Every lifetime you and I have ever lived

di Locked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Love Scars ***
Capitolo 3: *** We keep our love in these pieces of paper – in these pieces of heart ***
Capitolo 4: *** The boy who couldn't love ***
Capitolo 5: *** We found love right where we are ***
Capitolo 6: *** About cigarettes, motorbikes and falling in love with strangers ***
Capitolo 7: *** I’m in love with you and all your silly things – kind of ***
Capitolo 8: *** Teach me how to love ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa storia partecipa al Glee Big Bang Italia!

- Autore: Locked.
- Titolo: Every lifetime you and I have ever lived
- Personaggio (o pairing, se presente): Personaggi: Un po' tutti. Pairing: Klaine.
- Genere: Generale, Introspettivo, Romantico.
- Sommario
"Perché essere anime gemelle significa molto di più che amarsi per tutta la vita."
Questo era esattamente il genere di frasi melense che Kurt Hummel avrebbe creduto di poter ritrovare nella carta spiegazzata di un cioccolatino di San Valentino - o in una versione arrangiata della proposta di matrimonio del proprio fidanzato Blaine Anderson, insomma.
Non avrebbe mai potuto immaginare quanta verità una simile frase potesse effettivamente nascondere.
Dal testo:
[Dopo una lotta – impari, a detta di Blaine – contro gli scatoloni ricolmi di vecchi oggetti inutilizzati che ‘continuano ad uscire fuori dal nulla, Kurt!’ la sua testa riccioluta riemerse dal ripostiglio con un vecchio lettore di videocassette nelle mani e una luce brillante negli occhi.
“Okay, Kurt, potresti spostarti? Non ho posto per sedermi.”
“Blaine.”
“Ho capito che non volevi alzarti, ma se per favore potresti scorrere—“
“Blaine quei due-- i due sullo schermo, siamo noi.” 
"Oh mio Dio."]



Arrivati ormai alla quasi-fine di una delle serie televisive che non importa quante idiozie faccia, resterà per sempre nel mio cuore, ho voluto scrivere questa piccola raccolta - più il suo prologo e il suo epilogo - per celebrare quello che la sua coppia principale ha significato per me. Perché le anime gemelle sono destinate a ritrovarsi e rinnamorarsi ogni volta come se fosse la prima, per tutta l'eternità.
No? 



 
Prologo





Ci sono storie d’amore che durano per sempre.
Storie d’amore che sconfiggono il tempo e lo spazio, che superano gli ostacoli e le differenze; storie d’amore che solo le anime gemelle possono vivere.
Per tutta la vita.
Per tutte le vite.
 
*
 
“Blaine, ma che ora è? Torna a dormire.” Il borbottio di Kurt si levò soffocato dal cuscino; alzò un braccio, incastrandolo sopra la propria testa, ed affondò il volto nella stoffa morbida, respirando a fondo il profumo del proprio fidanzato. C’era qualcosa di destabilizzante e buono, nell’odore di Blaine. Qualcosa di familiare e di sicuro, qualcosa a cui non sarebbe mai stato capace di abituarsi completamente.
Era sul punto di riaddormentarsi, concedendosi all’oblio dolce del dormiveglia, quando il materasso s’inclinò mollemente dal suo lato del letto, costringendolo ad aprire un occhio. Un cumulo di ricci disordinati dal sonno entrò nella sua visuale, visibile nonostante l’oscurità plumbea della notte.
“Kurt, per favore; alzati. Io … devi vedere una cosa.” Il viso di Blaine era a due centimetri dal proprio, contratto in una smorfia pensierosa ed impaurita.
“Sono le due del mattino e domani dobbiamo andare a lezione presto, torna qui.” Gli sorrise intenerito, tamburellando con la mano sul lato del materasso su cui dormiva Blaine, ancora caldo della sua presenza e rivestito di lenzuola accartocciate.
“Per favore?”
Kurt sbuffò e rotolò giù dal letto, stiracchiandosi; le ossa della schiena scricchiolarono in protesta, ma decise di ignorarle. Solo perché è adorabile, in pigiama. Afferrò la mano di Blaine e lo fece alzare dal materasso. Gli schioccò un bacio impalpabile all’angolo delle labbra e si allontanò fugacemente.
“Spera per te che non sia di nuovo un avvistamento di navicelle spaziali, perché stavolta giuro che brucio tutti i tuoi DVD di Star Wars.”
 
*
 
"Hai trovato questa videocassetta qui?"
Blaine annuì, gli occhi ambrati velati di preoccupazione, le labbra due petali rosei martoriati dagli incisivi superiori. "Mi sono alzato perché avevo fame," mormorò, le guance che s'imporporavano sotto l'occhiata in tralice di Kurt, "e l'ho trovata qui. E non è mia!" aggiunse repentinamente, portando le mani in avanti come a proteggersi da qualche pericolo invisibile. "L'ho semplicemente trovata. Credevo fosse tua, ma poi ho letto il titolo."
Spostò la videocassetta nelle mani di Kurt, sfilandola dal contenitore di carta rigida e bluastra. Gliela porse cautamente, poi, aspettando ogni sua possibile reazione.
La luce bianca della lampada della cucina si riflesse nei suoi occhi celesti, donando loro una limpidezza innaturale e angelica. Le pupille di Kurt si dilatarono a dismisura, risucchiando come buchi neri ogni straccio di blu nelle sue iridi tranne una sottile linea azzurra e circolare.
“Blaine ma questa è ... è –“
L'altro annuì di nuovo, mordicchiandosi l'angolo di un sorriso nervoso. "È una delle frasi della mia proposta" concluse per lui, lasciando che le labbra gli si incurvassero automaticamente all'insù al ricordo. Kurt rispose al sorriso, gli occhi che gli si riempirono di ricordi di più di un anno prima. Ricordi che profumavano di petali di rose ed avevano la consistenza di lacrime di gioia; ricordi fatti di stoffa azzurra e senape e colmi d’amore.
L’etichetta bianca e semplice applicata alla videocassetta riportava poche, semplici e meravigliose parole – parole che per loro due significavano tutto -, “Every lifetime you and I have ever lived”, scritte velocemente con un pennarello spesso e nero.
“Che cosa significa? Qualche pazzo è entrato in casa e ha lasciato questa? O forse …” le sopracciglia di Kurt si alzarono contemporaneamente come ali di gabbiano spiegate in volo. “Rachel. Sapevo che non avrei dovuto lasciarle la chiave del nostro loft. Mio Dio, quella ragazza è una psicopatica! E come è riuscita ad arrivare senza che la sentissimo? E senza salutare! Voglio dire, ho capito che ora fa la diva di Holliw—“
Blaine premette le proprie labbra sulle sue, interrompendo quel flusso infinito di parole straripanti d’ansia. Si allontanò di qualche millimetro, continuando a respirare nel suo spazio personale ed infondendogli con piccole carezze morbide sulle guance dolci ondate di calma. “Sono piuttosto sicuro che Rachel non c’entri nulla con tutto questo. Ma …” si mordicchiò il labbro inferiore con un incisivo. “Che ne dici di guardarla?” gli chiese, gli occhi pieni d’ambra liquida e spalancati in un’espressione implorante.
“Ma domani dobbiamo andare alla NYADA e ho un turno doppio al diner. Ho bisogno di dormire!” protestò Kurt, così flebilmente da non convincere nemmeno se stesso. La curiosità lo stava divorando dall’interno, attanagliandogli lo stomaco ed accelerandogli il respiro.
“Per favore?”
Un attimo di silenzio riempì lo spazio attorno a loro, espandendosi e fluttuando impalpabile nella piccola cucina. Gli unici rumori udibili, tranne il ronzio incessante del traffico newyorkese e il ticchettio dell’enorme orologio attaccato alla parete, erano i loro respiri e il mordicchiare dei denti di Kurt sul proprio labbro.
“Oh, al diavolo! Andiamo. Ma se domani avrò bisogno di dieci caffè in più e sarò il doppio più intrattabile del solito sarà solo colpa tua!”
Terminò la frase alzando il volume della voce, per farsi sentire da un euforico Blaine che era corso a rovistare in un vecchio scatolone nella loro stanza delle cianfrusaglie. Roteò gli occhi al nulla e con uno sbuffo si diresse verso il divano, spegnendo la luce della cucina.
 
*
 
Dopo una lotta – impari, a detta di Blaine – contro gli scatoloni ricolmi di vecchi oggetti inutilizzati che ‘continuano ad uscire fuori dal nulla, Kurt!’ la sua testa riccioluta riemerse dal ripostiglio con un vecchio lettore di videocassette nelle mani e una luce brillante negli occhi.
“Okay, Kurt, potresti spostarti? Non ho posto per sedermi.”
“Blaine.”
“Ho capito che non volevi che ti svegliassi e ora vuoi dormire, ma se per favore potresti scorrere—“
“Blaine quei due siamo noi.”
“Be’, immaginavo lo fossimo. Quella videocassetta è sulla nostra proposta— Woah!”
“Blaine, oh mio Dio, perché stai indossando un’uniforme da militare?”











Note finali - lo so che ve le beccate sempre, abbiate pazienza. :')
Questa storia è nata la scorsa estate, quando, presa da uno slancio di follia, ho deciso di creare uno dei numerosi progetti che sono sempre stati lì, a prendere la polvere nei cassetti del mio cervello, ed ora eccoci qua.
Mi rendo conto che questo è solo un prologo e che probabilmente non soddisferà le vostre curiosità - tipo, per niente. :')
Ma vi chiedo di dare una possibilità a questa storia. Be', non ve lo chiedo, ma spero che lo farete. **
Ora, se non si fosse capito questi sono i Klaine della fine della quinta stagione - quando un'ingenua me non aveva ancora idea di cosa sarebbe stata la Blainoschifo e il break up 2.0, già -, ma le varie os che comporranno la FF avranno come protagonisti dei Klaine diversi - o meglio, gli stessi Klaine in tante diverse lifetimes. 
Spero che questa breve introduzione possa esservi piaciuta, e vi rimando alla mia Pagina FB - per scleri o domande di qualsiasi genere -, alla mia altra FF in corso, Our Little Infinite, e qui una carrellata di link alle altre FF partecipanti al Glee Big Bang!
Un abbraccio. **

Ambros - http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3001447&i=1
Babykit87 - http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3004220
Whity - http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3008531
inhibernation_ - http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3005959&i=1
Papillon_ aka moglie - 1) http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3011494 eeee 2) http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3012743&i=1
Lusio - http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3013880
Chu_ - http://archiveofourown.org/works/3322076
cup of tea - http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3020917&i=1
Ginny_Potter - 1) http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3023286&i=1 e 2) http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3024768
Michirukaiou7 - http://archiveofourown.org/works/3356843/chapters/7342793

Plus tenete d'occhio EFP perché mancano ancora tante storie bellissime uwu











 

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Capitolo 2
*** Love Scars ***


Note iniziali:
Eccoci qua. Non avevo stabilito un giorno, è vero, ma mi sono resa conto che la domenica mi è abbastanza comoda per pubblicare quindi ... Here we go!
Grazie a chi ha recensito il prologo, Anna_Vik, Klaineintheheart e kissmycollarbones. E grazie alle venticinque (VENTICINQUE!!!) persone che hanno messo questa storia tra le seguite. Siete meravigliosi.


 
A Paola. Forse non hai ancora capito perché questa OS è per te, ma ... Be', lo capirai presto.
Ti voglio bene.

 




28 febbraio 1945

L'aria fischia, le orecchie di Blaine fischiano, i proiettili veloci come missili e rimbombanti come tuoni in un temporale estivo fischiano. È come se l'intero mondo si sia fermato, all'infuori di quel fazzoletto di terra fradicia di sangue e ricolma di cadaveri di compagni, amici e fratelli morti, dilaniati ripetutamente da pallottole vaganti e letali.
Ed è lì, tra i tuoni dei proiettili e le scintille lampanti dei fucili carichi di morte, che infuria la tempesta incessante della Seconda Guerra Mondiale.
Blaine Anderson, diciott'anni e una vita in bilico tra uno schiocco di arma da fuoco e l'altro, imbraccia un fucile pesante come le anime delle persone che ha ucciso. Pensava sarebbe stato difficile, all'inizio, sbriciolare vite umane col fragore degli spari delle armi; ma col passare del tempo la sua innocenza e purezza gli sono state strappate via dall'anima come radici maligne di piante velenose.
Uccidi o sarai ucciso, Blaine.
Se lo ripete continuamente nella testa, finché il suo corpo non se ne convince; ma il suo cuore no. Ha fatto un patto con la guerra: può togliergli tutto –  l'ingenuità di un ragazzino che ha vissuto solo una manciata di anni, la forza nei muscoli e nelle vene di rialzarsi dopo una caduta –, ma non il suo cuore, i suoi sentimenti. Perché Blaine non è una macchina, è sangue e ossa e amore e vita, e non vuole perdere neanche una briciola di ciò che veramente è.
Un proiettile solitario, roteando frenetico, lo colpisce al braccio destro e la presa stretta attorno alla vita a cui si sta aggrappando con caparbietà disperata si fa sempre più leggera e flebile.
Un'altra pallottola gli sfregia la pelle, ustionandogli e ferendogli il fianco sinistro, e ormai sta urlando. Non sa cosa, lui sta solo gridando, scosso dai singulti di un dolore stordente e accecante.
Si accascia su se stesso, mollando la presa da quell'arma di distruzione totale, ed improvvisamente la terra fredda e umida contro la sua guancia rigata di lacrime e polvere da sparo è quanto di più comodo abbia mai potuto desiderare. Scivola nell'oblio dell'incoscienza con l'arrendevolezza di chi si abbandona al proprio destino.
 
*
 
“Kurt, occupati di lui! Sta perdendo moltissimo sangue, mettilo su quella barella lì!”
Sente una presa salda circondargli il torace e le gambe e vorrebbe tanto, così tanto, aprire gli occhi per capire ciò che gli sta succedendo attorno, ma è come lottare contro una marea. Come se fosse intrappolato da catene pesantissime al fondo di un oceano, e sollevare le palpebre fosse difficile come risalire in superficie per lasciare che l’ossigeno gli affondi nei polmoni.
I rumori perdono consistenza, poi, sfumandosi ai contorni, e tutto è di nuovo vuoto.
 
*
 
“Resta con me, resta con me, resta con me.”
Questa volta, al suo risveglio, i suoni sono più nitidi, arrivano netti ai suoi padiglioni auricolari, incidendogli i timpani. E’ più semplice anche aprire gli occhi. La vista mette a fuoco ogni cosa come un vecchio obiettivo di una macchina fotografica, finché la figura ovattata di un ragazzo vestito di bianco davanti a lui non diventa precisa; così precisa da far male.
“Oh, grazie a Dio.”
Ma rimanere a galla è faticoso e Blaine non ha più forza nelle vene. Le palpebre gli si abbassano inesorabilmente sulle iridi ambrate prive ormai di ogni scintilla di vitalità, come sipari che si uniscono al centro di un palcoscenico vuoto.
"No, no, no, no; non chiudere gli occhi! Non chiudere quei maledetti occhi. Resta qui, guardami."
Il ragazzo vestito di bianco - un bianco così bianco da infiammare le retine - gli afferra il volto delicatamente, la presa sulla sua pelle è della consistenza delle nuvole, e lo ruota cautamente.
"Riesci a vedermi?"
Muovere i muscoli significa compiere uno sforzo sovrumano, al momento; ma Blaine non può e non vuole che la voce del ragazzo che lo sovrasta si tinga di preoccupazione lacerante. Forse è un angelo; così si spiegherebbe la lucentezza intrinseca dei suoi occhi azzurri, che sembrano aver derubato il mare del suo blu e averlo colato nelle proprie iridi, e il bianco, bianco bianco bianco che lo circonda, avvolgendolo come un'aura.
Quindi solleva appena la testa ed annuisce - spera che il proprio gesto possa essere interpretato come un annuire, almeno - e tiene gli occhi fissi in quel blu così blu da togliere il fiato nei polmoni.
"Bravissimo, riesci a parlare? Qualsiasi cosa, dimmi qualsiasi cosa."
La sua mano destra si riempie di un calore che sembra quasi liquido, e Blaine decide che è definitivamente morto. Perché non esiste a questo mondo un calore liquido, e forse perché non esistono neanche ragazzi con degli occhi così blu.
"A’elo" biascica. Corruccia vagamente le sopracciglia perché da quando in qua il non saper più parlare è un effetto collaterale della morte?
Quindi digrigna i denti ed ignora le lame affilate di coltelli ricurvi che gli dilaniano la gola e ripete, "Sei ... un", un respiro profondo, altro dolore gli si propaga nel petto come una goccia di sangue che deturpa e l'acqua trasparente, "angelo" mormora col respiro corto.
Le ultime cose che percepisce, prima di ripiombare nell'oblio del sonno, sono il calore liquido nella propria mano che assume una sfumatura più solida e un paio di occhi azzurri che si allargano e si colmano di quella che pare incredulità.
 
*
 
Quando si risveglia per l'ennesima volta è sicuro di non essere morto.
Perché i morti non possono sentire quel dolore. Un dolore lacerante e stordente, caldo come fuoco e soffocante come una marea, definito e preciso, che gli trapassa da parte a parte un braccio e gli si incanala nei muscoli del fianco sinistro.
"È normale che ti faccia male, ora. Tieni, bevi questo." L'angelo – che no, non sembra più un angelo, ora che i sensi di Blaine sembrano risvegliarsi dopo un letargo anestetizzato – si avvicina a lui con un bicchiere d'acqua trasparente nelle mani. Gli raccoglie le spalle tra le braccia, delicato e attento, così attento a non provocargli neanche una scintilla di dolore in più di quello che già sente scorrergli come lava nelle vene. Blaine ingurgita l'acqua come se fosse ossigeno dopo un'apnea, ingoiando prepotentemente ogni goccia del liquido nel bicchiere, rendendosi conto solo in quel momento di quanto realmente ne avesse bisogno.
"Ancora." Una voce gracchiante che non riconosce nemmeno come propria sputa fuori quelle poche sillabe. "Per- favore." E il sorriso che s'imprime soffice sulle labbra del ragazzo dagli occhi azzurri – così azzurri da poter rimpiazzare il cielo d'estate – è così bello che non importa quanto dolore provochi, tutti i muscoli del viso di Blaine sorridono in risposta.
"Torno subito." Il tocco caldo sulla sua schiena scompare e riappare in una frazione di secondo ma è già troppo. Ha bisogno di quell'appiglio tanto quanto ha bisogno dell'aria che gli fluisce nei polmoni e dell'acqua che butta giù a grandi sorsate.
Il ragazzo sorride ancora, timido, a denti celati e cuore aperto.
"Mi hai fatto morire di paura, sai?" mormorano quelle labbra morbide, due lembi di pelle ora tormentati dagli incisivi bianchissimi.
"Mi ... dispiace?" trova il modo di dire Blaine, la voce roca e stentata.
"Oh, oh mio Dio" singhiozza il ragazzo, nascondendo il volto tra le mani di scatto, come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi nelle sue lacrime. "Io – scusami ma –" si asciuga le guance rigate di sentieri bagnati con le maniche dell'uniforme.
Un'uniforme da infermiere.
Guerraguerraguerra.
Ecco cosa sta cercando di ripetere il cervello di Blaine, ecco cosa sta finalmente realizzando. Non ci sono angeli nelle infermerie delle trincee, ci sono infermieri. Infermieri bellissimi anche con le gote rosse, i capelli scarmigliati e gli occhi cerchiati dal nero dell’insonnia; infermieri bellissimi anche quando piangono, con la bocca coperta dal polso e gli occhi colmi di meraviglia.
"Quando sei arrivato ti davano già per spacciato ma –" prende un respiro profondo, boccheggiando per qualche istante in cerca di ossigeno e parole giuste. "Ma io ho visto qualcosa di diverso ... Tu continuavi a combattere, sei stato attaccato alla vita con una forza che non avevo mai, mai mai mai visto prima. E Dio!, sembra così impossibile che tu sia qui perché tutti se ne vanno. Tutti. Ogni corpo che esce martoriato da quella stupida tempesta che di pallottole vaganti se ne va ma tu no. Oh –, oh mio Dio io ... Scusa, questo non è per niente professionale e –"
"Scusami," mormora Blaine e l'altro riprende fiato. Perché come si fa ad avere fiato dopo un miracolo? "Scusami per averti ... chiamato angelo," gli occhi nocciola, così nocciola, gli si tingono d'imbarazzo.
E il ragazzo sorride, sorride sorride sorride tra le lacrime in tempesta nei suoi occhi; e Blaine non ha più alcun dubbio – come se mai ce l'avesse avuto – che quel ragazzo sia uno degli esseri viventi più meravigliosi che abbia mai incontrato.
 
*
 
"Non so neanche il tuo nome."
"Kurt."
"Kurt," ripete. Il nome gli rotola sulla lingua e si espande nell'oscurità della piccola stanza in cui Blaine è relegato da giorni.
"Kurt, quando guarirò?" Gli scoppi terrificanti delle bombe in lontananza riempiono la bolla di silenzio che fluttua nell'aria dopo quella domanda.
“Presto, Blaine; te lo prometto.”
“Conosci il mio nome?”
Riesce a vedere il ragazzo – Kurt, riesce a vedere Kurt annuire una volta, prima che l’oblio del sonno diventi una tentazione troppo grande e la testa gli si accasci sul cuscino.
Forse è la carezza di un angelo, quella che sente impalpabile sulla guancia. Forse ha solo bisogno di guarire.
 
*
 
Le sue ferite si stanno rimarginando con la stessa placidità con cui i ciuffi di nuvole bianche fluttuano e ondeggiano nell'aria nelle miti giornate primaverili. Ed è frustrante.
I giorni scorrono rigidi sul calendario appeso alla parete. Ci sono mattine leggere, che si aprono col sorriso gentile ed assonnato di Kurt, così stordente da riempire lo stomaco di Blaine di migliaia di farfalle svolazzanti. Ci sono pomeriggi imbarazzati, in cui Kurt deve cambiargli le bende sul fianco e scoprire quei lembi di pelle – relegati sotto la casacca bianca – che nei suoi diciott'anni di vita non sono mai stati visti da nessuno. Ci sono pasti magri ma allegri, accompagnati dalle chiacchiere leggere come bolle di sapone di Kurt; ci sono notti insonni, tormentate da incubi e scoppi isterici di lacrime e frastuoni di bombe.
Ma più di tutto c'è Kurt, KurtKurtKurt, che è la costante di quell’equazione lenta e piena di variabili che è sua guarigione.
E Kurt ha diciannove anni, Kurt viene da Lima, Ohio - e forse questa è una di quelle coincidenze. Perché Lima e Westerville sono a una manciata così misera di chilometri che insomma, quante possibilità c'erano? -, Kurt ama la vita ed odia la guerra, Kurt ha tanti sogni ed una voce bellissima con cui raccontarli.
Ma più di tutto Kurt lo travolge, riempiendo le sue giornate di vita, donandogli goccia dopo goccia la forza necessaria a stringere i denti ed ignorare il dolore costante che gli pulsa nelle vene. E i giorni semplicemente corrono.
 
*
 
8 agosto 1945

“E’ finita, Blaine! E’ finita! La guerra è finita!” E Kurt gli corre incontro, stringendolo in un abbraccio così forte da far male al respiro e far bene all’anima. Perché tutto di colpo sembra andare bene, le sue ferite sono guarite e il semplice realizzare che quell’incubo che lo attanaglia da anni sia finito, sbriciolato, distrutto, sfumato nell’aria come polvere è abbastanza da fargli pizzicare le iridi di lacrime.
Lacrime felici, questa volta; lacrime che valgono la pena di essere piante e poi raccolte dalle labbra di Kurt in tanti piccoli, soffici tocchi che non sono neanche baci. Il bacio è quello che segue quegli sfioramenti della consistenza delle nuvole, quello che per un attimo stordisce entrambi, spiazzandoli completamente. Quello che Kurt non accorge di aver cominciato e che Blaine non si rende conto di completare, lasciando che le proprie labbra combacino con le sue. Sono timidi entrambi; forse, negli impercettibili sprazzi di lucidità che li colpiscono tra un sospiro e l’altro, capiscono cosa realmente stanno facendo.
E sembra impossibile, ma è qualcosa a cui entrambi non hanno mai pensato. Fantasticato l’uno sulle labbra dell’altro? Oh, sì; certo che sì. Ma immaginato che sarebbero concretamente entrate a contatto in un morbido e dolce bacio, scambiato svolazzante in una mattina assolata d’agosto, aggrappati l’uno all’altro come se da quello dipendesse la loro stessa vita? No. Non avevano nemmeno mai osato sperarlo.
E forse avrebbero dovuto continuare a non farlo, ma è troppo tardi. Non importa che quel morbido sfioramento li abbia poi portati a sorridere e a dividersi con uno schiocco soffocato, a rimanere l’uno nelle braccia dell’altro, l’uno nell’anima dell’altro. Non importa che abbiano trattenuto il respiro più di quanto sia umanamente possibile, come a voler bloccare quel singolo, perfetto istante per sempre. Non importa che i loro occhi si siano fusi in una tenera armonia di azzurro venato di ambra.
Perché sono sufficienti due secondi, due flebili, insignificanti, enormi secondi per ribaltare tutto. E Kurt si tira indietro, mormora qualcosa d’indefinito e sfugge alla sua presa, lasciando che un vuoto freddo e spoglio colmi la sua assenza in un vortice di nulla.
“No, no no no no. Dio! Sono così stupido … io—“ Non ha il coraggio di guardarlo negli occhi. Non ci riesce e fa male; è come se qualcosa si fosse sbriciolato nel cuore di Blaine, frantumandosi in migliaia di piccoli frammenti e consumandolo come legna al fuoco. “Io—Scusami, non avrei dovuto—Non dovrei—“
“Kurt, va tutto bene, ti prego—“
“No,” grida lui con rabbia, le lacrime che gli sgorgano dagli occhi e dal cuore e dall’anima.
“Per favore.” La disperazione impressa nel tono di voce di Blaine lo fa vacillare giusto per un istante, un singolo e mutevole istante in cui i suoi occhi si riempiono di una scintilla tanto brillante quanto fugace.
Kurt scappa e Blaine si accartoccia a terra.
 
*
 
31 dicembre 1945, 23.56.

Lo aveva cercato dappertutto. Blaine aveva setacciato ogni angolo dell’ospedale, scavalcando ogni essere vivente troppo impegnato a metabolizzare in sorrisi colmi di sollievo che la guerra è finita; ogni angolo della trincea, stringendo i pugni ed impedendo che le lacrime di rabbia e di paura scivolassero sulle proprie guance e disegnassero sentieri sconnessi e bagnati; ogni ospedale o centro di ricovero della città perché deve pur essere da qualche parte.
Si è arreso — No. Non si arrenderà mai; ma si è dovuto fermare e tornare a vivere – a provarci –, riabbracciare i propri genitori ed affondare nella tranquillità di una vita monotona, dopo anni di frastuoni di bombe e di cuori in gola nel buio della notte. Sono passati quarantasette giorni, da quando ha smesso di cercarlo.
Ne sono passati centoquarantuno da quando è affondato per l’ultima volta in quelle iridi celestiali e ha saggiato la consistenza di quelle labbra invitanti per una meravigliosa frazione di secondo.
 
*
 
Di certo non si aspetta di vederlo sorridere, gli occhi puntati al cielo e un’ombra di amarezza nei suoi lineamenti dolci, a meno di quattro minuti dalla mezzanotte che scandirà la fine di un anno terribile e l’inizio di qualcosa di nuovo.
Ed è come se tutto ricominciasse a girare per il verso giusto quando Blaine, una birra in mano e la bocca spalancata, si rende conto che è lui, è davvero lui. Fa quasi male rivederlo, perché non è cambiato per niente; la pelle candida, accentuata dalla luce della luna e dei falò accesi tutt’intorno a riempire di scintille quegli ultimi minuti dell’anno; lo sguardo fiero, fisso e nitido, quasi a non voler solo guardare, ma a voler sfidare quella distesa tersa e lentigginosa di stelle; il corpo sinuoso, appoggiato solo con la schiena e con un piede al muro di quel locale squallido dove Blaine ha passato la sua serata, in compagnia della stessa bottiglia di birra che non è ancora riuscito a terminare.
E poi Kurt si accorge di lui, ed è tutto così frenetico e lento insieme che per un attimo Blaine è stordito. Si avvicinano, divorando quei metri di distanza come se fossero pane e loro fossero gli esseri più affamati del mondo. E forse lo sono davvero. Non si sono resi conto di quanto effettivamente siano stati affamati l’uno dell’altro finché le loro braccia si stringono prepotentemente e i loro visi affondano nell’incavo del collo dell’altro e semplicemente respirano.
“B— Blaine, come stai?” gli chiede, e quella voce, quella voce sarebbe capace di farlo tremare da capo a piedi come un uragano e poi cullarlo nel sonno come la più dolce delle ninnananne.
“Dove sei stato? Perché — Perché sei scappato? Kurt, io ti ho cercato dappertutto. Ho setacciato ogni angolo della trincea e ti ho cercato in città e ho chiesto a tutti, tutti di te ma —“
Ormai le lacrime scendono libere sui loro volti, mescolandosi le une alle altre in una pioggia di emozione e dolore. Ma va bene così.
“Avevo paura che non mi volessi,” sussurra l’altro, scostandosi leggermente all’indietro per potergli guardare il volto, e la luce nei suoi occhi è così pura e spaventata che Blaine si sente completamente sopraffatto da tutto quanto.
“Come avrei mai potuto non volerti?”
“Dieci! Nove!”
“Ma io ti ho baciato.”
“Otto! Sette!”
“E io non mi sono tirato indietro. Non mi tirerò mai indietro da te, Kurt.”
“Sei!”
Kurt tace, Blaine sorride.
“Cinque!”
Kurt sorride, Blaine annuisce.
“Quattro!”
“Ti amo, Blaine Anderson.”
“Tre!”
“Ti amo anch’io.”
“Due!”
“Blaine, mi dispiace così tanto di essere scappato—“
“Uno!”
“Kurt, sta’ zitto.”
La folla che li circonda esplode in grida di felicità e in scambi affettuosi di auguri per un felice anno nuovo, ma tutto è ovattato per Kurt e Blaine, persi l’uno nelle labbra dell’altro, l’uno nelle lacrime dell’altro, l’uno nel cuore dell’altro. Quando si separano, qualche istante più tardi – perché avranno tutto il tempo del mondo, poi, per i baci appassionati e profondi –, le mani di Blaine cingono e stringono la schiena di Kurt, pressandosi lievi contro gli strati di vestiti, e le dita dell’altro s’intrecciano nei suoi ricci scomposti.
“Felice anno nuovo,” si sussurrano, le labbra appena dischiuse e le palpebre che svolazzano.
 
“Kurt, quelli eravamo noi.”
“Io non—io— Mi sto spaventando, sai?“
“Io … Anch’io, credo. Però eravamo bellissim—Ahi! Non provare più a lanciarmi un cuscino in faccia!”
“Ti rendi conto che hai appena ammesso che quei due eravamo noi, vero? Forse ho davvero bisogno di una cura, perché questa non può essere altro che un’allucinazione e mi sto seriamente preoccupando per la mia sanità mentale e — Blaine Anderson! Non puoi prendere e baciarmi mentre sono psicologicamente instabile!”
“Shh, Kurt; sta iniziando un’altra storia!”
“Oh, mio Dio.”







 
Note:

Scusate, scusate, scusate se non riesco a dire nulla di particolare questa volta. La verità è che le riprese di Glee sono finite e si sono portate via parte del mio cuore, quindi al momento non sono in grado di mettere insieme nulla.
Spero che possa esservi piaciuta, questa "prima lifetime".

Oh e, in caso qualcuno se lo fosse chiesto, le ultime parole, quelle in corsivo e a destra, sono dei Klaine che guardano la cassetta. :3
Spero si capisca. **

- Elena

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Capitolo 3
*** We keep our love in these pieces of paper – in these pieces of heart ***


Note:
Innanzitutto grazie a Anna_Vik, Klaineintheheart e kissmycollarbones per aver recensito. Siete totally awesome! *-* E poi tutti voi che leggete e seguite -- Wow. Non era mai successo che una mia storia raggiungesse così tante "seguite" così velocemente, quindi grazie from the bottom of my heart. <3
Okay, io non so se avete mai letto da piccoli il libro "Ciao tu", per bambini. Se sì, potrete ritrovarne delle tracce qui - per la struttura più che per la storia, che è completamente diversa.
Bene, evaporo.
Enjoy! **

 
We keep our love in these pieces of paper – in these pieces of heart



Penso che tu sia carino. Molto, molto carino. E penso anche che la mia migliore amica mi stia facendo fare una cosa imbarazzante. Molto imbarazzante. Ma tanto tu non sai chi sono e questa cosa non cambierà, quindi … Quindi niente.
Ciao, Blaine Anderson, il nuovo ragazzo carino.
Firmato: no. Non devo firmare proprio nulla.
PS: lascia la risposta – mi sto davvero illudendo che tu risponda? – Nel primo cassetto a destra della cattedra del professor Shuester prima di domani a mezzogiorno.
 

 
Non credo che
Io sono davvero felice che
Ciao, chiunque tu sia.
Non credo di aver mai ricevuto una lettera di questo genere – si può definire lettera un bigliettino infilato in un quaderno? Non ne ho idea. No, ne sono sicuro; mai ricevuta. E … grazie? Io non … uhm, non credo. Ma grazie.
Ti andrebbe di dirmi chi sei? Sarebbe carino fare qualche amicizia, quando sei il ragazzo nuovo appena trasferito e non conosci nessuno.
– Blaine.
 
 
Ciao Blaine,
No. Mi dispiace ma non mi andrebbe proprio di ridicolizzarmi così, quindi credo che continuerò a guardarti da lontano mentre passi per i corridoi ed esultare perché mi hai risposto.
E … questa cosa sembra vagamente da stalker, quindi mi sa che ho appena mandato in fumo le possibilità già minime che avevo che tu mi rispondessi di nuovo. Un applauso a me!
Non conosci nessuno? Ma se a pranzo eri con Puck e Sam, che sono praticamente due dei ragazzi più conosciuti di questo stupido liceo! Certo, la somma del loro quoziente intellettivo rimane sempre inferiore alla massa di una nocciolina, ma … poco importa, qua dentro, di ciò che hai in testa.
Benvenuto al McKinley!
– Chiunque io sia.
PS: per la risposta, solito posto, solita ora. Dio mio, sto davvero sperando che tu mi risponda ancora?

 
Chiunque tu sia come nome non mi piace, quindi credo che ti chiamerò Bowtie.
Non guardarmi con quella faccia, i bowties sono alla moda!
Ciao, Bowtie.
Spero che tu stia bene, oggi – e puoi smettere di preoccuparti, mi piace risponderti e continuerò a farlo.
Be’, sì, mi hanno invitato a pranzare con loro perché sono finito proprio tra loro due nella fila per la mensa e abbiamo iniziato a parlare di football. Sono simpatici!
Ho bisogno di sapere una cosa. Abbiamo mai parlato? Tu ed io. Di persona, intendo.
Questo puoi dirmelo.
– Blaine.
PS: dobbiamo cambiare nascondiglio, il professor Shuester mi ha quasi beccato a frugare nel suo cassetto.
PPS: si può sapere come fai a infilare sempre questi bigliettini nei miei quaderni senza che io me ne accorga?
 
Ciao Blaine,
Ew. Bowtie? Sul serio? Avrei dovuto immaginare che mi avresti rifilato un soprannome del genere – davvero, Blaine? Chi indossa ancora quella specie di papillon a parte te?
Posso accettarlo, va bene.
Sì. Noi … abbiamo parlato. Uhm. Una volta. Ma non ti dirò quando, né dove, né perché. Sappilo.
Okay, che ne dici di dietro la lavagna dell’aula di matematica? Gli studenti scappano sempre via, dopo la lezione, da quell’aula – e chi li biasima? -, quindi di solito ai cambi dell’ora è vuota.
E … non posso svelarti i miei segreti, Anderson. Ho i miei trucchi.
Scrivi con una calligrafia bellissima; è tutta rotonda e morbida. Non so se una scrittura possa essere definita morbida, ma fai finta che sia così —
Oh. Wow. Mi sei appena passato davanti.
Per colpa tua non ricordo più cosa dovevo scriverti, alla prossima.
—  No. Non posso firmarmi Bowtie, è più forte di me. McQueen, magari, potrei accettarlo. Ma Bowtie? No.
PS: Felice di sapere che non sembro completamente una persona psicopatica – a me piace che tu mi risponda. Mi migliora le giornate.
 
Ciao Bowtie McQueen,
sì, entrambi i nomi insieme. E cosa diavolo è un McQueen?
Farò finta di ignorare le tue critiche al mio look, perché … Perché sì.
Ti prego, mi madre dice sempre che scrivo come un bambino di cinque anni. La tua è stranissima. Sembra quasi svolazzante. Esiste la parola svolazzante? Sì, credo di sì.
Okay, stai diventando una sorta di diario segreto dinamico per me, sai? Quindi ti metto al corrente della novità dell’ultimo minuto: ho deciso di unirmi al Glee Club! Sembra divertente! Puck e Sam ne parlano continuamente, e sono più che certo che il primo voglia dedicare una canzone d’amore a una certa Quinn – una tipa biondina, molto bella – e l’altro a … Mercedes? Sì, be’, non che serva più di tanto che gliela dedichi, dato che l’altro giorno li ho trovati incollati al suo armadietto, intenti a dedicarsi ad attività abbastanza … umide.
Credo che il cuore della ragazza sia già suo, canzone d’amore o meno.
In più, da quando Mr. Shue mi ha trovato nella sua aula ad infilare il biglietto per te nel cassetto, ho cominciato a parlarci e sembra un insegnante simpaticissimo – e io in spagnolo faccio schifo, quindi questa cosa è abbastanza strana.
Ci proverò!
Posso provare ad indovinare come sei?
– Blaine.
 
Cos’è un McQueen, chiede lui. Cosa. E’.
Hai appena perso molti punti, Anderson.
Buongiorno, Blaine – dovrei dire buonanotte? Non so, sono le tre del mattino.
Diario segreto dinamico mi piace come nome, perché non mi chiami così, invece di Bowtie?
Il Glee Club. Oh, be’ … Okay, sì! E’ davvero un bel posto, quello. Preparati alle granite, solo. E portati un asciugamano e un cambio di vestiti ogni giorno.
Detto così fa paura, ma ti assicuro che il ghiaccio appiccicoso nella maglietta non è divertente.
Non so se
Forse sarebbe meglio non spingere questa cosa troppo oltre
Certo che puoi provare ad indovinare come sono … Non aspettarti troppi dettagli, comunque.
– DSD

 
*
 
“Ehi! Attento a dove metti i piedi, Hummel!”
“Oh, ma sta’ zitto idiota.”
Karofsky lo fulminò con lo sguardo, voltandosi di scatto, pronto ad avvicinarsi e ad incastrargli il corpo contro il primo armadietto disponibile. Si fermò, però, alla vista di tre ragazzi che facevano il loro ingresso nel corridoio, ridendo e scambiandosi qualche pugno giocoso sulle spalle.
“Ehi, Karofsky!” lo salutò il più alto dei tre, pelle ambrata e cresta da moicano a renderlo inconfondibile; “Perché non te ne vai e ci lasci in pace?” Il tono duro con cui sputò quelle parole lo fece indietreggiare di qualche passo. “Esatto, non mi sembra che tu sia diventato un nuovo membro del Glee,” continuò il secondo, carnagione bianchissima e labbra morbide e presuntuosamente grandi.
Karofsky indietreggiò ridacchiando, “Come potrei mai anche solo mettere piede in quel covo di sfigati?” disse, e voltò loro le spalle, ingobbendo la schiena ed affondando le mani nelle tasche.
“Avrei potuto gestirlo, Puck.”
“Bel modo di ringraziare gli amici, Hummel”
Il ragazzo roteò gli occhi e li spinse nell’aula, già colma di gorgheggi della sua migliore amica – nonché pazzoide – Rachel. Solo dopo si accorse del terzo ragazzo che aveva guardato tutto in disparte, con una scintilla di rabbia negli occhi. Rabbia che si era dissolta, sbriciolata in quelle iridi ambrate in migliaia di pagliuzze dorate.
Kurt boccheggiò. Letteralmente.
“Ciao. Sono nuovo qui,” gli disse il ragazzo. Gli disse Blaine, ridacchiando, tenendogli aperta la porta dell’aula canto come se fosse il gesto più naturale del mondo.
“Mi chiamo Kurt,” trovò il modo di rispondere, aggiustandosi la tracolla sulle spalle e porgendogli la mano destra in segno di saluto.
“Blaine.” E Blaine sorrise.
 
*
 
PS delle tre del pomeriggio: Oggi abbiamo parlato di nuovo, Blaine Anderson.
 
DSD sarebbe Diario Segreto Dinamico, vero? Lo so che è vero.
Ciao, DSD.
Woah, dove? Quando? Abbiamo parlato?
Secondo me hai gli occhi azzurri. Non trovi che siano bellissimi, gli occhi azzurri? Oggi ho conosciuto un ragazzo con degli occhi azzurri meravigliosi – sto scrivendo “occhi azzurri” per troppe volte. Al Glee. E’ proprio bello, come posto dove stare; ti senti … a casa. Come se tutti ti volessero bene anche senza conoscerti. Be’, quasi; c’è una ragazza – credo si chiami Santana – che non ha fatto altro che fissarmi. Era inquietante, ma ha cantato benissimo.
Cavolo, tutti cantano benissimo; credo di fare un po’ schifo rispetto a loro.
Sto andando di fretta, spero di sentirti presto.
– Blaine.
 
Blaine, credo che tu abbia scritto l’ultima lettera – le stiamo davvero chiamando lettere? – su … uno spartito. Tuo. Non so suonare molti strumenti, ma me la cavo col pianoforte e ho provato a strimpellare qualcosa.
Sei geniale, è geniale. La melodia è meravigliosa e … Dio! Devi assolutamente metterti a scrivere canzoni sul serio, perché potrei morire ascoltando la tua musica – ti rimetto il foglio assieme a questo, è tuo e non voglio tenerlo.
Comunque, ciao.
Credo che la tua voce sia molto più bella di quanto pensi, sai? Non sottovalutarti. Mai.
Occhi azzurri? Sì io … Direi di sì. Ho gli occhi azzurri.
Io … Scusa se ti sembro un po’ frettoloso, ma è stata una giornata a dir poco pesante. Hai mai provato quella sensazione strana di non riuscire a stare bene con nessuno? Di voler semplicemente staccare da tutti per un po’?
Forse sono solo io.
--DSD, che significa Diario Segreto Dinamico, sì.

 
*
 
“Kurt, ehi! Perché non fai pranzo con noi?” Puck lo chiamò dal fondo del proprio tavolo, facendolo voltare ed alterare l’equilibrio del cibo già precariamente stabile sul suo vassoio. Equilibrio che venne altrettanto pericolosamente minacciato dallo sguardo bruciante di curiosità di Blaine che si ritrovò addosso.
Deglutì con fatica ed annuì, dirigendosi a grandi passi verso il tavolino di plastica accanto al grande finestrone che dava una visuale abbastanza chiara del cortile. Sam e Puck erano seduti da un lato del tavolo, Blaine dall’altro, ma di questo Kurt se ne accorse tardi; si rese conto di avere mezza spalla praticamente incollata a quella di Blaine solo quando la sua testa smise di frullare come impazzata e i suoi respiri ripresero un ritmo accettabile.
E si rese conto ancor più tardi di essere incappato in una grande, enorme, ridicola trappola.
“Be’, vorremmo veramente trattenerci un po’ di più, ma io e Sam abbiamo chimica, adesso. Corso avanzato. Inizia prima, sai ... Ci vediamo in giro, okay?”
Stupido, idiota, cretino Noah Puckerman. Per escogitare questa cosa avrà dovuto mettere in moto i due neuroni che gli sono rimasti nel cervello.
Un flebile “Ma veramente—“ di Sam venne soffocato dalla presa stritolante di Puck sul suo braccio che lo costrinse ad alzarsi e trascinarsi via la propria tracolla con la grazia degna di un elefante.
“Chimica avanzata, Puck? Tu e Sam? Ma se i vostri quozienti intellettivi sommati insieme sono meno della massa di una nocciolina.”
Kurt non vide l’occhiata sorpresa e pensierosa che gli lanciò Blaine, troppo impegnato a rispondere elegantemente con una linguaccia al dito medio che l’amico gli aveva alzato contro.
“Quindi, Kurt Hummel; sembra che faremo pranzo insieme.”
Il castano si riscosse dai propri pensieri e lasciò che le proprie guance avvampassero lentamente ed inesorabilmente. “Sembra di sì,” concordò annuendo. “Come sai il mio cognome?” gli chiese, cercando distrarsi in qualsiasi modo dal tocco delle loro braccia pressate vicine.
“Oh, Puck è un gran chiacchierone, quando vuole.” Blaine ridacchiò.
Kurt sentì il sangue ribollirgli sul collo, ma sostenne il suo sguardo ambrato e gli restituì un angolo delle labbra alzato in un sorriso timido.
 
*
 
Ciao DSD,
certo che conosco quella sensazione. Mi piacerebbe poterti dire che puoi venire a parlare con me, qualsiasi cosa stia succedendo, ma ho come l’impressione che non verresti comunque. Ma … uhm. Io ci sono, okay? Qualsiasi cosa accada. E so che sembra stupido dirlo perché questo è semplicemente un foglio di carta ed è strano scriverci così – lo è per me, almeno. So solo il colore dei tuoi occhi, e da quando l’ho scoperto non faccio che guardare tutte le persone con le iridi azzurre. Così magari ti senti meno psicopatico – ma … Courage, okay?
Non so come sentirmi, per il fatto che tu abbia sentito la mia musica. Non sono arrabbiato, sono io l’idiota che scrive dietro ai vecchi spartiti, ma è la prima volta che qualcuno ascolta qualcosa di mio. E non saprei neanche dirti cosa ho provato nel leggere che ti … piace? Ti piace.
Grazie, DSD – mi dirai mai il tuo nome? –. Ma non un semplice grazie. Un grazie enorme, gigantesco, stratosferico. Ho le farfalle nello stomaco, è normale? Non lo so, lo spero.
Ti è mai capitato di incontrare qualcuno di speciale? Qualcuno con cui non ti pesa parlare, come non pesano i silenzi? Qualcuno che ti capisca ancor prima che tu capisca te stesso? Oggi ho incontrato una persona – okay, è una persona con cui avevo già parlato un paio di volte, ma oggi abbiamo realmente parlato – che mi ha fatto sentire così in sintonia che … credo di non essere capace di descriverlo.
Io … penso di doverti dire una cosa. Non so chi sei, è vero; ma sento come se questo te lo dovessi.
A me non piacciono le ragazze; a me piacciono i ragazzi nel modo in cui dovrebbero piacermi le ragazze. E so che probabilmente tutto questo ti sembrerà assurdo, che ora smetterai di scrivermi ma—nulla … Scusami.
--Blaine.
 
*
 
“Kurt, ti è caduto questo!” Il ragazzo si voltò di scatto, un piede ancora alzato nell’intento di scalare l’ennesimo gradino sotto il peso della propria tracolla su una spalla e un mucchio di libri tra le mani.
Fece appena in tempo a scorgere il didietro di Blaine scomparire dalla sua vista - deglutì, giusto un po', ripetendosi mentalmente che avrebbe dovuto calmarsi –, sostituito quasi immediatamente dal suo viso e dai suoi occhi.
Oh, be', Kurt non avrebbe saputo scegliere cosa lo distraesse di più, tra quelli e ... quello. Relegò ogni discussione con la propria coscienza in un angolino del cervello, decidendo che se ne sarebbe occupato più tardi, e fece di tutto per non arrossire. Non più del normale, insomma.
Si prese giusto qualche istante per perdersi in quegli occhi ambrati che lo avevano letteralmente stregato fin dal momento in cui Rachel gli aveva rifilato una gomitata nello stomaco e un sussurrato 'guarda com'è carino il ragazzo nuovo' all'orecchio.
Sfortunatamente, quell'istante fu fatale. E no, non stava facendo il melodrammatico, fu realmente fatale, perché diede modo a Blaine di scorgere nel foglietto che gli aveva raccolto da terra degli stralci di una calligrafia molto familiare.
Troppo familiare.
Una scintilla di consapevolezza gli inondò le iridi ambrate, trascinandogli i muscoli del volto in una smorfia dapprima confusa, poi stupita e infine ... Kurt non avrebbe saputo dirlo. Non avrebbe saputo definire cosa si celasse dietro quelle sopracciglia vagamente triangolari inarcate e quelle labbra intrappolate dagli incisivi superiori in una morsa ... Divertita?
Possibile che Blaine fosse divertito? Sentì il sangue fluirgli sulla superficie del collo e delle orecchie, accaldando le sue guance, e nonostante le parole per spiegarsi e scusarsi gli traboccavano – letteralmente – dalla gola, non riuscì a pronunciare assolutamente e vergognosamente nulla.
Poi, solo poi, si ricordò di cosa, effettivamente, ci fosse scritto in quel dannato biglietto.
"Dato che oggi non abbiamo il Glee, cosa ne dici di andare a prenderci qualcosa al Lima Bean?"
Lo precedette Blaine, sollevando gli angolini delle labbra e offrendogli il foglietto sul palmo della mano.
Kurt lo raccolse, spostando il peso dei libri su un solo braccio, e lo infilò impacciato in tasca.
"Okay," mormorò, sorridendogli appena in risposta.
 
*
 
Kurt richiuse il proprio armadietto con un sorriso ebete stampato sulle labbra – sorriso che lo accompagnava ormai da un’intera giornata. Lui e Blaine avevano parlato, il giorno precedente. Be’, inizialmente balbettato, troppo storditi dalla valanga di informazioni che i loro cervelli stavano pian piano metabolizzando; ma poi, con la stessa lentezza con cui il vapore biancastro che si levava dai loro cappuccini si era dissolto nell’aria, avevano iniziato a parlare. I timidi tentativi di Kurt di chiedere scusa per ciò che aveva fatto erano stati stroncati gentilmente da Blaine, che con un sorriso intenerito aveva dichiarato che non c’era niente per cui domandare perdono.
E poi il tempo era semplicemente trascorso, scivolando languido tra un sorso di caffè e latte e l’altro, infiltrandosi morbido in ogni sguardo condiviso occhi negli occhi e in ogni occhiata rubata all’altro, quando erano convinti di non esserre osservati. Avevano continuato a parlare fino alle sette di sera, quando entrambi avevano concordato che forse è meglio se andiamo a casa.
Blaine non menzionò mai quella manciata di parole scritte nel foglietto che aveva raccolto per lui, il pomeriggio precedente, sulle scale del McKinley. Quella semplice frase. Quel Blaine, io — Non sono una lei. E anche a me piacciono i ragazzi nel modo in cui dovrebbero piacermi le ragazze’. E Kurt gliene fu immensamente grato.
“Credo che ti sia caduto questo.” Una voce che mal celava un sorriso lo fece voltare, e Kurt si ritrovò letteralmente investito dal profumo di Blaine, ancor prima di rendersi conto che lui era lì e stava realmente parlando con lui.
Era ancora difficile da credere.
Gli sorrise, adocchiando un piccolo foglietto ripiegato in quattro che Blaine sorreggeva sul palmo della mano aperta. “Oh, no,” si affrettò a dire, corrucciando appena le sopracciglia. “Non penso che quello sia mio.”
“Io credo di sì,” gli rispose l’altro, alzando il palmo e avvicinando ancor di più il biglietto al suo viso. Kurt lo prese esitante, un brivido gli percorse i polpastrelli a contatto con la pelle dell’altro, e lo dispiegò sotto il suo sguardo scintillante.
Poche, semplici parole tondeggianti riempivano lo spazio bianco: ‘Anche io penso che tu sia molto carino. –Blaine.’
 
 
“Sei adorabile quando fai il timid—Ahia! Valgono le regole di prima per questi dannati cuscini, Kurt.”
“Io sto decisamente avendo delle allucinazioni. E’ impossibile che quei due siamo realmente noi, è letteralmente impossibile.”
“Ora mi offendo, non credi che fossi carino lo stesso? Anche se con cinque anni e una tonnellata di gel in men— Ahia! Kurt!”








Spero che questa cosa non sia troppo stupida, ma è da ere geologiche che volevo scriverla - e poi questi Klaine, che fate conto sono tipo tredici/quattordicenni, sono troppo tenerelli, ho voglia di spupazzarmeli tutti. ** 
(Lo so che vi faccio paura, riesco a sentirlo. :'))
As always, Pagina FB e la mia altra long Our Little Infinite, se volete! :3

Un abbraccio,

Elena.

PS: uno spoiler della prossima lifetime? Moulin Rouge!Klaine :)))


 

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Capitolo 4
*** The boy who couldn't love ***


Note iniziali:
Ringrazio infinitamente Anna_Vik, Klaineintheheart e Hiriel77 per aver recensito lo scorso capitolo. U r adorable. <3
Ora, questa è forse una delle OS che ho preferito scrivere, anche se chi mi conosce sa quanto sia difficile per me scrivere cose vagamente smut :'), quindi sono curiosa di vedere cosa ne pensiate. **
E' liberamente (ma molto liberamente) ispirata a Moulin Rouge.
(Also, per il rating penso che il giallino possa ancora andare, ma se secondo voi devo aumentarlo ad arancione fatemelo sapere. Io sono una frana in queste cose. D:)


 
The boy who couldn't love

 
Non so nemmeno se sta seguendo questa storia, ma è stata la prima a leggere questa OS - e soprattutto è stata colei che l'ha ispirata.
Questa cosina è per te, Chiara. <3



Molti frequentavano il Moulin Rouge per sfogare i loro desideri carnali, lontani dagli occhi inquisitori dei propri mariti o delle proprie mogli, confidando che quella patina di fumo ed alcool fosse abbastanza da celare ogni azione deplorevole da loro commessa tra le tende pesanti e rossastre che ornavano le gallerie.
Alcuni lo frequentavano per dimenticare, persi nell’oblio dell’assenzio e del chiasso assordante della musica roboante, accanto a quattro o cinque bicchieri vuoti proprio come il posto di fronte al loro al proprio tavolino.
Altri per divertirsi, scatenandosi nelle danze confusionarie e colorate come le gonne variopinte delle giovani e brillanti donne sul palco.
Blaine Anderson lo frequentò per la prima volta per ritrovare la propria ispirazione.
Convinto da un esuberante compagno di disavventure – Sebastian Smythe, una persona, uomo o donna che fosse, diversa nel letto ogni notte e il fascino di chi sa di essere bramato – a smettere di fissare quella tela che sarebbe rimasta bianca per l’ennesima notte insonne e ad uscire dal loro minuscolo appartamento nel quartiere meno malfamato – tra i più malfamati – di Parigi, Blaine Anderson varcò la soglia del rinomato locale dalla struttura alquanto particolare con il timore nel cuore.
Blaine Anderson non amava la confusione, né l’alcool.
Amava il tepore di un fuocherello crepitante acceso nel minuscolo camino della loro abitazione, lui un foglio rigido e una matita in mano e Sebastian le corde di una chitarra scordata tra i polpastrelli. Amava le lunghe passeggiate snodate lungo la Senna, le luci delle stelle riflesse nell’acqua e il rumore parigino in sottofondo.
Per questo, quando entrò nel vortice di lussuria e sfrenatezza che costituiva il Moulin Rouge, il cuore gli si strinse in una morsa di inquietudine.
 
*
 
 “Blaine, tu vuoi dipingere?”
“Sì.”
“E allora bevi.” Sebastian gli spinse un bicchiere di uno sconosciuto liquido trasparente nelle mani e lo trascinò dove la confusione era più densa.
“Non vedo come la vodka possa —“
“Devi imparare a vivere, okay? Non hai dipinto nulla da tre mesi a questa parte. Nemmeno un misero schizzo col carboncino. Tenta, va bene? Magari hai solo bisogno di lasciarti andare. Che male potrà mai farti?”
A quel punto Blaine non aveva avuto più nulla da obiettare e aveva buttato giù in un unico bruciante sorso l’intero contenuto del bicchiere. Le sue palpebre svolazzarono per qualche istante, prima che una voce profonda rimbombasse per tutto il locale, annunciando qualcosa che sembrava essere straordinariamente importante e al tempo stesso troppo lontana per le sue orecchie.
Non che fosse di vitale importanza capire ciò che l’uomo dal busto fasciato di rosso e bianco avesse esclamato a gran voce, visto che la dimostrazione visiva avvenne esattamente qualche secondo più tardi.
Dalle quinte del gigantesco palcoscenico si librò una variopinta onda di gonne svolazzanti e di riccioli biondi, rossi e castani, mentre il centro esatto della scenografia si aprì, dividendosi in due, lasciando che le retine di Blaine assorbissero in loro l’immagine dell’essere più meraviglioso che avesse mai avuto il piacere di osservare.
Un boato invase il locale, rumoreggiando in ogni angolo, mentre il ragazzo avanzava sicuro e felino nel suo completo nero ed aderente, avvicinandosi al pubblico con aria superba. Ed era semplicemente perfetto: pelle candida, così dannatamente bella ed evidenziata dal colore scuro della camicia e dei pantaloni che gli fasciavano il corpo; capelli strategicamente disordinati in un’acconciatura attraente – perché anche le acconciature spettinate potevano essere attraenti, decisamente –; occhi brillanti che catturavano lo sfavillio delle luci sparse nel locale e lo facevano proprio, riflettendolo in ogni angolo.
Il ragazzo non aprì bocca per tutta la sera. Semplicemente danzò, le labbra intrappolate in un sorriso stupefacente e stordente, sebbene appena accennato; il corpo che si muoveva in un’armonia di braccia e gambe e pelle lasciata scoperta da movimenti improvvisi che gli occhi di Blaine si premuravano di non farsi sfuggire.
“Kurt Hummel, ventitré anni, ballerino professionista del Moulin Rouge da due, personificazione della parola sexy. E sarebbe carino se smettessi di sbavare sulle mie scarpe, grazie.” Blaine rifilò un’occhiata risentita a Sebastian, distogliendo per un misero istante gli occhi da quella figura longilinea che aveva iniziato a spogliarsi – letteralmente – sul palcoscenico.
E nonostante l'alcool gli circolasse prepotente nelle vene, Blaine fu tutt'un tratto consapevole.
Consapevole di dove effettivamente si trovasse, ad esempio. Consapevole di essere innegabilmente ed inesplicabilmente attratto da quella distesa di pelle bianca che aumentava ed aumentava, mentre quella camicia nera gli si drappeggiava sulle spalle, sugli avambracci, sui polsi, lungo i fianchi e poi sul pavimento traslucido. Consapevole che i propri occhi, sebbene momentaneamente distratti dal movimento fluido con cui Kurt si era sfilato le scarpe, rimanendo a piedi scalzi e risultando se possibile ancor più sensuale, erano immediatamente tornati a tracciare linee immaginarie lungo quegli addominali definiti ma non troppo, e poi su su su, fino al collo e ai sentieri tracciati dalle clavicole. Consapevole che il ragazzo si stesse avvicinando a lui, scendendo dal palco con grazia angelica e diabolica insieme, delineando un sentiero tra la folla di persone semplicemente camminando tra di loro. Raggiunse il centro del locale, tra lui e Blaine solo una manciata di metri vuoti, ed iniziò a ballare come poco prima, catturando col suo sorriso sghembo l’attenzione di ogni essere vivente presente nella sala e anche qualche battito cardiaco di Blaine.
 
*
 
Non avrebbe saputo dire come fosse successo, complice l’alcool che gl’intorpidiva i sensi, ma si ritrovò a correre, correre, correre, le dita di Kurt aggrovigliate alle sue, il ricordo di Sebastian che lo spingeva in avanti, contro tutta quella pelle perlacea ed eterea, e di un paio di braccia forti che gli si chiudevano attorno, stringendolo gentilmente ancora impresso nelle retine; e poi lui e Kurt stavano correndo per i corridoi sopraelevati del Moulin Rouge, ridendo come due bambini mentre scansavano le tende rossastre che ostacolavano loro il passaggio.
Ed era tutto chiaro, tutto scuro, tutto fumo, tutto veloce, e poi tutto luminoso. Finirono in una stanza ampia, decorata con ricchezza in ogni angolo, dalle coperte magnificamente ricamate e morbidamente appoggiate sul letto che troneggiava al centro della camera agli affreschi rosseggianti alle pareti, dal mobilio antico e pregiato alle candele accese sparse come lentiggini di luce in ogni angolo.
“Quindi … Blaine,” iniziò Kurt, la voce acuta e levigata. “Sebastian mi ha parlato di te.”
“Sebastian?” Le sopracciglia di Blaine saettarono in un arco.
“Sì, noi … Ci conosciamo.” Il ragazzo dagli occhi blu affondò con tutto il proprio peso nel letto, parlando una voce che aveva lenzuola stropicciate e sapore di proibito intrinseche nelle vibrazioni. Si aggiustò a sedere, incanalando la forza nelle braccia e puntando le mani nelle coperte soffici, il busto inclinato all’indietro. “Quindi,” continuò, premurandosi di ignorare l’espressione sorpresa negli occhi brillanti dell’altro. “Hai perso l’ispirazione,” constatò.
Blaine annuì, preso alla sprovvista dalla limpidezza di quelle iridi, improvvisamente più vigile; sapeva quale fosse il lavoro di Kurt – e perché diavolo era così facile chiamarlo Kurt? –, non era opportuno prendersi una cotta per un paio di occhi azzurri. Proprio no.
“E … pensi che potrei aiutarti a ritrovarla?” Questa volta Blaine deglutì, ingoiando a fatica la saliva sotto quel sorriso furbo ed ammiccante. Sentì il desiderio crescergli nelle vene, prepotente ed implacabile, e risalirgli il corpo, bruciandogli sotto la pelle in maniera costante e bellissima.
“Io … Sì.” Deglutì di nuovo, poi spalancò gli occhi. “Potrei disegnarti?” Uscì fuori come una domanda, anche se non aveva l’intenzione di esserlo.
Kurt arcuò le sopracciglia con grazia innata e celestiale, ma non proferì parola; allacciò semplicemente i loro sguardi insieme, raddrizzando la schiena in una linea retta e portando le mani in avanti. Agganciò le dita al bottone dei pantaloni, slacciandolo velocemente.
Gli occhi di Blaine si fissarono su di lui, ancora più grandi così spalancati ed increduli – e pieni di qualcosa abbastanza riconducibile a fame. Kurt ghignò, liberandosi dei pantaloni scuri con un gesto fluido e calibrato, incurante di dove quella breve parabola che avevano descritto nell'aria li avesse lasciati accasciare.
Infilò i pollici sotto lo strato sottile della biancheria grigia, che gli fasciava quelle poche parti del corpo ancora celate alla penombra della camera da letto, ed inarcò un sopracciglio in una muta domanda.
Blaine deglutì – perché c'era così tanta pelle pallida esposta e bella in modo sfacciato, da rendergli complicato il concentrarsi su qualcosa che non fosse muscoli delle cosce e caviglie sottili e pelle. Tanta pelle.
Sollevò lo sguardo che non si era accorto di aver lasciato cadere e – richiamando a sé ogni singola fibra di autocontrollo rimasta nel proprio corpo – scosse la testa, sollevando appena un angolino delle labbra.
"No, io ... Va bene così." Se quella scintilla negli occhi di Kurt era stata di disappunto, aveva saputo nasconderla bene.
 
*
 
"Quindi tu ... Dipingi." Avevano arrangiato un foglio spesso per Blaine – non era stato necessario cercare una matita, lui ne teneva sempre una in tasca – e spostato un tavolino e una sedia davanti al letto su cui Kurt era semi-sdraiato: il peso poggiato sui gomiti affondati nel materasso, i muscoli dell'addome tesi ed invitanti, le gambe dischiuse e piegate, una abbandonata sulle coperte e il tallone dell'altra puntato sul letto.
Bello da far rabbia.
Blaine gli disegnava le caviglie, il volto rilassato ma attento, gli occhi saettanti da quel corpo tonico disteso davanti a lui al foglio bianco che richiedeva attenzioni.
"Disegno, principalmente," puntualizzò, l'ombra di un sorriso a decorargli lo sguardo.
"Mh," fece l'altro. "È il tuo lavoro?"
"Oh, be' ... Vorrei che lo fosse. Ho sempre venduto i miei lavori, fin da quando ne ho memoria, perché la mia famiglia non voleva che perdessi tempo dietro a qualcosa di inutile, e non potevo portare a casa i miei disegni. Quindi ... li vendevo e con i soldi compravo nuovi colori o matite o tele." Distolse lo sguardo dal foglio per fissarlo in quello di Kurt, improvvisamente consapevole di ciò che aveva appena rivelato a un semi-sconosciuto. Di quanto si fosse esposto, quanto gli aveva permesso di scavare in lui.
Decise che era meglio ignorare l'occhiata che l'altro gli stava rivolgendo - così piena di ammirazione e comprensione da far male al cuore - e abbandonò la propria attenzione alle caviglie affusolate che prendevano vita dal suo disegno.
"Sono scappato di casa, dall'America. E ora sono qui," sussurrò. Piano, ma abbastanza da essere sentito attraverso il velo di silenzio che ricopriva la stanza, leggero come polvere di neve.
 
*
 
"E tu?" Il silenzio si era fatto spazio tra di loro, dopo quella confessione fin troppo intima sfuggita dalle labbra di Blaine, risucchiando ogni parola non detta e ogni pensiero troppo rumoroso.
Ma ora il ragazzo dagli occhi ambrati, ancor più lucidi e brillanti sotto il bagliore scintillante delle candele, aveva deciso che voleva sapere, che doveva sapere. Perché Sebastian lo aveva praticamente lasciato solo nelle braccia di uno sconosciuto – un bellissimo sconosciuto, puntualizzava costantemente il suo cervello, ma quello era un altro discorso – e che diavolo!, ne aveva il diritto, no?
Quindi scostò lo sguardo dalla figura drappeggiata sul letto, rivolgendolo al proprio disegno e alle linee accartocciate che disegnavano le ginocchia arrotondate. "Tu ... Cosa fai?"
"Blaine, tu sai cosa faccio. Per vivere, intendo." E okay, forse la domanda non era stata quella più giusta o quella più delicata, e forse Blaine se ne era accorto tardi, ma a giudicare dal suo tono di voce Kurt non si era offeso. Sembrava consapevole; dolce a tratti. Blaine lasciò che le proprie palpebre svolazzassero un paio di volte, le ciglia lunghe e scure che sfioravano le guance morbide e arrossate – dallo sforzo o dal calore che gli fluttuava sottopelle, non avrebbe saputo dirlo –, prima di sollevare il capo e incontrare le iridi azzurre, così azzurre di Kurt.
Iridi che sembravano sussurrare e gridare e bisbigliare e urlare che è okay, va tutto bene, lo so.
"Io non — Non intendevo quello. Voglio dire ... Tu. La tua vita. Chi sei? Cosa ti piace? Parlami di te. Se vuoi?" Gesticolò mollemente, la matita ancora intrappolata nella stretta della sua mano destra e uno strano rossore – stavolta avrebbe potuto giurare che lo sforzo del disegno non c'entrasse proprio nulla – ad invadergli le guance.
Kurt l'osservò incuriosito per qualche istante; si sistemò meglio sulle proprie braccia, attento a non muoversi troppo, ed iniziò a parlare. "Sono nato in America anch'io. Mi trasferii qui con mio padre, alla morte di mia madre." La voce gli s'incrinò appena, ma continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, le labbra che si sfioravano impercettibilmente mentre parlava. "Avevo solo otto anni, sai. Parigi era gigantesca, un sogno troppo grande persino per le fantasie di un bambino. E crescendo scoprii che era anche più ... Aperta. Ad accettare le mie inclinazioni, diciamo." Ammiccò velocemente alle guance imporporate di Blaine. "Ma poi morì anche mio padre, qualche giorno dopo il mio sedicesimo compleanno, ed è paradossale vedere una città così grande diventare soffocante, quando non hai nessuno se non te stesso. Il gestore del Moulin Rouge conosceva mio padre; decise che aiutarmi sarebbe stata una buona azione, quella con cui avrebbe cancellato – o quanto meno nascosto – l'infinita lista delle sue azioni meno buone, e mi offrì il lavoro. E ... Be' eccomi qua."
Blaine aveva smesso di disegnare, completamente rapito dalle ciglia di Kurt che sbattevano placide, celando e scoprendo l'universo nei suoi occhi, e da come - forse - non fosse stato il solo ad aprirsi così tanto, nel calore di quella stanza che sapeva tremendamente di lenzuola stropicciate e sudore di sconosciuti spariti troppo in fretta.
"E non c'è nessuno, nella tua vita? Adesso?" E sì, decisamente il tatto non era la specialità di Blaine.
"No. No, è— È ovvio. No." Kurt scosse la testa di scatto. "Blaine, io non posso amare."
Blaine parve non riuscire a controllare il piccolo sorriso ingenuo e divertito che giocherellò con gli angoli delle sue labbra. "Kurt, non essere sciocco. Tutti sanno amare, tutti possono farlo."
"Non quelli come me; non sempre saper fare qualcosa significa poterla fare. Non tutti sono liberi di amare."
 
*
 
Blaine aveva aperto la bocca, poi l'aveva richiusa. Aveva provato così tante cose tutte insieme da non aver idea di cosa gli stesse in realtà aggrovigliando lo stomaco, poi era tornato a disegnare.
E tutto sarebbe rimasto completamente avvolto nel rumore ovattato delle musiche del Moulin Rouge, se le sue dannate guance non avessero deciso di prendere fuoco – letteralmente – alla vista di cosa stava disegnando. Ed era ridicolo. Completamente e assolutamente ridicolo, visto che hai già fatto cose del genere, Blaine. Te le ricordi quelle modelle che hanno acconsentito a posare per te lo scorso anno? Quelle erano nude, e Kurt non lo è. Quindi, per favore —
"Blaine, stai arrossendo? Voglio dire, più del solito?" ridacchiò l'altro, scrutandolo da sotto le sopracciglia inarcate come ali di gabbiano.
"Uhm." Oh, ti prego. Digli qualcosa di intelligente.
"Non dirmi che non hai mai disegnato—"
"No! Io- Sì. Voglio dire, ho già disegnato persone vestite come te," Oh mio Dio, "o meno di te, ma—" Non è possibile.
"Blaine?" Smise di gesticolare – e di rendersi ridicolo –, e si voltò verso un Kurt palesemente divertito.
"Mmh?"
"Respira."
Blaine lo guardò stranito per un attimo, per poi rilassarsi contro lo schienale della sedia ed aprirsi in un sorriso tremulo. "È che ..." iniziò. "Non sono mai stato il ragazzo di nessuno." La voce sfumò pian piano, dissolvendosi nella tensione che la stanza aveva lentamente accumulato.
"Nemmeno io." Rispose candidamente Kurt, scoprendo i denti in un sorriso sincero – e molto più grande di quelli che gli aveva regalato fino a quel momento.
"Non in quel senso, Kurt," mugugnò, affondando il viso nei palmi delle mani ed incastrando la matita in un intreccio complicato tra l'attaccatura del naso e le scanalature delle dita. "Io non sono mai stato con nessuno."
"E questo dovrebbe essere un problema perché ...?" All'occhiata confusa che Blaine gli rivolse, parzialmente nascosto dalle proprie mani, Kurt sbuffò.
"Blaine, non è sempre vero che per essere un bravo artista devi aver vissuto. Non si diventa bravi attori che interpretano criminali, uccidendo qualcuno. Non è necessario aver amato, per descrivere l'amore. Non serve morire, per rappresentare la morte," offrì con un piccolo sorriso.
E forse, forse, a quel punto, Blaine avrebbe potuto dare un nome al sentimento che gli aggrovigliava il respiro e gli accelerava i battiti cardiaci contro la gabbia toracica.
 
*
 
Rimasero in silenzio, poi. Blaine che assimilava e Kurt che ascoltava il fruscio tremolante della matita sul foglio ruvido. Ed era sembrato così naturale – familiare, quasi – tracciare i contorni e i chiaroscuri del corpo del ragazzo dagli occhi azzurri – il ragazzo che non poteva amare – da risultare ... Be', Blaine avrebbe voluto poter dire 'strano', ma la verità era che non lo era affatto. Era tutto così semplice da togliere il respiro, e tutto così complicato da farlo incastrare nella gola.
Blaine cancellò la curva che dalle clavicole pronunciate aveva tracciato all'insù, fino a congiungersi con una lieve linea di matita che accennava il mento.
Provò a disegnarla di nuovo; poi la guardò corrucciato e la cancellò con un colpo di gomma deciso, sbuffando. Si stropicciò un occhio confuso, perché no, quelle cose non gli succedevano mai. Ogni volta che iniziava un disegno lo portava a termine senza mai bloccarsi. Era sempre stato così, il difficile era iniziare. Sentì lo sguardo incuriosito di Kurt bruciargli contro la pelle accartocciata della fronte ed alzò gli occhi per incontrare i suoi, colorati di confusione.
“Cosa c’è che non va?” Blaine si mordicchiò il labbro inferiore, riponendo la matita sul tavolino e scacciando via della polvere invisibile dal foglio.
“Nulla, io—Uhm, non … Non riesco ad andare avanti.” Kurt gli rivolse un sorriso dolce, poi lanciò un’occhiata veloce al proprio corpo. “Posso spostarmi?”
Blaine annuì, sorridendogli in risposta, la tensione che gli fasciava le spalle che si scioglieva lentamente, come neve al primo sole mattutino. Kurt si alzò, stiracchiandosi lentamente, arcuando la schiena in una mezzaluna appena accennata e mettendo in risalto la pelle baluginante che rivestiva ogni suo singolo ed agile muscolo. E sul serio, Blaine aveva dovuto ricorrere ad ogni fibra del proprio autocontrollo per non lasciar scivolare il suo sguardo su quella distesa perlacea e soffice e bellissima.
Come se non avesse trascorso le precedenti due ore a scandagliare ogni curva e ogni angolo del suo corpo, scavando a fondo tra le scanalature appena accennate della gabbia toracica, indugiando sulla curva morbida dei fianchi, catturando ognuna delle sue lentiggini, sparse lungo il suo corpo come stelle in una galassia.
E improvvisamente Kurt era vicino, incredibilmente vicino, troppo vicino, e gli circondava la guancia con una mano e le dita con l’altra, azzerando progressivamente la distanza tra i loro visi, tra i loro occhi. Tra le loro labbra.
“Fermami, se non vuoi che vada avanti,” bisbigliò, una volta che i loro sguardi erano così vicini e così intrecciati da non poter distinguere dove iniziasse il tramonto e dove finisse l’oceano – nessun orizzonte a dividerli.
Blaine percepì distintamente diverse cose, in quel minuscolo, infinitesimale istante. Percepì il respiro di Kurt, soffice e alla menta, sulle proprie labbra. Percepì il proprio cuore pulsare scompostamente contro le costole in un’aritmia meravigliosa. Percepì la gravità spostarsi verso Kurt, Kurt Kurt Kurt.
Fu quasi automatico, chiudere gli occhi e pressare le loro labbra assieme, permettendosi di assaporare completamente e totalmente quell’istante. Sentì le labbra pizzicare, dove incontrarono il tocco ancora lieve di quelle di Kurt, e le dischiuse lentamente, accarezzandole con una naturalezza che non sapeva di possedere. E se c’era qualcosa che quel giorno Blaine Anderson aveva capito, seduto su una seggiola di legno un po’ scomoda e con la polvere grigiastra di una matita stemperata ancora incastrata sotto le unghie, era che baciare Kurt Hummel, chinato su di lui in una posa forse un po’ goffa e coi muscoli intorpiditi dall’immobilità di quelle poche, splendide ore, era bellissimo.
E stordente, e gentile, e prezioso. E meraviglioso, e dolce, e surreale. Ma questi erano aggettivi che Blaine pensò dopo. Dopo che tutto ciò che avevano vissuto quella notte era stato condiviso e consumato tra quelle quattro mura e quei sospiri invitanti. Semplicemente dopo. Perché tutto ciò che in quell’istante era riuscito a capire era che si stavano muovendo, aggrappati l’uno all’altro, contro al tavolino e poi in mezzo alla stanza e ancora contro il bordo del letto e sulle coperte ed erano l’uno sull’altro, l’uno attorno all’altro. Ovunque.
Si liberarono dei vestiti – di quei pochi rimasti a Kurt e dei troppi stratificati su Blaine – come ci si libera della sete, avventandosi l’uno sull’altro con voracità e delicatezza allo stesso tempo. Vestito solo di pelle d’oca, Blaine chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dall’armoniosa sensazione delle dita di Kurt sulle tempie, morbide e carezzevoli lungo la curva degli zigomi, e giù, su quella della mascella. Tremò, quando le sue mani gli disegnarono un percorso sconnesso dalla curva del collo all’attaccatura delle clavicole sottili, aggrappandosi ai bicipiti muscolosi e tonici per spargere piccoli e dolci baci lungo la distesa olivastra del suo addome.
E in quella notte buia e stellata, che già volgeva ai colori rosei dell’alba dietro le tende pesanti che celavano le finestre, Blaine si perse e si ritrovò milioni di volte: in quegli occhi del colore dell’oceano in tempesta, nella magia del contrasto tra la propria pelle scura e il candore di quella di Kurt, in ogni sospiro e sussurro caldo che avessero lasciato volatilizzarsi tra loro.
 
*
 
Blaine si risvegliò con il profumo della notte precedente nelle narici. Inspirò prepotentemente nel cuscino, beandosi nel torpore avvolto attorno ai suoi muscoli, stropicciando gli occhi con la mano accartocciata a pugno. Lasciò spaziare il braccio nell’altra metà del letto, trovandolo freddo. Freddo e vuoto. Si mosse di scatto, gli addominali che si contraevano velocemente mentre si metteva a sedere sul materasso bianco; districò le caviglie dal groviglio informe di coperte e lenzuola accatastate ai piedi del letto, percependo le guance riempirsi di un calore tutto nuovo e l’ombra di un sorriso impigliarsi all’angolo della bocca.
Scandagliò l’intera stanza, senza trovare la forza di accettare la mancanza di Kurt, KurtKurtKurt, ancora vivo e impresso a fuoco in ogni particella della sua memoria, delle sue iridi e della sua pelle, e fu allora che notò un piccolo foglietto, ripiegato a metà ed abbandonato sul tavolino.
Costrinse prepotentemente i propri muscoli ancora intorpiditi a scattare, avventandosi sul pezzetto di carta con l’ansia che gli cresceva nello stomaco, allargandosi e dilatandosi velocemente, e i battiti cardiaci gli rimbombavano in gola. Prese un respiro profondo e spiegò il biglietto.
Caro Blaine,
vorrei poterti dire che non ci rivedremo mai più, perché ciò che abbiamo condiviso la scorsa notte è stato così grande e così potente da farmi paura e togliermi il respiro. Vorrei poterti dire di dimenticarti il mio nome, di dimenticarti di noi, di dimenticarti di me e bla, bla, bla, ma non sono esattamente il tipo da queste cose. Paradossale, eh?
La verità è che non voglio. La verità è che forse sbagliavo, quando dicevo di non poter amare, forse sono solo parole dettate dalla forza dell’abitudine. O forse tu sei semplicemente diverso dagli altri.
Quindi sì, Blaine Anderson, ci rivedremo. A meno che tu non voglia. Allora la scelta la lascio a te. Tu hai Sebastian, lui ti dirà dove trovarmi, se vorrai trovarmi. E … potresti anche finire quel disegno? Sei davvero bravo, sembro molto più bello di quanto io non lo sia in realtà.
Tuo,
Kurt.
 
Blaine dovette forzare ogni singolo muscolo del proprio corpo, per impedirsi di stringere la lettera forte al cuore, stirare le labbra in un sorriso stralunato come una tredicenne alla prima cotta, e cominciare a saltellare in giro per la stanza che ancora profumava di vissuto – e perché no? Forse anche di amore. Il suo cuore si cimentò in una capriola all'indietro abbastanza complicata anche solo al pensiero. –, gli occhi brillanti, pieni di una luce nuova ed abbagliante.
Si mordicchiò il labbro inferiore, invece, scegliendo di ignorare i piccoli cristalli di lacrime di gioia che gli si impigliavano tra le ciglia, e ripiegò accuratamente il foglietto. Raccolse la giacca da terra, senza potersi impedire di ricordare come fosse effettivamente finita lì – non che avesse ricordi esattamente dettagliati, riguardo i propri vestiti, ma comunque –, ed arrossendo appena mentre s'infilava la biancheria – anch'essa abbandonata sul pavimento. Strattonò i pantaloni su per le cosce con una mossa brusca, per poi infilare il foglietto in tasca e sollevare lo sguardo.
Sobbalzò impercettibilmente, nel ritrovare la propria immagine riflessa nel piccolo specchio appeso sopra al grande mobile antico addossato alla parete. Era incredibile quanto il cambiamento della sera precedente fosse percepibile attraverso i suoi stessi lineamenti. Una porzione del collo – appena visibile, proprio vicina alla clavicola destra scoperta dai vestiti – appena arrossata e formicolante, bruciava ancora del sapore delle labbra di Kurt; i capelli arricciati e scompigliati, liberati dalle sue dita sottili dalla solita pettinatura così rigida da sembrare una prigione; e gli occhi. Gli occhi sorridevano, letteralmente: l'ambra così brillante da bruciare intensa nelle iridi.
Improvvisamente si sentì ... Completo. Come se il pezzo mancante del puzzle del proprio cuore fosse finalmente scivolato al proprio posto, incastrandosi alla perfezione con tutti gli altri. Scosse leggermente la testa, prima di avvicinarsi alla porta di legno con cautela, raccogliendo con sé il disegno e la matita, mentre passava.
Si voltò appena, proprio un istante prima di lasciarsi i ricordi e i baci e le carezze e il calore della notte precedente alle spalle con un tonfo del portone, e lanciò un'occhiata quasi reverenziale a quelle quattro mura pallide che avrebbero custodito così tanto di lui – e così tanto di loro, forse.
Poi sorrise e fece scattare la serratura, incamminandosi lentamente per i corridoi vuoti e rossastri del Moulin Rouge.

 
"Bl— mmh. Blaine, per favore. No, no. Forse dovresti mettere in pausa la videocassett— ah. Okay. Blaine. Scendi. Non ho intenzione di fare nulla, con il mio pigiama preferito addosso. Via."
"Ma Kuuuurt!"
"No. Vuoi guardare la televisione o no?"
"Perché improvvisamente sembri molto più a tuo agio, con questa storia della videocassetta? Sbaglio o ne eri terrorizzato, fino a poco fa?"
"E lo sono ancora. Totalmente. Questa cosa è folle e noi stiamo avendo le allucinazioni perché nella pizza che mi hai costretto a mangiare ieri sera c'era qualcosa di strano. Però ..."
"Però?"
"La tua faccia quando il ... me nello schermo si è tolto la camicia e i pantaloni è stata impagabil— ahia!"
"Questa è la vendetta per le cuscinate di prima. No! Kur— mpfh. Sei— mmh— sleale quando— mi baci così— mpfh."










 
Note:

Soooo ...? Well, spero vi sia piaciuta! As always, Pagina FB e LINK a Our Little Infinite, la mia altra long!
Ne approfitto per chiedervi ... Cosa ne pensereste voi di una When Harry Met Sally!Klaine? Perché ... uhm. Potrei star pensando di scriverla. *w*

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Capitolo 5
*** We found love right where we are ***


Note iniziali:
Ringrazio Anna_Vik e Klaineintheheart per le splendide recensioni e mi scuso per il ritardo nel rispondere - mi metterò in pari al più presto! Purtroppo la scorsa domenica non ho avuto internet, così come il lunedì e il martedì, quindi - dato che questa OS doveva essere divisa in due parti perché è uhm, abbastanza lunga - ho preferito aspettare oggi e pubblicare le due parti tutte in una volta.
So, ecco a voi!

 
We found love right where we are
 
A Roberta, che ormai chiama questa one-shot "mia nipote".
*aggeggia* :')



“Okay, Blaine, respira.” L’ordine di Rachel è perentorio e lo obbliga a rilasciare il fiotto d’aria che sta trattenendo nei polmoni da troppo tempo. “E’ solo il liceo, fratellino; puoi sopravvivere!” Il tono entusiasta di sua sorella – sorellastra, ma ha smesso di considerarla tale da … sempre. Rachel è una sorella a tutti gli effetti, condividono il cinquanta per cento del loro patrimonio genetico, tra cui l’altezza da piccoli nani da giardino, la carnagione olivastra e una discreta dose di melodrammaticità, oltre che una madre – gli fa roteare gli occhi brillanti e vagamente terrorizzati, ricolmi di un prepotente strato di ansia da primo-giorno-di-liceo.
Primo giorno del primo anno, nel liceo pubblico della città più grande dell’intero Colorado, Aspen. Una passeggiata, sul serio.
Sente a malapena il braccio di Rachel agganciarsi al suo, quando varca la porta del grande edificio dall’aspetto anonimo e— okay. Quindi questo è il liceo. Una gran confusione di uniformi da cheerleader rosse e svolazzanti – e troppo corte – e di passi pesanti dei giocatori di football avvolti nelle loro giacche gigantesche, un flusso costante e caotico di indumenti colorati e code di cavallo troppo strette negli elastici.
E Blaine si ritrova a pensare che dopotutto basta questo, no? Confondersi con la massa in un unico grande miscuglio di voci e risate cristalline. Ce la può fare, ne è sicuro; fa leva sui talloni e si spinge in avanti, azzardando qualche passo sul pavimento di linoleum opaco ed urtando accidentalmente la spalla di un ragazzo in divisa del McKinley grosso più o meno come due se stessi.
"Fa' attenzione!"
"S-scusa."
Blaine non ce la può fare.
Si volta in cerca di Rachel – che era esattamente alla sua destra non più di cinque secondi prima – e la ritrova con la bocca languidamente incollata a quella di un altro giocatore di football – che stavolta è grosso più o meno come tre Blaine – e— okay, forse può farcela da solo. Dopotutto sembrano abbastanza impegnati e insomma, non è che muoia dalla voglia di interromperli.
Stringe convulsamente le mani alla tracolla e si guarda intorno: aula di storia, aula di storia, aula di storia— andiamo Blaine, non è difficile. La puoi trovare e— è costretto a distogliere lo sguardo dal suo scandagliare continuo del corridoio principale, perché improvvisamente le sue membra si fanno calde e gli formicolano i polpastrelli.
E no, questa cosa non è catalogabile come normale.
Aggrotta appena la fronte, piegando cautamente le dita ed accartocciandole su se stesse. Si osserva le mani – probabilmente deve essere uno spettacolo abbastanza stupido, se visto da fuori, ma in quel momento il suo cervello non riesce ad inserire questa informazione tra quelle più importanti.
Non è una sensazione spiacevole; al contrario, è come un torpore lieve e ramificato fino alle punta delle dita, ma radicato e svolazzante da qualche parte dentro di lui – è solo strano.
Non gli è mai successo prima.
Ma ora ha priorità diverse: trovare l'aula di storia, ad esempio. Riprende a camminare, e questa volta va meglio; camminare e non fermarsi, spalle dritte, tracolla di traverso, occhi vigili e sguardo sicuro – non sembra poi così difficile.
E, oh!, aula tredici, aula di storia; l'ha trovata e deve farsi violenza fisica per impedirsi di darsi alla pazza gioia scatenandosi in un balletto della vittoria in mezzo al corridoio.
È a un passo dall'entrarci, quando deve bloccarsi un'altra volta. Perché ora il calore fluido che gli attraversa il corpo pulsa. E va bene, forse dovrebbe andare in infermeria e misurare la febbre – troppo stress, ansia da primo anno; è imbarazzante, ma può essere di tutto, no? – solo che stavolta è diverso. È come se sentisse un'attrazione, un sentirsi legato letteralmente a qualcosa, e non poter far altro che raggiungerla ed completarla. Come poli opposti di una calamita.
È per questo che alza gli occhi e ne trova automaticamente un altro paio – non c'è neanche bisogno di cercarli, sono lì, per lui, lo stavano aspettando –, e sono le iridi più belle che abbia mai visto.
Azzurre, azzurre azzurre azzurre, a prima vista sembrano angoli di cielo, ma forse sono più onde di oceano; e sono così meravigliose, contornate da una fitta coltre di ciglia castane e leggere, sovrastate da due archi di sopracciglia alti ed eleganti, divise da un nasino all'insù vagamente simile a quello di un bambino baciato dalla mamma prima di rimboccare le coperte.
Blaine non scorge molto altro della figura con lo sguardo aggrovigliato al suo, appoggiata mollemente alla parete opposta a quella dell'ingresso della sua aula di storia – un corpo tonico e longilineo, due braccia forti strette al petto, una cascata di capelli disordinata ad arte del colore del miele e un sacco di pelle chiarissima e levigata lungo la curva delle guance e della mascella – ma è abbastanza.
Abbastanza da farlo arrossire, inciampare e pulsare – e oh mio Dio, perché sta pulsando? – e sorridere ed abbassare gli occhi tutto in una volta.
È abbastanza sicuro di aver scorto un'aria confusa a fissarlo di rimando, sciolta in quelle iridi così azzurre da far invidia al mare in primavera, ma una spinta poco gentile gli sconquassa la spalla e "Ehi, vuoi entrare o no?"
Aula di storia, Blaine. Muoviti.
Le sue dita smettono di pulsare, ma i polpastrelli continuano a formicolargli.
 
*
 
Le lezioni sono normali. Non che si fosse aspettato nulla di diverso dal solito, certo. Ma ora è al liceo, e se l’unica cosa che distingue quel suo primo giorno dagli anni precedenti è quel pizzicore costante che gli fluttua sottopelle – be’, non è deluso, ma quasi.
Ha conosciuto qualche ragazzo – un tipo biondo e davvero alto, per essere appena quindicenne come lui, che fa delle imitazioni divertentissime, gli si è seduto vicino a pranzo e … sembra simpatico; proprio come il tipo con la cresta da moicano che gli ha chiuso l’armadietto quando aveva le braccia stracolme di libri – ma non è questo il punto.
Il punto è che forse – sicuramente – potrebbe essere – è – deluso dal fatto di non aver più incrociato quei due occhi azzurri. Non che non abbia più rivisto il ragazzo. E’ ovvio che l’ha rivisto, ci saranno appena cinquecento persone, in quella sottospecie di liceo, ma il problema non è quello.
E nemmeno l’averlo visto in compagnia di altre due persone – un ragazzo alto, tremendamente alto, capelli biondo cenere e occhi smeraldini, una bellezza sfacciata impressa nei lineamenti e un braccio fin troppo saldamente ancorato al suo fianco; una ragazza mora, una cascata di capelli della sfumatura più buia della notte riversata sulle spalle color caffellatte, lasciate scoperte dall’abito bianco scollato, e un viso esotico e sfrontato nel migliore dei significati – gli dà fastidio.
Be’, non troppo – la mano di quel tipo è decisamente stretta sulla curva del fianco del ragazzo dagli occhi azzurri, ma non si può essere gelosi di una persona con la quale si ha condiviso a malapena uno sguardo, no? –, almeno. Ciò che gli dà enormemente, esponenzialmente fastidio è il non essere riuscito ad intrecciare di nuovo i loro sguardi assieme.
E’ come se quelle iridi azzurre avessero cercato di combattere contro le maree al loro interno per evitare di lasciar scivolare lo sguardo su Blaine. Riuscendoci.
Sbuffa, richiudendo con un tonfo il frigorifero e dirigendosi verso la sua cameretta. Sua madre Shelby non c’è; ha appena fatto in tempo a salutarla quella mattina, prima che partisse per uno dei suoi innumerevoli viaggi di lavoro, e non tornerà per altri due giorni. E sì, forse è anche un po’ deluso per quello; non che il primo giorno di liceo sia un evento d’importanza internazionale, ovviamente, ma sarebbe bello avere qualcuno con cui parlarne – che non siano Rachel e i suoi infiniti commenti sdolcinati su quel giocatore di football a cui l’ha vista incollata quella mattina, ecco.
Forse ha solo bisogno di un amico.
 
*
 
Blaine non riesce ad addormentarsi. Non ci riesce e ha caldo. E diavolo, non è febbre – il suo termometro misura trentasei gradi e mezzo spaccati – e sta iniziando a preoccuparsi. Rotola sul materasso, scalciando via i rimasugli di quelle che una volta erano state coperte ben ripiegate, e si alza a sedere.
Le 3.00 – la sveglia lampeggia, emanando un bagliore verdastro nel buio della stanza. E’ passato un quarto d’ora, da quando l’ha guardata l’ultima volta, e il chiarore della luna piena fuori dalla stanza non sembra essere mutato. E’ come se il tempo si stesse prendendo gioco di lui.
Le dita non hanno smesso di pulsargli neanche per un secondo, da quando ha sparecchiato la tavola, ma ora è diverso; il calore lo attraversa ad ondate, espandendosi da un punto indefinito all’interno della gabbia toracica fino alle braccia e alle gambe, invadendogli la testa ed accelerandogli il respiro.
Doccia. Ha bisogno di una doccia.
Si sfila la t-shirt consumata di Star Wars che usa per dormire e la lancia da qualche parte sul pavimento, mentre saltella su un piede solo per districarsi dall’ammasso di felpa dei pantaloni della sua tuta e si avvicina al bagno. Lascia cadere i boxer un attimo prima di infilarsi nella doccia ed aprire l’acqua fredda – gelida.
Ma non cambia niente. Al contrario, la sua pelle sembra quasi infastidita dal getto ghiacciato – non ne è propriamente sicuro, ma gli sembra di aver appena sentito un ringhio di disappunto montargli involontariamente nella gola.
Chiude l’acqua e afferra a tentoni un asciugamano, avvolgendoselo attorno velocemente, e improvvisamente il suo cervello inizia a ragionare in maniera nuova e diversa e correre.
Deve correre, correre correre correre, ogni muscolo del suo corpo glielo impone e non può far altro che seguire l’istinto. Si lancia fuori dal bagno, l’asciugamano pericolosamente barcollante sui suoi fianchi e gli occhi spalancati, i riccioli bagnati che lasciano scie umide sulle sue guance e il respiro che si fa bollente nei polmoni, e si precipita giù per le scale, urtando mobili e quadri, lasciando dietro di sé un sentiero di caos.
Sta pulsando, letteralmente. Ormai non è più solo una sottospecie di calore liquido che gli avvolge le membra; è dappertutto. Percepisce distintamente il ringhiare sommesso che gli risale la gola, mentre spalanca la porta e si affanna giù per i pochi gradini dell’entrata, lungo il vialetto, nel minuscolo giardino che contorna la piccola villetta in cui vive.
Respira, respira, respira.
Un crack gli rimbomba nelle orecchie e ad un certo punto c’è solo dolore. Si piega in due, accartocciandosi a terra e lanciando un urlo che rimbomba nel vuoto come un tuono che squarcia il silenzio della notte stellata prima della tempesta. Avverte ogni singolo osso del proprio corpo spezzarsi e fa male. Fa così male che non ha nemmeno la forza di respirare.
Un ringhio riecheggia, attutito dalle mani avvolte attorno al suo viso, nell’intera radura che divide la piccola casa dalla foresta plumbea e – cosa diavolo mi sta succedendo?
Braccia–  zampe e dita– artigli. Dolore, dolore, dolore– rabbia. Fame.
Blaine – Blaine che non è più Blaine, Blaine dal pelo fulvo e gli occhi brillanti di raggi baluginanti di luna piena, Blaine che ha i ringhi nella gola – corre e fugge e ulula.
Nello stesso singolo istante, il cuore del ragazzo dagli occhi azzurri sussulta.
 
*
 
Si dice che ci siano piccoli istanti – minuscoli frammenti di tempo, così insulsi, davanti alla maestosità dell'eternità – nella vita di un uomo, in cui ogni singolo tassello di quel puzzle gigantesco e complesso che siamo noi si incastra al proprio posto, in maniera così naturale da sembrare irreale.
E tutto, semplicemente, scorre.
Scorre come le miglia e miglia divorate da Blaine – da quel che ora Blaine è, almeno – nella foresta fredda e bluastra. Scorre come l'aria pura che gli fluisce nei polmoni, dentro e fuori, dentro e fuori. Scorre come l'adrenalina liquefatta nelle sue vene, come il sangue che gli rimbomba all'altezza del cuore in un thump thump sordo.
È tutto perfetto.
Ogni cosa al posto giusto, ogni sfumatura verde e grigia delle foglie appese ai rami e ombreggiate come trame di merletti sul terreno dal chiarore della luna, ogni odore e ogni rumore: è tutto nitido e netto e preciso e giusto.
L'istinto gli imprime nei muscoli – ora contratti, ora elastici ed allungati – di correre, e Blaine lo fa. Corre. Senza mai fermarsi, senza mai voltarsi indietro.
Non saprebbe dire esattamente quando sia cambiato qualcosa; ma succede, e le sue gambe–  zampe se ne accorgono ancor prima di lui. Rallenta lentamente, gradualmente, acuendo l'udito e semplicemente ascoltando l'armonia della natura che lo circonda.
E wow— Ci sono rumori che non avrebbe mai immaginato di essere in grado di percepire; ronzii flebili e dolci scrosci d'acqua, forti raffiche di vento e fruscii morbidi di foglie, ma anche degli scalpiccii ritmici di passi. Blaine spalanca gli occhi. Improvvisamente, ogni singola fibra del suo corpo è tesa come una corda di violino, e i sensi si risvegliano ancor di più, allertandosi automaticamente.
Percepisce la sua presenza ancor prima di vederlo oggettivamente, ma è già abbastanza; un grosso lupo grigio, dal pelo del colore delle nuvole invernali e dagli occhi di quello dei piccoli sprazzi di cielo che s'intravedono attraverso di esse, si fa strada nella minuscola radura in cui si trova – può giurare di aver già visto quelle iridi da qualche parte, ma è tutto così confuso – e lo fronteggia, inclinando il muso in un angolo vagamente preoccupato e ... consapevole.
A Blaine non è molto chiaro perché non stia urlando e scappando via come un pazzo – dà la colpa all'istinto, e tanto basta –, ma al contrario si stia avvicinando a quel lupo, lentamente, come se fosse la cosa più naturale e semplice del mondo. Ad un certo punto, nel bel mezzo di quel percorso lento e vagamente strano verso quelle iridi azzurre e quel muso vispo, un po' curioso e innaturalmente espressivo per un animale, qualcosa cambia di nuovo.
E torna il calore. Torna il pulsare. Denso, liquido, che lo attraversa da parte a parte, insinuandosi in ogni suo muscolo e osso in maniera dolorosa. È piuttosto sicuro che quei due crack provengano dalla propria spina dorsale e tutto è doloroso in maniera insopportabile; si ripiega su se stesso, affondando nella terra umida e guaisce. L'ultimo sprazzo di vista nitida che ha ritrae due occhi grandi, rotondi e profondi e preoccupati, che rimangono semplicemente lì, mentre tutto il corpo del lupo si deforma in maniera spaventosamente umana – ma forse sta già sognando.
 
*
 
"Kurt, Cristo! Ma sei impazzito?"
"Sebastian, per l'amor di Dio, vuoi abbassare il volume della voce? Sai com'è, non voglio che la mia vita diventi un affare di stato."
Kurt si guarda attorno circospetto, ma sembra che il viavai che affolla il corridoio non si sia curato dell'imprecare del suo migliore amico – non troppo, almeno; potrebbe giurare di aver visto due matricole allontanarsi terrorizzate. Torna a puntare gli occhi in quelli di Sebastian, placidamente appoggiato con la schiena agli armadietti metallici, le braccia incrociate al petto e i capelli scompigliati che gli ombreggiano gli occhi verdi ed annoiati.
Santana si porta una mano al fianco destro, fasciato da un paio di jeans aderentissimi, e sospira, incastrandosi una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio. "Seb ha ragione, Kurt. Come ti è venuto in mente di prendere e rincorrerlo, senza avvertire nessuno? Sai quanto possiamo essere pericolosi durante la prima trasformazione."
Ed è ovvio che Kurt lo sa. Lo sa benissimo e vorrebbe non doverlo fare, e Santana sembra pentirsi di aver pronunciato quelle parole.
"Sì," risponde secco, "come lo sai tu."
"Avrebbe potuto ferirti, lo sai?" Sebastian lo squadra con preoccupazione, quasi ad accettarsi che sia davvero lì, tutto intero.
"Ma non l'ha fatto," ribatte Kurt spazientito, "e ora ho solo bisogno dell'aiuto dei miei migliori amici, che sono pregati di smetterla di comportarsi come due genitori iperprotettivi, grazie tante."
Santana fissa a lungo i propri occhi nerissimi nei suoi; "Secondo me dovresti parlarci."
"No! Pessima idea! Assolutamente no." Sebastian scuote la testa energicamente, e la ragazza accanto a lui sbuffa.
"Sia tu che io sappiamo quanto sia traumatico non avere qualcuno vicino durante il primo periodo," gli dice, ignorando volutamente Sebastian che rotea gli occhi. "Quel ragazzino è piccolo, fragile. Deve aver capito poco o forse nulla di ciò che gli è successo stanotte; forse parlarne con qualcuno potrebbe aiutarlo."
Kurt la fissa dubbiosa, poi annuisce lentamente, senza staccare gli occhi dai suoi. È tanto da assimilare, troppo; improvvisamente sente sulle sue spalle il peso di una responsabilità che non sa se è in grado di prendersi. Santana sembra intuirlo, e gli poggia una mano dalle unghie laccate di nero sul polso, in una muta rassicurazione.
Puoi farcela.
Sebastian li fissa dubbioso, ma poi rotea gli occhi - di nuovo - e annuisce piano. "Okay, forse non è una bruttissima idea, dopotutto." Kurt gli sorride appena.
"Ma ancora non capisco, perché sei riuscito a raggiungerlo così velocemente? Voglio dire, quando tu e San mi trovaste, durante la mia prima trasformazione, erano passate ore e ululavo da diverso tempo. Tu hai detto di averlo trovato subito, anche se da quel che ho capito non abita vicino a casa tua, e di averlo seguito finché la luna non era quasi completamente scomparsa."
Kurt percepisce una spiacevole sensazione di calore invadergli il collo e le guance, mentre distoglie lo sguardo da quelle iridi verdi e lo punta sulle piastrelle sporche del pavimento. "Credo che sia stato ... Istinto."
La campanella lo salva da qualsiasi tipo di discussione imbarazzante su cosa, effettivamente, intenda per istinto; ma Sebastian fa in tempo a bloccarlo prima che si giri e si avvii verso la propria classe, strattonandolo per una manica del maglione blu che indossa.
"Ma se l'hai visto ritrasformarsi in essere umano, significa che l'hai visto nudo?"
"Oh mio Dio; Seb, tu hai un disturbo serio, non è possibile che tu non riesca a pensare ad altro."
"Non tentare di evitare questo discorso con me, Hummel! L'hai visto nudo, sì o no?"
Kurt lo fissa con aria esasperata.
"Lo prendo come un sì. Voto da uno a dieci al suo culo?"
"Oh. Mio. Dio. A dopo, Sebastian."
Si gira e si allontana velocemente, la cinghia della tracolla stritolata nel suo pugno e il sottofondo della risata cristallina di Santana e del Secondo me, a giudicare da come arrossisci, è un undici di Sebastian nelle orecchie.
Si trattiene a stento dal rispondergli In realtà anche un dodici
Blaine ha l'impressione di dover vomitare da un momento all'altro. La nausea gli aggroviglia lo stomaco fin da quando, quella mattina, dopo essersi svegliato in un ritardo tragico, si è catapultato fuori di casa senza gel e col papillon allacciato storto per non arrivare tardi a scuola. Non troppo, almeno.
Le lezioni gli sono scivolate davanti come olio, e lui – lui che di solito ne sa quasi più degli insegnanti – è semplicemente rimasto a subirle, senza scrivere uno straccio di appunto o ascoltare un briciolo di spiegazione. Non male per un secondo giorno di scuola.
La verità è che ha passato le precedenti quattro ore a cercare di scavare nel miscuglio aggrovigliato di ricordi sbiaditi che gli fluttuano nella mente come nebbia fitta a novembre, senza riuscire a cavarne assolutamente nulla.
Il che non è neanche del tutto vero, pensa, rimestando con la forchetta quell'ammasso verdastro che dovrebbe essere l'insalata della mensa.
Non è neanche del tutto vero perché qualcosa di nitido, di definito, c'è; quelle iridi azzurre, azzurre e profonde e oceaniche, gli galleggiano nelle retine. Oh, e il fatto che nel proprio sogno – perché era un sogno – abbia praticamente fronteggiato un lupo senza dare di matto o mettersi a gridare, ovviamente – ma questo è un altro paio di maniche, una cosa per volta.
Per ora, sta semplicemente cercando di sopravvivere alle successive tre ore, poi andrà a casa e cercherà di dormire, di fare ordine nella propria mente e di calmare quel dannato tremore che gli scuote le mani ad intervalli irregolari; sbuffa appena, portandosi le mani agli occhi e stropicciandoseli, cercando di scacciare via quell’insopportabile sensazione di torpore che glieli invade. Quanto meno non ha ancora incontrato Rachel – che sicuramente lo avrebbe sottoposto a un interrogatorio sul perché di quelle ombre nere che gli circondano gli occhi – e il pulsare caldo alle dita se n’è andato.
“Ehi?”
Non prova neanche ad alzare lo sguardo; è seduto al tavolino da solo e non c’è praticamente nessuno che possa voler qualcosa da lui.
“Ehi, tu! Scusami?”
E—okay, forse qualcuno sta veramente tentando di parlargli e forse si sta comportando come un perfetto maleducato, quindi apre gli occhi e solleva il mento, fino ad incontrare e rispecchiarsi in due iridi così familiari da stordirlo.
“Ehi! Uhm—certo, dimmi … Voglio dire—sì?” incespica tra le sue stesse parole e muore un po’ nel flebile sorriso che incurva le labbra di quel ragazzo, quello con l’amico troppo appiccicoso e l’amica troppo bella, quello che l’ha semplicemente stregato. E che ora sta parlando con lui.
Sente il respiro accelerargli ed uscirgli in uno sbuffo dalla bocca, mentre le pupille gli si dilatano, espandendosi nell’ambra liquida delle sue iridi.
“Ciao; ti spiace se mi siedo con te?” Il ragazzo accenna un sorriso e gesticola – per quanto può, ostacolato dal vassoio del pranzo in una mano e dai libri nell’altra – verso la sedia posizionata davanti alla sua.
Blaine rimane per un attimo senza parole, l’aria impigliata nella trachea e il cuore sprofondato nello stomaco, ma annuisce freneticamente ed aspetta inquieto che si sieda – rendendosi conto solo dopo che forse potevi anche aiutarlo coi libri, idiota –; poi il ragazzo gli sorride, scompigliandosi con la mano sinistra i capelli – riuscendo ad essere ancora più bello: Blaine è sicuro di stare per avere un mancamento – e allungando la destra al di là del tavolo. “Io sono Kurt.”
Si affretta a stringerla, rendendosi conto, nei meandri del proprio cervello, di aver appena percepito la stessa identica sensazione del pulsare del giorno precedente, e a mormorare un impercettibile “Blaine.”
“Allora, primo anno?” chiede Kurt – per un attimo, per un minuscolo attimo, Blaine ama il modo in cui il suo nome gli rimbomba nella mente – ed annuisce, mentre entrambi afferrano le forchette e cominciano a mangiare. O almeno a provarci, perché quell’insalata non è cibo realmente commestibile, andiamo.
“Tu?” chiede, perché una conversazione si fa in due, quindi cerca di parlare. Senza balbettare, possibilmente.
“Quarto,” sbuffa Kurt, sollevando giusto per un attimo lo sguardo dal proprio vassoio. “L’anno del diploma, delle scelte e bla, bla, bla,” rotea gli occhi, mimando con le dita le virgolette in aria.
Blaine si ritrova a pensare che è ancora più bello, quando sorride. E poi si ritrova a farsi una sorta di auto-violenza psicologica per smettere di pensarci. E anche per smettere di rimuginare sul fatto che un – meraviglioso – ragazzo di tre anni più grande di lui gli stia effettivamente rivolgendo la parola.
“Almeno ti è rimasto meno tempo da passare qui,” borbotta; e forse non è esattamente quello che Kurt si aspettava dicesse, perché alza la testa e lo fissa negli occhi, inchiodandolo col proprio sguardo.
“Credo che tu abbia ragione,” aggiunge poi, con un sorriso, e Blaine sente il sangue rifluirgli velocemente sulle guance.
Continuano a parlare, poi. Di cosa, Blaine non se lo ricorda, ma forse non è poi così importante.
 
*
 
Non è importante perché poi avviene più spesso; avviene tutti i giorni. Blaine si siede al solito tavolo da solo, mangiucchia qualsiasi cosa ci sia quel giorno nel terribile menù della mensa ed aspetta di intravedere Kurt tra la folla. A quel punto, quando scova quelle iridi celesti, sente il cuore accelerare i propri battiti e lo stomaco restringersi, e si mordicchia il labbro finché Kurt non lo scorge al solito posto e gli sorride, per poi afferrare un vassoio, fare la fila per quella sottospecie di pranzo e raggiungerlo.
E ogni giorno parlano. Di tutto e di niente. Di Non capirò mai la mia insegnante di francese e di Blaine, Madame Briette e il suo francese sono impeccabili, smettila di brontolare e passami il tuo succo; di Kurt, ti è mai capitato di piangere per il tuo film preferito? e di Ogni singola volta fin da quando avevo la tua età; di Ogni tanto, quando ho bisogno di stare da solo, vado nella foresta e mi metto ad ascoltare e di Io mi sdraio sul tetto di casa mia e guardo le stelle.
E va avanti, in qualche modo.
Non sono amici – non ancora, almeno –, ma insieme stanno bene e tanto basta.
Blaine sogna molto di più, di notte. Sogna occhi azzurri come fondali oceanici e lupi grigi dal pelo fulvo e lucente sotto il bagliore opaco della luna piena. Sogna corse a perdifiato e foreste cupe in movimento, ma non sono mai incubi. Solo sogni vividi – troppo, qualche volta – e tangibili anche quando si risveglia.
Sta giusto ripensando a quello che ha vissuto quella notte, quando Kurt gli piomba davanti, caracollando sulla seggiola di plastica e scaraventando il vassoio sul tavolino con poca grazia.
“Ehi …?”
“Io non capisco perché la mia insegnante di algebra debba essere così … pesante. Voglio dire, non è passato neanche un mese dall’inizio della scuola e ci sta già riempiendo la testa di ‘Quando sarete fuori di qui, avrete bisogno di sapere questo e quello e quest’altro ancora, quindi studiate e bla, bla, bla’. Io amo  l’algebra, sul serio, ma quando penso che ho lei come insegnante mi sento soffocare e—“ Kurt interrompe il suo soliloquio per scoccare un’occhiata a Blaine, che lo sta guardando di sbieco, con un sorriso timido appena appuntato agli angoli delle labbra. Sbuffa un po’ e si abbandona contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto. “Troppo melodrammatico, so che lo stai pensando.”
Blaine arriccia adorabilmente le labbra per trattenere una risata. “Non è vero, assolutamente.”
L’occhiata scettica che gli lancia Kurt lo fa desistere da ogni buon proposito che si era imposto. “Okay, forse un po’,” ammette ridacchiando, mordendo un minuscolo pezzo di pane – che sembra plastica, ma comunque.
“Se ti può consolare, anche io ho problemi con l’algebra,” esala in uno sbuffo, sbattendo le ciglia un paio di volte.
“Tu?” chiede Kurt, una punta di incredulità nella voce. “Tu che sei in ogni corso avanzato di questo insulso liceo e che probabilmente ti diplomerai anche prima di me?” Si raddrizza sulla sedia ed infilza un pezzetto di carne con la forchetta.
“Tutti tranne algebra.” Blaine arrossisce un po’ e Kurt rotea gli occhi, masticando velocemente.
“Facciamo un patto: se riesci a trovarmi tre motivi per cui dovrei sopportare quella vecchia scorbutica dal discutibile senso dell’abbigliamento senza avere la tentazione di scagliarle contro il mio libro di matematica, ti do ripetizioni di algebra gratis finché non passi al livello avanzato.”
Blaine lo fissa con aria di sfida. “Okay, allora, primo motivo: sicuramente è una nonna, e le nonne sono tutte adorabili, quindi in fondo in fondo lo è anche lei.”
“Blaine Anderson—“
“Fammi finire; secondo motivo: insegna bene una materia che ami, e forse se non ci fosse lei avresti una professoressa inesperta o incapace. E terzo motivo, lei segue il corso avanzato, dove tu sei e io no, quindi sarebbe meschino da parte tua parlarne male davanti a me che vorrei frequentarlo,” conclude, alzando vittorioso il mento e scoccandogli un’occhiata soddisfatta.
Kurt lo fissa incredulo, poi la sua espressione si addolcisce; “Bene, oggi pomeriggio dopo scuola vieni da me. Ripetizioni di algebra. Aspettami nel parcheggio,” dice, e si alza, raccogliendo al volo tracolla e rimasugli del pranzo.
Forse Blaine si è appena messo nei casini.
 
*
 
Il viaggio in macchina è tranquillo; un po’ impacciato all’inizio, ma non è come se non fossero abituati a condividere determinati spazi. Il problema si presenta quando parcheggiano nel vialetto della casa di Kurt, dietro a una Mercedes dall’aspetto davvero costoso, e lui impreca sottovoce.
“Va … tutto bene? Perché posso tornare un altro giorno se oggi—“
“Blaine, va tutto bene. E’ solo Sebastian.” Kurt lo interrompe con una smorfia di disappunto; estrae le chiavi dal quadro e spalanca la portiera per uscire, mentre Blaine lo segue cautamente.
Non appena la chiave scatta nella serratura, Kurt socchiude la porta e sbraita: “Se siete in atteggiamenti compromettenti, rivestitevi immediatamente perché non ci tengo a fare il bis di quello che è successo la settimana scorsa!” e sembra aggiungere un ‘E anche quella prima.’ borbottato tra i denti.
Blaine è sicuro che le proprie guance abbiano assunto dodici diverse tonalità di magenta, nell'arco di quei cinque secondi, e non riesce ad evitare di fissarsi le punte dei propri mocassini con un interesse che in realtà non gli appartiene.
Cinque secondi che sembrano essere abbastanza, per Kurt, per potersi rivestire; quindi strattona la maniglia della porta, aprendola velocemente e lasciando entrare Blaine.
"Come ve lo devo dire che queste robe non le dovete fare sul mio divano? Che diavolo, io lì ci mangio e mio padre ci guarda le sue stupide partite di football, la frase 'ho casa libera' significa 'possiamo studiare insieme', non 'datevi da fare nel mio salotto'," dice ad alta voce, entrando velocemente nella stanza e lanciando un'occhiata accusatoria ai capelli spettinati di Sebastian e alla spallina del reggiseno di Santana abbassata lungo il braccio.
"Dolcezza, abbassa gli artigli, ce ne stavamo andando; anche perché—" Sebastian intercetta la figura di Blaine seminascosto dal corpo di Kurt, e non si preoccupa nemmeno di nascondere un ghigno. "Anche perché non vorremmo mai disturbare te e il nano che ci date dentro, giusto San?"
Lei rotea gli occhi, scuotendo i lunghi capelli neri sulla schiena, e Kurt sbuffa, prendendoli entrambi per le spalle e trascinandoli – letteralmente – fuori dalla porta d'ingresso. Blaine fa appena in tempo a sentire un mezzo insulto mugugnato da Sebastian – conosce il suo nome solo perché ne ha sentito parlare spesso da Kurt, sempre con un tono di voce che vuol dire è un coglione ma gli voglio bene, ma non ha mai avuto un incontro così ravvicinato con lui – prima che la porta sbatta violentemente contro lo stipite e il silenzio si riappropri delle pareti della casa.
Kurt riemerge dall'atrio, passandosi una mano sugli occhi – sembra così piccolo quando lo fa – e gli rivolge un'occhiata esasperata venata di affetto. "Scusali, loro— Non sanno controllarsi. Di solito."
"Nessun problema." Blaine scrolla le spalle e sbuffa una mezza risata. "Loro ... Uhm, stanno insieme?" chiede, e si morde la lingua subito dopo, perché che diritto ha di ficcanasare nella vita degli amici di Kurt? Non crede di avere nemmeno quello di farlo in quella di Kurt stesso, in realtà. Ma sembra così bello credere che Sebastian e Santana – conosce anche il suo, di nome, ed è sempre merito di Kurt e dei suoi sproloqui a pranzo – stiano insieme, che nessuno dei due stia con Kurt, che ha bisogno di conferme, e ne ha bisogno subito.
Kurt non sembra offeso o qualcosa del genere, comunque. Rotea gli occhi, anzi, ed è adorabile, e Blaine dovrebbe smetterla di pensarlo. "No, loro— si divertono? Non ne ho idea, sai?" Ridacchia. "Non stanno insieme, non ci riuscirebbero mai. Sono incompatibili; se ci provassero finirebbero a lanciarsi scarpe ed insultarsi in francese o in spagnolo. E diciamo che entrambi in realtà ... Preferiscono altro. Ma— credo sia un modo per divertirsi? Non chiedermelo, meno so e meglio è," conclude con una smorfia strana, che sa tanto di sono la mia famiglia, voglio loro bene lo stesso.
"Preferiscono altro ...?" Blaine non è sicuro di aver capito.
"Santana è innamorata di una ragazza, Brittany. Ma ... è complicato. E Sebastian andrebbe a letto con qualsiasi cosa abbia un buco. Quindi sì, attualmente entrambi preferiscono altro."
Ed è così naturale, il modo in cui Kurt ne parla, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, nessuna paura di essere giudicato, che lo stordisce.
"Anche io— preferisco altro. Non nel senso … di Sebastian, ma— sì" sbotta. Non sa il perché, non l'ha mai detto a nessuno. Neanche a Rachel. Perché andiamo; ha solo quindici anni, non è mai stato il ragazzo di nessuno e come fa ad esserne sicuro?
Almeno, questo è ciò che si è sempre ripetuto – forse per codardia, forse perché ha semplicemente paura. Ma sente di non doversi frenare con Kurt. Sente di potersi fidare e lo fa, ed è come chiudere gli occhi, lasciarsi cadere e poi afferrare al volo, un attimo prima di schiantarsi al suolo.
E Kurt lo guarda con quell'aria così da Kurt che ha imparato a riconoscere bene: la testa appena inclinata, gli occhi grandi e spalancati e profondi come fosse oceaniche, la bocca incurvata in una specie di sorriso pensieroso— è davvero bellissimo. E Blaine dovrebbe aggiornare il proprio vocabolario, perché 'bellissimo' non rende neanche minimamente l'idea
Deve ricordarsi di respirare - dentro e fuori, Blaine; dentro e fuori – e—“Anche io, se è per questo.” Kurt scrolla le spalle e raccoglie la propria tracolla, che nella foga di calciare i propri amici fuori di casa gli è caduta a terra, e Blaine spalanca la bocca in maniera completamente inelegante.
“Sul serio?”
“Sul serio, Blaine; ora algebra, muoviti.” La voce di Kurt riecheggia da quella che sembra essere la cucina e lui lo segue come in trance. Non è come se non ci avesse mai pensato – se non ci avesse mai fantasticato – ma averne la certezza concreta è qualcosa di disorientante e guarda dove metti i piedi, fare una culata sul pavimento del suo salotto non è esattamente attraente.
 
*
 
“Grazie per—“ Blaine gesticola per un attimo con le mani, non sapendo esattamente dove metterle – opta per le tasche della felpa, alla fine – “tutto, insomma.” Ridacchia e si avvia verso la porta, seguito da Kurt, che puntualmente rotea gli occhi e lo squadra da dietro gli occhiali da vista che usa per studiare e che si è dimenticato di togliere – sempre più adorabile,  sospira una voce nel cervello di Blaine.
“Nessun problema; dovremmo rifarlo, sai?” Gli lancia un’occhiata che significa qualcosa. Cosa, di preciso, Blaine non ne ha idea.
“Oh, no! Voglio dire, l’ultimo anno è impegnativo e non puoi perdere tempo ad aiutare una matricola come me, non voglio—“
“Veramente non intendevo solo per i compiti di algebra.” Blaine lo fissa confuso e Kurt sospira, appoggiandosi alla parete affianco alla porta aperta sul vialetto buio di casa sua. “Potremmo vederci altre volte, no? Oltre alla scuola. Cinema, passeggiate …?”
Il cuore di Blaine inizia a battere in modo strano e si ritrova a balbettare un ‘sì, sì—perché no?’  un po’ confuso. Sente la tensione aggrovigliargli le spalle, quando Kurt si avvicina – si avvicina troppo – e lo abbraccia. Così, dal nulla. Proprio come dal nulla arriva quell’ondata di calore che lo attraversa dall’interno non appena i loro corpi entrano in contatto.
Kurt sa di boschi, frutta e caffè, e Blaine potrebbe semplicemente rimanere avvolto nel calore di un suo abbraccio per sempre, ma non sembra qualcosa di normale, quindi si scosta leggermente e ridacchia, quando incontra le iridi brillanti e vicine, così vicine, di Kurt.
“Ci – ci vediamo domani?”
“A domani.” Kurt chiude la porta dietro di lui e Blaine inspira a fondo nell’aria fresca ed autunnale, prima di ricordarsi che non ha un passaggio per tornare a casa.
Merda.
 
*
 
Blaine torna a casa di Kurt il giorno dopo, e si ferma a cena. E ciò che lo stordisce e lo spaventa più di tutti è il fatto che sia completamente, totalmente naturale. Anche sfiorarsi appena le caviglie sotto il tavolo mentre tentano sperimentalmente di attorcigliare una sottospecie di spaghetti alle forchette, per poi rinunciarci e mangiarli col cucchiaio. Anche ripulire le labbra di Kurt da uno sbaffo di sugo al pomodoro col tovagliolo. Anche canticchiare insieme mentre lavano e asciugano i piatti.
Suo padre deve essere fuori città, perché Kurt non accenna per niente alla sua presenza e sembra abbastanza tranquillo del fatto che nessuno piomberà in casa senza preavviso a rendere le cose imbarazzanti.  Evidentemente si sbaglia, perché alle nove in punto Sebastian fa il suo ingresso nella mini-villetta Hummel senza troppi complimenti, trascinandosi dietro una Santana altrettanto entusiasta, e si piazza sul divano con aria vagamente compiaciuta.
“Da quando abitate qui dentro?” chiede Kurt ridacchiando.
“Da quando ci abita lui?” ghigna Sebastian, ammiccando verso Blaine. Armeggiando con la borsa dell’amica e ne cava fuori un videogioco dall’aspetto violento. Kurt rotea gli occhi; “Lui” comincia, indicando un Blaine vagamente preoccupato. “Si chiama Blaine. Blaine, loro sono Sebastian e Santana, gli stessi che ieri ho lanciato fuori di casa a calci, sì. Ora, se volete scusarci, io e Bl—“
“Quello è COD?” chiede il più piccolo dei quattro, attirando a sé due occhiate stralunate – di Kurt e Sebastian – e una divertita – di Santana. “Sì,” risponde il ragazzo. “Ci sai giocare?”
Gli occhi di Blaine sembrano scintillare – letteralmente. “Lo adoro!” Sebastian lo squadra in silenzio per qualche istante, poi gli passa un joystick e gli fa posto sul divano. Kurt esala un ‘Oh mio Dio’ vagamente incredulo, gli occhi spalancati, e Santana soffoca una risata contro le unghie smaltate.
 
*
 
Il giorno dopo vanno al cinema – “Blaine! Non possiamo perderci Titanic in 3D!” “Ma Kurt! Titanic fa piangere!” – e Blaine freme ogni volta che le loro dita si incontrano nel sacchetto di popcorn.
All’’uscita, Kurt cerca di ignorare le lacrime incastrate tra le sue ciglia, ma quando una sfugge a quel reticolo complicato gliela asciuga con un gesto veloce della mano e Blaine trema.
 
*
 
Quando Kurt sente Blaine complimentarsi con Santana per il suo vestito e vede le guance color caffellatte di lei arrossire, capisce che non esiste persona al mondo più genuina di lui, e si ritrova a ridacchiare col naso infilato nell’armadietto metallico.
 
*
 
“Ehi Blaine, stasera videogiochi?” Sebastian lascia scivolare il vassoio accanto al suo, guadagnandosi un’occhiata stranita da parte di Kurt. “Vuoi la rivincita?” gli chiede Blaine tranquillo, mangiucchiando un angolino del toast bruciacchiato che ha in mano.
“Piano con le parole, novellino.”
“Non sembravo così novellino quando ti ho battuto a Call Of Duty per—quante? Sette volte? O erano otto?”
Kurt soffoca una risata dietro la punta delle dita e Sebastian li fulmina con gli occhi.
 
*
 
Quella mattina, Blaine si alza con un familiare formicolio ad accarezzargli i polpastrelli; aggrotta le sopracciglia, preoccupato – dopo l’ultima volta ha paura, quando sente quel pizzicore – ma viene distratto dalla sveglia che vibra e sbraita impazzita sul comodino, quindi rotola giù dal letto e corre in bagno.
Riesce a non pensarci fino all’ora di pranzo, quando vede Kurt avvicinarsi a quello che è diventato il loro tavolo e percepisce un’ondata di calore traboccargli dal cuore ed investirlo tutto. Gli si mozza il respiro per un attimo – solo per una frazione di secondo, ma potrebbe giurare di aver visto anche Kurt sussultare – ma poi si sforza di mettere su un’espressione tranquilla e lo saluta.
“Ehi,” mormora, ma Kurt non sembra intenzionato ad ascoltarlo. “Blaine, ti va di venire a casa mia, stasera? Ci— ci vediamo un film, o qualcosa del genere …” E sul serio, Blaine non riesce a capire perché sia così in ansia nel chiederglielo – non è come se fosse la prima volta che succede – ma si ritrova ad esitare, perché ricorda benissimo tutto quello che è successo l’ultima volta che quel calore gli ha invaso le membra in quel modo strano e non vuole che si ripeta con Kurt. Okay, forse non ricorda un granché, ma non vuole che accada comunque.
“Io—non lo so, devo studiare e—“
“Puoi farlo da me? Per favore?”
E come si fa a dire di no a quegli occhi?
“Va— Va bene.”
“Perfetto, a stasera!” Kurt si volta per andarsene, ma Blaine gli afferra il polso – e wow,  dalle loro mani in contatto potrebbero partire scintille e non se ne stupirebbe – ed entrambi sussultano. “Non resti a pranzo?”
Kurt sembra esitare un attimo, poi lo guarda in un modo che sembra vagamente in colpa e scuote la testa. “Non posso—mi dispiace, a stasera?”
Blaine è deluso, ovvio che lo è. E non fa nemmeno finta che non gliene importi; annuisce appena e lo saluta con un cenno del capo, non riuscendo però a trattenere un piccolo sorriso che gli solleva un angolino delle labbra.
“A stasera.”
 
*
 
Kurt è strano. Ed è strano anche solo pensare che lui sia strano, ma è … strano. Si agita in continuazione sul divano, si mangiucchia le unghie – e lui non se le mangiucchia mai –, ha la schiena rigida contro lo schienale e accavalla le gambe ogni manciata di secondi.
“Ti va di fare una passeggiata?” gli chiede ad un certo punto, ignorando completamente il film comico proiettato sulla TV. Blaine è un po’ spiazzato, ma accetta con un sorriso appena impacciato.
 
*
 
Kurt gli presta una felpa - ed è bellissimo, perché ora può finalmente annusare il suo odore senza passare per uno stalker psicopatico – e si incamminano nella radura vicina alla casa di Kurt – piccolina, accogliente, sembra quasi un prolungamento della villetta stessa, ed è come se le stelle lì brillassero un po' di più.
Camminano vicini, stretti uno affianco all'altro ma senza mai davvero sfiorarsi – il calore, comunque, non ha mai abbandonato il corpo di Blaine, ed ora sta seriamente iniziando a preoccuparsi –, perché basta essere lì entrambi, insieme, per stare bene.
"Blaine, io— devo dirti una cosa." Blaine piega il volto di lato incuriosito e un po' apprensivo, ma gli fa cenno di andare avanti.
Kurt prende un respiro profondo e continua a parlare. "Dio è— È complicato." Ridacchia, poi torna serio e il suo sguardo si schianta negli occhi di Blaine. "La prima volta che ti ho visto io— è come se ti conoscessi già. Da prima. O almeno come se conoscessi una parte di te di cui tu nemmeno avevi idea." Gli lancia un'occhiata strana – Blaine è ancora lì. Incredulo, ma è lì. "Questo ... pulsare che senti ogni tanto, quando sei vicino a me. Be', lo— lo sento anche io. Tutti quelli come noi, lo sentono."
"Quelli come noi?"
Kurt gli lancia un'occhiata che sembra quasi disperata, ma poi sembra illuminarsi. Comincia a spogliarsi, tirando via la felpa e sfilandosi la maglietta, rimanendo solo con il sottile strato della canottiera a fasciargli l'addome muscoloso; Blaine lo fissa sconvolto – non che non stia apprezzando, ma che diavolo –
"Guardami," gli sussurra Kurt – vicino all'orecchio, come se fosse un segreto che vuole condividere solo con lui – e stringe la mano a pugno, chiudendo gli occhi e corrucciando le sopracciglia.
Quando li riapre sembrano più acquosi, e Blaine vorrebbe davvero farci caso ed imprimerseli nella memoria, ma sembra impossibile perché sulle dita di Kurt sono spuntati degli artigli e il suo braccio si sta gradualmente ricoprendo di un soffice strato di peli grigi e fulvi e animaleschi.
"Kurt ma cosa –"
"Siamo licantropi Blaine. Siamo. Io, Sebastian, Santana e ... Anche tu. È per questo che una volta, ogni mese, senti questo formicolare sordo e caldo alle dita. Oggi, come— come ventotto giorni fa c'e la luna piena e noi ... Be', reagiamo così."
Gli occhi di Blaine sono così rotondi da assomigliare vagamente a piattini, e— okay, forse è stato un po' troppo brusco, ma esiste un modo per dire a qualcuno ehi! Sai che sei un licantropo? in maniera non-brusca? Se sì, Kurt non lo sa, e sta già impiegando fin troppe energie nel non trasformarsi in quel momento, con i raggi della luna che gli drappeggiano archi di luce sulla schiena bianca, per potersene curare.
"Questo significa che da un momento all'altro potrei diventare pericoloso?" Blaine chiede e Kurt sbuffa ed alza gli occhi al cielo, perché è così ovvio e così da Blaine preoccuparsi di questo in un istante come quello.
Kurt opta per la verità. "Sì. Ma qui ci sono io," esita per un istante. "E Seb e San." Fa un gesto vago dietro di sé, e due figure grandi ed animalesche entrano nella piccola radura – una ha il pelo di un beige simile alla sabbia bagnata dagli spruzzi delle onde e degli occhi così verdi da togliere il respiro; l'altra è nerissima, il pelo e gli occhi del colore dell'ebano e il muso incredibilmente espressivo.
Blaine sobbalza un po', ma non è spaventato. Non ne sente neanche il bisogno, in realtà; non fin quando non percepisce il proprio corpo tendersi ed arcuarsi da solo sotto la stoffa dei vestiti, ma a quel punto ha paura solo di se stesso.
 
*
 
È solo una cantilena infinita di resta con me resta con me resta con me, dopo. Blaine torna lentamente a percepire la realtà, ed è come risvegliarsi da un sogno troppo vivido. Sbatte le palpebre lentamente, mettendo a fuoco ogni cosa con la stessa gradualità di un obbiettivo di una fotocamera un po’ malconcia, e poi si sente avvolto da una stretta calda e rassicurante, che assomiglia così tanto a casa da far male al livello del cuore.
“Sei stato bravissimo, solo— bravissimo Blaine,” Kurt sussurra, ed è come se la sua voce si trovasse in bilico sull’orlo del baratro bagnato delle lacrime. “Kurt,” mormora con la voce impastata; poi si sporge appena e vede che entrambi non hanno nient’altro che una coperta buttata addosso e che i loro vestiti sono completamente stracciati e dispersi nella piccola radura – che ora non sembra più così accogliente – e che Kurt sta sanguinando dal braccio – tanto –, e non può fare a meno di singhiozzare.
Si preme una mano sulla bocca e spalanca gli occhi. “Ti ho—ti ho ferito, io mi sono trasformato e ti ho ferito ohmioDio Kurt, oh, Dio!, mi dispiace così tanto, così—“
“Shh, Blaine, ehi!” Gli afferra il mento con due dita. “Ti sei trasformato, sì. E mi sono trasformato anche io, ma sul serio tu— sei stato straordinario. Sei tornato in te dopo appena trenta secondi, e questo,” scrolla il braccio indicando la ferita “è solo un graffio. Noi guariamo in fretta.” Quasi a dimostrazione di ciò che ha appena detto, la pelle sul braccio di Kurt inizia a rimarginarsi e a rinnovarsi ad una velocità sorprendente, tornando intera e bianca e perfetta in una manciata di secondi.
“Sebastian e Santana sono dentro; ci hanno portato una coperta perché— be’, sì, insomma.” Arrossisce un po’ piegando la testa di lato ed accennando ai pezzi di stoffa sparsi qua e là. “Si stanno cambiando, torneranno tra poco.” Blaine è frastornato, completamente disorientato, eppure insieme non lo è, perché è come se l’avesse sempre saputo.  Solo che ora può dargli un nome.
Sente il cuore iniziare a battergli freneticamente contro la gabbia toracica quando lo realizza, e non può fare a meno di alzare lo sguardo negli occhi limpidi e lucenti di Kurt e— Dio, vorrebbe baciarlo così tanto.
“Ti insegneremo a controllarti, te lo prometto. E’ sempre così, all’inizio; ma migliorerà. Io— farò tutto, di tutto, per aiutarti e—“
E Blaine segue l’istinto. Chiude gli occhi e preme le labbra contro le sue, in un tocco un po’ impacciato. Un po’ da sei il mio primo bacio e vorrei fossi anche l’ultimo. Un po’ come se fosse l’unica alternativa che ha. Sente Kurt rilassarsi contro la sua bocca e vorrebbe davvero essere uno di quegli scrittori così bravi, in quel momento, per poter imprimere su carta ogni sensazione che sta provando – il formicolio sui polpastrelli, le dita dei piedi che si arricciano, il corpo che trema alla consapevolezza della sua pelle e di quella di Kurt senza nessun ostacolo in mezzo – e potersene ricordare poi.
Restano semplicemente lì, a sfiorarsi le labbra in una maniera così delicata ed impalpabile e perfetta da scombussolargli i battiti cardiaci e il respiro e— oh, forse dovrebbe davvero ricordarsi di respirare.
Si dividono con uno schiocco che sa un po’ di oh, eccoti qua, e restano fronte contro fronte, in un groviglio di arti e stoffa ed emozioni che non hanno idea di come descrivere.
“Pensavo che non avresti mai fatto il primo passo,” ridacchia Kurt, ed è un po’ senza fiato. Blaine lo scruta da sotto le proprie ciglia scure. “Stavi aspettando me?”
“Ti aspetto da una vita intera.” E forse quelle parole non hanno senso – forse loro non hanno senso­ –, ma sono Kurt e Blaine, e tanto basta. Non sentono nemmeno le grida di approvazione di Santana e Sebastian, quando le loro labbra combaciano un’altra volta.
 
*
 
Quando Blaine si affaccia nel corridoio ricolmo di studenti, sente una stretta al cuore poco piacevole e il respiro aggrovigliarsi nella propria gola, perché Kurt è lì, ed è bellissimo, e ha tre anni più di lui e probabilmente nemmeno un briciolo di voglia di perdere tempo con uno più piccolo, continua a ripetergli il cervello in una cantilena continua.
Kurt sembra quasi accorgersi di lui ancor prima di vederlo – un sorriso gli si dipinge sul volto e le spalle gli si rilassano, mentre chiude l’armadietto col gomito e si volta in cerca di lui –, e quando lo raggiunge, Blaine non fa in tempo a rendersi conto di nulla, perché le loro dita sono già intrecciate e i loro cuori sembrano voler urlare mi importa di te e grazie per tutto.
 
“Sei un lupacchiotto bellissimo.”
“Non so se prenderlo per un complimento o …”
“’Ti aspetto da una vita intera’? Cosa fai, rubi le battute Hummel?”
“Sono abbastanza sicuro che la tua fosse più qualcosa come ‘Ti aspetto da sempre’, sai?”
“Mmh, forse. Posso accoccolarmi sopra di te?”












 
Ah, qualcuno è sopravvissuto alla fine di Glee?
La sottoscritta è ancora in fase "non-realizzo". 

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Capitolo 6
*** About cigarettes, motorbikes and falling in love with strangers ***


Note:
Duuuuunque. Grazie immensamente a Anna_Vik e kissmycollarbones che non si perdono un aggiornamento e che mi fanno sempre awware all'infinito con le loro recensioni meravigliose. Grazie grazie grazie.
E grazie anche alle persone che continuano ad aggiungere questa storia tra le seguite/preferite/ricordate. Solitamente non ho mai tempo di controllare EFP, ma quando l'altro giorno l'ho fatto e ho visto più di quaranta seguite per questa storia mi sono commossa. Seriamente, non sto scherzando.
Grazie per credere in questa storia. <3
Enjoy!
Oh, quasi dimenticavo! Questa FF è nata guardando questa fanart, che è meravigliosa e sdfjnsk. In questa storia è solo Kurt il badboy, però è da qui che è nato tutto e ci tenevo a mostrarvela.
Un abbraccio!


 
About cigarettes, motorbikes and falling in love with strangers
 
A Fede, che l'ha ispirata, mi ha minacciata affinché la scrivessi e l'ha letta per prima.
Ti voglio bene, sweetheart. **


 
Quando la porta sul retro della discoteca più infognata di tutto l’Ohio gli si richiude alle spalle con uno scricchiolio metallico per niente piacevole, Blaine è sicuro che quella serata non possa andare peggio.
Certo, magari lasciarsi trascinare da Sebastian in quella follia – perché solo così si sente di definire il disastro che è stato quella notte, e non sta facendo il melodrammatico – solo perché non riesce a dire di no ai dai, Blaine! Solo questa volta, non esci mai! del suo migliore amico non è stata la più brillante delle sue idee, ma comunque.
Rabbrividisce impercettibilmente nel freddo pungolante della sera autunnale e si stringe addosso il maglioncino azzurro che fino a pochi secondi prima, sotto le luci psichedeliche e nel calore di corpi sconosciuti e sudaticci, sembrava soffocante. Si perde per qualche istante ad osservare le nuvolette bianche e condensate del proprio respiro sbiadire nella notte, per poi infilare le mani nelle tasche e muovere qualche passo sul marciapiede sporco e illuminato solo da un flebile lampione dalla luce gialla.
Non che si aspetti pavimenti lucidati con la cera o vetrate cristalline – dopotutto quello è sempre un bar gay di scarsissima qualità –, ma sul serio, preferisce non sapere cosa sia quel cumulo di … qualcosa abbandonato al lato del marciapiede.
Infila le mani nelle tasche dei jeans – che sono ridicoli e sono stretti, ma Sebastian lo ha costretto ad indossarli perché devi fare colpo, Blaine. Su chi, non l’ha ancora capito – e si guarda intorno per un po', crogiolandosi nel silenzio ovattato – sembra quasi di trovarsi in una nuvola – della strada deserta davanti a lui, frammentato solo dagli sprazzi di discutibile musica house che rimbombano nella discoteca.
"Non dirmi che stai davvero per sederti ." Il suo didietro si blocca a una manciata di centimetri dal gradino del marciapiede e il cuore gli rimbalza in gola dallo spavento. "Voglio dire; secondo me potresti anche prendere la rabbia, con tutto lo schifo che c'è per terra."
Blaine scatta su come una molla e si guarda intorno, cercando di individuare da dove provenga quella voce e— oh. Eccolo. C'è un ragazzo seduto qualche metro sopra la sua testa, sui gradini metallici che risalgono come rampicanti l'esterno del locale – le gambe penzolanti nel vuoto, le braccia appoggiate a un tubo di ferro orizzontale della ringhiera, seduto con la testa inclinata e gli occhi brillanti di luce di luna.
Blaine piega il collo di lato e lo guarda incuriosito – non sembra pericoloso, nonostante sia buio e sia un'ora abbastanza inquietante della notte per starsene appollaiato su una scala traballante nel bel mezzo del nulla –, ma non fa in tempo ad aprire la bocca e colmare quel silenzio che è sceso su di loro come nebbia sottile, perché lo sconosciuto sta già parlando di nuovo.
"Inoltre, qui c'è un sacco di spazio; sarebbe uno spreco non condividerlo con qualcuno, non trovi?"
Blaine percepisce un calore piacevole invadergli collo e guance, e si ritrova a pensare che lo sconosciuto è davvero carino quando ammicca, salvo poi darsi dell'idiota da solo perché quello là potrebbe essere uno stupratore e tu sei ancora qui, coglione.
Il ragazzo sembra leggergli nel pensiero, perché rotea gli occhi sbuffando e il suo sguardo si schianta in quello di Blaine – e wow, i suoi occhi sono davvero azzurri.
"So cosa stai pensando e no, non voglio violentarti, né rapirti, né derubarti se è questo che ti preoccupa."
Blaine si mordicchia il labbro e si rende conto di non aver ancora aperto bocca, quindi lo fa e si maledice subito dopo, perché di tutte le cose che avrebbe potuto dire se n'è uscito con un misero "Quelle scale non sembrano sicure."
Se la missione da portare a termine è farsi passare per un vecchietto di ottant'anni con l'artrite, ci sta riuscendo bene.
Il ragazzo comunque non sembra prenderla troppo sul serio; ridacchia e si scompiglia i capelli – dei bellissimi capelli dorati e disordinati ad arte.
"Lo sono, garantisce il sottoscritto. Oh, e a proposito: io sono Kurt," dice, ed allunga il piede destro rinchiuso in un anfibio nero e un po' graffiato ai lati verso Blaine.
"Dovrei afferrarlo o—?"
"Se preferisci puoi venire qua su e stringermi la mano; altrimenti le mie scarpe saranno più che felici di far conoscenza con te."
 
*
 
È ufficiale, Blaine è un cretino. È un cretino e se ne rende conto fin da quando poggia il primo traballante passo sul gradino più basso di quella dannata scala antincendio, e pensa chi diavolo me l'ha fatto fare?
“Vuoi una mano?”
“No — no, ce la faccio.”
Forse, aggiunge nella mente, mentre si abbarbica alla ringhiera metallica e muove qualche passo cigolante. Alla fine non sa nemmeno come è riuscito a raggiungere il piccolo spiazzo che divide una rampa dall’altra su cui è seduto Kurt – che lo sta ancora fissando con il fantasma di un sorriso divertito impresso nelle labbra sottili –, ma ora è lì e tanto basta. Si lascia crollare – no, in realtà si siede pian piano, stando attento a ogni piccola sfumatura del clangore della scala – a terra, sedendosi vicino a Kurt. E wow, forse quel posto non fa così schifo da lassù.
Certo, si trovano sempre in una periferia mal illuminata e maleodorante di Lima, ma lì, sospesi a metà tra il cielo ricolmo di minuscoli diamanti di stelle e la strada asfaltata e deserta, solo tetti bui all’orizzonte, non sembra poi così male.
Kurt sembra essersi perso nell’osservarlo, perché quando volta la testa e incontra i suoi occhi, due grandi pozze di azzurro così brillanti da far invidia all’intero universo e a tutte le sue galassie, lui sbatte le ciglia castane e sorride colpevole e consapevole insieme. Non che sembri dispiacergli, comunque, essere stato beccato a fissarlo; Blaine arrossisce e sposta lo sguardo sul suo corpo, pentendosene esattamente un secondo più tardi.
Il torace snello di Kurt è fasciato da una maglia nera e troppo larga, che gli si affloscia sui fianchi in maniera adorabile e lascia intravedere lembi di pelle perlacea attraverso degli strappi fatti ad arte in una maniera che di adorabile ha poco e di sexy ha troppo. Le gambe affusolate sono a malapena nascoste da un paio di jeans sdruciti sulle cosce e sulle ginocchia, e dio, dovrebbe veramente smetterla di fissarlo come un maniaco.
“Non sei un tipo che parla molto, non è vero?” Kurt gli chiede, e punta gli occhi all’orizzonte, lasciando scoperto un lembo di pelle del collo inchiostrata in più punti. Blaine scuote la testa ed aguzza lo sguardo, accarezzando con le iridi quelle piccole linee nere a forma di rondine stampate sulla sua pelle. Sono quattro e gli risalgono la curva del collo in maniera elegante, arrampicandosi su quella distesa pura e bianca.
“No,” dice, e sorride un po’, distogliendo lo sguardo dal tatuaggio. Ho paura di dire qualcosa di sbagliato, pensa.
“Non è una brutta cosa. Le persone che parlano molto non si rendono conto del valore delle parole che pronunciano. Non si capiscono che a volte le parole fanno male.
E’ un ragionamento strano – o no, forse non lo è. Forse è solo strano che due sconosciuti ne stiano parlando –, ma Blaine si ritrova ad annuire. Perché lui, lui più di tutti, sa quanto le parole possano ferire. L’ha sperimentato nell’anima ancor prima che sulla pelle, come voragine nel petto prima che come cicatrici sulla schiena.
“Quindi, Blaine,” e lui sussulta, letteralmente, amando il suono del proprio nome che rotola sulla sua lingua. “Perché sei seduto su una traballante scala antincendio nel retro di una squallida discoteca a non-parlare con un completo sconosciuto nel bel mezzo di un sabato sera?"
Blaine arrossisce, perché messa su questo piano la situazione è davvero ridicola, ma non può fare a meno di rispondere.
"Il mio amico Sebastian ha deciso che dovevo uscire, e mi ha trascinato qui," gesticola vagamente con la mano per indicare il locale. "Anche se sa benissimo che non è qualcosa che fa per me, e voleva semplicemente rimorchiare qualcuno." Rotea gli occhi con uno sbuffo che sa tanto di gli voglio bene anche se è un idiota.
In quell'istante, la porta di metallo del retro si schianta contro la parete, lasciando che il caos e gli schiamazzi all'interno invadano prepotentemente la quiete della notte, come un fiume che straripa dai propri argini. Blaine sussulta e sporge il collo oltre la balaustra, giusto in tempo per vedere Sebastian avvinghiato a un altro ragazzo poco più basso di lui, moro e muscoloso. Per un secondo ha davvero paura che quel tipo risucchi la bocca del suo amico, perché andiamo, riesce a vedere la sua lingua da lì – non è un bello spettacolo – e la sua stretta attorno alle ciocche disordinate di capelli di Sebastian è davvero possessiva.
"Tha— mpfh. Thad, fermo. Ora."
Il ragazzo scrolla le spalle e si attacca al suo collo. Kurt ridacchia.
"Blaine? Blain— ah! Dove sei?"
"Quassù, Seb."
L'occhiata che gli rivolge Sebastian, quando con non poche difficoltà riesce ad individuarlo, è appannata e un po' perplessa, ma non sembra aver intenzione di indagare sul perché si trovi lassù.
"Ho bisogno— mpfh— della macchina. Puoi a—ah—spettare che—" Indica vagamente il corpo pressato al suo, prima di agganciare un braccio al bacino di quel famigerato Thad e riprendere a baciarlo e okay— Blaine non ha voglia di fare da pubblico alle pomiciate con sconosciuti del suo migliore amico, grazie tante.
"Sebastian, non se ne parla, è la mia macchina, non ci andrai a letto con lui, dentro!" esclama, distogliendo lo sguardo e fissandolo prepotentemente all'orizzonte buio.
"Non è andare a letto, se non c'è un letto," sussurra Kurt accanto a lui, nascondendo un sorriso malizioso dietro a un ghigno. Blaine lo fissa sconvolto, poi lancia un'occhiata dubbiosa a Sebastian e a quell'altro. Non sembrano nemmeno averlo sentito.
"Senti, posso accompagnarti a casa io. Ho la moto parcheggiata davanti al locale, non è un problema."
"Stai scherzando?" Kurt sbuffa e si scompiglia i capelli.
"No, Blaine." Blaine sussulta e— seriamente, dovrebbe smetterla di avere un attacco di cuore ogni volta che pronuncia il suo nome. "Scegli; puoi venire con me o puoi passare il resto della serata ad aspettare che quei due," indica quell'ammasso di arti e dita e labbra pressato alla parete, "concludano, e farti un viaggio di ritorno in un'auto che ... sa di vissuto, con un amico sbronzo e mezzo nudo sdraiato sui sedili posteriori." Incrocia le braccia al petto con un sorrisino soddisfatto impresso sulle labbra.
Blaine sembra valutare le opzioni per un attimo; dopotutto Kurt è sempre uno sconosciuto – uno sconosciuto attraente e bellissimo, ma non è questo il punto –, ma finisce per infilarsi una mano in tasca e cavarne le chiavi dell'auto.
Kurt ghigna – ghigna, letteralmente –, e ridacchia contro l'incavo della mano, quando entrambi i ragazzi avvinghiati l'uno all'altro sotto di loro sussultano al Sebastian! urlato da Blaine.
Blaine lo ignora ed arrossisce fino alla conchiglia delle orecchie; lancia le chiavi al suo migliore amico. "Domani," dice con gli occhi ridotti a due fessure, "la porti all'autolavaggio e la fai tornare nuova. Non mi interessa cosa ci fate o quanto—"
Ma Sebastian e Thad sono già corsi via.
"Ci rinuncio," sbuffa affranto, stropicciandosi gli occhi col dorso della mano.
“Pronto per la corsa più spericolata di sempre?” Kurt gli fa l’occhiolino – l’occhiolino! – e si alza in piedi – le sue gambe sembrano ancora più lunghe così, e Blaine deve deglutire forte –; gli tende la mano, e sembra che insieme ad essa gli offra anche una piccola parte di sé.
 
*
 
“Woah, quando hai detto ‘moto’, non pensavo intendessi … una di queste moto.”
Kurt ridacchia e lo spinge di lato, facendosi spazio nell’angusto angolino che ha trovato per parcheggiare davanti al locale. Sfila un casco dal bauletto e ne sgancia un altro dalla motocicletta, mentre Blaine accarezza con uno sguardo adorante ogni sua particolarità.
Non se ne intende molto, di moto, ma è piuttosto sicuro che quella sia abbastanza grande. O almeno, quel tipo di grande che ti permette di salirci in due, ma solo se entrambi si spiaccicano l’uno all’altro. Improvvisamente la prospettiva di un viaggio con Kurt prende una sfumatura diversa.
Si ritrova il casco tra le mani e per un attimo esita, ma i suoi neuroni decidono che è un buon momento per non ragionare, quindi si limita a fissare le gambe di Kurt – che sono ancora più lunghe, tese a cavalcioni sulla moto nera, semiscoperte dai jeans sbiaditi e sfilacciati – e a giocherellare con la visiera di plastica trasparente dell’aggeggio che ha in mano.
"Allora, sali o no?"
A volte ci sono azioni che devi compiere senza pensare.
 
*
 
Blaine fa appena in tempo a dettargli l'indirizzo oltre la coltre assordante del rumore del motore, e Kurt sta già partendo, l'acceleratore che rimbomba sotto di loro e il vento che investe loro le membra. Sente da qualche parte un tieniti forte gridato oltre gli strati dei caschi e Blaine semplicemente lo fa, aggrappandosi saldamente ai fianchi fasciati di nero di Kurt, percependo un brivido che non ha nulla a che fare col freddo risalirgli la spina dorsale ed espandersi in tutto il corpo e oh! Blaine, respira.
Sono praticamente incollati insieme – Kurt che sembra far apposta a tenere la schiena dritta per creare ancor più contatto tra di loro e Blaine che sta sicuramente facendo apposta ad appiccicarsi alle sue spalle.
Le luci dei lampioni della città, che pian piano riacquistano una certa frequenza lungo la strada, illuminano i loro volti coperti dai caschi, e Blaine sta seriamente pregando ogni divinità in cui crede e non, perché Kurt non percepisca il proprio cuore pulsare impazzito contro la sua scapola sinistra. Per quanto ne sa lui, potrebbe anche star esplodendo; i battiti sembrano affondargli nella cassa toracica con lo stesso ritmo sconnesso di una batteria suonata da un bambino e Dio! Blaine fa scorrere le dita sulla pelle dei suoi fianchi ed entrambi fremono.
Sembra quasi troppo presto, quando arrivano a destinazione.
 
*
 
"Wow, non mi avevi detto di vivere in una villa."
"Perché questa non è una villa."
Kurt rotea gli occhi. "Andiamo, Blaine. Questa è una villa."
Blaine fissa corrucciato l'ingresso di casa sua, poi scuote la testa.
"Pensi che i proprietari di questa non-villa si arrabbierebbero se fumassi una sigaretta nel loro vialetto?"
Blaine si volta a guardarlo per un attimo – Kurt ha i fianchi abbandonati contro il lato della moto e lo fissa con un'aria dolce, la testa appena inclinata e gli occhi limpidi – e poi prende fiato. "Non credo. I miei non sono a casa per tutta la settimana e mio fratello dorme al campus dell'università."
Ora lo sguardo che gli rivolge Kurt sembra divertito. "Blaine, intendevo chiedere se dà fastidio a te, ma se questo tuo discorso non è altro che un modo per invitarmi ad entrare in casa perché non c’è nessuno continua pure, ci stai riuscendo."
Blaine arrossisce; dice "Idiota" e pensa sei adorabile, ma poi gli sorride, perché le leggi di questo universo hanno stabilito che la quantità del ridacchiare sommesso di Kurt è direttamente proporzionale all'ampiezza del proprio sorriso e— andiamo, chi è lui per contraddire un teorema matematico così perfetto?
"Comunque no, non mi dà fastidio, davvero."
Kurt scava con la mano nella tasca destra dei jeans – per l’amor di Dio non fissargli il cavallo dei pantaloni – e ne tira fuori un pacchettino bianco e lucido; estrae la sigaretta con un gesto esperto e calibrato delle dita e la stringe tra le labbra – non fissargli nemmeno le labbra, pervertito – contratte in un sorriso obliquo.
Poi lo sente borbottare un merda sottovoce e sbatte gli occhi un paio di volte, perché sì, alla fine lo stava fissando sul serio. Inclina la testa di lato e socchiude le ciglia. “C’è qualcosa che non va?”
“Non trovo il mio accendino.”
Blaine ridacchia e si infila una mano in tasca, cavandone fuori un accendino vecchiotto e azzurro sbiadito. Le sopracciglia di Kurt si inarcano, a metà tra lo scettico e il divertito.
“Da quando in qua, Blaine” si interrompe giusto un attimo, per sbirciare la cassetta della posta, “Anderson— Da quando in qua Blaine Anderson è un fumatore incallito?”
“Non è mio, è del mio amico – lo stesso della discoteca –, me lo ha lasciato perché, cito testualmente, ‘I suoi jeans erano troppo stretti per respirare, figurati per tenere quello in tasca!’” Blaine ridacchia e vede gli occhi di Kurt illuminarsi, prima di ritrovarsi il suo viso a qualche centimetro dal proprio e una decina di anni in meno da vivere.
L’aria gli si smaterializza dai polmoni in un risucchio e i suoi occhi sono così blu e Blaine, concentrati.
“Potresti accendermi la sigaretta, Blaine Anderson?” E lui lo fa. Non ha idea di con quale forza di volontà, ma fa scattare la rotellina arrugginita un paio di volte e il calore della piccola fiamma investe il suo volto assieme al respiro fresco di Kurt.
Poi Kurt si allontana in un soffio di fumo, e Blaine non ha mai desiderato così tanto in vita sua che una sigaretta non finisca mai di bruciare.
 
*
 
Ma la sigaretta finisce e Blaine arriccia le dita attorno alla stoffa del maglioncino, tirandola un po’ più in giù e mordicchiandosi le labbra, perché Kurt se ne sta andando e forse non lo rivedrai mai più.
Non sa se è pronto a lasciar andare quel ragazzo; ed è ridicolo – lo sa perfettamente, grazie tante – , perché dopotutto Kurt non è altro che un ragazzo bellissimo che ha incontrato meno di un’ora prima, appollaiato su una scala antincendio sul retro di un locale in cui lui non voleva nemmeno andare. E’ solo un ragazzo un po’ strano, che guida una moto grande come tre Blaine e fuma sigarette nei vialetti di case altrui alle tre di notte. Un ragazzo così speciale da essere riuscito a farlo sentire diverso come non era mai successo prima.
“Io— uhm. Andrei a casa. E’ davvero tardi.”
Blaine solleva gli occhi di scatto e li punta nei suoi. “Oh, sì. Certo.”
“Allora … buonanotte, Blaine Anderson.”
“Buonanotte anche a te Kurt.”
E Kurt sta già armeggiando col manubrio, le gambe a cavalcioni sulla sella e il casco incastrato sotto il braccio destro, quando Blaine decide che non vuole che se ne vada.
A volte bisogna puntare i piedi e chiudere gli occhi.
Blaine fa un passo ed ora è ad un respiro da Kurt. Gli dà appena il tempo di rendersi conto che oh, eccoti qui! e sta già serrando le palpebre e pressando le labbra contro le sue.
Ed è ... Diverso. Non è come se non avesse già baciato altri ragazzi, prima, ma questa volta è come se fosse tutto nuovo e tutto familiare allo stesso tempo. È come se sentisse al livello del petto una voragine tutt'altro che dolorosa scavarsi e riempirsi di un sentimento strano che gli fa venire i brividi sulla pelle delle braccia. Forse è semplicemente Kurt ad essere diverso.
È piuttosto sicuro di avere il manubrio della motocicletta conficcato nella milza e il casco che Kurt aveva in mano è scivolato per terra in un tonfo rumoroso, ma non è poi così importante, adesso che le labbra di Kurt si sono dischiuse attorno alle sue e oh! Quella è la sua lingua. Il respiro di Blaine incespica nei polmoni e sente il cuore pulsargli sulle labbra, quando Kurt gli passa un braccio attorno al collo ed approfondisce il bacio, attirandolo stretto contro di sé.
Quando entrambi si separano – in realtà Kurt si allontana di qualche millimetro, e Blaine lo segue, come attratto da una calamita, prima di rendersi conto di tutto ciò è successo e tirare la testa all'indietro accennando un minuscolo sorriso – hanno il respiro pesante e gli occhi spalancati e pieni di luce, come se fossero letteralmente illuminati l'uno dallo sguardo dell'altro.
"Sbagliavo su di te, Blaine Anderson." Kurt ridacchia – le pieghe attorno ai suoi occhi sono ancora più carine, viste da così vicino. Blaine sente  un calore familiare formicolargli sulle guance, quando il proprio cervello elabora che oh, hai appena assaltato le labbra di un ragazzo che conosci appena, e mormora uno 'scusa' appena udibile perfino nel silenzio della notte blu.
"Non ho mai detto che mi sia dispiaciuto cambiare idea," dice Kurt, accarezzando ogni sillaba con una dolcezza vagamente maliziosa.
Un secondo più tardi stanno già respirando l'uno contro l'altro. Si stanno respirando l'un l'altro. Ed è bellissimo.
 
"Secondo me dovresti riempire il tuo armadio di jeans strappati."
"Blaine, scordatelo."
"Ma—"
"Innanzitutto, i miei pantaloni di Mark Jacobs sono perfetti, grazie tante. E poi non so quanto possa valere un giudizio sui miei pantaloni, detto da qualcuno che indossa ancora i mocassini."
"Non provare ad insultare i miei—"
"E i papillon."
"I papillon sono alla mod—"
"Sì, e io mi chiamo Matt Bomer."
"Be', con quei jeans là il tuo didietro era molto simile al suo."
"Vorresti dirmi che ha qualcosa che non va, così com'è?"
"Neanche per scherzo."






 
Per chi aspetta le risposte alle recensioni: SOON! Domani parto per la gita scolastica, ma giuro che cercherò un modo per rispondervi il prima possibile. 
Grazia ancora,

Elena. <3

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Capitolo 7
*** I’m in love with you and all your silly things – kind of ***


Note Iniziali:
Un grazie a Anna_Vik e Fé per le splendide recensioni alla scorsa OS. *regala colombe pasquali e marshmallows*
Duuuunque, questa OS è -- non saprei come definirla. So che mi sono divertita da morire a scriverla, questo sì.
E' ambientata in un qualsiasi reality show a contatto con la natura: io non sono solita guardarli, quindi l'ho trattato in maniera moooolto generale - come ben vedrete, non è quello il centro della storia. :')
E nulla, spero vi piaccia!


 
I’m in love with you and all your silly things – kind of


 
Giorno 1

Se c’è una cosa che Kurt Hummel, ventidue anni e un cumulo di battute sarcastiche sulla lingua, ha capito dalla vita è mai fidarsi di Rachel Berry. E il fatto che sia la sua migliore amica da quando entrambi pesavano come un uovo di Pasqua al cioccolato non ha la minima influenza sul suo giudizio; la regola resta mai fidarsi di Rachel Berry.
Il loro conoscersi da tempo immemore, poi, era diventato completamente irrilevante nel momento in cui Kurt si era ritrovato nella cassetta della posta una lettera che recitava a caratteri cubitali “Congratulazioni! Siete stati scelti per partecipare al Reality Show dell’anno L’ultimo sopravvissuto!”. A quel punto, le urla di Kurt si erano sentite pressoché per tutta l’isola di Manhattan, e Rachel era rimasta senza il suo amato caffè al Ginseng per due intere settimane.
Certo, è pur vero che non navigano nell’oro e che l’aria del loro dannato monolocale nell’angolo più infognato di Bushwick sa di umido e vecchiotto per la maggior parte del tempo, ma quei cinquecentomila dollari in palio non convincerebbero nemmeno il più povero dei Kurt Hummel a trascorrere un’indefinita quantità di tempo su un’isola semi-deserta, con Dio solo sa quanti insetti e animali selvatici.
Nossignore.
Infatti in quel momento Kurt Hummel non si trova sulla suddetta isola semi-deserta, con una valigia pesante come il suo intero armadio – nessuno aveva messo un limite sui vestiti che si potevano portare, quindi, perché no? – agganciata alla mano e una smorfia non meglio identificabile stampata in faccia.
Assolutamente.
“Ti odio,” borbotta in direzione di Rachel. Lei rotea gli occhi e s’incastra una ciocca di capelli sotto agli occhiali da sole. “Non è vero,” gli canticchia, e Kurt le rifila la peggiore delle sue occhiate truci, quelle da se ti azzardi a contraddirmi potresti ritrovarti un arto in meno.
“Dai, Kurtie!” sbuffa Rachel. “Quei soldi ci servono, il posto è bellissimo,” gesticola vagamente in direzione dell’oceano limpido a due passi da loro, “e laggiù intravedo dei ragazzi decisamente interessanti. Non fare lo scorfano brontolone.” Si gira in una folata di capelli castani e s’incammina verso il centro dello spiazzo che ha indicato prima, attorno al quale si è formato un discreto chiacchiericcio, trascinandosi dietro un trolley fucsia.
“Stai citando Alla ricerca di Nemo, Rachel Berry.”
“Zitto e nuota.”
Ed è a quel punto, che Kurt Hummel si rende conto di essere nei casini.
 
*
 
Miracolosamente, è riuscito ad arrivare al cerchio di ragazze e ragazzi, trascinandosi dietro la valigia senza riportare danni gravi al proprio corpo. Sbuffa e si avvicina a Rachel, che sta già chiacchierando con un tipo piuttosto gigantesco e piuttosto addormentato. Non che conosca il suo nome – non conosce nessuno, lì. Quel reality show è decisamente un covo di sfigati, per essere riuscito a prendere in un colpo solo lui e Rachel. Non che quei tipi siano tanto più interessanti di loro, comunque.
Scandaglia con lo sguardo il piccolo gruppo di persone che lo circonda; nessuno sembra aver notato il suo arrivo, tranne un ragazzo non troppo alto all’estremità opposta del cerchio. Lo sta fissando intensamente, consapevolmente, e per un attimo qualcosa nello stomaco di Kurt si contrae. E’ davvero carino; di quel tipo di bellezza che sa di esotico e particolare, di non-canonico. Il corpo piccolo è racchiuso da una t-shirt slabbrata ai bordi e un paio di jeans assolutamente normali, eppure tutto in lui sembra gridare Notami! e Kurt si ritrova a fissarlo.
Si perde per qualche istante negli intrecci dei lineamenti mascolini del suo volto – la mascella ben squadrata e marcata, due bolle di carne soffici e carnose al posto delle labbra, dei pozzi di un colore indefinito al posto degli occhi – e non riesce ad impedirsi di lasciar scivolare lo sguardo sulla pelle ambrata ed olivastra del collo e delle braccia muscolose e— okay, lo sta fissando ed è inquietante.
Sposta di nuovo gli occhi nelle sue iridi e vi si immerge dentro – non riesce nemmeno a far finta di riuscire a smettere di divorarlo con lo sguardo – e il ragazzo ammicca. Ammicca, e il respiro di Kurt si perde da qualche parte tra i polmoni e la trachea. E no, non sta arrossendo.
Oh, al diavolo. Potrebbe star arrossendo.
Da quel momento in poi, non guarda più in quella direzione e le sue orecchie assumono cinque diverse tonalità di magenta.
 
*
 
“Questa qui è una pazza,” sibila Kurt all’orecchio di Rachel. C’è una donna, al centro del cerchio; è arrivata cinque minuti prima e non ha smesso di sbraitare in un megafono per un singolo istante. “Ascoltatemi bene, mucchietti informi di ossa e tessuto muscolare flaccido che avete deciso di imbarcarvi in questa follia: io sono Sue Sylvester, ma siete liberi di chiamarmi Il Capo—“
“E ha manie di grandezza peggiori delle tue.” Rachel gli conficca un gomito tra le costole.
“Laggiù,” Sue indica la grande distesa azzurra di acqua che riempie loro gli occhi, “c’è l’oceano. Ci sono gli squali, pericolo mortale e bla, bla, bla— bazzecole. Invece qui,” gesticola appena verso dei bungalow al centro di una radura poco distante da loro “ci sono le vostre camere. Tutt’intorno, la foresta. Ora,” sbircia l’orologio sul polso e sbuffa appena, “prima prova. Buttate qua le vostre valigie.”
Tutti sbattono gli occhi e si guardano in giro un po’ confusi – tutti tranne Kurt, che sente lo sguardo insistente di quel ragazzo premergli addosso e si rifiuta categoricamente di smettere di fissare le proprie scarpe.
“Le regole sono semplici: scegliete una valigia dal mucchio e cercate di indovinare di chi è – se non conoscete il nome di quella persona, basterà indicarla. Se riuscite ad associare la valigia giusta alla persona giusta, lei dovrà indovinare la vostra. Quando entrambi avrete dato la risposta corretta, afferrate l’uno la valigia dell’altro e iniziate a correre fino ai bungalow. I primi di ogni coppia che arrivano possono scegliere i letti meno infognati.”
“Questa sfida fa schifo,” Rachel gli sussurra all’orecchio e Kurt rotea gli occhi. “Avevi qualche dubbio?”
“Iniziamo!” esclama la donna bionda con un ghigno stampato sulle labbra. “Tu!” grida, ed indica un ragazzo alto e muscoloso dall’altra parte del cerchio. “Io? Okay. Uhm. Io sono Puck,” ridacchia lui, e si passa la mano abbronzata nella cresta da moicano che ha al posto dei capelli. Si avvicina al centro del cerchio e afferra un trolley celeste pallido, dalla forma vagamente arrotondata; lo scruta per qualche istante e poi scandaglia il folto gruppo di ragazzi che lo circonda. Si ferma sulla figura esile di una ragazza bionda ed estremamente aggraziata. “E’ la tua?” Lei sorride e si mordicchia il labbro, annuendo. Muove qualche passo in avanti, mentre si presenta con un “sono Quinn” accarezzato sulle labbra e avanza senza esitazione verso un grande borsone da ginnastica grigiastro.
All’occhiata stranita del ragazzo, Quinn alza le spalle noncurante. “Ti ho visto portarla mentre arrivavi.” Un istante dopo sta già volando verso i bungalow – Puck si ricorda che deve correre solo quando il vestito celeste di lei smette di svolazzare nell’aria.
 
*
 
Kurt scopre che il ragazzo alto e un po’ tonto che parlava con Rachel si chiama Finn, che quello in carrozzina – Artie – corre probabilmente più veloce di tutti quanti messi insieme ed è parecchio simpatico, che i due ragazzi dai tratti vagamente orientali – Mike e Tina, gli sembra di aver capito – stanno insieme e non riescono a tenere le lingue all'interno delle proprie bocche per più di cinque minuti, che un ragazzo biondissimo, Sam, è davvero un gentiluomo, perché si è sacrificato per una certa Mercedes, permettendole di arrivare per prima. Oh, e che Rachel è in grado di correre coi tacchi a spillo nel fango.
Alla fine rimangono in pochi, attorno al cerchio. Lui, il ragazzo davvero carino, due loro coetanee dai tratti meravigliosi — una mora, una bellezza sfacciata intrinseca nei lineamenti esotici e nella pelle color caffellatte; l'altra bionda e vagamente spaesata, due lapislazzuli incastrati nelle iridi e le labbra sottili e vermiglie –, un ragazzo alto e magro con un ghigno stampato sul viso e una ragazzina non troppo alta, bionda e decisamente più giovane di loro.
Sue-Il-Capo lancia loro un’occhiata esasperata – Kurt è convinto che non la paghino abbastanza, per ciò che è costretta a fare – e poi indica con un cenno del capo il ragazzo davvero carino – forse dovrebbe smetterla di chiamarlo così, o il suo quoziente intellettivo si abbasserà a quello di una dodicenne alla sua prima cotta.
Lui ridacchia e raggiunge il centro del cerchio, dove sono raccolte le poche valigie rimaste. “Mi chiamo Blaine,” offre con un sorriso malizioso, continuando a concentrarsi su Kurt.
Blaine.
BlaineBlaineBlaine.
Blaaaaaaine.
Si può essere innamorati di un nome?
Kurt si prenderebbe a calci da solo, se potesse. Non fa neanche in tempo a pensare che ti prego, non prendere la mia— che Blaine sta già agguantando la sua valigia rigida e azzurra, ammiccando di nuovo verso di lui.
“Questa è tua.”
E’ più o meno in quell’istante, che Kurt sente il fiato incespicare nella propria gola; trova da qualche parte la forza di annuire – è completamente certo che le proprie guance stiano sfiorando le tonalità del viola – e muove qualche passo incerto in avanti. “Io sono Kurt,” dice a nessuno in particolare. Si sforza di concentrarsi sul mucchio informe di borsoni accatastati a terra – sul serio, come ha fatto Blaine a riconoscere il suo? – e nota una sacca di un blu scuro un po’ sbiadito piena di spille a cui è agganciata la custodia di una chitarra. Non sa bene cosa  lo attiri verso di essa, ma perché no?
“E’ tua?” Blaine sembra vagamente sorpreso, ma annuisce e si stampa di nuovo in volto la solita maschera di sfacciataggine. “In bocca al lupo con la chitarra,” sogghigna ed inizia a correre.
 
*
 
Kurt vorrebbe poter dire di non essere incespicato nelle sue stesse gambe. Vorrebbe poter dire di essere arrivato ai bungalow per primo senza rischiare la morte a causa di quella dannata chitarra. Vorrebbe poter dire di aver sbattuto la porta delle casette contro il ghigno di Blaine.
Vorrebbe.
 
*
 
Giorno 15

Kurt Hummel è abbastanza sicuro di non aver mai detestato qualcuno tanto quanto detesta Blaine Anderson.
E non c'entra niente il fatto che abbia quella dannata abitudine di arricciare gli angoli delle labbra quando sorride, quella terribile di gettare la testa all'indietro ed increspare la pelle attorno agli occhi quando ride, o quella idiota di mordicchiarsi il labbro inferiore quando è convinto che nessuno lo stia guardando.
Assolutamente.
Kurt Hummel detesta Blaine Anderson perché nel giro di quindici giorni è riuscito a chiuderlo fuori dal loro bungalow quattro volte, a svegliarlo – non capisce perché i loro compagni di stanza non lo sentano nemmeno – a suon di canzoni cantate a squarciagola dalla doccia comune alle cinque del mattino, a rubargli ogni giorno l'ultimo sorso di succo d'arancia a colazione, a prenderlo in giro per la sua tonnellata di vestiti e a ridacchiare – in una maniera che Kurt non dovrebbe definire adorabile – ad ogni suo “vaffanculo, Blaine”.
Quindi sì, Kurt Hummel detesta Blaine Anderson con ogni fibra del proprio essere, e quando quella mattina se lo vede sfilare davanti con solo un ridicolo costume addosso vorrebbe saltargli addosso.
Per mutilarlo, ovviamente.
Non che abbia un problema con i costumi da bagno; al contrario, si è quasi messo a saltellare quando ha scoperto che la loro prova del giorno ha a che fare con l'acqua – almeno in questo modo gli otto anni che ha trascorso nella piscina comunale di Lima non saranno andati perduti. Ma andiamo, ha pur sempre ventidue anni e nessuna storia seria da tempo immemore, e davanti a lui c'è così tanta pelle olivastra esposta e così tante curve e muscoli al posto giusto che ha bisogno di deglutire un paio di volte, prima di ristabilire l'ordine nel proprio cervello.
"Buongiorno, splendore; dormito bene?"
Appunto.
"Buongiorno, Blaine. Avrei sicuramente dormito meglio se qualcuno non avesse deciso di intonare tutta la discografia di Katy Perry alle cinque e un quarto, stamattina, grazie tante."
Blaine ridacchia, poi si ferma per un attimo a fissarlo, e Kurt deve farsi violenza fisica per non avvolgersi il busto nudo tra le braccia.
Rachel gli dice sempre che ha un fisico bellissimo – da far cambiare sponda al più etero degli etero –, ma Kurt non le ha mai creduto più di tanto. È solo un ammasso di pelle bianca e qualche muscolo sulle braccia – non ha mai avuto addominali definiti o bicipiti scolpiti, insomma. Ma è stranamente rincuorato dal fatto che anche Blaine lo stia fissando apertamente. Almeno non dovrà sentirsi in colpa quando qualcuno lo sorprenderà con gli occhi incollati a un certo costume verde scuro.
È solo quando Rachel gli rifila una gomitata nel fianco – mi hai appena trafitto la milza, pazzoide – che Kurt si rende conto di essersi perso l'inizio della spiegazione della prova. Blaine deve riuscire a distrarlo in una maniera assurda, se non si è neanche reso conto di quando Sue abbia iniziato a sbraitare nel suo megafono.
"—i lancerete da quella scogliera, in mare. Da lì, nuoterete fino al motoscafo in cui mi troverò io, afferrerete uno dei sassi colorati che vi darò e nuoterete fino a riva. Se perdete il sasso, la prova è nulla. Se morite per via degli squali, la prova è nulla. Se siete troppo femminucce per tuffarvi dalla scogliera, la prova è nulla. Ora, dividetevi in coppie. Tutto chiaro?"
Kurt deve essersi perso alla parola squali. O forse a scogliera, non ne è particolarmente sicuro; fatto sta che si ritrova il braccio di Blaine agganciato alla vita e così tanta sua pelle incollata alla propria che per un attimo sussulta e sente il cuore sfondargli la cassa toracica.
"Cosa stai facendo?" sibila, tentando di allontanarsi. Le ciglia di Blaine svolazzano, ombreggiandogli gli incavi degli occhi, "La prova. Dobbiamo dividerci in coppie. Buongiorno principessa."
"E perché avresti scelto me, sentiamo?"
Blaine si lecca le labbra e per un attimo il nero delle sue pupille sembra risucchiare ogni sprazzo di ambra nelle sue iridi.
"Perché non avrei dovuto farlo? Sarà divertente vederti affogare, se nuoti come corri," ridacchia e Kurt lo spinge di lato.
"Vaffanculo, Anderson."
 
*
 
Alla fine la prova non è così male. Tuffarsi è abbastanza terrorizzante, ma Sue li stava soltanto prendendo in giro, sugli squali, e tutto sommato ... È divertente.
Kurt stiracchia i muscoli sull'orlo della scogliera e lancia un'occhiata a Blaine. Sembra vagamente preoccupato. "Tutto bene, dolcezza? Sicuro di non avere paura?" Ghigna e per un attimo vorrebbe battersi il cinque da solo, perché è riuscito a lasciare senza parole Blaine Anderson.
Lui lo manda gentilmente a quel paese con un dito alzato.
"Al mio via!" Sentono le parole rimbombare dagli altoparlanti in uno scricchiolio cupo. "Tre", Kurt prende un respiro profondo, "due", flette il corpo in avanti, "uno! Via!"
L'impatto con l'acqua arriva qualche istante dopo la sensazione di vuoto che gli attraversa il corpo come una scarica elettrica. Kurt si irrigidisce appena, a contatto con l'acqua fredda, ma poi sente i muscoli elasticizzarsi e si getta in avanti, divorando bracciate e bracciate d'oceano nel giro di pochi secondi.
Può sentire Blaine nuotare accanto a lui.
 
*
 
Arrivano a terra nello stesso istante, le casse toraciche che si alzano e si abbassano furiosamente in cerca di ossigeno e i sassi stritolati nelle loro mani.
"Sei— veloce, Hummel."
"Hai ancora— fiato, Anderson?"
Blaine lo guarda in quel modo, e Kurt sente il poco ossigeno che gli è rimasto in gola aggrovigliarsi attorno ai propri polmoni.
"Sempre," gli risponde, poi rotola su un fianco ed inizi a fargli il solletico sulla pelle dei fianchi. "Smettil— Ah! Blaine sei un coglione, toglit—mpfh."
Rachel e gli altri li fissano da lontano, dei sorrisi divertiti impressi sulle labbra.
 
*
 
Giorno 27

"Quando ti deciderai ad ammettere che ti piace?"
"Mai, Rach. Lo detesto."
"Ah-ah."
Kurt rotea gli occhi e si concentra sulla figura di Sue, in piedi su un piccolo sgabello traballante della mensa, con il solito megafono accostato alle labbra.
"Buongiorno, chiappeflaccide. La vostra prova di oggi è Sopravvivi – Alla – Foresta – Magic— Magica?" si interrompe un attimo per guardare più attentamente il foglio che sta leggendo. Scuote appena la testa e sbuffa un qualcosa di tremendamente simile a non vengo pagata abbastanza, prima di continuare. "Sarete soli, ognuno verrà dotato di una coperta e dello stretto indispensabile per superare la giornata nel bosco. Dovrete recuperare uno di questi fazzolettoni sparsi per tutta l'isola," sventola una banda bianca davanti ai loro nasi "e tornare indietro prima che tramonti il sole. Attenti agli orsi."
"Orsi! Figo! Puckzilla può batterli tutti!" Puck alza un pugno in aria sotto gli occhi sconvolti dei ragazzi – sono ancora in molti; i due fidanzatini asiatici sono stati rimandati a casa dopo appena due giorni, così come Mercedes, con grandissimo dispiacere di Sam, che si è esibito in una struggente serenata d'addio mentre lei lo salutava dal parapetto della nave che l'avrebbe riportata nel mondo civile, ma per il resto sono ancora tutti lì.
"Tu sei pazzo," Quinn scuote la testa e lo guarda con un sorriso un po' obliquo.
"Pazzo di te, piccola."
Lei lo manda elegantemente a quel paese e Kurt sente Finn seduto accanto a lui sussurrare qualcosa all'orecchio di Rachel e ridacchiare.
Non deve neanche alzare lo sguardo, per percepire gli occhi di Blaine perforargli la nuca e le spalle.
 
*
 
Si è perso. Si è perso nel bel mezzo di una foresta gigantesca e manca un’ora al tramonto. Kurt ha voglia di strangolare qualcuno – la sua migliore amica, per esempio. Che è sempre la causa di tutto quello che sta passando.
Sbuffa, quando si rende conto di essere già passato per il sentiero che sta attraversando – per cinque volte, a dirla tutta – e si blocca nel bel mezzo del nulla per cavare di nuovo dallo zaino la mappa stropicciata. Non che serva a molto, comunque; non ha una bussola, e anche se ne spuntasse una da un albero non sarebbe in grado di usarla.
Uno scalpiccio di passi lo riporta alla realtà – ti prego fa che non siano gli orsi – e Kurt sobbalza, guardandosi freneticamente attorno; il cuore gli sale in gola e riesce a sentire i battiti sconnessi pulsargli sulle tempie, quando i passi si fanno più vicini e un cespuglio prende a muoversi da solo e—
E’ Blaine.
“Coglione! Mi hai fatto prendere un infarto!” E’ quasi tentato di lanciargli contro la torcia che stringe in mano, ma forse non è una buona idea, visto che sei nel mezzo di un bosco e il sole sta per tramontare.
“Ciao anche a te, ti sei perso?”
“Non mi sono—“
“Sì, ti sei perso. Bene, perché anch’io non trovo più la strada per tornare.”
Fantastico!”
Blaine lo guarda con quell’espressione che sa un po’ di esasperato.
Per favore; io ti odio e tu mi detesti, ma siamo soli nel bel mezzo del nulla, potremmo … che ne so? Collaborare come due persone normali?” Kurt lo fissa – per un attimo di troppo –, poi distoglie lo sguardo, “Suppongo di sì.”
“Bene. Qualche idea su dove potremmo fermarci a dormire?” Gli occhi di Kurt si spalancano per un istante, “Vuoi dire che non torniamo ai bungalow prima del tramonto?” L’altro rotea gli occhi. “E’ quasi notte, principessa, e a meno che tu non abbia una fata turchina nascosta nello zaino, dubito che riusciremo a trovare una zucca che ci porti indietro.”
“Sei ridicolo.” Kurt scruta la vegetazione folta per qualche istante, le guance che gli si imporporano sotto gli occhi divertiti di Blaine, “Vieni; sono passato su questo sentiero per un centinaio di volte, più avanti c’è una radura abbastanza protetta.”
 
*
 
“Oh, wow è— carino qui.”
Kurt ridacchia e lo spinge di lato – sembra un gesto così familiare –, prima di accasciarsi a sedere contro il tronco di un albero. La radura è piccolina – una decina di passi bastano ad attraversarla tutta – e dalla forma vagamente circolare, le chiome degli alberi che la cingono solleticano le nuvole aranciate del tramonto e Kurt si ritrova a pensare che quella sfumatura del cielo ricordi così tanto gli occhi di Blaine.
“Ehi, vieni qua! Mangiamo qualcosa.”
“Blaine, ti prego, sono distrutto. Ho solo voglia di dormire fino a domani mattina.” Lui lo scruta da sotto le ciglia nere e si mordicchia il labbro, “Allettante. Ma cosa ne dici, invece, di un invitante pacco di biscotti al cioccolato?”
Kurt spalanca un po’ gli occhi e si tira in piedi, muovendo qualche passo per raggiungerlo al centro della radura; lascia scivolare lo zaino sull’erba e afferra un biscotto con aria incerta.
“Sono solo biscotti, principessa; li ho rubati dalla dispensa questa mattina.”
Kurt dice “Okay”, e pensa sei adorabile anche mentre mangi quattro biscotti tutti in una volta.
 
*
 
Forse non hanno calcolato che è freddo, di notte. Nella foresta. E’ parecchio freddo, e loro hanno solo due misere coperte di pile per tenersi al caldo.
“Principessa, è inutile che cerchi di resistere, vieni qua sotto. Non sarò un termosifone, ma almeno sono in grado di scaldarti più di quanto faccia quello zainetto.”
Kurt distoglie lo sguardo dalla distesa di stelle che popolano il cielo come lentiggini sulle guance di un bambino; guarda per un attimo la sacca che sta stritolando da una decina di minuti e poi osserva Blaine, sdraiato a terra con la sua coperta avvolta attorno al corpo e un sorriso pacifico appollaiato sulle labbra. Sbuffa un po’ e rabbrividisce per l’ennesima volta, guardando con aria critica il groviglio di tessuto che dovrebbe tenerlo al caldo per il resto della notte.
“E va bene,” sospira e calcia via lo zainetto, accovacciandosi cautamente sul terreno umido ed avviluppandosi la coperta addosso.
“Puoi venire più vicino, non mordo, dolcezza.” Blaine gli aggancia un braccio al fianco e lo attira a sé, “Non in quel senso, almeno.”
“Idiota,” mugugna Kurt, senza allontanarsi dalla sua stretta. E’ che forse, in fondo, si sente bene così. Coi polpastrelli di Blaine che disegnano cerchi immaginari al di sopra della coperta, col suo respiro che gli si infrange contro le ciglia, col suo profumo vagamente dolce che gli invade le narici.
“Sei sempre così adorabile, principessa?”
Forse sarei meno acido, se la smettessi di chiamarmi così.”
“Principessa?”
“Ecco.”
“Non pensavo ti desse fastidio.”
“Sei serio, Blaine?” Kurt si alza a sedere di scatto e punta gli occhi su di lui – su quello che riesce a scorgere di lui nella notte blu, almeno. “Non fai altro che provocarmi per far sì che io ti risponda male. Non fai altro che trattarmi come se fossi il tuo giocattolo, come se dovessi usarmi per renderti più … non so, divertente? Interessante? Superiore agli occhi degli altri. Non ti ha mai sfiorato la mente l’idea che forse io detesti questo, di te?” L’ossigeno sembra mancare per un istante nei polmoni di Kurt; le pupille di Blaine si allargano.
“Non pensavo che—“
“Già, non pensavi. Tu non pensi, Blaine. Lo so.”
“Kurt, smettila—“
“E sai, dico sul serio quando ti do dell’idiota. Perché lo sei. Sei un idiota.”
“Non sei simpatico.”
“Sei un coglione.”
“Sei egocentrico.”
“Sei pieno di te.”
“Sei insensibile.”
“Ti detesto!”
“Kurt, stai zitto—“
Blaine preme le labbra sulle sue, le mani che gli si aggrovigliano alle ciocche di capelli sulla nuca e i toraci spiaccicati l’uno contro l’altro. Si baciano con la una fame che non sapevano di possedere, con una forza che li sorprende. Ed è un bacio che sa un po' di non potrei odiarti nemmeno se volessi e di spiegami come si fa a non innamorarsi di te; un bacio che Kurt interrompe giusto il tempo di sussurrargli sulle labbra Coglione, per poi assaltargli di nuovo il viso a labbra aperte e fameliche – Blaine sussulta, quando sente la sua lingua accarezzargli la bocca languidamente.
È un bacio che non finisce.
 
*
 
Giorno 28

"SIGNORINE? SI PUÒ SAPERE DOVE SIETE?"
Kurt si tira su di scatto e sente la testa vorticare per un attimo; si siede con una mano piantata al terreno e si passa l'altra sul viso, cercando di scacciar via i residui del sonno dagli occhi, ed è a metà di uno sbadiglio, quando realizza.
Che quelle coperte attorcigliate a terra non sono il suo letto e quella radura non è il suo bungalow, che quello che respira profondamente accanto a lui non è Puck e che quella voce è Sue col suo dannatissimo megafono.
"Cazzo, Blaine!" Gli risponde un sospiro un po' più pesante; Blaine si volta verso di lui e piega una gamba sotto la coperta, e i ricordi investono Kurt come un uragano.
Lascia scorrere lo sguardo sul suo volto sereno, dalla curva delle ciglia a quella degli zigomi, ritrovando in quel sorriso le labbra morbide che ha divorato la sera precedente; sente le proprie guance imporporarsi, quando lo sguardo gli scivola sulle ombre rossastre che lui stesso gli ha inciso sulla pelle del collo. Non si lascia tempo per indugiare sulle sue braccia forti che l’hanno tenuto così stretto, quella notte; gli lancia lo zaino sulla testa e lo scuote per il polso.
"Ma che—"
"Blaine, sbrigati! Sue è—"
"Chiappeflaccide numero uno e due, siete qui?"
"Muoviti!"
“Kurt, ma che diavolo—? Non siamo nudi, calmati!” Kurt lo trafigge con uno sguardo un po’ incredulo e un po’ stralunato, e lui non può letteralmente fare a meno di sorridere dolcemente ed attirarlo a sé per posargli un bacio soffice sulle labbra. Dura un istante, ma pizzica di sempre sulla bocca di Kurt.
 
*
 
Kurt raggiunge Blaine sulla riva dell’oceano, quel pomeriggio – alla fine Sue li ha trovati e li ha trascinati per le orecchie fino ai bungalow borbottando decine di insulti contro nessuno in particolare – e gli si siede accanto, le gambe incrociate e le caviglie intrappolate nelle mani, gli occhi che fissano l’azzurro.
“Abbiamo perso la sfida.” Blaine ridacchia, “Già.”
“Quello che è successo ieri sera— uhm. Io— Noi ci siamo baciati,” balbetta Kurt.
“Me ne sono accorto.”
“Puoi smettere di fare il coglione per un secondo?” dice, e Blaine si ferma a guardarlo con gli occhi spalancati – sembrano ambra liquida, con la luce del sole che li illumina. Kurt prende un respiro profondo. “Tu … mi piaci.” Dirlo ad alta voce sembra come liberarsi di un peso sul cuore – le guance gli s’imporporano, ma non può farci nulla. Blaine sorride, ed è così bello. “E ti detesto. Sto ancora cercando di capire come far conciliare le due cose, ma sì. Più o meno è così. E ieri sera è stato bello dormire con te— oh mio Dio, non in quel senso.” Può percepire distintamente le orecchie diventargli fucsia. “E’ stato bello dormire letteralmente con te. Abbracciato a te. Dio, non abbiamo fatto nulla, ma—“
“Kurt, ho capito. Anche a me è piaciuto baciarti e dormire con te.” Blaine gli prende una mano nelle sue e la stringe.
“Sul serio?”
“Sul serio.” Gli occhi di Kurt sono più azzurri dell’oceano. “Stai diventando sdolcinato, Anderson,” dice, e pensa baciami, baciami, baciami. Blaine ridacchia e preme le labbra contro le sue, incastrandogli una mano sulla curva della nuca.
“Ti ci dovresti abituare, Kurt.”
 
“Ehi, Kurt? Tutto— tutto bene?”
“Sì, sì, io—sto bene.”
“Amore, perché stai piangendo non— Ho fatto qualcosa?“
“Cosa--? No—no, no, no. E’ solo che … Forse ho iniziato a capire cosa significa tutto questo.”












 
Il titolo è una semi-citazione di una frase della canzone Little Things.
Cheeee ve ne pare?
*se ne va saltellando a rispondere alle recensioni e a guardare Shameless*

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Capitolo 8
*** Teach me how to love ***


Note iniziali:
Okay, dunque, vorrei ringraziare Anna_Vik e Klaineintheheart per le splendide recensioni! Cercherò di rispondervi presto! Purtroppo questo è un periodo un po' complicato per me - tra tutto quello che succede a scuola e a casa - e sto avendo numerose difficoltà anche solo a trovare il tempo per scrivere. Spero passi il prima possibile, sinceramente. 
Also, mi duole annunciarvi che questo è il penultimo capitolo - o per meglio dire l'ultima "lifetime". Ci sarà l'epilogo, la prossima settimana, e già mi piange il cuore. *sobs*
Tra l'altro, sappiate che vorrei prendere ciascuno di voi cinquanta che seguite questa storia e abbracciarvi stretti stretti. Grazie dal profondo del mio cuore. <3
Enjoy!
(Oh, angst, come mi eri mancato! ;-;)




 
Teach me how to love
 
Ogni cosa ha una sua fine.
E’ semplice, tutto sommato. E’ qualcosa di naturale; scontato, quasi. Una legge lineare e nitida che srotola la matassa aggrovigliata del caos dell’universo, riducendolo a qualcosa di razionale. Ma non è vera per Blaine.
Blaine ha diciotto anni, quando il suo cuore muore un po’ e la sua vita smette di finire.
 
*
 
Sono le sei del pomeriggio di un nebbioso quindici ottobre, quando Blaine realizza che odia la sua vita – forse dovrebbe chiamarla esistenza, visto che gli sembra di aver smesso di vivere molto tempo prima. Sta solo andando avanti per inerzia – un po’ di più. Detesta vedere negli occhi degli umani quella luce, che forse è solo un’ombra. Quel velo impalpabile che accarezza le iridi e le rende un po’ più grigie, un po’ più spente – la luce del dolore.
E detesta ancor di più sapere di essere stato lui a procurarla, in qualche modo. Ha trascorso la sua intera ed inutile esistenza a strappar via l’ultimo respiro di ogni persona, vagando di corpo in corpo solo per accarezzare con lo sguardo gli ultimi attimi di vita – o forse i primi di morte – di troppi uomini, troppe donne, troppi bambini. Ed è ridicolo che se ne dia la colpa ogni volta, perché non è lui a decidere quando. Non è lui a decidere perché. Blaine semplicemente deve, e si odia ad ogni respiro un po’ di più.
Sono le sei del pomeriggio di un nebbioso quindici ottobre, quando Blaine si accartoccia contro il tronco ruvido di un albero cercando di reprimere i singhiozzi – non sei neanche capace di piangere – contro l’incavo del polso. Di solito non va ai funerali delle persone che vede morire davanti ai propri occhi – fa ancora più male. Ma stavolta è diverso; è come se fosse obbligato, come se non potesse farne a meno. Si alza in piedi e accosta le ali alle proprie spalle, racchiudendole in un bozzolo scuro.
Le detesta. Sono tutto ciò che lo contraddistingue, tutto ciò che gli ricorda costantemente chi è— cosa è; e sono così grandi e nere che sembrano racchiudere in se stesse la profondità della notte e ogni sfumatura del dolore. Sono sempre lì, e non c’è modo di poterle nascondere.
Non che conti molto, comunque.
E’ tutto così ingiusto, così sbagliato, e Blaine ha smesso di essere forte da troppo tempo.
Un bambino di appena sette anni si è appena accovacciato sulla tomba; ha la mano sinistra stretta a quella del padre in una morsa che sa di cosa sta succedendo e di ho paura ho paura ho paura e l’altra sospesa nell’aria, a qualche millimetro dal marmo freddo della lapide grigiastra, a tracciare i contorni del nome inciso nella roccia lucida – Elizabeth Owen-Hummel.
Il cuore di Blaine batte un po’ più flebilmente contro la sua cassa toracica – era sua madre.
Una singola lacrima solca la guancia rotonda del bambino e gli occhi azzurri diventano appena più trasparenti oltre le ciglia umide. E’ il padre a farlo alzare, stringendogli dolcemente la piccola mano nella sua che sembra gigantesca. “Kurt, andiamo.”
Kurt.
Blaine non ha appena distrutto la vita del piccolo Kurt, ma sente nel suo cuore che è come se l’avesse fatto.
Il bambino si asciuga le lievi scie umide sul suo viso e annuisce, alzandosi in piedi e spazzolandosi via la terra dai pantaloni di velluto blu. Sono rimasti solo loro due e Blaine, nascosto dietro di loro da una quercia gigantesca, in quella radura costellata di lapidi come un parabrezza troppo pieno di gocce di pioggia dopo un temporale.
Quando Kurt e suo padre si girano per andare via, gli occhi e il cuore pieni di sofferenza vivida e pulsante, Blaine si sente spezzare; accartoccia le braccia contro il busto, sfiorando con le dita le piume scure delle ali – sono così morbide e soffici da sembrare qualcosa di dolorosamente estremamente puro, contro le sue mani.
Il bambino si stringe contro il papà, avvicinandosi alla sua coscia, e Blaine vorrebbe solo andare lì ed abbracciarlo – non puoi, non puoi, non puoi –, ma si limita ad osservarli scomparire lungo il sentiero sterrato grigiastro che porta fuori da quel dannato cimitero. Kurt si volta per un’ultima volta indietro, per guardare la tomba di sua madre, perché non vuole andarsene, Blaine non lo sa; e lo vede.
Gli occhi del piccolo Kurt e di Blaine s’incrociano per un attimo e quelli del bambino si spalancano, le pupille che quasi risucchiano le iridi trasparenti come le lacrime che ha ancora incastrate tra le ciglia. Kurt incespica nei suoi stessi piedi e Blaine racchiude ancor più prepotentemente le ali nere dietro le sue spalle, consapevole che non è abbastanza.
Ma Kurt non urla, non scappa. Non inizia a piangere. Reclina un po’ la testa e gli regala un sorriso acquoso – Blaine pensa se solo sapesse.
 
*
 
Quanto può valere un anno, per chi possiede un’esistenza che non finisce? Quanto possono contare poche centinaia di giorni, minuscole briciole di eternità? Blaine si è sempre lasciato scivolare il tempo addosso, come acqua calda nella doccia d’inverno, per secoli; si è abituato a non provare più nulla, a non sentire, a non riporre speranze e a non aspettare – a non vivere.
E adesso torna a respirare ogni quindici ottobre.
Vede la vita di Kurt scivolargli lentamente davanti agli occhi, a frammenti, ogni anno. Come in una fotografia, imprime a fuoco ogni ricordo di quelle minuscole mezz’ore che gli sono concesse ogni trecentosessantacinque insulsi giorni nelle sue retine e non sa neanche perché lo sta facendo.
Si gode il calore del sorriso un po’ sofferente che Kurt dona a sua madre, affonda nei suoi occhi così azzurri da far invidia al più limpido cielo di primavera, custodisce dentro di sé le immagini sfuocate di un sorriso argentato dai fili dell’apparecchio, dei centimetri d’altezza conquistati ad uno ad uno e di un bambino che diventa ragazzo.
Kurt ha diciassette anni, quando incontra di nuovo lo sguardo di Blaine.
 
*
 
Blaine aveva immaginato grida – forse occhi spalancati e richieste di aiuto. La sua mente aveva scavato a fondo in ogni minima alternativa, ogni piccola sfumatura di qualsiasi reazione che un umano avrebbe potuto avere di fronte alle sue ali – di fronte a lui.
Evidentemente, ogni essere umano è una categoria che non comprende Kurt.
Kurt che si alza in piedi, dopo aver lasciato una carezza impalpabile sulla lapide fredda ed aver scacciato briciole di lacrime dai propri occhi, e lo vede. Blaine è appoggiato al tronco di quell’albero che dopo tutti quegli anni sa così tanto di casa, e lo sta semplicemente guardando.
Ti prego, non scappare non scappare non scappare.
Non prova neanche a nascondersi – sa che è solo una questione di istanti – e aspetta urla che non arrivano.
Kurt lo studia per un attimo – gli occhi grandi e vigili e il respiro un po’ incastrato in gola – e resta in un silenzio profondo. Blaine permette che il suo sguardo gli scivoli addosso, che si appigli al proprio corpo fragile e piccolo, alla curva delle proprie spalle, alla forma inconfondibile delle ali e resta lì, impotente, a scavare nei suoi occhi che sono così blu e non te ne andare, non te ne andare, non te ne andare.
“Io—“ Non dovrebbe parlare. Lo sta solo spaventando ancor di più.
“Ehi,” Kurt mormora, ed è un po’ senza fiato.
“Scusami, io non—Non scappare.” Glielo ha detto. Corri, corri, corri. Vai via da me.
“No.” Kurt sorride; è bellissimo. “No, io non— non me ne vado. Solo—“
“Vorresti.”
Kurt scuote la testa e sia avvicina; le ali di Blaine tremano contro la sua schiena. “Ho già visto qualcuno come te. Anni fa. Io non— non ho paura.”
Restano in silenzio per un attimo – un silenzio carico di dovresti e di lasciami affogare nei tuoi occhi – e metabolizzano.
Ad un certo punto Blaine parla, e le sue parole sembrano dolorose alle sue stesse orecchie. “Solo chi ha guardato la morte negli occhi è in grado di vedere quelli come me,” sussurra e poi deglutisce. Gli occhi di Kurt brillano, letteralmente, per un istante; il sorriso sulle sue labbra diventa appena più flebile, appena più amaro. “Esatto. Ho superato quello, non potrei mai aver paura di te.”
 
*
 
“Mi chiamo Kurt.”
Blaine resta in silenzio.
“E tu? Qual è il tuo nome?”
“Blaine.” La parola gli rotola sulla lingua ed è così strano – è da troppo tempo che qualcuno non gli domanda come si chiami.
“Blaine,” Kurt sorride. “Ci vediamo domani?”
 
*
 
Il giorno dopo Kurt porta un giglio sulla tomba di sua madre e trova Blaine seminascosto dalle fronde del solito albero. Gli sorride – ed è un po’ come se gli stesse tendendo la mano – e lo saluta.
Blaine sorride in risposta – afferra la sua mano.
 
*
 
“Sai, ci sono leggende su— quelli come te.” Kurt lo guarda con aria incerta, come se avesse paura di offenderlo – e a Blaine quasi viene da ridere, perché dopo tutto ciò che gli è stato urlato contro, questo è come tornare a respirare –, ma  legge solo curiosità nei suoi occhi e continua a parlare. “Io— non ho mai saputo in cosa credere, ma sapevo che qualcosa, di tutto quel mucchio di storie, era vero.” Attorciglia le dita attorno ai fili d’erba accanto a lui ed incrocia un po’ di più le gambe.
Blaine chiude gli occhi – è come se sentisse il bisogno, per un attimo, di concentrarsi – ed espira. “Tu … uhm, puoi chiedere— se vuoi.”
Un mucchio di domande affollano la mente di Kurt, ma solo una preme sulle sue labbra. “E’— è vero che portate via le anime delle persone che muoiono?”
Il sorriso di Blaine si spegne. “Noi— non proprio. Ci chiamano gli ultimi respiri, perché … è quello che facciamo. Portiamo via gli ultimi respiri delle persone.”
Gli occhi di Kurt si allargano – sembrano ancora più celesti, così – e sembra sul punto di dire qualcosa. Si mordicchia le labbra appena screpolate agli angoli e prende un respiro profondo. “Tu hai portato via anche l’ultimo respiro di mia madre, non è vero? E’— è per questo che io mi ricordo di te. Al funerale.”
L’ossigeno si incastra nei polmoni di Blaine per un frammento di secondo. Poi lo guarda negli occhi; non c’è rancore. Non c’è rabbia. C’è solo una distesa infinita di rassegnazione e di qualcosa di più radicato ed indefinibile.
“Non ce l’ho con te.”
Solo a quel punto Blaine annuisce.
 
*
 
“Noi viviamo in eterno.”
Blaine glielo dice una mattina grigia di novembre, il fantasma delle luci delle stelle che ancora aleggia nel cielo e quello della pioggia che pizzica contro le narici. Kurt si sente un po’ mancare.
Sono seduti sotto le fronde del loro albero – ed è ridicolo, perché sono in un cimitero, e non si sono mai sentiti più vivi di così – a fissare il cielo che sa di nuvole, le ali nere di Blaine che sfiorano appena i polsi di Kurt. “Voi—“
“Già.”
E tutto è un po’ più reale – un po’ più tangibile. E tutto fa un po’ più male.
E’ come se gli ingranaggi nella mente di Kurt iniziassero a girare tutti contemporaneamente, creando nient’altro che un caos ordinato. “E’ per questo che— tu sei sempre tu?” Le ciglia di Blaine ombreggiano gli incavi dei suoi occhi, mentre annuisce – qualcosa di amaro intrinseco nei suoi movimenti. Se lo aspettava – a tutti fa paura l’eternità, dopotutto.
Quel che Blaine non si aspetta è la domanda che Kurt gli offre dopo, delicata e mormorata nel fruscio del vento. “Non ci sono alternative?” E c’è qualcosa di così dolce e tremendamente ingenuo nella sua voce, che Blaine non può letteralmente fare a meno di sorridere con gli occhi appannati di lacrime. “Ci sono— leggende,” dice, sospira un po’ più forte tra i brividi. “Alcune dicono che ad un certo punto si cessi semplicemente di esistere. Altre che basti l’amore per riportarti in vita.”
Kurt lo guarda negli occhi per un po’ – sembra non volersi accorgere delle lacrime che minacciano di straripare dai suoi occhi – ed allunga la mano mentre trema appena. La posa a palmo aperto su quella di Blaine e per un attimo entrambi trattengono il fiato – è come se la loro pelle si risvegliasse. Blaine allaccia lo sguardo a quello di Kurt e non riesce ad impedirsi di piangere – sentieri tremolanti e bagnati gli si dipingono sulle guance e non fa nulla per trattenersi.
Insegnami come si fa ad amare.
 
*
 
E’ una sera di dicembre troppo fredda, quando Kurt trova Blaine accartocciato a terra contro la porta della propria casa, le ali tremolanti ripiegate flebilmente attorno al corpo.
“Blaine!” Il ragazzo apre lentamente gli occhi, l’ambra delle sue iridi sembra giusto un po’ più solida del solito, un po’ più cristallizzata, e Kurt sa, lo sente, che c’è qualcosa che non va.
“Blaine, Dio— stai bene?” Corre verso di lui lungo il vialetto e gli si accovaccia accanto – le sue mani sono così gelide. “Non—“ Blaine sussurra, sembra impossibile anche solo parlare—  “Non sento più niente, Kurt,” gli bisbiglia a bocca socchiusa e voce incrinata.
Kurt riesce a sentire, distintamente, una voragine di terrore scavarsi nel proprio petto e il respiro gli si incastra in gola. “No,” mormora. “No—no, no, no, no, Blaine, ascoltami. Non te ne andare. Non te ne puoi andare.” Gli stringe convulsamente in una mano le dita gelide e con l’altra gli accarezza il collo – Blaine sussulta un po’, ma forse se l’è solo immaginato. Ignora prepotentemente le lacrime che gli pizzicano all’attaccatura delle ciglia e tira su col naso.
“K-Kurt,” soffia Blaine, e pensa baciami, baciami, baciami. Baciami, prima che me ne vada.
“Blaine,” Kurt piagnucola e spalanca gli occhi.
E’ folle.
Lo sai.
Lo so.
Non pensa a nulla, quando preme le unghie contro i palmi delle mani e si sporge in avanti. Scivola accanto al corpo di Blaine e lo racchiude tra le braccia con una dolcezza che non sa neanche di poter possedere – e poi semplicemente lo bacia – ad occhi chiusi e labbra soffici, col cuore in gola e i brividi lungo la spina dorsale.
E’ come morire e rinascere un po’. Come piangere e ridere e vivere e vivere e vivere, e Blaine sospira contro le sue labbra, prima di socchiudere un po’ le proprie ed accarezzargli una guancia con le nocche ghiacciate.
Resta con me.
Non so se sono capace di lasciarti andare.
E poi improvvisamente, mentre lo bacia, Blaine freme. Strizza le palpebre in migliaia di pieghe sottili e le sue ali si sollevano un po’, poi un crack rimbomba nelle loro orecchie e si fa tutto un po’ più opaco.
Stringimi più forte.
Non ti lascio andar via.
Kurt solleva il busto e circonda le spalle di Blaine con le braccia – più vicino, più vicino –, fino ad intrecciare le gambe con le sue – ancora più vicino, ti prego – e stringerlo contro il proprio petto. Le mani tracciano involontariamente un sentiero sconosciuto sulla sua schiena e oh—
“Le tue ali.” Blaine sembra risvegliarsi da un sogno troppo vivido e le sue palpebre svolazzano un po’.
“Blaine— le tue ali, oh mio Dio—“ Kurt ha le guance e le labbra arrossate ed è bellissimo. Bellissimo e sconvolto, mentre indica la sua schiena; Blaine contrae appena i muscoli e — sembrano più leggeri. Si tasta lievemente la pelle coperta da un sottile strato di stoffa e non trova nulla.
Sembra così bello per essere vero che per un attimo si impedisce di crederci.
E poi percepisce il proprio battito cardiaco farsi un po’ più nitido e il mondo più colorato; sbatte le palpebre e respira. Kurt lo guarda con gli occhi grandi e le ciglia che svolazzano, le labbra dischiuse e le lacrime che gli disegnano linee pasticciate lungo la curva delle guance – è così bello che fa male.
“Sei—“
“Sì. Sono … vivo.”
Blaine accarezza con la lingua quelle parole – anche la sua voce sembra diversa – e sente di stare per piangere, perché è troppo, e troppo in fretta e non sa se il proprio cuore è più abituato a vivere così tanto.
Kurt fa scorrere la mano nelle scanalature tra le sue dita e lo bacia un’altra volta – lo bacia perché può, perché vuole, perché a volte non sono importanti i perché.
Sei sempre stato abbastanza.

 

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Epilogo
 
 A chi ha seguito questa storia dall'inizio, a chi l'ha scoperta per caso a metà, a chi ha cominciato a leggerla ieri.
Grazie.




Blaine osserva Kurt scivolare contro il suo corpo, poggiare la testa sul suo petto, le labbra dischiuse e le palpebre serrate nel sonno.
Sorride, prima di spegnere la televisione e il videoregistratore, lo schermo che torna nero nella luce grigio-rosea della notte che diventa mattino.
Appoggia la testa al cuscino del divano e si addormenta.

 
*
 

Kurt di stropicciò gli occhi, incurvando le labbra in uno sbadiglio gigantesco. Sospirò un po’, scostando le coperte dal proprio corpo e gettando le gambe oltre il bordo del letto.
 
"Perché sei seduto su una traballante scala antincendio nel retro di una squallida discoteca a non-parlare con un completo sconosciuto nel bel mezzo di un sabato sera?"
 
Fu come un uragano, forte e travolgente e distruttivo, che lo colpì dritto al petto e gl’incastrò il respiro in gola per attimi infiniti.
E’ stato solo un sogno, respira.
Spalancò gli occhi per un attimo, stordito; l’immagine di un paio di occhi color miele, sfumati al centro di verde e oro, gli invase prepotentemente la testa.
 
“Per favore; io ti odio e tu mi detesti, ma siamo soli nel bel mezzo del nulla, potremmo … che ne so? Collaborare come due persone normali?”
 
Un sogno anche troppo nitido.
Si riscosse, imponendosi di alzarsi e farsi una doccia – non ricordava più nemmeno il nome del ragazzo dei suoi sogni, e per un istante si odiò per non essere in grado di trattenere quell’immagine – quelle parole, quel viso, tutto – nei propri pensieri. Per non potersi evitare di lasciar scivolare via il ricordo di lui come acqua tra le dita.
 
“Kurt, ho capito. Anche a me è piaciuto baciarti e dormire con te.” “Sul serio?” “Sul serio.”
 
Doccia. E’ tardi.
Tardi. Non sarebbe neanche stato tardi, quel giovedì mattina – miracolosamente il suo professore di trigonometria sembrava essere malato e le ore di lezione mattutine erano saltate –, se Noah Puckerman e gli altri ragazzi non lo avessero letteralmente obbligato ad andare a spiare quelli che sarebbero stati i loro avversari nelle successive competizioni del Glee Club.
Ma ovviamente la Dalton era un liceo privato con lezioni che iniziavano alle otto in punto di mattina, e Kurt era piuttosto sicuro che trovare in primo luogo la strada giusta per Westerville e poi qualcuno abbastanza tonto da bersi la sua patetica storia del “Sono un nuovo studente” fosse già altamente improbabile di per sé – meglio non aggiungere un ritardo alla lista infinita di cose che minacciavano di rendere la sua impresa un totale fiasco.
 
“Sei sempre stato abbastanza.”
 
Entrò nella doccia con il sapore dei baci del ragazzo dei suoi sogni impresso sulle labbra.
 
*
 
Si riavviò con aria assente il ciuffo di capelli castani con una spruzzata di lacca degna dei saloni di bellezza più alla moda di Parigi e sorrise appena al proprio riflesso sullo specchio. Si passò una mano con aria distratta sul doppiopetto della giacca nera che gli fasciava l’addome – nel suo armadio non esistevano capi antiestetici come quelli che componevano la divisa della Dalton; aveva dovuto arrangiarsi – e si guardò negli occhi troppo trasparenti.
Trovare un’anima gemella – Kurt roteò gli occhi al solo pensiero – non era per lui.
Le anime gemelle esistevano solo nei vissero per sempre felici e contenti variopinti delle favole. E la vita di Kurt – quella non era una favola.
 
*
 
“Fratellino, dove vai?” Kurt alzò gli occhi al cielo, bloccandosi giusto un secondo prima di uscire dalla propria porta di casa; tornò indietro verso la cucina, stringendosi la tracolla al petto con più forza.
“A trovare la mia anima gemella, Finn.” Venne accolto da un paio di occhi spalancati e giganteschi, colmi di una tenerezza un po’ stupita. Kurt sospirò un po’, appoggiandosi allo stipite della porta, “Sto andando a spiare i Warblers, proprio come tu, Puck e i decerebrati dei tuoi amici mi avete detto di fare; ora, se vuoi scusarmi –“
I suoi passi si mossero soffici sulla moquette che si diramava dal corridoio fino all’ingresso, finché la voce di Finn non lo fece voltare di nuovo.
“Se mai dovessi incontrare veramente la tua anima gemella – non smettere mai di sorridere. Qualcuno potrebbe innamorarsi del tuo sorriso, fratellino.” Kurt percepì l’angolo destro delle proprie labbra sollevarsi automaticamente – Finn si affacciò appena dalla porta della cucina.
“Da quando sei diventato un romanticone?”
“Da quando Rachel mi obbliga a vedere con lei i film sdolcinati che le piacciono tanto – brutta storia le ragazze, amico!” Kurt gli offrì un occhiolino.
“Sembra che almeno questo non sia un problema, per me.” Sentì la risata di Finn rimbombare dietro di lui un attimo prima di chiudersi la porta alle spalle.
 
*
 
“Dannato navigatore satellitare – se io digito Westerville, tu mi porti a Westerville, non nel bel mezzo del nulla – no, no Rachel! Non ce l’ho con te –“
“Non dovresti parlare al cellulare mentre stai guidando, Kurtie!”
Kurt roteò gli occhi per l’ennesima volta, quella mattina. “Non parlerei al cellulare al volante, se tu non mi chiamassi quando sai perfettamente che sono in auto e quando sai altrettanto perfettamente che diventeresti una belva, se non ti rispondessi.” Sentì Rachel sospirare dall’altra parte della linea telefonica, e per un attimo fu felice di aver messo la chiamata in vivavoce, altrimenti il cellulare sarebbe caduto sicuramente nei meandri della propria auto per via della ridicola danza della vittoria che aveva appena improvvisato. “Ho trovato Westerville! Rach, devo andare; ci risentiamo più tardi!”
Rachel fece appena in tempo a strillare nel microfono del cellulare uno “STENDILI TUTTI, TIGRE!”, prima che Kurt interrompesse la chiamata ridacchiando. La piccola icona della Dalton Academy lampeggiò in rosso sullo schermo del navigatore, provocandogli un brivido di agitazione e una scarica di adrenalina in tutto il corpo.
 
*
 
Parcheggiò la Navigator nello spiazzo gremito di auto di lusso della scuola privata e si strinse la tracolla al petto – non aveva assolutamente idea del perché, ma sentiva l’ansia attanagliargli il respiro. S’incamminò velocemente lungo il cortile maestoso ed entrò dalla porta gigantesca, lasciandosi guidare dalla folla di studenti racchiusi nelle loro uniformi preziose ed inimitabili – perse addirittura il conto di quanti corridoi e di quante sale avesse attraversato, prima di ritrovarsi pressato tra una calca di ragazzi che si affrettavano a scendere un’imponente scalinata.
Se c’era una cosa che lo aveva stupito – più di tutto e tutti, in quel luogo – era l’atmosfera che vi regnava. I ragazzi sembravano completamente a loro agio, come se quelle divise rosse e blu fossero delle corazze fatte apposta per proteggerli dalle cattiverie che c’erano fuori. E in un certo senso Kurt si ritrovò ad invidiarli – in un’accezione completamente positiva del termine. Si ritrovò a desiderare con tutto se stesso di potersi trovare al loro posto, di poter trascorrere quelli che dovevano essere gli anni migliori della sua vita in un posto dove poteva vivere, e non sopravvivere.
Strinse ancor di più la tracolla al proprio petto, meravigliandosi di come le occhiate che ricevesse non fossero di odio o di superiorità, ma di stupore misto a divertimento – probabilmente perché era l’unico ad indossare qualcosa di diverso dagli altri. Sollevò la mano dal corrimano in ferro battuto che stava sfiorando e si sfilò gli occhiali dal viso, infilandoli in tasca.
Si disse ora o mai più, e prese un respiro profondo.
“Scusami!” Una testa mora, probabilmente riccia, ma intrappolata in una discretamente esagerata quantità di gel, si voltò, e il respiro di Kurt rimase incastrato in gola per una minuscola frazione di secondo. In quella minuscola frazione di secondo, Kurt riconobbe quegli occhi. Li sentì familiari sotto il proprio sguardo, come se quel colore così strano – indefinito, della stessa tonalità di un tramonto estivo e del miele liquido – fosse qualcosa di già conosciuto, qualcosa che apparteneva alla propria memoria.
Rilasciò il fiotto d’aria che stava trattenendo e sorrise.
 
Blaine si era svegliato prima del solito, quella mattina – gli occhi ancora pesti dal sonno e il cuore che palpitava sempre più velocemente, come se avesse voluto sfondargli la cassa toracica. Aveva impiegato qualche istante, per processare  tutto ciò che la propria mente aveva elaborato la notte precedente, e poi era semplicemente rimasto immobile, la bocca spalancata e il respiro che gli si spezzava in gola.
 
"Ti aspetto da una vita intera."
 
Si stropicciò gli occhi con una mano, l’eco impalpabile di una voce limpida e di un paio di occhi azzurri a riempirgli la mente e il cuore.
 
“Ci sono— leggende. Alcune dicono che ad un certo punto si cessi semplicemente di esistere. Altre che basti l’amore per riportarti in vita.”
 
Un sorriso dolce gli si impigliò sulle labbra, subito prima che Wes gli scaraventasse addosso un cuscino. “Blaine! Ma ti sei reso conto di che razza di ora sia? Dobbiamo essere nella sala comune degli Usignoli tra – ventitré minuti! Mi spieghi come ci arriviamo se sei ancora in pigiama?”
“Wes, ti sei mai svegliato con la sensazione nello stomaco che quello che sta per cominciare sia un giorno speciale?” Quando Blaine ricevette anche il pigiama di Wes gettato in faccia, decise che forse sarebbe stato meglio alzarsi.
Quel sorriso non abbandonò le sue labbra neanche per un istante.
 
*
 
“Scusami!”
Si voltò immediatamente – incuriosito, attratto da quella voce angelica. E nel momento esatto in cui posò lo sguardo su quel ragazzo – in piedi su qualche gradino più su della scala –, sentì la punta delle dita formicolare e qualcosa di familiare colmargli l’anima. Le luci – che filtravano dalla vetrata circolare del soffitto e si riflettevano negli specchi che percorrevano la parete della scala a chiocciola – sembravano fatte apposta per slanciare quella figura longilinea ed illuminare quegli occhi azzurri, così azzurri da togliere il respiro.
Si ritrovò a trattenere l’ossigeno nei polmoni e ad aprirsi in un sorriso.
 
“Posso farti una domanda? Sono nuovo qui.”
“Mi chiamo Blaine.”
“Kurt.”
 
 
As if in every lifetime you and I have ever lived, we’ve chosen to come back and find each other and fall in love all over again, over and over, for all eternity.











 
... Uhm.
Okay.
Ci siamo.
Quando ho iniziato a scrivere questa sorta di raccolta, l'ho fatto perché lo scorso hiatus di Glee mi stava distruggendo e avevo bisogno di esprimere la mia mancanza dei Klaine. 
(Se penso che ora non esisterà più nessun hiatus perché non ci sarà più nessuna nuova stagione mi viene da piangere, ma questo è un altro discorso.)
Quindi è venuta fuori questa cosina - spero si sia capito: i Kurt e Blaine della videocassetta erano solo un sogno che i Kurt e Blaine della seconda stagione hanno fatto la notte prima di incontrarsi sulle scale della Dalton. Okay, magari voi l'avevate capito, però ho sempre paura di non riuscire a *trasmettere* tutto, quindi fate finta di niente.
Sto blaterando perché non sono ancora pronta a cliccare su "completa", sì.

Ci tengo a ringraziare tutte le cinquanta (CINQUANTA. Siete impazziti. E' la prima volta che mi succede. Siete impazziti.) persone che hanno messo questa FF tra le seguite, le dieci che l'hanno messa tra le preferite ancor prima che terminasse e tutti tutti tutti quelli che l'hanno letta silenziosamente. Lo so che lo dico ogni volta, ma significate l'*universo*, per me. In particolare vorrei ringraziare Anna_Vik e Klaineintheheart, che l'hanno recensita costantemente lasciandomi ogni volta delle parole bellissime, e tutte quelle persone che hanno recensito anche solo una volta. Siete meravigliosi.
Per quanto riguarda le risposte alle recensioni, sto disperatamente cercando di ritagliarmi un angolino di tempo per scriverle. Arriveranno, comunque. Di questo potete essere certi.

Spero che questa FF vi sia piaciuta, spero che vi abbia lasciato qualcosa, spero che sia stato piacevole leggerla, spero che vi vada di lasciarmi un commento - qui o nella mia pagina Facebook, come volete - ora che è finita - sappiate che io li leggerò uno per uno e cryerò su ognuno di loro, perché SI, io sono esattamente questo tipo di persona. :')
E' stato bellissimo condividere con voi questi Klaine; se vi andasse qui trovate la mia altra long, Our Little Infinite, in più sto lavorando a un sacco di altri progetti, quindi insomma: non vi libererete di me facilmente. UWU

Un abbraccio stretto stretto e grazie ancora per tutto,

Elena.

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