The Valley of the Night

di tiny_little_bee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Regina ***
Capitolo 2: *** Amata Atene ***
Capitolo 3: *** La Bestia nella Bella ***
Capitolo 4: *** La soluzione finale ***



Capitolo 1
*** La Regina ***


La regina si allontanò dal fuoco. Sentiva i sussurrati rumori della notte attraversare le sottili tende di lino e ascoltò per un attimo la quiete fuori del palazzo. Andò a sistemarsi sul letto morbido e rimase ad osservare il colore cangiante delle fiamme. La battaglia era iniziata da un po', ma ancora non si vedevano vincitori. Lei non era uscita dal palazzo, sotto consiglio dei sommi sacerdoti. Il nervosismo le era entrato nelle ossa, cosa che le capitava di rado. Era sempre stata molto distaccata dalla guerra, ma il suo futuro sarebbe dipeso da Antonio, quella volta. Cosa ne sarebbe stato di lei, se lui avesse perso? Ottaviano non le avrebbe dato una seconda possibilità.
La sua mente sveglia ideò febbrilmente migliaia di scenari plausibili ed atroci, e intanto ponderò tutto ciò che era in suo potere fare. Poteva fuggire, poteva mettersi in salvo finché la guerra non fosse finita, spingendosi nel cuore del deserto, dove Ottaviano non si sarebbe spinto.
Avrebbe potuto chiedere aiuto. Implorare pietà ai senatori. Recitare il ruolo di vittima. Complottare contro Antonio. Salvare il suo Paese descrivendo la permanenza del romano a palazzo come un’occupazione forzata. Probabilmente qualcuno a Roma le avrebbe creduto, ma Ottaviano? Era lui che importava. Si massaggiò la pelle per far andare via il brivido che l’aveva colta quell’istante al solo pensiero di ciò che i romani avrebbero fatto se Antonio avesse perso la battaglia. Avrebbero occupato il palazzo e tutti i villaggi, avrebbero schiavizzato il suo popolo, avrebbero trucidato e stuprato. Non poteva permetterlo. Ma non poteva evitarlo. Sapeva, anche se non ci voleva credere, che quello sarebbe stato l’ultimo palazzo abitato da un faraone di stirpe regale.
Non voleva ciò. Sperava che la tanto decantata clemenza di Ottaviano arrivasse a risparmiare il suo popolo. Si alzò di nuovo dal letto e iniziò a camminare nervosamente per la stanza, pensando. Cercò di calmarsi, ma non ce la fece. Non vedeva via d’uscita dal massacro imminente.
Doveva inviare una richiesta di pietà ad Ottaviano, non aveva scelta. Avrebbe barattato sè stessa per il suo popolo, se fosse stato necessario.

Un rumore la fece sobbalzare in direzione della finestra. Un’ombra scura torreggiava sull’uscio. Una figura mascolina, alta, slanciata, terribilmente ambigua.
-Chi sei?- domandò titubante avvicinandosi al fuoco, ponendo le braci tra lei e il nuovo arrivato. Come era arrivato lì? Avrebbe voluto gridare, ma sapeva che prima di emettere anche solo un piccolo sospiro di allarme, sarebbe stata la fine per lei.
-Sono la morte. E la vita. Sono la tua salvezza eterna, cara mia regina.- disse l’ombra con voce graffiante rimanendo sull’uscio. Non si muoveva, era perfettamente immobile, non sembrava nemmeno che la voce provenisse da lui.
-Se sei così legato a me, mostrati.- disse lei riacquistando il contegno e la fierezza propri di una regina. La maschera di compostezza era di nuovo al suo posto, e lei si nascose bene dietro la sua protezione.
L’uomo fece un passo avanti, entrando nella luce del fuoco. La stanza sembrava più piccola con lui dentro. Si muoveva lento, come una pantera che avvista la preda e la studia prima di attaccare. Quando anche il viso fu illuminato dalla luce delle fiamme, la regina poté studiarlo a fondo. Era alto, proporzionato, con muscoli robusti, capelli nerissimi e occhi penetranti perfino più oscuri. La pelle era olivastra ed abbronzata, il volto affascinante sfigurato da una mostruosa cicatrice che lo attraversava dalla tempia alla mascella destra. La regina rimase ad osservarlo per un po’, poi si decise a chiedere spiegazioni.
-Come sei arrivato qui?- domandò allontanandosi ancora un poco. Non era vestita per una visita ufficiale, ma sentiva che in quel caso il vestiario sarebbe stato l'ultimo dei suoi problemi. Afferrò comunque una stola di lino a coprirsi le spalle con modestia, anche se era così bella che quel gesto era quasi dissacrante verso la sua perfezione.
-Sono saltato sul tuo davanzale, mia regina. Sono qui per portarti via.- sussurrò l’uomo con fare cospiratorio. Nonostante il pensiero che fossero più di trenta metri, da terra al suo davanzale, la regina non si focalizzò tanto su quel dettaglio sconcertante, quanto sul fatto che si trovava molto più lontana dalla porta d’ingresso di quanto lo fosse quell’uomo, ed era questo che le faceva spavento. Lo osservò avvicinarsi, con calma, al fuoco vivo, quasi per tentare di scaldarsi.
-Portarmi dove?- domandò interdetta Cleopatra. Sentiva la pelle accapponarsi lentamente, e una sorta di gelo penetrarle le ossa.
-All’inferno mia regina.
L’uomo avanzò minaccioso verso di lei, che non riusciva nemmeno a respirare. Superò il fuoco attraversandolo senza dare segno di dolore, alzò le mani e le cinse il volto con forza. Avvicinò le labbra alle sue e d’un tratto Cleopatra perse i sensi.
Percepì parte della sua umanità scivolarle via dalle membra, avvertiva il peso insistente del suo corpo che la tirava verso il pavimento e la spinta opposta delle mani forzute dell’uomo che la sorreggevano ferme. Sentì la mente divagare, allontanarsi da quel luogo e quel tempo, affrontare un viaggio ai confini delle costellazioni e ritornare in tempo per notare che lo sconosciuo si era staccato da lei e l’aveva adagiata sul letto morbido.
-Cosa mi hai fatto?- si sentiva diversa, rinata. Le sue ossa non erano mai state così robuste, le sue membra così forti, i suoi sensi così attivi. Percepiva la notte e la notte percepiva la sua rigenerata presenza. Gli occhi frugavano ogni dettaglio della realtà, le orecchie ascoltavano per la prima volta, la sua pelle recepiva tutte quelle sensazioni che prima poteva soltanto ignorare. Sentiva di essere un essere migliore.
-Ti ho liberato del fardello della tua umanità, mia regina.
-Ma tu hai detto che mi avresti portato all'inferno, e questo non assomiglia minimamente agli inferi.- obbiettò lei prestando solo un briciolo di attenzione alle parole dell’uomo, distratta da tutto ciò che poteva apprendere con i suoi rinati sensi.
-No. Non ancora.- disse l'uomo in un sospiro, quasi di tristezza, ammirando per l'ennesima volta quello spettacolo sconcertante di umani strappati via alla loro umanità, ignari delle conseguenze.
Ma quelli erano gli ordini.

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Capitolo 2
*** Amata Atene ***


La mattina luminosa era così serena che Cleopatra si dimenticò della guerra. La grande guerra civile. Antonio e Ottaviano. Per tutti gli inferi, lei si era schierata con Antonio! Che stupida era stata a fidarsi di lui…

Osservò il sole alzarsi pigramente dall’orizzonte sul Nilo, ascoltando il dolce mormorio dell’acqua del fiume, accarezzata dall’ultima brezza della notte che inesorabile volava via come la sua mortalità aveva fatto solo poche ore prima. Sapeva cosa doveva fare. Sapeva come doveva farlo. Non le sarebbe capitato niente. Il signore della morte la proteggeva, ora. Nessuno le avrebbe mai potuto fare del male. In compenso, però, lei avrebbe dovuto pagare un caro prezzo.

Pericle studiò la sua regina, pensando a quanto fosse bella. E a quanto l’avrebbe odiato, dopo che avesse offerto la sua prima vittima al Signore della Morte. Il piano era semplice e lineare. Nulla sarebbe andato storto.

Le aveva donato l’immortalità, senza che lei gliela chiedesse e senza nemmeno che conoscesse il prezzo di tale dono. Per ogni vita con cui fa un patto, il Signore ne vuole altre che riempiano i suoi inferi: modificare il destino di una persona porta uno squilibrio all’interno delle forze del Fato; squilibrio che deve essere in qualche modo ricolmato. Pericle passò una mano sul suo volto sfigurato, ricordando anni prima il suo patto con il Signore della Morte.

 

431 a.C.

Atene

La peste mieteva vittime come fossero spighe di grano. Uno dopo l’altro gli uomini perivano sotto l’occhio compiaciuto degli Spartani. Quegli idioti senza cultura osservavano l’intera città decimarsi e la folla dare la colpa a Pericle.

Povero Pericle. Ormai non sapeva che fare. Non poteva fuggire, ma rischiava il linciaggio della folla. La sua politica militare era assai fiacca, doveva ammetterlo, ma chi avrebbe potuto prevedere quell’epidemia? Ciò che sarebbe dovuto accadere era ben diverso da ciò che era accaduto, e quell’immaginario futuro di gloria e prosperità per Atene era ora lontanissimo, in un luogo e in un tempo che mai sarebbero stati.

Gli spartani erano un popolo di conquistatori. Non erano filosofi. Non erano cittadini. Non erano politici. Erano guerrieri. Venivano addestrati da bambini, da quando avevano solo sette anni. Ad atene a sette anni si studiava! Come avevano mai potuto pretendere di poterli sconfiggere?

Pericle iniziò, col tempo, a sentire quella sensazione di arsura tanto lamentata dalla folla fuori, nelle agorà; iniziò a sentirlo troppo presto. Non era ancora pronto ad abbandonare la città, ad abbandonare la guerra. La sua mente si agitava febbrilmente, tentando di trovare un rimedio alla pestilenza e macchinare altre strategie, aiutandosi con i migliori comandanti militari e i più valorosi soldati, allo stesso tempo. Tentò invano di riportare la città all’ordine originario; ognuno faceva ciò che gli pareva, senza timore degli dei, senza cura delle leggi. Tutta questa anarchia rendeva ancora più arduo il suo lavoro di comandante.

La sua pelle iniziava a diventare livida, la gola iniziava ad inaridirsi, a gonfiarsi, il caldo era l’unico pensiero che gli occupava la mente, il fetore della malattia, il fastidio di questo inferno perenne e senza sollievo. Invocò la pietà di ogni medico della città, ma nessuno gli offrì il rimedio giusto. Nessuno parve ansioso di aiutarlo. La città che per anni aveva servito, che per anni aveva arricchito, gli voltava le spalle, infuriata per le sorti della lega delio-attica, senza comprendere i motivi per cui essa versava in quello stato.

Era disperato. I bagni freddi ormai non gli bastavano più. La pelle iniziava ad ulcerarsi, alcune pustole facevano capolino da sotto l’epidermide. Aveva perso ogni minima speranza.

Stava convincendosi a lasciarsi andare ai piaceri immediati e frivoli, quelli tanto condannati dalle leggi degli dei, quando un salvatore bussò alla sua porta. L’uomo si presentò dichiarando di avere una medicina in grado di curare quella malattia tanto brutale; una medicina speciale, che andava tenuta segreta, al sicuro. Ma, chiese Pericle, perché agiva in tale segreto e non la diffondeva nella città, se era veramente una medicina in grado di combattere la peste? Quella medicina era la svolta che tanto aveva aspettato.

Era confuso dal sospetto comportamento di quel sedicente medico, e infuriato con lui per il fatto che lo osservava, quasi incantato dalla visione del suo volto, ormai rossiccio e rigonfio dagli umori della malattia, senza nemmeno degnarsi di rispondergli. Dopo quella che sembrò un’eternità, il medico si avvicinò al paziente, prese il suo viso tra le mani e avvicinò lentamente le labbra alle sue.

Pericle voleva divincolarsi da quella stretta così forte ma così ipnotica degli occhi del medico, tentò di liberarsi, ma prima di poter muovere un muscolo sentì il suo corpo scivolare via, alla deriva, lontano da lui, in un qui e adesso che non esistevano. Un alito di vita gli era stato sottratto quella notte, per conto del Signore della Morte. Quell’alito l’avrebbe condotto alla fine dei suoi giorni, ma, essendone stato privato, quel giorno, lui, non l’avrebbe mai visto. Però, gli disse il misterioso uomo, doveva dare qualcosa in cambio al Signore, per la sua vita immortale. Doveva offrire i suoi servigi. Doveva offrire sé stesso, anima e corpo.

 

E Pericle l’aveva fatto. Pochi giorni dopo quella visita, il re senza corona di Atene fu trovato morto nella sua casa, le pustole che ricoprivano il suo cadavere allo stato iniziale della putrefazione. L’ultimo balsamo delle sue ferite era stato un bagno d’acqua fredda, un’ultima sferzata di sollievo prima di andare via per sempre da quel mondo.

Ma lui non se n’era per nulla andato. Al contrario era stato salvato da quella malattia mortifera.

Ripensando a quei giorni, a quei tempi, Pericle provò un senso di malinconia. Sapeva che la sconfitta di Atene era in gran parte colpa sua, ma il Signore l’aveva chiamato. E lui ascoltava sempre gli ordini.

Il Signore della Morte aveva fatto un buon acquisto, con lui; il suo servo aveva lavorato bene, ed era stato ricompensato.

 

Pericle ora, a secoli di distanza da quella notte, osservava l’alba nascere sul Nilo. Tanto lontano da casa, eppure così vicino. Il globo era vasto, infinitamente più vasto rispetto alle singole coordinate spaziotemporali che gli uomini percepivano ogni giorno, così vasto che in realtà era molto vicino alla sua casa, alla sua amata Atene; e ancora più infinitamente più vasto di quelle coordinate era l’intero universo, tanto che a quel punto poteva considerarsi proprio a casa. Quel pensiero, quella consapevolezza di infinità, di indefinitezza, lo sconvolgeva ogni volta.

 

La regina si voltò verso di lui, rapita dal modo in cui il sole giocava sulla sua pelle, rendendo la cicatrice che gli sfigurava l’altrimenti incantevole viso brillante come se fosse stata di diamanti. Pensò a quello che aveva avuto in dono la notte precedente, e a ciò che il Signore voleva da lei in cambio della sua imperitura vita.

-Andiamo. Devo morire, oggi. Non farò tardi all’appuntamento più importante della mia intera esistenza.- sospirò inclinandosi verso nord. Aveva un compito da svolgere, un ruolo da recitare. Doveva morire, per portare Ottaviano alla vittoria. Il futuro era già segnato, e lei aveva avuto il privilegio di vederne un pezzetto grazie al suo nuovo amico; tutto, però, doveva andare esattamente come era scritto nel racconto del Fato.

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Capitolo 3
*** La Bestia nella Bella ***


La battaglia di Azio conseguì il risultato previsto. Lei finse di morire con la sua flotta, lanciandosi in una follia fatta di serpenti velenosi, rimpianti e una dichiarazione d’amore sussurrata al vento. Così la storia l’avrebbe ricordata per sempre: la donna che aveva preferito suicidarsi che sopportare l’idea della sconfitta, sua e del suo amato. Ci faceva una misera figura, è vero, ma così, le aveva mostrato Pericle, sarebbe dovuta andare e lei aveva accomodato il destino. Di nuovo la notte l’abbracciava stretta sulla costa sabbiosa del Golfo, il vento leggero che le sfiorava la pelle dotata di nuova sensibilità, gli abiti che frusciavano nella brezza e creavano ombre semoventi sulla sabbia morbida. Doveva sparire da quei luoghi, così familiari, così amati. Avrebbe potuto fuggire con Pericle, accompagnarlo nel suo viaggio immortale. Gli avrebbe offerto una vicinanza che non avrebbe mai potuto avere con un’altra persona, una persona estranea ai patti con il Signore, una vicinanza che l’avrebbe aiutato a sopportare l’eternità. Avrebbe potuto anche sfruttare la sua conoscenza e saggezza e imparare qualche trucco per riuscire a sopravvivere. Sarebbe stata dura. Lo sapeva. Lo capiva. Pensando e ripensando a ciò che avrebbe dovuto fare per riuscire a resistere, un brivido la scosse. Un’anima ogni mese, quello era ciò che il patto prevedeva. Non riusciva a figurarsi quante persone le avrebbero permesso di vivere, ovviamente non di loro spontanea volontà. Non voleva continuare a vivere, sapendo che migliaia di persone sarebbero morte per salvarla, avrebbe preferito suicidarsi. Non che avesse molta scelta. In un modo o nell’altro il Signore della Morte avrebbe trovato il modo di avere quelle persone, e, avendola già salvata una volta, le avrebbe impedito di morire, per lo meno dopo aver stipulato il patto. Se si fosse rifiutata di pagargli il giusto tributo, avrebbe preso il controllo della sua mente e l’avrebbe portata ad uccidere chiunque senza limiti, perché questo era ciò che desiderava. Perché lo desiderasse, Cleopatra non ne aveva idea, ma sentiva la sua sete dentro il petto, martellante, insistente, imperitura. Come avrebbe fatto a sopportarla per l’eternità? Doveva uccidere un uomo per ogni mese di vita che le era donato; in caso contrario, a causa sua molti altri innocenti avrebbero rifocillato il Signore della Morte, e questo non poteva proprio permetterlo. Proprio quella notte lei avrebbe dovuto uccidere la sua prima vittima per il Signore della Morte. Non sapeva chi fosse quel Signore. Non ne aveva visto il volto. Non ne aveva sentito la voce. Non sapeva nemmeno se dovesse chiamarlo Signore della Morte, o preferisse un altro appellativo. Eppure, sapeva che esisteva per quella fame, quel fremito animale che le agitava gli intestini e le faceva battere fortissimo il cuore. E poi, il Signore le aveva mostrato il suo destino, il futuro, la verità, tutto ciò che aveva bisogno di sapere per accettare i suoi accordi. Dunque, doveva esistere. Quella notte, quella oscura, tenebrosa notte, Pericle la istruì su cosa fare per adempiere al suo obbligo. -È semplice- iniziò –ma non devi assolutamente sbagliare. Avrai una sola possibilità per volta, e se non riesci ad uccidere la tua vittima e bere tutto il sangue che gli scorre nelle vene, il signore sarà ancora più affamato di prima. È come una clausola del contratto: o lo fai bene, o lui prende in mano la situazione e lo fa al posto tuo. E tu potresti anche credere che sia una buona cosa, ma, fidati, non lo è- parlava fissando il cielo terso, di un blu talmente cupo che le stelle parevano affogare nella sua infinita oscurità. Quelle stelle… quelle stelle che prima credeva dotate di vita si erano rivelate soltanto oggetti. Materia. Nulla di più. Ammassi di gas evanescenti che morivano dopo millenni esplodendo e, se erano abbastanza grandi, formavano anche dei buchi neri, giusto per portare all’inferno qualche altro corpo celeste. Come sapeva tutto ciò? Il Signore della Notte gliel’aveva mostrato. In un solo momento, tutto ciò in cui aveva creduto era crollato, proprio come un castello di sabbia costruito troppo in prossimità della riva. Era stato demolito da un semplice alito di morte. Che tristezza gli aveva infuso tutta quella conoscenza! I filosofi si arrovellavano il cervello tentando di comprendere il principio primo del mondo, il suo fondamento, il motivo dell’esistenza, e credevano anche di poterci arrivare. E, chi credeva di aver trovato la verità era in estasi di fronte la sua perfezione. Che sciocchi che erano! Non sarebbero mai arrivati a comprendere tutte quelle formule matematiche che descrivevano la realtà, con la mentalità che avevano. Erano ancora troppo inetti, stupidi per poter comprendere ciò che era davvero la verità. Credevano che conoscerla li avrebbe portati alla felicità, ma lui non era affatto felice. Era afflitto. Sconsolato. Triste per ciò che avrebbe dovuto evitare, ma verso cui si era gettato a capofitto. Avrebbe dovuto dire no alle lusinghe di una vita eterna. La vita eterna era solo per gli dei. E lui non era affatto un dio. Aveva portato alla morte migliaia di ateniesi innocenti, per quanto lo odiassero e, a quel tempo, lui riteneva meritassero una lezione. Osservava il cielo mentre continuava a parlare con la regina. Era di una bellezza rara, ipnotica, così perfetta che la Venere di Milo sembrava una Sibilla. Dopo tanto tempo in solitudine, si sentiva troppo esposto a parlare con lei, con quegli occhi neri che lo scrutavano e lo studiavano indagatori, rapiti dal suo modo di esprimersi, così autoritario e schietto. Era sempre stato un suo pregio, la fine oratoria. Lo sapevano tutti. Ma evidentemente, a lei faceva un effetto particolare ascoltarlo. Di tanto in tanto scostava lo sguardo, distratta da questo o quel movimento nella sabbia. I sensi all’erta non le permettevano di focalizzare l’attenzione su un solo particolare alla volta. -Adesso c’è una piccola parte di Signore della Morte che risiede in te. Questa piccola parte tenterà in tutti i modi di prendere il sopravvento sul tuo senno, ma tu non dovrai permetterglielo. Una volta che hai lasciato le redini a lui, non c’è modo di tornare indietro. Devi bere il sangue delle tue vittime perché è con quello che lui ti lascia vivere. Deve riuscire ad alimentare il tuo paradosso con un’energia che tu da sola non puoi fornirgli.- scostò lo sguardo dall’infinito firmamento per fissarlo in quegli invitanti occhi a mandorla che lo ammiravano assorti- ciò che è davvero importante è non versare una sola goccia di sangue. Devi sempre avere la situazione sotto controllo, devi avere un piano di riserva nel caso la tua vittima riuscisse a scappare. In quel caso dovrai ucciderla e basta, in qualsiasi maniera, non importa. Dovrai neutralizzare la minaccia e tornare a cacciare. Non avevano acceso un fuoco per non attirare l’attenzione del villaggio distante pochi metri. Era lì che si sarebbero cimentati nella caccia. Era una di loro, la prossima vittima. Cleopatra sentiva i muscoli tesi come corde di una lira, sentiva il ventre agitarsi nell’ansia di non potercela fare, nella paura di uccidere qualcuno per la prima volta, nella speranza che tutto andasse bene e… e nell’inquietudine di iniziare la caccia. Era quella la parte più eccitante. Soprattutto quando iniziavano a correre. A quel punto era davvero il massimo. Percepiva la differenza tra ciò che provava lei e ciò che provava il demone dentro di lei. Sapeva distinguere le due sensazioni, ma non poteva rimuginare troppo sulla parte demoniaca del suo spirito, perché ogni volta che lo faceva, la sorpresa e l’incredulità per l’intensità di quei sentimenti la sopraffaceva, e non le permetteva di respirare. -Ci sono indubbi vantaggi nell’essere gli incubatori di un demone simile. Col tempo, il tuo corpo acquisterà forza, agilità, e abilità che potrebbero risultare soprannaturali ma che sono dovute all’energia delle anime che hai sacrificato. Loro vivranno in te, dopo che ne avrai bevuto il sangue, e a quel punto avrai un pizzico di forza in più. Sommando tutte le anime che prenderai, diventerai praticamente imbattibile, per un uomo qualsiasi. Sarai un essere umano migliorato. Continuò a descriverle i pregi e i difetti di quel patto, rivelandoglieli tutti. Doveva sapere a cosa sarebbe andata in contro. Doveva conoscere ciò che sarebbe diventata. Doveva imparare a trattare con la bestia che le si agitava dentro. Quasi non aveva voglia di finire quel discorso. Avrebbe voluto continuare all’infinito a raccontarle i minimi particolari di quella vita maledetta, per evitarle la sua prima vittima. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto farlo, ma in quel momento non si sentiva di portarla a sacrificare un innocente. Eppure, quelli erano gli ordini. Sentiva il Signore sussurrarglieli nella mente. Sì alzò in piedi, eretto in tutta la sua altezza, sulla sabbia morbida e le porse una mano per aiutarla a raggiungerlo. -Il metodo più efficace è fargli perdere conoscenza, poi con un coltello bucargli un’arteria principale e iniziare a bere. Il sapore del sangue è metallico, e può darsi che all’inizio non ti piacerà, ma dovrai reprimere le tue sensazioni per pochi minuti e continuare a nutrirti. L’unica cosa a cui devi pensare è che lui deve avere quel sangue e fornirglielo eviterà stragi, perché, se non ingoierai anche la più piccola goccia di sangue dalla tua vittima, lui prenderà il controllo del tuo corpo e tu sarai sua schiava per sempre. E questo non deve accadere. -Me l’hai già detto questo- gli fece notare fissando gli occhi neri nei suoi. Si strinse le vesti di lino al corpo, sentendo la brezza levarsi piano.-Andiamo- gli disse con un filo di voce, un brivido che le correva su per la schiena. Si avvicinarono all’insediamento con passo felino, facendo cura a non rivelare la loro presenza. Cleopatra puntò sulla prima tenda del villaggio: era piccola, forse c’erano solo un uomo e una donna dentro. Non poteva dirlo con certezza. Magari era perfino vuota. Pericle le fece cenno di fermarsi e ascoltare: voleva mostrarle cosa poteva fare sfruttando le capacità spirituali del demone che ora risiedeva dentro di lei. Si concentrò sui rumori della notte, scartando tutti quelli noti, considerando solamente quelli più flebili. Dopo un’analisi attenta, sentì il lieve sospiro di un uomo addormentato. Non sapeva perché fosse così sicura che si trattasse di un uomo, ma ne era certa. Ondeggiò il capo in cenno d’assenso verso il suo compagno di caccia, poi puntò di nuovo verso la tenda. Un lembo della pelle che fungeva da porta era scostato per far entrare l’aria fresca del mare. Tentando di non fare il minimo rumore, l’aprì del tutto, consapevole del fastidioso fruscio dei suoi vestiti. Probabilmente non facevano un gran rumore, in senso assoluto, ma per il suo udito nuovamente nato, erano di disturbo per la sua caccia, la distraevano. Si avvicinò, trattenendo perfino il respiro, verso l’uomo steso prono in un ammasso di pelli gettate alla rinfusa sulla sabbia. La sua pelle recepiva varie ed inutili informazioni su quell’ambiente che la stimolavano in maniera esagerata, i suoi occhi erano capaci di distinguere perfino gli oggetti che si trovavano nell’ombra, riusciva a sentire il profumo di olio e lo sgradevole odore di sudore che impregnava quel corpo addormentato in un angolo della tenda, esageratamente grande per un solo uomo. Adocchiò, con la sua ampliata vista periferica, uno stiletto infilato accuratamente nella sua fodera vicino il corpo. Ripensò a ciò che Pericle le aveva detto. Prima lo stordisci, poi lo uccidi. Ma non sapeva come stordirlo. In un certo senso lo era già, quindi non riusciva a capire come riuscire nel suo intento. Rifletté un momento, poi decise che non l’avrebbe stordito. Con un po’ di fortuna, non si sarebbe svegliato. Si chinò su di lui, tirandolo per una spalla, facendogli esporre meglio il collo. Gli si avvicinò con cautela, ponderando lo stadio del sonno in cui si trovava. Sembrava sognare, quindi, fortunatamente, era improbabile che si svegliasse. Operò comunque con grande cautela cautela: poggiò le labbra con delicatezza sulla sua pelle, per tastare i vari vasi sanguigni. Grazie al Signore della Morte, sapeva che di lì passava il più trafficato incrocio del sangue. Continuò a cercare il punto perfetto per il colpo micidiale. Intanto, immaginava cosa potesse sognare, in quel momento, quel povero mal capitato. Si scostò piano dal suo collo per guardarlo un’ultima volta in faccia. Non l’avrebbe mai dimenticato, quello sconosciuto. La sua prima vittima. Sentiva che il demone dentro di lei si agitava nella smania di possedere il sangue di quella persona innocente, e quasi non riusciva a tenerlo sotto controllo. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma alla fine tornò a studiare quel collo, in quel momento così appetitoso. Non riusciva a credere che potesse desiderare ucciderlo così voracemente, ma, d’altronde, sapeva che era il Signore a volerlo. Avvicinò la punta dello stiletto gemmato al punto in cui sentiva fremere il vaso sanguigno, poi applicò una tenue pressione e osservò il sangue sgorgare piano da quel punto. Sentendo l’odore di quella fiumana sanguigna, calda e rossa, non riuscì a trattenersi. Posò le labbra con violenza sul piccolo buco, sentendosi sempre più affamata ad ogni goccia di liquido che le bagnava la lingua. Comprendeva solo ora cosa intendesse Pericle: quella fame non veniva da lei, ma da quel demone che le si agitava dentro, eppure quella sensazione la confondeva. Era così forte che tentava di rompere le sue catene, e quasi ci riuscì, per una frazione di secondo sembrò prendere il sopravvento. Ma aveva sottovalutato la forza della regina. Era consapevole che non doveva permettergli di avere il controllo, e non gliel’avrebbe assolutamente concesso. Quel demone aveva davvero potere solo se lei glielo riconosceva. Sentiva il flusso di sangue rallentare, col tempo. In pochi minuti era tutto finito, con suo grande sollievo. Sentì il corpo pesante, senza anima, che stava stringendo forte tra le braccia per la foga con cui la sete l’aveva presa, vide il volto pallido di quell’uomo che non era più una persona viva oramai. Si sentì sprofondare nella tristezza, realizzando davvero, per la prima volta, cosa aveva fatto. Sentì delle mani calde afferrarle le spalle. Si voltò col viso rigato dalle lacrime. Aveva ucciso un uomo. Non si era mai sentita così in colpa, così piena di vergogna, e allo stesso tempo così soddisfatta, ed era proprio questa sensazione a suscitare in lei il senso di colpa, molto più dell’azione che aveva compiuto. Pericle la scortò via da quella tenda, spronandola a correre forte, lontano da quel luogo, da quel villaggio, da quella riva. Si fermarono solo quando furono abbastanza lontani da quella fonte di rimpianti e rancori. Cleopatra guardò Pericle negli occhi, comprendendo che lui capiva come si sentiva. Lui sapeva com’era uccidere qualcuno. Lui sapeva cosa voleva dire fare i conti con la bestia che le si agitava nel petto. §§§§§ Salve a tutti, vi parla l'autrice! Vorrei scusarmi per la formattazione del testo, purtroppo sto avendo alcuni problemi con il sito... a parte questo piccolo disguido, spero vi piaccia questo capitolo! Buona lettura :) tiny_little_bee

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Capitolo 4
*** La soluzione finale ***


Cleopatra osservò il mare. Non era troppo cambiato, in tutto quel tempo. Erano secoli che non tornavano lì. Avevano viaggiato per tutta Europa, e poi erano arrivati nelle Americhe, in Australia e perfino al polo Nord. Era stata ovunque, ma non aveva mai avuto il coraggio di tornare lì. Dove inizialmente si trovava un semplice villaggio, solo qualche tenda sparsa qua e là alla rinfusa, sulla riva del mare, adesso sorgevano delle case, più o meno tecnologiche, più o meno confortevoli, fatte ancora di pietre e legni. Solo poche case, però. Non era una zona molto popolata, proprio come lo era millenni prima. Erano passati due mila anni, ma non sembrava esserci stato alcun cambiamento. -Sei pronta?- le chiese Pericle. Avevano cambiato svariate identità, nel corso dei secoli, ma il suo volto rimaneva immutato, con quell’orrenda cicatrice che gli sfigurava l’incantevole volto. Era pronta? A tornare dove tutto era iniziato? No, certo che no. Aveva molta scelta? No, certo che no. Ma doveva tornarci, se voleva avere qualche possibilità di spezzare quell’infelice incantesimo. Forse, quel pomeriggio, con il sole che allegoricamente tramontava oltre l’orizzonte del Golfo, Cleopatra avrebbe trovato il modo di liberarsi di quel demone. Ironia della sorte, era stata ricondotta lì, nel luogo in cui aveva ucciso la sua prima vittima. Tutto finiva dove tutto era iniziato. Quel luogo era l’alfa e l’omega della sua vita maledetta. Squadrò per bene l’agglomerato di dimore che pigramente si stendeva sulla costa di quel golfo, chiedendosi cosa aveva mai fatto per meritarsi una punizione tale. Le faceva sempre male rammentare che cosa aveva dovuto fare, e se soltanto ricordarlo era una pena per lei, trovarsi faccia a faccia col luogo che l’aveva per sempre condannata all’eternità, in quel momento, era molto più che penoso. Era triste, doloroso, deludente. Cosa si era ridotta a fare, per sopravvivere ai romani! Quando si sentì pronta, rispose mormorando alla domanda di Pericle. -Andiamo.- sospirò, dopo un minuto di riflessione. Sentiva il suo demone agitarsi dentro di lei, lo sentiva fremere per l’eccitazione, perché sapeva perfettamente che cosa stava per accadere: avrebbe cambiato residenza. Tentò di ignorare quei sentimenti così violenti, che la facevano sentire confusa, agitata. Impacciata. Fuori posto. Lei, la regina delle piramidi, che aveva visto duemila anni di umanità sfilarle davanti agli occhi, che aveva osservato silenziosamente, in disparte, tutte le vicende dei mortali, che sapeva molto più di qualsiasi altro uomo sulla faccia della Terra, era subordinata alle sensazioni di un mostro che viveva dentro di lei. Il suo volto impassibile celava ciò che il suo cuore e la sua mente elaboravano febbrilmente, ma gli occhi le erano impossibili da controllare. Era evidente il suo disagio, osservando le sue sopracciglia così contratte che sembravano creare un solco abissale sulla pelle della sua fronte, e quelle iridi così contratte che ci si sarebbe meravigliati che potesse vedere. Pericle sapeva esattamente cosa le stava frullando nel cervello. Aveva finalmente trovato la soluzione per quella scelta che non aveva fatto lei. Si stava sicuramente chiedendo se avesse mai potuto liberarsi prima. Ma cosa sarebbe mai successo se l’avesse scoperto prima? E soprattutto, analizzando la sua intera esistenza, era possibile scoprirlo prima? Aveva avuto, in passato, la possibilità di slegarsi da quel mostro? Aveva incontrato qualcuno che potesse aiutarla, negli ultimi millenni? Le risposte a queste domande erano tutte “sì”. Considerando ciò che avevano fatto in quell’enorme lasso di tempo, Pericle suppose che c’erano stati almeno trenta eventi, nel corso degli ultimi cinquecento anni, che li avrebbero portati sulla via della liberazione. Si sentì uno sciocco a non averci pensato prima lui stesso. La osservò muoversi con la solita grazia tra le case del villaggio, la studiò mentre sondava ogni rumore, ogni colore, ogni odore di quel minuscolo caseggiato. Lei cercava una dimora, in particolare, la dimora di uno di loro. Se solo Pericle avesse cercato una scappatoia prima di quel maledetto giorno, da quell’orrenda sorte, se solo avesse tentato, non si sarebbe mai trasformato nel carnefice di Cleopatra, non l’avrebbe mai costretta a patire la sua stessa sorte, a combattere contro quella bestia che l’aveva divorato, che lui stesso aveva odiato, che odiava ancora e probabilmente avrebbe odiato fino alla fine dei tempi, a sentire di fare la cosa sbagliata, ma non avere scelta, a sentirsi impotente, smarrita, triste. Se avesse saputo che c’era una possibilità, non avrebbe esitato a tentare. Ma non ci aveva pensato prima, e, se aveva imparato qualcosa, nella sua, pur maledetta, vita, era che il tempo era inafferrabile per gli immortali tanto quanto lo era per gli umani, e non si poteva tornare indietro, aggiustare le storture del suo corso. Quindi pensare a cosa sarebbe potuto succedere non serviva a nulla, anche se era nella natura umana tendere all’ipotetico passato. Ciò che contava era che avevano trovato il modo di liberarsi di quella bestia: con quel metodo di trasferimento del demone, avrebbero potuto liberarsi da quella maledizione, lasciando quel pesante onere ricadere sulle spalle di un altro immortale. Quello si sarebbe preso il suo mostro, e l’avrebbe lasciata andare via, a vivere quella vita normale che Pericle le aveva negato apparentemente per sempre. Ma il demone continuava a vivere, continuava a chiedere le sue vittime, continuava a voler nutrirsi. Semplicemente, non l’avrebbe più accudito lei, e quello era già un gran passo avanti, in senso relativo, era una piccola vittoria. Cleopatra non sapeva se Pericle avesse intenzione di seguirla in quella nuova avventura, anche se non riusciva ad immaginarsi una vita senza di lui. Quando fuggi da tutto e da tutti per secoli, ti leghi in maniera particolare al tuo compagno di viaggio. Lei aveva imparato a conoscerlo, così come lui aveva fatto con lei. Erano l’uno lo specchio dell’altra, sebbene alcune parti delle loro anime erano ancora celate dietro cortine di ferro, protette da osservatori esterni, perché nessuno ama svelarsi completamente per ciò che è. Continuò a rimuginare, camminando lentamente ma con decisione tra quella decina di baracche che qualcuno osava definire case. Sentiva che il momento più importante della sua longeva vita stava per arrivare. Si fermò davanti una di quegli ammassi di pietre dalla porta di legno e dal tetto di palme secche. Voltò lo sguardo verso Pericle, tentando di comprendere il suo stato d’animo. Era nervoso, ma composto. Faceva finta che quella fosse una casa come un’altra, in un villaggio come un altro, in un luogo e un tempo come altri, ma sapeva esattamente che da quel momento, dall’istante in cui lei avrebbe varcato l’uscio di quella dimora, tutto sarebbe cambiato. Si guardarono per un solo attimo negli occhi, poi lei spinse quella porta di legno rinsecchito. C’era odore di incenso, pesce e candele. Un fuocherello crepitava in un angolo che doveva fungere da cucina. Nell’angolo opposto un materasso di lana era coperto da alcune coperte dello stesso tessuto. Un tavolo e una sedia di legno, della stessa fattura della porta, rimanevano soli al centro di quello che qualcuno avrebbe definito un orrendo monolocale. Cleopatra rimase pochi secondi ferma vicino la porta, poi prese il coraggio a due braccia e varcò decisa quell’uscio sgangherato. Per essere la dimora di un immortale, era piuttosto scadente. Sembrava non esserci nessuno, ma, in pochi attimi, i due viaggiatori si trovarono davanti un uomo alto, dalla pelle scura e gli occhi neri. Era evidentemente un maledetto come loro. -Salve, amici. – disse loro scoprendo trentadue denti perfettamente dritti e candidi, in un sorriso che solo un africano potrebbe mai sfoggiare. Indossava degli abiti relativamente nuovi, per lo meno non troppo fuori moda, quindi, si poteva dedurre, quella non era la sua vera casa. Dei jeans gli ricadevano pigramente sui fianchi, mentre una camicia bianca rendeva ancora più colorata la sua pelle nera. Era a piedi nudi. -Salve – rispose Pericle studiando a fondo quegli ipnotici occhi neri, mentre Cleopatra rimaneva senza parole di fronte alla realtà di quell’istante. Stava davvero per finire tutto. -Dovete scaricarvi, suppongo- sussurrò con voce ammaliatrice. Cleopatra annuì fermamente, una smorfia dura le contrasse i muscoli del viso, mentre rammentava il motivo per cui si trovavano lì. A quel segno affermativo, l’uomo si avvicinò lentamente a lei, chinandosi, protendendosi verso la sua bocca. In un istante, la regina si ritrovò a fluttuare in uno spazio inesistente, proprio come quando le avevano dato il primo bacio di morte. Si sentì debole, le gambe quasi le cedettero, e dovette perfino appoggiarsi al malfermo tavolo di legno. Scandagliò il suo animo, non trovando traccia di quel tremendo demone che l’aveva animata per tanto tempo. Le sue membra erano fiacche, la sua mente sembrava sul punto di scoppiare. Tutto quel sapere, tutto quella conoscenza, quel tempo, le ottenebravano i sensi, distraendola da ciò che le accadeva intorno. Aprì gli occhi per un istante e vide l’uomo sconosciuto e Pericle attuare lo stesso scambio. Osservò il suo compagno di viaggio cadere in ginocchio, stanco, infiacchito dallo sforzo di rimanere vivo per oltre due millenni, stanco, il volto contratto in una smorfia di dolore. -Spero sappiate cosa viene ora.- sospirò l’africano. Si voltò nuovamente verso Cleopatra. Per lei era tutto finito, finalmente. Finalmente. Non riusciva quasi a crederci. Quante cose avrebbe fatto, adesso che era tornata umana. Quante cose avrebbero potuto fare, lei e Pericle. Avrebbero concluso il loro viaggio, uniti come sempre, invecchiando insieme. Quando si ha un tempo limitato da vivere, l’invecchiare sembra la cosa peggiore al mondo. Sapere che le proprie cellule inevitabilmente perderanno elasticità, che i loro cicli rigenerativi col tempo diminuiranno, finché non riusciranno più a riprodursi, sapere che la propria clessidra è in costante movimento, instancabile, un granello di sabbia dopo l’altro, sapere che la vita è troppo breve per la mente umana, che prima o poi, improvvisamente, finirà, ti fa desiderare essere immortale per non doverci rinunciare, rimanere per sempre vigile, giovane, in salute, esente da qualsiasi malore fisico o mentale, protetto dal corso del tempo che inesorabile continua a scorrere, anche se tu desideri con tutto te stesso che si fermi. Ma essere eterni ti fa desiderare di essere mortali, perché senza quella sensazione di instabilità, di precarietà, che ti fa davvero sentire vivo, l’eternità è vuota, senza senso. Se sei immortale, qualsiasi gioia perde ogni sapore, perfino le piccolezze che da umano ti facevano felice, si svuotano di ogni significato. Essere immortali è una tortura, perché credi di poter avere un’umanità eterna, ma hai solo una vita eterna. Un susseguirsi infinito di notte e di giorno, di giorni, di mesi, di stagioni, di decadi, che senza le gioie di un’esistenza umana non hanno più alcun significato. Dal momento in cui nasce, ogni uomo è destinato a morire. È proprio questa sensazione di fatalità che porta l’umanità ad essere così grande. È il desiderio di rimanere per sempre nella storia, che spinge un Cesare a superare il Rubicone, una Elisabetta I a essere la prima regina d’Inghilterra, un Leonardo a costruire il prototipo di un elicottero, a dipingere un’Ultima cena o una Monna Lisa, un Galileo a creare il primo cannocchiale, un Keplero a definire le tre leggi del moto dei corpi celesti, un Michelangelo a dipingere una Cappella Sistina o scolpire una Pietà, un Newton a postulare la legge della gravità, un Van Gogh a dipingere una Notte Stellata, un Marconi a costruire un telefono, un Armstrong a saltellare sulla Luna. È il desiderio di essere immortali, fissati eternamente nella storia dell’umanità, a spronare gli uomini a superare i confini delle convenzioni sociali, i limiti delle proprie capacità, a crescere e accrescere la conoscenza comune. Che cosa avrebbero fatto, loro due, a quel punto? Di certo, nulla di straordinario. Sarebbero andati in Europa, magari, avrebbero trovato una bella casetta in una qualche città Tedesca, avrebbero trovato un lavoro modesto, comprato una casa, avrebbero avuto un figlio… e avrebbero osservato il tramonto insieme, giorno dopo giorno, finché la loro fine non fosse arrivata. A quel punto, si sarebbero detti arrivederci, e si sarebbero ricongiunti dall’altra parte, magari. Paradiso o inferno, Cleopatra non sapeva dirlo, ma l’importante era che sarebbero stati insieme. Ma quella frase… Cosa veniva a quel punto? Cleopatra osservò l’uomo con uno sguardo confuso, aspettando che lui aggiungesse qualcos’altro. Ma lui non rispose mai alla sua silenziosa domanda. Mentre Pericle era ancora riverso a terra, debole, fiacco, lei tentò di alzarsi, vedendo un coltello nelle mani dello sconosciuto. Cosa voleva fare? -No… ti prego…- si ritrovò a implorarlo.- Non farlo. -Non posso non farlo. Il signore vuole indietro il sangue che vi ha lasciato tempo fa- sfoderò lo stesso sorriso che le aveva rivolto all’inizio della conversazione. Si avvicinò con calma, sapendo che, anche volendo, lei non sarebbe potuta scappare molto lontano. Cleopatra si accucciò accanto al corpo inerte di Pericle, stringendogli le mani. L’aveva salvata così tante volte nella loro vita insieme, l’avrebbe salvata anche adesso. Lo scosse, presa dal panico, ma i suoi occhi non riuscivano a metterla a fuoco. L’uomo, come il tempo, avanzava inesorabile. Non aveva alcun luogo in cui rifugiarsi, scappare dal suo destino, che ormai era segnato. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, si abbandonò alla presa ferrea che le tratteneva la nuca, liberò le lacrime che luccicavano calde sulle sue ciglia. Sentì il pugnale pungerle la pelle, un dolore bruciante che le sconquassava il petto, mentre il cervello con agitazione febbrile continuava a divincolarsi senza alcun risultato da quella sua fine così imminente. Non aveva pianificato tutto ciò. Non l’avrebbe mai voluto. Non sarebbe mai invecchiata con Pericle. -Sai qual è la parte migliore?- le domandò quello sconosciuto, le labbra ancora premute sul suo collo, che adesso lei tanto odiava. Senza aspettare una risposta, che in ogni caso non sarebbe arrivata, continuò -Dall’altra parte ci sono le tue vittime che ti aspettano, tesoro. Non vorrei essere al tuo posto- Cleopatra sentì il suo ghigno attraverso la pelle. Una sensazione di freddo la prese improvvisa, mentre realizzava incontro a cosa stava marciando a passo di cavalleria. Adesso capiva come ci si sentiva, cosa si prova quando qualcuno ti porta via la vita. Mentre il sangue defluiva dalla giugulare sinistra del suo collo, lei si sentì sempre più debole, sempre più persa in un oceano nero, infinito, pieno delle anime che lei aveva rubato alla vita. Sentì le loro mani fredde agguantarle le membra, dilaniarle, cercare sollievo nel distruggerla. Era un destino giusto, quello, dopotutto. Aveva ucciso, anche se non l’aveva mai voluto. In quel momento, si ritrovò ad odiare Pericle per quello che le aveva “donato”: un’eternità fatta solamente di dolore, sangue e ancora dolore. Perse definitivamente il contatto con la realtà mentre l’africano lasciava ricadere in terra il suo corpo ormai anemico per spostare la sua attenzione verso Pericle. Artigli freddi e nebulosi sembravano strapparle la pelle, mentre altre lacrime cadevano per inerzia lungo le sue guance, gli occhi fissi sulla scena mostruosa che stava per aver luogo. Lei era lontana anni luce da quel tempo e da quel luogo, persa in un’infinità fatta di dolore eterno e vendetta, e non poté sentire Pericle chiederle perdono un’ultima volta. §§§ Bene, questo è l'ultimo capitolo... spero vi sia piaciuta la mia storia, e, anche in caso contrario, vi prego di recensirla! Desidero ringraziare tutti gli utenti che hanno letto la mia storia fino all'ultimo episodio: grazie mille del vostro supporto, vale molto per me! Vi chiedo per favore, mi ripeto, di esprimere la vostra opinione su questa piccola storia, positiva o negativa che sia, ho davvero bisogno di sapere cosa ne pensa il mio pubblico :) Grazie mille di nuovo, tiny_little_bee

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