Nix-Nivis

di Rossella23
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Era sola.
Unicamente sola, come sempre dopotutto.
La pioggia cadeva su di lei come volesse abbatterla.
Dalia non si preoccupava neanche di coprirsi. Non era importante la pioggia.
Se ne stava li, seduta su quel pezzo di strada a fasciarsi la ferita.

Era caduta. Aveva provato a rapinare un altro carro diretto alla banca locale, ma combattere in movimento è difficile persino per lei che è la ladra più ricercata di Roseway.
Dalia Gentel, quindici anni. Orfana di entrambi i genitori. Lei non esiste. È solo una ragazzina scomparsa nel nulla la notte del 16 novembre 1745.
Il mondo la conosce come Nivis, la ladra di neve. Immobile, particolare, fredda ma sorprendente. Capelli bianchi rilegati in una treccia. Occhi bianchi, di ghiaccio, quasi impenetrabili. Era caduta dal carro per evitare un colpo basso dalla spada del barone Lithgray. Sinceramente non si aspettava che sarebbe venuto lui in persona a difendere i suoi quattrini. Immaginava che avrebbe mandato tre o quattro uomini un po’ scarsi, come al solito. Invece no.

All’improvviso dalla finestra del carro uscì una mano. Con velocità il barone Lithgray sale sul tetto del mezzo. Di solito con la parola “barone” si pensa ad un uomo abbastanza vecchio che non si regge in piedi. Ma il barone di Roseway è un giovanotto di appena diciassette anni. Capelli neri come la pece, occhi gialli topazio.
Diventato barone all’età di quindici anni data la misteriosa morte dei suoi genitori. Will Lithgray e Dalia Gentel. L’uno davanti all’altro. Dalia attaccò.
La sua spada disegnò un segno indelebile, ma non fatale, sul petto del barone. Un bottone della giacca volò via, al di sotto del carro, e il gilet si strappò in tanti piccoli pezzi di stoffa di alto mercato.
Fino ad adesso Will non si era mosso per niente. Stava immobile con la testa china a fissarsi i piedi.

Alzò leggermente il capo e con un sorrisetto maligno disse: -
Nivis.. Finalmente ti ho davanti.-
Alzò il capo del tutto. Continuò a sorridere come se i segni sul petto non gli facessero male affatto. Ma appena tentò di avvicinarsi si accasciò dal dolore con un silenzioso gemito.
-
Proprio come dicono in giro, fredda come la neve. Mi dispiace che tu debba vedermi in questo stato pietoso. Avrei preferito indossare un abito migliore di questo. Anche se.. A te non credo dispiaccia vedermi mezzo nudo.-
-Sta zitto.- disse Nivis fredda.
-Che bello finalmente ho sentito la tua voce!-
-Ti ho detto di stare zitto.-
-Hai una voce bellissima. Così dolce, così fragile..-
-Smettila!-
Will si alzò da terra, anche se tremolante si avvicinò a Nivis fissandola negli occhi ed, una volta vicino, le sussurrò nell’orecchio :- Peccato che sarò l’unico a sentirla.- Prese velocemente la spada preparandosi ad un colpo basso. Nivis presa alla sprovvista si buttò dal carro senza pensarci. Si era procurata solo una leggera ferita sul ginocchio destro.
E il fango non era di certo d’aiuto. La benda era uno straccio pieno d’acqua. Doveva trovare un riparo non poteva restare sotto un temporale così violento e ferita.
Attorno a lei non c’era niente oltre la strada e qualche campo di grano. In quel momento in lontananza vide arrivare un carro di un pastore. Era la sua unica possibilità.
Lei era Nivis, non la avrebbe mai fatta salire se non per portarla dalle guardie. Il carro si avvicinava. Nascose il volto mascherato sotto il cappuccio del mantello.
Il cavallo che lo guidava correva più che mai anche se si notava il suo enorme sforzo nel trasportarlo. Le passò davanti velocemente.
Con un balzo si aggrappò al tendone che copre la merce.
“Chissà dove porta questo carro” si chiese.

Per fortuna era uno dei soliti carri che fanno lo stesso giro della cittadina di Roseway. Scese nello stesso punto. Davanti alla chiesa.
Non era una credente, ma le piaceva credere di essere protetta. Che tutto era già stato scritto. Non aveva bisogno di pensare di dover cambiare qualcosa.
Si avvicinò alla porta bagnata. C’era quasi. Entrò dentro la chiesa. Non era una di quelle chiese spettacolari. Era piuttosto piccola ma particolare.
Difatti sembrava più grossa di quanto fosse. Percorrendo la navata principale, circondata dalle solite comuni panche di legno, si arrivava all’altare.
Dietro l’altare, sul muro dell’abside stava un immenso affresco di Dio. Era particolare proprio per questo. Non era sulla croce. E neanche con suo figlio.
Era semplicemente Dio, raffigurato con la mano rivolta verso di te, come se fosse pronto a giudicarti. Certe volte, faceva rabbrividire.

In realtà quello non era un semplice affresco.
Era stato dipinto apposta per nascondere qualcosa, come una stanza. Infatti premendo sulla punta dell’indice della mano destra, l’altare si spostava di pochi centimetri, quelli che bastavano per aprire la botola. Una lunga scala a chiocciola conduceva a un piccolo e stretto ponte sotterraneo al buio che conduceva ad altre scale, stavolta normali e dritte.
Dopo essere risaliti c’era una stanza. La casa di Nivis. Un leggero fuoco acceso nel camino riscaldava l’ambiente circostante. Davanti al caminetto stavano dei cuscini cuciti a mano. Dalia si sdraiò su di loro. Era stanchissima. Ma doveva prima curarsi. Prese, allora, delle garze e le inzuppò nell’infuso di erbe. Legò la fasciatura molto stretta attorno al ginocchio.
Già stava guarendo. Si sciacquò il volto. L’acqua sporca scorreva via sotto al suo naso.

Fu in quel momento che lo vide. Sdraiato sul letto, non se ne stava mai a casa sua, lui che l’aveva. Simon Madknow, occhi celesti e capelli castano chiaro.
Era l’unica persona che conosceva e con cui scambiava qualche parola. Si sono incrociati durante un assalto ad una torre. Da allora lui la perseguita ovunque nonostante sia figlio di una famiglia di ricchi mercanti. Ladro per scelta, per vivere l’adrenalina che non si può provare nella semplice vita da commerciante.
Invece per Dalia era stato un obbligo: derubare o morire di fame. Però ne era abbastanza soddisfatta, non avrebbe mai sopportato il maschilismo dei borghesi e le attività da brava ed ubbidiente donna di casa. Per non parlare poi di quegli enormi vestiti costosi con busti che stringevano il petto fino a farlo scoppiare.
Se lo sentiva che non ce l’avrebbe mai fatta ad indossarne uno. In fondo era felice di essere una ladra con i suoi pantaloni larghi e il comodo gilet.

-
Vedo che sei tornata di nuovo ferita… Quando imparerai ad essere più prudente?- disse Simon, ironico.
-Quando imparerai a vivere nella tua casa e a non entrare nella mia?- ribatté Dalia senza distogliere lo sguardo dalla ferita.
-Simpatica e dolce come sempre.-
-Idiota e senza un minimo di cervello come sempre.-
Si scambiarono uno sguardo. Quello di lui era felice, pieno di gioia e amore, quello di Dalia invece era freddo, cupo ed abbattuto.
Ancora stava pensando alla battaglia combattuta poco prima, della quale era rimasta delusa.

Simon distolse lo sguardo e disse convinto di se -
Comunque… Ho deciso.-
-Cosa?- chiese Dalia quasi infastidita, poichè distratta dai suoi pensieri.
-
La prossima tappa è… Il palazzo dei Lithgray !- esclamò con entusiasmo.
-
Ti ricordo che questa non è un’avventura per divertire il tuo spirito selvaggiamente cretino… Devo solo derubare il giusto per mangiare e andare avanti.-
-Ma non capisci? Così, non ti preoccuperesti di dover rubare ancora. Sarai già a posto con tutto quel denaro che troverai là dentro!-
-Devo pensarci. Non si possono prendere decisioni così, su due piedi, come fai tu.-
-E perchè che c’è di male?-
-Prima o poi ti accadrà qualcosa di brutto se non stai più attento.-
-Ehi, mi sbaglio o ti stai preoccupando di me? Il cuore di ghiaccio della fredda e temutissima Nivis si è sciolto per me?-
-No. Mi servi per portare la legna nel camino senza che se ne accorgano i preti.-
-Infatti mi sembrava strano…-

Delle voci all’unisono bloccarono la loro discussione. I sacerdoti avevano cominciato a pronunciare i vespri, le preghiere della sera.
Nella stanza risuonava ogni parola come un eco. Poteva sembrare insopportabile ma aiutava a prendere sonno.
-
Ne riparliamo domani, ora devo riposare.- disse Dalia senza tanti rigiri di parole.
-
Va bene… Pensaci, Buonanotte.- le rispose con un mezzo sorriso.
Prese una coperta dall’armadio e si sdraiò sui cuscini morbidi e rilassanti. Chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo. Simon rimase ancora un poco a fissarla.
Poi si decise, spense tutte le luci e prima di coricarsi nel suo mucchio di cuscini le diede un dolce bacio sulla fronte. Fredda, ghiacciata. Ma gli piaceva.
Ormai per lui era diventata un’abitudine baciarla prima di addormentarsi.
“Chissà se lo venisse a scoprire… Si infurierebbe di sicuro.” pensò.

Ma lei lo sapeva già, e in fondo quel bacio le piaceva perchè sentiva il ghiaccio sciogliersi e la vita rinascere nel suo piccolo cuore.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Intanto, nella notte cupa e fredda, il villaggio di Roseway silenzioso dormiva e la possente loggia del barone Lithgray si ereggieva sul colle più alto di quella terra.
Mura alte e rocciose circondavano la villa con due sole torri ai lati della maestosa apertura che conduceva all’interno.
Quella notte Will, mentre la sua serva Lilith gli passava uno straccio di acqua d’erbe sulle ferite al petto, pensava ancora a quella battaglia persa senza darsi per vinto.
Cominciò a pensare ad ogni minimo dettaglio che avrebbe potuto aiutarlo nel trovare la tana del suo coniglio, invano. In quel momento Lilith passò lo straccio sulla ferita più grossa e profonda.
I pensieri del barone scomparvero lasciando spazio al dolore di quello squarcio che aveva sul petto.

La serva, alla vista dell’improvvisa contrazione della mascella di Will disse:
- Mi scusi, sono mortificata. Non intendevo farle del male, Lord.-
Prontamente lui, forse per rassicurarla o forse per toglierla di torno, rispose :-
Non ti preoccupare Lilith. Torna nella tua stanza adesso. Lasciami solo.-
-Come desidera, Lord-.

Lasciò lo straccio e il secchio con l’acqua d’erbe vicino al letto del suo padrone e successivamente si diresse verso l’uscita della stanza.
Sdraiato nel suo comodo letto a baldacchino, il Lord di Roseway continuava a pensare a come vincere contro il suo acerrimo nemico: Nivis.
Niente fin’ora era riuscito a portarlo sulla via giusta. Pensava che affrontandola dal vivo avrebbe avuto dei risultati soddisfacenti.
Ma l’unico risultato che ebbe era l’immagine di quegli occhi orgogliosi e bianchi, come la neve, che non spariva dalla sua mente. Lo squarcio sul petto, dopotutto, non era doloroso quanto la fitta al cuore che le aveva procurato quella ladra.
Ah, ma lui era Will, Lord Will, e Nivis sarebbe stata sua. Ora la voleva più che mai.
La desiderava come si desidera un giocattolo o un qualcosa che si sa che poi smetteremo di ammirare, e che distruggeremo o lasceremo su un angolo della soffitta a prendere polvere.
Il desiderio di vederla ancora era sempre più forte e quella notte, per Will, fu interminabilmente infinita.


La mattina era il momento migliore per pensare, soprattutto perché Simon ancora dormiva tranquillo tra i suoi cuscini.
Nivis si trovava sul bordo della finestra ad osservare il sole che lentamente si ereggeva su nel cielo.
Il cielo si era colorato di un leggero rosa pastello.
“L’idea di Simon è una pazzia” pensò “Ma ha ragione, probabilmente sarei sistemata a vita”…
Ancora non aveva deciso cosa fare.
E avrebbe dovuto decidersi in fretta dato che se il suo amico la avesse trovata indecisa la avrebbe indotta a fare quel che vuole lui. E lei non poteva permettersi di fare pazzie.
Scese dal bordo della finestra e si guardò spontaneamente al piccolo specchio, leggermente rotto nell’angolo in basso a destra, quasi per chiedere al riflesso di se stessa qualche spiegazione.
Ma i suoi occhi videro altro: una ciocca dei suoi capelli era nera. Si era nuovamente colorata.
“Al diavolo” si disse.
Uscì velocemente dalla finestra prendendo con sè il piccolo specchio e l’arco che pochi giorni prima aveva creato.
Mirò velocemente al primo piccione che vide passare in volo e con la stessa delicatezza con cui si accarezza un gatto scoccò la freccia. Preso in pieno, l’uccello cadde morto a terra.
Nivis prese lo specchio e si guardò immediatamente. E lentamente la ciocca di capelli che poco prima era nera, la vide decolorarsi automaticamente di bianco.
“Se bianca sarà, libera come una colomba in volo resterà, ma se nera diventerà, un corvo in trappola per l’eternità sarà.” recitò nella sua mente.
Uccidere la rendeva libera e se mai qualcuno le avesse dimostrato affetto sarebbe stata prigioniera. Anche se non aveva ancora capito che tipo di prigione le sarebbe capitata,
preferiva non saperlo e continuare ad essere bianca, come la neve, e libera, come una colomba.



Rientrò in casa e Simon ormai era già sveglio.
-Quindi?- le chiese.
-Quindi cosa?- rispose per prendere tempo, giusto per pensare a cosa avrebbe potuto scegliere di fare.
-Ti va di andare al Palazzo dei Lithgray… Con me?- chiese ancora il ragazzo con pazienza, e lentamente le guance si colorarono di un roseo colore,
come se le stesse chiedendo di partecipare a un ballo in maschera con lui, quando invece, più che un ballo, si trattava di una rapina.
-Ma si dai. Che vuoi che succeda.-

Disse senza pensarci. Dopotutto erano bravi ed astuti come ladruncoli. Cosa sarebbe mai potuto accadere?
Prese la sua spada e il suo pugnale appena lucidato e raggiunse Simon alla finestra.
Un carro a tutta velocità stava proprio per passare in quel momento sotto i loro occhi.
Simon, porgendole una mano le disse:-
Sei pronta?-
-Che domande, mi pare ovvio.- rispose Nivis.
E si lanciarono al di sotto di quella che era la loro abitazione per agganciarsi al carro che li avrebbe portati al loro tesoro.

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