Shy Heart

di Lyerenshadow_nekkun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Waking up to you ***
Capitolo 2: *** We're not broken just bent... ***
Capitolo 3: *** Making up ***
Capitolo 4: *** Coming Home ***
Capitolo 5: *** Nice to meet you ***



Capitolo 1
*** Waking up to you ***


Aine sospirò: era l'ennesima volta che si trovava seduto di fronte a suo fratello al capezzale del suo corpo. Ormai lo odiava: odiava quel volto pallido e immobile, quelle palpebre sottili ostinatamente abbassate sui suoi occhi celesti avidi di vedere il mondo; odiava le mani dalle dita affusolate abbandonate sulle lenzuola... voleva tornare in sé e svegliarsi, tornare da Ai, da Reiji, da suo zio. E invece era li a fare la versione giapponese di ghost con suo fratello al posto di Demi Moore. Sbuffò e diede uno schiaffetto al suo viso addormentato.
«Svegliati idiota», mormorò.
A quel punto sentì qualcosa di strano, nel modo in cui respirava. Sentiva veramente l'aria nei suoi polmoni, non come negli ultimi cinque anni... sentiva l'aria e vedeva sfocato.
«C-cosa...?», balbettó, poi divenne tutto buio e lui non si era mai sentito più vivo di così.

Ai era seduto accanto al lettino di suo fratello. Quanti giorni erano passati in quel modo? Sempre uguali, monotoni, noiosi ma pieni di speranza. Speranza che molti avevano perso, che si era dispersa nell'aria. Ai invece proprio quella speranza l'aveva tramutata in fiducia. Lo sapeva: Aine si sarebbe svegliato prima o poi. Tra qualche ora, tra qualche anno, quando voleva e lui sarebbe stato lì, davanti ai suoi occhi per potergli dare il suo buongiorno.
Annoiato aveva il busto spalmato sul lettino, a fianco di Aine. Teneva gli occhi chiusi, respirando l'odore di medicina dell'ospedale e quello debole di suo fratello.
Niente faceva sospettare che quel giorno fosse diverso dagli altri.

"Ok. Bene, facciamo mente locale. È buio, e io sento il mio corpo... le opzioni sono due: o mi sveglio o muoio. Ehi, ma io non voglio morire!!!"
L'elettrocardiogramma iniziò a fare rumore mentre il panico assaliva Aine. "Devo svegliarmi. Qualcuno mi aiuti!!" Ripensò ad Ai, seduto accanto a lui. Era semisdraiato sul suo lettino, se avesse mosso le dita l'avrebbe potuto toccare.
Sí, ok, ma dove erano le sue dita?
Si sforzò più volte, incitato dai battiti registrati dall'elettrocardiogramma, e finalmente riuscì a muoversi. Piano, pianissimo, ma poi la sua mano riuscì a sentire qualcosa, sembravano capelli. Riuscì a dare un debolissimo strattone, prima di perdersi di nuovo, pregando che fosse bastato.
"Aiuto".

L'elettrocardiogramma aveva iniziato a suonare più velocemente e ciò lo allarmò: non era mai successo nulla di simile in quegli anni.
Prima di decidere che fare sentì qualcosa strattonargli i capelli e si girò di scatto.
«Aine!», esclamò, ormai convinto che qualcosa di nuovo stesse per succedere. Qualcosa di bello? Qualcosa di brutto? Che cosa?
Poggiò la mano su quella pallida del fratello e si paralizzò. Davanti ai suoi occhi iniziarono a susseguirsi delle scene, anzi dei ricordi, che fino a quel momento non sapeva neanche di avere. In uno Aine lo prendeva in braccio per consolarlo, in un altro era sopra di lui a fargli il solletico, in quello più vivido stava suonando la chitarra e cantando con lui. Era come se fosse proprio Aine a tramettergli quei ricordi, attraverso il contatto delle loro mani.
«Niisan...», parlò dolcemente. «Tutto questo significa che te ne stai andando?», riuscì a formulare quelle parole prima che delle lacrime iniziassero a rigargli il viso. E poi dei singhiozzi gli salirono nel petto.

I ricordi avevano invaso lui e suo fratello, tutti quei ricordi a cui Aine si era aggrappato fino a quel momento gli passavano davanti e se ne andavano in un attimo. Vide Ai che si nascondeva fra le sue braccia quando lo consolava, lo vedeva divincolarsi cercando di scappare dal suo solletico, rivide quando cantavano insieme.
E poi apparvero Reiji, Kei, Hibiki... Sentì una voce parlare, chiedergli qualcosa che non capì subito.
"Stai andando?"
E poi dei singhiozzi.
Ai!!
No che non se ne stava andando! Non voleva andarsene!! Cominciò a lottare con tutte le sue forze, con il suo corpo inerme che non collaborava. Ritrovò nuovamente la sua mano e le impose di stringere ancora quello che le era vicino, stavolta un dito, e mantenne la presa, sebbene farlo fosse estenuante.
Cercò la sua voce, la sua bocca, provò a formulare un suono, ma alla fine sentì le sue labbra muoversi appena, mentre una specie di sibilo era tutto quello che la sua gola riusciva a cacciar fuori. Si accontentò di quello, sperando che bastassero affinché Ai capisse.

Quando qualcosa gli strinse il dito, Ai abbassò la testa di scatto e vide che la mano di Aine lo stava stringendo debolmente. Le lacrime arrestarono il loro percorso, mentre quella speranza che lo aveva sostenuto tutti quegli anni, unica sua compagna in quella stanza d'ospedale, gli scaldava il petto, esplodendo più forte e coinvolgente che mai.
Tornando a guardarlo in faccia vide le sue labbra muoversi piano e l'espressione del viso accigliarsi altrettanto impercettibilmente.
«Niisan», lo chiamò, diventando sempre più consapevole che Aine stava faticando a svegliarsi.
«Niisan, ti sto aspettando. L'ho sempre fatto», disse con un malinconico sorriso sulle labbra.
Intrecciò le dita a quelle del fratello e le strinse, cercando di trasmettergli tutta la forza che aveva.
«Torna».

"Torna".
La voce di Ai parve tirarlo fuori da quello stato di torpore, ma durò pochi momenti e lui piombò di nuovo nel buio. Nella sua mente urlava, scalciava, si strappava il buio di dosso come fosse una coperta troppo calda.
Sentì Ai stringergli la mano e se avesse potuto sarebbe scoppiato a piangere. Si concentró su quel contatto, su quella sensazione di sicurezza che gli dava il tocco dell'altro, la promessa che c'era qualcuno, c'era qualcosa ad aspettarlo una volta sveglio. Usò ogni sforzo, ogni briciolo della sua volontà per concentrarsi su quel tocco, che gli infondeva forza e confidenza.
E finalmente li trovò: trovò i suoi occhi e costrinse le palpebre a sciogliere il loro abbraccio, a rimuovere la loro protezione alle sue iridi chiare, che furono abbagliate dalla luce. Richiuse gli occhi un paio di volte, prima di mettere a fuoco un volto davanti a lui.

Non poteva essere vero.
Stava guardando i suoi stessi occhi, anzi, si sbagliava, quelli erano gli occhi di suo fratello.
La gola gli si chiuse e sentì il calore di altre lacrime accompagnare la loro discesa.
Non aveva mai pensato a cosa avrebbe dovuto dirgli non appena si fosse svegliato, ma anche se avesse preparato un discorso in quel momento non lo avrebbe ricordato.
Non riuscendo a domare il dolce abbraccio del sollievo e della felicità, Ai si appoggiò sul busto del fratello, singhiozzando in un pianto che lasciava uscire tutta la paura, la tristezza, la disperazione di quegli anni. Tutte quelle emozioni le gridò al mondo, rinfacciandogli che le aveva superate, anzi, che le AVEVANO superate. Lui ed Aine, insieme.
Sentì una mano di suo fratello tra i capelli, che lo accarezzava. Ai alzò lo sguardo e lo incrociò ancora una volta con quello dell'altro. Poté inoltre vedere le sue labbra rivolte dolcemente all'insù.
«Niisan», disse ancora non appena ritornò la sua voce. Gli accarezzò il viso per constatare la veridicità di quella situazione. Sì, era reale. Non era più solo un sogno.



    Angolo delle autrici ^·^
Questo account è gestito da pinky_neko, Starishadow, Lerenshaw e Lyel, per le eventali follie che sorgono nelle nostre chat.
Questo capitolo è nato come role, dove Starishadow ruolava Aine e Lyel Ai. Ma non temete (?) nei prossimi capitoli spunteranno anche Pinky-chan e Leren-chan.
Star-chan: *borbotta tra sè e sè* «Aine»
Lyel: «Starchan? Tutto bene?» *la guarda preoccupata*
Star-chan: «Non c'è mai abbastanza Aine in giro.» *sospira*
Lyel: «Sono tristemente d'accordo» *si asciuga una lacrimuccia*
Speriamo vi piaccia anche il seguito~
Un saluto a tutti ^^

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Capitolo 2
*** We're not broken just bent... ***



Ai si trovava con Camus e Ranmaru dove stavano aspettando l'ultimo membro dei Quartet Night.
Non appena l'ospedale lo aveva avvisato che avrebbero dimesso Aine in pochi giorni, l'idol aveva provveduto a fare l'iscrizione del fratello al Master Course; non vedeva l'ora di riaverlo con sé tutti i giorni, di condividere insieme nuovi momenti, di riempire il vuoto di quei lunghi anni…
Ma al Master Course non era da solo, doveva avvisare gli altri, così quel pomeriggio aveva contattato i Quartet Night, dicendo loro che aveva bisogno di annunciare una cosa importante, ed ecco perché ora erano riuniti lì.
Improvvisamente la porta si spalancò e anche Reiji entrò, poi si accomodò sulla sedia accanto a Ranmaru e si mise in ascolto.
«Aine verrà al Master Course».
Reiji spalancò gli occhi.
Gelo.
Non sentì altro che questo all'udire quelle semplici parole.
Rimase immobile, gli occhi fissi sul volto inespressivo del più piccolo del gruppo eppure, lo sapeva, in quel momento doveva essere davvero felice anche se non lo mostrava.
Eppure lui... come si sarebbe dovuto sentire lui? 
«S-si è svegliato?», incrociò gli occhi con quelli gelidi ma accoglienti di Ai, e in quel momento un'emozione sfumò la sua solita espressione distaccata. Era forse rimorso quello? Non sapeva che dire, si sentiva gli occhi dei compagni addosso e lui era lì, in una specie di limbo, con quell'unico nome in testa. "Aine".
Da quanto tempo non lo sentiva nominare?
«Perché non mi hai detto niente?», tentò di chiedere, nonostante Ai in quel momento sembrasse non voler rispondere. Ringraziò mentalmente Ranmaru che gli aveva stretto piano la mano, come a dirgli di non perdersi, come a dirgli che lui sarebbe stato sempre al suo fianco.


Ranmaru vide l'espressione di Reiji diventare quella di chi ha appena ricevuto una coltellata, prima di gelare sul posto. Vederlo in quel modo faceva male anche a lui, sebbene non l'avrebbe mai ammesso.
Contro ogni sua regola, gli prese una mano: sapeva che gli serviva, che aveva bisogno di una qualsiasi forma di contatto per non andare in pezzi.
E così Aine non era più un semplice fantasma nella loro vita ora, era reale. Era più reale che mai, e lui non sapeva bene cosa aspettarsi.
Aveva sentito Reiji piangere milioni di notti per lui, l'aveva visto crollare mille volte solo a quel nome.
Era abbastanza sicuro di odiare quel ragazzo che riusciva a far male a Reiji pur non essendoci.
Lanciò uno sguardo irritato al minore del gruppo:
«Perché non l'hai avvisato, Mikaze?», chiese, continuando a fissarlo in cagnesco.


Ai aveva previsto le reazioni di entrambi: ormai li conosceva da tempo, sapeva anche della relazione tra Ranmaru e Reiji e del dolore di quest'ultimo al ricordo di suo fratello.
Sostenne lo sguardo arrabbiato di Kurosaki, con la solita freddezza.
«È successo due giorni fa e sono rientrato oggi», disse, sfidandoli ad infuriarsi con lui. «Le sue condizioni sono stabili e fra pochi giorni tornerà. Qui, al mio fianco», specificò.
Dovevano capire che ormai Ai aveva qualcuno al di fuori dei Quartet Night e che non l'avrebbe abbandonato, nemmeno se Ranmaru o Reiji fossero stati in disaccordo con lui.
Avrebbero potuto ribellarsi.
Avrebbero potuto minacciarlo di escluderlo dai Quartet Night.
Avrebbero potuto dire o fare quello che volevano: lui Aine non lo lasciava più.

Vedere quell'espressione di sfida sul volto del compagno faceva arrabbiare Reiji: ma con chi diavolo credeva di avere a che fare? Era vero, lui era suo fratello ed era logico che tenesse ad Aine più di chiunque altro, ma questo non significava che lui fosse l'unica persona che aveva sperato, negli anni, che Aine si risvegliasse.
Reiji l’aveva amato, l’aveva amato per davvero e aveva creduto in lui con tutto il suo cuore. Aveva sempre saputo che prima o poi si sarebbe svegliato, nonostante questa consapevolezza si fosse infangata di dolore nel corso degli anni. E adesso si ritrovava qui, di fronte ad Ai che gli diceva che Aine sarebbe tornato al suo fianco. Cos'era stato lui per Aine allora? Solo una persona che lo aveva fatto soffrire e non lo aveva capito nel momento del bisogno? Era forse per questo che Ai non gli aveva detto nulla? Perché lo riteneva responsabile? Ai lo odiava, lo odiava per non aver salvato suo fratello quando ancora era in tempo, ma tenerlo all'oscuro di una cosa così importante non era giusto. Si alzò di scatto, avvicinandosi al più piccolo a passi veloci per soffiargli in faccia, con una rabbia repressa che stava lentamente montando in lui, queste parole: «Avresti dovuto dirmelo».
Ranmaru scattò in piedi, cercando di nascondere l'ira che provava per quel ragazzino viziato e raggiunse Reiji, afferrandogli una spalla e tirandolo via dal suddetto ragazzino.
Non gli era piaciuto il suo tono di sfida, e aveva intenzione di mettere in chiaro un paio di cose: «Mikaze, non ho voglia di star qui a litigare. Va benissimo se…», impiegò qualche momento per trattenersi dallo sputare quel nome con astio e riguadagnare il controllo, «Aine viene qui con noi. Ma potevi pensare anche a lui», indicò Reiji alle sue spalle, «e dirglielo un attimo prima!». Con quello voltò le spalle al ragazzino e fissò il conte sociopatico del gruppo: «Hai niente da dire, tu?».
In tutto quello, infatti, Camus non aveva mosso un muscolo.
La notizia l’aveva turbato, sapendo che l'entrata in scena di Aine avrebbe portato squilibrio all'interno dei Quartet Night.
Il piccoletto lo avrebbe difeso a tutti i costi, Reiji ne era evidentemente scioccato e Ranmaru sarebbe stato al suo fianco. L'unico a cui non cambiava nulla era proprio lui.
«Hai niente da dire, tu?», si sentì chiedere.
Infastidito dal tono che aveva utilizzato, rispose: «Kurosaki, Kotobuki. Mikaze ha dato le sue motivazioni. Se non ha potuto non è stata colpa sua», disse, prendendo le difese del collega che preferiva.
Sentì lo sguardo grato di Ai su di sè e lo ricambiò senza scomporsi.


Sapere di avere dalla sua parte Ranmaru confortava molto Reiji, che sapeva con  certezza di potersi fidare di lui e gli era profondamente grato di questa presa di posizione. Quello che non si aspettava era la reazione di Camus a quella faccenda.
Perché diavolo adesso doveva prendere una posizione così netta se a malapena sapeva ciò di cui parlavano?! Si voltò di scatto verso il conte per rivolgergli le sue parole d'astio. «Non è stata colpa sua? Ma non vedi che non si è minimamente preoccupato neanche di chiamare? Ha aspettato due giorni! Due fottutissimi giorni prima di dirci, di dirmi, che si è svegliato e adesso non ammette nemmeno di aver sbagliato!». Sentiva il viso andargli a fuoco dalla rabbia, le mani tremare come anche le gambe, mentre gli occhi gli bruciavano per lacrime trattenute che non aveva intenzione di lasciar andare di fronte ai suoi compagni. Non si sarebbe mostrato debole in quella situazione, non doveva! E questo non lo bloccò dal proseguire. «Chi sei tu per dire che ha fatto bene? Chi sei tu per dire che ha avuto ogni diritto di tenermi all'oscuro di questo? Hai idea di quanto abbia aspettato il momento che si risvegliasse? NE HAI LA PIÙ VAGA IDEA??».
Per quanto avesse cercato, non poté fermare quella lacrima solitaria che gli solcò il volto.
Ranmaru fissò Reiji sempre più inorridito, mentre la sua mente impazziva nel tentativo di trovare un modo per aiutarlo.
Lo vide lottare con le lacrime mentre parlava di quanto aveva aspettato Aine e il suo risveglio e si costrinse a non farsi toccare da quelle parole mentre gli asciugava la lacrima sfuggita ai suoi occhi con un gesto imbarazzato, poi si voltò furiosamente verso Camus:
«Se non sai cosa dire, conte da strapazzo, allora cacciati quello scettro ridicolo in bocca e sta zitto! Come puoi difenderlo?! È un mostro a cui non importa nulla degli altri!»
Trattenne l'impulso di colpire il conte e si voltò di nuovo verso Reiji, cercando di non far vedere quanto realmente
"Un mostro". La parola suonò quasi assordante nelle orecchie del minore.
«È quello che pensi davvero, Kurosaki?», gli chiese Ai, mantenendo il suo solito tono freddo. Fingendo che quelle parole non lo avessero ferito. «Potevi dirlo prima di accettare di far parte di questo gruppo».
Gli si avvicinò, non potendo evitare di mostrarsi un po' irritato: «È già la seconda band che distruggi, Kurosaki», disse, annunciando così il suo ritiro.
L'avrebbe fatto, oh sì, si sarebbe ritirato sul serio. Come poteva stare nello stesso gruppo di qualcuno che non lo capiva e che lo considerava “un mostro”?
«Vergognati», gli sibilò faccia a faccia e poi con uno scatto si girò verso la porta ed uscì, lasciandosi quei cretini alle spalle.
Camminò a grandi passi verso la sua camera, sentiva i passi di Camus dietro ai suoi.
«Mikaze», lo chiamò una prima volta.
Ma Ai non rispose, sapeva che sarebbe scoppiato, altrimenti.
«Mikaze, fermati!», gli ordinò il conte.
Ai si voltò di scatto verso di lui. «Qual'è il loro problema?!» chiese furibondo alzando il tono della voce.
«Non glien'è mai, dico mai, fregato niente! Reiji poteva essere triste quanto vuoi ma non è mai andato a trovarlo! Mi ha mai chiesto di portargli i suoi saluti? Mi ha mai chiesto come stava?? Si è mai interessato?!» si sfogò gridando. Non gli importava se quelli lo avessero sentito. «Hanno mai chiesto come stavo io? Sono mai stati accanto a me, nei miei momenti di fragilità? No, MAI!!». Sospirò per tranquillizzare la furia che gli stava offuscando il cervello.
«Ho passato i due giorni più belli della mia vita, questo è tutto», detto questo si voltò verso la sua camera buia e là dentro scomparve.


Ranmaru ispirò bruscamente alle parole del minore.
No che non le pensava veramente quelle cose, era solo arrabbiato per il modo in cui aveva trattato Reiji.
"La seconda band che distruggi".
Anche i Quartet Night erano finiti.
Per colpa sua.
Si coprì il viso con una mano, cercando di riprendere il controllo e non cominciare ad iperventilare. Non voleva arrivare a tanto, non voleva perdere quel gruppo. 
Era serio agli Utapri Awards, quando diceva che avrebbe accettato di lavorare in gruppo solo seriamente.
«Ai», sussurrò con un filo di voce.


Le parole del minore erano state una vera stilettata al cuore per Reiji. Non potevano sciogliersi. I Quartet Night era tutto ciò che gli rimaneva, tutto ciò che lo teneva a galla. Senza questo gruppo, senza le loro canzoni sarebbe sicuramente affondato. Si sedette sulla poltroncina più vicina, coprendosi con le mani gli occhi e appoggiando i gomiti alle ginocchia. Ranmaru non pensava davvero quello che aveva detto, lui lo sapeva, forse lo conosceva meglio di chiunque altro lì dentro ed era certo che nutriva una profonda stima verso il più piccolo del gruppo, come anche lui dopo tutto. Non potevano finire così, non dopo tutto quel tempo che avevano trascorso insieme. 
Alzò gli occhi verso Ranmaru che in quel momento gli parve dimostrare molti meno anni di quelli che realmente aveva. Si sentiva in colpa, glielo si leggeva negli occhi, e così anche lui per aver accusato Ai ingiustamente, ma quando si toccava il tasto 'Aine', Reiji non capiva più niente. Era sempre stato spaventato da quello che sarebbe potuto succedere sia se fosse morto sia se si fosse risvegliato. Aveva sempre avuto paura dei cambiamenti troppo radicali e questo era uno di quelli. Cosa sarebbe successo di lì in avanti? Cosa avrebbe dovuto dire ad Aine quando se lo sarebbe ritrovato di fronte? E cosa avrebbe dovuto fare per farsi perdonare da Ai?
Con questi pensieri in mente si alzò e si diresse verso Ranmaru per abbracciarlo da dietro e sussurrargli all'orecchio nel modo più dolce possibile, dal quale però traspariva una tristezza velata: «Risolveremo tutto Ran-ran. Ce la faremo anche questa volta. E alla fine saremo di nuovo tutti e quattro insieme».
Le braccia di Reiji lo circondarono da dietro, e la sua voce dolce e triste gli promise che avrebbero superato anche quella, che i Quartet Night sarebbero tornati insieme.
Voleva credergli, voleva farlo, ma...
«Rivedrai Aine», mormorò, senza più energie per tener su la sua facciata: teneva il capo chino e le spalle curve, e non ricambiò l'abbraccio. «So quanto è importante lui per te, perciò… se tu preferissi tornare con lui, o passarci più tempo…», si rigirò nell'abbraccio, guardandolo seriamente e sperando che non gli si leggesse il dolore in viso, «….io capirei», concluse, con un sorrisino.
Rimasero in silenzio per un po', poi Ranmaru strinse a sé il maggiore:
«Devo aggiustare le cose con Mikaze», mormorò, «tu tieni troppo ai Quartet Night. Non ti sopporterei se dovessimo scioglierci».
La maschera era tornata al suo posto.

Camus lo aveva capito: se Ai faceva o non faceva qualcosa, una motivazione c'era sempre. Per quello lo aveva sostenuto nel litigio di prima, sapeva che il ragazzo aveva avuto una motivazione valida per avvisarli dopo due giorni (anche se a Camus non interessava nulla del ritardo) e l'aveva saputa durante il suo sfogo. A quanto pare Ai si era sentito il solo a dover portare il peso del coma di suo fratello, il solo a comprenderlo, quindi durante la scenata di Reiji e Ranmaru, lo aveva innervosito che i due, che non erano neanche mai andati a trovare Aine, che avevano lasciato il giovane del gruppo da solo, fingessero di tenerci esagerando le loro reazioni.
Camus stette qualche secondo nella stessa posizione, fermo e immobile, fino a quando sentì quello che temeva: dall'altra parte della camera provenivano dei singhiozzi deboli e sommessi.
Ai non voleva davvero arrivare a lasciare il gruppo, ma sentirsi dare del mostro in tono così dispregiativo lo aveva ferito e gli aveva fatto capire che non era la gente giusta per lui. Camus sapeva che il ragazzino sicuramente pensava quei due come due grandi bugiardi.
Il conte si girò, tornando sui propri passi per dirigersi nella sala con i due stolti. Avevano fatto piangere Ai, adesso lo avrebbero sentito!!

Reiji non sentiva la voce di Ranmaru così triste da tanto tempo. Odiava sentirlo così, vedere tutte le sue difese abbassate e percepire il suo dolore solo guardandolo negli occhi. Per quanto gli facesse piacere che ogni tanto mostrasse i suoi veri sentimenti, non era questo che voleva. Lo preferiva di gran lunga con quella sua maschera di prepotenza e arroganza perché quando la toglieva voleva dire che qualcosa lo aveva ferito nel profondo. Gli accarezzò piano il volto, circondandoglielo con entrambe le mani e alzandosi sulle punte per stampargli un leggerissimo bacio sulle labbra, quasi impercettibile. «Non dire mai più una cosa del genere, Ran-ran. Non so cosa succederà quando rivedrò Aine, ma so per certo che sei tu che amo alla follia ed è con te che voglio passare il resto della mia vita. Non posso dire che Aine è acqua passata perché mentirei a te, a lui è anche a me stesso, ma sei tu che voglio, Ranmaru. Quindi per favore, non avere più dubbi». Prese un bel respiro prima di riprendere, cercando di dare un'intonazione  un po' incoraggiante nelle sue parole. «Forza ora. Dobbiamo chiarire entrambi con Ai, no?!», sorrise, cercando di sciogliere un po' della tensione accumulata in quei pochi minuti.
Il bacio leggero e gentile e le parole incoraggianti di Reiji dissero a Ranmaru che il maggiore aveva cominciato a preoccuparsi per lui, che era l'ultima cosa che voleva. Quindi decise di ricorrere a tutte le sue doti da attore e assumere un atteggiamento indifferente mentre si infilava le mani in tasca: «Andiamo a cercare Mikaze e quel conticiattolo da quattro soldi... sperando che ci stiano a sentire».
La possibilità che questo non succedesse, che Ai non volesse nemmeno ascoltarlo, lo spaventava a morte e lo preoccupava oltre i limiti dell'umano.
Non riteneva Ai un mostro. Cioè si, ma un mostro in campo musicale: un quindicenne che faceva musica come lui era per forza un mostro. Ma quello era l'unico contesto in cui avrebbe usato una simile parola per descriverlo!!
«Ho esagerato con lui», sospirò fra sé e sè.
Gli tornarono alla mente gli innumerevoli litigi fra i loro kohai: uno dei peggiori era scoppiato fra Ren e Ichinose e si era poi esteso al resto del gruppo che aveva preso le difese dell'uno o dell'altro. Si erano detti di tutto, erano quasi arrivati alle mani, ma alla fine era bastata una battuta di Kurusu, un sorriso di Ittoki e un insulto di Masato per rimettere tutto al suo posto.
Gli Starish si perdonavano tutto, i Quartet Night avrebbero potuto fare altrettanto?
 
**********************************
Angolino autrici!
Salve a tutti!! :D
Ed ecco il capitolo 2! Ne abbiamo altri pronti, e man mano li pubblicheremo ;)
Speriamo che questi vi siano piaciuti finora, se voleste lasciare una recensioncina fareste felici 4 povere anime! xD
Giusto per darvi  un’idea, comunque, ecco la legenda delle rolers!
Ai e Camus - Lyel
Reiji - Pinky_Neko
Ranmaru - Starishadow
In futuro farà la sua comparsa anche Lerenshaw, abbiate un po’ di pazienza ahaha
A presto!!!
Baci,
Lyerenshadow_Neko

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Capitolo 3
*** Making up ***


Camus spalancò la porta della sala prove in cui si era tenuta la riunione, trattenendo a stento la rabbia e preoccupato per il piccolo del gruppo. Vide Reiji e Ranmaru abbracciati l'uno all'altro.
«Finitela di fare i piccioncini voi due! Vi sembrava il modo di trattare quel ragazzo? », disse con tono più duro del solito ai due che lo guardavano.
«Vorrei ricordarvi che nonostante non sembri, ha pur sempre quindici anni! E mettetevi per una volta nei panni degli altri, stolti!»
Fece roteare lo scettro e lo puntò di scatto verso Ranmaru, facendolo arrivare a pochi millimetri dal suo naso: «Non mi sono dimenticato quel 'conte da strapazzo', non ti ho ucciso per questione prioritaria », annunciò.
Loro lo fissavano ancora, senza parole. Adesso si sentiva più come una mammina che doveva risolvere i contrasti tra i figli. «Correte a scusarvi o vi mando a letto senza cena! »

La camera era completamente buia e vuota, i suoi deboli singhiozzi rimbombavano sulle pareti.
Asciugandosi le lacrime che aveva cercato di trattenere, con la manica della divisa, Ai fece un profondo sospiro per tranquillizzarsi.
Non avrebbe dovuto soffrire per gli altri o per lo scioglimento dei Quartet Night: quando aveva iniziato a sentirsi così affezionato al gruppo?
La sua schiena iniziava a dolere appoggiata contro la porta della stanza, così si alzò e si poggiò sul letto. Sfinito dal pianto e psicologicamente provato, sistemò la testa bene sul suo cuscino e si addormentò, stringendo nella mano la collana che suo fratello gli aveva dato prima di andare in coma e che non aveva mai tolto.
Non si accorse quindi di quando i suoi tre compagni entrarono nella stanza.

Varcarono la porta della stanza di Ai accolti da un religioso silenzio che venne spezzato solamente dal cigolio prodotto da questa fino a quando non venne rinchiusa. Si fermarono tutti e tre di fronte al letto del minore: rivolgeva loro la schiena, adagiato sopra le coperte che non si era premurato di scostare. Steso su un fianco in posizione fetale dimostrava molti meno anni di quanti effettivamente aveva.
Reiji non poteva vederlo in viso ma era quasi sicuro che i suoi occhi erano arrossati da un pianto appena arrestatosi. A quel pensiero strinse i pugni: lui era il più grande del gruppo eppure non aveva fatto altro che attaccare Ai quando invece avrebbe semplicemente dovuto difenderlo. Se lo era ripromesso quando avevano fondato la band: non avrebbe fatto fare ad Ai la stessa fine di suo fratello, l'avrebbe difeso dagli orrori del mondo nel modo in cui non era riuscito con Aine. E aveva fallito. Di nuovo.
Ricacciò indietro le lacrime che gli si stavano già formando negli occhi e si avvicinò al letto. Gli accarezzò i capelli lentamente scostandoglieli dalla fronte e gli sorrise, malinconico, quando gli occhi di Ai, risvegliatosi a quel contatto, incontrarono i suoi.
«Sono uno stupido, Ai-Ai», sussurrò, facendosi comunque sentire dal più piccolo. «Me la sono presa con te quando l'unico che avrei dovuto incolpare ero io. Potrai mai perdonarmi? »

Ranmaru rimase esitante accanto alla porta, non molto lontano dal conticiattolo da quattro soldi. Non aveva il coraggio di avvicinarsi dopo quello che gli aveva detto, e sebbene volesse chiedergli scusa, non riusciva a convincersi a farlo. Si concentrò piuttosto su Reiji, in quel momento vulnerabile quanto il quindicenne, mentre sussutrava parole di scusa e sfiorava i capelli al minore.
Lui non sarebbe stato capace di farlo. Quando si accorse che il ragazzino aveva aperto gli occhi fissò lo sguardo su uno degli stupidi pupazzetti di piyo-chan o come diamine si chiamava e borbottò: «Anche a me dispiace. Non dovevo dire quelle cose, Mikaze », la sua voce era fredda e scostante come sempre, ma in fondo al suo cuore sperava che il ragazzino capisse le sue sincere intenzioni.

Qualcosa si mosse sulla sua fronte. Nell'inconscio del sonno Ai pensò si trattasse di un insetto, ma poi, svegliandosi, capì che quella era una mano.
Una mano? Ci aveva impiegato qualche attimo a realizzarlo, in fondo da quanto tempo nessuno lo toccava così? Da quanto tempo qualcuno non cercava questo tipo di contatto con lui?
La mano era calda ed esitante, ma andava bene così: tenne gli occhi chiusi ancora per qualche secondo, fingendo di dormire ma in realtà beandosi di quel contatto.
Aprì gli occhi stanchi dal pianto, trovandosi davanti Reiji che non scostò la mano dai suoi capelli e continuò ad accarezzarli. «Sono uno stupido Ai-ai, me la sono presa con te quando l'unico che avrei dovuto incolpare ero io. Potrai mai perdonarmi? »
Ai non l'avrebbe mai rivelato, ma per il fatto che Reiji fosse là, davanti a lui e che lo trattasse in quel modo, il ragazzo lo aveva già perdonato.
«Anche a me dispiace. Non dovevo dire quelle cose, Mikaze », aveva sentito la voce di Ranmaru sulla soglia. In realtà con lui ancora ce l'aveva ma... neanche lui era stato tanto gentile quando gli aveva rinfacciato la sua precedente esperienza con una band.
Scostò con un gesto infastidito la mano di Reiji e si alzò a sedere sul bordo del letto. Ringraziò il buio che sperava stesse nascondendo i suoi occhi gonfi. «Mai più », sussurrò. «Che non succeda mai più. È chiaro? »

Reiji rimase un attimo scioccato quando Ai, con gesto brusco, gli allontanò la mano e si mise a sedere.
«Mai più. Che non succeda mai più. È chiaro? », sentì dire dalla voce flebile di Ai e per un attimo credette di aver visto un tremito smuovere le sue spalle. Sicuramente stava ancora soffrendo per ciò che gli avevano detto e lui in quel momento si sarebbe cucito la bocca per fare in modo di potersi trattenere di più in futuro.
Credeva ancora nelle cose che aveva detto, ma avrebbe dovuto riflettere bene su come dirle prima, senza sputare addosso sentenze a un ragazzino di soli quindici anni. Ora però doveva lasciare da parte le sue convinzioni e concentrarsi su Ai. Lo aveva fatto soffrire abbastanza in quei pochi minuti e lui era il maggiore, dannazione! Non si sarebbe più concesso delle scenate simili di fronte a lui e soprattutto non si sarebbe più permesso di far star male il minore in questo modo.
«Allora anche tu, Ai-Ai. Mai più. Non piangere mai più. Solo lacrime di gioia devono scendere dai tuoi occhi. » E lo abbracciò, sperando che almeno questa volta non lo allontanasse.

Ai non ricordava quanto un abbraccio potesse essere piacevole. Non sapeva di quanto avesse bisogno di esso, fino a quando non si ritrovò in quello di Reiji. E si sentì liberato di qualcosa, come di un peso che non aveva mai sentito.
L'ultimo era stato quello di Aine prima che andasse in coma e da allora aveva aspettato il suo risveglio per riceverne un altro, ma al momento della ripresa Aine non aveva avuto abbastanza forza per farlo.
Non spinse via il maggiore, perché sapeva che lo avrebbe ferito e in realtà non ne aveva molta voglia.
«Io non ho pianto», borbottò quella piccola bugia.
Da sopra la spalla del suo 'collega' vide Camus posizionarsi dietro a Ranmaru e, con entrambe le mani, spingerlo verso di loro, cogliendolo di sorpresa.

Ranmaru stava osservando la scena davanti ai suoi occhi, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco e una morsa al petto nel vedere il robotico ragazzino così fragile da ricordargli uno di quei gattini randagi che si assicurava di accudire ogni mattina, quando sentì due mani spingerlo verso i due abbracciati.
Camus.
Notando lo sguardo di Ai su di lui, Ranmaru decise di fare un tentativo per sciogliere la tensione, e sbottò: «Lascami, conte Camula col parrucchino!»
«Conte Camula?», esclamò l'interpellato, quasi inorridito. «Senti, rockettaro dal cervello di una falena, ancora non mi sono dimenticato di come ti sei rivolto prima a me, di classe sociale decisamente più alta della tua», rinfacciò, minacciando implicitamente una vendetta.
«Guarda te se uno stolto gattofilo deve offendere i miei preziosi capelli», borbottò tra sè e sè, accarezzandoli.

Sentendo il battibecco di quei due, Reiji si scostò da Ai, restandogli comunque seduto accanto sul bordo del letto, e prese a fissare i due, incredulo, fino a che una risata non gli scoppiò in gola. Ecco perché amava così tanto Ranmaru, in qualsiasi occasione, anche nelle più drastiche, cercava di smorzare la tensione mettendosi a litigare su cose inutili, spesso e volentieri proprio col conte che finiva sempre tra le sue mire. I due si voltarono a guardarlo, mentre a stento tratteneva le lacrime e cercava di articolare una frase di senso compiuto tra le risa asfissianti.
«Conte Camula col parrucchino!! Stolto gattofilo!!»
Dopo buoni minuti di incessanti risate, cercò di darsi un contegno e buttò un occhio verso Ai sperando che quel teatrino impostato dagli altri due lo avesse, anche se di poco, tirato su di morale.

La risata di Reiji risuonò per la stanza come musica alle orecchie di Ranmaru, che però camuffò attentamente la sua soddisfazione, e in più non osava guardare Ai, sebbene si augurasse di averlo almeno fatto sorridere (bah, la presenza di Reiji e quel suo assurdo kohai infantile gli faceva male), ma gli insulti di Camus richiedevano vendetta: «Io gattofilo? Sei tu che ti stai accarezzando quel persiano che hai sulla testa, contuncolo dolciofilo! E non tirarmi in mezzo lo status sociale, non siamo più nel medioevo, membro mancato degli abba!»
Ok aveva iniziato ad arrampicarsi sugli specchi, se Ai non avesse iniziato a ridere presto sarebbe finita in un'umiliante sconfitta per lui.
Ma farlo ridere non bastava.
Sospirò e tornò serio: «Resta lì in stand by», ordinò a Camus, per poi voltarsi verso Ai e avvicinarglisi, con aria dura e seria.
«Davvero, Mikaze. Non... non penso nessuna di quelle cose, soprattutto non ti ritengo un mostro. A dire il vero sei l'unico che sopporto in questo branco di psicopatici schizzat... KOTOBUKI LA SMETTI DI RIDERE?!?!»

Lo aveva capito che tutta qull'improvvisa ilarità era per lui. Sapeva che tutti stavano cercando di tirarlo su di morale, Ranmaru in particolare aveva intavolato quel teatrino. Si sentì quasi di perdonarlo. Ma Ai non sorrise, non perché volesse sforzare un broncio sulle sue labbra o mostrare un sorriso, semplicemente quelle frecciatine non lo divertivano (non l'avrebbero divertito neanche in una situazione di pace).
Decise di credergli quando Ranmaru si rivolse a lui incrociando lo sguardo per la prima volta in quella stanza e gli disse che era l'unico che sopportava. Sapeva che in realtà quello che sopportava di più era per l'appunto il suo ragazzo, ma Kurosaki non l'avrebbe mai detto.
Così, mentre i loro comportamenti sfioravano la soglia della quotidianità, Ai iniziò a sentirsi più a suo agio.
«Ranmaru...», lo chiamò, distraendolo dall'insultare Reiji. Abbassò lo sguardo: «Mi spiace aver toccato una ferita scoperta prima. So quanto per te siano importanti... le band.»

Ranmaru lanciò un'occhiata al ragazzino: i suoi tentativi di divertirlo erano falliti miseramente, ma almeno quell'imbarazzante tentativo di chiedere scusa aveva avuto l'effetto desiderato.
A disagio, fece un sorrisino poco convinto. «No, davvero. Quella è acqua passata. Non volevo... uhm...», si guardò attorno, «farti piangere.» E dopo quelle parole gli tese la mano destra, col cavolo che lo abbracciava come se lui fosse Reiji!
Reiji guardò Ranmaru porgere la mano ad Ai sicuro di sé, anche se poteva leggergli negli occhi la paura che il gesto venisse rifiutato. Si sentiva fiero di lui in quel momento, mentre ancora sghignazzava e piano piano riusciva a controllare l'attacco di risa, perché si vedeva che stava facendo di tutto per mantenere insieme questo gruppo. Probabilmente un tempo non si sarebbe mai abbassato al punto di chiedere della scuse e invece in quel momento era lì pronto a rinunciare in parte al suo orgoglio di uomo tutto d'un pezzo. Era cresciuto a livello umano, aveva un sogno e voleva raggiungerlo coi quartet night, insieme ai suoi amici. Lo guardò, felice di vedere come il suo compagno stesse cercando di lasciarsi alle spalle il passato per guardare solamente al futuro. Forse avrebbe dovuto fare così anche lui, ma l'incognita Aine aleggiava ancora nell'aria.

Ai lo vide tendere la mano destra verso di lui. Gli faceva piacere che Ranmaru dimostrasse così tanta fiducia e così tanto attaccamento ai Quartet Night.
Di rimando si alzò in piedi guardandolo dritto negli occhi con la sua solita sfacciataggine e gliela strinse. Debolmente, perché gli avvenimenti di quei giorni lo avevano destabilizzato un po'.
Quando slegò le loro mani guardò i suoi compagni. Reiji era ancora sul letto con ancora le lacrime agli occhi dalle risa, Ranmaru lo stava adesso guardando sicuramente chiedendosi cosa avesse intenzione di fare, Camus era appoggiato con la schiena alla porta della stanza. Ricambiò lo sguardo di quest'ultimo e avvicinandoglisi sorrise, in modo che solo lui potesse vederlo. Lo ringraziò in quel momento per avere portato Reiji e Ranmaru nella sua stanza - ne era sicuro, finiva sempre a fare la mammina - e per averlo sostenuto.
Superata la soglia della stanza, dal corridoio disse: «Ho fame... Andiamo a mangiare?»
E si illuse che tutto fosse risolto, perché in realtà aveva paura di cosa sarebbe successo quando Aine sarebbe entrato al Master Course: magari tutto, magari nulla.
Scacciò via quei pensieri e si diresse in cucina, seguito dai suoi starnazzanti compagni di band.




Buonsalveeeeee! (?)
Siamo consapevoli di essere sparite per mesi, e ci dispiace :S è difficile trovare una di noi che riesca a correggere le role (perché nel caso non si fosse notato, tutto questo nasce da una role...) e pubblicarla. Aaaanyway (momenti alla Shining... perdonateci), volevamo ringraziarvi di cuore per le recensioni!! Scusate se ci mettiamo tanto a notarle, da ora saremo più efficienti ^^" e per quanto riguarda i capitoli, ne abbiamo alcuni già pronti, quindi potremo aggiornare un po' più in fretta!! :D grazie ancora per la pazienza, speriamo che vi sia piaciuto anche questo capitolo e... continuate a seguirci! ^^
Bacioni a tutte :*

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Capitolo 4
*** Coming Home ***


Finalmente quel tanto atteso giorno era arrivato. A Reiji tremavano le gambe, non riusciva a concentrarsi quando qualcuno gli parlava, non era nemmeno riuscito a mangiare qualcosa per colazione. Una questione di minuti, attimi, e Aine avrebbe varcato la soglia del Master Course. Cosa avrebbe fatto in quel momento? Non aveva idea di come sarebbe stato rivederlo dopo tutto quel tempo. Cinque anni, dannazione! Cinque anni in cui non aveva fatto che piangere nel ricordo di quello che erano stati e sarebbero potuti essere se il destino glielo avesse permesso. Cinque anni in cui con la mente aveva ripercorso i lineamenti dolci del suo viso, il profilo slanciato del suo corpo, il sorriso dolce che sapeva rivolgere solo a lui nei loro momenti più intimi. Aveva paura. Era letteralmente terrorizzato da quello che si sarebbe trovato davanti. E se l'Aine che ricordava non ci fosse più stato? Se in quei cinque anni tutto il mondo che aveva vissuto con lui si fosse disintegrato completamente? Sapeva che quel periodo non sarebbe più potuto tornare indietro. Ora c'era Ranmaru con lui e mai al mondo lo avrebbe lasciato, di questo ne era certo. Però non avrebbe mai voluto perdere quella complicità che si era creata nel corso degli anni con Aine e aveva paura che davanti a sé, una volta che il ragazzo avesse varcato la porta, avrebbe trovato un muro invalicabile.

Aine era seduto sul suo letto accanto alla valigia, le ginocchia portate al petto e il viso posato su esse mentre il suo sguardo vagava fuori dalla finestra. Ancora pochi minuti e sarebbe tornato al Master Course, dopo cinque anni… avrebbe rivisto Ai che in quei giorni era stato sempre con lui, avrebbe conosciuto quegli Starish e Quartet Night di cui gli aveva parlato suo fratello. Avrebbe rivisto Reiji. Si morse le labbra, mentre un sospiro silenzioso gli abbandonava le labbra: come sarebbe stato? Non poteva pretendere che l'altro ragazzo fosse rimasto fedele a lui negli anni, anzi, era più che comprensibile che si fosse rifatto una vita, ma questo lo spiazzava. Come doveva comportarsi? Cosa doveva fare? Gli mancavano Reiji, Hibiki e Kei, ma Ai non gli aveva detto nulla di loro, e lui non aveva chiesto. «Allora, Ine-kun! Sei pronto?», chiese suo zio con un sorriso, entrando nella stanza. Sorriso che si spense nel vedere la sua espressione. «Tutto bene?», chiese allarmato, raggiungendolo.
Aine gli sorrise e scosse la testa, poi rispose con il linguaggio dei segni: "Non so come comportarmi".
Hakase sorrise e gli scompigliò i capelli: «Sii te stesso, Ine-kun».
Aine annuì. Essere sè stesso? Ma lui era fatto di voce e musica, eppure la musica l'aveva tradito e la sua voce… non la trovava. Aveva recuperato tutto, ma non quella.
Mentre metteva gli ultimi libri nella valigia si chiedeva se il Master Course l'avrebbe aiutato in qualche modo.
«Un po' mi dispiace lasciarti andare», ammise Hakase arrossendo.
Aine lo guardò indecifrabile, poi sorrise e lo abbracciò, sperando che questo riuscisse a trasmettergli tutta la sua gratitudine per quello che aveva fatto per lui in quei cinque anni.

Un nuovo sospiro spezzò il silenzio della stanza. Ai si era svegliato presto quella mattina -a dir la verità non aveva dormito- e aveva iniziato a torturarsi le mani. Da quanto tempo non era così nervoso? Quando si era alzato ed era andato in bagno, premurandosi di non svegliare Syo e Natsuki, aveva notato allo specchio che sul viso fortunatamente non c'erano segni delle occhiaie e che le sue mani erano tutte rosse, dopo aver passato una notte a sfregarle l'una contro l'altra. Le aveva sciacquate con l'acqua fredda, gli aveva messo su una crema per idratarle ma… non riusciva a farle ritornare ad un colore più chiaro. Decise allora di mettersi i guanti -quei guanti senza le dita- che gli piacevano tanto, per coprire il frutto della sua ansia.
Si era fatto la doccia più lunga della sua vita, sperando di tranquillizzarsi un po'. Eppure quel tremore non spariva… quella sensazione di calore che gli si era annidata nel petto, quella voglia a malapena controllabile di andare a prendere suo fratello e portarlo al Master Course immediatamente e di peso.
Adesso era seduto sul letto con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Come sarebbe stato suo fratello in mezzo a quegli scalmanati? Sperava che Natsuki non lo assaltasse. Avrebbe inoltre dovuto presentargli Syo, con il quale da un po' di tempo aveva una certa affinità… e qualcosa di più. Come avrebbe reagito? Di sicuro non avrebbe minacciato Syo, siccome dal suo risveglio era rimasto senza voce. Oppure l'avrebbe fatto. Ai si era reso conto che il fratello sapeva comunicare perfettamente, soprattuto con gli occhi.
Sorrise al ricordo di quegli occhi: per quanto tempo aveva desiderato che si aprissero per poterli rivedere? Ogni volta che Ai era andato a trovarlo aveva fissato il suo sguardo in quello del maggiore, cercando di sostituire i ricordi di quando le palpebre erano abbassate e non sapeva se le sue iridi avrebbero mai più visto una luce, un colore, una persona...
Tirò il cellulare fuori dalla tasca dei pantaloni e guardò l'orario. 09:17. Aine sarebbe dovuto arrivare per le 11:00, ma Ai, impaziente, si diresse verso l'entrata. Voleva essere il primo ad accoglierlo per fargli capire che non era solo e che lui, anche se fratello maggiore, poteva dipendere dal minore fino a che non si fosse abituato. Una volta fuori si sedette sui gradini del cancello d'entrata ed aspettò.

«Ok, Ine-kun, sei pronto?», chiese Hakase, sorridendo al nipote che si strinse nelle spalle e scese le scale tirandosi dietro la valigia, rifiutando ogni aiuto da parte di suo zio. La sua personalità cocciuta e orgogliosa non sembrava essere sparita e Hakase era grato di ciò: era già brutto vederlo atterrito e vulnerabile quando la notte si svegliava da un incubo e non poteva nemmeno urlare per chiamarlo (per questo aveva collegato un campanello al suo letto, in modo che suonandolo lui potesse sentirlo e accorrere), se fosse stato così anche di giorno non avrebbe retto.
Aine gli schioccò le dita davanti al viso per attirare la sua attenzione, poi gli indicò con aria eloquente la macchina, ogni centimetro del suo corpo che fremeva di impazienza. «Sei proprio curioso di andare lì, ne~ Aine?».
Il ragazzo fece di nuovo spallucce, poi gli rispose a gesti: "Voglio rivedere Ai!". Mentre salivano in auto, Hakase sorrise e sospirò: «Vi siete visti ieri». Aine replicò con un sorrisino di superiorità che non chiedeva traduzioni: "Tu non puoi capire".

Syo aveva sentito la porta rinchiudersi con un sonoro 'click'. Aprì gli occhi e davanti a sé vide il letto del senpai perfettamente rifatto e in ordine. Doveva essersi già svegliato e la cosa non lo stupiva più di tanto, in fondo era sempre il primo tra loro tre che si alzava.
Si sporse leggermente per vedere se nel letto sopra il suo Natsuki si era alzato, ma il braccio lasciato mollemente cadere da un lato e il respiro lento e costante che udiva gli facero capire il contrario.
Si alzò e si diresse verso il bagno con passo lento e misurato. La mattina non riusciva ad essere mai attivo finché non faceva una doccia fredda che lo risvegliasse completamente. Aprì quindi subito il getto dell'acqua, che si infranse contro la sua pelle lattea donandogli qualche brivido lungo la schiena. Da qualche tempo Ai non era più lo stesso: era sempre agitato per quanto non volesse darlo a vedere e con lui si mostrava anche un po' distaccato. Però lo capiva, suo fratello si era risvegliato dopo un coma durato cinque anni e, per quanto lo infastidisse il fatto che mai gliene avesse parlato di questo Aine, lo comprendeva. Non doveva essere stato facile per Ai sostenere da solo il peso di tutta questa faccenda e sperava vivamente che dopo il risveglio del fratello anche Ai avrebbe potuto godersi di più la vita, senza la paura aleggiante nell'aria di perdere una persona cara. E il giorno tanto atteso era finalmente arrivato. A momenti sarebbe arrivato Aine e si sarebbe trasferito lì al Master Course insieme a tutti loro. Le cose sarebbero cambiate, di questo ne era sicuro, e dovette ammettere a sè stesso che voleva davvero conoscerlo. Era innamorato del suo fratellino e avrebbe voluto sapere ogni cosa di lui, essere partecipe di ogni momenti della sua vita, bello o brutto che fosse. Voleva anche fargli capire che lui ci sarebbe sempre stato in caso avesse avuto bisogno, o anche solo in caso cercasse una spalla su cui piangere. Per questo, dentro di sé, sperava che nonostante tutto le cose non cambiassero drasticamente, perché mai al mondo avrebbe voluto dividere Ai con un'altra persona, ma se si fosse trattato di suo fratello allora non avrebbe potuto far altro che farsi da parte e aspettare che lui stesso decidesse cosa fare, se lasciarlo o meno. Ma lui non sarebbe certo stato a guardare in caso scegliesse la prima opzione, perché mai al mondo avrebbe rinunciato ad Ai.

Guardò l'orologio, sempre più impaziente. Fissava i secondi passare da quando si era seduto sulle scale, tanto che aveva iniziato a contarli man mano che la lancetta si spostava. Tante volte si era alzato in piedi, intenzionato ad andare all'ospedale a prendere suo fratello, ma poi si era ripetuto che ogni cosa ha il suo tempo.
Sentì da lontano il rombo di una macchina e diede una nuova occhiata all'orario: erano le 10:45. Erano loro? In anticipo? Fu tentato di togliersi i guanti e riprendere a torturarsi le mani, mentre fissava il fondo della strada, sperando di vedere presto la macchina che si stava avvicinando.
Quando il veicolo nero comparve, svoltando nella strada principale, Ai scattò dal posto andandole incontro. Alla guida vide suo zio, Hakase, sempre bello e giovanile nonostante fosse più grande di loro di un po' di anni. Al posto del passeggero invece... Ai cercò di mantenere calmo il suo corpo e soffocare un grande sorriso. La macchina si fermò ad un metro da lui e lo zio scese per primo. Gli andò incontro e con una stretta di mano, formale all'apparenza, lo ringraziò di esserci sempre stato, di avere aiutato lui e suo fratello ma soprattutto di averlo portato lì.
«Zio...», esordì un po' esitante. «Da adesso mi prenderò cura io di lui». Lo vide annuire con uno sguardo addolcito.
«Va' da lui».
Ai non se lo lasciò ripetere due volte e camminò incontro al fratello. Era felice di vederlo per la prima volta dopo tanto tempo fuori da quel maledetto ospedale. Intorno a lui non c'era più il bianco delle lenzuola, ma il verde degli alberi e del paesaggio. Vederlo lì gli fece venire in mente il ricordo di quando erano andati per la prima volta in montagna insieme…
Quando se lo ritrovò faccia a faccia, lo abbracciò. Non era da lui prendere l'iniziativa di queste cose ma... Voleva cominciare così la sua nuova vita. Sentì presto le braccia del fratello stringerlo di rimando. Con la testa appoggiata sul suo collo gli sussurrò: «Non ti ci abituare, niisan».
Le vibrazioni del petto dell'altro gli fecero capire che stava ridendo, poi sentì un bacio tra i capelli che gli fece spalancare gli occhi.

Dopo un viaggio che gli era sembrato durare ore se non giorni, finalmente raggiunsero quello che doveva essere il Master Course e Aine aveva iniziato a muoversi sul sedile, impaziente.
Ancora poco e avrebbe rivisto Ai! E Reiji. Se la prima cosa lo riempiva di gioia e impazienza, la seconda lo allarmava, ma tutto a suo tempo. Con la coda dell'occhio vide suo zio sorridere alla sua concitazione, ma decise di fingere di non vederlo e piuttosto cominciò a guardar fuori dal finestrino: il cancello, il viale, gli alberi.... tutto era incredibilmente simile a come l'aveva lasciato cinque anni prima, eppure era tremendamente diverso.
Finalmente arrivarono e furono subito accolti da Ai e, mentre quello salutava suo zio, Aine si era trattenuto dal corrergli incontro e abbracciarlo con tutte le sue forze, sapendo che Ai non era un amante di quel genere di cose. Però fu il minore a sorprenderlo con un abbraccio, che fu più che felice di ricambiare. «Non ti ci abituare, niisan». Le parole sussurrate dal suo otouto gli strapparono una risata silenziosa, e come si separarono, si assicurò di mimare la sua risposta: "cattivo otouto!" e fingere di mettersi a piangere.
Intanto suo zio aveva tirato fuori il suo bagaglio dalla macchina e l'aveva portato in cima alle scale, rispondendo alla sua occhiataccia con un sorrisino di scuse.
«Vi lascio soli», disse. «Ai, tieni d'occhio questa peste, sembra un angioletto, ma non ti fidare». Sorrise affettuosamente scompigliando i capelli del più grande, che si allontanò dal suo tocco con un ghigno.
«Per qualsiasi cosa sapete dove trovarmi…».
I suoi occhi diventarono per un momento lucidi, poi borbottò un "oh, al diavolo!" e li abbracciò entrambi, prima di correre in auto e andarsene.
Aine alzò gli occhi al cielo: che cavolo avevano suo zio e suo fratello contro gli abbracci?!
Si scambiò uno sguardo con Ai, iniziando a sentire di nuovo l'agitazione crescergli nello stomaco. E adesso? Tremando leggermente, prese una mano guantata del fratello e la strinse, un po' in cerca di rassicurazione e un po' per accertarsi che tutto fosse reale. "Dimmi che andrà tutto bene adesso", lo implorò con gli occhi.

Il ghigno di suo fratello era un'espressione imperdibile. Aine gli era così simile d'aspetto ma così diverso nel carattere e Ai si ritovò a pensare con orgoglio che il maggiore era maledettamente meglio di lui.
Erano fermi davanti al portone, ormai bastava scostarlo per entrare. Per iniziare.
Decise di fare l'ultima cosa 'non da lui' della giornata: doveva fargli sapere cosa davvero pensava. Appoggiò una mano sulla guancia del maggiore. «Sei bellissimo», gli sussurrò, incontrando i suoi occhi di nuovo. E intendeva non solo fisicamente, ma anche caratterialmente. Quanta forza aveva avuto tutti quegli anni per rimanere legato al mondo? Mai aveva perso la speranza, mai aveva gettato la spugna, mai lo aveva abbandonato. Quelli di Ai non erano semplicemente affetto e felicità, ma anche ammirazione. Non gli lasciò il tempo di registrare il suo gesto che distolse lo sguardo, appoggiò la mano sulla maniglia del portone e aprì.

Aine era rimasto sorpreso dal gesto del minore e, mentre quello apriva il portone, si portò una mano alla guancia dove fino a poco prima erano state posate le dita fresche di Ai. Un sorrisino si era fatto strada sulle sue labbra. Ne era valsa la pena: tutti quegli anni a star chiuso in quella camera come un fantasma incapace di attraversare le pareti o abbandonare l'ospedale, i giorni e le notti in cui aveva urlato a sè stesso di svegliarsi, la nostalgia per tutto il suo mondo… ogni cosa sembrava prendere un senso ora che si trovava lì, con Ai, davanti all'ingresso del Mastar Course.
Con una mano strinse la maniglia della sua valigia -gli sforzi fisici gli facevano ancora male e lo stancavano in fretta, ma non l'avrebbe mai ammesso a qualcuno-, con l'altra cercò nuovamente quella di suo fratello e lo seguì in quella che sarebbe diventata la sua nuova casa.





    Angolo delle autrici ^·^
Salve a tutti! :DD
E rieccoci al vostro nobile cospetto (si, l'episodio 6 ci ha influenzate... ^^") con un nuovo umile (va bene ora basta xD) capitolo. E ci auguriamo che vi piaccia! E così... Aine è arrivato. Il bello sta per iniziare :3
Solita scaletta:
- Lyel: Ai
- Starishadow: Aine
- pinky_neko: Syo

P.s. siamo liete di annunciarvi che nel gruppo c'è un nuovo arrivo! Fate un caloroso benvenuto a Takkun! :D (Lo scriveremo anche nella bio il prima possibile ahahha)
Lyerenshadow_nekkun

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Capitolo 5
*** Nice to meet you ***


Masato stava scendendo le scale, diretto all'entrata. Era l'ora indicata da Ai, le 11:00 quindi Aine sarebbe dovuto arrivare a momenti.
Dalle 9:30 molti erano impegnati nella ricerca di Ai, che non si era più visto in giro in tutto il Master Course da quell'ora. A dare l'allarme di scomparsa era stato Syo che, preoccupato per il ragazzo che aveva sentito uscire dalla stanza, lo aveva cercato fino allo sfinimento in quell'ora e mezza. Otoya, Cecil e Natsuki si erano fatti prendere dal panico, contagiati dalle emozioni del più basso degli Starish, Ren all'inizio era rimasto esterno alla faccenda, ma non appena aveva visto anche Reiji e Ranmaru iniziare le ricerche si era sicuramente preoccupato e aveva deciso di aiutare. Camus, lui e Tokiya erano gli unici che avevano capito che il ragazzo aveva solo bisogno di uno stacco e che se si era allontanato era perché non si sentiva dell'umore di stare in mezzo alla gente. Di sicuro con l'arrivo di Aine sarebbe ricomparso.
Stava incamminandosi verso l'uscita, per essere presente al momento dell'arrivo per aiutare coi bagagli -o per qualunque altra cosa-, quando vide la porta aprirsi.
Con pochi passi Ai entrò insieme a colui che doveva essere Aine: quest'ultimo era poco più alto del fratello, teneva i capelli sciolti, di un colore molto simile a quello dell'altro, forse giusto un po' più scuro.
Anche ad una rapida occhiata a Masato non sfuggì il fatto che Aine stesse utilizzando Ai quasi come uno scudo, sembrava timoroso. Non gli sfuggirono nemmeno le loro mani intrecciate. I suoi movimenti erano deboli, era chiaro che stava ancora riprendendosi dai cinque anni di coma.
«Masato», lo chiamò Ai. «Ti presento mio fratello, Aine».
Masato scese gli ultimi gradini e tese la mano al nuovo arrivato: «Hijirikawa Masato. Piacere di conoscerti».
Il suo interlocutore si affrettò a ricambiare la stretta, seppur timidamente, per non sembrare scortese.
Fece un breve inchino e mosse le labbra.
«Dice che è un piacere anche per lui», sentì dirgli la voce di Ai.
Masato spalancò gli occhi, sorpreso. Non... parlava? Perchè Ai non aveva detto nulla? Eppure sapevano tutti che Aine era stato un idol molto famoso. Cosa...?
«Si è svegliato senza voce», gli spiegò il senpai, che aveva capito tutto dal suo sguardo.
Il blu, ripresosi dallo shock, gli rivolse un debolissimo sorriso, impercettibile, che voleva essere utile a trasmettergli un po' di forza.
«'Non tutto è perduto'», disse, recitando una delle frasi preferite di suo nonno.
L'altro gli rivolse uno sguardo forte, determinato e Masato capì che Aine lo sapeva e non si sarebbe arreso.
Quel ragazzo gli piaceva.
 
Aine rimase fermo a guardare quel ragazzo che Ai gli aveva appena presentato, mordendosi le labbra e arrossendo.
“Non tutto è perduto”, aveva detto. Era quello che si ripeteva da giorni ormai, quando a volte si sentiva tanto vicino al parlare da separare le labbra e sforzarsi di emettere un suono. Eppure sentiva che qualcosa non andava.
Le sue corde vocali non avevano nulla di danneggiato, la sua lingua e le sue labbra ricordavano tutti i movimenti per parlare, sorridere, ridere... baciare. Ma qualcosa lo fermava all'ultimo momento, un lampo, un ricordo che gli bloccava la gola e gli faceva sprofondare il cuore.
Abbassò lo sguardo e arrossì, vinto dalla timidezza che in fondo lo contraddistingueva e scivolò di nuovo dietro Ai, una mano corse a stringergli il bordo della felpa: aveva paura che, staccandosene, sarebbe sprofondato nuovamente nel buio e in quello stato extracorporeo irreale.
Non l'avrebbe sopportato.
In quel momento sentì una voce bassa e calda chiamare il nome di Masato e la sua presa sul vestito del fratello aumentò.
 
Dopo aver vagato per il Master Course all'inutile ricerca del più giovane senpai, Ren decise di andare verso l'ingresso: Aine stava per arrivare e con ogni probabilità Ai sarebbe stato presente.
Stava scendendo le scale quando sentì la voce di Masato e dell'oggetto delle sue ricerche provenire dall'ingresso.
«Masa?», chiamò, accelerando il passo.
E presto si trovò di fronte al ragazzo, con due persone che gli davano le spalle: una era Ai, l'altra, a giudicare dai capelli lisci poco più scuri del primo e l'atteggiamento intimidito evidente già dalle sue spalle, doveva essere lui.
Kisaragi Aine.
Sentì il suo cuore accelerare appena: era poco più di un bambino quando Aine era un idol all'apice della carriera, ma le sue canzoni gli erano sempre piaciute e, molto spesso, l'avevano consolato e rassicurato.
E ora Aine era lì…
 
Vide il suo ragazzo arrivare alle spalle dei due senpai.
«Masa!», lo aveva chiamato prima che la sua voce potesse spegnersi.
Sapeva quanto Ren tenesse ad Aine, nonostante non lo avesse mai visto e conosciuto. Quando erano piccoli finivano sempre entrambi ad ascoltare i suoi brani, forse Ren aveva iniziato a cantare proprio facendo delle cover delle sue canzoni. Il suo fidanzato era sempre felice di ascoltare Aine, per questo Masato in fondo stimava quel ragazzo appena risvegliatosi dal coma. Lo stimava e ne era anche geloso: lui non riusciva a farlo sorridere al solo suono della sua voce. In quei giorni non ci aveva pensato ma Ren… avrebbe potuto scegliere Aine, avrebbe potuto capire di non amare per davvero il suo serioso amico d'infanzia.
Al solo pensiero gli si strinse il cuore.
Entrambi i fratelli si girarono, contemporaneamente e Ai li presentò.
«Niisan, lui è Jinguji Ren», iniziò. «Ren lui è...».
Fu interrotto proprio dal flirt che affermò con un tono di ammirazione: «Kisaragi Aine».
Masato resistette all'impulso di correre da Ren e tirarlo via da lì.
 
Aine guardò Ren sorpreso: come faceva a conoscere il suo nome? E perché quel tono di ammirazione? Non ricordava perfettamente le sue fan, eppure era quasi sicuro che quello fosse il genere di sguardo che avrebbe potuto ricevere da una di loro.
Fece un piccolo inchino nel presentarsi, poi chiese ad Ai, a gesti, come mai Ren sapesse il suo nome, incuriosito ed in fondo lusingato.
Ren, dal canto suo,  rimase momentaneamente confuso quando vide Aine esprimersi con quello che sembrava essere il linguaggio dei segni, ma non fece domande, aspettò piuttosto che Ai traducesse per lui.
Aine aveva perso la sua voce??
 
Ai si girò verso il flirt, chiedendo spiegazioni da parte del fratello, anche se in realtà anche lui era leggermente curioso. «Aine si è svegliato senza voce...», confermò le preoccupazioni dell’altro. «Chiede come fai a conoscerlo».
Vide gli occhi del kohai spalancarsi e spostarsi alle loro spalle, diretti alla persona che si trovava là dietro.
Ai e suo fratello videro Masato andare incontro a Ren, ammutolito, a passi veloci e intrecciare le mani a quelle del ragazzo più alto.
Il quindicenne alzò un sopracciglio: da quando il blu faceva questo tipo di cose in pubblico?
«Da piccoli ascoltavamo sempre le sue canzoni... abbiamo molti ricordi collegati ad esse», confessò Hijirikawa con il suo solito tono di voce.
 
Ren era confuso dalle azioni dell'amico di infanzia, ma ricambiò la stretta e annuì quando lui spiegò al posto suo, sebbene non capisse esattamente come mai Masato avesse sentito il bisogno di specificare che condividessero ricordi su quelle canzoni.
Poi qualcosa scattò.
Stava quasi per iniziare a ridere, invece lo abbracciò e gli sfiorò una tempia con le labbra. Il suo gelosone!
«Sì, è vero Kisaragi-sama. Diciamo che potresti considerarmi un tuo fan», confermò con un ghigno. A dire il vero, le sue canzoni l'avevano aiutato più di quanto gli piacesse ammettere: dopo che sua madre era morta e suo padre aveva buttato via tutto quello che la riguardava, l'unico conforto musicale che gli era rimasto erano le canzoni di Aine, dolci ma coinvolgenti, rassicuranti e che facevano sempre credere che una nuova speranza fosse sempre possibile. Pensando poi alla vita dell'idol, quell'idea era ironica.
Continuò a stringere Masato. Per uno razionale e serio come lui, essere gelosi di un cantante muto era assurdo, ma non poteva negare che la cosa gli facesse piacere.
 
Sentì il braccio di Ren attrarlo verso di lui e le sue labbra sfiorargli la tempia.
Attaccato al suo petto lo sentì vibrare mentre parlava: «Si, è vero Kisaragi-sama. Diciamo che potresti chiamarmi tuo fan».
Se prima si era beato di stare nel suo abbraccio e di ricevere attenzioni, adesso Masato si innervosì a quel 'sama'. Si divincolò quindi e riuscì a fare un'espressione infastidita, come se non avesse mai voluto il contatto fisico.
«Jinguji, piantala di starmi attaccato», lo rimproverò. «Piuttosto, vai a cercare gli altri e portali qui. Avrai tempo dopo di fraternizzare con Aine-sama», disse cercando di enfatizzare l'onorifico il meno possibile.
 
Aine guardò i due confuso,prima di guardare Ai con aria triste: aveva fatto qualcosa di male a Masato? Sembrava irritato dalla sua presenza, ora...
Ren invece si stava divertendo un mondo, sebbene non gli piacesse il tono di Masato nel parlare di Aine: in fondo era pur sempre un idol più grande di loro che, se le cose fossero andate diversamente, avrebbe potuto essere un loro senpai... o forse addirittura sensei. E lui lo rispettava e ammirava particolarmente, che c'era di male nell'onorifico?
Comunque, Masato geloso era uno spettacolo che non aveva mai visto e non voleva perdersi.
«Haaaai, hai...», sospirò prima di congedarsi e andare a caccia degli altri Starish.
 
Syo era stato tutta la mattina a cercare Ai. Avrebbe voluto essere con lui in quel momento particolare della sua vita, ma forse il più piccolo aveva preferito restare da solo. Non poteva dire di capirlo -non si era mai trovato nella sua situazione e non aveva idea di che cosa avrebbe fatto al suo posto- sapeva solo che voleva vederlo felice e se in quel momento stava meglio da solo allora non si sarebbe imposto su di lui.
Scese le scale velocemente sentendo delle voci provenire dall'ingresso, e ben presto riconobbe quella di Ai tra le altre. E lì lo vide, dietro le figure di Ren e Masato poté ben vedere anche quella di un ragazzo un poco più alto di Ai e dai capelli di una sfumatura più scura proprio di fianco al suo ragazzo. Quelli doveva essere Aine.
Il suo cuore prese a battere più forte mentre l'agitazione lo coglieva impreparato. Come lo avrebbe presentato Ai? Come il suo ragazzo? E Aine sapeva già di loro due, di lui in particolare? Con l'ansia addosso si avvicinò ai quattro ragazzi mentre sentiva le mani tramargli leggermente. Stava per conoscere il fratello di Ai, forse la persona più importante per il ragazzo. Dovette ammetterlo: ci teneva moltissimo a fare bella figura e ad andare d'accordo con quel ragazzo dal sorriso timido.
Quando finalmente gli occhi furono su di lui, lanciò un veloce sguardo ad Ai prima di rivolgere l'attenzione sul più grande. «Tu devi essere Aine giusto?», cominciò, con un piccolo sorriso sulle labbra. E notando lo sguardo stranito dell'interessato si affrettò a dire: «I-io sono Syo Kurusu. Piacere», e gli prese una mano della quale riuscì miracolosamente a controllare il tremito.
 
Alla frecciatina di Masato per Ren, Aine si era voltato verso Ai, chiedendogli con gli occhi perché il blu ce l'avesse con lui. Mentre i due kohai bisticciavano con qualche altro commentino acido, il minore gli sussurrò all'orecchio: «Al tuo fan piace provocare l'altro. Hijirikawa non è arrabbiato con te».
Con un sonoro sbuffo Ren si incamminò alla ricerca tra gli Starish, i suoi passi fecero da sottofondo a quelli di Syo che stava scendendo le scale. Ai fece un mezzo sorriso: lo conosceva bene, sapeva quanto fosse nervoso. Lo capiva da come si muovevano le sue mani, le sue gambe nello scendere gli scalini: chissà come si sarebbe comportato.
Lo vide avvicinarsi lentamente ad entrambi: «Tu devi essere Aine, giusto?», esordì con un sorrisino. «I-io sono Syo Kurusu. Piacere», così dicendo gli prese con decisione la mano libera -quella non intrecciata a quella del fratello.
Ai non aspettava altro se non che si avvicinasse, per mettere entrambi in difficoltà e per testare le loro reazioni.
Afferrò all'improvviso un braccio del kohai e lo trascinò verso di sè, incrociando per un millisecondo i suoi occhi azzurri spalancati dalla sorpresa, prima di abbassarsi sul suo viso e stampargli un bacio sulle labbra.
«Biongiorno».
 
Aine rimase confuso dalle azioni di suo fratello, dopo averlo visto baciare il ragazzo che si era appena presentato.
Sentì diverse emozioni agitarsi fra il petto e lo stomaco: sorpresa, paura, curiosità e... rimpianto.
Quel bacio aveva risvegliato ricordi di un sorriso, di una mano che gli spostava una ciocca di capelli dietro l'orecchio, di labbra che si posavano su ogni centimetro del suo corpo... con occhi lucidi, si guardò intorno, cercando lui, ma non lo vide e poi sapeva che era inutile sperare che Reiji l'avesse aspettato.
Battè le palpebre e si impose di fare la persona civile. Si inchinò a Syo e mimò un ‘piacere di conoscerti’ con le labbra. Poi gli regalò un sorrisino innocente e si espresse a gesti: “Se fai male al mio otouto sei un microbo morto”.
 
Ai vide emozioni susseguirsi nello sguardo di suo fratello. Il brutto del non aver voce era che gli altri potevano intuire le sensazioni che gli attraversavano, in modo semplice. ‘Gli occhi sono lo specchio dell'anima’, dicono sempre e ciò era maledettamente vero.
Non poteva mascherarle con le parole, con i toni della frase...
Bisognava essere un abile bugiardo per mentire con lo sguardo.
Ai vide tristezza nelle sue iridi e capì a chi stava pensando.
«Dice che è un piacere conoscerti e che...», esitò rivolgendosi al suo ragazzo, «... se mi ferisci sei morto», concluse evitando la parte del 'microbo'.
Ai strinse le mani delle due persone più importanti per lui. Quella di Aine per dirgli di non essere triste, avrebbe ripreso la sua vita con accanto qualcun altro... Reiji non era tutto. Ai sapeva quanto difficile potesse essere crederci, anche lui, se Syo lo avesse abbandonato, non sarebbe stato del migliore degli umori.
Strinse la mano del suo ragazzo, invece, per incitarlo a rispondere.
 
Erano successe troppe cose nel giro di pochissimo secondi, Syo era completamente confuso. Subito dopo essersi presentato Ai lo aveva baciato prendendogli una mano, e se da una parte era felice di quel gesto, dall'altra era terrorizzato per la possibile reazione di questo Aine. Probabilmente il suo ragazzo aveva voluto mettere subito in chiaro le cose tra loro di fronte a suo fratello così da non dovergli omettere la svolta importante che aveva preso la sua vita a livello sentimentale. Ma non si sarebbe mai aspettato di vedere uno sguardo così triste e malinconico sul volto di Aine, come se con la mente si trovasse lontano da quel luogo e le due persone che vedeva non fossero lui e il senpai.
Subito dopo lo vide mimare qualcosa con le labbra per poi gesticolare sorridendogli cordialmente. Aveva perso la voce per caso? Cercò di non mostrare il suo stupore e ringraziò mentalmente Ai quando gli tradusse cosa suo fratello aveva appena detto.
Per un attimo restò immobile, almeno fino a quando Ai non gli strinse più forte la mano. Doveva dire qualcosa.
«N-non ferirei mai Ai, io tengo molto a lui», sussurrò dolce e, cercando di tenere lo sguardo fermo, incatenò i suoi occhi a quelli di Aine come a volergli assicurare che credeva davvero in quelle parole e che lui avrebbe dovuto fidarsi, mentre contraccambiava la stretta di mano di Ai cercando di infondergli un po' di sicurezza.
 
Aine scrutò gli occhi del più basso con aria severa, mentre cercava di studiare la sua espressione e capire se mentiva o meno.
Vide solo sincerità sul suo volto e lentamente si aprì in un sorriso genuino, prima di annuire lentamente.
Con un gesto, concluse la conversazione: “Bravo microbo”.
In quel momento, un lampo rosso fece irruzione nella stanza, rivelandosi poi come un ragazzino che poteva essere poco più grande di Ai, con gli occhi e i capelli rossi e un'aura di allegria ed energia che gli ricordava dolorosamente Reiji...
«Avete visto Toki?», chiese, prima di notare la sua presenza e sorridergli entusiasta.
«Ciao! Sei Aine, giusto?? Piacere di conoscerti, io sono Ittoki Otoya, ma Oto, o Otoyan, va benissimo!». Gli sorrise entusiasta, e Aine fu travolto dalla sua esuberanza, ritrovandosi a sorridergli a sua volta e rispondergli muovendo le labbra. Prima che Ai potesse tradurre, il ragazzo aveva già risposto e Aine non avrebbe potuto essere più felice: Otoya sapeva leggere il labiale!
Sempre più entusiasta, cominciò a parlare con lui sotto lo sguardo sorpreso degli altri, mentre i suoi occhi si illuminavano.
Interagire con Otoya era quasi come essere tornato al tempo di Reiji...
In quel momento, un ragazzo alto, dall'aria seria e una bellezza tanto notevole quanto distante fece il suo ingresso, attirando l'attenzione dei presenti.
Soprattutto quelli di Otoya.
 
Come previsto, la sua composizione risultava impeccabile, secondo Tsukimiya-sensei. Tokiya doveva solo farla controllare al suo professore e ricevere il suo 'okay' prima di passare alla melodia. Decise così di prendere una scorciatoia, sperando che nessuno intralciasse i suoi piani.
Proprio mentre attraversava il corridoio a passi svelti, però, incontrò delle sue conoscenze: alcuni Starish, Otoya, Ai e… non sapeva chi fosse il ragazzo più grande, ma capì subito che era un parente del senpai, poiché si somigliavano parecchio.
«Buongiorno a tutti», si annunciò, avvicinandosi al gruppetto per educazione.
Fece un debole sorriso al ragazzo nuovo, porgendogli una mano. «Salve. Sono Tokiya Ichinose, un membro degli Starish. Piacere di conoscerti. Devi essere un membro della famiglia di Mikaze-senpai. Spero che la visita al nostro istituto sia di tuo gradimento».
 
La situazione si era alleggerita con l'arrivo di Otoya anche se Syo aveva notato il sorriso che Aine gli aveva rivolto dopo il suo discorso. Si fidava e questo per il momento gli bastava e avanzava, anche se sapeva che avrebbe dovuto dimostrargli coi fatti, oltre che con le parole, quanto le sue intenzioni fossero serie con Ai.
L'arrivo di Tokiya lo stupì, non pensava avesse già finito di far vedere la sua composizione al professore, quindi non si sarebbe immaginato di vederlo così presto. Probabilmente preso com'era in quel periodo dal lavoro si era anche scordato che Ai aveva detto a tutti loro che sarebbe arrivato Aine.
Vide i due stringersi le mani e il maggiore fargli un cenno d'assenso per poi rispondergli col labiale, cosa che lasciò Tokiya leggermente sorpreso. Il rosso accorse subito in suo aiuto presentandogli Aine, per poi voltarsi verso lui. Syo vide il suo sguardo posarsi in basso e lo seguì notando che stava guardando la sua mano ancora intrecciata a quella di Ai. Il biondo riportò lo sguardo su Otoya notando il suo sorrisino malizioso e non riuscì a trattenere un forte rossore che gli tinse le gote. Abbassò la testa, volendo scappare dallo sguardo del suo amico che sembrava perforarlo, ma non lasciò la mano del suo ragazzo e per tutta risposta, vinto dall'imbarazzo, la strinse un po' di più.
La conversazione riprese, l’aria era decisamente meno informale dell’inizio. Solo dopo pochi attimi di distrazione Syo si ricordò del compito che era stato affidato al suo vecchio compagno della S-class. «C-come va con la nuova canzone, Tokiya?»
 
L’interpellato era rimasto sorpreso alla notizia che il senpai avesse un fratello, ma ne fu entusiasta e si affrettò ad augurare al nuovo arrivato una buona permanenza. Parlargli era risultato un po' difficile, ma per fortuna il suo assistente lo aveva aiutato... scosse la testa, notando come questo si divertisse alle spalle del biondino e si congedò dal gruppo un attimo, insieme a lui. «Non dovresti prenderti gioco di Syo, o un giorno potrebbe rinfacciarti il favore», disse Tokiya con voce acida e seria. Poi  lo riportò nel gruppo e proseguì rivolgendosi agli altri, spiegando quanto il loro prof gli aveva detto e che mancava solo l'approvazione di Hyuga. La canzone era perfetta e il suo lavoro era come sempre impeccabile: ancora una volta la sua reputazione di Mr. Perfect non veniva smentita.
 
Ai fu felice quando vide Otoya rispondere a suo fratello. Era così spontaneo, sapeva che una personalità del genere non poteva che far piacere ad Aine, lo avrebbe aiutato ad ambientarsi, a sentirsi parte del loro gruppo.
Tokiya era stato così sommerso dal lavoro che si era dimenticato di essere stato avvisato del nuovo arrivo... Ormai tutti sapevano com'era quel perfezionista.
Aveva notato anche come il rosso aveva ammiccato a Syo, vedendo la sua mano e quella del senpai strette l'una all'altra. Il kohai non aveva lasciato la presa, seppur imbarazzato, anzi l'aveva rafforzata.
Rimase ad ascoltare in silenzio lo sviluppo delle conversazioni, fin quando vide Otoya incamminarsi via da loro, afferrando per un gomito il suo compagno di stanza che, confuso, si lasciò trascinare. Dopo un saluto di sfuggita, Ai guardò suo fratello, sperando di trovare le sue labbra rivolte all’insù.
 
Aine sentiva un calore confortante nello stomaco dopo l'incontro con il ragazzino dai capelli rossi: era bello sapere che c'era qualcuno, oltre ad Ai, che l'avrebbe capito se avesse voluto dire qualcosa.
Sentiva lo sguardo di suo fratello addosso, e quando lo ricambiò si assicurò di sorridergli, sebbene ci fosse qualcosa che ancora lo agitava: quelli erano alcuni dei kohai, che, come Ai gli aveva promesso, si erano comportati più o meno tranquillamente con lui... ma c'erano altre persone che era curioso e preoccupato di incontrare.
“I tuoi colleghi?”, chiese, con un gesto rapido e inquieto.
La verità, però, era un’altra: Aine non si sentiva per niente pronto.
 
 
 
 
 
Angolino delle autrici:
Buonsalve a tutte! Dopo tutto questo tempo siamo tornate (finalmente, eh?, direte voi)!
Ci scusiamo profondamente per il ritardo –troppo lungo- anche stesso per le risposte alle recensioni! Ringraziamo però le ragazze che hanno continuato a supportarci fino ad ora, perché senza di loro non saremmo qui ad aggiornare: _Mamoru_ e Shiro_neko18, che ci hanno recensito l’ultimo capitolo e hanno la storia tra le preferite ^^, ad Eiko-chan che ce l’ha tra le ricordate e seguite e a tutti coloro che leggono e decideranno di farci sapere che ne pensano.
Ed ecco qui la solita scaletta:
Syo- pinky_neko
Ai, Masato- Lyel
Aine, Otoya, Ren – Starishadow
Tokiya- Lerenshaw
Cosa succederà nel prossimo capitolo? È già pronto, ma vogliamo sapere cosa vi aspettate ;P
Alla prossima!

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