Princess

di thedgeofbreakingdown
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Due pazzi vengono a prendermi ***
Capitolo 2: *** Qualcuno mi odia ***
Capitolo 3: *** Percy cerca di farmi a fettine ***
Capitolo 4: *** Prendo a calci un figlio di Ares ***
Capitolo 5: *** Un tizio francese rapisce mia cugina ***
Capitolo 6: *** Mi offro per un'impresa ***
Capitolo 7: *** I cattivi odiano la mia schiena ***
Capitolo 8: *** Carter rischia di essere pietrificato ***
Capitolo 9: *** Il dio della guerra ci chiede un favore ***
Capitolo 10: *** Percy ci lascia un'amichetta ***
Capitolo 11: *** Carter si fa una porsche ***
Capitolo 12: *** "Scusa se come psicologo faccio così tanto schifo" ***
Capitolo 13: *** Combattiamo contro un mostro con quattro ascelle ***
Capitolo 14: *** Mercenari ***
Capitolo 15: *** Battaglia finale ***
Capitolo 16: *** "Brava, principessa" ***
Capitolo 17: *** Sono una guerriera, non una principessa ***
Capitolo 18: *** Come la protagonista di Footloose ***
Capitolo 19: *** Boris mi tampona ***
Capitolo 20: *** La mia amica è una puttana ***
Capitolo 21: *** Bentornata a casa ***



Capitolo 1
*** Due pazzi vengono a prendermi ***


"Le principesse al giorno d'oggi sono quelle ragazze con un libro fra le mani, con le cuffie nelle orecchie e la musica a palla, le principesse al giorno d'oggi hanno dei jeans e delle magliette un po' stropicciate. Le principesse d'oggi soffrono, cadono ma si rialzano. Le principesse di oggi toccano il fondo ma risalgono a galla"




Due pazzi vengono a prendermi

Non so effettivamente da dove cominciare. Be', se devo essere sincera non so neanche perché sto cominciando ma forse, sfogarmi con qualcuno (qualcosa, per la precisione) mi aiuterà a “contenere la mia rabbia” come ha detto la psicologa scolastica.

Non è colpa mia ma sembra quasi che i guai mi seguano e ho anche la mezza impressione (la maggior parte delle volte) che il migliore modo per porne una fine, sia una bella rissa. Non che la prospettiva di mettere le mani addosso a qualcuno mi entusiasmi, solo è l'unico modo che ho per sfogarmi, per sfogare le mie frustrazioni e la vita di merda che mi ritrovo ad avere.

Mi aiuta anche andare al mare, stare da sola, sentire il suono delle onde sulla sabbia ma il mare non c'è sempre. Qualche coglione è sempre dietro l'angolo e parlo per esperienza.

Io sono Ariel Miller e ho sedici anni e -lo dico per voi- se pensate di avere una vita difficile, non avete mai conosciuto la mia.

Vivo alla Yancy Accademy nove mesi l'anno, almeno fino a che non arriva l'estate e vado a vivere a Montauk. In molti si chiedono come faccia a pagarmi la retta scolastica visto e considerato che quel cazzone di mio padre è stato solo in grado di scomparire e partire assieme ai Marins dopo essersi divertito con mia madre.

A si, tanto per la cronaca, lei è morta di leucemia quando avevo quattordici anni quindi si, per chi non conosce l'esistenza del mio conto in banca lasciato dal cazzone e dalla mamma potrebbe essere difficile immaginare da dove mi tolga fuori i soldi. Sono anche girate le voci di una mia possibile prostituzione ma sono talmente tanto stanca di queste stronzate che ho smesso anche di smentirle.

Ma a me va bene così, voglio dire, dopo un po' una ci si abitua ad essere forte. Ci si abitua a stringere i denti, a lottare ogni secondo perché ti rendi conto che è la cosa giusta da fare e alla fine, a nessuno sbatte davvero di come puoi stare.

Non sono la classica che sorride per nascondere i problemi, a volte lo faccio, ma sono più che altro la classica che preferisce una bella scarica di pugni e ammettiamolo, le nocche spaccate e il naso grondante di chi hai appena fatto a pezzi sono una soddisfazione per chiunque. Almeno, per la sottoscritta.

 

Salto giù dal letto piombando davanti a quell'idiota di Ashley Tompson e rido quando lei grida per lo spavento. Mi maledice un paio di volte e le mando un bacio volante prima di afferrare i primi jeans e la prima felpa pesante e chiudermi in bagno.

Mi guardo allo specchio, mi guardo per quelli che sembrano dei minuti e gioco con la collanina a forma di goccia che porto al collo. Ce l'ho da quando ero piccola e mamma mi diceva sempre che era l'unico regalo di mio padre. Quell'idiota era un soldato e mi sono sempre chiesta più volte per quale motivo abbia anteposto la patria a me e alla mamma. Finisco per chiedermi spesso come sarebbe la mia vita. Come sarebbe stata se mamma non si fosse mai ammalata di leucemia e se papà non fosse mai partito per la guerra.

Forse sarei un po' più normale e si, magati anche felice.

Scuoto la testa per quei pensieri e mi passo le dita tra i capelli nerissimi e lunghi fino al bacino. Ho smesso di tentare di tagliarmi dopo che l'anno scorso sono diventata un cespuglio impazzito e ho deciso di farli crescere senza preoccuparmi di qaunto disornati potrebbero essere.

In ogni caso, e per quanto possa sembrare strano, sono una delle poche cose che mi piacciono di me, dopo gli occhi. Ecco, i miei occhi mi piacciono davvero tanto perché sono azzurri e a seconda della luce, diventano grigi.

Credo di aver preso gli occhi dalla mamma e i capelli da papà, lui li aveva più scuri dei miei.

Stringo i pugni e mi sciacquo velocemente il viso prima di spogliarmi e indossare jeans e felpa il più velocemente possibile per il freddo.

Credo che questa sarà davvero una grandissima giornata di merda, ne ho come il presentimento.

 

Sbuffo e cerco di capirci qualcosa di più del test di italiano che ci ha piazzato quella stronza della mia insegnante. È a sorpresa ma anche se fossi stata avvisata non ci sarei riuscita comunque.

Batto la penna sul banco e rivolgo un sorriso di strofottenza alla prima secchiona che si volta verso di me e mi guarda infastidita.

- Ariel – mi richiama la mia insegnante irritata e sorrido anche a lei senza smettere di battere con la matita sulla superficie di legno del banco.

- Si, professoressa?

- Potresti smetterla?

- No. Ha la vaga idea di quanto mi diverte farvi arrabbiare? – inizio a battere il piede sotto al tavolo in sincrono con la matita e sorrido ancora, – sono emozioni che non hanno prezzo, giuro.

 

Affondo le mani nelle tasche della felpa e cammino per i corridoi, l'Ipod che spara musica a tutto volume e che mi fa sbattere più volte alle persone che mi passano affianco.

Ho voglia di fare a pugni, ho voglia di gridare, correre, nuotare fino a non avere più fiato. Ho voglia di uscire da questo schifo di collegio ma non ce lo permettono mai, neanche il fine settimana.

Urto l'ennesimo studente ma non mi preoccupo neanche di chiedere scusa. La rabbia è troppa e probabilmenete il tutto finirebbe per generare una rissa e personalmente, è l'ultima cosa di cui ho bisogno. Sono stata esplusa da davvero troppe scuole e ho deluso mamma davvero troppe volte, anche adesso che non c'è più per intrecciarmi i capelli e dirmi, con il sorriso che ho uguale al suo:” andrà tutto bene”.

Mi scontro con qualcun altro e l'urto è abbastanza forte che barcollo di un paio di passi all'indietro e gli auricolari mi volano via dalle orecchie.

- Gesù.. – mormoro massaggiandomi la spalla. Do' un'occhiata alla ragazza che ho difronte e poi torno a dedicare l'attenzione al mio braccio ferito, – scusa – dico solo per cortesia e vorrei continuare a camminare e andare in cortile ma quella ragazza mi spinge per le spalle e barcollo ancora.

- Razza di idiota, vuoi guardare dove cammini? – mi domanda con rabbia e a voce abbastanza alta perché l'attenzone della maggior parte degli studenti in corridoio si focalizzi su noi due.

Alzo le sopracciglia con un mezzo sorriso e fletto i polsi.

Bene.

- Forse tu avresti dovuto evitarmi, non pensi? – è più alta di me di almeno una decina di centimetri ma ho già incontrato ragazze come lei. Ha i capelli castani che le cadono sulle spalle, gli occhi sono dello stesso colore ed evidentemente, non sa cosa vuol dire crisi a giudicare dai vestiti Dolce e Gabbana che porta.

Lei ride di scherno e mi guarda come se fossi un insetto incrociando le braccia sul petto con una strafottenza che non ho mai sopportato, – non mi sfidare – sibila e rido mentre la supero.

- Non ne vali la pena, credimi – sto per rimettermi gli auricolari quando quell'idiota parla a sproposito e seriamente, non so se esserne triste o felice.

- Tua madre non ha abbastanza soldi per comprarti vestiti nuovi, Miller? – mi grida dietro facendomi fermare di colpo, – forse il lavoro da puttana non le fa guadagnare abbastanza.

E per un po' in corridoio c'è silenzio, un silenzio tomba e sono del parere che gli unici rumori percebili siano il mio cuore e il mio respiro che stanno entrambi accelerando paurosamente, e questo non è affatto un buon segno.. per lei.

Non ci penso ancora e afferro i libri del ragazzo affianco a me. Piroetto su me stessa e il libro di storia medievale finisce sul naso di quella deficiente. Il crack che ne segue dopo è solo il rumore che precede il caos, che precede urla e che precede la mia rabbia mentre mi scaglio su di lei. La spingo indietro e la afferro per la maglia firmata prima di colpirla con un pugno alla mascella che mi trasmette una scarica di andrenalina in tutto il corpo.

Ghigno e se solo potessi vedermi, con ogni probabilità mi farei anche paura.

 

Espulsa.

Sono furiosa ma alla fine la colpa è sempre stata mia. Dovevo controllarmi, dovevo almeno provarci ma non ci riesco quando si tratta di mamma, non ci sono mai riuscita.

Lei è così importante per me e io adesso sono così sola che il mio è un continuo sopravvivere, un continuare a testa alta, un lottare per ciò che voglio.

Tiro un calcio al cumulo di neve che ho difronte e affondo le mani nella tasca centrale della felpa che è decisamente troppo leggera per il freddo newyorkese e al quale io non sono affatto pronta.

Non so dove andrò. Magari da quella zia altezzosa e che ha un odore che è un mix terrificante dei gatti con cui abita e di un qualcosa che c'entra con Guess.

Devo cercare una nuova scuola anche se preferirei un lavoro e sono talmente arrabbiata che neanche la musica a palla nelle orecchie riesce a calmarmi.

I pugni mi formicolano all'interno della tasche della felpa e il petto ribolle per il fastidio, per l'ingiustizia e per altre serie di emozioni che ho sempre odiato, continuamente odiato.

Io lo avevo detto ai professori che sono iperattiva, dislessica e che ho un deficit dell'attenzione per cui, teoricamente (e perché mi piace molto vedere le cose da questo punto di vista) la colpa è loro, non mia. Se sanno che non riesco a controllarmi per quale motivo mi mettono questi stronzi senza cervello a scuola? È una sorta di invito a perdere la pazienza e io ne ho già poca di mio, a prescindere da tutti i cavolo di difetti che mi rendono ancora di più uno schifo.

Alzo lo sguardo e sorrido impecettibilmente sotto i cartelloni di Times Square. Brillano a intermittenza di ogni colore e fanno quasi da sfondo alla vita frenetica di New York, alla città più bella del mondo, alla città che non dorme mai.

Mi fermo per un attimo e mi guardo attorno. Guardo la meraviglia che mi circonda, guardo le persone indaffarate, i ragazzi che si prendono un caffé e i bambini che non vedono l'ora di giocare a palle di neve a Central Park.

E sorrido ancora perché, mentre riprendo a camminare, non mi sento fuori posto. A New York c'è posto per tutti, anche per quelle come me che devono ancora trovare un campo d'atterraggio.

Sono talmente assorta nei miei pensieri e talmente distratta che non mi accorgo di un yellow cab che sta venendo a tutta velocità verso di me. Mi volto per puro istinto verso la strada, in tempo per vedere la macchina che scoda leggermente sulla neve e mi sposto qualche secondo prima che quell'idiota dell'autista mi possa venir addosso. Gli auricolari mi sono volati via dalle orecchie e il cappuccio che portavo calato sul volto è caduto. Credo che i miei capelli siano pessimi in questo momento ma sono l'ultimo dei miei pensieri.

Stavo per venir investita e adesso non ho nessuno che mi controlli o fermi per la voglia impellente che ho di prendere a calci in culo questo cazzone.

- Ma vuoi guardare quando guidi? – grido camminando davanti all'autista e attirando l'attenzione delle persone lì vicino per qualche secondo prima che possano catalogare quel litigio come:”abitudine a New York”.

L'uomo scende dalla macchina e mi guarda con scherno e rabbia. Mi chiedo per quale motivo non si prenda una giacca scura che nasconda la pancia da birra o per quale motivo non si rasi un po' i capelli dato che ha una sorta di pista d'atteraggio terrificante.

- E tu vuoi stare un po' più attenta, ragazzina? – mi risponde con odio e i pugni fremono per la rabbia che sto trovando sempre più difficile gestire.

- Non sono io quella che sta guidando una macchina! Ha preso la patente assieme al “diploma del coraggio” del dentista?

Voglio litigare, lo voglio moltissimo se devo essere sincera perché ne ho davvero bisogno e perché non ne posso più di tenermi tutto dentro. Non ha mai funzionato, figurarsi oggi che è una giornata davvero pessima.

  • Tua mamma non ti ha insegnato l'educazione, ragazzina? O ti ha insegnato soltanto come farti un uomo sulla venticinquesima? – e ghigna per quella battuta che mi fa male anche se lo nascondo. Ghigna come se avesse detto la frase del secolo e come se mettere a tacere una sedicenne sia la sua massima aspirazione nella vita.

    Ed è troppo per me, troppo anche per quel giorno. Troppo perché è due anni che mamma non c'è più e io sono sola.

    Troppo perché tutti le danno la puttana senza neanche sapere che era la persona più speciale del mondo e che con solo un sorriso riusciva a rallegrare la giornata a chiunque e senza la benchè minima difficoltà.

    - Stronzo – sibilo e poi sorrido prima di saltare sul cofano con un po' di difficoltà per la suola consumata e bagnata delle All Star scure, – me la vuoi insegnare tu, l'educazione? – domando con scherno e rido forte davanti all'espressione scioccata dell'uomo prima di dare un calcio al vetro. – Dai, hai tanto da insegnare! – intimo nonostante le sue urla e colpisco il vetro con l'intera pianta del piede una volta ma con abbastanza forza perché delle schegge si possano ramificare veloci dal punto che ho calciato.

    Rido ancora, rido ancora perché questo è il mio modo perverso di sfogarmi e l'uomo mi insulta ancora e mi stanno guardando tutti ma non mi importa abbastanza per smettere.

    - Ti ammazzo, ragazzina! – mi urla il tipo e cerca di acchiapparmi ma io sono più veloce e mi attacco alla reginetta della macchina slittando sul vetro umido prima di riuscire a salire sul tettuccio.

    - Allora, non mi prendi? – e rido ancora saltando un paio di volte sul tettuccio e rischiando di scivolare a terra anche, se per quella cazzata, la fortuna sembra essere dalla mia parte.

    Il tassista ringhia altri insulti e allunga una mano sul tettuccio dell'auto per afferrarmi la caviglia ma salto schiacciandogli le dita e rido ancora quando mi insulta e mi guarda con odio.

    - Ti faccio vedere io – sibila e poi sale in macchina mettendo in moto e partendo velocemente.

    Impreco mentre corriamo veloci per le strade di New York e infilo la punta del piede sotto la reginetta per tenermi in equilibrio anche se non è diverso dal fare surf , e poi è divertente.

    - Mi porti alla Upper West Side? – grido barcollando per una curva che ha preso troppo stretta. Saluto un'anziana che mi ha guardato come se fossi pazza e urlo quando rischio di cadere in avanti contro l'asfalto. Una prospettiva che non mi piace per nulla.

    L'uomo frena e accelera bruscamente e mi inchino aggrappandomi con le mani alla reginetta della macchina perché, seriamente, ho ancora tantissime cose da fare nella vita per morire in questo modo.

    Mi reggo per l'ennesima curva presa senza neanche premere un minimo il freno e quando vedo Central Park sorrido.

    - Grazie per il passaggio! – grido all'uomo che impreca ancora appena scatta il rosso del semaforo. Salto con una capriola e cado accovacciata, l'adrenalina che mi scorre potente nelle vene e che mi spinge a correre, a correre veloce e ridere perché non c'è niente di più bello dell'essere finalmente e inesorabilmente liberi.

 

Sono seduta a Central Park e guardo il laghetto ghiacciato e il paesaggio bianco davanti a me.

È tutto sempre calmo a Central Park, tutto sempre silenzioso e sembra un po' un paradosso considerando il casino che normalmente contraddistingue la mia New York.

Mi passo una mano tra i capelli e respiro forte.

Dovrò andare da zia Mary e dalla sua puzza di lettiera per gatti fino a che non troverò una nuova scuola. Devo se voglio sopravvivere, devo per forza.

Mi alzo e sbuffo di nuovo. L'appartamente della zia non è molto lontano e sarà solo una zona di transito, quindi va bene. Devo sopravvivere per qualche giorno prima di trovare un'altra scuola e considerando che lo faccio da tutta la vita non deve essere tanto male farlo all'interno di una casa con un riscaldamento.

Costeggio la Upper West Side e poi tolgo le chiavi di casa dalla tasca centrale della felpa. Entro in casa con le mani che tremano leggermente per il freddo e sorrido appena il calore di casa mi arriva addosso facendomi sentire un po' meglio.

Lasciate che vi presenti zia Mary prima che la conosciate. È la sorella di mamma e ha più o meno cinquant'anni anche se ne dimostra decisamente di più. Tiene sempre i capelli castani in una crocchia tirata e ha anche una fissazione per il rosa. Tutto a casa sua è rosa, le pareti, il divano, le tovaglie. Anche i vestiti per i sette gatti che si preoccupa di cucire a mano e che sono identici alla gonna e alla giacca che porta lei alla Dolores Umbridge di Harry Potter. Si assomiglia moltissimo a lei se devo essere sincera ma la zia è molto più secca e a volte si fa chiamare Marie, in francese e io non ci vedo molto senso considerando che è newyorkese pura. Ma si sa, le donne altolocate devono sempre cercare qualcosa che le distingua dalla massa.

Storgo il naso per la pizza di lettiera per gatti che aleggia in casa e percorro il corridoio stretto andando verso la luce accesa della porta del salotto. Sento delle voci che non conosco e la voce acuta della zia liberarsi in una risata talmente tanto falsa che probabilmente, chiunque sia in salotto l'ha beccata in pieno.

Appena metto un piede sulla soglia del salotto mi blocco di colpo e la mia iperattività parla prima che il mio cervello possa dire:”Gesù, stai zitta!”.

- Chi sono loro? – domando facendo un paio di passi avanti ed entrando nella visuale di tutti, anche in quella della zia che mi mostra un sorriso disumano per abbracciarmi.

Non voglio neanche toccarla.

La puzza che aleggia in casa, addosso a lei è sempre triplicata e non ci tengo a morire a sedici anni per colpa sua, devo essere sincera.

I due ragazzi si voltano e corrugo la fronte inclinando un po' il viso e li osservo curiosa.

- Siete modificati con photoshop? – chiedo ancora e qualcun altro si vergognerebbe ma sfacciataggine e iperattività a quanto pare, vanno d'amore e d'accordo per non vergognarsi quando faccio figure di merda.

Sono un ragazzo e una ragazza che non ho mai visto in vita mia, sono bellissimi e sono in piedi, nel centro del mio salotto. Hanno il fisico più atletico del mio, probabilmente fanno talmente tanta palestra da esserne dipendenti. Sono sicuramente più grandi di me di qualche anno e indossano entrambi jeans, cappotti scuri e un berretto calato sui capelli.

- Sono Percy – mi parla il ragazzo e sorride e i suoi occhi verdi che ricordano il mare d'estate luccicano mentre mi porge una mano che non stringo, – siamo qui per potarti con noi.

La ragazza bionda accanto a lui gli tira un pugno sulla spalla e Percy geme di dolore ma le sorride prima di riportare lo sguardo su di me che, evidentemente negli ultimi tempi mi sono persa qualche passaggio.

- Ma ti droghi? – domando stizzita strappando una risata a Percy e un sorriso alla ragazza bionda che ha accanto. A quel punto, lei fa un passo verso di me e mi guarda e devo quasi lottare per non abbassare lo sguardo davanti a quegli occhi grigi che sembrano mi vogliano mandar a tappeto proprio in quell'istante.

Il fisico è imbottigliato dentro una felpa grigia e una maglietta bianca e aderente, i capelli sono ricci e lunghi quanto i miei, sciolti lungo la schiena.

E a questo punto decido che questi qui non mi piacciono per nulla.

- Dovete portarvi via la mia piccola? – dice zia e poi i suoi occhi castani indugiano su di me, – ho ricevuto la lettera della tua esplusione.. – se non la conoscessi penserei che sia anche realmente dispiaciuta, – hai deluso ancora tua madre. Hai fallito ancora.

E Percy si volta verso di lei fulminandola con lo sguardo e stringendo i pugni. Annabeth la guarda seria e la zia ammutolisce indietreggiando addirittura di un paio di passi.

Ok, scherzavo. Questi ragazzi mi piacciono!

- Davvero una donna simpatica, dico sul serio – dice Percy con un sorriso e poi guarda Annabeth che annuisce un paio di volte e mi afferra per il gomito prima che possa protestare o spostarmi.

- Adesso dobbiamo andare sul serio – mi tira lungo il corridoio seguita da Percy e ignorando le mie proteste, – è stato un piacere signora Miller! – grida Annabeth ma non sento la risposta di mia zia perché siamo già fuori dall'appartamento e sono talmente confusa che non riesco neanche a parlare. E credetemi, decisamente questo non è da me.

- Perché diavolo non l'abbiamo trovata prima? – esclama Percy appena siamo all'esterno e rabbrividisco per il freddo lasciandomi trascinare da Annabeth lungo l'Upper West Side come se fossi una bambola di pezza.

- Dei! Non lo so! Secondo quello che avevi detto due anni fa dovevano riconoscerli a dodici anni ma lei ne ha sedici – rallenta il passo per un attimo, – tutto questo non ha senso.. ne parleremo con Chirone appena saremmo arrivati al Campo.

E per un attimo mi sembra che il mondo stia girando senza di me. Percy dice qualcos'altro che centra con “attacco” e “mostri” ma il mio cervello si sofferma sulle parole:”dei” e “Chirone”.

- Fermi un attimo! – esclamo puntando i piedi al centro del marciapiede e liberandomi dalla presa di Annabeth con uno strattone, – ma vi siete fatti di acidi per caso? Chi diavolo siete voi due per portarmi via in questo modo e perché andate a farneticare di dei? – mi passo una mano tra i capelli per l'esasperazione e poi rido, – prima cosa: che razza di nome è Percy – allungo una mano verso di lui, – senza offesa.

- Nessun problema.

- Seconda cosa: Chirone non era un tizio della mitologia? – loro due mi guardano e Annabeth annuisce. Sta per parlare e alzo un po' la voce per sovrastarla, – seriamente, voi avete problemi gravi e incurabili – scuoto la testa perché ne ho davvero abbastanza per oggi e ci mancavano soltanto questi due pazzi sclerati che farneticano di morte, dei e Chirone.

- Come fai a sapere della mitologia? – mi domanda Annabeth di punto in bianco e la guardo come se fosse in mutande e reggiseno in pieno inverno perché, davvero, non ha senso chiedermi di una cosa così banale quando gli ho appena urlato addosso che si fanno di acidi.

- A lezione di latino ma ho difficoltà a leggere – dico senza pensarci e cancello ciò che ho appena confessato con un gesto della mano come se fosse un insetto fastidioso. Odio che le persone sappiano della mia dislessia. Mi fa sentire vulnerabile e odio sentirmi così.

Annabeth e Percy si guardano, – se prima avevo qualche dubbio adesso sono certa che sia una di noi.

- Che cosa?

Annabeth mi guarda e poi allunga un braccio verso di me per afferrarmi di nuovo, – non abbiamo molto tempo, devi venire con noi, Ariel – dice più seria che mai ma io indietreggio come se mi fossi scottata e mi passo una mano gelida tra i capelli come se fosse un anti-stress.

- Io non vengo da nessuna parte con voi! – li guardo stralunata e poi rido perché poche volte mi sono trovata in una situazione così assurda, – andate a farvi fottere. Dico sul serio – e poi mi volto di scatto e inizio a correre lontano da quei due perché se prima ero arrabbiata adesso sto iniziando ad avere davvero paura.

L'ultima cosa che sento è Percy che borbotta qualcosa a proposito di Atena e questo mi spinge a correre ancora più veloce.

 

Sono tornata a Central Park. Devo essere sincera, questo è un po' il mio rifugio. Preferisco il caos alla calma che c'è qui ma va bene lo stesso perché non mi piace essere limitata e se c'è una cosa che fa Central Park è farti sentire libera.

Sbuffo mentre osservo il laghetto che ho davanti perché quella giornata è stata assurda e voglio solo andare via. Sfogarmi con qualcuno e poi andare a Montauk. Senza mamma non è più lo stesso ma nella vita bisogna sapersi accontentare.

Sento un fruscio tra le foglie e mi volto di scatto osservando gli alberi che si sono probabilmente mossi solo per il vento.

- Gesù – sospiro passandomi nuovamente una mano tra i capelli, – sono davvero paranoica... – ma non faccio neanche in tempo ad alzarmi e andare via che sento un urlo. Un urlo acuto degno dei gatti di zia e di quell'oca di Ashley che sbava lo smalto.

Mi getto a terra nella neve per puro istinto appena l'aria si muove dietro di me, appena in tempo perché una cosa che sembra molto il cane di Paris Hilton senza peli mi passi sopra velocemente.

Nota bene: il cane di Paris Hilton non ha le ali, non è alto almeno il doppio di me e non strilla in quel modo.

Mi inginocchio velocemente e cerco di indietreggiare incespicando sui miei stessi piedi per la neve fredda che mi ha bagnato sia felpa che jeans.

- Andiamo, piccola dea – e non so se essere più scioccata perché quella cosa parla o perché ha delle ali da pipistrello che la tengono sospesa da terra di un paio di piedi.

- Io che cosa? – domando senza il minimo di logica con il cuore che batte a mille mentre sono talmente terrorizzata che non riesco neanche a trovare una soluzione per uscire da quella situazione.

- Il mio signore ti vuole al suo cospetto – gracchia ancora e riesco a mettermi in piedi a fatica nonostante la testa che mi gira e le ginocchia che tremano paurosamente.

E poi, il mio cervello decide di lavorare. Il corpo di una megera avvizzita, i denti acuti.. è una Furia che decisamente, non dovrebbe essere a Central Park.

E non riesco a pensare a nient'altro perché sono troppo spaventata, davvero davvero tanto e mi piace attribuire l'uscita più stupida del secolo alla paura, – sai di essere davvero brutta?

E gli occhi di quella megera bruciano e lei grida, grida forte prima di lanciarsi verso di me a una velocità pazzesca. Mi butto carponi sulla neve ma non abbastanza in tempo perché gli artigli di quell'affare mi graffino la spalla. Impreco e gemo mettendomi in ginocchio e voltandomi verso la Furia che gira velocemente in aria per mettersi nella mia direzione.

- Al mio signore non dispiacerà se ti porto morta – e poi sembra quasi mi sorrida ma un sorriso talmente pauroso che faccio un paio di passi indietro incespicando sui miei piedi e cercando di sopravvivere.

- Credimi, a me dispiacerebbe un sacco.

E quella grida ancora e sono certa si stia per lanciare su di me quando sento una voce familiare abbastanza provenire da dietro la megera.

- Signora Dodds! – esclama Percy affabile venendo verso di noi tranquillo. Estrae una penna a sfera dalla tasca mentre Annabeth si gira un cappellino blu degli Yankee sull'indice, – vorrei poter dire che è un piacere rivederla – e ride bloccando la penna nel pugno, – ma non lo è per nulla.

- Voi – gracchia quella cosa e Annabeth la guarda con un sorriso di scherno prima di portare lo sguardo su di me e sulla mia ferita. Non so come ma riesco a capire che vuole sapere come sto e annuisco un paio di volte lentamente fissando la schiena magra della Furia e sbattendo le palpebre un paio di volte. Non devo svenire.

- Ade manda te a fare il lavoro sporco, quindi? Non dovresti prenderti.. che so, una piccola pausa o qualcosa di simile? Ti vedo trascurata – dice Percy con scherno e trattengo una risata.

La Furia guarda prima me e loro due, quasi cercando di capire qual è la minaccia peggiore e dopo qualche attimo si volta verso Percy e Annabeth e fa di nuovo quell'urlo stridulo prima di lanciarsi verso loro due.

- Ora! – grida Percy e Annabeth si cala il berrettino sul viso scomparendo.

Devo ancora realizzare quello che è successo ma Percy stappa la penna che si allunga e appesantisce nella sua mano diventando una.. – Spada? – sbarro gli occhi e me li stroppiccio un paio di volte perché sicuramente mi sono sbagliata. Quella prima era una cavolo di penna a sfera e le penne a sfera non posso in alcun modo diventare spade.

Percy si abbassa velocemente e corre sotto la furia venendo verso di me. Si gira quella spada stupenda nella mano destra e mi mette una mano sulla spalla osservando quella ferita, – va tutto bene? – domanda preoccupato e annuisco un paio di volte prima di gridare, appena la megera viene verso di noi.

- Giù! – e mi butto su di lui rotolando via subito dopo e bagnandomi ulteriormente i pantaloni.

Percy ride e si spazzola via la neve guardandomi per qualche attimo prima di assottigliare le palpebre e puntarle verso la megera che adesso è quasi sopra il lago e grida ancora, – ti ringrazio dopo per avermi salvato la vita, d'accordo? – e poi ride, – davvero poco originale colpire alle spalle, dico sul serio!

E la Furia grida ancora, grida ancora mentre vola verso Percy talmente velocemente che faccio quasi fatica a vedere quella palla rosa. Mi aspetto che Percy scappi, si sposti o schivi ma lui rimane fermo con un sorriso di scherno sul volto, roteando la spada tra le mani e poi, succede tutto talmente velocemente che faccio anche fatica a realizzarlo subito.

La Furia grida di dolore e si ferma a mezz'aria paralizzandosi. Un cappellino blu degli Yankees vola via lasciando vedere Annabeth sul dorso della megera che stringe un coltello di bronzo dalla lama ricurva che è infilato nella schiena del mostro.

L'essere si riduce in polvere e Annabeth rotea su sé stessa prima di cadere con un equilibrio perfetto sulla neve.

Si spazzola i jeans e nasconde il coltello nella manica del giubbotto in pelle prima che Percy le possa andare incontro mettendole una mano sul fianco, – ottimo lavoro – le sussurra e probabilmente la bacerebbe anche se fossi stata zitta ma il dolore alla spalla è lancianante e a sopportare in silenzio non ce la faccio.

Sistema il cappuccio sulla punta della spada che si rimpicciolisce, tornando ad essere una penna a sfera.

Sbarro gli occhi.

- Dei, Ariel! – esclama come se si fosse ricordato di me solo in quel momento e mi corre incontro sostenendomi con un braccio su un fianco appena barcollo.

- Ma quella.. – indico prima la penna e poi lui, – quella era una penna e poi.. è diventata una spada e... voi siete matti! Voi siete matti – realizzo con voce stridula, – devo andare a fami curare. Oooh si, devo andare senza dubbio a farmi curare.

- Dobbiamo andare al Campo, adesso – e Annabeth viene alla mia sinistra prendendomi esattamente come Percy, ignorando il mio isterismo di pochi istanti ptima. Cerco di prendere facoltà delle mie azioni quando loro iniziano a camminare velocemente fuori dal parco e non so neanche come, ma arriviamo a un pick-up rosso e mi fanno sedere sui sedili posteriori prima che salgano anche loro.

- Corri Percy, dai! – grida Annabeth quasi in preda al panico e Percy le urla qualcosa in risposta ma sento ovattato e il fatto che stia venendo sballonzolata ogni tre secondi contro il finestrino perché quell'idiota ha preso la patente alle scuole elementari, non aiuta affatto.

La fitta alla spalla aumenta e impreco alzando il palmo da sopra alla ferita per vederlo ricoperto di sangue, – merda.. – ed è l'unica cosa che riesco a mormorare. Un po' perché mi fa davvero male e un po' perché sono davvero troppo preoccupata e frastornata e odio sentirmi così.

Annabeth si volta verso di me di scatto sbattendo la testa al sedile appena Percy imbocca il ponte di Brooklyn senza schiacciare il freno neanche una volta.

Rido e lei si sforza di trattenere un sorriso prima di mollare un pugno sulla spalla a Percy che protesta ma la guarda comunque in un modo talmente tanto dolce che non fossi così acida mi farebbe anche sciogliere.

- Percy! – esclama, – Ariel è ferita!

E vorrei rispondere un qualcosa del tipo:”ma non mi dire!” dato che sembra averlo realizzato solo ora ma, seriamente, ho idea che questa ragazza potrebbe farmi il culo da un momento all'altro e voglio almeno compiere diciotto anni prima di morire.

Percy mi lancia uno sguardo dallo specchietto retrovisore prima di tornare a guardare la strada un po' traffica, – nella mia tasca c'è dell'ambrosia.

E Annabeth cerca quasi con frenesia prima di togliere una bustina di plastica con all'interno un quadratino giallo che ispira veramente poco.

- Mangia – mi ordina e il tono è talmente autoritario che faccio come dice sentendo un sapore talmente buono di cioccolato e caramelle che ne vorrei mangiare un altro po'.

- Bene – sorride Percy lanciandomi un altro sguardo e riuscendo a traparnarmi con quegli occhi verdi anche attraveso lo specchietto retrovisore, – adesso sappiamo per certo che sei una di noi.

Corrugo la fronte, – e l'hai capito facendomi mangiare?

Annabeth rotea gli occhi, – si, facendoti mangiare l'ambrosia. Se non fossi stata una di noi saresti morta bruciata.

- Che cosa?!

- Annabeth!

Poggio pesantemente la schiena al sedile, – io devo andare a farmi curare – sussurro.

 

Percy e Annabeth hanno parlato molto durante il viaggio e per un po', lei ha anche giocato con le sue dita mentre guidava. Solo un cieco non capirebbe che stanno assieme e un po' mi trovo ad invidiarli considerando che non ho mai avuto una storia degna di batticuore e notti insonni fissando il soffitto e pensando a lui.

Ho capito che siamo diretti a Long Island ma non mi va di parlare o chiedere altro per cui mi limito a poggiare la testa al finestrino e guardare la strada.

La ferita alla spalla è guarita qualche chilometro fa e dopo aver gridato degna della Furia di Central Park e aver insultato e minacciato di morte Percy e Annabeth ho deciso di stare zitta e fare un favore alle mie corde vocali.

Le macchine con il passare delle ore sono diminuite e adesso che ci stiamo avviciando a una collina che non ho mai notato per davvero, non c'è praticamente nessuno sulla statale se non il pick-up rosso di Percy.

In pochi minuti arriviamo ai piedi di quella stessa collina che vedevo da lontano e che porta la scritta “raccolta fragole di Delfi” in pianura. Corrugo la fronte e sto ancora cercando di realizzare quel bizzarro busness quando Percy spegne il motore e scende dalla macchina seguito da Annabeth.

Respiro forte e mi abbandono a un sorriso appena lui le si avvicina e intreccia le dita alle sue, baciandole una tempia e chiudendo gli occhi per quei secondi che le sue labbra indugiano sulla pelle di Annabeth.

Lo stomaco mi si chiude in una morsa e mi affretto a scendere dalla macchina cercando un modo per distrarmi e non pensare a quanto, in questi anni, non abbia mai ricevuto tutto quel riguardo da parte di nessuno.

- Andiamo, Ariel – mi sorride Percy camminando verso la cima della collina e faccio una breve corsetta per raggiungerli dato che sono a un po' di metri dietro a loro.

Mi volto a guardare il paesaggio quando siamo quasi in cima e mi schermo gli occhi con una mano mentre punto lo sguardo verso il sole che sta tramontando e il cielo arancione.

- È bellissimo – mormoro e vorrei stare così tutto il giorno guardando il paesaggio in lontananza se Annabeth non mi stesse chiamando di nuovo.

Sono costretta nuovamente a correre e li raggiungo sulla cima della collina arrestandomi di colpo davanti al pino più grande che abbia mai visto in tutta la mia vita con un vello dorato incastrato tra i rami. A si, c'è anche un drago acciambellato accanto, ovvio.

No aspetta. Un drago?!

- Ma quello è un fottuto drago! – grido e quell'affare rosso e dorato apre stancamente gli occhi e sbuffa fumo dal naso degno di un vaporetto nei film di Sherlock Holmes di serie B, – ooooh merda – mi passo due mani sul viso osservando quell'affare e ignorando le risate di Percy e Annabeth.

Stronzi.

- Devo andare a farmi curare – cammino in tondo e credo che quel drago mi stia guardando ma poi, che cavolo ci fa un drago in quello che dovrebbe essere un campo estivo?

- Ariel – mi sorride Percy facendomi distogliere l'attenzione dal drago per portarla su di lui e sull'arco in pietra che si apre sulla valle di una collina. Apre le braccia e Annabeth si libera in un sorriso talmente bello a guardare quella che deve essere la sua casa, che quasi mi mozza il fiato, – benvenuta al Campo Mezzosangue.

Cammino verso di lui timidamente tenendo comunque d'occhio quel drago che Annabeth sta accarezzando sul collo come se fosse un tenero cavallino e non un essere con i denti lunghi quanto le mie gambe.

Supero l'arco e mi affaccio sulla valle della collina e spalanco bocca e occhi perché, seriamente, quello che vedo è davvero mozzafiato.

Il paesaggio si apre su una serie di case messe a rettangolo, un laghetto delle canoe sullo sfondo che ha sbocco sul mare che occupa tutta la visuale ed è dipinto di un bellissimo arancione. A valle c'è un padiglione, un altro a cielo aperto dove sono certa ci siano persone e una casa enorme dipinta di rosso.

Mi sembra di vedere delle canoe e un'arena ma sono troppo lontana per esserne certa. Sulla sinistra c'è un bosco enorme e ho la mezza impressione che di notte dev'essere una delle cose più inquietanti del mondo.

- Ooh wow.. – mi limito a dire e Annabeh ride passandomi affianco e superandomi mentre scende lentamente lungo la collina.

- Questa è la nostra casa – dice Percy venendomi accanto e tenendo lo sguardo puntato difronte a sé, – è impossibile non innamorarsi di questo posto, credimi.

Sto zitta continuando a guardare fissa davanti a me e Annabeth ci chiama dopo essere quasi arrivata a valle. Fa un cenno col braccio e Percy mi posa una mano sulla schiena per spronarmi a camminare.

 

- Percy, Annabeth! – e mi arresto di colpo quando un tizio alto il doppio di me travolge i due ragazzi e li solleva anche da terra di due centimetri, – Percy e Annabeth non hanno fattobum! – esclama felice e loro due ridono come se una cosa del genere accadesse tutti i giorni.

Effettivamente non è molto difficile da credere.

- Già! Soprendente, vero? – ride Percy e un paio di ragazzi seduti ai tavoli della mensa sorridono o ridono.

Noto che l'attenzione è su di me ma dopo che ho cambiato non so quante scuole in non so quanti anni, venir osservata da occhi diversi ogni secondo non è poi una novità.

Faccio scorrere lo sguardo tra i numerosissimi tavoli e mi sorprende notare quanto i componenti di ciascuna panca si somiglino tra loro.

Ci sono ragazzi con i capelli prevalentemente scuri, i bicipiti grossi quanto le mie braccia e cicatrici perfino sul viso. Io sono nuova eppure loro continuano a fare casino, a ruttare e lanciare pezzi di pane ai ragazzi vicino a loro, quasi a voler provocare zizzania per litigare.

Decido che quei ragazzi mi piacciono e poi osservo uno dei tavoli più numerosi, dove i ragazzi hanno lo sguardo di chi vuole rubarti qualcosa e sa perfettamente come farlo. Dove hanno quello sguardo malandrino e l'espressione talmente furba che vengono bollati dagli insegnanti come piantagrane.

Quella cosa enorme mette finalmente a terra Percy e Annabeth e lei si sistema la maglietta prima di fare un cenno del capo a un tavolo dove i ragazzi le somigliano talmente tanto da fare anche impressione.

- Lei è nuova amica! – esclama il tizio e solo osservandolo meglio alla luce del falò mi accorgo che ha un unico occhio enorme al centro della fronte. Spalanco gli occhi quando lui apre le braccia.

- Ma porca.. – ma una voce interviene e sono quasi disposta a baciare i piedi a quel santo.

- Tyson – dice divertito, – dovresti cercare di far abituare la nuova ospite, non trovi? – e sono curiosa di vedere chi è quel tipo dato che Tyson, con la sua mole lo copre per intero.

- Si, Chirone – dice lui abbassando il capo quasi imbarazzo e alla fine si sposta e se pensavo che le sorprese per oggi fossero finite, mi sbagliavo di certo.

- Oh mio dio.. Ma lei è per metà cavallo!– esclamo senza pensarci e l'uomo cavalloride venendo verso di me con il manto bianco ben pettinato e una maglietta stropicciata a coprirgli il dorso, come se non lo avessi affatto offeso. – Sto impazzendo – dico con voce stridula passandomi una mano fra i capelli, – devo andare a farmi curare.

Credo che stia per parlare ma una voce annoiata lo precede e attira la mia attenzione, – oltre che una scocciatura, questi semidei sono anche maleducati – e la mia attenzione viene attirata verso un tavolo che in primo momento non avevo affatto notato. Ci sono un uomo e un ragazzo che si somigliano molto, con gli stessi ricci talmente tanto scuri che alla luce del falò sembrano quasi blu, e un'espressione che non riesco a decifrare bene.

L'uomo porta una tuta tigrata che gli sta veramente male e credo che sia abbastanza furbo da riuscire a fregare tutti quei piantagrane con i capelli color sabbia e le orecchie un po' a punta.

- Davvero simpatico. Quella tuta la mette perchè crede vada di moda o perché gli abiti vagamente decenti erano a lavare? – domando con un sorriso strafottente sul volto.

Ignoro il pizzico di Annabeth al fianco, Tyson che scuote la testa talmente forte che ho paura gli cada da un momento all'altro e la mensa che si è zittita come se avessi detto chissà che cosa.

- La posso incenerire? – domanda l'uomo riccio al tizio cavallo che ho appena realizzato si chiami Chirone. Lui si gira e scuote la testa con un sorriso prima di guardarmi e inchiodarmi alla colonna in pietra che ho alle spalle.

- Prima dovremmo spiegare a questa signorina un po' di cose – e poi guarda con bonario rimprovero Percy e Annabeth alle mie spalle, – e mi scuso per essermi fatto trovare nella mia forma equina già dal primo incontro. Se fossi stato avvisato prima non avremmo avuto questo inconveniente.

Annabeth abozza un sorriso, – ci dispiace molto, Chirone. Non abbiamo avuto il tempo di avvisare – mi poggia una mano sulla spalla, – lei è Ariel, comunque. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3
Sono tornata! 
Dopo un bel po' di tempo ma sono tornata ahhaha mi scuso se ci ho messo così tanto ma questa storia non aveva voglia di essere scritta. Sul mio computer mancano pochi capitoli prima che sia finita quindi ho deciso di pubblicarla perché ero troppo emozionata e mi mancavate ahahah 
Come vi avevo anticipato più volte, la storia non si concentra su Percy e Annabeth ma su una protagonista totalmente nuova, Ariel, sfacciata, acida e stronza e poi, piano piano, capirete anche perché è cambiata così tanto. 
Forse qualcuno si lamenterà della furia che è uguale al primo libro di Percy ma, e voglio sfatare un mito, la furia c'è perché mi sembrava quasi doveroso richiamare anche in questa storia la prima avventura dell'eroe che mi ha ispirato questa fanfic. Percy si ritrova infatti a combattere la sua prima nemica in assoluto per salvare Ariel e mi sembrava una cosa carina da ricordare ahahha 
Avevo già pubblicato questa storia un po' di tempo fa ma poi l'ho cancellata e riscritta da capo cambiando mooooooolte cose^.^ 
Ovviamente, tutto è appena iniziato e le reazioni migliori di Ariel si vedranno a partire dal prossimo capitolo. Adesso era troppo agitata e sconvolta per realizzare il tutto ma poi, si farà vedere al Campo per la ragazza che veramente è! 
Spero che continuerete a leggere e mi lascerete un vostro parere:** 
Alla prossima, lo prometto! 
Vi adoro<3
Love yaa<3


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Capitolo 2
*** Qualcuno mi odia ***


Qualcuno mi odia
 

Realizzo poco dopo che i ragazzi al campo hanno già cenato e Chirone mi fa cenno di seguirlo verso la casa enorme alta almeno tre piani.

Sto per entrare quando mi blocco davanti a una vetrina posta accanto alla porta d'ingresso. Mi hanno sempre incuriosito le vetrine anche se non so bene il motivo. Credo solo che mi piaccia sapere un po' di più degli altri o vedere i loro successi, vivere con loro un po' di felicità che, tra parentesi, non guasta mai.

Sorrido nel vedere foto di ogni tipo, foto di ragazzi che combattono con la spada, ragazzi che sorridono, che ridono, che scalano una parete dell'arrampicata che ho appena deciso di voler provare.. ci sono anche Percy e Annabeth in alcune foto.

Una mi piace molto.

C'è Annabeth, i capelli biondi raccolti in una coda, un sorriso vispo da quindicenne e una maglietta arancione del campo che sorride accanto a una delle ragazze più belle che abbia mai visto in vita mia. Ha i capelli mossi lunghi fino alla vita e gli occhi di un azzurro talmente tanto luminoso che anche se non ci fosse il sole estivo a farli brillare sarebbero comunque bellissimi.

Ci sono altre foto con quella ragazza mora e sorrido quando la vedo in una foto, la schiena inarcata e il viso rivolto verso la telecamera. Un ragazzo afroamericano e ben piazzato la tiene per i fianchi e sta sorridendo sul suo collo.

Noto due targhe dorate sotto quella foto e lo stomaco si stringe in una morsa nel leggere quello che c'è scritto.

Silena Beauregard. Figlia di Afrodite. Morta nello scontro finale. Eroe.

Charles Beckendorf. Figlio di Efesto. Morto sulla Principessa Andromeda. Eroe.

E i miei occhi, a questo punto, inziano a leggere con un po' di fatica tutte le targhe, a guadare tutte quelle foto, tutti quei ricordi che rimaranno solo tali, che rimaranno incastrati nel passato e in quella vetrina perché quei volti sorridenti, adesso, non ci sono più.

Ci sono troppe targhe e troppe persone in quella vetrina e ho quasi un vuoto nel petto e la morsa allo stomaco si è fatta ancora più stretta e credo quasi che impazzirò appena vedo questa foto. Attacco quasi il naso alla vetrina per vederla alla luce della lanterna e mi scappa un sorriso nel vedere due Percy e Annabeth dodicenni. Sono tremendamente felici e sorridono con le braccia attorno ai fianchi di un ragazzo diciassettenne che sembra uno di quei modelli cattivi della Dolce&Gabbana. Ha gli occhi azzurri, il sorriso furbo e i capelli color sabbia un po' lunghi. A differenza dei due bambini porta una canottiera arancione e li tiene stretti a sé per le spalle come se fossero alcune delle cose più importanti della loro vita.

Ha una cicatrice che gli corre dall'occhio destro fino allo zigomo eppure, credo di aver visto pochi ragazzi così belli e felici in tutta la mia vita.

Luke Castellan. Figlio di Ermes. Morto nello scontro finale. Eroe.

– Cazzo..

- Bene. Signorina Ariel, lei non è una ragazza come le altre. Ma non in senso cattivo, nel senso che è speciale – dice Chirone, distraendomi dalla vetrinetta e facendomi alzare lo sguardo verso di lui.

Sono fermamente convinta che la mia teoria secondo la quale si fanno tutti di acidi non sia poi così sbagliata.

– Non credo che l'essere iperattive, dislessica e senza un soldo in canna mi renda speciale – sorrido incrociando le braccia sul petto, – ma effettivamente le cose viste dal suo punto di vista sono molto più interessanti.

– Vi prego, posso incenerirla? – e la mia attenzione viene attirata sulla veranda e dal tizio ciccione che vuole seriamente essere preso a pugni.

Entro nella casa solo per uscire in veranda e andargli davanti. È seduto a un tavolo circolare e sta giocando con uno di quei tizi capra che ho visto in mensa prima.

Ho deciso che sparare parolacce a tutto spiano per lo shock non aiuta quindi ho pensato di fare un favore a tutti e nascondere i miei pensieri al resto dei ragazzi.

– Signor D, suo padre l'ha mandata qui per disintossicarsi. Non penso che sia una buona cosa uccidere questa giovane – lo riprende Chirone severo preceduto dagli zoccoli che sbatacchiano sul legno.

Il tipo con la tuta tigrata sbuffa ancora e ad essere sinceri, la sua noia è direttamente proporzionale alla mia voglia di picchiarlo.

Per intenderci, questo qui è parecchio annoiato.

Lo sto ancora fulminando con lo sguardo ma Chirone parla e sposto la mia attenzione su di lui, – mai sentito parlare di dei? Immortali, che vivevano nell'Antica Grecia? – chiede.

– Si, sono miti e credo che una spiegazione logica a tutto sia un po' di acido che ho assunto senza saperlo.

Il tizio tigrato sbuffa ancora, – Ancora con questa storia. Dicono tutti così, poi quando vengono inceneriti si lamentano anche!

E a questo punto, il mio cervello si mette in moto e lavora veloce perché, andiamo, non posso essermi realmente fatta di acido senza saperlo. Ogni tessera del puzzle, da quando sono piccola fino a oggi va' ad incastrarsi e sono talmente sorpresa che tutto abbia un perché, che la risposta tagliente a “tuta tigrata” mi rimane sulla punta della lingua: la Furia, Percy e Annabeth, Chirone e i tizi capra.

– Dicevamo – continua Chirone – gli dei dell'Antica Grecia, ebbene, non sono mai scomparsi. Sono sempre riapparsi in posti diversi, ovunque la fiamma brillasse di più.

– La fiamma?

– Si, la fiamma dell'immortalità. Quest'ultima si è sempre spostata cercando la civiltà più forte. Ha avuto origine dalla Grecia e gli dei lì, hanno lasciato il segno. Poi, ovunque la fiamma diventasse più forte, si sono spostati. Tutto il mondo è stato marchiato dagli dei. Magari hanno avuto nomi diversi, come a Roma, ma si sono sempre fatti ricordare e adesso, sono qui, in America.

Fa una pausa come a farmi metabolizzare la risposta e probabilmente sta interpretando male i miei occhi sbarrati.

– Non c'è posto nel mondo dove gli dei non si siano fatti ricordare. Prendi ad esempio l'aquila, il vostro simbolo nazionale. L'aquila è il simbolo di Zeus. È questo, è solo uno dei tanti esempi.

– Questo non può essere possibile.. – mormoro passandomi una mano tra i capelli eppure so bene anche io che lo è eccome.

– Chirone falla smettere, prima che uno di questi dei decida di incenerirla – dice svogliato “tuta tigrata” e lo fulmino nuovamente con lo sguardo beccandomi un sorriso di strafottenza che vorrei distruggere con un pugno.

– Che tu ci creda o no, gli dei esistono, e tu fai parte di loro.

- Wooo-ah, un momento! – esclamo indietreggiando perché questo è davvero troppo, – io sono un dio? – dico sulla soglia di una nuova crisi isterica.

- Non cara, se ci fossero dee come te sull'Olimpo, sarebbe caduto da un pezzo – e assottiglio lo sguardo. Lo fisso furiosa cercando una sfida, cercando una provocazione e una risposta da parte sua ma quel ciccione schiocca le dita e un calice d'argento appare davanti a lui riempendosi di liquido rossastro e dal sapore forte che mi fa arricciare il naso.

- Signor D – fa Chirone in tono di rimprovero come se fosse un bambino di cinque anni che non può mangiare caramelle per un'indigestione, – sa bene che non può.

Il signor D sbuffa e schiocca le dita facendo riempire il calice di quella che sembra coca-cola, – ancora cinquant'anni di questo strazio – borbotta e se devo essere sincera, un po' ci godo della sua sofferenza.

- In conclusione, signorina Miller – Percy gli ha detto il mio cognome poco prima, – lei è il frutto di un'unione tra un mortale e un dio – fa Chirone come se stesse parlando del tempo, – suo padre è un dio dell'Olimpo e lei, signorina Miller, è una semidea.

Prendo la prima sedia che trovo e mi ci faccio cadere sopra. Ed è assurdo perché tutto questo casino per me ha un senso. Tutto questo casino per me ha sempre avuto senso, non ci ho solo mai voluto credere, sin da quando ero bambina.

– Chi è mio padre, allora? – domando mettendomi sulla punta della sedia perché, di tutta questa situazione, l'unica cosa che voglio sapere è chi diavolo è quell'idiota che non ha mai aiutato né me né mamma in tutti questi anni.

Chirone tiene lo sguardo basso per un po' prima di puntare i suoi occhi scuri nei miei e non mi ci vuole molto a capire che neanche lui ha una risposta a tutto questo casino.

Mi passo una mano tra i capelli mentre gli unici rumori sono: il battere dei denti dell'uomo capra per la paura, signor D che beve, qualche risata e un po' di.. ruggiti?

- Gesù.. è tutto vero – e credo di starlo realizzando solo in questo momento.

Ora tutto ha un senso. Ora tutte le cose che nella mia vita non avevano risposte prendono forma, prendono un significato che forse, non mi fa neanche così tanta paura: alle elementari, mentre ero in cortile a giocare, una donna aveva cercato di portarmi via e con una serie di minacce le maestre l'avevano cacciata. Quando dissi che da sotto la gonna le sbucavano due code da serpente nessuno mi aveva creduto.

Alle medie,una ragazza vestita da Cheerleader, aveva cercato di incantarmi e quando vidi che aveva una gamba equina e una di metallo, non mi credette nessuno.

La cosa più strana però era successa due anni fa. Ero appena tornata dalla Florida dopo aver risparmiato e lavorato per secoli.

New York, la mia New York era devastata.

I giornali dicevano che erano state una serie di tempeste e mi avevano dato della pazza, quando avevo detto che c'erano segni di lotta, artigliate sui muri dei palazzi e spade spezzate qua e là.

Tutto quadra e tutto è vero.

Gli dei esistono e io sono una semidea.

Cazzo.

– Quindi lei è.. – e indico signor D che alza lo sguardo dalle carte che tiene aperte in mano a ventaglio con un sopracciglio scuro alzato nella mia direzione. – Lei è Dionisio, il dio del vino – realizzo in pochi secondi.

- Ovvio. Pensavi fossi Demetra, cara? – e lancia una carta sul tavolo facendo rabbrividire il tizio capra che ha davanti.

- Lei è un dio. Lei – e trattengo una risata perché tutto mi sarei aspettata tranne che quel ciccione fosse un dio.

- Qualcosa in contrario, mocciosa?

- A dire il vero, s.. – ma Chirone mi interrompe prima che possa fare danni.

Peccato, dico sul serio.

– Bene, io direi che per oggi può bastare. Puoi andare a dormire adesso. La sveglia domani è alle sette. Un satiro – aaaah ecco come si chiamano i tizi capra.. – probabilmente ti accompagnerà alle capanne. Se c'è qualche problema, dimmelo pure. Buonanotte Ariel.

– Buonanotte Chirone. Signor D – dico uscendo dalla veranda. Attraverso la sala della casa grande prima di uscire all'esterno.

Una ventata di freddo mi arriva in pieno viso e mi stringo nella felpa. Vedo che attorno ai confini del campo nevica ma non direttamente campo e abbozzo una risata domandami quando mai finiranno le stranezze in questo posto.

Cammino verso il padiglione della mensa cercando di ricordare dove siano le case quando le ho viste dall'alto ma un rumore di passi e una voce che conosco mi fanno fermare e sorridere, – traumatizzata?

  • Ciao Annabeth. Potresti renderti visibile ed evitare di farmi sentire una completa idiota per star parlando tecnicamente da sola? – dico sarcastica e sento la sua risata prima che lei si possa togliere il cappellino e tornare visibile, – e tanto per la cronaca, il livello di traumatizzata l'ho superato quando quella megera mi voleva uccidere a Central Park.

    Annabeth ride e mi fa cenno con la testa di seguirla. Affondo le mani nelle tasche della felpa e lei sistema la visiera del cappellino dentro la tasca posteriore dei suoi jeans, – mi dispiace per come siano andate le cose – non è facile accettare tutto questo casino come l'hai affrontato tu.

    Sorrido e scaccio la questione con un gesto della mano, – naa, va' tutto bene. Magari sarà anche divertente vivere con e come voi.

    Annabeth annuisce mentre usciamo dal padiglione e l'oscurità della notte ci avvolge, – ooh ti assicuro che lo è, fidati. Mia madre è la dea della saggezza, ho praticamente sempre ragione – si pavoneggia per finta e rido lasciando che i miei pensieri corrano a chiunque sia mio padre e quando deciderà di farsi vivo.

    - Atena – dico d'un tratto e Annabeth annuisce un paio di volte, – stai pensando a chi potrebbe essere il mio genitore... divino, giusto?

    E la sento ridere, – sono davvero così prevedibile?

    - No, ma credo che sia la curiosità di tutti adesso che sono l'attrazione principale del campo.

    Annabeth abbozza una risata, – avanti, chiedimelo.

    E corrugo la fronte, – che cosa?

    - Hai esitato e poi aperto bocca. Mi vuoi chiedere qualcosa.

    Mi fermo di scatto e la guardo – e tu come fai a...aah dea della saggezza, giusto – lei ride e poi ricominciamo a camminare, – qui sono tutti come me? – domando senza aggiungere altro e certa che lei capirà.

    - Come? Dislessici e iperattivi e con un deficit dell'attenzione? Si e sono le nostre migliori qualità.

    - Ahah davvero divertente – dico sarcastica e mi sembra quasi di poter vedere Annabeth accigliarsi.

  • Dico sul serio! In battaglia i tuoi riflessi ti salvano la vita. Non te ne rendi mai conto nelle risse? Tutto rallenta e inizi a notare anche i minimi particolari, giusto? – sto zitta riflettendo e prendendo atto del fatto che quella ragazza bionda stia centrando in pieno il punto, – non riesci mai a stare ferma e il tuo cervello è impostato sul greco antico!

    - Smettila di prendermi in giro. Non è così divertente come sembra.

    E Annabeth ride prima di continuare, – dico sul serio! Hai presente quando siamo arrivati qui? Campo Mezzosangue era scritto in greco e a te è risultato talmente tanto facile leggerlo che ti sembrava inglese, ho ragione?

    Sbuffo e – è snervante avere accanto a me una persona che non ha mai torto, lo sai? – e lei ride prima che io possa parlare ancora, – ah, Annabeth, dov'è l'Olimpo? – perché, davvero, di tutte le cose che mi hanno spiegato, questa è l'unica che non so.

    Sull'Empire State Building – e lo dice come se fosse scontato facendomi sbarrare gli occhi nel buio della notte.

  • Certo, come ho fatto a non pensarci prima? – borbotto dandomi un colpo alla fronte e nascondendo così quanto quella notizia mi abbia shoccata.

    Annabeth ride e rimaniamo in silenzio per un paio di secondi prima che possa essere lei a interromperlo, – Ho un'idea abbastanza precisa su di te, sai? Credo che tuo padre possa essere.. – e continuerebbe se qualcuno non l'avesse chiamata.

    - Arrivo! – urla lei in risposta e poi si volta verso di me, – devo andare, Ariel. La tua capanna è quella di Ermes, laggiù – mi indica e scruto una casa abbastanza grande con ancora le luci accese, – la cabina sei mi chiama, ci vediamo domani mattina – la saluto di rimando e poi corre via superando una cabina che brilla quasi alla luce della luna.

    Sono curiosa di vederle tutte domani mattina e mi incammino verso l'apparente casa di Ermes fermandomi ogni tanto a guardarne alcune.

    Sto costeggiando il muro della cabina di Ermes cercando di orientarmi nonostante la scarsissima illuminazione quando una mano mi avvolge l'avambraccio senza che neanche me ne renda conto subito. Vengo sbattuta al muro e mi manca il fiato per un paio di secondi. Tutto accade talmente tanto velocemente che solo dopo un po' mi rendo conto di essere a una spanna da terra e con un braccio che mi tiene il volto sollevato.

    Sbatto i pedi al muro in cerca di aria e, – non è il tuo posto, novellina. Stai bene attenta – sibila una voce e prima che la mia gamba possa scattare verso le palle di quel coglione, il braccio che mi bloccava il respiro mi lascia cadere e rovino a terra per la poca stabilità delle mie gambe.

    Mi inginocchio emettendo conati e cercando di recuperare un po' d'aria e alzo lo sguardo appena in tempo per vedere una schiena ampia sparire nella notte.

    - Stronzo – dico con voce strozzata rimettendomi in piedi e guardandomi attorno. Stringo i pugni perché non ci tengo davvero ad avere altre sorprese del genere e con il cuore che ancora mi batte a mille per lo shock, busso alla porta in legno della casa di Ermes.

    Mi aprono due ragazzi pressoché identici se non fosse che uno è leggermente più basso dell'altro.

    - Io sono Connor – dice uno.

    - Io sono Travis – fa l'altro all'unisono e facendomi venire mal di testa in meno di tre secondi. – Tu devi essere Ariel – continuano in contemporanea facendomi annuire e poi sorridono facendosi automaticamente imitare di me, – benvenuta nella casa di Ermes.

    Travis scosta il braccio destro e Connor il sinitro lasciandomi vedere l'interno della capanna più caotica del mondo. Ci sono davvero tanti ragazzi al suo interno che saltano da un letto a castello a un altro, che si fanno scherzi stupidi e ne vedo anche qualcuno che ruba spazzolini da sotto il cuscino.

    - Figli del dio dei ladri – mormoro attraversando la soglia e sentendo poi la porta che si richiude alle mie spalle e Travis e Connor che mi affiancano, – davvero niente male – e mi è impossibile sorridere davanti a numerosi occhi che mi guardano e squadrano furbi, – come va? – domando alzando la mano e alcuni ridono.

    - Starai qua finché il tuo genitore divino non verrà fuori – mi dice Connor. Faccio un paio di passi avanti e poi mi volto verso di loro per guardarli.

    - Quindi potrai stare con noi per molto tempo – trilla Travis.

    - Zitto, idiota – borbotta Connor dandogli uno scappellotto e facendolo gemere di dolore.

    - Nessun problema. Dove dormo? – domando interrompendoli.

    - Trovati una branda – dicono all'unisono e sorrido perché sono certa che se dovessi rispondere con il mio solito sarcasmo questi due vincerebbero senza problemi

    Tutto sommato non è così male stare qui.

    A parte il ragazzo decisamente più alto di me, decisamente muscoloso e che, decisamente, ha deciso di odiarmi anche se non so il perché.

 

Quella notte sogno mio padre e lo sto facendo davvero spesso da un po' di tempo a questa parte. Sogno una tempesta, un occhio del ciclone che ha me al suo centro. Sogno un tornado fatto d'acqua e le mani che quasi fremono per avere una spada perché ho la sensazione che solo con un'arma tutto quel casino si possa fermare.

Sogno di essere avvolta nel buio, sogno la mia collana a forma di goccia che brilla e una luce quasi calda che mi viene incontro e alla fine, qualcosa mi sveglia. Il suono di un corno che fa scattare tutti quanti fuori dalle brande con più o meno proteste.

Credo sia una conchiglia ma non mi importa per davvero.

La schiena mi fa male dato che ho dormito a terra e l'unica cosa mi sono guadagnata è stata una coperta da parte di una ragazza bionda ed evidentemente molto compassionevole.

Mi metto in piedi quasi a fatica e cerco di collegare un paio di neuroni mentre i ragazzi di Ermes mi sfrecciano davanti velocemente entrando ed uscendo dal bagno, correndo a vestirsi e incolpandosi per piccoli furti.

Io non ho niente con me per cui mi basta legarmi i capelli in una crocchia disordinata e stiracchiarmi mentre aspetto che tutti i ragazzi siano pronti per andare a fare colazione.

 

Siamo usciti dalla cabina dopo almeno un quarto d'ora di schimazzi e risate e rimango in fondo al gruppo osservando i ragazzi che, in fila indiana, escono dalle loro case.

Sono decisa a fare un giro esplorativo e vado nella direzione opposta a quella del mio gruppo costeggiando la prima ala delle cabine osservando e assorbendo qualsiasi cosa i miei occhi blu riescano a intercettare.

Passo davanti a una cabina che ha un tetto sul prato; una che quasi mi acceca per quanto brilla alla luce del sole. Noto quanto i ragazzi che escono da ogni capanna si assomigliano tra loro e cerco tra i volti, qualcosa che mi possa almeno ricordare i lineamenti confusi del ragazzo che mi ha attaccato a muro soltanto ieri.

Fremo ancora di rabbia per come sono stata presa alla spovvista e non so se in un combattimento riuscirei a battere una persona dalla sua mole, ma voglio comunque affrontarlo.

Nessuno più trattarmi come ha fatto lui e pensare di passarla liscia.

Passo davanti alla cabina di Annabeth rivolgendole un sorriso e corrugo la fronte davanti alle cabine più grandi del secolo. Ho la mezza impressione siano di Zeus ed Era. La prima è enorme con le colonne ai lati che la sostengo e dei fulmini che le abbelliscono e che si vedono solo da una certa angolazione.

- Megalomane – sussurro e lancio uno sguardo al cielo appena si sente il rombo di un tuono.

- Chi ha fatto incazzare il divino Zeus? – grida qualcuno e mi scappa una risata prima di urlare delle scuse.

Mi chiedo dove dorma Percy e poi lo vedo uscire da una sorta di bunker grigio assieme al tipo con un occhio solo.

Lo raggiungo con una corsetta e lui si ferma sorridendomi e dandomi il buongiorno.

Sorrido a mia volta ma mi prendo un paio di secondi per guardare la sua cabina. Delle conchiglie abbelliscono l'entrata e non ha niente del fasto della cabina di Zeus eppure sono più che convinta che questa sia molto più bella.

Chiudo gli occhi e sorrido quando il profumo del mare mi arriva con una ventata e li apro solo quando sento la risata di Percy, – contento che la cabina di Poseidone ti piaccia – scherza e annuisco un paio di volte.

- È davvero bella, mi ricorda casa – dico senza pensarci e maledicendomi subito per ciò che ho detto.

Per fortuna Percy non fa domande e corrugo un attimo la fronte perdendomi nei ricordi di Montauk. Perdendomi in quei ricordi che non vedono mamma malata o me nel Bronx. Quei ricordi comprendono una bambina con i capelli scuri già lughi che corre sulla sabbia e che si butta sull'acqua. Comprendono una bambina un po' attaccabrighe e comprendono una donna terribilmente simile a lei che, nonostante i tremila difetti, la guarda con un sorriso.

- Andiamo a fare colazione? – domanda Percy distraendomi dai miei pensieri e annuisco incamminandomi affianco a lui ridendo per tutte le cavolate che sta dicendo.. Tyson! Ecco come si chiama il tizio con un occhio solo.

Stiamo ancora camminando quando una decina di ragazzi ci passano davanti correndo e gridando. Spingendosi e dandosi pugni quasi solo per gioco. Ci tagliano la strada e ci costringono a fermarci di colpo eppure non ho mai visto ragazzi più liberi di loro.

Gridano.

Gridano e ridono senza preoccuparsi di disturbare qualcuno. Si spintonano e poi ridono ancora.

- Figli di Ares – e Percy lo dice quasi sia una malattia ma evidentemente non vede quei ragazzi castani e con la mole che è almeno il doppio della mia, dal mio stesso punto di vista, – sono...

- Bellissimi – completo la sua frase e lui mi guarda con la fronte corrugata prima di ricominciare a camminare dietro quel gruppo di fuori di testa.

- Non li avrei definiti così ma è bello vedere i lati positivi anche in chi non ne ha.



Angolo Autrice: 
Ehiila<3
scusate per l'orario improponibile ma domani non avrei potuto aggiornare e ci tenevo a postarvi questo capitolo di passagio -che proprio di passaggio non è- piuttosto che farvi aspettare un giorno in più ahaha 
La storia entrerà nel vivo dal prossimo capitolo e spero mi seguirete ancora. 
Ad Ariel Chirone ha spiegato tutto e lei l'ha presa abbastanza bene perché, e lo scoprirete nei capitoli a venire, la sua vita è stata abbastanza complicata da farle ritenere quella di adesso una vera e propria pacca. C'è un po' più del suo passato ma, piano piano, si verrà a scoprire tutto ahaha 
Il ragazzo che la odia.. deciamo che come primo giorno non è gtanché ma ha tutto un suo perché, ovviamente ahahah i ragazzi del Campo ci sono e non potevo non mettere un tributo agli eroi morti nello scontro finale. Per chi già mi conosce, sapete bene che sono una sentimentale ahahha 
Un'idea sulla casa di Ariel? 
Fatemi sapere che ne pensate, se vi va!:**
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Love yaa<3
x

     
       

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Capitolo 3
*** Percy cerca di farmi a fettine ***


Percy cerca di farmi a fettine


Dopo la colazione, che a quanto pare comprendeva darne una parte anche a un padre del quale non conoscevo l'identità, Chirone divide noi ragazzi arrivati al Campo da poco in due gruppi e corrugo la fronte quando mi ritrovo con ragazzi di dodici anni che mi arrivano a malapena al seno.

Voglio dire, nulla in contrario ai piccoli, ma vedere ragazzi della mia età che vanno ad allenarsi con Percy mentre io sono con loro, mi fa sentire leggermente inferiore.

Scrocchio i polsi e cammino guardandomi attorno, guardando la vita frenetica del Campo e la neve di metà dicembre che cade fuori dai confini. Neanche mi accorgo di una ragazza che sta correndo in direzione opposta alla mia, e l'impatto dei nostri corpi è talmente tanto forte che cado all'interno, sbattendo il sedere sulla pietra fredda.

Impreco, alzandomi dolorante qualche secondo dopo e quando sono finalmente in piedi, due mani forti mi spingono per le spalle, facendomi barcollare. Qualcosa brucia all'altezza del petto e solo dopo mi accorgo essere il mio ciondolo.

- Ma dove cavolo guardi, eh? – ringhia quella ragazza e la scruto velocemente notando che è il doppio di me sia in altezza che larghezza e che -cavolo- potrei comunque batterla.

Ha i capelli castani portati corti che incorniciano un volto olivastro e cattivo che mi da fastidio.

Sollevo le sopracciglia e la osservo stringendo i pugni lungo i fianchi mentre metà dal Campo è attorno a noi, aspettando di vedere che cosa combineremo.

- Ma guarda tu dove vai – dico in tutta risposta con una calma che non mi appartiene.

Quella tipa mi guarda e io socchiudo gli occhi perché non vedo l'ora che faccia la prima mossa per farsi attaccare.

- Mio padre è il dio della guerra. Non conviene provocarmi – mi minaccia e rido, gettando la testa all'indietro.

- E io sono cresciuta nel Bronx, stronza – e ci lanciamo l'una contro l'altra prima che ci possa pensare o parlare ancora.

Sono molto più leggera di lei ma comunque consapevole di essere più veloce e l'impatto del mio corpo contro il suo la fa cadere a terra di schiena e il rumore sordo che segue la sua caduta mi fa storcere la bocca per un secondo.

I ragazzi del Campo urlano e il ciondolo mi brucia a contatto con la pelle ma non mi importa, io ne ho bisogno e i miei pugni quasi fremono per la voglia che hanno di colpirla.

Carico i pugni e la colpisco al viso più volte con il fiato che mi viene meno ma che, comunque, non è abbastanza d'impiccio perché la smetta.

Mi scrollo via dal gomito una mano che tenta di fermarmi e sento un rumore secco alle mie spalle, segno che ho colpito anche qualcuno che non c'entrava assolutamente niente.

Quella piccola distrazione mi fa perdere per un attimo la presa sulla ragazza che riesce a liberare un braccio per colpirmi il collo con un pugno e il fiato mi manca per qualche secondo.

Le afferro il polso ignorando la stanchezza o le nocche che mi fanno male e tenendole l'altro braccio bloccato sotto la mia gamba, gli torco quello che sto stringendo, facendola gridare.

I ragazzi del Campo gridano ancora e nessuno osa più avvicinarsi a noi due.

- Basta! – sento a malapena una voce che mi è familiare e due braccia forti bloccano le mie, sollevandomi lontana da quella ragazza che grida ancora insulti.

Cerco di divincolarmi ma quello che poi capisco essere Percy mi blocca con una presa talmente tanto ferrea che non riesco più a muovermi.

- Che stai combinando?! – mi urla nell'orecchio e quando altre due ragazze sollevano la tipa che ho picchiato, sorrido nel notare il sangue che le cola dal naso, lo zigomo gonfio e il sopracciglio spaccato. – Tutti ai loro lavori e tu, Tracy, in infermeria – ordina alla ragazza ferita che annuisce e stringe gli occhi in due fessure mentre mi guarda.

Le farei il dito medio se non fossi completamente bloccata.

Due occhi neri che non ho mai visto mi inchiodano sul posto e piego la testa da un lato mentre la folla si dirada e Percy mi tiene ancora ferma.

  • E tu – mi dice quando mi lascia andare, spingendomi a voltarmi verso di lui, – tu vieni con me. Con i dodicenni non ci fai assolutamente nulla.

 

Seguo un altro po' di ragazzi verso quella che ha tutta l'aria di essere un'arena a cielo aperto, con un armadio per le armi e il resto di cose minacciose. Ignoro gli sguardi che gli altri semidei mi rivolgono, probabilmente per lo spettacolino gratuito che gli ho offerto quella mattina.

Ci sistemiamo in un semicerchio e Percy si posiziona davanti a noi battendo le mani per attirare la nostra attenzione e aprendosi in un sorriso, – dei, per la maggior parte di voi non è il primo giorno di allenamento! Fatemi un sorriso, ragazzi! – alcuni di noi ridono ma io continuo a rimanere zitta, forse sono davvero troppo tesa anche per parlare.

- Comunque non avete niente di cui preoccuparvi e per ora, cercate di accapparrarvi la spada migliore e lavoreremo su quei manichini – e indica una serie di fantocci sul fondo dell'Arena prima di catturare nuovamente la nostra attenzione su di lui.

- Adesso prendetevi una spada, forza! – esclama e ci fiondiamo sul tavolo delle armi scegliendo quella più adatta, con un clangore di metallo e ferro che mi fa quasi male alle orecchie ma che, incredibilmente, mi piace.

Percy ci fa vedere come si fanno le scoccate, le parate e gli affondi con la sua spada e si muove in modo talmente fluido da sembrare una sorta di strana danza. Si muove con la sua spada dall'impugnatura rivestita di borchie come se non pesasse neanche un po', come se quei novanta centimetri non siano niente per lui e mi chiedo se anche io avrò mai una spada che porta un nome inciso sopra, Anaklusmos, o se mai anche io mi muoverò con quella grazia.

Per ora, la spada che ho è talmente pesante che mi fa quasi male al braccio ma considerando che le armi migliori sono già state prese, nella vita ho imparato che bisogna accontentarsi.

Quando Percy finisce, sorride e poi batte le mani una volta gridando, – ai manichini, forza gente!

 

Sono almeno una decina di minuti che sto attaccando un manichino in legno e mi beo del suono della lama contro quella superficie, dei tagli profondi che ci lascio sopra e del sudore che mi cola dalle tempie. Mi piacciono quelle emozioni, mi piace la fatica che da risultati e mi piace l'idea di dover lottare anche solo per resistere e continuare ad affondare la lama sul manichino.

- Io sono Allison, figlia di Ares – e mi volto per qualche istante alla mia destra guardando di sottecchi la ragazza minuta dai boccoli neri e gli occhi altrettanto scuri che sta combattendo con ferocia contro quel fantoccio.

Mi sento un po' a disagio, tenendo conto che solo qualche ora prima ho picchiato una sua sorella ma le rivolgo comunque un'occhiata di sottecchi, continuando a combattere.

- Ariel e non ho idea di chi sono figlia – esalo tra la fatica. riprendendo a affondare e parare finte stoccate con un po' di fatica.

- Sono certa che lo scoprirai presto – dice ancora e sento che sta sorridendo anche se continua a combattere. Non è esattamente così che mi ero immaginata i figli di Ares che avevo visto uscire dalla loro cabina quella mattina, ed essere sinceri. – E comunque, complimenti. Era ora che qualcuno desse una lezione a Tracy.

Capisco dalla voce che sta sorridendo e abbozzo una risata anche io, senza fermarmi – Grazie, e lo spero – esalo, e sussulto quando Percy interrompe la risposta che mi stava per dare la mia nuova amica.

- Meno chiacchiere qui, ragazze – dice divertito e annuiamo due volte. Sento il suo sguardo addosso e continuo a lasciare segni su quel manichino, – buon affondo, ma tieni la guarda più alta – e sorrido per quel mezzo complimento continuando a lottare.

 

Percy batte le mani attirando la nostra attenzione e poso la borraccia dalla quale sto bevendo sulle gradinate in pietra voltandomi verso di lui e sorridendo a Allison che ha appena fatto la stessa cosa. Mi prendo qualche secondo per osservarla mentre andiamo verso il centro dell'arena, e il mio cervello stanco si chiede per l'ennesima volta cosa ci faccia una ragazza come lei tra i figli di Ares: i boccoli scuri e un po' disordinati per l'allenamento le corrono lungo metà schiena smorzando i tratti spigolosi ma comunque bellissimi del suo viso. Gli occhi scuri contornati da ciglia lunghissime le conferiscono uno sguardo da cerbiatta e la sensazione che Allison sia una ragazza che ha costantemente bisogno di protezione. Ma è proprio quello sguardo, quasi intimidatorio quando ha la spada, l'espressione determinata e le palpebre assottigliate in un chiaro segno di concentrazione mentre picchia il manichino che mi hanno dimostrato -senza realmente saperlo- quanto in realtà, nonostante il fisico magro e le forme minute, Allison sia ben lungi dall'essere fragile e indifesa.

Muovo il braccio intorpidito per la spada pesante anche se dopo aver bevuto e aver sfidato il tempo gelido rovesciandomi l'acqua sul viso mi sono un po' ripresa.

Allison scioglie i muscoli e – preferisco tirare con l'arco. La spada dopo un po' diventa noiosa – dice attirando la mia attenzione su di sé.

- Credo di essere una frana con l'arco anche se non ho ancora tirato – confesso e lei sta per parlare ma la voce di Percy la sovrasta facendola ammutolire e catturando la nostra attenzione verso di lui.

- Lo so che è passato pochissimo tempo ma voglio mettervi alla prova. Vi batterete contro di me, uno di voi lo farà – si corregge con un sorriso, – e non voglio che abbiate paura o che siate intimiditi. Prima io non avevo neanche idea di come prendere una spada e adesso sono anche finito ad insegnare – e credo che stia dicendo così per allentare la tensione ma sono comunque tesa.

- È il miglior spadaccino degli ultimi trecento anni – mi sussurra Allison, – e ci dobbiamo battere contro di lui, quindi nessuna pressione.

Ridacchio e – Ariel, vieni qui – e mi fermo di colpo con il cuore in gola perché, evidentemente, quell'infame di mio padre non ha ascoltato le mie preghiere dove lo imploravo di non venir chiamata.

Così imparo a picchiare una figlia di Ares più grande di me di almeno due anni.

Quanto sono stronza.

Mi inchino per prendere la spada da terra e vado verso di lui ignorando le occhiate di tutti e l'ansia che mi sta attanagliando lo stomaco in un maniera paurosa.

Mi maledico fra i denti almeno una ventina di volte mentre cammino di fronte a lui, fermandomi a qualche passo di distanza dal suo petto.

- Stai tranquilla, d'accordo? – mi dice appena gli sono vicino e annuisco un paio di volte deglutendo.

- Ovvio, perché dovrei avere paura quando è la prima volta che prendo in mano una spada? – mormoro.

Percy abbozza un sorriso e poi parla a voce più alta per attirare l'attenzione di tutti, – vi insegnerò una tecnica di disarmo e infine, il primo che disarma e ferisce l'altro, vince.

Preme il piatto della lama sulla mia e poi flette il polso facendo cadere la mia spada a terra con un rumore metallico. Si inchina e la prende con la mano sinistra porgendomela per l'elsa e la afferro flettendo le dita e piantando i piedi ben saldi a terra.

- Sono certo che tu ce la possa fare Ariel, d'accordo? – mi dice e non ho neanche il tempo di annuire che si lancia in un affondo.

- Oh merda! – esclamo evitandolo all'ultimo e sentendo il rumore della stoffa della maglietta strapparsi per la lama di Percy.

Non so neanche bene come riesco a parare una sua stoccata e assottiglio lo sguardo rendendomi conto quanto Annabeth avesse avuto ragione ieri.

Mi sembra quasi che tutto stia rallentando e sento perfettamente il mio battito cardiaco accelerato e il respiro di Percy. Mi sembra di poter vedere i suoi muscoli flettersi un secondo prima che tutto accada davvero e scatto all'indietro inchinandomi, prima che la sua spada mi possa beccare la testa.

Ed è a questo punto che Percy cambia, assottigliando lo sguardo e attaccando con più foga. I suoi movimenti sono più veloci adesso e se io sono sempre più stanca, lui sembra sempre più fresco eppure, l'adrenalina che mi sta scorrendo adesso nelle vene non è mai stata così potente in tutta la mia vita.

Se non fossi così in tensione per non venir ferita riderei anche.

Percy avvicina la lama alla mia con uno scatto e cerca di premerla verso il basso per disarmarmi ma è istintivo sfruttare quella vicinanza per una gomitata alla spalla che lo fa esclamare di sorpresa e mollare la presa di colpo.

Roteo su me stessa e i capelli prima legati si sciolgono fendendo l'aria. Paro un attacco di Percy col piatto della lama senza essere del tutto voltata difronte a lui che evita il mio calcio spostandomi via il piede con il suo e colpendomi l'altro.

Rovino a terra e Percy fa per tirare un calcio e farmi scivolare via la lama ma rotolo velocemente e mi rialzo, arrestandomi di colpo quando la sua spada si ritrova a pochi centimetri dal mio petto indifeso.

Mi mostra un sorriso di sfida nonostante i petti ansanti ed esito qualche secondo prima di ruggire e roteare il braccio per spostargli via la spada usando la mia di taglio.

E alla fine, tutto succede talmente velocemente che neanche me ne rendo conto sul serio perché non so neanche bene quello che faccio ma mi affido solo all'istinto.

Mando la lama di taglio due volte e con una velocità che non credevo neanche di avere. Mi inchino e mi abbasso leggermente mentre roteo, parando la lama di Percy che stava andando dritta sulla mia schiena. Ho le braccia piegate sopra la testa ma non rimango così per molto e ruggisco ancora portandole in alto e facendo stridere forte le nostre lame.

Percy para un mio attacco e questa volta tocca a me roteare con la spada tesa. I miei capelli fendono l'aria per la seconda volta costringendolo ad abbassarsi per evitare di venir colpito.

E voglio vincere. Voglio e pretendo di vincere perché adesso che sto combattendo tutto sembra avere un senso e adesso che qualcuno è anche più bravo di me rende il tutto maggiormente eccitante.

Porto la spada verso l'alto per calarla su di lui ma Percy para ancora il mio attacco e non faccio neanche in tempo a tirargli un calcio che lui mi disarma velocemente bloccandomi con la mia e la sua lama.

Ha vinto.

Blocco il ginocchio che era in procinto di partire verso il suo stomaco e ci guardiamo negli occhi, i petti ansanti e un interesse del tutto nuovo nello sguardo verde di Percy.

Abbiamo entrambi il fiato corto ma poi Percy sorride abbassando le spade, un attimo prima che i ragazzi che ci guardino, possano gridare e battere le mani.

Mi libero in un sorriso e incrocio per un attimo lo sguardo raggiante di Allison che batte le mani e ride dando di gomito a un ragazzo accanto a lei e guardandomi.

Percy mi porge la mia spada per l'elsa.

- Non ho mai visto nessuno combattere così appena arrivato – mi dice senza smettere di sorridere mentre ho la gola talmente tanto secca che non riesco neanche a deglutire. Mi limito a sorridere e lui continua, – sei davvero forte, Ariel Miller, dammi retta.

 

Andiamo a lezione di tiro con l'arco dopo una decina di minuti di pausa e mi rovescio nuovamente l'acqua sul viso riprendendo le forze che lo scontro con Percy mi ha risucchiato.

Parlo molto con Allison e per essere una figia di Ares è una ragazza che sorride spesso a differenza di un paio dei suoi fratelli che non hanno esitato a sbeffeggiare noi appena arrivati.

 

Seguiamo Will Solace della casa di Apollo e ci porta a un'arena di tiro con l'arco e dopo averci spiegato le basi, da' a tutti le armi, a tutti tranne che a Allison.

Le sto per chiedere il motivo ma poi lei si accarezza un anello sottile che porta all'anulare e guarda con un mezzo sorriso il gioiello mentre si trasforma, in pochi attimi, in un arco scuro con tanto di faretra che si sistema su una spalla.

Flette la corda un paio di volte e poi incocca la freccia puntandola verso il bersaglio a una quindicina di metri da lei.

Con ogni probabilità è l'unica ragazza che riesce ad essere così bella anche tirando con l'arco: l'espressione si fa più determinata, serra le labbra e fissa lo sguardo verso il bersaglio. Tende l'arco e poi lascia andare sia la freccia che un respiro.

Centro.

 

- Ho appena scoperto che faccio schifo con l'arco – esordisco sedendomi tra Travis e Connor al tavolo di Ermes che smettono di tirarsi il pane e ridono.

- Molto schifo o mediamente schifo? – domanda Lyla, la ragazza bionda sabbia che mi aveva dato la coperta la prima sera.

Mi porto alle labbra un pezzo di carne buonissima che ci hanno cucinato per pranzo e sorrido a labbra chiuse prima di ingoiare, – davvero molto schifo – e i ragazzi vicino a me ridono, riprendendo poi a farsi scherzi e lanciarsi cibo.

Scruto la mensa senza un motivo ben preciso, sorrido a Percy e Annabeth che mi hanno notato in quel momento e poi incrocio lo sguardo di Allison che mi sorride per poco prima di tornare a parlare con uno che sembra la sua copia al maschile e che, per quanto è bello, mi toglie anche il fiato.

Si vede che non ama il sorriso perché anche quando parla la sua espressione rimane seria. Probabilmente ha l'età di Percy e Annabeth, i capelli scuri e gli occhi profondi come quelli di Allison. Ha anche i suoi tratti spigolosi e le sue labbra sottili ma il fisico è ben piazzato e le spalle larghe e il busto tonico sono messi in risalto dalla maglietta scura che gli aderisce al corpo.

Lo fisso ancora per un po', quasi incantata perché si, anche Percy è davvero bello ma io, un ragazzo perfetto quanto lui non l'ho ancora visto.

Si passa una mano sul ciuffo scuro che gli cade sulla fronte ed è in quel momento che alza lo sguardo e mi vede e i miei occhi chiari si fissano nei suoi incredibilmente più scuri e talmente tanto freddi che la mia carne diventa d'un tratto molto più interessante. E mi rendo conto che sono gli stessi occhi che, altrettanto freddamente, mi stavano scrutando quella mattina quando ho picchiato una delle sue sorelle che -tra parentesi- non si è neanche presentata a mensa.

 

Finiamo di cenare dopo almeno un'ora e seguo Annabeth per le lezioni di greco antico.

Ci sediamo sul molo del laghetto delle canoe e se non ci fosse così tanto freddo mi tufferei in acqua senza esitazione.

 

- Annabeth – la chiamo interrompendo la sua lettura dell'ennesima leggenda che sta tentando di spiegarmi e farmi leggere, – che è successo due anni fa?

- Non lo sai? – mi domanda alzando lo sguardo dal libro e trafiggendomi con quegli occhi così grigi e profondi.

Scuoto la testa, quasi intimidita, – ero in Florida. Risparmio per andarci d'estate e.. – prendo un attimo per non aggiungere altro sulle mie vacanze ma premere su ciò che voglio davvero sapere, – quando sono tornata New York era..

- Devastata? – completa lei con un sorriso un po' amaro e deglutisco nella sparanza che, stando zitta, lei parli. Si passa una mano tra i capelli ricci prima di accarezzare la collana di perle e guardare l'orizzonte, – c'è stata una guerra due anni fa. Una guerra che ha tenuto impegnati sia noi semidei che i nostri genitori. – Fa una pausa sempre senza guardarmi e continuando a giocare con le perle della sua collana, – Il titano Crono voleva conquistare l'Olimpo, spodestare gli dei e rivendicare il potere suo e degli altri titani. Era riuscito a incattivirsi gli dei minori che non avevano mai accettato di non avere un trono sull'Olimpo, i rispettivi figli che non avevano una casa. Mostri del Tartaro e anche qualcuno dei ragazzi qui al Campo.

- È stata la guerra più terribile alla quale abbia mai partecipato. New York era sotto assedio e ho visto cadere ragazzi con i quali avevo riso solo una settimana prima. Non avevamo speranze eppure continuavamo a combattere e nonostante le cacciatrici, i satiri e i centauri, ogni passo avanti che facevamo, corrispondeva a dieci passi in più da parte di Crono e il suo esercito – continua a giocare con le perle della sua collana e l'anello dorato in modo quasi morboso e mi sono pentita di quella domanda dopo almeno due secondi che lei ha iniziato a parlare, – siamo stati traditi da nostri amici, compagni, ragazzi sui quali avevamo riposto tutta la nostra fiducia.

- La guerra è durata una settimana. Percy ha guidato i nostri eserciti e Percy ha fatto la scelta che alla fine ha garantito la nostra salvezza.

- Che scelta? – domando prima di potermi chiudere la bocca e Annabeth continua a guardare l'orizzonte e posso solo immaginarmi quei bellissimi occhi persi più lontano di quanto io stessa possa andare. Persi in ricordi che probabilmente le fanno anche troppo male.

- Eravamo sull'Olimpo mentre tutti i nostri compagni combattevano a terra. Crono era riuscito ad entrare e stava per distruggere l'Olimpo, noi e gli dei. Si era impossessato del corpo di uno dei capi del Campo e.. non sembrava ci fossero più speranze quando invece ho capito che ce l'avremmo fatta se solo ci avessimo creduto davvero – si inumidisce le labbra prima di continuare, – conoscevo Luke da quando aveva sette anni. Lui mi ha accolto, lui mi ha dato il mio coltello e lui mi ha portato al Campo. Lui mi ha protetto e lui è sempre stato il padre che non avevo mai potuto riconoscere – ride mentre i ricordi la rendono schiava davanti ai miei stessi occhi, – dei, non può essere tutto perduto quando hai amato una persona così tanto, giusto? – ma io so che non lo sta davvero domandando a me, – Luke è tornato in sé qualche attimo, ha lottato per dare il tempo necessario a Percy di scegliere e quindi, di salvare l'Olimpo.

Corrugo la fronte e assottiglio lo sguardo, – Luke è il ragazzo..

E a questo punto Annabeth si volta verso di me annuendo, – il ragazzo con la cicatrice e i capelli color sabbia nella teca. Figlio di Ermes ed eroe, non scordarlo mai, d'accordo?

E annuisco senza avere né la forza né il coraggio di aggiungere altro.

- E con Percy quando vi siete fidanzati?

Annabeth mi guarda e ride.

Piccolo genietto nel cambiare discorso.

- Il giorno del suo compleanno.. sai che l'ho baciato io? – esclama.

Sbarro gli occhi battendo le mani e attaccando a ridere, liberandomi di un peso che avevo al petto quando Annabeth mi imita, – ma che, scherzi? – domando tra le risate e Annabeth scuote la testa.

- I ragazzi danno poche soddisfazioni e quando prendevo il discorso dopo il nostro primo bacio, lui cercava di sviarlo! – confessa ancora facendomi ridere.

- Glielo rinfeccerò per tutta la vita! – Annabeth si fa seria per un secondo posandomi una mano sul braccio.

- Io lo faccio già.

E poi riprendiamo a ridere.

Si, mi piace stare qui.

Dei, mi piace davvero davvero tanto stare qui. 


Angolo Autrice: 
Ehiila<3
Sono tornata e dopo una settimana esatta ahahah sono davvero felicissima che la storia vi stia piacendo e che, sopratutto, amiate il personaggio di Ariel. E' assolutamente autobiografico, tanto per la cronaca, io sono similissima a lei:)) 
Qui, vediamo un po' di più del suo carattere: non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno ed è terribilmente impulsiva. Ama combattere e proprio nell'Arena, con una spada troppo pesante, conosce Allison *fatti e riferimenti a Teen Wolf non sono puramente casuali*. Inoltre, Percy è colpito dal modo in cui ha atterrato con facilità una figlia di Ares che era il doppio di lei e la chiama a combattere. Sarebbe stato assolutamente assurdo se lei avesse vinto contro un semidio figlio di Poseidone, con l'immunità e sei anni di esperienza con le armi anche se gli da filo da torcere e la stima di Percy nei suoi confronti cresce ancora di più ahahah 
Veniamo a conoscienza di un ragazzo misterioso figlio di Ares che l'aveva osservata anche la mattina ed Ariel è assolutamente incuriosita da lui perché, cazzo, è Sean Faris ed è un figo della Madonna ma va be' ahaha (sotto vi lascio una gif^.^). 
Spero continuate a seguire la storia  preparatevi per il prossimo capitolo, bitcheeees:** 
A si, un piccolo consiglio in questa storia, fate attenzione ai dettagli. 
Alla prossima, 
Vi adoro:**
Love yaa<3
x


    

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Capitolo 4
*** Prendo a calci un figlio di Ares ***


Prendo a calci un figlio di Ares
 

Squadro la ragazza alta almeno il doppio di me e aspetto che Clarisse dia il via.

Due paroline su di lei prima che la conosciate: Clarisse è la figlia prediletta di Ares, ha la stazza di un giocatore di football, i capelli castani e lisci spaghetto e ha un nome femminile anche se la mole e il modo di combattere non sono decisamente proprie di una ragazza.

Nutre un certo quantitativo di odio nei confronti di Percy e lo chiama sempre pivello anche se lui sorride e le risponde a tono, piuttosto divertito.

La sua età non è stata ancora definita e se devo essere sincera, non ci tengo neanche a chiedergliela.

In ogni caso, non ci ho mai parlato se non lo stretto necessario quando tiene le lezioni di lotta libera e ogni tanto, anche se sono al Campo da ben otto giorni, mi chiedo come sia possible che Allison sia sorella di quegli energumeni abbastanza brutti. Lei è così bella e all'apparenza così delicata che assieme a quei giocatori di football sembra non ci stia a fare nulla.

Quando ho questi pensieri mi ricordo che ha anche spezzato un arco sulla schiena di un figlio di Eolo solo perché l'aveva provocata e alla fine, ricomincio a pensare che sia perfetta tra i figli di Ares anche se non esattamente in forma fisica.

Assotiglio lo sguardo e lo fisso negli occhi scuri della figlia di Ecate che ho davanti.

A essere sincera sono sempre un po' preoccupata a combattere contro i figli della dea della magia ma poi, quando lotto, tutto passa in secondo piano. L'adrenalina mi scorre potente nelle vene quasi fosse una droga e quando smetto di combattere sono quasi più felice. Probabilmente è un po' l'influenza di Allison dato che i figli di Ares sono fanatici di lotte e risse ma a me va bene così, a essere sincera. E poi, c'è da dire che aver picchiato una loro sorella mi ha fatto guadagnare una certa stima.

Sento lo sguardo di Clarisse e di tutti i ragazzi del corso su di me e scrocchio i polsi un secondo prima che la mia insegnante gridi, – ora!

Si vede che questa figlia di Ecate non ha mai combattuto perché si lancia su di me gridando ed era una mossa talmente prevedibile che mi sposto di lato assestandole una gomitata sulla schiena con facilità.

Sorrido e assottiglio ancora di più lo sguardo quando si leva un boato dai ragazzi che ci stanno osservando.

So che i capi gruppo mi osservano per capire chi sia il mio genitore divino dato che in otto giorni non ha dato segni di vita ma a me va bene così. Nella casa di Ermes sono felice e mi trattano come se fossi loro sorella anche se è palese che non lo sia affatto.

Guardo la figlia di Ecate che si rimette in piedi dopo aver barcollato leggermente e mi scruta in modo talmente truce che se non fossi abituata a stare con i figli di Ares mi farebbe anche paura.

- Andiamo – la provoco, – mi fai vedere che sai fare?

E mi do dell'idiota pochi secondi dopo dato che, come al solito, ho sottovalutato una figlia della dea della magia.

Schiocca le dita e scompare per apparire dietro di me pochi secondi dopo. Mi abbasso e roteo su me stessa schivando un pugno di fortuna e quando mi rimetto dritta lei non c'è più.

Quando mi arriva un pugno dritto alla schiena realizzo dov'è.

Mi volto nuovamente con il braccio teso ma lei è sparita e il colpo che incassa la mia nuca è talmente forte che inizia a girarmi la testa e barcollo di un paio di passi sentendola ridere.

Posso quasi sentire la tensione che c'è all'interno dell'arena e gli sguardi di tutti che adesso, hanno decisamente cambiato interesse.

Grugnisco e mi rimetto in piedi quando un pugno mi colpisce il costato e non riesco neanche a realizzare in tempo che diavolo sia successo che incasso un pugno sul fianco sinistro. Un calcio mi colpisce il ginocchio destro e gemo piegandomi in avanti.

Sento la figlia di Ecate alla mia destra e non faccio neanche in tempo a voltarmi che mi colpisce con un calcio allo stomaco mozzandomi il fiato e facendomi rotolare a terra.

Pochi istanti dopo è già sparita e io sto davvero temendo dove possa essere.

- Stronza – sibilo mettendomi in piedi a fatica e tenendo leggermente sollevata la gamba destra. Sento un paio di risate e impreco ancora quando alcune gocce di pioggia mi arrivano sulle guance e sul naso. È strano perché di solito al Campo, a meno che non lo si voglia, non piove mai.

Sento alcune proteste da parte dei ragazzi e nonostante non sappia dove sia la figlia di Ecate che potrebbe tornare a colpirmi da un momento all'altro, chiudo un attimo gli occhi lasciando che le gocce di pioggia mi bagnino il viso.

Elimino il resto dei suoni e mi concentro su un altro di respiro, uno ancora più accelerato del mio.

Uno schiocco di dita dietro di me e mi volto di scatto colpendo con un calcio al fianco la figlia di Ecate che geme mettendoci una mano sopra.

Non so perché stia piovendo così tanto ma adesso sono più carica, adesso che sto vincendo sono leggermente più carica e mi scosto una ciocca di capelli scuri prima di partire all'attacco.

Le do un pugno sulla mascella ignorando le gocce di pioggia che danno fastidio a chiunque ma non a me e subito dopo alzo quasi d'istinto il ginocchio, colpendola allo stomaco.

Un tuono romba nell'aria, quasi volesse coprire il grugnito della ragazza e la pioggia aumenta, attaccandomi i vestiti al corpo e i capelli al viso.

Lo scroscia della pioggia mi riempie le orecchie, oscurando il resto e sorrido. Se mi potessi vedere, probabilmnete mi farei anche paura.

La mia avversaria si piega su sé stessa e la colpisco con la mano chiusa alla schiena. Scivola sulla terra bagnata dell'arena e cade pancia a terra sbattendo il mento contro la sabbia.

Mi metto a cavalcioni su di lei e le tiro le braccia all'indietro. Grida e mi implora di lasciarla e solo quando Clarisse decreta la mia vittoria, mi alzo da lei, sollevando lo sguardo verso il cielo e le nuvole grigie.

Rido perché ho appena vinto e apro le braccia.

Sono completamente bagnata ma non mi importa. La pioggia non ha intenzione di cessare e io sto talmente bene che non mi importa affatto del resto.

- Se Ariel non è mia sorella, non riesco davvero a immaginare di chi possa essere figlia – sento Clarisse dire a Percy e Annabeth nonostante il suono della pioggia.

Non mi volto verso di loro ma lascio ricadere le braccia lungo i fianchi continuando a tenere il viso puntato verso l'alto.

La maggior parte dei miei compagni corre verso le cabine o verso la Casa Grande ma io sto bene così perché ho vinto e perché sta piovendo e la pioggia mi era mancata più di quanto volessi ammettere. E perché, alla fine, non mi dispiacerebbe poi così tanto essere figlia di Ares.

 

Chirone è riuscito a bloccare il temporale per l'ora di pranzo. Hanno ipotizzato un problemino su all'Olimpo e un po' mi è dispiaciuto che abbia smesso di piovere ma se avesse continuato, stasera non ci sarebbe potuta essere la serata speciale di cui parla Chirone da ben una settimana e questo sarebbe stato molto peggio di un po' di pioggia.

Butto una porzione del mio cibo nelle fiamme lasciandomi investire da profumo di biscotti e torta al cioccolato, il profumo che aveva sempre mamma prima che si ammalasse.

Mi siedo al tavolo di Ermes nel mio posto fisso tra Travis e Connor e chiacchieriamo un po' mentre mangiamo e mentre quei due fuori di testa continuano a lanciarsi molliche di pane e acini d'uva.

Lancio uno sguardo al tavolo del signor D senza un apparente motivo e lo distolgo subito dato che inizierei a innervosirmi e rispondere male a quel piccoletto che potrebbe incenerirmi nel giro di qualche secondo.

 

Raggiungo Allison dopo che ho terminato le lezioni di greco antico assieme ad Annabeth.

Ci troviamo sempre sulla cima della parete delle scalate per cui, per vederla devo fare letteralmente i salti mortali.

- Sappi che ti sto odiando, Als – borbotto arrivando alla cima con l'orlo della maglia che ancora fuma per le volte che ho rischiato di venir bruciata.

Als ride, le gambe allungate e le caviglie incrociate davanti a sé e le mani puntate terra per rimanere dritta.

Poggio la testa sulle sue cosce sparpagliando i capelli sulle sue gambe e incrocio anche io le caviglie guardando il cielo grigio e ricco di nubi oltre i confini, oltre al Pino gigante -che a quanto pare prima era una ragazza- e il drago Peleo al quale devo fare ancora l'abitudine.

- Sei stata fortissima, oggi – mi dice Als e le sorrido trovando i suoi occhi scuri che mi guardano divertiti.

- Grazie – abbozzo un sorriso, – quella stronza mi stava davvero facendo impazzire.

Als ride e mi accarezza i capelli. Tiene lo sguardo fisso davanti a sé e so per certo che sta pensando a qualcosa che scoprirò presto, – a che pensi? – domando attirando la sua attenzione su di me.

Punta nuovamente i suoi occhi scuri nei miei e alla fine mi sorride senza smettere di passarmi una mano tra i capelli, – penso che sarebbe figo se fossi mia sorella e a giudicare da come combatti.. mi sto quasi convincendo che tra poco dormirai nel letto accanto al mio nella cabina numero quattro.

 

Lo stomaco quasi mi fa male per la voglia di combattere che sembra quasi una droga.

Als finisce di stringermi le cinghie dell'armatura e quando Chirone parla, si affretta a venirmi accanto ascoltando, bramosa quasi quanto me di iniziare questo gioco.

- Eroi! – richiama la nostra attenzione Chirone e sono necessari un paio di secondi prima che gli unici rumori siano i mostri nel bosco alle spalle del centauro, – come vi ho promesso, stasera sarà una serata di gioco. Non so se vi divertirà quanto la Caccia alla bandiera ma vediamo di accontentarci – e abbozza un sorriso quando noi ragazzi scuotiamo armi e scudi. Il boato maggiore viene dai figli di Ares e lancio un'occhiata di sottecchi a quella casa domandandomi per l'ennesima volta chi diavolo potrebbe essere mio padre.

- Il gioco consiste nel dividervi in coppie e proteggere una bandierina che avete uguale alla coppia che dovete sfidare. Dovrete lottare e cercare di rubare quella che ha il vostro stesso colore e solo quando avrete la bandiera e non avrete ucciso o mutilato nessuno, dovrete correte alla Casa Grande e decretare la vostra vittoria – aspetta qualche secondo e poi estrae un foglio dalla tasca del giubbotto di Tweed aprendolo e snoccialando i nomi delle coppie.

- Percy Jackson e Annabeth Chase – e sorrido nel vedere le loro dita intrecciate e lo sguardo d'intesa che si scambiano. Hanno combattuto assieme talmente tante volte che probabilmente è necessaria un'occhiata perché si possano capire.

Decido che non voglio affatto la bandierina in comune con loro se non voglio morire a sedici anni. Stiamo parlando di potenza e sapienza, combinazione perfetta per vincere.

Chirone continua a recitare nomi e – Ariel Miller e Allison Silver – sorrido istintivamente guardando la mia amica e andando al tavolo delle armi per prendere l'ultima e pesantissima spada.

Borbotto in protesta e Als ride sfiorando l'anello che porta all'anulare, infilandosi la faretra alla spalla e impugnando l'arco in una mano.

Sto per andare al confine del bosco e aspettare che Chirone ci dia la bandiera ma una coppia attira la mia attenzione, – Carter Silver e Will Solace.

Carter.

Ecco il nome del ragazzo bellissimo della casa di Ares. Il ragazzo bellissimo che mi ha guardato male e che ho guardato combattere innumerevoli volte senza conoscerne il nome.

Il ragazzo bellissimo che ha dato filo da tocere a Percy e che ha battuto tutti i ragazzi che ha sfidato.

Il ragazzo bellissimo che dopo aver lanciato uno sguardo d'intesa a Will mi sta guardando malissimo.

Decido che non voglio neanche lui come bandierina in comune.

 

Mi infilo la bandiera nei passanti dei jeans e rabbrivisco mentre ci inoltriamo nel bosco.

Ho talmente tanto freddo che mi stanno anche battendo i denti e sono costretta a flettere le dita un paio di volte per evitare che si congelino attorno all'elsa della spada che mi sta già facendo male al braccio.

Als cammina al mio fianco e tiene l'arco stretto in un pugno ed abbandonato lungo la gamba seppur sia vigile ad ogni rumore esattamente come lo sono io.

Lo stomaco mi fa un po' male per la tensione e voglio combattere. Ne ho quasi un bisogno fisico il che è strano perché di solito, le persone non hanno affatto voglia di lottare per salvarsi la pelle.

- Allora, Carter è tuo fratello? – domando in un sussurro tanto per tenermi impegnata in qualcosa mentre stiamo camminando verso una meta non ben precisa.

- Si. Stessa madre e stesso padre. Quell'diota è mio fratello a tutti gli effetti – ma lo vedo dal modo in cui lo guarda quando sono assieme che gli vuole più bene di quanto voglia ammettere, – non lo sapevi? – aggiunge e scuoto la testa perché si, l'avevo sospettato ma non avevo mai avuto un'informazione certa.

- No, ma non credo di stargli molto simpatica.

Als abbozza una risata e pochi istanti dopo siamo al ruscello che ho visto un paio di volte mentre facevamo giochi notturni tipo questi.

- No, non mi stai per niente simpatica – e mi volto di scatto verso una voce che ho già sentito, un timbro rude che non mi piace affatto e che mi sembra sgradevolmente familiare.

Carter sbuca dagli alberi con un frusciare di foglie e Will al suo seguito.

Als tende l'arco e ringrazio gli dei che le hanno consigliato di tenere una freccia già incoccata.

- A essere sinceri, anche tu hai la simpatia di un calcio in culo ma non per questo attacco al muro tutte le persone che mi stanno antipatiche – roteo la spada nella mano e la lama brilla alla luce della luna.

Perché, senza guardargli il viso, associando la sua voce al buio e al leggero timore, sono certa che sia stato lui a minacciarmi la prima notte al Campo. Ne sono talmente tanto convinta che la rabbia mi monta nel petto con forza e il ciondolo a forma di goccia che porto al collo inizia a bruciare sulla mia pelle.

Lancio uno sguardo a Will Solace e Als che si stanno entrambi fronteggiando con l'arco.

Non so chi avrà la meglio, se il figlio di Apollo o la figlia di Ares ma al momento, ho una questione aperta con quest'idiota egocentrico.

Avverto un clangore metallico non lontano da noi, segno che altre coppie stanno combattendo e mi chiedo quando mai toccherà anche a noi lottare.

- Verde – dice Carter con gli occhi fissi sul mio passante della cintura dove ho incastrato la bandierina. Fisso la sua, verde come la nostra e assottiglio lo sguardo, – mi dispiace, sorellina – dice rivolto ad Als con un sorriso falso sul volto, – dovremmo farvi il culo.

 

Noto con la coda dell'occhio Allison che schiva una freccia di Will e quando lo disarma in un modo che non ancora ben capito, il ragazzo gli va addosso facendole volare il suo arco e lei gli strappa via l'elmetto sbattendoglielo sulla testa.

- Niente di personale, novellina – dice Carter facendo ondeggiare la spada lungo il fianco, – ma non mi piaci per nulla.

- La questione è reciproca – e poi Carter mi viene addosso talmente velocemente che non riesco neanche a realizzarlo subito.

Il braccio mi fa male, non ho uno scudo a differenza sua o la sua esperienza ma sono arrabbiata e il fatto che in questi giorni mi sia allenata solo con figli di Ares aiuta parecchio.

Paro una sua stoccata e non ho neanche il tempo di pensare di poter attaccare che mi colpisce il fianco con lo scudo facendomi indietreggiare e graffiandomi la coscia senza pensarci.

Gemo di dolore e ringhio alzando la spada per colpirlo. Lui blocca il mio attacco senza difficolà e mi abbasso quando tenta di colpirmi con lo scudo.

Sento Will e Als lottare vicino a noi ma non me ne preoccupo considerando che Carter porta la spada di taglio verso di me.

Salto all'indietro aprendo le braccia e lo attacco nel suo stesso modo spingendo via lo scudo che mi stava per colpire il fianco, con la gamba ferita. Grugnisco ancora mentre la mia lama e quella di Carter sono ancora incrociate e prima che possa realmente rendermene conto, ruota la spada e mi spinge con lo scudo, colpendomi il taglio che mi ha fatto poco prima con l'elsa della spada. E il colpo è talmente forte che grido e sono costretta a tenere la gamba un po' sollevata.

Lo guardo con un odio del tutto nuovo e sputo a terra facendolo ridere con disprezzo.

- Fa male, eh novellina? – domanda con scherno.

- Tu hai uno scudo. Non ti sembra che lo scontro sia poco leale? – domando cercando di recuperare le forze che il taglio, evidentemente più profondo di quanto pensassi a giudicare dal liquido caldo che scorre lungo il jeans, mi ha sottratto.

Carter inclina la testa di lato e butta lo scudo da una parte con un sorriso, – adesso è più equilibrato, novellina? – mi chiedo come sia possibile che anche in una situazione del genere io lo possa trovare così splendidamente bello.

Lo guardo fisso e poi mi butto su di lui con un ruggito cogliendolo di sorpresa, esattamente come volevo. Rimane per un attimo spiazzato, abbastanza perché possa riuscire a ferirlo alla mano che regge la spada.

La sua sorpresa non dura molto perché contrattacca con una forza che non mi aspettavo affato e con una velocità che ho visto solo in Percy. Continua a spingermi verso il ruscello, costringendomi a difendermi e mai attaccare perché la sua spada è troppo veloce e la mia troppo pesante perché possa tentare un contrattacco.

Mi abbasso quando manda la sua spada di taglio verso la mia spalla e prima che possa rialzarmi mi spinge con un piede dalla spalla facendomi rovinare a terra.

Rotolo via prima che mi possa venire addosso e mi rialzo cercando di non caricare il peso sulla gamba ferita.

Carter attacca ancora e tenta di disarmarmi quando paro un suo attacco. Questo fa perdere tempo sia a lui che a me e gli do un calcio in pieno petto con la gamba buona gemendo per il peso che sono stata costretta a caricare su quella ferita.

- Andiamo novellina – dice con scherno spingendomi a indietreggiare. Spazza via la lama che stavo dirigendo al suo petto con il piede. La sfilo da sotto la suola della sua scarpa prima che la possa bloccare a terra ma mi ferisce al braccio ed esclamo di dolore.

Lui ride e la sua risata mi fa talmente tanto irritare che nonostante la stanchezza e il dolore, la rabbia prende il sopravvento. Approfitto di quella risata di scherno e dirigo una mano verso il passante della cintura dov'è incastrata la bandiera. Carter abbassa la spada sul mio braccio e roteo su me stessa. I capelli sferzano l'aria e riesco a colpirlo con la spada sulla coscia prima che lui mi possa far indietreggiare nell'acqua gelida del fiume.

- Cazzo – mormoro e le gambe sono praticamente intorpidite per il freddo. Lancio un'occhiata ad Als che ha appena tirato l'arco nello stomaco di Will e indietreggio perché la spada è sempre pesante e la gamba e il braccio mi fanno sempre male.

- Allora, tutto qua novellina? – domanda ancora Carter e poi ride di nuovo, – non vali neanche la pena di un combattimento. Meno male che sei carina, vieni nella mia cabina ogni tanto? – e a questo punto, con l'acqua che mi lambisce le gambe e un insulto fresco, mi aggrappo alla rabbia per attaccare. Una rabbia talmente tanto forte che mi fa passare i dolori alle ferite e mi fa quasi pensare che la spada non sia poi così pesante.

Spingo la lama di Carter di lato con la mia e approfitto del suo petto scoperto per buttarmi su di lui e spingerlo all'indietro con una spallata. Mi volto velocemente e blocco la sua spada colpendolo con una ginocchiata al petto e premo il piatto della mia lama contro la sua, disarmandolo in pochi attimi. Roteo la spada e lo colpisco alla tempia con l'elsa e a questo punto, Carter barcolla e prima che cada all'indietro per la stanchezza, gli sfilo la bandiera dal passante dei jeans.

- Si! – esulto e Als punta una freccia contro un Will a terra che alza le mani in segno di resa.

Solo in quel momento, mi accorgo della folla di ragazzi che ci sta guardando e alzo la spada in segno di vittoria, facendo esultare tutti.

Rido mentre esco dall'acqua e do un cinque ad Als che abbandona l'arco al suo fianco ma con la freccia incoccata.

Ed è quando sono fuori dall'acqua che l'adrenalina di poco prima scompare. La spada diventa d'un tratto pesante e la lascio cadere a terra. Le gambe sembrano non voler più reggere il mio peso e ringrazio la mia amica che accompagna la mia caduta facendomi sedere a terra.

I ragazzi del campo ancora esultano e sorrido incrociando gli sguardi fieri di Percy e Annabeth, che stringe due bandierine azzurre nel pugno.

Il suo interesse nei miei confronti e totalmente nuovo e vedo Percy dire una cosa ad Annabeth, un secondo prima che la sua mente possa iniziare a lavorare talmente tanto e talmente velocemente che posso quasi vedere gli ingraggi del suo cervello muoversi.

- Bene! Abbiamo l'ultima coppia vincitrice, Ariel Miller e Alli.. – ma Chirone si interrompe di colpo incoccando il suo arco.

Tutti si sono fermati adesso e persino Carter e Will si sono alzati prendendo le rispettive armi e impugnandole con determinazione.

Aggrotto la fronte e mi puntello sulla spada per tirarmi su.

Le gambe mi fanno male e la testa mi pulsa terribilmente ma mi drizzo di colpo quando Annabeth grida un, – via, Ariel! – e Als non fa in tempo a mettersi di fronte a me, o Percy a fermarlo che un guerriero scheletro salta davanti a me.

Credo che quella che ha in mano sia una spada ma solo quando mi spara tre volte, realizzo essere una baionetta.

Barcollo e perdo la presa sulla spada cadendo all'indietro.

Mi sembra di sentire il figlio di Ade, Nico, richiamare lo scheletro e sono certa di sbattere la schiena all'indietro se due braccia non mi sostenessero.

Non ho mai provato un dolore più forte di così e la vista si fa appannata mentre i suoni si fanno sempre più lontani.

Lotto per rimanere sveglia e sbatto le palpebre un paio di volte continuando a vederci sfuocato, e non sento il trambusto che credo sia accanto a me.

Respirare mi fa male ma non sento più il dolore lancinante delle pallottole allo sterno e alla fine, respirare non mi sembra più neanche tanto sensato.

Va bene così.

Non ho idea di che diavolo stia succendo ma non sento più dolore o il peso di mille preoccupazioni. So che ci sono ancora, so che dovrei lottare ma non mi importa affatto.

Sento la risata di mamma da lontano, l'infrangersi delle onde sulla sabbia di Montauk, il profumo di cioccolato e biscotti quando erano ancora felice e con mamma eravamo la famiglia più bella del mondo.

Va bene così.

Vengo avvolta dal gelo più totale e prendo un profondo respiro realizzando di essere sostenuta da qualcuno nel bel mezzo del ruscello.

Respiro forte e tremo ma non sento più dolore e questo non può che essere un bene.

I ragazzi del Campo sono tutti davanti a me e tengono lo sguardo puntato sopra la mia testa.

Piego il collo verso l'alto in tempo per vedere un tridente verde sfumare via da me e tutti si inchinano anche se non so bene per quale motivo.

- Determinata – annuncia Chirone, – Poseidone. Scuotitore della Terra e delle Lande Marine, signore dei cavalli. Ave, Ariel Miller, figlia del dio del mare.

- A quanto pare la novellina non è mia sorella. Positivo almeno non ti devo vedere nella mia cabina tutti i giorni – e solo quando il tono rude di Carter arriva dalle mie spalle, realizzo che è lui a tenermi e che è stato lui a portarmi nel ruscello, salvandomi la vita.

Però, davvero delle svolte interessanti. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3
Teoricamente stavo aggiornando martedì ma poi, sia il computer che efp hanno dato problemi e ho finito per aggiornare oggi ahahhaha 
Comunque, passiamo al capitolo che come al solito spero vi sia piaciuto^-^ Allora, ve lo aspettavate? Eravate convinte che Ariel sarebbe stata figlia di Poseidone o sono riuscita a trarvi in inganno? Spero davvero di si ahahha è sempre difficile scrivere di una futura figlia di Poseidone perché essendoci già tutto nei libri, devi tentare di rendere il tutto innovativo. Per questo, Ariel è combattiva, testarda e impulsiva. Ha un costante bisogno di sfogarsi e le piace fare a pugni ma è qualcosa che non c'entra con il suo genitore divino, ma solo ed esclusivamente con il suo carattere. 
Come vi avevo già detto, infatti, in questa storia era assolutamente necessario prestare attenzione ai dettagli: riesce a combattere contro Percy solo dopo essersi buttata l'acqua della bottiglietta addosso. Batte Carter solo quando finisce nel ruscello e batte la figlia di Ecate solo dopo che inizia a piovere. Inoltre abbiamo la collana a forma di goccia che capirete dopo perché inizia solo adesso a bruciare ogni volta che c'è un problema, e il fatto che andasse tutte le estati a Montauk. Se vi ricordate, nel primissimo capitolo dice di amare il mare, di riuscire a sfogarsi. Trova che le risse siano più immediate ma ama comunque il mare. 
Spero davvero di essere riuscita a trarvi in inganno così come per il guerrieri scheletro. Non partite affrettati e non pensate che, come al solito, dietro a tutto questo casino c'entri Ade. Sotto c'è molto di più. 
Spero mi lascerete un parere! 
Grazie mille, bitches, 
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Love yaa<3


P.S. visto che sono una deficiente e nello scorso capitolo mi sono dimenticata di farvi vedere Allison, eccola qui^-^ 
Ovviamente in tributo alla Allison di Teen Wolf. La mia serie televisiva preferita non poteva mancare neanche in questa storia


 

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Capitolo 5
*** Un tizio francese rapisce mia cugina ***


Un tizio francese rapisce mia cugina
 

 

- Non ci credo! – esclama Percy raggiungendomi in acqua con un sorriso euforico stampato sul volto, – dei, Ariel! – continua prendendomi le mani per farmi alzare, – ero convinto fossi una figlia di Ares, non mia sorella! – e poi mi abbraccia di slancio facendomi ridere e sollevandomi un po'. Mi porta via dall'acqua e poi mi rimette a terra e sono talmente tanto euforica che ignoro lo sguardo che mi rivolge Carter.

Lui non può rovinarmi questo momento.

Le energie un po' mi mancano adesso che sono uscita dall'acqua ma sono davvero felice e Annabeth mi abbraccia prima che possa dire altro.

- Sei la cognata migliore del mondo – mi sussurra e allora, continuo a sorridere.

 

Mi trasferisco nella cabina numero tre quella sera stessa.

Le pareti di pietra grigia e i frammenti di corallo che avevano attirato la mia attenzione fin da subito sono niente in confronto all'interno.

Appena entro mi investe un odore di acqua salmastra. Le pareti luccicano come il guscio di un'ostrica e ci sono sei letti a castello, anche se due sono disfatti.

Al soffitto sono appesi degli ibridi mezzo-cavallo e mezzo pesce in bronzo e sul fondo c'è una fontana d'acqua salata con un pesce che sputa acqua.

Nonostante questo, si vede lontano un chilometro che in questa stanza ci vivono due ragazzi perché, -cavolo!- è la casa del caos! I letti sono sfatti, da sotto un cuscino spuntano un paio di boxer. Alcune magliette sono sparse e ci sono un paio di jeans perfino sul lampadario nel soffitto.

Percy mette le mani in tasca e mi volto a guardarlo, scoppiando a ridere:

- Wow, voi si che fate ordine!

Percy scaccia la questione con un gesto della mano e mi sorride un po' imbarazzato, – adesso che ci sei tu ti schiavizzeremo.

Mi schiaffo una mano sul viso e lo guardo tra le dita, – sei serio? – chiedo titubante e quando lui scoppia a ridere mi libero anche io in un sorriso.

- No, sorellina – e mi attira a sé in un abbraccio.

Mi piace molto. Mi piace davvero molto abbracciare Percy e amo il modo in cui dice “sorellina”.

- Si! – Tyson urla felice e batte le mani, – Tyson e Percy hanno una sorellina bella come Annabeth! – e poi ci abbraccia entrambi.

- Oooh andiamo, campione! Lasciamo vivere la nuova arrivata qualche minuto in più, che ne pensi? – ride Percy con voce strozzata.

 

Mi arrampico sul letto dopo essermi cambiata con una maglietta e un paio di pantaloncini che mi ha dato Percy.

Il profumo del mare mi rilassa e adesso, adesso che mio padre mi ha riconosciuto, tutto ha un suo perché.

Perché fossi riuscita a dare filo da torcere a Percy solo buttandomi l'acqua sul viso; la pioggia che c'è stata quando ho battuto la figlia di Ecate. Il fatto che tutte le estati risparmi per andare in Florida e il modo in cui il mio umore cambi quando sento il suono delle onde.

Il fatto che mi piaccia combattere e una cosa mia, ma l'amore per il mare... be', quello è di mio padre.

Mi tiro le coperte fin sotto al mento e guardo lo scudo in bronzo stile antica Grecia che c'è nella parete accanto a me.

Sarebbe uno scudo perfetto, uno di quelli che si vedono ai musei se non rappresentasse Tyson che prende a pugni un'idra con una confezione di ciambelle nella mano; Annabeth che infilzava un... come li aveva chiamati? Lestrigoni, ecco.

Accanto allo scudo c'è un corno dalla base seghettata, e passo un polpastrello sui bordi dei disegni incisi sul bronzo, quasi a volerli sentire almeno un po' miei.

Tyson fa un casino quando si sistema nel letto e tira su le coperte lasciando però scoperti i piedi.

Comincia a russare talmente tanto che fa concorrenza a un trattore e trattengo una risata prima di tornare a fissare il soffitto.

- Percy – chiamo.

E lui mi risponde un po' assonnato pochi secondi dopo, – si, Ariel?

- La mia vita sarà sempre così? Intendo, un casino dietro l'altro? – abbozzo una risata, – non che questo mi dispiaccia ma dopo un po' è snervante rischiare continuamente la vita, giusto?

Sento Percy abbozzare una risata prima che cominci a parlare, – Siamo mezzosangue, rischiare la vita fa parte del gioco. Abbiamo un odore che attira i mostri e quando sappiamo chi siamo, l'odore diventa ancora più forte.

Corrugo la fronte, – quindi ho una sorta di “Eau de Mezzosangue” che attira quei ciccioni – realizzo, – buono a sapersi, magari mi faccio prestare un po' di Chanel dai figli di Afrodite.

Percy ride ancora, – è per questo che siamo al campo – dice poi tornato serio, – questa è la nostra vera casa.

Non aggiungo altro perché, davanti a quella consapevolezza che mi sembra sbattuta in faccia solo in quel momento, la testa ha iniziato un po' a girarmi.

Il Campo Mezzosangue è la mia seconda vera casa e sorrido ancora guardando il soffitto bianco e ascoltando il suono delle onde e il profumo del mare fuori dalla nostra cabina.

Senza neanche rendermene realmente conto, crollo in uno dei sogni più strani che la mia mente contorta da semidea abbia mai fatto.

 

Sono in una valle e alzo istintivamente lo sguardo scrutando nel buio il paesaggio per cercare di capire dove mi trovo. Le rocce che mi circondano sono rossicce e sconnesse e la fine della piattaforma di terra sulla quale mi trovo si apre a strapiombo. Il buio non mi permette di cercare una fine e mi prendo qualche attimo per osservare le stelle quando una voce mi fa sussultare, rieccheggiando in quello spazio enorme che mi sembra di avere già visto:

- E' tutto appena iniziato, piccola dea. Tutto sta per cambiare – e ride in modo lugubre.

Stringo i pugni per far fronte alla paura e per impedire che quella voce così rude e ruvida entri dentro di me. Affondo le unghie nella carne perché è l'unico modo per non farmi sopraffare dal terrore e mi guardo attorno, voltandomi di scatto e sentendo il ciondolo a forma di goccia quasi bruciare sulla mia pelle.

- Chi sei? – grido voltandomi ancora e cercando di vederci qualcosa attraverso quel buio fitto, – e cosa sta per cambiare?

- Tutto piccola dea. Tutto sta per cambiare – e quella voce che quasi mi graffia sembra quasi che mi afferri la gola, stringendo e mozzandomi il fiato. Mi volto ancora con il panico che mi attanaglia lo stomaco nella speranza che tutto questo finisca perché voglio svegliarmi ma adesso, non credo più che tutto questo sia un sogno.

- Andiamo, piccola dea – e mi volto ancora nella speranza di vedere chi mi stia parlando, – vieni a trovarmi.

E grido quando del gelo mi afferra il polso. E forse sembrerà strano ma quella stretta è talmente fredda che perdo la sensibilità al corpo e l'unica fonte di calore è la mia collana. Brucia tantissimo e non so se concentrarmi sul dolore che mi sta procurando il ciondolo o sul bordo della piattaforma che è sempre più vicino a me.

I piedi scivolano sulla terra ghiaiosa e grido sia per la paura che per la collana che sta facendo troppo male. Cerco di tirarla via con la mano sinistra mentre lotto per allontanarmi dallo strapiombo.

Non riesco a pensare e ho paura e grido quando la mano brucia staccandola immediatamente dal ciondolo che si stacca dalla catenina e si allunga e appesantisce sul palmo della mia mano fino a diventare una spada in bronzo celeste con l'impugnatura di cuoio azzurra.

- Usala – mi dice una voce dolce, che riesce a scacciare la paura senza la minima difficoltà. Una voce che sembra lo scroscio delle onde contro gli scogli, che mi infonde una scarica di calma nel colpo, quasi avessi preso qualche pastiglia.

Stringo l'elsa lasciando che il suono rilassante di quella voce mi dia il coraggio che quel freddo mi ha prosciugato via. Sento lo scroscio di un'onda e barcollo sull'orlo dello strapiombo prima di ruggire e passare la lama di taglio all'altezza di quella che penso dovrebbe essere la testa di chiunque mi voglia buttare giù.

L'oscurità e il freddo che mi stringono si dissolvono nell'istante in cui la spada che impugno lo colpiscono.

Sorrido rendendomi conto di essere finalmente libera e faccio un passo all'indietro. Mi manca il fiato quando il tallone scivola sulla terra, andando nel vuoto. Barcollo e grido e la spada brucia nel mio palmo, diventa quasi incandescente quando cado giù.

 

Mi metto a sedere di scatto, il petto ansante e il fiato corto. Istintivamente mi porto una mano al ciondolo ma la allontano subito quando mi brucia il palmo.

Sbatto gli occhi e tocco il materasso sotto di me, afferrando le coperte bianche per avere una parvenza di essere finalmente sveglia.

Alzo la mano destra, portandomela davanti al viso e contando le dita. Sospiro quando sono cinque e cado sul cuscino perché -cavolo- sono molto probabilmente le tre del mattino e io sono l'unica sclerata sveglia per un cavolo di incubo.

Fisso per un po' il soffitto e stringo il ciondolo a forma di goccia che adesso è finalmente tiepido. Chiudo gli occhi e lascio che il ricordo e il tepore della voce che mi ha infuso coraggio in quella gola che ho già visto, mi conduca a un sonno senza sogni.

 

 

È tutto diverso adesso che mi hanno riconosciuta, ma ovviamente in senso positivo. Mi sembra quasi di aver trovato il mio posto nel mondo e sono passati tre giorni da quando Poseidone ha finalmente deciso di riconoscermi e solo adesso riesco a capire sul serio perché Percy ami così tanto il campo.

Mi alleno con lui tutti i giorni, la mattina con la spada anche se non ne ho ancora trovato una adatta a me e la sera. Mi porta sempre al ruscello e mi insegna come controllare l'acqua. È piuttosto divertente considerando che lo posso schizzare e far finta di aver sbagliato anche se quell'antipatico di mio fratello non si bagna e alla fine, mi fa sommergere da un'onda dopo qualche secondo.

Passo molto tempo con lui e ogni giorno mi rendo conto di quanto sia stata fortunata ad essere sua sorella.

A si, parlo anche con i cavalli anche se al campo abbiamo solo pegasi e a quanto pare, Blackjack, il pagaso completamente nero di mio fratello, ha un debole per me e mi fa fare giri per Long Island ogni volta che glielo chiedo anche se Percy inizia a farmi la paternale su quanto questo possa essere pericoloso.

Negli intervalli delle lezioni con Percy faccio lotta libera assieme a Allison che, tanto per la cronaca, sa usare piuttosto bene anche i pugnali ad anelli. Riesce a girarseli nelle dita come se niente fosse e li scaglia al bersagli che usa per l'arco beccando il centro ogni singola volta.

Mi alleno moltissimo anche con lei e abbiamo i nostri momenti di tranquillità prima di cena, dopo averci fatto una doccia, in cima alla parete delle scalate. Mi sta insegnando come si lanciano i coltelli e ogni tanto lottiamo anche per divertirci.

In questi tre giorni ho realmente capito perché Percy ami il Campo così tanto. Stare al Campo vuol dire essere liberi. Vuol dire fare ciò che più ami senza che nessuno ti giudichi, vuol dire essere sempre te stesso e vuol dire che i tuoi difetti, quelli che ti rendono diverso fuori, ti rendono speciale qui.

 

 

Affondo le mani nelle tasche della mia felpa azzurra che, nonostante abbia adesso la tenuta del campo, non ho ancora abbandonato e cammino verso l'Arena. Devo fare lotta libera con Allison e oggi non l'ho praticamente vista. Sorrido al pensiero di stare un po' con lei quando mi sbatto violentamente contro il fianco di qualcuno e barcollo all'indietro rimanendo in piedi per quello che può sicuramente essere considerato miracolo.

- Dei, guarda dove cammini – dico cercando di mantenere la calma e massaggiandomi la spalla colpita.

- Guarda tu, novellina – e stringo le palpebre alzando lo sguardo verso quell'idiota che mi è venuto addosso sicuramente di proposito.

- Sei un idiota – sibilo verso Carter che in tutta risposta sorride.

Mi prende il mento con una mano e si inchina un po' verso di me con un sorriso di straffottenza sul volto bellissimo e che vorrei prendere a schiaffi ogni secondo della mia vita.

Lascia che i nostri sguardi si incatenino e mi maledico un paio di volte per starmi lasciando abbindolare da uno stupido come lui con così tanta facilità, – non provocarmi novellina – soffia sulle mie labbra, – potrei non rispondere delle mie azioni.

Gli guardo le labbra per un secondo prima di chiudere gli occhi per un istante, costringendomi a guardare i suoi castani, nella speranza di recuperare il senno. Allungo una mano verso il suo fianco e allungo il collo nella sua direzione prima di afferrare di scatto l'elsa del pugnale che so tiene sempre nei passanti della cintura.

Me lo giro nella mano e mi allontano di scatto di lui tenendolo di taglio verso il suo collo e lasciandolo completamente disarmato davanti a me.

Mi fissa in modo indecifrabile e abbozzo un sorriso strafottente perché so di avere appena vinto, – non provocarmi neanche tu – dico in un soffio e mi allontano il tanto che basta per porgergli il pugnale dall'elsa tenendo la lama sul palmo.

Uno a zero per me, figlio di Ares.

 

Quella sera mi avvicino ad Annabeth mentre ci dirigiamo verso il falò, pronti a buttare una porzione del nostro cibo nelle fiamme.

- Ehi, Ariel – mi saluta lei con un sorriso mentre facciamo la fila, dietro ad almeno cinque persone, – tutto bene? – domanda facendo un passo in avanti e annuisco prima di parlare.

- È da tre notti che faccio sempre lo stesso sogno – butto fuori perché davvero, è da tre giorni che sogno quella valle, la voce rude, la morsa di gelo e la spada ed è da tre giorni che le parole di quella voce mi rieccheggiano costantemente nella mente.

Annabeth corruga la fronte e annuisce un paio di volte quando manca ormai una sola persona per buttare il nostro cibo nelle fiamme, – va bene per te se domani mi racconti del sogno e accantoniamo il greco antico per un po'? – mi domanda con una fetta di formaggio nella mano destra.

Alzo le sopracciglia, – è una domanda retorica, vero? Ma non eri tu la figlia della dea della saggezza?

Annabeth ride buttando la testa all'indietro, – giusto, sei sorella di Percy.

 

Questa sera a cena l'euforia è tanta.

Domani è la vigilia di Natale e si, saremo anche semidei ma niente è più speciale del Natale, assolutamente niente.

Il falò è alto almeno sei metri e Percy e Tyson mi hanno fatto dimenticare per un po' quel cavolo di sogno assurdo che mi sta dando il tormento.

- Tyson pensare che Naiadi sono buone, più del burro d'arachidi.

- Si, campione, l'avrai detto almeno cinque volte nel giro di due minuti – dice Percy un po' annoiato giocando con il cibo che ha nel piatto.

- Belle come Annabeth! – esclama ignorando alla grande mio fratello che alza lo sguardo di scatto.

Rido e gli do due pacche sul braccio enorme, – davvero un ottimo paragone, fratello – e gli batto il cinque.

Percy mi fulmina divertito con lo sguardo e sto per lanciargli un pezzo di pane quando il fuoco del falò divampa di colpo. La potenza di quell'attimo mi scaraventa in avanti e mi brucia la nuca mentre si alza un grido unanime dai ragazzi del Campo per lo spavento. Credo che alcuni siano stati sbalzati via perché posso sentire distintamente gemiti di dolore e corpi che vanno a sbattere contro gli alberi.

Percy mi guarda, gli occhi socchiusi per la luce ancora troppo forte del fuoco e poi allunga il collo cercando Annabeth e rilassando la schiena quando la vede.

Mi volto di scatto schermandomi il viso con una mano quando il fuoco si abbassa improvvisamente e al suo fianco c'è uno degli esseri più assurdi e brutti che abbia mai visto in tutta la mia vita: ha una coda da scorpione irta di aculei e, non so per quale motivo, la criniera di un leone. È alto almeno due metri e ha un occhio marrone e un occhio azzurro, come se la coda da scorpione e la criniera non fossero già abbastanza inquietanti di per sé.

Sento Percy sbuffare e si batte il palmo della mano sulla fronte. Non oso voltarmi verso di lui per guardarlo perché sono troppo impegnata a tenere sotto controllo quell'affare che si è appena voltato verso di noi con un sorriso disumano sul volto.

- Sul serio, ancora tu? – domanda Percy e se non fossi disarmata riderei anche.

- Signorino Jackson, ci rivediamo – dice con un accento francese, pronunciando la J del cognome di mio fratello come la J di Josephine e lo ripeto, inclinando la testa da un lato e afferrandomi il ciondolo che sta diventando piano piano incandescente.

- Non ha idea di quanto questo mi faccia felice, dico sul serio. Adesso mi dica com'è che ha fatto ad entrare al Campo e poi la uccido – Percy sorride con le fiamme che gli illuminano il viso in modo inquietante e toglie il cappuccio alla penna lasciando che si trasformi in Vortice, la sua spada.

Quella cosa sorride e guardo con la coda nell'occhio gli altri ragazzi del campo. Sono vigili ma sono in pochi ad avere le armi e nessuno di loro si muove.

Cerco lo sguardo di Als ma lei fissa quell'affare con le palpebre assottigliate, come fa sempre quando è arrabbiata.

Il mio ciondolo sta praticamente andando a fuoco e cerco nei cassetti della memoria, tentando di ricordarmi chi diavolo sia quella cosa dato che sono certa di averla studiata con Annabeth. Fisso la coda da scorpione, gli aculei e la criniera, – manticora – mi ritrovo a dire e poi serro le labbra quando lo sguardo di quel mostro va' su di me.

- Eh si – sorride, – che ne dici, vieni con me? – e prima che possa fare qualcosa, scatta in avanti e mi afferra i capelli. Grido quando mi tira verso di sé e rovescio la panca senza riuscire a mettermi in piedi e strisciando le gambe a terra.

Qualcuno urla e la manticora fa scattare la coda.

Il silenzio surreale di prima si è smorzato, adesso ancora di più dato che un aculeo ha colpito alla spalla una figlia di Afrodite.

Digrigno i denti e mi aggrappo ai capelli cercando di provare meno dolore dato che quel coso me li sta praticamente strappando.

Da' uno strattone e grido, un secondo prima che lui mi tiri verso l'alto serrando la presa sui capelli e lasciandomi sospesa a qualche centimetro da terra.

Chiudo gli occhi per il dolore e provo a pensare ad un modo per liberarmi, ma non posso fare niente. Mi chiedo se Chirone, se fosse qui dato che ha avuto qualche problema con i centauri a sud, potrebbe fare qualcosa e serro i pugni.

- Allora, vieni con me? – domanda la manticora avvicinandomi al suo viso e facendomi respirare il suo alito.

Annaspo, tenendomi i capelli con la mano e muovendo i piedi per aria.

La testa mi fa malissimo e sbatto le palpebre un paio di volte.

Lotta.

- Potremmo anche evitare ma se il venire con te comprende un dentista, allora va bene – riesco a dire con voce strozzata ma me ne pento pochi istanti dopo quando lui da' uno strattone e io gemo per il dolore mentre la folla sussulta.

Da' l'ennesimo strattone e non faccio neanche in tempo a gemere che la gola è serrata nell'incavo del suo gomito e mi tiene davanti a sé così che nessuno lo possa colpire.

Davvero notevole per essere una manticora.

La folla di semidei sussurra ma poi quel silezio irreale ritorna e mi aggrappo al suo braccio come se questo potesse farmi recuperare un po' d'aria. Il panico mi attanaglia lo stomaco e mi impedisce di pensare lucidamente per trovare una soluzione.

La testa mi fa ancora male anche se ha caritatevolmente deciso di smetterla di tenermi per i capelli. Prendo un respiro con difficoltà e il braccio, contornato da una chela al posto della mano, serra un po' di più la presa attorno al mio collo.

Carter e Allison assieme a un altro paio di figli di Ares si fanno avanti e noto Annabeth che da una scrollata al braccio con la mano volta verso l'interno. L'elsa del suo coltello di bronzo celeste le atterra sul palmo. Fa in fretta ad afferrarlo, puntandolo di taglio verso la manticora.

Percy fissa il mostro con Vortice stretta in pugno e Tyson si scrocchia le dita, – Tyson spacca leone strano se fa male ad Ariel.

Annaspo in cerca d'aria e Percy ringhia, – che cosa vuoi da lei? Lasciala andare! – esclama e posso quasi sentire la manticora sorridere mentre il ciondolo mi sta praticamente andando a fuoco.

Cerco lo sguardo di Allison e lei annuisce due volte, la freccia incoccata e l'arco teso.

- Cosa voglio da lei? – sibila col suo accento francese e si avvicina al mio orecchio, – tutto.

- Davvero simpatico – e racimolo le forze necessarie per colpirlo col tallone al ginocchio. Il colpo non è neanche così forte, ma è abbastanza perché la gamba della manticora si pieghi. La presa si allenta e rovino a terra sbattendo le ginocchia sulla pietra, smorzando un urlo.

- Tu! – ruggisce la manticora. La gamba che gli ho colpito è leggermente piegata e rotolo colpendolo nuovamente, un attimo prima che qualcuno mi possa tirare indietro facendomi strisciare a terra mentre la folla grida.

- Combatti, novellina – mi dice Carter dandomi il pugnale che gli ho rubato quella mattina e poi fa un paio di passi avanti, in sincrono con la sorella. Si passa una mano su un bracciale argentato facendolo trasformare in una spada dall'elsa nera borchiata e sbatto le palpebre un paio di volte.

Tanto per essere chiari, chi non ha mai visto i fratelli Silver combattere assieme non ha mai provato cosa sia davvero la paura.

Si muovono contemporaneamente, si capiscono con qualche sguardo e sono letali, ogni singola volta.

Un figlio di Ares grida ma la manticora fa scattare la coda e un paio di aculei lo colpiscono al petto facendolo stramazzare a terra.

Qualcuno urla e mi metto in piedi tenendo stretto il pugnale e digrignando i denti per il dolore lancinante alle gambe e per il ciondolo che sta sicuramente andando a fuoco sul mio collo.

- Signor Thorn, ci lascerà mai in pace? – domanda Percy ed è in questo momento che Annabeth scaglia il suo coltello ed Allison lascia partire la freccia. Entrambe le armi gli si conficcano sulla schiena ma questo non sembra abbastanza per ucciderlo, anche se lo fa ruggire di dolore.

Si volta furioso verso di noi e Percy manda la spada di taglio ferendolo al volto e indietreggiando subito dopo per evitare gli aculei.

Als scaglia un'altra freccia e la manticora sembra finalmente realizzare che è lei la minaccia peggiore. Si scaglia su di lei spostando via Carter e gli conficco il suo pugnale nel fianco parandomi davanti a Allison.

La manticora ruggisce ancora e fa scattare gli aculei per la frustrazione di essere stato ferito.

Als si abbassa di scatto e quelli si conficcano nel petto di un paio di figli di Ermes facendo gridare ancora i semidei disarmati mentre le fiamme divampano bruciandomi gli occhi.

Le gambe cedono e la manticora mi scaglia via facendomi nuovamente cadere sulle ginocchia.

Vedo sfocato, ma abbastanza per realizzare che Allison non ha più frecce. Colpisce la manticora direttamente con l'arco e Percy e Carter si guardano, pronti a uccidere insieme quell'affare, ma tutto succede in un secondo. Als viene afferrata per il braccio e – ora basta! – e sparisce nel fuoco assieme alla manticora.

Carter e Percy si fermano in tempo per non cadere sul fuoco e vedo ancora terribilmente appannato. Qualcuno è ancora scosso e sbatto le palpebre con un peso che mi serra il petto e un macigno sullo stomaco.

Non riesco a capire che cosa sia successo perché se un attimo prima Allison era davanti a me, adesso non c'è più, così come la manticora.

Se l'è portata via.

La manticora si è portata via la mia Allison..

Ed è dopo questa consapevolezza che non riesco più a pensare a nulla se non alle fiamme che divampano davanti a me o alla figura snella di Allison che ha rischiato tutto, perdendo probabilmente tutto, pur di salvarmi.

- Allison! – grido sconvolta appena mi metto in piedi e incespico verso il fuoco. Voglio buttarmici dentro e andare esattamente dove è finita lei. Voglio andare dalla manticora e ucciderla e poi recuperarmi la prima migliore amica che abbia mai avuto in sedici anni.

- Ferma qui! – urla Carter e mi afferra per i fianchi

Mi divincolo perché io voglio andare da lei. Voglio andare dalla mia Allison e portarla in salvo e tento nuovamente di buttarmi nelle fiamme, – lasciami stare! – colpisco Carter con una gomitata alla mascella e in tutta risposta, lui serra la presa sui miei fianchi con un grugnito, – lasciami! – grido ancora e sento distintamente le lacrime che mi rigano le guance per la disperazione, – devo andare a salvare Allison! – singhiozzo, – devo andare a salvarla – faccio senza più forze per reggermi in piedi e crollo a terra sbattendo nuovamente le ginocchia, anche se Carter per un po' mi sostiene.

Vengo avvolta da braccia che conosco bene e lascio che il profumo e la presa confortante di Percy mi calmino un po'.

Sento Carter imprecare e una mano gentile che mi accarezza i capelli. C'è caos, so che è così, ma non sento più niente anche se sto provando a capirci qualcosa.

Credo che Chirone sia appena arrivato perché sento gli zoccoli sulla pietra e Percy che alza il mento da sopra la mia testa. Gli dice qualcosa ma non riesco a sentire perché ho le orecchie ovattate.

Percy mi fa alzare con gentilezza e mi porterebbe in infermeria ma so che Chirone sta per parlare e lotto per sentirci qualcosa.

- La deve pagare – sento Annabeth sibilare dal fianco di Percy, – adesso non è più solo una questione personale.

Chirone sta per dire qualcosa e se ne avessi la forza, anche io lo farei dato che non ho mai visto Annabeth così furiosa ma la casa di Ares sovrasta la voce del centauro.

- Vogliamo un'impresa! – gridano all'unisono sbattendo le mani e le posate sul tavolo in legno del padiglione facendo ballare i piatti di ceramica, – forse è ancora viva – dice qualcuno, – dobbiamo andare a salvarla!

Chirone cerca di riportare l'ordine senza riuscirci ed è in questo momento che vedo il signor D, fermo sulla soglia della Casa Grande e mi rendo conto che lui è sempre stato qui e non ha mosso un dito per aiutarci.

L'indignazione mi ribolle nelle vene e stringo i pugni. Anche volendo, la voce non mi uscirebbe.

E se Allison non fosse viva?

E se fosse morta?

- Basta! – fa Chirone cercando di sovrastrare la voce unanime della casa di Ares che non demorde.

- Finitela! – ruggisce Percy e mi toglie un braccio dalle spalle per portare entrambi gli arti in avanti. Un'onda potente si scaglia sui ragazzi e chiudo gli occhi quando delle gocce d'acqua mi arrivano al viso.

Adesso c'è silenzio e Chirone parla ancora ma non so ancora bene che cosa stia dicendo ma forse, non mi interessa abbastanza. Tengo lo sguardo puntato sulle fiamme perché mi ci vorrei buttare ancora perché è da lì che Allison è sparita e sono io a doverla trovare.

Sposto lo sguardo su Carter, completamente fradicio che mi guarda in modo indecifrabile.

Non mi interessa neanche di lui.

 

Non so come sono arrivata alla mia cabina, forse solo grazie a Percy.

Sono un automa e non riesco a riconoscermi, forse non voglio farlo.

Mantengo un'espressione impassibile e non mi cambio neanche per andare a dormire.

Evito gli occhi verdi di Percy e anche l'occhio castano di Tyson.

E se Allison fosse morta?

 

- Cosa volete da me? – grida Als e sbarro gli occhi cercandola solo seguendo il suono della sua voce. Sono probabilmente in una caverna e mi blocco dietro una colonna di pietra sbirciando attenta a non farmi vedere.

Mi porto una mano alla bocca quando vedo in che condizioni è Allison: è carponi e perde sangue sia dal labbro che dallo zigomo. Le braccia le tremano per lo sforzo di non crollare.

L'accento della manticora risponde alla sua domanda dopo aver riso sarcasticamente, – sei uno sbaglio, figlia di Ares. Io voglio la figlia di Poseidone, il mio capo la vuole.

Als sputa a terra con odio palpabile nello sguardo, – morirai. Non so se per mano mia ma morirai – fa con voce tremante ma furiosa e carica di disprezzo che non le ho mai sentito, e la manticora ride ancora prima di fermarsi di scatto. Si volta verso di me e mi nascondo dietro la colonna trattenendo il respiro per non farmi sentire.

- Lei è qui!

 

Il mio sogno cambia di colpo e avvolta nell'oscurità appare una ragazza con i capelli rossi e una spruzzata di lentiggini sul volto. Gli occhi verdi quasi brillano e quando apre la bocca dei rivoletti di fumo verde le fuoriescono dalla labbra.

Parla e quando lo fai sembra che ci siamo altre due ragazze oltre lei:

 

Mare e spada insieme partiranno

a cercare la ragazza rapita andranno.

La valle senza fondo dovranno raggiungere

se con l'amica rapita si vorranno ricongiungere.

Nel sud troveranno risposte

e scelte gli verranno imposte

 

Mi sveglio di scatto con il fiato corto e mi metto a sedere col talmente tanto impeto che mi sbatto la fronte al soffitto. Impreco un paio di volte massaggiandomela e sbatto le palpebre regolarizzando il respiro quando mi accorgo che sono nella cabina di Poseidone, probabilmente sono le quattro del mattino ed Allison è ancora viva. 


Angolo autrice: 
Ehiiila<3 
Tornata e stavolta puntuale ahahhaha posto prima di mettere qualcosa sotto i denti. Credo che il mio stomaco mi stia odiando in questo momento ahahah e posto anche con la speranza di prendermi un po' meglio dato che è un periodo abbastanza di merda e scrivere mi fa bene:)) 
Allora? Che ne pensate? E' la vigilia, Ariel è super felice, ha spiegato tutta la storia dell'essere figlia di Poseidone e, se con Carter il rapporto fa pressoché cagare, con Allison va che è una bomba ma la manticora decide di rapirla ahahaha 
Ricordatevi, tutto ha un suo perché. Anche il fatto che il Signor D non sia intervenuto ha un perché che scoprirete solo più avanti, quindi abbiate pazienza^.^ 
Le visite a capitolo sono un bel po' quindi, oltre che tutti i lettori che si prendono la briga di recensire e che hanno messo la storia tra preferite, seguite e ricordate, ringrazio anche i lettori silenziosi^.^ 
Neanche voi passate inosservati, cuccioli:** 
Spero tanto mi lascerete un parere, anche qualcosa che non vi va. Se costruttive, le critiche le accetto sempre. 
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Love yaa<3
x


     


 

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Capitolo 6
*** Mi offro per un'impresa ***


Mi offro per un'impresa
 

Dopo quel sogno non riesco a dormire e quando la conchiglia che fa da sveglia a noi semidei inizia a suonare, mi butto giù dal letto.

Percy mi rivolge un sorriso un po' teso e io ne abbozzo uno con qualche difficoltà. Non parlo, non sorrido, non sento neanche il bisogno e le immagini di ciò che è successo ieri mi passano nelle mente continuamente, come se fossero su una pellicola in bianco e nero anni cinquanta.

Ho lo stomaco chiuso e non riesco a buttare giù neanche un boccone nonostante sia a conoscenza della bontà che contraddistingue il cibo del Campo.

È Natale e anche se tutti sorridono, li vedi gli sgaurdi di compassione che mi lanciano i ragazzi delle altre casa. Lo vedo che quel:”Buon Natale” che mi hanno rivolto tutti è macchiato da un velo di compassione che ormai ho imparato a riconoscere.

Odio la compassione e anche se mi sento in colpa per Als, sorrido a labbra chiuse solo per cortesia e stringo i pugni sotto il tavolo della mia cabina perché, oltre alla tristezza, adesso c'è anche la rabbia che ha deciso di far aumentare un po' di più i battiti del mio cuore.

Vorrei mandare tutti a quel paese, digli che dovrebbero smetterla di guardarmi e di continuare a festeggiare questo cazzo di Natale senza ritenermi una bambina spaesata che, per la prima volta, sa che cos'è il dolore.

Quando tutti finiscono di mangiar, già eccitati per lo scanbio di regali di quella sera, io quasi tremo per la possibilità di andare nell'Arena.

Ho bisogno di sfogarmi, di combattere e quasi non riesco a stare ferma perché le mie gambe si muovono verso la zona dall'allenamento quasi da sole.

Muovo un paio di passi seguendo un figlio di Ares che sembra quasi più depresso di me, quando una mano calda si avvolge attorno al mio polso, fermandomi. Mi volto di scatto alzando il pugno ma poi, mio fratello mi sorride e blocco il pugno a mezz'aria. Quando i miei occhi azzuri incontrano quelli di Percy rilasso i muscoli lasciando che il braccio mi cada lungo i fianchi.– C'è un consiglio di guerra. Voglio che tu rimanga.

- è solo per i capi gruppo – rispondo atona anche se la sua presa calda sul mio polso mi fa piacere.

Lui mi sorride ancora a labbra chiuse, quel sorriso malandrino che rivolge sempre ad Annabeth quando battibeccano, – Lo so, ma Allison è tua amica e poi io sono il capogruppo della mia casa. Decido io chi portare.

E sorriderei a quell'affermazione ma non ci riesco, così mi limito ad affondare lo sguardo in quegli occhi verdi che mi piacciono tanto e lui mi avvolge le spalle con un braccio attirandomi delicatamente a sé.

Ed è in momenti come questi che odio mio padre un po' meno.

 

- Lei che diavolo ci fa qui? – domanda Carter e lo fisso nelle sue pozze castane senza lasciar trapelare neanche un'emozione anche se, dentro di me, sto immaginando tutti i modi per ucciderlo nel sonno.

Quasi posso percepire i muscoli di Percy irrigidirsi nella sedia accanto alla mia, e sta per rispondere prima che intervenga Annabeth. – Non mi risulta che tu sia capogruppo della tua casa, eppure sei qui. Vai a sederti, non ho intenzione di ripeterlo – e lo dice in modo talmente autoritario che Carter si limita ad un'occhiataccia prima di prendere posto accanto a Clarisse.

Chirone batte un paio di volte sul tavolo del padiglione e il leggero brusio che vigeva prima si interrompe velocemente lasciando posto ad un silenzio che aspetta di essere interrotto dalla voce di Clarisse.

- Allison era una delle migliori della mia casa, se è ancora viva allora bisogna cercarla – dice fissandoci uno per uno negli occhi come a voler trovare l'idiota che ha il coraggio di imporsi a tanta fermezza e rabbia.

- Non abbiamo prove che sia viva, però – interviene Connor Stoll quasi timidamente prima che il fratello gli dia un colpo alla nuca che lo fa gemere in protesta.

I muscoli della schiena di Carter si irrigidiscono e probabilmente sta per inveire contro di lui ma mi intrometto prima, – è viva – dico sicura, – l'ho sognata stanotte ed è tenuta prigioniera da quella cosa: la.. – schiocco le dita un paio di volte cercando di ricordarmi il nome di quell'affare bicolore ma Katie Gardner, della casa di Demetra, mi viene in aiuto:

- Manticora.

- Si! – esclamo con un barlume di speranza che mi ruggisce nello stomaco, – era con la manticora in una caverna. Allison può e deve essere salvata – concludo con la voce ferma.

Nessuno parla per un paio di minuti ed è Chirone a rompere quel silenzio, – è deciso, due volontari partiranno per l'impresa, ma verso dove?

- Lo so io – intervengo ancora e per un secondo fisso gli occhi castani di Carter che mi scrutano come se stessi nascondendo qualcosa, – ho avuto una profezia, in sogno – chiudo per un istante gli occhi racimolando ciò che la ragazza con i capelli rossi mi ha detto e poi guardo Annabeth. Il suo cervello sta lavorando talmente velocemente che so bene che, se solo mi concentrassi un po' di più, potrei vederne gli ingranaggi.

Descrivo il mio sogno, dalla ragazza della profezia alle condizioni di Allison.

Decido di omettere la parte del:”Sei solo un errore” e “Voglio la figlia di Poseidone”. L'ultima cosa che desidero è gettare ancora più nervosismo su tutti.

Annabeth si batte un palmo della mano sulla fronte, – Che idiota! – sorride felice, alzandosi e guardando tutti negli occhi. – Rachel è stata anche fin troppo chiara, miei dei! La valle senza fondo! – esclama come se fosse scontato. E mi volto verso di lei con la fronte corrugata tentando di capire dove voglia arrivare. – Il Gran Canyon! Nella valle senza fondo dovranno andare e nel sud troveranno risposte – esclama con un sorriso che le abbellisce il volto e un po' di capigruppo annuiscono concordi.

Adesso si che ho capito.

- Figlia della dea della saggezza, ovvio – dico con un sorriso e lei mi lancia un bacio un po' strafottente.

- Ci servono due volontari – interviene Chirone e prima che possa anche solo pensarci, scatto in piedi.

- Vado io – e la mia voce risuona all'unisono con un tono rude che mi ha intimorito già del primo istante che ho messo piede al Campo. Guardo Carter di sfuggita e lui mi osserva impassibile e per qualche attimo, mi perdo dentro quegli occhi così profondi.

- Non se ne parla – e mi volto di scatto verso Percy guardandolo come se fosse scemo cosa che, effettivamente, potrebbe anche essere vera dopo questa stronzata.

- Percy! – esclama Annabeth con un sorriso sulle labbra, intrecciando le dita alle sue ed escludendo quasi tutti noi da quello scambio di sguardi, – non capisci? È perfetto! Mare e spada insieme partiranno – dice citando nuovamente la profezia, – Poseidone e Ares..

Credo che vorrebbe aggiungere qualcosa ma Percy la interrompe guardando Chirone, – non se ne parla! È arrivata qui da troppo poco tempo! Non ha la giusta preparazione e..

- E tu eri molto più piccolo e arrivato qui da molto meno quando siamo partiti per la nostra prima impresa – lo blocca Annabeth autoritaria, – Carter è uno dei nostri guerrieri migliori e Ariel è brava, lo sai – dice con una nota di rimprovero nella voce.

- Si, Jackson, proteggo io la tua sorellina, non ti preoccupare – fa Carter strafottente con una faccia da schiaffi che mi viene voglia di prendere a pugni.

Adesso lo ammazzo.

E sussulto quando realizzo che quelli non sono pensieri miei, ma di Percy. In un secondo scatta dalla sedia e si scaglia su Carter facendolo indietreggiare contro una colonna di pietra del padiglione, afferrandolo per il bavero della felpa.

- Percy! – esclama Annabeth e scattiamo in piedi all'unisono.

Clarisse guarda la scena rimanendo ferma, probabilmente ritiene che questa sia una questione solo del fratello.

- Se torni tu e lei no.. – sibila Percy inchiodando Carter ancora di più al muro e non fa in tempo a continuare che gli arriva un pugno allo stomaco. Geme indietreggiando e lasciando libero Carter di accarezzarsi il bracciale che porta al polso, trasformandolo in una spada.

- Non osare più toccarmi, Jackson – ruggisce Carter e Percy toglie il cappuccio alla sua penna trasformandola in Vortice.

- Finitela! – esclama Chirone ma i due ragazzi non lo ascoltano e tutti i capigruppo osservano la scena.

- E tu non osare tornare senza Ariel. Meglio che non ti fai vedere se.. – ma Carter estrae il pugnale dalla cintura con la mano sinistra, scagliandolo contro mio fratello che si abbassa di colpo, lasciando che la lama si conficchi nella pietra.

- Percy! – grida Annabeth e io mi porto le mani alla bocca per lo spavento perché è assurdo che tutto questo casino stia succedendo per me.

Muovo i primi passi per mettermi fra loro due ma Percy ruggisce e si scaglia nuovamente contro Carter. Cala la spada su di lui con talmente tanta forza che il castano fa fatica a bloccargli il colpo e il braccio gli trema. Rotea su se stesso e Percy para il colpo facilmente, assestandogli un calcio allo stomaco e spostandogli la spada con la sua.

I ragazzi gridano, Annabeth prova a farli smettere ma la furia di entrambi è cieca.

Non ho mai visto un combattimento del genere, forse solo nei film a noleggio che prendevo con mamma quando ancora eravamo felici. I due ragazzi si muovono veloci e nell'aria si sentono solo i suoni delle lame che cozzano fra di loro e i grugniti per i colpi inferti o ricevuti.

Percy riesce a disarmare Carter ma lui salta con una capriola all'indietro talmente tanto velocemente che colpisce il piatto della lama di Vortice facendo perdere l'equilibrio di Percy.

- Finitela! – urlo ma loro non sembrano ascoltarmi e Carter scivola sotto le gambe di mio fratello recuperando la spada e rialzandosi velocemente con un colpo di reni.

Percy è svelto a voltarsi nuovamente e gli sposta la lama con un calcio talmente forte che fa barcollare Carter. Gli infierisce una gomitata allo stomaco e, – se non sono i mostri ad ucciderti, sarò io a farlo.

Vedo distintamente il ghigno di Carter e con la mano libera da un pugno sulla tempia di Percy che barcolla scuotendo la testa per riprendersi. C'è un po' di distanza tra i due e ne aprofitto per mettermi in mezzo.

- Siete due bambini! – grido allungando le braccia e toccando con i palmi delle mani aperti i petti ansanti di Percy e di Carter, – so badare a me stessa – faccio rivolta verso mio fratello, adesso che il padiglione è tornato nel silenzio, – e credimi – dico invece verso Carter con la tristezza negli occhi, – neanche io voglio partire con te ma voglio bene ad Allison tanto quanto gliene vuoi tu. Questo dovrebbe essere abbastanza almeno per sopportarci a vicenda, non trovi?

E do le spalle a tutti quando me ne vado verso la parete delle scalate pensando che forse, se andassi nel luogo dove mi trovavo con Allison sarebbe un po' come averla realmente al mio fianco.

 

Percy viene nell'Arena dove stavo facendo a pezzi l'ennesimo manichino e mi osserva con un sorriso, poggiato ad uno dei fantocci e con le mani infilate nelle tasche dei jeans.

- Che vuoi? – dico col fiato corto staccando la testa di quell'affare e guardandola rotolare sulla sabbia. Mi poggio alla spada troppo pesante prima di voltarmi verso Percy.

- Partirai fra tre giorni. Ho chiesto a Chirone tre giorni per prepararti al meglio e lui ha accettato. – Sto zitta e mi asciugo il sudore dalla fronte con la manica della maglietta. – Ariel, – dice con un tono estremamente serio, – sei la mia unica sorella.. non voglio.. – si inumidisce le labbra e aspetto che continui anche se so cosa starà per dirmi, – non voglio perderti e non si tratta di fiducia. Lo vedo che sei formidabile ma è Carter che non mi piace per nulla e.. – muovo un paio di passi verso di lui e poi affondo la testa nel suo petto stringendogli le braccia attorno alla vita e lasciandomi avvolgere.

Sento il suo petto vibrare, segno che sta ridendo e poggia il mento sulla mia testa. – Sei un idiota. – Mormoro contro la sua maglietta e lui ride ancora.

- Anche io ti voglio bene, sorellina, dico davvero – stavolta è il mio turno di ridere.

 

Ovviamente, il Natale mi ha fatto talmente tanto cagare che a metà dei canti dei figli di Apollo ho deciso di sparire sulla spiaggia.

Sono stata per anche troppo tempo a fissare il mare scuro e poi, mi sono tolta le scarpe, ho preso la rincorsa e ho infranto la parete d'acqua che, senza dubbio, doveva essere congelata ma il fatto di non bagnarmi mi ha aiutato a sopportare il freddo.

Ho nuotato per ore.

Non mi sono neanche resa conto del tempo ma mi sono imposta di smettere di pensare. Di smettere di pensare ad Allison, all'impresa, a Carter e a mio fratello che durante quella barriglia contro Crono aveva perso troppe persone e io non dovevo essere l'ennesima aggiunta.

L'unica prospettiva che mi faceva andare avanti era quella di avere una speranza per riportarla sana e salva al Campo e poi conoscevo Allison, era una delle ragazze più forti che avessi mai conosciuto, lei ce l'avrebbe fatta sempre e comunque, giusto?

Percy mi lascia libero solo il venticinque dicembre. È dal ventisei che inizia la vera lotta, che inizia la vera guerra per sopravvivere al mondo esterno.

Non mi lascia tregua ma a me va bene così. Nessuno me la darà lì fuori e se devo essere sincera, ho anche un po' di timore a mettere il naso fuori dal campo. Non so che succederà, non so cosa mi aspetterà anche se so bene che ne varrà sicuramente la pena.

Il braccio mi fa male per le volte che ho dovuto parere i colpi micidiali di Percy e per le volte che ho dovuto attaccare. Inoltre, la spada che uso è ancora troppo pesante e questo non giova alle mie articolazioni. Credo che se avessero un cervello farebbero sì che mi conficcassi la spada in fronte.

È la sera il momento che preferisco di più perché, se la mattina mi alleno fino all'ora di pranzo con la spada, dalle tre in poi Percy mi insegna a controllare l'acqua con ancora più difficoltà e forza di quanto non facesse già prima. Fa sì che io stia costantemente sotto pressione, attacca e pretende che divida le energie per evitare che il mio stesso fratello mi ammazzi, rispondendo con onde o uragani.

Quando finisco con Percy, vado da Annabeth. Lei mi insegna tecniche di guerra e modi per riuscire sempre ad aggirare l'avversario. Mi insegna come rimanere lucida anche se sono nel panico più completo e sopratutto, mi sta insegnando come padroneggiare meglio un pugnale dato che, per quanto sia pesante, ho stretto affinità solo con la spada.

Mi sono allenata molto anche con Carter in questi due giorni e giuro, non abbiamo smesso di litigare neanche un momento anche se questo faceva sì che ci andassimo giù pesante con la spada.

Bello e dannato.

Fottuto cliché.

 

Lo stomaco mi si contorce mentre osservo il piatto piano di carne che ci hanno preparato per la cena. Sono sicura che vomiterei tutto se solo mangiassi anche un po'. Sono troppo nervosa e stavolta, neanche il pensiero di Allison mi aiuta a mantenere la calma, escludendo che l'ho sognata per due notti di seguito e ogni volta era messa peggio.

Infilzo la forchetta nella bistecca con forza e Percy alza lo sguardo verso di me prima di sorridermi, – andrà tutto bene e fidati di uno che è sempre nei casini: mangia che è meglio.

Gli faccio un sorriso forzato e impugno il coltello per tagliare la carne ma lo stomaco mi si ritorce contro e trattengo un conato, – sto per vomitare – dico schietta e Percy ride buttando la testa all'indietro.

- Lo so, ma mangia lo stesso e se poi vomiterai sul serio, fallo su Tyson.

- Percy cattivo fratello – dice lui sbarrando il suo enorme occhio castano e rido nonostante sia talmente nervosa che non riesco a impedire alla mano che stringe la forchetta di smettere di tremare.

 

Sono certa di non riuscire a dormire ma gli occhi mi si chiudono gradualmente portandomi nella caverna che sogno ormai da tutte le notti, dove sta Allison.

È strano però, perché quando vedo la solita caverna chi mi ritrovo davanti è il corpo allenato di un ragazzo che indossa un'armatura greca e brandisce spada e scudo camminando all'indietro.

È cauto e si arresta ogni volta che i calzari fanno qualche rumore in più sulla terra.

Avanzo verso di lui anche se non si accorge di me e decido di sporgermi oltre il suo corpo per vedere di chi ha così tanta paura: una donna mostruosa è sdraiata su un letto di pietra attaccato alla parete. Porta un velo nero e il volto adesso mostruoso lascia ancora immaginare la bellezza che invece aveva dovuto avere tempo prima. I serpenti sulla sua testa sibilano furiosi e non ci vuole un genio a capire che sto assistendo all'uccisione di Medusa da parte di Perseo anche se non so bene perché sto sognando una cosa simile.

Perseo è pronto a calare la spada sul collo del mostro senza staccare gli occhi dallo specchio e i serpenti sibilano furiosi prima che l'ambientazione del sogno cambi.

Lo spazio gira attorno a me e quando tutto si ferma, barcollo leggermente come se fossi su una barca.

Sono nella caverna e muovo un paio di passi prima di poter vedere Allison. È in piedi e incespica un paio di volte prima di rovinare a terra, completamente priva di forze.

Lo stomaco mi si chiude in una morsa di rabbia e tristezza che si fa strada dentro di me, facendomi quasi tremare.

Il mio ciondolo a forma di goccia comincia a bruciare e lo afferro, stringendolo in un misto tra il morboso e il nervoso.

Mi avvicino a lei -e, certa comunque di non poterla toccare- allungo una mano verso il suo viso spigoloso, e rabbrividisco davanti ai lividi sotto gli occhi e sullo zigomo e alle labbra sottili, secche e spaccate.

La manticora entra nella caverna e guarda Allison come se il mostro fosse lei.

- La tua amica sta venendo a prenderti col tuo bel fratello. Razza di idioti – sibila e Als, non so come, trova la forza per alzarsi un po' sulle braccia e fissa la manticora con un odio che non ha mai riservato a nessuno.

- Morirai – dice a fatica facendomi stringere il petto. La sua voce è ruvida, aspra, come se stesse raschiando una pietra sulla carta vetrata e una nuova morsa di furia si strada dentro di me, accecandomi.

Non le danno neanche dell'acqua.

– Morirai da mostro, rinascerai da mostro e morirai nuovamente da mostro – le mani le tremano sotto il suo peso e vorrei gridare, aiutarla, uccidere quella manticora per il male che le sta facendo ma sono totalmente e completamente inutile e questo mi fa male, più di quanto mi aspettassi.

Lo sguardo mi cade sull'anello di Allison, quello che si trasforma in arco solo sfiorandolo ma probabilmente, in quel posto gli oggetti magici non funzionano.

La manticora la guarda e sorride in modo glaciale prima di far scattare la coda.

Ed Allison grida di dolore crollando a terra e lottando perché le lacrime non fuoriescano dai suoi occhi da cerbiatta.

- E tu invece, implorerai di morire. Piangerai, pregando che tu uccida presto – sibila e fa scattare la coda ancora e ancora e ancora.

Ed Allison grida ogni qualvolta che gli aculei la colpiscono.

E grido anche io perché è come se quel dolore, se quelli aculei mi stessero entrando nel cuore uno a uno.

 

Mi sveglio gridando e mi passo una mano nei capelli quando realizzo di essere nella mia cabina ma in quel preciso momento, Allison sta soffrendo più di quanto realmente possa immaginare.

- Ariel – mi chiama Percy sbucando da sotto al suo letto, lo sguardo assonnato e i capelli scuri scompigliati, – stai bene.

Lascio andare un respiro e annuisco un paio di volte, – voglio andare a salvare Allison – dico solo e lui mi sorride.

- Sei una guerriera, vedi di non scordartelo.

Non so perché me l'ha detto ma sorrido e poggio nuovamente la testa sul cuscino. Probabilmente ci vogliono ancora due ore prima della partenza ma so che non dormirò.

Non voglio affatto.

Sognerei ancora Allison e la consapevolezza di non poterla ancora aiutare in alcun modo è più dolorosa di qualsiasi lama o pugno.

 

Quando suona la conchiglia non mi alzo subito come al solito ma rimango qualche secondo di più a letto a guardare il soffitto bianco sopra di me.

- Allora, pronta? – mi domanda Percy alzandosi dal letto e poggiando le mani sul mio materasso. Mi sorride e mi volto verso di lui, guardandolo.

- Pronta – dico in un sospiro mettendomi a sedere e passandomi nuovamente una mano tra i capelli.

Stringo i pugni quando lo stomaco si contorce nella consueta morsa e salto giù dal letto atterrando sul pavimento con un tonfo.

Andiamo a recuperare Allison.

 

Mi stringo la felpa addosso mentre vado in cima alla Collina Mezzosangue con Percy affianco a me e uno zainetto sulla spalla nel quale ho infilato soldi e dracme anticipati dal campo, un paio di magliette e lo spazzolino da denti, anche non so effettivamente quanto mi sarà utile.

Nonostante sia al Campo da molto tempo ormai, quel cavolo di drago che sonnecchia sotto al pino come se fosse un Labrador mi fa ancora impressione.

Lo guardo e poi faccio un passo verso destra, rendendomi conto troppo tardi di essere quasi arrivata a sfiorare Carter.

È sulla Collina da prima che arrivassi io e tiene le mani affondate nei jeans calati sui fianchi.

Tira un po' vento e questo fa sì che il ciuffo nero che gli ricade sempre sulla fronte sia leggermente mosso. Gli occhi scuri sono assottigliati e guardano davanti a loro.

Brutto idiota sexi.

- Ciao – saluto.

Lui mi guarda e, – novellina – sposta lo sguardo su Percy, – fratello iper protettivo.

- Idiota.

Annabeth arriva in cima alla Collina in quel momento e sorrido automaticamente osservando i suoi capelli ricci scompigliati dal vento. – Ehi – mi saluta prima di travolgermi in un abbraccio. Respiro il profumo dolce del suo shampoo al limone e lei continua a sorridermi quando ci allontiamo, mettendomi le mani sulle spalle. – Andrà tutto bene e prima che me ne dimentichi.. – estrae dalla tasca posteriore dei suoi jeans un cappellino blu degli Yankees che conosco bene e spalanco gli occhi, scrollando il capo.

- Non se ne parla! – protesto, – è il tuo capellino e non..

- Io voglio darlo a te e non rompere ancora o te lo infilerò in quello zainetto grigio con la forza – mi punta il cappellino contro a mo' di minaccia e rido, facendo crollare la sua farsa da semidea incazzata, – sai che lo farò.

- Va bene – accetto controvoglia ma comunque felice. Così è come se avessi una parte di Annabeth dentro di me e solo gli dei sanno quanto mi farebbe comodo un po' della sua intelligenza.

Infilo il cappellino blu nello zaino e poi mi risistemo le cinghie sulle spalle.

- Va tutto bene – mi dice Percy prima di stringermi in un abbraccio e respiro anche il suo profumo, scuotendo la testa.

- No, non ho un'arma – dico con voce soffocata contro il suo petto e quando ci allontaniamo, Annabeth mi scruta curiosa lasciandosi avvolgere i fianchi da Percy e sorridendo quando lui le lascia un bacio sulla tempia.

Mi guarda ancora e corruga la fronte. – Quel ciondolo – dice, e istintivamente mi afferro la goccia che porto da quando sono bambina.

- Ce l'ho da praticamente sempre – dico toccandolo un po' e sentendolo gradualmente scaldarsi.

Annabeth mi guarda come se fossi idiota, – e sei ancora convinta di non avere un'arma? – ride ed io e Percy la guardiamo confusa. L'unico che non sembra sorpreso è Carter che mi guarda che fossi la prima degli imbecilli.

- La novellina è un po' lenta – dice e lo fulminiamo con lo sguardo anche se lui non si scompone e ci rivolge un sorrisetto sardonico che lo rende ancora più bello.

Oh, dei. Finiscila Ariel.

- Allison ha un anello, Carter un bracciale.. non hai mai pensato che la tua arma potesse essere quel ciondolo che porti da tutta la vita? – Annabeth scuote la testa con un sorriso, poggiandosi un po' di più a Percy. – Se l'avessi notato prima, avresti avuto una vera arma da molto più tempo – mi dice quasi con rammarico e agito la mano davanti a lei come se stessi scacciando una mosca.

Spalanco occhi e bocca e prima che possa dire qualcosa, Chirone arriva da noi al trotto e annuisce guardando Annabeth, – ogni volta che sei in pericolo, quello si riscalda, giusto? – annuisco un paio di volte e Chirone sorride, – questo perché percepisce di dover esser trasformato. È magico ed è un regalo di tuo padre – mi fa un cenno con la mano prima di continuare, – sfregalo – conclude, e faccio come mi ha consigliato.

Stacco la mano ed esclamo di dolore quando il ciondolo diventa incandescente dopo pochi istanti e si stacca dalla catenina. Mi cade sulla mano e si allunga e appesantisce velocemente trasformandosi in una delle spade più belle che abbia mai visto: è sinuosa, quasi elegante ed è la prima e unica spada che vada bene. È ben bilanciata e sembra sapere ciò che voglio fare un secondo prima che il mio braccio scatti in avanti, affondando nell'aria. L'elsa è azzurra e incise sopra ci sono dei disegni stilizzate di onde. È doppio taglio ed è.. bellissima.

- Onda – leggo senza difficoltà in greco antico l'incisione elegante sulla lama, proprio sotto l'elsa.

Quando alzo lo sguardo, Percy e Annabeth sorridono e Chirone mi guarda quasi fiero, – buona fortuna a tutti e due – dice e sto per ringraziarlo ma Percy si allontana da Annabeth stringendomi nuovamente a sé.

Mi stringe a sé lasciando che respiri il suo profumo di salsedine, affondando la testa nel suo petto. Gli stringo la maglietta dalla schiena, – è fuori, nel mondo esterno che capiamo davvero quanto valiamo. Io so che tu vali molto più di quanto pensi – me lo sussurra all'orecchio in modo che solo io possa sentirlo e mi pare di ascoltare Carter sbuffare e dei passi allontanarsi ma non mi importa perché adesso sono tra le braccia di mio fratello e perché quello che mi sta dando è il primo abbraccio paterno che abbia mai ricevuto in sedici anni di vita.

- Io credo in te – mi dice ancora e poi mi bacia il capo prima di allontanarsi e lasciarmi in balia di un vuoto che non mi piace.

Guardo verso valle e noto che Carter sta entrando nel furgone bianco di Argo, quello che porta la scritta di:”Fragole di delfi” anche se è solo una copertura.

- Nessuno è venuto a salutarlo – constata Percy e Annabeth fa spallucce prima di sorridermi ancora.

  • Fatti sentire con dei messaggi-iride, ci conto.

Saluto tutti un'ultima volta prima di incamminarmi verso valle con lo stomaco che mi fa male per l'agitazione.

Salgo nel sedile del passeggero e saluto Argo, il surfista californiano, con l'unica particolarità di avere occhi sparsi in tutto il corpo. Abbastanza inquietante considerando che quando parli con lui ti senti osservato da almeno tremila persone.

- Finalmente ce l'abbiamo fatta – sbuffa Carter scocciato e mi volto verso di lui quando Argo mette in moto e parte lentamente.

- Sei sempre così simpatico – dico con un finto sorriso, – è un piacere stare con te, dico sul serio. Sei piacevole, dolce, fai battute spesso, fai sentire la gente a suo agio.. – dico elencando tutte cose che lui non ha assolutamente.

- Argo ci lascia alla stazione degli autobus a New York. Da quel momento in poi siamo in balia dei mostri – dice ignorando la mia ironia.

Prendo a morsicarmi l'unghia del pollice, – andrà bene? – mi lascio scappare e Carter ride sarcastico.

- Per me sarà una passeggiata, non so poi per te.

Sbuffo passandomi una mano tra i capelli, – non c'è modo che noi possiamo andare d'accordo? – domando stufa di quella conversazione e Carter si volta verso di me inchiodandomi al sedile con le sue pozze scure.

- Ares e Poseidone hanno collaborato durante la guerra di Troia. Io non ho intenzione di collaborare con te se non per salvare mia sorella. Se ti sta bene, stai zitta. Se non ti sta bene non è affar mio, quindi stai zitta comunque. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3
Odio aggiornare a quest'ora ma ho trovato solo adesso un buco libero e sono in fase di depressione perché mi sono tagliata i capelli stra-rovinati e i miei bambini non sono più lunghi fino alla vita come prima:((
Ma, comunque, passiamo alla storia ahahaha 
Ariel sta di merda perché si sente in colpa e ho cercato in tutti i modi di far trasparire il suo stato d'animo. Spero di essere riuscita a rendere l'idea. 
Percy geloso e protettivo è il top e ama Ariel per cui, non esita a difenderla quando Carter fa l'emerito coglione, ma vedrete solo più avanti quanto può realmente essere meraviglioso^-^ 
Onda! La spada di Ariel! Nessuno aveva mai notato il suo ciondolo da prima ma poi (Grazie, Annabeth) ha anche lei un'arma come si deve. 
Ho cercato in tutti i modi di far vedere quanto Allison, nonostante tutto sia una guerriera: lo devo alla vera Allison Argent, quella di Teen Wolf che, merita sicuramente di più di un posto nella mia storia. 
La vera trama inizierà a svilupparsi dal prossimo capitolo e spero continuerete a seguire*-* 
Grazie mille a tutti, a chi ha messo la storia tra le seguite, preferite e ricordate, chi si prende sempre la briga di recensire e anche quei lettori silenziosi*-* ormai lo sapete che neanche voi passate inosservati ahahaha 
Grazie mille ancora, 
Alla prossima!
Vi adoro, 
Love yaa<3
x


      

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Capitolo 7
*** I cattivi odiano la mia schiena ***


I cattivi odiano la mia schiena
 

Argo ci lascia alla stazione degli autobus e poi sgomma via sul furgone che porta un'iscrizione gigante delle fragole di Delfi.

Mi poggia al muro e osservo la frenetica vita newyorkese davanti a me alla quale non sono più abituata.

Mancano due giorni a Capodanno e quasi mi sembra di sentire qualcuno che prova il microfono sul palco di Times Square.

Mi manca la mia città, mi manca veramente tanto e osservo qualunque cosa stia accanto, attorno e davanti a me, quasi cercando di imprimermi ogni particolare nella mia mente.

New York è un casino. È il più totale caos, la più continua cofusione. È rumore, disordine e chiasso e mi ricorda un po' me. Forse è per questo che mi piace così tanto.

Carter è accanto a me con il cappuccio della felpa scura tirato sul viso che gli copre gli occhi e la pianta del piede sinistro poggiata al muro. Sembra distratto ma so perfettamente che è vigile tanto quanto me. Continua ad accarezzarsi il bracciale che si trasforma nella sua spada scura quasi fosse un cucciolo di gatto e sono quasi certa che quegli occhi neri saettano da una parte all'altra.

Un gruppo di sei ragazzi alti il doppio del figlio di Ares bevono coca-cola, lanciano le lattine a terra e gridano mentre si picchiano per finta.

Mi danno fastidio e il cuore prende a battermi un po' più veloce, così come il ciondolo che brucia dispettoso sulla mia pelle.

Lo stringo nel pugno e volto il capo, scrutando quei ragazzi che, vicino alla fermata, mi stanno guardando come se fossi una bistecca.

Carter grugnisce al mio fianco e si avvicina leggermente a me. Posso sentire i muscoli tesi del suo braccio anche sotto il tessuto della felpa.

Non capisco che stia succedendo ma Onda sta bruciando e il mio cuore batte sempre più veloce.

- Dove cavolo è il pullman? – domando con leggera apprensione, battendo nervosamente il piede sull'asfalto.

Carter ringhia ancora e quei sei ragazzi adesso si sono fermati e continuano a guardarmi, a guardarci come se fossimo delle cazzo di bistecche.

Un pullman argentato con un levriero sul muso e le fiancate si ferma davanti a noi con uno sbuffo e quando vedo la scritta “Chicago” sul vetro, il respiro torna leggermente regolare.

- Muoviti – ordina Carter e il tono è talmente tanto autoritario e quei ragazzi talmente tanto grossi e cattivi che non mi importa di essere afferrata per il braccio e trascinata brutalmente verso la coda di persone che sta per salire sul pullman.

Arranco dietro Carter per un paio di metri mentre la sua mano calda continua a stringermi il braccio quasi dolorosamente.

Il ciondolo sta continuando a bruciare sulla mia pelle e so che, come il pericolo l'ho sentito io, l'ha sentito anche Carter.

- Ciao – e sussulto quanto quei ragazzi si mettono tra noi e la fila di persone dirette a Chicago, incrociando le braccia sui petti allenati.

Osservo i muscoli che guizzano oltre le maniche corte della maglietta nonostante ci siano pochissimi gradi e Onda continua a bruciare con forza.

- Fateci passare – ordina Carter e la voce è talmente tanto fredda e arrabbiata che, anche se quei sei cosi sono più alti e grossi di lui, per un attimo, solo per un attimo, sembriamo noi in vantaggio.

Uno dei sei ragazzi ride, gettando la testa all'indietro e scoprendo una fila di denti giallognoli. “I kill”, il tatuaggio sull'avambraccio, guizza per il leggero movimento del muscolo e mi affianco a Carter, chiedendo il ciondolo nel pugno, preparandomi a trasfomarlo in spada.

- Piccoli, piccoli dei – canzona quel ragazzo e, assieme ai suoi compari, inizia a camminare verso di noi, facendoci indietreggiare.

Non ho idea di chi siano ma la parte peggiore è che sono umani, sono sei e non possono essere uccisi.

- Merda – dice Carter, un attimo prima di tirarmi via con lui.

Capitomboliamo a terra e sbatto la testa a terra con forza. Carter mi acchiappa per il cappuccio troppo tardi e vedo tutto a rallentatore.

Non riesco a muoversi, anche se vorrei e quei sei ragazzi stanno venendo ancora verso di noi, scrocchiandosi le dita.

Che diavolo vogliono? Basta.

Credo che Carter mi stia dando colpi al braccio ma non sento nulla.

Lo zaino mi è volato via dalle spalle come sono caduta e voglio solo che tutto questo finisca.

Non ci capisco niente, mi sente impotente e odio sentirmi così.

Le mani calde di Carter si stringono sulle mie guance e questo mi dirienta un po' perché è la prima cosa che riesco a sentire. Mi perdo nei suoi occhi scuri, spalancati per la rabbia e solo dopo qualche secondo, lo sento.

- REAGISCI!

Mi alzo di scatto, ringraziando l'adrenalina che mi scorre nelle vene, aspettando che quesi sei ragazzi vengano verso di me.

- Ehi, bello. Ci fai fare un giro con lei? – domanda uno, indicandomi col pollice e ringhio, saltandogli al collo.

Sono il doppio più alti di me, più forti ma non sono neanche la metà arrabbiati quanto la sottoscritta. Mi acchiappo alla sua testa e faccio correre le gambe attorno al suo collo, buttandomi all'indietro con uno scatto.

Il mio peso e la velocità dei movimenti lo fanno sbilanciare in avanti e poggio le braccia a terra, facendolo rotolare sull'asfalto.

Sento rumore di pugni non lontano da me e un attimo prima che mi possa alzare, qualcuno mi acchiappa per i capelli. Una mano mi stringe il sedere. – Soda.

- Già – mi limito a dire, dandogli una gomitata al viso talmente tanto forte che sento il meraviglioso crack delle ossa del naso rompersi sotto il mio gomito.

Molla la presa sui miei capelli, portandosi le mani al viso e indietreggiando, abbastanza perché possa assestargli un calcio sulla testa, facendolo cadere a terra e voltandomi di scatto verso l'idiota che ha appena gridato.

Mi abbasso di scatto e le braccia del tizio si chiudono sull'aria. Gli balzo sulla schiena, rimpendogli la testa di pugni e stringendo le gambe attorno alla sua vita mentre quello corre in cerchio, tentando di liberarsi di me.

Sento la risata di Carter e quello è abbastanza perché si possa beccare un pugno dal ragazzo con il tatuaggio.

Continuo a colpire il ragazzo con i pugni sulla testa e quando ringhia e mi afferra per le cosce, mi rendo conto di cosa sta per succedere.

- Nononono! – ma un secondo dopo, vengo sbattuta a una colonna in metallo e l'impatto è talmente tanto forte che mi manca il respiro.

Mi sbatte ancora una volta e il dolore è lancinante, troppo forte che possa sopportare un'altra cosa simile. È una scossa che parte dalla schiena, arrivando a tutte le mie terminazioni nervose e quando il tipo si allontana un'altra volta, riesco a liberare un tallone, colpendolo.. lì.

Impreca dal dolore e quando la presa si allenta, torna a sbattermi al metallo con forza.

La testa prende a girarmi come se fossi un cavolo di ottovolante e lotto per rimanere sveglia, senza riuscirci.

- Lasciala andare – ringhia una voce, familiare abbastanza perché mi ci posa aggrappare nella speranza di rimanere un minimo lucida.

La testa del ragazzo schizza a destra e sinistra con forza e un fiotto di sangue macchia l'asflato, mentre la presa sulle mie gambe inizia ad allentarsi.

Carter lo copisce ancora e poi, finalmente, il ragazzo crolla in avanti.

Mi aspetto di cadere in piedi ma le ginocchia mi cedono e la testa continua a girarmi ancora, come se avessi bevuto un po' troppo alcool.

Sbatto le ginocchia a terra e cerco di focalizzare ciò che ho davanti ma mi sembra di vedere solo un miscuglio di flash di telefonini che non fanno altro che disorientarmi.

- Alzati – mi ordina Carter e voglio farlo. Voglio alzarmi solo per orgoglio. Voglio alzarmi perché lo odio e perché non sopporto di vedermi così debole ma quando tento di rimettermi in piedi, la testa prende a pulsarmi con forza e le gambe cedono.

Sono certa di cadere, farmi nuovamente male, ma la mano di Carter mi acchiappa il braccio, sostenendomi poi per la vita.

- Alzati, principessa – mi sussurra all'orecchio, sfiorandomi la pelle con le labbra e facendomi rabbrividire.

Mi attacca al suo fianco, issandomi in piedi e gli risponderei male per avermi chiamato “principessa”, ma è già tanto se riesco a camminare.

- Prendi lo zaino – dice e mi aiuta, mentre mi inchino, afferrando le cinghie della borsa e incastrandola tra le dita. Arranchiamo verso il pullman, verso tutte le persone che ci stanno guardando e Carter si tira su il cappuccio, facendo lo stesso col mio. Impreca in greco antico e mi porta su per i tre scalini dell'autobus, mostrando i biglietti che abbiamo fatto prima all'autista, dando una spallata a un ragazzo poco più grande di noi e che stava continuando a farci video. – Idiota – borbotta osservandolo con odio mentre si sbatte al vetro della cabina dell'autista. – Siamo stati aggrediti! – esclama, mettendomi a sedere in uno dei posti centrali, vicino al finestrino. – E nessuno di voi ci ha aiutato. Guardate come sta la mia ragazza per colpa vostra! – continua e poggio la testa al sedile, chiudendo gli occhi e sorridendo per tutte le stronzate che dice e che, con ogni probabilità, avranno esattamente l'effetto che lui desidera.

Un leggero mormorio si solleva da tutti i passageri e apro leggermente gli occhi, in tempo per vedere quello che mi sembra l'autista dare cinquanta dollari a Carter, prima di tornare al suo posto.

Il figlio di Ares si siede accanto a me e le labbra sottili si stendono in un leggero sorriso mentre si infila i soldi nello zaino, un attimo prima che il pullman possa partire.

 

Stiamo andando verso sud la testa continua a pulsarmi ancora con forza.

Carter non mi ha più chiesto nulla. Non mi ha chiesto come sto, né se mi sono ripresa e mi impongo di fregarmene anche se, solo un po', mi fa male.

Sono passate un paio d'ore da quando siamo partiti e non ho neanche idea a che altezza siamo.

Ho paura e non so cosa aspettarmi da tutto questo casino. Se mi ero psicologicamente preparata solo per mostri, non ero affatto pronta a scontrarmi con dei mortali, consapevoli dell'esistenza di semidei. È stato talmente tanto inquietante che il suo pensarci mi fa pulsare la testa più dolorosamente e mi impongo di smetterla.

Carter si è appisolato accanto a me, con le mani sulle coscie chiuse nei jeans e la testa abbandonata contro il sedile.

Volto il capo verso di lui, soffermandomi a guardare il suo profilo: le labbra schiuse e rosate, sottili, cattive. Le ciglia lunghe e scure che gli accarezzano gli zigomi, i tratti marcati e il naso lungo.

Tiene il cappuccio tirato sul viso ma posso comunque vedere i tratti marcati, fin troppo simili a quelli della sorella.

È bello. Tanto bello quanto stronzo e Carter, ho imparato essere davvero stronzo.

- Smettila di farmi la radiografia.

Ecco, appunto.

La sua voce roca mi fa sussultare e borbotto un paio di volte, sistemandomi meglio sul sedile e raggomitolandomi con le gambe al petto.

- Stronzo – sibilo guardando la strada di campagna che stiamo costeggiando, tentando di ignorarlo ed evitando di chiedermi quando arriveranno i prossimi guai.

 

L'autista si ferma per l'ennesima volta e mi alzo leggermente per vedere chi sta facendo così tanto casino.

Guardo quel po' di persone che varcano l'entrata dell'autobus e corrugo la fronte quando sei ragazzi più atletici di Carter (il che è tutto dire) salgono schiamazzando e ridendo sguaiatamente.

Sento i muscoli di Carter irrigidirsi accanto a me e mi porto una mano sul mio ciondolo che ha iniziato a bruciare sulla mia pelle.

- Abbassati – mi ordina Carter quando quei sei tizi si fanno più vicini, tirandomi sul sedile e voltandomi verso di lui.

- Perc..

- Fallo e basta! – mi interrompe in un sibilo rabbioso e mi giro di scatto verso di lui. Pensavo sarei rimasta così ma lui mi avvolge un braccio attorno alle spalle e mi attira contro il suo petto. Sarebbe anche una bella posizione se non avessi il naso schiacciato contro di lui, ma nonostante tutto non posso fare a meno di sentire che ha un buon profumo e se me lo permettesse, mi sistemerei anche accoccolandomi contro di lui e rimanendo così fino a che il viaggio non termina.

Sento che quei sei ragazzi ci stanno passando accanto e Carter poggia la fronte contro la mia nuca chiudendo gli occhi, senza allentare la presa sulle mie spalle.

Non riesco a spiegarmi per quale motivo quel fastidioso organo al centro del mio petto sia impazzito e mi muovo un po' infastidita per la posizione contro Carter che mi lascia subito andare.

Lo guardo nella speranza di avere spiegazioni e lui scrolla le spalle, lo sguardo assottigliato e sono certa che stia ascoltando i rumori di quei sei che sono andati a sedersi negli ultimi posti, esattamente come sto facendo io.

- Quei tipi non mi piacciono. Se sono mostri sentono il nostro odore ma il non farci vedere è comunque un passo in avanti.

Annuisco e stringo i pugni chiedendomi se sarò in grado di sostenere un altro scontro. Ho preso nettare e ambrosia ma la schiena mi fa ancora male e la testa mi pulsa fastidiosamente, senza darmi tregua.

Le porte dell'autobus si chiudono con un tonfo e respiro forte prima di poggiare la testa al sedile e chiudere gli occhi quando il mezzo parte lentamente, immettendosi sulla statale.

Sono almeno le otto e mezzo del mattino e lo stomaco brontola costringendomi a metterci una mano sopra.

Sento Carter abbozzare una risata accanto a me e alzo gli occhi al cielo divertita lanciandogli un'occhiata di sottecchi. Noto che le persone dietro, davanti e accanto a me hanno cuscini e coperte e mi domando dove dormirò io. Probabilmente mi accontenterò della spalla di Carter anche se credo che mi colpirebbe con la sua spada prima che io possa inclinare la testa verso di lui.

Oggi, alla stazione mi ha salvato ma credo che l'abbia fatto solo perché una guerriera in più gli può soltanto essere utile, i sentimenti non c'entrano e non c'entreranno mai niente quando si tratta di me e lui.

Quei sei ragazzi continuano a fare rumore ma nessuno sembra accorgersene o almeno preoccuparsene abbastanza. Corrugo ancora la fronte e le palpebre si fanno leggermente pesanti. Sto per controllare con la testa contro il sedile, quando una frase mi fa drizzare in meno di qualche secondo:

- Piccoli deeeei – dice una voce gutturale accompagnata da un paio di schiamazzi e quelle che sembrano pacche sulla spalla, – venite a giocare?

Carter impreca un paio di volte e guarda la strada fuori di sé. Siamo fuori New York ormai su una statale costeggiata solo da zone di campagna che, a meno che non ti si bloccasse il pullman, non noteresti mai. Punto subito dopo i suoi occhi neri nei miei e si passa la mano sul bracciale.

- Vattene – mi dice e sbarro gli occhi per la cavolata del secolo.

Rido sarcastica ma mi interrompo davanti alla sua espressione fin troppo seria, – stai scherzando? – faccio con un sopracciglio alzato e lui sbuffa infastidio continuando ad accarezzarsi il bracciale.

- Vattene, ho detto. Vogliono te, non me quindi scendi da questo cavolo di pullman e vai a recuperare mia sorella – sibila rabbioso.

Alzo entrambe le sopracciglia e lo guardo come se fosse pazzo cosa che, tanto per essere chiari, non mi sembra poi cos lontana dalla realtà, – scordati che ti lascerò qui da solo contro quei cosi.

- Piccoli deeei – chiamano ancora ridendo, – venite voi o veniamo noi?

Carter mi guarda spazientito e nonostante lo stomaco mi faccia male per la tensione non ho intezione di lasciarlo a combattere da solo. Per quanto sia abile e stronzo, non lascerei mai nessuno da solo contro sei energumeni.

- Sto cercando di salvarti il culo, stupida! – sibila ancora e gli do un colpo sulla spalla.

- Io voglio salvare il tuo, idiota.

Sbuffa e alza gli occhi al cielo e gli tiro un altro colpo, – tieni le mani apposto – mi ordina e lo guardo con un sorriso di strafottenza che mi increspa le labbra.

- Altrimenti?

- Sei davvero una bambina.

- E tu un coglione ma nella vita bisogna sapersi accontentare.

Lui sbuffa ancora e si sporge verso di me, afferrandomi il bavero della felpa e tirandosi verso di sé, – ho detto: vattene – sussurra deciso scandendo le parole e fisso i miei occhi nei suoi, così vicini che mi ci potrei anche specchiare, se volessi.

Il mio respiro si lega al suo e chiedo cosa succederebbe se fossimo ancora più vicini e se ci sopportassimo un po' di più.

Lui mi guarda e dentro quelle pozze scure, mi ci perdo. Non riesco a decifrare i suoi occhi, non ci riesco e forse non voglio ma lui mi guarda come se mi vedesse per la prima volta e io mi bagno le labbra ignorando i crampi per la fame che sono stati sostuiti da qualcos'altro.

- Vai via, Ariel. Vai via e porta in salvo mia sorella.

- Ma.. – sbarro gli occhi quando uno di quegli energumeni ghigna, davanti a me. – Carter! – grido, tirandolo verso di me per la felpa.

Il fragore del sedile rotto mi inonda le orecchie e il cuore mi batte a mille quando osservo due di quelli energumeni davanti a noi, con un ghigno stampato sui visi deformi e il pugno di uno di loro piantato esattamente dov'ero io.

- Abbiamo deciso di venire noi a giocare – dice uno e si guarda con il compare. Ghignano ancora prima che possano flettere i muscoli già di per sé enormi. Le magliette che portano si strappano e mi porto una mano al ciondolo sistemandomi tra le gambe di Carter che, non so per quale motivo, ha un braccio attorno alla mia vita.

Quei cosi si ingradiscono fino a raggiungere con la nuca il tettuccio dell'autobus e se non fossi certa che siano mostri, direi che si sono pompati un po' troppo di steroidi.

- Lestrigoni – dice Carter e quello è abbastanza perché, accompagnata da una sua spinta, salti sul sedile davanti al mio, calandomi il berretto dell'invisibilità sulla fronte.

E dal quel momento in poi, è il caos.

I passeggeri urlano, Carter ruggisce e quegli affari si limitano a ghignare e a schernirci.

Scavalco un paio di sedili andando verso l'autista che cerca di capire che diavolo stia succedendo senza fermarsi e limitandosi a una visuale parziale dallo specchietto retrovisore.

Cado addosso a una coppietta che aveva deciso di procreare figli su un autobus e la ragazza castana grida quando le cado addosso, – mi dispiace! – urlo in riposta uscendo lateralmente e correndo lungo il corridoio.

Non so bene che cosa voglio fare ma Carter è da solo nei posti centrali e in qualche modo lo devo aiutare.

Mi guardo attorno spaesata quando vedo il freno a mano enorme nella cabina dell'autista. Mi ci lancio sopra senza pensarci un secondo di più e lo tiro con forza contendendomelo con il conducente che grida.

- Che diavolo stai facendo? – mi urla Carter e sento distintamente il suono di una spada che trafigge qualcosa.

- Fuori uno – dico con un mezzo sorriso tra le grida dei passeggeri che spero davvero perdano la voce.

Le gomme stridono sull'asfalto e ringhio tirando il freno a mano verso di me, contrastando la forza dell'autista che non controlla il volante.

- Tieniti! – esclamo cercando di sovrastrare le voci dei passeggeri e sperando che Carter mi capisca al volo.

L'autobus inchioda con forza e mi reggo al freno a mano quando veniamo sbalzati in avanti.

- Due! – esclama Carter dopo che sento un magnifico rumore di mostro polverizzato.

Sorrido d'istinto.

L'autista impreca e prende il volante, stringendo inconsapevolmente la mia mano quando solleva il freno, schiacciandomela. Preme il piede sull'acceleratore con forza.

Il cappellino mi vola via e grido perdendo la presa sul freno a mano e sbattendo la schiena a terra. Il respiro mi manca per qualche secondo e sbatto le palpebre per un secondo cercando di recuperare lucidità ma mi alzo di scatto quando sento un gemito e vedo Carter piegato in due, ignorando la testa che mi gira e le ginocchia che mi fanno ancora male.

- Ehi! – grido agitando le braccia con un sorriso di scherno, – come va? – e quello è abbastanza perchè i cinque lestrigoni rimasti perdano la concentrazione.

Carter ne infilaza velocemente due e uno dei tre rimasti, quello che porta un tatuaggio che dice:”Joe ama Pasticcino” ringhia.

Stringo il ciondolo e onda si allunga sulla mia mano in pochi istanti.

- Giù – esclamo quando scaglio la spada contro i lestrigoni beccandone uno in piena fronte che guarda confuso l'elsa che spunta dal cranio prima di diventare polvere.

- Morirai – ruggisce il lestrigone con il tatuaggio venendo verso di me e gli sorrido.

- Non è nei miei piani.

E gli corro incontro.

Quello mi guarda come se fossi la prima degli idioti e ignoro altre urla da parte dell'autista e dei passeggeri che chissà che cosa stanno vedendo adesso.

Scivolo sotto le gambe del mostro e afferro la mia spada rialzandomi di scatto e infilandolo sulla schiena, guardandolo diventare polvere in pochi secondi.

Mi volto di scatto notando una nuvola di polvere davanti a Carter che abbozza un sorriso.

- Bel lavoro, bambina. – Lo guardo confusa.

- Non chiamarmi così – dico con un mezzo sorriso.

 

Carter mi guarda con un cipiglio divertito sul volto e distolgo lo sguardo dal panino per puntarlo verso di lui: – Che c'è? – domando.

- Come fa a starci tutta quella roba dentro di te? – chiede, alludendo al panino con hamburger che ho tra le mani, le patatine, le crocchette di pollo e la coca-cola sul vassoio marrone del McDonald.

- Mi mancava il cibo spazzatura – e chiudo gli occhi quando do un morso al pane e alla carna secca ma che comunque, al mio palato risultano anche fin troppo buoni.

Carter mi guarda per un po' prima di scuotere la testa e bere dalla sua coca-cola.

- Come mai così loquace? – domando poggiando il panino sul piatto e bevendo un po' della mia coca-cola.

Lui inclina la testa di lato e si rabbuia per un po' facendomi pentire di avergli posto quella domanda. – Ci siamo salvati la vita a vicenda, bambina. Io direi di stipulare una tregua – allunga una mano verso di me sopra al tavolo e la fisso divertita prima di pulirmi un po' le mie tra loro, – che ne pensi? – mi domanda e annuisco un paio di volte stringendogliela.

La sua mano è calda contro la mia incredibilmente fredda e rimaniamo così per un po', fissandoci negli occhi.

Qualcuno dentro il fast-food grida e mi volto di scatto verso le vetrate rendendomi conto che quelle urla precedevano un'esplosione.

- Giù! – fa Carter e con le mani ancora unite mi tira dietro al tavolo accovacciandosi su di me quando i vetro si infrangono e le persone gridano ancora di più.

- E chi diavolo è adesso? – sbuffo irritata sistemandomi la felpa appena Carter mi lascia libera di muovermi.

Farò indigestione di ambrosia, lo so.

Nessuno dei due commenta quello che è appena successo e quando guardiamo fuori dalle vetrate, è unanime la decisione di far scattare le spade.

- Piccoli dei – dice la donna affabile e cerco di ignorare i gemiti e i pianti di adulti e bambini che sono stati colpiti dalle scheggie di vetro.

Assottiglio lo sguardo osservando furente, finché posso la donna che in origine doveva essere bellissima ma che adesso, porta un turbante scuro sul viso con un velo extra sugli occhi.

Stringo l'impugnatura di onda e sento distintamente i muscoli del braccio di Carter irrigidirsi contro i miei.

- Ci facciamo una foto assieme? – domanda il mostro e poi ride procurarmi dei brividi fastidiosi lungo la spina dorsale.

- Benissimo – fa Carter senza staccare gli occhi dalla donna fuori dal locale, – qualche idea su come uccidere Medusa?


Angolo autrice: 
Ehiila<3 
Allora, ecco qui quasi un'intero giorno di impresa che non è stato mica tanto tranquillo ahahhaha Ariel e Carter sono abbastanza nella merda, anche adesso che si troveranno contro Medusa e se ne vedranno delle belle. 
Non sono ancora uniti, Carter la odia e Ariel ha un carattere tutto suo ahah faranno e fanno scintille^-^ 
Quei sei ragazzi non erano altro che "mercenari" come li ha definiti Percy nella "maledizione del titano" e quando sembrava che potessero avere un po' di pausa, ecco che arriva Medusa. 
Ariel sta parecchio male in questo capitolo e Carter la aiuta ma solo -secondo lei- perché ne ha bisogno. 
Spero mi lascerete un parere, lo sapete che per me sono importanti! 
Grazie mille a tutti, alle persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite e ricordate, a chi si prende la brga di recensire ogni capitolo e chi legge e mi segue silenziosamente! 
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Love yaa<3
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Capitolo 8
*** Carter rischia di essere pietrificato ***


Carter rischia di essere pietrificato
 
 
 
- Ho avuto un sogno su di lei – dico – Perso la uccide da addormentata guardando il suo riflesso sullo scudo. – Medusa fa un passo verso di noi e sorride, – ma adesso mi sembra anche troppo sveglia.

Carter stringe l'elsa della spada e sbuffa scocciato, – ribadisco: qualche idea su come ucciderla?

- Hai uno specchio? – chiedo senza pensare e lui si volta verso di me stralunato, spingendomi a fare la stessa cosa.

- Sei tu la ragazza della situazione. Non dovresti averlo tu uno specchio?

Corrugo la fronte e mi porto la mano sul fianco, indispettita, – che razza di sessista! – lo accuso facendolo sbuffare, – e poi cosa vuol dire “la ragazza della situazione”?

- Dei! Vogliamo metterci a discutere proprio adesso?

- Grandissima idea. Chi diavolo ti ha nominato capo dell'impresa, eh?

- Visto, sei davvero una bambina! Ed è logico che sia io il capo.

- A si, parla l'uomo vissuto! E se tu sei il capo siamo davvero nella merda. – bercio sarcastica, ma quando i serpenti di medusa stretti nel turbante sibilano ancora, la nostra attenzione decide di spostarsi sul problema principale.

Ci muoviamo cauti calpestando i vetri e lanciando di tanto in tanto occhiate ai mortali feriti. Spero che qualcuno di loro chiami un'ambulanza il prima possibile, né io né Carter abbiamo un telefono che lo possa fare.

Usciamo all'esterno e il freddo dentro il fast food è niente paragonato al gelo che c'è fuori e che mi entra sotto ai vestiti e dai buchi delle All Star.

- Allora, piccoli dei volete farvi una foto con me? – dice Medusa con voce talmente dolce che per un secondo rilasso i muscoli e allento la presa sulla spada, – volete stare con me per sempre? – aggiunge e sorride e quel sorriso è talmente tanto dolce e gentile che la spada quasi mi scivola tra le dita mentre la guardo.

- Zitta – sibila Carter e si fa avanti velocemente, sottovalutando la potenza di Medusa.

- No! – grido troppo tardi e Medusa si leva il turbante con un ghigno lasciando che almeno un centinaio di serpenti verdi sibilino attorno alla sua testa.

Abbasso di scatto il capo verso sinistra serrando gli occhi e sento Carter esclamare, i piedi che scivolano sulla neve e che si fermano di colpo. Il cuore mi batte nel petto a una velocità spropositata per la paura e sento il distinto rumore della spada che cade sulla neve.

- Allora, piccolo dio, andiamo a farci una foto? – e non sento Carter protestare ma solo dei passi che si allontanano velocemente sulla neve.

Impreco un paio di volte e aspetto che spariscano tra gli alberi dall'altra parte della strada prima di aprire gli occhi e imprecare. – Stupido figlio di Ares.

Mi tolgo il berretto blu degli Yankees dalla tasca posteriore dei jeans e me lo calo sulla testa, sperando che almeno un po' questo mi possa aiutare.

Afferro la spada di Carter con la mano sinistra e seguo le loro impronte lasciate sulla neve e mi apposto dietro il primo muretto di marmo che trovo, osservando le loro figure poste lateralmente a me e al centro di una radura tra gli alberi, circondata da moltissime statue.

Mi prendo qualche istante per osservare le statue e spalanco gli occhi davanti alla vista di volti terrorizzati, mani vicine al viso nella speranza di schermarselo dal potere di Medusa. Coppie paralizzate e famiglie distrutte e trattengo un urlo quando mi rendo conto di avere le mani attorno al bacino di pietra di una ragazza alta quanto me.

Incespico un po' sulla neve attirando l'attenzione di Medusa su di me e lei mi sorride, come se mi vedesse e mi tasto la testa per esser sicura di avere il berretto dell'invisibilità sul capo.

Momentaneamente mi ero scordata di averlo.

Medusa continua a guardare verso di me per un altro paio di secondi prima di rafforzare la presa sugli avambracci di Carter che continua ostinatamente e tenere gli occhi serrati e la testa volta verso di me, anche se lui non lo sa.

Devo trovare un modo per avvicinarmi ma non so bene come fare dato che, nonostante la pioggia, un po' di neve persiste ancora e sopratutto, quella Medusa sente il mio odore.

In un momento di puro panico mi ritrovo a sperare che sia congelata ma la sua voce mi distoglie dal groviglio senza fine che è la mia mente.

- Allora, piccolo dio. – Dice piano accarezzandogli il volto e facendogli storcere il naso, – sei così bello – fa suadente passandogli un dito sulle labbra mentre i serpenti sibilano, tremendamente vicini al volto di Carter, – perché non apri gli occhi, figlio di Ares? Io voglio che tu stia con me, per sempre. Solo io e te e nessun altro.

- Scordatelo – risponde Carter con quel suo tono duro che è riuscito a intimidirmi dal primo giorno, e ringrazio di avere il berretto dell'invisibilità perché non voglio che mi veda sorridere a quel ricordo.

- Non voglio farti male, piccolo dio. Io voglio proteggerti – dice con un tono lento , suadente che ha quasi l'effetto di una ninna nanna su di me. Scrollo il capo e stringo la presa sull'elsa delle spade concentrandomi sul viso di Carter per non crollare nella trappola di Medusa.

– Che fortuna, dico davvero – interviene Carter con voce leggermente strozzata e mi chiedo come faccia a fare sarcasmo anche con dei serpenti a due centimetri dal viso.

Medusa storce il volto e gli infila un'unghia nella guancia, facendolo gemere. Stringo lo sguardo e muovo il primo passo avanti per ucciderla ma poi Medusa parla ancora, costringendomi a fermarmi.

- Chi ti ha costretto in quest'impresa? – domanda Medusa e se non sapessi che è un mostro e che vuole ucciderci penserei che sia anche realmente dispiaciuta, – gli dei? I ragazzi al tuo amato Campo?

- Devo salvare mia sorella – e dalla smorfia che fa mi rendo conto che avrebbe preferito non parlare ma non è riuscito a stare zitto. E qui non c'entrano iperattività e impulsività, qui c'entra solo Medusa e quei cavolo di poteri psichici che non pensavo avesse.

- Ovvio – fa Medusa comprensiva e gli accarezza nuovamente le labbra con un dito facendogliele contrarre in una smorfia. I serpenti sibilano e muovo un passo ancora, ma quello che dice Medusa dopo mi fa bloccare con un piede a mezz'aria e la schiena un po' inarcata, pronta per la corsa, – ma solo per tua sorella? O sotto sotto sei contento che con te ci sia anche la figlia di Poseidone? È bella, vero? – e lo stomaco mi si stringe in una morsa quando Medusa pronuncia quella domanda.

Vedo il pomo d'Adamo di Carter muoversi appena deglutisce e mai prima d'ora avevo desiderato così tanto di uccidere una persona.. o mostro che sia.

- Come immaginavo, piccolo dio – gli afferra bruscamente il mento con la mano voltandolo verso di sé. I serpenti sibilano e Carter sussulta tenendo gli occhi più serrati che mai, – ma lei non ti ama – sibila, – lei non ti amerà mai. Per lei sei solo una pedina per diventare più potente – continua con la voce che da quel rabbioso che aveva assunto, va a sfumarsi in un tono dolce, quasi ipnotico, – rimani con me, Carter. Rimani con me, per sempre.

E le palpebre di Carter si rilassano. So che non aprirebbe mai gli occhi, non per quello che gli ha detto Medusa ma non posso perderlo e grido prima che me ne possa realmente rendere conto, – non aprire gli occhi, Carter. Non ti azzardare perché credimi, se fai una stronzata del genere sarò io ad ucciderti! – la mia voce lo riporta alla realtà e sorrido vedendolo ridere.

Medusa rafforza la presa sui suoi avambracci e la risata di Carter si interrompe di colpo quando lei lo scuote un po'. Annusa l'aria e poi sorride, – un'altra figlia di Poseidone. – Constata, – tuo fratello mi aveva ucciso una volta. Tu vuoi rimanere con me per sempre? – e abbozzo una risata avvicinandomi lentamente a loro due e sperando che Medusa continui a rimanere voltata verso Carter.

- Non trovi che il fatto che mio fratello ti abbia ucciso dica molte cose? – e mi scaglio su di lei scordandomi che nonostante il capellino dell'invisibilità posso comunque guardarla negli occhi. Medusa si volta di scatto verso di me e incespico sui miei stessi piedi per il panico facendo cadere le spade e atterrando di pancia sulla neve.

- Ariel! – grida Carter e spero vivamente che nonostante la mia formidabile caduta stia tenendo gli occhi chiusi. Cerco la spada a tentoni, diventata ormai visibile per aver perso il contatto con il mio corpo e mi allungo sentendo la lama fredda contro le mie dita ma Medusa la calcia via velocemente.

Il freddo mi penetra nelle ossa per il cappotto e i jeans bagnati e, – piccola dea – sento Medusa esclamare radiosa, – sento il tuo odore – dice allungando le mani verso di me nonostante indossi il cappellino dell'invisibilità.

Rotolo via velocemente tenendo gli occhi chiusi e sono ancora convinta che lei si dedichi a me, prima che si scagli su Carter cogliendolo di sorpresa e facendolo trasalire.

Lo afferra per gli avambracci portando il suo viso a un palmo dal proprio e lo guardo torcere il naso quando parla. Probabilmente è da un po' di millenni che non vede un dentista.

- Dai, piccolo dio non vuoi vedere chi sono realmente? – ricomincia Medusa con quella voce calma e suadente che aveva rischiato di abbindolarmi più volte, – non vuoi stare con me per sempre e smettere di soffrire? Io lo so che lo vuoi, piccolo dio. Lo vogliono tutti. Staresti meglio con me. Smettersti di star male ogni giorno per tua madre che ti ha abbandonato quando eri solo un bambino e smetteresti di rischiare la vita per gli dei che non si sono mai preoccupati di te – stringo i pugni sentendomi un verme nell'ascoltare ciò che Medusa gli sta dicendo e guardo Onda a una decina di metri di distanza da me.

Devo prenderla assolutamente.

- Io, infondo, piccolo dio, sono così per un capriccio degli dei. La dea dagli occhi grigi mi ha ridotto così. Mi ha ridotto al mostro emarginato che sono adesso ed è per questo che creo le mie statue, perché non voglio sentirmi più sola – accarezza il viso di Carter e mi balenano in mente gli occhi di Annabeth, quegli occhi grigi che mi piacciono tanto.

Atenta, penso, è Atena che l'ha ridotta così?

Ma la compassione che provo per Medusa scompare quando mi rendo conto di essere circondata da statue di persone innocenti e che lei ha ucciso per una stupida faida contro gli dei.

- Piccolo dio rimani con me – continua Medusa con la sua voce suadente e mi concentro su onda ad un po' di metri da me. – Che cosa mai potranno darti gli dei se non una vita piena di sofferenze? Rimani con me, piccolo dio e non ci sarà più una madre che ti ha abbandonato, prima te e poi tua sorella – mi fermo di colpo e una morsa mi stringe forte lo stomaco.

Volto lo sguardo verso Carter e noto i lineamenti del viso tesi e i muscoli contratti e Medusa sorride perché lo sa che sta centrando il segno, – ne vale la pena, Carter? Vale la pena soffrire così tanto per chi non ti ama? – domanda ancora sembrando seriamente dispiaciuta e una lacrima solitaria riga la guancia di Carter.

Serra un po' di più le palpebre e poi volta il viso verso Medusa che sorride mentre i serpenti si aprono all'esterno.

E dimentico la spada correndo e saltando alle spalle di Medusa, perdendo il berretto dell'invisibilità da qualche parte nella neve. Il mio peso e abbastanza per farla cadere a terra sulla neve e mi butto con tutto il peso del corpo sulla sua testa ignorando i serpenti che sibilano sotto la mia pancia e il suo urlo di sorpresa.

Mi allungo per prendere la spada e riesco a prendere l'elsa con entrambi le mani congelate.

Provo ad alzarmi ma Medusa mi conficca le unghie sui fianchi per tirarmi giù con lei. Le mani congelate mi fanno perdere la presa sulla spada e Medusa si butta sul mio corpo stringendomi il collo con la mano.

Il suo peso mi tiene bloccata a terra e serro velocemente gli occhi.

È finita.

Ed è l'unico pensiero logico che ho in questo momento.

- Perché combatti per gli dei, piccola dea? – domanda con un po' di fatica e sistemandosi meglio su di me per tenermi ferma.

Provo a divincolarmi ma quando un serpente sibila e scatta nella mia direzione, mi fermo di colpo. Il freddo penetra oltre il tessuto dei jeans e si, è davvero finita.

- Non combatto per loro – dico con la voce un po' strozzata per il fiato che mi sta portando via la mano di Medusa attorno al mio corpo.

- Fai tanto per loro e loro non fanno niente per te.. – provo a divincolarmi ancora una volta ma la sua presa si rinvigorisce, – se gli dei ti avessero aiutato non ti avrebbero lasciata da sola a cercare di far vivere tua madre..

- Stai zitta! – strillo racimolando tutta l'altra possibile anche se la mano del mostro continua a cingermi la gola. Mi agito sotto di lei inutilmente mentre un moto di rabbia si fa largo dentro di me come lava bollente: il tasto “mamma” non deve essere toccato in alcun modo.

- Lo sai bene, tesoro mio. Sei sempre stata sola – dice realmente dispiaciuta.

Io so che è così. Io so che Medusa ci sta male per la mia situazione e so bene che mi vuole aiutare perché non ce la faccio più a provare tutto questo dolore. È troppo anche per me.

- Tuo padre non ha mosso un dito per aiutarti. Ti ha lasciato fare qualsiasi cosa pur di salvare tua madre. Ti ha visto fare qualsiasi cosa senza mai agire – e lei ha ragione perché io ho davvero fatto di tutto solo per vedermi scivolare via la sabbia tra le dita un po' più lentamente. E lascio che le lacrime mi bagnino le guance perchè sono sopraffatta dai ricordi e perché non ce la faccio a sopportare tutto questo. È troppo e ho resistito troppo a lungo.

- Tutto questo con me può finire, questo dolore può finire, piccola dea. Ti basta solo aprire gli occhi.

- Può davvero finire tutto questo? – domando lasciando che le lacrime mi corrano sul viso senza sosta. Ma è perfetto così e io voglio smetterla di star male così tanto. Voglio essere felice, almeno per una volta.

E apro gli occhi lentamente iniziando a vedere il viso di Medusa e i serpenti che si muovono.

Va bene così.

Adesso starò meglio.

E tutto finirà.

E io non soffrirò più.

E sarò felice almeno per una volta.

Ma poi, il segno inequivocabile di una testa mozzata mi riporta bruscamente alla realtà. Volto il capo osservando la nuca di Medusa un po' lontano da meche continua a ruzzolare sulla neve, lasciando una scia verde mentre i serpenti che si muovono indeboliti. Il corpo cade verso di me e allungo un braccio, spostandolo verso sinistra e facendo finire anche quello sulla neve.

Carter è in piedi davanti a me, il petto ansante e la sua spada borchiata stretta in due mani.

Del liquido verde continua a fuoriuscire dalla testa di Medusa e torno a guardare Carter che fa ritrasformare la spada in un bracciale, indietreggiando per fami alzare.

Mi sollevo lentamente e mi asciugo le guance col dorso della mano.

Stai bene? – domando tirando su col naso e cercando di riprendermi almeno un po'.

- Tutto bene – mormora guardandomi. Scuote la testa e la butta all'indietro prima di allargare le braccia, – andiamo, bambina vieni qui.

E seppellisco un singhiozzo contro il suo petto circondagli la vita con le braccia e lasciando che lui mi stringa a sé.

Carter non mi sembra tipo da abbracci ma Medusa c'è andata pesante con entrambi e anche se non lo ammetto mai, io ho bisogno di abbracci, ho bisogno di presenze e certezze e mi fa un po' strano realizzare che in questo momento, Carter sia la mia.

Respiro il suo odore che è un misto di leggero sudore, Campo e un profumo tutto suo che l'ha sempre contraddistinto.

Mi piace stare tra le sue braccia, mi fa sentire stranamente protetta e lascio che mi poggi il mento sulla testa mentre continua a stringermi a sé facendomi dimenticare, almeno per i secondi che rimaniamo uniti, la situazione terrificante nella quale ci troviamo.

Adesso siamo solo due ragazzi di sedici e diciotto anni in gita scolastica che un po' si odiano e un po' si amano e questo non fa che rendere il tutto ancora più eccitante.

Mi prende il viso tra le mani senza che io smetta di stringerlo delicatamente per la vita e mi asciuga le lacrime in un altro impeto di dolcezza che riesce a sorprendermi. Mi sorride, – vedi che sei una bambina? – Dice affettuosamente e mio malgrado, riesce a strapparmi una risata.

- È andata anche questa. Andiamo a fare fuori un altro po' di mostri? – chiedo divertita e Carter annuisce con un sorriso prima di lasciarmi andare.

Mi volto a guardare la testa di Medusa alle nostre spalle, i serpenti che sibilano stanchi e un po' di liquido verde che continua a far sfrigolare la neve attorno a sé.

 

Gli ho mandato la testa di Medusa come pacco postale” mi sorride Percy passandosi una mano tra i capelli e lo imito, osservandolo con orgoglio.

Scherzi?”

Assolutamente no!” esclama mio fratello “se adesso noi poveri sfigati siamo costretti a combattere mostri come lei è solo per colpa degli dei. Mi è sembrato giusto ricodarglielo.”

 

Sorrido a quel ricordo e Carter mi guarda curioso, – che c'è?

- Aspettami qui – gli rispondo prima di correre verso il McDonald.

Noto che hanno chiamato l'ambulanza ed entro nel fast food senza farmi vedere dai paramedici dato che sono certa che mi fermerebbero per dei controlli.

Alcuni dei mortali stanno venendo curati, altri parlano tra loro o con i medici e lo vedo dalle loro espressioni che sono ancora scossi e spaventati.

Intercetto una scatola con una morsa allo stomaco per il dispiacere verso persone ignare a tutta quella sofferenza e costretta a viverla nel modo più sbagliato, e afferro la prima di quelle scatole quadrate di cartone che originariamente doveva contenere pane per hamburger.

Corro verso la radura di Medusa e arrivo da Carter che intanto sta guardando la statua di una famiglia con un velo di tristezza negli occhi.

- Che fai? – domanda con una nota stridula nella voce spostando lo sguardo su di me.

Mi inchino per prendere il velo di Medusa poggiando la scatola sulla neve accanto a me. Gli sorrido da sopra la spalla e osservo il cielo terso di nubi grigie mentre tento di bendare Medusa senza guardarla negli occhi.

I serpenti sibilano mentre mi avvicino e rabbrividisco anche se le assicuro il foulard dietro la testa e la acchiappo con non so quale coraggio.

Un serpente scatta contro la mia mano e grido lanciando la testa dentro la scatola e facendo scoppiare a ridere Carter.

- La testa è bottino di guerra, giusto? – dico, e lui annuisce tra le risate, – finiscila, idiota – borbotto divertita anche se sentire la sua risata non mi dispiace per nulla. – Bene, voglio rendermi degna sorella di mio fratello – dico con un sorriso furbo sulle labbra chiudendo la scatola e togliendomi il pennarello dalla tasca che ho preso prima dal bancone del McDonald.

 

Gli Dei

Monte Olimpo

600esimo Piano

Empire State Building

New York, NY

Buon Natale,

spero che il vostro sia bello tanto quanto il mio:)

Vaffanculo,

Ariel Miller

 

Estraggo qualche dracma d'oro dallo zaino abbandonato in un angolo della radura e quando le infilo dentro la scatola, quella scompare dopo un Pop e un suono simile a quello di un registratore di cassa.

- In questo momento – esordisce Carter prendendomi lo zaino e mettendoselo su una spalla, – hai tutta la mia più totale stima.

Sorrido dandomi fintamente arie, – è una dote naturale.

Ci incamminiamo con una risata verso il pullman e sbarro gli occhi quando me lo vedo sfrecciare davanti senza noi due sopra.

Corriamo verso di lui per istinto ma poi ci fermiamo qualche istante dopo.

- Non ci voglio credere – mormoro passandomi una mano tra i capelli mentre Carter impreca guardandosi attorno.

  • Effettivamente le cose stavano già andando troppo bene – da uno sguardo alle due volanti della polizia ferme davanti al McDonald e poi mi fa un cenno verso la strada che si spiana davanti a noi, – ti va di fare due passi?

 

Camminiamo in silenzio per un po'. Sono passati forse una decina di minuti e mi bagno le labbra con la lingua un paio di volte prima di trovare il coraggio per parlare, – Carter, a proposito di quello che ha detto Medusa.. – inzio guardandolo da sopra la spalla mentre camminiamo sul ciglio uno dietro l'altra.

- Io non faccio domande a te, tu non le fai a me, ci stai? – e gli sorrido da sopra la spalla annuendo un paio di volte, grata per ciò che ha appena detto.

 

Sussulto quando, dopo dieci minuti di camminata che non avevo sentito rumori di motore, un Harley Davinson rossa mi sfreccia accanto scuotendomi vestiti e capelli.

Impreco per lo spavento bloccandomi di colpo e Carter si scontra contro la mia schiena.

Sento distintamente i suoi muscoli irrigidirsi contro i miei e quando il motociclista scende dal suo gioiellino a un paio di metri da me, non mi ci vuole molto a capire perché: l'uomo porta jeans neri in pelle e un cappotto dello stesso colore, una maglietta aderente che gli segna il fisico allenato e degli occhiali da sole che nascondono parzialmente il viso, probabilmente bello se non fosse ricoperto di cicatrici.

Lo sguardo mi cade sul sellino che ricorda vagamente pelle umana e rabbrividisco prima che quel po' di inquietudine venga sostituita da stati d'animo ormai familiari per me: i pugni tremano per la tensione, la rabbia e l'irritazione. La schiena quasi brucia e respiro forte perché voglio prendermela con qualcuno. Voglio prendere a pugni qualcosa fino a spaccarmi le nocche ma ciò che mi destabilizza di più e che non so assolutamente il perché voglia fare tutto questo.

Ma alla fine, so bene chi è il dio che si è appena fermato davanti a noi e che mi sta mostrando un ghigno divertito.

Sono certa che si nutra della rabbia che sto provando in questo momento e ricordo le parole di mio fratello:”mi odia e probabilmente, odierà anche te. Ti farà arrabbiare e ti provocherà ma non metterti contro di lui. Non conviene a nessuno mettersi contro Ares”.

Perché il motociclista che ho difronte non è altro che il dolcissimo e amabilissimo papà di Carter.

Gran bel modo per conoscerlo, no? Non ci ho neanche parlato e già voglio ucciderlo, promette decisamente bene.


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3
Ed ecco qui anche lo scontro con Medusa che spero non vi abbia deluso ahahah le sue persuasioni nei confronti dei ragazzi mi servivano sopratutto per rivelare qualcosa di più su Carter dato che la storia sarà interamente scritta dal punto di vista di Ariel. E' stato abbandonato dalla sua mami e ha un debole o, comunque, prova qualcosa per Ariel ed è decisamente qualcosa di non indifferente ahahahah 
Ovviamente, non potevo non fare un tributo a Percy nel "Ladro di Fulmini" dove impacchetta la testa di Medusa e la manda sull'Olimpo. Ariel fa la stessa cosa ma nel suo stile, infatti li prende per il culo e poi li manda a quel paese ahahahah 
Vorrei ringraziare Ale_Mellark per aver trovato il nome dela coppia: Arter! Vi piace? A me moltissimo ahahah 
Ovviamente, grazie mille a tutti quelli che si prendono la briga di recensire, a chi mette la storia tra le preferite, seguite o ricordate e anche a tutti quei lettori silenziosi, ormai lo sapete bene che neanche le visite a capitolo passano inosservate:** 
Mi fate sapere che ne pensate?:*
Grazie mille ancora, 
Alla prossima, 
Lova yaa<3
x


   

 

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Capitolo 9
*** Il dio della guerra ci chiede un favore ***


Il dio della guerra ci chiede un favore
 

 

Fisso Ares nelle lenti degli occhiali da sole scuri e vorrei tanto dargli un paio di pugni sul quel volto pur di togliergli il ghigno divertito dalla faccia.

- Il vecchio Alga Marina si è dato da fare – dice guardandomi e assottiglio lo sguardo sperando che la sua moto e il suo bel culo da dio prendano fuoco in questo preciso istante.

- Ha visto? Che bello – gli rispondo sarcastica e con un sorriso talmente finto che anche il primo degli idioti riuscirebbe a capirlo.

Sento distintamente la mano di Carter che avvolge forte la mia in un muto avvertimento ma la scossa elettrica al braccio viene oscurata dal ghigno di mio cugino.

- Ho un conto in sospeso con quel simpaticone di tuo fratello, non vuoi costringermi a saldarlo con te, vero? – domanda eloquente e alzo le sopracciglia in una pura espressione scettica.

- Ma è serio? Mio fratello le ha salvato le divine chiappe due anni fa contro Crono. Io credo che i vostri debiti siano stati saldati, lei no? – e Carter mi stringe la mano ancora più forte, quasi facedomi male. “Chiuditi quella bocca”: è ciò che la sua stretta vuole dirmi ma io non ho intenzione di stare zitta, di smettere di provocare, semplicemente non ci riesco anche se non so bene per quale motivo.

Ares ghigna e guarda verso il mio fianco, come se sapesse che dietro la schiena Carter mi sta stritolando la mano per farmi stare zitta. – Non tentare di far star zitta la tua amica, figliolo. Non voglio farvi del male – afferma con una voce che dice tutto il contrario e mi porto una mano al ciondolo che sta per andare a fuoco sulla mia pelle, – mi serve un favore.

- Ma se lo risolva da solo – borbotto e Carter si batte una mano sulla fronte mentre Ares mi guarda come se fossi carne da macello e io sto iniziando a darmi dell'idiota in tremila lingue.

- Ma se lo risolva da solo – mi scimmiotta e mi volto verso Carter, fissandolo nelle sue pozze scure e indicando Ares dietro di me con il pollice.

- Seriamente, tuo padre quanti anni ha?

Ares ghigna ancora facendomi rabbrividire e stringo ancora di più il ciondolo perché so perfettamente a che gioco sta giocando ma non riesco a stare zitta.

- Ho litigato ancora con Efesto – spiega annoiato rimanendo a cavallo dell'Harley rossa, – è incazzato perché mi sbatto la moglie e non mi va di spendere un po' del mio prezioso tempo a combattere due esserini che mi manda il mio cugino adorato – gesticola molto quando parla e quello, se possibile, mi irrita ancora di più.

Corrugo la fronte e quando sto per parlare, Carter mi precede, – cosa abbiamo in cambio? – domanda e mi sorprendo della voce incredibilmente fredda e dei muscoli che sono ad un tratto più rigidi.

Ares lo guarda con un interesse del tutto diverso da quello che ha mostrato nei miei confronti, – vuoi davvero qualcosa in cambio da me, tuo padre?

E gli occhi di Carter cambiano del tutto sfumatura perché, se prima erano preoccupati, ora sono arrabbiati e fa un passo oltre di me arrivando a pochi centimetri dal viso del dio che si limita a ghignare e a farsi girare nell'indice le chiavi che ha tolto dall'Harley. – Si, voglio qualcosa da te, padre – e rabbrividisco quando mi rendo conto che ha detto “padre” quasi come se fosse una parolaccia.

Ares sta zitto per un po' e solo quando do un paio di strattoni alla felpa di Carter e lui si ritira, parla, – un passaggio per Chicago. So che vi serve – guarda prima il figlio e poi me, – allora, ci state – e sto per rispondere un no, che preferisco farmi chilometri a piedi piuttosto che farmi aiutare da lui ma a uno schiocco di dita del dio, vengo avvolta da un turbine di sabbia e barcollo quando le All Star finiscono su un territorio completamente diverso da quello dove mi trovavo prima.

Sbatto le palpebre un paio di volte riprendendo l'equilibrio e noto Carter alla mia destra che si guarda confuso. – Ma andiamo! – esclamo attirando la sua attenzione, riconoscendo il mio laghetto, gli alberi ricoperti di neve e i grattacieli che circondano il parco più bello del mondo. – Siamo a Central Park! Perché diavolo un dio ci avrebbe spedito a Central Park?

E sto per protestare ancora ma poi guardo Carter, i suoi occhi scuri che quasi brillano mentre si guarda intorno cercando quasi di assorbire ogni cosa che vede. – è stupendo – dice guardando gli alberi, il lago, il Belvedere in lontananza, i ponti e i sentiri dolci che attraversano il parco.

- La mia città è tutta stupenda – affermo con orgoglio e con un sorriso che mi increspa le labbra. Poi guardo il suo profilo e la mia iperattività parla prima che possa trattenermi, – te la faccio vedere, se vuoi. – Carter si volta verso di me, guardandomi leggermente confuso, – New York, intendo. Te la faccio vedere. Divento la tua guida personale per un paio di giorni quando tutto questo sarà finito, che ne pensi? – chiedo sperando che lui dica si e che mi risparmi la figura della deficiente.

Un sorriso gli increspa il volto e annuisce un paio di volte togliendomi un peso troppo pesante dal petto, – se posso sfruttarti per vedere New York allora è senza dubbio un sì – mi sorride sarcastico e gli mostro il terzo dito prima che un ruggito possa bloccare la risata che gli era fuoriuscita dalle labbra, di colpo.

Mi affianco a Carter e facciamo scattare velocemente le armi.

Tutti i miei sensi sono all'erta e sento i muscoli di Carter rigidi contro i miei. Diamo le spalle al laghetto ed è in questo momento che due tigri in ferro, dorate e nere ci sbucano davanti, ruggendo e venendo lentamente verso di noi.

Indietreggiamo per istinto e trattengo un brivido alla vista di quei due rubini al posto degli occhi che mi stanno praticamente inchiodando sul posto.

- Automi – dice Carter a denti stretti e se possibile, i suoi muscoli si irrigidiscono ancora di più, – a prova di dio.

Libero una risata sarcastica agitando leggermente Onda per il mio continuo gesticolare, – già, una gran bella fortuna essere semi-dei, no? Grazie, cugino adorato! Un regalo di Natale in ritardo? – Esclamo e Carter mi da dell'idiota pochi istanti dopo quando gli automi ringhiano e si scagliano verso di noi.

Ci buttiamo dalle parti opposte a cado sulla neve strisciandoci sopra la guancia e rabbrividendo quando il gelo penetra oltre il cappotto.

Un tonfo un po' distante da me preannuncia una caduta di Carter ma non ho il tempo per controllare lui quando la tigre che, per inciso, ha gli artigli delle zampe lunghi quanto la mia mano e, sempre inciso, è grande almeno il doppio di una tigre normale, non mi viene addosso.

Sono a terra e le scarpe non fanno attrito sulla neve, lasciandomi a terra e permettendo agli artigli della tigre di conficcarmisi nella carne. Il dolore che ne segue è lancinante, quasi elettrico e grido girando di scatto il volto quando la tigre mi ruggisce in faccia.

Gli conficco Onda in un fianco, racimolando tutte le mie forze e dell'olio caldo mi cade sulla mano, ma quella ferita è abbastanza perché la tigre salti via da me.

Sento del sangue caldo che mi cola lungo il busto e respiro a fatica mentre la vista si appanna e inizio a vedere i contorni delle cose nere.

Carter prova a guardarmi ma il suo automa lo tiene troppo impegnato a schivare e colpire.

È la terza volta in una giornata che rischio di morire e questo mi sta facendo davvero incazzare. Ma io non posso morire, non posso e non voglio anche se le forze mi stanno abbandonando e anche se la tigre sta per attaccare.

Allison crede in me e io devo salvarla.

Percy crede in me, Annabeth crede in me. Credo che anche Carter creda in me e prima di morire devo almeno dargli un bacio e considerato i nostri rapporti, sono certa che non accadrà molto presto, quindi, non posso morire proprio adesso.

Mi ricordo che affianco a me, a un decina di metri c'è un lago e non sono abbastanza forte per evocare un'onda ma so che l'acqua è la mia unica fonte di salvezza.

Il dolore al petto è lancinante e con la mano già rossa per il gelo, afferro la neve, mettendomela sulla ferita e sospirando solo quando ottengo un minimo di sollievo.

- Ciao – dico alla tigre prima di incespicare sulla neve e correre verso la superficie gelida. Inciampo più volte e gli artigli della tigre mi arpionano i jeans abbastanza da farmi gridare e da rendermi ancora più debole di quanto già non sono.

Non ho più abbastanza forze e lancio la spada dietro di me senza voltarmi indietro ma sentendola comunque cozzare contro il metallo. Mi rimetto in piedi e poi cado finalmente in acqua sprofondando nel gelo.

Chiudo gli occhi per un secondo, lasciando che le forze che ho perso ritornino e permettendo alla ferita all'altezza del costato di rimarginarsi come deve.

Alzo le palpebre notando l'automa che guarda verso di me e spalanca la bocca in quello che deve essere un ruggito ma io sorrido perché in acqua, contro qualcosa di meccanico, non posso che vincere.

Facciamoci un bagno, piccola.

Ed è il mio unico pensiero prima di puntare i piedi sul fondo e darmi la spinta necessaria per schizzare fuori dall'acqua. Rimango a cavallo della mia onda personale e poi vado direttamente addosso all'automa rotolando via e guardandola mentre si contorce e guaisce a pancia in su, prima che i suoi rubini si spengano.

- Bel lavoro, principessa – mi dice Carter allungando una mano verso di me e io la prendo con un sorriso spazzolandomi i jeans umidi per la neve e rimettendomi in piedi nonostante la testa che mi gira un po' troppo.

- Tu anche e non chiamarmi così – dico dandogli una leggera spinta alla spalla e facendolo sorridere mentre cammino per recuperare Onda.

Guardo il suo automa con le zampe staccate dal corpo e la testa lontano dal collo di un paio di centimetri e qualche filo metallico che parte dalle due estremità.

Faccio appena in tempo a trasformare Onda in un ciondolo che un turbine di sabbia ci avvolge e barcollo ritrovandomi sulla strada di Pittsburg con l'amabile dio della guerra a cavallo della sua Harley, che ghigna appena ci vede.

L'irritazione prende nuovamente possesso di me. La schiena brucia per la rabbia e il respiro si affanna per il fastidio e per la voglia che ho di tirargli un pugno.

- Razza di schifoso codardo! – grido e carico il braccio solo per dare più potenza al pugno che non vedo l'ora si diriga verso la faccia di quello stronzo.

- Ariel! – mi chiama Carter bloccandomi le braccia, – dovrei essere io quello incazzato con lui, non tu – mi sussurra in un orecchio chinandosi verso di me e forse, non consapevole dei brividi che mi stanno pervadendo il corpo.

Il ghigno di Ares non è sfumato neanche per un secondo dal suo viso e questo mi fa incazzare in una maniera inaudita.

- Non provocarmi, piccola dea – dice in quella che deve essere una velata minaccia e si abbassa gli occhiali da sole scuri rivelandomi due orbite ardenti e che mi fanno vedere cose alle quali non avrei mai dovuto assistere: esplosioni atomiche, donne stuprate, guerre, mutilazioni. Fame, carestia, malattie e sangue, troppo sangue.

Carter mi mette una mano davanti agli occhi e le ginocchia mi cedono ma lui mi tiene per il gomito scuotendomi per farmi riprendere. Quando toglie la mano da davanti a me, noto che Ares si sta rinfilando gli occhiali con un sorriso e questo non fa che farmi arrabbiare ancora di più.

- Non provocarmi, piccola dea. Io ti ho avvisato – ghigna e sto per rispondere ma Carter mi precede ancora.

- Dov'è la nostra roba? – domanda con un tono talmente freddo che sono costretta a stringere i pugni per fargli fronte, anche se non si sta rivolgendo a me.

Ares schiocca le dita e a una decina di metri da noi appare un camion rosso, uno di quelli con un tendone che rimane ancorato al cassone solo grazie a delle corde. Schiocca le dita ancora e una borsa a tracolla carminia mi appare sulla spalla. Non è molto pesante eppure è gonfia da quanto è piena.

Noto che Carter ha uno zaino dello stesso colore della mia sacca ma l'espressione dura non è comunque sfumata dal suo volto.

- Buon viaggio, piccoli dei – augura con un ghigno infilando le chiavi nel quadrante della moto e dando un colpo di gas per scaldare il motore che sovrasta tutti gli altri rumori attorno a noi, – a si, Carter sei stato bravo anche se non quanto tua sorella.

- E tu sei un padre di merda ma evito di dirtelo solo per dare aria alla bocca – e il tono è talmente freddo che il ghigno del dio quasi scompare dal suo volto prima che lui dia gas e scompaia lungo la statale.

I muscoli di Carter sono tesi, forse troppo e se non avessi paura che mi tiri un pugno, gli prenderei anche la mano.

- Andiamo principessa – mi esorta con voce ferma indicandomi con un cenno il camion che sta per partire.

Quando le ruote iniziano a muoversi sull'asfalto ho un tuffo al cuore e la borsa che mi sbatte sulla coscia ingombra la mia corsa.

Carter raggiunge il camion prima di me e salta sul cassone con un tonfo che posso sentire solo io.

Impreco mentalmente accelerando quando il camion fa lo stesso e Carter allunga un braccio verso di me. Riesco ad afferragli la mano per miracolo e lui mi tira dentro con un grugnito per lo sforzo. Grido per lo spavento capitombolando sopra di lui e quando mi rendo conto di starlo usando come materassino, rotolo via cercando un punto dove il freddo non sia così pungente.

Guardo Carter dal mio angolino e anche al buio, noto il suo sguardo perso nel vuoto, la mascella tesa e i muscoli rigidi.

Allungo una mano arrivando a sfiorare la sua e quando lui la ritira di scatto come se si fosse scottato, faccio lo stesso quasi per riflesso, – tutto bene? – domando.

- Non è un problema tuo, principessa. Inizia a farti gli affari tuoi perché non mi va di parlare con te o ascoltare la tua fastidiosissima voce e i tuoi fastidiosissimi consigli da bambina, d'accordo? – mi dice brusco e lo guardo cercando di capire per quale motivo, tra i due, sia lui ad avere il ciclo.

Cerco in tutti i modi di ignorare le stilettate al petto che sono state quelle parole e – vaffanculo – sibilo allontandomi da lui e andando nell'angolo opposto al suo.

Mi stringo le ginocchia al petto per il freddo, pregando che un posto caldo e asciutto arrivi il prima possibile.  


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3 
Scusate se non ho postato ieri ma ero stra-piena di impegni e la sera, dopo essere tornata a casa mi sono ricordata di avere una verifica di spagnolo e il computer non l'ho praticamente toccato. Mi dispiace anche aggiornare con un capitolo così corto e sostanzialmente privo di avvenimenti super fighi ma, il prossimo capitolo non vi deluderà ahahah nonostante tutto, spero che anche questo vi sia piaciuto. 
E niente, vediamo un Carter che, se prima tenti di proteggere Ariel poi la tratta a merda per il padre e se forse qualcuno di voi 'ha odiato, deve tentare di mettersi nei suoi panni: il padre l'ha paragonato a Clarisse, ritenendolo inferiore; gli ha chiesto un favore e l'unico aiuto e stato un passaggio per Chicago e, inoltre, è stressato per Allison e tutti i casini vari. 
Povero cucciolo:(( 
In conclusion, per quanto Ariel pensi che stia migliorando, questi due idioti fanno un passo avanti e due indietro ahahahha 
A si, Ares c'è semplicemente ai fini della storia. ci tengo a ribadire che non voglio assolutamente scopiazzare quel capolavoro che è "Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo" ma ho bisogno che anche i miei due protagonisti vivano avventure che siano più o meno simili^.^ 
Scoprirete più avanti! 
Fatemi sapere che ne pensate, se vi va:** 
Grazie mille ancora, 
Alla prossima, 
Vi adoro,
Love yaa<3
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Capitolo 10
*** Percy ci lascia un'amichetta ***


Percy ci lascia un'amichetta
 

Il camion si ferma a Detroit e sgattaioliamo via prima che l'autista -che sembra avere un'anguria all'interno della pancia- ci possa vedere.

Credo che rimaremmo qui a dormire per la notte e spero tanto che dentro uno dei nostri zaini da Mary Poppins di Ares ci sia una tenda con un climatizzatore dato che sono del parere che se dovessi dormire sul camion mi troverei un paio di stalattiti al posto delle narici.

Entriamo nel fast food vicino e nonostante somigli più a un ritrovo per camionisti con uomini sudati ai tavoli, cameriere sudate e lucine e decorazioni fatiscenti, c'è caldo e recupero sensibilità al corpo per i vestiti bagnati che non ho ancora avuto il tempo di cambiare.

Carter si avvicina al bancone ordinando hamburger, patatine e coca-cola per entrambi mentre io mi siedo e poggio la mia nuova borsa a tracolla sul tavolo con un sorriso.

- Vediamo che c'è qui dentro – esclamo prima di rovesciare la borsa sul tavolo ignorando il caos di vestiti e contenitori contro la superficie in legno un po' appiccicosa.

Prendo tra le mani un paio di skinny jeans neri che sembrano della mia taglia, degli scarponi bordeaux che si abbinano al golfo aderente e caldo dello stesso colore e un cappotto scuro che aprossimativamente mi dovrebbe arrivare alle cosce.

Guardo Carter con un sorriso mettendo tutto nella borsa un po' alla rinfusa, – devo ammetterlo, tuo padre ha davvero stile.

Lui mi guarda imperscrutabile e con una leggera sfumatura d'odio negli occhi scuri.

Pensavo di aver superato quella fase e anche se sul camion mi ha risposto peggio di una donna col ciclo, credevo che il suo umore fosse migliorato ma a quanto pare, questo ragazzo, stronzo è e stronzo rimane.

Decido di ignorarlo per la mia sanità mentale ed estraggo da dentro la sacca un barattolo pieno di ambrosia e un portafoglio con al suo interno almeno trecento dollari.

- Wow – dico quando la cameriera ci porta il cibo fumante e profumato, – non pensavo che tuo padre fosse un tipo così organizzato – dico prima di avventarmi sull'hamburger caldo e incredibilmente buono.

Carter grugnisce qualcosa in risposta ed è tutto il viaggio che ha deciso di diventare un orso, quindi poggio il mio panino sul vassoio rosso e lo guardo scocciata, – si può sapere che ti prende? È da quando abbiamo incontrato Ares che ti comporti come se avessi il ciclo.

Gli occhi di Carter si stringono in due fessure e serra i pugni talmente tanto che le nocche diventano bianche e forse -forse- sto iniziando ad avere un po' paura di quello che potrebbe fare.

Penso che mi voglia picchiare, che mi voglia tirare il vassoio in testa o che mi voglia gridare contro ma, senza dubbio, sarebbe stato molto meglio di quello che mi fa, – non è un problema tuo, principessa – sibila con voce talmente bassa che riesco a sentirlo a malapena seppur, ogni singola sillaba mi trafigge e mi penetra come ghiaccio, – non sarà mai un problema tuo perché non entrarai mai a far parte della mia vita.

Lo guardo cercando di far fronte all'improvviso dolore allo stomaco perché pensavo che stesse andando tutto un po' meglio e pensavo che avessimo risolto problemi e divergenze varie.

Sapere che non è così mi fa quasi salire le lacrime agli occhi ma sono troppo orgogliosa perché questo accada davanti a lui e sopratutto, dopo una discussione.

Faccio strisciare la sedia a terra con un sibilo, alzandomi e ignorando la morsa che mi serra la gola e che, quasi, mi impedisce di parlare.

- Pensavo che avessimo risolto i problemi da bambini delle elementari ma forse, hai ancora cinque anni di età celebrale – lo guardo perché, e questo lo so bene, non è solo lui quello che riesce a fare la parte dello stronzo. È tutta la vita che mi esercito per essere ghiaccio. – Va' al Tartaro, Carter.

Non aspetto che lui mi risponda, forse perché, una sua risposta non la voglio sentire. Prendo la borsa ed esco dal locale ingnorando i fischi dei camionisti e i commenti troppo alti quando passo tra i tavoli.

Mi sono dimenticata il giubbotto sul tavolo e quando esco, il freddo che mi accoglie è talmente forte che inizio a battere i denti nel giro di pochi secondi. Corro verso il camion facendo il giro largo per evitare di farmi vedere dal mio camionista e ci salto sopra il più delicatamente possibile facendo comunque rumore per il cassettone in metallo.

Lascio la borsa a terra e mi ci inginocchio davanti frugandoci dentro e togliendo i vestiti.

Annabeth dice che Ares e Afrodite sono amanti quindi, con ogni probabilità, è lei che ha scelto la roba da vestire. Sarebbe l'unica spiegazione del perché tutti i vestiti sono della mia taglia e sono esattamente quello che avrei preso io se potessi permettermi anche solo una manica del golfo che sto tenendo tra le mani.

Tiro fuori gli skinny jeans scuri e prendo un respiro prima di sbottonare i miei e calarmeli giù dalle cosce, tirando il tessuto bagnato che ha aderito alla pelle.

Saltello mentre mi infilo i pantaloni nuovi e che, per fortuna, sono molto più caldi di quanto avessi potuto pensare.

- Bene, via con la maglietta – mi sprono e incrocio le braccia prendendo l'orlo della maglia. Esito qualche secondo prima di tirarla via dalla testa e rimanere in reggiseno.

Impreco continuamente mentre saltello e perdo la presa sulla maglietta un paio di volte per il freddo e le dita rigide.

- Princi.. ok, devo tornare dopo – e mi volto di scatto con la maglia sul petto incontrando Carter con mezzo busto all'interno del cassone e gli occhi spalancati.

Sbarro i miei e, – che diavolo stai facendo?! – strillo inviperita, troppo sorpresa per ragionare e mettermi quindi quel cavolo di golfo addosso ed evitare di morire assiderata.

- Io ero.. mmh – tossisce un paio di volte senza staccarmi gli occhi di dosso e se non stessi morendo di freddo forse questa situazione non mi dispiacerebbe neanche così tanto. Lo guardo con un sopracciglio inarcaro, pronta ad urlargli nuovamente contro ma lui mi precede, – dei! Non pensavo ti stessi cambiando!

- Esci subito di qui! – grido, – perché continui a rimanere qui?!

Lui ghigna e vorrei tanto tirargli un pugno su quel bel volto, – e quando mai mi ricapiterà l'occasione di vedere Ariel Miller in reggiseno?

Ringhio infilandomi velocemente il golfo caldo sul busto e mi metto velocemente gli scarponi ancora slacciati inseguendolo fuori e pronta a sguainare Onda.

- Sei un idiota! – grido andando verso di lui e godendomi per qualche secondo il suono della sua risata.

- Davvero una scena meravigliosa – ride e sembra quasi che la discussione di prima si sia eclissata nel nulla. E riderei anche io, liberandomi il petto dal peso che continua ad opprimermi ma mi fermo di scatto irrigidendo i muscoli e stringendo nel pugno il ciondolo che ha iniziato a bruciare.

Qualunque cosa sia, non mi piace quello che c'è dietro Carter.

- Ariel che..

- Dietro di te – dico seria e lui si volta indietreggiando accanto a me e trasformando il suo bracciale in spada.

Davanti a noi c'è una donna che ha evidentemente mangiato troppo spesso al McDonald's a giudicare dalla stazza e dal giubbotto in jeans arrotolato fino ai gomiti, nonostante il freddo, che sembra stia per scoppiare.

La donna tiene al guinzaglio un chihuahua e potrebbe anche essere una cosa normale se il cane non crescesse ad ogni latrato e la padrona non avesse la pelle verde e squamosa.

  • Come va? – domando e in pochi secondi Onda diventa una spada.

    La mano mi suda nonostante il freddo e rafforzo la presa sulla mia arma senza distogliere lo sguardo dai mostri che ho davanti, rassicurata dal calore del corpo di Carter accanto al mio.

    La donna ghigna lasciando intravedere una fila di zanne sporche al posto dei denti e assottiglia le palpebre. Nascondo un brivido quando mi rendo conto che la pupilla è da rettile e l'iride troppo gialla perché possa anche vagamente assomigliare a un colore umano.

    Il chihuahua abbaia ancora, continuamente e il latrato cresce assieme al suo corpo che prende forma lentamente in qualcosa che non sono ancora riuscita ad identificare.

    Corrugo la fronte e mi inchino leggermente per leggere il collare di strass che il mostro porta al collo: chimera-idrofoba, sputafuoco, velonosa- in caso di smarrimento chiamare il tartaro-interno 954.

    - Meraviglioso – dice Carter indicando il mostro che si è ormai trasformato, – qualcuno sta cercando una chimera all'ufficio informazioni?

    E risponderei anche ma sono troppo impegnata a osservare il chihuahua che adesso è talmente alto che arriva al tetto del fast-food. Ha una testa di leone e la criniera simpaticamente incrostata di sangue. Ha il corpo e gli zoccoli di una mega capra e dato che il tutto non era abbastanza inquietante di per sé, a completamento l'opera c'è anche un serpente che funge da coda e che sibila nella nostra direzione, furioso.

    Le persone dentro il fast-food hanno il naso incollato alle vetrine e qualcuno di loro ha anche dei telefoni in mano.

    Chissà cosa vedono..

    - Consideratevi onorati, piccoli dei. Raramente mi concedono di mettere alla prova degli eroi con la mia progenie – la padrone sorride in un modo talmente inquietante che stringo la presa sulla spada per darmi un coraggio che in questo momento non credo di avere. – Io sono Echidna, la madre dei mostri e lei è la mia bambina – dice allungando una mano verso la chimera che ruggisce in apprezzamento.

    Osservo il mostro nel complesso e non riesco a trattenermi dal dire, – ma lo sa che sua figlia è veramente brutta?

    Carter mi da un pugno alla spalla e gemo portandomi una mano sopra voltandomi stizzita verso di lui.

    - Insolente, proprio come tuo fratello. Ho un conto in sospeso con lui, mi hai dato l'opportunità di saldarlo con te – sibila e io sbuffo incrociando le braccia al petto e tamburellando con il piede sulla neve.

    - Devo fare un bel discorso a Percy appena torniamo al Ca.. – ma strillo quando la Chimera balza tra me e Carter. Lui mi spinge via rotolando sulla neve pochi secondi dopo e mi rimetto velocemente in piedi rafforzando la presa sulla spada, – come la combattiamo quest'affare? – esclamo cercando gli occhi di Carter mentre la Chimera ci studia, come a voler valutare chi è la minaccia peggiore.

    - Improvvisa! – mi risponde e la Chimera ruggisce balzando su di lui.

    Spalanco gli occhi ma il figlio di Ares è più veloce di quanto pensassi: scivola sotto il corpo della bestia e dal ruggito del mostro, posso capire che gli ha appena infilato la spada nel costato.

    Rivoli di icore, il sangue degli immortali, si riversa sulla neve e corro verso il mostro per dare man forte a Carter quando mi rendo conto che lui ha estratto via la spada e si sta spingendo verso la coda.

    - Il serpente! – grido e mi lancio sotto la pancia della Chimera ma Carter è gia scivolato via e vedo le zanne del serpente affondare nel petto protetto del golfo scuro.

    Carter grida di dolore lasciando cadere la spada a terra e urlo per la rabbia infilando la spada nello stomaco della Chimera, facendola ruggire prima di correre via da sotto di lei e gettarmi sulla neve accanto a Carter.

    La macchia si sangue si allarga velocemente sul petto che sta ormai ricoprendo tutto il suo petto allenato.

    Gli porto una mano sulla guancia ignorando la risata trionfante di Echidna. – No,no,no,no – dico togliendogli le mani dalla ferita e storcendo la bocca per i due buchi all'altezza del torace che devo curare subito. Respiro per non farmi prendere dal panico mentre Carter geme leggermente portandosi nuovamente le mani alle ferite.

    - Puttana – sibilo mettendomi in piedi sulla neve e fissando Echidna e quella simpaticona della figlia davanti a me.

    Echidna ghigna. – Visto, figlia mia? – la Chimera abbassa la testa per lasciarsi accarezzare, il tono fintamente dolce del mostro mi provoca quasi conati di vomito. – Non ci sono più gli eroi di una volta.

    Assottiglio lo sguardo e abbasso lo sguardo su Carter dietro di me per qualche secondo: è pallido, geme e sta sudando. Quel morso è sicuramente avvelenato ma lui non può morire. È escluso che lasci morire Carter Silver, non posso lasciarlo morire.

    Faccio roteare la spada con un sorriso. – Cara cucciola, ti sei messa contro i Mezzosangue sbagliati.

    Potrei usare il cappello di Annabeth ma l'ho lasciato sul camion quindi, o la va o la spacca.

    Guardo le tracce di sangue che le ferite del mostro hanno lasciato sulla neve e osservo il respiro mozzo e pesante.

    - Vai al Tartaro, stronza – e poi corro verso di lei.

    La Chimera ruggisce a pochi centimetri da me e il suo fiato letale per poco non mi stende, probabilmente è secoli che non si lava i denti.

    Mi abbasso di scatto roteando su me stessa e quando la Chimera abbassa il muso ringhiante verso di me, salto abbastanza da riuscire a tagliarle il naso.

    Rotolo via e sorrido sentendola ruggire di dolore mentre Echidna mi lancia imprecazioni contro degna di un tassista di New York.

    - Ehi! – grido per attirare l'attenzione del mostro che si volta di scatto con un ruggito. Corro nuovamente verso di lei e faccio per saltare ma invece, scivolo verso il suo stomaco, infilzando la spada fino all'elsa nella ferita sul costato di Carter.

    La Chimera guaisce mentre io muovo la spada al suo interno tenendomi stretta all'elsa per non scivolare via.

    Prego con tutta me stessa che quel mostro non si sieda perché a questo punto sarei morta ma l'ho sopravvalutata perché Echidna grida e la Chimera tenta di galoppare verso di lei mentre io ho ancora a spada infilata tra le sue costole.

    Guaisce mentre continua a tagliarsi da sola e mentre le urla di Echidna, per quanto dolore c'è al loro interno, mi fanno quasi rabbrividire. Ma se lo meritano perché Carter rischia la vita per colpa loro.

    La Chimera guaisce un'ultima volta quando Onda l'ha trapassata del tutto e poi scompare in una nuvola di polvere.

    Rotolo in piedi togliendomi un po' di icore caldo dal viso e osservando Echidna che grida furiosa.

    - Muori! – urla prima di correre verso di me ma è anche fin troppo facile riuscire ad ucciderla trapassandola con Onda di taglio.

    Con un grido, Echidna si dissolve nell'aria in polvere e guardo i clienti del fast food davanti a me che hanno ancora il naso incollato alle vetrine e stanno scattando flash a tutto spiano.

    Chissà che cavolo hanno visto.

    Sento Carter tossire dietro di me e mi volto di scatto lasciando cadere Onda a terra e correndo verso di lui.

    Mi butto sulla neve e gli prendo il viso tra le mani osservando il colorito pallido e gli occhi semi chiusi. Una morsa mi stringe sia il petto che lo stomaco e mi si serra la gola nel vederlo così e nel vedere il sangue che cola sulla neve attorno a lui.

    - Andiamo, Carter. Rimani con me, per favore – prego con la voce strozzata e neanche mi accorgo delle lacrime fino a che non cadono sullo zigomo del ragazzo. – Che diavolo devo fare? – domando più a me stessa che a lui.

    Vorrebbe rispondermi, so che vorrebbe ma quando apre la bocca non esce alcun suono e le lacrime aumentano perché, a questo punto, non posso perderlo.

    - Non mi lasci, vero? Non mi stai lasciando, ho ragione? – chiedo ancora sull'orlo di una crisi di nervi per la paura e le mani quasi mi tremano quando gli accarezzo il ciuffo che gli si è appiccicato sulla fronte per il sudore freddo.

    Carter si lascia andare ad un sospiro di sollievo e lo guardo, trattenendomi dall'istinto di lasciargli un bacio sulla fronte prima di correre verso il camion e prendere la mia borsa e mettendola a tracolla.

    Mi infilo il suo zaino e ringrazio gli dei perché nessuna delle due sacche è pesante. Corro nuovamente verso Carter e trasformo Onda in un ciondolo prima di infilargli le mani sotto le ascelle e tirarlo sulla neve verso il retro del locale.

    Ringrazio tutti gli dei dell'Olimpo per la seconda volta quando vedo un furgoncino e forzo la serratura con la spada prima di trascinarmi dietro Carter con fatica.

    Mi chiudo le porte alle spalle e tiro la cordicella che ho visto prima illuminando almeno un po' il retro del furgone. Poggio le borse a terra e guardo Carter semi svenuto.

    Il cappotto scuro è aperto e gli sfioro il petto con dita tremanti prima di togliergli quell'indumento dalle spalle con tutta la delicatezza possibile nonostante lui gema un po' ad occhi chiusi. Glielo metto sotto la testa a mo' di cuscino e poi prendo l'orlo della maglietta nera sfilandola piano e con un po' di difficolta per il suo corpo che non ha intenzione di collaborare. Riesco a levarla comunque e forse non dovrei ma mi prendo comunque qualche secondo per osservare il suo petto nudo, gli addominali segnati, il torace allenato che sarebbe perfetto se non avesse i buchi dei denti di quel serpente schifoso.

    Stringo i pugni, un po' per il freddo e un po' perché mi fa male vederlo così. Prendo la manica che ho tagliato della mia maglietta ed estraggo da dentro la mia sacca la bottiglietta di ambrosia bagnando il tessuto prima di tamponare piano le ferita di Carter.

    Gli pulisco delicatamente il sangue colato e sorrido leggermente quando le sue palpebre si sbattono leggermente e lo sguardo si fa più vigile e meno lucido.

    - Ehi – dico tirando su col naso per le lacrime di poco prima, continuando a medicarlo. – Non mi stai lasciando sola, vero? – domando continuando a medicarlo piano e lui abbozza una risata.

    - Se ti lasciassi da sola non voglio neanche pensare ai casini che combineresti – accenna in un sussurro e la sua voce, per quanto strascicata, mi fa stare bene e mi toglie un peso al petto che era troppo forte da sostenere.

    Prendo la maglietta vecchia e la bagno ancora con del nettare prima di stendergliela sul petto centrando le ferite e legandola con qualche difficoltà sulla sua schiena.

    Spero che guarisca in fretta e dopo avergli infilato il golfo nero di Ares, lo imbocco con un po' di ambrosia.

    Le mie dita toccano le sue labbra screpolate ma comunque morbide ed esito un istante prima di riportare le mie mani sul grembo.

    - Per questo servizietto da infiermiera ti devo pagare? – mi domanda con un po' di fatica puntellandosi sulle mani per poggiare la schiena contro la parete dietro di lui.

    Lo aiuto e sorrido, scuotendo la testa, avvicinandomi poi a lui stringendomi le ginocchia al petto e poggiando la nuca al furgoncino.

    - Mi hai fatto perdere dieci anni di vita – lo rimprovero con un sorriso fissando il soffitto e la luce flebile della lanterna.

    Il suo braccio attaccato al mio si muove leggermente per la risata che gli fa vibrare il petto e che gli provoca però un leggero gemito di dolore.

    - Ehi – lo chiamo, accertandomi che quel dolore sia solo passeggero e non così forte come ho paura che sia.

    Carter respira forte chiudendo gli occhi e serrando le labbra in una linea sottile, – tutto bene, lo giuro. – Si volta verso di me e mi guarda con quel sorriso malandrino che forse, sto imparando a farmi piacere. – Dormiamo, principessa? – mi domanda e annuisco un paio di volte sporgendomi per spegnere la luce e far piombare la stanza nella penombra.

    Tocco quella che sembra essere la gamba di Carter e la sua risatina di scherno mi irrita un po' prima che riesca a stendermi poggiando la testa sul braccio.

    Sbuffo per la posizione scomoda e sento Carter muoversi al mio fianco, – vieni qui – mi dice e ci metto un po' per collegare che, uno: sta parlando con me, due: mi sta dicendo di andare vicino a lui e questo evento andrà senz'altro trascritto sul calendario.

    Vado a tentoni verso di lui e trovo il suo braccio che mi fa da cuscino. Poggio piano la testa, un po' perché ho paura di fargli male e un po' perché questa situazione è davvero troppo assurda e non riesco ad assimilarla per bene.

    Mi sistemo sul suo braccio e sussulto quando lui mi avvolge le spalle attirandomi contro al suo petto. Gli respiro piano sul collo cercando di regolarizzare il mio cuore che ha appena deciso di farsi un giro sulle montagne russe per quanto è agitato.

    - Notte, Principessa.

    - Notte, Carter.

    E poi crollo in un sonno fin troppo agitato.

    Sono in una caverna dalle pareti di pietra rossicce che ormai conosco bene e sussulto quando, nascosta dietro ad una colonna, due delle donne più brutte del secolo entrano spostando una roccia e tenendo Allison per un braccio ciascuna. Spalanco gli occhi perché la mia amica è messa peggio di quanto ricordassi e quegli affarri con un'armatura greca e le code da serpente al posto delle gambe la buttano a terra in malo modo.

    Il corpo svenuto di Als rotola fermandosi poi supino e lasciando che un braccio si allunghi privo di vita sulla terra sporca. Il volto spigoloso è ancora più magro del solito, la pelle bianca e le labbra esangui, screpolate e tagliate. Ha lividi sulle braccia e sul viso e vorrei andare lì ad aiutarla anche se so che non servirebbe a niente.

    Stringo i pugni mentre il petto si alza e abbassa velocemente per la rabbia e il ciondolo brucia sul mio petto. Osservo meglio Allison e ruggisco quando noto la maglietta e i jeans strappati. Chiudo il ciondolo nel pugno quando una di quello schifo di affari le pungola una costola e Als potresta flebilmente nel sonno.

    - Il capo vuole ancora la piccola sssemidea viva? – domanda la donna-serpente che aveva toccato Allison con la lancia, e l'accento francese della manticora precede la sua trionfale entrata in polo bianca, jeans e sguardo bicolore che mi fanno venire il vomito.

    - No, Madame. La piccola semidea morirà entro la vigilia di Capodanno se la figlia di Poseidone non si muove – dice accentuando l'accento sulla “e” finale e rabbrividisco rendendomi conto che abbiamo davvero pochissimo tempo per salvarla.

    Il panico si fa velocemente strada dentro di me e il ciondolo brucia, chiuso ancora dentro il mio pugno.

    - Perché il sssignore non vuole che uccidiamo la piccola sssemidea sssubito? – chiede la donna-serpente che aveva pungolato Allison e rabbrividisco quando la manticora ruggisce.

    Il sogno cambia, quasi mi voglia impedire di vedere quello che succederà in quella caverna e le lacrime mi pungono gli occhi quando mi ritrovo accanto a Percy sul molo del laghetto delle canoe.

    Vorrei abbracciarlo, andare tra le sue braccia e farmi sussurrare che andrà tutto bene ma lui parla prima, sorridendo triste e imponendosi quasi di ignorare le lacrime che mi stanno rigando le guance.

    - Devi andare a prenderla, piccola. Devi raggiungere il Gran Canyon e salvare Allison prima che venga uccisa! – mi dice con gli occhi verdi spalancati per l'ansia e apro la bocca per dirgli qualcosa ma non ne esce alcun suono e Percy continua a parlare, – io so che ce la puo fare, ok? Io credo in te.

 

Mi sveglio di soprassalto, rendendomi conto di essere seduta, puntellata sulle mani. Mi giro verso Carter asciugandomi le guance umide per le lacrime.

Lui sbatte le palpebre per un po' celandomi i suoi occhi scuri alla luce della lampada sul soffito del furgoncino.

- Dobbiamo andare.

Mi rendo conto solo dopo che abbiamo parlato all'unisono e anche se non so perché, questo mi fa sorridere. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3
Scusate se sono riuscita ad aggionare solo oggi, ma ieri stavo ripassando storia e non ho trovato un cavolo di buco. Sono di fretta anche adesso dato che domani devo finire l'interrogazione, poi una non si deve incazzare. 
Comunque, passiamo al capitolo: Taaaaa-daaa, la Chimera! Che è una puttana bastarda e fa del male al povero Carter. Ariel è ovviamente favorita dal fatto che fosse già ferita, la uccide e si prende cura di lui. 
Alla fine, Echidna e la Chimera hanno contributo ad unire un po' d più queste teste calde e rileggendo il capitolo per corregerlo, mi è anche venuto da sorridere. 
Spero tanto che vi sia piaciuto il capitolo così come la reazione di Ariel quando ha davvero tanta paura per Carter. 
Dentro questo furgoncino, hanno entrambi lo stesso sogno su Allison e capiscono che devono decisamente muovere le chiappe ahahah 
In conclusione, spero, come al solito, che il capitolo vi sia piaciuto e che vi facciate sapere il vostro parere. Per la prossima settimana cercherò di aggiornare puntuale ma con questa scuola, non prometto nulla:(( 
A si, prima che mi dimentichi ahahah grazie a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate, chi recensisce e chi legge e basta. Ormai lo sapete che amo anche i lettori silenziosi che fanno aumentare le visite a capitolo ahahha 
Ciao cuccioli, 
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Love yaa<3
x



     
 

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Capitolo 11
*** Carter si fa una porsche ***


Carter si fa una Porsche
 

Usciamo dal camion che è ormai mattina presto, forse sono le sei e il mio stomaco brontola per la fame ma non c'è tempo per mangiare, non adesso.

Corriamo verso l'autostrada e scivolo un paio di volte sulla neve, imprecando ogni volta che rischio di fare frontali con il suolo.

- Come facciamo ad arrivare al Gran Canyon? – domando guardando l'autostrada deserta e fredda.

Carter apre la bocca per rispondermi ma il rombo potente di un motore lo interrompe, facendolo sorridere a labbra chiuse. – Dolce suono di una Porsche – si fa serio il secondo dopo, – andiamo con quella macchina. – Esordisce poi indicando la strada dietro di sé e alludendo al rombo del motore che si sta facendo sempre più vicino.

Alzo le sopracciglia e mi metto le mani sui fianchi, – e come vuoi prendere una Porsche?

Lui mi guarda con l'aria un po' colpevole e indietreggio per il panico.

- Sicura di volerlo sapere?

- Penso di no.

 

- Sappi che sei l'essere più spregevole del pianeta – sibilo mentre cammino verso il centro della corsia sperando che la Porsche che sta per arrivare non mi metta sotto come un cazzo di cane.

Se muoio in questa maniera così squallida perseguiterò Carter da fantasma.

Un invisibile Carter sghignazza, – come pensi di fermare un uomo in autostrada se non così? – domanda retorico, alludendo al golfo che ho infilato per buona parte dentro il reggiseno, lasciando la pancia scoperta e che, se potesse, chiederebbe pietà per il freddo.

- Vai alle ortiche, idiota – ringhio e lo sento ridere prima di riportare lo sguardo sulla Porsche argentata che ha appena inchiodato difronte a me.

Sorrido e il trentenne al volante scende velocemente, guardandomi come si guarda una bistecca.

- Ehi, bellissima – ammicca nella mia direzione e trattengo una smorfia di disgusto per quella frase d'abbordaggio così banale.

- Ciao – sorrido maliziosa e faccio un passo verso di lui, – mi dai un passaggio? – allungo un braccio per toccarlo e gli poso la mano sul petto protetto da un giaccone scuro.

- Ovvio – mi attira a sé per i gomiti e mi sembra di sentire Carter ringhiare ma non ci penso, quando incrocio i polsi dietro la sua testa. – Tutta mia – ghigna poi, aprendo i palmi delle mani sul mio sedere.

Avvicino il volto al suo e so che adesso dovrei colpirlo con un pugno alla testa e metterlo K.O., con Carter abbiamo deciso così, ma non faccio in tempo ad alzare il braccio che gli occhi castani del tipo si girano e lui cade a terra con un tonfo, sbattendo la schiena sull'asfalto.

Mi tiro giù il golfo prima di portare le mani sui fianchi, guardando davanti a me con rimprovero, dove spero ci sia Carter.

Lui torna visibile stringendo nel pugno destro il cappellino degli Yankees e mi guarda con freddezza, – stava allungando troppo le mani. – Si limita a dire prima di lanciare la mia e la sua sacca nei sedili posteriori e infilarsi in quello del pilota.

Rido, facendo il giro e sedendomi sul sedile in pelle nero della Porsche, attaccando le mani congelate al bocchettone dell'aria condizionata. Guardo Carter con la coda dell'occhio, – qui qualcuno è geloso? – insinuo divertita e l'espressione da orgasmo che aveva sul volto scompare, un secondo prima che i suoi occhi scuri si fermino su di me, inchiodandomi sul posto anche se, a dirla tutta, non ho granché intenzione di uscire dal torpore dell'auto.

- Quello era un idiota e non solo geloso, novellina.

Roteo gli occhi al cielo. Ho capito che mi chiama così solo quando è nervoso o arrabbiato e mi chiedo che cosa sia adesso, ma forse questo ragazzo ha seri problemi col ciclo e il lunaticismo.

- E adesso fammi godere questi istanti di piacere dentro una Porsche.

Lo guardo come se fosse scemo, mentre tamburella con le dita sul volante, osserva il quadrante illuminato, il cambio automatico e le rifiniture elaborate dei sedili. Mi sbatto il palmo della mano sulla fronte, scuotendo la testa, e Carter parte a razzo facendo slittare le gomme della macchina sull'asfalto ghiacciato.

La mia nuca cozza contro lo schienale del sedile e gemo, prima di vedere il sorriso di Carter.

Sorrido anche io, rendendomi conto che tutto il resto passa in secondo piano e stringo convulsamente il mio ciondolo, rendendomi conto di cosa ho appena pensato.

Cazzo.

 

C'è silenzio anche se Carter sta guidando per il Colorado da qualche ora, interrotto solo dalla radio che sta passando l'ultima hit del momento.

- Perché Ade mi odia? – domando di punto in bianco, chiedendomi subito dopo perché mai l'ho fatto. Forse, questo dubbio mi sta rimbalzando nella mente da troppo tempo perché possa fare finta di nulla e ho bisogno di teorie, idee, qualcosa che non siano i miei pensieri che mi stanno facendo penare già da un po'.

Carter non risponde subito, sbuffa, tamburella con le dita sul volante e canticchia la canzone che stanno passando prima di parlarmi. – Ade è un tipo strano – lancia un'occhiata alla strada e i muscoli delle spalle si rilassano leggermente, – forse ce l'ha ancora con mister “mi metto contro tutti perché sono figo” e si vuole vendicare su di te.

Lo guardo con rimprovero e lui abbozza un sorriso. – Percy – lo correggo e la mano di Carter si muove sul volante come se stesse cacciando via una mosca.

- È uguale – borbotta e alzo gli occhi al cielo.

Probabilmente ha il ciclo e va sicuramente capito.

- In ogni caso, parlerò con Percy quando torneremo al Campo – dico dopo qualche secondo di silenzo, guardando il profilo di Carter, – ho incontrato più mostri e dei che volevano vendicarsi su di lui che altro! – protesto e Carter ride, strappandomi un sorriso.

- Se vuoi ti do una mano – propone e spalanco gli occhi, scuotendo la testa con vigore.

- Possiamo anche farne a meno, credimi.

Dopo un po', cala nuovamente il silenzio e canticchio le canzoni che passano alla radio, cercando qualcosa da dire.

Non mi piacciono i silenzi, men che meno quelli con Carter.

- Carter! – trillo poi e lui sussulta per lo spavento, sbandando con la macchina e facendomi sbattere allo sportello quando torna bruscamente in carreggiata.

- Non lo fare mai più! – esclama e io rido, alzando le mani al petto in segno di difesa.

- Sei davvero così bravo come dicono? – domando, rendendomi conto che è l'iperattività che parla per conto mio. Lui alza un sopracciglio scuro e mi affretto a spiegare con un mezzo sorriso sul volto. – Voglio dire, tutta la casa femminile di Afrodite decanta le tue lodi – corrugo la fronte e poi torno a guardare nuovamente il suo profilo e le labbra stese in un leggero sorriso, mentre tiene lo sguardo fisso sulla strada ancora deserta, – quante tacche hai sul letto?

Lui mi guarda velocemente prima di riportare l'attenzione davanti a sé con un sorriso malandrino sul volto. – Letto? Vorrai dire canoa, albero, parete dell'arrampicata, stalle..

Faccio una smofia e gemo, facendolo ridere, – complimenti, davvero romantico. Dico sul serio – borbotto con un mezzo sorriso mentre lui continua a ridere.

- E tu, invece? Quante tacche hai sul letto? – mi lancia di tanto in tanto occhiate e solo dopo qualche secondo mi accorgo di essermi irrigidita.

Troppe, credimi.

Gli tiro un colpo alla spalla e lui protesta divertito, facendomi ridere. – Non si fanno queste domande a una ragazza, sappilo – lo rimprovero con un sorriso e lui alza le sopracciglia, guardandomi stranito. – Be', che c'è? – chiedo, – sono una ragazza, in caso non te ne fossi accorto.

Batte le mani, – e io che pensavo fossi un trans.

Rido e gli tiro un altro colpo alla spalla, facendolo gemere, – davvero molto divertente.

- Sono il ragazzo più simpatico del campo.

Alzo un sopracciglio, guardandolo, – ed io la più carina.

Carter corruga la fronte e mi lancia sguardi di tanto in tanto mentre continua a guidare ad una velocità che avrebbe fatto perdere il parrucchino a mia zia Mary.

- Tu sei carina – mi dice poi, come se stesse parlando del tempo e corrugo la fronte anche io, guardandolo stranita, – perché tu sai di essere carina, vero? – mi domanda circospetto e porto lo sguardo sul finestrino perché nessuno mi ha mai detto una cosa del genere e io non credo a tutte queste stronzate.

Sono solo cazzate che gli uomini usano per addolcirti e portarti a letto, nessuno ci crede davvero e poi, parliamoci chiaro, io non sono carina per niente, anche se non mi sono mai lamentata. Voglio dire, nella vita ci si accontenta.

- Andiamo, Carter! – esclamo dando un colpo allo sportello e voltandomi di scatto verso di lui, – io non sono carina! Ho i capelli così lunghi perché non mi sono mai potuta permettere uno straccio di parrucchiere e ho talmente tante doppie punte che i ragazzi di Apollo potrebbero usarle come frecce! – Carter sorride ma rimane zitto, come se sapesse che, se anche solo dicesse “ma”, io smetterei di parlare. – Non mi sono mai potuta permettere un eye-liner e dei jeans che non fossero di almeno di due taglie più grandi. Non sono carina, Carter, è inutile girarci attorno.

Incrocio le braccia sotto al seno e guardo la strada sotto di me perché, dopo confessioni del genere guardare gli occhi scuri di Carter mi metterebbe tremendamente a disagio.

- Ariel, sai quanto mi costa ammetterlo – esordisce Carter, – ma tu sei bella. – Spalanco gli occhi e solo in quel momento mi volto verso di lui. – Ci sono ragazze che passano anni e tremila confezioni di shampoo e balsamo prima di avere i capelli anche solo simili ai tuoi. Fidati, quando stai con le figlie di Afrodite te ne rendi conto – dice strappandomi un sorriso, – e hai gli occhi talmente particolari che io stesso ti impedirei di metterti.. – schiocca le dita un paio di volte, lanciandomi sguardi perché gli venga in aiuto.

- L'eye-liner?

- Esatto! Sei bella esattamente così come sei e ricordati di queste parole perchè sarà la prima e ultima volta che ti confesserò cose del genere, sappilo – dice in un tono che si avvicina molto alla minaccia, strappandomi una risata.

Mi sporgo verso di lui, lasciandogli un bacio sulla guancia e lui sussulta leggermente. – Sai essere umano, quando vuoi.

- Sono il migliore, lo so.

- Imbecille.

 

Credo di dormire per un po', con la testa scomodamente poggiata contro il finestrino freddo, e ringrazio il silenzio che c'è nell'abitacolo della macchina perché posso pensare un po', lasciare che il mio cervello vaghi senza meta e che i dubbi tornino a farsi sentire con forza.

Ho tante, troppe domande che hanno bisogno di una risposta ed è snervante non sapere così tante cose, almeno per me.

Vorrei sapere perché sono stata riconosciuta solo a sedici anni, perché Poseidone mi ha lasciato con mia zia. Perché mi ha lasciato e basta, perché non si è mai preso cura di me e perché Ade mi odia.

Nel sud troveranno risposte.

Sospiro mentre il verso della profezia mi rieccheggia nella mente per un paio di secondi.

Spero almeno che le riceva, queste cavolo di risposte.

 

***

 

Siamo in Kansas quando la fedele Porsche decide di abbandonarci.

Carter riesce a far procedere l'auto a singhiozzo per un altro paio di metri, ma poi ci fermiamo del tutto e il motore si spegne.

- Grandioso – borbotto scendendo dalla macchina e permettendo al freddo di filtrare sotto il golfo mentre stiro le braccia verso l'alto. – Come diavolo arriviamo in Arizona? – domando quando anche Carter scende, guardando la desolazione di case che sembrano esser costruite qui per sbaglio.

- Probabilmente ci sono stazioni di servizio – ipotizza passandosi una mano tra i capelli scuri e mi porto le mani sui fianchi guardandomi attorno.

- Seguiamo il sentiero dorato, Dorothy?

 

L'ipotetico sentiero dorato, che in realtà e una strada non battuta che ci sporca i jeans e le scarpe, ci porta a un Centro Informazioni e al cowboy mancato e ciccione che ci lavora dietro e che sembra la persona più svogliata del mese.

La camicia a quadri logora gli sta per esplodere sulla pancia, la barba è incolta e forse, nella sua testa, con quel cappello da cowboy sembra anche figo.

- Che volete? – domanda e Carter si passa una mano sul bracciale con una tranquillità che precede soltanto la furia.

Metto una mano sulla sua e guardo gli occhi spenti dell'uomo che ho davanti, sforzando un sorriso, – c'è una linea diretta da qui per l'Arizona? – domando e il tipo mi guarda strano, come se pensasse che abbia una paralisi facciale.

- Si – risponde dopo qualche secondo lanciando un'occhiata al vetro appannato per i nostri respiri. – Domani mattina e adesso vado in pausa pranzo – fa per infilarsi il cappotto ma la voce di Carter lo ferma prima che se ne possa andare. Si volta scocciato e gli stringo la mano.

- È troppo tempo. C'è una stazione di benzina? – domanda Carter e l'uomo grugnise infilandosi il cappotto che si era messo per metà.

- Si, a quattro miglia – e poi esce dalla porta dietro di lui facendo ringhiare Carter per la rabbia.

- Stronzo – mi limito a dire prima di infilare le mani nelle tasche della giacca, guardando la condensa che fuoriesce dalle mie labbra, – cerchiamo un McDonald?

Carter si sfrega le mani e mi guarda, – dopo aver incontrato il sosia mortale di Dionisio ci vuole.

 

Troviamo un fast food più fatiscente di quello di Detroit ma ci fiondiamo dentro, sorridendo per il caldo che non ci aspettavamo e che ci costringe a liberarci dei giubbotti.

Mangiamo quanto più possiamo e ho la mezza idea che mi toccherà rotolare fino al rifornitore.

Carter infila di nascosto un po' di patatine, hamburger e della coca-cola dentro la borsa e poi mi sorride malandrino prima di chiudersi il giaccone e uscire nel freddo del Kansas.

 

È ormai mezzora che camminiamo e ho le labbra screpolate per il freddo mentre la condensa si libera in volute dalla mia bocca.

- Sto per morire assiderata – dico affondando le mani nelle tasche nel tentativo di ripararmi dal freddo e Carter ride lanciandomi un'occhiata mentre superiamo l'ennesima casa di legno che, logicamente, è uguale alle altre cinquanta che abbiamo già sorpassato.

- Ti dimenticherai di tutto questo appena arriveremo in Arizona, fidati.

Lo guardo di sottecchi, alzando le sopracciglia. – Grandioso, ma adesso siamo qui e c'è un cavolo di freddo cane! – mi guardo attorno con una lieve sfumatura di terrore nello sguardo, – e poi siamo in Kansas, che cavolo! Mai sentito parlare di emergenza tornado? – strillo spingendo Carter a voltarsi verso di me.

Mi guarda come se fossi una bambina capricciosa, – ti hanno mai detto che un carciofo è più coraggioso di te?

- Va' alle ortiche.

 

Continuiamo a camminare in silenzio per un po', superiamo i binari di “The Katy”, ed è questione di un'altra mezz'ora prima che possiamo arrivare alla stazione di benzina blu che sembra debba cadere in pezzi da un momento all'altro.

Acceleriamo il passo per arrivare alla pompa di benzina e Carter si batte una mano sulla fronte, lievemente seccato, – non abbiamo una tanica.

Guardo il negozio davanti a noi, – lì ne avranno una, no? – faccio spallucce prima di incamminarmi verso la porta che si apre con un cigolio quando la spingo leggermente. – Dei, ma è tutto fatiscente in questo posto?

- 'Sera – dice una voce un po' burbera e sposto lo sguardo verso sinistra, incontrando lo sguardo scuro di un uomo dietro alla cassa che non mi piace per nulla. Indossa una canottiera bianca e logora nonostante il freddo. La pancia straborda e sotto le ascelle ha un'acquapark niente male.

Mi sorride malizioso e trattengo una smorfia di disgusto perché, non solo è davvero brutto con solo due ciuffi di capelli che lo fanno somigliare a Homer Simpson, ma gli mancano anche un paio di denti.

- Ciao – dico guardandomi un'ultima volta intorno e avvicinandomi alla cassa, – avete delle taniche per la benzina? – domando senza appoggiare le mani al piano perché è talmente tanto sporco che se venisse un ispettore sanitario, morirebbe d'infarto.

- Quanto la vuoi grande? – chiede con il solito sorriso che probabilmente dovrebbe farmi cadere ai suoi piedi.

- La più grande che ha – rispondo tamburellando nervosa con un piede a terra perché voglio uscire da questo posto il prima possibile e mi sono già pentita di esserci entrata da sola.

Si inchina dietro la cassa e faccio un'altra smorfia notando la polvere sugli scaffali degli oli per la macchina e gli autoricambi.

La vetrina è talmente sporca che a malapena riesco a vedere le sagome all'esterno e quando l'uomo riemerge da dietro la cassa con una tanica grande dal tappo arancione, decido che voglio andarmene il prima possibile, ora più che mai.

- Cosa mi dai in cambio, dolcezza? – mi domanda e rabbrividisco, stringendo i pugni dentro le tasche.

Sollevo le sopracciglia e scandisco le parole dato che credo che la materia grigia di questo tipo sia stata mangiata dalle tarme, – soldi. In cambio le do soldi.

Lui ride come se sapesse più del dovuto e indietreggio d'istinto quando fa il giro della cassa per venirmi davanti. La sua mole quasi mi sovrasta e nella mia mente, mi vedo dargli una ginocchiata allo stomaco per poi prendere la tanica e fuggire il prima possibile.

Voglio andarmene di qui.

- Una così bella ragazza vuole davvero darmi solo soldi? – ride e tossisce pochi attimi dopo. Probabilmente le sigarette sono le donne della sua vita e non nascondo una smorfia quando l'alito cattivo mi arriva in pieno viso.

- Assolutamente si. Quanto le devo? – chiedo ancora guardandolo e osservando con la coda dell'occhio una mensola in legno che sta per crollare.

Mi prende per i fianchi prima che possa realmente rendermene conto e grido, più per la sorpresa che per lo spavento, allontanando il viso dal suo e cercando di resistere al fetore che emana.

- I rapporti con sua moglie non vanno bene? – domando e lui apre la bocca per rispodermi, facendomi male per quanto mi stringe. Afferro la tanica sulla cassa affianco a me e gliela sbatto in testa con sforza. È di plastica e so che non gli posso aver fatto abbastanza male ma questo è abbastanza per destabilizzarlo e quando la sua presa si allenta, sguscio via, scrocchiandomi i polsi e lasciando cadere la tanica a terra.

- Non fare la cattiva bambina – mi intima allargando le braccia. Mi viene incontro lentamente e io sorrido perché, contro un individuo del genere, so di aver già vinto.

Si lancia su di me più velocemente di quanto pensassi ma mi abbasso, scartando di lato e andando a farlo sbattere con forza contro la vetrinetta degli autoricambi. Già instabile, quella barcolla e cade a terra con un rumore di vetri infranti e attrezzi che si spargono sul pavimento.

- Mi stai facendo arrabbiare – dice scuotendo la testa come un cane e voltandosi verso di me.

La porta è dietro la sua schiena e io devo uscire di lì, in un modo o nell'altro.

- Anche tu.

E quando corre nuovamente verso di me, rompo la vetrina che ho alle spalle con una gomitata e stacco la mensola in legno, graffiandomi un po' la mano col vetro ma, adesso, è l'ultimo dei miei problemi.

Lo colpisco allo stomaco senza pensarci e quando lui si piega in due, gli spacco il legno sulla testa, facendolo cadere a terra con un tonfo e un gemito di dolore.

Lascio cadere i pezzi della mia arma improvvisata ai suoi piedi e mi passo una mano tra i capelli prendendo fiato.

- Ariel! – la voce di Carter mi fa sussultare e mi volto verso di lui che sta guardando quello che è successo con un po' di apprensione negli occhi scuri. Sposta l'attenzione su di me e fa un passo avanti, allargando le braccia, – sarei dovuto venire con te, mi dispiace, principessa – mormora e mi ritrovo contro il suo petto prima che possa realizzarlo davvero.

Mi piace, comunque.

Mi lascio stringere e chiudo i pugni sulla sua schiena, respirando il suo profumo e cullandomi con i movimenti leggeri del petto.

- Sei stata grande, tra parentesi – dice un secondo prima che ci possiamo staccare e gli sorrido, inchinandomi per prendere la tanica lì vicino.

- Ehi, riesco a sopportarti tutti i giorni. Un deficiente che mi vuole violentare non è nulla in confronto.

 

Dopo aver riempito la tanica fino all'orlo, torniamo verso la Porsche e il freddo pungente mi costringe a seppellire le mani nelle tasche della giacca. Nascondo il naso sotto al bavero del cappotto mentre il sole scompare lentamente dietro le nuvole lasciando spazio a un cielo bluastro che ci impedisce la visuale completa.

Io e Carter non parliamo molto durante il viaggio ma va bene così perché ogni tanto canticchio e, anche se raramente, lui mi segue e questo mi fa sorridere.

Cammino dietro Carter quando superiamo “ The Katy” ma cado in avanti riuscendo a mettere le mani a terra prima di fare un frontale con la strada.

- Ma che.. – mi volto, solo per vedere il mio piede incastrato tra i binari.

Carter mi guarda e lo fulmino, assottigliando le palpebre, puntandogli un dito contro. – Non ti azzardare. Non ci provare neanche – sibilo, ma è questione di secondi prima che lui faccia cadere la tanica a terra per piegarsi in due e ridere come un deficiente. La sua risata è l'unica cosa che spezza il silenzio della notte e nonostante la situazione e nonostante le ginocchia che mi fanno male per come sono caduta, mi scappa un sorriso.

- Davvero maturo, dico sul serio – borbotto spazzolandomi i jeans appena sono in piedi, – mi aiuti, prima che ti spacchi il naso?

Lui viene verso di me, ma ride ancora, anche quando prova a tirarmi la gamba per liberarmi il piede. Smette solo quando grido di dolore.

Provo a muovere il piede e impreco a gran voce,facendolo ridere ancora.

- Ma che cavolo! – urlo, – sono sopravvissuta a una megera impazzita, a dei mercenari che avevano deciso di fare Wrestling, a dei giganti alti il doppio di Tyson, a una pazza che trasforma la gente in pietra, due tigri a prova di dio e una malata terminale che aveva una cavolo di Chimera come animale domestico – mi guardo il piede furiosa, – e mi ferma un piede dentro dei binari, in Kansas? Oooooh ma andate tutti al Tartaro, bastardi! – grido in protesta e Carter ride di nuovo prima di guardarsi attorno.

- Provo a cercare un bastone, magari così riusciamo a liberarti il piede – propone e annuisco un paio di volte, incrociando le braccia sotto al seno.

- Tanto da qui non mi muovo – brontolo e lui ride dandomi le spalle e allontanandosi di poco per cercare la fonte della mia salvezza.

Non fa molti passi prima che i binari comincini a tremare e il cuore mi sale in gola. Lo stomaco si contorce in una morsa e ho la gola talmente tanto secca che ci vogliono un paio di secondi prima che riesca a dire, – Carter, sta arrivando il treno.

Lui corre verso di me, incespicando sul terreno freddo e rischiando di cadere un paio di volte.

Le scosse dei binari mi percuotono tutto il corpo e la gamba continua a farmi male a furia di tentare di toglierla.

La luce del treno e il rumore del motore si stanno facendo sempre più vicino e trattengo le lacrime per l'ennesima volta, rendendomi conto che non c'è niente da fare.

Carter mi slaccia la scarpa con le dita congelate che non rispondono subito ai suoi comandi ma lo fermo, strizzando gli occhi per la luce dei fari che è sempre più vicina e per il rombo del motore che mi sta quasi assordando.

- È inutile – riesco a dire e ho la gola e la bocca talmente tanto secche che mi sembra di aver ingoiato sabbia. – Lascia stare, ok? Vai tu da Allison e dille che ci ho provato, va bene? – solo adesso mi permetto di lasciar scivolar le lacrime sulle mie guance e mi chiedo se sia così che ci si sente prima di morire.

Non mi sta passando tutta la mia vita davanti e il cuore non mi batte più forte forse perché va bene così. Perché sapevo che prima o poi sarebbe successo e va bene perché ora non devo più scappare, ma smetto soltando di soffrire.

E va bene, smettere di soffrire perché, solo adesso, mi sto rendendo conto di non esser mai stata forte abbastanza per sopportare tutto questo.

Va bene così perché a parte il sibilo del treno sui binari e la luce dei fari, non sento nient'altro e a me va bene così. Lo accetto perché adesso raggiungo mamma e piango, accorgendomi solo ora di quanto mi sia realmente mancata.

Mi sto arrendendo, lo so. Ma io sto finalmente bene. Va bene arrendersi dopo che sei stata tutta la vita a lottare. Va bene, mi sta bene. Son stanca di fare la guerriera. Sono davvero stanca.

La luce del treno mi acceca ma riesco a vederne comunque i contorni prima di sentire un grido. Mi sembra quasi di volare prima di sbattere il fianco alla terra dura e ghiacciata mentre due braccia forti mi stringono.

- Va tutto bene – mormora Carter e mi concentro sulla sua voce prima di aprire gli occhi e trovare il suo volto un po' spigoloso a pochissimi centimetri dal mio. – Va tutto bene, sei con me adesso – dice asciugandomi le lacrime mentre il treno passa dietro di noi a una velocità che ci scuote i cappotti. Si inumidisce le labbra e mi accorgo che stiamo entrambi ansimando per lo spavento. – Va tutto bene, principessa. Sei con me, adesso – e mi tira a sedere, avvolgendomi tra le sue braccia e permettendomi di piangere contro al suo petto mentre mi culla come nessuno ormai faceva da tempo.


Angolo Autrice: 
Ehiila<3 
Sarò breve perché non ho proprio né la voglia né la testa di dilungarmi ahaha sono stati due giorni orrendi quindi la faccio facile: 
Carter e Ariel si stanno avvicinando ed ero molto felice di pubblicare questo capitolo ahahah spero sia piaciuto a voi almeno la metà di quanto a me è piaciuto scriverlo hahahah
Un grazie a tutti quanti:** 
Alla prossima, 
Vi adoro, 

Love yaa<3


  

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Capitolo 12
*** "Scusa se come psicologo faccio così tanto schifo" ***


"Scusa se come psicologo faccio così tanto schifo"
 

Ci vuole un po' prima che mi alzi da terra. Non so quanto tempo sia passato da quando ho rischiato di avere un incontro avvicinato con un treno, ma Carter mi culla contro al suo petto come se non gli importasse di nulla e io ne approfitto per calmare i battiti del mio cuore che sono come impazziti.

Forse rimaniamo così per minuti, magari anche ore ma quando cominciamo a camminare verso la Porsche, con le gambe e i piedi intorpiditi, io mi sento meglio.

Non ci sono più contatti tra me e Carter ma credo che vada bene così.

Arriviamo alla macchina quando ormai è buio e non so che ore siano ma mi poggio allo sportello del passeggero mentre Carter mette la benzina.

Partiamo velocemente verso l'Arizona e a parte qualche chiacchierata sul perché gli dei ce l'abbiano con me, in macchina c'è silenzio per la maggior parte del viaggio.

È tardi e l'orologio dell'auto segna l'una. Carter è stanco quasi quanto me ma so che devo tenergli compagnia e, se devo essere sincera, mi piace parlare con lui.

- Non lo fare mai più – mi volto verso di lui con la fronte corrugata, cercando di capire dove voglia arrivare, – non mi fare spaventare più come hai fatto oggi perché ho seriamente pensato di perdere dieci anni di vita.

Rido, per quanto sia strano, rendendomi conto che era ormai da molte ore che non sorridevo, semplicemente. – Mi dispiace.. non so cosa mi sia preso a dire la verità.

Carter sta zitto per un attimo prima di decidersi a rispondermi, – ti stavi arrendendo, principessa – e non so per quale motivo le parole “arrendersi” e “principessa” nella stessa frase mi danno fastidio. Mi fanno sentire come una piccola bisognosa d'aiuto e odio sentirmi così.

- Non sono una principessa – dico allora e Carter sorride malandrino lanciandomi un'occhiata di sottecchi e tornando poi a guardare la strada.

- Per me lo sei.

- Ti sbagli, allora – e mi rendo conto solo dopo che l'ho detto quasi ringhiando.

Carter frena di colpo in mezzo all'autostrada deserta e stringe i pugni talmente tanto forte che le nocche, alla luci interne della macchina, sbiancano.

Si volta verso di me e capisco dal suo sguardo che sarà questione di secondi prima di iniziare a litigare.

Non mi va, non ho abbastanza forze per litigare anche con lui. L'unica cosa che voglio fare è dormire ovunque, anche sull'asfalto ma voglio dormire.

Lui però non sembra capirlo e ciò non fa che dimostrare la mia teoria secondo la quale i ragazzi siano realmente delle emertite teste di cazzo.

- Sei la classica semidea alla quale è andato tutto bene nella vita. Ecco perché sei una principessa – sibila quasi e mi porto una mano al ciondolo che sta iniziando a bruciare sulla lana scura del maglione.

- E tu che diavolo ne sai? – ringhio assottigliando lo sguardo e il fatto che Carter adesso stia ridendo sarcasticamente mi fa venire voglia di spaccargli quel bel nasino con un pugno.

Corrugo la fronte, forse mio padre ha seriamente sbagliato a riconoscermi perché pensieri omicidi non possono essere propri di una figlia di Poseidone.

- Ma andiamo, Ariel! Ti sei vista, di recente? Sei la una figlia di Poseidone! – e sussulto perché dice il nome di mio padre come se fosse una malattia, – lui è uno dei più affezionati ai propri figli e probabilmente, tua madre ti aspetta a casa con i regali di Natale!

Adesso è il mio turno di ridere per nascondere quanto le sue parole mi abbiano realmente ferito. Non riesco a capire perché si stia comportando così, perché mi stia trattando male quando, con l'abbraccio che mi ha dato oggi pensavo che avessimo seppellito l'ascia di guerra.

Ogni sua parola è una sfilettata e sbatto le palpebre un paio di volte per scacciare le lacrime che minacciano di rigarmi le guance.

- Vai al Tartaro, Carter – mi limito a dire perché non ho la forza di discutere, tanto meno con lui.

Scendo dalla macchina sbattendo la portiera con tutta la rabbia e il nervosismo che ho accumulato in questi giorni e incrocio le braccia sotto al seno facendo un paio di passi lontano da Carter che, a quanto pare, oltre che essere stronzo è anche recidivo.

- Che fai, scappi? – grida e mi volto di scatto verso di lui, lasciando che i miei capelli sferzino l'aria, taglienti quasi quanto le parole che minacciano di sgorgarmi dalle labbra come un fiume in piena. – Sei codarda, Ariel Miller. Codarda!

E adesso basta.

La rabbia mi monta nel petto, potente, e il ciondolo brucia ma prendere Onda non mi darebbe la stessa soddisfazione di batterlo a pugni.

Lo odio, lo odio più che mai perché lui non sa nulla e perché lui non sa quanto ho dovuto combattere o perché, ho dovuto combattere nella mia vita.

Posso essere tutto, ma non codarda ed è la consapevolezza di quanto le sue parole mi facciano male che mi spinge a camminare velocemente verso di lui. Carico il pugno e lo colpisco alla mascella con una velocità che non pensavo neanche di avere.

Mi faccio male alle nocche ma il suo gemito di dolore e il modo in cui gli scatta la testa verso sinistra è il miglior prezzo.

- Non sai nulla! Stai zitto, Carter, perché non sai nulla! – gli tiro un altro pugno al petto e mi sorprende un po' il fatto che lui, nonostante si possa difendere, continui a tenere le braccia lungo i fianchi. – Tu non sai tutto quello che ho dovuto passare o quanto mi sia toccato lottare anche solo per essere qui adesso! Tu non sai nulla! – e grido, tanto che mi fa male la gola prima di tirargli un altro pugno alla mascella.

Sto per caricare il braccio ancora ma lui mi blocca per i polsi e solo quando parla mi rendo conto di quanto realmente i nostri visi siano vicini. Le lacrime mi corrono lungo le guance e io me ne accorgo troppo tardi perché possa fermarle.

Alla luce dei fari, scruto gli occhi scuri e colpevoli di Carter ma, in quelle pozze profonde, vedo anche una scintilla che non ho ancora imparato a riconoscere.

- Allora raccontami – sussurra lasciando che il suo respiro si fonda col mio, – non tenerti tutto questo disastro dentro, ma raccontami cosa ti è successo.

Ed è solo adesso che riesco a capire la scintilla nel suo sguardo o il perché mi abbia trattato così male fino a farmi sbottare o fino a rendermi abbastanza vulnerabile da farmi aprire con lui.

Prendo un respiro, cerco di farlo e le ginocchia tremano. Ho paura di cadere ma la presa di Carter attorno ai miei polsi è fin troppo salda.

- Io non.. io – e ringhio perché vorrei parlare, vorrei raccontare a qualcuno la mia vita ma non ci riesco. Le parole che prima volevano sgorgare dalle mie labbra come un fiume in piena sembrano svanite. La loro forza sembra avermi abbandonato e scuoto la testa serrando forte le palpebre per lasciar scivolare altre lacrime lungo le guance.

Le mani di Carter mi sollevano delicatamente il viso e i miei occhi si perdono nelle sue pozze scure, – fidati di me. Almeno per una volta, al di fuori della battaglia.

E sono senza dubbio gli occhi che mi spingono a parlare, che mi spingono a liberarmi del peso che porto nel cuore da ormai due anni per la prima volta.

Sono i suoi occhi che mi spingono a raccontargli di quando, a nove anni, mamma si era ammalata di leucemia e noi non avevamo abbastanza soldi per le cure.

Sono i suoi occhi che mi spingono a confessargli le gite al Bronx la notte, quando mamma era ricoverata e quando zia Mary iniziava già a fregarsene di noi due.

Sono i suoi occhi che mi spingono a raccontargli dei locali dove andavo a dieci anni per racimolare quei 1200 al mese che garantivano le cure di mamma e una sua possibile guarigione.

Sono i suoi occhi che mi spingono a confessargli di quando erano quarantenni a scegliermi e di quei quattro anni che ho cercato inutilmente di dimenticare, rendendomi conto troppo tardi che, così facendo, avrei dimenticato anche mamma.

I suoi occhi mi spingono a raccontargli dei suoi sorrisi. Di quelli mozzafiato che regalava, senza volerlo, a tutti. Di quella risata che riusciva sempre a far ridere anche me. Di quegli occhi scuri che riuscivano comunque a farti vedere il mare e di quella voce che adesso non ricordo più.

Gli racconto dei nostri abbracci, dei balli improvvisati nella nostra cucina dentro l'appartamento troppo piccolo anche per due.

Gli racconto delle pizze ordinate all'ultimo, delle cuffiette per coprire la cute calva e dei capelli scuri che stavano ricrescendo intanto che la cura stava andando bene.

Gli racconto di quando, ai tredici anni, lei si era insospettita. Aveva parlato con zia Mary e lei, stupida donna, le aveva detto di non aver pagato mai un giorno di cure all'ospedale e allora:”Ariel Miller, da dove diavolo vengono tutti questi soldi?”.

Gli racconto di quando, anche i soldi che avevamo da parte erano finiti e noi, le cure, non ce l'eravamo più potute permettere.

Gli racconto della pelle che stava tornando pallida, delle forze che mancavano ma gli racconto anche di quei sorrisi che, sul volto tirato, non mancavano mai. Gli racconto della pizza fredda e che arrivava sempre in ritardo, della tv via cavo che prendeva male e degli ultimi abbracci privi di forza ma che, comunque, erano stati i più belli della nostra vita.

Gli racconto del:”dai, Ariel portami a Montauk. Voglio vedere il mare”.

Gli racconto di quella sera del venti gennaio, di quando a New York sembrava stesse piangendo perfino il cielo e di quanto, sdraiate sul suo letto, noi abbiamo parlato per l'ultima volta:”tu sei forte, bambina mia e ce la devi fare. Tu sei forte, molto più forte di me e ricordati che devi lottare. Devi lottare e devi combattere per ciò che vuoi essere e per chi ami. Tu sei e sarai sempre una guerriera, bambina mia”. Gli racconto di come mi avesse accarezzato il viso, ignorando le lacrime che lei, stoicamente, non stava versando, “tu sei una guerriera e sei anche una principessa. Non dimenticartelo mai, promettimelo”.

Gli racconto del mio “promesso” detto tra le lacrime, esattamente come adesso. Gli racconto di come mi ero accasciata su di lei, desiderando che fosse solo addormentata ma -cavolo- il suo cuore non batteva più.

Gli racconto tutto perché i suoi occhi, il suo viso, le sue mani mi spingono a farlo con una delicatezza che nessuno, tranne lei, ha mai avuto nei miei confronti.

Gli racconto tutto e, adesso, mi va bene che mi abbia urlato contro e che mi abbia anche dato la codarda perché questo mi ha spinto a parlare e solo adesso che l'ho fatto, mi rendo conto di quanto, in questi anni, ne avessi realmente avuto bisogno.

- Visto? – Carter sorride, tenendomi il volto tra le mani, – avevo ragione a chiamarti pricipessa – mi concedo una risata ma poi le gambe cedono e lui non fa nulla per trattenermi. Cade con me sulla neve che ricopre il ciglio della strada e per la secondo volta in quella giornata, mi stringe contro il suo petto.

Le sue braccia forti mi circondano la schiena e anche se mi fa un po' male, mi va bene così. Ho bisogno che lui mi faccia del male per distrarmi dal dolore psicologico.

- Mi dispiace, principessa – sussurra con le labbra attaccate alla mia fronte e annuisco un paio di volte perché ho capito e perché non c'è bisogno di spiegare. Lui scuote la testa e affonda le mani tra i miei capelli mossi, lasciando che le labbra mi sfiorino la pelle, – non volevo trattarti male e non penso quello che ti ho detto. Volevo farti parlare – a questo punto mi bacia la fronte e ci vuole un po' prima che parli dentro la bolla d'universo che, inginocchiati sulla neve, siamo riusciti a crearci, – sei forte, principessa e scusa se come psicologo faccio così tanto schifo ma sono pur sempre un figlio di Ares.

Mi concedo una risata asciugandomi le lacrime e Carter mi sorride, dandomi un altro bacio sulla fronte che un po' mi sorprende. Lo guardo e stringo un po' di neve nel palmo della mano destra nella speranza che lui rimanga a guardarmi, chiuso nel nostro piccolo mondo e illuminato dai fari della Porsche. Porto velocemente il palmo sulla sua testa e libero la neve sui suoi capelli alzandomi di scatto e ridendo quando lui esclama indignato, scrollando il capo per togliersi la neve da sopra.

- Sei pessimo come psicologo, sappilo! – esclamo con un sorriso e lui mi guarda malandrino inchinandosi e compattando la neve tra i palmi.

- Vuoi la guerra, novellina? – e rido buttando la testa all'indietro, pensando solo dopo che questo è un gravissimo errore. Quando rialzo il capo di scatto, la palla di neve che mi arriva in faccia è talmente forte, sorpredente e fredda che barcollo di due passi all'indietro e Carter ride, ride tantissimo piegandosi e tenendosi lo stomaco con due mani. Arriccia la radice del naso e la risata acuta riempie il silenzio, smorzato dal leggero borbottio dell'auto.

Sputacchio neve nascondendo un sorriso e mi inchino velocemente per ripagarlo della stessa moneta pochi istanti dopo.

- Inizia a correre! – minaccia divertito e urlo prima di arrancare sulla neve nella speranza di non venir acchiappata. Scivolo due volte, rischiando di fare un frontale con l'asfalto e sento Carter ridere dietro di me prima che un lampo di genio mi ricordi di avere il berretto di Annabeth. Me lo calo sulla testa e Carter impreca un paio di volte, intimandomi di uscire allo scoperto.

Mi rannicchio dietro la macchina ancora invisibile, nella speranza di prendere fiato e non bado ai tonfi che sento. Mi tolgo il berretto e un istante dopo, realizzo che quei tonfi era Carter che scivola sul cofano con un sorriso da bambino, barcollando appena mette piede sulla neve per poi bloccarsi davanti a me.

- Tu sei pazzo! – esclamo mettendomi una mano sul cuore per lo spavento e lui ride, recuperando la neve da terra e lanciadomela sulla testa.

Protesto scattando in piedi e sono nuovamente pronta a correre se Carter non mi bloccasse prima per un polso, sbattendomi allo sportello della macchina. Gli metto una mano sul petto ansante, l'eco della risata ancora sui nostri volti e sono talmente concentrata sulle pozze di Carter che avverto solo dopo la sua mano sinistra sul mio fianco e l'altra poggiata sul collo.

Mi inumidisco le labbra che, non so per quale motivo, si sono fatte improvvisamente secche e fisso le sue, sottili e rosee che, adesso, sono ancora più invitanti di quanto ricordassi.

Ma poi, quand'è che siamo arrivati ad essere così vicini?

I nostri petti combaciano e sorrido leggermente alla consapevolezza che sembrano fatti apposta l'uno per l'altro, il mio così piccolo contenuto però perfettamente nei contorni del suo.

Gli stringo leggermente il golfo sotto il cappotto aperto e torno a guardargli gli occhi avvertendo adesso più distintamente la mano sul mio collo e le dita che giocano con l'attaccatura dei capelli sulla nuca.

- Ariel? – mi chiama e ci metto un po' per rispondergli perché le sue labbra sono davvero troppo vicine alle mie e non riesco a pensare con lucidità.

- Mmh?

- Se io adesso ti baciassi.. – inizia e il mio cuore fa una capriola perché si -dei!- io voglio baciarlo e le sue labbra che si muovono a così pochi centimetri dalle mie, sfiorandole quasi per provocarmi, mi stanno facendo impazzire.

- Te lo lascerei fare – ed è l'unica cosa che sono in grado di fare, di dire prima che la sua bocca sfiori leggermente la mia.

È un applauso, un battito di mani che, nella calma che eravamo riusciti a crearci sembra anche sbagliato, ad interromperci e ci stacchiamo di colpo seppur, una mano di Carter rimanga comunque sul mio collo.

Sussulto quando osservo il coso che si è piazzato accanto al muso della macchina e Carter si volta verso di lui, accarezzandosi il braccialetto senza ancora trasformarlo. Continuo ad osservare il nostro nuovo amico perché, seriamente, io non posso credere ai miei occhi.

Ora, si potrebbe pensare che sia abituata a stranezze fisiche, visto e considerato che uno dei miei due fratelli ha un occhio solo nel bel mezzo della fronte, che ho chiacchierato con una tizia con dei serpenti al posto dei capelli e che ho ucciso un leone con una capra sulla schiena ma credetemi quando vi dico che una cosa del genere non l'ho mai vista in sedici anni di vita. Questo tizio è costituito da tre persone insieme. E con questo, non voglio dire che sono tre persone assemblate perché il tutto sembrerebbe ancora più assurdo ma che, questo poveretto (quasi mi dispiace per lui) ha tre toraci -con tre golfi differenti e colorati- un'unica testa, due braccia e quattro ascelle.

Decido che, tutte le volte che sono depressa penserò a questo tizio, per ricordare a me stessa che ci sono persone che, dalla natura, sono state proprio prese per il culo.

Il tutto, perché non è di certo finita qui, si conclude con un torace enorme e un paio di gambe tozze chiuse nel più grande paio di jeans che abbia mai visto.

- E tu che cosa dovresti essere? – domando con una smorfia prima che il cervello si possa collegare alla bocca e quando Carter mi tira un pugno al braccio, il mostro mi guarda con un sorriso compiaciuto, illuminato a malapena dalla luce dei fari

- Ma come, piccola dea, tuo fratello non ti ha parlato di me?

Butto la testa all'indietro battendomi le mani sulle cosce in un segno di pura rassegnazione. Riporto poi lo sguardo su di lui, puntandogli un indice contro, – anche tu vuoi ammazzare mio fratello? – domando, – ti giuro, non sei il primo che incontro che mi dice la stessa cosa. Anche io lo vorrei ammazzare adesso, ma – dico alzando la voce per evitare di essere interrotta, aprendo il palmo verso di lui, – credo che tu debba sistemare i conti con lui invece che prendertela con me che sono solo una vittima della demenza di quel cretino. Che ne pensi?

Carter si sbatte una mano sulla fronte, – io non ci posso credere di star vivendo una cosa del genere.

Il tizio con tre toraci ride e fa un passo all'indietro, scrocchiando i polsi. Solo adesso, noto una fascia in pelle marrone attorno ai busti e stringo il ciondolo che sta iniziando a bruciare sul golfo.

- Mi dispiace, piccola dea ma per quanto ce l'abbiamo con tuo fratello, non sono qui per lui – alza due palmi davanti al petto.

- Perfetto, quindi adesso noi ce ne andiamo e amici come prima? Eh? – domando con un sorriso e Carter mi guarda come se volesse seppellirmi la testa nella neve, nella brutta imitazione di uno struzzo.

- Sono qui perché mi hanno pagato e il mio nuovo capo mi ha detto di uccidere te e il figlio di Ares – il tizio sorridere e stringo il ciondolo talmente tanto forte da farmi anche male, – Gerione rispetta sempre i suoi doveri quando viene pagato così profumatamente. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3 
Vediamo il lato positivo della faccenda hahahha: sono anticipo rispetto alla settimana scorsa^-^ 
So che non è molto lungo come capitolo ma, semplicemente, trovo che sia ricca di troppa depressione (seppur necessaria) e ho decido di non appensantirlo troppo. 
Eccolo qui, ecco il passato taboo di Ariel. Qualcuno aveva intuito qualcosa di simile o è stata una sorpresa? E, anche adesso, capiamo la maggior parte degli atteggiamenti di Carter che voleva soltanto farsi dire tutto ciò che aveva vissuto. 
Non so come funzionino le cose negli Stati Uniti se non che gli ospedali sono a pagamento e Ariel amava troppo la madre perché la lasciasse morire senza averci almeno provato. Alla fine, la sua mamma se n'è andata semplicemente perché non voleva farle pagare le cure (spero si sia intuito) ed è morta tra le braccia della figlia quando lei aveva quattordici anni. 
Ovviamente, oltre a questa parte triste, c'è anche una parte un po' più spensierata dove i due semidei sono solo ragazzi e non più guerrieri e, quando si stanno per baciare arriva questo caga cazzo di Gerione ahahahha ma non temete, bacio arriverà e il rating arancione c'è per un motivo e non solo per le scene di lotta^-^ 
E adesso basta che ho già detto anche troppo AHHAHAH 
Spero tanto mi lascerete un parere perché, ormai lo sapete che amo leggere ciò che mi scrivete!:** 
Ringrazio poi tutti quelli che aggiungono la storia tra le seguite, preferite e ricordate, chi si prende la briga di recensire e poi, tutti quei lettori silenziosi che, comunque, almeno ai miei occhi, fanno la differenza:)) 
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Love yaa<3


    

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Capitolo 13
*** Combattiamo contro un mostro con quattro ascelle ***


Combattiamo contro un mostro con quattro ascelle
 

Succede tutto troppo velocemente. Non abbiamo neanche il tempo di trasformare del tutto le armi che il mio nuovo amico “vado matto per l'anatomia”, si toglie un arco da dietro la schiena e incocca una freccia dritta alla mia testa.

Carter si lancia su di me facendomi cadere bocconi sulla neve e la freccia mi sibila sulla testa, cadendo poi a un paio di metri di distanza da noi.

Ci rialziamo di scatto e impreco, rafforzando la presa su Onda e spazzolandomi i jeans.

- Imbecille – sibilo, un attimo prima che mi possa calare il berretto degli Yankees di Annabeth sul capo, diventando invisibile.

Carter stringe la sua spada osserva Gerione negli occhi, una freccia incoccata contro il suo petto, e mi sorprende notare che è il ritratto dell'assoluta calma anche se l'ho visto combattere moltissime volte.

Cammino verso il mostro e mi giro la spada tra le mani prima di infilargliela nello stomaco senza esitazione. La estraggo subito dopo e mi aspetto che diventi polvere ma, dopo un paio di secondi che Gerione rimane piegato in due, con le mani sulla ferita, si rialza con un sorriso inquietante sul volto, aspettando paziente che lo stomaco si ricucia con un risucchio.

- Tre cuori, ripresa perfetta, piccola dea – e fa scattare una mano verso il mio mento, talmente tanto velocemente che non faccio in tempo a spostarmi. Il colpo è abbastanza forte da farmi volare all'indietro e perdo il berretto di Annabeth sulla neve assieme a Onda, cadendo malamente sul sedere.

La cosa positiva è che sono accanto a Carter e mi rialzo faticosamente, togliendomi il sangue dal labbro un secondo prima che Gerione scagli le prime frecce verso di noi.

È veloce, più di quanto pensassi e il panico mi attanaglia lo stomaco assieme alla consapevolezza del nostro assoluto svantaggio.

Ci lanciamo dietro al cofano della macchina ma cado, quando un dolore lancinante mi colpisce alla coscia, facendomi ruzzolare a terra. Carter mi tira verso di sé prima che possa venir colpita ancora e striscio contro l'auto, fissando con sgomento la freccia che mi spunta dalla coscia.

Le mani mi tremano e respiro con difficoltà. Non riesco a dilatare abbastanza i polmoni per prendere l'aria che mi serve ma so bene che è il panico che mi blocca e devo combatterlo.

- Ariel, sei più forte di così – mi dice Carter fermandomi le mani tra le sue, ignorando Gerione che urla, che ci intima di uscire e che ci schernisce perché, per l'ennesima volta, ci siamo creati un mondo che è interamente nostro.

Quando Carter mi lascia le mani mi costringo a respirare e chiudo i pugni attorno alla freccia. Conto mentalmente e poi me la strappo via dalla gamba con un grido e il fiato mi viene nuovamente meno.

Lascio ricadere l'arma sulla neve perché sono certa di non riuscire neanche a tenere la spada che, tra l'altro, è bella che abbandonata davanti alla traiettoria delle frecce di Gerione.

- Fuori! – e l'urlo è talmente disumano che sussulto mentre Carter assottiglia lo sguardo carico di rabbia, un attimo prima che il mostro possa sollevare la Porsche per il muso, scoprendoci.

- No.. – mormora Carter ma quando capisce le intenzioni di Gerione balza in piedi, portando le mani verso l'alto, – no no no no! – ma lui getta la macchina oltre il ciglio della strada con un bruttissimo rumore di vetri infranti e carrozzeria costosissima andata al Tartaro. – Oooh, ma andiamo, amico! Era una cavolo di Porsche! – protesta indignato, – hai idea di quanto mi ci ero affezionato a quella bambina?

Ma evidentemente, Gerione non apprezza la tristezza di Carter perché grida, – non ti servirà negli inferi, figlio di Ares! – scaglia l'ennesima freccia e mi butto lateralmente, afferrando la spada con le dita stanche e intorpidite per il freddo.

Osservo Gerione e quando la mano che ha portato dietro la schiena si chiude sull'aria, racimolo abbastanza forza da lanciarmi su di lui, aprendogli uno squarcio sulla gamba mentre Carter gli apre il braccio sinistro.

Barcollo sulla gamba buona, tento di aggirarlo per tagliarlo di netto alle spalle ma Gerione mi spazza via il piede, facendomi rovinare a terra e perdendo nuovamente la presa sulla spada. È veloce quando tira una gomitata in viso a Carter, facendolo gemere mentre la sua testa scatta all'indietro, dandosi il tempo necessario per raccogliermi da terra, bloccandomi il collo nell'incavo del suo gomito.

- Non vuoi che la tua amica muoia, vero figlio di Ares? – domanda con un tono che mi ricorda molto i pazienti nel reparto psichiatrico dell'ospedale di mamma e quando il fetore delle sue ascelle mi arriva al naso, decido che l'ultimo modo in cui voglio morire è asfissiata perché questo cavolo di mostro non conosce la doccia.

Gli do un calcio al ginocchio e Carter è rapido ad aprirgli uno squarcio sul fianco. Si rimargina in fretta ma il dolore è abbastanza per far mollare la presa al mostro e lasciarmi andare.

Quando tocco terra, la gamba ferita mi cede per il dolore e Gerione fa scattare una mano verso Carter, aiutato dal buio, spedendolo a un paio di metri di distanza da noi. Lo sento cadere con un tonfo e un'imprecazione a terra e provo a rialzarmi quando uno degli stivali da cowboy di Gerione mi preme sulla ferita che mi ha inflitto una delle sue frecce.

Grido mentre la vista mi si appanna terribilmente e il mostro ride, ride di gusto, premendo ancora di più il tallone sulla ferita e il dolore è talmente lancinante, forte e assurdo che non riesco a concentrarmi su nient'altro. Mi pungolo sulle mani per sfuggirgli ma il suo tallone preme ancora di più, facendomi urlare.

- Allora, piccola dea, non sei più così forte adesso – ride ancora, un attimo prima che Carter, seppur privo di spada, gli si lanci addosso rendendo fieri di lui -con ogni probabilità- tutti i giocatori di football americano della zona per quel placcaggio in piena regola.

Ruzzolano verso gli alberi e io striscio via afferrando le tre frecce più vicine e che Gerione sembra aver lanciato per puro sfogo.

Mi volto di scatto verso Carter e riesco da vedere solo la sua figura che si rimette in piedi con un colpo di reni. Con mio sgomento, Gerione è veloce tanto quanto lui e prova a placcarlo, un secondo prima che Carter rotei all'indietro, colpendolo al petto col collo del piede e facendolo cadere a terra sulla neve.

Devo alzarmi. Devo alzarmi e ucciderlo.

Carter cade a terra quando Gerione lo tira per i piedi e dai colpi, capisco che si stanno prendendo a pugni. A essere sincera, non so chi vincerebbe tra i due.

Mi rialzo con fatica, stringendo le frecce nei pugni e cammino il più velocemente possibile mentre la gamba destra striscia a terra e pulsa in una maniera allucinante.

- Via! – dico quando arrivo da loro e -grazie agli dei- Carter è abbastanza furbo da capire che deve spostarsi.

Cado sul petto di Gerione, un po' perché lo volevo e un po' perché mi cede anche la gamba buona e con una violenza che sorprende anche me gli conficco le frecce nei tre cuori.

- Salutami quello stronzo di Ade – sibilo guardando Gerione negli occhi, visibili solo per la tenue luce della luna.

Il suo corpo diventa cenere e cado sulla neve con un tonfo, portandomi poi le mani attorno alla ferita. Rotolo, sdraiandomi a pancia in su sulla neve e butto la testa all'indietro, digrignando i denti per il dolore.

- Carter, mi fa male – dico e lui mi mette una mano sulla schiena, sollevandomi delicatamente a sedere.

- Come ti medico? – ma sembra che lo domandi più a sé stesso che a me.

Non abbiamo più nulla perché gli zaini sono nel sedile posteriore della Porsche e chissà dove diavolo è finita quell'auto.

- Dobbiamo trovare un posto dove dormire – dico, lottando per impedire alle lacrime di corrermi ancora sulle guance per il dolore, – manca solo un giorno alla scadenza e per guarire a me serve solo dell'acqua – faccio quasi uno sforzo per dire:”troviamo il motel più vicino”.

Nonostante il buio, vedo gli occhi scuri di Carter sbarrarsi, – stai scherzando? Sei debole! Non riesci neanche a parlare, figurarsi a camminare!

Chiudo gli occhi per un secondo usando il braccio che lui ha ancora dietro la mia schiena come sostegno per stare seduta dato che ho la mezza impressione che, se non avessi qualcosa a tenermi, sverrei seduta stante.

- Non possiamo neanche dormire per strada e dobbiamo raggiungere il Gran Canyon entro domani – riesco a dire con fatica e Carter sbuffa stringendo il pugno sulla mia schiena e facendomi male, quasi a volermi punire per la mia testardaggine.

Passo un braccio attorno alle sue spalle e lui rafforza la presa del proprio sulla mia vita, tirandomi su.

La gamba buona -infame- cede e vedo un lampo di rimprovero negli occhi di Carter che però sta saggiamente zitto e mi riporta dritta.

Un rombo d'auto in lontananza attira la nostra attenzione e sbarro gli occhi.

- Ho un'idea – dico subito e Carter si sbatte la mano libera sulla fronte, inchinandosi lateralmente per prendere il berretto di Annabeth.

- Ti seguo, kamikaze.

 

Ho un freddo cane e la gamba mi fa male quindi, se questo deficiente su un fuoristrada non si ferma subito dopo che mi sono tagliata i jeans e il maglione, farò in modo che il fiume Mississipi gli inondi in qualche modo la casa.

Mi metto sul ciglio della strada e osservo i fari della macchina che si avvicinano sempre di più. Stringo il ciondolo, quasi a darmi coraggio e sorrido quando l'uomo di trent'anni si ferma davanti a me, abbassando il finestrino del passeggero.

- Quanto prendi?

Ci vuole tutta la mia forza di volontà per non fare una smorfia ma sorrido morsicandomi un'unghia e passandomi poi il dito sul labbro, – poco, amore. Te lo giuro.

- Sali – dice e rido con malizia camminando il più normalmente possibile e augurandomi che Carter abbia capito cosa voglio fare.

Salgo con difficoltà sul fuoristrada e quando sono seduta sbatto la testa del tipo contro il finestrino della macchina con forza. Gli slaccio la cintura e lui non fa neanche in tempo a difendersi che delle braccia invisibili lo trascinano a terra.

Carter sale velocemente sulla macchina e mette in moto nell'istante stesso in cui l'uomo si alza e impreca contro di noi dopo aver tentato di rincorrerci.

Premo il palmo della mano sulla ferita e anche se la neve che ci ho messo sopra ha alleviato il dolore, non è comunque abbastanza.

- Resisti, principessa – mormora Carter e poi preme il piede sull'acceleratore e lo scatto è talmente potente che sbatto la testa al sedile con un mezzo sorriso.

 

 

 

Il primo motel fatiscente che troviamo alle quattro e mezzo del mattino a Santa Fe è la nostra tappa e sono talmente tanto stanca che non bado neanche al nome.

Carter parcheggia un po' lontano dell'ingresso e, chiusi dentro il fuoristrada, mi guarda con leggera apprensione.

- Ce la fai ad aspettarmi fuori? – domanda e rido, davanti a tutta quella preoccupazione.

- Si, Carter. Mi appoggio al muro, lo giuro!

Si cala il berretto di Annabeth sui capelli neri diventando invisibile e aspetto che faccia il giro per aiutarmi a scendere. Le sue braccia invisibili mi afferrano i fianchi e mi posano a terra delicatamente. Un braccio continua a sostenermi mentre andiamo verso l'ingresso e quando mi lascia vicino al muro, capisco che il piano per entrare senza pagare è appena iniziato.

Per un attimo vedo, dietro alla ragazza con i capelli neri e le cuffie alle orecchie che agita la testa ascoltando la musica, delle chiavi voltanti ma scompaiono pochi istanti dopo e le porte scorrevoli tornano ad aprirsi senza che ci sia nessuno.

- Ehi – sussurra Carter dandomi le chiavi e sorrido dove spero ci sia la sua faccia.

Non si può ancora togliere il berretto per pura precauzione ma mi aiuta lo stesso, avvolgendomi la vista con un braccio e attaccandomi a lui mentre entriamo nel motel.

Faccio un cenno con la testa e un sorriso alla ragazza che ascolta musica Heavy Metal a volume talmente tanto alto che anche io, al centro del corridoio riesco a sentirla e osservo con la fronte corrugata le pareti dipinte di rosa con alcune pietre, i vasi di fiori appassati e la stanza per la colazione con delle tovaglie che andrebbero sicuramente lavate.

Chiamo l'ascensore e solo quando siamo lì dentro, Carter si toglie il berretto e cado su di lui con uno spaventoso movimento di quel macchinario che avrà come minimo cent'anni.

Mi sistemo tra le braccia di Carter togliendomi le chiavi arruginite dalla tasca, – 168 – dico, leggendo il numero il numero della stanza e ringrazio tutte le divinità dell'Olimpo perché ho premuto il terzo piano senza sapere che era quello giusto.

La nostra stanza è l'ultima del corridoio e quando arriviamo, calpestando una moquette che con ogni probabilità ha la stessa età dell'ascensore, entriamo in una stanza con un corridoio talmente tanto stretto da starci solo una persona, il bagno sulla destra con una vasca da bagno e un cesso che sembra un vasino da notte. Il letto, al centro della stanza principale è affiancato da due comodini, davanti c'è un televisore e alla sua sinistra un armadio mezzo sfasciato che comunque, non useremo.

- Considerando che è gratis va anche bene – sorride Carter e mi costringo a fare la stessa cosa, passandomi una mano tra i capelli. – Vai a farti un bagno. L'acqua ti fa guarire, no?

Lo guardo malandrina mentre saltello verso il corridoio e mi attacco allo stipite della porta, puntandogli un dito contro, – dietro il fatto che l'acqua mi farà guarire nascondi il fatto che puzzo, non è così?

- Allora non sei così stupida! – esclama divertito e rido, facendogli una smorfia prima di chiudermi la porta del bagno alle spalle.

Apro l'acqua della vasca e aspetto che la riempia e la scaldi e dovere, sedendomi sul gabinetto lì affianco. Quando è piena quasi fino all'orlo mi porto i capelli scuri sulla spalla destra e poi mi spoglio entrando piano e facendo perno sulle mani perché la gamba ferita non mi faccia ancora così male.

Poggio la testa al bordo e chiudo gli occhi mentre recupero le forze perse in questi giorni di impresa e mentre la ferita da freccia non mi fa più così male, segno che sta guarendo velocemente.

Mi sfrego con forza la cute e il corpo e sto dentro l'acqua fino a che non si raffredda e quando esco, la gamba e un po' di atre ferite che avevo riportato nel corso di questi giorni non esistono più.

Mi avvolgo un asciugamano attorno al corpo e ai capelli e poi guardo i miei vestiti strappati, sudati e sporchi di sangue e decido che non posso assolutamente mettermeli.

Molto bene, dovrò rubare qualcosa missà tanto.

Quando esco dal bagno avvolta nell'asciugamano trovo Carter a petto nudo sul letto. La fasciatura fatta grezzamente con la sua maglietta è accanto a lui e della ferita della Chimera è rimasta solo una piccola cicatrice dei denti al centro del petto. Fisso il suo corpo allenato per qualche istante, osservando la curva delle sue braccia, la linea a V dei fianchi, il petto e i capelli che hanno bisogno di essere lavati. Il volto spigoloso fisso sulla tv via cavo che ha acceso e le gambe fasciate dai jeans che sono più sporchi di quanto ricordassi.

- Devo rubare dei vestiti – esordisco costringendolo a spostare l'attenzione su di me e ci vuole un po' prima che risponda mentre il suo sguardo indugia sull'asciugamano troppo corto che mi protegge fino a metà coscia.

- Come vuoi – dice, tornando a chiudersi in sé stesso come ogni qualvolta c'è qualcosa che lo turba e lo guardo per un secondo chiedendomi se quel qualcosa sia proprio io.

Afferro il cappellino di Annabeth da sopra il mobiletto accanto alla tv e me lo calo sulla testa, diventando invisibile. Lascio cadere l'asciugamano ai miei piedi che mi ingombrerebbe e basta e gli occhi di Carter si spalancano quando si alza e si rende conto di cosa stia succedendo.

- Fuori! – esclama e rido prima di aprire la porta e correre verso la reception, ringraziando il cappellino che porto sulla testa.

Scendo velocemente le scale sentendomi abbastanza strana e fisso lo sguardo sulla ventenne dietro la reception che ha la musica talmente alta nelle cuffie che riesco a sentirla anche io da quella distanza. Lei deve avere sicuramente degli abiti di ricambio che, a giudicare dalla corporatura, sono anche della mia taglia.

Cammino verso il bancone della reception e scivolo velocemente dietro di lei, aprendo la porta alle sue spalle e andando a tentoni per la luce che non posso decisamente accendere.

Sbatto il piede contro il mobile e impreco tra i denti per il dolore saltellando e scontrandomi violentemente contro a un tavolino. Rischio di caderci sopra ma poi finisco su quella che sembra una sedia girevole, mantenendomi il cappellino in testa perché, decisamente, se quella ragazza dovesse entrare, non voglio che mi veda completamente nuda.

Vado verso la parete di sinistra, sbattendo la testa a quello che sembra l'anta di un armadietto e lo apro con un pugno, togliendone fuori quelli che sembrano dei vestiti e un paio di scarpe.

Uno spiraglio di luce mi illumina e mi stringo vestiti e scarpe al petto, decidendo di guardarli solo appena sarò in camera. La ragazza entra dentro la stanza con gli occhi semi chiusi e la musica troppo alta, agitando la testa a ritmo e canticchiando di tanto in tanto.

Sguscio velocemente dietro di lei e poi torno verso la mia stanza, bussando un paio di volte e sperando che Carter mi apra.

- Sono io! – esclamo in un sussurro e lui apre la porta, scostandosi da un lato per farmi passare e guardandomi con curiosità. Solo dopo mi rendo conto che, effettivamente, non può realmente vedermi.

Chiude la porta alle mie spalle e vado in bagno, afferrando mutande e reggiseno che, anche se sono sporchi, mi servono. Infilo tutto il più velocemente possibile e quando mi faccio scorrere i pantaloncini di jeans sulle cosce, Carter trova la mia testa, togliendomi il cappellino e rendendomi visibile.

- Ma sei imbecille? – ringhio chiudendomi i pantaloncini sulla vita a una velocità inaudita e infilandomi velocemente la maglietta sui capelli ancora bagnati.

Carter ride, tenendosi lo stomaco con le mani e piegandosi in due, la punta del naso arricciata e la sua risata che riempe la stanza, strappandomi un sorriso che nascondo.

La maglietta che ho è un po' larga e degli acdc ma credo che vada bene lo stesso considerando che l'alternativa era un golfo strappato o girare costantemente con il berretto di Annabeth.

- Dai, a dormire principessa – dice poi più dolcemente e solo in questo momento mi rendo conto che è solo in boxer e il torace è ancora umido per la doccia che si è probabilmente fatto mentre io recuperavo i vestiti di quella ragazza.

Deglutisco perché Carter è già bello di suo, figurarsi in boxer scuri che gli abbracciano le gambe toniche e gli lasciano scoperto il torace allenato. – Agli ordini. – Faccio con un sorriso andando nella parte del letto vicino alla porta perché ho sempre qualche problema a dormire vicino alla finestra anche se non ho ancora capito bene il perché.

Scivolo dentro le coperte e mi volto di lato aspettando di sentire Carter fare lo stesso.

Vorrei parlare, dirgli qualcosa anche se non so ancora bene che cosa ma gli occhi mi si chiudono prima che possa formulare anche una sola frase.  


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3
Volgio i complimenti perché sono puntuale dopo non so quante settimane ahahahah adesso mi offrite tutti un caffé^-^ 
Comunque, mi scuso in anticipo se non ho potuto rispondere alle rencensioni ma questa settimana sono proprio piena e adesso dovrei scirvermi le formule di matematica sul foglio protocollo per domani, e invece sono ancora qui ahahha un altro caffé, prego. 
Comunque, passiamo velocemente al capitolo e poi la smetto di scassarvi le palle eheheheh allora, Carter e Ariel non hanno un secondo di pace, Gerione cerca di ammazzarmi la protagonista perché è uno stronzo sessualmente frustrato ma Ariel e Carter riescono comunque a fargli il culo. Se devo essere sincera, non vedo l'ora di pubblicare il prossimo capitolo perché, per quanta Arter ci possa essere in questo tra baci e abbracci vari, il prossimo è davvero uanderful. E se lo dico io, che sono sempre pronta a criticare i miei capitoli, allora è grave AHAHAH 
Un grazie enorme a chi recensisce, a chi mette la storia tra le seguite, preferite e ricordate e chi legge e basta, forse un po' troppo timido per farsi sentire:** Lo sapete che neanche voi passarete mai inosservati<3 
A presto, lo giuro! 
Vi adoro, 
Love yaa<3

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Capitolo 14
*** Mercenari ***


Mercenari
 

E' un raggio di sole a svegliarmi stamattina e sono talmente tano rintronata che, con ogni probabilità, è perché sono solo le sette.

Non riesco a capire bene dove sono, probabilmente perché il mio corpo è a contatto con qualcosa di incredibilmente caldo e liscio e..nudo.

Spalanco gli occhi con un leggero sussulto rendendomi conto di essere tra le braccia di Carter e sorrido leggermente, decidendo di aproffitarne un po'.

Mi stringo contro il suo petto con un leggero frusciare di coperte e capelli e le sue braccia nude si serrano attorno alla mia schiena in automatico, come se fosse un riflesso involontario.

Sto bene contro di lui e chiudo nuovamente gli occhi godendomi per qualche secondo quella sensazione di protezione che non avvertivo ormai da tempo e mi concedo altri cinque minuti prima di scostarmi delicatamente da lui e inginocchiarmi sul letto. Prendo il mio cuscino per i due lembi finali e lo sollevo, sbattendolo contro la testa di Carter, gridando euforica. – Forza, dormiglione! È una nuova giornata, il sole splende e dobbiamo andare ad ammazzare un po' di mostri! – Gli do un'altra cuscinata e Carter spalanca gli occhi con una sfumatura di terrore nelle iridi nere prima di rotolare giù dal letto, cadendo a terra con un tonfo.

Mi sporgo per realizzare il fatto che sia caduto sul serio e rido tenendomi lo stomaco con le braccia, piegandomi in due e dando un'altra occhiata al ragazzo che mi sta fulminando con lo sguardo.

- Oh dei! Sei un imbranato! – dico tra le risate e Carter allunga le braccia tirandomi giù con sé e facendomi gridare fino a che non cado con un tonfo sul pavimento, facendomi male al fianco destro.

- Parità – sussurra con un sorriso e brontolo leggermente prima di puntellarmi su mani e ginocchia per alzarmi e andare in bagno.

Quando mi guardo allo specchio sto ancora sorridendo.

 

Siamo i primi a fare colazione e ci mettiamo nel piatto quanta più roba possibile. Non sappiamo se riusciremo a mangaire nel tragitto da qui al Gran Canyon ed è sempre meglio fare scorte extra nello stomaco.

Carter mi guarda con un mezzo sorriso e smetto di masticare le salcicce che ho in bocca per lanciargli un'occhiata scettica. – Che c'è? – domando a bocca piena e lui ride senza smettere di guardarmi, con una scintilla nello sguardo che non riesco bene ad interpretare.

- Sei piccolina ma, cavolo, mangi più di me! – esclama divertito facendomi sorridere a bocca chiusa. – Sicura che ci stia tutto nella tua pancia? – chiede lanciando uno sguardo verso il mio stomaco e annuisco convinta anche se sono certa che se dovessi buttare giù altro vomiterei il cibo di due giorni.

Stamattina stiamo entrambi meglio. Siamo finalmente puliti e abbiamo lo stomaco pienissimo come non capitava a giorni, il sole è alto nel cielo e la giornata sembra quasi migliore.

Non voglio pensare che nel giro di qualche ora dovrò nuovamente rischiare la vita.

Guardo Carter per qualche secondo mentre beve il suo succo d'arancia e mi chiedo se anche lui ha paura o è nervoso quanto me. Probabilmente no, comunque.

Carter ha partecipato a una vera e propria guerra e questa non è sicuramente la sua prima impresa. Sicuramente, per lui, mostri e dei sono una passeggiata da superare e, per qualche istante, mi ritrovo a invidiare il suo essere così caparbio, testardo e forte.

- Tutto bene? – mi domanda fissando i suoi occhi scuri nei miei e scuoto leggermente la testa rendendomi conto di essermi incantata.

Annuisco con un sorriso e prendo il suo bicchiere di succo d'arancia portandomelo alle labbra e finendolo in pochi secondi. Sorrido quando Carter protesta con un mezzo sorriso che gli increspa le labbra sottili.

Ci stiamo per alzare quando la ventenne alla reception della sera prima ci intercetta con la coda dell'occhio e si toglie gli auricolari dalle orecchie per fissare me e i suoi vestiti.

- Merda – sussuro puntando le mani sul tavolo per alzarmi e spingendo Carter a fare lo stesso.

La ragazza mi punta un dito contro attirando l'attenzione dell'uomo sulla sessantina che sta passando lì vicino e che deve essere senza dubbio il proprietario del motel. – Voi non siete clienti dell'albergo! – grida e poi mi guarda meglio adesso che sono in piedi in procinto di correre via, e i suoi occhi scuri si assottigliano rabbiosi, – quelli sono i miei vestiti!

- Via! – urla Carter sorpassandomi e afferrando la mia mano mentre scappa via dal principale che ha probabilmente intenzione di chiamare la polizia del Kansas.

Saltiamo sul pick-up e Carter mette in moto mentre io gli grido di sbrigarsi perché sia la ragazza che il principale sono appena usciti dalle porte scorrevoli dell'albergo e sono davvero arrabbiati.

- Mi sto muovendo! – esclama il figlio di Ares e quando riesce a mettere in moto l'auto preme il piede sull'acceleratore con talmente tanta forza che sbatto la schiena al sedile.

Sfrecciamo via verso l'Arizona sull'autostrada deserta delle sette e mezzo di mattina.

 

È un po' che Carter sta guidando e adesso l'autostrada è ricca di macchine che si stanno probabilmente spostando per Capodanno. Non so quanto ci metteremmo per andare in Arizona ma so di per certo che fare la Route 66 non sarà divertente.

Prima di imboccare la strada per il Gran Canyon Carter gira di scatto per entrare in un autolavaggio vuoto e mi sbatto la testa al finestrino imprecando degna di uno scaricatore di porto.

- Carter! – esclamo e lui ride posteggiando la macchina davanti a una pompa di benzina e mettendo un po' dei soldi che ci sono rimasti per fare rifornimento.

- Vuoi parlare con Jackson? – domanda e io corrugo la fronte.

Certo che voglio parlare con lui, ma non vedo come sia possibile considerando che non abbiamo telefoni.

Forse quell'idiota l'ha scordato.

- Bene – dice lui dopo che annuisco e sistema la pompa di benzina al suo posto prima di andare su una pompa automatica. Cerca nelle tasche posteriori e quando trova qualche spicciolo lo infila nella macchina togliendo la pompa e bagnando il suolo per qualche istante.

Lo guardo confusa perché, davvero non ci sto capendo nulla e lui estrae una moneta d'oro puro da una delle tasche anteriori dei jeans lanciandola a terra dove l'acqua sull'asflato ha formato un piccolo arcobaleno.

Per qualche istante mi chiedo perché stia lanciando una moneta degli dei nel suolo ma spalanco occhi e bocca quando questa viene risucchiata e una leggera nebbiolina prende a crearsi dal punto in cui è sparita la dracma.

- Oh Iride, accetta la mia offerta – dice solennemente e se non fossi così tanto sorpresa riderei anche per il suo tono. La nebbiolina che si era creata inizia ad addensarsi creando una nuvola di vapore che prende la forma di un bizzarro schermo televisivo. – Percy Jackson, Campo Mezzosangue – dice ancora e per poco la mia mascella non tocca la punta delle All Star quando sullo schermo appare una panoramica del Campo facendomi venire una fitta di nostalgia allo stomaco. È questione di secondi prima che l'inquadratura si sposti sul molo del laghetto delle canoe dove Percy si sta praticamente mangiando la bocca di Annabeth.

Guardo ancora la scena davanti a me con la fronte corrugata prima di ridere ed esclamare, – miei dei! È fighissimo!

Percy e Annabeth si allontanano l'uno dell'altra con stupore e si voltano verso di me leggermente frastornati prima di sorridere. – Ariel! – dicono contemporaneamente e se non fossi così orgogliosa probabilmente piangerei dalla felicità di vederli e sentire la loro voce.

- Ragazzi! – esclamo felice allargando le braccia, – ma che cavolo è quest'affare?

Annabeth ride lasciando che Percy intrecci le loro dita, – I-phone. Sta per Iride Phone – spiega, – formi un arcobaleno da qualsiasi parte, lanci una dracma, preghi Iride e se lei non è troppo impegnata ti va vedere qualsiasi posto tu voglia – conclude con un sorriso, – forte, no?

Io annuisco un paio di volte e allungo una mano per toccarli ritraendola subito dopo e rendendomi conto che loro non sono affatto vicini come credo.

Un lampo di tristezza passa negli occhi di entrambi ma poi Percy torna a sorridere, – sono così contento che tu stia bene! Dove siete? – chiede scrutandomi per trovare una qualche ferita nascosta.

- Stiamo per guidare sulla Route 66 ma Carter si è fermato per farmi parlare con voi – non guardo oltre lo schermo dove sta lui perché ho la mezza impressione che in questo momento possa essere piuttosto imbarazzante.

Annabeth mi sorride e poi da un pugno a Percy. Mi sono persa qualche dettaglio ma probabilmente lui ha biasciato qualcosa tra i denti che non le è piaciuto. – Finiscila. Tua sorella è sana e salva e forse, anche grazie a lui. Ciao, Carter? – dice cercandolo con lo sguardo e lui fa il giro dello schermo mettendosi al mio fianco e facendo un cenno del capo ad entrambi.

Si, Carter, tu si che sei un tipo loquace.

- Come sta andando? – domanda poi Percy per interrompere il silenzio. Il suo sguardo si sposta da Carter a me e gli occhi verdi si addolciscono mentre mi osserva.

- Diciamo bene. Abbiamo affrontato un sacco di.. – e un pensiero mi balena in mente facendomi assottigliare lo sguardo. Punto un dito contro mio fratello che mi osserva guardingo, come se potessi infilargli una spada nel petto. – Tu! Ho incontrato più mostri che volevano vendicarsi di te su di me che mostri che mi odiavano sul serio!

Percy e Annabeth scoppiano a ridere e lui si passa la mano libera sul ciuffo di capelli scuri che gli ricade sulla fronte. – Ops – dice e mantengo il mio cipiglio da arrabbiata solo per vedere ancora i sorrisi su due delle persone che preferisco al mondo.

- Ops?! Quando torno al Campo facciamo i conti, Jackson – faccio minacciosa e mi sembra di veder quasi Carter ridacchiare.

Percy alza le mani in segno di difesa, anche quella che ha le dita intrecciate con quella di Annabeth e mi sorride ancora. – Mi farò perdonare, giuro.

Incrocio le braccia sul petto e non riesco più a trattenere il sorriso sulle labbra, – per forza. – Lo schermo inzia a sfumarsi e cerco di parlare il più velocemente possibile. – Adesso dobbiamo andare, tornerò presto. Vi voglio bene! – riesco a dire un secondo prima che lo schermo possa sfumare del tutto e nonostante il senso di malinconia al petto, l'eco delle voci di Percy e Annabeth che dicono: anche noi!, riesce a rincuorarmi un po'.

 

Entriamo nella Route 66 dopo qualche minuto di guida e spalanco gli occhi quando la strada, perfettamente asfaltata costeggiata da cespugli radi e terra battuta, è più lunga di quanto pensassi.

Premo il tasto della radio iniziando a canticchiare la canzone che stanno passando e poggio la testa al finestrino osservando la strada che scorre veloce sotto di noi.

- Ade ce l'ha con i figli di Poseidone? – domando a un certo punto e Carter si volta verso di me sorridendo e riportando poi lo sguardo davanti a sé.

- Probabile – dice facendo spallucce. – Tuo fratello lo odia. Magari vuole eliminare la stirpe – fa con una nota di ironia nella voce e sbuffo osservando il suo profilo per qualche istante. – Gli dei sono sempre gli stessi. Hanno più di duemila anni e litigano sempre per le stesse cose: stesse guerre, stessi capricci, stesse tresche e stesse stronzate. Ade forse vuole più potere e Poseidone è il padre di due mezzosangue forti – mi sorride. – Ricordi? Stesse stronzate di duemila anni fa.

Mi concedo una risata e mi passo una mano tra i capelli giocando convulsamente col ciondolo. È ormai due ore che guidiamo e tutto sta andando troppo bene.

- La nostra vita avrà mai pace? – chiedo a bruciapelo e Carter sposta lo sguardo su di me per qualche istante prima di tornare a concentrarsi sulla strada. – Dovrò sempre avere paura di.. morire? – dico con una leggera esitazione e Carter mi guarda ancora con un sorriso.

- La morte di un mezzosangue è qualcosa di cui andare fieri, Ariel – esala in un leggero sospiro, prima di continuare. – La maggior parte di noi muore in guerra, muore combattendo e credendo fino all'ultimo in ciò e in chi ama. Io sono fiero di essere un mezzosangue, di rischiare la vita per le persone che amo – sta zitto per qualche secondo e poi mi guarda. – Hai presente l'Iliade? Achille non voleva andare in guerra ma poi Teti gli ha detto..

- “puoi rimanere qui e vivere una vita lunga e prospera senza che nessuno conosca il tuo nome, oppure puoi scendere in battaglia e venir ricordato per sempre” – recito e Carter mi lancia un'occhiata di sottecchi. – Tu vuoi la gloria?

- Non solo quella – mi dice, sorprendendomi un po'. – Voglio essere ricordato. Voglio che le future generazioni parlino ancora di me, parlino ancora di Carter Silver perché venir ricordati è l'unico modo che abbiamo per vivere per sempre.

Lo guardo chiedendomi se lui abbia paura di morire anche se sta lottando per ciò in cui crede. Chiedendomi se anche lui ha paura come me. certa che questo lo possa rendere un po' più umano ai miei occhi.

- Carter, tu hai.. – mi volto verso la strada in tempo vedere due van neri che stanno venendo verso di noi a una velocità spropositata, – ATTENTO! – grido e Carter impreca frenando di colpo.

Mi tengo alla maniglia dello sportello mentre la macchina derapa sull'asfalto liscio e bollente, fermandosi di colpo davanti ai due van.

Scuoto la testa dopo essermela sbattuta al finestrino e Carter sbatte le mani sul volante toccandosi poi il bracciale che porta al polso. – Ma che.. – inizio a dire interrompendomi quando degli uomini in divisa scura scendendo dagli sportelli scorrevoli dell'auto con mitra, pistole e coltelli a serramamanico negli scarponi.

Carter impreca.

- Chi diavolo sono? – domando allarmata e lui non distoglie lo sguardo dagli uomini che, dietro le lenti scure degli occhiali da sole ci guardano come se fossimo dei serial-killer. O una bistecca, a seconda delle interpretazioni.

- Mercenari – dice con rabbia nella voce e si toglie la cintura scendendo dalla macchina e spingendomi a fare lo stesso.

Quello che deve essere il capo mi squadra e mi viene il vomito quando sorride a mezz'asta. Ha una cicatrice che gli taglia un lato del labbro e mi dispiace non essere stata io a procurargliela. – Dovete venire con noi – dice con un tono di voce che non ammette repliche e sollevo le sopracciglia scettica anche se dentro di me sto morendo di paura.

- Chi vi manda? – domanda Carter con la voce talmente tanto fredda che mi fa quasi paura. Viene verso di me per fronteggiare gli uomini e ringrazio quando il calore del suo corpo entra in contatto col mio.

L'uomo con la cicatrice sorride ancora e mi fa l'ennesima radiografia partendo dalle gambe e finendo con le mie labbra.

Carter mi passa una mano attorno ai fianchi e mi tira a sé facendomi scontrare delicatamente contro il suo petto.

Osservo i quattro uomini davanti a noi e mi rendo che il mio amico potrebbe anche batterli a mani nude se non fossero armati.

  • Il capo, e voi dovete venire con noi.

    Apro la bocca per parlare ma Carter mi precede ancora rafforzando la presa sui miei fianchi. – chi vi dice che verremo?

    Tante volte nella mia vita ho avuto paura, ma mai come adesso. Quando si tratta di mostri so, che per la maggior parte, sono degli idioti senza cervello che si basano sull'istinto e un solo colpo di Onda basta a neutralizzarli, ma quelli che stanno davanti a me sono mortali. Sono killer venuti a prenderci e che non possono essere scalfiti dalle nostre lame.

    Il capo carica il mitra e lo punta contro il mio petto con un sorriso sulle labbra spaccate. – Io sono quello con la mitragliatrice, non tu, ragazzino.

    Sento Carter ringhiare e il suo corpo fremere contro il mio per la rabbia davanti alla consapevolezza che abbiamo appena perso. – Io vado in macchina con lei – dice alla fine e l'uomo ride freddamente facendo un cenno con la canna della mitragliatrice ai suoi compagni che avanzano in due verso di noi.

  • Ovviamente.

    Uno degli uomini mi prende il braccio infilandomi le dita nella carne e trascinandomi verso di lui. Non voglio gridare perché so che Carter si allarmerebbe così mi limito a grugnire e fissare gli occhi scuri del mio amico.

    - ADESSO! – grida e io do una gomitata talmente tanto forte all'uomo che mi sta tenendo che la testa gli scatta all'indietro mentre un fiotto di sangue mi arriva al viso. Lo disarmo velocemente colpendolo con il calcio del fucile e poi gli do un colpo al ginocchio sentendo uno splendido crac e il suo grido, prima che cada a terra.

    Sento il rumore di uno sparo e prego con tutta me stessa che non sia stato Carter ad essere ferito. Quando mi volto verso di lui, uno degli uomini è stramazzato a terra, la testa dentro una pozza di sangue e un foro sulla fronte che posso vedere nitidamente anche se non sono poi così vicino.

    Carter colpisce un altro con il calcio del mitra e quando mi volto, l'uomo dalla cicatrice sul labbro mi afferra per il collo tenendomi la lama del coltello sulla gola e serrando i miei capelli in un pugno.

    - Figlio di puttana – sibilo e lui ride attirando l'attenzione di Carter che si ferma un secondo prima di abbattere nuovamente il calcio del mitra sulla testa di uno degli uomini.
    Se continui – fa l'uomo con divertimento nella voce, – io le apro la gola in due e tu non vuoi che questo accada, giusto? – fa retoricamente e Carter ringhia gettando il mitra contro la faccia dell'uomo e alzando poi le mani davanti al petto in segno di difesa.

  • Il tipo grugnisce e quando si rialza, con un po' di difficoltà, gli spinge il mitra nello stomaco facendolo gemere e piegare in due per il dolore.

    Mi dimeno un po' ma la presa sui miei capelli si rafforza. – Fai da brava, amore.

    - 'Fanculo – dico ancora osservando Carter che viene ammannetato.

    - Clarke, alza il culo – ordina l'uomo che mi sta tenendo e capisco che si sta riferendo al soldato che ho atterrato io. Quello si alza a fatica e con un grugnito, mi si ferma davanti e il pugno che mi da è talmente tanto forte che sento il sapore ferroso del sangue in bocca.

    Sento Carter dimenarsi ma l'uomo che lo sta tenendo lo spinge facendolo balcollare e buttandolo malamente dentro il van con un tonfo.

    - E adesso, andiamo in centrale – sibila l'uomo che mi sta tenendo i capelli, infilandosi il coltello nello scarpone e leccandomi la guancia.

    Mi volto, abbastanza da potergli sputare in faccia, dritto in una delle sue sfere scure prendendomi una ginocchiata allo stomaco talmente tanto forte che stramazzo a terra.

 

Scuoto la testa sentendo una voce ovattata che chiama il mio nome. La stanza attorno a me gira e, devo essere sincera, non so neanche come diavolo ci sono arrivata qui.

Sbatto le palpebre un paio di volte sperando che il mondo attorno a me smetta di girare e metto a fuoco la figura di una donna seduta a un lato di un tavolo di legno davanti a me.

- Dove sono? – domando rendendomi conto della gola e della bocca secca che chiedono dell'acqua, guardandomi attorno e rendendomi conto di essere in una sorta di prigione.

La stanza è grigia e gli unici mobili sono la sedia scomoda dove sono seduta io, il tavolo che separa me e questa stronza dagli occhi e capelli scuri e la sedia dove sta lei.

- Ciao, Ariel.

La fisso con odio e mi scrocchio i polsi chiedendomi per quale motivo non mi abbiano legato. – Dove sono? – ripeto più duramente giocherellando con il mio ciondolo che si sta scaldando sempre di più.

La donna mi sorride e incrocia i polsi sul tavolo mettendo in mostra i bracciali che tintinnano tra loro quando si muove, – al sicuro.

Sorrido sarcasticamente incrociando le braccia al petto. – Già, come no. Vai a raccontare queste stronzate a qualcun altro.

Mi chiedo per quale motivo questa qui stia ancora sorridendo come se fossi la migliore amica alla festa di compleanno del figlio e poi prende una bottiglietta d'acqua da sotto al tavolo, aprendola e bevendo lentamente.

Puttana.

Cerco di deglutire ma la mia bocca è arida.

- Non possiamo farti andare a salvare la tua amica, Ariel – dice e sembra quasi dispiaciuta, – devi rimanere qui con noi.

Assottiglio lo sguardo stringendo i pugni per evitare di colpirla. – Vaffanculo – ed è solo adesso che i suoi occhi si induriscono. Alzo le mani davanti al petto in segno di difesa, – senza offesa, ovvio.

La donna mi guarda con odio aprendo le mani sulla superficie del tavolo. – Noi abbiamo vinto, Ariel e noi continueremo a vincere. Tu rimarrai bloccata qui fino ai nostri nuovi ordini e la tua Allison morirà – sorride, – avete perso, Ariel.

Alzo le sopracciglia e sorrido anche io, mentre la guardo. – Forse non sono stata abbastanza chiara. Stare al chiuso vi rende ancora più idioti, me ne rendo conto – la donna mi guarda con odio e io sorrido ancora di più. – Vaffanculo.

E a quel punto, si alza di scatto facendo strisciare la sedia sul pavimento con forza sbattendo le mani sul tavolo. – Avete perso! – grida, – perso!

Esce dalla porta con furia e rido prima di urlarle dietro, – Un valium al giorno toglie l'isterismo di torno, stronza!

Si chiude la porta pesante e grigia con un giro di chiave alle spalle e io mi ci butto contro osservando dal piccolo vetro all'altezza della mia testa una porzione infinitesimale di corridoio. Ci tiro un pugno contro con un grido di frustrazione rendendomi conto che in questa stanza non ci sono neanche finestre e io sono assolutamente bloccata.

 

Mi rendo conto di essermi addormentata scomodamente sulla sedia solo quando il rumore della serratura che scatta mi fa svegliare di colpo con un sussulto. Mi chiedo chi sia adesso e spalanco gli occhi per il panico quando vedo entrare l'uomo con la cicatrice sul labbro e il tipo che si chiama Clarke.

Si chiudono la porta alle spalle e mi alzo di scatto rendendomi conto di non aver sentito il rumore di una serratura che scattava.

Bingo.

- Allora, amore, ci facciamo un giro? – domanda e lo guardo con talmente tanto disgusto che lo fa ridere.

- Vai a farti fottere – dico anche se dentro ho abbastanza paura da respirare male.

Loro sono due e sono il doppio più grossi e alti di me. Ci sono poche possibilità che non mi facciano del male e mi devo aggrappare alla speranza di potercela fare per non svenire.

Sbatto le palpebre rendendomi conto solo all'ultimo di quanto l'uomo con la cicatrice mi stia vicino e sussulto un secondo prima che lui mi possa sbattere al muro, dietro la risata dell'amico.

Il cuore mi galoppa nel petto e devo cercare una soluzione.

- Solo un po' – dice l'uomo con un ghigno prima di premere con forza le labbra sulle mie, bloccandomi i polsi al muro con una velocità che credevo possibile solo a dei mezzosangue.

Schiudo le labbra e quando sento la sua lingua gliela morsico con tutta la forza, la rabbia e la disperazione che ho facendolo gridare e allontare da me di scatto, più per la sorpresa che per il dolore.

- Puttana! – esclama e quando si avvicina a me gli passo sotto il braccio afferrando la sedia dove ho dormito e spaccandogliela sulla schiena con un ringhio.

Si sbatte al muro e quando mi giro verso l'altro uomo, vengo sbattuta al muro con forza sentendo il sangue denso colarmi dal sopracciglio.

C'è sempre un modo per liberarsi. Sempre.

Chiudo gli occhi ignorando la mano fastidiosa che preme contro il mio sedere e la mia intimità e gemo, spingendolo ad allentare la presa. Faccio scattare la testa all'indietro colpendogli il naso che gli avevo già rotto questo pomeriggio e mi volto di scatto mentre i miei capelli sferzano l'aria.

Lo colpisco con un calcio allo stomaco facendolo indietreggiare e non perde l'equilibrio di fortuna anche se ha le mani impegnate a tenersi il naso.

Corro verso la porta e do una spinta al tavolo con il piede abbastanza forte perché possa colpire Clarke mandandolo a terra contro il capo e aprofitto di quel momento per scappare via togliendomi il sangue dagli occhi.

Sbatto la porta alle mie spalle e mi guardo intorno scegliendo di andare verso sinistra per puro istinto.

I corridoi sono grigi, esattamente come la stanza dov'ero rinchiusa ma devo andarmene e il prima possibile.

Quando svolto l'angolo mi sembra di sentire la voce dei miei due aggressori.

Accelero la mia corsa disperata per quei corridoi che non conosco, nonostante le gambe stanche e il cuore che mi batte a mille per la paura.

Devo trovare Carter.

Svolto all'ennesima curva verso destra scontrandomi contro un petto che è assolutamente maschile. Sussulto e carico un pugno fermandomi quando mi rendo conto di essermi sbattuta contro Carter.

- Principessa! – esclama e nello stesso momento in cui lui apre le braccia, io mi fiondo contro il suo petto lasciando che lui mi stringa forte a sé e concedendomi solo in quel momento delle lacrime di paura, rabbia e disperazione. – Sssh.. – mi sussurra Carter continuando a stringermi a sé cingendomi poi il viso con le mani e asciugandomi le guance con i pollici un po' ruvidi.

Mi tiene stretta a sé e mi bacia la fronte, la punta del naso e le labbra facendomi rabbrividire ma è un bacio totalmente privo di malizia che decide di darmene un altro prima di accarezzarmi il labbro inferiore con il pollice tornando poi a stringermi a sé.

Le ginocchia mi tremano leggermente e continuo a tenermi stretta a lui per paura di crollare in tutti i sensi.

- Cosa ti hanno fatto, principessa? – mormora e io scuoto la testa rendendomi conto di non essere affatto in grado parlare. – Ti hanno..

- No – riesco a dire contro il suo petto un attimo prima che un allarme inizi a suonare sopra le nostre teste seguito da un rumore di scarpe che corrono, abbattendosi sul pavimento.

Il petto mi si serra per la paura e Carter mi tiene per mano, trascinandomi lungo il corridoio. – Resta con me – mi ordina mentre lui corre e io arranco dietro di lui rendendomi conto che la sua mano stretta nella mia è l'unica cosa che riesce a darmi forza. – Resta con me, Ariel. Resta con me.

Corro più veloce. 


Angolo Autrice: 
Ehiila<3 
Buon Natale a tutti! 
Scusatemi tanto per il ritardo ma tra feste, babbo in Polonia e io da nonna, non ho proprio avuto tempo di aggiornare. Spero di essere riuscita a farmi perdonare con questo capitolo e preparatevi per il prossimo perché sarà la battaglia finale^-^ 
Dunque, Ariel e Carter non hanno un attimo di riposo e quando sono in macchina a parlare come persone civili, una volta tanto, arrivano questi stronzi dei mercenari che non si sa per chi lavorino (eheheheheheh) e li rapiscono. 
I due ragazzi vengono separati ma Ariel toglie fuori i coglioni per abbastanza tempo da riuscire a fare il culo a quei due gorilla e tornare da Carter. Carter scappa nel suo stesso momento e la bacia a stampo dopo averla abbracciata^-^ Non so il perché di quei baci a stampo, se devo essere sincera. A dire la verità, mentre scrivevo avevo già programmato un primo bacio tra Ariel e Carter più avanti ma poi è uscito così e se devo essere sincera, non mi dispiace neanche tanto ahahah vi direi il perché di quel gesto, il perché Carter decida di baciarla ma sono davvero curiosa di sentire quali sono le vostre impressioni:** 
Prima che me ne dimentichi, a parte tutti i grazie per chi mi segue, buona vigilia di Capodanno, piccoli semidei e, mi raccomando, bevete tanto da ritrovarvi in pieno Hangover domani AHHAHAH rendetemi fiera, un'altro anno di merda se ne va quindi, giù i pensieri e su i bicchieri, stronzetti! 
Alla prossima, cuccioli, 
Vi adoro, 
Love yaa<3




 

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Capitolo 15
*** Battaglia finale ***


Battaglia finale
 

Riusciamo a trovare per pura fortuna l'uscita di quest'edificio e due guardie con i fucili tentano di fermarci.

Carter si scaglia contro quella sulla destra mandandola a tappeto in pochi attimi e io mi dedico a quella sulla sinistra sentendo l'adrenalina della battaglia che mi scorre nelle vene. Quell'idiota riesce a tirarmi un pugno al sopracciglio dove già ero aperta ma gli do una gomitata alla gola e quando la sua testa scatta all'indietro lo colpisco con un calcio facendolo cadere a terra e colpendolo poi sul viso.

Carter mi porta via anche se non voglio, anche se ho appena cominciato a riversare tutta la mia rabbia in quei pugni e in quei calci, e poi corriamo furtivi nel parcheggio, sperando di trovare una macchina veloce e aperta.

Ci sistemiamo dietro un van e Carter si sporge oltre il muso osservando una Mustang nera che sta aspettando solo noi due. Si porta un dito sulle labbra per farmi cenno di stare zitta e poi scatta verso l'auto mentre io lo seguo a ruota. Apre il sedile del guidatore e tira giù il ragazzo che era pronto a muoversi scagliandolo a terra e salendo velocemente dopo di me. Quando mette in moto escono altri mercenari armati e Carter schiaccia il piede sull'acceleratore più forte che può mentre la macchina parte con una sgommata.

Sento rumore di spari e abbasso la testa verso il cruscotto per puro istinto mentre il cuore mi batte forte nel petto per la paura. Spero con tutta me stessa che non becchino le gomme e Carter esce dal cancello grigio un secondo prima che si possa chiudere del tutto.

Sfrecciamo lungo una strada sterrata e poi sorpassiamo un cartello bordeaux che dice:”Bye Bye Tucson”.

Carter impreca sbattendo le mani sul volante un paio di volte e facendomi trasalire. Sono molto più sensibile in questo momento e non ho il coraggio di guardarmi allo specchio perché so che non mi piacerebbe la ragazza che ci vedrei riflessa.

- Tucson! Tucson! – grida sbattendo le mani al volante ancora e imprecando in greco antico lanciando poi un'occhiata all'orologio sul cruscotto. – Sono le quattro mezzo. Va bene, ce la posso fare, ce la posso fare – si ripete come un mantra stringendo le mani sul volante talmente tanto che le nocche sbiancano.

Mi raggomitolo sul sedile guardando la strada che scorre veloce sotto di me e mi chiedo quando tutto questo finirà, quando smetterò di stare male e di soffrire.

Mi bagno le labbra secche con la lingua e la mia gola chiede ancora un po' d'acqua anche se so bene che non ne abbiamo neanche un goccio.

Non so quanto il Gran Canyon disti da qua ma stringo i pugni ficcandomi le unghie nei palmi delle mani per aggrapparmi a qualcosa di vero, di reale. Per aggrapparmi a un dolore che non sia solo nella mia testa e al vuoto al petto dovuto alla mancanza di Allison che voglio assolutamente colmare.

Poggio la fronte al finestrino freddo e mi stringo le ginocchia al petto, sbandando quando Carter scatta a sinistra per superare una macchina tornando poi ad accelerare di colpo.

Nessuno di noi due parla ma forse perché non c'è niente da dire.

Penso che ogni tanto mi lanci delle occhiate alle quali non rispondo. Non ne ho la forza e per salvare Als me ne servirà tanta.

 

È ormai due ore che Carter guida e probabilmente stiamo anche per arrivare ma io sono ancora nel mio stato vegetativo e si sta talmente bene nella mia fantasia che prevede me alle Hawaii bevendo da una noce di cocco, che non ho voglia di preoccuparmi per altro.

Carter mi guarda ancora e grugnisce ma io fisso la strada sotto di me, un attimo prima che lui possa frenare di colpo. Si slaccia la cintura e scende dalla macchina sbattendosi lo sportello alle spalle prima che io mi possa girare verso di lui e poi, pochi attimi dopo, anche la mia portiera si spalanca e Carter mi tira giù dalla macchina tenendomi per il avambracci ed evitandomi una caduta colossale.

- Ehi! – protesto mettendomi dritta e pochi istanti dopo, quando lui mi lascia, sono costretta e poggiarmi all'auto per le ginocchia che tremano.

- Ehi un cavolo, Ariel! – esclama, – che diavolo ti prende?

E ci metto un po' a capire che cosa intenda e quando ci arrivo sollevo le sopracciglia incrociando le braccia al petto in segno di difesa.

Non mi prende nulla e voglio solo essere lasciata in pace. Sto da schifo e voglio solo scomparire per un po', va bene?

- Non mi prende nulla.

Carter mi guarda scettico e solo adesso mi rendo conto che mi conosce meglio di quanto creda. Forse è più attento di quanto pensi. – Si, e io sono il presidente. Sei strana, Ariel e voglio aiutarti ma tu non me lo permetti – gesticola forte e stringo i pugni per evitare di fargli vedere le mani che tremano a quella confessione.

Nessuno ha mai avuto questi pensieri prima di allora, prima che arrivassi al Campo e conoscessi lui, Percy, Annabeth ed Als.

Solo mamma aveva questi pensieri, solo mamma mi ha davvero amato ed è questa consapevolezza che mi spinge ad accasciarmi ancora di più contro la macchina mentre un senso di smarrimento mi stringe il petto con forza in una morsa gelata che mi offusca la vista.

- Ariel – mi chiama Carter mettendomi le mani sulle spalle, – Ariel, resta con me – sussurra e qualche centimetro dal mio viso, soffiandomi sulle labbra e serro le palpebre per qualche istante prima di spalancarle e rendendomi conto che, se dovessi parlare, attaccherei a piangere come una bambina deficiente.

Guardo gli occhi scuri di Carter, quelle pozze d'ebano che mi sono piaciute dalla prima volta che le ho viste e abbandono le mani lungo i fianchi fregandomene di nascondere i tremiti.

- Mi baci, per favore? – chiedo con voce flebile e non so neanche io per quale motivo gli stia facendo una richiesta simile ma penso vada bene così. Voglio dire, sono praticamente sulla soglia dell'esasperazione.

Carter spalanca gli occhi e raddrizza la schiena come se così potesse sentire meglio o realizzare quello che gli ho detto. – Io.. io non so come andrà questa missione di salvataggio, va bene? Io non so se ne usciremo vivi, se riusciremo a recuperare Allison, non so niente e.. – chiudo gli occhi di nuovo prendendo il coraggio che mi manca per continuare a parlare. A questo punto però, non ho davvero nulla da perdere e mi sto rendendo conto che non voglio altri che Carter. È inutile continuare a sopprimere ciò che provo davvero quando quest'idiota con i capelli neri e il carattere insopportabile mi ha già rubato il cuore. – Voglio essere baciata da te prima di arrivare al Gran Canyon e affrontare qualsiasi cosa abbia rapito Als. – Lo guardo ancora negli occhi con una determinazione che non pensavo neanche di avere, – voglio es.. – ma non finisco la frase perché Carter mi cinge il viso con le mani e pochi istanti dopo, le sue labbra sono già sulle mie.

Chiudo gli occhi lentamente stringendo tra i pugni due lembi della sua maglietta scura e Carter mi schiude le labbra con la lingua chiedendone quasi il permesso con una gentilezza che nessuno ha mai avuto nei miei confronti.

Lascio che le nostre lingue si rincorrarono lentamente e mi abbandono contro Carter che mi stringe a sé mentre continua a baciarmi, passandomi le mani sulla schiena e accarezzandola piano.

Mi attacca all'auto baciandomi con più ardore, quasi più arruenza e fa scorrere le mani sui fianchi e sul sedere prima di afferrarmi le cosce, spingendomi a stringerle su di lui mentre mi solleva, premendosi contro di me.

Gli affondo le mani nei capelli e mi sporgo verso di lui perché voglio sempre di più, perché voglio sentire la sua pelle calda a contatto con la mia, le sue labbra sopra le mie e la sua lingua che accarezza la mia come se fosse stata creata per non fare altro che questo.

Mi tiene sollevata per le cosce mentre continua a baciarmi e mi tira leggermente il labbro inferiore coi denti facendomi ridere prima di attaccare nuovamente la mia bocca.

E mi bacia quasi con ferocia spingendomi a dargli in cambio altrettanto ardore e mi soprende il fatto che i suo baci siano un mix perfetto di dolcezza e passione.

Non sono mai stata così e lo stomaco non mi ha mai fatto male come oggi e la schiena non si è mai ricoperta di brividi come oggi.

Carter mi piace e tanto e starei così a baciarlo per ore.

Ci allontaniamo di qualche centimetro e gli accarezzo il labbro inferiore con il pollice prima di depositarci l'ennesimo bacio sopra.

- Andrà tutto bene – mormora Carter soffiandomi ancora sulle labbra e facendomi desiderare l'ennesimo bacio. – Andrà tutto bene perché siamo insieme, d'accordo?

Continua a tenermi sollevata da terra per le cosce e mi inchioda all'auto con il suo sguardo spingendomi ad annuire convinta e mi rendo conto adesso, che sono decisamente uscita dal mio stato vegetativo.

- Andrà tutto bene, recupereremo Allison e torneremo al Campo – mi sorride accarezzandomi le cosce con i pollici lentamente mentre continua ad osservarmi, – e poi, voglio baciarti ancora. Quindi non pensare neanche di morire – lo dice quasi come se fosse una minaccia a rido un attimo prima che lui possa baciarmi la punta del naso, facendomelo arricciare.

Devo essere particolarmente tenera perché lui mi da un altro bacio a stampo, facendomi poi schiudere le labbra quando mi da il secondo e tornando a far giocare la sua lingua con la mia in un modo che mi fa davvero impazzire.

- Mi fido di te – dico e lui sorride senza probabilmente rendersi conto di quanto una frase del genere per me sia importante, tenendo conto che mi sono sempre e solo fidata di me stessa.

 

Arriviamo al Gran Canyon che il sole sta ormai tramontando e anche se ci siamo fermati a un McDrive sulla strada fuggendo prima di poter pagare, dobbiamo portare via Allison il più in fretta possibile.

Non ci siamo più baciati durante la strada ma abbiamo parlato molto cercando di ammazzare il tempo e di non pensare al casino che combineremo.

Carter parcheggia la macchina in una maniera tanto improponibile che vorrei mettergli una multa ma poi mi trascina via prendendomi per mano e torno a concentrarmi su ciò che è davvero più importante.

Corriamo verso la terrazza schivando un po' di persone che vogliono vedere la montagna al tramonto ma ciò che mi trattiene dal guardare il panorama è Allison tenuta per le braccia da due arpie. Sono fermi a una ventina di metri dalla terrazza e sia io che Carter facciamo scattare le spade mentre camminiamo verso di loro e la manticora che, in divisa da militare, ci osserva con un ghigno e il suo sguardo bicolore.

Quando arriviamo davanti a loro, la mascella di Carter si contrae paurosamente e guardo prima lui e poi Als che si divincola e che, nonostante graffi e tagli mi sembra solo tanto incazzata.

- Piccoli dei – dice la manticora con un marcato accento francese, – ero certo che sareste venuti.

Carter solleva le sopracciglia osservando lo zigomo violaceo di Allison, il taglio su sopracciglio e quello sul labbro. La maglietta scura e aderente strappata, così come i jeans neri e gli scarponi che si sono leggermente spellati ai lati.

I mostri ed Allison così ridotta sembrano quasi sbagliati davanti alle montagne rossicce che si stagliano contro il tramonto e roteo la spada nella mano scrocchiandomi poi i polsi.

- Come sei perspicace – dice Carter e non trattengo un sorriso mentre fissa intensamente la sorella e i ricci scompigliati.

La manticora lo guarda con odio puro nello sguardo bicolore e il mio amico mi osserva, quasi sperando che possa capire ciò che vuole.

Vedo una scintilla di determinazione nei suoi occhi scuri e poi fisso Allison annuendo un paio di volte.

- Adesso! – dice Carter e un attimo prima che le furie che trattengono Als possano capire che stia succedendo, lei si dimena dando una gomitata a quella che ha sulla sinistra liberandosi un braccio e divincolandosi poi dalla presa dell'altro mostro. Scatta dietro una delle furie bloccandole il collo nell'incavo del gomito, un attimo prima che la sorella potesse infilarzarla con gli artigli dritta nello stomaco.

Allison balza all'indietro toccandosi l'anello e trasformandolo in arco e faretra. Non fa in tempo ad incoccare la prima freccia perché Carter ha già scagliato la sua spada contro il collo della furia e quando la uccide, staccandole la testa e riducendola in polvere, l'arma ritorna nella sua mano, come un boomerang.

Allison punta una freccia contro la manticora e indietreggia lentamente verso di noi senza distogliere lo sguardo da cerbiatta dal mostro che ci sta guardando con un odio del tutto nuovo.

- Hai perso – dico rimanendo in posizione di guardia, – vattene – intimo e analizzo circospetta il ghigno che mi mostra, un secondo prima di sentire un ruggito alle mie spalle.

Avverto distintamente Carter e Allison che mi mettono in guardia e roteo la spada nella mano, aspettando il segugio infernale che mi ricorda il cane di Percy in versione cattiva. Gli squarcio la gola vedendolo diventare polvere con un guaito e ignoro la morsa allo stomaco voltandomi verso la manticora e accorgendomi troppo tardi dell'aculeo che ha lanciato nella mia direzione. Vengo colpita alla spalla e l'impatto mi fa barcollare seguito da un dolore lancinante che si propaga velocemente per tutto il braccio.

- Ariel! – grida Allison e scaglia una freccia verso la manticora colpendola alla spalla e strappandole un ruggito di dolore.

Ne scaglia velocemente un'altra senza beccare il cuore per pura sfortuna e il mostro grida ancora di più allungandosi e ingrossandosi, lasciando che le sue mani si trasformino in chele arancioni e il suo corpo diventi quello di un leone un po' troppo cresciuto.

Il fatto che abbia ancora il volto umano lo rende decisamente più brutto.

Fa scattare la coda irta di aculei e Carter si lancia verso di me buttandomi a terra ed evitando di fortuna una raffica che ci avrebbe ucciso, con ogni probabilità.

Allison rotola mettendosi in posizione di lancio e scaglia una freccia verso la testa della manticora che lui blocca a mezz'aria con la chela spezzandola facilmente in due.

Fa scattare altri aculei e Als si sposta verso di noi velocemente evitando l'ennesima raffica.

Sto per lanciarmi e andare contro il mostro ma Carter scatta in piedi a una velocità che propabilmente sorprende anche sé stesso e corre verso la manticora, mirando alla testa. Per un secondo penso che stia per raggiungere il Tartaro ma il mostro gli blocca la lama della spada spingendolo con forza all'indietro.

Carter barcolla ma si riassesta con una capriola all'indietro colpendogli con forza il mento e spingendolo sempre più vicino all'orlo del Grand Canyon.

Sento i mortali gridare e per un attimo mi chiedo che cosa stiano vedendo prima di sentire la freccia di Allison che sibila vicino al mio orecchio senza beccare la manticora che si sposta all'ultimo.

- Smettetela di combattere – dice la manticora quando io e Als ci alziamo, bloccando con qualche difficoltà la lama di Carter, – lasciatemi la figlia di Poseidone. Non mi importa di voi.

Spalanco gli occhi rafforzando la presa sulla spada e sperando che non mi scivoli via dalla mia mano sudata.

Carter colpisce il mostro con un calcio alla gambe e quello ulula lasciando la presa sulla spada e piegando leggermente il ginocchio dolorante. Quando sta per essere trafitto, scaglia altri aculei e mi lancio lateralmente su Carter, buttandolo a terra e rotolando via per fronteggiare ancora la manticora.

- Combatti con me! – grido mandando la spada di taglio nella sua direzione e facendolo indietreggiare. – Combatti con me e lascia perdere loro – dico roteando la spalla e ignorando il dolore acuto che mi ha provocato l'aculeo del mostro.

- Finalmente – ghigna e poi parte più arrabbiato e feroce di quanto mi aspettassi.

Non controllo più quello che faccio ma ciò che vedo è un misto di spade, chele e aculei.

L'adrenalina mi scorre con forza nelle vene mentre mando fendenti e schivo colpi automaticamente, affidandomi solo all'istinto.

Avverto distintamente la presenza di Carter accanto a me, ed Allison che continua a scagliare frecce beccando la manticora alla gamba o alle braccia.

- Che diavolo sta succendo,laggiù? – grida qualcuno e la manticora aprofitta di quel momento per attaccare.

- Lasciatemi la figlia di Poseidone! – ruggisce scagliando via Carter con un colpo di coda e colpendo Allison di striscio con gli aculei, mandandola a terra. – Smetti di combattere, piccola dea – intima parando un affondo e roteo su me stessa mentre i miei capelli sferzano l'aria, cercando di colpirgli lo stomaco di taglio ma venendo bloccata ancora.

- 'fanculo – sibilo bloccandolo la sua chela con la spada e dandogli un calcio allo stomaco abbastanza forte perché possa mollare la presa.

Lui fa scattare la coda colpendomi ancora al braccio e grido barcollando all'indietro e sbattendo le palpebre.

Scaglia una raffica di aculei contro Carter ed Allison che riescono ad evitare di fortuna ed alzo la spada calandola con forza sulla sua spalla, – combatti con me! – urlo, – combatti con me, non con loro!

- Gettate le armi – grida un Navajo al megafono e mi volto stupidamente verso di lui nell'esatto momento in cui la manticora mi stringe una coscia nuda con la chela, tagliandomi.

Urlo di dolore e barcollo sulla gamba sinistra desiderando di cancellare il ghigno di trionfo sul volto del mostro.

- Ariel! – grida Allison e un attimo prima che la manticora possa scagliare altri aculei verso la mia amica, mi scaglio su di lei, mozzandogli una chela con la spada e cadendo a terra quando la gamba ferita non riesce a reggere il mio peso.

Sbatto le palpebre, vedendo sempre più sfuocato e rotolo via un attimo prima che la manticora si possa gettare su di me. Mi porto alle sue spalle saltellando sulla gamba buona e un secondo prima di poterla trafiggere alla schiena, quella si volta bloccandomi ancora la spada tra la chela buona mentre il moncherino continua a perdere icore.

- Perché combatti? – mi domanda la manticora e con orrore mi rendo conto di essere dalla parte del burrone.

Allento leggermente la presa sull'elsa di Onda e do le spalle al mostro assestandoli una gomitata al petto, riprendendomi la spada e tornando a guardare il burrone.

Sento sirene della polizia in lontananza e stavolta non oso voltarmi a guardare.

- Combatto perché non voglio più vedere schifo come te – ringhio attaccando ancora, rendendomi conto di quanto sono realmente stanca e di quanto adesso, i miei affondi e fendenti siano più lenti.

Anche la manticora sembra accorgersene perché, nonostante la chela mozzata che si è ridotta in polvere, attacca con forza.

Paro la chela di fortuna e lui mi spinge indietro facendomi barcollare pericolosamente. Poggio il mio peso sulla gamba ferita e continuo ad ignorare il dolore e il sangue caldo che mi imbratta le calze.

La manticora fa scattare altre chele e una freccia di Allison la colpisce dritta al moncherino facendola ululare di dolore e spingendola a far scattare ancora aculei.

- No! – grido quando due aculei colpiscono la mia amica al petto facendola cadere a terra. – combatti con me!

Mi alzo anche se vedo sfocato e mi assicuro che Carter sia accanto a lei, ignorando il dolore e tornando ad attacare la manticora, perdendo un paio di volte la presa sulla spada.

- Smetti di combattere, stai morendo e non ha più senso – lascio che quelle parole mi entrino sotto la pelle e con orrore, mi rendo conto di quanto il mostro abbia ragione. – Se il mio veleno arriva al cuore ti uccide e tu hai troppi aculei nel corpo – mi confessa con un ghigno.

Mi asciugo il sudore dalla fronte con il dorso della mano sbattendo le palpebre quando vedo i contorni della manticora spaventosamente indistinti.

- Perché tu combatti? – domando poggiandomi alla spada e cercando di bagnarmi le labbra anche se la mia lingua sembra carta-vetrata.

Il mostro ghigna, come se non aspettasse altre domande e si estrae la freccia dal moncherino con una smorfia di dolore, – per tuo zio, piccola dea.

Assottiglio lo sguardo mentre il mondo prende a girare attorno a me e le voci e le sirene della polizia arrivano ovattate alle mie orecchie.

Sto per chiedere perché ma la manticora ride, facendomi corrugare la fronte. – Vorresti fosse tuo zio quello per cui lavoro! – mi guarda, inchiodandomi sul posto con le iridi bicolore, facendomi lottare contro l'istinto di indietreggiare di colpo, lasciandomi cadere a terra. – Ma c'è molto di più. Ci sono cose molto più potenti di tuo padre, tuo zio e il resto della schiera degli dei dell'Olimpo. – Sghignazza quasi e questo mi spinge ad attaccare ancora, alzando la spada per tentare di colpirlo ma lui me la strappa dalle mani colpendomi al mento con l'elsa facendomi cadere a terra e strisciando la ferita profonda alla coscia contro il terreno rossiccio.

Grido di dolore e mi stringo la coscia con due mani bloccando Carter perché non voglio che si faccia ancora del male per me.

- Tuo padre in tutti questi anni non è ma riuscito a trovarti per una maledizione che ti ha lasciato addosso il Signore degli inferi e che impediva a lui e ai tuoi amichetti del Campo di salvarti, questo è vero – mi spiega e nella mia mente stanca suonano nitidamente le parole della profezia:

nel sud troveranno risposte.

E corrugo la fronte, lottando contro il dolore per poter pensare lucidamente e cercare di capire chi è che, allora, mi vuole morta. – La maledizione si è dissolta ai sedici anni. I miei capi hanno tentato di tutto pur di riuscire ad ucciderti ma niente! – urla, – niente è riuscito ad eliminarti del tutto, piccola bastarda! – il viso gli si contrae in una morsa di puro odio e fa scattare la coda verso Carter colpendolo con due aculei al braccio e facendolo protestare di dolore.

- Lascialo stare! – esclamo osservando Allison che si sta tenendo due mani sullo stomaco.

La manticora ride e poi colpisce me con i suoi aculei, facendomi girdare ancora.

- Ariel!

Il mostro ci guarda e ride ancora, – come siete teneri – dice attirando la nostra attenzione anche se vorrei andare tra le braccia di Carter più di qualsiasi altra cosa.

- Avete interferito nella nostra impresa per tutto il tempo, vero? – domanda lui retorico e gli ingranaggi del suo cervello lavorano velocemente mettendo ad ogni posto tutti i tasselli. – Ma certo – dice spingendomi ad aggrapparmi alla sua voce per non svenire, – I ragazzi che ci hanno attaccato alla stazione dei pullman non volevano solo farci del male, volevano praticamente mangiarci. E quella prigione a Tucson. – Collega, – Leviatani. Lavori per loro. – Conclude con odio anche se io non so davvero di che cavolo stia parlando.

Mi sembra di vedere la manticora sorridere anche se non posso dirlo con certezza a causa delle chiazze bianche che mi balenano davanti al viso e che non mi permettono di distinguere nulla di quello che c'è attorno a me.

- Esatto, piccoli dei e pensare che vi ritenevo un po' più stupidi. Mi avete quasi sorpreso.

Carter impreca contro di lui e vorrei dirgli di stare zitto perché ho paura che scagli altri aculei e non ho le forze per aiutare me stessa, figurarsi lui. – Pensavo non esistessero più – dice in un ringhio, osservando la manticora con talmente tanto odio che, se gli sguardi potessero uccidere, quel mostro orrendo sarebbe già cenere. – Ma a quanto pare la merda è destinata a non finire.

Sbatto le palpebre un altro paio di volte, osservando il contorno sfocato della manticora.

- I leviatani non sono mai scomparsi, stavano solo aspettando il momento giusto per attaccare. – Gongola il mostro e stringo i pugni per il fastidio anche se non ho idea di cosa stia parlando. – Il mio capo mi ha pagato profumatamente per la figlia di Poseidone. – Mi guarda come se fossi una bistecca e gli regalo la smorfia migliore del mio repertorio, stringengo un pugno sul terreno e appoggiandomi a quel leggero dolore fisico per non crollare del tutto. – E voi, figli di Ares, siete solo un regalo aggiuntivo. Piccoli stupidi – ride la manticora, – non riuscite a capire che l'amore vi ha rovinati? – sbatto ancora le palpebre e sento con forza il cuore che mi batte nelle orecchie e il sangue che mi cola lungo la coscia, denso e caldo. – Non riesci a capire, stupido figlio di Ares, che l'amore che provi per la figlia di Poseidone ti ha ucciso? – sbatto ancora le palpebre ma continuo a vedere sfocato anche se riesco comunque a distinguere la grossa mole della manticora, – ma ho deciso di essere buono. Ucciderò prima te, poi tua sorella e poi Ariel Miller. Così non dovrai vedere la ragazza di cui sei innamorato morire, che ne pensi?

Allison borbotta qualcosa toccando la faretra vuota.

E non so cosa succederà dopo ma Carter non può e non deve morire per colpa mia.

Carter non deve morire.

Carter non deve morire.

Rotolo oltre la manticora sentendo urla, spari, imprecazioni e risate amare.

Non sono abbastanza vicino per predere la spada così afferro la freccia che Allison ha tirato nel moncherino della manticora e mi metto in piedi a fatica, barcollando sulle mie gambe.

- Ehi! – grido e sbatto ancora le palpebre in tempo per vedere la manticora voltarsi verso di me, conficcandomi la chela buona nello stomaco. Il dolore è talmente tanto forte che mi manca il fiato e so che sto per morire. So che non mi resta tempo e non esito a conficcargli la freccia dritta nel cuore con tutta la forza che ho.

Gliela rigiro nel petto spingendo e fissandola negli occhi bicolore anche se non la vedo bene.

- Questo è per Annabeth – dico spingendo ancora e osservandola annaspare, – questo è per Carter ed Allison – e poi spingo con forza infilzandogli la freccia fino alla fine, continuando a guardare il mostro negli occhi, – e questo è per me.

La manticora si dissolve in cenere e tutto attorno a me si muove a rallentatore, perfino la mia caduta e chiudo gli occhi per il dolore portandomi le mani allo stomaco e alla profonda ferita che mi fa male ancora per poco.

Una parte lucida della mia mente mi dice che cadrò e mi farò male ma due braccia mi sorreggono e sbatto le palpebre ancora capendo per pura fortuna di essere tra le braccia di Carter e con Allison accanto.

Lui dice qualcosa ma io non sento più niente e le ferite non mi fanno più male. Non è neanche più necessario respirare, lo trovo inutile, sto talmente bene senza.

La morte di un mezzosangue è qualcosa di cui andare fieri, Ariel – esala in un leggero sospiro, prima di continuare, – la maggior parte di noi muore in guerra, muore combattendo e credendo fino all'ultimo in ciò e in chi ama. Io sono fiero di essere un mezzosangue, di rischiare la vita per le persone che amo – sta zitto per qualche secondo e poi mi guarda, – hai presente l'Iliade? Achille non voleva andare in guerra ma poi Teti gli ha detto..”

puoi rimanere qui e vivere una vita lunga e prospera senza che nessuno conosca il tuo nome, oppure puoi scendere in battaglia e venir ricordato per sempre” – recito e Carter mi lancia un'occhiata di sottecchi. – Tu vuoi la gloria?”

Non solo quella – mi dice, sorprendendomi un po'. – Voglio essere ricordato. Voglio che le future generazioni parlino ancora di me, parlino ancora di Carter Silver perché venir ricordati è l'unico modo che abbiamo per vivere per sempre.”

E mi rendo conto che si, sto proprio morendo e anche se non voglio, adesso sto smettendo di soffrire e non soffrire ancora è bene.

Sento qualcosa di caldo e morbido posarsi sulle mie labbra e capisco, negli ultimi momenti di lucidità che Carter mi sta baciando.

Vorrei alzare una mano su di lui e accarezzargli la guancia, dirgli che andrà tutto bene, che lui starà bene e io sto già meglio.

Vorrei dirgli che non voglio più lottare perché è sedici anni che combatto e, per un po', smettere di lottare va bene.

Vengo avvolta in un turbine e sorrido allungando le braccia verso mamma avvolta in un paio di jeans e in una maglietta aderente azzurra che le fa risaltare gli occhi.

È così bella.

- Sono fiera di te, piccola. – La abbraccio e mi sembra anche di piangere mentre le sue braccia mi stringono a sé dopo così tanto tempo. Mamma mi mette le mani sulle spalle e io sorrido tra le lacrime, – ma il tuo posto, bambina mia, non è ancora qui con me.  


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3
Allora, sono suoer in ritardo quindi sarò breve ahahhaa Carter e Ariel si baciano! Lei è ovviamnte sconvolta per tutto quello che ha vissuto e cercate di capirla, poverina ahahah ha rischiato di morire, di essere, violentata e , per quanto possa essere moralmente fote è comunque una ragazza di sedici anni costretta a combattere una guerra più di lei.
Visto? niete Ade ma Leviatani che vengono introdotti semplicemente perché, venendo descritti dal punto di vista di Ariel, lei non li ha mai sentiti prima di quel momento ahahhaah 
E niente, ringrazio tutti come al solito e spero mi lascerete un parere, anche una vostra opinione su come è come finito il capitolo e cosa ne pensate della battaglia:** 
Ciao cuccioli, 
Alla prossima,
Love yaa<3 
x



     

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Capitolo 16
*** "Brava, principessa" ***


"Brava, principessa"
Asterico rosso per l'inizio di una parte a rating rosso

 

Mi alzo di scatto aspirando quanta più aria posso e la testa mi gira paurosamente costringendomi a poggiarmi a qualcosa di caldo che ho dietro di me. Sbatto gli occhi un paio di volte senza capire da dove provenga questa luce bianca e accecante che mi sta facendo male ma poi, le labbra si serrano e riesco a capire che si trattava di un sorriso.

Il ragazzo sui venticinque anni che ho davanti sbatte le mani e sorride ancora e socchiudo gli occhi abituandomi lentamente allo splendore (in tutti i sensi) del suo sorriso.

- Ta-daa! Il dio della medicina il vostro servizio gente! Odio quando ci finiscono male le belle ragazze – dice con un po' di rammarico e osservo i suoi Ray-Ban rossi, i jeans e la t-shirt e, per qualche secondo, mi domando per quale motivo questo tizio sia qui e non a lavorare per l'Abercrombie.

Le sue parole però riaprono un cassetto della memoria e mi ricordo di Annabeth con un libro di mitologia greca aperto sulle gambe incrociate. – Apollo – dico alla fine e lui sorride ancora, accecandomi poco, stavolta.

- Ciao, cuginetta! – esclama allargando le braccia e mi libero in un sorriso anche io, – ben tornata dal mondo dei morti – si volta poi, alzando una mano e – senza offesa, ovvio. L'Ade è un posto meraviglioso.

- Zitto, idiota – borbotta qualcuno e mi guardo attorno cercando di capire dove diavolo sia.

Spalanco gli occhi quando mi rendo di conto di trovarmi in una sala talmente tanto grande che la Gran Central Station, in confronto, sembra il mio bagno alla Yancy. Delle colonne massicce si levano dal soffitto a volta decorato con costellazioni dorate in movimento. Ventiquattro troni sono disposti per formare un cerchio e sono enormi. Non così tanto, tenendo conto che gli dei che ci sono sopra sono alti sei metri.

Merda, sono sull'Olimpo!

Questo posto è talmente tanto bello che mi toglie il fiato e quando sento un respiro sul collo mi rendo conto di essere poggiata a Carter. Sorrido d'istino mentre lui mi guarda impassibile e corrugo la fronte.

Non so che c'è che non va e vorrei chiederglielo ma una voce tuonante mi interrompe spingendomi a far ricadere l'attenzione su quello che, senza ombra di dubbio è Zeus.

Parla appena Apollo si siede e il suo tono è talmente autoritario che, se non fossi già seduta mi inchinerei.

Carter si alza e mi aiuta a fare lo stesso anche se barcollo e mi reggo al suo braccio per sicurezza.

Vedo anche Allison seduta ai piedi del trono del dio che riconosco essere Ares.

Alzo un sopracciglio nella sua direzione e lui ghigna verso di me anche se la voce di Zeus mi richiama verso di lui.

- Ariel Miller – esordisce e sono talmente tanto impegnata a guardare l'abito costoso e il trono in platino che ci metto un po' prima di connettere, scuotendo la testa.

Zeus ha un volto bello e fiero, una barba curata che sembra una nuvola temporalesca e quando incontro i suoi occhi grigi un formicolio mi percorre il corpo dandomi la sensazione di poter essere incenerita in meno di qualche secondo.

Apro la bocca per rispondere ma è il profumo del mare e delle alghe che attira la mia attenzione riportandomi per un istante l'immagine di Montauk e gli occhi vivaci di mamma.

L'uomo accanto a Zeus ha i miei capelli neri e gli occhi verde mare di Percy, il volto abbronzato e le mani un po' callose, forse a causa della pesca. Ha delle rughe attorno agli occhi, segno che sorride spesso e se non fossi così arrabbiata con lui, per quel piccolo dettaglio sorriderei anche. A si, la camicia hawaiiana a fiori rosa non fa che farmelo disprezzare ancora di più.

So che quell'uomo è Poseidone e so che non è stata colpa sua ma lo odio.

Lo odio davvero tanto.

Lo fisso assottigliando lo sguardo e incrociando le braccia al petto. Penso che Zeus mi stia chiamando ma non importa, lui deve vedere quanto lo odio per averci abbandonato. Per non averci aiutato.

- Ariel Miller! – mi chiama Zeus irritato e mi volto di scatto verso di lui.

- Che c'è?! Lo so anche io che mi chiamo Ariel Miller, va bene? – grugnisco stringendo i pugni lungo i fianchi e Carter mi prende per l'avambraccio cercando di farmi calmare.

Zeus assottiglia lo sguardo e per un attimo sono convita che mi voglia incenerire ma poi, una bella donna con i capelli castani si sporge verso di lui e il dio rilassa i muscoli in pochi attimi. – Eroi, non posso fare a meno di esser grato che voi siate tornati qui, sani e salvi.

Borbotto imprecazioni tra i denti scrutando tutti gli dei che mi circondano, mordendomi la lingua per non riempirli di insulti.

- Credo che sia giunto il momento di spiegarvi il perché di quest'impresa. – Apro la bocca per sparare un paio di insulti che mi sono appena inventata e, un attimo prima che possa fare la stronzata più grande della mia vita, un palmo caldo si poggia al centro della mia schiena. Continuo a guardare gli occhi da cerbiatta di Allison che si stringono in avvertimento, evitando quelli ancora più scuri di Carter che stanno tornando a farmi paura.

Zeus si alza, torreggiando su di noi per oltre sei metri, costringendoci a sollevare lo sguardo nella speranza di poterlo vedere. Agita le braccia con eleganza, formando uno schermo di nuvola che si modella davanti ai nostri occhi, prendendo la forma di uno schermo televisivo sfumato ai lati. – Questi, si chiamano Leviatani – ci spiega come se ci stesse illustrando un Power Point di storia. Davanti a noi passano le immagini di un enorme serpente squamoso ed enorme che, uscendo dal mare, spalanca le fauci irte di denti aguzzi. – E sono mostri di origine fenicia. Sono arrivati a noi greci spostandosi per mare e si diffondono attraverso l'acqua. – Fa una pausa, facendoci vedere un liquido nero che scorre lungo l'acqua di una fontanella all'interno di un parco giochi proprio mentre una bambina con le codette e un gilet rosa ci sta bevendo. – Si impossessano dei corpi umani e, quando hanno finalmente un ospite, attaccano gli altri umani, divorandoli e prendendone anche se sembianze, se lo desiderano. – Rabbrividisco quando, quella stessa bambina getta la bocca all'indietro, spalancando le fauci in una maniera smisurata, regalandoci l'ennesima raccapricciante visione di quei denti aguzzi e di una lingua biforcuta. Afferra fulminea un uomo in tight, mordendolo e trasferendosi dentro di lui mentre il corpo di quella piccola di sette anni cade a terra, privo di vita.

Assottiglio lo sguardo per la rabbia, stringendo i pugni e mentre Zeus continua a parlare, su quello schermo scorrono altre immagini di Leviatani che uccidono dei mortali, prendendone poi le loro sembianze. – Abbiamo ignorato i Leviatani per ben due anni – prosegue, facendomi repentinamente spostare lo sguardo da una donna che sventra un ragazzo della mia età, al suo viso austero che ci guarda dall'alto. – Ma adesso, con Dick Robertson al comando – dice mentre lo schermo mostra l'immagine di un uomo che mi sembra di aver già visto, sollevare la mano e sorridere fiero ai flash dei fotografi, incitando una folla e alzando il pugno in aria. – è stato necessario testare i semidei per formare una cerchia di eletti che sia in grado di debellare quest'imminente minaccia. – E lo schermo mostra immagini di Percy e Annabeth che combattono con furia, sventrando dei mostri, lottando in sintonia, capendosi con un solo sguardo. Clarisse che guida i figli di Ares, che uccide un drago dalle squame nere e che lancia veleno verde. E poi, me, Allison e Carter. Fa vedere Allison e Carter che combattono assieme lungo la ventiquattresima, con i capelli un po' più lunghi e i tratti meno marcati. Li mostra mentre si spalleggiano, mentre Carter si prende un affondo, parandosi contro la sorella che poi uccide quello che sembra essere un mezzosangue nemico. Fa vedere Carter che decapita Medusa ed Allison che lancia frecce perfette contro la manticora. E poi, mostra anche me. Mostra me che disarmo il mercenario dopo avergli spaccato il naso con una testata. Mostra me che uccido la Chimera e che mi batto contro Carter la sera della sfida, al Campo. – E voi, eroi, – annuncia fiero, – fate parte della nostra cerchia di eletti. – Apro la bocca per parlare, indignata, ma Zeus mi precede. – è stato necessario, quindi, che Dionisio permettesse alla manticora di entrare al Campo Mezzosangue per rapire la figlia di Ares. – Guarda me e Carter. – Avevamo dubbi su voi due, anche se vi abbiamo messo alla prova da quanto eravate bambini, consci di una possibile minaccia come questa. Quanto vi siete offerti per l'impresa, abbiamo capito che anche voi eravate pronti per entrare nella schiera degli eletti e venire addestrati per vincere contro i Leviatani! – Zeus ha finito di parlare, credo stia sorridendo eppure io continuo a guardare le immagini di altri semidei che combattono con furia: c'è un ragazzo biondo gli occhi azzurri che evoca una folgore, dirigendola verso un mostro che non ho mai visto attraverso la sua spada dorata. Accanto a lui, c'è una ragazza con la palle più scura, i tratti delicati che mi sembra di aver già visto da qualche parte e poi, un ragazzo ispanico, con i capelli ricci e scuri e il sorriso furbo che lancia palle di fuoco dalle mani.

Per un attimo mi chiedo se Percy, Annabeth e Clarisse sappiano di questa cazzata e sento il respiro più veloce di Carter accanto a me mentre i muscoli della schiena di Allison si irrigidiscono di colpo.

Una ragazzina di tredici anni adesso sta squartando una dracena e un sedicenne dai tratti orientali si è appena trasformato in un orso. Ruggisce contro lo schermo e lotto per non fare un passo all'indietro.

Che poi, chi sono questi tizi?

- Stronzate – dico facendo sparire dal volto l'espressione trionfante di Zeus, spingendolo a guardarmi.

- Come hai detto? – domanda minaccioso e io sorrido, inclinando leggermente la testa verso destra.

- Stronzate. Una dietro l'altra.

Zeus sembra quasi vibrare davanti ai miei occhi e quando parla, la voce è talmente tanto potente che mi fa sussultare. – Ma come osi..

- Ma come osa lei! – urlo indicandolo e roteo gli occhi al cielo quando qualche dio sussulta. Cerco quello che mi sembra Ade e lo vedo, chiuso in un completo scuro. – E sopratutto, come osate tutti voi! – esclamo guardando negli occhi ogni singolo dio e alzando la voce quando Zeus tenta di interrompermi. – Per sedici anni ho dovuto cavarmela da sola per colpa di una cavolo di barriera perché “dovevate studiarci”! – e sono talmente arrabbiata che non so neanche cosa sto dicendo ma le parole mi scorrono via dalle labbra come niente e l'adrenalina pompa forte nelle vene. Quasi riesco a sentire il mio cuore battere. – Forse voi sarete dei cavoli di dei immortali ma noi siamo umani. – Dico portandomi una mano al petto. – Ci facciamo male e proviamo sentimenti. Ma voi -come se la nostra vita non fosse abbastanza- perché cari miei dei, stupidi megalomani, non usate un cazzo di preservativo e poi impiegate anni a riconoscerci, rapite una diciassettenne perché “dovevate studiarci”!

- Non ti permettere di.. – prova a dire Ade.

  • Zitto! – grido con rabbia, – Zitto! Perché qualsiasi cosa proverà a dire non avrà comunque senso! – esclamo guardando negli occhi scuri il dio degli Inferi. – Non siamo macchine! Siamo persone che per colpa vostra sono costrette a lottare ogni singolo giorno. Siamo persone costrette a farci il culo perché voi non riuscite neanche a prendervi le vostri responsabilità!

    - Adesso smettila, ragaz.. – prova a dire una dea dagli occhi grigi che somiglia terribilmente ad Annabeth. Per un attimo, quella somiglianza mi inchioda sul posto ma poi la rabbia torna a prevalere sul resto.

    - Io la devo smettere?! Ci avete trasformato in cavie da laboratorio solo per prepararci a una futura guerra! Ci avete guardato soffrire e chiedere aiuto senza muovere un dito, uno solo! – urlo voltandomi di colpo verso Poseidone, scrutando gli occhi verdi troppi simili a quelli di Percy. E questo, mi fa infuriare ancora di più. – Andatevene affanculo tutti quanti perché nessuno per me c'è mai stato. Vaffanculo! – Mi volto nuovamente verso Ade, superando Carter e andando verso di lui, mentre gesticolo come una pazza. – E poi perché sono qui? Ero anche morta dopo che quella manticora ha ferito a morte me e i miei amici! E sopratutto – faccio voltandomi verso Poseidone, ricordandomi solo in quel momento ciò che voglio dirgli. Lo fisso gelida ed è snervante il modo in cui lui continui a rimanere impassibile. – Vaffanculo tu perché non sei mio padre – sibilo stringendo i pugni lungo i fianchi e prendendo fiato dopo la mia filippica contro tutti gli dei.

    C'è silenzio adesso sull'Olimpo e forse, tutti gli dei stanno metabolizzando quello che ho detto anche se Ade e Zeus stanno facendo fumo dalle orecchie.

    Il volto di mio padre è tranquillo anche se l'unica cosa che lo tradisce sono le dita che si stanno stringendo talmente tanto forte ai braccioli del trono da essere diventate bianche.

    Dopo qualche attimo di silenzio, Ares batte le mani, ridendo, e sono gli unici rumori che rimbombano nella sala del trono dell'Olimpo, – complimenti, ragazza! Con questo carattere mi sorprende che tu non sia mia figlia.

    Lo fulmino con lo sguardo ma la voce di Poseidone interrompe anche la risata del dio della guerra. Mi piace la sua voce, è rassicurante come il suono delle onde contro gli scogli.

    Mi ricordo solo dopo che lo odio.

    - È orgogliosa, testarda, arrabbiata, impulsiva e disobbediente– mi sembra di vedere un leggero sorriso sulle labbra e incrocio le braccia al petto per non far vedere le mie mani che tremano. – Penso che sia colpa mia. Al mare non piace essere limitato.

    - E comunque – dice Ares parlando subito dopo Poseidone e facendomi spostare l'attenzione su di lui, – sono io che ti ho riportato indietro prima che potesse realmente finire nell'Ade.

    Mi volto verso Carter ma la sua espressione è impassibile e vorrei tirargli un pugno sul naso per vedere se continuerà ad essere ancora così apatico.

    - Per quanto le parole di Ariel siano state offensive e irrispettose – inzia Zeus guardandomi e intimandomi palesemente di starmi zitta, – ha ragione. Ma la guerra – continua fissandomi con odio e superiorità, – è guerra. – Batte le mani una volta, alzandosi dal trono. – Il consiglio è aggiornato.

    - Voglio parlare con mia figlia – dice e mi volto di scatto bloccandomi e lasciando che il braccio che avevo allungato verso Als mi ricada lungo il fianco.

    - Io non voglio parlare con te – sibilo e la mia amica tira via il fratello lasciando soli me e mio padre nell'enorme sala del trono.

    Ho desiderato per anni un confronto tra me e mio padre e adesso che lo ho, mi sono accorta di non volerlo più. Mi ha ignorato per sedici anni, me e mamma, perché adesso dovrebbe voler qualcosa da me?

    Perché mi deve far soffrire ancora?

    - Per favore – dice e incrocio le braccia al petto fissandolo negli occhi quando lui si china per essere, almeno un minimo alla mia altezza. – Se non ti ho aiutato non solo era perché non potevo trovarti ma perché ero certo che ce l'avresti fatta – mi dice e spalanco gli occhi perché avrebbe fatto meglio a chiudere la bocca.

    - Ce l'avrei fatta? – domando retoricamente e rido sarcastica, – mi sono prostituita a dieci anni pur di pagarle le cure. Mia madre è morta tra le mie braccia, l'ho vista spegnersi lentamente e tu mi dici che eri sicuro ce l'avrei fatta? – rido cercando di trattenere le lacrime e corro via dalla sala del trono spalancando le enormi porte con tutta la forza che ho, sbattendomi al petto di Carter e allontandomi poco dopo.

    - Ermes ci da un passaggio – dice Allison eccitata e sorrido saltandole al collo e stringendola, immergendo il volto tra i suoi capelli scuri. Lei mi accarezza la schiena e rimango ancora un po' a sentire il suo profumo. – Come stai? – domanda guardandomi negli occhi e sorrido, – adesso sto bene.

    - Divino Ermes al vostro servizio! – esclama un uomo sui venticinque anni con la maglietta bianca e i pantaloni kaki, reggendo un telefono in mano che, pochi attimi dopo, si trasforma in un caduceo come quelli della farmacia con tanto di serpenti attorcigliati attorno.

    “Ehi” fa una voce maschile e sussulto, notando che anche Als e Carter hanno fatto la stessa cosa. “Hai un topo?” domanda allungando il collo verso di me e lo guardo con la fronte corrugata.

    “George!” dice una voce femminile, precedendomi, “smettila di chiedere topi a chiunque!”

    “tanto sarà sprovvista come il fratello”.

    Ermes sbuffa e agita il caduceo che si illumina accecandomi e diventando sempre più forte, – Buon viaggio, ragazzi! – e il suo sorriso è l'ultima cosa che vedo.

    È la sensazione più strana del mondo. Mi sembra di venir appallotolata su me stessa prima di girare come una trottola impazzita. E dura tutto un attimo perché poi mi fermo al centro del padiglione della mensa con Carter e Als ed è come se non fosse successo niente.

    Faccio istintivamente un passo in avanti quando mi rendo conto di esser troppo vicina al falò e alzo la mano in segno di saluto notando che tutti hanno smesso di mangiare per osservare tre casi clinici piombati al centro del padiglione.

    Un boato si leva dai tavoli ed evito abbracci e baci per cercare una testa mora e una bionda.

    - Percy! – grido con un sorriso sgusciando tra la folla di semidei che cerca di bloccarmi per chiedermi come sto.

    - Ariel! – esclama lui prendendomi per i fianchi e facendomi girare tra le sue braccia, strappandomi una risata che lascia la mia gola quasi con un leggero dolore.

    Sono così felice di vederlo che solo adesso che sono con lui mi rendo conto di quanto mi è mancato. – Mi sei mancato – gli sussurro all'orecchio quando mi rimette a terra, continuando però a stringermi a sé.

    Seppellisco la testa nel suo petto e mi da un bacio sulla fronte prima che Annabeth mi tiri via da lui, avvolgendomi con le sue braccia.

    - Tornata! – esclama e rido allontandomi da lei e socchiudendo gli occhi quando mi da un bacio sulla guancia.

    È questione di secondi prima che un trattore barra mio fratello Tyson mi stringa a sé con forza sollevandomi da terra per almeno una spanna e dicendo, – Siii, Ariel non ha fatto Bum!

    E rido, buttando la testa all'indietro godendomi l'accoglienza della mia famiglia e dei miei amici, – già, assurdo, no?

 

Alla cena, mangio talmente tanto da rischiare di vomitare ma decido comunque di rimanere attorno al falò per i canti di ben tornato stando vicino ad Als perché l'ho già persa una volta e non voglio rischiare che questo capiti ancora, in alcun modo.

Non perdo di vista neanche Carter che è seduto dall'altra parte del falò senza cantare.

Credo che ogni tanto mi guardi, ma è strano da quando sono tornata dall'Ade e non so davvero cosa pensare.

Voglio ignorare la sensazione di fastidio che ho allo stomaco, quella che me lo stringe in una morsa anche se il cuore è messo decisamente peggio.

Vado alla mia capanna assieme a Percy e intercetto il suo sguardo mentre va verso quella di Ares. I miei occhi si incrociano con i suoi e faccio un passo per raggiungerlo, nell'esatto istante in cui lui supera la porta della sua capanna facendo comparire il quadrato di luce che avevano formato i lampadari all'interno della stanza.

 

È due giorni che Carter non mi parla e non so se prenderlo a calci o trafiggerlo con Onda.

Passo il tempo ad allenarmi con Percy e Als e studiare con Annabeth giusto per non pensare a lui ma mi è praticamente impossibile e credo di star iniziando a somigliare a una dodicenne alle prese con la sua prima cotta. Inoltre, mio fratello mi ha spiegato chi erano quei ragazzi del video, affermando che Annabeth aveva intuito qualcosa sui Leviatani, senza però avere certezze: Jason, Piper, Leo, Frank ed Hazel, al Campo Giove con furore per una sorta di scambio culturale con la controparte romana del quale non ho capito nulla.

Li ho conosciuti tramite dei messaggi Iride e sarei disposta a fare ben altro pur di non pensare a quell'idiota.

Odio sentirmi così, forse perché sono emozioni totalmente nuove per me eppure, il volto di Carter non vuole lasciare i miei pensieri e sto iniziando seriamente ad odiarlo, per questo.

Non ho mai neanche avuto il bisogno di esternare a qualcuno i miei problemi e invece, per colpa di Carter, sento quasi la necessità di parlarne, di sentire cosa potrebbero dirmi e, per questo, mi sento ancora più deficiente.

Comunque sia, oggi è giovedì e Percy non torna stasera perché è la sua serata con Annabeth, e Tyson è tornato giù nelle fucine con Poseidone.

E io sono sola.

Ma non mi lamento, alla fine ci ho fatto l'abitudine e da una parte mi piace anche, nonostante stia pensando troppo a Carter e alle sue labbra sulle mie e alle sue mani che mi accarezzano come non ha mai fatto nessuno.

Scuoto la testa fissando la fontana sul fondo della nostra capanna e che Percy, quando aveva quattordici anni, aveva rotto con un colpo di spada anche se adesso è tornata nuova.

Torno a sdraiarmi sul mio letto fissando il soffitto e allungando una mano per cercare di toccarlo anche se so che è impossibile.

Sono totalmente immersa nei miei pensieri quando due vigorosi pugni alla porta mi fanno sussultare e mi siedo di scatto rischiando di beccare il soffitto con la testa. I pugni continuano e mi stringo il ciondolo che, stranamente, non è per niente caldo.

Balzo giù dal letto con un leggero tonfo ed esito, con la mano sulla maniglia della porta e preparandomi a qualsiasi cosa. La spalanco pochi attimi dopo e vedo Carter solo di sfuggita prima che mi prenda il viso tra le sue mani grandi e prema con forza le sue labbra sulle mie, chiudendosi la porta della cabina alle spalle con un piede.

Sono disarmata, completamente e apro i palmi delle mani sul suo petto per spingerlo via perché io sono meglio di così, perché io ho smesso di farmi usare dalle persone ma poi la sua lingua mi schiude con forza le labbra e io dimentico tutto il resto.

**Gli stringo la felpa arancione del Campo tra i pugni e respiro forte contro le sue labbra aperte quando lui si allontana da me un paio di centimentri prima che possa tornare ad attaccare la mia bocca con foga.

In questi baci c'è tutto: c'è denti, saliva, anche morsi e respiri mozzati e mi rendo conto che la felpa che porta Carter è troppo ingombrante. Ne cerco l'orlo con gli occhi ancora chiusi mentre le nostre lingue si fondono assieme senza darsi tregua.

Smettiamo di baciarci il tempo necessario perché gli possa togliere la felpa e Carter mi arpiona i fianchi spingendomi verso uno dei letti e cadendo sopra di me.

Rido e lui mi bacia il naso accarezzandomi la guancia con i polpastrelli.

- Sei bellissima – mi dice e rido ancora, perché non ci credo.

Gli passo una mano tra i capelli scuri e mi sporgo verso di lui, cercando ancora una volta le sue labbra rosee e delle quali non posso fare a meno, – lo dici solo perché stiamo per fare sesso.

Carter ride e vorrei tanto che non smettesse mai.

Mi piace la sua risata per quanto una constatazione del genere possa sembrare patetica.

- Forse – mormora poi chinandosi verso di me e premendo ancora le labbra sulle mie, facendomele schiudere e sorpassando il tessuto della felpa del Campo per accarezzarmi la pelle nuda dei fianchi.

Sollevo leggermente il busto e la mia felpa va a fare compagnia alla sua.

Non so perché lo stomaco mi faccia così male.

Non so neanche perché mi stia venendo voglia di sorridere come un ebete o di accarezzare ancora la pelle nuda di Carter o di sentire le sue mani grandi che accarezzano la mia.

Non so perché mi senta in questo modo ma mi piace e lui mi bacia ancora senza mai smettere, come se non potesse farne a meno o come se dipendesse dalle mie labbra tanto quanto io dipendo dalle sue.

Mi accarezza la curva del seno coperta dal reggiseno scuro, la pancia, i fianchi e il bottone dei jeans, staccandosi da me il tanto necessario per toglierlo dall'asola e tirare leggermente giù l'orlo.

Ho il cervello in pappa e intreccio le dita dietro al suo collo baciandolo ancora, un attimo prima che lui si allontani da me, tirandomi i pantaloni e buttandoli a terra da qualche parte, tornando su di me baciandomi il naso, le labbra, la guancia, la mascella e il collo.

Schiude la labbra sulla mia pelle, succhiando e leccando delicatamente e io gemo a labbra chiuse, serrando le palpebre e abbadonandomi a lui.

Mi sento in colpa però perché lui merita di stare bene tanto quanto sto bene io e gli accarezzo lentamente il petto, soffermandomi a ogni rilievo dei muscoli allenati e arrivando all'orlo dei suoi jeans.

Carter si allontana da me e lo guardo confusa negli occhi scuri, chiudendoli quando lui preme ancora le labbra sulle mie, con cautela, quasi avesse paura di farmi del male. – No – dice e non riesco a capire che stia succedendo quando si siede sul letto tra le mie gambe aperte togliendosi i jeans e restando solo in boxer scuri che gli cingono le gambe allenate e lasciano vedere.. tutto quello che c'è da vedere.

Mi siedo anche io e mi protendo verso di lui tornando a baciarlo e cingendogli il collo con le mani, rabbrividendo quando le sue mani grandi si aprono sulla mia schiena, giocando con il gancetto del reggiseno senza mai aprirlo.

Mi bacia ancora, mi bacia lentamente, si concede un'esplorazione languida della mia bocca e io gli permetto di farlo, tornando a sdraiarmi sul materasso e tirandolo giù con me.

Le mani di Carter mi stringono i fianchi e mi chiedo, mentre mi bacia, per quanto tempo abbia intenzione di torturarmi ancora, senza mai andare al sodo.

Fa scorrere le mani sul mio corpo prima di portarle sulla schiena e guardo il luccichio dei suoi occhi alla penombra della mia cabina. Sembra quasi mi voglia chiedere il permesso, sembra quasi che abbia davvero paura di farmi male e corrugo la fronte, annuendo un paio di volte.

Lui si china ancora su di me, baciandomi piano e sento l'elestico del reggiseno allentarsi e le coppe sollevarsi. Carter mi guarda ancora e allungo le braccia per facitargli il compito mentre mi lascia semi-nuda sotto di sé.

- Sei bellissima – esala ancora in un sospiro e si muove leggermente, facendo sfiorare involontariamente le nostre intimità.

La sua mascella si contrae e io gemo, inebriata da quella punta di piacere che però, non è ancora abbastanza.

Voglio di più perché lo desidero e perché devo dargli piacere.

Devo vederlo felice e soddisfatto. È così che funziona.

Con le mani raggiungo il cavallo dei suoi boxer e il suo petto sfrega contro il mio nudo mentre si china a baciarmi ancora.

Intercetta i miei movimenti e si allontana da me facendomi corrugare la fronte confusa. Intreccia le nostre dita e mi piega le braccia ai lati della mia testa.

- No – mi dice leggermente affannato e mi chiedo dove voglia arrivare o perché non mi stia permettendo di fare qualcosa per farlo star bene. – Tu sei Ariel Miller, hai sedici anni e sei vergine.

Ci metto un po' per metabolizzare le sue parole, il suo sorriso e le labbra che poi mi lasciano un bacio sul naso.

Ci metto un po' perché nessuno mi ha mai trattato come se fossi una vergine e, se non fossi così orgogliosa, lasciarei anche che le lacrime che mi pungono le palpebre scorrano libere sulle mie guance.

Intreccio le dita sul collo di Carter e lo tiro verso di me lasciando che le nostra labbra si incontrino per qualche secondo prima che lui mi possa osservare con le sue pozze scure, inchiodandomi al materasso per l'intensità che mi regala.

- Brava, principessa – sussurra e poi mi bacia le labbra prima che possa protestare per quel soprannome.

Mi bacia la guancia, la mascella e il collo dove esita un po' di più schiudendo le labbra e succhiando e leccando con una delicatezza che, prima di oggi non ho mai conosciuto.

Affondo le mani nei suoi capelli scuri e lui sorride sulla mia pelle continuando a baciarmi il collo fino a che non è soddisfatto. Chiudo gli occhi e gemo leggermente quando una mano mi stuzzica il seno nudo e l'altra le mutande nere e lui sorride ancora continuando quella scia umida di baci che mi sta facendo attorcigliare lo stomaco come impazzito.

Mi bacia la spalla, la clavicola e lì dove batte il cuore, sopra il seno sinistro, indugiando più del dovuto. Mi accarezza i fianchi mentre continua, baciandomi l'incavo tra i seni e il ventre piatto, esattamente sopra l'ombelico.

Gemo leggermente quando le sue mani arrivano all'elestico delle mutande e per quanto non sia abituata a così tanta lentezza, annuisco un paio di volte quando i suoi occhi scuri cercano i miei.

Mi tira giù l'ultimo indumento che ho addosso piano, senza fretta e la pelle mi si cosparge di brividi quando le sue mani calde seguono l'esatto percorso delle mie mutande prima di esser levate e gettate a terra da qualche parte.

Penso che adesso mi penetrerà, mi farà finalmente sua ma ho sbagliato a giudicare Carter come il donnaiolo che pensavo fosse.

Mi alza la caviglia sinistra e la bacia salendo poi verso di me lentamente e lasciando un bacio su ogni porzione di pelle che le sue labbra morbide incontrano.

Quando arriva all'interno coscia lo stomaco si chiude in una morsa ancor più forte e lui mi bacia la pelle sensibile vicino all'intimità, prima di continuare a baciarmi sullo stomaco, arrivando poi alle labbra.

Si puntella con i gomiti accanto alla mia testa e sento la sua erezione compressa nei boxer che preme contro il mio stomaco mentre le nostre fronti rimangono unite, così che possiamo guardarci negli occhi.

Per un attimo, una punta di fastidio cancella tutto quello che abbiamo condiviso fino ad adesso perché mi sembra impensabile che lui si sia comportato così anche con qualcun'altra, ma poi mi bacia, facendomi schiudere le labbra e accarezzandomi il collo e tutto passa in secondo piano.

Non mi importa più di niente, solo di lui che mi sta baciando come non ha mai fatto nessuno, che mi sta accarezzando come non sono mai stata accarezzata e che mi guarda con una scintilla negli occhi, come se fossi la persona più importante che ha.

- Sei bellissima – mi dice ancora e non riesco neanche a rispondere sarcasticamente perché le emozioni mi hanno completamente travolto.

Sono nelle sue mani, sono in balia della corrente di nome Carter e aspetto che sia lui a fare qualcosa perché, quando mi bacia ancora, io dimentico tutto ciò che ho imparato sugli uomini in questi anni.

Dimentico ogni cosa e le mani mi tremano leggermente mentre accarezzo con i polpastrelli i muscoli contratti della sua schiena, segno che non sono affatto l'unica nervosa in questa cabina.

- Sei bellissimo anche tu – mormorò, allungandomi per parlargli contro all'orecchio. Il suo petto nudo contro il mio vibra, segno che sta ridendo.

Crollo sul materasso con un sorriso e lui mi bacia ancora il naso guardandomi con quella scintilla negli occhi scuri che mi fa quasi piangere.

- Vuoi fare tu? – mi domanda poi alludendo ai suoi boxer, l'unico tessuto che divide parzialmente i nostri corpi caldi, e annuisco un paio di volte guardandolo negli occhi mentre faccio scorrere le mani sul suo torace allenato, arrivando poi all'elastico dei boxer.

Carter chiude gli occhi quando, con il palmo della mano gli sfioro volontariamente l'erezione. Gli tocco il viso per qualche istante sollevandomi per premere le mie labbra contro le sue ancora una volta e poi mi dedico al suo intimo, tirandolo lentamente giù lungo le cosce.

Gli bacio la gola scivolando leggermente sotto il suo corpo e facendo scorrere ancora i boxer lungo le sue gambe allenate e lisce, lasciando che il mio stomaco sfiori la sua erezione.

Alla fine, quando gli ho abbassato i boxer abbastanza, Carter li scalcia via e io mi risistemo sotto di lui, accarezzandogli il petto con le mani e cercando un bacio.

Carter me lo nega e poggia la sua fronte contro la mia respirando con forza mentre i nostri petti ansanti si sfiorano l'uno con l'altro.

Mi bacia solo dopo qualche secondo e quando sono troppo impegnata ad accarezzargli petto e capelli, lui mi stuzzica l'entrata con un dito, facendomi allontare di colpo da lui e gemere.

Spinge ancora più a fondo delicatamente e inarco la testa all'indietro, mordendomi il labbro e trattenendo i gemiti che minacciano di scivolare via dalla mia bocca.

Muove il dito dentro di me e gli stringo i capelli in un pugno, sopraffatta dal piacere, dalle gambe che tremano e dal cuore che sta battendo decisamente più veloce del normale.

Carter mi bacia il collo e mi morde il lobo. Lo posso quasi sentire sorridere mentre aggiunge un secondo dito aumentando il piacere che mi sta rendendo schiava delle sue azioni. – Voglio sentirti, Principessa – soffia contro il mio orecchio muovendo le dita dentro di me abilmente e facendomi gemere ancora una volta a labbra chiuse. – Fatti sentire – e sembra quasi che mi stia pregando, ansimando contro il mio orecchio e continuando a muovere due dita dentro di me.

Serro stoicamente le labbra quando mi stuzzica il clitoride con il pollice, roteandolo lentamente, un gemito più forte degli altri abbandona le mie labbra e Carter sorride, baciandomi ancora.

Muove ancora le dita sulla mia intimità e il cuore mi batte all'impazzata per il piacere che arriva più forte di quanto pensassi.

Mi agito sotto di lui stringendogli i capelli in un pugno, chiudendo gli occhi e gemendo più piano che posso mentre le sue labbra lavorano in sincrono con le dita, baciandomi la pelle calda del collo.

Le gambe tremano ancora e un gemito più forte degli altri lascia le mie labbra facendomi contorcere ancora sotto il corpo di Carter che continua a muovere abilmente le dita in me.

- Voglio sentirti – riesco a dire tra gli ansimi incarcandomi ancora contro il suo petto e sentendo la sua erezione sulla mia pelle. – Voglio sentirti – e quasi lo prego aprendo di poco gli occhi e cercando le sue sfere scure.

Carter mi guarda smettendo di muovere le dita.

Lascio che il cuore batta in modo più regolare e poi esce da me, puntellando i gomiti accanto alla mia testa e osservandomi come se potesse leggermi dentro.

Si china e mi lascia un bacio a fior di labbra entrando in me con una delicatezza che non pensavo neanche possedere.

Entra in me e mi guarda ancora come se potesse fare realmente male, come se stessi soffrendo invece di scoppiare di gioia perché -diavolo- io sto facendo l'amore per la prima volta.

E quando Carter inizia a muoversi, non c'è più spazio per nient'altro.

C'è spazio solo per noi due e per i corpi che sfregarono sudati tra loro.

C'è spazio per le nostre labbra gonfie che si cercano di continuo come se non potessero mai avere abbastanza le une delle altre.

C'è spazio per i gemiti che riempono la cabina, per gli sguardi vacui e i movimenti lenti.

C'è spazio per i cuori che battono all'unisono, per i petti ansanti e i respiri radi.

C'è spazio per il piacere che mi rende schiava di lui e di Carter. Che mi priva di ogni mia barriera o scudo lasciandomi nuda in modo nettamente diverso da quello che interebbe chiunque altro.

C'è spazio per lo stomaco che mi fa male perché per la prima volta in vita mia, io con Carter mi sento completa in un modo totalizzante che non riesco neanche a spiegarmi.

Mi irrigidisco sotto di lui quando il piacere si fa più inteso, abbastanza da non farmi pensare più a niente se non a Carter.

Lo sento arrivare, sembra quasi partadalla punta dei piedi facendomi tremare le gambe che stringo istintivamente ai fianchi di Carter e contraendo il bacino. Lo sento arrivare con forza, so che sarà travolgente e io sono pronta per accoglierlo, lo voglio con tutta me stessa.

Inarco la schiena all'indietro e graffio la pelle di Carter quando vengo totalmente travolta da lui e dalle emozioni che è riusciuto a farmi provare in così poco tempo.

L'orgasmo è forte e prende me qualche secondo prima di lui. Riesco ad aprire gli occhi in tempo quando lo sento stringere i miei capelli sparsi sul cuscino in un pugno, in tempo per vedere le palpebre serrate, la mascella contratta, pieno di me esattamente come lo sono io di lui.

Ed è talmente tanto bello in quel momento, talmente tanto perfetto, che un secondo orgasmo mi prende ancora spingendomi a chiudere gli occhi e graffiargli la schiena.

Carter grugnisce di piacere ed è un suono talmente tanto sexi che devo contenermi per non venire ancora.

Pochi istanti dopo, lui si accascia su di me, stanco tanto quanto lo sono io, posando la testa sul mio petto e avvolgendomi con le braccia forti, proteggendomi dai miei demoni che forse ho appena sconfitto.

Rimane dentro di me ma questo non fa che aumentare il senso di completezza che ho sentito da quando lui ha fatto l'entrata a sorpresa in camera mia.

Preme le sue labbra stanche sulle mie e poi esce da me, stendendosi al mio fianco e prendendomi tra le braccia.

Mi avvolge completamente e gli regalo un sorriso lasciando che lui mi baci ancora inebriandomi del suo profumo, un mix perfetto di sudore e qualcos'altro che non riesco ad identificare ma che è solo e solamente suo.

- Com'è andata come prima volta? – mi domanda guardandomi negli occhi e io rido, piegando la testa all'indietro per un secondo e sporgendomi poi in avanti per baciargli il petto.

- Perfetto – gli dico e lui cerca ancora le mie labbra avvolgendomi contro di lui e tirando su di noi le coperte.

E adesso, sono certa di essere totalmente e completamnte la sua principessa. Affondo la testa nel suo petto e Carter mi stringe ancora.

Solo in questo momento permetto a una lacrima solitaria di rigarmi sulla guancia, lenta. Mi sfiora le labbra e la intercetto mentre cade sul cuscino, bagnandolo leggermente.

Io sono la sua principessa.

Forse, lo sono sempre stata. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3 
Ed eccoli qui! La prima volta da sogno ahahah almeno per me:)) ve l'avevo detto che il rating arancione c'era per un motivo e poi ormai mi conoscete, ci saranno sempre scene di questo genere nelle mie storie^-^ 
E niente, partiamo dall'inizio ahahha Ariel non è morta (ma daaai AHAHAH), libera interpretazione per chi potrebbe averla fatta "resuscitare" e poi Zeus psiega ai semidei chi sono i Leviatani. Giusto per conoscermi meglio, oltre a Teen Wolf, due dei miei più grandi amorir sono i fratelli Winchester, Sam e Dean, by Supernatural. Se qualcuno se la guarda, avete tutta la mia stima, per chi non se la guarda, conviene iniziare a farlo immeditamente ahahah in ogni caso, i Leviatani che ho messo qui sono praticamente presi dai Leviatani di Supernatural, sono mostri di origine fenicia che si mangiano le persone, graziosi, no? 
Comunque, Ariel è fin troppo incazzata e ha reagito come avrei fatto io con i nervi a duemila e la paura e la rabbia nelle vene: ha sclerato addosso agli dei ahahah e non ha parlato con Poseidone. Non so in quanti potranno apprezzare questa mia scelta ma ho cercato di mettermi nei panni della mia protagonista e sinceramente, dopo aver lottato tutta la vita per sentirmi poi dire ciò che le ha detto Poseidone, non mi sarei manco sognata di farmi guardare in faccia. 
Carter inizialmente la evita e si saprà solo più avanti perché (la storia non è finita qui ahahah) ma poi va a trovarla nella sua cabina e... tanto amore per gli Arter AHAHAHH 
In conclusione, ringrazio tutti tutti per le recensioni sempre dolcissime e per il numero di preferiti, seguiti e ricordati che aumenta di volta in volta, così come i lettori silenziosi e le loro views^-^ Ah, mi sembra anche giusto ringraziare le visite sempre in aumento anche di "You write.." così come il numero dei preferiti. Non sarò mai abbastanza grata di tutto l'affetto che mi avete dato sopratutto tramite quella Long! 
Ci presto, 
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Love yaa<3
x

P.s. mi sono dimenticata di Jason, Piper, Leo, Hazel e Frank ahahah ho inziato a leggere durante le vacanze di Natale la sua serie e mi sono innamorata di Leo e poi, cioé, quanta Percabeth! Sono tipo solo all'ottavo capitolo della Casa di Ade e ho pianto trenta volte solo per la Percabeth AHAHAHHA Comunque, mi sembrava giusto un piccolo tributo anche a loro per quanto riguarda la schiera di eletti. Ariel non li ha ancora conosciuti ma avverrà, non molto presto ma avverrà:** 
Vi adoro, ancora.. 
Lova yaa<3
x



   

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Capitolo 17
*** Sono una guerriera, non una principessa ***


Sono una guerriera, non una principessa
 

Quando mi sveglio la mattina dopo sono un po' dolorante e Carter non c'è.

Tutto di lui è sparito e se i ricordi di ieri notte non fossero così vividi dentro di me e su di me, penserei che sia stato tutto un sogno.

Il mio buon umore però è senza dubbio un segno palese del fatto che io ho fatto l'amore per la prima volta. Che io ho fatto l'amore con lui e, ancora adesso mi sento talmente tanto completa che mi viene di nuovo da piangere.

Sono talmente tanto felice da darmi fastidio da sola e non ringrazierò mai abbastanza Tyson per aver lavorato nelle fucine del Campo per tutta la notte e Percy per aver scelto la mia stessa serata per stare solo con Annabeth.

Mi alzo dal letto completamente nuda e spero di avere il tempo di farmi una doccia prima che suoni la campana per la colazione.

Canticchio mentre vado in bagno e giro il rubinetto verso l'acqua calda, sorridendo perché oggi rivedrò Carter e mi sembra tutto migliore.

Mi lavo velocemente anche se rimango un po' più del dovuto sotto il getto dell'acqua calda e poi, mi sposto i capelli scuri su una spalla osservando il segno violaceo che Carter mi ha lasciato sul collo.

Sorrido ancora e anche se sembro un ebete, non mi importa.

Oggi è il mio giorno e niente e nessuno potrà rovinarmelo.

 

Esco dalla cabina abbassandomi la felpa sul bacino e intercetto i capelli neri di Percy mentre cammina verso la mensa per la colazione.

Corro tra i ragazzi delle altre case che mi salutano allegri e leggermente infreddoliti e salto sulla schiena di mio fratello, facendolo sussultare per lo spavento e barcollare leggermente in avanti.

Gli stampo un bacio sul collo, allacciando le mani sul suo petto per non cadere e lui ride, assicurandomi attorno ai suoi fianchi.

- Ariel! – mi saluta contento e io rido ancora, banciandolo sulla guancia. – Come mai così felice da mattina presto? – domanda curioso e io scivolo dalla sua schiena, affiancandolo e permettendogli di avvolgermi le spalle.

Lo guardo dal basso e sorrido ancora, – ci deve davvero essere un motivo per essere felici?

Percy ci pensa per un secondo guardando davanti a sé e continuando a camminare verso il padiglione dove qualche semidio si sta sistemando nei tavoli della propria casa. – No, penso proprio di no.

 

Non vedo Carter da nessuna parte e sento di star perdendo tutto il buon umore che avevo stamattina.

Voglio davvero vederlo.

Voglio vedere i suoi occhi scuri che scintillano quando guardano i miei.

Voglio toccare i suoi capelli e baciare le sue labbra fino a che non mi stuferò di farlo così tante volte di seguito.

Voglio lui e basta e il fatto che non ci sia è quasi snervante.

- Preparetevi per le lezioni mattutine, eroi! – ci dice Chirone battendo con la forchetta sul piatto mentre un gruppo di satiri terrorizzati continua a servire Dioniso che, annoiato, fa lievitare il bicchiere di Diet Coke che ha davanti.

Scatto in piedi verso il laghetto delle canoe perché ho come il sentore di trovare la' Carter anche se non so bene il perché.

Ho davvero tanta voglia di vederlo e non me ne accorgo neanche ma inizio a correre sul pavimento ricoperto di neve che hanno permesso di far entrare.

Scarto e saluto semidei senza fermarmi neanche per un secondo a chiacchierare con loro o scambiare qualche parola.

La voglia di vedere Carter è talmente tanto grande che mi stringe il petto e il cuore mi fa male per l'emozione quando inizio ad intravedere il laghetto da lontano.

Scivolo su un punto del terreno particolamente ghiacciato e rido, riuscendo a rimanere in equilibrio solo per miracolo.

Lo stomaco si contorce piacevolmente al solo pensiero che le braccia forti del figlio di Ares torneranno a stringermi contro di lui e quando vedo la sua figura scura, rallento di corpo.

Lo osservo.

Osservo le spalle larghe fasciate dalla felpa nera, e la vita stretta. I jeans scoloriti e un po' rovinati che gli cadono sulle gambe e gli scarponi scuri che ho scoperto essere un'esclusiva della sua casa.

È talmente tanto bello che devo stringere i pugni pur di non correre verso di lui e saltargli al collo come ho fatto con Percy.

Poi lo guardo ancora e mi ci vuole un secondo per cambiare idea.

Gli salto sulla schiena facendolo barcollare in avanti e, – ehi! – lo saluto contenta, stampandogli un bacio sul collo.

- Che diavolo fai?! – esclama lui e, decisamente, quella non era la reazione che mi aspettavo.

Corrugo la fronte scivolando via dalla sua schiena e mettendomi davanti a lui, raccogliendo i residui di difesa che lui ha abbattuto dolcemente la sera prima.

Un forte fastidio si fa largo dentro di me, propagandosi dal mio stomaco come se fosse della lava gelida.

Lotto con tutta me stessa per non piegarmi in due dal dolore e mi sento nuda, spoglia sotto il suo sguardo che è esattamente identico a quello che mi rivolgeva i primi giorni che ero al Campo: disprezzo.

Tremo e lo associo al freddo anche se so bene che non è per quello.

Incrocio le braccia sul petto per tentare di proteggermi, per tentare di prepararmi a qualsiasi cosa ma quando lui mi guarda ancora in quel modo, come se valessi meno di zero, mi rendo conto di non avere più niente.

Lui ha preso le difese che avevo, la mia armatura e l'ha spezzata. Mi ha lasciata nuda, vuota, persa e sola e non so più come fare difendermi perfino de me stessa.

Mi rendo conto di non essere neanche abbastanza forte per sopportare l'imminente discussione che, lo so, avverrà e stringo i pugni perché, almeno per un po' devo fingere di esserlo.

Devo fingere di essere forte.

- Che vuoi? – mi domanda freddo e il mio cuore perde un battito.

Voglio andarmene. Voglio smetterla di stare male.

Voglio scuoterlo con forza fino a che non si riprenderà, fino a che non tornerà al Carter che mi ha protetto mentre eravamo in missione. Fino a che non tornerà al Carter che mi ha reso la sua principessa.

- Che diavolo sta succedendo? – gli domando e accumulo le forze per la prossima cosa che dovrò dire.

Carter alza le sopracciglia e ride sarcastico e io perdo un altro battito, inesorabilmente. – Cosa vuol dire che diavolo sta succedendo? Sei tu che sei venuta e ti sei comportata come se fossimo amiconi – si china verso di me e il petto mi si stringe in una morsa. – Non lo siamo, novellina.

Sbarro gli occhi e ficco con forza le unghie nei palmi delle mani.

Non posso andarmene adesso, prima devo capire.

E mi costringo a restare, a farmi del male ancora, a cercare di spiegarmi perché Carter si stia comportando come se neanche mi conoscesse o come se non volesse farlo affatto.

- Mi prendi in giro? – ringhio raggruppando le poche forze che ho per contrastarlo. – Era tutta una presa in giro? – quasi urlo contro di lui mentre la collana inizia a bruciare sul mio petto, quasi bruciandolo.

Carter mi guarda e per un secondo penso che mi stai per dire che è tutto uno scherzo. Che io sono la sua principessa, che sono sua e basta ma raddrizza di scatto la schiena e ride, buttando la testa all'indietro.

- Era solo sesso, novellina. Perché, pensavi ci fosse dell'altro? – sembra una parolaccia. Tutto quello che ha detto sembra la più grande parolaccia del mondo e se non cado a terra quando le ginocchia tremano, è solo per puro orgoglio.

Solo sesso.

Solo sesso.

Le parole rimbombano nella mia testa come acido bollente e adesso capisco perché, in tutti questi anni non mi sono mai affezionata a nessuno.

Le persone ti tradiscono, ti deludono, ti uccidono e ti logorano. Le persone ti distruggono perché è l'unica cosa che fanno davvero bene.

Ecco perché, in tutti questi anni mi sono fidata sempre e solo di me stessa, e adesso mi sembra di crollare.

Non riesco a racimolare altre forze per picchiarlo o semplicemente rispondergli male perché lui mi ha portato via tutto facendomi credere che, se ne avessi avuto bisogno, mi sarei potuta poggiare a lui.

Le lacrime mi pungono le palpebre e abbandono le braccia lungo i fianchi con i pugni ancora stretti e le unghie che si conficcano nella carne.

Non posso piangere.

Devo essere forte come sempre.

Devo combattere, come ho fatto sempre.

Lo guardo negli occhi, in quegli occhi che mi hanno fatta innamorare ma che, senza difficoltà, hanno deciso di tradirmi e mi rendo conto che io non sono mai stata e non sarò mai una principessa.

Io sono e sarò sempre una guerriera.

Ed ora, è tempo di combattere.

Caccio indietro le lacrime e carico un pugno colpendo Carter talmente tanto forte alla mascella che la testa gli scatta di lato e barcolla leggermente portandosi le mani al punto che ho colpito.

- Vai a farti fottere – ringhio e poi lo spingo correndo via da lui e lasciando che le forze che ho accumulato se ne vadano. Mi abbandonino velocemente, esattamente come sono arrivate.

Corro, corro finché i polmoni non mi bruciano e finché i piedi non mi chiedono pietà.

Corro senza ascoltare nessuno e permettendo solo in quel momento che le lacrime mi righino le guance perché ci sono davvero tante cose che non riesco e non posso capire.

Corro e decido che, a prescindere da quello che potrà dirmi Percy, io voglio tornare a casa.

 

- Perché vuoi andartene?

Credo che sia almeno la quarantacinquesima volta che Percy mi fa questa domanda e io non ho intenzione di rispondere. E non perché voglia proteggere Carter, per quanto mi riguarda può anche venir sbranato dalla signora O'leary, ma per salvaguardare Percy..

Non credo verrebbe visto di buon occhio se uccidesse qualcuno e di lui mi importa eccome.

Continuo a preparare la borsa e sbuffo nascondendo come sto davvero.

Penso che se parlerò: o confesserò tutto a mio fratello facendolo diventare un omicida, o attaccherò a piangere e sarebbe piuttosto imbarazzante.

Stringo i pugni e la felpa che stavo mettendo nello zaino mi cade a terra. Nessuno mi ha mai visto piangere e odio il fatto che Carter sia stato l'unico, dopo mamma, a vedere la mia parte fragile.

Odio me, odio la situazione e odio lui e torno ad afferrare la felpa ficcandola nello zaino e fregandomene se poi si stropiccia.

- Ariel, guardami – mi ordina Percy con la stessa voce autoritaria che gli ho sentito solo poche volte.

Stringo lo zaino e prendo un respiro prima di poggiare i fianchi alla colonna del letto a castello per guardarlo.

È seduto sul letto e mi guarda con gli occhi verdi che sembrano quasi mi vogliano scavare dentro, carpendomi tutte le infomazioni che non voglio dargli.

Per un istante, ma per un solo istante e penso di essermelo immaginato, mi sembra ci sia qualcuno a scavare nella mia testa, come se stesse infilando la chiave sbagliata nella serratura, ma poi questa sensazione passa e incrocio le braccia al petto per proteggermi.

- Che c'è? – domando con uno sbuffo e Percy mi guarda con un sopracciglio scuro inarcato che diventa quasi un tutt'uno con i capelli che gli ricadono disordinati sulla fronte.

- Non prendermi in giro, sorellina – e se non fossi già attaccata a qualcosa, indietreggerei anche. – Perché vuoi andare via? – mi domanda ancora e il tono è talmente tanto triste, quasi arrendevole che, per un attimo, credo che gli dirò che mi succede. Credo che piangerò tra le sue braccia e credo che, almeno per una volta, riuscirei a sentirmi a casa.

Percy cammina verso di me e scuoto la testa un paio di volte spostandomi verso sinistra e riuscendo quindi ad indietreggiare di qualche passo. – Voglio solo prendermi una pausa – e mi faccio quasi i complimenti per la mia mezza verità. – Tutta questa storia della finta impresa, della cerchia di eletti – elenco, – ho bisogno di un po' di tempo per stare tranquilla e il Campo mi tiene in agitazione.

Carter ti tiene in agitazione, razza di idiota.

- Carter? – domanda Percy fermandosi di colpo a meno di un metro di me e aprendo un po' di più gli occhi.

Impreco tra i denti quando realizzo di essermi dimenticata di schermare ciò che penso a Percy ma è questione di attimi prima che il suo sguardo si possa ridurre in una fessura.

Spalanco gli occhi e gli afferro il braccio quando affonda la mano nella tasca destra dei jeans, probabilmente afferrando Vortice, la sua spada. – No! – esclamo ma lui si libera dalla mia presa con uno strattone e inizia a camminare verso la porta.

Posso quasi vederlo tremare dalla rabbia.

- Io adesso vado e lo ammazzo – dice tranquillo e realizzo che avrei di gran lunga preferito che avesse urlato.

- Percy, per favore.. – imploro, rendendomi conto che ormai è la mia unica arma.

Non potrò mai essere forte quanto mio fratello, sono riuscita a malapena a batterlo quando ero in piena forma dopo che mi ero bagnata, figurarsi adesso che non ho neanche le forze per difendere me stessa.

- Ariel – ringhia inchiodandomi sul posto con lo sguardo, – ti ha usato. Questo non va bene solo a me?! – esclama voltandosi per dare un pugno alla porta.

Il tonfo secco risuona per la nostra cabina e sussulto quando il legno continua a tremare.

- Percy.. – tento ancora ma non ho abbastanza forze per fermarlo.

Ho bisogno che tutto questo finisca.

Ho bisogno di fermarmi per un po'.

- No, Ariel quell'idio..

- Mi puoi solo abbracciare? – gli domando nascondendo le mani dentro le maniche della felpa, tirando leggermente su col naso. So che non riuscirò a nascondere le lacrime ancora per molto. Già mi pizzicano agli angoli delle palpebre e sento di star crollando.

Ho bisogno di essere salvata prima di rompermi del tutto.

Percy si volta di scatto verso di me stringendo la penna in mano con talmente tanta forza che le nocche spaccate per il colpo di prima, sbiancano. Mi guarda, come per valutare se stia facendo la cosa giusta e quando una lacrima dispettosa fugge via al mio controllo, lui attraversa in pochi passi lo spazio che ci divide, attirandomi contro il petto.

Mi aggrappo al retro della sua felpa dando il via libera alle lacrime solo adesso che Percy mi sta stringendo, solo adesso che so di essere protetta e molto più forte.

Respiro il suo profumo, quello che è sempre un misto di mare e Annabeth e forse gli sto bagnando la maglietta ma a lui non sembra importare abbastanza per lasciarmi andare.

Tutte le emozioni che ho represso salgono a galla con forza, lasciando il mio corpo attraverso le lacrime calde che mi rigano silenziose le guance. Sembra quasi che mi stia liberando da tutto lo schifo che ho dentro ma il ricordo di Carter è ancora troppo vivido dentro di me perché qualche lacrima possa cambiare il modo in cui mi sento.

Stringo un po' di più la felpa di Percy perché, se non lo facessi, mi sembrerebbe inesorabilmente di crollare e continuo a concentrarmi sul suo profumo, sul suo petto che si solleva regolare, sul suo cuore che batte contro il mio orecchio.

Mi aggrappo all'unica certezza che ho per rimanere a galla.

Poggia il mento sulla mia testa e mi stringe più forte quando l'ennesimo sussulto mi fa tremare contro di lui. – Ci sono io – mi sussura, – te lo giuro, non sei sola – dice baciandomi la testa e cullandomi ancora un po'.

 

- Sicura di aver preso tutto? – mi chiede ancora Percy.

È passata meno di un'ora da quando mi ha abbracciata dentro la nostra cabina e anche se ci ha messo un po' di tempo è riuscito ad accettare l'idea che me ne vada a New York.

Ha anche insistito perché andasi da sua madre, Sally, e il suo patrigno, ma ho preferito rifiutare. Non ho intenzione di essere un peso per nessuno e anche se lui ha negato, so bene che sarei comunque di disturbo.

Nascondo il calore al petto per quella domanda che non mi rivolgevano da anni, con uno sbuffo, – sul serio, bello, quanti anni pensi che abbia?

Annabeth accanto a lui ride e si sporge verso di me per abbracciarmi. Ancora.

Sembra che abbia una sorta di tic nervoso per il quale non riesce a non stringersi a me per più di cinque secondi.

Posso giurare che non è facile salire una collina con una figlia di Atena diciottenne che ti si attacca al fianco come una cozza.

La amo ancora di più per questo.

Mi dispiace che loro due non possano venire ma devono gestire il Campo. Chirone ha bisogno di una mano e ci sono troppi piccoli semidei a cui badare perché non venga aiutato.

Ho deciso di andarmene senza dire niente a nessuno.

Non voglio che Als mi saluti o che lo sappiano troppe persone. Ho sempre odiato gli addii e amo troppo la mia arciera perché riesca a sapportare la sua vista mentre me ne vado.

Certo, tempo sei mesi e la vedrò ancora ma non sono mica pochi.

- Devo andare – annuncio e lo sguardo di Percy si adombra, osservandomi come se sperasse di farmi cambiare idea in quel momento.

Come se Argo mi avesse sentito, suona il clacson del furgone ai piedi della collina e alzo una mano verso di lui, facendogli segno di averlo sentito.

- Ancora certa che tu non voglia rimanere con noi? – domanda Annabeth quando mi stringe ancora a sé, accarezzandomi i capelli come mi piace tanto.

Annuisco un paio di volte perché so che adesso, tra le sue braccia attaccherai a piangere come una squirtenata, così mi limito a stare zitta, a sentire il suo profumo o il suo cuore che batte contro il mio.

- Non sarai una figlia di Atena – mi sussurra contro l'orecchio lasciando che le sue labbra me lo sfiorino, – ma sei comunque la mia sorellina, va bene? – e io annuisco ancora perché non voglio piangere e perché è proprio per questi motivi che odio gli addii.

Quando ci separiamo, lei ha gli occhi lucidi ma sbatte le palpebre un paio di volte sorridendomi e tornando normale, guardandomi come se niente fosse.

Percy mi sorride e apre le braccia perché io mi possa fiondare contro il suo petto ma una voce che è ormai familiare mi chiama e mi sporgo oltre mio fratello per vedere la chioma scura di Als che si agita nel vento mentre corre verso di me.

- Ariel! – grida continuando a venire verso di me, fermandosi solo quando siamo a pochi passi di distanza, accanto ad Annabeth.

Poggia le mani sulle ginocchia e ansima per lo sforzo mente io lo guardo stranulata.

Lei non avrebbe dovuto sapere nulla.

- Che ci fai qui? – domando, forse con più freddezza di quanto avrei voluto, ma lei sembra non farci caso, tornando dritta quando riprende fiato per bene.

- Dioniso. Ha allestito un buffet con tanto di decorazioni per la tua partenza – sorride un po' amaramente. – Non ci ho messo molto a collegare gli striscioni:”Finalmente via” con te che non ti trovavi da nessuna parte.

Inclino la testa prendendomi qualche secondo per osservarla, bella come sempre e non più con segni di pestaggio.

La pelle diafana è liscia come al solito. Le labbra sono più rosee del dovuto per il freddo, le ciglia sempre lunghe che rendono gli occhi ovviamente bellissimi. I capelli le svolazzano attorno al viso per il vento e il corpo è imbottigliato in un paio di jeans scuri, degli scarponi e una felpa del Campo.

La guardo ancora negli occhi e poi lascio che l'ennesima lacrima mi scorra sulla guancia quando vado verso di lei.

- Vieni qui – dico e lei mi avvolge il collo con le braccia, stringendomi come se non lo facesse da giorni.

Ci stringiamo con forza perché proprio quando l'ho ritrovata, la sto perdendo di nuovo.

Permetto a qualche lacrima in più di bagnarmi il volto e quando sento la schiena di Allison scossa dai sussulti, sorrido.

Con ogni probabilità, quando ci allontaneremo e ci guarderemo nuovamente negli occhi saremmo in condizioni pietose.

Ridiamo entrambe quando finalmente riusciamo a vederci ed Allison mi asciuga una lacrima con un sorriso che sembra quasi un pugno sul quel volto triste.

- Poi torni da me? – mi domanda e annuisco un paio di volte perché il palato mi brucia e non riuscirei a parlare senza che la voce si incrini.

- Allora, saluti tutti e non tuo fratello? – domanda Percy fintamente offeso e mi catapulto contro di lui ridendo, lasciando che le sue braccia forti mi stringano ancora. – Ti voglio bene, sirenetta – e me lo dice talmente tanto piano che faccio quasi fatica a sentirlo.

 

Corro giù per la collina quando Argo suona nuovamente il clacson e mi impongo di non guardare indietro verso la mia famiglia perché ho appena smesso di piangere e non mi va di ricominciare ancora.

Sono una guerriera, non una principessa.

Salgo nei sedili posteriori perché Argo e tutti i suoi occhi mi fanno paura e abbandono lo zaino accanto a me raggomitolando le gambe al petto per il freddo.

Poggio la testa al finestrino che vibra quando il custode mette in moto partendo verso New York.

Osservo la strada sotto di me, quando decido di voltarmi.

Forse sono masochista, o forse più nostalgica di quanto pensassi ma schiaccio il viso contro il finestrino per guardare un'ultima volta la collina anche se non è lei, il pino di Talia o Peleo che attirano la mia attenzione.

Carter lo fa, sul ciglio della strada con il vento che gli scuote la felpa e gli arrossa il naso.

Mi fissa come se così facendo io potessi smettere di andare via e mi chiedo come sarebbe stare tra le sue braccia in quel preciso istante.

Una lacrima mi riga ancora la guancia e lo osservo fino a che una curva decide di portarmi definitivamente via da lui. 


Angolo Autrice: 
Ehiila<3 
allora, voglio un applauso perché sono in super orario aahahahha seppur con un capitolo di merda.. infatti, dopo che Ariel e Carter hanno la loro prima volta, lui la allontana. Brutto idiota ma, ovviamente, tutto ha un perché, così come il suo allontanare Ariel. Lo spiegherò dopo ma ci sarà ahhaha non succede nulla di particolarmente entusiasmante in questo capitolo se non Percy che è un amore e Annabeth che non la vuole far andare via.. 
E nulla, torno alla mia fisica che domani ho il compito e devo ancora capire bene come applicare tutte le regole che ho imparato ahaha 
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Lova yaa<3
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Capitolo 18
*** Come la protagonista di Footloose ***


Come la protagonista di Footloose
 

E' una settimana che sono alla Avalon e mi rendo conto che il Campo Mezzosangue mi manca più di quanto voglia ammettere a me stessa.

Non che il mio sia un brutto istituto, anzi! Le aule sono spaziose, c'è addirittura una piscina con degli orari d'entrata e uscita che non rispetto, e le persone non sono poi così male seppur non abbia ancora fatto amicizia con nessuno.

Percy mi aveva proposto di andare dalla mamma, Sally, e per quanto ne desiderassi una, per quanto desiderassi tornare a casa per le cinque e trovarmi la merenda pronta, ho comunque rifiutato.

Non voglio essere un peso per nessuno, anche se questo nessuno è la mamma di mio fratello.

Percy si era anche offerto di pagarmi le quote ma ho rifiutato. Continuerò ad utilizzare il fondo che mi hanno lasciato mamma e Poseidone.

Me ne sono andata dal Campo il giorno della vigilia di Capodanno e mi dispiace un po' non averlo festeggiato con Als ma era meglio di così. Per quanto lì avessi la possibilità di utilizzare Onda, mi sentivo scoperta e vulnerabile.

Cammino per i corridoi con gli auricolari alle orecchie e un Ipod nuovo di zecca che mi ha rubato Connor Stoll per Natale e che mi ha dato la sera stessa che sono tornata dall'impresa. Credo di essermi affezionata a quel ragazzo più di quanto potessi pensare e sorrido, giocando distrattamente con il ciondolo a forma di goccia gelido.

Mi sento un po' sola ed è strano perché mi ero sentita così solo poche volte, quando mamma era malata e subito dopo quando è morta. Dopo due anni avevo imparato a conviverci e dopo essere stata al Campo e aver capito nuovamente che cosa voglia dire famiglia, mi sento quasi vuota.

Continuo a ripertermi che va bene così, quasi sia un mantra, e poi entro nell'aula di algebra anche se non ci capisco niente e i numeri fanno Skateboard sulle pagine.

Non mi piace l'Algebra ma mi piace la letteratura inglese e la storia medievale. Mi dispiace quasi un po' non studiare quella greca, forse perché, senza dubbio, con tutte le lezioni di Annabeth per una volta sarei la più preparata della classe.

Divido la camera con due galline, Sasha e Jennifer e una povera sfigata che, ovviamente, come il più schifoso dei cliché, è la loro servetta, Gale.

Mi sono chiesta più volte per quale motivo Gale continui a stare con loro ma poi ho capito il loro bisogno di avere qualcuno che le adori e la necessità di Gale di avere delle amiche, seppur la trattino come uno zerbino.

Ignoro chiunque la maggior parte del tempo e per quanto un paio di ragazzi abbiano deciso di avvicinarsi a me per sfoderare tecniche di abbordaggio viste e riviste, ho rifiutato tutti.

Fanculo a ragazzi, dopo Carter non mi sento di avere più nessuno.

 

È l'ora di pranzo e di solito non mangio niente perché, in confronto al cibo del Campo, questo precotto e scotto mi fa abbastanza schifo.

Mangio sempre da sola (qualche mela o la brioche la mattina presto), è una settimana che lo faccio anche se ieri ho optato per la piscina e, decisamente, è stata molto più producente di quel cibo assurdo.

Mi sento un po' debole e mi riprometto di andare in acqua. La testa mi gira e i rumori attorno a me sono ovattati anche se non so bene per quale motivo.

Ho lo stomaco chiuso e anche quando tento di portarmi alle labbra un panino che non sembra neanche così male (anche se la fettina è scotta), lo allontano di colpo.

Non mi va di mangiare, magari stasera uscirò e prenderò una pizza.

È una settimana che non metto piede fuori dall'istituto se non per cambiare plessi delle aule o andare in piscina.

Credo di aver bisogno di vivere un po'.

Anche se non ne ho molta voglia.

Mi alzo dalla panca lasciando il vassoio sul tavolo perché la testa mi gira ancora di più e non mi va di portare ulteriori pesi, se non quello del mio corpo.

Mi concentro sui capelli che sbattacchiano sul mio viso mentre cammino, il rumore delle All Star sul pavimento laccato e le unghie che si conficcano nei palmi delle mani.

Sbatto gli occhi cercando di cancellare le macchie nere davanti ai miei occhi.

Mi infastidiscono e non riesco a toglierle.

Sulla porta stanno entrando un gruppo di ragazzi del football e ne conosco un paio che hanno lezione con me.

Mi aggrappo agli occhi castano chiaro di un ragazzo che mi è familiare e inclino la testa mentre le macchie nere aumentano e la testa mi gira sempre di più.

Per un secondo, ma uno soltanto, spero che quegli occhi castano chiaro si scuriscano un po' di più e che quei capelli non siano così corti ma lunghi, lunghi e scuri.

Poi le gambe cedono e non so bene se qualcuno farà in tempo a prendermi o no.

 

Mi sembra passato un secondo quando mi sveglio, aprendo gli occhi di scatto. Grugnisco per la fitta alla testa che mi colpisce con forza e sbatto le palpebre un paio di volte mettendo a fuoco una stanza bianca e una finestra alla mia destra, una porta -probabilmente del bagno davanti a me- e un mobile che, sicuramente, custodisce i medicinali.

Non mi ci vuole molto per realizzare che sono in un'infermeria.

Respiro profondamente e quando sento una porta aprirsi mi volto di scatto, osservando il ragazzo che è appena entrato nella mia stanza.

È bello, incredibilmente bello con i capelli castani tagliati corti, gli occhi un po' più chiari e la pelle diafana. Il fisico snello è imbottigliato in un golfo grigio che lo abbraccia perfettamente, così come i jeans scuri che sono talmente perfetti per lui che sembra glieli abbiano cuciti addosso.

Realizzo poco dopo che è l'ultima persona che ho visto prima di svenire per non aver mangiato per sette giorni.

- Ehi – mi saluta e, per un attimo, il suo sorriso chiaro mi abbaglia. – Ti sei svegliata.

Si sistema nella sedia accanto a me e mette sulla coperta marrone che mi avvolge il corpo una busta di cartone con il logo dello Starbucks.

- Per quanto sono rimasta svenuta? – gli domando, e la mia voce incredibilmente roca un po' mi sorprende.

Lui mi sorride ancora togliendo dalla busta un bicchierone caldo che emana profumo di caffé e poggiandolo sul comodino accanto a lui. – Qualche ora. A quanto pare non mangi da un po' quindi ti ho preso un muffin al cioccolato – dice frugando nella busta e alzando poi lo sguardo su di me. – Non sapevo che ti piacesse quando sono uscito ma so per esperienza che i muffin al cioccolato piacciono a tutti.

Mi sistemo meglio sul cuscino e gli regalo un sorriso portandomi la busta sul grembo e pescando l'enome muffin al cioccolato.

Lo guardo leggermente restia e lo stomaco brontola per qualcosa, anche se non ho capito che cosa.

Ne stacco un pezzo piccolo e poi me lo porto alle labbra masticando piano per paura di vomitare.

Il ragazzo mi guarda e io lo osservo ancora cercando di ricordarmi inutilmente il suo nome.

- Comunque, piacere, – dice buttando giù un sorso di caffé e poggiando il bicchierono sul comodino, – io sono Boris – allunga una mano verso di me e io gliela stringo leggermente circospetta sorprendendomi di quanto sia morbida.

Non sono abituata affatto a questo tipo di mani.

- Ariel – dico e stacco di nuovo un pezzo del muffin con due dita mentre lui mi guarda curioso.

- Come la protagonista di Footloose?– chiede in un sorriso e io lo guardo ancora.

Adesso so per certo che io e questo ragazzo diventeremmo amici, perché è il primo che parla del film del preferito di mia madre e non di quello stupido cartone animato della Disney.

 

E ripensadoci, mi accorgo che quel giorno di gennaio avevo avuto assolutamente ragione.

Adesso è passato un mese da quando sono arrivata alla Avalon e Boris e le sue origini tedesche sono sempre assieme a me.

Mi aiuta a studiare, mi spiega storia, inglese, algebra e chimica praticamente sempre anche se lui ha un sacco da studiare per un test del giorno dopo.

Mi accompagna anche in piscina e nuota con me la mattina alle sei e la sera dopo il coprifuoco, mi viene a prendere in camera la mattina per accompagnarmi a lezione anche se, magari, il suo plesso è dalla parte opposta del campus.

La cosa migliore è che mi fa ridere e io non gli piaccio.

Siamo amici, mi abbraccia ogni due per tre ma non ha preteso altro. Esce con altre ragazze e le lascia perdere subito appena mostrano il primo segnale di gelosia nei miei confronti.

Non so perché lo faccia anche se è da un mese che mi prometto di chiederglielo e, alla fine, non lo faccio mai.

Sento Percy, Annabeth e Als almeno una volta alla settimana anche se è un po' un casino con Boris che mi sta sempre appresso.

Non che questo mi dispiaccia.

Quando sono con lui rido sempre di più, sorrido anche di più e ha messo un sacco di foto nostre su Facebook e Instagram facendomi vedere il numero di “mi piace” sempre alto perché, “io sono popolare, sirenetta”.

Quando sono con lui non penso neanche a Carter ma è quando sono da sola che arriva il peggio.

Quando sono da sola non c'è nessuno a farmi distrarre e la mia mente vaga, portandomi tra le sue braccia, sulle sue labbra, sotto il suo corpo e contro il suo petto.

Carter mi manca ogni giorno di più e mi odio per non riuscire ad odiare lui almeno la metà di quanto odio me stessa.

Dovrei farlo, dovrei odiarlo perché con me non è mai stato sincero eppure, quegli occhi pieno di me quando abbiamo fatto sesso (sempre se di sesso si trattava), non riesco davvero a dimenticarmeli.

A si, ovviamente Percy non è riuscito a far finta di niente e si è scontrato con Carter. Mi è anche dispiaciuto essermi persa un combattimento del genere, voglio dire, uno dei figli prediletti di Ares contro mio fratello e la sua immunità. Tipo una seconda guerra di Troia includendo il fatto che si sono quasi ammazzati solo per me.

Ho sgridato Percy, non avrebbe dovuto fare una cosa del genere, litigare con Chirone e inimicarsi Dioniso ancora di più solo per una mia causa ma poi, gli ho sorriso e lui ha capito che gli stavo silenziosamente dicendo “ti voglio bene”.

E gliene voglio davvero.

 

Guardo fuori dalla finestra la pioggia che picchia furiosa contro il vetro e mi chiedo che diavolo stia succendo sull'Olimpo, considerando che tempeste così non ne vedevo da tempo.

Le fronde degli alberi fuori dalla scuola sono tutte tirate verso sinistra, segno che il vento è più forte di quanto pensi e sorrido quando un lampo illumina il campo da football sul quale da' la mia camera.

Sasha sta litigando con Gale per lo smalto mentre Jennifer deve essere ancora sotto la doccia a giudicare dallo scroscio dell'acqua che sento da lì.

- Passami il rosso carminio – ordina quella voce petulante e sbuffo osservando per un attimo il suo riflesso dal vetro.

È seduta sul suo letto -quello più vicino allo specchio- con un ginocchio piegato su un asciugamano -di Gale, ovviamente- pronta per mettersi quello smalto di cui tanto parla.

Sento un rumore di boccette e dei passi leggeri prima di uno strillo che è un misto tra una furia e un gatto imbestialito, ergo, Sasha si è arrabbiata.

È una persona coerente, comunque. Ha sempre qualcosa di cui lamentarsi a ogni ora del giorno e della notte.

- Questo è rosso perla! – strilla e mi volto di scatto osservandola mentre agita al boccetta sotto il naso di Gale che la guarda con gli occhi verde scuro spalancati e terrorizzati, – io avevo detto rosso carminio, razza di idiota.

- Non trattarla così – ordino continuando a fissare la pioggia che scroscia con potenza.

- Fatti gli affari tuoi – sibila in mia direzione, in tutta risposta e salto giù dalla finestra atterrando sulla moquette con un leggero tonfo.

- Tu non trattarla così e poi mi faccio gli affari miei – le dico tranquilla voltandomi verso Gale e togliendole la boccetta di smalto dalle mani piccole e che un po' le tremano.

Le sorrido rassicurante e lei mi guarda come se fossi pazza anche se poi allenta la presa e mi lascia poggiare lo smalto sulla scrivania sotto la finestra.

Sasha respira a sbuffi lenti, enfatizzando la sua rabbia, e con i capelli a onde bionde e il volto rosso mi ricorda un po' una vacca di Apollo. Mi chiedo che farebbe se le agitassi un telo rosso davanti.

- Senti, Ariel – e sembra quasi uno sforzo pronunciare il mio nome, – stasera devo uscire con Sean e ho bisogno di essere ancora più perfetta quindi, adesso – da come mi parla sembra che mi consideri una bambina di cinque anni e le sorrido a labbra chiuse, inclinando un po' la testa. – Dammi lo smalto. – Ordina perentoria allungando una mano verso di me.

Faccio finta di pensaci battendomi l'indice contro il mento un paio di volte e trattenendo un sorriso per la sua evidente rabbia. – No, prenditelo da sola.

Sasha ringhia e poi si alza di scatto dal letto, stringendo i pugni lungo i fianchi. Faccio un passo verso di lei. Se mi vuole fronteggiare, allora che lo faccia bene.

Ho davvero bisogno di picchiare qualcuno e ora che ci penso, è da un po' che non lo faccio.

- Non mi sfidare – sibila e le rido in faccia tornando poi a fissare i suoi occhi azzurro cielo.

- Altrimenti? – la schernisco e prevedo un secondo prima la sua mano destra che scatta verso la mia guancia.

Le blocco il polso e Gale sussulta per la sorpresa. Quando la osservo con la coda dell'occhio vedo che si è messa due mani sulla bocca per non urlare.

Stringo il polso di Sasha un po' più forte e poi glielo piego, torcendole il braccio all'indietro.

I suoi occhi azzurri si riempono di lacrime e io le sorrido leggermente guardandola dall'alto mentre lei si contorce, cercando di seguire la direzione del polso.

- Sei tu che non devi sfidare me – le sussurro in un orecchio e poi le lascio il polso di scatto spingendola da un lato e andando verso la porta.

Mi abbasso di scatto e la spazzola rosa che mi ha tirato dietro va a sbattersi al legno, facendomi ridere.

- Magari la prossima volta – dico, sorridendole da sopra la spalle e il suo ringhio è l'ultima cosa che sento prima di chiudermi la porta alle spalle e uscire nel corridoio poco illuminato.

E da una parte, la ringrazio anche perché, seppur per pochi secondi, sono riuscita a non pensare a Carter. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3 
Sono super puntuale, dite la verità ahaahah con un capitolo di passaggio ma comunque puntuale. Era necessaria un po' di calma seppur Ariel sia totalmente persa per la prima settimana, tanto che non mangia nulla. Sta talmente male che non vede neanche il motivo di prendersi cura di sé stessa e, per questo, sviene. Viene aiutata da Boris che, anche sa da questo piccolo capitolo spero vi piaccia comunque, per lei non prova niente se non amicizia. Lo giuro su Dio ahahha 
In ogni caso, ecco svelato il mistero del nome di Ariel ahahah Boris è il primo che pensa al film Footloose (che personalmente adoro. Guardate il remake che a mio parere è molto più bello dell'originale ahaha) e alla sua protagonista, invece della Sirenetta della Disney. 
Ho rotenuto necessario un po' di normalità in un contesto mitologico per cui, ecco qui un paio di stronze e la povera sfigata che viene ovviamente aiutata da Ariel ahahah 
E niente, spero mi lascerete un parere anche se il capitolo è infinitesimo e spero di riuscire a farmi perdonare col prossimo che è senza dubbio più entusiasmante^-^ 
Alla prossima, lo prometto! 
Vi adoro, 
Love yaa<3
x

P.s. sotto vi lascio le foto di Boris, Gale e Sasha:**



      




     

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Capitolo 19
*** Boris mi tampona ***


Boris mi tampona
 

- Ehi, sirenetta – mi saluta Boris arrivando al mio armadietto.

Gli regalo un sorriso da sopra la spalla e poi sbatto lo sportello con forza, voltandomi verso di lui e poggiando le spalle al metallo freddo e rosso. – Ciao, idiota – dico canzonatoria, beccandomi una linguaccia e le sue braccia che mi stringono contro al suo petto pochi attimi dopo.

È passato un mese da quando ho seriamente valutato l'idea di picchiare quella finta figlia di Afrodite di Sasha. C'è sempre un freddo cane e Boris è sempre al mio fianco. Anche se non so quale dio lo stia assistendo nel sopportarmi.

Mi sistemo un po' meglio contro il suo petto e lui mi stringe a sé più forte, baciandomi i capelli.

Sta uscendo con Matisse. È bella e di origini francesi, credo. Sono del parere che sia una cosa seria anche se lui non vuole ammetterlo e lo deduco dal fatto che sono passate due settimane e non è ancora entrato nelle sue mutande. Di solito il ragazzo non perde più di una settimana e le molla con la scusa di una gelosia nei miei confronti anche se è da un po' che non ci credo poi tanto.

Mi va bene così, comunque. Matisse è bella con i capelli biondissimi e gli occhi nocciola, di una tonalità più chiara rispetto a quelli Boris e che, a seconda della luce, sembrano quasi dorati. È con me a matematica e ha sempre cercato di farmi capire qualcosa anche se io continuo a considerare quella materia assolutamente inutile.

Sono io che li ho fatti conoscere e assieme sono davvero carini anche se Boris è troppo testardo e orgoglioso per ammettere a sé stesso che quel sorriso l'ha colpito più delle tette e del culo.

- Come stai? – mi domanda.

Me lo chiede sempre. Ogni volta che le mi vede la mattina e, con ogni probabilità sa anche che, rispondendogli “tutto ok”, gli sto anche mentendo. Non mi fa mai pressioni, forse perché vuole che sia io stessa a parlare con lui.

Ci ho provato più di una volta ma non ci sono mai riuscita.

Ho deciso di darmi almeno un po' di tempo.

- Ciao! – la chioma di Matisse mi invade la visuale per qualche istante e sputacchio i suoi capelli biondi via dalla mia bocca, stringendola per i fianchi quando mi rendo conto mi stia abbracciando. Ignoro Onda che ha preso a bruciare per l'ennesima volta contro la mia pelle. Lo fa da quasi un mese ormai senza che però io riesca ad interpretare quello che, senza dubbio, è un avvertimento.

Respiro per un attimo il profumo di Matisse, maledicendomi quando, solo troppo tardi, mi rendo conto che non sarà mia uguale a sudore ed erba, come quello di Allison.

- Ciao, barbie – la prendo in giro dandole una pacca sul sedere e lei si allontana di scatto da me, facendomi ridere.

Boris la afferra per i fianchi. Le sue mani grandi glieli avvolgono completamente e ignoro una fitta al petto che quasi mi spinge a piegarmi in due. – Saluta anche me! – esclama facendola voltare e premendo le labbra sulle sue per qualche attimo, spingendola verso di sé dalla schiena magra.

Si, stanno davvero bene assieme.

Volto lo sguardo verso il corridoio quando quel bacio dura più di quanto dovrebbe e sto già pensando a un modo per volatizzarmi prima che Matisse si possa girare verso di me, poggiandosi al petto di Boris e sorridendomi con le guance un po' rosse.

Voglio essere baciata anche io così.

- Stasera vi offro la pizza – decide poi la bionda e Boris ride, strappandomi un sorriso e lasciandole un bacio sulla guance.

- Sempre disposta a mangiare gratis – scherzo stringendomi i libri al petto e cominciando a camminare verso l'aula di letteratura con i miei due amici che, tenendosi per mano, rimangono affianco a me.

Li osservo per qualche attimo con la coda dell'occhio e anche se cominciano a chiacchierare, io non li ascolto.

Acchiappo Onda e la stringo nel pugno, quasi imprimendomi il bordo della goccia sul palmo, ignorando il calore che mi spinge a lasciarla andare.

Penso a Carter, a Percy, a Allison, al Campo Mezzosangue e Onda prende a bruciare con più forza. Anche lei vuole tornare a casa.

Voglio essere felice anche io.

 

***

 

È la prima volta che vado in piscina da sola da quando conosco Boris. Di solito lui si rifiuta di farmi andare ovunque da sola. Una volta ha provato anche ad entrare in bagno con me e Matisse l'ha afferrato al volo per il golfo, dandogli uno schiaffo al braccio.

Forse ha paura di vedermi svenire un'altra volta, di vedermi inerme e senza protezione. Forse è proprio così che mi vede e mi dispiace il fatto che sia all'oscuro della possibilità di poterlo mettere K.O con una sola mossa.

Sorrido, ripensando alla colazione in camera che mi hanno portato lui e Matisse oggi, e il sapore del muffin e del caffé lungo occupano la mia bocca, sostituendo quello della pizza che non mi hanno fatto pagare. Dicono sempre:”è sabato, paga Matisse”. Ma poi si prendono la libertà di offrirmi anche la colazione e il pranzo tutte le volte che riusciamo a consumarlo fuori dalla Avalon.

Mi piace la Avalon, mi piace sempre di più anche adesso che ci sto da più di un mese e anche se, vedere Percy, Annabeth ed Allison tramite un messaggio iride mi rende comunque triste.

Allison mi ha detto che vuole provare a vivere in città, frequentare una scuola come me, solo verso la zona di Detroit. Credo che l'abbia scelta con la speranza di vedere la mamma e non ho avuto cuore di dirle che queste cose finiscono sempre male, almeno per noi semidei.

Mi stringo le ginocchia al petto, cingendole con le braccia e osservando i giochi di luce sulla superficie piatta dell'acqua.

Fuori dal plesso nel quale mi trovo infuria una tempesta e la grandine sbatte con forza contro ai vetri, intimorendomi leggermente.

Ho la pelle d'oca e il freddo mi fa tremare completamente.

Sono in intimo e completamente bagnata.

So che avrei potuto non farlo. So che avrei potuto anche decidere di non bagnarmi, di lasciare che l'acqua non mi toccasse, ma ne avevo bisogno. Avevo bisogno di provare del dolore, avevo bisogno di provare qualcosa, di uscire da uno stato di apaticismo che mi sta cogliendo sempre di più.

Quando sono con Boris e Matisse non ci penso mai, ma poi, quando sono da sola, il ricordo di Carter si fa sempre più vivo dentro di me e mi mordo il labbro con forza, cercando di contrastare le mani gentili che mi sento sui fianchi, sullo stomaco, sui seni. Mi passo una mano tra i capelli bagnati che corrono lungo la schiena e poi torno ad abbracciarmi le gambe, tenendo lo sguardo puntato verso l'acqua.

Smettila.

Cerco di impormelo, eppure non ci riesco.

Onda prende a bruciare sulla mia pelle, quasi scotta e la stringo nel palmo, cercando di abbassare il calore che mi sembra stia lentamente aumentando. – Ahi! – esclamo, lasciando il ciondolo di scatto, un secondo prima che la porta di servizio della piscina si possa aprire, spingendomi a voltarmi di scatto. Punto le mani sulle piastrelle scivolose, distendendo le gambe e tendendo i muscoli, pronta a scattare in caso sia qualche inserviente.

Poi, inaspettatamente, la chioma bionda e fradicia di Matisse per il dilivio al quale è stata esposta, entrano nella mia visuale. Lei mi sorride e, per un attimo, quel sorriso mi scalda il corpo gelido.

Rilasso i muscoli e mi volto verso di lei, corrugando la fronte divertita.

Matisse è completamente bagnata, ha il trucco colato lungo le guance che la fa somigliare ad un panda eppure sorride, ed è comunque bellissima.

- Matisse! – esclamo e la mia voce rimbomba contro le pareti. – Che ci fai qui e a quest'ora? – probabilmente è mezzanotte passata e che io sappia, solo io e Boris veniamo in questo posto così tardi.

La bionda si leva il bomber beige, completamente infradiciato, lasciandolo sugli spalti e rimanendo in maglietta che le aderisce al fisico snello, completamente bagnata. – Sono venuta a farti compagnia – dice con semplicità, come se stesse parlando del tempo e non del fatto che abbia appena violato una delle regole più rigide della Avalon solo per “farmi compagnia”.

Corrugo ancora una volta la fronte e la seguo con lo sguardo mentre si siede accanto a me, incrociando le gambe strette in un paio di skinny jeans che, me lo ricordo, sono di un blu decisamente più chiaro. – Come hai fatto a sapere che ero qui? – domando curiosa, leggermente infastidita che un'altra persona sappia di un luogo di ritrovo totalmente segreto e totalmente mio e di Boris.

Ma poi, Matisse sorride, mostrandomi una fila di denti bianchi, perfetti, e quel sorriso è talmente dolce e rassicurante che rilasso la schiena tesa, inarcandola leggermente e ammorbidendo lo sguardo. – Mi sono chiesta per un po' perché Boris mi abbandonasse sempre verso quest'ora e dopo un paio di ardui tentativi, sono riuscita a strappargli “piscina”. – Dovrei essere infastidita eppure la voce e la tonalità gentile eliminano ogni mia traccia di risentimento. – Ho collegato tutto a te, alla tua mania dell'acqua e ai tuoi occhi sempre tristi, quindi sono venuta qui – mi spiega come se stesse parlando di un film, e la facilità con la quale è riuscita a leggermi lo sguardo mi colpisce come un pugno.

Il fiato mi manca per un secondo e la guardo confusa, stringendo i pugni sulle piastrelle fredde. – Non sono triste – dico con la voce che mi esce più dura e ferma di quanto mi aspettassi.

Onda brucia contro la mia pelle, brucia con insistenza e mi chiedo se sia possibile che il mio ciondolo scaldi a seconda delle emozioni che provo.

L'espressione di Matisse vacilla per un secondo, uno soltanto prima che possa tornare a sorridere, socchiudendo gli occhi nocciola contornati da ciglia lunghissime. – Certo, e io sono sudafricana – ribatte con scherno strappandomi una leggera risata che, comunque, non fa smettere Onda di bruciare.

Distolgo lo sguardo dai suoi occhi nocciola e lo punto davanti a me, sulla superficie calma dell'acqua che quasi sembra invitarmi ad infrangerla, ad incresparla. Quasi sembra chiamarmi, quasi sembra avere bisogno di me tanto quanto io ne ho di lei.

Stringo i pugni accanto ai miei fianchi e faccio perno con le mani sulle piastrelle, arrivando a toccare con le giunture delle ginocchia il bordo della piscina, immergendo le gambe nell'acqua tiepida.

Alcune gocce cadono dalle punte dei miei capelli ancora bagnati, provocandomi brividi che non mi danno poi così tanto fastidio.

È la mano incredibilmente calda di Matisse a spingermi a spostare lo sguardo verso di lei, tornando ad immergermi nei suoi occhi nocciola.

– Io lo so che stai male, Ariel. Lo vedo e non sono una stupida – dice con un tono pacato, che mi rilassa come la base della mia canzone preferita, come il picchiettare della pioggia contro il ventro, come l'infrangersi delle onde contro gli scogli. – Vorrei che tu ti fidassi di me – continua, stringendomi il pugno chiuso, facendomi serrare le labbra in una linea dura. – Vorrei provare ad aiutarti – conclude con un mezzo sorriso e le osservo le iridi nocciola contornate da ciglia lunghissime. E quello sguardo è talmente rassicurante, talmente tanto simile a quello di Allison che Onda brucia ancora più forte e il cuore sembra smettere di contrarsi nel mio petto, facendomi fare un respiro profondo, liberatorio.

- Mi sono innamorata di un ragazzo – dico, lasciando che i brividi dei ricordi mi corrano lungo la schiena, lungo le braccia, le gambe che stanno immerse nell'acqua e che sono l'unica parte del mio corpo a stare davvero bene.

Matisse assottiglia un po' le palpebre, si fa più attenta in un tipico gesto alla Allison, e Onda brucia ancora più forte sul mio petto. Ma decido di fidarmi. Decido di fidarmi di quello sguardo che mi ricorda quello della mia migliore amica in un modo quasi doloroso. – Innamorata forte, però, non una di quelle cotte da liceali sfigate – spiego, strappandole un sorriso genuino. Perdo lo sguardo oltre la sua spalla, oltre i capelli biondi che chissà quando e come si asciugheranno. Perdo lo sguardo al Campo Mezzosangue, immergendomi in un paio di pozze castane che iniziano a scrutarmi con odio, immergendomi in un primo sorriso, in un primo tocco, in un primo abbraccio, in un primo bacio. – Mi sono innamorata forte e nel modo più doloroso. Mi sono fidata e ho lasciato che mi fregasse. Mi sono fatta fregare da non so neanche io bene cosa e poi ne sono uscita ferita, come al solito – spiego, scuotendo leggermente la testa e perdendo la scintilla d'odio nello sguardo di Carter il giorno dopo che avevamo fatto sesso, tornando ad osservare gli occhi gentili e nocciola di Matisse.

- Vieni qui.

Mi dice solo questo e poi si allunga verso di me, stringendomi forte contro di sé.

Per un attimo, rimango inderdetta, indecisa su come comportarmi, indecisa su cosa fare. Posso allontanarmi, fare finta di tossire per mandarla via. Oppure, posso smettere di avere paura di qualsiasi cosa e lasciarmi coccolare almeno un po'. Posso farmi guarire, forse poco, forse inutilmente, ma posso comunque lasciare che Matisse ci provi.

E decido di provarci. Decido di provare a fidarmi di lei e le stringo le braccia all'altezza della vita, respirando il profumo di shampoo sui suoi capelli, nascondendo il viso nell'incavo del collo sinuoso.

- Ci sono io, va bene? Ti aiuto io, adesso. – E suona quasi come una promessa e il mio cuore perde un paio di battiti mentre io reprimo un singhiozzo, mordendomi il labbro inferiore con forza.

Grazie.

E continuo ad abbracciarla, perché va bene così. Perché, ogni tanto, provare a farsi salvare, va bene eccome.

 

***

 

- Ma era davvero necessario? – domando quando Boris, tenendo a braccetto me da una parte e Matisse dall'altra, ci fa passare sotto delle insegne coloratisse e al neon di un parco giochi.

È domenica e possiamo uscire dalla Avalon anche se, tutto pensavo meno che Boris ci pagasse l'ingresso per un parco giochi.

- Certo, sirenetta. Avete bisogno anche voi di svagarvi – dice convinto, facendomi scontrare contro una coppia di sposati che mi lancia uno sguardo carico d'odio.

Matisse ride, buttando la testa all'indietro e strappandomi un sorriso mentre per poco non inciampo su un bambino che ha deciso di correre più veloce di Boris.

- Vuoi rallentare? – protesto quando incespico sui cavi di alcune montagne russe rosse e blu, scontrandomi contro la schiena del mio amico.

- Poi non c'è più posto – afferma lui serio, come se fosse questione di vita o di morte.

Mi sporgo oltre la sua schiena, incontrando lo sguardo scintillante di Matisse e il suo sorriso che mostra una dentatura bianchissima e che un po' le invidio.

La pelle, solitamente di porcellana, oggi è colorata di rosso per il freddo di febbraio che la colpisce, anche se ha una sciarpa enorme avvolta attorno al collo sinuoso e un parka chiuso con la lampo fino sotto al mento.

Impreco tra i denti quando rischio di cadere addosso a una signora anziana alle prese con un paio di nipoti troppo vivaci, e mi scontro al braccio di Boris quando lui si ferma, girandosi e fissando con occhi luminosi..

- L'autoscontro? – domando stranita e lui si volta verso di me, le iridi castane che quasi brillano quando annuisce, senza riuscire a mascherare un sorriso. Alzo le spalle e Matisse ride ancora, guadagnandosi un bacio sulla guancia dal mio amico che mi fa stringere lo stomaco in una morsa di gelosia. – Va bene – decido correndo verso una macchinetta blu e saltandoci dentro.

Mi allaccio la cintura e tra ragazzini e genitori con i figli intercetto i capelli biondi di Matisse in una macchinetta rosa e Boris, in una rossa. Lo vedo mentre passa le mani sul volante e poi si scrocchia i polsi e rido, un attimo prima di inserire nella fessura uno dei gettoni che mi hanno dato all'entrata.

Premo il piede sul pedale e quando parte la musica, la macchina schizza in avanti con uno scatto sorprendente, facendomi gridare divertita.

Un colpo forte al fianco mi fa sbandare verso il bordo e mi giro di scatto, trovando gli occhi determinati di Boris che mi fissano.

- Brutto stronzo! – esclamo divertita, premendo il piede sul pedale con forza, girando lo sterzo senza una logica ben precisa e sbattendomi frontalmente alla sua macchina, facendolo scivolare all'indietro.

Gli alzo il terzo dito euforica e poi cerco Matisse, puntandola appena la intercetto, ancora un po' confusa sulla coordinazione mano-piede. – Ehi, bionda! – grido accelerando verso di lei.

Il suo grido accompagna il mio scontro e vengo sbalzata in avanti appena la colpisco, ridendo come una matta per l'espressione di terrore sul viso bellissimo.

– Me la paghi – mi minaccia, e quando tento di sterzare per andare via, vengo colpita da dietro violentemente, sbalzando in avanti.

Impreco e rido, quando vedo Boris inchiodato dietro di me. – Questa è guerra – decido, piegando lo sterzo verso sinistra e prendendo a girare in tondo senza controllo, ridendo con la testa buttata all'indietro mentre una canzone che non conosco continua a rimbombare dagli altoparlanti.

E si, forse sono proprio felice, decido quando riesco a fermarmi e Boris, con una risata, mi colpisce la fiancata dell'auto ancora una volta. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3 
Allora, super puntuale e con un capitolo che fino a qualche minuto fa non esisteva ahhaha teoricamente, oddi avrei dovuto pubbliare il penultimo capitolo ma poi ho deciso che avrei dovuto farvi affezionare un po' di più a Boris e Matisse (vi piace?) e ho scritto di una chicchierata che le ricorda quelle con Allison e di un autoscontro che mi è venuto in mente quando ho pensato a una delle prime scene de Le Pagine Della Nostra Vita ahahah 
E niente, Ariel è ancora innamorata di Carter e lui si fa sentire? Ovviamente no ahahha Boris si è fidanzato, con Matisse appunto e Ariel, nonostante tutto, è felice. Un concetto un po' strano per una ragazza che ha sempre sofferto ahahahah 
E adesso vi lascio che devo andare in palestra e sono già in ritardo. Ovviamente un mega grazie a tutti quanti che continuate a seguirmi e a supportarmi e magari, se vi va, lasciatemi un parere:** 
Ciao cuccioli! 
Vi adoro,
Love yaa<3
x

  

 

 

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Capitolo 20
*** La mia amica è una puttana ***


La mia amica è una puttana
 
C'è qualcosa che non va. C'è qualcosa che non va e Onda che brucia e lo stomaco che mi fa male non sono decisamente dei segnali da prendere per buoni.

Era mesi che non avevo più quelle sensazioni, che non sentivo più le dita formicolarmi per la voglia di battaglia. Adesso, tutte le sensazioni che associo sempre a una lotta, sono tornate più forti che mai e mi prendono come un fiume in piena, costringendomi a serrare i pugni sul banco per riuscire a resistergli.

È giugno ormai, le lezioni sono praticamente finite ma ci sono ancora professori che si ostinano a spiegare per gli ultimi esami. E io, più sto qui e meglio è.

Il sole entra dalle finestre illuminando l'aula quasi con forza e Boris oggi è venuto in camera a svegliarmi ignorando le urla eccitate di quelle stupide figlie di Afrodite. Mi ha regalato un bracciale con il cinturino in cuoio e la sua iniziale. Lui ce l'ha uguale, solo che ha una “A”. Mi ha anche comprato una nuova canottiera che ho messo oggi stesso, è azzurra e dice che l'ha scelta con Matisse perché si abbina ai miei occhi.

Non so se si abbini davvero alle mie iridi, so solo che oggi è il cinque giugno, il giorno del mio diciassettesimo compleanno e io sono chiusa dentro un'aula, cercando di ignorare la voglia di combattere e le lacrime che mi pizzicano gli occhi perché nessuno dei miei amici al Campo si è fatto sentire, neanche mio fratello.

Ignoro il malessere, il magone che mi impedisce quasi di parlare e lancio un'occhiata a Matisse che sta prendendo appunti su numeri quantistici che non ho capito. Lei è bellissima e oggi ha i capelli legati che lasciano vedere il collo sinuoso e il nasino delicato. Lei è bellissima ed è anche felice perché ha Boris che, dopo sei mesi, sta ancora con lei, senza pressarla perché gliela dia. E per lui è davvero un record così tanti mesi d'astinenza.

Osservo la professoressa dai capelli scuri e l'accento del sud che continua a spiegare algebra, facendo stridere il gesso contro la lavagna e Onda, che già stava bruciando, inizia a diventare incandescente contro la mia pelle.

La ignoro per un po', stringendo i pugni sul banco e fissando lo sguardo sulla lavagna a gessetti, due banchi davanti a me.

Mi porto una mano al collo, stringendo il ciondolo con forza, digrignando i denti quando il calore si fa sempre più forte. Provo a concentrarmi su altro, socchiudendo gli occhi ma poi il caldo diventa insopportabile.

- Dei! – esclamo facendo strisciare la sedia all'indietro e quasi colpendo il banco del ragazzo dietro di me.

La classe si volta nella mia direzione e sollevo un sopracciglio scuro quando trovo così tanti occhi nella mia direzione.

- Che problema c'è, Miller? – domanda la professoressa e corrugo la fronte perché Onda sta bruciando sulla mia pelle e -cavolo- non so per quanto ancora riuscirò a resistere.

Impreco tra i denti e la testa mi va in palla. Sento ovattato e mi sembra quasi di vedere rallentato. Credo che la mia professoressa mi stia dicendo qualcosa: la sua bocca si muove, gli occhi sono rabbiosi e puntati su di me e il cuore prende a battermi velocemente nel petto, quasi volesse bucare la cassa toracica.

E capisco.

- Via! Via da lì! – grido alzandomi in piedi e l'insegnante mi guarda confusa, un attimo prima che il muro esploda alle sue spalle con un fragore che mi distrugge i timpani.

Le urla regnano sovrane e tra tutta quella confusione, ci vuole un po' per mettere a fuoco le due dracene che strisciano verso l'aula, sopra i calcinacci e oltre la polvere che loro stesse hanno causato.

Lancio un'occhiata a Matisse, dall'altra parte dell'aula rispetto a me e quando vedo che sta bene, tocco Onda, trasformandola in una spada.

Passo tra i banchi e alcuni ragazzi urlano, andando a ridosso del muro verso le ultime file. Chissà che vedono al posto di un'adolescente con una spada e due donne con lancia, armatura e code da serpente.

- Bene – sorrido rimanendo tra dei banchi, ignorando la mano smaltata della mia professoressa che spunta sotto pezzi di muro. – Mi mancava un po' di azione – confesso roteando ancora la spada nella mano, assottigliando lo sguardo e attaccando con un ringhio.

L'adrenalina mi scorre nelle vene con forza e sorrido perché era da troppo tempo che non mi sentivo così.. viva. Mi fa quasi paura quella sensazione ma poi, un brivido di piacere mi corre lungo la schiena e roteo su me stessa, lasciando che i capelli sferzino l'aria. Spezzo la lancia della prima dracena con uno splendido suono di legno andato a farsi benedire e la infilzo con forza, osservandola nelle pupille allungate da serpente, spingendo ancora più a fondo quando vedo la smorfia di dolore sulla bocca.

Ignoro le urla di terrore da parte dei miei compagni, i “click” che precedono dei video e quelli che invece precedono una foto e mi volto di scatto verso l'altra dracena che, povera arrabbiata, non fa neanche in tempo a calare la lancia, prima che possa infilzarla nel costato, trapassando con facilità l'armatura.

Solo quando si riduce in polvere, mi rendo conto di aver fatto tutto in apnea e mi chino, poggiando le mani sulle ginocchia, dandomi qualche secondo per capire cosa dovrei fare adesso anche se l'unica soluzione possibile mi sembra quella di scappare.

Il cuore mi batte forte, pompa nel petto e sorrido perché finalmente mi sento me stessa.

Distendo le gambe, pronta per alzarmi e correre via il più velocemente possibile. “BlackJack!” grido nella mia mente, certa che mi sentirà. Tutto questo, un secondo prima che una pedata al sedere mi faccia ruzzolare in avanti, sbattendo la testa al muro, sotto la finestra.

Il dolore è talmente lancinante che devo sbattere le palpebre, imponendomi di non svenire per il dolore anche se vedo a tratti nero e non riesco a distinguere la figura snella che ho davanti a me.

Vorrei stringere l'elsa di Onda ma credo che mi sia scivolata dalle mani quando mi hanno spinta. Un fitta alla testa mi spinge a portare una mano sulla fronte e quando guardo le dita, sono sporche di sangue.

Poggio la nuca al muro incredibilmente freddo, tentando di prendere fiato e chiunque mi abbia spinto, ride e quella risata è talmente tanto familiare che rabbrividisco e la consapevolezza che non sia di paura ma di delusione e repulsione, mi spinge a gemere un'altra volta.

- Ti ho fatto male, piccola dea? – domanda Matisse e il tono è talmente tanto gentile che, per un attimo, mi chiedo perché la sua voce, e il suo sorriso siano in quel corpo. La pelle di Matisse è sempre stata chiara, lucente, quasi simile a porcellana, ma adesso è pallida, quasi smorta eppure, io lo so che è incredibilmente forte. Gli occhi, normalmente nocciola, sono rosso fuoco, sembrano quasi emanare fiamme, e i capelli biondi sono più scuri e più crespi. I pantaloni si sono strappati, lasciando intravedere una gamba in bronzo e una che somiglia molto a quella di un cavallo. Le unghie laccate di rosa sono diventate artigli davvero chic e quell'unico barlume di ironia mi strappa un sorriso.

- Empusa – dico recuperando lentamente le forze per potermi poi rialzare e combattere. Il cuore mi fa male e mi dice che non può essere possibile. Mi dice che non può davvero andare così. Mi dice che quell'essere non può essere un mostro da uccidere perchè, in tutti quei mesi, io non posso essermi affezionata a un mostro che ora devo distruggere. – Come ho fatto a non pensarci? – chiedo retorica più a me stessa che a lei, dandomi dell'idiota dopo che, in tutti quei mesi, mi sono ritrovata ad ignorare Onda che bruciava sulla mia pelle ogni volta che c'era Matisse nelle vicinanze.

- E si, piccola dea. Non ti abbiamo mai persa d'occhio – mi sorride e quelle cavolo di labbra distese a mostrare i denti sono l'ennesima pugnalata. Ho passato mesi con quel sorriso. Ho passato mesi a fidarmi e a farmi confortare da quel sorriso.

- Abbiamo? – domando con l'unica intenzione di prendere abbastanza tempo per poter racimolare le forze necessarie e.. ucciderla.

Matisse annuisce un paio di volte e si inginocchia davanti a me, allungando una mano artigliata verso il mio viso e scostandomi una ciocca di capelli da davanti agli occhi. Non riesco a muovermi, forse non voglio perché tutto questo schifo mi sembra un sogno e Matisse non può davvero essere un mostro.

I polpastrelli caldi mi sfiorano la pelle e, per quanto strano, sono morbidi, quasi sbagliati se messi in quell'insieme orripilante che mi si presenta davanti. – Si, piccola dea, io e i Leviatani. Quei megalomani degli dei non te ne hanno parlato? – domanda come se fossimo sedute sul mio letto a discutere di una serie televisiva che abbiamo iniziato a guardarci assieme.

- Si – dico pensando a un modo per uscire da quella situazione che mi vede in assoluto e totale svantaggio.

- Bene, i mostri si alleano con i mostri – dice con semplicità e nei suoi occhi rossi mi pare quasi di vedere un lampo di stizza. – E i semidei che combattono sempre per la causa sbagliata, muiono miseramente.

E mi butto a destra, consapevole che sia questione di secondi prima di un attacco che non tarda ad arrivare. Il suo pugno si abbatte dove un secondo prima c'era la mia testa, lasciando una crepa sul muro.

La fronte inizia a pulsare con forza ma non ho tempo per preoccuparmene adesso, devo lottare per sopravvivere.

Mi lancio per prendere Onda, scivolando sulle pietre e sulla polvere del muro crollato, un attimo prima che gli artigli di Matisse si infilzino nei miei fianchi, facendomi crollare a terra.

Sbatto il mento sul pavimento anche se metto le mani per cercare di non farmi del male e roloto, abbattendo il palmo della mano, ricoperto di pietruzze e polvere, sul volto pallido di Matisse. – Puttana – ringhio serrando il pugno e abbattendolo sul suo naso con quanta più forza posso, scalciandola dallo stomaco quando lei geme, allentando la stretta delle ginocchia all'altezza del mio bacino.

Mi alzo velocemente con un colpo di reni e sorrido perché, anche se stavo rischiando di scivolare sulla polvere, era mesi che non lo facevo e ancora mi riesce bene.

Onda è affianco a me e la prendo, stringendo l'elsa azzurra con forza e facendo sbiancare le nocche della mano destra. Matisse ha sbattuto la testa, penso stia ancora realizzando che le è successo e io potrei ucciderla. Potrei infilzarle la mia spada in fronte e vederla diventare un falò davanti ai miei occhi eppure non ci riesco.

Tiene le palpebre serrate, la bocca schiusa per il dolore e la pelle oscilla dal solito tono porcellana a quello bianco cadaverico. Non posso ucciderla. È Matisse. È la ragazza del mio migliore amico, quella che mi offre la pizza il sabato, che mi ha comprato una canottiera nuova per il compleanno e che sa sempre regalare un sorriso a chiunque.

Lei è Matisse e io non posso ucciderla.

La guardo a terra e ho quasi intenzione di ritirare Onda, un attimo prima che lei si alzi e, talmente velocemente che neanche riesco a notarlo, me la ritrovo davanti, in un'improvvisazione reale di quei coglioni dei vampiri Cullen.

- Come amo essere un'Empusa – sorride e un suo schiaffo è abbastanza forte da farmi andare verso sinistra, sbattendo la schiena sui resti del muro.

Il fiato mi si mozza e perdo nuovamente la presa su Onda, maledicendomi in tutte le lingue che conosco per quanto sono riuscita ad essere idiota.

- Puttana – ringhio ancora e Matisse ride, guardando la mia spada vicino a lei con tutta l'intenzione di romperla.

Eh no. La mia piccola no.

La rabbia mi monta forte nel petto e mi colpisce come un pugno, come un'onda fredda. Corro e mi scaglio su di lei, un attimo prima che i suoi artigli si possano stringere sull'elsa della mia piccola.

- La mia spada no! – ringhio quando lei cade a terra con un tonfo meraviglioso, anche se la parte migliore sono io, con le ginocchia ai lati del suo bacino e le mani strette sul suo collo.

Lei si dimena sotto di me, mentre il viso da mostro si alterna a quello della mia migliore amica.

Le sbatto la testa a terra e poi mi lancio all'indietro, prendendo Onda per la lama e acchiappandola poi per l'elsa.

Mi volto di scatto, a pancia in su e punto i piedi in avanti quando il volto deformato dalla rabbia di Matisse mi si presenta ringhiante davanti. Gli assesto un calcio pieno al petto che la fa barcollare all'indietro e che mi da il tempo necessario per alzarmi, roteando la spada tra le mani.

Mando la spada di taglio verso di lei, ma Matisse salta all'indietro, permettendomi solo di strapparle un lembo della maglietta rosa pastello che porta. Con un calcio mi fa volare via la spada dalle mani e mi abbasso di scatto quando lei tenta di buttarsi su di me. Acchiappo con la mano un pezzo di muro e lo stringo nel palmo, buttandomi su di lei e colpendola con forza alla nuca.

Matisse grida e una fitta di dolore mi colpisce al petto, dritta al cuore, facendomi perdere la presa sulla pietra e su di lei. In un modo che non riesco a capire, mi ritrovo verso la porta con il mostro che tenta di prendermi le caviglie se non fosse che prendo a scalciare come una pazza, rotolando e alzandomi con una capriola all'indietro. Per un istante, i miei capelli mi coprono la visuale ed è abbastanza per Matisse per prendermi per il collo, scaraventandomi a terra dall'altra parte.

- Cosa? – esclama lei continuando a premere la mano artigliata contro la mia pelle. – Un altro? – grida e riesco a liberare un braccio da sotto al suo corpo, colpendola con una gomitata alla mascella. Scivolo sotto le sue gambe e punto le mani a terra per alzarmi, ignorando le pietruzze di cemento che mi si conficcano nei palmi.

La porta dell'aula si apre di scatto quando mi sono appena alzata, dolorante e arrabbiata. Sto per voltarmi come la prima degli idioti ma una voce, la sua voce mi blocca lì sul posto.

- No! Non ti girare, Principessa – e il cuore, razza di organo bastardo, salta un battito mentre le dita cominciano a tremare. – Sono dietro di te e ho la spada, lo sai cosa devi fare – e se inizialmente è un moto di gratitudine che mi pervade, adesso sono talmente tanto arrabbiata che guardo Matisse con il doppio dell'odio che le ho riservato finora.

La rabbia mi monta in petto, scorrendo lungo tutto il mio corpo come lava bollente. Rabbia che ho tenuto chiusa dentro di me per mesi, torna a farsi sentire e mi lancio su Matisse con un grido, bloccandole il collo nell'incavo del gomito, facendole inarcare la schiena all'indietro mentre la tengo ferma contro il mio petto.

E Carter, Carter la uccide, infilandole la sua spada nera nello stomaco, spingendomi per le spalle quando Matisse grida, diventando fuoco.

Sbatto le palpebre un paio di volte, cercando di regolarizzare i battiti del mio cuore che sono aumentati a dismisura. Carter è qui, qui davanti a me e più bello che mai. È qui davanti a me con i suoi centimetri di altezza in più, con le labbra rosee e sottili che bacerei per ore, con i capelli neri tagliati un po' più corti e gli occhi, quegli occhi che mi salvano e mi fanno morire contemporaneamente.

Voglio picchiarlo, voglio distruggergli quel bel faccino che si ritrova. Voglio gettarlo a terra, spingerlo a chiedermi pietà. Voglio che capisca quanto male mi ha fatto, voglio che capisca tutto ciò che ho dovuto passare senza di lui, tutte le emozioni che, adesso che è qui, sono tornate più forti che mai. Forse sono in un sogno. Forse Matisse mi ha uccisa e sono in una dimensione parallela perché non è possibile che dopo sei mesi Carter sia davvero qui, a meno di un metro di distanza da me.

Apro la bocca, con la sola intenzione di insultarlo in inglese, greco antico e latino ma poi, una testa castana e rasata e un paio di occhi castani, spuntano alle spalle di Carter, spingendolo violemente per un braccio. Gli occhi sconvolti di Boris mi riportano alla realtà con forza inaudita e vengo avvolta da grida, sirene, pianti e click di cellulari che vorrei distruggere.

- Ariel! – esclama con una scintilla di terrore negli occhi che mi fa rabbrividire. – Matisse? – guardo ai miei piedi, chiedendomi cosa veda lui al posto della cenere che invece mi copre le All Star. – MATISSE! – grida e la sua voce è talmente disperata che le ginocchia tremano.

Guarda me, poi si volta verso Carter che ancora tiene la spada. Torna a guardare i miei capelli scompigliati, le nocche sbucciate, la spada al mio fianco e indietreggia. – L'avete uccisa! Ariel, l'hai uccisa! – urla disperato passandosi una mano tra i capelli corti.

- No! – grido di rimando allungando una mano e facendo un passo verso di lui. La fitta che mi colpisce il petto appena indietreggia è più forte di quanto creda.

“BlackJack!” urlo nella mia testa, disperata. “Ti prego, campione, vieni qui!” – Boris, non è come sembra! Lei non..

- Tu sei pazza! – mi interrompe scacciandosi violemente via una lacrima dalla guancia. – Sei una pazza e io mi fidavo di te! Pensavo fossi la mia migliore amica ma sei solo un'assassina! – mi urla contro e non riesco a controllare le lacrime che -bastarde- mi rigano le guance, scontrandosi contro le mie labbra tremanti.

- Boris, ti prego.. – supplico facendo un altro passo verso di lui, fermandomi quando indietreggia ancora, sempre più vicino alla porta. – Ti prego, devi lasciarmi spie..

- No! Tu sei pazza, sei mala..

Ma Carter gli tira un pugno alla spalla abbastanza forte da farlo sbattere contro i primi banchi ricoperti di polvere. – Giuro, dalle ancora un'altra volta della pazza e farai anche tu la fine di quell'Empusa. Me ne fotto se sei un mortale.

- Carter..

Gli occhi di Boris si illuminano di consapevolezza mentre si massaggia il braccio che Carter gli ha colpito. Dovrebbe darmi fastidio eppure, il fatto che lui mi abbia difeso mi scalda il cuore gelido. – Lui è Carter! Lui! Allora non è vero che vi siete persi, stavi solo complottando per uccidere Matisse e tutti noi! – grida totalmente isterico e io piango ancora, asciugandomi rabbiosamente le lacrime. – Siete pazzi! Empuse? Mortali? Voi siete pazzi e per fortuna che hanno già chiamato la polizia! – grida voltandosi e dando un calcio al banco talmente tanto forte che sussulto sul posto. – Tu – mi indica e mi impongo di sostenere quegli occhi castani e gelidi. – Tu mi fai schifo – sibila e tiro su col naso, senza trovare neanche la forza per asciugarmi le lacrime.

Carter non parla, si avventa su di lui con una velocità alla quale non sono più abituata e lo solleva per la maglietta nera, sbattendolo sul banco che Boris stesso aveva calciato con una forza inaudita.

- No! Carter! – lo chiamo e mi chino per afferrare Onda, trasformandola in ciondolo e correndo verso il semidio.

Odio che Boris mi abbia parlato così. Odio che mi abbia detto tutte queste cose dopo sei mesi di amicizia così pura e vera ma lui non capisce e non capirà mai questo lato della mia vita che sono sempre stata brava a tenergli nascosto. Non capirà mai perché è cieco, perché sarà stato anche il migliore amico che abbia mai avuto ma è pur sempre un mortale.

Stringo l'avambraccio allenato di Carter chiuso dentro la manica scura della sua t-shirt. – Non capisce – gli sussurro lasciando che le lacrime mi righino ancora le guance. – Andiamo via. – E non so se sto facendo tutto questo per Boris, per Carter o per me.

Carter esita con il braccio sollevato e il pugno serrato con talmente tanta forza che le nocche sono bianche, esangui. Respira lentamente, quasi cercando di regolarizzare il battito e, anche se non so perché lo faccio, gli accarezzo lentamente il braccio, stringendolo. Lascia Boris di colpo e la testa del mio amico si sbatte contro il bordo del banco. Ignoro il gemito di protesta e osservo i suoi occhi castani, trattenendo stoicamente le ennesime lacrime che minacciano di corrermi lungo le guance.

- Mi dispiace – riesco a sussurrare prima che il rumore assordante di una sirena della polizia si faccia sempre più forte e Carter mi tiri via, afferrandomi per il polso.

- Dobbiamo andare! – esclama e io sono troppo intontita e stanca per riuscire ad oppormi.

Mi sento un automa ma le mie gambe corrono comunque lungo quei corridoi familiari, tirate da Carter che sembra aver messo il turbo.

- Sul tetto – riesco a dire mentre continuiamo a correre e gli occhi scuri del ragazzo mi osservano da sopra la spalla per qualche attimo, prima di tornare a concentrarsi sulla strada davanti a lui.

- Sono lì! – grida una professoressa che non ho mai visto e mi irrigidisco di colpo, mentre Carter continua a correre verso di lei.

Perdo un battito quando dalle scale arrivano almeno cinque poliziotti con le pistole puntate davanti a loro, verso di noi.

Carter si ferma di colpo e io mi sbatto contro la sua schiena.

Provo a guardare oltre il suo corpo ma lui mi blocca la visuale, alzando le mani davanti al petto in segno di difesa ed impedendomi di superarlo mentre mi fa da scudo davanti alla polizia.

- Cosa facciamo? – sussurro stringendo tra i pugni il tessuto della sua maglietta scura, chiudendo gli occhi per un attimo e costringendomi a non poggiare la fronte contro la sua schiena forte.

Vorrei tanto smetterla di lottare. So che, fino a pochi attimi prima ero un fiume in piena, pronta a spaccare il mondo sola con la mia spada, ma neanche la mia fervida immaginazione da semidea aveva immaginato la possibilità che Boris mi potesse guardare con così tanto disgusto. Vorrei solo lasciarmi stringere da Carter, vorrei solo farmi proteggere, dimenticando tutto, ma non posso far finta di niente, non posso far finta che tutto il male che mi ha fatto non sia mai esistito. Ho smesso di farmi trattare come se non valessi nulla e stringo i denti, cercando una soluzione plausibile.

- Guarda se la finestra qui affianco è aperta – dice con voce talmente tanto bassa che quasi non riesco a sentirlo.

Tutta la scuola ormai ci sta guardando e gli studenti delle aule che danno sul corridoio sbirciano dalle porte, mormorando tra loro, e avrei tanta voglia di spaccare i denti a tutte quelle facce di cazzo una a una.

- Si – dico quando vedo che la finestra accanto a noi, ad almeno tre metri da dove siamo, è aperta. E non c'è bisogno che Carter dica altro perché l'ho capito e, per quanto mi dia fastidio, quest'intesa mi provoca brividi lungo tutta la schiena.

- Al mio via – mi sussurra e appoggio la fronte contro la sua schiena per qualche attimo, annuendo un paio di volte.

“BlackJack! Andiamo bello, vieni qui! Mi senti?”

- Rimanete fermi dove siete e non vi sarà fatto del male! – grida una voce aspra che non conosco e che associo al viso grassoccio di un poliziotto newyorkese.

- Anche la signorina deve farsi vedere – fa un altro e mi irrigidisco di colpo, corrugando la fronte quando sento anche i muscoli di Carter fare la stessa cosa.

- Stai dietro di me.

- Ti colpiranno.

I polmoni si dilatano quando inspira e la schiena si solleva per qualche secondo, rilassandosi poco dopo. – Non mi importa. – Esita un secondo.

“BlackJack!”

- ORA!

E poi si volta di scatto verso la finestra, prendendomi per mano.

Apro la mia destra di colpo, spostando il braccio verso i poliziotti con un ringhio ed è questione di attimi prima che il rumore degli spari venga coperto da tubature che saltano e dallo scroscio di un'onda che li sommerge senza pietà. Mi sembra quasi che il potere dell'acqua mi fluisca dalle braccia e stringo il pugno, concentrando tutta la forza del mio elemento contro i poliziotti.

L'onda si chiude in un vortice sopra di loro ed è l'ultima cosa che vedo, prima di saltare via dalla finestra, tirata da Carter e dietro le urla di chissà quanti mortali.

- BLACKJACK! – urlo e precipitiamo nel vuoto a una velocità pazzesca, un attimo prima che un bolide nero sfrecci sotto di noi, mozzandomi il fiato. Scivolo dal dorso del Pegaso ma Carter continua a stringermi la mano con forza, digrignando i denti.

BlackJack nistrisce e vira a destra, dando al figlio di Ares lo slancio necessario per issarmi sul dorso del Pegaso, sbattendomi subito dopo al suo petto.

Riprendo a respirare solo quando stringo tra le dita la criniera morbida di BlackJack e mi chino su di lui, massaggiandogli il collo. – Bravo, bellissimo – sussurro, osservando New York che sfreccia sotto di noi.

“Sempre qui per te, principessa”.

Sorrido, un secondo prima che le mani di Carter possano stringersi sui miei fianchi facendo scemare tutta la felicità che mi aveva pervasa solo qualche attimo prima.

- Lasciami stare – ringhio ma lui, in tutta risposta, serra ancora di più la presa sui miei fianchi, poggiando il mento sulla mia spalla.

- Siamo solo io e te, principessa – sussurra contro il mio collo, facendomi fastidiosamente rabbrividire.

Perché cavolo non l'ho ancora dimenticato?

- Solo io e te – ripete e ringhio, assestandogli una gomitata allo stomaco, abbastanza forte da farlo gemere senza però farlo cadere dal dorso del Pegaso.

- Chiudi quella cazzo di bocca. – Ed è l'ultima cosa che dico mentre torniamo al Campo Mezzosangue. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3 
Allora, sono in super orario e con un capitolo che non mi piace granché (che strano!) ma nel quale riesco a trovare anche io qualche nota positiva ahahaha dunque, riassumendo: è il compleanno di Ariel e c'è un salto temporale di ben sei mesi. Si accenna a un po' di quello che ha fatto e poi, booom! Arriva la bomba, ovvero le due dracene che hanno ucciso la professoressa (dite la verità, avete pensato che fosse la professoressa di matematica la stronza AHAHAHAH). Ariel è felice di combattere dopo sei mesi, ma non quando si tratta d Matisse che -puttana- è un'Empusa e stata solo aspettando il momento giusto per ucciderla. Ovviamente, il fatto che il volto di Matisse oscille dal volto dell'amica di Ariel a quello di un mostro, la disorienta, per quanto la uccide Carter che (chissà^-^) come mai è tornato. 
La litigata con Boris era necessaria, o almeno credo. Mi è dispiaciuto moltissimo scrivere di loro due, mentre il ragazzo le diceva tutte quelle cose, anche perché mi sono sempre figurata loro due molto dolci assieme. Comunque, dovevo farli litigare per poter far sì che Ariel smettesse di avere contatti col mondo mortale e perché avesse una ragione per lasciare la Avalon ancora più scossa del normale. 
Volevate in tantissime la scenata di gelosia, e c'è stata ahahha Carter sta per picchiare Boris e si calma solo quando Ariel lo tocca. Ha un istinto di protezione molto forte nei suoi confronti, tanto che non gli importa di venir colpito, ma gli importa solo di lei (che amoreeee*----*). 
Alla fine, BlackJack gli porta via e solo per orgoglio, Ariel non si lascia abbracciare da Carter ahahah sinceramente, ha assolutamente ragione. 
E niente, cuccioline, questo era il penultimo capitolo, quindi, appuntamento per giovedì con l'ultimissimo AHAHAHAH 
Un grazie enorme a tutti! 
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Love yaa<3
x

P.S. a un certo punto dico "quei coglioni dei vampiri Cullen" vi prego di non prenderla sul personale o come un'offesa. Non odio la saga di Twlight in sè, bensì il contesto e il ruolo stupido e privo di fondo che gli ha dato Stephanie Meyer. Trovo che il personaggio di Bella Swan sia un insulto a tutte le eroine femminili e mi da sempre fastidio vederla al fianco di guerriere vere e proprie come Annabeth, Hermione, Theresa, Tris e Katniss che non hanno mai un ruolo passivo a differenza della vampira che, in un modo o nell'altro, aspetta sempre che arrivi qualcuno a salvarla. Certo, diamole qualche credito per la bolla di protezione durante la "chiacchierata" con i Volturi ma per il resto, a mio parere, non può di certo essere definita un'eroina, così come la saga che non può essere definita un fantasy se non un libro romantico fin troppo esasperato. 
Pace e amore:***



  

 

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Capitolo 21
*** Bentornata a casa ***


Bentornata a casa
 

Gran bel compleanno di merda.

Ed è l'unica cosa alla quale riesco a pensare prima di vedere in lontananza il Campo Mezzosangue, con le cabine disposte a semicerchio, il laghetto delle canoe, il pino di Talia e il drago Peleo.

Una fitta mi stringe lo stomaco, una fitta che significa “casa” e “nostalgia” e Blackjack nitrisce contento, impennandosi leggermente per aria.

Io rido, attaccandomi alla sua criniera e Carter rafforza la presa sui miei fianchi. Vorrei che mi desse fastidio. Vorrei odiarlo, vorrei trovare la forza di voltarmi a guardarlo senza provare più nulla eppure, il cuore che mi batte più forte del normale e lo stomaco stretto non possono essere associati solo al Campo o a quello che sono stata costretta a vivere con Matisse come finta amica.

“Andiamo, bello. Forza!” grido nella mia testa, aggrappandomi più forte alla criniera scura di Blackjack, curvandomi verso il suo collo e tenendo gli occhi ben aperti mentre lui si lancia in picchiata verso il Campo.

Solo adesso, solo adesso che Blackjack ha accostato le ali al corpo, mi sento viva come non mi sentivo da mesi. Scaccio il pensiero di Boris, di Matisse, dei Leviatani e di Carter dalla mia mente e rido, mentre il vento mi spazza i capelli all'indietro, rinfrescandomi il viso con una forza che forse mi piace anche troppo.

Blackjack nitrisce ancora e non rallenta, neanche quando il suolo e fin troppo vicino e tutti i semidei al Campo si sono accorti di noi, guardandomi sorpresi.

Assieme ai pensieri euforici di Blackjack, si aggiunge una voce che ho imparato a conoscere bene e sorrido ancora di più, notando una testa corvina che saetta fuori dall'Arena dei combattimenti.

“Ariel!” grida Percy nella mia mente con forza e quando sono quasi certa ci schianteremo al suolo, Blackjack distente le ali, atterrando dolcemente davanti al Padiglione della mensa, in mezzo a troppi semidei.

Non faccio nemmeno in tempo a toccare terra con i piedi che una serie di fuochi d'artificio esplodono nel cielo di mezzogiorno mentre uno striscione enorme con su scritto “Buon Compleanno Ariel!” si apre nel cielo.

Sono troppo sorpresa per realizzare che i ragazzi di Apollo stanno intonando “Buon Compleanno” con le lire mentre i figli di Efesto fanno partire un altro po' di fuochi d'artificio e fuochi veri e propri verso il cielo, andando a tempo con la musica.

La gratitudine mi riempie il petto, me lo scalda come se fossi davanti al caminetto, con una coperta sulle gambe e il mio film preferito alla televisione. Scendo da Blackjack il più velocemente possibile, realizzando sono in questo momento per quale motivo Carter sia venuto a prendermi, e quando Percy riesce a farsi largo tra la folla di semidei, gli corro incontro, saltandogli addosso.

Respiro il profumo di mare che lo accompagna sempre, misto a leggero sudore e una fragranza più leggera che ho associato ad Annabeth. Lascio che mi stringa, affondandomi le mani tra i capelli e canticchiandomi nell'orecchio la fine della canzone, seguita poi da un boato e dalle sue braccia che mi lasciano solo per rimettermi a terra.

- Buon compleanno, sorellina – mi sorride, un secondo prima che un tornando biondo mi travolga, stringendomi a sé.

- Tanti auguri, nuova diciassettenne! – esclama Annabeth schioccandomi un bacio sulla guancia e porgendomi un regalo impacchettato alla perfezione che mi fa sorridere come un ebete.

Lo prendo tra le mani e faccio saettare lo sguardo dal regalo ai suoi occhi grigi che quasi brillano per la felicità. – O dei! Ma non era necessario tutto questo.

Annabeth apre la bocca per ribattere, sicuramente negativamente, un attimo prima che lo faccia Allison. – Si che era necessario, invece. Zitta, principessa.

Mi volto di scatto verso la sua voce, certa di trovarmi davanti la bellissima ragazza dai capelli lunghi e neri con un arco tra le mani e un giubbotto in pelle sopra la maglia arancione del Campo. La ragazza che mi si presenta davanti però, è diversa dalla migliore amica che ho lasciato sei mesi fa. I capelli di Allison sono più corti, adesso si limitano ad incorniciarle il viso all'altezza del mento, qualche centimetro più su delle spalle. Gli occhi sono più determinati eppure, il sorriso che mi rivolge è sempre lo stesso anche se con questo nuovo taglio sembra molto più grande dei suoi diciotto anni.

Mi chiedo cos'abbia vissuto per aver deciso di cambiare così tanto, ma credo che non mi importi abbastanza o almeno, non in questo momento.

Non so chi delle due si lanci prima contro l'altra, so solo che ci ritroviamo abbracciate prima che possa realizzarlo davvero, mentre troppe mani mi si poggiano sulle spalle e troppe voci mi fanno gli auguri.

- Che hai fatto ai capelli? – esclamo allontandomi da lei e toccandole una ciocca corta che prima le arrivava ben oltre il seno.

Il sorriso di Allison si spegne per un istante e per la seconda volta che i miei occhi incrociano i suoi, mi chiedo che le sia successo per essere cambiata così tanto. La osservo mentre cambia discorso chiedendomi della scuola e noto le nocche sbucciate, le dita della mano destra aperte, come se avesse tenuto la corda dell'arco troppo a lungo.

Noto il taglio più disordinato di quanto mi era sembrato a prima vista, cose se fosse stato fatto da una spada e non da un paio di forbici e mani esperte.

- Als, che ti è successo? – domando scurendomi in volto tutto d'un tratto e lei sorride ancora, provocandomi una fitta al petto talmente tanto forte che indietreggio di un passo.

- La vita fuori dal Campo non fa per me – si limita a dire e io non credo di voler sapere altro.

I semidei attorno a noi hanno appena allestito un piccolo buffet e una piccola pila di regali sul tavolo porta un foglietto sopra con su scritto “Per Ariel” che mi fa sorridere ancora. Sento gli occhi scuri di Carter che quasi mi bucano la nuca e quando intercetto Percy vicino a me, gli faccio un cenno con la mano.

- Sai, ho scoperto che la migliore amica che mi sono fatta a scuola era un'Empusa – rivelo ad Allison che contrae le labbra nel tentativo di non ridere. – Non ci provare – la minaccio puntandole un dito contro al viso, sorridendo per la scintilla di felicità che le illumina lo sguardo scuro. – Als, no. – Intimo, ma lei scoppia a ridere, portandosi le mani sullo stomaco e piegandosi in due.

- Non ci voglio credere! – esclama tra le risate e alzo gli occhi al cielo, fingendomi scocciata, nascondendo il fatto che la risata di Allison è una delle cose che più mi è mancata mentre ero a scuola.

- Ehi, Ariel, voglio presentarti qualcuno – mi sorride Percy avvolgendomi le spalle con un braccio e mostrandomi un po' troppi ragazzi davanti a me che mi sorridono gentili.

Mi bastano pochi secondi per riconoscerli. – Si! Il resto della schiera di sfigati per la lotta contro i Leviatani! – esclamo con un sorriso, facendoli ridere. – Ciao, sono Ariel. Felice di vedervi dal vivo – dico porgendo la mano a partire dalla ragazza riccia e con la pelle scura, un po' più bassa di me che ricordo si chiami Hazel. Accanto a lei, c'è il ragazzo cinese che, la prima volta che ho visto qualcosa di lui, si stava trasfomando in un orso e il mio sguardo si illumina di colpo. – Poi ti trasformi in orso e ruggisci? Era davvero figo – giuro, sbarrando gli occhi per l'emozione e lui ride, buttando la testa all'indietro, porgendomi la mano che non è impegnata ad intrecciare le dita con quelle di Hazel. È carino, con il fisico fin troppo piazzato e il volto duro che sorride comunque, come se avesse visto sia vita che morte, e ne sia felice. Ha i tratti orientali, così come gli occhi scuri che scopro mi piacciano.

- Preferisce gli elefanti, o le manguste – dice Leo, il ragazzo riccio e magro, dai tratti ispanici, figlio di Efesto. Se Frank mi piaceva, Leo mi interessa ancora di più, con il sorriso furbo, le mani che giocano continuamente tra di loro, tradendo la facciata sicura che mostra a tutti e la cintura degli attrezzi che, a quanto mi ha detto Percy, è magica.

- Idiota – sibila Frank dandogli un pugno al braccio che lo fa barcollare verso una ragazza bellissima mulatta, ma posso comunque notare in quello sguardo scuro una scintilla d'amore.

- Ariel – dico presentandomi a Leo che, con non-chalance si sistema i capelli ricci e mi sorride ammiccante

Piper, la ragazza accanto a lui che riconosco per la piuma bianca legata ai capelli, ride, dandogli un colpo leggero con la spalla, porgendomi la mano e studiandomi curiosa. – Ciao, sono Piper.

È bella, più di quanto non sembrasse dai messaggi iride, e il sorriso ancora più luminoso di quanto avessi pensato. È felice, radiosa quasi e quando noto le dita intrecciate a quelle di un modello dell'Abercrombie, capisco anche il perché.

Jason, figlio di Giove, mica di Zeus. Annabeth ha provato un po' a spiegarmi della doppia personalità greco-romana degli dei eppure non riesco a trovarne un nesso. L'unica cosa che so per certo è che i due Campi stanno cercando di collaborare almeno un minimo dopo l'ultima guerra e ringrazio il Signore del Cielo un paio di volte per avermi dato un soggetto diverso da Carter da mangiarmi con gli occhi.

Jason è bello, bellissimo con una maglietta viola uguale a quella di Hazel e Frank tesa sulle spalle larghe. È più alto di me, più alto anche un po' più di Percy, con i capelli biondi tagliati a spazzola e gli occhi azzurri che mandano quasi saette.

- Jason – si presenta porgendomi la mano libera, sorprendendomi per la stretta incredibilmente calda e ruvida, così come la voce controllata e autorevole. Era da tanto che non stringevo una voce simile e che non sentivo una voce così controllata e.. potente.

- Ariel – rispondo, sorridendo quando Piper poggia la testa alla sua spalla, intrecciando il braccio con il suo in un gesto privo di qualsiasi malizia.

Percy sorride, avvolgendo un braccio attorno alla vita di Annabeth che intanto parla con qualche figlia di Ecate. – Ariel,ti presento l'altra mia famiglia.

 

Mi piace l'altra famiglia di Percy. Sono tutti dolcissimi, simpatici e hanno un'intesa che io mi potrò soltanto sognare di avere con una persona e sembra quasi che siano legati da un doppio filo, come quello che unisce Percy e Annabeth.

Leo mi ha fatto distrarre con un paio di battute da oscar sulle occhiate che Carter ci ha lanciato dal primo istante che ci ha visto assieme, e poi si è fatto rotolare una lingua di fuoco tra le dita, chiudendo il palmo di scatto e spegnendola.

Ho cercato di evitare Carter con tutta me stessa. Ho cercato di non pensare a lui nonostante sentissi i suoi occhi su di me ogni istante. Mi sono concentrata sui regali, sulla torta al cioccolato con le candeline a forma di diciassette, su Percy che mi da baci sulla guancia come se avesse paura di perdermi. Su Annabeth che mi tocca le dita e su Allison che sorride meno ma ha gli occhi più determinati e spenti.

Cerco di non pensare a Carter perché mi sembra che la testa riprenda a girare ogni secondo che ripenso a noi due, a Boris che mi ha detto che sono pazza e che di me non si fida più.

Stringo il bordo del tavolo da ping pong con cibo, bevande e regali sopra, serrando le palpebre. Quando le apro, vedo che sto stringendo talmente tanto forte che le nocche sono sbiancate e mi affretto ad aprire le dita, scrollando le mani. I palmi sono rossi, segati dal bordo di legno e me li passo sui jeans, tenendo lo sguardo basso.

- Tutto bene? – la voce di Allison mi riscuote di colpo e mi volto verso di lei, analizzando le pozze scure, cupe.

- Si – affermo forzando un sorriso che so, risulterà convincente. – E tu, invece? Come stai? – domando assottigliando lo sguardo, quasi nel tentativo di scavare sotto quel muro impenetrabile che ha costruito attorno alla sua persona.

Allison esita e una scintilla di panico passa nelle sue iridi scure. Non so a cosa sia dovuta: se a me e al tentaivo di farla parlare o al ricordo di ciò che è stata costretta a vivere. – Non mi va di parlare adesso – dice passandosi una mano tra i capelli corti e che, lo noto adesso, sono un po' più chiari del nero pece che aveva prima.

Annuisco. So cosa vuol dire e forse ho anche sbagliato a forzare la mano così tanto.

- A te, invece? A te che è successo? – mi chiede e gli occhi scuri, finalmente familiari, mi tolgono il fiato per quanto intesi e indagatori. – So che non c'è solo l'Empusa che ti fa sorridere di meno, Ariel. Ti conosco – afferma sicura, incrociando le braccia sotto ai piccoli seni.

Sorrido, guardandomi la punta sporca delle All Star, un secondo prima di buttarmi su di lei, stringendole ancora una volta le braccia attorno al collo. Quelle di Allison si allacciano attorno alla mia schiena e sfrega le mani lentamente sul tessuto della canottiera leggera.

Boris mi manca ma con Allison mi sembra di sentirmi un po' meno vuota e pesante. Con Allison mi sembra che una parte della mia vita sia tornata al suo posto e respiro il suo profumo per qualche secondo, prima che lei si allontani il tanto da darmi un bacio sulla guancia.

- Ti voglio bene, sirenetta – mi sussurra in un orecchio, in modo che solo io possa sentirla.

Sorrido, senza riuscire a risponderle e le accarezzo i capelli, staccandomi da lei e intrecciando le dita con le sue. – Anche io – mormoro e anche se non sono certa che mi abbia sentito, la supero quando un ragazzo con la mascella assimetrica le si avvicina con un sorriso. Gli occhi scuri della mia migliore amica sembrano quasi prendere quella scintilla di vita che avevano perso e li lascio prima che quel semidio che non conosco possa presentarsi. Ne ho abbastanza di ragazzi nuovi che mi stringono la mano e fingono cortesia.

Scappo via, nascondendomi dietro un paio di semidei taglia extra-large per sfuggire a mio fratello, Annabeth e tutti i loro amici.

Ho bisogno di stare da sola perché, anche se sono tornata a casa, pensavo di appartenere anche a Boris e poi lui mi ha detto che sono pazza e un'assassina e il petto mi fa male.

Corro più veloce, entrando nel bosco e lasciando che l'aria calda che preannuncia l'estate mi spinga i capelli lungo la schiena, liberandomi il viso. Corro ancora, corro dilatando i polmoni, lasciando che siano le gambe a guardarmi perché voglio smettere di pensare, anche se non ci riesco.

Corro e mi abbasso prima di colpire rami, saltando tronchi e radici in rilievo.

Corro con l'adrenalina che mi scorre nelle gambe con forza e con gli occhi nocciola di Boris colmi di un dolore che non riesco a sopportare. Corro al ricordo della sua voce spezzata, al ricordo della spada di Carter che si conficca nel petto di Matisse mentre io la tengo ferma.

La B di Boris sembra quasi bruciare sulla mia pelle assieme ad Onda e io continuo a correre perchè voglio che si raffreschi e perché sento il profumo dell'acqua. So che mancano pochi secondi prima che arrivi al ruscello e mi fermo un secondo prima che la punta delle All Star finisca in acqua. Anche se so che non mi bagnerò.

Ho il fiatone, le mani mi formicolano e il caldo torna ad appiccicarsi al mio corpo con violenza mentre mi siedo sulla ghiaia, sfiorando con le dita la superficie del ruscello.

Come può, un'amicizia di sei mesi perdersi per colpa di chi sono? Come può un sorriso arrivare a diventare una smorfia di disgusto dopo tutte le volte che mi ha salvato?

Stringo i pugni e mi conficco le unghie nei palmi delle mani nel tentativo di aggrapparmi a del dolore fisico, ignorando quello psicologico che è fin troppo forte.

Porto la mano destra al ciondolo che Boris mi ha regalato per il compleanno e lo stringo nel pugno. Sono da sola e con l'acqua che si increspa davanti a me, quasi tentando di rassicurarmi. E concedo alle lacrime che mi stanno pungendo le palpebre, di rigarmi le guance lentamente, bagnandomi le ginocchia quando arrivano alla fine del viso.

Il Campo mi è mancato, ma stare alla Avalon mi è piaciuto più di quanto mi aspettassi e non doveva affatto finire così.

Mi dispiace.

So che Boris non può sentirmi. Probabilmente, adesso sta dichiarando quello che ha visto ai poliziotti che hanno tentato di fermare me e Carter.

Anzi, senza dubbio ha già finito ed è nel suo alloggio, seduto sul letto che odia me e piange per Matisse.

Mi dispiace. Perdonami. Ti prego, mi dispiace.

E le lacrime mi rigano le guance ancora, senza darmi tregua. Ma anche mamma me lo diceva, a volte piangere fa bene, anche se odio farlo con tutta me stessa.

Ho bisogno di Boris. Del suo sorriso, dei suoi occhi, della sua voce rassicurante, di un suo abbraccio che mi aggiustava il cuore e mi impongo di non tirare su col naso per evitare di sembrare ancora più patetica di quanto già non mi senta.

Ho bisogno di Boris perché non mi faceva più pensare a nulla, perché mi liberava i pensieri dalle immagini di Carter che, adesso, sono ancora più vivide e più prepotenti come lui ora non è più un ricordo.

Accarezzo il bracciale di cuoio che mi ha regalato e mi volto di scatto quando dei passi muovono la ghiaia a qualche metro da me. Scatto in piedi e stringo i pugni lungo i fianchi.

Adesso lo ammazzo.

- Vattene, Carter – intimo con voce ferma, scacciandomi le lacrime dalle guance, strigendo Onda nel pugno con forza.

I suoi occhi scuri quasi mi esaminano, quasi tentano di guardarmi sotto pelle mentre continua ad avanzare, fermandosi a qualche metro da me.

- No – risponde assottigliando le palpebre e l'acqua dietro di me ribolle, come se fosse stata messa sopra un fornello gigante.

La rabbia mi scuote il corpo con uno spasmo e Onda si trasforma nella mia mano. Il peso piacevole e familiare mi fa scappare un sorriso di sollievo che Carter o non sente, o ignora.

- Princip..

- NON CHIAMARMI COSI'! – grido e mi scaglio su di lui prima che possa ritenere l'azione giusta o sbagliata.

L'adrenalina mi corre potente nelle vene e mando la spada di taglio, facendogli una ferita al braccio che lo fa gemere.

- Ariel! – esclama. – Lasciami parlare! – mi prega, voltandosi verso di me e tenendosi una mano sulla ferita che non è ancora abbastanza grave.

Ringhio e mi lancio ancora una volta verso di lui che però, pronto, scarta di lato, evitandomi.

Si tocca il bracciale con la mano destra che si trasforma nella sua spada e la rotea nella mano, impugnandola con decisione. – Ariel – mi richiama con voce autorevole. – Non voglio litigare.

Gli sorrido, scacciando le lacrime che mi pungono le lacrime. – Peccato, io si – e sollevo le braccia all'altezza dei miei fianchi, mentre l'acqua del ruscello dietro di me, risponde ai miei comandi. Un vortice di chissà quante tonnellate è fermo alle mie spalle e lo sguardo terrorrizzato di Carter è la cosa migliore che potessi chiedere in un giorno come questo.

Spingo le braccia avanti con un grido e l'acqua lo investe senza pietà, scontrandosi contro gli alberi e spaventando qualche ninfa lì vicino.

Quando l'acqua viene assorbita dal terreno, Carter è disteso a terra a qualche metro da me e sono necessari un paio di secondi prima che, con un colpo di tosse, si sieda di scatto, inalando tutta l'aria che può.

Quando si alza, l'espressione furiosa è chiara anche da questa distanza e la mano si stringe ancora di più attorno all'elsa della spada.

La maglietta che porta gli aderisce al petto, completamente bagnata, così come i jeans scuri che gli aderiscono alle gambe. È furioso, ed è bellissimo.

E non sarà mai mio, perché sono solo sesso.

La rabbia torna a ribollirmi nel petto e nello stomaco e Carter fa roteare la spada nella mano, piazzandosi tranquillo davanti a me, con gli occhi che tradiscono la rabbia che in realtà cova dentro di sé.

- Io volevo solo parlare, novellina – dice con disprezzo. – Ma se vuoi la guerra, io sono sempre un figlio di Ares. – Afferma ed è talmente tanto veloce quando viene verso di me, che la lama della sua spada mi taglia la coscia, facendomi gridare più per la sorpresa che per il dolore.

Non faccio neanche in tempo a voltarmi verso di lui, che mi colpisce col piatto della lama sul sedere, facendomi barcollare in avanti e ringhiare per il fastidio. – Figlio del dio della guerra, principessa. Stai attenta – intima e mi volto di scatto con la spada tesa, ringhiando quando lui para il colpo che l'avrebbe tagliato in due.

Le spade si scontrano in aria, liberando scintille che mi costringono a socchiudere le palpebre e gli do un calcio al ginocchio, sollevando una mano e spedendogli un getto d'acqua contro la nuca che lo fa barcollare pericolosamente in avanti. Sono pronta ad infilzargli Onda nel petto, ma quando lui si da lo slancio per una capriola in avanti, mi do dell'idiota da sola. Le gambe si divaricano mentre è in volo e mi colpisce le spalle, buttandomi in avanti con tutto il suo peso. Lascio Onda per il terrore di conficcarmi con la mia stessa arma e sbatto a terra con forza.

Il fiato mi manca per qualche secondo, il viso e il petto sembrano chiedere quasipietà per la forza con la quale sono stati buttati a terra.

Vorrei fermarmi. Vorrei poter dire “game over” ma un'ondata d'orgolgio mi stringe il petto con forza e digrigno i denti.

Io non mi arrendo.

Gli conficco le unghie nella caviglia, lasciata libera dall'orlo sollevato dei jeans, facendogli piegare la gamba per la sorpresa. Rotolo via, afferrando Onda e abbassandola su di lui con un ringhio, un attimo prima che possa sollevare la sua spada, bloccando la mia a mezz'aria.

Impreco in greco antico per lo sforzo di rimanere ferma, ma Carter mi assesta un calcio al petto che mi mozza il fiato, facendomi barcollare.

Sbatto le palpebre per cercare di riprendermi al meglio e le braccia mi tremano per la furia quando le labbra sottili del ragazzo mi rivolgono un ghigno strafottente.

E adesso basta perché sono stanca e perché lui -brutto stronzo- la deve pagare. Perché io sono innamorata di lui e lui mi ha mandato via, come se fossi infetta. Perché io sono innamorata di lui e lui sta solo giocando e adesso basta perché lui sarà anche figlio del dio della guerra, ma io sono arrabbiata e ferita.

Mi lancio contro di lui e perdo la cognizione del tempo e dello spazio mentre la spade si incontrano troppe volte e senza mai andare affondo. Non riesco a pensare ad altro se non ha colpire Carter, ad abbassarmi per evitare le stoccate, spostarmi per gli affondi e dargli gomitate quando mi ferma contro il suo petto. Prendo pugni e calci e ne restituisco altrettanti con la forza e la disperazione di una ragazza costretta a combattere per smettere di farlo, e quando la sua lama mi taglia l'avambraccio grido, roteando su me stessa e lasciando che i miei capelli sferzino l'aria.

La spada di Carter ferma la mia a mezz'aria e mi abbasso di scatto, tagliandogli una porzione di pelle all'altezza delle costole, colpendolo con un calcio al fianco.

Carter si riprende con una velocità improvvisa e affondo verso destra, decisa a scattare subito verso sinistra. I suoi occhi scintillano e capisco un attimo più tardi che ha previsto la mia mossa. Il piatto della sua lama preme con forza sulla mia, facendomi piegare il polso e Onda cade sulla ghiaia, facendomi imprecare.

Non è finita qui, mi dispiace.

Salto all'indietro e sforbicio le gambe in aria, colpendolo al mento col collo del piede e scivolando sulla terra, assestandomi con le mani come lui stesso mi ha insegnato. Non aspetto che si riprenda, mi lancio su di lui, strappandogli la spada dalle mani e gettandola da qualche parte mentre il peso del mio corpo lo butta a terra, facendogli sbattere la schiena.

Atterra con un gemito e stringo le gambe attorno alla sua vita, chiudendo il pugno e colpendolo alla mascella con talmente tanta forza che la testa scatta verso sinistra.

E poi un altro e un altro ancora, fino a che non vedo i primi lividi spuntare sulla pelle chiara.

Le braccia bruciano per lo sforzo e mentre carico l'ennesimo pugno, le sue dita si conficcano nei miei fianchi e con un grugnito e un colpo di reni, rotola verso sinistra, buttandomi a terra e finendo sopra di me. Non posso fare a meno di pensare al suo bacino premuto contro il mio, alle mie gambe ancora strette attorno ai suoi fianchi.

Fisso i suoi occhi scuri per un secondo soltanto, rendendomi conto che lo stesso pensiero è saettato quasi con dispetto, nella mente di entrambi. Ed è proprio quel ricordo, sono proprio le nostre pelli a contatto, prive di costrizioni, che mi spingono a liberare le braccia dalla presa allentata delle sue mani. Gli do un pugno alla mascella che lo fa gemere e ne approfitto per sgusciare da sotto di lui, piantandogli un'All Star in pieno petto, facendolo cadere all'indietro.

Mi alzo di scatto nonostante le gambe che tremano per la fatica, pronta a scattare ancora una volta verso di lui.

- Smettila! – grida furioso, alzandosi con un colpo di reni. Seppellisce le mani nei capelli, tirandoseli. – La devi smettere, Ariel! Che cazzo, smettila!

E per un attimo, la voce è talmente autoritaria che lo ascolto, rilassando le braccia lungo i fianchi e distendendo le dita. – Smettila? – domando, mano a mano che la consapevolezza si fa largo dentro di me, serrandomi il petto per la rabbia. – Smettila?! – chiedo furiosa, ridendo sarcastica un attimo dopo. – Tu perché sei venuto da me? Perché sei venuto a prendermi e perché mi hai seguito qui?! – grido, con la voce roca per le lacrime che sto cercando di trattenere. – Perché sei venuto alla Avalon, portandomi via da Boris e dalla vita che stavo cercando di costruirmi dopo di te? – domando amaramente e gli occhi di Carter si stringono mano a mano che si colmano di consapevolezza. – Perché sei venuto qui dopo che mi hai mandato via da te? Dopo che mi hai trattato come una puttana nonostante tutte le cose che ti avevo raccontato. Dopo che mi hai fatto innamorare di te, razza di coglione! – urlo, sentendo le lacrime che pizzicano sul volto graffiato.

Evito lo sguardo di Carter perché so di non poterlo reggere. So di non essere forte abbastanza per sostenere quegli occhi scuri che chissà cosa stanno riflettendo. – Inizio a costruirmi una vita, a farmi dei nuovi amici e poi arrrivi tu a rovinare tutto come sempre. Che dopo avermi lasciato senza neanche una motivazione valida, torni come se niente fosse! Perché sei venuto qui? Perché mi hai seguita? – gli grido contro stringendo i pugni lungo i fianchi, facendo troppe domande con la certezza di non ricevere altrettante risposte.

- Tu saresti stata la mia rovina! – esclama facendo un passo verso di me che mi fa istintivamente indietreggiare. Gli occhi scuri che ho ripreso a guardare si adombrano per un istante, prima che riprenda ad urlare. – Tu avresti distrutto la mia famiglia, la mia vita e il Campo e dovevo mandarti via. Tu saresti morta tentando di salvarmi e non potevo sopportare l'idea di vederti morire per me! – sembra prendere fiato mentre il petto si alza e si abbassa velocemente, come se avesse corso per mille metri, mentre io assimilo e cerco di comprendere quello che mi sta dicendo. – Non potevo sopportare i sogni che mi facevano vedere te morta in battaglia, divorata da uno di quei cazzo di Leviatani dopo esserti buttata davanti a me. Non potevo sopportare l'idea che Allison che potesse stare male e non potevo sopportare l'idea di perderti! – continua ad urlare e quando sta zitto per più tempo del previsto, so bene che stava solo cercando le parole giuste da dirmi. – Ho provato a starti lontano. Ho provato a tenerti lontana da me per evitare che ciò che avevo visto si potesse avverare. Ti ho già visto morire una volta e sono certo che mio padre non accetterà un'altra preghiera. Non posso sopportare l'idea di perderti – dice senza smettere di guardarmi negli occhi. – E non posso neanche sopportare l'idea di starti così lontano. – Rivela, facendo qualche passo verso di me.

E le sue parole scavano talmente tanto dentro il mio corpo che non riesco ad indietreggiare. Carter è sempre più vicino e io non riesco ad allontanarmi.

- Ci ho provato, Ariel! – esclama, tornando ad alzare un po' la voce. – Ti giuro che ci ho provato per due giorni ma sapevo che non sarebbe servito a nulla. Alla fine, non sono neanche riuscito a non guardarti mentre eri a New York. – Confessa, facendomi corrugare la fronte. – Ho provato a starti lontano dopo che siamo tornati dall'impresa ma poi, sono venuto in cabina da te e.. e abbiamo fatto l'amore e mi sono reso conto di quanto sia innamorato di te e di quanto saresti stata disposta a fare pur di avermi. Pur di vedermi felice. – Si passa la mano tra i capelli ancora una volta e le lacrime continuano a pizzicarmi le guance. – E ho capito che, forse, se avessi fatto finta di non provare niente per te, tu te ne saresti andata e io avrei salvato il Campo e te. Ho chiesto ad Iride che i messaggi fossero occulti e così è stato per sei mesi. Ti guardavo nella speranza di vederti felice, nella speranza di vederti con qualcuno e col desiderio che tu mi amassi ancora. – Fa ancora un'altro passo verso di me, ed è talmente vicino che posso sentire il suo profumo: inebriante, familiare e schifosamente mio. – Mi piaceva Boris. Mi piaceva come ti faceva sorridere e come tu smettevi di pensare ogni volta che eri assieme a lui. Ma poi, ti vedevo sempre triste quando eri sola e non ce l'ho fatta più, mi sono detto che con una scusa sarei dovuto venire a riprenderti, a salvarti, considerato che avevo già capito che quella tua amica era un'Empusa. – Lo guardo come se stessi cercando un ultimo appiglio. Come se stessi cercando l'ultima possibilità per credergli e per far sì che lui mi possa stringere ancora, per far sì che lui mi possa amare ancora. – Ci ho provato, Ariel – mi sussurra, affondando i suoi occhi nei miei, prendendomi il viso tra le mani grandi, calde e sollevandolo verso il suo. – Ma alla fine, lo sai come si dice: in amore e in guerra, tutto è lecito. E tu sei sia la mia guerra che il mio amore. – Esita un secondo, serrando le palpebre e privandomi della visione delle sue iridi mentre il cuore mi batte all'impazzata nel petto, quasi volesse correre via. – Ti sto.. Dei, Ariel – ci riprova, tornando a guardarmi negli occhi. – Mi puoi perdonare? – domanda con voce flebile, accarezzandomi gli zigomi con i pollici, guardandomi le ferite al viso e al cuore che un solo tocco e qualche parola stanno riuscendo a risanare.

E per un attimo, per un attimo soltanto mi dico che si, dovrei perdonarlo. Dovrei dargli un'altra possibilità. Dovrei farmi baciare, dovrei farmi amare perché quegli occhi sono troppo sinceri.

Ma poi, mi ricordo anche della facilità con la quale mi hanno spinto via. Mi ricordo dell'odio intriso in quelle iridi castane mentre mi guardava e:”è stato solo sesso”. Rimbomba nella mia mente quasi con dispetto e mi allontano via, passandomi esasperata una mano tra i capelli.

Il cuore perde un battito quando incrocio i suoi occhi distrutti e scuoto la testa. – Io non ho bisogno di un'altra persona come te. Non ho di bisogno che qualcuno che mi ferisce e che, quando dico il mio nome pensa subito al..

- Footloose, 1984 e remake nel 2012. Ma sai, principessa, preferisco di gran lunga il remake perché Julienne Hough è molto più figa di Lori Singer.

E per un attimo, mi chiedo se possa sopravvivere a delle emozioni del genere. Mi chiedo se Carter, il sorriso che mi sta rivolgendo e gli occhi scuri che brillano possano davvero salvarmi, essere la mia ancora.

- Ho provato per una settimana a non guardarti, a non cercarti. Ci ho provato davvero, Ariel ma eri il mio pensiero fisso e i sogni non bastavano ad assicurarmi che tu stessi bene. – Si avvicina a me di un passo e i nostri petti si sfiorano, facendomi galoppare il cuore nel petto. – Quando ti ho guardato la prima volta hai torto il polso a una bionda e mi sono sentito fiero di te, sai?

Le mani grandi tornano a cingermi il viso e tengo gli occhi sbarrati immersi nei suoi. Gli stringo le dita tra le mie e gli fisso le labbra, scorrendo poi agli occhi.

- Sei la mia principessa, Ariel Miller e forse ti amo anche troppo – confessa e ringrazio che ci sia lui a sostenermi quando le ginocchia cedono. – Proviamoci – mi implora. – E se farò l'idiota, mi farò infilzare da Onda, lo prometto – aggiunge con un sorriso, facendomi ridere.

Mi asciuga gli ultimi residui di lacrime dalle guance e mi sollevo sulle punte, aggrappandomi alla sua maglietta bagnata e premendo le labbra sulle sue. E mi rendo conto, solo adesso, di quanto le labbra di Carter sulle mie mi siano mancate. Sono morbide, delicate, dolci e sempre un po' screpolate.

Quando schiude le mie con la lingua, aderisco ancora di più al suo corpo perché -cavolo- altro che ambrosia, è Carter il mio salvavita.

Sfrega il naso contro il mio e poi glielo bacio, strappandomi un sorriso.

- E comunque, sei un coglione, ma ti amo anche io.

E quando mi bacia ancora, decido di smetterla di pensare alla possibilità di soffrire, alla possibilità di non riuscire più a rialzarmi.

Io sono una principessa e le principesse ce la fanno sempre. Continuano anche con il vestito sporco e i tacchi rotti. Continuano perché è giusto che sia così, perché tutti le sottovalutano, senza sapere la forza che si nasconde dietro ad un sorriso.

E mi piace.

Mi piace essere sottovalutata perché so che riuscirò a stupire tutti. So che riuscirò a sollevarmi ogni volta perché, per una delle poche volte nella mia vita non sola.

Perché c'è Carter e, credetemi, leviatani o no, dei dell'Olimpo o mostri, io non ho intenzione di lasciarlo andare. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3 
Oh Gesù ahahha l'ultimo "ehiiila" di questa storia e penso proprio di aver iniziato così anche l'ultimo angolo autrice di "You write.." ahahah Devo ammettere che per questa storia è un po' meno traumatico per quanto mi dispiaccia comunque. Molto a dire la verità ahahha tenfo ad affezionarmi molto ai miei personaggi ed Ariel e Carter non sono stati decisamente da meno. 
Ariel è tornata al Campo Mezzosangue e si scopre che Carter è andato a prenderla per la festaa sorpresa che le hanno organizzato ahahahha Ariel compie diciassette anni e, se il compleanno stava andando un po' male, è decisamente migliorato ahhha 
Allison è tornata. Nei capitoli precedenti si accenna a Detroit e spazio alla fantasia su quello che potrebbe esserle accaduto. Giusto una piccola precisazione, il ragazzo che parla con lei e spinge ad Ariel ad allontanarsi perché stanca di tutte quelle persone, l'ho immaginato come Tyler Posey (Scott in Teen Wolf^-^). 
Alla fine, Ariel si allontana. Va via da Percy e Annabeth che è felicissima di rivedere e Carter la segue, povero masochista. Per il carattere che avevo dato ad Ariel, ovviamente il tutto non poteva concludersi con una chiacchierata ahhaha per questo iniziano a duellare e solo quando il ragazzo è ormai esasperato, le rivela perché l'ha allontanata: ha fatto dei sogni che la vedevano morta e pur di salvarla, ha preso decisioni estreme che non è riuscito a rispettare neanche un po'. è rimasto innamorato di Ariel e anche dopo un po' di tentennamenti, la nostra protagonista decide di fidarsi di lui. 
Mi è piaciuto moltissimo scrivere questa storia e non solo perché è stata la prima che ho steso a sfondo fantasy, ma anche perché mi sono messa un po' a nudo, cercando di rappresentare tutte le principesse che non sanno neanche di essere tali. C'è chi sottovaluta la figura della principessa, chi rimane dell'idea di una principessa ancorata al passato, senza capire che, adesso, le principesse ci sono ancora: si nascondono dietro un libro, uno sguardo basso, un paio di cuffie, una risata troppo forte, un sorriso sulle labbra, magari un carattere un po' scontroso. Si nascondono dietro dei muri che non mostrano quanto sono forti in realtà, quanto sono cazzute rispetto alla matassa di teste di cazzo che popolano il mondo. Non si mostrano eppure, non crollano mai e se lo fanno, il cazzo di vestito lo puliscono dalla polvere, dalla terra e dal fango e ripartono più forti di prima. 
Ariel è nata per questo e la storia si chiama così per questo: siamo tutte delle principesse. Principesse che forse non hanno ancora capito di essere tali e che, forse, neanche si rendono conto di quanto possano essere forti, con o senza principe. 
Volevo che Ariel insegnasse a combattere e a non arrendersi perché c'è sempre una luce alla fine del tunnel, stai poi a voi decidere se sia un treno o la fine della galleria. 
Grazie mille per il sostegno, per le parole sempre dolci che mi avete rivolto ogni volta! 
Vi voglio bene, cucciole/i! 
E ci rivedremo, considerando che guardando Beauty and the Beast mi è venuto in mente un altro schizzo per la Percabeth (ovviamente Percy non sarà la bestia e Annabeth la bella perché, a quel punto, posso farmi un fosso e scomparire ahahah) 
Alla prossima!
Vi adoro, 
Love yaa<3


   



 

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