╰☆╮ IMPERIA ╰☆╮

di Light Clary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ☆*Un uomo misterioso *☆ ***
Capitolo 2: *** ❋Rossana ❋ ***
Capitolo 3: *** ✾ Prime Stranezze ✾ ***
Capitolo 4: *** ¤º Il Perpetuo º¤ ***
Capitolo 5: *** 〰Al museo 〰 ***
Capitolo 6: *** ♘ ✩ Eric ✩ ♘ ***
Capitolo 7: *** ☆Dopo Serata ☆ ***
Capitolo 8: *** * ★ Il Dicastero * ★ ***
Capitolo 9: *** ★: Ricatto Umiliante :★ ***



Capitolo 1
*** ☆*Un uomo misterioso *☆ ***






La figura appena comparsa nell’atrio lasciò tutti i dipendenti dell’albergo col fiato sospeso. Almeno LE dipendenti. Si trattava di un uomo dall’aspetto inquietante ma allo stesso tempo affascinante. Elegante e silenzioso. Portò il suo corpo alto e slanciato verso la reception, superando la hall sontuosa e schiccante. Le due donne che stavano prendendo la chiave della loro camera, non appena lo videro avvicinarsi, avvertirono l’impulso di spostarsi e fallo passare avanti. Lui neanche ringraziò. Non ebbe la scomodità di fare la fila e si ritrovò a parlare con l’impiegata dai capelli rossi, anch’essa rimasta stregata dal suo sguardo.
-Desidera signore? – chiese togliendosi di scatto le cuffie trasmittenti e mettendosi in una posa sexy.
-Voglio prenotare una stanza – rispose l’uomo poggiando sul bancone una carta di credito cobalto.
Tutti si accorsero che non aveva un bagaglio con sé. Solo una piccola valigetta che al massimo poteva contenere tre libri.
La signorina le restituì poco dopo la carta insieme a una chiave: - Undicesimo piano … signor … - lesse meglio sul computer – Rei Sagami. Le ricordiamo che la postpay è in garanzia, visto che veniamo pagati a tempo debito dall’agenzia Melchior. Per qualsiasi cosa contatti il servizio in camera 09374.
-Grazie – il signor Rei Sagami s’infilò la chiave in tasca e fu sotto gli occhi di tutti finché non ordinò al fattorino di venire con lui in ascensore ed entrambi sparirono dietro le portiere.
-Quanti giorni resterà qui, signore? – chiese il garzone insolente.
-Circa una settimana. Ho urgenti commissioni di lavoro da sbrigare – rispose Rei.
-Se non sono indiscreto posso sapere di cosa si occupa?
L’uomo si abbassò gli occhiali da sole sulla punta del naso ed esitò molto prima di rispondere: - Lavoro al Governo – non sembrava molto convinto di aver risposto correttamente – e sono venuto per incontrarmi con una persona.
-Davvero? Un collega?
Rei s’infastidì adesso: - Non pensi di stare facendo un po’ troppe domande?
Il fattorino deglutì: - Chiedo scusa signore.
Sbucarono su un lussuoso corridoio dal tappeto rosso e i vasi di gelsomini alle pareti affiancati da tante porte. Giunsero di fronte una con la targa di ottone che indicava il numero 535. Una volta aperta, si ritrovarono dentro una splendida camera col letto a baldacchino, una moquette rossa sopra il parquet lucido, un bagno con sauna, un piccolo frigorifero dentro una delle ante del grosso armadio di Pianca e una televisione a maxi schermo digitata su tutti i canali.
L’uomo non volle aiuto per sistemarsi e invitò il commesso a uscire.
Una volta rimasto da solo, chiuse a chiave la porta e si sedette sul letto. Prese dalla tasca della camicia un cellulare nero e dopo aver composto un numero lo poggiò all’orecchio. Seguirono tre squilli. Poi una voce rispose.
-Sono arrivato – rispose Rei – Ora mi affido alle sue istruzioni. Dove trovo la ragazza?
-Arriverà in quell’albergo martedì alle sette – disse la voce dall’altra parte della cornetta – dovrai prenotarti un appuntamento con lei e spiegarle ogni dettaglio.
-Non credo sarà facile, signora.
-Lo sai che non abbiamo alternative. Imperia è in pericolo ed è giunto il momento che qualcuno occupi il posto di Angelo Guardiano. E’ stato uno choc scoprire che stavolta sarebbe toccato ad un essere umano così giovane ma se non ci sono altre soluzioni è la nostra unica speranza.
-Ha ragione, signora.
-Pensi di essere all’altezza del compito assegnato, Rei?
-Farò del mio meglio.
-In caso si mettesse male, manderò qualcuno ad aiutarti.
-Grazie, signora – e con questo chiuse la conversazione.
L’uomo aprì la valigetta, unico bagaglio che aveva con sé e ne estrasse un giornale arrotolato e un vecchio volume ingiallito.


Posò il libro sul comò e aprì il giornale sulla pagina dove lo aveva lasciato. Era un articolo molto recente. Trattava di una cantante molto famosa e bella che presto sarebbe giunta a New York per il suo primo tour Americano.
Rei non fece caso allo scoop. I suoi occhi erano poggiati sull’unica figura di esso. Era la foto di una ragazza sui diciassette anni con lunghi capelli nocciola e occhi vispi che cantava con grande vitalità.
-Che tu possa essere la nostra salvezza, Rossana Kurata – disse speranzoso ad alta voce con una nota di ansia.

 

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Capitolo 2
*** ❋Rossana ❋ ***



Quando l’aereo atterrò e la voce dell’altoparlante annunciò l’arrivo a New York, Rossana sobbalzò dalla sua vocetta stridula risvegliandosi da un sogno durato cinque ore. Si stropicciò gli occhi e diede un’occhiata all’orologio. Erano le sei del pomeriggio. Avevano volato per tutta la notte. Fortunatamente erano arrivati. Non ne poteva più di restarsene seduta senza fare niente. Scese dall’areo e prese un taxi già prenotato, che la portò fuori dall’aeroporto. Infiniti palazzi si stagliarono di fronte a lei, che si sentì come una formica in mezzo a dei dinosauri. Le strade erano popolate di gente di ogni tipo di nazione, dalla Cina alla Russia, dall’Africa all’India. Sembrava di visitare poco a poco uno stato per volta. Sui grattaceli più alti c’erano i maxischermi che trasmettevano le dirette televisive o spot pubblicitari.
Incantata da tanto splendore, Rossana non si accorse di essere giunti al porto. Dopo essersi fatta perquisire e mostrato documenti, si strinse più nella giacca a vento, si sistemò meglio la sciarpa sulla bocca e gli occhiali neri e salì sul traghetto che l’avrebbe portata all’hotel. Durante la traversata, scorse in lontananza, nelle vicinanze di Manhattan, Liberty Island, dove splendeva in tutta la maestosità la famosa statua con la fiaccola della Libertà. Fece alcune foto e poi restò seduta ad ammirare i turisti che non la smettevano invece coi selfie. Poggiò meglio il cappello di lana sui lunghi capelli castani. Era in incognito. Appena arrivata a New York non ci teneva ad essere riconosciuta e subito assillata di interviste. Ora l’importante era arrivare nell’albergo, sistemarsi per bene e prepararsi alla riunione coi comitati logistici del suo prossimo concerto. Avrebbe incontrato i produttori quella sera.
Rimase ancora rapita. La bellezza di quel luogo era unica e le occasioni per ammirarla fino in fondo erano rare. Almeno per lei.
Quando il traghettò si fermò e lei scese, trovò un uomo ad attenderla. Teneva in alto un cartello dove c’era scritto il suo nome in codice: Sana.
Raggiungendolo riconobbe colui che solo la settimana scorsa aveva visto nella videochiamata con la mamma, per organizzare tutti i dettagli del viaggio.
-Welcome, Sana! – la salutò col suo accento inglese, prendendole la mano. Era un tipetto sui trent’anni con folti capelli neri, occhi grigi e baffetti strambi: - I’m James! Io sono James e sarò il tuo manager per il periodo che passerai qui in the U.S.A.
-Nice to meet you – lo salutò Rossana ricordandosi un po’ d’inglese a stento.
James la fece camminare per un pochino e intanto le spiegava il programma. Nel frattempo tirava la valigia al posto suo e si assicurava che gente indiscreta con macchine fotografiche non fosse in circolazione.
L’hotel si presentò di fronte a loro con l’insegna luccicante: MELCHIOR.
Doveva avere all’incirca quindici piani, contò Rossana, era dipinto di mattoni rosa chiaro e con tendaggi bianchi su tutte le finestre. Attraversarono la porta girevole e subito si ritrovarono nel grandissimo e meraviglioso atrio. Trovarono una fila incredibile di fronte la reception, ma quando fu il loro turno, James prese soltanto la chiave già fatta mettere da parte e condusse la ragazza in ascensore.
Questa salì di tre piani, soffermandosi sul quarto. Il corridoio lussureggiato, con una fila di lampadari cristallini ai bordi del soffitto, li condusse di fronte una porta con la targa di ottone numero 172.
-Ho scelto per te solo one of the most confort room, Sana – la informò James aprendo la porta.
La stanza era divisa in tre stanze. La prima, un piccolo salotto con TV a maxi schermo, la seconda un lettone gigante con piccolo frigorifero, vista mozzafiato, armadio gigante, scrivania e poltrona, la terza un bagno nobile che conteneva una vasca con funzione di idromassaggio e sauna.
-E’ di tuo gradimento? – chiese James.
Rossana annuì: - Credo che sia perfetto.
-Very Well! – l’uomo buttò sul lettone la valigia della ragazza e diede lei un foglietto con un numero di telefono – Allora hai fino a stasera per prepararti con calma. I dirigenti ti aspettano nell’aula magna at 9 o ‘clock . Chiamami quando are ready! Qui ci sono my number and the kitchen’s number. Così potrai ordinare il servizio in camera. Beh, bye bye, my dear! – e detto questo James se ne andò lasciandola da sola nella sua camera.
Dopo essersi ben accertata che non ci fosse nessuno dietro la porta, la ragazza si liberò. Si tolse il cappello scrollandosi i lunghi capelli nocciola. Gettò via occhiali e sciarpa e buttò per terra il giubbino. Sentendosi finalmente un’altra persona, si gettò sul letto cominciando a saltare e a ridere rilassata. Rimase lì sdraiata a fissare il soffitto per un po’, poi prese il suo iphone e digitò il numero della madre.
-Ei, sono arrivata! – comunicò quando lei rispose.
-Davvero? E racconta, com’è la Grande Mela? – chiese la signora curiosa.
-Oh, sapessi! Una cosa incredibile! Mi sembra di trovarmi nella città dei sogni.
-Ah sì? E com’è il signor Lyon James?
-Lo conosco appena. Ma è un tipo okay. Almeno credo.
-Bene. E stasera cosa farai?
-Parlerò con gli amministratori e poi credo che mi godrò un po’ di relax.
-Sappi che non durerà a lungo. Il concerto è vicino.
-Lo so, lo so. Ma stai tranquilla. Quando mi vedrai da casa in televisione, sarai fiera di me.
-Lo sono già. Ora devo andare. Ti voglio bene.
-Anche io. Un bacio.
Chiuse la conversazione e poi aprì la valigia. Frugando tra i tanti vestiti che si era portata, estrasse un libretto di seconda mano che era la sua agenda. Non le importava granché scriverci dentro qualcosa. Le bastò aprirlo e tirare fuori un portachiavi che faceva da segnalibro.
Si trattava del suo portafortuna. Era un bel portachiavi a forma di rosa con una gemma rossa incastonata nel mezzo. Lo appendeva ai jeans, sulle maniche dei vestiti o ai braccialetti sul polso durante le sue esibizioni. In questo modo non si sentiva insicura di sbagliare qualcosa sul palco di fronte tante persone. Era un regalo di sua nonna, che le disse prima del suo ultimo respiro, che non lo aveva donato neanche a sua mamma, sua unica figlia, pensando che dovesse appartenere ad una persona speciale. Rossana si sentiva speciale, possedendo quell’oggetto.
Lo strinse inviando un dolce pensiero alla nonna defunta e lo rimise al suo posto. Prese invece da un cestino nel bagno, riviste e giornali recenti lasciati dai dipendenti. Si soffermò su un articolo che parlava proprio di lei. In più era scritto nella sua lingua! Avevano pensato a tutto quelli!

Rossana richiuse il giornale sospirando divertita. Ancora nessuno lì a New York sapeva del suo arrivo. Chissà come avrebbero reagito i suoi fan una volta saputa la notizia. Non si lamentava molto della sua fama. Ma l’amava. E come se l’amava.
Era felice di poter dimostrare il suo amore per la musica in quel modo. Davanti migliaia di persone che sognavano alla melodia della sua voce.
Si sentiva la ragazza più fortunata del mondo. Peccato non condividere quei bellissimi momenti con Funny e Alyssa, le sue migliori amiche rimaste a casa.
Pensò di fare loro una videochiamata, ma lanciando un’occhiata all’orologio si rese conto di non avere molto tempo per farsi un bagno, rilassarsi, mangiare con calma e prepararsi con l’incontro coi diligenti.
Fece scorrere acqua calda nella vasca e non pensò a nulla, restando a mollo per più di trenta minuti.

 

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Capitolo 3
*** ✾ Prime Stranezze ✾ ***



Rossana si passò la piastra più volte sui lunghi capelli fluenti e li lasciò ricadere ancora caldi e lisci sulla schiena. Dopo essersi spalmata una crema disidratante sul viso e infilata una maglietta beige, si sedette sulla scrivania a cenare.
Aveva ordinato un pollo arrosto con patate e peperoni. Finalmente poteva gustare qualcosa tipica anche nel suo paese. E doveva ammettere che gli Americani ci sapevano fare con la cucina. Anche se li aveva giudicati solo in quell’albergo.
Con la pancia piena e il corpo perfetto, guardò un po’ di televisione sperando di trovare qualche programma che parlava di lei.
Ma il Tg, in inglese coi sottotitoli adatti a lei, spiegò soltanto le terribili catastrofi che stavano accadendo nella parte Settentrionale di Londra. A quanto sembrava, c’era stata un’esplosione che aveva raso al suolo un intero quartiere. Secondo quanto riportavano alcuni testimoni per fortuna sopravvissuti, avevano visto qualcuno cantare per le strade tenendo in mano delle fiaccole. A quanto pareva, una piccola festa tra ragazzini si era trasformata in un incubo.
Incupita da quelle notizie, Rossana cambiò canale sintonizzandosi su quello dello shopping. Non gli importava molto dei termosifoni e termoregolatori ad un valore da impresa. Però restò a guardarli lo stesso.
 Quando si fecero le 9 meno dieci, digitò sul telefono fisso il numero di James.
-Hello? – rispose la voce dalla cornetta.
-Sono io – disse la ragazza.
-Oh, Sana! – la riconobbe James – Are you ready?
-Yes … sì.
-Well! Aspettami in front of the elevator. Arrivo! – e riattaccò.
Rossana si infilò la piccola giacchetta di seta rosa sopra le vesti prestigiate. Dopo essersi passata ancora un po’ di cipria e di mascara e di aver agganciato il portachiavi a forma di rosa sulla scollatura della maglia, prese le chiavi e uscì in corridoio. Si diresse di fronte l’ascensore occupata, come gli aveva detto James e attese.
Passarono diversi minuti. Lei giocherellava con il suo portafortuna mentre nessuno entrava o usciva dall’ascensore. Restava sempre occupata. Dopo un pezzo, cominciò a pensare che si fosse bloccata. Indicava sempre il primo piano ma premendo ripetutamente il pulsante non si muoveva. All’inizio non gli era parsa così lenta.
Chiamò James per dirle che sarebbe scesa dalle scale e di aspettarla nel salone principale. Ma trovò la segreteria. Strano, si disse. Molto strano.
-Che seccatura! – canticchiò guardando il soffitto scolpito.
Rimase appoggiata al muro finché non si fecero le nove e quindici. Se non si fosse mossa avrebbe fatto tardi alla riunione con i dirigenti.
James non rispondeva.
L’ascensore non dava segni di vita.
Sembrava esserci solo lei.
-Basta – disse dopo il ventesimo minuto – Raggiungerò da sola l’aula magna! – e cominciò a scendere le scale. Avrebbe chiesto a qualche fattorino di indicarle la scala. I gradini però sembravano non finire mai. Sbucò su infiniti pianerottoli con piante e quadri, su corridoi di stanze sempre deserti, di fronte un ufficio per gli addetti alle pulizie. Provò a bussare ma nessuno aprì.
Dopo la decima scalinata, si rese conto che non poteva essere possibile scendere così tanti piani. In fondo lei si trovava al quarto. Poi capì. Si era persa.
Richiamò ancora James.
Hello. I can’t answer now. Speark after the beep.
Beeeeeep.
-Scusa James! – esclamò Rossana lasciando un messaggio vocale – Sono io. Ti sto chiamando perché mi sono persa. Non so a che piano sono. In questo momento mi trovo di fronte la stanza numero … 529? Ho sceso le scale. Non so se questo hotel ha le stanze che vanno dalla più grande alla più piccola. Ma solo … muoviti a rispondere e a darmi una mano. Grazie.
Mise in tasca il cellulare e sbuffando si sedette su un gradino. Com’era possibile che se poco prima era al corridoio che va dai 100 numeri in poi, ora era giunta ai 500? Probabilmente l’idea che i numeri andassero in ordine crescente era esatta.
Poco più tardi erano ormai le nove e venticinque.
Rossana stava cominciando ad intimorirsi. Bussò ad alcune porte del corridoio. Però nessuno venne ad aprirgli.
-Ma che cazzo è successo? – strepitò pestando un piede a terra – Sono spariti tutti?
All’improvviso sentì un cigolio familiare. Quello di cardini. Una porta che si apriva. Allora c’era qualcuno! Proveniva dal fondo del corridoio.
-Ehilà!? – chiamò cominciando a incamminarsi – Scusate? C’è qualcuno? – aumentò il passo. Ora non sentiva più niente. Forse l’individuo se n’era andato: - Scusate?- richiese passando davanti la camera 531.
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534
-C’è nessuno? – strillò cercando di attirare l’attenzione. Con gioia vide che la porta della 535 era semichiusa – Permesso? – domandò spingendo l’asse in avanti – Perdonatemi … ma ho urgente bisogno di una mano … - dall’interno della stanza non proveniva alcun rumore. Soltanto una voce. Che gli accarezzò le orecchie. Come se non sentisse un acuto da anni.
-Entra. Rossana.
Rimase immobile. Qualcuno la stava invitando a entrare. Chi poteva essere? Non conosceva nessuno lì a New York, a parte James. Però non sembrava suo quel tono.
Allora forse … era arrivata all’aula magna? Sì! Dovevano essere i dirigenziali che la chiamavano perché l’avevano in qualche modo riconosciuta. Tirò un sospiro di sollievo ed entrò sicura: - Good Evening. I’m Rossana Kurata. Nice to… - non poté continuare la sua presentazione che si era preparata da tempo. Perché ciò che vide non appena entrò non fu una sala ampia con degli uomini seduti su delle poltrone ad attenderla, magari con dei sigari in bocca, dei computer o dei cartelloni di progetti da mostrarle per la sua carriera. Niente di tutto questo.
Soltanto una persona seduta sul retro di una scrivania di legno pregiato. Una faccia mai vista prima.
-Buonasera -  disse l’uomo sorridendo – Rossana Kurata.
Rossana aggrottò la fronte. Quello sconosciuto la conosceva. Non era una novità. Dopotutto mezzo continente la conosceva. Ma nessuno sapeva che era lì a New York.
-Buonasera – ricambiò il saluto vedendo che conosceva la sua lingua – Mi scusi, ma … mi sono persa. Vorrei sapere dove mi trovo. Sto cercando l’aula magna.
Vide l’uomo alzarsi dalla scrivania ed aggiustarsi meglio quegli strani occhiali neri che portava nonostante non ci fosse nemmeno un raggio di sole: - E’ maleducazione presentarsi senza però chiedere all’altro di farlo – le fece notare.
Rossana aprì la bocca. La stava forse … rimbeccando?
-Ehm … mi … scusi – rispose facendo l’indifferente – Lei è …?
-Mi chiamo Rei – si presentò lo sconosciuto – Rei Sagami – tese la mano alla ragazza e gliel’afferrò – Gioioso di fare la tua conoscenza.
-Anche io – sorrise lei – Ma comunque le stavo dicendo … saprebbe dirmi a che piano mi trovo? Dov’è il salone principale? Dov’è l’aula magna?
-Non immagini quanto ho faticato per incontrarti, mia cara – Rei sembrò ignorare le sue domande – E ora eccoti qui.
-Le sto chiedendo dove posso trovare l’aula magna- insistette lei.
-Certo, sei bella – commentò l’uomo prendendole il mento – Davvero graziosa.
-Potrebbe prestare attenzione? – la ragazza si ritrasse – Mi serve aiuto. Sono in ritardo.
-Dimmi, quanti anni hai?
-Diciassette.
-Ah. Sei giovane. Ci distanziamo di quasi cinquant’anni.
La ragazza deglutì. Quel tipo, seppur affascinante, era inquietante. Stava dicendo cose senza senso. Sfortunatamente l’unica persona che aveva incontrato nell’ultima mezz’ora e che poteva aiutarla era uno strabico.
-Ehm … scusate … ma devo andare – disse cercando in tutti i modi di uscire dalla stanza. Mise una mano sulla porta. Ma quella non si mosse. Restò bloccata: - Ma cosa …? – si rese conto che la porta era serrata. Chiusa a chiave: - Ma perché diamine non si apre …?
-Perché vai di fretta? – gli chiese Rei parlandole direttamente invece di commentare il suo aspetto a sé stesso -  Ti vedi con qualcuno?
-Sì! A dire il vero! – esclamò Rossana – Ho un appuntamento con gli organizzatori del mio prossimo concerto. Mi hanno detto che sono molto supponenti. Non voglio farli irritare ancor prima di presentarmi.
-Non preoccuparti. Non arriverai in ritardo.
Lei si bloccò: - Come fa a dirlo? Dovevo essere lì alle nove e sono quasi le dieci!
-Ti ci porto io nell’aula magna – promise Rei – Ti chiedo solo di dedicarmi pochi minuti.
-Ma cosa dice? Io non la conosco nemmeno.
-Non ancora – l’uomo la prese per il braccio – Ma credimi che mi conoscerai meglio. Più di quanto credi.

 

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Capitolo 4
*** ¤º Il Perpetuo º¤ ***



Rei fece sedere la ragazza su una poltrona piallata e le offrì un piatto di biscotti allo zenzero preso dalla sua scrivania. Lei lo prese senza nemmeno ringraziare, ma non lo mangiò.
-Guarda che non è avvelenato– disse l’uomo fiducioso, addentandone uno.
Lei non lo ingurgitò con quel dubbio. Voleva solo accelerare i tempi.
-Potreste spiegarmi perché mi state trattenendo in questo modo? – chiese inaridita – Io devo raggiungere delle persone seduta stante e mi ritrovo bloccata qui con un tipo che neanche conosco. Le conviene dirmi cosa vuole, o chiamo aiuto! – era una specie di minaccia poco nota.
Rei prese di nuovo posto dietro la scrivania e incrociò le mani davanti a sé: - E’ giustificabile vederti confusa. Una porta si chiude stranamente a chiave e un perfetto sconosciuto ti frena a chiacchierare. Non è umano- non sentendo alcuna risposta da parte di Rossana, si permise di continuare – Okay, ti sto ingarbugliando ancora di più le idee. Perciò è meglio che passi al sodo. Come ti ho già detto, mi chiamo Rei. E ti stavo cercando da diverso tempo.
-Perché? – lo interruppe lei – Io non vi conosco nemmeno!
-Per addestrarti mia cara.
-Addestrarmi? A fare che?
-A combattere.
La ragazza aggrottò la fronte: - Scusate?
-Ti prego, basta intoppi. Presta attenzione – lei obbedì ammutolendosi – Bene. Allora – inspirò profondamente – Da come hai potuto ben notare, il mondo sembra essersi capovolto. In giro non si vede più nessuno, le scale ti trasportano continuamente in un posto diverso e al tuo cellulare non risponde più nessuno … beh … io so la causa di questi eventi.
-Mancanza di rete e totale smemoratezza di come si arrivi nell’antro? – tirò Rossana.
-No – la corresse lui Detachment!
-Deta … cosa?
-Detachment – ripeté Rei – Ovvero, distaccamento provvisorio dal mondo concreto.
-Credo … di non aver capito.
-La realtà è stata distaccata intorno a te negli attimi che hai vissuto da quando sei uscita dalla tua stanza. Non vedi né senti nessuno. E nessuno né vede, né sente te.
Rossana deglutì: - Scusate ma …
-Tu puoi vedere solo me per il momento – l’uomo guardò l’orologio – Ma fra circa dieci minuti tutto tornerà alla normalità – vedendo che la ragazza aveva ancora l’aria sbigottita sospirò: - Sono l’unica persona che vedi … perché sono un perpetuo – la ragazza non parlava più – Un eterno – continuò lui – Un’immortale. Un essere soprannaturale – la indicò – Anche tu sei una perpetua. Principiante. Hai creato un Detachment senza nemmeno rendertene conto.
La ragazza non ne poté più di quelle parole bizzarre. Si alzò di scatto dirigendosi verso la porta: - Va bene, adesso basta con queste stramberie. Vi ringrazio di avermi raccontato questa bella storiella. Ma se non l’ha capito, io ho 17 anni, non 4. E sono una cantante di fama internazionale che è in ritardo per un appuntamento. Arrivederci – provò a riaprire la porta. Ma niente da fare. Chiusa. Inoltre nella toppa non s’intravedeva nessuna chiave. Si girò verso Rei: - Se ce l’avete, datemela.
-Rossana – disse lui – Non hai afferrato cosa sto cercando di farti capire?
-No. E non ci tengo. Voi siete … fuori di testa!
L’uomo si alzò: - Rossana, sei una perpetua! – ripeté – Sei una persona immortale! Come i vampiri, come i demoni, come le streghe e le fate. Ma … sei speciale. Tu sei un Guardiano!
-Voi siete pazzo! – gli dichiarò poggiando le spalle al muro, ora spaventata – Fatemi uscire … voglio andare da James! Subito!
-Tu non credi nella paranormalità, non è così?
-Fatemi uscire!
-Devi crederci! Perché ne fai parte! Posso dimostrartelo – aprì il cassetto della scrivania e ne estrasse un piccolo pendente vermiglio. Lo puntò verso la ragazza: - Muuda Kleit!  
Si sollevò un piccolo venticello che avvolse Rossana trasmettendole un brivido di freddo.
La ragazza sentì fresco soprattutto alle gambe, sul quale si stava allungando un lungo vestito di cotone bianco a caratteri floreali. Gli indumenti che indossava poco prima svanirono, lasciando posto a quello strano abito.
Non appena se lo ritrovò addosso, riflettendosi in uno specchietto dietro la scrivania, gridò afferrandone i lembi e sollevandoli per vedere che fine avessero fatto i suoi vecchi vestiti.
-Ops – Rei arrossì – Vabbè che non sono esperto di moda … ma devo ammettere che ti dona – era super ironico. Quel coso la rendeva volgarmente indecente.
-Ma che merda … è questa …? – balbettò Rossana toccandosi il corpo – Da dove … è uscito questo? Dove sono i miei vestiti?!?!?!?!
-Perdonami – si scusò Rei –Ora ti ridò le tue vesti – tese di nuovo quella strana gemma e lo strano vento di prima riavvolse la ragazza restituendole gli indumenti cachemire.
Rossana si riguardò allo specchio e sentì la testa girare. Si sedette per terra facendosi piccola, piccola: - Ma … cosa è successo? Come … avete fatto … a …
-Sono un perpetuo – ridisse l’uomo per la terza volta. Gli mostrò il gioiello – E questa è un granato, che mi permette di fare uso a poteri magici. Anche tu ne puoi avere uno se vuoi.
La ragazza tremava e sudava. Si portò le mani a croce all’estremità delle labbra: - Chi … sei? – chiese dando del “tu”.
-Io sono Rei. Custode dei portali di primo ordine e sopraintendente della sicurezza marziale di Imperia. Il regno dei mille.
-Il regno dei mille?
-Dei Mille Prodigi – specificò l’uomo – E’ abitato dagli immortali. Creature mitiche e fantastiche, che hanno il compito di proteggere questo luogo da cui arriva tutta la vitalità mondiale, dalle forze demoniache – la ragazza tremava ancora.
-Se è uno scherzo … è di pessimo gusto.
-Non è uno scherzo – Rei sorrise – E non devi avere paura di me. Non ti farò del male. Con tutto il potere che ho avrei potuto benissimo ucciderti non appena ti ho vista, ma non l’ho fatto. Non ne ho nessunissima intenzione – le si avvicinò chinandosi al suo fianco – E sai perché, mia piccola Sana? – lei scosse la testa – Perché tu ci servi. Servi a noi Perpetui indispensabilmente.
-Perché?
-Perché sei la nostra unica speranza. Dalla morte dell’ultimo Angelo Guardiano Supremo, ucciso in battaglia, il male avanza e la forza vitale s’indebolisce. Per generazioni e generazioni il nostro popolo ha acclamato un nuovo Angelo Guardiano secondo le profezie di un oracolo.  Di cui non ci siamo mai pentiti. E stavolta la predizione è ricaduta su di te.
-Su di … me?
-Sì – le prese la mano. Lei non oppose resistenza – Può sembrare assurdo che una semplice ragazzina di 17 anni tenga dentro questi palmi una così infinita energia. Sembra strano che … una bambina … - enfatizzò – Debba salvare il mondo.
-Io … io … - Rossana non sapeva cosa dire. Era rimasta ammutolita da quel racconto. Non sapeva se crederci, o scoppiare a ridere o urlare. Lo avrebbe fatto se non avesse avuto la dimostrazione magica di poco prima. Come poteva spiegare un fatto del genere? Una messa in scena? Uno scherzo? O la semplice verità? Se era vero che la disumanità esisteva, allora le indulgenze dei buoni e le meschinità dei malvagi erano reali. Così come la morte sempre messa in gioco e la determinazione mai obliata.
 
Tutto quello che le venne da fare fu rimettersi in piedi e stringersi le braccia: - Come faccio a credere a tutto questo? – domandò insicura.
Rei sembrava preparato a questa domanda perché ebbe la risposta già pronta: - Venendo con me e aiutandomi a salvare un amico nei guai.
-Venendo con te? Dove?
La porta si riaprì con uno spiffero. Rei ghignò riprendendo la mano della ragazza: -  Dobbiamo imbucarci al Metropolitan Museum Of Art.

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Capitolo 5
*** 〰Al museo 〰 ***



Rei portò Rossana fuori dall’hotel. Nell’atrio non c’era nessuno.
Fuori era parcheggiata una macchina nera dalle portiere lucide e i vetri scuri.
Prima di salirci sopra la ragazza esitò.
-Senti … per quella cosa … quel Dechuman … - borbottò.
-Ah, il Detachment – la corresse l’uomo.
-Sì quello. Non avevi detto … che durava solo pochi minuti?
-Non ti preoccupare – sorrise Rei pescando dalla tasca il pendente vermiglio. La ragazza rabbrividì. Lo vide soltanto stringerlo tra le mani per qualche minuto, vederlo illuminarsi e poi ritornare nella giacca.
-Ecco – confermò lui – L’ho allungato. Abbiamo due ore di tempo prima che si rendano conto che sei scomparsa – le aprì la portiera – Accomodati.
Rossana rivolse un’occhiata all’hotel, poi si decise a entrare nella macchina, ancora molto perplessa.
Rei si mise al volante e in breve furono in strada.
Non parlarono molto durante il tragitto. Lei guardava fuori dal finestrino. Le strade erano deserte. Non c’era anima viva in quella che era considerata la città più affollata del mondo. Aveva provato più volte a svegliarsi, ma se si fosse trattato di un sogno, sarebbe rimasta lì.
L’uomo fischiettava tranquillo guardandola ogni tanto dal retrovisore. Il suo sguardo fisso nel vuoto, confuso, spaventato, lo faceva sentire in colpa per essere stato così precipitoso sul far delle cose. Aveva cercato di essere più cordiale possibile. Di fargli capire come stavano le cose senza atterrirla. I risultati erano stati notevoli però. Almeno non si era messa a urlare e aveva accettato di seguirlo senza chiamare la polizia per un presunto sequestro.
-Chi è … questo tuo amico nei guai? – gli domandò lei, rompendo finalmente il silenzio.
-Sono felice che tu me l’abbia chiesto – sorrise Rei – E’ un Demone Bianco Solitario di Serie B. Era stato mandato qui per vigilare la sicurezza degli umani da qualche forza oscura, ma con la sua cocciutaggine si è fatto pietrificare nel museo, dentro la quale potrebbe aver rivelato un’essenza malvagia.
Rossana deglutì allacciandosi meglio la cintura per paura di cadere: - E quale … sarebbe il tuo obbiettivo?
-Il nostro obbiettivo – la rimbeccò di nuovo Rei – E’ quello di entrare nel museo, liberarlo dalla pietra e in caso, sconfiggere la presenza oscura.
-Parli senza senso – sbuffò lei poggiando la testa sul sedile – Come sarebbe a dire “Sconfiggere”? Io non sono una guerriera. Non so nemmeno se è vero che ho tutto questo potere nelle mani. Come faccio a saperlo?
-Lo vedrai – le assicurò.
Intanto, dopo circa mezz’ora di guidata notturna e tranquilla, tra le strade deserte, giunsero nell’enorme parco di Central Park dove costeggiarono nell’area dei carri.
Scendendo furono invasi dal freddo.
Era allibente vedere come l’enorme prato dove ogni ora, coppie, famiglie, bambini e cani fosse solo una distesa deserta.
Fecero qualche metro a piedi, stavolta in totale silenzio.
Poi finalmente giunsero davanti l’enorme struttura del Metropolitan Museum Of Art. L’edificio era grande, sorretto da colonne di marmo. Le scalinate che conducevano all’entrata erano vuote, dei busti abbellivano il tetto e la stanga con la bandiera americana, sventolava fiera alla sua destra.
Rei si avvicinò alla ragazza: - C’eri mai stata? – lei scosse la testa.
-Come facciamo a entrare? – Rossana temette di conoscere già la risposta.
E azzeccò: - Apri tu le porte.
-Come … dovrei fare, sentiamo? – si mise a braccia conserte – Cantando Bibidibobidibù?
-No. In un modo più semplice – spiegò l’uomo – Pensa alla prima cosa che ti viene in mente per aprire una porta. Poi alla prima lingua che ti capita. E gridala.
-E’ una cosa stupida.
-Se è per levarti ogni dubbio, non credo tu abbia scelta.
-Non hai tutti i torti – sbuffò – Bene. Quindi devo … pensare a un oggetto?
-Quello che vuoi. Oh … e chiudi gli occhi. Ti verrà meglio.
-Okay … vediamo … - la ragazza chiuse gli occhi com’era stato ordinato e mise in funzione la mente.
“Servirebbe un piede di porco? No, non ci tengo a farmi spacciare per una specie di ladra. Sarebbe più semplice avere un mazzo di chiavi. Oppure un pulsante automatico che apre qualsiasi cosa. Mm … sì … opto per il pulsante”
E poi passò alla lingua. La prima che gli venne in mente.
“Argentina”
Improvvisamente avvertì un energia scorrergli nel petto.
Gli occhi si spalancarono da soli, così come la bocca e le corde vocali e le braccia alzate puntate verso le porte chiuse.
Puertas botòn Abrir!
 Al fianco del primo portone comparve un tasto rosso simile a quelli antiincendio. Sopra era incisa una frase: “Abre Todos”
Tradotto: “Apre tutto”
Rei guardò la ragazza con la mascella serata e il risolino: - Strepitosa.
-Mamma mia … - balbettò lei guardandosi le mani – E’ stato … - avrebbe voluto dire, strano, emozionante, bello. Non riusciva a credere a ciò che era appena capitato. Aveva compiuto una magia. Lei! Che finora si era considerata superba soltanto nel canto. Avrebbe tanto voluto riprovarci
-Lo so. Incredibile – Rei le prese la mano e la trascinò su per le scale– Ora però non c’è tempo da perdere – detto questo premette il pulsante. Si sentì un rumore sirenico e tutte le entrate del museo si spalancarono.
L’uomo le sbarrò per un attimo la strada: - Entro prima io per ispezionare se la via è libera. Tu resta. Non si sa mai.
-Chi ci deve essere a quest’ora? – sbuffò lei. Si ricordò improvvisamente della discussione avuta in macchina e obbedì restando sull’attenti.
Rei penetrò nell’ombra. L’enorme sala principale non era del tutto buia. Le luci di sicurezza erano debilitate ma abbastanza luminose per controllare la situazione.
Sana poté ammirarlo anche dall’esterno. Rimase stupefatta.
L’atrio centrale del museo, era enorme.
Uno spazio gigantesco, di solito invaso da centinaia di turisti e guardie della sicurezza.
Al centro c’era la reception delle guide, dei dépliant, delle origini storiche registrate e dei preposti agli affitti di macchine fotografiche da sviluppare.
Ai cigli, c’erano colonne affiancate da cartelli con gli avvisi dei prossimi convegni grafici o scientifici e le indicazioni per raggiungere i vari reparti.
-Wou – commentò mettendo un piede dentro.
-Puoi venire – la tranquillizzò Rei facendole spazio – Non c’è nessuno in giro.
Non appena entrambi furono dentro ed ebbero chiuso per bene la porta, l’uomo riprese dalla tasca il piccolo granato luccicante. Lo strinse. Non accadde nulla.
-Avverto un energia positiva al primo piano – indicò una rampa di scale poco distante – Al settore numero 512.
-Chi te l’ha detto? La … pietra?
-No. Lei rivela soltanto potenze energetiche e me le trasmette. In ogni caso ci sta dicendo di andare di sopra. Quindi, muoviamoci!
Stando dietro a Rei, seguendolo senza imitare le sue mosse poco scherzose da Mission Impossible, Rossana non dovette fare prediche e percorrere l’enorme gradinata, anziché prendere l’ascensore fuori servizio. Arrivati nel primo piano, si ritrovarono nel settore delle arti medievali e dei chiostri. Sembrava essere tornati indietro nel tempo. Nelle epoche centenarie.  
Disposti ognuno su un piedestallo diverso, c’erano vari salienti delle ere antiche, come statue di marmo o creta, piatti che riassumevano la vita di imperatori bizantini, arazzi aristocratici, vecchie armi di ferro e sacri strumenti come liuti riposti in fragili teche.
Superarono tutte queste meraviglie. Anche se la ragazza sarebbe voluta trattenersi a contemplarle lungamente. Ma l’uomo continuava ad esortarla ad accelerare i tempi perché, ripeteva, rimaneva solo un’ora prima che il Detachment scadesse e non avevano neanche trovato l’amico da salvare.
Arrivati nel reparto 304, percorsero un corridoio che li portò direttamente al 500, dedicato alle sculture europee e alle arti decorative, che durò fino al 508.
Poterono brevemente ammirare, anche sotto una flebile luce delle sale rimaste completamente spente, vestiti e letti ottocenteschi, affreschi angelici e statuarie raffiguranti miti ed eroi.
Superarono altre camere ben rivestite, stavolta con ai bordi di letti a baldacchino delle armature vuote, specchi impolverati e teche su teche.
Finalmente giunsero nella sala dove Rei fermò le gambe.
Si trattava di una grossa hall con soli statue e sculture. Alcune sdraiate, altre in piedi, altre mezze sgretolate o incompiute. Tutte raffiguranti individui del ventesimo secolo.
-Che opere!- giudicò Sana ammirando una vergine sdraiata.
-Sssh! – la zittì un attimo Rei riprendendo il granato.
Il piccolo pendente si illuminò nel suo palmo trasmettendogli pensieri su pensieri.
Usandolo come un radar, lo avvicinò ad una statua per volta. Esso si illuminava sempre di più. Era come giocare ad acqua, fuoco.
E quando arrivò a camminare di fronte una statua un po’ più incrinata delle altre, il granato intensificò la sua energia quasi accecando Rossana.
-Eccolo – le comunicò Rei indicando la statua in questione – E’ lui!
La ragazza si avvicinò. Camminare verso quello che a occhio e croce sembrava una scultura normale ma in realtà era una persona carne e ossa come lei le metteva un po’ di timore. Si ritrovò a fissare un ragazzo di marmo.
Un ragazzino sui diciannove anni dai lineamenti delicati e gli occhi sgranati. Non poteva differenziarne il colore, ma il fascino. Era vestito in modo troppo moderno per far parte della collezione antica. Una felpa della nike e i pantaloni Guless, con scarpe da ginnastica di prima casta. Era in una posizione seria. Con le braccia incrociate e lo sguardo indagatorio. Come a dire “Oh! Guarda chi c’è!”
Non si rese conto di essere rimasta a fissarlo per tre minuti.
-Molto bene – la risvegliò Rei sventolandole una mano davanti agli occhi – Tocca a te.
-Cosa … che? – chiese la ragazza –A me?
-Sì. Liberalo dalla pietra.
-Come?
-Nello stesso modo in cui ci hai fatti entrare, tesoro.
-Oh … - Rossana sbuffò.
Non le dispiaceva compiere un altro incantesimo. Era stupefacente vedere se stessa fare cose simili. Ma era in ansia. La forte energia che aveva avvertito scaturire dal suo corpo era stata una sensazione forte. Troppo vigorosa. Ma ci provò lo stesso. Aveva una strana voglia di vedere quel pezzo di marmo trasformato in un umano.
Chiuse gli occhi:
“Qualcosa che rompi la pietra. Un piccone? No … lo romperebbe staccandogli qualche arto. Allora … insomma … cosa rompe la pietra? Servirebbe qualcosa per sgretolare il marmo. Come una pala. Oppure … far sciogliere il marmo! Sì! Ma non la statua! Non si deve assolutamente sciogliere lei, completa. No. Soltanto il gesso. Il marmo che lo ricopre deve sciogliersi e liberarlo.
Sì è una buona idea. Allora … occorre fuoco!”
Ricordò che bastava pensare anche ad una lingua.
“Irlandese”
Le mani tremarono, le gambe si piegarono. Gli occhi si spalancarono e le braccia si tesero in avanti: - Dòiteàin!
Una lingua di fuoco partì dal suo palmo e roteò intorno alla statua come un serpente volante. In breve il marmo si fluidificò e cominciò a colare.
-Bravissima! – gioì Rei abbracciandola provvisoriamente – Vedrai che in breve sarà libero!
-Sì. Ma voi no!
Non era stata lei a parlare.
Nessuno dei due aveva aperto bocca. La statua ancora non era del tutto squagliata. Ma allora chi era stato?
Terribilmente, Sana sentì una fitta alla fronte. Una specie di segnale.
Non voleva voltarsi. Una paura terribile glielo impediva. Ma qualcosa la costrinse a farlo. Gridò.
Di fronte i due si ergeva in tutta la sua potenza, una strana creatura. Non era molto alta ma possedeva dei muscoli da pugilato. La sua pelle era rossa carnefice, gli occhi gialli, la lingua biforcuta, i denti aguzzi, le zampe di drago e una coda spinosa. Un mostro.
Rossana gridò ancora e ancora, mentre Rei le si parava di fronte restando serio come se non fosse la prima volta che vedesse un essere del genere.
-Dannazione – imprecò – E’ un Rakasa!
-Un … che …? – ebbe la forza di balbettare la ragazza aggrappata alle sue spalle.
-I Rakasa sono i Diavoli Oscuri. Le forze malvagie che indeboliscono il nostro mondo dipendono da loro.
-Ma bene! – sibilò il Rakasa tirando fuori la sua lingua viola piena di pustole – Alla fine ce l’avete fatta, perpetui! Avete trovato l’erede al trono dell’Angelo Guardiano – i suoi occhi gialli si posarono su Sana, che gridò ancora – Hai paura, piccola? Non temere. Sono un amico. Voglio solo giocare – avanzò.
-Non ti avvicinare a lei! – Rei tirò fuori il granato – Non costringermi a usarlo! – aveva la voce un po’ roca.
-Tu levati dai piedi! – il Rakasa alzò la zampa ricoperta di artigli amaranti e sferrò un graffio di gatto all’uomo, come un ceffone.
Rei restò ferito al braccio. Si accasciò a terra e sollevò il pendente con quello ancora sano: - VODA!
Si sollevò uno zampillo di acqua violenta che colpì l’essere al petto, allontanandolo di qualche metro.
L’uomo si voltò speranzoso verso la statua che si stava sciogliendo. Per ora erano libere soltanto le braccia. Non si era ancora risvegliato, il suo amico.
-Sana, ascoltami! – le disse stringendosi il braccio ferito – Tu puoi sconfiggerlo!
-Cosa? – balbettò la ragazza vedendo con orrore che il Rakasa stava ritornando, mezzo bagnato – Ma come? Io …
Il mostro alzò nuovamente la mano: - Invocatur Niger!
Fu osceno ciò che accadde dopo queste frasi.
Tutte le statue, le armature e le sculture che popolavano quell’aria si animarono, sradicandosi come alberi dai loro piedistalli e mettendosi ai fianchi del Rakasa.
-All’attacco! – ordinò loro – Uccideteli!
Le armature, come se all’interno possedessero dei veri cavalieri, sfoderarono le spade antiche e partirono alla carica.
Lo stesso per le statue . Quelle senza gambe si trascinarono.
-Cristo! – Rossana si coprì gli occhi.
Non era reale.
Non poteva essere reale.
Rei continuò ad allontanare quelle creature che stavano cercando di immobilizzarli per concedere al Rakasa il colpo di grazia. Si sentiva però troppo debole per continuare a lungo.
Quando il colpo di una scultura calcarea gli fece volare il granato parecchio distante, fu costretto a ricorrere alla forza. Immobilizzò le statue assatanate. Ma erano troppe e in molte cominciarono a colpirlo senza pietà.
-Scappa, Sana! – le ordinò fregandosi del dolore – Scappa!
Qualcosa dentro la ragazza, seduta a terra paralizzata, le diceva di obbedire e fuggire salvandosi le penne. Ma un’altra le impose di restare perché anche se lo conosceva da poco, sentiva di non poter abbandonare Rei al suo destino. Non voleva che morisse. Voleva aiutarlo. Per questo chiuse gli occhi concentrandosi e provando a compiere un sortilegio di soccorso.
-Ah ah ah! – sentì la risata del Rakasa molto vicina – Sai già fare le magie, piccola streghetta? Non credo avrai tempo di apprenderla e aumentarla. Una volta tolta di mezzo te, niente potrà impedire che il potere oscuro invadi la terra! Muori!
Rossana non aprì gli occhi. Non riusciva a concentrarsi ma seppe che il mostro si era lanciato contro di lei con gli artigli pronti all’immersione.
Un dolore acuto. Mortale.
Non ci fu.
Nessuno sgorgamento di sangue, la ragazza vide uscire dal petto. Che nessuno aveva sfiorato. Dopo alcuni secondi di esitazione si decise a riaprire gli occhi lucidi. Fu abbagliata da una strana luce porpora che la ricopriva da tutte le parti, tenendola all’interno di una specie di barriera protettiva trasparente.
Il Rakasa era fuori. Scaraventato verso una teca di armi antiche, ora in frantumi.
Rei era nella barriera. A terra con una ferita aperta sul ventre e la faccia piena di lividi e graffi.
 A parte loro due, una terza figura.
Una persona in piedi, che teneva il braccio alzato verso il tetto della barriera come se la sorreggesse. Quel qualcuno li aveva salvati.
Mettendo meglio a fuoco la sua immagine, Rossana vide che si trattava di un ragazzo con la felpa azzurra e i pantaloni neri. Sussultò quando vide che pezzi di gesso gli colavano come cera dai capelli. Si girò. Nel punto dove era piantata la statua dell’amico di Rei, erano rimasti soltanto pezzi di marmo vuoti.
-G..g..grazie – sospirò sorridendogli. Non lo conosceva ma nutriva una profonda gratitudine per lui.
Il ragazzo alzò le sopracciglia. Si chinò verso di lei facendo fluire i capelli castani tendenti al biondo e la fissò con i suoi occhi dorati.
Ciò che disse la sconvolse.
-Sei proprio una scema!


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Capitolo 6
*** ♘ ✩ Eric ✩ ♘ ***



Rossana strabuzzò gli occhi. Credette di aver capito male.
-Come scusa? – domandò.
Il ragazzo che le aveva appena salvato la vita, cocciutamente ripeté le stesse identiche parole: - Sei una scema. Idiota – aggiunse.
La ragazza si scrollò di dosso tutta la paura che provava fino a qualche attimo prima. Ora a padroneggiarla erano estremo fastidio e infinita rabbia.
-Mi perdoni, ma non credo di capire. Innanzitutto lei chi …
-Dammi del tu. Se non l’hai capito non sono un sornione – disse il ragazzo.
Il suo tono era così perentorio e indisponente che Rossana sentì la faccia arrossarsi: - Va bene … chi sei?!?!
-Piacere. Sono un Demone Bianco Solitario di Serie B – la descrizione era identica a quella che gli aveva fatto Rei mentre erano in macchina – Mi chiamo Eric. E mi stupisco di credere che tu sia Rossana Kurata.
Lei strinse i pugni: - Scusa, perché?
-Perché ci vorrebbe una bella sprovvedutezza per i perpetui, credere che sei tu l’erede al posto di nuovo Angelo Guardiano.
-E’ stato difficile anche per me crederlo.
-Non mi riferivo a quel genere di credenza. Insomma … sei sguaiata.
-Come scusa? – ripeté Rossana.
I due, appena conosciuti, si erano completamente scordati di essere ancora circondati dai monumenti che popolavano il museo e da un Rakasa ora più furioso che mai, ricoperto di schegge di vetro.
-Sei indecente – ripeté Eric – Insomma, stupida! Se ti è stato riferito di possedere poteri soprannaturali e non li usi quando vedi di essere circondata da mostri che ti vogliono ammazzare, tu che fai? Esiti? Piangi? E’ un comportamento da bambina. Per questo sei una stupida. I Perpetui non si lagnano mai. Combattono sempre con coraggio e destrezza.
-Beh – Rossana incrociò le braccia – Scusa tanto se è solo da un’ora che ho scoperto di possedere “poteri soprannaturali” e non sono ancora in grado di svilupparli! Fino a ieri ero solo una semplice cantante internazionale e oggi mi ritrovo a combattere contro statue di marmo!
-Ah, scusa tu se la salvezza del mondo viene prima della tua carriera.
-Ma chi ti credi di essere, ragazzino? Guarda che …
Un gemito improvviso la riscosse. Rei era ancora privo di sensi, sdraiato al suo fianco e respirava a fatica.
La ragazza si riscosse da quella stupida litigata transitoria e si chinò sull’uomo.
Il cuore gli batteva ancora ma la ferita sul ventre pulsava e sgorgava come un fiume. Bisognava medicarla alla svelta.
-Dobbiamo portarlo via – gli disse Eric senza smettere di sorreggere la transenna protettiva.
-Come? – chiese la ragazza per la prima volta rivolgendosi a lui senza aggressività – Siamo circondati! – indicò il Rakasa che in tutti i modi cercava di oltrepassare la barriera dando colpi feroci con i suoi artigli.
-Beh, siccome sei ancora tanto ingenua da non saper sconfiggere questo tipo che volendo potresti polverizzare anche solo con un mignolo – disse il ragazzo – Ci conviene farci strada fino all’uscita.
Lei s’irritò: - Vale a dire? – chiese a denti stretti.
-Continuerò a reggere la barriera – spiegò Eric – E’ mobile. Potrò trasportarla come una cupola. Tu però devi stare al passo. Prendi Rei e preparati a correre.
Sana non volle sapere i dettagli. Il mostro là fuori continuava a gridare che presto li avrebbe uccisi uno per uno divorandoli. Con la nausea, si fece passare il braccio di Rei intorno al collo e lo sorresse. Provò a svegliarlo ma l’amico non dava segni istantanei.
-Dobbiamo muoverci! – esclamò.
-Va bene – Eric tese ancora di più il braccio che gli formicolava – Allora, tre … due … uno … VIAA!
Prese a correre con la ragazza alle sue spalle.
Lei era incredula. Man mano che si facevano largo tra la folla di sculture assatanate, la barriera intorno a loro non scompariva. Uno scudo che gli accompagnava un po’ da tutte le parti.
Eric però faceva fatica a reggerlo. Dovevano raggiungere al più presto raggiungere l’uscita.
Imboccarono vari corridoi, mentre avevano il Rakasa e i seguaci alle calcagna.
Molti mausolei andarono distrutti e Rossana si chiese per un attimo cosa sarebbe successo quando i guardiani del museo avrebbero trovato quel casino. Inoltre si domandò se il giorno dopo le statue sarebbero state ancora vive.
A quanto sembrava, Eric conosceva la strada per tornare alla strada principale. Riconoscendo i vari reparti oltrepassati in precedenza con Rei, Rossana si disse che erano sempre più vicini alla salvezza.
Le veniva molto difficile reggere il corpo dell’uomo e allo stesso tempo seguire il ragazzo mentre alle loro spalle la mandria di perversi si avvicinava. La luce non aiutava visto che nella maggior parte delle sale era ancora spenta. Si aspettava terrorizzata di sentirsi agguantare alle spalle nell’oscurità. Ma non avvenne.
Arrivarono alla scalinata che li trasportò finalmente nell’androne principale.
-Preparati! – disse Eric mentre avanzavano rapidi verso l’ingresso.
-Perché? – chiese Sana.
-Per aprire la porta, la barriera dovrà essere interrotta – gli spiegò il ragazzo – Quindi dovrai essere super rapida. La spalancherò e ci precipiteremo fuori. Tratterrò le porte con un incantesimo di pochi minuti. Tu devi allontanarti il più possibile!
-C’è la macchina di Rei qui fuori! – ricordò la ragazza.
-Perfetto! Saltaci dentro.
-Ma io non so guidare!
-Provaci! Io ti raggiungo dopo e ti sostituisco! – e non disse altro.
La ragazza non era affatto convinta che quel piano geniale inventato sul momento sarebbe funzionato. Sempre meglio che finire ammazzati da ammassi di gesso.
-Pronta? – gli chiese Eric.
Lei col cuore in gola annuì.
Il ragazzo allora abbassò la mano e la transenna protettiva scomparve.
Si fiondarono entrambi sulla porta spalancandola come la anta di un armadio e si precipitarono sugli scalini.
-Non andrete da nessuna parte! – sentirono sibilare al Rakasa, ormai ad un passo da loro.
Eric però riuscì a sprangare nuovamente le ante e con un gesto delle mani, queste furono sigillate da una specie di magma melmoso.
-Vai! – ordinò alla ragazza col sudore che gli cadeva dalla fronte.
Lei non se lo fece ripetere. Tenendo ben stretto Rei, corse verso la sua macchina. Il parcheggio dei carri non era troppo distante.
Rossana la riconobbe al volo visto che era quella più scura.
Grazie al cielo era aperta e le chiavi erano dove le aveva viste lasciare a Rei. Nel portaoggetti.
Rapida distese il corpo dell’uomo sul sedile posteriore e tremante si mise alla guida.
Una volta le era capitato di guidare una macchinina ma era stato durante le riprese del suo primo Music Video in cui interpretava una giovane ragazza che si divertiva a girare Hollywood a bordo della sua Ferrari. Ma era stato tanto tempo fa. Alcune cose però le ricordava.
Prima di tutto avviare il motore, con le mani a dieci e dieci sul voltante, mettere la prima senza lasciare momentaneamente la frizione. Non si mosse.
-Porca Miseria! – imprecò provando nuovamente a svegliare Rei, inutilmente.
Si rassegnò: - Dai, Rossana – si disse – Non deve essere tanto difficile! – dei tre pedali su cui poggiava i piedi distinse l’acceleratore dal freno. Seppe già quale schiacciare.
Fortuna che la macchina non era stata parcheggiata di profilo.
Pigiò sull’acceleratore e le ruote partirono.
Gridò senza lasciare il volante mentre sfrecciava sulla strada deserta di Central Park. Riprese a schiacciare la frizione lasciando contemporaneamente l’acceleratore e maneggiò a casaccio il freno a mano.
-Merda! – frignò sul punto delle lacrime. Temeva che qualsiasi mossa sbagliata l’avrebbe portata ad un incidente mortale.
Invece riuscì a prendere il controllo dell’auto.
Si concentrò soprattutto sulla frizione e sul volante.
La strada era tutta dritta. Per un po’ avrebbe saputo cavarsela.
Abbassò il finestrino e gridò a squarciagola rivolta al museo: - MUOVITI! IO NON RESISTO!
Non riuscì a vedere cosa stesse succedendo.
Se Eric avesse messo k.o. il Rakasa e la stesse raggiungendo.
Il cuore le andava a mille. E se stesse andando contromarcia? Non ricordava esattamente da dov’erano arrivati.
Già. Domanda principale. Dov’era diretta?
Una volta giunta alla prima curva sarebbe stata la fine.
E se avesse provato a compiere una magia?
Non se la sentiva però di chiudere gli occhi mentre guidava per la prima volta.
-Rei, ti prego, svegliati! – piagnucolò scuotendo con la mano l’uomo.
Vedendo che la sua ferita s’infettava, strillò ancora fuori dal finestrino.
-ERIIIIIC! – lo chiamò per la prima volta per nome. Le risultò strano: - MUOVITIIII!
Con sventatezza fendé troppo il volante e la macchina sterzò violenta.
Rossana gridò coprendosi il viso con le mani. Non lasciò andare il piede dalla frizione. Con orrore aveva visto che stavano andando a scontrarsi contro uno dei grossi alberi che componevano l’immenso parco.
-Aiuto! – mormorò.
Passarono alcuni minuti. Forse di più. Si aspettava di schiantarsi sul vetro e di finire con l’airbag in faccia. Ma neanche stavolta i dolori che preannunciava si fecero sentire.
L’auto non tremava. Non era più in moto.
La ragazza con vari attimi di titubanza, aprì gli occhi. Era ancora tutta intera. Rei era ancora svenuto sui sedili posteriori. Niente di strano.
A parte che erano sollevati a un kilometro da terra e Central Park con tutti i grattacieli che lo circondavano, si estendeva sotto di loro.
Rossana gridò. La loro auto volava.
-OH, MIO DIO! Ma che … ???
-Calmati – disse una voce. Rei non si era svegliato. C’era solo lei. Chi era? – Sono qui – ridisse la voce.
La ragazza si tese un po’ di più verso la vetrata. Una testa capovolta si chinò fissandola dal tettuccio. La testa di Eric. Rossana sobbalzò.
-Ma cosa … - dopo aver ripetutamente controllato che lo sportello fosse ben serrato, si sporse dal finestrino e diede un’occhiata sopra di lei.
Rimase senza parole.
Il ragazzo volava.
Volava e reggeva la macchina dall’antenna che spuntava sul capote, tenendo sospesa anche lei.
-Sorpresa? – chiese con sopracciglia inarcate.
-Ma  … che stai … - Rossana non continuò la domanda ricordando improvvisamente una cosa.
Rientrò nell’auto e premendo un pulsante, azionò il tettuccio apribile. In questo modo gli bastò soltanto mettersi in punta sul sedile e sbucare nell’aria notturna.
-Che stai facendo?  - chiese finalmente squadrando Eric negli occhi.
-Ti salvo – rispose lui – Per la seconda volta.
-Ma che è successo?
-Succede che se fossi il tuo insegnante di guida, non ti metterei neanche un “Non Classificato”
Lei sbuffò: - Che è successo? – ripeté.
-Ho sistemato quel ciccione – raccontò il ragazzo – Ho sistemato i danni arrecati al museo, facendo tornare tutto come prima e poi sono venuto a sollevare quest’auto prima che si spaccasse su un tronco, con voi due dentro.
-Ma tu … sai volare? – il vento le scompigliò i capelli mentre osservava sotto di lei il panorama più bello del mondo che non le fece venire le vertigini.
-Anche tu sai volare – disse Eric – Ma al momento non ci riesci.
-Riesci a reggere pesi così grossi?
-Sì. Perché a differenza tua, io so padroneggiare i miei poteri.
E ritornarono a discutere.
-Insomma, perché ci tieni così tanto a sfottermi?
-Io non ti sfotto. Dico la verità. Sei idiota.
-Ma perché??
Lui la squadrò con i suoi inquietanti occhi ambrati: - Ora voglio che tu mi dica una cosa. Cos’hai pensato quando hai visto che vi stavate per schiantare?
-Ecco … io …
-La verità!
-Ho pensato … al peggio.
-Brava. È questo il tuo problema. Ti fai prendere troppo facilmente dal panico e non pensi che sei capace di evitare qualsiasi catastrofe con uno schiocco di dita. È un comportamento da stupidi perché nei sei consapevole ma non ci provi!
-Beh, scusa tanto se ho da poco scoperto di appartenere ad una stirpe di Angeli Guardiani che deve salvare il mondo dal male! Non è una cosa che avviene spesso nella comunità. Lo sai?
-Ma a te è successa e devi accettarne le conseguenze.
-Oh, senti non so che farmene delle tue prediche! Dobbiamo aiutare Rei! Portami all’ospedale più vicino.
-Ospedale? Accipicchia, ma allora sei proprio imbecille!
-Perché?!? – sbraitò Sana.
-Per guarire qualsiasi tipo di lesione, un Perpetuo non ha bisogno dei rimedi umani. Ha bisogno di sale.
-Come, di sale?
-Un sale particolare, ragazzina. Il sale del Mare degli Scenari.
-Il cosa?
-E’ chiamato così perché da qualunque prospettiva si gode una splendida vista. Ogni volta sulla spiaggia lascia grandi quantità di sale e schiuma.
-Com’è possibile?
-Si svuota. È stregato. Espelle tutto quello che lo commuta e poi si ricompone. È una massa medicinale.
-Ma dove si trova?
-Ad Imperia.
-Intendi … il Regno dei Mille? – la ragazza ricordava qualcosa.
-Vedo che qualcosa la sai.
-Senti smettila di fare il “so tutto io”. Piuttosto … dovresti riportarmi al mio albergo – si allarmò improvvisamente – Rei aveva lanciato un Detacmun … un Deta … Detach …
-Detachment – disse Eric.
-Si quello. Sarebbe durato soltanto due ore. Ho paura che si siano già accorti della mia assenza.
-Oh, non ti preoccupare. Avevo già intenzione di scaricarti, mentre io portavo Rei al Mare. Saresti un peso.
-Insomma! Ci siamo appena conosciuti, ma mi tratti come se mi odiassi! Si può sapere che ti ho fatto?
-Assolutamente nulla.
-Allora perché ti rivolgi a me in questi termini?
-Non mi fido. Tutto qua.
-Cosa? Non ti fidi di me? Perché?
-Perché sei troppo insicura. Devi credere di più in te stessa, sviluppare il potere che racchiudi e poi aiutarci nelle battaglie.
-Guarda che io non ho mai detto di voler venire coinvolta in questa storia.
-E’ il tuo destino. Da quando sei nata.
-Senti io …
La loro chiacchierata fu interrotta da uno sbalzo.
Eric per un attimo aveva allentato la presa all’antenna, gemendo e toccandosi la spalla destra. Per un attimo non finivano addosso ad un grattacielo. Il ragazzo riprese il controllo e si sollevò ancora di più.
Rossana era barcollata e non aveva evitato un urlo: - Dico ti sei ammattito? – chiese. Non ebbe risposta.
E fu allora che i suoi occhi si posarono sulla spalla di Eric.
Sbiancò.
Mezza camicia era ricoperta di sangue.
-Oh, mio Dio! – si tappò la bocca – Ma … cosa ti è successo?
-Niente – disse lui freddo.
-Ma sei ferito!
-Ho detto niente!
Sana ebbe un’intuizione: - E’ stato lui, vero? Il Rakasa?
-E anche se fosse? – Eric era rigido – Tu non eri lì. Ho dovuto cavarmela da solo e come al solito ne sono uscito vivo. Ti dirò una cosa, ragazzina. Uno tosto come me non lo fotte nessuno. Ma non sempre le persone che vogliono difenderti usciranno vive dai combattimenti. Per questo ti dico che sei una scema. Lo dico e lo ribadisco più seriamente.
Rossana ebbe un tonfo al cuore. Dunque era a questo che si riferiva. Il fatto che siccome non era intervenuta, lui ci aveva quasi rimesso la pelle. Rei era quasi morto cercando di difenderla. E lei non aveva mosso un dito. Si sentì uno schifo di persona. Decise di rintanarsi nell’auto fino alla fine del volo.
Ma prima che l’intero tettuccio si chiudesse, volle dire un’ultima cosa ad Eric: - Grazie. Comunque io mi chiamo Rossana.
Lui la guardò sparire nella macchina. I suoi occhi si soffermarono a contemplare il tettuccio chiuso per un po’. Poi tornò a sorvolare New York accennando un minuscolo sorriso divertito.

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Capitolo 7
*** ☆Dopo Serata ☆ ***



La macchina volante, cominciò ad atterrare alla stessa velocità di un aereo e planò di fronte l’hotel Melchior.
Rossana scese dall’auto. Fu una strana sensazione toccare terra.
Eric scese dal tettuccio e s’infilò al posto di guida, dove mise in moto facilmente.
-Allora ciao – la salutò dal finestrino.
-Un attimo – lo fermò lei prima che si allontanasse – Volevo sapere … cosa devo fare.
-Cosa devi fare?
-Sì. Voglio dire … dovrò … esercitarmi a combattere … o cose così?
-No, cara. Stasera potrai tornare alla tua vita normale. Non appena Rei si sarà rimesso in forze, verrà a parlarti direttamente.
-Ah okay. Allora … questo è un addio – non poteva nascondere un filo di malinconia nella voce.
Il ragazzo se ne accorse: - Non è un addio – la rassicurò rigidamente – Sicuramente dovrò ancora tornare a salvarti la pelle. Quindi arrivederci. Rossana – detto questo premette l’acceleratore e sparì nei vicoli della città.
Rossana rimase per qualche minuto a guardare il punto in cui era andato. Si sentiva ancora in colpa per quello che era successo. La scomparsa di quelle due persone però, poteva essere una rivelazione. Tutto ciò che era accaduto, magari non era realmente accaduto. Tutto frutto della sua immaginazione. Semplici allucinazioni.
-Ti piacerebbe – disse a sé stessa.
Titubante, salì i gradini dell’albergo e si ritrovò nell’androne. Deserto.
Il grosso orologio posto sopra la reception segnò le nove in punto.
Tutto intorno a lei, si creò un altro incanto.
A rallenty, una persona dopo l’altra, comparve nell’atrio, indaffarata in varie attività e prese a muoversi come se qualcuno avesse premuto il pulsante “Play” al telecomando dopo una lunga pausa.
Rossana si allibì: “Niente ormai è più normale” pensò sedendosi su una poltrona e sospirando.
-Oh! There you are, my dear! – sentì all’improvviso – Sana.
Si riscosse e vide qualcuno correre nella sua direzione. Un uomo dai baffi e i capelli neri, con la camicia mezza trasandata.
-James! – lo riconobbe.
-Sono passato da camera tua, ma non c’eri – le disse il manager col fiatone – For luck, you are here. Dobbiamo andare. Siamo in ritardo per la riunione.
-Oh … la riunione con i responsabili del concerto… giusto!
-Come on! Let’s go! – James la trascinò lungo tutto l’androne, fino ad un corridoio costeggiato da finte candele. Dopo un paio di metri, giunsero davanti un portone aperto e si ritrovarono in una grande sala circolare dal soffitto a botte. Era un’aula con scaffali pieni di libri, un bar e un angolo per il poker.
Seduti su delle poltrone rilegate d’azzurro, c’erano dei tipi bizzarri. Di origini cinesi, visti gli occhi a mandorla. Stavano fumando delle pipe, quando videro due presone precipitarsi a sedere sulle sedie dinanzi a loro.
-Good Evening, Mr Zhu and Mr Yang – salutò James sistemandosi meglio la camicia. Indicò la ragazza – She’s Rossana. My favourite singer.
-La mia cantante preferita – tradusse la ragazza arrossendo. Salutò: - Hello! 
I due uomini non risposero. La studiarono come se fosse un quadro del 900. Lei sussurrò a James: - Ma parlano la mia lingua o solo l’inglese?
-Parlano poco your Language – rispose lui – Tu lascia parlare me. Okay? – lei annuì.
Riuscì in seguito a tradurre poco di ciò di cui si misero a parlare i tre uomini. James ogni tanto le diceva cosa stessero confabulando i due tipi e lei o annuiva, o scuoteva la testa. I soliti discorsi riguardo ai suoi organizzi, al prezzo prestabilito per pagare gli assistenti alle coreografie, ai costumi e al suono del microfono. Una vera seccatura. Se avessero scoperto che fino a poco prima stava combattendo contro le statue di un museo internazionale, non si sarebbero stabiliti molto sull’argomento della carriera.
La mente della ragazza era altrove. Non si era mai distratta da ciò che la riguardava. Stava pensando. Pensava a Rei, pensava ad Eric, pensava al mostro che l’aveva minacciata e a come la sua vita in una sera fosse improvvisamente cambiata.
 
Rei spalancò gli occhi all’improvviso. Gli strabuzzò mentre cercava di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. Sentì qualcosa di fresco sulla guancia. Era bagnato. Mentre si strofinava asciugandosi vide che si trattava di una spuma violacea e profumata. Capì tutto guardandosi intorno. Si trovava su una spiaggia cristallina anche al bagliore lunare. Vicino a lui sedeva un ragazzo.
-Eric – lo riconobbe – Sei tu! Non sei più una statua.
-Considerevolmente! – disse il ragazzo – Tutt’apposto? – gli chiese – Stai meglio?
- Sì sto bene. Ma cosa è successo e …. Oh … Dov’è Rossana? – strepitò guardandosi intorno spaventato.
-Sta bene – lo tranquillizzò Eric – L’ho lasciata al suo hotel e ti ho portato qui per salvarti la pelle.
-Che fine ha fatto il Rakasa?
-Morto.
-Morto? Chi è stato a …
-Senti, non provare neanche a ipotizzare che sia stata quella ragazzina a farlo fuori – Eric si scollò la maglietta che indossava. Aveva il petto e le spalle ricoperte di schiuma – Sono io che mi sono quasi rotto un osso stanotte.
-Lei era ferita?
-No. Sana era abbastanza sana – enfatizzò scherzosamente ma senza sorridere.
-Devo andare da lei – l’uomo si mise in piedi – Non vorrei che si cacciasse nei guai. E poi ho ancora tante cose da spiegarle.
-Davvero? Vorresti elencarle tutto ciò che farà presto parte della sua vita? Non ci vorrebbero nemmeno dieci millenni per descriverle Imperia.
-Lo so. Sarà complicato. Ma è la mia missione. Mi hanno affidato questo incarico e io lo porterò a termine. Domani la farò allenare con i poteri, poi magari la porterò qui in Imperia, la farò conoscere al consiglio e …
-E intanto le forze oscure saranno già alle porte della città pronte a sbranare tutti – Eric batté le mani – Bella idea. Qua ci vuole una strategia rapida.
-Che vuoi dire?
-Che voglio dire? Di non aspettare settantadue giorni per abituarla alla forza che ha dentro. Partite subito alla ricerca delle perle e salvate il mondo.
-Cosa?? No. Non se ne parla neanche. Non sa ancora niente delle perle. La manderei in uno stato di shock anafilattico e rimarrebbe anche paralizzata.
-Sarebbe rimasta in stato di shock quando abbiamo sorvolato New York su una macchina volante. Non è una fifona. Anzi è molto coraggiosa. Le racconti la storia come un maestro fa a ad un marmocchio e iniziate la ricerca.
-Non è così facile … ci vuole tempo.
-Il tempo non c’è! Mettitelo bene in testa! Sarò anche un demone pivello di Serie B ma posso considerarmi 100 volte più intelligente di te e di quei parassiti dei consulenti che ti mandano a cazzeggiare mentre il mondo rischia di svanire!
Rei sembrava infastidito dalle prediche di quel ragazzino impertinente. Ma una parte di lui sapeva che stava ascoltando parole sagge. Ragionevoli. Quella delle perle era una faccenda ancora più delicata di trovare l’Angelo Guardiano Supremo. Non si trattava del solito Viaggio alla ricerca di Oggetti Magici. Una caccia al tesoro sì. Ma rischiosa. Alquanto rischiosa. E Rossana era solo una bambina. Non poteva trascinarla in una simile avventura.
-E’ il suo destino – gli disse Eric come se gli leggesse i pensieri.
Rei sospirò: - Hai ragione – fu costretto ad ammettere – Allora andrò a parlare con i ministri e domani organizzeremo il viaggio.
-Vengo con te – decise il ragazzo.
-Dove? – domandò l’uomo confuso.
-Come dove? Al Dicastero.
-A fare che? Koralyn ti ha sempre preso in antipatia. Non ti vorrà – serrò le labbra tappandosi la bocca. Non doveva farsi uscire quei pettegolezzi poco carini.
Ma Eric non la prese male: - Lo so – dichiarò – Ma ci vengo lo stesso.
-Perché dovresti accompagnarmi?
-Per impedirti di fare cazzate.
-Prego?
-Tu sei il giocattolino di Koralyn. La temi e per questo né lei né gli altri ti lasceranno motivare la tua decisione. Verrò io e ti farò da ventriloquo.
-Ve-ntri … cosa?
-I Ventriloqui. Quelli che muovono le marionette facendo credere che parlino quando invece sono loro.
-Ah. Quindi io sarei una marionetta???
-Vuoi che Rossana salvi il mondo? Devi diventare la mia marionetta.
-Uuuff! E come pensi di riuscirci?? Te l’ho detto. Koralyn, dopo l’ultimo casino che hai combinato con il lampadario di pixie ha detto che se ti ribecca ti fa secco.
-Non ho nemmeno io molta voglia di vedere quella cialtrona sorniona. Per questo diventerò te.
-Co… cosa hai detto? – un vago pensiero passò nella mente dell’uomo – Non mi starai dicendo … che vuoi trasformarti in me … una mutazione???
-No! Lo sai che richiede cinque ore di tempo e non ho tutto questo tempo. Zuccone. Mi farò invisibile, ti verrò affianco e ti suggerirò cosa devi dire.
-Anche l’invisibilità richiede molto tempo.
-Sì. Quella permanente e duratura. Io posso assumerne una di circa mezz’ora.
-Così poco?
-Il tempo sufficiente per convincere quei balordi. Sta a vedere.
Il ragazzo chiuse gli occhi e non ascoltò le repliche di Rei. Si concentrò intensamente. All’improvviso degli artigli gli crebbero sulle unghie e senza pensarci troppo, chiuse i pugni conficcandosele nei palmi. Non urlò. Non sanguinò. Era come se stringesse dei batuffoli di polvere dorata. Disse una frase strana in una litania elfica. Venne avvolto da una cometa invisibile e sparì pezzo a pezzo.
-Ecco fatto – disse una voce nell’aria.
-Dove … sei? – domandò Rei guardandosi timorosamente intorno.
-Sono qui.
L’uomo sentì qualcuno tirargli la manica. E poi saltargli sulla schiena.
-Ei! – esclamò dimenandosi – Ma che stai facendo?
-Ti do un passaggio fino al Dicastero.
-Ma guarda che so camminare! Mettimi subito giù! Io …
-Camminare significa Allungare le ore. Non possiamo perdere altro tempo.
E senza ascoltare le sue preghiere di Rei con l’enorme scusa di soffrire di vertigini, Eric si sollevò sempre di più sorvolando una lussureggiante foresta oltre il Mare dei Paesaggi. Chiunque passava poteva scorgere un uomo sospeso nel cielo a dimenarsi e a piagnucolare: “Aiuto! Fatemi scendere! Sto per vomitare!”
E una voce invisibile controbattere: “Se non la smetti mollo davvero la presa!”
Rei calcolò la distanza che ora lo separava da terra. Gli venne da rimettere. Chiuse gli occhi: - Sto zitto.
 
 
Rossana si tirò le coperte fino al collo. Non aveva molto freddo e la morbidezza di quel piumone avrebbe fatto venire il sonno anche ai più ritardatari notturni. Ma lei non se la sentiva affatto di dormire. Guardava il cielo costellato dalla finestra della sua stanza. Con James e quei due Diligenti aveva discusso fino all’una sulla sua carriera. Del concerto per ora sapeva soltanto che si sarebbe tenuto fra due giorni in uno stadio di cui scordava il nome. In altre occasioni avrebbe chiuso gli occhi sognando già le decine di milioni di applausi che l’attendevano sul palco. Ma ora desiderava soltanto pensare.
Aveva paura di addormentarsi. Ciò che le era successo la spaventava ma allo stesso tempo l’affascinava e non poteva sopportare di chiudere gli occhi per un secondo, riaprirli e rendersi conto che si era trattato tutto di un sogno.
Non avrebbe mai sopportato il fatto che quella disavventura fosse stata irreale.
Che Rei fosse stato irreale.
Che le sue grandi capacità magiche fossero state irreali.
 
Che i suoi occhi fossero stati irreali.
 
Si tirò a sedere premendosi la fronte: - Ma … di chi sto parlando? – si chiese ad alta voce.
Non lo seppe di preciso.
Improvvisamente si era ritrovata un paio di occhi dorati stampati in fronte e non impiegò molto ad associarli al Ragazzo Demone che avevano salvato dalla pietra.
Quello che l’aveva salvata. Due volte.
Quello che le aveva fatto percorrere la città su un’auto volante.
E che l’aveva insultata come una bambina piccola.
Mise il broncio: - Che presuntuoso! – commentò ripoggiando la testa sul cuscino – Avrà anche uno sguardo attraente. Ma è arrogante e supponente! Spero di non avere più niente a che fare con lui!
E con questi pensieri chiuse gli occhi. La mattina dopo avrebbe dovuto svegliarsi. James l’avrebbe portata a Downtown per un’intervista via radio. Un altro pezzo della sua carriera al quale non dava stranamente più molta importanza.
“Se sono così potente” si disse “E se tutta questa storia non è fantasia … impedirò che qualcun altro si sacrifichi per me”
Promise queste parole con solennità. Al sorgere del sole si sarebbe resa conto se era finzione o realtà e lì sarebbe giunto il momento per vedere se mantenerle o no.
Il suo portachiavi a forma di rosa con la gemma rossa incastonata, si illuminò per un istante. Lei avvertì una piccola luce attraversarle le palpebre chiuse. Però non le alzò. Un senso di serenità la fece sorridere e poi finalmente entrò nel mondo dei sogni.

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Capitolo 8
*** * ★ Il Dicastero * ★ ***



Dopo aver trascorso i minuti peggiori della sua vita, restando sospeso in aria, retto dall’invisibilità, Rei atterrò oltre i cancelli di un enorme palazzo, nel cortile di fronte il portone principale.
Si trattava di un’altissima struttura dorata, con il sole che si rifletteva sulla grossa cupola centrale e le torri. Gli ingressi erano affiancati da enormi statue raffiguranti splendide veneri e ai lati delle scale che portavano a loro, c’erano coppe fumanti di incenso:
Il Dicastero.

Ogni volta che se lo trovava davanti restava affatturato dal suo splendore. Ma stavolta non si fermò a contemplarlo. Avanzò verso l’entrata.
-Sei dietro di me? – chiese.
Sentì qualcuno spingerlo: - Non farti vedere che parli al vento o ci sgamano.
-Okay. Ma tu non parlare.
-E chi parla?
Non ci fu bisogno di bussare o di dire una parola d’ordine o cose simili.
Non appena Rei si posizionò di fronte il portone, questo per un attimo cigolò, poi si aprì lentamente piegando i battenti e lasciando una via di entrata sottile.
Entrando si ritrovarono in un enorme androne con fiaccole spente attaccate al muro. La luce filtrava dalle grosse vetrate luminose. Il pavimento era ricoperto da un tappeto rosso di lino. Il soffitto a botte raffigurava incisioni di angeli e scene di guerra. Non c’erano lampadari. Una grossa scalinata conduceva a un lungo corridoio pieno di porte. Rei le percorse a passetti piccoli finché non sentì Eric Invisibile, spingerlo per accelerare.
-Ti ricordo che non ho tutta la vita! Tornerò visibile fra trentacinque minuti esatti!
-Okay scusa! – bisbigliò l’uomo indignato.
Impallidì quando vide che una donna appoggiata ad una porta cerea aveva assunto un’aria stranita quando lo aveva scorto.
-Mi perdoni Sopraintendente, “scusa” per cosa? – domandò.
-Ehm … niente … non parlavo con lei – arrossì Rei grattandosi la nuca – ero in conversazione telepatica!
-Ah … okay – la donna finse di aver capito – Desidera qualcosa?
-Sì. Chiedo un’udienza di dieci minuti.
-Non penso potrà, Sopraintendente. I Ministri sono in riunione.
-La prego. È importante. Ci metterò pochissimo.
-E va bene. Io ci provo. Ma non le prometto niente – detto questo la donna bussò alla porta su cui era poggiata e la aprì – Scusate tanto il disturbo signori. Ma il Sopraintendente della Sicurezza Marziale, chiede di vedervi. Lo faccio entrare o lo respingo?
Rei non sentì la risposta proveniente dalla stanza. Ma quando vide la donna scostarsi e indicarli con la testa la porta, capì che avevano accettato l’incontro.
Entrò nella Sala delle Riunioni, dov’era presente un lungo tavolo occupato da soli due candelabri, con dodici sedie tutte occupate. Una ragazza dai capelli corvini e gli occhi di ghiaccio, seduta a capotavola si alzò: - Vieni pure Rei – lo invitò a entrare.

Rei avanzò deglutendo. Tutte le volte che entrava in quella stanza si sentiva a disagio. Tutti gli sguardi erano puntati su di lui. Alcuni infastiditi per l’interruzione.
-Scusate infinitamente il disturbo, Koralyn – balbettò Rei – Ma ho un urgente questione da discutere.
-Ha per caso a che fare con la ragazza? – tirò a indovinare la donna, azzeccando al primo colpo.
-Proprio così.
-Ebbene. Parla.
-Ecco … - Rei esitò e chinò un po’ all’indietro la testa, come ad appoggiarsi a qualcosa.
Sentì la fievole voce di Eric che gli sussurrava tempestivamente.
Desidero proseguire al più presto con la ricerca delle perle”
-Vorrei proseguire con la ricerca delle perle il più presto possibile.
-Cosa? – esclamò uno degli uomini – Ma sei impazzito? È ancora troppo presto.
- Lo so ma … - Rei esitò ancora aspettando il suggerimento.
Abbiamo già avuto a che fare con un Rakasa. Ce la siamo cavati per miracolo
Lui ripeté e aspettò il seguito.
Per questo penso che l’esercito nemico ormai abbia capito di chi sia lei, dove vive e cosa fa. Non è più al sicuro. Prima ritroviamo le perle, prima Imperia ritroverà la pace”
Una donna inarcò le sopracciglia sottili: - Non sentite anche voi un certo echeggiare? – chiese ai colleghi seduti di fronte a lei, che fecero spallucce.
Rei deglutì: - Quindi … vi chiedo di procedere con la ricerca delle perle.
-E’ una richiesta assurda – commentò un uomo rigido – la ragazza ancora non è esperta! Non sa ancora di che incredibili capacità è capace L’Angelo Guardiano. Non possiamo mandarla in trasferta come se fosse una gita scolastica. Senza esperienza morirà prima di aver trovato la Prima Perla e allora sì che per tutti noi sarà la fine.
-Di questo mi occuperò io – stavolta Rei parlava senza suggeritore – la abituerò a tutto quello che questo viaggio ci riserverà. L’attrezzatura necessaria che l’aiuterà nella Conversione.
-Sei pazzo, Sagami – continuò lo stesso uomo – se pensi che fare da insegnate personale all’unica salvezza di Imperia, servirà a prepararla per la battaglia alla quale andrà incontro, possiamo anche risparmiare la fatica ai Rakasa e morire tutti suicidi!
-Basta Rook – lo fermò Koralyn alzando una mano. I suoi occhi cerulei si posarono su Rei e lo guardarono come si guarda una persona cocciuta e insistente – Saresti pronto a prenderti una tale responsabilità, Rei? Hai già fatto abbastanza rilevando la posizione della ragazza, cercandola e svelandole ogni cosa. Ma quella della Ricerca delle Perle è un’impresa ardua il doppia. Ne va della nostra stessa esistenza.
-Sono pronto a rischiare, Koralyn – disse Rei – Rossana è coraggiosa e intelligente. Se le spiegherò tutto fin nei minimi dettagli sono certo che capirà.
-Beh, in questo caso …
-Mi oppongo Koralyn! – la fermò Rook alzandosi in piedi – Dobbiamo riflettere molto attentamente prima di prendere decisioni simili. Rei è troppo affrettato. Non vuole dare tempo al tempo e …
-Il tempo è l’unica cosa che non abbiamo! – sbottò Rei ripetendo la stessa risposta che gli aveva dato Eric sulla riva del Mare dei Paesaggi – Portare qui Rossana, istruirla nell’Antro D’avorio, farle leggere tutti i volumi di negromanzia, farla esercitare e ambientare … è troppo! Richiederà almeno due mesi!!! E intanto la città sarà mezza invasa! Ciò di cui abbiamo bisogno, sono quelle perle! Ora che finalmente l’abbiamo trovata, lei riuscirà a recuperarle, ricomporre il Ciottolo D’Idra e rilegare la luce con il buio. Il viaggio inoltre, potrebbe durare più di due mesi se non lo intraprendiamo … anche domani! Le cose vanno fatte in fretta o si ritorcono contro i piani mandando tutti in fumo. Vi prego di darmi il consenso di partire!
A quel discorso anche Eric si stupì.
Gli aveva suggerito pochissime parole eppure Rei aveva parlato da solo con grande saggezza. Fu la prima volta che vide i membri del Ministero con la faccia esterrefatta.
E Koralyn cedere.
-Va bene. Acconsento.
-Che cosa? – sbraitarono alcuni suoi colleghi.
Lei gli zittì di nuovo: - Le parole di Rei sono più che esatte. Se non passiamo direttamente all’azione, facendo tornare l’Angelo Guardiano vigoroso come una volta, per questo modo non ci sarà un futuro.
-Un momento Koralyn – disse Rook ostinato – pensa molto attentamente a quello che stiamo facendo. Stiamo dando il nostro consenso a quest’uomo perché parta in avanscoperta per una pericolosissima caccia all’oro dal quale potrebbe benissimo non ritornare – Rei deglutì – e in più stiamo mettendo sotto la sua protezione l’unica ragazza che potrebbe dare una chance a questa guerra invincibile. È una responsabilità troppo alta e non credo che ne sarà all’altezza.
-Concordo pienamente – disse una donna dalla pelle scura – pensa se morissero al primo colpo. Che cosa ne sarà di tutto quello che i nostri antenati hanno generato in questi secoli?
-Concordo anch’io Koralyn. La responsabilità è troppo alta – disse un altro uomo.
E così via tutti i membri del consiglio disapprovarono la richiesta.
Rei cominciò a rassegnarsi ma non aveva ancora sentito l’ultima parola del superiore.
-Fermi tutti – esclamò infatti Koralyn stanca delle lamentele dei suoi colleghi. Si rivolse a Rei – Ti chiediamo di lasciarci in riunione qualche minuto. A breve sarai aggiornato sulla trattativa finale.
Rei accennò un piccolo inchino ringraziando e senza nemmeno salutare lasciò la stanza.
Andò a sedersi su una fila di sedie sistemata in corridoio.
Vicino a lui, Eric, ancora invisibile gli sussurrò: - Non era propri necessario che mi scomodassi a venire.
-Di che parli? – gli chiese l’uomo.
-Ora voglio che tu mi dica quante cose hai detto sotto mio suggerimento e quante ne hai dette tu di tuo – lui non rispose – Li hai lasciati tutti a bocca aperta. Scommetto che è la prima volta che hai un atteggiamento così aggressivo verso il Ministero.
-Sarà – commentò Rei facendo spallucce – Infondo ripensando a quello che mi hai detto prima, mi sono detto che dovevo dare loro le tue stesse motivazioni.
-Lo hai fatto ma in un modo più coerente. Koralyn ha acconsentito subito.
-Speriamo che riesca a convincere anche gli altri.
Attesero qualche minuto in silenzio.
Poi la gentile ragazza che stava di guardia alla porta venne ad avvertire la sua convocazione.
L’uomo, ansioso e con mani tremanti, impose a Eric di restare fuori ad aspettare e sparì dietro la porta.
Il ragazzo accettò suo malgrado, di rimanere seduto. Ma passò più tempo del previsto.
 
“Strano” si disse dopo un po’ “infondo devono solo dire o no. Perché …” non finì il pensiero.
Vide la porta della sala riunioni aprirsi e Rei, andare verso di lui. Era pallido come un fantasma e in mano teneva un foglio di carta verde.
-Allora? – volle sapere, agitato.
L’uomo ingoiò saliva prima di rispondere: - Hanno accettato.
Eric sbuffò sollevato: - Sì! Evvai! Sono proprio … Ei … cos’è quella faccia? Non sei soddisfatto?
Rei lo guardò ( o meglio pensò di guardare un punto a caso che identificò come i suoi occhi) e lentamente porse il foglio che reggeva in mano.
-L’ho firmato … prima di leggerlo – spiegò mentre il foglio si sollevava afferrato da una mano invisibile.
Eric lesse attentamente le parole scritte a inchiostro nero.

CONTRATTO DI LEGGITIMITA’ PER LA SICUREZZA DI IMPERIA.
Il soggetto, Rei Sagami, Sopraintendente della Sicurezza Marziale, si assume la piena responsabilità di condurre la ricerca delle Perle di Kuban , scortando l’ultima discendente degli Angeli Guardiani, Rossana Kurata proteggendola e istruendola per la difesa di Imperia.
I PRO effettivi di una quasi improbabile riuscita dell’impresa, consentirebbero al soggetto di entrare a far parte del Dicastero Del Regno dei Mille, avvicendando il posto del Curatore Generale Rook Barnus.
I CONTRO effettivi di un assai probabile fallimento, garantirebbero la fine di Imperia e il perenne dominio dei Diavoli Oscuri nonché morte di tutti i Perpetui.
In questo caso, il soggetto verrà condannato senza processo alla sentenza di morte.
A meno che non sacrifichi sé stesso per salvare la vita dell’Angelo Guardiano, molto più elargibile della sua.
Qualunque cosa accada a Rossana Kurata, Rei Sagami ne sarà ritenuto responsabile e anche se farà ritorno in patria con le Perle di Kuban, ma senza la ragazza, verrà in ogni modo giustiziato.

PRIMO MINISTRO ECCELSO
Koralyn Fervably.
 

Il foglio terminava con la firma di Rei.
Quando Eric finì di leggere, involontariamente, tornò visibile e poté mostrarsi ringhiante e con gli occhi che emanavano scintille di rabbia.

 

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Capitolo 9
*** ★: Ricatto Umiliante :★ ***



Quando Rossana si svegliò, dopo tre ore di sonno come minimo, volle tastare che tutta la giornata precedente non fosse stata frutto di un’allucinazione. In quel caso avrebbe abbandonato definitamente la carriera di cantante, pensando che fossero i riflettori troppo intensi a causarle tali fantasie. Invece quando provò ad aprire il bocciolo di una Camelia Rosa , posto sul balcone, questo si schiuse rivelando i suoi petali bagnati dalla rugiada del mattino.
Rossana deglutì e indietreggiò fino a ricadere sul letto. Prese un cuscino e se lo premette sulla faccia.
“Che faccio adesso?”
Quella era l’unica domanda che le dominava la testa.
Guardò sul su cellulare. Erano le nove passate. Tra un po’ se non fosse scesa alla mensa dell’albergo, probabilmente James l’avrebbe tempestata di chiamate fino a sfondare la porta della sua camera.
Non aveva prestato molta attenzione ai discorsi dei diligenti per il concerto la serata prima, ma non si preoccupava di presentarsi di fronte agli intervistatori, impreparata. Anzi, il concerto era l’ultimo dei suoi pensieri. Continuava a rivedere con la mente il museo della notte prima, Rei svenuto, Eric che la punzecchiava. Ebbe un brivido a quest’ultimo ripensamento.
Provò a placare i nervi sotto una doccia fresca. Quando ne uscì avvolta in un accappatoio bordeaux, fece per prendere un olio idratante e profumato che le rendeva la pelle liscia e lucida, ma con delusione si accorse che la fialetta era del tutto vuota.
Sbuffò e con foga la buttò sul pavimento.
A questo punto avrebbe dovuto arrangiarsi con un po’ di olio d’avena già presente nella suite, prima del suo arrivo in città.
Stava per metterci le mani sopra quando una vaga idea la bloccò.
Voltò gli occhi verso il contenitore dell’olio accasciato a terra e aggrottò la fronte. La riprese delicatamente tra le mani.
Si affacciò un secondo fuori dal bagno come se pensasse che ci fosse qualcun altro oltre a lei. Chiuse la porta a chiave due volte e ansimò.
-Non posso credere che sto per farlo – disse prima di stringere forte la fialetta tra le mani e chiudere gli occhi.
Sentì un tremito percorrerla
Quando li riaprì, pochi istanti dopo, sobbalzò con un mezzo sorriso. La fialetta si era riempita del solito profumatissimo liquido giallo all’ aroma di vaniglia che si cospargeva tutte le volte sul corpo.
Si guardò le mani: - Grazie – sorrise soddisfatta.
 
Dopo essersi asciugata, vestita e rifatta il viso con un filo di fondotinta, uscì dalla stanza senza sentire più il peso della realtà sullo stomaco.
Senza accorgersene raggiunse la mensa e dal buffet prese una tazza di cappuccino e un plum-cake riscaldato.
Andò a sedersi al tavolo più vicino alla finestra e si godette pochi attimo di silenzio essendo la sola presente in sala oltre a due avvocati con cartucce in una mano e del caffè nell’altra.
Durò poco.
-Good Morning, My Dear! – disse la voce pimpante di James comparendole di fronte e prendendo posto.
-Ciao – replicò semplicemente lei.
-So, are you ready? Dobbiamo essere a Downtown fra mezz’ora.
-Penso di sì.
-Fai una buona colazione, allora! Ti voglio superba di fronte le telecamere.
-Farò del mio meglio – disse lei ingoiando la prima parte del cornetto.
Più tardi si ritrovò nella macchina di James a percorrere una strada piena di insegne di negozi con saldi e parchi che si animavano di atleti, cani e bambini.
Durante il tragitto alla ragazza venne in mente una cosa. Si assicurò che James fosse troppo occupato a muovere al testa al tempo della musica di 50 Cent alla radio per guardarla o parlarle.
Agitò il dito tracciando un cerchio in aria. Rimase immobile.
Improvvisamente del putrido sterco di piccione, macchiò il vetro della macchina e James lanciò un urlo da femminuccia.
-Oh, fuck! – imprecò azionando i tergi cristalli – Fucking Bird!
Rossana rise sottovoce.
-Devi stare attento – gli disse – infondo è New York – e approfittò della sua distrazione per cambiare alla svelta stazione radio e immergersi nella musica di Jhon Lennon.
-Very better – disse chiudendo gli occhi.
 
-Andiamo, non piantarmi in asso, così! – esclamò Rei inciampando nell’ennesimo sasso. Stava seguendo Eric come se fosse la sua ombra e non guardava dove metteva i piedi. Il ragazzo non si voltò a guardarlo nemmeno una volta.
Da quando avevano lasciato il Dicastero, era rimasto indignato perché il contratto fatto con il Consiglio, se non veniva valutato, prevedeva la morte di Rei. Gli aveva dato del “Cretino” .
Chi firma i contratti prima di leggerli?
-Veditela da solo – gli disse – Io ho fatto la tua parte.
-Ah, sì? Che parte? – disse l’uomo – Ho dovuto sbrigarmela da solo al Dicastero. Tu eri soltanto una vocetta nel nulla.
-Ti ricordo, mio caro,che se non fosse stato per me, né tu, né la ragazzina avreste ancora i piedi piantati in questo mondo.
-Oh – Rei deglutì. Si era dimenticato di quell’affermazione ovvia- Comunque, Eric, non puoi andartene. È stata tua l’idea di partire adesso alla Ricerca delle Perle.
-Ma sei stato tu a giurare di accompagnarla.
-Andiamo! Se non l’avessi fatto, pensi che quelli mi avrebbero dato il permesso? Ti scongiuro, c’è in gioco la mia testa!!
-Cosa vuoi che faccia?
-Mi devi aiutare. Non dicevo seriamente quando ho detto che me la sarei vista da solo insieme a lei. È una cosa troppo rischiosa. In due non riusciremo a varcare nemmeno il primo portale.
-Mi stai chiedendo di unirmi a voi.
-Sì … o se proprio non vuoi … di aiutarmi a trovare qualcun altro.
-Opto più per la seconda.
-Sul serio? Lo hai detto tu stesso è in balio la salvezza di tutti.
-L’ho detto, sì. Ma non ho mai detto che è una mia responsabilità. Ti ricordi per caso perché mi chiamano Demone di Serie B? Ebbene perché sono famoso per pensare soltanto a me stesso. Non che non voglia che il mondo intero scompaia, ma se mi stai chiedendo di prendere uno zaino e una torcia e partire all’avanscoperta con te e quella mezza rincitrullita di una ragazzina, hai sbagliato persona.
Rei serrò le labbra: - Sei davvero incredibile.
-Lo so. Modestamente – Eric riprese a camminare diretto chissà dove.
Rei all’inizio non lo seguì, poi però gli urlò dietro: - Beh, almeno dammi una mano a trovare qualcuno!
-E chi? Per tua informazione io non ho amici o qualcuno a cui vada a genio. Chiedi a qualcun altro.
-Aspetta! Forse conosco qualcuno che fa al caso mio. Ma tu sei essenziale per incontrarlo.
-Cosa?
-Mi serve uno degli Eclipsi.
Eric si irrigidì:- Oh, ma certo! Andiamo a fare visita a qualche bell’Eclipse. Sono sicuro che ci accoglieranno con coca e patatine.
-Infatti non mi riferivo a quelli superiori – aggrottò la fronte – Parlo di uno in particolare.
Eric fece il vago: - Di cosa stai …
-Non fare finta di niente. So tutto di quella vostra … famosa tregua dopo averti visto fare …
-Zitto! – strepitò lui rosso in faccia – Non me lo ricordare. Come cazzo lo hai saputo???
-Il tuo amichetto ha la lingua lunga.
-Non è mio amico – digrignò l’altro – E appena lo prendo lo …
-Se non vuoi che la notizia spopoli – lo ricattò Rei – Aiutami a convincerlo ad accompagnarci nell’impresa o potrei lasciarmi scappare qualche parola alla Rose Bud Tv!
-Non osare!
Rei rimase in silenzio, ghignante e aspettando una risposta.
Eric ringhiò ma alla fine cedette.
-D’accordo! Andiamo a trovare sto vampiro!

 

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