Il Resto è Storia di road chan (/viewuser.php?uid=76462)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 1 *** Capitolo Uno ***
Uno
Questa è
politica o
Grandi tette
Raven si appoggiò al
bancone della cucina, annuendo in silenzio e
masticando l’aria circostante come una pantera che fiuta la
preda e si prepara
ad attaccare senza pietà.
Tamburellò con le unghie
della mano destra contro la fredda e
levigata lastra di granito bianco, osservando con particolare
attenzione il
giovane ragazzo seduto di fronte a lei, intento a leggere il giornale
sul
divano color cachi.
“Allora! Chi sarà
l’affascinante donzella che ti accompagnerà alla
cena con i tuoi probabili – anzi più che certi
– nuovi colleghi di lavoro?”
Bellamy sollevò un
sopracciglio folto, allontanando il quotidiano
dalle ginocchia e scuotendo una spalla con fare spazientito.
“Mh? Pensavo che saresti
venuta tu.”
Lei fece un sorrisetto, ammettendo
che sì, era
alquanto affascinante e sì, loro
due si conoscevano davvero bene –
specialmente da quando un paio di anni prima erano andati a letto
insieme –
ma no, lei non l’avrebbe
accompagnato alla sua vecchia e spocchiosa
cena di archeologi perché aveva appena iniziato a
frequentare qualcuno.
“Cosa?” chiese
Bellamy, attonito, siccome gli unici argomenti di
conversazione di Raven ruotavano, di solito, attorno al lavoro da
consulente
finanziario che aveva ottenuto meno di un anno prima da una grande e
importante
impresa legale alla quale – per quel che ne sapeva lui
– dedicava la maggior
parte del suo tempo libero.
“Chi? E da quando?”
“Calma, Sherlock”
gli rispose, sfoggiando un sorrisetto rilassato.
“Tutto a suo tempo. Chi
sarebbe la tua seconda scelta?”
Bellamy scrollò le spalle,
aggrottando la fronte e agitando i
riccioli neri. “Uh…Miller?”
Raven scoppiò a ridere,
staccandosi dal bancone e diffondendo,
dentro la stanza, un’invisibile scia di profumo dolciastro e
fruttato.
“La prima volta che ho
parlato seriamente con Miller è stata anche
l’ultima. Per Nathan non sei degno di attenzione se non sei
un tifoso dei New
York Giants e a meno che i tuoi futuri collaboratori non si rivelino
essere
anche dei patiti di football…”
“O sta finendo la seconda
specializzazione alla Brown; potrei
chiedere a lei.”
Raven scosse la testa.
“Impossibile, la sessione
d’esami è dietro l’angolo. In
più”
aggiunse, fissandolo con gli occhi color nocciola e mordicchiandosi le
labbra
carnose “penso tu abbia bisogno di una partner che non
sia anche tua
sorella. Mostrerebbe loro che sei una persona affidabile.”
Bellamy acconsentì
lentamente, ingobbendosi sul divano mentre
l’amica, decisamente soddisfatta, si sedeva davanti a lui,
accavallando le
gambe ambrate e atletiche.
“Okay” insistette
la mora. “Che tipo stiamo cercando,
esattamente?”
“Intelligente”
propose lui, sollevando l’indice con l’intenzione
di tenere il conto con le dita della mano.
“Caparbia”
replicò Raven.
Il moro, confuso, si
raddrizzò per squadrarla meglio.
“Mmh?”
Raven ruotò gli occhi di
trecentosessanta gradi, agitando
ripetutamente una gamba incrociata.
“Tu sei un personaggio
carismatico; un leader, per così dire. Hai
bisogno di una persona equilibrata che sappia anche tenerti testa. Una
con la
lingua tagliente e il cuore freddo come il ghiaccio. Preferibilmente
con le
tette grandi.”
“Raven.”
“So come mi
chiamo” rispose la mora, per nulla turbata
dall’occhiataccia torva dell’amico.
“Sei un ragazzo
fastidiosamente seccante ma altrettanto piacevole
– meriti una compagna che sia al tuo stesso
livello.”
Bellamy incassò la prima
parte del discorso e riprese a parlare in
modo imperturbabile, come un avvocato esperto durante
l’arringa finale.
“Perciò, stiamo
cercando qualcuno d’intelligente, caparbio, magari
una stronza ma di bell’aspetto che voglia frequentarmi per
finta e
accompagnarmi a una cena di lavoro che potrebbe solo cambiarmi la vita.
Non
potremmo saltare direttamente alla parte del…è
troppo bello per essere vero?”
Raven ignorò volutamente la
battuta sarcastica e rimase in
silenzio per qualche secondo, strofinandosi la lingua sui denti
scivolosi e
pregustando con calma la sensazione di vittoria imminente.
“Veramente te ne ho
già trovata una.”
Lui la studiò, guardingo.
“Oh?”
“Sua madre è una
dottoressa e suo padre lavorava per una grossa
società simile all’Ark. È appassionata
d’arte, di scienze politiche e legge; è
anche la prima ragazza che vorresti dietro l’angolo se
dovessero spararti a una
gamba. È la più intelligente, altruista e
ostinata ricercatrice che io conosca.
Ha anche delle tette grandiose. E mi
deve un favore!”
“Hai imparato il suo
curriculum a memoria? Perché non me l’hai
presentata prima?” chiese Bellamy, scettico.
Raven guardò altrove,
arricciando le labbra.
“Vi siete già
incontrati.”
“Oh, Dio,
dov’è la fregatura? Perché
c’è sempre una
fregatura, vero?”
Lei si astenne
dall’affermare che ovviamente no,
non
c’era alcuna fregatura e si limitò a
sbuffare spazientita, alzandosi in
piedi.
“Voi due non vi siete
approcciati nel migliore dei modi ma ascoltami Bell”
– lo zittì, notando che il ragazzo stava per
scattare come una molla impazzita
– “lei è quella giusta e ti
farà ottenere il lavoro, maledizione!”
Improvvisamente, calò un
silenzio preoccupante tra loro, nel quale
Bellamy temette di soffocare.
Fissò Raven, incredulo.
“Vuoi che esca con
la Principessa? Cazzo –
con Clark Griffin?”
Raven lo studiò, abbassando
le sopracciglia ed evitando
intenzionalmente di prenderlo a pugni sulle gengive.
“Quanto disperatamente vuoi
questo lavoro?”
“Non lo farà
mai” insistette Bellamy, incrociando le braccia e
aggrottando la fronte…ma Raven aveva
un’espressione così decisa sul
volto.
“Credimi quando ti dico che
mi deve un favore, Bellamy.”
Lui imprecò sottovoce,
rinunciando a discutere con la mora.
“Fammi parlare con
lei” continuò Raven, docilmente. “Tipo
stasera.
Potreste vedervi domani. Sei libero per pranzo?”
“Raven, dovresti sapere che
non sono il genere di persona
che esce a pranzo.”
“Bene”
sbuffò lei, seriamente vicina a un esaurimento nervoso.
“Preferiresti incontrarla
per cena, allora?”
Il ragazzo grugnì.
“Se le cose dovessero
andare così tanto male,
potrai sempre decidere di trascinarti dietro quel caso umano di Miller.
La cena
ti sembra un’opzione tanto spaventosa, adesso?”
Bellamy alzò gli occhi al
cielo.
“Qualunque cosa è
meglio del pranzo.”
…
Il ragazzo era sicuro come non mai che
per nessun motivo al mondo
Clarke Griffin avrebbe accettato di cenare con lui,
figuriamoci di aiutarlo,
ma Raven non l’aveva mai deluso prima e guarda caso, qualche
minuto dopo essere
arrivato al ristorante e aver occupato un tavolo per due, Clarke fece
il suo
ingresso, vestita meno come una soldatessa e più come se
effettivamente
desiderasse trovarsi lì.
Bellamy si alzò
cortesemente e le spostò la sedia, cosa
sorprendente - almeno per Clarke.
“Rilassati,
Principessa” borbottò lui, sedendosi al lato
opposto
del tavolo per paura che potesse prenderlo a pugni – di
nuovo.
“Raven crede che per fingere
di essere fidanzati sia necessario
fare prima un giro di prova.”
“Non ho bisogno delle tue
spiegazioni da quattro soldi.”
Bellamy Blake si morse la lingua
mentre una cameriera con qualche
ciuffo argentato tra i capelli si affrettò a ripulire il
ripiano, versando due
bicchieri d’acqua liscia ed evitando così che la
situazione potesse subito
sfuggirgli di mano.
La cameriera tornò dopo
qualche secondo con un paio di menù che
Clarke sfogliò distrattamente prima di rivolgersi a Bellamy
con tono austero.
“Punto numero uno: non sono
una di quelle ragazze che si sente
lusingata quando l’uomo sceglie loro il cibo al primo
appuntamento. Punto
numero due: non aspettarti di vedermi mangiare una misera insalata
e Punto
numero tre!: ricordati che amo ordinare il dolce alla fine
della cena.”
Bellamy la guardò divertito
dall’altro capo del menù, preparandosi
a una delle sue solite battutacce strafottenti ma prima che potesse
aprire
bocca, con la coda dell’occhio, intercettò un
ragazzo seduto al bar che
sembrava parecchio interessato al loro tavolo.
“L’unica cosa che
desidero per te, Principessa, è un po’ di
veleno.”
“Disse il mio –
cito – fidanzato, il cui lavoro
dipende da me e da questo appuntamento infernale.”
La cameriera dai capelli argentati
ricomparve, strisciando i piedi
sul pavimento cosparso di piastrelle a scacchi bianche e nere ed
entrambi i
ragazzi ordinarono senza esitazione.
Bellamy, a fatica, cercò di
guadagnare tempo, proponendo alla
ragazza di condividere con lui un contorno di verdure o di patate
fritte mentre
Clarke sembrava sorridere più spontaneamente alla cameriera
che al suo finto
partner e non c’era la benché minima speranza che
assieme potessero portare a
termine quella missione altamente suicida.
“Niente alcolici?”
chiese Clarke, non appena la cameriera strisciò
via goffamente, portandosi dietro le ordinazioni al completo.
“Credevo avessi bisogno di
liquori forti per riuscire a sopportare
una serata con la sottoscritta.”
“Mi aspettavo lo stesso da
te. Che fine hanno fatto i tuoi
Spritz?”
“Qualcuno suggeriva del
veleno, prima...”
“Divertente” borbottò
Bellamy, rimpicciolendo gli occhi neri
e sorridendo con arroganza.
“Non credo che tu mi voglia
ubriaco mentre ti riaccompagno a casa
in macchina.”
“Non noto alcuna differenza
tra quando sei sobrio e quando non lo
sei” rispose la bionda, sdegnosamente.
“Adesso, mettiamo in chiaro
il punto numero quattro: sono qui solo
per fare un favore a Raven.”
“Sapevo che in fondo al
cuore eri una buona samaritana” affermò
lui, incapace di smettere di provocarla.
“E comunque,
anch’io.”
La cameriera arrivò con i
piatti – una pasta alle vongole per
Bellamy e una bistecca a cottura media per Clarke, con contorno di
verdure
miste e noci per entrambi.
Quando l’attenzione
tornò finalmente l’una sull’altro,
tuttavia,
Clarke parlò nuovamente, agitando il tovagliolo beige con
decisione.
“Come giustifichiamo la
nostra relazione? Non possiamo certo dire
ai tuoi capi di esserci fidanzati due giorni prima della cena di
lavoro.”
Bellamy sorseggiò
l’acqua fresca, sentendola mischiarsi al sapore
del pesce caldo contro il palato sensibile e rugoso.
“Stavo pensando a una
galleria.”
“Cosa?”
“Io mi trovavo là
per la storia e tu per l’arte” spiegò,
fissandola. “Non ti piace l’arte?”
Lei annuì, distrattamente,
accigliandosi impensierita. “E…e forse
stavi litigando con un assistente. Riguardo alla data di alcuni pezzi
esposti
questo mese – un Oppenheim.”
“Cosa; Robert
Oppenheimer? Sono diventato Morte?”
“No, no. Ehm, la
surrealista Svizzera.”
“Oh, immaginavo.”
“Comunque, tu stavi
discutendo riguardo all’Oppenh – ”
“ – E tu ti sei
intromessa, dandomi ragione?” le suggerì Bellamy.
Di nuovo, Clarke annuì,
assottigliando le sopracciglia bionde.
“Sì, credo di
sì. E dopo abbiamo iniziato a parlare, delle nostre
vite, della galleria e…”
“E forse mi avevi chiesto se
avevo notato quel locale sulla
47esima, con le ricostruzioni di antiche statue romane?”
La facciata cadde per un momento e gli
occhi di Clarke
s’illuminarono.
“Oh mio Dio, sei andato
davvero?”
Bellamy trattenne un sorrisetto
soddisfatto perché effettivamente
le aveva scoperte il giorno prima, sotto stretto consiglio di Raven.
“Ah ah – e dopo ti
avevo suggerito che, anche se come regola ferrea
non esco mai a pranzo, sarei stato felice
di portarti là, una volta
libera da impegni.”
Clarke fece una smorfia divertita.
“Ho detto di sì
ed è stato un vero, romantico appuntamento?”
“Tu ed io?
L’appuntamento è stato un fiasco totale; ci siamo
tirati dietro un paio di bicchieri di vetro e abbiamo fatto piangere
uno
psicologo. Fine della conoscenza.”
Per poco la ragazza non
scoppiò a ridere ma Bellamy la vide mentre
cercava di contenersi.
“Come alla festa di
Capodanno a casa di Raven?”
“Esatto”
rispose lui “e non abbiamo più parlato fino a tre
settimane fa, quando stavo in giro con Raven e ho scoperto per caso che
la sua
fastidiosa amica del college altri non era che la cocciuta bionda con
cui ero
uscito e che per poco non mi aveva ammazzato.”
Clarke sorrise, prepotentemente
sdolcinata.
“Hai pensato che fosse un
segno del destino e mi hai supplicato di
darti un'altra chance.”
“Principessa, io
non supplico.”
“Beh, l’hai fatto,
quella volta. Come un bambino piccolo.”
Dato che lui non rispondeva, la
ragazza si piegò più vicina,
infilandosi in bocca l’ultimo pezzettino di bistecca,
sorridendo beata.
“Non ti aiuterò,
se non mi supplichi.”
Bellamy alzò gli occhi al
cielo.
“Bene. Hai detto
sì, abbiamo cenato e il resto è storia. Letteralmente.
Perché ho bisogno di questo lavoro.”
Il sorriso sul volto di Clarke
sembrò più genuino.
“E quanto tempo fa
è successo, il fattaccio?”
Bellamy sollevò le spalle.
“Cinque mesi?”
“Sicuro.”
Quando finirono di cenare, il moro
costatò che il curiosone del
bar li stava ancora fissando.
Si pulì la bocca e
tornò a indossare la solita maschera prepotente
e sarcastica prima di farlo notare alla compagnia di fronte.
“Vedi laggiù, al
bar? Non ha mai smesso di guardarti per tutta la
sera – presumo” confermò, con un cenno
del capo.
“Non lo biasimo;
anch’io farei lo stesso se non fossi il tuo finto
fidanzato. Dev’essere a causa dell’enorme
bastone che tieni infilato su
per il culo o per l’aura da portatrice di morte che ti
aleggia intorno.”
Clarke tornò a squadrare il
tovagliolo accuratamente ripiegato
davanti a se, senza lasciar trasparire alcuna emozione. Sembrava una
sfinge
intoccabile e impossibile da scalfire, con la faccia di pietra e gli
occhi di vetro.
“Comico, Bellamy. Forse
dovresti baciarmi.”
Il moro, per poco, non
sputò il resto del suo drink sulla
tovaglia.
“Principessa.”
“Beh, se tu
fossi stato davvero il
mio
ragazzo, mi avresti dato ragione?”
Bellamy valutò attentamente
la domanda.
“Avrei atteso fiducioso il
momento in cui te lo saresti preso,
quel bacio.”
Diede un’occhiata al suo
piatto vuoto e poi a quello di Clarke.
“Allora, che dessert
vorresti ordinare? La red velvet cheesecake
potrebbe sicuramente soddisfare la tua sete di sangue.”
Lei esaminò il
menù che la cameriera aveva lasciato cadere sul
tavolo.
“Mi è passata la
fame; vorrei solo uscire di qui.”
Dopo aver pagato – cosa per
cui Bellamy aveva insistito, pur
sapendo che potenzialmente avrebbe dovuto a Clark molto di
più se la cena con
l’Ark sarebbe andata a gonfie vele – i due
s’incamminarono nella notte.
O, più precisamente, lungo
il pezzo di strada che separava il
ristorante dalla macchina parcheggiata del moro.
“Vuoi andare da qualche
parte?” chiese a Clarke che, nel
frattempo, aveva tirato fuori dalla borsa uno scialle elegante e si era
coperta
le spalle.
“Non salto di gioia a
sprecare il mio tempo con te, Bellamy.”
“Ottimo”
replicò lui, sentendosi allo stesso modo.
Eppure, stasera, le cose non erano
andate poi così male come aveva
previsto.
Per lo meno non si erano azzannati;
non letteralmente.
E Raven aveva ragione: Clarke aveva
delle tette da capogiro;
sicuramente portava una quarta.
“L’importante
è che escogitiamo qualcosa prima di
Venerdì.”
Clarke schioccò la lingua.
“Ci abbiamo già
pensato. Siamo una squadra fantastica.”
“Ci hai appena fatti
sembrare come gli Avengers.”
“O come quei terribili e
inutili film su Wolverine.”
Bellamy ridacchiò.
“Ce ne sono davvero troppi.
Io sarei Xavier e tu
Magneto.”
“Sei tremendo”
disse Clarke, scuotendo la testa bionda.
“Perché devo
fingere di stare con te?”
“Perché sono
disperato e perché la nostra fittizia vita sessuale
è
straordinaria.”
I due ragazzi raggiunsero una quattro
ruote, ben tenuta anche se
segnata dalle intemperie che Octavia, la sorella di Bellamy, non voleva
lasciargli vendere.
I lampioni, nascosti dagli imponenti
edifici e da qualche albero
sparso, non riuscivano a illuminare tutto il veicolo.
Bellamy aprì cortesemente
la portiera alla bionda e si diresse al
posto di guida, facendo una giravolta.
“Non vorrei fare il
pessimista della situazione” affermò,
accendendo il motore e inserendosi in mezzo al traffico.
“Ma che succede se qualche
pezzo grosso mi chiede i dettagli e le
nostre storie non coincidono?”
Clarke tirò su col naso,
picchiettandosi il mento con le dita.
“Possiamo sempre dire che ci
siamo sbagliati. Nessuno farà caso a
noi.”
“Difficile non notare una
coppia di piccioncini che aspetta solo di
prendersi a coltellate nel bel mezzo della cena.”
Lei grugnì.
“Ho ancora bisogno di sapere
di più sul tuo lavoro, credo. Se devo
sembrare informata su qualunque cosa tu stia passando il tuo tempo a
fare,
dovrai apparire più entusiasta al riguardo.”
“Io sono entusiasta!”
protestò Bellamy, ma alla
fine concordò silenziosamente con lei.
“Forse le cose dovrebbero
seguire entrambe le direzioni. Che
succede se qualcuno mi chiede del tuo, di
lavoro?”
Clarke lavorava per il procuratore
distrettuale quando non era
impegnata a dipingere qualsiasi parete di casa sua o a irritare Bellamy
a
morte.
Lei era una delle due persone che
esercitavano in quell’ufficio;
non che l’altra dipendente fosse stata tanto diversa dalla
bionda.
Lexa o il Comandante,
come tutti la chiamavano –
avevano tentato di spiegargli il motivo durante il suo primo anno di
college,
senza successo – era intelligente, come Clarke, ed era
spaventosa, come Clarke,
e astuta, forte e pragmatica, come Clarke, ma c’era una
sfumatura bianca e nera
nel modo di pensare di Lexa che Bellamy dubitava Clarke potesse
condividere.
Non era sicuro del perché
si fosse inaspettatamente concentrato su
Lexa mentre scortava la bionda a casa, ma non se ne
preoccupò più di tanto.
La voce di Clarke, chiara e distinta,
infranse le sue
fantasticherie.
“Allora digli che ho
cominciato a lavorare subito dopo aver finito
il college – forse gli piacerà, dato che non
è una cosa da tutti. Inizialmente
mi ero inscritta a medicina” aggiunse “ma le
circostanze sono cambiate e le
opportunità di leadership si sono ampliate e scienze
politiche era l’unica
strada da percorrere, l’unico modo per eccellere,
l’unica possibilità per
sopravvivere.”
Bellamy non poté non
sorridere di fronte a quella dichiarazione
quasi teatrale.
“La Principessa è
una sopravvissuta?”
“La Principessa”
disse
Clarke, tra i denti “è più di quello
che pensi. Ha anche bisogno di essere
lasciata a casa di Raven.”
“Saltiamo la parte del bacio
della buonanotte e andiamo
direttamente al punto in cui lo racconti a tutti i tuoi amici,
eh?”
Clarke roteò gli occhi
– e Dio, la ragazza doveva avere una forte
propensione a farlo perché non appena Bellamy
cambiò corsia, stringendo
fermamente il volante, comprese che era una delle solite cose che
faceva quando
stava con lui.
Lei roteava gli occhi, borbottava tra
i denti o si lamentava o
perdeva la testa o gli gridava contro.
Non c’era alcuna
possibilità che ce l’avrebbero fatta.
“Ti propongo una
cosa” annunciò, non appena gli venne in mente
un’idea. “Perché non ci incontriamo
un’ultima volta prima della cena, giusto
per essere sicuri che la storia combaci?”
“Pensavo fossi
più il tipo che trascura gli eventi e improvvisa.”
“Lo sono” ammise,
un lato della bocca sollevato verso l’alto.
“Ma questa
è politica, Principessa.”
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Capitolo 2 *** Capitolo Due ***
Due
Treesome o
A Bellamy Blake piace
il jazz
Bellamy accompagnò Clarke
davanti all’appartamento di Raven,
aprendole nuovamente la portiera e continuando a fissarla con quel
ghigno
divertito e ambiguo che tanto le urtava i nervi.
La bionda gli diede velocemente la
buonanotte, scappando
all’interno del palazzo e continuando a percepire dietro la
propria schiena lo
sguardo indagatore e rovente del moro.
S’infilò dentro
l’ascensore, pigiando insistentemente con l’indice
della mano destra il terzo bottone dorato e sospirò di
sollievo quando vide le
porte della cabina chiudersi di colpo.
Non fece in tempo a cacciare fuori una
scarpa che si ritrovò
Raven, in piedi e scalpitante, davanti alla soglia di casa.
“Com’è
andata?” chiese a Clarke, dischiudendo soddisfatta le
labbra polpose e ben proporzionate.
“Ho visto che è
ancora vivo.”
“Ci hai spiato dalla
finestra?” domandò sconcertata la bionda,
togliendosi lo scialle e attraversando l’androne per fermarsi
di fronte alla
mora.
Per un momento se la
immaginò nascosta dietro le tende, munita di
binocolo e macchinetta fotografica.
“Certo” ammise
tranquillamente lei, sollevando appena le spalle.
“Non che ci fosse tanto da
spiare, lì sotto. L’unica parte
interessante è stata quella in cui te la davi a gambe e per
poco non cadevi
dallo scalino del marciapiede.”
“Smettila di viaggiare con
la mente nello spazio” replicò la
ragazza, facendosi largo dentro l’appartamento.
“Comunque, non lo so
com’è andata.”
“Nessun bicchiere
lanciato?”
Clarke scosse la testa.
Raven sembrò seriamente
impressionata.
“Però! Il galateo
delle buone maniere non ha più segreti per voi
due. E…?”
“E vuole che ci rivediamo
per studiare meglio i dettagli prima di
Venerdì.”
“Allora è andata
una meraviglia.”
“Sì,
forse” borbottò Clarke, titubante.
Seguì Raven attraverso il
corridoio fino alla cucina, notando solo
in quel momento l’outfit informale della ragazza: pantaloni
della tuta e
canottiera bianca.
Doveva essersi cambiata dopo il
lavoro, anche se, generalmente,
gli abiti che usava per la palestra non si distaccavano tanto da quelli
che
aveva addosso.
La bionda avvertì un forte
aroma di frutti tropicali, segno che
Raven si era fatta anche la doccia.
Entrarono in salotto, sedendosi
entrambe sopra uno dei divani
color cachi che riempivano la stanza illuminata dalle luci artificiali
delle
piantane.
“A parte il fatto che
è un coglione colossale e trae piacere dal
farmi perdere la pazienza; perché ha deciso di portarmi alla
cena, se non mi
sopporta? Perché mai diresti che ci odiamo?”
“Tu e Bellamy?” si
accertò Raven, afferrando una mela dalla
scodella della frutta e dandole un morso mentre Clarke annuiva.
“Non lo so. Penso sia per la
testardaggine che avete in comune e
le caratteristiche da leader – in più, sai, la
strana tensione sessuale.”
Clarke la fissò,
meravigliata.
“Non c’è
tensione sessuale.”
“L’ho beccato
più volte a fissarti il sedere. E non sembrava
affatto disposto a smettere.”
“Raven.”
“So come mi
chiamo” borbottò lei, continuando a sgranocchiare
la
mela.
“Perché no? Lui
è un ragazzo carino. Tu sei una ragazza carina. È
una cosa normale. E nessuna donna sana di mente si sarebbe mai
fatta
scappare un falso appuntamento con Bellamy Blake.”
Clarke stava per replicare che non
sarebbe stata attratta da
Bellamy Blake nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo presente
sulla terra e che,
piuttosto, lo avrebbe fatto fuori lei stessa al fine di preservare pura
la
specie umana ma un curioso dettaglio catturò la sua
attenzione, facendole
morire in gola qualsiasi parola di dissenso.
C’era un cappotto nero,
appallottolato a casaccio sotto il divano.
Lo raccolse da terra e si rivolse a Raven.
“È
nuovo?”
“Oh Dio, avevo dimenticato
che fosse qui!”
La mora tirò fuori il
cellulare da dentro una delle tasche dei
pantaloni e digitò rapidamente un messaggio.
Clarke sollevò un
sopracciglio.
“Di chi..?”
“Un’amica della
palestra deve averlo dimenticato qui dopo cena”
rispose vaga e il suo telefonino vibrò un paio volte. Poi
tre. E infine altre
due.
“Tutto bene?”
chiese la bionda.
Raven si morse il labbro, impedendosi
di sorridere a trentadue
denti.
“Mi ha appena scritto
Bellamy. Ha detto che avevo ragione.”
“Su cosa?”
“Le tue tette
grandiose” rispose, spalancando gli occhi color
nocciola.
“E che sei la ragazza
perfetta per il lavoro.”
Clarke fece finta di non aver
ascoltato la prima parte
dell’affermazione.
“Porterò a
termine questa specie di pagliacciata solo perché ti
devo un grosso favore che mi hai
obbligato ad accettare
tramite il senso di colpa. Non voglio che ci siano fraintendimenti o
altro.
Passare del tempo con Blake non mi procura alcun tipo di
piacere. Io lo
so, tu lo sai.”
“Stai facendo una buona
azione, però. Il tuo aiuto gli serve
davvero tanto. Lo capisci…vero?”
La bionda sospirò,
arricciando le labbra sottili davanti alla
faccia da cane bastonato di Raven.
“Lo so.”
Raven annuì, mollando i
resti della mela sul bancone.
“Sono seria. Questo lavoro
sarebbe una grossa opportunità, per
Bellamy: è internazionale, tratta di storia classica e
offre soldi
buoni e potrebbe vedere Octavia tutte le volte che
torna a…perché mi
guardi così, Clarke?”
“Così,
come?”
“Conosco quello
sguardo” – insistette Raven, esortandola con uno
schiocco di dita.
“È quello sguardo
alla Miss Marple che tiri fuori
quando pensi a qualcosa di terribile e geniale. Sputa il
rospo.”
Clarke restrinse gli occhi azzurri.
“Perché hai
detto soldi buoni in quel
modo?”
“In che modo?”
chiese Raven ma la bionda sapeva di aver fatto
centro.
Dopo alcuni minuti e un sospiro
profondo, Raven affermò: “Giusto
per chiarire, l’unico motivo per cui Bellamy ha problemi con
te è per l’intera
faccenda de “la ricca e il povero”. Lo
so che non è colpa tua”
aggiunse in fretta, non appena Clarke provò a controbattere,
“ma da quello che
mi è stato raccontato, Bellamy non ha avuto esattamente
un’infanzia felice.”
“Cosa? Per sua
sorella?”
“Octavia?”
Raven sorrise.
“L’ha praticamente allevata lui.”
“E allora
perché?” domandò ancora Clarke.
La mora agitò la testa.
“Non stiamo parlando di
qualcosa di mio. Ti dirò solo che
il padre – o padri, al
plurale – non stava con loro e che la
madre lavorava fin troppo. Morì non appena Bell
entrò al college che avrebbe
volentieri mollato per prendersi cura di O, ma lei lo forzò
a rimanere. Si
trasferì con lui terminando gli studi – che
riuscirono a pagarsi perché
Bellamy, nel frattempo, si era laureato con il massimo dei voti e
Octavia era
andata alla Brown. Quindi, qualsiasi tipo o forma di
stabilità economica non ha
mai raggiunto quella famiglia.”
“È per questo che
mi chiama Principessa? Perché pensa che la mia
vita sia sempre andata avanti senza problemi?”
Raven allungò una mano
dalla carnagione olivastra e strinse quella
pallida dell’amica.
“Lui non sa niente di te,
Clarke. Non sa di tuo padre, di Wells
o…” farfugliò.
Loro due sapevano, però.
“Hai ragione”
sussurrò la bionda, deglutendo nervosamente e
spostando lo sguardo da un lato all’altro della camera.
Accarezzò la mano di Raven
prima di lasciarla andare e si aggiustò
la maglietta.
“Adesso che abbiamo
ripassato le mie tragedie esistenziali e
quelle di Bellamy, è possibile parlare
d’altro?”
Raven annuì.
“Tutto quello che vuoi.”
Il suo cellulare vibrò di
nuovo.
“Ancora Bellamy”
commentò, fingendosi annoiata.
“Sta chiedendo se domani
sera potete cenare di nuovo insieme.
Magari con me. Così possiamo lavorare alla storia di
copertura.”
Clarke aggrottò la fronte.
“Abbiamo già una
storia di copertura.”
“Immagino sia da aggiustare,
per questo vuole vederci.”
Supponendo che Raven avesse ragione,
la bionda ripassò mentalmente
i suoi programmi lavorativi.
“Non ho nulla da fare fino a
pranzo.”
Raven grugnì.
“Bellamy odia l’idea
di pranzare fuori. Sono
abbastanza sicura che te l’abbia accennato.”
“L’ha
fatto” ammise Clarke, sorridendo. “Possiamo sempre
cenare
insieme, allora.”
Raven sollevò un
sopracciglio.
“Cenare con Bell per due
sere di fila? Voi due vi state davvero frequentando.
E dovreste seriamente scambiarvi anche i numeri di telefono, o invece
che una
storia a due sarete costretti a fingere una relazione a tre. Non che la
cosa mi
dispiaccia” le disse, facendole l’occhiolino.
“Sei così
divertente. Sto ridendo fragorosamente. Giuro.”
“Certo, Clarke.”
…
Bellamy parcheggiò la
macchina sul marciapiede opposto al palazzo
dove abitava Raven, scorgendo dallo specchietto retrovisore la
familiare sagoma
di una ragazza bionda che camminava speditamente stringendo in mano una
cartelletta di plastica semitrasparente.
Diede un colpo di clacson deciso,
sporgendosi dal finestrino
mentre la ragazza si bloccava sul posto, sobbalzando appena.
Quando scese dall’auto e le
fu sufficientemente vicino, la vide
socchiudere gli occhi e puntare saldamente i piedi a terra come un
soldato che
si preparava a serrare i ranghi poco prima di un attacco nemico.
Clarke indossava ancora i suoi vestiti
da lavoro: un’immacolata
camicetta color cipria infilata dentro una gonnellina nera, costose e
pratiche
scarpe col tacco – pratiche come potevano essere le scarpe
col tacco – ai
piedi.
La differenza d’altezza tra
lei e Bellamy continuava a essere
significativamente notevole, dato il suo metro e ottanta contro il
metro e
sessantacinque della bionda.
Non appena lui glielo fece notare,
Clarke commentò acida che era
meglio così, almeno non sarebbe stata costretta a guardarlo
in faccia mentre
stavano assieme.
Presero l’ascensore per
salire da Raven ma si scontrarono con la
ragazza scura una volta arrivati davanti all’appartamento.
“Non vedevi l’ora
di andartene, Rave” le fece notare Clarke.
“Va tutto bene? Siamo appena
arrivati insieme.”
Indossando la scarpa sinistra, la mora
replicò “Sì, è
meraviglioso – nessun riferimento a The
Lego Movie, Bellamy.”
“Non ho mai visto The
Lego Movie.”
“Oh, sì invece
– tu, io e Miller – lo scorso weekend.”
Raven si voltò verso
Clarke. “Il tuo finto ragazzo è un completo
nerd.”
Si raddrizzò, facendo
passare una mano tra i capelli sottili,
tenuti indietro da una coda ordinata e li affrontò entrambi
a viso aperto.
“C’è
stato un piccolo contrattempo perciò non potrò
restare a cena
con voi ma – non fare quella faccia,
Clarke –
troverete un paio di biglietti attaccati al frigo per questo concerto
Indie
al The Dropship. Prendeteli, andate
all’appuntamento, inventate la
vostra stronzata e chiamatemi domani mattina!”
Detto ciò, dopo un pugno
ben assestato alla spalla di Bellamy,
saltò dentro l‘ascensore, lasciando i due amici,
soli, davanti alla porta
dell’appartamento.
Clarke guardò il ragazzo,
leggermente basita.
“Ti sei accorto anche tu che
qualcosa non quadra?”
Bellamy sollevò un
sopracciglio. “Sapevi che si vede con
qualcuno?”
Dall’espressione
meravigliata sul suo viso, il moro ipotizzò
che no, Raven non le aveva comunicato quel
piccolo dettaglio
particolare.
“Sì, ci sono
rimasto anch’io” commentò, in modo
burbero.
Poi, puntò gli occhi scuri
sulla porta di casa dell’amica, dietro
le spalle della bionda.
“Allora, vuoi andare a quel
coso…al The Dropship?”
Clarke si morse un labbro.
“Sì, sicuro, perché no?”
Questa è la storia di come,
un’ora più tardi, Bellamy e Clarke si
ritrovarono incastrati in mezzo a un centinaio di persone dentro a una
minuscola e sudicia sala, mentre la musica metallica vibrava a un ritmo
tale
che Bellamy avrebbe senza dubbio definito di pessimo gusto.
Dopo circa dieci minuti e a
metà della terza canzone
agghiacciante, il ragazzo si piegò verso Clarke e le
sussurrò all’orecchio:
“Fanno abbastanza schifo.”
Lei sospirò profondamente e
annuì.
“Qui non posso litigare con
te.”
“Conosco un locale di musica
jazz piuttosto bello, vicino al
Museo” le suggerì. “Ti andrebbe di
dargli un’occhiata?”
Clarke sembrò confusa.
“A Bellamy Blake piace il
jazz?”
“Sono pieno di
sorprese.”
“Sai ballare?”
domandò lei, mentre lui si girava a fatica, in
cerca dell’uscita.
“Abbastanza per mia sorella,
credo. Lei danzava molto. In realtà,
le ero utile solo perché la facevo roteare”
confessò. “Ma so cucinare piuttosto
bene.”
Clarke ridacchiò.
“Oh cavolo, io no. Brucio
tutto quello che tocco, acqua compresa.”
“E ti eri pure iscritta
a Medicina?”
Lei rise di nuovo e lo spinse via.
“È
diverso” protestò.
“Come?”
“Curare una coltellata
è più semplice che cucinare gli spaghetti
alla Carbonara, per esempio.”
Bellamy non batté ciglio.
“Stai scherzando.”
Lei scosse la testa bionda, quasi
orgogliosamente.
Raggiunsero la macchina del moro che
ripeté il gesto di aprire la
portiera a Clarke; ma una volta che i due si furono sistemati e
instradati, lui
non riuscì a lasciar correre l’argomento.
“È ridicolo;
lo sai? Che cosa dovrei raccontare al mio
capo? – Buonasera, Dottor Kane. Questa è la mia
fidanzata, Clarke. Può suturare
qualsiasi ferita da accoltellamento a occhi chiusi e acciuffare senza
fatica il
colpevole ma Dio ce ne scampi, se si mette ai fornelli a
cucinare.”
Clarke sorrise divertita, evitando di
prenderlo a pizze sulla coscia.
“Sì,
Dottor – com’è? – Kane.
Dovrebbe assolutamente
assumere il mio Bellamy. È tanto esperto di jazz quanto di
storia e fa parte
della Crew di ballo della famiglia Blake. Lo amo così tanto.”
Bellamy la fissò di
traverso mentre sfrecciava lungo la strada.
“Mi ami così tanto,
uh?”
“Non posso odiarti tutto il
tempo.”
Lui si ritrovò a sorridere.
“No, sono troppo bravo a
ballare.”
Il locale di jazz era pieno come un
uovo e la band suonava con
trasporto, riempiendo la stanza di calore e intimità.
Bellamy aveva sempre catalogato Clarke
come un tipo da musica
classica o da pop commerciale o da tutte e due, perché
assolutamente lo
sembrava, ma quando la vide ondeggiare con i fianchi a ritmo di musica,
come se
fosse stata la cosa più naturale e facile del mondo, con uno
dei sorrisi più
teneri stampati sul viso, capì che forse, dopotutto, anche
il jazz le calzava
bene.
“Sai, dicono che il jazz si
riferisca meno all’ascolto e più al
sentimento” le bisbigliò, alitandole sul collo.
La bionda sollevò le
sopracciglia.
“Dicono?”
“Ok, ok. Dico.”
La bocca di Clarke si
allargò. “È una
cosa…”
“Presuntuosa?”
suggerì Bellamy, che già ne era consapevole
poiché
tutti lo prendevano sempre in giro.
Clarke non lo fece.
Scosse la testa e obiettò
con voce gentile: “No, penso che sia una
cosa dolce.”
Lui sorrise – non era la
prima volta, accanto alla ragazza – e
quando se ne rese conto, fu colto alla sprovvista.
Si stava divertendo? Con Clarke
Griffin?
Per insabbiare il tutto, fece finta di
controllare l’ora.
“Siamo sentimentali,
Principessa? L’orologio non segna ancora la
mezzanotte.”
Lei alzò gli occhi al cielo.
Erano tornati alla
normalità.
…
“Cerca di
non scambiare tutto questo per
un servizio di taxi con cena inclusa, Principessa.”
Clarke si slacciò la
cintura di sicurezza.
Bellamy l’aveva accompagnata
a casa dopo aver passato la serata a
ballare e a chiacchierare al locale.
Scoprì che era davvero un
bravo ballerino, mentre lei non lo era
per niente – sempre che i balli studenteschi non contassero
qualcosa.
Adesso lui le stava sorridendo
– un vero sorriso – e Clarke non
credeva fossero stati quei due drink di troppo che si erano scolati, a
farla
divertire con Bellamy Blake.
Gli fece la linguaccia.
“E tu smettila di fare
sempre la stessa cosa, allora.”
Bellamy annuì.
“Sì, certo, come ti pare.”
Clarke aprì la portiera, ma
un attimo prima di scendere si voltò
indietro a guardarlo.
“Grazie per stasera,
Bellamy.”
Il ragazzo percepì la
sincerità nella voce della bionda e annuì di
nuovo.
“Stessa cosa per te,
Principessa.”
“Ci vediamo alla cena
ufficiale, quindi?”
“Ti passo a prendere
prima” si offrì lui. “Inizia alle sette,
perciò sarò qui intorno alle sei e mezzo. Va
bene?”
Clarke sorrise.
“Sembra perfetto. Oh, giusto
perché tu lo sappia” aggiunse “ho
salvato il mio numero tra tuoi contatti mentre stavi prendendo da
bere.”
Bellamy la fissò.
“Principessa, questo
è piuttosto inquietante.”
“Beh, almeno adesso puoi
chiamarmi se ci sono dei cambi di
programma” rispose Clarke, uscendo dal veicolo.
“Anche se non ci sono.”
“Giusto.”
Bellamy contrasse le labbra carnose.
“Sei e trenta,
Venerdì sera – non scordarti o ti farò
cucinare
qualcosa per punizione.”
Clarke sospirò, stavolta
più affettuosamente.
“Lascerò a te
quell’incombenza.”
“A Venerdì,
Principessa.”
“A
Venerdì.”
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Capitolo 3 *** Capitolo Tre ***
Tre
Il Galà o
Un fan di Taylor Swift
Clarke si stava
esaminando, meticolosa, davanti allo specchio a figura intera accanto
alla
porta, quando percepì la voce penetrante di Bellamy filtrare
dal corridoio.
Era in perfetto
orario e stava spettegolando al telefono con Nathan Miller –
il suo migliore
amico – di tutte le persone che sarebbero state presenti
quella sera al galà.
“Sterling e Mel?”
mormorò, ridacchiando.
“Certo che stanno
ancora insieme per i soldi; il sesso non è mai stato il loro
forte.”
Clarke arricciò il
naso per lo sdegno.
“Sì, se
vedrò
qualche paleontologa sexy ti organizzerò un
incontro.”
Miller rispose
qualcosa, lasciando la bionda in sospeso mentre origliava da dentro la
stanza,
trattenendo il fiato.
“No, sarò troppo
concentrato sul mio appuntamento perché possa
accadere.”
Un minuto di
silenzio.
“E da quando? Di
solito sono le donne a cadere ai miei piedi.”
Clarke si lasciò
sfuggire una risatina sarcastica e si voltò
un’ultima volta per controllarsi
allo specchio.
L’avrebbe data a
bere a tutte quelle persone? Uno storico l’avrebbe davvero
frequentata?
Aveva raccolto i
capelli biondi in uno chignon disordinato e il makeup minimale
– un filo
di eyeliner e un rossetto rosso – le risaltava perfettamente
la carnagione
rosata e gli occhi azzurri; per non parlare del vestito riesumato che
sua madre
le aveva regalato ai tempi del college: bianco antico, lungo sino alle
ginocchia, con tacchi abbinati.
Anche quelli erano
stati un regalo della madre; abbastanza costosi da vantare un paio di
lucide suole
rosse.
Se Bellamy voleva
dipingerla come una principessa, lei si sarebbe presentata come tale,
al fine
di dominare la situazione a suo vantaggio.
“Sì, ho trovato
qualcuno!” stava raccontando Bellamy a Miller, quasi
entusiasta.
“Clarke Griffin.”
Clarke poteva
sentire le imprecazioni sorprese di Miller attraverso il telefono,
dall’altra
parte della camera.
Raccolse la
borsetta e aprì la porta proprio mentre Bellamy affermava:
“No, sono sicuro che
andrà tutto bene.”
Strappò il
cellulare dalla presa del suo finto fidanzato e ripeté a
Miller: “Andrà tutto
più che bene. Sarà fantastico.
Vai a nanna, Nathan.”
Poi terminò la
chiamata e si voltò verso Bellamy, che la stava guardando da
capo a piedi con
espressione meravigliata.
“Pronto ad andare?”
Lui si schiarì la
gola e annuì.
“Sì –
certo. Ti sei
ripulita per bene, Principessa.”
Clarke si regalò
qualche secondo per studiare il ragazzo con attenzione, dai ricci scuri
sopra
la testa al completo fatto minuziosamente su misura, sino alle scarpe
eleganti.
“Non sei tanto male
nemmeno tu.”
Lui le fece
l’occhiolino, poi le avvolse la vita con un braccio.
“Da adesso in poi,
ti amo.”
Lei gli mostrò il
suo sorriso migliore.
“Ed io amo te,
Bellamy Blake.”
…
L’Ark Enterprises
non scarseggiava certo di fondi, perciò la scelta di una
sede regale si
armonizzava perfettamente con l’ambiente raffinato e
ricercato – una sala da
ballo arricchita da un altissimo soffitto di cristallo con portoni che
davano
su un lussureggiante cortile, abbastanza grande da poter ospitare
cerimonie
nuziali per sposi abbienti.
Bellamy parcheggiò
l’auto a un isolato di distanza e
s’incamminò al fianco di Clarke.
Ripassarono il loro
piano: cosa avrebbero dovuto rispondere a questa o a quella domanda,
finché non
si ritrovarono dinanzi al portone dove il ragazzo, ancora una volta,
circondò
la vita della bionda con un braccio – puntuale come un
orologio.
La prima persona
che si avvicinò loro fu un uomo alto, dai lineamenti marcati
e dai capelli
scuri – il famoso Dottor Kane.
Diede a Bellamy una
stretta di mano decisa.
“Come stai,
figliolo?”
“Sto bene, grazie.
Felice di essere qui. Oh” puntualizzò Bellamy,
spostando l’attenzione del
potenziale datore di lavoro sulla ragazza che lo accompagnava.
“Dottor Kane,
questa è la mia fidanzata, Clarke.”
Clarke gli porse
una mano.
“Piacere di
conoscerla, Dottor Kane. Ho sentito molto parlare di lei.”
“Solo cose buone,
spero” disse il Dottor Kane, stringendo la mano della bionda.
“E ti prego,
chiamami Marcus.”
Clarke ricambiò il
sorriso e ci fu un momento di confortevole silenzio prima che qualcuno,
attraversando la sala, gridò: “Marcus –
abbiamo bisogno della tua opinione da
esperto riguardo alle differenze tra Umanesimo e
Rinascimento!” e il Dottor
Kane si scusò con Bellamy e Clarke prima di voltarsi per
raggiungere il gruppo.
“Beh, l’inizio
è
stato buono” sussurrò il ragazzo a Clarke.
Lei fece una
risatina. “Sono io, o quello è decisamente un
argomento di
conversazione piuttosto improbabile?”
“Cosa, le
differenze tra Umanesimo e Rinascimento?”
“Già –
non ti suona
un po’ troppo forzato?”
Imitò la voce della
donna che aveva appena chiamato il Dottor Kane, simulando un orribile
accento
francese: “CaVo, sto peV zittiVe
l’inteVa sala dentVo a una stanza supeV
affollata così che tutti sappiano quale elaboVata
conveVsazione stiamo perV
aveVe! – Mi divertirò un mondo!”
Bellamy alzò gli
occhi al cielo, senza riuscire a non lasciarsi scappare un ghigno
divertito.
“Non hai tutti
i torti.”
“Non sbaglio mai,
Bellamy” rispose Clarke, autorevolmente, incontrando il suo
sguardo.
“Prima regola della
nostra relazione.”
Di nuovo, il
ragazzo alzò gli occhi al cielo.
“La prima regola
della nostra relazione, Principessa,
è che chi siamo e
chi dobbiamo essere per
sopravvivere a questa situazione
atipica, sono due cose completamente diverse.”
“Beh, è vero. Non
posso sapere come sei, quando non stiamo insieme.”
“Ahi,
Blake!
La tua fidanzata è intransigente!”
Bellamy si girò per
vedere chi aveva parlato e improvvisamente, sul suo volto, si
manifestò
un’espressione da stanco genitore preoccupato.
“Clarke Griffin, ti
presento Jasper Jordan. Sta facendo tirocinio presso il laboratorio
forense
dell’Ark che spera possa diventare un lavoro a tempo pieno.
Jasper, questa è
Clarke – lavora per il Procuratore Distrettuale.”
Jasper, il tipo di
ragazzo che ti abbraccia subito dopo averti conosciuto, sorrise
raggiante a
Clarke.
“Dev’essere
divertente…risolvere casi e roba del genere. Come sei finita
assieme al nostro
irritabile, vecchio Blake, qui?”
Bellamy e Clarke si
scambiarono un cenno d’assenso.
“ – Pura
fortuna.”
“ – Una
surrealista
Svizzera.”
La bruna vicino a
Jasper corrugò la fronte.
“Una surrealista
Svizzera?” domandò a Clarke.
La bionda annuì.
“Oppenheim. La
galleria in centro aveva uno dei suoi pezzi esposti qualche mese fa ed
è così
che ho conosciuto Bellamy – stava litigando con un
impiegato.”
“Mettiamo in chiaro
una cosa: avevo ragione io”
intervenne Bellamy.
“Aspetta, non
l’opera ritrovata dalla Wallace & Co.” si
accertò la ragazza di Jasper.
“Proprio quella”
rispose Clarke.
Jasper le sorrise
nuovamente. “È fantastico! Maya lavora
là!”
Bellamy e Clarke si
scambiarono un altro cenno; questa volta leggermente innervosito.
Il braccio del moro
strinse più forte la vita della bionda.
“Oh, davvero?”
la sollecitò Clarke, con gli occhi azzurri che brillavano.
Si scansò dal
fianco di Bellamy e posò una mano sulla spalla della bruna
– di Maya.
“È
pazzesco!”
Poi si voltò in
direzione di Bellamy e Jasper.
“Vi rubo Maya per
qualche minuto. Voi due cercate di tenervi fuori dai casini.”
La bionda si fece
più vicina a Jasper.
“Sto parlando con
lui più io che te. Tienilo d’occhio, ti
spiace?”
Il petto di Jasper
si gonfiò.
“Sarebbe un onore,
signorina.”
Clarke annuì con
devozione e fece l’occhiolino a Bellamy.
“Ci ritroviamo
più
tardi.”
Quindi era quella
la loro strategia – dividi e conquista.
…
Una volta che
Jasper se ne fu andato, Bellamy si ritrovò a conversare con
una ragazza di nome
Harper, con cui aveva già lavorato in precedenza e che non
sembrava provare
molta simpatia per Jasper.
Bellamy non sapeva
se darle ragione o meno.
“Chi è la bionda
con cui sei arrivato, quindi?” gli chiese Harper,
sorseggiando dello champagne
che aveva agguantato da un vassoio da portata.
“Sembra molto
ricca. Hai notato le Louboutin?”
Per un ragazzo come
lui, con una sorella come Octavia, era stato davvero difficile non fare
caso alla famosa marca di scarpe.
Ma comunque,
Bellamy non si era soffermato troppo sui piedi della bionda.
“Si chiama Clarke”
rispose.
La sua compagna
stava ancora parlando con Maya e adesso anche con Jasper, che aveva
portato
alle ragazze da bere.
“Fidanzata?”
domandò Harper.
“Come l’hai
capito?”
“Dal tono della tua
voce” gli spiegò. “In più,
Connor e John ne stavano chiacchierando prima.”
Bellamy sollevò
entrambe le sopracciglia. “Murphy è qui?”
Harper rise.
“No, non John
Murphy; lui sta ancora cercando quella nuova fonte di energia di cui
gli
blaterava in continuazione Jaha. John Mbege.”
“Oh – merda!
– dove
diavolo sta? Mbege è il miglior…”
Harper scosse le
spalle. “Credo sia andato via con Fox.”
Vedendo che la
bionda stava ritornando indietro, lo pungolò.
“A proposito di
volpi…piacere di conoscerti, Clarke. Sono Harper.”
Clarke fece un gran
sorriso, avvolgendo con un braccio il torso di Bellamy. “Dimmi che
lavori per l’Ark. O che ti piacerebbe.”
“Entrambe le
scelte” disse Harper. “Perché?”
“Finora ho
conosciuto solo uomini e non hanno fatto grandi cose per
contraddistinguersi
dal resto della mobilia.”
Bellamy alzò un
sopracciglio. “Ci sono anch’io.”
“E ho
ragione in questo momento, vero?”
protestò Clarke.
“Tutto quello
che vuoi, Principessa” rispose Bellamy, fingendo di
essersi stancato a
causa della discussione – mentre non
fingeva affatto quello strano
formicolio sul fianco, dove la bionda lo aveva toccato con la mano.
Si rivolse a Harper
e a Clarke, che stavano entrambe impugnando due bicchieri vuoti di
champagne.
“Prendo questi e ve
ne porto altri; poi possiamo fare un brindisi al femminismo. Che ne
dite?”
…
Clarke sapeva
di aver raccontato a Raven che suo padre, una volta, aveva esercitato
per una
società simile all’Ark;
ma la verità era che Jake Griffin
aveva lavorato dentro l’Ark Enterprises stessa.
Se la ragazza non
avesse sentito intimamente quel profondo senso del dovere, avrebbe
sicuramente
iniziato a correre, da sola o al fianco di Bellamy, non appena i suoi
occhi
incontrarono il cipiglio pensieroso di Thelonious Jaha.
Quella fu la
ciliegina sulla torta: quando le cose le erano finalmente sembrate
abbastanza
tollerabili da fingersi la fidanzata di Bellamy, l’universo
aveva dovuto
gettarle contro il migliore amico del padre defunto.
Per non parlare del
fatto che il suddetto migliore amico era stato anche l’ex
socio in affari di
Jake Griffin.
In breve – non era
per niente contenta di vederlo. E lui sembrò parecchio
sorpreso nel vedere lei.
Si maledì per aver
lasciato indietro Bellamy e gli altri due che aveva appena conosciuto.
“Clarke?” si
accertò Thelonious, come se la bionda fosse stata una specie
di morta che
cammina. “Che cosa ci fai qui?”
“Non sono
un’archeologa” rispose lei, velocemente.
“Ho accompagnato
Bellamy Blake.”
Per sicurezza,
Clarke fece un cenno in direzione del suo finto fidanzato, che nel
frattempo
stava conversando animosamente con i due amici che le aveva introdotto
prima
come Monroe e Sterling.
Bellamy sembrava
avere una forte propensione nel chiamare le persone con i loro cognomi.
Theloniuos lo fissò
attraverso la sala.
“Oh – Marcus mi
aveva menzionato il suo notevole curriculum.”
“Proprio quello di
Bellamy.”
Non poteva non
essere un poco fiera di lui.
L’uomo di colore
sollevò un sopracciglio. “È il
tuo…?”
La parola fluttuò
nell’aria in mezzo a loro, facendo eco a ciò che
non era stato ancora detto.
– Più
di
quanto lo era Wells. Più di quanto sarebbe potuto esserlo
Wells.
Il respiro di
Clarke le s’incastrò in gola.
“Sì”
riuscì a
sussurrare.
Thelonious apparve
confuso.
“Abby non me ne ha
mai parlato…”
“Mia madre non lo
sa” affermò Clarke.
“Io e lei…non
siamo
rimaste molto in contatto. Non negli ultimi due anni.”
Corrugò la fronte.
“Ma tu lo sai già, questo.”
Come durante il
precedente incontro con Marcus Kane, qualcuno chiamò
Thelonious dall’altra
parte della sala, all’improvviso.
Lui se ne accorse,
ma non diede segno di volersi separare da Clarke.
“Non ti dispiace?”
le domandò, indicando con un cenno il mittente.
“No” rispose
Clarke, che si sentiva come se stesse ancora annegando, “vai
pure. Io dovrei
tornare da Bellamy, in ogni caso.”
Bellamy doveva
essersi accorto che qualcosa non quadrava quando il sorriso felice di
poco
prima si dissolse dal viso della bionda.
Si allontanò da
Monroe e Sterling e la placcò, posandole una mano sopra
ciascuna spalla.
“Clarke, che
c’è
che non va?”
Lei si era imposta,
come regola generale, che non si sarebbe mai messa a piangere davanti a
Bellamy
Blake, nemmeno di fronte alla più tragica delle catastrofi.
“Niente. Sto bene,
è che – conosco il tuo capo. Jaha.”
“Oh…”
sospirò
Bellamy, un po’ confuso. “Lo conosci?”
“È un vecchio
collega di lavoro di mio padre” gli disse. “Ero
molto amica di suo figlio.”
Bellamy annuì.
“Giusto.”
Fecero un altro
giro della sala, durante il quale Bellamy osservò parecchie
volte Clarke e la
metà di queste non era stata per convincere nessuno.
Lui si era
confrontato con moltissimi pezzi grossi, con gli emergenti e perfino
con i
rivali e sembrava che anche Clarke avesse scoperto per caso uno o due
dei suoi
colleghi.
Dopo un momento di
silenzioso imbarazzo, il moro si avvicinò a lei,
sussurrandole all’orecchio:
“Sicura di stare bene?”
Clarke si tirò
indietro e lo affrontò.
“Sì, certo, sto
benone.”
“Perché siamo
rimasti abbastanza a lungo e ho parlato con tutti quelli di cui avevo
bisogno –
possiamo andarcene, se vuoi. A prendere la cena o
qualcos’altro.”
Lei restrinse gli
occhi azzurri.
“Perché fai
così?”
“Oh, non lo so,
perché hai fatto una cosa carina per me e adesso
voglio ricambiarti il
favore?”
Perché sembra
che tu stia crollando a pezzi. Questo lui
non lo disse, ma lei sapeva
che il moro l’aveva pensato.
Lui le stava
regalando una scappatoia e lei gli stava rovinando la serata e lui
era Bellamy
Blake e non sarebbe dovuto essere così
dolce nei suoi confronti.
“Coraggio,
Principessa” la sollecitò lui, qualche minuto
dopo, il tono di voce più
disinvolto.
Le mise un braccio
attorno alle spalle.
“Andiamo a ordinare
cibo da asporto e ad ascoltare allegra musica pop.”
“Perché
è questa la
ricetta del successo?” chiese Clarke.
“Non lo so. Però
funziona sempre.”
Saltò fuori che
Bellamy Blake conosceva a memoria tutte le parole delle canzoni
dell’ultimo
album di Taylor Swift.
Spiegò a Clarke che
era perché aveva una sorella e che una volta gli aveva
lasciato il cd in
macchina, ma quando Clarke aveva cominciato a canticchiare Out
of the
Woods, Bellamy si era unito a lei ripetendo il ritornello con
un entusiasmo
tale che mai gli aveva visto esprimere.
Il suo finto
fidanzato era un fan di Taylor Swift.
“In tutta
onestà”
le disse Bellamy, una volta parcheggiata la macchina e aver ritirato il
loro
takeaway “le uniche canzoni che troverai qui dentro sono dei
The Cure o di
Kanye. Taylor rappresenta il mio scivolone nella cultura del pop
eccessivo. Perché mi stai sorridendo?”
“Perché
è dolce”
rispose lei. “Il modo in cui pensi di doverti difendere da
me.”
“Non voglio che tu
ti faccia un’idea sbagliata. Ho una reputazione da
mantenere.”
“Una reputazione da
coglione colossale, forse.”
Lui la guardò in
cagnesco.
“Mi piaci di più
quando cerchi di farmi ottenere il lavoro.”
“Ce l’avresti
fatta
anche da solo, Bellamy.”
Lo guardò. “Non
hai
bisogno di me.”
“Ho sempre bisogno
di te, Principessa” replicò il moro
distrattamente, scavando dentro la busta di
plastica in cerca di qualcosa: un utensile per mangiare, forse, o la
ragione
del perché avesse detto quello che aveva appena detto
– ad alta voce – a Clarke
Griffin.
Soprattutto mentre
stavano ascoltando This Love.
Oh, Dio.
Lei non avrebbe
voluto parlare di quello che era successo con Jaha ma Bellamy sapeva
che
qualcosa era accaduto.
Il ragazzo decise
che non avrebbe tirato fuori l’argomento finché
Clarke non si fosse sentita
abbastanza pronta.
Mangiarono e
conversarono praticamente del nulla e poi lui la
riaccompagnò a casa.
Quando Bellamy si
accostò al marciapiede, entrambi si scambiarono
un’occhiata.
“Grazie per quello
che fai, Clarke.”
Sperava che la
bionda capisse quanto sincero suonasse.
Lei gli sorrise.
“Tutto qui? Serviva
solo fingere di essere fidanzati al galà? Hai bisogno di
altro?”
Bellamy scrollò le
spalle.
“C’è
una cena la
prossima settimana, ma non credo che ci sia bisogno che tu venga.
Adesso che
tutti ti hanno conosciuto e hanno capito quanto sei incredibile, le
cose
procederanno lisce come l’olio.”
“È divertente
quando lo dici” mormorò Clarke,
“perché sembra quasi che tu abbia passato
l’intera serata a vendere me e non te stesso.”
“Un finto fidanzato
soddisfatto non ha mai fatto male a nessuno, vero?”
Clarke scosse la
testa. “Non stasera.”
Lei raccolse il
contenitore vuoto della cena e la borsetta, posò una mano
sopra la maniglia
della porta, poi si voltò ancora una volta verso Bellamy.
“Ci vediamo quando
ci vediamo, allora?”
Lui sorrise a metà.
“Non se ti
vedo
prima io.”
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Capitolo 4 *** Capitolo Quattro ***
Quattro
Lo stratagemma
continua o
Come un film di Woody
Allen
Come ogni consueto Venerdì
sera, Clarke giunse a casa di Raven per
guardare un film.
Gli spettatori erano improvvisamente
aumentati di numero: oltre
alle due amiche, infatti, si aggiunsero Miller, Monty e perfino Lexa.
Il quintetto si radunò in
salotto, con le donne sul divano e i
ragazzi per terra.
Il sofà si
rivelò parecchio scomodo dato che la padrona di casa
aveva deciso di allungare le gambe e occupare gran parte dello spazio
vitale di
Clarke e Lexa.
Ma in qualche modo,
c’entrarono tutti.
La visione del film procedette senza
troppi problemi, dopo un
iniziale battibecco riguardo a quale genere fosse più adatto
alla situazione.
Con una commedia si rimaneva sempre
sul sicuro, perciò scelsero
quella, aggiungendo al piatto già pieno, un condimento di
sarcasmo e ironia.
C’era una regola, sul
Venerdì sera, secondo cui a nessuno era
consentito l’uso del cellulare, non prima della fine del dvd
ed era una regola
che Clarke stessa aveva imposto e fatto rispettare almeno diciassette
volte.
Miller, di solito, si dimostrava il
peggior trasgressore.
Certe volte si annoiava a
metà film e incominciava a cercare su
internet qualsiasi possibile spoiler sul telefilm del
momento (ultimamente
si era fissato con The Blacklist).
Raven era la seconda peggiore, subito
dopo Nathan, nonostante
fosse anche la più veloce nel colpire qualcuno in testa con
un cuscino per aver
scritto un sms.
Di conseguenza, quando il cellulare di
Clarke squillò, non fu
esattamente ben accetto.
“Giuro su Dio –
dovrai scusarti con Woody Allen dopo aver ignorato
quella cazzo di chiamata.”
La bionda non fece caso a Miller e
tirò fuori il cellulare per
vedere chi fosse il mittente.
“Cavolo. Devo rispondere.
È Bellamy” sussurrò a Raven, alzandosi
dal divano e spostandole una gamba.
“Non mettete in pausa
– sarò veloce.”
Si allontanò rapidamente
dalla stanza, non prima di captare la
voce smarrita di Monty che chiedeva per quale motivo Clarke ricevesse
telefonate da Bellamy Blake.
Premette il pulsante verde e si
accostò il telefono all’orecchio.
“Bellamy.”
“Principessa, ho bisogno di
te.”
Clarke si morse un labbro.
“Non sei alla
cena?”
“Esattamente”
rispose Bellamy, suonando leggermente disperato. “So
di aver detto che sarei stato capace di cavarmela da solo ma non avevo
calcolato che si sarebbero tutti innamorati della mia
fidanzata.”
“Faccio questo
effetto alle persone” scherzò lei, prima di
domandarsi se fosse davvero il momento adatto.
“Ascolta, quanto ci
metteresti a venire qui? Sei persone mi hanno
chiesto di te, incluso Kane.”
Clarke restrinse gli occhi azzurri.
“Perché stai
dando per scontato che mi presenterò e ti salverò
il
sedere?”
“Perché mi
ami” disse Bellamy, senza esitazione. “E sei quel
genere di persona che farebbe qualsiasi cosa per quelli che
ama.”
“Ho smesso di amarti la
scorsa settimana, Bellamy.”
Ci fu una pausa.
“Clarke, per
favore.”
Era spacciata.
“D’accordo, va
bene – dove sei?”
Con voce rotta dal sollievo,
affermò: “Vicino alla Stazione, a due
isolati da Raven.”
Clarke sollevò un
sopracciglio biondo, nonostante sapesse che lui
non poteva vederla.
“È perfetto.
Io sono da Raven.”
“Cosa? Mi
prendi in giro!”
“Proprio no. Sarò
lì tra venti minuti” disse, “e farai
meglio ad
aspettarmi all’ingresso.”
“Indossa qualcosa di
carino” replicò il moro, con lo stesso suo
tono di voce.
Poi, un momento dopo,
replicò: “Okay, a tra poco Principessa. Ti
amo.”
E Clarke rispose con un “Ti
amo anch’io” anche se attorno a lei
non c’era nessuno con cui dover fingere.
“Che cosa voleva
Bellamy?” domandò Raven, sedendosi sul divano non
appena la bionda tornò in salotto.
“Lo devo incontrare tra
venti minuti davanti alla Stazione”
annunciò autorevolmente. “Devi prestarmi qualcosa
di tuo.”
Monty e Miller rimasero positivamente
stupefatti.
“Non sapevo che tu e Bellamy
foste amici” sostenne Lexa, con
un’occhiata disorientata.
“Sono diventata la sua
fidanzata, in realtà” rispose Clarke, senza
preoccuparsi di spiegare quello che aveva appena detto.
Al contrario,
s’incamminò in direzione della stanza da letto di
Raven, seguita a ruota dalla migliore amica dai capelli corvini.
“Perciò, siete
tornati allo stratagemma del fidanzamento” dedusse
Raven, mentre Clarke rovistava dentro il suo armadio.
“Sì, ha bisogno
di me – tipo, adesso, quindi se
riuscissi a trovarmi un vestito adeguato sarebbe grandioso.”
Raven sollevò un
sopracciglio.
“Pensavo non potessi
sopportare Bellamy.”
“Infatti” disse
Clarke, valutando gli abiti eleganti selezionati
dalla ragazza mora.
“Allora perché
stai scappando nel bel mezzo della Serata Film del
Venerdì per parargli il culo? Avresti potuto dirgli
di
andare a farsi fottere.”
Clarke si girò verso Raven.
“Perché mi stai
suggerendo di piantare in asso il tuo miglior
amico?”
“Non è
così!” esclamò Raven.
“Ti sto
solamente facendo notare che
ti stai
comportando come una reale fidanzata.”
Clarke la ignorò.
“Beh, per fortuna
l’Ark lo pensa.”
Scelse un vestito. “Questo
mi starà bene, no?”
…
Clarke si affrettò a
raggiungere i cancelli della Stazione e un
attimo prima di intravedere l’ingresso, venne sollevata in
aria da due braccia
possenti, rimanendo sul momento sbigottita.
Intuendo dalla familiare acqua di
colonia che si trattava di
Bellamy, lo circondò con le braccia e lo strinse forte.
“Grazie,
Principessa” le sussurrò, tra i capelli biondi.
“Mi sto perdendo davvero un
ottimo film per te, Bellamy” borbottò
Clarke.
“Lo so”
replicò lui, sciogliendo l’abbraccio ma
continuando a
sostenerla. “E ti amo per questo.”
Lei gli sorrise raggiante.
“Proprio quello che volevo
sentire.”
“Clarke!”
gridò qualcuno. “Ce l’hai
fatta!”
Bellamy e Clarke si voltarono in
direzione Jasper che stava
camminando verso di loro.
“Dov’è
Maya?” chiese Clarke, non appena lo smilzo li raggiunse
–
notando che era senza accompagnatrice.
“Doveva lavorare”
spiegò Jasper.
“C’è
una grande mostra, questa settimana, organizzata dal gruppo
dei Terrestri – hai presente quelli che manifestano per i
diritti dei Nativi
Americani, per le loro foreste e roba del genere? In realtà,
è piuttosto
interessante” continuò, distraendosi
“l’esposizione di adesso
s’intitola Cage –
propone scene alquanto cruente, tipo gente dissanguata a testa in
giù –
immagina che lavoro per l’impresa di pulizie –
”
“ – Affascinante,
Jasper” lo interruppe Bellamy.
“Dovremmo andarci, qualche volta.”
Jasper ridacchiò.
“Sono sicuro che Maya
sarebbe contenta di rivedere Clarke. Voi due
sembravate grandi amiche” aggiunse, squadrando la bionda.
“Già, anche se
stavo quasi per pugnalarla con il tacco della mia
scarpa quando ha iniziato raccontarmi del suo capo”
scherzò Clarke.
Bellamy la osservò,
corrucciando la fronte.
“A che proposito,
Principessa?”
Clarke scosse le spalle.
“Cose da donne.”
“Come no” rispose
lui, lanciando un’occhiata a Jasper.
“Adesso, che ne dite se ci
andiamo a sedere e la smettiamo di far
aspettare gli altri?”
Tempismo perfetto! –
s’intrufolarono dentro la sala proprio mentre
la forchetta di Thelonious Jaha cozzava contro il bicchiere di vino.
“Buona serata a tutti.
È un vero piacere avervi qui con noi, alla
fase finale delle nostre selezioni.”
Come segno di buona fede, Clarke si
accomodò dietro al tavolo di
fianco a Bellamy, stringendogli la mano.
Lui le sorrise e le fece un minuscolo
cenno col capo, riconoscente.
“Molte delle persone
presenti a questa cena sono notevolmente
qualificate e l’Ark Enterprises è orgogliosa di
poter assumere candidati tanto
meritevoli. Ognuno di voi rappresenta uno strumento in grado di
aiutarci a
scoprire il futuro, nel passato, grazie alle vostre doti come storici
sul
campo, dentro una biblioteca o attraverso un microscopio.”
Un timido applauso echeggiò
attorno al tavolo e Thelonious annuì.
“Adesso, sono consapevole
che la maggior parte di voi è qui solo
per il cibo gratis” – si girò verso
Jasper e tutti risero sommessamente –
“quindi, forse, sarebbe meglio mangiare, prima di occuparci
degli affari.”
E immediatamente comparvero una
ventina di camerieri e assistenti,
silenziosi come gatti, che posarono sopra il tavolo vassoi ricolmi di
ricche e
deliziose vivande.
A Clarke, di colpo, non dispiacque
l’idea di essersi persa il film
di Woody Allen.
“Pensi che potrei infilarne
qualcuna dentro la borsa per farmi
perdonare da Raven?" mormorò a Bellamy, sorridendo,
indicando delle tartine
di pesce.
Lui ricambiò il sorriso.
“Penso che con questo
vestito potresti prendere tutto ciò che
vuoi, Principessa. Dovrei proprio ringraziare Raven.”
Clarke sollevò un
sopracciglio.
“Mi hai controllato per
bene, Mister Blake?”
Bellamy scosse le spalle.
“È un bel vestito.”
Jasper si voltò verso di
loro con la bocca piena di cibo,
fortunatamente ignaro dell’intera situazione, concentrato
solo sulla cena.
“Gagazzi, è
sdupendo!”
Bellamy scoppiò a ridere.
“Certo, lo è davvero, amico.”
Harper, che sedeva
dall’altro lato del tavolo, interruppe la sua
conversazione con Kane.
Guardò Bellamy di sottecchi
per poi rivolgersi a Clarke.
“Sono così contenta
che tu ce l’abbia fatta a
venire.”
Clarke sorrise, realizzando di non
essere ancora stata presentata
come si doveva alla ragazza dai capelli color caramello.
Bellamy se ne accorse, intervenendo.
“Clarke, questa è
Harper. Fa il mio stesso lavoro, ma
probabilmente meglio.”
Clarke sogghignò.
“Non credo che sia molto difficile, Bellamy.
Piacere di conoscerti, Harper.”
“Questo qui” disse
Harper, additando il moro, “non ha mai smesso di
parlare di te.”
Bellamy non ebbe il coraggio di
guardare Clarke in faccia quando
lei lo fissò con espressione interrogativa.
La bionda ipotizzò che
facesse tutto parte della recita e che
sicuramente, se fossero stati da soli nella stanza, lui le avrebbe dato
ragione
– ma non erano soli e Harper stava aspettando una risposta.
“Stai rovinando la mia
reputazione da duro, Harper” borbottò
Bellamy, con tono traboccante di finta irritazione.
Clarke alzò gli occhi al
cielo.
“Non sei un duro. Sei uno
sciocco. Ne abbiamo già discusso.”
Jasper rise. “Adesso non
fai più così paura,
Bellamy.”
“Maledizione,
Principessa” disse Bellamy – non provò
nemmeno a
farlo suonare affettuoso.
John Mbege, accanto ad Harper,
grugnì.
“Sei stato fottutamente
sconfitto, Blake.”
Clarke fece un sorrisetto.
“Visto?”
Scoppiò a ridere.
“Adesso, discutiamo di
storia e smettiamo di imbarazzare il mio
fidanzato, per quanto divertente possa essere.”
“Hai ragione”
rispose Harper. “È davvero divertente.”
“Lavori per il Procuratore
Distrettuale, vero?” chiese Mbege a
Clarke.
“Sì,
perché?”
“Non
è, tipo, super faticoso
e difficile?”
Clarke sollevò un
sopracciglio.
“Lavorare per Anya?
All’inizio, forse – è solo molto forte
nelle
sue convinzioni o nel dare alle persone quello che si meritano. Cosa
che
talvolta condanna a una vera e
propria condanna.”
Diede un’occhiata a Bellamy,
che non stava ridendo per il gioco di
parole.
Lei alzò gli occhi al cielo
e continuò.
“Il mio senso
dell’umorismo è sprecato con te; comunque,
Anya è tranquilla, se capisci quello di cui ha bisogno. Non
regala niente per
niente, ok?”
Bellamy rideva, adesso.
“Forse dovresti
essere tu il prossimo Procuratore
Distrettuale.”
Jasper si protese verso Harper e
Mbege. “È una battuta sessuale?”
Bellamy lo colpì sulla
fronte.
“Mangia i tuoi spring rolls
e stai zitto, Jasper.”
…
Riuscirono a sopravvivere al resto
della cena, nonostante i
continui commenti di Jasper e l’entusiasmo esagerato
dell’intero gruppo per la
relazione tra Bellamy e Clarke.
Fu solo quando finalmente si mossero
per andare via, che le cose
presero una piega inaspettata.
Thelonious, che a malapena aveva avuto
l’opportunità di parlare
con Clarke per tutta la sera, li salutò un minuto prima di
vederli scomparire
dietro la porta.
“Spero sarai dei nostri in
Grecia, Clarke.”
Clarke si bloccò, con il
braccio attorno alla vita di Bellamy.
Squadrò il moro, che dava
le spalle a Jaha in preda al panico e si
girò dall’altra parte.
“Cosa?”
Thelonious sembrò confuso.
“Per il weekend
introduttivo; dà il benvenuto ai nostri nuovi
membri e alle loro metà. Credevo che Bellamy te ne
avesse…”
“Oh” disse
Bellamy, inventandosi una scusa su due piedi “beh,
l’avrei fatto, Thelonious, ma Clark è così impegnata
con il
lavoro, al momento e – ”
“Sono certa di riuscire a
prendermi qualche giorno di ferie per
venire in Grecia con il
mio fidanzato e i
suoi colleghi…” la bionda cercò di non
pensare all’architettura, alla scultura,
alla magnificenza di entrambe e sorrise raggiante a Jaha.
“È il minimo che
possa fare.”
L’uomo di colore
annuì.
“Passate una buona serata,
voi due.”
E adesso che Clarke si era proposta
per il viaggio in Grecia,
avrebbe sicuramente mantenuto la parola data senza tirarsi indietro.
Bellamy le strinse la mano e la sua
presa era vigorosa, sudata.
Le aprì la porta una volta
lasciata la Stazione e una seconda
quando salì dentro l’auto, ma la sua mascella
rimase serrata durante tutto il
viaggio di ritorno.
Alla fine, Clarke sbottò.
“Sai, mi dispiace se non
volevi portarmi a questa maledetta gita
in Grecia, ma stasera ho lasciato a casa i miei migliori amici
– e i tuoi –
per venire ad aiutarti, senza nemmeno pensarci un minuto e non credo di
meritarmi di essere trattata con questa…questa cazzo
di protesta da
mascella serrata!”
Bellamy le lanciò
un’occhiata dal posto di guida.
“Non so di cosa stai
parlando, Clarke.”
“Oh – non lo sai?
Finora sei stato l’unico ad
aver tratto beneficio da quest’accordo. Intendo riscuotere la
mia metà
dell’affare, la parte in cui io ottengo
ciò che voglio.”
“Buon per te”
affermò lui, ancora con quel frustrante tono
tagliente.
Clarke rimase in silenzio, troppo
arrabbiata per parlare.
Non sapeva nemmeno cos’altro
avrebbe potuto dire che già non
avesse detto.
“Sai qual è la
cosa spaventosa, Clarke?”
“Cosa?” chiese
lei, bruscamente.
“Tu che accetti di venire in
Grecia per cinque cazzo di giorni,
durante i quali dobbiamo convincere tutti di essere una coppia
– e mentre
sto anche lavorando –”
“ – Ma almeno
potrai fare quello che tanto ti piace, stronzo!” lo
rimproverò Clarke. “D’accordo,
condivideremo la stanza dell’hotel, ma sarai
occupato a scavare ogni giorno e probabilmente ci rivedremo solo
durante i
pasti o quando non ci sarà nessuno attorno,
perciò non preoccuparti di fingere
troppo che io ti piaccia!”
Bellamy brontolò.
“Non è che
non mi piaci, Clarke, è
che…non lo so
– questo non è solo un gioco per
me. Non sarò sempre un raggio
di sole per tutto il tempo – ”
“Oh –
perché è questo che sei?”
“ – Mi
stresserò nel tentativo di riuscire ad accaparrarmi il
lavoro e di fare una bella impressione e non voglio che tu –
”
Il telefono del moro
squillò all’improvviso ma dato che stava
guidando non riuscì a leggere il messaggio.
Allora, suggerì a Clarke
“Tasca della giacca” e la ragazza si
chinò verso di lui per afferrare il cellulare nella tasca
interna del vestito.
Tentò di ignorare quanto la
maglietta mettesse in risalto i suoi
pettorali.
“È di
Octavia” disse Clarke, non volendo leggerne il contenuto
senza permesso.
Lui era più tranquillo,
adesso.
“Oh – cosa
dice?”
“Due settimane a
partire da oggi, per tre settimane” lesse
la ragazza.
Bellamy imprecò.
“Mmh?”
“Il tempismo di O non poteva essere
peggiore.”
“Ancora non ti
seguo.”
Bellamy sospirò.
“Mia sorella. Viene a stare
da me durante le vacanze. Il problema
è che il mio appartamento sarà fuori uso per i
lavori di disinfestazione. Cioè,
io starei a casa di Miller ma non c’è posto per
entrambi…”
Clarke ebbe un’idea
grandiosa…garantito, una piuttosto ridicola,
ma comunque un’idea.
“Perché non
venite a stare da me?”
“…Scusa,
Principessa?”
Lei si accigliò.
“Il mio appartamento ha una
stanza di riserva con un bagno
privato. Octavia può usare quella e tu puoi condividere la
mia.”
Per poco Bellamy non si
strozzò da solo.
“Cosa?”
farfugliò.
“Oh, ma
per favore. Ragiona. Teoricamente saremmo
fidanzati da sei mesi – stare nel mio letto non dovrebbe
spaventarti.”
Clarke scosse le spalle. “Ma
se ti fa tanta paura, puoi sempre
dormire sul divano, anche se ti farà più male che
bene.”
“Sei sicura,
Clarke?”
Lei annuì.
“E Octavia può
sorvegliarmi la casa mentre siamo in Grecia.”
Bellamy sollevò un
sopracciglio, ancora scettico. “E a te va bene?
Ti fidi di mia sorella?”
“Beh, io mi fido di te,
giusto?”
Lui rimase in silenzio.
“Cosa?” chiese
Clarke. “Cos’ho detto?”
“Niente” rispose
il moro, schiarendosi la gola.
“Grazie per la sistemazione,
Principessa.”
Lei gli sorrise, ma
gli occhi di Bellamy stavano di nuovo fissando
la strada.
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Capitolo 5 *** Capitolo Cinque ***
Cinque
Indovina chi viene a
casa o
La festa di Raven
L’immediata reazione di
Raven circa il temporaneo trasferimento di
Bellamy – e, per estensione, di Octavia – a casa di
Clarke fu: “Per quale
motivo non vi saltate addosso una volta per tutte e non la fate
finita?”
Bellamy, perché era a lui
che la mora stava parlando, sollevò un
sopracciglio scuro.
Si mostrò indifferente,
anche se stringeva la tazza del caffè con
le nocche delle mani ormai bianche.
“O a casa di Clarke o in
mezzo alla strada, Raven.”
Raven borbottò
sospettosamente qualcosa del tipo “stiamo ancora
parlando della disinfestazione?” ma Bellamy non insistette
troppo
sull’argomento.
Il volo di Octavia da Providence
sarebbe atterrato tra meno di due
ore: momento magico che avrebbe dato il via a una festa organizzata da
Raven.
A questo party avrebbero partecipato
Bellamy, Clarke, Octavia,
Monty, Miller e Lexa, che ultimamente trascorreva parecchio del suo
tempo
insieme a loro – così come la pletora di gente che
Bellamy non aveva mai visto
in vita sua, tipo questo ragazzo di nome Wick o alcune ragazze che si
buttavano
addosso a chiunque dopo aver trangugiato le loro gelatine alcoliche.
Comunque, Bellamy si era ripromesso di
non dire nulla a Raven del
trasferimento a casa della bionda per evitare che l’amica
potesse sospettare
qualcosa di strano. Naturalmente non c’era niente di
fraintendibile, sotto.
Clarke Griffin era una donna troppo
ricca e troppo pragmatica
e maledettamente troppo forte per
desiderare uno come lui.
E Bellamy…beh, Bellamy non
avrebbe mai avuto alcuna chance.
Ma Raven era stata destinata a
scoprire fin dal primo momento che
Bellamy e Octavia sarebbero andati a casa di Clarke, quindi le aveva
raccontato
la verità, con una valigia e un borsone depositati dentro il
bagagliaio della
sua macchina.
E adesso lei e Bellamy stavano bevendo
il caffè.
Il moro sarebbe dovuto uscire presto
per andare a recuperare
Octavia che, come al solito, avrebbe aggiunto ancora più
bagagli da incastrare
con suoi dentro l’auto.
Dato che Clarke sarebbe arrivata alla
festa direttamente dopo il
lavoro – assieme a Lexa – qualsiasi spostamento di
bagagli e di esseri umani
sarebbe stato posticipato al dopo festa.
Bellamy era ancora parecchio
preoccupato all’idea di Octavia a
casa di Clarke, e di Octavia con Clarke, e di lui nella stanza di
Clarke, e di
lui con Clarke.
Il viaggio in Grecia si stava
avvicinando – in fretta – e loro ne
avevano parlato a malapena.
Non c’era molto da dire,
aveva scoperto Bellamy.
Aveva anche scoperto che stava
diventando sempre più difficile
odiarla.
Lui non era molto bravo a
odiare qualcuno che gli stava
facendo un enorme favore – cosa che Clarke gli stava facendo,
malgrado avesse avuto anche altri motivi.
Infatti, Clarke gli aveva fatto tre
grossi favori, seriamente, se
si contavano il galà, l’aver mollato tutto per
raggiungerlo alla cena solo
perché era andato fuori di testa e l’aver aperto
casa sua ai Blake.
Al plurale.
Bellamy la trovava ancora piuttosto
frustrante, ma odiarla?
Si rese conto di no.
“Lo dirai a O?”
gli chiese Raven, rigirando il cucchiaino dentro
il caffè e prestando attenzione più al ragazzo
che all’oggetto.
“Le dirò
cosa?”
Raven lo fissò, alzando un
sopracciglio.
“Di te e Clarke.”
Il moro contrasse le labbra carnose.
“Primo, non dirlo
così.”
“Dire cosa, come?”
“Lo sai.”
“Non ho detto niente
di niente” rispose Raven, con
sufficienza. “Te lo stai
immaginando. Perché ti piace
Clarke.”
Bellamy indurì la mascella.
“Non so di cosa tu stia
parlando. Sì” affermò, facendo del suo
meglio per dirottare l’argomento di conversazione
“dovrò dirlo a Octavia. Io e
Clarke non possiamo fingere 24 ore su 24.”
Raven sogghignò e quando il
moro le chiese spiegazioni, lei
dichiarò: “Stavo solo pensando a come
potrà reagire Octavia. Tipo, sì, certo,
suo fratello aveva bisogno di una finta
fidanzata per una
cosa di lavoro e adesso lei dovrà sistemarsi in una camera
degli ospiti mentre
voi due vi farete le coccole a letto insieme – e
dovrà anche guardare
la casa a Clarke, quando partirete per la Grecia.
Non credi che questo
renda le cose strane? Quasi come se stessi fingendo di non avere
una relazione?”
Lui sospirò.
“Non è una
situazione tanto convenzionale, Raven.”
“Puoi
scommetterci” tossì la ragazza.
Prima che Bellamy potesse replicare,
il cellulare di Raven
squillò.
Lei fece la linguaccia
all’amico, tirò fuori dalla tasca il
telefonino e gli diede una rapida occhiata prima di rispondere.
“Hey.”
La sua voce era più
leggera, più felice – significativamente meno
asciutta rispetto a quella cui Bellamy era abituato.
“No, è perfetto,
ho appena finito con Bellamy.”
“Grazie, Raven”
borbottò lui, sarcasticamente.
Lei gli lanciò
un’occhiataccia alla sai cosa intendo.
“Sì –
inizia alle otto. Non c’è problema se arrivi in
anticipo –
potrebbe essere pure meglio. Però” aggiunse, con
un’espressione diabolica sul
viso “se fai tardi, dormirai da me. Nessuno abita tanto
lontano quanto te.
Quindi, davvero, prenditela con comodo.”
Bellamy alzò un
sopracciglio e quando Raven terminò la chiamata,
dinanzi al suo comportamento, s’informò.
“Era quel
‘qualcuno’ con cui ti stai vedendo?”
Raven si morse il labbro.
“Forse.”
“Non so, prima o poi mi
racconterai qualcosa, di lui?”
Lei alzò le spalle. Fu solo
un momento, poi lo trafisse con uno
sguardo provocante.
“Chi l’ha detto
che è un lui?”
…
Ogni volta che Bellamy rivedeva
Octavia, gli sembrava di trovarla
sempre un po’ più alta.
Più alta e più
forte e più intelligente ma, Dio, sempre la stessa
piccola O, che lo costringeva a portarla a cavalluccio dentro il loro
minuscolo
appartamento e che ballava in salotto a ritmo di musica pop.
Il ragazzo si lanciò
addosso alla sorella non appena lei superò la
dogana e decise di non volersene più separarsene almeno per
le prossime ore.
“Anch’io sono
contenta di vederti, fratellone – mi lascerai
respirare, prima o poi?”
Lui rise, allontanandosi per farla
riprendere.
Quando entrarono in macchina
– “È Achille!”
gridò Octavia (l’auto
si chiamava così perché era robusta, ma il
più piccolo e imprevedibile tra i
problemi l’aveva fatta subito fermare) – e il moro
cominciò a sommergerla di
domande sul college, lei lo bloccò con un “non
è successo nulla di nuovo da
quando ci siamo visti ieri sera su Skype, Bell” e si
diressero a casa di Raven.
“Comunque” disse
Bellamy, tenendo gli occhi fissi sulla strada,
“ho trovato una specie di finta fidanzata.”
Octavia sollevò un
sopracciglio perfettamente scolpito.
“Cosa? Non sei un
po’ troppo vecchio per questo?”
Bellamy sospirò.
“È una persona
vera, O, sta solo fingendo di essere la
mia ragazza per una faccenda di lavoro.”
“Già, ancora non
afferro il perché una cosa del genere dovrebbe
essere meno strana dell’avere una fidanzata
immaginaria…”
“Puoi sempre chiedere a
Raven di spiegartelo” brontolò lui.
“È stata
una sua idea.”
Octavia rise.
“Ok, quindi chi è la
nostra speciale
Cenerentola?”
Il moro staccò una mano dal
volante e si grattò il retro del
collo.
“Uh… ti ricordi
per caso di Clarke Griffin?”
Le iridi blu di Octavia si allargarono
come piatti da portata.
“Cosa?
Stai fingendo di scoparti la Principessa?
Pensavo la odiassi!”
Bellamy la esortò a tacere
ma lei continuò, borbottando: “Ma
insomma, te ne vai al college per sei mesi e improvvisamente tuo
fratello
subisce un trapianto di personalità…”
“Rilassati,
O” affermò Bellamy, con un breve e caldo
sorriso sul volto – il tipo di sorriso che riservava
esclusivamente a sua
sorella. “Clarke non è la persona che credevamo.
Beh” si corresse, “in realtà
è
esattamente chi credevamo – ma ho iniziato ad
apprezzarla.”
Di nuovo, una delle sopracciglia di
Octavia si tese verso l’alto.
“Oh, davvero, uh?”
“Smettila di guardarmi in
quel modo.”
“Smetterla di guardarti
come? Non mi stai nemmeno vedendo!”
“Riesco a sentire il
peso del tuo sguardo su di
me e ti suggerisco di piantarla.”
Lei roteò gli occhi.
“Quindi la tua preziosa
principessa verrà a casa di Raven,
stasera?”
Bellamy annuì.
“E dato che il mio
appartamento è pieno di pesticida fino
all’orlo, tu ed io staremo da lei per le prossime
settimane.”
Octavia sembrò confusa.
“Da Raven?”
“No, Clarke.”
Se possibile, Octavia
sembrò ancora più
confusa.
“Cosa?
Perché?”
“Perché ha una
stanza degli ospiti e un bagno per te” rispose
Bellamy, con un tono che non ammetteva repliche, svoltando
l’angolo e
ritrovandosi vicino a casa di Raven.
“Per non parlare del fatto
che staremo in Grecia per una settimana
intera, perciò sarai una perfetta sorvegliante.”
Octavia tacque per un momento, prima
di recitare con finta voce
allegra: “Sicuro, Bell, sorveglierò la
casa della tua finta fidanzata
mentre voi due partirete per una romantica vacanza sul Mediterraneo. Non
c’è nulla di strano in tutto ciò.”
Bellamy alzò gli occhi al
cielo, parcheggiando davanti alla porta
di Raven. “Quando lo dici così, lo fai
suonare davvero strano.”
“È fottutamente
strano!” replicò lei. “Dove
dormirai tu,
a casa della Principessa?”
Bellamy si fiondò fuori
dall’auto come pretesto per non rispondere
ma la sorella fu più veloce ed entrambi si ritrovarono
faccia a faccia sul
marciapiede.
“Oh, quindi non solo stai
trascinando tua sorella nella casa di
un’estranea ma
ci condividi con lei anche
il letto?”
Aggrottò le sopracciglia
quando il rumore di una moto cominciò a
riempire l’aria. “Mi domando: le mura della camera
di Clarke saranno
insonorizzate?”
I guidatori del motorino posteggiarono
sul bordo della strada,
giusto in tempo per ascoltare Bellamy esclamare: “Per
l’ultima volta,
Octavia, non mi scopo Clarke!”
L’universo aveva deciso di
prendersi gioco di Bellamy Blake – quel
giorno, o così lui si convinse – quando la ragazza
sul retro del motorino si
tolse il casco dicendo: “E buonasera anche a
te,
Bellamy.”
Clarke saltò giù
dallo scooter, scuotendo i capelli biondi lungo
le spalle e raggiungendo i Blake sul marciapiede.
Anche il conducente del veicolo
allontanò
il proprio casco dal viso – ed era Lexa,
cosa ovvia, perché chi altri
poteva arrivare dall’ufficio del Procuratore Distrettuale su
un cavolo di
motorino con ancora l’eyeliner intatto?
Lexa si passò una mano
sulle trecce intricate dei capelli non
appena Octavia incontrò il suo sguardo e poi quello di
Clarke.
Bellamy si schiarì la gola.
“Uh – O, questa è – ”
“ –
Clarke” s’intromise la bionda, porgendo la mano
alla sorella
del moro.
Octavia la strinse, sorridendo
educatamente.
“Piacere di conoscerti. Sono
Octavia.”
“Conosci già il
Comandante, vero, O?” chiese il ragazzo, lanciando
un’occhiata a Lexa.
Entrambe annuirono e la studentessa
affermò: “Le tue trecce
spaccano.”
“Non tanto quanto
me” rispose Lexa, con un debole sorriso sulle
labbra carnose. Gli occhi scuri guizzarono sulla porta.
“Dovrei entrare – ho
bisogno di chiedere un paio di cose a Raven prima che arrivino i miei
amici.”
“I suoi amici?”
chiese Bellamy alla bionda, non appena Lexa
scomparve all’interno della casa.
Clarke alzò le spalle.
“Nessuno mi ha accennato
nulla.”
…
Venne fuori che ‘gli
amici’ di Lexa altri non erano che i membri
dello spettacolo artistico che si svolgeva in questo periodo alla
Wallace&co.
Clarke passò la maggior
parte della serata tra i Terrestri e i
suoi amici, entrambi troppo nervosi per tentare un approccio.
Miller sedeva sul divano assieme a
Bellamy, disquisendo di sport e
dell’ultimo singolo di Kanye West ma l’argomento di
conversazione fu totalmente
dirottato quando Monty s’inserì tra loro,
interrompendoli.
Lexa e Raven avevano trascorso tutto
il tempo a parlare in
disparte e fu solo quando Bellamy le vide sostare in piedi,
l’una vicina
all’altra, mentre Lexa stava intrecciando i capelli scuri di
Octavia, che notò
che anche la solita coda di cavallo di Raven era stata intrecciata
lungo la
nuca.
Scosse le spalle.
Forse era una cosa da donne. Avrebbe
chiesto a Clarke.
Quasi come se gli avesse letto nel
pensiero, la bionda lo
raggiunse furtivamente accanto alla finestra.
“Lo sai, prima Raven mi ha
detto che dovremmo comportarci di più
come una coppia.”
Bellamy sollevò le
sopracciglia, tentando di ignorare il rossore
che gli si stava formando lungo il collo. Contrasse la mascella.
“Cosa?”
Clarke rise.
“È quello che ho
detto anch’io. Mi ha spiegato che la gente
potrebbe pensare che è strano se stiamo lontani per tutta la
festa e un paio di
settimane dopo ce ne voliamo su una romantica isola in
Grecia.”
Bellamy sogghignò
sommessamente.
“Vacci piano, Clarke. La
gente penserà che siamo fuggiti per
sposarci in segreto.”
“Quindi ti
piacerebbe sposarti in Grecia” suppose
la bionda, alzando quasi gli occhi al cielo.
“Che, a te no?”
Clarke sorrise beffardamente.
“Non ho mai detto questo.”
Bellamy annuì, trionfante.
“Giusto. Ma adesso,
Principessa, non aspettarti che io ti faccia
la proposta su una spiaggia di Santorini…”
“Non me lo sogno
nemmeno” disse la ragazza, prima di venire
interrotta da un acuto e pronunciato “Clarke!”
dall’altra parte della stanza.
Lei si voltò.
Era Lexa, che stava intrecciando
automaticamente un’altra sezione
dei capelli di Octavia senza nemmeno controllare.
“Ti ricordi la mascotte
contro cui gareggiammo durante i test di
simulazione alla conferenza dell’ONU, al liceo?”
Clark annuì.
“Difficile dimenticare un gorilla con problemi di
gestione della rabbia” rispose.
Lexa si voltò –
“Te l’avevo detto che era un gorilla!”
– verso
Raven, che stava sghignazzando con le lacrime agli occhi.
“Pensavo scherzassi! Devi
ammettere che suona come una stronzata
gigantesca” sostenne, con il respiro che ancora non era
tornato alla normalità.
Bellamy catturò
l’attenzione di Clarke.
“Aspetta, andavi a scuola
con Lexa?”
Clarke sorrise, facendosi
più vicina al ragazzo quando un
Terrestre dietro di loro iniziò a ridere – una
rumorosa risata straniera.
“Vivevamo nello stesso
quartiere; abbiamo fatto le simulazioni e
altra roba insieme. E i comitati.”
La bionda ricambiò
l’occhiata intensa di Lexa, che nel frattempo
aveva finito di sistemare i capelli di Octavia, la quale si stava
ammirando
deliziata dietro lo specchio impugnato da Raven.
“Eravamo piuttosto
amiche.”
“Anche lei conosceva il
figlio di Jaha?”
E adesso
s’insinuò qualcosa di tagliente
nell’espressione di
Clarke cui Bellamy non riuscì proprio a dare un senso.
“Ne ha solo sentito parlare”
disse. “Tutto qui.”
Bellamy le si avvicinò,
tentando di incontrare il suo sguardo.
“Ascolta, mi dispiace se ho
detto qualcosa di –”
“Non l’hai
fatto” rispose Clarke, con un tono tale da suggerire al
moro che, sì!, invece, l’aveva
fatto.
“Non preoccuparti.”
Dopo aver deciso di lasciar scorrere
le cose, Bellamy affermò:
“Dovresti andare a divertirti. Non rimanere nascosta dietro
l’angolo a parlare
con me – saremo coinquilini per le prossime settimane,
comunque. Ti meriti una
serata senza il sottoscritto.”
Clarke gli sorrise.
“Lo stesso vale per te,
Bellamy.”
…
Clarke si allontanò per
chiacchierare con Raven, Lexa e Octavia,
mentre Bellamy si versò da bere.
Non poteva ubriacarsi siccome doveva
guidare, ed era sempre molto
prudente con O – si era allenato a esserlo da solo molto
tempo prima – ma da
Raven non c’erano poi tante scelte liquide decenti e oh!,
aspetta, qualcuno
stava parlando con lui.
“Scusami, non ho capito
cosa…”
L’appariscente Terrestre lo
stava fissando furiosamente attraverso
i capelli lunghi. “Ho detto, puoi levarti?
Ho bisogno di un cazzo di
drink.”
Bellamy sbatté gli occhi
per un istante, prima di serrare la
mascella.
Si spostò
dall’enorme frigorifero portatile che Raven aveva
sistemato sul tavolo e permise alla ragazza di prendersi quel cavolo di
drink.
“Sono Anya disse in modo
burbero, una volta afferrata una
bottiglia di vetro ghiacciata.
“Bellamy.”
E con voce delusa: “Oh
– sei uno degli amici di Lexa –”
Lui la interruppe annuendo.
“Giusto perché tu
lo sappia, quella” –
indicando una
bottiglia semivuota contenente il mix segreto di Monty, soprannominato
Chiaro
di Luna Brillante – “è meglio di
qualunque altra schifosa birra organica che
voi ragazzi state tracannando laggiù.”
Anya avrebbe potuto vincere
l’Oscar per lo sguardo più pericoloso.
Si piegò in avanti e sollevò un sopracciglio.
“Seriamente”
affermò Bellamy “potrebbe abbattere un impero, ma
almeno ti porterà ovunque tu voglia essere.”
Gli occhi di Anya lo squadrarono,
investigando.
“Dove vorresti essere
portato tu, Bellamy?”
“Qualcosa mi dice che
già conosci la risposta” replicò a voce
bassa, incontrando i suoi occhi.
“Forse.”
Adocchiò il Chiaro di Luna.
“Se è così eccezionale,
perché non lo
stai bevendo?”
Bellamy scosse le spalle.
“Non posso bere e
guidare.”
“Abito in fondo alla
strada” disse Anya. “Non ti serve la
macchina.”
Strinse gli occhi. “Sempre
che tu non sia qui con qualcuno.”
Bellamy rimase in silenzio, ricercando
con lo sguardo il punto in
cui si trovava Clarke – che sostava accanto alla sorella,
ammirando
meravigliata il tatuaggio a forma di farfalla di Octavia.
Se l’era fatto a sedici anni
in stile watercolour e nonostante il
fratello si fosse espresso assolutamente contrario, lei era andata via
di casa
e se l’era fatto tatuare lo stesso.
Improvvisamente, Clarke
guardò in alto, intercettando gli occhi
scuri del moro. Dopo un momento, gli regalò un piccolo
sorriso, a cui lui
rispose non sapendo in quale altro modo reagire.
Anya contrasse le labbra.
“Capisco.”
Diede una pacca sulla spalla di
Bellamy, abbastanza bruscamente.
“Grazie per la benzina, Bellamy.”
“Cosa?”
Ma quando il ragazzo spostò
l’attenzione da Clarke e Octavia, Anya
era già scomparsa.
…
Era ormai passata la mezzanotte quando
Bellamy afferrò un
apribottiglie dalla mano di Clarke.
“O sta per
crollare” disse a mo’ di saluto e spiegazione.
Clarke sollevò un
sopracciglio.
“In che senso? Sta bene
– guarda, è insieme a quei Terrestri
–”
“Non penso sia una decisione
intelligente, farsi ricoprire di
tequila dal capellone con i dreadlock laggiù,
Principessa” dichiarò
sgarbatamente, aggiungendo “e comunque, conosco O; tra poco
si lamenterà di avere
sonno. Ci vogliono una quindicina di minuti per arrivare a casa tua,
perciò
potremmo almeno avvantaggiarci.”
La bionda annuì lentamente,
d’accordo con l’analisi di Bellamy.
“Ok, vado a salutare Monty e
gli altri.”
“Perfetto; io prendo O.
Aspetta, che diavolo!, dov’è finita?”
Clarke gli strinse il braccio,
pilotandolo nella giusta direzione.
“Sta là, con la
tua fidanzata.”
Bellamy sollevò un
sopracciglio.
“È ridicolo.
Sei tu la mia fidanzata.”
Clarke simulò una risata.
“Ahah, che spiritoso. La
ragazza con cui stavi flirtando
prima. Quella.”
Tanto per confermare il concetto, la
bionda puntò un dito in
direzione di Anya e di altri Terrestri.
Bellamy abbassò la mano
della ragazza, stancamente.
“Ok, Clarke. Dì
ciao a tutti e aspettami davanti alla porta.”
“Da che lato? Fuori o
dentro?” chiese lei.
“Simpatica” disse
Bellamy.
E fu all’ingresso che Clarke
finì per incontrarsi con Bellamy, una
volta finito di litigare con Octavia, lontano dai Terrestri, e di aver
ascoltato la sua spiegazione riguardo uno dei più autorevoli
membri-guida del
loro comitato, una donna di nome Indra, che secondo Echo le avrebbe
insegnato
le loro particolari forme d’arte.
“O”
iniziò Bellamy, non appena lui, Octavia e Clarke furono
fuori
dall’appartamento, “stai finendo una doppia
specializzazione alla Brown –
e una di queste è Mediazione Linguistica, per
l’amor di Dio. Non credo avrai
problemi a trovarti un lavoro dopo la laurea.”
“Sono confusa”
disse Clarke, puntando al sedile posteriore.
“Mia sorella vorrebbe essere
una Terrestre” spiegò Bellamy,
contraendo le labbra. Si voltò verso Octavia e scosse la
testa in direzione
della bionda, un’espressione tagliente sul viso.
“Passa avanti tu,
Clarke” comunicò immediatamente la ragazza.
“Sei sicura?”
domandò Clarke, sollevando un sopracciglio.
Octavia annuì.
“Bell ha comunque bisogno di un navigatore. Io non
so dove stiamo andando.”
“Giusto.”
Perciò Clarke si
spostò sul sedile anteriore vicino al moro, che
non era mai stato tanto sull’attenti come in quel momento.
Octavia sedeva dietro, canticchiando
ininterrottamente qualsiasi
canzone passasse alla radio, finché, pochi minuti prima di
arrivare a casa
della bionda, non annunciò di essere stanca e si
raggomitolò come un gatto,
chiudendo gli occhi.
L’appartamento di Clarke si
trovava su uno dei piani più elevati
di un edificio ben costruito, verso la parte artistica della
città.
Le porte del complesso residenziale
erano alte e fatte di vetro,
talmente trasparente che Bellamy dovette fermare un’assonnata
Octavia
dall’attraversarle e dallo schiantarsi contro con tutti i
bagagli appresso.
Clarke digitò il codice di
sicurezza e si avviarono dentro l’ascensore.
Si ritrovarono in un piccolo atrio,
con una porta sulla sinistra
dell’ascensore e una sulla destra.
Quella della bionda era la sinistra,
dipinta di bianco, senza
neanche un graffio.
Aperta quest’ultima, li
accolse un corridoio, da cui s’intravedeva
– a parte il bagno e la lavanderia – il resto della
casa.
Era immensa, decorata al minimo, con
un’opera d’arte sopra ogni
muro.
Clarke lasciò le scarpe
all’ingresso ma riferì entusiasticamente a
Bellamy e a Octavia che non erano tenuti a farlo.
Indicò a Octavia la stanza
degli ospiti.
“Ti ho lasciato un
asciugamano sopra la maniglia e un altro sopra
il termosifone in bagno, in caso servisse” – e
infine guidò Bellamy alla
propria.
O lui avrebbe dovuto
chiamarla: la loro?
No. Certo che no. La camera era di
Clarke e lui magari non ci
avrebbe neanche dormito.
Il letto era attaccato al muro,
riordinato e pulito, con due
comodini su entrambi i lati, muniti di lampade. C’erano un
pila di libri, una
toletta e una specchiera – anche le porte scorrevoli erano di
vetro. Adesso le
tende erano chiuse, ma Bellamy era sicuro come non mai che di giorno
gli
avrebbero offerto una vista spettacolare.
Il ragazzo posò a terra la
valigia e il borsone, mentre Clarke si
schiariva la gola.
“Quale lato del letto
preferisci?”
“Quello che non vuoi tu,
immagino” rispose Bellamy, con un’alzata
di spalle. “Forse quello più vicino alla
porta?”
Clarke annuì e
recuperò il suo pigiama – una maglietta larga e un
paio di pantaloncini – prima di dire al ragazzo di fare come
se fosse a casa
sua.
Dopo che la bionda ebbe lasciato la
stanza per cambiarsi, Bellamy
si domandò se avrebbe dovuto togliersi la maglietta.
Di solito dormiva senza t-shirt,
fuorché non fosse inverno
inoltrato, per non ritrovarsi durante le prime luci dell’alba
congelato fino alle
ossa; ma Clarke lo avrebbe trovato strano?
Dormire con un uomo mezzo nudo che a
malapena trovava simpatico
mentre sua sorella russava due porte più avanti?
Finché non
realizzò che Clarke aveva come madre un medico e lei
stessa lo era quasi e probabilmente l’anatomia non era un
grosso problema.
Clarke Griffin non sembrava il tipo di
donna che si lasciava
intimidire da un paio di pettorali, specialmente se appartenevano a
Bellamy
Blake.
Si cambiò prima che la
bionda potesse rientrare e s’infilò sotto
le coperte con il naso schiacciato contro una copia
dell’Odissea, quando Clarke
bussò alla porta.
“Lo sai, non sei tenuta a
bussare alla tua porta, Principessa” le
disse, fissandola da sopra il suo libro.
“Giusto per essere sicura di
non vedere qualsiasi cosa tu non
voglia che io veda” replicò lei, attraversando la
camera e raggiungendo il
letto.
La maglietta era davvero troppo grande
per lei – più in modo
disordinato che alla moda. E anche il taglio era diverso. Da uomo.
“L’Odissea?”
notò Clarke – distruggendo le riflessioni del
ragazzo. “Ti sei appena ridicolizzato fino a questo
punto?”
Bellamy sorrise e chiuse il libro,
posandolo sul comodino.
“Credo di sì. Ma
non si può fare nulla se è quello che si
ama.”
“No” disse Clarke.
“Non si può.”
Il ragazzo pensò che se due
mesi prima gli avessero fatto vedere
il suo futuro, avrebbe preso tutti per pazzi.
Dormire con Clarke Griffin? Avrebbe
preferito farsi ricoverare in
ospedale, grazie. Ma era piacevole, invece, stare qui con lei.
Il suo piumone era caldo, il materasso
era comodo. Il piedino di
lei aveva appena sfiorato quello del moro, maldestramente, cosa di cui
nessuno
dei due disse nulla – troppo imbarazzante.
Bellamy sospirò, affondando
la testa nel cuscino e tirando più in
alto le coperte.
“Sei esausto la
metà di quanto lo sono io?” domandò la
bionda,
sbadigliando e allungando una mano per spegnere la lampada.
Si bloccò
all’improvviso, annunciando: “Se vuoi leggere, non
sentirti obbligato a smettere. C’è un motivo se ci
sono due lampade.”
“Nah, sto bene. Ho bisogno
di una buona notte di sonno.”
La
verità era che, anche
se aveva mentito a Clarke Griffin – lanciandole
un’occhiata di traverso e
osservandola chiudere gli occhi, il viso tranquillo sotto la sfumatura
arancione della lampada – Bellamy non poteva sentirsi
più sveglio.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo Sei ***
Sei
La convivenza
Blake-Griffin o
Vita domestica e
discorsi profondi
Bellamy scoprì diversi
particolari durante i giorni che seguirono
il suo temporaneo trasferimento a casa di Clarke.
La bionda beveva caffè nero
ogni volta che poteva; scarabocchiava
su qualunque cosa, al punto che tutti i
muri dell’appartamento
esibivano un’opera d’arte originale più
una serie di aggiunte da parte di
Clarke.
La ragazza smise di dormire il
più lontano possibile da lui come
aveva tentato fisicamente di fare le prime sere, dentro il letto
matrimoniale
che condividevano, e, oltretutto, non era – come se non fosse
stressante
abbastanza –per niente mattiniera.
Sfortunatamente per lei, quando i
Blake si svegliavano, i
Blake si svegliavano.
Octavia faceva jogging al piano di
sotto la mattina presto ed era
l’addetta alla raccolta del giornale e del resto della posta
dalla cassetta
delle lettere di Clarke; Bellamy preparava la colazione,
giacché, chissà come,
era stato benedetto con la capacità di improvvisare un pasto
perfetto dal nulla.
Durante la terza serata del loro
soggiorno, Clarke aveva passato
più di un’ora a esaminare un mucchio di carte per
un processo che si sarebbe
tenuto in tribunale la mattina successiva, ma quando la suddetta
mattina era
arrivata, Bellamy era stato il primo a svegliarsi – facendo
scivolare un
braccio da sotto il fianco di Clarke – e a darle un colpetto
sulla spalla.
“Muoviti,
Principessa!”
Clarke aveva sollevato gli occhi al
cielo e gli aveva detto di
andare a quel paese.
Naturalmente, la bionda si era alzata
e dopo essersi lavata e
vestita mentre Bellamy si era misteriosamente dileguato da quella che
per
entrambi era diventata mentalmente la loro camera,
aveva sentito
odore di cibo.
Venne fuori che Octavia aveva messo in
ordine i documenti della
ragazza e li aveva inseriti dentro la cartellina sul ripiano della
cucina, di
fianco a una tazza Starbucks riciclabile fumante di caffè e
un panino incartato
per la colazione, appena fatto, con del bacon croccante.
Octavia era tornata nella sua stanza,
a fare la doccia, mentre
Bellamy stava seduto sul divano a guardare uno speciale programma di
storia.
“Ti avviso” aveva
detto O a Clarke dopo il lavoro, “mio fratello
guarda esclusivamente documentari storici e il telegiornale.”
In breve, Octavia e Bellamy erano i
migliori ospiti che Clarke
potesse desiderare; o prevedere.
Era il sesto giorno di convivenza
Blake-Griffin (Raven, Monty e
Miller si erano trovati d’accordo sul fatto che il nome
presentasse un solo,
ovvio difetto: somigliava a quello di una squadra di basket) e Bellamy
sostava
davanti alle porte dell’ufficio del Procuratore Distrettuale,
per pranzare con
Clarke.
Ricapitolando: a Octavia serviva un
passaggio per una lezione di
kick-boxing e nel mezzo del suo servizio di taxi professionale per
portare la sorella
in palestra, Bellamy Blake aveva ricevuto un messaggio da Clarke nel
quale la
bionda gli riferiva di avere un paio di ore libere per la pausa pranzo
e che lo
avrebbe incontrato volentieri se – magari – il moro
non aveva nulla di meglio
da fare.
Ovviamente, Octavia ne aveva
approfittato per prenderlo in giro,
beffandolo di essere stato sconfitto.
Trovava divertente il fatto che un
ragazzo come suo fratello, che
era sempre stato sicuro della propria strada tracciata, fosse stato
fuorviato
tanto facilmente da Clarke Griffin.
Bellamy, per poco, non aveva deciso di
unirsi alla lezione di
kick-boxing.
Prevedibilmente, finì di
fronte all’ufficio del PD, sentendosi
terribilmente fuori luogo dentro la maglietta blu scuro e i pantaloni
cargo
neri.
Ci vollero circa tre minuti prima che
si accorgesse della presenza
di qualcuno che conosceva – sebbene quel qualcuno non fosse
stato Clarke.
“Lexa! Comandante!”
Lexa si voltò, sollevando
un sopracciglio e facendosi più vicina.
“Bellamy Blake.”
“Hai visto
Clarke?” le chiese.
“No” ripose
sospettosamente. “Perché?”
“Pranziamo insieme. Sai dove
potrebbe essere?”
Lexa lo esaminò, con
espressione indecifrabile.
“Ti mostrerò il
suo ufficio. Dovevo comunque passare di lì. Ma
prima, voglio parlarti di una cosa.”
Bellamy alzò le
sopracciglia, positivamente intrigato.
“Lo sai che al liceo ero
molto amica di Clarke, no?”
Lui annuì.
“Voglio solo darti qualche
dritta.”
Lexa sospirò pesantemente;
poi annunciò: “Parlando per esperienza,
ti consiglio di essere molto sicuro di te stesso semmai dovessi
innamorarti di
Clarke Griffin.”
Il respiro di Bellamy si
bloccò in gola.
“Non sono innamorato di
lei.”
Lexa non commentò.
“Clarke ha dovuto prendere
parecchie decisioni difficili ma la
vera forza risiede nel suo cuore. Dove gli altri sono deboli, lei
è forte.
Comunque, era per avvisarti: se Clarke dovesse sospettare che la ami,
non te lo
lascerà fare. Crederà di proteggerti.
Ripensandoci, potrebbe davvero.”
“Sai che non ci stiamo
frequentando sul serio, vero? Che è solo
per aiutarmi?”
Lexa annuì.
“Sono consapevole delle tue
intenzioni iniziali, sì. Adesso ti
porto da lei.”
Proseguirono lungo un corridoio e a
metà di una rampa di scale
s’imbatterono casualmente in Clarke.
Lei sorrise raggiante non appena lo
vide.
“Ehi.”
“Ehi, Principessa.”
Clarke spostò lo sguardo da
Bellamy a Lexa.
“Che succede?”
Bellamy scosse le spalle mentre Lexa
declamava: “Ho solo mostrato
a Bellamy come trovarti.”
“Ci siamo incrociati
all’ingresso” aggiunse il moro, annuendo.
“Adesso vado”
annunciò Lexa. “Devo incontrarmi con
Anya.”
Poi si rivolse a Bellamy, prima di
continuare a salire le scale:
“Non dimenticare quello che ti ho detto.”
Clarke aggrottò le
sopracciglia. “Di che stava parlando?”
“Oh – uh
– solo che la Wollace&co. ha fatto saltare
l’esibizione
dei Terrestri” improvvisò, ricordando una vaga
notizia che aveva sentito la
serata precedente.
“Rimarranno qualche altro
giorno e O vorrà probabilmente andare a
trovarli.”
Riuscì a imbrogliare
Clarke, che replicò con un semplice “Ah,
ok”
e lo accompagnò al ristorante (Bellamy odiava sempre
pranzare fuori; eppure,
avrebbe mentito a se stesso se avesse detto di non essersi divertito in
compagnia della bionda).
Alla fine della prima settimana della
convivenza Blake-Griffin – e
Dio, avrebbero dovuto trovare un soprannome migliore –
Bellamy si svegliò, come
al solito, dentro il letto di Clarke, con il petto nudo e il braccio
incastrati
attorno alla ragazza.
Un cellulare squillò,
quello di Clarke, e la bionda brontolò non
appena si sporse in avanti per raggiungere il telefono e rispondere.
Lo accostò
all’orecchio e il tono in cui disse
“Mamma?” fece
pensare a Bellamy che forse non avrebbe dovuto ascoltare.
Clarke sembrava non essersi accorta
del braccio del moro ancora
conficcato sotto di lei, nonostante avesse la maglietta sollevata e
adesso la
mano di Bellamy le stava toccando la pelle morbida del torso.
Lui finse di essere addormentato ma
Clarke non lo stava nemmeno
guardando.
“Aspetta, di che stai
parlando?” chiese alla madre, dall’altro
capo del cellulare. “No, non puoi venire e
rimanere.”
Sospirò profondamente.
“Non questo weekend, neanche
il prossimo – Bellamy e sua sorella
alloggiano qui; non ci sono camere libere.”
Bellamy sperò che la bionda
non avesse percepito lo shock
scorrergli attraverso le dita al suono del suo nome.
“Per favore,
non…”
Ci fu una pausa.
“Lui è il mio
– oh. Oh, Thelonious te l’ha detto, vero?”
Cazzo. Naturalmente Jaha
l’aveva detto alla madre
di Clarke. Erano amici. Che cosa sarebbe successo se Clarke le avesse
confessato la verità? Lui era così –
“Beh, non credo siano affari
tuoi.”
Bellamy ebbe una mezza idea di
abbracciarla forte, come se
l’enormità della sua gratitudine potesse essere
espressa dalla vicinanza dei
loro corpi.
“Non posso venire il
quindici, sarò in Grecia” disse Clarke,
buttandola in caciara. La bionda si lamentò.
“Sì, mamma, hai
sentito bene. Grecia. La Guerra di Troia, hai
presente? Io…sì, è dove Thelonious
porterà i nuovi membri – è per questo
che ci
andiamo.”
Clarke sospirò, posando
nuovamente la testa sul cuscino.
L’arto falsamente assopito
di Bellamy scivolò più vicino al dolce
fianco di lei. “Bellamy ci va. Beh, sono
stata invitata, no?”
Attraverso le sopracciglia socchiuse,
il ragazzo intravide Clarke
mordersi il labbro. “Troppo presto?”
Si lasciò scappare una
risatina amara.
“Ultimamente non sei stata
molto presente.”
Si fece tutto più
tranquillo, tanto che il moro riuscì ad
ascoltare la voce della signora Griffin da dietro il telefono:
“Bene,
allora, parlami di lui. Del tuo Bellamy.”
Il suo cuore batté
più velocemente.
Lo stratagemma aveva avuto effetto se
le persone iniziavano a
pensare a lui come ‘il Bellamy di Clarke’.
“Parlarti di cosa? Che vuoi
sapere?”
La bionda gli lanciò
un’occhiata ma lui ebbe il buon senso di
continuare a fingere di dormire.
“Beh, è uno
storico – e uno bravo; sai che genere di talento
predilige l’Ark. Si è laureato con il massimo dei
voti mentre lavorava e si
prendeva cura di sua sorella, Octavia. È fantastica anche
lei, mamma. Se la
cava perfettamente, capisce al volo. Uh…” si morse
di nuovo il labbro.
“È abbastanza
alto, ma non alto come lo era Wells.”
La sua voce si soffermò sul
nome ‘Wells’ e Bellamy si chiese chi
fosse e perché parlasse di lui al passato.
“Ha i capelli scuri e le
lentiggini ed è probabilmente più
simpatico quando sorride. Ma è anche un nerd assoluto. Tipo,
può leggere
qualcosa sull’Antica Grecia e passare il resto del suo tempo
ad analizzare
Homer Simpson e lui lo ama davvero, davvero tanto.
Io…”
La mamma di Clarke disse qualcosa di
quasi inudibile. Bellamy
realizzò cosa avesse chiesto solo dopo averlo ripetuto
mentalmente.
“Lo ami?”
Clarke esitò.
“Io…”
Non sembrava aver capito quanto
lontano potesse andare avanti con
le bugie. “Amo chi sono quando sto con lui e come mi sento
quando siamo
insieme. Amo chi sto diventando grazie a lui. Ha senso?”
Bellamy avrebbe voluto dirle che
l’amore non doveva avere per
forza un senso – poi realizzò che lei lo sapeva,
che stava recitando una parte
per il bene di sua madre e che stava specificatamente dichiarando tutto
ciò per
evitare di mentirle. Clarke Griffin non odiava nessuno più
di Bellamy Blake.
Non ne erano consapevoli entrambi?
“Sì,
mamma. Sono felice.”
La madre di Clarke disse
qualcos’altro ma Bellamy non era più
concentrato a origliare.
La ragazza
s’irrigidì.
“No, grazie. So bene cosa
è giusto per me.”
Un secondo dopo, aggiunse:
“No, mamma. Devo andare.”
Terminò la chiamata,
posando il cellulare sul comodino e
affondando nuovamente dentro il letto; il tutto con la mano di Bellamy
ancora
arpionata contro il suo stomaco.
La bionda sospirò,
probabilmente più per soddisfazione personale
che per amarezza e poi chiese debolmente: “Quanto hai sentito
della
conversazione?”
Bellamy sollevò le
sopracciglia.
“Buongiorno,
Clarke.”
“Non sei così
bravo come attore, Bellamy.”
Lui le diede un colpetto
sull’addome con la mano incastrata.
“Sono bravo abbastanza da
fingere di amarti.”
Lei gli fece l’occhiolino.
“Touché.”
Dopo un momento, gli
domandò: “Seriamente, quanto hai
sentito?”
Il moro alzò le spalle.
“Solo qualcosa. Non lo so
– un po’. Tutto.”
Gli occhi di Clarke guizzarono lungo
la camera.
“Sì, beh, adesso
sai che non ho esattamente la migliore delle
relazioni con mia madre.”
Bellamy, girandosi su un fianco per
guardarla meglio, annuì.
“Devo ammettere che
è vero.”
Eppure, il ragazzo non le chiese il
perché. Non le chiese una
ragione.
Se lei voleva dargliela,
gliel’avrebbe data a tempo debito e non
prima di quel momento.
Bellamy realizzò quanto
spesso dovesse ragionare a quel modo con
Clarke.
Lei si alzò dal letto,
quindi la mano del moro ricadde sul
lenzuolo.
Quando raggiunse la porta, si
voltò verso di lui, con una smorfia
di disappunto sul viso.
“Che
c’è, Principessa?”
La bionda alzò le spalle.
“Thelonious è uno
spione.”
…
Quattordici ore dopo, Clarke era
tornata a letto.
Aveva raccolto i capelli dentro una
crocchia disordinata e aveva ammassato
quattro enormi fascicoli sul lato di Bellamy, ognuno di essi inerente a
un caso
diverso.
Octavia cenava con Raven e
probabilmente sarebbe rimasta a dormire
da lei – aveva accennato a una certa discoteca di cui il
fratello non era
proprio un grande fan – e Bellamy era stato via tutto il
giorno.
Clarke, del resto, era stata troppo
occupata per scrivergli un
messaggio e, inoltre, non era davvero la
sua fidanzata.
Che importanza aveva se non era ancora
tornato a casa – merda,
erano davvero le undici di sera?
Clarke si promise che si sarebbe
concessa solo altri trenta minuti
(era occupata, comunque, perciò non è
che desiderasse avere
Bellamy tra i piedi a distrarla) prima di chiamarlo e di controllarlo.
Era quello che qualunque amico
responsabile avrebbe fatto.
Ciononostante, cinque minuti dopo,
sentì la porta d’ingresso
aprirsi e la voce di Bellamy pronunciare un:
“Clarke?”
“Sono qui – in
camera!”
Bussò. “Sei
presentabile?”
“Sempre. Vieni e smettila di
tergiversare. Devo lavorare.”
La faccia di Bellamy spuntò
da dietro la soglia, con un
sorrisetto.
“Ne sono
consapevole.”
Entrò in camera, dando un
colpetto alla porta con il fianco,
tenendo in mano un sacchetto con del caffè caldo.
“Raven mi ha detto che hai
una cosa come quattro casi aperti,
quindi ho pensato di portarti un regalo per tirarti su. E di far
riposare la
macchina dell’Espresso in cucina.”
La bionda mise da parte i documenti e
lo guardò con un sorriso,
caldo e genuino.
Si piegò in avanti per
afferrare la tazza di caffè che il moro
le stava allungando.
Lui ne tirò fuori
un’altra, la propria, dal trasportatore
di cartone e la posò sul tavolo – accanto alle
altre cose random che
collezionava.
“Sono uscito con Nate,
abbiamo mangiato una pizza. Stavo per
scriverti…”
Clarke sorseggiò il
caffè e gli sorrise.
“Tutto ok. Confidavo nel
fatto che non fossi morto in un fosso”
aggiunse, sollevando la tazza delicatamente.
“Era il minimo che potessi
fare” rispose Bellamy.
Il ragazzo si tolse le scarpe con un
calcio e si levò la maglietta
da sopra la testa, ma si fermò prima di abbassarsi i
pantaloni.
“Non ti dispiace se rimango
qui, vero? Mi metterò a leggere
qualcosa sulla mitologia o altra roba. Ma non voglio disturbarti se
stai ancora
lavorando.”
“No” disse Clarke
“va bene. Ho fatto comunque abbastanza, per oggi.
Il mio cervello non ne può più di elaborare
dati.”
Diede un altro sorso al
caffè, prima di posarlo sul comodino.
“Magari puoi raccontarmi
qualche mito. Sono sicuramente più
interessanti di questi”
sottolineò, afferrando i documenti e
spostandoli per terra. “Dai, dov’è il
tuo libro?”
Bellamy rise, giudicando
l’intera situazione ridicola; eppure,
scavò dentro il borsone e le trovò il libro sui
miti.
Clarke iniziò a sfogliare
le pagine, mentre il moro si toglieva i
pantaloni.
Quando salì sul letto di
fianco a lei, notò che la bionda stava
leggendo la storia di Atena.
“Sei troppo prevedibile,
Principessa.”
Clarke sollevò un
sopracciglio. “Cosa? Mi piace, Atena! E allora?”
Bellamy alzò gli occhi
scuri al cielo.
“Sì, tu e
l’altra metà dei fan di Percy
Jackson.”
“Sai, per essere qualcuno
che conosce la trama di Percy
Jackson, dovresti sapere che Atena ricopre un ruolo piuttosto
importante
nei suoi libri.”
Lui sogghignò.
“Ok, certo.”
Bisticciarono per qualsiasi cosa, dal
rapimento di Persefone al
sacrificio di Estia che aveva donato il suo trono sull’Olimpo
a Dioniso, ma
concordarono sul fatto che Zeus fosse, nel complesso, un padre
terribile.
“Almeno ha lasciato ai figli
un destino grandioso” disse Bellamy,
amaramente. “Il mio se l’è squagliata
non appena ha potuto.”
Clarke distolse lo sguardo.
“Il mio è morto.”
Bellamy si voltò verso di
lei, a bocca aperta. “Cosa?”
Clarke annuì.
“Di solito, gli uomini che
amo fanno sempre una brutta fine”
sussurrò aspramente.
Gli occhi del ragazzo cercarono quelli
azzurri della bionda.
“Che vuoi dire?”
Con un sospirò, Clarke
spiegò.
“Mio padre è
morto quando avevo sedici anni.”
Bellamy aprì la bocca per
scusarsi ma Clarke gli parlò sopra.
“Aveva scoperto una serie di
operazioni illegali da parte di
alcuni dirigenti dell’Ark. Li avrebbe denunciati alla stampa.
Ovviamente la
cosa non piacque a molti. Così, una sera, dopo il
lavoro…qualcuno si assicurò
che non fosse più in grado di tornare a casa.”
Il cuore di Bellamy si
spezzò, fissandola.
“Jaha
non…”
Lei incontrò il suo
sguardo. “Non lo so.”
Sospirò nuovamente e
continuò.
“Poi, durante
l’ultimo anno di liceo, Wells, il mio migliore
amico, il figlio di Jaha, fu scambiato per qualcun altro –
durante una
passeggiata. Una ragazza lo accoltellò al collo e lui
morì e lei – lei ebbe
la faccia tosta di dire che si era
trattato di autodifesa.”
Clarke digrignò i denti.
“Conoscevo Wells meglio di
chiunque altro. Lui odiava la violenza.
La odiava.”
“Clarke, sono
così…”
Era come se lei non potesse
più sentirlo.
“E poi sono uscita con
questo ragazzo, Finn. Beh, in realtà non ci
stavamo ancora frequentando. Lui stava con Raven ma mi tenne nascosto
questo
minuscolo dettaglio e venne a letto con me mentre eravamo fuori in
campeggio.
Storia lunga. Comunque, si lasciarono e Finn
s’innamorò di me.”
Clarke deglutì.
“Mi stava accompagnando in
macchina, una sera, ed era troppo
impegnato a guardarmi per vedere che la luce arancione di quel semaforo
era
diventata rossa. Lui continuò a guidare e ci scontrammo
contro un autobus.
L’autobus si capovolse. Non so come, noi no. Ma il lato della
macchina di Finn…urtò contro
l’autobus. Diciotto persone morirono, insieme a Finn. Tutto
perché stava
guardando me.”
Scrutò Bellamy, che si
sorprese del fatto che la bionda si
ricordasse ancora che lui fosse lì.
“L’ho ucciso,
Bellamy. Ho ucciso Finn.”
E improvvisamente, tutto
ciò cui Bellamy riuscì a pensare fu a una
particolare notte di tanti anni prima, quando Raven si era presentata
nel suo
appartamento in lacrime, afferrando la bottiglia di Chiaro di Luna che
Monty
aveva dimenticato dentro casa.
All’inizio non gli aveva
detto niente ma dopo aveva avuto bisogno
di lui e l’aveva voluto in quel modo
– cosa che lui le aveva
permesso – e adesso tutto aveva molto più senso.
Bellamy non sapeva che fare,
perciò la raggiunse e la strinse tra
le braccia e Clarke pianse.
Il moro rimase talmente scioccato da
quello che era appena
accaduto che i pezzi del puzzle iniziarono a ricomporsi dentro la sua
testa: il
dolore della bionda alla vista di Jaha, l’identità
di Wells e la ragione per
cui ne parlava al passato, l’apparente debito di Clarke nei
confronti di Raven,
Lexa che lo avvisava che Clarke lo avrebbe protetto non permettendogli
di
amarla.
Ed era stato lui a trascinarla dentro
tutto ciò.
Lei non avrebbe mai più
avuto nulla a che spartire con l’Ark
Enterprises se lui non gliel’avesse chiesto.
“Oh Dio, Clarke, mi dispiace
tantissimo.”
Lei tirò su col naso.
“Perché? Non eri tu alla guida
dell’autobus
e sono abbastanza sicura che tu non abbia nemmeno accoltellato il mio
migliore
amico.”
Il moro non sapeva cosa rispondere e
non sapeva nemmeno se avrebbe
voluto farlo.
Dopo un momento, Clarke gli
domandò: “Perché sei cosi gentile con
me?”
“Sono sempre
gentile.”
“No, non lo sei.”
Bellamy le stampò un bacio
sui capelli biondi. “Sono gentile
con te.”
Clarke alzò la testa e lo
guardò, realizzando che forse sì!, lo
era davvero.
Le portava il caffè quando
doveva lavorare e le preparava la
colazione quando si svegliava tardi e le stava disegnando dei cerchi
con le
dita sulla schiena e le stava baciando la fronte invece dei capelli e
perché
quest’uomo impertinente e anarchico la faceva sentire a casa?
Gli occhi di lei incontrarono quelli
di lui per un secondo,
cercandoli, e poi la ragazza si sporse in alto e lo baciò.
Le loro labbra si sfiorarono e gli
occhi di Bellamy erano aperti e
lui stava sussurrando “Clarke…” con il
tono più vulnerabile che lei avesse mai
udito.
Sì, era stupido, e
sì, era pericoloso, ma lei stava affogando
sotto il peso di suo padre e di Wells e di Finn e Bellamy era
l’unica persona
che fosse in grado di tenerla a galla.
Perciò lo baciò
di nuovo, più forte, con più urgenza, con la mano
sul collo del ragazzo e, oh Dio, se solo il pollice di lei non fosse
stato
premuto nel punto in cui la mascella s’incontrava con
l’orecchio, avrebbe
potuto strangolarlo, ma forse sarebbe da sempre dovuta andare in questo
modo –
nel modo in cui le braccia di Bellamy erano strette attorno a Clarke,
avvicinandola più che potevano.
Ma alla fine lui andò via,
spostandosi.
E con voce rotta disse, respirando
profondamente: “Non è in questo
modo che volevo accadesse.”
Clarke sbatté gli occhi,
fissandolo.
“Bellamy.”
Il moro scosse la testa, coprendosi la
faccia con la mano.
“Clarke, sei sconvolta e non
stai pensando lucidamente.”
“Io…”
Lui si sedette sul bordo del letto,
guardando la parete al posto
della bionda.
Il momento dopo, afferrò i
pantaloni e li strattonò.
“Credo che
dormirò sul divano.”
“Non
devi…”
Serrando la mascella e chiudendo gli
occhi, quasi come per
trattenersi, Bellamy rispose: “No, dovrei eccome. Avremo un
sacco di tempo per,
uh, le chiacchiere da letto, in Grecia.”
Prese il suo cuscino, tanto per
rafforzare il concetto e brontolò
qualcosa sul trovare delle coperte extra dentro l’armadio.
Dopo un paio di passi verso la porta,
si voltò verso la bionda,
con espressione sofferente.
“Senti, Clarke, mi dispiace
tanto. Uh…dormi bene.”
Infine,
sgattaiolò fuori dalla stanza, lasciando Clarke con il
libro sulla mitologia Greca e il pensiero che forse Bellamy Blake era
in grado
di fingere che lei gli piacesse meglio di quando credeva.
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Capitolo 7 *** Capitolo Sette ***
Sette
Garofani rosa o
Colpa delle Stelle
Clarke Griffin si risvegliò
la mattina successiva, consapevole di
tre cose.
Primo, doveva piantarla di posare i
documenti per terra accanto al
letto perché finiva inevitabilmente per calpestarli sempre,
sempre, sempre.
Secondo, essendo ormai cresciutella,
avrebbe dovuto smetterla di
indossare la vecchia maglietta di suo padre per dormire.
Quella di adesso sfoggiava diversi
buchi e qualche macchia, mentre
sulle altre non era rimasto nemmeno più l’odore
del genitore.
Terzo, sconvolta o no, baciare Bellamy
le era piaciuto molto.
Il moro aveva trascorso tutta la notte
sul divano, probabilmente
in una posizione scomoda e disagevole.
Clarke aveva sentito Octavia rincasare
la mattina presto ma i
passi della ragazza si erano fermati non appena aveva visto il fratello.
“Perché stai sul
divano? Che hai fatto?”
Bellamy si era lamentato, forse per il
sonno, e aveva sussurrato:
“Io, uh, sono rimasto da Nate fino a tardi. Non volevo
disturbare Clarke.”
C’era stata una pausa,
durante la quale la bionda aveva digerito
la bugia.
Poi, Octavia gli aveva detto:
“Sei così devoto,
fratellone.”
E Clarke aveva quasi sorriso,
assaporando il sapore amaro dentro
la bocca.
Se solo Octavia avesse saputo.
Bellamy non era e non sarebbe mai
stato minimamente interessato a
lei.
Se lo fosse stato davvero, non sarebbe
mai saltato giù dal letto
come se qualcuno gli avesse dato la scossa.
Eppure, una minuscola parte di Clarke
affermava che lui doveva
volerle bene almeno un po’, in qualche modo, altrimenti non
avrebbe mai
risposto al suo bacio (e siccome l’intera vicenda bruciava
ancora dentro la
testa della ragazza, ne era assolutamente certa.)
Quindi, Clarke iniziò la
giornata con la consapevolezza che
Bellamy volesse dimenticare per sempre quello che era successo la notte
precedente.
Si alzò e si fece una
doccia ma era Sabato e non doveva andare al
lavoro.
Sperando di evitare
un’imbarazzante situazione con Bellamy o
Octavia o entrambi i Blake, inviò un messaggio a Monty e gli
chiese se voleva
fare colazione con lei.
La risposta dell’amico
cominciò con un Meraviglioso. Per
favore. Sì.
Per poi menzionare qualcosa sul fare
anche uno spuntino.
Quando finì di vestirsi e
di mettere le cose essenziali dentro la
borsa, arrivò il momento di affrontare il resto della casa.
Dio, Clarke, riprenditi.
È il tuo appartamento.
Qui tu sei la
Principessa. Sei la Regina.
Bellamy doveva essersi cambiato la
maglietta mentre lei stava
ancora dormendo, dato che adesso ne indossava una nuova –
notò la bionda quando
gli finì addosso in cucina – letteralmente.
Teneva una tazza piena di
caffè e la ragazza saltò via per evitare
di macchiarsi la t-shirt bianca.
“Scusa” disse
Bellamy, scuotendo dalla mano libera il liquido
scuro.
“Devi smetterla di scusarti
con me.”
Gli occhi del moro scattarono,
incontrando i suoi.
Dopo una pausa, ripeté:
“Scusa.”
“Faccio, uh, faccio
colazione con Monty” annunciò Clarke, annuendo
alle sue stesse parole ed evitando di guardare Bellamy.
“Oh – vuoi un
passaggio?”
Doveva anche smetterla di dirle cose
del genere. Doveva smetterla
di fingere di essere carino quando non c’era nessuno in giro.
“Veramente possiedo una
macchina” replicò Clarke, forse troppo
duramente. “Non ho avuto molte occasioni per guidarla,
ultimamente, ma sta
ancora dentro il garage al piano di sotto.”
Bellamy serrò la mascella.
“Clarke, io…”
“Dio, è
già così tardi?” lo interruppe la
bionda, fissando
l’orologio a muro dietro le spalle del ragazzo.
“Ho detto a Monty di vederci
verso le dieci. Devo sbrigarmi se
voglio arrivare in tempo.”
Si voltò per uscire ma
Bellamy la raggiunse e la trattenne per un
polso.
Lei roteò su se stessa,
affrontandolo.
“Possiamo
parlare?” le chiese.
Clarke strinse le labbra.
“Avremo un sacco di tempo
per le…chiacchiere da letto in Grecia,
no?”
Lui apparve sofferente.
“Clarke…”
“Devo andare da
Monty.”
Quindi lui la lasciò e lei
andò via.
…
Clarke scoprì che il The
Dropship era un locale tremendo per
ascoltare la musica, ma un posto abbastanza decente dove mangiare.
Lei e Monty si sedettero vicino alla
porta, accanto a una radio
mezza rotta che trasmetteva canzoni oscene.
Quando un cameriere che portava al
petto un cartellino con la
scritta Myles la spense,
Clarke e Monty rimasero in
parziale silenzio.
Non era insopportabile ma finirono per
parlare lo stesso.
Clarke iniziò
volontariamente dal colpo di scena.
Infatti, afferrando la colazione,
annunciò: “Ho baciato Bellamy.”
Monty fece cadere la forchetta, quasi
sul punto di soffocare.
Fissò la bionda e
balbettò: “C-cosa?”
Lei annuì.
“Ieri sera. Ha dato di matto
e ha detto che avremmo dovuto
smetterla ed è andato a dormire sul divano.”
Monty continuò a fissarla,
in silenzio.
“Tu…hai baciato
Bellamy. Bellamy Blake. Bellamy Blake lo stronzo
che non sopporti. Quel Bellamy
Blake?”
Lei scosse la testa e
sospirò. “Non è davvero uno
stronzo.”
“Oh, sei arrivata a questa
conclusione dopo solo una settimana di
convivenza con lui?”
“Ho capito che non era un
coglione prima di
invitarlo a rimanere a casa mia” spiegò Clarke.
Monty la guardò come se
fosse pazza.
“Ti ha fatto rompere tre
dei nuovi piatti di
Raven! Non ti ricordi a
Capodanno?”
Poi aggiunse: “E
perché hai detto ‘è andato a dormire
sul divano’?
Dove dormiva, prima?”
Clarke sorseggiò il suo
caffè, alzando le sopracciglia e facendole
ricadere velocemente in basso.
Monty
brontolò. “Oh, andiamo,
Clarke! Sua
sorella sta letteralmente a due porte di distanza dal
corridoio e non ti è venuto in mente di farli dormire
insieme?”
La bionda posò la tazzina
del caffè sopra il piattino.
“Volevo dare a Octavia un
po’ di spazio.”
“Dormendo con suo
fratello?”
Alcune persone si voltarono verso di
loro e gli occhi azzurri di
Clarke catturarono quelli neri a mandorla dell’amico.
“Non puoi
semplicemente esporre i fatti in
questo
modo! Stai…stai stravolgendo la verità e
francamente è inutile. Dato che, per
quanto riguarda Bellamy, potrebbe finire in qualunque momento
– l’intera
messinscena.”
Monty sollevò un
sopracciglio. “Questo… suona tanto da
relazione.”
“Non è
vero” disse la ragazza. “Partiremo per la Grecia
fra tre
giorni e non so se riuscirò a far funzionare le
cose.”
“Clarke, deve funzionare.
Hai già mentito a tutti
sul fidanzamento, inclusa tua madre.”
La bionda alzò gli occhi al
cielo.
“Thelonious l’ha
raccontato a mia madre. È diverso.”
“Come?”
“Non lo
è” ammise lei, sospirando e lasciandosi
praticamente
cadere sulla sedia. “Ma avevo la sensazione che io e Bellamy
ci stessimo
finalmente avvicinando, che stessimo diventando amici e ho rovinato
tutto.
Tipico di me.”
“Non è
vero” la rassicurò Monty.
“Nate mi ha detto che
Bellamy parla sempre e solo di te. E non
come, tipo ‘la maledetta Principessa’.”
Clarke alzò il viso dalla
colazione, invitando Monty a continuare.
“Ok, è
fastidioso, però. – ‘È
davvero tardi, forse dovrei scrivere
a Clarke’ – oppure – ‘Dovrei
pagare le bollette di Clarke mentre abito con
lei?’ – , – ‘Clarke lo
troverebbe così divertente’
–, – ‘Non
ho idea di come risolvere questo problema, fammi chiamare
Clarke’ –. A quanto
pare,” concluse Monty “Nate ne ha fin qui” sollevò
in aria una
mano “di te e del fatto che tu l’abbia sostituito
nella vita del suo migliore
amico; quindi, se pensi di aver rovinato le cose baciando Blake, ti
avverto
che non l’hai
fatto.”
Lei si prese un momento, poi
sollevò le sopracciglia.
“Come fa Nate a sapere che
Bellamy non sta solo facendo finta? Lui
vuole davvero questo
lavoro.”
La bionda non capiva perché
mai qualcuno al mondo volesse lavorare
per Thelonious Jaha.
Ma non erano affari suoi.
Letteralmente.
“A Blake potranno
anche piacere le tragedie
Greche, Clarke, ma non è interessato a viverne
una.”
Sperando di cambiare argomento, Clarke
s’informò: “Perciò sei
uscito parecchie volte con Nate?”
Monty annuì, fissando il
proprio piatto.
“Voi
due…?”
Lui scosse le spalle.
La bionda si sporse in avanti e gli
prese un braccio, obbligandolo
a guardarla. “Monty…”
“Ok,
d’accordo!” confessò il ragazzo
asiatico, come un bambino
piccolo pizzicato a rubare i biscotti al cioccolato dentro la scatola.
“Sì!
Dalla scorsa settimana!”
“Stai scherzando”
esclamò Clarke, con un sorriso
smagliante stampato in faccia. “Perché non me
l’hai detto prima?”
“Avevi già i tuoi
bei problemi.”
“Oh, ma non erano importanti
quanto questo” replicò
velocemente. “Andiamo, com’è
successo?”
Monty alzò le spalle.
“È successo e
basta. Siamo andati nel suo appartamento e uno dei
cavi elettrici era saltato perciò l’ho
riaggiustato. Dopo che è tornata la
corrente abbiamo finito per parlare di suo padre,
non so perché. Si
chiedeva se potesse essere fiero di lui – di Nate –
e della sua omosessualità,
e cose così. E allora, ovviamente, io ero tipo, Cosa? E
lui
era tutto un…Già.”
Clarke sollevò le
sopracciglia. “È fantastico, Monty.”
Gli sorrise e annuì.
“Sul serio.”
“Ma che farai tu, con
Bellamy?”
Lei sospirò, abbassando lo
sguardo e scuotendo delicatamente i
capelli biondi.
“Hai mai pensato che forse
eri destinata a
baciarlo? E a tutta la faccenda con l’Ark!”
suggerì lui, cogliendo un difetto
nei loro calcoli.
“Tua madre è
amica del futuro capo di Bellamy – cosa farai quando
avrà ottenuto il lavoro? Improvviserai una separazione?
Tutti quanti sono stati
imbrogliati credendo che siete così innamorati!
Fingerete una
relazione a distanza? E se vuoi frequentare qualcun altro?
Che…?”
“Non lo
farò” sussurrò la ragazza, digrignando
i denti.
“E non eravamo destinati a
niente – Raven mi ha chiesto un favore
e Bellamy era disperato ed io ho solo pensato di aiutare un amico. Non
ho mai
nemmeno parlato come si deve con mia madre per anni e
non
sapevo che Thelonious lavorasse ancora lì. Non ha mai fatto
parte del
dipartimento di Storia quando papà era vivo.”
Monty sospirò.
“Sì, tu e Blake
dovreste prima fare un po’ di chiarezza tra voi.”
“Penso che abbia ricambiato
il mio bacio” dichiarò Clarke.
Non era sicura del perché
lo stesse dicendo all’amico, ma ne aveva
bisogno.
“Mi ha baciato e poi non ha
più voluto.”
Monty ci rifletté su.
“Parlane con Raven
– è la psicologa di Blake. Oppure con
Octavia.”
“Non chiederò a
Octavia se piaccio a suo fratello,
Monty.”
“D’accordo. Dico
solo che hai voluto il tuo letto e adesso ci devi
dormire. Con Bellamy, naturalmente.”
Clarke simulò una risata,
spingendolo dall’altra parte del tavolo.
…
Più tardi la
ragazza tornò a casa, trovandola con successo senza nessun
Blake dentro.
Si versò un bicchiere di
vino, dato che era sicura di meritarne
uno, e si rannicchiò sul divano con un libro di Van Gogh
sulle ginocchia che
non ricordava di aver mai comprato – ma lo aveva fatto per
forza, altrimenti
per quale ragione era stato abbandonato sopra il tavolino da
caffè?
Iniziò ad adocchiarne la
bibliografia – magari era solo un vecchio
dono di Raven, i cui soliti regali consistevano in gadget del computer,
giochi
di società o lingerie sexy – quando
sentì il portone aprirsi.
“Oi, Bell, sei
qui?”
Era la voce di Octavia e la ragazza si
trascinò svogliatamente in
salotto dentro gli anfibi neri.
“Bell?”
I suoi occhi si posarono su Clarke.
“Oh, scusa. Bell non
è casa, vero?”
Clarke scosse la testa. “No.
Che succede?”
Octavia sospirò.
“Ho un appuntamento e volevo che mi
accompagnasse.”
“Oh, un appuntamento? Con
chi? – Se non ti dispiace dirmelo.”
Octavia si sedette su uno sgabello,
togliendosi gli stivali.
“Uh, ho conosciuto questo
Terrestre di nome Lincoln a casa di
Raven e dobbiamo andare o a fare un’escursione o a giocare a
Paintball; uno dei
due.”
Clarke sollevò un
sopracciglio, mettendo da parte il libro.
“Sembra fantastico. Hai
detto che ti serve un passaggio?”
La mora si drizzò
entusiasta, intuendo dove voleva andare a parare
la bionda. “Non è vicino – voglio dire,
Bellamy probabilmente sarà già tornato
per quell’ora. Non devi preoccuparti.”
Clarke scosse la testa.
“Non mi preoccupo. Ti
accompagno.”
“La Principessa ha una
carrozza?” domandò Octavia e Clarke non era
sicura se si trattasse di una presa in giro o di un complimento.
“La Principessa ha una
biga” rispose. “Dimmi quando sei pronta.”
…
Bellamy era arrivato a casa di Miller
da circa un’ora, quando si
era ritrovato non solo di fronte a Nate, ma anche dinanzi a Monty.
I tre ragazzi avevano lasciato
l’appartamento e si erano rintanati
dentro Achille, la macchina dei Blake, per comprare dei fiori a
Octavia, visto
che il moro aveva scoperto da una fonte piuttosto attendibile alla
Brown – una
sorta di uomo eccentrico, chiamato Shumway, che lavorava per il preside
– che
la sorella aveva superato a pieni voti gli esami.
“Ovvio”
commentò Miller, una volta messo al corrente della
situazione.
“La tua è una
famiglia di geni.”
Bellamy annuì e mantenne il
sorrisetto per il resto del viaggio.
Il negozio di fiori era luminoso e ben
rifornito; l’odore talmente
travolgente che dopo nemmeno dieci minuti Miller iniziò a
starnutire ed era
decisamente allergico a qualcosa.
Monty stava per lasciare la bottega
assieme al ragazzo quando una
voce familiare lo attirò.
“Monty?”
Il cinese si voltò, seguito
da Bellamy e Nate.
“Maya.”
“Maya”
ripeté Bellamy, quasi immediatamente, rendendosi
conto di trovarsi nella merda.
“Oh, ciao,
Bellamy” rispose Maya, immobile lungo il corridoio
elegante, con un dolce sorriso sul viso quadrato.
Indossava un maglioncino rosa e dei
pantaloni color crema,
spostando lo sguardo dal moro a Monty.
“Voi due vi
conoscete?”
Bellamy sbatté le palpebre,
fissando di rimando lei e il ragazzo
orientale.
“Voi due
vi conoscete?”
Maya annuì lentamente.
“È stato il coinquilino del mio
fidanzato.”
“E prima di quello, il
dirimpettaio” aggiunse Monty. “Io e Jasper
ci conosciamo da una vita.”
“Monty ha conosciuto Nate
che conosceva me” spiegò Bellamy a Maya.
Era quasi la verità.
Monty era anche un amico di Clarke ma
non c’era bisogno di
confessare tutto. Tentando di dirottare la conversazione,
sollevò l’indice
della mano destra ruotandolo attorno a loro.
“Cosa ci fai qui?”
Scoprì che Maya stava
frequentando un corso d’arte come incremento
della galleria e aveva bisogno di fiori per un ritratto che
rappresentasse il
decadimento e il rinnovo.
Clarke l’avrebbe adorato e
ne avrebbe discusso per ore con Maya,
se fosse stata lì con loro: sulle scelte dei colori, il
materiale da
utilizzare.
Bellamy strinse le labbra. Non era
venuto là per pensare a Clarke.
“Cosa mi dici di te? Stai
preparando una sorpresa a Clarke?”
Tornò alla
realtà. “Cosa?”
“Sì”
rispose Monty, più veloce di Bellamy a reagire.
“Sta facendo un regalo alla
sorella per celebrare i suoi grandiosi
esami di metà trimestre e uno per Clarke. Perché
è un tontolone. Vero,
Bellamy?”
Il moro serrò la mascella
ma Maya replicò prima di lui.
“Oh, è
fantastico!” e afferrò un bouquet di eleganti
garofani
rosa.
“Penso che a Clarke
potrebbero piacere – ma comunque, la conosci
meglio di me.”
Il suo telefono squillò e
dopo averlo tirato fuori dalla giacca,
annunciò: “È Jasper. Devo andare
– gli dirò che ci siamo incontrati, Monty, e
congratulazioni per gli esami di tua sorella, Bellamy!”
E scappò via, senza nemmeno
i fiori per il dipinto.
Il silenzio calò tra i tre
ragazzi: Bellamy, Monty e Nate.
Dopo un momento, Nate
scoppiò. “Prenderai i fiori a Clarke?”
Bellamy lo squadrò.
“Scusami?”
“Dovresti comprare a Octavia
delle campanule o qualcosa del genere
e a Clarke quel bouquet.”
“Perché dovrei
comprare dei fiori a Clarke?”
“Non lo so”
s’intromise Monty “perché ti ha baciato
e tu hai
pensato bene di lasciare la stanza?”
Nate abbassò la testa verso
il pavimento lucido e Bellamy si
concentrò su Monty. Era pallido.
“Te l’ha detto
lei?”
“È
vero?” lo pressò il ragazzo orientale.
“Naturale” ripose
Bellamy, le labbra scure in confronto all’espressione
cerea.
Nate non sembrava particolarmente
colpito.
“Problemone, hai baciato
Clarke – possiamo parlare d’altro,
adesso?”
“Perché sei tanto
menefreghista su questo?” chiese Monty,
avvicinandosi al fidanzato.
“Non è stata una
grande sorpresa che sia successo.”
“Davvero?”
domandò Bellamy. “Io ero abbastanza
scioccato.”
Nate alzò le spalle.
“Era prevedibile. Adesso
compra alla tua finta ragazza quei cavolo
di garofani e prendi a tua sorella qualcosa di abbastanza
delicato e potente
da uccidere qualcuno, prima che mi stufi.”
“Che cosa significa
che non è qui?”
sollecitò Bellamy.
Fortuna che aveva già
lasciato un bouquet sul letto di O e uno su
quello di Clarke, perché ciò che la bionda gli
aveva appena riferito lo avrebbe
fatto desistere.
“Significa esattamente
questo” rispose Clarke.
Da quando lui era tornato a casa, lei
aveva a malapena alzato gli
occhi dalla biografia di Van Gogh.
Bellamy imprecò
avvicinandosi al divano, dove strappò alla ragazza
il libro di mano, tenendole il segno con un dito.
“Dove è
andata?”
“Aveva un
appuntamento” scattò Clarke, chiaramente
arrabbiata,
giacché le aveva appena confiscato il suo libro-barriera.
“Un appuntamento?”
Bellamy sollevò un sopracciglio. “Non conosce
nessuno in città. Con
chi sarebbe uscita?”
Clarke scosse la testa.
“Un Terrestre di nome
Lincoln? Non lo so – ”
“È uscita con
un Terrestre? Clarke, li hai visti;
sai come sono – ”
“ – Sono
minacciosi da morire” ammise Clarke. “Ma anche
Octavia. E
mi sono accertata che avesse il tuo numero, il mio numero
e quello
di Raven – in caso di emergenza – e il nostro
attuale indirizzo, se per caso le
servisse.”
Bellamy, calmatosi, la
guardò.
“Suona tanto da mamma,
Principessa.”
Lei alzò le spalle.
“Meglio essere prudenti che dispiaciuti.
Adesso posso avere indietro il mio libro?”
Lui si lamentò.
“Non è
il tuo libro. È il
mio.”
“Non è vero
– ma di che stai parlando?”
“Leggi la prima cazzo di
pagina, Clarke.”
Poi il moro le mostrò la
pagina in questione, dove era stata
incisa una piccola iscrizione: Proprietà
di Bellamy Blake.
La bionda chiuse la bocca, stizzita.
“Beh, in questo caso, posso
riavere indietro il tuo libro?”
“Stava sul tavolo
perché lo leggevo stamattina” rispose attraverso
una facciata da mascella serrata.
In realtà era felice che
potessero parlare normalmente come
sempre.
“C’è
uno speciale programma di storia su Augusto”
negoziò Clarke.
L’aveva sentito la scorsa
settimana, al notiziario delle dieci.
“So già tutto
quello che c’è da sapere su di lui”
disse il
ragazzo.
Eppure, quasi immediatamente,
aggiunse: “Probabilmente dovrei
guardarlo.”
Clarke annuì e come Bellamy
si sedette sul divano, le porse il
libro con una sola, rapida occhiata.
Lei lo prese e si avviò in
camera.
La prima cosa che notò,
dopo aver scoperto che il moro le aveva
tenuto il segno, fu il bellissimo bouquet di fiori rosa.
Non sapeva il loro nome, ma li aveva
notati un giorno dalla
vetrina del fioraio e probabilmente profumavano di fresco e di dolce.
Posò il suo libro
– il libro di Bellamy – sul letto e raccolse il
bouquet.
Vi era attaccato un biglietto, scritto
a mano con dell’inchiostro
nero.
Ehi – scusa per
aver reso le cose strane la notte scorsa. Ho reagito come un idiota ma
smetterò
di scusarmi, adesso. Buon mesiversario (suona come una stupidaggine
– perché la
gente lo scrive? E in realtà sono passati alcuni giorni
più che un mese, ma a
chi frega) alla miglior finta fidanzata che abbia mai avuto. Non vedo
l’ora di
disseppellire antiche civiltà e leggere libri di storia e
rilassarmi a bordo
piscina con te – Bellamy.
Clarke si ritrovò a
sorridere come si doveva per la prima volta in
quella giornata.
Non lo riteneva un tipo da fiori a
sorpresa, ma comunque, lo
aveva visto portarne un mazzo anche nella camera di Octavia –
da qui l’inizio
della discussione sul lei non è a casa –
quindi forse era
uscito con l’intenzione di comprare dei fiori alla sorella ed
era tornato a
casa con un mazzo in più.
Clarke decise che Chi
lo sa? Chissenefrega? e
avvicinò i fiori al viso per annusarli.
“Clarke, devi proprio venire
a vedere…”
Bellamy si affacciò alla
stanza da letto con le mani sulla porta.
“Hai trovato il bouquet.”
La bionda annuì.
“Sono bellissimi.”
Lui annuì di rimando.
“Lo sono.”
Dopo una breve pausa, le chiese se
voleva guardare lo speciale
documentario su Augusto con lui. “Stanno per parlare di sua
sorella.”
Clarke sollevò un
sopracciglio.
“Ottavia”
suggerì Bellamy.
“Una coincidenza
pazzesca” disse la ragazza.
Bellamy scosse la testa.
“Mia madre mi ha lasciato
decidere il nome ed io ho scelto
Octavia.”
Alzò le spalle.
“Ero un bambino; avevo appena letto la storia di
Augusto.”
La bionda roteò gli occhi,
sorridendo. “Naturalmente.”
Mise i fiori accanto a lei e si
alzò. “Credo che lo guarderò con
te.”
Bellamy sembrò
piacevolmente sorpreso.
Clarke lo condusse fuori dalla stanza,
aggiungendo: “Chiunque
abbia una sorella di nome Octavia deve essere per forza un bravo
ragazzo.”
“Questa era piuttosto
sdolcinata, Clarke.”
Lei poteva immaginare il sorriso nella
voce del moro e lui poteva
percepirlo in quella della bionda, quando gli disse: “Non mi
riferivo a te.”
“Mi ferisci.”
“Ok, Augustus.”
Ci fu un momento di confortevole
silenzio; poi, Bellamy le
domandò: “Avevi intenzione di citare John
Green?”
Clarke sbatté gli occhi
blu. “ No, ma l’ho fatto comunque.”
“È stato
grande.”
“Come Alessandro
Magno?”
Si buttarono sul divano e Bellamy
avvolse la ragazza con un
braccio, ridacchiando.
“Lascia la storia a
me.”
“Ma se sono uno
spasso.”
“Principessa”
sospirò, “sei sicuramente qualcosa.”
…
Cinque ore dopo, Octavia fece il suo
ingresso (era talmente tardi
da sembrare mattina) e la testa assopita del fratello moro era ancora
appoggiata sulla spalla destra di Clarke.
La televisione si era spenta da poco
ma la bionda era rimasta
seduta in silenzio senza muovere un muscolo.
“Com’è
andata?” sussurrò entusiasticamente, sorridendo a
Octavia.
La brunetta le si fermò
accanto. “Bene, sì. È piuttosto
figo.”
“Paintball o escursione?
Quale avete scelto, alla fine?”
Octavia fece una smorfia compiaciuta.
“Paintball. E l’ho
preso a calci nel culo. Ci rivedremo tra
qualche giorno quando avrà finito con la galleria.”
Fece una pausa. “Mio
fratello è stato, come dire, estremamente
territoriale quando ha saputo dov’ero?”
Clarke aggrottò la fronte.
“Di solito lo
è” spiegò Octavia. “Quando mi
sono messa con un
ragazzo al liceo – a quel tempo vivevamo insieme –
è diventato pazzo. Quasi un
militare.”
Roteò gli occhi.
“Mi ha resa più furtiva.”
Clarke rise di cuore.
“Vado a letto, va
bene?” Octavia le sfiorò la spalla con il
pollice. “Notte, Clarke.”
“Notte, Octavia.”
Quando la porta della camera di
Octavia si chiuse dietro di lei,
Clarke fissò il ragazzo addormentato sulla sua spalla.
Non era un ragazzo, in
realtà, ma un uomo, e c’era una bella
differenza, ma quando la bionda pensava a un uomo, lo pensava
sposato con figli e nel bel mezzo di una potenziale crisi di mezza
età.
Pensava anche alla barba e al pericolo
e al padre morto.
Forse perché nessuno dei
ragazzi che aveva amato nel corso della
sua vita era cresciuto abbastanza da diventare un uomo.
Forse perché Bellamy
sembrava così pacifico, molto meno inquieto
di quanto fosse in realtà.
Gli diede un colpetto con delicatezza.
Lievemente, sussurrò:
“Bellamy.”
Lui non si mosse.
“Bellamy.”
Tentò un altro paio di
volte, finché il moro non si svegliò
borbottando.
Senza aprire gli occhi, chiese
intontito: “Cosa?”
“Octavia è a
casa.”
“Mmkay.”
“E io devo andare a dormire
perché sono molto stanca. E anche tu
lo sei.”
Bellamy sbadigliò.
“Non so di cosa parli.”
Clarke rise. “Forza,
portiamoti a letto.”
“Dormirò sul
divano” disse, ancora con gli occhi chiusi.
“Stupidaggini.
Andiamo.”
Lui la assecondò e lei lo
fece appoggiare con il braccio a mo’ di
stampella.
Quando raggiunsero la stanza, Bellamy
praticamente collassò sopra
il letto.
“Attento a non schiacciare i
miei fiori.”
“Sono contento che ti
piacciano, Clarke.”
“Certo che mi
piacciono” rispose lei. “Non puoi addormentarti con
i jeans, te ne pentirai non appena ti risveglierai. Anzi, probabilmente
presto.”
Bellamy si lamentò.
“Smettila di farmi da mamma.”
“Non ti sto facendo da
mamma.”
“Cosa stai facendo,
allora?”
Clarke s’interruppe.
“Non lo so, ti sto facendo da amica?”
Bellamy grugnì.
“Mi stai facendo da fidanzata”
decise,
aprendo a malapena un occhio.
“Devo spogliarmi,
Principessa. Non serve che tu faccia anche
questo per me.”
“Credimi”
mentì “è l’ultima cosa che
voglio fare.”
Percorse la camera e
afferrò il suo pigiama. “Vado a
cambiarmi.”
“Non devi andare da nessuna
parte” la fermò lui non appena la
bionda si diresse verso la porta. “I miei occhi non sono
esattamente aperti.”
Lei ci pensò su.
Bellamy si addormentò quasi
immediatamente ed è per questo che
Clarke decise che doveva essere
esausto, ma lo avrebbe seguito
poco dopo, appena il tempo di leggere il loro itinerario sulla Grecia.
L’aereo sarebbe decollato
dopodomani.
Clarke realizzò che
dovevano ancora fare i bagagli ma la sua mente
stanca non riuscì ad allontanarsi da un unico, singolo
pensiero – a parte la
straordinaria bellezza del Mediterraneo.
Ci sarà un sacco di tempo
per le chiacchiere da letto in Grecia.
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Capitolo 8 *** Capitolo Otto ***
Otto
In viaggio o
How I met our mother
Ben cinque persone, ammassate
all’interno di Achille, la macchina
della famiglia Blake, raggiunsero l’aeroporto centrale di
Londra.
Octavia li aveva seguiti per augurare
buon viaggio a suo fratello
e per ringraziare Clarke di averle permesso di sorvegliare
l’appartamento nella
zona più elegante della città.
Raven era l’unica persona di
cui i Blake si fidassero abbastanza
da lasciarle guidare la loro auto mentre Lexa, che si trovava assieme a
Raven
quando il trio dei Blake-Griffin era sopraggiunto, si era offerta di
accompagnarli anche lei.
Alla fine, sia Bellamy che Raven
avevano occupato i sedili
anteriori, con Clarke, Octavia e Lexa schiacciate contro quelli
posteriori a
mo’ di sandwich.
Bellamy aveva usufruito della pausa
dal lavoro del giorno
precedente per rinchiudersi dentro la casa di Raven e per raccontarle,
così,
quello che era successo.
Aveva trovato anche Lexa, logico, e il
ragazzo aveva avuto una
mezza idea di domandare loro se si stessero frequentando, tipo Monty e
Nate, ma
il pensiero gli era scivolato di mente quando – una volta
rivelato a Raven del
bacio con Clarke – lei aveva alzato gli occhi al cielo e
brontolato:
“Sono l’unica a
non aver mai limonato con quella ragazza?”
La mascella spalancata di Bellamy
aveva raggiunto il terreno e il
ragazzo aveva fissato Lexa, che nel frattempo stava ridacchiando,
nascosta
dietro alla sua stessa mano.
Lui doveva incarnare la perfetta
personificazione del punto
interrogativo, poiché il Comandante gli aveva suggerito:
“Te l’avevo detto, no?
Che parlavo per esperienza quando ti avevo avvisato riguardo a
Clarke.”
Bellamy aveva mormorato un semplice
“Uhm”, incapace di reagire sul
momento ma una volta realizzata la situazione, aveva domandato
confusamente:
“Sei uscita con Clarke?”
Raven era scoppiata a ridere.
“È stata alle
conferenze di simulazione dell’ONU
con Clarke e si sono baciate una volta. Non so se questo abbia davvero contato
come frequentazione.”
“Non è
giusto” decise Lexa, con un leggero incurvamento delle
labbra. “Avremmo potuto.”
“Dovrei chiedere”
disse Raven, annuendo a Lexa. “Pensi che sarebbe
strano?”
“Cosa? Più strano
di te e Clarke che avete avuto una fidanzata in
comune?” aveva scherzato Lexa.
Bellamy aveva aggrottato le
sopracciglia. “Ho ancora qualche amico
etero?”
Raven aveva scosso le spalle.
“Wick è etero.”
“Wow, grazie, Raven
– esempio grandioso – il laureato in
Ingegneria con cui sei andata a letto al college.”
Bellamy aveva serrato le
labbra.
“Abbiamo parlato una volta sola. Ma è
così che abbiamo conosciuto Monty” lo
contestò Raven,
puntualizzandone l’aspetto positivo.
Era vero: Monty andava in
un’altra università in città (assieme a
Jasper, realizzò dopo Bellamy) e lui e Wick si erano
conosciuti ai corsi di
scienze della scuola. Tramite Monty, Raven aveva incontrato Clarke
– che già
conosceva Finn.
Ma riflettere su Monty lo fece pensare
a Miller e per estensione a
Clarke, portandolo al punto di partenza.
“Sì, ho baciato
Clarke. Beh – no – Clarke ha baciato me e le cose
si sono fatte imbarazzanti ma adesso sono tornate più o meno
normali. Aiuto?”
Raven lo aveva fatto sedere sopra uno
degli sgabelli in cucina e
Lexa gli aveva versato da bere.
“Quindi” aveva
iniziato Raven, sollevando delicatamente un
sopracciglio. “Ti piace Clarke.”
Bellamy aveva compresso le labbra.
“Non mi piace Clarke.”
Lexa aveva scosso le spalle, non
credendo a una singola parola del
moro. “Io penso che a te piaccia
Clarke.”
“È una ragazza
facile da gradire, il più delle volte” aveva
aggiunto Raven. (Lei e Lexa si erano date il cinque, continuando a
guardare
Bellamy).
“Forse dovreste frequentarla
voi due.”
Entrambe avevano scrollato le spalle.
“Probabilmente ti direi di
comportarti in maniera normale” gli
aveva detto Raven, dopo una lunga pausa.
“Tipo, torna a essere quello
che eri prima di iniziare ad avere un
po’ di sale in zucca. Goditi la Grecia con una bella ragazza,
le sue tette
grandiose e ringrazia il cielo di aver ottenuto il lavoro e di
aver fatto credere a tutti che ti stai scopando Clarke.”
Lexa aveva annuito, a labbra serrate.
“Potresti scopartela per
davvero”, gli aveva suggerito. “Se capita
l’occasione e siete entrambi
d’accordo.”
Bellamy non lo avrebbe mai ammesso, ma
da sotto le lentiggini era
arrossito.
Si era schiarito la gola e aveva
borbottato: “Giusto. Uh – sì.
Buona idea.”
Raven aveva sollevato il sopracciglio,
con un sorrisetto
compiaciuto.
“La prima parte”
si era corretto il moro, velocemente. “Non quello
che ha detto Lexa dopo.”
E adesso si era ritrovato mentre stava
abbracciando sua sorella e
Raven, e Lexa non era tipo da abbracci perciò si erano
limitati a scambiarsi un
cenno convinto, finché non s’incamminò
con un paio di valigie e la sua finta
fidanzata all’interno dell’aeroporto.
Clarke si accostò
più vicina al ragazzo, una volta raggiunto il
bancone della reception, afferrando la mano di Bellamy e intrecciandone
le dita
tra le sue. Malgrado l’apparente imperturbabilità
dinanzi all’inusuale gesto
affettuoso, il moro scrutò la ragazza dagli occhi blu,
sollevando leggermente
le sopracciglia, incuriosito.
“Riesco a vedere Jasper e
Maya” spiegò Clarke.
Lui le sorrise, come se lei gli avesse
appena comunicato qualcosa
in grado di ricordargli quanto profondamente la amasse.
Quando raggiunsero Jasper e Maya,
Bellamy stava ancora sorridendo.
“Maya!”
esclamò Clarke, emozionata. “Sei dei nostri anche
tu?”
Maya fece un largo sorriso, annuendo.
“Prendo lezioni di
educazione artistica alla galleria, quindi non potevo perdere
quest’occasione –
finirò probabilmente per realizzare un’orrenda e
vergognosa scultura di una
qualche statua greca.”
Clarke scoppiò a ridere.
“Bellamy mi aveva detto del corso d’arte
ma adesso che vieni possiamo lavorarci su insieme. Ci terrà
occupate mentre i
ragazzi qui presenti saranno fuori a disseppellire Teseo.”
Bellamy aprì la bocca per
correggerla ma la bionda lo precedette
rapidamente: “Sì, Bellamy, so che tecnicamente
Teseo è una figura mit…”
Poi si voltò verso Jasper.
“Ho sentito che abbiamo un amico in
comune.”
Gli occhi di Jasper
s’illuminarono. “Monty! Sì! Che
figata!”
Perciò iniziarono a
discutere su quanto perfetto fosse Monty
Green, finché Bellamy posò una mano sulla schiena
di Clarke e mormorò:
“Dobbiamo fare il check-in, Principessa.”
Maya si offrì di aspettarli
mentre i ragazzi si univano alla fila
ma Jasper desiderava un menù medio da Burger King
– che si trovava al piano di
sopra – e il ragazzo diventava abbastanza piagnucoloso quando
voleva, perciò i
due fidanzati si allontanarono insieme.
Clarke e Bellamy, invece,
s’intrattennero chiacchierando
piacevolmente con l’addetta al check-in, finché
qualcuno non gridò “Clarke!”
ghiacciando il sangue nelle vene della bionda.
…
Bellamy notò il sorriso
scomparire dal volto di Clarke, contemporaneamente
alla pronuncia del suo nome.
Non era sicuro del perché
la donna che l’aveva chiamata – una
donna dai capelli castani, si era reso conto solo adesso –
era stata la causa
di una tale reazione, specialmente se accompagnata da… oh,
Cristo. Certo.
A procedere verso di loro, insieme a
Thelonious Jaha, altri non
era che la madre di Clarke.
Bellamy afferrò la mano
della bionda, per la seconda volta, e le
diede una stretta veloce.
“Mamma” disse la
ragazza, chiaramente sorpresa.
La donna dai capelli scuri
fissò prima la figlia, poi Bellamy, e
infine le loro mani intrecciate.
“Abby, questo è
Bellamy Blake” comunicò Thelonious alla mamma di
Clarke, annuendo in direzione dello storico in questione.
“Il ragazzo di cui ti ho
parlato.”
Abby annuì a sua volta e
Bellamy sollevò le sopracciglia.
Dopo una pausa imbarazzante, il moro
lasciò la mano di Clarke per
stringere quella della donna, con un sorriso ingessato sul viso.
“Signora Griffin,
è un onore.”
Abby allargò le labbra,
quasi severamente, e accettò la mano di
Bellamy.
Lo trafisse con gli occhi.
“Per favore, chiamami Abby.”
“Mamma”
ripeté Clarke, ancora congelata sul posto. “Che ci
fai,
qui?”
“Solo augurarti buona
fortuna e vederti partire.”
Clarke non stava affatto sorridendo.
“Vedere qualcuno partire
comporta che tu lo abbia anche frequentato prima.”
Abby iniziò a scuotere la
testa. “Tesoro, non qui…”
“Abbiamo già
salutato tutti, vero Bellamy?” domandò la bionda,
agganciandosi al suo braccio e guardandolo.
“Clarke, forse dovresti
ritagliarti un po’ di tempo con tua – ”
“ – Octavia, la
sorella di Bellamy, è venuta a salutarci” lo
interruppe Clarke, girandosi verso la madre. “Va alla Brown
ed è bravissima. Ti
ho raccontato di lei al telefono. E Raven, e Lexa.”
L’espressione si fece dura
come l’acciaio non appena disse: “Non
mi pare ti sia mai piaciuta.”
“Non è questione
di piacere, Clarke, ma di fiducia e
io – ”
Bellamy si allontanò dalla
ragazza per prenderle la mano. “Beh,
lei e Raven sono molto felici insieme, quindi alla fine si è
risolto tutto per
il meglio.”
Abby alzò un sopracciglio.
Clarke strinse la mano di Bellamy
più forte e lui tentò di
ignorare il battito accelerato del cuore.
“Lexa esce con Raven?
Raven Reyes?”
“Sì,
mamma” rispose Clarke stancamente, nonostante lo avesse
scoperto da appena un paio di minuti. “La stessa Raven Reyes
che ti ha aiutato
a sistemare un velivolo durante l’estate prima del terzo anno
di college,
adesso frequenta Lexa.”
Abby deglutì.
“Oh, va bene.”
Thelonious, rimasto miracolosamente in
silenzio durante l’intera
discussione, si fece avanti.
“Dovrei controllare il resto
del gruppo. Posso lasciarti qui,
Abby?”
Abby annuì a Thelonious, a
labbra serrate.
Clarke e sua madre continuarono a
fissarsi e Bellamy avrebbe
potuto tagliare la tensione con un coltello.
Apparentemente, i finti convenevoli
venivano prima di quelli veri,
in questa famiglia.
Almeno c’era ancora una
famiglia.
“Quindi, Bellamy”
proclamò Abby. “Lavorerai per
l’Ark?”
Bellamy sollevò un
sopracciglio. “Si spera” replicò.
Dopodiché, gli fece una
serie di domande riguardo molteplici
argomenti.
Gli chiese della sua occupazione, per
quanto tempo sarebbe stato
oltremare e dove sarebbe andato, quanti soldi avrebbe guadagnato e cosa
avrebbero significato per i suoi amici, per sua sorella, per la sua
fidanzata.
Bellamy non sapeva cosa gli sarebbe
potuto scappare dalla bocca
senza un’attenta riflessione, ma era consapevole
dell’autenticità di ogni
singola parola grazie a una fastidiosa e familiare secchezza che si era
formata
all’interno della bocca.
“Voglio stare con Clarke
più di quanto io voglia lavorare con
l’Ark, se è qui che la conversazione sta andando a
parare.”
Non guardò la bionda,
perché altrimenti sarebbe stato reale,
perciò mantenne la concentrazione su Abby,
anch’essa allibita.
“Vi lascio da
sole” decise, dopo un momento. “È stato
un piacere
incontrati, Abby.”
Si piegò e
stampò un bacio sulla guancia di Clarke.
“Sarò da Burger
King con Jasper e Maya. Vienimi a salvare il prima
possibile.”
…
Clarke scivolò sullo
sgabello del Burger King vicino a Bellamy,
con uno sguardo omicida. Era il suo sguardo da dura, quello che
indossava
quando sentiva di stare per crollare.
“Come ha potuto intrappolarmi così.”
“Non penso intendesse farlo,
Clarke.”
“Oh, ma questo non
l’ha mai fermata prima d’ora” lo
aggredì la
ragazza, sempre a voce bassa, anche se Jasper e Maya stavano davanti al
bancone
a ordinare altro cibo.
“Lo fa sempre –
e la cosa peggiore, questa volta,
è che ha messo in mezzo anche te!”
Le sopracciglia di Bellamy si
toccarono. “Che intendi?”
Clarke alzò gli occhi al
cielo e Bellamy tolse velocemente le mani
dalla schiena della bionda per paura che lei potesse scacciarlo.
“Ho pensato che le cose che
hai affermato, di me al di sopra
dell’Ark, siano state un tantino melodrammatiche ma comunque
efficaci.
Sfortunatamente, lei l’ha percepito come il segno che tu
tenga a me più
di quanto io tenga a te, perché se sei
stato capace di farle un
discorso del genere ed io non mi sono nemmeno mai degnata di
menzionarti alla
mia stessa madre” pronunciò le ultime
parole in tono quasi sarcastico, “c’è
sicuramente qualcosa di sbagliato nella nostra relazione.”
“Clarke, dubito fortemente
che ci sia qualcosa di sbagliato nella
nostra relazione, e se tua madre la pensa così, allora,
forse, dovrebbe
riesaminare quella che ha con te.”
Clarke sollevò un
sopracciglio. “Ti rendi conto che
sono qui solo per una vacanza gratis e per un’eventuale
pomiciata, vero?”
“Divertente”
rispose Bellamy.
“Già,
specialmente la seconda parte. Comica. L’ultima volta che
è successo, per poco non ti sei
messo a piangere.”
Bellamy serrò la mascella.
“Non mi hai mai concesso il
permesso di spiegarti.”
“Spiegare cosa?”
s’intromise Jasper, tornando assieme a Maya e a
un secondo panino.
“Niente” disse
Bellamy.
…
Il volo verso Atene era un diretto:
non si fermava, così come la
recita che Bellamy e Clarke avrebbero dovuto portare avanti.
Si rilassarono un pochino
sull’aereo ma erano in seconda classe,
perciò non avevano a disposizione abbastanza spazio.
In più, tutti i sedili in
prossimità del proprio posto erano
occupati da un membro dell’Ark.
Nemmeno a dirlo, la mano di Clarke era
rimasta dentro quella di
Bellamy durante l’intero viaggio.
A un certo punto, lui si era
addormentato contro la spalla di lei
e la bionda si era accoccolata accanto a lui, stringendo forte la sua
mano e
lasciandosi circondare dalle braccia del moro.
Poi, quando entrambi erano si
concentrati nel guardare gli
intrattenimenti offerti dall’aereo –
Bellamy CSI: New York e
Clarke l’originario CSI: Las Vegas,
perché sì, loro amavano CSI,
e sì, CSI: Miami era il
peggiore a causa di Horatio Caine e
dei suoi occhiali da sole ridicoli, e no, loro non avevano ancora
visto CSI:
Cyber ma forse lo avrebbero fatto insieme
– Clarke aveva posato una
mano sopra il ginocchio di Bellamy.
Più tardi, quando la testa
di Clarke era dolcemente seppellita
contro il sedile, con gli occhi chiusi e il respiro regolare, Bellamy
si era
messo a studiarla, incuriosito. Erano talmente vicini che non avrebbe
dovuto
impegnarsi più di tanto per posare le labbra sui capelli
biondi di lei.
La recita era andata avanti anche in
aeroporto, con Bellamy che
afferrava la loro valigia condivisa dal nastro trasportatore (Raven
aveva detto
che era una cosa che facevano solo le vere coppie malate – la
valigia condivisa
– ma Clarke si era sentita leggermente in imbarazzo al
pensiero di Bellamy che
guardava la sua biancheria intima, quindi, fortunatamente, si era
impossessata
di una valigia a doppio scomparto) e sul pullman, in direzione
dell’hotel, con
Clarke spaparanzata contro la schiena di Bellamy mentre chiacchierava
con
Marcus Kane.
L’hotel era straordinario;
il tipo di posto che i genitori di lei
avrebbero senz’altro adorato.
C’era inoltre una vista
spettacolare dalla camera di Bellamy e
Clarke, che si affacciava in direzione dell’Acropoli e del
Partenone.
Dopo aver cenato con il resto del
gruppo (erano rientrati in
camera, entrambi parecchio esausti), Bellamy aveva raccontato a Clarke
della
Pallade Atena e della maestosa iconografia situata sul frontone
occidentale del
Partenone; opera che in quel periodo non era possibile osservare ma che
se la
bionda avesse potuto vedere, ne sarebbe rimasta certamente ammaliata.
Lei si era fatta pericolosamente
vicina dal confessargli che
era questo ciò che la
ammaliava maggiormente: parlare con
Bellamy del più e del meno e che forse era solo a causa
della stanchezza
mentale, ma ciò non rendeva i suoi sentimenti meno autentici.
Alla fine rimase in silenzio. Ad
ascoltarlo.
Il moro chiese se la stava annoiando,
una volta arrivato al mito
di Demetra e Persefone e quando Clarke scosse la testa, lui tacque
comunque.
“Cosa?”
domandò Clarke, con gli occhi semichiusi.
Allungò una mano per
istigarlo a continuare ma finì per tastargli
il viso.
“Perché ti sei
fermato?”
Bellamy espirò
profondamente. “Dovresti parlare con tua madre.”
Clarke si ghiacciò.
“Stai rovinando una serata
diversamente piacevole dicendomi
questo perché?”
“Perché dovresti
e sai che ho ragione.”
Clarke sospirò, voltandosi
dalla parte opposta del letto.
“Non sai niente,
Bellamy.”
Lui esitò un momento.
“So che riparando adesso il
rapporto con tua madre ti eviterai una
serie di conseguenze orrende che ti perseguiteranno se non lo
farai.”
“Che diavolo significa?”
“Avere
l’opportunità di passare del tempo con tua mamma e
scegliere di non farlo è letteralmente la cosa peggiore che
potresti commettere, Clarke.”
“E perché
mai?” gridò lei, più forte di quando
avesse immaginato.
“Perché alcuni di
noi non hanno avuto quest’occasione.”
Rimasero in silenzio,
finché la bionda non si girò dalla parte di
Bellamy, comprensiva.
Le si spezzò il cuore a
guardarlo.
“Bellamy, mi dispiace, non
intendevo – ”
“ – Va tutto
bene” replicò. “Solo…
concedile un tentativo, Clarke.
Almeno provaci, così potrai dire
di aver fatto davvero il
possibile.”
Clarke incontrò il suo
sguardo; si contemplarono tacitamente.
Poi, sul volto di lei, apparve un
piccolo sorrisetto e Bellamy le
chiese il motivo.
“Perché sono qui
ad Atene con te” affermò onestamente.
“Un mese fa
ci odiavamo.”
Il moro accartocciò il
viso. “Uscivamo insieme un mese
fa.”
“Già, ma vorrei
ancora commettere un omicidio.”
“Mi pare giusto”
disse Bellamy. “Io stavo scherzando
sul veleno.”
“Sì,
l’hai fatto.”
Clarke lo studiò
sospettosa. “Ci odiavamo. Tu eri uno stronzo.”
Bellamy sogghignò.
“Sarai d’accordo
con me sul fatto che io sia ancora uno stronzo. E
tu sei ancora la Principessa.”
“Credo che a fare la
differenza, qui” analizzò lei
“sia il
fatto che io sia nella tua stessa squadra.”
Bellamy sollevò un
sopracciglio.
“Nessuno dei due
è più solo, adesso” spiegò
la bionda.
Dopo un minuto cambiò idea,
scuotendo la testa.
“Non esattamente. Tu non
– tu non sei mai stato solo…tu hai
Octavia, e…”
“No, ho capito.”
Bellamy si puntellò su un gomito e la guardò,
intontito dalla stanchezza e dal jet lag.
Eppure, sarebbe rimasto sveglio altri
cento anni se questo avesse
significato parlare sinceramente con Clarke Griffin.
Lui non aveva mai amato le
conversazioni profonde, ma con Clarke,
nulla era lo stesso.
“Siamo una
squadra, tu ed io.”
“La Principessa e il suo
cavaliere dall’armatura scintillante?”
Bellamy sorrise. “Non hai
bisogno di un cavaliere, Clarke. Riesci
a proteggerti benissimo da sola.”
“Questo non significa che io
non voglia il tuo aiuto” replicò.
“È
faticoso governare un regno da soli, sai.”
“Forse non sono un
cavaliere, allora” disse il moro, con un
sorriso sghembo sul volto. “Forse sono il re.”
Clarke scosse la testa. “Sei
troppo anarchico per essere un re.”
“Che
c’è di male in un po’ di caos?”
“Tanto”
obiettò la ragazza.
Bellamy si chiese se Clarke stesse
pensando alla morte del suo
migliore amico o all’autobus rovesciato. Forse stava solo
pensando a lui.
Si schiarì la gola,
augurandosi lo stesso per la sua testa.
“Uh – dovremmo
dormire. Abbiamo la sveglia presto. Starai tutto il
giorno con Maya?”
Clarke sospirò.
“Non lo so – a che ora dovresti tornare?”
Bellamy si abbandonò a peso
morto contro il materasso. “Non ne
sono sicuro ma se t’impedisce di fare ciò che
desideri, non pensare a me.”
“Ti dimentichi che sei il
mio fidanzato, Bellamy.
Sei tu che desidero.”
Forse era davvero stanca, ecco
perché aveva formulato la frase in
quel modo. Comunque sia, quelle quattro parole avevano continuato a
vorticare
all’interno del cervello di Bellamy per parecchio tempo.
Se solo fossero state vere. Se solo
fossero appartenute alla vera
Clarke e non all’attrice.
Smettere di fingere sarebbe stato un
miracolo.
“Buono a sapersi,
Principessa.”
Si schiarì nuovamente la
gola non appena Clarke spense
l’interruttore del lume accanto al comodino.
Sarebbe stato facile allungarsi e
baciarla adesso, solo per il
gusto di augurarle la buonanotte –
ma no.
Lei non voleva; lei non
voleva lui e non c’era
nessuno attorno per costringerla a recitare. Dio, cosa gli stava
succedendo?
“Ci inventeremo qualcosa
domani a colazione, ok?”
Clarke sospirò contro il
cuscino, spalancando gli occhi blu dopo
averli tenuti chiusi.
“Ok, Bellamy.”
“Notte, Clarke.”
Una pausa infinita e
poi: “Notte, Bellamy.”
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Capitolo 9 *** Capitolo Nove ***
Nove
Dalla Grecia con il
jet lag o
Baci rubati
Bellamy Blake era solito svegliarsi
sempre all’alba.
Eppure, quella sua abituale routine
quotidiana sembrava essersi
ormai consolidata unicamente nell’appartamento di Clarke
Griffin; letteralmente
dall’altra parte del mondo.
Quando, alla fine, i suoi occhi si
aprirono, sbattendo stancamente
le palpebre, un paio di volte di troppo, percepirono il presagio di un
lenzuolo
vuoto e di un tavolino estraneo ai piedi del letto.
Nessuna Clarke assonnata cui dare il
buongiorno.
Le mani del moro continuavano a
stringere, febbrili, le coperte di
lino bianco che, nonostante la pregiata e rinomata tessitura
variopinta, non
erano poi così morbide come la striscia di pelle fredda, tra
la canottiera e i
pantaloncini di cotone, che la bionda indossava per dormire.
O che aveva indossato,
piuttosto, fino all’altra sera,
quando una camicia da notte color salmone era comparsa al suo posto,
tutta seta
e pizzo…
“Stavo iniziando a
preoccuparmi di dover fare colazione senza di
te.”
Bellamy si voltò al suono
della voce di Clarke e la trovò in piedi
accanto alla finestra, ancora dentro quella dannata camicia da notte,
con le
tende aperte e il cellulare stretto tra le mani.
“Mi dispiace se non sono
abituato ai viaggi quanto te” si lamentò.
Trattenendo uno sbadiglio, aggiunse:
“Miller non scherzava
riguardo al jet lag.”
Clarke rise. “Vieni e
guarda.”
Bellamy si tirò
giù dal letto e fece qualche passo in direzione
della bionda.
Diede un’occhiata al
paesaggio e non si sentì più così
stanco.
“Cazzo.”
Clarke lo fissò incuriosita.
Il puro e infantile stupore sul viso
del moro la invogliò a
sorridere genuinamente.
“Clarke, siamo ad Atene!”
Quasi per abitudine, le cinse le
spalle con un braccio e la tirò
più vicino a sé. “Clarke, quella
è l’Acropoli –
proprio lì!
Guardala – beh, l’impalcatura, ma
– ” si fece sfuggire una
risatina. “Fanculo, è così
eccitante.”
Rimasero così ancora per un
po’, con Bellamy che balbettava su
quanto fosse meraviglioso e stimolante tutto ciò in mezzo ai
colori sbiaditi
dell’alba e con Clarke appagata nel vederlo tanto
elettrizzato; e poi, la
rumorosa suoneria elettronica di Skype iniziò a risuonare
dal telefono della
ragazza.
“Come rovinare il momento,
Clarke” scherzò Bellamy, mentre la
bionda accostava lo schermo al suo raggio di visuale.
“È tua sorella,
acidone.”
Le sopracciglia di Bellamy si
aggrottarono all’unisono.
“Perché
hai mia sorella su
Skype?”
“Mi ha aggiunto lei mentre
stavamo sull’aereo” disse Clarke
rapidamente, selezionando l’opzione Risposta
Video Automatica.
La faccia di Octavia comparve
attraverso lo schermo del cellulare,
assieme alla metà di quella che Bellamy e Clarke riconobbero
essere di Raven.
“Ciao a Clarke
e…” Raven fece una pausa.
“…Apparentemente al
bicipite sinistro di Bellamy.”
Il moro si abbassò al
livello di Clarke, posando le mani sulle
ginocchia, mentre la bionda aggiustava il telefono per inquadrare
entrambi.
“Hey, O” disse
Bellamy. “Hey, Raven.”
La conversazione non durò
moltissimo ma in quella mezz’oretta i
due ragazzi raccontarono del viaggio in aereo e scoprirono che alcuni
tubi a
casa di Monty erano scoppiati dopo nemmeno un giorno che erano partiti
e invece
che assumere un idraulico, Monty aveva chiamato tutti i suoi amici e
Nate si
era presentato con un “potentissimo martello da
combattimento” che aveva
immediatamente indotto Octavia – l’unica persona
che non era stata invitata a
casa di Monty – a chiedere “È per caso
un riferimento a Thor?”
Quando l’accesso a internet
di Clarke si esaurì, Bellamy controllò
l’ora sul cellulare.
“Vuoi fare la doccia prima
te?” le chiese, dato che avevano circa
venti minuti di tempo per non arrivare vergognosamente in ritardo a
colazione.
Gli occhi blu di Clarke si staccarono
dal mini schermo e la bionda
annuì.
“Certo, sicuro –
farò in fretta. Tu dovresti iniziare a preparare
le borse per la gita di oggi.”
Si allontanò da lui per
afferrare uno degli enormi asciugamani che
lo staff dell’hotel aveva lasciato sopra il letto e Bellamy
sollevò un
sopracciglio.
“Lo sai, si tratta di una
gita di un giorno. Non credo che avrò
bisogno di altro, oltre al portafoglio e al telefono.”
Clarke si voltò verso il
moro non appena raggiunse la soglia del
bagno.
“Può succedere di
tutto in un giorno.”
…
L’ultima cosa che Clark
Griffin desiderava, mentre faceva la fila
per una seconda porzione di frutta, era sostenere una conversazione con
Thelonious Jaha.
Ma ancora, l’universo non
era mai stato minimamente interessato
nel dare a Clarke Griffin ciò che voleva; quindi, non appena
l’uomo di colore
si avvicinò, la bionda tentò di sfoggiare il suo
sorriso migliore.
“Buongiorno, Clarke. Confido
tu abbia dormito bene.”
“L’ho fatto
– o almeno, meglio di chiunque debba ancora adattarsi
alle sette ore di differenza.”
Thelonious rise di gusto.
“Te la cavi meglio degli altri. Stiamo
ancora cercando di svegliare Drew e Diggs.”
“Il jet lag è un
assassino” disse Clarke, riempiendosi la ciotola
con del cocomero e qualche fico.
“Bellamy ha praticamente
inventato l’espressione persona
mattiniera, eppure, stamattina, è rimasto
intontito per almeno mezz’ora
dopo che mi sono svegliata.”
Thelonious annuì
appassionatamente, gesto che Clarke associava ai
diplomatici e ai dirigenti delle aziende.
Era un cenno del capo che ti faceva
capire che stava ascoltando,
che comprendeva e apprezzava ciò che gli veniva detto, anche
se non aveva
ancora previsto in che modo rispondere all’interlocutore.
La ragazza non credeva che non fosse
genuino ma non riusciva
nemmeno a riconoscere, nelle sue azioni, una parvenza di
sincerità.
“Tua madre è
stata contenta di vederti all’aeroporto. Sia te che
Bellamy.”
Clarke si trattenne dal rispondergli a
tono, sforzandosi di
pensare che quest’uomo era il capo del suo fidanzato e che
lei non aveva il
diritto di mettere tutto a repentaglio.
Doveva essere educata per il bene di
Bellamy.
“Non la vedevo da parecchio
tempo” disse invece.
“Troppo tempo”
rispose Thelonious.
Il piatto di Clarke era pieno e con il
rumore di una gola che si
schiariva a mo’ di esortazione dietro di lei, la bionda
liberò rapidamente la
fila.
Il turista scocciato, la cui colazione
era stata ritardata a causa
della conversazione di Clarke e Thelonious, iniziò ad
accaparrarsi il cibo,
selezionando la frutta dal vassoio.
Thelonious rimase momentaneamente in
silenzio.
“La gita di oggi agli
Archivi Generali non dovrebbe durare molto”
riferì a Clarke. “Abbiamo pensato che ci saremmo
subito tolti di mezzo la
classica riunione noiosa, in modo tale che i nostri futuri impiegati
potessero
avere l’opportunità di portare con loro i relativi
partner nei giorni
successivi.”
L’uomo di colore le sorrise.
“Immagino che Bellamy
soffrirebbe al pensiero di farti perdere
l’occasione di vedere così tante sculture
classiche.”
Clarke annuì.
“Lui sa quanto io ami l’arte.”
“Bene” disse
Thelonious. “Pensi di riuscire a sopravvivere
stamattina, rilassandoti in piscina e riprendendoti dal volo o tu e la
ragazza
di Jasper – uh – Maya, preferireste fare un giro
turistico in città?”
Lei non ci aveva ancora minimamente
riflettuto, perciò glielo
comunicò.
“Sono sicura che Bellamy
tornerà indietro con abbastanza storie da
raccontare, da durare per almeno settantacinque anni; nel frattempo,
credo di
potermi concedere qualche ora di pace e
tranquillità.”
“Meraviglioso.”
Thelonious sembrò notare
solo in quel momento il piatto pieno tra
le mani di Clarke e dichiarò: “Non dovrei
interrompere la tua colazione. È
stato bello vederti, Clarke.”
Lei gli disse che era sempre un
piacere, anche se non era vero, e
quando tornò al tavolo dove Bellamy stava ridacchiando per
qualcosa che aveva
appena detto Harper e Jasper stava quasi per ingoiare il cucchiaio, fu
colpita
da un pensiero improvviso.
Aveva mentalmente identificato
Bellamy come il
suo fidanzato?
Quando raggiunsero la camera dopo
colazione, Bellamy si lasciò
scappare un profondo sospiro.
“Ancora cinque minuti e
avrei potuto uccidere Jasper Jordan.”
Clarke rise, allontanandosi dal
protettivo tocco della mano del
bruno attorno alle sue spalle per attraversare la stanza.
“Ti avrei probabilmente
aiutato.”
“Con una lancia in pieno
petto” rifletté Bellamy. “In
realtà ne
stavo parlando con Murphy davanti alla macchinetta del
caffè.”
“Oh, è per
questo che c’è voluto tanto per
un
Espresso?”
Bellamy le lanciò un
sorrisetto sarcastico.
“C’è
questa scuola di gladiatori, a Roma, e Murphy si chiedeva se
sarebbe stato possibile andare a vederla e magari iscriversi per
qualche mese.”
I lati della bocca di Clarke si
alzarono contro la sua volontà.
“T’immagino a
correre in battaglia con una lancia.”
Ci rifletté ulteriormente.
“O con una spada. O – ”
“In pratica, mi stai
descrivendo come un essere incline alla
violenza.”
“Non alla violenza,
necessariamente, ma senza dubbio
alla sopravvivenza.”
C’era qualcosa che lei non
riusciva a decifrare nel modo in cui
lui la guardava. Era sempre lo stesso modo, ma con dell’altro.
Era nostalgico, riconoscente
– era così tante cose nel giro di
quell’ultimo minuto che lei si voltò
dall’altra parte e ogni cosa sparì.
L’itinerario di Bellamy, che
Clarke aveva infilato dentro il suo
bagaglio a mano nonostante il moro l’avesse quasi imparato a
memoria per quante
volte lo aveva letto, affermava che l’escursione del giorno
sarebbe durata solo
quattro ore.
“Pensi che potrai
sopravvivere qualche ora senza di me, Clarke?”
Il tono scherzoso della sua voce era
doloroso; doloroso perché le
solleticava tutti i capelli dietro la testa, come se lui le stesse
alitando
quelle stesse parole dentro l’orecchio e ogni respiro si
faceva sempre più
profondo e stuzzicante lungo il suo collo.
Le labbra di Clarke si strinsero di
colpo.
“Non sono sicura”
replicò, piegando l’itinerario e voltandosi per
affrontarlo.
Non sapeva a che razza di gioco
stessero giocando ma era
determinata a non commettere errori.
“L’ultima volta
che siamo stati separati per così tanto tempo, io
lavoravo.”
Bellamy le lanciò
un’occhiata, dimenticandosi del libro ingiallito
che teneva tra le mani. “Non hai portato nessun tipo di
lavoro, vero?”
“Ho solo un caso aperto, al
momento” rispose onestamente la
bionda.
“Ma sono certa che Gustus
potrà gestirlo da solo – di solito ci
pensa lui, alle cose che Lexa non fa in tempo a finire.”
Bellamy fece un passo in direzione di
Clarke, posando il libro
sopra il comodino di fianco a lei.
“Se vuoi, ho l’Eneide e
circa tre mattoni
sull’arte che potrebbero interessarti. Potresti scendere in
piscina,
ricaricarti. Te lo meriti.”
“Che cosa te lo fa
dire?” chiese lei, restringendo gli occhi e
scrutandolo intensamente.
Bellamy sogghignò.
“Clarke, vivo con te. La tua
esistenza, il cento per cento delle
volte, è fottutamente incasinata.”
Questo fece ridere anche lei.
“Ok, mi tocca ammettere che
è vero. Però non dovevi sprecare la
metà dello spazio nel tuo bagaglio con tutti quei libri solo
per evitare di
farmi annoiare.”
“Certo che dovevo”
disse Bellamy, perdendo un battito. “Sei la mia
ragazza migliore.”
Dopo un momento, aggiunse:
“Non dire a O che te l’ho detto.”
“Le mie labbra sono
serrate” rispose Clarke, diligentemente.
Afferrò il libro di Bellamy
e lo esaminò (anche se era stata più
assorbita dal proprietario del libro che in quel momento le stava pure
fissando
la bocca).
“L’Eneide di
Virgilio.”
Bellamy annuì.
“È meglio dell’Odissea.
Cavolo, perfino la
metà del primo capitolo è più
eccitante di tutti e ventiquattro i volumi
dell’Odissea.”
Qualcuno bussò alla porta e
Bellamy si voltò.
La voce di Jasper Jordan
risuonò attutita.
“Andiamo, Bellamy! Voglio
accaparrarmi un posto buono sul
pullman!”
Il moro fissò nuovamente
Clarke, mormorando: “Dio, qualcuno chiuda
la bocca a quel marmocchio prima che lo uccida.”
E poi qualcun altro – Harper
– gridò: “Fanculo, Jordan! Lui
è mio
sin da quando stavi ancora studiando la sabbia del suolo
Americano!”
Clarke incontrò gli occhi
di Bellamy, sollevando un sopracciglio.
“Sei un ragazzo
ambito.”
Bellamy fece una smorfia divertita.
“In tutta onestà,
preferirei sedermi vicino a Harper per
quarantacinque minuti piuttosto che a Jasper per qualsiasi lasso di
tempo.”
“Buona cosa che tu sia suo
allora, uh?”
Bellamy spinse Clarke, il sorriso
ancora sul viso.
Si voltò e
afferrò il cellulare, ficcandolo dentro la tasca
posteriore dei pantaloni assieme al portafoglio e a una penna.
Poi camminò a grandi passi
verso la porta, spalancandola e
gridando: “Da fratello maggiore, posso dire che
l’essere di qualcuno è
sicuramente l’impegno più vincolante tra
tutti.”
Harper mostrò il dito medio
a Jasper.
Con Bellamy, Harper e Jasper riuniti a
casaccio lungo il
corridoio, la testa di Monroe spuntò da dietro
l’angolo dell’androne.
“Ragazzi, il pullman parte
tra cinque minuti. Smettetela di
preoccuparvi dei cavolo di posti a sedere e portate giù i
vostri culi.”
Jasper li salutò e Harper
si voltò verso Bellamy. “Pronto ad
andare?”
Bellamy annuì lentamente.
Le sue mani tastarono la tasca
posteriore, dove c’era tutto ciò di
cui aveva davvero bisogno e poi
disse: “Merda.”
Clarke, guardandolo dalla porta
d’ingresso con le braccia
incrociate, gli chiese: “Che, hai dimenticato
qualcosa?”
“Sì.”
E poi, prima che lei potesse
domandargli altro, accorciò la
distanza tra loro e premette un bacio sulle labbra della bionda.
La mano destra sfiorò il
suo viso per una frazione di secondo e
lei tentò di allungare un braccio per scostarlo ma lui si
era già allontanato e
le stava facendo l’occhiolino.
“A dopo, Clarke.”
Harper aveva probabilmente alzato gli
occhi al cielo e Jasper
stava gongolando come un bambino di quattro anni ma Clarke non
poté fare altro
che sorridere.
“Ci
vediamo, Bellamy.”
|
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Capitolo 10 *** Capitolo Dieci ***
Dieci
Fonti di energia o
Costumi da bagno
Bellamy si rese presto conto che
l’essersi seduto sul pullman
vicino a Harper non aveva comunque impedito a Jasper di urlargli nelle
orecchie
per tutto il viaggio; anzi, la cosa peggiore era stata che
l’incessante raffica
di domande da parte del ragazzino provenisse direttamente dal sedile
dietro di
lui.
Bell si sentiva in colpa per quella
povera anima disperata che
sedeva accanto all’invasato; era più che ovvio,
infatti, che anche se non li
conosceva, non era minimamente interessato all’incasinata
vita di Bellamy
Blake.
Al contrario, guarda un po’,
di Jasper Jordan.
“Quindi, perché
tu e Clarke avete fatto tardi a colazione, mh? Le
cose si sono fatte un po’ piccan…”
Harper si lamentò,
borbottando qualcosa del tipo: “Perché cazzo
volevo
andare a letto con te?” e Bellamy serrò la
mascella.
“No,
Jasper.”
“Allora perché?”
“Perché certe
volte, quando passi più di dieci ore sopra un aereo,
viaggiando da un lato del mondo a un altro, puoi contrarre un
buffissimo
disturbo chiamato jet lag. Mai sentito?”
“Sentito, certo.
Provato, mai.”
Se c’era una cosa che
Bellamy proprio non capiva, era il perché
una ragazza come Maya volesse frequentare un cavo umano sotto tensione
come
Jasper.
Sicuramente, aveva altre scelte.
“Beh, sì. E
abbiamo parlato su Skype con delle persone –”
“ – Su Sky?”
“ –
Skype” ripeté Bellamy, già esausto.
“Senti, non hai nulla di
meglio da fare che chiedere cosa abbiamo fatto, io e la mia ragazza,
ieri sera?
La Grecia ti sta scorrendo fuori dal finestrino – è solo
la
culla della civiltà moderna –
perché non ti ci soffermi a riflettere
un pochino?”
“Sai, Bellamy, sono un
ragazzo sveglio.”
Harper brontolò di nuovo.
“So riconoscere quando
qualcuno cerca di evitare una – ”
“ – Jordan, se
sento uscire un’altra sola parola da quella bocca
abbandonata da Dio prima di arrivare ai cazzo di vecchi archivi, ti
gonfierò
personalmente di botte.”
Questo scoppio, proveniente
– prevedibilmente – da John Murphy,
nella fila di fianco a Bellamy e Harper, obbligò Jasper al
silenzio.
Il ragazzino annuì, mimando
con la bocca “Capito” e tornò al suo
posto.
Bellamy si piegò in avanti,
dopo Harper, per osservare Murphy.
Un pensiero improvviso
s’impossessò di lui.
“Non dovevi essere su una
qualche isola remota a cercare una nuova
fonte di energia per Jaha?”
Murphy sbuffò.
“Sì, certo, se
possiamo soprannominare la sua teoria nuova
fonte di energia.”
Si fece più vicino.
“Jaha mi ha fatto scavare
nei deserti e navigare in mezzo alle
tempeste per cercare l’ubicazione di quella cosa –
quando è uscito fuori che
era soltanto una mezza informazione che aveva sentito l’anno
scorso a una
conferenza di scienze. Non posso lamentarmi, comunque. I finanziamenti
sono
stati imponenti. Nello stesso minuto in cui abbiamo trovato
ciò che stavamo
cercando – o meglio, che non
abbiamo
trovato – mi sono concesso una villa fichissima su una
qualche isoletta. Una
vita da sogno.”
“Allora perché
sei ancora tra noi?” chiese Harper. “Se hai
già
ottenuto quello che volevi, che stai facendo qui?”
Murphy alzò le spalle.
“Tecnicamente, per dare consigli. Agisco da
collaboratore, di per sé. Perciò ho potere su
tutti voi scemi disoccupati.”
Bellamy serrò la mascella.
“Murphy, non c’è bisogno di fare lo
stronzo.”
“Non sto facendo lo stronzo,
Blake. Sono dalla vostra parte – non
sempre da quella di Mister Chiacchiera Ambulante” –
annuì in direzione di
Jasper.
Appoggiò la schiena contro
il sedile. “Qualcuno tra voi soldatini
otterrà un lavoro ed io sarò fottutamente
contento.”
“A proposito di
soldati” dichiarò Harper “non eri stato
coinvolto in
un qualche giro mafioso nel bel mezzo del deserto? O Roma sta
divulgando
cazzate?”
Murphy chiuse gli occhi.
“Nah, è successo
davvero qualcosa, laggiù. Non ho capito cos’era
finché non mi ci sono trovato dentro. Sicuramente
un’organizzazione criminale
che cercava la nostra stessa merda.”
Aprì gli occhi e
lanciò uno sguardo tra Harper e Bellamy.
“Lo sapevate che sono quasi
stato pugnalato?”
“In base a quello che mi hai
raccontato, Murphy, l’essere
pugnalati non rientrava tra i programmi del viaggio.”
Bellamy non aveva aggiunto che Murphy
non gliene aveva parlato un
granché, dato che prima di questo viaggio non si erano visti
da mesi.
“Beh, è una cosa
abbastanza ovvia. Siamo rimasti bloccati con
questo gruppetto di criminali per qualche giorno, solo accampandoci e
camminando e accampandoci e camminando ancora – una noia e
una monotonia del
diavolo. Comunque, la situazione è peggiorata e questa
ragazzina con cui andavo
d’accordo, Emori, mi ha puntato un cazzo di coltello alla
gola e ha detto al
resto del team che mi avrebbe ucciso se le cose non fossero andate come
volevano loro.”
Murphy alzò le spalle.
“Peccato, avrei potuto innamorarmi di lei.
Sorvolando sull’intera questione mafiosa.”
“Io ti avrei
pugnalato” disse Harper.
“Non
c’è problema, baby, tanto non ti avrei comunque
scopato.”
Bellamy si voltò verso
Murphy. “Devi per forza dire stronzate come
questa?”
“Come cosa? È la
verità.”
“Non mi frega un cazzo se
è vero” rispose Bellamy. “Cosa ti fa
credere che alla gente interessi se vuoi o non vuoi fare sesso con
loro?”
Harper sospirò.
“Non ti preoccupare, Bellamy. Sta solo cercando di
fare lo stronzo.”
“Beh, per una volta nella
vita, sta riuscendo in qualcosa.”
Il sorrisetto libertino sul viso di
Murphy scomparve.
“Blake, ricordo
distintamente un atteggiamento più sul facciamo tutto quello che
vogliamo.”
Bellamy non lo degnò di
un’occhiata. “Le cose cambiano.”
“Oh, giusto, dimenticavo che
ti hanno strappato le palle.”
Di nuovo, Bellamy lo ignorò.
“Raccontami, le hai per caso
regalate a Clarke dentro a un piccolo
sacchetto di seta, stile eunuco, o te le ha tagliate lei?”
Bellamy inspirò
profondamente, mormorando “Murphy, smettila prima
che finisca per odiarti davvero”, mentre Harper esclamava:
“Chiudi quella cazzo
di bocca, Murphy. Sappiamo già che hai un solo talento ed
è parlare con il
culo.”
Murphy rise.
“Bene, perfetto –
ho capito l’antifona.”
Poi, un momento dopo, aggiunse:
“Dimmi, Bellamy. Com’è, essere
tenuti al guinzaglio?”
…
Dopo mezz’ora che Bellamy
aveva lasciato la stanza, Clarke
ricevette una telefonata dalla camera dell’hotel.
“Uh, pronto?”
“Clarke?” disse
una voce dall’altra parte dell’apparecchio.
“Sono
Maya. Ho chiesto il tuo numero alla reception; spero vada
bene.”
Clarke si mosse per sdraiarsi sopra il
letto ancora sfatto – il
lato di Bellamy.
“No, va benissimo. Certo.
Come posso aiutarti?”
“Alcuni di noi stanno
scendendo alla spa dell’albergo, vuoi
venire?”
Clarke non conosceva quasi nessuno
degli altri partecipanti del
viaggio, né tantomeno sapeva cosa poteva offrire la spa
dell’albergo.
Ciò nonostante, si
ricordava della voce di Bellamy che le
suggeriva di prendersi del tempo per riposare e decise che forse lo
avrebbe
fatto.
Sarebbe stato certamente meglio che
starsene in camera per tutto
il giorno, pensando al fatto che il suo finto fidanzato
di-circa-sette-mesi
l’aveva baciata davanti a due dei suoi potenziali colleghi.
Cosa che naturalmente non aveva fatto
nell’ultima mezz’ora.
Certo che no.
“Sì, con
piacere.”
“Meraviglioso!”
disse Maya, sembrando genuinamente contenta per
l’assenso della bionda.
“Possiamo vederci davanti
alla tua stanza se vuoi – io e Jasper
siamo dietro l’angolo, non tanto lontano.”
Quindi, Clarke approvò la
proposta e scelse un costume da bagno da
mettere (che altro s’indossava a una spa?).
Quindici minuti dopo, Maya
bussò alla sua porta e le due scesero
alla spa con un’altra coppia di ragazze che si erano
presentate a Clarke come
Roma e Mel.
Roma lavorava al Dipartimento delle
Risorse Umane dell’ARK ed era
amica di Harper da molto prima che entrambe diventassero associate
della
Compagnia.
Clarke non conosceva così
bene né Roma né Harper da chiedere se la
loro amicizia si fosse trasformata in altro, perciò decise
che sarebbe stato
meglio farsi gli affari suoi.
Mel era un’alpinista
dilettante, tra le altre cose, finché non
aveva quasi fatto una brutta caduta e non aveva deciso di smettere;
usciva con
Diggs da circa un anno.
Durante tutto il tempo che le quattro
ragazze avevano trascorso
nella spa, situata all’interno della piscina principale, dopo
essere passate
dalla Jacuzzi alla crio camera, Clarke aveva avuto
l’impressione di aver
scoperto tutto quello che c’era da conoscere riguardo ognuna
di loro.
Ovviamente, la prima dichiarazione che
qualcuna fece nei confronti
di Clarke – dopo un collettivo apprezzamento su come
apparisse in costume da
bagno, abbastanza divertente – aveva a che fare con
l’apparente relazione della
bionda con Bellamy.
“Come sapevi che era il
ragazzo giusto per te, Clarke?”
Clarke sospirò in direzione
di Mel, perché era lei che l’aveva
chiesto.
Con Bellamy non aveva parlato di
questo – non avevano più discusso
di nessuna delle possibili complicazioni della loro
“relazione” da mesi.
In tutto il tempo che avevano
trascorso insieme, non avevano
macchinato niente. Combatté contro l’urgenza di
sospirare nuovamente.
Era da sola – ma poteva
farcela.
“Quando ho capito che
Bellamy era il ragazzo per me?” ripeté
lentamente.
“Uh…a essere
completamente onesta con voi, all’inizio non lo
sapevo. Pensavo che fosse il più grande stronzo sulla terra
– non potevamo
nemmeno stare in una stanza insieme senza iniziare una gara di strilli.
Era
tremendo. Una volta, il mio amico Monty scoppiò in lacrime
– è stato così
brutto. Comunque, ho odiato Bellamy per un sacco di tempo. Non ci siamo
più
visti di persona e altro. Poi, un giorno, dovevamo incontrarci con la
nostra
comune amica Raven, che è direttamente e indirettamente la
ragione per cui
Bellamy ed io siamo finiti insieme ma ci ha mollati e quindi siamo
rimasti con
questi tremendi biglietti in questo tremendo concerto dentro a un
qualche
bistrot. Siamo andati e ha fatto schifo. Abbiamo provato a non farci a
pezzi e
abbiamo fatto schifo. Quindi, Bellamy ha suggerito questo bar di jazz,
ed era
così strano perché era meraviglioso e inaspettato
ma sentirlo parlare di
jazz…l’ha fatta sembrare come la cosa
più bella del mondo. È il modo in cui
parla dei Classici, anche – è ciò che
l’ha portato qui. Perciò, il bar di jazz
ha avviato gli ingranaggi, mi ha fatto pensare che forse non era un
ragazzo
così terribile e poi immagino di aver continuato a passare
del tempo con lui.
Con Bellamy, sono le piccole cose – come il fatto che si
sveglia all’alba e fa
sempre abbastanza cibo per due persone e come mi porta il
caffè quando lavoro e
come mi dà sempre una mano, in qualche modo – era
diventato così strano,
vederlo e non sentirlo vicino a me. E una cosa che apprezzo davvero,
davvero
tanto di lui…è che non fa mai pressioni dove vede
un’ammaccatura. Sembra
stupido nel modo in cui l’ho detto, ma quello che intendo
è questo, se capisce
che c’è una parte sensibile, non chiede mai
troppo. Aspetta che sia io a
dirglielo, se e quando voglio. Non so nemmeno se sia una decisone
consapevole,
ma lo fa.”
Improvvisamente, si sentì
come se fosse tutta sudata.
“Scusa, Mel, qual era la
domanda?”
Maya rise. “Penso che tu
abbia risposto, Clarke.”
“Siete in sintonia
l’uno con l’altra” disse Roma.
“Ho sempre
pensato che è così che devi sentirti
quando…lo sai.”
“Sai cosa?” chiese
Clarke.
Avrebbe dovuto essere contenta di
averle ingannate così bene ma
tutto quello cui riusciva a pensare era che alla fine aveva dimenticato
di
recitare.
“Diciamo solo che, tra noi
quattro, sarai tranquillamente la prima
a passare sotto la navata.”
Clarke scosse la testa, cercando di
non sorridere. “Io e Bellamy
non stiamo insieme nemmeno da un anno – non è
– no.”
Ma Roma le stava comunque lanciando
quello sguardo da Io
lo so, ed era uno sguardo che la terrorizzava.
Proprio mentre uscivano dalla piscina
e raggiungevano gli
asciugamani, il telefono di Clarke iniziò a squillare.
Quasi era stata sul punto di lasciarlo
in camera ma quando vide il
nome sullo schermo, fu contenta di non averlo fatto.
“Hey, Bellamy.”
“Siamo in pausa
caffè. Volevo controllare come stessi.”
Clarke trattenne un sorriso.
“Sto bene. Sono scesa alla spa con
alcune delle ragazze.”
“Com’è
la spa?”
Si guardò intorno.
“È davvero carina. Rilassante. Sarebbe
più
rilassante se potessi riposarmi invece che raccontare a tutti la storia
di come
ci siamo innamorati. Ma hey! che altro deve fare una ragazza?”
Bellamy rise.
“Però ti stai divertendo? Ti stai riposando al
meglio?”
“Sì, direi di
sì. Ho messo il costume da bagno e tutto il resto.
Mi sto rilassando sempre di più.”
Ci fu una pausa, poi Bellamy disse:
“Cerca di non sedurre metà
dell’hotel prima del mio ritorno.”
“Beh, forse se non fossi nel
bel mezzo delle antiche scritture,
avrei qualcuno di diverso da sedurre.”
Immediatamente, Clarke si
raggelò. Aveva appena detto quello che
pensava? Che cosa avrebbe immaginato Bellamy?
Inconsapevoli della realtà
della situazione, Roma e Mel si
scambiarono un’occhiata.
La prima fece una battuta su qualcuno
che non aveva mai letto dei
registri tanto velocemente.
Clarke percepì il deglutire
del moro da dietro al telefono.
“Merda, Clarke.”
Lei rise. “Ok, scorda il
Kamasutra – ”
“A nessun punto di questa
telefonata ho pensato al Kamasutra – ”
“ – Come sta
andando il viaggio?”
“Va bene, sì!
È un privilegio poter vedere gli archivi; sono
così
ben tenuti, ed è tutto così meraviglioso, Clarke.
È onestamente appagante.”
“È stupendo,
Bellamy. Certo, sarà più appagante quando lo
sperimenterai in prima persona con me.”
“Simpatica.”
“Non cercare di fare il figo
o l’indifferente, Bellamy. Non sei
nessuna delle due cose e lo sappiamo entrambi.”
Lui rise. “Perché
devi farmi a pezzi, Clarke?”
“È un trucco per
nascondere quanto ti amo. Non posso ammettere di
voler baciare la tua faccia tutto il tempo, Bellamy; non è
così che funziona.”
“Dio! Sono un tale
idiota.”
“Certo che lo sei. Adesso
è meglio che vai e che torni a essere
uno storico spaccaculi.”
“Sì, hai ragione.
Ci vediamo tra un paio d’ore.”
Sospirò. “Ti amo,
Clarke.”
Lei sorrise, anche
se lui non poteva vederla. “Ti amo, anch’io,
Bellamy.”
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Capitolo 11 *** Capitolo Undici ***
Undici
Il
Dio del fuoco o
Acari della polvere
Clarke
scoprì, prima di separarsi dal
gruppetto della spa, che quella sera si sarebbe tenuta una cena di
benvenuto
con i piatti tipici della cucina greca –
a
spese dell’Ark!, ci aveva tenuto a sottolineare
Roma – preceduta dalla
peculiare “filotesia” del posto: un brindisi di
buon auspicio per conoscere
meglio i diversi addetti e collaboratori che li avrebbero accompagnati
durante
i successivi quattro giorni di permanenza.
Clarke e Maya,
le uniche due
entusiaste più per la messa in scena del tradizionale
simposio greco che per
l’open bar, si erano dette d’accordo per scendere
insieme e avevano concordato
di sentirsi al telefono nel momento stesso in cui una delle due fosse
stata
pronta.
Tornata in
camera, avvolta dal profumo
di biancheria pulita e di candele aromatizzate al bergamotto, la bionda
notò un
paio di biglietti finemente ripiegati e adagiati sopra ciascun cuscino.
La ragazza
posò la chiave magnetica
sul letto e afferrò il biglietto più vicino.
Il pezzettino di
carta, ruvido al
tatto, era stato scritto a mano, in corsivo, e li invitava a visitare,
il
giorno successivo, il famoso Tempio di Efesto, assieme a tutti gli
altri ospiti
dell’albergo.
Secondo le
istruzioni riportate sul
foglio, elegantemente decorato di bianco e di azzurro, il pullman
sarebbe
partito in tarda mattinata – per le 10:30 – e una
guida turistica li avrebbe
accompagnati per l’intero tragitto.
Clarke diede
un’occhiata veloce
all’orologio e tirò fuori il cellulare dalla tasca
dell’asciugamano.
Scattò
una foto al biglietto d’invito
e allegò un commento all’immagine.
Sei
pronto a fare la conoscenza del Dio del fuoco?
La risposta di
Bellamy non tardò ad
arrivare.
Io
non ti basto o hai conosciuto qualcuno più focoso del
sottoscritto?
Il messaggio in
entrata la fece
sorridere.
La ragazza
scosse la testa, facendo
ondeggiare i capelli umidi da una parte all’altra della
schiena.
L’autocombustione
è uno degli effetti collaterali della vanità; lo
sapevi?
scrisse, espirando pesantemente e
continuando a fissare lo schermo del cellulare in attesa di una riposta.
Oh,
cavolo! Credevo che valesse soltanto per le esperte di medicina che non
sanno
cucinare.
La ragazza si
distese contro il
materasso, accavallando le gambe nude e ridacchiando divertita.
No,
per loro c’è un girone dantesco a parte: quello
dei finti fidanzati
indisponenti.
Perché,
in effetti, la loro poteva
essere una nuova Divina Commedia, con tanto di Inferno, Purgatorio e
Paradiso.
Si trattava solo
di capire in quale
mondo si sarebbero lasciati o ritrovati alla fine della storia.
Ed
io che mi ero illuso di essere il tuo Virgilio!
Clarke
alzò gli occhi al cielo,
arricciando il naso.
Il
mio Cerbero, semmai!
Un paio di
minuti e il telefono vibrò
di nuovo.
Ottima
osservazione…Cerbero era superdotato.
Per poco, Clarke
non lasciò cadere il
telefono a terra, rossa come un peperone, mentre le immagini dei
pettorali del
ragazzo le scorrevano a tutta velocità davanti agli occhi.
BELLAMY
Un trillo di
cellulare e:
Che
hai capito? Mi riferivo alle tre teste!
La ragazza
poteva quasi vedere
l’espressione del moro; un misto tra il soddisfatto e lo
strafottente.
Perché
Bellamy Blake era così:
imprevedibile.
Lo stesso
Bellamy che s’imbarazzava
nel vedere Clarke in pigiama, che era capace di provocarla a suon di
battute
maliziose, che le preparava sempre la colazione e che incredibilmente
considerava
i suoi spazi.
Ecco; quel Bellamy – il Bellamy
stupido, rispettoso e focoso
– le piaceva davvero tanto.
Ma la
consapevolezza di aver
incasinato tutto con quel bacio le bruciava ancora sulle labbra, sulla
pelle,
sulla punta dei polpastrelli.
La reazione di
Bellamy – il suo
tirarsi indietro, il fingere che non fosse successo assolutamente nulla
–
continuava a ricordarle, come un insistente promemoria che non si
può
interrompere, di non lasciarsi più coinvolgere.
Perché
loro non sarebbero mai stati
una vera coppia.
Recitavano una
parte, producevano un
copione come due attori provetti; e tutto fino alla prossima chiusura
di sipario.
Clarke si
massaggiò le tempie,
improvvisamente con meno voglia di scherzare.
Ce
la fai a tornare in hotel per le 19:00?
Bellamy le
mandò un punto
interrogativo, cui Clarke rispose mettendolo al corrente della serata
di
benvenuto.
A
detta del Dottor Kane, dovremmo arrivare intorno alle 19.45. Ci vediamo
direttamente
alla cena?
Nonostante un
vago dispiacere di
sottofondo, la ragazza rispose che naturalmente non ci sarebbero stati
problemi
e che si sarebbero, di conseguenza, incontrati alla hall.
E
così, Clarke mise da parte il
telefono e s’impose di darsi una lavata e di sistemarsi per
bene prima di
scendere e di raggiungere gli altri partecipanti.
Si tolse di
dosso il costume, si
diresse in bagno, ed entrò nell’imponente box
doccia, lasciandosi cullare
dall’acqua tiepida del getto a cascata.
Una buona
mezz’ora dopo, si stava
dando un’ultima controllata allo specchio: aveva optato per
una gonna midi di
raso color argento e un top cipria; ai piedi, invece, indossava un paio
di
sandali comodi ma eleganti.
Dopo aver
riempito la borsetta con
tutto il necessario, mentre finiva di truccarsi e di spalmarsi la crema
idratante, controllò al volo il telefono e trovò
un nuovo messaggio in entrata.
…
La visita
dell’Ark agli Archivi
Generali si era rivelata una delle esperienze formative più
interessanti e più
sfamanti che Bellamy avesse mai sperimentato prima.
Terminata la
classica riunione di
rito, tenuta da Jaha e presidiata dal Dottor Kane, al team di aspiranti
assunti
era stato concesso il permesso speciale di visitare le diverse aree
dell’edificio e Bellamy, dopo una pausa caffè e
una rapida telefonata a Clarke
– che nel frattempo si stava rilassando alla spa –
si era unito a un gruppetto di
studiosi assieme a Jasper, Diggs e Harper.
La guida, una
ragazza dai capelli
castani e dai lineamenti marcati, li aveva condotti in una stanza
denominata Stanza delle memorie,
piena zeppa di
vecchi fascicoli e di carte profumate di storia e di cultura.
Lì,
aveva spiegato loro la nascita del
rito di conservazione dei documenti, della derivazione del termine
greco archivio (acquisito solo in
seguito
dalla lingua latina) e della sacralità dell’atto
della preservazione.
“Immagina
quanta dedizione” aveva
sussurrato Harper, perdendosi tra gli innumerevoli pezzi di carta
ingiallita.
“Immagina
quanta polvere” aveva
commentato subito dopo Jasper, allungando il viso da faina e soffiando
via del
pulviscolo da un tavolo di legno grezzo.
“Sei
il solito nerd” l’aveva
rimbeccato Diggs, regalandogli una pacca sulla schiena.
“Sono
solo un biologo attratto dagli
acari e dalle loro interferenze di RNA!”
“Bambini”
li richiamò Bellamy,
lanciandogli un’occhiataccia, “fate i bravi e no! Jasper, non toccare nulla che non si
possa risarcire o che
contenga più di cento acari.”
“Mi
ricordi perché l’Ark ha considerato
il tuo curriculum?” domandò
Harper, avvicinandosi al naso di Jasper che, a sua volta, fece un passo
indietro, chiazzato di rosso in volto.
“N-non…p-perché
si era liberato un
posto in laboratorio.”
“E tu
sei un maledetto nerd” aveva
aggiunto Diggs.
“…Anche.”
“Hey”
l’aveva preso in giro Bellamy,
cingendogli le spalle con un braccio muscoloso “cerca di non
sottovalutarti
tanto. Sei un maledetto nerd ma cazzo!, uno bravo.”
“Sono
commosso, fratellone” aveva
sorriso Jasper, illuminandosi, mentre Diggs e Harper ridacchiavano
divertiti.
“Bellamy.”
La voce calda e
profonda di Marcus
Kane interruppe l’ilarità del quartetto.
L’uomo,
vestito casual ma elegante,
dentro i suoi cargo neri e la sua maglietta di cotone grigia, aveva
chiesto di
rimanere un momento da solo con Bellamy.
“Allora,
cosa ne pensi?” lo interrogò,
indicando con un rapido cenno di mento gli archivi.
La domanda lo
fece trasalire.
Non
perché non sapesse come
rispondere; al contrario.
Bellamy non si
era reso conto di
quanto, fino a quel momento, gli fosse mancato qualcuno con cui
condividere la
felicità e la meraviglia che gli archivi gli avevano
scaturito.
“È
fantastico – qui tutto lo è. Ma
questo posto…c’è qualcosa di
assolutamente prezioso nel modo in cui i documenti
vengono conservati. Il rispetto e la passione per la tradizione sono la
storia
che preferisco.”
L’espressione
di Kane si addolcì, come
se le parole del ragazzo l’avessero in qualche modo appagato.
“Sono
contento, figliolo. Sapevo che
avresti apprezzato. Anch’io, la prima volta che li vidi, ebbi
il tuo stesso
scatto d’entusiasmo.”
“Siete
già stato qui?” s’informò
Bellamy che, in effetti, ben poco sapeva della vita di Kane.
“Molto
tempo fa” rispose Marcus, ridacchiando,
come se fosse passato davvero
parecchio
tempo. “Ero un bambino, allora. Mia madre…beh, lei
percepiva la necessità di trovare
il senso dell’esistenza umana. Di carpirne lo scopo ultimo.
Vedi, era una donna
estremamente religiosa.”
Il Dottor Kane
strinse le labbra, come
se il ricordo della madre, di cui aveva appena parlato al passato – cosa che non era
sfuggita a Bellamy – gli procurasse
ancora della sofferenza.
“Comunque”
riprese a dire, scacciando un
fantasma invisibile che solo lui riusciva a vedere,
“è così che ho scoperto
questo luogo. Mia madre credeva che i documenti antichi, conservati nel
tempo,
potessero suggerire le risposte ai grandi interrogativi della vita. In
parte,
sono d’accordo con lei.”
In quel momento,
la ragazza dai
lineamenti marcati, che aveva fatto da guida al gruppo, si rivolse a
Marcus,
parlando in tono deciso: “Dottor Kane, il vostro tempo
è terminato. Gli archivi
stanno per chiudere. Dovreste riunire il team per le firme
all’uscita.”
“Naturalmente”
rispose l’uomo, annuendo
garbato.
Poi, posando una
mano sopra la scapola
di Bellamy, le annunciò: “Permettimi di
presentarti uno dei nostri storici più validi.
Bellamy Blake.”
Dopo aver atteso
che i due ragazzi si
scambiassero le classiche cortesie di rito, Kane continuò:
“Figliolo, lei è
Echo; sarà la nostra traduttrice nei giorni a venire. Ora
scusatemi, vado a
cercare Thelonious.”
…
So
cos’è successo a
tuo padre
Clarke
aveva visualizzato il messaggio misterioso, inviato da un numero
anonimo, poco
prima di incontrarsi con Maya e da allora non aveva fatto altro che
rimuginare
sull’ambiguità del testo in memoria.
Non
era la prima volta che qualcuno si prendeva gioco di lei.
Già
in passato aveva ricevuto messaggi che si erano poi rivelati delle
false piste,
illudendola e ferendola sempre di più, finché un
giorno, semplicemente, non
aveva deciso di interrompere qualsiasi tipo di ricerca e di risposta.
Allora
perché, adesso?
Perché
stava succedendo di nuovo?
E
soprattutto, chi sapeva cosa?
Ma
in quel momento, con un bicchiere di vino in mano, circondata da ogni
genere di
personalità e di musica, le risultava difficile partorire un
pensiero di senso
compiuto.
Poco
distante da lei, Maya degustava un Assyrtiko
– il vino bianco, tipico di Santorini – e
chiacchierava del più e del meno con
una Mel alquanto alticcia.
Il
rito della Filotesia era stato davvero interessante e Clarke era
convita che
Bellamy l’avrebbe sicuramente apprezzato.
A
quanto pare, nell’antica Grecia, si usava levare la coppa in
onore di un amico:
si chiamava il suo nome, si beveva un sorso di vino passandogli il
bicchiere
perché ne bevesse anche lui e gli si lasciava la coppa come
pegno d’amicizia.
Ovviamente,
l’ultima parte della cerimonia era stata solo simulata dai
partecipanti ma era
stato bello poter urlare il nome di un amico all’unisono
– Clarke aveva gridato
Raven! a gran voce –
bevendo alla sua
salute e sollevando la coppa verso il cielo.
La
sala della hall – un ambiente enorme che avrebbe fatto
invidia perfino all’Ark
Enterprises – ospitava diversi tavoli imbanditi e altrettanti
banconi con innumerevoli
bevande (alcoliche e non).
Clarke
avanzò in direzione del cibo, attardandosi
nell’osservare i pasti particolari
della tradizione greca, indecisa su quale pietanza provare.
Vari
tortini di carne avevano attirato la sua attenzione ma nel momento
stesso in
cui allungava il braccio, un nuovo piatto dall’aspetto
invitante la costringeva
a fermarsi e a riconsiderare le sue scelte.
A
pochi passi da lei, un ragazzo massiccio che aveva assistito
all’intera scena,
si affiancò a Clarke, indicandole un flan di carne e verdure.
“Dovesti
assaggiare la nostra Moussaka”
disse,
con perfetto accento greco. “È uno sformato di
melanzane, patate, carne
d’agnello, besciamella e formaggio fresco. Non mangiarlo
sarebbe un affronto verso il popolo
ellenico.”
Clarke
abbozzò un sorriso, sorpresa ma anche lieta di essere stata
tirata fuori
dall’impasse.
“Certo
– sembra deliziosa. Non voglio scatenare un’altra
guerra di Troia.”
Lo
straniero – una sorta di Jack Sparrow greco, dai capelli
castani lunghi e semi
raccolti in un mezzo chignon e dalla folta barba –
grugnì divertito,
spalancando gli occhi azzurri a goccia.
“La
guerra di Troia è scoppiata perché il principe
Paride, interrogato delle dee
dell’Olimpo su chi fosse la più bella, scelse
Afrodite, regalandole la mela
d’oro.”
“Non
credo di aver visto mele d’oro nei dintorni,
fortunatamente.”
“Dipende
dai punti di vista; io potrei essere Paride e la Moussaka potrebbe
essere una
succosa mela della discordia.”
“Mi
stai suggerendo di non mangiare la
Moussaka, quindi?”
“Ti
sto dicendo che sei la più bella.”
Clarke
aprì la bocca per controbattere, richiudendola subito dopo,
resasi conto di essere…
in imbarazzo – da quando
Clarke
s’imbarazzava?
Riempì
il momento di silenzio con l’assaggio dello sformato
(talmente buono da
tentarla con un bis) e tornò a guardare il ragazzo, che, nel
frattempo, non
aveva mai smesso di fissarla con quell’aria seriosa tra lo
sfidante e
l’urgente.
Solo
in quel momento la bionda si accorse della cicatrice a forma di
mezzaluna sulla
parte destra del viso del barbuto.
Era
una cicatrice quasi invisibile, del tutto rimarginata; eppure era
lì e
qualcosa, nel modo di fare dello straniero, le suggeriva che non doveva
aver
avuto una storia semplice.
“Sono
solo Clarke ma…grazie. Il principe ha un nome?”
Il
ragazzo grugnì di nuovo, squadrandola un ultima volta prima
di affermare “Non
stasera” e se ne andò via, lasciandola da sola,
con un piatto vuoto in mano e
con la sensazione di essere appena stata catturata.
...
Quando
Bellamy arrivò – meglio tardi che mai, giusto?
– alla cena di benvenuto, la
prima cosa che fece fu di cercare Clarke.
La
hall dell’albergo era enorme e il look raffinato
dell’ambiente sembrava degno
di uno stylist professionista; infatti, le pareti erano abbellite da
foglie
d’ulivo e ogni ripiano esibiva un centrotavola dorato,
accompagnato da candele e
da corone di alloro.
Accanto
a lui, Jasper scodinzolava eccitato, mentre un cameriere, vestito
interamente
di bianco, fatta eccezione per la cravatta blu, offrì loro
un paio di bicchieri
di Ouzo, un distillato a base di
anice.
I
ragazzi si fecero largo in mezzo alla folla quando videro, in
lontananza, due facce
familiari.
“Maya,
Mel!” gridò Jasper, sollevando il bicchiere verso
l’alto.
La
ragazza di Jasper li esortò a raggiungerla con un cenno di
mano, aspettando che
fossero più vicini per salutarli.
“Finalmente!
Credevamo che non ce l’avreste mai fatta!”
esclamò, abbracciando Jasper di
rimando.
“Allora,
com’è stata la visita agli Archivi?”
domandò Mel, farfugliando – la ragazza
doveva aver bevuto un bel po’ di vino e Bellamy dedusse che
tra lei e Diggs era
successo qualcosa, poiché il ragazzo non era voluto scendere
con loro per
raggiungere le rispettive fidanzate.
“Davvero
appagante” – “Piena di acari”
– risposero all’unisono Bellamy e Jasper.
Mel
restrinse gli occhi scuri, aggrottando la fronte.
“Sono
ubriaca ma qualcosa decisamente non
torna.”
“Già,
Bellamy, in che senso, appagante?” chiese Jasper, afferrando
da un vassoio
quello che sembrava uno spiedino di carne.
“Si
riferisce a te, Mastro Lindo” rispose il moro, dandogli un
buffetto dietro la
testa.
“Cosa
ci siamo perse?” sospirò Maya, consapevole
dell’eccentricità del fidanzato.
“Shai…”
cominciò Jasper, masticando la carne grigliata,
“sh’erano tutti queshti
documenti antichi, alcuni rishalenti all’VIII shecolo
– ”
“
– Ingoia, Jasper” lo canzonò Maya.
“
– Scusha. Insomma, immaginate quanti piccoli esserini devono
essersi depositati
sopra ciascuno di quei fogli. Alcuni ancora giovani…”
sussurrò, guardando in direzione dell’amico.
“Giovanni?”
biascicò Mel.
“No,
giovani” ripeté
Jasper.
“Chi
è giovane?” chiese Maya, confusa.
“Gli
acari di Bellamy.”
“Che?”
fece Bellamy, disorientato anche lui.
“Sono
io quella ubriaca…” disse Mel, alzando le spalle.
“Oh,
sai, mi riferisco all’acaro femmina che non vedeva
l’ora di depositare le sue
uova su di te!”
“Non
ti seguo” rispose Bellamy, che stava cominciando seriamente a
irritarsi.
Per
tutto il viaggio di ritorno, infatti, Jasper non aveva fatto altro che
metterlo
in guardia sulla traduttrice, Echo, sostenendo che la donna
l’aveva guardato
come un aracnide pronto ad azzannare la preda prescelta.
“Qualcuno
sa che fine ha fatto la mia fidanzata?”
“L’ho
vista andare al tavolo da buffet” lo informò Maya,
mentre Mel e Jasper avevano
cominciato a bisticciare circa la stramberia di quest’ultimo.
Perciò,
Bellamy, contento di aver avuto un motivo valido per allontanarsi dal
gruppetto, s’incamminò in direzione della bionda,
che scorse in lontananza – elegantemente
vestita con una gonna argentata e un top rosa – insieme a uno
sconosciuto.
Il
moro si fermò a osservarli.
Non
gli sembrava di aver mai visto il ragazzo in questione, ma il modo in
cui
quell’uomo stava squadrando Clarke non gli piacque per niente.
Lei
era bellissima, quella sera.
Non
che non lo fosse stata sempre, intendiamoci.
Ma
in quel momento, con i capelli biondi arricciati e il raso che le
risaltava le
curve, sembrava una Dea dell’Olimpo.
La
Dea della vita e della morte.
Intravide
la bionda aprire e chiudere la bocca un secondo dopo – come
se avesse voluto
dire qualcosa, ma avesse subito cambiato idea.
Bellamy
lesse sul viso di Clarke del disagio misto a imbarazzo e la
consapevolezza di
non essere l’unico in grado di spiazzarla lo ferì
più di quanto avesse
immaginato.
Adesso,
la ragazza stava assaporando qualcosa, mentre gli occhi del suo
interlocutore
continuavano a sondarla avidamente.
Bellamy
serrò la mascella, stringendo i pugni.
Lui
non aveva il diritto di essere arrabbiato; era normale che gli altri
uomini la
guardassero.
Ma
in quel momento, per lui, Clarke rappresentava qualcosa di
più di una semplice
bella ragazza: lei era la sua principessa
e lui poteva essere geloso o infastidito quanto voleva.
Quando
l’attenzione di Bellamy si concentrò nuovamente su
di loro, vide che lo
sconosciuto non c’era più.
Clarke,
invece, continuava a sostare immobile, vicino al tavolo da buffet, con
le
sopracciglia aggrottate e un’espressione confusa stampata sul
viso.
Il
moro sospirò profondamente, prima di rilassare i muscoli
tesi e di raggiungere
la sua fidanzata.
Note
autrice:
Sono tornata!
So che
è passato parecchio tempo, forse troppo, ma spero di
riuscire a farmi perdonare.
Che dite,
parliamo del finale di The 100?
Concordo,
meglio di no.
#Jasoninfamepertesolopollame
Per fortuna,
ci hanno pensato Bob ed Eliza a renderci felici con un matrimonio e una
gravidanza.
Qualche
considerazione sul prossimo capitolo:
- taaaanta gelosia nell'aria
-
scropriremo l'identità del nostro Jack Sparrow greco (a
proposito...avete capito di chi si tratta?)
- in arrivo
una bella litigata
Se
vi fa piacere, ovviamente, lasciatemi un feedback <3
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