L' Angelo del Wammy's House

di Synapsis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




L'Angelo del Wammy's House








Ecco, come non detto.


L'inchiostro della penna stilografica si espande a ogni lettera su questo vecchio foglio, trovato in mezzo all'ammasso di cartaccia che abita ogni angolo della mia stanzetta, e anche se mi sono detto più volte di stare attento a non passare il polso sulla parte ancora non asciutta, puntualmente lo dimentico.


Ecco, di nuovo.


Ma al diavolo, non sto di certo scrivendo questa lettera per descrivere la mia totale incapacità di scrivere decentemente senza far sbavare ovunque quest'odioso inchiostro.

Questa è la condanna dell'essere nato mancino. E distratto. E curioso.

Anche tu sei un tipo curioso, non è vero?

Altrimenti non staresti leggendo questa roba qua, che – devo ammetterlo- non rientra esattamente tra le definizioni di legalità.

Perché è illegale?”ti chiederai, mio caro lettore ignaro della mia identità. Beh, perché quello che sto facendo non è propriamente... corretto; non è consentito dalle norme che vigono su questo posto muffoso.

Ma lascia che mi spieghi meglio. Non ho molto tempo a disposizione per cui... da dove iniziare?

Ok, se ti dicessi “Wammy's House, tu a cosa pensi? Facendo un semplice ragionamento e cercando di stilare un tuo possibile profilo, potrei dirti intuitivamente che esistono due potenziali risposte, anzi, per essere ancora più preciso, ne esistono tre:


  1. Mi guardi con aria indifferente e con molta tranquillità mi dici di non aver mai sentito parlare di questo Wammy's coso. Bene, se dovesse essere questa la tua reazione, mio caro lettore, allora sappi che innanzitutto non ho la più pallida idea di come tu sia entrato in possesso di questa lettera, perché vedi, tutto ciò che si trova tra le mura del Wammy's House non può mai e poi mai uscire fuori: che siano documenti, fotografie, oggetti o qualunque altra cosa che possa testimoniare cosa ci sia e cosa si faccia qui. Per questo motivo penso che la probabilità che tu possa disconoscere totalmente quest'edificio sia attorno allo 0,5%. Tuttavia, se davvero dovessi appartenere a quell'esigua percentuale, devo avvertirti che forse ciò che leggerai più sotto non ti piacerà. Ma a chi piacerebbe, dopotutto?


  1. Sai bene di cosa sto parlando e sbuffando mi rispondi : “Un posto di merda”. Caro lettore, se è questo quello che pensi, ti stringo calorosamente la mano perché mi sembra evidente che anche tu faccia parte della schiera dei poveri sciagurati che sono stati spediti in questo posto.

    Il Wammy's House: il meraviglioso rifugio per tutte le anime sole che troppo presto hanno saggiato il gusto amaro della perdita delle persone più care; l'orfanotrofio fondato da Quillsh Wammy in quel lontano settembre 1957 quando l'inventore era poco più che un ventenne e destinato a diventare venticinque anni dopo un orfanotrofio per menti geniali; quell'immensa struttura dove al suo interno decine e decine di bambini vivono la loro vita con la schiena ricurva su una scrivania a leggere, studiare, scrivere fino a quando non verranno scelti. Da una coppia di signori desiderosi di adottare un bambino? Col cavolo! Questo non è un lusso che a noi orfani del prestigioso Wammy's House è concesso. Ovviamente sai a cosa mi riferisco caro lettore, amico, fratello.


  1. Ti volti verso di me con sguardo vacuo e tremando mi dici: “Non so cosa pensare, ma ne ho paura”.

    Mio gentile lettore, fai bene ad averne paura. E ti dirò di più: anch'io lo temo. Forse, proprio come me, anche tu sai dei misteri che ricoprono come un drappeggio scuro la candida facciata della dolce casa.

    Forse anche tu sai, ma non conosci.

    Sono tante le storie che corrono tra i corridoi di questo palazzo e la maggior parte di esse si basano sulle vite dei precedenti bambini che vi hanno vissuto, e in particolare riguardo una certa generazione. Molte presentano più versioni, altre sono alimentate dalla vivida immaginazione dei più fantasiosi e quindi distorte dalla reale successione dei fatti. Esistono davvero tanti racconti, ma quanti tra essi sono veritieri?

    Ti rispondo in questo modo: qui nessuno conosce veramente come stanno le cose. Tutto è severamente top secret. Le uniche informazioni a cui possiamo attingere sono quelle piccole indiscrezioni sfuggite dalle bocche degli inservienti (davvero troppo poco), e forse qualche scritta intagliata sotto un vecchio banco di scuola... ma puntualmente, anche a un solo piccolo, lieve accenno al passato, la curiosità si accende con uno schiocco.

    Io come ho già detto sono curioso, molto curioso, ma la mia curiosità non si ciba con la mera fantasia. Io cerco le fonti, sono un tipo pragmatico e – consentimi- anche piuttosto bravo nel trovare ciò che cerco. Per questo mi sono dato da fare in questi ultimi mesi e ho deciso di svelare la verità e lo farò su questi fogli sgualciti. Forse ti aiuteranno ad avere meno paura, o forse la incrementeranno ancora di più, chi può dirlo: questo spetta alla sensibilità di ciascuno.

    Ebbene, mio affezionato lettore, ora ti chiedo:




Quanto sai della prima generazione?





[Angolo Autrice]:


Emmh, salve! ^^

Dopo la mia primissima one-shot su Naomi e Beyond, mi approccio nella stesura di questa long-fic incentrata su A, un personaggio appartenente al romanzo “Another Note: il serial killer di Los Angeles”. Poiché viene solo menzionato, ho provato a immaginare la sua storia.

Quando l'ispirazione chiama bisogna rispondere!

Questo è ancora soltanto l'incipit, ma dal prossimo capitolo le cose si faranno più chiare e il contenuto sarà più sostanzioso.

Penso che l'aggiornamento sarà settimanale, per cui se tutto va bene aggiornerò mercoledì prossimo.


Au revoir!



Synapsis







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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Winchester, 2027.



Tenevo ancora tra le mani la lettera ingiallita dall'agire del tempo e con un'espressione interdetta me la rigiravo tra le mani con estrema cautela, come per confermare che quel foglio non era frutto della mia immaginazione, che era reale e che quindi, così com'è apparso, non poteva scomparire.

Senza staccare gli occhi dalla mia sorprendente scoperta, mi avvicinai al davanzale del balconcino che occupava il lato opposto alla porta d'ingresso della stanza, in cerca di uno spiraglio di luce che potesse rendermi più agevole la rilettura.


"È incredibile, davvero incredibile", continuavo a ripetermi come un mantra. Non avrei mai potuto immaginare di trovare una cosa simile lì dentro, forse il soggiorno in quella stanza sarebbe stata più interessante del previsto.


Staccando gli occhi dal foglio, guardai di fronte a me e fissai un punto indefinito della stanza.

Il mio cervello si mise in moto e iniziai a ripassare mentalmente tutto ciò che era accaduto negli ultimi giorni, fino a ciò che era avvenuto giusto qualche minuto prima del ritrovamento della stranissima missiva.

Era successo tutto così velocemente...

Fino al giorno precedente mi trovavo nella mia stanza e magari, considerando l'ora, stavo facendo i miei compiti in santa pace. Ora, invece, ero in quella stanza fredda e buia.


Sì, quella in cui mi trovavo non era la mia stanza, ma da da quel momento in poi lo sarebbe stata. La mia cara e vecchia stanzetta che mi era stata affidata da quando avevo messo piede al Wammy's House, era "momentaneamente inaccessibile per cause maggiori".

Cercando di ignorare il gusto catastrofico che si nascondeva dietro le parole "per cause maggiori" (il nostro direttore è sempre stato un tipo particolarmente pomposo), questo era ciò che recitava l'avviso affisso sulle porte della stanza mia e di Zach (il mio coinquilino) e di altri due ragazzi che, come noi, si erano ritrovati sfrattati. Le cosiddette “cause maggiori”, altre non erano che delle infiltrazioni d'acqua provenienti dal soffitto, delle fastidiosissime infiltrazioni che ormai si protraevano da qualche mese.

Al sol pensiero, mi innervosivo di nuovo. Gli ambienti del Wammy's erano molto vecchi, ma certi problemi potrebbero essere evitati se solo si usasse più manutenzione!

Il direttore -dopo giorni e giorni dalla nostra segnalazione-, ci aveva finalmente concesso la grazia ponendo fine alle nostre sofferenze (giusto per usare un tono alla sua pari), in altre parole ci aveva assicurato che l'inconveniente sarebbe stato risolto al più presto e che nel frattempo avremmo potuto occupare altre camere.

Ero soddisfatto: finalmente avremmo potuto dire addio alle bacinelle disseminate sul pavimento per raccogliere le goccioline che altrimenti avrebbero formato un bel laghetto sul parquet, alle lenzuola umide e al doversi svegliare il mattino dopo con anche i capelli bagnati.

Ma forse avevo cantato vittoria troppo presto.

Il giorno seguente, io e i miei compagni fummo riuniti nello studio del vicedirettore che ci informò candidamente che le nostre nuove stanze erano state preparate nell'ala ovest dell'edificio. Alla notizia, io e gli altri ci guardammo tutti sorpresi, perché nessuno di noi aveva preso in conto la prospettiva di un trasferimento proprio in quella sezione.

La motivazione era semplice: l'ala ovest dell'orfanotrofio era ormai disabitata da tempo, anzi, per quanto ne sapevo nessuno ci era mai stato.

Non mi andava dunque di stare in un luogo del tutto isolato, anche se per poco, e la cosa a quanto sembrava valeva per gli altri.

Ma le scelte del Vecchio erano sacrosante: le lamentele non avrebbero sortito alcun effetto sulla sua testa dura e lucida che tanto lo faceva assomigliare ai dorsi dei suoi scarafaggi imbalsamati ed esposti nelle teche del suo ufficio, ergo lamentarsi sarebbe stato solo uno spreco di fiato. E anche l'aver affidato il compito di avvertirci al suo vice era nel suo stile, a volte penso che odi prendersi delle responsabilità e che quindi trovi più comodo passare l'onere ai suoi dipendenti.

Ad ogni modo, il trasferimento sarebbe avvenuto nel primo pomeriggio, quindi senza fare troppe storie, ritornammo nelle nostre camere (ancora per poco) per fare i bagagli.

Dopo pranzo, ci avviammo verso la nostra nuova postazione, trascinando malvolentieri le nostre valigie sul prato all'inglese del giardino. L'ala ovest era accessibile solo dall'esterno, perché il portone che la collega all'altra parte della struttura dall'interno era inagibile (un'altra definizione piuttosto vaga del direttore per dire che non esisteva più la chiave per aprirlo).

Immaginavo tutti i bambini affacciati alle loro finestre che seguivano con gli occhietti vispi la nostra piccola processione e risi al pensiero.

Dovevamo essere proprio comici.

Io stavo in capo al gruppetto, dietro il signor Toby –il portiere- che con la sua camminata oscillante faceva tintinnare il mazzo di chiavi che teneva in mano. Stavo sulle mie, troppo preso dai miei pensieri scanditi dal suono delle chiavi e dalle voci degli altri ragazzi alle mie spalle che parlottavano tra loro.



«Ehi ragazzi, ho sentito dire che questo posto è infestato dai fantasmi!» disse Path con voce tremolante.


«Path, smettila di fare il frignone. Non crederai davvero a queste sciocchezze?» rispose R che camminava al suo fianco.


«Ma Rank non sono sciocchezze, è tutto vero! H mi ha detto di averne visto uno con i suoi occhi una volta! Mi ha anche raccontato come è successo».


«Sentiamo, cosa ti ha detto quel bugiardo?» si intromise Zach avvicinandosi ai due.


«Andiamo Zach, non iniziare anche tu adesso! Lo sai che Path è suggestionabile in queste cose e H, sapendolo, ne avrà approfittato raccontandogli una balla!»


«Sono solo curioso, R. Dai Path, racconta!»



Rank lanciò un'occhiata in tralice al compagno, ma Path aveva già iniziato a parlare e non poté accorgersene.



«Era una notte d'estate, ed essendo scoppiato un violento temporale estivo, H si avvicinò alla finestra lasciata aperta per richiuderla. Dal punto in cui è posta la sua camera, si vede chiaramente il lato ovest e da una delle finestre... ha visto una persona affacciata che lo fissava! Non riuscì a coglierne le fattezze perché era troppo buio e troppo lontano, ma era una figura pallida e sfocata. Era un fantasma! Cos'altro poteva essere altrimenti a quell'ora della notte, con quel tempaccio, in un luogo risaputo essere disabitato?»


«Tutto qui?» disse Rank alzando un sopracciglio biondo.


«Certo che non è il tuo forte raccontare delle storie, Path...»


«Sta zitto, Zach, quel che conta è il messaggio che Rank sembra non aver colto! Non so se ti è chiaro Rank, ma Hope ha detto di aver visto un essere tutto bianco che lo fissava in modo inquietante da una finestra che appartiene a un luogo da decenni disabitato, per inciso lo stesso luogo dove noi dovremmo vivere per i prossimi trenta giorni! Oh già, forse non è abbastanza spaventoso per il signorino!»



Rank sbuffò sonoramente e con tono di sufficienza rispose al discorso concitato del compagno. Non potevo fare a meno di chiedermi come facevano a sopportarsi a vicenda, visto che i due condividevano da anni la stessa camera. Deve essere stato davvero stressante.



«L'ala ovest è una normalissima ala del Wammy's House, come tutte le altre. È solo deserta tutto qui. Ma già basta questo piccolo particolare per far scatenare le più assurde fantasie! Io ho visto più volte Roger salire fin lassù, forse per controlli. Lo sanno tutti che questo posto è una topaia, e non lo dico per modo di dire. Capisco che è un vecchio decrepito con un piede in terra e uno nella fossa, ma sinceramente non vedo nulla di sovrannaturale o fantasmagorico in lui!» e con una fragorosa risata concluse il suo discorso.



Zach accompagnò la risata di Rank con frasi del tipo "ben detto!", "hai ragione!", “un vecchio decrepito, sì”, e il povero Path, vedendosi contraddetto, chiuse la bocca e si avvicinò a me.



«Tu almeno mi credi?» mi chiese lamentoso Path.



Sussultai leggermente, ridestandomi dallo stato catatonico in cui ero sprofondato: non credevo che P avrebbe chiesto un mio parere. Ad essere sincero, mi trovavo d'accordo con Rank, ma a differenza sua avrei utilizzato un tono più cordiale per spiegare le mie ragioni. Path era pallido in viso, quindi cercai di essere il più gentile possibile e di tranquillizzarlo.



«A dire il vero, non credo che ci siano dei fantasmi nell'ala ovest, Path. Sono solo dicerie. È più probabile trovare dei topi nel letto piuttosto!» e la buttai sul ridere.



Path rise insieme, anche se non sembrava molto convinto.



«Mmh, già! Forse avete ragione voi, ragazzi...»


«Sbrigatevi voi tutti! Tra due ore avete il corso pomeridiano di latino e se non fate in fretta non avrete neanche il tempo per sistemarvi!», gridò il signor Toby richiamando la nostra attenzione.


Arrivati davanti l'ingresso, il signor Toby ci lasciò alle cure amorevoli della signora Agnes che ci diede delle indicazioni e distribuì a ciascuno la chiave della propria stanza.

Dunque ognuno avrebbe avuto una stanza tutta per sé e non appena Agnes mise sul palmo della mano di Rank la sua chiave, un largo sorriso gli spuntò in viso.

Anche io ero felice, finalmente avrei provato cosa significava avere una stanza tutta propria.

Mi ero abituato alla presenza di Zach, ma in certi momenti avrei tanto voluto avere la mia privacy, così vidi la situazione che la sorte ci aveva riservato da un punto di vista decisamente più positivo. Dimenticai per un istante tutte le mie preoccupazioni e salii le scale. Anche gli altri fecero lo stesso non vedendo l'ora di entrare nelle loro nuove stanze; tutti tranne Path che continuava a guardarsi attorno con circospezione.


Il corridoio dell'ala ovest era più piccolo di quanto credessi. Vi erano solo sei stanze, una difronte all'altra. Il legno scuro delle porte, con il colore smunto dei muri incrostati di muffa, gli conferivano un aspetto un po' cupo, ma bastava aprire di più la finestra a ghigliottina che stava in fondo per migliorare la situazione.



«Bene ragazzi, eccoci qui. Sulla chiave è scritto il numero della vostra stanza, basta confrontarlo con la targhetta che vi è sopra la serratura. Io starò con voi per tutta la durata del soggiorno e alloggerò in un'altra di queste stanze, così se avete bisogno di qualcosa fate un colpo! Ora vi lascio sistemarvi tranquillamente, tornerò tra due ore per aprirvi il portone principale. A tal proposito, questa è un'altra indicazione datami dal direttore in persona: la porta d'ingresso, per ragioni di sicurezza, resterà chiusa in mia assenza. Ma non preoccupatevi, cercherò di mancare il meno possibile e se ciò accadrà, sarà solo durante le lezioni, quando voi non siete nel dormitorio. Tutto chiaro?»


Io e gli altri annuimmo silenziosamente.



«Bene, il direttore mi ha chiesto di andare da lui, per cui adesso vi lascio. Tra due ore vengo ad aprirvi. Fatevi trovare pronti, sapete quanto Roger odi i ritardi!»



Agnes scomparve dalla nostra vista e non appena sentimmo la porta sbattere con un tonfo, girammo le chiavi nelle serrature che scattarono con uno scricchiolio ed entrammo nelle rispettive camere.

Mi chiusi la porta alle spalle e trattenni il respiro per tre secondi.

La finestra della mia stanza era stata aperta, il letto era stato preparato e sulla scrivania risiedeva una torre di asciugamani. Nonostante ciò, era evidente che essa era in disuso ormai da tanto tempo. Dopo aver posato la valigia sul materasso, camminai avanti e indietro contando i miei passi per constatare quanto fosse grande: il numero dei passi era maggiore rispetto a quelli che avevo contato nella mia ex- stanza: questo significava che la mia nuova stanza era più spaziosa della precedente.


Perfetto, oltre ad essere tutta per me, è anche più grande”, pensai.


Dopo questo controllo, mi riavvicinai al letto e aprii la zip della mia valigia. Posi tutte le magliette ben ripiegate nei cassettoni dell'armadio in legno antiquato e poi sistemai anche i pantaloni e le camicie, stavolta appendendoli nelle grucce in dotazione.

C'era un silenzio di tomba e sapevo che sarebbe stato sempre così da ora in poi. Mi ero abituato allo scalpiccio continuo degli altri bambini, e non sentirlo più rendeva il silenzio ancora più pesante se possibile.


Una volta che ebbi finito di sistemarmi, con rassegnazione capii che oltre al silenzio, un'altra mia nuova compagna sarebbe stata la noia. Nella stanza non c'era neanche il computer, nessun libro, niente di niente. Non avevo atteso mai con così tanta impazienza il corso pomeridiano di latino, il ché mi fece preoccupare.

Decisi di dare un'altra occhiata alla stanza, giusto per farmela piacere un po' di più.

Non era molto bella, forse per via del mobilio ormai vecchio e fuori moda. Sembrava risalire agli anni cinquanta del novecento, erano in legno massiccio, dello stesso colore scuro delle porte. Accarezzai con una mano la scrivania, avvertendo la cera passata da poco. Poi il mio sguardo fu catturato da una poltroncina di un orribile giallo canarino addossata al muro, accanto la finestra.


Chissà da quanto tempo sta ferma là”, pensai.


La afferrai dai braccioli e dopo averla posizionata alla bell'e meglio sotto il cono di luce proveniente dalla finestra, ci sprofondai pesantemente. Al mio gesto, il cuscino tossì una nuvoletta di polvere che mi pizzicò il naso e mi costrinse a chiudere gli occhi.

Non appena li riaprii, centinaia di particelle di pulviscolo mi danzarono tutt'attorno, e illuminati dalla luce dorata del pomeriggio, giuro di aver pensato che erano quasi "carini".

Ma la realtà è che la polvere mi aveva sempre fatto... schifo. Non sono un maniaco dell'ordine, ne della pulizia, ma la polvere non l'ho mai tollerata, e sapere che essa gironzola indisturbata sulle nostre teste mi ha sempre messo su una certa apprensione.

Forse sembrerà esagerato, ma se qualcuno mi avesse chiesto qual era la mia paura più grande, io avrei risposto: " La polvere!".

O almeno, se me lo avessero chiesto da bambino, avrei risposto in quel modo. Infatti da piccolo ho pure immaginato che di notte tutta la polvere che abitava nella casa si riunisse, e che per vendicarsi dell'ammazzapolvere (aspirapolvere) di mamma, ci avrebbe soffocati tutti -a me e ai miei genitori- tappandoci naso e bocca. Allora io mi raggomitolavo sotto le coperte credendo che in questo modo non mi avrebbe potuto raggiungere.

Quando i miei genitori morirono, inizialmente ero convinto che fosse stata proprio la polvere ad ucciderli. Adesso al sol pensiero mi veniva da ridere, ma ero davvero troppo piccolo per poter sapere quale fosse la verità. Quando si è piccini un dolore così grande non può essere capito ne svelato.

Così ad uccidere i miei genitori non fu quel terribile deragliamento del treno che avrebbe dovuto condurli a lavoro, ma il mostro della polvere.

È questo che fanno i bambini, prendono il dolore, lo maneggiano trasformandolo in un gioco, gli danno una maschera dalle fattezze grottesche, gli danno un volto per renderlo famigliare.

Il volto della polvere ha lo stesso volto di mia madre, poiché l'unico suo ricordo che mi era rimasto era proprio lei intenta a passare l'ammazzapolvere sul tappeto del salotto di casa nostra. Se pensavo alla polvere pensavo a mia madre, se pensavo a mia madre pensavo alla polvere: erano diventate una cosa sola. E anche quella volta non potei far altro che ridere, era così tragicomico.


Comunque, tornando a me sulla poltrona.

Scossi la testa con disappunto e mi rialzai. Non avrei potuto utilizzare quella poltrona così polverosa, non con quel cuscino infernale. Dunque lo tolsi con l'intenzione di portarlo in lavanderia.


Ed è a questo punto che avvenne la scoperta.


Guardai il fondo, dove prima stava adagiato il cuscino, e notai qualcosa di strano. Niente di che in realtà, un particolare così minuscolo che forse a qualcun altro sarebbe sfuggito, ma io ero famoso in quella casa per avere una vista d'aquila.

Vi era un piccolo spago che fuoriusciva da un angolo interno del fondo.

Era davvero piccolo, tanto che mi risultò difficile afferrarlo tra il pollice e l'indice. Lo tirai leggermente e mi venne un colpo quando vidi il fondo muoversi leggermente. Tirai più forte e pian piano riuscii a sollevarlo del tutto.


«Che mi venga un colpo, un nascondiglio!» esclamai eccitato.


Mi tappai la bocca con entrambe le mani, sperando che nessuno mi avesse sentito. Nessuno venne a bussare alla porta, così infilai la mano nel profondo vano.

Le mie dita si richiusero su un oggetto quadrato e morbido, tirai su il braccio e alla mia vista spuntò un malloppo di fogli.

I fogli erano tenuti stretti tra loro attraverso un nastro blu e io, dopo aver sciolto il nodo, presi il primo dei tanti foglietti: la famosa lettera.


Ritornai alla realtà: rilessi la lettera per la terza volta, mentre la consistenza liscia del foglio accarezzava i miei polpastrelli che lasciavano una scia trasparente su ogni riga, quasi per imprimere al meglio ogni singola parola. La grafia del mio interlocutore era sconnessa e in certi tratti illeggibile, insomma era una di quelle grafie né belle da vedersi né da leggersi. Ma anche le grafie più brutte possono essere portatrici di preziose informazioni: è questo il bello della scrittura, essa non ha pregiudizi.

Comunque, giusto per restare in tema, anche il mio interlocutore parlava di paura e se questo sentimento era legato al Wammy's House, la cosa mi incuriosiva parecchio.


Sì, anche io sono un tipo curioso.


Il mio dito continuva a scivolare sulla carta, e quando giunse per l'ennesima volta sulla domanda finale, un brivido di emozione mi attraversò.


Quanto sai della prima generazione?


In realtà, non sapevo proprio niente e neanche mi ero mai chiesto chi siano stati i suoi rappresentanti. Era qualcosa di troppo lontano, era passato troppo tempo. D'altronde io appartenevo all'ottava generazione, ne era passata di acqua sotto i ponti - come si suol dire-, ragion per cui la prima generazione era ormai storia vecchia per me e per tutti. Ma c'era qualcosa di speciale in essa? Meritava di essere ricordata e distinta dalle altre generazioni a venire?

Dal modo in cui ne parlava -o meglio- scriveva l'autore della lettera, sembrava di sì.

Sembrava che ci fosse qualcosa di insospettabile sotto.

Non sapevo quanto potevo fidarmi delle parole della persona che scrisse quei fogli, ma almeno avevo trovato un passatempo niente male per ammazzare la noia.

Un bel racconto, sì.

Presi i fogli che avevo posato a terra per leggere la pagina successiva, ma il rintocco del campanile della chiesa vicina mi bloccò.


Erano passate di già passate due ore?!


A malincuore riposai la lettera tra l'altro mucchio e misi il tutto dentro il nascondiglio. Sistemai il cuscino al suo posto e presi sotto braccio il sussidiario di latino e il vocabolario.

Qualcuno bussò alla porta.



«Ehi, sei pronto? Agnes è nell'androne che ci aspetta! Ci ha detto di venirti a chiamare» grida la voce di Zach, attutita dallo spessore della pesante porta.



Senza rispondere aprii la porta e mi ritrovai davanti oltre a Z, anche R.



«Sarà anche il primo in classifica, ma è sempre l'ultimo ad essere pronto» dice Rank guardandomi con un sorrisetto. Che sbruffone.



Senza rispondere, corsi verso le scale e scendo giù con Zach e Rank alle calcagna.



«Oh, eccoti finalmente!» esclamò Agnes agitando il dito a mo' di rimprovero.


«Vi avevo ricordato di essere puntuali, e la cosa vale anche per te!».


«Scusami, Agnes. Ma ho avuto dei piccoli... problemucci, sì»



Vidi Agnes trarre un lungo sospiro e poi guardarmi con occhi duri che in fondo celavano immensa dolcezza.



«Sei sempre il solito ritardatario, A».







[Angolo Autrice]:


Ed ecco a voi il nostro secondo narratore. Impressioni?

Forse siete un po' confusi, ma state tranquilli tutto si farà chiaro ahaha

Vi avverto solo che in questa storia ci saranno tanti salti nel tempo, per cui tenetevi pronti.

Ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite e tra le ricordate, chi ha recensito e chi ha semplicemente letto. Inoltre vi allego uno schemino con tutte le date importanti che intercorrono dalla prima generazione alla settima, giusto per farvi un'idea. Ho fatto riferimento alla cronologia del manga, ma le date che troverete sono frutto di alcuni calcoli che mi sono fatta (leggere come: sono frutto della mia mente malata).

Avvertitemi se non si dovesse vedere, spero di non aver creato pasticci con l'HTML.

Per concludere volevo dire che tra due giorni parto per Praga e starò lì per una settimana, per cui il prossimo aggiornamento slitterà di qualche giorno.



Alla prossima!



Synapsis







  • X e Y, vengono accennati nel romanzo “Another Note” come gli ultimi studenti della prima generazione. Io li ho considerati come i primi membri della seconda generazione, iniziata dopo la scomparsa di A e B, ma destinata a durare solo un anno perché fuggiranno anche loro.



Revisione 27/03/2015

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


2027, Winchester




Quando finimmo il corso di latino, il sole era già tramontato.

La luce che aveva illuminato l'aula e che ci aveva fatto compagnia in quelle ore di pura noia si era fatta meno intensa, lasciando il posto alle ombre della sera.

Io ammiravo il bellissimo panorama che la finestra mi offriva stando compostamente seduto al mio posto, il solito banchetto che tutti i giorni occupavo insieme a Zach. Ormai tutti stavano raccattando i loro libri con la frenesia di chi non vede l'ora di uscire per prendere una boccata d'aria fresca e poter fare finalmente ciò che vuole, ed effettivamente era quello che avremmo potuto fare, visto che tutte le lezioni che “rallegravano” le nostre giornate erano terminate.



«A, che fai? Non vieni?»



Mi girai verso Zach, che mi guardava con lo zaino in spalla aspettando una mia risposta. Cosa dovevo fare? Non avevo nulla in programma, ma...



«No, ho da sbrigare una faccenda. Tu intanto vai, io ti raggiungerò dopo»



«Ok, allora io scendo con R in palestra a giocare una partita di basket. Ci vedremo direttamente all'ala ovest»




Già, l'ala ovest. Dimenticavo che quella era la nostra nuova postazione.




«Va bene, ma ricordati che entro le sette e un quarto dobbiamo essere tutti nelle nostre stanze. Avete soltanto...» diedi un'occhiata all'orologio che tenevo al polso «un'ora, dodici minuti e venticinque secondi. Da adesso»




Zach sbuffò alzando gli occhi al cielo, se per la mia risposta o per il fatto che avrebbero potuto giocare veramente poco, non saprei dirlo. Forse per entrambi.




«Va bene, va bene, mister precisione, saremo in camera in orario. Tu piuttosto, vedi di non scomparire come al solito tuo chissà dove. Stasera avevamo intenzione di riunirci nella stanza di Path e stare un po' insieme, chiaccherare, roba così. Tu ci sei»




Quell'ultima frase non era una domanda, ma un'affermazione. Seppi che non avrei potuto rifiutare perché quando il mio amico si metteva in testa una cosa era irremovibile.

Gli sorrisi bonario.

Gli volevo bene anche per questo.



«Sì, ci sono, ovvio. Beh, allora a dopo»



Zach si congedò con un cenno della testa e uscì insieme agli altri ragazzi. Il rumorio prodotto dalle loro voci sparì non appena la porta fu chiusa e fu solo allora che mi accorsi di esser rimasto solo.

A quel punto, con calma conservai le penne nel mio astuccio e chiusi il versionario, mettendo poi tutto dentro la borsa a tracolla che mi era stata regalata per il mio compleanno tre anni addietro. Sorrisi al ricordo: dopotutto potevo dire di essermi affezionato ai miei compagni. Nonostante i piccoli litigi che avevamo ogni tanto -in particolare con Rank che da sempre era stato il più polemico tra di noi- il nostro rapporto era piuttosto pacifico.

La competizione c'era, ma in fin dei conti, in un ambiente come il Wammy's House era normale che ci fosse: si trattava pur sempre di un istituto in cui tutti potevano essere il prossimo L, dunque ognuno cercava di dare il massimo per raggiungere l'ambito traguardo.

Ad ogni modo, la nostra era una sana competizione: se c'era da aiutarsi allora nessuno si tirava indietro perché ciò che accadeva a un tuo compagno sarebbe potuta accadere anche a te, sia nel bene che nel male, per cui era conveniente per tutti scambiarsi dei favori. Questa era la nostra filosofia, e questo era ciò che l'educazione del Wammy's House stesso ci impartiva.

Near in persona –o meglio "in computer", visto che non si era mai fatto vedere in carne ed ossa da noi orfani- un giorno ci disse che lo spirito di collaborazione è fondamentale per la risoluzione di un problema, o per la risoluzione di un caso. Spesso da soli non si riesce a raggiungere l'obiettivo prefissato, non per incapacità, ma perché spesso la situazione richiede di unire le forze.

Per Near, ciò che contava non era risolvere un problema senza l'aiuto di nessuno, ma risolverlo; questa doveva essere la nostra unica priorità, il resto era superfluo, anche la rivalità, soprattutto se ostacolava la risoluzione del suddetto problema.

Se il caso Kira era stato risolto, fu proprio grazie a questo principio. L'assassino degli assassini era stato fermato grazie alla collaborazione tra Near e Mello, il secondo candidato alla successione della quarta generazione. Ricordo ancora adesso quando Near ci raccontò dell'incredibile impresa: in quell'occasione, Mello mise da parte l'odio che da sempre aveva nutrito nei confronti del nuovo L, odio suscitato proprio dalla competizione e dal senso d'inferiorità che aveva sviluppato al Wammy's. I problemi personali erano stati messi di lato per un bene più grande: il trionfo della giustizia, la vera giustizia, non quella che praticava il killer.

Questo doveva servirci come esempio lampante che tutto era possibile se fatto insieme agli altri, questo era ciò che la vita aveva insegnato a Near e che doveva essere assimilato dalle generazioni a venire.


"Ma è sempre stato così? Chissà se anche le generazioni passate seguivano quest'ideologia...?"


Non ci avevo mai pensato prima di allora.

Non avevo mai pensato alle generazioni passate in generale.

Perché una domanda del genere, allora?


"La lettera..."


Decisi che non appena tornato in camera avrei continuato a leggere quei fogli che qualche ora prima avevo trovato. Magari avrei trovato qualche informazione a riguardo, e anche se così non fosse stato, avrei comunque approfondito le mie conoscenze – piuttosto scarse, se non nulle - sulla prima generazione.

Così, spinto da questa nuova prospettiva, accelerai il passo. Ma prima di tornare in camera dovevo fare ciò che avevo in mente da prima.

Non potevo disubbidire alle mie abitudini.

Giunsi al termine del corridoio e varcai il pesante portone in noce che mi avrebbe condotto ad un altro corridoio, che a sua volta mi avrebbe portato ad un altro corridoio e ad un altro ancora...

La pianta del Wammy's House era davvero labirintica, per chi non conosceva la struttura sarebbe stato semplice perdersi. In sostanza, l'orfanotrofio si articolava su quattro sezioni (o “ali”, come le chiamavamo noi) collegate tra loro e constava di circa 700 mq di interni per ogni sezione e 1000 mq di spazi esterni attrezzati di palestra, una chiesetta, e poi a parte il bosco che si estendeva da dietro l'edificio. Ogni sezione era composta da due piani, irrorati da tanti corridoi ricchi di stanze, e solitamente nel secondo piano vi era collocato il dormitorio. I locali interni erano predisposti secondo l'età e le facoltà intellettive dei bambini, ed erano organizzati in un'area – l'ala nord- per i semplici orfani che venivano raccolti in tutta l'Inghilterra e che, non avendo un QI minimo per accedere all'educazione impartita a noi possibili successori di L, potevano essere adottati. Un' altra sezione – l'ala est- era per i dipendenti dell'orfanotrofio, ovvero inservienti, maestri, tutori, e tutto il personale che quotidianamente lavorava al Wammy's. L'ala sud era la dimora di noi piccoli geni, e per concludere la quarta sezione corrispondeva alla famigerata ala est, dove momentaneamente sarei dovuto restare.

Nella nostra ala, completavano gli spazi interni la cucina, l'ambulatorio, la dispensa, i servizi per il personale e lo studio del direttore.

Insomma, una struttura ben attrezzata, certo, ma anche complessa. Forse quando fu costruita l'intenzione dell'architetto era quella di far impazzire la gente.

Nonostante questo, riuscii a trovare l'uscita dall'edificio e senza perdere altro tempo, mi avviai verso la chiesetta sovracitata.

Sì, quello era il luogo che avevo intenzione di visitare.

Non che sia un tipo particolarmente religioso, ma, ora come allora, mi piaceva molto il senso di calma che le caratterizza. È come se il tempo si fermasse, come se i minuti restassero sospesi nell'aria insieme alle preghiere che vengono pronunciate dai fedeli.


Insomma, è il luogo ideale per staccare la spina e per liberarsi dell'orologio.


Metaforicamente, ovvio, non butterei mai il mio orologio, sia chiaro.


Appena entrato, l'odore di incenso mi invase i polmoni. A quell'ora non c'era nessuno, era abbastanza tardi e tra non molto il sagrestano avrebbe chiuso. Io comunque non avevo intenzione di restare per molto, così mi sedetti in una panca -la mia panca abituale, ovvio – e chiusi gli occhi. Ad un tratto, tutta la stanchezza che avevo raccolto nel corso della giornata mi piombò addosso come un macigno.

Quelli erano i momenti in cui pensavo che dover vivere in un posto come il Wammy's era davvero una grande responsabilità, soprattutto pensando al futuro che mi si prospettava di fronte: diventare L.

In quei frangenti mi assaliva il dubbio che forse non ero in grado di sostenere un tale onere, e non perché non ne avessi le capacità – ero pur sempre il primo in classifica - ma perchè non ne avessi la forza. Era più un fattore... psicologico.

Nella penombra prodotta dal fievole chiarore delle candele, strinsi le mani sulle ginocchia fino a farmi sbiancare le nocche. Scossi la testa con vigore.


No.


No, non erano cose da pensare.


Io avevo tutte le carte in regola per succedere a L.


All'improvviso, un rumore si diffuse in tutta la chiesa rimbombando tra le spesse mura. Colto alla sprovvista, sobbalzai e mi guardai attorno smarrito, girando la testa più volte fino a quando i miei occhi non incontrarono una figura intenta a togliere i pesanti candelabri in argento dall'altare. Sbadatamente, o per la fretta, uno di essi era caduto a terra.

La figura altri non era che padre Anderson, il sacerdote ingaggiato da Roger per la celebrazione della messa e che da anni ormai esercitava il suo ministero al Wammy's.

Lo osservai sospirare e posare nuovamente sull'altare i tre candelabri che teneva tra le braccia con le mani tremolanti. Si diceva che fosse coetaneo del direttore - qualche anno in meno qualche anno in più- e guardandolo in quel momento pensai che non erano soltanto dicerie dopotutto.

Rank un giorno disse che lui e il Vecchio potevano essere considerati i due pilastri di tutta la barracca – testuali parole – e non solo in senso figurativo: di quanto erano vecchi, facevano concorrenza alle mura ammuffite del Wammy's.


Ah, R e la sua sensibilità...



«Buonasera, padre Anderdon. Ha bisogno di una mano?»



Il prete si voltò accigliato nella mia direzione, e l'atto mise in risalto le sue profonde rughe.



«Oh, ciao Arlie. Non mi aspettavo che ci fosse ancora qualcuno a quest'ora»


«Sono arrivato dieci minuti fa, ma tra un po' vado» dissi io alzandomi dalla panca per andare verso l'altare.


«Avevi bisogno di qualcosa? Vuoi confessarti?» disse lui mentre si abbassò lentamente per prendere il candelabro caduto, ma ad uno scricchiolio preoccupante si bloccò.


Inarcai un sopracciglio interdetto, ma presto la mia espressione mutò in una di pura sorpresa quando il vecchio proruppe in un urlo.



«Aaaah, la mia povera schiena! Che il Signore mi aiuti, muoio di dolore!»



Ok, se fossi stato Rank probabilmente mi sarei sganasciato dalle risate, soprattutto alla frase piuttosto plateale, degna di una delle migliori rappresentazioni teatrali.

Sembrava che oltre all'età, padre Anderson avesse qualcos'altro in comune con Roger...

Che esagerazione.


Comunque non ero Rank, quindi invece di ridere corsi in aiuto del vecchio prete.



«Padre Anderson, faccio io» dissi porgendo il candelabro.


«Grazie tante figliolo, grazie tante. È davvero gentile da parte tua, ormai le mie povere ossa non sono flessibili come un tempo!» rispose riconoscente, mentre con una mano rugosa massaggiava la zona dolorante.


«Ad ogni modo, non sono venuto per un preciso motivo. Volevo solo visitare la chiesa» aggiunsi.


«Oh! Non sono in molti coloro che visitano questa umile chiesa, ormai la religione occupa un posto così irrisorio nelle vite di tutti da permettere che il Signore venga trascurato! Ma sono felice di sapere che un giovane come te trovi ancora il tempo per dedicarsi alla preghiera e alla meditazione, nutrimento dell'anima».


In realtà, come ho già detto, non ero giunto sin lì per pregare, ma non me la sentii di dissentire così non dissi nulla. Annuii semplicemente con la testa e feci per girare i tacchi.

Ma il sacerdote non era dello stesso avviso.



«Io adesso dev...»



« No aspetta! Visto che non devi confessarti, potrei approfittare della tua gentilezza. Posso, figliolo, posso?»


«Beh, ecco...» guardai il sorriso abbattuto del prete, poi il mio orologio. Quaranta minuti e trentaquattro secondi al coprifuoco. Sospirai.


«D'accordo padre Anderson. Mi dica»



Il prete al mio assenso si raddrizzò con una velocità che mi fece dubitare del suo momentaneo malessere. Mi sovvenne l'idea che ciò che era accaduto era stata una messinscena per convincermi ad aiutarlo, dandomi chissà quale incarico...


"Fregato, Arlie" mi disse la mia coscienza.


Ah, io e la mia gentilezza...


Da quel momento in poi la mia serata avrebbe preso una strana piega, ma io non potevo mica saperlo.




[Angolo Autrice]:

...

Perdonooo!

Non aggiorno da più di un mese, lo so. E non sono attiva nel fandom da una settimana, so anche questo.

Purtroppo ho avuto molti impegni, ultimamente se ne sono aggiunti altri, per cui l'andamento della storia sarà più lento, ma ci sarà.

Motivo del mio ritardo sono stati anche alcuni problemi che mi sono posta per il proseguimento, ma spero di averli risolti con l'apporto di alcune modifiche. Una tra queste riguarda il capitolo 2, dove ho cambiato il tempo verbale (da presente a passato) perché mi è venuta un'idea che vorrei seguire e anche perché è più semplice da gestire, e dello schemino che ho messo a fine capitolo (sempre lo scorso) e che ora ho sostituito.

A tal proposito, ringrazio TheDarkLightInsideMe per avermi fatto notare l'errore: Mello, Near e Matt appartengono alla quarta generazione e non alla terza come pensavo, dunque Arlie, a rigor di logica, appartiene all'ottava generazione e non alla settima. Per altre spiegazioni, ho messo una didascalia sotto lo, sempre secondo capitolo.

Ringrazio le persone che hanno messo la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate, chi ha recensito, chi lo farà e coloro che semplicemente leggono. ^^


Al prossimo capitolo!



Ps: Sotto ho messo un disegno di Arlie. Che ne pensate di questo personaggio?






Synapsis





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