capitolo sono: Broken (Lifehouse), Everything (Lifehouse), Your Guardian Angel The Red Jumpsuit Apparatus), Slipped Away (Avril Lavigne) e Remember When (Avril Lavigne).
Questo è una altro capitolo con multiple Pov.

 

Era passato quasi un mese dal massacro di Savoia e la città di Parigi aveva proseguito la sua vita come al solito, come se nulla fosse successo. Aramis era seduto sul davanzale della finestra, appoggiato contro il muro e con la fronte premuta contro il vetro freddo. La mezzanotte era passata da un po’, sapeva che avrebbe dovuto essere sdraiato a letto a dormire. O almeno provarci. Ma le tre settimane passate a girarsi e rigirarsi senza sonno lo avevano fatto desistere dal farlo. Tutte le volte che chiudeva gli occhi per riposare, tornava in quella dannata foresta a Savoia. Quando Porthos restava con lui, tentava di addormentarsi per amore del suo amico, ma non era lì ora e lui poteva dichiararsi sconfitto: non doveva sognare di essere in quella foresta ancora una volta.

Girò la testa così da vedere le stelle e così da poter quasi credere che tutto fosse in pace. Ma non lo era. Poteva esserlo per la gente di Parigi, ma non per lui. Era continuamente torturato dai ricordi del massacro. Tutto gli rammentava cosa era successo, tutto lo rimandava alla foresta circondato dai cadaveri dei suoi amici. Il clangore degli zoccoli gli ricordava i cavalli che scappavano, il grugnito di qualcuno che lavorava i versi che i Moschettieri facevano mentre combattevano per le loro vite, il suono dei moschetti gli ricordava del numero troppo basso di colpi che aveva sparato e lo scontro del metallo il pericoloso luccichio negli occhi degli uomini mascherati mentre combattevano per uccidere i Moschettieri. I suoni di Parigi che una volta lo avevano confortato, ora gli procuravano solo dolore e tristezza.

Dal funerale di massa aveva iniziato a far visita spesso a Susanne e Elisabeth, come aveva promesso le avrebbe aiutate come poteva. Tutte le volte che le guardava sentiva l’ingiustizia di tutto questo: come poteva lui, che non aveva moglie e figli a cui badare, sopravvivere? E perché Francis, che aveva iniziato a metter su famiglia, morire? Non era giusto e non era corretto. Susanne era una brava persona, non gli aveva chiesto una sola volta cosa era accaduto e, guardando nei suoi occhi, Aramis poteva vedere che lei non lo incolpava di essere il solo superstite. Aramis aveva preso l’abitudine di evitare Porthos, Athos e il resto dei Moschettieri in generale. Quando li osservava, tutto ciò che poteva vedere era compassione, pietà e domande nei loro occhi. Ma quando guardava Susanne vedeva tristezza, ma oltre tutto ciò comprensione. Mentre lui trovava più facile sedersi e parlare con la giovane donna, il resto del Reggimento pensava che avesse una relazione con lei. Li aveva derisi al pensiero che per quella volta avevano sbagliato. Anche se avesse amato Susanne a quel modo, non avrebbe mai iniziato una relazione con lei o sposata per la paura di renderla di nuovo vedova di soldato.

Il freddo della finestra iniziò lentamente a penetrare nella pelle e rabbrividì, ma rimase nella stessa posizione con gli occhi fissi sulle stelle. Ma il cielo notturno si affievolì per essere sostituito dall’accampamento nella foresta e dal massacro. Guardò ancora e ancora mentre i suoi amici morivano tutt’attorno a lui. Raoul che innumerevoli volte aveva tentato di essere al livello di bevute di Athos e aveva fallito miseramente ogni volta, Alexandre che lo aveva aiutato con la cura delle ferite e che aveva innegabilmente salvato la sua vita l’anno precedente dopo che era stato ferito alla gamba. Gilbert che lo aveva supplicato di insegnargli come sparare con il moschetto con più precisione, aveva iniziato a fare progressi quando la sua vita era stata crudelmente abbreviata, e Francis. Aramis strinse le mani così forte che le unghie iniziarono a tagliargli i palmi lasciando piccole mezzelune rosse. Allontanò la mente dai suoi pensieri quando sentì il familiare rumore delle persiane che segnalava l’arrivo del mattino.

Sospirando distese il suo corpo rigido, lentamente iniziò ad alzarsi in piedi e si stirò. Camminò verso la bacinella vicina e si schizzò un po’ d’acqua sulla faccia per svegliarsi. Solo perché aveva smesso di addormentarsi, non voleva dire che non era stanco e che non bramava la deliziosa incoscienza che solo il sonno portava.

Si trascinò verso il tavolo dove c’era una pagnotta e ne tagliò un pezzo; riuscì a mangiarne un morso prima che la familiare sensazione di nausea gli fece rimettere la fetta sul tavolo. Durante le passate tre settimane tutte le volte che tentava di mangiare qualcosa, non riusciva a mandare giù più di due morsi prima di fermarsi, temendo di vomitarlo.

Sospirò ancora, si infilò la casacca di pelle e si strinse la fascia e la cintura attorno ai fianchi. Per ultimo prese il cappello e se lo mise con decisione, lo abbassò un poco così da coprirsi gli occhi e i cerchi scuri che iniziavano a diventare dei segni permanenti sul suo viso.

Aramis prese un respiro profondo, raddrizzò la schiena e poi uscì dal portone, lo chiuse e iniziò a percorrere le ora animate strade di Parigi. Di solito aspettava sulla soglia che Porthos percorresse le poche case tra i loro alloggi. Ma nelle ultime tre settimane Aramis usciva un po’ prima e non lo aspettava. La proprietaria della casa dove alloggiava, Madam Joanna Leroy, una donna sui quarantacinque anni e una vedova di soldato anch’ella, era preoccupata per lui, essendo stata sposata con un militare sapeva cosa lo teneva sveglio la notte. Non aveva figli suoi e spesso trattava Aramis come il figlio che lei e il marito non avevano mai avuto, così durante quelle tre settimane continuamente veniva a parlare con lui e gli portava la cena di cui Aramis mangiava soli due bocconi. Una cosa che temeva era Joanna che aspettava Porthos e gli raccontava della mancanza di appetito di Aramis. Tremava al solo pensiero della reazione dell’amico alla scoperta della sua mancanza di fame e di sonno.

 
 
Porthos lasciò il suo alloggio prima di quando avrebbe fatto di solito, Aramis l’aveva sempre aspettato, ma tutto era cambiato tre settimane fa. Ora l’altro Moschettiere si dava la pena di evitare contatti con chiunque, teneva la testa bassa con il cappello a coprirgli gli occhi. Porthos odiava vedere il suo amico in quelle condizioni, ma non sapeva cosa fare. Il giorno dopo il funerale e dopo che Aramis se n’era andato, aveva bussato alla sua porta, ma non aveva ricevuto alcuna risposta nonostante sapesse che l’amico era dentro.

Così oggi aveva deciso di uscire prima e aspettare vicino alla porta di Aramis per dare un’occhiata al suo amico. Poco dopo arrivò fuori dai suoi alloggi e aspettò. Non dovette attendere molto, Aramis uscì dalla porta e Porthos trattenne il respiro turbato: il suo amico era pallido, non come quando l’aveva trovato sdraiato nella neve ma ci andava vicino, aveva cerchi neri sotto gli occhi e sembrava più magro. Guardò mentre chiudeva la porta e mentre spingeva il suo cappello ancora più in basso per coprire i suoi occhi da sguardi indiscreti. Porthos lo fissò con tristezza mentre Aramis imboccava la strada, e poi lo seguì a distanza.

Quando raggiunsero la guarnigione, Aramis si girò immediatamente e camminò verso il luogo dove venivano tenuti i cavalli. Ora tutti i giorni, prima che Treville ordinava loro di mettersi in formazione, Aramis spendeva il suo tempo seduto sul pavimento coperto di paglia ai piedi di Bella. Una volta Porthos aveva tentato di parlargli, ma il suo amico lo aveva semplicemente ignorato senza dire una parola, non gli parlava più né lo guardava negli occhi. In realtà era lo stesso con tutti i Moschettieri. Non importava quanto duramente provavano, nessuno riusciva a far uscire una sola parola dalla bocca del loro amico, persino Treville ci aveva provato e non aveva avuto successo. Era come se l’Aramis che tutti conoscevano e amato fosse morto nel massacro.

Sospirando Porthos andò a sedersi accanto ad Athos al tavolo posto nel cortile, all’occhiata interrogativa dell’altro rispose solo scuotendo la testa. Athos emise un sospiro e tornò a pulire la sua spada. Porthos guardò i Moschettieri che si riunivano lentamente e fissò Tristan.

Oltre ad Aramis, anche Tristan non aveva accettato facilmente il massacro di Savoia. Era il miglior amico di Raoul e Gilbert, erano diventati soldati insieme e alla fine erano diventati Moschettieri. Non erano mai stati divisi prima dell’esercitazione e ora Tristan aveva perso i suoi amici e fratelli. Proprio come Aramis, il giovane soldato era diventato più silenzioso e non parlava molto. Ma diversamente da suo fratello, il giovane soldato non aveva evitato il resto dei Moschettieri, al contrario si tratteneva con loro il più a lungo possibile, disperato per quella stessa amicizia che aveva con Raoul e Gilbert. Ma quando in pattuglia Tristan correva dei rischi che potevano ucciderlo, tutti sapevano che non gli importava più a lungo di continuare a vivere o morire: si arrabbiava facilmente e innumerevoli volte aveva quasi preso parte a dei duelli, che nel suo attuale stato mentale lo avrebbero portato ad una sconfitta, ma per fortuna i Moschettieri erano sempre intervenuti e lo avevano riportato alla guarnigione per farlo calmare. Fino alla pattuglia successiva. Vedendo come Tristan faceva i conti con la perdita dei suoi amici, quando Porthos lo guardava vedeva cosa sarebbe diventato se Aramis fosse stato ucciso.

Philippe che era buon amico di Alexandre, un altro che era stato perso tra le loro fila, aveva preso Tristan sotto la sua ala e lentamente stava aiutando il giovane Moschettiere a riprendersi dal suo attuale stato. Philippe stava lentamente ottenendo progressi, Porthos sapeva che con il tempo Tristan sarebbe tornato in sé. Ma lo stesso non poteva essere detto di Aramis.

Prima che Porthos potesse pensare di più sulla questione sul suo amico, Treville apparì e tutti si misero in formazione. Di solito Porthos, Aramis e Athos stavano in prima fila, ma Aramis aveva iniziato a stare dietro a pochi passi dai Moschettieri allineati in fondo. Porthos si voltò e guardò mentre suo fratello trascinava i piedi fuori dalla stalla fino al cortile, tutto questo con la testa bassa.

Non rimasero in piedi nel cortile a lungo; Treville diede loro solo informazioni circa un gruppo di ladri a cui avrebbero dovuto fare attenzione, disse chi doveva fare le pattuglie e dove dovevano essere fatte. Saggiamente mise Philippe e Tristan insieme dopo aver visto l’effetto calmante che il primo aveva sul giovane uomo. Subito dopo che furono lasciati liberi e gli fu detto di andare alle loro mansioni, Aramis scomparve velocemente nelle stalle e Porthos sospirò non sapendo cosa fare.
 


Treville risalì il ballatoio e guardò un poco i suoi uomini. Fu grato di vedere che Tristan stava meglio sotto la guida di Philippe; non voleva vedere il talento del giovane sprecato.

Ma poi i suoi occhi caddero su Aramis che si stava velocemente ritirando e chinò la testa, le cose con lui erano peggiori rispetto a quando si era unito ai Moschettieri per la prima volta. Tutti avevano perso amici e membri della famiglia e così tutti sapevano cosa dirgli per aiutarlo attraverso il suo dolore, ma nessuno nel Reggimento era stato l’unico sopravvissuto di un massacro; nessuno sapeva cosa dire per aiutarlo. Così Aramis aveva finito per soffrire in silenzio.

Le lacrime iniziarono a riempirgli gli occhi ancora, si voltò e andò nel suo ufficio con un pensiero fisso in mente. Perché ho mandato Aramis? Sapevo cosa sarebbe successo, perché l’ho mandato consapevolmente ad affrontarlo? Conosceva la risposta. Perché l’esercitazione apparisse reale e con Erneste in un’altra missione con la maggioranza dei Moschettieri più anziani, i soli che potevano andare a comandare la spedizione erano Marsac e Aramis.

Aveva sperato e pregato per il ritorno di Francis e Aramis salvi, solo il secondo era tornato, ma non era più lui. Ora Treville sperava e pregava con tutto il cuore che Aramis tornasse davvero da loro. Sapeva che se ci avrebbe messo troppo, il giovane Moschettiere sarebbe stato perso per sempre, e questo era qualcosa che non avrebbe mai voluto affrontare.
 


Aramis era rannicchiato in fondo alla stalla di Bella con la testa appoggiata alle ginocchia e le mani che stringevano i capelli. In quel momento sapeva di essere esausto perché quella mattina ovunque guardasse vedeva qualcuno che era stato ucciso a Savoia.

Alcuni erano peggio di altri, ma tra i peggiori c’era Alexandre appoggiato contro l’entrata della guarnigione con una linea di sangue che gli macchiava il collo: aveva portato una mano alla gola come per tentare di fermare il flusso di sangue e con l’altra cercava di afferrare Aramis; una volta che fu abbastanza vicino per aiutarlo, Alexandre improvvisamente si lasciò cadere sul pavimento, senza forze e lo guardò con occhi ciechi. Il secondo era stato Raoul: sorrise ad Aramis con la spada alzata in segno di vittoria, ma quell’espressione fu presto spazzata via quando Gilbert apparve sdraiato ai suoi piedi rantolando in cerca di aria con il sangue proveniente dal collo che si allargava attorno alla testa e che scivolava giù dalle labbra. Raoul gridò per il dolore e sollevò Gilbert in piedi e gli promise di salvarlo, ma un moschetto sparò e Raoul collassò al suolo immobile. Gilbert gridò per la perdita del suo amico e prese a ripetere che gli dispiaceva prima che i suoi occhi si chiudessero per non riaprirsi mai più. Poi ci fu Francis sdraiato di fronte a lui che gli implorava di salvarlo, di permetterli di vedere un’ultima volta sua moglie e sua figlia.

A questo punto Aramis stava tentando di trattenere il pianto, non riusciva a capire perché era lui l’unico a sopravvivere. E si sentiva prosciugato tutte le volte che vedeva uno dei suoi amici morti. Bella strofinò il muso tra i suoi capelli e lui alzò lo sguardo su di lei, guardando nei suoi occhi avrebbe giurato di poter vedere che gli diceva di alzarsi e fare qualcosa per distogliere la mente dal massacro e stancarsi abbastanza così da riuscire ad addormentarsi.

Così portò la sua sella su un banco da lavoro e iniziò ad aggiustare le fibbie vedendo che presto o tardi avrebbero potuto cedere mentre cavalcava. Iniziò a ripararle con ritmo regolare, una era particolarmente dura così prese il martello e iniziò a colpirla. Il continuo ritmo dell’arnese che colpiva il metallo riportò la sua mente al massacro. La sua mente fu presto riportata al presente quando si colpì la mano sinistra.

“Argh!” Lasciò cadere il martello e si portò la mano sinistra al petto.

“Va tutto bene?” Chiese una voce dietro di lui e Aramis raggelò: era Porthos, “Aramis?”

“Sto bene.” Disse, ma non lo era: sembrava che la mano gli stesse andando a fuoco, ma sapeva che se lo avesse ammesso allora avrebbe dovuto affrontare un Porthos preoccupato.

“A me non sembra.” Commentò Porthos,

“Bene io non te lo chiesto, l’ho forse fatto?” Scattò Aramis, ancora con la schiena rivolta al suo amico. Poi tornò a grandi passi alla stalla che era diventata il suo porto sicuro dal massacro. Non si guardò una sola volta alle spalle.

 
 
Porthos era rimasto in piedi a guardare mentre Aramis si allontanava, stava per tornare al cortile ma si fermò. Ora basta, aveva bisogno di parlare con Aramis, doveva farlo ora. Così deliberatamente marciò dietro di lui e trovò il suo amico seduto ai piedi di Bella che si cullava ancora la mano sinistra al petto.

Aramis intravide i suoi piedi e tentò di allontanarsi, ma Porthos afferrò la sua spalla e con forza lo fece voltare per affrontarlo. Si abbassò e gli spinse indietro il cappello. Spalancò gli occhi alla vista dell’amico, il pallore del viso e le occhiaie scure erano ancora visibili, ma guardando più da vicino Porthos poteva vedere che gli occhi di Aramis erano bordati di rosso per le lacrime che aveva tentato di trattenere.

“Aramis.” Sussurrò Porthos scioccato, la sua mano ancora appoggiata sulla spalla dell’altro.

“Non farlo.” Disse Aramis mentre voltava la testa “Non fare nulla.”

“Permettermi di vedere le condizioni della tua mano.” Disse Porthos.

Aramis strinse di più la mano ferita, “Ti ho detto che è tutto a posto.”

“Non te lo stavo chiedendo. Ora mostrami quella mano!” Ordinò Porthos.
Aramis alzò di scatto la testa turbato con gli occhi spalancati; Porthos colse l’opportunità per avvicinare gentilmente a sé la mano ferita. Sibilò per la compassione, il dorso della mano stava già diventando livido e il palmo stava sanguinando dove la fibbia lo aveva tagliato. Ma toccandola, capì che non c’erano ossa rotte.

“Forza, ti riporto a casa.” Commentò Porthos mentre si alzava in piedi e tirava l’amico con sé.

“Ma-“

“Non discutere con me Aramis. Lo vedo che sei esausto e non sei utile a nessuno in questo stato.” Lo interruppe Porthos. Sospirò tristemente quando non ci furono ulteriori litigi, di solito Aramis avrebbe discusso di rimando, e questo poteva durare ore. Ma l’altro annuì solo docilmente e abbassò di nuovo il cappello sopra gli occhi, come se volesse bloccare il mondo fuori.

Poco dopo arrivarono agli alloggi di Aramis e Porthos lo spinse su una sedia, poi ne prese un'altra così da essere seduto accanto all’amico. Pulì il taglio sul palmo e gli bendò la mano, accese poi un fuoco nel caminetto, trovò il pane e ne portò due fette ad Aramis.

Questi scosse la testa “Non ho fame.”

Porthos si accigliò “Devi mangiare qualcosa.”

“Non posso.” Sussurrò l’altro.

“Perché no?” Gli fece pressione
Porthos mentre gli porgeva il pane.

Aramis volse la testa lontano dal cibo e scattò “Perché non ho fame!”

Porthos allora si raddrizzò sulla sedia, si sporse più vicino all’amico e ringhiò “Così non hai dormito né mangiato?”

“Sostanzialmente.”

Porthos scattò in piedi e sovrastò l’altro Moschettiere che lo guardava truce. “Questa è incoscienza, Aramis!  Come hai potuto andare avanti così per tre settimane?!”

Aramis si alzò a sua volta in piedi e lo guardò duramente “Non ho pianificato di farlo succedere!”

“Vero, ma hai permesso che accadesse comunque.” Lo derise Porthos.

Aramis entrò nel suo spazio personale e lo guardò minacciosamente “Prova a sopravvivere ad un massacro di venti Moschettieri e vedi se non hai alcuna mancanza di appetito o se riesci a dormire una notte intera senza rivivere quella strage notte dopo notte!” Aramis allora volse bruscamente le spalle a Porthos, raggiunse a grandi passi la finestra e poi si girò per affrontarlo di nuovo “Sai perché passo così tanto tempo con Bella e Susanne? Perché negli occhi dei Moschettieri, persino nei tuoi!, vedo solo compassione e pietà insieme al desiderio di farmi domande su ciò che è accaduto. O per aiutarmi a guarire o per capire cosa è successo! Ma Bella e Susanne non lo fanno! No, nei loro occhi vedo solo comprensione! È più facile passare il giorno con loro perché non devo pensare a cosa è accaduto! Non devo ricordare!

“Aramis-“ Iniziò Porthos, ma Aramis continuò come se non lo avesse sentito.

“Per rendere le cose peggiori, persino di giorno sono perseguitato da questo! Ogni suono, ogni immagine riportano tutto alla memoria!” Gridò “Non riesco a dormire! Non riesco a mangiare! Sono arrivato al punto di vederli in strada coperti di sangue! Sto diventando pazzo!” Aramis rise aspramente mentre si portava le mani tra i capelli.

Porthos rimase in piedi in silenzio, scosso, e poi si mosse in avanti e mise le mani sulle spalle di Aramis, le strinse con forza, ma gentilmente, “Tu. Non. Stai impazzendo.” Disse a denti stretti.

“Come altro spieghi ciò che mi sta accadendo?” Sibilò Aramis, lo spirito combattivo sembrò colare fuori da lui, le ginocchia cedettero e si ritrovò seduto sul davanzale, crollando nella stretta di
Porthos “Avresti dovuto lasciarmi morire in quella foresta.” Sussurrò.

Porthos scosse con forza le spalle di Aramis, “Non dire mai più una cosa del genere!”

L’altro lo fissò con occhi ciechi, “Ho così freddo Porthos. Puoi anche avermi fisicamente portato via da quella foresta, ma sono ancora là. Non posso fuggire.” Mormorò con voce rotta.

Porthos si accovacciò così da essere allo stesso livello degli occhi dell’altro, “Sei fuori di lì Aramis.”

Aramis scosse la testa “È come se stessi cadendo, sto aspettando di colpire il suolo, ma il tempo lo sta prolungando. Perché? Voglio solo che finisca!”

“Sei caduto Aramis, e ti ho preso. Non devi aspettare oltre, è finita. Sei al sicuro.” Sottolineò Porthos, poi attirò a sé Aramis e lo abbracciò, “Non sarai mai solo; sarò sempre al tuo fianco.”

 
 
Più tardi quella stessa notte Aramis era ancora seduto sul davanzale guardando le stelle; Porthos aveva tentato di restare sveglio per assicurarsi che dormisse senza incubi, ma alla fine si era addormentato. Aramis aveva solo dovuto far finta di dormire e aspettare finchè anche l’altro lo facesse. Aveva poi portato avanti il suo rituale notturno di stare seduto sul davanzale aspettando che il sole sorgesse. Si spaventò quando una mano si appoggiò sulla sua spalla.

“Sta calmo, sono solo io.” Disse Porthos mentre si mosse così da essere appoggiato al muro opposto rispetto ad Aramis. Lo guardò rilassarsi così da essere appoggiato liberamente al muro con la testa inclinata verso l’alto per poter guardare il cielo e con le mani che avvolgevano le ginocchia. “Non dovresti dormire?”

“Non posso.” Replicò Aramis.

Porthos allora si sedette sul bordo del davanzale e lo guardò direttamente,

“Hai bisogno di lasciarlo andare Aramis.”

“Non posso.” Sussurrò Aramis con voce rotta “Tutte le volte che ci provo è sempre lì.”

Devi Aramis, ti sta divorando vivo. Non posso perderti, sei mio fratello, la mia unica famiglia.” Disse Porthos dolcemente.

“Non mi hai perso.” Mormorò Aramis mentre girava la testa per guardarlo, “Sono ancora qui.”

“No, non lo sei.” Replicò Porthos scuotendo la testa “Sei cambiato Aramis, e non in meglio. Devi lasciarlo andare prima di iniziare a guarire. Ci vorrà tempo, ma devi farlo.”

Come? Io lo voglio. Ma non so come.” Mormorò Aramis con la stessa voce rotta e sconfitta, alzò le mani per coprirsi il volto.

Porthos vide l’attimo in cui gli occhi dell’amico si fissarono sulla benda, come fu rispedito in quella foresta. Così si avvicinò e gli scosse gentilmente la spalla.

Gli occhi di Aramis si focalizzarono su di lui e con voce tesa disse “Ho provato ad aiutarli, ma gli assalitori erano ovunque. E poi sono stato colpito alla testa. Non ho potuto salvarli e ora sono tutti morti.”

“Non è colpa tua.” Affermò Porthos,

Il viso di Aramis assunse un’espressione addolorata e finalmente iniziò a lasciare andare il massacro. Porthos lo strinse in uno stretto abbraccio e lasciò piangere il suo amico. Sapeva che Aramis lo stava tenendo dentro sin dal giorno della strage. E sapeva che ora la guarigione poteva iniziare. Dopo un po’ quando le lacrime si tramutarono in singhiozzi, Porthos lo fece alzare e lo fece sdraiare sul letto. Si stese accanto a lui quando l’amico si rifiutò di lasciarlo andare, le dita di Aramis strette dove sentiva la pulsazione e lasciò che il suo polso restasse tra le sue dita sapendo che avrebbe confortato il suo amico.

Mentre gli occhi di Aramis iniziarono a chiudersi Porthos sussurrò “Sei salvo Aramis. Sei salvo.”

Il giorno dopo Porthos si svegliò per trovare Aramis in un sonno profondo, uscì e chiese a Joanna di sedersi con l’altro Moschettiere (cosa che fece di buon grado) mentre andava da Treville. Senza molte persuasioni riuscì ad avere un po’ di licenza per lui e il suo amico, era tempo che Aramis visitasse i suoi parenti. Lo disse a Treville e il loro Capitano diede loro quattro settimane di licenza per permettergli di andare a casa di Aramis e passare lì tempo sufficiente.

Tornò agli alloggi dell’amico per sentirsi dire da Joanna che Aramis non si era ancora svegliato. Così Porthos riprese il suo posto a sedere e due ore dopo l’altro iniziò a svegliarsi.

Aramis alzò lo sguardo sull’ampio sorriso di Porthos e aggrottò la fronte confuso “Perché sei così felice questa mattina?”

“Perché io ho parlato con Treville e ho ottenuto quattro settimane di licenza per noi. Partiamo tra tre giorni e andiamo a fare visita ai tuoi genitori.”

Aramis lo guardò a bocca aperta “Torno a casa?”

Porthos annuì e sul viso di Aramis comparve un ampio sorriso che era mancato sin da Savoia. E a questo punto Porthos seppe con certezza che alla fine sarebbe andato tutto bene.

Nota dell'autrice
Il prossimo capitolo riguarderà la visita dei due Moschettieri ai genitori di Aramis.

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Capitolo 8
*** 8. Home At Last - 1625 ***


From Strangers to Brothers
 
Note dell'autrice: Scusate per il mancato aggiornamento ma la vita universitaria la settimana scorsa è diventata un po' frenetica! In questo capitolo introduco la famiglia di Aramis, non sono sicura di cosa in genere sapete/pensate della sua famiglia così dopo tutta l'angoscia che gli ho fatto passare ho pensato di dargli una grande famiglia felice. Mi spiace se qualcuno non è d'accordo ma penso che avrebbe funzionato.
 
Porthos e Aramis erano al secondo giorno dei quattro per arrivare al villaggio del Moschettiere. Avevano dovuto aspettare tre giorni prima di poter partire e così Porthos aveva prima inviato un messaggio ai genitori dell’amico per avvertirli che il loro figlio stava arrivando per una visita. Se da una parte non li aveva avvisati su cosa era accaduto a Savoia, dall’altra aveva detto che qualcosa era successo e che il loro figlio aveva solo bisogno di un po’ di tempo lontano da Parigi per guarire. Aramis aveva sorriso quando l’amico gli aveva detto che poteva tornare a casa, ma ora non lo faceva più. Porthos aveva iniziato a lanciare sguardi preoccupati ad Aramis che si era teso non appena avevano varcato i cancelli della città. Sebbene l’amico non avesse detto nulla, Porthos sapeva che stava ripensando all’ultima volta che aveva lasciato Parigi, quel viaggio finito con venti Moschettieri morti.

Athos aveva studiato una mappa con Porthos per decidere il percorso più veloce per arrivare alla casa di Aramis ed era contento di portare il suo amico al villaggio da cui era stato lontano per tre anni. Ma ora si stavano avvicinando al margine di una foresta: Porthos non ci aveva fatto caso finchè Aramis non aveva trattenuto il respiro e la sua stretta sulle redini si era rafforzata. E allora aveva capito: si rimproverò per essere stato così stupido. Il massacro era avvenuto in una foresta, come poteva pensare di poter farne attraversare ad Aramis un’altra solo un mese dopo?

Porthos lo guardò: vide il suo amico seduto rigido sulla sella che fissava la foresta davanti a loro con occhi sgranati pieni di terrore.

“Possiamo aggirarla.” Suggerì Porthos, odiava di aver fatto comparire quell’espressione di puro orrore sul viso di suo fratello.

Aramis continuò a fissare la foresta incombente, si riscosse e, ancora guardando la selva, rispose “No. Il percorso più veloce è attraverso di essa.” E con voce più tranquilla mormorò, “Voglio solo tornare a casa”.

Porthos annuì, poteva capire il suo amico nel voler tornare a casa il più presto possibile. “Bene allora”.

Entrarono nella foresta e Aramis fece saettare gli occhi tutt’attorno, come se stesse cercando qualche pericolo. Il suo respiro di velocizzò e ogni colore sparì dal suo viso. Porthos era sul punto di suggerire di tornare indietro perché riusciva a vedere che l’essere nella foresta causava dolore all’altro Moschettiere, poteva vedere i ricordi inquietanti che di ripetevano negli occhi dell’amico: Aramis non era nella foresta a metà strada da casa sua, era tornato sul confine con Savoia.

“Aramis, fai voltare Bella. Troveremo un'altra strada.” Dichiarò Porthos mentre allungava la mano per fermare il cavallo dell’altro.

Aramis scosse bruscamente la testa.

“Aramis.” Sospirò Porthos, “Non c’è niente di sbagliato nell’ammettere che essere qui è angosciante per te. Non devi provare nulla. Ci gireremo intorno.”

“No. Non. Lo. Faremo.” Sputò fuori Aramis con forza.

Porthos aprì la bocca per replicare, ma un rametto si spezzò facendo volare uno stormo di uccelli nel cielo e il rumore spaventò Aramis. Allora spinse il suo cavallo al galoppo attraverso la foresta. Bella sembrò percepire l’angoscia del suo padrone e così galoppò veloce come se stava per essere inseguita da un fiume che scorreva rapido. Porthos restò a bocca aperta in silenzio per pochi momenti finchè riguadagnò la ragione e spinse il suo cavallo al galoppo dietro ad Aramis.

Quando Porthos emerse dalla foresta fece rallentare il suo destriero al passo per esaminare l’area così da poter trovare l’altro Moschettiere; non dovette cercare a lungo: Aramis era smontato appena fuori il ciglio della strada e con una mano si stava sostenendo contro un albero, finchè non si accovacciò e svuotò lo stomaco del suo contenuto.

Porthos smontò, legò le redini del suo cavallo e quello di Aramis ad un ramo e camminò a grandi passi verso di lui. Mise una mano sulla fronte dell’amico e l’altra sulla sua spalla; Aramis si alzò lentamente e si mosse così da appoggiare la schiena all’albero. Si pulì la bocca con una mano e posizionò la testa così da guardare il cielo mentre prendeva respiri profondi.

Aramis spostò lo sguardo su Porthos per pochi secondi prima di tornare a guardare il cielo e sospirò.

“So cosa stai per dire. Che avrei dovuto ascoltarti e aggirare la foresta. Ma volevo provare a me stesso che potevo farcela”. Scosse la testa e rise aspramente. “Non sono riuscito a fare nemmeno questo. Ho fallito”.

Non hai fallito.” Sottolineò Porthos mentre afferrava una delle spalle di Aramis.

Aramis scosse le spalle e mosse la testa così da guardare a terra, “Non importa quanto tenti. Non posso smettere di pensare a… Savoia… ed era come se fossi tornato indietro a combattere per la mia vita guardando gli altri cadere. Non importa quanto ho tentato, sono finito con lo scappare-“

“Non stavi scappando! Hai solo attraversato la foresta con un passo veloce.” Discusse Porthos, “Io non avrei nemmeno fatto questo se fossi stato nella tua posizione-“

“Vedi! Tu non avresti corso!” Lo interruppe Aramis mentre alzava una mano per togliere quella di Porthos e poi farla scorrere tra i capelli.

“Fammi finire.” Ringhiò Porthos. Aramis lo fissò con gli occhi spalancati per lo shock e poi tornò a guardare il terreno, la sua mano cadde accanto ai fianchi. Allora Porthos con tono rassicurante continuò, “Io non avrei galoppato attraverso la foresta perché io non ci sarei nemmeno entrato.”

Aramis alzò di nuovo lo sguardo su Porthos scioccato, “Ma-“

“Ascoltami molto attentamente Aramis.” Lo interruppe Porthos alzando una mano, “È passato un mese da Savoia.” Aramis sussultò e Porthos gli strinse la spalla per rassicurarlo. “Non puoi aspettarti che tutto rimanga uguale. Ci saranno cose che ti faranno sentire inquieto. Ma è il modo in cui hai insistito e sei entrato nella foresta, non solo il fatto che hai attraversato tutto il percorso!”

“Lo fai sembrare come se ho realizzato qualcosa di grandioso.” Commentò ironicamente Aramis.

“Cosa ho detto circa lo ascoltare?” Sospirò Porthos, “Ma si hai realizzato qualcosa di grandioso. Ci avrei messo mesi per entrare in una foresta dopo aver passato ciò che hai passato tu. E in futuro, mentre rimarranno i ricordi, troverai più facile attraversarne una. Ma non dubitare mai di te stesso Aramis, perché quando lo fai, inizi a ripensarci ed è quando le cose iniziano ad andare male. Me lo hai insegnato tu”.

“È carino sapere che ascolti davvero e che riesci a ricordare cosa ti viene detto. Come quando ti ho detto quest’ultima cosa quando ti sei unito per la prima volta ai Moschettieri”. Commentò Aramis con un piccolo sorriso.

“Io ascolto sempre! È solo che non seguo sempre i consigli”. Sogghignò Porthos.

Aramis roteò gli occhi, poi si spinse via dall’albero, prese le redini di Bella e poi montò in sella. Porthos sorrise, l’Aramis che conosceva prima di Savoia stava lentamente riaffiorando e questo tolse un peso dalla sua mente. Poteva vedere che il solo pensiero di casa era una forte fonte di motivazione per l’amico, e mentre un’altra persona sarebbe stata preoccupata che Aramis avrebbe scelto di stare con i suoi genitori e lasciare i Moschettieri, lui sapeva che entro una settimana sarebbe stato a Parigi, lo aveva detto lui stesso a Porthos, aveva scelto di seguire Victor nel Reggimento perché non voleva fare la vita di un semplice contadino.

 
 
Erano vicini alla casa di Aramis e fortunatamente non dovettero attraversare altre foreste o boschi. Erano a circa un miglio dal villaggio e il suo amico voltava la testa in ogni direzione guardando i luoghi familiari della sua infanzia. 
Passarono accanto ad un piccolo lago e Aramis lo indicò, “Mio padre mi insegnò a nuotare lì. E ci andavo spesso con i miei amici”.

Porthos guardò verso il piccolo lago e riuscì a vedere un giovane Aramis che giocava con i suoi amici. Poi all’improvviso il Moschettiere fece deviare Bella dalla strada e trottò verso un grande quercia, Porthos lo seguì con un’espressione confusa.

Aramis gli rivolse un piccolo sorriso, “Mi ci sono voluti mesi per essere in grado di arrampicarmi su questo albero. È una tradizione per i bambini di circa dodici anni quella di salire fin dove i rami si fanno più sottili”. Porthos alzò lo sguardo e si riparò gli occhi dai raggi del sole.

“Ti arrampicavi qui?!” Ansimò sorpreso, la quercia era enorme, era come se i suoi rami si stendevano per toccare il cielo.

Aramis annuì, “Ho perso il conto del numero delle volte che sono caduto da lì. Quando alla fine sono riuscito ad arrivare al punto dove tutti smettono di arrampicarsi ho realizzato che sono caduto dall’albero talmente tanto che non sapevo come scendere”.

Porthos grugnì divertito, era proprio da lui precipitarsi a capofitto in situazioni e non pensare decisamente a come ci sarebbe uscito. Aramis gli aveva detto che a lui piaceva improvvisare, in questo modo il suo piano di fuga avrebbe di sicuro funzionato. Porthos non fu sorpreso che tutto ciò era iniziato quando l’amico era così giovane.

“Non hai saltato vero?” Chiese Porthos, nonostante sapeva che Aramis era sceso sano e salvo dall’albero, in quanto era proprio di fronte a lui, non gli piaceva ancora l’idea del suo amico ferito, non importava se era una ferita del passato o del presente.

No.” Lo rimbeccò Aramis, ancora indossando quel piccolo sorriso che non era per niente vicino al suo usale. “Uno dei miei amici è corso al villaggio per chiamare mio padre. Papà è venuto, è rimasto in piedi alla base dell’albero e mi urlava come dovevo scendere. Poi una volta che sono arrivato giù sano e salvo mi ha aiutato a intagliare il mio nome nel tronco.”

Porthos si accigliò confuso, guardò più da vicino e vide centinaia di nomi intagliati nella corteccia, erano divise in diverse liste e a capo di ognuna di esse c’era un anno. Aramis indicò il suo nome che aveva sopra di esso il 1612.

“Ho detto che arrampicarsi sull’albero è una tradizione, un’altra parte di essa è che una volta che sei salito con successo sull’albero e sei tornato giù, incidi il tuo nome sul tronco. È anche una grande conquista essere il primo della lista dell’anno. Come lo fui io.” Sorrise Aramis.

Porthos roteò gli occhi; era tipico di Aramis essere orgoglioso di essere il primo a arrampicarsi con successo sulla quercia nel 1612. Aramis sapeva a cosa Porthos stava pensando così, ancora seduto in sella, si sporse e indicò il tronco.

“È una tradizione di famiglia essere il primo ad arrampicarsi sull’albero ogni anno, una tradizione iniziata da mio nonno”. Fece notare fintamente sulla difensiva.

Porthos alzò lo sguardo e sotto la lista capeggiata dal 1567 c’era Jacques d’Herblay.

Poi sorridendo Aramis continuò, “Anche se potrei scommettere che mi sono arrampicato più in alto di quando abbia fatto il nonno, questa quercia dovrebbe essere stato poco più che un alberello quando aveva 12 anni”.
Porthos rise e alzò lo sguardo sull’albero, sorrise quando Aramis indicò i membri della sua famiglia e vide che l’altro aveva ragione, la sua famiglia era sempre la prima.

“Come puoi notare il nonno lo ha fatto nel 1567, la nonna ha scelto di non partecipare a questa tradizione.” Sorrise Aramis,
“Mio padre nel 1587, suo fratello più vecchio Zio Edmond nel 1586, la sorella più giovane di mio padre Zia Evette nel 1589, i figli di Zio Edmond: Victor nel 1608, Eleanor nel 1609 e Nathanael nel 1611 e le figlie di mia zia Evette: Carlotte nel 1610 e Katriane nel 1613. E questo non include i figli delle mie cugine Charlotte e Katriane che sono ancora troppo giovani per arrampicarsi.”

Porthos fischiò, “È una grande famiglia.” La sua testa girava solo nel tentativo di stare al passo.

Aramis gli lanciò uno sguardo comprensivo, “Non preoccuparti non dovrai ricordarteli tutti”, allo sguardo curioso di Porthos, aggiunse, “Zia Evette vive in un villaggio lontano tre miglia, si è trasferita là quando si è sposata e così Charlotte e Katriane vivono anche loro là con le loro famiglie. I loro nomi sono riportati sull’albero solo perché volevano portare avanti la tradizione di famiglia”.

“Non c’è da stupirsi se sei così testardo, la tua intera famiglia lo è!” Esclamò Porthos.
“Non direi che sono testardo.” Non fu d’accordo Aramis, Porthos lo guardò con un sopracciglio alzato e disse, “Molto bene forse un pochino lo sono”.

“Un pochino dice lui.” Mormorò Porthos scuotendo la testa.

Con ancora uno sguardo all’albero i due voltarono i cavalli e continuarono a percorrere la strada, Aramis disse anche a Porthos che nonostante la veneranda età di 70 anni, suo nonno era ancora vivo e in salute, così avrebbe incontrato l’uomo responsabile della ‘testardaggine’ di famiglia.
 


Presto stavano cavalcando con passo regolare per raggiungere la sommità di una collina e, una volta raggiunta, abbassarono lo sguardo sul villaggio di Aramis. Porthos guardò suo fratello e sorrise vedendo lo sguardo colpito dallo stupore sul suo viso.

“Bentornato a casa Aramis.” Disse Porthos, il suo amico si voltò per guardarlo e annuì prima di sollecitare Bella. Mentre cavalcavano attraverso il villaggio, le persone che c’erano in strada riconoscevano Aramis e lo salutavano. Lui sorrideva e faceva un gesto con la mano, ma non si fermava per parlare con loro, invece continuava verso l’altro confine del villaggio. All’improvviso fece fermare Bella e fissò la piccola fattoria di fronte a lui quasi scioccato, non credendo di essere davvero a casa. Poi diresse Bella nel piccolo cortile della fattoria e smontò lentamente.

Mentre Aramis scioglieva il suo mantello invernale da Moschettiere dalle bisacce che aveva sulla sella, qualcuno, che si era precipitato al suo fianco e lo aveva abbracciato stretto, gli tolse il fiato. Immediatamente seppe che era sua madre dal suo familiare profumo. Così con un braccio sulle sua spalle, si voltò per abbracciarla meglio. Appoggiò la testa sulla curva del collo della, un’abitudine che aveva preso da quando era diventato più alto di lei di tutta la testa e le spalle.

Rosaline strinse le braccia attorno ad Aramis e nella sua lingua madre sussurrò, “Figlio mio, oh mio amato figlio sei tornato da me.”

Aramis sorrise e rispose, “Sempre.”

Rosaline sciolse l’abbraccio e, facendo un passo indietro, lo squadrò dalla testa ai piedi: guardando negli occhi di sua madre Aramis capì che lei sapeva che gli era successo qualcosa (lo aveva appreso dalla lettera di Porthos), ma Rosaline sapeva che qualsiasi cosa gli era accaduta gli aveva lasciato una tensione emotiva che ancora non lo aveva abbandonato.

“Sto bene mamma.”

“No, non è vero.” Commentò Rosaline scuotendo severamente la testa, poi si addolcì e aggiunse, “Ma lo starai.”

Si voltarono al suono di passi che si avvicinavano e Aramis vide suo padre che percorreva lentamente la distanza che li separava. Quando Colbert fu abbastanza vicino afferrò una mano di Aramis e la scosse, (Rosaline era rimasta aggrappata al braccio libero del figlio), suo padre lo guardò negli occhi e senza dubbio vide qualsiasi cosa avesse visto anche Rosaline e con occhi che brillavano lo strinse in uno stretto abbraccio.

“Bentornato a casa figlio.” Mormorò, Aramis era persino anche più alto del padre di un paio di pollici, così Colbert stava parlando nelle sue spalle.

“È bello essere tornato, padre.” Replicò Aramis dolcemente, i suoi occhi iniziarono a brillare per lacrime non versate. L’abbraccio finì quando una voce li raggiunse dalla porta principale della fattoria,

“Dov’è lui? Dov’è quell’errante Moschettiere, mio nipote?” Nonostante avesse 70 anni Jacques si mosse rapidamente attraverso il cortile per spingere via Colbert e stringere le braccia attorno ad Aramis. Jacques si spinse indietro e esaminò Rosaline che era ancora aggrappata al braccio del figlio. “Rosaline non posso abbracciare il ragazzo come di deve se continui a tenere il suo braccio! Non sta per scomparire!”

“Nessuno dei tuoi figli è stato via per tre anni! Voglio assicurarmi che il mio Aramis è davvero qui!” rispose Rosaline.

“Colbert di ha tua moglie di smettere di coccolare il ragazzo!” insistette Jacques mentre si voltava per affrontare suo figlio che si stava ancora strofinando il braccio per la gomitata di Jacques.

Colbert guardò prima la moglie e il padre prima di far notare, “Hai abbracciato tu stesso Aramis, padre.”

“Ma io non sto afferrando il braccio del ragazzo come se fosse sul punto di scappare!” Discusse Jacques,

Rosaline lanciò un’occhiataccia al suo suocero, “Tu hai ancora le braccia attorno ad Aramis.”

Jacques rimase in silenzio, poi sciolse l’abbraccio e disse, “Bè sono un vecchio che soffre di demenza senile e che si dimentica cosa sta facendo.”

“Non soffri di demenza senile padre.” sospirò Colbert, il tono della sua voce suggerì ad Aramis che era un dibattito che continuava da un po’.

Aramis volse la testa per guardare Porthos che stava in piedi guardando l’intera conversazione ridendo in silenzio e roteò gli occhi. Aramis si schiarì la gola e interruppe il litigio dei suoi parenti.

“Forse potrei introdurre il mio amico?” Quando i suoi parenti annuirono, invitò Porthos ad avvicinarsi e disse, “Questo è Porthos, è il mio migliore amico e è mio fratello da quando si è unito ai Moschettieri due anni fa.”

Porthos sorrise alla famiglia del suo amico e aprì la bocca per ringraziarli quando Rosaline lo interruppe.

“Non provare a chiamarci in modo diverso se non con i nostri nomi. Aramis ha detto che sei come un fratello così sarai un membro di questa famiglia.” Sorrise. Aramis si volse verso Porthos e mimò con le labbra, ‘mi spiace’. Così Rosaline gli schiaffeggiò il braccio.

“Ow!” Protestò Aramis mentre si strofinava il braccio.

“Ti ho visto.” Rosaline gli lanciò un’occhiataccia. Poi disse a Colbert di portare i cavalli nella stalla.

Mentre la madre era distratta Aramis si sporse più vicino verso Porthos e mormorò, “Io farei come dice. Pensi che io sia testardo, lei è molto peggio.”

Rosaline captò cosa il figlio stava dicendo a Porthos e fece per tirargli di nuovo una schiaffo sul braccio, ma Aramis si mosse velocemente indietro e rivolse un gran sorriso in basso verso la madre. Ma Rosaline gli lanciò solo un’occhiataccia e velocemente gli tirò uno schiaffo sulla nuca.

“Ouch!” Sbraitò Aramis.

Rosaline sospirò, “Sei a casa da poco meno di cinque minuti e sembra già che non te ne sei mai andato.”

Jaques si volse verso la nuora e incrociò le braccia al petto, “È a casa da poco meno di cinque minuti, in anticipo rispetto al suo congedo dopo aver lavorato duro come soldato e tu lo stai già schiaffeggiando?”

Rosaline restò a bocca aperta per un momento prima di girare sui tacchi e marciare in casa maledicendo gli uomini della famiglia a cui si era legata tramite il matrimonio.

Aramis alzò un sopracciglio con fare interrogativo verso suo nonno e Jacques sogghignò, “Tu esasperavi sempre tua madre e mentre tu non c’eri ho pensato di continuare io il tuo lavoro”.

Poi si volse e seguì Rosaline in casa chiedendo ad alta voce quando sarebbe stata pronta la cena.

Porthos scosse la testa divertito, “È sempre così?”

“Sì.” Replicò Aramis, “Questo è niente rispetto a quando io e i miei cugini che crescevamo correndo come delle furie”.
Porthos rise. Notò che Aramis aveva ereditato gli occhi della madre e i suoi capelli, la corporatura e l’atteggiamento del padre, mentre a prima vista sembrava che non assomigliasse affatto a suo nonno. Chiaramente Jacques gli aveva trasmesso il senso dell’umorismo e la mente brillante.

Sorrise e diede una pacca sulla schiena dell’amico e insieme camminarono nella casa con Colbert proprio dietro di loro. Aramis entrò nel salotto riconoscendo la famigliare vista della casa della sua infanzia. Mentre Rosaline lavorava su uno stufato con Jacques che commentava dalla sedia, mise la sua spada e la sua pistola sul tavolo.

Rosaline si volse sentendo il clangore e brandendo il suo mestolo esclamò a gran voce, “Non sul tavolo!”

Aramis rimosse frettolosamente le armi e le mise accanto al focolare, Porthos fece velocemente la stessa cosa. Poi si sedettero nelle sedie accanto a Colbert e Jacques. Aramis guardò attorno alla stanza con stupore, non credendo di essere finalmente a casa, dopo tre lunghi anni lontano era bello essere seduti di nuovo con la sua famiglia.

Presto lo stufato fu pronto e Rosaline diede a Porthos e Aramis le prime due porzioni, i due giovani uomini iniziarono velocemente a portarsi cucchiaiate di stufato alla bocca affamati dalle magre razioni che gli erano state date per quattro giorni di viaggio. Jaques guardò loro e poi Rosaline accigliandosi.

“Sono il più vecchio qui, perché non mi è stato dato lo stufato per primo?”

Rosaline sospirò, “Hanno percorso una distanza molto lunga. Guardali stanno morendo di fame. Tu puoi aspettare qualche minuto.”

“Solo questa mattina ho percorso la distanza dal letto al cortile, dico che è quasi una conquista”. La rimbeccò l’uomo, quando Rosaline tornò a rivolgersi allo stufato sospirando Jacques si volse e fece l’occhiolino a Porthos e Aramis, facendo così capire loro che stava deliberatamente provocando Rosaline.

Porthos lottò per mantenere un’espressione serie, mentre Aramis rise divertito e tossì per mascherarlo. Porthos condivise un sorriso con Jacques: questa era la cosa più vicina alla vera risata di Aramis che avesse sentito da molto tempo e guardando la famiglia dell’amico Porthos capì che anche loro lo avevano intuito.

Finirono tutti di mangiare ed erano seduti felici attorno al focolare parlando di qualsiasi cosa andasse a loro. Per Aramis era una bella pausa dagli sguardi inquisitori da coloro che volevano sapere cosa era successo esattamente a Savoia, sapeva che se glielo avesse detto loro lo avrebbero lasciato solo.  Ma non poteva semplicemente parlarne, era troppo presto e troppo doloroso. Si chiese se sarebbe mai riuscito a raccontare ciò che era accaduto.

Sprofondò ancora di più nella sedia con le gambe stese davanti a sé, “Ho mostrato a Porthos la quercia nel nostro viaggio fino a qui.” Disse.

Jacques fece un sorriso a trentadue denti, “Ah! Così hai visto che la nostra famiglia ha sempre scalato per prima l’albero? Ho insegnato a tutti e tre i miei figli il modo migliore per farlo e loro a loro volta trasmisero questo talento ai loro figli. Ciò dimostra solo la forza della nostra famiglia.”

Colbert alzò gli occhi al cielo, “La nostra forza nell’arrampicarci su un albero?”

“Non essere così critico.” Si accigliò Jacques, “Quando avevi dodici anni eri molto eccitato all’idea di continuare la tradizione di famiglia.”

“Una tradizione iniziata da te e poi portata avanti da Edmond”. Replicò Colbert.

Aramis capì che stavano per litigare e li interruppe, “Parlando della tradizione di famiglia, spero che i figli di Charlotte e di Katriane si siano esercitati per sostenerla.”

Rosaline li derise, “È una tradizione stupida! Salire su quell’albero è pericoloso, guarda tutte le volte che Aramis è caduto da lì. E stato fortunato a non rompersi qualche osso.”

Aramis si sporse in avanti e strinse la mano alla madre, “Mamma stavo bene, non mi sono mai fatto male”.

“Non ti sei mai fatto male?!” Esclamò Rosaline, “Mai fatto niente dice lui! Tuo padre ha dovuto portarti a casa tre volte con una concussione, un’altra volta eri incosciente; cinque volte sei tornato a casa con distorsione alle caviglie e tre volte con il braccio ferito! Non ti sei mai fatto male! Se questo non è ciò che consideri pericoloso allora odierei vedere cosa consideri dannoso!”

Jacques alzò le spalle, “Non è così pericoloso Rosaline, Aramis era il più impacciato della famiglia a quel tempo. Era destinato a cadere più degli altri, sono sorpreso che non sia caduto più volte.”

“La tua fiducia nelle mie capacità mi onora nonno”. Disse Aramis con sarcasmo.

Jacques sorrise al nipote, “Ho sempre saputo che saresti riuscito a salire per primo.”

Porthos sogghignò, incontrare la famiglia di Aramis era di sicuro divertente. Riusciva a vedere come l’amico si era già rilassato ed era molto più simile a sé stesso di quanto non lo fosse nei mesi passati. Qualcosa che era rassicurante e incoraggiante per lui, sapendo che il suo amico e fratello non era completamente perso.

 
 
Più tardi quella notte Aramis e Porthos erano in piedi nella camera d’infanzia del primo, era abbastanza grande e c’erano due letti singoli separati di pochi piedi.

Allo sguardo inquisitorio di Porthos, Aramis sbadigliò, “Victor e Nathanael venivano per stare molto tempo così Mamma ha messo un secondo letto nella mia stanza per sicurezza.”

Porthos annuì e spese i successivi minuti a prepararsi per la notte. Sentendo un leggero tonfo si volse e sorrise, Aramis era così esausto che era crollato sul letto con il viso nel cuscino ancora vestito e si era addormentato velocemente.

Porthos cammino verso il suo amico e iniziò a togliergli gli stivali: qualcuno bussò leggermente e poi Rosaline entrò nella stanza. Sorrise vedendo suo figlio addormentato, si avvicinò e aiutò Porthos a togliere gli stivali ad Aramis e a spostare il figlio così che fosse sotto le coperte.

Aramis batté le palpebre con aria assonata e guardò attraverso gli occhi semichiusi mentre Porthos tornava verso il suo letto mentre sua madre si sedeva sul bordo di quello del figlio e faceva scorrere le sue dita tra i capelli.

Sono così felice che sei tornato figlio mio. Era tutto così tranquillo senza di te qui.” Mormorò Rosaline in spagnolo,

Mi spiace Mamma.” Sussurrò Aramis,

Rosaline scosse la testa, “Non hai nulla di cui scusarti. Stai facendo quello che ami e non potrei chiedere di meglio. Eccetto che una visita almeno una volta all’anno, tre anni sono davvero troppi.”

Aramis sorrise, “Vi farò visita più spesso quando potrò. Lo prometto.”

Rosaline annuì e sorrise, si sporse in avanti e gli baciò la fronte prima di alzarsi e mormorare, “Dormi bene Aramis e possa qualsiasi cosa ti stia tormentando lasciarti per questa notte.” Poi Rosaline si volse e dopo aver augurato la buonanotte a
Porthos uscì in silenzio dalla stanza.

Porthos guardò Aramis e vide che il suo amico si era già riaddormentato. Sorridendo si mosse per trovare una posizione comoda e scivolò nel sonno.

 
 
Una settimana era passata e ogni mattina Aramis sentiva il peso di Savoia affievolirsi. La sua famiglia non gli aveva chiesto nulla circa cosa gli era accaduto, e gli avevano lasciato mostrare a Porthos i dintorni e passare i giorni in qualunque modo desiderasse.

Ma a pranzo durante il loro settimo giorno nella fattoria Rosaline guardò il figlio e con voce morbida chiese, “So che sarà difficile, ma Aramis cosa ti è accaduto che ti perseguita in questo modo?”

Porthos, Colbert e Jacques lo fissarono con espressioni preoccupate.

Aramis trattenne il respiro e si bloccò, deglutì prima di mormorare, “Un mese fa ero in una truppa di Moschettieri che sono stati attaccati.”

Rosaline ansimò e si coprì la bocca con la mano. Aramis e Porthos guardarono confusi Rosaline, Colbert e Jacques. Colbert vedendo il loro sguardo disse,“Eri presente nel massacro al confine con Savoia, non è vero?”

“C-c-come?” Balbettò Aramis, era stato molto attento a non menzionarlo vicino alla sua famiglia e Porthos gli aveva assicurato che non gli era stato detto niente a riguardo nella lettera che aveva mandato loro. Aveva sperato che la sua famiglia non fosse mai venuta a conoscenza del massacro.

“Notizie circa qualcosa di così importante come il massacro di Moschettieri si diffondono in fretta, persino fino a qui.” Disse piano Colbert; vedendo gli occhi di suo figlio spalancati capì che Aramis stava combattendo contro i ricordi e il terrore. Persino suo padre riuscì a notare che il figlio stava perdendo quella battaglia. Così quando Aramis mormorò una scusa per lasciare la casa Colbert lo lasciò fare.

Jacques guardò Porthos e piano chiede, “C’eri anche tu a Savoia?”

Porthos scosse la testa, “Non c’ero. Aramis è l’unico sopravvissuto.”

Rosaline ansimò e si avvolse le braccia intorno al corpo; Jacques sistemò un braccio attorno alle sue spalle e le strinse per confortarla mentre Colbert sedeva come se fosse confuso. Porthos sapeva che non gli avrebbe mai detto che Marsac aveva lasciato Aramis nella foresta da solo a congelare lentamente fino alla morte.

“È stato ferito gravemente?” Chiese Rosaline trattenendo le lacrime,

Porthos scosse la testa, “È stato colpito alla testa ed era freddo come il ghiaccio quando siamo arrivati sul posto. Ma il senso di colpa lo sta divorando sin da quando l’ho portato via da quella foresta.”

Colbert si mosse così da abbracciare Rosaline che stava di nuovo soffocando le lacrime, ma al tocco del marito iniziò a piangere sulla sua spalla. Colbert le accarezzò gentilmente la schiena e la confortò, entrambi grati che il loro figlio era stato risparmiato dal massacro.

Jacques guardò suo figlio e la sua nuora tristemente; Rosaline era arrivata il Francia senza una famiglia ed era sola. Aveva capito che sposando Colbert e avendo avuto Aramis erano stati i due eventi che l’avevano rassicurato sul fatto che senza dubbio esisteva la felicità in questo mondo. Sapeva anche che se avessero perso Aramis avrebbero presto perso anche Rosaline seguita da Colbert, Jacques conosceva cosa poteva causare il dolore in una persona e guardando negli occhi di Aramis sin da quando era arrivato aveva visto il dolore dentro di essi. Non importava quanto bene suo nipote mascherasse le sue emozioni, Jacques lo aveva visto chiaramente. Colbert e Rosaline non lo avevano notato perché non volevano; trovavano difficile non vedere gli occhi del loro figlio costantemente pieni di risate e di malizia.

Sospirando Jacques tornò a voltarsi verso Porthos, “Dopo che Victor è morto, Aramis si sentiva in colpa e anche se lui non ha mai detto nulla io sapevo che non si preoccupava di se stesso. Correva rischi e non gli importava se in una battaglia sarebbe morto o no. Era come se si stesse punendo. Ha fatto niente di simile durante questo mese?” Jacques non sapeva se voleva conoscere la risposta, ma ricordando com’era Aramis quando era venuto a dire loro che si sarebbe unito ai Moschettieri, incapace di guardare chiunque negli occhi, pensando che tutti lo incolpassero della morte di Victor. A Jacques era voluto del tempo per far lentamente vedere a suo nipote che non lo incolpava nessuno, ma Aramis aveva dovuto partire prima che potesse assicurarsi che suo nipote stesse bene.

Porthos guardò Jacques e poi di nuovo verso i genitori di Aramis che lo guardavano di rimando con delle espressioni preoccupate. “Il nostro Capitano si ricordava cosa ha passato Aramis dopo la morte di Victor, così in questo mese non gli ha affidato alcun compito o pattuglia che avrebbero potuto permettergli di essere negligente in battaglia.”
Tutta la famiglia di Aramis sopirò sollevata. Colbert spinse gentilmente Rosaline tre le braccia di Jaqcues e fece segno a Porthos di seguirlo. Insieme uscirono dalla casa e l’uomo lo guidò dove sapeva di trovare Aramis. Camminarono per cinque minuti e lo trovarono seduto in un prato mentre guardava sconsolato il bosco di fronte. Silenziosamente Porthos restò indietro e permise a Colbert di avvicinarsi al figlio.

Senza voltarsi a guardare il padre Aramis mormorò, “Faresti meglio a tenere qui Bella.”

Colbert si accigliò, “Perché? So che tu e quel cavallo vi amate con tutto il cuore.”

Aramis sospirò e guardò in basso mentre strappava qualche ciuffo d’erba dal terreno, “Me l’hai affidata tre anni fa dicendo, ’ogni grande soldato ha bisogno di un grande cavallo’. Non sono un grande soldato e così non ho bisogno di un destriero eccezionale come Bella”

Colbert stese un braccio e scosse gentilmente scosse la spalla di Aramis, “Non è vero nulla di tutto questo figlio, non parlare così male di te stesso”

Aramis si tese e tentò di allontanarsi, ma Colbert lo mantenne fermo dov’era. “È vero. Victor è morto per causa mia, ed ero a capo della truppa a Savoia. E sono tutti morti ma io no! Come non può essere colpa mia? Come può tutto questo rendermi un grande soldato?!”

Colbert si mosse rapidamente così da essere accucciato davanti a suo figlio, ora riuscì a capire perché durante la scorsa settimana Aramis aveva trovato difficile guardarlo direttamente negli occhi. Il Moschettiere non si sentiva all’altezza delle aspettative del padre. Colbert si maledisse internamente per non averlo visto prima, ma era determinato a far vedere al figlio che era all’altezza delle sue aspettative e che le aveva superate.

“Ora ascoltami figlio. Ricordi che ti ho detto che le notizie viaggiano veloci?” Chiese Colbert, aspettò fin quando Aramis, ancora guardando il terreno, annuì, “Sentiamo anche molte storie circa il coraggio dei Moschettieri del Re, qualche volta sentiamo dei nomi. E ogni tanto sentiamo il tuo”. Aramis alzò lo sguardo scioccato, “Sì figlio, il tuo nome. Rende tua madre e me così orgogliosi sapere che aiuti a proteggere le persone di Parigi e della Francia.  Quando sentiamo delle azioni che hai fatto tuo nonno non smette di parlarne per settimane. Sei un grande soldato figlio”.

Aramis scosse la testa, “Sai che le persone esagerano papà, sono solo un mediocre soldato in un Reggimento di soldati eccezionali.”

Porthos notò che Colbert non riusciva a far ragionare Aramis, così avanzò e si rannicchiò accanto al suo amico mettendo un braccio attorno alle sue spalle. “Non sottovalutarti Aramis. Quanti soldati conosci che possono ricucire una ferita così bene? Che possono sistemare un osso rotto? Chi riescono a usare il moschetto con una precisione tale da riuscire a colpire sempre il bersaglio? E che è considerato essere uno dei migliori spadaccini del Reggimento? Questo sei tu Aramis, nemmeno io riesco a fare tutto questo. Tu sei un soldato eccezionale.”

Aramis lo guardò con gli occhi che luccicavano, “Ma a Savoia…”

“Non è stata colpa tua.” Lo interruppe Porthos severamente, “Solo perché sei l’unico superstite non vuol dire che devi sottrarti ai doveri degli uomini.  Vuol solo dire che non hai ancora fatto tutto ciò che è stato programmato per te, hai ancora una parte da recitare in questo mondo.”

Aramis guardò Porthos con occhi spalancati e poi si volse verso il padre, Colbert annuì, “Porthos dice il vero figlio, non è stata colpa tua”.

Le spalle di Aramis iniziarono a tremare e Colbert avvolse strettamente suo figlio tra le sue braccia, “Va tutto bene figlio, lascia andare tutto questo.”

Porthos lasciò una mano sulla spalla di Aramis per confortarlo e insieme lui e Colbert lo tranquillizzarono mentre alla fine iniziava a lasciarsi alle spalle gli orrori di Savoia. Poco dopo mentre Aramis sedeva dritto e guardava meravigliato le sue mani, vedendo lo sguardo di Porthos e di suo padre, rivolse loro un piccolo sorriso.

“Mi sento caldo.”

Gli occhi di Colbert si spalancarono mentre allungava una mano per posarla sulla fronte di suo figlio “Non hai la febbre.”

Aramis scosse la testa sorridendo dolcemente, “Non quel tipo di calore, da Savoia sembrava che il freddo si fosse depositato nelle mie ossa e non importa cosa facessi, avevo sempre freddo. Ora non lo sento più. Mi sento riscaldato.”

Porthos sorrise, “È un segno della guarigione.”

Aramis si volse e regalò a Porthos un ampio, sincero, sorriso. Rimasero seduti nel campo ancora per un po’ prima di alzarsi silenziosamente e fare ritorno alla fattoria. Una volta entrati nel cortile la porta della casa si spalancò e Rosaline corse fuori e proprio come il giorno in cui Aramis e Porthos erano arrivati, lo abbraccio saldamente. Porthos e Colbert condivisero un sorriso con Jacques e Rosaline sentendo la risata familiare di Aramis.

 
 
Era ormai tempo per Aramis e Porthos di iniziare il loro viaggio di ritorno da Parigi, i loro cavalli erano nel cortile trattenuti da Porthos dopo aver salutato i suoi ospiti.

Aramis era in piedi di fronte alla sua famiglia con sua madre che gli sistemava il mantello da Moschettiere e che gli puliva via della polvere che solo lei vedeva.

Rosaline alzò lo sguardo su di lui, “Hai tutto?”

“Mamma.” Si lamentò Aramis.

“Lascia stare il ragazzo Rosaline.” Sorrise Jacuqes, “Glielo hai chiesto tre volta e ha anche controllato la sua borsa per farti vedere che aveva tutto.”

Aramis lanciò al suo nonno uno sguardo grato. Rosaline fece un verso di disapprovazione, ma fece un passo indietro per permettere a Jacques di abbracciare Aramis.

“Prenditi cura di te ragazzo, chiaro? Non voglio sentire che hai fatto qualcosa di stupido. Sono stato chiaro?”
“Sì nonno.” Sorrise Aramis, abbracciò forte Jacques, “E riguardati va bene? Ma non stancare troppo la mamma penso che hai fatto abbastanza in questi tre anni.”

“Bene, ragazzo, se insisti.” Sorrise Jacques, il suo sorriso e quello di Aramis si allargarono sentendo le imprecazioni mormorate di Rosaline.

Jacques diede una pacca sulla spalla del nipote e poi permise a suo figlio di avanzare. Colbert strinse Aramis in un abbraccio spacca ossa. “Stai al sicuro e ricordati sempre che siamo molto fieri di te.”

“Lo farò padre.” Disse Aramis trattenendo le lacrime. Con un altro sorriso Colbert fece un passo indietro e il giovane Moschettiere tese le braccia verso sua madre.

Senza esitazione Rosaline si lanciò verso suo figlio e lo abbracciò, cercando di non piangere sapendo che questo lo avrebbe rattristato. Crescendo Aramis aveva sempre odiato vederla piangere e se era a causa di un commerciante vagabondo che affermava che non volevano fare affari con una donna spagnola, lui, non importa quanti anni avesse, era sempre andato a risolvere la questione, spesso portandosi i suoi amici in qualsiasi piano avesse progettato.

“Starò bene mamma.” Mormorò Aramis tra i capelli della madre.

“Lo so.” Sorrise Rosaline allontanandosi un poco così da vedere il viso del figlio, “Hai la fortuna e il talento di tuo padre e hai trovato anche un grande amico in Porthos che sta al tuo fianco.” gli mise una mano sulla guancia e con voce ferma disse, “Ricordati la tua promessa di farci visita almeno una volta all’anno. E voglio ricevere anche più di una lettera ogni tanto, una tutti i mesi, chiaro?”

“Si mamma.” Sorrise Aramis, la abbracciò forte e con rammarico la lasciò andare e con un ultimo sguardo alla sua famiglia si volse e camminò verso i cavalli. Una volta che lui e Porthos stavano andando oltre i cancelli si volse un’ultima volta per salutarli con la mano e poi seguì Porthos attraverso il villaggio. Una parte di lui voleva restare, ma sapeva che la vita tranquilla del villaggio non faceva per lui, le strade movimentate e piene di gente era ciò di cui aveva bisogno. Ma una parte di lui sarebbe sempre rimasta nella tranquillità di quel piccolo villaggio a poche miglia da Le Mans.

Porthos portò il suo cavallo a fianco di Bella e guardò Aramis. “Hai intenzione di stare meglio?” Chiese.
Aramis rimase in silenzio per un momento, da quando aveva parlato con suo padre e con Porthos nel campo aveva sentito il peso di Savoia farsi più leggero “Sì.” Rispose sapendo che intendeva farlo davvero.
Porthos sorrise e insieme cavalcarono verso Parigi, sapendo che ancora una volta tutto sarebbe andato bene e come avrebbe dovuto.
 
Note dell'autrice: Wow è un capitolo davvero lungo! Spero che questo compensi l'attesa!

 

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Capitolo 9
*** 9. Siege of La Rochelle-Sep 1627- Sep 1628 ***


From Strangers to Brothers

Note dell’autrice: Ho fatto delle ricerche al mio meglio per questo così mi scuso se c’è qualcosa di sbagliato, se trovate qualcosa di sbagliato fatemelo sapere e lo cambierò. Siccome questo capitolo tratta l’arco di un anno farò dei salti temporali, mi spiace se questo infastidirà qualcuno.
 
 
Inizio di Settembre 1527

Aramis sospirò; era appoggiato ad un albero su una collina con il cappello calato così da coprirgli gli occhi. Il Reggimento dei Moschettieri era parte dell'esercito Reale che aveva circondato gli Ugonotti nella fortezza a La Rochelle. Erano lì dalla fine di Agosto e non avevano ancora visto neanche un po’ di azione. Odiava stare seduto senza fare nulla, senza dubbio lo rendeva molto nervoso. L’ultima volta che aveva preso parte ad una battaglia era stato quando Treville gli aveva offerto un posto nei Moschettieri, quando stava passando un brutto periodo dopo la morte di suo cugino e dei suoi amici: ora aveva paura che questo avrebbe potuto accadere di nuovo. Questo era il motivo per cui sedeva da solo e faceva finta di dormire: sapeva che Porthos avrebbe capito all’istante che qualcosa non andava e non aveva intenzione di dire nulla a nessuno, neanche al suo migliore amico, cosa lo preoccupava. Porthos aveva imparato a leggerlo meglio dopo il massacro di Savoia e se qualcosa lo preoccupava anche solo lontanamente, l’altro gli sarebbe stato vicino. Non aveva bisogno che Porthos si preoccupasse per lui, suo fratello doveva pensare a sé stesso, doveva restare vivo perché Aramis sapeva che non avrebbe mai più fatto ritorno dai posti oscuri della sua mente se gli fosse successo qualcosa. Perdere Victor e i suoi amici nel 1622 e poi il massacro di Savoia lo avevano quasi distrutto, se avesse perso Athos e soprattutto Porthos sapeva che nulla sarebbe mai stato più lo stesso di nuovo.

Porthos era seduto vicino ad Aramis e guardava preoccupato il suo amico dormiente. Quando era stato detto loro per la prima volta da Treville che il Reggimento sarebbe andato a La Rochelle per affrontare gli Ugonotti ribelli, Aramis aveva fatto un largo sorriso, felice di avere qualcosa di nuovo da fare, confessando che le pattuglie a Parigi iniziavano a essere noiose. Ma più si avvicinavano alla città più Aramis diventava introverso. Porthos aveva iniziato a preoccuparsi che presto l’amico avrebbe smesso di parlare del tutto, ma poi Treville aveva ordinato loro di fermarsi e riposarsi a Le Mans, e Porthos si chiese se questo era il modo del loro Capitano di aiutare Aramis. Le persone dei villaggi vicini avevano sentito che i Moschettieri sarebbero passati e molti volevano venire a vedere il leggendario Reggimento, ma tre persone nella folla erano venute semplicemente per Aramis. Vedere la madre, il padre e il nonno sembrò riportare la vita nel Moschettieri per i due giorni in cui il Reggimento rimase a La Mans. Ma non appena il lasciarono il villaggio, Aramis iniziò a scivolare di nuovo nelle profondità della sua mente.

Da quando erano arrivati a La Rochelle tre settimane fa, Aramis aveva iniziato a prendere le distanze e Porthos non riusciva a comprenderne il motivo. Così quando lo vide muoversi per riuscire a guardare il cielo, decise che era tempo per lui di capire. Così camminò fino a lui e si lasciò cadere a fianco del suo amico.

Aramis gemette internamente quando Porthos si sedette accanto a lui; fece per andarsene, ma fu bloccato dal suo amico.

“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiese Porthos,

Aramis serrò gli occhi; voleva parlare, ma scosse solo la testa. No, non sei tu. Sono io! Devi stare lontano da me! È l’unico modo che hai per sopravvivere!

Porthos si accigliò, confuso e preoccupato, “Aramis, cosa succede?”

“Niente.” Mormorò Aramis mentre guardava dritto di fronte a lui il Forte Louis.

“Questo non è nulla.” Discusse Porthos, “Non ti comporti mai così quando va tutto bene.”

“Per favore, lascia perdere Porthos, va tutto bene.” Sospirò Aramis.

“Guardami negli occhi e dimmi che non c’è niente che non va.” Pretese l’altro.

Aramis ci provò, ci provò davvero tanto a guardarlo, ma semplicemente non poteva. Tutto ciò che riusciva a vedere nella sua mente era l’amico che giaceva immobile nel campo di battaglia. Così all’improvviso si alzò in piedi e fece per andarsene, ma fu tirato indietro. Si voltò e vide che anche Porthos era in piedi e che gli aveva afferrato il braccio.

“Non ti lascerò andare finché non mi dici cos’hai.” Ringhiò Porthos mentre fissava l’altro Moschettiere con occhi stretti in due fessure.

Aramis, sapendo che ora doveva dirgli cosa lo preoccupava, prese un respiro profondo. “Sto ripensando alla mia ultima volta in una battaglia. Non sono ricordi a cui sono affezionato, eccetto quello in cui parlo con Treville. Sto ricordando tutto quello che ho perso e non voglio perdere ciò che ho guadagnato da allora.”

Porthos rimase in piedi, in silenzio, scioccato; Aramis volse la testa a disagio e tentò di allontanarsi. Ma Porthos rimase fermo e aumentò la stretta. “Non perderai ciò che hai ottenuto, Aramis.” Mormorò Porthos.
L’altro scosse la testa disperato, “Non capisci! Ero come te una volta: pensavo che niente avrebbe potuto separarmi da Victor. Sai come è facile essere separati dalla truppa di Moschettieri in uno scontro. Ma in guerra è mille volte peggio!” La voce di Aramis aumentò con l’angoscia. Voleva che l’amico fosse preparato a cosa stavano per affrontare.

“Non lascerò il tuo fianco, Aramis.” Lo confortò Porthos; lo strattonò così da essere di fronte a lui e gli mise le mani sulle spalle.

Aramis gemette e si strinse i capelli, frustrato che quella fosse la risposta del suo amico, una replica che poteva condurlo alla morte. “Non dirlo neanche!” Aramis alzò lo sguardo e Porthos sembrava confuso. “Se cercherai di starmi vicino, non farai attenzione a te stesso! Resterai ucciso se lo farai!”

“Va bene! Va bene!” Scattò Porthos mentre gli stringeva le spalle per confortarlo. “Prometto di starti vicino-“

“No!” Lo interruppe Aramis bruscamente incontrando alla fine il suo sguardo.

“Fammi finire!” Ordinò Porthos, addolcì la voce e continuò, “Prometto di starti vicino per quanto mi sia possibile, ma se dovessimo essere separati ti prometto di non mettermi in pericolo per cercarti.”

Aramis si rilassò e sospirò sollevato, annuì e rivolse un piccolo sorriso a suo fratello.

“Bene.” Sorrise Porthos, “Perché non stavi solo facendo innervosire me, anche le nuove reclute iniziano ad essere irrequiete. Loro ti prendono come esempio; non gli fa bene vederti così rinchiuso in te stesso.”

“Non succederà ancora.” Disse Aramis sorridendo e mettendo un braccio attorno alle spalle di Porthos mentre scendevano verso l’accampamento insieme. Aramis camminava dritto, il peso invisibile aveva lasciato le sue spalle.

 
 
Una settimana era passata e Aramis aveva mantenuto la sua parola, e per la gioia di Porthos era tornato alla normalità, ridendo e scherzando con gli altri uomini. Ma ora era lui ad essere segretamente preoccupato. Aveva intenzione di mantenere la sua promessa perché sapeva cosa sarebbe accaduto ad Aramis se non lo avesse fatto, se fosse rimasto ucciso in qualche modo sapeva che l’amico si sarebbe sentito in colpa e niente e nessuno avrebbero potuto fare affievolire il suo rimorso. Ma sperava e pregava che non venissero divisi, le volte che l’amico aveva affrontato i guai senza Porthos e Athos erano le volte che era andata male per Aramis. I due Moschettieri avevano fatto un patto, senza bisogno di parlare, che al meglio delle loro abilità sarebbero rimasti vicino ad Aramis e se fosse andato tutto secondo i piani non lo avrebbero mai perso di vista.

Aramis al momento era in piedi di fronte al piccolo gruppo di nuove reclute e stava dando loro consigli circa cosa avrebbero dovuto fare in battaglia; anche Porthos stava ascoltando perché non aveva mai partecipato ad una guerra. All’improvviso un cannone sparò e le reclute attorno a loro si spaventarono, persino Porthos sussultò. Ma Aramis rimase semplicemente in piedi completamente immobile e disse solo, “È iniziata.”

 
 
Novembre 1627

Avevano affrontato una schermaglia ma fortunatamente né Aramis, né Porthos o Athos erano stati feriti. Anche il Reggimento era stato fortunato: nessun Moschettiere era stato perso nella campagna sino ad ora. Tutto stava andando bene, avrebbe potuto andare molto peggio. Tuttavia se gli fosse stato chiesto, i Moschettieri si sarebbero lamentati circa il fatto che il Cardinale Richelieu si comportasse come il comandante delle truppe che stringevano l’assedio quando il Re era assente. Quando questo accadeva i Moschettieri venivano assegnati ai più pericolosi incarichi di pattuglia attorno alle mura della città e dovevano difendere coloro che stavano costruendo le fortificazioni per le trincee che avrebbero isolato La Rochelle.

Ma presto vennero a conoscenza che il Duca di Rohan stava tentando di sollevare una ribellione nella Francia del Sud per ridurre le truppe del Re a La Rochelle. Treville aveva riunito i Moschettiere e annunciato che un piccolo gruppo di loro avrebbe accompagnato il piccolo esercito che sarebbe stato mandato per fermare la ribellione finchè era ancora piccola e aveva inviato Athos a capo della spedizione.

Aramis aveva sospirato sollevato, sapeva che i suoi compagni sarebbero stati in grado di sconfiggere il Duca di Rohan abbastanza facilmente, e così aveva un amico in meno di cui preoccuparsi. Guardando Porthos con la coda dell’occhio poteva vedere che stava pensando la stessa cosa. Mentre qualcun altro che non conosceva bene Athos avrebbe pensato che l’espressione sul suo viso non era cambiata, Aramis poteva chiaramente vedere che l’altro Moschettiere non era felice al pensiero di lasciare La Rochelle. Così quando lo salutarono Aramis si sforzò di rassicurare Athos sul fatto che sarebbero stati bene.

“Athos siamo stati soldati più a lungo di te, staremo bene.” Sorrise Aramis.

Athos sollevò un sopracciglio e abbassò lo sguardo su di lui scetticamente, “Mi giro per un minuto e voi due vi cacciate subito nei guai.”

Aramis alzò le spalle con impotenza “Non direi che ci cacciamo nei guai.”

“No.” Aggiunse Porthos scuotendo la testa, “I guai trovano noi, è diverso.”

Athos alzò lo sguardo al cielo e scosse la testa, le labbra si contorsero quasi in un sorriso. Ma divenne serio ancora una volta e mentre il suo cavallo si muoveva irrequieto guardò in basso e disse, “State attenti, non voglio ricevere la notizia che voi due vi siete fatti uccidere.”

“È preoccupazione quella che hai sentito, Porthos?” Chiese Aramis scherzosamente.

“Credo che lo sia Aramis.” Replicò l’altro con un sorrisetto,

“Ci abbiamo messo solo due anni per farglielo ammettere.” Scherzò Aramis.

“Sono serio!” Lo interruppe Athos guardandolo con disapprovazione.

“E lo siamo anche noi!” Esclamò Porthos, “Sai quanto è stato difficile fartelo ammettere?! Ora possiamo andare e dire a Treville di finire l’assedio visto che il piano ha funzionato!”

“Non è divertente Porthos.” Si lamentò Athos,

“Pensavo che lo fosse” Sorrise Aramis ampiamente mentre dava una pacca sulla schiena di Porthos,

“Certo che lo pensi.” Sospirò Athos mentre si passava una mano sul viso.

Aramis divenne serio e toccò lo stivale dell’amico, “Prenditi cura di te e noi ti promettiamo di tornare vivi.”

Athos annuì, “Bene.” Poi fece voltare il cavallo e se ne andò lanciando un’ultima occhiata ai suoi due amici, ai suoi fratelli che erano rimasti in piedi uno accanto all’altro.

Aramis rimase a guardare Athos cavalcare via e si chiese se c’era qualcosa che poteva fare per convincere Treville a mandare Porthos lontano da La Rochelle. Ma sussultò al solo pensiero della reazione dell’altro Moschettiere se avesse mai scoperto che Aramis aveva tramato alle sue spalle con il Capitano. Poi sentì qualcuno chiamare il suo nome, si girò per vedere un Henri senza fiato avvicinarsi.

“Treville… ti vuole… parte delle… trincee… sono state… attaccate” ansimò Henri mentre appoggiava le mani sulle ginocchia.

Aramis annuì e mentre sorpassava correndo il ragazzo gli diede una pacca sulla spalla. Henri era uno delle nuove reclute dei Moschettieri e prometteva bene, ma era il più giovane e sapendo per esperienza cosa avrebbe potuto accadere, Treville aveva fatto di lui il suo messaggero per assicurarsi che il ragazzo sopravvivesse all’assedio. Aramis non ne era geloso: Henri doveva correre tra le ronde dei Moschettieri e il Capitano e in qualche occasione dal Cardinale stesso. Nessuno invidiava Henri per questo compito.
 

 Aprile 1628
 
Le fortificazioni delle trincee erano state infine completate e se i Moschettieri pensavano che il loro lavoro circa i trinceramenti fosse finito si sbagliavano. Una grossa armata era stata messa a presidiare le fortificazioni e il Reggimento era compreso in essa, le loro pattuglie ruotavano ogni tre giorni e avrebbero aiutato l’armata a controllare le fortificazioni. Aramis e Porthos avevano avuto ragione sul fatto che Athos e il suo piccolo esercito avrebbero sconfitto facilmente il Duca di Rohan e per loro sollievo Treville aveva inviato Athos a Parigi per controllare gli uomini che erano stati lasciati per continuare le pattuglie in città, le ronde al giardino del Palazzo e i loro normali incarichi.

Pasqua non era un buon periodo per Aramis, l’inaspettato cambiamento nel tempo portò con sé un freddo mordente e una spolverata di neve che avevano riportato le memorie di Savoia alla rivalsa. Per due anni era riuscito a non permettere ai ricordi di consumarlo, ma sedendo nella fredda trincea aveva permesso ai ricordi di oltrepassare le sue difese. Per rendere le cose peggiori Porthos era stato temporaneamente assegnato a una differente pattuglia poiché due uomini erano stati trattenuti per le ferite. Era snervante per Aramis essere al Forte e l’amico nelle Trincee, ma era sollevato quando le loro ronde ruotavano e poteva constatare da sé che suo fratello era incolume. Ma il tempo era peggiorato in un giorno e alla sua pattuglia era stato ordinato dal Cardinale di stare altri due giorni finchè sarebbero arrivate altre truppe fresche. Così ora Aramis era rannicchiato in una piccola stanza della fortificazione con il resto del drappello tentando di restare al caldo e tenere Savoia fuori dalla sua mente. Non stava funzionando molto bene.

Era seduto tentando di frizionare calore nelle mani e nelle braccia, ma poteva sentire ancora il freddo affondare nelle ossa e serrò gli occhi per bloccare gli sgradevoli ricordi che volevano farsi notare. La porta si aprì di colpo e Aramis alzò lo sguardo grato sulla distrazione.

Henri era entrato e stava portando delle coperte. Aramis sospirò felicemente, coperte extra!

Mentre iniziava a distribuirle, Henri disse: “Treville vi manda queste con l’ordine di restare al riparo questa notte per evitare il freddo che sta prendendo piede.”

“Non c’è bisogno di dircelo due volte ragazzo!” Commentò Philippe mentre prendeva due coperte da Henri, passandone una a Tristan prima di avvolgersene una attorno a sé.

Henry diede a tutti una sola coperta; si avvicinò ad Aramis che era rannicchiato nell’angolo.  Si accovacciò di fronte al Moschettiere più anziano e gentilmente ne avvolse una attorno alle sue spalle, sopra quella che già aveva stretta addosso. Aramis sorrise grato e si rifugiò in esse.

“Stai bene Aramis?” Chiese Henri, i suoi giovani occhi spalancati per la preoccupazione. Aveva solo vent’anni, la stessa età di Aramis quando era diventato un soldato, e aveva l’aspetto più di un ragazzo che di un uomo. Si chiese se allora anche lui apparisse a un soldato più anziano come Henri appariva a lui ora? Un ragazzo che stava iniziando a provare gli orrori del mondo, mentre aveva ancora l’innocenza negli occhi.

“S-s-Sto… B-b-b-bene.” Balbettò Aramis attraverso I denti che battevano, “S-s-solo-o-o f-f-freddo.”

Henri sorrise un poco, “Porthos dice che faresti meglio a restare al sicuro.”

Aramis rise sommessamente, “I-i-il meglio-o-o che p-p-posso-o-o con-n-n q-qu-questo tempo-o-o.”

Henri annuì, poi camminò verso Philippe riferendogli un messaggio da Treville e poi se ne andò. Aramis appoggiò la testa al muro e sapeva che non avrebbe dormito quella notte. Non perchè era preoccupato per Porthos, non per il freddo, ma per gli incubi che voleva evitare.

 
 
Porthos era in piedi accanto all’entrata del Forte e si sfregava le mani vicino al fuoco, tenendo lo sguardo fisso avanti a sé per cogliere un qualsiasi segno di Henri.
Era preoccupato per Aramis, la continua minaccia degli attacchi e ora il freddo stavano mettendo a dura prova tutti gli uomini. E Porthos odiava che il suo amico stava affrontando tutto da solo, sperava che Henri sarebbe stato in grado di dirgli qualcosa su Aramis, aveva il sospetto che questo tempo avrebbe riportato in vita i ricordi di Savoia. Il tempo li stava riportando alla memoria a lui che non aveva passato tutti gli orrori che Aramis aveva visto.

Scorse Henri avvicinarsi e prima che il ragazzo potesse entrare nel Forte Porthos lo prese da parte, e, solo una volta realizzato chi lo aveva fermato, Henri iniziò a parlare.

“Sono tutti illesi, ma hanno freddo. Sono tutti così pallidi. Arami sembra star bene.”

“Sembra?” Chiese Porthos, non gli piaceva il suono di questo e non gli piacque nemmeno che Henri avesse detto che gli uomini, e Aramis, erano pallidi.

“Bè stanno bene per quanto possibile con questo tempo, essendo impreparati tanto quanto qualsiasi altro con questo sorprendente cambiamento climatico. Ma Aramis sembrava perseguitato da qualcosa. Era rannicchiato in un angolo da solo e sembrava stanco. Penso stia cercando di restare sveglio.” Rispose il giovane.

Porthos sospirò; ringraziò Henri e lasciò andare il ragazzo per la sua strada.

Così Aramis era perseguitato da Savoia e stava tentando di non dormire.
Porthos scosse la testa: queste erano notizie che non voleva sentire, ma non c’era nulla che poteva fare. Niente se non aspettare e restare pronto ad aiutare Aramis quando la sua pattuglia sarebbe tornata.

Due giorni dopo agli uomini fu finalmente permesso di tornare al Forte, il freddo iniziava a calare tanto velocemente quanto era arrivato. E con il esso anche i ricordi di Savoia svanirono, mentre quelli di Porthos sbiadirono poteva solo sperare che anche quelli di Aramis lo facessero. Ancora una volta era in piedi vicino all’entrata del Forte e guardava la pattuglia mentre lentamente si avvicinava. Alla fine riuscì a individuare Aramis nel gruppo e rapidamente si avvicinò al suo amico. Quando l’altro alzò lo sguardò iniziò a sorridere, ma mentre Porthos si avvicinava poteva vedere i cerchi neri sotto gli occhi del suo amico.

“Ti è piaciuto stare accoccolato nella tua tenda?” Chiese Aramis mentre dava una pacca sulla spalla dell’altro Moschettiere.

Porthos si accigliò vedendo un leggero pallore sulla faccia di Aramis, così ignorando la domanda del suo amico, chiese “Tutto bene?”

Aramis gli rivolse un piccolo sorriso: sapeva a cosa Porthos si stesse riferendo, “Bene.” All’alzata di sopracciglia dell’amico, aggiunse, “Non è stato perfetto, ma poteva andare peggio.”

Porthos sospirò scuotendo la testa, “Mi darai mai delle risposte normali?”
“Mi piace tenerti sulle spine.” Aramis fece un ampio sorriso, la verità era che per lui era abbastanza dura. La costante minaccia degli attacchi l’aveva tenuto sulle spine per tutti i cinque giorni e, associato ai brutti ricordi, lo aveva lasciato emozionalmente prosciugato.

Quando Porthos guardò il suo migliore amico poteva notare che Aramis era ancora teso e così gentilmente lo guidò verso la sua tenda e stese le due coperte dell’amico su letto e lo spinse sopra.

“Questo è il tuo letto! Tornerò nella mia tenda!” Protestò Aramis, si bloccò quando vide lo sguardo diretto a lui. Lentamente si sdraiò e, nello stesso momento in cui la sua testa toccò il cuscino, si addormentò.

Porthos rise sommessamente divertito e vegliò sul suo amico, Treville si fermò sapendo che Aramis sarebbe stato con Porthos, e vedendolo addormentato tranquillamente lasciò il Moschettiere a vegliare su di lui dopo avergli portato le razioni di cibo. Porthos svegliò Aramis brevemente per mangiare e poi lo fece sdraiare di nuovo per permettere al suo amico di dormire tutto il giorno. Dopo cena portò il letto di Aramis dalla tenda accanto alla sua e si rannicchiò sotto le coperte restando sdraiato di lato così da potersi assicurare che suo fratello stesse dormendo tranquillamente prima di permettersi a sua volta di scivolare nel sonno.
 

Fine Agosto 1628

Aramis e Porthos con la loro pattuglia stavano camminando attorno alle trincee e sembrava che fosse tutto a posto, ma Aramis aveva il presentimento che questa pace non sarebbe durata a lungo. E come previsto degli Ugonotti comparvero correndo verso di loro con le spade alzate. I Moschettieri si fermarono momentaneamente, e poi Aramis si mosse velocemente di fronte a Porthos prendendo la pistola del suo amico nello stesso momento e facendo fuoco. Non ebbe tempo di ricaricare perché gli Ugonotti furono presto su di loro.

Tutto sbiadì sullo sfondo mentre sguainava la spada e iniziava a combattere per la propria vita, era anche troppo facile. I combattenti Protestanti non erano veri e propri soldati: dovevano essere degli uomini della città preparati per la battaglia. Aramis si sentiva quasi dispiaciuto per loro e odiava doverli uccidere, ma stavano combattendo per togliergli la vita e così Aramis doveva farlo per sopravvivere. Non era piacevole, ma era questo o essere uccisi.

Senza guardare sapeva che Porthos era stato allontanato da lui, ma spinse la preoccupazione nel fondo della sua mente. Preoccuparsi lo avrebbe solo fatto ammazzare; aveva dato questo consiglio a Porthos così lui doveva seguire il suo stesso consiglio.

Improvvisamente due Protestanti si voltarono e, dalle loro abilità con la spada, Aramis suppose che erano soldati professionisti e dunque avversari più difficili da sconfiggere. Mentre stava per disarmarne uno l’altro alzò una gamba e gli diede un calcio sul petto. Aramis fu scagliato indietro e l’aria gli fu tolta dai polmoni. Tristan e Philippe uscirono dal nulla e respinsero i suoi avversari.

La spada gli era scivolata di mano e restò sdraiato sul terreno con gli occhi chiusi rallentando il suo respiro il più possibile, fingendo di essere morto mentre riguadagnava fiato. Sembrò funzionare perché sentì una voce molto familiare gridare il suo nome nel panico.

Voleva dare a Porthos un segno per fargli capire che stava bene, ma non aveva ancora abbastanza fiato per rispondere al suo amico o per combattere e sapeva che mostrare che era di fatto vivo avrebbe solo fatto sì che venisse ucciso dai Protestanti perché sapeva che Porthos era troppo lontano per aiutarlo. Odiava sentire il crudo dolore nella voce di Porthos ma con nient’altro che potesse fare rimase semplicemente sdraiato dov’era cercando di non mostrare la sofferenza sul suo viso per il fatto di star facendo credere al suo amico di essere stato ucciso.

 
 
Porthos era rimasto fermo scioccato quando gli Ugonotti erano improvvisamente apparsi e Aramis si era messo davanti a lui: si era chiesto se il suo amico avesse istinti suicidi. Ma sentendo le pistole sparare capì che Aramis non stava cercando di farsi uccidere piuttosto stava cercando di minimizzare il numero di nemici che li stava attaccando.

Le cose si erano evolute velocemente e poté solo guardare mentre Aramis sguainava la spada e si muoveva di qualche passo in avanti per iniziare a combattere. Sfortunatamente quei pochi passi si trasformarono in un grosso spazio tra loro, ora Porthos era lontano dal suo amico. Così fu con grande orrore e con la sensazione del cuore che si fermava che si volse verso Aramis solo per vederlo sdraiato senza energie a terra.

“Aramis!” Chiamò Porthos mentre iniziava a spingersi attraverso i combattenti, gli occhi fissi sul suo amico non volendo credere di aver perso suo fratello senza nemmeno averlo saputo.

Aramis!” ma non rispose ancora, non si mosse neanche. Porthos pensò di aver visto il petto dell’amico muoversi come se stesse cercando di prendere il respiro, ma non sapeva se era solo un pensiero speranzoso perché Aramis sembrava ancora morto.

Alla fine Porthos si inginocchiò accanto a Aramis; Tristan e Philippe stavano combattendo attorno a loro cercando di proteggerli. Porthos si sporse più vicino e fece per cercare il battito, nel farlo ebbe una sorta si flashback in una foresta coperta di neve sul confine con Savoia. Scacciò via i ricordi e restò scosso, ma sollevato, quando gli occhi di Aramis si aprirono tremando.

“Stai bene?” Chiese Porthos, mentre rilasciava un sospiro di sollievo per il fatto che Aramis non sembrava ferito, ma questo lo confuse soltanto. Se non era ferito perché stava sdraiato a terra sembrando morto?

Aramis alzò lo sguardo su di lui e annuì mentre lentamente si metteva a sedere.

“Perché non mi hai risposto?!” Chiese Porthos dopo aver visto che l’amico era sicuramente incolume.

“Mi hanno fatto cadere e tentavo di recuperare il respiro.” Rispose Aramis, si girò un poco, afferrò la spada e si mise il cappello più fermamente sulla testa.

“Pensavo che fossi morto.” Sibilò Porthos, non era arrabbiato con lui ma con la situazione in generale così l’amico ebbe la fortuna di vedersi rivolta contro tutta la rabbia.

“Lo sarei stato se mi fossi mostrato come una persona viva che cerca di recuperare respiro!” Protestò Aramis. Porthos sospirò e poi annuì, aiutandolo ad alzarsi e presto furono nella folla di combattenti. Fece del suo meglio per restare al fianco di Aramis ma furono di nuovo separati, ringhiò frustrato contro quell’ingiustizia. Tutto ciò che voleva era stare al fianco del suo fratello per assicurarsi che uscisse vivo dalla battaglia. Era troppo da chiedere?

Porthos fu distolto dai suoi pensieri quando l’uomo contro cui stava combattendo gli tagliò la gamba e lo spinse: sbilanciato a causa della gamba ferita Porthos si ritrovò a cadere nella trincea. Precipitò malamente, sentì un rumore e la spalla sinistra fu travolta dal dolore. Mentre i suoi occhi si chiudevano tremolando fu vagamente consapevole di Aramis che si sporgeva verso di lui e che gridava verso qualcuno. Alzò lo sguardo sul viso preoccupato dell’amico prima di farsi avvolgere dalle tenebre.

 

Porthos aprì lentamente gli occhi mentre si sentiva sdraiato su una barella e abbassò lo sguardo per vedere il suo braccio sinistro in una fascia che lo sosteneva.

“Bene, sei sveglio.” Porthos si girò per vedere Aramis accanto a lui. Allo sguardo interrogativo di Porthos, l’altro indicò la sua spalla sinistra.

“Ti sei dislocato la spalla quando sei caduto e mentre eri svenuto io e Henri abbiamo colto l’opportunità per risistemarla, il taglio sulla tua gamba non è così grave. In poche settimane starai bene.” Sorrise Aramis, ma era uno di quei sorrisi che usava per distrarre qualcuno da notizie che sapeva non sarebbero state gradite.

“Aramis. Cosa mi stai nascondendo?” Chiese Porthos, ignorò il dolore e lanciò un’occhiataccia a suo fratello. Il suo amico aprì la bocca per rispondere ma fu interrotto da Treville che entrò nella tenda che era usata per i feriti.

Treville lanciò ad Aramis un’occhiata comprensiva prima di abbassare lo sguardo su Porthos con lo stesso sguardo sul viso mentre si sedeva sul bordo della barella, “La guerra è finita per te Porthos.”

“Cosa significa Capitano?” Chiese Porthos, una parte di lui sapeva cosa Treville volesse dirgli e sperava di sbagliarsi.

Aramis distolse lo sguardo mentre Treville sospirava, “Le tue ferite guariranno, ma sarai fuori gioco per un bel po’ di tempo per la tua spalla. Così una volta che il medico ti riterrà abbastanza in forze tornerai a Parigi.”

Porthos scosse la testa, “No, per favore Capitano, starò bene! Datemi due
settimane e tornerò a combattere!”

“Mi spiace Porthos, ma questi sono gli ordini per te.” Disse Treville, diede gentilmente una pacca sulla spalla buona di Porthos e poi si alzò in piedi. Annuì verso l’altro Moschettiere e poi lasciò la tenda.

Aramis lentamente alzò lo sguardo dai suoi piedi e incontrò lo sguardo affilato di Porthos, “Non tornerò a Parigi.”

Aramis sospirò e si sedette dove era appena stato Treville, “Devi Porthos. Non hai scelta a riguardo.”

“Non ti lascerò qui da solo!” Ringhiò Porthos e allungò il braccio per afferrare quello di Aramis.

“Non puoi Porthos. Treville è il Capitano, ha preso la sua decisione ed è per il tuo bene. Hai bisogno di tempo per guarire.” Sostenne Aramis.

“Posso guarire qui!” Discusse l’altro.

“Tu hai bisogno di riprendere le forze a Parigi.” Affermò Aramis con fermezza, “È meglio così.”

“Come può essere meglio?!” Esclamò Porthos arrabbiato,

Aramis abbassò la voce e questo fece capire a Porthos che il suo amico ora era serio, “Perché innanzitutto ti permetterà di far guarire la tua spalla molto meglio che qui. E secondo sarai al sicuro.”

Porthos ritrasse la mano scioccato e la sua rabbia iniziò a crescere, se prima era diretta contro Treville ora era puntata contro Aramis. “Al sicuro?! Non sono un bambino che ha bisogno di protezione!”

“Questo lo so!” Scattò Aramis, era esausto e ora aveva rinunciato a cercare di fargli notare che era per il suo bene se veniva rimandato a Parigi.

“Allora perché sei d’accordo con il Capitano?!” Ringhiò Porthos.

“Perché ha preso la decisione giusta!” Lo rimbeccò Aramis mentre si alzava velocemente in piedi e abbassava lo sguardo sul suo testardo amico.

“Sbagliate entrambi!” Scattò Porthos, stava finendo gli argomenti ed era disperato perché voleva che gli venisse permesso di restare al Forte, non poteva tornare a Parigi mentre Aramis restava a La Rochelle.

“Siamo stati soldati entrambi più a lungo di te. Penso che ne sappiamo più di te circa questo.” Commentò Aramis attraverso i denti stretti.

“Sarai lì fuori senza di me. Ti lancerai in trovate incaute e ti farai ammazzare! Ti chiedi perché i tuoi amici restano uccisi: loro muoiono tentando di salvarti!”
Disse Porthos con voce tagliente, e non appena le parole lasciarono la sua bocca desiderò disperatamente farle tornare indietro. Non aveva avuto intenzione di dirle, non aveva idea da dove venissero quelle parole. Aramis trattenne il respiro e nei suoi occhi Porthos capì che il suo amico stava vedendo tutti quelli che aveva perso in guerra e a Savoia. “Aramis io non-“

Aramis restò dritto in piedi e mascherò le sue emozioni, “Grazie per l’onestà Porthos.” Disse in tono piatto, si volse e iniziò ad andarsene.

“Aspetta! Aramis fermati!” lo chiamò Porthos, l’altro Moschettiere si fermò e stava per voltarsi per affrontarlo quando Henri irruppe nella tenda.
“Aramis! Gli Ugonotti stanno attaccando ancora! C’è bisogno di te alle trincee!” Annunciò Henri,

Aramis lanciò un’occhiata di traverso a Porthos prima di correre fuori dalla tenda e dalla vista dall’amico. Henri vide l’espressione disperata di Porthos e si avvicinò lentamente.

“Devo passare messaggi dal Forte alle trincee, posso venire tutti i giorni e farti sapere come si comporta Aramis.” Gli offrì Henri.

Porthos alzò lo sguardo grato sul ragazzo, “Grazie Henri.”

Il giovane sorrise e lasciò la tenda, abbandonando Porthos ai suoi pensieri tristi e al suo rimorso. Come aveva potuto dire quelle cose? La peggiore paura di Aramis era che i suoi amici morissero attorno a lui, ed era un orrore che si era avverato troppo spesso per il suo migliore amico. Porthos aveva passato mesi a convincere Aramis che la morte dei suoi amici o di suo cugino non erano colpa sua, ora se n’era andato e aveva detto a Aramis che erano morti per colpa sua.

“Ti prego torna indietro vivo.” Mormorò Porthos, prima di chiudere gli occhi per cercare di dormire e dimenticare le parole che aveva detto ad Aramis.
 

 
Inizio di Settembre 1628
 
Erano passate due settimane e ora Porthos era pronto per tornare a Parigi, non aveva visto Aramis una sola volta, ma Henri mantenne la sua parola e andava da lui tutti i giorni per dirgli che il suo amico stava bene.

Porthos era in piedi aspettando che Henri arrivasse prima di partire, volendo l’ennesima rassicurazione che Aramis era ancora vivo. Voleva così disperatamente scusarsi, ma non voleva farlo attraverso Henri, voleva farlo faccia a faccia.

Era rimasto ad aspettare un ora e ancora Henri non era arrivato, il suo cuore accelerò i battiti per la paura che qualcosa era andato estremamente male. Le urla di soldati gli fecero capire che c’era una battaglia seria alle trincee. Porthos ansimò e fece per correre ai cancelli ma apparve Treville.

“Cosa ci fai ancora qui?” Chiese.

“Stavo aspettando Henri.” Rispose Porthos, “Aramis, sta bene?”

Treville sospirò, “Non lo so. Ma ora devi andare; quelli che devono tornare con te hanno aspettato abbastanza.”

“Ma Aramis!-“ Protestò Porthos,

“Sono sicuro che sta bene.” Lo confortò Treville, e poi ignorando le proteste di Porthos lo aiutò a montare a cavallo.
Porthos non poté fare altro che voltarsi verso le trincee immaginandosi facilmente Aramis che combatteva per la sua vita. Ancora una volta si pentì amaramente delle parole dette; tutto ciò che stava cercando di fare era di poter restare con suo fratello. Ma ciò in cui era riuscito alla fine era stato ferire Aramis. Mentre cavalcava via, non per la prima volta, alzò gli occhi al cielo e mormorò, “Ti prego riportalo vivo.”

 

Note dell’autrice: mi spiace di aver finito qui il capitolo! Cercherò di aggiornare il prima possibile, ma il semestre Universitario finisce domani così devo impacchettare le mie cose e mia madre ha già programmato dei lavori per me per quando sarò a casa. Farò il più veloce possibile!

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Capitolo 10
*** 10. Siege of la Rovhelle – Sep 1628-Nov 1628 ***


From Strangers to Brothers

Fine Settembre 1628

Aramis era rannicchiato vicino al fuoco e fissava le fiamme tremolanti, alzando poi lo sguardo sul cielo notturno. Guardando le stelle poteva quasi credere che tutto fosse tranquillo, sospirò e abbassò gli occhi sulle sue mani. Era così stanco. Era a La Rochelle da un anno ormai ed era esausto, ne aveva abbastanza di vivere nella costante paura di un attacco. Gli Inglesi avevano tentato una terza manovra per inviare delle navi in aiuto agli Ugonotti. All’inizio quando avevano inviato la prima flotta era rimasto sorpreso, considerando che il Re d’Inghilterra e Scozia Carlo I (nonostante fosse protestante) avesse sposato la Cattolica sorella di Luigi XIII nel 1625. La terza flotta Inglese aveva bombardato la loro posizione e Aramis era corso da tutte le parti cercando di aiutare quanti più feriti possibile: gli ci erano voluti giorni per far scomparire le macchie di sangue dalle mani. Era crollato contro un muro sentendosi distrutto, nonostante l’armata navale fosse stata sconfitta e si era ritirata in Inghilterra. Aramis sentiva la spossatezza che gli filtrava nelle ossa e ora si sentiva oltremodo stanco, era passato molto tempo da quando aveva dormito pacificamente tutta la notte.

Treville aveva visto quanto fosse esausto e gli offrì un periodo di licenza per tornare a casa per una settimana, e se da una parte era stato tentato di accettare l’offerta del Capitano e andare a trovare sua madre, suo padre e suo nonno, aveva rifiutato per la paura di un attacco e per il timore che le nuove reclute venissero uccise. No, piuttosto preferiva restare a La Rochelle per tenere d’occhio i giovani Moschettieri e assicurarsi che sopravvivessero alla campagna. Il Reggimento aveva perso cinque uomini, tre dei quali nuove reclute; Aramis l’aveva considerata una perdita personale: aveva preso i nuovi arruolati sotto le sue ali e li aiutava come meglio poteva, così la perdita dei tre lo aveva reso agitato per la paura e la sensazione di fallimento. Se da un lato si disperava per la situazione, tirava un sospiro di sollievo sapendo che Athos e Porthos erano a Parigi.

Aramis incurvò le spalle ricordando l’ultima volta che aveva visto Porthos; si passò una mano tra i capelli. Le parole dell’amico gli erano rimaste nella mente durante l’ultimo mese. Sapeva di avere la tendenza a correre rischi quando era in battaglia, ma non aveva mai considerato che fossero la causa della morte dei suoi amici.
“Sarai lì fuori senza di me. Ti lancerai in trovate incaute e ti farai ammazzare! Ti chiedi perché i tuoi amici restano uccisi: loro muoiono tentando di salvarti!”

Ricordava la rabbia che aveva provato, era stato a malapena in grado di fermarsi dal rispondere seccamente che non aveva mai chiesto a nessuno di salvarlo. Ma si era bloccato perché c’era del vero nelle parole del suo amico, allora la colpa aveva preso piede e aveva deciso che era davvero il meglio per l’altro tornare a Parigi. In questo modo Porthos non sarebbe morto cercando di salvarlo. Lo aveva già perdonato, vedendo l’espressione sul viso dell’amico aveva capito che le parole gli erano uscite per sbaglio, quelle frasi erano prive di significato e Porthos avrebbe voluto rimangiarsele non appena lasciarono la sua bocca. Ciò nonostante, mentre l’amico probabilmente sentiva che non volevano dire nulla, Aramis poteva vedere la connessione tra la morte dei suoi compagni e le sue azioni.

Dopo che Henri gli aveva detto che era richiesto alle trincee, mentre tornava verso i suoi uomini correndo, si era ripromesso che nessun altro sarebbe morto per lui. Avrebbe combattuto da solo e sarebbe sopravvissuto o sarebbe morto. Non gli importava quale delle due, solo così nessun altro si sarebbe intromesso e sarebbe morto per colpa sua. Non se lo meritava.

 
 
Porthos era in piedi in una delle camere della guarnigione: con Aramis ancora sul campo di battaglia voleva restare lì finché gli uomini sarebbero tornati, in questo modo sarebbe stato vicino in caso di nuove notizie, o di feriti. Le voci si erano diffuse ed erano giunte a Parigi dicendo che gli Inglesi avevano inviato una terza flotta che aveva bombardato la Forza Reale Francese lasciando molti morti o feriti, nessuno conosceva i loro nomi e così lui non sapeva se Aramis era tra essi; i messaggi non passavano tra la guarnigione e i Moschettieri a La Rochelle. Ma dopo due settimane senza che arrivassero soldati feriti o morti, Porthos lo aveva preso come un buon segno per il fatto che suo fratello fosse ancora vivo e vegeto.

Guardò oltre la finestra, guardando le stelle si sentì un poco confortato di stare guardando le stesse cose che stava guardando Aramis, sapendo che il suo amico traeva conforto nel guardare il cielo pacifico.

Se è ancora vivo.

Porthos spinse via quel pensiero velocemente com’era arrivato, Aramis non era morto, semplicemente non lo era. Il suo amico era testardo e non si arrendeva facilmente. In realtà era così ostinato che se qualcuno gli avesse detto di fare qualcosa che lui non voleva, avrebbe fatto completamente l’opposto. Porthos rise sommessamente ricordando tutti i guai in cui Aramis si era cacciato a causa di questo particolare tratto della sua personalità. La risata gli morì in gola, il buon umore svanì nella notte. Se da una parte Aramis era così testardo da non arrendersi, d’altro canto avrebbe messo da parte la sua ostinazione e si sarebbe arreso se questo significava far sopravvivere suo fratello: si sarebbe ucciso con la sua stessa spada se questo voleva dire far sopravvivere i suoi compagni. Non per la prima volta Porthos si rimproverò per avergli detto che era la causa della morte dei suoi amici. Conoscendolo, sapeva che si sarebbe tenuto lontano da tutti, assicurandosi che nessuno lo avrebbe aiutato. Facendo in modo che gli altri sarebbero sopravvissuti, non preoccupandosi della sua vita.

Porthos sapeva che se il peggio sarebbe giunto e suo fratello non avrebbe fatto ritorno a Parigi, non si sarebbe mai perdonato. Poteva non essere stato lui a sparare con il moschetto o sfoderare la spada, ma il sangue di Aramis sarebbe stato sulle sue mani.

Guardò alla sua sinistra e fissò la sua spalla ancora fasciata, i ricordi offuscati sul momento in cui si era ferito. Si ricordava chiaramente il volto preoccupato di Aramis chino sopra di lui, e il sollievo che si era disegnato sul suo viso quando aveva capito che Porthos aveva solo un taglio profondo sulla gamba e una spalla dislocata.

Ricordava anche il terrore che gli aveva afferrato il cuore quando aveva pensato di aver perso Aramis; la sensazione di disperazione che aveva sentito a Savoia non era nulla a confronto. Quando gli era stato detto del massacro aveva testardamente rifiutato di ammettere che l’altro fosse morto, senza corpo non c’erano prove che il suo amico era stato ucciso. Quando lo aveva trovato vivo aveva provato che aveva ragione. Ma vedere Aramis che assomigliava ad un cadavere sul campo di battaglia fuori da La Rochelle… rabbrividì. In quel momento aveva conosciuto il puro terrore e la perdita, perché sdraiato davanti a lui c’era il corpo del suo migliore amico, e se era accaduto il peggio, sdraiato davanti a lui c’era la prova della sua morte.

Ora capiva perché, quando Aramis parlava della sua vita prima dei Moschettieri aveva sempre lo sguardo devastato. Ora sapeva perché si rifiutava ostinatamente di parlare dei suoi amici del suo primo anno come soldato, Porthos non conosceva nemmeno i loro nomi. Aramis gli aveva raccontato solo di Victor; sembrava che il Moschettiere non volesse mai ricordare i suoi compagni. Ora sapeva di avere torto: non era che Aramis volesse dimenticarli, voleva bandire dalla sua mente le immagini dei loro cadaveri sul campo di battaglia. Aramis era ancora vivo, e nonostante ciò Porthos non riusciva a bandire dalla sua memoria le immagini del corpo di suo fratello immobile nella foresta sul confine con Savoia e ora a La Rochelle. Nonostante dalla morte degli amici di Aramis fossero passati sei anni Porthos vedeva che per l’altro era ancora doloroso parlarne. Non poteva biasimarlo; se avesse perso suo fratello, sarebbe stato lo stesso per lui.

Alzò gli occhi al cielo e mormorò, “Lascialo vivere, fa che torni vivo.”

Una mano si posò sulla sua spalla destra, si spaventò e si guardò attorno per vedere Athos che lo fissava di rimando. L’espressione sul volto dell’altro Moschettiere era quella di sempre, ma nei suoi occhi Porthos poteva scorgere la preoccupazione per lui e Aramis.

“Starà bene, tornerà indietro.” Affermò Athos e lo disse con una tale convinzione che Porthos quasi ci credette. Ma le parole che aveva gridato ad Aramis gli vorticavano nella testa insieme agli occhi sgranati dell’amico pieni di dolore, perdita e ricordi inquietanti.

“Dopo quello che gli ho detto…” Sussurrò Porthos scuotendo tristemente la testa, “Non lo invidierei se decidesse di non parlarmi più. Se dovesse tornare.”

“Tornerà. A questo punto non aver ricevuto alcuna notizia è un buon segno.” Sottolineò Athos, “Anche se non so cosa vi siete detti, in quanto sono affari tuoi non miei, conosco Aramis. So che ti ha già perdonato e non appena ti vedrà te lo confermerà lui stesso. So che hai paura che sia distratto a causa di ciò, ma ha molta più fortuna di chiunque altro io conosca. Tornerà. Aspetta e vedrai.” Athos gli rivolse un piccolo sorriso prima di voltarsi e andarsene.

Porthos lo guardò muoversi e poi tornò a voltarsi verso il cielo notturno sopra di lui. Voleva credere ad Athos, lo voleva davvero, non faceva apposta ad immaginarsi la morte dell’amico. Ma senza alcun ferito tornato non c’era nessuno che poteva dirgli che Aramis era ancora vivo ed era passato quasi un mese da quando era partito dal Fort Louis e lo aveva lasciato là solo.  Colpì il davanzale con la mano destra abbassando la testa, nella sua mente scorrevano tutti i bei momenti che lui e Aramis avevano condiviso; quando avevano irritato deliberatamente Athos e Treville, fingere di duellare tra di loro nel cortile della guarnigione davanti alle nuove reclute facendoli restare seduti con la bocca aperta per lo stupore e lo sbigottimento, tutte le lotte nelle taverne a cui avevano partecipato.

“Torna indietro Aramis, basta che torni vivo.” Sussurrò prima di voltarsi per allontanarsi dalla finestra e sdraiarsi a letto sperando di non svegliarsi a causa degli incubi di ricevere la notizia che suo fratello non sarebbe tornato.

 
 Fine Ottobre 1628

Aramis era in piedi accanto a Henri e guardava gli Ugonotti che stavano caricando contro di loro, poi spostò lo sguardo sul giovane; il ragazzo gli era rimasto incollato accanto nei giorni scorsi, dopo che era stato assegnato alla sua pattuglia. Notando come i Protestanti fossero vicini gentilmente, ma con forza, spinse Henri tra il gruppo di uomini della loro squadra. Henri lo guardò sorpreso e confuso.

Aramis annuì verso gruppo, “Starai più al sicuro con loro, resta lì e ricordati cosa ti ho insegnato, starai bene.”

“E tu?!” Esclamò Henri, mentre spostava lo sguardo dalla pattuglia a lui.

Aramis gli rivolse un piccolo sorriso, “Starò bene, solo stai con loro, Henri, qualunque cosa accada a me o a chiunque altro stai attaccato a Philippe e Tristan e al resto della pattuglia.”

Henri aprì la bocca senza dubbio per ribattere, ma Aramis oltrepassò velocemente lui e la sua squadra finchè fu davanti a tutti: sparò con le sue due pistole e le ricaricò riuscendo a fare fuoco altre due volte prima di estrarre la spada. Strinse gli occhi e fissò i Protestanti giurando che nessun altro dei suoi amici sarebbe morto. Gli Ugonotti erano stati quasi sconfitti, una settimana al massimo e Aramis sapeva che si sarebbero arresi. Solo altri sette giorni e sarebbero potuti tornare tutti a casa e lui avrebbe potuto rivedere Athos e Porthos, rassicurandosi ancora che stessero bene. Gli mancavano terribilmente, ma Henri era un ottimo sostituto. Smise di pensare ai suoi amici in quanto gli Ugonotti erano abbastanza vicini per combattere.

Parò facilmente i colpi dei suoi nemici, le loro abilità con la spada non erano nulla se comparate alle sue. Ma era diverso combattere da solo; di solito Porthos era dietro di lui o vicino. Si era sempre sentito rassicurato di avere i suo amici che combattevano vicino a lui. Ma ora era solo.

Mentre la battaglia andava avanti Aramis si allontanò dai suoi compagni, non aveva intenzione di permettere a nessuno di loro di aiutarlo e di farsi uccidere nel mentre. Il suo piano, tuttavia, fu spazzati via quando con l’angolo dell’occhio vide che la spada di Henri volò via dalla sua mano, un Ugonotto che lo spingeva in ginocchio e lo guardava malevolmente mentre alzava la spada per assestare il colpo finale. Henri guardò il suo nemico con uno sguardo duro, Aramis si sentì un po’ orgoglioso che in questo momento disperato Henri rifiutasse di mostrare alcuna paura. Ma non sarebbe morto: non aveva intenzione di far sì che accadesse.

Così calciò via l’uomo che stava combattendo che finì direttamente sul sentiero di guerra di Tristan. Aramis caricò con la spada alzata e all’ultimo secondo prima che Henri venisse colpito, spinse di lato con la sua lama quella dell’Ugonotto. Con la sua mano libera lo premette a terra e fu vagamente consapevole del giovane che strisciava sul pavimento per raggiungere la spada persa. Aramis, con gli occhi stretti e guardando fisso l’uomo che aveva cercato di uccidere Henri, si mosse di lato finché non fu tra il ragazzo e l’Ugonotto.

“Potresti anche aver salvato il tuo amico, Moschettiere.” Sogghignò l’uomo creando dei sibili mentre muoveva la spada da un lato all’altro del suo corpo, “Ma hai solo ritardato il suo destino, lui morirà. Anche se devo uccidere tu prima di lui.”

Aramis fece un sorrisetto, “Provaci.” Alzò la spada più in alto e guardò l’uomo attraverso gli occhi stretti che potevano essere intravisti da sotto la falda del cappello.

Il suo commento ebbe l’effetto sperato in quanto l’Ugonotto si sentì insultato: Porthos avrebbe detto quanto stava diventando incauto e Aramis poteva solo essere d’accordo. Ma offendere il suo avversario stava distogliendo la sua attenzione da Henri.

L’uomo fece uscire un grido di guerra e caricò Aramis che mise i piedi alla stessa larghezza delle spalle e si assicurò di essere fermamente in equilibrio. Il suo nemico aveva indubbiamente una costituzione più grossa di quella di Porthos e Aramis sapeva che se non fosse stato abbastanza preparato si sarebbe ritrovato a terra nel giro di pochi secondi come se fosse stato colpito da un cavallo.

Mentre l’uomo si muoveva verso di lui, dovette abbassare la testa, ruotare su un piede e raddrizzarsi per portare a segno il suo colpo. Stava riuscendo a far arretrare il suo avversario, quando all’improvviso l’uomo afferrò il suo mantello e tirò. Aramis fu sbilanciato e fece quasi cadere la sua spada a causa della sorpresa della pressione attorno al collo. Con la schiena contro l’Ugonotto Aramis non perse tempo ad alzare un suo piede e colpire con forza l’uomo che stava cercando di strangolarlo. L’altro ululò per il dolore e lasciò la presa sul mantello di Aramis che se ne liberò in fretta, si voltò e rimase sorpreso nel vedere che l’uomo già alzava la sua spada per attaccare ancora.

Aramis non aveva idea quanto quella lotta stava durando, ma sapeva che si stava stancando e che non poteva durare ancora a lungo. Ora sapeva come sarebbe stato affrontare Porthos in un vero combattimento con la spada, qualcosa che aveva intenzione di evitare anche solo per un duello amichevole invece di uno di quelli finti che avrebbero fatto per impressionare le nuove reclute. Aramis si guardò intorno per cercare aiuto, ma, ricordando che si era tenuto lontano da tutti, capì che l’atto di salvare i suoi amici sarebbe stata la sua rovina. Ma vide Henri combattere vicino, assicurandosi senza dubbio che nessun’altro Ugonotto arrivasse per lottare contro di lui.

Spinse il suo nemico su un lato, usò la breve interruzione per togliersi il sudore dalla fronte e fu grato di avere ancora il cappello in testa che gli bloccava gli sgraditi raggi di sole dagli occhi. Si distrasse per un momento e fu riportato alla realtà quando Henri gridò il suo nome. Alzò lo sguardo appena in tempo per vedere l’Ugonotto che si avvicinava rapidamente ancora una volta. I suoi stessi movimenti stavano diventando lenti e ciò gli fece capire che stava combattendo contro lo stesso uomo da più di dieci minuti.

Poi accadde l’impensabile: a causa della sua spossatezza inciampò in una roccia dando all’Ugonotto abbastanza tempo per torcere la spada fuori dalla sua presa. L’uomo balzò in avanti con la sua lama e un dolore acuto esplose nel suo fianco; Aramis intrecciò il suo sguardo con quello dell’Ugonotto, scioccato. Mentre la spada veniva estratta dalle sue carni sentì in lontananza Henri che urlava il suo nome: mentre le ginocchia gli cedettero e colpì il terreno con la testa abbassata, le urla del giovane Moschettiere si fusero con la voce di Porthos e Aramis si chiese cosa l’amico avrebbe pensato quando Henri gli avrebbe detto come era caduto: inciampare su una pietra, si sarebbe deriso da solo se non avesse avuto il respiro bloccato in gola. Alzò un poco il viso per vedere il cielo e così facendo si sbilanciò di lato per poi accasciarsi al suolo sul fianco non ferito. I suoni della battaglia e le disperate suppliche di Henri di alzarsi scomparvero per essere sostituite con il suono del suo stesso sangue che gli martellava nelle orecchie.

La cosa successiva di cui fu consapevole era Henri accovacciato davanti a lui che lo guardava con occhi spalancati per il panico. Il giovane gli spinse gentilmente la spalla così da farlo sdraiare sulla schiena. Aramis sussultò quando qualcosa fu spinto contro la sua ferita; alzò lo sguardo per vedere Henri che gridava a qualcuno di aiutarlo. Il dolore stava scomparendo e Aramis sapeva che era un brutto segno, sapeva che era la sua fine. Lentamente allungò una mano per stringere debolmente quella di Henri, il ragazzo abbassò lo sguardo su di lui e Aramis riuscì a vedere che i suoi occhi brillavano per le lacrime trattenute.

Deglutì per scacciare il blocco che aveva in gola e mormorò “Va tutto bene… non è colpa tua.”

“Starai bene Aramis.” Lo rassicurò l’altro mentre si aggrappava alla sua mano.

Aramis provò a sorridere, ma sapeva che sarebbe assomigliato più a una smorfia, “Va tutto bene Henri.” Sussurrò. Mentre i suoi occhi si chiudevano sentiva il giovane chiamarlo e dirgli di riaprirli. Ma era così stanco. L’oscurità era benvenuta: non c’era alcun dolore e in questo modo non avrebbe più a lungo dovuto essere la causa della morte dei suoi amici. Questo era la soluzione migliore, e lui l’aveva accettata. Se solo Henri, Athos e Porthos sarebbero stati in grado di farlo.

 
Inizio Novembre 1628

Porthos era in piedi nel cortile della guarnigione con tutti gli altri Moschettieri che erano rimasti a Parigi: erano giunte voci che il 28 Ottobre la città de La Rochelle si era arresa. E oggi i loro compatrioti sarebbero tornati, un messaggero era giunto e aveva annunciato ciò, ma non era stato in grado di dire chi era stato ferito, solo che sei lo erano, di cui due gravi. Fortunatamente il Reggimento aveva perso solo cinque uomini durante l’intera campagna. Athos era in piedi accanto a Porthos, per quest’ultimo erano passati quasi tre mesi dall’ultima volta che aveva visto Aramis, ma per l'altro Moschettiere era passato un anno intero. Non riusciva a immaginare di passare tanto tempo senza vedere suo fratello; era stato insopportabile passare tre mesi senza parlargli. Il suo migliore amico aveva la capacità di innalzare lo spirito delle persone nelle situazioni più buie e Porthos aveva disperatamente avuto bisogno che il suo spirito venisse sollevato durante il tempo che lui era a Parigi e Aramis a La Rochelle. Ma nessuno era stato ucciso durante l’ultimo attacco e così Porthos riusciva a respirare un po’ più facilmente sapendo che il suo amico era ancora vivo.

Mentre tutti nel cortile erano felici per il ritorno dei loro amici e fratelli, Porthos non poteva ignorare quella sensazione di timore che gli attanagliava lo stomaco da tre settimane. Se da una parte non aveva prove, sapeva che quella inquietante sensazione aveva qualcosa a che fare con Aramis. Era successo qualcosa, e se in altri momenti sarebbe stato in grado di spazzare via quella sensazione, il fatto che Athos avesse iniziato ad avere lo stesso presentimento da tre settimane non dava a Porthos alcun sollievo. Nonostante sapessero che Aramis era ancora vivo.

Tornò al presente sentendo il suono degli zoccoli sulla pietra, poco dopo i primi carri entrarono nel cortile. Uomini saltarono giù e furono subito abbracciati dai loro amici; poi entrò Treville cavalcando accanto ad un carro che tutti capirono subito trasportare i feriti. Il non aver ancora visto Aramis fece perdere un battito a Porthos. Treville chiamò a sè lui e Athos che si scambiarono uno sguardo preoccupato prima di avvicinarsi lentamente. Li seguirono degli sguardi comprensivi, cosa che non rassicurò per nulla Porthos: capì allora che Aramis era uno dei feriti gravi.

Delle barelle erano state tolte da esso mentre stavano in piedi davanti a Treville che era smontato e li guardava con uno sguardo rattristato. Fece un cenno col capo verso il carro e così lo raggirarono per vedere che sull’ultima barella che aspettava di essere tolta c’era sdraiato Aramis, completamente immobile. Porthos fece per salire ma fu bloccato da Treville in quanto Henri e Philippe stavano già portando la barella con Aramis ad una delle camere al piano superiore della guarnigione con Athos, Treville e Porthos alle calcagna.

Porthos rimase in silenzio scioccato al margine della camera mentre Aramis veniva sistemato sul letto, Philippe controllò il bendaggio che aveva avvolta attorno al busto del suo amico e poi si allontanò permettendo all’altro Moschettiere di avvicinarsi lentamente alla pallida figura sdraiata immobile sul letto. Con gli occhi spalancati Porthos rimase in piedi accanto ad Aramis e mise una mano sulla sua fronte; fu turbato di sentire che aveva la febbre. La porta che si chiudeva gli fece spostare l’attenzione su coloro che erano rimasti nella stanza, solo Aramis, lui stesso, Athos e Henri.

Quest’ultimo si avvicinò con una bacinella piena d’acqua e un panno, che allungò a Porthos: sorrise grato al giovane e non sprecò tempo a bagnarlo e metterlo sulla fronte di Aramis. Si sedette sulla sedia che Athos gli aveva portato; poi alzò lo sguardo su Henri che stava fissando l’uomo ferito preoccupato.

“Cos’è successo?” Chiese Porthos delicatamente,

Henri si spaventò e poi calmandosi lo guardò negli occhi con la colpa incisa sul suo volto. “Aramis mi ha detto di stare vicino al resto della pattuglia una volta che ha capito che stavamo per essere attaccati. Ho provato a fare come mi ha detto ma sono stato separato. Stavo combattendo contro un Ugonotto che era circa due volte me. Ha colpito la mia spada facendomi perdere la presa, mi ha spinto sulle ginocchia e ha alzato la spada.”

Porthos sussultò, si immaginò facilmente la situazione che il giovane gli stava descrivendo. Sapeva che Henri era fortunato ad essere di fronte a loro, e sapeva che lo era perché Aramis aveva fatto qualcosa per salvarlo.

Il giovane prese un respiro profondo prima di continuare, “Allora dal nulla è arrivato Aramis che ha usato la sua spada per deviare il colpo mortale e mi ha spinto a terra con la sua mano libera. Ha poi fatto sì che l’Ugonotto si focalizzasse su di lui e si dimenticasse di me, così ho usato il vantaggio e sono strisciato a recuperare la mia arma.”

Porthos scambiò con Athos un piccolo sorriso, e poi abbassò di nuovo lo sguardo su Aramis. Era tipico del loro amico apparire dal nulla durante una battaglia: sembrava scomparire quando lo si cercava, ma non appena avevi bisogno di qualcuno che combattesse al tuo fianco lui era proprio lì, come se fosse apparso dall’aria.

“Quando mi sono voltato ho visto che Aramis stava combattendo alla pari e aveva difficoltà ad avere la meglio. Volevo aiutare, ma ero preoccupato che sarei solo stato d’intralcio e rendere le cose peggiori.” Confessò Henri abbassando un poco la testa mentre guardava il Moschettiere ferito.

“Hai fatto la cosa giusta Henri.” Assicurò Porthos, il ragazzo alzò di scatto la testa per guardarlo, “Avresti potuto restare ferito o ucciso tentando di aiutare Aramis, e lui non avrebbe voluto che accadesse. Hai fatto la cosa giusta scegliendo di stare in disparte.”

Henri annuì grato; Porthos sapeva che l’altro aveva guardato Aramis con ammirazione durante quell’anno. No, ora erano due anni che Henri si era unito ai Moschettieri e il suo amico l’aveva preso sotto la sua ala. Sebbene lo facesse con tutte le nuove reclute sembrava essere diventato il mentore di quel giovane e di conseguenza un eroe per Henri.

“Allora altri Ugonotti sono venuti verso di noi, probabilmente vedevano Aramis come un bersaglio facile. Così li ho combattuti, tenendoli lontani da lui. La lotta era quasi finita, così ho controllato che stesse bene e ho visto che Aramis era esausto. È inciampato su una roccia e l’Ugonotto gli ha fatto perdere la presa sulla mano e poi… e poi… um… lo ha pugnalato.” Henri serrò gli occhi cercando senza dubbio di bloccare l’immagine dolorosa, Porthos serrò le mani pensando a quanto volentieri avrebbe messo le mani sull’uomo che aveva quasi ucciso suo fratello. “Aramis si è accasciato a terra, l’Ugonotto aveva alzato la sua spada e gli ho urlato di alzarsi, ma non penso che potesse sentirmi. Così sono corso lì e ho spinto l’Ugonotto a terra. Tristan e Philippe sono arrivati e si sono occupati di lui. Così mi sono precipitato da Aramis. Era incosciente… il medico non ha riposto molte speranze sulla sua sopravvivenza, figurarsi vivere durante il ritorno a Parigi.”

Nonostante la grave situazione Porthos sbuffò, “Quel medico non conosce Aramis. È così testardo che fa tutto ciò che vuole, non importa cosa dicano gli altri.”

Athos mormorò che era d’accordo, poi Henri incespicò leggermente: vedendo che il ragazzo era esausto Athos si alzò in piedi e gentilmente lo accompagnò all’uscita.

Porthos, ora solo con Aramis, allungò una mano per sentire il suo battito rassicurante e regolare. Pregò che la febbre passasse presto e che suo fratello potesse svegliarsi così da scurarsi il prima possibile. Se da una parte odiava il fatto che Aramis non volesse più parlargli, lo avrebbe capito.

 
Metà Novembre 1628

Era passata una settimana e alla fine la febbre di Aramis era scesa, le sue ferite stavano guarendo bene. Tutto ciò che restava da fare era chiedersi quando si sarebbe svegliato. Henri aveva spiegato loro come aveva esitato quando Porthos aveva lasciato il forte e che lo aveva incontrato pochi minuti dopo che se n’era andato. Il giovane disse anche loro come Aramis non avesse dormito bene prima dell’attacco in cui era stato ferito, così Athos giunse alla conclusione che il corpo dell’amico stava solo recuperando il sonno di cui aveva bisogno.

Così una settimana e un giorno dopo che era stato portato alla guarnigione, con Porthos nel suo solito posto sulla sedia accanto al letto, Aramis iniziò ad agitarsi e a lamentarsi: Porthos si sporse e aspettò con il respiro trattenuto, presto gli occhi dell’altro Moschettiere si aprirono tremando. Aramis si guardò intorno confuso e iniziò quasi a farsi prendere dal panico.

Porthos strinse la sua mano, “Va tutto bene Aramis. Sei alla guarnigione, sei al sicuro.”

Gli occhi dell’altro si alzarono rapidamente su di lui, “Porthos?”  Gracchiò, la voce rauca perché non la usava da tempo.

“Sì sono io, chi altro sarebbe seduto al tuo fianco?” Sorrise Porthos mentre lo aiutava a bere dei sorsi d’acqua.

“Perché sono qui?” Chiese Aramis, i suoi occhi non incontrarono quelli dell’altro.

“Sei stato ferito.” Gli suggerì gentilmente Porthos, pensando che la domanda era stata posta solo a causa della confusione.

Aramis scosse la testa, “Pensavo di essere morto. Avrei dovuto esserlo.”

“No.” Sottolineò Porthos, capendo solo ora quali pensieri consumavano la mente dell’amico, sembrava che la sua opportunità di scusarsi fosse appena giunta. “È un bene che tu sia vivo.”

Aramis scosse ancora la testa, “Farò uccidere solo altra gente così.”

Porthos gli mosse il viso così da guardarlo dritto negli occhi, “Non avrei dovuto dirti quelle cose, Aramis. Non erano vere.”

“Lo erano!” Lo interruppe l’altro, sussultando quando mosse il fianco ferito, “Sono la ragione per cui i miei amici e Victor sono morti! E quei Moschettieri a Savoia!”

NO!” Sibilò Porthos, “Non avevo alcun diritto di dirti quelle cose. Tu salvi persone, non causi la loro morte.”

“Ma!-“

“Ma niente!” Lo interruppe Porthos con forza, “Henri mi ha detto cosa è accaduto, hai salvato la vita a quel ragazzo! Grazie a te sta camminando per le vie di Parigi.”

“È una sola persona.” Commentò Aramis,

“Una tra molte.” Replicò Porthos. Fece una pausa e poi aggiunse, “Mi spiace Aramis, per ciò che ti ho detto l’ultima volta che ci siamo visti. Ero arrabbiato e anche se questa non è una buona scusa, sono davvero molto dispiaciuto.”

“Oh Porthos.” Sospirò l’altro con un piccolo sorriso, “Non hai niente per cui scusarti!”

Porthos ricambiò il sorriso e afferrò una delle mani dell’amico; Aramis gliela strinse dimostrando che era tutto ok e che lo aveva perdonato.

Il sorriso di Aramis si allargò e chiese, “Allora cosa mi sono perso a Parigi?”

“Per chi mi hai preso? Per una vecchia pettegola?!” Esclamò Porthos,

“Bè in che altro modo potrei sapere cosa sta accadendo nella città da quando sono partito?!” Replicò Aramis. Porthos roteò gli occhi e l’altro sogghignò sapendo che aveva vinto; si sistemò in modo confortevole nel suo cuscino e alzò lo sguardo sull’amico rivolgendogli la sua più totale attenzione. Sfortunatamente per Aramis, la stanchezza causata dalla ferita grave da cui stava prevale: prima di sapere ciò che si era perso a Parigi i suoi occhi si chiusero e si addormentò.

Porthos appoggiò la schiena alla sedia, sollevato di aver evitato di raccontare gli ultimi pettegolezzi. Ma c’era Athos in piedi sulla soglia: entrò nella stanza, si sedette sulla sedia accanto a Porthos sporgendosi più vicino all’altro e con l’espressione seria chiese, “Allora cosa è successo per le vie di Parigi?”.

Porthos lo guardò a bocca aperta e poi si accigliò, “Sei stato in città più a lungo di me!”

“Sì.” Rispose Athos pazientemente come se stesse parlando ad un bambino, “Ma sono stato bloccato nell’ufficio di Treville, non esattamente il posto ideale per scoprire cosa accade in città”.

“Vai e scoprilo da solo!” Ringhiò Porthos,

“Stavi per dirlo ad Aramis, vuoi più bene a lui che a me?” Rispose Athos fingendo uno sguardo ferito,

“Perché è stato lontano dalla città per quattordici mesi ed è ferito! Non è esattamente nelle condizione di camminare per le strade di Parigi e scoprire cosa si è perso, no?!” Protestò Porthos. Vedendo il ghigno di Athos lanciò le braccia in aria e stizzito lasciò la stanza mormorando “Puoi raccontarglieli tu quei dannati pettegolezzi.”

Athos abbassò lo sguardo per vedere che Aramis si era svegliato e stava sogghignando in direzione della ritirata di Porthos. Alzò lo sguardo su di lui, “Allora quali sono le novità?”

Athos sorrise, si spostò sulla sedia di Porthos che era più vicina al viso dell’amico e si accomodò per raccontargli tutto quello che si era perso mentre era via.

Note dell’autrice: Spero che la fine di questo capitolo vada bene. Mi spiace se sembra un po’ sbrigativa, soprattutto le scuse che Porthos rivolge ad Aramis. Ma non sapevo davvero in che altro modo finirlo. Questo avrebbe dovuto essere l’ultimo capitolo ma non posso fare a meno di scrivere un capitolo sull’episodio 4 “The Good Soldier”. Dopo che questa storia sarà completa ne inizierò un’altra di cui ho già un’idea, grazie per aver seguito questa storia significa davvero molto per me!
 

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