Il brutto anatroccolo

di Caramel Macchiato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. L'anatroccolo ***
Capitolo 2: *** 2. Primi passi ***
Capitolo 3: *** Occhi ***
Capitolo 4: *** Un pizzico di coraggio ***
Capitolo 5: *** Ma è davvero un brutto anatroccolo? ***
Capitolo 6: *** Un piccolo gesto per me, un nuovo mondo per lui ***
Capitolo 7: *** Scacco ***
Capitolo 8: *** Lo stagno del brutto anatroccolo ***
Capitolo 9: *** Non è la fine ***
Capitolo 10: *** Aprile ***
Capitolo 11: *** Fuochi d'artificio ***
Capitolo 12: *** Il cigno ***
Capitolo 13: *** Finale ***



Capitolo 1
*** 1. L'anatroccolo ***


Era l’estate dei miei sedici anni, avevo appena finito la scuola obbligatoria, un futuro splendente mi si parava davanti. Allora perché ero così infelice?
 
Da quando ne avevo memoria, la mia vita era sempre stata una passeggiata:  bella, intelligente, brava nello sport… A scuola ero sempre stata una star, e ne ero consapevole.
E allora com’era potuto cambiare tutto in così breve tempo?
Era iniziato tutto a dicembre, quando il professore di storia aveva scelto di farci fare una ricerca a coppie sui vari secoli, dal paleolitico fino a oggi, e mi aveva abbinato a Kentin. Kentin!
 Forse il più grande perdente della scuola, o dell’intera città, e ora vi spiego il perché: alto un metro e settanta appena, capelli tagliati a scodella color cioccolato al latte, occhiali a fondo di bottiglia, faccia rotonda e corporatura  di chi non ha ancora visto la pubertà, vestiti smessi di fratelli e parenti… Kentin era l’esempio vivente del più grande grande imbranato che io avessi mai incontrato. Come se non fosse già abbastanza, si presentava come un odioso sapientino con i voti bassi, una totale schiappa nello sport … Insomma, non mi era mai stato necessario considerarlo fino a quel momento. Il prof chiamò il mio nome. E poi il suo.
-Amira, tu hai ottimi voti. Sono sicuro che  potrai aiutare Kentin, che arranca verso la sufficienza- Disse il prof, continuando il suo elenco delle coppie ignorando il mio sguardo incredulo.
Io mi girai lentamente verso il banco dove sapevo che stava seduto quell’essere, e incontrai i suoi occhiali e il suo sorriso trentadue denti. Con orrore notai che dondolava le gambe come un bambino. Completamente gelata tornai lentamente a fissare la lavagna, chiedendomi cosa avessi fatto per meritarmi questo colpo basso da parte del karma.
La campana della pausa trillò di colpo, facendoci alzare tutti come un sol uomo, mentre il prof cercava di sovrastare il nostro frastuono finendo la sua consegna.
Mi affrettai a raccogliere la mia roba dal banco e a infilarla malamente nella borsa, per poi fuggire fuori dall’aula e da Kentin, che sembrava intenzionato ad attaccare bottone.
- Caspita Amira, che sfortuna! Con Kentin!- Pigolò una delle mie compagne di classe, raggiungendomi e piegando le labbra in una smorfia imbronciata da bambina.
- Di tutti gli insufficienti della classe, proprio lui! Il prof poteva abbinarti a me!- Concordò un’altra.Io restai in silenzio senza ascoltarle veramente, avvicinandomi alla macchinetta delle merendine e preparando i soldi per una scatola di mikado.
- Amira! Ehi Amira!-Il dito mi si congelò a mezz’aria quando sentii quella voce stridula e poco virile chiamarmi. Mi girai lentamente seguita dalle ragazze e vidi Kentin che si sbracciava in mezzo alla folla e s’avvicinava, eccitato come un cagnolino. Appena ci raggiunse, sotto lo sguardo attonito delle mie amiche, si aprì in un enorme sorriso.
- Ciao, tutto bene? Sono proprio felice che il prof mi abbia abbinato a te!- Si mosse un po’, per niente a disagio, mentre io sentivo un disgusto disumano solo a guardarlo. Mi irritava nel profondo.
- Lavorare con te mi salverà di sicuro, spero che non ti abbasserò la medi…-
- ZITTO!-Mi ero lasciata andare, le guance rosse di rabbia, gli occhi pieni di disprezzo. Gli studenti che capitavano da quelle parti si girarono perplessi.
- IO NON VOGLIO LAVORARE CON TE, CHIARO? IL SOLO PENSARCI MI RIEMPE DI DISGUSTO! QUINDI VEDI DI NON RIVOLGERMI PIÙ LA PAROLA QUI A SCUOLA, SONO STATA CHIARA?-E così dicendo girai sui tacchi infuriata e respirando come un bisonte, dimenticandomi dei mikado. Camminai a passo di carica nei corridoi fino a raggiungere la classe della lezione seguente, per poi sedermi con mala grazia su una delle panche posizionate fuori dall’aula.
Cercai di darmi un contegno prendendo una profonda boccata d’aria e chiudendo gli occhi. Odiavo questa situazione, non volevo farlo, non era giusto, che rabbia!
Mi passai una mano tra i capelli color carota e presi un ultimo profondo respiro  per poi riaprire gli occhi e… Ritrovarmi Alexy a due centimetri dalla faccia! Ci mancò poco che dallo spavento gli sferrassi una violenta testata.
-Alexy! Ma sei pazzo?-
Lui si allontanò e sorrise.
- È che mi sembravi terribilmente giù di corda, Am. È successo qualcosa?-Alexy è di certo il mio più caro amico, e uno dei pochi veri. Sono cresciuta con lui e il suo fratello gemello Armin e li conosco bene come conosco me stessa: Alexy è solare, spigliato, con un abbraccio sempre pronto nel momento del bisogno e una carezza affettuosa per ogni carenza di zuccheri. Armin invece è fissato con i videogiochi, è un tipo facilmente irritabile, e un po’ scontroso perché ha paura di essere preso in giro per il suo hobby, ma se ti apre il suo cuore diventa un tipo estremamente divertente e protettivo.
Mi alzai e aprii le braccia con la faccia da cucciolo e Alexy mi abbracciò con entusiasmo, come un fratello maggiore farebbe con una sorellina.
- Racconta- M’incitò, battendomi affettuosamente una mano sulla testa.
- Sono stata abbinata per un progetto di storia al più grande incapace della città: Kentin-
- Sei così giù per questo?-
- Sì. Non voglio dover lavorare con lui-
- Ma ci hai mai parlato?-
- No, e non voglio farlo-
- Magari salta fuori che è simpatico! A me non sembra male!-
- Tu sei uno un po’ strano, il tuo gusto in fatto di persone è discutibile! E poi il solo vederlo mi disgusta! Non voglio, non voglio, non voglio!-
- Parlane con il prof-
- Mi darà della bambina-
- E non è vero?-Gli feci una linguaccia e sciolsi l’abbraccio, mentre lui ridacchiava. Parlarne con Alexy era sempre così facile. Immaginare di parlare così con Armin… Era troppo surreale. Con Alexy potevo parlare di qualsiasi cosa, forse perché era un po’ donna anche lui…
- Quando comincerete il progetto?-
- Non lo so. Non gliel’ho chiesto-
- Direi che è la prima cosa da fare-
- Ma l’ho insultato pochi attimi fa-
- Ciò non toglie che dovete fare un progetto insieme, no?-Gli rivolsi un’occhiata lacrimosa.
- Oh Alexy, sei sempre così rilassato, ma come fai?-Lui scrollò le spalle con un sorriso.
- Non mi faccio nemici, non ho motivo per esser triste…. E ho un gemello adorabile!-Scoppiai a ridere vedendo Armin comparire in fondo al corridoio proprio in quel  momento, gli occhi color ghiaccio incollati alla console. Sentendo la mia risata alzò gli occhi e ci raggiunse.
- Ti è passato subito il mal umore è?- Commentò, passandomi una scatola di mikado e mettendo in pausa la partita che stava giocando.
- Hai assistito alla mia scenata?- Gli chiesi sconsolata, prendendo la scatola.
- Già. Povero Kentin-
- Ma è la verità! Io non posso lavorare con lui!- Esclamai, ficcandomi un mikado in bocca e sgranocchiandolo nervosamente in pochi secondi.
- Ma se non ci hai mai neanche parlato!-Gli rivolsi un’occhiata esasperata e poi mi rivolsi ad Alexy – Ecco perché siete gemelli-.
Dopo di che entrai nell’aula sdegnata, accomodandomi al mio posto e continuando a sgranocchiare mikado con il broncio in faccia.
Sapevo di essere stata sgarbata, odiosa, di aver ferito i suoi sentimenti molto probabilmente, ma non volevo avere Kentin tra i piedi a scuola. Ci tenevo alla mia immagine! Era così sbagliato?
Il prof entrò in classe interrompendo i miei pensieri e facendo filare i miei compagni ai rispettivi posti. Amavo la matematica, mi affascinava nel profondo, amavo la logica che stava dietro ad ogni calcolo. Grazie ad essa il pomeriggio volò veloce. Quando suonò la campanella di fine lezione ero arrivata alla conclusione che, se facevo il progetto con quell’idiota, avrei di sicuro fatto una bella figura. Amira la paladina degli insufficienti. Disgustoso, ma anche l’unica motivazione che avevo, così mi misi a cercarlo. Per i corridoi gli altri studenti mi salutavano e io rispondevo assente, gli occhi che saettavano da un angolo all’altro della scuola, pensando a come avvicinarlo senza dare nell’occhio. Dal momento che nella scuola non lo trovai, radunai tutta la mia forza di volontà ed uscii nel gelo della serata, dove il sole se n’era andato da un pezzo. Nel giardino trovai alcune ragazze del club di giardinaggio che s’affrettavano verso la serra tra risolini e gomitate. Mentre le seguivo con lo sguardo l’occhio mi cadde sulle scale anti incendio dove, proprio Kentin, stava rannicchiato a mangiare biscotti. Bel posto per risultare invisibili. Mi riempii i polmoni dell’aria gelata invernale e mi avvicinai. Era tutto imbacuccato nel suo cappotto verde militare deforme e troppo grande per lui, una sciarpa di lana bitorzoluta attorno al collo. Le mani gli tremavano dal freddo mentre si portava un altro biscotto alla bocca, piena di residui di briciole. Nuvole di vapore gli uscivano dalla bocca ad ogni morso.
- Ehi- Lo salutai, fermandomi in fondo alla scala.Lui alzò lo sguardo e lo vidi rabbuiarsi quando.
- Ciao-
- Ascolta, voglio scusarmi per quello che ti ho detto. Ero nervosa e mi sono sfogata su di  te-Lui si mosse un po’ a disagio e tirò su con il naso rumorosamente.
- Voglio dire: dobbiamo fare un progetto assieme ed io l’ho iniziato nel modo più sbagliato. Scusami-
- Grazie, per le tue scuse- Mormorò lui, arrossendo.
- Bene. Ora che ci siamo chiariti: quando si comincia? Mi piace l’ottocento, quindi non dovrebbe essere un problema!-Lui annuì e un timido sorriso gli apparve sul viso rotondo.
- Domani?-
- D’accordo. Dopo le lezioni in biblioteca-
- Perfetto. Uhm… Ti va un…. Biscotto?-Presi in considerazione l’idea di rifiutare, ma la golosità era il mio tallone d’Achille.
- Perché no- Acconsentii con una piccola scrollata di spalle.Lui allungò il pacco verso di me e io afferrai un biscotto e lo ringrazia. Feci per andarmene quando mi fermai di colpo.
- Un’ultima cosa: per favore non parliamoci a scuola, facciamolo fuori orario -.Lui annuì rabbuiandosi di nuovo.
- Okey. Ho capito-
- Grazie-Detto questo me ne andai, sentendomi più meno in pace con me stessa. Diedi un gran moro al biscotto e subito il sapore del cioccolato mi riempi il naso. Ne era valsa la pena.
 

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Capitolo 2
*** 2. Primi passi ***


Il giorno seguente aprii gli occhi al suono della sveglia, il cuore in gola dallo spavento. Cercai di tapparmi le orecchie con i miei capelli carota ma non servì, così fui costretta ad alzarmi e spegnerla. Mi fermai davanti allo specchio e cercai di svegliarmi tirando la faccia da un lato all’altro, battendo le mani sulle guance e cercando di tenere le palpebre alzate. Dopodiché tirai fuori dall’armadio un paio di jeans grigi e un maglione color prugna e me li infilai faticosamente. Scesi in cucina con gli occhi chiusi e mi preparai un bel caffè nero, sentendo la sveglia di mia madre suonare in quel momento. Mi stavo sedendo al tavolo con una ciotola di cereali e il mio bel tazzone di caffè, quando lei entrò in cucina stravolta, con gli occhi ancora chiusi. D’istinto s’avvicinò alla caffettiera e si versò una tazza, ingurgitandola in un sorso. - Ahi! Scotta!- Borbottò, tutto d’un tratto sveglia. - L’ho appena fatto- Le risposi con la bocca piena di cereali e latte. - Potevi avvertirmi!- - Non mi avresti sentita-. Lei sospirò e si passò una mano tra i disordinati capelli mogano, tuffando una mano nella fruttiera in cerca di qualcosa di commestibile. Finita la mia colazione, depositai le stoviglie nel lavello e andai in bagno per la parte finale del mio triste risveglio pre-scuola. Lavati i denti e passata una rapida mano di trucco, afferrai la mia borsa dalla stanza e scesi per infilarmi le mie all star nere alte e il giaccone. Inviato un bacio alla mamma, ero pronta per uscire in quella fredda mattina di dicembre. Una ventata gelata mi colpì in pieno non appena mi richiusi la porta alle spalle… Come cominciare bene la giornata! Feci alcuni passi tremanti verso la fermata del bus e scorsi Armin ed Alexy che arrivavano a testa bassa dall’altra parte della strada. Aspettai che mi raggiungessero prima di salutarli con un cenno del capo. - Bella giornata è?- Borbottò Armin, di malumore fin dal primo mattino. - Armin voleva saltare scuola- Brontolò Alexy, con una vocettina poco virile. - Zitto tu- Prima che il battibecco potesse prendere quota, intravidi il bus che arrivava in fondo alla strada e, non appena si fermò bruscamente davanti a noi, li spintonai dentro senza troppi complimenti. - Allora: sei riuscita a parlare a Kentin?- Mi chiese Alexy, sistemandosi su due sedili. - Sì. Cominceremo la ricerca questa sera- Risposi, sedendomi con Armin sui due sedili adiacenti. - Davvero? È stato così difficile?- Mi apostrofò il mio vicino di posto, ricevendosi uno sguardo glaciale. - Quello che è importante è che ce l’hai fatta! Magari col tempo si rivelerà anche un tipo interessante!- S’entusiasmò Alexy. - Dubito- Borbottai, girandomi verso il finestrino e terminando lì l’argomento Kentin. Arrivammo a scuola sotto un cielo che annunciava neve e ci affrettammo ad entrare nella squola, tremando come pulcini e incappando subito in Melody, affaccendata con alcuni fascicoli. - Oh, buongiorno!- Ci salutò, senza staccare gli occhi azzurri e stanchi dal fascicolo che stava leggendo. - Buongiorno- Ricambiammo all’unisono. Appena si fu allontanata, Alexy si girò verso di me con gli occhioni viola preoccupati. - Non ti sembra un po’ tanto stanca? Il lavoro da delegata è troppo per lei!- - Siamo sotto Natale, è normale- Risposi, avviandomi verso il mio armadietto. - Perché non le dai un abbraccio, magari aiuta- Aggiunse Armin, seguendomi a ruota. Il nostro scarso interesse indusse Alexy a mettere il broncio e a dirigersi verso la caffetteria. Non è che non me ne fregasse della salute dei miei compagni, ma Melody poteva essere un enorme palla al piede se voleva. Prendeva il suo lavoro da delegata così seriamente che non si poteva mettere un piede fuori posto che lei lo sapeva. E poi non era male, fisicamente parlando, e questo me l’aveva fatta stare sulle scatole fin dal principio. Armin lo sapeva. In effetti, anche lui aveva avuto problemi con lei perché lo aveva esageratamente strigliato quando lo aveva beccato a giocare alla consol in caffetteria, durante le ore di geografia. Avevamo un’intesa silenziosa con l’argomento Melody. Ci salutammo davanti alle scale, dopodiché m’affrettai verso l’aula di musica. Appena mi sedetti intravidi Kentin con la coda dell’occhio e mi ricordai che quella sera mi toccava fare la ricerca con lui. Come avevo fatto a dimenticarmene? Sentii un moto di panico prendermi lo stomaco, quella forte sensazione di rifiuto. Riservai tutta la mia concentrazione ai fogli che il prof stava facendo passare tra i banchi, imponendomi il divieto di girarmi verso il banco dove c’era lui. Un respiro profondo, concentrazione e… Fatto. L’argomento era accantonato in un angolo della mia mente. Scorsi rapidamente il foglio e compresi che si trattava della biografia di un gran compositore dell’800. Capitava a fagiolo! Passai la lezione di musica a pendere dalle labbra del prof come mai avevo fatto prima e, non appena la campanella della prima pausa squillò, mi sorpresi di quanto velocemente il tempo era passato. Infilai quaderni e astuccio nella borsa e mi apprestai a seguire le mie amiche. L’occhio mi cadde subito su Kentin, che aveva approcciato il prof e gli stava chiedendo animatamente qualcosa: - … Perché questo autore starebbe a pennello nella ricerca che devo fare e mi chiedevo se lei mi potesse dire di più…- Sentii un sorriso piegarmi involontariamente le labbra: e bravo Kentin, mi avevia letto nel pensiero e si era pure preso la briga di chiedere al posto mio! Non mi fermai ad aspettarlo o a sentire cosa rispondeva il prof, invece andai dritta alla macchinetta delle merendine, sentendo un duro calo di cioccolato dovuto alla troppa concentrazione. Infilai con un gesto automatico gli spiccioli nella macchinetta e premetti il pulsante per i mikado, stropicciandomi gli occhi assonnata. Feci in tempo a prendere il pacchetto e a ficcarmi in gola il primo bastoncino ricoperto di cioccolato, quando vidi la familiare capigliatura scura di Alexy che saltellava tra la folla. Svegliai le mie gambe intorpidite e mi diressi verso di lui, sentendolo scoppiare a ridere fragorosamente. - Si può sapere cosa ti diverte così tanto di prima mattina?- Gli chiesi non appena lo raggiunsi. Lui si girò verso di me con un sorriso trentadue denti e poi si fece da parte, cosicché mi si parò davanti una delle sue amiche, con i capelli color gomma da masticare e gli occhi affranti. - La parrucchiera mi aveva assicurato che sarebbero diventati magenta, che non dovevo preoccuparmi del mio colore naturale perché non avrebbe influito…- Piagnucolò quella, osservandosi rassegnata una ciocca. - I parrucchieri del giorno d’oggi si vendono come alchimisti…- Cercai di rincuorarla, non riuscendo a trovare qualcosa di meglio da dirle, notando gli sguardi divertiti di chi ci passava di fianco. - Non preoccuparti Alice!- Saltò su Alexy, gli occhi che brillavano entusiasti – Se ti farà sentire meglio, anch’io andrò a colorarmi i capelli!- - Davvero?- La ragazza gli fece gli occhioni speranzosi, mentre io lo guardavo inorridito. - Certo! Ho sempre voluto cambiare colore, anche se con un nero di base non sarà facile… Almeno nessuno mi scambierà più per Armin!- - E sentiamo: di che colore vorresti farteli?- Chiesi scettica. - Ci devo pensare… Un colore che mi piace!- La campanella interruppe i nostri discorsi, lasciandomi il tempo soltanto di lanciare un’occhiata significativa al ragazzo: tu sei fuori, non farlo davvero! Entrai nell’aula per le lezioni di scienze e ci passai tutta la giornata senza imprevisti. Quando anche l’ultima campanella della giornata annunciò la fine della lezione, il nervosismo prese a stuzzicarmi. - Ehi Amira! Che ne dici di un po’ di shopping? I negozi stanno saldando tutto per via del natale che si avvicina!- Mi chiese una delle mie compagne, con un sorriso incoraggiante. Sentii un nodo allo stomaco. Amavo lo shopping! - Mi piacerebbe, ma purtroppo ho già un altro impegno…- - Che sfortuna!- Saltò su un’altra – Non puoi rinviarlo?- - Vorrei poterlo fare, ma ormai è tardi. Ci vediamo domani!- Tagliai corto, prendendo la borsa e uscendo. Che facevo di malavoglia quel progetto era vero, ma non avrei mai piantato in asso un mio compagno per divertirmi, nemmeno uno che mi ripugnava come Kentin. Assolutamente. Misi a tacere la vocina piagnucolosa nella mia testa che mi chiedeva di andare a fare spese, e mi avviai in caffetteria per aspettare che la scuola si svuotasse. Sapevo di essere troppo apprensiva, ma meno persone c’erano in biblioteca, meglio era per me. Inoltre, a una certa ora, chi sfogliava i libri era di certo o un secchione a cui non poteva fregar di meno delle relazioni dei compagni di scuola, o qualcuno con troppo e insufficienze per far caso a chi gli stava attorno. Aspettai che una delle ragazze volontarie del club di economia domestica mi raggiungesse al bancone e le chiesi un cappuccino. Non appena me lo servì, mi accomodai ad uno dei tavoli e presi a fissare l’orologio in attesa. Le quattro, le quattro e un quarto, le quattro e mezzo. Poteva bastare. Riportai la tazza del caffè vuota e mi avviai verso la biblioteca, sentendo il peso della malavoglia nello stomaco man mano che mi avvicinavo. Entrai in biblioteca con una faccia colpevole e, grazie al cielo, la trovai praticamente deserta. La bibliotecaria mi rivolse uno sguardo severo e sospettoso, poi tornò al suo computer, troppo pigra per indagare sul perché della mia espressione. Trovai il ragazzo seduto ad uno dei tavoloni con alcuni libri vecchi e grossi, e una manciata di appunti davanti al naso. Si aggiustò gli occhiali che gli stavano scivolando lungo il naso e fece una smorfia, prendendo poi a sgranocchiarsi l’unghia dell’indice. Un brivido gelato mi percorse la schiena, ma m’imposi di sedermi accanto a lui. - Eccomi qua- Sussurrai, evitando accuratamente il suo sguardo e prendendo a frugare nella mia borsa, in cerca del materiale che avevo raccolto. - Ciao- Rispose lui, facendomi un po’ di spazio sul tavolo. - Ho visto che ti sei fermato a parlare con il prof stamattina. Scoperto niente?- - Oh, sì!- Sentendo il suo tono entusiasta mi arrischiai a lanciargli un’occhiata e lo vidi raggiante. - Il prof era entusiasta del mio interesse e mi ha raccontato vita e morte di quel compositore! Mi ha perfino consigliato questi volumi, sulla musica dell’ottocento!- Rispose, dando alcuni colpetti ai mattoni che aveva davanti. - Bene, bel lavoro. Allora cominciamo da questo!- Un poco mi aveva intenerito, con tutto il suo entusiasmo. Sentimento che ben presto scomparve però quando, intento a leggere un paragrafo con il dito, tirò su rumorosamente con il naso, beccandosi un’occhiataccia fulminea dalla bibliotecaria. Cercai di tornare a leggere, ma ormai il senso di disagio e d’intolleranza mi facevano stare in bilico sul bordo della sedia. Gettai un’occhiata fulminea al cellulare per vedere l’ora: era un’ora che stavamo lavorando. Ancora trenta minuti e saremmo stati costretti a lasciare la scuola. D’un tratto un pensiero balenò nella mia mente e mi fece inorridire: tra mezz’ora la scuola chiudeva perché i club doposcuola finivano. Ciò voleva dire che tutti quelli che facevano un club ci avrebbero visti insieme. Dovevo trovare una scappatoia. Richiusi d’un colpo il libro che stavo consultando e cercai di darmi un contegno. - Kentin ascolta, io devo tornare a casa perché devo andare a prendere il mio fratellino che… Finisce le lezioni di calcio- Che bugia gigantesca! - Okey. Non c’è problema! Io finisco qui e poi possiamo controllare il materiale la prossima volta- Mi rispose con un sorriso ingenuo. - D’accordo, grazie. Alla prossima- Così dicendo me la filai sentendomi il cuore leggero. Quel ragazzo era proprio facile da gestire, come un bambino! Ma almeno avevo una scusa per non girare con lui. E non avevo dovuto ricorrere ai metodi pesanti come l’ultima volta… Uscii nell’aria fredda di quella ormai già serata di dicembre e mi riempii i polmoni. Potevo cancellare un incontro dal totale che avrei dovuto affrontare per quella ricerca. Il primo! Mi sentivo eccitata come se avessi appena superato una prova di vitale importanza, e così carica me ne tornai a casa.

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Capitolo 3
*** Occhi ***


Le lezioni quel giorno erano assurdamente noiose. Da un pezzo ero persa nei miei pensieri guardando fuori dalla finestra anziché seguire le lezioni del povero supplente in prova, che non aveva il coraggio di richiamarmi. Erano passati due giorni da quando ero scappata spudoratamente dalla biblioteca e da Kentin. Lui non aveva ancora detto niente, ma era normale: dopo la sfuriata che gli avevo fatto davanti a mezza scuola, era chiaro come il sole che sarei dovuta andare di nuovo io a chiedergli quando ci saremmo di nuovo trovati. Mi scappò un profondo sospiro, e finalmente decisi di ritornare attenta alla lezione di quel pover’uomo, per la sua immensa gioia. Quando la campanella suonò, sgattaiolai fuori stiracchiandomi assonnata, e mi diressi verso la mia amata macchinetta, cercando di passare inosservata per essere lasciata in pace. Impossibile. Non feci che pochi passi che qualcuno mi volò addosso, abbracciandomi come un salame da dietro. Mi divincolai e mi girai, pronta a insultare pesantemente quell’animale, ma le parole mi morirono in bocca non appena vidi chi mi si parava davanti. Alexy. Con i capelli azzurro cielo. Il ragazzo si stava mettendo in posa, senza riuscire a nascondere l’enorme sorriso che gli scappava più i secondi passavano nel mio silenzio. - Ta-da!- Esclamò alla fine con fare teatrale. - Ta-da tua cognata! Che caspita ti sei fatto in testa? Ti sei spalmato muco di lumaca radioattiva sui capelli?- Lui scoppiò a ridere, evidentemente felice del mio disgusto verso i suoi capelli. - Ma no! L’ho fatto per Alice, la ragazza dai capelli rosa! Gliel’avevo promesso, così… Eccomi qua!- - Ma stai scherzando? “ Eccomi qua”! Perché! E azzurro…- Mi bloccai affaticata dalla mia rabbia e mi passai una mano sugli occhi. - Guarda che non l’ho fatto a caso, ora ti spiego: eravamo a cena e Armin ha detto qualcosa che ha stroncato il discorso, allora io l’ho guardato dritto negli occhi per ribattere e… Puf! Azzurro! Come gli occhi del mio adorato fratellino!- Un sonoro schiaffo gli fece piegare la testa in avanti, mentre Armin si affiancava a noi visibilmente irritato. - Non riesco a capacitarmi del fatto che questo qui è mio gemello- - Io nemmeno- Cercai di rincuorarlo. - Insomma! Il mio è stato un gesto d’amore verso un’amica e il mio unico fratello! Due piccioni con una fava!- Ribatté Alexy, massaggiandosi la testa e gesticolando con fare teatrale con la mano libera. - Sì… Certo… Ascolta Amira, ora hai educazione fisica, vero? Anche la mia classe. Ci andiamo assieme?- Mi chiese Armin, ignorando il gemello. - D’accordo. Ci si vede Alexy- - Aspettate! Vedete di riflettere sul mio gesto d’amore!- Ci urlò lui dietro. Armin sospirò esausto e prese a scendere le scale. Era chiaro come il sole che il gesto del fratello lo aveva preso alla sprovvista. Alexy era sempre stato un personaggio eccentrico, ma non era mai arrivato a tanto prima d’allora. - Non sapevo facessi educazione fisica ora. Ti è scaduto il certificato medico?- Gli chiesi, per cambiare argomento. - Oh. Già. E mia madre si rifiuta di farmelo rifare. Dice che il movimento mi fa bene, che devo smetterla di “ rincitrullirmi con quella roba virtuale”- Commentò lui, facendo il verso a sua madre. Mi scappò un sorriso, immaginando perfettamente la tozza madre dei gemelli dire una cosa del genere. - Sai che ha ragione. Poi fare sport è divertente! È un po’ come un gioco di ruolo!- - Sì ma è un gioco di ruolo in cui si suda, in cui non ci sono attacchi speciali e in cui ti fanno male i muscoli quando hai finito- Ribatté lui sconsolato. Scrollai la testa sconfitta, e ci separammo non appena raggiungemmo gli spogliatoi. Appena ci misi piede fui investita dai gridolini delle mie compagne, intente a scambiarsi vestiti e fare stupidi test sulle riviste. - Oh, Amira! Prova questa, sono sicura che ti starà benissimo!- Esclamò una, afferrandomi per un braccio e porgendomi una canottiera-camicetta confetto con una fila di fiocchetti sui bottoni. Io le rivolsi un bel sorriso e la indossai, seppur di malavoglia. Appena arrivai a chiudere i bottoni sul petto, la sentii stringere, così mi affrettai a sbottonarla con un sorriso imbarazzato. - Non è la mia taglia- - Ti va stretta? Che coppa hai? Sei così fortunata!- Piagnucolarono quelle, facendomi sentire ancora più imbarazzata. Che caspita ci potevo fare se, a sedici anni compiuti da qualche mese, avevo una taglia più grande del normale? Non era mica uno spasso, ma questo loro non lo volevano capire… Mi affrettai ad indossare la maglia deforme per educazione fisica, contornata dal chiacchiericcio delle mie compagne, poi sgattaiolai fuori dallo spogliatoio il più in fretta possibile ed entrai con un sospiro nella palestra ancora vuota. Mi sedetti contro le spalliere abbracciandomi le ginocchia e, solo quando rialzai lo sguardo, notai che non ero sola come avevo pensato: infatti Kentin se ne stava seduto poco più in là, gli occhi fissi sulle sue scarpe, evidentemente intimorito dalla mia presenza. D’un tratto mi ricordai della ricerca e che non avevamo fissato un altro appuntamento. Stavo per girarmi dall’altra parte, quando la mia buona volontà mi blocco e m’impose di parlargli, dopo aver controllato che la palestra fosse ancora vuota. - Ehi. Quando ci troviamo la prossima volta?- Borbottai. Lui sobbalzò visibilmente. - Q-quando vuoi tu- - Stasera? Come l’altra volta?- Lui annuì furiosamente con un piccolo sorriso e continuò a fissarsi le scarpe. Io lo fissai perplessa per un po’, ma poi il docente fece la sua entrata e mi distolse dai miei pensieri. - Ehi, Kentin quante volte devo ripeterti che devi toglierti gli occhiali? Se ti si rompono possono causarti seri danni!- - M-ma signore! I-io non… Vedo nulla senza…- Mormorò flebilmente lui, con un tono che faceva intendere che non era la prima volta che spiegava al docente le sue motivazioni. - Non preoccuparti, oggi si corre. Se vedi i tuoi piedi basta e avanza- Concluse il docente, porgendogli una mano con fare imperioso. Il ragazzo si alzò piano e, a testa bassa, s’avvicinò al docente e gli mise gli occhiali in mano, per poi tornare mogio mogio al suo posto. Okey, ora mi faceva tenerezza, e capivo anche un po’ la sua incapacità nello sport. Ero in classe con lui da metà anno, ma mai avevo fatto caso a lui durante le ore di educazione fisica, e nemmeno al fatto che fosse sinceramente miope. L’entrata in palestra degli ultimi compagni diede inizio a quelle due ore di infernale corsa, che ovviamente suscitò un sonoro coro di protesta che il prof mise a tacere con l’alternativa di una giornata di condizione fisica. Io cercai di stare fuori dai gruppetti che si erano formati con naturalezza e correre per conto mio. Correre mi piaceva, per questo non volevo che qualcuno mi distraesse con le sue chiacchiere o con la sua andatura affaticata. Ero al quarto giro, completamente persa nei miei pensieri, con il respiro regolare, quando qualcosa mi venne addosso e mi fece incespicare. Mi girai infuriata e pronta alla lavata di capo, quando incontrai due occhi verdi intenso pieni di paura. - S-scusami! Non l’ho f-fatto apposta!- Balbettò Kentin, riabbassando rapidamente il capo e restando lì, con quella posa tutta rannicchiata di chi si aspettava come minimo un calcio. - N-non importa- Risposi, ancora sotto shock. Mi girai e ripartii. Non avevo mai visto i suoi occhi. Che colore intenso! Erano sprecati dietro quei fondi di bottiglia! Perché pareva che facesse di tutto per sembrare disgustoso e fuori moda? Sentii un moto di rabbia invadermi il corpo, e presi ad andare più veloce. Quegli occhi non meritavano di essere di una persona che li nascondeva! Finita la lezione mi feci la doccia in fretta e mi diressi a passo di carica in mensa, cercando di affogare la mia rabbia nel cibo, ma non servì. Durante le lezioni pomeridiane non fece che ingrandirsi e ,quando suonò la campanella, ero giunta a una conclusione piuttosto drastica. Una parte della mia coscienza cercava di protestare e di calmarmi, ma la parte arrabbiata la mise a tacere con un sonoro ceffone. Mi diressi a passo di carica verso la biblioteca, ignorando chiunque cercava di rivolgermi la parola. Non appena ci arrivai mi appoggiai alla parete di fianco all’entrata e presi a muovermi impazientemente. Passarono cinque minuti, poi dieci. Se n’era forse dimenticato? No, non poteva essere così svampito da dimenticarsi un appuntamento nel giro di cinque ore. Infatti, quando il corridoio era praticamente deserto, vidi la sua capigliatura a scodella sputare da un corridoio, fermarsi sorpresa dopo avermi individuata, poi proseguire a testa bassa. Appena mi fu davanti mormorò un ciao intimorito. - Alza la testa- Comandai, sentendo la mia voce prendere una piega pericolosa. Lui l’alzò, tremando leggermente di paura. Appena i suoi occhi incontrarono i miei, sentii una furia cieca impadronirsi del mio viso, spaventandolo. Subito cercò di riabbassare il viso, ma io lo fermai, prendendogli il mento con una mano e costringendolo a guardarmi negli occhi di nuovo. Lui cercò di guardare ovunque tranne che nei miei occhi furiosi. - Perché lo fai? Perché li nascondi?- - Cosa?- - Hai dei dannatissimi begli occhi! Perché li nascondi dietro a sta roba?- Ringhiai furiosa, sfilandogli gli occhiali e rimanendo di nuovo colpita dal colore speciale che avevano le sue iridi. Subito lui socchiuse gli occhi per via della miopia. - I-io non ci vedo- - Ci sono miliardi di occhiali migliori di questi! Ci sono le lenti a contatto! Perché ti ostini a voler sembrare uno schifosissimo niente?- I suoi occhi si sbarrarono, poi si abbassarono. Vidi le sue mani tremanti frugare nella borsa e poco dopo riemergere con un consistente fascicolo di fogli che mi porse, poi mi sfilò tremante gli occhiali dalla mano e se li rimise. - Perché lo sono- Bisbigliò con voce tremante, per poi girarsi e dileguarsi rapidamente verso l’uscita della scuola. Sentimenti contrastati lottavano dentro di me: da una parte sentivo sconforto per ciò che aveva detto, dall’altra sentivo la mia testardaggine dirmi che chiunque poteva cambiare se lo voleva. Diedi un’occhiata al fascicolo e capii che erano tutte le informazioni che lui aveva raccolto in quei due giorni. Si era dato parecchio da fare, per essere una catastrofe scolastica. Tamburellai le dita sul fascicolo, poi con un sospiro esasperato entrai in biblioteca, dove avrei potuto mettere in chiaro i miei pensieri e darmi una calmata.

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Capitolo 4
*** Un pizzico di coraggio ***


Avevo passato la notte a rimuginare sulla reazione di Kentin, ed ero giunta alla conclusione che ero stata troppo aggressiva. Ce l’avevo a morte con lui, questo era un dato di fatto, però restava sempre un essere umano, ignorato o deriso dai più. Me compresa. Quando avevo capito che ero troppo agitata per prendere sonno, avevo ripreso in mano il fascicolo di Kentin e lo avevo riletto. Era fatto davvero bene, da solo aveva raccolto un numero incredibile di aneddoti interessanti sulla musica dell’800. Com’era possibile che lui, solitamente così distratto e goffo, fosse riuscito a fare un lavoro così puntiglioso? E se invece qualcuno lo aveva aiutato… Un sempliciotto come lui non sarebbe mai arrivato a chiedere a qualcuno di fare un lavoro per lui: semplicemente non rientrava nelle sue possibilità. Entrai a scuola sentendomi uno straccio, ma decisa a capire meglio cosa frullava in quella zucca vuota e a scusarmi. Era l’ultimo giorno di scuola della settimana e non sarei riuscita a stare tranquilla senza una spiegazione. Armin mi si affiancò subito e strabuzzò gli occhi alla vista delle mie occhiaie, poi fissò il caffè che aveva in mano, e infine me lo porse. - No grazie, non è nulla- - Se lo dici tu- Rispose lui scrollando le spalle e bevendone un sorso. Alexy ci saltò addosso e rischiò di far strozzare il gemello con il caffè. - Ohi, Amira! Non hai dormito? Vuoi che ti accompagni in infermeria?- - No grazie, Alexy. Sto bene, davvero! È la luna- I due gemelli si scambiarono un’occhiata significativa e scrollarono le spalle. Io feci finta di non aver visto e mi affrettai a prelevare i libri dal mio armadietto e a dirigermi verso la mia aula. Ero in anticipo, quindi speravo di riuscire a incontrare Kentin e di riuscire a parlargli in santa pace, senza occhi ed orecchie indiscrete in giro. Stavo aspettando da poco quando lo vidi spuntare dalle scale, completamente immerso in un libretto dall’aria nuova. Lo guardai affascinata mentre faceva gli scalini senza staccare gli occhi dalle pagine, con una scioltezza e una sicurezza di chi era abituato ad andare in giro senza guardare dove mette i piedi. Quando arrivò a qualche passo da me mise il segna libro sulla pagina che aveva finito di leggere, chiuse il libro, alzò lo sguardo e si bloccò come congelato. - Ciao. Voglio chiederti scusa per quello che ti ho detto ieri- Dissi d’un fiato, sentendomi fin da subito più leggera. Lui continuava a tenere gli occhi bassi e le mani strette al libro, fino a far sbiancare le nocche. Io aggrottai le sopracciglia con disappunto: m’ignorava? Aveva una minima idea della forza di volontà che mi ci era voluta? Stavo per riprendere la parola quando lui m’interruppe. - Non dovresti parlarmi a scuola- Borbottò flebilmente, per poi superarmi ed entrare in classe, lasciandomi lì sorpresa. Mi riscossi rapidamente e lo seguii in classe, piuttosto irritata, sbattendogli le mani sul banco e sporgendomi verso di lui con fare minaccioso. - Apprezzo il tuo tatto, ma ti stavo chiedendo scusa dannazione! Potevi almeno rispondere!- Lui alzò lo sguardo torvo, per poi tornare a tirar fuori il materiale per la lezione dallo zaino. - Non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima che ti scuserai, quindi tanto vale evitarti una figuraccia. Se qualcuno ti vedesse ora, qui, a scusarti con me, che cosa penserebbe?- Io rimasi senza parole: possibile che a lui importasse qualcosa della mia reputazione? Lui, che avevo sempre tenuto lontano e disprezzato… Insomma, si stava facendo problemi al posto mio? A togliermi dalla situazione difficile ci pensarono i primi compagni che entrarono in classe, lanciandoci occhiate stranite ma evitando di commentare. Io mi ripresi e me ne andai al mio posto, senza più voltarmi. - Riuscite a fare la ricerca, suppongo- Mi sussurrò una delle mie compagne. Io le rivolsi appena un sorriso, poi tornai a concentrarmi sul professore appena entrato, che stava richiamando il silenzio a gran voce. Seguivo quello che sbraitava solo con una piccola parte del cervello, mentre l’altra rimuginava sul da farsi con il mio compagno di progetto. Un secondo: me la stavo davvero prendendo così a cuore? Che m’importava in fondo? Mi girai un poco per guardarlo con la coda dell’occhio, poi tornai a fissare la lavagna di scatto sentendo quel moto di fastidio che aveva di recente sostituito il disgusto: m’importava. Non era più solo una questione di fare un favore all’umanità e passare per la madonnina piena di grazie di turno, quel tipo mi stava facendo saltare i nervi con le sue frasi dannatamente sensate e quel suo modo di fare, come cercando di diventare un tutt’uno con le pareti della scuola. Sì, mi dava davvero fastidio, eppure volevo assolutamente capire perché si trascurava, perché tutti lo trovavano una nullità, perché aveva raccolto delle informazioni così impeccabilmente se a scuola si dimostrava un idiota… Nascondeva qualcosa? Sentii un moto di curiosità farmi salire un sorrisetto sulle labbra, che mi fece subito richiamare dal prof. Passai il resto della lezione e il pranzo a rimuginare su quale oscuro segreto si celava dietro quei fondi di bottiglia, finché Alexy non mi si parò davanti con i suoi occhioni viola pieni di disappunto. - Oh, ciao Alexy. Hai ancora tutti i capelli vedo- Lo salutai ironicamente, chiudendo il mio armadietto. - Non scherzare. Sei strana Am: stamattina eri una specie di spirito, ora te ne vai in giro sghignazzando per i corridoi… E commenti i miei capelli! Non dirmi che Armin ti ha fatto provare il suo ultimo videogioco!- - No, sono solo pensierosa. Ultimo videogioco? Di cosa parla?- - Oh, è orribile! Una specie di casa infestata! Ogni angolo che giri c’è qualcosa di schifoso che cerca di farti a pezzi!- Piagnucolò, con gli occhi ancora più grandi e pieni di lacrime. - Ti ha obbligato a provarlo con lui?- Chiesi pazientemente. - Mi aveva promesso che avremmo guardato un film insieme dopo, come ai vecchi tempi…- Il suo sguardò vago sopra la mia spalla con fare malinconico, poi i suoi occhi tornarono alla realtà e si puntarono nei miei. - Quasi dimenticavo! La bibliotecaria mi ha chiesto di dirti di raggiungerla dopo le lezioni, ha un po’ di roba per te!- - “Roba”?- Chiesi, inarcando un sopracciglio. - Sì, per la tua ricerca. Gliel’hai chiesto tu no?- Rispose con un sorriso e una scrollata di spalle, prima di allontanarsi verso il suo solito gruppetto di amiche. Non mi ci volle molto a fare due più due, ma quello che mi sfuggiva era: perché aveva chiamato me se era stato lui a richiedere i libri? M’incamminai verso la mia aula per le ultime ore di scuola, ancora più meditabonda della mattina appena trascorsa. Uscii dalla biblioteca con i libri che la bibliotecaria mi aveva dato con malagrazia dicendo: “ tu e quel ragazzino con gli occhiali fate la ricerca insieme no? Il tuo nome me lo ricordavo ma il suo no, quindi…” . Uscii dalla scuola stringendomeli al petto, finendo quasi a gambe all’aria: Kentin era seduto sulle scale d’entrata, e sembrava stesse aspettando proprio me. Si alzò e prese a torcersi le mani nervosamente. - Vo-volevo ringraziarti per le tue scuse… E dirti che… Non volevo essere… Scortese con quello che ti ho detto-. Io sorrisi trionfante e rimasi un po’ in silenzio, tanto per fargli credere che ci stavo pensando. - Va bene. Ci siamo scusati tutti e due, fine della storia. Piuttosto: guarda qua cosa mi ha affibbiato la bibliotecaria. Ci diamo un’occhiata prima del weekend?- Lui sorrise timidamente, poi sobbalzò e arrossì. - Oh, giusto! Non le ho lasciato il mio nome! Scusami!- E si affrettò tutto trafelato a prendermeli dalle mani, strabuzzando gli occhi quando si rese conto di quanto pesavano. Io scrollai le spalle e sventolai una mano con noncuranza. - D’accordo, allora seguimi: conosco un posto adatto per studiare in santa pace-. Così dicendo mi avviai, sentendo che lui mi seguiva a ruota, arrancando un po’. Sorrisi divertita dalla situazione, ma subito lo nascosi. In cinque minuti raggiungemmo il centro e io lo guidai fino a un vecchio caffè nella città vecchia, ricoperto di scaffali stracolmi di libri che i clienti potevano leggere sorseggiando un caffè. Entrai tenendo la porta al ragazzo e feci un cenno alla donnina dietro il bancone, che ricambiò con un bel sorriso e si apprestò a raggiungerci. - Amira cara! È da un po’ che non passavi più da queste parti!- - Scusami, l’ultimo anno di scuola…- Risposi evasiva, facendo vagare gli occhi con fare drammatico. La donnina squadrò i libri che Kentin stava portando e scrollò la testa, disapprovandoli senza scrupoli. - Cosa vi porto?- - Penso che due caffè sarebbero la cosa più indicata per restare svegli!- Esclamai allegramente, accomodandomi ad un tavolino. Kentin annuì e fece un piccolo inchino alla donnina borbottando un “grazie”, poi mi raggiunse e posò i libri con un tonfo, evidentemente sollevato di non doverli più trascinare per mezza città. - Allora- Cominciai, sfilandomi giacca e sciarpa e appoggiandoli allo schienale della sedia – Ho letto tutto ciò che hai raccolto per il capitolo musica e sono rimasta davvero colpita! Praticamente hai concluso un capitolo in pochi giorni: come diavolo hai fatto?- Lui sembrava ancora più perplesso di me. - Io ho solo… Trascritto quello che ho trovato. Con mie parole. Ho un saco di tempo libero…- - Bhé, si vede che sei portato per le ricerche!- Kentin si guardava le mani, imbarazzato e sorpreso di se stesso allo stesso tempo, e solo l’arrivo dei nostri caffè lo distrasse, dando il via al nostro lavoro.

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Capitolo 5
*** Ma è davvero un brutto anatroccolo? ***


L’ultima settimana di scuola era volata piena zeppa di verifiche e di eventi natalizi. Il venticinque era arrivato e passato senza fare troppo casino: a casa mia non c’era alcuna tradizione, se non un paio di regali per non sembrare una famiglia diversa. L’ultimo dell’anno lo avevo trascorso con i gemelli in centro, ma più che altro era stato un baby-sitting da parte mia perché i due si esaltavano per ogni più piccola cosa che gli capitava sotto tiro. Erano passati un paio di giorni da allora, la scuola sarebbe ricominciata a metà gennaio. Io me ne stavo sul divano a guardare la neve che scendeva copiosa fuori dalla finestra, più simile a un cuscino che a un essere umano in grado di respirare, camminare e perfino parlare. Sentii la mamma mandare l’ennesima imprecazione ai biscotti che stava cercando di fare, poi mi chiamò a gran voce. - Che c’è- Le chiesi, raggiungendola in cucina. - Vai a prendermi un altro pacco di uova per favore. I soldi sono nella mia borsa- Io la guardai incredula che volesse mandare la sua unica figlia fuori nella neve, ma lei mi ignorò crudelmente e riprese a lottare con un impasto troppo grumoso. Mi lasciai sfuggire un sonoro sospiro e tornai in camera mia per prepararmi alla grande tempesta. In dieci minuti ero pronta e m’infilai i miei stivali hugg con un ultimo sguardo da martire a mia madre, che rispose con un sorriso angelico da far venire i brividi, così uscii. Con i primi passi sprofondai nella neve del vialetto non ancora spalata, poi venni investita dai grossi fiocchi candidi che mi si appiccicavano nei capelli. A me piaceva la neve, ma la preferivo quando io ero al caldo e lei se ne stava fuori. Mi avventurai sulla strada principale e fino al supermarket, dove mi scrollai come un cane, notando che i miei capelli già si arricciavano. Trovai le uova, presi una confezione grande per sicurezza, e mi preparai a fare la strada di ritorno. Arrivata al mio cancelletto, notai una testa familiare qualche casa più avanti e allungai il collo per assicurarmene. - Kentin?- Lui alzò lo sguardo e strabuzzo gli occhi. - Che ci fai tu qui?- - Ci abito- - Oh! Che stupido, scusami- - E tu?- - Questa è la casa della mia nonna…- Io alzai le sopracciglia stupita, poi mi ricordai delle uova. - Aspetta due secondi- Gli dissi, prima di entrare, dare le uova alla mamma e riuscire. Appena mi fermai davanti a lui mi resi conto che gli avevo chiesto di aspettarmi per parlare. Bizzarro. Lui sembrava a disagio. - Come vanno le vacanze?- Chiesi, affondando le mani nelle tasche. - Niente di eccezionale. Le tue?- Scrollò le spalle, affondando il mento nella sciarpa di lana. - Nemmeno- Risposi con un sorriso. - Non è proprio un bel argomento da tirare fuori, ma ho continuato la ricerca…- - Sì anch’io! Ormai la data di scadenza si avvicina! Ti va di confrontarle?- Lui sembrò stupito del mio entusiasmo, e io pure, ma tentai di restare calma. - D’accordo. Domani?- - Sì, ci troviamo al caffè dell’altra volta: ti ricordi la strada?- Annuì. - Okey. Facciamo attorno alle sedici? È il momento in cui la pasticceria viene rifornita- Lui annuì di nuovo e si aprì in un timido sorriso, poi mi salutò e partì alla volta della fermata del bus. Soddisfatta, lo guardai andarsene. Un secondo. Qualcosa era cambiato. Non provavo nessun moto di disgusto o fastidio. In quei cinque minuti non aveva fatto nulla che mi desse il volta stomaco, ma nemmeno guardarlo in faccia mi aveva fatto salire l’ira assassina che di solito mi attanagliava. Scrollai la testa disinteressata dai miei stesi pensieri e tornai in casa. Il giorno seguente, alle quindici in punto, entrai nel piccolo caffè e salutai la donnina intenta a disporre dei dolcetti nella vetrinetta della pasticceria. - Sembrano squisiti- Commentai, trattenendo a fatica la bavetta. Lei mi fece un sorriso complice e si gettò un’occhiata alle spalle. - Offre la casa, finché mio marito non ci coglie sul fatto!- Io le feci un enorme sorriso e afferrai il piattino che mi passò da sopra la vetrinetta con un enorme e cremosa mille foglie. - Sei il mio angelo! Mi faresti anche un cappuccio?- - Certamente cara, accomodati!- Allegra come non mai, mi diressi quasi ballando a un tavolino vicino alla finestra e mi accomodai, proprio quando il campanello sopra la porta suonava di nuovo e Kentin entrava con una folata di aria gelida e alcuni fiocchi i neve spericolati. Appena mi vide si accomodò davanti a me e represse un brivido di freddo. - Buongiorno- Lo salutai, infilandomi con malagrazia un enorme boccone di mille foglie in bocca e restando folgorata da quanto era buona. Appena riaprii gli occhi vidi che lui mi guardava con un espressione strana. - Che c’è?- - Quello è mangiare- Rispose cercando di mascherare una risata dietro un sorriso. Io scrollai le spalle e leccai la forchetta, mentre la donnina arrivava con il mio cappuccio e chiedeva a Kentin cosa poteva portargli. Non appena ci fummo sistemati per bene tirammo fuori gli appunti e cominciammo a lavorare seriamente. Stavo riassumendo la letteratura quando lui starnutì e tirò su con il naso, facendomi rabbrividire. Alzai lo sguardo e lo vidi massaggiarsi gli occhi dietro gli occhiali. - Sei malato?- Chiesi. - No, non preoccuparti. Solo il freddo- Rispose allegramente, tornando alla sua pagina. Io lo fissai ancora un po’, notando quanto erano lucidi i suoi occhi e screpolate le sue labbra, ma lasciai perdere e tornai a leggere. Poco dopo lo intravidi che si massaggiava le tempie, allora appoggiai la penna e lo fissai dritto negli occhi con la mia espressione più severa. - Riposati un attimo, non c’è mica fretta di finire e tu sei malato-. - Ma… N-non posso farti lavorare da sola- Obiettò lui, evitando il mio sguardo. - Se hai paura che la gente dica in giro che ho fatto tutto io, non hai ragione di pensarlo. E la tua salute è più importante- - Non è quello è che…- La sua voce si affievolì fino a fermarsi, i suoi occhi fissi su un nodo nel legno del tavolo. - Riposati.- Ripetei più gentilmente. Lui guardò dubbioso gli appunti che aveva preso fino a quel momento, poi con un sospiro si tolse i fondi di bottiglia e posò la testa sul libro. Io sorrisi soddisfatta e continuai il mio lavoro. Ora sembravamo quasi due amici. In effetti, qualcosa era cambiato, forse addirittura io ero cambiata. Forse il fatto di non averlo visto per due settimane mi aveva indotto a vederlo con occhi diversi? Gli lanciai un’occhiata da sopra il libro e mi soffermai sorpresa sulle sue ciglia, che erano inaspettatamente lunghe. Così appisolato, con i capelli a scodella che gli cadevano un po’ sugli occhi, sembrava ancora di più un bambino. Si sa però che i bambini addormentati sono adorabili. Un brivido mi fece sobbalzare e sgranai gli occhi per quello che stavo pensando. Ma che diavolo mi era preso? Mi si era congelato il cervello? Mi passai le mani sulle guance e le sentii calde, e trattenni a stento una sonora imprecazione. Okay, era ufficiale: le vacanze mi stavano rimbambendo. Rialzai lo sguardo sul ragazzo, ignaro di tutta la scenetta, e gli feci una linguaccia, per poi tornare furiosa ad immergermi nella letteratura ottocentesca. Passò un’ora, prima che i miei occhi chiedessero pietà e il mio cervello si mettesse in stand by. La donnina mi aveva portato un altro caffè con un’occhiata preoccupata, ma ero riuscita a finire un altro capitolo della ricerca ed ero pienamente soddisfatta. Mi stiracchiai il più possibile inclinando la sedia in dietro, quando Kentin alzò il capo assonnato, la guancia su cui aveva dormito arrosata. - Ho… Ho dormito davvero?- - Sì, e anche bene! Non hai ancora una bella cera, ma dormire su un libro di certo non può far guarire- Presi tutto il mio lavoro e glielo piazzai davanti – Guarda un po’! Siamo pari ora!- Lui la prese, la sfogliò un po’ poi mi guardò sinceramente colpito. - L’hai fatta tutta oggi? Bhé, non potevo aspettarmi altro dalla migliore della classe- - Non sono la migliore- Risposi modesta, ringalluzzendomi come d’abitudine. Lui alzò gli occhi verdi su di me e, con la serietà più assoluta ribatté. - Sì che lo sei. Sei la più intelligente, sei bella e sei pure portata per gli sport-. Quegli occhi senza fondi di bottiglia erano un attacco diretto che mi fece trattenere il respiro per qualche secondo, finché lui non tornò a rivolgere la sua attenzione al mio fascicolo. Sentivo il cuore sussultare. No, okay, dovevo essere malata per farmi venire il batticuore per due occhi che, tutto sommato, non erano malaccio. Mi passai una mano sulla fronte ma, per mio immenso disappunto, la temperatura era normale. - Ti senti male?- Mi chiese lui, rimettendosi gli occhiali. - In effetti… Tutto questo tempo sui libri… Ho bisogno di un po’ d’aria fresca-. Lui annuì e prese a mettere il suo materiale nello zaino, mentre la donnina si avvicinava con il conto. - Le torte restano un segreto- Bisbigliò facendoci l’occhiolino. Noi rispondemmo con un sorriso d’intesa, raccogliendo la nostra roba e uscendo nel gelo serale, che spazzò via tutto il torpore del piccolo caffè. Almeno aveva smesso di nevicare. - Bhé… Ci si vede a scuola. Con il nuovo materiale- Mi salutò lui goffamente, le mani affogate nelle tasche del giaccone bitorzoluto. - Sì… Oh! Kentin!- Mi riscossi d’improvviso, facendolo ritornare sui suoi passi. - Che volevi dire quando ti ho fatto quella lavata di capo sugli occhiali?- Lui ci pensò su un attimo, poi gli tornò in mente la scena e si rabbuiò. - Esattamente ciò che ho detto- - Ma non è una scusa! Chiunque può cambiare!- - Non vedo come la cosa possa riguardarti- Rimasi interdetta, mentre lui si girava con aria truce e mi lasciava lì, sola in mezzo alla neve e ai primi lampioni che si accendevano.

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Capitolo 6
*** Un piccolo gesto per me, un nuovo mondo per lui ***


Le vacanze erano finalmente finite ma io ero tutt’altro che contenta: me ne stavo seduta al mio posto con una smorfia antipatica sul viso che aveva fatto allontanare chiunque avesse avuto l’intenzione di parlarmi quella mattina. La ragione era presto spiegata: appena entrata in classe avevo visto Kentin, ma lui aveva subito abbassato lo sguardo come un cagnolino bastonato, cercando qualcosa dietro il quale nascondersi. Ed ecco perché mi erano partiti da subito i nervi. Che gli prendeva? Poche settimane prima mi aveva fatto capire che non dovevo farmi gli affari suoi, non l’avevo più visto o sentito, e ora si comportava come se dovessi vendicarmi da un momento all’altro? Posai il viso su una mano e lanciai un’occhiata in cagnesco al mio riflesso sul vetro della finestra. Ormai mi ero messa il cuore in pace constatando che, dalla posizione di “nessuno”, Kentin era salito alla posizione di “qualcuno”. Ma non il “qualcuno” a random che mi parlava a scuola, il “qualcuno” di cui non memorizzavo mai il viso o il “qualcuno” che mi prestava alcuni spiccioli per i mikado e si sentiva al settimo cielo. No, lui era il “qualcuno” con cui non avevo mai voluto avere a che fare ma ero stata costretta a farlo, scoprendo che l’apparenza non combaciava per niente con quello che era veramente. Non che lo conoscessi ora, anzi. Era ancora un mistero per me, ma mi rendevo conto di volerne sapere sempre di più. Presi a giocherellare con la matita e a segnarmi alcuni appunti svogliati, ascoltando solo a metà la litania che il prof ci stava affibbiando su numeri vari ed equazioni scientifiche. Dovevo trovare un modo per avvicinarlo passando inosservata e senza spaventarlo. Buona fortuna a me stessa! Perfetto, volevo sbattere il banco in aria per l’amarezza. Ci pensai un attimo poi mi scappò un sorriso quando m’immaginai in quell’attimo di selvaggia ribellione, facendo crollare al suolo mascelle di prof e compagni. Lanciai un’occhiata veloce al ragazzo e, tutto d’un tratto mi si accese una lampadina: i biscotti! Me ne aveva sempre offerti e io, ingordamente, non mi ero mai tirata in dietro. Un bel pacco di biscotti per sciogliergli la lingua probabilmente funzionava! Mi sentivo già la vittoria in pugno. Appena la campanella suonò, mi affrettai a scribacchiare un bigliettino per dargli appuntamento dopo scuola e glielo lasciai discretamente sul banco, per poi uscire di corsa e dirigermi alla macchinetta per comprare l’esca. La giornata sembrava non passare mai e mi beccai un’altra strigliata da Alexy per via del mio ghigno malvagio, ma non m’importava. Seguivo la lancetta dei secondi che ruotava lentamente nell’orologio e, appena arrivò sull’ora piena e la campanella squillò allegramente in tutta la scuola, ero già praticamente in piedi con tutto il materiale nella borsa. Corsi fuori alla velocità della luce e, solo l’aria frizzante di metà gennaio calmò la mia irruenza. Saltellai nella neve fino alla scala anti incendio, dove mi sedetti in preda al tremolio, maledicendomi per la mia idea geniale sul luogo del ritrovo. Passarono almeno dieci minuti, io avevo già un’aria di tempesta attorno a me e le mani gelate nonostante i guanti. Ed eccolo arrivare cautamente, la solita sciarpa di lana, la solita giacca deformata, e il viso arrossato dal freddo che sembrava una mela matura. D’un tratto tutte le maledizioni che gli avevo lanciato si calmarono, la mia espressione tornò neutra, ma i denti non riuscirono a non battere e la mia mano a tremare, quando gli porsi la scatola di biscotti. Lui sorrise timidamente e si apprestò ad aprirla, mentre io mi alzavo e sentivo il mio didietro congelato riprendere un po’ di vita. - Parliamo- Gli dissi con una voce tremolante che era ben lontana dal tono autoritario che avrei voluto usare. Lui sembrò capire al volo le mie intenzioni e si mosse a disagio, restituendomi la scatola di biscotti. - Andiamo, di cos’hai paura?- Lo apostrofai. - Tu non devi avere a che fare con me- Il suo tono tradiva una nota d’amarezza. - Non ho scelta- Gli risposi con un sorriso, beccandomi un’occhiata sbalordita. Lo presi sotto braccio e lo obbligai a seguirmi verso il nostro caffè di fiducia, dopo poco lo sentii cedere e seguirmi docilmente. Era alto poco più di me, riuscivo a percepire il suo braccio gracile attraverso il cappotto. Per la prima volta sentii un sentimento caldo di simpatia nei suoi confronti. Vedevo la sua bocca contorcersi in smorfie, ancora combattuto, eppure non mi dava fastidio. Notai il naso pericolosamente toppo, ma non mi disgustava. Nemmeno il fatto di provare interesse in lui non m’infastidiva. Mi scappò una risata che mi fece guadagnare un’occhiata perplessa da fondi di bottiglia e occhi verdi, ma io mi limitai a sorridere e a lasciargli il braccio, prima di aprire la porta e seguirlo all’interno del caffè. - Allora- Attaccai, non appena la donnina ci servì con un largo sorriso e se ne fu tornata dietro al bancone. - Vorrei precisare per prima cosa che da adesso mi devi vedere come un’amica, non come la tua compagna di progetto-. Lui per poco si strozzò con il suo tè e prese a tossicchiare rumorosamente, spargendo saliva e tè sul pavimento. Io rimasi impassibile, con un sorriso amabile stampato in faccia. - Scusa, non credo di aver capito bene- Borbottò non appena si fu ripreso, le gote paonazze e gli occhi lucidi. - Oh si invece, il tuo tentativo di suicidio lo ha dimostrato- - Non possiamo essere amici- - Perché?- - A-apparteniamo a… Due categorie opposte- Io mi sporsi verso di lui, bene attenta a puntare i miei occhi nei suoi e non lasciargli nemmeno uno spiraglio di fuga – Kentin, non te lo sto chiedendo. Non ne ho bisogno. Ho detto che siamo amici, e così sarà-. Lui parve inorridire, poi prese a scuotere la testa violentemente come un cane. - No, no non puoi! Non voglio!- - Ti fa così ribrezzo vedermi come amica?- Ero piuttosto offesa e non sapevo bene come reagire: nessuno aveva mai rifiutato la mia amicizia. - Non è per quello è che… A scuola! Prenderanno di mira anche te! Tutto ciò per cui ti ammirano diventerà una ragione per odiarti… Non posso lasciarti finire dalle stelle alle stalle per… Per me-. - Non metterla così sul teatrale- - Tu non sai di cosa sono capaci i sedicenni d’oggi-. Il suo sguardo truce mi sorprese e mi imbarazzò perché tra quei sedicenni c’ero anch’io. Sorseggiai il mio tè cercando di mascherare il disagio, poi posai la tazzina con decisione. - Okay, allora facciamo che siamo amici fuori da scuola-. Lui inarcò un sopracciglio e prese a grattarsi il naso a patata. - Perché ci tieni tanto?- - Perché tu hai bisogno di un amico. Tutti ne hanno bisogno! E io sarò la tua prima amica!- Tutto l’entusiasmo che mi aveva suscitato il mio piano, svanì alla vista del turbamento del ragazzo, che cercava di rintanarsi tra le sue spalle gracili. - Cosa ti turba?- Gli chiesi, cercando di non fargli notare la ma delusione riempiendomi la bocca di tiramisù. - Ecco…- Il duo sguardo saettò sul tavolo nervoso, per poi fermarsi sospettoso su di me, con la bocca sporca di cioccolato in polvere e le guance gonfie di cibo. Gli scappò un sorriso. - Mi chiedevo come faccio a fidarmi di te. Insomma, potrebbe essere l’ennesima trappola escogitata dagli altri per farmi credere di aver qualcuno su cui poter contare e…- S’interruppe, palesemente rattristato. Io rimasi sconcertata, poi mi ripresi. - Ma come puoi pensare a una cosa del genere? Io… Io voglio essere veramente tua amica, te lo giuro su.. Su quello che vuoi, qualsiasi… Oddio- Mi fermai chiudendo gli occhi e imponendomi di calmare i sentimentalismi. - Amici- Conclusi quando mi fui calmata. Vidi uno sprazzo di luce risplendere nei suoi occhi, poi un leggero colorito imbarazzato sulle guance. Sembrava sinceramente felice, quasi più vivo. No okay, io viaggiavo troppo di fantasia e il sentimentalismo da amicizia lacrimosa si stava rifacendo sentire. Mi schiarii la gola e intrecciai le mani sul tavolo. - Allora, raccontami di te. Tra amici ci si scambiano opinioni, interessi, si parla della famiglia, di cosa ci piace. Roba del genere- Kentin si rabbuiò un poco. - Comincia da quello che ti piace- .Lo incoraggiai, ma lui sembrò ancora più intimorito. - Okay, comincio io allora. Sono figlia unica, mia madre lavora in uno studio di design, mio padre fa il poliziotto. Viviamo… Oh, già lo sai, vicino a tua nonna-. Sorridemmo e lo vidi rilassarsi un po’. - Mi piace la matematica. Lo so, non si direbbe mai. E i racconti d’avventura. E le candele profumate. Già… Che altro: il cioccolato e tutto ciò che è considerato dolce e viene dalla grande famiglia del” lusso che poi ti farà piangere perché ti verranno brufoli barra ciccia”-. Lui sorrise e vidi la sua faccia tonda risplendere di complicità. - Nonostante sembro portata per gli sport, non ne vado pazza: meglio stare chiusi a casa sul divano. Mi piace studiare ma lo nascondo per la mia immagine scolastica. Mi piace ciò che la gente pensa di me e mi sono calata nel personaggio-. Feci una pausa a corto d’idee e giocherellai con le scie di mascarpone rimaste sul piattino del tiramisù. - Ti vedo spesso con i due gemelli- Borbottò lui timidamente. - Ah, giusto! Alexy e Armin, come ho fatto a dimenticarli? I miei rumorosi vicini, ci conosciamo da quando portavamo il pannolino. Quello con i capelli scuri e gli occhi azzurri sembra un nerd un po’ scorbutico, ma in realtà e un vero cavaliere: era sempre lui a proteggere me e Alexy all’asilo e alle elementari se qualcuno ci molestava. Insieme giochiamo sempre ai videogiochi. L’altro invece, l’avrai sicuramente notato perché ora ha i capelli azzurri, è un tipo piuttosto… Frivolo, ecco. Un pizzico effemminato a volte… Ma molto solare ed estroverso. In parte è merito loro se abbiamo cominciato questo progetto insieme, io… All’inizio detestavo l’idea di dover fare coppia con te- Conclusi con un sussurro, sentendomi terribilmente imbarazzata e irritata da quanto ero stata infantile. Lui però non ne sembrò sorpreso, anzi: annuì e un lieve sorriso gli increspò le labbra. - Già. Penso che tutti abbiano tirato un sospiro di sollievo quando hanno scoperto che non toccava a loro ma a te-. - E se ne pentiranno quando vedranno che lavoro hai fatto! Quasi quasi mi prendo una vacanza!- Lui sorrise imbarazzato – Immagino di avere… Una buona motivazione-. Io gli sorrisi di rimando, poi mi stravaccai sulla sedia esausta. - Accidenti, tutto questo parlare di me mi ha stancata da morire!- - Però è stato bello. È come se ti conoscessi un po’ di più- Quando incrociai il suo sguardo sembrava davvero raggiante e i suoi occhi brillavano più del solito, facendo scaturire un senso ti tenerezza e affetto dal mio cuore. - Quindi la prossima volta toccherà a me conoscerti di più-. Emozioni contrastanti si mischiarono sul suo volto, ma alla fine annuì con un po’ di convinzione. La sera imminente stava cospargendo il cielo di stelle, e noi cominciammo il duro lavoro da studenti.

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Capitolo 7
*** Scacco ***


Gennaio stava svolgendo al termine. L’unica cosa diversa ero io. Ero sempre felice e solare, parlavo con tutti, partecipavo più spesso alle uscite di gruppo ed ero più accondiscendente verso le mie compagne di classe. I gemelli si erano mostrati un po’ sorpresi all’inizio da tutto quel buon umore nel bel mezzo dell’inverno ma, dopo un’occhiata delle loro che io ancora non riuscivo a decifrare, avevano preso la palla al balzo, specialmente Alexy. Mi trascinava per negozi, mi parlava per delle ore, mi usava un po’ per le questioni in cui suo fratello era totalmente sordo e inappropriato, come il parere sul fisico di alcuni modelli, quale fosse il calciatore più figo della squadra del tal dei tali, se l’attrice del film del momento si fosse rifatta o meno. Insomma, non avevo più un attimo per me, ma la cosa non mi turbava: la mia rientrata in società mi aveva fatto bene, ed era partito tutto dalla nuova amicizia segreta che avevo con Kentin. Sapere di non dovermi più preoccupare delle sue reazioni esagerate o delle sue fughe improvvise mi aveva messo il cuore in pace, ma a scuola ci comportavamo ancora come due obbligati a lavorare insieme. Per i corridoi lo vedevo ancora ingobbito che camminava quasi appiccicato alle pareti, che si nascondeva dietro libri dall’aria tutt’altro che appassionante o semplicemente si guardava le scarpe. Non appena suonava la campanella della fine delle lezioni però, ci trovavamo sempre più spesso a passare il tempo assieme, non solo per fare la ricerca. A volte ci capitava di andare al caffè che era diventato la nostra base segreta e semplicemente parlare del più e del meno. In una di queste occasioni mi capitò di vederlo ridere di gusto per la prima volta: un ricordo indimenticabile. Non ricordo come era saltato fuori il discorso dei sogni strampalati. - Una volta mi è capitato di sognare che la scuola era completamente allagata- Avevo attaccato, tamburellando le dita sul tavolo del caffè cercando di ricordare i particolari. - Non so perché ma noi studenti ci eravamo accampati fuori. No, ora che ci penso c’erano anche i docenti. Praticamente ci eravamo creati la nostra cittadina di tende in stile Harry Potter e il calice di fuoco solamente perché la scuola era chiusa. Una casa non ce l’avevamo a quanto pare. Fatto sta che se ne vedevano di tutti i colori: gente che aveva, non so come, piscina e scivolo davanti a casa, addirittura la preside girava vestita da lattina d’aranciata, non so perché, c’era una tenda con delle piante carnivore…- - Aspetta, aspetta: la preside vestita da lattina d’aranciata?- M’interruppe. - Sì- - E perché?- - Mi stai chiedendo perché l’ho sognata vestita da lattina?- Ci guardammo per un po’, poi lui cominciò a tremare e a coprirsi la bocca con una mano, diventando rosso come un peperone. Io all’inizio mi preoccupai pensando a una crisi o a qualche problema sconosciuto, ma poi lui gettò indietro la testa e lasciò andare una fragorosa e contagiosa risata, che ben presto mi fece dolere la pancia e lacrimare gli occhi. Era un’idiozia, eppure restammo piegati in due dalle risate per un buon quarto d’ora e, quando finalmente ci appoggiammo al tavolo stremati, notammo che pure la donnina dietro il bancone ridacchiava senza sapere bene il perché. Ripensando a quell’episodio mi venne istintivamente da sorridere al ragazzo che mi porgeva il menù del giorno in mensa, facendolo arrossire come un peperone. Mi sedetti soddisfatta con i miei compagni di classe che cianciavano allegri, ascoltandoli solo con un orecchio. Lo cercai nella mensa e lo individuai nel solito tavolino nell’angolo, intento a mangiare il suo piatto di pasta senza staccare gli occhi dal libro. Sorrisi e scrollai la testa, concentrandomi sul mio pasto. Ero felice di essere sua amica, mi rendevo conto di cercarlo con gli occhi sempre di più in giro per scuola e ,quando non lo trovavo, sentivo un moto d’apprensione alla base dello stomaco. Armin ed Alexy mi osservavano sempre più attentamente e capitava che mentre parlavo del mio compagno, loro si scambiavano quel famoso sorrisetto, mandandomi su tutte le furie. Però ancora non si era confidato con me… - Ehi Amira- .Era una delle mie compagne di classe, quella della camicetta. - Ho sentito che Jan della sezione 4-A si vuole dichiarare a te!- La guardai per un attimo senza capire, poi strabuzza gli occhi. - Eh?- - Sì hai capito! A quanto pare non riesce più a tenersi dentro la cosa!- - Ma scusa, chi è?- Fu il suo turno di strabuzzare gli occhi. - Scherzi vero? È il ragazzo che ti ha servita prima!- Ma si può essere così idioti? - Davvero non te n’eri accorta! Si vede lontano un miglio!- S’intromise un’altra. Le ragazze si misero a confabulare sul dove, sul quando e sul come questo Jan si sarebbe dichiarato. Io ero fritta. Se c’era una cosa che odiavo erano quelli che decidevano di dichiararsi senza ragione, solo per “ togliersi un peso dal cuore e ricominciare”. Perché diavolo si dichiaravano se non avevano uno straccio di possibilità! Finii il pranzo con il morale sotto i piedi, poi sgattaiolai via dalla mensa in cerca di un luogo sicuro in cui rintanarmi. Lo trovai fuori, sulla scala anti incendio. Mi raggomitolai sull’ultimo gradino, guardando i raggi di sole di quella giornata limpida giocare sulla neve. Se riuscivo a scampare fino alla fine stando in classe ce la potevo fare. Poi però avevo appuntamento con Kentin, se questo tizio mi beccava con lui in atteggiamento amichevole cosa avrebbe pensato? E se invece pensava che Kentin mi stava solo infastidendo e lo faceva scappare o peggio… Mi passai ferocemente le mani tra i capelli irritata, facendoli diventare gonfi come la criniera di un leone. - Ehi Am- Sobbalzai e mi voltai sulla difensiva, incontrando gli occhi blu ghiaccio di Armin che mi fissavano dal fondo della scala. - Oh, Armin- - Che ci fai qui fuori, senza nemmeno la giacca?- - Prendo aria- Lui scrollò la testa e salì le scale, per poi sfilarsi la sua giacca e passarmela sulle spalle. - Tu piuttosto: è raro vederti all’aria aperta- Borbottai, riconoscendo il famigliare odore dell’amico sulla giacca. Armin rabbrividì e si portò verso il poco di sole che bagnava la scala. - E a buon ragione! Si gela! Sono uscito perché Alexy ti ha visto dartela a gambe dalla mensa dopo che un tizio ha detto di volersi confessare a te-. Sgranai gli occhi – Ma come ha fatto a sentire tutto?- - Lo sai com’è Alexy: più pettegolo di una lavandaia!- Rispose il ragazzo con noncuranza. - Allora: è vero?- Mi strinsi nella giacca e annuii sconsolata. Armin scrollò la testa con un sospiro. - Non ti lasceranno mai in pace, eh?- - Pare che dirmi cosa provano per me li renda più tranquilli, anche se li rifiuto sempre- Borbottai. - Bhé… Alexy mi ha detto di provare una cosa- Alzai la testa speranzosa, ma Armin evitava il mio sguardo accuratamente. - Ha detto… Di dire in giro che stiamo assieme. Nessuno s’insospettirà, ha detto, perché siamo sempre insieme, e così magari ti lasceranno in pace, sapendo che c’è già qualcuno- Io ci pensai su. - Certo, è un’idea di Alexy. Non siamo obbligati a provarci…- - No, facciamolo- Lui alzò lo sguardo stupito. - Stasera, dopo scuola. Penso che sarà quello il momento. Dobbiamo riuscire ad incontrarci, così tu potrai dirgli una qualche scena d’effetto e bam! Libertà!- - Frena frena frena: frase d’effetto? Punto d’incontro?- - Andiamo Armin: vuoi farmi credere che non hai mai provato un dating sim? Tira fuori una frase melodrammatica!- Mi alzai piena di fiducia, togliendomi la giacca e restituendola all’amico, che sembrava piuttosto perso. - Appena suona la campanella io andrò con tutta calma all’entrata principale. Tu arriva lì. Immagino che aspetterà che si svuoti la scuola prima di fare la mossa fatale, quindi tieniti pronto- Lui prese la giacca scrollando la testa. - Perché mi sembra tutto una specie di Assassin’s Creed senza spargimenti di sangue? Ricevi la missione, raccogli informazioni, vai sul punto di riferimento e uccidi la persona interessata…- Io gli diedi un buffetto, prima di tornare baldanzosa nella scuola. - Ti devo un favore, non è cosa da poco!- Il momento critico arrivò più in fretta del previsto e io mi diressi all’entrata con il cuore in gola dall’emozione. Sulla strada incrocia Alexy, che mi fece l’occhiolino da vero complice, e io risposi con un sorriso. Mi fermai vicino agli armadietti, il cuore che batteva all’impazzata dall’aspettativa. La scuola si stava svuotando rapidamente e man mano che salutavo questa o quella persona, mi rendevo conto che ormai mancava veramente poco. Ed eccolo che mi si ferma davanti. Almeno: credo sia lui, non ci ho mai fatto molto caso. Io gli rivolgo un’occhiata interrogativa, quando in verità mi verrebbe da sorridere e ridacchiare come un’idiota. - Hai bisogno di qualcosa?- Gli chiedo, stringendo forte la borsa per impedirmi di sorridere. - Sì, io… Devo confessarti una cosa- Urca, che roba pesante! Lancio un’occhiata al corridoio chiedendomi dove si trovava Armin in quel momento e cosa stava aspettando, ma i miei occhi si fermarono su una figura magrolina e famigliare che non doveva esserci. Mi sentii gelare quando vidi Kentin, in mezzo il corridoio che ci guardava attonito. Solo con lo sguardo cercai di fargli capire di andarsene, ma lui non colse il messaggio e restò lì. Nello stesso momento arrivò Armin trafelato, infilandosi la consol in tasca e travolgendo quasi Kentin al suo passaggio. - Io…- Cominciò Jan, dopo una lunga boccata d’aria. - Ehi, Am! Scusa se hai aspettato!- Lo interruppe il ragazzo piazzandosi davanti all’altro senza degnarlo di uno sguardo e prendendomi disinvolto la mano. Seguì il mio sguardo sorpreso e si ritrovò davanti Jan, con la bocca ancora aperta e gli occhi sgranati. - Oh scusa, ti ho interrotto? Stavi parlando con la mia ragazza? Continua pure-. Sia io che gli altri due presenti restammo senza parole: io perché Armin si era calato perfettamente nella parte, gli altri due per la rivelazione del secolo che avevo un ragazzo. Vidi con la coda dell’occhio Kentin girare sui tacchi e sparire, facendomi sentire un moto di preoccupazione che mi avrebbe volentieri fatto dimenare dalla presa di Armin per corrergli dietro. - La… La tua… Ragazza?- Ripeté il povero che mi stava davanti. - Sì, che c’è di strano: non si era capito?- - Cosa volevi dirmi?- M0intromisi con un sorriso zuccheroso. - I-io… Nulla. Scusami- Il ragazzo se la diede l’letteralmente a gambe e, appena la porta d’entrata si fu richiusa alle sue spalle, io mi girai dov’era sparito Kentin, per poi rendermi conto che io ed Armin ci stavamo ancora tenendo per mano. - Non ci credo, ha funzionato?- Armin continuava a fissare l’entrata, lo sguardo inespressivo. - Così pare, ti devo un favore enorme. Ora scusa, ma devo incontrare una persona-. Lui si riscosse e mi lasciò la mano arrossendo leggermente, poi si mise le mani in tasca e se ne uscì da scuola ingobbito, ma io stavo già correndo verso la biblioteca e non lo notai. Entrai con il fiatone e la severa bibliotecaria mi squadrò con aria critica da capo a piedi. La superai con un lieve inchino e cominciai a cercarlo tra gli scaffali. Lo individuai grazie a una pila di libroni su un tavolo che lo nascondevano. Lo raggiunsi in due lunghe falcate e mi appoggiai al tavolo cercando di riprendere fiato. Lui alzò la testa e arrossì violentemente, ritornando di scatto sul libro. - Non sto veramente con Armin, è una scusa per evitare che altri ragazzi m’infastidiscano ancora con i loro sentimenti evidentemente a senso unico- Sibilai, sentendomi terribilmente bene dopo averlo informato dei fatti. Lui sembrò sorpreso, poi arrossì ancora violentemente. - M-ma voi vi… Vi tenevate p-per mano…- - È come ti ho detto. E poi cosa vuoi che sia tenersi per mano tra amici? Ecco, guarda- E così dicendo allungai una mano e presi una delle sue, facendolo sobbalzare e arrossire ancora di più. Prima che lui sfilasse la sua mano dalla mia con uno scatto, notai le sue dita lunghe e affusolate che stonavano particolarmente con il suo viso e il suo fisico ancora da ragazzino. Kentin prese a torcersi le mani evidentemente a disagio, così mi sedetti di fronte a lui e presi con noncuranza uno dei libri e presi a sfogliarlo. In breve tempo m’immersi completamente nella lettura, senza notare che il mio compagno era ancora immobile. - Ti voglio raccontare di me- Esordì d’un tratto, distraendomi bruscamente da un paragrafo particolarmente interessante. Alzai gli occhi sorpresa, ma il suo sguardo era risoluto. - D’accordo- Risposi con un sorriso. Finalmente ce l’avevo fatta! Finalmente avrei cominciato a far parte del suo universo.

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Capitolo 8
*** Lo stagno del brutto anatroccolo ***


Entrammo nel caffè seguiti dalle nuvolette di vapore che ci uscivano da bocche e nasi. Appena ci sedemmo, io mi misi in trepidante attesa, le braccia incrociate sul tavolo e gli occhi grandi di curiosità. Kentin sembrava piuttosto pentito di aver preso una decisione così affrettata, ma era troppo tardi per tirarsi indietro e lo sapeva. Prese una lunga boccata d’aria e poi si tolse gli occhiali, appoggiandoli con cura sul tavolo. - Almeno non ti vedo troppo bene- Si giustificò imbarazzato. Io mi limitai ad annuire e ad aspettare, rosa dalla curiosità. - Allora: vivo con mio padre e mia madre, ma ho altri due fratelli più grandi: uno lavora per la polizia, l’altro è a una scuola per sportivi d’élite-. Strabuzzai gli occhi chiedendomi come poteva avere due fratelli del genere, e lo ringrazia mentalmente per aver tolto gli occhiali. I suoi occhi verdi fissavano il legno del tavolo con un’espressione intensa ma indecifrabile. - Mia madre lavora part-time in un supermercato vicino a casa, mio padre è militare-. Ah, ecco che tutto si spiegava… Più meno. - Lui desidera che anch’io faccia un addestramento, ma mi sento la persona più sbagliata per seguirlo in quell’ambito. La nonna che abita vicino a te è quella da parte di mia madre. La vado a trovare spesso perché lei mi capisce meglio di chiunque altro e riesce sempre a tirarmi su di morale quando mio padre parte con le sue voglie di reclutamento-. - Scommetto che non ti capaciti di come sono fisicamente con una famiglia così atletica, non c’è bisogno di nasconderlo: pure io me lo chiedo. La cosa peggiore è che sono anche una frana nello studio. A scuola mi distraggo facilmente e quindi perdo parti delle lezione e, non avendo amici, non posso copiare gli appunti di nessuno, quindi non mi resta che indovinare le parti che ho perso e ripassarle sui libri di testo. Pare che pure il mio intuito faccia cilecca perché la gran maggior parte delle volte sono insufficiente comunque-. Sento un nodo che si stringe sempre di più sul fondo dello stomaco, ma non fiato. - Come famiglia siamo economicamente normali, ma essendo l’ultimo genito ho dovuto accontentarmi dei vestiti usati dei miei fratelli, che alla mia età erano già il doppio di me. A volte mia madre riesce a comprarmi qualcosa di nuovo, ma anche lei si è abituata a vedermi con i vestiti smessi. Questa è una delle ragioni per cui hanno cominciato a prendermi in giro al primo anno. Allora ho pensato di rendermi il più insignificante possibile, di sparire agli occhi di tutti: con alcuni a funzionato, ma con i peggiori no. Mi hanno preso di mira da subito e non sono più riuscito a liberarmi dal loro mirino. Quindi ho deciso di non sprecare forze per crearmi un’immagine e fingere di non essere a scuola, di essere solo a casa. Non ho nascosto la mia passione per i romanzi, soprattutto quelli storici, per i biscotti, e altre cento cose che sono reputate o noiose o infantili. Non avevo nulla da perdere, quindi tanto valeva-. La morsa si stringeva sempre di più e ci si mettevano anche i miei occhi, che stavano diventando lucidi, offuscandomi la vista. - La mia vita è sempre stata immobile, priva di qualsiasi risata sincera o del calore di un amico: è sempre stata come una foto in bianco e nero, immobile e fredda. Poi però è arrivata la prima pennellata di colore: tu mi hai teso una mano quando nessuno l’avrebbe mai fatto. Proprio tu che brilli sempre come una stella! Tu che ovunque vai attiri sempre l’attenzione, tu che fino a pochi mesi fa neanche sapevi che esistevo… Per la prima volta ho sentito il mio cuore battere, mi sono sentito così felice come non mi succedeva da quando ricordo. Però avevo anche paura: e se era tutto uno scherzo? Mi era già successo che si prendessero gioco di me, umiliandomi all’inverosimile con la stessa tecnica. Eppure tu sei inorridita quando te l’ho detto. Tu eri sincera. Ancora non so perché, ma tu volevi essermi amica, lo hai voluto anche nelle settimane a venire, mi hai portato una ventata di primavera nel mio cuore sempre gelato dall’inverno.- Le prime lacrime sgorgarono senza ritegno dai miei occhi, rigandomi le guance e dondolando sulla linea della mascella. Il nodo, dallo stomaco era risalito fino alla gola. - Ciò che hai fatto per me non si può esprimere a parole. Probabilmente non mi basterà tutta una vita per ringraziarti, però voglio che tu sappia almeno che hai reso questi ultimi mesi più belli, ogni giorno mi è sembrato più radioso da quando mi hai “ordinato” di essere tuo amico, anche se fuori nevicava io vedevo il sole… Grazie a te, Amira-. Lui guardava il mio viso con gli occhi socchiusi e un sorriso dolce e sincero che gli incurvava le labbra. Io non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, mentre le lacrime sgorgavano a fiumi dai miei occhi. Allungai una mano e afferrai la sua. Lui sussultò, ma questa volta ricambiò la stretta. Appena però si accorse del mio tremito dovuto ai singhiozzi che stavo trattenendo, s’incupì e rinforcò gli occhiali, strabuzzando gli occhi non appena si rese conto che gli stavo davanti paonazza, con le lacrime che non volevano smettere di scendere dagli occhi, il naso che cominciava a colare e la bocca piegata in una smorfia per trattenere i singhiozzi. - Oh no, non piangere, scusami non volevo raccontarti tutta questa idiozia- Lui sembrò impancarsi e cominciò a cercare i tovagliolini di carta che, ovviamente non c’erano. - Non è un’idiozia!- Singhiozzai io – È tristissimo! Ma anche bellissimo! Cioè…- Frignavo senza ritegno, ma il locale era vuoto quindi non me ne curai. Perfino la donnina si era volatilizzata. Kentin era palesemente in panico e si agitava sulla sua sedia, allora lo inchiodai per gli avambracci al tavolo e fissai i miei occhi gonfi e rossi nei suoi. - Se hai avuto un periodo così schifoso, in parte è anche colpa mia, quindi non merito i tuoi ringraziamenti. Io sapevo che esistevi, ma ti consideravo il limite del disgusto, la cosa da evitare. Ora so che mi sbagliavo e mi faccio schifo da sola per aver pensato a cose così stupide senza nemmeno averti conosciuto-. Tirai su con il naso rumorosamente come mai avevo fatto, stuzzicando me stessa e il fastidio che avevo provato quando lui lo aveva fatto. Restammo in silenzio (si fa per dire: io singhiozzavo ancora senza ritegno) per qualche minuto, a fissarci e a pensare a ciò che avevamo appreso l’uno dell’altra, poi lui si liberò gentilmente dalla mia morsa d’acciaio e indugiò sulle mie mani prima di lasciarle. Un timido sorriso gli accese il viso di una luce nuova. - Ti ringrazio per la tua sincerità ma, anche volendo, non potrei disprezzarti per il disgusto che ti suscitavo. Tu mi stai facendo vivere il periodo più bello della mia vita, e con questo il caso è chiuso!- Sorrideva allegramente. Mi asciugai il volto e cercai di ricambiare, ma gli occhi mi tradirono di nuovo. - Non vogliono smettere di lacrimare!- Piagnucolai cercando di fermare ogni lacrima che usciva dai miei occhi. - E allora lasciale uscire- Mi rispose lui con semplicità e un tono divertito. Incrociai le braccia sul tavolo e fi affondai la testa, singhiozzando come una disperata. Sentii il suo tocco esitante sulla mia testa, che mi carezzava gentilmente, facendomi tornare bambina. Non mi mossi e lui continuò, calmandomi piano piano e godendomi quella sensazione di protezione. Quando in fine le lacrime finirono mi stavo appisolando beatamente, ma per fortuna mi ricordai che non ero sola ed era dannatamente maleducato addormentarsi davanti a chi ti aveva appena rivelato parte della sua vita. Alzai piano la testa e lui mi sorrise gentilmente. - Scusa. Era il tuo momento di raccontare e invece ho finito per essere io il centro dell’attenzione- Mugolai, cercando qualcosa di fresco per le mie guance bollenti. - Non importa. Meglio così, anzi. Non avevo più molto da dire-. - Ti sbagli! Mancano le cose basilari!-. - Ad esempio?- - Colore preferito-. - Cosa?-. - Cibo preferito, animale preferito, cosa vorresti fare da grande,…- - Frena, aspetta: sono davvero cose importanti?- Ci pensai su un po’, poi annuii. - Ad esempio: data di nascita?- - Venti febbraio-. - Manca poco allora! Ora che lo so, dovrò trovarti un regalo!- Lui inclinò leggermente il capo da una parte, come un cane perplesso. - Perché? Non desidero niente-. Sbuffai e gli puntai contro un dito. - Te l’ho chiesto? Tra amici ci si fa i regali per i compleanni. Anzi, ci si fa regali in generale e basta. Io voglio farti un regalo! Non lo vuoi?- Lui ci pensò su un po’, poi un lieve rossore gli pervase le guance paffute e lo fece sorridere. - Un tuo regalo sarebbe un sogno-. Ridacchiai imbarazzata e mi ringalluzzii involontariamente. - Fai bene ad accettarlo, non sai quante persone fanno la fila per un mio regalo! Quel ragazzo di prima per esempio…- Mi fermai di botto, vedendolo d’un tratto a disagio. - Cosa-. - N-nulla, perché?- - Kentin, ti stai dimenando su quella sedia come se avessi il ballo di San Vito: spara-. Sospira rassegnato: non poteva resistermi. - Hai detto che tu e Armin…- - Sì- - E che lo hai fatto per… Toglierti dai piedi spasimanti indesiderati…- - Già- Pausa. - Se qualcuno ti si avvicinasse… Useresti la stessa scusa?- Aveva gli occhi strabuzzati, incredulo di avermelo chiesto davvero. Io ci pensai su. - Probabile, se è qualcuno che non m’interessa. Poi immagino che Armin sarebbe nei paraggi, e si divertirebbe un mondo a rifare la scenetta da romanzo rosa-. Lo fissai in cerca di una risposta per la sua reazione, ma lui aveva di nuovo gli occhi bassi e non sembrava avere intenzione di rialzarli. - Vabbè, per oggi può bastare. La scenata che ho fatto mi ha sfiancata parecchio!- Esclamai allegramente, stiracchiandomi braccia e schiena. Un altro muro era stato abbattuto con successo. Ero sempre più entusiasta di uscire con lui e curiosa sulla sua vita e sui suoi interessi. Ero quasi troppo interessata, ma non me ne rendevo ancora conto.

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Capitolo 9
*** Non è la fine ***


Febbraio cominciò con una stupenda giornata di sole e continuò con pesanti nevicate e strade ghiacciate. La data di consegna della ricerca si avvicinava e, ora che sapevo il giorno del compleanno di Kentin, mi ero accorta che coincidevano. C’era qualcos’altro a cui non avevo pensato: dopo quel giorno non avrei più avuto una scusa da dare a chi mi chiedeva perché giravo con lui dopo scuola. È ben risaputo che più vorresti che il tempo si fermasse, più quello scorre rapidamente, così non mi restò che cercare un regalo per il ragazzo e tentare di non pensare a quanto poco tempo mi restava. Arrivò il fatidico venerdì venti febbraio, una giornata nuvolosa ma piuttosto calda per quel mese, e io mi ritrovai a scuola con un sacchetto di biscotti fatti a mano nascosti nella mia borsa e un pacchetto nel mio armadietto. L’insegnante di storia ci guardò da sopra i suoi occhiali con la montatura in tartaruga. - Ed eccoci al capolinea. Avete avuto poco più di due mesi per fare questa ricerca; spero abbiate imparato molto sul secolo che vi ho assegnato e che abbiate stretto un buon rapporto col vostro partner-. I suoi occhi guizzarono su di me, ma il mio viso restò impassibile, troppo assorto per farci caso. - Ora: chiamerò le varie coppie che, per favore, verranno qui con la loro ricerca e mi faranno un breve epilogo di ciò che li ha particolarmente colpiti, interessati o meno sul loro periodo. E se ci sono stati dei dissidi tra voi, è il momento buono per cantarmele!-. Una leggera risata percorse la classe per quei due secondi, prima che la prima coppia venisse chiamata e il resto dei compagni si mettesse a farsi gli affari propri o a parlare in piccoli gruppi. Io lanciai subito una rapida occhiata a Kentin, che teneva stretto il nostro malloppo di grandi dimensioni. Sembrava pallido, ma i suoi occhi erano invisibili dietro le spesse lenti degli occhiali. Sentii il famoso nodo allo stomaco che mi prendeva ultimamente, facendomi mancare l’aria. Dopodiché una grande tristezza mi assalì impercettibilmente, rendendomi man mano sempre più malinconica. Appoggia il mento ad una mano con un’espressione da martire che presto attirò l’attenzione dei miei compagni, che subito mi circondarono e presero a chiedermi il perché e il percome, cercando di tirarmi su di morale. - Tu e Kentin avete fatto un enorme lavoro!- Commentò con aria guardinga una, bisbigliando abbastanza forte da farsi sentire dal ragazzo – Ma lui ha fatto qualcosa o era troppo lento per seguirti?-. Sentii un moto di rabbia assassina percorrermi le vene e, con la coda dell’occhio notai che Kentin era arrossito, senza distogliere gli occhi dal nostro lavoro. - Ti sbagli- Risposi, con tono sicuro e abbastanza forte perché tutti mi sentissero – Kentin si è rivelato un vero genio delle ricerche, io ho fatto ben poco paragonato a quello che ha fatto lui. Ci ha messo anima e corpo e, se prenderemo un ottimo voto, sarà per la maggior parte merito suo-. I miei compagni sembravano perplessi e dubbiosi, ma non misero in discussione ciò che avevo detto e cambiarono argomento con disinvoltura. Mi girai di nuovo verso il ragazzo, che mi regalò un breve sorriso di ringraziamento, per poi girarsi precipitosamente ed assicurarsi che nessuno lo avesse visto. Io sentii l’ennesima stretta al cuore e, solo quando finalmente la prima campanella suonò, potei uscire e distrarmi con un po’ d’aria fresca. Non riuscivo a capire perché facesse così male la prospettiva di continuare la mia vita come l’avevo vissuta prima di dicembre, non riuscivo bene a spiegarmi la grande parte drammatica di tutto questo putiferio. Avrei continuato ad essere una regina ma… Mi stava bene che lui avrebbe continuato ad essere un nessuno? Avevo scoperto che mi piaceva passare il tempo in sua compagnia, anche se a volte mi faceva imbestialire con quel suo modo di fare da” tutto ciò che faccio è sbagliato, chiedo scusa in anticipo”… Mi appoggiai sconsolata al muro della scuola e presi a fissare le nuvolette di vapore che mi uscivano dal naso, rabbrividendo di tanto in tanto. Sentii dei passi nella neve ma non mi voltai finché quelli non si fermarono accanto a me, scoprendo che appartenevano ad un Alexy con un gigantesco sorriso e i capelli azzurri scoloriti. - Ma guardati, sembri un pagliaccio- Lo salutai con un sorriso critico. - Lo so, devo ritingerli- Sospirò lui, guardandosi una ciocca sconsolato. - Cosa ti turba- Prima che potessi ribattere, aggiunse – Sei un libro aperto Am, non negarlo-. La mia bocca si piegò in una smorfia e presi a fissare la neve accumulata sui rami, un fine strato geometrico che combatteva contro la forza di gravità. - Io… In verità non lo so. Sono confusa da me stessa. Oggi c’è stata la consegna del progetto di storia. In verità non è ancora finita, io e Kentin non l’abbiamo ancora consegnata-. Alexy aprì la bocca in una grande “o” muta, gli occhi accesi da un pensiero. - Dopo oggi non potrò più vederlo come prima, sarà addirittura impensabile considerarlo come un amico come ho fatto finora-. - E ti dispiace?- Stavo per ribattere secca, ma mi fermai a pensarci. Mi dispiaceva? Beh, se quella morsa implacabile allo stomaco non era dispiacere, cosa poteva mai essere? Annuii e gli lanciai una rapida occhiata per vedere la reazione, ma lo sorpresi a fissarmi con uno sguardo dolce e comprensivo da uomo vissuto. - Perché mi guardi così?- Scattai. - Oh, così come?- - Non fare il furbo Alexy!- - Ma io ti guardavo come ti guardo sempre- Fece lui, con un sorriso angelico che non me la dava a bere per nulla al mondo. Gli saltai addosso e prendemmo a lottare furiosamente nella neve come due bambini, con l’unica differenza di peso e statura. - Okay, okay, mi arrendo!- Proclamò lui in fine, sdraiato nella neve con me a cavalcioni sul suo petto, i capelli pieni di cristalli bianchi. - Era ora! Figurati che una donnina come te può battermi!- Scherzai con finto orgoglio. - Ascolta Am, io e Armin e da un po’ che ne parliamo e la faccenda si sta facendo evidente, ma tu non lo capisci-. Mi scostai da lui permettendogli di mettersi seduto. Lui si sistemò i capelli, poi mi fissò dritto negli occhi. - Non è che, ipoteticamente parlando, tu ti stia prendendo una cotta per lui?-. Sentii un fulmine d’orrore percorrermi dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli. Eppure c’era qualcosa, qualcosa di piccolo che cercava di farsi sentire dal profondo del mio cuore. - Vorrai scherzare!- Abbaiai d’istinto. Lui alzò le mani in segno di resa e si rialzò, aiutandomi poi a fare altrettanto. - Scusa, come non detto. Era solo un’ipotesi. Beh, in questo caso perché non fai un pensierino su Armin?- - ALEXY!- - Okay, scusa, un altro buco nell’acqua-. La campanella suonò d’improvviso, facendo comparire un sorriso di sollievo sul viso del gemello, che mi salutò per poi saltellare all’interno della scuola. Io innamorata di Kentin? Era semplicemente impensabile. Scacciai il nodo che avevo in gola e rientrai a scuola, cercando di scrollarmi di dosso gli ultimi fiocchi di neve e rassegnandomi all’idea di avere pantaloni e giacca bagnati. Appena entrai in classe, incrociai gli occhi verdi di Kentin e il mio cuore perse un colpo. Sentii un brivido alla colonna vertebrale mentre mi sedevo. Che diavolo mi stava succedendo? Non feci in tempo a riprendere il mio solito contegno che il prof ci chiamò. Mi avvicinai alla cattedra subito seguita dal ragazzo, che posò delicatamente il fascicolo davanti al prof, che sgranò gli occhi e un sorrise compiaciuto. - Vedo che le mie previsioni si sono avverate-. Commentò. - Kentin ha svolto gran parte delle ricerche-. Mi affrettai a precisare sulla difensiva, impaurita che potesse fare commenti del genere di quelli che avevano fatto i miei compagni. L’insegnante mi sorrise con fare rassicurante, poi prese a sfogliare il malloppo. - Ditemi le vostre impressioni-. Così cominciammo ad elencare cosa ci era piaciuto e cosa ci aveva colpito, completandoci le frasi a vicenda. Quando finimmo il nostro resoconto, ci scambiammo un sorriso d’intesa. - Vedo. Si è creato un bel rapporto tra voi due, anche se siete gli opposti-. Alzò gli occhi illuminati da una scintilla su di noi – Avete critiche o lamentele?-. Ci scambiammo uno sguardo, poi presi coraggio e parlai. - Immagino avesse notato il mio disappunto all’inizio. Voglio scusarmi, avevo torto-. L’insegnante mi sorrise con un lieve cenno del capo. - Lo immaginavo. Nulla ci spaventa di più di ciò che non conosciamo. Potete andare-. Ci voltammo e capii che era l’occasione: lo fermai per una manica. - Dopo le lezioni sulla scala antiincendio- Fiatai con voce appena percettibile, per poi superarlo con disinvoltura, come se non fosse successo nulla. Mi sedetti al banco e tutto d’un tratto mi resi conto che era finita. In un battere di ciglia. No, non era finita, dovevo trovare un modo entro quella sera, quando gli avrei dato i miei regali. D’istinto lanciai un’occhiata alla borsa in cui c’erano i biscotti e mi sentii arrossire. E se erano schifosi? E se si erano rotti? E se… Mi arrabbiai con me stessa, mettendomi il broncio da sola. I “se” e i “ma” non portavano da nessuna parte, e farsi paranoie prima del momento non avrebbe che peggiorato la situazione. Non riuscii però ad affogare la curiosità sui biscotti, così infilai una mano nella borsa e li tastai delicatamente, sentendo un sospiro di sollievo uscirmi dalle labbra nel constatare che erano integri. Passai il resto della giornata a contare i minuti che mi separavano dalla fine delle lezioni, sudando freddo e non riuscendo a star ferma un secondo. Relegata dietro un banco com’ero, continuavo a muovere nervosamente le gambe, a giocherellare con la penna e ad attorcigliarmi ciocche di capelli tra le dita. Quando finalmente le prime note della campanella risuonarono per tutto l’edificio, lasciai andare un gigantesco sospiro e mi preparai a comportarmi con disinvoltura mentre dentro di me sentivo l’emozione che ballava il tip tap nel mio stomaco. - Amira! Che ne dici di andare a festeggiare la fine della ricerca tutti assieme?- Mi chiese il mio vicino di banco, con un sorriso che sembrava lontanamente qualcosa di ammagliante. Io ricambiai il sorriso e scossi la testa. - Non posso, mi spiace. Ho già un appuntamento-. - Cosa? Amira ha il fidanzato?- Saltò su qualcuno. - Ma si scemo: Armin! Te ne sei già dimenticato?- Gli rispose qualcun’altro. Io li lasciai a discutere, ringraziando mentalmente Armin per aver continuato a divulgare il grande gossip su noi due. Andai agli armadietti ed estrassi il pacchetto regalo, soppesandolo tra le mani con fare pensieroso. Chissà se gli sarebbe piaciuto. Qualcuno mi batté una pacca sulle spalle, mi girai perplessa e vidi proprio Armin che si allontanava facendomi l’occhiolino. Tornai a fissare il pacchetto e mi sentii arrossire violentemente, così lo ficcai nella borsa e mi diressi verso l’uscita, le parole di Alexy che ancora mi rimbombavano in testa. “ Io e Armin è da un po’ che ne parliamo… Non è che ti stai prendendo una cotta per Kentin?” Alzai le braccia al cielo furiosa, riuscendo a stento a trattenere un ruggito animale, ma destando comunque l’interesse di chi mi passava accanto. Quella situazione tabù mi stava esasperando. Mi diressi a passo di carica verso la scaletta e, trovandola vuota, mi sedetti infuriata sull’ultimo gradino, la schiena rivolta verso la ringhiera e ai possibili scocciatori che avrebbero potuto disturbarmi. Il cielo si stava già oscurando e la stella della sera già brillava. Sentii dei passi e subito seppi che era lui, così mi girai e vidi il suo viso arrossato dal freddo avanzare nella neve. Appena mi raggiunse e si sedette sulla scala non riuscii più a trattenermi. - Buon compleanno!- Esclamai, allargando le braccia con fare teatrale. - Grazie-. Sorrise pieno di riconoscimento. - Volevo portare torta e candeline, ma mi sembrava troppo complicato, allora ho chiesto alla mamma di aiutarmi con questi-, Spiegai frugando nella borsa e tirando fuori i biscotti, sentendomi via via sempre più imbarazzata. Lui sgranò gli occhi e un sorriso trentadue denti gli illuminò il viso. - Biscotti! Grazie mille!-. - Magari non sono buoni, forse si sono pure sbriciolati e…- M’interruppi non appena diede un morso al primo biscotto, pronta a cogliere un qualsiasi segno di disgusto sulla sua faccia, ma non ne vidi. - Che buoni!- Esclamò leccandosi le briciole dalle dite – Quelli fatti in casa sono sempre i migliori!- Ricambiai il sorriso sentendomi più leggera, poi mi ricordai del secondo pacchetto e ripresi a frugare nella borsa. - In verità c’è un altro regalo-. - Un altro?- - Sì. Ecco, tieni-. Lui sembrava sinceramente sorpreso, e scartò il pacchetto con la cura di chi non ne riceve molti nella vita. Appena la carta cadde, rivelando una sciarpa verde, lui prese a saggiarla con le dita. - Ho pensato che s’intonava con i tuoi occhi-. Borbottai a disagio. Lui ricambiò il mio sguardo, poi si tolse quella grigia che aveva al collo e si mise quella che gli avevo regalato. - Com’è morbida- Mormorò affondandoci il viso. - Ti piace?- - Eccome. Non ho parole-. Sbirciai il suo viso ma sembrava sincero e profondamente commosso, con gli occhi lucidi. Ecco, pensai, è fatta. Mi alzai e mi stiracchiai soddisfatta. - Beh, allora siamo davvero giunti al capolinea- Commentai, notando una sfumatura triste nel mio tono. Abbassai gli occhi e incontrai i suoi, allarmati. - Vuoi dire che… Non ci vedremo più?-. Chiese titubante. - Non abbiamo più un motivo per farlo- Risposi, cercando di convincere anche me stessa. Kentin abbassò lo sguardo, poi lo rialzò con un espressione che non gli avevo mai visto. - Gli amici hanno bisogno di un motivo per frequentarsi?- Sentii gli occhi diventarmi lucidi dal sollievo, capendo che anche lui voleva ancora incontrarmi. Sorrisi raggiante e scossi la testa, risedendomi al mio posto e prendendo a chiacchierare, mentre il cielo diventava sempre più scuro.

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Capitolo 10
*** Aprile ***


Il freddo finì, i primi boccioli si aprirono dando vita alla primavera, i giacconi invernali vennero sostituiti dai cappotti e durante le pause il cortile della scuola si animava di una nuova vita. Per noi del quarto anno però primavera significava anche preparazione agli esami e l’inizio dei corsi di recupero. Dal momento che non avevo problemi a scuola per me non c’era alcuna differenza, ma ben presto Kentin non trovò più il tempo di uscire con me per via della mole di compiti che doveva sbrigare per le lezioni normali e quelle di recupero. Avevo cominciato a passargli i miei appunti infilandoglieli con discrezione nell’armadietto, scoprendo che prestare più attenzione alle lezioni e impegnandomi a scrivere in modo facile e comprensibile mi evitava di dover ripassare ogni sera. Nonostante tutto però le note del ragazzo saliva a una lentezza quasi angosciante. Poi arrivò aprile e le giornate cominciarono a farsi più soleggiate e invitanti, ma i voti del ragazzi continuavano a traballare, così un giorno gli tesi “un agguato” fuori dal bagno. - Posso aiutarti a ripassare-. Gli bisbigliai. Lui scrollò furiosamente la testa e si allontanò a grandi passi, lasciandomi incredula davanti ai bagni, intralciando il passo a tutti. Non riuscivo bene a capire se c’era sotto qualcosa di più preoccupante dei voti, fatto sta che nemmeno quando lo vedevo uscire di corsa dalla casa della nonna facevo in tempo a raggiungerlo e a parlargli. E i giorni passavano, diventavo più inquieta e Alexy ed Armin sempre più fastidiosi ed espliciti, prendendomi in giro per la mia ingenuità. - Si sta vedendo con qualcuna-. Disse un giorno Armin, un chupa chups in bocca e la consol scarica attaccata a una presa nascosta dalla macchinetta di merendine. - Chi?- Gli chiesi, sgranocchiando i miei fidatissimi mikado. - Il tuo ometto con gli occhiali- - Cosa? No aspetta, non è il mio ometto! Può vedersi con chi vuole, anzi: meglio per lui!- - Però ti sei immusonita- Ci si mise anche Alexy, carezzandomi una guancia. - Voi due….- - Dai Am, con noi puoi essere onesta-. - Armin! Solo perché il tuo aggeggio elettronico è scarico non vuol dire che ti devi divertire dando fastidio alla sottoscritta!- - Ma io ti ho solo avvertita-. - E io ti ho detto che non m’interessa! Siamo in un dannatissimo paese libero!- I due si scambiarono la tipica occhiata comprensibile solo tra gemelli, che mi mandò ancora più in bestia. Afferrai la mia borsa e me ne andai, riservando un’occhiata in cagnesco a chiunque avesse avuto la malsana idea di attaccare bottone in quel momento. E proprio svoltando un angolo con quell’atteggiamento da carrarmato finii in pieno contro qualcuno che, realizzai mentre cadevo per terra come un sacco di patate, era niente di meno che Kentin. Lui si rialzò in fretta, raccogliendo lo zaino e i libri che stava portando prima di finire sulla mia strada. Era pallido, il volto sembrava meno rotondo e gli angoli della bocca erano piegati verso il basso. Io afferrai fulminea l’ultimo libro che gli mancava, prima che la sua mano potesse anche solo sfiorarlo e mi rialzai, guardandolo dritto negli occhi. - Mi stai evitando?- Lui strabuzzò gli occhi e si guardò in giro nervosamente. Io invece non provavo alcun interesse per chi passava guardandoci perplessi: che pensassero quello che volevano, a questo punto poco m’importava. Kentin scrollò il capo e allungò una mano per riprendersi il libro, ma io lo spostai fuori dalla sua traiettoria sempre più frustrata. - Allora perché fai così?- Gli ringhiai contro. Lui osò alzare gli occhi verso di me e riuscii a cogliere del rammarico, un pizzico di paura e qualcosa di simile alla rassegnazione. - È un periodo un po’ pieno. Vorrei davvero poter passare del tempo con te, ma non riesco-. - Almeno potevi trovare una scusa più originale-. Sentii la mia voce ribattere con più disprezzo di quello che avrei voluto. Gli restituii il libro sotto il suo sguardo combattuto e spaventato, poi me ne andai con sdegno come una regina, a testa alta… Per poi chiudermi in un cunicolo dei bagni con la testa tra le braccia, senza sapere se piangere o arrabbiarmi. Volevo urlare con tutto il fiato che avevo nei polmoni, volevo tornare indietro e tirargli un calcio volante che non si sarebbe scordato facilmente, volevo prenderlo per il maglione e scrollarlo come un milk-shake… Eppure c’era quella piccola vocina che tendevo ad ignorare che cercava di farsi notare. Mi sentivo tradita, delusa… Perché? E se… Davvero provavo qualcosa per lui? Fermai la mia mente e una lacrima calda mi rigò una guancia, finendo nella stoffa del mio maglione. Provavo qualcosa? Un’altra lacrima. Questo era un sì? Un’altra ancora. Scattai in piedi e uscii dal cunicolo come un uragano, fermandomi davanti agli specchi per guardare affascinata il mio corpo che si ribellava alla mia mente. Gli occhi grandi e pieni di lacrime, le guance rigate da piccoli rivoli creati dalle lacrime, la bocca leggermente aperta. Deglutii e mi preparai per l’ultima prova. Provo qualcosa per Kentin? Subito la vista mi si sfocò e un altro paio di lacrime lasciarono i miei occhi., percorrendo le guance rosate, come il naso. Il cuore batteva, le mani mi tremavano sul lavello. Rimasi a contemplarmi per qualche minuto, incredula di quella reazione. Suonò la campanella ma io non mi mossi. Quindi i gemelli avevano ragione, e l’avevano capito prima di me? Annuii al mio riflesso flebilmente, per poi vedermi sgranare gli occhi ancora di più e portarmi una mano alla bocca, incredula. Com’era potuto succedere? Quando? Ma soprattutto: cosa avrei fatto ora che lo avevo pubblicamente disprezzato? Mi accasciai a terra e mi nascosi tra le tubature del lavello, fregandomene di quanto potesse essere sporco e polveroso quel posto. Non riuscivo a capire: se quello era davvero ciò che pensavo, perché faceva male? Non doveva essere il sentimento più bello del mondo? Quello che ti faceva sentire le ali ai piedi, una forza sovraumana nel corpo e una gioia spropositata? Sentendo dei passi avvicinarsi alzai la testa di scatto, picchiandola sulle tubature così forte che rimasi stordita per un attimo. - Amira! Ma che ci fai li sotto?- Era una mia compagna di classe. - Hai pianto? Cosa ti è successo?- Continuò quella, gli occhi color mare pieni di preoccupazione. - Stavo solo… Riflettendo-. - Riflettendo?- La guardai infastidita. - Sì. Che t’importa? Perché sei venuta a cercarmi?- La sua bocca si piegò in un sorrisetto amaro. - Sono la tua vicina di banco da… Tutti questi quattro anni, nell’ora di geografia. Il prof deve aver pensato che siamo buone amiche-. La guardai sbigottita: vicine di banco da quattro anni e non le avevo mai prestato troppa attenzione. Abbassai lo sguardo imbarazzata e il silenzio calò tra di noi. - Come hai detto di chiamarti?- Borbottai imbarazzata. Lei si aprì in un largo sorriso e si sistemò la treccia di capelli rossi. Che buffo, aveva i capelli del mio stesso colore. - Iris! Felice di conoscerti come si deve, alla fine-. - Io sono Amira-. - Oh, lo so-. Ridacchiò lei. - Iris, tu…- Lei mi guardò interessata, mentre io faticavo a trovare le parole e mi sentivo stupida a chiederlo a lei. La prima che mi era capitata a tiro. - Hai mai avuto problemi di cuore?- Chiesi in fine. I suoi occhi si spalancarono e il sorriso le si allargò ancora di più, si sedette a gambe incrociate davanti a me e batté le mani entusiasta. - Non me lo dire: hai problemi con Armin? Ah, quel ragazzo è così difficile da interpretare, pensa che…- Si lanciò in un monologo esorbitante, prendendo fiato solo di tanto in tanto, mentre io fissavo affascinata le sue labbra senza ascoltare nulla di quello che ne usciva. Il solo essermi confidata(oddio, non è che mi ero confidata!) con qualcuno mi faceva sentire più tranquilla, e le incessanti chiacchiere di quella stravagante ragazza stavano avendo l’effetto di un calmante sulla mia mente. Quando infine scoppiò a ridere io la seguii a ruota, senza sapere il perché. - Non ti devi preoccupare: i ragazzi vengono da un altro pianeta!- Concluse, facendomi l’occhiolino e porgendomi una mano per aiutarmi a rialzare. Io l’afferrai grata e mi spolverai i vestiti dalla polvere di quel buco in cui mi ero infilata, improvvisamente disgustata. Uscimmo dai bagni parlando come vecchie amiche, ma subito fuori dalla porta mi bloccai alla vista di Kentin, appoggiato contro il muro, rintanato nelle sue gracili spalle. Iris lo guardò incuriosita. - Vai pure in classe, ti raggiungo subito-. Le dissi, aspettando che si fosse allontanata prima di girarmi a fissare il ragazzo. Ora che riconoscevo ciò che provavo per lui, mi sentivo quasi impaurita e piuttosto nervosa. Lui sembrò cercare le parole giuste, gli occhi fissi sul muro dietro di me, prima di prendere parola. - Voglio farmi perdonare. So come mi sono comportato ultimamente, non è piaciuto nemmeno a me, ma ora sono giunto a una conclusione e voglio che torni tutto normale. Come prima- S’interruppe studiando per bene il mio volto impassibile, per poi continuare. - Questo weekend c’è la festa di fine aprile in città. Ci saranno i fuochi e le bancarelle… Vorresti venire con me?- Sentii il cuore accelerare, mentre lo innervosivo con il mio sguardo più penetrante. - Sembrerebbe un appuntamento-. Dissi dimostrandomi noncurante, anche se dentro mi sentivo morire. Lui si mordicchiò il labbro. - Non devi pensarla in questo modo se t’infastidi…- - No, va bene. Ci vediamo all’entrata verso le diciannove-. Lui annuì e intravidi una luce strana nei suoi occhi, ma sul momento non me ne curai troppo.

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Capitolo 11
*** Fuochi d'artificio ***


La settimana volò in un baleno e il momento fatidico dell’appuntamento arrivò. Com’è risaputo, quando si vuol far colpo su qualcuno o almeno essere carine per un evento speciale, l’armadio diventa improvvisamente pieno di stracci e indumenti inguardabili che non sai come sono finiti nel tuo armadio. Ci si rovista dentro in cerca di abbinamenti accettabili, e quando si capisce di non avere chance ci si maledice per non aver fatto shopping. Questa era la scena che sapevo sarebbe successa non appena avessi aperto il mio armadio: per questo me ne stavo seduta a gambe incrociate davanti alle ante spalancate, a fissare i miei vestiti appesi o ripiegati con cura, senza osare nemmeno sfiorarli. Feci un profondo respiro e mi preparai alla grande battaglia. Erano le cinque e mezza, avevo tutto il tempo del mondo! Tutto il tempo che volevo per fare un paio di crisi isteriche, buttare tutto alla rinfusa nell’armadio, accucciarmi in un angolo della stanza macchinando una tenuta guardabile, e usare l’ultima mezzora per vestirmi, truccarmi, pettinarmi e uscire, il tutto alla velocità della luce, senza avere il tempo di accorgermi dei piccoli difetti. Il mio piano malefico: funzionava sempre. Così mi ritrovai alle diciannove in punto all’entrata del festival, maledicendomi per aver scelto una mini con dei leggins che non potevano nulla con il freddo primaverile della sera, i capelli probabilmente in disordine per la corsa, e cento altre cose che avrei elencato per far passare il tempo. D’un tratto mi ritrovai a chiedermi perché ero sempre in anticipo e mi scappò un sorriso, proprio mentre Kentin arrivava a corsa e riprendeva fiato sotto il mio sguardo attonito. - Pensavo… Io… Ritardo-. Boccheggiò cercando di riempirsi i polmoni d’ossigeno. - Oh no, sei giusto!-. Lo rassicurai controllando l’ora sul campanile che svettava sopra i tetti delle case. Mi concesse un sorriso e si ricompose un po’ impacciato. - Andiamo?-. - Certo-. Distinto lo presi a braccetto e lo sentii irrigidirsi, ma non si scostò. Camminammo tra la marea di gente che si muoveva a gruppetti tra le bancarelle, ridendo e chiacchierando del più e del meno. Le luci calde degli stand riempivano la strada di un’atmosfera invitante e magica. Mi sentivo in un film. Il mio sguardo venne attratto da una bancarella con un enorme insegna che non poteva passare inosservata: crepes. - Oh Kentin! Guarda là!- Esclamai emozionata, strattonandolo verso la bancarella. - Ne vuoi una?- Annuii senza riuscire a staccare gli occhi dalla pastella che veniva sparsa sulle placche in un rotondo perfetto. Lui sorrise e, da bravo cavaliere qual era, si offrì di comprarmene una ripiena di cioccolato fondente e cosparsa di zucchero a velo. Felice come una bambina presi a mangiarla avidamente, spalmandomi cioccolata su tutta la faccia. - Quando si parla di mangiare dolci diventi di una rozzezza un po’ inquietante-. Mi disse, mentre mi leccavo lo zucchero a velo dalle dita. - Non è rozzezza, è esprimere tutta l’ammirazione che si prova per chi cucina-. Ribattei con un sorriso. - È così che la chiamate a casa tua?- - Esatto! Più una cosa è buona, più dev’essere mangiata con gusto-. Gli spiegai, come se fosse una cosa ovvia. Lui scrollò le spalle con un sorriso ironico, permettendomi di godermi quel momento che ci ritraeva un po’ come una coppietta. Continuavo ad esaltarmi come una ragazzina, trascinandolo da una parte all’altra della strada, lui mi seguiva senza lamentarsi, insistendo ogni volta per comprare i miei piccoli capricci di golosità. - Stavo pensando- Cominciò ad un tratto, mentre io mi sbaffavo una banana ricoperta di cioccolato – Sarà pieno di nostri compagni di scuola qui. Pensi sia il caso di andare in giro così?- Mosse appena il braccio su cui continuavo ad appoggiarmi per farmi capire di cosa parlava. Io fissai il braccio, poi lui, e infine mi decisi a dare un gran morso alla banana e a scrollare le spalle con un sorriso. - Ma sì, non m’interessa cosa dicono-. - Sicura?- - Sì-. Ed era vero: avrei dato tutto ciò che avevo mangiato per continuare ad andare in giro a braccetto con lui tra le lucine delle bancarelle. Non m’interessavano i visi di chi mi stava attorno, non m’importava se qualcuno ci vedeva, non m’importava di nulla tranne che di noi due. Gli lanciai un’occhiata che lui ricambiò, i suoi occhi verdi pieni di puntini di luce, e mi sentii subito meglio. Non m’importava proprio di nient’altro. - Ci saranno i fuochi d’artificio?- Chiesi, vedendo un volantino su un palo della luce. - Sì, non dovrebbe mancare molto. Vieni, andiamo a cercare un posto-. Sgattaiolammo tra la gente e ci ritrovammo fuori dalla calca, dove le bancarelle finivano e le coppiette cercavano posti più intimi in cui appartarsi. Cercai di tenere lo sguardo fisso davanti a me, sentendomi terribilmente in imbarazzo e cominciando a preoccuparmi per cosa lui avesse intenzione di fare. Mi ritrovai a sogghignare dei miei stessi pensieri: Kentin che mi volava addosso e mi prendeva con la forza? Era troppo poco credibile per anche solo prendere in considerazione la possibilità. Camminammo fino al lungo mare, dove alcuni gruppetti di persone si erano già appostate sulle ringhiere per avere una visuale migliore. - Li sparano dal mare?-. Chiesi perplessa. - Sì, da una zattera. È meno pericoloso-. Aguzzai la vista, ma ovviamente non vidi nulla. Lui si mosse a disagio vicino a me, mordendosi un labbro, in quello che ormai riconoscevo come un segno di una guerra interiore per dire una cosa. Mi girai verso di lui e incontrai i suoi occhi pieni di preoccupazione. - Qualcosa non va?- Ora ero un po’ allarmata. Lui sembrava sul punto di confermare, ma poi scrollò la testa. - Penso che cominceranno tra poco-. Sorrise e tornò a scrutare il mare bagnato da uno spicchio di luna. Continuai a scrutarlo per niente convinta, ma lui evitò accuratamente il mio sguardo. Poco dopo un fischio squarciò la quiete della sera e un immenso soffione colorato si aprì tra le stelle, seguito subito da fontane dorate, cerchi rossi e verdi e piccoli luci che scendevano verso il lago ondeggiando come dei pesci. Fin da subito un “oooh” di meraviglia si levò dalla folla di persone che, come noi, si erano allineate sul lungo lago per avere una buona visuale. Anch’io ero rimasta a bocca aperta, incapace di distogliere gli occhi da quello spettacolo. Non mi ero mai resa conto di quanto mi piacessero i fuochi d’artificio. Luci blu giocavano tra fontane dorate, una spruzzata di scintille rosse s’intromise in un grande soffione verde… Era un continuo susseguirsi di colori, suoni, sensazioni… Mossi una mano verso Kentin e, appena trovai la sua, gliela presi e la strinsi, sentendomi stordita e in una dimensione parallela. Sentii le sue dita lunghe ricambiare e, senza bisogno di scambiarci uno sguardo, restammo con gli occhi fissi nel cielo, come un sogno. Io ancora inconsapevole che quella era più una fine che un inizio. Quando l’ultimo immenso collage di luci si spense sopra di noi, il pubblico si aprì in un boato entusiasta, per poi cominciare a muoversi chiacchierando allegramente. Io mi girai verso il ragazzo con un sorriso soddisfatto, ma l’espressione seria dei suoi occhi mi gelò. - Amira, io non finirò quest’anno scolastico a giugno, farò gli esami tra meno di un mese-. Restai a fissarlo immobile, non riuscendo a capire il significato delle sue parole. - Ho deciso che farò ciò che mio padre si aspetta da me: andrò alla scuola reclute e passerò i prossimi due anni a fare il militare-. Sentivo come una bolla nelle orecchie che attutiva tutto ciò che gli usciva dalla bocca. D’un tratto mi sentii stupida, d’un tratto mi pentii di così tante cose che gli avevo detto. - Probabilmente questa è l’ultima volta che ci parleremo per bene: dovrò studiare come un matto e mio padre è così felice che mi ha proposto un pre allenamento per non finire più morto che vivo subito nei primi giorni-. - Ma… Perché lo fai? Pensavo avessi detto che… Che-. La mia voce s’incrinò pericolosamente e allora mi fermai, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Il suo viso s’addolcì. - Sì, è vero. Però ora mi sono reso conto che così come sono mi disgusto da solo, e non merito di passare del tempo con te-. - Cosa dici? Chissene frega delle apparenze!- - Anche se dici così non cambierò idea: voglio diventare degno di starti vicino senza dovermi preoccupare di ciò che gli altri pensano, di come appaio o di dovermi far difendere da te. Voglio poterti stare vicino senza bisogno di nasconderci. Voglio diventare qualcun altro-. Presi a scrollare la testa come un cane confuso, le mani strette sulla ringhiera di ferro. Non riuscivo a capire ciò che mi stava dicendo. - Due anni voleranno in un batter d’occhio, e quando tornerò sono sicuro che non mi vergognerò più di me stesso!- Sentivo la sua voce lontana. Dev’essere un sogno. Un incubo. Mi girai ma lui era lì in carne e ossa, gli occhi decisi che guardavano il cielo, un sorriso convinto. - E io?- Fu l’unica cosa che riuscii a chiedere. - Tu andrai avanti con la tua vita. Sei brillante, non avrai problemi! Non ti chiedo di aspettarmi: due anni volano, è vero, ma con le superiori incontrerai altre persone e… Chi lo sa-. - Ma ciò che voglio io non conta?- Lui mi fissò sorpreso, mentre le labbra cominciavano a tremarmi impercettibilmente. - Proprio ora che ho capito cosa provo, tu mi lasci così? Ti rendi conto di che razza di egoista sei?- Le lacrime cominciarono ad appannarmi la vista. Restammo in silenzio, ignorando le occhiate delle ultime persone che passavano di lì. - Amira non pensare che non mi fa male sapere che per due anni non ti vedrò. Fa male da morire sapere che tu continuerai a vivere una vita piena di novità, mentre io sarò a sgobbare in una caserma piena di fango e alberi morti. Nonostante sappia cosa mi aspetta, sono pronto ad affrontarlo perché so che quando tornerò verrò a cercarti, e tu non avrai più motivo di vergognarti, e io nemmeno-. Guardai quegli occhi decisi per un tempo incredibilmente lungo, mentre un pensiero insistente si formava nella mia coscienza: ero io l’egoista, non lui. Volevo tenerlo per sempre con me così com’era, pensando solo al mio bene e ai miei sentimenti, ignorando il fatto che lui potesse diventare di più. D’un tratto mi sentii in imbarazzo e terribilmente stupida. - D’accordo- Esclamai con un lungo sospiro, asciugandomi le lacrime con finta sicurezza – Vai. Due anni passeranno in un batter d’occhio! E poi metterai su i muscoli, magari crescerai pure di statura! Non ti riconoscerò più!-. Mi lasciai andare ad una risata entusiasta, anche se dentro mi sentivo a pezzi. Il sollievo che gli lessi sul volto spense subito tutto il male che mi faceva lasciarlo andare. - Vedrai: resterai senza parole!- Confermò con un bel sorriso. E sapevo che aveva ragione.

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Capitolo 12
*** Il cigno ***


Ed eccoci al punto dal quale ho iniziato a raccontare: estate dei sedici anni, infelicità pazzesca. Kentin partì una mattina senza troppi convenevoli: scoprii che se n’era andato solo quando uscendo, trovai sua nonna sul vialetto di casa, che prese a parlarmi di suo nipote come se fossimo amicone da sempre. Mentre i miei compagni si davano alla pazza gioia e cominciavano a prepararsi all’inizio della nuova vita liceale, io passai tutto il mio tempo studiando come una pazza per due. Come se servisse a qualcosa studiare per chi non sarebbe tornato entro due anni, però mi aiutava a distrarmi. Arrivò l’autunno e le scuole riaprirono. Io iniziai la mia vita da studente liceale nella rinomata scuola della città, Dolce Amoris, mettendo fin da subito un confine tra me e gli altri. I miei vecchi compagni di scuole medie si guardavano perplessi quando si rendevano conto che non avevo alcuna intenzione di scalare le vette della popolarità come avevo fatto negli anni passati. Poveri idioti, li avevo lasciati a bocca asciutta, loro e il loro stupido confronto Amira-Ambra. Al primo anno divenni una secchiona silenziosa, non piacevo ma nemmeno dispiacevo, venivo lasciata in disparte e non mi dava fastidio. Strinsi amicizia con uno dei delegati, Nathaniel, che sembrava sulla mia stessa barca: aveva sempre uno sguardo irritato che scoraggiava le persone a parlargli, a volte aveva degli ematomi in faccia, cercava di ignorare e di essere ignorato. Andavamo d’accordo perché lui non mi faceva domande e io non ne facevo a lui. Armin si preoccupava del mio cambiamento improvviso, ma mi supportava sempre e comunque, mentre Alexy si era trasferito in una città vicina per studiare fashion design, quindi lo vedevo di rado, perlopiù nelle vacanze. Al secondo anno, dato i miei voti da far girare la testa, mi proposero di entrare in varie selezioni interscolastiche per ottenere una borsa di studio tramite alcune università prestigiose. Non mi avevano detto però che gli altri partecipanti avevano, ovviamente, uno o due anni più di me. Fallii miseramente, ma mi imposi come obbiettivo di passarli l’anno seguente e di ottenere una di quelle borse di studio. Ed eccomi qua, all’inizio del terzo anno, in uno dei rari momenti in cui non studio, seduta al solito caffè a leggere uno dei vecchi libri che sono ancora nei loro scaffali. Single da due anni, ancora disinteressata alle relazioni sociali, ma con una grande novità: il numero di Kentin salvato nel cellulare! Capita di rado che mi manda messaggi, ma quando succede mi scoppia il cuore dall’emozione, anche se solitamente è solo un semplice “ ciao, come va?”. Mi passo una mano sugli occhi verdi stanchi. A volte capita che non mi scrive per mesi, a volte capita che mi scrive ogni giorno… Le persone e i loro sentimenti… Stavo per formulare un pensiero profondo, ma il cellulare interrompe il flusso poetico che ho in testa, ronzando come un cervo volante. “ Mi hanno detto che ho finito. Torno a casa!” Il cuore si ferma, poi prende a battere all’impazzata. Torna. Torna! Mi prendo le guance e le tiro, cercando di non emozionarmi troppo, poi prendo il cellulare e digito rapidamente per sapere a che ora sarebbe tornato. Passano pochi secondi. “ Mi spiace, ancora non lo so… Ci vediamo il prima possibile!” No, così non vale! Il mio cuore sta dando i numeri per la prima volta da due anni, e lui manco sa a che ora arriva! Riprendo in mano il libro e tento di leggerlo, ma dopo aver scorso la stessa riga quattro volte, capisco che è impossibile. Lo chiudo di scatto con uno schiocco secco, resto lì impalata per qualche secondo riflettendo su da farsi, poi ficco tutto in borsa e lascio alcuni spiccioli alla solita donnina dietro il bancone, che mi saluta con una mano, dopodiché esco come un uragano e mi dirigo a grandi passi verso la stazione, con la mente un po’ annebbiata dall’emozione. Probabilmente mi aveva mandato il messaggio in mattinata, ma con i problemi di rete del campo militare mi era arrivato solo verso le sedici. Quindi, teoricamente parlando, molto probabilmente non sarebbe arrivato prima di mezz’ora, anche avendo fatto la valigia alla velocità della luce. Mi sento sudare e tremare dall’agitazione, una sensazione che non provo da tempo ormai. Chissà se è cambiato? Poco più di due anni di militare lo hanno cambiato o è rimasto il solito Kentin preso di mira dagli altri militari? Oppure è il solito Kentin ma con i muscoli? L’immagine del ragazzino che ricordo con i muscoli mi fa sorridere. Mi fermo ad un passaggio a livello con le sbarre abbassate e cerco di calmare il cuore, che galoppa come un cavallo da corsa. E se invece è cambiato completamente? E se anche il suo carattere così ingenuo e docile è completamente cambiato? Un brivido mi riscuote dai miei pensieri, facendomi notare che il passaggio è libero. Continuo a camminare nervosa e non appena vedo la stazione davanti a me mi lancio in una piccola corsa di sfogo. Entro nella luminosa hall color giallo canarino della stazione e mi dò una rapida occhiata attorno: a parte una coppia seduta su una panchina di legno con una grossa trolley, un vecchietto che legge il giornale contro l’enorme statua del costruttore della stazione, che svettava al centro della hall, e un gruppetto di ragazzini che sta andando verso un binario, la stazione è tranquilla. Okay, devo calmarmi e smetterla di sudare, devo sedermi tranquilla ed aspettare. Mi dirigo verso una panchina e mi accomodo, cercando di osservare il meno possibile la coppia qualche panchina più in là che ride: l’unica cosa interessante nella tranquillità di quell’ora. Sedici e trenta, la coppia se ne va con la loro valigia, un flusso di studenti mi passa davanti rumoreggiando a più non posso per poi scomparire fuori dalle porte di vetro e far ripiombare la stazione nella calma. L’anziano che leggeva il giornale sembra aver finito: lo ripiega e lo mette in una tasca del suo mantello, stringe il bastone da passeggio e si dirige verso l’uscita borbottando contrariato, probabilmente per una qualche notizia che ha letto. Sento un certo languorino e fisso pensierosa il minimarket qualche metro da dove mi trovo: il prossimo treno non dovrebbe arrivare prima di quindici minuti, se mi fiondo dentro e prendo qualcosa in fretta dovrei farcela. Se però arrivò proprio nel momento in cui non c’è nessuno del personale? No, meglio aspettare: non morirò certo di fame. Prendo il mio libro e cerco di distrarmi. Le diciassette. Un’altra ondata di gente di tutte le età mi passa davanti, ma nessun militare. Prendo il cellulare un po’ preoccupata, ma ancora nessun segno di vita da parte di Kentin. Poi le diciassette e trenta, la pressione sale velocemente e mi tocca alzarmi e sgranchirmi le gambe e la schiena. Con le diciotto, nella stazione si riversa un’ondata di persone più grande delle precedenti: studenti che arrivano dalle città vicine con le borse sotto gli occhi e gli auricolari, gruppetti di giovani in carriera tirati lucidi che ridono tra loro, uomini e donne che vanno per la mezza età sfiniti o sorridenti… Tra tutti loro riesco ad individuare un borsone militare, enorme e dall’aria pesante. Mi alzo sulle punta dei piedi in un impeto di adrenalina per vedere meglio: Il braccio che tiene il borsone è muscoloso e con alcune cicatrici pallide. Seguo la linea del braccio fino alla spalla, come in un sogno, e dalla spalla su verso il collo e il viso. Il trambusto della calca si spegne, tutto sembra fermarsi solo per permettermi di vedere ciò che il cuore mi dice, ma la testa non vuole credere. Non può essere Kentin, assolutamente impossibile che… Due occhi verdi da mozzare il fiato si girarono lentamente verso di me, trafiggendomi da parte a parte. Il ragazzo si ferma di botto, ricevendosi occhiate irritate da chi ha rischiato di finirgli contro. No, possibile che… Si fa strada tra le persone e pian piano mi raggiunge, si ferma davanti a me obbligandomi ad alzare la testa per non fermare il nostro contatto visivo. Così alto… Si scosta i capelli color cioccolato dagli occhi e riesco a leggergli quanto è nervoso e incredulo, proprio come me. Mi studia il viso per bene in ogni particolare, mentre io mi sento svenire. Gli occhiali sono scomparsi, il suo viso ha perso qualsiasi traccia di infantilismo, con gli zigomi alti e la linea della mascella ben marcata, il naso ora è dritto e deciso, con solo un piccolo accenno sulla punta di com’era due anni prima, tra le sopracciglia s’intravedono due piccole rughe… La sua bocca fine piegata in una smorfia severa si muove piano e si apre in un sorriso. - Non sei cambiata per nulla, Amira-. Una voce profonda e virile dà suono a queste parole. Mi sento gli occhi riempirsi di lacrime, anche se ancora non riesco a convincermi che è lui. Allungo una mano verso il suo viso e, troppo frastornata per vergognarmi, comincio a conoscere la sua nuova struttura. Lui continua a fissarmi sorridendo, con un piccolo accenno di rossore sulle guance. Sento le lacrime fuoriuscire dagli occhi e precipitarsi sulle guance, e d’un tratto so che è lui, che non può essere nessun’altro, che non è un sogno. - Oh Kentin! Finalmente!- Riesco a dire con voce tremolante, prima di volargli tra le braccia e riempirgli la camicia di lacrime. Sento le sue braccia muscolose avvolgermi goffamente. È lui, eppure è così diverso. - Non mi sembra vero-. Mormora lui, con la sua nuova voce che mi fa venire la pelle d’oca. Mi scosto piano e mi asciugo le lacrime, mangiandolo con gli occhi di nuovo. Kentin si aggiusta i capelli imbarazzato dal mio sguardo a infra rossi. - Non riesco a crederci! Ma guardati! Sei come nuovo, un’altra cosa…- Mormoro colpita. - Bhé, se non fossi cambiato nemmeno un pochino sarebbe stato grave-. Replica lui con una scrollata di spalle. Io gli sorrido felice come non mai, anche se una piccola paura mi rende ancora nervosa: è comunque il solito Kentin o è diverso? Come se avesse letto nei miei pensieri, lui allunga una mano titubante e, arrossendo, mi prende una mano. Io ricambio la stretta e non riesco a trattenere il sorriso che mi si apre di nuovo stupidamente in faccia. - Ti andrebbe di… Sì insomma… Di andare a mangiare assieme?- Chiede, studiando intensamente i suoi anfibi da militare. Il cuore mi accelera pericolosamente. - Mi piacerebbe! Però… Non dovresti andare prima a casa dai tuoi?- Lui si apre in un grande sorriso sollevato e mi stringe più forte la mano, incamminandosi verso l’uscita della stazione ormai vuota. - Oh, ho tutto il tempo del mondo per stare con loro! Ora voglio stare con te!- Io non posso far altro che seguirlo a ruota, felice e imbarazzata al tempo stesso. Per la prima volta dal festival di due anni prima mi chiedo cosa pensano le persone di noi: vedo alcune ragazze strabuzzare gli occhi non appena vedono Kentin, le bocche spalancate e nessuna intenzione di notarmi. Una coppia ci sorpassa e poco dopo sento la ragazza sussurrare “ Quando farai militare verrò anch’io a prenderti quando torni: è così romantico!” Mi impongo di smetterla e di concentrarmi solo su noi due, sentendomi arrossire. Lancio un’occhiata a Kentin e lo sorprendo a fissarmi di nuovo. Lui sobbalza e distoglie lo sguardo, arrossendo come un pomodoro e facendomi sentire subito bene: il vecchio Kentin non è scomparso. D’un tratto sento la felicità che non sentivo più da quando se n’era andato invadermi d’un colpo, quella felicità che porta con sé anche una pace interiore e ti fa sentire in un sogno. D’un tratto tutto il tempo che abbiamo passato separati sembra scomparire.

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Capitolo 13
*** Finale ***


Mi sveglio controvoglia, la luce del sole che mi arriva direttamente in faccia. Ricordo che la sera prima ero troppo immersa nei miei pensieri per ricordarmi di chiudere le tapparelle. Mi insulto sonoramente e prendo a strofinarmi gli occhi. Dovevo essere proprio andata per riuscire a dimenticare di… Kentin! Mi metto a sedere con gli occhi improvvisamente aperti e il cuore che comincia a battere all’impazzata. Un secondo: è tornato davvero o è stato solo un sogno? Il mio cellulare vibra e, come se avesse letto i miei pensieri, ecco un messaggio di Kentin. “ Ciao, dormito bene?” Non riesco a trattenere il sorriso beota che mi si stampa in faccia e decido di farlo aspettare un attimo prima di rispondergli, scendo dal letto e comincio a vestirmi fischiettando allegramente. Mi torna in mente la cena della sera prima: eravamo andati nella pizzeria all’angolo ed ero così emozionata che appena seduta non ero più riuscita a trattenermi. - Allora: raccontami tutto! Com’è stato? Cosa facevi? Ti sei integrato subito?- - Ehi ehi, quanto interesse!- Mi aveva risposto, alzando le mani in uno scherzoso segno di resa. - Ma certo! Voglio capire cosa… Come, sei cambiato così tanto- - Non è poi questa gran cosa interessante-. Quando lo avevo guardato, pronta a ribattere, gli avevo visto una smorfia disinteressata sul viso, per poi ritrovarmi a fissare i suoi occhi intensi come gemme preziose. - Piuttosto racconta tu! Che fai ora?- Mi ero lasciata andare contro lo schienale della mia sedia e avevo gesticolato con scarsa voglia. - Oh, nulla di speciale. Studio al liceo della città e voglio provare a vincere una borsa di studio. Nulla di eccitante-. - Scherzi? È fantastico! E molto impegnativo… Ah, t’invidio un po’ sai-. - Non c’è nulla da invidiare in me-. Avevo risposto, senza riuscire a trattenere il ghigno sarcastico e un po’ dispregiativo che mi usciva sempre quando qualcuno mi ammirava, senza sapere che razza di esistenza avevo condotto dalla mia entrata al liceo. Le sue sopracciglia si erano aggrottate e le due rughette tra di esse si erano fatte più profonde. - Non dire cavolate: darei tutta casa mia per un cervello come il tuo! E ora invece guardami: il tipico ammasso di muscoli ignorante-. Allora, era stato il mio turno dell’espressione severa. - Balle-. - Oh no, è vero! A militare non c’è tempo per la cultura-. - Però hai di sicuro imparato qualcosa di utile-. - Oh sì: come sopravvivere se mai ci sarà una guerra in questo paese!- L’arrivo delle pizze aveva dato una tregua alla nostra discussione e i primi bocconi li avevamo inghiottiti in silenzio, ognuno nei suoi pensieri. - Ora che farai?- Gli avevo chiesto d’un tratto, interrompendo la quiete del ristorante. - Mmm, mi piacerebbe incontrare per caso un po’ di gente della scuola, solo per vedere se mi riconoscono e come reagiscono. Poi non so, potrei farmi trovare “per caso” da un talent scout e diventare un pagliaccio che canta e si dimena come un poveraccio sul palco…-. Si era fermato per lanciarmi un’occhiata, per poi scoppiare a ridere sonoramente alla vista della mia faccia tra l’incredulo e l’allarmato. - Immagino che per quest’anno ho poco da fare, la scuola è già cominciata da un po’ e dubito che riuscirei a recuperare tutto quello che ho perso in pochi mesi: ricordo molto bene la fatica che ho fatto a studiare per finire prima la scuola media… Sfrutterò questo tempo per mettermi le idee in chiaro sul mio futuro-. Avevo annuito un po’ delusa: ero convinta che anche lui avrebbe cominciato il mio liceo, che saremmo stati assieme ogni singolo giorno,… E invece non avevo minimamente pensato con razionalità. La “io” di un tempo, sognatrice e capricciosa, stava rifacendo capolino? - Potrei trovarmi un part-time per occupare il tempo e guadagnare qualcosina-. - Sarebbe utile-. Avevo concordato - E poi… Bhé, avrei… Tanto tempo libero-. Avevo alzato lo sguardo stupita, e mi ero accorta che era leggermente arrossito, cosa che mi aveva fatto sorridere. - Già, molto probabile-. Avevo concordato, morendo dalla voglia di stuzzicarlo. - Già… Quindi potrei… Sai: passare a prenderti, ogni tanto… Non per forza-. - Sarebbe bello-. D’istinto avevo allungato una mano sopra ai nostri piatti e gli avevo preso la mano, mentre la sua espressione diventava così dolce da farmi mancare il fiato. - È un sollievo che non sei cambiata per nulla-. Aveva detto, carezzandomi il dorso della mano con il pollice. - Per certi versi nemmeno tu-. - Purtroppo sì: mi sarebbe piaciuto combattere certi lati del mio carattere-. - Per me sei perfetto così come sei ora-. Le parole erano uscite di loro spontanea volontà dalla mia bocca, cosicché ero arrossita come un peperone subito dopo averle pronunciate. Lui aveva abbassato lo sguardo, poi lo aveva rialzato su di me, due smeraldi che splendevano tra la frangetta color cioccolato. - Amira-. - S-sì?-. Aveva sorriso e si era stiracchiato sulla sedia, le guance che si colorivano di soddisfazione. - Volevo sentire se il tuo nome aveva ancora lo stesso gusto-. - E… Ce l’ha?- Avevo chiesto, il cuore che batteva così tanto che avevo paura di rischiare un infarto. - Mmm- Si era fatto pensieroso – Sembra quasi più buono-. Aveva sorriso soddisfatto, come un bambino che aveva annunciato che si era allacciato le scarpe da solo, poi si era infilato in bocca una gigantesca fetta di pizza, chiudendo il discorso. Un’ondata di tepore mi aveva pervaso tutta. Era così che ci si sentiva ad essere innamorati? Bastava uno sguardo, un sorriso o una carezza a riempirti di sensazioni positive? E se invece era solo una cosa temporanea? In fondo non ci eravamo visti da così tanto tempo che mi sembrava quasi di essere di fronte a un lupo che finge di essere una pecora. - Sai, pensavo che abbiamo passato più tempo separati che insieme da quando ci siamo conosciuti sul serio-. Avevo alzato lo sguardo incredula: era come se mi avesse letto nei pensieri. Eravamo rimasti a fissarci per un po’. Quel viso tutto nuovo, quel cipiglio serio. - Allora non ci resta che recuperare-. Avevo affermato, prima ancora che il cuore mi suggerisse la risposta. Lui aveva annuito con fare solenne. - Ancora non riesco a convincermi pienamente che sei proprio tu e non qualcuno che si finge il vecchio Kentin-. Avevo ammesso, sentendomi male non appena le parole avevano preso voce – Però il vecchio Kentin c’è ancora. Sei ancora la persona meravigliosa che eri, e ora sei pure…- Mi ero interrotta di botto, portandomi una mano alla bocca e distruggendo il tono serio della discussione. Lui aveva inclinato un po’ la testa perplesso. - Ora sono pure cosa?- - Uhm- - Amira?- - … Sei pure un figo- Avevo infine borbottato, non riuscendo ad incrociare il suo sguardo. - Lo pensi sul serio?- Dalla sua voce era sembrato sorpreso ed eccitato. - Non farmelo ripetere- - Non c’è bisogno, una volta basta! Avevo alzato timidamente lo sguardo e lo avevo visto determinato. - Quindi mi basta essere me stesso e continuare l’allenamento: niente di più facile!- I suoi occhi luminosi mi avevano trafitto. - Ti conquisterò in un baleno, stai attenta! Ora non c’è più bisogno che lo nasconda!- Mentre lui cianciava allegro, io mi ero sentita gelare, mentre il mondo rallentava pericolosamente. Tra noi c’era sempre stato un rapporto che superava decisamente la semplice amicizia, ma ora che lui aveva detto senza il minimo imbarazzo che era interessato a me le cose avevano preso una piega più seria e definitiva. Poco dopo si era interrotto e mi aveva fissato preoccupato. - Tutto apposto? Sei tutta rossa-. - Non… Non mi avevi mai detto che… Interessato… Me… Esplicitamente- Avevo mugolato. - Scherzi? Mi sembrava anche troppo evidente!- - Ma non l’hai mai detto!- - Non ce n’era bisogno! E poi non potevo!- - Sì invece! Dovevi!- Eravamo rimasti a guardarci corrucciati, poi lui aveva abbassato un po’ la testa e mi aveva guardata da sotto la frangetta. - In ogni caso: dici così perché ti dà fastidio?- - Ma sei stupido?- - Ma scusa, non hai detto niente! Anzi ti sei messa a reclamare prima!- - Non stavo reclamando, e poi era evidente!- - E perché io non me ne sono accorto?- - Perché sei uno stupido!- - E non potevi dirmelo esplicitamente?- - Non c’era bisogno di dirlo…- Mi ero interrotta, accorgendomi di essere caduta nella sua trappola, mentre un largo sorriso gli si era aperto sul viso e le spalle avevano cominciavano a tremargli dalle risate. Mi ero coperta la bocca con una mano e poi ero scoppiata a ridere sonoramente. - Che idioti che siamo- Ero riuscita a dire mentre riprendevo fiato. - Sì, è vero, ma per questo è bello- Aveva risposto, guardandomi con un’intensità da capogiro. - Quindi ora… Siamo una coppia?- Avevo buttato lì, con meno disinvoltura di quello che avrei voluto. - Mmm, non so. Tu sei così popolare…- - Non dire cavolate-. Era scoppiato a ridere, poi si era sporto verso di me. - Sarebbe fantastico-. Aveva mormorato, a pochi centimetri dalla mia faccia. - Sì-. Avevo concordato, troppo ipnotizzata per mettere assieme più di una sillaba sensata. Mi riscuoto dai ricordi della sera precedente al suono del campanello al piano di sotto, e mi rendo conto che sono davanti allo specchio con una faccia da schiaffi e un occhio senza mascara. Mi spennello le ciglia in fretta e furia mentre mia madre apre la porta e lancia uno strillo emozionato, per poi cominciare a pigolare con fare zuccheroso. - AMIIIRAAAA-. Urla dal piano di sotto. - Arrivo!- Rispondo a modo, controllandomi un ultima volta e imponendomi un’aria cool e indifferente sul viso, anche se gli angoli della bocca continuano a piegarsi all’insù e le guance sono già rosee. Prendo la borsa e mi schiarisco la voce, tutto d’un tratto spaventata all’idea di scendere le scale. Oddio. Poggio i piedi sul primo gradino e prendo una gran boccata d’aria, mentre mia madre ride sonoramente dalla cucina. Mi butto giù dalle scale senza poter avere ripensamenti ed entro in cucina: mia madre e appoggiata al bancone della cucina mentre Kentin le sta davanti con un sorriso allegro. Resto a contemplarlo per un secondo di troppo, cosicché quando si gira mi becca in pieno. Un sorriso amorevole sostituisce quello allegro. - Ciao Amira- - C-ciao- Mia madre sospira scuotendo la testa. - Potevi anche dirmelo prima che avevi un ragazzo! E che ragazzo poi!- Lo rimira da capo a piedi facendomi morire d’imbarazzo. - Mi è… Passato di mente- Dico con disinvoltura, avvicinandomi a Kentin. Al mio ragazzo. Lui mi sorride e mi passa un braccio attorno alla vita. Mia madre sospira sognante e ci guarda con sguardo affettuoso. - Sono emozionata come una ragazzina, insieme siete così belli che vi farei una foto-. - Evita per favore-. - Figlia ingrata. Vabbè, non vi trattengo oltre: avrete di meglio da fare che ascoltare i vaneggiamenti di una vecchia signora-. - Ma tu non sei vecchia!- - Sparisci dalla mia vista!- Così dicendo se ne va dalla cucina con fare teatrale, mentre Kentin ridacchia. - Mi piace- - Sì, non è male quando non straparla-. Ci sorridiamo e finalmente usciamo in quella magnifica giornata di sole, subito salutati da un venticello fresco che mi colora subito guance e naso. Ci prendiamo per mano con una naturalezza che non ha bisogno né di sguardi né di parole e ci dirigiamo verso il centro, chiacchierando spensieratamente del più e del meno, recuperando il tempo perso. Sapevo che sarebbe durata. Sapevo che i miei sentimenti erano puri e i suoi pure. In fondo ho sempre amato questo ragazzino ingenuo e dolce, ora travestito da ragazzo stupendo. FINE Ed eccoci al capolinea! Per prima cosa ringrazio le lettrici pazienti e coraggiose che sono arrivate a leggere fino qui… Grazie infinite! Poi… Basta, niente da dire! Questa era la mia prima storia, la meno entusiasmante se posso essere sincera ( rido), se vi è piaciuta comunque spero che seguirete anche le prossime e che vi interessino! Per concludere, vi chiedo di lasciarmi una recensione, se ne avete voglia, con le vostre impressioni, i vostri suggerimenti e quant’altro: mi farebbe davvero piacere! A presto!!

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